Grice e Taddio: la ragione conversazionale della fenomenologia eretica
– filosofia italiana – Luigi Speranza (Udine). Filosofo
italiano. Udine, Friuli, Venezia Giulia. Si occupa in particolare di
fenomenologia della percezione, ontologia e teoria della conoscenza a cavallo
tra estetica e metafisica. Si laurea in Trieste. Insegna a Udine. Allievo di BOZZI e DEROSSI. Il suo saggio Spazi
immaginali, Campanotto, con prefazione di Ferraris, è un testo di narrativa
filosofica che si inserisce all'interno della tradizione del realismo magico.
L’esistenza viene espressa da una sequenza di istantanee emergenti dallo spazio
immaginale. Tutti i suoi saggi sono di matrice realista. Fenomenologia
eretica: saggio sull'esperienza immediata della cosa, Mimesis, s’incentra sull'analisi
di un unico esempio considerato dall'autore paradigmatico per l'intera
tradizione fenomenologica: la percezione di un cubo. L'analisi critica
dell'esperienza è sviluppata, da un lato, in rapporto alla fenomenologia
sperimentale e, dall'altro, in risposta alle critiche alla fenomenologia.
A partire di Magritte, ne Il mistero viene applicata la teoria della percezione
diretta al problema della raffigurazione pittorica. In L'affermazione
dell'architettura, Mimesis, la relazione filosofia-architettura sta al centro,
come in Costruire abitare pensare, Mimesis, e Città metropoli territorio, Mimesis.
Il concetto d’affermazione in architettura e preso in “aut aut”. In Verso un realismo,
Jouvence, si delinea un'ontologia della meta-stabilità. Sul tema del realismo
avvia un articolato confronto. Le riflessioni sul realismo si sono sviluppate
in diversi direzioni: politica, architettura, cinema, ontologia ed
epistemologia -- v. Alfabeta, aut aut, Cinema & Cie, Teoria e Modelli, e La
filosofia futura. Fonda Mimesis. La società è detentrice dei marchi editoriali
di Mimesis in Italia. Progetta e realizza la rivista di approfondimento
culturale Scenari. Crea e dirige il festival Mimesis, territori delle
idee. A partire da una prima formazione politica di stampo
liberal-socialista lavora in direzione di un rilancio della cultura cosmopolita
in rapporto alle nuove forme di partecipazione democratica -- interventi:
festival Vicino Lontano, Pop Sophia, e Radio Radicale. Palazzo Reale, Genova. Altri
saggi: La natura della rappresentazione, Mimesis; Osservazioni sulla stabilità tra estetica e
metafisica, Jouvence; Un mondo sotto osservazione, Mimesis; La guerra e il mortale
(Mimesis); “Quale filosofia per il partito democratico e la sinistra, Mimesis; La
terra e il sacro, Mimesis; Un metodo pericoloso, Mimesis; Manifesto per una
sinistra cosmopolita, Mimesis; Radicalmente liberi, Mimesis; L'apparire della cosa,
Uno scandalo per il pensiero, su I lsole24ore,
aut aut. Ma il realismo non è tutto nuovo, su corriere. È il crepuscolo delle
tradizioni, su corriere. Sinistra e realismo, su alfabeta, Vuoti di sapere, su
aut aut. saggiatore. Passione politica e democrazia. Marionette al potere, Curi,
Marramao, Palazzo Reale Genova, Intervista. Artribune. Luca Taddio. Taddio.
Keywords: fenomenologia eretica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Taddio,” The
Swimming-Pool Library.
Grice e Tagliabue: la ragione conversazionale del Remo, o le strutture
del trascendentale – il concetto di gusto nell’estetica italiana – filosofia lombarda
-- filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano). Filosofo
italiano. Milano, Lombardia. Studia a Milano. Collabora a riviste. Saggi Le
strutture del trascendentale: piccola inchiesta sul pensiero critico,
dialettico, esistemziale, Bocca, Milano; e Il concetto dello stile: saggio di
una fenomenologia dell’arte, Bocca, Milano. Insegna a Milano e Trieste.
Collabora a convegni e scrive su La lettura e La rassegna d'Italia, la Rivista
critica di storia della filosofia, la Rivista di filosofia, Belfagor, il giornale
critico della filosofia italiana, la rivista di estetica, Il pensiero, Aretusa,
Lingua e stile, Studi di estetica, Studi tedeschi, aut aut, ecc. Si occupa di
germanistica, gnoseologia, semantica, estetica e poetica, attraverso numerosi
saggi di taglio fenomenologico. Come per BARATONO e BANFI, la sua analisi dell'estetica e delle
scelte poetiche e stilistiche degl’artisti si distacca dall'impostazione di CROCE
e poi di CALOGERO per orientarsi verso l'aspetto pratico, influenzato anche
dall'esistenzialismo positivo d’ABBAGNANO, del fare arte, che non può ridursi
alla sola conoscenza, ed è fortemente legato alla tecnica, intesa anche come
gesto manuale e meccanico, e allo stile, inteso come rapporto tra gl’elementi
formali e quelli contenutistici dell'opera -- sede, inoltre, dell'unità nel
rapporto tra percezione e immaginazione. Organizza le teorie d'artista e le
dottrine estetiche non tanto in senso cronologico, ma per tipi: estetica
vitalistica, estetica psicologistia, estetica formalistica, estetica fenomenologica,
ecc. In Linguistica e stilistica del Lizio, Ateneo, Roma, e Demetrio, dello
stile, Ateneo, Roma, si occupa di retorica e stilistica antiche. Altri saggi: Il
Lizio e il barocco, Bocca, Milano; Il barocco e noi; Anatomia del barocco,
Æsthetica, Palermo, indagano sul barocco artistico e letterario, Bocca, Milano.
Si occupa anche di estetica, del pre-criticismo, della polemica
Nietzsche-Wagner, di Goethe, Musil, Roth, Kafka, ecc. Critico con la
contestazione studentesca, eppure non evita il confronto con il movimento. I
processi di GALILEI e l'epistemologia, Bocca, Milano; Dai romantici a noi,
Marzorati, Milano; Il concetto del gusto nell'Italia, Nuova Italia, Firenze; Fenomenologia
dei giudizi di valore, Istituto di filosofia, Trieste; La SEMANTICA e i suoi
problemi, Istituto di Filosofia, Trieste; “La nevrosi: Saggi sul romanzo,
Marietti, Monferrato; Nietzsche contro Wagner, Tesi, Pordenone; Geologia
letteraria, Garzanti, Milano; Goethe e il romanzo, Einaudi, Torino: Einaudi; Il
gusto nell'estetica, Centro di studi di estetica, Palermo: Arte e alienazione:
il ruolo dell'artista nella societa, Marzorati, Milano; I sogni di un
visionario spiegati coi sogni della metafisica, Rizzoli, Milano; Sul sentimento
del bello e del sublime, Rizzoli, Milano; Sul gusto, Marietti, Genova; Esercizi
filosofici, Russo, L’estetica, Æsthetica Pre-Print; Dizionario biografico degl’italiani,
Roma, Treccani, Istituto, Enciclopedia Italiana. Ritratto di un genio
politicamente scorretto. Magris, Corriere della Sera. Guido Morpurgo-Tagliabue.
Morpurgo-Tagliabue-Remo. Tagliabue. Keywords: Romolo, le strutture del
trascendentale, concetto del gusto, estetica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Tagliabue,” The Swimming-Pool Library. Tagliabue.
Grice e Tagliagambe: la ragione
conversazionale e la mediazione della re-presentazione – filosofia lombarda -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Legnano). Filosofo
italiano. Legnno, Milano, Lombardia. Studia a Milano su GEYMONAT con cui si
laurea con una tesi sull'interpretazione della meccanica quantistica. Prosegue
suoi studi specializzandosi sotto la direzione di Terleckij e Fock. La sua
attività si è sviluppata attraverso un variegato percorso che lo porta ad
insegnare presso diversi atenei e a collaborare con differenti centri di
ricerca ed enti istituzionali come consulente. Si concentra sul rapporto
tra filosofia e fisica quantistica in particolare sul concetto di realtàe sui
rapporti tra materialismo dialettico e fisica. Rivolve l'attenzione sui temi
del rapporto tra realtà OSSERVATA e sistema OSSERVANTE, le interazioni
reciproche e il ruolo del linguaggio, della comunicazione INTER-SOGGETIVA,
della mediazione linguistica e della semiotica. Elabora il ruolo e il
significato di interfaccia, il rapporto tra intelligenza NATURALE e
intelligenza artificiale, in particolare il ruolo progressivamente avuto dalle
tecnologie di informazione e comunicazione. Essamina i contributi sul significato
del concetto di margine, sia esso su un essere vivente, un'interfaccia o il
rapporto tra corpo ed anima, nei sistemi sociali e nella comunicazione. Studia
le forti inter-connessioni tra artificiale e NATURALE, il senso
dell'interdisciplinarità, e il saggio Il sogno di Dostoevskij: come l’anima
emerge dal cervello, Cortina, Milano, attraverso una visitazione storica dal
dibattito tra Dostoevskij e Secënov, fino alle scoperte della neuro-fisiologia,
mettendo a fuoco il senso del rapporto tra il corpo e l’anima, il significato e
la funzione dell'inconscio. Ricostrusce e interpreta l'intenso scambio
dialogico tra Pauli e il fondatore della psicologia analitica Jung, nel quale
emerge il rapporto tra filosofia, fisica e psicanalisi. L'analisi tra visibile
e invisibile, il ruolo dell'arte e il senso epistemologico dello spazio
intermedio e del confine sono stati da lui sviluppati anche attraverso
un'esegesi di Florenskij. Le ricadute della sua filosofia sulle scienze
sociali ed economiche trovano approfondimenti nei saggi dedicate all'analisi
dei sistemi organizzativi socio-economici. L'attività presso la facoltà di architettura
l'ho porta a riflettere sull’epistemologia del progetto, sulla relazione tra
possibilità e realtà, sul rapporto tra l'io, lo spazio, il tempo – cf. Grice,
“Personal Identity” --, l'ambiente, tra urbs e civitas, sul concetto di
paesaggio, sul ruolo delle città globali e sul nesso tra globale e locale. Gli
sviluppi delle tecnologie digitali e poi della rete come fenomeno prima
tecnologico poi culturale e sociale vengono elaborati e incorporati nella sua
filosofia. La sua riflessione è indirizzata anche ai temi dell'apprendimento e
dell'organizzazione della conoscenza soprattutto alla luce delle reali
esperienze della scuola, dei processi di modernizzazione e innovazione che la
coinvolgono e delle nuove esigenze che essa deve affrontare Dirige il
rifacimento del manuale di filosofia di GEYMONAT, La realtà: ricerca filosofica,
Garzanti. Collabora con il CNI per il Scintille dedicato all'innovazione a Pisa,
Cagliari, Roma La Sapienza, Sassari, facoltà di architettura di Alghero, vicepresidente
CRS4, ministero dell'istruzione, dell'università e della Ricerca per la
Riforma, CIES, FIESEC, direttore del progetto scuola digitale della Sardegna. Vedi
Materialismo e dialettica nella filosofia sovietica; Scienza e marxismo in Urss;
La MEDIAZIONE linguistica. Il rapporto pensiero-linguaggio. Epistemologia del
confine; recensione Corriere della Sera che cita che con questo saggio va
avanti sul progetto di esplorare una originalissima epistemologia del confine.
La tecnica e il corpo. Organizzazioni. Soggetti umani e sviluppo
socio-economico. Individui e imprese: centralità delle relazioni. L'albero
flessibile. La cultura della progettualità. Lo spazio intermedio, Bocconi,
Milano, riprende, rielabora ed estende il concetto di confine. La didattica e
la rete. Più colta e meno GENTILE. Percorsi per l'obbligo formativo; L'interpretazione
materialistica della meccanica quantistica. Fisica e filosofia, Feltrinelli,
Milano; Scienza, filosofia, politica, Feltrinelli, Milano; Materialismo e
dialettica, Loescher, Torino; Scienza e marxismo, Loescher, Torino, La
mediazione linguistica: il rapporto pensiero-linguaggio, Feltrinelli, Milano; Lo
spiritismo, Boringhieri, Torino; L'impresa tra ipotesi, miti e realtà, ISEDI,
Torino; Epistemologia del confine, Saggiatore, Milano; La politica che non c'è:
dee guida per un progetto tra razionalità e valori, Demos, Cagliari; Il
sequestro dell'identità, CUEC, Cagliari; La città possible” Dedalo, Bari; Epistemologia
del cyber-spazio, Demos, Cagliari; L'albero flessibile: la cultura della progettualità,
Masson, Milano); Il profilo del tempo, Nuova civiltà delle macchine, Organizzazioni.
Soggetti umani e sviluppo socio-economico, Usai, Giuffré, Milano; La didattica
e la rete, Pitagora, Bologna; La comunicazione nell'era di Internet; Etas
Libri, Milano; Il destino del marxismo: dall'idolatria al rifiuto; Luiss, Roma; La vittoria di Babele: dalla filosofia
naturale alla separazione dei linguaggi; Civiltà delle machine; Filosofia della
scienza, Cortina, Milano; Percorsi per l'obbligo formativo, PLUS, Pisa; L’unitario,
Cultura, Teramo; Le due vie della percezione e l'epistemologia del Progetto, Angeli,
Milano; Più colta e meno GENTILE: una scuola di massa e di qualità, (Armando,
Roma; Florenskij, Bompiani, Milano, La tecnica e il corpo, Angeli, Milano; Individui
e imprese: centralità delle relazioni, Giuffrè, Milano; Saper fare la scuola:
il triangolo che non c'è, Einaudi, Torino; Storia della filosofia, Filosofi italiani, Bompiani, Milano; Storia
della filosofia; Un confronto su materia e psiche, Cortina, Milano, La libertà,
le lettere, il potere; Rubbettino, Soveria Mannelli; La realtà e il pensiero: la
ricerca filosofica e scientifica, Garzanti Scuola. Silvano Tagliagambe. Tagliagambe. Keywords:
mediazione linguistica, naturale/artificiale. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Tagliagambe” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Taglialatela: la ragione conversazionale degl’istituzioni di
filosofia – filosofia campanese 00 filosofia italiana – Luigi Speranza (Mondragone). Flosofo italiano. Mondragone, Caserta, Campania. Studia a
Sessa. Insegna a Cava e Napoli. S’arruolarsi nelle truppe di GARIBALDI (si
veda), per predicare i nuovi ideali del movimento unitario. Dirigge una scuola
privata. Riprende e sposa le tesi di GIOBERTI (si veda), che lo affascina. Su
questo indirizzo filosofico è stato imperniato Istituzioni di filosofia, Diogene,
Napoli, che riceve le lodi di SPAVENTA. Non manca, in seguito, avendo aderito
al protestantesimo, di compiere opere missionarie, in particolare in Puglia e
in Abruzzo. A tal riguardo è documentato il viaggio di Pescasseroli sul quale
scrisse CROCE, che segnala anche come e considerato, assieme a MAZZARELLA e
CAPORALI, fra i filosofi più creativi del movimento protestante in Italia.
Altre saggi: Apologia delle dottrine filosofiche di GIOBERTI, Diogene, Napoli, La
scienza, la vita e SANCTIS, Diogene, Napoli, GARIBALDI, Speranza, Roma; Il papa-re
nelle profezie e nella storia, Speranza, Roma, In Dio, Speranza, Roma; Fede,
speranza e caritàm Speranza, Roma; Teoria evangelica della vita, Speranza, Roma,
Ciampoli, T., Unione, Roma; Croce, Pescasseroli, Laterza, Bari; Fiore, Civiltà
Aurunca, Iurato, T.: dalla filosofia del Gioberti all'evangelismo anti-papale, Claudiana,
Torino; Gioberti, Protestantesimo in Italia, Dizionario biografico dei protestanti
in Italia; Società di studi valdesi. Apologia della dottrina di Gioberti. Pietro
Taglialatela. Taglialatela. Keywords: istituzioni di filosofia. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Taglialatela” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Tagliapietra: la ragione conversazionale e la sincerità conversazionale
– filosofia veneta -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Venezia). Filosofo italiano. Venezia, Veneto. Studia al Foscarini di
Venezia, e si laurea alla Foscari con una tesi discussa con SEVERINO e MADERA.
Perfeziona gli studi d’ermeneutica sotto la guida di ENZO. Insegna a Sassari e Milano.
Fonde nelle sue ricerche un'indagine storica sulla filosofia romana con
un'attenzione a temi contemporanei legati al mondo delle immagini e della
comunicazione, allo studio del linguaggio e delle metafore, nonché
all'intreccio storico e teorico fra dramma e filosofia. In quest'ultima
prospettiva si orientano i suoi saggi sull'idea di sincerità e sul significato
della bugia nel quadro di una costruzione drammaturgica dell'individuo, sul
ridere e sulla natura del personaggio comico e l’eroe tragico. Cura per
Feltrinelli, Boringhieri e Mondadori L'Apocalisse di Giovanni, raccolte di saggi
sull'illuminismo e sul tema della catastrofe; il Fedone o sull’anima, Feltrinelli,
Milano; L’apocalisse di FIORE (si veda), Feltrinelli, Milano; Voltaire,
Rousseau, Manzoni, Volney, Feuerbach, Mercier. Cura Valent. Collabora
saltuariamente al Gazzettino, il quotidiano della sua città, e a varie testate
giornalistiche: Capital; Panorama; Il Sole 24 Ore; l'inserto culturale Saturno
del Fatto quotidiano, ecc., con interventi di carattere culturale o legati
all'attualità sociale e politica. Con La virtù crudele: filosofia e storia della
sincerità (Einaudi, Torino, vince il Viareggio - è stato conferito il Viaggio a
Siracusa per FIORE (si veda) e la filosofia, Prato, Padova. È direttore del giornale
critico di storia delle idee. Fonda e dirigge a Milano del centro di ricerca inter-disciplinare
di storia delle idee e di Icone, un centro di ricerca di storia e teoria
dell'immagine a Palazzo Arese Borromeo. Altre saggi: La metafora dello specchio:
lineamenti per una storia simbolica, Feltrinelli, Milano, Boringhieri, Torino; Il
velo di Alcesti: la filosofia e il teatro della morte, Feltrinelli, Milano; Filosofia
della bugia: figure della menzogna nella filosofia occidentale, Mondadori,
Milano; La forza del pudore: per una filosofia dell'inconfessabile, Rizzoli,
Milano; l dono del filosofo: sul gesto originario della filosofia, Einaudi,
Torino; Icone della fine: immagini apocalittiche, filmografie, miti, Mulino,
Bologna, Sincerità, Cortina, Milano; Non ci resta che ridere, Mulino, Bologna; Alfabeto
delle proprietà: filosofia in metafore, Moretti, Bergamo; Esperienza: storia di
un'idea (Cortina, Milano; Filosofia dei cartoni animati, Boringhieri, Torino; Cartografia
filosofica, La migrazione dello spirito” Mimesis, Milano; Tempo a termine e
tempo senza fine: breve storia figurale della temporalità, Mimesis, Milano; Non
desiderare la donna e la roba d'altri, Mulino, Bologna; Il senso del dolore, Raffaele,
Milano; Zerologia. il vuoto e il nulla, Mulino, Bologna; Apocalisse di Giovanni,
Feltrinelli, Milano; La verità e la menzogna: sulla fondazione morale della
politica, Mondadori, Milano; Che cos'è l'illuminismo? la genealogia del concetto,
Mondadori, Milano; Il sacro, Gallone, Milano; La catastrofe. L'illuminismo e la
filosofia del disastro, Mondadori, Milano; La fine di tutte le cose, Boringhieri,
Torino; La storia e l'invenzione, Prato, Padova; Le rovine, ossia meditazione
sulll’impero romano, Mimesis, Milano; L'uomo è ciò che mangia, Boringhieri, Torino;
Montesquieu a Marsiglia, Inschibboleth, Roma; Bisogna sempre dire la verità? Cortina,
Milano; L’idea della fine, Agalma; Il rischio e il limite”; Magazine, Energia,
Pearson. Il gesto di Socrate; Il pudore e l'enigma; Spazio Filosofico, Tipologia
del riso, Fillide, Corpo di pazienza, Esser contro, XÁOS. Giornale di confine,
Il dono della filosofia, XÁOS. Giornale di confine, Il giallo della filosofia, XÁOS.
Il volto del potere, XÁOS, La Lotteria di Babele. Appunti filosofici su caso e
fortuna nella società della comunicazione, XÁOS. Giornale di confine, L'apocalisse
delle immagini. Esegesi del cinema a partire da Fino alla fine del mondo, XÁOS,
La gola del filosofo. Il mangiare come metafora del pensare, XÁOS. Dire la
verità. L'insistenza della critica, Giornale critico di storia delle idee, L'uomo è un animale che esita. Intervista di
Dotti, in Vita, Presentazione. Il dono del filosofo. Sul gesto originario della
filosofia in Inschibboleth, Presentazione. Icone della fine. Immagini
apocalittiche, filmografie, miti Del senso della fine. Dialogo con Dotti,
Communitas, Cultura: futuro, progresso e possibilità Lezione magistrale al festival
di filosofia di Modena, Inganni. Finzioni di verità e storia naturale
dell'intelligenza. La filosofia della sincerità, di Pinto Il riso è il proprio dell'uomo. Commento in
margine a Non ci resta che ridere di Tugnoli. Se essere sinceri è una virtù
crudele. Uno studio fra storia e filosofia, Galimberti, La Repubblica, La virtù
crudele. Filosofia e storia della sincerità, Tugnoli, Dialeghestai. Rivista
telematica di filosofia, Premio letterario Viareggio-Rèpaci. Giornale critico
di storia dell’idee. CRISI: Centro di ricerca in storia delle idee. ICONE,
Centro europeo di ricerca di storia e teoria dell'immagine, su centro palazzo borromeo.
Ciclo di lezioni dette Decadi, Aula Tafuri, Palazzo Badoer, Venezia, nel quadro
del laboratorio di progettazione architettonica dello IUAV diretto da Rizzi e
costituente il I, Libro dello studio,
del progetto Lampedusa. La cattedrale di Solomon. Andrea Tagliapietra. Tagliapietra.
Keywords: Gioacchino da Fiore, l’apocalisse, dell’anima, Manzoni, inventare,
storia, sincerità. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Tagliapietra” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e Tamburino: all’isola -- la ragione conversazionale all’isola --
il probabilismo tenue nella filosofia siciliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Caltanissetta). Flosofo italiano. Caltanissetta, Sicilia. Entra nella
compagnia di Gesù, resta a Caltanissetta. Insegna a Messina e Palermo, e Monreale.
Consigliere e qualificatore nel santo uffizio dell’inquisizione, ossia di
esaminatore dei reati prima della loro attribuzione alla competenza dell'inquisizione.
Durante un soggiorno romano, quale rappresentante della provincia gesuitica
siciliana alla congregazione generale della compagnia di Gesù, conosce Greuter,
che lavora per la casa generalizia dei gesuiti. Apprezzandone le doti, T. gli
affida l'incarico di incidere le immagini della Madonna. Realizza finalmente il
progetto di dare alle stampe le notizie preparate da Gajetano, riguardanti
appunto i luoghi del culto mariano nell'isola, facendo illustrare l'opera con
tavole riproducenti le relative icone della madonna. Accanto alle suoi
saggi filosofici, restano anche edizioni, una in latino ed una in volgare, di
un volume con incisioni di raro pregio per la raffinatezza di Greuter. Di
queste II edizioni si trovano rari esemplari che, per le limitazioni derivanti
dall'esaurimento delle matrici, sono, per buona parte, prive delle pagine in
cui sono stampate le incisioni. Nella conoscenza del peccato attribuisce
importanza primaria alla cognitio singulorum, cioè alla capacità di valutazione
dei singoli. Diverso è, infatti, il peso delle colpe a seconda se a commettere
l'infrazione è l'individuo colto oppure l'ignorante. Nel individuo colto
prevale la VIS RATIOCINANDI. Nell’ignorante, la VIS SENTIENDI. Ancora
differenza c'è tra l'ACTIO HUMANA e l'ACTIO HOMINIS. La prima e compiuta in
perfetta consapevolezza. Nell’azione di un uomo la coscienza è spesso
condizionata dal patire passionale, che può essere VIOLENTVM, COACTVM, o
NECESSARIVM -- venendo così a mitigare la colpa. Nel trasporto passionale
c'è dell'involontario, spesso frutto di ignoranza che rende la coscienza
erronea. Il tutto si traduce in una interpretazione benignista della prudenza o
epi-eìcheia, riprendendo la tradizione d’AQUINO. A sostenere questa intensa
produzione sul probabilismo, col rientro da Palermo a Genova di Diana, rimane.
I suoi saggi hanno ampia diffusione fino al riconoscimento della validità delle
tesi probabiliste d’Alfonso de' Liguori che con la sua Theologia Moralis mette
sostanzialmente fine al rigorismo giansenista. Il probabilismo incontra
ostilità negl’ambienti religiosi più vicini al rigorismo dei giansenisti. A
contrastare le tesi del probabilismo i più influenti furono i domenicani, che
spinsero Retz, a farsi portavoce presso il papa per l'emanazione di un provvedimento
di condanna. Alessandro VII, sollecitato più volte, condenna il probabilismo.
Sono censurate solo le tesi più estreme. Un'altra condanna del probabilismo e
promulgata da Innocenzo XI. Però questa volta T. non sube sanzioni ad personam, così passa alla
storia della morale, come padre della probabilità TENUE.Con esso si chiuse il
periodo d'oro della esportazione della cultura siciliana. È sancita la completa
ri-abilitazione di T. con la pubblicazione di “Verità vindicata” che NICETI da alle
stampe a Roma. I suoi saggi sono stati riuniti in Methodus expeditae confessionis,
Opuscola tria de confessione, Comunione et sacrificio missae, Expedita decaloghi
explicatio. Libris decem digesta; De sacrificio missae Expedite celebrando libri
III, Della consolazione della filosofia, Juris divini, juris naturalis et juris
ecclesiastici, Expedita moralis explicatio, Complectens tractationes III, de
Sacramentis, quae sunt de jure divino, DE CONTRATTIBVS, QVOS DIRIGIT IVS
NATURALE; De censuris et irregularitate, quae sunt de iure ecclesiastico; Tractatus
de bulla cruciata; Sanctissimae deiparae cultus in Sicilia; Nomen sublatum; Ragguagli
delli ritratti della SS. Vergine Nostra Signora più celebri, che si riveriscono
in varie Chiese nell'isola di Sicilia; Opera di Cajetano della Compagnia di
Gesù; Germana doctrina R. Thomae perspicue refellens impugnationes baronii
adversus illam allatas; Tractatus in V ecclesiae praecepta; Tractatus de jubileo
manoscritto; Additamentum continens aliquot epistolas, et levem vindicationem
contra Joannem Sinichium hybernum authorem libri Saul et Rex, bibl. Roma. Fondo
Gesuitico, Traduce La consolazione della Filosofia. L'Anno dei Giorni
Memorabili, da Nadasi della Compagnia di Gesù., Burgio, Il probabilismo, Catania,
Soc. Storia Patria, Contenson, Theologiae mentis ob cordis, Tolosa, Deman,
Probabilisme, Colonia, Hebermann, Enciclopedia cattolica, Appelton, Petrocchi,
Il problema del lassismo, Roma, Storia e letteratura, Sinnichins, Saul et Pax,
Lovanio, Nempaei, T., Treccani Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Tommaso Tamburino. Tamburino. Keywords:
prudenza, probabilismo tenue, lassimo vs. rigorismo, Grice on rigorismo, azione
di un uomo singolare, la forza del ragionare, la forza del sentire, il
necesario, il costretto (co-actum), il violento. Refs.: Luigi Speranza, “Grice
e Tamburino” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Tafuri: la ragione conversazionale del bizarro – filosofia
pugliese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Soleto).
Filosofo italiano. Soleto, Lecce, Puglia. Versatile e bizzarro ingegno, che
dopo studi a Napoli e la Sorbona si ritira nel natio, dove ha un cenacolo di
allievi filosofi dell’accademia esoterica. Il Socrate di Soleto è una
personalità eclettica ed un affascinante intellettuale, amante della conoscenza
e studioso e di molteplici campi della filosofia: alchimia, astronomia,
astrologia, medicina, fisiognomica, e magia naturale. Al centro dei suoi
interessi vi e lo studio dei fenomeni della natura, l'anima del mondo, il
miracolo, le meraviglie del creato e l'unicità irripetibile di ogni essere
umano. Considerato alla stregua di un nostradamus salentino è onorato e
temuto per le sue capacità divinatorie e fisiognomiche tanto da attribuirgli demonologici. Un
suo ritratto col rosso copricapo della Sorbona si trova nel dipinto ad opera
del galatinese Rosario nella navata sinistra della chiesa Matrice di Soleto. Sepolto
dapprima nella chiesetta di S. Lorenzo delli T. adiacente alla sua abitazione e
poi, dopo la demolizione della cappella nel monastero di S. Nicola in una cassa
di legno con lo stemma della famiglia. Sull'architrave della sua casa
natale è inciso il motto, Humile so et humilta me basta/dragon diventaro se
alcun me tasta. Con quest'iscrizione esprime e manifesta a chiunque passasse
dalla sua dimora la sua mite natura caratteriale, mortificata dalle ingiurie e
maldicenze in conseguenza delle quali puo trasformarsi, ironicamente,
attraverso alchimia e magia, in un dragone. Nella Soleto e diffusa la
consuetudine di incidere sulle architravi delle finestre, sui cornicioni dei
balconi o all'interno di uno stemma, delle epigrafi con la finalità di motto.
Un proverbio, una citazione, un passo letterario, filosofico, o religioso, e un
pensiero personale descriveno la personalità e le attitudini del padrone di
casa o invitano il passante a riflettere su un tema o un monito saggio e
profondo. Lo stemma della famiglia, presente sulla porta della casa natia, è
costituito da un albero di quercia con due fulmini che si scagliano contro ma
non lo colpiscono. Un'aquila bicipite scolpita sopra fa pensare ad un'origine
albanese della famiglia. Infatti molte famiglie albanesi e greche di
confessione cristiano-ortodossa e cattolica sono costrette a fuggire ed alcune
emigrarono nel Salento a causa dell'avanzata dei turchi che occupano i loro
territori. Del salentin suol gloria ed onore, lo define Tommasi. E davvero
egli e, tra i filosofi che fioreno in Puglia ben noto. Partito da Soleto
per Napoli per approfondirsi nella matematica dopo la preparazione ricevuta a
Zollino da Stiso, vi torna famoso e pieno di gloria. Desideroso solo di pace,
apre una scuola di filosofia. Tra i suoi allievi: CAVAZZA, VERNALEONE,
SCARPA, e CORRADO. Assiduo verso gl’infermi, è anche di modello coi suoi saggi,
di ammirazione e rispetto coi suoi consulti e dalla ignoranza popolana ritenuto
un mago perché cultore di scienze inusitate quali l'astronomia e l'astrologia. Tornando
da Padova, cioè dai più grandi centri culturali del tempo, solle certo le
gelosie interessate di coloro che non sanno rassegnarsi al suo prestigio
professionale. A ciò si aggiunse il vigile sospetto della curia arcivescovile
messa sull'avviso dal concilio di Trento. Egli che porta per tutte parti l'amore
per il suolo natio col nome di Matteo da Soleto, proprio in patria ha a
difendersi da accuse di stregoneria come spesso avviene a chi, filosofo, si
rende filantropo. È più volte interrogato per le sue capacità di previsione del
futuro divinatorie ma è sempre rilasciato innocente. Il codice vaticano è
testimonianza pressoché l'unica superstite del suo impegno speculativo. Da
questo capostipite molti furono i T. medici o giureconsulti che da Soleto
trasferirono poi la loro residenza a Gallipoli, Nardò e Lecce Galatone. Così
troviamo nel Liber baptesimorum dell'archivio parrocchiale di Soleto un clericus
physicus Honofrius Taphurus filius eccellentissimi doctori Francisci che è
padrino al battesimo di Carrozzini. Il pronipote di Onofrio, Vincenzo Maria e
sindaco di Gallipoli mentre il fratello
di Onofrio, dottore in giurisprudenza, vive presso la corte di Napoli. Svariati
giureconsulti, medici e sindaci a Lecce e Galatone. Ricordiamo, non per ultimo,
Manni, La guglia, Galante, Nuove rivelazioni da un manoscritto, in 'Il filo di
aracne' -- Galatina, l'astrologo, Bernari
Istoria scrittori Regno di Napoli, Bernari.
Bernari, Il mago di Soleto: T., Milano, Tommasi; G. B., Biografia degli uomini
illustri del Regno di Napoli, Napoli, del Balzo di Presenzano, A., I del Balzo ed
il loro tempo, Napoli, Manni, Guida di Soleto, Galatina, Manni, La guglia di
Soleto, Galatina, Manni, La guglia, l'astrologo, la macàra, Galatina, Montinari,
Soleto, Fasano, T., G. B., Istoria degli scrittori del regno di Napoli, Napoli,
Bacca, Personaggi del sole culturale, Lecce Alchimia Galatina Giovanni Battista
Della Porta Orsini Orsini Del Balzo Guglia di Raimondello Soleto. G. B. Tafuri.
Matteo Tafuri. Tafuri. Keywords: mago. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Tafuri”
– The Swimming-Pool Library.
Grice e Tandasi: la
ragione conversazionale del filosofo principe – Roma – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. The philosophy tutor of Antonino. It is not known to
which school he belongs. Grice: “As a consequence, we shouldn’t know to what
school *Antonino* does, but we do:
Porch. Keywords: Porch, Antonino.
Grice e Tarantino: la ragione cnversazionale dell’umanesimo – filosofia
pugliese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Gravina).
Filosofo. Gravina, Bari, Puglia. Noto per i suoi studi sul padre e per fondare
insieme la sezione dell'istituto italiano per gli studi filosofici di cui è
stato anche presidente. Ha saggi sulla pedagogia, la psicologia e l'umanesimo. Dopo
la laurea, diviene insegnante per i licei italiani; in particolare, insegna al
liceo Federico II di Svevia di Altamura dove uno dei suoi studenti è RUBINI. Nominato
dirigente scolastico del Liceo di Altamura, porta la scuola al più alto numero
di studenti mai raggiunto. In qualità di dirigente scolastico, si reca a Tokyo per una visita di incontro tra scuole. Durante
la sua permanenza si verifica un violento terremoto, che gli causa paura e
notevoli disagi con un volo di ritorno pagato 4000 euro e un'assistenza a
quanto pare insufficiente da parte delle autorità consolari del posto. Dirigente
scolastico del liceo classico Luca de Samuele Cagnazzi, presidente di
circoscrizione del Lions club Puglia Consigliere di Club del Lions Club
Altamura Host Presidente dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici. Altri
saggi: “Speranze e proposte formative. La lezione di T. (Bari); Dietro la ruota.
Infanzia pregiata, Levante, Lezioni di volo, Bari, L'inconscio e la coscienza nel pensiero di T.,
Bari,. L'umanesimo mediterraneo. Orizzonte storico-culturale per la costruzione
di una cittadinanza cosmopolita, Storia antica e moderna dell'ordine del tempio,
Nisroch, L'umanesimo di T., Aracne. Filippo Tarantino. Tarantino. Keywords:
umanesimo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Tarantino” – The Swimming-Pool
Library.
Grice e Tarantino: la ragione conversazionale dell’inconscio e la
coscienza – filosofia italiana – Luigi Speranza (Gravina).
Filosofo italiano. Gravina, Bari, Puglia. Insegna a Pisa. Studia nel ginnasio e
compì gli studi superiori a Pisa, dapprima come studente all'università della
stessa città e successivamente come allievo della scuola normale superiore di
Pisa. Inizia gli studi sotto la guida di FIORENTINO (si veda). Si laurea e segue
a Napoli il maestro FIORENTINO. In sua memoria dedica al suo maestro “I Saggi
Filosofici,” ottenne la docenza in filosofia. Inizia ad acquisire notorietà
grazie ai saggi critici che pubblica sul Giornale Napoletano. Insegna al liceo
Genovesi di Napoli. Compone il Saggio sulla volontà, Gennaro, Napoli. Insegna al Marciano, e Pisa. Insegna anche
alla scuola di pedagogia, dove tra i suoi insegnanti figura GENTILE. La sua
notorietà cresce sempre più grazie ad alcuni suoi saggi critici pubblicati
sulla Rivista di Filosofia Scientifica di MORSELLI, il più noto dei quali è su
Locke. Tra i suoi studenti di Pisa più noti figurano NICOLA ed ACCADIA. Torna
nella sua città natale, dove dona alla biblioteca Santomasi una parte cospicua
dei suoi libri. A lui è stato intitolato il liceo. Altre saggi: Appunti di
Filosofia, Toso, Aversa, Saggi filosofici, Napoli, Morano; Studio storico su Locke,
Rivista di Filosofia, Milano-Torino, Dumolard; Saggio sul criticismo e sull'associazionismo,
Napoli, Morano; In morte di CALDERONI, Vecchi, Trani; Saggio sulla volontà; Saggio
sulle idee morali e politiche di Hobbes, Napoli, Giannini; Il problema della
morale di fronte al positivismo e alla metafisica, Pisa, Valenti; Il principio
dell'etica e la crisi morale, Napoli, Tessitore; Il concetto dello STATO ed il
principio di nazionalità” (Napoli); “Discorso preposto alle traduzioni dal
latino, dall’inglese e dal francese di SOTTILE, Napoli; VINCI (si veda) e la
scienza della natura, Nel centenario di VINCI, La politica e la morale.
Discorso, Pisa, Mariotti, Sulla riforma universitaria, Rivista di filosofia. Cfr.
Turi, Gentile: una biografia, Firenze, Giunti, Parzialmente Google Libri.) tarantino-inconscio,
tarantino-inconscio-, tarantino-inconscio-,
Tarantino, Dibattista, Recchia-Luciani, L’inconscio e la coscienza nel pensiero
di T., F. T., Adda, F., Speranze e
proposte formative. La lezione di T., Bari, Levante, Amato, Orazione funebre in
onore di T.. Giuseppe Tarantino. Tarantino. Keywords: inconscio, Gentile, Vinci,
lo stato, la nazione. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Tarantino” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e Taranto: la ragione conversazionale della colomba d’Archita –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. Grice: “I was insulted, if
not offended, by The Cambridge Dictionary of Philosophy having ‘Anchita’ as
Greek! The man as born in Taranto, Italy, and died in Taranto, Italy! – He was
a Tarantoian!” – “My favourite of his philosophical tracts is “Della colomba,”
– Strawson pointed out to me that since this is a mechanical
(mechanical-mechanical) pigeon, I should have used ‘scare-quote’ gesture!” Filosofo, matematico e politico. Magnum in primis et præclarum virum --
Cicerone, De senectute. Appartenente alla seconda generazione della setta di
Crotone, ne incarna i massimi principi secondo l'insegnamento dei suoi maestri FILOLAO
ed EURITO. Figlio di Mesarco o di Estieo o di Mnesagora, nasce nella città
della quale è stratego massimo, proprio nel periodo in cui Taranto raggiunge
l'apice del suo sviluppo economico, politico e culturale. Conduce una vita
austera, improntata a uno stretto auto-controllo nel rispetto delle rigide
regole della setta di Crotone, ma non priva di umana socievolezza. Rcconta ELIANO
che spesso quello s'intrattene a SCHERZARE CON I FIGLI DEI SUOI SCHIAVI e con
questi stessi non disdegna di sedere assieme a banchetto. Abile uomo politico,
si tramanda che è nominato per VII volte στρατηγός di Taranto, riuscendo ad
essere un condottiero sempre vittorioso nelle sue battaglie. Probabilmente è anche
stratego αὐτοκράτωρ della lega italiota, ricostituitasi dopo la morte di
Dionisio I di Siracusa, e che ha come sede Eraclea. Non si sa se, nonostante il
divieto della costituzione cittadina, è stato nominato consecutivamente. I suoi
mandati vengono datati tra il II e il III viaggio di Platone, quindi potrebbero
essere stati ricoperti anche uno di seguito all'altro. Attua una politica di
sviluppo che porta Taranto a diventare la metropoli più ricca e importante
della Magna Grecia. Con l'edificazione di monumenti, templi e edifici da nuovo
lustro alla città. Potenzia il commercio stringendo relazioni con altri centri,
come l'Istria, la Grecia, e l'Africa. Durante il suo governo, si dedica allo
sviluppo dell'economia, favorendo l'agricoltura e insegnando egli stesso ai
contadini i precetti per migliorare i raccolti. Spesso ricordava loro che
Apollo non concesse altro a Falanto che fertili campi e ama ripetere. Se vi si
domanda come Taranto è diventata grande, come si conservi tale, come si aumenti
la sua ricchezza, voi potete con serena fronte e con gioia nel cuore
rispondere: con la BUONA agricoltura, con la MIGLIORE agricoltura, con l'OTTIMA
agricoltura. Nel campo legislativo promulga una legge per favorire l’equa
distribuzione delle ricchezze, basandola sul principio dell'armonia matematica.
Uomo di multiforme ingegno, s’interessa di scienza, musica ed astronomia e
studia matematica con EUDOSSO di Cnido. La vastità di queste competenze si
spiega con il fatto che la scuola di Crotone conceve la matematica, o meglio
l'aritmo-geometria, fondamento della realtà naturale e l'universo come un
cosmo, ordinato cioè secondo principi mistico-matematici dai quali si genera
un'armonia musicale poiché la musica stessa si basa su precisi rapporti
matematici. Crede che i principi delle matematiche sono i principi di
tutti gl’esseri. Ora, il principi della matematiche e il numero. Pensa quindi
che gl’elementi del numeoi sono elementi di tutte le cose, e che tutto quanto
il cielo è armonia e numero -- Aristotele, Metafisica. Non a caso è stato il
primo a proporre il raggruppamento delle discipline canoniche -- aritmetica,
geometria, astronomia e musica -- nel quadrivium, l'ordinamento che riprende
BOEZIO (si veda). Infine, la partecipazione alla scuola di Crotone, configurata
come una setta mistica, è riservata a spiriti eletti e implica che gl’iniziati
che la frequentano hanno disponibilità di tempo e denaro per trascurare ogni
attività remunerativa e che puossono dedicarsi interamente alla filosofia -- da
qui il carattere aristocratico del potere politico che Crotone e suoi filiali esercitano
nella Magna Grecia ed Etruria fino a quando furono sostituiti dai regimi
democratici. Conosce Platone quando questo soggiorna a Taranto nel suo primo
viaggio verso Siracusa, dove ha un confronto piuttosto acceso con il tiranno
Dionigi I sulla realizzazione di una possibile RIFORMA FILOSOFICA del suo
governo. Questa'amicizia è preziosa per Platone quando compiendo questi il suo III
e ultimo viaggio in Sicilia nel tentativo di realizzare la sua riforma, il tiranno
Dionigi il giovane lo caccia dall'acropoli facendolo vivere nella casa di
Archedemo, vicino ai mercenari che mal lo sopportano. È grazie ad Archita, il
quale invia il tarantino pitagorico LAMISCO a Siracusa per convincere l'amico
Dionigi a liberare Platone, che questo puo lasciare la Sicilia – “maledetta
isola,” in parole di Platone. Lo stesso Platone racconta così quegli
avvenimenti in una lettera. Sembra che Archita si sia recato presso Dionisio. Perché
io, prima di ripartire avevo unito Archita e i tarantini in rapporti di
ospitalità e di amicizia con Dionisio. E così con un terzo invito Dionisio mi
manda una trireme per agevolarmi il viaggio, e insieme manda un amico di
Archita, Archedemo, che egli ritene fosse il più apprezzato da me tra quei di
Sicilia, e altri siciliani a me noti. Altre lettere poi mi giungeno da parte di
Archita e dei tarantini, che fanno grandi elogi dello zelo filosofico di
Dionisio, e anche avverteno che, se non ando subito, avrei causato la completa
rottura di quell'amicizia che io avevo creato tra loro e Dionisio, e che è di
grande importanza politica. Vennero in molti da me, fra cui alcuni servi, e
quindi miei concittadini. Essi mi riferivano che calunnie circolano su di me
fra i peltasti, e che alcuni minacciano, se riusciano a cogliermi, di
sopprimermi. Escogito allora qualche mezzo di salvezza: mando ad avvertire
Archita e gl’altri amici di Taranto in che condizione mi trovo. E quelli, colto
un pretesto per un'ambasceria, mandano uno dei loro, LAMISCO, con una nave e
trenta rematori. Costui, appena giunto, intercede per me presso Dionisio,
dicendogli che io voglio lasciar e nient'altro che lasciar Sicilia. Dionisio
accondisce e mi lascia andare, dandomi i mezzi per il viaggio. Archita muore a
seguito di un naufragio probabilmente nel corso d’operazioni di guerra nelle
acque di fronte a Mattinata sul Gargano e lì e sepolto, come riferisce ORAZIO. TE MARIS ET TERRÆ NVMEROQVE CARENTIS HARENÆ
MENSOREM COHIBENT ARCHYTA PVLVERIS EXIGVI PROPE LITVS PARVA MATINVM MVNERA. Nonostante e visto dopo Socrate, è considerato un continuatore dei
filosofi piu antichi, perché appartenne alla scuola di Crotone e si mantenne
aderente al pensiero di questa setta, tant'è che basa le proprie idee
filosofiche, politiche e morali sulla matematica. Al riguardo, infatti, così
recitano due suoi frammenti. Quando un ragionamento matematico è stato trovato,
controlla le fazioni politiche e aumenta concordia quando c'è manca
l'ingiustizia, e regna l'uguaglianza. Con ragionamento matematico noi lasciamo
da parte le differenze l'un con l'altro nei nostri comportamenti. Attraverso
essa i poveri prendono dai potenti, ed i ricchi danno ai bisognosi, entrambi
hanno fiducia nella matematica per ottenere un'azione uguale -- Giamblico, de
comm. Math. Per essere bene informato sulle cose che non si conoscono, o si
devono imparare d’altri o bisogna scoprirle da sé. Ora imparando si deduce da
qualcun altro e ciò è straniero, mentre scoprendo da sé è PROPRIO. Scoprire
senza cercare è difficile e raro, ma con la ricerca è maneggevole e facile,
sebbene CHI NON SA CERCARE NON PUO TROVARE. Dollo, Istituto e museo di storia
della scienza Archimede, Olschki. A lui sono tradizionalmente attribuiti molti
testi. Sono sopravvissuti alcuni frammenti conservati nei saggi d’Ateneo e CICERONE
e provenienti dai suoi discorsi morali, che delineano un filosofo più originale
nel suo pensiero etico rispetto alla dottrina di Crotone e piuttosto influenzato
dall’Accademia Viene considerato l'inventore della meccanica razionale e il
fondatore della meccanica. Si dice che inventa due straordinarie
apparecchiature meccaniche. Un'apparecchiatura è un uccello meccanico, la
famosa colomba, l'altra sua invenzione era un sonaglio per bambini. Il primo è
descritto d’Aulo GELLIO (si veda), e ne tenta la ricostruzione Schmidt. Si
tratta d'una colomba di legno, vuota all'interno, riempita d'aria compressa e
fornita d'una valvola che permette apertura e chiusura, regolabile per mezzo di
contrappesi. Messa su un albero, la colomba vola di ramo in ramo perché,
apertasi la valvola, la fuoruscita dell'aria ne provoca l'ascensione. Ma giunta
ad un altro ramo, la valvola o si chiudeva da sé, o veniva chiusa da chi faceva
agire i contrappesi. E così di seguito, sino alla fuoruscita totale dell'aria
compressa. Il secondo giocattolo, la raganella, ha fortuna. È ancora in
uso e spesso si vede nelle fiere popolari di giocattoli. Nella forma originaria
è costituita da una piccola ruota dentata fissata ad un bastoncino. Sulla
ruota, da dente a dente, salta una molla cui è congiunto un pezzo di legno.
Aristotele consiglia questo giocattolo ai genitori perché, divertendo e
captando l'attenzione dei bambini, li distoglie dal prendere e rompere oggetti
domestici. Si dice anche che inventa la carrucola e la vite, anticipando
Archimede. Il più importante risultato ottenuto da lui è una soluzione tri-dimensionale
del problema della duplicazione del cubo. Precedentemente, Ippocrate ri-conduce
questo problema ad un problema di proporzionalità. Se a è il lato del cubo che
si vuole duplicare, il problema consiste nel trovare due valori x e y medi
proporzionali tra a e 2a, ovvero tali che a:x=x:y=y:2. Trovati questi due
valori, x rappresenta il lato del cubo con volume doppio. La costruzione
geometrica utilizzata d’Archita per risolvere questo problema è uno dei primi
esempi dell'introduzione del movimento in geometria. In esso si considera una
curva, conosciuta come curva d’Archita, generata dall'intersezione della
superficie di un cilindro e di un semi-cerchio in rotazione rispetto a uno dei
suoi estremi. Si dedica anche alla teoria delle medie, e da il nome alla
media armonica o media sub-contrari). Inoltre, dimostra che tra due numeri
interi che sono nel rapporto {\{\frac {n}{n+1}}} non è possibile trovare nessun
altro intero che e una media geometrica. Il risultato ha applicazione alla
teoria delle scale musicali. Apuleio riporta un argomento di fisica trattato d’Archita:
la natura della riflessione della luce sopra uno specchio. Platone pensa che
dai nostri occhi partano dei raggi luminosi che vanno a mescolarsi con quelli
che colpiscono lo specchio. Archita concorda col fatto che i raggi partano dai
nostri occhi, ma senza combinarsi con alcuna cosa. Più felici furono le
sue deduzioni sul rumore. Egli capì che provenivano dalle vibrazioni prodotte
dall'urto dei corpi nell'aria. Da tale scoperta, formula l'ipotesi che anche i
corpi celesti, dotati di continuo movimento, produceno rumore. Questo rumore
però, non sarebbe udibile dai sensi umani, essendo non intervallato, ovvero
continuo nel tempo. Molto interessanti sono gli studi di carattere
sperimentale che conduceno a conoscere le cause che diversificano i suoni acuti
dai gravi, diversità che sono in funzione della rapidità della vibrazione.
Tanto più rapida è la vibrazione, tanto più acuto è il suono che ne proviene, e
viceversa. Esperimenti sono eseguiti con flauti, zufoli, tamburelli, e si
constata come anche LA VOCE UMANA segue questo principio. Nell'ambito della
teoria musicale sviluppata dalla scuola di Crotone, ed esposta per la prima
volta da Filolao, III contributi sono sicuramente dovuti ad Archita. I è
la teoria secondo cui l'altezza dei suoni è determinata dalla loro velocità di
propagazione. Secondo Archita, una bacchetta che oscilla più velocemente -- con
frequenza più alta -- produce un suono che si propaga con maggiore velocità
nell'aria, e che di conseguenza è percepito come più alto, rispetto a una
bacchetta che oscilla più lentamente. Questa teoria, per quanto non corretta
dal punto di vista fisico e percettivo, rappresenta il primo tentativo di
attribuire parametri quantitativi alla propagazione del suono, ed è ripresa da
molti autori successivi -- inclusi Platone e Aristotele. Il secondo contributo
è di natura specificamente matematica. Archita conosce la relazione fra
intervalli musicali e frazioni che conduce alla costruzione della scala
pitagorica. Uno dei problemi teorici connessi a quella costruzione è il perché
gl’intervalli sono progressivamente suddivisi secondo quelle particolari
proporzioni, anziché suddividere semplicemente ogn’intervallo in due sotto-intervalli
uguali. Per comprendere la natura del problema si deve ricordare che per
definizione gl’intervalli musicali si compongono moltiplicando fra loro i
rapporti corrispondenti – v. g. , la XVIII 2:1 si può ottenere componendo una V
3:2 con una IV 4:3, infatti 3:2 x 4:3 = 2:1). Quindi per suddividere un
intervallo a:b in II parti uguali si deve trovare il medio proporzionale fra a
e b, ossia il numero x tale che a:x = x:b -- ciò equivale a cercare la radice
quadrata del rapporto a:b. Archità osserva che l'intervallo di doppia IV (4:1)
si può suddividere in due sottointervalli uguali (rappresentati dal rapporto
2:1), ma dimostra matematicamente che nessun rapporto del tipo super-particulare
{\ {\frac {n+1}{n}}} - genere a cui appartengono tutti gl’intervalli
fondamentali della scala pitagorica (2:1, 3:2, 4:3, 9:8) - ammette un medio proporzionale
fra i numeri interi. Quindi nessuno di quegli intervalli può essere suddiviso
in due parti uguali -- se si mantiene l'ipotesi che ogni intervallo musicale
corrisponda a un rapporto fra numeri interi. Infine, Archita descrive la
costruzione delle scale musicali nei III generi: dia-tonico, cromatico ed en-armonico.
Diversamente dalla scala pitagorica, il tetra-cordo dia-tonico proposto da
Archita è formato dai rapporti 9:8, 8:7 e 28:27. Quello pitagorico contiene
invece due intervalli di tono uguali, 9:8, e un semitono di 256:243. Nel tetra-cordo
cromatico di Archita figurano gli intervalli 5:4, 36:35 e 28:27, e in quello
enarmonico gli intervalli 32:27, 243:224 e 28:27. Questi valori sono riportati
da Tolomeo, che afferma che si basa sulla necessità teorica di descrivere tutti
gl’intervalli consonanti con rapporti superparticulari -- e tuttavia nel
tetracordo enarmonico figurano rapporti che non appartengono a quel genere. I
filosofi hanno invece ipotizzato che Archita vuole descrivere matematicamente
le scale musicali effettivamente in uso nella pratica a lui contemporanea,
sulla base dell'osservazione diretta delle tecniche di accordatura usate dai
musicisti. Archita si propone di superare il problema dei commi musicali.
Afferma che l'VIII puo essere divisa in 12 semitoni uguali ed indica un
divisore che ne consentisse la partizione, cioè un numero prossimo ad un terzo
di л. In effetti il divisore dell'VIII della scala temperata, la radice XII di
2 =1,0594630943592…. è prossima a л/3=1,0471975 postulato sia da lui che d’Aristosseno.
La divisione dell'VIII a cui Archita pervenne è la seguente: л/3, Л 4/11, Л
3/8, Л 2/5, Л 3/7, Л 5/11, Л 9/19, л/2, Л 7/13, Л 4/7,Л 3/5 Л 7/11,
nell'ordine: II min., II maggiore, III minore, III maggiore, IV giusta, IV
eccedente, V giusta, VI minore, VI maggiore, VII minore, VII maggiore, VIII. Il
divisore proposto d’Archita porta a differenze con la scala temperata
dell'ordine delle decine di centesimi di semitono. È trattata da Archita
in un passo di Eudemo da Rodinel suo commento alla “Fisica” di Aristotele, nel
quale si discute il problema della dimensione dell'universo. Per Archita
l'universo è infinito. Se mi trovassi all'ultimo cielo, cioè a quello delle
stelle fisse, potrei stendere la mano o la bacchetta al di là di quello, o no?
Ch'io non possa, è assurdo. Ma se la stendo, allora esiste un di fuori, sia
corpo sia spazio -- non fa differenza. Sempre dunque si procede allo stesso
modo verso il termine di volta in volta raggiunto, ripetendo la stessa domanda;
e se sempre vi è altro a cui possa tendersi la bacchetta, è chiaro che anche è
interminato. In Enciclopedia Garzanti di Filosofia Archita. Museo Nazionale e
archeologico di Taranto. Riedweg, Pitagora: vita, dottrina e influenza, Vita e
Pensiero, Ceglia, Bari. Seminario di storia della scienza, Scienziati di
Puglia: Adda, CICERONE, De senectute, ELIANO, Varia istoria; Ateneo; Dizionario
di filosofia, Treccani alla voce corrispondente. Pareti, Storia della regione
Lucano-Bruzzia nell'Antichità, Storia e Letteratura, Juliis, Magna Grecia:
l'Italia meridionale dalle origini leggendarie alla CONQUISTA ROMANA, Edipuglia.
Juliis, Magna Grecia: l'Italia meridionale dalle origini leggendarie alla
conquista romana, Edipuglia srl, Ai tarantini, citato in La Voce del
Popolo, Dizionario della civiltà, Gremese Editore, Nicola, Atlante illustrato
di Filosofia, Giunti. “κόσμος” nasce in ambito militare per designare
l'esercito schierato ordinatamente per la battaglia (in Sesto Empirico, Adv.
Math.); Joost-Gaugier, Pitagora e il suo influsso sul pensiero e sull'arte,
Edizioni Arkeios, Pichot, La nascita della scienza: Mesopotamia, Egitto, Grecia
antica, Edizioni Dedalo,Cfr. anche Bonghi, Delle relazioni della filosofia
colla società: prolusione, Vallardi. Secondo una tradizione apocrifa Archita
trae dalla filosofia dell’accademia la convinzione della immortalità
dell'anima. Al contrario CICERONE ritiene che Platone si reca in Sicilia per
conoscere le dottrine pitagoriche che apprende da Archita e che condivide
divenendo lui stesso pitagorico. Cfr. CICERONE, De Repubblica, De finibus
bonorum et malorum, Tuscolanae disputationes, D. Laerzio, Platone, Lettera, Vita
di Platone. Urso, La morte d’Archita e l'alleanza fra Taranto e Archidamo
di Sparta, Aevum, Taddei, I robot di Vinci: la meccanica e i nuovi automi nei
codici svelati, ed. VINCI, GELLIO, Notti Attiche, Aristotele, Pol., Pitoni,
Storia della fisica, Società tipografico-editrice, Boyer, Carl B., Storia della
matematica, Apuleio, Apologia; Platone, Timeo, A Giambico, in Nicom.; Ceglia,
Università di Bari. Seminario di storia della scienza, Scienziati di Puglia:
dda, p.1ific. Huffman, Archytas of Tarentum. Pythagorean, Philosopher and
Mathematician King, Cambridge -- l'edizione più completa dei frammenti --; Cardini,
I pitagorici, testimonianze e frammenti, La Nuova Italia, Firenze Platone,
Lettere, Mondadori; Grande, Archita e i suoi tempi, Taranto, Cressati
Paris; Olivieri, Su Archita tarantino, memoria letta all'Accademia Pontaniana; Frajese,
Attraverso la storia della Matematica, Veschi, Roma Stante, I problemi di terzo
grado e Archita da Taranto, Lecce; Tagliente,
“La colomba d’Archita”, Scorpione, Taranto; Tagliente, Il mistero del trattato
perduto, Scorpione, Taranto A. D. Abbaiatore, Scritture Musicali greche, Teoria
armonica ed Acustica, Taranto nella civiltà, Napoli Taranto e il Mediterraneo,
ISAMG Taranto, Filosofia e scienze, Napoli Eredità, Taranto, Alessandro il
Molosso e i condottieri, Taranto, Teofilato, "Interpretazione di
Archita" dalla rassegna Vecchio e Nuovo di Lecce; Mele, Archita, i suoi
tempi e il suo pensiero, in Taranto tra Classicità e Umanesimo, Scorpione
Editrice Taranto; Personalità legate a Taranto Raganella (strumento musicale)
Eudosso di Cnido. Treccani Istituto dell'Enciclopedia Italiana. A buon diritto
chiamare l'inventore de'moderni palloni arrostatici. Però un secolo prima a
LANA, SCALIGERO, a proposito della colomba volante d'Archita, della quale parla
ORAZIO nell e sue odi, indica il modo di costruirla. Nulla di più facile, dice.
Basta comporre la sostanza con midolla di giunco, e diligentemente coprirla
colla pelle adoperata dai battiloro. Mediante un facile meccanismo sipuò dar
movimento alle ali. Scaligero scorda di avvertire che bisogna riscaldare l'aria
interna con un lumicino quando rolevasi farla volare. Cosi trova il modo di far
salire nell'aria un pallone in forma di colomba, dacchè tutto fa credere che i mezzi
impiegati da questo filosofo sono gl'identici che quelli impiegati oggigiorno
per levare i palloni. Quanto al ritorno della colomba, obbediente alla voce
d'Archita, questa evidentemente è una favola. Sempre, a un fatto sorprendente,
l'immaginazione aggiunge circostanze impossibili. Ma ciò che io credo
innegabile è che l'areostato èconosciuto a tempi detti favolosi, e che, amio
parere, sono reminiscenze di una civiltà perduta, che Vico chiama il regno degli
dei. Quegli ignivomi draghi. SULLA COLOMBA Entre a pišivago, e più superbo volo
pel regno aereo l'ali fu e spandea, e di spirto novello acquisto fea La Colomba
d'Archita inverso il Polo, volgendo a caso i suoi begl’occhi al suolo del terzo
ciel la vezzofetta dea, la vide, e per rapirla già scendea da quel de' dei seggio
beato, e solo. Allor grido, e quafi fu per dire: Oh così fosse pur la mia.
Colomba, Fattasi Citerea con gran desire, di legno fols'avvide: esserl'augello.
ARCHITA. Juan. Juven. Ital. Sacr.
in Tarentin. Mitrop. Lamb. in Schol. Horat. Od.) regnasse più di un’anno. I nuove grazie adorna il suo bel
volto D LLi:etasengiva in maestà reale astrea, mirando venerato, e colto fa più
volte prefetto della sua patria, ancorchè le leggi comandassero, che nessuno in
tempo di sua vita quel delle leggi fu e pregio immortale. Quando Prudenza, il
dolce fuon disciolto, figlia d' eccelsa mente, e trionfale, non titurbar, le
diffese sia tolto il primier di regnare ordine uguale. Tempo verrà che in arme,
e in toga imperi più d'un'anno al suo ftuoi, mai sempre intento Archita a nuove
glorie, e a bei pensieri. E a Leila Diva, in cento modi, e certo muta pur leggi,
e Fafti miei primieri, Purchè Archita mio regni, io mi contento. Diogen. Laert. in Vit. Archyt. In Joan. Buno.
not. ad Philip. Cluver. ARCHITA FILOSOFO PITTAGORICO, E
MATEMATICO E PERITISSIMO. Odar chi mai tanto ti può, che basti, alma immortal
degnissima d'impero? Chi dir di tue virtudi il volo altero, per cui fovra ogni saggio
alto poggiasti? Del ciel le stelle, e i moti lor sì vasti, tu delle cose le
cagioni, e'l vero, e quanto il mare, e l'universo intero circonda, e abbraccia,
chiaro a noi mostrasti, tu, ch'eccedi de’ savii i bei consigli già di ogni uman
pensier reso maggiore, quanto il sol delle stelle avanza irai, tu, che te
stesso, e null? altro somigli, coll'auree del tuo suon note canore tu sol di
tue virtù cantar potrai. Diogen.
Laert. in vit. Archyt. For eft. Joan. Juven. Tarentin. Lambin in Scbol. Horat.
Od. Nicol. Parth. Giannet. in Geograph. SEN. TARENTINO,
Scrivendo contro il Piacere. O So, chemente all'Von dona, e Tume aquella;
SENTIMENTI D'ARCHITA chi dietro alsuo piacer brutale corre, e del sensorio fà l’alma
ancella, bruto diventa agli altri bruti eguale, tutto perdendo il bel, che
aveva in ella. Senza lume si vago, e rilucente Joan. Juven. Tarentin. Mente, ch'èper fuo pregio trionfale della
divinità parte più bella che quando avvien, che sopra l'alma impero abbia il
piacere, allor cieca è lamente è cieca la ragion, cieco è 'l pensiero. Oprano i
bruti, e senza il suo primiero lume fia, chel'uom bruto anchedivente. E pur ESER, Diogen. Lacrt. in vit.
Archyt. Foreft. Joan. Juven. Tarentin. Mille a mille empj
nemici, incampo scendete pure, e con terribil grido, no uche con quel dell'armi
orrido lampo Fate tremar dell'onde Jonie illido. ESERCITO TARENTINO NON MAI
VINTO, ESSENDO CAPITANO. Là nel Galelo col suo nobil campo Itene or lieti delle
forze usate, faran del vostro suol le schiere armate, finchè Archita sia duce,
alta vendetta. ARCHITA v'aspetta il bravo duce. E già lo strido de' corni i'
fento, en el cercarlo scampo già cader vi vegg'io pel colpo infido, ed alla
patria, che il trionfo aspetta, le tolte spoglie in vostro onormostrate. Se per
ostil cadeste atra disdetta, LA, ARCHITA D'ESSER CAPITANO, PER SOTTRARSI
ALL'INVIDIA, L'ESERCITO DE TARENTINI E' FATTO PRIGIONE DA NEMICI. Arme il
fulgore insiem spaventa, e sfida co’luoi deftrieri i cavalier, già scende
sangue da larga vena in terra infida, mira Tarento mio, quei, che fen muore,
hàgli spinti l'invidia a tante pene. LASCIANDO DO di guerra sonar le trombe
orrende? di come il rio Marte all'alte strida di quel drappello, e questo i
cuori accende, perchè col ferro suo l'un l' altro ancidas arme, arme fre me
ognun: già di tremende e quei, che'l braccio stende alle catene son dolci
figli, oimè, del tuo dolore, freme contro d'Archita il rio livore, E
lull'alme innocenti il mal senviene. Diogen: Laert, in vit. Archyt. Joon.
Juven. Tarentin. AR.: ad altri venduto, ed alla fine è riscattato offri; buon savio,
soffri. Ecco fortuna S di mortal sfavillando atro disdegno sue forze impiega, e
l'arme sue raduna, per far del tuo valor sterminio indegno, già l'empia, oime!
con faccia torva, e bruna scocca saette últrici, e ben al sogno colpito hà
omai; ve come in preda d'una ti dà vile ciurmaglia in fragil legno. TARENTINO
ARCHIT. A peregrinando per imparare, è preso dà’ corsari, serve ma che sie; se
delcuorle forti tempre Alexand. ab Alexand, Joan. Juven. Tarentin. Di. Pur non
è fazia no, schiavo al servaggio Ti mena ancor, perchè nel duol di stempre il magnanimo
tuo nobil coraggio rassoda più ne'colpi suoil'Vom saggio, E di sua libertà gode
mai sempre, PLATONE DOPO AVER CAMMINATO L'EGITIO, VIENE IN ITALIA PER IMPARAR
SOTTO LA DISCIPLINA, edesti pur, come il gran Nilo altero, da perenne sboccando
occulta fonte ogni argine disprezzi, ed ogniponte, e i campi ad ipopdar si apra
il sentiero e di vi asperto di sudor la fronte delle scienze falisti all' arduo
monte, e ti fur quelle il solo premio intero, ed or, per sulle scienze alzare
un volo sotto l’aurea d'Archita arte gentile, cerchi il Galeso, e l Tarentino
luolo? Dunque in Egitto Eroenonv hà simile, CICERONE de finib. bonor. molor. Foreft:
Joan. Juven. Tarentin. DOPS V D'ARCHITA TARENTINO si, vedesti l’egizio, e 'l greco
impero, ARCHI. Nè ingegno in Grecia, al solo Archita, al solo suo noro ingegno,
anche oltre Battro, e Tile. A ARCHI. Pri, Fortuna, per un
solmomento gl’occhi, cui buja notte orrida cuopre, e mira, le il tuo solle afproardimento
contro savio maggior sua forza adopre. Questi è il gran Platone, e quegli son
que cento Folle, Re Plato al tuo servil flagello ARCHITA TARENTINO RISCATTA
PLATONE PRESO DA CORSARI. Empj ladron, per le cui mani, ed opre schiavo il
facefti; or com 'ei sparge al vento gl’infranti lacci, e in libertà li scuopre?
Com e il trionfo, che del suo servaggio ornar credesti e de' suoi guai far
bello, qual peve dilegudfli al caldo raggio? Menalti, a un cenno sol d'Archita
il saggio cara torna la libertà di quello. Joan. Juven.T'arentin. e Se
avvien, che della gloria i m i diftempre La bella gloria è tua, fe Plato
apprese che del tuo figlio al nome accrebbe il vanto, CICERONE, de finib.bon.domal.
Fiscula Joan.Juven. Tarcntin. ARCHI. ARCHITA MAESTRO DI PLATONE. C Figlio
di puro core, e viva immago, che vero io canto, efoldiluimi appago, dice un
giorno Atene in dolci tempre, dal tuo gran figlio Archita il pregio santo, E B
alme di virtude auree contefe. ella è mia pure, e téco i fafti io canto: Poich?
Ei tal lume in tutto il mondo accese, nel gaudio, el corc in fuperbito, e pago pel
mio Plato or fen vada, un don si vago A te, Tarento mio, debbo mai sempre.
ARCHITA CAMPA PLATONE DALLA MORTE INTENTATAGLI DA DIONISIO TIRANNO. AR,
Due Polato il scan Plato, ahimè, quel saggio, t Veloce sahi laffo a tramontar
quel raggio Det rio fallir le pene: omai trionfi si bella dote, e vinca ancor sapienza.
Si disse Archita; e i fieri petti, e tronfi. Placando al gran poter d'aurea eloquenza,
morrà, perchè un tiranno indegno d'ostro sogna sospetti, e teme indarno
oltraggio? Correrà, che dà lume al secol nostro? Ed io, perchè più viva, ancor
non mostro, Non mostro, ancor dell'anima il coraggio? No, che non porterà
l'alma innocenza Plato all'ombra viveade'suoi trionfi. CICERONE Tuscul. Diogen. Laert. Vit. Archyt., o
Platon. Juan. Juven. Tarentin. Ital. Sacr. in Torentin.
Metrop. Plutar. in Platon. Sabell. Ennead. ARCHITA TARENTINO A PLATONE. Se
amica pioggia a temprar mai l'ardore scende dal ciel, non giace no più china La
fronte lor, ma col nacio colore s'innalza si, che al ciel più si avvicina; lasso
! calo io restai, allor che infermo Starte neudj fra pene, o mio buon Plato senza
ajuto languendo, e senza schermo. Ma or che di sua vita al primo stato fatto
hai ritorno, io mi rinfranco, e fermo pertemi rendo, cfon, qual pria, beato. Q
Diogen. Laert. in vit. Archyt. Joan.Juven. Tarentin. Val Yenza umor giglio languisce,
o fiore, E scolorito à terra il capo inchina, questo il vermiglio onor, quello
il candore Perdendo a poco a poco in sua ruina: PLA. Q A te del loro autor duce
sì pio in mezzo del cammino elle si stanno, pss.) Ma giugnere alla meta
orgoglio sette Ben le vedrai, fe nuovo spirto avranno, PLATONE MANDA ISUOI
COMMENTARIJ AD ARCHITA TARENT INV. Veste assai più, che dell'ingegno mio, opre
de'tuoi fudori, onde a be'studii delle più gloriofe alte virtudi La mia mente
infiammaiti, el buon deslo, Opre dunque son elle ora imperfette. Raro è però l'onor,
se a te verranno; Più raro, le giammai fien da te lette. Diogen Lacrt. in vit.
Archyt. Platon.in Epist. Vengono, Archita. O: tu le leggi, e i nudi sensi del
tuo saver poi mi dischiudi con quella libertà, con cui le invio, PLA, Gloria
dai tuoi si provvi di sudori, soffri in regnar, grida la Patria, e uffici
Mostra di quel, che sei, Signor de cuori, E tu mal grado imperi? et ila mente
Non fei; la Patria hà in te parte del tutto. Non oscuro è il linguaggio; od i
mia mente: O rendi alla tua Patria il ben, ch'èsuo, O del suo ben fà, ch'ella n'abbia
il frutto. CICERONE de finib. bonor. comalor. la de Offic. Joan. Juven.
Tarentin. in Prefate do Lib.z. Cap.2. Platon. in Epif. gi PLATONE
TÀRENTINO VN malele solo (AD ARCHITA On, a se folo no, nasce agli Amici, nasce
alla patria l'uom, nasce a Maggiori, E dal bel nascer suo giorni felici speran
questi, e sperar voglion tesori. Or soffri, o Figlio, o tu, che tanta elici De'
gran pubblici affari? ah che sol tua SULLA AD ARCHITA TARENTINO, Del buon
governo, e loro fren spogliace. O naufragar, dall'empie arti indiscrete di
piggior duce a morte ria guidate: El soffriran del cuor le tempre? Ah fiamma
D'amor mostrate, evoi la Patria bella Reggete: omai con quell'ardor, che
infiammar così lungi da lei strage rubella Sen fuggirà, qual Cervio a i colpi, o
Damma, O, che viver a voi non mai potrete; Se non vivrete ad altri se se
pensate Goder mai signoria, nè servirete Alle pubbliche cose, alle private, O
vacillar ben presto le vedrete E poi fia vostra gloria il ben di quella. In
argument. 9. ad Epist. 9. Platon, D'ARCHITA Ad de Archita, e vidjo senza
conforto E scorse fino all' ultimo confine La Terra, e il Ciel coll'arti fue divine,
Archita il grande, il nostro padre è morto! Del mar le Dive usciro al pio
lamento. SULLA MORTE. Pianger lo stuol da rio dolore assorto. Oimè, dicean, chi
dall'Occafo all'Orto, CAdele Dell'alte sue virtudi, e pellegrine, Pallido il
viso, e lacerato il crine, E in lor leggendo i gran pubblici danni Pianfero', e
poi partiro, e di Tarento Giunte alla Reggia: or vesti i negri panni Da e r, bella
Città: per tuo tormento Archita è morto ahi sul bel fior degli anni ! Horat.
ORAZIO od. E Diede il Popot Matin l'ultime prove se'l crudo suo destino
unqua vi spiacque Le bell*ossadi Lui, che tanto piacque Abbian lieve la terra;
e poi partite. Horat. od. Joan.Juven. Tarentin. za SULL’INVITO A RIMIRARE IL
TUMULO D'ARCHITA PRESSO AL LIDO MATINO, Ccop Urna funefta. Alme ben nate, Cui
di pietà l'amabil forza muove, Deh fermatevi alquanto, e rimirate, Pria di
ftendere il passo agile altrove. Qui le fante d Archita ossa onorate Giaccio n sepolte,
e qui spargendo nuove: Piogge d'amaro pianto, di pietate del passato dolore in
segno ah dite:. th Allor, che in mar precipitò, smarrite Sue forze, e in franto
illeguo in mezzo all'acques Di Natura le fonti più segrete; Chi
dall'onda fatal raplo diLete L e naufraghe virtudi, e l ebbe accanto; Chi le vie
seppe drittamonte torte, i Percui la Luna appar', el Sols’asconde, Aili
ah yoi le face offa, e'l cener fanto Di quell Almagentilahicitogliete, Che fù
si chiara al Mondo, e vi godete Della vera fapienza il facro immanto. Chi a noi
mostrò con tanto studio, e tanto Horat. od. Joan. Juven.Tarentin. SUL SEPOLCRO
EUDOS D.ARCHITA TARENTINO. Chi 'n Terra,e 'n Ciel la ferma, e mobil sorte; chi
come il foco, el Aere, el suolo, e l'onde s'abbraccin, seppe, orquìsengiace. Oń
Morte, Oh duri fastí, ohcieche ombre profonde? S quanto mai di bello in Ciel fi
additag; Ne panni no, ma nella mente fiede. Diogen. Laert. in vit.Eudox. Foreft. Tom.1. Lib. 8.Cap. 4 Joan. Juven, Tarentin. Q.
EUDOSSO DA GNIDO FAMOSISSIMO MATEMATICO DISCEPOLO ARCHITA NON FU'RICEVUTO DA
PLATONE ALLA D Mira come in udir fuo ftile adorno La tua fuperbia, e'lfollear direon
danni. No, non dovevi il gran Figliuol d'Archita SUA SCUOLA,PER ESSER POVERO,
Vesti, o Platon, che tu schernisti un giorno Perchè di povertà fentia gli
affanni Questi è colui fe pur nol fai che intorno Del fuo grave faver difpiega
i vanni, Gnido vi spenda il più bel fior degli anni; E come giusta ad immortal
tuo scorno Si vilmente scacciar dalla tua fede Qualor baffamenava umile vita. Poichè virtude, onde 1 U o m farli erede. ARCHYTAS
OF TARENTUM (fifth/fourth century BC) Archytas was a Pythagorean and a friend
of Plato. When Plato got into trouble in Syracuse, Archytas sent Lamiscus of
Tarentum to go and rescue him. His interests were wide-ranging, but lay
primarily in pure and applied mathematics. It is thought that Plato acquired a
great deal of what he knew about mathematics from Archytas. He made advances in
geometry and contributed to musical theory. According to lamblichus of Chalcis,
he took the view that parts could only be understood properly in the context of
the wholes to which they belonged. However, it is not clear whether this view
should properly be attributed to him as his name became attached to a number of
later Pythagorean writings long after his death. Huffman, Archytas of Tarentum:
Pythagorean, Philosopher and Mathematician King, Cambridge, Cambridge University
Press, Huffman, 'Archytas', The Stanford Encyclopedia of Philosophy, Zalta, plato.stanford
Archita. Archita da Taranto. Taranto. Keywords:
Cicerone, scuola di Crotona, scuola di Taranto, scuola di Ponto Magno, la
colomba d’Archita, Platone, magna Grecia, piccione viaggiatore, il vuolo della
colomba, Gellio, Notte romane. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Taranto” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e Tari: la ragione conversazionale e l’origine del linguaggio, o
la questione spuria favorita da Grice –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Villa Santa Maria
Capua Vetere). Filosofo italiano. Capua Vetere, Caserta, Campania. Di famiglia
originaria di Terelle, nel Frusinate, nasce in palazzo Mazzocchi, anch'essa
rientrante in Terra di Lavoro, da un impiegato che si trova lì di passaggio. Il
palazzo natìo ove aveva schiuso gl’occhi anche l'archeologo Mazzocchi. Studia a
Montecassino, dove conosce SPAVENTA (si veda). Si trasfere a Napoli dove si
laurea. Ben presto però all'avvocatura prefere la filosofia, unendosi all'amico
SPAVENTA, a CUSANO, a SANCTIS, e ad altri filosofi liberali e collaborando a
vari giornali letterari partenopei. Entra per concorso nella Regia Napoli,
divenendo cattedratico di estetica, nello stesso periodo in cui vi insegnano
anche SANCTIS, SETTEMBRINI, SPAVENTA, E BOVIO. Si dedica a vari rami della
filosofia e delle scienze del linguaggio per Detken, saggi di Brothier,
Moindron e Noel. Il suo sistema
estetico, variamente criticato, in particolare per la scarsa originalità, si
caratterizza per una vivacità espressiva, con ricche e talvolta variopinte
esemplificazioni, che peraltro ne resero celebri e molto frequentate le
lezioni. CROCE define T. il lieto giullare della filosofia. T. non ha mai
nemici, riuscendo a farsi ben volere sia dagl’amici sia dagl’avversari, che
prende a braccetto, e li mena a spasso con sé, DIVERTENDOSI A CONTRA-DIRLI -- e
a sentirsi contradetto. Quasi ad avallare la definizione sopra riportata, ha anche a rilevare che la sua bizzarra
genialità gli fa trovare piacere nei ravvicinamenti e collegamenti più
disparati e più comici: della frase sublime con la scherzosa, del ricordo
solenne con l'aneddoto salace, del linguaggio latino o del tedesco col
vernacolo napoletano. Parla in gergo, ma in gergo che è quintessenza di cultura
e stravagante miscuglio di elementi geniali. Filosofo di professione ed uomo di
dottrina enciclopedica, nonostante tutta la sua perizia filosofica, la sua
sterminata dottrina e il suo molto acume, e soprattutto un bizzarro artista. La
sua concezione metafisica non gli concede una trattazione veramente logica dei
problemi. Ma la sua personalità, vibrante di commozione innanzi alle opere
dell'arte, riboccante di entusiasmo, dotata di bontà e di nobiltà di sentire,
gl’ispira una filosofia che e di una specie assai rara in Italia. L'essenza
giocosa si mischia, confondendosi, con un'acuta critica, che si rivolge a
tutti i campi in cui l'estetica si sostanzia e, in particolare, ad una delle
arti al quale e più attratto, come la musica, il melodramma, o la logica
formale proposizionale del Portico. Tra il serio e il faceto, infatti, pubblica
un saggio su Serietà e ludo, Regia Università, Napoli, e compone un saggio
musicale, con tanto di note, dal titolo in tal senso emblematico di “Lezioni di
estetica generale”. Questo indirizzo lo porta ad occuparsi anche sulla celebre
pastorale di Beethoven. Altre saggi: Estetica ideale, Fibreno, Napoli, Ente spirito
e reale: confessioni filosofiche, Regia Università, Napoli, Melodramma, dramma,
Regia Università, Napoli, Critica, Vecchi, Trani, Estetica e metafisica, Laterza,
Bari, Estetica esistenziale, Morano, Napoli, L'estetica reale, Prometheus,
Milano, Dizionario dei cittadini notevoli di Terra di Lavoro antichi e moderni,
Forni, Bologna, Ed. Spartaco, Santa Maria Capua Vetere; Licatese, Storia e
monumenti di Santa Maria Capua Vetere, Stampa Sud, Curti, Storia popolare della
filosofia, Detken, Napoli, Origine del linguaggio, Detken, Napoli, Il contratto,
Detken, Napoli; Croce, La letteratura della Nuova Italia. Saggi critici, Laterza,
Bari, Lezioni d’estetica generale, Tocco, Napoli, La sinfonia pastorale, Regia
Università, Napoli, Leotta, Istituto Italiano per gli Studi Storici, Napoli, Solitario,
La Critica di CROCE. Contributo per un recupero, Prometheus, Milano; Solitario,
Cultura filosofica, Prometheus, Milano; Treccani Dizionario di filosofia,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Archivi di Teatro Napoli. Antonio Tari. Tari.
Keywords: ‘origine del linguaggio.” Refs. Luigi Speranza, “Grice e Tari” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e Tartarotti: la ragione conversazionale della differenza delle
voci nella lingua italiana e la sua rilevanza filosofica, o dell’ omicidio
rituale -- filosofia italiana – Luigi
Speranza (Rovereto). Filosofo italiano. Rovereto, Trento,
Trentino-Alto Adige. Divenne famoso per aver contrastato i processi contro i
streghi e per aver osteggiato la devozione per il vescovo del XII secolo
Adelpreto, mettendone in discussione santità e martirio. Impersona la
figura del filosofo che non si lascia limitare dal luogo nel quale nasce, cioè
nel Trentino, lontano dai grandi centri culturali del tempo. Sa anzi sfruttare
le opportunità e le peculiarità di Rovereto, al confine tra mondo tedesco e
italiano, in un periodo storico nel quale rifiorirono i commerci e i rapporti
economici, grazie al suo trovarsi su una delle principali vie di comunicazione
in Europa. Suo merito è la capacità di saper tessere legami con filosofi
italiani che risiedevano a Venezia, Roma, Salisburgo, Torino, Brescia, Vienna,
Innsbruck. Utrecht e Parigi. Studia nell'imperial regio ginnasio. Si
interessa di filosofia, che segue a Padova. Si interessò personalmente per far
insediare nella Città della Quercia la stamperia di Berno e fonda l'Accademia
dei dodonei. A Verona conosce Maffei e altri filosofi, poi ad Innsbruck, dove lavora
di precettore. Si trasfere a Roma, come segretario di Passionei. Durante
le sue permanenze roveretane, vive nella stessa casa dove abita Vannetti e dove
questi iniziarono a tenere un vivace SALOTTO FILOSOFICO che porta,
probabilmente su ispirazione dello stesso T., alla nascita all’altra accademia,
degl’agiati. Il soggiorno romano è breve, per passionati contrasti con
PASSIONEI, quindi fa ritorno a Rovereto. Si trasfere a Venezia, come
collaboratore di Foscarini. Ha discussioni anche con Foscarini e torna ancora
una volta a Rovereto. T. si dimostra poco propenso ad accettare l'aiuto di
mecenati che lo avrebbero limitato nella sua libertà e approfittò dell’occasioni
che gli venivano offerte lontano da Rovereto per consultare biblioteche o
incontrare filosofi. Tartarotti si dedica agli studi filosofici
interessandosi per approfondire tematiche della scolastica. Infatti, scrive saggi
critici nei confronti di questa. Collabora con Calogerà per la sua Raccolta
d'opuscoli scientifici e filologici, e venne in polemica con Trento dimostrando,
in una sua pubblicazione, che la città tridentina divenne sede episcopale solo
nel IV secolo e non al tempo dei primi apostoli. Pubblica “Congresso
notturno delle lammie”, il suo saggio più noto, nel quale dichiara inesistente la
stregoneria come la si vuole descrivere al suo tempo, e questo sulla base della
FILOSOFIA. Pubblica nei “Rerum Italicarum scriptores” le sue conclusioni relative
alla cronaca di Dandolo e correggendone le fonti nelle sue basi documentarie. Continua
nelle indagini storiche e dimostra che era sbagliata la venerazione dei
trentini per Adelpreto. La sua tesi è spiegata nella Lettera contro la santità (se
non il martirio) d’Alberto. Un’altro saggio, sempre legato a questo tema sono
le Notizie istorico-critiche intorno a Adalpreto.” Questo saggio venne messo al
rogo su disposizione del principe d’Enno. Sempre amante della piu oscura
filosofi, quando non gli fu possibile viaggiare per acquistare trattati personalmente
si affida a contatti che col tempo divennero per lui preziosi per procurarseli.
A Verona poté contare su Ottolini, a Brescia su Mazzucchelli, a Modena su
Muratori, a Venezia su Carli. A Rovereto è molto vicino a Vannetti, degl’agiati,
e anche da lui ebbe aiuti per procurasi i testi dei quali aveva bisogno per i
suoi studi. A Vannetti è legato anche per altri motivi, essendo precettore del
fratello di lei. Si procura libri anche grazie a donazioni, eredità e
prestiti. Vannetti e Saibante si spesero dell’acquisizione culturale
per Rovereto avesse successo, e l'atto di compravendita venne registrato. T. è molto
attivo a Rovereto e si spese per portare una maggior apertura culturale in
città facilitando l'arrivo di un tipografo, fondando l'accademia dei Dodonei,
svolgendo il ruolo di precettore per due dei fondatori dell'Accademia
Roveretana degli Agiati, ma non divenne mai un socio di quella
istituzione. Le ragioni del suo rifiuto di far parte di quell'accademia,
che pure risponde a molte delle esigenze che sente anche sue, sono diverse. La
principale è la forte inimicizia con Maffei, e il fatto che l'uomo di lettere
veronese entra tra i primi come socio aggregato dell'associazione. Questo fa sì
che non partecipa alle riunioni del nascente sodalizio culturale
roveretano. Altri saggi: “Ragionamento intorno alla poesia lirica Toscana”;
“Delle disfide letterarie, o sia pubbliche difese di conclusion”; “De
auctoribus ab Andrea Dandulo laudatis in Chronico Veneto”; “Apologia del
Congresso notturno delle Lammie”; “Memorie antiche di Rovereto e dei luoghi
circonvicini”, “Apologia delle Memorie antiche di Rovereto”; “Lettera seconda
di un giornalista d'Italia ad un giornalista oltra-montano sopra il libro
intitolato: Notizie istorico-critiche intorno al b. m. Adalpreto Vescovo di
Trento, Alcuni saggi sono pubblicati nella Raccolta d'opuscoli scientifici e
filologici: “Relazione d'un manoscritto dell'Istoria manoscritta di Giovanni
Diacono veronese”; “Dissertazione intorno all'arte critica”; “Lettera al sig.
N. N. intorno alla sua tragedia intitolata ‘il Costantino’; LETTERA INTORNO
ALLA DIFFERENZA DELLE VOCI NELLA LINGUA ITALIANA; “Osservazioni sopra la
Sofonisba del Trissino con prefazione di Vannetti, La conclusione dei frati
francescani riformati; Annotazioni al Dialogo delle false esercitazioni delle
scuole d'Aonio Paleario. Annotazioni
Ipotesi avanzata da Baldi, Direttore della Biblioteca civica T. e membro
dell'Accademia Roveretana degli Agiati. Baldi. Farina, Mostra T., Mostra T., Muratori, “Rerum
Italicarum scriptores”. Mediolani, ex typographia Societatis Palatinae in Regia
Curia, Tartarotti, (check). Trinco, Mostra T., Sito Biblioteca Civica T., su
biblioteca civica. Rovereto Comune di
Rovereto. Baldi, La Biblioteca civica T. di Rovereto: contributo per una storia”
(Calliano,Trento); Manfrini, La letteratura italiana, Milano-Napoli, Ricciardi,
Franchini, Adversum malleum maleficarum, biografia del filosofo pre-illuminista
roveretano” (Rovereto, Stella); Cusumano, “Ebrei e accusa di omicidio rituale --.
Il carteggio tra T. e Bonelli” (Milano, Unicopli); Farina, “Gl’Agiati” (Brescia,
Morcelliana), Filosi, La Biblioteca di T.:
filosofo roveretano: Rovereto, Palazzo Alberti, Rovereto, Provincia autonoma,
Servizio beni librari e archivistici, Comune di Rovereto, Biblioteca civica T.,
Trinco, San Marco in Rovereto: la chiesa arcipretale tra storia, arte e devozione,
Mori, La grafica, Gl’agiati roveretani, Biblioteca civica T. Treccani Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario
biografico degli italiani, Girolamo Tartarotti. Tartarotti. Keywords: accusa di
omicidio rituale, la differenza delle voci nella lingua italiana. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Tartarotti” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Tataranni: la ragione conversazionale del gusto per l’antico –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Matera). Filosofo
italiano. Matera, Basilicata. Lucano di origine, esponente dell'illuminismo
napoletano. Non sappiamo a quale ceto appartenesse la sua famiglia, ma
sicuramente essa è fornita dei mezzi economici. Non a caso, quando è battezzato
nella chiesa cattedrale di Matera, i suoi genitori scelsero come padrino il
nobile Ferraù. Sin da ragazzo matura quella che è la sua vocazione, tanto
che divenne prima allievo del seminario diocesano. Sebbene ha una posizione di
un certo rilievo sia in ambito ecclesiastico, sia in ambito educativo, non
mostra alcun tentennamento nell'accettare l'invito del principe di Francavilla,
che lo vuole a Napoli per affidargli la direzione della sua paggeria. Grazie
a questo incarico, accrebbe ancor di più la stima di cui già gode, stringendo
rapporti amichevoli con i filosofi più illustri ed autorevoli del tempo,
incardinate nella reale accademia delle scienze e belle lettere. Ha la
possibilità di frequentare proprio tali stimolanti dibattiti, che del resto
avrebbero formato l'humus delle sue future riflessioni, in qualità prima di direttore
della paggeria, poi della scuola militare del real collegio militare -- ufficialmente
reale accademia militare -- fortemente voluta da Ferdinando IV, che mostra di
aderire al generale clima di rinnovamento e consolidamento delle istituzioni
militari del suo regno. Ha l'onore di esserne il direttore, partecipando
vivamente, dunque, al graduale svilupparsi e moltiplicarsi dell'alveo della
cultura politica riformatrice, che ancora auspica un reale cambiamento
all'interno dello stesso apparato monarchico. Così, nell'arco di un settennio,
pubblica dei saggi molto significativi, in cui è evidente il suo tracciato
ideale di società. Tuttavia, in seguito agl’avvenimenti, quindi dopo il concordato
e dopo la fallita congiura di Lauberg, le sue posizioni rispetto alla politica
e allo stato cambiano tangenzialmente. Con questa disillusione coincide il
silenzio del filosofo materano, che in quegl’anni si limita, a quanto noto, a
proseguire i suoi studi come direttore ed al giardino. La delusione, si può
ipotizzare, lo spinge a tacere fino alla proclamazione della repubblica, quando
dichiara sicuro dell'importanza dell'istruzione del popolo e del nuovo
cittadino, elabora il catechismo nazionale pe'l cittadino, nel quale incoraggia
il popolo a difendere i principi della rivoluzione a vantaggio dell'umanità
intera. Il catechismo vince il primo premio indetto dal governo e venne
adottato come catechismo ufficiale della repubblica ed ha il compito di educare
i SUDDITI – I SUDDITI DI ROMOLO -- a divenire CITTADINI – BRUTO E SUOI
CO-CITTADINI. Alla caduta della repubblica riusce a porsi in salvo,
rifugiandosi a Matera, nei cui tribunali, in tale periodo, venneno esaminate le
posizioni di ben rei di stato lucani, dei quali sono condanati all'esportazione
e VII a morte. Comunque, a Matera puo contare su solide relazioni interne al
locale capitolo cattedrale. Più volte tiene a sottolineare l'importanza della
triade divino-ragione-sentimento, in una sorta di compromesso tra illuminismo,
sensismo e religione. Inoltre, caratteristica della sua filosofia è una
forte connotazione politica, mirando alla figura del sovrano quale principale
esempio per i SUDDITI, capace di governare un regno che si fonda su solidi
valori, legati all'importanza della famiglia, della civiltà contadina e della
piccola proprietà terriera, quest'ultima ottenuta con un giusto ed onesto
lavoro. È da evidenziare come il T. professa idee di una peculiare modernità,
al punto da convincersi che il passaggio verso una nuova stagione dell'umanità
avvenne attraverso la costituzione di una dieta universale. T. sostene,
infatti, che, ad ogni rappresentante dell’organismo, esse ha espresso i giusti
diritti del re (mon-arca) al fine di raggiungere la felicità COMUNE e la PUBBLICA
sicurezza, ponendosi, negl’ordini e nelle attività sociali, sull'unica
distinzione del merito. Notevole importanza e, poi, assegnata al ruolo
dell'educazione e dell'istruzione, poiché afferma l'importanza dello studio
delle litterae humaniores -- unico mezzo per riscoprire i principali temi della
filosofia antica ed attualizzarli. Inoltre, T. si fa anche sostenitore
dell'istruzione in geometria pura e, ancora una volta, suggere di avviare gl’alunni
sin dall'età più tenera al processo educativo, seguendo le direttive di Pitagora.
Il filosofo-riformatore auspica tutto questo in un contesto socio-economico che
riserva particolare attenzione all'attività agraria (agrimensura) e ad una
pratica religiosa semplice “pura, e brieve.” Dunque, predica il ritorno alla
religione delle origini, costruita sull'aiuto reciproco tra gl’individui, in
modo che gli’uomini si rassomiglino in qualche modo all'ente supremo d'infinità
bonta. Pertanto, afferma che i filosofi dovessero essere esenti dalle pubbliche
cariche e che come gl’altri uomini dovessero essere soggetti alla giurisdizione
dei giudici laici nelle loro cause civili. Il primo, monumentale, saggio è il
Saggio d'un filosofo politico amico dell'uomo (Napoli). Con la composizione di
questo saggio, T. si propone di delineare il suo tracciato ideale di società,
confidando nella figura del sovrano. Infatti, già il titolo dell'opera risulta
molto significativo, in quanto T. si presenta come un filosofo con
atteggiamento “filantropico” nei confronti di Ferdinando IV, al fine di
mostrargli la retta direzione per guidare un giusto governo ed attuare delle
riforme interne allo stesso apparato monarchico, favorevoli alle idee
democratiche. La fiducia che ripone nei riguardi del monarca vienne ancora
espressa nel “Ragionamento sul carattere religioso di Carlo III umiliato a
Ferdinando IV re delle Due Sicilie” (Napoli). Si tratta di un panegirico
riferito al *padre* del sovrano, Carlo di Borbone, che, spentosi l'anno
precedente, vienne proposto come esempio da seguire al suo erede. In tal senso,
egli si rivolge ancora pieno di ammirazione nei confronti di Ferdinando IV nel “Ragionamento
sulle sovrane leggi della nascente popolazione di S. Leucio umiliata alla
maestà di Ferdinando IV re delle Due Sicilie” (Napoli). Nella “Brieve memoria
sull'educazione nazionale dei nobili guerrieri,” T. affronta il tema, a lui
caro come direttore di istituti di formazione, dell'educazione dei militari. T.
adere alla repubblica, ma, convinto dell'importanza che rivestiva la formazione
del popolo e del nuovo cittadino, decide di redattare e pubblicare questo catechismo
nazionale pe'l cittadino. Archivio Diocesano di Matera, Cattedrale, Battesimi Lerra.
Catechismo nazionale pe’l cittadino. Progetto di cultura politica e ruolo
dell'antico. Lerra XVII. Chiosi, Lo
spirito del secolo. Politica e religione a Napoli nell'età dell'illuminismo (Napoli,
Giannini); Bruno, "Catechismo nazionale pe' il cittadino". Contributo
alla storia della repubblica partenopea -- "Studi Meridionali", Cronache
di una rivoluzione: Napoli (Angeli, Milano); Lerra, L'albero e la croce: istituzioni
e ceta dirigente nella Basilicata, Napoli, ESI, Bruno, Il catechismo nazionale
pe' il cittadino" (noterelle di storia napoletana), in Scritti in onore di
Trifone, Storia Meridionale, II, Sapri,
Ed. del Centro Librario, Bruno, "Catechismo nazionale pe' il
cittadino". Contributo alla storia della Repubblica Partenopea, in Studi Meridionali,
Guerci, Istruire alle verità repubblicane.
La letteratura politica per il popolo nell'Italia in rivoluzione” (Bologna, il
Mulino); Caserta, Teologo della rivoluzione napoletana, Napoli, Vivarium, Capobianco,
La pedagogia dei catechismi laici nella Repubblica napoletana (Napoli, Liguori),
Lerra, Catechismo nazionale pe' l cittadino. Progetto di cultura politica e
ruolo dell'antico, Manduria-Roma-Bari, Lacaita, Andria, T.: un riformatore
napoletano in limine, in Sguardi sul mezzogiorno, Quaderni eretici -- studi sul
dissenso politico, religioso e letterario, Illuminismo in Italia Repubblica
Napoletana. Storia della Basilicata Un'analisi dei concetti politici nel catechismo,
su nuovo monitore napoletano. L'indice ragionato del Filosofo Politico amico
dell'Uomo La Brieve memoria in edizione integrale. Onofrio Tataranni.
Tataranni. Keywords: filosofo principe, i sudditi e i cittadini, il popolo
sovrano – sovrano e monarca, filantropia del re. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Tataranni” –
The Swimming-Pool Library.
Grice e Tatiano: la
ragione conversazionale -- ogni filosofo è arrogante – Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. He founds a sect in Rome
which he calls The Encratites’ – the self-controlled ones. Ippolito claims they
are more followers of the Cinargo than anything else. T. famously accuses all
philosphers of arrogance – “including himself,” as IRENEO di LIONS noted in his
review of the tract.
Grice e Taumasio: la
ragione conversazionale della dialettica come anti-romana – Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A pupil of Plotino and
Porfirio at Rome. He finds their style of teaching – through questions and
answers – to be very ‘silly,’ and ‘uncongenial to a proper Roman,’ preferring
instead the old ‘formal lecture’ of his ancestors. “And
right he was, too!” – H. P. Grice.
Grice e Teage: la
ragione conversazionale degl’ottimati di Crotona – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Crotone). Filosofo
italiano. Crotone, Calabria. According to Giamblico, a Pythagorean, who seeks to
introduce more democratic institutions into Crotone. STOBEO (si veda) preserves
fragments of a little treatise T. writes on this – “On Virtue – possibly by a
later philosopher, though. The treatise is not well known, and as a result of
this ignorance, the sect is destroyed without a trace, by the real democrats,
who think that the sect was pro-aristocratic, only!
Grice e Teagene: la
ragione naturale del naturale, del tras-naturale, e del sopra-naturale – Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Reggio). Filosofo italiano. Reggio, Calabria. T. argues
that a myth or a legend – such as a she-wolf having nurtured the founder of
Rome, and his twin brother – should be interpreted *allegorically* or
analogically. T. also claims that what people regard as an act of a god (say,
Romolo, once divinised, or when the statue of the she-wolf is struck by a
lightning – is only a natural (fisico), not trans-natural (meta-fisico) o
super-natural (iper-fisico) phenomenon. Cf. Psicologia,
para-psicologia.
Grice e Teagene: la
ragione conversazionale del cinargo di Roma -- Roma – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Cinargo. T. gives
his seminars in the foro di Traiano. He dies, unfortunately, when he consults Attalo about a problem he is experiencing
with his the liver, and for which Attalo gives him the totally wrong treatment and
medication – hemlock, mixed with beans -- causing the philosopher’s death.
Grice e Teanor: la
ragione conversazionale del filosofo come dramatis persona -- Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Crotone). Crotone,
Calabria. Filosofo italiano. A
Pythagorean, he appears as a character in some of the dialogues by Plutarco.
Grice e Tearida: la
ragione conversazionale -- il principio conversazaionale è uno – Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Metaponto). Filosofo italiano. Metaponto, Basilicata. T.
composes an essay entitled, “Della natura” – where he argues that everything
comes from one single first principle. Cited by Clemente of Alexandria. He may
have attended the sect at Crotone. “Or not.” – Grice.
Grice e Telecle: la
ragione conversazionale della diaspora di Crotona -- Roma – filosofia italiana
– Luigi Speranza (Metaponto). Filosofo italiano. A
Pythagorean, cited by Giamblico.
Grice e Telesio: la ragione conversazionale del filosofo sperimentale –
filosofia calabrese -- filosofia italiana – Grice italico -- Luigi Speranza,
pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Cosenza). Filosofo italiano. Cosenza, Calabria. Mentre le sue teorie
naturali sono state successivamente smentite, la sua enfasi sull'osservazione fa
il primo dei moderni che alla fine hanno sviluppato il metodo
scientifico. Nato da genitori nobili, è istruito a Milano dallo zio, lui
stesso uno studioso e poeta di eminenza, e poi a Roma e Padova. I suoi studi
hanno incluso tutta la vasta gamma di argomenti, classici, scienza e FILOSOFIA,
che costitusceno il curriculum degli rinascimentali sapienti. Così
equipaggiata, inizia il suo attacco sul LIZIO medievale che poi fiorisce a
Padova e Bologna. Fonda l’Accademia cosentina. Per un certo periodo vive nella
casa del duca di Nocera. Il suo grande saggio è “Sulla natura delle cose secondo
i loro propri principi,” seguito da un gran numero di saggi di importanza
sussidiaria. L’opinioni eterodosse che mantenne suscitano l'ira di Roma per
conto del suo amato LIZIO. Tutti i suoi saggi sono stati immessi sul “Index.” Invece
di postulare materia e FORMA, T. basa l'esistenza sulla materia e FORZA. Questa
forza ha due elementi opposti. Il primo elemento è il calore, che espande la
materia. Il secondo è il freddo, che la contrae. Questi due processi
rappresentano tutte le tipi di esistenza, mentre la MASSA su cui opera la FORZA
rimane la stessa. L'armonia del tutto consiste nel fatto che ogni cosa separata
sviluppa in sé e per sé conformemente alla sua natura e allo stesso tempo la sua
MOSSA avvantaggia il resto. I difetti di questa teoria, che solo i sensi
possono non comprendere materia o MASSA stessa. Non è chiaro come la
molteplicità dei fenomeni puo derivare da queste due forze. Pensato, non è meno
convincente di Aristotele caldo/freddo, secca spiegazione/umido, e che addotta
alcuna prova per dimostrare l'esistenza di queste due forze, sono stati
sottolineato a suo tempo. Inoltre, la sua teoria della terra fredda a riposo e
il sole caldo in moto è destinato a confutazione
per mano di Copernico. Allo stesso tempo, la teoria è sufficientemente coerente
per fare una grande impressione sulla filosofia italiana. Va ricordato, però,
che la sua obliterazione di una distinzione tra la fisica super-lunare e la fisica
sub-lunare certamente abbastanza preveggente anche se non riconosciuto dai suoi
successori come particolarmente degno di nota. Quando T. continua a spiegare la
relazione tra mente o anima e materia, e ancora più eterodosso. Le forze
materiali sono, per ipotesi, in grado di sentire. Questione deve anche essere
stato fin dal primo essere vivo dotato di coscienza. Per la coscienza, o anima,
esiste, e non avrebbe potuto essere sviluppato dal nulla. Questo porta T. a una
forma di ilo-zoismo. Anche in questo caso, l'anima è influenzata dalle
condizioni materiali o della massa e la forza. Di conseguenza, l'anima deve
avere un esistenza materiale. Inoltre, T. dichiara che tutta la conoscenza è
sensazione ("non-ratione sensu sed") e che l'intelligenza è, quindi,
un agglomerato di dati isolati, in sensi. Non lo fa, però, riesce a spiegare
come solo i sensi possono percepire la differenza e identità. Alla fine
del schema di T., probabilmente in ossequio ai pregiudizi teologici, aggiunta un
elemento che e completamente estraneo, vale a dire, un impulso più alto,
un'anima sovrapposta dal divino, in virtù della quale ci sforziamo di là del
mondo sensibile. Questa anima divina non è affatto un concetto completamente
nuovo, se visto nel contesto della teoria percettiva d’Averroe e Aquino. L’intero
sistema di T. mostra lacune nella sua tesi, e l'ignoranza dei fatti. Allo
stesso tempo, T. è un precursore di tutte le successive scuole dell'empirismo e
segna chiaramente il periodo di transizione da autorità e la ragione di SPERIMENTARE
e individuale responsabilità. Nel ricorso ai dati sensoriali, T. è il capo
del grande movimento italiano del sud, che protesta contro l'autorità accettata della ragione
astratta e semina i semi da cui spuntavano i metodi scientifici di CAMPANELLA
(si veda) e BRUNO (si veda), e di Bacon e Descartes, con i loro risultati
ampiamente divergenti. T. quindi, abbandona la sfera puramente intellettuale e
ha proposto un'indagine sui dati forniti dai sensi, dai quali ha ricoperto che
tutta la vera conoscenza viene veramente. La sua teoria della percezione
sensoriale è essenzialmente una ri-elaborazione della teoria di Aristotele dal
De anima). Nota all'inizio del proemio del primo libro della terza edizione del
De Rerum Natura Iuxta propria principia Libri Ix che la costruzione del mondo e
la grandezza dei corpi in esso contenuti, e la natura del mondo, è da ricercare
non dalla ragione, come è stato fatto dagl’antichi, ma è da intendersi per
mezzo di osservazione. Mundi constructionem, corporumque in eo contentorum
magnitudinem, naturamque non ratione, quod antiquioribus factum est,
inquirendam, sed sensu percipiendam. Questa affermazione, che si trova sulla
prima pagina, riassume ciò che molti studiosi moderni hanno generalmente
considerato la filosofia di T., e spesso sembra che molti non leggere oltre per
nella pagina successiva si imposta il suo caldo teoria/freddo della materia o
massa informata, una teoria che non è chiaramente informata dall’osservazione. L’osservazione
(sensu percipiendam) è un processo dell’anima molto più grande di una semplice
registrazione dei dati. L’osservazione comprende anche l’analogia. Anche se
Bacon è generalmente accreditato con la codificazione di un induttivo metodo
che sottoscrive pienamente l'osservazione come procedura primaria per
l'acquisizione di conoscenze, non è certamente il primo a suggerire che la
percezione sensoriale è la fonte primaria della conoscenza. Tra i filosofi
naturali del Rinascimento, questo onore è generalmente conferito a T.. Bacone
si riconosce T. come il primo dei moderni. De Telesio autem bene sentimus,
atque eum ut amantem veritatis, e scientiis utilem, e non nullorum Placitorum
emendatorem et novorum hominum primum agnoscimus. – Bacone, “De principiis
atque originibus.” Per mettere l'osservazione di sopra di tutti gl’altri metodi
di acquisizione delle conoscenze sul mondo naturale. Questa frase spesso citata
da Bacon, però, è fuorviante, perché semplifica eccessivamente e travisa
l'opinione di Bacone di T.. La maggior parte del saggio di Bacon è un attacco a
T. e questa frase, invariabilmente fuori contesto, facilita un malinteso
generale della filosofia naturale di T. dando ad essa un timbro baconiana di
approvazione, che era lontano dalle intenzioni originali di Bacon. Bacone vede
in T. un alleato nella lotta contro l'antica autorità. Ma Bacone ha poco
positivo da dire su specifiche teorie di T. della mossa della massa per la
forza. Ciò che forse colpisce di più De Rerum Natura è il tentativo di T. di
meccanizzare il più possibile. Si sforza di spiegare tutto chiaramente in
termini di materia informati – la mossa della massa colla forza -- dalla calda
e fredda e per mantenere i suoi argomenti il più semplice possibile. Quando i
suoi colloqui si rivolgono agl’esseri umani, introduce un istinto di
auto-conservazione per spiegare le loro motivazioni. E quando discute l’anima e
mente umana e la sua capacità di ragionare in astratto su argomenti immateriali
e divine, aggiunge un’anima divina. Per senza anima, tutto il pensiero, dal suo
ragionamento, sarebbe limitato alle cose materiali. Ciò renderebbe il divino impensabile
e chiaramente questo non è il caso, per l'osservazione dimostra che la gente
pensa del divino. “De rerum natura iuxta propia principii libri IX” (Horatium
Saluianum, Napoli). Altre saggi: “De Somno”; “De la quae in aere fiunt de mari de cometis
et circulo lactea respirationis. De USU. Gl’appunti Riferimenti. Deusen,
Telesio: primo dei moderni. De La sua, Quae in aere Sunt, et de Terrae motibus piena.
GENTILE T. CON
APPENDICE BIBLIOGRAFICA BARI LATERZA Questa commemorazione, scritta per invito
del Comitato per le onoranze a T. nella ricorrenza del quarto centenario
della sua nascita, e letta, tranne poche pagine, nel Teatro Comunale di
Cosenza, poteva e non vuol essere una monografia su T,; ma soltanto
una caratteristica della sua personalità e della sua filosofia
guardata nel processo generale del pensiero speculativo. Ciò spiega
perche essa si estenda un po ' largamente sulla storia degli
antecedenti. Aggiungendovi, per questa stampa, oltre le note
necessarie, una bibliografia, 1 nè sembralo opportuno riprodurre in essa
dalle vecchie edizioni raiùssime degli scritti telesiani dediche e
proemii, che sono documenti biografici e storici notevolissimi, poiché
m'è accaduto di vederli non di rado citati di seconda mano pur
dagli studiosi più diligenti, ai quali non era riuscito di averli
sott'occhio. Dietro al chiarore del rinascimento, sullo sfondo
dell’orizzonte, s’addensa ancora la nebbia medievale; e la luce nascente
s’imporpora dei riflessi fumiganti di quella neb¬ bia, che il sole alto,
splendente nel mezzo del cielo, spazzerà, quando all’alba della
rina¬ scenza sarà successo il gran giorno dell’età moderna. In
quella prima ora le vecchie idee sono morte; ma, pur morte, rimangono
nel pensiero umano, e l’impediscono e l’opprimono con la gravezza di ciò
che, estraneo alla vita, attraversa il processo della vita. Le idee
nuove, quelle che sono anche oggi la sostanza del nostro spirito, si sono
annunziate, anzi affermate con la vivacità impetuosa e fremente, con
l’entusiasmo gioioso della giovinezza, che ha per sè l’avvenire, e
non sente il passato che si lascia alle spalle. Ma la loro affermazione
per noi è piuttosto un annunzio: manca lo sviluppo logico, in cui è
la vita vera e concreta delle idee, e manca l’integrazione, che il lembo
della verità in- travvista raccolga nella coscienza coerente • del
tutto, dove ogni parte ha il suo valore organico. E lo sviluppo e
l’integrazione mancano, perchè il nuovo è commisto e ravvolto nel
vecchio: e si va innanzi, come infatti è dei giovani, senza sapere
distintamente che cosa si lascia e che cosa si cerca, e quale è il
cammino: portati dall’istinto della vita, che perverrà più tardi alla
netta coscienza del nuovo in quanto negazione del vecchio. Perciò tutti i
pensatori di questa età hanno due facce, e ci presentano contraddizioni,
che paiono spiantare i principii stessi del loro filosofare: e chi
guarda a una sola faccia, non riesce a più rendersi conto dell’altra;
e c’è chi di costoro ne fa gli iniziatori, a dirittura, del pensiero
moderno, e chi li re- ' spinge indietro, alla scolastica dei tempi
di mezzo: laddove il loro significato storico è in questa
posizione, che occupano, tra una filosofia che hanno solo virtualmente
superata e una filosofia che solo del pari virtualmente essi
affermano. Trascurare cotesto residuo esanime, che resiste nei loro
sistemi alle loro intuizioni innovatrici, in tutti questi filosofi,
dal Poinponazzi a Bruno e a Campanella, non è possibile: vien meno tutto
il significato di queste medesime intuizioni, che fanno di loro i
precursori dei più grandi filosofi moderni; e non si spiegano più
atteggiamenti essenziali, parti vitali del loro pensiero; ma, sopra
tutto, diviene un mistero perchè il germe di verità, che essi si recano
in mano, rimanga soltanto un germe, di cui la vita s’arresti appena
cominciata. L’uomo del medio evo si era travagliato in una
contraddizione, che si può dire orga¬ nica, perchè ne dipendeva la vita
stessa del pensiero: contraddizione, i cui termini, se si vuol
considerare il processo generale della storia ne’ suoi grandi tratti, si
possono de¬ signare come la filosofia greca e la fede cri¬ stiana:
due termini, che il pensiero tentò tutte le vie, lungo più di un
millennio, di conci¬ liare; ma erano inconciliabili per lui,
assolu¬ tamente, sul terreno in cui egli era posto; perchè, a dirla
brevissimamente, la filosofia sua, che avrebbe dovuto operare la
conci¬ liazione, era tuttavia la filosofia greca, e cioè uno dei
due termini stessi antagonisti. 12 BERNARDINO
TEI.ESIO La filosofia greca è il pensiero che si vede fuori
di sè: e si vede perciò o come natura, nella sua immediatezza sensibile,
o come idea, che non è atto del pensiero che pensa, ma cosa in cui
il pensiero si affisa, e che pre¬ suppone come verità eterna e ragione
eterna di tutte le cose e della sua stessa cognizione parallela
alla vicenda delle cose: in entrambi i casi, come una realtà che è in se
stessa quella che è, indipendentemente dalla rela¬ zione in cui il
pensiero entra con essa quando la conosce. Visione la più dolorosa che
l’anima umana possa avere del proprio essere nel mondo: perchè
l’anima umana vive di verità, ossia della fede che sia quel che essa
pensa ed afferma: e in quella visione, che è poi la visione eterna
della prima riflessione, da cui si dovrà sempre pigliare le mosse, la
verità, quel che è veramente, non è nell’anima umana; la cui
condizione permanente ed essenziale è raffigurata da quel sensibilissimo
amatore della verità, dell’essere eterno del mondo, che fu Platone,
nel mito di Eros: mito pre¬ gno, nella sua classica serenità, di
pathos che direi cosmico: perchè l’aspirazione fer¬ vente al
divino, che è l’Amore di Platone, e che nella sua forma più alta è la
filosofia, non è solo lo sforzo supremo in cui si con¬ centra
l’anima umana, ma culmina in questa, e affatica tutto l’universo,
tormentato dal de¬ siderio di qualche cosa che è il suo vero
essere, ma è fuori di esso. Mito, che, con tutto il suo pathos, può
essere intanto se¬ reno, perchè l’occhio dell’idealista greco è
attratto e fermato dalla bellezza dell’ideale lontano, e gli sfugge la
miseria infinita del¬ l’amante senza speranza. In questa visione,
quando, per opera prin¬ cipalmente dello stesso Platone, la verità
della natura sensibile e mortale si rifrange nelle forme ideali,
ond’essa si rivela al pensiero ne’ suoi varii aspetti, e diventa sistema
di idee, tutta la scienza, nel suo proprio as¬ setto, come possesso
adeguato della verità, non apparisce quale il perenne lavoro della
mente e la celebrazione dell’ufficio supremo del mondo, ma quasi un che
di remoto dalla realtà, o, come si dice, d’ideale, di cui la
cognizione umana è sempre copia imperfetta. La scienza, di cui la logica
deduttiva di Ari¬ stotile descrive mirabilmente il congegno, non è
la scienza nostra, la scienza umana, che si fa e rifà continuamente nella
storia: è la scienza che ha principi! immediati, che in sè contengono
sistematicamente tutti i concetti, I in cui si snoda lo scibile: è
pertanto la scienza che è tale, in quanto è tutta e perfetta a un
tratto, senza possibilità di svolgimento sto¬ rico. Ossia, la scienza per
ottenere la quale ] tutto questo svolgimento, in cui è pure tutta
la vita e tutto l’essere nostro, non giova: un ideale, al cui cospetto
quel travaglio men¬ tale, che ci par tuttavia la cosa più seria del
mondo, non ha valore di sorta '). Dentro questa visione si chiude
tutta la filosofia greca, e ogni filosofia che, come quella del
medio evo, accetta la logica, ossia la maniera d’intendere la verità, di
Aristo- tile. Questa logica si può definire la logica della
trascendenza; o altrimenti, la logica dell’intellettualismo: per questa
logica infatti la verità, che è termine dello intelletto, è tra¬
scendente, radicalmente superiore all’intel¬ letto stesso; e questo è
ridotto a semplice facoltà passiva, contemplatrice e non autrice:
che è il concetto dell’intelletto nel senso de¬ teriore di questo
termine: quasi una mente, che importa bensì la presenza delle cose
da conoscere, ma non dell’uomo, non dello spirito che le conosce, e
che ha appunto questo di proprio e di diverso rispetto alle cose: che non
è cosa da conoscere, ma l’attività cor¬ relativa, che queste
presuppongono nel loro concetto di « cose da conoscere » : una
mente, insomma, per cui c’è il mondo, ed essa, per cui il mondo è,
non è. Che è come dire: l’uomo, questo divino artefice di quanto è
bello e santo e vero nel mondo, di quanto c i umilia e ci esalta, ora
facendoci piegar le ginocchia innanzi alla potenza terribile del
genio, ora sublimandoci nel gaudio di quanto trascorre immortale i secoli
e aduna nel con¬ senso d’uno spirito solo i morti coi vivi; que¬
st’uomo, annichilato. Annichilato, s’intende, ai proprii occhi, nella
coscienza che ha del suo essere. Di un uomo così, ignaro del pro¬
prio valore, men che atomo disperso nell’in¬ finito, Chiesa ed Impero,
accampatisi im¬ mediatamente come rappresentanti di Dio, possono
disporre a loro talento, come cose, che non sono persone. Manca la
coscienza, e manca perciò l’individuo: non c’è la libertà, come
coscienza della propria legge. La legge, come la verità, scende
dall’alto. Ma era questo il principio del cristiane¬ simo? Il
cristianesimo voleva essere, al con¬ trario, la redenzione, la
rivendicazione del valore dell’uomo; voleva sollevare l’uomo a
i6 BERNARDINO TELESIO Dio, facendo
scendere Dio nell’uomo, e ren¬ dendo questo partecipe della natura
divina. Giacché in Gesù, che è l’uomo stesso nella sua idealità, o
come dev’essere concepito, Dio stesso era uomo: con tutte le miserie
j umane, soggetto all’estrema delle miserie, la morte; ed era Dio
(quel dio, che redimeva) in quanto questo uomo, che eroicamente af¬
frontava la morte, otteneva in questa il premio della missione della sua
vita tutta spesa uma¬ namente in un’opera d’amore. Onde l’amore
risorgeva, non più, come nel mito platonico, contemplazione desiderosa
dell’irraggiungi¬ bile, ma attività dell’uomo che crea se stesso
perennemente: e non era più la celebrazione estatica di un mondo che è,
ma la celebra¬ zione operosa, dolorosa insieme e letificante, di un
mondo, che è regno di Dio essendo la purificazione della smessa volontà
umana nella fiamma della carità. Onde l’uomo non è più sapere o
intelletto; ma amore o vo¬ lontà, cioè creatore esso stesso della sua
ve¬ rità, che è il bene: la verità che si scorge, j insomma, quando
la cerchiamo con la buona volontà, col cuore puro, mettendo tutto
l’es¬ sere nostro, sinceramente, ingenuamente nella ricerca; e che
non è più, quindi, un che di esterno a noi, che si presenti e s’imponga
a noi passivi, ma è il premio o il risultato del nostro sforzo.
L’uomo non è più spettatore; ma artefice. Si desta, e sente se stesso;
sente che senza la sua volontà, senza il suo co¬ nato, senza lui,
il mondo che ha valore per lui, la felicità, la vita, Dio, non si
raggiunge. Acquista quindi davvero la coscienza della sua
personalità, e però della sua responsa¬ bilità: poiché vede che da sè
dipende tutto; e, lui caduto, tutto cade; e lui risorto, tutto risorge.
L’uomo trova dunque se stesso nel cristianesimo. Se questa
intuizione fosse divenuta sen¬ z’altro concetto complessivo ed organico
del mondo, se questo senso nuovo del valore dello spirito umano
avesse rinnovato tutta la concezione della vita, in cui l’uomo
afferma la sua creatrice potenza, se insomma il con- . tenuto della
nuova fede fosse assurto al vi¬ gore di una nuova filosofia, il
cristianesimo avrebbe segnato fin da principio la morte
dell’intellettualismo. Ma la fede non è ancora filosofia: è visione
immediata della verità non integrata in sistema di pensiero. E il
cri¬ stiano, quando volle pensare il suo Dio, pensò più a Dio padre
che a Dio figlio, e G. Gentile, Bernardino Te lesto. s’impigliò
nella rete della metafisica aristo telica che il principio della realtà,
come mo¬ tore immobile, che è solo pensiero di se stesso, e non
d’altro, faceva estraneo alla realtà, e poi s’affaticava invano a
colmare l’abisso tra Dio e la natura; tra la causa del movimento,
che non è movimento, e il mo¬ vimento, che non ha in sè la propria
ragione sufficiente; e quindi tra il principio del di¬ venire, che
non diviene, e la natura che in se non ha la cagione del suo perenne
ge¬ nerarsi e corrompersi; e poi tra l’anima e il corpo; e poi
ancora tra l’anima che in¬ tende, ed è lo stesso intendimento in
atto, e 1 anima naturale solo capace di raggiun¬ gere la mera
possibilità d’intendere, ma in¬ capace per sè d'intendere mai realmente:
e,' in generale, tra la materia, potenza, e non più che potenza, di
tutto, e la forma, realiz¬ zazione di tutto: come dire, tra
l’aspirazione alla vita e la vita: eterno destino di Tantalo!
Aristotelici o platonici, nominalisti o realisti, averroisti o tomisti,
tutti i cristiani che nel medio evo si sono sforzati di concepire
la realtà, sono giunti a questo risultato: al de¬ stino di lantalo.
Tanto più doloroso, tanto più inquietante, in quanto era pur contenuto nella
fede novella, che fiammeggiava a quando a quando nei mistici, il concetto
dell’imma¬ nenza di Dio nel mondo, nell’uomo, nello spirito. La
teologia, tutta la filosofia scola¬ stica, anzi tutta la scienza
medievale (che non è tutta filosofia) si costruisce come scienza di
una verità che si sente, appena il sentimento si sveglia (basti per tutti
ricordare Francesco d'Assisi e Jacopone, il suo poeta), che si
sente, dico, estranea all’anima, lontana, oc¬ cupante per vano riflesso
solo l’intelletto del¬ l'uomo, speculazione umbratile e di scuola,
che non entra nell’ intimo e non afferra e non impegna e non riforma e
non fa l’uomo. Scienza vana per chi ravvivava in sé il senti¬ mento
tutto cristiano del valore spirituale: scienza elegante nel suo laborioso
artifizio, sottile nella pellegrinità de’ suoi tecnicismi,
delicatissima nei pazienti avvolgimenti dida¬ scalici in cui si dispiega,
vasta, universale come un mondo per quanti vi si dedicavano: e,
messovi dentro, talvolta, un intelletto di vasto respiro e di tempra
ferrea, vi si ag¬ giravano e scendevano per meati lunghis¬ simi,
con ricerche, che ora ci spaventano per la fatica di pensiero e la forza
di sacrifizio che attestano, fino a toccare l’ultimo fondo delle
difficoltà, in cui la filosofia antica urta e si arresta. E basti per
tutti ricordare il nostro Aquino: i cui sforzi possenti per scuotersi di
dosso la plumbea cappa delle conseguenze ineluttabili dell’antica
filosofia, riempiono l’animo dello studioso moderno di commossa
ammirazione e di reverenza. Chi vuole intendere la storia del
pensiero medievale, deve figgere lo sguardo in questo contrasto
delle maggiori forze spirituali che vi operavano dentro: il misticismo,
che, affer¬ mando immediatamente la presenza di Dio, della verità,
di quanto ha valore, nello spi¬ rito umano, nega la scienza, la
cognizione che è sviluppo e sistema, e tutte le forme a cui lo
sviluppo dello spirito dà luogo nella scienza e nella vita; e la
filosofia intellettua* listica, che, presupponendo una realtà fuori
dello spirito che la ricerca, si affanna in una costruzione, formalmente
ricchissima e so¬ stanzialmente vuota, di quel che non può essere
verità. O verità senza scienza, senza vita dello spirito; — o
scienza, forma elevatissima di questa vita, senza verità, vana. Quando
il medio evo è al tramonto, un uomo di genio raccoglie in una
espressione eloquente il senso di vuoto che l’anima cri¬ stiana
provava nella scienza delle scuole: ma un senso, che non è più schietta
conseguenza di disposizione mistica, la quale, rinunciando alla
scienza, possa trovare il suo appaga¬ mento nell’immediatezza della fede;
anzi, un senso che nasce da un vivo bisogno di sapere, di pensare,
d’intendere. Egli è un dotto, un grande maestro di dottrina, un amante
ap¬ passionato della scienza; ma aspira dal pro¬ fondo a una
scienza che riempia l’anima e appaghi i bisogni che la nuova fede ha
creati dando all'uomo la coscienza della sua inizia¬ tiva, della
sua posizione centrale nel mondo: a una scienza insomma che dia la
filosofia a questa fede. Quest’uomo, che si presenta sulla soglia
del rinascimento con la coscienza di tale nuovo problema, e che, parlando
un linguaggio pieno di malinconica nostalgia per un tempo che non è
il suo, avvia per una nuova strada lo spirito umano, svegliando intorno
e innanzi a sè una lunga schiera e* folta di ricercatori, che indagano
con fedel oscura ma salda una scienza nuova, che noni essi potranno
trovare, è un grande poeta,! che fu anche un grande scrutatore
deH’anima propria colta e sensibilissima, I'rancesco le trarca:
iniziatore deH’umanesimo 2 ). L’umanesimo ha un doppio valore
storico negativo e positivo. È guerra alla scienza del medio
evo, — combattuta bensì con argomenti alquanto estrinseci e con
spirito assolutamente restio per lo più, a passare attraverso a
quelli scienza per superarla: — combattuta con 1; satira della
forma letteraria, ispida, irsuta lutulenta, aspra di terminologia creata
dal l’intelletto assottigliantesi nell’astrazione quello
degli studi, e quell’altro, in cui purj vive come uomo, che ha famiglia e
interess sociali, non è il suo mondo; il letterato in^ somma che
non è uomo. Tale il Petrarca, i cui sdegni contro l’avara Babilonia e il
saluto augurale ed ammonitore allo spirito gentile sono
superfetazioni retoriche della sua poe? sia. Tale non era stato
quell'Alighieri, che fu a lui sempre incomprensibile, nel poemi
divino, contemplazione e poesia, ma di uno spirito energico, che guarda
al suo tempo, e s’appassiona per tutte le lotte che gli si agitano
attorno, e fa tuonare da Dio la parola che può essere la salute di tutti.
Letterati saranno tutti i poeti e filosofi della Italia fio¬
rentissima del rinascimento, che accetteranno tutti la vita quale la
troveranno, poiché la loro vera vita essi se la faranno dentro,
nella fantasia e nella speculazione, nel mondo creato da loro. La
stessa religione, fissatasi al loro sguardo nella Chiesa, che non solo
associa le anime, ma le forma e riforma, con l’ammini¬ strazione
del divino commessole, con la sua teologia e con la sua filosofia, diventa
per loro qualche cosa di estrinseco e indifferente, che ogni
cittadino nel suo paese deve accettare come le leggi dello Stato. Cioè,
in realtà, essi non partecipano alla religione del paese; ma ne
hanno una per conto loro, il loro Dio è la loro arte, la loro filosofia,
alle quali votano tutta infatti l’anima loro e subordinano ogni
altro interesse, almeno nell’intimo del loro spirito. Non è,
veramente, nè indifferentismo re¬ ligioso, nè tanto meno ateismo. Ma
ateismo pare verso la religiosità ufficiale di cui si ridono,
ancorché esteriormente le professino ogni riguardo. Quindi i conflitti
frequenti e le prigioni e i roghi, che aspettano i nostri filosofi
del secolo xvi. Il letterato, a ogni modo, stralciandosi
dalla vita comune, in cui si era consolidata, in forma di instituzioni
costrittive dell’indi¬ viduo, l'intuizione trascendente e
intellettua¬ listica del medio evo, ereditata dalla filosofia
greca, ristaurava, come poteva, la libertà dello spirito che si fa il suo
mondo; e si fa un mondo di puro pensiero, poiché non gli è
consentito di scrollare, d’un tratto, quell’altro della comunità sociale;
al quale per altro, a suo tempo, perverrà egualmente quando il
principio suo, il principio della libertà, di¬ verrà nel secolo xvm
coscienza di tutti. E per questa sua ristaurazione, che è perfetta
ed assoluta rispetto al mondo dell’umanista, egli, il malvisto della
Chiesa, il perseguitato nei libri che saranno proibiti,
nell’insegna¬ mento che sarà vietato, nella persona' che sarà
bruciata, egli è più cristiano dei suoi persecutori: egli è il
continuatore dello spi¬ rito vero del cristianesimo. Ha infranta e
buttata via, con l’impeto. • della giovinezza, la vecchia filosofia, la
fida, l’eterna alleata della chiesa medievale, come della chiesa di
oggi e di ogni chiesa avvenire (poiché un medio evo bisogna che ci sia
sempre); ma non si è abbandonato, come si faceva una volta, al
misticismo; anzi celebra la potenza dello spirito; e, poiché una
filosofia sua non ce rha (e non era facile averla, dopo il ri¬ fiuto
di una filosofia opera millenaria), ei la ricerca nell’antichità più
remota. La ricerca dove, a dir vero, era vano cercarla; perchè
quell’antichità aveva generato il medio evo; ma l’umanista non sa questo,
e non può cre¬ dere che Platone, Aristotile, quei maestri solenni
di sapienza umana, che gli scrittori antichi a una voce lodano, possono
avere in¬ sertato la dottrina di cui essi vedono la tar¬ diva e
sfigurata immagine nelle scuole del loro tempo. E poiché, in realtà, noi
troviamo solo quello che cerchiamo, gli umanisti, che imparano il
greco, e vanno a leggere nei testi originali e traducono e commentano,
col sussidio dei più genuini commenti greci, gli scritti di Platone
ed Aristotile, scoprono un mondo nuovo; un altro Platone e un altro
Aristotile da quelli che erano i maestri della filosofia del medio evo;
non dico di quella filosofia, ansimante nella logica termi- nistica
degli occamisti, che sul cadere del 300 lacerava le orecchie delicate dei
primi uma¬ nisti fiorentini, i quali avviarono pure i lavori delle
nuove traduzioni greche (chè codesta è la filosofia della decadenza
medioevale); ma di quella che e la vera, la essenziale filosofia
dell epoca: la filosofia della trascen¬ denza e dell’intellettualismo. E
non occorre dire che, se essi non trovano più i maestri di questa
filosofia, è perchè muovono da una condizione spirituale affatto nuova,
che fa di questo ritorno all’antico, che avviene nel 400, '
qualcosa di radicalmente diverso non solo dalla primitiva ellenizzazione
del cristiane¬ simo nel periodo alessandrino, ma anche, e sopra
tutto, da quel primo ritorno alle fonti I greche del sapere, che era già
avvenuto nel secolo xm, nel tempo stesso di San Tom- I maso.
Marsilio Ticino e Pico della Mirandola, in j cui culmina la
direzione platonizzante, sono j platonici; ma sono profondamente
cristiani; 1 e un aura di mistica religiosità pervade tutto 1 il
loro pensiero, che vede e sente Dio per ] tutto, e sommamente nell’anima
umana; e, | ispirandosi ai neoplatonici anzi che a Pia- J tone,
accentuano più della trascendenza, che ] non possono negare, l’immanenza
del divino I nella realtà naturale e aspirante a ritornare ] all
Uno da cui trae sua origine: e aprono la 1 via a Leone Ebreo e a Giordano
Bruno. Pietro Pomponazzi, il maggiore aristote- 1 fico,
fiorito al principio del 500 dal movimento filologico sui testi di Aristotile
del secolo antecedente, scopre un Aristotile, che non è più quello
dei tomisti, nè quello degli aver- roisti: un Aristotile che, a poco per
volta, secondo apparisce dai varii gradi attraversati dalla
speculazione stessa del Pomponazzi, finisce col persuadersi che la
materia si possa sollevare da sè fino all’intelligenza, senza il
sussidio dell’intelletto separato; e che l’anima umana, ultimo risultato
così del processo della natura, possa compiere in questo mondo, con
le sue forze, tutta la sua missione, che è principalmente il ben fare, la
virtù; e che tutti poi i fatti della natura debbano pel filo¬ sofo
spiegarsi meccanicamente, per le loro cause: un Aristotile, insomma, per
cui quel che rimane di trascendente (e rimane tutto quello che
nell’Aristotile originale e nell’Ari- stotile medievale, ossia nella
scolastica, era tale) non serve più alla ricostruzione e spie¬
gazione della realtà che sola è per il filo¬ sofo. Sicché la filologia
del secolo xv riesce, ricalcando gli antichi modelli con lo spirito
nuovo dell’umanesimo, a cavarne due intui¬ zioni generali, in cui la
filosofia greca riap¬ parisce trasfigurata e come ricreata dal
soffio spirituale del cristianesimo, inteso, come ho detto, quale
autonomia e valore assoluto della natura e dell’uomo. La nuova
filo¬ sofia infatti dicesi platonica e aristotelica $ ed è
cristiana, ancorché mal veduta e con-] dannata dai rappresentanti
ufficiali del cri-^ stianesimo. Guardatela in Machiavelli,
contemporaneo di Pomponazzi e coerede suo della tradii zione
filologica del secolo xv: chè tutto il suo realismo politico, quella
concezione dello ^ spirito, della storia, dello Stato, tutta fon¬
data sulla visione della realtà effettuale e I illuminata dalla lezione
degli antichi, non è I come il positivismo guicciardiniano un empi-
I rismo, ma è una vera e propria speculazione I (Machiavelli è un
idealista); la quale dello I studio degli antichi si giova solo per libe-
I rare l’uomo dalle contingenze storiche, quali I sono per lei
tutte le forme e istituzioni me-j I dievali sorrette dalla autorità di
una tra- I dizione irrazionale; e studiarlo quindi per I quel che
esso è, nelle sue forze e nelle sue I reali attinenze col resto del
mondo, come il I vero ed unico autore della sua storia: una J
specie di naturalismo del mondo umano. Guardate, dico, questa nuova
filosofia nel I Machiavelli. Machiavellismo sarà dopo un secolo, nel
Campanella, sinonimo di « achito- fellismo », negazione di ogni fede
religiosa, p l’achitofellismo, più o meno apertamente e
coraggiosamente, è la conclusione defini¬ tiva e il succo delle dottrine
di tutti i pen¬ satori del 500: anzi, di tutto lo spirito italiano
del secolo: a cui l’interpretazione aristotelica si ispira e si conforma.
Giacché averroisti e alessandristi, per diverse vie, tendono tutti
alla stessa mèta: che è la spiegazione natu¬ rale di quel che una volta
pareva superiore affatto alla natura; e gli artisti, si chiamino
Ariosto o Folengo, non conoscono altro inondo, oltre quello naturale ed
umano. Ma negavano perciò Dio? Se Dio è quel Dio, che, stando
fuori della natura e del¬ l’uomo, rende impossibile concepire una
na¬ tura divina e un uomo divino, Dio essi lo negavano, perchè
affermavano il valore as¬ soluto della natura e deH’uomo. Ma quel
Dio, che era sceso in terra, e si era fatto uomo, e aveva redento
la natura, era la radice della religione, che, essi primi, dopo il lungo
vano travaglio medievale, ristauravano nella storia della
umanità. Essi, infatti, per la prima volta, rivendi¬ cavano
in libertà, dal misticismo e dall’ intellettiialismo, che ne sono per opposte
ra-, gioni la oppressione aduggiatrice, il sensi profondo, proprio
del cristianesimo, dellaI divinità della vita che crea eternamente
sj stessa, dell essere che nella propria logica ha eternamente la
ragione del proprio traJ formarsi e perpetuarsi trasformandosi.
Quando l’umanesimo venne per tal modo in chi prima e in chi dopo,
alla maturiti della rinascenza, lo spirito umano potè met¬ tere
quasi 1 anelito potente di una nuova; vita, e di filologia farsi filosofia.
Quando il nuovo Platone e il nuovo Aristotile ridie¬ dero all’uomo
la coscienza dell’immanente suo valore, e l’ebbero allenato alla
libertà dell esser suo, e dell’essere naturale, cui il suo essere
appartiene, lo stesso Platone e lo stesso Aristotile, (questi sopra
tutto, che era stato il vero signore delle scuole e il maestro di
ogni umana sapienza) dovevano necessariamente perdere il loro prestigio
di rivelatori privilegiati delle verità naturali.] L umanista
e ancora un platonico o un aristotelico; cerca la scienza; e non sa
nè anche come deve cercarla; e interroga gli] antichi, che la
tradizione e la fama consacra nella generale estimazione come i soli
filosofi. UMANESIMO E RINASCIMENTO
33 il fil° s °f° c l e H a rinascenza da questi ntichi,
meglio conosciuti e studiati con lo spirito nuovo dell’umanesimo, ha
appreso he la natura si spiega con la natura, la toria con la
storia; e che bisogna cercare quindi nel gran libro della natura e
della realtà effettuale dei fatti umani che cosa è la natura e che
cosa è l’uomo. Gli antichi maestri rimandavano i nuovi scolari
all’os¬ servazione diretta di quel che essi avevano osservato e
inteso come era possibile a loro, senza nessun sentore della
imprescindibile presenza del soggetto umano nel mondo del¬ l'uomo.
La libertà, che gli scolari appresero da loro, quali essi li videro coi
loro occhi nuovi, la libertà essi la affermarono ben pre¬ sto
contro l’autorità dei maestri, che faceva della verità qualche cosa di
dato e di estrin¬ seco alla mente come il Dio nascosto della
teologia, come la realtà dell’intellettualismo. E però gli umanisti,
divenuti filosofi, come parvero, e in un certo senso furono, atei e
achitofellisti, furono antiaristotelici e, in ge¬ nerale, ribelli
all’autorità degli antichi. Tutti invasi da un fantasma affatto nuovo,
non in- travvisto mai dagli antichi scrittori: quello in cui i
vecchi pensatori e sacerdoti l’avj vano posta a sedere, quasi paralitica
impoJ tente: e si sgranchisce, e procede col tempo! e vive di
questo suo cammino pei secoli ' anzi per le menti delle generazioni, che
si succedono, e mai indarno: quasi fiamma che] passi da una mano
all’altra e mai non sii spenga perchè accenda sempre nuovi
incendiiJ e sempre più vasti. / eritas jilia temporis! Gli
uomini, che peri lo innanzi avevano concepito la verità cornei pei
se stante e non come il loro lavoro, I l’avevan sempre collocata dietro a
loro', al principio della loro vita, nel paradiso ter- ] restie,
nell età dell oro, nel vangelo rinnoJ vatore e iniziatore di un’era nuova
già fin da principio perfetta, o, almeno (la verità acJ cessibile a
mente umana) nell’insegnamento degli antichi, venuti crescendo perciò
sempre ] più nella venerazione dell’universale e illuni! nandosi
dell’aureola della saggezza, onde agli t occhi dei fanciulli si ricinge
sempre la canizie , dei vegliardi. — Sì, è vero, si comincia a dire
I sulla fine del secolo xvi : la sapienza cresci cogli anni ; ma i
vecchi siamo noi, non quelli che furono prima di noi. — Così dice Bruno;
; e così ripeteranno Bacone e Cartesio, Pascali UMANESIMO E
RINASCIMENTO 35 Malebranche, e poi con voce sempre
più alta tutti i filosofi moderni 4 ). I quali afferme¬ ranno con
coscienza sempre più salda la ] e 11, 1-5; c. 49 r e 49 v : capp.
11 e 12; c. 50 v a 51 v : cap. 14. Ma per mostrare con un
solo esempio, tratto da un luogo del De retimi natura contenente alcuni
periodi famosi (cfr. anche in questo voi. p. 40: quei periodi in forma
poco diversa erano nel proemio del 1565, soppresso nell’ed. 1570: cfr.
sopra pp. 102-3) come il Telesio lavorasse dopo il 1570 attorno al testo
della sua opera, giova riferire il cap. 1 del lib. 11 dell’edizione
Cacchi con le correzioni autografe dell'esemplare napoletano e la
redazione corrispondente del 1588, dov’è mantenuta la più importante di
quelle correzioni. Ecco il cap. dell’ed. Cacchi con le correzioni
dell’autore: Quoniam, quae in superiore Commentario exposita
sunt t alio omnia se habere modo Aristoteli videntur, eius omnino de
singulis illis sxp/icondqw esse, cxcwiviividfini- que sententiam.
Quoniam autem non Terra modo e sublunaribus primum corpus
Aristoteli videtur; sed et aqua itidem, et qui nos ambit aer, et is, qui
Coelo subiacet et cum Coelo circumvolvi videtur; et unumquodque eorum
non ab unica' agente natura, sed a duplici singula illas, de-
bilitatasque, at non eas tamen modo, quae unius sint corporis, sed omnes
simul sibi ipsis commistas, cont- plicatasque, pene et unum factas
inesse; e simplicium itaque complexu, commistioneque effecta mista
Aristo¬ teli dicuntur: et nequaquam a propria Coelum natura,
propriaque calefacere substantia, caloris omnino expers, nec calorem
suscipere ullum aptum, commune sublu¬ naribus habens nihil, penitusque
diversa praeditum na¬ tura, sed sublunarem aerem commovens,
conterensque: et nec a propria omnino forma '), propriaque moveri
substantia, sed ab immotìs motoribus; longe omnia a nostris dissidentia;
ipsius explicanda est, excutiendaque de singulis sententìa: neque enim et
aliorum itidem re- censendae sunt, examinandaeque opiniones, ab
ipso satis reiectae Aristotele, et non penitus etiam notae nobis.
Utinam et cum Peripateticis liceret idem: magno itaque vacuis labore
aliena exponendi reiiciendique, no¬ stra tantum explicanda. esset
sententia; at non admissis modo illorum placitis decretisque, sed ea
acceptis fide ac religione, ut si ex ipsius naturae ore prolata
essent: non igitur rei ullius 1 2 ) amplius natura inspicienda, in-
dagandaque cuipiam videtur, at tantum quid de quaque Aristoteles
senserit, speculandum. Non id ignoscant raor- tales rogandi, quod
videlicet in singulis examinandis 1) et neqnaquam a propria
Coelum.., forma, cancellato. 2) itaque rei ti ullius.
SCRITTI DI B. TKLESIO 113 Arislotelis
sententiis haereamus '): at quod dissentire ab ilio audeamus, et non
illum numinis instar venere- mur; qui si illius dicto audiant, aut factum
incitentur, nihil nobis veritatis studio illi adversantibus succenseant
: quin gratias potius habeant, et idem ipsi faciant omnes: ipse
enim Aristoteles veritatem amicis omnibus prae- honorandam admonet, et
veritatis gratia praeceptorem etiam amicumque incusare nihil vereri
videtur. Huius certe nos amore illecti, et hanc venerantes solam,
in iis, quae ab antiquoribus tradita fuerant acquiescere
impotentes, diu rerum naturam inspeximus: et conspe- ctam (ni fallimur)
tandem aperire illam mortalibus vo- luimus, nec liberi nec probi liominis
officio fungi iudi- cantes, si generi illam hurnano invidentes, at
invidiam ab hominibus veriti ipsi illam occultemus. Age igitur, ut
clarius illa elucescat, agentia rerum principia inqui- rentem, et prima
constituentem corpora, tum reliqua ex iis componentem, postremo et Coeli
Solisque motu calorem generantem, et motores immotos, a quibus
Coelum moveatur, indagantem, ea omnino, quae in su¬ periore nobis
tractata sunt Commentario, in quibus (ut dictum est) omnibus summe a
nobis dissentit, explican- tem Aristotelem audiamus, eiusque dieta singula
ratio- nesque examinemus. Ed ecco che cosa diventerà questo
capitolo nella redazione definitiva del De rer. natura (ed. Spampanato,
pp. 179-81), dove sarà il 1° del libro III. 1) Cancellato
questo periodo Non id... haereamus, c corretto: {specu- landnm) quovis
labore nostro, quovis (?) ahorum itidem fastidio, singulae eius
positiones quam diligentissime et saepius eadem interdum esponen¬ do f ex
am in a n daeque omnino sunt (?). Nihil si in iis tractandis plus iusto
immoremur mortales nobis ut ignoscant rogandos esse existimantcs...
G. GENTILE, Bernardino Telesio.Repeluntur complura quae superioribus
traditi sunt commenlariis. Ponitur stimma positionum Aristotelìs
quae infra sunt expendendae. Materia non una ei duplex natura
agens, et unus calor frigusque unum, mundi huius universi principia,
nec quod terrain mareque et stella? inter quodque ipsas inter stellas
locatum est ens, unam idemque et ab una eademque universum constitutum
natura, nec duo tan¬ tum prima esse corpora, nec entia reliqua a coeli
so- lisque natura e terra effecta, quemadmodum nobis, Ari¬ stoteli
videntur. Ille enim sublunaria omnia una eadem¬ que e materia; quae supra
lunam sunt entia, caelum stellasque omnes, ex alia constare et quae nihil
illi con- gruat naturarumque quas illa suscipit prorsus incapax sit;
et quod inter lunae orbem terramque et mare est ens, in duo, in ignem
aéremque (ignem enim supre- mam eius portionem quae lunae orbi subiacet,
aerem vero infimam liane quae terram ambit, appellat), divi- sam
esse affirmat. Et praeter caelum quattuor esse prima corpora, terram,
aquam, aerem, ignem, decernit: mi- nimeque ad horum constitutionem
calorem modo fri¬ gusque sed humiditatem etiam et siccitatem, ut
agentes naturas, et ad illorum singulorum constitutionem nequa-
quam earum unam sed oppositionis utriusque alteram affert; et duplicem
omnino singulis agentem assignat naturane dictisque e quattuor
corporibus, at veluti mu- tuis vulneribus confectis afflictisque et
pugnam pertaesis tandem et sibi ipsis commixtis, pene et unum
factis omnibus, entia reliqua constituit omnia. Et caelum stel¬
lasque omnes propria natura et quae a calore frigore- que et ab
humiditate siccitateque prorsus diversa sit, do- nat. Itaque calor qui a
sale fit non ab eius natura nec a propriis eius viribus, sed ab eius fit
motu, a quo sic caelo suppositus ignis et bona aéris pars agitetur,
conteratur, accendatur accensusque ad terram usque detrudatur; et
nequaquam a propria caelum natura propriaque sub¬ stantia sed ab immotis
moveri motoribus statuit. Longe tandem mutuo in omnibus fere dissentimus.
Quas ob res Aristotelis explicanda excutiendaque est de sin- gulis
sententia; nec vero et aliorum etiam opiniones, satis ab ipso, ut
videtur, reiectae et quae, nulli admis- sae, ab ullius removendae sunt
animo. Utinam cum Peripateticis liceret idem: magno aliena exponendi
rei- ciendique labore vacuis, nostra tantum explicanda esset
sententia. At quoniam non admiserunt modo illorum placita et decreta, sed
ea acceperunt fide et religione ac si ex ipsius naturae ore prolata
essent; itaque rei nullius amplius natura inspicienda indagandaque
cuipiam videtur. sed tantum quid de quaque Aristoteles senserit
speculandum: utique quovis labore nostro, aliorum etiam fastidio quovis,
singulae illius positiones quam diligen¬ tissime, et saepius eaedem
interdum, exponendae exa- minandaeque sunt. Nihil, si in iis tractandis
plus iusto interdum immoremur, mortales nobis ut ignoscant, sed
quod a summo naturae interprete dissentire audeamus et non numinis instar
illum veneremur, rogandos esse existimamus: qui, si illius dictum audiant
aut factum imitentur, nihil nobis veritatis studio illi
adversantibus succenseant, quin gratias potius habeant idemque ipsi
faciant omnes. Ipse enim liber in philosophando Ari¬ stoteles veritatem
amicis omnibus praehonorandam ad- monet, et veritatis gratia praeceptorem
etiam amicumque incusare nihil veretur. Huius certe solius nos
amore illecti et hanc venerantes solam, in iis quae ab antiquo-
ribus tradita erant acquiescere impotentes, diu rerum naturam inspeximus,
et conspectam, ni fallimur, tandem mortalibus aperire voluimus; nec
liberi nec probi homi- nis officio fungi iudicantes, si generi illam
humano in- videntes aut invidiam ab hominibus veriti, ipsi illam occultaremus.
Ergo, ut clarius illa eluceat, agentia re- rum principia inquirentem et
prima constituentem cor- pora, tum reliqua ex iis componentem, postremo
et càeli'solisque motu calorem generantem et motores im- motos, a
quibus caelum moveatur, indagantem, ea de- nique, in quibus omnibus summe
a nobis dissentit, explicantem Aristotelem audiamus, et singula eius
dieta rationesque examinemus. 3- Bernardini
Telesii Consentini De Ret urn natura \ iuxta propria principia | libri IX
| ad illustriss. et Excel- lenriss. D. Ferdinandum Carrafam Nuceriae
Ducem | Neapoli | Apud Horatium Salvianum | M.D.LXXXVI. In f.
Sul frontespizio è riprodotta la figura femminile dell’ed. 1570. Questa
edizione definitiva (di cui il Graesse, vi, ij, p. 47 ri¬ corda copie con
la data 1587) è riprodotta nelle due seguenti: 4-
Tractutionum pkilosophicarum tomus unus\ in quo continentu.r:
I. Philippi Mocenic! Veneti Universaliutn Institutio- num ad
hominum perfectionem, quatcnus industria paruri potest, contemplationcs
quinque ; II. Andreae Caesat.pini Aretini Quaestionum Peri-
pateticarum, libri v; III. Ber. Telesii De rerum natura , libri
ix. Genevae, apud Eustach. Vignon; in f. Nè anch'io I10
potuto vedere questa edizione; che il Nicekon (Mèmoires, xxx, 108-9) dice
conforme all’ed. del 1586. Lo Spam¬ panato, pref. alla sua ed. p. xxi,
erra dicendo genovese questa ristampa e credendo relative al De rcr.
fiat, le opere del Moce- nigo e del Cesalpino. SCRITTI DI B.
TELESIO I i; 5- Bernardini Thelesii
Consentini De rerum natura iuxta propria principia , Coloniae, Excudebat
Petrus Moulardus,Questa edizione è citata da L. Telesio, in Bernardini
Thy- lesii Operimi catalogus, aggiunto alla sua ristampa dell
'Orazione del D’Aquino, p. 71.— Il Fiorentino, Pomponazzi, p. 384,
cita una edizione del De rei . natura con la data di « Neapoli
1637»: che dice appartenuta a Ulisse Aldrovandi ed esistente nella
Bibl. Naz. di Bologna. Se non che, come m’informa l’amico prof.
Flores, questa Biblioteca possiede soltanto l’edizione 1586, e del
resto l'Aldrovandi mori nel 1605. È piuttosto da tener presente il
se¬ guente luogo della Orazione 8 del D’Aquino (p. 9): « Onde de’
suoi divini scritti tanta stima ha fatto il mondo, che sono stati dati
più volte in luce, non solamente in Italia, ma in Fiandra(?) ed in
Germania: e sebbene gli Italiani hanno innalzato le sue opere
grandemente, le nazioni straniere si sono ingegnate in ciò di avanzargli,
e gli Alemanni, rimosso il primo titolo del libro, dove egli per sua
modestia ponea solamente il suo nome ed il suggetto dell’opera, l’hanno
ornato grandemente d’un altro nuovo titolo nel quale si contiene, che
quella opera è piena di molta dottrina, e che è necessaria agli studiosi
delle lettere così umane come divine ». 6 .
Bernardini Telesii De rerum natura \ a cura di | Vincenzo
Spampanato, | volume primo | A. F. Formiggini editore in Modena [ 1910
]. Pp. xxn-332 in-8«. È il 1“ volume dei Filosofi italiani,
col¬ lezione promossa dalla Soc. filos. italiana, diretta da Felice
Tocco. Precede una pref. del Tocco e una dello Spampanato. Il
(piale pubblicherà in altri due volumi il resto del Ve r. nat., e
forse un 4“ e un 5» voi. contenenti dei saggi delle edizioni e gli
opuscoli. A questo i» voi. ha premesso una riproduzione del ritratto
inciso dal Morghen, pubbl. per la prima volta nella Biografia degli
uomini ili. del Regno di Napoli del Gervasi (1822). n 8 appendice
bibliografica Riproduco qui appresso la dedica e il proemio,
premessi dal Telesio all’edizione definitiva della sua opera, secondo la
stampa del Salvianl. a ) Illustrissimo atque
exceli.entissimo domino don Ferdinando Carrafae duci Nuceriae
Bernardinus Telesius consentinus. Commentarios de rerum natura,
quos, ut probe no- sti, excellentissime Princeps, magnis laboribus
diutur- nisque confeceram vigiliis, edendos tandem visum cum csset,
sub tuis omnino auspiciis emittendos esse duxi- mus; nani et domi tuae
conscripti fuerant, et plurtmis magnisque beneficiis, quae in me
contuleras, debeban- tur. Et amplius etiam, quod Aristotelis doctrinam
(quam adeo Alexander excoluit veneratusque est, et quae sub
Alexandri patrocinio adeo floruit tantoque habita fuit in honore) ut
sensui et sibi ipsi passim repugnantem cum damnemus, aliamque et longe ab
illa diversam cum ponamus, non sub regis cuiuspiam auspiciis, qui
imperii amplitudine Alexandro conferri posset, sed sub herois praesidio
emittendos esse duximus, qui nec in- genio nec iudicio nec animi
magnitudine nec virtute omnino ulla ab Alexandro exsuperaretur, quin qui
in multis illum exsuperaret. Et nostri temporis hominum unus tu
talis, excellentissime Princeps, non nobis modo, sed sanis hominibus
visus es omnibus, ltaque nihil ve¬ nti quod opibus potentiaque ab ilio
exsupercris, sub tuis omnino auspiciis emittendos esse decrevimus.
No¬ stra siquidem doctrina quoniam nec sensui nec sibi ipsi nec
sacris etiam litteris repugnat unquam, quin adeo bis et illi concors est,
ut ex utrisque enata vi- deri possit; quoniam omnino vera est, sese ut ab
m- vidorum calumniis tueatur et, iis reiectis, sese assidue
SCRITTI DI B. TELESIO 119 effundat amplificetque,
nullis regum opibus nuliaque potentia sed tua modo opus habet ope; qui
sic animi bonis, quae dieta sunt, nihil ab Alexandro exsuperaris,
quin in illorum multis tu illum exsuperas. Nam inge¬ nio iudicioque te
ilio quam longissime praestantiorem esse, vel doctrina, quam uterque
admittendam decrevit, manifestai. ,Quam enim ille amplexatus
veneratusque est et summis praemiis summisque dignara existimavit
honoribus, quod dictum est, et sensui et sibi etiam ipsi, quin et Deo
optimo maximo, passim repugnat. Itaque soli calorem lucemque abnegat: et
mundum nequaquam a Deo optimo maximo constructum, sed voluti casu
quodam enatum ponit; et rerum humana- rum administrationem cognitionemque
Deo demit om- nem. Et non sensui modo, sed, ut nostris in com-
mentariis apertissime ostensum est, sibi ipsi etiam passim dissentit
adversaturque ; ut existimare liceat vel in praeceptoris gratiam, nihil
eius fundamentis positionibusque inspectis examinatisque, Alexandro
ad- missam fuisse, vel quam longissime illum abesse, ut ingenio
iudiciove tibi conferri possit. Nam tu doctri- nam nostram non statim,
sed ibi tandem admittendam perdiscendamque esse duxisti, ubi sensui et
sibi ipsi universa et sacrae etiam scripturae bene concors visa
est. Ut, quod dictum est, ingenio iudicioque multo te Alexandro praestantiorem
esse necessario existiman- dum sit. Neque enim, si, quali tu, ingenio
iudiciove donatus ille fuisset, et sensui et sibi ipsi et sacris
divinis litteris passim dissentientem Aristotelis doctri- nam admittendam
duxisset unquam. Animi porro ma¬ gnitudine fortitudineque nihil
Alexandrum te prae¬ stantiorem fuisse res, a te in Peloponneso
gestae, manifestant: ubi, innumerabilibus Turcarum equitibus in
Christianorum exercitum, turbatum iam trepidan- temque, irruentibus (qui
omnino nisi a te repressi reiectique fuissent, magnimi nostris incommodum
illaturi erant), non magno veteranoque cum exercitu, ut Ale¬
xander, sed perpaucis cum peditibus, in fugam iam coniectis et a te
retentis tuaque praesentia et fortitudine confirmatis, sponte tua te
opposuisti; et longe illorum plurimis interfectis, reliquos in fugam
coniecisti peni- tusque prodigasti. Itaque Christianorum exercitum,
sum- mum iam in periculum adductum et in fugam iam con- versum
confirmasti conservastique : talem omnino te praestitisti, ut eorum, qui
pugnantem te conspexere, nulli dubium esse posset, quin, si unquam
exercitus ductandi magnaque bella gerendi occasio tibi oblata
foret, bellicam Alexandri gloriam aequaturus et supe- raturus etiam
esses. At
pares, quae dictae sunt, vir- tutes in utroque ut sint, puriores certe in
te splendent, neque enim, quod in ilio passae interdum sunt, ab
immixtis vitiis in te obscuratae sunt unquam. Et ne- quaquam, ut ille,
deos tu colis ab hominibus effictos multisque obnoxios vitiis; sed Deum
venerans, caeli terr:eque conditorem et qui unigeniti Filii sui
morte humanum genus servari substinuit, sanctissimaque eius
praecepta summa observas cum religione. Minus etiam generis claritate ab
Alexandro exsuperaris, siquidem Car- raforum ■) familia multis iam
saeculis plurimorum ma- gnorumque principum coronis et regio etiam
diademate effulget (nam tuus ille Stephanus Sardiniae regnum re¬
gio cum titulo obtinuit diuque possedit), et plurimorum magnorumque
sacrorum antistitum puniceis pileis et pontificia etiam corona exornata
est: ut ambigere non liceat, quin generis etiam claritate nihil ab
Alexandro exsupereris. Quoniam
igitur, Alexandro collatus, nec generis claritate nec ullis animi bonis
inferior videri ) Spamp. Carra/arum. potes; age, commentarios
nostros (propterea in primis tibi dicatos, quod Alexandro si ■) quidem
fortuna impe- rioque, non certe et ingenio iudiciove, nec vel
magnitu¬ dine vel aliis ullis animi bonis ab ilio J ) exsuperaris,
quin in multis tu illum exsuperas) libens suscipe. Et si Aristo-
telis voluminibus, quae tantis Alexander praemiis tan- toque digna
existimavit honore, niliil deteriores tibi visi sint; et nostri mores
nostrumque ingenium, quod pe- nitus tibi perspectum sit oportet, nihil me
unquam (cuiusmodi Aristoteles erga Alexandrum fuit) tuorum erga me
beneficiorum immemorem ingratumque futu- rum suspicari sinent 3 ); non
quidem, ut non minoribus praemiis nos prosequaris, rogamus (quae scilicet
a prae- senti fortuna tua exspectari non possunt et quae nulla a te
expetimus, satis superque a benigni tate tua ditati), sed ut non minore
me prosequaris benevolenza et, quod hactenus strenue fecisti,
Peripatedcorum iniurias calurn- niasque repellas. Nihil omnino, quam
Aristoteles Ale¬ xandro fuit, me tibi minus carum, neque in minore,
quam ab ilio habitus fuit, nos a te in honore haberi homines intelligant.
Hoc vero, ut praestes, percupimus et summopere te rogamus. Vale, o
praesidium et dulce decus meum. 1) Spamp. Quod si.
2) Spamp. Ab Alexandro. 3) Spamp. Sinant.
I Bernardini Telesii Comentini De rerum natura iuxta propria principia
Liber primus: Prooemium '). Mandi constructionem
corporumque in eo contentoram magnitu- dinem naturamque 2) non ratione,
quod antiquiorihus factum est, inquirendam, sed sensu percipiendam et ab
ipsis liaben- dam esse rebus. , Qui ante nos mundi huius
constructionem rerum- que in eo contentarum naturam 3 ) perscrutati sunt,
diu¬ turni quidem vigiliis magnisque illam indagasse 4) labo-
ribus, at nequaquam inspexisse videntur. Quid enim iis illa innotuisse videri queat 5),
quorum sermones omnes et rebus et sibi etiam ipsis dissentiant adversique
sint? Id vero propterea iis evenisse existimare licet 1 2 3 4 5 6 7 ),
quod, nimis forte sibi ipsis confisi, nequaquam, quod opor- tebat,
res ipsas earumque vires intuiti, eam rebus ma- gnitudinem ingeniumque et
facultates '), quibus donatae videntur, indidere. Sed veluti, cum Deo de sapientia contendentes
decertantesque, mundi ipsius principia et caussas 8 ) ratione inquirere
ausi, et, quae non invenerant, inventa ea sibi esse existimantes
volentesque, veluti suo arbitratu mundum effinxere. Itaque corporibus, e
quibus 1) Questo Proemio formava il cap. i del lib. i nella ediz.
1570 con alcune varianti che saranno qui appresso indicate: rultima delle
quali assai notevole. 2) coni etti or uni naturam.
3) rerumqtu naturam. 4) indagasse illatn. 5)
videri potest. 6) evenisse videtur. 7) id rebus
ingenium easque facultates. 8) causas. constare is videtur,
nec magnitudinera positionemque, quam sortita apparent, nec dignitatem
viresque ‘), quibus praedita videntur, sed quibus donari oportere
propria ratio dictavit, largiti sunt. Non scilicet eo usque sibi
homines piacere et eo usque animo efferri oportebat, ut (veluti naturae
praeeuntes, et Dei ipsius non sapien- tiam modo 1 2 3 4 5 ) sed potentiam
etiam i) affectantes) ea ipsi rebus darent, quae rebus inesse intuid non
forent et quae ab ipsis omnino habenda erant rebus. Nos non adeo
nobis confisi, et tardiore ingenio et animo donati remissiore, et humanae
omnino sapientiae amatores cul- toresque (quae quidem vel ad summum
pervenisse vi- deri debet, si, quae sensus patefecerit et quae e
rerum sensu perceptarum similitudine haberi possunt, inspe- xerit),
mundum ipsutn et singula eius partes, et partium rerumque in eo
contentarum passiones, acriones, opera- tiones et species intueri
proposuimus. IUae enim 4), recte perspectae, propriam singulae
magnitudinem, hae 5 ) verum ingenium viresque et naturam manifestabunt.
Ut si nihil divinum, nihil admiradone dignum, nihil etiam valde
acutum nostris inesse visura fuerit, at nihil ea tamen vel rebus vel sibi
ipsi repugnent unquam; sen- suin videlicet nos et naturam, aliud
praeterea nihil, se- cud sumus, quae, perpetuo 6 ) sibi ipsi concors,
idem semper et eodem agit modo atque idem semper ope- ratur. Nec
tamen, si quid eorum, quae nobis posita sunt, sacris litteris
catholicaeve ecclesiae non cohaereat, tenendum id, quin penitus
reiciendum, asseveramus 1) ejfmxere et corporibus. e quibus
constate is videtur. non ram tua- gnUudinem eamque dignitatem et
vires. 2) modo sapientiam. 3) etiam potentiam.
4) aciiones atque operationes intueri. 5) magnitudinem ac
speciem, hae. 6) s unirne. contendimusque. Nequeenim humana
modo ratio quaevis, sed ipse edam sensus illis posthabendus; et si illis
non congruat, abnegandus omnino et ipse etiam est sensus *).
7- Bernardini | Telesii | Consentini | De hìs, quae in
Aere fiunt; et de Terrae- \ motibus. Liber (Jnicus | cum Superiorum
facultate. | Neapoli, | Apud Iosephum C'ac- chium. Carte. 14 nuin. nel
redo. Sul frontespizio è la solita figura fem¬ minile, eom’è anche nei
due opuscoli seguenti. Precede questa dedica:
Illustrissimo et Reverendissimo Tolomeo Gallio Cardinali
Comensi ac Archiepiscopo Sipontino Bernardinus Telesius S. P.
D. Quoniam plurimis gravissimisque, ut nosti, molestiis
oppresso detentoque, ad te, quod summe quidem sem- per cupivi, et quo
nihil mihi iucundius contingere pos- set, venire tecumque vivere non
licet; nec vero alia ratione meam erga te observaniiam gratitudinemque
ma¬ nifestare; utrumque, quo licet modo, ut efficerem, Com-
mentarium De iis quae in aère fiunt, ad te mittere statui. Minus certe
munus, quam quod tuis erga me meritis debeo; qui scilicet cum nulla alia
in re studium voluntatemque tuam a me desiderati passus sis, tum
vero studiorum meorum egregius imprimis fautor sem- per fuisti. Multo
etiam minus quam quod virtutes tuae expostulant, surnma integritas,
summaque in omnes cha- ritas; non illae quidem ad homines alliciendos simulatae,
1 ) Mancano i due ultimi periodi: JVec tamen... est sensus. a ut
segnes unquam, sed verae puraeque, et unius honesd grada scraper vigiles
semperque operantes; et summa prudentia, rerumque omnium cognido.
Emicue- runt quidem illae, cum sub Pio IIII. Pontif. Max. Chri-
stianam Rempublicam tu imprimis tractares, administra- resque; et ita
eraicuere, ut multo spiendidius emicaturae viderentur, si tempus unquam
nactae forent, in quo liberius splendere possent. Summam praeterea animi
tui magnitudinem quis non summopere amet summeque ve- neretur? Qua
effectum est, ut nullis bonorum quorumvis accessionibus quicquam elatus
aut immutatus omnino esses unquam; bona scilicet quaevis, et quae virtus
tibi pararat tua, te minora semper visa sunt, et fuere me- hercule
semper minora; itaque nihil illa te extulere unquam. Me quidem diu
penitusque egregias animi tui virtutes et mores cum sancdtatis tum vero
et iucun- ditatis plenissimos intuitum tanta illae erga te venera-
done tantoque animi tui amore desiderioque inflamma- runt, ut nec
venerari te satis, nec colere amareque, et tecum esse satis desiderare
posse videar. At multo, ut dixi, maiora a me meritus, parvo hoc munere,
scio, contentus eris ; Deum Opt. Max. imitatus, qui non quas non
habemus opes, nec opes omnino ullas, sed veram modo pietatem, esto et
modici thuris evaporationem a nobis poscit. Tum qualecunque id est,
perpetuum erit, spero, tuorum erga me meritorum, et meae erga te
observantiae charitatisque signum. Vale. 8 . Bernardini
| Telesii | Consentini | De color um generatione | Opusculum. | Cum
superiorum facultate | Neapoli, | Apud Iosephum Cacchium. | Anno
MDLXX. In-4 1 cc. 7 nnmiii. nel redo. Precede la seguente dedica,
in alcuni esemplari premessa ai due libri del De t er. natura del
'70 per errore di chi legò con essi questi opuscoli. Illustr. mo Io
anni Hieronymo Aquevivio Hadrianensium Duci Bernardini
Telesius, CONSENTINUS S. P. D. Multos equidem iam annos
surama te prosequor veneratione, summoque tui videndi desiderio
teneor. Neque enim unus aut alter te cum caeteris animi bo- nis
virtutibusquetum vero divino sane ingenio iudicio- que longe acerrimo
praeditum disciplinisque omnibus apprime ornatum mihi praedicavit; sed
communis om¬ nium consensus, et eorum praecipue qui et te magis
norunt, et qui, quae in te sunt, bona reliquis exqui- sitius intueri
possunt: in primis Marius C/aleota (qui vir et quantus!): hic quideni te
non summis aetatis nostrae hominibus, sed antiquis illis haeroibus ac
divinis viris conferre nihil veretur; nec vero Rempublicam vel manu
vel consilio adiuvandi occasionem nactus si sis umquam, quin illorum
gloriam exaeques, aut etiam exsuperes du- bitat quicquam. Admirabilem
scilicet intuitus naturam tuam, et cum reliquarum honestarum
disciplinarum tum vero philosophiae studiis diu summaque excultam
diligen- tia, summa itaque erga te charitate ac veneratione sum¬
moque tui desiderio me inflammavit (rie). Quod si per mo- lestias, quibus
multos iam annos assidue opprimor, mihi licuisset, promptius, mihi crede,
ad te quani ad fortuna- tissimos reges advolassem; et praesens animi mei
propen- sionem erga te patefecissem, ac dedidissem omnhio me tibi.
Id quando adhuc facere non licuit studiorum meo- rum monumentum quippiam
tibi offerre visum est, quod meae erga te observantiae signum esset:
itaque commen- tarium De colorum generatione ad te mitto. Libens,
spero, munus, qualecumque est, accipies, in quo nimi- rum hominem, qui te
nunquam vidit, virtutum tuarum pulchritudine ac fulgore incensum
intuebere. Nani, si probatus tibi ille fuerit, et perobscuram adhuc, ut
videtur, colorum naturarli exortumque patefecerit, id vero opi- bus
a te omnibus carius aestimatum iri certo scio; ut qui illustrissimorum
maiorum tuorum more rerum cogni- tionem rebus omnibus ac regnis edam
ipsis praehaben- dam semper duxeris. Vale. 9-
Bernardini | Tei.esii | Consendni | De mari, \ Li- ber Unicus. | Ad
Ulustriss. Ferdinandum Carrafam | So¬ riani Comitem. | Neapoli, | Apud
Iosephuin Cacchium, 1570 . In fondo all'opuscolo-. Cum Licentia
Superiorum. Sono cc. 12 numm. nel recto-, in-4®.
Precede questa dedica: Illustriss. Ferdinando Carraeae
Soriani Comiti Bernardini Telesius S. P. D. Cum primum
literas tuas accepi, quibus declarabas te in iis, quae de mari ab
Aristotele tradita erant, acquie- scere minime posse, et quid de eius
natura et motibus sentirem, ad te conscribere mandabas: etsi
plurimis (ut nosti) opprimerer molestiis, dbi tamen ut morem
gererem tuique desiderio sadsfacerem, commentari uni, quem iam pridem de
eo conscripseram, rudem adhuc, quantum per praesentes occupadones licuit,
polivi. Et praeter morem nostrum, prius quae ab Aristotele tra¬
dita sunt, in eo exponuntur examinanturque, ut fa¬ cile homines
intelligerent iure te in iis acquiescere non potuisse: tum nostra
apponuntur. Perleges vero tu il¬ luni, et si tibi probatus sit talisque
visus, qui et tuo sub nomine in lucem prodire queat, prodeat. Neque enim,
quae tu admittenda decreveris, alii ut damnent vereri licet; libens certe
confectum tibi opus, qualecum- que id sit, accipies; summara in eo meam
erga te charitatem observantiamque intuitus et grati animi si- gnum
cura erga te, tum et erga illustrissimos parentes tuos, Alfonsum Nuceriae
Ducem, virum unum omnium optimum constantissimumque, et loannam
Castriotam, quae cum maxime fortunae corporisque bonis affluat, et
tantis omnino, quantis plura ne optare quidem liceat, si cum alias eius
animi virtutes, tum vero, quae aegre si- tnul coire videntur, lenitatem
sublimitatemque summe in ilio coniunctas, pene et unum factas quis
inspiciat, vix illorum splendorem intueatur; ut mihi quidem nostrae
aetatis homines nihil ea amabilius, nihil etiam divintus conspicere posse
videantur. Haec vero tu eius paren- tisque tui splendorem summamque
utriusque generis claritatem ne novis luminibus non illustres
dubitandum est quicquam. Nam mihi quidem te illosque intuenti, quae
in illorum utroque corporis animique bona sunt, ex utroque hausisse
videris omnia: minimeque vel eo- rum vel avorum gloria vel tantarum opum
possessione, totve ac tantorum populorum dominatione contentus tuo
tibi ut studio tuoque labore novum decus novos- que honores acquiras
summa attendis cum diligentia. Age vero, qua coepisti perge, et mihi
crede, non sum- mam modo gloriam, sed veram adipisceris
felicitatem, summae nimirum fortunae summam adiicies sapientiam.
Vale. io. Bernardini | Telesii | Consentini | Vani de
natu- ralibus | rebus libelli \ ab Antonio Persio editi. | Quo¬ rum
alii nunquam antea excusi, alii meliores | facti pro- deunt. | Sunt autem
hi | de Cometis, et | Lacteo Cir- culo. | De liis, quae in Aere fiunt. |
De Iride. | De Man. SCRITTI DI B. TELESIO
129 | Quod Animai universum. | De Usu Respirationis. | De
Coloribus. | De Saporibus. | De Somno. | Unicuique libello appositus est
capitum Index. | Cum privilegio | [insegna tipografica) | Venetiis
M.D.XC. | Apud Felicem Valgrisium. Dopo la pref. Antonine
Persine camiido Perfori, c’è l’ Inde a opusculorum, diviso in due
parti: — Prima pars, in qua precipua Metereologica
continentur; _ Secunda pars, in qua, quae Parva naturalia dici
possimi, tractantur. Nella 1“ classe sono compresi i
quattro opuscoli De Cometis et tacteo circolo, De bis quae in apre fiunl
(dedicati entrambi a Gian Iacopo Tomaie), De iride (al vescovo di Padova
Luigi Cornelio) e De mari (a Francesco Patrizio). Nella 2 a
altri cinque opuscoli : Quod animai universum ab unica animae substantia
gubernatur contro Calenum (a Giov. Vincenzo Tinelli), De usu
respirationis (a Giovanni Micheli), De coloribus (a Benedetto Giorgi), De
saporibus (a Fed. Pendasio), De somno (a Girolamo Mercuriale).
Il volume consta di 4 carte inn. a principio, 5 parimenti inn. in
fine e dei 9 opuscoli ciascuno dei quali con numerazione a sé, sul recto,
e con frontespizio particolare; tranne il primo. Il I- 1 I op. di
cc. 26 (De Com. e De Air); il III (De ir.) di cc. 20; il IV (De mari) di
cc. 19; il V (Quod anim.) di cc. 47; il VI (De usu) cc. 8; il VII (De
color.) cc. 15; l’VIII (De sapor.) cc. 15; il IX (De somno) cc. 15.
Riporto la prefazione generale e le sin¬ gole dediche.
«) Antonius Persius CANDIDO LECTORI. Novem
haec Bernardini Telesii physica opuscula, quo¬ rum tria tantum antehac
excusa fuerunt, eodem omnia volumine complexa, ut publici iuris
efficienda curarim id fuit causae potissimum, Candide lector, quod,
cum paucissima eorum exempla circumferrentur, adeo ut jpsi mihi,
qui Telesio inter vivos agenti coniunctissimus, G. Gentile,
Bernardino Telesio. 1.^0 ac, ni fallor, carissimus
fueram, antequani unius ex sin- gulis compos fierem, sudandum fuerit,
liuic malo quani primum eonsulere necessarium existimarim. Timebam
enim ego duorum alierum, vel scilicet ne labores Ili perirent omnino, vel
ne quis eos tanquain proprii sibi partum ingenii vindicans, suuni iis
noinen, Telesii ex- puncto nomine, inscriberet, et ut sua tandem in
com- mune proferret. Cuiusmodi non defuturos homines fuisse ut
milii persuaderem effecere multi, quos novi egomet consimilem lusisse
ludum. Ac profecto nostra liac tem¬ pestate, si ulla unquam alia factum
est, malis hisce ar- tibus prò sapientia uti licet. Ut autem
rem piane intelligas, erant ex his tres tan¬ tum modo, ut dixi, excusi
libri, De his quae in aere fiunt scilicet unus, alter De mari, tertius
De colorum generatione. Ac De mari quident ille non- nullis auctior
capitibus tibi datur, quae nos in ipsius calcem omnia reiecimus. Qui vero
De coloribus est, longe prodit alius, non verbis tantum, sed et
sententiis atque opinione. Caeteri omnes nunc primum publi- cantur.
Ex iis, qui mihi a Telesio missi fuere (sunt autem hi; De somno, De saporibus,
De bis quae in aere, De mari), hi longe aliis emendatiores exhi-
bentur; reliqui autem, quos aliunde expiscatus sum (cu- ravit eos mihi
Franciscus Mutus, praestanti vir doc- trina ac Telesianae philosophiae
cognitione liaud levi praeditus), ii non solum alicubi imperfecti, veruni
etiam tam male exarati ac mendose exscripti erant, ut divi- nandum
mihi fuerit in plerisque locis. Cum autem in iis exentplaribus, quae
nacti sumus, loci nulli neque Aristotelis, neque Galeni, neque aliorum,
qui a I elesio laudantur authores, neque in contextu, neque in mar¬
gine notati extarent, nos eos omnes in tuum commo- dum, Amice Lector. ad
oram cuiusque libelli rite ad- scripsimus. Ad haec schemata quaedam in
libello De SCRITTI DI B. TET.ESIO '.il
iride ab authore nominata, vel saltem subintellecta, quod nullum
eorum in nostris codicibus vestigium exta- r et, accurate delineavimus,
ut facilius id, quo de agitur, intelligeres. Atque haec nos tibi tanquam
in alieno solo (ut cum nostris loquar iurisconsultis) elaboravimus,
pro- pediem te in nostro accepturi, atque ex ugello ingenioli
nostri, quae tibi forte non ingrata videantur, multo li- beralius
deprompturi. Quod reliquum est, Lector Imma¬ nissime, quo nobiscum ab
illius sapientissimi viri ma- nibus gratinili aliquam in eas, ac magis
udlitati publi- cae consulamus, si forte meliores, quam nostri
sunt, codices fuerit nactus, ut et ego meliores edere possim, mihi
eos, quaeso candidus imperti; si non, his utere mecum. Vale.
f >) Ai primi due opuscoli è premessa la dedica seguente:
Antonius Persius IGANNÌ IACOBO TONIALO VIRO
PRAESTANTISSIMO S. P. D. Quod in studio mathematices,
quo maxime omnium semper es delectatus, in primisque astronomicae
facul- tatis, totus usque sis, laudo te, mi Tomaie, vehementer, ac
vere virum censeo, qui non te otio, quod plerique ista fortuna, hoc est
opibus, abundantes homines faciunt, corrutnpi sinas; sed, cum ingenio
iudicioque cum paucis sis conferendus, animum tuum optimis artibus
perpoli- tum nobilissima rerum excelsissimarum excolis cogni-
tione. Cui tantum detulit Aristoteles, ut eam vel imper- fectam perfecta
inferiorum rerum scientia multo duxerit esse praestantiorem. Utere igitur
fortunae bono dum per florentem aetatem tuam licet, et viaticum senectuti
para. Collocupleta tuum solidis atque immortalibus bonis ani¬ mimi:
amicitias quoque, quod facis, adiunge tibi liberali- tate hac tua,
omnique officiorum genere, quae ego abs te expertus non vulgaria,
perlibenter soleo praedicare. Et quo extaret eoruni significano
diuturnior, a me tibi nun- cupati ut exirent duo hi Telesii nostri
libelli De come- tis et lacteo circulo unus, De iis quae in aere
fiunt alter, libentissime curavi: simul ut haberes oc¬ casionerei de
rebus coelestibus, coeloque proximis, quo te rapit astrorum studium,
novam Telesii nostri dispu- tationem alacrius legendi. Cuius tu
philosophiam magno animo amplexatus maxima cum iudicii et ingenii
laude tueris. Ac liber ille quidem, quo De iis, quae in aere fiunt,
disseritur, editus antehac est, nunc emacu- latior prodit. Alter vero
nunc primum publici iuris ef- ficitur. Vale, et Persium tuum ex animo
nunquam elabi tuo patiare. Patavio Kalendis Aprilis. MDXC.
c) Illustrissimo ac reverendissimo Aloysio Cornelio
episcopo Paphiensi et Patavino designato. Antonius Persius. S. P.
D. Post nobilem illum universae terrae cataclysmum, ex quo
Noe, cum familia servatus, humanum genus re- paravit, apud Ethnicos
quoque pervulgatum, ac Deuca- leonearum undarum nomine a poeds
significatimi, scrip¬ tum fecit Moses summi ille Dei scriba atque
interpres, Illustrissime ac Reverendissime Episcope, Deum ipsum
edidisse arcum, seu Iridem pacti indicem ac foederis inter se atque
humanum genus constituti, ut quoties id in coelo appareret toties divinae
potentiae beneficiique nobis divinitus collati memoriam renovaret. Hoc
mihi, SCRUTI DI B. TELESIO 1 .1 ,ì dura
eximii philosophi Bernardini Telesii libellum De iride in lucem proferre
cogitarem animo repetenti cu¬ pido incessit, ut haud ita dissimilis in re
simili tui erga me animi significatio exstaret, operam dare. Est
igitur a me curatimi, ut ii, in quorum oculos haec Telesiana Iris
incurreret, de tuorum in me magnitudine merito- rum brevi hac ad te
epistola quoquo pacto admoneren- tur. Namque, ut alia praeteream,
maximorum semper in loco beneficiorum mihi delatum putabo, quod in
ali- qua apud te grada vigeam, ac me ipse in tuorum tibi
addictissimorum numero censeri velis. Cum enim per- crebuerit te non nisi
doctos, probos ac sapientes viros, tui scilicet simillimos, amare, fovere
atque ornare so¬ lere, cum tu non solum maiorum splendore summaque
familiae nobilitate, verum edam doctrinae, probitatis ac sapientiae laude
nemini concedas (quarum quidem vir- tutum singulare specimen in
administradone Episcopatus Patavini tibi ab amplissimo Cardinali Federico
patruo tuo, prudentissimo viro delata maximo cum ecclesiae
Patavinae fructu quotidie exhibes); quid mihi proficisci abs te maius
atque optabilius unquam posset, quam ex tua consuetudine, qua me dignum
tua esse voluit humanitas singularis, tantarum mihi virtutum
famnia, ac nomen aliquod comparare? Quod igitur opusculum hoc tuo
sacratum nomini dicarim, id primum boni ut consulas vehementer cupio;
deinde ut tuam in me animi propensionem, in qua maximam existimadonis
meae par- tem esse positam inteiligo, (quod facis) tueare te iterum
rogo obsecroque. Vale. Patavii. d) Antonius
Persius Francisco Patricio Platonicae Philosophiae in
Ferrariensi Gymnasio Professori Celeberrimo S. P. D.
Meministi, eruditissime Patrici, cum Venetiis coninto- raremur, me
tibi novam Telesil Philosophiam ac phi- losophandi rationem saepius
commendare, et te hortari, ut libros eius de natura legeres diligenter.
Quod ubi est a te factum, cum multa offenderes in iis, quae ve¬
lini Democritea Delio quopiam natatore indigerent, me identidem tanquam
in eorum lectione diutius versatuni, ac Telesii familiarem consulebas,
ego igitur libenter et obscura quaecunque tibi essent interpretabar, et
obii- cientium sese dubitationum scrupulos eximebam, quod poteram.
Ita ad calcem usque operis cum legendo per- venisses, tum honorifice de
eo loqui caepisti, ut ipsurn veteribus philosophis anteferres. Scripsisti quoque a me
rogatus in eam philosophiam dubitationes tuas nonnul- las, quas ad
Telesium transmisi. Ex eo
candidissimus philosophus quanti tuum lacere iudicium haud obscure
significavit, cum deinceps sua scripta ad tuum sensum exigere non sii
gravatus. Cum igitur libellum eius De mari ab ipso primum editum, atque
aliquibus ex eius- dem scriptis ad eandcm rem pertinentibus auctum,
de- nuo imprimendum curarem, patrem ipsi ac patronum nullum
Patricio aptiorem in venire me posse existimavi, tuaeque idcirco ipsum
fidei commendare decrevi. Tu, si constans es in summi viri laude, ut te
esse mihi et natura et consuetudo tua suadet, huiusce opusculi pa-
trocinium suscipias libenter, ac tuam in eo tuendo non SCRITTI ni
n. TELESlO t35 vulgarein eruditionem plaudentibus
omnibus explicabis. Feceris autem mihi pergratum, si meis verbis
coni- raunem amicum ac fatniliarem Franciscum Mutum et tuum et
Telesii praeclarum propugnatorem ingenii, et eruditionis laude
ornatissimum, salutaveris, meoque ipsi nomine dixeris, cura ego ipsius
beneficio plerosque ex iis, quos iam edo libellos, fuerim nactus,
expectare, ut eosdem idem ipse meliores, atque alios eiusdem Aucto-
ris nondum editos nobis eruat alicunde. Vale, ac mei mutuo memor est.
Patavio. Dopo il cap. x segue quest’avvertenza (c. 13 t f ):
Tria haec, quae sequuntur capita de maris aestu, a Telesio quidern
et ipsa elucubrata sunt, sed tamen ab eodem in prima huiusce libelli
editione consulto prae- termissa; idque ea, ut puto, de causa, quod in
hac con- teraplatione nondum sibi piane satisfaceret. Erat enim tum
in alienis, tum maxime in propriis sententiis iudi- candis sane quam
difficilis atque morosus. Itaque nihil edere ille solebat, quod non longa
adhibita discussione lente prius ac fastidiose probasset. Nos tamen, ne
ea quidern intercidere aequum putantes, quae ipse rudia atque
imperfecta reliquerat, pauca haec de manuscripto exemplari diligenter
excepta, priusquam ea sibi aliquis vindicaret et ut sua venditaret, in
calce huiusce libelli excudenda curavimus. l H.
TELEStO 139 doctrina et eloquentia tectum sartumque
praestes ab aculeis reprehensorum, libenter curavi ut nonien tuum
clarissimum prae se ferret imprcssus. Neque enim dubito, quin maximum apud
omnes hoc tuum patrocinium sit pondus habiturum. Perspectum iam enim est
ac notum, quanto te discipulo gloriaretur dignus ille tnagnorum
philosophorum magister Iacobus Zabarelia, nobis im¬ portuna morte
praereptus. Cuius sane viri quoties mihi venit in mentem, venit autem
saepissime, toties ego Patavinae, in qua profitebatur, Academiae
ingemisco, quae tot tantisque infra paucos annos orbata viris, ci-
vem hunc suum, qui facile omnium desiderium leniret, rednere diutius in
vita non potuerit, cum tamen ea de- cesserit aetate, quae senectutem vix
a limine attingebat. Verum alieno quidem patriae et amicis, sibi
autem, hoc est nomini, et gloriae suae liaud quam importuno tempore
cessit e vita, relictis ingenii sui monumentis, nunquam intermorituris.
Cuius vocem porticus illae eru- ditae Lycei Patavini frustra nunc,
frustra, inquam, de- siderant. atque eum, si possent, suum ipsae civem,
qui philosophiam non praeceptis tantum ac scriptis, verum et factis
praeclarissime exprimebat, omnium virtutum, imprimis humanitatis ac
modestiae, singulare exemplunt erat, perpetuo lugerent ; ut eos contra
philosophos ri- derent, qui non tam in academiae porticis prò
Peripa- teticae doctrinae primatu, quam in publicis hisce, quae
promiscere ab omnibus ultro citroque commeantibus te- runtur, prò peripatetica,
hoc est, ambulatoria (ut sic dixerim) praerogativa tanquam prò aris et
focis ridi- culc dimicant, quasi in eo sitae sint Graeciae
divitiae, si cui occurrens, caput aperias, aut interiorem Porticus
partem, videlicet parietem ambulanti concedas. Sed iam nos iis homulis et xaipeiv dicamus et
vyicuveiv. Te vero iterum iterumque rogo, ut animum tuum familiae
tuae splendidissimae nobilitate dignissimum mihi benevolum ae meae
summae in te observantiae memorerà tueri, munusculumque hoc, novum piane munus
(cum libel- lus hic it prodeat ab eodem Auctore iam pridem multis
additis, detractis, immutatis interpolatus, ut, si cum an- tea edito
conferas, mirum quantum ab eo difierre de- prehendas) tanquam maximum a
maximo ad te missum animo gratificandi tibi suscipere ne dedigneris. Vale. h) Antonius
Persius Eminentissimo Phii.osopho Federico Pendasio,. S. P.
D. Si quantum Aristoteli philosophorum filii, tantum tibi,
Federice Pendasi, philosophorum memoriae nostrae facile princeps, ipsum
debere Aristotélem dixerim, nae ego vera praedicarim. Illustrasti etenim
publicus tot an- nos in ceteberrimis Italiae Gymnasiis interpres
Aristote- licam usque adeo philosophiam, ut non tibi minus, quam
Aristotelicorum librorum, qui situ obsiti parum ab in- teritu aberant,
erutori ac vindicatori iHi gratiae debea- tur. Quos si nobis inimicum
fatum ad exitium usque invidisset, poteras tu novus illucere mortalibus
Aristo- teles, iacturamque tantam undequaque compensare. Ita- que
subinvideo Ascanio fratri, quod ipsi, te Bononiae degente, Bononiae
degenti fruì licet, ac de te non pu- blicos solum, sed, quae tua in omnes
privatimque in ipsum est benignitas, domesticos haurire sermones.
Fe- rebam ego antea tui desiderium paullo lenius, dum vi- veret
alterum Italiae lumen Iacobus Zabarella philoso- phiae scientia, ut tibi
uni secundus (quem scilicet ille sibi non solum praeferebat, sed auctorem
ctiam recte philosophandi fuisse olim praedicabat), sic caeteris omni¬
bus meo ac multorum iudicio anteponendus. Eo nunc, SCRITTI I>!
R. TEt.ESIO M quo familiarissime utebar, extineto,
nisi tua me aliquando usurum consuetudine sperarem, vitarn mihi
profecto acerbam putarem. Interim autem quia te libenter et stu¬
diose legere ea scripta, in quibus ingenii et eruditionis lumina haud
vulgaria conspiciantur probe novi, cuius- modi sunt Telesii philosophica
monumenta, idcirco ut ex ungue leonem agnosceres: ad haec ut
sententiarum novitate animum tuum consuetis fessum contemplatio-
nibus recreares, liunc eius De saporibus libellum tan- quam èvSóoipav ad
reliquam ipsius philosophiam cogno- scendam, et, ut sapiat, iudicandam ad
et mittere, adeoque tuo inscriptum nomini publicare decrevi. Accipies
igi- tur hilari fronte hanc meae in te benevolentiae atque
observantiae significationem, ut meum in te studium nunquam in posterum
obliviscaris. Vale. Patavii. Antonius Persius PRAECLAR
1 SSIMO MEDICO Hieronymo Mercuriali S. P. D.
Homericus ille Iuppiter, quod te non fugit, Hiero- nymeMercurialis, medicorum
choryphaee, ut Agamemno- nem de sonino excitaret, misisse ipsi somnium a
poeta perhibetur. Ego vero, ne tu mihi dormias, hoc est, ne me tibi
e memoria atque ex animo excidere patiare, tui amantissimum
studiosissimumque tui nunquam oblitum, non vanum aut mendax aliquod
somnium, sed erudi- tum ca veridicum Somnum Telesianum a Telesio
tum, cum minime dormitabat, elucubratum ad te mitto, qui somnum
arcere quovis somnio validius possit. Hunc ego, et ut sedulum monitorem,
et ut non obscurum mei in te animi interpretem ad Te destinavi, dum
aliud * TOSINO
U2 APPENDICE 11IBI-IOGRAEICA quaero tibi mnemosynon,
quo pateat illustrius non so¬ limi quantuni tibi ipse ego debeam
deferamque, ve¬ runi edam quam ab aliis omnibus esse deferenduni
exisdniem; etsi tu unica de te clarissimae Bononiensis Academiae
existimatione (ut communem eruditorum om¬ nium sensum praetermittam)
contcntus esse potes, quae te tanto studio ac contentione ad
eminentissimam me- dicinae cathedram ingentibus atque ante te nemini
pro¬ positi praemiis pertraxit. Atque hoc sapienter B0110- nienses,
ut alia omnia, sapienter te quoque ipsum, qui condicionem acceperis,
fecisse sapientissimus quisque existimat, cum tibi in ea urbe domicilium
statueris, quae bonorum omnium ornatu ac copia comparari cum ur-
bibus' omnibus merito potest. Quo tit ut non iniuria et te ego Bononiae,
et tibi Bononiam invideam, hoc est summorum virorum doctrinae et
huraanitatis laude ce- leberrimorum Bononiae degentium consuetudinein.
Pe- regrinos nunc taceo, ne te plus aequo legentem morer. De civium
numero unum tantum honoris caussa com- memorabo, Camillum Palaeottum,
tuorum, ut tu te me¬ rito gloriaris, principem amicorum; quem virimi
pri- mum Romae sum contemplatus, allocutus, admiratus, cum in eo
omnia maiora opinione ac fama deprehende- rim. Itaque Alexandrum Burghium
summa insignem timi scientia et eloquentia, tum probitate virum amo
plurimum, qui ut Romae Palaeottum cognoscerem at¬ que ab eo cognoscerer
et auctor et interpres mihi fuit. Obsecro igitur te, vir preclarissime,
per humanitatem et comitatem iliam tuain, qua vel sola aegrotis
restituere valetudinem soles, ut me illi addictissimum diligentis¬
sime commendes, et a me salutem dicere ne graveris. Te vero mei muneris
ne poeniteat, siquidem id, quod ab optimo in te est animo profectum,
optimum putas. Vale, et diu vive, ut diutius alii vivant. Patavio.
In fine della raccolta sono 3 cc. di Errata-corrige ,
SCRITTI DI B. TELESIO 43 1 I. Due opuscoli
inediti del Telesio De fulmine e Quae et quomodo febres facilini furono
per la prima volta pub¬ blicati dal Fiorentino, Telesio , n, pp. 325-374,
insieme con la risposta del Telesio al Patrizi: Soluliones
Thyìesii, pp. 391-98- Dal Fiorentino fu anche ristampato il
Carmen ad Ioannam Castriotam del Telesio (pp. 311-2), inserito nel
volume Rime et versi in lode della illustriss. et eccel- len/iss. S. D.
Giovanna Castrio/a Carr. Duchessa dì Nocera et Marchesa di Civita Santo
Angelo , scritti in lingua toscana, latina et spagnuota da diversi
huomini illustri in varii et diversi tempi et raccolti da Don Sci¬
pione de’ Monti, Vico Equense, 1585; già ristampato da S. Spiriti,
Memorie , pp. 92-3 e da Luigi Telesio, o. c. pp. 55-6. Circa l’apocrifità
dell’epigramma per la storia di Scipione Mazzella v. Bartelli, Note, p.
55 n. Manoscritti e opere smarrite. Oltre la notizia
importante dataci da Giov. Paolo d’Aquino, riferita a p. 54, e quelle del
Persio (cfr. so¬ pra pp. 130-1 e 135), è da considerare la lettera
del Quattromani, su cui richiamò già l'attenzione il Ni- codemi
nelle Addizioni copiose alla Bibl. Nap. del dott. N. Toppi, Napoli,
Castaldo, 1683, p. 53: e l’accenno dello stesso Telesio De rer. nat., v,
1: « Tum maris aquarumque et eorum quae im sublimi fiunt iridisque
et colorum exortus in propriis est explicatus commenta- riis. Metallorum
lapidumque et reliquorum, si quae APPENDICI-:
BIBLIOGRAFICA 144 alia supersunt, quin in superioribus
manifestatus sit, pa¬ rimi cannino deesse videri potest, et alias, si
coeptis faverit Deus, manifestabitur magis ». Per un opuscolo De
pluvfis, cui si allude nel De mari, c. x, cfr. Al- magiA, I.e dottr.
geofisiche di B. Telesio, p. 333, II SCRITTI SU B.
TELESIO* La Filosofia di Berardino Telesio ristretta in
brevità, et scritta in lingua toscana dal Montano Accademico
Cosentino [Sertorio Quattromani] , in Napoli, ap¬ presso Giuseppe Cacchi,
1589. Ora/ione di Gio. d‘Aquino in morte di Bernardino
Telesio, philosopho eccellentissimo, agli Accademici Cosen¬ tini. In
Cosenza, per Leonardo Angrisani, 1596. Rist. a Napoli, Fratelli
Traili, MDCCCXL a cura di L[uigi) T[klesio], Precede (pagine xxvi) una
lettera del T. al marchese di Villarosa; e seguono (p. 55) il Carme del
Telesio a Giovanna Castriota con la trad. italiana del Cavalcanti,
l’epigramma a Sci¬ pione Mazze-Ila (p. 60) col distico contro Aristotile,
il son. di Lelio Capilupi (p. 61) e due poemetti di Antonio Telesio.
Sul p. Luigi Telesio prefetto della Biblioteca dei Gerolamini v.
Luigi Maria Greco, Elogio del p. L. T., negli Atti dell’Ac¬ cademia
Cosentina, voi. Ili, pp. 345 sgg. Francesco Bacone, De principiis
atque originibus secundum fabulas Cupidinis et Coeli: sive Parmenidis
et Telesii et praecipue Democriti philosophia, tractata iti fabula de
Cupidine ; in Philosophical Works edited by Ellis and Spedding, in, pp.
63-118 (con pref. del- l’EUis e note). La prima volta questo
opuscolo fu pubblicato da Isacco Gru- ter in Franc. Baconi de Verulamio
Scripta in naturali et uni¬ versali philosophia, Amsterdam, 1653, pp. 208
sgg. * Sono citati gli scritti più notevoli. Delle storie generali
della filo¬ sofia soltanto quelle che contengono esposizioni
originali. G. Gentile, Bernardino Telesio. 10
146 appendice bibliografica Iohannis
Imperiala Musaeum kistoricum et pky- sicum, Venetiis, ap. Iuntas, An.
MDCXL, pp. 79-80. A p. 78 c’è un ritratto del Telesio. Pel cui
valore storico si osservi che nello stesso frontespizio del libro è detto
che le ima- gines del Museo storico sono ad vivum expressae, e nella
pre¬ fazione al lettore: « Icones ad vivum ubique locorum a nobis
anxio perennique studio conquisitas, vix cogere in unum licuit paucas,
nec impensae pepercimus, nec oleo, aliquam interdum, prout minus congrua
censebatur, abolendo, aliquam reformando, et cum probatioribus
conferendo, quo studiosa cupidaque huius- modi elegantiarum tua non
falleretur fiducia». Petri Freheri Theatrum viro rum eruditione
claro- rum, Norimbergae 1688, p. 1484. C’è un ritratto
del Telesio, riprodotto da Rixner e Sibek innanzi al vojutne qui sotto
citato. Ioh. Georgii Lotteri De vita et philosophia Ber¬
nardini Telesii commentarmi ad illustrandas historiam philosophicam
universam et literariam saeculi XVI C/iri- stiani sigillativi, Lipsiae,
apud Bernh. Christoph. Breit- Kopfium, 1733 in 4 0 . Nei Nova
Acla eruditorum di Lipsia, 3 c'è una recensione di questa monografia.
I. Bruckeri,
Historia critica philosophiae, to. iv, pars 1, Lipsiae, Mémoires pour
servir à filisi, des hommes illustres dans la republique des le/tres avec
un catalogne raisonné de leurs ouvrages par le R. P. Niceron
barnabite, to. xxx, Paris, 1734. PP-
194-1 io. H 4 - Salvatore Spiriti, Memorie degli scrittori
cosen¬ tini , Napoli, 1750, pp. 83-93. J. G. Buhle, Gesch. d.
neueren Philosopkie seit der Epoche d. Wiederhers/ellung der
Wissenschaften, SCRITTI SU B. TELESIO 147
Gòttingen, 1800-1805, Bd. il, Abth. 11, pp. 648 ss.; trad. frane.
Jourdan, Paris, 1826, II. n, pp. 563-71. P. L. Ginguené, Histoire
littéraire d’Italie [conti¬ nuata da F. Salfi], to. vii, Paris, Michaud,
1819. I- e PP' 5 °°* 1 4 relative al Telesio sono un’aggiunta di F.
Salfi. Rixner
e Siber, Leben und Lehrmeinungen berukm- ter Physiker am Ende des XVI und
am Anfange des XVII fakrhunder/s, Bd. ni (Sulzbach, 1820) ( B. Te¬
le sius) . Oltre una
biografia del Telesio, contiene la traduzione'(molto libera) di molti
brani del De rei' . natura. Giuseppe Boccanera da Macerata,
Bernardino Te¬ lesio, nella Biografia degli uom. illustri del Regno
di Napoli , to. vni, Napoli, N. Gervasi, 1822 (col ritr. del
Morghen). Francesco Saverio Sai.ki , Elogio di Bernardino
Telesio, 2“ ediz., Cosenza, Migliaccio, 1838 (di pp. 48 in-16 0 ).
Ristampato in Salpi, Prose varie, Cosenza, Migliaccio, 1S42. La
prima volta era stato pubblicato nel giorn. La Fata Morgana di Reggio
Calabria, 15 marzo 1838; e contro di esso allora com¬ parve un opuscolo:
Luigi Telesio, Risposta all'art. inserito nel giorn. intitolato La Fata
Morgana... Su la vita e la filosofia dì Bernardino Telesio, in Napoli,
nella Stamp. della Società Filomatica, 1839 (cit. da F. Bartelli, Note,
p. 70). Ferdinando Scaglione, [La filosofia di B. Telesio]-,
negli Atti della Accademia Cosentina, Cosenza, pe’ tipi di G. Migliaccio,
1842, voi. 11, pp.15-115. In risposta al tema assegnato
dall’Accademia l’anno 1838: « Esporre con lucidezza e precisione il sistema
filosofico di B. T., e far conoscere quale e quanta influenza abbia
esercitato sul progresso delle scienze, e quali scrittori, sian essi
calabri o stra¬ nieri, abbiano maggiormente contribuito a propagare la
nuova dottrina Telesiana APPENDICE BIBLIOGRAFICA 148 Chr.
Bartholmèss, De Bernardino Telesio, Paris, 1849. H. Ritter,
Geschichte dcr Philosopkie, r l heil (Bd. I della Gesch. d. neutra
Pkilos. ) , Hamburg, Perthes, 1850, PP- 56 i- 7 S- J. E.
Erdmann, Grundriss der Geschichte der Phi- losophie, 1 , Berlin, 1869, i,
243- PP- 523-26. F. Fiorentino, Bernardino Telesio , ossia studi
sto¬ rici su l’idea della natura nel Risorgimento italiano,
Firenze, Le Monnier, 2 voli. 1872, e 1874. Della psicologia del T.
il Fior, s’era occupato nel Pompo- nazzi (v. sopra p. 98). A proposito
del volume del Telesio furono pubblicati i seguenti scritti del Ferri e
del Francie. Luigi Ferri, La filosofia della natura e le
dottrine di B. T.\ nella Filos. ileUe scuole i/al., a. 1873.
Ad. Franck, Bernard. Telesio, ou Études histort- ques sur l’idée de
la nature pendant la renaissance ita- lienne par F. Fiorentino, in
Journaldes Savanls, a. 18731 pp. 548 sgg. e 687 sgg. M.
Carriere, Die philosophische Weltanschauung der Reformationszeit* ,
Leipzig, 1887, 11, 34 ss. La prima ediz. è del 1847.
Telesio, rivista di scienze lettere ed arti, Cosenza, a. 1, fase.
1, 28 febbr. 1886 (direttori Vincenzo Iulia e Domenico Bianchi).
Ne conosco 3 fase., che non contengono nulla sul Telesio, salvo un
cenno neil’art. di G. M. Greco, Il Qualiromani cri¬ tico (nel fase. 3 del
30 aprile 1886, pp. 154-5) a 8 a teoria del¬ l’anima del filosofo
cosentino, difesa dalle critiche del Fiorentino. SCRITTI
SI! B. TELESIO 1 49 K. Lasswitz, Geschichte der Atomisti): vom
Afitte/- alter bis Newton, Hamburg u. Leipzig, 1890, I B., pp.
312-14- Karl Heiland, Erkenntnisslehre nnd Ethik des
Bernardinus Telesius ; Inaug.-Dissert., Leipzig, 1891 (pp. 52
in-8“). A pp. 1-2 c’è una bibliografia della letteratura
telesiana. Felice Tocco, Le fonti più recenti della
filosofia del Bruno, Roma, 1892 (estr. dai Rend. Lincei). A
pp. 72-5 i rapporti del Bruno col Telesio. Cui è da ag¬ giungere
l'osservazione dell' Eli.is nella pref. al De principiis di Bacone, ed.
cit., p. 75 n. Gio. Sante Felici, Le dottrine fi/osofico-religiose
di T. Campanella con particolare riguardo alla filos. della
rinascenza italiana. Lanciano, Carabba, 1895. A pp. 34-51 sono
studiati i rapporti del Camp, col Telesio. St. de Chiara,
Bricciche lelesiane. Nozze Tancredi- Zumbini, xix aprile mdcccxcvii
(Cosenza, tip. ApreaJ, pp. 8 in-4 0 . Spigolature
dall’archivio cosentino relative al nome della madre del T. e ad alcuni
de’ suoi figliuoli. A p. 4 n. 1, è detto: c Un solo, il Bruckero, dice
ch'egli sia nato nel 1508: ma questo non è assolutamente possibile,
perchè nel sett. del 1508, come abhiam visto [«nelle schede del notar
Benedetto Arnone, sotto la data del 6 di sett. 1508, i capitoli di un
secondo matri¬ monio, che Giovanni Telesio, padre del nostro Bernardino,
con¬ trasse con la signora Vincenza Garofalo »], il padre passava a
seconde nozze. La data, poi, si desume anche dalla seguente notizia
cortesemente comunicatami dal mio nob. amico Luciano de Matera e da lui
ricavata di su un antico ms.: si sepelì nella sua sepultura della sua
cappella dentro la Chiesa magiore il filosofo Bernardino tilese d’età
d’anni settantanove ». APPENDICE BIBLIOGRAFICA
Bartelli, Note biografiche (B. Telesio e Galeazzo di Tarsia) Cosenza, A.
Troppa, MCMVI. Sul Telesio, pp. 7-73. È il miglior saggio
biografico che si abbia per l’esame rigoroso delle notizie e per la larga
• esplora¬ zione dei documenti inediti cosentini. I
Roberto Almagià, Le dottrine geofisiche di B. Te - lesto: primo
contributo alla storia della geografia scien¬ tifica nel cinquecento,
Firenze, Ricci, 1908 (estr. dagli Scritti di geografia e storia della
geografia pubbl. in onore di G. Dalla Vedova). Duilio Ceci,
Bernardino Telesio (con bibliografia) ne La cultura contemporanea , Roma,
a. n, n. 3, Articoluccio d’occasione. Nella Bibliografia si cita: « Fran¬
cesco Bonci, Il volgarizzamento dello scritto latino di B. (sic) T: I
colori presso gli antichi Romani, Pesaro, Federici, 1894. Ma si tratta
del De coloribus di Antonio Telesio. Erminio Troilo, Bernardino
Telesio, Modena, For- miggini, 1910 (pp. 77 in-i6° picc.; col ritr. del
Morghen; N. 11 dei Profili del Formiggini). Avvertenza.. T Sommario:
I. Il medio evo (9-20); II. Uma¬ nesimo e rinascimento (21-38); III, Vita
e scritti del Telesio (38-54); IV. La filosofia del Telesio (
54 - 77 ); V. Chiarimenti (77-92). Note. » Appendice
bibliografica. » I. Scritti di B. Telesio. » II.
Scritti su B. Telesio LATERZA & FIGLI - Editori BIBLIOTECA DI
CULTURA MODERNA Elegante collezione in-8 1. P. Orano —
Psicologia sociale (esaurito). •2. B. King e T. Okkv — 1/ Italia
d'oggi (3» edi¬ zione) . 4, 3. E. Ciccotti — Psicologia del
movimento socialista . * 4. G. Amadori-Virgiu —
L’Istituto fami¬ gliare nelle Società primordiali . . * -,f>0
5. A. Martin — L’Edncazione del carattere (esaurito).
6. G. De Lorenzo — India e Buddhismo antico (2* edizione). *
L— 7. V. Spinazzola — Le origini ed il cammino
dell’Arte.» 3,50 8. R. de Gourmont — Fisica dell’Amore.
Mag¬ gio su l' istinto sessuale . » 3,50 y. C. Cassola
— I sindacati industriali. Car¬ telli - Pools - Trusts . » 3,50
10. G. Marchesini — Le finzioni dell’anima. Saggio di Etica
pedagogica .... » 3, — 11. E. Kbioh — 11 Successo delle Nazioni. .
» 3, — 12. C. Barbagali .0 — La fine della Grecia an¬
tica . » 5,— 13. F. Novati — Attraverso il Medio Evo . »
4,— 14. I. E. Spingarn — La critica letteraria nel
Rinascimento.. Carlyle — Sartor Resartus (2* edizione) » 4,—
16. F. Carabki.lbse — Nord e Sud attraverso i secoli. »
3,— 17. B. Spaventa — Da Socrate a Hegel . . » 4,50 18.
A. Labriola — Scritti vari di filosofia e politica a cura di B,
Croce. LATERZA Balfour — Le basi della fede . . L. 3, — 20. C. Db
Freycinet — Saggio sulla Filosofia delle Scienze ......... »
3,50 21. B. Crock — Ciò che è vivo e ciò che è morto
della filosofia di Hegel. » 3,50 22. L. Hearn — Kokoro. Cenni
ed echi dell’in¬ tima vita giapponese .» 3,50 23. F.
Nietzsche — Le origini della tragedia » 3,— 24. V. Imbriani — Studi
letterari e bizzarrie satiriche. » 5, — 25. L. Hearn —
Spigolature nei campi di Bml- dho .» 3,50 26. C. W.
Saleeby — La Preoccupazione ossia la malattia del secolo. »
4,— 27. K. Vossi.br — Positivismo e idealismo nella
scienza del linguaggio. » 4,— 28. G. Arcoleo — Forme vecchie,
idee nuove » 3,— 29. Il pensiero dell’Abate Galiani -
Antologia di tutti i suoi scrìtti editi e inediti . » 5,—
30. B. Spaventa — La filosofia italiana nelle sne relazioni
con la filosofia europea \ 3,50 31. G. Sorbi. — Considerazioni
sulla violenza » 3,50 32. A. Labriola — Socrate. Nuova edizione . »
3,— 33. G. Kohlkr Moderni problemi del Diritto » 3,— 34-1. K.
Vossi.br — la Divina Commedia stu¬ diata nella sua genesi e interpretata
— Voi. I - Parte I. Storia dello svolgi¬ mento
religioso-filosofico. » 4,— 34 -n. _ Voi. I - Parte lì. Storia
dello svol¬ gimento etico-politico. » 4, — 35. G. Gentile —
Il Modernismo e i rapporti tra religione e filosofia.» 3,50
36. G. B. Festa — Un galateo femminile ita- liano del
trecento. » 3,— 37. S. Spaventa — La politica della destra . » 5,
— 38-1. J. Royce — Lo spirito della filosofia mo¬ derna—
Parte.,1. Pensatori e Problemi » 4,— 38-U. — Parte II. Prime linee
d’un sistema . LATERZA Rrnier — Svaghi critici . 40. E. Gbbhart —
L’Italia mistica ■ 41. A. Farinelli — Il romanticismo in Ger¬
mania .* ‘ ' 42. A. Tari — Saggi (li Estetica e di
Meta¬ fisica . . 43. E. Romagnoli — Musica e Poesia
nell an¬ tica Grecia . ; • ‘ ’ 44. F. Fiorentino —
Studi e ritratti • 45. G. Fkrrarelli — Memorie militari del
Mezzogiorno d'Italia . 46. B. Spaventa - Principii di Filosofia
. 47. A. Anile - Vigilie di Scienza e di Vita » 48. J.
Royce — La Filosofia della Fedeltà . 49. R. W. Emerson — L’anima,
la natura e la saggezza - Saggi 50. G. Rbnsi — Il genio
etico ed altri saggi 51. G. Gentile — Bernardino Telesio • • Bernardino Telesio. Telesio. Keywords: empirismo, teoria della
percezione, l’anima d’Aristotele, l’analogia, l’uomo e gl’animali, la ragione, i
antici, contro i antici, osservazione, percezione, la tradizione empirista
italiana, il Telesio di Bacone, sperimento, sperienza, esperienza, ex-perior,
esperire – Latino ex-perior, Gr. em-pereia, osservazione, osservare –
observatum, percipere – percezione per-capio. Refs.: Luigi Speranza, “Telesio e
Grice,” per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice,
Liguria, Italia.
Grice e Teocle: la
ragione conversazionale della legislazione di Reggio – principe filosofo --
Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Reggio). Filosofo italiano. Reggio. A Pytahgorean who
helps produce a new code of law for Reggio. Cited by Giamblico. Unfortunately,
Giamblico also mentions one Teeteto in exactly the same context – implying that
they may be the same person.
Grice e Teodoro: la
ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della natura rerum – Roma
-- filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano).
Filosofo italiano. Milano, Lombardia. Accademia. Nato da famiglia ligure. Agostino,
che gli dedica il “De beata vita”, dice che conosce bene l’Accademia, Dopo
essere stato per qualche tempo avvocato, poi governatore in Africa e consolare
della Macedonia e aver coperto vari uffici a corte, è praefectus praetorio
delle Gallie. Si occupa dell’amministrazione dei propri beni e di studi
filosofici e astronomici e scrive dialoghi su questi argomenti, STILONE lo
nomina praefectus praetorio per l’Italia, l’Illirico e l'Africa. Mentre confere
questo ufficio ha il consolato e in quell'occasione CLAUDIO CLAUDIANO gli dedica
un panegirico. Di T. resta un saggio “De metris”, mentre si sono perduti altri,
tra i quali un “De natura rerum.” Console, Consolato Prefetto del pretorio
d'Italia. Di T. è noto abbastanza, grazie al panegyricus dedicatogli da CLAUDIO
CLAUDIANO. Di famiglia notabile, sappiamo che è console. Il suo consolato
avvenne sotto il principe ONORIO. Prima di essere console è anche prefetto
con sede a Mediolanum-Aquileia. Qui Agostino conosce T., uno degl’intellettuali
accademici che incontrato appunto a Milano e, scrive “De vita beata”,
dedicandolo proprio a T., che a quel tempo si è ritirato dalla corte. Di T. resta
un trattato di metrica, “De metris”, uno dei migliori pervenuti, e per questo
molto conosciuto e studiato. Inoltre, sempre secondo CLAUDIO CLAUDIANO, e un
cultore di filosofia, astronomia e geometria e scrive diverse saggi su questi
argomenti che, insieme al suo consolato, sono l'argomento del panegirico a T. dedicato
da CLAUDIO CLAUDIANO. Markus,
The end of ancient Christianity, Cambridge; Keil, “Grammatici Latini”. Bonfils, C. Th. e il prefetto T., Bari, Edi puglia, consoli tardo
imperiali romani Stilicone Prefettura del pretorio delle Gallie Mariano Comense
Siburio Teatro romano di Milano Prefettura del pretorio d'Italia Nicomaco
Flaviano (prefetto del pretorio) T., su Treccani – Enciclopedie, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Opere di T. su digi libLT, Università degli Studi
del Piemonte Orientale Amedeo Avogadro. Opere di T., su Open Library, Internet
Archive. Predecessore Consoli romani Successore Imperatore Cesare Flavio
Honorio Augusto IV, Flavio Eutichiano T., Eutropio Aureliano, Flavio Stilicone V
D M Grammatici romani Portale Antica Roma Portale Biografie
Categorie: Scrittori romani Grammatici romani Politici romani Scrittori Consoli
imperiali romani Prefetti del pretorio d'Italia. A statesman and author who writes on a wide range of subjects. He is
best known for a technical work on poetry, but he also comments philosophical
works. Flavio Mallio (o Manlio) Teodoro. Keywords: de
natura rerum. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Teodoro”, per H. P. Grice’s
gruppo di gioco, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza
Grice e Teodoro: la
ragione conversazionale della scuola di Taranto – Roma – filosofia pugliese -- filosofia
italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Taranto). Filosofo italiano. Taranto, Puglia.
A Pythagorean cited by Giamblico.
Grice e Teone: la
ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della filosofia della
salute – Roma – filosofia italiana – Grice italo -- Luigi Speranza, pel Gruppo
di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Roma). Filosofo italiano.
He moves to Gaul to become a healer. Cited by Eunapio.
Grice e Teofri: la ragione conversazionale della setta di
Crotone– Roma – filosofia calabrese -- filosofia italiana – Grice italo -- Luigi
Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Crotone). Filosofo italiano. Crotone, Calabria. A Pythagorean.
Grice e Teoride: la
ragione conversazionale da Crotone a Metaponto – Roma – filosofia basilicatese -- filosofia
italiana – Grice italo -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice,
The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Metaponto).
Filosofo italiano. Metaponto, Matera, Basilicata. Pythagorean cited by
Giamblico.
Grice e Terillo: all’isola
– la ragione conversazionale della scuola di Siracusa -- Roma – filosofia
siciliana -- filosofia italiana – Grice italo -- Luigi Speranza, pel Gruppo di
Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Siracusa). Filosofo italiano. Siracusa, Sicilia. Plato mentions T. in
his letter to Dionisio II di Siracusa. In it, T. is described as someone who divides his time between Siracusa
‘and everywhere else’ – ‘a philosopher, of much learning, too’, he adds as a
joke. The authenticity of the letter is highly doubted – “and therefore, of
Terillo’s own existence!” – H. P. Grice. Terillo.
Keywords: filosofia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Terillo,” per H. P.
Grice’s gruppo di gioco, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.
Grice e Tertulliano: la
ragione conversazionale -- nothing is so absurd that some philosopher has not
thought it – Roma – filosofia italiana – Grice italo -- Luigi Speranza, pel
Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Roma). Filosofo italiano.
‘Credo quia absurdum est’ is his life-guiding motto, which he learns from his
philosophy tutor at Rome. He belongs to the Porch, and later becomes a
‘montano,’ an ascetic sect, “although,” his brother reminsices, “my brother
stays away from the more extreme forms of the asceticism the sect officially
promulgates.” Quinto Settimio Florente Tertulliano.
Grice e Tessitore: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale del Vico di Tessitore – filosofia campagnese -- filosofia
italiana – Grice italo -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice,
The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Napoli). Filosofo italiano. Grice: “If there’s Oxonian dialectic and
Athenian dialectic [la scuola d’Atene], there is, to follow Tessitore, the
‘scuola napoletana.’” Si laurea in giurisprudenza -- la
sua tesi ricevette dignità di stampa -- a Napoli, allievo di PIOVANI -- è
libero docente per meriti eccezionali in filosofia del diritto, e professore. Insegna
storia delle dottrine politiche; quindi, in poi, storia della filosofia. Preside
della facoltà di magistero dell'università degli studi di Salerno. Preside
della facoltà di lettere e filosofia dell'università Federico II di Napoli,
della quale è stato anche rettore. Socio dell'Accademia dell'Arcadia col nome
di Echione Cineriano. È inoltre socio nazionale dell'Accademia dei lincei e di
numerose altr’accademie. Diregge il Centro di studi vichiani del CNR e fa parte
del consiglio scientifico dello stesso centro. Presidente della Fondazione Piovani per gli studi vichiani e del consorzio
inter-universitario Civiltà del mediterraneo. Presidente del comitato tecnico scientifico
della fondazione Amato onlus; socio dell'Istituto per l'Oriente Nallino di Roma;
vicepresidente della fondazione Cortese. Siede inoltre nel consiglio direttivo
dell'istituto italiano per gli studi storici fondato da CROE. È stato
componente del consiglio scientifico dell'Istituto dell'Enciclopedia Italiana
Treccani. Membro del consiglio universitario nazionale, in cui è stato
presidente del comitato di lettere, lingue e magistero, vice presidente della
Fondazione teatro di S. Carlo, componente del consiglio generale della fondazione
Banco di Napoli, del Consiglio direttivo e vice presidente della CRUI, la
Conferenza permanente dei Rettori delle Università italiane; cavaliere di gran
croce dell'Ordine al merito della Repubblica. Senatore della Repubblica
italiana nelle file dei Democratici di Sinistra L'Ulivo e deputato nelle file
del L'Ulivo. Medaglia d'oro della Scuola dell'arte e della cultura e della Scienza
e della cultura. Autore di molti saggi -- ai quali sono stati assegnati numerosi premi. Saggi:
Aspetti del neo-guelfismo napoletano, Morano, Napoli; Crisi e trasformazioni
dello STATO: recerche sul pensiero gius-pubblicistico italiano, Morano, Napoli;
Fondamenti della filosofia politica, Morano, Napoli, La storia dell’idee, Monnier,
Firenze, Profilo dello storicismo politico, POMBA, Torino, Lo storicismo, Laterza,
Roma, Meinecke, Laterza, Roma; Filosofia, storia e politica in CUOCO (si veda),
Marco, Lungro); Contributi alla storia e alla teoria dello storicismo, Storia e
Letteratura, Roma; Interpretazione dello storicismo, Scuola Normale, Pisa; Contributi
alla storiografia arabo-islamica Edizioni di Storia e Letteratura, Roma); La
mia Napoli. Frammenti di ricordi e di pensieri (Grimaldi, Napoli); Letture
quotidiane, Editoriale scientifica, Napoli, che raccolgono articoli di giornali
quotidiani. Trittico Anti-hegeliano da Dilthey a Weber. Contributo alla teoria
dello storicismo (Edizioni di Storia e Letteratura, Roma; Da CUOCO (si veda) a
Weber. Contributi alla storia dello storicismo, Edizioni di Storia e
Letteratura, Roma. Fonda il “Bollettino del Centro di Studi Vichiani”, Archivio
di Storia della Cultura, Civiltà del Mediterraneo, pontaniana. unina. Curriculum
su filosofia. unina. Treccani Enciclopedie Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Fulvio Tessitore. Tessitore. Keywords: Cuoco. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Tessitore,” per H. P. Grice’s gruppo di gioco, The Swimming-Pool Library, Villa
Speranza.
Grice e Testa: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale della nemica fortuna – filosofia italiana – Grice italo -- Luigi
Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa
Speranza (Tidone). Filosofo italiano. Tidone,
Piacenza, Emiliga-Romagna. Rifiuta la cattedra filosofica a Pisa e prefere
lavorare a Parma, divenendone presidente dell'area filosofica. Deputato al
parlamento sabaudo. T. Storia di un povero pretazzuolo di Fausto Chiesa,
pubblicato dalla libreria Romagnosi di Piacenza. Treccani Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Alfonso Testa. Testa. Keywords. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Testa” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Thaulero: la ragione conversazionale e il problema d’una
antropologia filosofica; o, l’implicatura conversazionale dell’autorità ed il risentimento
-- filosofia italiana – Grice italo -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di
H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza
(Roma). Filosofo italiano. Abruzzese, figlio del barone Carlo, nobile di Chieti
e patrizio teramano. Consigue la maturità classica al liceo Massimo di Roma. Si
iscrive alla Sapienza di Roma, dove si laurea a pieni voti con una tesi in filosofia
del diritto, “Una metodologia del diritto”, sotto VECCHIO come relatore, e
ottenne il diploma di perfezionamento con lode in filosofia del diritto nella scuola
di perfezionamento di filosofia del diritto a Roma, con la tesi “La ‘fictio juris’
in Bartolo da Sassoferrato”, con SFORZA come relatore. Assistente volontario di
PERTICONE, ordinario di storia contemporanea a scienze politiche, usufruì di
una borsa della Humboldt-Stiftung che gli consente studiare in Germania per
approfondire sulla problematica del valore. STURZO gli affida insieme ad Addio
la direzione del “Bollettino di Sociologia”, poi divenuto “Sociologia”,
divenendo uno dei maggiori collaboratori dell'istituto creato dal fondatore del
partito popolare italiano. Inviato al congresso di sociologia di Amsterdam e fra
i fondatori della Società italiana di scienze sociali. Consigue la libera
docenza in filosofia morale e ricopre vari incarichi presso Salerno. Vince il
concorso a cattedra per filosofia morale del magistero di Salerno. Muore in
un incidente automobilistico. Gli è stata intitolata la scuola di Cologna
Spiaggia a Roseto degli Abruzzi. Altri saggi: “Società e cultura” (Giuffré,
Milano); “Il mare ha voce, ha voce il vento” (Storia e Letteratura, Roma); “Il
darsi dell'origine nell'esperienza sociale e religiosa” (Studium, Roma); “Intorno
al concetto di sociologia generale”, “Sociologia: Bollettino dell'Istituto Sturzo”
(A. Giuffré, Milano); “Il problema del risentimento” – “Sociologia: Bollettino
dell'Istituto Sturzo” (Giuffré, Milano); “Scienze sociali e sociologia” – “Sociologia:
bollettino dell'Istituto Sturzo” (Giuffré, Milano); “La Sociologia storicista”
– “Sociologia: bollettino dell'Istituto Sturzo” (A. Giuffré, Milano); “Razionalità
e storia” (Civitas); “L'autorità” (“Sociologia”); “Il problema dell'autorità” --
Convegno di Cultura Europea, Bolzano; “Conoscenza e sociologia” -- in “Rivista
di Sociologia”, Appunti per la settimana sociale dei cattolici d'Italia, in
Rivista di Sociologia; “Sociologia religiosa”, in “Rivista di Sociologia,” “Cristianesimo
e storia”, in “Rivista di Sociologia”, “Pregiudizio e religione”, “Rivista di
Sociologia”, Roma, “Metafisica della
scienza e sociologia” – “Rivista di Sociologia”, Roma, “Analisi culturale ed
ecumenismo” – “Rivista di Sociologia”, Roma, Religione e pregiudizio”
(Cappelli, Bologna); “Il problema di un'antropologia filosofica”, Rivista di
Sociologia, Guida, Napoli, Corso di
lezioni ciclostilate, con la traduzione, in appendice, di un saggio di Scheler.
Religione e pregiudizio. Analisi di contenuto dei libri cattolici di
insegnamento religioso in Italia (Cappelli, Bologna); “Nota introduttiva a Hartmann”,
Etica -- Fenomenologia dei costumi, in Esperienze’ “Osservazioni in margine ad
una ricerca su pregiudizio e religione”, in Rivista di sociologia; “Prospettive
culturali e sociologiche dell'impegno sociale” -- relazione tenuta alla
Consulta dei Movimenti Effettive e Seniores della Gioventù di Azione Cattolica;
“Un nuovo indirizzo storiografico nella analisi della struttura socio-economica”
-- relazione tenuta in occasione del convegno Rozzi e l'agricoltura, Teramo, promosso
dal Centro di Studi Storici Abruzzo Teramano, in Rivista di Sociologia; Riflessione
sull'Università televisiva, in Informazione Radio TV. Studi, documenti e
notizie, Speciale Televisione e Istruzione, RAI, Sociologia ed esperienza
religiosa e politica Ricerche di Storia sociale e religiosa. Discendente del beato
Johannes Thauler. Il Tempo, V. Mathieu, Salerno, Rosa, Seconda Attesa, Vicenza,
Rosa, La storia che non passa: diario politico, Mannelli, T. Vincenzo
Filippone-Thaulero. Thaulero. Keywords: autorita e risentimento. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Thaulero” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Tiberiano: la
ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del mio tutore
Priscilliano – Roma – filosofia italiana – Grice italo -- Luigi Speranza, pel
Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Roma). Filosofo italiano.
He moves to Baetica. He is a follower of
Priscilliano, writing a number of essays in defence of Priscilliano’s extremely
weird views!
Grice e Tiberio: la ragione
conversazionale del filosofo principe – Roma – filosofia italiana – Grice italo
-- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool
Library, Villa Speranza (Roma). Filosofo italiano. Principe. He takes a serious
interest in philosophy, and is especially drawn to the Scesi, as he calls it.
His tutors are Teodoro and Trasillo. Grice: “What surprises me is that both
Tiberio, Teodoro, and Trasillo bear names that start with a T. But Strawson
knows better: ‘The T in Theodoro is vulgar Italian, not Latin, or Greek!”
Grice e Tiberio: la
ragione conversazionale della filosofia e l’implicatura conversazionale dell’anti-filosofia
– Roma – filosofia italiana – Grice italo -- Luigi Speranza, pel Gruppo di
Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Roma). Not the prince. This one writes on philosophical subjects.
Grice e Tilgher: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale degl’orecchie dell’aquila -- il relativismo filosofico – filosofia
campagnese -- filosofia italiana – Grice italo -- Luigi Speranza, pel Gruppo di
Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Resìna). Filosofo italiano. Resina, Ercolano, Napoli, Campania. Nato da
padre vetraio Tedesco, vive a Roma dove e amico e collaboratore di BUONAIUTI, studioso
di storia del cristianesimo ed esponente del modernismo italiano. Lavora come
bibliotecario ad Alessandrina e collabora ad alcuni giornali -- tra gli altri,
Il Mondo e il Popolo di Roma -- molti dei quali vennero poi soppressi dal
regime fascista (“unsurprisingly” – Grice). I suoi principali saggi sono: “La
crisi mondiale”, “Estetica”; e “La filosofia delle morali”, nella quale delinea
la sua originale visione individualistica. Collabora al giornale satirico “Il
Becco giallo”. E tra i firmatari del manifesto degli intellettuali – o filosofi
-- anti-fascisti, redatto da CROCE (“or his secretary, rather – full of typos!”
– Grice). Da ricordare, anche, tra i suoi diversi saggi anti-fascisti, “la stroncatura
di GENTILE”, che, soprattutto nell'ironico e irriverente sotto-titolo, esprime
un dissacrante giudizio sulla propaganda con l'eloquente frase, di ascendenza
bruniana – si veda: BRUNO -- “Lo spaccio del bestione trionfante”. Opera anche
come critico letterario e teatrale. E tra i primi a notare l'originalità del
teatro pirandelliano (PIRANDELLO, si veda), nonostante i tentativi di
contestazione da parte del regime fascista.
In ambito filosofico, afferma che non esiste una scienza morale unica
bensì una pluralità di morali che emergono da un fondo caotico in virtù di
un'iniziativa che in parte è creatrice di valori e in parte effetto di
coincidenze casuali, anche se fortunate. In lui ri-affiora il dualismo manicheo
di bene e di male, ribelle a ogni composizione dialettica propria a ogni
comodo, quanto illusorio e superficiale ottimismo. Considera mitico,
utopistico, il concetto del progresso che non considera come altrettanto reali
"il regresso, la caduta e la colpa".
Nella nota “Antologia dei filosofi italiani del dopoguerra”, oltre a
suoi saggi include brani tratti dai saggi di ALIOTTA, BUONAIUTI, EVOLA,
MARTINETTI, MIGNONE, NOBILE, E RENSI. A Ercolano gli è stato intitolato l'istituto
d'istruzione superiore, non inferiore, -- “as Gentile would have preferred” –
Grice. Altri saggi: “Arte, conoscenza e realtà” (Torino, Bocca); “Teoria del pragmatismo
trascendentale” – alla APEL (Torino, Bocca); “Filosofi antichi” (Todi, Atanor);
“La crisi mondiale”, “Saggi di socialismo e marxismo” (Bologna, Zanichelli);
“Voci del tempo” (Roma, Libreria di scienza e lettere); “Relativisti
contemporanei” (Roma, Libreria di scienza e lettere); “Studi sul teatro
contemporaneo” (Roma, Libreria di scienza e lettere); “Ricognizioni, Roma,
Libreria di Scienza e Lettere); “La scena e la vita” – cf. Shakespeare: for all
the world’s a stage -- (Roma, Libreria di Scienza e Lettere); “Lo spaccio del bestione
trionfante: stroncatura di GENTILE. Un libro per filosofi” – GENTILE: SI VEDA (Torino,
Gobetti); con un saggio di Negri, La Mandragora, prefazione di Turi (Roma,
Storia e Letteratura); “La visione greca della vita” (Roma, Libreria di Scienza
e Lettere, Giordano); “Saggi di etica e di filosofia del diritto” (Torino,
Bocca); “Homo FABER” – cf. APPIO (Roma, Libreria di Scienza e Lettere, col
titolo “Storia del concetto di lavoro nella civiltà occidentale, Firenze Libri);
“La poesia dialettale napoletana” – “typical work of a German, as he was!”
(Grice) (Roma, Libreria di scienza e lettere), “Estetica” (Roma, Libreria di scienza
e lettere); Etica di Goethe, (Roma, Maglione); Filosofi e Moralisti – Grice:
For Nowell-Smith, philosophers ARE moralists! -- , Roma, Libreria di Scienza e
Lettere); “Studi di poetica” (Roma, Libreria di Scienza e Lettere); Cristo e
Noi, Grice: “His real name wasn’t Christ, but Jesus” (Modena, Guanda); “Critica
dello storicismo” (Modena, Guanda); Antologia dei filosofi italiani del dopoguerra
(Modena, Guanda) – si veda: EVOLA, MARTINETTI, ecc. ; “Filosofia delle Morali” (Roma,
Libreria di scienza e lettere); “Moralità: punti di vista sulla vita e
sull'uomo” (Roma, Libreria di scienza e lettere); “Le orecchie dell'aquila: studio
sulle fonti dell'attualismo di Gentile” (Roma, Religio); “La filosofia di LEOPARDI
[minore]” (Roma, Religio); Raoul Bruni, (Torino, Aragno) -- con l'aggiunta di
altri scritti leopardiani mai riuniti in volume; “Il casualismo critico” (Roma, Bardi); “Mistiche
nuove e Mistiche antiche” – cf. SCUOLA DI MISTICA FASCISTA (Roma, Bardi);
“Tempo nostro” (Roma, Bardi); “Diario politico” (Roma, Atlantica); “Marxismo, socialismo
borghesia (Firenze Libri); Carteggio CROCE-T., Tarquini (Bologna, Mulino); “PIRANDELLO,
con testi di GRAMSCI” (Pisa, Scuola Normale Superiore); Einstein, Trappetti e
Secci, Dalia Edizioni, La Stampa di Torino. Redazione, “Spaccio della bestia trionfante” è un saggio del
BRUNO, costituita da III dialoghi di argomento morale, pubblicata a Londra. Le “bestie
trionfanti” sono i segni delle costellazioni celesti, rappresentate da animali
-- è necessario ‘spacciarle’, ovvero cacciarle dal cielo in quanto
rappresentano vecchi vizi che occorre sostituire con moderne virtù. Una nota
dell'OVRA su un presunto tentativo di contestare PIRANDELLO (si veda) nella
tournée in Argentina si riferisce una grave dichiarazione confidenziale fatta
dal noto letterato anti-fascista a CASSINELLI, dichiarazione che rileva non
solo l'animosità biliosa di T. contro PIRANDELLO ma anche e soprattutto un
piano pre-stabilito da oltre III mesi da rinnegati contro degl’italiani che si
apprestano a far conoscere ai nostri co-nazionali in Argentina, le ultime
novità letterarie degli autori italiani. Sedita, “PIRANDELLO, l'a-politico
spiato” (Belfagor), che riproduce la nota, sottolinea l'enfasi negativa con cui
in essa si presenta il noto letterato anti-fascista T. e con cui ci si sofferma
soprattutto sul suo perdurante odioso atteggiamento di sfida e di ribellione al
fascismo. E significativo, alla luce degli studi di CANALI, che il tramite tra
la polizia politica e T. sia stato CASSINELLI. CASSINELLI divenne amico di PIRANDELLO,
che ne parla con deferenza in due lettere all’Abba. Dizionario Biografico degli
Italiani Rensi, Frammenti d’una
filosofia dell’errore e del dolore, del male e della morte” (Napoli, Orthotes);
Istituto d'Istruzione Superiore T., su tilgher Grana, T. critico, in,
Letteratura italiana. I critici, V,
Marzorati, Milano; R. Laz., Enciclopedia ItalianaII Appendice, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, T. com'era, Napoli, Edizioni del delfino, Buonaiuti
Modernismo teologico Manifesto degli intellettuali antifascisti Traccani Enciclopedie
on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Adriano
Tilgher. Tilgher. Keywords: le orecchie dell'aquila, lo spaccio del bestione
trionfante. Refs.: Luigi Speranza, ‘Grice e Tilgher’ – The Swimming-Pool
Library.
Grice e Timagora: la
ragione conversazionale dell’orto di Roma e l’implicatura conversazionale -- Roma
– filosofia italiana – Grice italo -- Luigi Speranza, pel Grupo di Gioco di H.
P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Roma).
Filosofo italiano. Orto. Cited by
CICERONE. Grice: “I would say that Cicerone should every sign of being a closet
Epicureian. He knew them ALL!” Keywords: Orto.
Grice e Timagora: all’isola
-- la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della tutelage in
Italian philosophy – Roma – filosofia italiana -- Grice italo – Luigi Speranza,
pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Gela). Filosofo italiano. Gela, Caltanissetta, Sicilia. A pupil of
Teofrasto and Stilpo. Grice: “Not
a good pupil, apparently, since he needed TWO tutors. I rather would die than
having to endure my four years at Oxford under TWO tutors: Hardie was MORE than
enough!” – Keywords: tutelage in Italian philosophy
Grice e Timarato: la
ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della legislazione di
Locri – principe filosofo – Roma – filosofia calabrese -- filosofia italiana – Grice
italo -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool
Library, Villa Speranza (Locri). Filosofo italiano. Locri, Reggio Calabria,
Calabria. A Pythagorean cited by Giamblico, pupil of Pythagoras himself. T. achieves
great eminence as a law-giver at Locri. However, Giamblico says exactly the
same thing about a *Timares* of Locri, which is either a remarkable coincidence
or a mistake (“but can’t be both” – Grice). The latter is perhaps more likely,
as on both occasions Giamblico links Timares with Zaleucus – implying (“or
implicating” – Grice) they are the same person. Keywords:
Cuoco.
Grice e Timare: la
ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della legislazione di
Locri – il principe filosofo -- Roma – filosofia calabrese -- filosofia
italiana – Grice italo -- Luigi Speranza pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice,
The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Locri). Filosofo italiano. Locri, Reggio Calabria,
Calabria. A Pythagorean, cited by Giamblico – and an important law-giver in
Locri. Some scholars think that Giamblico or someone else made a mistake and
that ‘Timares of Locri’ should read ‘Timeo of Locri.’ As Plato nowhere
describes Timeo specifically as a law-giver, the identification is at best
inconclusive. However, Timares does seem to be the same person as *Timaratus*
of Locri – “if you’ve heard of him.” Grice. Keywords: the
laws of Locri. Timare.
Grice e Timarida: la
ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della provvidenza
divinamente decadente -- Roma – filosofia pugliese -- filosofia italiana –
Grice italo -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Taranto). Filosofo italiano. Taranto, Puglia. A pupil of
Pythagoras himself, as cited by Giamblico. He is mentioned in a work by
Androcide in which Timarida is shown as a strong believer in divine providence.
Grice: “Which is possibly the source for Vico – the ONLY *OTHER* philosopher
*I* know who believes in ‘provvidenza divina’ – Keyword: provvidenza. “Note
that the ‘divine’ is decorative, since pro-videnza has more to do with
fore-sight!” – Grice. Keywords: Cuoco, la filosofia
italica.
Grice e Timasio: la
ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dei sibariti – Roma – filosofia
calabrese -- filosofia italiana – Grice italo -- Luigi Speranza, pel Gruppo di
Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Sibari) Filosofo italiano. Sibari, Cassano, Calabria. A Pythagorean – cited by Giamblico – “‘Check
other references,’ Strawson told me. I ignored him!”. Grice: Giamblico –
although not an Italian his self, knew his Italy, since Sibari is hardly
considered a philosopical centre – as Oxford is – but Timasio made one of it!”
Grice e Timeo: la
ragione conversazionale di Crotone e l’implicatura conversazionale dei suoi
filiali -- Roma – filosofia calabrese -- filosofia italiana – Grice italo -- Luigi
Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa
Speranza (Crotone). Filosofo italiano. Crotone, Calabria. A Pythagorean cited by Giamblico. Grice:
“Giamblico knew his Italy; he refused to call Sicily part of Italy – but then
he referred to Grosse Griechland, as the Germans call it, not as Italy, either!
Anyway, this Timeo was Italy-born, in Crotone, which the old Italiots called
‘Crotona,’ since a city must end with an -a, not an -e. Grice: “Timeo should
not be confused with Timeo, Plato’s tutor – nor with Timeo, Empedocle’s – or
Girgenti’s – pupil! Keywords: Crotone e i suoi filiali.
Grice e Timeo: la
ragione conversazionale a Roma e l’implicatura conversazionale della filosofia
italiana – filosofia calabrese -- Grice italo-- Luigi Speranza, pel Gruppo di
Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Locri). Filosofo
italiano. Locri, Reggio Calabria, Calabria. T. is the lead character in a
dialogue by Plato, named, of course after him. T. is described as rich, a
sometime holder of high office, and a philosopher of considerable
accomplishment – “which, by Plato’s standards, means a lot” – Grice. According
to CICERONE, Plato meets Timeo and studies with him – “or *under* him, as the
Greeks have it.” – Grice. In the dialogue, Timeo expounds a theory of how the
natural world came into existence – “even if nobody asked him!” – Grice. CICERONE
describes Timeo as a Pythagorean – “But everybody except himself was a
Pythagorean for Cicerone!” – Grice. Giamblico in fact describes two men named
Timeo as Pythagoreans (“But he wasn’t wearing glasses!” – Grice. His works are
considered apocryphal – “but that is a complimentary epithet at Oxford, as
Strawson well knows!” Grice: “Timeo puts Locri on the philosophical map!” Grice:
But of course Cuoco is right and Pythagoras himself was possibly from Locri!” –
Grice. Keywords: CICERONE.
Grice e Timeo: all’isola
-- la ragione conversazionale dell’Etna e l’implicatura conversazionale della filosofia
-- Roma – filosofia siciliana -- filosofia italiana – Grice italico -- Luigi
Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa
Speranza (Taormina). Filosofo italiano. Taormina, Sicilia. (“Or should we say Sicilian?” –
Grice). A historian, and a source used by Diogene Laerzio in his account of
Empedocle di Girgenti. Grice: “If Diogene used Timeo as a source, it means that
Diogene was two-steps removed from the Etna, whereas Timeo almost fell into
it!”. Keywords: Girgenti.
Grice e Timossi: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale della prammatica del ragionare – filosofia ligure -- filosofia
italiana – Grice italo -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice,
The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Genova). Filosofo
italiano. Genova, Liguria. Studia a Genova. Svolge attività di ricerca e di
insegnamento seminariale presso l'ateneo genovese. I suoi principali interessi
sono rivolti alle cosiddette questioni di frontiera, che riguardano la
filosofia, la teologia, la storia della scienza, l'epistemologia e la
religione. In questo ambito, si propone di dimostrare la possibilità di una
metafisica cognitiva e in particolare di una rinnovata teologia naturale o
filosofica che proceda dai rivoluzionari risultati e dalle conoscenze della
scienza contemporanea. È inoltre noto, come l’alievo di Grice, A. G. N.
Flew, per i suoi studi critici sull'ateismo. Studioso di logica, ha pubblicato
uno dei manuali introduttivi più letti in Italia: "Imparare a ragionare.
Un manuale di logica", Marietti). Presidente del Consiglio scientifico
della scuola internazionale superiore per la ricerca inter-disciplinare; membro
del comitato di gestione della fondazione Compagnia di S. Paolo di Torino.
Academia ligure di scienze e lettere. Altri saggi: “Dio è possibile? Il
problema dell'esistenza di un'entità superiore” (Padova, Muzzio); “Dio e la
scienza moderna: il dilemma della prima mossa” (Milano, Mondadori); “Prove
logiche dell'esistenza di Dio d'Aosta a Gödel: storia critica dell'argomento
ontologico” (Milano, Marietti); “L'illusione dell'ateismo: perché la scienza
non nega Dio” (Cinisello Balsamo, S. Paolo); Imparare a ragionare: un manuale
di logica” (Milano, Marietti); “Decidere di credere: ragionevolezza della fede”
(Cinisello Balsamo, S. Paolo); “Nel segno del nulla: critica dell'ateismo” (Torino,
Lindau); “Perché crediamo in Dio: le ragioni della fede" (Cinisello
Balsamo, S. Paolo); “Credere per scommessa: la sfida di Pascal tra matematica e
fede” (Bologna, Marietti, Centro Editoriale Dehoniano. Timossi. Keywords:
ragionare, Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Timossi” – The Swimming-Pool
Library.
Grice e Tincari: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale del ivstvm qvia ivssvm – Roma -- filosofia italiana – Grice
italo -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool
Library, Villa Speranza (Roma). Filosofo italiano. Persio.
Philosopher of law, Bergamo. Persio Tincari. Tincari. Keywords: iustum quia
iussum, Bergamo, Pergamo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Tincari” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e Tirannio: la
ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del lizio di Roma –
Roma – filosofia italiana – Grice italo -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco
di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Roma). Filosofo italiano.
Primarily a grammarian. Friend of CICERONE – he held the seminars in his own
house. He made copies of a number of works of Aristotle which might otherwise
have been lost. Grice: “Cicerone found it boring that everytime he would pay a
visit to Tirannio, he was copying some old Greek manuscript!” Grice: “I
wouldn’t call Tirannio a sophist: his at-homes were, like mine, free of
charge!” Keywords: grammatica filosofica, lizio.
Grice e Tirseno: la
ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della tesi di Cuoco –
Roma – filosofia calabrese -- filosofia italiana – Grice italo -- Luigi
Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa
Speranza (Sibari). Sibari, Cassano, Cosenza, Calabria Filosofo
italiano. Pythagorean according to Giamblico. Grice: Giamblico knew his Italy. But he didn’t know what Cuoco knew. If
Tirseno was philosophising in Sibari, it means there was an atmosphere for
philosophical inquiries in these parts of Italy way before Pythagoras called
himself an Etrurian! Keywords: Cuoco.
Grice e Tisia:
all’isola -- la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’argomento
del probabile e del desirabile – Roma – filosofia italiana – Grice italo -- Luigi
Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa
Speranza (Siracusa). Siracusa, Sicilia. Filosofo italiano. (“Or should we say, Sicilian?” –
Grice). A pioneer of rhetoric, T. emphasises the importance of an appeal to the
probable in an argument. He was the tutor of Gorgia di Leonzio. Grice: “I took
my inspiration for my Prob. vs. Des. – probability versus desirability – not so
much from Davidson (that’s boring!) but from Tisia di Siracusa. As a tutor, I
can identify, because at Oxford, I was always regarded as Strawson’s tutor – as
Tisia was Gorgia’s one! Only that Gorgia travelled all the way from Leonzio to
Siracusa to get tutored, whereas Strawson met me on common ground! Keywords: probability, the probable, argument.
Grice e Tito: la
ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della clemenza del
principe filosofo – Roma – filosofia italiana – Grice italo -- Luigi Speranza,
pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Roma). L’imperatore Tito, famoso per la sua clemenza (Mozart, La
clemenza di Tito). Il suo filosofo favorito e Musonio – il principe filosofo. INTERLOCUTORI TITO Vespasiano, imperatore di Roma
TENORE VITELLIA, figlia dell'imperatore Vitellio SOPRANO SERVILIA, sorella di
Sesto, amante d'Annio SOPRANO SESTO, amico di Tito, amante di Vitellia SOPRANO
ANNIO, amico di Sesto, amante di Servilia SOPRANO PUBLIO, prefetto del pretorio
BASSO Chorus: Senatori, Patrizi, Legati, Pretoriani, Littori, Popolo. Luogo:
Roma. Epoca: Impero. Atto primo La clemenza di Tito ATTO Ouverture Allegro (do
maggiore) Archi, 2 flauti, 2 oboe, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe,
timpani. Scena prima Appartamenti di Vitellia. Vitellia, Sesto. Recitativo,
continuo VITELLIA Ma che? sempre l'istesso, Sesto, a dirmi verrai? So che
sedotto fu Lentulo da te; che i suoi seguaci son pronti già; che il Campidoglio
acceso darà moto a un tumulto. Io tutto questo già mille volte udii: la mia
vendetta mai non veggo però. S'aspetta forse che Tito a Berenice in faccia mia
offra d'amor insano l'usurpato mio trono, e la sua mano? Parla, di', che
s'attende? SESTO Dio! VITELLIA Sospiri? SESTO Pensaci meglio, oh cara, pensaci
meglio. Ah, non togliamo in Tito la sua delizia al mondo, il padre a Roma,
l'amico a noi. VITELLIA Dunque a vantarmi in faccia venisti il mio nemico? e
più non pensi che questo eroe clemente un soglio usurpò dal suo tolto al mio
padre? Che mi ingannò, che mi sedusse, (e questo è il suo fallo maggior) quasi
ad amarlo? E poi, perfido! e poi di nuovo al Tebro richiamar Berenice! Una
rivale avesse scelta almeno degna di me fra le beltà di Roma: ma una barbara,
Sesto, un'esule antepormi, una regina! SESTO Ah, principessa, tu sei gelosa.
VITELLIA Io! 4 / 38 www.librettidopera.it C. T. Mazzolà / W. A. Mozart, 1791
Atto primo SESTO Sì. VITELLIA Gelosa io sono, se non soffro un disprezzo? SESTO
Eppur... VITELLIA Eppur non hai cor d'acquistarmi. SESTO Io son... VITELLIA Tu
sei sciolto d'ogni promessa. A me non manca più degno esecutor dell'odio mio.
SESTO Sentimi! VITELLIA Intesi assai. SESTO Fermati! VITELLIA Addio. SESTO Ah,
Vitellia, ah, mio nume, non partir! Dove vai? Perdonami, ti credo, io
m'ingannai. [N. 1 Duetto] Andante (fa maggiore) / Allegro Archi, flauto, 2
oboe, 2 fagotti, 2 corni. SESTO Come ti piace imponi: regola i moti miei. Il
mio destin tu sei; tutto farò per te. VITELLIA Prima che il sol tramonti,
estinto io vo' l'indegno. Sai ch'egli usurpa un regno che in sorte il ciel mi
diè. SESTO Già il tuo furor m'accende. VITELLIA Ebben, che più s'attende? SESTO
Un dolce sguardo almeno sia premio alla mia fé! VITELLIA E SESTO Fan mille
affetti insieme battaglia in me spietata. Un'alma lacerata più della mia non
v'è. www.librettidopera.it 5 / 38 Atto primo La clemenza di Tito Scena seconda
Annio, detti. Recitativo, continuo ANNIO Amico, il passo affretta, cesare a sé
ti chiama. VITELLIA Ah, non perdete questi brevi momenti. A Berenice Tito gli
usurpa. ANNIO Ingiustamente oltraggi, Vitellia, il nostro eroe: Tito ha
l'impero e del mondo, e di sé. Già per suo cenno Berenice partì. SESTO Come?
VITELLIA Che dici? ANNIO Voi stupite a ragion. Roma ne piange, di maraviglia, e
di piacer. Io stesso quasi no 'l credo: ed io fui presente, o Vitellia, al
grande addio. VITELLIA (Oh speranze!) Sesto, sospendi d'eseguire i miei cenni.
Il colpo ancora non è maturo. SESTO E tu non vuoi ch'io vegga!... ch'io mi
lagni, oh crudele!... VITELLIA Or che vedesti? Di che ti puoi lagnar? SESTO Di
nulla! (Oh dio! chi provò mai tormento eguale al mio!) [N. 2 Aria] Larghetto
(sol maggiore) / Allegro Archi, 2 flauti, 2 fagotti, 2 corni. VITELLIA Deh, se
piacer mi vuoi, lascia i sospetti tuoi; non mi stancar con questo molesto
dubitar. Chi ciecamente crede, impegna a serbar fede; chi sempre inganni
aspetta, alletta ad ingannar. (parte) 6 / 38 www.librettidopera.it C. T.
Mazzolà / W. A. Mozart, 1791 Atto primo Scena terza Annio, Sesto. Recitativo,
continuo ANNIO Amico, ecco il momento di rendermi felice. All'amor mio Servilia
promettesti. Altro non manca che d'augusto l'assenso. Ora da lui impetrarlo
potresti. SESTO Ogni tua brama, Annio, m'è legge. Impaziente anch'io questo
nuovo legame, Annio, desio. [N. 3 Duettino] Andante (do maggiore) Archi, 2
clarinetti, 2 fagotti, 2 corni. ANNIO E SESTO Deh, prendi un dolce amplesso,
amico mio fedel; e ognor per me lo stesso ti serbi amico il ciel. (partono)
Scena quarta Parte del foro romano magnificamente adornato d'archi, obelischi,
e trofei; in faccia aspetto esteriore del Campidoglio, e magnifica strada per
cui vi si ascende. Coro, Publio, Annio, Tito, Sesto. [N. 4 Marcia] Maestoso
(mi bemolle maggiore) Archi, 2 flauti, 2 oboe, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2
corni, 2 trombe, timpani. Publio, Senatori romani, e i Legati delle province
soggette, destinati a presentare al senato gli annui imposti tributi. Tito,
preceduto da Littori, seguìto da Pretoriani, e circondato da numeroso Popolo,
scende dal Campidoglio. www.librettidopera.it 7 / 38 Atto primo La clemenza di
Tito [N. 5 Coro] Allegro (mi bemolle maggiore) Archi, 2 flauti, 2 clarinetti,
2 fagotti, 2 corni. CORO Serbate, oh dèi custodi della romana sorte, in Tito il
giusto, il forte, l'onor di nostra età. Nel fine del coro suddetto, Annio e
Sesto da diverse parti. Recitativo, continuo PUBLIO (a Tito) Te «della patria
il padre» oggi appella il senato: e mai più giusto non fu ne' suoi decreti, oh
invitto augusto. ANNIO Eccelso tempio ti destina il senato; e là si vuole, che
fra divini onori anche il nume di Tito il Tebro adori. PUBLIO Quei tesori, che
vedi, all'opra consacriam. Tito non sdegni questi del nostro amor pubblici
segni. TITO Romani, udite: oltre l'usato terribile il Vesuvio ardenti fiumi
dalle fauci eruttò; scosse le rupi, riempié di ruine i campi intorno e le città
vicine. Le desolate genti fuggendo van; ma la miseria opprime quei che al foco
avanzar. Serva quell'oro di tanti afflitti a riparar lo scempio. Questo, o
romani, è fabbricarmi il tempio. ANNIO Oh, vero eroe! PUBLIO Quanto di te
minori tutti i premi son mai tutte le lodi! TITO Basta, basta, oh miei fidi.
Sesto a me s'avvicini; Annio non parta; ogn'altro s'allontani. (si ritirano
tutti fuori dell'atrio, e vi rimangono Tito, Sesto ed Annio) N. 5 Coro,
ripresa CORO Serbate, oh dèi custodi della romana sorte, in Tito il giusto, il
forte, l'onor di nostra età. 8 / 38 www.librettidopera.it C. T. Mazzolà / W. A.
Mozart, 1791 Atto primo N. 4 Marcia, ripresa Recitativo, continuo ANNIO
(Adesso, o Sesto, parla per me.) SESTO Come, signor, potesti la tua bella
regina?... TITO Ah, Sesto amico, che terribil momento! Io non credei... basta;
ho vinto; partì. Tolgasi adesso a Roma ogni sospetto di vederla mia sposa. Una
sua figlia vuol veder sul mio soglio, e appagarla convien. Giacché l'amore
scelse invano i miei lacci, io vo', che almeno l'amicizia li scelga. Al tuo
s'unisca, Sesto, il cesareo sangue. Oggi mia sposa sarà la tua germana. SESTO
Servilia! TITO Appunto. ANNIO (Oh, me infelice!) SESTO (Oh dèi! Annio è
perduto.) TITO Udisti? che dici? non rispondi? SESTO Tito!... ANNIO Augusto,
conosco di Sesto il cor. Ma tu consiglio da lui prender non déi. Come potresti
sposa elegger più degna dell'impero, e di te? Virtù, bellezza, tutto è in
Servilia. Io le conobbi in volto ch'era nata a regnar. De' miei presagi
l'adempimento è questo. SESTO (Annio parla così? Sogno, o son desto!) TITO
Ebbene, recane a lei, Annio, tu la novella; e tu mi segui, amato Sesto; e
queste tue dubbiezze deponi. Avrai tal parte tu ancor nel soglio, e tanto
t'innalzerò, che resterà ben poco dello spazio infinito, che frapposer gli dèi
fra Sesto, e Tito. www.librettidopera.it 9 / 38 Atto primo La clemenza di Tito
SESTO Questo è troppo, oh signor. Modera almeno, se ingrati non ci vuoi,
modera, augusto, i benefici tuoi. TITO Ma che? (Se mi negate che benefico io
sia, che mi lasciate?) [N. 6 Aria] Andante (sol maggiore) Archi, 2 flauti, 2
fagotti, 2 corni. TITO Del più sublime soglio l'unico frutto è questo: tutto è
tormento il resto, e tutto è servitù. Che avrei, se ancor perdessi le sole ore
felici ch'ho nel giovar gli oppressi, nel sollevar gli amici, nel dispensar
tesori al merto, e alla virtù? (parte con Sesto) Scena quinta Annio, Servilia.
Recitativo, continuo ANNIO Non ci pentiam. D'un generoso amante era questo il
dover. Mio cor, deponi le tenerezze antiche. È tua sovrana chi fu l'idolo tuo.
Cambiar conviene in rispetto l'amore. Eccola. Oh dèi! Mai non parve sì bella
agli occhi miei. SERVILIA Mio ben... ANNIO Taci, Servilia. Ora è delitto il
chiamarmi così. SERVILIA Perché? ANNIO Ti scelse cesare (che martir!) per sua
consorte. A te (morir mi sento), a te m'impose di recarne l'avviso (oh pena!),
ed io... io fui... (parlar non posso)... augusta, addio! SERVILIA Come!
fermati. Io sposa di cesare? E perché? 10 / 38 www.librettidopera.it C. T.
Mazzolà / W. A. Mozart, 1791 Atto primo ANNIO Perché non trova beltà, virtù che
sia più degna d'un impero, anima... oh stelle! Che dirò? Lascia, augusta, deh
lasciami partir. SERVILIA Così confusa abbandonarmi vuoi? Spiegati; dimmi: come
fu? per qual via?... ANNIO Mi perdo s'io non parto, anima mia. [N. 7 Duetto]
Andante (la maggiore) Archi, flauto, 2 oboe, 2 fagotti. ANNIO Ah, perdona al
primo affetto questo accento sconsigliato: colpa fu del labbro usato a così
chiamarti ognor. SERVILIA Ah, tu fosti il primo oggetto, che finor fedel amai;
e tu l'ultimo sarai ch'abbia nido in questo cor. ANNIO Cari accenti del mio
bene. SERVILIA Oh mia dolce, cara speme. SERVILIA E ANNIO Più che ascolto i
sensi tuoi, in me cresce più l'ardor. Quando un'alma è all'altra unita, qual
piacere un cor risente! Ah, si tronchi dalla vita tutto quel che non è amor.
(partono) Scena sesta Ritiro delizioso nel soggiorno imperiale sul colle
Palatino. Tito, Publio. Recitativo, continuo TITO Che mi rechi in quel foglio?
PUBLIO I nomi ei chiude de' rei che osar con temerari accenti de' cesari già
spenti la memoria oltraggiar. www.librettidopera.it 11 / 38 Atto primo La
clemenza di Tito TITO Barbara inchiesta, che agli estinti non giova, e
somministra mille strade alla frode d'insidiar gl'innocenti! PUBLIO Ma v'è,
signor, chi lacerate ardisce anche il tuo nome. TITO E che perciò? se 'l mosse
leggerezza; no 'l curo; se follia, lo compiango; se ragion, gli son grato; e se
in lui sono impeti di malizia, io gli perdono. PUBLIO Almen... Scena settima
Tito, Publio, Servilia. SERVILIA Di Tito al piè... TITO Servilia! Augusta!
SERVILIA Ah! signor, sì gran nome non darmi ancora. Odimi prima. Io deggio
palesarti un arcan. (Publio si ritira) TITO Parla... SERVILIA Il core, signor,
non è più mio. Già da gran tempo Annio me lo rapì. Valor che basti, non ho per
obliarlo. Anche dal trono il solito sentiero farebbe a mio dispetto il mio
pensiero. So che oppormi è delitto d'un cesare al voler; ma tutto almeno sia
noto al mio sovrano: poi, se mi vuoi sua sposa, ecco la mano. TITO Grazie, o
numi dei ciel! Pur si ritrova chi s'avventuri a dispiacer col vero. Alla
grandezza tua la propria pace Annio pospone! Tu ricusi un trono per essergli
fedele! Ed io dovrei turbar fiamme sì belle! Ah, non produce sentimenti sì rei
di Tito il core. Sgombra ogni tema. Io voglio stringer nodo sì degno, e n'abbia
poi cittadini la patria eguali a voi. 12 / 38 www.librettidopera.it C. T.
Mazzolà / W. A. Mozart, 1791 Atto primo [N. 8 Aria] Allegro (re maggiore)
Archi, 2 oboe, 2 fagotti, 2 corni. TITO Ah, se fosse intorno al trono ogni cor
così sincero non tormento un vasto impero, ma saria felicità. Non dovrebbero i
regnanti tollerar sì grave affanno, per distinguer dall'inganno l'insidiata
verità. (parte) Scena ottava Servilia, poi Vitellia. Recitativo, continuo
SERVILIA Felice me! VITELLIA Posso alla mia sovrana offrir del mio rispetto i
primi omaggi? Posso adorar quel volto, per cui d'amor ferito, ha perduto il
riposo il cor di Tito? SERVILIA Non esser meco irata; forse la regia destra è a
te serbata. (parte) Scena nona Vitellia, poi Sesto. VITELLIA Ancor mi
schernisce? Questo soffrir degg'io vergognoso disprezzo? Ah, con qual fasto qui
mi lascia costei! Barbaro Tito! Ti parea dunque poco Berenice antepormi? Io
dunque sono l'ultima de' viventi. Ah, trema ingrato! Trema d'avermi offesa.
Oggi il tuo sangue... SESTO Mia vita. VITELLIA Ebben, che rechi? Il Campidoglio
è acceso? è incenerito? Lentulo dove sta? Tito è punito? www.librettidopera.it
13 / 38 Atto primo La clemenza di Tito SESTO Nulla intrapresi ancor. VITELLIA
Nulla! e sì franco mi torni innanzi? SESTO È tuo comando il sospendere il
colpo. VITELLIA E non udisti i miei novelli oltraggi? D'altri stimoli hai
d'uopo? Sappi, che Tito amai, che del mio cor l'acquisto ei t'impedì; che se
rimane in vita, si può pentir; ch'io ritornar potrei (non mi fido di me) forse
ad amarlo. Or va', se non ti muove desio di gloria, ambizione, amore; se
tolleri un rivale, che usurpò, che contrasta, che involar potrà gli affetti
miei, degli uomini 'l più vil dirò che sei. SESTO Quante vie d'assalirmi!
Basta, basta non più, già m'inspirasti, Vitellia, il tuo furore. Arder vedrai
fra poco il Campidoglio; e quest'acciaro nel sen di Tito... VITELLIA Ed or che
pensi? Dunque corri; che fai? Perché non parti? [N. 9 Aria] Adagio (si
bemolle maggiore) / Allegro Archi, 2 oboe, clarinetto solo, 2 fagotti, 2 corni.
SESTO Parto; ma tu ben mio, meco ritorna in pace; sarò qual più ti piace, quel
che vorrai farò. Guardami, e tutto oblio, e a vendicarti io volo; a questo sguardo
solo da me sì penserà. Ah, qual poter, oh dèi! donaste alla beltà. (parte) 14 /
38 www.librettidopera.it C. T. Mazzolà / W. A. Mozart, 1791 Atto primo Scena
decima Vitellia, poi Publio ed Annio. Recitativo, continuo VITELLIA Vedrai,
Tito, vedrai, che alfin sì vile questo volto non è. Basta a sedurti gli amici
almen, se ad invaghirti è poco. Ti pentirai... PUBLIO Tu qui, Vitellia? Ah,
corri: va Tito alle tue stanze. ANNIO Vitellia, il passo affretta, cesare di te
cerca. VITELLIA Cesare! PUBLIO Ancor no 'l sai? Sua consorte ti elesse. ANNIO
Tu sei la nostra augusta; ed il primo omaggio già da noi ti si rende. PUBLIO
Ah, principessa, andiam: cesare attende. [N. 10 Terzetto] Allegro (sol
maggiore) Archi, 2 flauti, 2 oboe, 2 fagotti, 2 corni. VITELLIA Vengo...
aspettate... Sesto!... Ahimè!... Sesto!... è partito?... Oh sdegno mio funesto!
Oh insano mio furor! Che angustia, che tormento! Io gelo, oh dio! d'orror. PUBLIO
E ANNIO Oh come un gran contento, come confonde un cor. (partono)
www.librettidopera.it 15 / 38 Atto primo La clemenza di Tito Scena undicesima
Campidoglio, come prima. Sesto solo, indi Annio, Servilia, Publio, Vitellia.
[N. 11 Recitativo accompagnato] Allegro assai (do maggiore) / Andante /
Allegro assai Archi, 2 oboe, 2 fagotti, 2 corni. SESTO Oh dèi, che smania è
questa! Che tumulto ho nel cor! Palpito, agghiaccio: m'incammino, m'arresto:
ogn'aura, ogn'ombra mi fa tremare. Io non credea, che fosse sì difficile
impresa esser malvagio. Ma compirla convien. Almen si vada con valor a perir.
Valore! E come può averne un traditor? Sesto infelice, tu traditor! Che orribil
nome! Eppure t'affretti a meritarlo. E chi tradisci? Il più grande, il più
giusto, il più clemente principe della terra, a cui tu devi quanto puoi, quanto
sei. Bella mercede gli rendi in vero! Ei t'innalzò per farti il carnefice suo.
M'inghiotta il suolo prima ch'io tal divenga. Ah, non ho core, Vitellia, a
secondar gli sdegni tui: morrei prima del colpo in faccia a lui. Si desta nel
Campidoglio un incendio che a poco a poco va crescendo. SESTO S'impedisca... ma
come, arde già il Campidoglio. Un gran tumulto io sento d'armi, e d'armati;
ahi! tardo è il pentimento. [N. 12 Quintetto con coro] Allegro (mi bemolle
maggiore) / Andante Archi, 2 flauti, 2 oboe, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni,
2 trombe, timpani. SESTO Deh, conservate, oh dèi, a Roma il suo splendor, o
almeno i giorni miei coi suoi troncate ancor. ANNIO Amico, dove vai? SESTO Io
vado... lo saprai oh dio, per mio rossor. (ascende frettoloso nel Campidoglio)
ANNIO Io Sesto non intendo... ma qui Servilia viene. 16 / 38
www.librettidopera.it C. T. Mazzolà / W. A. Mozart, 1791 Atto primo SERVILIA Ah,
che tumulto orrendo! ANNIO Fuggi di qua mio bene. SERVILIA Si teme che
l'incendio non sia dal caso nato, ma con peggior disegno ad arte suscitato.
CORO in distanza Ah!... PUBLIO V'è in Roma una congiura, per Tito ahimè
pavento; di questo tradimento chi mai sarà l'autor. CORO in distanza Ah!...
SERVILIA, ANNIO E PUBLIO Le grida ahimè ch'io sento mi fan gelar d'orror. Scena
dodicesima Vitellia entra. Allegro (do minore) Archi, 2 flauti, 2 oboe, 2
clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani. CORO in distanza Ah!...
VITELLIA Chi per pietade oh dio! m'addita dov'è Sesto? (In odio a me son io ed
ho di me terror.) CORO in distanza Ah!... ah!... SERVILIA, ANNIO E PUBLIO Di
questo tradimento chi mai sarà l'autor. CORO in distanza Ah!... ah!...
VITELLIA, SERVILIA, ANNIO E PUBLIO Le grida ahimè ch'io sento mi fan gelar
d'orror. (Sesto scende dal Campidoglio) www.librettidopera.it 17 / 38 Atto
primo La clemenza di Tito Scena tredicesima Sesto. SESTO (Ah, dove mai
m'ascondo? Apriti, oh terra, inghiottimi, e nel tuo sen profondo rinserra un
traditor.) VITELLIA Sesto! SESTO Da me che vuoi? VITELLIA Quai sguardi vibri
intorno? SESTO Mi fa terror il giorno. VITELLIA Tito?... SESTO La nobil alma
versò dal sen trafitto. SERVILIA, ANNIO, PUBLIO Qual destra rea macchiarsi poté
d'un tal delitto? SESTO Fu l'uom più scellerato, l'orror della natura, fu...
VITELLIA Taci forsennato, deh, non ti palesar. Andante (do maggiore) Archi, 2
flauti, 2 oboe, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani. VITELLIA,
SERVILIA, SESTO, ANNIO E PUBLIO Ah dunque l'astro è spento, di pace apportator.
TUTTI E CORO Oh nero tradimento, oh giorno di dolor! 18 / 38
www.librettidopera.it C. T. Mazzolà / W. A. Mozart, 1791 Atto secondo
ATTO SECONDO Scena prima Ritiro delizioso nel soggiorno imperiale sul
colle Palatino. Annio, Sesto. Recitativo, continuo ANNIO Sesto, come tu credi,
augusto non perì. Calma il tuo duolo; in questo punto ei torna illeso dal
tumulto. SESTO Oh dèi pietosi! oh, caro prence! oh, dolce amico! Ah, lascia che
a questo sen... ma non m'inganni?... ANNIO Io merto sì poca fé? Dunque tu
stesso a lui corri, e 'l vedrai. SESTO Ch'io mi presenti a Tito dopo averlo
tradito? ANNIO Tu lo tradisti? SESTO Io del tumulto, io sono il primo autor.
ANNIO Sesto è infedele! SESTO Amico, m'ha perduto un istante. Addio. M'involo
alla patria per sempre. Ricordati di me. Tito difendi da nuove insidie. Io vo
ramingo, afflitto a pianger fra le selve il mio delitto. ANNIO Fermati; oh dèi!
pensiamo... incolpan molti di questo incendio il caso; e la congiura non è
certa finora... SESTO Ebben, che vuoi? ANNIO Che tu non parta ancora.
www.librettidopera.it 19 / 38 Atto secondo La clemenza di Tito [N. 13 Aria]
Allegretto (sol maggiore) Archi. ANNIO Torna di Tito a lato: torna, e l'error
passato con replicate emenda prove di fedeltà. L'acerbo tuo dolore è segno
manifesto, che di virtù nel core l'immagine ti sta. (parte) Scena seconda
Sesto, poi Vitellia. Recitativo, continuo SESTO Partir deggio, o restar? Io non
ho mente per distinguer consigli. VITELLIA Sesto, fuggi, conserva la tua vita,
e 'l mio onor. Tu sei perduto, se alcun ti scopre, e se scoperto sei, pubblico
è il mio segreto. SESTO In questo seno sepolto resterà. Nessuno il seppe:
tacendolo morrò. Scena terza Publio con Guardie e detti. PUBLIO Sesto! SESTO
Che chiedi? PUBLIO La tua spada. SESTO E perché? PUBLIO Colui, che cinto delle
spoglie regali agli occhi tuoi, cadde trafitto al suolo, ed ingannato
dall'apparenza tu credesti Tito, era Lentulo; il colpo la vita a lui non tolse,
il resto intendi. Vieni. 20 / 38 www.librettidopera.it C. T. Mazzolà / W. A.
Mozart, 1791 Atto secondo VITELLIA (Oh, colpo fatale!) SESTO (dà la spada) Al
fin, tiranna... PUBLIO Sesto, partir conviene. È già raccolto per udirti il
senato; e non poss'io differir di condurti. SESTO Ingrata, addio! Scena quarta
Detti. [N. 14 Terzetto] Andantino (si bemolle maggiore) / Allegretto Archi, 2
oboe, 2 fagotti, 2 corni. SESTO Se al volto mai ti senti lieve aura che
s'aggiri, gli estremi miei sospiri quell'alito sarà. VITELLIA (Per me vien
tratto a morte: ah, dove mai m'ascondo! Fra poco noto al mondo il fallo mio
sarà.) PUBLIO Vieni... SESTO (a Publio) Ti seguo... (a Vitellia) Addio.
VITELLIA (a Sesto) Senti... mi perdo... oh dio! (a Publio) Che crudeltà! SESTO
(a Vitellia, in atto di partire) Rammenta chi t'adora in questo stato ancora.
Mercede al mio dolore sia almen la tua pietà. VITELLIA (Mi lacerano il core
rimorso, orror, spavento! Quel che nell'alma io sento di duol morir mi fa.)
PUBLIO (L'acerbo amaro pianto, che da' suoi lumi piove, l'anima mi commuove, ma
vana è la pietà!) www.librettidopera.it 21 / 38 Atto secondo La clemenza di
Tito Publio e Sesto partono con le Guardie, e Vitellia dalla parte opposta.
Scena quinta Gran sala destinata alle pubbliche udienze. Trono, sedia e
tavolino. Tito, Publio, Patrizi, Pretoriani e Popolo. [N. 15 Coro] Andante
(fa maggiore) Archi, 2 flauti, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni. CORO Ah,
grazie si rendano al sommo fattor, che in Tito del trono salvò lo splendor.
TITO Ah no, sventurato non sono cotanto, se in Roma il mio fato si trova
compianto se voti per Tito si formano ancor. Recitativo, continuo PUBLIO È
tutto colà d'intorno alla festiva arena il popolo raccolto; e non s'attende che
la presenza tua. TITO Andremo, Publio, fra poco. Io non avrei riposo, se di
Sesto il destino pria non sapessi. Avrà il senato omai le sue discolpe udite;
avrà scoperto, vedrai, ch'egli è innocente; e non dovrebbe tardar molto
l'avviso. Va'! chiedi che si fa, che si attende? Io voglio tutto saper pria di
partir. PUBLIO Vado; ma temo di non tornar nunzio felice. TITO E puoi creder
Sesto infedele? Io dal mio core il suo misuro; e un impossibil parmi ch'egli
m'abbia tradito. PUBLIO Ma, signor, non han tutti il cor di Tito. 22 / 38
www.librettidopera.it C. T. Mazzolà / W. A. Mozart, 1791 Atto secondo [N. 16
Aria] Allegretto (do maggiore) Archi, 2 oboe, 2 corni. PUBLIO Tardi s'avvede
d'un tradimento chi mai di fede mancar non sa. Un cor verace, pieno d'onore,
non è portento, se ogn'altro core crede incapace d'infedeltà. (parte) Scena
sesta Tito, poi Annio. Recitativo, continuo TITO No, così scellerato il mio
Sesto non credo. Tanto cambiarsi un'alma non potrebbe. TITO Annio, che rechi?
L'innocenza di Sesto? Consolami! ANNIO Signor! pietà per lui ad implorar io
vengo. Scena settima Detti, Publio con foglio. PUBLIO Cesare, no 'l diss'io.
Sesto è l'autore della trama crudel. TITO Publio, ed è vero? PUBLIO Purtroppo;
ei di sua bocca tutto affermò. Co' complici il senato alle fiere il condanna.
Ecco il decreto terribile, ma giusto; (dà il foglio a Tito) né vi manca, o
signor, che il nome augusto. TITO Onnipossenti dèi! (si getta sedere)
www.librettidopera.it 23 / 38 Atto secondo La clemenza di Tito ANNIO Ah,
pietoso monarca... (inginocchiandosi) TITO Annio, per ora lasciami in pace.
(Annio si leva) PUBLIO Alla gran pompa unite sai che le genti omai... TITO Lo
so, partite! ANNIO Deh, perdona, s'io parlo in favor d'un insano. Della mia
cara sposa egli è germano. [N. 17 Aria] Andante (fa maggiore) Archi, 2 oboe,
2 fagotti, 2 corni. ANNIO Tu fosti tradito: ei degno è di morte, ma il core di
Tito pur lascia sperar. Deh prendi consiglio, signor, dal tuo core: il nostro
dolore ti degna mirar. (Publio ed Annio partono) Scena ottava Tito solo a
sedere. Recitativo accompagnato Allegro Archi. TITO Che orror! che tradimento!
Che nera infedeltà! Fingersi amico, essermi sempre al fianco, ogni momento
esiger dal mio core qualche prova d'amore; e starmi intanto preparando la
morte! Ed io sospendo ancor la pena? e la sentenza non segno?... Ah! sì, lo
scellerato mora! (prende la penna per sottoscrivere e poi s'arresta) Mora!...
ma senza udirlo mando Sesto a morir? Sì, già l'intese abbastanza il senato. E
s'egli avesse qualche arcano a svelarmi? Olà! (depone la penna, intanto entra
una guardia) 24 / 38 www.librettidopera.it C. T. Mazzolà / W. A. Mozart, 1791
Atto secondo TITO (S'ascolti, e poi vada al supplizio.) A me si guidi Sesto.
(la guardia parte) TITO È pur di chi regna infelice il destino! (s'alza) A noi
si nega ciò che a' più bassi è dato. In mezzo al bosco quel villanel mendico, a
cui circonda ruvida lana il rozzo fianco, a cui è mal fido riparo dall'ingiurie
del ciel tugurio informe, placido i sonni dorme, passa tranquillo i dì, molto
non brama, sa chi l'odia e chi l'ama, unito o solo torna sicuro alla foresta,
al monte, e vede il core ciascheduno in fronte. Scena nona Publio e Tito.
Recitativo, continuo TITO Ma, Publio, ancora Sesto non viene. PUBLIO Ad
eseguire il cenno già volaro i custodi. TITO Io non comprendo un sì lungo
tardar. PUBLIO Pochi momenti sono scorsi, o signor. TITO Vanne tu stesso;
affrettalo. PUBLIO Ubbidisco. (nel partire) I tuoi littori veggonsi comparir:
Sesto dovrebbe non molto esser lontano. Eccolo. TITO Ingrato! All'udir che
s'appressa, già mi parla a suo pro l'affetto antico. Ma no; trovi il suo prence
e non l'amico. (siede e si compone in atto di maestà) www.librettidopera.it 25
/ 38 Atto secondo La clemenza di Tito Scena decima Tito, Publio, Sesto e
Custodi. Sesto entrato appena, si ferma. [N. 18 Terzetto] Larghetto (mi
bemolle maggiore) / Allegro Archi, 2 flauti, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni.
SESTO (Quello di Tito è il volto! Ah dove, oh stelle! è andata la sua dolcezza
usata! Or ei mi fa tremar!) TITO (Eterni dèi! di Sesto dunque il sembiante è
questo! Oh come può un delitto un volto trasformar!) PUBLIO (Mille diversi
affetti in Tito guerra fanno. S'ei prova un tale affanno, lo seguita ad amar.)
TITO Avvicinati! SESTO (Oh voce che piombami sul core.) TITO Non odi? SESTO (Di
sudore mi sento oh dio bagnar! Non può chi more non può di più penar.) TITO E
PUBLIO (Palpita il traditore, né gli occhi ardisce alzar.) Recitativo, continuo
TITO (E pur mi fa pietà.) Publio, custodi, lasciatemi con lui. (Publio e le
guardie partono) SESTO (No, di quel volto non ho costanza a sostener l'impero.)
26 / 38 www.librettidopera.it C. T. Mazzolà / W. A. Mozart, 1791 Atto secondo
TITO (rimasto solo con Sesto, depone l'aria maestosa) Ah! Sesto, è dunque vero?
Dunque vuoi la mia morte? E in che t'offese il tuo prence, il tuo padre, il tuo
benefattor? Se Tito augusto hai potuto obliar, di Tito amico come non ti
sovvenne? Il premio è questo della tenera cura ch'ebbe sempre di te? Di chi
fidarmi in avvenir potrò, se giunse, oh dèi! anche Sesto a tradirmi? E lo
potesti? E il cor te lo sofferse? SESTO (prorompe in un dirottissimo pianto e
se gli getta a' piedi) Ah, Tito! ah, mio clementissimo prence! Non più, non
più. Se tu veder potessi questo misero cor, spergiuro, ingrato, pur ti farei
pietà. Tutte ho su gli occhi, tutte le colpe mie; tutti rammento i benefizi
tuoi: soffrir non posso né l'idea di me stesso, né la presenza tua. Quel sacro
volto, la voce tua, la tua clemenza istessa diventò mio supplizio. Affretta
almeno, affretta il mio morir. Toglimi presto questa vita infedel; lascia ch'io
versi, se pietoso esser vuoi, questo perfido sangue a' piedi tuoi. TITO Sorgi,
infelice! (Sesto si leva) TITO (Il contenersi è pena a quel tenero pianto.) Or
vedi a quale lagrimevole stato un delitto riduce, una sfrenata avidità
d'impero! E che sperasti di trovar mai nel trono? Il sommo forse d'ogni
contento? Ah! sconsigliato, osserva quai frutti io ne raccolgo; e bramalo, se
puoi. SESTO No, questa brama non fu che mi sedusse. TITO Dunque che fu? SESTO
La debolezza mia, la mia fatalità. TITO Più chiaro almeno spiegati.
www.librettidopera.it 27 / 38 Atto secondo La clemenza di Tito SESTO Oh dio!
non posso. TITO Odimi, oh Sesto; siam soli; il tuo sovrano non è presente. Apri
il tuo core a Tito; confidati all'amico. In contraccambio almeno d'amicizia lo
chiedo. SESTO (Ecco una nuova specie di pena! o dispiacere a Tito, o Vitellia
accusar.) TITO (incomincia a turbarsi) Dubiti ancora? SESTO Signore... sappi
dunque... TITO Parla una volta: che mi volevi dir? SESTO Ch'io son l'oggetto
dell'ira degli dèi; che la mia sorte non ho più forza a tollerar; ch'io stesso
traditor mi confesso, empio mi chiamo; ch'io merito la morte, e ch'io la bramo.
TITO Sconoscente! e l'avrai. Custodi! il reo toglietemi d'innanzi. (alle
guardie, che saranno uscite) SESTO Il bacio estremo su quella invitta man. TITO
(senza guardarlo) Parti; non è più tempo, or tuo giudice sono. SESTO Ah, sia
questo, signor, l'ultimo dono. [N. 19 Rondò] Adagio (la maggiore) / Allegro /
Più allegro Archi, flauto, 2 oboe, 2 fagotti, 2 corni. SESTO Deh, per questo
istante solo ti ricorda il primo amor. Che morir mi fa di duolo il tuo sdegno
il tuo rigor. Di pietade indegno è vero, sol spirar io deggio orror. Pur
saresti men severo, se vedessi questo cor. Continua nella pagina seguente. 28 /
38 www.librettidopera.it C. T. Mazzolà / W. A. Mozart, 1791 Atto secondo SESTO
Disperato vado a morte; ma il morir non mi spaventa. Il pensiero mi tormenta
che fui teco un traditor! (Tanto affanno soffre un core, né si more di dolor!)
(parte) Scena undicesima Tito solo. Recitativo, continuo TITO Ove s'intendesse
mai più contumace infedeltà? Deggio alla mia negletta disprezzata clemenza una
vendetta. Vendetta!... il cor di Tito tali sensi produce?... Eh viva... invano
parlan dunque le leggi? (siede) Sesto è reo; Sesto mora. (sottoscrive) Ma
dunque faccio sì gran forza al mio cor. Né almen sicuro sarò ch'altri
l'approvi? Ah, non si lasci il solito cammin... (lacera il foglio) Viva
l'amico! Benché infedele. E se accusarmi il mondo vuol pur di qualche errore,
m'accusi di pietà (getta il foglio lacerato) non di rigore. Scena dodicesima
Tito, Publio. TITO Publio! PUBLIO Cesare. TITO Andiamo al popolo, che attende.
PUBLIO E Sesto? TITO E Sesto, venga all'arena ancor. www.librettidopera.it 29 /
38 Atto secondo La clemenza di Tito PUBLIO Dunque il suo fato?... TITO Sì,
Publio, è già deciso. PUBLIO (Oh, sventurato!) [N. 20 Aria] Allegro (si
bemolle maggiore) / Andantino / Allegro Archi, 2 flauti, 2 oboe, 2 fagotti, 2
corni. TITO Se all'impero, amici dèi, necessario è un cor severo, o togliete a
me l'impero, o a me date un altro cor. Se la fé de' regni miei coll'amor non assicuro,
d'una fede non mi curo che sia frutto del timor. (parte, seguìto da Publio)
Scena tredicesima Vitellia, uscendo dalla porta opposta, richiama Publio, che
seguiva Tito. VITELLIA Publio, ascolta. PUBLIO (in atto di partire) Perdona;
deggio a cesare appresso andar... VITELLIA Dove? PUBLIO (come sopra) All'arena.
VITELLIA E Sesto? PUBLIO Anch'esso. VITELLIA Dunque morrà? PUBLIO (come sopra)
Pur troppo. VITELLIA (Ahimè!) Con Tito Sesto ha parlato? PUBLIO E lungamente.
VITELLIA E sai quel ch'ei dicesse? PUBLIO No. Solo con lui restar cesare volle:
escluso io fui. (parte) 30 / 38 www.librettidopera.it C. T. Mazzolà / W. A.
Mozart, 1791 Atto secondo Scena quattordicesima Vitellia, e poi Servilia e
Annio da diverse parti. VITELLIA Non giova lusingarsi; Sesto già mi scoperse: a
Publio istesso si conosce sul volto. Ei non fu mai con me sì ritenuto; ei
fugge; ei teme di restar meco. Ah! secondato avessi gl'impulsi del mio cor. Per
tempo a Tito dovea svelarmi e confessar l'errore. Sempre in bocca d'un reo, che
la detesta, scema d'orror la colpa. Or questo ancora tardi saria. Seppe il
delitto augusto, e non da me. Questa ragione istessa fa più grave... SERVILIA
Ah, Vitellia! ANNIO Ah, principessa! SERVILIA Il misero germano... ANNIO Il
caro amico... SERVILIA È condotto a morir. VITELLIA Ma che posso per lui?
SERVILIA Tutto, a' tuoi prieghi Tito lo donerà. ANNIO Non può negarlo alla
novella augusta. VITELLIA Annio, non sono augusta ancor. ANNIO Pria che
tramonti il sole Tito sarà tuo sposo. Or, me presente, per le pompe festive il
cenno ei diede. VITELLIA (Dunque Sesto ha taciuto! oh amore! oh fede!) Annio,
Servilia, andiam. (Ma dove corro così senza pensar?) Partite amici, vi seguirò.
www.librettidopera.it 31 / 38 Atto secondo La clemenza di Tito [N. 21 Aria]
Tempo di minuetto (re maggiore) Archi, flauto, oboe, fagotto, corno. SERVILIA
S'altro che lacrime per lui non tenti, tutto il tuo piangere non gioverà. A
questa inutile pietà che senti, oh quanto è simile la crudeltà. (parte) Scena
quindicesima Vitellia sola. [N. 22 Recitativo accompagnato] Allegro (re
maggiore) Archi. VITELLIA Ecco il punto, o Vitellia, d'esaminar la tua
costanza: avrai valor che basti a rimirar esangue il Sesto tuo fedel? Sesto,
che t'ama più della vita sua? Che per tua colpa divenne reo? Che t'ubbidì
crudele? Che ingiusta t'adorò? Che in faccia a morte sì gran fede ti serba, e
tu frattanto non ignota a te stessa, andrai tranquilla al talamo d'augusto? Ah,
mi vedrei sempre Sesto d'intorno; e l'aure, e i sassi temerei che loquaci mi
scoprissero a Tito. A' piedi suoi vadasi il tutto a palesar. Si scemi il
delitto di Sesto, se scusar non si può, col fallo mio. D'impero e d'imenei,
speranze, addio. 32 / 38 www.librettidopera.it C. T. Mazzolà / W. A. Mozart,
1791 Atto secondo [N. 23 Rondò] Larghetto (fa maggiore) / Allegro / Andante
maestoso Archi, flauto, 2 oboe, corno di bassetto, 2 fagotti, 2 corni, 2
trombe, timpani. VITELLIA Non più di fiori vaghe catene discenda Imene ad
intrecciar. Stretta fra barbare aspre ritorte veggo la morte ver me avanzar.
Infelice! qual orrore! Ah, di me che si dirà? Chi vedesse il mio dolore, pur
avria di me pietà. (parte) Scena sedicesima Luogo magnifico, che introduce a
vasto anfiteatro, da cui per diversi archi scopresi la parte interna. Si
vedranno già nell'arena i complici della congiura condannati alle fiere. Nel
tempo che si canta il coro, preceduto da' Littori, circondato da' Senatori, e
Patrizi romani, e seguìto da' Pretoriani, esce Tito, e dopo Annio e Servilia da
diverse parti. [N. 24 Coro] Andante maestoso (sol maggiore) Archi, 2 flauti,
2 oboe, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani. CORO Che del ciel, che degli dèi
tu il pensier, l'amor tu sei, grand'eroe, nel giro angusto si mostrò di questo
dì. Ma cagion di meraviglia non è già, felice augusto, che gli dèi chi lor
somiglia custodiscano così. www.librettidopera.it 33 / 38 Atto secondo La
clemenza di Tito Recitativo, continuo TITO Pria che principio a' lieti
spettacoli si dia, custodi, innanzi conducetemi il reo. (Più di perdono speme
ei non ha: quanto aspettato meno, più caro esser gli dée.) ANNIO Pietà,
signore! SERVILIA Signor, pietà! TITO Se a chiederla venite per Sesto, è tardi.
È il suo destin deciso. ANNIO E sì tranquillo in viso lo condanni a morir?
SERVILIA Di Tito il core come il dolce perdé costume antico? TITO Ei
s'appressa: tacete! SERVILIA Oh Sesto! ANNIO Oh amico! Scena diciassettesima
Tito, Publio e Sesto fra Littori, Annio e Servilia, poi Vitellia. TITO Sesto,
de' tuoi delitti tu sai la serie, e sai qual pena ti si dée. Roma sconvolta,
l'offesa maestà, le leggi offese, l'amicizia tradita, il mondo, il cielo
voglion la morte tua. De' tradimenti sai pur ch'io son l'unico oggetto; or
senti. VITELLIA (entrando frettolosa) Eccoti, eccelso augusto, (s'inginocchia)
eccoti al piè la più confusa... TITO Ah sorgi, che fai? che brami? VITELLIA Io
ti conduco innanzi l'autor dell'empia trama. TITO Ov'è? Chi mai preparò tante
insidie al viver mio? VITELLIA No 'l crederai. TITO Perché? 34 / 38
www.librettidopera.it C. T. Mazzolà / W. A. Mozart, 1791 Atto secondo VITELLIA
Perché son io. TITO Tu ancora! SESTO E SERVILIA Oh, stelle! ANNIO E PUBLIO Oh,
numi! TITO E quanti mai, quanti siete a tradirmi? VITELLIA Io la più rea son di
ciascuno; io meditai la trama; il più fedele amico io ti sedussi; io del suo
cieco amore a tuo danno abusai. TITO Ma del tuo sdegno chi fu cagion? VITELLIA
La tua bontà. Credei che questa fosse amor. La destra e 'l trono da te sperava
in dono, e poi negletta restai due volte, e procurai vendetta. [N. 25
Recitativo accompagnato] Allegro (re minore) Archi. TITO Ma che giorno è mai
questo! al punto stesso che assolvo un reo, ne scopro un altro! E quando
troverò, giusti numi! un'anima fedel? Congiuran gli astri, cred'io, per
obbligarmi a mio dispetto, a diventar crudel. No! non avranno questo trionfo. A
sostener la gara già m'impegnò la mia virtù. Vediamo se più costante sia
l'altrui perfidia o la clemenza mia. Olà! Sesto si sciolga: abbian di nuovo
Lentulo e suoi seguaci e vita, e libertà. Sia noto a Roma ch'io son lo stesso,
e ch'io tutto so, tutti assolvo e tutto oblio. www.librettidopera.it 35 / 38
Atto secondo La clemenza di Tito [N. 26 Sestetto con coro] Allegretto (do
maggiore) Archi, 2 flauti, 2 oboe, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe,
timpani. SESTO Tu, è ver, m'assolvi, augusto; ma non m'assolve il core, che
piangerà l'errore, finché memoria avrà. TITO Il vero pentimento, di cui tu sei
capace, val più d'una verace costante fedeltà. VITELLIA, SERVILIA E ANNIO Oh
generoso! oh grande! E chi mai giunse a tanto? Mi trae dagli occhi il pianto
l'eccelsa tua bontà. TUTTI E CORO (senza Tito) Eterni dèi, vegliate sui sacri
giorni suoi, a Roma in lui serbate la sua felicità. TITO Troncate, eterni dèi,
troncate i giorni miei, quel dì che il ben di Roma mia cura non sarà. C. T.
Mazzolà Mozart Interlocutori Atto Ouverture Scena Duetto Scena
Aria Scena Duettino Scena Marcia
Coro Aria Scen Duetto Scena Scena Aria Scena
Scena Aria Scena Terzetto Scena Recitativo accompagnato]. .16
[N. 12 Quintetto con coro Scena Scena Atto Scena Aria Scena Scena
Scena Terzetto Scena Coro Aria Scena sestaScena Aria Scena Scena Scena
Terzetto RondòScena Aria Scena Scena Aria Scena Recitativo accompagnato Rondò
Scena sedicesima Coro Scena Recitativo accompagnato Sestetto con coro Brani
significativi La clemenza di Tito BRANI SIGNIFICATIVI Deh,
conservate, oh dèi (Sesto e Annio) Non più di fiori (Vitellia) Parto; ma tu ben
mio (Sesto) 14Tito Vespasiano. Tito. Keywords: principe filosofo.
Grice e Toderini: la ragione conversazionale di Roma e l’implicatura
conversazionale dei sue colonie – filosofia veneta -- filosofia italiana – Grice
italo -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming Pool
Library, Villa Speranza (Venezia). Flosofo italiano. Venezia,
Veneto. Discende dai conti palatini Gagliardis dalla Volta. Letterato,
pubblica “Letteratura turchesca” (Venezia, Tosti), frutto della sua permanenza
a Costantinopoli, la prima trattazione occidentale di storia della letteratu
turca.Tra gl’altri scritti, in particolare di erudizione e di filosofia morale,
si ricordano la filosofia frankliniana delle punte preservatrici dal fulmine,
particolarmente applicata alle polveriere, alle navi, e a Santa Barbara in mare
e “L'onesto uomo; ovvero, saggi di morale filosofia dai principii della ragione”.
È ricordato in “I Dogi di Venezia nella vita pubblica e private” di Mosto, Giunti
Martello. La Dogaressa Pisana muore con gran dolore del Doge circa le hore
ventidue colta da una gagliarda convulsione al petto et abbattuta dalla lunga
penosa malattia sofferta. Per tutti i tre giorni di esposizione si conserva
così fresca e rubiconda nel volto che sembrava anziché morta assorta in un
dolce riposo. È solennemente tumulata ai S.S. Giovanni e Paolo nella tomba
comune dei Mocenigo. Il doge la segue dopo IX giorni di malattia in seguito a
un’infezione determinata da una risipola alla gamba sinistra. Ai solenni funerali
fatti alla sua statua ai S.S. Giovanni e Paolo venne commemorato da Berti ed a
quelli fattigli dalla scuola di S. Rocco, cui apparteneva, da T.. Cfr. Le sue
opere registrate dal «Sistema Bibliotecario Nazionale». Giambattista Toderini. Toderini.
Keywords: filosofia coloniale. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Toderini” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e Tocco: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale dei rendiconti della ragione conversazionale – filosofia
calabrese -- filosofia italiana – Grice italo -- Luigi Speranza, pel Gruppo di
Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Catanzaro). Filosofo italiano. Catanzaro, Calabria. Studia a Napoli
con SPAVENTA (si veda) e a Bologna, con FIORENTINO (si veda). Insegna a Roma,
Pisa e Firenze. Si pose nelle sue “Ricerche platoniche” (Catanzaro) il problema
della cronologia degli scritti platonici. Nella sua monografia su BRUNO (si
veda) nega che il filosofo di Nola potesse essere considerato un martire del
libero pensiero, quanto piuttosto l'interprete dei nuovi bisogni di
razionalizzazione delle teorie filosofiche, in linea con l'impulso delle
ricerche scientifiche in atto ai suoi tempi. Contribuisce alla pubblicazione dei
saggi di BRUNO, individuandone tre fasi di sviluppo: una fase neo-platonica,
una fase pan-teistica e una atomistica. Sostenitore
del neo-kantismo, rifiuta ogni
costruzione metafisica e privilegia le esigenze della ragione pratica. Altri
saggi: “L'eresia nel Medioevo” (Firenze); “BRUNO” (R. Istituto di Studi
Superiori Pratici e di Perfezionamento in Firenze); “Le fonti più recenti della
filosofia del BRUNO”, "Rendiconti della R. Accad. dei Lincei. Classe di
scienze morali, storiche e filologiche",
“Le opere inedite di BRUNO” (Accademia di scienze morali e politiche
della Società Reale, Napoli); Studi francescani (Napoli); Studi kantiani (Palermo).
Ferrari, I dati dell'esperienza. Il neo-kantismo nella filosofia italiana” (Firenze,
Olschki); Raio, Lezioni su Kant” (Napoli, Liguori); Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Enciclopedia Italiana,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Sistema Informativo Unificato per le
Soprintendenze Archivistiche. Dizionario di filosofia, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Felice Tocco. Tocco. Keywords: Bruno, ragione
pratica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Tocco” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Tolomei: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale nella filosofia della percezione – filosofia toscana -- filosofia
italiana – Grice italo -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice,
The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Pistoia). Filosofo
italiano. Pistoia, Toscana. Appartenente alla Compagnia di Gesù. Nato a
Villa Camberaia e di nobili origini. Studia a Firenze dove studia legge presso
l'Pisa. Entra a far parte dell'ordine dei gesuiti e venne ordinato a Roma. Divenne
esperto di ben undici lingue tra le quali latino, greco, ebraico, siriaco,
arabo, inglese, illirico e francese. Inizia la sua carriera teologica
esponendo le sacre scritture nelle letture pubbliche presso la chiesa del Gesù
a Roma. Venne eletto alla carica di procuratore generale dell'ordine dalla congregazione
generale, ufficio che tenne fino a quando cioè non ottenne la cattedra di filosofia
al collegio Romano. Le sue letture, che hanno sempre un vasto uditorio,
vennero poi date alla stampa con il titolo “Philosophia mentis et sensuum”
nella quale, pur nel pieno rispetto dell'aristotelismo del Lizeo, accolge gran
parte delle scoperte naturalistiche della sua epoca, esponendole nelle sue
lezioni. Le letture vennero ristampate in Germania dove ottenne l'encomio dell'Accademia
di Lipsia e di Leibniz. Ottenne la cattedra di teologia alla Pontificia
Università Gregoriana -- allora ancora Collegio Romano -- e rinnova le
tematiche relative alla controversia sul concetto di dogma già iniziate dal
cardinal Bellarmino. Le letture relative a queste lezioni furono tutte redatte
in un manoscritto di ben sei volumi in folio che tuttavia non vennero mai
pubblicati dall'autore. Eletto successivamente rettore del Collegio Romano e
del Collegio Germanico, ricopre la carica di consultore presso la Congregazione
dei Riti. Venne con sua sorpresa nominato cardinale da Clemente XI ed
ottenne il titolo di S. Stefano al Monte Celio. Chiamato al servizio del
Pontefice per giudicare gl’errori in materia di dogmatica si occupa della
pronuncia di condanna dell'eresia del teologo francese, esponente del
giansenismo Quesnel. In qualità di cardinale è uno degli elettori del
conclave di nomina di Innocenzo XIII e di Benedetto XIII. Treccani Enciclopedie
on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. T. su Find a Grave. Opere di Catholic
Encyclopedia, Appleton. Cheney, Archivio storico della Pontificia Università
Gregoriana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Giovanni Battista Tolomèi, Tolomei.
Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Tolomei” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Tolomeo: la
ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale contro la gnossi -- Roma
– filosofia italiana – Grice italo -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H.
P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Roma). Filosofo italiano. According to
Ippolito di Roma, a gnostic, and a follower of Valentino. Keywords: Ippolito,
gnosticismo.
Grice e Tomatis: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale del paradosso del filosofo – filosofia piemontese -- filosofia
italiana – Grice italo-- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice,
The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Carrù). Filosofo
italiano. Carru, Cuneo, Piemonte. Insegna filosofia a Salerno. Studia a Torino,
Heidelberg, Perugia e Macerata. Si laurea in filosofia a Torino con VATTIMO e PAREYSON,
dottore di ricerca a Perugia, seguito da Ferretti e Riconda, di cui è stato
assistente a Torino. Borsista del centro studi filosofico-religiosi Pareyson ricercatore
della Alexander von Humboldt-Stiftung all'Freiburg im Breisgau, professore allo
studio teologico interdiocesano di Fossano e professore ospite in alcune università
europee e americane -- Madrid, Córdoba, Mendoza. Membro dei comitati
scientifici del Centro studi filosofico-religiosi Pareyson di Torino, della
Fondazione centro studi NOCE (si veda) di Savigliano, dell'Accademia estetica
internazionale di Rapallo, dell'Istituto Tilliette, della Internationale Schelling-Gesellschaft.
Fonda a Cuneo il seminario angelus novus. Fonda la rivista “Paradosso”. Scrive
sulle pagine culturali di “Avvenire”. Cura una rubrica sul mensile delle
vallate occitane d'Italia “Ousitanio Vivo”, di cui è collaboratore, e collabora
a “La Rivista del Club alpino italiano”. Garante scientifico internazionale
dell'associazione Mountain Wilderness International. Istruttore di kung fu
classico cinese, frequentando la scuola Kung Fu Chang, allievo diretto dei
maestri Cuturello e Fassi. Dedicato le sue ricerche a Schelling,
Nietzsche, Heidegger, PAREYSON, EINAUDI, Lao Tzu e Yang Chengfu approfondendo
in particolare il problema ontologico della libertà e del male, del tempo e
dell'escatologia, dei principi e del non-sapere. Elabora una filosofia
esperienziale, sperimentata soprattutto in montagna, che intende l'esistenza
come esperienza personale della verticalità del limite, e una filosofia
ermeneutica del dialogo inter-culturale, particolarmente attenta alla teologia
cristiana trinitaria e al pensiero taoista cinese. Saggi: “Kenosis del
logos: ragione e rivelazione” (Città Nuova, Roma); “Ontologia del male” (Città
Nuova, Roma); “L'argomento ontologico. L'esistenza di Dio da AOSTA (si veda) a
Schelling” (Roma, Città Nuova), pareysoniana,
Trauben, Torino, Pareyson. Vita, filosofia, Morcelliana, Brescia, Escatologia della negazione (Roma, Città Nuova);
Schelling. Invito alla lettura, San Paolo, Cinisello Balsamo, Filosofia della
montagna, Prefazione di Torno, Postfazione di Messner, Milano, Bompiani, Come
leggere Nietzsche, Bompiani, Milano, Dialogo dei principi con Gesù Socrate Lao
Tzu (Bompiani, Milano); Libertà di sapere. Università e dialogo interculturale,
Bompiani, Milano, Verso la città divina. L'incantesimo della libertà in EINAUDI
(si veda) (Città Nuova, Roma); Corpo e preghiera. La Via del T'ai Chi Ch'üan,
Roma, Città Nuova); La via della montagna, Bompiani, Milano, Curatele:
Pareyson, Essere, libertà, ambiguità, Mursia, Milano, Riconda, Tilliette, Del
male e del bene, Città Nuova Editrice, Roma, Forte, Vitiello, La vita e il suo
oltre. Dialogo sulla morte, Città Nuova Editrice, Roma, Pareyson, Iniziativa e
libertà, Mursia, Milano, Baudino, White-out, Museo Nazionale della Montagna, Torino,
Nietzsche: su verità e menzogna, Bompiani, Milano, Schelling, Sui principi sommi. Filosofia della
rivelazione Bompiani, Milano, Pareyson, Prospettive di filosofia moderna e
contemporanea, Mursia, Milano, Recensioni: Kenosis del logos. Ragione e
rivelazione nell'ultimo Schelling, Pref. di Tilliette, Città Nuova, Roma -- recensito
da: Forte («Avvenire», Bozzo («Il Sole-24 Ore», Giordano («La Guida»,Bogo («la
masca», Pirola («La Civiltà Cattolica»); Agostini («La Stampa. Tuttolibri», Viganò
(«Informazione filosofica», Sotgiu
(«Diorama letterario», Forte («Asprenas», Tilliette («Gregorianum»,
Guglielminetti («Filosofia e teologia», Ontologia del male. L'ermeneutica di
Pareyson, Pres. Di Coda, Città Nuova, Roma), recensito da Bozzo («Il Sole-24
Ore», G. Ricci («Avvenire», Ribero («AdOvest», Sotgiu («Diorama letterario», Micelli
(«Informazione filosofica», Russo («Acta philosophica», Garelli («La Guida»,].
L'argomento ontologico. L'esistenza di Dio d’AOSTA a Schelling, Città Nuova,
Roma, recensito da: Schoepflin («Avvenire», Bo («Con-tratto», Pepino («la
Bisalta», pareysoniana, Trauben, Torino, recensito da: Garelli («La Guida», Russo («Acta
philosophica», Ciglia («Il Pensiero», Escatologia della negazione, Città Nuova,
Roma, recensito da Garelli («La Guida», F. Pepino («la Bisalta»), Schoepflin
(«Avvenire Folin («Tuttolibri»,), Nino («Dialegesthai», mondodomani. dialegesthai/)]. Pareyson. Vita,
filosofia, Morcelliana, Brescia [recensito da: Aschero («La Guida», Schoepflin («Il Giornale», Orengo («La Stampa.
Tuttolibri», Schoepflin («Avvenire», Pepino («Cuneo Provincia Granda», Russo («Acta
philosophica», O argumento ontológico. A existência de Deus de Anselmo a
Schelling, tr. port. bras. di Schirato, Paulus, Sâo Paulo Brasil, Filosofia
della montagna, Bompiani, Milano, recensito da Reale («Corriere della sera», Billò
(«Unione Monregalese», Mathieu («Il Giornale», Vasta («La Sicilia», Curi
(«Messaggero Veneto», Caveri («Peuple Valdotain»,A. Zaccuri («Letture»), Anghilante («Ousitanio Vivo», Lingua («Cuneo
Provincia Granda», Brunod («PMNet», oin pmnet), M. Schoepflin («Il Foglio» A.
Rosa («TorinoSette», A. Parodi («La Stampa), G. Pulina («Girodivite», Rigobello
(«L'Osservatore romano», ]. Come leggere Nietzsche, Bompiani, Milano, recensito
da: Schoepflin («Jesus»), Vecchio (“Diorama letterario”), Pulina («Recensioni
filosofiche»). Dialogo dei principi con Gesù Socrate Lao Tzu, Bompiani,
Milano, recensito da Iacona («Secolo d'Italia»), Billò («L'Unione monregalese»),
Aschero («La Guida»), Schoepflin («Giornale di Brescia»), Schoepflin
(«Avvenire», Monaco («Filosofia e teologia», Libertà di sapere. Università e
dialogo interculturale, Pref. di Reale, Bompiani, Milano recensito da Giorello («Corriere della Sera.
Magazine», Castagna («Avvenire», Iacona
(«Il Borghese», ), Torno («Corriere della Sera», *)]. Verso la città
divina. L'incantesimo della libertà in Einaudi, Città Nuova, Roma, recensito da
Chittolina («La Guida», Schoepflin] («Il Giornale di Brescia», Tarantino
(«Secolo d'Italia»); Iacona («Il Giornale d'Italia», Monaco («L'occhio», Chittolina («La Voce del
Popolo», Ranucci («Conquiste del lavoro»,
«Jesus»); Bondi («Panorama», Nuoscio («Europa», Anghilante («Ousitanio
vivo»); Festa, («»,,// ); Bartoli («Dialegesthai», 10.7.,//mondodo mani.org/dialegesthai/;
D. Monaco («Filosofia e teologia»,, 1, ];Lubrano
(«Il Nostro Tempo». Centro studi filosofico-religiosi Luigi Pareyson; Studio
teologico interdiocesano di Fossano
Accademia estetica internazionale di Rapallo Istituto Tilliette Ousitanio Vivo Il Giornale La Rivista del Club alpino italiano professore.
curriculum, pubblicazioni, biografia intellettuale. Pagina docente nel sito
dell'Università degli Studi di Salerno. Francesco Tomatis. Tomatis. Keywords: paradosso. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Tomatis” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Tomitano: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale dei precetti della conversazione civile – filosofia veneta -- filosofia
italiana – Grice italo -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Padova).
Filosofo italiano. Padova, Veneto. Fondatore di accademie letterarie, autore di
commenti alle opere d’Aristotele – lizio -- e autore di scritti di logica,
alcuni dei quali ancora inediti. Da una famiglia originaria di Feltre, frequenta
il corso di filosofia a Padova dove si laurea. Deputato dal senato veneto a
leggere l'Organon di Aristotele alla scuola di logica di Padova. Nel periodo in
cui rimane a Padova stringe amicizia, fra gli altri, con SPERONI, BEMPO,
SADOLETO, GIOVIO, NAVAGERO, FRACASTORO, e MANUZIO. Fa parte degl’infiammati, il
cui proposito è scrivere compiutamente in dialetto veneziano. Le discussioni
degl’infiammati sono alla base dei quattro libri della lingua toscana. Scrive
anche due brevi dissertazioni matematiche: il Moisè-Geometria, la dimostrazione
del teorema due rette possono avvicinarsi all'infinito senza mai unirsi,
intuito dal profeta ebreo per grazia divina, e “Introductio cosmographiae”, lezioni
di geometria a fondamento della cosmografia tolemaica. Accusato dal S. Uffizio
di eresia per la sua esposizione LETTERALE a parafrasi implicaturale al vangelo
secondo Matteo. Dimostra che quella parafrasi non è sua, ma edita a sua
insaputa da un nobile signore N., con cui è assai famigliare. Creduto e
assolto, ma da allora in poi i suoi saggi divennero alquanto conformisti.
Lascia Padova e si trasfere a Venezia. I saggi più importanti del periodo
veneziano, a parte la biografia di Baglioni, sono il “De morbo gallico” e il
carme encomiastico “Thetis” in onore di Enrico III. Altre saggi: “Introductio
ad sophisticos elenchos Aristotelis. Eiusdem brevis methodus diluendorum
paralogismorum per divisionem, praeter illa quae Aristoteles habuit in
Elenchis. Quam methodum B. Tomitanus ex dialogis Platonis et ex Aristotele
nuper invenit, adiecta sunt Famigerata veterum Sophismatum exernpla, ad
exercitationem adolescentium” (Venezia); “Ragionamenti della lingua toscana,
dove si parla del perfetto oratore e poeta volgari, dell'eccellente flosofo Tomitano,
divisi in tre libri. Nel primo libro si pruova la FILOSOFIA esser necessaria
allo acquistamento della retorica e della poetica. Nel secondo libro si ragiona
dei precetti dell'oratore. Nel terzo libro si ragiona delle leggi appartenenti
al poeta, e al bene parlare” (Venezia, Farri); Quattro libri della lingua
toscana, dove si prova la filosofia esser necessaria al perfetto oratore e poeta
con due libri nuouamente aggionti, de I PRECETTI RICHIESTI AL CONVERSARE con
eloquenza” (Padova, Pasquati); “Sonetti e Canzoni, in Rime diverse di molti
eccellentiss. autori nuovamente raccolte. Libro primo, con nuova additione
ristampato” (Venezia, Ferrarii); “Esposizione letterale del testo di Mattheo
Evangelista” (Venezia); “Sopra le Pistole di S. Paolo” (Venezia); “Moisè”; “Geometria
(Mantova); Introductio Cosmographiea (Venezia); Prediche del reverendissimo
monsignor Cornelio Musso, vescovo di Bitonto, fatte in diversi tempi, et in diversi
luoghi. Nelle quali si contengono molti santi evangelici precetti, non meno
utili, che necessarij alla interior fabrica dell'huomo cristiano. Con la tavola
delle cose più notabili in esse contenute” (Venezia, Giolito de Ferrari); “Oratione
recitata per nome de lo studio de le arti padovano ne la creatione del serenissimo
Principe di Vinetia M. Marcantonio Trivisano, Venezia, Clonicus, sive de Reginaldi
Poli laudibus, Venezia Consiglio sopra la peste di Vinetia. Al Magnifico M.
Francesco Longo del Clarissimo M. Antonio” (Padova); Corydon, sive de Venetorum
laudibus, et Carmen ad Laurentium Priolum Venetorum Principem” (Venezia, Breznicio);
“Animadversiones aliquot in primum librum Posteriorum Resolutoriorum.
Contradictionum solutiones in Aristotelis et Averrois dicta, in primum librum
Posteriorum Resolutoriorum. In novero Averrois Quaesita demonstrativa
Argumenta, Venezia, Consiglio de l'eccell. m. Bernardino Tomitano sopra la
peste di Vinetia, Padova, appresso Gratioso Perchacino, De morbo gallico, inVenezia,
Vita e fatti di Astorre Baglioni; “Quattro libri della lingua thoscana, ove si
prova la philosophia esser necessaria al perfetto oratore et poeta con due
libri nuovamenti aggionti dei precetti richiesti a lo scrivere et parlar con
eloquenza” (Padova); “Thetis”; “In adventu Regis Henrici III Galliae
Christianissimi et IV Poloniae Serenissimi ad felicissimam Venetiarum urbem,
Venezia, Ziletti). Aristotelis opera omnia cum commentariis Averrois.
Animadversiones et solutiones Et alia plura” (Venezia, Iuntas). I primi due
libri sono tesi a dimostrare che la filosofia è necessaria all'oratore e al
poeta. Il terzo libro ha per argomento i precetti della retorica necessari alla
scrittura e all'oratoria. L'ultimo libro è dedicato alla prosa d'arte
("locutione oratoria, et de' suoi ornamenti, con la ragion de i motti,
facetie et apologi"). Poppi. Ricerche sulla teologia e la scienza nella
scuola padovana” (Soveria Mannelli, Rubbettino); “Ricerche sulla teologia e la
scienza nella scuola padovana” Poppi; “Oratione prima alli Signori de la S.
Inquisitione di Venetia” (Padova); e Oratione seconda alli signori medesimi,
Venezia). Quest'opera è nominata solo da Doni nella sua Prima Libraria, un
repertorio dei libri italiani stampati. L'opera del T., pertanto, deve essere
stata scritta. È una biografia in VIII libri su Baglioni, il capitano ucciso
con Marcantonio Bragadin a Famagosta. La filosofia rimase ignota ai
contemporanei del T. ed è in gran parte ancora adesso inedita. Ne sono stati
stampati solo alcuni brani. Storia della letteratura italiana di Tiraboschi,
della compagnia di Gesù, bibliotecario del serenissimo duca di Modena, Firenze,
Molini e Landi, Dizionario critico della letteratura italiana, Torino, POMBA, su
sapere, De Agostini. Opere Aulo Greco, Enciclopedia dantesca, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Bernardino Tomitano. Tomitano. Keywords: i precetti
della conversazione civile. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Tomitano” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e Toritto: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale contro il lizio – filosofia
campagnese -- filosofia italiana – Grice italico -- Luigi Speranza, pel Gruppo
di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Napoli). Filosofo italiano. Napoli, Campania. Grice: “I like Caravita; Locke –
England’s, and Oxford’s, greatest philosopher, had his sponsor, and so does
Italy’s – not Bologna’s – Vico, and he was Caravita!”. Appartenente a una
famiglia nobile resa illustre in passato da insigni giureconsulti. Fiscale consigliere
della reale Giurisdizione. Insegna a Napoli. Compone il saggio: “Nullum ius
romani pontificis in regnum neapolitanum” contro le pretese feudali dal papa
sul regno di Napoli – “Niun diritto compete al sommo pontefice sul regno di
Napoli: dissertazione istorico-legale illustrate con varie note” (Aletopoli,
Napoli), messa all'Indice. Ha inoltre l'incarico di raccogliere tutte le leggi
del regno in un codice Filippino. Il Codice Filippino, e tuttavia rimasto
incompiuto per l'occupazione austriaca di Napoli. In filosofia e seguace
dell'anti-aristotelismo di CAPUA (si veda). La sua abitazione divenne il centro
della diffusione della filosofia di Cartesio a Napoli. Titolo di merito di
Caravita, come peraltro del figlio Domenico, è l'essere stato amico e
protettore di VICO (si veda), a favore del quale si adopera per fargli ottenere
la cattedra di retorica e perché e accolto nell'Accademia palatina. Altri saggi: “Ragioni a pro della fedelissima
città e Regno di Napoli contr'al procedimento straordinario nelle cause del
Sant'Officio, divisate in tre capi. Nel I si ragiona del grave pregiudicio
della real giuridizione. Nel II si tratta dell'ordinaria maniera di giudicio,
che tener si dee nel regno, e nel III si dimostra il pregiudicio, che fa alla
real giuridizione, ed al regno un editto in cui si stabilisce il tribunal della
'nquisizione. Napoli. Dizionario biografico degli italiani. Ma l’ anti-marinismo
ha anche, secondo la moda del tempo, il suo salotto nel palazzo Torittom nel
quartiere dei Vergini. Quivi, più che nell’accademia. Armellini, Bibliotheca benedictino-casinensis.
Stefano, Raccolti da don Nicolò Caravita. Napoli, Roselli,
ed. Caravita was an Arcadian. Tiberius by Filippo Anastasio, Caligula, and
Claudius by Paolo DORIA. The second volume continues the biographical model
with essays dedicated to individual emperors. Nicolò Caravita. Niccola
Caravita Nicola Caravita. Nicola Caravita dei duchi di Toritto. Caravita-Toritto.
Toritto. Keywords. impiegatura da salotto, diritto, anti-popism – il laico --,
anti-aristotele, contro Aristotele, concetto assolutista di sovereignty contro
Aquino, quartiere dei Vergini – Capua. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Caravita” – The Swimming-Pool Library. Toritto.
Grice e Torlonia: la ragione conversazionale, e l’implicatura
conversazionale del natale di Roma – filosofia italiana – Grice italo -- Luigi
Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa
Speranza (Roma), Filosofo italiano. Roma. Figlio del
duca Marino, appartene a una delle più facoltose famiglie nobiliari romane. Il
padre, duca di Poli e di Guadagnolo, e titolare del feudo di Bracciano e vive a
Roma nel palazzo Torlonia, in via Bocca di Leone. Sposa la figlia di Bartolomeo
Ruspoli e nipote del III principe di Cerveteri Francesco. Dal loro matrimonio
nacque Clemente. Nannarelli, amico intimo e su biografo così lo descrive. I
capelli castani, abbondanti e finissimi, il pallore e la gracilità del volto.
Ma se la fronte è di filosofo, l'occhio e d'artista, o meglio, di
contemplatore. Svelto nella persona, di eccellente statura, incede frettoloso a
testa alta e pensierosa. Si esprime con eleganza in francese e tedesco. Spirito
avido di conoscenze, e attratto dalla chimica e dalla botanica. Nelle sue
passeggiate nella campagna romana raccoglie e cataloga piante e fiori.
Appassionato di archeologia, colleziona monete di epoca romana e trascrive
antiche iscrizioni. Socio della Pontificia accademia di archeologia, pronuncia
un discorso in occasione del natale di Roma. Religioso fervente, è introdotto
da Passaglia allo studio della patrologia e delle sacre scritture. La famiglia
lo tollera, ma lo considera visionario e innovatore pericoloso. Da Platone e da
Plotino, approde a Kant e Fichte. Gli torna in contemplazione entusiastica, gli
si face poesia. E in contatto con un gruppo di filosofi, suoi coetanei, oggi
identificati come i filosofi della scuola romana che di sera si ritrovano al Caffè
Nuovo, a Piazza S. Lorenzo in Lucina. Novello mecenate, ha raccolto intorno a
sé questo gruppo di filosofi spinti dal comune ideale di ricondurre la
filosofia agl’antichi splendori di Roma. Tra questi, ci sono GNOLI, CIAMPI,
MACCARI, e NANNARELLI. Vuole riuniti idealisti e classicisti, nella fiducia
che, temperata la nebulosità metafisica degl’uni e la gretta sensibilità degl’altri,
e prendendo il meglio d'ambedue le scuole, puo scaturire a grado a grado una
filosofia italiana, profonda e intima d'idea e di sentimento, nitida, elegante
di forma. Scrive sulla filosofia dell’amore platonico, sui fiori, sulla
contemplazione del divino. Ama Schiller, Goethe, Lenau, e LEOPARDI (si veda).
Declama Aligheri (si veda) e Tasso (si veda). Il suo saggio meritata le lodi di
Gregorovius. Suoi saggi apparvero nella raccolta “I fiori della campagna romana,”
stampata a Firenze e nella “Strenna romana. Costa, Trebbiatura nella campagna
Romana, A Monte Mario, nei casali Mellini, sotto l'osservatorio astronomico,
apre a sue spese una scuola rurale elementare. Straordinario precursore della
alfabetizzazione delle classi povere, cre una associazione promotrice delle
scuole di campagna. A questa scuola rurale dedica un elogio in latino. Nannarelli
accorse al suo capezzale. Lo ude recitare il Salmo 41 e versi di Lenau; e
Platone, e Fichte. Raccomanda alla moglie di mandare il figlio Clemente al collegio
di marina di Genova. Nannarelli tenta di raccogliere intorno a sé i poeti e
filosofi della scuola romana che furono decimati nel numero, per le morti
precocima si trasfere a Milano. Secondo le ferree disposizioni ricevute da T.,
il suo cameriere distrugge tutte le carte dell'archivio personale. GNOLI
conserva i manoscritti di tre saggi di T., inedite. Negro, Seconda Roma,
Vicenza, Pozza, Gnoli, op. cit. Gregorovius, Passeggiate per l’Italia. Gnoli, “I
poeti e filosofi della scuola romana” (Bari, Laterza); Nannarelli, “T.” (Firenze,
Le Monnier); Cugnoni, Vita di T.” (Velletri,
Cella); Ulivi, “I poeti e filosofi della scuola somana” (Bologna, Cappelli). Giovanni
Torlonia. Torlonia. Keywords: il natale di Roma, la filosofia dell’amore di
Platone in Fichte e Leopardi. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Torlonia” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e Torquato: la
ragione conversazionale dell’orto a Roma e l’implicatura conversazionale –
filosofia italiana – Grice italo-- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P.
Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Roma).
Filosofo italiano. L’Orto. Chosen
by CICERONE to represent L’Orto in “De finibus”. Whether fairly or not, his
understanding of the ‘Orto’ is portrayed as somewhat crude and superficial. He
was killed during the civil war. Lucio Manlio Torquato. Keywords: Roma antica,
orto, De finibus. Per H. P. Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool Library,
Villa Speranza.
Grice e Torre: la
ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della stravaganza – filosofia
romagnese -- filosofia italiana – Grice italo -- Luigi Speranza, pel Gruppo di
Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Forlì). Filosofo
italiano. Forli, Forli-Cesena, Emilia-Romagna. Grice: “I like Torre; his
epitaph reads, ‘nuovo Aristotele,’ which is what it was! – “Ackrill’s just
reads, ‘Aristotelian’!” There is a nice ‘via’ in Forlì after him that leads to
the varsity! He was a Galen, and philosophised on both the soul and the body!” La sua fama se deve al
commentario alla “Ars parva” di Galeno -- è noto, in particolare, per i suoi
studi di embriologia. Infatti, dopo il recupero di Aristotele, del Lizio, le
cui opere avevano spinto verso un rinnovato interesse per l'osservazione
diretta, si è avviato un dibattito tra i sostenitori dell'autorevolezza degli
studi antichi e i fautori dell'empiria. Questo processo si conclude proprio con
T., che cerca di conciliare l'embriologia aristotelica con la fisiologia
galenica. Mostra che le differenze esistenti sono di scarsa rilevanza nei
confronti della medicina pratica. Insegna a Padova. Saggi: “Explicit questio de
intensione et remissione formarum secundum famosissimum artium et medicine
doctorem magistrum Jacobum de Forlivio qui pridie ab hac vita ad superiora
migravit. Scripta vero per me fratrem Bellinum de Padua.” Si tratta della
conclusione del celebre “De intensione et remissione formarum”. Saggi: “De
intensione et remissione formarum”; “Expositio in Avicennae aureum capitulum de
generatione embryi ac de extensione graduum formatione foetus in utero in
Aphorismos Hippocratis Expositio Physica;” “Quaestiones extra-vagantes Super, Tegni
Galeni. Vescovini, Medicina e filosofia a Padova, Arti e filosofia. Studi sulla
tradizione aristotelica del lizio e i "moderni", Vallecchi, Firenze. Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Super aphorismos Iacobi Foroliuiensis in
Hippocratis Aphorismos et Galeni. Jacopo da Forlì. Giacomo da Forlì. Iacobus
Foroliviensis. Jacopo della Torre. Giacomo della Torre. Torre. Keywords:
stravaganza, lizio. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Torre” – The Swimming-Pool
Library.
Grice e Trabucco: all’isola -- la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale della filosofia della salute – filosofia siciliana -- filosofia
italiana – Grice italo -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice,
The Swimming-Pool Lirary, Villa Speranza (Caltagirone).
Filosofo italiano. Caltagirone, Catania, Sicilia. Non abbiamo grandi notizie della sua vita,
della quale sappiamo solo che esercita con successo la medicina a Caltagirone,
soprattutto durante l'epidemia. Per il suo contributo è creato nobile da
Fernando d'Aragona. Alcune suoi saggi sono conservate nella biblioteca comunale
di Caltagirone, città che gli ha anche dedicato una strada. Saggi: “De Morbis puerorum et mulierum.” Chaudon, Dictionnaire universel, historique, critique,
et bibliographique, v. Amico e Statella, V. M., Dizionario topografico della Sicilia,
Palermo. Libro d'oro della nobilità dell'imperial casa amoriense, Roma, s.v. Amati, Dizionario corografico dell'Italia.
Trabucco. Keywords: salute, filosofia della salute. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Trabucco” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Tragella: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazional dei caduti – filosofia lombarda -- filosofia italiana – Grice
italo -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool
Library, Villa Speranza (Trezzano sul Naviglio).
Filosofo italiano. Trezzano, Milano, Lombardia. Studia a Gorla Minore, Milano,
e Torino. Si occupa di serbare la memoria della battaglia di Magenta con la
costruzione di una cappella espiatoria all'interno della chiesa per accogliere
le spoglie dei caduti. Ricovero vecchi poveri Sito Lombardia Beni
Culturali. Viviani, cfr. Tunesi, Morani
Le stagioni, op. cit.. T., Lettera a Murri in: Murri, L. Bedeschi, Carteggio.
II. Lettere a Murri. Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, Le stagioni di un
prete, Le stagioni di un prete, «Rivista di storia e letteratura religiosa», Viviani,
Dalle ricerche la prima storia vera, Magenta, Zeisciu. Cesare Tragella. Tragella.
Keywords: per i caduti. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Tragella” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e Trapaninapola: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionle
– filosofia italiana – Grice italo -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H.
P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Roma).
Filosofo italiano. Trapaninapola. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Trapaninapola” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Trapè: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale dell’umanità di Varrone -- -- filosofia marchese -- filosofia
italiana – Grice italo -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice,
The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Montegiorgio).
Flosofo italiano. Montegiorgio, Fermo, Marche. Uno dei massimi studiosi della filosofia
semiotica d’Agostino. Si laurea a Roma con una “Il concorso divino in
Colonna” (Tolentino). Insegna a Roma. Promosse la fondazione dell'Istituto patristico
augustinianum. Fonda la "Biblioteca agostiniana" che si occupa
della volgarizzazione di Agostino (Città Nuova) e il "Corpus scriptorum augustianorum",
che pubblica le opere dei filosofi scolastici agostiniani. Altri saggi: “Introduzione
ad Agostino e le grandi correnti della filosofia contemporanea”, Atti del
congresso Italiano di filosofia agostiniana, Roma, Tolentino; Varro et
Augustinus praecipui humanitatis cultores, Latinitas Augustinus et Varro, Atti
del Congresso di studi varroniani, Rieti) – VARRONE --; “Escatologia e anti-platonismo”
Augustinianum, “Agostino, filosofo e teologo dell'uomo”; Bollettino
dell’Istituto di filosofia (Macerata); Agostino: L'ineffabilità di Dio, in «La ricerca di Dio nelle religioni (EMI,
Bologna); “La Aeterni Patris e la filosofia”, Atti del Congresso Tomistico, Roma;
Agostino, l'uomo, il pastore, il mistico” (Roma, Città Nuova); Patrologia,
Casale Monferrato, Dizionario patristico e di antichità cristiana, Casale
Monferrato, Introduzione e commento alla lettera apostolica «Hipponensem
episcopum», Roma, Introduzione ad Agostino, Roma, L'amico, il maestro, il pioniere, Cremona,
apostolo della cultura. Agostino Trapè. Trapè. Keywords: la semiotica
d’Agostino, Varrone, humanitas. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Trapè” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e Trasea: la ragione conversazionale della morale romana e
l’implicatura conversazionale del diritto romano -- Roma antica – filosofia
italiana – Grice italico -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice,
The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Padova). Filosofo
italiano. Padova, Veneto. Nato da una famiglia illustre e agiata. Mantenne
stretti legami con Padova, come dimostra la partecipazione ai festeggiamenti in
onore del fondatore, Antenore. Nulla è degli inizi della carriera politica
tranne contrasse matrimonio colla figlia di CECINA PETO, console suffetto. Il suocero
è implicato nella rivolta di Lucio Arrunzio Camillo Scriboniano che mira ad
eliminare Claudio e a RESTAURARE LA REPUBBLICA e pertanto e costretto al
suicidio. Lo segue, sebbene T. avesse cercato di impedirlo, anche la
moglie. Probabilmente, dopo la morte del suocero, T. aggiunse il suo nome
al proprio, prassi inconsueta per un genero, che può essere letta come un segno
di opposizione al principato. Non abbiamo informazioni sulla cronologia
della progressione di Trasea tra i ranghi più bassi del cursus honorum ed è
possibile, ma non è affatto certo, che la sua carriera politica fosse ad un
punto morto. A seguito della morte di Claudio e l'ascesa di NERONE,
l'influenza del precettore del nuovo principe, il filosofo Seneca, del Portico,
gli permise T. a di divenire console suffetto acquistando nel frattempo
l'importante amicizia del genero ELVIDIO PRISCO. Dopo il consolato, T. ottenne
il prestigioso incarico di quindecim-vir sacris faciundis. Tale ascesa e,
forse, aiutata dall'attività svolta presso le corti di giustizia né è da
escludere una sua nomina come governatore provinciale in accordo alla
testimonianza di PERSIO, amico e parente di T., il quale scrive di aver
viaggiato con lui. Sostenne in senato la causa di concussione avanzata dai
cilici contro il loro ex-governatore, COSSUZIANO CAPITONE, vicino al principe,
che e condannato probabilmente proprio per l'influenza e la capacità oratoria
mostrata da T.Si oppose ad una mozione con cui i siracusani chiedevano di
superare il numero legale di gladiatori per i loro giochi censurando di fatto
l'irrilevanza cui e giunto il senato. Quando, poi, NERONE invia al senato
una lettera – scritta da Seneca -- in cui giustifica l'appena compiuto omicidio
della madre, T. e il solo ad uscire dall'aula affermando di non poter dire ciò
che voleva e che non avrebbe detto quel che poteva, mentre molti dei suoi
colleghi si congratulavano bassamente con Nerone. Il pretore ANTISTIO SOSIANO, che
scrive poesie diffamatorie su Nerone, a accusato da Cossuziano Capitone,
recentemente riabilitato in Senato su impulso del suocero di questi, TIGELLINO,
di maiestatis. T. dissente dalla proposta di imporre la pena di morte sostenne
la più lieve sanzione dell'esilio, conforme per il reato. La proposta è approvata
con larga maggioranza nonostante il parere contrario di Nerone consultato prima
della votazione ed il principe e costretto ad aderirvi per far mostra di
clemenza. Al processo contro il pro-console di Creta, CLAUDIO TIMARCO, accusato
dai provinciali di continui abusi, avendoli costretti a compiere frequenti voti
di ringraziamento, T. censura il comportamento del pro-console. Fa approvare a
maggioranza un senatoconsulto che però dove aspettare il placet del principe. E
dispensato dal principe dal portargli i ringraziamenti, insieme alla
delegazione del senato, per la nascita di una figlia. Tale gesto e,
probabilmente, il preludio della fine anche perché TIGELLINO, tra i più
influenti cortigiani di Nerone e ostile a T. essendo il suocero di Cossuziano
Capitone, fatto condannare da T. stesso. Tuttavia, è noto che Nerone dice a
Seneca di essersi riconciliato con T. e che Seneca si fosse congratulato perché
recupera un'amicizia piuttosto che averlo costretto a chiedere clemenza. Dopo
tale vicenda, T. si ritira dalla vita politica. Non sappiamo esattamente quando
è presa la decisione ma TACITO fa dire a Capitone, in occasione del processo,
che T. ha da oltre III anni disertato tutte le sedute del senato ma, occorre
ricordare che la fonte è polemica e quindi poco affidabile. Non è noto neppure
quale sia stato il catalizzatore di una tale decisione che contrasta
apertamente con la sua vita precedente. Forse è la sua ultima forma di protesta
al principe. In questo lasso di tempo, T. continua a curare gl’interessi
dei suoi clienti e probabilmente compose anche la sua “Vita di CATONE [si
veda]”, in cui loda il sostenitore della libertà senatoriale contro GIULIO
CESARE (si veda) con il quale condivide la filosofia del portico. Tale opera,
oggi perduta, e una fonte importante per la biografia di Plutarco. Nerone, dopo
aver violentemente represso la congiura dei Pisoni, decide di sbarazzarsi di
chiunque sospettava ostile, e tra questi anche T. e Barea Sorano che da tempo
detesta. Spinto da Cossuziano Capitone, decide di agire durante la visita del
re Tiridate I di Armenia a Roma, come scrive sarcasticamente Tacito "quasi
fosse atto da re", affinché passassero inosservate le vicende di due così
illustri cittadini. L'accusa contro T. e assunta da Cossuziano Capitone e
Marcello Eprio, mentre Ostorio Sabino si occupa di Barea Sorano. Dapprima
Nerone esclude T. dal ricevimento in onore di Tiridate ma questi, anziché farsi
prendere dal timore, chiede che gli fossero notificati i capi d'accusa e che
gli fosse dato tempo di difendersi. Nerone accolge la risposta di T. con
agitata premura e come mai prima d'ora comincia a temere la presenza,
l'ardimento e lo spirito di libertà della sua vittima e pertanto comanda di
convocare il senato. L'imputato, dopo aver consultato gl’amici, decise di non
partecipare al processo per evitare che Nerone si incrudelisse anche con la
moglie e la figlia e per non prestare orecchio all’ingiurie degl’accusatori. In
tale occasione, inoltre, impede al tribuno ARULENO RUSTICO di porre il veto al
decreto del senato affermando che una siffatta azione mette in pericolo la vita
del tribuno senza salvare la sua. Il giorno del processo, il tempio di Venere
Genitrice, luogo di raduno del Senato, e circondato da due coorti della guardia
pretoriana. Iniziata la seduta, il questore legge una lettera del principe che,
senza far nomi, accusa alcuni senatori di trascurare da tempo i loro doveri e
di essere, pertanto, cattivo esempio anche per i cavalieri. Gl’accusatori
accolsero tali affermazioni come un dardo pronto per essere scagliato e subito
Cossuziano si scaglia contro T. per essere seguito poi da Marcello Eprio il
quale, con maggiore energia, grida che si tratta di LA SALVEZZA DELLO STATO
ROMANO e che la longanimità del principe sarebbe venuta meno di fronte
all'arroganza dei sottoposti e che fino ad ora troppo indulgenti sono stati i
senatori nei confronti di T., di Barea Sorano, definiti faziosi ribelli. Non si
ricordano discorsi della difesa ed in ogni caso i senatori, nel più profondo
terrore per i reparti armati, non hanno altra alternativa che votare la
condanna a morte nella forma del liberum mortis arbitrium ovvero l'ordine di
suicidarsi. T. e ovviamente condannato a morte, il genero Elvidio Prisco e
esiliato insieme agl’amici Paconio Agrippino e Curzio Montano. Gl’altri
imputati, Barea Sorano e la figlia di lui, processati separatamente, seguirono
lo stesso destino di T.. Al crepuscolo, T. intento ad intrattenere numerosi
ospiti e ad ascoltare con molta attenzione il filosofo Demetrio, del CINARGO, con
il quale discute della natura dell'anima e della separazione dello spirito dal
corpo, riceve da uno dei suoi intimi, DOMIZIO CECILIANO, la notizia della
condanna. A tal punto, esorta i più a non disperarsi e a ritirarsi in gran
fretta per evitare di compromettere le loro sorti con la sua, poi persuase la
moglie che, memore della madre, si prepara a seguire nella morte il marito, a
restare in vita e a non privare la figlia dell'unico sostegno. Poco dopo,
mentre T. si avvia al portico con un'espressione lieta, avendo saputo che il
genero, Elvidio Prisco, è stato solo esiliato, giunse il questore a
comunicargli ufficialmente la condanna. Si ritira, quindi, accompagnato da
Demetrio e dal genero, nelle proprie camere, porse ad uno schiavo le vene di
entrambe le braccia e, come il sangue scorse, lo sparse a terra libando a Giove
liberatore sempre alla presenza del questore. Infine, dopo molte sofferenze, muore.
In Prato della Valle, Padova, è presente una statua che lo raffigura, opera d’
Andreosi ed eretta a cura della associazione padovana Excisa Civitas. T. è
rappresentato in abito consolare, ai suoi piedi un piedistallo, simbolo della
costanza con cui sostenne la sua impari lotta contro Nerone. È menzionato nel
romanzo Quo Vadis di Sienkiewicz. È menzionato nel romanzo Memorie di Adriano
di Yourcenar. Dione Cassio. Tacito. Plinio. Tacito, Historiae. Plutarco Moralia.
Geiger. Statua di T. su digilander.libero. Cassio Dione Cocceiano, Historia
Romana, libri LXVI-LXVII. Plinio
il Giovane, Epistulae. Tacito, Annales. Brunt, Stoicism and the Principate,
PBSR, Devillers, Le rôle des passages relatifs à Thrasea Paetus dans les
Annales de Tacite, Neronia, Bruxelles, Collection Latomus Geiger, Munatius
Rufus and T. on Cato the Younger, Athenaeum. Rudich, Political Dissidence under
Nero, Londra, (Strunk, Saving the life of a foolish poet: Tacitus on Marcus
Lepidus, T., and political action under the principate, Syllecta Classica, Syme,
A Political Group, Roman Papers, Turpin, Tacitus, stoic exempla, and the
praecipuum munus annalium, Classical Antiquity, Wirszubski, Libertas as a
political idea in Rome in the late republic and early principate, Cambridge. T., su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. MPortale
Antica Roma Portale Biografie Categorie: Retori romaniFilosofi
romaniScrittori romaniFilosofi del I secoloScrittori del I secolo Romani Nati a
Padova Morti a Roma Filosofi giustiziati Stoici Morti per suicidio. The wide circulation of the philosophy of the
Porch among Romans of the upper class from the time of Panaetius to the reign
of Marcus Aurelius is a familiar fact. Few Romans of note can indeed be marked
down as committed ‘filosofi del portico’, and even those, like Seneca, who
avowedly belongs to the school borrows ideas from other philosophies. Still,
even if eclecticism is the mode, the ‘Porch’ element is dominant. The PORTICO
permeates the writings of ‘filosofi’ like Virgil and Horace who professed no
formal allegiance to the sect, and became part of the culture that men absorb
in their early education. One might think that the Porch exercises an influence
comparable, at Oxford, at in some degree with that which Christianity has often
had on men ignorant or careless of the nicer points of systematic theology. It
has often been supposed that it did much to humanise Roman law and government.
That is a contention of which I should be rather sceptical, but it is not my
present theme. I propose to examine the effects that The Porch had on men's
attitudes to the Principate, the essentially monarchical form of government
created by Ottavianus. Prima facie we might expect these effects to have been
significant, yet it is not easy to discern exactly what they are. At the very
outset an apparent contradiction confronts us. The Porch seems to be both
upholders and opponents of the regime. The Stoic Atenodoro is an honoured
counsellor of Ottaviano; Seneca the preceptor of Nerone and then one of his
chief ministers, Marcus Aurelius Antonino a philosopher on the throne. Seneca
exalts the autocratic power of the Princeps. Under Nerone, a ruler vigilant for
the safety of each and all of his subjects, anxious to secure their consent,
and protected by their affection, Rome (Seneca claims) enjoyed the happiest
form of constitution, in which nothing is lacking to our complete freedom but
the license to destroy ourselves. We may always suspect Seneca of insincere
rhetoric and special pleading. But Seneca’s approval of monarchy in principle is
shared by the honest Musonius, and Antonino clearly assumed that it was by
divine providence that he had been called to exercise absolute power. And yet
that perfect philosopher of the Porch, as Seneca calls him (Const. Sap.), Catone,
died in defence of the old Republic, which Giulio Cesare had overthrown and Ottaviano
had replaced. Cato’s conduct was still viewed as exemplary by philosophers of
the Porch during the Principate. T. writes Catone’s life, and he is the centre
of a circle, including ELVIDIO PRISCO and ARULENO RUSTICO, which offers the
most intractable opposition to certain princes, opposition which was certainly
ascribed to the teaching of the Porch. Nerone’s suspicions of RUBELLIO PLAUTO,
a kinsman and potential pretender to the Principate, are enhanced by the
allegation that he had adopted the Porch’s presumptuous creed, which made men
turbulent and avid for power. Writing soon afterwards, Seneca himself admits
that some thought, though erroneously, that the votaries of philosophy were
'defiant and stubborn, men who held in contempt magistrates, kings and all
engaged in government', and he advises Lucilius to devote himself to
philosophy, but not to boast of it, since philosophy itself, associated with
arrogance and defiance, has brought many men into danger. Let it remove your
faults and not reproach those of others, and let it not recoil from social
conventions ('publicis moribus"), nor produce the appearance of condemning
what it does not practise'? Though Seneca speaks of 'philosophy' in general,
the context shows that he has in mind only that philosophy in which he thought
the truth resided, the Porch. The second passage indeed may suggest that what
endangers the Porch was not so much resistance to authority as censure of the
behaviour common in the world, which made the Porch generally unpopular. Seneca
had also admitted earlier that The Porch had the reputation, in his view
undeserved, of excessive harshness, which was held to make it incapable of
giving wise advice to rulers. It was under Gaius, Nero, Vespasian and Domitian
that the Porch certainly suffered persecution. The last two princes actually
expelled professional philosophers from Rome and Italy; Epictetus was among the
exiles. Yet he too repudiates the charge that the Porch is opposed to
authority. By reconciling the interests of the individual, truly conceived,
with those of society, the Porch, Epitteto claims, produced concord in a state
and peace among peoples. The Porch teaches men to obey the laws, but not to
despise the authority of 'kings', though in his view neither laws nor kings
could give or take away anything essential to a man's blessedness. On the other
hand, the Stoic would not comply with the orders of 'tyrants', which conflicted
with his own moral purpose. We might then infer that it was not political
authority, nor monarchy as such, that the Porch rejects, but those rulers whose
vile conduct made them 'tyrants',"' and that what the Porch – in a figure
like T. -- admires in Catone is not his fight for the Republic but his
rectitude and constancy. However, Vespasian was never reproached with tyranny,
and ELVIDIO PRISCO, at least, whom Dio called a Republican, and whom Vespasian
puts to death, must have had convictions by which an emperor could be judged in
political as well as moral terms. The apparent inconsistency in the Porch’s
attitude to monarchy is not the only ambiguity in their relations to the state.
Seneca meets the charge of political defiance by replying that none are more
grateful to rulers who preserve peace than philosophers who have retired from
public life to the nobler activity of tranquil contemplation and teaching. Much
writing of the Porch suggests that their teaching tended to promote not active
resistance to government but entire withdrawal from political activity. Quintilian
speaks of philosophers as men prone to neglect their civic duties. P. Suillius
had contemptuously referred to Seneca's own 'studia inertia'. In the very
passage in which Tacitus marks out ELVIDIO PRISCO as a Stoic he says that 'from
early youth he devoted his brilliant mind to deeper studies, not as so many
(plerique') do, to make the high-sounding name of philosophy a screen for
indolent retirement ('segne otium'), but in order to undertake public duties,
while fortified against the strokes of fortune. Evidently, in his judgement,
the general tendency of philosophic training was to render men unfit for public
careers by making them prefer the life of contemplation. Hence an ambitious
mother, like Agricola's, would restrain her son from drinking too deeply at the
philosophic spring. Indeed all writings of the Porch illustrate a certain
tension between the claims of public activity and those of study and meditation
(injra). We must, of course, distinguish sharply between Stoics who
deliberately chose 'segne otium' from the start and those, like T., who retires
from politics in such a way as to manifest their disapprobation of the government,
even though such retirement could be justified by arguments that might rather
have persuaded the believer never to enter the political arena. The former
might by their indifference to the state deprive it of useful talent, but they
constituted no danger to the regime. But we may wonder how a creed which
encouraged such quietism could also be accused of making men turbulent enemies
of the Princeps. To understand these apparent contradictions in the political
attitudes of Stoics under the Principate, we must look more closely than
historians generally do at the moral principles they embraced. All I can
attempt here is naturally no more than a rather impressionistic sketch of those
aspects of Stoic teaching which seem to me most relevant to their actual
political behaviour, in office, opposition or retirement. This is no place for
a systematic exposition of the logical and physical presuppositions of their
moral creed, and indeed the Stoics of our period evinced no keen interest in
the dialectical subtleties and doctrinal coherence of the system the earlier
masters of their school had evolved. Rhetoric and devotion had largely replaced
inquiry and argument. None the less their moral convictions continued to rest
on metaphysical dogmata, however uncritically accepted. Like other philosophers,
the Stoics assume that each man does and must pursue his individual happiness.
This he can secure only if he conforms his life to nature, his own nature and
that of the universe, of which his own is of necessity a part. In the impulses
of animals and of children we can see how Nature herself directs living beings
to seek what is conducive to life and to avoid what is contrary. Life itself
and all that assists the proper functioning of the living creature belong to
the category of things that are natural and therefore can be described as
things of value. They include wealth, health and nearly all that men generally
make their objects of endeavour. Now, man is endowed with reason, and reason
shows that he cannot live in isolation. We are born for one another, and it is
proper to our nature to prefer things of value for our fellows as well as for
ourselves. However, experience teaches us that such things may not be in our
power. If, then our happiness, or that of our fellows, were to depend at all on
their possession, it would not necessarily be within our grasp, our minds would
be filled with anxiety, and our failures to obtain what we desire would seem to
be limitations on our freedom. But no man can be happy if he is not secure from
anxiety and free. Now Nature must have designed our happiness, for all being is
permeated by a substance the Stoics described as reason or the divine. This
ruling element in the world, which causes all things to work together for good,
is also present in our souls, and it is its presence that enables us in some
measure to apprehend the providential order of the Universe. Our reason should
also be the ruling element in our own nature, as it must be capable of
directing us to that true happiness, security and freedom which nature impels
us to seek, and which, given the rationality and beneficence of nature, it must
be in our power to attain. Hence the so-called things of value cannot be truly
good, simply because they are not always and necessarily in our reach. By
contrast nothing can ever prevent us from constantly willing to do what is
right, even though the resultant actions may fail to produce the effects intended;
these effects are external to ourselves and do not or should not affect that permanent
disposition of the soul in which our blessedness, security and freedom are to
be found. The only true good, which reason prescribes, lies then in a virtuous
disposition and in the activity that flows from it, and the only true evil is
the lack of such a disposition, while the things of value and their contraries
must alike be classed, to use the technical term, as things indifferent to us.
Yet this leaves no criterion for identifying the particular acts the good or
wise man will perform, and that criterion has still to be supplied by the
things of value. Is The acts which were termed in Greek “KaOkovaand” in Latin “officia”,
acts incumbent on men, which we may render as duties, even though the word has
perhaps excessively Kantian overtones, consist in promoting states of affairs
which will contain as much as possible of such secondary goods as health or wealth,
and as little as possible of their contraries. We are bound to make the best
calculations we can on the consequences of our acts, and to exert ourselves to
the utmost in performing them. But we should always act with the reservation in
our minds that what we seek may not be attainable and that its actual
attainment is not per se good. A father will jump into deep water to rescue his
child. But the goodness of his act is not enhanced if the child is saved, nor
diminished if it drowns. Indeed, since the universe is providentially ordered,
the death of the child, if it occurs, must be for the best. Chrysippus is
quoted by Epictetus as saying that, so long as the consequences are not clear
to me, I cling to what is best adapted to securing things that accord with
nature; for the divine has created me such that I shall choose these things;
but if I actually knew that it was now ordained for me to be ill, I would aim
at being ill. Victrix causa deis placuit, sed victa Catoni. As a good Stoic,
Catone should not have fought against Caesar, if he could have foreseen
Caesar's victory. But lacking this foresight, he could still be subjectively
right; and the admiration a Stoic could express for Cato is not in itself
incompatible with acceptance of the regime for which Caesar's victory had
prepared the way. For the Stoics only the wise man has an understanding of
nature so complete and a disposition so unchangeable that he will never do what
is not right, and only his actions are truly successful or good. Others may
perform the same actions, but in a way that is somehow flawed. However, the
wise man, as Seneca remarked, is as rare as the phoenix. Not even the great
Stoic teachers pretended to the title. Most of their statements about his
conduct may then be understood as the presentation of a model for others, and
in fact the Stoics did not hesitate from the first to lay down rules for the
guidance of ordinary beings. In such prescriptions they continued to attach
value only to the purpose of moral activity, and not to success in performance.
The fullest discussion we possess of their teaching on men's duties is to be
found in Cicero's “de officiis,” the first two books of which are avowedly
based on a treatise of Panaetius. But though Panaetius, who departed in various
ways from the doctrines of his predecessors, did not care to describe the ideal
sage and expressly turned to the duties of men in whom perfect wisdom was not
to be found but whose conduct might still manifest the semblances of virtue
('similitudines honesti'), his concern with this topic was certainly not new.
Moreover, there are some indications that Stoics extrapolated the concept of
perfect virtue from the conduct of ordinary men which commanded universal
approval. Orazio on the bridge could not be called truly brave, because he was
no sage. Yet, his heroism gives an idea, by analogy, of what tcourage is. Thus
Stoic practical morality was founded on commonly received opinions. While every
man is bound to be of service to his fellows, the particular services he should
render vary with his special relationships to them. From the first orthodox
Stoic thinkers enjoined specific duties on the husband, father, slave-owner and
so forth. Tacitus alludes to this practice when he describes ELVIDIO PRISCO as
steady in performing all the duties of life, as citizen, senator, husband,
son-in-law and friend. Epictetus and others conceive such duties as arising
from the place in the world, the station or military post (Tá§is, statio) to
which each individual is appointed, and which may limit, as it always defines,
the kinds of action incumbent on him; though a life of virtue is open to all,
even to slaves, what a man can do determines what he ought to do; for instance,
if he is poor, he cannot hold office or endow his city with fine buildings
(Ench.). But how do we identify these specific duties, which are given to us by
our place in the world? If you are a town-councillor, says Epictetus, remember
that you are one; if you are young, that you are young, if old, that you are
old, if a father, that you are a father; on reflection each name invariably
suggests the appropriate tasks. These tasks can, I think, only have been
regarded as obvious if they were those conventionally expected from the persons
so designated, and in fact Stoics seldom recommend acts that would have
violated conventions. All that Epictetus himself tells a provincial governor is
to render just decisions, to keep his hands off others' property, and to see no
beauty in another man's wife or a boy or a piece of gold or silver plate.
Epictetus does not go far beyond the maxims of abstinentia and integritas,
always accepted, if often infringed, by the Roman ruling class. In fact he adds
that we ought to look for doctrines that agree with but give additional
strength to such common notions of duty. The great mind, as Seneca puts it, is
intent on honourable and industrious conduct in that station in which it is
placed. The good man does not change the rules, but obeys them more strictly. In
another metaphor the Stoics employed the world was viewed as a stage in which
each man had to play a part (persona, mpóocov). Panaetius exploited this
metaphor in connexion with a doctrine he himself seems to have transferred from
aesthetic to ethical theory, that there is a kind of moral beauty, called in
Greek pétrov and in Latin decorum, which 'shines out' in virtuous activity,
even in that of the man still imperfect in wisdom. It would not be germane to
my theme to attempt to expound this doctrine in full, but two points are
important. First, just as the physical beauty of a living creature must be attributed
to the due relation of all the parts to the whole, so the moral beauty of a
man's activity lies in the order and coherence of all his words and deeds, and
just as the correct delineation of a figure in a drama depends on the
suitability to his character of what he does and says, so in real life men must
aim at maintaining the consistency, 'constantia'' or 'aequabilitas, of their
conduct. But while the dramatist may properly portray the wicked man, on the
stage of life we are all bound to play the role of rational beings subject to
the moral law. None the less, the manner of the performance must vary from man
to man." Besides the role which is common to all Panatius distinguished
three others. The first arises from the individual's special inborn endowments,
which he must develop to the full, so far as they are compatible with virtue,
and his natural disabilities, which limit what he can do, the second from his
position in the world, the third from the choice of a vocation that he is bound
to make on the basis of his capacity and of the resources at his disposal, but
which tends to commit him for the future. Thus a Roman of rank might choose to
be a philosopher or a jurist, an orator or a soldier; having made his decision,
he should normally carry it out to the end. For Panaetius it is only by
recognizing the potentialities and limitations imposed by his own personality
and circumstances that the individual can avoid those inconsistencies in
conduct which would mar the moral beauty of his life. 'It is of no avail to
contend with nature or to pursue an end you cannot reach'. Similarly in
Epictetus' view, 'if you assume a role beyond your ability, the result is that
you perform it disgracefully (hoxnuóvndas) and neglect the role you were able
to fill. To thine own self be true, And it must follow, as the night the day,
Thou canst not then be false to any man. Secondly, according to Panaetius,
moral beauty, like physical, attracts the approval and love of other men.
Indeed that approval comes to be regarded as a criterion for determining
whether particular actions really do manifest 'decorum'. We ought to respect
the opinions and feelings of others. Hence deportment, polite conversation and
other matters of social etiquette become the subjects of moral precepts. Manual
labour is condemned as unbefitting the free man. Even the liberal professions
are pronounced below the dignity of an aristocrat. In general the conventions
of the upper class society to which both Panaetius and Cicero belonged are unquestioningly
accepted. We are told that for actions to be performed in accordance with
custom and civic practices no rules need be prescribed. These practices are the
rules, and no one should make the mistake of thinking that he has the same
license as Socrates or Aristippus to transgress them. It was only their great
and superhuman virtue that gave that privilege to them. This teaching justified
Romans in treating their own traditions as equivalent to moral laws. It is no
accident that the Stoic RUBELLIO PLAUTO 'respected the maxims of old
generations' in the strictness of his household, or that Seneca admires the
mores antiqui in which Romans had always tended to find the secret of Rome's
greatness. The very use of the term “officium” to render Kankov had a similar
effect. In common speech “officum” could mean both the kind of service which
social conventions expected one man to render another, and the function of a
magistrate, for example, or a senator. Its use in ethical theory suggested that
such a service or such a function constitutes a moral obligation. Cicero
illustrates Panaetius' doctrine of the special duties imposed by a man's
individual personality from the suicide of Cato. Not every one would have been
right to kill himself in such circumstances. Cato was justified because he had
always held that it was better to die than to set eyes on a tyrant;
his'constantia' left him no choice. Plutarch, who drew directly or indirectly
on a firsthand account, shows that Catone consciously acted on this view. For Catone,
death is the only way out. His son might live, but being also a Catone, should
not serve Caesar. Others might make their peace with the victor and incur no
blame. An anecdote in Plutarch's life of Cicero tells us that Catone also held
in that while he himself could not honourably have abandoned his consistent
opposition to Caesar, Cicero, whose past conduct had been very different, would
have done better to remain neutral in the civil war. Catone’s conceptions are
certainly known to the circle of T., whose own life of the hero may be
Plutarch's immediate source. When they debate whether T. should appear in the
senate to answer the capital charges against him, the question is essentially
what course it is fitting – “deceret” -- for him to take, if he were to be true
to the course of behaviour he had pursued without a break for so many years. Another
man even within his circle is not bound to the same intransigence. Similarly,
his friend, PACONIO, says that any one who so much as thought of going to
Nero's games should go, but his own 'persona' did not allow him to consider the
possibility. ELVIDIO PRISCO is for Epictetus the shining example of a man who
was true to his persona. This sort of conception is indeed ascribed to men who
are not known to have embraced the Stoic creed, just as the word 'persona' is
sometimes used unphilosophically in a way compatible with Panaetius' doctrine
but not derived from it. These are further indications that his doctrine
corresponded closely with the thought and behaviour natural to traditional
Romans. The concept is found in ORAZIO as well as in all the later Stoic
writers, Seneca, Musonius, Epictetus and Marcus (and indeed elsewhere); though
sometimes they think more of the special duties that were imposed on the
individual by his place in the world or his vocation than of those which flow
from his inborn propensities and disabilities, a few texts show that that part
of Panaetius' doctrine was not wholly forgotten. The idea of decorum also
survives in the attention still devoted to etiquette, to seemly ways of
walking, talking, laughing, dressing, behaviour at the table and even in bed,
for all such behaviour was considered an outward manifestation of the disposition
of the soul. It is characteristic that Epictetus would rather have died than
shaved off the beard that symbolized his role as a philosopher. In all these
precepts we find the assumption that the moral law required performance of
traditionally accepted duties and respect for conventions. After telling his
readers that the poet can discover how to treat his personae appropriately by
learning the duties that belong to the citizen, friend, father, brother, host,
senator, judge and general, Horace adds: respicere exemplar vitae morumque
iubebo doctum imitatorem et vivas hinc ducere voces. For the Stoics a virtuous
disposition necessarily issued in virtuous activity. All had to perform their
duties within that City of Gods and men which was not a city in any ordinary
sense, nor a world-state that might one day be brought into being, but the
providentially ordered Universe in which all live here and now. However,
political activity could certainly be included among these duties. From the
first the Stoic fathers had taught that the wise man would take part in public
affairs, if there were no hindrance. Indeed it was a famous Stoic paradox that
only the wise man was a king or statesman; he alone possessed the art of
ruling, whether or not he had any subjects, just as only the doctor has the art
of healing, even if he has no patients. His principal aim in politics would be
to restrain vice and encourage virtue, ' although he would also necessarily be
concerned with the 'things of value' and would treat wealth, fame, health etc.
as if they were goods. But it could hardly fail to influence his attitude to
such objects of endeavour that he was always to remember that his efforts to
promote them might fail, and that failure or success was unimportant; they were
not truly goods. As Epictetus observed, 'Caesar seems to provide us with
profound peace... but can he give us peace from love or sorrow or envy? He
cannot'. And yet blessedness comes only from such spiritual peace. In the real
world, according to Chrysippus, all laws and constitutions were faulty. He once
despairingly said that if the wise statesman pursued a bad policy he would
displease the gods, if a good policy, he would displease men. So too Seneca
could suggest that there was no state which could tolerate the wise man or
secure his toleration. However, such pessimism did not represent the final
judgement of the Stoa. It was recognized, most emphatically by Panaetius, that
the state answered human material needs and fulfilled men's natural and
reasonable impulse for co-operation." It would hardly have been consistent
with the Stoics' faith in providence if all or most existing states had been
irremediably evil. Did not the mere existence of any given form of institutions
perhaps imply that those institutions served a worthy purpose in the divine economy?
At any rate there is no evidence that Stoics condemned any political system as
such; for instance what they disapproved of in the tyrant was not his absolute
power but his abuse of it. We are told that it was particularly (though not
exclusively) in states that exhibited some progress towards perfection that the
wise man would be active. Progress must here be construed in a moral sense, of
states that tended to imbue their citizens with virtue. Old Sparta apparently
evoked Stoic admiration, because of the strict and simple life prescribed by
Lycurgus. Sparta was also most often cited as an instance of that mixed or
balanced constitution which won the approval of many ancient thinkers, perhaps
above all for its stability. In the individual stability of purpose was for
Seneca a mark of moral progress, s and perhaps stability was also a Stoic
criterion for judging constitutions. Certainly we are told, without
explanation, that the old Stoics preferred a mixed constitution. 6 Panaetius is
often held, with no certain proof, to have commended the Republican system at
Rome for its balance,' and the historical work of his illustrious successor,
Posidonius, was probably biased in favour of the Roman aristocracy. At Sparta
Cleomenes I, who professed to be re-establishing both the old austerities and
the old political balance, enjoyed the assistance of a Stoic counsellor. Cato
could probably have cited Stoic texts to justify his struggle to preserve the
Republic. On the other hand Stoics did not condemn monarchy in theory. Some
scholars even suppose that they gave it their special approbation. No doubt
rule by a Stoic sage would have been in their eyes the best form of government.
That may be one reason why several of the early Stoic masters wrote treatises
on kingship. Yet, given the rarity of the sage, it must have seemed a remote
possibility that if he emerged at all, he would also happen to obtain sovereign
authority. Probably these treatises were intended to depict the perfect ruler
as a model for contemporary kings. Conceivably, like Seneca in the de
clementia, their authors did not insist over much on the gulf that divided
actual rulers from their ideal. Moreover, a philosopher had the best hope, so
it might seem, of effecting what he thought right as the minister of an
autocrat, and since kings enjoyed great power in the Hellenistic world, Stoics
who were ready to engage in political activity entered their service; this was
only natural. However, once the aristocratic Roman Republic had become
dominant, they were no less prepared to attend and advise men of influence at
Rome. Panaetius was an intimate of Scipio Aemilianus, and Tiberius Gracchus and
Cato had their Stoic counsellors. Only after Augustus did monarchy become the
one system towards which for practical purposes a Stoic needed to define his
attitude. The precepts and examples of the early masters of the school did not
require him to reject it on doctrinal grounds; how indeed could he have done
so, without impugning the dispensations of Providence? At a merely empirical
level Tacitus reluctantly conceded that it was in the interest of peace that
all power should be conferred on one man; he had been anticipated, a century
earlier, by Strabo, who was an avowed Stoic. Seneca argued that the struggle
for Republican freedom had been futile, and not only his career but those of T.
and Helvidius, men of firmer resolution, indicate that their principles did not
lead these Stoics to condemn the Principate as such. The wise man would not be
hindered from participating in public life by any form of government, yet under
any form he might conceive that he had a higher duty to a vocation of
philosophic investigation and teaching his fellows by precept and example,
besides fulfilling the obligations of private life." And under any form he
might also see that he had no opportunity for effective political action,
because of the wickedness of those in high places at the time. The doctrine
that the goodness of every act lay in the disposition from which it was
performed and not in its results did not require Stoics to engage in an
undertaking doomed to fail ab initio; the wise man would not take a leaking
ship to sea, nor, if unfit to fight, enlist in the army. Under a tyranny he
simply could not do any service. As for the ordinary man, there were reasons
why he might abstain from public affairs which did not apply to the sage. By
definition the latter had already attained to that perfect understanding and
virtue to which others at best aspired. But the pre-occupations of a busy
public career might be sufficient of themselves to prevent imperfect men from
ever reaching that goal. Seneca could hold at times that it was justifiable for
a man to retire from long public service to private duties and to care of his
own soul, at times that the whole of his life was not too long for this task,
all the more because his example could be beneficial to others. The sage too
was impregnable in his virtue, which he could hardly lose, but in other men
moral progress might be impeded by what St. Paul calls 'evil communications' (I
Cor.). Moreover, even when arguing that a man should normally undertake public
duties, Seneca concedes, in a way reminiscent of Panaetius' emphasis on
individual endowments, that he might be debarred not only by his physical,
intellectual or pecuniary resources but also by his temperament; he might be
too sensitive or insufficiently pliable for life at court, too prone to
indignation, or to untimely witticisms that showed high spirit and freedom of
speech but would only do the speaker harm. Again, as Panaetius had also held,
he might be suited only to contemplation, not to public affairs; and
'reluctante natura, irritus labor est'. None of these considerations applied to
the sage, who was omnicompetent and impervious to what others would regard as
insults or injuries. Seneca's views on the propriety of a political career are
self-contradictory, but the assumption that these contradictions can be
explained simply by the hypothesis that he recommended otium only when his own
political prospects were impaired and political activity only when himself
engaged in public affairs, hardly fits the fact that we find the same antinomy
in the sermons of Epictetus and the Meditations of Marcus. Seneca's advocacy of
quietism reflects one important aspect of Stoic influence. Epictetus recognizes
of course that men are bound to perform the duties that arise from their social
relationships, but he is much more insistent on the ultimate worthlessness of
all those secondary goods to which activity in the world is inevitably directed.
A man of a certain station should take office, but it is wrong for him to set
his heart either on holding it or on freedom from its cares; it is significant
that he should think it necessary to warn his pupils against yielding to both
these kinds of pestic Ofeis i a is les kiy Fallivan my police it cno doubt
because no good man would submit to the humiliations on which advancement
depends;? the few whose aim is to bring themselves into a right relation with
the divine earn the mockery of the crowd, and they can hardly pursue their aim
as procurators of Caesar. Epictetus was himself a former slave with no chance
of a public career, but it is plain that his audiences were mainly drawn from
the upper class, some of them aspirants to a career at Rome, like the young
Arrian who took down his words.' In fact Epictetus' own low social station and
the academic character of his way of life may have made him less conscious of
the dangers of evil communications than Seneca had been, even though two of his
diatribes are devoted to the theme (n. 69). We also find a greater serenity in
his teaching than in Marcus' reflections. When Marcus looked back to the time
of Vespasian or of Trajan, he saw a world in which men were engaged in flattery
and boasting, suspicions and plots, praying for the death of others, murmuring
at their own lot, given to sexual passions, avarice and political ambition. It
was the same in his own court. More than once he dwells with loathing on the
dark qualities of those who surrounded him, the emptiness of their aims, their
longing for the death of 'the schoolmaster', though he had so greatly toiled,
prayed and thought on their behalf; indeed death would be a release, the more
merciful, the earlier it came. However, Marcus had his duty to perform; he was
set over mankind as the ram over the flock or the bull over the herd (ibid). No
other vocation (inó®ois) is so suited to philosophy, that is to say, to the
exercise of a reason which has accurately established the rationality of nature
and of all that life contains. But it is evidently by a conscious effort that
Marcus reconciles himself to the place Providence has assigned him, and he can
also say that his role impedes him in the pursuit of philosophy." The
general character of his Meditations shows that his inclination was to ponder
on the divine order and his own relation to it rather than to consume his
energies in 'the daily round, the trivial task' which, nonetheless, furnished
him on his own principles with all his reason required him to ask. Those
principles taught him that the wise man would serve the state, if there were no
external hindrance. But an autocrat could plead no hindrance, so long at least
as his natural capacities permitted him to render good service. All the same we
can see how a man of Marcus' temperament, set in some lower station, must have
preferred that life of contemplation which in the end Seneca had pronounced the
best. Thus the more seriously Stoic teaching was accepted, the more ardent in
some minds must have been the desire for retirement and meditation, at most
combined with the performance of inescapable private duties. Whether Stoics commonly
yielded to this desire, as some of their critics averred (p. 9), we cannot say;
our records can hardly be expected to commemorate lives of quiet seclusion;
Sextius is a rare example, known by name (n. 10). It is with others that we
must henceforth be concerned, men who thought themselves bound by their
principles to enter public life, who believed what Seneca once said (ep. 96,
5),'vivere militare est', and who tried to play the part, or to occupy the
station, to which they had been called by birth and ability. This Stoic concept
of the individual's station was applied, as Koestermann showed long ago, to the
emperor himself. Augustus seems consciously to have adopted it, probably under
the influence of the Stoic Athenodorus; this was known to such panegyrical
writers of the time as Ovid and Velleius. Claudius too appears to have spoken
of his station, and in his reign and Nero's the notion is found in Seneca and
Lucan. Tacitus referred to Vespasian's station, Pliny to Trajan's. Pius himself
also employed the term. It survived into the fourth century.? Curiously,
Koestermann failed to observe that the idea is implicit in Marcus' Meditations.
Pius, according to Marcus, always acted in the way which had been appointed for
him. He exhorts himself to let the god within him be lord of a living being,
who is a male, a Roman, a ruler, who has taken up his post, as one who awaits
the signal for retirement from life, fully prepared. He has to carry out the
task set him like a soldier storming the breach. Similarly he speaks of his
'place' in the world, or of his 'vocation'; like all men, he has tasks to perform,
proper to his own constitution and nature, and 'as Antoninus, my city and
fatherland is Rome'; he must be strenuous in doing his duty, acts of piety and
benefit to men, like Pius before him. He is a sort of priest and servant of the
gods, and this makes him, rather like the Pope, a servant of men; he regards
his life as a 'liturgy' or as 'servitude'. Long before, Antigonus Gonatas under
Stoic influence had described kingship as 'noble servitude', and Seneca had
applied this to Nero's position. But what were the particular duties that
Stoics attached to the station or role of the emperor? According to Seneca he
is to be 'vigilant for the safety of each and all'. He belongs to the state,
not the state to him.® Seneca recommends Nero to win his subjects' consent,
respecting public opinion 3 and freedom of speech,* and to observe the laws.
Under the good ruler justice, peace, morality ('pudicitia'), security and the
hierarchical social order ('dignitas') will be upheld, and economic prosperity
will be assured.& The greatest stress is of course laid, for reasons not
hard to discern, on clementia. But it is everywhere implicit that the emperor
should be guided by traditional standards and objectives accepted by his
subjects. Marcus accepted similar criteria. Marcus adjures himself to do
everything as a pupil of Pius, to emulate his justice, beneficence, clemency,
piety, frugality, his respect for the opinions of others combined with firmness
and foresight in making his own decisions, the purity of his sexual life, his
mildness and cheerfulness, his civilitas, and so forth. Marcus himself
continually reflects on two themes, the providential order of the world and the
duty incumbent on all men to perform acts of fellowship (praxeis koinônikai), a
duty that springs from man's place in that order." This creed undoubtedly supplied
him with a deeper sense of the value of the virtues that Pius had exemplified,
not least his untiring devotion to work. 'Rejoice and take thy rest in one
thing, proceeding from one social act to another, with God in mind' (VI 7). There
was no novelty in all this. For instance, Hadrian's procurators had proclaimed
the 'indefatigable care with which he is unceasingly vigilant for the interests
of men'. Fergus Millar has illustrated at length the standard of personal
industry which was expected of emperors, though (I suspect) not as often
reached as his more unwary readers might suppose. Dio tells us that Marcus
himself was a hard worker who applied himself diligently to all the duties of
his office, who never said or wrote or did anything as if it were of small
account, but who would spend whole days, without hurrying, on the slightest
point, believing that it would bring reproach on all his actions, if he
neglected any detail. The assiduity always expected of an emperor was now
grounded in Marcus' own philosophic convictions. Recently a scholar has
censured Marcus for speaking of the obligations we have in the universal city
of gods and men without telling us what they are.? But for Marcus each man has
his own station in that city: his was that of Rome's ruler. He was not writing
a treatise to instruct others, but meditating privately on his own duties, and
he could have learned these, in conformity with Epictetus' teaching, by merely
considering the name of emperor which he bore; it told him that his task was to
do what was expected of an emperor. Numerous principles of government are in
fact implicit in his account of Pius, for instance in his allusion to Pius'
husbandry of financial resources. The same critic rightly observes that Marcus'
policy and legislation were largely traditional, and concludes that he was
basically a Roman rather than a Stoic. But the antithesis is false. I suppose
that it rests on a presupposition that Stoic teaching on the kinship of all men
as such ought to have made genuine believers critical of the existing order and
ready, when they had the power, to reform it. But at least after Zeno and
Chrysippus (n. 37) no Stoic thinker drew any such practical implications from
the doctrines of the school: their aim was to amend the spiritual condition of
individuals, not their material lot, nor the social structure. Epictetus held
that it was man's task not to change the constitution of things - 'for this is
neither vouchsafed us nor is it better that it should be' - but to make his
will conform with what happens." So too Marcus, vested with autocratic
power, tells himself 'not to look for a Utopia, but to be content if the least
thing goes forward, and even in this case to count its outcome a small matter.
"3 Marcus' portrait of Pius has special value for two reasons. First, as
the product of intimate familiarity and perfect sincerity, it shows us both
what Pius was in the eyes of one who had long worked with him closely and what
Marcus himself sought to be." It is thus infinitely more authoritative
testimony to the practice of Pius and to the ideals of Marcus than we possess
for any other ruler in the judgements of historians or in the propaganda of
panegyrics and coins. But, in the second place, if we leave on one side a few
merely personal traits and anecdotes, it presents a model that corresponds to
the conventional view of the good emperor that we can construct from such
evidence. The qualities that Marcus imputes to Pius are precisely those for
which other emperors take credit themselves or which are lauded by their
admirers or flatterers, and the judgements of later historians such as Tacitus
and Dio reflect the extent to which they considered these claims justified.
Augustus himself provided the prototype.'5 There is thus no sign that Marcus
recognized any objectives that had not been pursued by those among his
predecessors who had earned the approval of the upper classes, or that his
doctrines either led him to question the established principles of imperial
policy or offered him any guidance in determining the objective content of his
actions. His philosophy inspired him to do what he thought to be right, but
what he thought to be right was fixed by tradition. His convictions made him
give the most conscientious attention to even trivial tasks, but that very
absorption can have left him the less time to re-examine the content of his
duties; probably it never occurred to him that such re-examination could be
needed. The principles and virtues he admired in Pius are almost the same as,
for instance, Pliny had ascribed to Trajan, and Pliny admits that they had been
attributed to all earlier rulers, Domitian included, though with less sincerity
and truth.? To take one example of the traditional character of the ideal,
Pius' firmness of purpose, his self-consistency, recalls the 'constantia' of
the Stoic wise man," but it was Tiberius who had proclaimed to the senate
his wish to be 'far-sighted in your affairs, constant in dangers, fearless of
giving offence for the public interest'. And in this same speech Tiberius
re-asserted his policy of treating all Augustus' words and deeds as having the
force of law. That was known even to a provincial contemporary; Strabo remarked
that he had made Augustus the standard for his administration and commands.' It
was by that standard that each of peror our or prided, a deo which the syst a
uration of y ravis a adjustments had from time to time to be made, but it
developed slowly and almost imperceptibly from a sequence of new expedients
rather than from any deliberate pursuit of reform. Deliberate innovation was
characteristic only of those emperors whose policy was reversed after they had
been overthrown. There are certain features in Marcus' imperial ideal which are
highly relevant to the attitudes that Romans of rank might be expected to adopt
towards the emperor and his service. Pius had disliked pomp and adulation and
treated his friends as one gentleman treats another; Marcus warned himself not to
be 'Caesarified'. This civilitas may seem to be no more than a matter of
etiquette, but Panaetius had already elevated sensibility for the feelings of
others into a moral obligation (n. 35), and the more indes-tructibly absolute
the real power of the emperor appeared, the more the upper class at Rome prized
the semblance of his being no more than the first citizen. Perhaps nothing in
Domitian's conduct so enraged them as his claim to be 'God and Master' and the
behaviour that went with this claim. Moreover, civilitas generally accompanied
and conduced to something of more political significance, the emperor's
readiness to tolerate free expressions of opinion and to listen to advice. Both
Pius and Marcus were notable for respecting such 'libertas' (even though there
is no good reason to think that Marcus did not reserve the final decision to
himself). 1a Such respect was demanded of emperors by senators, and it could be
seen as an indispensable condition of their performing their own role in the
service of the state. In name at least the imperial senate retained the highest
responsibilities. Augustus had pretended to restore the old Republic, and it
could even be said of him and of Tiberius that they had revived the maiestas of
the senate. On Republican principles, as stated by Cicero, that should have
meant that the senate was once again the ruling organ of the state with the
magistrates as its servants;1°4 of these the princeps could no doubt be regarded
as the first. In theory he was to be the public choice ('vocatus electusque a
re publica'), and Tiberius expressly acknowledged that it was the senate which
had entrusted him with his wide powers; like Augustus, he would not allow
himself to be styled dominus, but actually addressed the senators as his 'bonos
et aequos et faventes dominos', 105 In outward appearance the majesty of the
senate had been enhanced by new judicial, electoral and legislative
prerogatives, and the privileges of its members were sedulously preserved or
extended. At his accession Tiberius had professed to desire that the functions
of government discharged by Augustus should be more widely shared; later he
censured the senate for casting the whole burden on the emperor; he disliked
flattery, and at least pretended that senators should speak their minds; in his
reign, as under Augustus, 108 there remained what Tacitus calls vestiges of
free speech in the senate. Tiberius began by consulting it on all matters,
however weighty;''° it was still expected to be the great council of state.
Gnaeus Piso, renowned for his free speaking, urged that it would be proper
('decorum') for the senate and Equites to show that they could assume the
burdens of government in the absence of the emperor.!" The reigns of
terror in Tiberius' later years and under several of his successors in the
first century cowed most members, but the emperors continued, however
insincerely, to treat their constitutional rights as unchanged. Claudius could
tell the senate that it was 'minime decorum maiestati huius ordinis' that its
members should not all give their considered opinions. Pliny tells how Trajan
exhorted them to resume their liberty and 'capessere quasi communis imperii
curas'; we may be sure that 'quasi' was inserted as discreetly by Pliny as it
had tactfully been omitted by Trajan. This was not new, as he remarks; every
emperor had said the same, though none had been believed before. Thus in theory
the senate remains the great council of state, and just as a conscientious
emperor could conceive that he was bound to perform the traditional duties of
his station as ruler, so conscientious senators could take seriously the fulfilment
of the responsibilities that the emperors themselves continued to recognise as
constitutionally belonging to their order. Under Nero T. saw it as his duty
'agere senatorem' , to play the role of a senator. At the outset of his reign
in Nero declares that the senate should retain its ancient functions, lis and, until
the conspiracy of Piso, most senators are
free from the terror that hardly abates in the previous generation. Nero's
victims in these years consisted almost wholly of the few who stood too near
the throne. T. has some ground for hope, not least in the influence of Seneca, that
there is now a place for senatorial freedom. T.’s first recorded initiative
consists in unsuccessful opposition to a motion permitting Syracuse to exceed
the appointed number of gladiators for a show. T. is standing for the old
order. T’s critics urge that an advocate of senatorial liberty should devote
himself rather to great questions of state. T. replies that, by attention to
the smallest matters, the senate shows its competence to deal with the
greatest. To T., virtue is manifest in EVERY ACTIVITY ALIKE. We may recall
Marcus' attention to detail and insistence that it was of value if the least
thing went forward. T. also shows his care for good government by assisting the
Cilicians to obtain the conviction of an oppressive governor. Yet T. is to
inveigh against the 'novam provincialium superbiam', manifested in the power
some subjects possessed, to secure or prevent votes of thanks to governors in
provincial councils. It is shameful that
'nunc colimus externos et adulamur'. This solicitude for the superior dignity
of a senator is no more inconsistent with T’s belief in the common humanity of
all men, irrespective of their status, than their failure to challenge the
institution of slavery, or indeed to promote strict equality before the law among
free men. They never expressed disapproval of degree, priority and place',
which were such marked features of the Roman social structure and which they
could not have regarded as incompatible with the providential order of the
Universe. Not that T. is showing indifference to the true interests of the
provincials. It is the 'praevalidi provincialium et opibus nimiis ad iniurias
minorum elati' whom T seeks to check. Tacitus makes T. aver his care for good
government on this very occasion. T.’s sincerity need not be doubted. And, in
all probability, T.’s motion, which was approved after reference to Nero, is
beneficial. Once again it only extended the principle of a senatus consultum of
Augustus' time. Already T. walks out of the senate rather than assent to the congratulations
it proffers to Nero on Agrippina's murder. T. also shows less enthusiasm than
Nero desired for the ludi luvenales. T.’s enemies suggested that it is
inconsistent that T. himself performs in the garb of a tragic actor in his home
town of Padova. But the ludi cetasti which T so honours are of ancient
institution, ascribed to Antenor, and it is very possible that T. does no more
than tradition requires. By contrast, Nero's histrionic performances are a
hated novelty. Ordinary Romans came to detest Nero no less for his breaches of
convention than for his crimes; 'I began to hate you' Subrius Flavus told him: 'once
you appeared as the murderer of your mother and wife, as charioteer, actor and
incendiary' It was typical of a Stoic to disapprove of departures from the old
mores. Yet T. still does not despair. What Seneca could excuse, T. overlooks. T.
advocates a mild penalty for the praetor, Antistius, accused of treason because
he had published poems libellous of the emperor. The senate should not impose
sentence of death 'egregio sub principe', when it was free to make its own
decision and could opt for clemency. Even flattery of Nero was justified in a
good cause, and in fact Seneca's old pupil was not yet ready to disregard the
maxims of his master. Long assiduous in attending the senate, T. at last withdraws,
though he still performs private duties to his clients in the courts, in the
manner Seneca recommends. There is no vestige of evidence that T. conspires. But
T.’s retirement implies that, in his view, the regime is irretrievably corrupt,
since his previous devotion to public affairs showed that it could not be set
down to 'ipsius inertiae dulcedo.’ It may seem strange that his friends,
Arulenus Rusticus, tribune, and Helvidius Priscus, did not retire with T. But
each Stoic had to make his own decision, true to his own persona. T.’s conduct
marks Nero as a tyrant. It may be construed, and genuinely felt, as a threat.
Tyrannicide was esteemed in antiquity as not a crime but a noble deed. In an
extreme case, according to Seneca, it was an act of mercy to the tyrant
himself. The poet, Lucan, who was tinged with Stoicism, had been implicated in
Piso's conspiracy,and that was the occasion for the banishment of Musonius,
though there was apparently no evidence of his guilt. 12 In general, there is
no ground for thinking that Stoics turned to plotting against the emperors of
whom they most profoundly disapproved. Epictetus merely insists that no
commands of the tyrant can affect true freedom; a man can always choose to obey
God rather than Caesar. Thus he only contemplates passive resistance. T. goes
no further, and perishes on that ground alone. Under DOMIZIANO too Arulenus
Rusticus, called an ape of the Stoics, is said to have suffered death merely
for his laudation of T., Herennius Senecio for his biography of the elder
Helvidius and for failing to pursue the normal senatorial career, and
Helvidius' own son for his withdrawal from politics and for alleged libels on
the emperor; by what they did not do, and sometimes by what they said, these
men had indicated that Domitian was a tyrant, no more, but that was sufficient
offence. The elder Helvidius, T.'s son-in-law, undoubtedly went further. Exiled
by Nero and recalled by Galba, he was encouraged by Vitellius' practice of
consulting the senate even on minor matters to controvert the emperor's
proposals, and new hope was brought by the accession of Vespasian, a friend of T..
At first Helvidius spoke of T. with honour but without insincere adulation. He
judged that the time had come for independent action. The senate should indeed
'capessere rem publicam', all the more, as Gnaeus Piso had once held because
the emperor was absent. Helvidius proposed that the senate should take
immediate measures to remedy the deficiencies of the treasury and to restore
the Capitol, a task in which Vespasian might merely be asked to assist. By
selecting deputies to congratulate the new ruler it should mark out the men on
whom Vespasian should rely for advice. Equally the great delators of Nero's
reign, such as T.’s accuser, Eprius Marcellus, should be punished. Perhaps the
motives for this demand made by Helvidius' friends as well as by himself were
vindictive; we cannot read their minds. But we may see a justification that
went beyond rancour, one of the same kind that lay behind the impeachments and
Acts of Attainder that served to promote the development of a constitutional
monarchy in our own country; the punishment of wicked ministers of the past
might deter their like in the future. Helvidius' aim was surely to ensure that
Vespasian and his successors should rule by the advice and consent of the
senate and of those it trusted. His initiatives found insufficient support. 136
It was in the same year after Vespasian's return that the fatal conflict began.
According to Dio Helvidius incurred Vespasian's hatred partly for abusing his
friends - that is easy to understand, for Eprius was again in high favour - and
still more for turbulence in rousing the people with denunciations of monarchy
and praise of a Republican system. 138 That is not to be believed. Long ago
Helvidius had consented to serve the Principate; he had recently approved of
Vespasian's accession, and rabble-rousing was as alien to Stoic practice as it
was futile. Probably Dio confused Helvidius' attachment to libertas, an
ambiguous word, with Republican allegiance. 139 But the breach was serious: it
led first to Helvidius' arrest and then to his banishment and execution, of
which Vespasian himself is said to have repented. He must in the emperor's view
have been guilty of treason. But in what way?Dio, in making out that Helvidius
appealed to the rabble, probably associates his opposition with the expulsion
of Stoic and Cynic philosophers that occurred about the same time. It is highly
probably that some Cynics under the Principate did assail monarchy and the
whole social order. This view indeed hardly fits the notion that there was a
'Cynic-Stoic' theory of kingship, but that notion should surely be discarded.
Just as the Cynic 'citizen of the world' was a man who rejected the ties of
citizenship in any particular state, so the Cynic 'king' was one who truly
possessed the unfettered freedom that was falsely ascribed to autocrats; both
conceptions were moral, not political.140 In any case Cynics and Stoics ought
not to be confused, though some Stoics, notably Epictetus, undoubtedly admired
the true Cynic's indifference to worldly goods; but not even Epictetus held
that it was right, except for a few persons with a special vocation, to neglect
ordinary social and political obligations. 14 But just because there was a
certain measure of agreement between Stoics and Cynics, and because there were
a few Stoics who could be called 'paene Cynici' (n. 37), it was easy for the
enemies of aristocratic Stoics to resort to malicious misrepresentation of
their attitudes. Thus the accusers of T. had suggested that his attachment to
liberty was a mere pretence that concealed anarchic designs inimical to the
Roman peace. Tacitus' detailed account of his actions disposes of this calumny.
Unfortunately, Tacitus' evidence of Helvidius' quarrel with Vespasian is lacking, and Dio,
usually unsympathetic to philosophers, probably adopted uncritically somewhat
similar allegations against him. '43 It is not in the least likely that a man
of mature age whohad sought to uphold the authority of the senate and had
previously been ready to serve emperors now threw over all his past convictions
and engaged in attacks on the whole established order. Epictetus (n. 152) and
Tacitus (n. 22) depict him as true to the last to his own role as a senator. We
must then look for another explanation. Dio's epitomator collocates Helvidius'
quarrel with Vespasian with an incident in which Vespasian left the senate in
tears, saying that either his sons would succeed him or no one would. It is an
old conjecture, which I would endorse, that Helvidius objected to Vespasian's
manifest intention to pass on his power to his sons. 145 Once Titus had
actually been invested with imperial power as his father's colleague in 71,
Helvidius' protests could plausibly have been construed as treason. If this
explanation be true, we can see that there was right on both sides.
Constitutionally the choice of a princeps lay with the senate, and a man was to
be chosen in the public interest as the person best fitted for the task. There
was no reason to think that Titus or Domitian fulfilled this criterion. I* In
practice the succession had been dynastic from the first, and it had given Rome
a series of rulers, every one of whom in senatorial opinion had proved a
tyrant. The crimes and follies of Nero had resulted in civil war that
imperilled the very fabric of the empire. Galba (having no heir in his family)
had allegedly proclaimed a very different principle: the adoption of the best
man to be marked out by consent. 147 Yet from the first Flavian supporters had
seen in the fact that Vespasian had two grown sons a guarantee of stability.
148 Dynastic sentiment might count for little in the senate, but it made a
powerful appeal to the armies and the provinces. '4) Not one of Vespasian's
successors could afford to disregard this factor. Marcus Aurelius admired
Helvidius as well as Thrasea; from them he had learned, he says, the conception
of a state with one law for all, adminstered by the principles of equality and
free speech for all alike, and of a monarchy that valued most highly the
liberty of the subjects;150 yet he too made a worthless son his successor. We
need not think that this must be explained by Aristotle's dry observation that
it would be an act above human virtue for an absolute king to disinherit
his own son:151 dynastic succession was part of the tradition that Marcus could
think it right to accept.Epictetus illustrates his thesis that every man has
his own individual role to play by dramatizing a confrontation between
Helvidius and Vespasian. 'When Vespasian forbade him to attend the senate,
Helvidius replied, "It lies with you to exclude me from the senate, but
while I am a senator, I must attend". "Then attend, but say
nothing." "Do not ask my opinion and I will say nothing."
"But I am bound to ask your opinion." "And I am bound to say
what I think right." "But if you speak, I shall put you to
death." "When then did I tell you that I was immortal: You will do
your part and I mine. It is your part to put me to death, mine to die without
trembling, your part to banish me, mine to depart without repining.'" What
good did Helvidius do, asks Epictetus, as he stood alone? 'What good does the
red stripe do the mantle? What but this? It shines out (iopÉTTE!) as red, and
is there as a fine (koóv) example to the rest. Anyone but Helvidius would
simply have thanked Vespasian for excusing his attendance, but then Vespasian
would not have had to issue any prohibition; any one else would have sat in the
senate, inanimate as a jug, or have heaped on the emperor the flatteries he
wished to hear. '152 Helvidius had assumed a role, conscious of what his
personality required, had prepared himself to play it, and was resolved to play
it to the last. And his conception of that role was determined by
constitutional principles, to which indeed most men now rendered only lip
service. His stand was unsuccesstul. lo a Stoic that was of no consequence.
Similarly it is no valid criticism of T. that, in disapproving of Agrippina's
murder, he imperils himself without promoting the freedom of the rest. Not all
men have the same duties, and in any case you could not prescribe another's
conduct, nor could it affect your own blessedness. If my contentions are
correct, Stoics as such had no theoretical preference for any particular form
of government, monarchical or Republican. They acknowledged the value of the
state, and they accepted that an individual whose position in the world and natural
endowments permitted him to render the state some service had a duty to take
part in public life, but only under certain conditions. His preoccupation with
political activity must not be such as to impair his spiritual welfare, and
even though the value of every action derived wholly from the agent's state of
mind and not at all from the external consequences of the action, it was
senseless for a man to involve himself in public cares, if it were certain from
the start that he could achieve nothing so long as he acted as a good man
should. Thus Stoic teaching may have tended to induce many of its devotees
never to emerge from a quiet course of philosophic study and private duties: it
certainly led others to retire from public life, or to manifest their
opposition to the government, under rulers whose conduct violated moral rules.
These rules were, for the Stoics, those which were endorsed by their society.
It did not occur to them that the political principles that rulers were
commonly expected to observe might need to be reviewed. Each man had a role to
perform, a station to fill, the duties of which were fixed by general consent.
The good emperor, and the good senator, were bound to carry out these duties
conscientiously. It was this way of thinking that united Stoics in power and
Stoics in opposition. Hence, as the good ruler, Marcus could easily recognize
the merits of good subjects such as Thrasea and Helvidius, who had done their
best to play their own, different, parts in public affairs. If in politics
success is the standard of judgment, there was little to commend in men who did
not identify outward defeat with sheer futility, who admired above all the
'iustum et tenacem propositi virum' and would have thought it praise enough to
say that si fractus illabatur orbis impavidum ferient ruinae, without even
admitting that there might be something unwelcome in the ruin of the world.
Moralists may find some comfort that history occasionally reveals men in high
places ready to do or endure anything for what they suppose to be right. The
historian can note that what the Stoics supposed to be right, what they could
conscientiously devote or sacrifice their lives to doing, was largely settled
by the ideas and practices current in their society, and that a Helvidius or a
Marcus was inspired by his beliefs not to revalue or reform the established
order, but to fulfil his place within that order, in conformity with notions
that men of their time and class usually accepted, at least in name, but with
unusual resolution, zeal and fortitude. T. was thus a Roman politician of the
Porch persuasion. As a member of the Senate, he fearlessly follows an
independent line, and in the process antagonised with Nerone, who eventually
pressurises the Senate into condemning him to death. T. duly commits suicide by
opening his veins in the presence of his son-in-law, Elvidio Prisco and
Demetrio di Roma. He was a great admirer of Catone Minore and wrote a biography
of him. Publio Clodio Tràsea Peto. Keywords: portico,
suicidio, vita pubblica, vita privata, virtute, ius, principe, principato,
reppublica, senato, morale, diritto e moral. Roma antica. Per H. P. Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool Library,
Villa Speranza. Trasea.
Grice e Trasea: la
ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della filiale della
setta di Crotone a Metaponto – Roma – filosofia italiana – Grice italico -- Luigi
Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa
Speranza (Metaponto). Filosofo italiano. Metaponto,
Bernalda, Matera, Basilicata. A Pythagorean, cited by Giamblico. Trasea.
Keywords: la setta di Crotone, filiale a Metaponto. Per H. P. Grice’s
Play-Group, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza
Grice e Trasci: la ragione conversazionale del colloquio lizio con me
stesso -- filosofia italo-albanese -- filosofia italiana – Grice italo -- Luigi
Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa
Speranza (Bisignano). Filosofo italiano. Bisignano,
Cosenza, Calabria. “Spera in Deo”. Nato in una famiglia di origine arbëreshë. Essendo
il primogenito della famiglia e, dunque, contravvenendo alle regole del
maggiorascato, a causa della salute cagionevole venne avviato alla carriera
ecclesiastica nel locale seminario, proseguendo gli studi a Roma e Napoli. È
nella città partenopea che si lega particolarmente alla compagnia di Gesù
divenendo uno dei confessori più vicini a Isabella della Rovere, principessa di
Bisignano. Per non essere distolto dai propri studi filosofici si ritira
volontariamente a vita privata, dapprima nella Tuscia e poi ospite nel Castello
di Proceno, presso Viterbo di proprietà dei Sforza. Ancora nei primi professore
una lapide marmore posta nella rocca ne ricorda la sua permanenza. Da tale
esilio usce in pochissime occasioni, assistito dal nipote. Fu durante la
reclusione nella rocca di Proceno che ha modo di conoscere GALILEI ospite nel
palazzo durante un suo viaggio verso Roma. Dopo esser stato vescovo di
Umbriatico,venne creato vescovo di Massimianopoli in partibus infidelium da Alessandro
VII. Saggi: “Colloquio con me stesso”, di Antonino. Universam Aristotelis
philosophiam; Summa Aristotelicha – LIZIO. Summa theologica dogmatica. Tomassetti,
Cenno storico sulla vita dell’illustrissimo T. (Roma); Nutarelli,
Proceno-Memorie storiche, Acquapendente, T., Amalfitani di Crucoli, erudito
italo albanese Professore or mai dimenticato, MIT Cosenza. Ferrante Marco Antonio Baffa
Trasci. Ferruccio Baffa-Trasci. Trasci. Keywords: “conversazione con me stesso”,
lizio, Galilei. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Trasci” – The Swimming-Pool
Library.
Grice e Trasillo: la
ragione conversazionale del principe filosofo -- Roma – filosofia italiana – Grice
italo -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool
Library, Villa Speranza (Roma). Filosofo italiano. the philosophy teacher of emperor TIBERIO. A
Pythagorean and member of the Accademia. Trasillo. Keywords: Tiberio, principe
filosofo. Per H. P. Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool Library, Villa
Speranza.
Grice e Trasimede: la
ragione conversazionale della filiale della setta di Crotone a Metaponto – Roma
– filosofia della Basilicata -- filosofia italiana – Grice Italico -- Luigi
Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa
Speranza (Metaponto). Filosofo italiano. Metaponto,
Bernalda, Matera, Basilicata. A Pythagorean, cited by Giamblico. Trasimede. Keywords:
setta di Crotone, filiale di Metaponto. Per H. P. Grice’s Play-Group, The
Swimming-Pool Library, Villa Speranza.
Grice e Trebazio: la
ragione conversazionale della repubblica romana e l’implicatura conversazionale
del luogo – Roma antica -- la filosofia romana – filosofia campanese -- filosofia italiana – Grice
italo -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool
Library, Villa Speranza (Velia). Filosofo italiano. Novi
Velia, Salerno, Campania. È molto dubbio che si debbano prendere alla lettera
certe espressioni di CICERONE che accennano l’inclinazione di T. por la
filosofia dell’Orto. Provenne da famiglia agiata e pare che si reca a Roma per
darsi agli studi giuridici. Per raccomandazione di CICERONE, GIULIO CESARE
lo conduce nelle Gallie e si serve di lui per pareri giuridici. Ritornato a
Roma all’inizio della guerra civile, T. age da mediatore tra GIULIO CESARE e CICERONE. Nel conflitto fra CESARE e POMPEO,
T. si schiera col primo al quale rimase sempre fedele. Dopo la morte di GIULIO
CESARE, T. si reca spesso alla villa Tuscolana di CICERONE, ove gli caddero in
mano i "Topica" di Aristotele. Per contentare il suo desiderio di
avere chiarimenti di quella trattazione, CICERONE scrive il saggio omonimo che
dedica ed invia a T. In seguito T. segue
OTTAVIANO. ORAZIO dedica a T. una satira, in cui lo presenta come un
insigne giurista. T. venne nominato cavaliere o da GIULIO CESARE o d'OTTAVIANO. T.
è il maggiore giurista del tempo suo e ha come scolaro ANTISTIO LABEONE (si
veda). Scrive sul diritto civile e sulle religione, ma ci restano soltanto
citazioni di autori posteriori. T. probabilmente adere a un eclettismo simile
in parte a quello di CICERONE con forti caratteri dell’ACCADEMIA e del PORTICO,
ma non si può dire se accetta la scessi probabilista dell'ACCADEMIA. È in
stretti rapporti di amicizia e confidenza con GIULIO CESARE, OTTAVIANO, ORAZIO,
MECENATE, oltre che con CICERONE, col quale intrattenne un fitto epistolario e
che gli dedica i “Topica”. In qualità di giureconsulto, segue GIULIO CESARE
nelle sue campagne galliche, ricoprendo, anche se solo formalmente, la carica
di tribuno militare. E inoltre ascoltato consigliere d’OTTAVIANO ed ha notevole
fama quale maestro di MARCO ANTISTIO LABEONE (si veda), che, nella fase
evolutiva che dalla Res publica al Principato, è l'artefice di quel movimento
innovatore del diritto romano che e stato detto dei proculiani. Delle sue
numerose opere nulla si è conservato, se non le frequenti menzioni che di lui
si trovano nelle Pandette e nelle Institutiones del Corpus iuris civilis
giustinianeo. Da CICERONE e POMPONIO apprendiamo che è allievo a Roma di CORNELIO
MASSIMO (si veda). Secondo POMPONIO, la perizia giuridica di T. e maggiore
dell'eloquenza, arte in cui fu superato da qualcuno, come CASCELLIO, giuridicamente
meno dotato di lui. Potrebbe essersi avvicinato all'ORTO tramite PANSA,
una scuola dalla quale si sarebbe poi allontanato su sollecitazione di CICERONE
che la considera poco consona alle virtù civili e allo studio e alla pratica
del diritto. La questione ritorna poco dopo, quando CICERONE parla dei rischi
del disimpegno civico di T., in relazione al suo ruolo di patrono di Ulubrae, i
cui cittadini, in nome dell'amicizia tra i due, saputa della presenza
dell'oratore di Arpino, si sono mobilitati nel dare un'entusiastica
accoglienza. Nelle stesse righe, CICERONE già si mostra perplesso alla notizia
di un suo precedente avvicinamento, sulla scia di Selius, all’ACCADEMIA di
Carneade, della scessi, una tradizione filosofica un tempo seguita e apprezzata
da CICERONE, ma dalla quale, come si evince indirettamente anche dalla lettera,
egli aveva preso le distanze in favore di una sua particolare interpretazione
del PORTICO. Ha poi una notevole reputazione come maestro di MARCO
ANTISTIO LABEONE (si veda), che avrebbe ricoperto un ruolo importante nella
cruciale fase di svolta che portò dalla repubblica romana al principato. Nell’accanite
dispute dottrinarie che divisero in fazioni i giureconsulti dell'epoca, LABEONE
è l'iniziatore di quella corrente innovatrice che sarebbe stata detta dei proculiani. La
familiarità con CICERONE è testimoniata dall'intensa corrispondenza – XVII lettere
- nelle quali aleggia sempre un tono umoristico e confidenziale e da cui è
possibile attingere molte delle notizie sulla sua vita. Ecco come CICERONE,
probabilmente ospite di T. (o forse dell'amico THALNA) a VELIA in un viaggio
verso la Grecia, si rivolge all'amico assente. Tu però, se, come sei solito,
darai ascolto ai miei consigli, serberai i tuoi beni paterni, né lascerai il
nobile fiume Alento, né diserterai la casa dei Papiri. Cicerone. Velia, lettera
a T. in Roma. Da CICERONE proviene anche qualche annotazione critica sul
carattere di T., secondo lui troppo incline, a volte, ad atteggiamenti
presuntuosi e giudizi tranchant: come quando CICERONE, in mezzo ai brindisi,
viene messo alla berlina dall'amico sulla questione dell'esistenza o meno di
una particolare tradizione dottrinaria. L'esistenza della tradizione, a cui
peraltro nessuno dei due adere, vienne negata da T.. CICERONE allora, pur
rientrato tardi a casa, e tra i fumi dell'alcool, trova il tempo di puntigliose
ricerche in biblioteca per dimostrare la fondatezza delle sue ragioni e
rinfacciarle all'amico. Tratti caratteriali che CICERONE considera evidentemente
difetti e che non manca di rimproverare all'amico, in maniera anche piuttosto
aspra. E ora ascoltami bene, mio caro Testa [T.]! Io non so cosa ti renda
più superbo, se il denaro che ti guadagni o l'onore che GIULIO CESARE ti fa nel
consultarti. Conoscendo la tua vanità, possa io crepare se non credo che tu ami
più l'essere da GIULIO CESARE consultato piuttosto che da lui arricchito! -- Cicerone.
Roma, Lettera a T. in Gallia. CICERONE lo raccomanda come giureconsulto a GIULIO
CESARE, allora pro-console della Gallia, definendolo probo, modesto e dotato di
profonda conoscenza e dottrina dello ius civile. T. si une a GIULIO CESARE nella
campagna di Gallia venendo investito della carica di tribuno militare. Mostrandosi
poco attratto dalle faccende militari, sembra che GIULIO CESARE, pur
confermandogli la carica e la paga, lo avesse esentato dagl’oneri connessi. La
stessa cautela in materie militari lo dissuase dal seguire GIULIO CESARE in
Britannia, facendogli meritare ancora le frecciate di CICERONE che ironicamente
si chiede come mai un accanito nuotatore come lui non abbia voluto bagnarsi
nell'oceano. Poté quindi godere dei favori di GIULIO CESARE con il quale entra
in grande confidenza e al cui fianco resta fedele nel corso della guerra
civile. A proposito di tale confidenza è significativo un aneddoto, riportato
da SVETONIO, in cui GIULIO CESARE da prova di superbia e scarso rispetto verso
il senato romano ricevendo, senza neppure alzarsi, una delegazione senatoria
venuta a rendergli onori presso il tempio di Venere genitrices. In
quell'occasione GIULIO CESARE letteralmente fulmina T. con lo sguardo, per il
solo fatto di aver letto nei suoi occhi una poco gradita esortazione ad
alzarsi. Ha anche da GIULIO CESARE il delicato incarico di mediare con CICERONE
e con il tentennante SERVIO SULPICIO, nel tentativo, risultato poi vano, di
condurre i due dalla sua parte. Dopo l'assassinio di GIULIO CESARE alle idi di
marzo, si une alla cerchia d’OTTAVIANO e MECENATE, divenendo consigliere
giuridico del principe. Da POMPONIO apprendiamo che T. acquisce l'ufficio di
quaestor ma che il suo cursus honorum si ferma a quel gradino per scelta deliberate.
T. infatti, non volendo profittare della posizione privilegiata, rifiuta il
consolato offertogli d’OTTAVIANO. Si sa ad esempio che OTTAVIANO, dopo aver
dato personale attuazione a un fidecomesso formalizzato da un certo LUCIO LENTULO
attraverso codicilli, incaricò una commissione di saggi, fra cui T.,
dall'indiscussa autorità, di pronunciarsi sulla legittimità dei codicilli
stessi. Dalla stessa fonte apprendiamo che la favorevole risposta di T. e improntata
a un'argomentazione molto pragmatica. I codicilli, più informali di un vero e
proprio testamento, permetteno di dare efficacia anche alle disposizioni mortis
causa di quei cittadini romani che, impegnati in lunghi viaggi, non potevano
conformare le loro volontà nelle solenni formalità richieste al testamento.
Ogni sorta di scrupolo sulla legittimità dei codicilli sarebbe svanita quando
perfino il prestigioso LABEONE, allievo di T., ne avrebbe fatto personalmente
uso. Questa innovazione giuridica infranse la regola secondo cui le
disposizioni testamentarie dovessero essere integrate in un unico atto
unitario, che disponesse simultaneamente di tutti i beni. Da allora in poi è
possibile frammentare le proprie disposizioni testamentarie in una serie di
singoli atti scollegati. Alla cerchia di MECENATE appartene ORAZIO che
recalcitra, con tono leggero e confidente, ai pareri legali dell'amico sui
rischi insiti nella mestiere di poeta satirico. C'è di quelli cui sembro nella
satira troppo feroce e oltrepassare i limiti consentiti. T., dimmi tu che cosa
fare. Startene quieto. Dici che non devo scriver più versi affatto? Appunto
questo. Che mi prenda un malanno se non era questo il meglio. Però soffro
d'insonnia. La consulenza si sposta allora su un altro terreno. Coloro che han
bisogno di dormire attraversin tre volte il Tevere unti. A sera si bagnino di
vino. O se tanta mania ti forza a scrivere osa cantar le imprese dell'invitto
Cesare, e avrà compensi la fatica. ORAZIO insiste ancora. Non che gli manchi la
voglia ma i suoi mezzi poetici non li sente all'altezza del compito. T. sembra
inchiodarlo alla durezza della norma che non tollera ignoranza, ma poi si
arrende agli argomenti del poeta e conclude con un'interpretazione pragmatica. Tuttavia
vorrei darti il mo consiglio di stare attento, di restare in guardia che non ti
porti qualche seria noia l'ignoranza di leggi inviolabili. Se qualcuno abbia
scritto contro un altro versi cattivi sia condotto innanzi al tribunale e sia
data sentenza. Sta bene. Se cattivi; ma se buoni qualcuno li abbia scritti e
con la lode di Cesare che giudica la causa? Se qualcuno ha latrato, integro
lui, dietro a un altro che è degno di disprezzo? Saranno disarmate dalle risa
le leggi e tu sarai lasciato andare. -- Orazio, Satire. Gli scritti di T.
annoverano un De religionibus, in almeno X libri e un “De iure civili”. Delle
sue opere, che si conservavano ancora al tempo di POMPONIO, non ci è pervenuto
direttamente alcun frammento. Sappiamo tuttavia che e frequentemente citato dai
giuristi successivi come desumibile dalle occorrenze nelle Pandette e nelle
Institutiones del Corpus iuris civilis giustinianeo. La congettura sulla data
di morte si deve a Kunkel, Herkunft und soziale Stellung der römischen
Juristen, Böhlau Verlag. Tale datazione si basa sull'identificazione del LENTULO
della diatriba giuridica sui codicilli con il LUCIO CORNELIO LENTULO, pro-console
d'Africa. CICERONE pone mano a questa breve opera proprio su richiesta di T. Vi
si dedica, lavorando a memoria, nella tappa da VELIA a REGGIO di un suo viaggio
-- Si veda: Cic. ad familiares. La decisione di intraprendere questo viaggio è maturata
nelle turbolenze successive all'assassinio di GIULIO CESARE, volendo CICERONE
raggiungere la Grecia attraverso una lunga e inusuale, ma più sicura
navigazione litoranea che, dalle coste tirreniche, attraversasse lo stretto di
Sicilia. Cic. ad familiares. Pomp. Enchiridion, nel frammento incorporato
nelle Pandette giustinianee (The Latin Library). Un accenno a una possibile
vicenda epicurea di T. compare nell'epistola ad familiares 7.12 scritta dalle
paludi pontine. La notizia è riferita a CICERONE dallo stesso PANSA, allora in
Gallia e in procinto di diventare tribuno per il biennio 52-51 a.C. L'accenno è
inserito in una sorta di canzonatura, in cui Cicerone indulge all'ironia lieve
sullo scarso impegno di T. nella campagna di Gallia, quasi l'avesse scambiata
per una molle vacanza tarantina. ^ Altre fonti lo indicano invece come epicureo
seguace di Irzio, legato di Cesare in Gallia (che sarà console con Pansa). Si
veda Gravina. Origines juris civilis (De ortu et progressu juris civilis), riportata
in Biografia degli uomini illustri del Regno di Napol. Ad familiares. L'accoglienza
degli ulubrani intenti a rendergli onore viene comicamente resa con l'immagine
fabulistica di un'orda di ranocchi gracidanti, in una lettera di poco
successiva (ad familiares). Sellius, comune amico dei due, fu un oratore le cui
doti non sono ritenute eccelse da Cicerone (Cic. ad familiares). Pomp.
Enchiridion, in: Pandette. Il riferimento, non chiaro, a Thalna è in una
lettera scritta da Vibo a Tito Pomponio Attico: ad Atticum. Dovrebbe trattarsi,
in questo caso, di persona sicuramente diversa dal Thalna nominato (o
pseudonimato) in ad Atticum, giudice corrotto ai tempi del famoso processo in
cui Clodio fu imputato e Cicerone testimone. È anche possibile che Cicerone,
nella corrispondenza, non facesse menzione dell'ospitalità offertagli a Elea da
Trebazio, per non compromettere l'amico. Cic. ad familiares. La disputa, per
inciso, riguardava l'esistenza di certe tradizioni giuridiche circa una
facoltà, in capo all'erede, di perseguire giudizialmente un furto avvenuto
prima della successione mortis causa. Cicerone tende ad imputare
l'atteggiamento così titubante -- e così poco saggio -- dell'amico agli
insegnamenti di Cornelio Massimo. ^ “studiosissimus homo natandi” -- così lo
definisce in ad familiares. Svetonio, Vite dei Cesari. Si veda, su Lacus Curtius
di Thayer. Il tentativo con Cicerone è in Plutarco, Vite parallele. Cicerone o
su Lacus Curtius. La notizia su Sulpicio è tratta dal già citato Biografia
degli uomini illustri del Regno di Napoli, che riprende, anche in questo caso,
il Gravina. Origines juris
civilis, Vol. 1, (De ortu et progressu juris civilis). Forse
identificabile con Lucio Cornelio Lentulo, console e pro-console d'Africa,
morto in Provincia d'Africa (cfr. Kunkel, Herkunft und soziale Stellung der
römischen Juristen, Böhlau Verlag, Institutiones. Sul prestigio di T. troviamo
questo inciso: «cuius tunc auctoritas maxima erat». ^ Si intende meglio il
consiglio se lo si confronta con l'immagine di un T. appassionato nuotatore,
già ricordata in una precedente nota (ad familiares. In questo caso Augusto. In Orazio - Tutte le
opere. Versione, introduzione e note di Cetrangolo, Sansoni. Intratext Library.
Macrobio, in Saturnalia cita infatti, fra gli altri, il decimo libro della sua
opera. Treccani – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Ruiz, T., in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, T. su
sapere.it, De Agostini. Opere di T. su PHI Latin Texts, Packard Humanities
Institute. Portale Antica Roma Portale Biografie Categorie:
Giuristi romaniPolitici romani del I secolo a.C.Giuristi del I secolo
a.C.Persone delle guerre galliche[altre] A lawyer and a friend of Cicerone. When he converted to The Garden, Cicerone wrote
to him questioning whether being a gardener was compatible with belonging to
the legal profession. Trebazio was also the author of some works about the
divine and its cult. Gaio Trebiano Testa. Keywords: I
topica di Cicerone, ius, legge, Ottaviao, Labeone, satira, Orazio, religione,
ius civile, pragmatica del diritto. Per
H. P. Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.
Grice e Trebiano la ragione conversazionale dell’orto romano e
l’implicatura conversazionale del Grice italo – Roma – filosofia italiana -- Luigi
Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa
Speranza (Roma). Filosofo italiano. Friend of CICERONE. He takes an interest in
philosophy and may have been a ‘Gardener.’ Trebiano.
Keywords: Roma antica, l’orto. Per H. P. Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool
Library, Villa Speranza.
Grice e Treves: la ragione conversazionale dei giudici e l’implicatura
conversazionale della giustizia nella filosofia italiana – ventennio fascista
-- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Torino). Filosofo italiano. Torino, Piemonte. Compie gli studi al liceo
AZEGLIO (vedi) e poi nella facoltà dove entra in contatto, fra gl’altri, con BOBBIO,
FOA, LUZZATI, ENTRÈVES, e simpatizza con il gruppo di giustizia e libertà
abbracciando i principi del socialismo liberale. Si laurea sotto la guida di SOLARI con una tesi su Henri
de Saint-Simon. Insegna a Messina, dove viene arrestato per sospetta attività contro
IL REGIME FASCISTA. Trasferito a Urbino e escluso dal concorso bandito sulla
sua cattedra. Insegna a Parma, si trasfere a Milano. Protagonista della
rinascita post-bellica della sociologia in Italia, co-opera attivamente col centro
nazionale di prevenzione e difesa sociale e col suo segretario generale Argentine,
coordinando fra l'altro una vasta ricerca su “L'amministrazione della giustizia
e la società italiana in trasformazione” da cui escono volumi di vari filosofi.
Presiede questo comitato facendosi attivo promotore della sociologia del
diritto. Fonda la rivista italiana della
disciplina, di cui ottiene il riconoscimento accademico e che insegna a Milano.
Difende una posizione filosofica relativista e prospettivista, influenzata da
Mannheim, Mills e Kelsen, del quale ultimo introduce in Italia la dottrina pura
del diritto positivo. Alieno dal dogmatismo e paladino di una concezione
critica della scienza, rifiuta ogni visione metafisica del diritto in favore di
una visione metodologica che sfocia nella sociologia del diritto intesa come
scienza prevalentemente empirica, non avalutativa, ma ispirata a valori, nel
suo caso quelli di libertà e giustizia sociale -- è considerato insigne maestro
per un'intera generazione di filosofi e sociologi del diritto. Due sono i
problemi che la sociologia del diritto deve affrontare: da un lato la
posizione, la funzione e il fine del diritto nella società vista nel suo
insieme. Dall'altro la società nel diritto, cioè quei comportamenti effettivi
che possono essere conformi e difformi rispetto alle norme, ma comunque
forniscono informazioni su come una società vive le regole che si è data. Del
primo problema si sono occupate soprattutto le dottrine sociologiche e polito-logiche,
mentre sul secondo si sono soffermate le dottrine giuridiche anti-formalistiche.
Saggi: “Il diritto come relazione” (Torino); “Diritto e cultura” (Torino); “Spirito
critico e spirito dogmatico” (Milano); “Libertà politica e verità” (Milano); “Giustizia
e giudici nella società italiana” (Bari); “Introduzione alla sociologia del
diritto” (Torino); “Sociologia del diritto -- Origini, ricerche, problem” (Torino);
“Sociologia e socialism - ricordi e incontri” (Milano); “Dizionario biografico
dei giursti italiani” (Bologna, Il Mulino); Il magistero; in La Nuova
Antologia, Colombo, La lezione in La Nuova Antologia, FERRARI, FSociologo del
diritto, in Rivista internazionale di filosofia del diritto, in Ratio Juris, ss. FERRARI, GHEZZI, La scienza del dubbio.
Volti e temi di sociologia del diritto (Mimesis, Milano-Udine), Losano, Sociologo
(Unicopli, Milano); Marconi, Il legato culturale, in Sociologia del diritto, Tanzi,
dalla filosofia alla sociologia del diritto, ESI, Napoli, Nitsch, T. esule in
Argentina. Sociologia, filosofia sociale, storia. Con documenti inediti e la
traduzione di due scritti di T., Memorie dell'Accademia delle Scienze di
Torino, Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche, Sociologia del
diritto, Dizionario di filosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Samuele
Renato Treves. Renato Treves. Treves. Keywords: giudice, giustizia, giusto,
ventennio fascista. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Treves” – The Swimming-Pool
Library.
Grice e Tria: la ragione conversazionale da Roma a Roma via Roma; o, l’implicatura
conversazionale della terza Roma – filosofia pugliese -- filosofia italiana –
Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Laterza). Filosofo italiano. Laterza, Taranto, Puglia. Studia filosofia
a Napoli e Roma. Uditore di diritto
presso il monastero benedettino di Cava de' Tirreni rimane al servizio
di questa abbazia anche quando e trasferito a Roma, è nominato vicario generale
di monsignor Gherardi, vescovo di Loreto e Recanati, e tale rimase. Più tardi,
con monsignor Firrao, ha l'incarico di nunzio straordinario alla Corte del
Portogallo. Quando monsignor Firrao, per
questione di salute, è trasferito in Svizzera, T. anda con lui a Lucerna.
Durante la sua permanenza in Svizzera intraprende un'importante missione in
Svezia e Germania. Eletto vescovo di Cariati e Cerenzia, entra in carica
presiedendo il sinodo. Trasferito poi a Larino, partecipa al concilio di
Benevento. Nominato consulente del Sacro Offizio e arcivescovo di Tiro. Divenne esaminatore di Vescovi ed è insignito
del titolo di cavaliere dell'ordine di S. Giacomo per i suoi meritori servigi
resi alla Corte di Lisbona. Il suoi eruditi saggi includeno: “Memorie storiche civili di Larino (Roma); “Accommodamento
tra il papato e la corte reale di Napoli” (Roma), “Benedetto XIII”. Memorie
storiche degli scrittori, regno di Napoli, Napoli, Tipografia dell'Aquila di
Puzziello, Diocesi di Larino, Pietro Pollidori Giovan Battista Pollidori.
Giovanni Andrea Tria. Tria. Keywords: la terza Roma. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Tria” – The Swimming-Pool Library. Tria.
Grice e Trincheri: la ragione conversazionale secondo Andrea Speranza,
e l’implicatura conversazionale – -- filosofia ligure -- la filosofia italiana
– Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Pieve di Teco). Filosofo italiano. Pieve di Teco, Imperia, Liguria. Nato
da una famiglia benestante che ha in possesso alcuni ettari di terreno. Appassionato
alli romantici, e riconosciuto e si afferma all'interno della cerchia dei
letterati del suo tempo grazie alla brillante difesa in favore di Manzoni,
quando quest'ultimo pubblica la sua
prima tragedia, “Il Conte di Carmagnola”. E con il sostegno del suo maestro e
amico Goethe, famoso filosofo e scrittore romantico, che riusce a far valere la
proprio opinione positiva nei confronti dell'autore dei Promessi sposi. Poche
altre notizie biografiche si conoscono a proposito della sua vita che, a causa
di un incidente in cui fere a morte il suo amico, Andrea Speranza, crolle in
una situazione estremamente travagliata.
Trincheri. Keywords: Andrea Speranza. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Trincheri” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Troilo: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale della conflagrazione – filosofia abruzzese -- filosofia italiana
– Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library
(Perano). Filosofo italiano. Perano, Chieti, Abruzzo. Insegna
a Palermo e Padova. Lincei. Partito dal positivismo del suo tutore ARDIGÒ,
pervenne a una sorta di meta-fisica, da lui chiamata realismo assoluto, che richiama
il panteismo di BRUNO (vedi). L'essere eterno infinito, tutt'uno con lo spirito
assoluto, è il presupposto e il principio unificatore degl’esseri relativi.
Trascendente e indeterminato, l'essere si immanentizza e si determina nella
realtà e negl’individui, oggettivandosi di fronte ai soggetti come
assolutamente altro da questi. Saggi:
“Il misticismo”; Idee e ideali del positivism, La filosofia di BRUNO”; “Il
positivismo e i diritti dello spirito”; “Figure e studi di storia della
filosofia”; “Lo spirito della filosofia”; “Le ragioni della trascendenza o del
realismo assoluto”. Società Filosofica Italiana Sezione di Sulmona, riferimenti
in Garin, Cronache di filosofia italiana, Laterza, Roma; Pra F. Minazzi,
Ragione e storia nella filosofia italiana (Rusconi, Milano); Cappelli,
L'orizzonte filosofico: Idealismo e Positivismo, Pra. Dizionario di filosofia,
Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, T., biografia e nel sito della Società Filosofica Italiana, Sezione
di Sulmona "Capograssi". Erminio Troilo. Troilo. Keywords:
conflagrazione. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Troilo” – The Swimming-Pool
Library.
Grice e Tronti: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale degli spiriti liberi – filosofia italiana – Luigi Speranza, pel
Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Roma). Filosofo italiano. Considerato uno dei principali fondatori ed
esponenti del marxismo operaista teorico. Insegna a Siena, vive a Roma. Fonda
“Quaderni Rossi” e “Classe operaia”. Anima l'esperienza radicale
dell'operaismo. Tale esperienza, che va considerata per molti versi la matrice
della sinistra, si caratterizza per il fatto di mettere in discussione le
organizzazioni del movimento operaio -- partito e sindacato -- e di collegarsi
direttamente, senza intermediazioni, alla classe in sé e alle lotte di
fabbrica. Influenzato da VOLPE (vedi), s’allontana di GRMASCI, o almeno
dalla sua versione ufficiale promossa dal PCI togliattiano. Ri-apre la strada
rivoluzionaria. Di fronte all'irruzione dell'operaio-massa sulla scena delle
società, il suo operaismo propone un'analisi delle relazioni di classe. Mette
l'accento sul fattore inter-soggettivo. La sua filosofia, debitrice anche all’’Operaio”
di Jünger, trova una sistemazione con la pubblicazione di “Operai e capitale” (Einaudi,
Torino), un saggio di forte impatto letterario che esercita un'influenza
notevole sulla contestazione e più in generale sull'ondata di mobilitazione. È
proprio la sconfitta della spontaneità operaia e dell'ondata di mobilitazione,
colta anticipatamente da lui e non invece da altri operaisti come NEGRI (vedi)
-- di qui la rottura tra loro -- a indurlo a spostare la sua riflessione sul
problema del politico, ovvero della direzione e della mediazione politica. Pubblica
“L’autonomia del politico” (Feltrinelli, Milano), una teoria politica realista che, in
un'originale commistione di Marx e Schmitt, e capace di colmare i limiti della inter-soggettività
sociale. Si tratta di una fase più intellettuale che politica. Fonda l'influente
rivista Laboratorio politico. Riavvicinatosi al PCI di Berlinguer, e finalmente
riabilitato dal gruppo dirigente del partito, entrando a far parte più volte
del Comitato centrale. Eletto al Senato della Repubblica nelle liste del
Partito Democratico della Sinistra, membro della Commissione parlamentare per
le riforme istituzionali. Non avendo
condiviso le trasformazioni post-comuniste del partito, la sua filosofia assume
toni pessimistici, concentrandosi sulla fine della politica moderna e sulla
critica della democrazia. Presidente del Centro per la riforma dello stato. Eletto
al Senato nelle liste del Partito Democratico per la Lombardia. È tra i
parlamentari a firmare un emendamento contro l'articolo del disegno di legge
Cirinnà riguardante l'adozione del configlio. Altri saggi: “Hegel politico” (Istituto
dell'Enciclopedia italiana, Roma); ““Soggetti, crisi, potere” (Cappelli,
Bologna); “Il tempo della politica” (Riuniti, Roma); “Con le spalle al futuro:
per un altro dizionario politico” (Riuniti, Roma); “Berlinguer: il principe
disarmato” (Sisifo, Roma); “La politica al tramonto” (Einaudi, Torino); “Cenni
di Castella” (Cadmo, Fiesole); “Teologia e politica al croce-via della storia”
(Albo Versorio, Milano); Passaggio Obama. L'America, l'Europa, la Sinistra (Ediesse);
“La democrazia dei cittadini: dai cittadini per l'Ulivo al Partito Democratico”
(Ediesse); “Non si può accettare” (Ediesse); “Noi operaisti” (Derive Approdi);
“Dall'estremo possible” (Ediesse); “Per la critica del presente” (Ediesse); “Dello
spirito libero: frammenti di vita e di pensiero” (Saggiatore); “Il nano e il
manichino: la teologia come lingua della politica” (Castelvecchi); “Il demone
della politica” (Il Mulino); “Tra materialismo dialettico e filosofia della
prassi”; “La città futura” (Feltrinelli, Milano); ““Cromwell” (Saggiatore,
Milano); “Operaismo e centralità operaia” (Riuniti, Roma); “Il politico: da MACHIAVELLI
a Cromwell; da Hobbes a Smith” (Feltrinelli, Milano); “Il destino dei partiti”
(Ediesse); “Rileggendo "La libertà comunista", “Un altro marxismo” (Fahrenheit
451, Roma); “Classe operaia. Le identità: storia e prospettiva” (Angeli, Milano);
Per la critica della democrazia politica” “Guerra e democrazia” (Manifesti,
Roma); “Politica e destino” (Sossella, Roma); “Finis Europae. Una catastrofe
teologico-politica” (Bibliopolis, Napoli). Ne “La politica al tramonto”, un
capitolo porta il titolo “Karl und Carl”, per sotto-lineare, anche qui
allusivamente, la necessità di completare Marx con Schmitt", Autobiografia
filosofica, in Storia della filosofia, Filosofi italiani contemporanei, Le
Grandi Opere del Corriere della Sera, Bompiani, Milano. Unioni civili: i numeri
che mettono a rischio le adozioni gay, su Termometro Politico; Unioni civili,
30 senatori Pd contro le adozioni. E Gay pubblica la lista: "Scrivi al
malpancista". Loro: "Squadristi", su Il Fatto Quotidiano. Le
piume, le fidanzate, lo zio comunista. I 60 anni di R. Zero, Altri Mondi, Alcaro,
Dellavolpismo (VOLPE) e nuova sinistra, Dedalo, Bari, Preve, La teoria in
pezzi. La dissoluzione del paradigma teorico operaista in Italia (Dedalo); Gobbi,
Com'eri bella, classe operaia. Storia fatti e misfatti dell'operaismo italiano
(Longanesi, Milano); Leo, Per una storia di Classe Operaia, in Bailamme, Mezzadra,
Operaismo, in Esposito e Galli, Enciclopedia del pensiero politico. Autori,
concetti, dottrine, Laterza, Romai; Basso, Gozzini e Sguazzino, delle opere e degli
scritti. Dipartimento di Filosofia-Università degli Studi, Siena; Berardinelli, Stili dell'estremismo. Critica
del pensiero essenziale (Riuniti, Roma), Pozzi, Roggero, Borio, “Futuro
anteriore: dai Quaderni rossi ai movimenti globali. Ricchezze e limiti
dell'operaismo italiano, Derive Approdi, Roma, Wright, L’assalto al cielo. Per
una storia dell’operaismo (Alegre, Roma); Corradi, Storia dei marxismi in Italia
(Manifesto, Roma); Pozzi, Roggero, Guido Borio, Gli operaisti, Derive Approdi,
Roma, Peduzzi, Lo spirito della politica e il suo destino. L'autonomia del
politico, il suo tempo, Ediesse-Crs, Roma, Trotta e Milana, L'operaismo degli
anni Sessanta. Da «Quaderni rossi» a «classe operaia», cd con la raccolta
completa della rivista «classe operaia» (Derive Approdi, Roma); Peduzzi, A
Cartagine poscia io venni incubi sulla teoria marxista, Arduino Sacco editore,
Roma,; Filippini, T. e l'operaismo politico degli anni Sessanta, Euro Philosophie,
Milanesi, Nel Novecento, Storia, teoria, politica nel pensiero (Mimesis,
Milano); Abecedario (Formenti), Derive Approdi, Operaismo Quaderni Rossi Classe
operaia (rivista) Panzieri Negri Cacciari Ingrao Centro per la Riforma dello
Stato, TreccaniEnciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere su
senato, Senato della Repubblica; T., su Openpolis, Associazione Openpolis. Registrazioni di T., Radio Radicale.. Centro
per la Riforma dello Stato, "Storia e critica del concetto di
democrazia" -- intervento di T., disponibile anche in file audio, su global
project Sitoitaliano per la filosofia: su
lgxserver uniba. Conricerca-Futuro Anteriore, su alpcub."Lotta contro gl’idoli"
(intervento di T. per Rai Educational, su emsf. rai. Intervista "La lotta
di classe c'è ancora", La Repubblica, "Sono uno sconfitto, non un vinto.
Abbiamo perso la guerra del '900", La Repubblica. Mario Tronti. Tronti.
Keywords: L’implicatura di Hobbes, libero spirito, democrazia --. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Tronti” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Tuberone: la ragione
conversazionale degl’accademici a Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza,
pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Roma). Filosofo
italiano. Friend of CICERONE. Accademia. Enesidemo dedicates his discourses on
Pirrone to him. Lucio Elio Tuberone. Keywords: Roma
antica. Per H. P. Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza
Grice e Tuberone: la
ragione conversazionale della repubblica romana e l’implicatura conversazionale
della storia romana— Roma -- filosofia italiana -- Luigi Speranza, pel Gruppo
di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Roma).
Filosofo italiano. Nipote di Lucio Emilio Paolo, tribuno della plebe, si oppone
a SCIPIANO (vedi) Africano Minore e a Caio Tiberio GRACCO (vedi). Pretore. Poco
lodato come oratore, si distinse per la cultura giuridica. La semplicità
della sua vita e la rigidezza di suo carattere lo portano verso il ortico, la
cui dottrina applica nella condotta. Conosce Panezio di Rodi e ne segue
l'insegnamento. Da T. e da ECATONE gli futtono i scritti. La cosa è dubbia per
l'influenza di Posidonio su T. Figlio di Emilia, sorella di SCIPIONE Emiliano.
Rigido seguace dello stoico Panezio, studioso di diritto e di astronomia. Uomo
rigoroso e severo oppositore di GRACCO, è bocciato all'elezione per la pretura.
Console, CICERONE lo considera giurista di vaglia con una solida scientia
iuris. Tutta la sua famiglia del resto gode fama di grande dottrina giuridica.
Nome d'una famiglia romana, alla quale appartengono varî giuristi. Il primo è console,
e di lui CICERONE loda la dottrina giuridica. Lucio Elio T. fu legato di Q. CICERONE,
proconsole d'Asia. Più noto è il figlio di lui, Quinto Elio T., che col padre
prende parte alla guerra fra GIULIO CESARE (vedi) e POMPEO (vedi), parteggiando
per quest'ultimo, ma fu perdonato dopo Farsalo. Console, propone un
senatoconsulto sul matrimonio confarreato. A parte un'opera ad Oppium, di cui
si ignora l'argomento, scrive alcuni libri de officio iudicis, destinati come
guida del giudice privato del processo formulare. Le sue opinioni sono citate
più volte con grande rispetto dalla dottrina posteriore. Scrive anche
Historiae, in XIV libri. Keywords: Cicero, iuris, portico, scessi, studied
under Panezio. Quinto Elio Tuberone. Keywords: Roma antica. Per H. P. Grice’s
Play-Group, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.
Grice e Tulelli: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale dell’equilibrio conversazionale: per una metafisica dell’etica –
filosofia calabrese -- filosofia
italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Zagarise). Filosofo italiano. Zagarise,
Catanzaro, Calabria. A lui sono ad oggi intitolate una via a Zagarise e una a S.Elia,
e una sala della biblioteca di Catanzaro. Targa commemorativa in suo onore,
inoltre, posto davanti alla casa comunale di Zagarise un busto che lo raffigura,
realizzato da Calveri. Zagarise, busto creato da Calveri, installato
davanti al comune di Zagarise. Figlio dal marchese Gaetano T., studia presso il
convento del ritiro dei filippini a Zagarise e poi frequenta a Catanzaro il real
liceo ginnasio e il corso presso il pontificio seminario teologico regionale S.
Pio X. Vive a Napoli dove compì studi filosofici e apre una scuola dove insegna
filosofia morale ed estetica. La richiesta di poter istituire una scuola e
inviata alle autorità competenti, le quali, prima di concedere le relative
autorizzazioni, chiesero al vescovo di Catanzaro dettagliate notizie in merito
alla condotta morale e politica del richiedente, la risposta inviata loro fu. Elemento
di condotta soda, casta e onesta. Tra gl’allievi della sua scuola molti sono
appartenenti a famiglie di alto rango sociale, e tra questi, è possibile
annoverare i figli del re Borbone che, in segno di stima, gli fanno dono di un
orologio da camera di manifattura francese opera dei fratelli Japis. Molto
amico di SETTEMBRINI (vedi), il quale lo cita nelle sue "Lezioni di
letteratura italiana", gli trasmitte l’amore per la filosofia e gl’ideali
patriottici.Allievo di PUOTI e di GALLUPPI del quale studia e diffunde la
filosofia, evidenziando il parallelismo con Kant, così come divulga quello di
altri filosofi, tra cui CAPASSO, ROSSI, e MASCI. Insegna filosofia a Napoli
dietro l’impulso di SANCTIS, iniziando un periodo di vero splendore per
l’ateneo napoletano. Cadde il regno delle due Sicilie e, favorevole alla
formazione di uno stato unitario, porta avanti una battaglia a livello morale e
giuridico per l’abolizione della pena di morte che fino ad allora era in vigore
in tutti gli stati d’Europa tranne il gran ducato di Toscana. La stessa a abolita
con l'adozione del codice penale del regno d'Italia -- il cosiddetto Codice
ZANARDELLI. La fine della dominazione dei Borboni è colta come un’occasione di
rinnovamento sociale e morale ed egli instilla nei suoi insegnamenti la
consapevolezza che il rinnovamento politico dove essere accompagnato a quello
morale, egli riscontra nella popolazione un’evidente scarsità intellettuale e
un sentimento religioso che si manifesta mediante pratiche di culto sempre più
lontane dall’essere ricche di valori spirituali e una società sempre più
formalista, cerca di contrastare questa tendenza in affinità a GIOBERTI.
E un patriota e un liberale. La sua attività di filosofo fa si che la sua
notorietà e la sua reputazione cresceno, e inoltre un oppositore degli
hegeliani napoletani, e a capo degl’oppositori degli Spaventiani (SPAVENTA –
vedi) e rappresentante del movimento filosofico del quale fanno parte GALLUPI,
COLECCHI, CUSANI, e GRAZIA. Sul suo valore si sono pronunciati, fra gl’altri,
anche CROCE e RUSSO. Socio ordinario dell’accademia di scienze morali e politiche
di Napoli a l’accademia reale pontaniana. In relazione all'accademia di scienze
morali e politiche di Napoli, T. e PESSINA, in qualità di soci dell'accademia,
di collocare nell'atrio dell'Università degli Studi di Napoli un busto in marmo
raffigurante GALLUPPI, realizzato da Calì è inaugurato con una cerimonia a cui
prendeno parte il rettore Imbriani, dei rappresentanti e diversi studenti.
Della stessa accademia oltre ad esserne socio ne è anche tesoriere come si
evince dalla Gazzetta ufficiale del regno d'Italia n cui è contenuta la ri-elezione
alla suddetta carica (omissis) S.M., sulla proposta del ministro della pubblica
istruzione, ha, con RR. decreti fatte le nomine e disposizioni seguenti:
(omissis) T. Paolo Emilio, socio della società reale di Napoli, approvata
la sua ri-elezione a tesoriere dell'accademia di scienze morali e politiche
della predetta Società; (omissis), socio corrispondente dell’accademia cosentina
accademia di scienze, lettere e belle arti degli zelanti e dei dafnici. Vive a
Napoli. Nelle sue ultime volontà traspare chiaramente un radicato e forte
legame con la sua terra di origine, infatti i primi due punti del suo
testamento furono: volendo lasciare una prima testimonianza di affetto a Catanzaro,
col fine di promuovere e favorire nel mio nativo comune di Zagarise
l’educazione morale e l’istruzione letteraria e scientifica. Dispone inoltre
che è destinata una somma in dote ad una ragazza indigente di Zagarise e che il
resto del patrimonio del filosofo è suddiviso tra i suoi parenti. Il
documento, disponibile presso l’archivio notarile di Napoli, e depositato nel
capoluogo campano presso lo studio del notaio Mazzitelli sito in via S.
Giovanni numero 19. Dondazione di libri alla città di Catanzaro al fine di
fondare una biblioteca pubblica T. volle donare a Catanzaro alcuni libri
affinché potessero rappresentare una base di partenza per la costituzione di
una biblioteca auspicando che il suo gesto potesse rappresentare un’esortazione
a contribuire al suo ampliamento, una volta istituita, da parte di altr’uomini
generosi e amanti della filosofia. Catanzaro accetta il legato che, in caso
contrario, si sarebbe dovuto destinare ad ampliare il patrimonio della
biblioteca del real liceo di Catanzaro o ad un erede del de cuius nel caso in
cui il anche direttivo del liceo non avesse accettato la donazione. I libri
furono trasferiti da Napoli a Catanzaro a spese del comune, così come indicato
nelle ultime volontà del filosofo, e venne istituita la biblioteca comunale che
venne denominata Biblioteca Municipale di Catanzaro "Onestà e
lavoro", ma che oggi è conosciuta come Biblioteca comunale F. De
Nobili. Volendo lasciare una prima testimonianza di affetto a Catanzaro
ove ebbi i primi semi del mio sapere e le prime aspirazioni alla libertà della patria
italiana, lego al comune i miei pochi libri col fine espresso ed incondizionato
di formare il primo fondo ad una biblioteca pubblica da fondarsi in loco adatto
a vantaggio dei studiosi e dei cultori della filosfia. Istituzione di una
rendita per far studiare un uomo meritevole del comune di Zagarise Per quanto
concerne il comune natio, nell’intenzione di promuovere l’educazione morale,
l’istruzione filosofica nello stesso, istituì una rendita annuale, denominata
Monte o Istituto T. per far si che dei filosofi meritevoli del suddetto comune
potessero studiare. A perenne ricordo di ciò egli dispose nelle sue ultime
volontà che è realizzata una breve iscrizione su una lastra di marmo e che la
stessa fosse posta in un luogo pubblico del comune di Zagarise. Col fine
di promuovere e favorire nel mio nativo comune di Zagarise l'educazione morale
e l'istruzione letteraria e scientifica e così sospingere quei miei
concittadini sulla via della civiltà, istituisco un Monte o Istituto per
l'educazione ed istruzione dei studiosi di detto Comune da elevarsi dal real governo
in ente morale e giuridico con la dotazione di annue lire duemila di rendita al
5 per cento iscritto al gran libro dei regno d'Italia. All'uopo destino due
certificati di rendita a me intestati dell'annua rendita di L. millesettecento
con la data di Firenze e l'altro dell'annua rendita di L. trecento della stessa
data. Sì fatta annua rendita è unicamente ed esclusivamente impiegata per
l'educazione e istruzione nella filosofia di un filosofo fatto volta per volta
per modo che si dirà qui appresso nato a Zagarise da genitori ivi domiciliati
almeno da dieci anni compiti, dell'età non minore di anni sette, che sa almeno
leggere e scrivere e mostri in generale attitudine e buona disposizione agli
studi filosofici. Saggi: “I principi sostanziali ed informatori della scienza” (Napoli,
Regia Università); “Dei sistemi morali e della loro possibile riduzione” (Napoli,
Regia Università); “La moralità della scienza e della vita” (Napoli, Regia
Università); “Elogio di V. Buonsanto” (Napoli, Fibreno); “Filadelfos di G. Gemelli:
Accademia di scienze morali e politiche” (Napoli, Regia Università); “L’infallibilità
della ragione umana considerata nella triplice sfera della scienza, politica, e
della religione” (Napoli, Regia Università); “La morale indipendente” (Napoli,
Regia Università); “L’educazione popolare in Italia” (Napoli, Vaglio); La filosofia
morale (Napoli, Regia Università); “Metafisica dell’estetica” (Napoli, Regia
Università); “Una formula metafisica” (Napoli,
Regia Università); “GALLUPPI” (Napoli,
Regia Università); “Papasso e Rossi” (Napoli, Cutaneo); “Libero Stato” (Napoli,
Regia Università); “Estetica” (Napoli, Vaglio); “Capasso” (Napoli, Tramater); “La
rosa di Gerico” (Napoli, Poligama); “Metafisica dell'etica” (Napoli, Regia
Università); “Dei sistemi filosofici”; “L’equilibriio”; “La pena di morte” (Napoli,
Regia Università); “Baldacchini” (Regia Università, Napoli”, Elogio di Cilento.
Sulla Bella di Camarda, poema di Cappelli (Napoli); “Armonia della libertà
politica e della scienza morale”; “ Preso da immenso desiderio e ardente”; “Padre,
partisti, forse desolato”; “Aspirazione a Dio”. Il pensiero morale di T., C. Nardi.
Società Napoletana di Storia Patria, Lettere a Milli, F. Adamoli. Collana "Fondo
Milli" il Poeta.Via a Zagarise Via a
Catanzaro. La famiglia dona a Zagarise un'opera raffigurante il filosofo. Discorso
di Imbriani all'inaugurazione del busto di Galluppi posto nell'Accademia di
Scienze Morali e Politiche di Napoli
Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia, Zagarise e dintorni, Faragò. Lira italiana. Marchese Cavaliere Paolo Emilio
Tulelli. Paolo Emilio Tulelli. Tulelli. Keywords: filosofia italiana,
l’equilibrio, metafisica dell’etica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Tulelli” –
The Swimming-Pool Library.
Grice e Turco: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale dell’agnella, commedia nuova -- filosofia italiana – Luigi
Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Asola). Flosofo italiano. Asola, Mantova, Lombardia. Nasce da una
anticha e nobile famiglie, allora fiorente cittadina della Repubblica di
Venezia, dove ricopre importanti cariche politiche in qualità di deputato,
oratore e avvocato della comunità. La
sua prima opera, un dialogo, “Agnella”, venne rappresentato ad Asola durante i
festeggiamenti per la visita dei duchi di Nemours e Beaulieu e altri illustri
francesi al loro seguito. “Agnella” venne in pubblicata in seguito prima a
Treviso, poi a Venezia. Contemporaneo ed amico di MANUZIO che in una lettera
encomia la sua canzone in lode di Carlo V scritta in occasione della morte di
quest'ultimo. Scrive: Letta la vostra canzone scritta in morte del Gran Carlo
V, veramente Signor Carlo onorato, non troppo benigna stella, essendo voi
dotato di si pellegrino ingegno e di tante altre lodevoli qualità, vi condanna
a scrivere dove tra molte tenebre non può risplendere la vostra virtù, con la
quale potevate illustrare voi stesso ed il secolo nostro eccitando in altri il
desiderio di assomigliarvi. Laddove hora, avendo voi il campo ristretto per
esercitare le vostre più nobili parti, non veggo come possano apparire effetti
degni di voi ed alla vostra nobile industria corrispondenti. Questa lettera è in
seguito stampata in Venezia da Gavardo che, sempre a Venezia, pubblica una
tragedia in versi, intitolata “Calestri”. Altre opere sono stampate anche in Il
Sepolcro de la illustre signora Beatrice di Dorimbergo, Brescia Fabbio, Mangini,
Storie Asolane, Lettera di MANUZIO a Turchi, Lett. Volg. Venezia. Carlo Turco. Turco.
Keywords: commedia nuova, agnella. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Turco” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e Turoldo: le XII fatiche della ragione conversazionale e
l’implicatura conversazionale -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel
Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Coderno). Filosofo italiano. Coderno,
comune di Sedegliano, Udine, Friuli-Venezia Giulia. Figura profetica,
resistente sostenitore delle istanze di rinnovamento culturale, di ispirazione
conciliare, tenuto da alcuni uno dei più rappresentativi esponenti di un
cambiamento spirituale, il che gli ha valso il titolo di coscienza inquieta. Riceve
con intensità le caratteristiche della semplice cultura umana del suo ambiente
nativo e prevalentemente contadino. Colse e fece propria la dignità delle
condizioni povere della sua terra, che costituirono una solida radice
informante tutto lo sviluppo della sua sensibilità e della sua attività
futura. Accolto tra i servi di Maria nel convento di S. Maria al Cengio a
Isola Vicentina, sede triveneta della casa di formazione dell'ordine servita, dove
trascorse l’anno di noviziato. Emise la professione religiosa. Pronuncia i voti
solenni a Vicenza. Incomincia gli studi filosofici a Venezia. Nel santuario della Madonna di Monte Berico
di Vicenza e ordinato presbitero da Rodolfi, arcivescovo di Vicenza. Assegnato
al convento di S. Maria dei servi in S. Carlo al Corso in Milano. Su invito di Schuster,
arcivescovo della città, tenne la predicazione domenicale nel duomo milanese.
Insieme con il suo confratello, compagno di studi durante tutto l’iter
formativo nell’ordine dei servi e amico Piaz, si iscrive al corso a Milano e
conseguì la laurea con una tesi dal titolo, “La fatica della ragione: Contributo
per un'ontologia dell'uomo”, redatta sotto la guida di BONTADINI. Sia BONTADINI
sia BO gl’offriranno il ruolo d’assistente universitario, a Milano, il secondo
a Urbino. Durante l'occupazione nazista di Milano collabora attivamente con la
resistenza creando e diffondendo dal suo convento il periodico clandestino
l'Uomo. Il titolo testimonia la sua scelta dell'umano contro il dis-umano,
perché la realizzazione della propria umanità. Questo è il solo scopo della
vita. La sua militanza dura tutta la vita, interpretando il comando evangelico
essere nel mondo senza essere del mondo come un essere nel sistema senza essere
del sistema. Rifiuta sempre di schierarsi con un partito. Il suo impegno
nel dialogo senza preconcetti e nel confronto di idee talvolta anche duro, si
tradusse in particolare nel far nascere, insieme con PIAZ, il centro culturale
la Corsia dei Servi -- il vecchio nome della strada che dal convento dei servi
conduceva al duomo. Uno dei principali sostenitori del progetto
Nomadelfia, il villaggio nato per accogliere gl’orfani di guerra con la
fraternità come unica legge, fondato da SALTINI nell'ex campo di concentramento
di Fossoli presso Carpi, raccogliendo fondi presso la ricca borghesia milanese. Si
rende noto al grande pubblico con due raccolte di liriche “Io non ho mani” -- che
gli valse il Premio letterario Saint Vincent -- e “Gl’occhi miei” lo vedranno,
presentato nella collana mondadoriana Lo Specchio d’Ungaretti. A seguito
di prese di posizione assunte da politici locali e da alcune autorità
ecclesiastiche, deve lasciare Milano e soggiornare in conventi dei servi
dell’Austria e della iera. Venne dai superiori dell’ordine assegnato al
convento della S. Annunziata di Firenze, e qui incontra personalità affini al
suo modo di sentire, quali fra VANNUCCI, BALDUCCI, PIRA, e molti altri che
nell’ambiente fiorentino animano un tempo in cui si accendono speranze di
rinnovamento a tutti i livelli. Ma anche da Firenze è costretto ad allontanarsi
e trascorre un periodo di peregrinazioni all’estero. Ri-entrato in
Italia, venne assegnato al convento di S. Maria delle Grazie, nella “sua”
Udine. Ma con il ri-entro in Italia porta con sé un progetto, nato a contatto
cogl’emigrati friuliani: realizzare un film che raccontasse la nobiltà della
povera vita rurale del suo Friuli. Il film con il titolo “Gl’ultimi” e ispirato
al racconto “Io non ero fanciullo” scritto da T. in precedenza, venne concluso con
la regia di Pandolfi. Presentato a Udine, “Gl’ultimi” tuttavia fu ben presto
rifiutato dall’opinione pubblica friulana, che lo ritenne addirittura
offensivo. Incomincia a cercare un sito dove dare avvio a una nuova
esperienza religiosa comunitaria, allargata alla partecipazione anche di laici.
Questo luogo, con le indicazioni ricevute d’amici, venne individuato
nell’antico Priorato cluniacense di S.Egidio in Fontanella. Ottenuto il
consenso del vescovo bergamasco GADDI, vi si insedia ufficialmente. Costruì
accanto allo storico edificio del Priorato una casa per l’ospitalità, la Casa
di Emmaus, titolo ispirato all’episodio in cui Gesù risorto si manifesta a
Emmaus alla cena nello spezzare il pane. La casa costituì un simbolico richiamo
alla semplice accoglienza, senza distinzioni di censo, di religione, o altro:
aspetti che caratterizzarono tutta la presenza e la sua multiforme opera.
Costituì inoltre un punto di riferimento per molti protagonisti della storia
culturale e civile italiana. Per molte personalità del mondo ecclesiale e d’altre
confessioni cristiane; un solido incentivo al rinnovamento di linguaggi e di
strutture; un laboratorio di creazioni liturgiche e celebrative, di cui
continuano a essere testimoni la versione metrica per il canto dei salmi e
migliaia di inni liturgici. Insieme con altri frati, impegnati particolarmente
in iniziative di rinnovamento spirituale e culturale, diede avvio alla
pubblicazione di una rivista, il cui titolo è ispirato all’ordine dei servi di
Maria, “Servitium”, e ad altre pubblicazioni che si ricollegavano
all’esperienza editoriale della Corsia dei Servi. La pubblicazione della
rivista continua tuttora con cadenza bimestrale, unitamente all’edizione di
altre proposte librarie edite sotto l’omonimo marchio Servitium. Molti
sono i suoi interventi sui media, dalla carta stampata alle trasmissioni radio
e televisive; molti i luoghi e le circostanze in cui è stato chiamato a
intervenire con la sua avvincente parola. Da ricordare in particolare i suoi
“viaggi della memoria” nei luoghi della Shoah, tra cui spicca quello a
Mauthausen. In quest’occasione compose una preghiera, poi recitata nella
cerimonia conclusiva, pubblicata successivamente nel saggio, “Ritorniamo ai
giorni del rischio”. Colpito da un tumore del pancreas, visse con lucida
consapevolezza e trasparente coraggio l’ultimo periodo della vita, dando una
incoraggiante testimonianza sul cammino verso “sorella morte”. Migliaia di
persone sfilarono accanto alla bara in cui era esposto il corpo di padre I
funerali a Milano videro la partecipazione di una numerosa folla nella chiesa
di S. Carlo al Corso, dove presiedette le esequie il cardinale MARTINI, che aveva
consegnato a T. il primo "Premio Lazzati", affermando la propria
opinione secondo la quale la chiesa riconosce la profezia troppo tardi. Un
secondo rito funebre venne celebrato nel pomeriggio a Fontanella di Sotto il
Monte, presente ancora una folla che copre tutta la collina circostante
l’antico priorato. Nel cimitero riposa ora sotto una semplice croce lignea, in
mezzo alla sua gente. Servitium dedica perciò alla sua figura un quaderno a
frate dei servi di S. Maria e ugualmente fa nel decennale. La grande passione. Saggi: Poesia e opere
letterarie «Lungo i fiumi..» I Salmi Milano, San Paolo, O sensi miei...: Poesie
(Milano, Rizzoli). Sul monte la morte, Servitium, La morte ha paura, Servitium,
poesie, Milano, Garzanti Teatro, Servitium,
I giorni del rischio con Salmodia della
speranza e rappresentazione in Duomo a Milano con Moni Ovadia, Servitium, Salmi
e cantici. Versione metrica per il canto di T., Servitium, La passione di S. Lorenzo, Servitium, La
terra non sarà distrutta, Servitium, Luminoso vuoto. Scritti, Servitium, David
M. T., Capovilla, Nel solco di Giovanni, lettere inedite, Servitium. Saggistica
e spiritualità. Lettere dalla Casa di Emmaus, Servitium, La parabola di Giobbe,
Servitium, Santa Maria. Servitium, Mia chiesa, una terra sola, Servitium, Il dramma è Dio: il divino la fede la poesia. Milano,
Rizzoli, Come i primi trovadori, Servitium, Colloqui con Giovanni, Servitium,
Profezia della povertà, Servitium, Chiamati ad essere, Servitium, È Natale,
Servitium, Mio amico don Milani, Servitium, Pregare, Servitium, Anche Dio è
infelice, S. Paolo, Amare Cinisello Balsamo, Edizioni S. Paolo, Padre del
mondo, Servitium, Povero sant’Antonio,
Il Messaggero, Padova. Narrativa Mia infanzia d’oro (con “Ritratto d’autore” Servitium,
e poi la morte dell'ultimo teologo Torino, Gribaudi. “Gli ultimi” Regia:
Pandolfi; soggetto: T.; sceneggiatura: Pandolfi e T.. Tra le tante, ci è un'iniziativa
che è tentata pochi giorni prima della morte di Moro e che è stata evocata da Craxi
nel corso della sua audizione nella prima Commissione d'inchiesta. In quella
circostanza, l'onorevole Craxi afferma che è chiamato da T., che gli chiedeva
sostanzialmente di domandare alla nunziatura apostolica di dichiararsi
disponibile come sede per far svolgere una trattativa. T. chiese II giorni di
silenzio stampa e insistette molto, con veemenza, affermando che era la sola
via possible. Legislatura, Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento
e sulla morte di Moro, Resoconto stenografico, “Tra i memoriali di Mauthausen”,
in “Ritorniamo ai giorni del rischio. Maledetto colui che non spera”, Milano,
Corriere "E T. nascose le armi dei partigiani" La vita, la testimonianza
Morcelliana. Piaz e la Corsia dei Servi di Milano, Morcelliana, T. e gl’organi
divini. Lettura concordanziale di “O sensi miei...”, Olschki, Una vita con gli
amici; Il mondo delle amicizie di T., documentario Salvi, Roma,
Rai-Educational, Elia, La peregrinatio poietica prefazione di Terza, Firenze, Olschki,
Cardinali, Il Dio Inseguito. Viaggio alla scoperta della poesia di T., Edizioni
Pro Sanctitate, Roma, Romero Balducci, Piaz, Fabbretti. Treccani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. David Maria Turolo. David M. Turoldo. David
Turoldo. Giuseppe Turoldo. Turoldo. Keywords: gl’ultimi, le XII fatiche della
ragione. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Turoldo” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Tuveri: all’altra isola -- la ragione conversazionale sarda e
l’implicatura conversazionale sarda -- filosofia sarda -- filosofia italiana –
Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Collinas). Filosofo italiano. Grice: “Or should we say, ‘filosofo
sardo’?” -- Figlio un noto avvocato. Studia a Cagliari. Di idee repubblicane
comincia l'attività in polemica con molti intellettuali monarchici e
conservatori. Federalista, al parlamento sub-alpino si oppose alla fusione
della Sardegna col Piemonte, ed è in forte contrapposizione con GIOBERTI per le
posizioni anti-repubblicane e anti-mazziniane – vedi: MAZZINI. Fonda La
Gazzetta Popolare, collabora con numerosi giornali e assunse la direzione del
Corriere di Sardegna. Sindaco, propose il nome di Collinas. Lotta contro il
centralismo del regno di Sardegna chiedendo maggiore autonomia, soprattutto
fiscale, per i piccoli comuni. Amico di CATTANEO e MAZZINI, solleva la
questione sarda, promuovendo un riscatto della Sardegna e del popolo sardo
contro uno stato giudicato centralista e oppressivo. Scrive numerosi saggi
filosofici. Assessorato della pubblica istruzione della regione auto-noma della
Sardegna promouove la ristampa dei suoi saggi,
editore Delfino, con una introduzione di BOBBIO. Saggi: “Pintor” (Torino,
Cassone); “Specifici contro il codinismo, (Cagliari, Arcivescovile); “Del
diritto dell'uomo alla distruzione dei cattivi governi: trattato filosofico” (Cagliari,
Nazionale); “Il governo e i comuni” (Cagliari, Nazionale); “Esazione e
compulsione” (Cagliari, Timon); “La questione barracellare” (Cagliari, Timon);
“Della libertà e delle caste” (Cagliari, Corriere di Sardegna); “Sofismi
politici” (Napoli, Rinaldi); “Il veggente: Del dritto dell'uomo alla
distruzione dei cattivi governi”); Accardo, Carta, Mosso; introduzione di Bobbio;
Corrias e Orru, Opuscoli politici. Saggio delle opinioni politiche del signor
deputato sardo Pintor; Specifici contro il codinismo, Sotgiu, Piano e Contu, Scritti
giornalistici. Questione sarda, federalismo, politica internazionale, questione
religiosa, Piano, Contu e Carta, Per la vita e i tempi di T. e altre opere,
Delogu, Fonte: "Centro di studi
filologi sardi". Scheda sul sito della Camera Indipendentismo sardo. Google. Da T. all'intuizione
della concorrenza istituzionale, Bomboi. Venezia; Tuveri. Keywords. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Tuveri: implicature sarda” – The Swimming-Poo Library.
Grice ed Ubaldi: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale della grande sintesi – filosofia italiana – Luigi Speranza, pel
Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Foligno). Filosofo italiano. Presenta un sistema dell'evoluzione
dell'universo considerando la legge dell'evoluzione umana. Chiara i rapporti
d'involuzione ed evoluzione fra le tre dimensioni della materia, dell'energia e
dello spirito, in un processo d'unificazione fra le ipotesi della scienza. Cerca
di spiegare il senso della vita, la funzione del dolore e la presenza del male.
Candidato al premio Nobel, all'ultimo gli fu preferito Sartre. Il suo sistema
filosofico e considerato da Einstein come risulta da un carteggio dolce e
leggero e il suo saggio principale, “La grande sintesi”, e giudicata un quadro
di filosofia scientifica e antropologica etica, che oltrepassa di molto i
consimili tentative. Nato in una regione influenzata dalla vicinanza con Assisi
e impregnata di spiritualità francescana, inizia la scuola, prosegue gli studi
a Roma e si laurea. Fa voto di povertà e gl’appare Cristo. L'apparizione si
sarebbe ripetuta insieme a Francesco di Assisi. Il giorno di Natale dello
stesso anno avrebbe ricevuto il primo di numerosi messaggi. Insegna a Modica e
Gubbio. Nel suo saggio “La grande sintesi” espose la sua filosofia, messo
all'indice, poi ri-ammesso da Giovanni XXIII. La sua vita può essere
considerata distinta in quattro periodi. Nel primo periodo cerca le risposte
nella filosofia, nella religione e nella scienza senza trovarla. Il secondo periodo
si caratterizza da una sperimentazione pratica a contatto col mondo,
d'osservazione della realtà della vita. Nel terzo periodo scrive i volumi della
sua opera pubblicati in italiano e nel quarto la parte restante. Ritiene
che esiste un'unica sostanza, la cui essenza e il movimento e che si manifesta
come materia statica, energia dinamica e spirito vitale. L'uomini sono chiamati
ad evolversi ampliando la percezione delle sue coscienze, che da inviduale deve
farsi conscienza collettiva, per farsi poi coscienza cosmica. In tale processo si
delinea il futuro stato organico-unitario degl’uomini, generato da una etica,
effetto di una consapevolezza razionale e non di un emotivo pacifismo. Gl’uomini
si inserirebbe nel fenomeno universale dell'evoluzione tramite la
reincarnazione. Considera la sua filosofia la manifestazione del proprio
destino e della propria ascesa evolutiva, proponendosi attraverso di essa di
arrivare ad una conoscenza utilizzabile per risolvere i problemi della vita, in
maniera consapevole e dignitosa. La grande legge della vita è quella dell'amore,
tale che la si dovrebbe seguire in ogni situazione: cercare ciò che unifica.
Per questo fare il male significa voler andare contro la corrente del sistema,
perpetuando la separazione, produttrice di sopraffazione e violenza, sino
all'auto-distruzione. Fare il bene, invece, vuol dire cercare di armonizzarsi
con tutto e con tutti, perseguendo quel processo di unificazione che ci riporta
al centro dell'essere, che è rappresentato dalla presenza dell'ordine e della
giustizia del pensiero divino. In tal senso il segreto della felicità consiste
nell'inquadrarsi nell'ordine divino e la preghiera autentica consisterebbe
nella docile accettazione della Legge, cooperando con la sua azione. Così pure,
il lavorare rappresenterebbe il diventare cooperatori del funzionamento
organico dell'universo. Il fine dell'esistenza è rappresentato
dall'evoluzione. Si tratta dell'evoluzione etica, iscritta nel movimento
dell'evoluzione dell'universo. L'universo viene così inteso come
un'inestinguibile volontà d'amare, di creare e di affermare, in lotta col
principio opposto dell'inerzia, dell'odio e della distruzione. L'etica viene
concepita come dimensione ascendente, a tante dimensioni quante sono le
posizioni dell'essere lungo la scala evolutiva. In tale compito evolutivo
fondamentale sono gli idealiaventi la funzione di orientamento e di guida -,
aventi il compito di anticipare una realtà futura da raggiungere. In questa
fase evolutiva l'impegno deve essere quello della spiritualizzazione,
consistente nel seguire gli ideali, che si sono configurati storicamente nelle
religioni e nelle morali. Ciò può avvenire cercando di praticare la
comprensione reciproca e ricercando la fratellanza universale. Si tratta di un
cammino ascensionale, frutto di libertà e volontà, attraverso le quali da un
lato si struttura la nostra personalità dall'altro la vita collettiva
progredisce servendosi di tali progressi. La legge delle unità collettive
rappresenta un principio evolutivo fondamentale, quello per cui tendiamo ad
unioni sempre più ampie: dalla coppia alla famiglia, dalle nazioni alle unioni
di popoli, sino all'unione di tutti gli esseri viventi del pianeta, pur
mantenendo diversità e multiformità. Per questo, la via è quella del
superamento di ogni separazione: la separazione da sé stessi, dagli altri, dal
mondo. L'evoluzionismo è, per tutto ciò, ben diverso da quello di Darwin. Guarda
all'avvenire ed intuisce oltre l'evoluzione organica già compiuta dall'essere
umano. È più ampio di quello di Teilhard de Chardin, in quanto concepisce anche
un processo involutivodallo spirito, attraverso l'energia, sino alla materiache
motiva e sorregge la via di ritorno, evolutiva, come processo di unificazione,
che dalla presenza del divino nella materia, attraverso l'energia, ascende
verso la spiritualizzazione. È caratterizzato eticamente, come tensione
spirituale verso il superuomo che è presente in ognuno di noi, differentemente
dal superomismo di Nietzsche, sospinto dal desiderio di espandere solo le
potenzialità dell'io. La produzione della sua opera si basa sul metodo
intuitivo, attraverso il quale la coscienza, facendosi umile e ricettiva,
riesce a penetrare per vie interiori l'intima essenza dei fenomeni,
diversamente dal metodo obiettivo che se pur ha il vantaggio di giungere a
conclusioni più universali è nato senza ali, in quanto basato sulla distinzione
tra l'io e il non io, tra il soggetto e l'oggetto, tra la coscienza e il mondo
esteriore. I suoi scrittiseguendo le sue stesse dichiarazionisarebbero passati
da una forma ispirata, collegata ad una forma di contatto telepatico con le
noùri, correnti di pensiero -- a livello super-cosciente, al controllo
razionale dell'ispirazione -- metodo dell'intuizione razionalmente controllata.
Tale metodo avrebbe consentito di esaminare sia la materia che lo spirito nella
loro armonia, unificando scienza e fede, considerate due aspetti della stessa
verità. Saggi: “La grande sintesi”; I grandi messaggi. La grande sintesi Le
nouri ("correnti di pensiero") L'ascesi mistica. Frammenti di
pensiero e di passione: La nuova civiltà; Problemi dell'avvenire (Il problema
psicologico, filosofico, scientifico). Ascensioni umane. Dio e universo.
Profezie; L'avvenire del mondo; Commentari, raccolta dei giudizi della stampa
sui volumi precedenti; Problemi attuali. Il sistema; Genesi e struttura
dell'universo; La grande battaglia. Evoluzione e Vangelo; La legge di Dio; La
tecnica funzionale della legge di Dio; Caduta e salvezza; Principi di una nuova
etica; La discesa degl’ideali; Un destino seguendo Cristo; Come orientare la
propria vita; Cristo; Storia di un uomo (Bocca, Milano); Ascenzioni umane.
Verso l'armonia con l'ordine cosmico” (Mediterranee, Roma); “Cristo e la sua
legge” (Mediterranee, Roma); “La grande sintesi: sintesi e soluzione dei
problemi della scienza e dello spirito” (Mediterranee, Roma); “Le noùri: dal
superumano al piano concettuale umano” (Mediterranee, Roma); “La nuova civiltà
del terzo millennio: verso la nuova era dello spirito” (Mediterranee, Roma); “Problemi
dell'avvenire: la civiltà dello spirito” (Mediterranee, Roma); “L'ascesi
mistica: dal piano concettuale umano al super-umano” (Mediterranee, Roma); “Dio
e universo” (Mediterranee, Roma); “Storia di un uomo” (Centro italiano di
PARA-PSICOLOGIA, Recco, Ge.); “Il Sistema” (Centro italiano di parapsicologia,
Recco, Ge.); “La legge di Dio” (Centro italiano di parapsicologia, Recco, Ge.);
“La tecnica funzionale della legge di Dio” (Centro di parapsicologia, Recco); “La
discesa degl’ideali” (Om, Città di Castello); "Un destino seguendo Cristo"
(Om, Città di Castello); "Evoluzione e vangelo" (Centro Ubaldi,
Foligno); Arcidiacono, “U. e la scienza moderna”, Atti del Convegno, Roma); Elenjimittan,
"La missione ecumenica", in Atti del Convegno su Ubaldi, Roma "I
grandi iniziati del nostro tempo" (Rizzoli, Milano); Lanari, "Il
pensiero" Relazioni tenute nei quattro convegni dedicati a U., Roma (Mediterranee,
Roma); Lanari "Profeta", Atti
del Convegno, Roma; Liverziani, "U. e le Nòuri", in Atti dell Convegno
su U., Roma); Magni, "Scienza e mistica", in Atti del Convegno, Roma;
Marocchino, "U.: profeta della intesi tra la fisica e la meta-fisica",
in Atti del Convegno,, Roma; Marzetti, La scala di Giacobbe, Perugia; Mollo, “Bio-sofo
dell'evoluzione umana” (Mediterranee, Roma); Mollo, "La formazione
dell'uomo evoluto nel pensiero di U.", in "Pedagogia e Vita”; Mollo,
"La visione del mondo tra scienza e fede", in Atti del Convegno Roma;
Mollo, "La visione dell'universo. La prospettiva", in "Rivista
di teosofia"; Mollo, "Il rapporto tra scienza e fede. La prospettiva
di U.", in "Rivista di teosofia", Ostuni, Fisica e metafisica di U. in relazione
all'uomo contemporaneo, in Atti del Convegno, Roma; Pieracci, La Grande Sintesi
(Mediterranee, Roma); Pieracci, "Mistico dell'Umbria" (Eugubina,
Gubbio); Pieretti, "La civiltà", Bollettino storico della città di
Foligno, Splendore, "La legge ciclica in U.", in Atti del Convegno
sul pensiero di U., Roma. Centro culturale di Foligno, su pietro-ubaldi Comune
di Foligno per la divulgazione della sua filosofia, presieduto daMollo, su
gaetano-mollo. L'opera di U’, su cesnur.org.
in Massimo Introvigne, Zoccatelli, Le religioni in Italia (sezione
"Spiritismo, parapsicologia, ricerca psichica"), sul sito Cesnur. -- Centre
for Studies on New Religions. Pietro Ubaldi. Ubaldi. Keywords: la grande
sintesi. Refs.: Luigi Speranza, “Ubaldi e Grice,” per il Club Anglo-Italiano,
The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Villa Spearnza, Liguria, Italia.
Grice ed Unicorno: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale dell’arimmetica universale – filosofia italiana – Luigi Speranza,
pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Bergamo). Filosofo italiano. Essential Italian philosopher; unicorno
(n.). Unicorno. Keywords: arithmos, numerus, numero, number. Opere: De
l'arithmetica universale, In Venetia, Francesco senese De Francesch. Unicorno. Keywords: arimmetica universale. Per
H. P. Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.
Grice e Vacca: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale dell’ala del silenzio -- filosofia italiana – Luigi Speranza,
pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Bari). Filosofo italiano.
Essential Italian philosopher. Grice: “My favourite of his books is “L’ala del
silenzo” -- great title, from Alighieri about litotes and understatement. Deputato della Repubblica Italiana Legislature. Gruppo parlamentare Collegio
Bari Partito Comunista Italiano, Partito Democratico della Sinistra, Partito
Democratico Laurea in giurisprudenza e filosofia del diritto. Docente
universitario. Si laurea in filosofia del diritto discutendo una tesi sulla filosofia
politica e giuridica di CROCE. Svolge una intensa attività di organizzatore di
cultura, culminata con l'impegno dedicato alla casa editrice De Donato. Membro
del comitato centrale del Partito Comunista Italiano è poi stato nella
direzione del Partito Democratico della Sinistra. Libero docente in storia
delle dottrine politiche, vince la cattedra di tale disciplina a Bari. -- è
stato nel consiglio di amministrazione della RAI. Deputato per il PCI nella IX
e X Legislatura nella circoscrizione elettorale Bari-Foggia. In occasione delle
elezioni comunali, si è candidato a sindaco con il sostegno della coalizione di
centro-sinistra, ma è stato sconfitto da Abbrescia. Ha ricoperto incarichi di
partito in Puglia e a livello nazionale. Ha rivolto poi i suoi studi alla
storia del marxismo contemporaneo. Dirige la Fondazione Istituto Gramsci di
Roma, diventandone poi Presidente. Membro del Cda dell’Istituto
dell’Enciclopedia italiana presiede la Commissione scientifica dell’Edizione
degli scritti di GRAMSCI. Professore di Storia delle dottrine politiche a Bari,
si è occupato in particolare dell'idealismo novecentesco e dell'hegelismo
italiano nella seconda metà del XIX secolo, con particolare riferimento alla
genesi del marxismo in Italia. Saggi: “Politica e filosofia in SPAVENTA” (Bari,
Laterza); Lukàcs o Korsch? (Bari, Donato); Marxismo e analisi sociale (Bari,
Donato); Scienza, Stato e critica di classe. VOLPE (vedi) e il marxismo (Bari, Donato);
Politica e teoria nel marxismo italiano, Antologia critica (Bari, Donato); PCI,
Mezzogiorno e intellettuali. Dalle alleanze all'organizzazione, curatela (Bari,
De Donato); Saggio su TOGLIATTI e la tradizione comunista (Bari, Donato); Osservatorio
meridionale. Temi di politica culturale” (Bari, De Donato); Quale democrazia.
Problemi della democrazia di transizione (Bari, Donato); Criticità e
trasformazione. Korsch teorico e politico (Bari, Dedalo); Gl’intellettuali di
sinistra e la crisi, curatela, Roma, Editori Riuniti, Comunicazioni di massa e
democrazia, curatela, Roma, Editori Riuniti, L'informazione Roma, Editori
Riuniti, Il marxismo e gl’intellettuali. Dalla crisi di fine secolo ai Quaderni
del carcere, Roma, Editori Riuniti, Tra compromesso e solidarietà. La politica
del PCI (Roma, Editori Riuniti); Gorbačëv e la sinistra europea, Roma, Editori
Riuniti, Tra Italia e Europa. Politiche e cultura dell'alternativa (Milano,
Angeli); “Gramsci e Togliatti” (Roma, Editori Riuniti); Dal PCI al PDS.
Intervista (Bari, Delphos); Togliatti sconosciuto, Roma, l'Unità, Pensare il
mondo nuovo. Verso la democrazia, Cinisello Balsamo, San Paolo, Per una nuova
Costituente, Milano, PasSaggi Bompiani, Vent'anni dopo. La sinistra fra
mutamenti e revisioni, Torino, Einaudi, Da un secolo all'altro. Mutamenti della
politica nel Novecento, Milano, Bompiani, Appuntamenti con GRAMSCI: Introduzione
allo studio dei Quaderni del carcere, Roma, Carocci, GRAMSCI (Roma, Carocci); Presente futuro. Idee
per lo sviluppo ecosostenibile della Puglia, Bari, Dedalo, X. Riformismo
vecchio e nuovo, Torino, Einaudi, In tempo reale. Cronache del decennio, Bari,
Dedalo, Ritorno in Puglia. Tre anni di volontariato politico, Bari, Palomar, Federalismo,
sviluppo economico e coesione sociale in Puglia, e con Masella, Lecce. Martano,
L'unità dell'Europa. Rapporto sull'integrazione europea, curatela, Bari, Dedalo,
Roma, Nuova iniziativa editoriale, Il
dilemma euroatlantico. Rapporto della Fondazione Istituto Gramsci
sull'integrazione europea, curatela, Roma, Nuova iniziativa editoriale, Dalla
Convenzione alla Costituzione. Rapporto della Fondazione Istituto Gramsci
sull'integrazione europea, a cura di, Bari, Dedalo, I dilemmi dell'integrazione. Il futuro del
modello sociale europeo. Rapporto sull'integrazione europea, e con Sausi (Bologna,
Il mulino); “Il riformismo italiano: dalla fine della guerra fredda alle sfide
future” (Roma, Fazi); “Gramsci tra MUSSOLINI e Stalin” (Roma, Fazi); cura di Gramsci,
Nel mondo grande e terribile. Antologia degli scritti Torino, Einaudi, Studi
gramsciani nel mondo. e con Schirru,
Bologna, Il mulino, Perché l'Europa?
Rapporto sull'integrazione europea, e con Sausi, Bologna, Il mulino, Studi
gramsciani nel mondo. Gli studi culturali, e con Capuzzo e Schirru (Bologna, Il
mulino) Le forme e la storia. Scritti in onore di Giovanni (vedi), e con Montanari
e Papa, Napoli, Bibliopolis, Il Novecento di Garin. Atti del Convegno di studi,
e con Ricci, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana. Studi gramsciani nel
mondo. Gramsci in America, e con Kanoussi e Schirru, Bologna, Il mulino, Vita e
pensieri di Gramsci. Collana Storia,
Torino, Einaudi, Collana ET Storia, Einaudi, Moriremo demo-cristiani? La
questione cattolica nella ri-costruzione della repubblica, Roma, Salerno); “Il
FASCISMO in tempo reale: studi e ricerche di Tasca sulla genesi e l'evoluzione
del REGIME FASCISTA, con Bidussa (Milano, Feltrinelli); Togliatti e Gramsci.
Raffronti, Pisa, Edizioni della Normale, Modernità alternative. Il Novecento di
Gramsci, Torino, Einaudi, Togliatti, La politica nel pensiero e nell'azione,
Scritti e discorsi, V. con Ciliberto, Bompiani, Milano Quel che resta di Marx, Salerno Editore,
Roma, L'Italia contesa. Comunisti e
democristiani nel lungo dopoguerra, Marsilio, Venezia. V., su storia.camera,
Camera dei deputati. Vacca. Keywords: solidarietà conversazionale, fascismo.
Per H. P. Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.
Grice e Vaccarino: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale dell’errore del filosofo – filosofia italiana – Luigi Speranza,
pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Pace del Mela). Filosofo italiano. Essential Italian
philosopher. Grice: “I appreciate his metaphor of the ‘chemistry of the mind,’
la ‘chimica del pensiero,’and the idea that philosophers commit only ONE mistake
(“l’errore dei filosofi”)!” Flosofo Figlio del titolare di
un importante saponificio. Laureato a Milano. Fonda “Sigma” pubblicata a Roma.
Fonda “Methodos”, trimestrale di metodologia e di logica simbolica. Si occupa
prevalentemente di logica ed epistemologia. Pubblica una serie di articoli
sulla rivista Archimede su invito di GEYMONAT. Abilitato alla libera docenza in
filosofia della scienza, ma assorbito dai suoi studi e da altre attività non si
dedica all'insegnamento. Ha incarico di tenere il corso di storia della
filosofia antica presso Messina. Riceve anche quello di filosofia della
scienza. Nominato professore associato di filosofia della scienza, ma non
ottenne mai la cattedra di ordinario. Partecipa a vari congressi. In quello di
Amsterdam ha l'occasione di conoscere Bochenski e incaricarlo di dirigere la
sezione di logica simbolica di Methodos. A quello di Parigi partecipa insieme
con CECCATO (vedi), SOMENZI (vedi), e LANDI (vedi), con i quali era in stretti
rapporti di amicizia. Contribusce alla fondazione della rivista Methodologia
nata per iniziativa della Società di cultura metodologica operativa a Milano,
presieduta da Accame. Molto vicino alle vedute filosofiche dei neo-positivisti,
ma in seguito si capì che per dare soluzione ai problemi posti dalla
tradizionale filosofia bisogna anzitutto effettuare un'indagine sul metodo
scientifico onde spiegare perché è l'unico considerabile come valido. Sviluppa
in questo senso sulla “Sigma” una teoria che chiama della "meta-conoscenza",
in quanto ricondotta a una disciplina avente per oggetto la conoscenza.
Successivamente si convince che per procedere in modo effettivamente
scientifico bisogna eliminare ogni a-priorismo effettuando un'analisi
sistematica dei significati di tutte le parole di cui ci avvaliamo e
riconducendoli alle operazioni da cui sono costituiti. Sotto questo profilo i
suoi interessi si incontrarono con quelli di CECCATO e della scuola opperativa.
Ma mantenne una posizione autonoma, ritenendo che la ricerca di base deve
puntare su una semantica e non su una ricerca di tipo cibernetico, come invece
sostene CECCATO. Però accetta e condivide il concetto che bisogna
occuparsi del modo come operiamo a livello mentale per descrivere i significati.
Perciò respinge vedute allora in auge, come quelle della filosofia analitica,
che riconducendo il SIGNIFICATO semplicemente all’USO che se ne fa parlando, li
lascia in analizzati assumendoli implicitamente come prius, in quanto tali,
dogmatici. Si dedica assiduamente a queste ricerche, pervenendo alla
elaborazione di un metodo generale di analisi dei significati. Le sue ricerche
conduce, tra l'altro, all'introduzione di una formulistica idonea alla
definizione delle operazioni mentali, prospettando una sorta di chimica della mente.
La vastità e la complessità delle sue indagini lo costringe a procedere a molti
ripensamenti e revisioni. Pubblica “La chimica della mente” (Carbone,
Messina), in cui espone i principali risultati a cui e pervenuto. Vince il
premio L'Inedito con il racconto “Lo sporco”, pubblicato da Marsilio. Prospetta
ampliamenti e modifiche delle sue teorie nel saggio “Analisi dei significati” (Armando,
Roma). Pubblica “Scienza e semantica costruttivista” (Cooperativa Libraria Universitaria
del Politecnico, Milano) dedicato a una critica di correnti vedute professate
da filosofi della scienza. I suoi interessi si rivolgeno anche alla
codificazione di una logica contenutistica in grado di fissare i criteri di
compatibilità e incompatibilità tra i significati in riferimento alle loro
operazioni costitutive. In tal modo la logica diviene una filiazione della
semantica. La summa dei suoi lavori di semantica è pubblicata in “Dalle
operazioni mentali alla semantica” (Ciddo, Rimini). Nella prefazione al volume
Introduzione alla semantica edito da Falzea a Reggio Calabria, si lo considera
l'ultimo dei grandi illuministi. Altri saggi: “L'errore dei filosofi” (D'Anna,
Messina); “Introduzione alla semantica” (Falzea, Reggio Calabria); “Scienza e
semantica” (Melquiades, Milano); “Prolegomeni”, “Lo sporco. Il pulito, duepunti
edizioni. Repubblica Semantica Filosofia
della scienza Centro Internazionale Di
Didattica Operativa onlus, su ciddo. Methodologia on-line, su methodologia. Vaccarino.
Keywords: construzione prammatica. Per il H. P. Grice’s Play-Group, The
Swimming-Pool Library, Villa Speranza.
Grice e Vaccaro: all’isola -- la ragione conversazionale e l’implicatura
come eteropia -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H.
P. Grice, The Swimming-Pool Library (Palermo). Filosofo italiano. Essential Italian philosopher. Grice: “My favourite
of his books is ‘eteropie,’ a pun on homotopos.” Si laurea a Palermo, inizia
l'attività di docenza presso lo stesso ateneo prima come professore a
contratto, poi come ricercatore e come professore associato. Titolare del corso
di filosofia politica e supplente di scienza politica nella facoltà di scienze
della formazione dell'ateneo palermitano. -- è pro-rettore a Palermo per
la politiche di solidarietà sociale e di co-operazione per lo sviluppo. Inoltre
è condirettore della collana “Eterotopie” dell'editore Mimesis di Milano,
membro fondatore della Società italiana di filosofia politica” e del Centro
interdisciplinare in Bio-politica, Bio-economia e Processi di Soggettivazione a
Salerno. Vicepresidente dell'ONG palermitana della Cooperazione Internazionale
Sud-Sud. I suoi ambiti di ricerca si orientano sulla teoria critica
(soprattutto Adorno e Benjamin della Scuola di Francoforte) e sulla
decostruzione post-strutturalista francese (principalmente Foucault e Deleuze)
dai quali ricava strumenti di analisi da mettere alla prova nel campo della
globalizzazione, della governance e dei diritti umani. Saggi: “Decostruzione
di una realtà macchinica”, in Il camaleonte e l'iscrizione, Palermo, Ila Palma);
“Il capitalismo regolato statualmente”, curatela con Riccio e Caruso (Milano,
Angeli); “Oltre la pace” -- saggi di critica al complesso politico militare,
curatela con Magno (Milano, Angeli); “Adorno e Foucault: congiunzione
disgiuntiva” (Palermo, ILA Palma); “Il pensiero (check) anarchico (Verona, Demetra);
“Il secolo deleuziano” (Milano, Mimesis Edizioni); “Il pianeta unico” (Milano,
Elèuthera); “Anarchismo e modernità” (Pisa, BFS); “CruciVerba: lessico per i libertari”
(Milano); “Zero in condotta, Globalizzazione e diritti umani” (Milano,
Mimesis); “Biopolitica e disciplina” (Milano, Mimesis); “Lo sguardo di
Foucault” (Roma, Meltemi); “Governance e democrazia” (Milano, Mimesis). Vaccaro.
Prof. Salvatore delegato alle politiche di solidarietà sociale e di co-operazione
per lo sviluppo, su Università degli Studi di Palermo. Mimesis Edizioni: collane. Archiviato Palermo:
scheda docente., su scienze formazione.unipa. Biblioteca nazionale di Firenze:
catalogo autore., su opac. bncf.firenze..
Foucault: scheda autore., su portail-michel-foucault.org. Vaccaro.
Keywords: congiunzione e disgiunzione. Per H. P. Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.
Grice e Vailati: la
ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della semantica
filosofica di Peano– filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco
di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Crema). Filosofo italiano. Essential Italian
philosopher. an important figure in the history of formal semantics, influenced
by PEANO, who in turn influenced Whitehead and Russell, and thus Grice. Si laurea a Torino. Insegna a Torino, dopo aver lavorato
come assistente di PEANO e VOLTERRA. Lascia il suo posto universitario e così puo
proseguire i suoi studi in modo indipendente, e si guadagna da vivere
insegnando matematica. Scrive saggi e recensioni che toccano un'ampia gamma di
discipline. La sua opinione nei confronti della filosofia è che essa fornisse
una preparazione e gli strumenti per il lavoro scientifico. Per questa ragione,
e perché la filosofia dove essere neutrale fra opposte convinzioni, concezioni,
e strutture teoriche, il filosofo evita l'uso di un linguaggio tecnico
specialistico, ma usa il linguaggio che la filosofia adotta in quelle aree in
cui è interessata. Ciò non vuol dire che il filosofo debba soltanto accettare
qualunque cosa egli trovi. Un termine del linguaggio ordinario potrebbe essere
problematico, ma la sua carenza e corretta piuttosto che sostituite con qualche
nuovo termine tecnico. La suo filosofia sulla verità e sul significato e
influenzato da filosofi come Peirce e Mach. Con cautela, distinse fra SIGNIFICATO
e verità. La questione di determinare che cosa vogliamo dire quando enunciamo
una data proposizione, non solo è una questione affatto distinta da quella di
decidere se essa sia vera o falsa. Tuttavia, dopo aver deciso cosa si vuole
dire, l'azione di decidere se ciò è vero o falso è cruciale. V. ha una
filosofia positivista moderata. La tattica adottata dai pragmatisti in questa
loro guerra contro l'abuso delle astrazioni e delle unificazioni consiste nel
proporre che, anche nelle questioni filosofiche si esiga, da chiunque avanzi
una tesi, che egli sia in grado di indicare quali siano i fatti che, nel caso
che essa fosse vera, dovrebbero, secondo lui, succedere o esser successi, e in
che cosa essi differiscano dagli altri fatti che, secondo lui, dovrebbero
succedere o essere successi, nel caso che la tesi non fosse vera. Le influenze
e i contatti di V. sono molti e vari, e spesso e etichettato come
"l'italiano pragmatista". Deve molto a Peirce e James – V. è uno dei
primi a distinguere i loro pensieri --, ma subì anche l'influenza di Platone e Berkeley
-- che egli vide come precursori importanti del pragmatism -- Leibniz, V. Welby-Gregory,
Moore, Russell, PEANO e Brentano. V. corrispose con molti dei suoi
contemporanei. La prima parte della sua filosofia comprende scritti sulla logica
matematica. In questi saggi, focalizza l'attenzione sul suo ruolo in filosofia
e distinguendo fra logica, psicologia ed epistemologia. La dottrina recente
pone V. e il suo allievo CALDERONI (vedi) nella categoria storiografica del
pragmatismo analitico italiano. I suoi principali interessi storici
riguardarono la meccanica, la logica e la geometria. Egli da un importante
contributo in molti campi, compreso lo studio della meccanica post-aristotelica,
dei predecessori di GALILEI (vedi), della nozione di definizione e del suo
ruolo nell'opera di Platone e Euclide, delle influenze matematiche sulla logica
e sull'epistemologia, e sulla geometria non-euclidea di SACCHERI. S’interessa particolarmente ai modi in cui quelli che potrebbero essere
visti come gli stessi problemi sono inquadrati e trattati in periodi
differenti. Il suo lavoro di storico della scienza e strettamente connesso con
quello filosofico. Per le due attività, infatti, utilizza gli stessi pensieri e
metodologie di fondo. Vede lo studio storico e lo studio filosofico come differenti
nell'approccio ma non nell'argomento. Crede, inoltre, che dovesse esserci
cooperazione fra filosofi e scienziati nell'approfondimento degli studi
storici. Ritene anche che una storia completa richiedesse che si tenesse in
conto anche il background sociale pertinente. Il superamento delle teorie
scientifiche, grazie a nuovi risultati, non comporta la loro distruzione,
perché la loro importanza aumenta proprio per il fatto di essere superate. Ogni
errore ci indica uno scoglio da evitare mentre non ogni scoperta ci indica una
via da seguire. La posizione di V. sulla storia della scienza ricalca quella di
una serrata critica al positivismo, in un contesto teorico dove il pragmatismo
ammette nuovi strumenti di comprensione e anche di valutazione della scienza,
come mostrano anche le vicende di CALDERONI (Pozzoni, Il pragmatismo analitico
italiano di Calderoni, Roma, IF Press) e di PEANO, il quale vanta certe
affinità con il pensiero filosofico del periodo (Rinzivillo, V., Storia e
metodologia delle scienze in Una epistemologia senza storia, Roma, Nuova
Cultura, e PEANO, Contributi invisibili in Una epistemologia senza storia, Pozzoni,
Il pragmatismo analitico (Villasanta, Liminamentis); PEANO, In Memoriam, Bolletino
di matematica, Pozzoni, Cent'anni di V.”
(Liminamentis, Villasanta); Zan, “La formazione di V.” (Congedo, Galatina); Sava,
La psicologia tra V. e Brentano, in "Il Veltro", Roma, Giordano, V., filosofo
della scienza (Firenze, Le Lettere); Pozzoni, Il pragmatismo analitico italiano
di V., Liminamentis Editore, Villasanta,
Ronchetti, L'archivio in Quaderni di Acme, Bologna, Cisalpino, Scritti
filosofici. Treccani Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana;
Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana; giovanni-vailati.net.
Fondo archivistico e librario conservato presso Milano, Il contributo italiano
alla storia del Pensiero: Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Giovanni
Vailati, Vailati. Keywords: Peano. Refs.: Luigi
Speranza, "Grice e Vailati: la semantica filosofica," The
Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
Grice e Valent: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale della forma della lingua –
filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Treviso). Filosofo italiano. “Some like Vitters, but Valent’s my
man.”Grice. Grice: “Valent wrote the only legible introduction to Vitters’s
thought!” Essential Italian
philosopher. Insegna a Catania e Venezia. Si occupa di
ontologia, logica dialettica, linguaggio, storia e interpretazione delle grandi
categorie della filosofia. Dai primi studi sull'empirismo-scetticismo, sulla
filosofia e sull'analisi del linguaggio (Wittgenstein), è giunto ad indagare
attorno alla teoria della negazione e del divenire in chiave dialettica. Sulla
base di tali premesse, che orientano verso una rilettura dei canoni e dei
presupposti del rapporto ragione-follia, si è impegnato a ri-disegnare, insieme
con un gruppo di psichiatri e psicologi del centro psico-sociale di Orzi nuovi
cresciuti nel solco dell'esperienza critica inaugurata da BASAGLIA, un modello
della psiche adeguato alla comprensione e alla cura della malattia mentale,
dando vita a quello che è stato definito l'approccio dialettico-relazionale. Collabora
con il gruppo teatrale Scena Sintetica nella messa in scena di testi
filosoficamente rilevanti (VELIA, VELINO, Eraclito, Melville, SEVERINO, GALIMBERTI).
Presso Moretti l'edizione delle sue opera. La sua filosofia muove da
un'originale riformulazione di alcune questioni legate alla filosofia di SEVERINO
(vedi), alla tradizione neo-idealistica italiana (GENTILE) ma anche neo-scolastica
(BONTADINI), e dipendenti dalla riconsiderazione speculativa del concetto del
negativo. Descrivendo la sua formazione si define resciuto a una scuola
filosofica di ispirazione ontologica, screziata da un netto disegno dialettico
e pungolata dallo scrupolo fenomenologico. Analizzando le implicazioni
concettuali e pratiche della negazione così com'è stata pensata in uno dei
punti più alti e rilevanti della tradizione dialettica, ovvero nella “Scienza
della logica” di Hegel, critica l'idea intellettualistica della negazione
intesa come esclusione, proponendo al contrario una negazione come inclusione e
una filosofia animata dal principio di ospitalità. Il "no" della
negazione, lungi dal dar vita a una realtà separata, è ciò che innerva il reale
nella sua essenza metamorfica e vitale, nella sua splendida apertura alla
novità, alla trasformazione e al cambiamento di cui il filosofo è appassionato
investigatore. A questo scopo e in evidente autonomia rispetto all'impianto
destinale della filosofia della necessità di SEVERINO, esplora la categoria
modale della possibilità, cercando di mettere in discussione sia l'opposizione
frontale tra realtà e irrealtà, sia la priorità assoluta della positività del
reale nonostante la negatività dell'irreale. L'esserci e non l'essere è, per V.,
che legge Hegel con Wittgenstein, la determinatezza semantica e sintattica, il
plesso grammaticale e vitale che ricongiunge l'esperienza intesa come luogo
dell'emergere della differenza e dell'incalzare degli eventi con la teoria
della razionalità quale analisi del permanere e della necessità. Ecco che di
contro all'ontologia fondamentale di Severino si fa largo l'idea di una micro-ontologia
intesa non come una “ontologia del piccolo”, bensì, piuttosto, nel senso che
non c'è nessun evento che non si disponga per virtù propria in una peculiarità
di significato, nel vigore elementare e insieme metamorfico di un qui. Ma micro-ontologia
anche come ontologia del remoto, dell'avverso-diverso, dell'improbabile,
dell'anonimo, del folle: di tutto ciò che insieme si ritiene minore nella
capacità di realtà. Con la proposta di una micro-ontologia intendeva
sottolineare l'autonomia e la resistenza del diamante della dialettica come
principio di determinazione semantica fondato sulla relazione-negazione
inclusiva e situato nella prospettiva strategica propria dell'esserci, rispetto
al rischio delle ricadute nella mistica dell'essere e di quella totalità
assoluta che, in quanto tale, appare separata e isolata, esercitando la sua
imposizione distruttiva al di fuori della logica della relazione e
dell'inclusione. Di contro all'autentico totalitarismo di questa idea di
totalità assoluta propone la ripresa del detto eracliteo del Panta δια pánton,
ossia di quel tutto attraverso il tutto che è la forma radicale della illacerabile
relazionalità della vita. Solo se ogni differenza tra gli umani è un modo
differente di essere il tutto allora le discriminazioni tra piccolo e grande,
forte e debole, femmina e maschio, nero e bianco, ricco e povero, sano e
malato, non avranno ragione d'essere (se non in quanto differenti
manifestazioni dell'identico, invece che differenze di principio e di valore. Saggi:
“Verità e prassi” (Vannini, Brescia); “La forma del linguaggio: studio sul Tractatus
logico-philosophicus” (Francisci, Abano Terme, Padova), Invito a Wittgenstein,
Mursia, Milano; “Asymmetron, Quaderni de "Il Palazzo della Grande
Utopia", Milano; Dire di no. Filosofia Linguaggio Follia, Teda,
Castrovillari (Cosenza); Dire di no. Scritti teorici, Opere (Moretti, Bergamo);
“Asymmetron: micro-ontologie della relazione. Scritti teorici in Opere di V., a
c. di Tagliapietra, Moretti e Vitali, Bergamo. Panta διαpánton. Scritti teorici
su follia e cura, in Opere di V., a c. di Tagliapietra, Moretti e Vitali,
Bergamo. La forma del linguaggio. Studio sul "Tractatus
logico-philosophicus. Scritti su Wittgenstein, Sophón. Aforismi per l'anima, a.
c. di Valent, con un saggio di Tagliapietra, Moretti e Vitali, Bergamo. Opere. La
filosofia, prima di ogni altra definizione dotta, è amore per la realtà. In
ricordo, in "XÁOS. Giornale di confine", Dire di no. Scritti teorici,
Panta διαpánton. Scritti teorici su follia e cura. Italo Valent. Valent.
Keywords: la forma del linguaggio. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Valent”, The
Swimming-Pool Library.
Grice e Valentino:
la ragione conversazionale a Roma e l’implicatura conversazionale di Romolo
divino -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P.
Grice, The Swimming-Pool Library
(Roma). Filosofo
italiano. He moves from elsewhere to Rome where he created a sect called ‘The
Valentinians’, who Valentino described as being the only ones who would save
themselves. Ippolito di Roma did not like him. Valentino. Keywords: Roma
antica, Ippolito. Per H. P. Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool Library,
Villa Speranza.
Grice e Valeri:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dello spazio tra sè
e sè – l’antropologia filosofica come ricerca dell’inter-soggetivo – filosofia
italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool
Library (Somma Lombardo). Filosofo italiano. Essential
Italian philosopher. Grice: “I especially like his idea of anthropology, alla
Kant, as the search for the subject.” “Tra se e se.” Si
laurea in filosofia a Pisa, quale allievo pure della scuola normale superiore,
discutendo una tesi sul pensiero di Lévi-Strauss, con relatore BARONE (vedi),
si rivolse agli studi di antropologia, conseguendo un dottorato di ricerca a
Pisa. Le sue ricerche riguardarono molti argomenti, fra cui, i sistemi
politici, la parentela e il matrimonio, la ritualità, così come l'antropologia
sociale ed economica, la storia comparata degli usi e costumi dei popoli, che
condusse lungo la linea di pensiero del suo maestro Lévi-Strauss. Gl’è stato assegnato
per i suoi studi e le sue ricerche di antropologia culturale, il premio
”Guggenheim Fellowship“ per le scienze sociali. Fra i molti suoi saggi, cura
pure diverse voci antropologiche per l'Enciclopedia Einaudi. Tra le sue
molte saggi, il saggio “Uno spazio tra sé e sé. L'antropologia come ricerca del
soggetto” (Roma) può considerarsi una sua autobiografia intellettuale. Ghiaroni,
"Società, soggetto, sacrificio. La teoria del sacrificio di V.", in
Studi e materiali di storia delle religioni, Ghiaroni, ”Società, Soggetto,
Sacrificio. La teoria del sacrificio di Valerio Valeri tra Hawaii e Indonesia“,
Studi e materiali di storia delle religioni. Natura e cultura: introduzione
alla teoria dello scambio e della parentela di Levi-Strauss, Pisa. Per notizie
biografiche più esaustive, riferirsi alle
xxvii-xix dell'opera: in merito alla rilevanza di V. come studioso e
ricercatore; Valerio Valeri. Valeri. Keywords: antropologia. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Valeri” per H. P. Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool
Library, Villa Speranza.
Grice e Valerio: la ragione
conversazionale a Roma e l’implicatura conversazionale della morale togata – il
gentiluomo romano-- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di
H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Roma). Filosofo italiano. A philosopher of little originality, and a notorious
flatterer of TIBERIO (vedi). He is best known for producing his IX books of
memorable doings and sayings – the work is designed primarily as a resource for
moral education by means of examples – showing how virtue is rewarded and vice
punished. It preserves many otherwise lost snippets taken from a variety of
sources – including newspapers. His ‘saggi’ are not much regarded today, but
they were bestsellers throughout the dark ages and the Italian renaissance,
“and I do find them incredibly amusing on a lazy after-noon,” – Grice. Morale
pretesto. Ed Shackleton, Loeb. Skidmore, “Practical ethics for Roman
Gentlemen”. Valerio Massimo. Keywords: Roma antica. Per H. P. Grice’s
Play-Group, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.
Grice e Valerio: la ragione
conversazionale alla villa di Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza, pel
Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Roma). Filosofo italiano. He has a statue erected in his honour in his own
villa (‘Ain’t that cute?’). Publio Avianio Valerio. Keywords: Roma antica. Per
il H. P. Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.
Grice e Valla:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della volutta –
filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Roma). Filosofo italiano. Essential Italian
philosopher. Nato da genitori di origini piacentine -- il
padre era l'avvocato Luca della Valle -- riceve la sua prima educazione a Roma
e Firenze, imparando il greco da Aurispa e Aretino. Lo guida lo zio Scribani,
un giurista funzionario in Curia. Il suo primo saggio e il “De comparatione CICERONIS
Quintilianique” in cui elogia Quintiliano a scapito di CICERONE (vedi), andando
contro all'idea corrente e mostrando già in questo primo saggio il suo gusto
per la provocazione. Quando muore lo zio, spera di ottenere un impiego nella
Curia Pontificia. Ma i due autorevoli segretari Loschi e Bracciolini, ferventi
ammiratori di CICERONE, si opponeno all'assunzione. Grazie all'aiuto di
Beccadelli, detto il Panormita, e chiamato ad insegnare retorica a Pavia,
succedendo al maestro bergamasco BARZIZZA. Questi anni furono fondamentali per
lo sviluppo della sua filosofia. Pavia e infatti un vivo centro culturale e puo
approfondire le sue conoscenze giuridiche, osservando inoltre l'efficacia del
procedimento di analisi critica dei testi, che lo studio pavese applicava con
rigore. Acquire una grande reputazione con il dialogo “Della volutta”, nel
quale si oppone fermamente alla morale del Portico e all'ascetismo, sostenendo
la possibilità di conciliare la morale ricondotto alla sua originarietà, con
l'edonismo dei filosofi dell’orto, recuperando così il senso della filosofia di
LUCREZIO (vedi), che sottolinea come tutta la vita dell'uomo sia
fondamentalmente volta alla volutta, intesa non come istinto, ma come calcolo
dei vantaggi e svantaggi conseguenti ad ogni azione. A conclusione del “Della
volutta”, sottolinea, però, come per l'uomo la suprema voluttà e la ricerca
spirituale. Si tratta di un saggio considerevole. Per la prima volta, una
tendenza filosofica che era rimasta confinata nell'ambito della filosofia
romana classica e ri-valutata. Le polemiche che seguirono alla pubblicazione
del “Della volutta”, gli costringe a lasciare Pavia. Da allora passa da
un luogo all’altro, accettando brevi incarichi e tenendo lezioni in diverse
città. Fa la conoscenza d’Alfonso V al cui servizio entra. Il re ne fa il suo
segretario, lo difende dagl’attacchi dei suoi nemici e lo incoraggia ad aprire
una scuola a Napoli. Durante il pontificato di Eugenio IV, pubblica sulla
falsa donazione di COSTANTINO, “De falso credita et ementita Constantini
donatione". In esso, con argomentazioni storiche e filologiche, dimostra
la falsità della donazione di Costantino, documento apocrifo in base al quale i
cattolici giustificano la propria aspirazione al potere temporale. Secondo
questo documento, infatti, e lo stesso COSTANTINO, trasferendo la sede
dell'impero a COSANTINO-POLI, a lasciare al pontifice massimo di ROMA il
restante territorio del principato. La dimostrazione di V. è accettata e lo
scritto è datato all'VIII secolo o IX secolo. “Quid, quod multo est absurdius,
capit ne rerum natura, ut quis de CONSTANTINOPOLI loqueretur tanquam una
patriarchalium sedium, que nondum esset, nec patriarchalis nec sedes, nec urbs
nec sic nominata, nec condita nec ad condendum destinata?” “Quippe privilegium concessum est triduo, quam CONSTANTINUS
esset effectus christianus, cum Byzantium adhuc erat, non Constantinopolis.” V. dimostra che anche la lettera ad Abgar V attribuita a Gesù e un
falso e, sollevando dubbi sull'autenticità di altri documenti spuri e ponendo
in discussione l'utilità della vita monastica e mettendone in luce anche
l'ipocrisia nel “De professione religiosorum” suscita l'ira delle alte
gerarchie ecclesiastiche. E obbligato, pertanto, a comparire davanti al
tribunale dell'inquisizione, alle cui accuse riusce a sottrarsi soltanto grazie
all'intervento del re. Visita Roma, dove i suoi avversari sono ancora molti e
potenti. Riusce a salvarsi da morte certa travestendosi e ritornando a Napoli.
Vengono divulgati gli “Elegantiarum libri sex”. Il saggio raccoglie una serie straordinaria di
passi desunti dai più celebri scrittori latini – CICERONE, LIVIO, VIRGILIO -- dallo
studio dei quali occorre codificare i canoni linguistici, stilistici e retorici
della lingua latina. Il saggio costitue la base scientifica del movimento
umanista impegnato a riformare il latino sullo stile di CICERONE. In le
"Emendationes sex librorum Titi LIVII" discute, col suo modo di
scrivere brillante e caustico, correzioni ai libri di LIVIO in opposizione ad
altri due intellettuali della corte napoletana Panormita e Facio che non
avevano il suo stesso spessore filologico. Con la morte del re, la sua
fortuna inizia a volgere in meglio. Recatosi nuovamente a Roma, e ricevuto da Niccolò
V. Assume il ruolo a lui più consono di professore di retorica, ma non perde
nemmeno il suo spirito caustico e inizia a criticare la Vulgata, facendo
confronti con l'originale greco sminuendo il ruolo di traduttore di GIROLAMO
(vedi) e DONATO e giudica spuria la corrispondenza tra SENECA e Paolo. Sotto
Callisto III raggiunse il culmine della carriera, divenendo segretario
apostolico. È quasi impossibile farsi un'idea precisa della sua vita privata e
di suo carattere, essendo i documenti nei quali vi si fa riferimento sorti in
contesti polemici e, pertanto, fonte più di esagerazioni e calunnie che di
testimonianze attendibili. Appare comunque come persona orgogliosa, invidiosa e
irascibile, caratteristiche cui però si affiancano le qualità di elegante
umanista, critico acuto e scrittore pungente nella sua continua e violenta
polemica sul potere temporale dei cattolici. -- è un personaggio di
eccezionale importanza soprattutto quale rappresentante del più puro umanesimo.
Con le sue spietate critiche ai cattolici e un precursore di LUTERO contro VIO,
ma fu anche il promotore di molte revisioni di testi. La sua filosofia si basa
su una profonda padronanza della lingua latina e sulla convinzione che fosse
stata proprio un'insufficiente conoscenza del latino la vera causa del
linguaggio ambiguo di molti filosofi. V. e convinto che lo studio accurato e
l'uso corretto della lingua e l'unico mezzo di acculturazione feconda e
comunicazione efficace. La grammatica e un appropriato modo di esprimersi sono
a suo modo di pensare alla base di ogni enunciato e, prima ancora, della stessa
formulazione intellettuale. Da questo punto di vista, la sua filosofia e tematicamente coerente, in quanto ciascuna delle
parti si sofferma innanzitutto sulla lingua, sul suo impiego rigoroso e sull'individuazione
delle applicazioni erronee della grammatica latina. Il profondo distacco
storico ci permette di distinguere la sua filosofia in due filoni, quello
filologico e quello critico. Sebbene sa mostrare eccezionali doti di storico
negli saggi critici, questa capacità non è però riscontrabile nell'unico saggio
definito storico, cioè nella biografia di Ferdinando d'Aragona, tutto sommato
un modesto elenco di aneddoti. Il principato romano inizia a tramontare,
il che si palesava non solo nell'indebolimento delle forze politiche e
militari, ma anche nello sfaldamento dell'ordinamento interno e soprattutto
nell'imbarbarimento della cultura. La crisi generale e l'accettazione di molte
genti non italiche tra i cittadini romani provocano un lento ma significativo
allontanarsi dalla lingua verso forme dialettali e meno eleganti. Si evidenzia
la necessità di uno sviluppo della lingua che presuppone la canonizzazione
della parlata popolare e della sua semplice grammatica. Sono i primi sintomi
della nascita del volgare, che necessita di un millennio per svilupparsi
pienamente. Durante questa lunghissima transizione, in tutta l’Italia ci fu
un'enorme incertezza linguistica. Il romano classico cede lentamente il posto
ad una mescolanza di nuovi idiomi che combatteno per la supremazia. Gl’effetti
di questo periodo di passaggio sono ben visibili soprattutto nelle traduzioni
che via via nasceno dal romano verso l'italico, poché la linea di demarcazione
tra il romano e il volgare e fluttuante e nessuno dei traduttori puo dirsi un
vero esperto in materia. E il primo a stabilire un limite alla volgarizzazione,
decidendo che un cambiamento oltre tale limite e già parte del processo di
sviluppo. In questo modo, riusce non solo a salvaguardare la purezza del romano,
ma pone anche le basi per lo studio e la comprensione del volgare nato dal
romano. Si pone tra i maggiori esponenti dell'umanesimo non solo per il
suo costante apporto di punti di vista umanistici, bensì anche per la sua
annosa avversione alla cultura scolastica. È indicativa ad esempio la sua
tesi in “Della volutta” sugli errori de PORTICO praticato dagli asceti che non
avrebbero preso in debita considerazione la legge naturale. La morale consiglierebbe
infatti, a suo avviso, un'esistenza allegra e godereccia che non precluderebbe
in alcun modo l'aspirazione alle gioie del paradiso. Analogamente, nelle “DIALECTICAE
DISPUTATIONES”, confuta il dogmatismo di Aristotele e del LIZIO e la sua arida
logica che non offre insegnamenti o consigli, bensì discute solo di parole
senza raffrontarle con il loro significato nella vita reale. Altrettanto
critico si dimostra nelle “Adnotationes in Novum Testamentum” quando usa la sua
profonda padronanza del latino per provare che sono state le traduzioni
maldestre di alcuni passi del Nuovo Testamento a causare incomprensioni ed
eresie. È a lui dedicata una fondazione che in collaborazione con
Mondadori, pubblica la collana dei romani i in cui vengono proposte edizioni
critiche di testi classici. L'arte della grammatica, Casciano (Milano,
Mondadori); “La falsa donazione del principe Costantino”, Pepe, Firenze, Ponte
alle Grazie, Scritti filosofici e religiosi, Radetti, Firenze, Sansoni, Roma,
Edizioni di Storia e Letteratura, “Repastinatio dialectice et philosophie” (Padova,
Antenore). Treccani enciclopedia, Il Contributo italiano alla storia del
Pensiero: Filosofia) ; Garin, "La letteratura degl’umanisti", in
Cecchi-Sapegno Letteratura italiana (Milano, Garzanti); Basilica Papale SAN
GIOVANNI IN LATERANO, su Vatican. Pubblicate per la prima volta da Erasmo da
Rotterdam. Antonazzi, “V. e la polemica sulla donazione di Costantino, Roma); Camporeale,
Valla. Umanesimo e teologia, Firenze, Istituto Nazionale di Studi sul
Rinascimento, Fink, Laffranchi, “Dialettica e filosofia in V.” (Milano, Vita e
Pensiero); Mancini, “Vita di V.”, Firenze, Sansoni; Regoliosi, “V.. La riforma
della lingua e della logica” (Atti del convegno del Comitato Nazionale, Prato);
Firenze, Polistampa, Donazione di Costantino. Dizionario di storia, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, Rita Pagnoni Sturlese. Su treccani. in Il contributo italiano alla
storia del pensiero Filosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, La
falsa donazione di Costantino, su classic italiani. La tomba su Penelope uchicago,
Laurentius Vallensis. Lorenzo Valla. Valla. Keywords: Cicerone, Virgilio,
Quintiliano, Livio, rinascimento, grammatica, dialettica e rettorica. Refs.:
Luigi Speranza, “Valla e Grice,”per la Fondazione Lorenzo Valla, The
Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
Grice e Vallauri: la ragione conversazionale
e l’implicatura conversazionale dell’interpretazione giuridica -- filosofia
italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Roma). Filosofo italiano. Essential Italian philosopher.
“Italians, especially noble ones, love a long surname, so this is Luigi
Lombardi Vallauri. I say: if he wants to keep the Vallauri, that’s what he’ll
go with by!” Grice: “He favours animal rights, as I do.” Professore universitario
italiano. È stato Professore di filosofia del
diritto a Milano e Firenze. Insegna all'Università degli Studi dell'Insubria e
all'Università degli Studi di Sassari, dalla quale è stato chiamato per chiara
fama. Nipote del predicatore gesuita Riccardo Lombardi, cugino del
direttore della Sala stampa vaticana Federico Lombardi, nonché nipote di Gabrio
Lombardi, si avvia alla formazione teologica alla Gregoriana di Roma. Si laurea
in giurisprudenza col massimo dei voti a Roma, suo maestro è stato BETTI. Dopo
la laurea perfeziona gli studi giuridici in Germania e vince molto presto il
concorso per la libera docenza. Diviene professore in filosofia del
diritto a Firenze, dove ha insegnato anche argomentazione giuridica e filosofia
del diritto. Ottiene la cattedra in filosofia del diritto a Milano. Dopo il
collocamento a riposo insegna presso le Como e Sassari. Massimo esperto di
teoria dell'interpretazione giuridica, già direttore dell'Istituto per la
documentazione giuridica del CNR e presidente della Società italiana di
filosofia giuridica e politica -- è autore di saggi filosofico-giuridici. Con
il suo Terre: Terra del Nulla, Terra degli uomini, Terra dell'Oltre ha aperto
un nuovo filone della sua ricerca, dedicato alla filosofia della religione e
della spiritualità. Al saggio Nera Luce, V. ha consegnato la sua critica
serrata ai dogmi del cattolicesimo e l'approdo all'apofatismo. I suoi interessi
recenti riguardano la tutela giuridica dei diritti degl’animali. È
vegano. Fonda e conduce, un gruppo di meditazione teso a esplorare le possibilità
di una vita contemplativa all'altezza del sapere moderno. Il suo libro traduce
in scrittura il seguitissimo corso di meditazioni tenuto dall'autore per Radio
Tre Rai, propone una mistica laica, ossia una mistica che prescinde da rivelazioni
soprannaturali coniugando il pensiero scientifico occidentale con le tecniche
di meditazione tipiche delle filosofie orientali. Allontanamento
dall'Università Cattolica. Insegna filosofia del diritto presso l'Università
cattolica di Milano. Tiene una conferenza a Bari e all'inizio decide di
sedersi in terra, giustificandosi presso l'uditorio con la frase. Del Dio che
emoziona non mi sento di parlare seduto su una sedia, quindi, mentre parlerò di
questo Dio, starò seduto in terra». Sospeso dall'attività didattica a
causa del suo insegnamento ritenuto eterodosso rispetto alla dottrina della chiesa
cattolica. Fra i punti problematici secondo le autorità ecclesiastiche, un
giudizio di V. sul dogma dell'inferno, da lui definito: incostituzionale in
quanto nessun atto per quanto grave può meritare una pena eterna e perché è
contraria ai princìpi più avanzati del diritto, e specificamente del diritto
influenzato dal cristianesimo, una pena che in nessun modo tenda alla
rieducazione/riabilitazione del condannato. Il professore ha affermato in
seguito. Quando i giudici ecclesiastici mi hanno cacciato fuori dall'Università
Cattolica non riuscivano a formulare l'accusa ed io ho detto. Ve la do io, il
papa è quasi infallibile nell'errare. Dopo l'esito negativo dei ricorsi
giudiziari interni, si è rivolto alla corte europea dei diritti
dell'uomo. La corte si è pronunciata a favore del ricorrente, ritenendo
che fossero stati lesi i suoi diritti alla libertà di espressione (per il
provvedimento adottato dalla cattolica senza contraddittorio) e a un equo
processo (per il rifiuto a pronunciarsi opposto dagl’organi giurisdizionali
amministrativi), entrambi garantiti, rispettivamente, dagli articoli della convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà
fondamentali. Nei suoi corsi e libri V. si è occupato di varie tematiche:
filosofia del diritto, critica dei riduzionismi, filosofia della mente,
misticismo, buddismo, sessualità, meditazione, diritti degli
animali. Riassumeva la situazione storica attuale tramite la seguente
formula: [E = (m+e) + i (ab) + fd + oid] -> [N.O.] -> [(N. e/ax/es)] +
(I.P.)] La prima parte è l’equazione del riduzionismo ontologico. L’essere
è riducibile alla somma di materia, energia e informazione. L’informazione è di
due specie: algoritmica e biologica. Il riduzionismo diventa poi scientismo
tecnologico, con l’aggiunta di un fattore di dominazione, ossia la teoria
baconiana del conoscere per dominare, e dell'organizzazione industriale del
dominio portata dalla rivoluzione industriale. Le conseguenze dello scientismo
sono il nichilismo ontologico, ossia la scomparsa di ogni tipo di spirito (dio
angeli anima), il quale può avere due esiti antitetici: le filosofie del
soggetto assoluto e quelle della morte del soggetto. L’ultima conseguenza del
processo è il nichilismo etico assiologico ed esistenziale, ossia la negazione
di norme e valori oggettivi. Esso genera un vuoto, che nella nostra epoca viene
occupato dall’individualismo possessive, ossia la credenza che gli unici beni
sono ricchezza successo e potere. Occorre dunque articolare una risposta
filosofica al riduzionismo, individuando quali realtà si sottraggano alle sue
pretese. L’oggetto principale che sfugge alla riduzione è la mente. Saggi:
“Saggio sul diritto giurisprudenziale” (Milano); “Amicizia, carità e diritto” (Milano);
Corso di filosofia del diritt (Padova); Cristianesimo, secolarizzazione e
diritto moderno (Milano) Terre: Terra del Nulla, Terra degli uomini, Terra
dell'Oltre, Milano. Il Meritevole di tutela, Milano, Logos dell'essere Logos
della norma, Bari, Nera luce (Firenze); Riduzionismo e oltre: Dispense di
filosofia per il diritto, Padova, Trattato di Bio-diritto. La questione
animale, Milano, Meditare in Occidente.
Corso di mistica laica, Firenze, Scritti
animali. Per l'istituzione di corsi universitari di diritto animale, Gesualdo, Note. Magister, L'inferno? Una vergogna,
L'Espresso. Guadagnucci; Scritti Animali. Per l'istituzione di corsi
universitari di diritto animale, in Visionari, Gesualdo (AV) (Gesualdo,
Guadagnucci); Bosco, Cristo o l'India, Verona, Fede e Cultura, Guadagnucci. Sullo
scarso fondamento dei fondamentalismi, Nuovamente. V., Neuroni, mente, anima,
algoritmo: quattro ontologie, Lettura magistrale al VI congresso della Società
italiana di neuroscienze, Guadagnucci,
Il filosofo degli animali, in Restiamo animali: Vivere vegan è una questione di
giustizia, Milano, Terre di mezzo, Meditare in occidente Corso di mistica laica, ciclo
di trasmissioni radiofoniche su Radio3 Rai. Meditare in occidente Corso di
mistica laica, ciclo di trasmissioni radiofoniche su Radio3 Rai, Meditare in
occidenteL'anima di paesaggio, ciclo di trasmissioni radio-foniche su Radio3
Rai, edizione. Conferenza/lezione tenuta dal titolo: Non-violenza e Animali: un
tema antico come le montagne e sempre più ricco di futuro. Evento organizzato
da Progetto Vivere Vegan, Interviste Sì agli interventi che aiutano i
nascituri, intervista di Perna, LIBERO, l'Unità, Firenze, e Rassegna stampa sul
"Caso V." I Nuovi Inquisitori, di Pace, a Repubblica, A dialogo con
V., di Pollastri, Phronesis, Note, di Franza, Officina sedici. Luigi Lombardi
Vallauri. Vallauri. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Vallauri” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e Valletta: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale dei liberali, libertari e libertinisti
-- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Napoli). Filosofo italiano. Eessential Italian philosopher. Grice:
“He was a libertine from Naples. I like him. His oeuvre published in Firenze. Studia dapprima
letteratura presso i gesuiti per poi dedicarsi al diritto. Insieme a Andrea, e
fra i fondatori degl’investiganti, che da impulso al grande rinnovamento
culturale che prende grande avvio. Nelle accese polemiche
filosofico-scientifiche tra progressisti e conservatori, insieme a CORNELIO, ANDREA,
CAPUA e agl’altri investiganti appoggia attivamente i progressisti. Istituì a sue spese la cattedra di lingua
greca a Napoli, affidando l'incarico di insegnamento al suo maestro ed amico MESSERE
(vedi, illustre filosofo. Cura l'edizione napoletana delle opere e del Bacco in
Toscana dello scienziato toscano REDI. Grande appassionato e conoscitore di
libri, meritandosi l'appellativo di Helluo librorum et Secli Peireskius alter. Grazie
all'interessamento di VICO, il fondo librario confluì nella Biblioteca dei
Girolamini. Saggi: “Lettera in difesa della moderna filosofia e de' coltivatori
di essa”, “Historia filosofica”. Lombardi, Storia della letteratura italiana, Tipografia
camerale. Nicolini, V., in Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Gl’Investiganti Andrea, Redi, V.,, nipote di V. Breve scheda
biografica, Redi. Scienziato e poeta alla corte dei Medici. Lettera
di V., napoletano fn difetta della moderna
Filofòfia , e de' coltivatori di eflà, INDIRIZZATA ALLA
SANTITÀ’ DI CLEMENTE XLAggiuntavi in fine un'ojf umazioni fopra
' la medefima . IN ROVERETO Nella Stamperia di Pierantonio
Berno Libr. ALL’ XLWSTRISS. SIC. AB. ’f FRANCESCO
PARTINI • • * è ;DE N AJOF, • f + • -
Nobile Provinciale del Tirolo, ec.ec, , l
♦ « » »# » , » • * * », » * • » • Olto
tempo è, Jlluflriffmo Signor Abate , che per darvi qualche
piccio- lo contraffegno della divo - Zioa mia verfo di voi , io
vado tra me ftejjo meditando , qual co/ a , non del tut- to di]
pregevole , e di . voi indegna , do - vejft offerirvi . Ed ora ufcendo
da’ miei * 5 tor- / ' « ' *- .4 .
* * ' p t * •# /« •. è . * » .• * •* .
• * . - j» % ■ T“ » 'f '' i*' *'* * -ì r .!
*orri&; la prima volta una dotta * ed erudita Opera del Sig.
Giufeppe Val* tetra , la quale manofcritta lungamen- te era andata
per le mani de* virtuofi; quefta appunto ho . difegnato d' indiriz-
zare a voi , sì 5 per darvi un picciolo faggio del de fiderio
ardentìjfimo > eh' io bo d' incontrare con e fio voi ferviti ,
sì ancora per fare un pubblico attediato al mondo della /lima
grande , ch'io con- fervo della voftra ragguardevole Perfo- ra . E
nel vero fé , com * a tutt' altri è in ufo di fare , io voleffi
raccoglier qui le glorie de * trapaffati , teffendo un lunoo
catalogo di tanti e tanti glorio fi Antenati della vofira nobile Famiglia
, i quali e nell' armi , e nelle . lettere rif- plendendo , non
meno il vofiro Ceppo , che tutta cotejìa Patria ili ufi r areno ;
certo de non ■; uno > ma ben mille moti- osi io avrei per indurmi a
ciò fare . . Concioffiachè allora egli . mi fi farebbe .
tofto innanzi la fingolar perizia nell' ar- mi di PIETRO , illu (Ire, e
.antico ger- irne della vofira onorati fiima Prof apia , *
il Digitized by Google il quale da Galeazzo Vìfconte
Duca di Milano meritò d* ejsere fatto Condot tiere delle fue. armi
> Mi . fi prefent crebbe fitto gli occhi il valore di quell*
altro PIET RO d' età ma ? non di merito inferiore , a cui i
eccellenza nel mefiier te ftmil mente della guerra , acqutfiò l*
uffizio d) Capitano dell*. Imperador Maj • fimifiano J. i , e di
ALESSANDRO altresì , che in qualità pur di Capita • no fi morì in
Ungheria . Ma molti , e molti ì anche fiudiof amente, trapalan- do
y come potrebbe . poi .fuggirmi dalla vijìa la , decantata dottrina . ,
fingolar- mente nell* arte Medica > e la probità 9 e integrità
de' cofiumi di FRANCESCO PARTINI , il quale in quel feli- ce fecola del
cinquecento cotanto s* avan- zò > e ft difiinfe , che meritò le lodi ,
e gli applaufi d'uno de' maggiori letterati di quell'età , che fu
Andrea Mattioli > (i) • e d'ef- (i) Nell* Epiftola
dedicatoria de 1 Di/cor fi /opra Diofcoride al Principe Ferdinando d* A u
Aria . Ve- nezia 1668. E negli fte/fi Difcorfi /opra il libro 4- di
Diofcoride capitolo 80. e d' e ([ere fatto Prot omedico dì
due Ce- fali , cioè Ferdinando I . , e - Maffimilia- no li.'? Cèrto
che i pregi di co fiat , i quali di molto accrebbero lo fplendore
del- la vofira Stirpe -, io non potrei per mo- do alcuno non
Jommamente celebrare: e tanto meno que' di MELCHIORE fuo figlio i
il quale dalla matura pru- denza pur di Maffimiliano li. Impera -
dorè » di cui era ' Configliero , > fu' (celta a far efeguire
^Imperiai comandamento di por giù /’ armi, fattola'- judditì del
Finale in Italia '.(*) Ma io non ne verrei sì toflo a' capo , : quando
'a’ me- riti degli Avi'-vojìrì i.'com' -bó det- to piuttofiò chea
voi mede fimo va- le jft riguardare . " I pregj degli ante-
nati' apportano più (limolo >3 -che lode a' ■ (uccefiori \ , ed è
molto ' mifer, abile la condizione di colui -, ' il quale noti
po((a in altro . mod o diftinguerft , che col! aprire i (epolcri de’ fuoi
maggio- ri » . \ • r t • r i n* •* a
(2) Mambrino Rofeo Storie del Mondo libro II. a io4«
ri , e temendo nn lungo panegirico del- le loro gloriofe azioni , far fi
corona al capo di meriti non fuoi . ■ Per la qual cofa , ponendo da
/’ • un de' lati quelle lodi , le quali non fono sì pro- prie dì
voi , che comuni non fieno an- cora a tutta la Famìglia , ed alle
fole voftre t in cui gli altri non v* hanno parte alcuna
rifiringendomi ; dico > che quello , che principalmente rn ha
invogliato a procacciarmi luogo nel no- vero de' vofìri fervidori t e che
non pojfo fe non grandemente ammirare , fi è quella incredibile
gentilezza , ■ e foavità di coftumi.y e di maniere , per mezzo
della quale ben fate chia- ramente apparire da qual . forgente
traete t origine , e i natali . h non fo per cagion di quefla con
qual fronte poffano riguardare in voi cer- te anime t le quali non
riflettendo > che • /’ e (fere nate nobili è fiato un accidente
, cui altro loro non appor- ta , che impegno di ben imitare gli
antecejfori ; di tanta rufiicìtà , e fai - ...
V3&7' falvatkhe^za ripiene comparirono folamente nell *
afpre , ed altiere fembr ano .avere ripofia la loro gloria .
Poi fiete certamente di un amaro rim- provero a tutti cofioro % e C
umanità vofìra , quando attentamente vi riguar- da Q ero , non
potrebbe che riufcir loro di jomma vergogna , e confo fione . Ma
fic- come y nè alterigia , o di / prezzo altrùi la nobiltà della
Famìglia , per chiara , eh' ella fi fa , è fiata giammai baftan- te
ad infpirarvi , . Così nè al fafio y o al- la. libertà le •comodità » e
gli agj > che dalla fortuna avete : nè .alla vanaglo- ria * o
alla prefunzione le nobili quali- tà. dell’ animo voflro , hanno
giammai potuto aprirvi la firada , Tanti rari pregi- finalmente ,
tutti infieme uniti , non fono -fiati valevoli a feemar punto di
quella vofira naturale affabilità , e dolcezza di tratto , la quale
quanto in altri è più rara > altrettanto in voi ab-
bondantemente appari fee t e campeggia . Qttefta vi eccita la maraviglia
di tut- ti coloro , che di voi hanno alcuna co. no-
• >. . / * 't d - *
*• 'V. •4 ami. * - ' difienpì
guefia concilia ì* amore , e ^uCfi^nera^iòni de- vojìri Concito
adì* . niy^ 0?quefia finalmente induce , an- zi con una dolce
violenta quaft rapi* ffce , e sforzai cìafcbeduno a farvi un
volontario tributo de* fuoi affetti , e del fuo cuore . Ma che dirò di
quel - i* bontà j ingoiare , con cui prendete a protteggere qualche
perfona ingiù • fiamente oppreffa , e oltraggiata > fa- cendo
vedere , non altrimenti effervi fenfibili- i torti > che fi fanno
alla ragione , e alla gtufiìzia , che fe a voi me de fimo f off ero
fatti ? Voi con quel rincrefcimento fiete folito fentìre i colpi t
che la fortuna vibra con - tra /’ onefie infelici perfine > col
qua- le gli fentirefie , fi contra voi me- ' de (imo foffero
fcagltati ; e con queir occhio riguardate gl * infortuni » e mi-
ferie altrui , con cui riguarderefie quel- le de* vojìri più cari
congiunti . Di qui è y che e col configlio , e con /’ opera non mai
vi mofìrate fianco di fivvenire > e beneficare coloro >
i qua- Digitized by Google * quali per la loro
innocenza fi ren- dono meritevoli della vofira protezio- ne ; ; ed
avendo avvertito , che il ve- ro carattere degli animi nobili , an-
zi quello , che piu .all' Al tifiimo ld- dio viene ad accodarci , è * il
f al- levamento delle per fine \o dalla ma- lignità degli uomini,
>o dall' .avver- ata della fortuna inìquamente fir ac-' date ;
voi perciò, avete creduto im - prefa degna di voi lo fendere a que-
> fie benignamente il braccio , acciò la Patria vofira potefse
andare altiera ; e dar fi vanto -, d'. avere >■ d mercè di voi
maifempre aperto un a filo all ' innocenza , re .fempremai pronta
una fpada cantra la malvagità , e la co* lunnia . Con tal- mezzo
voi rifiorate - i danni , che la me de [una '.per /’ im. matura
morte dì MELCHIOR PAR- TINI vofiro . degnifsìmo , Fratello ha que
fi* anni addietro, fifferti # e quello ~ fplendore le ritornate ,%che
allora per efser ella refiata priva -d'-uno de'-fuoi ■ più cofpicui
, e qualificati Cittadini , ave- aveva pèrduto l ; A che
fero molto t molto contriluifcono ancora gli altri due vofìri
meritevoli (fimi Fratelli , di - co GIOVA M BA TJS T A 'PA RTI- NI
> Abate della Reai Badìa di San Pietro di Loreto nell ’ Abruz-
zo , e il Padre CARLO PARTINI , Definitor Perpetuo Carmelita- no t la
prudenza , e pietà di cui è così nota , e pale/e in quefìa Cit- tà.
.y che. inut il cofa farebbe il farne per me qui parole . Ma troppo
chiaro io m’aveggio d* avere già foverchiamen- te la modejìia
vofira offefa , non ri- flettendo f che una delle maggiori lo- di
> che vi fi debbono , è appunto il franco rifiuto , anzi difpregio ,
che voi fate delle medefime , Solo mi re- fia adunque di fupplicare
il generofo animo voflro a ricevere in buon grado ia piccolezza del
dono , che umilmen- te vi offro , non alla qualità di ejfo , ma al
de fiderio dei donatore riguardan- do \ e pregandovi in fine a non
difdir- mi la fofpirata grazia d’effere anch' io al-
A >** » * * allogato
tra i voflri ~ fso v • y i , , , •
Di V.S ♦ . / f . *
* i l Rovereto; V
*'> 1 ^ «a ^ V . o V ^ / «' • 1 . . .
. t i » ‘ t •• « • V «
• 1 J VmìUfs. Devotìfs. ObbUgatìfs. Servo
Pierantonio Berno. lo Digitized by Google
LO STAMPATORE A CHI LEGGE. NON poco tempo e (Tendo ,
che va per le mani degli ftudiofi una Lee* tera manoferitta di V.,
Letterato Napoletano in difefa della Filofofia moderna , e d’ alquan- ti
Tuoi concittadini profeflori della medefi» ma , .fino dal 1700. dirtela :
ed avendo rav. v ifato , com’ ella è molto avidamente ricer. cata ,
e letta dagl’intendenti ; ho (limato di far colà grata al pubblico , ed
alle per* Ione letterate , dandola fuori per mezzo delle (lampe, sì
per renderla più comune, e sì ancora per levare la briga a chi
deli* dera averla, di farla tralcrivere.* (concia co*, là parendomi
, che un così utile lavoro ve* nirte tuttavia contaminato, e guado
dalla trafeuraggine, e fonnolenza de’copifti. Io a» vrei per verità
molto caro avuto di abbatter* mi (e non all’ Originai medelimo dell’
Auto- re , almeno a qualche copia elàtta , e fedele; il che per
diligenza ufata non m* è venuta pienamente fatto di conlèguire. Spero
però,' che mercè 1’ afliftenza da perlbne delle buo- ne lettere
amanti predatami > le quali lì fono validamente adoperate in
correggerla , rive- dendo poco men che tutti i palli nel proprio
fonte, e togliendovi que* moiri , e quali in- finiti errori incorfivi
nelle copie ; il cottele Lettore non avrà molto che deliberare . V*
ho in fine aggiunta un’Offervazione fopra la medefi ma, affai tortele
mente dal Sig. Gir ola- 7 ino Tartarotti Róveretano comunicatami ,
la quale fono più che certo , o Lettore , che non t’ increfcerà
d’aver Ietta. Vivi felice , e - favorirci col tuo aggradimento la buona
incli- nazione,- ch’io ho d* adoperarmi a tuo van- taggio . La
fegùente notizia , polla per più contezza dell* Autore dell’Opera , è
tratta dal Leffico degli Eruditi del Sig. Burcardo Men. thenio . •
’ '• '■ » • V. Giureconfulto Italiano , na. Io in Napoli a* 6
. d' Ottobre V anno 1 666. fece la pratica nella fua Patria , e ranno una
copio, ftffimd libreria , injìeme con un gabinetto prezio fo di
monete antiche , in frizioni ecì Corrifponde . va co ’ più infigni
Letterati d’ Europa . Traduf- fe alcuni libri dall ’ Inglefe in Italiano
. Scriffe un libro della necejjìtà della [olita pratica in ma-
teria di religione , come pure un ’ opera toccante V impresone di monete
move . Morì a' $. di Marzo Vanno 17.14. ' • BE AT 1S S
IMO « P A D R E. f * » **• ♦
» « 4 %# * • * t • • • f f • f l,i * •
» ; r r* « * I. ’
s. »4 I Ntichìflìmo coftumefu Beatissimo
Pad re ,o dir il vogliamo naturai genio, ovvero inclina-
zione, o qual egli fi .fia avvenimento degli uomini, i quali a’pofteri
hanno avuto in penfiero di lafciar qualche me- moria per mezzo
delle lettere, di muo- A * verfi Digltized by
Google % verfi a tal opra da picciola e lieve
oc- cafione , ed. alle voi ce incominciare da balle , e aHai deboli
fondamenta , ed indi poi pian piano p a dare più olcre fin- ché al
defiato fine fi aggiunga ; e quali Tempre digiuni , e non mai fazj di
di- vorare fulle carte il tempo , e l’ore. Quindi è , che veggiamo
, che una fa- - tica, la quale fui principio fu ftimara opra di
pochi fogli , tratto tratto li avanzi » e fi accresca in tanta
gran- dezza , e mole , che a gran pena fe ftelfa comprenda . Lo
ftelfo eflere av- ' venuto a me io già divido; ma non fo com’egli
avvenuto fia . Perocché aven- do già per foddisfare al gènio de*
Depu- tati » incominciato a fcrivere una lette- ra indirizzata alla
Santità' Vostr a intorno al procedimento del Santo Uf- fìzio nella
noftra città di Napoli ; cer- to è, che io non ebbi altra intenzione^
che di raccorre breve e femplicemente le ragioni) ch’ella ne tiene.
..Indi po>i crefcendo da giorno in giorno , o ciò folfe per
l’ampiezza della materia > o per la moltitudine delle ragioni ,
e va» rietà degli argumenti, e delle autorità che fi recavano in
prova; s’ è tant’ol- . tre la fcrittura avanzata. , eh* è -per
comporre un volume intero .. Così io mentre penfava di avere già
compita tutta la fatica , volli ancora inveftiga- r e la cagione ,
el’ origine de* movimen- ti > e tumulti della noftra città,
acca» * » duti per tal procedimento nel tribunale
del Santo Uffizio ; quand’ecco che io conobbi-, Ae vidi chiaramente, che
la cagione-di tai tumulti altro non fia fra- ta c che una tal
gelofia, per così dire, di Scuole coll* occafione d' una . cer* ta Filofpfia
, nomata- comunemente Moderna , avvegnaché dia fia anct» chiffima ,
e profetata dagli uomini mi- gliori, e più fa vj della noli r a città.
£ perchè la cofa o non è pur ben intefa , ovvero fe intefa , per
ambizione, por aftio, o per altra cofa , è contrafiata a campo
aperto , fono forzato , come av« vifai nella fuddetta altra fcrittura
> con quell* altra lettera , indirizzata pari- A 2
racn- f i Digitized by Google
mente alla Santità* Vostra , dimoi Ararne apertiflinumente la
verità. ( per ordine ancora datomi da’ medefimi De- putati )
acciocché niente li taccia per quello , che convenevolmente appar-
tiene alla difefa così della vita » come della fama de’ noftri cittadini
; e difen- dere un lungo ragionamento > per far palefe una volta
> e più chiara teliimo- nianzaal mondo dell* empietà della Fi-
iofolia Ariftotelica * « dell* innocenza di quell* altra che chiaman
Moderna; al di cui manifeflamento ben poteano dare opera gli altri
, e non ftarfene sì lentamente a ripofo in una caufa pub- blica, e
di tanta, importanza ,• perla quale ne lìamo malignamente tacciati
, echi per Eretico» e chi per Ateo» fe- condo il livore» e
l’ignoranza di quelli banditori del Periparo; mentre vene fono pur
molti intendentilììmi di que- lla novella Filofofta , che meglio di
me» e più profondamente l’appararono» il che loro eforco a fare
ugualmente , per non cadere almeno nel bialìmo» che Ci-
.cerone diede a coloro , che appretto di fefolirengon na 'corti i tefori
delle let- tere!,, fenza farne partecipi gli altri ; così dicendo
nell’orazione a favore di Archia . Pudeat , ft qui ita fe litteris
abdiderunt , ut nibil po fjìnt ex bis , ne - que ad communem adferre
fruSìum , ncque in : adfpeSìum , lucemque proferì re . Ma non con
animo , che pubbli- candoli quella fcrittura » vi lìa taluno, che
fcrivcndo full’ifteffa materia , del- le medelìme co fe li avvagha ,
facen- done un’ altro edificio , in cui non vi ila di nuovo che una
deferente figu- ra, e dimenfione. . . Laonde tralafciando la
parte difpu- tabile, dalla quale fempremai la veri- tà fugge , e ne
va lontana , opponen- doli ragioni a ragioni , . argomenti ad
argomenri , e fpette volte iofifmi co* fofifini pugnando » con aliai
delibera- to conliglio ho, fcelta la-parte idonea, in qua ponete,
argumenta licei , non argument ari . , La quale ettendo màe- fira
della vita , e de’ tempi , e de’co- A 3 ftu- «
« _ _ fiumi allo ferì vere di Cicerone fteflò j
potrà affai bene acconciamente com- parire più fchietta, e più
finceramen- te difenderli avanti la Santità* Vo- stra la caufa
oneftilfima, e il diritto di quella Filofofia iniquilfimamente
oltraggiata dalla turba de’ Peripatetici . Così furon degni di grandiffima lo-
da tanti fcrittori , e Greci , e Latini ; i- quali all* i fioria fi
appigliarono , po- nendo perpetuo filenzio alle difpute , tormento
degl* ingegni delle Scuole li- cenziofiflime delle feienze : così
anco- ra fu degnilfimamente commendato an- che dagli eretici fiefii
il dottilfimoCar- dinal Baronio , il quale dovendo fcri- vere delle
colè appartenenti alla noftra Chiefa cattolica » lafciando a’
chioftri le controverfie , e le quefiioni , elefie con affai maturo
, e più fano avvedi- mento la parte ifiorica > per trarne le
confeguenze- più vere , e reali . Plus enim Annate s Baranti > quam
Contro - verfue Bellàrmini bar etici s necuerunt . • .£ qui io
avrei già finito , nè bifb. gne- ; . 7 gnerebbe
più dilungarmi : ma perchè 1* origine di tutto ciò è. d’ uopo che
Ha palefe , prima di paflare più oltre , e affine , ,-cbe niente fi
taccia per quello, che appartiene alla difeia , così della vita ,
come della fama de’noftri citta- dini; egli è neceflario far noto
ancora alla Santità' Vostra, che 1 * origine di quelli nuovi rigori
dell' Inquifizio- ne ella è data , che vedendoli pur trop- po fuora
de’chioftri dilattate le lette-, re, e propagata nella noQra patria
la Filofofia , la quale o fia. propria fata- lità / portando
fempremai feco defla difagj , e fyenture , come dice Boe- zio ,
Atque boe ipfo affine s fuiffe vtde- mur maleficio , quod tua imbuti
dìfcU pìtnis o Pbìlofopbia :o-fia per propria- gelosìa delle fcuole
degli altri Filofo-, fanti ; perchè Nibil volunt inter borni' nes
credi jmlius , quam quod ipfi te w, nent / ha cagionato a’ medefimi
fai movimenti,. che fi fon lafciati a dire, .che quella fpffe di
pregiudizio aliano* Ara fede , perchè da’ principi d’ A-ri-,
A4. fio- . /•» » Itotele lontana
fia, come per la tanta autorità data ad Arinotele , diede mo* tivo
a taluno di dire fcherzando: Se»* %a Ariftotele noi mancavamo di
molti articoli dì fede : come fe quelli fof- fero (tati cavati
dalla dottrina d' Ari- notele , e non dalla facra Scrittura , e da
altro ; che tanto dir non fi po- trebbe di S. Paolo , quanto alcuni
han detto d’ un autore gentile , quando, come fcrifle un altro
autore , e con fenno : Sanila fanliorum non babet _ bete
Pbilofopbia . Ma prima di venire allo fcioglinaen- to di
quelle vaniflìme oppofizioni , egli è di bifogno ricordare alla
Santità* Vostra , quanto fia (tata commenda, ta la Filofofia non
meno da' Gentili, che da* fanti Padri medefimi . Ecco quel > che
se diffe Tullio . Pbilofopbia am vita parentem , & hoc parricidio
fe ( quifquam ) inquinare audet y & tam impie ingratus effe ,
ut e am accufct , quam vereri de ber et etiamfi minus per - cipere
potuijfet ? S. Giuftino così : Pbi- lo m I
! 9 lofopbìa efl revfrà maximum lonutn t &
poffeffio i & apud Deum verter abili fi qua" ducit ad eum >
& fi flit fola > & fanti i , beatique Htì, qui mentem et
do- nane. E più oltre: Nemo fine Pbilofo- pbia reti am rationem
intelligit ; quare omnes homines pbilofopbari % & barre
pracipuam fanti ione m ducere (de. San Clemente 1* Aleflandrino n* avvifa
lo fteflò, e Sant* Agortino parimente co- sì : Qui Pbilofopbiam
fugiendam putat % nibil vult aliud
, quarti noi non amara fapientiam . E 1’ A portolo quando dif» fe ,
Videte ne quii vos decipìat per Pbi- lofopbiam t egli intefe di quella
Filofo- fia , la quale con folli argomenti da Sofirti > e
fecondo lemalfime del mon- do 6 produce ; il che chiarirtimo fi
feor- ge dalle parole che feguono , a ut ina • nem fallati am %
fecundum traditionem bomìnum , fecundum dementa mundi . 11 che vien
dichiarato da Sant’Agoftk no medefimo, detto luogo fpiegando: Et
quia ipfum nomen Pbiiofopbia ft con- fiderete rem magnam , totoque
animo ap- Digitized by Google *°
appetendam ffgnifieat ( fiquìdem Pbiìoì fophia e fi amof
yfiudìumque f apienti* ), . cautifftme Apcfialus h ne ab amore fapie
a*, ti* deterrere videretur , fubjeeit fecun - d*m dementa bujus
mundi . . Egli è dunque affai ben chiaro, che nè Satv Paolo ,
nè Sant* Agoftino , o niun altro fanto Padre , Greco, o La- tino ,
abbia giammai pretefo , che quel» la apparare non fi doveffe ; anzi
che leggiamo tutto il contrario , come s’è detto. Al che aggiugner
u può - l’av- vertimento di S. Clemente l’ Aleffan- drino fopral
lodato; Pbilofopbiam ante Domini adventùm , Crucis ad jufiitiam fui
(fé neeeffariami nunc autem ad pei caltum t & pietatem utilem effe
(*j La m* * » i j C|tt3e l • ». ■ • » »
... " « » « ...(*) Quello non fi vuol in terpefrar In modo,
che S* Clemente Aimafle , che I Greci fi giufti6catfe- ro per mezzo
della Filofofia .» Egli credeva , che la Filofofia remotamente gli
difndnetfe alla cogni- zione di Crifio , dando lor notizia del vero Dio,
c fomminiftrando loro i mezzi per isfuggire gli er- rori . Per altro
fenza la Divina grazia , la fede, la carità &c. non credette, che uom
fi giuftificaf- • fe. Vedi Naral Alefiàndro Dijfert. Vllh in Hijior .
, E cc kf. f*c. IL Digltlzed by Google qual co
fa ugualmente avverti il Cardi* nal Palla vicino : La Fibfofia nelle
dot- trine Teologiche è utile come i foldati frante ri negli
eferciti; cioè in maniera che fervano > ma non comandino . Im-
perocché a tutti fi permette la liber- tà di fìlofofare. Bona mene ( dice
Se- neca ) omnibat patet , omnes admittit , omnes ad hoc fumus
nobile r , nec rejicit quemquam Pbilofopbia , nec digit > omni-
bus lue et . Tanto maggiormente che la natuta invidiofà per così dire a
li- vellare i fuoi Segreti avarifiimaraen- te permette , che ora
una cola , ora un* altra fi fveli , come s’ è finora fperimentato
per tante ofiervazioni fatte e che fi fanno in molte cele- bri
Accademie dell* Europa , (copren- doli fempremai novelli arcani »
non che nuove, e plausibili opinioni nel- le Filosofie . Jn
Pbilofopbia ( lafciò fcritto Seneca fcefio ) re maxima , &
involai iffima , cum etìam multum atìum fuerit , omnis tamen atas , quod
agat , inveniet . Quindi Atenagora , che det- tò
k* tè un’ Apologia . a prò de’Criftiani agl* Imperatori
Antonino , e Commodo ambeduo filofofi , dille : Nulìum in
Pbilofopbia rcdundat Crimea .. £ più oltre così : Profeto autem bac
crimine vacat . Tutto ciò però intender fi dee per la cognizione di
quelle cole > che dipendono da caufe naturali, non al* tri menti
foprannaturali. Il che fu con- fiderà to dal medefimo Seneca ,
ancorch* ei fofle gentile . Perfeveras ire ad bo~ nam mentem , quam
fiultum ejì opta - re, cum pojfis a te impetrare. Non fune ad
Ccelum eleva» da marnisi &c. £ pri- ma di lui avvisò Simplicio , Eos
folum de cauffis naturalihus pbilofopbari fiata « ifie: nequaquam
autem de Ut ^ qua fa « fra naturam exifiebant . r : Ora fia lecito
d* efaminare più efpref- famente, fela Filofofia, che chiama»
Moderna fia d* alcun pregiudicio alla noftra fede cattolica .
. Primieramente è neceflario, ch'io rinnovi alla mente della
Santità* Vo- stra quei tempi più frefchi , in cui sì
Digitized by Google sì felicemente apparò le feienze
tut- te , e con ciò : io rinnovèlli , e rallegri infìeme . 1* idee
della prima fua età ; perchè non v'è co fa (come ditte il Cardinal
Bentivoglio ) che maggior- mente I’ animo ricrei , che la memo- ria
degli anni fcolarefchi , perchè ciò egli non è altro , che un tornare a
vi- vere quella vita innocente , e piò lieta dell’ uomo. Si ricorderà
dunque Vostra Santità» , che malamente quefta Filofofìa fia nomata
moder- na , perocch* ella è più antica , anzi la primiera d’
Bardefane, ed altri difenfori della Religione, furono tutti
Platonici • Ed a chi non è palefe l’A- leffandrina fcuola in Oriente ,
ripiena di tanti fanti Padri, e tutti Platonici? Origene, Clemente,
Cirillo, Eraclio, Dionifio , Atanafio , ed altri , io modo che
Aleflandria , non meno per lofplen» dorè della difciplina Ecclefiaftica ,
che della domina, fu dimata un’altra Ro- i ma, e la feconda fedia
Patriarcale do» po quella di S. Pietro . Sant’Agoftino nel libro
delle Confefttoni di fe fteffo , e \ d* altri rettifica eflere flati
Platonici , quando e’ narra la vilìta , che fece a Si m>
pliciano > maeftro dì Sant’ Ambrogio, raccontandogli i libri eh' egli
aveva letto de’ Platonici , da' Vittorino Ora- tore Romano tradotti
in Latino , che morì poco dopo d’elferfi fatto Criftia- no . Sopra
la qual cofa fè palefe anco- ra il piacere, che ricevette Simplicia-
no in fentire , che non era caduto nel- la lezione d'altri libri di
Filofofia , pie- ni di menzogne, e d* inganni; ma lo- lamente in
quei de' Platonici , che in* fegnavàno la conofcenza di 'Dìo, e del
Verbo Divino , le di cui parole fono qu ette: Gratulatiti eft ntìbi ,
quod non in aliorum Pbilofopborum f cripta incidi f- fem , piena
faltaciarum , & deceptionum , fecundum dementa bujus mundi : in
illh autem omnibus in ftn aari Deum ' % & ejus Verbum . Indi
Agostino ileflo poi gli 1 chiamò i Filofofi di Dìo amatori ; ed
Eufebio nel libro XI. della Demolirà- zione Evangelica , narra ,
commendan- do tanto le contemplazioui di Plato- ne, averle tratte
da’facri libri degli E-' B x brei , IO *,
* brei, cioè dell’Ente primiero ndelPI- dee , deli*,
immortalità dell’ Anima , della produzione dell’ Univerfo ,;del
bruciamento del Mondo , del R i forgi - mento de’ morti , della Terra
cele (le* e del Giudicio'. ultimo : il cbe vieti ri- portato ancora
da Teofilo Galeo in di- fefa della Filofofia Platonica; ed Eu-
febio. (lefib la difugualianza tra la Fi- lofofia Platonica ,.e T
Ariftotelica in quella maniera divisò : Mofes , Hebra't- que
Pro.pheta beate Divendi finem tn P r ih mòdo • che fecondo la jua
dottrina il Mondo * non è già - una monarchia , ma poliarchia y o
piuttòflo anarchia p. ciò che -San 'Gregorio Na%i. anzeno ha' affai
ben ■ condannato . * II, Platone chiama 'Dio nofìro fovra -
no Padre:' Arinotele non conofce ver fin Dio' per padre . 1 * «4 u«>v
> -.-v. -> III. Platone nel primo- libro della fua
Repubblica affìcura , - che Dio fia > una fo fianca (empiici
fftma : • Arinotele ah duo- decimo della fua 'Me taf (tea , lo pone
nelC ordine degli animali > e dell' effe n^e compone. B 3 IV-
il . ; IV. Platone nel [e fio della fua Re- pubblica ,
che Dio fta nofro fommo be- ne : Arinotele al duodecimo, della fua
Metafiftca , che' Dio fta un bene , che conviene folamente al primo Cielo
> del quale egli è Motore. > , . V. Platone nel quinto
della ' fua Repub- blica y che Dìo fta la fovraha Sapienza: .
Arinotele y che. fta un' intelligenza , che conofcendo le cofe un he rf
ali » non, f appi a le. particolari . • •**..« VI. Platone
nel Timeo y che Dio fta onnipotente,: Ari fot eie nell Opere fue
, che, non abbia ' altra potenza. > che di far muovere il Cielo.
, . VII. Platone nel.Filebo , , nel Soffia* e nel Parmenide %
thè . Dio abbia crea- to le foftanze incorporee: Ari fatele che
tati . ? X; Piatone , che il Mondo offendo' un corpo ,
abbia . una potenza finita: Ari-, (tot eie , che il Cielo , e il Mondo
abbia- no una potenza infinita dì muover fi . XI. Platone y
che il Cielo , e il Mon- do^ come corporei ftano corruttìbili • A*
tintotele incorruttibili « - = XII. Platone , che- Dìo [taf opra
ogn\ e fiere , J opra ogni foftaitzai Arifioteic-y. cbe’fìa falò
foftanza . ^ X /. . Platone che hi fogna pregare D.io
.a fiacche ci ' faccia buoni.: Anfiote - le , , che Dio. -non .poffa-
fentire, le no fi re preghiere , non conofcendo le cofe parti» eoi
ari . XXllvPlaton* i/ebe p uomo di buo- na vita. i:. fta
gradevole' a Dio: Art fia- te le , che non .io gradifc4-\ t % 'non
cono» fcendolò\ «'■Vi (. ^ viv ■.XXIII, Platone , che dopo morte
, 7* ani- «* *5 anime
de * malfattori fatto gafligate : ' A- ri flot eie-, ube /’ anime e fendo
corrotte Col corpo i non -patif canti- più altro . f ■ XX^fV.-
Piatone y^ thè, i' morti rifer- gerantio' 1 Arijìotele , che dalla
privanti* otte all'abito non vi fia "rif òr pimento .
XXK Piatone , che V anirne derub- ili faratino collocate in luogo y
dove fa- ranno molto' felici i' Arinotele non cono- fce alcun-
luogo di quefia fori a . • '■ ' Quindi il Sidonio-difle,
Explicatut Plato, ìmpiicat ut Ari fot elei, 'e il Pei trarca del
difcorfo dell* ignoranza di fe ftefloy e d’altri, attéfta , che
Pia* toner» Divinum, Ari fot e lem Damo» iuta Grati nuncupabant ; e
però nel Trioni» fo della Fama, così di lui. degnamene te
canto: A • \ \ • t I n it .
V'olfimi dà man manca , e vidi . Plato, ....... Cfo n quella
fcbiera andò più prefr , . fo al fegno, . s «* 4 / ?«*/ aggiunge ,
a chi dal cielo ...... ^ dat o • .. '*■ ... E fi-
*, £ finalmente tutti concordano, che la Filofofia di Platone fia
fiata la più favorevole > ed acconcia , e quella d* «Ariftotele
la più contraria , e pregiu- diciale alla dottrina della nofira
Chie- fa cattolica, E Sant* Agoftino attefla. Platonica f amili*
Pbilofopbos facillìme omnium , paucifque mutatiti r fieri poffe Cbrifiianos
, Anzi un Autore, che fé* ce una Diftertazione del modo di
ftu- « \ 1 diare la Teologia , impreca coll’altre
di Ugone Grozio De Jìudiis inflit uendis , vituperando aifatto la
Filofofia Ari» fio te lica , e ragionando egli degli anti- chi
Filofofi Crifiiani , così dice \ \Qm quis effet Arifiot elicti s , eo
minus • Còri- flianum fuiffe E, de’ Padri foggiunge : Olir» multi
viri pii , (S doElì % Origene: t Clemens Alexandrinut , Jufiinus , Augu
- jlinu ! , & alit y ex Plafoni s fcbola ad £c- clefiam
Cbriftianamtranfierunt : f ed nul- li y aut certe pattei ex fcbola
Ariftotelis , qui metaphyftcis ejus fpeculationibtn , & arguti
is inferii erant . E il medefimo Autore dice f che Pietro £amo era -fi
d’opi* Digitized by Google d’ opinione , che fi
dovefle bandire da T tutte le Scuole , ed Accademie la Me-t
tafifica d’ Ariftoteleu Petrus Ramasi I ( fono parole
dello fleflò Autore ) stiri do fi us , & perfpicacis in Philofopbia
ju- dici't ( luet Ariftotelici contra fentiant ) Tbeologiam illam ,
quam ? Arinotele s in Metapbyjica docet » impietatem omnium impie
tatum maxime execrabìlem , & de-> tefiabilem effe confirmat ,
adeoque ex A- cadem'ùs exterminanàam , ut a multi s fa- flit atum
efi . Avendo egli ancora propo- fto> fecondò l'ufo dell’ Uni ver (Ita
di Pa* rigi , primach’ ei fofle creato Maeftro , e primachè caduto
fofle nell’erefla, pub* bliche Conclufioni,per le quali foftenne,
Qutecumque ab Ari jlot eie dì fi a funt^falfa 4 & commentiti a effer
, e perciò ifuoi fcrit- ti in Francia in grandiflimo pregio fono
tenuti . £ di Guftavolte di Svezia rap* porta il medeflmo Autore > che
Omnes Metapbyficas a regno fuo expulit t & exfu- Idrejuffit .
Come primamente Antonino Caracalla, conofcendo ancor egli quefra
verità , vietò affatto l’ Accademie de’ ‘ Pe- /
Peripatetici , 'facendo bruciare ancora tutti i Iibrrd’ Arinotele
. E Pietro Poi- ret nel libro de Deo , le diede più. che bando
dalle fcuole con quella ’ defini- zione: Pbilofopbia e fi contemplatiti ,
vel cotnpages nugarum Scbolafìicarum ) Ari - fiotelicarutii t vel
fimiVtum , ad oblivi] ce n- dum Dettm , mentemque tumidi s tenebri!
t & inquieta - pet ulani ta implendam ; In modo che da’
mèdefimi Eretici fi con- feda edere la Filosofia Ariftotelica dan-
nofilfima al Criftianefitrio. : £ chi potrà giammai dubitare ,
che la Fftofofia Ariftotelica- fia Hata l’uni- ca e fola cagione,
anzi l’origine ftefta di tutte 1* creile, eflendo ciò mani fe- llo
per l’autorità di tutti gl’lftorici, e di tutti i fanti Padri , ' che in
quei tempi fiorirono, i quali erano preden- ti alle difpute , e ne’
Concili ftefti per confutarle ? Aezio Vefcovo d* Antio- chia ne’
primi tempi appunto della no- ftra Chiefa , non fu egli Eretico, e
poi foprannomato Ateo: Astìus Atbe- usì non peraltro, fe non perchè
trop- *9 po addetto alle Categorie d*
Arinote- le egli era , come nota Svida; ed Epi- fanio , e Gregorio
Nifi'eno lo ftefio afr fermano.. De Chrijìo magis Academico t quant
Eccleftaftico more f ape differebat . E fattoli pertai fofifmi Eretico ,
e poi Ateo, coro’ è detto,; fu. privato della Chiefa, e la fua
fetta, ,ch’è la ftefla, che l’Eunomiana , detta da Eunomio fuo,
difcepolo , e compagno nell’erefia; fu fino alla morte perieguitata
dagl* Imperadori Onorio „ è Arcadio ; e Te- miftio Ariftotelico ,
come nota Svida ftefio , chefcriffe fopra il trattato del- la
Fifica ». dell*. Animai» e d’altri libri d’ Arinotele , fu Eretico, come
Gio- vanni Filopono. ; N ice foro così d’eflb loro dicendo :
Johannes ifte Philopone - us Alexandrìnus , . ita ut diximus T
rithei- tarum i hdereticorum pr afe Bus fuit , prò- inde atque olim
Tbemiftius Pbilofopbut jub .Valènte Agnoetarum feft & , qua conventi»
lucis ad Be- Hai? £ S. Gregorio Nazianzeno ugual- mente ne fa molta
doglianza, dicendo : In Ecclefiam irrepftffe captiones fopbiflicas
, ac pravum art if cium Arinotele# artìs , & bujus generis alia
, veìut ALgyptiacas quafdam piagar . E altrove così . Abjice
Ariflotelis minutiloquium , Jagacitatem , & art ifi cium: abjice
mortale s illos fuper Anima fermones,& human a illa dogmata. Ed
in altro luogo deteftando in tutto e per tutto Ariftotele il chiama
Struggit »• re della provi de n^a Divina . Ireneo in in quefto modo
ne parla: Minutiloquium, & fubtilitatem circa quajìiones , cum
ftt Ariflotelicum , fidei inferre conantur : Lattanzio così ;
Arijlotelem de Deo ìpfum fecum dtfftdere , & repugnantia di-
cere t & Jentire immo Deum nec colu- ti, % nec curavit « San Girolamo
ad Eu- ftochio feri vendo : Attende & tu fa - tuorum fapientum
princeps Ariftoteles . In altro luogo . Omnium b*reticorum do-
ppiata fedem fthi & requiem inter Art - fiotelif , 0 Cbryfippi
[pineta reponunt , & Ut fub diem cunfia concludam fer mo- ne ,
de illis fontibus univerfa dogmata ar - gumentationum fuarum rivulis .
trabunt . E femprcmai.con aperto vocabolo Gi- rolamo fteflb
verfutiet chiama gli ar- gomenti di lui. Origene ne* libri ch’ha
fatto contro Celfo , grida in più luo- ghi contro d’ A ri Itotele come
nocivo al Criftianefimo > e la maggior parte degli altri fanti
Padri fono del mede- limo fentimento, come Sàn Giuftino nel Dialogo
per la verità della religio- ne Criftiana- con Trifone Giudeo : S.
Clemente PAleflandrino nelfuo avver- timento , . che fa a’ Gentili ;
Eufebio in più luoghi delle fue Opere: Sant’Ata- nalio contra
Macedonia no : San Gre- Digitized by Google gorio Ni
fieno eontra Cunomio : San Gregorio Nazianzeno più voice nelle fue
Orazioni ; Sant* Epifanio ne* libri contro l’ercfie : Sant’Ambrogio di
nuo- vo ne* libri degli Uffizi : S Gio. Grifo- ftomo fall* Epistola
a* Romani ; e fo- pra tutto, quel» che ne feri fie Tertul» liano in
più d’un luogo nel libro delle Prefcrìzioni , e dichiarando egli quel
di San Paolo , Ne quii tot decipiat per Pbilofopbiam , intende egli
quella d’A« riftorele vana , e fallace per fentenza di tutti.
Quindi Cirillo l’ A leflandrU no gridava.* Heeretici- nìbil aìiud ,
quarti Arifiotelem ruSlant . E Sant’ Ambrogio con ugual fentimento,
e colle lagrime agli occhi dicea , Reliquerunt Apofiolunt »
fequuntur Arifiotelem . E fra Moderni Melchior Cano così ; Habent
Arifiote- lem prò Cbrtfto , Averroem prò Retro , & Alexandrum
prò Paulo . E tant' ab tri, i quali l'hanno riprovato, e con*
futato , foto per timore, che non s’irn- primefle al Criftiano un
carattere deb fa fua dialettica » per efler tutta con» *• C
tra- traria alla femplicità della fede > la qua» le altro
non richiede , che una umile fommiffione» e totale credenza, fenza
veruno ragionamento , e difcorfo uma- no . E finalmente lafciar non fi
dee ciò , che ne fcrifle S. Vincenzo Ferre-- rio » che fremeva
contro un tanto abu- fo nelle Scuole . Quel Predicatore io dico
tanto zelante , che introduce la vigilanza dell’ Inquifizione .per
man- tenere la purità della fede, non appel- la egli queft-a
dottrina d’ Arinotele, e quella d‘ Averroe fuo feguace, Pbia ìas
ir che nell’ anno MCCIV. fotto Filip- po ;1* Augufto , per pubblico
confi- gli©,' come dannevoli alla noftra fe- de i libri della
Metafilica , che al- lora folamente veduti s’erano, e tut- ti gli
altri ancorché, non veduti , e foflcro per ^comparire , fu ordinato
> che fi ì mandafiero alle fiamme . Ec- co le : parole . , dell’
Iflorico riporta- .te dal medefimo Padre Petavio > in diebus
.uillis .legebantur, Parifiis. li- belli quidam ab Arinotele > ut dice
? » C i ban- bamur, compo fiti t luì aocebdnt Meta -
pbyftcatn , éf 4 Graco in Latinum translati; qui quoniam non folum pre-
dilla bareft fententiis (ubtitibus occafto * **0» prabebant , ò»/»o 6 *
4/»/ sondane investii pr abere poter ant , jufi funt 0- mnes
comburi t & fub paena excommuni- eationis cautum eft in eodem
Concilio , ne quìi de cetero eoi fcribere , legere fra fumerete vel
quocumque modo b abe- re. Esfei anni dopo che fu condanna- ta ia
Metafilica dei medeiimo , il Car- dinal di S. Stefano mandato in
Fran- cia da Innocenzio III. in qualità di Le- gato , proibì a*
Profeffori dell* Oniver- fità di Parigi d’ infegnare più la Fifica
del medefimo Arifrotele , il che fu con- fermato poi per una Bolla di
Gregorio IX. come ancor prima per lo Concilio •Tu rose fe fotto
Aleflandro IIL fu pa- rimente vietato leggerli più la Fifica
a’Religiofi ; quindi dall* Università del- la Facultà Teologica di Parigi
, c da Francefco primo fu fcabilito > Che s* r
Digitized 37 infognale la f 'anta Scrittura , i
fanti Canoni > i fanti Padri , la Teologia an- tica con tutta la
purità e femplicità pofjtbile , e che fe ne sbandi (fero tutte le
vane fattigliele , come riferifce coll* autorità di molti , M. Baillet .
Alma* rico ( narra il medefimo Ifrorico , ri* portato dal P.
Petavio (tetto ) non fu egli eretico , come feguace de* princi* pj
d* Arifrotele? Simone de Turne ce* iebre Profettòre di Teologia della
me- defima Univerfità di Parigi, e David Dedinant, poco tempo dopo
, non fu- rono acculati per eretici , come trop- po attaccati, a*
fentimcnti d* Arinote- le ? Gli Abailardi t i Lombardi , i Poi- *
tierfi, i Porretatii» come Iettatori del medefimo , non furon eglino
eretici ? Quefte fono le parole del prologo del libro contro le
fentenze de* medefimi condannate « Quii quii hoc legerit , non
dubitabit quatuor labyrintbos Francia , id efl Abaelardum , &
Lombardata , Pe- trum PìEìavìnum , & Cilbertum Porre* tanum uno
fpiritu Arijìotelico affiatos , C j dum 3 * .
dum ineffabtìia Trmitatis , & Incarna- tionìs fcholaflica
levitate t raffi arcnt , multai barefet olim vomuiffe , & adbuc
errore s pullulare. I Luteri, i Calvini , iMelantoni , i Buceri, i
Zuinglj , e ' gli altri loro feguaci , ancorché apparen- temente fi
dimoftraflfero nemici. d’Ari- ftotele, gettarono, e coltivarono i
loro velenofi Temi , non con altri ^principi fe non 'con quelli
d’Ariftotele ftefio . I Pomponazj , i Porzj , ed altri traligna-
rono da’ veri fentimenti deirimmorta- lità dell’anima, non con altro
errore , fe non con quello d* Ariftotele medefi- mo . I Serveti , i
Socini , i Poftelli , non con altra direzione che di lui ftefio
divulgarono que’ loro pefiimi ritrovati ; e fceleratifiìme innovazioni
alla noftra Religione . 11 Macchiavellifmo, ch’è lo ftefio che
l’Ateifmo Exiit ( dice il Campanella , col fentimento ancora di
Melchior Cano , dottifiimo Spagnuolo, ed uno de’ più facondi Scola dici
del Tuo tempo, ed il maggior ornamento della famiglia Domenicana ,
degnifiimo Vef- , co- Digltized by Google
J9 covo nell* Ifole Canariè, e fu eziandio uno de'Padri , che
intervennero ahCon- cilio di Trento) exiìt t torno a dire,, ex
Pcripateticifmo - Il quale aggiunge anco- ra : Ex Arinotele nata
funt in Italia pe* fiifera illa dogmata de mori alitate animi ,
& divina circa res bumanat improvi dea- tia. £ Seneca ancorché Stoico
, perchè la Filofofia Stoica alla Criftiana li ag- guaglia,' come
dice Girolamo il Santo nelle Aie Epiftole » non fu valevole ar
cancellare dal cuore di Nerone Aio di- fcepolo que*
peftilènriflìmi. fentimenti, che imprefli. gli *avea. Alèflandro
d\E- gea Aio primiero maeftra f efilofófo Pe- ripatetico. Come
Peripatetico fu ancor ' Sergio , il maeftrcnperfidilfimodi Mau-
mety il che* vien -riferitò da Pico della Mirandola ; avendo ancoi egli (
Arido* tele io dico) d’ una maniera- infegnato la fua Fitofofìa ad
Alèflandro , e d’ um al- tra in Atene, quafi che varia , ediver- fà
la.lnat ural Filofofìa infegnar fi dovef» fe ad un Principe ciré al
popolo ; del che molto-de me. querelò «Alèflandro • cor» 4 ®
. . „ Arinotele fteflb , il quale fu atnbiziofó nel
dominio delle lettere , come fa di più mondi . £ il Carpentario ,
an- corché eretico, nel principio del libro della fua
JFilofofìa libera , non dice li- • \ bera mente così
tjQuis enim ita ferver fi genti e fi , qui mecum nitro non fatea*
tur., Pbilofophorum Principi ( d* Arino- tele ei parla )) ut bomini multa
falja » & erronea ; : ut etbnico, & pagano mul* ta impia ,
& profana ; ut primo in* fìauratori multa . manca , & $mperfe
* fi a excictife». £ il Padre Petavio ftef- fo , torno a dire , il
genio veramente della Teologia * e delle feienze , il qua- le
degnamente appellare fi dee il fior degl’ ingegni , e ’1 primiero
letterato tra i Padri Gefui ti , allegando l’auto* rità.
d’Anaftafio Sinai ra, non dice egli così ?, Anaftaftus Sinaita . in eo
libro quem Via: Ducem nominavif, tefiit e fi , ha* reticos omnet ,
qui vel contra Incarna* tionit dogma nefarium movere belìum , ex
ilio Ari fìat elico fonte fuxiffe . Indi egli è , che 1\ Autore fiefib
della Filo- Digitized by Google 4 * .
fofia volgare re fatata ; così contro i fetrarj del medefimo grida
: Et adbuà Arifiotelem leghi s t interpretamini , de- fenditi ! ,
& exornatis. Quindi egli è , che da’fan ti filmi Pa- dri
medefnni , e da molti favillimi , e dotti (fimi Autori è (lato ancora
nota- to di gravifiimi errori . S Giuftino fcrif- fe tutto un
Trattato contro i dogmi a e le fentcnze d* Arifiotele , nel princi-
pio del quale così ragiona : It nibil dà rebus , quas definiendas ftbi
commenta - tionibus fui f ftatuit . San Cirillo nel li- bro contro
a Giuliano fra i Filofofi » eh’ hanno errato , principalmente ri-
pone Arinotele . E' perciò molto deri- fo da Bafilio , e particolarmente
per quello , eh’ egliafierì intorno alla Ma- teria prima , e che la
materia abbia una limpatia naturale d* unirli i e per- fezionarti
colla forma - Eufebio nel li- ti ro della Preparazione dell’
Evangelio* e in quello contro i Filofofi detefia non (blamente la
vita» i cofiumi, la Filo- fofia morale > e naturale ; ma la fua
Me- 4 ** Metafifica, come una pelle delle
Re- pubbliche. Lattanzio Firmiano il dan- na come Sofilla ., ed a
fe fteflo contra- rio . Ambrolio ugualmente come va- rio, e
incollante.- Come menzognero, efavolofoil riprendono Ago (lino, Teo-
, doreto, S. Bernardo, e il .Beato Sera- fino da Fermo . San
Tommafo allegane do Agoftino medefimo coll’autorità del Gcllio,
prova, che fia un impoflore > come rapporta il Campanella..
Scoio, e Francefco Mairone , come un igno- rante affatto della
Metafifica, e che le cofe tra effo loro repugnanti a-yefle ap-
provato . Gio. Pico della 'Mirandola , e Francefco Patrizio il riprendono
nel- la Geografia , e nell’ Agronomia, nel- le Meteore ,
nejl’jftorie degl’ animali; e eh* egli abbia ! malamente creduto ,
che la terra fia più elevata verfo il Settentrione, che altrove.* che’l
Da- nubio prenda l’origine da’ Pirenei . Pie- tro Gaflcndp lo
biafima nell’errore in- torno alla Galaflìa , all’ origine' delle
Vene, c jje* nervi del cuore t c in mol- . . •> te
s V N te
altre fimili cofe . Telefio, Duran- do , Baccone , Baffone ,. l’ Harveo
>• Cherneo , Galilei , Maurneo , e Pie- tro Alliacenfe , e
Niccola di Cufa Car-, dinali , ed ultimamente il P. Valeria- no
Magno , piiffimo , e dottiamo au- tore Cappuccino , che fu
Miffionario al Nord, il confutano» l’ acculano, e lo tacciano di
molte altre limili fcioc- chezze . La fomma , e la foffanza fia,
dice il medefimo Gaffendo ,che non v’è per fona, che fenza roffore
diffen- der lo poffa , nè fenza tema , e nota ef- preffa d’infamia,
e di vituperio , che l'eguire lo voglia nell’ impoffibilità del- la
creazione per lo ftabilimento del fuo principio , che noii fi faccia
niente dal niente: che il Mondo fia eterno» e l’a- nima mortale :
che la previdenza di Dio fia talmente limitata nelle cofe ce- letti
, che non fi eftenda più di queir lo, ch’è fopra la Luna , negando
an- corai’ idee, e confeguentemente il Ver- bo di Dio , non che Dio
fteffo auto- re di tutte le cofe : l’efiftenza degli . An-
^ ^ ' - Angeli, de* Diavoli! , l’Inferno , eia gloria
beata,, e con ciò le pene adat- tivi, e i premj a ’ buoni . Inferni ,
& Supere s , effe fabulas Legislatori! e' dif- fe nel libro II.
e XII. della fua Meta- filica. £ tutto ciò o fia propria difav-
vedutezza , o fi a perchè fi ano fiate trafilate , e guade le fue opere ,
co- llie vogliono alcuni , perocché egli fa uno de’ maggiori
Filofofi della Grecia» di cui molto n* hanno celebrata la fa- ma ,
e la dottrina, come dice Macro- bio : Nibil tantus vir ignorare potuit
* Certo egli è nondimeno , che leggia- mo predo Diogene Laerzio ,
antichif- fimo autore , che Cleante Stoico fin da’fuoi tempi dir
folea , Peripateticit idem uccidere , quod litteris , qua cum bene
fonent , fé ipfas tamen non nudi*- unt * £ che il medefimo Arifiotele
fof. fe fiato chiamato in giudicio a pena capitale dagli Ateniefi,
per non poter (offrire anche nella loro politica , e falfa
religione quei bugiardi , e corrot- ti principi d’ Arifiotele, diruttori
per così Digitized by Google così dire
dell* uomo , e di Dio freffo } la qual pena egli fchifò colla fuga
. Per la qual cofa in quella maniera fcla- mò il Campanella di
fdpra lodato; Et nos Cbrtfiiarìt retinebimus tanquam ma - gijlrum ,
ne àum tontra Patres > & Con- cilia / aera jubentia , quod
jubebant A *> tbenienfes ; & quod jus : naturar damnat in
illis, fciolonm au£lori%abit in nobisì Abfit Cosi il fuo difeorfo
conchiu* dendo. O Ecelefia prudente r paftores , & o prudente s
priucipes , vefirum eft banc domenicani perni eiem agnofeert »
& prodigate . : i . £ quel , che maggiormente reca
maraviglia egli è , che quei medefimi, che 1* hanno comentato ,
difendono Platone , dove Aratotele lo danna , e quei > che 1*
hanno feguifato in molte cofe , non folamente 1* hanno contrad*
detto y ma 1* hanno quali infamato . Alberto Magno l’arguifce , Quod
ani- mai Coeli mot or e m facit . San Tomma* fo lo beffa , Quod
bine Mundi eterni- tatem adferuit > illine animarum immor •
4 « . . t alitatevi fili contradixerit . Scoto il fot-
tiliffimo Io. fchernifce , Quod tam in - conflanter de anima
fenferit . E quel , che fommamente notar fi dee egli è , che il
mentovato Alberto Magno, tan- to feguace d’ A ri (lo te le, per lo
dubbio, ch’egli aveva» fe bene, o male avef- fe ragionato , in
quello modo prote- •ftandofi ne’ Tuoi comentarj , conchiu- fe : In
bis nibil.dixi fecundum opimo- nem me am propriam ; fed juxta pofitio
- nes Peripateticorum ; & ideo illos l.au- det , vel
reprebendat , non me . Quindi S. Tommafo fteflò, difcepo- lo
d’Alberto Magno, fi avvalfe nella fua Teologia di quella Filofofìa , e
di .quella morale d’ Ariftotele , che più. purgatamente fu difcefa
in compendio ! da S- Gio. Damafceno , avendo da ef- • & *
% « , v - ^ * W fo prefo un modo, più particolare, e (incero
; e il Campanella afferma , che S. Tommafo . Nullo palio putandum
efl Ariftotelizaffe ; fed tantum Arifìote- lem expofuiffe , ut occurreret
malis per I Arifìotelem illatis. E S. Tommafo me- Digltized
by Google 47 defìmé^iì lamentò molto con altri
Fi- lofofi più giudiciofi del fuo tempo , che gli Arabi, e i
Mori colà nell' Àfri- ca avevan contaminata laFilofofia, e T Opere
tutte d’ Ariftotele , per non faper eglino molto bene di Greco; per
la quai cofa Giovanni Lomejero nel fuo libro della Biblioteca n* avvisò
; Qtiod fi Graca exemplaria corrupta fue - runt , quid de bis
putandum e fi , qua in Lattnum.converfa funt ? Sed melius cum eo a
Slum efi, qtsam cum aliis , . quo* rum opera funditus perierunt , &
ipfe c auffa cxtitit cur multa per irent , qui aliar um gloriam
adfetraxit .. Indi Monfignor Ciampoli chiamolla Filo- fofia Morefca
t Monfignor Minturno Barbarica , e tutti Pagana-. E ben- ché in
«tempo poi dello /cadimento dell* Imperio , e dell; Imperatore Pa-
leologo > venuti alla noftra Italia i Greci filosofanti , e,
fcienziati, forte ri- fiorita; la nobiltà dell’ idioma Greco 9
delle filofofie , e delhaltrd Scienze, ap- prettano! già eStinte* e
tamraerfc coll* ♦* innondatone de* Barberi ; eglino
parò fi manifeftarono gagliardi difenfori del* la Filosofia
Platonica » e particolar. mente il Cardinal BeiTarione Arcivef*
covo di Nicea , e il più dotto tra elfi fai merito di cui tolfe il Papato
laru* fiicità dell* Arcivefcovo Perotti Tuo fa* migliare » e concia
viftaj dicendo in pri* mo luogo contro i Peripatetici , eh* e*
glino .malamente . Conantur Ariftote • lem ex gentili) & infitteli
Apoflolum f& sere . Quoniamfides nojlr * Religionis cum
Feripatcticorum dottrina no» convenite Ne formò molte E pi (loie ; il
quale fu poi feguitato da' maggiori ingegni Italiani» cioè da
Marfilio Ficino , Gio. Pico della Mirandola , e da altri cat-
tolici , e particolarmente da Niccola di Cufa , e da Pietro Bembo
ambe* due Cardinali ; il quale contro d* Ari* itatele così fclamò:
Fovemus ferpentem inter vifeera noftra . Di maniera che vedeli per
lo più Tempre ofiervata là Platonica t la Democritica , e 1' Epi-
curea Filofofia « e (fendo che fono tut- to \
Digitlzed by Google z. . 49 te uniformi in concedendo
, che gli Ato- mi foflero i primi principi di tutte le co fé
corporee , e che il fovrano bene del piacere non confìtta ne’ diletti
in- degni , e brutali ; ma (blamente nell» animo , e nella
vitaonetta, e tranquil- la della virtù : non come altrimenti voleva
Arittotele , conti* è detto . .Fu notato bensì Epicuro per così dire
pla- giario > avendo pubblicati per fuoi i li- bri degli Atomi
di Democrito, «dan- nata in lui l' opinione della mortalità
dell’anima . Gii altri fuoi fentimenti, per la fua moderazione, e
moralità , fembrarono così giutti , e ragionevoli a Girolamo il
Santo , che propofe a* Crittiani di fuo tempo la lezione de* fuoi
libri ; e da molti fanti Padri eì fu commendato . E San Gregorio
Naziao- zeno, così ne ragiona: jQuis crederete Mode rat us , &
cafìus dum vixit fuìt fi- le , dogma moribui probans. E Sant’Am-.
brogio ancorché più fevero d'ognaltro fanto Padre, e nelle Filofofie più
ri- gido» pur egli ftimò effere più cpmpa* * . D ti*
59 tìbili gli orti d’ Epicuro , che d’ Ari- notele i
portici , come affatto danne- voli non che pericolofì ; perocché
ne* libri degli uffizj al Cri diano apparte- nenti » così n’ avvisò
; Epicuri Hortot tolcrabiliorcs effe Lyceo Arinoteli; . Il che rien
confettato ancora da Lattan- zio » e da Origene contra Cello . Ari*
Jlotelem effe deteriorerà Epicurei / . Que- lla Filofofia adunque d’
Epicuro , o fe altrimenti chiamar fi voglia Democri. tica » vien
molto largamente di vi fata, e comprovata dall* incomparabile Pier
Gattendi > Canonico , e poi Propoflo nella Chiefa di Digne fua patria
, Teo- logo , e profeffore delle Matematiche feienze in Parigi» il
quale fu di pura* e cadiflìma vita , e uno de* più illuftri
ornamenti della Francia» o quali l’ora- colo detto delle lettere del
fecol no- Uro» di cui giudamente dir li potreb- be , eh* egli
intorno alle cofe filofofi- che » e feienze Matematiche ne diede il
giudicio cóme Pittagora , e fpiegol- le come Platone . Indi il volere qui
ri- pe. 5 1 petere , anche in menoma parte
quel* 10 , eh* egli medefimo n’ ha fcritto , farebbe un
ridire miferamente ciò » eh’ egli felicemente ne diffe ; e tanto
mag- giormente , quantochè noi richiede la prefente fcrittura, per
edere il tutto notiflìmo alla Santità' Vostra. An- zi in qualunque
altra occalione che fofle , farebbe un cimentar la propria ftima ,
ed acquetarli certamente la rota di temerario , e d’arrogante. Ma
da lecito farne qualche parola , e dir folo > che il Galìendi avendo
apprefo nelle, fcuole la Filofofia d’ Ariftotcle, e da eflo poi
tutti i varj fiftemi degli antichi Filofofanti , per quanto gli fu
permeilo dalla condizione umana » e dal fuo proprio intendimento » e
abi- lità ; volle dopo feguitare , e perfe- zionare quella d’
Epicuro , come piti acconcia , e proporzionata Filofofia d’
ognaltra , ammettendo gli Atomi principi di tutte le cole corporee
; come fende di fe Giacomo) Colonna 11 Vefcovo al
Petrarca: Da Se 5 * Se le
parti del corpo mio diflrutte , E ritornate in atomi > e faville
. Softenendo però , che Dio gli abbia creati , e che Dio
averte lor dato il movimento) e il dirtendimeato , e la
figura. E che il corpo umano, fia di minu- ti ffime
particelle coni porto, leggefine* libri del diritto Civile, e
propriamen- te nel Titolo de judiciis , nella Lege ' Proponebatur ,
così dicendo A 1 fono Var- rò, gran Filofofo, e gran Giurcconful-
to, e Confole di Roma, Quod fi quis pittar et , partibut commutati s ,
aliam rem feri: f ore, ut ex ejus ratione nos ipfi non idem eflemus
, qui abbine anno fuiffemur, fropterea quod , ut pbilofopbi dicerent ,
ex quibus particul'ti mìnimts confliteremus , bue quoti die ex
noflro corpore dee e dere nt, aliaque extrinfecus in earum locum
acce* derent. Ouapropter, cujus rei Jpecies e a-
dem confifieret , rem quoque eandem ef- fe exifìimari &c.
Quelta Filofofia è (lata feguitata / v in
io molte i e quali innumerabili carte- dre dell’ Europa, e
ballerebbe fol di- re, eh* ella non è altrimenti proibita da verun
Pontefice voftro predeceflb- ; re; anziché quali in tutti i luoghi
cat- tolici pubblicamente s* infegna , ù. ap- para , e li profèta .
Sia ancor lecito aggiungere a tante dottrine che li ad- ducono dal
mede fimo G a flcndi , e da altri, per corroboramento di tal Filo-:
fofia, un’ altra autorità di S. Grego.: rio Vefcovo di Nilfa, la primiera
«fé-: dia della Cappadocia, il quale viveva nel quarto fecolo, fecondiamo
di tan- ti e tanti fanti Padri , e Dottori della noftra Chiefa ,
fratello di S. Balilio il grande , e di S» Pietro Vefcovo di Se perocché
egli diffe: Fuit fuhita , urgebat , nova rei fui fa - bat aures . £
finalmente foggiunfe, Che Veritas placet , & vincit . Carte -
fius bene intelleflut, nibsl cont'met ma- li . Onde ravvedutili gli altri
, fi di- chiararono ugualmente Cartefiani . ^Soggiungendo ancora
altriTeologi , che fentimenti di Renato intorno all’efi» ftenza di
Dio fi conformavano con quei medefimi di Sant* Agostino , diftefi
nel librò X. della Trinità > e -propria- merv 5
* mente nel capitolo X. Ed un dotti f- fiimo Padre , di cui
ne lafcia il no- me lo fcrittore della vita di Rena- to , vi
aggiunfe molte altre limili dot- trine > eh’ egli aveva ritrovato in
pro- va delle opinioni di Renato ; in mo- do che ciò fu di gran
gioja.a Rena- to fteflò, in fentire, che i fuoi penile- ri erano
uniformi con quei di Sant’A- goftino , e di Sant'Anfelmo nel libro,
detto Profologio , e d’altri fanti Padri. E per li fentimenti dell' anima
io vi aggiungo Glaudiano Mamerto , uno de’ più celebri fonti Padri,
. che fiori nel quarto fecolo ftefiò della noli ra Chiefa , che
compofc un divinilfimo Trattato dell’anima t in confutando quell’
enormilfimo errore di Faufto , Ve f covo di Rems nella Francia, che
tenea quella falfiffima opinione >xhe nelle creature non vi fia niente
d’ in- corporeo; ma Solamente in Dio . Que- llo Trattato fu
dedicato. a Sidonio Apollinare, amiciflimo di Mamerto; .ed egli è
molto elegantemente, e con foni- 59 fommo
giudicio , e finimmo • ingegno dirtelo , in cui trattanfi le
queftioni metafifi che con ogni chiarezza , e fa- cilità poflibile
in prova dell’immorta- lità dell’ anima in modo che non vi è fiato
chi migliore, di lui ciò abbia comprovato . Fondando egli con ro«
bufiifiitne ragioni, che l’anima operi tutta intera ne’ Tuoi movimenti:
che non fi mova nè verfo l’alto, .-nè ver- fo il baffo , o altrove
; eh* ella non fia nè lunga» nè, larga, nè più alta r eh’ ella non
abbia parti interne , nè efierne ; e eh* ella penfi , ella fenta,
ella immagini , e penetri tutta in tutte le fofianze : eh* ella fia
tutta intendimento , tutta fentimento , tut- ta immaginazione ,
tutta di. qualità» e non altrimenti di quantità; e final- mente ,
che fia immagine di Dio » e confeguentemente incorporea , e im-
mortale. Et quia imago Dei efi , non e fi corpus . E che però cerchi
Tempre Dio , e defideri conofcerlo , non con al- tra immagine di
Divinità, chedelia /ua 6o propria ; e che fola mente
il corpo fi tnifuri per lo fuo di (tendi mento in lunghezza»
larghezza, e profondità , e con altri fomiglianti principi , de*
quali fe la maggior parte fi veggono nelle Meditazioni , e negli altri
libri di Renato » dir fi potrebbe , o che Renato gli abbia stolti
da Mamerto , ò ch’egli abbia avuto un ingegno geo» metrico » giudo
» e uguale a quello di Mamerto . Da tutto ciò adunque fi vede » che
quelli principi di Rena» to fiano gl’ ideili d* un Tanto Padre ,
che fu Mamerto » gran Filofofo , e gr.and* Oratore , il quale fu
giudicato uno de’migliori, e favillimi Padri del- la Chiefa: che
meritò la dima d’ ef- fere tenuto dotto , quanto Girolamo;
dedruttore degli errori , quanto Lat- tanzio ; provatore della verità »
quan- to Agodino; e che fia levato in alto t quanto Uario ; che
abbia ancora fa- vellato , come Grifodomo ; riprefo , come Bafilio
; confortato» come Gre- gorio/ e che fia dato fertile » come Orofio;
robufto, come Ruffino; nar- ratore, come Eufebio; dettatore, co* me
Eucherio ; declamatore , come Paolino ; e foavitfimo , come Ambro-
gio . Quella adunque nuova Filofofia , o rinnovellata per dir
meglio Filofofia di Renato, è fiata feguitata, e dife- fa dalle
migliori Uniycrfità, e proviti- eie dell'Europa, ed infegnata
pubbli- camente nelle cattedre più rinomate del Mondo ; e i
cattolici fieffi ne fo- no difenfori , non che gli autori , e fer-
rar] ancora , così attefiando il dottif- fimo Sorel ne’ Tuoi libri della
Scienza universale . La dottrina di Momìt Defi cartes oggigiorno è
feguitata in molte , Accademie , e conferenze . V* ha de* Prof e
(fori di Filofofia , che /* infegnano. Molti fe ri appagano piu , che del
- la Filofofia antica . La quale vien con- fermata con pubbliche
(lampe da mol- ti Religiofi , che n’han divifato tanti e tanti
libri che nulla più, approvati da’ loro Superiori , e
fpeciali/fimamen- te Digitized by Google
te ne fono Seguaci nelle cofe più prin- cipali i dottiifimi Padri
Merfenni , e Detei , e Niceron Minimi . IIP. Mai- gnani, e il P.
Barde : T incomparabi- le P. Nicolle , e il P. Malebranche , che
nel fuo libro de inquirenda Verità - te vi pofe tutti i principi , e
tutti le parti della fua Filofofia Opera , che fi potrebbe
appellare ' 1’ ultimo sforzo dell’ ingegno umano ; ed altri Padri
dell* Oratorio di Parigi , i quali furo- no ancora amiciffimi di Renato,
e fo- pra ognaltro affezionati (fimo , e mol- to famigliare di lui
, e della fua JFilo- _ rf * fofa feguace, A ntonio Arnaldo uno de»
maggiori Teologi della Sorbona , e che M per la fublimità del fuo
ingegno , ed eccellenza della fua dottrina , fi può - £
/giustamente chiamare l’Aquila degl* ingegni, lo Splendore dell’età
noftra, e il più gagliardo foftenitore della fe- ‘uWw^r^de Contro
il Calvinifmo ; il quale col __ . , , ~fuo libro della perpetuità della
fede, in ~ * cui con robufte ragioni , e con eloquen-
za veramente Grifciana ha fondata 1* eli*
J e fi (lenza reale di Cri (lo nella fantini**
ma Eucaristia , e poi con altri volu- mi , autorizzando colle fentenze
de* fanti Padri e Greci, e Latini di feco- lo in fecolo, e della
Chiefa Orientale ancora , che fervirono di ri fpofta al li- bro di
Monsù Claudio , Minirtro di Charenton , approvati da tutti gli Ar-
ci vefcovi , Vefcovi * e Curati della Francia > e da altri Teologi , e
Dotto- ri della Sorbona ; ha dato tal confu- sone a'Calvinirti ,
colla lezione di quel* lo , che molti d’elfi illuminati , fi fo- no
uniti alla nortra Chiefa , come il Vefcovo della Roccella , uno degli
ap- provatoti fuddetti l’attefta: e per tan- ti altri libri , che
quali ogn’ anno di fua vita ha dato alle (lampe , fe ne va carco di
gloria , e d* anni con quella folitudine , propria d* un let- terato
in Olanda , dove gran tem- po menò la fua vita ugualmente Renato ,
con rifiuto magnanimo delle cofe del Mondo . Parimen- te furono di
Renato amorevoli il Car- I «4 ,
Cardinal de Bagne , e il Cardinal di Ecrè, e il Cardinal Berul , e
il Car- dinal Barberino* quando ei fu Lega» to alla Francia * il
quale tanto fu a- mantiflìmo delle cofe dell’anima > che non per
altro . pare * eh* egli avelie trasportato dall’ idioma Greco al
no* Uro Italiano la vita di Marco Aure* lio Antonino Imperadore ,
eh* ei def* crifle di fe fteflb a fa fteffo * fé non per dedicarlo
all’ anima fua , come Specchio veramente, e dottrina , quel libro*
delle cofe morali * che ponde- rar fi debbono dall* uomo ;
perciocché tutte le cofe di quaggiù, anche in ai- tiamo grado
confiderate * fvampano in nulla . Fu protetta » e difefa anco* ra
quefta Filofofia da tutti i Principi* e potentati ftelfi d* Europa } e
partico- larmente dal Re di Francia* che grati- ficò di due
penfioni Renato* e dalla Re- gina di Svezia * in cafa di cui egli
mo- ri * ed ella in grembo della Chiefa ; coftà venuta , e fatta
cattolica per o- pera fola d’un folo Renato * com’ el- la
65 la fteffa afferma in fua lettera , che fi
legge nella vira del medefimo; l’auto- re della quale narra ancora , che
la iua maniera di parlare della Religio- ne fece convertire alla
noftra. Chiefa il Marefciallo di Torrena , un Ateo , e due
Proiettanti; e dalla Principcfla Ehfabetta r fu nomato il refugio
de’ cattolici di Olanda , ed al medefimo furono celebrati i
funerali con aflìften- za di molti Prelati, e delì’Ambafcia. tore
di Francia -, e d* altri perfonaggi illuftri t ed Ecclefiattici , e fu
compian- to con funeftiffime Orazioni, e lugu- bri apparati dalle
migliori Accademie, a cui ugualmente furono rizzati più e. pitafj e
maufolei, ed impreffe medaglie in memoria della fua pietà , e dottrina
. - Ed ancorché i Padri Gefuiti , i quali poffono dar norma, ed
efemplo per la loro dottrina , e - fantità di coftumi , abbiano, particolare
infti- tuto , e regola di feguitare affolu- tamente .la . Filofofia
d’ Ariftotele ; il che vien riferito ancora da uno E
fcrit- 66 fcrittore , così dicendo : Apud
Jefuitas ie gibus fauci curii e fi , neminem in Pbilo - fopbia
prater Ariftotehm [equi , qua caufja e(ì, cur rnjtltt Ortbodoxi non
alia de c auffa Pbilofopbiam rimentur , quam qmd abfque ea non
poffe cum Jefuitis rette difputari ; nulladimeno vedefi , che molti
d’ elfi di celebre .fama , e d’ una vita efemplare , non fedamente
la FUofofia.Ariftotelica hanno trala. fciata, ma quella novella forma
difi- lofofare hanno abbracciata , come fo- no il P. Fabbri , • il
P. Cafati , ' il P. Grimaldi, il P Lana, il P. Pardies » e il P.
Bartoli . La qual cofa li olTer- va per lo modo di filofofare , fpiegan-
do gli effetti della natura per mezzo delle particelle, eh’ eglino -han
tenu- to ne’ loro libri già pubblicati alle (lam- pe , le quali non
altrimenti permettonli fe non coll’ approvazioni d’altri Padri, , a
ciò deflinati dal medefitno lor P. Generale, o Provinciale . Il P.
Char- let , ugualmente Gefuita , che fu affi- ttente Francefe del
P. Generale della Compagnia, e milfionario nell’Attjefi* ca, non fu
egli amico , protettoref^é direttore di Renato? 1} rJ*>j
Giacomo* Dinet ^Provinciale nella Francia,:^* conf flore di
Lodovico XIII. e di Lo-: dovico XI V. non fu affezionato di Re--
nato raedefimo ? Ilr:P.:Braudin firnil-j mente Gefuita, benché una volta,
gli? avelie contraddetto » e riprovate lo, Meditazioni , non fu
egli medefimo £> che ravvedutoli, fi riconciliò con Re» nato
IfelTo per mezzo del medefimo P.; Dinet ? Il P. Atanafio Kircher
preoc-' cupato una volta dall’odio contro Re-» nato, non procacciò
poi la fua amici» zia, e corrifpondenza èri! P. Miland ugualmente
Gefuita, non fu feguace della Filofofia. di Renato, riducendo; in
compendio le di lui Meditazioni , ed in metodo Scolallico per infegnarle
a’ fuoi difcepoli ? Anzi quello medefimo Padre prima di partire per
1* America, volle oflequiofamente , e con particó* lar fentimento
dar. 1* ultimo addio: a Renato fuo amiciflìmc , quali che in
£ 2 tal 68 ' tal dipartenza non fendile altro
cor- doglio, che di lafciar Renato , non già i Tuoi compagni , i
parenti , e la patria fteffa. Il P. Stefano' Noe! non fu egli
parziali (fimo di Renato, e fat- to Rettore del Collegio di
Chiaramon-' te a Parigi , non dedicò i due fuoi li- bri di Filìca a
Renato , conformandoli co’ fentimenti del medefimo ? Pren- dendo
ancor egli la difefa contro Paf- cale per l’opinione toccante il
Vacuo. IlP.Vatier, parimente Gefuita , non fu egli fettario di
Renato , ed appro- vante delle maniere di fpiegare il fa- crofanto
mifterio della Santilfima Eu- cariftia, fecondo i fuoi principi, e
ra- gioni? Il P.Grandamy gli fu finalmen- te amiciflirao i II P.
Francò , il P# Fournier furono tanto amici di lui , che gli
dedicarono i loro libri-. Il P. Fonfeca, benché Portoghefe , e il
P. Ciermans Fiamingo , ma ugualmente Gefuiti, fecero un elogio alla
Metafi- lica del medefimo . In fomma tutti i ' Padri-Gefuiti de’
Collegi della Fran- i eia Digltized by Google
69 eia furonoapprovatori , e fettatori della filofòfia di
Renato, co’ quali egli ebbe una continua corrifpondenza , e vicen-
devoi commercio di lettere ; e della Tua vita ne' due libri ultimamente
pubbli- cati. Ed ancorché pochi anni fono ilP. Rapini , Umilmente
Gefuita fi fia al- quanto allontanato da’fentimenti di Re- nato ,
dicendo egli molte cofe contra lui, ie quali quanto fian meritevoli di
rifpo- ila lo dican gli altri , noi comportando la prefente
Scrittura ; nulladimeno il xnedefimoP Rapini, parlando egli pri- 3
fiieramente del Cavalier Digby,eflerfi egli tròppo attratto nel fuo
Trattato dell* immortalità dell'anima , così di .Renato favella :
Le Meditazioni Meta « .fifiche del Defcartes hanno avuto della re.
f> ut azione j perch'egli s'interna più che al - .trinci midollo di
quefte materie. Soggiun- gendo a quefte parole l’autor della vita
di Renato . Senza eccettuarne t Gefuiti Suarez , e Fonfeca , de* quali
prima egli aveva parlato, e che p affano per i migliori, e più
profondi Met affici delle Scuole . • E 3 Ag-
Aggiungendoli ancora , che-veden* do le Univerlìtà Protettami di
Bafilea e d* Olanda effer pur troppo pregi udi- ziale la Filofofia
di Renato al Calvi* nifmo, Il concitarono tanto contro Re* .
nato , che non contenti di fori vere con- tro la fua dottrinargli
ordirono anco- ra contro la per fona molte calunnie, in modo che
GisbertoVoezio Miniftro d* Utrecht , per avergli oppofto con
malignità il Ir r»
V * { t >
t ì | * *
t .ì r • — 74 tìamo le vivande
fenza penfarci , dice il dottiffimo Boezio, noi refpiriamo dormendo
fenza ciò considerare, e tan- to meno faper fi, pofTono 1* altre
cofe naturali , e celefti . Jacent ( ne laSciò fcritto Cicerone )
ita omnia crajjts oc» calta , & circumfufa tenebris , ut nul-
la acies bumani ingenti tanta fit , qua penetrare . in coelum , &
terram intrare pofjit i Corpora noftra non novimus , qui fit fitus
partium , quam vim unaquaque pars , babeat ignoramus . L’Angelo
del- le Scuole manifestandone la ragione nella fua Somma, così
favella : Quia ratio bumana in rebus bumani s ejl multum defciens , cujus
fignum ejl , quia Pbilo/o- pbi de rebus bumanis naturali invejìi-
gatione perfcrutantes in multis errave • runt , & / ibi ipftt
contraria \fenferunt .. Il che Similmente avea detto Crifo. Homo ;
Hi ipji , qui ad omnem pom- pam de Pbilofopbia gloriantur, multos ,
& plurimos de eifdem cauffts fcribentes libros , non modo fimpliciter
difcepta- rmt t fed ttiam ftbi contraria pleraque ' di »
X 1S dixerunt . Quindi Sant’ Agoflino
fteflb, delle cole Metafifiche ragionando, con* figliò : Noli
qu^rere quid fit Veritas % fiatim entra fé' oppone nt calìgine! imagi
• num corporalium , & " nubila ■ pban t af- ta at a ,
& pertutbabunt ferenitatem t qua primo iftu diluxit tìbi , ut
dìce- rem Veritas . • Non perchè quella non vi lìa ; ma perchè di
quella capaci non fu- mo , dille il medelimo ! Cicerone . Ve- ri
effe al'tquìd non negamut , pertipi pof- fe negamus : E altrove : Non
enim fu- mar ii , quibus nihil verum effe videtur ; fed qui omnibus
veris fai fa quidam a- djunSla effe dicamus tanta fimilitudi - ne y
ut nulla inftt certa judicandi , & difcernendi nota . £ quella è la
cagio- ne , per ria- quale tanto fi lamentava A gofiinò medelimo
dell* ignoranza u- •mana. QUomodo hoc fcio, quando quid fit tempus
nefcioì-An forte ne feto que- madmodum- die am quod fcio ? Hei mi-
bi , qui nefcio faltem '-quod nefeiam ! Come Plinio parimente
compaifionan* do tutto l’uomo , ftimollo in ciò piò mi*
L 9
f » ' 1 $ i
an incredibili celeritate vol- vatur : quanta fit terra crajjitudo
, aut qtitbus fundamentis librata > & ( ufpen - fit . £'
volere ciò difputare, e con- ghietturare Lattanzio il medefimo di-
ce , non e (Ter altro , che difeorrere , e giudicare di cofe fatte in
remotifiime parti non mai da noi vedute , o fapu- te . Quindi il
medefimo Lattanzio- , così ragionando , il fuo difcorfo con- chiude
: Si nobis in ea re feientiam vendicemus , qua non potejl feirì ,
non- ne infanire videamur , qui id affirmare audeamus , *» quo
revinci po/Jimus ? Quanto, magis , qui natura Ha , qua jet* ri ab
bomine non poQunt , /city />«- , furìofi , dementefque funt ju
di- cati di ? £ A rnobio così ; X?*»*/ incerta r fuf- penfa ;
magìfque omnia verifimilia , quam vera , Minuzio Felice dille , Indi il
Poeta .j In- 8 $ Incerta bac ft tu
poflules ' Battone certa facere nihilo plus ■ 1 agas
> Quam ft des operata , ut cum ra- • tione infantai
. £d in confermamento di ciò , fs noi riguardar vogliamo a
quel, che n’han giudicato i medelimi , e i primi fetta- tori delle
Filofofie, ritroveremo , eh’ eglino fteffi han detto > aver
fondato il filofofare fu i principi dell’ ignoran- za medefima,
comen’avvifà Arnobio fteflo . Ipft denique principe t & feti a-
rum patres , nonne ipfa e a , qua dicunt , fuit eredita fufpicionibus
dicunt* Zeno- ne, e tutti gli Stoici negarono 1’ opi- nazioni
ftefle .• Opinar i entra , te feire , quod nefeias , non ejl fapientis ,
fed te- mer a rii potius , ac fluiti . Socrate , Quod neque feiri
quicquam poteft, nec opinati oportet . Adunque Tota Pbilo- fophia
fublata efl , difle Lattanzio. Ariftotele fteffo ne’ libri della
Metafi- sica così ; De bis- enìm omnibus non mo- ** ’ Fi do
\ 84 do invenire veritatem difficile ejl ,
verune ncque bene ratione dubitare facile ejl . Gli Accademici
contro a’ Filici, Nul- la m effe fcientiam , ed ogni cola proba-
bile . Democrito , che la verità delle fcienze ftia nell’- abiflò
nafcolta . Arce- fila ( narra Epifanio ) nomato il mae- ftro
dell’ignoranza da Lattanzio ftef- fo , niente doverli affermare di certo
, negando all’ uomo la fcienza , riponen- dola lolo in Dio , e Dio
ftelfo Non nifi ignorando fcire pojftmus Là onde Cice- rone così
tutto il fuo detto fiabililce : Arcefilas ftbì otnne certamen inftituit
, non pertinacia , aut fludìo vincendi , ut mihì quidem videtur ,
fed earum tettine ohfcuritate , qtu ad confejjionem ignora- tionif
adduxerant Socra tem , & velutì a- mantes Socratem, Democrìtum ,
Anaxa- goram , Empedoclem , orane s pane vele- rei ; qui nìbil
cognofci , nihil per dpi , ni- hil fciri pofje dixerunt : angttjlos
fenfus , imbecillos animoiy brevia curricula vita t & y ut
Democritus , in profundo verita- tem effe demerfam; opinicnibus , &
injìi - tu- S J Digitized by Google
8 5 tutìs ornata teneri : . nìhil ■ ventati reità* qui
: deinceps omnia tenebri! circttmf ti- fa effe dixerunt . £ della varietà
di tan- te opinioni , dell* incertezza delle fa- enze y e della
moltitudine di tanti Fi- losofi giudiciofiffi ma pirico così ne
ragiona : Ita etiam in' hunc mundum , velati in quamdamma - i gnam
domum , accefjìt multitudo Pbi - lofophorum t ad quarendam veritatem
, quam qui acceperit e fi veriftmile e am non credere , quod reEìe
conjecerit . li quidem certe non dicit ejse \aliquid , quod
judicetur verità! , propterea quod 4 in eorum ,r qua funt natura , nìhil
pef- ftt comprebendi . Il che vien confermato ancora da Galeno,
così dicendo: Scien- tiam neque apud Pbilofophoi , prafertim dum
rerum naturam perfcrutantur , in- ventai . Ammonio tanto fettario d’
A- riftotele fteffo n’allega la ragione: Quia diverfitate
opinionum, diverfo modo rei ef- fe verni velf alfa! : quoniam autem
opinio- ne ihominum varine funt ,& incerta , ideo fcientiat
quoque e] se variai , & incerta!, ac F l prò -
86 proinde nuìlam effe rerum eertam f, eie ». tiam , &
veritatem. Avendo ciafcuno il fuo fenfo , e la fua fantafia a
parte, perchè , come fi dice , quanti uomini, tanti pareri:
m Mille homìnum fpecies , & rerum difcolor ufus
. Per la qual cofa è egli moltd virifimi- le, che ognuno
dipenda dalle fue fan- tafìe, ed opinioni , Cum fit ftngulis o-
pinio affluxus diffe Empirico fletto; di qui viene , che Eraclito
nominava O- pìnìonem facrum morbum . Quella è quella , dalla quale
fìam tocchi , e non dalle co fe medefìme, la quale di. - pende
dalle prevenzioni , ed anticipa- zioni della mente , Sua cuique cum
(tt animi cogitatio , colorque prior . Come ancora per la flima fuperiore
al meri- to , eh’ ognuno fa di fe flefTo * cagio- natagli dall’
amor proprio, eh’ è il più cieco, ed il più violento d’ognalero,, a
niuno ceder volendo : Pbilautia enim ejl omnium amorum violentiffìmus ,
cete- .. * ToJ- i *7 rofque fuperat ; vien
fempremai a darli cieco , ed imperfetto il giudicio . A - mor ,
ftcut odium , ventati! judicium nefcit , ditte Bernardo il Santo. E
1* uomo non ha altro di proprio, che il mentire, e *1 peccare .
Nemo enìmba v het de fuo y nifi mendacium , & pecca - tum . Per
la qual cola , torno a dire con Lattanzio fteffo: dov’eglièla Fi-
lofofia? O coll'autore de’ cinque Dia- loghi , della Filofofia fletta
parlando : Non e fi enìm de terminisi fed de tota profefftone
coment io . Cioè, che non vi fia affatto certa , e determinata
Filo- fotta, anche Propter natuv alerti borni - num ad
difjentiendum facilitatem . Re- nato medefimo per primo principio
nelle fue Meditazioni non pone egli 1’ averli Tempre a dubitare nelle
co- fe filofofiche? In modo eh’ e’ con mo* deftiflima protefiazione
la Tua Filo- fotta dirtele , confettando egli . dì fe fletto nella
IV. Meditazione così . Cum enìm jam feiam naturam me am effe vai -
di tnfirmam , & limitatam . Ed etten* F 4 do-
88 dogli (lato una volta afpra, ed acerba- mente jfcritto
contro da un Padre Ge- fuita , di cui virtuofameate non volle
palefare il nome alle (lampe , fé ne la- mentò benignamente in una
lettera , che fcriffe al P. Dinet Tuo amico , ri- chiedendogli ,
ch’ei tro valle il modo, acciò gli fi notificaflero gli errori ,
per emendargli , così dicendo-; Nibil enim inibì cptatius efl ,
cjuam vel opinionum mearum certitudinem experiri , fi forte a
magni! viris ex aminata nulla ex parte falfa rsperiantur , vel faltem
errorum admoneri , ut ìpfos emendem . Come di (e (teffo Agoftioo il
Santo : Si ahquid vel incautius , vel tndoSìius a me pofitum , ab
aliis merito reprebenderetur , necm't- randum e fi , nec dolendum ; fed
pottus ì- gnofcendum , atque gratulandum , non quia errai um eft ;
fed quia improbatum. E pure quello Padre non aveva lette, nè vedute
l’opere di Renato ; così egli fcrivendo nella medefi ma lettera:
Etfi enim mibi valde indignum videretur , hominem Rtligìofum , cum
quo nulla n *9 mibt unquam inìmìcitia ,
nee quidem notitia intercejjerat , tam . publice t tam aperte , tam
infolenter de me ma • le dixìfje , nibilque aìiud balere excu « f
atlanti , . quota quod diceret , fe Dif* fertationem meam de Metbodo non
le* gip-- \ • £ tutto quello perchè ben Sapeva
non eflervi certo filtema di Filofofia, che l’uomo Scuramente Seguitar
do* vede ; elfendo ella in tante fette di- vifa j che Varrone fin
da* Suoi tem- pi ducento ottantotto ne conta , e Temiftio trecento:
onde Sant’Ambro- gio gridò: lnter bas diffenfiones , qu& veri
potejl effe affina t io ? £ Lattanzio ugualmente così : In qua ponimus
ve* ritatem ? In omnibus certe non potejl Or che direbbero
Ambrogio, e Lat- tanzio Hello fe foffero a* tempi no- ftri , ;
vedendoli in maggior numero Sopraggiunte , ecrelciute ? E quella
fra Religiofi (ledi , dalla Chiefa non con- traddetta , quella io
dico sì fiera , e da non mai rappattumarli , e quietarli tra
Tom- 9 . „ . . Tommifti» e Scotifti ,
Nominali , Re- alifti, ed altri, e tutti Ariftotelici , a fembianza
degli Arabi , de* Greci , e Latini , i quali eran difcordi in
fegui- re , ed interpetrare 1’ opinioni del me> delimo
Arinotele, come rapporta Pi- to della Mirandola . Per la qual .cola
Teodoreto fin da* Tuoi tempi fciamò : In litibus omne fiuditim , ornai
s nibiì denique de quo univerfi una men- te , ac voce
confentiant . £ San Bafilio di quei , che furon tenuti i primi Savj
della Grecia, dice non efiervi nè an- che una fola ragione ferma, e
collan- te . Nee fola quidem ratio , apud Gr ita ut eos refel- lere
nibil fit negotii , cum illi propria dogmatibus evertendo fujficiant. E
Teo- > doreto (ledo in quella maniera favel» la : Et Ht fiorici,
& Pbilofopbi , & Po~ età tum de anima , tum de corpore ,
tum de bominis genitura , & confiit ut io- ne inter fe litem exercent
, dum olii qttidem bac » alti vero illa pr a ferunt , alti rurfus
& bis & - illis contrariam o- pinionem adducunt , neque enim
verità- tìs dicentes fiudio , & defiderio teneban- tur ; fed
inani gloriola » & ambitioni fervientes, ex quo fané faBum efi,
ut in errores multo: inciderint . Per la qual cofa in quella
maniera n’avvisò Minu- zzo Felice : Itaque indignandum omni- bus y
indolofcendumque efi , audere quof- dam certum aliquid de fumma rerum
, ac majeftate decernere » de qua ab o- mnibus faculis feftarum
plurimarum uf- que adbuc ipfa Pbilofopbia deliberat *
Ed i t Ed allora » che le Filofofie de’Greci
in* cominciarono a comparire al cielo Romano, i Romani ftelfi non
s’appiglia* rono a veruna d’cfle, foggi ungendo Ci- cerone , perchè
non eran sì balli gl’ in- gegni Romani , che avelfero a foggia*
cere alle altrui difcipline ; perocché Ro- ma t che aveva trionfato nell*
armi , non comportava farli fervile alle lette* re : anzi i Romani
ftelfi non fi manife* fìarono giammai fettatori d* alcuna Fi-
losofia, ed i Nobili li guardavano, co* me da una pelle , di non efl'er
tenuti tali ; perchè certi , che avevano prò* felfato la fetta
Stoica , come Bruto , e Caffio ; Aruleno , e Sorano ; Sene* ca, e
Trafea , ed altri erano tutti mal capitati , come macchinatori di
congiu- re > quantunque Seneca flelTo avelie altrimente prote
flato in una delle fue .Epi Itole , dicendo : Non me cu'tquam
mancipavi , nttllius nomen fero , multum magnorum ingenio virorum tribuo
, ali - quid et fi meo vindico . Onde lubito che alcuno attendeva
alla Filofofia, ca- , 93 deva nell* ifteflo fofpetto ,
come di (Te Tacito di Agricola fuo focero . E a 'tem- pi
notòri dal Re di Francia con un fuo arrefio delli d’Ottobre 1668.
fu proibito a tutti i fuoi fudditi di chia- marli l’un l’ altro
fettario > e fpecial* mente Gianfenitòa. I fanti Padri me-
defimi avvertirono non dover elfere fettario 1 * uomo , e fra gli altri
Cle- mente 1’ Aleffandrino > così dicendo : Praterea non particularìs
fefia efi eli- genda , [ed quidquìd omnes reile dixe - runt Stoici
, Platonici , Epicurei > Ariflo- telici . Hoc totum [eie Slum dico
Pbilofo- pbiam. E Sant’Agoftino nel libro deh le Confezioni, diffe,
Non iftam , a ut illam feti am , [ed ipfam , quacumque ef- jet ,
fapientiam diligebam > q vare barn , & ampie Sì ebar , Quindi San
Tommalo ne’ fuoi Opufcoli infegnò con Agotòino medefimo , Non effe
adfentiendum alieni Pbilofopbo in fcbola Cbriftiana , [ed ex
omnibus decerpendum^quodreiìe dixerint. E fra moderni filofofanti Pietro
Petito afferma nelle Differtazioni , che fece in-
Digitized by Google f »♦ incorno
alla Filofofia ftelfa di Cartellò , doverli notare d’arroganza colui,
che* preflumcr voglia d’ alfentire più ad u- na fetta, che ad
un’altra , la ragione egli rendendo : Ne uni precipue inba- rentes
, in alias fotte me Hot e s , iniqui, & contumeliofi viderentur . Ed
ancora quell’ altra» perchè non puote perfo- na veruna, benché a
tutt’ uomo vi s* applicale , apparare , e farli capace di tutte;
conciolfiecofachè non potreb- be darne retto giudicio , lodando più
una , che un’ altra Filofofia . Omnium ( die’ egli ) fetta rum fieri
perfette pe- ritum , humanum piane captum exce- dit . E a fen lenza
d’ Euripide .* Unus non omnia vìdet . E Galeno così : Dif- ficile
effe , ut qui homo fit , non in multis peccet , quadam videlìcet
peni- tus ignorando , quadam vero male in- dicando , & quadam
tandem negligen- tius fcriptis tradendo . E quando vo- glia alcuno vantarli
di fapere , appet- to di quel , che non fa , egli è nul- la , dille
Temiltio . Ea , qua novimuty por- I
i Digitized by Google 9 $ por t ione
minima contìnentur , fi .colla* ta, & comparata bis fuerint , qua
igne* ramus. E Paganino Gaudenzio Teolo- go , e Protonotario A
poftolico nel Li- bro degli errori delle Sette , parlando egli
delle Scuole di Zenone) di Plato- ne , di Democrito , e d’ Arinotele
, così n* avvisò : Illusi quoque colligendum, in iis , in quibus
nobis Cbnfiianis diffi- derà licet > non effe exploratam verità
* tem. Magna nobis fas e fi uti liberiate extra illa , qua arcem Re
ligio ni s non refpidunt , ut defendamus , quod nobis probabilius
videretur. , Ora egli è vero , com’ è verini- mo, che quei
medefimi tanto fegua- ci d’ Arinotele fono gli autori , oppu- re
gli approvatoti neflì dell* opinione probabile nelle cofe Morali ,
ammet- tendola per lo parere di due , ed an- che alle volte d’un
folo Teologo, dot- to , e dabbene ; perchè nella Èilofofia non
ammettono ugualmente la proba- bilità per tanti, e tanti gravifiimi au-
- tori, e Teologi , e fanti Padri medeli- mi.
9 t mi , dove ancora vi è la libertà di file* fofare ,
fecondo Ariftotele fteffo ? Per- chè concedere la probabilità nelle
co- fe Morali, e poi nelle Fifiche negarla? Perchè amettere la
probabilità in quel- le co fe, che riguardano i precetti del
Decalogo, e di Cri Ilo, e poi contrad- dirla nelle Filofofie , così
incerte , e dubbiofe? Perchè approvar , per co- sì dire, la libertà
di teologare, e poi oppugnare la libertà nel filofofare ? In-
trodurre il probabile nelle cofe fpiri- tuali, l’improbabile nelle
feienze uma- ne : magnifiche opinioni nel mefiiere dell’ anima,
Gretti cancelli nell* ope- razioni dell’intelletto, argomenti nel-
la Morale, freno agl’ingegni : fetenza nelle confcienze, confidenza nelle
fet- enze : ed in un motto , Accademici nella ^Teologia, Dogmatici
nelle Filo- fofie : Filofofi nella Teologia , e nella Filosofia
Teologi? Di qui neceffariamente nefegueper forza de’ loro
argomenti medefimi , o che neghino affatto la probabilità nel-
le 97 ' le co fé Morali , o feguitandola , la
con- fe(fino .lunga certamente s’ in- gannerebbe , perocché
eflendo.fi dopo tante fette fcòvérro, -nuove' delle, nuo- vi
pianeti , ed altri fenomeni,: e tane* altre cofe, e quali :un nuovo Mondo
* par eh’ egli era d’uopo di nuova Filo- fofia per inveli igarle ,
non badando 1* antiche, per le quali torno 3 dire con Seneca dedo ,
Multum adhuc re fìat 0- - perii, multumque refìabit ; nec ulti
noi to pofl mille facula pracludetur oc c a fio aliquid adbuc
adjiciendi . E altrove c Veniet tempus i quo po/leri nojìri tam a+
perta noi nefcìffe mirentur . Plotino predo Teodoreto così : Multa ,
qua nobis 'ohm latebant , ipfa die i invenie tJ Ed il
Poeta: • v . * • Multa dies 9 tabilii
avi f 4 k • • t * Rettulit in melius • 4 *
# « * • 0 t • • » • * ' ,» * » t E noi fopravanzando in
due mila anni d’ efperienza , fiam piuttofto fuperio- ri . . Indi
Cicerone tteflò fin da* Tuoi tempi vantava d* efferfi la fua
etàl.u- gualmente fatta fuperiore nell’ arti, e nelle» feienze ,
perchè più finamente refe migliori , e perfette , come ugual- mente
de’fuoi tempi affermò Tacito .• Nec omnia apud priores meliora ,
fed nojira quoque atas multa laudit > . & art tu m imìtanda
pofleris . £ che i Mo- derni abbiano trapaflato , e fopraftat- to
gli Antichi > egli è chiaro per tanti G 3 fpe-
variufque lai or ma- I 102 . fperimenti ,
e. nuovi inftrumenti per elfi fatti nelle celebri Accademie di
Firenze, della Fraocia , della Germa- nia, dell’Inghilterra , di Lipfia ,
ed al- trove ; come ancora per molti libri ciò fi comprova ,• e
particolarmente per quelli delPerhault nel paragone tragli Antichi,
e i Moderni; e del.P. Rapi- ni nella comparazione de’ medefimi %
, * * i « V * * ' * . | * * dottilfimi in vero , ed eloquenti
Ili mi fcrittori . Quelle fono le parole del me* defimo P’
Malebranche : Si quis Ari- jìoteiem , & Platonem taf allibite s fui
([e crederet , tum ih folis dumtaxat intei « ligendis merito •
forte incumberet , [ed quii id credat , cui faltem mens jana fuerit
? quin ratio noe monet ìpfos no- vi s Pbilofopbis inferiore s effe ,
quippe bis mille annorum , quo tempori s fpatio silos Pbilofophos
fuperamus , experien- ti a nos efficere debuit pe/tticres . E più
nobilmente da Renato {ledo in quella maniera : Non eft quod anti-
quis multum. tribuamus propter antiqui- tatem , (ed nos potius jis antìquiores .... di-
Digitized by Google 10 $ dìcendi ; jam en'rn
fenior e fi mundus t quatti tutte » major emque babemus rerum
experientiam . Il che fu detto fi foll- mente prima dal P. Antonio
Pofle- vini dottillimo , ed eruditismo Ge« fuita - \Quamobrem fi
diutius vtxijjet Anftotekt , vel fi jam revwifceret pofl tot
fxcttla » quibtts ali £ res innumera t ac propemodum alter orbis emerfit
, mul- ta effet correSìurus , quia contraria not experimur . Ed
anche fulle feene dal latiniStno Comico . • r- I
Res y tetas , ufus » aliqtiid adpor- ' ; tet novi y
Aliquid admoneat , ut qu quos varia de parte Ventai éff anditi- non
cernant , propte>ea quod uni fefe Arinoteli non dediderunt fnodo
y fed adeo devoverunt , ut fi fue - rit opus , prò dogmatibus ejus
tuendit in fierrum , fiammamque ruaUt;' in cu - jus Pbilofopbia fi
quafdam opinione s pra- va! conce perù ut $ ut iffum , fi furgeret
e a defiomacbaturum putem &c. -E vicn confermato ancora dal medesimo
So- rel , così dicendo .* Noi ci' prete jìia- mo di voler men male
ad Arinote- le , che agli 'Arifiot elici . ; JZjfi fono guelfi ,
che ofiinatamente #* oppongono a cofe > ch’egli , fe vive (fé
riceverebbe con piacere , per far profitto de' nuovi lumi ,
che ai .Mondo comparir vedreb- be. Lamentandoli ancora il medefimo
P. Malebranche , che li ut piar imam, qui adverfus quafdam Pbilofopbia
veri - ’tates : ree e ns ‘ compertas pertinacia s ob- firepunt ,
quibufdam innovatìonibus in Tbeologia detefiandis, pertinacia! a db
at- tere 1 & indulgere videntur-. Quando i fe-
Digltized by Google iò 5 i feguaci fteflì d”
Ariftotel® , Ammo- nio dico» e Simplicio» : antichilfimi au- tori,
avvertirono non dover effere gl» Interpetri ^cogì attaccati
a’fentimenti delmedefimò» cornei ex tripode pro- nunziati, e tanto
meno , come fetta- rj fcguirgti . Ammonio così: Horum . vero
explanatcr debet ; neque per bene - volentiam afiruere conari ea , qua
per - per am funt ditta , ac velati a tripode ea recipere t fed
fuum ìpftus adferre dicium . Simplicio in quell’ altra ma- niera :
Dignum autem Ariftotelicorum fcriptorum expofetorem oportet , non
ef- fe vacuum undequaque magnitudine il- lius mentis . Oportet
quoque judicium babere fwcerum^ jut neque ea , que re- tte ditta
funt , malo more fufcipiendo , invalida ofiendat , neque ft quid
ani- madverftone indigeat , omni contentane inculpabilia moneret ,
velati in Pbilofo- pbi fettam fe fe infcripfe/tt • Anzi infra
i Giureconfulti ancora , i quali a guifa di Filofofanti fi divife-
ro ugualmente in fette , chiamandole Tul- v
ioS Tullio Famtlias diffentìentet ; legge fi,
ch’eglino non erano cosi pertinaci in feguire le loro fette , che
liberamen- te non dicefiero i loro proprj lenti- menti , ed alle
volte a quei della con- traria fcuola non aderifiero , come fi vede
praticato tra Capitone , e La- beone > i quali furono i primi
fetta- tori affatto contrari fotto Auguflo ,* e fotto Vefpafiano ,
ancorché vi folle quella de' Proculejani , e Pegafiani , e l’altra
de’Sabiniani, e Caffiani, af- fai più contrarie fra efiò loro ,
perchè quei 1’ Aritmetica proporzione, e quc- fti la Geometrica
feguitavano, gli uni Stoici , e gli altri Accademici elfendo;
nulladimeno fu riguardevole la loro modeflia in non aderire tanto
fervil- jnente alle loro famiglie , che volle la loro modejflia
avellerò apportato freno alla libertà delle loro opinioni.
Matiifejia futi , & confpicua vtterum Jurifconfultorum mode fi a y
quod non ita nec certa alicujus feSìa opinionibus, nec futi quoque
peculiaribus fententiis inh il quale ragionando di Cello;
contrario alla fetta di Jabo* leno , fotto Adriano > e Antonino Pio
f così loggiunge : Et fané videtur bh Celfus non adeo partium
fiudiis addiSlut fuiffe ; • quintino Uberrima voluntate in utraque
verfatut barefi , & qua ( ibi ad palatum fuere , nullo babito feSìa
fua refpetlu [elegiffe . E in ritornando al medefimo Arinotele ,
leggeli nell’ O- pere di effo lui, ch’egli non prelume- va tanto di
fe , che altri onninamen- tefeguitar lo doveffe. Nec alìud ( dif-
fe un autore ) noi docet Arìftoteles * quam quod etiam docuerat Plato :
ni» mirum fe ipfum refutare. Dicendo dife quello medelimo autore.
Omne equidem genus Pbilofopbia peragravi , nulli acqui e f- co,
& quamvis ex pr : mis fludkrum rudimen- ti! , Peripatetici , Stoici ,
aut Ac aderitici audivimus, pofiremotamen fapientijjimum
quem- IO? f uemque Scepticam faSlum ,
tanquam ffanum aliquem in fetenti* campii in - gredientem video . E
chi fece la nota al libro del fuddetto autore, foggiun- fe : Plato
docuit Veritatem omnibus re* bus effe anteponendam . Male ergo fibi
confulunt , qui veterum , a ut Arijlote - ìis placitis ita ob finate
inbarent , ut tnalint cum illis . Uro Lionardo da Capua ne’ Tuoi
Pare * '■ r», e nelle Mofetc , e di Francesco Re- di . Il
nobilissimo ritrovamento dell* argento vivo ne* cannelli per la
prova del vuoto del Torricelli , efaminata alla lunga dal P.
Bartoli Gefuita : de* Vortici del gran Renato ; e di tanti , e
tant* altri ritrovati del Verulamio , del Sorelli , del Keplero , del
Gil- berto, dello Steiliola, del Campanel- la , del Digby , del
GaSTendi , del Boy- le , ed’ altri. Neil’ Algebra il Cardi- nal
Slulio , che non ha rinvenuto col fuo libro Mefolabium , e il
Cardinal Ricci in quello De maximis , & mini- mii ? Nell’
Agronomia che non hanno fcoverto i moderni ? dimostrando i Cieli
edere fluidi, e non più orbi So- lidi, come vollero gli antichi : i
pia- neti Stimati prima fare i loro giri in- ili
>» torno alla terra , muoverli intorno al Sole;
Venere mutar le lue fall , o figure a gutfa di Luna : Mercurio , e
Marte ancora far lo' Hello : Giove • « t edere circondato
da quattro delle , chiamate Medicee, e Saturno da cin- que altre ,
come ditte il Cattini .* ef- fer la Lunà un corpo di fùperficie di-
fuguale , e montuofa : ritrovarli nel-- la faccia del Sole molte macchie
di' difuguale grandezza , e di varia dura* zione, agli antichi
affatto ignote; eia qualità, e difpolizione delle Comete» e d’altri
corpi celelti non intefe da A- riftotele , ed ; inveftigàte da Ticone
; e dal" Galilei : la Zòna torrida ere- duta inabitabile,
etter abitabile, Antì- pode! , qui imaginarìì dicelantur , nunc rt-
vera effe t & alia f excent a , ditte il noftro Luca Tozzi nella fua
Lezione: e final- mente l’agghiacciamento de* liquori non etter
condenfazione.ma rarefazione con- tra Ariftotele:ne’gravi cadenti
accelerar- fi il moto fecondo i numeri fpari , ed ef- fer il tempo
radice quadrata dello fpazio de- r
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11. ' avverandófi quello, che dagli antichi (ledi fu
pre- detto , e fi confeda da Cicerone anc'o^ ra : O pintori um
commenta delet dies 't natura judicia confrmat . E però egli è vero
, che quella Filofofia d’ Ari- notele dagli Àriftotelici (ledi non
è altrimenti commendata , così dicendo 1 il ; medefimo P. •
Podevini i' Deiride monjìrandum ( id quod etiam tritura ejì apud
omnet Ariflotelicos ) nidiata- e!}e in Arifìotelis libris fcientificam
de- fnonftrationem qua ' perfedìiffma fit y & omnibus numeris
abfoluta' it agite nàti effe ipfius doSlrinam inconcuffam . La
quale ha avuto- tanta varietà , ed incodanza di fortuna , óra 5
abbrac- ciandofi , ora rifiutandoli > che nul- la più , dome fi
può- leggere Irt quel libro di Giovanni Launoi ^ quin- di in fimil
calo ebbe a dire un au- tore Francefe : In effetto fi vede 1 ';
che la fortuna ugualmente efercita il fuo capricciofo impero .
fopra 1‘ opinio- ni , che jopr a /’ altre coje umane ; . H
ma ma. non già fopra ìe mentì purìffime , e tétte de’ Tanti
Padri, da* quali lem* pre è (lata bìafi mata, come nociva al* la
noftra religione , e proibita da’ Sommi Pontefici , e da* Concili
ltefli, com* è detto, e da quello Lateran eTe nella Seflìone ottava
affatto vietato da infegnarfi piu nelle Scuole, come rap- porta il
Campanella , e Neri nel libro, detto Setta Pbilo - fopbica , dicendo
quefti ; Pracepit Con- ciliarti Scbolajiìcìs in Pbilojopbia drijlo-
telila non immorari , quoniam babet ra- dica infetta!. ' J '
' * * i
. , Ma Te, come poco dianzi io dilli , fra tanti
Filofofì , i prìncipi di Rena* to fono piìi conformi alla nollra
reli- gione, chi non dirà, che colf ui, più che Ariftoteie .feguìr
li debba ? Perocché chiunque hlofofar voleffe fra noi Cri- lliani
co* medelimi principi di Renato, li uniformerebbe Co’ fentimenti
d’A- goftino il. Santo , da cui o avvertito Renato , o Renato col
proprio fpirito Criftiano, e filofofico meditandogli ,
Digltized US gli ha pubblicati , e dirteli. Parole
del Santo , nella Città di Dio , fecondo i documenti -del quale
compofe il fuo Cftema Renato : Quìcumque igitur Pbi- lofophi de
-Dea fummo > & vero ifìa jen- jerunt y quod & rerum creatarum
fit ejfefior y & lumen cognofcendarum , & borni m agendarum
» quod ab ilio nobis ftt & princtpium'- natura meritar
doZìrin# * & felicita s vitee , five Pla- tonici accomoda tius
numupentur ? fi ve quodlibet aliud fu a feti a. nomea impo * nani ;
five itant ammodo J onici generiti- qui in eit precipui -fuerunt , ifìa
jenfe - rinty ficut idem Plato , & qui eum be- ne intellexerunt
: five etiam Italici prò- pter Pytbagoram , &• Pytbagoreos , &
fi qui -forte alii: ejufdem Pententi# in ìd idem fuerunt : -.five
-. aliar um quoque gen- tium , qui f apiente t y vel Pbilojopbi ba
li , Hi f pani. , alìique reperiuntur , qui boQ viderint. , ac docuerint
; eos amnes. ceterii' anteponimi •;» eofque nobis . prò -tV* H 2
fin - x 1 6 pìnquiores fatemsir . Chi filofofa f
vo- lt fle co’principj diRenatofi unifor- merebbe con S. Gregorio
Nifleno, di- cendo egli nella narrazione della vira di Moisè : Si
immortalerà effe animarti Pbilofopbus perbibet tic, & Deum effe
non negat , - creatoremque omnium , d quo curiti a depende nt , &
vere adfeve - rat , ac rationibus quantum fieri potè fi ,
demonftrat ; propìtius nobis Dei angelus fiet. Quella adunque è la
Filofofia ve- ramente Criftiana , e non altrimente Pagana , come
quella d’ .Arinotele Quella è la '. Filofofia veramente cat- '
tolica , fecondo gli avvertimenti de’ fanti Padri-.»..... .
Quella è quella Filofofia di Rena- to, il quale fdegnando di vedere
piò- involte , e deturpate le fcuole Criftia- ne nelle Filofofiede’
gentili, meditò, e diltefe una Filofofia affatto lontana dal
Paganefimo , conformandola, alla, noffra fanta religione, alla quale
pa- reagli , che folo mancafle ,* per laper • egli molto bene , che
Definitisi! erat - - i Pia - » r
«7 Plato J & Arinotele } , po/l mortem Cbri - fii
, & eo rum I afte atta in Ecclefta pro> nibilo' babetur , come il
dottiflìmo Re- my l’Arcirefcovo di Lione , re l’ avea infegnato
colla fentenza fuddetta; de- liri dimando le Filosofie d’ ambedue
il piiflimo. Prudenzio , in quella ma-: niera dicendo . ,t
Confale barbati delir amenta Pia - >tonis .« Confale »
& birce fot Cynicos > quos • fomniat , Ó* quos Texit Arijloteles torta vertigine ,
-nv- nervotv • Quella .è quella Filofofìa di Re- nato il
quale confederando , che tutta la Filofofìa Agoflino il Santo
diftinfe in due foli principi , che fo- no 1* immortalità
dell’anima , accioc- ché noi ftelfi riconofciamo ; e 1’ efi- lienza
diDio» acciocché riconofciamo la noftra origine . Pbilojopbi#
duplex guaflio e fi , una de Anima > altera de Deo . Prima
ejficit y ut'nofmet ipfot nove rimas : altera originerà noflram ;
H 3 fon- ri8 fondò i principi dei fuo
fi'lofo/are fu quefte eterne,. ed infallibili verità., v ;
.Quella è; quella Filofofia di Rena*, to, la quale non folo , come
didi, fu > lodata da tanti e tanti Relig'tofi , ed uomini di
fantiffima vira,. -ma fpecial- mente dal P. Merfcnni , intendentifli-
xno delle Matematiche, e 'Teologiche fcienze , così dicendo in un'
Epiflola : Son refiato forprefo , che .un -uomo , il quale non ha
fluitato in Teologia , ab - ha rifpofio sì fondatamente / opra
punti import antijfimi della noftra religione . lo l'ho trovato
così uniforme- collo, fpirito , e dottrina dì Sant' Ago fino., che.
offerì vo quaft le cofe.. medeftme negli .ferii ti dell'uno , e
dell altro . E più oltre così : Lo . fpirito di Monsu Defcartes
infptra Soavemente l' amor di Dio , di modo che non pojfo perfuadermi ,
che la Filofofia di lui non fta , per Aornare in bene , e in
ornamento dell a.. ver a re - ligione . Ed in un’ altra Lettera. ,
che fi legge registrata nel primo Tomo della Geometria . del
medefimo P. Mer- Merferini, cosi feri ve à Retiatd
fteffiò:' Quibus omnibus , cum a udì am Pbyfii cam illam 'ab
eruditi: viri: adeo exo- ptatam , prope dieta edìturum , qud longe
perfeSfius cum dofir# fdei myftfr riis conveniat > omnium
catbolicoriim nomine iibì maxima: ,qua: poffum , gratids b’abtó
> qui non folum Pbilofp- pbicis » fed' edam Tbeologicìf verltatV
bus tam feliciter patrocinarli V ’ ' , . Quella è quella Fflofófia
di Ruba- to , alla quale diedeiJtìtolo Moiìsù Parlier Antiqua'
fide:, Tbeologia no? va perchè Vincenzo Lirinefe dicea, Ecclefiam
non dovere nova , fed nove \ Sòltenendó egli , che i principi di
Re- nato fono più acconci > ed oppdrtuni di quelli , onde fi
fervono' volgarmén- te gli altri , in ifpiegando ì mifteij della
nolfra religióne - , ‘ e :che non "vi fia cofa nella fua
Filófofià > che non s’accord» co* principi della hofira Chie- fa
cattolica , così il detto Parlier at- teftando ; Ma egli ba fatto altresì
ve- dere t non avervi altra Filo fifa ,~che d H 4 me-
1 t V ! , .1 b*
‘H*’ •h »• .t no meglio
della fu a j* accordi co’.prinìcpj della fede della Cbiefa . : ..
... Quella è quella Filofofia di Rena* to , della quale il
profondo , ed acu- tilfimo ingegno 4* Monfignor Caramu* .cle ne
diede il giudizio . , e prefagio infieme , dicendo., che 1' opinioni
di Renato faranno un giorno comuni . ed univerfalmente ricevuta ,
toltene però alcune pochiflìme cofe, copie ri* ferifle llaut I pj;e
G della vita del medefi- mo . • Monfignor \ Caramuele ba predetto ,
che l opinioni del • DejcarW,. diverrei * ** » « Li V. • • » »* A'i
. * * botto un.', giorno affatto comuni t e fareb» fono
univer/aìmente ricevute . , rr»r alcune poche . E con ciò
verifican- doli 1* altro prefagio d’Alefiandro Taf- fone, intorno
ad Arinotele Iteflò , di- cendo cosi; i L‘ opinioni d* ziri fot ile ,
le quali innanzi (e vittorie di Siila non erano introdotte , nè
conofciute in Italia , potrebbe venir tempo , che non oftante /’ ofiin
anione degl ’ idolatri di quel Filofofo , fi vedranno f cartate , *
. / r Quella è quella Filofofia di Renatola * V '
Cattolica religioni* profefftone perfeverans y me prafente , &
exbortante , mortem cum vita commu- tanti , Cbrifti Salvator»
redemtionem petit ur us . In ipforum fidem coram Dee tejìimonium
perbibens , prafentem Aflum fubftgnavi in Conventu SanEìi Augufli -
ni de Urbe r Rom* t die nona Ma ìì 1667. Que- o pur
per geiofia di gloria» da cui vien tócca, e facilmente turbata la
Repubblica de’ Letterati . E fe in alcune cofc la Tan- ta .Sede-ha
voluto , che refii donec cpYrigatur , potrebbe alla fine la San-
tità' Vostra purgandola , fedare tan- te liti, e difpute , ancorché il
contra-, rio malamente pretenda, e con danna- bile temerità la
famiglia d’ alcuni Re. ligiofi , Solo per mantenere odi nata- mente
le loro opinioni nelle loro Filo- fofie , come vien riferito dal P.
Gre- gorio di Valenza , dal Vefcovo Fra Melchior Cano , e da altri
. . Ma refiino pur nelle , fcuole que- lli , e sì fatti
argomenti , e ragioni intorno alla varietà delle Filofofie, e
Vostra Santità* a cui s’appartie- ne di fiabilirne la verità./
perocché non **$ non ceffan mai tali
contefe ; concor. dandoci piuttofto , come Seneca ditte» la
divertirà degli orologi ne’ momenti» che de’filofofànti le fcuole,e
partico- larmente tanto più fiere , quantochè fono d’ ingegno ;
ond’ ebbe a dire uni certo autore: Citiut in gratiam , pojt mutuai
cladei ingerita redeunt 'regei- »' quam partium fìudio infiammati
pkilo- fopbi . Vnaqueque enim feda ( Lat-' tanzio ditte-) omnei
aitai- evertit , ut fe j fitaque confrmet , nec ulti - alteri
fapere conce dit , ne fe dèfipere fatea - tur . Ita ut ( foggiunfe
Eufebio non lingua , & calamo foltim , verum etiam manibui
pralium -geratur . E sì fiottili ? e facili in rifutando beifando
1* una 1’ altra , com’; egli’ è più agevole il riprendere , .che 1*
insegnare ■; il convincere la bugia , che ritrovare la verità E. in
ve-- ro che ha che fare la Filofofia u— mana colla - ' celefte ,
eh’ è • la reli- gione , così appellandola Crifnftomo in più luoghi
? Religio Cbrijìiana ve- Digitized by Google
I.i6 9 0 • vera » & caelejlìs Pbilofopbia eft . Che
hi che fare la Filofofia umana > o fia l’an- tica , o fia la
moderna colla fede , quan- do non v,’è altra Filofofia più vera,
che la dottrina della Chiefa ?• Hanc ipfam folata comperi efse ver
am , atque utilem Pbilofopbiam .» di/Te Giudino . C fe al- cuna
cofa di vero avellerò detto i Fi- Iqfofi , come ingiudi pofleflòri di
quel- la-rgli riprende Agodino . Si qua Pbi- lofopbi vera dix/rqnt
, ab eis effe tan- quam injufiis poffefforibus vindicanda . E però
1* Apodolo delle genti , fopra ognaltra cofa efprelfamente comandò:
Captare intelleRum in obfequium jidei noe debere qua rat ione demon
- firari nequeunt . Conciolfiecofachè la nodra fede derivi da
principi altiflìmi, e fopraqnaturali . Che ha che fare la ragione
umana colla Teologia ftelfa ? Qjtemadmodum enim ( dice il Ver u la-
mio ) Tbeologiam in Pbilofopbia qua* rere per inde e fi , ac fi viver
quarat inter mortuos , ita contra Pbilofopbiam in Tbeologia quarert
aliud non e fi V quarti mortuos quarere inter v'tvos . Ol- treché
la Filofofia egli è ancella , e ferva della Teologia medefìma la
quale , come regina , delle fcienze , tragge dietro di fe incatenate
tutte 1* altre facoltà > e difcipline umane ; la. qual cofa in
piìi luoghi vien detta da S. Gio Grifo domo. Ex Pbilofopbia res
divinar intelligere velie , e fi candent. ferrant i , non forcipe yf ed
digito contee Slare . Lo fteffo in quelF altro modo .* Nibil
commune babet bumana ratio collata in divinis ; ideoque *
blafpbemia I \ 1 '
4 *# . | f ■' condan- nata per
comune parere de’ mede li mi Arillotelici , • a tellimonianza del,
!*. PolTevini di fopra lodato ; ardirono di dire quella eflere la
vera -, quella elTere la più certa, quando mon effer- vi niente di
vero , e di certo nelle Fi* lofofie , Porfirio dilTe : Nulium effe
in Pbilofopbia locum non dubitabìlem . Lo Hello altrove : De rebus
Pbilofopbia multa diSla effe a Gradi , veruni ex conjeSìura .
Quindi è, che.Adexerci- t attorie m ingenti Pbilofopbias > effe
inven- tar ,-Seneca manifellò . £d altrove co- sì : Pbilofopbias ft
elegantias , & argu- tias dixero , reSìe cenfeam appella fj e .
Anzi dalle ciance , e favole de’ Poeti } efler quelle originate arrelìa
PlutarcOi Omnes videlicet P biìofopborum feSlas ab fìomero
originerà fumfiffe . lpfeque Art - fioteles fatetur Pbilefopbos natura
Pbi - lotnytbos , hoc efi fabularum fludtojos ■ ' '/•
.--J Digltized by Google li*
effe. De’ quali per li loro fogni , e fe- gni dati alle delle ,
diffe Manilio Fit totum fabula Coslum — • '• . Vuole
però Macrobio-» che Nec omni- bus f abititi Pb lo jopbia repugnai , nec
o- mnibus acquìi'fcit . E San r ’ Epifanio fpezialmenre chiamò' la
Filofofia d’A- ri Itocele quoddam fabulamentum . Leg- gendoli
preìfo Varrone' ancora : Porre- mo nemo agrotus quidquam (orrtniat
tam ìnfandum , quod non alìquis dìcat Pbi - Jofopbus . E predo
Cicerone lo (ledo: Nefcto quomedo nibil tam abfurdi dici potelì ,
quod non dicatur ab aliquo Pbi - lofopbo . E parlando della
barbarica Filofofìa Clemente 1’ Aledandrino cosi ne lafciò fcrirto:
Quod hi novi Pbilo • fopbi apud Gr fecondo il Paflavanti ,
diconfot- tigliezze , e noviradi , e varie Filofo- fie con parole
miftiche , e figurate , che nulla conchiudono , come di Por. firio
l’Ariftotelico , tanto nemico de* Crittiani , e della Criftiana
dottrina cantò il Petrarca: Pot firio y .cbe d'acuti,
fillogifmi Empiè la dialettica faretra , Facendo contea s / vero
arme i fo- fifmi . Dicendo fimilmente il Petito , eh’
e- glino (ledi non intendono quello, che dicono, e tantomeno gli
uditori. Non ìntellìgunt neque , qua loquuntur , ne- que de quibus
affirmant . Il ,he fece dire al Verularmo : Habet hoc ìnge -
nìum bumanum , ut cum ad folida non fuffeccrìt , in futihbus
atteratur . Po- co o nulla badando, quando fentono altrimeore
parlare nella Teologia dell' Evangelio , de’ Padri , de’ Concilj
Aedi, come n’avvifa il P. Malebran- che . Nejcio tamen qua mentis
per- turbatione nonnulli eferantur , fi ali- ter quam Arijìoteles ,
pbilofopbari a si- de as , dum parum curant , an in re- bus T
beolcgicis ab Evangelio Patribus t & Concilìis non difeedas . Il che
fu detto primamente da Monlignor Ciam- poli , chiamandogli in primo
luogo ambizioni di parere più Peripateti- ci , che Cattolici , poi
fclamò; Che perversione di gìudicio è quefia , volere
f ...Il f f ! i
fk • « ,j t| Sì
* Ir 134 introdurre una religione
più fedele ad Arijlotele , che a Dio ? E quel eh’ è di maraviglia,
proccurano coltoro ('dice l’autore de’ cinque Dialoghi ) Di jof-
fogare tutte l' altre fette nella maniera dagli Ottomani ujata , i quali
non la- j ciano vivere alcuno de’ fuoi fratelli , per ijlabilire sì
magi fralmente i loro do- gmi in tutte le fctiole Crìfiane . Come
riferifee d’ Arinotele fteflo il Verula- mio. Arifìoteles more
Otbomanorum re- gnare jebaud tutopoffe putaret , nifi fra - tres
fuos omnes trucidaret . Credendo ancora di ritrovar in quello loro
mae* Aro la falute , e di Ilare con elfo lui sì llrettamente
attaccati , come ad un fallo, ad uno fccglio , qualìchè foffe- ro
buttati da una tempella per fuggi, re il naufragio . E così appiccati ,
ed ubbidienti , dice un altro autore alla Filofofia del medefimo ,
che fembra lor commettere un delitto di fellonia il partirli un menomo
punto da lui , in modo che non dicefi Peripatetico chiunque in
tutto non s’ abbandona a’ fen. Digitized by
Google H5 feriti menti del medefimo. Eaàem men-
te ( dice il medefimo P. Malebranche in un altro luogo ) Pbilofopbia ifta
di- scenda eji , qua leguntur bì fiori* ; fi enìm eo licentia
deveniat ut ratióne & mente tua Utaris > ..nonefi quoà fpe-
res te evafurum effe in magnum Philo- fopbum : oportet enim difcipulum
ere. dere > £ il giudiciofiflìmo Sorel di fo- pra lodato , in
quell’ altra maniera .* Jntantb quefii ciechi volontari ar di) co-
no di pubblicare , che non bi fogna Sof- frire alcuna innovazione nè'
riformazione nelle .fetenze ; benché quefio fi a il. filo piezzo
per. renderle perfette . • Ma. a chi creder affi; piuttofio , a degli f
chiavi , e mercenari* che non. fanno jemplicemente, che.
difiribuire per gli feriti i t e per le loro lezioni la dottrina ,
ch'eglino hanno tro- fvata negli ,.fcr itti degli altri} E pi fi
oltre il medefimo Sorel così : Ci fino delle perfine così f empiici , che
credono, che non fi debba ; rivocar pili in dubbio quello , eh' è
in Arjfiotele , che quello » eh' è nell' Evangelio . , ■ . ..
I 4 ' Non ■ i ¥ ' »
I l‘ " .vjfl
: l*V « / !>
4 1 Non mancandovi ancora degli altri, ì
quali per difendere cotefta lor Filo-, fofia fi danno alle maldicenze ,
ed alle fatire , poco avvertendo non ef- fervi fatira maggiore >
che quella della ragione llefla , la quale rende bugiardo , ed
ignorante colui , che vien convinto da fbrtifiimi argomenti ,
facendo ingiuria ancora a tanti uomi- ni dabbene , e a tanti Religiofi,
co- me fono i Padri de’ Minimi , e i Padri dell’ Oratorio , ed i
migliori Gefuiti , eh* han feguitato la Filo- fofia moderna , e
foraftieri , e Ita- liani , e in Bologna particolarmente , dov* è
Campata la Filofofia moder- na , fotto nome Burgundi a , infegna-
ta pubblicamente a tempo , che Vostra Santità’ era ivi Legaro . E
perciò coftui in quella maniera vien riprefo da Sant* Agoftino : Illius
[cri- pta fumma funt , & au fioritale dignif- ftma , qui nuìlum
verbum , quod revo- care deber et omifit . Hoc quifquis non efi
adjequutus fecundas babeat partes *37 modeftU , quia
primas non potuti ba- lere Capti nti & catbedrar primas
ambiente s ; in quello modo con in- crepazione favella : A deo
nimirum altercando • non modo verità f arnitti- tur , jed
caritas exjìinguitur , & dif- pntandi modum majorum exemplo
tan- tum agreffos , nulla modeftia repagu- la cohibent ; ; Onde
Luca Holftenio eruditilfimo Bibliotecario , -dolendoli della
difunione della Chiefa Orien- tale , ed Occidentale ebbe a- di- re
: LuEluofum fcbtfma Orienti! , & Occidenti s Ecclefias divìdens
induxit dijput aridi pruritus , omnia in quafito- nem , & controverfiam
> • poftb abita cantate , adducens ; nulla venta » ' tis
cura , fed uno vincendi ftudio ; .e a confuet udine , vel opinione
aliis legern fr^jcribens » & quod • mife- ra
, Digitized by Google * 3 $ ra j ó*
afflìtta fortuna duri (firn atto ha- hjet , é? iniquijfmum efi, qttod ir,
fugati- ti um ludibriis impune pateat -, Dicendo un altro autore :
Jd nec Pbìkfophum , multo minus Cbrijlianum decuiffe videtur. Nè
qui termina la loro baldanza, ar- rogandoli , ]a medelìma poteftà
della SENTITA'- Vostra in condannare quel- lo., che non mai ha
condannato nè Vostra Santità’ , nè altro Pontefi- ce , dico, 1’,
opinare nelle Filofofie, for- zando gl’ ingegni umani a feguir folo
ifentimenti d’un gentile. Peripatetico, e con noyp giogo privarli di
quella li- bertà, ch’.abbiamo per diritto di na- tura , e per legge
d’ Iddio , che ci ha Jafciato il liberamente penfarc e medi- tare
:> il che è quali l’ unica, e fola ra. gione , colla quale provali ,
che l’uo- mo lia ragionevole, e l’anima immor- tale . Quindi è ,
che prefe giufta oc- cafione Tommafo Moro ( alle di cui lodi ogni
penna è ..vile per elTer egli chiari (fimo non meno nelle lettere ,
che nella pietà Criftiana, per la quale *39 facrifìcò
fa vita , c i beni , e la fami- glia della ) di formare appodatamen-
te una DilTertazione intorno a que* Teologi di fuo tempo » dandole
que- llo titolo : Differtatio Epiftolica de a- lìquot fui tempori s
Tbeologaftrorum ine • pt'jis ; non per altro , fe non perchè quedi
co* principi d’ Aridotele difen- dere voleano , o piuttodo offen-
dere la Teologia , • in quella ma- niera fgridandogli : Quamobrem
piane non video qu qui in fuo fterquilinio fuperbit > ac.
extra illa fepta fi panilo producatur longius » illico ignota rerum
omnium facies , tene- bras > ac vertiginem offundit . E più ol-
tre il fuo dilcorfo feguendo : Et mi- rum in modum verfa rerum vice
contin- gity ut qui prius omnes fapie ntia numeros in argumentoja
loquacitate pofuerat > jam I fenex infantijfimus omnibus rifui foret
~ nifi fluititi^ fu* fuperciliofum fuentium t fapientia loco
pratexeret ; imo potute hoc ipfo ridìculus , quod qui fuerat
Stentore 'damo fior , taciturnior pj[ce reddatur , & inter loquentes
fedeat , v" * ' % Per fon* muta > truncoque
ftmìlli- tnus Herma. • . * ' E Umilmente
Gio. Gerfone il gran Cancelliere della Chiefa , e dell’U* niverfità
di Parigi , non potè atte- nerli di non- querelarli ancor egli de*
Teologi di fuo tempo , in que- lla maniera dicendo : Cur appellati-
tur Tbeologi nofìri tempori s fopbifl* , ut verbofi , imo &
pbantafiici , nifi quia r elidi is utilibus , intelligibilibus prò
auditorum qualìtate > transferunt fe ad nudam Logicam , vel Metaphy
• ficam , etz/nw Mathematica™ > ubi t & , quando non oportet
, i». ten fionc formarum , nunc de div'tfione continui , nunc
detegendo fopbifmata The- ologicis termini s adumbrata , pri-
ori- Digltized oritates quafdam.in Divini! , menfuraf
% ' durationes , injìantias » ftgna natura , éf ftmilia in medium
adducentes , vera r & foli da effent , ficut non funt ,
ad fubverfiotiem tamen magie . audientium • , vel irriftonem , quam
re Sì am fidei adipe ationem proficiunt . •• Come eziandio de’
filofofanti diiuO tempo il giudiciofiflimo Niccola Le- oni co ,
{limato il più dotto delia fua età , nel Dialogo , a cui diede il
titolo di Peripatetico , così lafciò fcritto : An non ego decem integro
s annos , borum auditori a , ne die am ìufira , ad fidu a
contrivi opera ? om - nefque illorum ineptiat , . & futile s co- ptionum tricas , ficcis , ut
ajunt , an* ribus ebibi ? anxie femper quteritans fi quid inde
excerpere poffem , ne va- cui s , quod dicunt , manibus & ofei-
tans domum rtdirem . Verum , Dii immortale s , quam rerum
inanità - tem ■ apud silos , quantam ? ■
u ? r I y i
r4.it: mìb't magis fapere vifus fum , f »» quod
cum Ulti de fi pere aliquando de (li- ti ; » così egli' ragiona ?
Quofdàm pbilofopbantium avibus fimiles vide ri, qui levitate quadam ,
& ambi- tione ingenti e lati , alta petunt , & Phiftca
fcrutantur tantum : aliot cani- bit t , qui laniare , & vellicare
avidi * foli Logica adbarefcunt ut pelli , & in ea rixantur ,
& mentem ad ulteriora non mittunt . Indi leggiamo predo
La* erzio , che da Euclide fofle fiata no- mata la Logica Rabiem
difputandi : e leggiamo ancora che Arifione antichif- firno
Filofofò quelli tali Cum iis compa - rabat , quicancros comedunt . Nam
prò- pter exiguum alimentum circa crujìas , & teftat diu
occupantur . Quindi Mario Nizolio, che fece un Trattato de'
veri principi , e del vero modo di filofofare, fi lamentò non po-
co di Leonico parimente , e di Pico , com’ eglino s’aveflero
folamente rifen- tiro degl’ Intepetri e non d' Arino- tele ,
origine, e caufadi tutti. i mali* così dicendo: Hac quoque Jo Pieus
Mi- randola co» tra barbato* Ariflotelis Inter- prete* conqueritur
, & vere Me quidem t Jed quemadmodum Leonicus , non cami- no
jujìe , quia pratermittit eum , qui tan- forum illis errorym. c auffa
fuerat , boa eji Arijìo telem . Sed o Bice non re Sì e faci* , cum
de foli s Ini erpretibus Arifto- teli $ quereris , ipfum autem
Ariflotelem , qui omnium malorum cauffq , & origo f it- iti. »
omittis ; dìcen* te perdidiffe meliores anno* , tantafque vigilia* apud
Interpre- te* Arinoteli * , & nollens illud dicere quod erat
verius , eadem ■ illa omnia te multo ante perdidiffe apud Ariftot.elem
; Per la qual cofa pareagli , che miglio- re d’ ognaltro avefle
fatto il Valla , che lafciando gl’ Interpetri fi prele la briga in
dar la colpa ad Ariftotele, co- me vero autore, e primo fonte di
tan- ti errori , e fallita , riprendendolo a- pertilfimamente dov*
egli andò errato. Maravigliandoli grandemente il mede- fimo
Nizolio ancora della barbarie del , . lor favellare ,
Qui 5 e fi enim in fcbolit ijiorum pbilofopbaflrorum tam parum ver*
fatti s , qui non centies audierit , potentia - Ut atei, quidditates .
entitates , ecceitates , univerfalitates , formalitates , materiali
- tates , & alia Jexcenta hujufmodi verbo - rum monfira , qua
qui pattilo frequentiut ufurpant , ufquc adeo l^duntur , & per
• vert untar , ut neceffe ftt eos , non folum valde falli, &
errare in pbilojophando , fed etiam in loquendo , & fcrìbendo ve
- hementer fadari , & confpurcari . Co- me ugualmente molto fé
ne querelò Apulejo per alcune novità di parole a fuo tempo
introdotte , le quali difle egli non fervire che all’ofcurità delle
cole. Datar venia novitati ve ri or um , rerum obfcuritatibus fervientibm
. E fi- nalmente cosi il medefimo Nizolio tutto il fuo difcorfo
conchiufe: Qui- bus ita monftratìs , ut tandem aliquan- do &
Caput hoc pofìremum , & totum bttnc Librum abfolvamus , ita
concludi - K mus , X4$ tnuf , ut
reììnquamus duo memoria man» danda , & adfidtte diligenter
cogitanda omnibus , r^iìte pbilofopbari cupiunt , quorum unum e fi
, Ubicumque, & quot» Cumque Dialettici, Metaphyfìcique funt ,
ibidem , & totidem effe capitales . veri i latti bofìes : alterum
vero » Quandiu in fcboiii pbilofopborum regnabit, Ari fio - rrtex
7/te Dialetticus , Ó* Metapbyftcus, fonditi in eis & falfitatem &
barbari - fi» „ fi non lingua & orit , at perocché
la Pitagorica > nomavafi Italiana } ila Platonica per efler
egualmente Pitta* gorica non potea (limarli , anzi piut- tolto
dottrina , e Capienza > tche •Filo* fofia, come dipendente da quella
de* gli Ebrei. La Stoica poi , Epicurea , o (ìa Democritica
riguarda più la Mo* tale , e il regolamento de’coltumi .che altro. E
quella d* Arinotele io 'fon per dire edere la medeiima con quella
d* A ree fila, (limata la più enorme ; per- chè quelli malamente (i
ferviva della Platonica , infegnatagli da Crantore Platonico t
imbrattandola co* (odimi di Diodorot (ottilifiuno dialettico , e
col mutabile» e fuggitivo di Pirrone* acutiflìmo fillogilta. Indi egli è
» che dicealì di lui » come narra Plato > 'ex pojìerioribus
Pyrrbo * ex mediti Diodo • rui ; E (eguitando Eufebio (ledo » cosi
parla di lui : H/c autem fubtìlìtch tibus-. Diodori , qui actttui
dìalefttcus erat , . & Pirrbonis ratiocinationibus Pia* tonte
am eloquentiam feedavit ■ , & modo K a toc y
/ I I >
«I * qua ! pria ! aflruxerat , confutare . Erat igitur Hydra
capita fap proprio enfe amputanti nec aliquìd habem utile » , nifi
quod libenter > & audiretur , & videretur . E dell’ of-
curità , e ftrepiro di parole , di cui fon pieni i libri d’ Arinotele con
ter- mini vaghi , e generali , in modo che appena rinvenire fi
poflan due , an- corché fuoi feguaci , e Tettar j , che convenir
fappiano in un medefimo fen- Digltized by
Google fentimento ; ecco il P. Malebranche come ne fa
chiari/lima testimonianza: Quamvii cairn Pbilofopbiipftus do Sì ria
am fc docere adfeverent & autument , vìx tamen duo reperientur
, qui circa ejat fententiam inter fe conjentiant ; quanti, am
revera /iriflotelis libri adeo objcurl funt , totque fcatent termini t
vagit & generalibui , ut eorum opinione s , qunC ipft maxime
adverfantut non fine verift- milìtudine pojfìnt ipft trtbuì . In
non- nulla illìus operibus quidlibet ipft adfcri- bere lìcet , quia
in ijs ntbil pene dicìt t quamvts multa magno (Irepitu deblate- ret
: quemadmodum pueri campwnas fo- ndu fuo quidlibet dicere fingunt ,
quia campana ingentem edunt fonum , nec quicquam dicunt . ' \
Quindi non fenza roSTóre de’ me- desimi Ariftotelici Gio. Sculero
nell* Orazione per cosi dire inaugurale , eh’ ei fece intorno al
riftauramer- to della Filofofia con quel princi-’ pio-: .
‘ i diffe : Quid magli noxiura Cbrijlìanre }uventuti
Cógitarì fot e fi , a tenerti audire ? Quid periculoftus
quarti tene* riniti eofum animiti > qui ad majo » ra defìinantut
, & qu bui > juo tempo • re > fine ReìpubVtca » fitte Eoclefue
ad L tninìfiratio committenda , talia , in fi ahi» lire , aperte
Tbeologis Cbriftian qui ex prafcripto propri t inftitu- tì \ five ex
adfeSlu erga praceptores. certi! opinionibui adharent , omnia fe-
cundum illos dtjudicanl , quacumque auEìor ìtale y & demonflratione
po fi b abi- ta , ad eafdem trahentes quidqutd au- diunt i qmdquid
ìegunt . Il che fo al- mamente difpiacque ancora a Rodol- fo
Agricola , uno de’ primi - letterati del fecolo pattato, (*) che di tanti
FU lofofi 'dell’ antica età era folamente - • * ■ * ■ * * 4
ri- • * • » • m 1 , -»«. % • * • * »• » •>
* , (*} Cioè del fecolo fedicefimo, mentre il Signor Valletta
{ criflfe la fua Lettera nel 1700. in pun- tò : ma veramente Agricola non
toccò plinto il decin*ofefto fecolo , pbiché nacque Tan- no *44 x.e
mori l’anno 1485, come notò il Trite- mio • * v
Ci u * ir
tì ì 1 • f y
v» A' r (■
’i I \ t
I 'I Jil f :n
; -ib, pra coftui muore T ultimo Audio de*,
vecchi . ... Ecco le Aie parole ? Quid de Ari ftotele die am ? hic gnìm
prope* modum [ohi omnium prife a alati! Pbi- ìojopborum permanfit
in manibui : hunc [ohm , -, qui \ Pbilojopbite , defìinantur ,
attìngunt : hunc .primum pueri difeunt buie ultimum jenum jl uditi m
immori - tur : hunc artet omnei , omnia fiu* diorum genera terunt ,
trahunt,, dif* cerptmt . Ma non già dopo che il Cartello aprì, il
vero fentiero al mi- gliore , e più certo modo di filofo* fare;,
che ad un Criftiano convenga*. Come ugualmente tutto ciò fu con» fiderato
dal dottilfimo Vanhelmon- zio , dicendo ; Jndignor & merito »
quod ScboU •• Pbilofopbia ethnica ado » lefcentet male ìmbuant .
Lamentan- doli egli fra 1* altre cofe , non ben convenire la
definizione pi che Ari* Itotele diede all* uomo chiamando- lo
Animai ' Rat tonale ; , ■ • non avendo egli conofciuto la Tua creazione
> nè T effetto d’ ella ; e perciò 1 , dice il fud« detto
autore malamente fervirfène le * • fcuole Criftiane
Vituperai am ìtaqttc definitìonem exìfiimo t qua homo Ani *
mal rat tonale , vel e a effenti ee defcrì- ptione depìngitur . Siquidem
ex ulti • mato fine dejìinationum . proprietatibus in creando -
dejiniendut erat , fi .finii fit cauffarum prima ex Arinotele .
Qua- propter nec hominii de fini fio e fonte Pagani f mi mendicanda
erat ì qui ere* ationem , ejufque fines piane ignora* vit , Così
egli defìniendolo ; Homo ergo eft creatura vivent in corpore • per.
a rum am immortalem oh honorem Dei * fecundum lumen » &: ad tmaginem
Ver- bi . Quando Arinotele -diede una definizione all* uomo che
nulla va-» le » - non 'Vedendoli in quella nè crea* tura di Dio ,
nè immortalità dell* anima , da ‘ effo lui affatto negata *
Digitized by Google *54 come Cerna verun dubbio l’
affettano Ciucino nella Parerteli , Teodoreto nel Libro della
natura dell* uomo , Gregorio Nifleno nel Libro dell* Ani- ma
Origene in più luoghi delle Tue Opere, Gregorio Nazianzeno nella
dif- puta contro Eunomio , il Cardinal Gaetano nel Trattato deli’
Anima , Plutarco y Galeno , ed infiniti altri fcrittori profani .
Per lo che non fen* za ragione chia mai Io Tertu]]iano«?//é- to f
dicendo nel Libro delle Ptefcrizio- ni Miferum Arijlotelem ; foggiung;
ndo, J Qui illis Diale Che am inHituit , artifi - eem (Intendi ,
& defiruendi verfipellem t in fententiìs co a Cium , in
conjeCìurit nec t allietate Panos - , oec ar* tibusGracos, nec
denique hoc ipfo bu - jus' sentii , & terra domenica > . nativo
• que - fenftt Jtalos iffoi > & Latìnot $ fed pktate , ac
religione , atque naiionel ’• que [uperavìmus . •• ’• •
:i E finalmente eonofeendofi ancora dagli Ebrei , la
Filofofia d’ Arinotele ef- li •*
* è 1 > : » f
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È i l - i Ir
À , • I f ./■» t
•1 a # • i li
I t5* eflere in
pregiu diciò della religione , fa. pubblicato decreto nel Sinedrio
de- gli Afrnonei ( come fi legge nell* irto- ria de’ loro tempi )
così dicendo .• Ma- le diti us qui docet filium fuum Pbtlofo- pbiam
G rac am . : Il che vien riferito ancora da Arrigo Enefiio nel fuo
Li- bro Vir fapiens . Quindi, non fia ma- raviglia , quando
leggiamo preffoCle- mente 1’ Aleflandrino , Grata itaque •
Pbilofopbia , ut alti volunt , a Diabo- lo mota e fi i Anzi i Giudei dopo
la venuta del noftro Salvatore, ancorché * empj , pur dannarono la
Filofofìa d’A- riftotele ; perocché avendo pubblicato il Re Moisè
un Libro» a cui diede il titolo 1 Mereh Nevekim , fu acculato,
dagli altri Dottori d’aver corrotta la loro religione » per aver in effo
pur troppo mefcolata la Metafilica d’ Ari- flotele , come narra il
P. Si mone nel fupplemcnto al Libro delle cerimonie/ e de’coftumi
de’ Giudei di Leone Mo- dena .. Ed io in finendo dirò di lui con il
gran Pico della Mirandola ; Mali prtnctpiì finis masut
. Da turco ciò , che fi è fin qui rap* portato , potrà la
Santità 1 V ostra pienamente avvifare quànto fian da ri- prenderti
co fi oro , ì quali ardi (cono di biafimare quefta Filofofia , che
mala- mente chiaman moderna , e nuova , e dannarla come fcandalofa
, e mala - r quando finora nè la Santità’ Vostra* nè gli altri
fantiflìmi Pontefici antecefi» fori * hannola giammai penfiata con-
dannare . Anzi il contrario leggiamo riabilito dalla Santità d’Innocenzio
XI» in una Bolla ; ciò egli è * . che niuna. cola tra filofofanti ,
ed altri , che fico- lafiicamente fi contende, giammai fi' danni o
in difiputando* o fcrivendo , o in pubblicando , che pria dalla
Santa Romana Chiefia condannata non fia ; Ma quando anche ciò non
fofie , qual furore , o fpinto dii zelo ijpinge tant* oltre,
cofioro ad incagionar coma- rea * e mala una Filofofia * che ha per
au- tori uomini cattolici , • dabbene , e di integrifiìma vita ;
avendo per lo con* x$8 trario la lor Filofofia per
autori fio. mini gentili , e tra gentili i più per- vertì, e
federati ? Qual ila (iato già il lor Padre Arinotele, e di che
coftumi l’iftorie de* Greci, e de’. Latini ne fan piena , ed affai-
ampia tedimonianza ; Quai fentimenti , e quanto perniziofi sì alle
Repubbliche , sì alla j religione, che a* Tuoi tempi lì tenea tra Greci
, egli lanciato abbia a’ poderi la San- tità' Vostra, rivolgendo
l’occhio a quello , che per 1* autorità d’ infiniti fanti Padri , e
di molti altri autori pro- fani fi è riportato, porrà benignamen-
te giudicarlo., Non evvi Tanto Padre, che per otto e più - fecoli riprefo
- , e biafimato non l’abbia , nè mai leggia- mo , che alcuno
l’abbia feguito, o fia dato così dettamente legato alla di lui
dottrina , come tuttavia fon codo- ro. Dottrina veramente tre volte
per- niziofiflìma , madre, e fonte di tante e tante erefie + che
per tanto tempo didurbarono. ed affliflero la Chiefa , e di Crido
la vede lacerarono . E fe .. : rifor- 159
riforgefle il gran Bafilio, quanti equa-' li de’ noftri tempi
riprenderebbe più fortemente, che non fece ad Eunomio^ ed agli
Eunomiani- de* Tuoi tempi j t - quali giuravano Tulle parole d* Arino-
tele, come full* Evangelo > e pofero in ifcompigtio la Chiefa d’ Oriente?
Che diremo degli Atanasj, e degli A leffa n* dri Vefcovi d\
Aleffandria ? . Quanti Crilìiani taccierebbono d’ Arianifmo,
yeggendogli così attaccati ad Arinotele, onde Tempio Ario prefe Tarmi , e
le faettc contro del Verbo ? Non farei per mai finirla , fe voleffi
addurre par* titamente tutte Terefie , • che da’fegua* ci d’
Arinotele fono fiate indotte nell» Romana Chiefa per tanti fecoli , e
di giorno. in giorno van riforgendo. Baffi fol dire , che da fei ,
o più. fecoli tut- ti gli errori fian venuti da oriondi per così
dire , e figliuoli del grande Aride* tele ... i ' « • Ma
fliafì pur colla fua pace Arido* tele , con quella pace , che nel più
cu- po dell’ Inferno, ov’egli fea.giace, dar > fi può
i6o fi può- Siali ' flato Arinotele non tan- to
federato ; anzi dirò più , fiati (tato uomo dabbene, avvegnaché gentile
ei lì (offe . Sianli Santi tutti gli Arifto- telici, i quali hanno
avuto , ed hanno il nome di Criltiano . Siali la lor dot- trina
ottima-, e di niun pregiudicio j non però avrà che far nulla colla
no- Itra l’anta' religione nè di buono , nè di malo . Siali io dico
, e ridico la lor dottrina profittevole in ifpiegare gli ar- cani
della natura , la natura delle pian- te » degli animali , e che lo io ;
non dovran perciò biafimare tutte 1’ altre Filofofie , eh’ eglino
non profèlTano , quando quelle niuna cola infegnano , che contraria
lia a’ buoni collumi , al- le leggi naturali, ed alle leggi di Cri-
Ho , e della Chiefa . Coloro, che rin- novate l’hanno tutti fon già morti
cat- tolici , ed in feno della Chiefa , lenza veruno fofpetto ,
quantunque minimo d’ erefia . E* conceduto , che in qual- che Libro
d’ alcun Filofofo Criltiano vi folle qualche opinione » chiaramente
con- rii 'contraria alla verità della religione
, fenza dubbio 'veruno toccherebbe alla Chiefa di condannarla .
Potrebbe!! pe- rò ( parlo pieno di rifpetto, e di zelo, con quella
riverenza ed ubbidienza , che lì dee alla Santità* Vostra , ed alla
Santa Chiefa ) dìdimamente con- dannare quella opinione eretica ,
ovve- ro fcandalofa > come fece per molte dichiarazioni
AlelTandro VII. ed altri Pontefici ; e non ributtarli tutto il cor-
po d’un libro , il quale lì compone d* infinite, e varie opinioni , delle
quali la maggior parte niuno attaccamento ha , ovvero dipendenza
colla verità del- la fede. Così leggiamo Origene , e Tertulliano
lìcuramente , avvegnaché ambedue in molte co fe lian traviati , come
poco ollervanti della nollra reli. gione . Così leggiamo ancora ' San
Ci-' priano Martire , quantunque folle fia- to d'opinione , che i
battezzati dagli eretici lì doveflero ribattezzare ; laqua- le poi
fu dannata dalla Santa Chiefa' per mezzo d’ un Concilio > come
an« L co. 3
* 6 » cora tanti altri errori di Lattanzio >d*
Arnobio» e d’altri. Or fe ciò fia lecir- to nelle cofe di tanta
importanza » cioè nella Teologia , potrà ancora efler-Te- / cito
nelle Filosofie , le quali van de- correndo femplicemente degli
arcani della natura. Il filosofare , Beatissimo Padre ,
fu Tempre mai , conforme s* è dimo- ftrato , libero , e permefiò a chi
che fia , purché contrario egli non fia alla religione > alle
leggi umane > ed a’ buo- ni coftumi. Non han cofa gli uomini»
che fia più lontana > e men foggetta al- le poteftà terrene, che il
loro Spirito. Nè v’ è cofa più intollerabile , cl}e quando fi
veggono rapire la libertà de* loro penfieri ; perocché tanto è
toglie- re la libertà del filosofare ,■ quanto è togliere la
libertà dell’ opinare ftefTo, non effendo altro le Filofofie che
opi- nazioni * Quindi è, che coloro, i qua- li per dura legge delle
genti fono fchia- vi delle altrui volontà > pur fi riman- gono
liberi nelle loro opinioni , ed i lor pa- e
Digitized by Google padroni > i quali han poteftà della
lor vita, non poflòno difporre de’ loro li* beri fentimenti .
Solamente lo fpirita dell’ uomo a Dio è tenuto renderli av- vinto ,
elfendo egli folo la prima veri- tà per elfenza , la quale non può
giam- mai nè ingannarli , nè ingannare ; ed iòdi poi ancora la fua
Chiefa > la qua- le ci favella da fua parte , toccando a lei
d’interpetrare gli oracoli , ed arca- ni di Dio . Indi quella ubbidienza
del- la nollra ragione libera all* autorità Divina fu fempre
giudicata da tutti la prima , e più grata vittima , che noi
dobbiamo offerire a Dio. Il facrifizio certamente non è egli fanguinofo ,
è ben però il più pregiato , e caro ; pe- rocché conduce gli fpiriti
nollri , na- turalmente di ripofo impazienti a sì felice fervi tù ,
principio » e mezzo d* ogni nollro bene, e falute • Perchè li dee
in ciò ufare grandilfima diligenza, nè legare sì llrettamente quello
nollro libero arbitrio in cofe , le quali poco , o nulla montano ;
perocché potreb- Lz beli befi temere di qualche
rivolgimento , o per così dire temerità dal vederli sì ftretto , e
incatenato . Oltreché po- trebbeli da ciò dar luogo di penfar
malamente , che la noftra fede dipcn- deffe da’ principi delle Filofofie,
e che la noftra religione » ed Arinotele fot fero sì Erettamente
uniti , e me (cola- ti , che 1' una fenza l’altro non polla da noi
crederli. Sarebbe ben tre volte incollante la noftra fede , fe
ftabilita folle fopra così balle , e poco (labili fondamenta , ed
andalfe dietro a’fogni, ed alle frafche de’ Filofofanti . La ve-
rità vien ricercata si dalla Filofofia ,• ed è Hata ricercata già per
migliaia d* anni ; ma non giammai però è Hata ella ritrovata ;
perocché Iddio ha vo- luto lafciare il Mondo all’efercizio in-
nocente delle Filofolie , ed all’incerto inveftigamento delle cole
naturali , e però alle difpute . Mundum tradidit difputation'tbus
eorum. Conforme anco- ra va dimoftrando San Gregorio Nazianzeno in un
difeorfo, ch’egli detta delle / .
*65 delle dìfpute. La Teologia fola ha ri- trovata la verità,
perch’ella fola s’ ag- gira intorno alla vera luce , e prima 1
ferità , eh’ è Iddio , principio d’ ogni j noftro fapere;
onde gloriavafi 1* Apo- flolo di non fapere altra cofe, cheCri- tto
crocifitto. Quefla verità ritrovata nella Teologia altri non poffede ,
che 1 la noftra fanta religione , la quale quan- tunque
contrattata , ed afflitta da tan- ti e tanti tiranni , pur fempre mai
• vìttoriofa per tanti » e tanti fecoli ha trionferò , e
trionferà per fempre più gloriofa . Veritatem ( ditte un autore )
Pbilofopbia quper ciò fare ha volu- to fervirfi ; perocché verfando
quefte intorno ad una caufa , la quale al prefente fi può dir
prelfochè comune, di comune , ed univerlal difefa ancora elleno pedono
molto acconcia- mente fervire . . . Recando adunque le molte
parole fue m una , quella nella foftanza fembra edere fia- ta T
idea di lui . Egli ha come in due parti divifa tutta la Lettera , in una
delle quali s* è ingegnato di biafimare, e deprimere il pia che ha
potuto Ariftotile; e nell’altra lodare, e portare alle ftelle Renato
Defeartes. Egli ha depredo Ariftotile , comparandolo prima- mente
con Platone , e inoltrando , che il principato tra i filolòfi è di quello
fecondo; L 4 chc *6$ che da tutti i
fanti Padri molto è flato cele* brato: che la fua filofofìa è la più
favorevo- le, ed acconcia alla Chiefà cattolica ; e che quella d’
Ariftotile è la più contraria, e pre- giudiziale . S’ e poi ingegnato di
inoltrare , che Ariftotile è flato 1* origine di tutte l’ere- fie.*
eh’ è flato biafimato da tutti i fanti Pa- dri , e finalmente tutto
quello ha raccolto , che può fèrvire di biafimo , e di vitupero di
quello filolofo • Di qui è pallato a glorifica- re il Defcartes . Ha
mcftrato da quanti e quali uomini e fiata la lita filofofìa appro-
vata , e ricevuta : com’ ella s’ uniforma a’fen- timenti de’ fanti Padri
: come ferve molto per difi reggere l’erefie , e così fatte altre cofe
af- fai. Onde porta l’incertezza di tutte le filo- fofie per
cagione del corto intendimento u* mano , e porta Umilmente la libertà di
giu- dicare , eh’ hanno gl’ intelletti nelle materie fìlofcfiche y
ha concitilo, ellère molto da ri- provare Tattaccarfi fidamente ad
Ariftotile . C jntra il quale molte colè di nuovo adducen* do, e
moltiflime altresì a favore di Renato, della filofofìa di cui teffe un
lungo panegiri- co ; finalmente conclude , effere forte da ri-
prendere coloro , che ardifeono biafimare la filofofìa moderna , la quale
non fido al paro coll’ Ariftotelica può andare; ma in oltre ad erta
dee ellère antiporta , come quella , che dalla Platonica fi deriva , e
per più altre lo* 4 i6$ di, ch’egli affai
minutamente, e a lungo ya numerando. Ora volendo (opra cosi
fatta argomentazio- ne col medefimo fine dell* autor fuo , cioè a
prò della moderna filofòfia , alcuna colà of* fervare; dico in prima, non
effere molto da commendare Io ftabilire la difefa di effe mo- derna
filofòfia fopra la depreffione d’Arifto- tile, e fopra la deificazione,
per dir così, di Renato delle Carte . Quantunque volte un
eccellente fcrittore ha occupato un poftocon- fiderabile nella repubblica
delle lettere, non manca mai la fazione di quelli, che Pefàlta- no
, e di coloro , che lo deprimono fuori del dovere . Vero è , che ci fono
ancora difcreti eftimatori delle cole, i quali il buono dal reo
feparando , quel prudente mezzo eleggono nel dar giudicio , che fecondo
dirittura di ra* gione fi vuol tenere. Molti efèmpj io potrei
addurre per confermazione di ciò: ma perchè fopra Ariflotile procede
ilnoftro ragionamen- to , volentieri io non mi partirò da eflo. Per
efempio adunque de’ glorificatori affettati di quello filofofo fia
Averroe , il quale in que- llo modo lafciò fcritto di lui : j4riflotelir
do * Urina efl Stimma Veritas, quoniam ejus intei* lelhts fuit
finis bumani intclleftus ; quare bene dicitur de ilio , quod ipfe fnit
creatus , & da* tus nobis Divina providentia , ut non ignori
mus Doffibilia feiri . E nella Prefazione alla
.. Fifica; Complevii ( Ix>gicam , Ethicam -, óc
Metaphyficam ) quia nullus eorum , qui fecu * ti funt eum ufque ad hoc
tcmpus , quod efl mille & . quingentorum annorum , quidquam ad*
didit , nec invenies in ejus verbi s errorem ali* cujus quantitatis , #
ta/ew £// per quan- to egli raedefimo ne dice , venti anni interi
fpefi avendo iti Squadernare i libri d* Ariflo- tile , anzi oracolo , che
giudicio è da repu- tarli . Così adunque egli fcrive nel Prolago al
libro JY. del fuo Examen vanitati* dottrir Tue gentium : Multa apud
Ariflotelem erudì . f > tio , multa eleganti a fcribendi ,
inulta etiam , fcrtajfe verità* : fed certe non parva vanita*
* - JLo fcrutinio fin qui da noi fatto di varj , c oppofti
giudicj intorno al medefimo fog- getto formati, può fervir di regola nel
giudi- 1 care di. tutti gli eccellenti fcrittori. Noq bifir
gna nè alla bellezza della virtù, nè alia brut- tezza de’vizj lafciarfi
cosi rollo ingannare , nè ' 2 1 - I 7 i *
■ . . fafcinare in modo la vi (la , che fi travegga e fi
finarrilca quel fenderò dì mezzo, per cui Tempre colla (corta della
ragione dobbiamo proccurare d* incamminarci . Ma egli fi ritro-
vano uomini d’ immaginazione tanto gagliar- da e forte , che poiché hanno
fidato la men- te nella qualità d’ un oggetto , non (anno tanto o
quanto fidarla per dominarne le al- tre - Conoro confederano ' le colè
(blamente per quel verfo, a cui dal moto de* (oro fpi- riti fono
portati , e di qui è, che o il bene folo , o il male precifamente
contemplano » Quello predominio dell’ immaginazione in nelfun’
altra opera per mio avvilo meglio fi fcorge , quanto in quella de veris
principiis , & vera ratione pbilofopbaudi di Mario Nizo- iio.
Quello fcrietore avendo al principio con- ceputo della (lima verfo
Cicerone, e vdeldifi credito per • Ari dotile ,‘a poco a poco s* è
lafeiato condurre a tale , che nuli*- altro che il lodevole in quello , e
in quello nuli* altro che il biafimevole egli vedeva . Gli è fi-
nalmente» paruto , eh’ ogni cofa , anche 1’ imperfezioni del primo roderò
divinità , e le cole anche buone del fecondo fodero vizj , e
magagne . Di qui è , che negli accennati li- bri , egli conculca ogni opinione,
e lèntenzia d’ Arillotile, e glorifica ogni detto di Cice- rone ;
per qualunque definizione anche de- bole , e imperfetta del quale, egli
s’ ingegna di * di ritrovare principi ,
da cui fi deduce com* ella è giuftiflima , e vera. Quella lòrta di
li- bri può efler utile per quelli , che all* oppo- fla parte fono
dalla palfione portati / perchè fcorgendo nella lettura di elfi il
rovescio, co- me fi dice , della medaglia , può avvenire , che s*
inducano a dubitare di quello, che fi- no allora aveano tenuto per fermo
. Per al- tro e T uno e 1* altro di quelli eflremi me- rita
grandilfimo biafimo , nè v’ ha colà ,che più i retti giudici impedifca
quanto quello fv la- mento della ragione, a cui la fantafia ha
tolto la briglia di mano,. Intanto la vanità, e lafu- perbia dell’
uomo fi palce molto di così fat- to cibo , perchè o colla deificazione, o
colla deprelfione altrui o coll’uno e l’altro inlìeme, fi fpera di
potere llabilire la propria fama « Egli avviene nonpertanto , che la colà
il più delle volte va tutt* all’ oppollo . Nulla è che minor
imprelfione faccia nelle menti de- gli uomini, e che più agevolmente
dimenti- chino , quanto quelli sforzi violenti : degl’ intelletti
da troppo gagliarda immaginazione trafportati : non altrimenti appunto ,
che 1* azioni llravaganti , e inufitate de’ pazzi , ap- pena
s’oflèrvano . E chi è egli , che fìlolò- fando fi Ila giammai attenuto a’
principj di- Mario Nizolio? lo non ritrovo appena regi- flrato il
filo nome tra i nemici d’Àrillotile . . Ma ritornando in via, dico,
che l’autore di Digitized by Google
! di quella Lettera fembra effere (lato alquan* to tocco dal
prurito y di cui abbiamo fin qui favellato , mentre con tutto lo sforzo
dello fpirito s y è ingegnato di raccogliere il polfibL. le con tra
Ariftotile, e dall* altro canto por- tare fino alle ftelle il Delcartes ;
ogni prova facendo > e nulla intentato lalciando per ap-
pannare, e far violenza agl* intelletti de’luoi leggitori . Per
contraflegno della fila palilo* ne , anche dentro a* cancelli di puro racco*
glitore degli altrui giudicj, offervifi il modo , eh* egli tiene alla
pagina 34. in iftorcere vio- lentemente contra Ariftotile alcune
parole del P. Petavio, dette ad altro intendimento, anzi in
propofito tutto conti ario. Quello Pa- dre nel capitolo III. numero V.
dei Prolago alla fua Opera de* Dogmi Teologici , dopo avere addotto
un lungo palio di S. Bafiiio , nel quale lèmbra , eh* e* rigetti in tutto
la filolòfia Ariftotelica , foggiunge al fine cobi: Ceterum iifdem
in verbi * videtur Bafìlius in totum abdicale , ac rejecijje ab fidei ,
Theo* hgiécque conjortio univerfam Ariflotelis philofo* phiam
tanquam Cbriflo irrvifam , & inimicami atque ab bofle illius Diabolo
proferì am . Quam uonmllorum opinionem refellit Clemens Ale*an-
drinus in primo Stromateon > ut alibi memini - mus . Sed ab bujufmodi
Jufpicione Bafilium paullo pofl purgabimus . Ora il nollro autore
prende da quello palio quelle lòie parole ; Ari m Ari flotti
is j>hilofophiam tanquam Chriflo invi, fam , & inimicam i atque ab
hofle illitis Dia. bolo profeti am ; e le porta come un detto del
P. Petavio contra la fìlolòfia d’ Ariftotile. E chi non vede però che il
prurito di conculcare quello filofofo ha fuggerito all’autore della
let- tera una sì aperta , e abominevole ftorpiatura? E pure y
fe per 1* altro verfo vogliamo ri- guardare e Arillotile , e il Delcartes
, non ci mancherà motivo , nè fcrittori , i quali ci a- prirànno la
ftrada a deificare il primo , ed a deprimere , e conculcare ancora il
fecondo , lènza nè pure aver bifogno di ricorrere a tali artificj .
Ogni volta che uno fcrittore s’ha a. cquiftato un gran nome nella
repubblica del- le lettere , e mafTìme per lungo tratto di tem- po
, ’è pazzia l’immaginarli , che tutte le co- fe lue pollano eflère tee .
Il buono làrà mi- fto col men buono , come di tutte l’ umane cofe ,
che perfette giammai non li videro j fiiole avvenire ; e però quelli ,
eh’ amano dì cogliere negli eftremi , troveranno in amen. - due le
parti da làttollarli . Il punto Uà , che non lì lufinghino d’innalzare
una fabbrica , che non polla eflère da alcun altro colle ilei* fe
forze diftrutta , per non ritrovarli contra la loro efpettazione
ingannati. Un altro, che riguardi lo fteflò oggetto dal lato oppofto
a quello , che 1’ hanno riguardato efli , ritro- verà tolto gli
liromenti da dilhuggere in quel* ! I
176 quella fletta fucina dov’eglinò gli avevano ri. trovati
per fabbricare - Di quella difputa d’ Ugone da Siena, al tempo del
Concilio , che fi cominciò in Ferrara , riferita dall* autor della
Letteta, come cola inftituitaperefalta- re Platone, e deprimere
Ariftotile, così nel., la fua Cronaca lafciò fcritto Filippo da
Ber- gamo : Cumque Nicolaus Marchio , & multi in Synodo
congregati pbilofophi excellentes ad - venijfent , cuniios in medium
philofophia jocos adduxit ( Ugo ) de quibus inter fe Plato ±
Arifloteles fuis in Operibus contendere , ac magnopere dijfentire
videntur , cdocens eamfe partem defenfurum y quamGraci oppugnandam
ducer ent , five Platone m y fi ve alium je fequen - dum arbitrarentur .
Lo fletto atteftano Enea Silvio nel capitolo LI I. della Dedizione
delF Europa , e Andrea. Tiraquello nel capìtolo XXXI. del libro de
Nobilitate . Ecco pertan- to , che il fine d’ Ugone non fu V
efaltazion di Platone , e Pabbaflàmento d* Ariftotile , come vien
fuppofta : ma fi profefsò di voler difputare problematicamente , che vai
a dire, difendere la parte impugnata , e per confe- guenza
difendere o l’uno, o l’altro di quelli due fUofofì . Cosi il Concilio
Lateranefe V. a torto vien portato alla facciuola 114. come
difàpprovatore , e condannatore della filofo- fia Peripatetica nella
Scffione Vili. Bafta fo- to leggere P accennato luogo per chiarirli ,
che quello Concilio non condannò nè Anda- tile, nè Platone, nè alcun
altro filofofo in particolare : ma generalmente della filofòfia
ragionando , proibì primamente I* abufo a que’ tempi introdotto di
difendere nelle pub- bliche Tefi, che circa lo dello punto, quel-
lo era da dire fecondo la filofofia , e quefto fecondo la verità : ovvero
tal colà fecondo la filosofia e r a vera, che fecondo la fede
erafal- fa . In fecondo luogo ordinò a tutti i Lettori pubblici
delle Univerfità , chefpiegando i fìlofòfi, avvertilfero la gioventù
degli errori loro , alla fede noftra contrari , -confutando* gli, e
riprovandogli . E finalmente (labili , che niunCherico doveffe dopo io
ftudio della Grammatica appigliarli a quelloodeilaPoefia, o della
Filolòfia, lènza ftudiareinfieme Teolo- gia , e Canoni, acciocché,
foggiugne, In bis Janlìif , & utilibus profijfionibus
Sacerdotes Domini inveniant , unde infili a s Pbilofopbia , &
Poe fi s r adice s purgare, & fanare valeant. E tanto è lontano , che
i Padri di quefto Concilio abbiano avuto in animo d’oltraggia- re
Ariftotile, eh’ anzi lette le poco fa accen- nate cofe , e ricercato , fe
alcuno avelTè pun- to che dire in contrario, fi levò fufo Niccolò
Lippomano Vefcovo di Bergamo, e sì difle^ Quod non pìacebat fìbi , quod
Tbeoìogi impo - nerent Pbilofopbis difputantibus de veritate in -
ielle fi us tanquam de materia po/ita de mente M - Ari»
Digitized by Google 178 ... .Ariflotelis y quam
[ibi imponti Averroes : lieti fecundum verità rem tali* opimo e fi fai fa
. Si- milmente di queir Aezio Vefcovo * che dall* autor deir
Epiftola è rapportato come uno * che per troppo ftarfi attaccato alle
Categorie cT Ariftotile , cadeffe in erefia * e diventaflTe Ateifta
, Socrate nel libro II. capitolo XXXV- della Tua fteria Ecclefiafticacosl
ragion a: Hoc aiitem facit Cat egorii s Ariflotelis ( fic liber iU
le e fi ir.fcriptus ) fidem habens * ex quibus difputando * ac fe ipfum
fallendo y non int clie- nti y ncque a feientibus didicìty quis fìt Ari fio
- telis feopus . Ille namque propter fopbifias phi* lofoph'ue lum
illudentes id genus exerctiii con - fcripfit y & Di al etite en per
fophifmata novis fopbiflis dicavti. Itaque Academici * qui Pia-
toni* y ac Plotini fcripta e L 9 immaginazioni belle piut- rollo ad udirli
, che fiifliftenti e fode , le quali fono fparfe per tutto il corpo
del- la fua filolòfia y e che tinta di fanatifmo T hanno fatta
comparire . I Vortici , che da fonti torbidi Italiani , come fono
quel- li di Giordano Bruno Nolano , ha prefi il . Defcartes per far
girare la fila tripli- ce materia ; fono colori , che poffono fer-
vire a fare un ritratto di lui tutto diver. fo da quello , che ha fatto V
autor del- la Lettera * Il Padre Malebranche mede, fimo 5 uno de*
più acerrimi difenfòri , e approvatori della dottrina di Renato ,
co- sì lafciò fcritto nel libro ili. patte L capitolo» IV. della
ricerca della Verità . Mortsù Defcartes era anch'egli uomo y fog -
getto all 9 errore , e all 9 illufione , come gli altri . Non v 9 ha
alcuna delle fue Ope- re y non eccettuando nè pure la fua Geome* *
tri a y in cui non fi a . qualche fegno della debolezza dello fpirito
umano . Non bifo- gna adunque fi are alla fua parola ; ma leggerlo
cautamente , com 9 egli ftejfo ci av~ vertijfe . Non fono anche mancati
uomi- ni dotti , i quali hanno fatto vedere , che Ja fua filofofia
è di pregiudicio alla fede , i8i cd è contrarla a
molti dogmi cattolici - AI- cuno ha pretefo , eh * ella rinnovi V ere-
fie di Pelagio , e di Neftorio : ed altri , eh* ella fia la firada allo
Spinofifmo , e all* Ateifmo * Io fò , eh 5 è flato rifpo- fto a
quefli tali , e che vi fi rifponde. rà : ^ma quello appunto è quello ,
che il di fopra da noi detto conferma , e che moftra quanto agevol
colà fia o, ecceder nella lode , o ecceder nel biafimo , quan- do
non s 9 ami di fidar V occhio che o ne* fòli vizj , o nelle fole virtù .
Non fem- bra adunque , com > ho detto , degno di molta lode il
difegno di ftabilire la difefa della filofofia moderna fopra le lodi ,
el* efaltazione di Renato Defcartes , e fopra i biafimi , e
depreflione d * Ariftotile , fic- oome fopra un fondamento , che fi può
di- ftruggere con quella fteflà facilità , con cui s è innalzato :
e per mezzo del quale , fermo e inconcuflò renando , fi verrebbe a
flabilire quello , che V autor filo medesi- mo in alcun luogo con molte
parole s 9 e ingegnato di diftruggere , cioè il farli fè- guace
indivifibile d* alcun filofbfo partico- lare . Ora diciamo
alcuna cofa della principal ra- gione, fopra cui Pautor della Lettera ha
pian- tato la difefa della filofofia modèrna ; la qua- le fi è ,
che derivando ella dal fonte di Pia- rvi 3 «o* iS z
tone, fìlofcfo fupcrioread Ariftotile, appro- vato dagli antichi
Padri, e riconofciuto come molto vicino a’dogmi cattolici; ella non
vuol eflere riprovata , maflimamente in confronto dell*
Ariftotelica, la quale, fecondo lui, è J }a* fa V unica , e fola cagione
, anzi l y orìgine JìcJfa di tutte V erefie. E quanto al
primo , cioè quanto al prin- cipato ,tra Platone, ed Ariftotile ; molto
dif- ficile, molto dibattuta, e da niiino per anche decite
quiftione ha prefo a diterminare il no- Aro autore , augnandolo al primo
• La dif- ficoltà di tal decisione procede , che molti ef- ffendo i
pregj delfinio e dell* altro filofofo , amendue ancora hanno le loro
imperfezioni. Secondcchè pertanto fi vogliono riguardare sì nell*
uno, che nell* altro più quelli, che ques- te, fi ha campo ancora di
antiporre , o pote porre V uno all* altro. Ma per quello ,
che riguarda il fecondo y cioè quanto al far ufo dell* uno, o delP
altro nella Teologia , e nelle cole della religione , non fono pure
ben d* accordo tra loro gli uo- mini dotti qual fia da preferirli . Se
per Pla- tone fta P ufo , che moftrano averne fatto i primi Padri
della Chiete: nè anche Ariftotile va privo in tutto di fimi! pregio ,
mentre al riferire d’Eufebio nel libro VII. cap. XXXIL della Storia
Ecclefiaftica , in Aleftàndria , an- che al tempo , che i Dottori
Apoftolici rif- pJea« plendevano , l’Ariflotelica
(cuoia fioriva. Gle- mente Aleffandrino lib.V. Stromatam, riferita,
che Ariltobolo con molti libri provò, la (liofoba Peripatetica dalla legge
di Mosè,e dagli altri Profeti derivarli. E Gioleffo nel lib. I.
contvaAp* pìonem , infieme col mentovato Eufebio nel lib. IX. cap.
V. de preparatane Evangelica , recano un luogo di Clearco,ditapoIod’
Annotile, da cui fi fcorge, come quello filofofo, eliendo m A- fia,
tenne lunghi, e fciendfici ragionamenti con un dotto , e favio Ebreo , da
cui apparo mol. te belle, ed eccellenti cofe ne’ Divini libri con*
tenute . Anzi fu opinione d’alcuni , che lo «el- fo filofofo , avendo
avuti per mezzo d Alelìan. dro i libri di Salamone , molte cofe da quelli
rac- coglielTe,e trafportalfene’ fuoi .Ne mancarono fra moderni (
lafciando per ora da parteltare i libri de vietate Arijlotelis , de f
alate Anflotchs , ed altri limili dati fuori ) chi comparazioni tra
la Scrittura facra , ed Ariftotile facendo , s in- segnarono a tutta lor
polla di moftrarc, eh e- alino pattano d’accordo , come Giorgio
Trape- zonzio, Giovanni Zeifoldo , AgofiinoSteuco, ed altri . Sopra
così fatta lite pertanto a muno , s’ io non vado errato , difpiacerà il
prudente giudiciodi Melchior Cano, (limato meritamen- te
dall’autor del la Lettera il maggior ornamen- to della famiglia
Domenicana. Divo Augufli , wofdice quell’ autore nel lib. X- cap. V . de
loets Tbeologicis ) Pialo fummus efl : Divo Tbom Enea Gazeo ,
di Teofìlo Patriarca d’ Antio- chia, di Lattanzio Firmiano, d’ Eufebio
Ce- fàrienfe, d’ Epifanio, di Gregorio Nazianze- [ no , di Girolamo
, di Crifoftomo , e di Teodo- reto, ne’quali, tutti concordemente
biafima- no , e {gridano Platone , e la fua fìlofòfia , co- me quella,
ch’era fiata l’origine , ed aveva dato palcolo, e fomento ad infiniti
errori , ed erefie. Ecco adunque , che Ariflotile non è fiata la
fola pietra dello fcandalo : ecco eh* egli non
i f 188 non è l’unica cagione di
tutte V erefie : ma Platone fenz’alcun dubbio, in quella parte lo
fupera, ed è flato guardato di malocchio da* Padri; e l’ accollarli ,
ch’egli fa in qualche modo più a noi , è ridondato in nollro mag-
gior pregiudicio . Di qui fu però , che negìi ultimi tempi , quando Giorgio
Gemillo , il Cardinal BelTarione , il Cardinal Gufano , e Marlilio
Ficino illullrarono , e fecero rifiori- re la Platonica limola, quali
tutti nonpertan- to {limarono miglior avvifo, o almeno minor
pericolo, attenerli tuttavia ad Ariflotile. Sen. tali lòpra ciò 1’
avvedutiflìmo Giovan Fran- celco Pico Mirandolano , il quale nel libro 1
V. capitolo IL del fuo Ex amen vanìtatis dotivi, ttee gentium , in
quello modo lafciò Icritto. Alti nihilominus , Platone poflhabito ,
haferunt Arifloteli , exiflimantes illum noflr & exatìe, fed in
comuni defumta ) prxbere aditum faci - lius po/fit , quam Arifloteles ,
qui rationibus , non fide , foleat plurìmum & fere femper inni
- ti . Ma il talento di avvallare Ariflotile , e cacciamelo del
mondo , e della memoria de- gli uomini; non ha lalciato Icorgere all’
au- tor della Lettera, non dico le lodi fue ; ma nè
Digltized by Google nè pure i biafimi, «Squali i medefimi
Padri ne’medefimi luoghi, in cui nello ripigliano, » anche il
fuo maedro fogliono non punto di- verfamente trattare . Per cagion d y
efempio nel capitolo XJ. del Libro intitolato Regala Monacharum , a
S. Girolamo già attribuito , fi leggono quelle parole ; Attende , &
tu fa- tuorum fapientum princeps Arifloteles . Elleno però fono
Hate tolto notate dal nodro auto, re , e nella lettera aliai avidamente
inferite : ma queir altre: Verum non fine labore didicu ) fii tuam
Japientiam fatuam Plato y folamente due verfi lontane,* e quelle ancora
aliai vicine; Non banv fatuitatem doéìijjimam Athenis Plato didicit
, non Arifloteles y non Anaxagoras > non cete - rorum fiultorum mundi
fapientum turba percepita non fono Hate avvertite da lui , nè notate
, non altrimenti, che feo non iforitte, o rafe, e cancellate Hate
li fodero. Ma che diremo, che dopo quel detto da lui in difcredito d*
A- f rillotilc recato , immediatamente al medefimo . filofofo quedo
elogio è teduto, o leurato fi mil- mente, non fo come, c tolto agli occhi
del nollro autore? Et fi fueris abfque dubitano, ne prfdigium ,
grandeque miraculum in tota na+ tura y cui pene videtur infufum ,
quicquid naturai iter efl capax humanum genus , 43c. Le quali
parole anzi della foiocca abbjezio- > ne , e viltà del Chiofatore
Arabo, che del- la gravità Geronimiana tenere mi fcmbra-
no r 190
no (*) Vero è però, che da tutti i Critici efl fendo coiai opera da
quelle di Girolamo fe pa- rata , e come lavoro di più baili tempi ,
non fu* (*) Averroe nella Prefazione alla Fifica 4
parlan- do d’ Afiftotile difTe : Talem ejfe virtutem in indi- viduo
uno tniraculofum & extra neum exifiit . A che pa- re , che
corrifpondano qtìeft e parole : Si fuerir ab - fque dubitation e prodigi
um 3 grand eque mìraculurn in tota natura . Averroe ancora fopra il libro
JL della generazione degli animali , così lafciò fcrirto : Lau*
demur Deum , qui feparavit lune virum ab a li ir in perfezione 5
appropriavitque ei vltimam dignità tem bumanam ò quam non omnis homo
pottft in quacum - que £tote attingere . Alle quali parole s }
accofta- no ùmilmente quell* altre : Cui pene videtur infu - fum ,
quicquid naturaliter efl capax bumanutn gsnut . Di qui fi può formar
conghiettura , che cotal Li- bro non fia flato feri ero prima del 1150 ,
in cui fio- rì Averroe . Oltre a moire voci de 9 tempi baffi , e
parecchj veftigj di fcolaftico , e Parigino idioma , che vi s* incontrano
y e che pofTono fervire per confermazione di quello 3 maggiormente
ancora tutto ciò fi ftabilifce dalle parole , che fi leggo* Do nel
capitolo X. Ut quafi quorundam pbilofo - pborum videretur in eis
verificavi opinio , qui unam ponunt in bominibur univerfir animar» folam
. La qual è opinione venuta fu ne* tempi baffi ,dai rappor- tato
Averroe mefTa fuori e difefa , impugni 3 da S. Tommafo,e finalmente
condannata nel V. Con- cilio Lateranefe alla Seffione Vili. Ma perchè
per . altra parte dell* accennata opera fi fa menzione del
pranfodo- po nona ne’ dì di digiuno ; il qua! ufo s* è nella Chiefa
confervato fin verfo il fine del XIV. fecole 5 perciò potrebbe
argomentarli 3 che il Libro non fof- f Digitized by
Google . *9i fna giudicata * (**) non era da farfi
arma fuor di ragione contra lo Stajprita del nome d’un tanto Padre
. Ben piu vantag- giofo e per V autore della Lettera , e per la
verità flato farebbe , eh’ egli nelle vere ope- re i veri '(entimemi di
sì gran Santo intorno a ciò rintracciato , e quafi fpigolato avefle
, mentre in quella guifa il perfeguitato Arifto- tile dal
glorificato Platone non mai guari lon- tano ritrovato avrebbe - Come
(opra il capi- tolo X. v. XV. deir Ecclefiade . Lege Plato- ne m :
Arifloìdis revolve verfutias y & proba - bis verum effe quod dicitar
: labor flaltoram affliget eos . Sopra il Salmo CXL v. Vi. al-
tresì. Nane ipji hareticì licet per Arìftotelern y & Platonem
videantar fimplicitatern Ecdefi e fin dove fi debba fèguitargli •
Poflòno è vero accodarli f chi piu , e chi meno a* dogmi della noftra
re- ligione , fecondo i fonti da* quali attinie* ro le loro
cognizioni ; ' ma non è però giammai da fperare , che ferifcano il
fe. gno , perchè le tenebre , nelle quali vi- veano , loro non
permettevano d y arrivare tant* alto . Altro dunque non fi può in
/quella parte , che com piagnere la mifèria, e infelicità loro : per
altro il biafimo , e la lode non ha propriamente luogo fòpra elfi
,?fe non quando fi confiderano • da fe, come puri filofòfi , e
fèparatamente da* do- gmi de* Criftiani. T Ora palliamo a dilcorrere
brevemente dell* idea generale , che P amore della prefènte Lettera
ha avuto ; il quale ha divifato > che la difefà di Renato
Defcar- tes fia la difefa della filofofia moderna , e la
condannagione d* Ariftotiie fia la con. dannagione cella volgare.
Incorno a ciò è da avvertire , che la mo- derna filcfòfia non è in
modoconftituita dal- la filofofia del Defcartes, che Cartellano, e
N Mo' Moderno fìa la medefitrià cofa. E 1 ben vero, che non fi
può eflère Cartellano lènza eflère ancora Moderno; ma non è vero, che
non fi pofla eflère Moderno fenza eflère Cartefia- no , Per la qual
cofa la filolòfia Cartefiana fi ha alla Moderna , come la fpezie al
gene- re. Ancora è da notare, che avvegnacchè la volgare fiJtfofia
abbia voluto unicamente ac. taccarfi ad Ariftotile , tuttavia eflèndofi
ella lèrvira per intenderlo dell* ioterpetrazioni de- gli Arabi , i
quali per l’ignoranza delle lirt^ gue, e per mancanza d’erudizione,
peflima- mente 1’ hanno iotefo: nè lette avendo gli Scolaflici
quefte interpetrazioni nell’idioma , .in cui da’ loro autori erano fiate
fcritte ; ma dall’Arabico trafportate in Latino , o come alcun dice
, in Ebreo dall’ Arabico , e po. fcia dall’Ebreo in Latino trafvafate ;
può et fere per ciò aflai facilmente avvenuto , che la mente d’
AriflotiJe per lo diritto intendi- mento prefo , fia del. tutto oppofta a
quella degli Scolaflici, e cosi la mente degli Scola. Ilici a
quella d’Ariflotele. Ora di qui ne fé- gue, che come vituperandoli, e
condannan- doli i modei ni , per avventura nè fi vitupe- rerebbe ,
.nè fi condannerebbe il Defcartes ; ' così per l’oppoflo lodandoli, e
difendendoli il Defcartes, può eflère , che nè fi lodino , nè fi
difendano i moderni . Similmente fi c- come vituperandoli , e
condannandoli gli Sco- la- Digitized by Google
lattici, è facil cotti, che nè fi vituperi, nè fi condanni Arittotile •
cosi potrebbe dare il calo, che vituperandoli, e condannandoli
Ariftotele , nè fi vituperaflèro , nè li con- dannaflèro gli Scolatici ,
eh’ è quanto dire la filolòfia volgare. E* ben vero però, che
quell’ ultima . eiTendo colà dilEcilittima , e preffochè imponibile ;
perchè non è da cre- dere, eh’ elfi Scolatoci perverlàmente inten-
dendo Arittotile 1’ abbiano migliorato : ma piuttotto piggiorato affai ;
cosi il vituperare, e il condannare Arittotile pare , che provi
molto quanto al vituperare , e condannare la filolòfia volgare . Ma per
1’ oppofta {ra- gione il lodare, e il difendere Renato Dett cartes
non pare, che provi tanto per quello^ che fpetta al lodare , e difendere
la filcfofia moderna;.. . Perbene adunque, e acconcia diente
difen- dere, e lodare quella filofofia, {ómbra di me* ftieri
cercare il fuo verocottitutivo, dalla bon- tà ^.o difetto del quale, la
lode , e il bia* fimo ad eflà Umilmente fe ne derivi. Ora quello ,
che fembra la filofofìa moderna conttituire , e alla volgare degli
Scolali ici immediatamente oppofta; renderla , fi è lo lcotimento
del giogo Peripatetico , e di qualunque altro particolar filolòfo ; e
la pura ricerca della verità. dove , e in qua- lunque luogo ella fi
fia . La ichiavitù nel. N * la 196 . . la
quale, feguendo gli Arabi, gente d f ani* ino baffo , e fervile , avevano
pollo il loro intelletto gli Scolaftici , per ellere dapper- tutto
fparfi , e difufi, s’era ancora dapper^ tutto difufa , e inoltrata , ed
avevano cbbli* gato tutto il mondo a non filofofare con al- tra
mente , che con quella ' d* Ariflotile • Avvegnaché fopra infinite
quiflioni di filo- lofi a 7 col là pere* la mente di quello filofo-
fo, non fi fappia per anche nulla y tuttavia eglino s* erano immaginati
di làper tutto ♦ Nequc erìnn- Philofophum ; ( cóme dice Gio- va n
Francefco Pico ) fed Pbìlofopbi* legem pkrique omnès arbitrobantur .
Quella però è la cagione, che fi fono veduti fopra tal qui.
ftionepiù libri, deflinati ad eliminar la men- te d’ Ariflotile,' che a
ricercare la lidia veri, tà della colà . Molti hanno incominciato a
riflettere , che quello era un travaglio molto penofò , e che il frutto
non -iftance era aliai tenue. Hanno offervato, che per quella via,
al più non fi’ poteva venire in cognizione che di quanto fapeva
Ariflotile , che vuol dire di pochiflìme cofe , rifpetto a quelle, che
s* avrebbono potute fcoprire . Dove 1* altre ar- ti al tempo de*
primi ritrovatori • fono Tem- pre comparlè rozze , 19
7 tempi d’ A ri Rotile >' di Piatone , di Demo- erito, e
d’ Ippocrate , molto fi làpeva per squelPctà, allo ’ncontrocol tratto del
tempo era venuto anzi perdendo che no, e le fet- enze s* erano
piuttolìo abballate , e o Taira te, ^he illuflrate, e innalzateli ,
com’era di ra- gione - Conchifero adunque , che quello modo di filofofare
degli Scolatici èra irragione- vole , e barbaro , e non tendeva ad altro
, che a coprire tutto il mondo d’ una miferabile i- gnoranza,
mentre , come avvertì anche Sene» .Qui aitimi fequtiur tiibil inventi ,
imo ne* que quarti.. Lorenzo Valla Romano fu il pri- , che a’
adpprò a trarre la filofofia del mi. fero fervaggio , in cui li giaceva ,
inoltrando èllere lecito fentire diverfo da Ariftotile co* duci tre
Libri Diale Elie arum difputatwmm , che fcriflfe a ^quello fine . Anche
.Giovati Francei- co Pico Mirandolano ne’ tre .ultimi Libri del fuo
E* amen vanitati s dottrina gentium , molte colè difputò contra lo lìdio
filofofo ; e mol- te altresì ; Lodovico iVives ne* fuoi Libri de
cauffts corrupanrm artium , per non dir nulla delTelefio, del Patrizio i
e d’altri fomiglian. ti ,ii quali pure tennero la ll'eflà via . Die*
tro le velìigie di coltoro Galileo Galilei in Italia, e Prancefeo
Barcone, in Inghilter- ra inftituirono Un modo di frlólòfare
libero, e del tutto oppolto, all’ antico. Scola Iti co, e gittarono
le prime fondamenta di quella ft- r«o n ? • io. t98 lotcfia che
fi chiama Moderna/ non perchè fidamente ora Ì fuoi principi fieno /tari
po. Iti in ufo; che Tempre, e in tutti i fiecoli gli uomini
ragionevoli altra via non hanno mai tenuto ne! tilofcfare; ma perché dopo
? in. fezione orribile , e univerfale degii Scolaftick iqtiali
amava n meglio di fcioccheggiare coti Ariftotile, che con altri
tàggiameme'iditcop* rere , come alcun diffe j q netti ottimi pria,
eipj fono fiati felicemente richiamati , e pa. fti in ufo da moderni .
Aperta cosi Ja fi rada da queftì due nobili, e valorófi ingegni . «
primo de* quali fu il primo ancora , che chia. mo in ajuto della
filofofia le Matematiche, e che con profpero avvenimento Je v’
intro- dufie; comparvero ben tofloCartefio, e Gali , do ?r, r
£ na . altri ec. celienti filofofì, i quali t a n te ^ e sì
diverte ecfe e in cielo *, e in terra difcóprirono , e cosi
fatto utile recarono a tutte I» altre arti , e fpecialmente alla Medicina
, che ben fece, ro conofcere cogli effetti, quanto infelice, e
miterevole fia la condizione di qpefti aridi , f d, g' 1 ™ d*
Ariftotifc ; e quanta fia la necetfita di battere altra via per ben
fìioi babugemus in Italia Galil quotiefeumque ipfi permittitur
libere quo* cumque vagari. Verumenimvcro nec argumen - ta in
oppofitum defunty pracipue quantum ad pbilofopbiam . ^Ecce quanam plus
minufve . /. Ouod nonHdeo rerum fcìentia aequiritur y fla- tim ac
auttpfis innotefeit opimo 5 quacumque aliter fentiendi , aut fcribendi pr
aclu fa facuh tate . Ih Qupd fape fapius temporis multum fruflra
tranfigitur , germanum vefligando prò* prii auttoris fenfum >
fpeciatim in aliquibus con- troverfiis y quas ipfe fubobfcure refolvit :
III Hinc ea penitus non declinari y qua timentur abfitrda , hoc efl
circa opinandi libcrtatem ; Magifler enim nonnibil acutuSy auttorem
quem- piam ad proprhtm fenfum jugiter potè fi expo - . i ntn
- Digltized by Google tot tendo trabere ,
ita ut in eunlfis fihi patroci. nari videatur. IV. Quod in pbilcfapbicis
libe . rum unieuique effe debeat fuopte nutu de re. .rum natura
fentire , & quod fcrutanda veri, tati plurimum obefl ita jur are in
verba dolio, rum, ut borum auHoritatì , baudquaquam li. eeat
refragari.V-, Quod iflopotifftmum loco Divi Atfguftinì norma m fequi
cportet , adferen. tis , quantavis auiloritate , ac fanlìitate
fulge. fit aliquis aulior, ipfi tamen indubitatum , fir. tnumque
affenfum co folum effe prabendum , ? to rationes ejus illum a nobis
extorqent . VI. andem Deum onice. effe , cujus auHoritati ,
nipote maino infallibili , fit tace fidendum. « I 3
4 t 1 » i INE. 0 •* •
) :t \ 2O3 ;
u • * * • M s i Delle cofe notabili , contenute
nella preferite Lettera , . e -nell’; ; ; Offer vazione .■
M * * • » si pone in Dio. 84. gran
fbfifta. 147. 148 AriflptplicìJ Vedi Perl pitici . Tjf J
AriflotUe rfòvetchia autorità dataglida alcuni 8 . * 1 ?4- condanna
Platone, e n*è riprefo. 1 j.fiioi * : ièguaeV eretici . 30Ì 38. 15 9.
pròBaMJifti venerato còme idolo. 30. i59.bia/tmatoda > fanti Padri ..
da altri . 40. 41. 45. fuoi libri condannati . 35. 36. notato di
gravi errori da’ Padri , ed r , altri. 41. 4Z. 43.,'fu uno de 9 maggiori
filo- . lòfi delia Grècia 44. fu chiamato in giu- *5 ^icio . 44.
fuoi principi bugiardi . 44.; infa- mato da 1 fuoi feguaci lteffi .,
45-46. fe ve- nifle ora al mondo fi difdirebbe. 103. 104 c
noniftimò di dover eflère norma univerfà- le . 107. e 1 origine di tutti
gli errori de interpetri. i^.fwacrfcurità. 148. 149. è li ìóJò tra
tanti filofofi,(:he fia ftudiatq, fxid ila V n izio ne deIL*iTOii\c>
biajtj ma|? - 1* - immortaJi^delranima.24. 153. fua Logica T
fofìftica . 154. lodato affettatamente .169 flrabocchevolmente
biafimato> 170.. 172 giudici retti fopra il medefimo . 171. non
•%• • C Ano ( Melchior ) ; Tuo elogio •: 38. giu- ì dicio del
medefimo intorno a Piatone , . ; e jAnilotile. ; !.. 183
Capitone : fct raggiante i, ; Caramuele ( Gio. ) : ilio prelag io intorno
al- , la filofofìa Cartefiana. . {, 120 Cartefto ( Renato ):
lii che fondamenti pian- « tane il fuo fiftema - 53.. fiioi principi
giu* ili y e buoni. 55* 114. fuoi fèguaci. 56. 57 «‘ fo*! fuoi
protettori converte la Regina di Svezia . 64. e . altri . 65. lupi
fentimenti fi conformano v «> n que , de y Padri. n8. chiamato il refu gio de J cartoli-
. • 65* onori fattigli. 65. calunniato dalle univerfità Protettami
. 70. fuoi nemici - fiioi difenlòri . 71. 72. pone per primo
principio il dubitare . 87-fua prote- it azione , $7. a ma d’effère corretto.
88. per- chè fine meditate una nuova, fflofofìa. 116 lodato dal P.
.Merlènni . 118.119. s’uniforma fo’ftntimenti di Platone. 121. fuoi
coltami. iiz. giudicio fòpra il medefi. ino del
Malebranche . 180. fua filofofia -difefa dalle migliori univerfità
d’Europa. 61. ù »Ojr 61. fi dee
antiporte a quella d* Ariftolile. 114. è veramente Criltiana lodata. prefagio del Caramuele intorno
al* la medefima- 120. è tratta dalla Genefi perchè contraddetta da alcuni
ha dato motivo a molti di dar in pazzie . ed empietà. 179. fuoi difetti
U ha alla Moderna come la fpecie al genere Cartellano , e Moderno non è
lo fteflq. 19+ P. C a fati: abbraccia la fìlolòfia
Moderna. 66 Caffi ni: fila oflervazione . ili Celfo:
contrario a J a bolero. 107 CeJ alpini ( Andrea ) .* fua. (coperta.
Charlet : amico del Cartello.. • . 66 Cbiefa: fua dottrina è la
vera fìlolòfia . è interpetre degli arcani Divini . 163. Ve- di
Teologia . P. Cbirchero ( Atanafio ): proccura 1’ amici- zia
del Cartello Clemente ( AlefTandrino ): non iftimò, che i Greci fi
giuftificafièro per mezzo della fìlo- lòfia. Cicerone ( M. Tullio ) .*
divinizzato dal Nizo- Ito. 172 Cielo : (ita grandezza ,
materia , e moti igno- ti. • . . .• '• '>'••• ' Cipriano (
Martire ): fao errore . 16 1 P.Ciermans : loda il Cartello.
Concilio Latermefe V. : filo luogo alla Seflìo- ne
to8 Tie 8. fplegato . D Daniel ( Niccola ) :
impugna il Carte- bracciata fua opinione intorno alla
i . . • P- Detei: Cartellano . Defcartes . Vedi Carte
fio. Digiuno : fin quanto abbia durato nella Chie- *'• là il
pranlò dopo Nona. p. Di net ( Giacomo )ì amico del Cartello . >
Dio: è la prima verità. . 163 Difpute : la verità fogge da
eflè . 5. fono un tormento degl’ingegni . 6 . hanno diftrut.
* to la filolofìa . altro lor pelfi- mo effètto. 137. Vedi Filofofi i
Perìpate. E Berardo ( Gio. ) difende il Cartello. 71 Epicuro
: plagiario. 49- commendato da’ Padri . 49. 50. 53. fua filofofìa
abbracciata. 48. 51. 53. anche da’ Padri meri. •• tò della medesima
. 49. 53. illultrata dal tiri) Sette. E
Gal' . ; 209 v ; G^irenaiv T " - ; ' 5
° Erbe : non fi fa la loro virtù Ereboore : ( Adriano ) :
Cartellano. . 7 O Euclide: fuo detto ’ ; \ r \ * : f ’ Eunomiam: giurano
4 filile parole d’Ariftotile. - ^ 59 . , Etintìniicr:
compagno d’ Aezio nell’erefia . 29 ‘ ^ fi vanta di conofcer Dio r .
7 6 : è riprefo da ’ Bafilio. ' ’ " : i ! ' , 7*
Eurìpo : fuoi vortici non fi fa donde derivi- ■ ' • 81
no*. « , . • .op * u:- t \ r r *jLvì r r f
r *• » /i # ' »IA «4 • al * ,1 *l*v* • 1 I • # 5 "
Fabbri i abbraccia la fìlofofia Moderna. p. Farvagtie : difertfore del
Cartefio. • 5^ Fede : 'richiede fommiffiorie. 34. Vedi Chic.
• *'/», ‘ : v>- ! v . Ecmrib( S. Vincenzo ) : introduttore
dell In. '• cfuifizione. * * .. . .. . 34 Fìlopono X
Giovanni ) .* eretico . ^ ' ■ 2.9 Filo fof are : è permeilo à tutti
. -ir. liberta di •' éffo . l 72. 97- 99: 1?8. die fine deb-
: bà avere.' • ^ ^ — ^*54 Filofofi'r contrari a fe medefimi
.' 74. ton- ’ dano i principi del fi lofofare foli’ igno. •'
... .-L 'i. a_ . 1 14 fri- • I • « » » « t “ «
•. ?» tii.t 22.'fonó amanti delle favole . • i-! o
*J°» 1 ZIO 330. dicono le maggiori
pazzie. *3 1. fé. ne - può trar bene, e male per la religione , 19^
non poflòno eflère biafimati di queftó *191. • non bilbgna fperare
, che parlino da Cri- tìiani. 193. biasimo 1 e lode quando
abbia, luogo lopra euì. ' Filofopa: commendata’ da’ Gentili ) $ da^Pa-
dii. 8. 9. io. 11. ip. non è fapienza..rV7^ : non è altro che opi nazione
non . ve n'ha al mondo. divife in
mille fette . 89. 90. 129. fua incertezza . 00. 91 130. non
abborrifce Je novità * 98. fogget- ta a nuove (coperte. 100. 101. ancella
del. . la Teologia. 127. 129. è (tata ritrovata per
efercitazion dell’ ingegno Jia avuto t. origine dajle fàvole de’ Poeti .
130. . non è . contraria a tutte le. favole. 131.nan.haan.
cor trovato la verità. .,-y '^64 Filofofia Antica : fua / debolezza
. j Hj-è up • giuoco fanciulldco Vedi Àrtjlotùc ~ y .
'Peripatetici t Scelffiiai • Fihfofià, ' Moderna : malamente n; ’4 • v -
. 198 ‘ " j; - :l ;;;;i 51 Gtfitttr:' hanno
partkolar irtftituto di feguita* c re Ariftotile. 65. molti hanno
abbracciato la fìlofofìa Moderna*. Gianfenifla : titolo proibito in
Francia. 93 G indie io : norma .da tenerli nel. dar gfridició. .cr
171. noti bifògna dar negli cftremi Giureconsulti : non fono così pertinaci ,
come v : i iPcripa tctìdl*;! f: >\ fi j . vui !;; .1,06.107
Giuflino ( Martire ) : convertito per mezzo -ideila fìlofofìa Platonica i
\ :U iV *7 f. Grandamy : amico del Cartello . 68 O 2
Gran* i 212 . Grandini: non fi fa cóme
s’ingenerino. 8r S, 'Gregorio ( Nifleno ) fuo elogio. 53. Epi-
_ laureo. . .. 53- 54 P. Grimaldi : abbraccia la filofofia
Moderna. • L ^ • ^ ' t \ * ; , M • - » . •
■ \ • «•..*# t 4 ( / 1 »» M « ^ 1 f » V • * ' i
»»•' #..*•> « y i » ♦ • f . r I *
* % 4 \ * • I Gnoranz* ì & uo
panegirico. 1 -- : % V« % ’ Incendy: ne* monti , non fi fa come fi
i-ì facciano. . • *:,. ' \ r . . » . ^ . »... » ir
f-.' % » “ 1 . «ili i • » r - • r » M ' • « 1 » t : ♦:
io5 i Lampi : non n fa come s’ ingenerino. .
ci. ; P. Lupi : fi fa Cartellano. 56. perchè. 57
, ? . S . • Stoici : negano 1 * opinarionì . 83.
lofpetti ap- po i Romani. - * ' T Affitti - f
Alefiàndro ^ : fuO prefagio in- torno ad Ariftotilc verificato a
120 ■Temiflio: eretico. ’ *9 Teologi: loro>
difetti- • • 1 ^ 9 - * 4 ° Teologia : le novità in eflà fimo
pericolofe . 98 ammeflè dagli Scolali ici. 164.133. è regina delle
fcienze. 127. non ha che fare colla fi- , lofofia.127. 128. ha ritrovato
la verità. 165 Icolallica non fi dee riprovareperchè fa ufo . • d*
Arittotile." . » 7 ? Terremoti : non fi là come fi facciano .
81 Terra : ignoto fu qual baie fi libri , e quanto Ila
grande. "8* Tejt pubbliche : loro abufo al tempo del V.
Concilio Lateranelè . *77 Ticcùne: file {coperte: • ” ^
S. Tommafo ( d’ Aquino ) : come , e a che fine iludiafle
Ariftotile . 46. fuo lamento . * . * » • • , , 47 - ' •
- _ Digltized by Google iZlO Tmricdli :
.dio ritrovamento . . ' jio De Turne ( Simon ) : perchè acculato d*
ere- fia. , ... 22 f • f V
' “ f*** j »' i • ■* ^ * • • ♦ I V
' Alla ( Lorenzo .) r Tuo penfiero appro- vato dalNizolio. 144. Fu il
primo a li. re: nega Topinazioni. 83. fua fetta fofpetta appo i
Romani. Giuseppe Valletta. Valletta Keywords. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Valletta” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.
Grice e Valore: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’inventario del mondo –
filosofia italiana- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Milano). Filosofo italiano. Essential Italian philosopher.
Grice: “Having philosophsided on what Italians call ‘valore,’ I admire Valore!”
Si occupa di metafisica, di ontologia
generale e delle implicazioni ontologiche delle teorie formali. Si interessa
anche dei progetti di linguaggi artificiali e di lingue ausiliarie. Si laurea
in filosofia a Milano, vi ha conseguito il dottorato di ricerca con uno studio
su riferimento, rappresentazione e realta. Ricerca a Milano, dove insegna storia
della filosofia. La sua prima produzione è stata dedicata principalmente a
studi sulla filosofia dell'Ottocento e del Novecento e alla riabilitazione di
una prospettiva trascendentalista soprattutto in metafisica. Partecipa al
gruppo fondatore della rivista Problemata. Quaderni di Filosofia, di cui è
stato caporedattore. Quando la Facoltà di ingegneria industriale del poli-tecnico
di Milano gli ha affidato un corso di "Verità e teoria della
corrispondenza", la sua ricerca si è spostata su tematiche sempre più
teoriche, collegate alla filosofia analitica, alla metafisica e all'ontologia
analitica. Organizza e cura il progetto. Diviene quindi professore aggregato di
storia della metafisica a Milano, di filosofia teoretica al poli-tecnico con
corsi dedicati all'ontologia formale e di filosofia degl’oggetti sociali
(ontologia sociale) a Milano. Fonda In Koj. Interlingvistikaj Kajeroj,
rivista di studio e discussione accademica sulle tematiche dei linguaggi
artificiali. È stato membro del gruppo di ricerca European collaborative research
finanziato dall'European science foundation e è il responsabile del
progetto per il programma Euro Scholars
USA European Under-graduates Research Opportunities. Lavora su un suo progetto
di ricerca di ontologia formale per il quale ha vinto una sponsorizzazione
Fulbright nella categoria Fulbright Visiting Scholar. Collabora con la Rivista
di storia della filosofia, è nel comitato scientifico delle riviste Materiali
di estetica, Rivista Italiana di Filosofia Analitica Junior e Multi-linguismo e
società ed è direttore delle collane di filosofia Biblioteca di Problemata
(editore LED di Milano) e Ratio. Studi e testi di filosofia contemporanea
(editore Polimetrica di Monza). Saggi: “Trascendentale e idea di ragione.
Studio sulla fenomenologia di BANFI” (Firenze, Nuova Italia); “Rappresentazione,
riferimento e realtà” (Torino, Thélème); “L'inventario del mondo. Guida allo
studio dell'ontologia” (Torino, Pomba); “La sentenza di Isacco: come dire la verità
senza essere realisti” (Milano-Udine, Mimesis); Curatele BANFI, Platone.
Lezioni, (Valore), Milano, Unicopli, Forma
dat esse rei. Studi su razionalità e ontologia, Milano, Led, Paolo Va Ars
experientiam recte intelligendi. Saggi filosofici, Monza, Polimetrica, Da un
punto di vista logico. Saggi logico-filosofici (Milano, Cortina); Materiali per
lo studio dei linguaggi artificiali (Milano, Cuem); “Questioni di metafisica” (Milano,
Il Castoro); Quine (Milano, Angeli). Monaco di iera, Grin Verlag,. Pubblicato
anche come “Inter-linguistica e filosofia dei linguaggi artificiali”, come
numero monografico per la prima uscita del giornale accademico multilingue
InKoj. Interlingvistikaj Kajeroj. Pisa, E di studio, Dispense universitarie La
categoria di sostanza in Aristotele, Milano, Cuem, Introduzione al dibattito
sulla distinzione tra analitico e sintetico (Milano. Cuem); Questioni di
ontologia (Milano, Cusl); La struttura logico-analitica dell'ontologia di
HERBART (Milano, Cusl); Laboratorio di ontologia analitica (Milano, Cusl); Verità
e teoria della corrispondenza (Milano, Cusl); Philosophy of Social Objects
(Milano, Bocconi); Bibliografie ragionate Ontologia, Milano, Unicopli, Verità,
Milano, Unicopli, Saggi e articoli Acme, "Idealizzazione della verità e
coerentismo. Due perplessità sul realismo della 'seconda ingenuità'", in
Iride. Filosofia e discussione pubblica, "La 'posizione' esistenziale e il
giudizio ipotetico nell'ontologia di HERBART: il caso degl’oggetti
inesistenti", in POGGI, Natura umana e individualità psichica. Scienza,
filosofia e religione in Italia (Milano, Unicopli); “Sull'idea di una logica
trascendentale", in Chora. Laboratorio di attualità, scrittura e cultura
filosofica, "Alcune note sull'attualità dell'ontologia nella filosofia
contemporanea più recente", in V.,
Forma dat esse rei..., "L'interpretazione semantica del trascendentale e
l'ontologia del mondo reale in PRETI", in V., Forma dat esse rei..., "Il mestiere antico e nuovo del
filosofo", in la Repubblica, (Milano). "Fisica e geometria come modelli di
lavoro per l'ontologia. Un'interpretazione del metodo delle relazioni”, Dall'epistolario
di PRETI a BANFI", Ad BANFI cinquant'anni dopo, Milano, Unicopli, "Due
tipi di parsimonia. Alcune considerazioni sul costruttivismo e il nominalismo
ontologico", in La filosofia e i linguaggi, Macerata, Quodlibet. "Cosa
c'è che non va nell'idea di una lingua cosmica. Il caso del LINCOS di
Freudenthal", in Multilingusimo e Società, "Nothing is part of everything", in
Giornale di filosofia, Ontologie, Milano, Volume recensito da Utri sulla
rivista Iride. Filosofia e discussione pubblica, Secretum on line. Scienze,
saperi, forme di cultura, e da Marazzi
sulla Rivista di filosofia neoscolastica, Volume recensito da Gesner sulla
rivista Belfagor. Rassegna di varia umanità, Volume recensito da Bianchetti, Chora.
Laboratorio di attualità, scrittura e cultura filosofica, Volume recensito da Giardino sulla Rivista di
filosofia, nell'articolo "Tra i cavalli alati e la realtà" – cf. H.
P. Grice, “Pegasus is Pegasus” Nomi vacui, su Il manifesto, Armezzani su SWIF Volume
recensito da Corsetti su “L'esperanto. Revuo de itala esperanto-federacio”, recensito
da sulla rivista web Secretum. Scienze, saperi, forme di cultura Si tratta di
un Book accessibile con password. Si tratta di una replica critica all'articolo
di Valduga "Filosofi all'anagrafe", pubblicato su la Repubblica,
sezione Milano. Profilo accademico su immagini della mente. Elenco completo
delle pubblicazioni sul sito universitario academia.edu. Paolo Valore. Valore. Keywords:
Pegasus is Pegasus. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Valore” – per il H. P.
Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza
Grice e
Vanini: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dei peripatetici
del lizio – filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P.
Grice, The Swimming-Pool Library (Taurisano). Filosofo italiano. Essential Italian philosopher. “If you speak Italian,
you should never confuse Vanini with Vannini” -- Grice. Fra
i primi esponenti di rilievo del libertinismo erudito. Nasce al casale di
Terra d'Otranto, nella famiglia che il padre, uomo d'affari originario di
Tresana in Toscana, costitusce sposando una Lopez de Noguera, appartenente a
una famiglia appaltatrice delle regie dogane della Terra di Bari, della Terra
d'Otranto, della Capitanata e della Basilicata. Anche un successivo documento scoperto
nell'srchivio segreto vaticano, lo qualifica pugliese, confermando il luogo di
nascita ch'egli si attribuisce nelle sue opere. Nel censimento ufficiale
della popolazione del casale di Taurisano figurano solo i nomi di Giovan
Battista Vanini, del figlio legittimo Alessandro, e del figlio naturale Giovan
Francesco. Nessun cenno della moglie e dell'altro figlio legittimo Giulio
Cesare. Si ha motivo di ritenere che il padre sia ri-entrato a Napoli. Sistemata
ogni pendenza economica, entra nell'ordine carmelitano assume il nome di
Gabriele e si trasfere a Padova per intraprendere gli studi. Giunge nelle terre
della repubblica di Venezia quando le polemiche provocate due anni prima
dall'interdetto di Paolo V sono ancora vivacissime. Durante il soggiorno
padovano entra in contatto con il gruppo capeggiato da SARPI che, con
l'appoggio dell'ambasciata inglese a Venezia, alimenta la polemica anti-papale. Consegue
a Napoli il titolo di dottore in utroque iure, superando l'esame che gli
consente di esercitare la professione di dottore nella legge civile e canonica.
Come verrà descritto in documenti posteriori, assimila una grande cultura. Parla
assai bene il latino e con una grande facilità, è alto di taglia e un po'
magro, ha i capelli castani, il naso aquilino, gl’occhi vivi e fisionomia gradevole
ed ingegnosa. Divenuto maggiorenne, si fa riconoscere da un tribunale della
capitale erede di Giovan Battista. Con una serie di rogiti e procure notarili
redatte a Napoli, inizia a sistemare ogni pendenza economica conseguente alla
morte del padre. Vende una casa di sua proprietà sita in Ugento, a pochi chilometri
dal suo paese d'origine. Dà mandato a uno zio di assolvere incarichi dello
stesso tipo, incarica l'amico Scarciglia di recuperagli una somma e gli vende
alcuni beni rimasti a Taurisano e tenuti in custodia dai due fratelli. Partecipa
alle prediche quaresimali, attirandosi i sospetti delle autorità
religiose. In conseguenza dei suoi atteggiamenti anti-papali, e allontanato
dal convento di Padova e rinviato, in attesa di ulteriori sanzioni
disciplinari, al provinciale di Terra di Lavoro con sentenza del generale dell'Ordine
carmelitano, SILVIO, ma fugge in Inghilterra, insieme con il confratello
genovese GENOCCHI. Nel viaggio, toccano Bologna, Milano, i grigioni svizzeri e
discendono il corso del Reno sino alla costa del mare del nord, attraversando
la Germania, i paesi bassi, il canale della Manica e giungendo infine a Londra
e a Lambeth -- sede arcivescovile del Primato d'Inghilterra. Qui i due frati
rimarranno per quasi II anni, nascondendo la loro reale identità perfino ai
loro ospiti inglesi, poiché è provato che lo stesso arcivescovo di Canterbury, ABBOT,
li conosceva sotto un nome diverso da quello reale. Nella chiesa londinese
detta dei MERCIAI o degl’italiani, alla presenza di un folto auditorio e di Bacone,
V. e il suo compagno fanno una pubblica sconfessione della loro fede cattolica,
abbracciando la religione anglicana. In realtà i due frati non hanno tagliato i
ponti con i loro ambienti di provenienza: infatti nel GENOCCHI viene raggiunto
da una lettera molto amichevole di un amico e confratello genovese, SPINOLA. A
loro volta, le autorità cattoliche vengono subito informate di questo caso. -- è
il nunzio a Parigi ad avvertire la segreteria di stato vaticana che due frati
veneziani non meglio identificati sono fuggiti in Inghilterra e si sono fatti
ugonotti, che un vescovo italiano sta per seguirli e che lo stesso SARPI, morto
il doge e privato della sua protezione, per non cadere in mano dei suoi nemici,
è sul punto di fuggire in Palatinato tra i protestanti. Analoga notizia,
arricchita di altri particolari, viene inoltrata dal nunzio in Fiandra al
cardinale BORGHESE a Roma, che risponde mostrandosi già al corrente dei fatti e
dell'esatta identità dei due frati. Sa che la fuga di V., di GENNOCHI, di SARPI,
e di un non ancora identificato vescovo italiano potrebbe portare alla
ricostituzione in terra protestante del gruppo di opposizione al papato già
operante nella repubblica veneta al tempo dell'interdetto. Il nunzio UBALDINI da
Parigi continua a inviare a Roma dettagli sulla condotta dei due frati
rifugiati in Inghilterra, sulle loro predicazioni, su come sono stati accolti a
corte e dalle autorità religiose, su come si continui a parlare dell'arrivo del
vescovo italiano. La segreteria di stato vaticana esorta il nunzio in Francia
ad attivare i suoi confidenti in Inghilterra al fine di scoprire l'identità del
vescovo intenzionato a rifugiarvisi. Il cardinale UBALDINI da Parigi assicura
alla segreteria di stato tutto il suo impegno in merito all'argomento dei due
frati. Nello stesso dispaccio afferma che non mancherà di informare di ogni
dettaglio anche il cardinale ARROGONI, che gli ha scritto in merito per conto
del papa e della congregazione del sant’uffizio. Evidentemente a quella data la
condotta veneziana e la successiva fuga dei due frati era già diventata
argomento di discussione dell'inquisizione romana. Un'altra lettera del
cardinale BORGHESE invita il nunzio in Francia ad essere vigile sulla faccenda
della fuga del vescovo in Inghilterra e, nel caso egli passi per il suolo
francese, a far di tutto per «farlo ritenere», come suggerisce il Papa e «come
sarebbe molto a proposito». In dicembre il Nunzio UBALDINI invia da Parigi al
cardinale BORGHESE notizie dettagliate e di tenore molto diverso rispetto alle
precedenti sui due frati, attestando la buona reputazione di cui essi godono in
Inghilterra e la fiducia che possano presto essere recuperati alla chiesa di
Roma. Questa lettera viene poi trasmessa al tribunale dell'inquisizione romana
che nei primi giorni del gennaio successivo inizia di fatto a istruire il
processo contro V.. Nei mesi successivi si hanno varie notizie di un gran
traffico di suppliche e lettere dei due frati a Roma, specialmente tramite
l'ambasciatore spagnolo a Londra, per ottenere il perdono del papa e il ri-entro
nel cattolicesimo. Le autorità religiose inglesi ne vengono segretamente
informate e dispongono un'attenta sorveglianza nei confronti dei due
frati. Tra la fine dele l'inizio del V. si reca in visita a Cambridge e
poi ad OXFORD (cf. H. P. GRICE). A OXFORD, V. confida ad alcuni conoscenti la
sua ormai imminente fuga dall'Inghilterra, cosicché in gennaio i due frati
vengono arrestati dalla guardie dell'arcivescovo dopo una funzione religiosa
nella chiesa degli Italiani e rinchiusi in case di alcuni servi
dell'arcivescovo. Scoppia un grande scandalo e dell'episodio vengono informati
il re e le massime autorità dello stato, in quanto nelle operazioni di recupero
appaiono chiaramente coinvolti agenti di nazioni straniere accreditati nelle
ambasciate a Londra. Altissime personalità cattoliche da Roma seguono la
vicenda e la favoriscono con grande calore. GENOCCHI, eludendo la
sorveglianza e con l'aiuto di agenti stranieri, fugge dalla prigione e
dall'Inghilterra. In conseguenza di ciò, viene trasferito in luogo più sicuro e
rinchiuso nella carzel publica, ovvero nella gate-house adiacente all'abbazia
di Westminster. Dilaga lo scandalo. Volano le accuse di leggerezza nei
confronti dei fautori della fuga dei due frati dall'Italia, mentre cominciano a
circolare apertamente i nomi del cappellano dell'ambasciatore veneto a Londra, MORAVO,
e dell'ambasciatore spagnolo quali autori del clamoroso recupero. Dalla curia
romana si continua a seguire la vicenda e a favorirla in ogni modo. A
Londra viene intanto istruito il processo a V. Il frate rischia una severa
punizione, non il rogo come i martiri della fede -- come il carmelitano scrive con
enfasi poi nelle sue opera --, ma una lunga deportazione in desolate colonie
lontane, come l'arcivescovo ABBOT suggerisce al re. Anche V. riesce a
evadere di prigione e a fuggire dall'Inghilterra, sempre grazie all'aiuto degli
agenti dell'ambasciatore spagnolo a Londra, incoraggiato da alte personalità
romane e del cappellano dell'ambasciata della repubblica veneta, che si avvale
anche dell'opera di alcuni servi dell'ambasciatore stesso, ma all'insaputa di
questi. II anni dopo, durante il processo della repubblica veneta contro
l'ambasciatore FOSCARINI per spionaggio e per aver consentito ad ABBOT di
sottoporre ad interrogatorio il personale dell'ambasciata, vengono alla luce
anche dettagli sulla complicità della fuga di V. da Londra. V. e GENOCCHI arrivano
a Bruxelles e si presentano al nunzio di Fiandra, BENTIVOGLIO, che li attende
da tempo. Vengono iniziate le prime pratiche per la concessione del perdono per
la fuga in Inghilterra e per l'apostasia e viene loro accordato di tornare in
Italia e di vivervi in abito di prete secolare, senza più indossare l'abito religioso,
ma con il vincolo dell'obbedienza al loro superiore. Forti di tali concessioni,
alla fine di maggio i due frati vengono posti sulla via per Parigi, dove devono
presentarsi al nunzio di quella città, UBALDINI. All'incirca nello stesso
periodo giunge a Parigi anche l'ultimo frate recuperato dall'Inghilterra, MARCHETTI.
Altri due frati, invece, non ottengono il perdono dalle autorità
cattoliche. A Parigi, durante la permanenza presso la sede del nunzio UBALDINI,
V. si inserisce nella polemica relativa all'accettazione dei principi del concilio
di Trento in Francia, che tarda ad arrivare a causa del rifiuto di parte del
clero gallicano. Per orientare gl’animi nella direzione voluta dalla santa sede,
scrive i Commentari in difesa del concilio di Trento, di cui egli poi intende
avvalersi, come scrive UBALDINI ai suoi superiori in Roma, per dimostrare la
sincerità del suo ritorno nella fede cattolica. Riprende quindi la strada
per l'Italia, dirigendosi a Roma, dove deve affrontare le difficili fasi finali
del processo presso il tribunale dell'inquisizione. Dimora per qualche mese a
Genova, dove ritrova l'amico GENOCCHI e si guadagna da vivere insegnando
filosofia ai figli di DORIA. Nonostante le assicurazioni ricevute, il
ritorno dei frati non è del tutto tranquillo. GENOCCHI viene inaspettatamente
arrestato dall'inquisitore di Genova. A Ferrara accade lo stesso all'altro
frate "recuperato", MARCHETTI. V. teme che gli accada la stessa
sorte, fugge nuovamente in Francia e si dirige a Lione. Gl’esiti finali delle
esperienze capitate al frate genovese e a quello ferrareseche vennero
rilasciati dopo un breve periodo di detenzione e restituiti alla normale vita
religiosasembrano indicare che forse V. esagera il pericolo insito in queste
operazioni di polizia dell'inquisizione. A Lione, pubblica l' “Amphitheatrum”,
che egli intende esibire in sua difesa alle autorità romane, come si legge in
un dispaccio di UBALDINI alle autorità romane. Esso è dedicato a CASTRO, ambasciatore
spagnolo presso la santa sede, già collegato con la famiglia V., da cui il
frate fuggiasco s'aspetta un aiuto nell'operazione della concessione del
perdono da parte delle autorità romane. Poco tempo dopo, grazie anche agli
appoggi acquisiti presso certi ambienti cattolici con la pubblicazione della
sua opera, V. ritorna a Parigi e si ripresenta al nunzio UBALDINI, chiedendogli
di intervenire in suo favore presso le autorità di Roma. Il prelato scrive al
cardinale BORGHESE, chiedendo chiare indicazioni sulla sorte
dell'ex-carmelitano. Non si conosce la risposta del segretario di stato. V.,
comunque, non ritorna più in Italia e riesce invece a trovare la strada e i
mezzi per entrare in ambienti molto prestigiosi della nobiltà francese. V.
completa un'altro suo saggio, il “De Admirandis Naturae Reginae Deaeque Mortalium
Arcanis” ed l'affida a due filosofi della Sorbona perché ne autorizzino la
pubblicazione, secondo le norme del tempo vigenti in Francia. Il saggio è
pubblicato in settembre a Parigi. Esso è dedicato a BASSOMPIERRE, uomo potente
alla corte di Maria de' MEDICI, ma è stampata da Perier, tipografo notoriamente
PROTESTANTE. Il saggio vede la luce in un ambiente ricco di pubblicazioni che
vengono guardate con sospetto e che provocano pesanti condanne. L'opera del V.
ottiene un immediato successo presso certi ambienti della nobiltà, popolati di
spiriti che guardano con interesse alle innovazioni culturali e scientifiche
che vengono dall'Italia. In questo senso il “De Admirandis” costituisce una
summa, esposta in modo vivace e brillante, del nuovo sapere. Dà una risposta
alle esigenze del momento di questo settore della nobiltà. Diviene una specie
di manifesto culturale di questi esprits forts e rappresenta per V. una
possibilità di stabile permanenza negli ambienti vicini alla corte di Parigi. Tuttavia,
pochi giorni dopo la pubblicazione del saggio, i due teologi della Sorbona che
espressano la loro approvazione alla pubblicazione si presentano ai membri
della facoltà di teologia in seduta ufficiale e li informano di aver letto, a
loro tempo, certi dialoghi scritti da V. Di non avervi trovato allora niente
che contrastasse con il cattolicismo; di averli restituiti muniti della loro
approvazione alla stampa e con la condizione che il manoscritto da essi
controfirmato fosse depositato presso di essi a pubblicazione avvenuta, a
testimonianza della fedeltà del testo pubblicato a quello da loro approvato;
che ciò non era avvenuto e che circola invece un testo dell'opera diverso da
quello approvato e contenente alcuni errori contro la comune fede di tutti, per
cui i due dottori avanzano la supplica che il saggio non circoli più con la
loro approvazione e che tale richiesta venga trascritta nel libro delle conclusioni
della facoltà stessa. La Sorbona accoglie tale richiesta che costituì di fatto
un DIVIETO di circolazione del testo. La Sorbona, però, sembra non
occuparsi più del saggio di V., non prenderne più in esame l'opera, non
elencarne o denunciarne, come da prassi, gl’errori da emendare, né mai condanna
il suo contenuto o il suo autore. Comunque, una condanna espressa dal vicario
episcopale di Tolosa, RUDÈLE, a sottoscritta anche dall'inquisitore BILLY. Inoltre
anche la congregazione dell'indice pronuncia una condanna con la quale il “De
admirandis” e condannato con la formula del “donec corrigatur” -- in base alla
quale il SOTOMAIOR colloca V. nella prima classe degli autori proibiti nel suo
indice. La collectio judiciorum de novis erroribus qui ab initio duodecimi
seculi post Incarnationem Verbi, in Ecclesia proscripti sunt et notati, di ARGENTRÉ,
dottore della Sorbona e vescovo, edita a Parigi, esamina le censure e le conclusioni
espresse dalla facoltà che aveva condannato l'Amphitheatrum Aeternae Sapientiae
di KHUNRATH e la “De Republica Ecclesiastica” di DOMINIS) non menziona invece
provvedimenti contro V.. Tutto questo porterebbe a ritenere che non vi
siano stati atti ufficiali specifici di persecuzione contro V. da parte delle
autorità parigine, né religiose né civili, né in questo periodo né negli anni
seguenti. Ma solo proteste e minacce nei suoi confronti da parte di alcuni
settori. Una condanna del saggio di V. non avrebbe trovato fondate
giustificazioni, né sul piano giuridico né su quello culturale, in quanto gran
parte delle teorie esposte da V. non costituivano una novità. Fuggito da
pochi mesi dall'Inghilterra, impossibilitato a ri-entrare in Italia, minacciato
da alcuni settori cattolici francesi, V. vede restringersi intorno gli spazi di
movimento e ridursi le possibilità di trovare stabile sistemazione nella
società francese. Ha paura che venga aperto un processo contro di lui anche a
Parigi, per cui fugge dalla capitale e si nasconde in Bretagna, in una delle
cui abbazie, quella di Redon, è abate commendatario il suo amico e protettore, SAINT-LUC.
Ma intervengono anche altri fattori di preoccupazione. Viene ucciso a Parigi CONCINI,
favorito di Maria de MEDICI, uomo potentissimo e molto odiato in Francia.
L'episodio, seguito poco dopo dall'allontanamento della regina dalla capitale
con il suo odiato seguito di italiani, crea notevole turbolenza politica e
suscita un vasto movimento di ostilità nei confronti degl’italiani residenti a
corte. Altre cronache del tempo segnalano la presenza di un misterioso
italiano, con un nome strano, in possesso di una grande cultura ma dall'incerto
passato, ancora più a sud, in alcune città della Guienna e poi della Linguadoca
ed infine a Tolosa. Nella particolare suddivisione politica della Francia, il duca
di MONTMORENCY, protettore degli esprits forts del tempo, sposato con la
duchessa italiana ORSINI, è governatore di questa regione e sembra poter
accordare protezione al fuggiasco, che continua comunque a tenersi
prudentemente nascosto. La presenza a Tolosa di questo misterioso personaggio,
di cui si ignora la provenienza e la formazione culturale, ma che fa mostra di
grande sapienza, di grande vivacità dialettica specialmente e di affermazioni
non sempre allineate con la morale del tempo, non passa inosservata ed attira i
sospetti delle autorità, che cominciano a sorvegliarlo. Dopo averlo ricercato
per un mese, le autorità tolosane lo fanno arrestare e chiudere in prigione. Lo
sottopongono ad interrogatorio, cercano di scoprire chi egli sia, quali siano
le sue idee in materia di di morale, perché fosse arrivato fin in quel lontano
angolo della Francia meridionale. Vengono convocati testimoni contro di lui, ma
non riescono ad accertare nulla, né a farlo tradire. Il misterioso
personaggio viene improvvisamente riconosciuto colpevole e condannato al rogo.
Ormai isolato, braccato, impossibilitato a chiamare a sua difesa un passato
travagliatissimo e ricco di nodi mai sciolti, abbandonato dai pochi amici
rimastigli fedeli perché impotenti ad organizzare una chiara strategia in sua
difesa, muore di morte atroce. Il Parlamento di Tolosa lo riconosce colpevole
del reato di ateismo e di bestemmie contro il nome di Dio, condannandolo, sulla
base della normativa del tempo prevista per i bestemmiatori, alla stessa pena
cui erano andati incontro, in luoghi diversi ma in circostanze analoghe, certi FREMOND
e FONTANIER. Gli viene tagliata la lingua, poi è strangolato e infine
arso. Subito dopo l'esecuzione furono pubblicati due anonimi che fanno
esplicitamente il nome del V. e quindi nel misterioso italiano giustiziato
viene riconosciuto V., l'autore del “De Admirandis” che suscita i sospetti di
alcuni settori cattolici parigini. Comparvero le Histoires memorables di ROSSET,
che, con la quinta Histoire, divulga con poche modifiche il secondo dei due
citati canards. RUDELE, teologo e vicario generale dell'arcivescovado di
Tolosa, avverte pubblicamente di aver esaminato le due saggi di V. insieme con BILLY
e di averle trovate contrarie al culto e all'accettazione del vero Dio e assertrici
dell'ateismo, emettendo ufficiale ordinanza di condanna e proibendone la stampa
e la vendita nella diocesi di Tolosa, territorio posto sotto la sua giurisdizione.
In precedenza, La Sorbona non ha comunicato di aver adottato analogo
provvedimento. Saggi: “Amphitheatrum Æternæ Providentiæ divino-magicum,
christiano-physicum, necnon astrologo-catholicum adversus veteres philosophos,
atheos, epicureos, peripateticos et stoicos” (Lione). Il saggio si compone di esercitazioni,
che mirano a dimostrare l'esistenza di Dio, a definirne l'essenza, a
descriverne la provvidenza, a vagliare o confutare le opinioni di Pitagora,
Protagora, CICERONE (vedi), BOEZIO (vedi), AQUINO (vedi), l’orto, Aristotele,
Averroè, CARDANO, i peripatetici dei LIZIO, il PORTICO, ecc., su questo argomento.
“De Admirandis Naturæ Reginæ Deæque Mortalium Arcanis libri quattuor” (Parigi,
Périer). Il saggio si divide in IV libri: un Liber I de Cœlo et Aëre; un
Liber II de Aqua et Terra; un Liber III de Animalia Generatione et Affectibus Quibusdam;
un Liber IV de Religione Ethnicorum; in forma di dialogo -- che avvengono tra
lui, nelle vesti di divulgatore del sapere, e un immaginario Alessandro, che si
presta ad un gioco sottile e divertente nel corso del quale, con un
atteggiamento compiacente e un po' complice, tra espressioni di meraviglia e
ammirazione per la vastità del sapere di cui l'amico fa mostra, sollecita il
suo interlocutore ad elencare e spiegare gli arcani della natura regina e dea
che esistono intorno e all'interno dell'uomo. Così, in un misto di
rilettura in nuova chiave critica del pensiero degli filosofi antichi e di
divulgazione di nuove teorie scientifiche e religiose, il protagonista del
lavoro discetta sulla materia, figura, colore, forma, motore ed eternità del
cielo; sul moto, centro e poli dei cieli; sul sole, sulla luna, sugli astri;
sul fuoco; sulla cometa e sull'arcobaleno; sulla folgore, la neve e la pioggia;
sul moto e la quiete dei proiettili nell'aria; sull'impulsione delle bombarde e
delle balestre; sull'aria soffiata e ventilata; sull'aria corrotta;
sull'elemento dell'acqua; sulla nascita dei fiumi; sull'incremento del Nilo;
sull'eternità e la salsedine del mare; sul fragore e sul moto delle acque; sul
moto dei proiettili; sulla generazione delle isole e dei monti, nonché della
causa dei terremoti; sulla genesi, radice e colore delle gemme, nonché delle
macchie delle pietre; sulla vita, l'alimento e la morte delle pietre; sulla
forza del magnete di attrarre il ferro e sulla sua direzione verso i poli terrestri;
sulle piante; sulla spiegazione da dare ad alcuni fenomeni della vita di tutti
i giorni – SUL SEME GENITALE -- sulla generazione, la natura, la respirazione e
la nutrizione dei pesci; sulla generazione degli uccelli; sulla generazione
delle api; sulla prima generazione dell'uomo; sulle macchie contratte dai
bambini nell'utero; sulla generazione del MASCHIO e della femmina; sui parti di
mostri; sulla faccia dei bambini coperta da una larva; sulla crescita
dell'uomo; sulla lunghezza della vita umana; sulla vista; sull'udito;
sull'odorato; sul gusto; sul tatto e solletico; sugli affetti dell'uomo; su
Dio; sulle apparizioni nell'aria; sugli oracoli; sulle sibille; sugli
indemoniati; sulle sacre immagini dei pagani; sugli àuguri; sulla guarigione
delle malattie capitata miracolosamente ad alcuni al tempo della religione
pagana; sulla resurrezione dei morti; sulla stregoneria; sui sogni. Empio
osarono dirti e d'anatemi oppressero il tuo cuore e ti legarono e alle fiamme
ti diedero. O uomo sacro! perché non discendesti in fiamme dal cielo, il capo a
colpire ai blasfemi e la tempesta tu non invocasti che spazzasse le ceneri dei
barbari dalla patria lontano e dalla terra! Ma pur colei che tu già vivo
amasti, sacra Natura te morente accolse, del loro agire dimentica i nemici con
te raccolse nell'antica pace. Hölderlin. L'interpretazione naturalistica dei
fenomeni soprannaturali che POMPONAZZI (vedi) chiamato da V. magister meus,
divinus praeceptor meus, nostri speculi philosophorum princeps da nel “De
incantationibus” “aureum opusculum”, è ripresa nel De admirandis naturae, dove,
con una prosa semplice ed elegante,fa riferimento anche a CARDANO, a BORDONI e
ad altri cinquecentisti. Dio agisce sugli esseri sub-lunari (cioè sugli
esseri umani) servendosi dei cieli come strumento. Di qui l'origine naturale e
la spiegazione razionale dei pretesi fenomeni sopra-naturali, dal momento che
anche l'astrologia è considerata una scienza. L’esere supremo, quando incombono
pericoli, dà avvertimenti agli uomini e specialmente ai sovrani, agli esempi
dei quali il mondo si conforma. Ma i reali fondamenti dei presunti fenomeni
sovrannaturali sono soprattutto la fantasia umana, capace a volte di modificare
l'apparenza della realtà esterna, i fondatori delle religioni rivelate, Mosè,
Gesù, Maometto e gli ecclesiastici impostori che impongono false credenze per
ottenere ricchezze e potere, e i regnanti, interessati al mantenimento di
credenze religiose per meglio dominare la plebe, come insegna già MACHIAVELLI, il
principe degli atei per il quale tutte le cose religiose sono false e sono
finte dai principi per istruire l'ingenua plebe affinché, dove non può giungere
la ragione, almeno conduca la religione. Seguendo ancora POMPONAZZI e PORZIO nella
loro interpretazione dei testi aristotelici, mutuata dai commenti di Alessandro
di Afrodisia, nega l'immortalità dell'anima. Anche il cosmo aristotelico-scolastico
subisce il suo attacco distruttivo. Analogamente a BRUNO, nega la differenza
peripatetica tra un mondo sub-lunare e un mondo celeste, affermando che
entrambi sono composti della stessa materia corruttibile. Scardina nell'ambito
fisico e biologico il finalismo e la dottrina ile-morfica aristotelica, e,
ricollegandosi a l’orto di LUCREZIO, elabora una nuova descrizione
dell'universo d'impianto meccanicistico-materialistico. Gl’organismi sono
parago orology. E concepisce una prima forma di trasformismo universale delle
specie viventi. Concorda con gl’aristotelici del LIZIO sull'eternità del mondo,
considerando in particolare l'aspetto temporale. Ma, contro di essi, afferma il
moto di rotazione terrestre e appare respingere la tesi tolemaica in favore di
quella eliocentrica copernicana. Se il primo curator CORVAGLIA e lo
storico RUGGIERO, ingiustamente, considerarono la sua filosofia semplicemente un
centone privo di originalità e di serietà scientifica, Garasse, ben più
preoccupato delle conseguenze della diffusione della sua filosofia, li giudica
la filosofia più perniciosa che in fatto di ateismo fosse mai uscita negli ultimi
cento anni. E stato ampiamente ri-considerato e ri-valutato dalla critica,
mettendo in mostra l'originalità e le intuizioni metafisiche, fisiche,
biologiche, talvolta precorritrici nei tempi, dei suoi saggi. Visto che
nasconde la sua filosofia, secondo un tipico espediente della cultura del suo
tempo, per evitare seri conflitti con le autorità religiose e politiche
costituite, conflitti che, come paradossalmente e sfortunatamente avvenne,
nonostante le cautele, lo condussero infine alla morte), l'interpretazione del
suo pensiero si offre a diversi piani di lettura. Tuttavia, nella storia della
filosofia, resta di lui acquisita un'immagine di miscredente e persino di ateo
(il che non era). E questo perché avversario di ogni superstizione e di fede costituita
(meglio un proto-agnostico), tanto da essere considerato uno dei padri del
libertinismo, malgrado avesse scritto persino un'apologia del concilio di
Trento. Per una sintesi della sua filosofia si deve guardare da un lato al
retroterra culturale, che è quello abbastanza tipico del Rinascimento, con
prevalenza di elementi dell'aristotelismo ma con forti elementi di misticismo
platonico. Dall'altro lato egli trae dal Cusano dei tipici elementi
panteistici, simili a quelli che si ritrovano anche in Bruno, ma più
materialistici. La sua visione del mondo si basa sull'eternità della materia,
sulla omogeneità sostanziale cosmica, su un Dio dentro la natura come forza che
la forma, la ordina e la dirige. Tutte le forme del vivente hanno avuto origine
spontanea dalla terra stessa come loro creatrice. Considerato ateo, nel
titolo del suo saggio pubblicato a Lione nel Amphitheatrum aeternae
providentiae divino-magicum, christiano-physicum, nec non astrologo-catholicum
adversus veteres philosophos, atheos, epicureos, Peripateticos et Stoicos
dimostra di non esserlo. Come precursore del libertinismo vi sono invece molti
elementi che lo avvicinano al pensiero dell'ignoto autore del trattato dei tre
impostori anch'egli panteista. Pensa infatti che i creatori delle tre religioni
monoteiste, Mosè, Gesù Cristo e Maometto, non siano altro che degl’impostori. In
“De admirandis Naturae Reginae Deaeque mortalium arcanis libri quatuor” stampato
a Parigi nelvengono riprese le tesi dell' “Amphiteatrum” con precisazioni e
sviluppi che ne fanno il suo capolavoro e la sintesi della sua filosofia. Viene
negata la creazione dal nulla e l'immortalità dell'anima, Dio è nella natura
come sua forza propulsiva e vitale. Entrambi sono eterni. Gl’astri del cielo
sono una specie di intermediari tra dio e la natura che sta nel mondo sub-lunare
e di cui noi facciamo parte. La religione vera è perciò una religione della
natura che non nega Dio ma lo considera un suo spirito-forza. La sua filosofia
è abbastanza frammentaria e riflette anche la complessità della sua formazione.
E un filosofo, un naturalista, un religioso, ma anche un medico e un po' un
mago. Ciò che ne caratterizza è la veemenza anti-clericale. Tra le cose
originali della sua filosofia c'è una specie di anticipazione della teoria
dell’evoluzione, perché, dopo un primo tempo in cui sostiene che le specie
animali nascano per generazione spontanea dalla terra, in un secondo tempo -- lo
pensa anche CARDANO -- pare convinto che esse possano trasformarsi le une nelle
altre e che l'uomo derivia d’animali affini all'uomo come la bertuca, il
macacho e la scimmia in genere. Appaiono due saggi che consacrano il mito del V.
ateo: La doctrine curieuse des beaux esprits de ce temps, di GARASSE e le
Quaestiones celeberrimae in Genesim cum accurata explicatione, di MERSENNE. I
due saggi, però, anziché spegnere la voce del filosofo, la amplificano in un
ambiente che evidentemente e pronto a ricevere, discutere e riconoscerne la
validità delle affermazioni. Il nome di V. viene nuovamente proiettato
all'attenzione della filosofia in occasione del clamoroso processo che viene
celebrato contro VIAU. Il progetto di interrogatorio che il procuratore
generale del re, Molé, predispone con ben articolati capi d'accusa su cui
interrogare VIAU, contiene impressionanti analogie colla filosofia vaniniana,
cui vien fatto esplicito riferimento mentre MERSENNE torna a martellare su V.,
analizzandone alcune affermazioni nel suo “L'Impiétè des Déistes, Athées et
Libertins de ce temps, combatuë, et renversee de point en point par raisons
tirées de la Philosophie, et de la Theologie”, nel quale porta il suo giudizio
concernente CARDANO e BRUNO. Anche Leibniz, oppositore al pari di Mersenne del
libertinismo, si esprime duramente contro V., considerandolo un empio, un pazzo
e un ciarlatano. Je n'ai pas encore vu l'apologie de V., je ne pense pas
qu'elle mérite fort d'être lue. La philosophie de ce personnage e bien peu de
chose. Mais un imbécille comme lui, ou pour mieux dire, un fou ne méritoit pas
d'être brûlé. On étoit seulement en droit de l'enfermer, afin qu'il ne séduisît
personne -- Epist. ad Kortholtum in Opera omnia, Genève. Ancora la leggenda
nera creata intorno alla figura di V. sopravvive al passare del tempo, si
espande ed affascina molti studiosi, che si avvicinano alla sua filosofia e ne
tentano dei profili biografici. Così anche la cultura inglese mostra interesse
per il filosofo di Taurisano ed è soprattutto con BLOUNT che V.entra nella
filosofia inglese ed acquista una dimensione che non abbandona mai più, quando
diviene un elemento cardine del libertinismo e deismo. Un manoscritto inedito
della biblioteca municipale di Avignone custodisce delle Observations sur
Lucilio V. redatte da Velleron, ma fornisce solo delle incerte notizie sul filosofo,
in gran parte rettificate dagli ultimi studi. Viene effettuata una copia manoscritta
dell'Amphitheatrum, su commissione di Uriot, il quale la trasferisce poi nella biblioteca
ducale del duca di Württemberg. Attualmente essa si trova nella
Württembergische Landesbibliothek di Stoccarda. Un'altra copia manoscritta
del saggio si trova nella Staats und Universitätbibliothek di Amburgo, a
testimonianza del perdurante interesse per V. Viene data alle stampe a Londra
una biografia vaniniana con un estratto delle sue opere, dal titolo “The life
of ‘Lucilio’, alias V., burnt for atheism at Toulouse, with an abstract of his
writings. Il saggio, pur ricollegandosi alla consueta storiografia vaniniana e
quindi con i soliti errori d'origine, sottopone ad un dibattito ponderato la
figura ed il pensiero del filosofo italiano, a cui riconosce qualche merito. Ma
la strada per una collocazione europea di V. e del suo pensiero è ormai
aperta. Saggi: “Amphitheatrum aeternae providentiae divino-magicum,
christiano-physicum, nec non astrologo-catholicum adversus veteres philosophos,
Atheos, Epicureos, Peripateticos et Stoicos, Auctore Iulio Caesare Vanino,
Philosopho, Theologo et Iuris utriusque Doctore, Lugduni, Apud Viduam Antonii
de Harsy, ad insigne Scuti Coloniensis” (Galatina). “Iulii Caesaris Vanini,
Neapoletani Theologi, Philosophi et Iuris utriusque Doctoris, De admirandis
Naturae Reginae Deaeque mortalium arcanis libri quatuor, LPombaiae, Apud Adrianum
Perier, via Iacobaea” (Galatina). Le opere di V. e le loro fonti, Milano (Galatina,);
“Opere” (Porzio, Lecce); “Anfiteatro dell'eterna Provvidenza” Galatina; “I
meravigliosi segreti della natura, regina e dea dei mortali” Galatina); “Opere
(Galatina); “Confutazione delle religioni “Anna Vasta, Catania, De Martinis
& C.); “Opere” (Milano, Bompiani). Bucciantini, Lutero in Campo dei Fiori, in
Il Sole 24 ORE Terzapagina. Filosofia ed ecologia per il "compleanno"
di V., Una lettera dell'ambasciatore inglese a Venezia, Carleton, fa risalire
l'episodio a nove anni prima. Raimondi, “V. e il libertinismo” Atti del
Convegno di Studi, Taurisano (Galatina, Raimondi, “Dal tardo Rinascimento al
Libertinismo erudite” Atti del Convegno di Studi, Lecce-Taurisano Galatina, Spini,
“Vaniniana” in «Rinascimento», Paola, “Il primo seicento anglo-veneto”
Cutrofiano; Paola, “V. da Taurisano filosofo europeo, Fasano); Paola,
“Documenti per una lettura di V., in «Bruniana & Campanelliana», Raimondi,
Documenti vaniniani nell'archivio segreto vaticano, in «Bollettino di Storia
della Filosofia dell'Università degli Studi di Lecce», Raimondi, Il soggiorno
vaniniano in Inghilterra alla luce di nuovi documenti spagnoli e londinesi, in
«Bollettino di Storia della Filosofia dell'Università degli Studi di Lecce», Raimondi,
“La Santa Inquisizione, Taurisano, Raimondi, “L'Europa del Seicento. con una
appendice documentaria, Pisa Roma. L'appendice contiene la più completa
documentazione sulla biografia vaniniana: documenti dalla nascita al rogo. Fasano,
Fazio, V. nella cultura filosofica (Galatina); Marcialis, “Natura e uomo in V.”
in «Giornale Critico della Filosofia Italiana»; Marcialis, V. nell'Europa del
Seicento, in "Rivista di Storia della Filosofia", Paganini, Le
Theophrastus redivivus et V., in «Kairos», Papuli, Le interpretazioni di V., Galatina, Perrino,
"V. nel Theophrastus redivivus", in «Bollettino di Storia della
Filosofia dell'Università degli Studi di Lecce», Raimondi, V. e il "De
tribus impostoribus", in «Ethos e Cultura», Padova, G. Spini, Ricerca dei
libertini. La teoria dell'impostura delle religioni nel Seicento italiano,
Roma, Firenze); Teofilato, V. nel III Centenario del suo martirio, Milano, Tip.
Ed. La Stampa d'Avanguardia. Teofilato, V., in The Connecticut Magazine,
articles in English and Italian, New Britain, Conn, C. Teofilato, Vaniniana, in
La puglia letteraria, mensile di storia, Roma; V., Riflessioni sul problema V.,
in Bertelli, Il libertinismo in Europa, Milano-Napoli, Vasoli, V. e il suo
processo per ateismo, in Niewohner e Pluta, Atheismus im Mittelalter und in der
Renaissance, Wiesbaden); V. in Inghilterra. La seguente è una lista di alcuni
documenti in cui è possibile trovare riferimenti alla presenza del frate carmelitano
a Lambeth a Londra. Trascrizioni complete, riassunti e contesto di questi
documenti sono disponibili. "V. e il primo seicento anglo-veneto" e
in "V. da Taurisano filosofo europeo", Schena Editore, Brindisi.
Documenti: London Public Record Office State Papers Venice Notizie sulla
Mercers' Chapel a Londra, dove V. sconfesso la sua fede cattolica e tenne vari
sermoni. London Public Record Office State Papers Petizione di due Carmelitani,
V. e Genocchi, a Carleton, ambasciatore inglese a Venezia, per essere accettati
in Inghilterra. Venezia. London Public Record Office State Papers Lettera di
Carleton a Salisbury. Da Venezia, Carleton informa Salisbury che due frati gli
hanno chiesto permesso di rifugiarsi in Inghilterra per evitare persecuzioni
dai loro superiori. London Public
Record Office State Papers. V. a Carleton. Da Lambeth. V.
manda a Carleton informazioni riguardanti alla sua ricezione a Lambeth e la
buona stima di cui gode lì. London
Historical Manuscripts Commission De L'Isle and Dudley Manuscripts, Sir John
Throckmorton al visconte Lisle. Flushing. Corrispondenza
tra i due statisti riguardo ad una missione segreta di Florio, che forse
accompagnò V. e il suo compagno a Londra. London, Manuscripts of the Marquess of Downshire preserved at
Easthampstead Park Berk. Papers of Trumbull. Albery a Trumbull.
Londra. Albery, un mercante inglese e corrispondente di Trumbull, agente inglese
a Bruxelles, manda informazioni sull'arrivo di V. e le sue esperienze a
Venezia. London Historical
Manuscripts Commission Report on the Manuscripts of the Marquess of Downshire,
Trumbull Papers. Albery a William Trumbull. Londra. Una
copia della lettera da una fonte diversa. London Public Record Office State Papers
Da Spinola a Ginocchio. Genova London Public Record Office State Papers Wake a Carleton.
Londra London Public Record
OfficeState Papers Wake a Carleton. Londra London Manuscripts of the Marquess
of Downshire preserved at Easthamstead Park Berk. Papers of William Trumbull
the Elder Alfonse de S. Victors a William Trumbull Da Middolborg (Middelburg) London
Historical Manuscripts Commission Report on the Manuscripts of the Marquess of
Downshire, Trumbull Papers, Alfonse de St. Victor a William Trumbull.
Middelborg. London Public Record Office State Papers Domestic Series Jac.
Chamberlain a Carleton. Londra, London Public Record Office State Papers
Carleton a Lake. Da Venezia London Public Record OfficeState PapersDomestic
Series, Biondi a Carleton. Da Londra LondonPublic Record Office State Papers, Carleton
a Chamberlain. Da Venezia London Manuscripts of the Marquess of Downshire
preserved at Easthampstead Park Berks. Papers of William Trumbull the Elder. George
Abbot a William Trumbull. Da Lambeth. London Historical Manuscripts Commission Report
of the Manuscripts of the Marquess of Downshire, Trumbull Papers, Abbot a Trumbull. Lambeth London Public Record OfficeState Papers Carleton
a Chamberlain. Venezia, London Public Record Office State Papers Carleton a
Giovan Francesco Biondi. Venezia, London Public Record Office State Papers
Domestic Series, Abbot a Carleton. Lambeth London Public Record Office State
Papers Sarpi a Carleton. Venezia London Record Office State Sarpi a Carleton.
Venezia, London Public Record OfficeState Papers Paolo Sarpi a Sir Dudley
Carleton. Venezia, giugno. London Historical Manuscripts Commission Report
Hastings, Notes of speeches and
proceedings in the House of Lords. London Historical Manuscripts Commission Hastings,
Notes of speeches and proceedings in the House of Lords London Public Record
Office State Papers Carleton a Sua Signoria l'Arcivescovo di Canterbur. Venezia
London Manuscripts of the Marquess of Downshire preserved at Easthampstead Park
Berks. Papers of William Trumbull the Elder Abbot a Trumbull. Lambeth London Historical
Manuscripts Commission Report of the Manuscripts of the Marquess of Downshire, IV, Trumbull Papers George Abbot, Arcivescovo
di Canterbury, a William Trumbull. Lambeth Archivio di
Stato di VeneziaInquisitori di Stato, Istruzioni degli Inquisitori di Stato
all'ambasciatore in Inghilterra. LondonCalendar
of State Papers on English Affairs in the Archives of Venice and other Libraries
of North Italy Inquisitori di Stato, busta Venetian Archives. Gli Inquisitori
di Stato a Gregorio Barbarigo, London Calendar
of State Papers on English Affairs in the Archives of Venice and other Libraries
of North Italy Inquisitori di Stato, Venetian Archives. Examinations
for Foscarini. Archivio di Stato di Venezia Inquisitori di Stato, Londra, Interrogatorio
di Lunardo Michelini sulle modalità della fuga di V. da Lambeth. Archivio di
Stato di Venezia Inquisitori di Stato, Interrogatorio di Alessandro di Giulio
Forti da Volterra sulle modalità della fuga di Vanini da Lambeth. Archivio
General de Simancas fondo Inglaterra Legajo foglio privo di indicazioni.
Bentivoglio a Sarmiento. Bruxelles. Il nunzio apostolico a Bruxelles informa
l'abasciatore di Spagna che Vanini e il suo compare sono arrivati sani e salvi
dopo la loro fuga da Londra. Archivio General de Simancas Bentivoglio a Sarmiento.
Bruxelles. Il nunzio apostolico a Bruxelles informa l'abasciatore di Spagna che
Vanini e il suo compare sono partiti verso l'Italia, come era stato concordato
a Roma. Documenti inclusi nell'opera di Namer La seguente è la lista dei
documenti inglesi inclusi nel lavoro Documents sur la vie de V. de Taurisano di
Ėmile Namer, che può essere considerato come un utile punto di partenza per la
delineazione di una biografia di Vanini, e di cui la nuova documentazione deve
essere considerata un completamento. London Foreign State Papers. Venice. Carleton ad Abbot. LondonForeign
State Papers. Venice.Abbot a Carleton LondonState Papers Domestic. James
I. Carleton a Chamberlain. Venezia, London Foreign State Papers. Venice. Sir D. Carleton
all'Arcivescovo di Canterbury. London
State Papers Domestic. James I. Chamberlain a Carleton. Londra, London State
Papers Domestic. James I. 7 Chamberlain
a Carleton. London Foreign State Papers. Venice Abbot a Carleton. London State
Papers Domestic. James I. Carleton a
Chamberlain. London State Papers Domestic. James I. l'Arcivescovo
di York al conte di Suffolk. London State Papers Domestic. James I. V. a Dudley Carleton. Da Lambeth, iLondonState
Papers Domestic. James I. Giulio Cesare
Vanini a Sir Isaac Wake. Da Lambeth iLondon State Papers Domestic. James
I. John Chamberlain a Carleton. da
Londra. London State Papers Domestic. James I.
Abbot a Carleton. Lambeth London State Papers Domestic. James I. John
Chamberlain a Dudley Carleton. Da Londra London State Papers Domestic. James
I. Biondi a Carleton. Da Londra London Foreign
State Papers. Venice. Carleton a Abbot. London State Papers Domestic. James I. John
Chamberlain a Dudley Carleton. Da Londra London State
Papers Domestic. James I. Abbot al vescovo
di Bath Da Lambeth. London State
Papers Domestic. James I. Lake a Carleton.
Dalla corte a Royston, London State Papers Domestic. James I. John Chamberlain a Sir Dudley Carleton. Da
Londra London Foreign State Papers. Venice Carleton a Abbot London Foreign State
Papers. Venice. Carleton a Sir Thomas Lake. London State Papers Domestic. James
I. Abbot
a Carleton a Venezia. Lambeth, London State Papers Domestic. James
I. John Chamberlain a Dudley Carleton. Londra, LondonForeign State Papers. Venice. Carleton a Abbot. Archivio de Simancas,
Estado, Cardinale Millino a Alonso de
Velasco, ambasciatore spagnolo a Londra. Roma, Archivio de Simancas,
Estado, Cardinal Millino a Diego
Sarmiento de Acuña, ambasciatore spagnolo a Londra. Roma, Archivio de Simancas,
Estado, Cardinal Bentivoglio a Diego
Sarmiento de Acuña, ambasciatore spagnolo a Londra. Bruxelles, Archivio de
Simancas, Estado, Bentivoglio a Diego
Sarmiento de Acuña, ambasciatore spagnolo a Londra. Bruxelles,V. e l'Inquisizione
di Roma Elenco di alcuni documenti presenti nella corrispondenza tra alcuni
Nunzi apostolici in Europa e le autorità vaticane, dove è possibile trovare
informazioni relative alla fuga, permanenza e rientro segreto dall'Inghilterra
del frate carmelitano. Le trascrizioni complete, i sommari e le
contestualizzazioni di questi documenti sono disponibili per studiosi e lettori
in V. da Taurisano filosofo europeo, Schena Editore, Fasano (Brindisi), Il
pontefice Paolo V e l'Inquisizione in Roma furono informati continuamente della
vicenda di V. con dispacci dei Nunzi apostolici in Venezia, Francia e Fiandra e
con missive dell'ambasciatore di Spagna a Londra, a cominciare dalla sua fuga
da Venezia sino al suo desiderio di rientrare nel mondo cattolico.
RomaArchivio Segreto VaticanoSegreteria di StatoNunziatura di Francia, Ubaldini, Nunzio papale in Francia, al Borghese,
Segretario di Stato di Paolo V, de Parigi. RomaA. S. Vaticano Segreteria
di Stato Nunziature diverse, Fiandra, il Nuntio alla Segreteria, Bentivoglio, Nunzio
papale in Fiandra, al Card. Borghese. (Bruxelles) Roma A. S. Vaticano Segreteria
di StatoNunziature diverse, Francia, lettere scritte al Nuntio in Francia Borghese
a Ubaldini. Di Roma li Roma A. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziatura di
Francia, Ubaldini da Parigi a Borghese Roma A. S. Vaticano Segreteria di
StatoNunziature diverse, Francia, 293A,
lettere scritte al Nuntio in Francia Borghese a Ubaldini. Di Roma Roma A. S.
Vaticano Segreteria di Stato Nunziatura di Francia, Ubaldini a Borghese Rom aA. S. Vaticano Segreteria
di StatoNunziature diverse, Francia, lettere scritte al Nuntio in Franci Il
card. Borghese a Ubaldini. Di Roma Roma A. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziatura
di Francia Registro Ubaldini a Borghese Londra, British Museum, Lettere di Ubaldini,
nella sua Nunziatura di Francia, Ubaldini a Borghese Roma A. S. Vaticano Segreteria
di Stato Nunziatura di Francia, Ubaldini a Mellini, membro del Sant'Uffizio, il
Tribunale dell'Inquisizione di Roma. Roma A. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziature
diverse, Francia, lettere scritte al Nuntio in Francia da Borghese, Borghese a
Ubaldini. Roma A. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziatura di Francia, Registro di Lettere della Segreteria di Stato
di Paolo V al Vescovo di Montepulciano Nuntio in Francia Il Segretario Porfirio
Feliciani vescovo di Foligno al Nuntio in Francia. Roma, RomaA. S. Vaticano Segreteria
di Stato Nunziatura di Francia, Ubaldini al Mellini Roma A. S. Vaticano Segreteria
di StatoNunziatura di Francia, Ubaldini a Mellini RomaA. S. Vaticano Segreteria
di Stato Nunziatura di Francia Registro Ubaldini a Borghese. Di Parigi RomaA.
S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziatura di Francia Registro Ubaldini a Millini
Roma A. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziature diverse, Francia, lettere scritte al Nuntio in Francia dal
Card. Borghese, Il card. Borghese a Ubaldini. Di Roma Roma A. S. Vaticano Segreteria
di Stato Nunziatura di Francia Ubaldini a Borghese Di Parigi. RomaA. S.
Vaticano Segreteria di Stato Nunziatura di Francia Registro Ubaldini a Millini Roma A. S. Vaticano Segreteria di
Stato Nunziatura di Francia Registro Ubaldini a Borghese Londra, British
Museum, Lettere del Card. Ubaldini, nella sua nunziatura di Francia, Card.
Ubaldini a Borghese Parigi, Bibliothèque nationale de FranceDepartement des
Manuscrits, Italien Registro di Lettere della Nunziatura di Francia di Ubaldini
dell'anno lettera, Ubaldini a Borghese Parigi) Roma A. S. VaticanoSegreteria di
Stato Nunziature diverse, Francia, Lettere
del Sir. Card.le Ubaldini nella sua Nunciatura di Francia Ubaldini a Borghese Treccani
Enciclopedie Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana,
Amphitheatrum e De admiandis. Raimondi Il contributo italiano alla storia del
Pensiero: Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Giulio Cesare Vanini.
Vanini. Keywords: Vanini, Oxford. Refs.: Luigi Speranza, “Vanini e Grice,”
Villa Grice, Luigi Speranza, “La statua all’aperto di Vanini,” Luigi Speranza,
“Il medaglione di Vanini a Roma.”
Grice e Vanni: la ragione
conversazionale dell’azione e l’implicatura conversazionale dell’inter-azione conversazionale
– filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Città della Pieve). Essential Italian philosopher. Filosofo italiano.
Inizia la carriera a Perugia e successivamente insegna a Parma, Bologna, e
Roma. Tra i fondatori del positivismo
soziale, la sua filosofia si ispira a Kant e agli principali filosofi del positivismo.
A lui si deve anche una originale lettura positivista della dottrina
storicistica di VICO. Il suo è stato definito un positivismo critico, che vuole
distinguere cioè tra la scienza dell’uomo dalla filosofia’ dell’uomo,
contestando e rifiutando l'assimilazione positivista di quest'ultima con la
morale e la sociologia, dottrina nata nell'ambito del positivismo, verso la
quale V. ha un interesse particolare cercando di teorizzarne il carattere scientifico
differenziandola però sia dall'evoluzionismo che dalla biologia. V. considera essenziale
l'autonomia teorica del ‘ius’ o devere dai rapporti con gli aspetti
storici-etnografici delle istituzioni giuridiche. V. è convinto che la filosofia,
come analisi concettuale, del diritto ha la funzione pratica di definire il ‘fine’
(métier) della inter-azione umana. In questo modo, V. ribade l'impostazione
criticista kantiana che acquista un tono metafisico criticato dai positivisti
ortodossi che lo accusano di eclettismo. Saggi: “Della consuetudine nei suoi
rapporti col dritto e con la legislazione” (Perugia); “Saggi critici sulla
teoria socio-logica della popolazione” (Città di Castello); “Prime linee di un
programma critico di sociologia” (Perugia); “Il problema della filosofia del
diritto nella filosofia, nella scienza e nella vita ai tempi nostril” (Verona);
“La filosofia del diritto” (Verona); “La funzione della filosofia considerata
in sé ed in rapporto al socialismo” (Bologna); “La filosofia del diritto e la ricerca
positivista” (Torino); “Il dritto nella totalità dei suoi rapporti e la ricerca
oggettiva” (Roma); “La teoria della conoscenza come induzione socio-logica e
l'esigenza critica del positivismo” (Roma); “Filosofia del diritto” (Bologna);
“Filosofia sociale e filosofia giuridica” (Bologna). Biografia in Scuola normale
superiore, Pisa, su picus.unica. Marino, Positivismo e giurisprudenza, Napoli, Cuculo,
La sociologia positivista di V., in A. Millefiorini, Fenomenologia del
disordine. Prospettive sull'irrazionale nella riflessione sociologica italiana
(Nuova Cultura, Roma); Amelio, Positivismo, storicismo, materialismo storico in
I. Vanni, «Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno», Pusceddu,
La sociologia positivista in Italia (Roma). siusa. archivi.beniculturali,
Sistema Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche. Opere u open MLOL, Horizons Unlimited
srl. Opere. I. Vanni. Vanni.
Keywords: action, interaction, azione, interazione, Vico, positivismo,
positivismo critico, etologia, ethology -- Refs.: The H. P. Grice Papers,
Bancroft MS, -- Luigi Speranza,, “Grice e Vanni: azione ed inter-azione” – The
Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.
Grice e Vannini: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale del mistico – scuola di mistica
-- di ‘Vitters’ – filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di
H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (San Piero a Sieve). Filosofo
italiano. Essential Italian philosopher. “Never to be confused with the vain
Vanini!” -- Grice. Dopo gli studi al ginnasio Michelangiolo di Firenze,
si laurea in filosofia a Firenze, discutendo una tesi su “‘Vitters’: metafisico
e mistico”! Ha vissuto nel convento agostiniano di S. Spirito a Firenze, ospite
di Ciolini. Ha compiuto viaggi e soggiorni di studio in Europa. Insegna filosofia
nei licei. Per un triennio storia della filosofia a Firenze e storia della mistica
all'Istituto di scienze religiose a Trento. Ha tenuto seminari e
conferenze in università ed accademie italiane e straniere: Genova, Trento,
Ancona, Perugia, Urbino, Pavia, Pisa, Macerata, Napoli, Fermo, Parma, Arezzo,
Chieti, Roma, Avila, Strasburgo, Berlino. Considerato il maggior studioso
di mistica o anche il più importante studioso italiano di Eckhart e della
mistica cristiana, ha curato l'edizione italiana delle opera latine di Eckhart,
nonché quelle di altri autori spirituali, come AGOSTINO, Gerson, Fénelon,
Porete, Taulero, Anonimo Francofortese, Lutero, SILESIO, Czepko, Franck, Weigel,
ecc. Lungo un percorso ormai di quasi mezzo secolo, è stato traduttore e
curatore di importanti testi della mistica; critico della fenomenologia, da un
punto di vista teoretico e storico; filosofo della religione, soprattutto nei
suoi rapporti con la ragione e con la fede. V. legge il fenomeno mistico in
maniera innovativa ma, soprattutto, pone lo stesso a fondamento di ogni forma
ed esperienza religiosa. Tale presupposto impone come fuori da un'esperienza
diretta di questo tipo sia pressoché impossibile cogliere il senso, le modalità
e le finalità delle varie dottrine e pratiche religiose. Per V., la
mistica è un sapere spirituale, inoggettivabile ma, soprattutto, un sapere che
è un essere: è l'identità mistica il vero e proprio criterio per discernere il
vero dal falso. Tale ermeneutica costituisce una propedeutica all'inverarsi in
senso mistico della religione cristiana. La filosofia di V. si basa su
una esperienza spirituale, unitiva e teo-morfica. Centrali appaiono pertanto
concetti appartenenti alla sfera semantica della divinizzazione, dell’homoiosis
theo, quali vuoto, fondo dell'anima, generazione del logos, complementarità tra
distacco ed amore. Tale esperienza risulta comprensibile solo quando si è
fatto il vuoto nell'anima attraverso il distacco, diventando in tal modo
recettivi alla luce proveniente dall'alto, tali da rendere il soggetto esso stesso
luce eterna. Al vuoto in cui si perviene nel distacco corrisponde una pienezza,
una traboccante ricchezza ed energia, una gioia sconfinata ed
inesauribile. Il rapporto tra il divino e uomo non è quindi statico, di
mutua esclusione, ma “dialettico” o dinamico, di reciproca compenetrazione. La
“salvezza” viene letta nei parametri teologici di una escatologia realizzata
nel presente, come immanente esperienza dello spirito. Essenziale diventa
perciò il recupero della antropologia classica corpo, anima, spirito ove l'uomo
è un corpo, piccola parte dell'universo; una psiche, fluttuazione infinita di
pensieri, sentimenti, volizioni, soggetta al determinismo del tempo, dello
spazio, delle circostanze. Ma soprattutto uno spirito universale, eterno,
libero, uno nell'uno. L'attualità e l'originalità della posizione di V. ha
suscitato e continua a suscitare un acceso dibattito in seno al panorama
culturale italiano, filosofico e teologico: nei confronti dell'autore vari
infatti sono stati i commenti, le recensioni, i contributi e gli interventi
critici da parte di personalità quali (in ordine alfabetico) BOZZO, BALDINI, BIANCHI,
CACCIARI, MONTICELLI, ESPOSITO, FORTE, GIVONE, MANCUSO, MUCCI, RAVASI, REALE, TORNO,
VATTIMO, e VOLPI. La particolare
rilevanza della filosofia di V. può trasparire anche, ad esempio, dalle
seguenti affermazioni in meritocitate in ordine sparsodi alcuni dei suddetti
illustri filosofi. GIVONE: “A V., cui siamo debitori d'un lavoro filosofico
estremamente prezioso, rivolgiamo questa domanda. A V. dobbiamo non soltanto
edizioni impeccabili delle opere di Eckhart, Porete, Silesius, Gerson; ma anche
il pensiero vigoroso e chiaro, qualunque cosa gli si posa obiettare, che la
mistica è da un lato il cuore e la radice viva di ogni religione, ma dall'altro
“la filosofia nel suo senso più reale e profondo”, la conoscenza e la pratica
dell'essere e “la gioia dell'essere”. CACCIARI: “È un grosso debito quello che
la filosofia e la teologia hanno accumulato in questi anni nei confronti di V..
Grazie al suo instancabile lavoro o sotto la sua direzione il nostro paese può
oggi contare su impeccabili edizioni di Gerson, Silesius, Porete ed Eckhart.
MUCCI: “In questi tempi di declino dell'ontologia, V. è certamente, in Italia,
fuori dell'ambito ecclesiastico, il più illustre studioso di mistica.” REALE: “L'esperienza
mistica è comunque per sua natura connessa con il religioso, come viene mostrato
nella filosofia di V.i “La mistica delle religioni (Le Lettere) in questi
giorni in libreria. V., uno dei massimi esperti in materia a livello nazionale
e internazionale, analizza in modo dettagliato questa esperienza spirituale
nell'induismo, nel buddismo, nell'ebraismo, nell'islamismo e nel
cristianesimo.” TORNO: “Segnalare un livre de chevet, vale a dire una di quelle
opere maneggevoli che mai dovrebbero allontanarsi dal capezzale, è diventato
difficile oltre che inattuale. Eppure qualcosa circola, come prova l'ultimo
delizioso saggio di V. sulla grazia». FORTE: “L'ultimo bel libro di V. su “Mistica
e filosofia” rivela ancora una volta la sua straordinaria competenza di storico
e interprete della mistica.” Al pensiero di V. è stato dedicato “Mistica e
filosofia in V. ” Saggi: “Lontano dal SEGNO. Saggio sul cristianesimo” (La
Nuova Italia, Firenze); “Esame della certezza” (Cenacolo, Firenze); “Eckhart.
Opere” (Nuova Italia, Firenze); “Dialettica della fede” (Marietti, Casale
Monferrato -- Le Lettere, Firenze); “L'esperienza dello spirito” (Augustinus,
Palermo); “Mistica e filosofia” (Piemme, Casale Monferrato -- prefazione di CACCIARI
-- Le Lettere, Firenze); “Il volto del Dio nascosto: l'esperienza mistica
dall'Iliade a Weil” (Mondadori, Milano); “Storia della mistica occidentale” (Mondadori,
Milano; Lettere, Firenze); “Introduzione alla mistica” (Morcelliana, Brescia);
“La morte dell'anima: dalla mistica alla psicologia” (Lettere, Firenze); “La
mistica delle grandi religioni” (Mondadori, Milano; Lettere, Firenze); “Tesi
per una riforma religiosa (Lettere, Firenze);
“La religione della ragione” (Mondadori, Milano); “Sulla grazia” (Lettere,
Firenze); “Prego Dio che mi liberi da Dio: la religione come verità e come
menzogna” (Bompiani, Milano); “Lessico mistico: le parole della saggezza” (Le
Lettere, Firenze) – under M, ‘scuola di mistica fascista’; “Il santo spirito
fra religione e mistica” (Morcelliana Brescia); “Oltre il cristianesimo: da
Eckhart a Le Saux” (Bompiani, Milano); “Inchiesta su Maria: la storia vera
della fanciulla che divenne mito” (Rizzoli, Milano); “Indagine sulla vita eterna”
(Mondadori, Milano); “Introduzione a Eckhart -- profilo e testi” (Lettere,
Firenze); “L'Anti-Cristo: storia e mito” (Mondadori, Milano); “All'ultimo papa:
lettere sull'amore, la grazia, la libertà” (Saggiatore, Milano); “VIO contro
Lutero e il falso evangelo” (de' Medici, Firenze); “Il muro del paradisoL dialoghi
sulla religione” (Medici, Firenze); “Mistica, psicologia, teologia” (Lettere,
Firenze); liceo ginnasio Michelangiolo, Firenze. Mancuso, Lutero è vivo e lotta
con noi, s.a., in: <Panorama> Azzarà, su Materialismo Storico Bio-
Givone, Luce mistica dei moderni in: «Il ManifestoAlias», in il manifesto
Alias, V., Mistica e filosofia, Prefazione, Firenze, Le Lettere, Mucci, Il
pensiero di V., in «La Civiltà Cattolica»; Reale, Il misticismo vive in tutte
le culture. Il testo di V., le «Upanishad» riedite, su corriere. Torno, Alla
ricerca della grazia nel segno di Eckhart, «Corriere della Sera», Cultura, Forte,
Mistica, l’enigma dell’altro, in «Avvenire», Schiavolin, Mistica e filosofia in
V. (Nerbini, Firenze). Mistica Misticismo cristiano Mistica renana Meister
Eckhart Hadot Henri Le Saux. Marco Vannini. Vannini. Keywords: the mystic, das
mystische, la scuola di mistica fascista. Refs.: The H. P. Grice Papers,
Bancroft MS – Luigi Speranza, “Vannini e Grice: il mistico di ‘Vitters’ – The
Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.
Grice e Vario: la
ragione conversazionale della filosofia della vita a Roma – Philosophy of Life
-- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library
(Roma). Filosofo italiano.
L’orto. Friend of FILODEMO (vedi). A poet. One of his works, “On death,” was
doubtless shaped by L’Orto. He had a significant influence on VIRGILIO (vedi).
His tutor was SIRO (vedi). Lucio
Vario Rufo. Per H. P. Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool Library, Villa
Speranza.
Grice e Varisco: la ragione
conversazionale, o l’implicatura conversazionale del sommario di criticismo –
filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool
Library (Chiari). Essential
Italian philosopher. Filosofo italiano.
Grice: “We all learned about the ‘gnothi seauton’ at Clifton – Varisco composed
a full tract about it! Calogero has analysed the implicatures! The idea is that
you need a ‘thou’ to tell ‘thou’ ‘knowest THYself” – although the oracular
mystique is still there!” – Insegna filosofia a Roma e senator. La sua formazione filosofica coincide con la crisi
del positivismo. Si laurea a Pavia. Partendo da posizioni solidamente
scientifiche, V. avverte sollecitamente il limite di ogni conoscenza che voglia
essere esclusivamente composto di ragione, e scopre insieme la concomitante
componente fideistica di ogni affermazione di verità. Questo ricorso alla
fede come sentimento del sopra-naturale è utilizzato da V. sia per affermare la
preminenza della filosofia come conoscenza concreta sui processi astrattivi
della scienza -- “I massimi problemi” (Milano, Libreria Editrice Milanese) -- sia
per approdare ad uno spiritualismo pluralistico con forti accentuazioni
teistiche -- “Dall'uomo a Dio” (Padova, Milani). Altre saggi: “Scienza ed
opinione” (Roma, Alighieri); “La patria” (Roma, Provenzani), “Conosci te
stesso” (Milano, Libreria Milanese); “La scuola per la vita” (Milano, Isis); “Linee
di filosofia critica” (Roma, Signorelli); “Discorsi politici” (Roma, Alberti);
“Sommario di filosofia” (Roma, Signorelli). Cavaliere dell'Ordine della Corona
d'Italia nastrino per uniforme ordinaria cavaliere dell'Ordine della corona
d'Italia, ufficiale dell'Ordine della Corona d'Italia nastrino per uniforme
ordinaria Ufficiale dell'Ordine della Corona d'Italia, Commendatore dell'Ordine
della Corona d'Italia nastrino per uniforme ordinaria Commendatore dell'Ordine
della Corona d'Italia. Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine della Corona
d'Italia nastrino per uniforme ordinaria Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine della
Corona d'Italia. Senatori d'Italia, Senato della Repubblica. Varisco. Keywords:
know theyself, oracular implicature, Calogero. Refs.: The H. P. Grice Papers,
BANC MS, -- Luigi Speranza, “Grice e Varisco: per un sommario di filosofia
critica” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.
Grice e Varrone: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale della semiotica filosofica –
filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Rieti). Filosofo italiano. Grice: “I count Varrone as the
first language philosopher. He woke up one day, and realised he was speaking
‘lingua latina,’ and dedicated 36 volumes to it!” --. Grice: “’Lingua latina’
has a nice Roman ring to it. In modern Italian, the ‘t’ has become an ‘z,’ as
in “Lazio, -- the calcio team from
Latium – or a ‘d’ as in ‘ladino.’” Grice: “I know his Loeb edition by heart!” – Grice:
“The Greeks never studied their lingo as Varro studied his! Of this Austin
always reminded me: ‘We should be like Varro, analysing our tongue as a ‘fluid’
semiotic system!’”. Academic, Roman polymath, author of essays on language,
agriculture, history and philosophy, as
well as satires, and principal conversationalist in CICERONE’s
"Academica.” Questore della repubblica
romana. Gens: Terentia. Questura in Illyricum. Pro-pretura in Spagna. Tu ci hai
fatto luce su ogni epoca della patria, sulle fasi della sua cronologia, sulle
norme dei suoi rituali, sulle sue cariche sacerdotali, sugli istituti civili e
militari, sulla dislocazione dei suoi quartieri e vari punti, su nomi, generi,
su doveri e cause dei nostri affari, sia divini che umani -- CICERONE,
Academica Posteriora. Detto reatino, attributo che lo distingue da “Varrone
Atacino,” vissuto nello stesso periodo. Nato da una famiglia di nobili origini,
ha rilevanti proprietà terriere in Sabina, dove e educato con disciplina e
severità dai familiari, integrate dall'acquisto di lussuose ville a Baia e
fondi terrieri a Tusculum e Cassino. A Roma compe studi avanzati presso i
migliori maestri del tempo. Lucio Elio Stilone PRECONINO (vedi) lo fa appassionare
anche agli studi etimologici ed oratoria. Studia la lingua italiana con Lucio ACCIO
(vedi), a cui dedica “De antiquitate litterarum.” Come molti romani, compe un grand
tour in Grecia, dove ascolta filosofi accademici come Filone di Larissa e
Antioco di Ascalona, da cui deduce una posizione filosofica di tipo
eclettico. A differenza di molti altri filosofi del tempo, non si ritira
dalla vita politica ma, anzi, vi prende parte attivamente accostandosi agl’optimates,
forse anche influenzato dall'estrazione sociale. Dopo aver, infatti, percorso
le prime tappe del cursus honorum – trium-viro capitale, questore, e legato -- e
vicino a POMPEO, per il quale ricopre incarichi di grande importanza. Legato e
pro-questore, combatte nella guerra contro i pirati difendendo la zona navale
tra la Sicilia e Delo. Allo scoppio della guerra civile e propretore. In
una guerra che vede i romani contro i romani, tenta un’incerta difesa del suo
territorio che si concluse in una resa che GIULIO (vedi) CESARE (vedi), nei
Commentarii de bello civili, define poco gloriosa. Dopo la disfatta dei
pompeiani, si avvicina, comunque, a GIULIO CESARE, che apprezza il reatino
soprattutto sul piano culturale, affidandogli la costituzione di una biblioteca.
Dopo l’assassinio di GIULIO CESARE, anzi, e inserito nelle liste di
proscrizione sia di MAR’ANTONIO che di OTTAVIANO -- interessati più alle sue
ricchezze che a punire i congiuranti -- da cui si salva grazie all'intervento
di Fufio CALENO (vedi) per poi avvicinarsi a OTTAVIANO a cui dedica il “De vita
populi Romani” volto alla divinizzazione della figura di GIULIO CESARE. Ha una
produzione di oltre 620 libri, suddivisi in circa settanta opere. Saggi: “De
re rustica” (Varrone) e “De lingua Latina”. La sua vasta produzione è suddivisa
da Girolamo in un catalogo. Le sue opere di sono verosimilmente 74, suddivise
in 620 volumi, sebbene stesso egli rifere di aver scritto 490 saggi. I suoi
saggi possono essere suddivise in vari
gruppi, dalle opere di erudizione, filologia (filosofia del linguaggio, o
semantica) e storia a quelle giuridiche e burocratiche, dalle opere di
filosofia (filosofia del linguaggio, semantica, semiotica) e agricoltura alle
opere di poesia, di linguistica e letteratura; di retorica e diritto, con ben
15 libri De iure civili; di filosofia. Di questa enorme produzione è
pervenuta quasi integra solo un'opera, il “De re rustica”. Del “De lingua
Latina” sono pervenuti solo 6 libri su 25. Probabilmente, causa del quasi
completo naufragio della immane varroniana è che, avendo compulsato tanta parte
della cultura romana precedente, divenne la fonte indispensabile per i filosofi
successivi, perdendosi, per così dire, per assimilazione. Della sua attività
filologica fa testimonianza il cosiddetto canone varroniano, elaborato a
partire da due opere, le “Quaestiones Plautinae” e il “De comoediis Plautinis”,
in cui riparte il corpus plautino, che include 130 fabulae. Di queste, 21 vengono
definite autentiche, 19 di origine incerta (dette "pseudo-varroniane”); le restanti, spurie. Si occupa soprattutto
di antiquaria, con i 41 libri di “Antiquitates”, il suo capolavoro, divisi in
25 di “res humanae” e 16 di “res divinae”, fonte precipua di AGOSTINO nel “De
civitate Dei.” Proprio d’AGOSTINO si evidenzia l'attenzione di V. sulla
religione civile, con una compiuta disamina su culti e tradizioni, pur con
acute critiche alla teologia mitica dei poeti in nome di una theologia
naturalis. A questo gruppo appartiene anche l'opera, non pervenuta, “De
bibliothecis”, presumibilmente legata alle incombenze come bibliotecario
affidategli da GIULIO CESARE. Nell'ambito filosofico, notevoli dovevano
essere “I logistorici” -- dal greco “discorsi di storia” -- in 76 libri,
composta in forma di dialogo in prosa, di argomento morale e antiquario, in cui
ogni libro prende il nome di un personaggio storico e un tema di cui il
personaggio costituiva un modello, come il “Mario”, “de fortuna” o il “Cato”, “de
liberis educandis”. Questi dialoghi storico-filosofici sono tra i modelli
espositivi del “Lelio”; “de amicitia” e del “Catone maggiore”, “de senectute” di
CICERONE. Al suo interesse filosofico e divulgativo, probabilmente scritte
lungo tutto il corso della sua parabola culturale, riconducevano le “Saturae
Menippeae”, che prendeno come modello Menippo, esponente della filosofia cinica
-- da cui il nome. Le “Saturae Menippeae” si componevano di 150 libri, in prosa
e in versi, di cui però ci rimangono circa 600 frammenti e novanta titoli, di
argomento soprattutto filosofico, ma anche di critica dei costumi, morale, con
rimpianti sui tempi antichi in contrasto con la corruzione del presente.
Ciascuna satira reca un titolo, desunto da proverbi (“Cave canem” -- con
allusione alla mordacità dei filosofi cinici) o dalla mitologia (“Eumenide”
contro la tesi stoico-cinica per cui gl’uomini sono folli, “Trikàranos”, il
mostro a tre teste, con un mordace riferimento al primo triumvirate, ed era
caratterizzata da lessico popolaresco, polimetria e, come in Menippo, uno stile
tragi-comico. Valerio Massimo, Aulo Gellio. Ce ne parla lui stesso in “De
lingua latina”. Cicerone, Academica posteriora, Appiano, Guerre civili. Varrone,
De re rustica. Svetonio, Cesare, Appiano, Ausonio, Commemoratio professorum
Burdigalensium, Chronicon, ann. Aulo Gellio, Gellio, I cui frammenti sono editi
nell’edizione di Cardauns: “Antiquitates rerum divinarum” Cfr. Zucchelli, V.
logistoricus. Studio letterario e prosopografico, Parma, Cfr., ad esempio, il
Fr. XIX Riese: "Da ragazzo, avevo solo una tunica modesta e una toga,
calzature senza fascette, un cavallo non sellato; bagno giornaliero, niente e,
davvero di rado, una tinozza". Horsfall,
V., in Letteratura Latina (Milano, Mondadori). Cfr. Salanitro, Le Menippee di V.:
contributi esegetici e linguistici (Roma, Ateneo). Sulla satira varroniana,
cfr. Alfonsi, Le Menippee di V., in "ANRW". Atti del Congresso di
studi varroniani. Rieti, CENTRO DI STUDI VARRONIANI. Cenderelli, “Varroniana” Istituti
e terminologia giuridica nelle opere di V. (Milano, Giuffrè); Dahlmann, “V. e
la teoria della lingua” (Napoli, Loffredo), Corte, “V., il terzo gran lume
romano” (Genova, Istituto universitario di Magistero); “De vita populi Romani” Introduzione
e commento, Pisa; Riposati, “V. De vita populi Romani”. Fonti, esegesi, edizione
critica dei frammenti (Milano, Vita e pensiero), Riposati, “V.: l'uomo e il filosofo”
(Roma Istituto di studi romani); Traglia, Introduzione a V., “Opere” (Torino, POMBA),
Zucchelli, “V. logistoricus: prosopo-grafica”, Parma, Istituto di lingua e
letteratura latina, Satira menippea Biblioteche romane Antiquitates rerum
humanarum et divinarum Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Dizionario di
storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. V. “De lingua Latina libri qui supersunt:
cum fragmentis ejusdem” Biponti, ex typographia societatis. Biblioteca degli
scrittori latini con traduzione e note: “V. quae supersunt opera” Venetiis,
excudit Antonelli, “Grammaticae Romanae Fragmenta”, Gino Funaioli, Lipsiae, in
aedibus Teubneri. “M. Terenti
Varronis saturarum menippearum reliquiae” -- cur. Riese, Lipsiae, in aedibus
Teubneri. In passing from Rome to Rieti we enter a different world. One
rightly speaks of the Greco-Roman era as a period of unified civilisation
around the Mediterranean area, but the respective roles of the Italotes and the
Romns are dissimilar, if complementary. Without the other, the
contribution of either would have been less significant and less
productive. The Romans have for long enjoyed contact with Hellenic and
Etrurian material culture and intellectual ideas, and further through the Greek
settlements in the south of Italy: Sicily and Magna Grecia.The Romans learned to
write from the western Greeks. But the Hellenic world fell progressively
within the control of Rome, by now the mistress of the whole of Italia The
expansion of Roman rule becomes complete, and the Roman Empire, as it now is,
achieves a relatively permanent position, which, with fairly small-scale
changes in Britain and on the northern and eastern frontiers, remains free of
serious wars for years. The second half of this period earns Gibbon's
encomium, 'If a man were called to fix the period in the history of the
world during which the condition of the human race is most happy and
prosperous, he would, without hesitation, name that which elapsed from the
death of DOMIZIANO to the accession of COMMODO.' In taking over the Hellenic
world, the Romans bring within their sway whatever they find on the way.The intellectual
background of Etruria and the Hellenes and the polical unity and freedom of
intercourse provided by Roman stability are the conditions in which the Roman
Empire shines. To the Romans, Europe and much of the entire modern world owe
the origins of their intellectual, moral, political and religious civilisation. From
their earliest contacts, the Romans cheerfully acknowledge the superior
pompousness of the Greeks – by which they included the Etrurians. Linguistically,
this is reflected in the different languages of the eastern and the western
provinces. In the western half of the Roman empire, where no contact had
been made with a recognised civilization, Latin
-- which subsists in Italian – becomes he language of administration,
business, law, learning, and social advancement. Ultimately, Latin
displaces the former languages of most of the western provinces, and becomes in
the course of linguistic evolution the modern Romance, or Neo-Latin, languages
of contemporary Europe, notably French (Italian is no romance; Italian IS
Latin!). In the east, however, already largely under Hellenic administration
since the Hellenistic period, Greek retains the position it has already
reached. Roman officials often complain about having to learn and use Greek in
the course of their duties, and Hellenic philosophy was quite respected for its
eccentricity. Ultimately this linguistic division is politically recognized in
the splitting of the Roman Empire into the Western and the Eastern Empires,
with the new eastern capital at COSTANTINO’s Constantinople enduring as the
head of the Byzantine dominions through much trial and tribulation up to the
beginning of the western Renaissance. The accepted view of the relation
between Roman rule and Hellenic civilization is probably well represented in
Vergil's summary of Rome's place and duty: let others (i.e. the Greeks)
excel if they will in the arts, while Rome keeps the peace of the world. During
the years in which Rome rules the western civilised world, there must have been
contacts between speakers of Latin and speakers of other languages at all
levels and in all places. Interpreters must have been in great demand, and
the teaching and learning of Latin -- and, in the eastern provinces, of Greek
-- must have been a concern for all
manner of persons both in private households and in organized
schools. Translations are numerous. Greek literature is
systematically translated into Latin. So much did the prestige of Greek
writing prevail, that Latin poetry abandons its native metres and was composed
during the classical period and after in metres learned from the Greek
poets. This adaptation to Latin of Greek metres find its culmination in
the magnificent hexameters of VIRGILIO and the perfected elegiacs of OVIDIO. It
is surprising that we know so little of the details of all this linguistic
activity, and that so little writing on the various aspects of linguistic
contacts is either preserved for us or known to have existed. The Romans are
aware of multi-lingualism as an achievement. AULO GELLIO tells of the
remarkable king Mithridates of Ponto who was able to converse with any of his
subjects, who fell into more than twenty different speech communities. In linguistic
science, the Roman experience is no exception to the general condition of their
relations with Greek intellectual work. Roman linguistics is largely the
application of Greek philosophy, Greek controversies, and Greek categories to
the Latin language. The relatively similar basic structures of the two
languages, together with the unity of civilization achieved in the Greco-Roman
world, facilitate this meta-linguistic transfer. The introduction of
linguistic studies into Rome is credited to one of those picturesque anecdotes
that lighten the historian's narrative. CRATES, a philosopher of the Porch
and grammarian, comes to Rome on a political delegation, and while sightseeing,
falls on an open drain and is detained in bed with a broken leg. CRATES
passes the time while recovering in giving lectures on literary themes to an
appreciative audience. It is probable that Crates as a philosopher of the
PORCH introduces mainly that doctrine in his teaching. But Greek philosophers and
Greek philosophy enter the Roman world increasingly in this period, and by the
time of V., both Alexandrian and Stoic opinions on language are known and
discussed. V. is the first serious Latin philosopher on linguistic
questions of whom we have any records. V. is a polymath, ranging in his
interests through agriculture, senatorial procedure, and Roman
antiquities. The number of his writings is celebrated by his
contemporaries, and his "De lingua Latina", wherein he expounds his
linguistic opinions, comprise XXV volumes, of which books V and VI and some
fragments of the others survive. One major feature of V.’s linguistic philosophy
is his lengthy exposition and formalization of the opposing views in the
analogy-anomaly controversy, and a good deal of his description and analysis of
Latin appears in his treatment of this problem. He is, in fact, one of the
main sources for its details, and it has been claimed that he misrepresents it
as a matter of permanent academic attack and counter-attack, rather than as the
more probable co-existence of opposite tendencies or attitudes. V.'s style
is criticised as unattractive, but on linguistic questions he is probably the
most original of all the Latin philosophers. V. is much influenced by the
philosophy of the Porch, including that of his own teacher STILONE. But V. is
equally familiar with Alexandrian doctrine, and a fragment purporting to
preserve his definition of grammar, 'the systematic knowledge of the usage of
the majority of poets, historians, and orators' looks very much like a direct
copy of Thrax's definition. On the other hand, V. appears to use his Greek
predecessors and contemporaries rather than merely apply them with the minimum
of change to Latin. His statements and conclusions are supported by argument
and exposition, and by the independent investigation of earlier stages of the
Latin language. V. is much admired and quoted by later philosophers,
though in the main stream of linguistic theory his treatment of Latin grammar does
not bring to bear the influence on the successors to antiquity that more
derivative scholars such as PRISCIANO does, who set themselves to describe
Latin within the framework already fixed for Greek by Thrax's Techne and the
syntactic works of Apollonius. In the evaluation of V.'s work on language
we are hampered by the fact that only two of the XXV books of the “De lingua
Latina” survive. We have his threefold division of linguistic studies,
into etymology, morphology, and syntax, and the material to judge the first and
second.V. envisages language developing from an original set of primal words,
imposed on things so as to refer to them, and acting productively as the source
of large numbers of other words through subsequent changes in letters, or in
phonetic form -- the two modes of description comes to the same thing for him.. These
changes take place in the course of years. An earlier forms, such as
"duellum" for classical "bellum", V. cites as an instance. At
the same time, a *meaning* may change, as, for example, the meaning of “hostis”,
once 'stranger', but in V.'s time, 'enemy.' These etymologico-semantic
statements are supported by scholarship. But a great deal of V.’s etymology
suffers from the same weakness and lack of comprehension that characterizes Hellenic
work in this field. "Anas", from "nare", to swim, “vitis,”
from “vis;” “cilra, “care, from “cor iirere,” are sadly typical both of V.’s
philosophy and of Latin etymological studies in general. A fundamental
ignorance of linguistic history is seen in V.'s references to Hellenism. A
similarity in a form bearing comparable meanings in Latin and Greek is obvious.
Take the first personal pronoun: 'ego.' Some similarities are the produ.ct of
historical loans at various periods once the two communities made indirect and
then direct contact. Other similarities are the joint descendants of an earlier
common Aryan forms whose existence may be inferred and whose shape may to some
extent be reconstructed by the methods of comparative and historical
linguistics. But of this, V., like the rest of antiquity, has no
conception. All such bunch is jointly regarded by him as a direct loan
from the conquered Greek, whose place in the immediate history of Latin is
misrepresented and exaggerated as a result of the Romans’ consciousness of their
cultural debt to Greece and mythological associations of Greek heroes -- and
their enemies, like Aeneas! -- in the story of the founding of Rome. In his
conception of vocabulary growing from alterations made to the forms of primal
words, V. unites two separate considerations: historical etymology and the
synchronic formation of derivations and inflexions. Certain canonical
members of paradigmatically associated word series are said to be primal -- all
the others resulting from “declinatio”, the formal process of change. A derivational
prefix is given particular attention. One must regret V.’s failure to
distinguish two linguistic dimensions, because, as with other linguistic
philosophers in antiquity, V.’s synchronic descriptive observations are much
more informative and perceptive than his attempts at historical
etymology. As an example of an apparent awareness of the distinction, one
may note V.’s statement that, within Latin, "equitiittis" and
"eques" -- stem "equit-" – may be associated with and
descriptively referred back to "equus". But that no further
explanation on the same lines is possible for "equus". Within Latin, ‘equus’
is primal. Any explanation of its form and its meaning involves a dia-chronic
research into an earlier stages of the Indo-European family and cognate forms
in languages other than Latin. In the field of word form variations from a
single root, both derivational and inflexional, V. rehearses the arguments for
and against analogy and anomaly, citing Latin examples of regularity and of
irregularity. Sensibly enough, V. concludes that both the principle of
analogy and the principle of anomaly must be recognized and accepted in the
word formations of a language and in the meanings associated with them. In
discussing the limits of strict regularity in the formation of words V. notices
the pragmatic nature of language, with its vocabulary more differentiated in
culturally important areas than in others. Thus "equus" and
"equa" have separate forms for the male and female animal, because
the sex difference is important to the Romans. But "corvus" does not,
because in them the difference is not important to Romans. Once this is true of
"columba" -- formerly all designated by the feminine noun. But since
"columbae" are domesticated, a separate, analogical, masculine form
"columbUS" is ‘coined.’ V. further recognises the possibilities open
to the individual, particularly in poetic diction, of variations or anomalies
beyond those sanctioned by majority usage or 'ordinary language', a conception
not remote from the Saussurean interpretation of langue and parole. One of
V.'s most penetrating observations in this context is the distinction between
derivational and inflexional formation, a distinction not commonly made in
antiquity. One of the characteristic features of inflexions is their very
great generality. Inflexional paradigms contain few omissions and are mostly
the same for all speakers of a single dialect or of an acknowledged standard
language. This part of morphology V. calls 'declinatio naturalis’,
because, given a word and its inflexional class, we can infer its other forms. By
contrast, synchronic derivations vary in use and acceptability from person to
person and from one word root to another. From "ovis" and
"sus" are formed "ovile" and "suile.” But
"bovile" is *not* acceptable to V. from "bos" -- although
rustic CATONE is said to have used the form as opposed to the more standard
"bubile.” The facultative and less ordered state of this part of
morphology, which gives a language much of its flexibility, is distinguished by
V. in what he dubs ‘declinatio VOLUNTARIA.’ V. shows himself likewise original
in his proposed morphological classification of Latin words. His use in
this of the morphological categories shows how V. understands and makes use of
Greek sources without deliberately copying their conclusions. V. recognises,
as the Greeks do, case and tense as the primary distinguishing categories of
inflected words, and sets up a quadripartite system of FOUR inflexionally
contrasting classes. Those with case inflexion. Those with tense inflexion. Those
with case and tense inflexion. Those with neither. Noun (including Adjective).
Verbs. Participle. Adverb. These IV classes are further categorised as a forms
which, respectively, names, makes a statement, joins (i.e. shared in the syntax
of nouns and verbs), and supports (constructed with verbs as their subordinate
members). In the passages dealing with these IV classes, the adverbial examples
are all morphologically derived forms -- like "docte" and
"lecte". V.’s definition would apply equally well to the un-derived
and mono-morphemic adverbs of Latin -- like "mox" and
"eras". But these are referred to elsewhere among the uninflected,
invariable or 'barren,’ sterile, words. A full classification of the
invariable words of Latin would require the distinction of syntactically
defined sub-classes such as Thrax used for Greek and the later Latin
grammarians took over for Latin. But, from his examples, it seems clear that
what was of prime interest to V. is the range of grammatically different words
that may be formed on a single common root -- e.g. "lego" (VERB –
CLASS II) , "lector" – NOUN, CLASS I --, "legens" –
PARTICIPLE, CLASS III -- and "lecte" – ADVERB – CLASS IV. In his
treatment of the verbal category of tense, Varro displays his sympathy with the
doctrine of the Porch, in which two semantic functions are distinguished within
the forms of the tense paradigms, time reference and ‘aspect.’ In his analysis
of the VI INDICATIVE indicative tenses, active and passive, the *aspectual* division,
incomplete-complete, is the more fundamental for V., as each aspect regularly
shares the same stem form, and, in the passive voice the *completive* aspect
tenses consists of *two* expressions, though V. claims that, erroneously, most
people only consider the time reference dimension. IS Active Time past present
future Aspect incomplete DISCIBAM I
was DISCO I learn DISCAM I shall learning learn complete DIDICERAM
I had DIDICI I have DIDICERII I shall learned learned have learned
Passive incomplete AMTIBAR I was AMOR I am AMITBOR I shall be loved loved loved complete AMTITUS
I had AMTITUS I have AMIITUS I
shall ERAM been sum been ERA have been loved loved loved The Latin future
perfect is in more common use than the corresponding Greek (Attic) future
perfect. V. puts the Latin perfect tense forms DIDICI, etc., in the present *completive*
place, corresponding to the place of the Greek perfect tense forms. In what we
have or know of his writings, V. does not appear to have allowed for one of the
major differences between the Greek and Latin tense paradigms -- viz. that, in
the Latin perfect tense, there is a syncretism of a simple past meaning ('I
did'), and a perfect meaning ('I have done') -- corresponding to the Greek
aorist and perfect respectively. The Latin perfect tense forms belong in *both*
completive and non-completive aspectual categories, a point clearly made later
by PRISCIANO in his exposition of a similar analysis of the Latin verbal
tenses. If the difference in use and meaning between the Greek and Latin
perfect tense forms seems to escape V.'s attention, the more obvious contrast
between the V-term case system of Greek and the *VI*-term system of Latin forces
itself on him, as it does on anyone else who learned both languages. Latin
formally distinguished an ABLATIVE CASE. 'By whom an action is performed' is
the gloss given by V.. THE ABLATIVE CASE shares a number of the meanings and
syntactic functions of both the Greek GENITIVE and DATIVE case forms. V. takes
the NOMINATIVE form not as a casus but as as the canonical word forms, from
which the oblique forms -- cases -- are developed. Like his Greek colleagues
across the pond, V. contents himself with fixing on one stereo-typical meaning
or relationship as definitive for each case. V., who was no Cicero – ‘he is a
Varro’ implicates ‘he is a know-it-all’ in Roman -- mistranslates ‘aitiatike
ptosis’ by ACCUSATIVUS rather than the more correct, CAUSATIVUS. V. is probably
the most independent and original philosopher on linguistic topics among the
Romans. After V. we can follow discussions of existing questions by several philosophers
with no great claim on our attention. Among others, GIULIO CESARE – the
well-known general assassinated by the senators -- is reported to have turned
his mind to the analogy-anomaly debate while crossing the Alps on a campaign. Thereafter,
the controversy gradually fades away. PRISCIANO uses ‘analogia’ to mean
the regular inflexion of an inflected word, without mentioning ‘anomalia’. ‘Anomalia’
appears occasionally among the late grammarians.V.'s ideas on the
classification of Latin words have been noticed. But the word class system that
is established in the Latin tradition enshrines in the ‘saggi’ of PRISCIANO and
the late Latin ‘philosophical’ grammarians – cf. CAMPANELLA, ‘Grammatica
filosofica’ -- is much closer to. the one given in Thrax's Techne. The
number of classes remains now at VIII, with one change. A class of words
corresponding to the Greek definite article ‘ho,’ ‘he,’ ‘to,’ does not exist
in Latin. The definite article of Italian
develops later from weakened forms of the demonstrative pronoun ‘ille’ (il) and
‘illa’ (la). The Greek *relative* pronoun is morphologically similar to the
article and classed with it by Thrax and Apollonius. In Latin, the
relative pronoun – ‘qui’, ‘quae’, and ‘quod’ -- is morphologically akin to the
interrogative pronoun – ‘quis’, ‘quid’ -- and both are classed together either
with the noun or the pronoun class. In place of the article, Latin
grammarians recognise the ‘interjection’ as a separate ‘pars orationis’,
instead of treating it as a subclass of adverbs as Thrax and Apollonius do. PRISCIAN
regards the separate status of the interjection as common practice among Latin
scholars. But the first philosopher who is known to have dealt with it in this
way is REMMIO PALEMONE, a grammatical and literary scholar who defines the
interjection as having no statable meaning but merely indicating – via natural
meaning, as H. P. Grice would have it – emotion, as in Aelfric he he versus ha
ha (Roman versus English laughter). PRISCIANO lays more stress on the syntactic
independence of the interjection in sentence structure. QUINTILIANO, a Spaniard,
not a Roma, is PALEMONE’s pupil. This Spaniard writes extensively on education,
and in his “Institutio aratoria”, wherein he expounds his opinions, he dealt
briefly with ‘GRAMMATICA’ – the first of the trivial arts -- , regarding it as
a propaedeutic to the full and proper appreciation of literature in a liberal
education, in terms very similar to those used by Thrax at the beginning of the
Techne. In a matter of detail, QUINTILIANO discusses the analysis of the Latin
case system, a topic always prominent in the minds of Latin scholars who knew
Greek by default (Who didn’t have a Greek slave?). QUINTILIANO suggests
isolating the instrumental use of the ABLATIVE -- "gladiii" -- as
case VII, since, as he notes, this instrumental use of the ablative case has
nothing in common semantically with the other meanings of the ablative. A separate
‘instrumental’ case forms is found (but a Spaniard wouldn’t know) in Sanskrit,
and may be inferred for unitary Indo-european, though the Greeks and Romans
knew nothing of this. It was and is common practice to name the cases by
reference to one of their meanings – DATIVUS, 'giving', ABLATIVUS, 'taking away', etc. -- but
their formal identity as members of a VI-term paradigm rests on their meaning,
or more generally, their meanings, and their syntactic functions being
associated with a morphologically distinct form in at least some of the members
of the case inflected word classes. PRISCIAN and DONATO see this, and in
view of the absence of any morphological feature distinguishing an alleged instrumental
use of the ablative case forms from their other uses, PRISCIANO explicitly
reproves of such an addition to the descriptive grammar of Latin as redundant –
or “supervacuum,” as he said for ‘otiose.’ The work of V., QUINTILIANO, shows
the process of absorption of Greek linguistic theory, controversies, and
categories, in their application to the Latin language. But Latin
linguistic scholarship is best known for the formalization of descriptive Latin
grammar, to become the basis of all education in later antiquity and the
traditional schooling of the modern world. The Latin grammar of the
present day is the direct descendants of the compilations of the later Latin
grammarians, as the most cursory examination of PRISCIANO’s “Institutiones
grammaticae” will show. PRISCIANO’s grammar, comprising XVIII books and
running to nearly a thousand pages may be taken as representative of their
work. Quite a number of writers of Latin grammars, working in different
parts of the Roman Empire, are known to us. Of them DONATO and PRISCIANO are
the best known. Though they differ on several points of detail, on the
whole these philosopohical grammarians set out and follow the same basic system
of grammatical description. For the most part, Roman philosophical
grammarians show little originality, doing their best to apply the terminology
and categories of the Greek grammarians to the Latin language. The Greek
technical terms are given fixed translations with the nearest available Latin
word. ‘onoma’, ‘NOMEN’ ‘anto-nymia,’ ‘PRO-NOMEN’
‘syn-desmos,’ ‘CON-IUCTIO’ etc. In this procedure they had been encouraged by DIDIMO, a voluminous scholar, who states that every
feature of Greek grammar IS TO BE found in Latin. DIDIMO follows the word class
system of the PORCH, which included the article (absent in Latin) and the
personal pronouns in one class, so that the absence of a word form
corresponding to the Greek article does not upset him or his classification. Among
the Latin philosophical grammarians, MACROBIO gives an account of the
'differences and likenesses' of the Greek and the Latin verb, but it amounted
to little more than a parallel listing of the forms, without any penetrating
investigation of the verbal systems of the Latin language – his own, or Greek. The
succession of Latin philosophical grammarians through whom the accepted
grammatical description of the language is brought to completion and handed on
to the Middle Ages spanned the centuries until the foundation of Oxford. This
period covers the pax Romana and the unitary Greco-Roman civilization of the
Mediterranean that lasts during the first two centuries, the breaking of the
imperial peace in the third century, and the final shattering of the western
provinces, including Italy, by invasion from beyond the earlier frontiers of
the empire. Historically these centuries witness two events of permanent
significance in the life of the civilized world. In the first place,
Christianity – or the coming of the Galileans -- which, from a secular
standpoint, starts as the religion of a small deviant sect of Jewish zealots,
spread and extended its influence through the length and breadth of the empire,
until, in the fourth century, after surviving repeated persecutions and
attempts at its suppression, it is recognized as the official religion of the
state! (Except Giuliano). Its subsequent dominance of European thought (except
Luther) and of all branches of learning for the next thousand years is now
assured, and neither doctrinal schisms nor heresies, nor the lapse of an
emperor into apostasy could seriously check or halt its progress. As Christianity
gains the upper hand and attracts to itself men of learning, the scholarship of
the period shows the struggle between the old declining pagan standards of
classical antiquity and the rising generations of Christian apologists,
philosophers, and historians, interpreting and adapting the heritage of the
past in the light of their own conceptions and requirements. The second event is
a less gradual one, the splitting of the Roman world into two halves, east and
west. After a century of civil turmoil and barbarian pressure, Rome ceases
under DIOCLEZIANO to be the administrative capital of the empire, and his later
successor COSTANTINO transfers his government to a new city, built on the old
Byzantium and named Constantino-polis (literally: ‘my (kind of) town’). By the
end of the fourth century, the Roman empire is formally divided into an eastern
and a western realm, each governed by its own emperor (who often did not speak
to each other – and for whom there was no lingua franca to be found). This division
roughly corresponds to the separation of the old Hellenized area conquered by
Rome but remaining Greek in culture and language, and the provinces raised from
barbarism by Roman influence and Roman letters. Constantinople, assailed from
the west and from the east, continues for a thousand years as the head of the Eastern
Byzantine Empire, until it falls to the Turks. During and after the break-up of
the Western Empire, Rome endures as the capital city of the Roman Church, while
Christianity in the east gradually evolved in other directions to become the
Eastern Orthodox Church. Culturally one sees as the years pass on from the
so-called 'Silver Age' a decline in liberal attitudes, a gradual exhaustion of
older themes, and a loss of vigour in developing new ones. Save only in the
rising Christian communities, scholarship is backward-looking, taking the form
of erudition devoted to the acknowledged standards of the past. This is an era
of commentaries, epitomes, and dictionaries. The Latin grammarians, whose
oudook is similar to that of the Alexandrian Greek scholars, like them directed
their attention to the language of classical literature, for the study of which
grammar serves as the introduction and foundation. The changes taking place in
the spoken and the non-literary written Latin around them arise VERY little interest
– ‘the plebs use it!’ --; their works are liberally exemplified with texts, all
drawn from the prose and verse writers of classical Latin and their ante-classical
predecessors Plautus and Terence. How different accepted written Latin is becoming
may be seen by comparing the grammar and style of GIROLAMO's fourth translation
of the Bible (the Vulgate), wherein several grammatical features of the Romance
languages are anticipated, with the Latin preserved and described by the
grammarians, one of whom, DONATO, second only to PRISCIANO in reputation, was
in fact GIROLAMO’s teacher – and learned from him that God could be allowed a
solecism or two! The nature and the achievement of the Latin philosophical grammarians
can best be appreciated through a consideration of the work of their greatest
representative, PRISCIANO, who teaches Latin grammar in Constantino-polis. Though
PRISCIANO draws much from his Latin predecessors, his aim, like theirs, is to
transfer as far as he could the grammatical system of Thrax's Techne and of
Apollonius's writings to Latin. PRISCIANO’s admiration for Greek linguistic
scholarship and his dependence on Apollonius and his son ERODIANO, in
particular, 'the greatest authorities on grammar', are made clear in his
introductory paragraphs and throughout his grammar. PRISCIANO works
systematically through his subject, the description of the language of
classical Latin literature. Pronunciation and syllable structure are covered by
a description of the “littera’, defined as the smallest part of articulate
speech, of which the properties are “nomen”, the name of the letter, “figura”,
its written shape, and “potestas,” its phonetic value. All this had already
been set out for Greek, and the phonetic descriptions of the letters as
pronounced segments and of the syllable structures carry little of linguistic
interest except for their partial evidence of the pronunciation of the Latin
language. From phonetics PRISCIANO passes to morphology, defining the “dictio” and
the “oratio” in the same terms that Thrax uses, as the minimum unit of sentence
structure and the expression of a complete thought, respectively. As with the
rest of western antiquity, PRISCIANO’s grammatical model is word and paradigm,
and he expressly denies any linguistic significance to a division, in what
would now be called morphemic analysis, *below* the word. On one of his rare
entries into this field, PRISCIANO misrepresents the morphemic composition of
words containing the negative prefix “in-“ -- “indoctus” -- by identifying it
with the preposition “in.” These two morphemes, “in-“, negative, and “in-”, the
prefixal use of the preposition, are in contrast in “invisus”, which may negate
or strengthen the stem that follows (two words with two meanings, not a
polysemous expression). After a review of earlier theories of Greek linguists,
PRISCIANO sets out the classical system of VIII word classes laid down by Thrax
and Apollonius, with the omission of the article but the separate recognition
of the interjection. Each class of words is defined, and described by reference
to its relevant formal category and “accidentia,” whence the later accidence
for the morphology of a language, and all are copiously illustrated with
examples from classical texts. All this takes up XVI of the XVIII books, the
last II being devoted to syntax. PRISCIANO addresses himself (OBVIOUSLY) to
readers already knowing Greek, as Greek examples are widely used and
comparisons with Greek are drawn at various points, and the last hundred pages
are wholly taken up with the comparison of different constructions in the two
languages. Though Constantinopolis was a Greek-speaking city in a
Greek-speaking area, Latin is decreed the official language when the new city
was founded as the capital of the Eastern Empire. Great numbers of speakers of
Greek as a first language needed Latin teaching from then on. The VIII parts of
speech, or word classes, in PRISCIANO’s grammar may be compared with those in
Dionysius Thrax's Techne. Reference to extant definitions in Apollonius and PRISCIANO’s
expressed reliance on him allow us to infer that PRISICIANO’s definitions are
substantially those of Apollonius, as is his statement that each separate class
is known by its semantic content. “Nomen,” including adjectives. The property
of the noun is to indicate a substance and a quality, and it assigns a common
or a particular quality to every body or thing. The property of the VERBUM is
to indicate an action or a being acted on; it has tense and mood forms, but is
not case inflected. The PARTICIPIUM is a class of words always derivationally
referable to a VERBUM, sharing the categories of verbs and a NOMEN (tenses and
cases) -- and therefore distinct from both. This definition is in line with the
Greek treatment of these words. The property of the PRONOMEN is its
substitutability for a proper nouns and its specifiability as to person -- first,
second, or third. The limitation to proper nouns, at least as far as third
person pronouns are concerned, contradicts the facts of Latin. Elsewhere, PRISCIANO
repeats Apollonius's statement that a specific property of the PRONOMEN is to
indicate substance *without* quality, as a way of interpreting the lack of
lexical restriction on the NOMEN which may be referred to anaphorically by a
PRONOMEN. The property of the ADVERBIUM is to be used in construction with a VERBUM,
to which it is syntactically and semantically subordinate. The property of the PRAE-POSITIO
is to be used as a separate word before case inflected words and in composition
before both case-inflected and non-case-inflected words. PRISCIANO, like Thrax,
identifies the first part of words like “PRO-consul” and “INTER-currere”, as PRAE-POSITIO.
INTER-IECTIO is a class of words syntactically independent of a VERBUM, and
indicating a feeling or a state of mind. The property of the CON-IUCTIO is to
join syntactically two or more members of any other word class, indicating a
relationship between them. In reviewing PRISCIANO' s work as a whole, one
notices that in the context in which he is writing and in the form in which he
casts his description of Latin, no definition of grammar itself is found
necessary. Where other late Latin grammarians do define the term, they do no
more than abbreviate the definition given at the beginning of Thrax's Techne.
It is clear that the place of grammar, and of linguistic studies in general, in
education is the same as is precisely and deliberately set out by Thrax and
summarily repeated by QUINTILIANO. PRISCIANO's omission is an indication of the
long continuity of the conditions and objectives taken for granted during these
centuries. PRISCIANO organises the morphological description of the forms of
nouns and verbs, and of the other inflected words, by setting up canonical or
basic forms, in nouns the nominative singular and in verbs the first person
singular present indicative active. From these he proceeds to the other forms
by a series of letter changes, the letter being for him, as for the rest of
western antiquity, both the minimal graphic unit and the minimal phonological
unit. The steps involved in these changes bear no relation to morphemic
analysis, and are of the type that finds no favour at all in recent descriptive
linguistics, though under the influence of the generative grammarians somewhat
similar process terminologies are being suggested. The accidents or categories
in which PRISCIANO classes the formally different word shapes of the inflected
or variable words include both derivational and inflexional sets, PRISCIANO following
the practice of the Greeks in not distinguishing between them. V.’s important
insight is totally disregarded! But PRISCIANO is clearly informed on the theory
of the establishment of categories and of the use of semantic labels to
identify them. Verbs are defined by reference to action or being acted on. But
PRISCIANO points out that on a deeper consideration – SI QUIS ALTIUS CONSIDERET
-- such a definition would require
considerable qualification; and case names are taken, for the most part, from
just one relatively frequent use among a number of uses applicable to the
particular case named. This is probably more prudent, if less exciting, than
the insistent search for a common or basic meaning uniting all the semantic
functions associated with each single set of morphologically identified case
forms. The status of the VI cases of Latin nouns is shown to rest, not on the
actually different case forms of any one noun or one declension of nouns, but
on semantic and syntactic functions systematically correlated with differences
in morphological shape at some point in the declensional paradigms of the noun
class as a whole. The many-one relations found in Latin between forms and uses
and between uses and forms are properly allowed for in the analysis. In
describing the morphology of the Latin verb, PRISCIANO adopts the system set
out by Thrax for the Greek verb, distinguishing present, past, and future, with
a fourfold semantic division of the past into imperfect, perfect, plain past – aorist
-- and pluperfect, and recognizing the syncretism (as V. does not) of perfect
and aorist meanings in the Latin perfect tense forms. Except for the
recognition of the full grammatical status of the Latin perfect tense forms, PRISCIANO’s
analysis, based on that given in the Techne, is manifestly inferior to the one
set out by V. under the influence of THE PORCH. The distinction between
incomplete and complete aspect, correlating with differences in stem form, on
which V. lays great stress, is concealed, although PRISCIANO recognises the
morphological difference between the two stem forms underlying the VI tenses. Strangely,
PRISCIANO seems to have misunderstood the use and meaning of the Latin future
perfect, calling it the ‘future subjunctive’, though the first person singular
form by which he cited it – “scripsero” -- is precisely the form which
differentiates its paradigm from the perfect subjunctive paradigm – “scripserim”
-- and, indeed, from any subjunctive verb form, none of which show a first
person termination in -im. This seems all the more surprising because the
corresponding forms in Greek -- “tetypsomai”
-- are correctly identified. Possibly his reason was that his Greek
predecessors had excluded the future perfect from their schematization of the
tenses, in that this tense was not much used in Greek, and was felt to be an atticism.
A like dependence on the Greek categorial framework probably leads Priscian to
recognize both a subjunctive mood (subordinating) and an OPTATIVE mood
(independent, expressing a wish) in the Latin verb, although Latin -- unlike
Greek -- nowhere distinguishes these two mood forms morphologically, as PRISCIAN
in fact admits, thus confounding his earlier explicit recognition of the status
of a formal grammatical category. Despite such apparent misrepresentations, due
primarily to an excessive trust in a point for point applicability of Thrax's
and Apollonius's systematization of Greek to the Latin language, Priscian's
morphology is detailed, orderly, and in most places definitive. His treatment
of syntax in the last two books is much less so, and a number of the organizing
features that we find in modern grammars of Latin are lacking in his account.
They are added by later scholars on to the foundation of Priscianic morphology.
Confidence in PRISCIANO’s syntactic theory is hardly increased by reading his
assertion that the word order, most common in Latin, nominative case noun or
pronoun (subject) followed by verb is the NATURAL one, because the substance
(“homo”) is PRIOR to the action it performs (“currit”). Such are the dangers of
philosophising on an inadequate basis of empirical fact. In the syntactic
description of Latin, PRISCIANO classifies verbs on the same lines as had been
worked out for Greek by the Greek grammarians, into active (transitive),
passive, and neutral (intransitive), with due notice of the deponent verbs,
passive in morphological form but active or intransitive in meaning and syntax
and without corresponding passive tenses. Transitive verbs are those
colligating with an oblique case -- “laudo te”, “noceo tibi,” “ego miserantis”
-- and the absence of concord between oblique case forms and finite verbs is
noted. But the terms subject and object were not in use in PRISCIANO’s time as
grammatical terms, though the use of “subiectum” to designate the logical
subject of a proposition is common. PRISCIANO makes mention of the ablative
absolute construction, though the actual name of this construction is a later
invention. PRISCIANO gives an account and examples of exactly this use of the
ablative case -- me vidente puerum cecidisti -- and -- Augusto imperiitiire
Alexandria provincia facta est. Of the systematic analysis of Latin syntactic
structures PRISCIANO has little to say. The relation of subordination is
recognized as the primary syntactic function of the relative pronoun -- qui,
quae, quod -- and of similar words used to downgrade or relate a. verb or a
whole clause to another, main, verb or clause. The concept of subordination is
employed in distinguishing nouns (and pronouns used in their place) and verbs
from all other words, in that these latter were generally used only in
syntactically subordinate relations to nouns or verbs, these two classes of
word being able by themselves to constitute complete sentences of the
favourite, productive, type in Latin. But in the subclassification of the Latin
conjunctions, the primary grammatical distinction between subordinating and
coordinating conjunctions is left unmentioned, the co-ordinating “TAMEN”, being
classed with the sub-ordinating “QUAMQUAM” and “QUAMSI”. – cf. Grice on ‘if’ as
subordinating. Once again it must be said that it is all too easy to exercise
hindsight and to point out the errors and omissions of one's predecessors. It
is both more fair and more profitable to realise the extent of PRISCIANO’s
achievement in compiling his extensive, detailed, and comprehensive description
of the Latin language of the classical authors, which is to serve as the basis
of grammatical theory for centuries and as the foundation of Latin teaching up
to the present day. Such additions and corrections, particularly in the field
of syntax, as later generations need to make could lie incorporated in the
frame of reference that Priscian employs and expounds. Any division of
linguistics (or of any other science) into sharply differentiated periods is a
misrepresentation of the gradual passage of discoveries, theories, and
attitudes that characterizes the greater part of man's intellectual history.
But it is reasonable to close an account of Roman linguistic scholarship with PRISCIANO.
In his detailed -- if in places misguided -- fitting of Greek theory and
analysis to the Latin language he represents the culmination of the expressed
intentions of most Roman scholars once Greek linguistic work had come to their
notice. And this was wholly consonant with the general Roman attitude in
intellectual and artistic fields towards 'captive Greece' who 'made captive her
uncivilized captor and taught rustic Latium the finer arts. PRISCIANO’s work is
more than the end of an era. It is also the bridge between antiquity and the
Middle Ages in linguistic scholarship. By far the most widely used grammar, PRISCIANO’s
“Institutiones grammaticae” runs to no fewer than one thousand manuscripts, and
forms the basis of mediaeval Latin grammar and the foundation of mediaeval
linguistic philosophy – i modisti or philosophical grammarians. PRISCIANO’s grammar
is the fruit of a long period of Greco-Roman unity. This unity had already been
broken by the time he writes, and in the centuries following, the Latin west is
to be shattered beyond recognition. In the confusion of these times, the
philosophical grammarians, their studies and their teaching, have been
identified as one of the main defences of the classical heritage in the
darkness of the Dark Ages. ARENS, Sprachwissenschaft: der Gang ihrer
Entwicklung von der Antike bis zur Gegenwart, Freiburg. Bolgar, The classical
heritage and its beneficiaries, Cambridge. J. Collart, V. grammairien latin,
Paris. FEHLING, 'V. und die grammatische Lehre von der Analogie und der
Flexion', Glotta, LERSCH, Die Sprachphilosophie der Alten, Bonn, H. NETTLESHIP,
The study of grammar among the Romans, Journal of philology, ROBINS, Ancient
and mediaeval grammatical theory in Europe, London, JSANDYS, History of classical
scholarship, Cambridge, STEINTHAL, Geschichte der Sprachwissenschaft bei den
Griechen und Romern, Berlin. GIBBON, The decline and fall of the Roman Empire
(ed. BURY), London, VERGIL, Aeneid 6, Ssi-3:
Tu regere imperio populos, Romane, memento (hae tibi erunt artes), pacisque
imponere morem, parcere subiectis et debellare superbos. Noctes Atticae GEHMAN, The
interpreters of foreign languages among the ancients, Lancaster, Pa., FEHLING,
FUNAIOLI, Grammaticorum Romanorum fragmenta, Leipzig. Ars grammatica scientia est eorum quae a poetis
historicis oratoribusque dicuntur ex parte maiore. De lingua Latina CHARisrus,
Ars grammaticae I (KEIL, Grammatici, Leipzig). On Varro's linguistic theory in relation to modern
linguistics, cp. D. LANGENDOEN, 'A note on the linguistic "theory of V.',
Foundations of language 2, SUETONIUS, Caesar, GELLIUS, Noctes Atticae PRISCIANO, Institutio de nomine pronomine et
verbo 38, Institutiones grammaticae PROBUS, Instituta artium (H. KEIL,
Grammatici Latini), DIONYSIUS-THRAX, Techne BEKKER, Anecdota Graeca, Berlin,
APOLLONIUS DYSCOLUS, Syntax As noun, PRISCIAN as pronoun,- PROBUS, Instituta
(KEIL, Grammatici APOLLONIUS, De adverbio, BEKKER, Anecdota Graeca , CHARISIUS,
Ars grammaticae KEIL, Grammatici -- Nihil docibile habent, significant tamen
adfectum animi. QUINTILIAN, Institutio aratoria Their works are published in
KEIL, Grammatici Latini, Leipzig, PRISCIAN De figuris numerorum PRISCIAN De differentiis et societatibus
Graeci Latinique verbi, KEIL, Grammatici 5, Leipzig, Artis grammaticae maximi
auctores', dedicatory preface Dictio est pars minima orationis constructae; Oratio
est ordinatio dictionum congrua, sententiam perfectam demonstrans. Proprium est
nominis substantiam et qualitatem significare; Nomen est pars orationis, quae
unicuique subiectorum corporum seu rerum communem vel propriam qualitatem
distribuit. Proprium est verbi actionem sive passionem significate; Verbum est
pars orationis cum temporibus et modis, sine casu, agendi vel patiendi
significativum. Participium iure separatur a verbo, quod et casus habet, quibus
caret verbum, et genera ad similitudinem nominum, nee modos habet, quos
continet verbum; Participium est pars orationis, quae pro verba accipitur, ex
quo et derivatur naturaliter, genus et casum habens ad similitudinem nominis et
accidentia verba absque discretione personarum et modorum. The problems arising
from the peculiar position of the participle among the word classes, under the
classification system prevailing in antiquity, are discussed there. Proprium est pronominis pro ali quo nomine proprio
poni et certas significare personas; Pronomen est pars orationis, quae pro
nomine proprio uniuscuiusque accipitur personasque finitas recipit. Substantiam
significat sine aliqua certa qualitate. Proprium est adverbii cum verbo poni
nee s·ine eo perfectam significationem posse habere; Adverbium est pars
orationis indeclinabilis, cuius.significatio verbis adicitur. Praepositionis
proprium est separatim quidem per appositionem casualibus praeponi coniun~tim
vero per compositionem tam cum hahentibus casus quam cum non habentibus; Est
praepositio pars orationis indeclinabilis, quae praeponitur aliis partibus vel
appositione vel compositione. 48. IS-7·40: Videtur affectum habere in se Yerbi
et plenam motus animi significationem, etiamsi non addatur verbum, demonstrare.
Proprium est coniunctionis diversa nomina vel quascumque dictiones casuales vel
diversa verba vel adverbia coniungere; Coniunctio est pars orationis
indeclinabilis, coniunctiva aliarum partium orationis, quibus consignificat,
vim vel ordinationem demons trans. so. cp. MATTHEWS, 'The inflectional component of a word-and-paradigm
grammar', :Journal of linguistics HORACE, Epistles 2.1.156-7: Graecia capta
ferum victorem cepit et artes Intulit agresti Latio. .LOT, La fin du monde antique et le debut du moyen
age, Paris. Marco Terenzio Varrone. He led an active and sometimes
risky political life. Although he backed the wrong side in the civil war, he
survived. He was a pupil of Posidonio at Rome. He was influenced by Antioco
d’Ascalon. He wrote hundreds of works, most of which have since been lost.
Amongst them was an extended series of fictional philosophical dialgoues, the
Logistorici, in wich assorted Romans debated a variety of toipics, illustrating
the arguments with examples from history. Tertulliano calls him the Roman
Cynargo, perhaps because of some satires he wrote but it is highly unlikely
that he was a Cinargo. Better attested is his interest in Pythagoreanism, whose
cult he followed to the letter. Marco Terenzio Varrone. Varrone. Keywords: centro di
studi varroniani, idioma, idiom, lingua latina, lingua anglica, Lazio, Lazini,
la lingua del Lazio, Varrone, Prisciano, Donato, Girolamo, Giulio Cesare –
Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft, MS – Luigi Speranza, “Grice e Varrone:
semiotica filosofica” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.
Grice e Varzi:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale delle parole, degl’oggetti,
e degl’eventi – filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H.
P. Grice, The Swimming-Pool Library (Galliate). Filosofo italiano. Essential Italian philosopher. Some Italians do not
consider Varzi an “Italian” philosopher in that his maximal degree was earned
elsewhere! If philosophy is a branch of the belles lettres, part of Varzi’s
essays belong in English literature. He has written on ‘universal semantics.’ All'Trento. Grice: “Varzi rather freely uses
‘universal’ as in ‘universal semantics’ – while my own pragmatic rules have
been challenged universal status, by, of all people, Elinor Ochs!” Grice: “Some
Italians consider Varzi a specimen of ‘brain drain’ in more than one way: his
maximal degree was obtained without Italy, not within Italy, and not in Italian
– plus the fact that he is at Colombo’s Columbia!” Esponente
della filosofia analitica, è noto principalmente per le sue ricerche di logica
e per il suo contributo alla rinascita degli studi in ambito di metafisica e
ontologia. Laureatosi a Trento con una tesi, “La logica libera” stato
insignito della Targa Piazzi per la ricerca scientifica e del Premio Bozzi per
l'Ontologia. Dopo un periodo dedicato soprattutto allo studio
dell'immagine del mondo propria del senso comune, si è indirizzato
progressivamente verso posizioni di stampo nominalista e convenzionalista,
nella convinzione che buona parte della struttura che siamo soliti attribuire
alla realtà esterna risieda a ben vedere nella nostra testa, nelle nostre
pratiche organizzatrici, nel complesso sistema di concetti e categorie che
sottendono alla nostra rappresentazione dell'esperienza e al nostro bisogno di
rappresentarla in quel modo. Noto anche per la sua attività divulgativa, spesso
in collaborazione con Casati, ispirata al principio secondo cui la filosofia è
una sfida in cui il pensiero parte dalla semplicità delle cose quotidiane e ne
mostra la meravigliosa complessità. Saggi: “Semplicemente diaboliche”
(Laterza); “L’amicizia” (Orthotes); “I colori del bene, Orthotes,. L'incertezza
elettorale (Aracne). Le tribolazioni del filosofare. Comedia Metaphysica ne la
quale si tratta de li errori & de le pene de l’Infero (Laterza); Il mondo
messo a fuoco, Laterza, Il pianeta dove scomparivano le cose. Esercizi di
immaginazione filosofica, Einaudi, Ontologia, Laterza, Semplicità
insormontabili storie filosofiche, Laterza, Parole, oggetti, eventi e altri
argomenti di metafisica, Carocci. “Logica” McGraw-Hill Italia, Buchi e altre superficialità, Garzanti. Studi:
Casetta e Giardino, Mettere a fuoco il mondo. Conversazioni sulla
filosofia di V., Isonomia Epistemologica,
Calemi, V.. Logica, semantica, metafisica (Albo Versorio, Milano); Il mondo
messo a fuoco, Laterza. Dal risvolto di copertina di Semplicità insormontabili,
Laterza. Da questo libro è stato tratto lo spettacolo teatrale Insurmountable
Simplicities, per la regia di Glick, presentato dall'All Gone Theatre Company
all'edizione del New York International
Fringe Festival. Biografia "negativa" di V., su columbia. Intervista
ad V. di Caffo, Rivista italiana di filosofia analitica. Achille Varzi. Varzi. Keywords:
‘universal’. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Varzi:
semantica filosofica," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool
Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
Grice e Vasa: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale della RAGIONE E LA LIBERTÀ –
filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Aggius). Essential Italian philosopher. Filosofo italiano. Società
Filosofica Italiana Congresso Nazionale L'Aquila. Nacque al paese della Gallura
di forte e suggestivo paesaggio e di forti vicende. Compiuti in anticipo gli
studi secondari, anda a studiare filosofia a Milano dove si laurea. Insegna nel
liceo ginnasio “Arnaldo” di Brescia. Dove interrompere l’insegnamento a causa
della sua partecipazione alla Resistenza con il gruppo che fa capo a Parri.
Alla fine della guerra riprese l’insegnamento a Milano nel liceo classico
Carducci nel liceo ginnasio Manzoni. Ottenne la libera docenza. Assistente
volontario e poi incaricato di filosofia, Milano. Vincitore di un concorso a
cattedre di filosofia teoretica, chiamato a Cagliari e Firenze. Rimase sempre fortemente
legato al paese natale. Il Comune di Aggius ne ha conservato la memoria. Negli anni di formazione, si trova a
partecipare al tentativo condotto da BONTADINI, di cui era allievo e amico, di
superare la contrapposizione tra la scolastica e l’idealismo, comprendendo e
assimilando quanto della metafisica hegeliana e cristiana era in questo
indirizzo. In questa operazione prende una sua via personale. Abbandona
l’interesse metafisico simpatizzando per l’attualismo di GENTILE (vedi) per
quanto esso restituiva all’uomo dignità e responsabilità, mettendone tuttavia
in luce l’impossibilità di una fondazione logica. Nacquero così le indagini
sulla logica di Hegel che portarono a rilevanti osservazioni critiche riguardo
all’idealismo. Con l’idea che i valori immanenti costituiscono l’orizzonte
trascendentale nella prassi razionale ed etica dell’uomo vienne a cadere per V.
l’opposizione di immanenza e trascendenza.
Nella comune partecipazione alla Resistenza si lega di amicizia con PRA
(vedi), filosofo di profonda esperienza religiosa e sociale e innovatore della
storiografia filosofica. Tramite PRA, V. entra in contatto con BANFI, che
rappresenta la scuola filosofica milanese. Nel confronto con il razionalismo
critico di BANFI, che mira a chiarire una struttura della ragione nel solco
della tradizione kantiana, V. pensa ad un razionalismo che anda oltre ogni
struttura presupposta della ragione verso un orizzonte di possibilità non
ancora prevedibili. Questo comporta l’idea della ricerca di una logica della
possibilità. Si pone così quella proposta filosofica detta “trascendentalismo
della prassi”, radicalmente critica e programmaticamente aperta, e che venne
difesa da PRA e Vn, sia nella «Rivista di storia della filosofia» fondata da PRA,
sia nei Congressi della “Società filosofica italiana” ri-nata dopo lo
scioglimento imposto dall’autorità del FASCISMO. Il “trascendentalismo della
prassi” è contrapposto al "teoricismo", inteso come il carattere di
tutta filosofia che presuppone un principio di datità del reale e del valore,
cioè di tutta filosofia metafisica. Il trascendentalismo della prassi non vuole
essere una teoria, ma un atteggiamento pratico possibile, effettivo, che
riconosce la temporalità della prassi e ne rivendica la libertà e la
responsabillità. La proposta del trascendentalismo della prassi, che è
immediatamente critica del pensiero di CROCE e GENTILE, ma che investiva tutti
gli indirizzi contemporanei, è il modo più radicale del domandarsi dopo la guerra,
sul métier della filosofia. La «Rivista di storia della filosofia» costituì il contatto
con il “neo-illuminismo”, che, animato da ABBAGNANO (vedi), avendo come centro
Torino, collega e confronta in convegni periodici i nuovi indirizzi
metodologici e anti-metafisici. Affermatisi gli indirizzi della fenomenologia
trascendentale, della filosofia analitica e dell’empirismo. Con il suo metodo,
caratterizzato dall’apertura e dalla tensione critica ad un continuo “andar
oltre”, V. da di essi interpretazioni originali in numerosi studi e seminari.
La sua ricerca, ora caratterizzata come razionalismo della prassi, continua a
mettere in discussione ogni naturalismo limitativo della libertà della persona.
Conferma così l’idea di una “via negativa alla filosofia” a cui siamo costretti
in mancanza di principi universali oggettivi o di autorità universali nella
prassi. Questa negazione confuta la tematizzazione ingenua del mondo, mette fra
parentesi la tradizione, toglie l’unicità di senso al nostro rapporto con la
realtà e, aprendo la ricerca alla prospettiva di generalizzazioni nuove,
risponde al bisogno della persona di costruirsi e perseguire finalità
proprie. Per influenza dell’amico GEYMONAT,
e in discussione con lui, V. vide concretamente nelle scienze in sviluppo
l’orizzonte effettivo delle possibilità razionali, pertanto si cimentò nella
comprensione di esse attraverso l’epistemologia e la logica. Esamina il moderno
formalismo logico-matematico di Russell; l’analisi del linguaggio (formale ed ordinario)
di ‘Vitters’; il convenzionalismo logico e linguistico che egli coglieva
nell’empirismo di Carnap e nella discussione di Quine sull’ontologia; lo stesso
svolgimento dell’epistemologia dagli inizi col circolo di Vienna ai successivi
sviluppi autocritici e “liberali”; le rivoluzioni concettuali delle scienze. Sono
tutti problemi che hanno all’origine e segnalano una crisi del fondamento. V. vuole
chiarirli leggendovi la sollecitazione a porre fra parentesi ad aggredire o a
variare all’infinito ogni “conoscenza, di spazi e tempi, di atomi, masse e
cause naturali. La sua ricerca mantene così l’etica dei fini umani. La logica è
anche logica della Speranza. La filosofia ritrova il senso originario di “amore
della saggezza”. Saggi: “Il problema della ragione” (Bocca, Milano); “Ricerche
sul razionalismo della prassi” (Sansoni, Firenze); “Logica, scienza e prassi”
(Nuova Italia, Firenze); “Logica, religione e filosofia” (Angeli, Milano); “Logica,
scienze della natura e mondo della vita” (Angeli, Milano); “Poeti di Aggius.
Michele Andrea Tortu, Pisanu (Antologia di Lepori con prefazione, traduzione e
note di V.), Nota introduttiva di Pirodda, Istituto Superiore Regionale
Etnografico, Nuoro. “Il Trascendentalismo della prassi, la filosofia della
Resistenza. Sandrini, Mimesis, Centro Internazionale Insubrico, Milano. In
memoria di V., filosofo della modernità, La Nuova Sardegna, Treccani: V. Ragione
e libertà. Saggio sul pensiero di V. V., Una discussione con Bontadini su
metafisica e filosofia, in Studi di filosofia in onore di Bontadini, Vita e
Pensiero, Milano I saggi di V. sono raccolti in “Logica, religione e filosofia:
Scritti filosofiici”. Memoria di Gentile, in Giornale critico della filosofia
italiana, Vedi Croce, Le cosiddette ‘riforme della filosofia’ e in particolare
di quella hegeliana, a proposito del saggio di V. su RUGGIERO (vedi) -- Quaderni
della Critica, poi in Indagini su Hegel, Laterza, Bari. Pra, La filosofia
italiana oggi, Rivista critica di storia della filosofia, Sul trascendentalismo
della prassi, in Il problema della filosofia oggi. Atti del Congresso nazionale
di Filosofia (Bologna, promosso dalla
SFI, Bocca, Roma-Milano, Vedi: saggi come l’Introduzione alla trad. Di Husserl,
L’idea della fenomenologia (Rosso), Il Saggiatore, Milano, Logica e religione di fronte al compito di una
possibile unificazione del sapere, in «Il Pensiero», L’ateismo religioso di
Wittgenstein, in «Archivio di Filosofia», (Esistenza, Mito, Ermeneutica), e le
lezioni raccolte nel volume Logica, scienze della natura e mondo della vita. V.,
Logica, scienze della natura e mondo della vita. La frase (di V.) compare nella presentazione
editoriale del volume Logica, scienza e prassi. Luporini, Casari, Pra,
Geymonat, Marinotti, Ricordo di V.. Corsi, seminari, Olschki, Firenze, Natale,
Storicità della filosofia e filosofia come storiografia. Un dibattito tra
filosofi italiani in Dentro la storiografia filosofica. Questioni di teoria e
didattica (Dedalo, Bar). Cambi, Razionalismo e prassi a Milano, Cisalpino-Goliardica,
Milano. Marinotti, Handjaras, “Ragione e
libertà: la filosofia di V., Prefazione di Pra (Angeli, Milano); Pra, Filosofi
del Novecento, Angeli, Milano, vi è raccolto il contributo già in, Ricordo di V.
(Olschki, Firenze); Monti, Religione e prassi in V., in «La Fortezza. Rivista
di studi», Liberalismo etico e prospettive razionalistiche in V., Etica e
scienza. Saggi di filosofia, Carocci, Roma. Sandrini e Al., V. uomo e filosofo
(Atti del convegno di Aggius. Comprende: relazioni di Sandrini, “L’eredità
vasiana”. Lecis, Viaggio verso una meta incerta. L’universo dei mondi possibili
di V.; F. Minazzi, La strada per Megara e l’irriducibilità della libertà umana.
Il problema della ragione nel trascendentalismo della prassi di V.; E. Palombi,
Sul senso dell’uomo nel pensiero di V.; alcuni brevi Scritti e testi
inediti, Minazzi e Sandrini, in «Il
Protagora», poi in volume con lo stesso titolo, Barbieri, Manduria. Marinotti,
Ragione e prassi in V. e in Geymonat. Memoria di una discussione filosofica e
di un’amicizia, in Geymonat un maestro del Novecento. Il filosofo, il
partigiano e il docente, Minazzi, Unicopli, Milano; Rambaldi, La formazione di V.,
in Pala filosofo laico, appassionato delle scienze. Studi e testimonianze, Maiorca,
Cuec, Cagliari, Rambaldi, Da Gentile a Hegel. Trascendentalismo e anti-fascismo
in V.. Con un’appendice di testi e documenti, in «Rivista di storia della filosofia».
Andrea Vasa. Vasa. Keywords: liberta, freedom. Refs.: The H. P. Grice Papers,
Bancroft MS – Luigi Speranza, “Grice e Vasa: ragione e liberta” – The
Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.
Grice
e Vatinio: la ragione conversazionale a Roma – l’implictaura conversazionale della
setta di Crotone -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di
H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Roma). Filosofo
italiano. A politician, supporter of GIULIO (vedi) CESARE and a friend of CICERONE,
who at different times, attacks and defends him. V. calls himself a
Pythagorean, but Cicerone questions V’s right to do so on account of his
dubious behaviour. Publio Vatinio. Keywords: Roma antica. Per H. P. Grice’s
Play-Group, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.
Grice e Vattimo: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’implicatvm o impiegato come
comunicatvm debole -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco
di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Torino). Filosofo
italiano. Essential Italian philosopher. Grice: “It may be argued that what
Vattimo means by ‘strong’ is what I mean by ‘weak’ and viceversa – With Popper,
‘I know’ is weaker than ‘I believe’ and ‘every x’ is weaker than ‘some (at
least) one’ or ‘the’ – I have explored ‘the’ – Keyword: massima della debolezza
conversazionale; massima della forza conversazionale” – Filosofo italiano. --
not one that provinicial Beaney would include in his handbooks and dictionaries.
Vattimo’s philosophy shares quite a bit with Grice’s programme, as anyone
familiar with both Vattimo and Grice may testify. Vattimo has philosophised on
Heidegger and Nietzsche, and one of his essays is on the subject and the
maskanother on reality. There is a volume in his honour. Participante del Foro Internacional por la Emancipación
y la Igualdad. Partito Comunista. In precedenza: DS PdCI IdV Indipendente. Laurea
in Filosofia. Torino. Filosofo, professore universitario. Tra i massimi
esponenti della corrente post-moderna, è teorizzatore della filosofia debole. Il
padre è un poliziotto calabrese, che muore quando V. ha I anno e mezzo. La
madre è una sarta. Ha una sorella di otto anni più grande. Durante la guerra si
trasferisce con la famiglia in Calabria, restandoci per II anni e ritornando a
Torino. Studente del liceo classico Gioberti è attivo nella Gioventù
Studentesca di Azione Cattolica, e collabora a Quartodora, rivista del
movimento diretta da Straniero. Si autodefine come un cattolico militante,
influenzato dalla lettura di Maritain, Mounier e dei racconti di Bernanos,
portato dalla fede ad un disinteresse per il razionalismo storico,
l'Illuminismo e le filosofie di Hegel e Marx. Allievo di PAREYSON (vedi)
assieme a ECO (vedi) con cui ha condiviso amicizia e interessi, si laurea in
filosofia a Torino. Lavora ai programmi culturali della Rai. Consegue la
specializzazione a Heidelberg, con Löwith e Gadamer, di cui ha introdotto la
filosofia in Italia. Professore incaricato e ordinario di estetica a Torino,
nella quale è stato preside, della facoltà di Lettere e Filosofia. Ordinario di
filosofia teoretica presso la stessa università. Professore emerito, titolo che
non gli precluse lo svolgimento d’eventuali attività didattiche presso la suddetta
università. Idea e condotto su Raitre il programma di divulgazione filosofica “La
clessidra.” Insegnato come visiting professor negli Stati Uniti e ha tenuto
seminari in diversi atenei del mondo. Direttore della Rivista di estetica,
membro di comitati scientifici di varie riviste, socio corrispondente
dell'Accademia delle Scienze di Torino, nonché editorialista per i quotidiani
La Stampa e La Repubblica e per il settimanale L'espresso. Dirige la rivista
Tropos. Rivista di ermeneutica e critica filosofica edita da Aracne Editrice.
Per i suoi saggi riceve lauree honoris causa dalle La Plata, Palermo, Madrid e
Lima. È stato più volte docente alle Vacances de l'Esprit. Svolge attività
politica in diverse formazioni: nel Partito Radicale, Alleanza per Torino, Democratici
di Sinistra, per i quali è stato parlamentare europeo, e nel Partito dei
Comunisti Italiani. Candidato da una lista civica a sindaco di una cittadina
calabrese, San Giovanni in Fiore (Cs), per combattere la degenerazione
intellettuale che affligge quel paese, ma non è riuscito ad arrivare al secondo
turno. Annunciato la sua candidatura a parlamentare europeo nelle liste
dell'Italia dei Valori di Pietro, rivendicando tuttavia le proprie origini
comuniste, venendo eletto nella circoscrizione Nord-Ovest. Nel giorno
dell'anniversario della fondazione del PCd'I, annuncia la sua adesione al
Partito Comunista. Il suo ideale politico-religioso si riassume in una
forma da lui definita comunismo cristiano e comunismo ermeneutico, un' ideale
anti-dogmatico di comunismo debole nel pensiero e nell'essere, che si ispira
alla vita comunitaria delle prime comunità cristiane. Esso rinnega e si oppone
alla violenza delle industrializzazione pesante forzata e dello stalinismo in
genere, così come anche alle tesi di Lenin e del terrorismo, muovendo a favore
di una sinistra improntata al dialogo, alla dialettica e alla tolleranza. Accusato
di antisemitismo, a causa delle sue dichiarazioni sul controllo ebraico di
banche. "Ricordiamoci che la Federal Reserve è di proprietà di Rothschild.
Gattegna, presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, lo accusa di
anti-semitismo, additando le sue dichiarazioni come "parole di odio che
non aggiungono nulla di nuovo e che sono accompagnate dalla riproposizione
squallida di stereotipi anti-semiti". Anche Aiello, primo rabbino donna in
Italia, corrobora queste accuse, tacciando V. di antisemitismo. Rilascia
un'intervista al Corriere in cui dichiara, riguardo a Israele
«bisognerebbe procurarsi missili più efficaci dei Qassam e portarli laggiù». La
dichiarazione, riferita ai missili Qassam con cui Hamas colpisce Israele, ha
suscitato molte polemiche. Il filosofo ha tuttavia chiarito che le sue prese di
posizione sono rivolte contro Israele e che non hanno nulla a che vedere con
l’anti-semitismo. In occasione dell'aggressione di Tartaglia a Berlusconi ha
espresso a Radio Radicale la convinzione che quell'aggressione fosse stata una
montatura. Afferma inoltre che se l'aggressore avesse voluto veramente fare del
male a Berlusconi era preferibile usare una pistola invece di una
statuetta. Si è occupato dell'ontologia ermeneutica, proponendone una
propria interpretazione, che chiama “debolita”, in contrapposizione con le
diverse forme di pensiero forte (fortitude) dell'hegelismo con la sua
dialettica, il marxismo, la fenomenologia, la psicanalisi, lo strutturalismo.
Ognuno di questi movimenti si è proposto come superamento delle posizioni
filosofiche precedenti e smascheramento dei loro errori. Ma ogni volta l'errore
consiste proprio in questo gesto teoretico. Non ci sono nuovi inizi, l'errore
consiste proprio nella volontà di rifondare fundamenta inconcussa che non vi possono
essere. Debolita è invece un atteggiamento della postmodernità che accetta il
peso dell'errore, ossia del caduco, dell'effimero, di tutto ciò che è storico e
umano. È la nozione di verità a doversi modellare sulla dimensione umana, non
viceversa. La debolita è la chiave per la democratizzazione della società,
la diminuzione della violenza e la diffusione del pluralismo e della
tolleranza. In questa maniera deve essere almeno segnalata la grande e decisiva
importanza che assume nella sua filosofia la nozione di nichilismo, che rimette
all'eredità di Nietzsche e Heidegger e si lega a vari temi vattimiani
(dall'etica, alla politica, dalla religione -- l'indebolimento del divino alla
teoria della comunicazione – implicatura come communicatum debole. Con i suoi saggi
come “Credere di credere” rivendica alla
proprio filosofia anche la qualifica di autentica filosofia cristiana per la
postmodernità. Avvalendosi infatti della visione cristiana del maestro PAREYSON
e di Quinzio, V. rifiuta l'identificazione del divino nell'essere razionale,
così come concepito dalla tradizione filosofica occidentale. Di PAREYSON e Quinzio, però, non condivide la visione
religiosa tragica. Suggestionato da Girard, V. legge la vicenda di Cristo come
rifiuto di ogni sacrificio, anzitutto umano ed esistenziale. La kénosis -- lett.
svuotamento -- divina è a vantaggio della libertà e della pace umana. Le posizioni
di V. rappresentano una svolta, sia nella sua impostazione filosofica
dell'interpretazione del presente, sia nel campo dell'attività politica. Abbandona
il partito dei Democratici di Sinistra e abbraccia il marxismo rivalutandone
positivamente l'autenticità e validità dei principi progettuali, auspicando un
ritorno al pensiero del filosofo di Treviri e a un comunismo epurato dagli
sviluppi delle distorte politiche pubbliche sovietiche da superare
dialetticamente. Per quanto la svolta possa apparire contraddittoria con le
precedenti posizioni, V. rivendica la continuità delle nuove scelte con il
processo di ricerca sul pensiero debole, pur ammettendo il cambiamento di
"molte delle sue idee". È lo stesso filosofo a parlare di un
"Marx indebolito", ovvero di una base ideologica capace di illustrare
la vera natura del comunismo e adatta nella pratica politica a superare ogni
tipo di pudore liberal. L'approdo al marxismo si configura quindi come una
tappa dello sviluppo del pensiero debole, arricchito nella prassi da una
prospettiva politica concreta. V. ha anche espresso posizioni
ambientaliste ed in particolare a favore dei diritti degli animali. In un'epoca
in cui l'umanità si vede sempre più minacciata nelle stesse elementari
possibilità di sopravvivenza -- la fame, la morte atomica, l'inquinamento -- la
nostra radicale fratellanza con gl’animali si presenta in una luce più
immediata ed evidente. Da parlamentare europeo si è battuto, tra l'altro,
contro la sperimentazione animale e contro il maltrattamento degli animali
negli allevamenti. Pubblicamente dichiara la sua omosessualità. Sviluppa
una concezione di Cristianesimo secolarizzato, il quale, conseguentemente, non
necessita di istituzioni ecclesiastiche, fondandosi sulla kénosis, ossia
sull'abbassamento e sull'indebolimento dell'idea di Dio. Per V. il non
riconoscimento di un "assoluto", inteso come una verità definitiva,
porterebbe ad una maggiore accettazione della diversità sociale e culturale.
Il compagno di V., Mamino, storico dell'architettura, malato di tumore ai
polmoni, muore nel bagno dell'aereo che lo portan nei Paesi Bassi per
effettuare un'eutanasia. Ad accompagnarlo c'era con lui sull'aereo lo stesso
V. Collabora con vari quotidiani (La Stampa, L'Unità, il manifesto, Il
Fatto Quotidiano), con editoriali e riflessioni critiche su vari temi di
attualità, politica e cultura. Saggi: “Il concetto di fare in Aristotele”
(Giappichelli, Torino); “Essere, storia e linguaggio in Heidegger” (Filosofia, Torino);
“Ipotesi su Nietzsche” (Giappichelli, Torino); “Poesia e ontologia” (Mursia,
Milano); “Schleiermacher, filosofo dell'interpretazione” (Mursia, Milano); “Introduzione
ad Heidegger” (Laterza, Roma); “Il soggetto e la maschera” (Bompiani, Milano);
“Le avventure della differenza” (Garzanti, Milano); “Al di là del soggetto” (Feltrinelli,
Milano); “Il pensiero debole” (Feltrinelli, Milano); Vattimo e Rovatti); “La
fine della modernità” (Garzanti, Milano); “Introduzione a Nietzsche (Laterza,
Roma); “La società trasparente” (Garzanti, Milano); “Etica
dell'interpretazione” (Rosenberg e Sellier, Torino); “Filosofia al presente”
(Garzanti, Milano); “Oltre l'interpretazione” (Laterza, Roma); “Credere di
credere” (Garzanti, Milano); “Vocazione e responsabilità del filosofo”
(Melangolo, Genova); “Dialogo con Nietzsche” (Garzanti, Milano); “Tecnica ed
esistenza: una mappa filosofica” (Mondadori, Milano); “Dopo la cristianità. Per
un cristianesimo non religioso” (Garzanti, Milano); “Nichilismo ed
emancipazione. Etica, politica e diritto, Zabala” (Garzanti, Milano); “Il
socialismo ossia l'Europa” (Trauben); “Il Futuro della Religione, S. Zabala,
Garzanti, Milano, “Verità o fede debole? Dialogo su cristianesimo e
relativismo, Antonello, Transeuropa Edizioni, Massa); “Non essere Dio.
Un'autobiografia a quattro mani, Aliberti editore, Reggio Emilia, “Ecce comu.
Come si ri-diventa ciò che si era, Fazi, Roma, “Addio alla Verità, Meltemi, Introduzione
all'estetica, ETS, Pisa, “Magnificat. Un'idea di montagna, Vivalda, “Della
realtà, Garzanti, Milano, Pubblica presso Laterza un annuario filosofico a
carattere monografico (Filosofia). La sezione Filosofia ha vinto il Premio
Brancati. V. a Lima, Perú. Pecoraro, "Dossier Vattimo",
Pecoraro, in: "Alceu". Rivista del Dip. di Comunicazione. Monaco, V..
Ontologia ermeneutica, cristianesimo e postmodernità, Ets, Pisa; Weiss, V..
Einführung. Vienna, Passagen Giovanni Giorgio, Il pensiero di V..
L'emancipazione della metafisica tra dialettica ed ermeneutica (Franco Angeli,
Milano); Numero della rivista A Parte Rei (Madrid), dedicato a V.. Pensare
l'attualità, cambiare il mondo, Chiurazzi, Mondadori, Milano); Redaelli, Il
nodo dei nodi. L'esercizio del pensiero in V., Vitiello, Sini, Ets, Pisa L'apertura del presente. Sull'ontologia
ermeneutica di V., L. Bagetto, Tropos. Rivista di ermeneutica e critica
filosofica. Kopić, V. Čitanka, V. Reader. Zagabria, Antibarbarus. Gutiérrez,
Leiro, Rivera. Fondazione verano centini/images/
allegati Movi100 Cent'anni di Movimento Studenti di Azione Cattolica, su
movi100.azione Gallo, V. Interview, su
public seminar.; V.: viva i giustizialisti. Corro con Tonino Di Pietro. Rizzo
con GRAMSCI alla Camera (il nipote omonimo) e il filosofo V., nuovi iscritti al
Partito Comunista. Comitato Centrale a Livorno, su Ilpartito comunista, Angus,
Interview with V.: “Only Weak Communism Can Save Us”, su MRANSA, Italian
philosopher politician slammed as anti-Semite, su la gazzetta delmezzogiorno. 'Shoot those bastard Zionists': Italian
scholar, su the local Corriere della Sera, Non acquistiamo i prodotti di lì, su
archivio storico.corriere. Repubblica -V.: "Non sono un antisemita. Solo
anti-israeliano", su torino repubblica. A Radio Radicale Il delirio di V.:
«Per fargli male doveva sparare» Il
Giornale, In questo senso Cfr, tra
molti, La fine della modernità e Nichilismo ed emancipazione. Etica, politica e
diritto, dello stesso V. e Niilismo e (Pós-Modernidade) dell'italo-brasiliano Pecoraro,
libro pubblicato a Rio de Janeiro e San Paolo. Da Animali quarto mondo, in, I diritti degl’animali,
Battaglia e Castignone, Centro di Bioetica, Genova. Dichiarazione scritta sul
riconoscimento dell'obiezione di coscienza alla sperimentazione animale
nell'UE, su gianni vattimo. Interrogazione scritta alla Commissione sul
benessere degli animali, su Gianni vattimo. 4Vattimo: accanimento sui gay, ma
io non bacio in pubblico, Corriere della Sera, su corriere. «Il mio compagno voleva farla finita Ma morì
in viaggio tra le mie braccia» Corriere della Sera, su corriere. Albo d'oro
premio Brancati, su comune. zafferana etnea.ct. Pensiero debole. Blog su Gianni
vattimo blog spot V., su BeWeb, Conferenza Episcopale Italiana. su open MLOL,
Horizons Unlimited srl. V. su europarl. europa.eu,
Parlamento europeo. Registrazioni su Radio
Radicale. Revista A parte rei, su personales. ya.com. Dicussion e sul Pensiero
Unico su mito11settembre. Lezione di congedo dall'Torino La verità e l’evento:
dal dialogo al conflitto, su teologiae liberazione. blogspot.com. Credere di
credere. Genesi e significato di una conversione debole Giornale di filosofia
della religione V. Un comunista postmoderno? (di Preve) RAI Filosofia, su
filosofia.rai. Gianteresio “Gianni” Vattimo. Gianteresio Vattimo Gianni
Vattimo. Vattimo. Keyword: debole/forte – implicatum come communicatum debole. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Vattimo,"
The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
Grice e Veca: la ragione
conversazional e l’implicatura conversazionale della massima dell’altruismo
conversazionale – filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di
H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Roma). Filosofo
italiano. Grice: “I like Veca. Like me, he speaks of altruisn, and he has
contributed to a collective volume, “Cooperare e competere.”” Essential Italian philosopher. Svoge un ruolo chiave nell'introduzione nel dibattito
culturale italiano dell'approccio alla filosofia politica derivato
dall'impostazione di Rawls, divenendo un punto di riferimento filosofico della
sinistra, sia come teorico che come militante. La sua formazione di tipo
analitico -- sensibile quindi alle metodologie e alle questioni della filosofia
del linguaggio e della logica -- insolita rispetto alla figura del teorico
politico così come tradizionalmente concepito in Italia, ha permesso alla sua
riflessione di spaziare anche negli ambiti dell'epistemologia e della
metafisica, indagandone le connessioni con l'ambito della filosofia morale e
politica. V. da un impulso decisive nel dibattito filosofico italiano a
temi quali il realismo, il problema della completezza nelle teorie epistemiche
e politiche, la giustizia globale e la sostenibilità. Studia a Milano, dove si
laurea con una tesi sotto PACI (vedi) e GEYMONAT (vedi). Assistente volontario,
borsista CNR e assistente incaricato presso la cattedra di filosofia teoretica
a Milano. Professore incaricato di filosofia a Calabria. Professore
incaricato di storia delle istituzioni e delle strutture sociali presso la facoltà
di filosofia di Bologna. Professore incaricato, professore incaricato
stabilizzato e professore associato di filosofia politica presso la facoltà di scienze
politiche di Milano. Professore straordinario di filosofia politica presso
la facoltà di filosofia, Firenze. Professore di filosofia politica, facoltà
di scienze politiche, Pavia. Vicepreside della facoltà di scienze politiche, Pavia.
Presidente della Facoltà di Scienze politiche, Pavia. Membro del Comitato
direttivo della Scuola Superiore IUSS di Pavia. rettore del Collegio
Universitario Giasone del Maino, Pavia. Direttore del Centro Inter-Dipartimentale
di Studi e Ricerche in Filosofia sociale a Pavia; prorettore per la didattica
dell'Pavia; componente del Consiglio di amministrazione della Fondazione
Romagnosi di Pavia e del Comitato scientifico dell’European Centre for Training
and Research in Earthquake Engineering presso l'Pavia; parte del Consiglio
d'amministrazione dell'Istituto italiano di scienze umane di Firenze; vicedirettore
dell'Istituto Universitario di Studi Superiori di Pavia. Coordinatore dei corsi
ordinari dell'Istituto Universitario di Studi Superiori di Pavia. Pro-rettore
vicario dell'Istituto Universitario di Studi Superiori di Pavia. Professore
di Filosofia politica presso l'Istituto Universitario di Studi Superiori di
Pavia. Insegna Filosofia politica nelle Classi di Scienze umane e Scienze
sociali dell'Istituto Universitario di Studi Superiori, Pavia. Tienne
seminari e cicli di lezioni a Cambridge (Christ's), a San Paolo, Campinas,
Bogotà, Evora, La Sorbonne, Grenoble, Istituto Universitario Europeo. Svolge un'intensa
attività di consulenza e direzione editoriale. Ha assunto, grazie a un invito di
Bo, la direzione scientifica della Fondazione Feltrinelli di Milano presidente
della Fondazione Feltrinelli, promuovendo lo sviluppo del suo Centro di Scienza
politica. Direttore degli "Annali" della Fondazione, impegna
l'istituzione in una ampia gamma di attività di ricerca, documentazione e
pubblicazione nell'ambito della teoria politica e sociale contemporanea che
perseguono lo scopo di coniugare la tradizione della ricerca storico-sociale
con l'innovazione dei metodi e degli esiti della teoria normativa e descrittiva
della politica. Coordina le attività del Seminario annuale di Filosofia
politica, promosso dalla Feltrinelli in collaborazione con il Centro Studi
Politici Farneti di Torino e la Scuola Normale Superiore di Pisa. Avvia il
progetto della “Biblioteca europea” della Fondazione Feltrinelli, di cui è
direttore. Designato Presidente onorario della Fondazione Feltrinelli ed è
direttore scientifico del suo Laboratorio Expo -- è inoltre stato condirettore
di Aut Aut con PACI (vedi) e ROVATTI. Dirigge la collana Readings per
l'Università della Casa editrice Feltrinelli, di cui è consulente per la
saggistica nel campo della filosofia e della teoria politica e sociale. Consulente
della saggistica de il Saggiatore, di cui ha diretto, con Mondadori, la collana
Theoria. Fa parte del comitato scientifico o di direzione di riviste
quali "Rassegna italiana di sociologia", "Teoria politica",
"Biblioteca della libertà", "Transizione", "Etica
degli affari", "Iride", "European Journal of
Philosophy", "Filosofia e questioni pubbliche",
"Reset", "Quaderni di Scienza politica", "Il
Politico", "Rivista di filosofia", “Italianieuropei”. Direttore
de “Il giornale di Socrate al caffè. Bimestrale di cultura e conversazione
civile; curatore scientifico della Carta di Milano per Expo. Parte del
Comitato direttivo di "Politeia", Centro per la ricerca e la formazione
in politica ed etica di Milano, di cui è stato uno dei fondatori. Comitato
etico dell'Istituto Europeo di Oncologia di Milano e del Comitato etico
dell'Istituto Mondino di Pavia; Comitato scientifico della Fondazione Rosselli
di Torino; coordinatore del Comitato Scientifico dell’Associazione per la
ricerca e l'insegnamento della filosofia, parte del Consiglio direttivo
nazionale della Società Filosofica italiana. Componente del Consiglio nazionale
presso il Ministero dei Beni culturali e ambientali; presidente
dell'Associazione “I quattro cavalieri” che ha promosso le attività
dell’ensemble cameristico “I solisti di Pavia”, diretto da Dindo. Comitato
generale Premi della Fondazione Balzan “Premio” di Milano. Presidente
della Fondazione Campus di Lucca; direttore delle Scuole di formazione politica
dell'Associazione “Libertà e giustizia; presidente della Fondazione Grassi La
voce della culturadi Milano; Presidente del Comitato Generale Premi della
Fondazione Balzan di Milano; membro del Comitato dei Garanti della Scuola
Galileiana di Studi Superiori di Padova. Socio corrispondente residente
della Classe di Scienze morali dell'Istituto lombardo di scienze e lettere; consigliere
della Fondazione del Centenario della BSI di Lugano. Membro del Comitato
Scientifico della Fondazione Gualtiero Marchesi. Accademico corrispondente
non residente della Classe di Scienze Morali dell'Accademia delle Scienze
dell'Istituto di Bologna; designato da Pavia quale Garante dei diritti degli studenti;
presidente della Casa della Cultura di Milano. Socio corrispondente non
residente dell'Accademia delle Scienze di Torino. membro effettivo
dell'Istituto Lombardo di Lettere e Scienze e componente del Comitato dei
Garanti del FAI. Premio Castiglioncello sezione di filosofia per il saggio
“Dell'incertezza” e gli è stata conferita, con decreto del Presidente della
Repubblica, la medaglia d'oro e il diploma di prima classe, riservati ai benemeriti
della Scienza e della cultura. Riceve il premio dell'Accademia di Carrara per
il saggio “La filosofia politica”. Premio per la filosofia “Viaggio a Siracusa”
per La priorità del male e l'offerta filosofica; premio “Ponte per la cultura”
della Fondazione Europea Venosta per il saggio “Etica e verità”. Medaglia d'oro
di benemerenza civica dal Comune di Milano. Nella sua filosofia sono
individuabili tre fasi distinte. La prima fase della sua ricerca è stata
dedicata a questioni di teoria della conoscenza o di epistemologia. Pubblica
“Fondazione e modalità in Kant” e altri saggi su problemi di filosofia della
logica, della matematica e della fisica in Whitehead, Frege, Cassirer e Quine.
Il suo centro di interesse scientifico si sposta sulle teorie di Marx in
rapporto alle scienze economiche, sociali e politiche, delineando una seconda
fase i cui esiti sono formulati in “Marx e la critica dell'economia politica”
e, soprattutto, “Il programma scientifico di Marx.” Si impegna in un
programma di ricerca nell'ambito della filosofia politica influenzato dalla
prospettiva della teoria normativa della politica. Dopo “Le mosse della
ragione,” introduce la discussione sulla giustizia con “La società giusta” ed
elabora e sviluppa la sua prospettiva teorica in “Questioni di giustizia” e “Una
filosofia pubblica.” Dedica un saggio divulgativo agli esiti di questa fase
della sua ricerca, “L'altruismo.” Gli sviluppi successivi della sua ricerca,
orientata al problema dei rapporti fra teoria normativa e teoria descrittiva
della politica e incentrata sulla questione del pluralismo come fatto e come
valore per la teoria democratica, sono rinvenibile in “Libertà e eguaglianza.” Una
prospettiva filosofica in Progetto Ottantanove, in Etica e politica e, in
particolare in “Cittadinanza: riflessioni filosofiche sull'idea di
emancipazione.” Lavora alla stesura di tre meditazioni filosofiche intorno a
questioni di verità, giustizia e identità, in cui estende la gamma dei suoi
interessi teorici. Sviluppando una serie di idee originariamente presentate in Questioni
di vita e conversazioni filosofiche, gli esiti di questa ricerca sono contenuti
in “L’incertezza.” Pubblica “L'idea di giustizia da Platone ad oggi.” Pubblica
un saggio di filosofia sociale e politica, “La lealtà civile: un messaggio nella
bottiglia” e un saggio dedicato alla interpretazione e alla ricostruzione della
teoria politica normative, “La filosofia politica.” Pubblica “La penultima
parola e altri enigmi. Questioni di filosofia” in cui sono approfonditi alcuni
esiti di Dell'incertezza ed è affrontata la questione meta-teorica della
relazione fra l'attività filosofica e la sua storia nel tempo. Pubblica “Il
bello e gl’ppressi: l'idea di giustizia” in cui sono presentate alcune idee di
base per una teoria della giustizia globale. Presenta la sua prospettiva
filosofica nel saggio “Il giardino delle idee: passi nel mondo della
filosofia.” In “La priorità del male e l'offerta filosofica” sviluppa e
approfondisce le questioni di una teoria della giustizia globale e mette a
fuoco, fra l'altro, le connessioni fra l'offerta di filosofia politica e le
circostanze e i soggetti di politica. “Le cose della vita: congetture,
conversazioni e lezioni personali” estende l'esame delle questioni di vita,
inteso come tentativo di autoritratto, e lo connette al problema dell'eredità
intellettuale, nel senso della dimensione storica del sapere filosofico. Il
“Dizionario minimo. Per la convivenza democratica,” esamina e discute alcuni
temi fondamentali per l'interpretazione e la valutazione della forma di vita
democratica, sulla base di una tesi sulla natura della libertà democratica.
“Etica e verità” raccolge saggi incentrati sui rapporti fra la crescita
dell'impresa scientifica e i nostri criteri di giudizio etico. “Quattro lezioni
sull'idea di incompletezza” presenta i primi risultati di una ricerca
filosofica sull'idea di incompletezza, messa a fuoco in distinti domini di
applicazione, quali quello della interpretazione, della giustificazione e della
dimostrazione. In “Incompletezza” espone gli esiti delle sue ricerche
filosofiche cercando di esplicitarne la coerenza e la connessione con
l’incertezza. In “L'immaginazione filosofica” sviluppa la tesi conclusive del
contributo all'idea di incompletezza e sullo sfondo di una definizione delle
principali linee della propria ricerca filosofica. In “Un'idea di laicità”
propone un argomento a favore della laicità delle istituzioni e delle scelte
sociali basato su un'interpretazione della natura della libertà democratica e del
fatto del pluralismo. In “Non c'è alternativa. Falso!” mette a fuoco, in
una prospettiva filosofica, alcuni aspetti rilevanti della crisi economica
strutturale e dei rapporti fra capitalismo e democrazia rappresentativa. In
“La gran città del genere umano” tratta temi differenti accomunati dalla prospettiva
globale “degli occhi del resto d'umanità”. In “La barca di Neurath” affronta
questioni epistemologiche, normative e meta-filosofiche sullo sfondo dell’incertezza
e dell'incompletezza; curatore del volume degli Annali della Fondazione Giangiacomo
Feltrinelli, Laboratorio Expo. “Il senso della possibilità, dove Veca,
raccogliendo intuizioni sviluppate in quegli anni nelle lezioni presso la
Scuola Superiore IUSS di Pavia, espone il suo interesse per la
l'interpretazione filosofica delle modalità. In particolare, le questioni
metafisiche delle modalità (specie il confronto tra mondo attuale e mondi
possibili, esaminando le differenti posizioni di Kripke, Lewis, e Armstrong)
costituirebbero la chiave di volta filosofica a cui si riconducono le questioni
normative ed ontologiche relative all'epistemologia, all'etica e alla politica
esposte nel saggio sull’incompletezza e sull’incertezza. In particolare, la
distinzione tra mondi possibili e realtà modale, che fornirebbe una fondazione alla
compatibilità tra costruttivismo griceiano e realismo, proposta in chiusura,
può considerarsi l'apertura di una nuova fase di sua filosofia, stavolta di
stampo prettamente metafisico, e che si ricollega peraltro all'interesse per le
modalità centrale nella sua opera prima. Altre saggi: “Fondazione e
modalità in Kant” (Milano, Saggiatore); “Marx e le critiche dell'economia”
(Milano, Saggiatore); “Il programma scientifico di Marx” (Milano, Saggiatore);
“Le mosse della ragione” (Milano, Saggiatore); “La società giusta: argomenti
per il CONTRATTUALISMO” (Milano, Il Saggiatore); “Crisi della democrazia e neo-CONTRATTUALISMO”
(Roma, Riuniti); “Questioni di giustizia” (Parma, Pratiche); “Co-operare e
competere” (Milano, Feltrinelli); “Una filosofia pubblica” (Milano,
Feltrinelli); “L'Altruismo” (Milano, Garzanti); “Etica e politica” (Milano,
Garzanti); “Progetto Ottantanove” (Milano, Il Saggiatore); “Cittadinanza.
Riflessioni filosofiche sull'idea di emancipazione” (Milano, Feltrinelli); “Questioni
di vita e conversazioni filosofiche” (Milano, BUR, Biblioteca Universale
Rizzoli); “Questioni di giustizia. Corso di filosofia politica. Torino,
Einaudi, Europa Universitas. Tre saggi
sull'impresa scientifica europea, Milano, Feltrinelli, Filosofia, politica,
società. Annali di etica pubblica, Roma, Donzelli, L'Idea di giustizia da Platone a Rawls, Roma,
Laterza, Dell'incertezza. Milano, Feltrinelli, La politica e l'amicizia,
Milano, Edizioni lavoro, Della lealtà civile: un messaggio nella bottiglia.
Milano, Feltrinelli, La penultima parola e altri enigmi. Roma, Laterza, La
filosofia politica. Roma, Laterza, La bellezza e gli oppressi: sull'idea di
giustizia. Milano, Feltrinelli, Il
giardino delle idee. Quattro passi nel mondo della filosofia. Milano,
Frassinelli, collana "I libri di Arnoldo Mosca Mondadori", La priorità del male e l'offerta filosofica” (Milano,
Feltrinelli); Le cose della vita. Congetture, conversazioni e lezioni
personali. Milano, BUR, Biblioteca Universale Rizzoli, Dizionario minimo. Le parole
della filosofia per una convivenza democratica. Milano, Frassinelli, Quattro
lezioni sull'idea di incompletezza. Milano, La Scuola di Pitagora); “Etica e
verità” Milano, Giampiero Casagrande editore, collana "Attualità e
studi", L'idea di incompletezza. Quattro lezioni. Milano, Feltrinelli, Sarabanda. Oratorio in tre tempi per voce
sola. Milano, Feltrinelli, Kant. Milano,
Book Time, Tolleranza. Le virtù civili.
Milano, ASMEPA, L'immaginazione
filosofica” (Milano, Feltrinelli); “Un'idea di laicità. Bologna, il
Mulino, Ragione, giustizia, filosofia, scritti
scelti, Antonella Besussi e Anna E. Galeotti. Milano, Feltrinelli, Omnia
Mutantur. La scoperta filosofica del pluralismo culturale (Milano, Marsilio,.
Non c'è alternativa. Falso! Roma, Laterza,. La gran città del genere umano. Milano,
Mursia,. La barca di Neurath. SPisa, Scuola Normale Superiore,. Laboratorio
Expo. Milano, Fondazione Giangiacomo
Feltrinelli,. Il giardino di Camilla. Milano, Mursia,.
Responsabilità-Uguaglianza-Sostenibilità. Tre parole-chiave per interpretare il
futuro (Bologna, Dehoniane); Il senso della possibilità” Milano, Feltrinelli);
“Le virtù cardinali: prudenza, temperanza, fortezza, giustizia” (Roma,
Laterza), A proposito di Marx. Milano, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli,.
Quasi un diario. Socrate al caffè. Milano, Casagrande, “ Qualcosa di sinistra.
Idee per una politica progressista. Milano, Feltrinelli,. Libertà. Roma,
Treccani. Cura, introdotto la filosofia di Rawls, Nozick, Dahl, Easton, Nagel,
Williams, Parfit, Putnam, Walzer, Berlin, Sen, Goodman, Arrow, Regan, Elster, Passmore,
Pontara, Dunn, Larmore, MacIntyre, Harsanyi, Hempel, Finetti, Meade, Dworkin,
Axelrod, Moore, Hampshire, Pettit, Spence, scrittore britannico Scuola di Milano. Treccani Enciclopedie Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Socrate
al Caffè, su socrate.apnetwork. Biografia. Pavia. Centro di filosofia sociale Scritti
Pavia. Centro di filosofia sociale la teoria della giustizia RAI Filosofia Presentazione del volume
Ragione, Giustizia, Filosofia. Scritti in onore. Le mosse della ragione
conversazionale – La mossa della ragione conversazionale – dinamica
conversazionale – la dinamica della ragione conversazionale. Salvatore Veca. Keywords:
altruismo, Hampshire, Hart, Grice, giustizia, cooperare e competere, – ragione – virtu capitali, le mosse della
ragione – ragione conversazionale -- -- Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft
MS – Luigi Speranza, “Grice e Veca: la massima dell’altruismo conversazionale”
– The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.
Grice e Vecchio: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale del criticismo trascendentale
contro il positivismo di neo-Trasimaco – filosofia italiana – Luigi Speranza,
pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Bologna). Filosofo italiano. Essential
Italian philosopher. Interessi principali: Etica, filosofia del diritto,
filosofia politica. Influenzato a BOBBIO. Eminente filosofo italiano del diritto.
Tra gl’altri, ha influenzato BOBBIO. Famoso per il suo saggio “Giustizia.”
Insegna a Ferrara, Sassari, Messina, Bologna e Roma. Rettore a Roma. Aderito al
FASCISMO, come molti filosofi del diritto in Italia -- anche se lui stesso
rimosso dal l'ideologia fascista nella fase iniziale. Perde la sua cattedra per
due volte e per ragioni opposte. Per mano dei fascisti, perché e un ebreo. Per
mano di anti-fascisti, perché è accusato di simpatizzare con il fascismo all'inizio
della sua carriera. Reintegrato nell'insegnamento durante la seconda guerra
mondiale, lavora con il Secolo d'Italia e la rivista Pages libero, pubblicazione
regia di Panucci. Fa parte del comitato organizzatore di INSPE, un Istituto di
ricerca che negli anni Cinquanta e Sessanta si è opposto alla cultura marxista,
la promozione di conferenze internazionali e pubblicazioni. Fondatore e
direttore del giornale internazionale di Filosofia del Diritto. Considerato tra
i maggiori interpreti del kantismo. Criticato il positivismo, affermando che il
concetto di ‘ius’ non può essere derivata dall'osservazione dei fenomeni
giuridici. A questo proposito, le sue convinzioni concordarono con una vertenza
che si svolge in Germania tra filosofia, sociologia e legale Teoria generale
che sembra di ridefinire la "filosofia del diritto" a cui Vecchio ha
attribuito questi tre compiti: compito
logico: costruire il concetto di ‘legge’ -- compito fenomenologico: lo studio
del diritto come fenomeno sociale. Compito ontologico: la natura del ‘giusto’
-- o l'essenza del diritto come – dovere
-- dovrebbe essere. Saggi: “Senso giuridico: presupposti del concetto di legge,
Il concetto di legge, Il concetto di natura e il principio di diritto, Sui
principi generali della legge, Giurisprudenza, Lezioni Filosofia del diritto, La crisi della
scienza del diritto, Storia della Filosofia del diritto, Mutevolezza ed
Eternità della legge, Gli studi sul diritto. Treccani. “Principi generali del
diritto.” Vechio: essential Italian philosopher. Grice: “Note that it is
DelVecchio.” SCOPO DELLO STATO È ATTUARE LA GIUSTIZIA LUG 25, 2022 Giorgio Del Vecchio in una foto d'epoca In
anni di incontrastato positivismo, la pubblicazione in successione di tre opere
di Giorgio Del Vecchio, I presupposti filosofici della nozione del diritto
(1905), Il concetto del diritto (1906), Il concetto della natura e il principio
del diritto (1908), sconvolse il mondo degli studi filosofico-giuridici
italiani. Al suo interno fermenti antipositivistici covavano, ma non trovavano
la via per svilupparsi, mentre molti positivisti si risvegliarono da quello che
si potrebbe chiamare kantianamente il loro sonno dogmatico. Ebbe inizio in
Italia – così come in Germania con R. Stammler – quel capovolgimento
dell’impostazione del problema filosofico del diritto, che vedrà quest’ultimo
osservato non dalla parte dell’oggetto, come fenomeno che il pensiero
passivamente conosce, bensì dalla parte del soggetto. 1. Giorgio Del Vecchio è rimasto sempre legato
a Bologna, dove è nato il 26 agosto 1878, fino alla morte avvenuta nel 1970,
tanto da interessarsi da ultimo anche della storia cittadina. Il trasferimento
a Genova del padre – docente di statistica –, lo porta a laurearsi e a vivere
in questa città, dove nel 1902 pubblica su Il Convito e sulla Rivista ligure di
scienze lettere ed arti. Nello stesso periodo si dedica a due saggi
scientifici, uno “L’evoluzione della ospitalità”, apparso sulla Rivista
italiana di sociologia, e l’altro, “Il sentimento giuridico”, sulla Rivista
italiana per le scienze giuridiche. Insegna Filosofia del diritto nel 1903
all’Università di Ferrara e pubblica Le dichiarazioni dei diritti dell’uomo e
del cittadino nella rivoluzione francese[1] .
Nel frattempo avvia alcune delle relazioni internazionali che
caratterizzeranno la sua attività scientifica, frequentando l’Università di
Berlino, dove conosce Lasson, Kohler e Paulsen[2]. Nel 1906 viene chiamato
presso l’Università di Sassari e successivamente, nel 1909, in quella di Messina;
diventato ordinario, si trasferisce dall’Università di Messina a quella di
Bologna, e nel 1920 a Roma. Nel 1905 scrive I presupposti filosofici della
nozione del diritto, nel 1906 Il concetto del diritto e nel 1908 Il concetto
della natura e il principio del diritto, raccolte successivamente nell’opera
Presupposti, concetto e principio del diritto, denominata Trilogia nel 1959,
apparsa in America già nel 1914 con il titolo unitario The formal bases of law,
per la Boston Book Company, inserita nel 1921 nella The modern legal philosophy
series. Presupposti, concetto e
principio del dirittorappresenta a pieno titolo il pensiero
filosofico-giuridico di Del Vecchio: in esso egli definisce il diritto come «la
coordinazione obiettiva delle azioni possibili tra più soggetti, secondo un
principio etico che le determina, escludendone l’impedimento». Gli studi su
Kant e le riflessioni in un orizzonte di proiezione universale lo portano ad
approfondire e ad avvicinare i neokantiani, che in Italia vede studiosi come Petrone,
Bartolomei e Ravà. Il suo lavoro, in realtà, si muove tra idealità e prassi del
diritto, nella ricerca costante di un’armonia che chiarifichi le distonie;
l’ispirazione a Kant lo fa assimilare alla Scuola di Marburgo, mentre
l’attenzione all’idealismo tedesco lo porta a criticare, in modo metodico, sia
il positivismo filosofico che quello giuridico.
2. Alla filosofia del diritto Del Vecchio pone un problema preliminare:
quello della possibilità della determinazione del concetto del diritto. È questa
la prima delle tre ricerche proprie, come già avevano ritenuto Vanni e Petrone,
della filosofia del diritto, la ricerca logica, quella fenomenologica, e quella
deontologica. Alla ricerca logica devono
accompagnarsi secondo Del Vecchio quelle fenomenologica e deontologica. La
ricerca fenomenologica, studio misto di filosofia della storia del diritto e di
sociologia giuridica, non è fra gli aspetti più significativi del suo pensiero:
essa dovrebbe consistere nella determinazione delle linee generali dello svolgimento
storico del diritto, che dimostrerebbero la tendenza degli ordinamenti
giuridici positivi a una progressiva adeguazione all’ideale della giustizia, in
quanto nel corso del tempo emergerebbero, sarebbero riconosciute, e a poco a
poco si attuerebbero le prerogative essenziali della persona umana[3]. Questo fine che Del Vecchio riconosce nello
svolgimento storico del diritto – o piuttosto assegna a esso – indica quale sia
la sua prospettiva riguardo al problema «deontologico», ossia di ciò che il diritto
dovrebbe essere: in altre parole, al problema della giustizia. In questa
materia, da un’iniziale posizione kantiana Del Vecchio via via si avvicina a
quella del giusnaturalismo cattolico: mediante l’attribuzione di un significato
sempre meno formale e più contenutistico del concetto di persona. Del Vecchio
dichiara «legge etica fondamentale» il dovere di operare «non come mezzo o
veicolo delle forze della natura, ma come essere autonomo, avente la qualità di
principio e fine…, non come individuo empirico (homo phaenomenon), determinato
da passioni e affezioni fisiche, ma come io razionale (homo noumenon),
indipendente da esse»[4]. Il concetto, e la stessa terminologia, sono kantiani,
e del resto il richiamo al Kant è esplicito.
3. Nel campo dell’«etica oggettiva», ossia del diritto, da questa
concezione della natura (nel senso di essenza) dell’uomo, discende logicamente
il diritto soggettivo a non essere costretto ad accettare un rapporto con altri
che non dipenda anche dalla propria determinazione; e questo diritto soggettivo
costituisce il «principio, o idea-limite, di un diritto proprio universalmente
della persona, insito in essa e non esauribile mai in alcun rapporto concreto
di convivenza»[5]. Del Vecchio non esita
a chiamare tale diritto «diritto naturale», considerandolo «anteriore ad ogni
applicazione e ad ogni rapporto sociale» – di cui esso è anzi la legge[6] –, ed
indipendentemente dal rispetto che un ordinamento giuridico positivo ne compia.
Del Vecchio sostenne sempre, seguendo un giusnaturalismo che da quello kantiano
andò avvicinandosi a quello tomistico, il limite al potere dello Stato
costituito dai diritti naturali dell’individuo (o della «persona»). Nella prospettiva ideale di uno «Stato di giustizia»
la cui ragione prima è la tutela di tali diritti, egli respinge ogni teoria che
ponga lo Stato al di sopra o al di fuori del limite giuridico costituito dalla
sua intima ragione d’essere, l’attuazione della giustizia, in quanto solo da
questa sua missione esso trae la propria autorità[7]; anzi, di uno Stato che
agisca in contrasto con la giustizia Del Vecchio giunge a parlare come di
«Stato delinquente»[8] . La giustizia è da lui affermata perciò «valida ed
efficace anche contro un sistema giuridico positivamente vigente» quando questo
contrasti irreparabilmente con le esigenze elementari della giustizia che sono
le ragioni della sua validità: è legittima allora «la rivendicazione del
diritto naturale contro il positivo che lo rinneghi»[9]. Daniele Onori
[1] Del Vecchio, La dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino
nella rivoluzione francese. Tra le sue opere: Il sentimento giuridico, 1902;
L’etica evoluzionista, 1902; Diritto e personalità umana, 1904; I presupposti
filosofici della nozione del diritto, 1905; Su la teoria del contratto sociale,
1906; Il concetto del diritto, 1906; Il concetto della natura e i principio del
diritto, 1908; Sull’idea di una scienza del diritto universale comparato, 1908;
Il fenomeno della guerra e l’idea della pace, 1909; Sulla positività come carattere
del diritto, 1911; Sui principi generali del diritto, 1921; Sulla statualità
del diritto, 1929; Stato e società degli Stati, 1932; La crisi della scienza
del diritto, 1933; La crisi dello Stato, 1933; Il problema delle fonti del
diritto positivo, 1934; Individuo, Stato e corporazione, 1934; Etica, diritto e
Stato, 1934; Diritto ed economia, 1935; L’homo juridicus e l’insufficienza del
diritto come regola della vita, 1936; Sulla involuzione nel diritto, 1938; Sul
fondamento della giustizia penale, 1945; Verità e inganno nella morale e nel
diritto, 1945; Dispute e conclusioni sul diritto naturale, 1948. [2] R. Orecchia, Bibliografia di Giorgio Del
Vecchio, p. 11 [3] Del Vecchio, Lezioni
di filosofia del diritto, pp. 350-351 della 13 a ediz., Milano, 1965 [4] Del Vecchio, Il concetto della natura e
il principio del diritto, p. 72, Torino, 1908
[5] Ivi, p.85 [6] Ivi, p. 86 [7] Del Vecchio, Etica, diritto e Stato, nel
vol. Saggi intorno allo Stato, Roma, 1935, pp. 168-169. Nello stesso volume,
nel saggio Individuo, Stato e corporazione, v. il tentativo di fare rientrare
nel concetto di Stato di diritto lo «Stato corporativo» fascista (p. 134
ss.). [8] Del Vecchio, Lo Stato
delinquente (1962) [9] Del Vecchio, La
giustizia, pp. 121-124 della 6 a ediz., Roma, 1959. Ma le idee di Del Vecchio
circa il diritto naturale appaiono in numerosi suoi scritti: fra quelli
dedicati espressamente a tale argomento v. Dispute e conclusioni sul diritto
naturale (1948), Essenza del diritto naturale (1952), e Mutabilità ed eternità
del diritto naturale (1952), gli ultimi due ora in Studi sul diritto, I e II.Giorgio
Del Vecchio. DelVecchio. Vecchio. Keywords: neo-Trasimaco, Hart, ius, kantismo,
positivism, giustizia, il giusto, fascismo, Bobbio. Refs.: The H. P. Grice
Papers, Bancroft, MS – Luigi Speranza, “Grice, Hart, e Vecchio: il kantianismo
dell’ ‘ius.’”
Grice e Vedovelli: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale di una furtiva lagrima -- filosofia
italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Roma). Essential Italian philosopher. Filosofo italiano.
Rettore a Siena, assessore alla cultura del comune di Siena. Laureato in
filosofia a Roma. Insegna a Siena, dove Precedentemente svolge attività di ricerca
e di docenza a Heidelberg, Calabria, Roma, e Pavia. I suoi settori di ricerca
si muovono nell'ambito della glossologia, la semiotica, la sociolinguistica e
la linguistica acquisizionale. Introduce il concetto di lingua immigrata. Le
sue ricerche si concentrano sull'insegnamento e apprendimento delle lingue in
contesto migratorio. È autore di un commento al quadro comune europeo di
riferimento per l'insegnamento delle lingue e co-autore della ricerca italiano,
indagine motivazionale sui pubblici dell'italiano all'estero, realizzata sotto la guida di Mauro. Fondatore e direttore
della certificazione di italiano come lingua straniera, e del Centro di eccellenza
della Ricerca Osservatorio linguistico dell'italiano diffuso fra stranieri e
delle lingue immigrate in Italia, istituiti a Siena. Saggi: “Lessico di frequenza
dell'italiano parlato” (Milano, IBMEtas),
Italiano, I pubblici e le motivazioni dell'italiano diffuso tra
stranieri (Roma, Bulzoni); Guida all'italiano per stranieri: la prospettiva del
quadro comune europeo per le lingue” (Roma, Carocci); “Una furtiva lagrima: l'italiano
degli stranieri – specialmente nei tenori di opera” (Roma, Carocci); Lingua in
giallo. Analfabeti, criminali, sordomuti, certificazioni di lingua straniera,
Perugia, Guerra, Storia linguistica dell'emigrazione italiana nel mondo, Roma,
Carocci, Siena Certificazione CILS Linguistica educativa Glottodidattica
Semiotica Registrazioni di V. su Radio
Radicale. Massimo Vedovelli. Vedovelli. Keywords. Refs.: The H. P. Grice
Papers, Bancroft MS, -- Luigi Speranza, “Grice e Vedovelli” – The Swimming-Pool
Library, Villa Speranza, Liguria.
Grice e Vegetti: la ragione conversazionale
e l’implicatura conversazionale dell’accademia di Pater – vadum boum -- filosofia
italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Milano). Essential Italian philosopher. Filosofo italiano. Insegna
a Pavia. Si laurea a Pavia con la tesi, “La storiografia di Tucidide,” quale alunno
del collegio Ghislieri. Libero docente e successivamente professore incaricato
in storia della filosofia antica. Professore di questa disciplina a Pavia dove
ricopre più volte il ruolo di direttore nel dipartimento di filosofia. Docente
presso la scuola superiore IUSS di Pavia e la scuola europea di studi avanzati
dell'Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli. Membro del Collegium
Politicum e socio dell'Accademia di scienze morali e politiche di Napoli, e
dell'Istituto lombardo accademia di scienze e lettere. Condivise il lavoro
intellettuale e l'impegno sociale con Finzi. Si dedica alla filosofia
greco-romana, secondo l'insegnamento del suo maestro GEYMONAT (vedi). Fa studi
sulla medicina e sulla biologia da Ippocrate a Galeno. Il primo in Italia a
impartire un corso di storia della filosofia antica che prende in
considerazione i riferimenti alla storia della scienza, particolarmente in
ambito greco-romano. Nella ricerca della connessione fra scienze e filosofia,
segue la metodologia di GEYMONAT. Il campo d'indagine approfondito da V.
consistette nello studio degl’aspetti etici e politici della filosofia, in
particolare il platonismo dell’accademia, il aristotelismo del lizio, e il
PORTICO, in rapporto con l'ambito sociale ed ideologico della cultura
greco-romana. Relativamente all'etica, che assimila l'ordine stabilito dalla
legge morale e politica con l'ordine naturale insito nel kósmos, l'universo
ordinato, V. ritenne che si configurasse per la prima volta nell' “Iliade” proseguendo
poi nella riflessione orfica-pitagorica sull'anima. Apprezzato per i suoi studi
su Platone, Aristotele, Ippocrate, Galeno
e sull'etica. Saggi: “Il coltello e lo stilo” (Saggiatore, Milano); “Tra
Edipo e Euclide” (Saggiatore, Milano); “L'etica degl’antichi” (Laterza, Roma);
“La medicina platonica” (Cardo, Venezia); “La Repubblica platonica” (Napoli, Bibliopolis);
“Il platonismo” (Einaudi); “Socrate incontra Marx. Lo Straniero di Treviri, ed.
Guida; “Guida alla lettura della Repubblica di Platone (Laterza, Roma); “Un
paradigma in cielo. Platone politico, ed. Carocci. Collabora in: “Marxismo e
società antica” (Feltrinelli, Milano); “Oralità, scrittura, spettacolo” (Boringhieri,
Torino); Il sapere degl’antichi” (Boringhieri, Torino); “L'esperienza religiosa
antica” (Boringhieri, Torin) (con Giannantoni) La scienza ellenistica,
Bibliopolis, Napoli, Le opere psicologiche di Galeno, Bibliopolis, Napoli,
Nuove antichità, "Aut Aut", "Dialoghi con gl’antichi",
Sankt Augustio. Traduce Ippocrate,
Opere, Vegetti, POMBA, Torino, Aristotele, Opere biologiche, Lanza e V., POMBA,
Torino, Galeno, Opere, Garofalo e Vegetti, POMBA, Torino, Platone, Repubblica,
Vegetti, Libri I-III, Dipartimento di Filosofia, Pavia, "Platone,
Repubblica", Vegetti, BUR Biblioteca Univ. Rizzoli, Milano. “Nell'ombra di
Theuth: dinamiche della scrittura in Platone, in Sapere e scrittura in Grecia,
Detienne (Laterza, Roma); “Tra il sapere e la pratica: la medicina ellenistica”
in Storia del sapere medico occidentale Grmek, Laterza, Roma-Bari. “L' idea del
bene nella Repubblica di Platone, in "Discipline filosofiche", Passioni
antiche: l'io collerico, in Storia delle passioni S. Vegetti Finzi, Laterza,
Roma. Curato inoltre, per Zanichelli, “Filosofie e società.” Biografia su
Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche, su emsf.rai. Vegetti, Finzi,
Celli, Fare società, ed. Einaudi
Entrambi collaboratori della rivista “Iride” delle edizioni del Mulino.
Biografia su Enciclopedia delle scienze filosofiche, su emsf. rai. Filosofo
studioso di Platone, su corriere. Curci,
Intervista a Gastaldi, in ricordo di V., la provincial pavese. Enciclopedia
Treccani alla voce "Galeno" Intervista Carioti, "Critico il
Platone di REALE, il marxismo non c'entra", intervista di V., Corriere
della Sera, Opere su open MLOL, Horizons Unlimited srl. Opere V. Pubblicazioni su
Persée, Ministère de l'Enseignement supérieur, de la Recherche et de
l'Innovation. Registrazioni su Radio Radicale.
L'etica e la filosofia antica, su emsf. La retorica e la persuasione, su emsf. La
medicina greca. Aristotele. I pitagorici. Socrate., su emsf. L'etica in Platone
e Aristotele, su emsf. V.: il primato del filosofo per Aristotele, sul RAI filosofia. Mario Vegetti. Vegetti. Keywords:
ariskant, plathegel. -- Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft MS, -- Luigi
Speranza, “Grice e Vegetti e il platonismo oxoniense di Pater” – The
Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.
Grice e Velino: la ragione conversazionale e
l’implicatura conversazionale dei velini – filosofia italiana -- Luigi Speranza,
pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Velia). Italian philosopher Grice: “”A = A,”
Parmenides says,” “Le donne sono le donne,” “La guerra è la guerra.” Enough to irritate an Italian
neo-non-parmenideian“ One of the most important Italian philosophers, if only
because Plato dedicated a dialogue to him!” Grice. -- Parmenide Parmènide di Velia.
Παρμενίδης, Parmenídēs. Velia. Filosofo antico. Autore di un poema sulla
natura. Viene considerato il fondatore dell'ontologia, con cui ha
influenzato l'intera storia della filosofia occidentale. È il filosofo
dell'essere statico e immutabile, in contrasto col divenire d’Eraclito, secondo
il quale viceversa, tutto cambia. A V. si deve la nascita della scuola eleatica
– o velina -- a cui appartenevano anche Zenone, o ‘Senone’ nella grafia antica
più correta -- di Velia e Melisso. La rivalità tra Parmenide ed Eraclito è
stata reintrodotta negli odierni dibattiti sulla concezione del tempo, e della
fisica moderna. Nacque a Velia, in Ascea, da una famiglia aristocratica. Della
sua vita si hanno poche notizie. Secondo Speusippo, nipote di Platone, e
chiamato dai suoi concittadini a re-digere la legge di Ascea. Secondo Sozione è
discepolo del pitagorico AMINIA (vedi), di Crotone. Per altri, è probabilmente
discepolo di Senofane di Colofone. Ad Ascea fonda inoltre una scuola o setta,
insieme al suo discepolo prediletto, Zenone. Platone nel “Parmenide” riferisce
di un viaggio che Parmenide intraprese alla volta di Atene, dove conosce
Socrate col quale ebbe una vivace discussione. L'unica opera di Parmenide è il
poema in esametri “sulla natura”, di cui alcune parti sono citate da Simplicio
in “De coelo” e nei suoi commenti alla fisica del Lizio, da Sesto Empirico e da
altri saggi filosofichi antichi. Di queso poema sulla natura ci sono giunti ad
oggi XIX frammenti, alcuni dei quali allo stato di puro stralcio, che
comprendono un proemio e una trattazione in parti II: la via della verità e la
via dell'opinione. Di quest'ultima abbiamo solo pochi versi. Εἰ δ' ἄγ' ἐγὼν
ἐρέω, κόμισαι δὲ σὺ μῦθον ἀκούσας, αἵπερ ὁδοὶ μοῦναι διζήσιός εἰσι νοῆσαι· ἡ μὲν
ὅπως ἔστιν τε καὶ ὡς οὐκ ἔστι μὴ εἶναι, Πειθοῦς ἐστι κέλευθος - Ἀληθείῃ γὰρ ὀπηδεῖ
- , ἡ δ' ὡς οὐκ ἔστιν τε καὶ ὡς χρεών ἐστι μὴ εἶναι, τὴν δή τοι φράζω
παναπευθέα ἔμμεν ἀταρπόν· οὔτε γὰρ ἂν γνοίης τό γε μὴ ἐὸν - οὐ γὰρ ἀνυστόν - οὔτε
φράσαις. ... τὸ γὰρ αὐτὸ νοεῖν ἐστίν τε καὶ εἶναι. Orbene io ti dirò, e tu
ascolta accuratamente il DISCORSO, quali sono le vie di ricerca che sole sono
da pensare. L’una che "è" e che non è possibile che non sia, e questo
è il sentiero della persuasione -- infatti segue la verità. L’altra che
"non è" e che è necessario che non sia, e io ti dico che questo è un
sentiero del tutto inaccessibile. Infatti non potresti avere cognizione di ciò
che non è -- poiché non è possibile -- né potresti esprimerlo. Infatti lo
stesso è pensare ed essere. Sostiene che la molteplicità e i mutamenti del
mondo sono illusori, e afferma, contrariamente al senso comune, la realtà dell'essere:
immutabile, ingenerato, finito, immortale, unico, omogeneo, immobile,
eterno. La narrazione si snoda intorno al percorso intellettuale del
filosofo che racconta il suo viaggio verso la dimora della dea della giustizia la
quale lo conduce al cuore inconcusso della ben rotonda verità. La dea, in
quanto tutrice dell'ordine cosmico, e vista in tal senso anche come garante
dell'ordine logico, cioè del corretto filosofare. La dea gli mostra la via
dell'opinione, che conduce all'apparenza e all'inganno, e la via della verità
che conduce alla sapienza e all'essere -- τὸ εἶναι. Pur non specificando
cosa sia questo essere, è il che per primo ne mette a tema esplicitamente il
concetto. Su di esso egli esprime soltanto una lapidaria formula, la più antica
testimonianza in materia, secondo la quale l'essere è, e non può non essere. Il
non-essere non è, e non può essere -- ἡ μὲν ὅπως ἔστιν τε καὶ ὡς οὐκ ἔστι μὴ εἶναι
… ἡ δ' ὡς οὐκ ἔστιν τε καὶ ὡς χρεών ἐστι μὴ εἶναι -- è, e non è possibile che
non sia … non è, ed è necessario che non sia» -- Simplicio, Phys., Proclo,
Comm. al Tim.). Con queste parole intende affermare che niente si crea dal
niente -- ex nihilo nihil fit -- e nulla può essere distrutto nel nulla. Già i
primi filosofi avevano cercato l'origine (ἀρχή) della mutevolezza dei fenomeni
in un principio statico che potesse renderne ragione, non riuscendo a spiegarsi
il divenire. Ma i cambiamenti e le trasformazioni a cui è soggetta la natura,
tali per cui alcune realtà nascono, altre scompaiono, non hanno semplicemente
motivo di esistere, essendo pura illusione. La vera natura del mondo, il vero
essere della realtà, è statico e immobile. A tali affermazioni giunge
promuovendo per la prima volta una filosofia – discorso filosofico -- basato
non più su spiegazioni mitologiche del cosmo, ma su un metodo razionale,
servendosi in particolare della logica formale di non-contraddizione, da cui si
traggono le seguenti conclusion. L'essere è immobile perché se si muovesse
sarebbe soggetto al divenire, e quindi ora sarebbe, ora non sarebbe. L'essere è
uno perché non possono esserci due esseri. Se uno è l'essere, l'altro non
sarebbe il primo, e sarebbe quindi non-essere. Allo stesso modo per cui, se A è
l'essere, e B è diverso da A, allora B non è. Qualcosa che non sia essere non
può essere, per definizione. L'essere è eterno perché non può esserci un
momento in cui non è più, o non è ancora. Se l'essere è solo per un certo
periodo di tempo, a un certo momento non è, e si cade in contraddizione. L'essere
è dunque ingenerato e immortale, poiché in caso contrario implicherebbe il non
essere. La nascita significa essere, ma è anche non essere prima di nascere. La
morte significa non essere, ovvero essere solo fino a un certo momento. L'essere
è indivisibile, perché altrimenti richiederebbe la presenza del non-essere come
elemento separatore. L'essere risulta così vincolato dalla necessità (ἀνάγχη),
che è il suo limite ma al contempo il suo fondamento costitutivo. La
dominatrice necessità lo tiene nelle strettoie del limite che lo rinserra tutto
intorno. Perché bisogna che l'essere non sia incompiuto. L'essere, secondo
Parmenide: privo di imperfezioni e identico in ogni sua parte come una sfera
paragona l'essere a una sfera perfetta, sempre uguale a se stessa nello spazio
e nel tempo, chiusa e finita -- il finito è sinonimo di perfezione. La sfera è
infatti l'unico solido geometrico che non ha differenze al suo interno, ed è
uguale dovunque la si guardi. L’ipotesi collima suggestivamente con la teoria
della relatività di Einstein. Se prendessimo un binocolo e lo puntassimo nello
spazio, vedremmo una linea curva chiusa all'infinito in tutte le direzioni
dello spazio, ovvero, complessivamente, una sfera. Per lo scienziato infatti
l'universo è finito sebbene illimitato, fatto di uno spazio tondo ripiegato su
se stesso. Fuori dell'essere non può esistere nulla, perché il non-essere,
secondo logica, non è, per sua stessa definizione. Il divenire attestato dai
sensi, secondo cui gl’enti ora sono e ora non sono, è una mera illusione -- che
appare ma in realtà non è. La vera conoscenza dunque non deriva dai sensi, ma
nasce dalla ragione. Non c'è nulla di errato nell'intelletto che prima non sia
stato negli erranti sensi. Questa è la frase che d'ora in poi è attribuita a
Parmenide. Il pensiero è dunque la via maestra per cogliere la verità dell'essere.
Ed è lo stesso il pensare e pensare che è. Giacché senza l'essere non troverai
il pensare, a indicare come l'essere si trovi nel pensiero. Pensare il nulla è
difatti impossibile, il pensiero è necessariamente pensiero dell'essere. Di
conseguenza, poiché è sempre l'essere a muovere il pensiero, la pensabilità di
qualcosa dimostra l'esistenza dell'oggetto pensato.Tale identità immediata di
essere e pensiero, a cui si giunge scartando tutte le impressioni e i falsi
concetti derivanti dai sensi, abbandonando ogni dinamismo del pensiero,
accomuna Parmenide alla dimensione mistica delle filosofie apofatiche
orientali, come il buddhismo, il taoismo e l'induismo. Una volta stabilito che
l'essere è, e il non-essere non è, restava tuttavia da spiegare come nascesse
l'errore dei sensi, dato che nell'essere non ci sono imperfezioni, e perché gl’uomini
tendano a prestare fede al divenire attribuendo l'essere al non-essere.
Parmenide si limita ad affermare che gl’uomini si lasciano guidare
dall'opinione (δόξα), anziché dalla verità. Ossia, giudicano la realtà in base
all'apparenza, secondo procedimenti illogici. L'errore in definitiva è una
semplice illusione, e dunque, in quanto non esiste, non si può trovargli una
ragione. Compito del filosofo è unicamente quello di rivelare la nuda verità
dell'essere nascosta sotto la superficie degl’inganni. Il tema è ripreso da
Platone che cerca una soluzione al conflitto tra l'essere e il molteplice. Per
sciogliere il dramma umano costituito dal divenire per cui tutto muta che si
scontra con una ragione, altra dimensione fondamentale, che è portata a
negarlo, Platone conceve il non-essere non più alla maniera di Parmenide
staticamente e assolutamente contrapposto all'essere, ma come diverso dall'essere
in maniera relativa, nel tentativo di dare una spiegazione razionale anche al
tempo e al molteplice. Il rigore logico di Parmenide gli valse inoltre
l'appellativo di "venerando e terribile" da parte di Platone. La
fiducia di Parmenide in un sapere completamente dedotto dalla ragione, e
viceversa la sua totale sfiducia nei confronti dei sensi e di una conoscenza
empirica, fa di lui un filosofo profondamente razionalista. Parmenide e
la scuola di Veli. Parmenide ne "La scuola di Atene", affresco di
Sanzio. Parmenide è il fondatore della scuola o setta di Velia, dove ha vari
discepoli, il più importante dei quali è Zenone. Il metodo usato dagli velini è
la dimostrazione per assurdo, con cui confutano le tesi dellavversario
giungendo a dimostrare la verità dell'essere, nonché la falsità del divenire e
delle impressioni dei sensi, per una impossibilità logica di pensare
altrimenti. Stupiva i contemporanei un ragionamento che scaturiva dalla
radicale contrapposizione essere/non-essere e da un'immediata conseguenza del
principio di non-contraddittorietà dell'essere e del pensiero, teorizzato in
seguito da Aristotele nel Lizio come evidenza prima e indimostrabile alla
ragione senza la quale diverrebbe impossibile qualsiasi conoscenza
necessaria-filosofica, restando solo il mondo dell'opinione. Parmenide e i
velini si contrapponevano soprattutto al pensiero d’Eraclito, loro
contemporaneo, filosofo del divenire che basa la conoscenza interamente sui
sensi. Nella prospettiva della storia della filosofia, è quindi Hegel a
concepire l'essere in maniera radicalmente opposta a Parmenide. Anche
l'atomismo democriteo intese contrapporsi alla teoria velina dell'essere -- che
cerca una soluzione al problema dell'archè negando alla radice un fondamento
originario al divenire -- presupponendo gl’atomi e uno spazio vuoto, diverso
dagl’atomi, in cui essi potessero muoversi, ipotizzando in una certa maniera
una convivenza di essere e non-essere. In seguito furono i sofisti a
cercare di confutare il pensiero dei velini, opponendo al loro sapere certo e
indubitabile (επιστήμη) sia il relativismo di Protagora, sia il nichilismo di
Gorgia di Leonzio. Uno dei maggiori problemi sollevati da Parmenide riguardava
in particolare l'impossibilità di oggettivare l'essere, di darne un predicato,
di sottrarlo all'astrattezza formale con cui egli l'enuncia, e che sembra
contrastare con la pienezza totale del suo contenuto. È seguendo questa strada
che Platone, nel tentativo di risolvere il problema, approde al mondo delle
idee. L'interpretazione della "doxa" REALE (vedi) ha elencato
le diverse interpretazioni contemporanee sullo statuto e il significato
dell'opinione ed il suo rapporto con la verità. Accanto ad una lettura che le
vede contrapporre radicalmente, ne esiste una diversa, che REALE appoggia,
secondo cui l'opinione (δόξα) non è da intendersi in Parmenide come negazione
assoluta della verità, ma come un modo improprio di accostarsi ad essa. Non si
tratterebbe cioè di puro non-essere, della via dell'errore scartata a priori,
ma di una TERZA possibilità in cui i fenomeni (δοκοῦντα) sarebbero entità
pensabili e quindi plausibili, se non altro come manifestazioni esteriori del
fondamento occulto e autentico dell'essere. Nelle parole della dea, infatti,
Parmenide è chiamato a conoscere anche le opinioni dei mortali, in cui non è
certezza verace. Eppure anche questo imparerai. Come l'esistenza delle
apparenze sia necessario ammetta colui che in tutti i sensi tutto indaga. Si
tratta di un'interpretazione condivisa in varia misura anche da Schwabl, Untersteiner,
COLLI (vedi), RUGGIU (vedi), sebbene respinta da altri, che fa di Parmenide un
anticipatore della futura ontologia platonica, mentre i suoi discepoli invece
mantenneno una concezione più rigorosa dell'essere, quella tradizionalmente
attribuita ai velini. Tra le filosofie volte al recupero del pensiero classico
in chiave attuale, in direzione del quale si sono mossi specialmente gli studi
di Heidegger e di BONTADINI, l'opera di SEVERINO si segnala come una parziale
ripresa della dottrina di Parmenide, e viene perciò definita neo-parmenidismo.
In particolare nel suo saggio “Ritornare a Parmenide”, SEVERINO intende
proporre un'originale re-interpretazione delle categorie fondamentali del
pensiero alla luce della rigorosa logica del velino. Secondo Platone in “Parmenide”.
Dopo che è scoperta in uno scavo ad Ascea un'erma acefala con l'iscrizione
Πα[ρ]μενείδης Πύρητος Οόλιάδης φυσικός -- Parmenide figlio di Pirete medico
degli Uliadai -- dove Parmenide viene cioè indicato come capo della scuola
medica di Velia degli Ούλιάδαι, si ritrova in seguito la testa-ritratto con
barba qui raffigurata, con la base del collo adattata ad essere sovrapposta in
un'erma del tipo di quella precedentemente ritrovata con l'iscrizione citata.
Altri ritengono invece che questa scultura riproduca il busto del filosofo
epicureo Metrodoro di Lampsaco (Picozzi, Parmenide, Enciclopedia dell'arte
antica Treccani). Logos: rivista
internazionale di filosofia, Bartelli e Verando. I paradossi di Zenone contro
il movimento vennero enunciati proprio per argomentare la posizione filosofica
di Parmenide. Lugiato, L'uomo e il limite, Milano, FrancoAngeli, Secondo
Platone in Parmenide, Diogene Laerzio. Così Plutarco, Contro Colote. Fra questi
Aristotele, (Metafisica) e Platone (Sofista) e così anche Diogene Laerzio, Vite
dei filosofi. I presocratici, a cura di Giannantoni, Bari. Platone, Parmenide,
Simplicio, De cœlo. Simplicio, In Aristotelis Physica commentaria. Sesto
Empirico, Adversus mathematicos. Finito non da intendersi come imperfetto
perché per la mentalità antica il segno di perfezione è la compiutezza, il
finito. L'infinito vorrebbe dire che non è completo, che gli manca qualcosa
quindi imperfetto. Sul tema del viaggio in Parmenide si veda quest'intervista a
Ruggiu, tratta dall'Enciclopedia delle scienze filosofiche. Dalla raccolta I
presocratici di Diels e Kranz. Jellamo, Il cammino di Dike: l'idea di giustizia
da Omero a Eschilo, Roma, Donzelli. Sull'ipotesi che la dea della giustizia è interpretata
da Parmenide in una maniera nuova, filosofica, cfr. Fränkel, Wege und Formen
Frühgriechischen Denkens. Literarische und Philosophiegeschichtliche Studien,
München, Beck -- per il quale essa veniva ora vista come dea della giustezza o
esattezza (dikaiosyne), preludio di quella platonica. Sulla dike
"filosofica" cfr. anche Deichgräber, Parmenides' Auffahrt zur Göttin
des Rechts, Untersuchungen zum Prooimion seines Lehrgedichts, Magonza. La
nascita della parola "filosofia" è molto controversa, in quanto ha
diverse accezioni. Già anticamente, così come altri termini composti col
suffisso "philo-" (cfr. Hadot, Che cos'è la filosofia antica?,
Torino, Einaudi) essa indicava una passione, una tensione (φίλος, fìlos) verso
il sapere (σοφία, sofìa). Secondo Capizzi, tuttavia, Parmenide non era un
filosofo nel senso etimologico, in quanto più che al "sapere per il
sapere" propende per le applicazioni politiche del sapere, ma la questione
è tutt'altro che definitiva. Principio enunciato da Melisso e poi reso in
latino da LUCREZIO (vedi), ma implicitamente presente in un fragmento di
Parmenide (cfr. Garrigou-Lagrange, La sintesi tomistica, Fede & Cultura. Il
principio di non-contraddizione, introdotto da Parmenide per rivelare l'essere
stesso, la verità essenziale, è successivamente impiegato come strumento del
pensiero logicamente cogente per qualsiasi affermazione esatta. Sorsero così la
logica e la dialettica -- Jaspers, I grandi filosofi, Longanesi, Milano). Della
raccolta Diels e Kranz. Einstein si espresse tra l'altro in maniera
sorprendentemente simile a Parmenide, in quanto anch'egli tende a negare la
discontinuità del divenire e il suo svolgimento nel tempo. Secondo Popper,
grandi scienziati come Boltzmann, Minkowski, Weyl, Schrödinger, Gödel e,
soprattutto, Einstein hanno concepito le cose in modo similare a Parmenide e si
sono espressi in termini singolarmente simili. La materia, secondo Einstein, si
curverebbe su se stessa, per cui l'universo sarebbe illimitato ma finito,
simile ad una sfera, che è illimitatamente percorribile anche se finita.
Inoltre Einstein ritiene che non ha senso chiedersi che cosa esista fuori
dell'universo (Riva, Manuale di filosofia). Meinong, proprio come Parmenide, difese ad
esempio l'idea che anche la montagna d'oro sussista poiché se ne può parlare.
Diels e Kranz. Sull'analogia tra la posizione parmenidea e le filosofie
dell'Oriente, cfr. Severino. Il Poema, le fonti, le interpretazioni, su
filosofico. Cfr. anche l'intervista a SEVERINO (Venezia, Museo Correr,
Biblioteca Marciana) in Parmenide su Emsf.rai Platone, Teeteto. Un famoso
esempio si ha nelle aporie note come paradossi di Zenone. Si veda La filosofia
dei Greci nel suo sviluppo storico, di Zeller, Mondolfo, Eleati, a cura di Reale,
Firenze, La Nuova Italia, a cura di Girgenti, Milano, Bompiani. Dunque,
Parmenide ha esposto un'opinione plausibile, oltre a quella fallace, e cerca, a
suo modo, di dar conto dei fenomeni -- Reale, Storia della filosofia antica,
Vita e Pensiero, Milano, trad. di Reale. Schwabl, Sein und Doxa bei Parmenides,
Wiener Studien, Untersteiner, La Doxa di Parmenide, in Parmenide. Testimonianze
e frammenti, Sansoni, Firenze, COLLI, Physis kryptesthai philei, ed.
dell'Ateneo, Roma. Ruggiu, Saggio introduttivo e commentario filosofico, in
Parmenide, Poema sulla natura: i frammenti e le testimonianze indirette,
Rusconi, Milano. Di origine evidentemente iranica è il dualismo luce-tenebre
che per Parmenide sta alla base della dóxa, mentre è addirittura di origine
indiana il carattere puramente apparente da lui attribuito al mondo sensibile
(sostenuto dalla corrente Samkya delle Upanishad nella famosa dottrina del
"velo di Maya", ripresa da Schopenhauer), e lo stesso viaggio del
filosofo al cospetto della dea, esposto nel proemio del poema parmenideo,
ricorderebbe i viaggi degli sciamani asiatici -- West, La filosofia greca
arcaica e l'Oriente (Mulino, Bologna). In esso, tuttavia, SEVERINO afferma
dapprima di aver compiuto il secondo grande parmenicidio, dopo quello di
Platone. Parmenide svaluta e quindi annulla i fenomeni. Ma questi appaiono,
quindi esistono e, se esistono, non divengono. Ma tutti sono eterni. In secondo
luogo, SEVERINO usa la logica parmenidea per confutare l'etica e la fede in Dio.
Poiché il divenire non esiste, non sarebbero possibili la libera scelta morale
e l'esistenza di un creatore che tragga l'essere dal nulla, creandolo ex
nihilo. Diogene Laerzio, Vite e dottrine dei più celebri filosofi, a cura di
Reale con la collaborazione di Girgenti e Ramelli (Milano, Bompiani); Albertelli,
Gli Eleati: testimonianze e frammenti (Bari, Laterza); Vitali, Parmenide
d'Elea. Peri physeos, una ricostruzione del Poema (Faenza, Lega); Reale,
Ruggiu, Parmenide. Poema sulla natura (Milano, Rusconi); Cerri, Parmenide.
Poema sulla natura (Milano, BUR); Nolletti, Che cos'è l'essere di Parmenide:
spiegazione di un enigma filosofico” (Teramo, La Nuova Editrice); I
presocratici. Prima traduzione integrale con testi originali a fronte delle
testimonianze e dei frammenti di Diels e Kranz, a cura di Reale (Milano,
Bompiani); Untersteiner, Eleati. Parmenide, Zenone, Melisso. Testimonianze E
Frammenti (Milano, Bompiani); Severino, Ritornare a Parmenide in Essenza del
nichilismo (Paideia, Brescia); DIANO (vedi), Parmenide in Studi e saggi di
filosofia antica, successivamente ne Il pensiero greco da Anassimandro agli
Stoici (Bollati Boringhieri); Ruggiu, Parmenide (Venezia, Marsilio); Capizzi,
Introduzione a Parmenide (Laterza, Roma); CAPIZZI (vedi), La porta di Parmenid:
saggi per una nuova lettura del poema” (Ateneo, Roma); CALOGERO, Studi
sull'eleatismo (Roma, La Nuova Italia, Firenze); Hussey, I presocratici,
Rampello (Mursia, Milano); Heinrich, Parmenide e Giona: studi sul rapporto tra
filosofia e mitologia” (Guida, Napoli); Casertano, Parmenide il metodo la
scienza l'esperienza” (Loffredo, Napoli); Popper, “Il mondo di Parmenide: alla
scoperta dell'illuminismo presocratico” (Piemme, Casale Monferrat); Heidegger,
“Parmenide”, a cura di VOLPI (vedi) (Adelphi, Milano); Gadamer, Scritti su
Parmenide, a cura di Saviani (Filema, Napoli); Colli, Gorgia e Parmenide.
Lezioni (Adelphi, Milano); Cordero, “By Being, It is. The Thesis of Parmenides,
Parmenides Publishing, Las Vega); Pulpito, Parmenide e la negazione del tempo.
Interpretazioni e problemi” (LED, Milano); Sangiacomo, La sfida di Parmenide.
Verso la Rinascenza, Il Prato, Padova); Abbate, Parmenide e i neoplatonici.
Dall'Essere all'Uno e al di là dell'Uno” (Edizioni dell'Orso, Alessandria); Toro,
L'enigma Parmenide. Poesia e filosofia nel proemio” (Aracne, Rom); Ferrari, “Il
migliore dei mondi impossibili: Parmenide e il cosmo dei Presocratici” (Aracne,
Roma); Donà (vedi), Parmenide. Dell'essere e del nulla, (Alboversorio, Milano);
Sperduto, Il divenire dell'eterno (Aracne, Roma); Dizionario di filosofia,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana,
Parmènide (filosofo), su sapere; Agostini. Spiegazione dell'enigma dell'essere
di Parmenide, su parmenide; Severino. Il Poema, le fonti, le interpretazioni,
su filosofico. Severino: Parmenide, su rai scuola; Sull'Essere" recitato
in greco antico ricostruito, su podium-arts; Un'ampia lista degli studi
dedicati a Parmenide su Parmenides; Parmenides and the Question of Being in
Greek Thought, su ontology. con una bibliografia annotata degli studi recenti e
delle edizioni critiche.Stanford. Refs.: H. P. Grice, “Negation and privation,”
“Lectures on negation,” Wiggins, “Grice and Parmenides”. Parmenide. Keywords:
Velia, velino, velini, la porta. Refs.: Luigi Speranza, “Il parmenideismo
italiano,” Luigi Speranza, "Grice e
Parmenide," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa
Grice, Liguria, Italia.
Grice e Velia: la ragione conversazionale e
l’implicatura conversazionale dei velini – filosofia italiana -- Luigi Speranza,
pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Velia). Filosofo italiano. Cf. senofane, parmenide -- Velia
-- (or as Strawson would prefer, Zeno). Sometimes spelt ‘Senone’ "Senone
*loved* his native Velia. Vivid evidence of the cultural impact of Senone's
arguments in Italia is to be found in the interior of a red-figure drinking cup
(Roma, Villa Giulia, inv. 3591) discovered in the Etrurian city of
Falerii. It depicts a heroic figure racing nimbly ahead of a large
tortoise and has every appearance of being the first known ‘response’ to the
Achilles (or Mercurio, Ermete) paradox. “Was ‘Senone’ BORN in Velia?” --
that is the question!” -- Grice. Italian
philosopher, as as such, or as Grice prefers, ‘senone’ – Zeno’s paradoxes.
“Since Elea is in Italy, we can say Zeno is Italian.” H. P. Grice. “Linguistic
puzzles, in nature.” H. P. Grice. four
paradoxes relating to space and motion attributed to Zenone di Velia. The race-track,
Achilles and the tortoise, the stadium, and the arrow. Zenoe’s work is known to
us through secondary sources, in particular Aristotle. The race-track paradox.
If a runner is to reach the end of the track, he must first complete an
infinite number of different journeys: getting to the midpoint, then to the
point midway between the midpoint and the end, then to the point midway between
this one and the end, and so on. But it is logically impossible for someone to
complete an infinite series of journeys. Therefore, the runner cannot reach the
end of the track. Since it is irrelevant to the argument how far the end of the
track is -- it could be a foot or an inch or a micron away -- this argument, if
sound, shows that motion is impossible. Moving to any point involves an
infinite number of journeys, and an infinite number of journeys cannot be
completed. The paradox of Achilles and the tortoise. Achilles runs much faster
than the tortoise. A race is arranged between them, and the tortoise is given a
lead. Zenone argues that Achilles never catches up with the tortoise no matter
how fast he runs and no matter how long the race goes on. For, the first thing
Achilles has to do is to get to the place from which the tortoise started. But the
tortoise, though slow, is unflagging. While Achilles is occupied in making up
his handicap, the tortoise advances a little farther. The next thing Achilles
has to do is to get to the new place the tortoise occupies. While Achilles is
doing this, the tortoise has gone a little farther still. However small the gap
that remains, it take Achilles some time to cross it. In that tim, the tortoise
creates another gap. So, however fast Achilles runs, all that the tortoise has
to do, in order not to be beaten, is not to stop. The stadium paradox. Imagine
three equal cubes, A, B, and C, with sides all of length l, arranged in a line
stretching away from one. A is moved perpendicularly out of line to the right
by a distance equal to l. At the same time, and at the same rate, C is moved
perpendicularly out of line to the left by a distance equal to l. The time it
takes A to travel l/2 relative to B equals the time it takes A to travel to l
relative to C. So, it follows that half the time equals its double. The arrow paradox.
At any instant of time, the flying arrow occupies a space equal to itself. That
is, the arrow at an instant cannot be moving, for motion takes a period of
time, and a temporal instant is conceived as a point, not itself having
duration. It follows that the arrow is at rest at every instant, and so does
not move. What goes for arrows goes for everything: nothing moves. Scholars
disagree about what Zenone himself takes his paradoxes to show. There is no
evidence that Zenone offers any “solution” to his paradoxes. One view is that
the four paradoxes are part of a programme to establish that *multiplicity* --
including motion -- is an illusion of the senses, and that reality is a
seamless whole. Zeno’s argument may be reconstructed like this. If you allow
that reality can be successively divided into parts, you find yourself with
these four insupportable paradoxes. So you must think of reality as a single
indivisible one. Senza le premesse di tale discussione e
problematica si precisano chiaramente nei finissimi argomenti di Zenone di
Velia, discepolo e difensore di Parmenide di Velia, in cui si vede bene il
taglio netto tra l'essere che è e in cui tutto si annulla, e il mondo umano
costruito dall'uomo stesso. All'inizio del “Parmenide” Platone narra che una
volta, durante le grandi Panatenee, Parmenide e Zenone vennero ad Atene. Parmenide
e d'aspetto bello e nobile. Zenone, di grande statura e bell'uomo anche (“Parmenide”).
Platone dice, poi, che in quell'occasione Zenone legge un saggio che scrive per
difendere la tesi di Parmenide di Velia, ma che quel saggio Zenone compose per
amor di polemica e che per giunta un tale glielo ha sottratto, per cui, Platone
fa dire a Zenone. Non ha neppure il tempo di pensare se fosse o no il caso di
darlo alla luce. Platone, forse, per dare avvio alla sua discussione,
probabilmente nei confronti della setta di Velia, si riallaccia di proposito a
Parmenide e a Zenone mettendoli in rapporto con Socrate. Può darsi, dunque, che
Platone forza la notizia di Zenone e Parmenide ad Atene in un'epoca in cui
sembra difficile, per ragioni cronologiche, che Parmenide sia potuto venire ad
Atene. Nulla vieta, invece, di pensare che lui sia stato effettivamente ad
Atene, anche se in epoca diversa. Discepolo di Parmenide, Zenone nasce a Velia.
Platone (“Parmenide”) narra che Zenone e venuto con Parmenide ad Atene. Tutte
le fonti lo presentano come uomo prestante e altamente intelligente, che prende
attiva parte alla vita politica di Velia, dove sarebbe eroicamente morto
combattendo il tiranno Ncarco, quando, preso da Nearco e torturato, per non
parlare si spezza la lingua con i denti, sputandola addosso al tiranno. Sembra
che la struttura originaria del saggio di Zenone, o dei suoi saggi, e anti-nomica,
e che [Altro punto sospetto è che Platone dice che il saggio che Zenone scrive
e stato fatto circolare senza il permesso dell'autore. Potrebbe questo essere
indice che Platone, in effetto, non espone la tesi vera di Zenone, anche se,
nella finzione del dialogo, lui stesso approvi, con qualche riserva, il sunto
che dei punti salienti dà Socrate. Platone, nel “Parmenide” tende a dimostrare
l'impossibilità di pensare l'essere di Parmenide che porta dietro di sé
l'altrettanta impossibilità di pensare i molti, onde, postici sul piano di
Parmenide, risulta impossibile il discorso, un qual-sivoglia giudizio. Non
interessa ora la soluzione di Platone e il suo tentativo di poter pensare l'essere
come dialetticità corrispondente alla dialetticità del pensiero, per cui si
rende possibile porre un tutto oggettivo. come ordine dialettico e misura su
cui scandire, attraverso la conoscenza di sé, lo stesso ordine politico. È
tuttavia importante sottolineare che nei confronti dell'uno di Parmenide e
delle opere di lui -- che accettando l'ipotesi di Parmenide e anche accettando
che l'uno di Parmenide si può, all'estremo, ritenere assurdo, vuoi dimostrare
che altrettanto assurdo è porre unità accanto a unità, come i pitagorici,
quando si ritenga che queste siano realtà per sé e non puri nomi -- la polemica
di Platone chiarifica quella che storicamente dev'essere stata l'aporia
fondamentale in cui si trova il lettore del saggio di Zenone. In verità -
abbietta Zenone nel Parmenide di Platone - questo mio saggio vuol essere in
certo modo una difesa della dottrina di Parmenide contro quelli che cercano di
metterla in ridicolo sostenendo che la tesi dell'esistenza dell'uno va incontro
a molte conseguenze ridicole e contraddittorie. Vuole confutare perciò questo
mio saggio quelli che asseriscono l'esistenza dei molti e render loro la
pariglia e anche di piu, cercando di mostrare che la loro ipotesi
dell'esistenza dei molti va incontro a CONSEQUENZE ANCOR PIU RIDICOLE di quella dell'uno se si vuole
andare in fondo alla ricerca. In effetto, qui Platone corregge la sua prima
affermazione che Zenone e Parmenide diceno la stessa cosa ("dite su per
giu la cosa medesima”), e per i suoi intenti lascia cadere la precisazione di
Zenone. Ma ciò è fondamentale, perché, in genere, è con questi abili accenni
che Platone distingue, quello che a Platone importa da quello che accantona, ma
che corrisponde, quasi sempre, alla verità storica. Zenone, quaranta fossero gl’argomenti
contro la tesi che sostiene il molteplice e il moto. Platone che vede in Zenone
il difensore dell’Uno di Parmenide, lo chiama il "palamede eleatico"
(Fedro) ] dunque, sarebbe parmenideo alla rovescia. Zenone accetta che l'uno-tutto
di Parmenide porta alla finale contraddizione dell'impensabilità -- proprio
sulla via del pensiero -- dell'uno stesso. Solo che la facile critica
dell'annullarsi dell'uno deve tener presente che, ammessa la esistenza dei
molti, di punti accanto a punti, come enti reali, si cade nelle stesse
contraddizioni di chi pone l'uno. Zenone non dice mai cosa sia l'essere. Zenone
nega che posti i molti come esistenti, sul piano logico i molti esistano,
confermando cosi la tesi di Parmenide che i molti in quanto tali, in quanto
definizioni, non sono che puri *nomi* (nel piano linguistico) o illusione (nel
piano cognoscitivo). Ammessa, dunque, pitagoricamente, l'esistenza di punti
reali costituenti le cose, bisogna necessariamente ammettere che ciascuna di
tali unità in quanto punto ha una grandezza, anche se minima, onde in ogni
punto vi sono infiniti punti e quindi ogni punto-unità e infinitamente grande.
Se il punto poi non ha gradezza, poiché le cose si costituiscono come aventi
grandezza per l'unione dei punti, come e mai possibile che punti senza
grandezza diano luogo a grandezze? Un punto dunque, se non ha grandezza, non è.
Ancora: ammesse piu cose costituite di punti, esse saranno ad un tempo in
numero finito e infinito, il che è contraddittorio. Saranno in numero finito,
perché non possono essere piu o meno di quante sono. Saranno in numero nfinito
perché tra l'una e l'altra ve ne sarà un'altra ancora, e tra questa e l'altra
un'altra ancora all'infinito. Ancora: ammessa la molteplicità di cose reali per
sé, bisogna ammettere o che sono continue, onde la molteplicità si annulla
nella continuità, che, essendo divisibile all'infinito, è costituita d’infiniti
punti a loro volta divisibili all'infinito, fino al nulla; oppure che ogni
cosa, limitando l'altra, occupa uno spazio e si distingue dall'altra per uno
spazio. Ma allora ogni spazio in quanto luogo implica un altro luogo e cosi
all'infinito, sino all'unico luogo cioè l'uno, cioè il nulla (Aristotele,
Fisica; Simplicio, Fisica). Entro questa linea rientra anche il cosiddetto
argomento del grano di miglio. Un grano o la decimillesima parte di un grano di
miglio fa rumore. Ora, se fra un grano di miglio e un medimmo c'è proporzione,
vi sarà proporzione anche tra i suoni, per cui se un medimmo di miglio fa
rumore lo fa anche un solo grano (Aristotele, Fisica; Simplicio, Fisica). Ma
ciò non avviene. Evidentemente quest'ultimo argomento rientra nei termini dei
primi. Se l'uno, o la totalità, è impensabile irrelativamente, altrettanto
impensabili sono i molti qualora si pongano quali realtà accanto a realtà.
Nessuna parte del molteplice costituie il limite ultimo e nessuna e senza una
relazione con un'altra. Poiché i molti sono impensabili, se non determinati
come variazione di quantità di un CONTINUO, e poiché IL CONTINUO si può
rappresentare come retta all'infinito, fino al nulla, i molti, se posti come
realtà per sé, non sono. Cosi nell'ipotetica retta -- nulla è pensabile se non
in quanto estensione ed estensione che si qualifica -- altrettanto
inconcepibile è il moto, o meglio la possibilità dello spostamento e del
passaggio da punto a punto, ché, dato, ad esempio, un segmento AB, tra A e B
posta una metà A', necessariamente tra A e A', vi sarà una metà A" e cosi
vita all'infinito – eis apeiron -- (argomento della dicotomia, cioè della
divisione in due: Aristotele, Fisica; Simplido, Fisica). Evidentemente non vi è
allora passaggio tra un ipotetico primo punto A e il punto della linea accanto
ad A, onde si può dire che Achille piè veloce" in A non raggiunge mai la
tartarugà che sia un passo avanti in A", ché, in effetto, logicamente, né
l'uno né l'altra si muovono -- argomento dell'Achille—pie-veloce: cfr. Aristotele,
Fisica; Simplicio), tanto piu che la linea, essendo costituita d'infiniti
punti, è divisibile all'infinito, e quindi, all'infinito, si annulla.
Analogamente LA FRECCIA non raggiungerà mai il bersaglio, dovendo percorrere
l'infinito e rimanendo sempre ferma al punto di partenza -- argomento della
freccia: cfr. Aristotele, Fisica; Simplicio, Fisica; Filopono, Fisica;
Temistio, Fisica). Infine, dei presunti XL argomenti con i quali Zenone
dimostra la contraddittorietà in cui pone o l'esperienza sensibile o la
definizione dei dati che implicano la molteplicità o il movimento, abbiamo
l'argomento detto dello stadio. Considerando in uno stadio un punto mobile che
va ad una certa velocità, se lo si considera rispetto ad un punto fermo andrà,
ad esempio, a X chilometri l'ora. Se lo si considera invece rispetto a un altro
punto mobile che vada alla sua stessa velocità in senso opposto, quello stesso
mobile va a XX chilometri all'ora. Il argomento IV - dice Aristotele - è quello
delle due serie di masse uguali che si muovono in senso contrario nello stadio,
lungo altre masse uguali, le une cioè a partire dalla fine dello stadio, le
altre dalla metà, con velocità uguale. La conseguenza è che la metà del tempo è
uguale al doppio (Fisica; cfr. anche Simplicio, Fisica). I celebri argomenti contro
il movimento, con cui, accettata la premessa che esiste il moto, con ferrea
consequenzialità, di deduzione in deduzione, si dimostra come sul piano logico,
contraddicendosi, non si possa se non negare il moto -- onde, appunto,
Aristotele, secondo Diogene Laerzio, nel “Sofista” andato perduto - ha potuto
dire che lui e padre della DIALETTICA, e non Gorgia da Leonzio -- come arte del
confutare -- ci sono rimasti attraverso le discussioni e le critiche di
Aristotele. Non sappiamo, in effetto, se tali argomenti sono proprii del saggio
di Zenone, ché le fonti precedenti, ivi compreso Platone -- che fa intravedere
solo gli argomenti contro l'esistenza della molteplicità -- ne tacciono. Certo
gl’argomenti contro il movimento potevano essere conseguenza di quelli sulla
pluralità, che, portando a dimostrare l'intraducibilità della fisica in termini
logico-matematici, per l'impensabilità del CONTINUO SPAZIALE, portano anche a
rendere impensabile il continuo spazio-temporale su cui si determinano,
definendoli, i punti-geometrici, i cui rapporti di movimento divenivano
rapporti spaziali e, quindi, ancora una volta impensabili o contraddittori. La sua
polemica sembra quindi rivolta sia contro i punti-cose dei primi della setta di
CROTONE (o se si vuole contro la riduzione a numeri interi delle cose da parte
dei primi de quella setta), supponendo i numeri irrazionali, sia contro
l'impossibilità di ridurre le esperienze della vita, della mutevolezza, alla
sfera della ragione e dei numeri, senza perdere in puri nomi quella stessa
vitalità. Le conseguenze della discussione di Zenone di V., tenendo presenti
certe posizioni a lui contemporanee o immediatamente posteriori - lasciando da
parte le implicazioni che vi hanno veduto certi storici, riferendo le sue tesi ad
alcune delle concezioni della matematica e della fisica moderna -- sembrano
potersi indicare nei seguenti punti. L’impossibilità di ridurre la fisica in
termini matematici. La conseguente impossibilità di pensare, e quindi di
definire, sia l'essere come totalità, sia la molteplicità. La consapevolezza
che ogni ricostruzione matematica è valida, in quanto ipotetica e che
altrettanto ipotetica è ogni ricostruzione fisica. Sul piano storico si
determinano cosi. Posizioni diverse, a seconda di quale aspetto della
problematica, impostata da Zenone, viene approfondito. O si insistito sul
continuo giungendo a risolvere e ad annullare i molti (che restano come
determinazioni valide su di UN PIANO PURAMENTE LINGUISTICO) nel continuo
stesso, cioè nell'infinita unità (Melisso).O si è risolto l'uno su di un piano
puramente matematico, per cui l'uno non è nessuno dei punti della serie, né il
pari né il dispari, ma la possibilità dell'uno e dell'altro, e che
nell'opposizione-armonia dà luogo a un'ipotesi logica che spiega un'ipotesi
fisica (CROTONE e TARANTO). O si è assunta l'ipotesi fisica del continuo
divisibile all'infinito in infiniti punti ognuno dei quali, infinito, ha in sé
tutte le infinite possibilità, gl'infiniti semi vitali, onde in ogni punto
tutto è tutto (Anassagora); o si è fatta l'ipotesi che gli infiniti punti,
proprio perché infiniti e quindi escludenti un passaggio dall'uno all'altro
all'infinito costituiscono infiniti limiti, d'onde una infinita serie di
limiti, d'indivisibili (atomi) implicanti nel limite una separazione, cioè un
altro limite come vuoto (Leucippo, che fu discepolo di Zenone di V., e
Democrito). Infine, se da un lato la sua problematica portava a impostare
l'intelligibilità del reale non come afferrante la struttura in sé del reale
stesso, ma come ipotesi o fisica o matematica, dall'altro lato portava, nella
consapevolezza dell'impossibilità logica dell'essere o del divenire, della verità,
a rimanere sul piano dell'opinione e del discorso umani, entro i termini dello
stesso mondo dègl’uomini e dei loro rapporti (Protagora, Gorgia). Senone di
Velia. Keywords: reductio ad absurdum, alievo di Parmenide di Velia, scuola di
Velia, scuola di Crotone, i veliati, i veliani, Adorno, velino. Refs.: H. P.
Grice, “Zeno’s sophisma;” Luigi Speranza,
"Senone e Grice," “Grice e Zenone” -- The Swimming-Pool Library,
Villa Grice, Liguria, Italia.
Grice e Velleio:
la ragione converazionale a Roma –- l’orto divino -- filosofia italiana – Luigi
Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Roma). Filosofo italiano. L’orto. Used by Cicerone as a
representative of L’orto -- on the topic of the divine in “De natura deorum.”
Although a senator, his philosophical views lead him to steer clear of ‘dirty’ politics.
Gaio Velleio. Velleio. Keywords: Roma antica. Luigi Speranza, for H. P. Grice’s
Play-Group, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza. Velleio.
Grice e Venanzio: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’estetica -- filosofia
italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Portogruaro). Essential talian philosopher. Filosofo italiano. Dov'e
nato gli e dato a precettore Fortis, prete onesto, né senza ingegno. A' tredici
anni studiò nel patrio seminario belle lettere e filosofia; ed è ben curioso a
pensare, come a quel tempo, che pur anch'esso gloriavasi di civiltà e
cominciava a combattere la tirannia de vecchii errori, non mancasse più d'uno
che con ra-gionamento, meglio specioso che giusto, sentenziasse doversi
apprendere prima filosofia e poscia retorica, perché, innanzi di scrivere, era
debito d'imparare a pensare. Una fedele immagine di quelle scuole ci presenta
lo stesso V. In retorica continue traduzioni dei classici latini, affatto
pedantesche, per non dire meccaniche; della letteratura italiana neppure un
cenno; Dante, Petrarca, Tasso, Ariosto, nomi ignoti; non si prefiggeva allo
scrivere italiano altro modello, che il Cesarotti nei versi, ed il Thomas nella
prosa; onde chi produceva versi più sonanti, o periodi più tronchi, più
smozzicati, più era lodato. In FILOSOFIA, la lettura di qualche TESTO LATINO DI
LOGICA E DI METAFISICA, che poscia si mandava alla memoria senza bene
intenderlo; qualche libamento di fisica; le quattro operazioni fondamentali
dell'aritmetica ed una occhiata al calcolo delle frazioni; le prime
proposizioni d'Euclide; a ciò tutto riducevasi allora il tirocinio
filosofico'». qualche cosa. Il Venanzio abbracciò coll'acutezza dell'ingegno e
con solerte diligenza la filosofia e la giurisprudenza: nella quale fu
addottorato; e fra la gravità degli studii continui, che lo fecero
prematuramente vecchio, fra le publiche cure e l'esemplare affetto alla sua
famiglia può dirsi ch'egli abbia spesa la vita. E fu la sua veramente vita non
vaga di brighe, né di mondano romore, ma quale si conviene a chiunque ami
sinceramente gli studii e voglia rendersi non talso sacerdote del bello. La
natura lo aveva arricchito di tutte le doti che sono richieste al filosofo e al
letterato. V. abbraccia coll'acutezza dell'ingegno e con solerte diligenza la
filosofia e la giurisprudenza: nella quale fu addottorato; e fra la gravità
degli studii continui, che lo fecero prematuramente vecchio, fra le publiche
cure e l'esemplare affetto alla sua famiglia può dirsi ch'egli abbia spesa la
lunga vita. E fu la sua veramente vita non vaga di brighe, né di mondano
romore, ma quale si conviene a chiunque ami sinceramente gli studii e voglia
rendersi non talso sacerdote del bello. La natura lo aveva arricchito di tutte
le doti che sono richieste al filosofo e al letterato. Forza e acume
d'intellet-to, tenace memoria, pronta e fervida fantasia; animo capace di
sentir alto e soave. Tentata, non intelicemente, la lirica e la drammatica, non
tardò a comprendere il grandissimo bisogno che di buoni prosatori, più che di
poeti, aveva l'Italia. E a conseguire il nobilissimo fine stimò necessarii gli
studii estetici; ai quali si siede con largo apparecchio di filosofia e
filologia, apprendendo altresì con volere fermissimo il greco. Onde compose e
pubblica quell'opera, che dall'amore del bello non saprei perché intitolasse
Callofilia me-glio, che Filocalia. Della quale meritamente egli colse a que'
giorni bellissima fama, come di lavoro d'alta natura e di sottili
investiga-zioni, chiaramente e ordinatamente esposte e di certa eleganza e
amenità di stile vestite. Divide la
materia in tre libri. Parla nel primo del bello naturale; e definito essere la
bellezza non una verità, ma un sentimento, dimostra che in tutte le età, in
tutte le condizio-ni, in tutte le sue principali tendenze l'uomo è dominato
dalla forza del principio estetico, e prova sempre il bisogno di porre in
movimento le proprie facoltà vitali. Famiglia, patria, religione, aspetti
naturali, avvenimenti storici d'ogni maniera, tutto agita, tutto commuove,
tutto modifica la sua vita. La storia de popo-li, tanto somigliante alla vita
degl'individui, (poiché questi fanno per giorni ciò che quelli per secoli) ne
fa certi che la brama di senti-re, di pensare, è in tutte le nazioni operosa e
assidua. Ondeché, ristrignendo le osservazioni al bello e alle facoltà
sensitive, pone l'autore che il bello naturale consiste nell'at-titudine che
hanno gli oggetti componenti la universale natura di esercitare
proporzionatamente le facoltà sensitive dell'uomo. Svolge ampiamente e
sottilmente le conseguenze che se ne traggono; e, detto della differenza tra il
vero, il bello e il buono, dimostra come l'accoppiamento del vario coll'uno sia
il necessario generatore della bellezza. E poiché primo bisogno dell'anima
nostra è, che sieno le facoltà convenientemente esercitate, ed è proprio ed
essenziale uffizio della bellezza il soddisfare a questo bisogno, per quanto
spetta alle facoltà sensitive, il Venanzio stabilisce i principii, secondo che
si può conoscere quali tra le passioni abbiano veracemente in sé il pregio
della morale bellezza, e in qual grado e per quali motivi. Di che si fa
manifesto che la morale bellezza, la quale è l'esemplare della vita e la regola
de' costumi, non è un ente speculativo dipendente dai pensamenti e dai capricci
degli uomini, talora dagli errori oscurato, spesso alterato e contraffatto da'
bisogni, dalle vicende, da ogni maniera di malvagità; ma un ente che per le sue
ispirazioni può dirsi reale ed effettivo, reggentesi sul fondamento posto dalla
natura e dettante le leggi sue con una voce, ch'è una in tutti. Per la qual
cosa, essendo la bellezza morale riproduzione della naturale, ne segue che le
stesse norme e condizioni attribuite all'una sieno da attribuire anche
all'altra; onde primieramen-te e solamente la vista e l'udito sono organi della
morale bellezza; della cui molteplice e ordinata varietà d'aspetti egregiamente
discorre V., e ne addita la scala, che una serie di gradi progressivi
d'efficacia e di forza compone. E così procedendo a faticosa e ingegnosa
analisi pon fine al secondo libro.
Materia al terzo è il bello artificiale; obietto precipuo dell'opera.
Quando in un uomo perfettamente costituito la bellezza genera le sue
impressioni, havvi un punto, in cui la sensazione si trasforma in imagine; e
per l'ettetto simultaneo della della imagine sorgono nell'anima gl'impul-si
creatori e le determinazioni della volontà.
Ivi è l'origine della poesia, ch'è nel suo più ampio concetto la
commozione dell'animo eccitato dalla bellezza a operare. Tutte le opere
dell'uomo, nate dalle ispirazioni della bellezza, costituiscono vera e schietta
poesia; ma come non tutte le azioni della vita hanno in sé l'impronta della
bellezza, così alcune sono di lor natura poetiche, e altre non sono. Senza che, varie son le maniere di presentare
le inspirazioni del bello; o cercando nelle forze fisiche e morali, commosse a
splendidi impeti, la via di palesare con fatti la propria commozione; o, in
luogo di fatti, figurando un sentimento vero con mezzi che non son veri. Di qua
l'origine della imitazione; la quale viene l'autore mirabilmente considerando
in tutte le possibili relazioni e in tutte le varietà de fenomeni ch'ella
presenta; né meno maestrevolmente esamina quella parte della poesia, che nella
imitazione è riposta, distinguendo in essa il concetto, la composizione e la
esecuzione. Molto poi sottilmente ragiona del bello ideale, che tanto e
lungamente diede a pensare e discutere. E vinti tutti i sofismi, egli ammette
l'esistenza di questo bello idea-le, che molti pur negano, e n'espone gli
ufficii e ne dimostra i caratteri con assai giuste ragioni ed esempii
autorevoli. Né con minore importanza tralascia di parlare della esecuzione,
punto in cui nascono e si partono le arti imitative, onde l'ingegno rende
manifesti e sensibili i suoi proprii concepimenti. E, o imiti l'artista il
bello naturale per mezzo delle arti del disegno, o il bello morale per quelle
dell'armonia, si troveranno spesso amendue queste parti rannodate fra loro
dall'espressio-ne; santissimo vincolo della bellezza naturale colla bellezza
morale. Appartiene finalmente all'estetica e alla retorica, non meno che alle
pratiche istituzioni additar l'uso de' mezzi materiali, particolari a
ciascun'arte; e insegnare le forme, le figure, i modi acconci ad efficacemente
e nobilmente rappresentare il concetto. In fine conchiude, non essere il bello
argomento di diletto e di piacevoli in-vestigazioni, ma motore principalissimo
della natura morale, dalla quale e impulso e norma e qualità e misura ricevono
le passioni; doversi e per importanza e per dignità agguagliare alla logica;
perocché l'una mira a bene indirizzare la mente; l'altra educa il cuore; questa
segue il lume della verità: quella, della bellez-za; potere insomma e l'etica e
la metafisica e il diritto in generale e l'economia trarre grandissima utilità
dall'amore della bellezza.Carrer. Pietose esequie per lui si celebrarono nella
Basilica di S. Marco, e il dolore apparve su tutti i volti, qual era in tutti i
cuori, solenne e profondo; ed il municipio di Venezia gli decreta sepoltura
propria ed iscrizione monumentale nel comunale cimiterio. Così quella feconda
vita innanzi tempo si spense e la gloria dell'estinto ormai più non dura che
nella memoria delle sue virtù e nella splendida bellezza delle sue opere.
Sventura acerbissima! che priva la patria di un cospicuo decoro e tolse alla
italiana filosofia di cogliere il pieno frutto dei nobili studj di un tanto filosofo,
ed a questo di godere più a lungo, dopo i sofferti infortunj, il meritato
riposo e e ben conseguite ricompense. -- Dal Comentario della vita e delle
opere di Carrer, in Carrer, Poesie (Le Monnier, Firenze). Sulla eccellenza dei
prosatori. Chiunque alle prime origini ed alle rarie vicende della italiana filosofia
volga la mente, scorgerà dì leggieri, che ogni epoca di essa è renduta dalle
altre singolare da pregi non solo segnalati in se stessi, ma eziandio ai
progressi della letteratura medesima in partìcolar modo accomodati; cosicché,
mentre le altre nazioni la maggior loro gloria in un solo secolo ripongono, la nostra
può a giusto diritto di molti egualmente vantarsi. Amore ardentissimo di
patria, zelo di libertà e quel senso squisito del bello che alla prima aurora
della civiltà corse a risvegliare gli animi per lungo sonno inoperosi, mossero
i nostri padri del trecento a fondare la lingua e la letteratura italiana; e
tanta fu la fiamma allora accesa nei petti sdegnosi dell'antica barbarie, che
sursero ad un tratto quei miracoli di sapere e d'ingegno, Dante, Petrarca, e
Boccaccio; ai quali tenne dietro la onorata comitiva dei Villani, dei Cavalca,
dei Passavanti, dei Compagni, e di parecchi illustri Volgarizzatori, dalle cui
scritture la purissima vena discorre dell'italiano favellare. E nella eccelsa carriera, dappertutto, ed
alla testa di tutti si mostra GALILEI; spirito che più che a decoro della sua
patria e del suo secolo parve nato a lume ed a stupore dell'universo. Ch'egli
pensò e previdde come Bacone, ma con alacrità inoltrossi pel sentiero che
quegli aveva soltanto additato; dubitò come Cartesio, ma alle opinioni rivocate
in dubbio non sostituì come quello vane chimere e sognate ipotesi; osservò e
scoprì come Newton; ma la progressione dei tempi riservò al filosofo inglese il
vanto di dare il suo nome al grande sistema per cui l'italiano aveva in gran
parte approntato i materiali. Imperciocchè dopo avere in terra stabilite le
leggi della caduta dei gravi, delle velocità, delle resistenze, delle percosse,
e dopo aver per così dire valutati i corpi in numero, peso e misura, colla
pupilla armata del telescopio da lui forse inventato e certamente perfezionato
speculò arditamente nel cielo, ed ivi con invitta forza stabilì l'impero del
sole ed il nostro mondo gli rese soggetto, vide valli e monti nella luna, vide
di nuove stelle risplendere il firmamento, e Giove che prima per solitaria via
moveva deserto fornì d'astri seguaci, ed il vaghissimo volto di Venere a
seconda dei tempi e delle vicende fece che in vari aspetti ai cupid'occhi si
mostrasse: felice! chè le opere ed i trovati mostrarono quanto in lui vi fosse
di divino, le sole sventure quanto di mortale. Il Dizionario della Crusca è il
solo da cui e precettori e discepoli trar possano norme e soccorsi, serbiamo
con ogni cura intatta la fede e la dignità di questo libro reverendo; e non
feriamone l'autorità coll'arme del ridicolo. Gli alti pensieri, lo stile
acconcio e severo e le scelte ed accresciute parole costituiscono le qualità
distintive delle prose dei buoni scrittori del seicento; per le quali la lingua
italiana giunse in quel secolo ad un vigore e ad un nerbo, che fra le splendide
pompe e le floride eleganze del secolo antecedente non aveva forse saputo
acquistare. A niuno inferiore e superiore a molti è Redi, e sia che il proprio
animo manifesti nella epistolare corrispondenza, sia che della inferma salute
de' suoi ammalati discorra, sia ch'espenga le sue gravissime osservazioni alla
istoria naturale pertinenti, sia che si applichi ad illustrare la patria
favella ed a risolverne le più sottili questioni, dagli altri di lunga mano si
distingue per la spontanea leggiadria con cui le scritture condisce senza
renderle affettate o leziose, per le grazie ingenue e festive di cui le sparge,
pel patrimonio prezioso di schiette e adequate parole di cui le arricchisce,
esoprattutto per certi ritorcimenti e per certe giudiziose piegature con cui
nuovi significati e vaghezza nuova alle voci radicali sa dare. Girolamo Venanzio, Sulla eccellenza dei
prosatori, in Memorie scientifiche e letterarie dell'Ateneo di Treviso, Andreola,
Treviso. Girolamo Venanzio Venanzio. Keywords: filocallia, callofilo, il bello,
l’estetica. Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft, MS – Luigi Speranza,
“Grice e Venanzio” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.
Grice e Vera: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’idealismo italiano –
filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Amelia). Essential Italian philosopher. Senatore del Regno d'Italia. Filosofo
italiano. Grice: “One of my own favourite unpublications is “Absolutes,” which
took its inspiration from a little tract by Vera which was especially
influential on Flaubert, “Il problema dell’assoluto.” Strawson remarked: “it
was a boojum, you see!” Senatore del Regno d'Italia. Compe i suoi studi alla Sapienza di Roma,
terminandoli alla Sorbona di Parigi. Mostra subito un immenso talento per
l'insegnamento, caratterizzato da lucidità di esposizione e genuino spirito
filosofico, reggendo svariate cattedre in città importanti della Francia e
della Svizzera. Il colpo di stato di Napoleone III lo costrinse a
rifugiarsi in Inghilterra a causa delle sue idee eterodosse. Qui intraprese la
stesura in francese dell’“Introduzione alla filosofia” di Hegel. Torna in
Italia, riuscendo a diventare il più geniale e originale comunicatore della
filosofia di Hegel, insegnando storia della filosofia dapprima all'accademia di
Milano, e poi, su invito di SANCTIS (vedi), a Napoli. Continua a intrattenere
scambi fecondi con la Società filosofica di Berlino e con gl’ambienti hegeliani
tedeschi e francesi. Divenne socio nazionale dell'accademia dei lincei. E
suo fedelissimo allievo MARIANO. E durante i suoi studi con Cousin a
Parigi che V. arriva a conoscere la filosofia, risentendo fortemente
dell'hegelismo allora in voga, di cui divenne in Italia promotore indiscusso. Si
deve infatti a V. il risveglio in Italia dell'interesse per la filosofia
idealista ed hegeliana in particolare, anche se egli godette di maggior fortuna
all'estero, mentre ha un influsso molto minore in patria rispetto a quello
esercitato ad esempio dai lavori di SPAVENTA. A differenza di SPAVENTA, infatti,
che reinterpreta la filosofia di Hegel in chiave critica, V. si mantenne
sostanzialmente fedele al dettato ortodosso della dottrina. Nei suoi saggi,
che esaltano la capacità di Hegel nel collegare ogni aspetto della realtà in un
sistema organico, prevale l'attenzione per il problema religioso. V. interpreta
l'idea logica hegeliana in senso trascendente, come il concetto del divino venendo
per questo accostato in certa misura alla destra hegeliana in Germania, sebbene
una tale lettura possa apparire una forzatura. Centrale è il primato
dell'idea, che si articola nella storia come organismo spirituale, e per
attingere la quale occorre trascendere la natura. L'idea esiste bensì anche
nelle piante e neg’animali, ma in maniera incosciente, e nel’imperatore di
Prussia in maniera consciente. Solo nell'essere umano – la persona -- essa
giunge a pensarsi come idea, divenendo in tal modo storia, e rendendo possibile
anche il progresso delle entità collettive di personi che sussistono come una nazione. Finché
una nazione vive nella sfera del suo essere sensibile e animale, essa non si
muove. Essa ripete ogni giorno la stessa vita e gli stessi eventi. Essa prova
sempre gli stessi bisogni. Che se non fosse possibile trascendere questa sfera,
la storia stessa non sarebbe possibile. Queste poche considerazioni ci spingono
adunque a riconoscere con più pieno convincimento che solo l'idea o l'assoluto
è il motore della nazione italiana e dell'umanità, ovvero il principio
determinante della storia” -- “Introduzione alla filosofia della storia” (Monnier,
Firenze). La sua “Introduzione alla filosofia di Hegel” influenza Flaubert
nella stesura di Bouvard e Pécuchet. In Italia invece è stato
determinante per aver stimolato, insieme a SPAVENTA, la nascita dell'idealismo
con CROCE e GENTILE. Il suo saggio filosofico più famoso è “Il problema
dell'assoluto.” Si dedica anche a tematiche giuridiche e politiche su Cavour
con Libera Chiesa in libero Stato, in cui attribuie il ritardo del processo di
rinnovamento liberale in Italia alla mancanza, durante il suo rinascimento, di
una riforma luterana come quella d'oltralpe. Tesi in latino: “Platonis,
Aristotelis et Hegelii: de medio termino doctrina. Quaestio philosophica”. Saggi:
“Amore e filosofia: orazione inaugurale nel solenne riaprimento dell'accademia
(Milano); “La pena di morte” (Napoli); “Prolusioni alla storia della filosofia
e alla filosofia della storia” (Napoli); “Ricerche sulla scienza speculativa e
sperimentale” (Napoli); “La filosofia della storia” (Firenze); “Cavour e libera
Chiesa in libero Stato” (Napoli); “Problema dell'assoluto” (Napoli); “Platone e
l'immortalità dell'anima” (Napoli); “Saggi filosofici” (Napoli). Cavaliere
dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro nastrino per uniforme ordinaria. Cavaliere
dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro. Enciclopedia Italiana. V., su treccani.
La Civiltà cattolica, Firenze, libraio L. Manuelli. Sträter osserva in
proposito che V. sembra la degna riproduzione italo-francese di quel tipo a cui
in Germania usiamo dare il nome di hegeliani o anche di ortodossi di stretta
osservanz -- cit. in Tortora, Le filosofie italiane, de "Le filosofie contemporanee",
Università degli Studi Federico II di Napoli. La rinascita hegeliana a Napoli,
su eleaml. altervista.o. Lezioni di V.,
raccolte e pubblicate con l'approvazione dell'autore da Mariano, Monnier, Firenze,
Revue Flaubert, L'escatologia pitagorica nella tradizione occidentale, su rito simbolico.
Cotroneo, Filosofia e storiografia, Rubbettino, Mariano, Introduzione alla
filosofia della storia. Lezioni di V. raccolte e pubblicate con l'approvazione
dell'autore da Mariano (Firenze, Monnier). Gentile, V. e l'ortodossismo
hegeliano, in Le origini della filosofia contemporanea in Italia, Messina, Enciclopedia Italiana, Roma,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana Treccani, PLEBE, Spaventa e Vera, Torino, Edizioni
di Filosofia, Oldrini, “Gli hegeliani di Napoli. V. e la corrente ortodossa” (Milano,
Feltrinelli); Cricelli, V. e la filosofia hegeliana, Il Testo. Treccani Enciclopedie,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. V.,
Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. V., Senatori
d'Italia, Senato della Repubblica. Vita e opere di V., su malerba. Introduzione
alla filosofia della storia. Lezioni di V. raccolte e pubblicate con
l'approvazione dell'autore da Mariano (Firenze Monnier). Gatti, per far
meglio conoscere ai lettori della sua Rivista napoletana Augusto Vera, il
pensatore illustre che insegnava già da due anni nell'Università di Napoli, ma
non pare godesse la riputa-zione e la simpatia di altri professori aderenti
alla stessa scuola filosofica e assai men noti fuori d'Italia, pubblicava due
inediti frammenti di filosofia hegeliana del Vera: e si accingeva quindi
a voltare in italiano e a divulgare in elegante o puscolo una discussione
dell'empirismo inglese, dall'autore già pubblicata a Londra nel 1856 %.
Gli pareva che le questioni toccatevi fossero cosi fondamentali e riguardassero
cosi da vicino l'essenza stessa del sapere filosofico da poter giovare
all'Italia non meno che all'Inghilterra, aiutando gli studi nostri ad orientarsi
verso un concetto esatto della filosofia come scienza dell'assoluto, da
conseguire con un metodo adeguato al suo oggetto, ossia parimenti assoluto: che
era la tesi propugnata dal Vera dal punto di vista dello hegelismo, che è a
come a dire l'ultima parola della scienza». Giac-ché la reazione sorta in
Germania, in quegli anni, contro questa filosofia, era, agli occhi del nostro
Gatti, fallita, non essendo riuscita ad opporre allo hegelismo e un altro
sistema della medesima comprensione, il quale abbia potuto come quello
impadronirsi di tutto il sapere e penetrarne tutte le parti». E intanto il
Gatti vedeva che non c'era campo di studi che il pensiero hegeliano non avesse
fecondato, « e le scienze naturali e le filologiche e le istoriche son tutte
piene del suo spirito. Prova indu-bitata che quel sistema rappresenta la
general maniera di pensare e le esigenze del pensiero contemporaneo e che ha le
sue radici, come ogni altra filosofia le ha avute, nelle intime condizioni
dello spirito stesso del secolo», Le proteste individuali erano state
sopraffatte dall'energia del pensiero; e lo spirito della filosofia combattuta
aveva, senza che essi lo sapessero, soggiogato i suoi stessi avver-sari, «
riducendoli, quasi direi, a muoversi nella sua atmo-sfera, a respirarne l'aria,
a guardare attraverso di essa le cose e i fatti e le loro relazioni e
trasformazioni ». Questa filosofia con sforzi perseveranti e con
ricchezza non comune di sapere il Vera s'era studiato di diffondere, di
renderla accessibile al maggior numero in Francia, «d' inocularla colle sue
genuine fattezze in Italia » e d'ini-ziarvi anche l'Inghilterra. Di questa
vasta filosofia il Gatti non conosceva « né più intero interprete, né più
ardente propagatore, né più libero e insieme più fedel seguace; e ne tesseva
l'elogio con evidente intenzione di contrapporlo a un altro interprete della
stessa filosofia, che insegnava allora nella Università di Napoli accanto al
Vera, e che molti pel rigore e la profondità del pensiero come pel libero
atteggiamento verso l'autore del sistema propendevano a mettere al di sopra del
Vera. « Con una conoscenza profonda del sistema che ha accettato, con una
persuasione intima che fuori di quello non sia salvezza per la filosofia, il
Vera è lontano da quella pedan-teria che fa consistere la profondità o la
sostanza di un sistema in certe astruserie di formole, le quali spesso perdono
il significato passando di una lingua in un'altra. Né meno è lontano da
quella affettazione d' indipendenza per la quale i discepoli più pedissequi si
credono talora ambiziosamente obbligati a cercare un punto in cui si possano
mostrare in disaccordo col maestro». Dove par di udire l'eco di certi giudizi
privati dello stesso Vera, che, come vedremo, fu di proposito e per forza il
più ortodosso degli hegeliani. Non v'ha dubbio d'altronde che egli, in perfetto
accordo col Gatti, fosse convinto che la sua perfetta ortodossia non stesse per
nulla a scapito della sua originalità: « Francamente e compiutamente hegeliano
ha invece tutta quell'aria di originalità che viene dall'intera padronanza di
una dottrina divenuta propria x 1. 2. — Pure questo franco e compiuto
hegeliano, questo geniale e originale espositore di Hegel in un paese cosi ben
preparato a ricevere un insegnamento di filosofia hegeliana, come forse nessun
altro in Europa, insegnò a Napoli per circa un quarto di secolo senza quasi
lasciarvi traccia della sua opera. E il suo nome, se vivo ancora in Francia e
altrove come quello del traduttore francese dell' Enciclopedia e di parte della
Filosofia della religione di Hegel, è presso che dimenticato in Italia, dove
Hegel ora si può leggere in traduzioni italiane migliori e s'è spenta la
fievole eco de suoi scritti. Il discepolo, l'unico discepolo del Vera, fu
Raffaele Mariano che, a furia di dilucidare in prolisse elucubrazioni quei
profondi concetti che gli pareva d'aver imparato a intendere alla scuoladel suo
maestro, fini col non raccapezzarne più nulla 1. E anche lui non mancò
mai di fare le proteste del Gatti intorno all'originalità del maestro,
sciogliendole bensi nel suo stile lungo e nella sua più libera logica. La mente
dell' Hegel, disse egli, una volta, tessendo l'elogio del Vera, «appunto
per la novità, e ancora più per la vastità sintetica ed organica, era apparsa
pressoché impene-trabile. Non solo fuori della Germania, ma quivi stesso la
forma astrusa ed inviluppata aveva fatto intoppo agli stessi discepoli
immediati di lui, i quali in molti, e forse nei punti più essenziali, non
giunsero ad affer-rarla». Ma quel che non giunsero ad afferrare gli scolari
immediati, l'afferrò, miracolosamente, il Vera, che mai non vide l' Hegel; e
con sapiente accorgimento poté comunicarlo a chiunque poi ne avesse voglia. * A
renderla universalmente accessibile e intelligibile, era necessario spezzarne
il rigido involucro formalistico, schiuderne e rivelarne lo spirito e le intime
e recondite potenze. E tale è lo scopo a cui il Vera ha mirato». Egli non
riprodusse, non ripeté le cose da colui insegnate; ma vi aggiunse la
spontaneità ed originalità del proprio pensiero ». Come si possa aggiungere
alle cose un'originalità e spontaneità di pensiero, lasciando le cose quelle
cose che erano, il Mariano naturalmente non può dirci se non ripetendo, alla
sua volta, la metafora del viluppo formalistico che il Vera spezzò, per
assicurarci che « passando attraverso la mente di lui, l' Hegel esce rifatto,
rinnovato, compiuto; non è più l'Hegel, che, nel primo intuire e manifestare i
suoi nuovi e profondi concetti rimane incompreso e riesce in molta parte
incomprensibile; ma è l' Hegel che, a dir così, s'è ripiegato sopra di sé, è
ritornato suiconcetti suoi, e, pel ripetuto lavorio riflessivo e cogita-tivo,
vi ha acquistato consapevolezza perspicua e piena ». L'originalità non
consiste « nell'avere e nel propalare una dottrina di nostro capo». La dottrina
del Vera è quella di Hegel: tal quale. Ma l'essenziale dell'originalità
consiste, a giudizio del Mariano, nel contribuire a mantener viva, svolgendola
ed allargandola, la tradizione filosofica (anzi «la continuità» di questa
tradizione): consiste nel concorrere « a spingere, a condurre il pensiero
e la ragione ad una più intima, ad una più consapevole comprensione di sé e
dell'universo». O che volete che il Vera inventasse? L'invenzione non è affar
della filosofia (ciò che proverebbe troppo, perché bisognerebbe allora indurne
o che Hegel non ha trovato nulla di nuovo, o che quel che ha trovato, non ha
che fare con la filosofia). « Più dell'escogitare e porre nuove
questioni, vale a gran pezza il dare alle antiche questioni soluzioni soluzioni
più adeguate, più determinate e concrete che penetrino più addentro nella
natura di quelle»* In- somma, il Vera fu più originale di Hegel! 3.
- Ma se l'originalità è stata per solito messa in dubbio, la fedeltà, invece,
agl' insegnamenti dell' Hegel, la schiettezza e rigorosità dell' hegelismo da
lui professato sono state sempre riconosciute universalmente; e perfino
hegeliani tedeschi come il Rosenkranz lo proclamarono tra i più autorevoli e
felici interpreti della dottrinaOnde spesso nei paesi di lingua latina è
accaduto che detti e modi del Vera passassero per detti e modi di Hegel, e che
i più trovassero comodo di cercare l'immagine del filosofo tedesco nel
suo traduttore e manipolatore italo-francese, fattosi l'apostolo ispirato e il
privilegiato maestro del suo verbot. Hegel e Vera furono per molti anni due
nomi inseparabili. Lo stesso Vera, rinato nello spirito hegeliano, non serbò
quasi più nessuna memoria della sua vita precedente e dovette finire col
persuadersi di non essere mai stato altro che illuminato da quella su-periore
luce, che fu per lui l'hegelismo. Non pare che il suo scolaro e intimo amico,
che se ne fece biografo, cono- scesse direttamente i primi scritti di
lui; né si può spie-gare se non come un'eco di conversazioni dello stesso Vera
quel che racconta dell'esame pel dottorato sostenuto dal Vera alla Sorbona:
dove gia egli si sarebbe presentato, nel 1845, paladino
dell'idealismo assoluto. Fu questo il momento, racconta il Mariano, in
cui gli screzi già latenti tra lui e il Cousin si fecero mani-festi. L'appoggio
da costui prestatogli non era valso a far velo alla mente del Vera. Le dottrine
e un po' anche il carattere, tutt'altro che schietto e sincero, dell'uomo
gli avevano ispirato sin dal principio forte ripugnanza. Ora che nella
filosofia di Hegel s'era addentrato e ne aveva misurato davvero l'intimo e
profondo valore,gli faceva sopra tutto nausea la guerra sleale da colui
mossale, dopo averla sfruttata». Guerra che avrebbe fatto tremare un candidato
meno del Vera coraggiosamente risoluto a scendere in campo per le proprie
idee. Questi invece, irremovibile nelle sue convinzioni, deciso ad
affermate a viso aperto, facendo tacere considerazioni e rispetti umani e
mondani, quella che egli reputava la verità, non esitò un istante a presentare
due tesi pel dottorato, il Problème de la certitude e il Pla-tonis, Aristotelis
et Hegeli de medio termino doctrina, delle quali il Cousin non voleva affatto
sentir parlare.. Fortuna che, se il Cousin fu fieramente avverso
(argo-mentando, ci assicura il Mariano, contro quelle tesi a in modo poco
degno, nonché per un filosofo, ma per un uomo serio*), tutti gli altri membri
della commissione furono unanimi nel dire che « da un pezzo alla Sorbona non
s'era avuto un esame si splendido»; e uno di essi, il Saint-Marc-Girardin, «
discutendo sull'essere e non essere, fece una specie di professione di fede
hegeliana i con grande sorpresa del Saisset che lo sapeva solito ad andare a
messa tutte le domeniche. Ma il Mariano lascia credere che dopo quell'esame si
sarebbe voltata in Francia pel Vera la ruota della Fortuna, che vi aveva
percorso piuttosto rapidamente la carriera dell'insegnamento. Sicché il
filosofo italiano avrebbe incominciato fin d'al-lora, a proprie spese, il suo
apostolato, durato fin presso alla morte, incoltagli nella solitudine e
nell'abbandono, a Napoli, in mezzo alla quasi indifferenza d'una nazione
incapace d'apprezzare l'alto valore scientifico e morale della dottrina e
dell'uomo che se n'era fatto campione.imparare da giovinetto l'inglese.
Compiuti gli studi letterari nei seminari di Amelia, Spello, Todi, era passato
a studiar leggi nella Università di Roma; ma non pare venisse a capo di nulla.
E nell'inverno 1835 cedé agl' inviti d'un suo parente, archeologo e antiquario,
che dimorava in Francia; e si recò a Parigi. Dove conobbe alcuni scrittori
illustri; frequentò la Sorbona; e il 1837 poté ottenere il posto d'insegnante
di latino e letteratura francese nell'Istituto di Hofwyl, presso Berna, diretto
dal Fellenberg, discepolo del Pestalozzi. Vi rimase un anno, e vi studio il
tedesco e la filosofia germanica, specialmente Kant; ma alla fine di quell'anno
gli convenne dimettersi a causa delle sue opinioni religiose non cosi
rigidamente cristiane come le avrebbe volute il direttore dell'Istituto,
quantunque il Vera allora riconoscesse la divinità di Cristo. Passò in un altro
istituto, a Champel, vicino a Ginevra 1; e vi comincio a insegnareanche
filosofia. A Champel un suo collega hegeliano l'introdusse nella conoscenza
della filosofia di Hegel. Ma nel 1839 era tornato a Parigi, dove il
Cousin cono-sciutolo e avuto con lui un colloquio intorno alle condizioni degli
studi filosofici, gli avrebbe chiesto: Voules-vous vous enrôler sous ma
bannière? E di li a pochi giorni gli avrebbe recato a casa egli stesso il
diploma (Io settembre 1839) di professore di filosofia nel collegio comunale di
Mont-de-Marsan, L'anno dopo il Cousin, ministro dell'istruzione, lo promoveva a
Tolone. Donde il Vera, che intanto s'era fornito dei necessari gradi
accademici, era nel 43 trasferito a Lilla. Di qui nel novembre 1845 a Limoges:
dove rimase fin al 48, quando per un anno suppli il Franck in un liceo di
Parigi. Da Limoges nell'aprile 49 passò a Rouen, e quindi nel settembre 1850 a
Strasburgo. Che fu l'ultima tappa del suo insegnamento in Francia. Dopo il
colpo di Stato, non si sa perché, lasciò questa sua seconda patria; e si recò
in Inghilterra. Dove sperò da principio di ottenere una cattedra filosofica
nell'Università di Londra; ma dovette contentarsi di vivere de' magri proventi
di conferenze private e lavori letterari. Torno in Italia, e Mamiani lo nomina
alla cattedra di Storia della filosofia nell'Accademia scientifico-letteraria
di Milano; donde il ministro Sanctis lo tramuta, insieme con Spaventa, a Napoli.
E qui rimase tutto il resto della vita. Quandera a Tolone nel maggio 1843,
secondo il Mariano, egli avrebbe pubblicato nella Revue du Lyon- nais «il
suo primo scritto filosofico»: Philosophie alle-mande: Doctrine de Hégel, che
dovette essere un breve articolo informativo. " Rapido schizzo», e'
informa lo stesso Mariano, « della filosofia germanica da Kant ad Hegel
»: e continua: Certo, come primo scritto, si risente dell' insufficienza
degli studi. Il pensiero non vi è per anco profondo né appieno sicuro e maturo:
pure, er ungue leonem: ci è uno sguardo a dir cosi fatidico sulla seconda
maniera della filosofia di Schelling, che allora insegnava a Berlino. Quel che
essa propriamente fosse, il Vera non mostra saperlo in modo chiaro e preciso;
e, nondimeno, in una nota osserva che non potrebbe aggiungere nulla di nuovo al
pensiero filosofico tedesco, il quale con Hegel aveva toccato al più alto punto
di svolgimento, e che con le sue nuove speculazioni lo Schelling. lungi
di accrescersi gloria, se la sarebbe diminuita 1 Checché ne sia di
questo scritto (che io non ho potuto vedere), a leggere il giudizio che del
sistema di Hegel il Vera faceva anche due anni dopo, si stenta a credere che
questo sistema potesse nel '43 esser detto da lui il più alto punto di
svolgimento della speculazione germa-nica. Certo, non fu quello il primo
scritto di carattere filosofico pubblicato dal Vera. Nel Museo scientifico,
letterario ed artistico, che si pubblicava a Torino sotto la direzione del
poeta estemporaneo Luigi Cicconi (che il Vera conobbe in Francia e fu da lui
presentato a Mme Louise Colet, presso la quale ebbe frequente occasione
d'incontrarsi col Cousin) 3, egli aveva già inserito il 16 febbraio 1839 un
articolo sulla Filosofia della storiadel Ballanche, annunziando il proposito di
« scrivere alcun cenno sui più famosi sistemi che governano il movimento delle
idee de tempi nostri, in Francia e in Ale-magna, al fine di « spargere in
Italia alcun soffio della vita intellettuale che si vive», egli diceva, al di
qua de' monti». Egli avrebbe fatto soltanto la parte dell'espo-sitore,
lasciando al lettore quella del critico e riserbandosi intatta la propria
opinione. Ma non cela le sue idee a tal punto da non lasciare scorgere che il
Ballanche, che fu uno dei primi scrittori francesi che egli personalmente
conobbe e coi quali strinse relazioni amichevoli, un forte influsso aveva
esercitato sulla sua mente giovanile, Per spiegare infatti il vivo interesse
cosi largamente diffuso nel periodo della restaurazione per gli studi di
filosofia della storia, il Vera rappresenta coi colori proprii dei
tradizionalisti cattolici del tempo il senso di sgomento onde fu presa la
società in seguito all'opera demolitrice delle dottrine del sec. XVIII. Le quali
avevano distrutto, anche secondo il giovane scrittore umbro, « l'edificio
sociale, senza poterlo ristorare. e abbandonata «l'umanità come perduta
in una vasta solitudine senza religione, senza costumi, senza leggi ». Il
turbine della rivoluzione, dopo aver solcato il suolo di Francia e dell'Europa,
dopo aver scosso e scompaginato i troni e gli altari, e offerto dappertutto
olocausti di sangue umano colpevole e innocente, andava a spegnersi sulle
spiaggie lontane e deserte dell'Africa. La ragione gemette allora sui suoi
travia-menti, gittò uno sguardo pieno d'ansia e di dolore sul passato e sul
terribile avvenire, e non vide ovunque che ruite, nazioniin aspro travaglio,
credenze affievolite o spente, l'uomo avvolto nel fango del senso, dimentico di
sé, di Dio e dell'alto fine a cui è creato. Ma in mezzo a questo trambusto
d'opinioni.... vi furono degli uomini generosi e santi, che custodirono puro ed
intatto il sacro deposito della verità e della scienza, e lo condussero a
salvamento a traverso gli incendi e le ruine, e lo mostrarono qual segno di
salute all' Europa attonita e sfiduciata. Si nobile officio adempirono
l'illustre autore del Genio del Cristianesimo, il conte De Maistre, De Bonald e
Ballanche. Dopo la Rivoluzione, la società dovette pensare al proprio
avvenire per rialzare quanto era stato demolito; e per questo bisogno sarebbe
sorta questa profonda riflessione di tanti pensatori sull'andamento delle cose
umane e sulle leggi che governano il corso della storia. *Noi rigettiamo
a tutta possa le dottrine del XVIII se-colo, e gli effetti che ne sono
derivati. Saremmo però ingiusti e irragionevoli se ricusassimo loro il
beneficio di aver risvegliato una novella energia nella società ». Anche nel
1839 dunque dopo la prima conoscenza dell' hege-lismo fatta già in Svizzera,
egli era dominato dallo spirito tradizionalista e aspirava anche lui alla
ristaurazione nella religione; e se inneggiava alla novella energia della
ragione risvegliatasi in Francia e in Germania, (e doveva ignorare quel che intanto,
più profondamente, aveva fatto in Italia il Rosmini, e già s'apprestava a fare
con maggior forza il Gioberti), questa energia non gli appariva ancora nella
forma più possente dell'idealismo assoluto; quantunque gli studi che in quel
torno continuava sugli scrittori tedeschi gli facessero intravvedere di là dal
Reno una gran luce nuova. Caratteristico, sotto questo riguardo,
l'esordio di un articolo su Koerner pubblicato nello stesso giornale,
nell'aprile dell'anno dopo. In esso, ricordata la Germania di Tacito, scritta
con la speranza che al paragone i concittadini avrebbero provato onta della
propria degradazione e si sarebbero indotti a ristorare le vecchie e cadenti
istituzioni della patria, protestava:Io non ho né la forte penna, né l'autorità
dell'austero patrizio di Roma, ma ho ugual affetto pel mio paese, ugual
sentimento della grandezza e dignità dell'uomo, e mi stimerei ben fortunato se
questi scritti invogliassero i miei concittadini a comprendere e studiar il
movimento della scienza e letteratura tedesca. Allorché Tacito scrivea,
era ben lungi dal prevedere ciò che segui. Il settentrione fece irruzione
sul mezzodi, e il giovin sangue germano scese a rinvigorire le razze vecchie e
spossate degl' itali. Ora l'umanità è più ricca d'esperienza e di
previsione; e chi può e sa esaminare lo stato della società e della scienza,
vede chiaramente che avvenimenti analoghi si preparano; ma ora i popoli non si
rinnovellano per dir cosi fisicamente, per mezzo d'emigrazione e di grandi catastrofi,
ma spiritualmente. per virtù e commercio delle idee e della scienza. E questa
si e una delle più grandi, e forse la più gran differenza tra il vecchio e il
nuovo mondo. Idea non mantenuta poi interamente, dopo che ebbe meglio
conosciuto Hegel; ma che già era attinta a quella stessa corrente del
romanticismo tedesco, da cui era sorto il pensiero hegeliano, e che, meglio
determinata più tardi in conformità delle opinioni espresse da Hegel,
segnatamente nella Filosofia della storia, resterà uno degli articoli più saldi
del credo di V.. Gli articoli, che tra il 40 e il '45 dovette venite
scrivendo in vari giornali, da lui stesso poi dimenticati (o rifiutati), ci
aiuterebbero forse a illuminare questo periodo di formazione della sua mente, e
a determinare quindi meglio il carattere del suo posteriore sviluppo. Ma
siamo costretti a saltare alla tesi francese e alla tesi latina del 45, che lo
stesso Vera citò sempre nelle sue opere degli anni più tardi come contenenti
dottrine hege-liane; e invece serbano alla nostra curiosità la inaspet-tata
scoperta di un Vera (del più vecchio Vera, non destinato presumibilmente a
sparire del tutto nel nuovo !) antihegeliano. Vera antihegeliano! Si
direbbe una contradictio in adiecto. Eppure in questi due scritti il Vera non
solo combatte Hegel, dandogli battaglia sul terreno stesso della sua logica, e
come nella piazza forte della sua dot-trina; ma si inspira a tutta una
concezione recisamente avversa allo spirito hegeliano. Ci sia permesso di
studiare con qualche cura questo Vera antihegeliano, nella speranza che
la conoscenza di esso ci giovi ad intendere meglio il Vera di dopo, e fors'anco
a darci la soluzione di quel problema storico, in cui ci siamo di sopra
incontrati: di un cosi poderoso hegeliano, che per molti anni insegnò e scrisse
liberamente con l'autorità di un ufficio universalmente tenuto in grande
estimazione e reverenza, e in un paese già pregno di spirito hegeliano, senza
lasciar quasi nessuna traccia dell'opera propria. Sedici
pagine della tesi francese 1 contengono una rapida esposizione e una critica
dei principii fondamentali della logica hegeliana; ma delle sedici,
l'esposizione ne ha sole quattro. Dove si dice che, secondo Hegel, l'essere e
la conoscenza, l'esistenza e la verità fanno uno: sono due forme d'una stessa
unità, percorrono gli stessi gradi, si sviluppano e finiscono simultaneamente.
L'essenza delle cose è la ragione, e la ragione è il pensiero puro, perché il
pensiero non ha altro oggetto che se stesso, cioè la nozione o l'idea. Porre
con un processo d'analisi ciò che è essenzialmente contenuto nell'idea,
sviluppare L'idea sotto tutte le sue forme, seguirla e, per cosi
dire,ritrovarla ne' diversi gradi dell'esistenza, questo il compito della
filosofia. Ed ecco spuntare un' interpretazione dello hegelismo, che si può
certamente difendere sotto il riguardo storico, ma che può anche condurre a una
radicale falsificazione del significato storico di questa filosofia. Giacché
altro è dire che l'essere e la conoscenza, il reale e l'idea sono uno, altro
che siano due forme, due facce di un'unità, tra loro perfettamente
parallele. Nel primo caso siamo sulla via dell'idealismo assoluto; e nel
secondo siamo nello spinozismo e potremmo finire addirittura nel platonismo
accentuando, come fa il Vera, l'organismo dell'idea come unico oggetto della
filosofia. L'idea, secondo il Vera, è da prima, nel suo stato astratto e
assoluto, separata da ogni esistenza concreta e da ogni oggetto. Come tale si
sviluppa in una serie di termini, il cui insieme costituisce la logica. Questo
sviluppo ha luogo in virtù d'un movimento proprio e interno alla stessa Idea,
prodotto dalla dialettica dell'Idea, ossia da una necessità inerente a questa,
per cui l'Idea si nega e passa nel suo contrario, e annulla quindi
l'opposizione in un terzo termine che ci dà l'unità e la conciliazione dei due
primi. Con questo processo l'Idea attraversa tutte le forme logiche fino
all'ultima, che è l'Idea asso-luta: con la quale si compie la logica che è «l'
Idea allo stato astratto», ossia: una realtà, una forza infinita, ma una
realtà, una forza che ignora se stessa ». Essa deve realizzare l'idea della sua
infinità, deve acquistare la coscienza di sé: deve, per dir cosi, manifestarsi
a se medesima, ponendo un oggetto alla propria attività .. Evidentemente,
qui il Vera concepisce il passaggio dall'Idea alla Natura, o dall'astratto,
com'egli dice, all'esi- stenza, come un'aggiunta anzi che come uno
sviluppo. L'oggetto che l'Idea si dà nella natura, non par che ei lo
concepisca come la stessa Idea. E vero, che chiarendo poi l'antinomia di Logica
e Natura, dice: «l'Idée, DEVENUE NATURE, se sépare en quelque sorte d'elle
même»; ma, poco dopo, definisce lo Spirito (il tetzo termine in cui concilia
Logica e Natura) «un idéal où l'Idée a acquis la conscience d'elle même, où,
APRÈS AVOIR, pour ainsi dire, FAÇONNÉ SON OBJET el s'être retrouvée en lui,
elle rentre dans son absolue antén. Ma, e questo è più notevole, pel
Vera, lo Spirito, come mediatore dell'Idea logica e della Natura, non è,
logi-camente, dopo la Natura; bensi nella stessa Natura, quantunque non vi si
possa realizzare. V' è dentro, ed esso (come finalità) la muove da dentro. Onde
la triade vien capovolta. Non è la dialettica dell'Idea che crea il mondo. La
dialettica dell'Idea hegeliana, al pari della pigra dialettica delle idee
platoniche, non genera nulla, non vive, non si muove. « L'Idée ne devient pas,
à pro-prement parler; car elle est éternelle et infinie.. E lo Spirito farebbe
proprio le parti del demiurgo del Timeo. * Son oeurre consiste à faire
descendre l'Idée dans la Nature, et puis à vamener la Nature à l'Idée par un
acte pur et simple de la pensée». E cosi col divenire dello Spirito l'Idea
spiegherebbe tutta la ricchezza delle sue forme, penetrando nella Natura ed
entrando in possesso della sua esistenza assoluta. Per se stessa, adunque, la
Logica potrebbe restare un arsenale di armi arrugginite. Ma non è
meraviglia se qui il Vera non penetrasse nell'intimo del sistema hegeliano,
poiché protestava che esso «donne lieu à des graves objections», pur
giudicandolo una delle più vaste e profonde concezioni della filosofia moderna.
I due elementi, egli notava, di questo sistema, sono 1' Idea e il movimento
dialettico, Gravi difficoltà s'affollano intorno ad entrambi. L'Idea è da
principio essere puro, che trova la sua negazione nel puro niente, e la
conciliazione con questo nel divenire. Ma, dice il futuro hegeliano: è proprio
vero che l'essere puro contiene il niente? «L'essere puro, dice Hegel, richiama
[appelle)il niente, perché non c'è in esso nessun segno, nessun carattere, e
niente si può pensare né affermare di esso ». Questa spiegazione
dell'identità essere - niente più tardi apparirà anche a lui ineccepibile: qui
invece non riesce a rendersene conto. L'essere, egli dice, o è, o non è. Se non
è, allora tanto vale cominciare dal niente, quanto dall'essere. Se è, ci sarà
soltanto l'essere, e non si vedrà il suo contrario. Così, in due parole,
la prima proposizione della Logica è bella e spacciata. Non monta che Hegel
inviti a considerare che proprio lo stesso concetto dell'essere che è,
puramente e semplicemente, s' identifica col non-essere, da se medesimo (e che
insomma richiami l'attenzione sulla impossibilità di tener separati i due
concetti di essere e non-essere). Il Vera non sa vedere altro essere che
l'essere di Parmenide (l'idea stessa platonica): e però sentenzia che «l'idea
del niente è qui aggiunta all'essere da un pensiero finito, anzi che esser
dedotta dall'analisi pura dell'idea stessa dell'essere». E così anche il Vera,
almeno qui, resta tra le corna di quello stesso dilemma, in cui si impiglio,
come vedemmo, il Passerini *. E come era da prevedere, non riesce quindi a
capacitarsi del terzo termine della triade: il divenire. Questo termine non si
può, egli dice, dedurre legittimamente dai primi due. Infatti, se di
fronte all'essere puro c'è il puro niente, il niente annullerà l'essere, e non
ci sarà punto divenire. Inoltre: di ciò che diviene si può dire che i o che non
è, ma non che è e non è a un tempo; perché, se ciò che diviene è realmente a un
dato momento del suo divenire, non si potrà dire di esso se non che ¿, e
il niente sarà avanti o dopo di esso. Che se al contrario si concepisce ciò che
diviene come tale che in ogni momento del suo divenire non sia, tutto quello
che se ne potrà dire, è che non i, e non che diviene. Ancora: da quale dei due
termini il divenire è dedotto? O dall'essere o dal niente divisi, o
dall'esseree dal niente congiunti. Ma non può esser dedotto dal niente, perché
il niente, non essendo, non può divenire. Né dall'essere, perché l'essere è, e
non diviene. Né dall'essere e dal niente presi insieme, perché, quel che non
possono separati, non potranno neppure congiunti. E del resto, chi li
congiunge? il divenire ? ma allora il divenire non sarà dedotto dalla loro
combinazione. Ovvero sono riuniti prima di divenire? ma allora non si
vede più quale sia l'ufficio [le vôle] del divenire. Sofismi dello stesso
genere di quelli di Zenone, di Gor-gia, dei Megarici; e che avevano un
grandissimo valore quando la logica era la logica degli Eleati, dell'essere che
non può essere altro che essere: la logica che con Platone e Aristotele si
fisso e s' irrigidi come logica dell'idea astratta; ma che dopo Hegel giova
conoscere soltanto come documento dell'educazione mentale del Vera
trentaduenne, indugiantesi tuttavia agli antipodi della nuova concezione
dialettica hegeliana. Procedendo, l'oscurità si addensa, com'è ovvio, al
passaggio dalla Idea logica alla Natura. « Questo passaggio non è spiegato». Si
dice che l'Idea nella natura si dà l'oggetto, per conoscersi poi nello spirito.
Dunque, nella logica non si conosce. E come da questa idea senza oggetto e
ignara di sé può ricavarsi la realtà e la cono-scenza? E se non ha un oggetto
in cui conoscersi, come va che la meta di tutto lo sviluppo è la conoscenza
appunto dell'Idea nella sua pura idealità logica? - Voi volete dedurre da
questa Idea logica la natura e lo spirito. Ma, quantunque sia difficile
vedere come si possa, con una deduzione pura l'intervento dell'esperienza,
cavare l'idea della natura dall'idea logica, ad ogni modo non si potrà
tirare altro da un essere logico che un essete egualmente logico: e cosi non si
avrà più una natura reale, ma una natura ideale: non si avrà esseri
organizzati, qualità e una materia concrete, ma esseri organizzati, qualità e
una materia astratte. E in fine sarà sempre l'Idea logica. Solamente,
I'Idea-natura espri- merá altra cosa dell'Idea-logica, ma, in quanto
Idea,non ci sarà tra loro nessuna differenza. E lo stesso si dica dello
spirito, Giacché, con una simile deduzione, si avrà uno spirito ideale e non
uno spirito reale e personale. Obbiezioni, senza dubbio, tutt'altro che
lievi, ma che provano appunto che egli aveva inteso la dottrina di Hegel come
una nuova edizione non corretta, in verità, né riveduta della platonica: l'Idea
fuori del mondo, e non come lo stesso principio interno e assoluto del mondo.
La Idea hegeliana, non essendo natura né spi-rito, è astratta, pel Vera, e cioè
non reale. E invece per Hegel è la stessa realtà. Onde lo sforzo maggiore che
egli dovrà fare per entrare nell' hegelismo, e quasi la breccia che gli dovrà
aprire il varco per introdursi in questa filosofia, consisterà proprio in
questo punto: d'intendere l'idea come realtà, e fin da principio l'es-sere, non
come l'idea dell'essere, ma l'essere dell'Idea. 8. - Quanto allo Spirito,
ci sono altre gravi ripu-gnanze, O l'Idea, egli dice, pensa fin da principio,
nello stato d'Idea logica, o pensa quando diviene Spirito. Ma nel primo caso
l'edifizio hegeliano crolla; ed Hegel infatti esclude questa alternativa. Per
pensare, adunque, deve farsi Spirito. E allora o la facoltà di pensare c'era
nell'Idea fin da principio, o le si viene ad aggiungere quando si trasforma in
Spirito, Ma, se l'Idea come tale avesse già la facoltà di pensare, non potrebbe
non pensarsi, almeno come Idea. Se questo pensiero le si aggiunge, allora il
pensiero sarà altra cosa dall'Idea, e dovrà avere un'altra origine. E poiché il
pensiero, non derivando dall' Idea, conterrebbe in sé l'Idea e la
rea-lizzerebbe, sarebbe un principio superiore all'Idea, la quale non si
potrebbe più dire essenza di tutte le cose. - Obbiezione anche questa assai
grave, ma fondata sulla falsa concezione dell'Idea hegeliana come
contenuto-oggetto di pensiero, e non, qual'è, forma assoluta e cioèassoluto
soggetto, sich wissende Wahrheit, come dice Hegel: onde, se si
distingue uno Spirito da un Logo, anche questo, per Hegel, è pensiero. Se
si nega, insiste il Vera, la successione di Idea, Natura e Spirito, facendone
tre termini inseparabili e simultanei di un'unità, che è la pienezza
dell'esistenza e la vita del mondo, viene a mancare il movimento: tutto è, e
nulla diviene. Il divenire nel sistema hegeliano non è nell'Idea in sé. « Si
elle devient, c'est-à-dire si elle se ma-nifeste, c'est par l'action successive
de l'esprit qui la pense». Bisogna dunque ammettere una successività, che
importa nello spirito qualche cosa che non è nell'Idea: bisogna concepire
questo Spirito non come l'idea dello Spirito, bensi come pensiero di un
soggetto uno e indivisibile, che genera le idee e comunica loro attività e
vita. Cosi a questa unità dell'essere e del conoscere, che si pretende
realizzare nell'unità dell'Idea, sfugge, e la molteplicità degli elementi riapparisce
». Anche ammesso che il pensiero possa ricavarsi dall' Idea, esso penserebbe
bensi insieme i due contrari, ma distinguendoli, non unificandoli. Essere e
non-essere, idea e natura, bene e male, giustizia e crimine restano nel
pensiero opposti. E del resto « lors même que la pensée pourrait effacer
l'op-position des contraires, il ne suivrait pas de là nécessai-rement que
l'opposition aurait disparu dans la réalité », Ora che l'opposizione non possa
esser cancellata dal pensiero, si è visto per le due categorie di essere e
non- essere: ma si può dimostrare in un modo più generale «en signalant
un vice qui atteint el ruine, suivant nous, tout le système d' Hégel. Quest'ultima critica è il suggello
dell'incapacità del Vera a superare, con tutto l'aiuto di Hegel, la posizione
platonica. In questo sistema, egli dice, la verità e l'essere non sono
principii, ma risultati. La natura e ilpensiero non sono mossi da un principio
posto fuori del mondo, e in possesso della pienezza dell'essere e della verità.
L'essere da sé non si muove, né muove. Il non- essere piuttosto sollecita
l'essere; e come essere e non- essere si uniscono nel divenire, il
principio non è l'essere ma il divenire. E lo stesso si dica della triade
maggiore Idea-Natura-Spirito. L'Idea in sé è morta, e non si moverebbe
mai. Dev'esser negata nella Natura, perché abbia luogo la vita dello Spirito.
Se mai, la Natura, non l'Idea, dovrebbe considerarsi come principio dello
Spi-rito, svegliando in certo modo l'Idea e comunicandole con la sua negazione
una certa energia. Ma il vero principio è lo Spirito, in cui si concilia
l'opposizione di Idea e Natura; e che trascinerà nel flusso del suo divenire
l'essere e il non-essere dell'Idea, ossia Idea e Natura. E insomma: o
nulla diviene facendosi l'Idea principio di una Natura come Idea-natura e di
uno Spirito che è Idea-spirito; che sarebbe il partito della logica; o tutto
diviene, facendosi lo Spirito principio di tutto; che sarebbe il partito
dell'esperienza. Nel primo caso si hanno tre idee pure ed immobili, e non si ha
il mondo, Nel secondo si ha il divenire dello Spirito, e quindi della Natura e
della stessa Idea, ma non si ha più principii, né asso-luto: e lo stesso
spirito del mondo, di cui parla Hegel, non sarà, in fondo, se non una
generalizzazione dell'esperienza e degli spiriti finiti. In conclusione,
la principale esigenza della critica del Vera è il concetto dell'assoluto
estramondano; e la legge del suo pensiero il principio astratto
d'identità. 10. - Nella tesi latina (dove la dottrina hegeliana
confrontata a quella platonica e a quella aristotelica del termine medio è
appunto la dialettica, la cui sintesi vien considerata come termine medio tra
tesi e antitesi) il Vera ripete in parte la critica che abbiamoesposta della
sua tesi francese, ma formula pure la prima: e capitale obbiezione nella più
schietta forma teistica, che giova a determinare nettamente la sua posizione
mentale. Dice qui presupposto gratuito quello di Hegel quando ideas aeternas
rerum causas el principia esse contendit!. Le idee possono aver questo valore,
oppone il Vera, si cui vi, vel menti, insint, quod sensit Plato. Ciò che non è
storicamente esatto, ma serve a dirci in che modo il Vera intendesse il
platonismo da cui era do-minato. E accumula contro le prime categorie altre
difficoltà. Hegel vede il niente nell'essere come una sua determinazione
(o nota), perché dell'essere non si può dire se non che è. Ma questo è
piuttosto una ragione perché l'essere respinga da sé il nulla. Affinché infatti
si possa dire che l'essere è, non occorre che in esso ci sia determinazione di
sorta: e il niente vi sarebbe se l'essere fosse in qualche modo determinato: -
Poi, se tutto deve cominciare con l'essere e niente ci dev'esser prima
del- l'essere, nec vor, nec res, nec cognitio, allora prima dell'essere
non ci sarà altro che il niente; e dal niente si dovrebbe cominciare piuttosto
che dall'essere. Ancora: per Hegel l'essere diviene; e niente è. Ma, affinché
qualche cosa divenga, bisogna che qualcosa sia, e non divenga. Giacché se
a prima vista pare che quel che diviene sia e non sia insieme, in realtà, chi
consideri con più diligenza, esso non è, solamente. Giacché quel che ora
diviene,dev'essere stato e non divenuto; e poiché era, diviene. - Inoltre,
essere e niente son cose; il divenire, invece, è stato o proprietà d'una cosa;
e non può quindi congiungere l'essere e il niente. Hae enim verum
proprietatibus virtus inesse nequit. - La verità e la potenza che e è nel
divenire, deve ricavarsi da quel che era e che è. Sicché l'essere dovrebbe
essere alcunché di più perfetto di quel che ne deriva, realtà o cognizione.
Laddove Hegel muove da un essere, che non è il primo essere, ma un essere, per
così dire, passato attraverso il niente. Onde il processo va dal meno al più,
dall' imperfetto al per- fetto; il divenire invece è incremento di
perfezione. Verum haec rationi repugnant. E c'è altro. O c'è un
principio delle cose, o no. Se c'è, qualunque sia, o una forza (vis quaedam), o
solo una idea (ens logicum), deve preceder tutto, rispetto alla forza, al
tempo, al moto, al vero. Hegel muove dall'essere: ebbene da quest'essere, se
forza, dovrà ricavarsi la forza di tutto; se idea, tutte le idee. E non si
uscirà mai quindi dall'essere; il principio sarà sempre l'essere. - Che se la
conclusione dovesse essere il divenire, il divenire non cessa mai, non è mai un
atto esaurito: e il processo del reale e del conoscere andrebbe all'infinito. -
E guardando ai rapporti non più intelligibili dell'Idea con la Natura e con lo
Spirito, la tesi latina, con qualche variante dalla tesi francese, trae questo
colpo finale contro la dottrina di Hegel: « Infine, se lo spirito sta di mezzo
tra la natura e la idea e per ciò stesso va innanzi alle idee, le idee non sono
i principii. E ammesso che siano principii, poiché lo spirito diviene, e le
idee sono inerenti allo spirito, è necessario che divengano anch'esse.
Se non che quel che diviene, non è, ma sarà; né intende, ma intenderà;
sicché né spirito né idea avranno coscienza di sé, né ci sarà un fine nel
mondo, ma il tutto andrà soggetto alla cieca necessità delle idee».11. - Dei
quali errori tutti il Vera trova la prima origine in due cause principali.
L'una, che Hegel torse la dialettica dal suo vero ufficio, che è di respingere
il falso, alla scoperta e dimostrazione del vero: pretendendo di edificare con
uno strumento di demolizione. L'altra, che ben vide doversi cercare
nell'infinito la ragione del suo rapporto col finito, ma errò presumendo di
rendersi conto del modo di questo rapporto, onde fu costretto a cercare il
finito nella stessa natura necessaria dell' in- finito: ponendo un
infinito semplice che si dirompe suapte natura e quodam necessario impetu nelle
cose finites, e non potendovi poi restare si sforza di tornare a sé e
ri-staurare certo infinito composto, con un circolo che Hegel per altro non
riesce a chiudere, perché l'infinito, una volta mescolatosi alle cose finite,
non può più tornare infinito. Egli è, insomma, che Hegel vide il vero
problema della scienza; mai però appunto andò più lungi dal segno (sed ob ipsum
forsan longius a vero provectum). Perché il Vera è convinto che tale problema è
troppo più grave che non possa sostenere l'omero mortale. Funzione del termine
medio, fulero d'ogni dimostrazione, è unire il finito con l'infinito. Ma come questa
unione avvenga né Aristotele, né Hegel, né lo stesso Platone, quantunque la sua
dottrina sia la più soddisfacente, han potuto ad-ditare, perché il rapporto
muove dall'infinito, la cui natura sfugge alla mente umana. Si enim
intelligeremus (dice il Vera riecheggiando un motivo della filosofia
ales-sandrina, già accolto dal Ficino, e tornato in onore nel De antiquissima
Italorum sapientia del Vico) *, Si enim intelligeremus (infiniti naturam], non
solum rerum ratio, sed el quomodo res perficiuntur nobis innotesceret, neque id
tantum, sed el res ipsas quodammodo perficere nobisconcessum esset. Qui enim
verum vim naturamque pentus agnoscit, his recte uti ad res ipsas
conficiendas valebit. Isque absolute demonstrat qui non modo res intelligit,
sed et intelligendo conficit. Quemadmodum summus is est artifex qui opus non
modo in mente revolvit, sed et conficit et confi-ciendo sibi et aliis mentem
suam patejacit et demonstrat 1. 12. - Di questo scetticismo teistico il
Vera tratto di proposito nel Problème de la certitude. Dove, è superfluo dirlo,
non solo Hegel, ma anche Kant è assai bistrattato. Basti per un esempio
la prima obbiezione che il Vera muove contro la Critica; ed è che la
distinzione di senso, intelletto e ragione è più artificiale che reale; perché
né la sensazione è altro che un giudizio, né la categoria ha caratteri diversi
dalle idee. « Che l'atto intellettuale non venga ad aggiungersi [sic]
all'impressione esterna, e la sensazione non avrà luogo. Essa è dunque un
giudizio sollecitato da una causa esterna, ma che, come ogni altro giudizio,
non può aver luogo senza l'intervento dell'in-telletto. Sicché senso e
intelletto non sono due facoltà distinte; ciò che Kant stesso confessa
implicitamente, allorché attribuisce certe categorie al senso non meno che
all'intelletto. Infatti, il tempo e lo spazio sono concetti puri
dell'intelligenza, né più né meno della causa, della sostanza, ecc., e quelli
non sono meno di queste condizioni essenziali di ogni pensiero. Non si vede
dunque in che differiscano queste due facoltà, poiché sono sede di nozioni
della stessa natura»?. E con osservazioni della stessa forza continua a
dimostrare che non c'è modo di distinguere per davvero le categorie dalle idee,
fino a far sospettare che il Vera non avesse mai letto la Critica (per la quale
infatti rinvia 3 alle lezioni del Cousin).In tutta la storia della filosofia
non vede se non sforzi vani per superare lo scetticismo; e il suo lavoro vuol
essere un nuovo saggio di teoria della conoscenza. Ogni conoscenza riguarda i
fatti o i principii. Fatti sono le esistenze e le qualità fenomeniche;
principii, le cause delle une e delle altre. La causa d'un fenomeno non è il
fenomeno che lo precede, ma il principio interno, la natura dell'essere che si
manifesta nel fenomeno: l'es-senza. Altro è la sostanza, sostrato o soggetto
delle qualità; altro l'essenza, forma intelligibile della stessa sostanza. Ed è
chiaro che il pensiero non può mirare di là dell'essenza alla sostanza; perché
di questa che altro potrebbe cercare che l'essenza? La vera cognizione, che non
si arresti al puro fenomeno, s' indirizza all'essenza. Ma l'essenza non è
conoscibile, per ragioni derivanti in parte dalla natura sua, in parte dalla
costituzione della nostra intelligenza. L'essenza è una; e intanto è uopo
che si moltiplichi negl' individui. Che è il problema della creazione,
inespli-cabile, Si ammetterà un'essenza per le cose periture e una per le
eterne? Ma quale sarà il loro rapporto? e quale la loro differenza se, come
essenze, saranno pure entrambe eterne ed infinite? Si ammetteranno soltanto
essenze individuali (atomismo): e allora l'essenza in sé sarà una semplice
astrazione. - O si ammetterà una sola essenza; e allora tutti gli individui
diverranno fenomeni transitori e apparenze. - E poi è necessario ridurre tutte
le essenze a un solo principio, e che questo esista; perché quando ve ne
fossero molte, dovrebbero sempre essere tra loro in un rapporto; e questo
importerebbe un principio superiore, il quale sarebbe perciò il vero principio
e unico. E che sarà questo principio? Gli si possono attribuire, come s'è fatto
in tutti i sistemi, tanti caratteri; ma questi caratteri non ci faranno mai
vedere l'intimo del principio e la sua propria natura.La natura poi della
nostra mente ci toglie la possibilità di montare all'unità assoluta; perché
niente possiamo pensare che non si presenti alla nostra coscienza come suo
oggetto e che, sia esso Io o non-lo, non si ponga pel fatto stesso d'esser
pensato come non-lo di contro al nostro Io. Né giova la pretesa intuizione
intellettuale di Schelling. Perché o in essa il pensiero conserva la coscienza
di sé, e allora permane la dualità: o smarrisce questa coscienza, e
assorbendosi nell'oggetto, non sarà più pensiero, ma il niente del
pensiero. Ignorando l'essenza, non si possono spiegare i rapporti.
Si conoscono le esistenze e si conoscono i rapporti degli esseri; ma dal che
non si passa al come. Non si può contestare che io sia, e che siano i prodotti
della mia attività interna e del mio pensiero e gli oggetti e fenomeni del
mondo esterno. Saranno tutti fenomeni, apparenze fugaci; ma non si potrà negar
loro un certo essere e dire che non siano, almeno nel momento in cui sono. Chi
si provasse a farlo, si contraddirebbe. Ma se vi sono esistenze che cominciano,
che sono e non erano, e, insomma, effetti, questi effetti devono avere una
causa. La quale causa o bisognerà cercarla tra le cose finite, o sarà la
collezione delle cose finite, o la sostanza infinita di cui le sostanze finite
siano emanazioni, o infine un principio separato dal mondo e avente esistenza
propria e indivi- duale. Le prime tre ipotesi sono da escludere. a)
E evidente che non può esser causa del finito un fini-to, che come tale è
effetto, e richiede esso stesso una causa. 6) La collezione dei finiti
non aggiunge ai finiti se non una unità artificiale ed astratta, esistente solo
nel soggetto che la pensa. Quindi non può contenere più dei finiti, né essere
altro che finita: cioè un effetto, anch'essa. Senza dire che la collezione
è risultato e non principio, e suppone una causa radunatrice degli elementi e
quindi costitutiva di essa collezione.c) La sostanza che producesse eternamente
le cose, effondendosi in esse senza potersene distinguere, anzi facendone
parte, potrebbe essere o un Io, o una causa meccanica. Un lo, di cui le
coscienze individuali fossero parti integranti, sarebbe tanto causa di queste,
quanto queste di esso. Giacché in un tutto essenziale alle parti come le parti
al tutto, non ci può essere efficienza o causalità vera, ma solo una causalitá
logica. Che se l'Io assoluto si concepisca come una forza infinita
manifestantesi negli individui, si potrà chiedere: e perché si manifesta o
sviluppa? per darsi così una coscienza più chiara e più larga? ovvero per
passare dalla potenza all'atto? In un caso e nell'altro l'effetto conterrebbe
qualche cosa di più che la causa, e questo di più resterebbe senza causa. - O
sarà la sostanza una causa cieca e meccanica? Ma la sola vera causa è la
libertà. Se un corpo in movimento ne mette in moto un altro, noi diciamo
impropriamente il primo causa del movimento del secondo; laddove ne è solo la
condizione. Infatti esso non può non muovere il corpo, e non può non muoverlo
con la velocità e la direzione con cui lo muove perché non è esso stesso la
causa del proprio movimento, né quindi del movimento che ha comunicato. La vera
causa del movimento non dev'esser mossa, ma deve muovere da sé: esser
libera. Sicché la causa assoluta dev'essere separata dal finito, libera,
persona assoluta. Libera, in quanto indipendente dal suo effetto; ma legata
bensi alla legge della sua es-senza. Questo già vede il Vera: che la necessità
interna non è incompatibile con la libertà, almeno quando si tratti della causa
assoluta. Perché nell'uomo, che non s'è dato il suo essere, il Vera crede bene
che la necessità interna sia anche esterna; quantunque anche l'uomo che fa il
bene, se fare il bene si concepisce come legge della sua natura, debba dirsi
libero. La necessità, invece, della causa assoluta le è, per dir così, più
intimamente interna.Il Vera, in questa tesi, non ammette nessuna reciprocità
tra la causa e l'effetto. Questo richiama quella: ma «l'idea di causa, lungi
dal contenere quella dell'effetto, l'esclude pel fatto stesso che è causa»,
Insomma, dualismo assoluto. La causa assoluta, essendo libera, è
intelligente, perché non è libertà senza intelligenza. E semplice e
indivisibile; perché se il suo atto non fosse uno, e si risolvesse p. e. in due
parti, una di queste agirebbe sull'altra, e la causa non sarebbe causa, e le due
azioni causali, esercitandosi successivamente, darebbero luogo ad effetti a un
dato istante sottratti alla causa, che cesserebbe perciò di essere assoluta
causa. E l'atto uno suppone la sostanza una. E già una sostanza composta
sarebbe materiale, e non sarebbe più libera. Né occorre dire che, per essere
asso-luta, la causa dev'essere universale. La causalità conferisce realtà
all'idea di sostanza, concepita come principio del finito, e conferisce realtà
ugualmente a tutte le idee effettrici delle esistenze finite: al bene assoluto,
causa del bene relativo, alla verità assoluta, alla bellezza assoluta, e via
discorrendo. Con la sola categoria di sostanza potremo avere l'idea di Hegel,
l'essere puro, come una « concezione logica ». La causa ci fa fermare il
piede nel reale; e la certezza del fenomeno si fonda sull'intuizione della
causalità reale supposta dal fenomeno. * Il pensiero non comincia con
l'affermazione d'una causalità astratta, ma d'una causalità reale. Il
sentimento della mia finità è inseparabile dalla mia esistenza, e col primo
sentimento della vita si produce a un tempo il sentimento del mio niente e d'un
principio che mi ha fatto passare dal niente all'es-sere. Ecco già l'idea di
causa che si manifesta a me insieme con la mia esistenza. E non è una causa
astratta e possibile, ma una causa reale e attuale come il suo ef-fetto; non è
una causa che deduco da un principio, mauna causa che colgo con un' intuizione
semplice e imme-diata, con un atto analogo a quello col quale affermo me stesso».
Nel libro non è citato mai il Gioberti; ma questa dottrina coincide a capello
con quella della formola ideale, che cinque anni prima il Gioberti aveva
propugnata nell'Introduzione allo studio della f-losofia. Immediatezza
della cognizione, inconoscibilità dell'es-senza, e quindi misticismo scettico;
opposizione assoluta tra essere e pensiero, Dio estramondano e quindi negazione
della libertà e della verità dello spirito come della spiritualità del vero;
concezione conseguente della verità o idea come contenuto trascendente del
pensiero, retto quindi dalla legge dell'identità, e della dialettica come
funzione meramente negativa del pensiero soggettivo: tutta la somma delle
dottrine essenziali alla vecchia intuizione platonica del mondo, contro le
quali da secoli e secoli combatteva la filosofia moderna, e che furono
definitivamente superate dal principio hegeliano, faceva intoppo nella mente
del Vera all'intelligenza dello hege-lismo. La folla incomposta delle
difficoltà che egli vi in- contrava, attesta chiaramente la refrattarietà
del suo spirito agli incitamenti e alle suggestioni della nuova filosofia, cosi
rudemente paradossale a chi non sia preparato da un vivo affiatamento con tutta
la storia del pensiero moderno (e si può dire anche del pensiero cri-stiano, in
opposizione al greco) a guardare il mondo con gli occhi nuovi dello spirito
conscio della sua vita assoluta. Come fece il Vera negli anni seguenti a
liberarsi dalla grave mora de vecchi pregiudizi, per rifarsi con nuovo e fresco
vigore intorno allo hegelismo, romperne la dura scorza, e penetrarne l'intimo
spirito? Rifece egli più metodicamente il cammino percorso dal pensiero
speculativo da Cartesio a Hegel13. - Dopo il 1845, i primi lavori del Vera sono
quattro articoli del 1848, scritti per una rivista La liberté de penser,
fondata a Parigi dopo la rivoluzione di febbraio da alcuni giovani professori,
come il Simon, il Saisset, il Jacques e lo stesso Vera. E in essi il
demolitore della logica e di tutto il sistema di Hegel ci si presenta in veste
di hegeliano. Nessun documento illumina la crisi antecedente del suo pensiero;
e bisogna contentarsi di osservare in questi articoli il suo primo
atteggiamento nel nuovo indirizzo. Il primo (La Religion et l'Etat) fu
scritto a proposito delle discussioni dell'Assemblea Nazionale per definire i
rapporti tra Stato e Chiesa; e combatte l'idea della se- parazione. Sarà
più tardi, come vedremo, uno degli argomenti su cui più si travaglierà il
pensiero del Vera, senza riuscire mai a dar nettamente la soluzione del
pro-blema. In questo primo saggio, forse perché lo scrittore non sente ancora
tutta la difficoltà della questione, il suo pensiero tocca il massimo della
chiarezza, che abbia mai raggiunto. Vede il progresso storico dei rapporti tra
Chiesa e Stato indirizzato verso la libertà di coscienza; e giudica la Riforma
protestante, malgrado la sua proclamazione del libero esame, inferiore a
cotesto principio, per cui la ragione umana può sottrarsi alla tutela
dell'autorità sacerdotale; perché la Riforma non proclamò insieme l'abolizione
delle religioni di Stato. E religione di Stato significa autorità che è
compressione della li-bertà, in quanto non è l'autorità della ragione
invisibile e universale, conciliatrice della regola con la libertà, della
disciplina col movimento, ma quell'autorità visibile e materiale, che, come
imprigionata nel fatto e nella lettera della legge, colpisce d'immobilità
il pensiero, contrasta ogni espansione nuova dello spirito e riesce alla
violenza e all'asservimento delle coscienze. La Rivoluzione francese ha
compiuto l'opera della Riforma,ispirandosi a un principio superiore: il
principio dei diritti dell'uomo in generale, onde la libertà nuova da lei
proclamata non è più quella di una società particolare, ma del mondo. E
abolisce la religione di Stato, presupponendo quella religione ideale e
assoluta - scoperta dalla filosofia, di cui la Rivoluzione è figlia ed erede -
la quale si sviluppa e manifesta successivamente nella coscienza dei popoli,
domina e abbraccia tutte le religioni positive e compone ad armonia nella
propria unità le credenze parziali del genere umano: la religione, in-
somma, naturale o razionale. Ma né la Francia né l'Europa eran preparate alla
riforma religiosa, che questi principii, rigorosamente applicati, avrebbero
richiesta: e ad essi occorre tuttavia far capo per gettare le basi della nuova
carta religiosa. In un articolo successivo, ma dello stesso anno, il
Vera, accintosi ad esporre la filosofia della religione di Hegel, giudicherà
con lui e rifiuterà, come idealismo ordinario, cotesto deismo prevalso nel sec.
XVIII, il quale astrattamente foggiava la religione ideale e filosofica, che
giace in germe nel fondo d'ogni intelligenza »1, Ma, pure appigliandosi per
qualche altro particolare alla dottrina di Hegel, è fermo nella convinzione che
basti svolgere razionalmente il principio posto dalla rivoluzione francese,
fondato, come s'è visto, sulla dottrina della religione naturale. Segno che
egli non era ancor giunto a possedere un concetto determinato della religione,
né, comunque, a impadronirsi di quello di Hegel. Svolgere il
principio della Rivoluzione, della libertà di coscienza, non era ciò che dal
Lamennais in poi venivano chiedendo in Francia i cattolici, e avevano finito
con invocare gli stessi gesuiti? Ecco, dice il Vera: « nellapresente questione,
come nella maggior parte delle questioni sociali, la difficoltà consiste nel
conciliare l'ordine e la libertà. Se si sopprime una di queste due condizioni,
s' incorrerà nell' inevitabile alternativa, o di tornare all'autorità e alle
religioni ufficiali, o di rinunziare a ogni azione normale ed efficace sugli
spiriti ", Temeva il Vera. che se l'Impero, la Ristaurazione e la
Monarchia di Luglio avevano piegato dal lato della tradizione e del-l'autorità,
ora si piegasse dal lato opposto, esagerando il principio della libertà. Si
preoccupava degli effetti di una libertà assoluta, che avrebbe portato
all'anarchia delle coscienze, all'impossibilità di ogni governo morale e quindi
d'ogni governo politico. Se la pigliava con la stessa espressione di libertà
illimitata, che non può essere, diceva, se non una figura rettorica
lusingatrice degli orecchi e del gusto del pubblico, non potendosi concepire
potere che non sia limite della libertà. Né pertanto è ammissibile la
separazione. I sostenitori della quale si rappresentano la società come una
sorta di d'ag-gregato di parti unite insieme da legami estrinseci: laddove la
storia e la teoria ci mettono innanzi un'unità sociale organica, in cui tutto è
concatenato e la vita di una parte va di conserva con quella del tutto, e
un'unità invisibile vi circola dentro. Perciò Hegel disse che le rivoluzioni
politiche e religiose sono inseparabili; e un popolo che ne fa una e non fa
l'altra, ha lasciato a mezzo la sua opera, mantenendo un antagonismo, che dovrà
rimuovere, se non vuol soccombere. E questo basta qui al Vera per concludere
che Chiesa e Stato sono insepara-bili. Quantungue non sia difficile vedere che
il suo argomento supponga provato quel che è da provare: l'imma-nenza dell'elemento
religioso, anzi della Chiesa, nell'organismo dello Stato. La separazione
è voluta da coloro che dividono con un taglio netto la sfera religiosa da
quella del diritto:nella prima delle quali lo spirito umano si solleva
all'eterno e all'infinito, laddove nella seconda l'uomo rimane stretto ai suoi
bisogni passeggeri e terreni, e quindi implicato negli interessi, nelle
passioni, nelle lotte, da cui si libera affatto mercé la religione. In questo
argomento V. riconosce, a primo aspetto, un'apparenza di verità. Ma gli studi
che in quel torno ei doveva fare della filosofia hegeliana, gliene additano il
difetto. « Au fond, il repose sur une notion incomplète de la vie religieuse,
et il se rat-tache à cette métaphysique qui ne saisit qu'un seul élément dans
les êtres, el qui, en négligeant l'élément contraire, n' aboutit qu'à des
abstractions ou à des inconséquences... E vero che Dio, comunque si concepisca,
trascende ogni limite, ed è termine immutabile e infinito. Ma Dio è un termine
solo del rapporto religioso, onde Dio si manifesta, e l'altro è l'uomo con le
sue condizioni sensibili e finite. Né la religione è un fatto isolato, chiuso
nella coscienza del-l'individuo, ma un'istituzione sociale, la quale ha per
iscopo l'istruzione e la guida delle anime; e pertanto non può sorgere,
conservarsi e svolgersi senza determinate condizioni materiali ed esterne,
insegnamento orale e simbolico, associazione, disciplina, mezzi finanziari
ecc.: tutte cose che rannodano la Chiesa con lo Stato, Ebbene,
esclusa la separazione (lo stesso Vera si pro-pone, come sarà sempre suo
costume, l'obbiezione), come sfuggire all'alternativa dell'oppressione della
Chiesa sullo Stato, o dello Stato sulla Chiesa? Ma (come sarà pur sempre suo
costume) se n'esce pel rotto della cuffia, perché non si spinge fino a una
rigorosa definizione dei concetti che adopera. La soluzione qui la trova in
quella astratta filosofia della religione, che ha accettata dal secolo XVIII, e
che è pure quella dottrina eclettica della verità relativa di tutte le
religioni positive nell'assolutaverità della religione naturale, che, nei
nostri filosofi della Rinascenza (Bruno e sopra tutto Campanella, che ne è il
vero fondatore, a lui, molto probabilmente, essendosi inspirato Herbert di
Cherbury) ' portava logicamente alla religione di Stato. Lo Stato, pel Vera,
deve sanzionare la libertà di coscienza: ma in questo stesso postulato è
implicata l'attribuzione allo Stato di legiferare in materia religiosa,
riconoscendo a tutte le religioni positive quella legittimità che è loro
conferita dalla religione ideale in cui tutte sono comprese. Se lo Stato non
s'incontrasse nella religione, non potrebbe né anche riconoscerne e garentirne
la libertà. Lo Stato s' investe in questo suo atto di un principio filosofico,
e la filosofia gli conferisce la potenza e il diritto di dettar legge in
re-ligione. La filosofia che è « la fonte della vera libertà, perché essa sola
proclama ed assicura quell'alta libertà dello spirito che è il principio di
ogni libertà, e perché essa solleva continuamente l'umanità al di sopra di se
medesima, e delle cose periture e finite, alla regione dell'eterno e
dell'infinito». E però nell'alleanza dello Stato con la filosofia è il
fondamento di ogni libertà: alleanza tutt'altro che facile, di certo, anzi,
sotto certi aspetti. né possibile né desiderabile: ma perciò appunto fornita
del carattere di ogni ideale, che genera il progresso in quanto meta
inattingibile. «Tout progrès possible repose sur un principe impossiblen
3. E un altro punto, in cui il Vera non si solleva fino allo hegelismo,
restando al dover essere (Sollen) kantiano, messo in derisione dal pensatore di
Stoccarda. E la coscienza dell' irrealità dell'ideale limita l'astrattezza,
tutta platonica, di questo Stato filosofico, in cui si rifugia ilVera, assai
imbarazzato poi quando si tratta di tornare fuori, per rimettersi in rapporto
con la realtà storica. Se Stato e Chiesa sono inseparabili, il prete è,
pel Vera, un funzionario dello Stato. Dacché un culto è legalmente ammesso,
esso diventa una funzione di Stato. Funzione varia, diversa, molteplice,
perché lo Stato ammette tutti i culti, quantunque non s' immedesimi con nessuna
religione. E lo Stato perciò retribuirà i ministri di tutti i culti. - Ma
proprio tutti? - Sì certamente, perché « tutti i culti, quali che siano le
dottrine che professano e la parte di verità che contengono, devon o
incontrarsi in un pensiero e in un'opera comune, dovendo tutti, sotto una forma
o un'altra, per vie e gradi differenti, disciplinare le anime non soltanto a
salvarsi, ma ad adempiere i loro doveri civili». Devono in - contrarsi: ma
s'incontrano realmente? Lo Stato solo può giudicare se e in quel misura una
dottrina religiosa soddisfi questa condizione. Che se si contesta allo Stato
questa facoltà, bisognerà contestargli anche quella di concedere la libertà dei
culti: poiché la libertà dei culti, ripeto, suppone questo criterio: suppone
che lo Stato abbia saputo riconoscere che la verità non è prerogativa d'un solo
culto, e che saprà anche distinguere, fra le dottrine nuove, quelle che
bisognerà ammettere o rigettare ». Ossia, in conclusione, saranno ammessi
tutti i culti, che lo Stato con la sua filosofia approverà, poiché pare ce ne
possano anche essere di quelli che non siano compatibili coi fini essenziali
dello Stato. E allora? Noi crediamo, conchiude il Vera, che « nello stato
presente del mondo, appartenga ai poteri civili e alla civiltà laica
l'iniziativa della riforma religiosa, e che questa riforma debba essere imposta
alla Chiesa nell'interesse della libertà e della Chiesa stessa ». Ma
allora abbiamo lo Stato teologo e la religione di Stato! - Parola più speciosa
che vera», risponde l'au-tore. « Noi pretendiamo che lo Stato, quale l'abbiamo
definito, quale l'han reso la filosofia e la Rivoluzione, sia perfettamente
competente nella questione religiosa. Lo Stato, bensì, non fa della
teologia scolastica, non disserta sulla grazia, il peccato originale e la
trinità. Lascia queste dispute ai teologi e ai filosofi. Ma può dire fino
a che punto una religione risponda ai bisogni della società, e studiando
seriamente questi bisogni, giovandosi dei lumi della filosofia e della libera
discussione, ha il diritto e il potere di imprendere la riforma delle
istituzioni religiose, modificarle e ringiovanirle, facendovi penetrare i germi
di verità nuova na 14. - Come possa lo Stato riformare una religione
senza entrare nella teologia; come giovarsi della filosofia, senza intendere la
filosofia stessa, e quindi filosofare: come proclamare la libertà dei culti e
riconoscere a tutti i culti un valore, dovendone pure eventualmente respingere
qualcuno con un criterio suo; come imporre una riforma alla Chiesa, rispettando
il principio della libertà: sono tutti certamente punti molto oscuri, e non i
soli, della soluzione caldeggiata dal Vera. Ma qui giova soltanto fermare
l'attenzione sul carattere permanente di questa filosofia del Vera, malgrado il
giudizio sulla Rivoluzione francese, cosi diverso da quello enunciato otto anni
prima, e malgrado gli spunti hegeliani contro le astrazioni dell'intelletto.
Essa evidentemente è ancora una filosofia non compenetrata dal concetto della
razionalità del reale e della realtà del razionale: una filosofia di una
ragione concepita come sovrapposta alla vita, alla storia, al reale. L'infinito
si vuole congiunto essenzialmente col finito (e però la Chiesa con lo Stato).
Ma l'infinito è infinito, e il finito è finito. Lo Stato non hainfinità (non ha
valore), se non gli viene comunicata dalla Chiesa; né esso può
acquistarsela da sé, incorpo- randosi e risolvendo in sé la Chiesa: a
fine di stabilire i suoi rapporti con la Chiesa deve ricorrere alla filosofia,
che non è nello Stato, e non è perciò lo Stato. Tutta la storia, come progresso
compiuto in virtù d'un principio impossibile, ha il proprio valore fuori di sé:
ossia, non ha valore. Questo non era il nuovo mondo di Hegel. Segui la
prima parte dello studio sulla Philo-sophie de la religion de Hégel, non
continuato, perché la Liberté de penser cessò di pubblicarsi. E in questo scritto
il Vera espose il punto di vista di Hegel in questa parte del suo sistema e il
suo concetto in generale della filosofia con manifesti segni di adesione,
sebbene qui ancora non s'incontrino quell' iperbolici elogi della filosofia
hegeliana che poi diverranno frequentissimi nei suoi libri. Tornò ad esporre
brevemente il concetto della filosofia hegeliana col metodo stesso adoperato
nelle tesi di tre anni prima, quantunque le difficoltà formidabili intorno ai
punti fondamentali e preliminari che tre anni prima gli sbarravano l'adito al
sistema, pare siano già come per incanto sparite: quel metodo, il quale
consiste nel saltar dentro a una filosofia, dopo averla distaccata dal
complesso della storia, in cui essa sorse e visse, e nel muovervisi dentro come
altri può percorrere una galleria di quadri che non sappia come e donde
raccolti. Il metodo più antihegeliano che ci sia. E cosi ora, così sempre:
anche quando egli diventerà assai più esperto hegeliano e più fervido
propugnatore di questa filosofia, Hegel sarà un filosofo, per V., tutto chiuso
in sé, che si lascia indietro, a mille miglia di distanza, non pure la
filosofia prekantiana, ma Kant, Fichte e lo stesso Schelling: e se qualche
riscontro potrà consentire, richiamerà Platone e Aristotele (che sono poi gli
antesignani dell'oppostaconcezione del mondo). Per ora, non una parola di altri
filosofi, e le determinazioni della filosofia hegeliana, strappate dal loro
terreno storico, si presentano, com'è na-turale, in un aspetto equivoco ed
incerto. La filosofia ricerca l'universale, l'infinito, l'assoluto in
tutte le sfere sulle quali si esercita l'attività del pensiero»›, Definizione,
che, se non è detto quale sia la natura di questo universale, eterno, infinito,
può competere tanto alla filosofia di Hegel, quanto a qualunque altra. «
Secondo Hegel, l'oggetto della filosofia è la conoscenza dell'Idea». Anche
questo è troppo poco. E tutto quello che segue non giova a differenziare
1 he-gelismo dal platonismo: « L'assoluto è lIdea, la quale si divide e si specifica
in una serie di determinazioni, di cui ciascuna costituisce un modo della Idea,
nonché un grado e una faccia dell'esistenza. Questa Idea e questa serie di idee
non si producono a caso e secondo rapporti arbitrari ed esteriori, ma sono
legate da rapporti necessari ed eterni, e formano un organismo interno, e come
una trama indistruttibile su cui sono fondate l'unità e la vita del mondo»2. Lo
stesso Vera sa che così c' è una profonda differenza tra l'idealismo «
ordinario» e l'idea-lismo « assoluto » di Hegel. L'idea di quello è astratta, e
l'idea di questo è concreta. Cioè? - Le idee del primo sono poste
meccanicamente l'una accanto all'altra: quelle del secondo hanno un
concatenamento e una necessità interna. - Distinzione così, sulle generali,
ille-gittima: perché non c'è filosofia idealistica che non miri appunto a
questo intimo concatenamento delle sue idee; e in questo senso le idee di tutti
gli idealisti sono state concrete. La concretezza hegeliana non consiste
tantonella concatenazione delle idee, che, tutte concatenate, possono essere
nondimeno tutte fisse, immobili: quanto nell'atto stesso del concatenamento,
per cui l'idea non è legata più a un'altra idea, ma è l'altra; è, e non è se
stessa; si muove, e movendosi, divenendo, è un'idea ed è un'altra idea. Sicché
non più catena, ma medesi-mezza, coincidenza di opposti. E se non si guarda a
questa concretezza, l'idealismo hegeliano smarrisce la sua fiso-nomia, e si
confonde con l'antico idealismo. 17. - Il Vera nota che l'idea concreta è
una triade: nè prima se stessa, poi il suo contrario, e infine la loro unità»;
dove il 'prima', il 'poi' e l'infine', possono già dar luogo ad equivoci
grossi. « Cosi il vero non è né nel- Tessere, nénel non-essere, né nella
causa, nénell'effetto, nénel tempo, né nello spazio ecc. L'essere e il
non-essere, la causa e l'effetto, il tempo e lo spazio sono elementi essenziali
del vero, ma questo non è se non nella loro identificazione in un terzo
termine: nel divenire, nel movimento ecc. essi attingono la loro completa
realtà. Qui la cosa è diventata chiaris-sima, e le critiche di tre anni prima
contro le prime categorie della logica hegeliana sono cose dimenticate.
Capi l'autore che egli mal si era apposto, cercando come il non-essere possa
uscire dall'essere, ed essere e non-essere, messi insieme, produrre il
divenire? Intende egli ora il processo logico come superamento dell'astrattezza
nella realtà della sintesi? Parrebbe ora la sua interpre-tazione. Ma anche qui
può risorgere il malinteso, assai più pericoloso, perché chi non se n'accorga,
crederà d'essere già dentro l' hegelismo, e non sarà giunto invece né anche a
Platone. Se l'essere e il non-essere sono elementi del vero, e il vero
completo, la realtà è nel dive-nire, unità concreta dei due elementi, il passaggio
del-l'astratto al concreto si può intendere in doppio modo:come passaggio dello
stesso astratto alla propria con- cretezza; ovvero come passaggio del
pensiero che pensa la realtà e che, dopo averla pensata astrattamente ne' suoi
elementi, si sforza di pensarla in concreto nella sua unità. Nel primo caso si
tratta di un passaggio oggettivo, che è in fondo un passaggio soggettivo; nel
secondo, di un semplice passaggio soggettivo, che importa un oggettivo
non-passaggio. Giacché nel primo caso si muove, realizza od invera l'oggetto,
la stessa realtà; che in tanto si muove, realizza od invera in quanto la stessa
realtà è pensiero, Nel secondo invece è il pensiero, postosi di fronte alla
realtà, o foggiatasi una realtà opposta a sé, che si muove nello sforzo di
adeguarsi alla realtà stessa: segno che, se vi si adegua o quando vi si adegua,
non avrà più bisogno di muoversi perché la realtà è immobile. La strada
eraclitea che è la stessa strada nelle opposte direzioni in su e in giù (ádóc
ava váTo pía xai duTi) dà luogo a una contrarietà e a un movimento
appartenenti soltanto al soggetto: ma in sé è una, immutabile e immobile, come
l'essere eleatico. L'idea (dell'essere elea-tico o del divenire eracliteo) si
può concepire in due modi: o come una cogitatio (modus cogitandi, ipsum
intelligere) come profondamente voleva Spinoza, o come un quid mutum instar
picturae in tabula. Anche il fiume eracliteo infatti può esser dipinto! E
allora non scorre, quantunque noi vi scorriamo sopra con la fantasia. Questo è
stato il problema secolare del concetto del divenire, che non poteva risolversi
se non nella filosofia moderna dopo il cogito (ergo sum) di Cartesio, e
quell'idea che è l'ipsum intelligere di Spinoza, e il nuovo concetto
leib-niziano della monade, e la sintesi di Kant, e l'Io di Fichte e l'Identità
di Schelling- Se lo stesso divenire è visto come esterno al pensiero, si ferma
e sta, come pictura in tabula. Il divenire è vero divenire del reale quando il
reale non è di fronte al pensiero che lo pensa (movendosi lui, o
illudendosi di far muovere il reale), ma dentro il pensiero, lo stesso pensiero
che pensando diviene e genera appunto quella realtà che esso è. Qui è il punto.
E la costruzione difficile dell' hegelismo è cosiffatta, che molti han potuto,
prima e dopo il Vera, scambiare l'Idea lo-gica hegeliana con l'Idea platonica,
oggetto del pensiero solo considerando la posizione di essa di fronte alla
na- importante ed essenziale, che si la natura come lo spirito (fin allo
spirito assoluto, e alla stessa filosofia del filosofo che sta
filosofando) sono la realizzazione dell' Idea stessa, e cioe la stessa Idea nel
processo autonomo del suo svolgimento. 18. - Come l'intende il Vera
in questo suo primo saggio di filosofia hegeliana? Dice: Tout le travail
de la pensée consiste à poser un élément de l'idée, - moment immédiat, — à
saisir dans cet élément un élément contraire, — moment de médiation, analyse —
et à trouver un troisième terme qui concilie et unit les deux pre-miers, -
synthèse — puis à dégager de ce troisième terme une nouvelle détermination qui
enveloppe les précédentes, et qui, à son tour, engendre une détermination
opposée, laquelle se trouve conciliée avec la première dans une troisième, et
ainsi de suite, jusqu'à ce qu'on s'élève à une esistence, à une idée suprême
qui efface et absorbe tous les moments, toutes les contradictions précédentes
dans son unité. C'est là la vie et le mouvement éternels de la pensée, et,
partant, la vie et le mouvement éternels de la réalité ! 1. Il pensiero,
di cui qui si narrano le gesta, è il pensiero in sé, lo stesso reale, o il
pensiero che intende il reale, il pensiero del filosofo che tesse la faticosa
tela della lo-gica? Nel primo caso il pensiero sarebbe la stessa idea;e la
maniera in cui il Vera si esprime, facendo del pensiero l'artefice e dell'idea
la materia del suo lavoro, sarebbe per lo meno molto fantastica e metaforica.
Non che queste espressioni siano illegittime; ma qui dan luogo al ragionevole
sospetto che l'autore abbia veramente inteso il rapporto del pensiero con
l'idea in senso dua-listico, in guisa che la conchiusione (c'est là la vie et
le mouvement éternels de la pénsée, et, partant, la vie et le mouvement
étérnels de la réalité) non possa avere altro significato che di una dommatica
inferenza, contraria del tutto allo spirito dello hegelismo. Giacché quel
partant. in astratto, potrebbe avere due significati ben diversi: o dire che il
processo logico è il processo della realtà, perché la realtà è pensiero
(identita); o dire che il processo logico è anche il processo della realtà,
perché la forma della realtà è intelligibile come pensiero, il pensie-ro si
attua nella realtà, e (nella forma più rigorosa di questa concezione) ordo et
connexio verum idem est ac ordo et con-nexio idearum (parallelismo, e, in
fondo, duali-smo). Ma nel nostro caso l'interpretazione dualistica é confortata
dalla più ovvia interpretazione dei periodi prece-denti, dove è evidente che
l'autore non avrebbe mancato di richiamare esplicitamente l'attenzione sul vero
e proprio rapporto del pensiero con l'idea, se egli ne fosse stato
nettamente consapevole.18. - Ed è anche confermata dal modo in cui il Vera
passa ad esporre la triade Idea-Natura-Spirito, L'Idea, egli dice, è da prima
in uno stato « d' indeterminazione e semplice virtualità», quando è idea
logica, e contiene le determinazioni più generali degli esseri. Giunta al
limite estremo della sua evoluzione logica, l'Idea e esce da questa esistenza
formale e indeterminata, e si dà per sua virtù propria, e come spinta da una necessità
interna, una esistenza oggettiva e determinata nella natura n. L'Idea
infatti genera la Natura; ma in questa non esiste nella sua forma logica,
generale ed assoluta, nella purezza perfetta delle sue determinazioni: diviene
esterna a se stessa, si spezza in prodotti particolari esposti alla contingenza
e al caso. Questa contraddizione è superata in una terza forma dell'esistenza,
superiore alle due prime e che le involge nella sua unità: lo Spirito, il
pensiero, dove l'idea concreta e determinata, risolleva la natura all'unità ed
universalità ed acquista coscienza di sé nella libertà. - Orbene: il processo
nello stesso Hegel è tutt'altro che facile; e lo vedremo a suo tempo; ma ha un
carattere determinato, che a chi sia penetrato, secondo le osservazioni già
fatte, nello spirito dello hegelismo, non può sfuggire. Dev'essere tutto un
processo logico: una via che il pensiero pensando deve necessariamente
percorrere. Ora il Vera non si mette per questa via. Egli è appunto come lo
spettatore della pictura in tabula: vede uscire dall'Idea la Natura, o l'Idea
generare o farsi la Natura, e non sa né può sapere per quale interna necessità:
non si prova nemmeno a fare (egli che è pen-siero, quella stessa idea) quel
medesimo che vede fare all'idea: non si prova a pensarlo. E come potrebbe
pen-sarlo, dopo aver definito il logo una semplice vir-tualità? Posta
l'assolutezza del logo, se s'intende la virtualità al modo di Leibniz (ossia
nel modo più fa-vorevole), donde la ragion sufficiente ?I9. — Ma il senso di
questa virtualità della idea logica ci può essere svelato da scritti posteriori
del Vera, il quale, sia detto qui subito, rimase fermo a questo con-cetto.
Apriamo l'Introduction à la philosophie de Hégel (1855), che è il suo
lavoro più organico su Hegel, ed ebbe molta fortuna in Francia e in Italia come
autorevole esposizione della filosofia hegeliana: che i più si contentarono di
non conoscere altrimenti 1. In questo libro si legge che nella sfera della
logica, Dio è la possibilità e la forma assoluta; è l'essere anteriore a ogni
cosa creata, e che contiene perciò stesso, virtualmente, tutte le cose » 3:
dove possibilità non significa altro che pensabilità, Infatti l'autore è stato
trascinato innanzi a svelare e confessare quel suo segreto concetto della logica,
come non la storia eterna, la gesta eterna, dell'idea, ma come la semplice
scienza dell'idea, poiché intanto era germogliato il seme da noi sospettato nel
saggio del 1848. Qual è, ora egli si chiede, l'oggetto della logica? La logica
è « la scienza delle forme universali e assolute del pensiero e
dell'esi-stenza»: forme, bensi, che non sono semplici forme, perché queste
forme si compenetrano col con- tenuto, sono le forme del contenuto, che è
l'idea stessa nella serie delle sue determinazioni. Come tale, la logica è il
fondamento di tutte le scienze. La Nature et 1 Esprit costituent, il est
vrai, des états, des sphères plus concrétes et plus réelles de l'Idée, et, a
cet égard la Logique peut être considérée comme une science formelleou comme la
science de la méthode, mais comme la science de la forme et de la méthode
absolues, comme le type, le modèle intérieur, sur lequel la Nature et l'Esprit
doivent se développer et s'organiser, comme la forme, en un mot, sous laquelle
l'être et la vérité existent 5. Dove si può bensi distinguere tra logica
e idea, di cui la prima è la scienza; ma è chiaro che quel che il Vera dice
tipo e modello della natura e dello spirito è appunto la logica e non l'idea.
Non già che egli finisca nel concetto della categoria kantianamente intesa
come condizione soggettiva della costituzione dell'esperienza, e però
della natura fenomenica, quale si trova nella nostra esperienza. Il Vera rimane
molto più indietro di Kant. Oscillando tra la sua ingenua interpretazione
soggetti-vistica e la lettera degli scritti di Hegel, dove l'Idea é lo stesso
assoluto, egli, se da una parte non sa concepire la logica se non come una
elaborazione scientifica della mente contemplatrice della verità e della mente
che pensa di fatto questa verità per le idee dell'essere, della qualità, della
quantità, della causa ecc., dall'altra non riesce a conferire altrimenti valore
oggettivo a siffatte condizioni della pensabilità del reale se non
ipostatiz-zandole platonicamente come tipo e modello della natura e dello
spirito: ai quali l'Idea fornisce - egli dice esplicito - una parte del loro
contenuto: (e chi darà il resto ?). Su questo punto il Vera si spiega
chiaramente, notando che si potrebbe dire la Logica, cosi concepita, la scienza
delle possibilità assolute, non nel senso che le idee logiche siano
possibilitàe non realtà, ma in questo senso che niente non e possibile né può
esser pensato se non per queste idee .1. E ricorda Kant, che aveva
riconosciuto le idee logiche come « condizione necessaria di ogni
esistenza e verità »; ma le aveva concepite come condizioni negative, indotto
in errore dal termine stesso di condizione; laddove 1' idea ¿ condizione
come elemento integrante e costitutivo delle cose. La possibilità
insomma, di cui parla V., ¿ possibilità rispetto alla natura e allo
spirito: in sé e reale e principio di realtà. La possibilità, egli dice in
fine, non può toccare i principii; perché i principii o sono o non sono.
Possibile è questo individuo, questo triangolo, ma non l'essenza dell' individuo
e del triangolo. I concetti universali, realizzati; ecco la logica di Hegel, per
V.: che e per l'appunto, sostanzialmente, il mondo ideale di Platone, con la
sua impossibilità di risolversi nel mondo dell'esperienza :. Ma nel
saggio hegeliano del 1848 la conchiusione è che « la logica, la natura e lo
spirito formano una triade indivisibile; sono tre termini consustanziali di cui
l'idea è il fondo comune, ed è l'azione reciproca e la fusione eterna di queste
tre sostanze che fanno l'unità e la vita del mondo«3. Dove quel che si vede è
la tri-plicità delle sostanze, e quel che si dice di vedere l'unità dell'
idea. Insomma, abbiamo fin qui un hegeliano che vuol esser tale, perché
ha studiato Hegel e ha creduto d'intravve-dere il vasto mondo della sua
filosofia, assai più sícuro rifugio dallo scetticismo del Problème de la
certitude, chenon fosse quella ragnatela di teismo intuizionistico in cui
dapprima gli parve di poter riparare. Ma il segreto di quella filosofia rimane
ancora per lui un segreto; e il suo spirito continua a gravitare verso la
trascendenza platonica. 20. - Nel terzo articolo Un mot sur la
philosophie el la Revolation française, il Vera, prendendo le mosse dal
giudizio dato da Hegel nella Filosofia della Storia sulla Rivoluzione, come
opera del pensiero, ritorna sul tema del primo scritto, sulla libertà di
coscienza che lo Stato deve garentire ispirandosi alla filosofia. Ma veniamo
all'ultimo La souveraineté du peuple, che, come il Vera ci fa sapere, la
direzione della Liberté de penser, all'in-domani della rivoluzione di febbraio,
non credette op-portuno pubblicare perché « il aurait trop heurté les opinions
du moment». Vi era infatti combattuta la sovranità del popolo e il suffragio
universale, sostenendo che la vera autorità è l'autorità della ragione; che la
ragione non raggiunge lo stesso grado di forza, di chiarezza in tutte le
intelligenze, qui restando latente e oscura, li ma-nifestandosi in una maniera
incompleta, e in pochi rag- giungendo il maggiore sviluppo; e che pertanto
l'autorità spetta alla minoranza. E guardando questo lato solo della verità che
egli vedeva, difende la sua tesi con quel calore d'entusiasmo, che fu con la
facilità della forma una delle cause più efficaci della riputazione
conquista-tasi dallo scrittore: Si toute vérité a son origine dans
l'esprit, elle est d'abord à l'état théorique et idéal avant de revêtir une
forme matérielle et de passer dans les faits. Dans cet état, elle se trouve en
face de la réalité matérielle, il faut qu'elle lutte contre des intéréts et des
croyances séculaires, contre des habitudes invétérées; contre les préjugés et
l'ignorance. C'est cette vue antérieure et prophétique de la vérité, c'est ce
combat pour le triomphe d'une idée, qui constitue l'héroisme et le génie. Or
les massesne sauraient s'élever à la conception de l'idéal; car l'idéal ne se
révéle qu'à la contemplation solitaire et réfléchie, il demande une culture
speciale, une organisation d'élite, et cette inspira- tion, qui a
sa source dans les profondeurs cachées de l'ame, et qui ne s'éveille que sous
l'action paisible et soutenue de l'intelligence et de la volonté. Les masses
sont comme emprisonnées dans la réalité visible, et par le gente de leurs
travaux, par leurs goûts, leurs habitudes, et par la nécessité où elles sont de
pour-voir a leurs besoins matériels, elle ne peuvent franchir les limites du
fait et de l'ordre actuel des choses, ni discerner le vrai et le faux, le
possibile et l'impossibile 1. Il vero uomo di Stato non si confonde
infatti col po-polo, non se ne fa strumento - che sarebbe interdirsi ogni
azione durevole e salutare su di esso; non abdica alla propria individualità,
ma la fa servire al bene del paese. Ebbene, se la luce nella società e perciò
l'autorità, non sale ma scende dall'alto, al sommo della vita sociale ci sono
tre sfere d'attività che riassumono e dominano tutte le altre: la politica la
religione e la filosofia. In quale di esse risiederà l'autorità suprema?
Nell'uomo politico, nel prete, o nel filosofo? Il Vera rinvia la ricerca a un altro
studio; ma la risposta è implicita nel suo scritto e nel primo di questi
articoli: il potere cioè spetta all'uomo politico, che prende voce e norma dal
filosofo. - Con tutto l' hegelismo del Vera, siamo ancora, almeno fino a questo
punto, al concetto della repubblica di Platone! 21. - L' hegelismo
tuttavia, a poco per volta, divenne un credo fermissimo pel Vera; e la storia
della filosofia fini con l'esser messa da parte. Non abbiamo certo Coup d'oeil
sur l'Idéalismes, che dovette esser pubblicato prima che il Vera passasse in
Inghilterra. E di anterioreall'Introduction à la philosophie de Hégel non ci
resta che l'opuscolo inglese del 18554, scritto in proposito di una
Teorica dell' infinito del filosofo scozzese Calder-wood (contro Hamilton) e
delle Istituzioni di metafisica del Ferrier: libri che parvero notevoli al Vera
perché questi autori si sollevavano al di sopra del solito
empi- rismo inglese e della filosofia del senso comune. Il giudizio del
Ferrier su Hegel (che a guisa di gigantesco serpente boa avrebbe stretto nelle
spire delle sue dottrine impenetrabili come diamante tutti gli errori
correnti) dava qui occasione al Vera di dichiarare che « ci ha nella
filosofia dell' Hegel una certa natural direzione, certi tratti cosi determinati
e certe principali conseguenze che non possono sfuggire a chiunque vi si sia
accostato, e che formeranno d'oggi innanzi il criterio e la norma direttiva di
ogni ricerca filosofica; e di accennare quindi questi punti fondamentali della
filosofia hegeliana. In questi punti, evidentemente, si condensa l' hegelismo
del Vera. In primo luogo: la filosofia è la scienza dell'assoluto:
postulato indimostrabile, perché ogni dimostrazione 1o presuppone, non
essendovi intendere che non sia intendimento dell'assoluto. Quindi l'assurdità
di tutte le dottrine che cominciano dal negare o mettere in dubbio il valore
della conoscenza. In secondo luogo: chi dice scienza dell'assoluto, dice
scienza delle idee, perché tutto si conosce per mezzo delle idee», né possiamo
conoscer nulla di là dai limiti del mondo delle idee: onde, se diciamo che
l'anima non è un'idea, ma una forza, una causa, una sostanza, che è semplice,
immateriale ecc., anche allora, senza riflettervi « noi usiamo delle idee, e
descriviamo l'oggetto come unaggregato di quelli stessi elementi che abbiamo
respinti sotto un'altra forma ». In terzo luogo: il metodo filosofico è
il metodo proprio della conoscenza dell'assoluto, o delle idee: metodo
as-soluto, non essendo altro che la forma dello stesso as-soluto, o la forma in
cui le cose esistono e sono cono-sciute: ossia il sistema, nel suo ordinamento
dialettico. In quarto luogo: il sistema importa l'unità e la
molte-plicità, elementi identici e contradittori. Il metodo assoluto o
speculativo si distingue appunto per questa sua conciliazione dei contrari,
onde gli elementi discordi si compongono in armonia. Con questi concetti
Hegel ha dato corpo a uno de' più comprensivi e profondi sistemi che mai
vennero fuori della mente umana, il quale abbraccia tutte le parti del sapere,
la logica, la filosofia dello spirito, la filosofia della natura, la politica,
la filosofia dell'istoria, l'estetica, la religione. Anzi, strettamente
parlando, si può dire che nell'istoria della scienza il suo sia il primo e vero
sistema, imperocché né Platone, né Ari-stotele, né alcun moderno filosofo hanno
avuto un cosi vasto concetto della scienza, e così abbracciato e legato insieme
i diversi anelli dell'aurea catena a cui l'universo è sospeso. E uno de' tratti
principali di questo maraviglioso filosofo si è che le sue più alte
speculazioni hanno un carattere tutto istorico, e un risultamento positivo e
una pratica applicazione. Cosi potente e cosi comprensiva era la sua mente,
cosi profondo lo sguardo che egli getta nella natura delle cose 1, E il
primo inno cantato dal Vera al suo autore, che tornerà a dire nella sua
prolusione napoletana (16 dicembre 1861): « quella mente prodigiosa e sovrana,
che i nostri tempi hanno prodotta, e che, non esito a procla-marlo, per la
profondità, per la vastità delle cognizioni, e anzitutto per la mente
speculativa e sistematizzatrice tutte le altre ha vinte, ma le ha vinte in sé
riepilogandolee concentrandole»*; e altrove: « le plus grand génie dont
s'honore l'humanité»=; colui nella cui filosofia e' è tutto, e c'è « comme il
doit y être, par là qu' il y est dans SON existence systématique»3; e la
cui Enciclopedia si compiacerà di considerare come una nuova
Bibbia, « la Bibbia dell' hegelismo • 4, Ed è altresì la prima volta che egli enuncia
come titolo singolarissimo della filosofia hegeliana questa sua prerogativa,
che poi non si stancherà mai di esibire: la sua sistematicità, parendogli
pregio altissimo questo di Hegel di aver trattato ex projesso tutte le parti
del sistema della sua filosofia, ed esteso il suo sguardo a tutti i rami del
sapere, legandoli fortemente tra loro e creando un vero sistemas: non
considerando che non c'è filosofia, né pensiero mai, che non abbia la sua
perfetta sistematicità; e che il sistema non consiste nella configurazione
esteriore delle parti (al qual patto Wolff è più sistematico assai di Leibniz,
e ogni pedante espositore dell'autore esposto), sibbene nella universalità del
principio e nella profondità dell'intuizione originaria. Egli superficialmente
si contentava della forma estrinseca e non cercava più in là, lasciandosi
sfuggire i titoli più autentici del genio di Hegel.22. -— Ma, tornando ai
quattro punti essenziali che gli pareva di scorgere, quando già meditava la sua
Intro-duzione, nella filosofia hegeliana, non occortono commenti ad assodare
che il suo hegelismo era tuttavia un hegelismo abbastanza platonico; e
platonico di quel platonismo della decadenza della filosofia greca, in cui,
sorto già lo scetticismo contro la primitiva posizione platonica, la fede nelle
idee era ristaurata con nuova e peggior forma di dommatismo. Che sono infatti
quelle idee, in cui si risolvono tutte le categorie della realtà, così come il
Vera ce le presenta, se non le stesse idee vuote della vecchia metafisica
wolfiana, riduzione ideale evanescente del mondo, onde tutto si pensa senza
nulla fare? quella specie d'oro di Mida, in cui si converte tutto il mondo del
povero re, esposto alla dura sorte di morirsi di fame e di sete ? Questa
concezione rimase fitta nella mente del Vera. Il quale, nella sua
prolusione di Milano Amore e filosofia (11 novembre 186t), uno degli scritti,
di cui più egli si compiacque!, ripetendo il ritornello che la filosofia è la
scienza dell'assoluto, che l'assoluto è l'idea, in cui si concentrano e
unificano la molteplicità e le diffe-renze, sostenne che perciò « la filosofia
e la scienza delle scienze e, rigorosamente parlando, la sola scienza, e che
tutte le scienze e tutte le filosofie, che lo vogliano o non lo vogliano, che
lo sappiano o l'ignorino, sono parti di una sola scienza e di una sola
filosofia»: o, come dirà altrove :, tutti gli uomini sono hegeliani senza
saperlo. Poiché pensare e intendere è pensare e intendere idee, e non e' è
altra filosofia o scienza che l'idealismo assoluto 3. Sicché il materialista,
che non pensa « la materia, la forza, la na-tura senza le idee di forza, di
materia e di natura», è anche lui a suo marcio dispetto dentro l'idealismo, e
non se n'accorge. E come il materialista, lo scienziato, il fisico e il
matematico sono idealisti senza saperlo; perché tutti maneggiano le idee; e non
potrebbero fare altrimenti. E nella già citata prolusione della fine dello
stesso anno ripeté le stesse cose ponendo in forma più ingenua l' inconsapevole
dualismo e il conseguente dom-matismo in cui egli restava sempre impigliato. «
Nella stessa guisa che non si può pensare il triangolo, o il bene, o la
giustizia, o la luce, o il tempo, o lo spazio, o un altro ente qualsiasi senza
l'idea che ad essi corrisponde, così non si può pensar l'assoluto senza l'idea
dell'assoluto » 1. Non si potrebbe più chiaramente confessare che questo
assoluto, il quale deve generare non solo l'essere ma la cognizione
dell'essere, non si sa d'altra parte concepire se non come l'obbietto della
mente, in sé, perciò, estraneo alla mentalità, e l'idea della mente come altro
dall'assoluto a cui deve corrispondere. E come corrispondere ? 23. - Il
Vera non ebbe mai un orientamento storico degno di una filosofia come la
hegeliana, che concepisce tutte le filosofie precedenti come suoi momenti.
Chiusosi nello hegelismo, ei fu subito tratto instintivamente dal suo cattivo
genio a tagliare i ponti con tutti gli altri sistemi e principii filosofici, di
cui avrebbe invece dovuto cercare i rispettivi gradi di verità. Nelle Ricerche
sulla scienza speculativa e sperimentale, combattendo l'empi-rismo inglese, si
rifà dalla dottrina baconiana dell'indu-zione, e giudica a questo proposito
Bacone. E lo giudica cercando se nel Novum Organum ci sia un principio
nuovo. L'induzione? Ma negli Analitici di Aristotele la natura di questo
metodo, le sue leggi, i suoi limiti, le sue rela-zioni con la conoscenza
oggettiva Sono State descritte con quella maniera concisa ma
sostanziale che è propria del filosofo greco. Né Bacone vi ha fatto alcuna giunta
essenziale. Peggio: Bacone non aveva un concetto esatto della natura della
scienza e delle sue esigenze, e però né anche della stessa induzione, come è
dimostrato dalla sua pretesa che la scienza non si possa ottenere se non
induttivamente. Bacone, troppo poco versato nella flo-soha greca, non vide che
le sue novità erano vecchie: i suoi contemporanei « non meglio istruiti di lui
sulle fonti originali e sul vero valore delle teoriche aristoteliche,
accettarono leggermente le sue opinioni., Insomma, tutta la fama di Bacone è
una fama scroccata, fondata su errori di fatto, cui basterebbe a correggere il
solo voltare la pagina di un libro». E con questi profondi criteri
storici scrisse in inglese nel 57 uno studio su Bacone, in certo giornale, Emporio
italiano, che egli stesso dirigeva:: dove le stesse considerazioni delle
Ricerche sono svolte e confortate dall'analisi di alcune dottrine baconiane per
conchiudere egualmente, che si può cancellare dalla storia del pensiero
speculativo un così importante momento qual è, per chi l'intenda, questa prima
affermazione, nell'età moderna, della storicità del sapere o del momento della
certezza. Il saggio finisce con una sentenza che potrebbe esser profonda,
ma è piuttosto superficiale: « La scienza, anziché essere la esatta
riproduzione e la copia fedele del-l'esperienza, dev'esser in certo senso
l'opposto dell'espe-rienza; e quindi voler fondare la scienza sulla esperienza
è andare a ritroso della scienza stessa ». Frase che, ristampando il saggio nel
1883, l'autore stesso senti il bisogno di commentare con autocorrection.cancel
lunga nota, poiché gli si affac-ciò il sospetto che una volta che c'è il mondo
dell'esperienza e dell'induzione, il mondo fenomenale debb'avere anch'esso la
sua ragion d'essere e contenere la verità; sicché esagera negando alla
cognizione empirica ogni ragione ed ogni verità». E si scusava adducendo che il
suo scritto aveva carattere popolare, e che egli vi s'era proposto di mettere
sopra tutto in rilievo il lato vulnerabile del-l'empirismo, e che infine la
verità della cognizione empirica è una « verità subordinata, una verità, cioè,
che non rinchiude in se stessa la ragione del suo essere, e suppone quindi una
più alta verità; e che perciò quando l'empirismo pretende di essere il solo e vero
organo della verità, «esso sconvolge l'ordine delle cose e nel fatto nega ogni
verità e cognizione. Scuse troppo magre, perché queste ragioni potevano
limitare, non negare il valore di Bacone. 24. - E in realtà quale sia la
verità dell'empirismo né allora né poi il Vera volle mai dire 1. Nelle
Ricerche, postosi sullo stesso terreno dell'empirista, l'esperienza la
concepisce, per rigettarla, allo stesso modo di chi ne fa l'unica fonte della
conoscenza quasi sbocco nel pensiero, di una realtà esterna. E contro Locke
sostiene che tutte le idee sono innate, perché non c'è sensazione che possa
essere avvertita, e cioè pensata, come una sensazionesenza un idea
corrispondente; che il non esserne mai consapevoli non prova, come credette il
Locke, che non esistano, come non si può dire « che non vi siano leggi che
regolano le operazioni organiche del corpo perché da prima camminiamo,
mangiamo, digeriamo senza es-serne consci, ed ignorandole». L'empirista,
intento ad osservare e raccoglier fatti, non s'accorge di adoperare una
quantità di principii, che pur « debbono preesistere nella sua mente, e dee la
sua mente concepirli, ancorché oscuramente e sotto un' incerta e confusa luce..
- Dove parrebbe di scorgere una prova che ancora il Vera non si fosse dato la
pena di studiare la Critica della ragion pura, né i Nuovi Saggi sull'
intelletto umano. Di Leibniz si occupò nel 186r nella sua polemica
col Saisset e col Janet ‹, poiché il primo di questi, parlando
insieme di Leibniz e di Hegel, aveva accennato a met-tere il filosofo della
Teodicea al di sopra di quello della Fenomenologia: e il nome del Leibniz,
grazie all' interesse per gli studi storici suscitato e nudrito dall' impulso
del Cousin, era salito in auge in Francia, e Foucher de Careil aveva dato i due
volumi del carteggio di Leibniz con Bossuet, e l'Accademia aveva messo a
concorso un tema sulla filosofia leibniziana, ottenendo due lavori degni del
premio, uno dello stesso Foucher de Careil e l'altro del Nourrisson. Il Vera,
che gia insegnava storia della filosofia, e si professava hegeliano, dice a
questo pro-posito in tono tra l'ironico e lo stizzito: J'ai moi aussi le
culte des morts, qui est une religion, on l'a dit, je crois, et qui, comme
toute religion, est utile aux vivants. Aussi l'Acadentie mettrait-elle au
concours la vie et les gestes de Confucius, ou de Menou qu'il faudrait lui en
savoir gré. A plus forte raison, faut-il lui en savoir, lorsqu'elle fait de son
mieux pour entourer d'une nouvelle auréole un nom comme celui deLeibriz. Jusque
là c'est très-bien. Mais ce qui est moins bien, ce que du moins je ne puis
approuver, et ce qui pourrait même au besoin m'indigner et me révolter, c'est
qu'on fasse du bruit autour d'un mort pour étouffer la voix des vivants, c'est
qu'on veuille donner à une ombre des proportions gigantesques pour couvrir et
effacer un véritable géant. E alzando sempre più il tono: Voilà ce
que je ne veux point, et ce que je combattrai de toutes mes forces, eusse-je
devant moi l'ombre de Platon ou d'Aristote. Et, en combattant ainsi, je croirai
combattre, non sculement pour la vérité et la justice, mais pour la dignité de
mon siècle, et de la nature humaine. E pare credesse sul serio che si «
esumasse » Leibniz, e si « facesse chiasso» intorno a questo nome per dirci che
l'epoca dei giganti è passata e siamo a quella dei pigmei; sicché oggi «
per colpire Hegel» ci serviamo di Leibniz; domani si potrà esumare
Plotino, Giamblico, per mostrare, come diceva il Saisset, che la dottrina di
Hegel è quella del vecchio panteismo: et nous reculerons ainsi, s'il le faut,
jusqu'au paradis terrestre1 Onde ridu-ceva la questione a questi termini:
Ainsi donc, vous nous dites, Leibniz est un grand personnage, et Hégel n'est
pas un grand personnage, car c'est là, au fond, la pensée qui domine dans
l'écrit de M. Saisset. À cela je repon-drai sans hésiter, si
Leibniz est grand, Hégel est plus grand encore. passi.
Ma il Vera, per rendere, com'egli dice, più preciso e più sensibile il proprio
pensiero, aggiunge che «se Leibniz non fosse esistito, la catena della scienza
non sarebbe punto spezzata, perché noi avremmo Newton a prendere il posto
lasciato da Leibniz», che è un gran matematico, ma un mediocre filosofo e un
diplomatico: diplomatico non solo nelle controversie religiose, ma nella stessa
filosofia. « La sua filosofia è la filosofia degli espe-dienti, delle parole e
delle apparenze. Quando non intende la cosa, mette una parola al suo posto;
quando una difficoltà lo stringe, non vi si sottrae attaccandola sinceramente e
di fronte, ma per l'uscio di dietro ». E della sua critica concreta basti
un esempio. Che è la monade di Leibniz? Questi parte dal principio che ogni
essere o ogni sostanza composta, in quanto tale, deve risolversi negli elementi
componenti semplici e indivi-sibili; che sono appunto le monadi. - Ora che
metodo è questo? Decomporre un tutto nelle sue parti: il metodo che aveva
prodotto l'atomismo: metodo volgare, arbi-trario, che non si preoccupa niente
niente di giustificarsi. Perché si decompone? a qual fine? che si cerca?
Nessuna risposta. E si può decomporre un tutto? Ma se certi elementi sono uniti
in un tutto, il loro essere dipende anche dalla loro unione, e separarli è
distruggerli. Donde poi le escogitazioni puramente verbali dell'armonia
prestabilita e delle fulgurazioni della monade delle mo-nadi, necessarie per
ricostruire alla meglio quell'unità malamente infranta. - Critica, che è vera
certamente ed hegeliana: ma ha il gravissimo difetto (e difetto tutt'altro che
hegeliano!) di essere soltanto negativa, e non saper vedere il pregio
grandissimo della monade leibni-ziana, come la prima concezione, nella storia
del pensiero umano, dell'autonomia assoluta dello spirito. Né più
penetrazione e simpatia storica ebbe per l'altro grande filosofo prussiano, E.
Kant, malgrado la sua capitale importanza nella genesi dell' hegelismo.
Ogni volta che ne scrisse 1, ne disconobbe affatto il va-lore, guardando solo
al lato negativo della filosofia critica,e sconvolgendo co' suoi giudizi
tutta la storia che la pre- para. Non può intendere Kant, chi non intenda
Cartesio. E che è Cartesio pel Vera? Uno scettico, da dar dei punti a
Carneade. E vero che la dottrina della versimiglianza è per l'accademico il
risultato della scienza; e il dubbio è, invece, per Cartesio un punto di
partenza e il mezzo di purificare la mente che deve accingersi alla ricerca
della verità. « Tuttavia, questa differenza fra le sue dottrine è più apparente
che reale. Imperocché ogni qual volta si fa del dubbio una condizione o un
elemento essenziale della cognizione, ch'egli si mostri al punto
d'arrivo... o al punto di partenza.... il risultato è lo stesso: si
colpi-sce, cioè, la scienza nella sua essenza, che è l'affermazione, e la si
rende impossibile »1. E non riesce a scorgere mai né la ragione metodica del dubbio
cartesiano, dimostrazione di quel carattere essenziale della conoscenza, che è
la certezza, o presenza del soggetto nella verità; né della necessità di quel
dubbio, per giungere all'affermazione tutta cartesiana del cogito; né il
significato di questo cogito 326. - Scettico Cartesio, due volte scettico
Kant. Contro il quale il Vera non si stancò mai di ripetere la critica
hegeliana (che in Hegel ha un valore affatto in-cidentale) della assurdità di
una ricerca sul valore della cognizione come necessario preliminare all'uso
della cognizione stessa. Critica, sulla quale non giova insistere troppo contro
Kant, che dal bisogno di una preliminare teorica della conoscenza non parte per
giungere allo scet-ticismo, ma alla giustificazione di una sua positiva
filo-sofia; essendo questa la natura propria di ogni filosofia, ossia della
filosofia, di essere un circolo, in cui non si può muovere da un punto senza
volgere le spalle a tutto il resto del cerchio che si ha da percorrere. Ma, a
parte questo punto, che non fu chiaro nemmeno a Hegel, del Vera è tutta la
scoperta (in un suo articolo del '60) che uno dei risultati» dell'analisi
kantiana dell'intelligenza « fu, com' è noto, la discoperta di un doppio
elemento in ogni atto o operazione del pensiero, di un elemento estrinseco,
cioè contingente e variabile, il feno-meno, e d'un elemento intrinseco,
necessario e inva-riabile, il noumeno: il quale venne da Kant suddiviso in
categorie e idee:!. Confusione tra noumeno e categorie o idee (ossia di ciò che
vi ha di più opposto per Kant), che non impedisce al Vera di identificare poi
il noumeno con la cosa in sé, mediante l'equazione del noumeno con « Dio,
l'idea, l'assoluto». Onde la sua critica di Kant culmina in quest'accusa, che
in realtà, la sensazione costituisce il criterio della filosofia critica, e
tutti i suoi ragionamenti vertono intorno a questo principio: l'assoluto, il
noumeno, la cosa in sé (Ding an sich), come Kant la chiama, non possono esser
conosciuti ed affermati, perché non possono essere sentiti e imaginati ». Così
non v'ha dubbio che Kant stesso (quellosopra tutto dalla seconda edizione della
Critica) si sarebbe visto camuffato da scettico! Il Vera dovette più
tardi, io credo, leggere l'opera maggiore di Kant, e della sua dottrina tornò a
discorrere un po' distesamente all'Accademia delle scienze morali e politiche
di Napoli nel 1882. Dopo la solita accusa di scetticismo larvato, prese ad
esporte umoristicamente la teoria kantiana dell'esperienza, accennando la
decomposizione dell'atto dell' intendimento in forma a priori e contenuto a
posteriori, o categoria e dato sensibile. Due elementi, che non sono separati,
ma uniti indivisibil-mente. Come, adunque, S'incontrano e si uniscono?
Nulla di più semplice. Quando il mondo esterno, la natura, viene col concorso
della sensibilità a bussare alla porta della intelligenza, questa sorge dal suo
letargo, trae fuori dal suo arsenale le categorie, e risponde alla chiamata
battezzando e imponendo un nome al-l'obbietto, e impartendo con ciò a se stessa
una esistenza e una realtà obbiettiva. Quindi l'esperienza è un battesimo in
cui il neonato, l'obbietto esterno, riceve un nome, una forma razionale che lo
trasforma in un qualché d' intelligibile 1. E dopo questa caricatura,
eccolo a far la voce seria e a rimproverare Kant di aver diviso i due elementi
del-l'esperienza: chiudendo gli occhi, malgrado i magistrali lavori dello
Spaventa, che c'erano stati in Italia, e malgrado le profonde interpretazioni
di Schultze e di Beck prima, e poi di Fichte (che il Vera non avrebbe dovuto
ignorare), su tutta l'attività creatrice dello spirito, che plasma e governa
l'esperienza di Kant. Qui, se non confonde più categorie e noumeni,
continua a ritenere sinonimi nel linguaggio kantiano noumeni, cosa in sé e
idee, e la ragione chiama • facoltà dei nou- meni, cioè delle idee
propriamente detten e dalla semi-passività delle categorie, la cui funzione è
subordinata al concorso dell'oggetto esterno, argomenta: Se gli elementi,
o principii che costituiscono l'esperienza, sono limitati, subordinati e
passivi, ne siegue ch'essi presuppongono un principio attivo che li domina, che
è il loro comune prin-cipio, la loro unità, e di cui sono le differenze, i
momenti. La cosa in sé, il noumeno, l'idea di Kant altro non può essere che
siffatto principio. Il noumeno è principio del fenomeno, vale a dire della
categoria e dell'obbietto sensibile, come anche del loro rapporto, della loro
unione, cioé, nell'atto sperimentale, nel fe- nomeno. E cosi, per
intendere la sintesi a priori guarda all'estremo opposto di quello, a cui la
storia della filosofia già, continuando Kant, aveva guardato. Eppure,
nell' Introduction à la philosophie de Hégel il Vera riconobbe che accanto ai
risultati negativi della critica, vi son pure in quella filosofia « des germes
si fé-conds, des vues si larges et si riches, et une intuition si profonde de
la science, qu'elle était destinée à susciter un grand et nouveau monvement» t.
Ma li dall' indirizzo stesso della sua ricerca, in cui si proponeva di sbozzare
in qualche modo il risorgimento dell'idealismo fino al suo culminare in Hegel,
era stimolato a cercare in Kant l'addentellato della filosotia posteriore. Ma
anche li, quali sono pel Vera i meriti di Kant? Tutto si riduce a questo: che
Kant, pel primo nei tempi moderni, ha ricondotto l'idealismo sul terreno
dell'ontologia, provocando cosi, dopo Platone, una nuova ricerca sulla natura
delle idee. Infatti, « movendo dal principio che ogni conoscenza si fonda
su una forma primitiva del pensiero, fu condotto a seguire il pensiero in tutte
le sue applicazioni e in tutte le sfere della sua attività, e a fissare per
ciascuna d'esse l'elemento essenziale che la regge e determina. Dondenumerose
ricerche concernenti la cerchia intera delle cognizioni, la metafisica, la
morale, la natura, la religione, il diritto, l'arte, . dove Kant si sforza
sempre di cogliere le leggi invariabili e assolute dell'intelligenza ». Sicché
il pregio dell'idealismo kantiano consisterebbe nell'esempio dato di una
indagine universale governata da unità di principii: l'unità della scienza e
del metodo: « voilà le côté posilij el vraiment fécond de la philosophie de
Kant, et c'est par ce côté qu'elle se rattache au monvement ulté-rieur de la
philosophie allemande». Concetto che non gli potrebbe servire a una qualunque
ricostruzione di questa filosofia; se egli (messo, forse, sulla strada dalla
fonte di cui si doveva servire) non passasse poi a determinarlo altrimenti,
facendo consistere l'unità di principio, portata da Kant in tutta la scienza,
nell'idea considerata come condizione assoluta della conoscenza, e il processo
speculativo da Kant ad Hegel nel passaggio dell'idea stessa da condizione della
conoscenza a principio assoluto delle cose. Quel che segue infatti, dove passa
a mostrare che i germi di questa trasformazione erano già in Kant, non può
essere pensiero del Vera, il quale non se ne ricordo mai, in séguito, nei suoi
giudizi sul criticismo. Il passaggio da Kant a Hegel era per lui oscuro, e chi
sa donde è attinta questa giustissima osservazione, dove per altro talune
espressioni incerte e poco esatte tradiscono una conoscenza indiretta: che «
nella filosofia kantiana, quantunque essa faccia una larga parte
all'esperienza, considerata come condizione all'esercizio dell'intelletto e il
solo mezzo di verificare il valore oggettivo delle sue leggi, il pensiero
conserva la sua superiorità sull'esperienza, e, anzi che ricevere da essa le
sue leggi, gliele impone in guisa che esso foggia (jaçonne] e si assimila i
fenomeni, i quali non possono giungere a lui se non attraverso le sue forme e
le sue leggi»; e quest'altra idea, più profonda, che «l'atto trascendente e
sintetico della coscienza, iopenso, vi è presentato come la condizione
essenziale e, per dir cosi, il substratam di ogni conoscenza, e costituente
l'unità della coscienza e di tutti i suoi elementi, delle sue appercezioni
interne o esterne, delle categorie e delle idee come dei materiali forniti
dall'esperienza. Anche il passaggio da Kant a Fichte (il Vera pare non sappia
nulla dei minori kantiani che spianano la via a Fichte) è bene rappresentato,
almeno in appa-renza: osservandosi che le leggi del pensiero non sono poi
elementi vuoti e inerti, ma potenze, forze che producono i fenomeni; e che il
loro centro è in quell'unità profonda dell'Io («la cui forma più elevata è
l'atto sintetico del pensiero i); e però dall'Io scaturisce ogni attività
dell'intelletto, e quindi questo mondo esterno e oggettivo, su cui l'intelletto
si esercita. Donde Fichte, che pone nell'Io l'unità delle cose. Ma le poche pagine
dedicate al pensiero di Fichte sono seguite da critiche, che dimostrano la
scarsa familiarità del Vera con quel pensiero in relazione ai principii più
profondi della Cri-tica, e la sua incapacità di apprezzare storicamente questi
punti capitali della preparazione allo hegelismo. Tutto il progresso di
Fichte è raccolto in queste tre osservazioni, superficiali o del tutto erronee:
1) che Fichte ristabili l'unità della intelligenza, che Kant aveva spezzata con
la sua divisione della ragione, in pratica e spe-culativa; 2) dedusse con
metodo rigoroso l'una dall'altra le varie parti della conoscenza, facendo così
sentire sempre di più il bisogno e mostrando insieme la possibilità di
organizzare la scienza secondo i rapporti interni delle sue parti; 3) facendo
dell'Io il principio del pensiero e dell'essere, «provocava ricerche più
profonde sulla natura e le leggi del pensiero e i loro rapporti con le cose, e
preparava la via alla filosofia dello spirito di Hegel ». Ma la parte
negativa, al solito, supera di gran lunga lapositiva; e le censure si
accumulano l'una sull'altra con una desolante inintelligenza. Eccone qualche
esempio. Le deduzioni di Fichte non penetrano gran che nella natura delle
cose, di modo che non si vede né perché né come si producano le opposizioni e
come si passi da un termine all'altro. — Il non-io è contenuto bensi nell'Io
(anzi, dice il Vera, dans la notion même du moi) ma questo punto non è
dimostrato; perché Fichte non s'era elevato a quel metodo che ricava dal
concetto di una cosa la sua differenza e la sua unità. Il suo metodo era ancora
accidentale ed estrinseco; e però egli ridusse tutte le opposizioni a quelle di
lo e non-Io, laddove la contradizione c'è anche nel non-lo preso separatamente
(bel gusto, invero, a prenderlo separatamente, dopo Fichte!). - E poi l'Io è un
concetto o una forza? (domanda, che è una rivelazione o una confessione
rispetto alla posizione del Vera nell'intendere la natura del movimento del
pensiero nella logica hegeliana). - Ancora: I' Io di Fichte, se è un lo
relativo, contingente e finito, si lascia sfuggire l'assoluto e l'infinito
della scienza; se è l'Io assoluto, allora la sua tendenza, il suo sforzo
infinito per attingere l'assoluto è inesplicabile. E via di questo passo, o con
questi salti. Ma il più curioso è che il Vera infine dice: «Telles (0 sont les
lacunes que présent la doctri-ne de Fichle et que Schelling s'efforça de faire
dispa- raitre ". 28. - E sorte non migliore, per iscarsa o
nessuna conoscenza diretta e per divergenza di punto di vista, capita quindi a
Schelling, di cui il Vera, non occorre dirlo, non sospetta nemmeno il reale
motivo speculativo e il progresso vero su Fichte: e il cui sistema giudica, a
un tratto, come « plutot une oeuvre d'arl qu'ane ocuore waiment scientifique,..
plutôt le produit de la jeunesse que de la maturité de la pensée d'une vive et
riche imagi-nation que de celle intuition profonde et réféchie, qui est le
résultat des procédés sevères de la sciencent. 29. - Se cosi giudicava i
maggiori filosofi tedeschi, che non fossero Hegel, qual meraviglia che non
tenesse in nessun conto tutti i filosofi italiani? Quanto più d' ingegno e di
dottrina spiegava il suo collega napoletano B. Spaventa a mettere, come
si dice, in valore la filosofia italiana, dimostrando con le sue penetranti
investigazioni i tesori di pensiero che si celavano nelle sue viscere, tanto
più il Vera, la cui cultura s'era formata fuori d'Italia, e che, scrivendo in
Francia, aveva finito col non dire più 'i francesi ' ma 'noi'=; e imbevutosi
dell' hegelismo, non aveva più saputo guardare all'Italia con altri occhi, che
quelli onde, in generale, tutti i romantici tedeschi vi guardarono commiserando
3; tanto più, il Vera, per cuidunque non esisteva il problema dello Spaventa,
di edificare sulle fondamenta, e svolgere il pensiero italiano, movendosi
dentro di esso e movendosi con esso, più s' impuntava, assai poco
hegelianamente, ad asserire che in Italia non s'era mai filosofato, e che
bisognava rifarsi da capo. Una eccezione parve talora farla pel Bruno,
celebrato da Hegel come » nobile anima, che sente in sé l' immanenza dello
spirito e intende l'unità della sua essenza e dell'essenza universale come
tutta la vita del pensiero. Nella sua prolusione a Napoli, la occasione stessa
l'obbligò quasi a ricordare i due grandi nomi na-poletani: Bruno e Vico. E il
primo mise al di sopra del secondo, quantunque manchi a quello « sopratutto il
punto di vista, o concetto istorico, concetto importantissimo e che è il segno
caratteristico, e dirò come il trionfo della filosofia moderna»: e l'abbia
invece il Vico, e sia anzi la sua originalità. Pure, «Bruno è un profondo
me-tafisico, a tal segno ch' è come l'eco dell'antica filosofia e il precursore
della moderna». Ma non andò (né credo potesse con la cognizione che doveva
averne) oltre tali e simili generalità. A cui si attenne anche lo scolaro
Raffaele Mariano in quel suo pamphlet sulla filosofia contemporanea italiana,
in cui si fece, come già in altri scritti, organo del pensiero del Vera. Tra
Bruno e Vico il Vera non vedeva che tenebre. Di Campanella mai una parola, che
io sappia. Vico è lodato caldamente in un articoletto (L'esegesi), scritto in
Inghilterra, nel 1857% con qualche accento di italianità: lodato come « genio
profondo e originale», « uno dei primi, per non dire il primo, ad entrar nella
carrieran in cui andarono poi tanto innanzi i tedeschi, della critica erudita e
della filologia: come quegli che nel De antiquissima Italorum sapientia « ha
poste le basi della critica filosofica delle lingue», nel De unico principio et
fine tris (sic) « ha poste le basi della critica del diritto e nella Scienza
nuova ha fondato la filosofia della storia, e quindi i principii della critica
storica. e con la sua teoria sul « vero Omero » va considerato «come il punto
di partenza e il motore di tutte le ricerche posteriori sulla questione
omerica.. Giudizio molto modificato più tardi:, in parte corretto (in ciò
che concerne il De antiquissima ne aveva bisogno), in parte peggiorato e
ravvolto in un apprezzamento complessivo superficialissimo. « Vico è un
mediocre me-tafisico. Trasportando l'idea platonica, e anzitutto l'idea della
repubblica di Platone nella storia comprese che avervi una storia ideale.
Questo intese, ma mal comprese; e mal comprese ed attuò, perché alla verità e
altezza del concetto non aggiunse una facoltà vera-mente speculativa». Non
seppe addentrarsi nella cognizione dell'idea, «sia con uno studio profondo
delle dottrine platoniche e aristoteliche, sia con indagini proprie e veramente
originali». Avrebbe dovuto costruire prima l'idea della storia, e indi desumere
il fatto o storia reale delle nazioni. E invece mosse dal fatto, la storia di
Roma, e però non poté intendere l'Oriente, la Grecia, il Cristianesimo e le
nazioni e la storia moderna (che sono, come ognun vede dall'indice della
Filosofia della Storia di Hegel, le altre parti della trattazione hegeliana,
oltre la storia romana). Più tardi disse che Vico intravvide, non vide la vera
idea della storia!. Viceversa, discorrendone più di proposito nella Introduzione
alla filosofia della Storia :, tornava ad asserire che « il gran pregio di
Vico, che niuno potrà rapirgli, sta in questo, nell'aver pel primo riconosciuto
che l'idea è il principio della storia». Ma, con l'usata deplorevole
confusione, accettava l'inter- pretazione platonica che il Vico
stesso fa delle sue idee, parendogli chiaro che «studiando la teorica platonica
delle idee, comprendendo, cioè, l'importanza e la funzione dell'idea
dell'universo, si giunge naturalmente al punto di vista di Vico». E d'altra
parte, guardando poi all'applicazione che il Vico aveva fatto della sua
dottrina alla scoperta del vero Omero, dove il Vico non avrebbe inteso che
l'idea non si manifesta se non incarnandosi in certi individui, non dubitava di
arguirne che *Vico non intese la vera natura dell'idea, né quella del suo
rapporto con la storia e con l'individuo ». E dopo Vico? «Vico», risponde
per lui il Mariano, « è un'apparizione che non ha antecedenti e non lascia
tradizione »3. E poiché Vico non ebbe coscienza della me-tafisica richiesta dal
suo concetto storico della scienza, si può dire che « il pensiero italiano
chiuda il suo ciclo storico con Bruno, e s'estingua, se cosi può dirsi, sul suo
rogo». Doloroso a dirsi: l'Italia moderna non esiste nella storia, se esistere
nella storia significa rappresentare un'idea; o esiste pel suo papato.
Dall'alto di questo giudicatorio universale, che diventavano quei pigmei di un
Galluppi, di un Rosmini, di un Gioberti, di cui faceva tanto caso lo Spaventa?
Il Mariano risponde: « A nostro avviso, i filosofi italiani degli ultimi
tempi non hanno contribuito in nessuna maniera con le loro dottrine al
movimento e allo sviluppo del pensiero filo-sofico; poiché, oltre a venire
quando tutto lo sviluppo di questo pensiero era già compiuto, essi si chiudono
in punti di vista esclusivi e subordinati. Le loro dottrine non sono
siste-matiche, nascono non si potrebbe dire donde né come, senza aver
nemmeno una coscienza chiara di se stesse, né della filosofia in generale; e
infine segnano un regresso e una decadenza del pensiero. La tesi dello
Spa-venta, che non intendeva si potesse trapiantare in Italia una filosofia la
quale non avesse nessun appiglio nella tradizione del suo pensiero, e che
andava orgoglioso di aver dimostrato che tutti i nostri più grandi pensatori da
Bruno a Campanella al Gioberti s'erano mossi nello stesso circolo del moderno
pensiero europeo, pareva al Mariano e al Vera « falsasse il concetto della
filosofia, del suo oggetto e della sua storia», uno di quei « tours de force
intellettuali, che non sono rari, che sono anzi disgraziatamente troppo comuni,
e consistono nel mettere in una dottrina quel che è nel nostro proprio pensiero
e nel pensiero d'un altro». Bella testa davvero quello Spaventa, che
veniva a dire 'a questi asini papalini degl' Italiani, che alla fine la
filosofia di Hegel non era poi l'ultima parola dello spirito speculativo, e non
si doveva ripetere e commentare meccanicamente le sue deduzioni come tante
formole sacramentali. « Parole sonore, ma vuote. L'essenziale è intendere
quelle deduzioni e quelle formole, come piace allo Spaventa di chiamarle. Ma lo
Spaventa le intende ? Par di no, dacché identifica [e non era vero]
Gioberti e Hegel. Poi che il pensiero di Hegel possa essere ulteriormente
svolto e compiuto entro certi limiti, nessuno hegeliano, noi crediamo, si
rifiuterà di ammetterlo. Ma se lo Spaventa avesse inteso la storia della
filosofia e l'hegelismo, avrebbe visto che non sono possibili svolgimenti
ulteriori deviando o uscendo dal pensiero hegeliano, e in questo senso può
dirsi che la filosofia di Hegel sia per l'appunto l'ultima parola dello spirito
speculativo ... Che poteva essere magari la convinzione dello Spaventa,
ove si dia a questa frase un significato rigoroso, che non era disposto di
certo a darle né il Mariano né il Vera, quando questi scriveva p. e, che « la
filosofia di Hegel chiude, quanto alle parti costitutive, il ciclo storico
della filosofia; quantunque non vogliamo negar con ciò la possibilità di altri
svolgimenti, ma sempre di un ordine particolare e subordinato, che il pensiero
filosofico potrà ammettere »3. - Uomo pericoloso quello Spaventa, infido
hegeliano! Quei suoi Principii di filosofia, cominciati a pubblicare nel 1867!
Sempre quel suo fare d'uomo che dice e non dice (les mêmes allures contournées
et de-tournées !), quell'ambiguità di linguaggio, quell' hegelismo che non è
punto hegelismo: « una logica hegeliana che si dà delle arie di non sappiamo
qual'altra logica: infine, una filosofia nuova, ma stranamente nuova, prima
perchévi si dà per nuovo quel che Hegel stesso e dopo Hegel alcuni de suoi
discepoli hanno esplicitamente e da lungo tempo insegnato, e poi, sopra tutto,
perché non si potrebbe dire che cosa è, donde viene e dove va, e perché non può
avere altro risultato che di creare o perpetuare l'equivoco, la confusione e
l'indisciplina degli spiriti». Cosi dal Vera aveva imparato a giudicare
dello Spaventa, uno scrittorello, che, tanto per accreditare la filosofia
hegeliana, rifaceva in quattro e quattr'otto e tenendosi sempre sulle generali,
senza analisi di testi, né discussione di punti controversi, la storia della
filosofia italiana della prima metà del sec. XIX, e sentenziava che quella
specie di eclettismo del Galluppi era un « fenomeno isolato e accidentale, che
non s'era accorto di venire al mondo quando il movimento filosofico tedesco con
Hegel era « achevé, lorsque l'idéalisme étail une doctrine constituée» (povero
Galluppi!). Il pensiero del Rosmini è più vasto e completo, ma è un vano sforzo
• di risuscitare la filosofia scolastica, e, per questo rispetto, un regresso.
Gioberti poi « non soltanto un'apparizione inutile nell'ordine del pensiero
come in quello della storia, ma la negazione della storia e della scienza
" 5 Lo Spaventa ne aveva fatto la satira anticipata. A proposito di
costoro che non vedevano nulla di nulla in Italia, e la filosofia morta da due
o trecento anni, e si scalmanavano a raccomandare l'idea, a rifarsi dalla idea,
e sopra tutto a far come loro (e guardate a noi, fate come facciamo noi, e dite
come diciamo noi: uno, due, tre; e ritornerete vivi, sani e salvi; e sarete
felici ») aveva ricordato « un tale, bravomo del resto; il quale un
giorno, di pien meriggio, nel mese di luglio, non sapendo che fare e avendo
accolto in casa, nel suo gabi-netto, numerosi amici, chiuse ermeticamente le
impostedelle finestre e l'uscio, e all'oscuro accese subitamente un suo
lumicino, e fattosi in mezzo, non per gioco, ma col maggior senno del mondo,
esclamò: - Non temete; ecco, io vi riporto la luce!* E la satira conchiudeva: «
Mi fu detto poi, che il brav'omo fini i suoi giorni al mani-comio, e non
parlava d'altro che del lume spento e del suo lumicino. Quando imprese la sua
volgarizzazione della filosofia hegeliana, V. non s'era proposto se non di
tradurre in francese la piccola Enciclopedia di Hegel, come già erano state
tradotte le opere principali di Kant, Fichte, Schelling, l' Estetica dello
stesso Hegel e una parte della Logica. Ma estremamente prolisso com'era, e
com'è degli scrittori che non approfondiscono il pensiero e scivolano sulle
difficoltà, postosi a scrivere un proemio introduttivo alla traduzione, la
materia gli crebbe ben presto tra mani fino ad imporgli la necessità di
pubblicare questo scritto a parte, come formante da solo un tutto «
indipendente, sotto certi aspetti, dal sistema di Hegel», le cui tre parti
pensò quindi di dare poi in tre volumi distinti. Se non che quando poté
cominciare a pubblicare la sua traduzione, penso che se a tutta l'Enciclopedia
aveva mandato innanzi una introduzione generale, una speciale per la Logica,
ossia per la prima parte, da cui gli toccava di cominciare, sarebbe stata pure
opportuna. E cosi per la sola Logica occorsero già due volumi 3;come tre
gliene occorsero poi per la Filosofia della natura 5 infarcita di
lunghissime note, oltre la solita vasta introduzione; e due infine per la
F'ilosofia dello spiritos, ma grossi: perché, pubblicato a tre anni di distanza
dal primo, il secondo gli parve che non potesse andar privo di una nuova speciale
introduzione. E tra introduzioni prime e seconde, avant-propos e avertissements
premessi agli avant-propos, commenti perpetui, appendici, pole-miche, si esauri
tutta la sua attività letteraria non impiegata nel tradurre il testo. Tutta, o
quasi tutta. Quando parve proporsi un tema di trattazione originale, come il
Cavour (1871) e il Problema dell'Assoluto (1872-82), in fatto continuò
egualmente a discettare intorno all'uno o all'altro punto di dottrina
hegeliana; e quando, come nel Problema dell Assoluto, doveva pure levar l'ala
pervoglia di volare, finiva tosto per fare come il cicognino dantesco,
che non s'attenta D'abbandonar lo nido, e giù la cala. E
lasciava interrotto il lavoro. L'opuscolo sulla Pena di morte (1863) 1,
che, per il vivo interesse che suscitava allora la questione in Italia, fu
degli scritti più noti, più letti e discussi del Vera 3, è anch'esso un
commento a un'opinione dell' Hegel. L'Introduzione alla filosofia della
storia (1869) sono corsi di lezioni raccolte da uno scolaro, le quali non hanno
nessuna pretesa d'originalità scientifica. Lo Strauss, l'ancienne et la
nouvelle foi (1873) si propone di chiarire e confermare la filosofia della
religione di Hegel contro il radicalismo teologico dello Strauss. Si può dire
pertanto che tutta l'opera del Vera si riduca alla traduzione e al commento
dell' Enciclopedia di Hegel con speciale insistenza sulla parte che riguarda la
filosofia della religione. Opera certamente assai benemerita pei vantaggi
arrecati alla cultura delle nazioni latine, principalmente della Francia e
dell'Italia, in un tempo in cui la filosofia di Hegel era venuta in discredito,
le sue opere apparivano in conseguenza assai più difficili che in realtà non
siano, e facevano torcere il muso agli studiosi, i quali non avrebbero forse
letto nulla di lui, se non avessero avuto a portata di mano quell' Hegel
volgare (come avrebbero dettoi nostri antichi), così agevolmente accessibile
nello sciolto francese in cui il Vera lo dilavò, e cosi largamente illustrato
da chi non dubitava di parlare come l'autentico interprete dello hegelismo.
Soltanto in questi ultimi anni le sue traduzioni sono state, nel rinnovato
studio di Hegel, riscontrate accuratamente con l'originale; e trovate malfide.
Se nella prima traduzione della Logica gli errori d'interpretazione erano
frequenti, i lettori non lo seppero forse prima che ne li avvertisse lo stesso
Vera quando li corresse nella seconda?. Lo stile discorsivo, senza muscoli e
senza nervi, del traduttore non somigliava punto a quello di Hegel: ma chi se
n'accorgeva ? I punti più delicati ed essenziali dello hegelismo nelle
interpretazioni veriane andavano alterati. Il colorito generale e il carattere
fondamentale di questa filosofia attraverso quelle interpretazioni eran
cancellati o apparivano troppo sbiaditi. E questo era certamente difetto
ingente per la fortuna del pensiero hegeliano e il progresso speculativo. Ma
non è per altro da credere che una più schietta traduzione e una
interpretazione più rigorosa del pensiero hegeliano sarebbe bastato in quel
ventennio tra il 186o e l'8o in cui cadde l'opera del Vera, a dare una
direzione diversa allo spirito filosofico, preso com'era dalla brama dei fatti
e dal disgusto d'ogni speculazione. E d'altra parte, c'è in ogni grande
filosofo e in ogni grande scrittore una folla di verità particolari, frammenti
e scheggie luminose di pensiero, di cui giova pure arricchire ed accade sempre
provvidenzialmente che venga arricchito il patrimonio generale della cultura, e
impinguato quello che si può dire il terreno spirituale, da cui germogliano,
maturate che siano le stagioni opportune,i nuovi pensieri, e da cui pur
continuamente traggono il loro succo vitale tutte le forme dell'attività
umana. Chi potrebbe dire, da questo aspetto, quanto sia il benefizio
arrecato alla cultura dalle fatiche di V.? 3L. - Questa fu la sua parte:
la parte del commen-tatore, che si chiude nel pensiero del suo autore, quasi in
un cerchio di Orbilio, e non vede come sia più possibile uscirne. Il «
Commentatore» per antonomasia del medio evo disse di Aristotele, che egli era
stato la regola della natura e come un modello in cui essa aveva cercato di
esprimere il tipo dell'ultima perfezione; posto al più alto grado
dell'eccellenza umana, cui nessun uomo mai aveva saputo pervenire: disse la sua
dottrina « la verità sovrana: perché il suo intelletto è stato il limite
dell'intelletto umano, sicché di lui possa a ragione dirsi esserci stato dalla
Provvidenza dato per imparare tutto ciò che è possibile sapere»; e che insomma
egli « è il principio di ogni filosofia: non si può differire se non
nell'interpretazione delle sue parole e nelle conseguenze da ricavarne». E le
stesse cose, su per giù, ripete di Hegel, come già in parte abbiamo visto, V.,
lieto di potersi dire «un hégélien pur, un hégélien à outrance n3; pronto a
protestare che gli anni e la riflessione non facevano che fortificare la sua
convinzione che la philosophie de Hégel est la sente philosophie véritable, la
philosophie absolue »3; che sempre Hégel a raison contre tous4, perché egli è
non pure uno dei più potenti pensatori, ma il più potente forse che sia mai
esistito s. Nella Introduction del 1855 riconosceva ancora un qualche valore al
concetto (hegelianeggiante) *di Leibniz della philosophia perennis; ma nel
1873. polemizzando con lo Strauss « in nome della filosofia » teneva a
dichiarare com'egli la intendesse. « Per me, lo confesso, quando sento parlare
di una filosofia in generale, di quella filosofia che Leibniz e altri sulle sue
tracce chiamano col nome sonoro di philosophia perennis, chiudo gli occhi e gli
orecchi, e preferisco non vedere né sentire, che sentire e vedere mercé d'una
tale filosofia». E si appellava al principio, hegeliano senza dubbio, che la
filosofia non può essere che una determinata filosofia; ma continuava,
distruggendo ipso facto il valore di quel principio: « E questa filosofia non
mi stancherò di ripeterlo, e, per quanto è in me di dimostrarlo, è la filosofia
hegeliana » *; laddove una delle determinazioni essenziali della filosofia
hegeliana era appunto questa di adeguarsi alla storia della filosofia o, se si
vuole, alla philosophia pe-rennis, in cui tutte le determinate filosofie sono
la filosofia veramente determinata. E da quest'angusta e in certo senso
materialistica concezione della filosofia hegeliana, tutta chiusa in una
individualità semifantastica, sorretta dalla rappresentazione di certi libri e
di certe parole o di una certa persona vissuta in certi tempi e luoghi, il Vera
era trascinato a perpetrare un vero tradimento di Hegel: da lui disarmato e
consegnato, legato mani e piedi, al primo venuto dei suoi avversari. Poiché,
una volta concepito un sistema filosofico come chiuso in sé, senza rapporti con
gli altri sistemi, prodotto di una speciale visione del mondo, che non ha che
fare con gli altri possibili punti di vista, quasi spettacolo che si goda in
una stanza, e di cui non sia dato saper nulla a chi non vi entri, cotesto
sistema non si può più dimostrare a chi non sia già persuaso della sua verità;
perde cioè la sua universalità,la sua verità, il suo valore di pensiero, che
non è mai atto di uno senza esser atto di tutti: perde la vita del pensiero che
è espansione e forza invadente, conquistatrice e trionfatrice; per diventare
una cosa, che sta dove la mettete, in eterno, ignara di sé, inerte, esposta al
libito di chi vi si abbatta! Concezione strana, umiliante, ad accettar la
quale, coraggiosamente, il Vera fu anche spinto da un profondo concetto
hegeliano, da lui inteso a metà: che la verità di un sistema sta dentro il
sistema e in tutto il sistema. Ma Hegel stesso andava subito incontro al
pericolo d'una possibile interpretazione materialistica di questa proposizione,
per cui il suo pensiero sarebbe rimasto disteso sovra un'altura inacces-sibile,
concependo dapprima come una prima parte del sistema una Fenomenologia
dello spirito come autoaf- fermazione della propria filosofia attraverso
tutte le posizioni storiche e ideali del pensiero, e premettendo poi all'
Enciclopedia un'introduzione critica e polemica destinata a giustificare il
proprio punto di vista di fronte a quelli inferiori. Talché, se pure era nella
sua dottrina, quale si venne scolasticamente consolidando attraverso le
varie redazioni dell' Enciclopedia (nata per la scuola), la tendenza a fare del
sistema un dato circolo chiuso, nel quale bisognasse penetrare per non so quale
grazia sovrannaturale o luce illuminante ogni privilegiato hege-liano; questa
tendenza era spontaneamente frenata e corretta dalla possente vita del genio
investito dalla forza della verità. Ed era intanto punto capitale della sua
dottrina, che la critica di un sistema filosofico - e quindi il passaggio a un
sistema superiore - non è critica soggettiva che altri possa fare movendo da
principii di sistemi diversi, ma critica interna, autonoma, sgorgante dalle
viscere dello stesso sistema; sicché non si sale slanciandosi in alto per
aggrapparsi con la punta delle dita alla proda delle balze superiori, ma
fermando bene ilpiede sul grado già raggiunto, e di li sforzandosi di salire,
costretti dallo stesso disagio della via erta ed arta, - per tornare ancora una
volta alle immagini dantesche. Sicchè la vera dottrina di Hegel è che la verità
della sua filosofia, se, come sistema, vive nel circolo del suo pensiero
siste-matico, si conquista attraverso tutte le filosofie, e si pone percio per
motivi di verità che giacciono in tutti i sistemi. L' hegelismo che si chiude
gli occhi e gli orec-chi, e, come la Notte di Michelangelo, vuole « non veder,
non sentir, non è quell'originale hegelismo che figge per tutto il suo occhio
sereno, certo che tutto che è reale è anche razionale, ma un hegelismo veriano,
alquanto adulterato. E cosi accadeva al Vera, malgrado tutta la forza
del suo hegelismo, di trovarsi come chi, in paese straniero di cui ignori
la lingua, abbia bisogno di far valere le proprie ragioni, e non trovi né anche
un interprete. Non sapeva parlar altro che l'« hegeliano » 1 Nella
introdu-zione alla Filosofia dello spirito, dopo avere intravvedute ben sei
gravi obbiezioni contro il concetto da lui esposto del sistema hegeliano,
dovendo ribatterle, si ricordò della sua teoria dell'hegelismo
chiuso, gia spiattellata tre anni prima nella nuova prefazione all'
Introduction à la philosophie de Hégel, a proposito delle critiche del Foucher
de Careil e del Trendelenburg; e si senti in dovere di fare questa
confessione: Nous commencerons par avouer que ces objections
nOuS embarassent très-fort, et que nous ne voyons pas comment nous
pourrions y répondre d'une manière satisfaisante, d'une manière, voulons-nous
dire, qui satisfasse complètement celui qui nous les adresse. Car ce n'est pas nous autres hégéliens, bien entendu
[l]. qui nous faisons ces objections, ou si nous nous les faisons, nous en
trouvons aussi la solution. Seulement cette solution est valable pour nous,
mais elle ne l'est pas, len général, pour les au-tres, c'est-à-dire pour les
non-hégéliens (!).Et la raison en est bien simple. C'est que la solution est
dans le système, et que par suite elle ne saurait être entendue et acceptée
qu'autant qu'on est dans le système. Par conséquent, celui qui fait des
objections, qui les fait hors du système, c'est-à-dire en se plaçant au point
de vue de l'opinion, de la conscience vulgaire et irréfléchie du sens commun
comme on l'appelle, et même de la philosophie de l'entendement, et qui, avant
d'entrer dans le système, demande qu'on lui réponde d'une façon qui leve
complètement ses doutes, demande ce qu'en réalité il n'est pas raisonnable de
nous demander. Car ces doutes viennent précisément de ce qu'il demeure hors du
système, et que sa pensée est impuissante à saisir la vérité systématique. Par
con-séquent, tant qu'il n'aura pas franchi cette limite, et qu'il ne sera pas
entré dans le système, toutes nos réponses et toutes nos explications devront
nécessairement lui paraitre insuffisantes, par la même que sa pensée et notre
pensée ne sont pas la même pensée 1. Non
era questo un disarmare Hegel e consegnarlo agli avversari? Tommaso
d'Aquino, convinto che oltre gli articuli fidei, ci siano anche i preambula ad
articulos, aveva potuto scrivere una somma de veritate catholicae fidei contra
gentiles; ma contro i gentili dell' hegelismo il nuovo apostolis gentium non
vedeva come un povero diavolo d'apostolo se la potesse cavare: e badava a
ri-petere il motto di Anselmo: fides quaerens intellectum, ma senza
ottemperare troppo alacremente al maggior detto dello stesso Anselmo (Cur Deus
homo, c. 2): « Ne- gligentiae mihi esse videtur, si postquam confirmali
sumus in fide, non studemus, quod credimus intelligere! ». Il mo-mento della
fede, come vedremo più chiaramente, era l'essenziale per lui. Questo infatti
gli bastava a reggere l'opera sua di paladino di Hegel. Non confessó quel tale,
che moriva in duello pel Tasso contro l'Ariosto, di non aver letto nessuno dei due
?I libri di Hegel il Vera certamente li aveva letti e ri-letti. Non tutti,
forse, quando scese in campo per lui con l'Introduction, né tutti poi con la
stessa attenzione e diligenza. Il Janet • notò che in quella Introduzione manca
ogni menzione della Fenomenologia; e la critica che già ne abbiamo rilevata
contro lo Schelling autorizza a crede che ei non avesse ancor letta la
prefazione di quell'opera di Hegel. Doveva allora conoscere l'Enciclopedia e,
in parte, la Filosofia della religione: in parte anche la Scienza della logica;
ma così male, da non essersi ancora reso conto ben chiaro della redazione di
queste opere. Cosi allora dimostrava di sconoscere che le appendici (Zusätze)
ai singoli paragrafi dell' Enciclopedia non furono aggiunte da Hegel stesso,
bensi dagli scolari (Henning, Mi-chelet e Boumann) che ne curarono l'edizione
postuma e si giovarono di appunti del maestro e di quaderni di scuola:
Anzi, confondendo con tali appendici le osservazioni che Hegel infatti aggiunse
per la prima volta nel 1827 ai singoli paragrafi, - che da soli formavano il
testo della prima edizione, - asseri 3 che Hegel nella seconda edizione
credette di aggiungere co-teste appendici, per rendere il suo pensiero meno
astratto e più accessibile. E questo errore ripeté nel '59 nell'avvertenza
premessa alla Logica, aggravandolo di un'altra inesattezza che potrebbe far
credere non aver egli allora col secondo e col terzo volume dell' Enciclopedia
postuma (detta ordinariamente Grande Enciclopedia, per distinguerla dalla Piccola,
cui mancano quelle appendici) la familiarità che dovevaaver acquistato col
primo contenente la Logica: perché dice che nel 1827 Hegel non diede
propriamente una seconda edizione di tutta l'Enciclopedia accresciuta delle
appendici, ma della sola Logica: « Par les deux autres parties de la Grande
Encyclopédie n'ont paru qu'après la mort de Hégel dans Védition complète de ses
oeuvres qui a été publiée par le soin de ses disciples et de ses amis »
1. Apparse dopo la morte di Hegel: ma già redatte da lui stesso, comprese
le appendici, come il Vera tornò a dire chiaramente nell'avvertenza al primo
volume della Filosofia della natura *. Confusionis che potrebbero anche
ascriversi a sbadataggine di studioso inesperto d'ogni buona usanza filologica:
ma che, se in parte son pure indizio di scarsa familiarità coi testi hegeliani,
in questo caso son pure da riportarsi all'indole del suo spirito, di cui
abbiamo già cominciato a intendere alcuni tratti essenziali. Il Vera era
cominciato mistico: scettico verso i metodi razionalisti, aveva asserito l'
inconoscibilità delle essenze, e certa intuitiva rivelazione originaria di Dio,
alla Jacobi. Il mistico non può essere idealista che a mo' di Platone:
per cui la verità non è processo, ma conoscenza immediata e miracolosa,
presenza dell'oggetto, in cui si prescinde dal soggetto o in cui perciò il
pensiero tende a risolvere e seppellire la propria soggettività. L'idea a chi
cerchi una tale verità si presenta e impone da sé; è se stessa; e non può
farsi, ancorché definita come processo (diventa allora idea del processo, e,
come idea, immobile). In quanto sistema, diventa sistema in sé, che non forma
la mente, ma è innanzi alla mente; e non è svolgimento;ma un tutto perfetto, in
sé, senza passaggio da altro a esso, né da esso ad altro. E filosofia che non è
la filosofia, ma una filosofia, che ha fuori di sé le altre, il pensiero
volgare, l'opinione, la filosofia intellettualistica, senza un ponte da queste
forme mentali a essa. - O tutto, o niente; o scetticismo, o cognizione assoluta
(idest, il sistema di Hegel), come badava a ripetere V.. E che cosa era per lui
la mente fuori dell' hegelismo? Se la verità era tutta dall'altra parte, di qua
non ci restava nulla. La sua pertanto era una concezione mistica del- 1'
hegelismo, per cui il rapporto dello spirito con la vera filosofia, o
illuminazione mentale, veniva concepito come una unione soprarazionale, di là
dalla quale si sarebbe instaurata la razionalità dello spirito. E questa
tendenza mistica del Vera, se io non m' inganno, gli faceva prendere in mano i
libri di Hegel e non guardare attentamente alle prefazioni, non cercare le
varie edizioni, non studiare la storia dei testi: giacché in ogni tempo la
misticità è stata nimica mortale di tutte le questioni concernenti la lettera,
come ad esse piace di dire, e non lo spirito, quali son quelle di filologia.
Pericolosissima china; giacché se questa tendenza nel Vera col dispregio della
filologia portò l'impossibilità di una vera dottrina storico-filosofica, nel
discepolo Mariano, che avrebbe dovuto essere di professione uno storico del
cristianesimo, frutto tutta una boriosa e vuota teorica di metodo storico, che
è una delle più solenni e funeste falsificazioni della dottrina hegeliana, cioè
della prima filosofia venuta in luce dacché il pensiero prosegue la sua eterna
fatica, a giustificare non solo, ma ad esaltare ogni forma di storia; e nella
scuola del Vera, tra i suoi insegnamenti di storia della filosofia e di
filosofia della storia, fu piegata goffamente a significare un pensiero
rispettoso bensi a parole della storia, dello svolgimento, della
determinatezza, ma, nei fatti, di una tracotante svalutazione d'ogni sincera
ricerca dellastoria, ossia dei particolari più determinati, in cui pur consiste
il concreto svolgimento del reale. 32. — Della quale tendenza, mistica e
però antisto-rica, della mente del Vera si potrebbero raccogliere ne' suoi
scritti molte manifestazioni. Il Janet, in un suo articolo sul primo volume
della Filosofia della religione notava finemente che il Vera, nella lunghissima
introduzione che mise di suo in quel volume per ragionare dei rapporti tra
filosofia e religione, «est encore ici fort dans la discussion, vague et obscur
dans la conclusion. Il ré-sume très-bien toutes les manières de se rapresenter
le rap-port de la religion et de la philosophie. Mais on ne vort trop quelle
est la vaie». E nel '73 lo stesso V. contro Strauss osservava che la posizione
da costui assunta era très-nette. E,
soggiungeva «les positions très-nettes sont souvent, surtout dans la science,
très-fausses, par la raison même qu'elles sont très-nettes, par la raison,
veux-je dire, qu'elles mutilent les problèmes, et qu'en les simplifiant les
faussent». Ragione hegeliana e piena di verità; ma pretesto, pel Vera, e
conforto a non trarsi fuori da quel- l'oscuro, da quel vago che il Janet
gli rimproverava, e a restare irresoluto tra il sì e il no. Giacché sarebbe
invero assai volgare insolenza asserire di Hegel, nuovo e pit rigoroso
assertore della dialettica del sic et non, che ei si tenesse perciò di qua
dalle soluzioni très-nettes! Ché se rifiutava, e metteva in satira anche lui,
le soluzioni semplicistiche dell' intelletto astratto, poneva nettissime, per
suo conto, quelle della ragione. E non era il Vera che potesse in nome della
dialettica accamparsi contro il semplicismo e l'astrattismo dei semplificatori;
egli chenon sapeva entrare nella realtà se non armato di astratte definizioni;
e si scalmanava contro chi nella realtà vedeva si quei concetti, ma limitati e
commisti ai loro contrari; e lo Stato reale, p. e., essere e non essere Stato:
la Chiesa essere e non essere Chiesa; e l'esercito essere e non essere
esercito; e cosi ogni cosa, non in quanto considerata nel mondo intelligibile,
a cui egli platonicamente guardava, ma in quello reale, in cui, con tanto poco
gusto (a quel che pare), era pur costretto a vivere. Egli è piuttosto
che, com'è proprio dei mistici, il Vera, da una parte, doveva dilettarsi di
cotesto mondo di puri intelligibili, che appunto perché tali sono estranei alla
vita dell'intelligenza e non si pongono se non per negazione o una mera
affermazione immediata dell'in-telligenza, e poteva d'altra parte riuscir più
nella critica e demolizione che nell'affermazione e nella dimostrazione.
Giacché questo è uno dei caratteri del misticismo: che non rifugge bensi dalla
filosofia, ma si pasce di una filosofia negativa che ha per conchiusione, com'
è facile scorgere nella storia della mistica, una dotta ignoranza: hoc unum
scio. Così nel Problème de la certitude, della età giovanile, il verbo della
speculazione veriana era stato lo scetticismo: la sua affermazione dommatica un
timido e vago tentativo di filosofia dell'intuizione immediata di Dio,
conosciuto come che, ma non come quale: postu-lato, non propriamente conosciuto.
Quella stessa menta-lità, abbattutasi quindi a una conoscenza meno superficiale
dello hegelismo, presa di ammirazione per quella vasta sistemazione del
mondo contemplato sub specie aeterni, cambiò forma, non sostanza; e sotto il
nuovo abito rimase presso che immutato il vecchio Vera. L'oggetto del suo
mistico intuito (conoscenza immediata, senza processo) era prima quel Dio
inconoscibile e indi- mostrabile, di cui non si poteva fare a meno; ora è
il sistema hegeliano, cioè, non propriamente una filosolia,ma un xóguo vontós,
e insomma Dio stesso, quello di prima, egualmente indimostrabile e
irraggiungibile con un processo di pensiero. E pure nell' Introduction
volle scrivere anche lui, come già tanti altri mistici, il suo itinerario della
mente a Dio: o come egli disse, mettere sotto gli occhi del lettore «les
recherches qui nous ont conduit nous-mêmes à l'intelligence de la philosophie
hégélienne»t, Ma, posto quel concetto del sistema chiuso, che per allora covava
nel profondo della sua mente, che itinerario poteva essere il suo? Sarebbe
facile dimostrare che questa specie di itinerario procede, non altrimenti da
tutti gli scritti consimili, per presupposizione, fin da principio, del punto
d'arrivo, e per conseguente critica e negazione delle posizioni diverse: non
muove da queste, e non dimostra realmente il punto a cui vuol pervenire; non è
insomma un processo. E già noi vedemmo a che si riduca pel Vera il
movimento da Kant a Hegel. Dopo un brevissimo capitolo (di tre pagine) sulla «
fisonomia generale della filosofia di Hegel», in cui si coglie, ma assai
estrinsecamente, un tratto senza dubbio essenziale di essa, qual è quello della
storicità sua, oggettiva e soggettiva, in quanto essa concepisce il suo oggetto
come manifestantesi attraverso il movimento storico e sé stessa in intima e
necessaria relazione con la propria storia 1, il Vera passa subito a dimostrare
quella sua tesi, che già conosciamo, tutti ifilosofi essere idealisti senza
saperlo: poiché, nell'antichità e nei tempi moderni, tutti, compresi i
materialisti, han sempre mirato all'idea; poiché nessun filosofo mai ha potuto
fare a meno dei principii che sono al di là dell'esperienza. Basta pel Vera
esser metafisico per CS- sere idealista; e in questo senso egli
pensa che in ogni filosofia sia un germe di verità, che si deve svolgere e
compiere, e non si può negare. Vale a dire, all'esclusi-vismo dei vari sistemi
che ricorrono a una o più idee, bisogna sostituire una filosofia comprensiva
che le accolga tutte e le organizzi; fare insomma quel che aveva fatto Platone,
quantunque ora si possa fare un po' meglio. Sicché l'oggetto della
filosofia, quale egli lo concepisce, non è diverso da quello che aveva dato
vita all'idealismo platonico; né egli sapeva concepire altra filosofia che sul
tipo di quell'idealismo, e quasi frammento di esso. Quindi tutto il resto della
sua Introduzione, prima di quel rapidissimo schizzo dell'Enciclopedia hegeliana
che forma la seconda parte del volume, è tutta una polemica per determinare il
concetto della filosofia, come scienza delle idee, e il metodo di essa, che
all'organismo delle idee non può adeguarsi se non mercé la dialettica. Tutto 1'
itine-rario, adunque, consiste nel mettersi dentro alla verità, fin da
principio, e difenderla contro gli errori. Ma se la filosofia per Platone
e pel mistico era pura contemplazione, parrebbe che il Vera ne avesse un
concetto assai più profondo e nuovo, dove sostiene che essa è non solo una
spiegazione della realtà (inten-dendo per spiegazione la contemplazione appunto
di tutto il reale in idea), ma « anche e per ciò stesso, una crea -
zione": e una creazione, com'egli dice, nel solo e vero senso
del termine»!. Ma dal detto al fatto corre8ran tratto; e quando deve
realmente concepire questa creazione che dice di concepire, la cosa non gli
riesce; perché tutto si riduce a dire che le essenze, l'assoluto, le idee sono
eterne, e che di creato e generato non v'è se non i fenomeni, le esistenze
particolari e finite; le quali sono create appunto, dall'assoluto, che ne è la
ragion d'essere; e che la filosofia, se ha per oggetto l'assoluto, deve non
solo sapere come l'assoluto genera le esistenze particolari e finite, ma deve
in certo modo (d'une certaine façon»!) generarle essa stessa, perché, se non si
vuol negare la scienza, bisogna ammettere «qu' il y a un point où la
connaissance et l'être, la pensée et son objet coincident et se confondenti.
Bisogna ammettere; ma è questo il punto: hoc opus! E il Vera si sente tanto
poco di superate questo punto, che passa subito a intendere la creazione in un
altro modo: nel senso cioè che la scienza, elevandosi all'assoluto e cogliendo
la natura intima degli esseri, elle refait et dédouble en quelque sorte leur
existence». Sicché, «d'une certaine façon » prima, e «en quelque sorte »
poi: e la creazione vera e propria «nell'unico senso del ter-mine» non si vede
e non si tocca mai. Giacché, se c' è duplicità tra il processo dall'assoluto al
relativo e il processo dalla conoscenza dello assoluto alla conoscenza del
relativo, il due non è uno, e non solo si rinunzia alla creazione delle cose
per tenersi soltanto alla cognizione delle cose, ma pare anche si abbia una
certa voglia di tinunziare altresi a quell'unità del sapere e dell'essere,
senza di cui pur s'intravvede non essere vero sapere. Conchiusione
innanzi alla quale si ritira sgomento il pensiero del nuovo hegeliano. Egli
infatti, a questo punto, per garentire il carattere creativo della cognizione
assoluta sottraendola a quell'ombra che sarebbe per lei quel doppio, contorce e
trae a un significato improprio la dottrina hegeliana del rapporto della natura
con lo spi-rito. La vera creazione, egli dice, non è quella che dal-l'assoluto
va al particolare delle esistenze finite. Perché la natura, considerata in se
stessa e indipendentemente dallo spirito, è un'esistenza morta, priva di
coscienza e di pensiero, un aggregato di elementi e forze individuali e
isolate, che non hanno in se stesse il loro legame, il loro principio e il loro
fine; e lo spirito stesso ne' suoi gradi inferiori, per cui è a contatto della
natura, in quella sua vita oscura e irriflessa in cui s'ignora e mescola e
confonde tutto, e si lascia avvolgere nell'infinita varietà dei fenomeni e
delle sensazioni, ha un'esistenza imperfetta, « che non risponde né all'idea
della scienza, né a quella dell'assoluto». Ora questa imperfezione sparisce per
opera della scienza, la quale « completa e rifa l'esistenza della natura e
dello spirito, elevandoli, con la riflessione e col pensiero, fino al loro
principio, dando loro la coscienza di se medesimi e ordinandoli secondo la
ragione. 1. Se non che, questo processo dall' imperfetto al perfetto,
dalla natura allo spirito, e dai gradi inferiori di questo ai gradi superiori,
in Hegel è, e non può essere altro che un processo ontologico, il processo
dall'assoluto alla coscienza dell'assoluto, o dalla idea logica allo spirito
as-soluto. Ma, per intendere qui la creatività di questa scienza che rifà, noi
dovremmo ritornare sul processo stesso e ripercorrerlo, secondo la concezione
del Vera. Chi gli garentisce che il secondo viaggio non sia inutile, e serva
anch'esso a creare qualche cosa? Perché il processo gnoseologico creasse
davvero, non dovrebbe rifare l'ontologico, mettendosi fuori di esso, come altro
da esso, ma fare, semplicemente, continuando quell'identico processo; e la
scienza non dovrebbe guardarsi indietro. V. non ha quest'orientamento. Il
suo assoluto è dietro le sue spalle; ed è necessario che egli si rivolti.Con la
scienza si corregge il fatto e la realtà materiale, con una specie di creazione
continua, « per cui l'assoluto entra più profondamente nella vita del mondo per
imprimervi una impronta sempre più visibile di se stesso, e farlo sempre più a
sua immagine». Egli è persuaso che « sans doute, l'absolu et le monde, l'idée
et le fail, la pensée et sa réalisation matérielle demeureront fowjours
distinels, et même, dans une certaine mesure, opposés » 1, L'Assoluto è prima
del mondo, che deve rassomigliarvisi; deve e non può, pei limiti della materia,
al di sopra della quale lo spirito si solleva, per riunirsi alla sua origine
ideale. E la vecchia posizione platonica. L'essenza, inconoscibile
nel Problème de la cer-titude, ora per definizione è conoscibile. E un
progresso questo? Quella scepsi conteneva un bisogno e un'affer-mazione: quel
bisogno e quell'affermazione che minavano da secoli l'universale astratto della
filosofia greca, e che dopo Hume dovevano far nascere la critica di Kant: la
realtà non si coglie con idee astratte; cento talleri si possono pensare
benissimo senza che perciò esistano. Che cosa manca loro? Cartesio aveva
trovata la via: cogito ergo sum: un ergo che non è sillogismo, che non muove da
idee, da quegli universali, in cui ancora V. faceva consistere l'assoluto. E si domandava:
se di ogni essere c'è un'idea corrispondente, ne segue che quella idea sia la
sua essenza? O c'è, oltre l'idea, « un'esistenza più alta e più profonda di cui
l'idea non sarebbe se non la forma, una forza di cui la natura intima ci
sfugge, e che avrebbe la sua radice nell'essenza divina, o che, per dir meglio,
non sarebbe altro che quest'essenza stessa?». Questa era la dottrina sua del
1845. - Ora la sua risposta suona il contrario; e la ragione che gliha fatto
cangiare avviso è questa: che ove si ammetta un'essenza di là dall'idea, quest'altro
quid non è pensabile se non per mezzo di idee. Ma la verità è che, non avendo
egli prima approfondito, attraverso Kant (che non aveva letto), il significato
della esigenza a cui obbediva il suo scetticismo, ora è di troppo facile
contenta-tura; togliendosi per essenza appunto quello che come mera idea gli
appariva una volta ben altra cosa dall'es-senza, e rinunziando di fatto
all'essenza più preziosa, che allora desiderava. E che? dice ora per
consolarsi, facendo il verso al Socrate di Platone: « quando studiamo l'anima,
non tale anima in particolare, ma l'anima in generale noi vogliamo conoscere,
né crediamo di possedere la scienza dell'anima se non quando possediamo cotesta
conoscenza»*: come se con l'anima in generale ci fosse, o ci potesse essere un'anima!
Giacché il destino curioso di questo hegelismo veriano, come del platonismo, è
proprio questo: che queste idee che son tutto, poi non sono niente: e pel Vera
rimangono come abbiamo visto assolute possibilità o virtualità. Ma come
con un tal concetto dell'idea, che non è Thathandlung dell' Io (per usare la
gran parola di Fichte), ma termine esterno o eterno presupposto del pensiero,
può egli ammettere una dialettica nel senso hegeliano? Sorvoliamo sui
rapporti che il Vera vede tra la dialettica di Hegel e quella di Platone; e
tocchiamo brevissimamente del suo modo d' intendere la prima nell'Introduction
e nelle opere posteriori. Qui è il centro del suo hegelismo. In tutti i
suoi seritti, se si paragonano a quell'articolo del 48, che abbiamo altra volta
analizzato, non c'è pro-gresso, ma sempre un medesimo concetto che torna su se
stesso, si rafferma sempre maggiormente e si ribadisce. Li egli saltò il
fosso, sembratogli già abisso invalicabile,affermando, come vedemmo, la
posizione, innanzi al pensiero, non dei contrari singolarmente presi in
astratto, ma della loro unità. Nella Introduction dice che, se i membri della
contraddizione presi separatamente sono incompleti e falsi, si contraddicono in
quanto sono in rapporto tra loro mediante un terzo termine, che « non è nessuno
di essi presi sia separatamente sia congiunta-mente, ma è tutto insieme se
stesso e i due termini che esso involgen 1, sicché « l'essere e il non-essere
si trovano identici nel divenire n. Posti cosi l'essere e il non-essere, e in
generale tesi e antitesi, non come momenti, ma come elementi della sintesi, ci
può essere quel movimento soggettivo, che già illustrammo: ma oggettivamente c'
è la sintesi, stabile e fissa, identica a se stessa. Dei tre termini, idea
logica, natura e spirito, la realtà appartiene al terzo termine, che contiene
nel suo seno fin dal principio gli altri due: e dentro lo spirito ogni triade
non avendo mai una tesi, da cui sia da sviluppare un'anti-tesi, è come un fiume
dipinto, la cui acqua non scorre. Tutto il congegno del movimento è
arrestato da un pensiero intuitivo che impietra l'oggetto suo. Quasi
tutti gli hegeliani s'erano travagliati e si travagliavano nell'intelligenza
del dialettismo dell'idea hegeliana. Vedremo quali sforzi costasse questo punto
a Bertrando Spaventa. A V., quand'ebbe pensato che essere e non essere fanno
uno nel divenire, il passaggio dall'uno all'altro apparve cosi ovvio, così
semplice, che nulla più (infatti era un passaggio che non passava!). A
proposito delle critiche del Janet: « Il fant voir », diceva tutto
meravigliato, «dans quel dédale inestricable de rai-sonnements M. Janet
s'engage à cet égard, sans se rendre compte ni du point de départ ni du point
d'arrivée».era dimenticato, a quel che pare, del suo labirinto del 1845).
L'essere, che è il termine più astratto, da cui il pensiero possa muovere, non
è se non l'essere: e tutto ciò che si può dire di esso è, che esso è. E anche
dicendo questo, non si rappresenta il suo concetto secondo verità; perché
il pronome e la terza persona vi aggiungono elementi e gli danno una forma che
gli sono estranei, e appartengono a determinazioni ulteriori dell'idea. Peggio
poi se vi s' introduce il concetto del vuoto, come ha fatto l'Erdmann, o pure
il pensiero, come ha fatto Kuno Fischera. Qui noi siamo nella sfera della
scienza, e l'essere è colto dal pensiero tal quale è nel suo concetto.
L'essere è nel pensiero, è l'essere pensato, ma il pensiero, per coglierlo nel
suo vero concetto, deve pensarlo qui come essere e non come pensiero, perché,
pensandolo come essere pensato, vi aggiunge un elemento o una proprietà, che
esso, in quanto essere, non ha. Con quest'aggiunta si facilita la
dimostrazione, ma non si ha più la vera dimostrazione. L'essere non è altro che
l'es-sere, l'essere assolutamente indeterminato, e però non si può dire neanche
che esso è, e per ciò stesso non è, o è il non-essere. Ora l'essere che non è,
o che è il non- essere, è anche il non-essere che è, ossia è il
divenire. * E la dimostrazione più semplice, più diretta e più vera del
passaggio dall'essere al non essere nella loro unità, il divenire »3.
Dimostrazione, la cui ingenuità salta agli (Si —occhi; perché mentre si dice
che all'essere non si deve aggiungere il pensiero, si fa divenire l'essere
mettendoci dentro questo pensiero: che non si possa né anche dire che esso sia,
- Nella introduzione alla Logica * (1859) aveva detto: « L'essere puro è
l'essere, ma l'essere che non è se non l'essere, e che, per questo fatto che
non è se non l'essere, richiama il non-essere, o il non-essere dell'essere, o,
se si vuole, ciò che l'essere non e.... In altri termini, i due concetti di
essere e non-essere sono inse-parabili: dato l'uno, è dato anche l'altro, e
quel che è uno, è l'altro. Formano, per conseguenza, un solo e stesso concetto,
e questo concetto è il divenire ». Dove di chiaro non c'è se non l'unità del
divenire; ma quell'essere che si tira dietro il non-essere, anch'esso, come
l'altro di prima, non può farlo se non aiutato dal pensiero, che lo mette in
rapporto con quel che esso non è. - In una nota al § 87 della Logica in altra
forma ripete lo stesso. « L'essere che non è se non l'essere, è l'essere
assolutamente indeterminato, e per quanto è permesso di far intervenire qui la
possibilità e la cosa, si potrebbe dire che esso è la possibilità assoluta di
tutte le cose, ma che non è nessuna cosa, non è niente; e che quindi è il
niente, il non-essere », Se non che qui ha un vago sentore di certe difficoltà;
ma non le affisa di fronte, e se ne lascia sfuggire tutto il valore. In primo
luogo egli si obbietta: Altro è dire che l'essere non è niente, altro dire che
è il niente. Cioè la prima volta si nega dell'essere ogni determinazione;
la seconda lo stesso essere indeterminato. Ma il Vera non intende la cosa con tutto
questo rigore, perché risponde che « qui si tratta del niente assolutamente
astratto, o, se si vuole, del niente assoluto; di guisa che dire l'es-sere non
è niente, torna lo stesso che dire: l'essere è niente o il niente. Il che non è
vero, evidentemente. L'assolu- tamente astratto, il niente, di cui si
parla qui, è il non - determinato, non già il non-indetermi-nato!. - In
secondo luogo: questo niente, questa negazione prima e assolutamente astratta
non Viene qui ad aggiungersi all'essere, dal di fuori? - E anche
qui una risposta insufficiente: « Il niente non è se non il niente dell'essere:
il non essere. E l'essere che si nega egli stesso ». La risposta può
avere un significato solo a un patto: che s'intenda il non-essere come
non-essere dell'essere, in quanto il concetto dell'essere non può prescindere
(come fu detto nell' Introduction) dal concetto del non- essere; e che
cioè il divenire è prima dell'essere e del non-essere. L'essere, insisteva
contro il Trendelen-burg, passa nel non-essere perché non è altro che essere,
per la sua assoluta indeterminatezza e astrattezza: e nella massima astrattezza
dell'essere e della sua negazione sta la difficoltà del passaggio. « Via via
che si procede nell'evoluzione dell'idea, si coglie più facilmente il passaggio
reciproco dei termini, perché si hanno termini più concreti, come lo stesso e
l'altro, l'uno e il più, la causa e l'effetto, ecc., tra i quali si trova più
facilmente un rapporto, laddove al principio non si ha se non l'essere ».
Questa è certamente la via da battere per afferrare il senso segreto della
dialettica hegeliana: la quale, ormai è chiaro, malgrado le proteste dei
semplicisti alla maniera del Vera 3, non pervenne in Hegel alla chiaracoscienza
della propria natura, come è dimostrato dal ginepraio, in cui si son trovati
involti i suoi seguaci. Ma quella è una via che non spunta, o meglio riconduce
alla vecchia filosofia da cui si crede di allontanarsi, se non si bada bene a
considerare che non è via già bella e fatta innanzi al pensiero, e che al
pensiero non resti se non di percorrere, ma è la via del pensiero, la via che
esso si apre e che prolunga in eterno. Essere e non-essere sono identici (e
differenti) nel divenire; ma il divenire non è niente più dell'essere che si
pretende di superare, se esso stesso rimane di fronte al pensiero, e non è
appunto esso il pensiero che ha negato l'essere. Perché il divenire non ha da
essere giustapposizione de due momenti, ma compenetrazione e unità intima: la
quale non è cosa, ma atto: non è termine di pensiero, ma pensiero; non è punto
a cui il pensiero pervenga e da cui poi debba muovere, ma lo stesso movimento
del pensiero; non è limite, ma posizione di limite, e opera dell' illimitato.
Se il divenire si vuol concepire come l'organismo, di cui essere e non-es-sere
siano le membra indivisibili, ebbene, si badi che l'organismo non è il corpo
che la vita debba investire o con cui debba accoppiarsi: l'organismo in tale
astrattezza esanime non vale né più né meno di un membro avulso dal resto: è la
morte. L'organismo è organizzazione continua e attualità, è anima, che crea gli
organi. E così il divenire, se dev'essere la risoluzione vera degli opposti,
dev'essere pure l'energia creatrice di essi: cioè, come di- cevo, il
pensiero.Non basta perciò dire rapporto, anteriore ai termini: bisogna
concepire questo rapporto come rapporto vivo. E dalla logica movendo,
come fa il Vera, per la natura allo spirito, non basta dire, com'egli dice,
coerentemente alla sua intuizione del mondo hegeliano che a c'est l'esprit
lui-même, ou l'idée en tant qu'esprit, qui pose la logique et la nature»t; e
che «la pensée (= l'esprit) est l' idée active et creatrice»; e che questa
attività non è l'activité qui crée accidentellement, ni l'activité qui crée
hors d'elle-même un monde antre qu'elle-même, mais L'activité qui crée au
dedans d'elle-même, qui crée un monde qui n'est pas autre qu'elle-même, mais
l'autre d'elle-même, si l'on peut ainsi s'exprimer, et qui crée pour être
elle-même, c'est-á-dire pour être dans la plénitude de sa nature et de sa
réalité»: bisogna che questo non sia soltanto il pensiero in sé, il pensiero
che pensa se stesso, di cui parla Aristotele, il pensiero divino: ma appunto il
nostro stesso pensiero, tanto più divino quanto più nostro, colto nella realtà
massima della nostra intima soggettività e indivi-dualità, dove più vibra
l'attualità del mondo. E perché questo pensiero sia davvero il pensiero vivo,
esso appunto bisogna che divenga, e si muova, e viva insomma, e vibri, e in
esso vibri il mondo: e che non rappresenti il termine fisso d'ogni desio, la
morta gora ove precipiti ogni acqua corrente dell'universo. Che se col Vera si
dice "tout devient hormis la pensée, et tout devient parce qu' il
n'est pas la pensée, et pour devenir pensée, el exister en tant que pensée»3,
questo pensiero diventa qualche cosa di trascendente il pensiero storico e il
mondo, e però assolutamente trascendente; e quindi il suo stesso processo
ideale (posizione e negazione del logo e della naturaper la posizione di se
medesimo) diventa tutto un processo trascendente, come la processione dello
spirito nella teologia cristiana; e tutto l' immanentismo di Hegel sfuma, e la
sua dialettica s'irrigidisce nel mondo ideale, di là da ogni reale accadimento,
e concepito ancora una volta, alla maniera del vecchio Platone, come natura
(ancorché ideale) e non più come spirito. Il Vera vi dirà in tanti modi
diversi, perché messo sull'avviso da tante esigenze interne dell' hegelismo,
che «ce qui devient n'est pas étranger à la pensée» e che « il faut même dire
que c'est la pensée qui pose son devenir, et que, s' il devient, c'est
précisément que la pensée est en lui». Ma distinguerà allora tra pensiero in
potenza e pensiero in attor e il pensiero immanente nel mondo lo portà come
pensiero virtuale («sculement la pensée n'est en lui que virtuellements).
Tal quale è concepito il pensiero da Aristotele. « Tout se ment en vue de la
pensée, et tout est má par la pensée». Il pensiero è il motore immoto. Perché
il pensiero « atto assoluto» è unità d'intelligenza e intelligibile, come
totalità dell'idea una e sistematica. Due, dunque, i difetti
capitalissimi di questa dialet-tica, a cui si solleva V.: 1) che il pensiero, e
nel pensiero tutto il processo del reale nelle sue forme ideali o intelligibili
che aristotelicamente il Vera è costretto a inchiudere nel pensiero stesso, è
un pensiero trascendente, il cui processo pertanto è egualmente
trascendente; 2) che, come trascendente, cotesto processo è un processo
ideale senza essere un processo reale; non è un vero processo. Due difetti che
sono un solo: la negazione pura e semplice della dialettica hegeliana, sfuggita
dal mondo, di sopra alla testa del filosofo.38. - Situazione disperante per una
filosofia che avesse mirato alla comprensione della realtà determinata,
attuale, storica, del sistema, insomma, in cui è il soggetto artefice della
filosofia, anzi dello stesso mondo nel sistema di esso soggetto; ma il più
comodo dei piani inclinati in cui potesse scivolare un temperamento mistico,
portato perciò stesso alla negazione di ogni determinatezza e della propria
concreta individualità. E allora s' intende da una parte il vuoto di tutte le
discussioni di Augusto Vera intorno ai problemi storici e concreti:
esempi solenni le sue lezioni di filosofia della storia, uno dei libri più
flosci e vacui, che si siano mai pubblicati, pur essendovi gettati dentro, come
in un sacco, taluni dei più forti pensieri che siano stati mai pensati, ma
tolti dal sistema e dall'anima che li regge nella mente poderosa di Hegel;
nonché quella lunga filatessa che reca il titolo di Cavour e libera Chiesa in
libero Stato, con annessa prefazione, apparsa la prima volta nella traduzione
francese, la più strana discussione che si possa immagi-nare: rivolta a
combattere il pensiero d'un uomo e un uomo e un sistema e tutta la storia d'un
popolo, il tutto speculato dentro una formola (libera Chiesa ecc.), quando il
più elementare buon senso richiedeva che si cercasse com'era nata
quella formula, nel pensiero dell'uomo, nelle circostanze e dottrine che
all'uomo l'avevan sug-gerita, e quali problemi, dentro quali limiti, essa
mirava a risolvere, e insomma quale ne era il proprio e genuino e determinato
significato. Perché egli è chiaro che l'intelligenza del Vera era la più
antistorica e antibegeliana che ci potesse essere. E s'intende d'altra parte il
segreto motivo della preminente importanza da lui attribuita alla questione
religiosa e quel suo perpetuo bisogno di rifarsi da essa, quantunque la
filosofia che aveva alle mani non gli desse modo di ottenerne una soluzione per
lui molto soddisfacente.Egli è che al Vera, come a tutti i mistici, il mondo
restava scisso in due mondi: uno dei quali non era il suo, e (ahimé!) era
tutto. In fondo alla lunga introduzione premessa al primo volume della Filosofia
della religione, dopo centocinquanta pagine di schiarimenti, sentiva che gli si
sarebbe potuto opporre: - Voi dite che il pensiero è l'assoluto, e che come
tale è il principio supremo e ge-neratore delle cose. Sicché, tutte le cose
saranno pensieri. Intanto, riconoscete anche voi che c'è qualche altra
cosa oltre i pensieri, poiché parlate di rappresentazione, fenomeno, natura e
spirito finito. Questa qualche altra cosa, avrà essa un altro principio? E com'
è che l'asso-luto non basta a se stesso? E come conciliate l'idea o il pensiero
con la storia? « La storia è moto, sviluppo, trasformazione, laddove l'idea, il
pensiero, l'assoluto è l'assoluto precisamente perché esclude ogni
trasformazione ogni cangiamento, ogni divenire. Infine voi dite che l'idea è
insieme forma e contenuto. E sta bene. Ma l'idea sarà sempre un contenuto
ideale, laddove il contenuto che la storia sviluppa e aggiunge incessantemente
a se stessa è un contenuto sensibile, fenomenico, reale. Cosi ci sono due
mondi....». Obbiezioni che colpivano in pieno petto. Ebbene, risponde il
Vera, noi in parte abbiamo risposto a queste obbiezioni; ma le
ripiglieremo e le esamineremo nei volumi seguenti, che trattano più
specialmente delle questioni a cui queste obbiezioni si riferiscono, e che si
possono in generale designare come il problema storico. - Ma nel secondo volume
il problema è appena accennato; gli altri volumi non vennero più; e li dove il
problema è accennato, la soluzione non è una soluzione, e lascia intatto il
problema. Nous disons que si l'absolu est le devenir, il n'y a ni
histoire ni absolu, si l'histoire n'est pas un moment de l'absolu
lui-même. Par consequent notre thèse est que l'histoire est un moment de
l'absolu, mais qu'elle n'est qu'un moment, et qu'ainsi pendant que d'un côté,
l'absolu crée et engendre l'histoire, et qu'il est lui-même dans la création et
l'histoire, il s'élève, de l'autre, au-dessus de l'histoire, la nie, il est la
negativité absolue...... Dove l'unico senso possibile è quello
aristotelico già indicato, che è in realtà la negazione della storia: per cui
cioe l'atto assoluto del pensiero è di là dalla storia. E però ogni volta
che risorgeva questo problema storico, che il Vera pur sapeva essere il segreto
dell' hegelismo, era un tormento pel suo povero cervello, rimasto in pre-senza
di quel Dio pronto, peggio che Saturno, a divo-rate le sue creature. Suo
vero problema non era quello storico, bensi il religioso. Il suo hegelismo era
cominciato, come s'e visto, con uno studio sulla Filosofia della religione di
Hegel, quando non gli pareva possibile concepire altri-menti lo Stato che
subordinato al divino della religione professata nella Chiesa 3, E quando con
la Filosofia dello spirito ebbe condotta a termine la versione dell'
Enci-clopedia, le ultime pagine di questa Filosofia lo ricon-dussero a meditare
il problema religioso secondo la filo-sofia hegeliana. E allora scrisse il
Cavour, lo Strauss, e la prefazione all'edizione francese del Cavour; e si
accinse a lavorare attorno alla Filosofia della religione di Hegel, che,
pubblicandone il primo volume, annunziava di voler accompagnare de plusieures
introductions. Poiché qui si imbatteva in un arduo pro-blema: in cui egli disse
di veder chiaro, ma di cui parlò tanto da dimostrare che non ci vedeva poi tutta
quellachiarezza che diceva: il problema dei rapporti tra religione e filosofia:
«un des problèmes les plus difficiles », come protesto una volta con tutta
franchezza, « peut-être même le problème le plus difficile que l'intelligence
trouve devant elle, ou, pour mieux dire, en elle-même et dans les profondeurs
de sa nature ». La soluzione hegeliana, infatti, si presenta tutt'altro
che facile. Dire che la religione e la filosofia hanno lo stesso contenuto
(conoscenza dell'assoluto) ma in una forma diversa (conoscendo l'una per
rappresentazioni, miti, simboli, e l'altra per concetti) è porre anzi che
risolvere un problema per una filosofia che non concepisce forma separabile dal
contenuto, e non può porre perciò un contenuto in due forme. Questo bensi non è
un problema speciale in seno allo hegelismo: ma sempre quello stesso problema
che s'incontra già sulla soglia, dell'unità di identità e differenza implicita
nel concetto del dive-nire. La forma della religione hegeliana non è una veste
soggettiva, onde nell'anima degl' ignoranti si rivesta Iddio: è una forma dello
stesso Dio. Il Dio dello spirito assoluto, che è religione, diviene il Dio
dello spirito assoluto che è filosofia. Il rapporto tra religione e filosofia è
il rapporto tra questi due momenti di Dio o dello spirito assoluto. Come si
passa da un momento all'altro ? O, in generale, come si passa? Ecco il
problema. E il povero Vera che non era venuto a capo di questo pro-blema, se lo
ritrovava avanti in fondo all'Enciclopedia; e per pronto che fosse a
sobbarcarsi a svelare altrui l'enigma, badava a ripetere: « Sans donte,
déterminer, saisir l'idée de la religion, et la saisir à la fois en elle-même,
et dans son rapport avec l'idée de la philosophie, c'est le problème le plus
ardu peut-être qui s'ofre à notre intelligence». E dopo le molte pagine spese
attorno a questa difficoltà nel primo volume della Filosofia della religione,
passandosi una mano sul petto, confessava:C'est celle difficulté que je me suis
appliqué à lever.... L'ai-je complètement levée? Eh non! je le sais». Gli
si affacciava alla mente, a confortarlo, quella bella e comoda idea che non si
può ai non-hegeliani togliere le difficoltà di Hegel. E accennava anche ciò; ma
soggiungeva subito con una osservazione che è una rivelazione intima: « On peut
même dire qu'il est impossible de la lever [cette diffi-culté] complètement
dans un livre. Un livre est toujours une ouvre imparfaite. C'est plus ou moins
la lettre, ce n'est pas l'esprit. Un livre a toujours besoin d'être complété et
vivifié.... 1. Osservazione, che è forse anche una reminiscenza dell'immortale
discorso di Socrate nel Fedros ma è pure la sincera confessione del personal
sentimento dello autore analogo a quello del poeta: Ahi, fu una nota del
poema eterno Quel ch'io sentiva, e picciol verso or e: quel
sentimento appunto del mistico che non vede proporzione tra il picciol verso e
il poema eterno, e questo gli suona dentro come ineffabile; e se gli apparisce
sotto forma di problema, è un problema senza soluzione. Se la filosofia,
infatti, è pensiero assoluto, se questo è di là dal divenire, qual uomo mortale
che ad ora ad ora viene imparando a meglio pensare avrà la tracotanza di
pre-tendersi in possesso di quel sistema dentro il quale sarebbe la soluzione?
Ora è chiaro che in questa situazione di spirito la filosofia, in quanto
filosofia negativa o dimostrazione dell'impossibilità di raggiungere l'assoluta
cono-scenza, non può menare ad altra soluzione del problema religioso che a
quella direttamente opposta professata da Hegel. Di tale soluzione, non occorre
dirlo, il Vera non farà mai esplicita asserzione, non essendo tale il suo
atteggiamento mentale verso la dottrina di Hegelda permettergli di questi
aperti dissensi; ma non perciò essa sarà meno la base di tutti i suoi ragionamenti
intorno alla questione religiosa, e il centro della sua vita spirituale.
Particolarmente significativa in questo proposito l'ultima lettera da lui
scritta al suo diletto Mariano, prima di morire: Se al vostro ritorno
[gli scriveva] la Parca fatale avrà troncato il filo della mia vita, io me ne
sarò andato col dolce pensiero che la mia immagine, e piú della mia immagine,
il mio insegnamento mai non si cancellerà dalla vostra memoria. Perché credo
che il mio insegnamento sia la vera e genuina esposizione della dottrina
hegeliana. E la filosofia hegeliana è la sola e vera filosofia; e lo è
anzitutto, perché è essenzialmente reli-giosa, e religiosa nel senso profondo
della dottrina cristiana. Ed è questo tratto saliente che la distingue da
tutte le altre filosofie, che a lei mi attiro sin dai primi passi della mia
carriera filosofica, come ne fa fede uno scritto pubblicato, se ben
ricordo, nella Liberté de penser. Ed
anche il Cavour non ha altra origine. Perché io sono, e sono sempre stato, e
per indole e per riflessione, un uomo religioso. E la religione io ho sempre
considerata come uno dei più alti privilegi della natura nostra. Senza di essa
l'uomo è un essere degradato e miserabile. E la dottrina hegeliana insegna ad
amare ed adorare Iddio col cuore e con la mente, due cose che in una anima bene
equilibrata non si esclu-dono, anzi si compiono a vicenda. E da questa via,
caro Mariano, non vi scostate. Solo in essa troverete e conforto e la forza per
traversare questa vita si ripiena di disinganni e di amarezze. Perché
Iddio é il sommo e il solo bene, onde, vivendo col cuore e con la mente e con
tutto l'esser nostro con lui e in lui, diventiamo partecipi delle sue eterne ed
immortali perfezioni 3. Ora la filosofia hegeliana è sì una filosofia essenzialmente
religiosa, ma appunto in quanto risolve in sé la religione, ed è religione: si
concepisce come la rivela-zione, anzi realizzazione di Dio; e nella unità sua
di sapere e saputo, concepisce tutto il suo mondo, in tutti isuoi gradi, come
rivelazione o realizzazione di Dio: onde, mediando Dio, supera l'immediatezza
propria della religione come tale (insufficiente coscienza che lo spirito,
secondo la dottrina hegeliana, avrebbe della propria natura, e però del reale
assoluto), e non lascia posto per lei, in quanto religione pura (in quanto non
fi-losofia) in nessuna parte del suo mondo. Il mondo hegeliano, d'altra parte,
non è soltanto il mondo della filosofia, in cui tutti i gradi anteriori siano
già risoluti. Una tale filosofia sarebbe astratta e trascendente. La sua
concretezza importa, quel che il Vera non poté vedere, il suo eterno divenire,
ossia l'eterno risolversi degli altri gradi in questo grado supremo del
processo dialettico della realtà. Di guisa che la filosofia hegeliana è portata
a concepire tutto ciò che non è filosofia e la stessa religione come momento
necessario di se medesima: e in questo senso, a concepire razionale tutto il
reale. La religione come tale è conservata dallo hegelismo, ma dichiarata
momento della filosofia, e quindi subordinata, nella filo-sofia, a questa. Sit
viva, dum non sit diva. Pertanto il filosofo hegeliano: 1) ha la sua religione
nella sua filosofia; 2) riconosce che ognuno, di qua dallo hegelismo, ha
la propria religione nella sua filosofia, o la filosofia nella propria
religione. Le questioni adunque in cui si travagliò il Vera, se nella
vita delle nazioni ci sia nulla che possa sostituire la religione (ed egli era
d'avviso che non ci fosse nulla, né la scienza, né la filosofia) *: se la
Chiesa debba essere subordinata allo Stato, o lo Stato alla Chiesa, o se
debbano separarsi (ed egli inclinava alla seconda ipotesi, benché non sapesse
poi concepire il come della subordi-nazione, né determinare la Chiesa a cui lo
Stato si sarebbedovuto subordinare) *; queste e simili questioni sono questioni
suscettibili, nello hegelismo, di una sola solu-zione, che è quella derivante
dal concetto filosofico hegeliano della manifestazione mediata di Dio in tutto
il reale e in sommo grado nella filosofia; ma anche di infinite soluzioni per
tutti coloro, che non essendo hegeliani aspirano soltanto, secondo l'hegelismo,
a esser tali, quantunque non lo sappiano. Ma è pur chiaro che se la verità
dell' hegelismo deve valere per lui come la sola verità, egli non potrà non
combattere le soluzioni diverse dalla sua, ossia tutte le altre filosofie in
quanto vogliano passare per filosofia, e dominare. Il filosofo hegeliano non
solo rispetterà tutte le credenze religiose, ma avrà interesse ad alimentarle
come quel terreno da cui soltanto essa potrà germogliare; così come entra negli
interessi dello spirito, secondo la sua filosofia, la cura della salute
fisica. Le soluzioni del Vera erano invece non per il dominio od
autonomia della filosofia e di tutte le forme spirituali che entrano nel mondo
della filosofia, ma per la soggezione di tutto alla religione: come di chi non
ha la propria religione nella filosofia, ma la propria filosofia nella
religione. Egli, insomma, per usare il linguaggio hegeliano, non si sollevò mai
veramente dalla sfera della rappresentazione a quella del concetto nello
spirito assoluto. 4I. - Non si poteva sollevare, pel suo radicale
misti- cismo. Al quale non mi pare contrasti la tesi presa a sostenere
nella Introduction contro l'immortalità dell'anima: onde la sua autorità
d'interprete consumato dello hege-lismo era opposta poi alla Florenzi
Waddington, solatra gli hegeliani d'Italia a propugnare il concetto
dell'immortalità dell'anima. Giacché non è vero quello che Kant e tutti i
filosofi della religione naturale sosten-gono, che la credenza nella
immortalità sia un principio essenziale dello spirito religioso. Che anzi la
più profonda radice della religione, nel senso più stretto del misticismo, è
riposta nel senso della vanità e nullità dell'individuo, nella nichiltade
cantata così fervidamente da Jacopone, nell'aspirazione al nirvana bud-distico,
nell'affermazione della divinità sola; e non si capisce l'anima immortale se
non si concepisce la sostanzialità assoluta dell'io individuale, senza
riconoscere l'infinito nello stesso finito e insomma superare, come fa il
cristianesimo, l'astrattezza della religione imme-diata. Che anzi nella
incertezza del Vera nella Intro-duction circa l'interpretazione di questo punto
di dottrina in conseguenza dei principii hegeliani=, la sua pro-pensione verso
la tesi negativa non credo si possa altrimenti spiegare che con la sua tendenza
generale a negare il finito nell'infinito, e il pensiero dell'uomo e lo spirito
individuale nel divino. Alla stessa tendenza riporterei anche l'interesse
da lui posto nella questione dell'abolizione della pena di morte, che a lui non
si presentava tanto, come ad Hegel, come una conseguenza ferrea della
dialettica della legge, che non si può volere disvolendola, e da accettare
virilmente come il taglio del chirurgo che arreca la vita, quanto una delle
parti più belle e più sante della filosofia della morte: poiché gli piacque
considerarla più come un diritto dello Stato sull'individuo colpevole che come
un logico momento del diritto, in cui si realizza la vita dello Stato insieme e
dello stesso individuo, che ne è parte. E però ricondusse la legittimità della
pena di morte a una questione più generale: della razionalità della morte
inflitta dallo Stato; passando quindi a quella del diritto che lo Stato ha di far
guerra. E scioglieva appassionati inni alla guerra, che fa sentire ai popoli
quel che valgono e quel che possono operare, dà loro la coscienza dei propri
diritti, sveglia tutte le energie dello spirito, è stromento di civiltà e di
progresso: alla guerra, dove l'uomo non muore per sé, ma per la patria e per
l'umanità, e la morte adempie a un più alto ufficio e raggiunge più alti fini
della semplice morte naturale: poiché in essaL'individuo si sacrifica non ai
fini naturali della specie, sì a quelli morali della civiltà. E in generale,
sempre, « la morte è un bene, ora per l'individuo, ora per l'uma-nità; per
l'individuo anche se tutto egli perisce con la morte: perché se la morte lo
colpisce nella vecchiaia, lo colpisce quando la sua vita non ha più pregio né
per lui né per gli altri; e se lo coglie nel vigor degli anni, essa lo eleva
nello stesso istante al più alto grado della libertà e dell'amore. Ma sopra
tutto per l'umanità la morte è un bene, sempre un bene. Infatti, la gioventù,
la bellezza, la potenza, l'espansione dello Spirito suppongono la morte:
dell'individuo, come dei popoli: giacché lo Spirito non si conserva, non si
rafforza, non cresce che per la morte. L'individuo, per potenti che siano le
sue facoltà, è uno spirito limitato pel solo fatto che vive in organi limitati;
ond'è che, dopo aver con-tribuito, per la sua parte, allo svolgimento e alla
vita dello Spirito, non pure ei diviene un ostacolo a nuovi svolgimenti, ma
s'abbandona egli stesso, se può dirsi cosi: ciò che v' ha di profondo e di
eterno nel suo pensiero gli sfugge, e cade come colpito d'atonia e
d'impotenza. E quel che è vero per l'individuo, è vero altresi per i
popoli. Cosi la Grecia e Roma, dopo aver elevato il mondo antico alla più alta
civiltà, diventano un ostacolo alla civiltà nuova. - Bisogna dunque che la
morte, affrancando lo Spirito dai lacci della Natura, gli permetta di vivere
una vita sempre giovane e sempre nuova, e d'in-nestare sull'antico lo spirito
nuovo. Cosi si spiega perché l'individuo cresce dopo la morte nella coscienza
dell'u-manità, e perché la morte è considerata come la consacrazione dell'amore
e il segno della riconciliazione dello spirito. E infatti come la pace, che
viene dopo la guerra e la termina, la pace che è il risultato dell'esercizio di
tutte le potenze della vita, val meglio, checché se ne dica, di quella pace
artificiale che snerva e ammollisce il corpoe l'anima; così la morte, liberando
lo spirito dalle sue pastoie, fa brillare la verità eterna di cui egli era
l'organo d'un più vivo splendore, la rende più visibile agli altri spiriti, la
propaga e la fortifica con la loro adesione e trionfa così della natura »
1. Quest'argomento faceva il Vera eloquente, come corda che risuonava dal
profondo del suo animo. E altrove, cantando l'amore, a mo' di Platone, come
l'aspirazione allo Assoluto o filosofia, si riscaldava all' ispirazione
leo-pardiana di Amore e morte, facendo della morte « il segno, la consacrazione
e il trionfo dell'amore.:. E nella morte inflitta dallo Stato, vindice
dell'eterna giustizia dello Spirito, egli vedeva pertanto l'olocausto
dell'individuo sull'altare dello Spirito: poiché nell'individuo vedeva, come
testé ci ha detto, l'organo dello Spirito, ma non lo Spirito stesso, che come
tale non è individualità finita. 43. - Non era questa l'interpretazione
della filosofia hegeliana, che potesse concorrere al progresso del pensiero
speculativo. Ma è indubitabile che essa pure traeva alimento da uno di
quei forti amori dell'eterno e del divino, senza i quali lo spirito umano non sarebbe
a volta a volta distratto dagl' interessi mondani e spinto alla ricerca
filosofica. E per questo verso il Vera fu uno degli scrittori più vigorosi, più
sinceri, più alacri che ci siano stati in Italia negli ultimi tempi; e non
possiamo passare innanzi a lui senza inchinarci. Il suo fu un vano sforzo
di impadronirsi di quell'ideale di sistema, unità di religione e di filosofia,
che Hegel gli fece balenare alla mente: vano sopra tutto per mancato
orientamento nella storia della filosofia, dacui l' hegelismo aveva con stretta
possente voluto spremere il succo vitale. Perciò una costante meditazione di
trent'anni non valse a fargli superare definitivamente il punto di vista, da
cui nelle sue tesi di dottorato aveva
cominciato a combattere Hegel. Nell'ultimo suo scritto Dio secondo Platone,
Aristotele ed Hegel sentiva egli stesso di « tornare ai primi e quindi vecchi
amori, poiché l'argomento» che vi esaminava « non differisce in fondo da quello
trattato nell'opuscolo Platonis, Aristotelis el Hegeli de medio termino
doctrina», e prendeva di nuovo a studiarlo e svolgendo ed allargando la prima
tratta-zione, chiarendone e correggendone alcuni punti, e in tal senso
compiendola». Ma le correzioni non toccavano, in verità, la sostanza delle sue
giovanili speculazioni. Poiché egli ancora, come nel 1845, toglieva a
difendere la tesi che la filosofia muove da una fede; dalla fede
dell'intelligenza in se stessa; dalla fede nella conoscenza; nella conoscenza
della verità; cioè dell'Assoluto o di Dio: dalla fede dell' Efesio: ady pi huntoy auniatow oin EfEupnGEL, aveEepeivntoy Eoy xoi
aopov. E se ora bensi diceva, che questa fede è l'alfa della scienza e la
sola possibilità di essa, la scienza, pur troppo, non seguiva. Lo
scritto, condotto innanzi fino al punto in cui ancora una volta il filosofo
stanco si ritrovava innanzi al problema della differenza tra religione e
filosofia, si arre- stava, troncato dalla morte.Augusto Vera. Vera.
Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Vera” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Vercellone: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale del bello e l’estetico –
filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Torino). Essentail Italian philosopher. Filosofo italiano. La
sua filosofia si svolge inizialmente intorno all’ermeneutica e il concetto di
‘classico’ – as in English ‘classy’, in Loeb’s classy library --. Anche il
nichilismo: la sua “Introduzione al nichilismo” edito da Laterza. Continuando a muoversi intorno al rapporto tra
estetica ed ermeneutica, il suo percorso filosofico verte in seguito su ambiti
decisivi: il rapporto tra temporalità
storica e coscienza estetica, la dispersione dell'estetico; il problema del
‘pulcer’ (‘il bello’) (“Oltre il bello” – Castiglioncello, Bologna, Il Mulino);
e il concetto di ‘immagine’. Soprattutto quest'ultima linea occupa le sue
ricerche orientate sull'idea di un radicamento estetico. Insengna a Torino. Direttore
del centro inter-universitario inter-dipartimentale di ricerca sulla morfologia
dell’Udine. Presidente dell’Associazione italiana degli studiosi d’stetica. Vice-Presidente
della Società italiana d’estetica. Collabora con La Stampa. Altre saggi: “Identità
dell' ‘antico’ – (drawing from the antique”) – il concetto di ‘classico’” (Torino, Rosenberg e Sellier);
“Apparenza e interpretazione” (Milano, Guerini e Associati); “Pervasività dell’arte: ermeneutica ed estetizzazione”
del mondo della vita” (Milano, Guerini); “Nature del tempo. Novalis e la forma
poetica del romanticismo tedesco” (Milano, Guerini); “Estetica”, Bologna, Il
Mulino); “Storia dell’estetica” (Bologna, Il Mulino); “Morfologie del moderno”
(Genova, Il Melangolo); “Lineamenti di storia dell’estetica. La filosofia dell’arte”
(Bologna, Il Mulino); “Pensare per immagini: tra scienza e arte” (Milano,
Mondadori); “Le ragioni della forma” (Milano-Udine, Mimesis); “Dopo la morte
dell'arte” (Bologna, Il Mulino); “Il futuro dell'immagine” (Bologna, Il
Mulino); “Simboli della fine” (Bologna,
Mulino); “Morte dell'arte e rinascita dell'immagine: saggi in onore di V.” (Roma,
Aracne); Perniola, “Estetica italiana” (Bompiani; D’Angelo); “L’estetica
italiana” (Laterza); Franzini, Immagini del moderno, in Bertinetto, Garelli,
Morte dell'arte e rinascita dell'immagine. Saggi in suo onore, Roma, Aracne. Vattimo, L'arte è morta, anzi no: è
"dopo", Repubblica, Bertinetto, Garelli, Morte dell'arte e rinascita
dell'immagine. Saggi in onore di V. Belpoliti, “Tra bello e brutto non c'è più
differenza” La Stampa, Bodei, “Là dove rinasce il bello” Il Sole 24 Ore, Bodei,
Salto nel vuoto dell'immagine, Il Sole 24 Ore, Mattazzi, Aprire lo sguardo.
Stili della visione in grado di agire sul reale, Il Manifesto; Vallora, Nelle
torri di Kiefer per trovare un senso in mezzo alle rovine, La Stampa, Università
degli Studi di Torino. La filologia, il tragico, lo spazio
letterario. Per una rilettura del giovane Nietzsche, in «Rivista di estetica»,
Oriente e ornamento nell'estetica di Hegel, in «Rivista di Estetica«, L'Oriente
romantico, in «Rivista di estetica», 1Scheda di "The British Journal of
Aesthetics", vol. 21, n.2, primavera 1981, in "Rivista di
Estetica", Scheda di "The British Journal of Aesthetics", vol. 21,
n.3, estate 1981, in "Rivista di Estetica", Scheda di "Revue
d'Esthétique", Musique présente, in "Rivista di Estetica", Scheda
di "The British Journal of Aesthetics", "Rivista di
Estetica", Scheda di "Revista de estética","Rivista di
Estetica", Dal simbolo alla scrittura. Friedrich Creuzer, in «Rivista di
estetica», La riappropriazione del senso e l'opacità della lettera. Modelli
della comprensione storica, in "Rivista di Estetica", Cura
della sezione dedicata a L'Ottocento di AA.VV., Il pensiero ermeneutico, Scheda
di "Revue d'Esthétique", n.8, 4, 1985, in "Rivista di
Estetica", Scheda di "Zeitschrift für Asthetik und allgemeine
Kunstwissenschaft "Rivista di Estetica",Scheda di "Revue
d'Esthétique", n. 12, 1986, in "Rivista di Estetica", Al di là
della lettera. Lo studio dell'antichità nel pensiero di Ast, in M. Ravera,
F. Vercellone, T. Griffero, Estetica ed ermeneutica, Palermo,
Aesthetica. 16) Scheda di "Zeitschrift für Asthetik und allgemeine
Kunstwissenschaft "Rivista di Estetica", Identità
dell'antico . L'idea del classico nella cultura tedesca del primo Ottocento,
Torino, Rosenberg. L'estetica moderna.
Percorsi bibliografici, in S. Givone, Storia dell'estetica, Roma- Bari,
Laterza. Per una storia del circolo ermeneutico in : AA. VV., Ciò che
l'autore non sa, Milano, Guerini. Apparenza e interpretazione, Milano,
Guerini. Con Gianni Carchia, Premessa a Romanticismo e poesia, in
"Rivista di Estetica", Scheda di "The Journal of Aesthetics and
Art Criticism", 'Rivista di Estetica", Sublime
e memoria. A partire dal giovane Nietzsche, in Dicibilità del sublime, a cura
di T. Kemeny e E. Cotta Ramusino, Udine, Campanotto. Pervasività
dell'arte, Milano, Guerini. Aparencia
y desencanto. Nihilismo y hermenéutica en la Frühromantik, in «Revista de
Occidente», Scheda di "The British Journal of Aesthetics", vol. 27,
n. 1,inverno 1987, in "Rivista di Estetica", rasa a della di resenca,
Mila D, a Rimanik a Niezsche, in Teatro Heidegger e Bäumler
interpreti di Nietzsche, in «Immediati dintorni». Introduzione al
nichilismo, Roma-Bari, Laterza. Allegoria
del contesto. Note su ermeneutica e modernità, in Oltre la linea
dell'avanguardia, a cura di E. Calvi, Milano, Guerini. Forma
ed estetismo nella Torino di Gobetti e di Lionello Venturi, in Alberto
Sartoris. Novanta gioielli, a cura di A. Abriani e J. Gubler, Milano, Mazzotta.
L'utopia del visibile. Note sull'ermeneutica dell'immagine a
partire dalla 'Romantik', in «aut aut», Introduzione a W. H. Wackenroder,
Scritti di poesia e di estetica, Torino, Bollati Boringhieri. Anmerkungen
zur Romantik, Hermeneutik, Nihilismus, in H.M.Baumgartner und W. Jacobs (a cura
di) Philosophie der Subjektivität? Zur Bestimmung der neuzeitlichen
Philosophierens, Stuttgart, Fromman-Holzboog. Autocoscienza,
immaginazione e temporalità nelle Fichte-Studien di Novalis, in «Annuario
filosofico», Milano, Mursia. Estetica
ed ermeneutica nella filosofia italiana contemporanea, in AA. VV. L'estetica
italiana del '900, Napoli, Tempi Moderni. Recensione
a G. Moretti, L'estetica di Novalis, Torino, Rosenberg & Sellier, in «Itinerari», n.2. Voci:
«Nichilismo», «Jonas», «Koselleck», «K. Ph.Moritz», «Wackenroder» in
Enciclopedia Garzanti di Filosofia. Classicità fra natura e artificio. Goethe e
Nietzsche, in «Itinerari», 3 (ripubblicato poi in «Paradosso», a cura di S. Givone, Sul pensiero simbolico).
Modernità e progetto; lezione tenuta nell'ambito del corso di
perfezionamento in Progettazione Architettonica della Facoltà di Architettura
di Roma (prof. F.Purini), in «Bolletino della Biblioteca del Dipartimento di
Architettura di analisi della città», La volontà e l'informe. In margine alla
recente riedizione della «Volontà di potenza», in «Iride», anno VII, n.11. Prospettiva
sull'Ofterdingen di Novalis, in «Paradosso», n. 9. Recensione
a E. Calvi, Tempo e progetto, Milano, Guerini, 1991, in «Rivista di estetica»,
La questione della forma parte della voce Estetica, redatta in collaborazione
con M. Ferraris e Sergio Givone, in La filosofia, vol.III, diretta da P. Rossi,
Torino, Utet. Storicità e destino. A proposito del Nietzsche di Heidegger, in
«Iride», La temporalità del poetico in Goethe e Novalis in Atti del Convegno
dell'«Associazione Italiana Studi di Estetica», 1993, Milano, Luni. 17)
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Carchia e M. Ferraris, Milano, Cortina. 48) P. Szondi, Saggio sul
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Nonostante il soggetto, Torino, Rosenberg & Sellier, 1995, su «Iride»,
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modernità, cit. Recensione del vol. di
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Mulino), in «Iride», Note su caos e morfogenesi nel romanticismo tedesco, in Il
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L. Pareyson, comparsa originariamente su «L'Ora», Liberatevi da ogni colpa);
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Givone, Firenze, La Nuova Italia. Einführung
zum Nihilismus, München, Fink (trad. ted. con lievi modifiche del vol. di cui a
29). L'Occidente della verità. Identità e destino della cultura
europea, a cura di C. Ciancio e F. Vercellone, Milano, Guerini. 62) Arte
e bellezza (testo della conferenza tenuta a Jesi, il 20.1.1998, presso il
Palazzo dei Convegni di Jesi nel ciclo L'estetica e i suoi luoghi a cura del
Circolo Culturale Jesino «Massimo Ferretti»), in AA.VV., L'estetica e i suoi
luoghi, Jesi, Arti Grafiche Jesine). 63) Recensione a: Maria Moneti
Codignola, Moralità e soggetto in Hegel, Pisa, ETS, 1996, su «Iride», 25,
dicembre 1998.64) Estetica dell'Ottocento, Bologna, Il Mulino (trad.
portoghese: A estética do século X/X Editorial Estampa, Lisbona, 2000;
trad. spagnola: Estetica del siglo X/X, Madrid, Machados., Corpo,
memoria, storia., in «Iride» nella rubrica «Libri in discussione», a proposito
del volume di D. Dietrich Harth, Das Gedächtnis der Kulturwissenschaften,
Dresden, Dresden Recensione al vol. di N. Humphrey, Una storia della mente,
trad. it. di B. Antonielli, Torino. Instar Libri, 1998 su «Iride», Recensione a
G. Carchia, L'estetica antica, Roma-Bari, Laterza, 1999, su «Iride», Composizione
dell'infinito: Goethe e Novalis, in «Annali dell'Istituto Universitario
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provocazioni dell'estetica. Dibattiti a Gargnano, Torino, Trauben. L'eredità
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Lanzardo, Torino, Museo Regionale di Scienze Naturali. L'artificio
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Filosofia dell'Università della Calabria, a cura di R. Bufalo e P.
Colonnello, Napoli, Luciano (riproduce con alcune modifiche ...). Note
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ricercano, in J.W. Goehte, Immagini per la prospettata edizione italiana del
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cofirmata con: G. Morra; Heidegger
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adio Cornale ondei dei Veria un Pere il era Sei in onore 117) Onl, iae
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Heidgger trent' anni dopo, a cura di C.Gentili, F. W. von Hermann, A.
Venturelli, Il Melangolo (versione ridotta e rivista La nuova mitologia
romantica e il destino "neopagano" della Modernità in: e
Bulzoni, pp.61-72. /Atti del Seminario di Studi su "Il paganesimo nella
letteratura dell'800" tenutosi presso la "Fondazione Malatesta"
Teoria del romanzo, a cura di L. A. Macor e F. Vercellone, Milano-Udine,
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y nihilismo. El «joven» Nietzsche: una ocasión pérdida para la
Nietzsche-Rezeption italiana? In «Estudios Nietzsche», Madrid, Editorial
Trotta, Dove va la bellezza? in: Riflessioni sulla bellezza,s.l., Beiersdorf,
La forme et la vie dans le platonisme allemand, in Le platonisme romantique,
sous la direction de P. Tortonese, Chambéry, Université de Savoie, Atti del
Convegno, Le platonisme romantique: poésie et philosophie, Chambéry, 1.2. Philosophy
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Vattimo edited by Luca Savarino and Federico Vercellone in «Iris», versione
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très belles heures de F.D., Testi di L. Prando, R. Rosso, F. Vercellone,
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l'immagine. Il mondo vero è diventato favola?Francesco Cattaneo Premessa a :
Arte e Terrore. In dialogo con Félix Duque, in "Tropos". Dall'
ermeneutica alla morfologia in La questione del dire.Saggi di ermeneutica per
Graziano Ripanti, a cura di M. Bozzetti, (versione rivista e ampliataMimesis,
Menas atejus jo pabaigai. Pastabos
apie meno mirti siandien (Art after Its End: Notes on the "Death of
Art" Today, in "Religija ir Kultura", Der Untergang der Romantik
in der Renaissance,in G.Maio (a cura di), Macht und Ohnmacht des Wortes. Ethische
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Pareyson come ermeneutica dell'arte, in «Annuario Filosofico», I o5-413
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del resataio di e aria c.09, e de pensi, Hacia
la morfo-logia in : " Escritura e Imagen", ripreso anche in 150) L'Estetica
di Luigi Pareyson come ermeneutica dell'arte., in "Annuario Fi o,
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Perché la cornice è un modello razionale? In "Multiverso, Due
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in onore di Franco Bernabei,a cura di M.Nezzo e G. Tomasella, Padova?, Canova,
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Bologna, Fantasmi, fantasmagorie, agnizioni, in D. Eccher (a cura di),
Boltanski: Anime, di luogo in luogo, Cinisello Balsamo, Silvana Editoriale,
Trad. ingl., Ghosts, Phantasmagorias, Agnitions, in D. Eccher (ed.), Boltanski:
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lusso come problema filosofico, in «Iride», Cura del numero monografico di «Azafea»,
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l'inverso, in «Bollettino filosofico», Pareyson, Suny Press, Albany Simboli
della fine, Bologna, il Mulino, con esteria Maria e ilesia di) Champo delo,
logaica, Palarono, Palermo, Libri in discussione: Vita quotidiana di
Enrica Lisciani-Petrini (con M. Garda e S. Forti), in Iride - Filosofia e
Discussione Pubblica, Dream, Geist. Strategie del Regno, in Dream - L'arte
incontra i sogni - catalogo. Skira, Roma, In uscita o da
verificare: en el siglo XIX Universidad Internacional Menéndez
Pelayo; traduzi lituana in corso; L'educazione estetica nella civiltà
dell'immagine. Ipotesi sul futuro prossimo in versione spagnola negli Atti del
con vegno Schiller a Madrid La morfologia oltre l'estetica. Ricordo di
Olaf Breidbach, trad. tedesca in Atti del convegno «Anschauen, Ordnen, Deuten,
Wissen». Gedächtnissymposium zur Erinnerung von Olaf Breidbach, Jena. Federico Vercellone. Vercellone. Keywords: bello,
estetico, immagine. Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft MS – Luigi
Speranza, “Grice e Vercellone: l’estetico e il bello’ – The Swimming-Pool
Library, Villa Speranza, Liguria.
Grice e Verdiglione: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale della congiura degl’idioti –
filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Caulonia). Essential Italian philosopher. Filosofo italiano. Grice:
“I like Verdiglione; my favourite: his “La congiura degl’idioti” – I have used
the Greek root which Boezio translated as ‘proprium’ twice in my seminar on
implicature. The first time to refer to ‘kick the bucket’ as a ‘recognised
idiom’ – idioma in Latin and idIoma, with stress on the i, in the Grecian; but
more importantly – since ‘recognised by who?’ – in the next session I referred
to a conversationalist using a one-off signaling which I referred to as a
‘signalling idiolect.’ Yes, Speranza and
I can be pretty idiosyncratic!”. Vincitore di una borsa di studio nel collegio
Augustinianum, studia a Milano, dove si laurea con una tesi sulla filosofia
semiotica di PIRANDELLO (vedi). Formatosi con Lacan, pubblica con le case
editrici Marsilio, Rizzoli, Feltrinelli e Sugarco, con cui collabora. Per
quest'ultima dirige la collana "Bordi". Traduce la raccolta di testi
Scilicet di Lacan per Feltrinelli e il Seminario XXII. Con la sua casa
editrice, Spirali, pubblica testi come la traduzione del Malleus Maleficarum,
Il martello delle streghe, il manuale dell'Inquisizione per la caccia alle
streghe, e in seguito, sempre per le edizioni Spirali, pubblica alcuni testi di
BRUNO, come “Le ombre delle idee” e “Cabala del cavallo pegaseo.” Traduce per
Feltrinelli libri che in Francia animano il dibattito in ambito culturale, come
il saggio di Irigaray Speculum. L'altra donna edito da Feltrinelli nella
traduzione di Muraro, il saggio di Mannoni, Educazione impossibile. Introduce
in Italia Kristeva. Incontra anche Oury, fondatore assieme a Guattari della
clinica La borde, di cui pubblica “Creazione e schizophrenia”, “Psicosi e
logica istituzionale”. “Il collettivo”, Babele e la Pentecoste. La Borde e la
scrittura della psicosi, La psicosi e il tempo. Traduce sempre per Feltrinelli
l'edizione del libro di Jean-Goux, Freud, Marx: economia e simbolico. Fonda il
Movimento freudiano e la Spirali Edizioni. Con Spirali, pubblica autori
come Daniel, Lévy, Glucksmann, Halter,
Arrabal, Grillet. Esce in edicola il primo numero del mensile “Spirali: giornale
di cultura”, a cui segue l'edizione francese Spirales, Il Secondo Rinascimento.
V. e il Collettivo “Semiotica e psicanalisi” organizzano a Milano, in V sedi
differenti, il Congresso internazionale "Sessualità e politica"
seguito dai media italiani. Partecipano molte filosofi. Sempre con il
Collettivo “Semiotica e psicanalisi”, organizza il congresso “La follia”, che
si svolge in più sedi, tra cui il Palazzo dei Congressi e il Museo della
scienza e della tecnica. Il congresso è seguito dalla stampa di vari paesi.
Intanto, inventa la “cifre-matica,” la cosiddetta scienza della parola.
Nell'Enciclopedia Rizzoli Larousse viene così definita la cifrematica come dottrina
della parabola intesa come cifra -- dottrina elaborata da V. e utilizzata
all'interno di esperienze di conversazione, lettura, ecc. Secondo la cifre-matica,
ogni parabola può essere analizzata secondo la sua logica idiomatica – cfr.
Grice, “Idioma, not language” -- o la sua qualità cifratica, come ‘cifrema.’
C’e logica idiomatica della relazione, dello stigma, della funzione, della
operazione, e della dimensione. C’e tre 'strutture': struttura sintattica, struttura
frastica e struttura pragmatica – o griceiana, secondo cui ogni expression –
idioma -- può essere 'de-cifrata.’ E a
Milano, su invito di V. Ionesco. In un'assemblea di intellettuali e lettori,
c’e un convegno organizzato da lui, portando la testimonianza della sua vita e
della sua attività filosofica, documentata nel libro Una vita di poesia.
La sua Università internazionale del Secondo Rinascimento acquista dalla
famiglia Borromeo la Villa di Senago e il parco, lasciati per anni in uno stato
di abbandono. I nuovi proprietari decidono pertanto di avviare un primo
importante restauro che mira alla salvaguardia stessa del bene. Il restauro si
è protratto nel tempo, fedele a criteri conservativi, con la collaborazione di
ingegneri, esperti, architetti, tecnici, storici e filologi che hanno lavorato,
insieme, sotto la direzione della sopra-intendenza ai beni ambientali ed architettonici
di Milano. L'attività editoriale prosegue quanto già avviato e si
indirizza soprattutto sulla dissidenza, in particolare romanzieri. Pubblica
libri di Bukovskij, Zinovev, Naghibin, Maksimov e molti altri. L'interesse per
la dissidenza lo porta a pubblicare saggisti come Suvorov, gl’ambasciatori
russi in Italia Adamishin, Jurij, il teorico della perestrojka Jakovlev, e l'ex
ministro per l'energia e leader dell'opposizione di destra Nemtsov. Oltre agl’autori,
pubblica dissidenti provenienti da tutto il pianeta. In questa direzione sono
stati organizzati i convegni internazionali Festival della modernità che
propongono, in ciascuna edizione, diverse tematiche -- scrittura, libertà,
politica. Prosegue il lungo processo di restauro della Villa San Carlo
Borromeo di Senago, restituendo all'edificio la sua originaria bellezza e
trasformandolo in un palazzo del turismo culturale e artistico, nella sede
dell'Università internazionale del Secondo Rinascimento e della casa editrice
Spirali. In questi anni, la villa è sede di congressi, di corsi, di seminari,
di riunioni di enti pubblici e privati, italiani e stranieri, di un museo
permanente e di un museo per grandi mostre. V. ha totalizzato X anni e VI
mesi di carcere per reati vari. È stato condannato a IV anni e due mesi per
truffa, tentata estorsione e circonvenzione di incapace. Dopo un patteggiamento
è stato condannato a I anno e IV mesi. è stato di nuovo condannato in primo
grado a IX anni (e la moglie a VII) per associazione a delinquere, frode
fiscale, truffa alle banche e allo stato. In seguito la pena è stata ridotta a V
anni. In tale occasione ha causato sofferenze bancarie per 73,4 milioni: 18,3
sono in capo a Intesa Sanpaolo, altri 25,9 milioni a Banca Etruria. Truffa,
tentata estorsione e circonvenzione di incapace V. è al centro di una serie di
vicende giudiziarie (Affaire V.) relative all'attività sua, della sua fondazione
e dei suoi collaboratori. Viene condannato a IV anni e due mesi di reclusione
per truffa, tentata estorsione e circonvenzione di incapace, condanna che passa
in giudicato. Intellettuali di vari paesi -- tra cui Lévy, Ionesco, Arrabal,
Halter, Benamou, Henric, Bukovskij, Safouan, Xenakis, Zinovev, Mathé, Lanzmann
-- acquistano una pagina del quotidiano “Le Monde” in cui pubblicano e
sottoscrivono un appello rivolto al presidente della repubblica italiana e ai
giudici milanesi, col quale denunciano un presunto clima di caccia alle
streghe. Il caso V. secondo i firmatari mette in discussione le nozioni di
diritto, giustizia e libertà di parola in Italia. Daniel, direttore del Nouvel
Observateur, pubblica su la Repubblica una lettera, intitolata "Difendo V.",
rivolta al direttore del quotidiano. Il Partito Radicale organizza un incontro
internazionale in piazza Montecitorio sul Ve., a cui partecipano anche
importanti esponenti del "Comitato Internazionale per V.", promosso
da MORAVIA, Ionesco, Lévinas, Arrabal, Bukovskij, Lévy, Halter. La Repubblica scrive
che dopo quello di Tortora ci e la sponsorizzazione da parte del PR del caso
giudiziario di V.”. Il programma satirico Drive In lo fa conoscere anche al
grande pubblico, attraverso la parodia del "Dottor Vermilione, psicanalista
santone" impersonato da Greggio. Il caso V. è anche citato in relazione al
disegno di legge per l'abolizione del reato di circonvenzione d'incapace -- articolo
del codice penale. Dopo la condanna in Cassazione, la vicenda giudiziaria si
conclude con il rinvio a giudizio per i capi di imputazione stralciati in
occasione del primo procedimento giudiziario e con il definitivo patteggiamento
a una pena di I anno e IV mesi e indennizzi di oltre 3 miliardi di lire a ex
allievi. Si concludono le indagini della Guardia di Finanza coordinate dalla
Procura della Repubblica di Milano, Viene indagato per evasione fiscale in
relazione all'emissione di fatture false, e appropriazione indebita. A seguito
della richiesta avanzata dalla procura di Milano, due dimore storiche
riconducibili al professore (tra cui la Villa San Carlo Borromeo di Senago) per
ordinanza del Gip vengono poste sotto sequestro preventivo, pur mantenendone la
disponibilità. A meno di III settimane di distanza il Tribunale del Riesame di
Milano annulla i decreti di sequestro concessi dal GIP C. Mannocci al PM
Albertini, e restituisce gli immobili alle proprietà, in quanto non sussiste
l'accusa di evasione fiscale. Si tratta invece di neutralità fiscale, in quanto
l'IVA dovuta sarebbe sempre stata pari a zero. In base alle conclusioni del
giudice, sarebbero state emesse fatturazioni fittiziema regolarmente pagatetra
società facenti capo a V., allo scopo di ottenere crediti presso gli istituti
finanziari, potendo esibire bilanci dai quali risultano entrate ingenti, in realtà
fasulle. La giudice Marchiondelli rinvia a giudizio V. per associazione a
delinquere finalizzata a frode fiscale e truffa allo stato. Viene condannato a
IX anni per i reati di associazione a delinquere finalizzata a frode fiscale,
truffa alle banche e truffa allo stato. Nel medesimo processo vengono emesse
condanne anche a carico della moglie
Angeli e di due sue società, intanto fallite. Viene altresì disposta la
confisca, fino ad un valore equivalente rispettivamente di 100 milioni e 10
milioni di euro, di beni come la storica dimora trecentesca Villa San Carlo
Borromeo a Senago con 10 ettari di parco. La sentenza di secondo grado
conferma la prima, nonostante che Procuratore generale, nella sua requisitoria,
abbia chiesto l'annullamento della sentenza di primo grado per assoluta
indeterminatezza e intrinseca contradditorietà delle accuse. La condanna a V
anni di reclusione diventa esecutiva. Nel pieno delle inchieste giudiziarie,
l'associazione da lui fondata viene definita setta dallo psicoterapeuta
infantile Foti. Analoga affermazione fu fatta da Calefato, professoressa
associata di sociolinguistica, che così si espresse in un'intervista per un
quotidiano locale in occasione dell'incontro con Verdiglione organizzato a Bari
da Ponzio, Professore di filosofia del linguaggio, intitolato "La cifra
del Levante". MUSATTI, considerato il fondatore della psicanalisi
italiana, prova una profonda avversione per V. che etichetta come "“il
magliaro di Caulonia” e come "cialtrone". V. ha ospitato come
relatori, nell'ambito di alcuni congressi organizzati alla Villa San Carlo
Borromeo, autori come Duesberg, virologo statunitense, scopritore dei
retrovirus, e Rasnick, biologo, che negano l'esistenza dell'AIDS, sostenendo
che gli ammalati di tale morbo morissero in realtà sia a causa dell'assunzione
di droghe sintetiche fortemente immune-soppressive sia a causa delle cure che
erano loro imposte nella prima fase sperimentale, dove si ricorreva
all'utilizzo di farmaci come l'AZT, originariamente sintetizzato a scopo anti-neoplastico
e poi abbandonato per l'elevata tossicità. Saggi: “Il carcere. La questione
della parola, Associazione Amici di Spirali,
Ur-kommunismus; “La paura della parola”, Associazione Amici di Spirali, “La
grammatica dello spirito,” L'androgino trinitario e la bilancia dell'orrore,
Associazione Amici di Spirali, “I padroni del nulla” Associazione Amici di
Spirali, L'Operazione guru, Associazione
Amici di Spirali, La rivoluzione
dell'imprenditore, Associazione Amici di Spirali, Il bilancio di guerra, Associazione Amici di
Spirali, In nome del nulla. L'accusa di
blasfemia, Associazione Amici di Spirali,
Il bilancio intellettuale dell'impresa, Associazione Amici di
Spirali, Parola mia, Spirali, La realtà intellettuale, Spirali, L'Affaire fiscale ovvero il dispensario del
tempo, Spirali, Scrittori, artisti,
Spirali, La libertà della parola, Spirali, “La politica e la sua lingua”,
Spirali, La nostra salute, Spirali, Il capitale della vita, Spirali, Master dell'art ambassador, Spirali, Master
del brainworker, Spirali, Master del cifrematico, Spirali, “L'interlocutore”, Spirali, Il Manifesto di
cifrematica, Spirali, La rivoluzione cifrematica, Spirali, Artisti, Spirali, Il
brainworking. La direzione intellettuale. La formazione dell'imprenditore. La
ristrutturazione delle aziende, Spirali, Edipo e Cristo. La nostra saga,
Spirali, La famiglia, l'impresa, la finanza, il capitalismo intellettuale,
Spirali, Venere e Maria. La fiaba originaria, Spirali, MACHIAVELLI,
Spirali/Vel, Vinci, Spirali/Vel, La congiura degl’idioti, -- cfr. Grice,
“L’idioma dell’idiota” -- Spirali/Vel, L'albero di San Vittore, Spirali, Lettera
all'eccellentissima corte di appello, Spirali, Quale accusa?, Spirali, Processo
alla parola, Spirali, Il giardino dell'automa, Spirali, Manifesto del secondo
rinascimento, Rizzoli, Spirali, La mia industria, Rizzoli Spirali, Dio, Spirali, La peste, Spirali, La
psicanalisi questa mia avventura, Marsilio, Spirali, La dissidenza freudiana,
Feltrinelli, Spirali. E. Roudinesco, Histoire de la psychanalyse en France, Paris:
Le Seuil (réédition Fayard ) dal sito web italiano per la filosofia. il domenicale arretrati n. Domenicale miei libri
Scienze umane Sociologia e comunicazione Sollers-scrittore La dissidenza della scrittura
Lacan e altri, Scilicet: rivista dell'école freudienne de Paris, trad. di V.,
Feltrinelli, Milano, Lacan, Il seminario,
in «Ornicar? Venezia. Institor (Krämer), Sprenger, V., Il martello delle
streghe. La sessualità femminile nel "transfert" degli inquisitori,
Spirali, Milano, BRUNO, Caiazza, Le ombre delle idee, Spirali, Milano, BRUNO,
Sini, Cabala del cavallo pegaseo, Spirali, Milano, Mannoni, Educazione
impossibile, (Feltrinelli, Milano). Spirali pubblica le opere La rivoluzione
del linguaggio poetico. L'avanguardia, : Lautrémont e Mallarmé e Poteri
dell'orrore. Saggio sull'abiezione
Guattari /spirali books-of-Jean+Oury. Php Goux, Freud, Marx: economia e simbolico,
introduzione e cura di V., Milano, Feltrinelli, atti del Convegno Sessualità e
politica edito da Feltrinelli, 2000 partecipanti al Congresso di Psicanalisi
con tema "Sessualità e Politica", svoltosi a Milano", Anquetil,
"A Milan, le sage congrès de la folie", Les Nouvelles Littéraires, Dadoun,
"A Milan F comme Folie", La Quinzaine littéraire, Descamps, "A Milan au congrès de
psychanalyse on a débattu (vivement) de “Sexe et politique”", La Quinzaine
littéraire, Congres v Milanu, “Razprave problemi”, Maggiori, "La 'Jet
Society' psychanalytique reunie a Milan", Liberation, Italianistica, Cifrematica: di che cosa
parliamo? Enciclopedia Universale
Rizzoli Larousse, Rizzoli, Milano, Mascheroni, il Giornale, Borzi, Etruria
perde 26 milioni nel crack V., in Il Sole 24 ore, V. affidato al servizi
sociali, la Repubblica, in Archiviola Repubblica. "Pour V.", Le Monde, "Difendo
Verdiglione", di Daniel, direttore di Le Nouvel Observateur pubblicato da
la Repubblica, Caso v.: , all'hotel nazionale in piazza montecitorio, a partire
dalle ore 11.45, incontro internazionale sul tema: "il caso v.".
marco pann..., su radio radicale. I radicali bocciano pannella, la Repubblica,
in Archivio la Repubblica legislature camera dati/leg10/lavori/ stampati Milano,
18 rinvii a giudizio per la vicenda v., Repubblica » Ricerca, non profit, v. fa
lo sponsor e le associazione danno forfeit, la Repubblica, in Archivio la
Repubblica. Turano, V. spa, in Corriere Economia, V., ovvero come sposare lo
sponsor e viver felici Corriere della
Sera, su milano.corriere. Archivio
Corriere della Sera, su archivio storico.corriere. Corriere della Sera, su
archivio storico.corriere. Frode
fiscale, IX anni a V. confiscati beni per 110 milioni, in Corriere della Sera. Lo
psicanalista V. dai fasti al ritorno in carcere, su milano corriere. sito dell'associazione diretta da Foti, 'V.
fuori dall'Ateneo' la Repubblica, in Archivio la Repubblica. Il chiaccierato V.
, la Repubblica, in Archivio la Repubblica. musatti Analisi laica, su Analisi
laica. Italian guru, la Repubblica, in Archivio la Repubblica. Szaz, La
battaglia della salute, Spirali. «L'Aids non è contagioso in nessun modo, non
si trasmette né attraverso rapporti eterosessuali né attraverso rapporti
omosessuali e neanche senza rapporti, non si trasmette in nessun modo; l'Hiv è
un retro-virus che, secondo Dusberg, è innocuo." "Muoiono per via
della cura. È la cura, che li ammazza."».
Dizionario di cifrematica, su dizionario di cifrematica. V. Com: Recenti Vicende, su tg mediaset. Armando
Verdiglione. Verdiglione. Keywords: de-ciphering the cipher, cifra decrifrata,
implicatura e cifra, Bruno, Machiavelli. Refs.: The H. P. Grice Papers,
Bancroft MS – Luigi Speranza, “Grice e Verdiglione e l’idioma dell’idiota” –
The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.
Grice e Vernia: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale dei peripatetici del lizio – filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di
Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Chieti). Filosofo
italiano. Grice: “I love Vernia, but then any Englishman would, especially when
learning that Saint Thomas (Aquino) would have made such a fuss about him!” -- Essential
Italian philosopher. Allievo
a Padova di PERGOLA e Thiese e successore di quest'ultimo. Ha come collega POMPONAZZI
(il Pomponaccio). Tra i suoi allievi: NIFO e PICO. Seguace dell'ermetismo
imperante a Padova, cura un'edizione di Aristotele, il lizio. V. sostenne
l'unità dell'intelletto -- dottrina poi abbandonata a causa di una condanna inflittagli
dal vescovo di Padova --, l'autonomia della fisica rispetto alla meta-fisica, e
la superiorità della scienza della natura sulle scienze dell'uomo. Saggi: “Contra
perversam Averrois opinionem de unitate intellectus et de animae felicitate”; “De
unitate intellectus et de animae felicitate”; “Expositio in posteriorum
capitulum secundum in fine”; “Expositio in posteriorum librum priorem”;
“Quaestio de gravibus et levibus”; “Quaestio de rationibus seminalibus”;
“Quaestio de unitate intellectus”; “Quaestio in De anima. Bellis, “L’aristotelismo”
– del lizeo (Firenze, Olscheki editore, Treccani Enciclopedie Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Esaminiamo
in prima quali sieno le sue cose stampate, le quali sono poco conosciute, si
perché si trovano inserite in altre opere, si perché scritte con caratteri
molto fitti, danno pena all'occhio anche molto paziente. La dissertazione
più conosciuta é l'ultima, contro l' unità dell'intelletto di Averroe; tanto è
vero, che nella seconda iscrizione apposta al monumento trasportato dalla
chiesa di S. Bartoloneo all'oratorio dell'ospedale civile di Vi-cenza, è
precisamente questo ultimo scritto ricordato. Del Vernia sono stampate sei
dissertazioni. La prima porta la data del 1480 (') ed è: quuestio un ens mobile
sit toliusphilosopine nuturalis siljectum ('); essa si trova nel commento sul
de general. et corrupt. di Aristotele, di Egidio Romano, di Marsilio Ingnen, e
di Alberto di Sassonia. La seconda é collegata colla terza, e tratta
della partizione della filosofia; è una prolusione ad un corso di un anno
intorno alla fisica di Aristotele. La terza è: utrum medicina jure civili sit
nobilior: è come una conclusione della seconda (°); tutte e due sono nella
fisica di Burleo, e sono precedute da una lettera a Sebastiano Baduario,
censore di Vicenza (3), nella quale ricorda il Vernia la grandezza della di lui
famiglia, di cui i capitani sono scolpiti nelle immagini del Palazzo Ducale di
Venezia. Il Badua-rio fu discepolo, come il Vernia, di Paolo della Pergola, ed
addivenne illustre scotista. In sua casa fu educato il compaesano del Vernia,
Nicola Manupello, di Chieti, che fu fisico e medico. E qui soggiunge, che
essendo stato pregato dagli stampatori di emendare il libro sulla fisica di
Burleo che era corrotto e che doveva leggere agli scolari, volle premettere la
divisione della filosofia e l'ampia questione de inchoatione formaruin da lui
trattita, ed al Baduario dedicata. Questa ultima questione è andata perduta;
almeno finora non la rinvenni. La partizione della filosofia e l'altra sulla
medicina portano la data della fine di febbraro 1482 (*). La quarta
dissertazione è sul de gracibns et lucciles, dedicata a Berardo Bolderio
filosofo e medico veronese; tratta se i gravi ed i leggeri inanimati si muovano
da se stessi o da altro, quando sia rimosso ogni impedimento. Essa si trova
nello scritto sull'intelletto contro Averroe. La data non ci è veramente
segnata; ma siccome essa é citata nella quinta dis-sertazione, e non nelle
altre prevedenti, è da dirsi essere la quarta. La quinta dissertazione é:
questio an denter unicersalin realia, ed é premessa al commento sulla fisica di
Urbano Servita, Averroista. Il Renan seguendo l'Hain, ha creduto che sia una
prefazione ('); invece è una questione a se, che la poca relazione propriamente
culla fisica. Antonio Alabante scrive al Vernia di leggere ed esaminare il
manoscritto di Urbano Servita, e di vedere se ne sia stato l'autore Giovanni
Marcanova, ovvero Ur-bano. Il Vernia risponde che il manoscritto nel primo
esemplare è di Urbano: Marcanova lo copiò e fu trovato nei libro di costui
senza indice: che è degno di essere stampato, jerche Urbano supera moltissimi
averroisti, e non islugge le questioni le più difficili della fisica.
Corrisponde alla gentilezza e stima di Alabante di Bologna con pari condutta,
mandandogli la dissertazione sugli uni-versali, perché la legga e gli dica se
può essere stanpata. La lettera di accompagnamento porta la data del
giugno 1492 da Padova; e la dissertazione è stata terininita nel 17 febbraio
1492 (*). Sino a questo tempo il Vernia è un pretto averroista, mostrando nei
suoi scritti unlampo di razionalitá e di liberta di filosofare pregevole e
rarissima a quei tempi. Ma alla sorveglianza del Vescovo di Padova e alla
• pietá di un uomo dottissimo quale era il Barozzi non poteva sfuggire il
libero pensiero del Vernia. Imperocche il Barozzi nel 4 maggio 1489 aveva
emanata la scomunica lutae sententiae a tutti quelli che disputavano
pubblicamente quoris quaesito colore, sull'unità dell' intelletto. Il
Vernia con tutto ciò si mantiene ancora fermo ai suoi principii; sperava che
essi fossero mantenuti illesi colla pubblicazione delle sue dottrine, affidata
alla protezione di uomo colto ed autorevole che l'aveva accolta. Cio non
basto a salvarlo: una più severa minaccia di seo-munica direttamente al Vernia
dovette venire, la quale l'obbligava a ritrattarsi. Non si puù spiegare
diversamente la vicinanza delle due date, della quarta e della sesta
dissertazione, nella quale ultima il Vernia si ritratta interamente del suo
averroismo. La questione degli universali porta la data del 17 febbraio. La
lettera poi di accompagnamento di questa dissertazione diretta ad Antonio
Alabante porta la data di giugno 1492; mentre quella contro l'unità dell'intelletto
è del 18 settembre, dello stesso anno, 1192. Non dustrente ophtelmia quae
me tune molestant, soggiunge il Vernia in fine: una circostanza tuti'altro
favorevole a fare scrittura. Argomento da ciò, che il Vernia la dovuto
affrettarsi a fare questa ritrattazione. Che la dissertazione sesta sia un po'
affrettata ed un poco anche confusi, é in qualcle parte evidente. Che rimanga
il dubbio di avere abbandonato l' averroismo perfettamente, e evidentissimo; ed
il Barozi se n'era già accorto. Epperò non possiamo noi accettare come veridica
la sua confessione, cioé, che solo per disputare e per aguzzare l'ingegno tentò
di corroborare con argonenti l'opinione di Averroe intorno all'unico
intelletto. Contro tale dichiarazione sta non solo la dissertazione precedente
dello stesso anno sugh universali, in cui si professa pu-ru averroista, ma
anche un'altra che è sparita, intorno al-1180 nella prina questione preliminare
intorno al soggetto della fisica ('). Ma la vita di insegnante per 33
anni nell' università di Padova sarebbe stata troppo scarsa di frutti
intellettivi, se il Vernia si fosse limitato a queste sole sei dissertil-zioni.
Giá abbiamo visto che egli emendo la fisica di Bur-leo. Anche ai tempi di
Pomponazzi il Burleo godeva all-cora grande autoritá nella scienza. Ed alcune
opere di lui erano già andate perdute (°). Un altro lavoro di cur-rezione di
edizione lo fece intorno al de caelo et murulo del Gianduno. Il Pellenegra di
Troja che insegno filosofia morale a Padova, ci da notizia di avere più
accuratamente stampate le questioni del Giandono che furono emendate dal Vernia
('). Noto questa notizia molto rilevan-Imperocché sono di credere che molti
hanno pubblicato dei lavori del Vernia, non originali però, ma intorno ai
commenti di Aristotele, appropriandosi in tutto e per tutto gli scritti del
filosofo chietino. Che il Vernia non abbia perduto il tempo sulla cattedra, si
rileva dalle sue stesse parole nelle quali dice che essendo stato professore
per 33 anni a Padova, credeva essere poco decoroso, se non avesse pubblicato
ció che avea raccolto con diligenza per tanti anni dagli autori greci e latini.
Egli non cessava tutti i giorni di forbire e ritrallare i commenti che aveva
fatto su tutti i libri di Aristotele, perché potessero meritare di essere
pubblicati ('). Ma mandava alla stampa in prima l'opuscolo sulla immortalità
secondo la fede cattolica, aí-finché fosse esso come il conduttiero delle altre
opere. Prega inoltre Domenico Grimani di accettare questo dono durante il
tempo, che egli da un'aitra mano ai coinmenti di Aristotele. Se la lettera
dedicatoria è scritta nel 1499, nella quale confessa che egli ha già pronti
questi commenti, ma non li pubblica perché hanno bisogno di essere
ricor-secondo il tenore del suo opuscolo, cioè contraria ad Averroe, di cui era
stato per tanti anni fautore. Quindi si può supporre, o che egli non li abbia
pubblicati prima per la minaccia del Barozzi, ovvero che dal 1499 egli siasi
messo a ritrattare tutti i commenti in senso anti-averroistico, e che non li
abbia finiti per gli acciacchi della sua età. Pochissimo é stato anche il tempo
dalla pubblicazione dell'opuscolo alla sua morte; quindi si può ritenere che i
suoi scritti sieno andati nelle mani degli altri. Una caratteristica
quasi costante si può notare negli scritti del Vernia, la quale è duplice,
materiale e formale. Il Vernia è molto ordinato nel suo scrivere: quasi
tutte le sue dissertazioni sono divise in tre parti: la prima espone tutti
coloro che hanno deviato da Aristotele e dal suo commentatore, Averroe; la seconda,
che cosi al buno sentito entrambi intorno al quesito proposto, e la terza
contuta le opposizioni addotte dagli avversari. Questo tenore di dividere in
tre parti l'argomento era però comune a tutti i tomisti e scotisti. Ciò
riguarda la materia dei suoi argomenti. Circa la sua opinione, a quale cioé,
dei filosofi più si accostava, è da dire in genere, che egli sebbene
averroista, era piu veramente un albertista. Tomista non mai periettanente. Il
suo storzo è di mostrare che l'opinione di Averroe poco differisce da quella di
Al-berto. Lo dice finanche nella sua sesta questione contro l'unità
dell'intelletto. Sebbene in quest'ultima sia stato costretto ad essere tonista,
per avvalorare la sua ritratta-zione. Il Vernia insegnava propriamente li
tisica nell'Università di Padova ('), e non poteva sottrarsi all'esameseguace,
di S. Tommaso, o di Alberto ('). Tale questione era, se l'oggetto della
filosofia naturale era l'ens mobile, come disse S. Tommaso, ovvero il corpres
mobile, come opinó Alberto. Osserva che Egidio Romano combatté l'o-pinione di
S. Tommaso, perché la scienza naturale non è subalterna della metafisica;
poiché tre sono gli abiti speculativi, il metafisico, il matematico, ed il
naturale. E se la mobilità è un' accidentalità, questa non deriva punto dall'
essere, in quanto questo è obbietto della metafisica. La scienza naturale
non é parte della metafisica, ma que-sta e quelle sono diverse parti della
filosofia. Di S. Tom-maso la la più buona opinione, dicendolo il migliore
espo-sitore tra i latini; ma pure non solo in questa, ma in altre questioni gli
é spesso contrario. Lo Scoto volevi invece clie l'oggetto dalla fisica fosse la
sostanza naturale, che é soggetto del moto e di altre aflezioni. Ma se per
naturale s' intende il sensibile, soggiunge il Vernia, esso è il soggetto
che é principio di moto e di quiete. Sostiene perció che il corpo mobile
sia il soggetto della fisica (°). Otto sono le condizioni requisite per un
subbietto di una scienza: che sia reale, uno almeno per unitá analogica,
universale, adeguato, primo noto in quanto alla sua ragion formale, che abbia
parti, che abbia affe-zioni, che abbia principii. Ora l'errore di Antonio
Andrea è di aver posto l'essere come comune a Dio ed alla crea-tura. Queste
otto condizioni si trovano nel corpo mobile,l'ammettere il noto come soggetto
di scienza, risponde che quell'accidente solo non entra nella scienza, il quale
non ha causa. Due difficoltá considerevoli s'incontravano in tale
de-finizione della fisica. Se il corjo mobile é il subbietto della fisica, gli
angeli sono mobili, ma non sono corpi: inoltre, il cielo non é composto di
materia e forma, e quindi cone può essere l'obbietto della fisica? La questione
dell'an- gelo intorbidava la liberta di filosofare nella scienza na-turale.
Intorno alle specie ci era quella della plurabilita, o moltiplicabilità
dell'angelo, che non era ammessa da S. Tommaso, perché ogni angelo
rappresentava la specie tutta. Per l'anima umana invece si doveva sostenere la
plu- rabilita, altrimenti si cadeva nell'averroismo, e si ri-conosceva
l'unita dell'intelletto umano. Il Vernia confessa che egli intende di parlare
secondo la ragion na-turale in tale questione: e dice che gli angeli non si
possono muovere con una velocita infinita, perché la ve-locita dura un certo
tempo: il loro moto locale, se fosse veloce infinitamente, dovrebbe avere uno
spazio infinito ; locché non conviene all'angelo. Esso é dunque una so-stanza
semplice ricettiva di luogo, e quindi di moto. Era giá il primo indizio, con
cui egli si dipartiva dalle veritá di fede e della teologia ('). I teologi
invero volevano con-cedere all'angelo il moto infinitamente veloce,
ovrero l'ubiquità, negandogli il luogo. Locché e contraddittorrio per il
Vernia (3). E se con S. Tommaso ammetteva che l'angelo rappresentando tutta la
specie, era impluri-ficabile, lo stesso sosteneva rispetto all'intelletto umano
('). Ma si riserva di trattare tale questione in quella
dell'in-telletto. Se questo scritto sia stato pubblicato, non si sa:
forse dovette sparire dietro la persecuzione del Barozzi; non credo però che
gli fu impedito di pubblicarlo. Il Nifo pare che lo accenni. Imperocché e
chiaro che la citazione sui concorda perfettamente colla dottrina che espone e
che pol Il Nito combatte. Cioé, che per sostenere l' unità dell'in-telletto,
disse un nuoro espositore, che una stessa forma spirituale informa
subbiettivamente la fantasia e l'intel-letto. Imperocché la forma spirituale
può essere una di numero in diversi soggetti, come il colore nell'acqua e
nell'aria. L'intelletto in se come uno in atto informa il nostro intelletto, ed
é la specie intelligibile; informa an-clie la fantasia, ed è il fantasma
(*). La seconda difficolta era: se Averroe aveva ammes- so
che il cielo non è coinposto di materia e foria, perché é ingenerabile e pur
tuttavolta è mobile, come poteva abbracciare l'idea del corpo mobile il cielo e
le cose terre-stri? Il Vernia risponde che la sostanza mobile è cio che è
soggetto alla triplice dimensione. Pare accostarsi per ciò all'opinione di Egidio
romano che poneva identici natura nel cielo e nella terra. Ma pure non é
veramente cosi; perché confessa altrove che il cielo è atto, e non si da in
esso passaggio dall' essere al non essere. Il punto di vista interessante
per caratterizzare fin da ora il chietino filosofo è questo nel primo suo
lavoro, di-chiarare, cioè, la fisica indipendente della metafisica: sottrarre
la natura, per quanto poteva, dall'influenza della teologia. Fin di ora i
fisici non stunno in accordo coi metafisici. E una linea di condotta che è
troppo costante nel Vernia. La seconda dissertazione intorno alla
partizione delli filosofia è una prolusione che fece in un anno del suo
insegnamento; nel quale dovendo esporre la filosofia na-turale, esamina quali
sieno le relazioni delle varie parti del sapere al tutto. La filosofia,
dice il Vernia, è la perfezione del sapere; essa è prattica, speculativa e
razionale; e riducendo, è reale e razionale. Questa ultima è la logca; dando a
questa il solo valore razionale e non reale, il Vernia si dichiara vero
occamista: non tomista, né scotista. In tal guisa seguiva la tradizione
patavina cirça la logi-ca, la quale, non solo di Nicoletto Veneto e da Nicola
della Pergola era stata ritenuta come speculativa secondo Alberto, il
differenza di alcuni tomisti che la dissero pratica, ma anche di valore
nominale; e cio era la massima distinzione degli occanisti moderni dai logici
antichi che erano o tomisti, o scotisti ('). Siccome tre sono gli atti di
ragione in eni jo siano errare, tre sono le parti della logica che servono a
dirigerci alla verita. Le Categorie che Aristotele e Platone ricevettero
da Archita Tarentino, servono a non attribuire id una cosa uni qualitá che
conviene ad un'altra. Il libro de interpretalione tratta delle enunciazioni
singole, in cui vi è la composizione, o la divisione dell'intelletto. Il terzo
atto é il sillogino pertetto: ed è questa l'arte nuova che fu da Aristotele
ritrovata. Questa parte é divisa nell'inventiva e nella giudicativa: quindi la
topica e la sofistica. Lia giudicativa è l'analitica, di cui la prima tratta
del sillogismo comune in cui si risolve la conclusione nella preinessa;la
seconda é quella che riduce gli elletti alle loro cause. La risolucione
prima é relativa alla seconda ; perché quella é comune ad ogni sillogismo,
questa é speciale al sillogismo che versa intorno alle cose necessarie.
Al libro dei primi analitici viene quello dei topici; e poi quello dei secondi
analitici, e finalmente quello degli elen-chi. Doyo, la rettorica e la
pratica. La scienza reale poi é divisa in prattica e speculativa.
Quella in fattiva come la medicina, ed in attiva clie com-prende l'etica,
l'economica e la politica. Questa com-pren Je la naturale, la matematica e la
divina. La consi-derazione intorno al mobile in se è della fisica, che è
pri-una tra le parti della filosofia naturale: se si considera il solo moto
locale, ecco la trattzione del cielo; se verso la forina, ecco il libro della
generazione; se verso il mi-sto, si la il libro dei meteorologici, e quello dei
minerali : se é animato, questo o è in genere ed ecco il libro de parcis
naturalibus, o é specitico, ed e il de planlis et de animalibus. La
scienza dell' anima contiene tre parti : la prima il trattato deila vita e
della morte, poi quello de respirationo e il de jucentute et seneclule, de
causis lougitulinis et bieritatzs citae, de sunate et acgrie-dine el de
nutrimento, i quali due ultimi libri non ci pervennero. La seconda ciò che
riguarda il motivo, de cresis motes animalium et de pingresse animalium.
La terra cio che è propriamente del sensitivo, quindi de sense et sensat), de
memoria et reminiscentia, de sonno et vigiliu. Ma perché dai sinili si procede
al dissimile, per-ció dopo il libro dell'anima in genere, vien quello del
senso, del sonno e della veglia. L'intelletto non a. endo concretez/a nel
corjo, é delle sostance separate che ap-partengono alla metatisica. Sbagliano
perciò coloro che dicono soggetto del libro dell'anima il corpo animato e che
l'anima sia sostanca del corpo. Perché il corpo ani-mato secondo le operazioni
comuni a tutti i corpi animati,è soggetto del libro perenni animalinm:
considerato poi secondo le operazioni specifiche è il soggetto dei libri de
animalibus et plantis. Il Vernia è nella dottrina dell'anima in armonia
colla dottrina del cielo. L'anima è propriamente l'intelligenza, così nel
cielo, come nell'uomo L'intelligenza è sostanza separata; eppero non appartiene
veramente alle cose né celesti, né umane. L'anima come senso, come fantasia,
appartiene alla natura, siccome la forma e la materia del cielo danno il cielo
nella sua pienezza. Questa dottrina del 1482 è in pieno accordo colla
dissertazione inedita del 1491, se il cielo é animato. Di qui è chiaro
l'ordine delle arti liberali: cioé, prima apprendiamo la grammatica, indi la
logica e la parola, poi la filosofia naturale e la matenatica: da ultimo la
divina sapienza. Da questa seconda dissertazione non comparisce per noi
nulla di notevole, salvo una mente abbastanza ordinata in mezzo a tutto il ginepraio
dei trattati aristotelici. Si può ritenere che il Vernia gia si era dichiarato
per l'unità dell'intelletto fin dal 1482, perché dichiara l'intelletto non
avere concreteria nel corpo, essendo una potenza separata. Una dottrina che
aveva per conseguenza la mortalitá dell'anima. Imperocché egli confessa che non
solo la sensazione, ma anche la memoria appartengono alla vita sensitiva. Il
senso non è che una specie dell'anima. L'intelletto come unico appartiene
alla metafisica. Non sappiamo se a quest'ora avesse gia pubblicato il suo
traltato de unitute intellectus. Forse no: ma questa dichiarazione è già
abbastanza, oltre quella che si trova nella prima dis-sertazione, per
dichiararlo rigido averroista. La terza dissertazione, se sia jiù nobile
la professione della medicina o quella del dritto civile ('), ha qualcheche di
spiritoso. Nissuno si deve meravigliare che il Ver-nia abbia preso a trattare
quest'argomento; poichè era egli un medico e filosofo. Difatti, distingue in
questo lavoro la medicina come scienza di cui parla, dalla medicina come arte,
la quale dipende da quella. I medici artisti sono quelli che discreditano la
nostra medicina, dice lui: e dovrebbero essere espulsi dalle città
('). Dopo avere esposto alcuni argomenti in contrario, tra cui, che il
fine del dritto è fare l'uomo virtuoso, quello della medicina conservarlo nel
suo essere solamente, che con questa si sana il corpo, con quello si sana
l'anima, ragiona cosi per la parte vera. La medicina riguarda la conservazione
dell'individuo, che è come la sostanza migliore di ogni accidente. Il dritto si
appoggia sull'autorità dei dottori, la medicina dá una certezza
dimostrativa. Essa veramente dipende immediatamente dalla filosofia
na-turale. Senza di quella nulla si conoscerebbe: ed in essa consiste la
felicità, anzi che nella convivenza, che è una certa felicita. Dimostra a lungo
la felicità consistere nella speculazione; e gli pare clie il giurista sia più
lontano dall'ultimo fine che attinge il naturalista. La medicina fu sempre
avuta più in onore, epperò fu bene ricompensata. Qui non gli mancano vari
esempi dalla storia. Una scienza indeterminata e variabile non può mai essere
davvero scientifica. Tale è la legge degli atti umani, in cui è impossibile
dire universalmente un vero: anzi è utile in certi casi particolari osservare
l'opposto di una legge (°). I forestieri che entrano nella cittá, sono
puniti: ma se questa è assediata, ed entrano per liberarla, sono degnidi
premio. Cne leges cariantui secundum locorum commoditutes et ad libitum
hominum. Leges enim Ju-stiniani in Gallia nihil culent. Aristotele nel V
dell'etica le rassomiglia alle misure del vino e del frumento. Simi-liter non
naturalia et lumana justa non eadem ubi-que. Dopo aver distinto la inedicina
come scienza da quella come arte, osserva che gli scicnziati medici non solo
fanno gli esperimenti, ma ricercano le cause di essi dalle cose naturali. E se
ad Esculapio gli Ateniesi, ad Antonio Musso i Romani per avere sanato
Ottavio Augusto ere:-sero una statua di bronzo, che cosa dovremmo fare noi a
Gerardo Bolderio di Verona, principe tra i moderni medici? (').
Osserva clie i legislatori dei suoi tempi sono privi di cultura e li disprezza,
perclé non conoscono le scienze morali, nè quelle dell'anima. Tali non furono
gli antichi legislatori, come Solone ed Aristotele, che erano periti nella
scienza naturale. Dopo aver riferita l'autorità di (icerone nella pro Murena,
in cui dice che se Servio Sulpicio aprese dritto civile, non perciò trova
aperta la via al consolato, mette in ridicolo alcune glosse che si trovano nel
codice giustinianeo (*). Fra le risoluzioni delle difficoltà poste nella
prima parte della discussione, noto questa. Sebbene la virtú siapreferibile
alla vita nel genere dei costumi, perchè la morte è preferibile alla vita
turpe, perché è più lodevole chi muore per virti di chi vive ozioso; pure nel
genere della natura non è cosi, anzi è l'opposto, essendo preferibile l'essere
alla virtú. E siccome, più essenziale è il genere di natura di quello del
costume, è meglio vivere cle è il fine della medicina, che essere virtuoso che
è il fine della legge. Acuta riflessione! Questa dissertazione mi è apparsa la
più originale tra tutte, perché, oltre che è lasciata interamente la forma
scolastica, essendo scritta in maniera molto spigliata e libera, è piena di
osservazioni punto, sprezzabili ('). Né si dica che era usuale a quei tempi
l'invettiva dei professori di vari studi contro i legisti, i quali erano
decaduti nella stima jer l'aridità delle loro dottrine (*). Imperocchè il Vernia
si mostra jiuttosto inspirato ad un altissimo concetto che è vero : cioè, che
la scienza della natura è la sola che ci procaccia una felicita per le verità
conosciute, le quali non sono variabili come le leggi umane. Comprendo che da
essa risulta pure evidente lo stato di decadimento della giuri-sprudenza a quei
tempi. Ma il Vernia indica pure il modo come rinsanguare quegli studi coll'
estendere la coltura a quelle sorgenti, da cui puó fluire la vita del pensiero
che era rimasta assiderata nella forma e nella parola. La questione de
paritus et lecilus è di poca impor-tanza: tratta se i gravi e leggieri
inanimati, rimosso l'impedimento, si muovono localmente da se, o da
altro. Espone secondo il solito, le opinioni devianti da Aristotele e le
confuta, quella di Averroe che é la stessa di Ari-stotele, e finalmente
risponde alle obbiezioni. Platone che pose l'anima e le cose inanimate muoversi
da se, è in opposizione ad Aristotele, che volle nissuna cosa poter muovere se
stessa. Alberto disse muoversi per accidente; e che non ci è bisogno del
movente nel moto naturale, ma solo nel violento: e questo è l'aria. Ma osserva
che ogni moto ricerca per se il movente, e tali sono i gravi. Contro S. Tommaso
che disse i gravi fin-maliter si muovono da se, ed effectire dal movente, dice
che per il moto in atto ci è bisogno del movente in atto. Neppure
l'opinione di Gianduno che disse il movente essere la forma, e la materia la
cosa mossa, sta benc, perché allora la forma sarebbe movente e mossi, perché il
moto in atto è distinto dal motore. Alcuni teologi separarono la gravità dalla
sostanza; e dissero clie l'ostia consacrata cade in giù come gravità, non come
sostanza. Ma questa opinione non è naturale: e non ne parla perciò (').
Egli dice che i gravi e leggieri, dopo che sono ge-nerati, si muovono da se,
rimosso l'ostacolo, ai loghi naturali propri, e fuori di essi sono mossi
dall'aria per l'impeto dato dal morente violento. I proiettili sono mossi
dall'aria secondo Averroe, la quale è causa della velocita. Imperocché il
mobile in fine è più veloce, perché maggiore quantità d'aria lo segue nel fine,
che nel principio.Lo stesso succede per l'acqua, perché aria ed acqua sono
corpi interminati, indifferenti a qualunque figura, come non é dei solidi. Cosi
si spiega, perché la balista percuote più a certa distanza che vicino, perché i
raggi si uniscono nello specchio a certa distanza. E curioso che si mantiene
più fedele ad Averroe che ad Alberto, il quale secondo lui non ha detto bene
che i gravi sono mossi dal-l'impeto ad essi dato e non dall'aria e dall'acqua,
perché i gravi misti terminati non sono nati a ricevere tali vio-lenze.
Altrimenti un uomo getterebbe a maggiore distanza una piuma che un pezzo di
ferro; locché è contro l'e-sperienza. E se il maestro Gaetano risponde, che
avendo il ferro più materia, riceve più impeto e va quindi a may-giore
distanza, gli osserva il Vernia che, data una pietra ed un pezzo di ferro della
stessa quantita, il ferro dovrebbe andare a maggiore distanza. Cio proviene
perché la mano si applica meglio alla pietra, che alla piuma ('). Questa
dissertazione fa troppo desiderare la venuta di Galileo per isciogliere questo
quesito della fisica che arri-luppo nel buio le povere menti aristoteliche
(*). Nella quinta dissertazione, un dentur unirersalia vea-lia, il Vernia
è ancora pretto averroista, cioè sino algiugno del 1492. Espone secondo il
solito le opinioni devianti da Aristotele e dal commentatore, poi quella di
questi due, e finalmente risolve un numero immenso di obbiezioni. Dice che gli
universali o sono concetti puri secondo Occam, ovvero sono reali secondo Burleo
nel prologo della fisica; oppure ci è la via media in quanto sono reali nella
cosa singolare e formali nell'intenzione. Il Vernia prende lo stato della
questione non dai primordi della discussione, ma dalle ultine forme che aveva
assunte nella scienza ('). Perché il Burleo discepolo di Occam stando alla pura
questione filosofica, aseva guardato più alla parte fisica dei generi e delle
specie, ed Occam aveva ridotto la soluzione al puro nominalismo. Non crede
dover fare lunga discussione sugli universali ante rem, parendogli fuori
proposito pei tempi della scienza. Noi che camminiamo nella via media, dice
lui, affermiamo che l'essenza di ogni cosa si può considerare doppiamente, cioè
in se, e nella materia, in quanto è quell'aptitudo realis che nou è
particolare, perche è una essenza non di unitá di numero, ma l'unità secondo
l'aptiludinem communicabilitatis. È una comunità non di materia, ma di forma.
Ed é appunto questa inchoulio formae che é reale. Cosi nello sperma non cessa
mai la forma umana, fin tanto chie l'nomo si perfeziona. Altrimenti la forma
sarebbe creata dal niente di se. Il Vernia è un fisico, e non può trattare la
questione degli universali, se non dal lato della sua scienza. Essa si può dire
che si identiticacon quella dei germi della vita, sino ad un certo punto.
Occam aveva sciolto la questione degli universali negando ogni esistenza
astratta e tutto riducendo il loro valore al puro termine. Ma la specie non ha
valore in se? Ecco il Burleo che ammette quest' universale nella specie : il
Vernia lo chiama unita di forma che é increata, eterna, appunto per negare la
creazione temporanea della specie. La difficoltà era per l'anima
intellettiva, ritenendosi che essa è creata prima e poi infusa nel corpo.
Sebbene ciò, dice il Vernia, é secondo la mente dei sacri teologi, non è però
secondo la mente di Aristotele ('). Poichè secondo Averroe nel settimo della
metafisica non può uno stesso effelto essere prodotto da due agenti che non
sono subordinati nell'operare, e che non concorrono aggiustata-mente allo
stesso effetto. Cosi sarebbe di Dio e di un particolare agente nella
generazione di Socrate. Epperó egli é di opinione clie la dottrina di Alberto a
questo punto poco differisca da quella di Averroe. Il quale volle tutte le
forme prodotte ed emanate dalla potenza della materia e non per creazione, la
quale credette essere impossibile (°). Quindi l'anima intellettiva non è
creata, maché la volle creata. Ma cio che ha esistenza preesistente, è al
aeterno. Il Vernia nella questione dell'anima vede la cosa secondo il
fatto. L'uomo genera l'uomo per l'apretito naturale clie non può essere
indarno. L'agente fa la mil- tazione, trasmutando la materia dalla
potenza all'atto, non congregando due cose jer fare l'unità di un effetto: cosi
si approssima alla creazione. La forma non si crei, ma si produce per
generazione. La creazione de noco non gli va. La generazione non é per
trasferimento secondo Anassagora, nè per le idee secondo Platone. Per Averroe
quando succede la generazione, vi è qualche cosa che si completa: la forma è il
termine di essa. La forma particolare è distinta dalla essenza che la include;
jercio essa non si crea, ma si genera. Se Alberto dice che è creata dal niente
di se stessa, rispondo che è jer accidente ge-nerata. E se soggiunge che
incomincia ad essere de noco, rispondo anche dicendo non dal niente di se
stessa, ma da qualche clie di se, cioè dalla essenza che è l'incoazio-ne ed il
seme nella stessa specie. E coloro che non intendono queste cose, non hanno il
cervello abilitato al bene, e non sono atti a filosofare secondo i principi di
Aristotele ('), il cui assioma è dal niente niente farsi. La quale dottrina fu
accolta da tutti quelli che parlano na-turalmente. Ottima confessione !
Ma osserva ancora che la forma della specie non è distinta da quella
dell'individuo; perché nell'uomo vi è una forma particolare che si dice l'anima
cogitativa. Nello sperma da cui si ha l'uomo, non si distruggono le parti di esso,
ma si generano successivamente le forme dell'uono, finchè si perfeziona la
forma umana. L'incoa-tivo sene non è una potenza subbiettiva, ma potenza
formale, distinta dalla materia ('). Da ciò segue darsi gli universali reali.
Anzi arriva a dire che tutte le specie rimangono in ogni ora, altrimenti tutto
sarebbe corrutti-bile, locché appartiene al solo singolare. Perfino il concetto
di finalità nella natura non lo ammette; poiché il fine è ens rationis, il
quale è ben diverso dal processo naturale, che non dipende dall'anima nostra.
L'incoazio- ne è reale, dice più prima, é nella materia, non è
nell'intuizione delle cause agenti (*). Segue una immensità di obbiezioni che
tralascio per brevità: qualcuna solo voglio menzionare. Con questa teoria in ogni
uomo vi sarebbe qualche che dell' asino; risponde : in potenza vi é questa
indifferenza della specie, in atto no. (3) Essendo questi universali separati
dall'individuo, non vi sarebbe la necessita dell'intelletto agente. Risponde:
questo essere necessario a produrre nell'intelletto jossibile mediante i
fantasmi le intenzioni dell'intelletto in atto. Nota poi con Alberto che questi
universali incorporei sono sempliciquiddità ulique eristentes, come la quantità
indetermi-nata. Infine a Burleo che nega gli universali nella mente, altrimenti
si andrebbe all'infinito nei concetti comuni, e cosi non vi sarebbero principi
primi della scienza, rispon-de, che il concetto dell' essenza in ratione entis
è singo-lare, in ratione signi è comunissimo. Un uomo e un uomo sono lo stesso
rutione signi, ma differiscono mate-rialiter. Per questa dottrina egli si
avvicina di molto ad Occam che è un puro terminista; ritiene con lui gli
universali nella mente rutione signi, e combatte Burleo clie li negó nella
mente: ma ritiene con costui la realtà degli universali come enti obbiettivi,
che nego l'Occan. In questa dissertazione vi è del buono, vi è del
fal-so. Ad ogni modo è la ultima manifestazione del suo averroismo. Il Vernia
nega la creazione perché riconosce in natura la sola generazione: ed arriva
sino a toccare la questione nebulosa della generazione spontanea colla dottrina
della indifferenza dei generi. Non fa eccezione per l'uomo e neinmeno per
l'anima cogitativa, dicendola una specie non diversa dall'individuo, un' accidentalità
della natura, per cui non ci è bisogno della creazione de noco. Nega
l'infondersi dell'anima nel corpo umano secondo S. Tommaso, reputando
sufficiente la generazione per l'appetito naturale inerente all'uomo. Questo è
il lato più vero dell'arerroismo professato dal Vernia. E se ritiene gli
universali separati dai singolari in quanto sono in se, non è meraviglia che
sia costretto ad ammettere anche l'intelletto agente che completa nell'uomo la
cognizione. Il Vernia mi pare proprio sospeso tra il cielo e la terra, tra la
scolastica antica a cui non può dare un totale addio, e la nuova dottrina della
realtá della natura di cui ne ha qualche presagio. E certo peró, che se altro
scritto mancasse a conoscere qualche valore negli studi naturali, questa quinta
dissertazione è la più valida prova del suo talento negli studi filosofici. Con
questa dissertazione quinta preceduta dall'altra, se il cielo èanimato,
inedita, il Vernia chiude il suo averroismo il più deciso. E si noti che è una
dissertazione pubblicata dopo il 1479 in cui fu minacciato della scomunica;
cioé nel giugno del 1402 ovvero tre mesi prima della sua ritrattazione, due
mesi prima del trattato de intellecte del Nifo, che ne era il preludio.
Nel 26 ¡gosto (') e nel 18 settembre (°) dello stesso anno, 1492, arviene, che
discepolo e maestro, cioe il Nifo prima e poi il Vernia scrivono due
trattatelli contro l'unità dell'intelletto di Averroe. Il trattato de
intellectu del Nifo è molto più lungo: maci sostara e quine di io iu pablicato
nel 1503, cosi quello del Vernia vidde la luce nel 1499. Il Naude ha detto che
il de intellecte di Nifo fu prima di quello de unitrle del Vernia (3). É vero,
perché nella dedica del libro a Sebastiano Baduario, patrizio Veneto, dice che
gli avevabe procurato di stamparla, se non ci fossero stati gli invidiosi che
lo accusavano di eresia. Da ció si è argomentato che nel 1491 il Nifo aveva giá
fatto il trattato; e che avendo diteso il Vernia, si attirò sopra di lui accuse
di eresia; epperò fu costretto a pubblicarlo nell'anno dopo, avendolo prima del
tutto emendato ('). E questo ha potuto essere sino al Giugno del 1492,
quando il Vernia era ancora averroista. Ma mutatosi d'opinione il maestro, si
muto anche lo scolaro (%). Ki-mane la difficoltà rispetto al Vernia, che è maggiore
di quella del Nifo, come dopo più di due mesi soltanto cambio opinione, cive da
averroista addivenne antiaveroista col trattato de unitute intellectus contro
Averroe. Di cosi subitanea mutazione la causa dovette essere la scomunica del
Barozzi fattasi sentire un po' più efficacemente. Che il Nifo ricerette
dal Vernia l'indirizzo fondamentale dalla sua ritrattazione, risulta non solo
dall'andamento del libro de intellecte nel tutto insieme, ma anche da un'al-tra
circostanza che c' induce a credere cosi. Il Nifo confessa nella dedica del
commento de anima (') al Giulio cardinale dei Medici, che tutte le cose
raccolte sul de anima da lui fin da quasi fanciullo gli furono rubate e
stampate a sua insaputa e col suo nome, acciocché la cosa fosse più verosimile
(). Si capisce che queste cose raccolte furono sotto scuola del Vernia. E se il
de intellectu a confessione del Nifo si intende per il commento de anima, e
deve succedere a questo, ed è giudicato il primo parto suo giovanile, è
ragionevole supporre che l'un e l'altro libro sieno stati inspirati dal suo
maestro nei punti principali della ritrat-tazione. Percorriamo ora
brevemente la sesta dissertazione, per vederne il contenuto. Dice che
Anassagora, Esiodo, Senofane, Melisso e Parmenide convengono nel porre che sia
lo stesso Dio e l'anima intellettiva: unico Dio, unico intelletto. Di qui
nacque l'errore di Averroe e di altri peripatetici che dicono uno essere
l'intelletto in tutti. Democrito e Leucippo non facendo differenza tra
senso ed intelletto, ammisero l'anima fatta di atomi. Empedocle volle l'anima
composta degli stessi principii delle cose, perché conosce queste cose. Costoro
dunque ammettono l'anima generabile. Riferisce l'opinione di Pitagora che pose
l'anima immortale per la metempsicosi, e di Platone che disse l'anima da Dio
creata, infusa nei corpi. Ma Ori-gene secondo S. Tommaso volle l'anima creata
de noronon eterna, rinchiusa nel corpo pel peccato originale. Avicenna
che ammise l'immortalità, disse le specie non causate dai fantasmi per l'agente
intelletto, ma clie questi dispongano l'anima a ricevere le specie. Dopo ciò,
magna discordia inter peripateticos, perché in Aristotele non si trova sciolta
né la prima ne la seconda questione, cioe an anima intellection sit forina
substantiulis humani corporis, utrunce sit in eo felicitabilis.
Alessandro ammise l'anima intellettiva essere eterna, e pose l'intelletto
agente e possibile come eterni. Averroe non avendo conosciuto il horo
dell'anima di Aristotele, disse l'intelletto possibile corruttibile, ed intese
per intelletto possibile l'anima cogitativa. Ma se è immortale l'agente, tale è
anche il possibile. La sua attitudine a tutto ricevere è in consonanza colla
libertà. Qui ci è una esposizione delle ragioni per cui Averroe ammise l'unita dell'intelletto;
perché è impossibile l'infinita moltitudine d'intelletti, perché non non vi è
moltitudine nella stessa specie se non per la materia, perché è impossibile la
creazione. E subito dopo una imprecazione ad Arerroe. Conchiude coi
peripatetici più famosi che tra Platone ed Aristotele non ci è discordia, se
non nelle parole, e che l' anima sia sostanziale dans esse forinaliter corpori
hurano, moltiplicata in singulis hominibus, ab acteï-no creata a deo et
corporibus infusa. E ciò secundum sacrosanctam Rom. Ecclesiam et veritatem. Ma
ci è qualche cosa di più: sostiene che queste cose non solo bisogna credere ex
fide, sei philosoplice, non dicendo nulla di contrario ai principii di
Aristotele. Arriva ad ascrivere ad Aristotele anche la creazione: locché é la
cosa più strana per il Vernia, che a questo profosito si era cosi decisanente
espresso cessario cambiarne altre con quella connesse. Ritiene perciò che
all'anima non conviene mutazione per l'acquisto della scienza. Per l'unione ai
fantasmi è l'universale co- nosciuto. Ma il singolare non può essere
conosciuto prima dall'intelletto, ma solo dal senso in cui vi è
mutazione. Nega quindi al Gianduno che l'intelletto per conoscere
l'universale abbia prima bisogno della conoscenza del par-ticolare; altrimenti
vi sarebbe mutazione nella scienza, e quindi alterazione nell'intelletto. Cosi
spiega che l'inten-dere è per reminiscenza. Similmente circa la indivisibilità
dell'anima, il cui opposto ammise Averroe, Osserva che se l'anima non fosse
tale, l'uomo non sarebbe lo stesso da mane a sera. Un altro inciampo era, come
l'anima intellettiva dá l'essere al corpo umano. Crede una stoltezza
l'affermare col Gianduno che non può avvenire se non jer miracolo, che una
forma inestesa dia l'estensione. Qui intanto anche lui si rifugia alla
fede, ut fideles po-nunt. Finalmente ne dimostra la immortalità: ciò che é
indebilitabile per la esistenza dell'oggetto, è immortale. L'intelletto è
tale: è eterno, come gli universali, non è organico, jerché la sua operazione
non è corporea. Un argomento spesso riprodotto dal Pomponazzi, è questo : non
si va da un estremo all'altro senza un mezzo. Tri la forma astratta e la
nateriale ci è la media che dá l'essere alla materiale: e jer questo conviene
colla be-stia, ed è incorrutibile come la celeste natura. In mezzo a tante
difficoltà che tratta, egli è però convinto che lasoluzione si trova nella
fede: e e Platone si accostò alla verità, non la vidde completamente. Sei
soluin ficiles inspirationis lemine fidei illuminati ceritatem attingere
complete, et soli complete salisfuciunt omnies poesi- tis in his
difficultatibies. Da questa dissertazione si vede che il Vernia mostra di
aver perduto ogni vigoria speculativa, ed ogni connes sione stretta di pensare.
Ed essa si può piuttosto accettare come una confessione di fede, anzi che come
una vera tesi scientifica. Il rifugio nella scienza era S. Tommaso, od un
Platonismo cristiano. Tale era l'intonazione che aveva dato il Bessarione
venendo in Italia: e questa si seguito piuttosto a Firenze, che a Padova. E
nissnn dubbio che questo indirizzo lo segue il Vernia. E credo che gli faceva
coin-modo per levarsi dagli impicci che gli dava il Baroz-zi, e perché
desiderava il canonicato di Aquileia, al quale avrebbe trovato ajerta la via
con tale pubblica con-tessione. Ma, siccome è troppo difficile abbandonare
quelle idee che sono state il nutrimento di un giovane intelletto; cosi anche
qui si vede in mezzo alle imprecazioni ad Averroe ed alle eccessive dottrine di
fede, una tendenza a mitigare l'averroismo, cioè a con-temperarlo colle
dottrine della chiesa. Ed il Barorzi gli dice nella lettera di risposta che lui
la fatto bene di fare questo opuscolo, sia che senta cosi, sia che no, perché
la sua autorità è grandissima. E lo paragona a S. Paolo con- vertito; ma
pure il sospetto sulla sua fede non cessó to-talmente. Epperò egli replica la
sua confessione dopo pochi mesi dalla pubblicazione del suo opuscolo nel suo
testamento. Il Nifo nella età giovane imito in tutto il suo mae.tro nella
tarda etá colla sua barcollante fede nell' arerroi-smo. Cosa che il Pomponazzi
gli osservò bene nel de-fensorium. Che autorità ha quest'uomo (ei dice) che
mentre ora segue l'unita dell'intelletto che noi diciano essere di Averroe,
prima l'ha condannata! Allude appunto al trat-se il sistema secondo il
Bessarione, di non avere nissun criterio proprio. E nella prefazione al de
Anima egli professa col Bessarione (') che né Platone ne Aristotele arrivarono
perfettamente alla fede ortodossa; ma in loro si osserva una parvenza della
nostra religione, che poi il creatore per mezzo della dottrina del suo figlio
rivelò più manife-stamente. Le sentenze perció di Platone e di Aristotele si
debbono accomodare a quella di Cristo. Tale fu il Ver-nia nell'eta decrepita, e
tale il Nifo nella gioventi. Il sistema era molto commodo non solo a non
avere disturbi quali ebbe il Vernia, ma anche ad aprirsi una via sicura agli
onori che la chiesa impartiva. Era il tempo della simonia allora: una fede
anche larvata ci voleva semj re, come scala alle lucrose onorificenze.
Noi non ci meraviglieremo delia confessione del Ver-nia, o meglio della sua
ritrattazione, perclé ancle il povero Pomponari fu obbligato a confessare che
gli argomenti del Padre Crisostomo, dell'ordine dei predicatori, contro il suo
trattato de immortalitale erano fuori ogni dubbio. E si obbliga che il suo
libro non puù esser venduto senza quella aggiunzione! Solo ci possiamo
meravigliare del suo discejolo che seppe imitare a proprio vantaggio ció che fu
un tratto di deboleza senile del suo maestro, senza aver mai dato in tutte le
sue 44 opere un lampo di ingegno un po' libero e meno servile alla chiesa.Nicoletto Vernia. Vernia. Keywords: i parepatetici, i
parepatetici padovani – i parepatetici di padova, il lizio, unita, Aquino,
method in philosophical psychology -- Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft
MS – Luigi Speranza, “Grice e Vernia: viva Aristotele!” – The Swimming-Pool
Library, Villa Speranza, Liguria. Vernia.
Grice e Vero: la ragione conversazionale a Roma – l’implicatura
conversazionale del fratello d’Antonino -- filosofia italiana – Luigi Speranza,
pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Roma). Filosofo italiano. Like Antonino,
he is adopted by Antonino Pio. They share many tutors, including Erode Attico, Frontone,
Apollonio, and Sesto. They both succeed the throne when their adoptive father
dies. When he dies, his brother deifies him for the Roman people. Quando Marco Aurelio , gia’ Cesare
di Antonino Pio , divenne Augusto alla morte del padre adottivo , si verifico’
un fatto straordinario : l’ Impero Romano ebbe per la prima volta nella sua
storia due Imperatori legittimi ; ma come si giunse a questa anomala
circostanza ? L' Imperatore Adriano
aveva stabilito che alla sua morte l’ Impero passasse all’ adottato Cesare ,
Lucio Ceionio Commodo , meglio conosciuto come Lucio Elio Vero , non tutti i
consiglieri di Adriano approvarono questa scelta , ma cosi’ fu ; Lucio Elio
dopo una breve permanenza lungo la frontiera del Danubio , tipiche di questo
periodo sono le monete emesse con al rovescio Pannonia , tornò a Roma per
pronunciarvi il primo giorno del 138 , un discorso innanzi al Senato riunito .
La notte prima del discorso però si ammalò e morì di emorragia nel corso della
giornata . Il 24 gennaio del 138 Adriano scelse allora come successore Aurelio
Antonino , che assunse poi l’ appellativo di Pio , obbligandolo a sua volta di
adottare il futuro Imperatore Marco Aurelio e Lucio Vero il figlio di Elio
Cesare . Marco Aurelio , nato come Marco
Annio Catilio Severo , divenne Marco Annio Vero , che era il nome di suo padre
, al momento del matrimonio con sua cugina Faustina , figlia di Antonino ,
assunse quindi il nome di Marco Aurelio Cesare , figlio dell' Augusto , durante
l'impero di Antonino Pio . Marco Aurelio
Antonino fu dunque , su espressa indicazione di Adriano , adottato nel 138 dal
futuro suocero e zio acquisito Antonino Pio che lo nominò erede all' Impero .
Alla morte di Antonino Pio il Senato voleva confermare solo Marco ma si rifiutò
di entrare in carica senza che Lucio ricevesse gli stessi onori , alla fine il
Senato fu costretto ad accettare e insignì anche Lucio Vero del titolo di
Augustus . Marco divenne nella titolatura ufficiale , Imperatore Cesare Marco
Aurelio Antonino Augusto mentre Lucio divenne Imperatore Cesare Lucio Aurelio
Vero Augusto . Per la prima volta Roma veniva governata da due imperatori
contemporaneamente . Marco conservò una
preminenza , dovuta al fatto che era stato Cesare dell’ ultimo Imperatore Antonino
Pio , fatto che Vero non contestò mai sebbene la sua elezione ad Augusto fosse
stata voluta da Adriano per onorare la memoria di Lucio Elio adottandone il
figlio e al tempo stesso lasciare l' Impero anche a Marco Aurelio di cui aveva capito le grandi
qualità . A dispetto della loro uguaglianza nominale , Marco ebbe maggior
autorita' di Lucio Vero e fu Console una volta di più avendo condiviso la
carica già con Antonino Pio ; fu anche il solo tra i due a divenire Pontifice
Massimo . In pratica l' Imperatore più anziano , Marco Aurelio aveva circa 10
anni piu' di Lucio Vero , deteneva un comando superiore al fratello più giovane
. Marco Aurelio durante l’ Impero tenuto
in fratellanza con Lucio Vero ebbe diversi figli da Faustina minore ma uno solo
sopravvisse , il futuro Imperatore Commodo . Apparentemente sembra che i due
Imperatori regnassero in armonia con l’ unica informazione certa che Marco
Aurelio non approvasse lo stile di vita del fratello adottivo in quanto da lui
ritenuta troppo libertina per un Imperatore , come dimostro’ Lucio nella
campagna partica nella quale affido’ in loco gran parte della guerra ai suoi
generali mentre lui si divertiva in Antiochia ; Lucio ebbe anche qualche remora
nel seguire Marco nella campagna in Germania essendo da poco tornato dall’
Oriente . A questo punto della storia
sorge la domanda del titolo , la morte di Lucio Vero ad Altino vicino Venezia a
causa di un colpo apoplettico , fu casualita’ naturale o dovuta ad altra causa
? La domanda nasce spontanea per due motivi principali , il primo , forse meno
importante , si riferisce al fatto che Cassio Dione nel narrare dei fatti di
questa epoca , tace completamente sulla morte di Lucio Vero e questo fatto e’
alquanto strano aver taciuto sulla morte di un Imperatore conoscendo la
serieta’ , scrupolisita’ e precisione dello storico greco , una dimenticanza ?
Forse , ma rimane comunque un fatto strano .
Secondo motivo , piu’ importante , e’ che Marco Aurelio aveva quasi 10
anni in piu’ di Lucio vero e sapendo sempre tramite Cassio Dione che Marco
Aurelio era di costituzione fisica non perfetta anzi cagionevole , in teoria
sarebbe forse morto con molta probabilita’ prima di Lucio Vero e a quell’ epoca
avere 10 anni in piu’ rispetto ad altra persona era quasi una naturale condanna
a morire prima . Cio’ avrebbe comportato il fatto che Lucio Vero sarebbe
rimasto un giorno unico Imperatore legittimo in carica , alla barba di Commodo
figlio di Marco , oppure se questi avesse rivendicato l’ Impero anche per se ,
si sarebbe verificato il rischio di una guerra civile , come in seguito avvenne
tra Marco e Avidio Cassio . Insomma i motivi per eliminare Lucio Vero erano
seri , a Marco non piaceva il suo stile di vita e si sentiva anche legato nelle
scelte di politica imperiale , inoltre lo strano assoluto silenzio di Cassio
Dione sulla morte di Lucio lascia quanto meno perplessi essendo stato questi un
Imperatore . Occorre anche aggiungere
che Giulio Capitolino nel narrare la Vita di Marco Aurelio riporta un passo
secondo cui Marco Aurelio , nonostante le sue grandi qualita’ morali da tutti
riconosciutegli , “sapesse anche abilmente fingere o almeno di essere meno
leale di quanto sembrava” Al termine di
questo discorso si puo’ affermare che non esiste nulla di concreto , si
ipotizza soltanto , ma le basi per avere dei blandi sospetti esistono ;
naturalmente se di omicidio si tratto’ , non e’ detto che sia avvenuto per
volonta' di Marco Aurelio , contrasterebbe troppo con la sua natura umana ,
potrebbe essere stato deciso da altra persona della cerchia imperiale , i
pettegolezzi circa la sua morte , inseriti nella Vita di Lucio Vero , in questo
senso non mancano . In foto un cammeo
antico in sardonice con Marco e Lucio , due busti al Museo di Londra , una
moneta celebrante la Concordia degli Augusti e una di Lucio Elio con la
Pannonia .Lucio Vero. Vero. Keywords: il principe filosofo. Luigi Speranza,
“Grice e Vero”. Vero.
Grice e Veronelli:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del sadismo italiano
– filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Milano). Filosofo italiano Essential Italian
philosopher. Figura centrale nella valorizzazione e
diffusione del patrimonio eno-gastronomico. Antesignano di espressioni e punti
di vista che poi sono entrati nell'uso comune e protagonista di caparbie
battaglie per la preservazione delle diversità nel campo della produzione
agricola e alimentare, attraverso la creazione delle denominazioni comunali, le
battaglie a fianco delle amministrazioni locali, l'appoggio ai produttori al
dettaglio. V. assieme ad alcuni sommelier F.I.S.A.R. Originario del quartiere
Isola di Milano, dopo il r. ginnasio Parini, compie studi di filosofia a
Milano, diventando assistente di BARIE (vedi). Si professa per tutta la vita di
fede anarchica, rifacendosi anche alle ultime lezioni tenute da CROCE a Milano.
Inizia l'esperienza di editore, pubblicando tre riviste: “I problemi del socialismo,”
“Il pensiero”, e “Il gastronomo.” Pubblica “La questione sociale di Proudhon” e
“Historiettes, contes et fabliaux di De Sade”. Per quest'ultima viene
condannato, insieme a MANFREDI (autore dei disegni, poi assolto), a tre mesi di
reclusione per il reato di pornografia. L’opera di De Sade e poi messa al rogo nel
cortile della procura di Varese. Subisce anche una condanna di VI mesi di
detenzione per aver istigato i contadini piemontesi alla rivolta, con
l'occupazione della stazione di Asti e dell'auto-strada, per protestare contro
l'indifferenza della politica per i problemi dei contadini e dei piccoli
produttori. Diventa collaboratore de Il Giorno. L'attività giornalistica
lo impegna, e i suoi articoli, di stile aulico e provocatorio, ricchi di
neologismi e arcaismi, faranno scuola nel giornalismo eno-gastronomico e no.
Tra le testate cui collabora vanno ricordate, oltre a Il Giorno: Corriere della
Sera, Class, Il Sommelier, V. EV, Carta, Panorama, Epoca, Amica, Capital, Week
End, L'Espresso, Sorrisi e Canzoni TV, A Rivista Anarchica, Travel e Wine
Spectator, Decanter, Gran Riserva ed Enciclopedia del Vino, The European.
L'apparizione televisiva ne aumenta notevolmente la fama, in particolare A
tavola alle 7, in cui conduce il programma prima a fianco di Scala e di Orsini,
poi di Ave Ninchi, e il Viaggio Sentimentale nell'Italia dei Vini, dove
realizza l'aggiornamento, provocatorio e di denuncia, della viti-coltura
italiana, con inchieste, interviste, proposte che hanno scosso quel
mondo. La sua attività di ricerca e di approfondimento nel campo eno-gastronomico
lo porta alla pubblicazione di alcune opere fondamentali, anche di carattere
divulgativo. Da segnalare: “I Vignaioli Storici”, “Cataloghi dei Vini d'Italia”,
dei “Vini del Mondo”, “Degli Spumanti e degli Champagne, delle Acquaviti e
degli Oli extra-vergine”, “Alla ricerca dei cibi perduti”, “Il vino giusto”, e
la collana Guide V. all'Italia piacevole. Fondamentale anche la collaborazione
con Carnacina, maître e gastronomo celeberrimo e Guazzoni maître e sommelier.
Ne nascono, ad esempio, “La cucina italiana” e “Il Carnacina.” Fonda la
seconda V. Editore col puntuale obiettivo di approfondire la classificazione
dell'immenso patrimonio gastronomico italiano e contribuire ad accrescere la
conoscenza dell’attrattive turistiche del “paese più bello del mondo,” secondo
Platone. La casa editrice cessa l'attività a fine. Collabora con Derive\Approdi
scrivendo le prefazioni ad alcuni libri di carattere storico, politico e
gastronomico. L'intenso rapporto epistolare sulle pagine di Carta con Echaurren
costituisce un forte stimolo di riflessione sulle questioni legate alla terra e
alla qualità della vita materiale per il movimento contro la globalizzazione. Isieme
ad alcuni centri sociali, tra cui La Chimica di Verona e il Leoncavallo di
Milano, al movimento Terra e libertà. Sempre di questi anni le battaglie per le
denominazioni comunali, una salvaguardia dell'origine di un prodotto; per il
prezzo-sorgente, cioè l'identificazione del prezzo di un prodotto alimentare
all'origine, per rendere evidenti eccessivi ricarichi nei passaggi dal
produttore al consumatore; per l'olio extra vergine d'oliva, contro le
prepotenze e il monopolio delle multi-nazionali e le ingiustizie della
legislazione per i piccoli olive-coltori. Di idee anarchiche, si è anche
interessato di questioni filosofiche, pubblicando anche articoli su A/Rivista
Anarchica e saggi. Le pubblicazioni hanno subito il segno dei suoi
interessi libertari, libertini, eno-gastronomici: racconti, novelle e novelline
di de Sade -- che gli procurerà una denuncia e la condanna al rogo dei libri,
tra gli ultimi roghi di libri avvenuti in Italia --, le poesie di
Pagliarani, la rivista Il gastronomo e quella di filosofia “Il pensiero”, poi interessante
per qualche anno e l'editore della rivista Problemi del socialismo, diretta da BASSO.
In seguito mise un po' in disparte le questioni filosofiche per concentrarsi su
quelle più propriamente eno-gastronomiche e agricole. In A-Rivista Anarchica si
definisce V. l'"anarchenologo" ritenendo che l'attività di V. vada
inquadrata in un ambito libertario e contro l'attività delle multi-nazionali agricole.
Gli anarchici della Cellula V., con l'intento di mostrare l'aspetto più
propriamente politico di V., hanno organizzato un incontro intitolato "V. politico",
a cui hanno preso parte personalità del calibro di MURA, giornalista di La
Repubblica, FERRARI della Federazione Anarchica Reggiana (promotrice
dell'evento biennale, ideato nella sua prima edizione insieme allo stesso
Veronelli, Le cucine del popolo) e TIBALDI. Dag’anarchici è sempre stato
considerato un compagno. V. e un libertario, un uomo colto, senza dogmi, senza
ipocrisie, in perenne lotta contro l’armate schiaviste delle multi-nazionali (Pagliaro,
Umanità Nova, Milano gli attribuisce l'ambrogino d'oro. Rassegna stampa. A-Rivista,
Lettera i giovani estremi Proudhon: La
questione sociale – V. politico. L'ultimo dei vini artigianali sarà sempre
migliore del primo dei vini industriali, perché avrà un'anima -- Il canto della
Terra. Il nostro anarchenologo. Un incontro inatteso. Cellula V. Veronelli politico.
Circolo Cucine del Popolo, l'addio, Bosana Salsa suprema. Luigi Veronelli.
Veronelli. Keywords. Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft – Luigi Speranza,
“Grice e Veronelli: metafisica dell’amore” – The Swimming-Pool Library,
Liguria.
Grice e Verrecchia:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della falena dello
spirito -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P.
Grice, The Swimming-Pool Library (Vallerotonda). Filosofo italiano
Essential Italian philosopher. Studia a Torino. Trascorse un certo periodo nel
parco nazionale del Gran Paradiso, considerato come il più formativo della sua
vita. Lì contempla in modo disinteressato i fenomeni della natura. Fa tre
università -- e solito dire -: quella vera e propria, che non mi ha dato nulla
o quasi; la collaborazione alle pagine dei quotidiani come elzevirista, che mi
ha costretto a leggere libri che altrimenti non avrei mai letto; e infine
l'università più utile in assoluto, vale a dire il soggiorno nel Gran Paradiso
a contatto con la natura. Frutto di quel soggiorno è il saggio che contiene la
sua filosofia, potentemente aforistica. I manoscritti riaffiorati molto più
tardi spiegano la tardività della sua pubblicazione, avvenuta presso Fògolasi
tratta del Diario del Gran Paradiso. Visse poi a Berlino ed e per addetto
culturale all'ambasciata d'Italia a Vienna. Collabora alle pagine culturali di
giornali italiani, tra cui Il Resto del Carlino, La Stampa, Il Giornale. Collabora
stranieri (Die Presse, Die Welt). Non parla volentieri della sua vita privata
perché, dice, di un filosofo ciò che interessa sono gli teorie e non le
vicissitudini personali. Traduttore di Lichtenberg, appassionato studioso di BRUNO
e Nietzsche, nel suo orizzonte culturale, però, la figura che risalta di più è
senz'altro quella di Schopenhauer, da lui considerato a tutti gl’effetti un
maestro da tradurre e continuare. Elementi caratteristici dei suoi saggi sono
l'irriducibile vena polemica e una sacra bilis, ma la sua prosa spicca anche
per chiarezza ed energia. La sua prosa insieme a quella di CERONETTI, SGALAMBRO
e GIAMETTA è stata giudicata la migliore prosa filosofica. Saggi: “L'eretico
dello spirito” (Firenze: Nuova Italia); “La catastrofe di Nietzsche a Torino”
(Torino: Einaudi), “La tragedia di Nietzsche a Torino: la catastrofe del
filosofo che sogna un super-uomo al di là del bene e del male (Milano: Bompiani);
“Incontri viennesi” (Genova: Marietti), “Cieli d'Italia (Milano: Spiral); “Diario
del Gran Paradiso (Torino: Fogola), “BRUNO: la falena dello spirito” (Roma:
Donzelli); “Rapsodia viennese: luoghi e personaggi celebri della capitale
danubiana” (Roma: Donzelli), “Schopenhauer e la Vispa Teresa: l'Italia, le
donne, le avventure” (Roma: Donzelli), “Vagabondaggi culturali” (Torino:
Fogola); “La stufa dell'Anti-cristo: altri vagabondaggi culturali” (Torino:
Fogola), “Batracomachia di Bayeruth: nietzschiani contro wagneriani; Padova: il
prato, Lettere Mercuriali (Torino: Fògola). “Il cantore filosofo” (Firenze, Clinamen);
“Il mastino del Parnaso: elzeviri e polemiche” (Firenze: Clinamen); Saggi
introduttivi, traduzioni e cure Viaggio in Italia di Mommsen (Torino: Fogola). Libretto di
consolazione (Milano: Rizzoli); Le civiltà pre-colombiane (Milano: Bompiani,).
Colloqui (Milano: Rizzoli), poi: “Il filosofo che ride” (Milano: Rizzoli), “Metafisica
dell'amore sessuale: l'amore inganno della natura” (Milano: Rizzoli); “Sulla
filosofia di Schopenhauer (Milano: TEA); “Aforismi per una vita saggia”
(Milano: Fabbri); “O si pensa o si crede: sulla religione” (Milano: Rizzoli); “Lo
scandaglio dell'anima” (Milano: Rizzoli); “Breviario spirituale” (Torino: POMBA).
A Bogotà c'è un erede di Montaigne. Tuttolibri de La Stampa, Allora basta un
rospo per finire al rogo. Tutto libri de La Stampa, MATHIEU, Tre giorni in
giallo. Tutto libri de La Stampa, Risvolto di copertina della Rapsodia
viennese. Verrecchia, su digilander libero.
Lanterna, V. venerando e terribile, Pulp Libri, (ora in Lanterna, Il
caleidoscopio infelice. Note sulla letteratura di fine libro, Clinamen, critica
Lanterna, Il caleidoscopio infelice. Note sulla letteratura di fine libro,
Clinamen. Dotti, I vagabondaggi culturali di V., in rivista. Le case illustri,
di Lisa Elena su archivio la stampa. Addio al filosofo V., di Sorrentino, su
poesia. RAInews. L'Anticristo goloso, di Rota, su piemontemese. Anacleto
Verrecchia. Verrecchia. Keywords: la metafisica dell’amore, Nietzsche a Torino,
Bruno, la falena dello spirito. Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft MS –
Luigi Speranza, “Grice e Verrecchia: metafisica dell’amore” – The Swimming-Pool
Library, Villa Speranza, Liguria.
Grice e Viano:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del va’ pensiero –
il carattere della filosofia italiana – filosofia italiana – Luigi Speranza,
pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Aosta). Esential
Italian philosopher. Filosofo italiano. Si laurea in filosofia
a Torino sotto ABBAGNANO. Insegna a Milano e Cagliari. Fa ritorno, in qualità
di ordinario fuori ruolo di storia della filosofia, a Torino. Fa parte del
Comitato Nazionale per la bio-etica, ed è stato membro del direttivo della “Rivista
di filosofia” e socio nazionale dell'accademia delle scienze di Torino. Insignito
del premio Feltrinelli per la storia dela filosofia. Di formazione illuminista,
V. si occupa di storia della filosofia antica. -- è autore di importanti studi
su Aristotele (“La logica di Aristotele” (Torino, Taylor) e l’empirismo (“Dal
razionalismo all'illuminismo” (Einaudi, Torino); “Il pensiero politico”
(Laterza, Roma). Nel campo dell'etica, oltre a studi storici -- “L'etica” (Mondatori,
Milano), “Teorie etiche” (Boringhieri, Torino) -- si dedica a promuovere la
costruzione di una bio-etica e a denunciare la timidezza dei laici di fronte
alle ingerenze del cristianesimo. Da Mistretta, direttore editoriale
della Laterza di Roma, gli fu affidata, la direzione di una “Storia della
filosofia.” Altre saggi: “La selva delle somiglianze: il filosofo e il medico”
(Torino, Einaudi); “Va' pensiero: il carattere della filosofia italiana”
(Torino, Einaud); “Filosofia italiana nel dopo-guerra” (Bologna, Mulino);
“Etica pubblica” (Roma/Bari, Laterza); “Le città filosofiche: per una geografia
della cultura filosofica italiana” (Bologna, Il Mulino); “Le imposture degl’antichi
e i miracoli dei moderni” (Torino, Einaudi); “Laici in ginocchio” (Roma/Bari,
Laterza); “Stagioni filosofiche: la filosofia del Novecento fra Torino e l'Italia”
(Bologna, Mulino); “La scintilla di Caino: storia della coscienza e dei suoi
usi” (Torino, Boringhieri). Profilo biografico sull’accademia delle scienze. Mori,
Torino ricorda V., su Torino. Cerimonia nell'accademia nazionale dei lincei, su
presidenza della repubblica, Roma. Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia
Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Registrazioni su Radio Radicale,
Radio Radicale. Biografia e testi
sull'Enciclopedia multimediale RAI delle scienze filosofiche Rassegna stampa
sul Sito Italiano per la Filosofia Recensione di "Le città
filosofiche" su Recensioni Filosofiche. Il lizio. Il punto di vista da cui
intendiamo prendere le mosse e che ci pare adatto a permettere un proficuo
studio della logica del LIZIO – tanto celelbrato a Roma -- può essere
sufficientemente precisato se messo in rapporto con la tradizione storiografica
concernente questo argomento. Le non molte pagine che compongono l’ “Organon”
hanno suscitato interessi per secoli intieri dal tempo dei commenti romani fino
ai rinnovati studi aristotelici del '500, attraverso gli studi medioevali, e
fino alla logica classica dell'800. Ma una vera e propria indagine
storiografica volta non a sviluppare una tecnica logica i cui principi si
considerassero posti da Aristotele, bensì a comprendere il significato delle
dottrine dello Stagirita e nei rapporti con gli atteggiamenti di pensiero dei
suoi contemporanei e nei rapporti con gli interessi dello Stagirita stesso,
sorse solo all'inizio del secolo scorso e tramontò abbastanza rapidamente:
tanto che da cinquant'anni a questa parte poche e non molto significative sono
le opere dedicate alla logica aristotelica.
Le ragioni di ciò si possono forse trovare nella impostazione che nella
filosofia contemporanea viene data al problema logico. Infatti, nell'800 da un
lato la critica kantiana presenta un' interpretazione della scienza classica
servendosi proprio delle categorie della logica tradizionale come categorie
proprie dell'intelletto umano, categorie di cui si serve ancora la logica hegeliana
che pretende addirittura di assurgere a logica di tutta la realtà; d'altra
parte il positivismo, soprattutto in Inghilterra, tenta di elaborare una logica
empirica servendosi degli schemi che la logica tradizionale aveva mutuato da
Aristotele; e la stessa logica formale ottocentesca finisce con il favorire lo
studio di quello che i suoi cultori conside ravano come il fondatore della loro
disciplina. Invece nel 'goo l'ideali-smo neo-hegeliano abbandona l' esigenza
panlogistica, almeno quale si configura nello Hegel, preferendo parlare di una
Coscienza assoluta più che di un'Idea che si svolga secondo una necessità
logica, scoprendo perciò negli schemi cui ancora la Wissenschaft der Logik si
era attenuta contraddizioni insanabili, come il Bradley, o vedendo nella logica
che si attiene agli schemi aristotelici una indebita infiltrazione di schemi
verbali irrigiditi nel campo del pensiero puro, come CROCE, o l' irrigidirsi
del pensiero pensante nell'astratto pensiero pensato, come GENTILE. D'altra
parte anche la logica della scienza tentava di liberarsi degli schemi
tradizionali diventati incapaci di intendere i metodi nuovi di cui l' indagine
scientifica si serviva o avvicinandosi sempre di più alla tecnica della ma- tematica, con la logistica, o configurandosi
come rigorosa analisi sintat-tica del linguaggio o servendosi delle nuove
categorie che il pragmatismo offriva per l'interpretazione della scienza. In
questo orizzonte gli studi sulla logica aristotelica non trovavano terreno
propizio per germogliare. Infatti gli
interpreti idealisti, tra i quali il più significativo è forse CALOGERO,
accettavano ben volentieri la qualificazione della logica aristotelica come
logica formale, come solidificazione astratta ed artificiosa dell'opera vivente
del pensiero e perciò tentavano di mostrare come essa non fosse essenziale per
la comprensione del vero pensiero aristotelico in quanto costituisce un'
intrusione del dianoetico nella noesi, cioè nell'atto di pensiero puro che
determina i suoi contenuti immediatamente e senza ricorrere allo schema verbale
del giudizio, come dimostrerebbe nel modo più lampante il libro della
Metaphysica ed il frequente affiorare di questa esigenza anche nelle pagine
dell'Organon, additate con molto acume e con molta perizia nella succitata
opera del CALOGERO. La logistica, per bocca del Russell, prendeva un netto
atteggiamento polemico nei riguardi della logica aristotelica vedendo in essa
un insieme di schemi verbali non rispondenti però ad un'autentica tecnica
logica, perché inficiati dal presupposto sostanzialistico, di carattere
metafisico, che, riducendo tutte le enunciazioni a proposizioni della forma
soggetto-predicato, preclude ogni considerazione delle relazioni. Tuttavia
proprio nell'ambito della logistica doveva sorgere un altro atteggiamento verso
la logica ari-stotelica, meno polemico, rappresentato soprattutto dallo Scholz,
dal Becker e dal Bochénski. Comune a questi interpreti è il presupposto che la
logica di Aristotele sia logica formale, cioè volta ad elaborare schemi linguistici
aventi rapporti noti ed indipendenti dal valore dato alle incognite che in essi
possono comparire. In questo modo, pur accettando l'osservazione del Russell
che la logica aristotelica non va accettata così com'è perché deve essere
integrata e sviluppata soprattutto con l'aggiunta della logica delle relazioni,
essi non polemizzano più contro di essa, ma anzi la considerano come il
precedente storico della logica formale contemporanea che si presenta appunto
come un progresso rispetto a quella. Di conseguenza questi interpreti non
mettono in problema le dottrine aristoteliche e l'impostazione da esse data al
problema della logica; ma anzi accettano che quella dello Stagirita sia la vera
impostazione del problema logico, la soluzione del quale consiste nello
sviluppo diretto delle dottrine dell'Organon. Infatti secondo lo Scholz
Aristotele avrebbe formulato un'as-siomatica che permetteva alla scienza del
suo tempo di organizzarsi come un sistema di proposizioni necessariamente
connesse; su questa base, da un lato, il Becker ha intrapreso una trascrizione
in simboli della dottrina aristotelica della possibilità senza dare ragione
delle diverse interpretazioni che di questa categoria lo Stagirita veniva
dando, mentre dall'altro il Bochénski ha svolto un esame particolareggiato
dell'assio-matica di cui parlava lo Scholz e della dottrina linguistica da
questa pre-supposta, senza però vedere i rapporti tra questa e quella. Contro
questo rapporto di derivazione diretta della logica formale contemporanea da quella
aristotelica protestava il Veatch facendo però uso di argomenti non molto
persuasivi. Fuori della logistica, frattanto, le difficoltà sorgenti dal
tentativo di interpretare la scienza contemporanea con la logica aristotelica
venivano messe in luce dal Reiser in alcuni articoli assai superficiali e
disordinati, ma contenenti alcune buone osservazioni, e soprattutto dal Dewey
che, con un atteggiamento ben più equilibrato, notava come la logica
aristotelica presupponesse l'ontologia della sostanza alla quale era legata. Ma,
facendo occasionalmente queste osservazioni in un'opera teorica, egli lasciava
aperto proprio il problema di trovare i modi precisi di questo rapporto tra
ontologia e logica e di determinare come l'ontologia si modelli attraverso la
logica. Dall'esame delle interpretazioni
surriferite si possono trarre alcune importanti considerazioni che permettono
subito di orientarsi di fronte alla logica aristotelica. Infatti lo studio
della logica propria della scienza contemporanea ci fa subito avvertiti che ad
essa 101 sono più applicabili gli schemi dell'Organon distruggendo così la
pretesa di vedere in esso le tavole eterne, sebbene magari ancora incomplete,
su cui sono segnate le leggi del pensiero umano e scoprendo le quali Aristotele
avrebbe fatto l'uomo razionale, dopo che Dio lo aveva fatto semplice creatura a
due gambe, come disse il Locke. Ciò posto, risulta impossibile giustificare
storicamente la logica aristotelica vedendo in essa la scoperta del
procedimento del pensiero in quanto tale, che è in fondo l'interpretazione del
Barthélemy Saint-Hilaire, o anche solo dell’intelletto che sarà poi superato
dialetticamente dalla Ragione, come sostiene lo Hegel. Ma allora il problema
della logica aristotelica si presenta in tutta la sua gravità. Infatti essa non
potrà più essere giustificata come insieme di regole che reggano il corso del
pensiero stesso in quanto tale, ma bisognerà esaminare l'effettivo valore che
essa ha per noi, i problemi che essa ci pone, gli eventuali mezzi per
risolverli che essa ci offre. Ma queste sono prospettive di ricerca che ci si
offrono solo in quanto alla logica aristotelica non si attribuisca una validità
metastorica e si riconosca in essa un insieme di dottrine storicamente
condizionate che storicamente vanno studiate. Da ciò consegue che la logica di
Aristotele non potrà essere studiata come logica in quanto tale, ma dovrà
essere studiata come logica aristotelica: cioè svolgere una ricerca su di essa
vorrà dire giustificare il suo posto nell'insieme delle opere aristoteliche,
mettere in luce quali problemi il suo autore si proponeva di risolvere e quali
riusciva a risolvere con essa. Perciò le interpretazioni idealistiche e
lo- gistiche, che sopra abbiamo
esaminato, non conducono a fondo l'interpretazione storica della logica
aristotelica in quanto lasciano sussistere dei termini - logica formale, schema
verbale - il cui significato non viene determinato nel corso dell'indagine
stessa, ma presupposto ad essa. È vero che la logica di Aristotele è costruita
di schemi verbali; ma l'osservare che quegli schemi verbali sono troppo
limitati o che essi oggi non servono più e rimproverare ad essi di soffocare la
vera vita del pensiero non serve a comprendere storicamente il pensiero dello
Stagirita; piuttosto giova vedere che cosa potesse significare per Aristotele
stesso « schema verbale», quale uso di esso egli giustificasse, di quali
dimensioni tenesse conto e quali eliminasse per costruire proprio quella
nozione. Ed altrettanto dicasi per la
qualificazione della sua logica come logica formale: in un certo senso questa
attribuzione può essere sostenuta in quanto almeno gli Analytica priora si
occupano di pure forme verbali in cui i termini sono rappresentati con lettere
che prescindono da ogni eventuale contenuto. Ma il problema che subito si
presenta è quello di determinare che significato abbia per Aristotele la «
forma» e l'aggettivo « verbale» che ad essa viene attribuito. Perciò la
comprensione storica della logica aristotelica ha come sua condizione la
connessione delle dottrine logiche con le altre dottrine filosofiche dello
Stagirita: a questo modo la logica non verrà considerata come la scienza del
pensiero in quanto tale, ma come la logica resa possibile da una ben
determinata posizione filosofica, presupponente una ben determinata metafisica,
mentre, d'altra parte, sarà aperta la via a considerare con quali mezzi
logico-lin-guistici sia stato possibile costruire quella metafisica. La connessione delle dottrine logiche con quelle
metafisiche nell' interpretazione di Aristotele non è nuova e, anzi,
costituisce il tema dominante di alcuni studi assai celebri. Essa è
riscontrabile nelle opere appartenenti alla storiografia francese di
ispirazione spiritualistica facente capo al Ravaisson, all' Hamelin ed al
Bergson. Carattere comune di questi studi è la presupposizione di una certa
interpretazione della metafisica aristotelica, nella quale si cerca un posto
per la logica o partendo dalla quale si discutono questioni pertinenti
propriamente alla logica. E anche l'interpretazione della metafisica è
caratterizzabile in modo assai tipico: essa infatti viene spiegata con schemi
in prevalenza neoplatonici in base ai quali si vuole vedere teorizzata l'opera
di un universale che darebbe vita agli individuali senza tuttavia risolversi
totalmente in essi, lasciando così sussistere quelle aporie che. secondo questi
interpreti, sarebbero riscontrabili nel xoprouós delle idec platoniche. Di
conseguenza le interpretazioni della logica appartenenti a questa corrente,
comc quelle dello Chevalier, dell'Aslan, del Badareu, del Robin, di S. Mansion
rivelano un unico schema nel quale la logica appare come la dottrina
dell'universale puro ed assolutamente necessario che lascia fuori di sé il
particolare esistente, nel quale la nocessità si attenua fino a diventare
soltanto il per lo più: anche qui cioè spunta la difficoltà della metafisica
per cui da un lato l'universale è il solo oggetto veramente conoscibile,
dall'altro il particolare è il solo oggetto veramente esistente. A questa
interpretazione si potrebbe obbiettare che lascia insoluto proprio il problema
della logica come logica, ossia come ricerca sulla possibilità di un discorso
rigoroso, in quanto in questi studi non si vede come lo stesso discorso
rigoroso, per potersi costituire come tale, richieda per Aristotele una certa
metafisica. Del resto è assai significativo che questi interpreti si siano
cimentati ben poco con gli Analytica priora esponendone semmai la dottrina, ma
accettando implicitamente la tesi che in essi è svolta una trattazione di
logica formale. Lo stesso Chevalier, che più degli altri si addentra
nell'analisi di questo trattato, dichiara che esso rappresenta un tentativo di
costruire una logica formale -- tentativo fallito perché il sillogismo richiede
come fondamento una necessità reale che è concepibile solo se le premesse sono
immediatamente intuibili, perché in caso contrario la pura necessità logica
diventerebbe una mera necessità ipotetica. Ma la difficoltà sta proprio qui,
cioè nell'assunzione che il sillogismo sia un mero mezzo di svolgere
cocrente-mente un'ipotesi, il cui unico contatto con la realta consista in un'
intui-zione intellettuale. Ben più
significativo è il modo in cui il Prantl tenta di connettere la logica con la
metafisica nella sua Geschichte der Logik im Abendlande. Il fondamento della
mediazione logica è un Realprincip immanente alle cose stesse e costituente
l'equivalente ontologico delle categorie linguistiche di cui fa uso la logica.
Il merito del Prantl consiste appunto nel tentare di definire per quel che gli
è possibile il principio ontologico con categorie logiche, mettendo in luce la
stretta connessione che per Aristotele sussiste tra questi due aspetti.
Senonché anche qui non si vede poi come non solo il Realprincip sia definibile
con categorie logiche, ma come le stesse categorie logiche determinino il
Realprincip costituendosi pro-prio come categorie logiche. Mentre il Prantl
pone al centro della inter-pretazione il concetto che è definibile
contemporaneamente con catego-rie ontologiche e con categorie logiche, il
Trendelenburg preferisce par-tire dalla considerazione del giudizio nel quale
prendono senso lc cate-gorie che deriverebbero dalle varie parti del discorso
distinte dalla gram-matica. Da questa interpretazione prendeva l'avvio una
lunga discus-sione sulla dottrina delle categorie aristoteliche condotta dal
Bonitz, dall'Apelt, dal Gercke, dal Witte, dal Geyser, dal Gillespie, dal von
Fritz, nel corso della quale si tenta di penetrare sei-pre meglio i precedenti
academici della dottrina aristotelica e si abban-dona anche l'analogia con le
categorie kantiane che in un primo tempo erano state il termine del confronto
che tutte le trattazioni si sentivano in dovere di fare impedendosi cosi la
comprensione del significato propria-mente aristotelico di quella dottrina. Ma
il motivo della centralità del giudizio nella logica aristotelica veniva
ripreso ed ampliato dal Maier che intitolava un'amplissima opera sulla logica
aristotelica Die Syllogi-stik des Aristoteles, mostrando appunto di voler
imperniare tutte le sue indagini sul sillogismo considerato come la base di
tutte le dottrine del-l'Organon. Il Maier rifiuta nettamente l'interpretazione
formalistica della logica aristotelica sostenendo che per lo Stagirita giudizio
e sillogismo hanno sempre un valore logico ed un valore ontologico. Ma poi
distingue il significato ontologico da quello metafisico considerando
l'intrusione del metafisico nella logica come un passaggio indebito compiuto in
più punti dallo stesso Aristotele. Di conseguenza la logica, anziché essere
interpretata in connessione con le dottrine metafisiche di Aristotele, viene
disgiunta da esse ed irrigidita in una struttura formale che a quelle è
estranea: perciò solo apparentemente il Maier respinge l'interpretazione formale
della logica aristotelica, in quanto la sua interpretazione si distingue da
quella formalistica solo perché non riconosce valore meramente linguistico agli
schemi logici, ma li trasporta nel reale stesso pur senza alterare la loro
natura. Appunto perciò l'interprete non è poi in grado di mettere in luce la
connessione di quegli schemi con le altre dottrine filosofiche dello Stagirita,
dalle quali, anzi, pretende di prescindere. Il Maier mette iu luce una esigenza
che si fa veramente valere nell'indagine sull' Organon - cioè il bisogno di
precisare il valore ontologico degli schemi logici —, ma non è in grado di
soddi-sfarla, in quanto la distinzione dell'ontologia dalla mctafisica non
regge, almeno nell'ambito delle dottrine aristoteliche, perché 1°) per
Aristotele la metafisica si configura appunto come ontologia, in quanto
pretende di essere la teoria dell'essere in quanto tale; 2°) l'eliminazione
della metafisica dalla pura ontologia costituita dalle dottrine dell'Organon ha
costretto il Maier ad espungere idealmente dalla logica aristotelica sviluppi
non irrilevanti. Poiché abbiamo visto
che l'autentica comprensione storica delle dottrine logiche dello Stagirita ha
come condizione la loro connessione con le dottrine metafisiche, ci pare di
poter affermare che gli interpreti che si sono messi su questa via e che sopra
abbiamo citato, non hanno realizzato appieno il loro proposito in quanto non
hanno del tutto realizzato proprio quella condizione. Infatti o, come il Maier,
hanno irrigidito la logica in una struttura che ha impedito ogni suo ulteriore
collegamento son le errin pietarite
oraco, i Pro e su pisto mone nageione,
poi la logica si sarebbe dovuta adeguare. Per stabilire un più stretto
legame tra logica e metafisica aristoteliche bisogna esaminare la logica con
l'intento di cercarvi gli strumenti con cui Aristotele ha potuto costruire la
metafisica: cioè non si deve studiare la logica presupponendo la meta-fisica,
ma considerando la metafisica come punto di arrivo della logica. Ciò tuttavia non implica che la logica si
svolga senza presupposti metafisici; ché anzi le dottrine logiche si vengono
precisando via via con il precisarsi delle dottrine metafisiche e presuppongono
posizioni metafisiche dalle quali sono indisgiungibili. La metafisica, perciò,
si costituisce come punto di arrivo della logica non perché sia separata da
questa, ma perché queste stesse categoric della metafisica si configurano in
modo tale da determinare anche gli strumenti con cui esse sono usabili; d'altra
parte dallo studio della logica si vedrà appunto come l'uso di certi
determinati strumenti logici, l'impostazione della ricerca su certe determinate
dimensioni e l'eliminazione di altre, porti all'elaborazione di una certa
determinata metafisica che, a sua volta, giustifica quegli strumenti ed è il
loro presupposto. A questo modo è possibile trarre dallo studio della logica
l'orizzonte categoriale della metafisica, vale a dire l'unità delle dottrine
metafisiche stabilite in base all'uso degli strumenti ad esse ap-propriati.
Solo dalla indagine delle effettive categorie di cui Aristotele fa uso e del
loro modo di operare potrà così emergere l'unità della filosofia
aristotelica. Ma per far ciò non sarà
più possibile considerare la logica aristotelica come dottrina del procedere
naturale dell'intelligenza o dottrina della conoscenza in generale, ma
bisognerà fare concreto rifcrimento al modo preciso in cui Aristotele pensò che
l'intelligenza lavorasse, cioè alla sua concezione della scienza. Infatti la
stretta connessione della logica con la metafisica, nel modo che sopra abbiamo
illustrato, diventa la stretta connessione della logica con la scienza, in
quanto la metafisica di Aristotele si presenta appunto come una scienza che ha
la medesima struttura delle altre scienze. Perciò dire che l'oggetto della
logica aristotelica è il discorso comune, come fa il Kapp, non è interamente
vero, in quanto il discorso comune può si costituire il punto di partenza ed il
materiale delle considerazioni di Aristotele il cui oggetto, però, è la costruzione
di un discorso scientifico fondato sul reale. Perciò se da un lato la
metafisica esige la logica come quella che può determinare gli strumenti con
cui le categorie metafisiche sono usabili, d'altra parte la logica tende alla
metafisica come quella che, dando un fondamento nell' essere alle categorie
logiche, legittima l'uso degli strumenti che quelle presuppongono. Ed appunto
perciò la logica non sarà, come la tradizione con il nome di organon ha
tramandato e come lo Zeller interpreta, uno strumento essa stessa, anche se
mette in luce gli strumenti con cui certe categorie possono essere usate: essa,
infatti, è una struttura che è necessaria all'essere perché possa esserci un
discorso che lo enunci e al discorso per potersi costituire come discorso,
anche sbagliato. Perciò presentandosi come logica della scienza quella di
Aristotele non si configura come inetodologia, in quanto quest'ultima è
possibile solo là dove non si presupponga l'esistenza di una struttura
dell'essere già costituita e gli strumenti per conoscere la quale sono
stabiliti una volta per tutte e stanno originariamente nelle nostre mani. Di
conseguenza l'unico precetto metodologico che dalla logica aristotelica deriva
è quello di non falsare gli strumenti che possediamo e di riconoscere l'essere
in quello che veramente è. Ma tutto ciò potrà veramente venire alla luce solo
attraverso lo studio dei fondamenti linguistici della logica aristotelica:
infatti per Aristotele, come per Eraclito, la ragione è essenzialmente lóyos,
discorso, cioè capacità di cogliere e di indicare con parole l'essenza stessa
dell'essere. Il linguaggio, perciò, è lo strumento essenziale con il quale le
categorie aristoteliche hanno da essere usate; e la posizione che ad esso
Aristotele conferisce e le possibilità che ad esso apre costituiscono i
fondamenti di tutta la costruzione logica e metafisica dello Stagirita. Del
resto questo lato dell'indagine risponde pienamente agli interessi cui la
filosofia odierna dedica la sua attenzione. Infatti, mentre da un lato la
logica e la metodologia delle scienze dedicano sempre maggiore cura all'esame
delle scienze in quanto fanno uso di certi determinati linguaggi e alle
possibilità e ai limiti di questi linguaggi, dall'altro la considerazione
dell'elemento linguistico della ricerca filosofica ha assai contribuito ad
aumentare la cautela critica di quest'ultima e l'interesse per l'indagine sulle
sue reali possibilità. Dalla tendenza volta a limitare la filosofia ad
un'attività critica sull'uso delle parole ad altre più propense a dare ad essa
un più vasto significato, le correnti più significative della filosofia
con-temporanca si rendono conto dell'importanza che ha la determinazione del
tipo di discorso che la filosofia deve adottare e delle possibilità che ne può
trarre; e nella stessa tecnica dell'indagine filosofia l'analisi linguistica
dei termini è praticata con sempre maggior frequenza nel tentativo di eliminare
quelle parole o quei significati la cui determinazione non è possibile fare con
mezzi il cui comportamento sia noto e, in qualche modo, controllabile. Il
linguaggio cioè non è un insieme di segni assolutamente trasparenti, capaci di
riprodurre fedelmente il puro pensiero o l'essere senza nulla pregiudicare di
quella ricerca che nelle parole troverebbe solo la sede adatta alle sue
conclusioni, ma interviene attivamente nella ricerca rischiando di deviarla su
direzioni del tutto illusorie. Questo problema è particolarmente importante per
la filosofia aristotelica che pretende di rintracciare, proprio avvalendosi del
discorso, una struttura dell'essere universalmente valida e che nella logica si
preoccupa di mettere in luce la posizione che il linguaggio ha come mezzo per
enunciare quella strut-tura. Dalla soluzione data al problema del linguaggio
come mezzo per enunciare l'essere dipende la configurazione della logica come
struttura necessaria e non come disciplina possibile del discorso; nel senso
che i mezzi semantici di cui il discorso è costituito sono sempre adatti a
mettere capo ad un insieme in cui le categorie dell'essere sono adeguatamente
aggravata dal fatto che sull'autenticità di due opere del corpus logicum si
sono sollevati dubbi. È nostro preciso intento trattare questo problema nella
misura richiesta dall'indagine che intendiamo condurre ed esclusivamente in
vista di essa. Ora, del trattato delle Categoriae ci siamo serviti solo in
quanto conteneva dottrine del tutto confermate da altri scritti di sicura
attribuzione, mentre più largo uso abbiamo fatto del De interpretatione. Contro
le difficoltà di natura oggettiva sollevate fin dall'antichità contro il
trattatello ha svolto considerazioni probanti il Maier. Quanto a noi ce ne
siamo serviti per studiare dottrine che trovano sicuro riscontro negli
Analytica priora (qualità e quantità dei giudizi e dottrina della modalità),
salvo differenze trascurabili per il punto di vista da cui ci siamo collocati
(p. es. la comparsa dei giudizi individuali non considerati dagli Analytica).
La dottrina della convenzionalità non trova invece riscontro letterale in altri
testi aristotelici; senonché si può osservare: 1°) la nozione di inópavas come
avíleois di arópiois e xatápaois compare anche negli Analytica posteriora e la
costituzione di un discorso apofantico presuppone appunto l'eliminazione del
problema della semanticità, che è proprio il senso in cui abbiamo interpretato
la nozione aristotelica di convenzionalità del linguaggio; 2°) la dottrina del
giudizio in tutte le sue enunciazioni presuppone la convenzionalità nel senso
sopra specificato; 3") la Poetica che parairasa passi del “De interpretatione”
eliminando la tesi della convenzionalità è stato dimostrato dal Maier essere
un'in-terpolazione tendenziosa. Perciò mentre mancano criteri oggettivi sicuri
capaci di sostenere la tesi dell' inautenticità, neppure l'esito dell'esame
condotto sulla concordanza dottrinale può indurrc a pronunciare l'atetesi del
De interpretatione, o almeno delle parti che ci interessano. Assai più difficile si presenta la questione
della collocazione cronologica degli scritti logici. Essa fu affrontata
dapprima dal Brandis che sostenne la precedenza dei Topica rispetto alle altre
opere aristote-liche, tesi ripresa e completata dal Maier che ritenne di poter
dividere i Topica in parti che non presuppongono la conoscenza del sillogismo e
parti che la presuppongono. Altre a ciò il Maier ritenne di poter considerare
il De interpreta-tiene posteriore agli Analytica, dando così un piano completo
della successione delle opere logiche aristoteliche, dai più accettato e
confer-mato recentemente, con uno studio sui rinvii reciproci delle singole
opere, dal Tielscher. Mentre la considerazione dei libri B e H (nei ca-pitoli
sopra citati) come le parti più antiche dell' Organon sembra del tutto
pacifica, maggiori riserve si potrebbero sollevare di fronte alla col-locazione
nello stesso periodo dei libri che eseguono un progetto tracciato all' inizio
del A, sì da costituire un corpo ab-bastanza unitario nel quale si trova un
rinvio ben netto alla dottrina della dimostrazione di Analytica posteriora. Se
questo indizio nonè affatto sufficiente per posticipare i libri in questione,
esso rivela tuttavia il tentativo di trovare, attraverso un' interpolazione, un
inserimento della dialettica dei Topica nella sillogistica degli Analytica.
Quanto alla posticipazione del “De interpretatione”, le ragioni più importanti
addotte dal Maier - la mancanza di citazioni in altri scritti e la
giustificazione del cap. go come polemica contro Diodoro Crono - non sono del
tutto probanti. L'opera iniziata dal
Maier portava innanzi il Solmsen che, partendo dagli studi del Jäger, suo
maestro, dava un ordinamento del tutto nuovo al corpus logicum accettando quasi
integralmente le tesi del Maier per i Topica ma facendo precedere gli Analytica
posteriora ai priora; ordinamento che, accettato dallo Stocks, veniva criticato
con consi-derazioni ragionevoli del Ross. D'altra parte il Gohlke, prendendo in
esame le dottrine della quantità e della modalità dei giudizi tentava di
individuare strati diversi di composizione delle opere dell' Organon;
ten-tativo parzialmente condotto anche dal Becker. In realtà nessuno di questi
tentativi ha dato finora un ordine cronologico fornito di un grado apprezzabile
di probabilità e stabilito su basi puramente oggettive, cioè tale da non
implicare un' interpretazione filosofica della logica aristotelica. Vista l'estrema difficoltà di stabilire un
ordine cronologico filologi-camente fondato in maniera soddisfacente, abbiamo
preferito rinunciare all'ordine cronologico (che sarebbe stato ben malsicuro),
pur tenendo conto, dove ciò ci è parso indispensabile, dei nessi di priorità
che ci sono sembrati indiscutibili. Ma, d'altra parte, abbiamo cercato di non
irrigidire le dottrine di Aristotele in un sistema che non fosse il sistema
stesso di Aristotele, tentando piuttosto di mettere in luce l'orizzonte in cui
tutte quelle dottrine si impostano e sforzandoci di non impacciare le loro
movenze pur cercando la loro unità: unità consistente appunto nel problema di
rintracciare una struttura linguistica universalmente necessaria. Se essa
precisa i suoi tratti con particolare evidenza nel De interpretatione e negli
Analytica priora, tuttavia sta già alla base della dottrina del giudizio e del
ragionamento rintracciabile nei Topica e costituisce uno dei tratti tipici dell'aristotelismo;
quell'aristotelismo che è già riscontrabile nel platonisino del Aristotele
dell’Accademia e non del Lizio! Viano. Keywords: la filosofia romana, il
neo-tradizionalismo. Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft MS – Luigi
Speranza, “Grice e Viano: il neo-tradizionalismo” – “Viano e la filosofia
romana” -- The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.
Grice
e Viazzi: la ragione conversazionale e
l’implicatura conversazionale della bellezza della vita – filosofia italiana –
Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Gavi). Essential Italian philosopher. Filosofo italiano.
Apprezzato teorico e studioso di filosofia. Fra critici e interpreti di VICO,
vuol esser ricordato con speciale considerazione, V.; il quale cura un'edizione
della Scienza Nuova, facendola precedere d'una sua lunga prefazione, “La
modernità e il positivismo di V.”, e accompagnandola con note che vorrebbero
essere interpretative del testo. Comte e Spencer, Vogt e LOMBROSO, Büchner
Haeckel, Ribot e Morselli, son questi i nomi cari a V. E accanto ad essi, egli
pone quello del VICO, come di un sicuro e diretto loro antenato. Gli è che
l'opera del VICO, fuori l'indirizze genuino dei metodi naturalistici, non può
affatto intendersi, com non l'hanno intesa appunto - afferma esplicitarente il
nostre nuovo interprete vichiano - tutti i metafisici, dai concettualisti pur
ai neo-critici. Nè, altresì, conviene altrimenti giudicare il metod‹ vichiano,
nell'idea e nell'attuazione, se non come empirico, in duttivo e psicologico, in
forza del quale, è chiaro come il pen siero del filosofo, fortemente temprato
dell'empiria del Bacone traesse decisamente a un sistema di sociologia o di
demopsicologia. Il vero si è che VICO, accanto a Comte e Spencer, deve esser
considerato come uno dei fondatori della scienza sociale; e nel modo suo di
ricerca, negl'indirizzi degli studi nel loro stesso risultato, ci si rivela
come il più genuino forse dei precursori dell'odierno positivismo critico, o
filosofia scientifica che altri la voglia chiamare. Se è cosi, la nota
dell'irreligiosità, nel sistema di dottrine di VICO, deve risonare con aperta e
larga intonazione, non come un semplice motivo, chiuso chiuso, di preludio. Non
si tratta più, dunque, di germi ideali ancora immaturi per il loro tempo, ma
destinati poi alla fecondazione, dopo circa due se! coli d' inosservata
incubazione; a spandere i loro effluvi inebbrianti sul campo rinnovellato del
pensiero, che reca la piena iberta dello spirito, la suprema indipendenza della
ragione. Contrariamente a ciò che opina il CROCE con i suoi, le conclusioni
antireligiose dei principi vichiani sono apparse limpidamente delineate nel
libero pensiero del filosofo; e inoltre sono state, esplicitamente, già dedotte
dall'autore medesimo con una certa sufficienza, a chi ben osserva, e insieme
con meditata parsi-monia, e, secondo l'importanza che esse hanno nell'organismo
del sistema, messe nella loro vera luce, sebbene non piena e sfolgorante e a
tutti accessibile. Sicché, da ogni pagina della Scienza Nuova emerge spontaneo,
per una critica evoluta, il pensiero tutto vibrante di naturalità scientifica,
tutto saturo di positivismo, che s'effonde con facile corso, attraverso il modo
suo di ricerca, nell'indirizzo degli studi, nel loro stesso rieultato. Che se
il VICO, per tal modo, ebbe a bandire estremamente, con matura persuasione e
con coscienza, dall'opera sua di pensiero ogni genuina idea del divino e di
religione, non poté conservare alcuna fede in fondo al suo cuore. Questo è
ovvio. Nè deve fare impressione di sorta
il parlare, talvolta coperto, dell'autore, talvolta, ancora, irto di reticenze
e concessioni, che sembra voglian salvare la forma d'una certa professione
religiosa. Tale professione di fede (ci si fa notare) soverchiamente ripetuta,
ha quasi sempre tutta la forma di un voler parere, più che altro si rifletta
all'epoca ed al luogo in cui scrisse il nostro autore, e si comprenderà tutta
la ragionevolezza pratica di talune concessioni'». Siamo, dunque, intesi: era
una pura finzione di religiosità; una professione di fede, che doveva servire
soltanto per il libero scambio nello smercio delle idee. E V. viene alle corte.
A carico del VICO (s' intende, dall'aspetto del positivismo) fu quasi
unanimemente posta la importanza, reputata eccessiva, non solo, ma intaccante
alla base tutto il suo sistema, ch'egli dà ad una provvidenza divina
regolatrice di questo mondo delle nazioni che egli prese a studiare. Ma quei
che in tal guisa obbiettano, s'arrestano alla corteccia, e non penetrano con lo
sguardo al midollo sottostante. Non s'è
detto, insomma, che VICO, non amante delle noie, cercava sempre, con insistente
ostentazione, di allontanare il pericolo che s'addensassero, intorno alla sua
opera, i sospetti e le avversioni dell'ortodossia dominante? Vico lo sente,
quest'odioso freno all'espressione della sua idea, ma vi si trova costretto, e
lo subisce. E incredulo qual'era nel pensiero e nel sentimento, tuttavia volle
adoperare un ripiego formale che, senza dubbio, poteva giovargli di passaporto
nell'epoca e nel luogo di pubblicazione del suo libro.? Si rifletta poi, in
fine, che egli non era punto di apostolo.Se avesse avuto l'animo di BRUNO, si
sa che le cose sarebbero procedute ben altrimenti. Cosi il nostro animoso
interprete vichiano va difilato alla conclusione della sua fatica, per quel che
concerne l'idea (della provvidenza divina) che domina e vivifica tutta
l'esposizione dottrinale della Scienza Nuova. È chiaro, secondo lui, che anche
qui la parola e l'espressione metempirica adoperate segnano un concetto
prettamente positivo. Ricordiamo anzitutto come con singolare ostinazione VICO
si richiami assai spesso a questo suo concetto, che il mondo delle gentili
nazioni è pur certamente opera degli uomini. Questo nel campo delle idee. Nel
campo ristretto della sua operosità di uomo, bisogna tener conto del fatto che
VICO era obbligato a mettere i suoi libri sotto la protezione di cardinali; che
scriveva prolusioni le quali non dovevano soverchiamente urtare il Corpo
accademico dell'Università. Poichè in Italia si faceva professione di
cattolicismo. quanto più superficiale tanto più generalmente ostentato; era
utile e, più che utile, necessario, per un uomo che si trovava nelle umilissime
condizioni del nostro autore dimostrare l'importanza del sentimento religioso
nella vita sociale? Pio Viazzi. Viazzi. Keywords: Vico. Refs.: The H. P. Grice
Papers, Bancroft MS – Luigi Speranza, “Grice e Viazzi” – “Il Vico di Grice e il
Vico di Viazzi” -- The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria
Grice e Vico: la ragione conversazionale e
l’implicatura conversazionale dell’antichissima sapienza degl'italici -- da
rintracciare nelle origini della sua lingua – filosofia italiana – Luigi
Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Napoli). Filosofo italiano. “The best philosopher, but that’s Hampshire’s
judgement!” – Grice. “Si potrebbe presentare la storia
ulteriore del pensiero come un ricorso delle idee del Vico” (CROCE, La
filosofia di V., Laterza, Bari). – cf. Whitehead on metaphysics as footnotes to
Plato. Molte delle notizie riguardanti la vita di V. sono tratte dalla sua “Autobiografia”,
scritta sul modello letterario delle “Confessioni” d’AGOSTINO.
Dall’autobiografia V. cancella ogni riferimento ai suoi interessi giovanili per
le dottrine atomistiche e per la filosofia di Cartesio, che hanno cominciato a
diffondersi a NAPOLI, ma venneno subito repressi dalla censura delle autorità
civili e religiose, che le consideravano moralmente perniciose e contrari all'indice
dei libri proibiti. Nato da una famiglia di modesta estrazione sociale – il
padre e un libraio – V. e un bambino molto vivace. A causa di una caduta, si
procura una frattura al cranio che gli impede di frequentare la scuola per III
anni e che, pur non alterando le sue capacità mentali, quantunque “il cerusico
ne fe' tal presagio: che egli o ne morrebbe o arebbe sopravvissuto stolido,”
contribusce a sviluppare “una natura malinconica ed acre.” Ammesso agli studi
di grammatica presso il collegio massimo dei gesuiti, li abbandona per
dedicarsi al privato approfondimento dei testi di NICOLETTI [vide], il quale,
tuttavia, rivelandosi superiore alle sue capacità, provoca l'allontanamento
dall'attività intellettuale per I anno e mezzo. Ripresa la via degli
studi, V. si reca nuovamente dai gesuiti per seguire le lezioni di RICCI. Rimasto
ancora una volta insoddisfatto, si apparta nuovamente a vita privata per
affrontare la meta-fisica. Successivamente, per secondare il desiderio paterno,
V. e “applicato agli studi legali.” Frequenta per II mesi le lezioni di VERDE,
s’iscrive alla facoltà di giurisprudenza, senza tuttavia seguirne i corsi, e si
cimenta, come di consueto, in studi di diritto. Conseguita la laurea a SALERNO,
si appassiona subito ai problemi filosofici, segno “di tutto lo studio che ha
egli da porre all'indagamento de’ princìpi del diritto universal.” Lapide nella
casa natale di via San Biagio dei Librai che recita: In questa cameretta nasce V..
Nella sottoposta piccola bottega del padre libraio usa passare le notti nello
studio. Vigilia della sua opera sublime. La città di Napoli pose.” Il periodo
di tempo intercorrente e denominato dell' “auto-perfezionamento.” Difatti,
nonostante l' “Auto-biografia” riporti indietro la data d'inizio del suo
magistero, svolge attività di precettore dei figli del marchese ROCCA presso il
castello di Vatolla nel Cilento e colà, usufruendo della grande biblioteca, ha modo
di studiare l’Accademia di FICINO e PICO. Approfondisce gli studi del Lizio,
nonostante la dichiarata avversione per Aristotele e la scolastica. Legge i
saggi di di BOTERO e di BODIN, scoprendo al contempo TACITO (che divenne un
maestro cui s'ispira la sua filosofia) e la sua “mente metafisica incomparabile
con cui contempla l'uomo qual è.” Affronta per un breve periodo studi di
geometria e pubblica la canzone “Affetti di un disperato,” d'ispirazione
lucreziana (vide LUCREZIO). Erma del V. Ritornato a Napoli, affetto dalla tisi,
rientra nella misera dimora paterna. A causa delle grosse difficoltà
economiche, V. è costretto a tenere ripetizioni di retorica e grammatica. Pubblica
un discorso proemiale a una crestomazia poetica dedicata alla partenza di
Benavides, vice-ré e conte di S. Stefano. Compone un'orazione funebre in
memoria di Cardona, madre del nuovo vice-ré. Tenta vanamente di ottenere un
posto di lavoro come segretario al municipio di Napoli. Vince, con striminzita
maggioranza, il concorso per la cattedra di eloquenza e retorica a Napoli, da
cui non riusce, con suo grande rammarico, a passare a una di diritto. -- è
aggregato all'accademia palatina fondata dal vice-ré Aragón, duca di
Medinaceli. Anche dopo la nomina accademica per il mantenimento del padre e dei
fratelli, totalmente dipendenti da lui, apre uno studio dove dà lezioni di
retorica e di grammatica e impegnarsi a lavorare su commissione alla stesura di
poesie, epigrafi, orazioni funebri, e panegirici. Può finalmente prendere in
affitto in vicolo dei Giganti una casa di tre camere, sala, cucina, loggia e
altre comodità, come rimessa e cantina e sposar e avere VIII figli. Da quel
momento non ha più la tranquillità necessaria per condurre gli studi, ma prosegue
ugualmente le sue meditazioni tra lo strepitio de' suoi figlioli. A questo
periodo risale, inoltre, la conoscenza con DORIA (vide) e l'incontro con la
filosofia di Bacone. Il governo partenopeo gli commissiona la scrittura del “Principum
neapolitanorum coniuratio” e in una cena a casa di DORIA, espone le sue idee
sulla filosofia della natura che lo conduceno alla composizione del “Liber
physicus.” Pronunzia in latino le VI orazioni inaugurali, ossia le prolusioni
all'anno accademico e, se ne aggiunge una VII, più ampia e importante, “De
nostri temporis studiorum ratione,” la quale si concentra molto sul metodo
degli studi giuridici, poiché sempre ha la mira a farsi merito con l'università
nella giurisprudenza per altra via che di leggerla ai giovinetti. Nel “De
ratione”, inoltre, è contenuta la critica al razionalismo di Cartesio e
l'elogio dell'eloquenza, della retorica, della fantasia, nonché dell’ingegno produttore
della META-FORA. L'insieme delle prolusioni universitarie sono rielaborate
per essere raccolte in “De studiorum finibus naturae humanae convenientibus”. È
aggregato all'accademia dell'Arcadia e pubblica il primo libro dell'opera
dedicata a DORIA, “De antiquissima italorum sapientia ex linguae latinae
originibus eruenda,” recante il sottotitolo “Liber primus sive metaphysicus.” Accanto
al “Liber Meta-Physicus,” l'opera comprender anche il “Liber Physicus” e un mai
compost, “Liber Moralis.” Un anonimo recensisce l'opera nel “Giornale de'
letterati d'Italia”, cui segue la risposta del V., accompagnata dal ristretto o
ri-assunto del “Liber Meta-Physicus”. Aseguito di nuove obiezioni prodotte
dall'anonimo recensore, replica con una Risposta II. Pubblica un trattatello
sulle febbri ispirato alle bozze del “Liber Physicus”, recante il titolo di “De
aequilibrio corporis animantis.” Inoltre, si dedica alla stesura del “De rebus
gestis Antonii Caraphaei,” una biografia del maresciallo Carafa. Durante i lavori
di questa opera biografica, V. si dedica alla ri-lettura del suo quarto
«auttore», Grozio, cui dedicha un commento al “De iure belli ac pacis”.
L'incontro di V. con la filosofia di «Ugon capo» ha un'importanza decisiva per
il suo sviluppo filosofico. Da quel momento, il suo interesse e completamente
assorbito dai problemi storici e giuridici. L'idea dell'esistenza di un'umanità
ferina e primitiva, dominata solamente dal senso e dalla fantasia, ed entro cui
si producono gl’ordini civili divenne centrale in tutta la sua filosofia. Vide
la luce un'opera di filosofia del diritto, intitolata “De uno universi iuris
principio et fine uno”, seguita dallo saggio “De constantia iurisprudentis,” diviso
in II parti, “De constantia philosophiae” e “De constantia philologiae,” e che,
nonostante il titolo si riferisca alla tematica giuridica, è meno incentrato
sull'argomento rispetto al “De uno”. Benché le due opere si differenzino, segno
di un rapido sviluppo della sua filosofia, è d'uso considerarli, come invero
fece anche Vico, insieme alle notae aggiunte e le sinopsi premesse al saggio,
sotto l'unico titolo di “Diritto universale”. S'iscrive al concorso per
ottenere la cattedra di diritto civile a Napoli e commenta un passo delle “Quaestiones
di Papiniano “davanti a un collegio di giudici, ma, con suo grande scorno, il
posto e assegnato a GENTILE. Dopo la fama ottenuta dalla pubblicazione della “Scienza
Nuova”, ottenne da Carlo III, la carica di storiografo regio. Tanto nuova e la
sua dottrina che la cultura del tempo non puo apprezzarla. Così che V. rimanda appartato
e quasi del tutto sconosciuto negl’ambienti filosofici, dovendosi accontentare
di una cattedra di secondaria importanza a Napoli che lo mantene inoltre in
tali ristrettezze economiche che per pubblicare il suo capolavoro, la “Scienza
Nuova”, dovette toglierne alcune parti in modo che risultasse meno costoso per
la stampa. Alle difficoltà economiche vissute per la pubblicazione dell'opera
sua, che inficiarono la sua notorietà nel seno dell'accademia partenopea, s’accompagna
una prosa involuta, pertanto di difficile penetrazione. Prima della “Scienza
Nuova” V. scrive la prolusione inaugurale “De nostri temporis studiorum
ratione,” il “De antiquissima italorum sapientia, EX LINGUAE LATINAE originibus
eruenda” a cui si devono aggiungere le II risposte al “Giornale dei letterati
di Venezia” che critica la sua filosofia, il “De uno universi iuris principio
et fine uno” e il “De costantia iurisprudentis”. Afflitto da difficoltà e
disgrazie familiari, V. incomincia a scrivere la sua “Autobiografia” pubblicata
a Venezia. Vengono pubblicati i “Principii di una scienza nuova intorno alla
natura delle nazioni.” Alla “Scienza nuova” lavora per tutto il corso della sua
vita, con un’edizione integralmente ri-scritta anche a seguito delle critiche
ricevute (cui aveva risposto nelle “Vici Vindiciae”) e, infine, rivista
completamente, senza grandi modifiche, per la edizione III, pubblicata pochi
mesi dopo la sua morte da suo figlio che lo aveva sostituito nell'insegnamento
accademico. La morte «[incominciarono a crescere] quei malori che fin dai suoi
più floridi anni l’avevano debilitato. Comincia adunque ad essere indebolito in
tutto il sistema nervoso in guisa che a stento poteva camminare e, quel che più
lo affligea, e di vedersi ogni giorno infiacchire la reminiscenza. Il fiaccato
corpo anda in seguito ogni giorno più a debilitarsi in guisa che perde quasi
interamente la memoria fino a dimenticare gl’oggetti a sé più vicini ed a
scambiare i nomi delle cose più usuali. Affetto probabilmente dalla malattia di
Alzheimer, all'epoca non ancora descritta scientificamente, negl’ultimi anni
non riconosceva più i suoi stessi figli e e costretto ad allettarsi. Solo in
punto di morte ri-acquista la coscienza come svegliandosi da un lungo sonno. Chiese
i conforti religiosi e recitando i salmi di Davide muore. Per la celebrazione
delle esequie nasce un contrasto tra i confratelli della congregazione di S. Sofia,
alla quale V. era iscritto, e i professori di Napoli su chi dovesse tenere i
fiocchi della coltre mortuaria. Non giungendo ad un accordo il feretro, che era
stato calato nel cortile, e abbandonato dei membri della congregazione e e riportato
in casa. Da lì finalmente, accompagnato dai colleghi dell'università, e sepolto
nella chiesa dei padri dell'oratorio detta dei Gerolamini in Via dei Tribunali.
Nell'ambiente culturale napoletano, molto interessato alle nuove dottrine
filosofiche, V. ha modo di entrare in rapporto con il pensiero di Cartesio,
Hobbes, Gassendi, Malebranche e Leibniz anche se i suoi autori di riferimento
risalivano piuttosto alle dottrine neo-platoniche dell’accademia, rielaborate
dalla filosofia rinascimentale di FICINO e PICO, aggiornate dalle moderne
concezioni scientifiche di Bacone e GALILEI e del pensiero giusnaturalistico
moderno di Grozio e Selden. Dal Portico di MALVEZZI riprende l'intuizione che
il corso storico sia retto da una sua logica interna. Questa varietà di
interessi fa pensare alla formazione di un pensiero eclettico in V. che invece
giunse alla formulazione di un'originale sintesi tra una razionalità
sperimentatrice e la tradizione platonica, accademica, e religiosa. “De
antiquissima Italorum sapientia” consta di tre parti: il “Liber Meta-Physicus”,
che usce senza l'appendice riguardante la logica che, nella sua intenzione,
avrebbe dovuto avere; il “Liber Physicus”, che pubblica sotto forma di opuscolo
col titolo “De aequilibrio corporis animantis”, che anda smarrito, ma
ampiamente riassunto nella Vita; e infine il “Liber moralis”, di cui non abbozza
nemmeno il testo. Nel “De antiquissima” V., considerando il linguaggio come
oggettivazione del pensiero, è convinto che dall'analisi etimologica di alcune
parole si possano rintracciare originarie forme del pensiero. Applicando questo
metodo, risale ad un antico sapere filosofico delle popolazioni italiche. Il
fulcro di queste arcaiche concezioni filosofiche è la convinzione antichissima
che “Latinis verum et factum reciprocantur, seu, ut scholarum vulgus
loquitur, convertuntur” -- che cioè il criterio e la regola del vero consiste
nell'averlo fatto. Per cui possiamo dire ad esempio di conoscere le
proposizioni matematiche perché siamo noi a farle tramite postulati,
definizioni. Ma non potremo mai dire di conoscere nello stesso modo la natura, perché
non siamo noi ad averla creata. Conoscere una cosa significa
rintracciarne i principi primi, le cause, poiché, secondo l'insegnamento del
Lizio, veramente la scienza è “scire per causas.” Ma questi elementi primi li
possiede realmente solo chi li produce, “provare per cause una cosa equivale a
farla”. Il principio del “verum ipsum factum” non e una nuova e originale
scoperta di V. E già presente nell'occasionalismo, nel metodo baconiano che
richiede l'esperimento come verifica della verità, nel volontarismo scolastico
che, tramite la tradizione scotista, e presente nella cultura filosofica
napoletana del tempo di V. La tesi fondamentale di queste concezioni
filosofiche è che la piena verità di una cosa sia accessibile solo a colui che
tale cosa produce. Il principio del verum-factum, proponendo la dimensione
fattiva del vero, ridimensiona le pretese conoscitive del razionalismo di
Cartesio che inoltre giudica insufficiente come metodo per la conoscenza della
storia umana, che non può essere analizzata solo in astratto, perché essa ha
sempre un margine di imprevedibilità. Si serve, però, di quel principio
per avanzare in modo originale le sue obiezioni alla filosofia di Cartesio trionfante in quel periodo. Il cogito di
Cartesio infatti potrà darmi certezza della mia esistenza ma questo non vuol
dire conoscenza della natura del mio essere. Coscienza non è conoscenza. Avrò
coscienza di me ma non conoscenza poiché non ho prodotto il mio essere ma l'ho
solo riconosciuto. L'uomo può dubitare se senta, se viva, se sia esteso, e
infine in senso assoluto, se sia. A sostegno della sua argomentazione escogita
un certo genio ingannatore e maligno. Ma è assolutamente impossibile che uno
non sia conscio di pensare, e che da tale coscienza non concluda con certezza
che egli è. Pertanto Cartesio svela che il primo vero è questo, Penso dunque
sono. --“De antiquissima Italorum sapiential” in “Opere filosofiche,” a cura di
Cristofolini (Firenze, Sansoni). Il criterio del metodo di Cartesio
dell'evidenza procura dunque una conoscenza chiara e distinta, che però non è
scienza se non è capace di produrre ciò che conosce. In questa prospettiva,
dell'essere umano e della natura solo il divino, creatore di entrambi, possiede
la verità. Mentre quindi la mente umana procedendo astrattamente nelle
sue costruzioni, come accade per la matematica, la geometria crea una realtà
che le appartiene, essendo il risultato del suo operare, giungendo così a una
verità sicura, la stessa mente non arriva alle stesse certezze per quelle
scienze di cui non può costruire l'oggetto come accade per la meccanica, meno
certa della matematica, la fisica meno certa della meccanica, la morale meno
certa della fisica. Noi dimostriamo le verità geometriche poiché le
facciamo, e se potessimo dimostrare le verità fisiche le potremmo anche fare. I
latini diceno che la mente è data, immessa negl’uomini dagli dei. È dunque
ragionevole congetturare che gl’autori di queste espressioni abbiano pensato
che le idee negl’animi umani siano create e risvegliate dal divino. La mente
umana si manifesta pensando, ma è il divino che in me pensa, dunque nel divino
conosco la mia propria mente. Il valore di verità che l'uomo ricava dalle
scienze e dalle arti, i cui oggetti egli costruisce, è garantito dal fatto che
la mente umana, pur nella sua inferiorità, esplica un’attività che appartiene
in primo luogo al divino. La mente dell'uomo è anch'essa creatrice nell'atto in
cui imita la mente, le idee, del divino, partecipando metafisicamente ad
esse. Imitazione e partecipazione alla mente divina avvengono ad opera di
quella facoltà che V. chiama “ingegno” che è la facoltà propria del conoscere per
cui l'uomo è capace di contemplare e di imitare le cose. L'ingegno è lo
strumento principe, e non l'applicazione delle regole del metodo di Cartesio,
per il progresso, ad esempio, della fisica che si sviluppa proprio attraverso
gl’esperimenti escogitati dall'ingegno secondo il criterio del vero e del
fatto. L'ingegno dimostra, inoltre, i limiti del conoscere umano e la
contemporanea presenza della verità divina che si rivela proprio attraverso
l'errore. Il divino mai si allontana dalla nostra presenza, neppure quando
erriamo, poiché abbracciamo il falso sotto l'aspetto del vero e i mali sotto
l'apparenza dei beni. Vediamo le cose finite e ci sentiamo noi stessi finiti,
ma ciò dimostra che siamo capaci di pensare l'infinito. Contro la Scessi sostiene
che è proprio tramite l'errore che l'uomo giunge al sapere metafisico. Il
chiarore del vero metafisico è pari a quello della luce, che percepiamo
soltanto in relazione ai corpi opachi. Tale è lo splendore del vero metafisico
non circoscritto da limiti, né di forma discernibile, poiché è il principio
infinito di tutte le forme. Le cose fisiche sono quei corpi opachi, cioè
formati e limitati, nei quali vediamo la luce del vero metafisico. Il sapere
metafisico non è il sapere in assoluto. Esso è superato dalla matematica e
dalle scienze ma, d'altro canto, la metafisica è la fonte di ogni verità, che
da lei discende in tutte le altre scienze. Vi è dunque un primo vero,
comprensione di tutte le cause, originaria spiegazione causale di tutti gli
effetti; esso è infinito e di natura spirituale poiché è antecedente a tutti i
corpi e che quindi si identifica con divino. Nel divino sono presenti le forme,
simili alle idee platoniche, modelli della creazione divina. Il primo
vero è nel divino, perché il divino è il primo facitore (primus factor);
codesto primo vero è infinito, in quanto facitore di tutte le cose; è
compiutissimo, poiché mette dinanzi al divino, in quanto li contiene, gli
elementi estrinseci e intrinseci delle cose. Se l'uomo non può considerarsi
creatore della realtà naturale ma piuttosto di tutte quelle astrazioni che
rimandano ad essa come la matematica, la stessa metafisica, vi è tuttavia
un'attività creatrice che gli appartiene questo mondo civile egli
certamente è stato fatto dagli uomini, onde se ne possono, perché se ne
debbono, ritruovare i principi dentro le modificazioni della nostra medesima
mente umana. L'uomo è dunque il creatore, attraverso la storia, della civiltà
umana. Nella storia, l'uomo verifica il principio del “verum ipsum factum” creando
così una scienza nuova che ha un valore di verità come la matematica. Una
scienza che ha per oggetto una realtà creata dall'uomo e quindi più vera e,
rispetto alle astrazioni matematiche, concreta. La storia rappresenta la
scienza delle cose fatte dall'uomo e, allo stesso tempo, la storia della stessa
mente umana che ha fatto quelle cose. La definizione dell'uomo, della sua mente
non può prescindere dal suo sviluppo storico se non si vuole ridurre tutto a
un'astrazione. La concreta realtà dell'uomo è comprensibile solo riportandola
al suo divenire storico. È assurdo credere, come fa Cartesio o i ne-oplatonici,
che la ragione dell'uomo sia una realtà assoluta, sciolta da ogni
condizionamento storico. La filosofia contempla la ragione, onde viene la
scienza del vero. La filologia osserva l'autorità dell'umano arbitrio onde
viene la coscienza del certo. Questa medesima degnità o assioma dimostra aver
mancato per metà così i filosofi che non accertarono le loro ragioni con
l'autorità de’ filologi, come i filologi che non curarono d'avverare la loro
autorità con la ragion dei filosofi. Ma la filologia da sola non basta, si
ridurrebbe a una semplice raccolta di fatti che invece vanno spiegati dalla
filosofia. Tra filologia e filosofia vi deve essere un rapporto di
complementarità per cui si possa accertare il vero e inverare il certo. Compito
della 'scienza nuova' sarà quello di indagare la storia alla ricerca di quei
principi costanti che, secondo una concezione per certi versi platonizzante,
fanno presupporre nell'azione storica l'esistenza di una legge che ne sia a
fondamento com'è per tutte le altre scienze. Poiché questo mondo di nazioni
egli è stato fatto dagl’uomini, vediamo in quali cose hanno con perpetuità
convenuto e tuttavia vi convengono tutti gl’uomini; poiché tali cose ne
potranno dare i principi universali ed eterni, quali devon essere d'ogni
scienza, sopra i quali tutte sursero e tutte vi si conservano le nazioni. La
storia quindi, come tutte le scienze, presenta delle leggi, dei principi universali,
di un valore ideale di tipo platonico, che si ripetono costantemente allo
stesso modo e che costituiscono il punto di riferimento per la nascita e il
mantenimento delle nazioni. Rifarsi alla mente umana per comprendere la
storia non è sufficiente. Si vedrà, attraverso il corso degli avvenimenti
storici, che la stessa mente dell'uomo è guidata da un principio superiore ad
essa che la regola e la indirizza ai suoi fini che vanno al di là o contrastano
con quelli che gli uomini si propongono di conseguire; così accade che, mentre
l'umanità si dirige al perseguimento di intenti utilitaristici e individuali,
si realizzino invece obiettivi di progresso e di giustizia secondo il principio
della eterogenesi dei fini. Pur gli uomini hanno essi fatto questo mondo
di nazioni, ma egli è questo mondo, senza dubbio, uscito da una mente spesso
diversa ed alle volte tutta contraria e sempre superiore ad essi fini
particolari ch'essi uomini si avevan proposti. La storia umana in quanto opera
creatrice dell'uomo gli appartiene per la conoscenza e per la guida degli
eventi storici ma nel medesimo tempo lo stesso uomo è guidato dalla provvidenza
che prepone alla storia divina. Secondo V. il metodo storico dove
procedere attraverso l'analisi delle lingue dei popoli antichi poiché i parlari
volgari debono essere i testimoni più gravi degl’antichi costumi de' popoli che
si celebrarono nel tempo ch'essi si formarono le lingue, e quindi tramite lo
studio del diritto, che è alla base dello sviluppo storico delle nazioni
civili. Questo metodo ha fatto identificare nella storia una legge
fondamentale del suo sviluppo che avviene evolvendosi in tre età: l'età
degli dei, nella quale gli uomini gentili credettero vivere sotto divini
governi, e ogni cosa esser loro comandata con gl’auspici e gli oracoli; l'età
degl’eroi dove si costituiscono repubbliche aristocratiche; l'età degl’uomini
nella quale tutti si riconobbero esser uguali in natura umana. La storia umana,
secondo V., inizia con il diluvio universale, quando gl’uomini, giganti simili
a primitivi "bestioni", vivevno vagando nelle foreste in uno stato di
completa anarchia. Questa condizione bestiale e conseguenza del peccato
originale, attenuata dall'intervento benevolo della provvidenza divina che
immise, attraverso la paura dei fulmini, il timore degli dei nelle genti che
scosse e destate da un terribile spavento d'una da essi stessi finta e creduta
divinità del cielo e di Giove, finalmente se ne ristarono alquanti e si nascosero
in certi luoghi; ove fermi con certe donne, per lo timore dell'appresa
divinità, al coverto, con congiungimenti carnali religiosi e pudichi,
celebrarono i matrimoni e fecero certi figlioli, e così fondarono le famiglie.
E con lo star quivi fermi lunga stagione e con le sepolture degli antenati, si
ritrovarono aver ivi fondati e divisi i primi domini della terra. L'uscita
dallo stato di ferinità quindi avviene: per la nascita della religione,
nata dalla paura e sulla base della quale vengono elaborate le prime leggi del
vivere ordinato, per l'istituzione delle nozze che danno stabilità al vivere
umano con la formazione della famiglia e per l'uso della sepoltura dei morti,
segno della fede nell'immortalità dell'anima che distingue l'uomo dalle bestie.
Della prima età sostiene di non poter scrivere molto poiché mancano documenti
su cui basarsi. Infatti quei bestioni non conoscevano la scrittura e, poiché
erano muti, si esprimevano a segni o con suoni disarticolati. L'età degl’eroi ha
inizio dall'accomunarsi di genti che trovavano così reciproco aiuto e sostegno
per la sopravvivenza. Sorsero la città guidata dalle prime organizzazioni
politiche dei signori, gl’eroi che con la forza e in nome della ragion di
stato, conosciuta solo da loro, comandano su i servi che, quando rivendicano i
propri diritti, si ritrovarono contro i signori che, organizzati in ordini
nobiliari, danno vita allo stato aristo-cratico che caratterizza il secondo
periodo della storia umana. In questa seconda, dove predomina la
fantasia, nasce il linguaggio dai caratteri mitici e poetici. Infine, la
conquista dei diritti civili da parte dei servi dà luogo alla età degl’uomini e
alla formazione del stato popolari (res pubblica) basato sul diritto umano
dettato dalla ragione umana tutta spiegata. Sorge quindi uno stato non
necessariamente demo-cratico ma che puo essere pure monarchico poiché
l'essenziale è che rispetta la ragione naturale, che eguaglia tutti. La legge
delle tre età costituisce la storia ideale eterna sopra la quale corrono in
tempo le storie di nostra nazione. Il popolo conforma il suo corso storico a
questa legge che non è solo delle genti ma anche di ogni singolo uomo che
necessariamente si sviluppa passando dal primitivo senso nell'infanzia, alla
fantasia nella fanciullezza, e infine alla ragione nell'età adulta. Gl’uomini
prima sentono senza avvertire. Dappoi avvertiscono con animo perturbato e
commosso. Finalmente riflettono con mente pura. Se nella storia pur tra le
violenze, i disordini, appare un ordine e un progressivo sviluppo ciò è dovuto all'azione
della provvidenza che immette nell'agire dell'uomo un principio di verità che
si presenta in modo diverso nelle tre età. Nella prima età degl’eroi, il vero
si presenta come certo gl’uomini che non sanno il vero delle cose procurano
d'attenersi al certo, perché non potendo soddisfare l'intelletto con la
scienza, almeno la volontà riposi sulla coscienza. Questa certezza non viene
all'uomo attraverso una verità rivelata ma da una constatazione di senso
comune, condivisa da tutti, per cui vi è un giudizio senz'alcuna riflessione,
comunemente sentito da tutto un ordine, da tutto un popolo, da tutta una
nazione o da tutto il genere umano. Vi è poi, nella seconda età della storia e
dell'uomo, caratterizzata dalla fantasia, un sapere tutto particolare che V.
define poetico. In questa età nasce infatti il linguaggio non ancora razionale
ma molto vicino alla poesia che alle cose insensate dà senso e passione, ed è
proprietà dei fanciulli di prender cose inanimate tra le mani e,
trastullandosi, favellarvi, come se fussero, quelle, persone vive. Questa
degnità filologica-filosofica ne appruova che gl’uomini del mondo fanciullo,
per natura, furono sublimi poeti. Se vogliamo quindi conoscere la storia del
antico popoli romano dobbiamo rifarci ai miti che hanno espresso nella loro
cultura. Il mito o la leggenda infatti non è solo una favola e neppure una
verità presentata sotto le spoglie della fantasia ma è una verità di per sé
elaborata dagl’antichi che, incapaci di esprimersi razionalmente, si servano di
universali fantastici che, sotto spoglie poetiche, presentano modelli ideali
universali. I antichi romani non definano razionalmente la prudenza ma
raccontarono di ENEA, modello universale fantastico dell'uomo prudente. V.
si dedica poi a definire la poesia che innanzitutto è autonoma come forma
espressiva differente dal linguaggio tradizionale. I tropi della poesia come la
metafora, la metonimia, e la sineddoche, sono stati erroneamente ritenuti
strumenti estetici di abbellimento del linguaggio razionale di base. Invece, la
poesia è una forma espressiva naturale e originaria i cui tropi sono necessari
modi di spiegarsi della nazione romana poetica. La poesia ha una funzione
rivelativa, custodisce le prime immaginate verità dei primi uomini. La lingua
romana non ha quindi un'origine convenzionale. Questo presupporrebbe un uso
tecnico. Ma la lingua romana sorge invece spontaneamente come poesia. Poiché il
linguaggio e i miti costituiscono la cultura originaria e spontanea di tutto il
popolo romano, arriva alla discoverta dell’epica, l'espressione del patrimonio
culturale comune di tutto il popolo romano. È comunque da respingere la
interpretazione platonica dell’epica come filosofia, -- l’epica e fornita di
una sublime sapienza riposte. Farsi intendere da volgo fiero e selvaggio non è
certamente opera d'ingegno addomesticato ed incivilito da alcuna filosofia. Né
da un animo da alcuna filosofia umanato ed impietosito potrebbe nascer quella
truculenza e fierezza di stile, con cui descrive tante, sì varie e sanguinose
battaglie, tante sì diverse e tutte in istravaganti guise crudelissima spezie
d'ammazzamenti, che particolarmente fanno tutta la sublimità dell'epica romana.
La sapienza antica ha per contenuto principi di giustizia e ordine necessari
per la formazione di popoli civili. Questi contenuti si esprimono in modi
diversi a seconda che siano formati dal senso o dalla fantasia o dalla ragione.
Questo vuol dire che la sapienza, la verità, si manfesta in forme diverse
storicamente ma che essa come verità eterna è al di sopra della storia che di
volta in volta la incarna. La verità della storia è una verità metafisica nella
storia. Nella storia si attua la mediazione tra l'agire umano e quello
divino: nel fare umano si manifesta il vero divino e il vero umano si
realizza tramite il fare divino: la provvidenza, legge trascendente della
storia, che opera attraverso e nonostante il libero arbitrio dell'uomo. Questo
non comporta una concezione necessitata del corso della storia poiché è vero
che la provvidenza si serve degli strumenti umani, anche i più rozzi e
primitivi, per produrre un ordine ma tuttavia questo rimane nelle mani
dell'uomo, affidato alla sua libertà. La storia quindi non è determinata come
sostengono gli stoici e gl’epicurei che niegano la provvedenza, quelli
facendosi strascinare dal fato, questi abbandonandosi al caso», ma si sviluppa
tenendo conto della libera volontà degli uomini che, come dimostrano i ricorsi,
possono anche farla regredire. Gl’uomini prima sentono il necessario; dipoi
badano all'utile; appresso avvertiscono il comodo; più innanzi si dilettano nel
piacere; quindi si dissolvono nel lusso; e finalmente impazzano in istrapazzar
di sostanze. A questa dissoluzione delle nazioni pone rimedio l'intervento della
provvidenza che talora non può impedire la regressione nella barbarie, da cui
si genererà un nuovo corso storico che ripercorrerà, a un livello superiore,
poiché dell'epoca passata è rimasta una sia pur minima eredità, la strada
precedente. Paradossalmente la criticità del progresso storico appare proprio
con l'età della ragione, quando cioè questa invece dovrebbe assicurare e
mantenere l'ordine civile. Accade infatti che la tutela della provvidenza che
si è imposta agli uomini nei precedenti due stadi, ora invece deve ricercare il
consenso della «ragione tutta spiegata che si sostituisce alla religione: Così
ordenando la provvedenza: che non avendosi appresso a fare più per sensi di
religione (come si erano fatte innanzi) le azioni virtuose, facesse la
filosofia le virtù nella lor idea. La ragione infatti, pur con la filosofia,
custode della legge ideale del vivere civile, con il suo libero giudizio, può
tuttavia incorrere nell'errore o nello scetticismo per cui si diedero gli
stolti dotti a calunniare la verità. La ragione non crea la verità,
poiché non può fare a meno dal senso e dalla fantasia senza le quali appare
astratta e vuota. Il fine della storia infatti non è affidato alla sola ragione
ma alla sintesi armonica di senso, fantasia e razionalità. La ragione poi è
ispirata dalla verità divina per cui la storia è sì opera dell'uomo, ma la
mente umana da sola non basta poiché occorre la provvidenza che indichi la
verità. La filosofia è succeduta alla religione ma non l'ha sostituita anzi
essa deve custodirla. Da tutto ciò che si è in quest'opera ragionato, è da
finalmente conchiudersi che questa Scienza porta indivisibilmente seco lo
studio della pietà, e che, se non siesi pio, non si può daddovero esser saggio.
Predicavano la ragione individuale, ed egli le opponeva la tradizione, la voce
del genere umano. Gl’uomini popolari, i progressisti di quel tempo, sono CAPUA,
DORIA, e CALOPRESO, che stano con le idee nuove, con lo spirito del secolo. Lui
e un re-trivo, con tanto di coda, come si direbbe oggi. La coltura europea e la
coltura italiana s'incontravano per la prima volta, l'una maestra, l'altra
ancella. Resiste. Era vanità di pedante? Era fierezza di grande uomo? Resiste a
Cartesio, a Malebranche, a Pascal, i cui pensieri sono lumi sparsi, a Grozio, a
Puffendorfio, a Locke, il cui saggio e la metafisica del senso. Resiste, ma li
studia più che facessero i novatori. Resiste come chi sente la sua forza e non
si lascia sopraffare. Accetta i problemi, combattea le soluzioni, e le cerca
per le vie sue, co' suoi metodi e coi suoi studi. E la resistenza della coltura
italiana, che non si lascia assorbire, e stava chiusa nel suo passato, ma
resistenza del genio, che cercando nel passato trovava il mondo moderno. E il
re-trivo che guardando indietro e andando per la sua via, si trova da ultimo in
prima fila, innanzi a tutti quelli che lo precedevano. Questa e la resistenza di
V. E un moderno e si sente e si crede antico, e resistendo allo spirito nuovo,
riceveva quello entro di sé. SANCTIS. Fintanto che e in vita la portata e la
ricezione critica del suo pensiero sono circoscritte quasi unicamente agl’ambienti
intellettuali della propria città, trovando poi un ben più vasto seguito. Affermatasi
la fama del pensiero vichiano, esso e conteso dalle più disparate correnti
filosofiche: dal pensiero cristiano -- nonostante l'iniziale rifiuto --, dagl’idealisti
-- dai quali fu proclamato precursore dell'immanentismo hegeliano --, dai
positivisti, e persino da diversi marxisti. V. è ben più di un semplice
filosofo tanto che in certi momenti della sua travagliatissima fama e
apprezzato prevalentemente per la sua filosofia del diritto, così come in altri
momenti e celebrato precursore della sociologia, della psicologia dei popoli, o
come campione fra i maggiori della filosofia della storia, mentre venne
ignorata la sua pur genialissima metafisica, che è ad un tempo il punto
d'arrivo e il presupposto logico di tutte le ricerche da lui condotte nei più
vari campi dell'operare umano. Il pensiero vichiano, le cui prime fonti
s'ispirano alla tradizione filosofica che permea l'ambiente partenopeo della
sua epoca, rappresenta un ponte. Nonostante V. non sia caratterizzato
dall'audacia innovatrice illuminista, il suo pensiero raggiunse – come nota ABBAGNANO
– alcuni risultati fondamentali che lo connettono a pieno titolo alla riforma.
Tuttavia, non può tacersi il carattere conservatore della sua filosofia
politico-religiosa, generato dal turbamento di chi, assistendo alla fine di un
mondo famigliare, non sa scoprire i segni del sorgere di un nuovo. Ciò è
dimostrato dalla giustapposizione del certo – ossia, il peso dell'autorità
della tradizione -- al vero – ossia, lo sforzo innovatore della ragione -- che
è il segno di una ricerca di equilibrio estranea all’illuminismo. A tali
conclusioni il pensiero vichiano e condotto dalla limitatezza della sua
gnoseologia e dalla polemica contro Cartesio, il quale professa, al contrario,
l'eliminazione di ogni limite gnoseologico. Altri saggi: “VI Orazioni
Inaugurali”: “De nostri temporis studiorum ratione”: “Orazione Inaugurale”;
“Proemium”; “Risposte al giornale dei letterati Prima risposta”; “Seconda
risposta”; “Institutiones oratoriae”; “De universis Juris”; “De universis juris
uno principio et fine uno liber unus - include “De opera proloquium”; “De
constantia jurisprudentis liber alter”; “ Notae in II libros, alterum De uno
universi juris principio et fine uno, alterum De constantia jurisprudentis”;
“Scienza nuova prima”; “Vici vindiciae”; “Vita di V. scritta da se medesimo,
(l'«Autobiografia» («Supplemento») Scienza nuova seconda, De mente heroica,
Scienza nuova terza. Edizioni: Scritti storici, V., Scienza nuova, Scrittori
d'Italia, Bari, Laterza, V., Scienza nuova seconda. 1, Scrittori d'Italia, Bari,
Laterza, V., Scienza nuova seconda. Scrittori d'Italia, Bari, Laterza, V.,
Opere a cura di Nicolini, Laterza, Bari, Orazioni inaugurali, De studiorum
rationum, De antiquissima Italorum sapientia, Risposte al giornale dei
letterati; Diritto universale, Scienza nuova; Scienza nuova, Autobiografia,
Carteggio, Poesie varie; Scritti storici; Scritti vari e pagine disperse;
Poesie, Institutiones oratoriae. V., Opere filosofiche a cura di Cristofolini,
Firenze, Sansoni. V., Opere giuridiche a cura di Cristofolini, Firenze, Sansoni.
V., Institutiones oratoriae, testo critico, versione e commento a cura di
Crifò, Napoli, Istituto Suor Orsola Benincasa. Il pensiero vichiano rimase
quasi del tutto ignorato dalla cultura europea con una diffusione limitata
nell'Italia meridionale. Ancora in età romantica V. e poco conosciuto anche se
filosofi tedeschi come Herder, chiamato il V. tedesco, e Hegel presentano delle
somiglianze con la dottrina vichiana per quanto riguarda il ruolo della storia
nello sviluppo della filosofia. La filosofia di V. comincia ad essere
conosciuta e apprezzata nel clima del romanticismo francese e italiano:
Chateaubriand e Maistre ma, soprattutto Michelet, “Principes de la
philosophie de l'histoire” (Parigi) diffonde il pensiero di V. di cui apprezza
la concezione della storia come sintesi di umano e divino. Comte e Marx
stimarono la filosofia della storia di V. Ma furono i filosofi italiani, come SERBATTI,
e soprattutto GIOBERTI, che videro in lui un maestro. Tommaseo, V. e il
suo secolo, rist. Torino mette in evidenza la grande affinità del pensiero
vichiano con quello di GIOBERTI. Carlo, “Istituzione Filosofica secondo i
Princìpj di V.” (Napoli, Cirillo). Nuove interpretazioni basate sul principio
vichiano del verum ipsum factum considerano V. un anticipatore del positivismo.
FERRARI, Il genio di V., rist. Carabba, CATTANEO, Sulla 'scienza nuova' di V.”
(Milano); CANTONI, “V.” (Torino); Siciliani, “Sul rinnovamento della filosofia
positiva in Italia” (Civelli Firenze). Viene rivalutato il legame stringente
fra il filosofo e l’illuminismo. Donati, “V., filosofo dell'Illuminismo” (Aracne).
Una spinta decisiva all'apprezzamento e alla diffusione del pensiero vichiano
come anticipatore di Kant e dell'idealismo, si ha in Italia a cominciare dagli
studi di SPAVENTA e SANCTIS iniziatori di quella corrente dottrinale
interpretativa che si ritrova soprattutto in CROCE e GENTILE, Studi
vichiani, Messina, rist. Sansoni Firenze che ne mette in luce le ascendenze neo-platoniche
e rinascimentali, rifiutandone nel contempo l'interpretazione positivista, e
interpretandone il verum ipsum factum in senso idealistico. Una forzatura
questa, secondo alcuni critici, ripresa da CROCE, “La filosofia di Vico”
(Laterza, Bari) che ha soprattutto il merito di aver intuito in V. una
definizione dell'arte come attività autonoma dello spirito e della visione
storicistica dello sviluppo dello spirito da cui CROCE elimina ogni riferimento
alla trascendenza della provvidenza vichiana. Un'accurata ricerca storica
su V. e operata dal crociano Nicolini, “V.” (Laterza, Bari); Nicolini, “La
religiosità di V.” (Laterza, Bari); Nicolini, Commento storico alla seconda
'Scienza Nuova (Roma); Nicolini, Saggi vichiani (Giannini, Napoli); Nicolini, V. nella vita domestica. La moglie, i figli,
la casa” (Osanna Venosa). Contrari all'interpretazione immanentistica della provvidenza
vichiana sono gli studi di autori cattolici che ne mettono invece in risalto la
trascendenza: Chiocchietti, La filosofia di V., Vita e Pensiero, Milano,
Amerio, Introduzione allo studio di V., SEI, Torino, Bellafiore, “La dottrina
della provvidenza in V., Milani, Bologna, A. Mano, “Lo storicismo di V.” (Napoli);
Lanza, Saggi di poetica vichiana, Magenta, Varese, Il dibattito tra le
interpretazioni laiche e cattoliche su V. si è attenuato in periodi recenti
dove lo studio del pensiero vichiano si è dedicato a particolari aspetti della
sua dottrina: Fassò, I «quattro auttori» del V.. Saggio sulla genesi
della Scienza nuova” (Milano, Giuffrè), non esistente. Fassò, Vico e Grozio,
Napoli, Guida, Serra, Eredità e kenosi tematica della "confessio"
cristiana negli scritti autobiografici di V., in Sapientia, sulla concezione
della storia ad opera della quale avviene la conciliazione tra immanenza e
trascendenza del pensiero vichiano:
Caponigri, Tempo e idea, Pàtron, Bologna, sulla estetica vichiana gli studi
più notevoli sono quelli di Bianca, Il concetto di poesia in V., D'Anna, Messina, Prestipino, "La teoria
del mito e la modernità di Vico", Annali della facoltà di Palermo, sugl’aspetti
giuridici e sociologici: Fabiani, La filosofia dell'immaginazione in V. e
Malebranche, Firenze, Donati, Nuovi
studi sulla filosofia civile (Firenze); Bellafiore, Il diritto naturale (Milano);
Pasini, Diritto, società e stato in V., Jovene, Napoli, Giannantonio,
"Oltre V. - L'identità del passato a Napoli e Milano (Carabba, Lanciano);
Leone, [rec. al vol. di] Giannantonio, "Oltre V. - L'identità del passato
a Napoli e Milano” (Carabba. Lanciano, in Misure critiche, La Fenice, Salerno,
e in "Forum Italicum", Wehle, Sulle vette di una ragione abissale: V.
e l'epopea di una 'Scienza Nuova'. In: Battistini e Guaragnella, V. e
l'enciclopedia dei saperi. - Lecce: Pensa multimedia (Mneme). Croce, La
filosofia di Vico, Bari, Laterza, Consiglia, Napoli, Editoria clandestina e
censura ecclesiastica a Napoli, in Rao, Editoria e cultura a Napoli, Napoli:
Liguori, Adorno, Gregory, Verra, Storia della filosofia, Laterza, V., La
scienza nuova (a cura di Rossi), Biblioteca Universale Rizzoli, V., Ferrari, La
scienza nuova (a cura di Rossi), Tip. de' Classici Italiani, Cioffi ed altri, I filosofi e le idee,
Mondadori, Armando, Sanna, Il Contributo italiano alla storia del Pensiero –
Politica, Enciclopedia Italiana Treccani, Adorno, Gregory, Verra, Storia della
filosofia (Laterza); Fassò, Storia della filosofia del diritto (Laterza); Abbagnano,
Storia della filosofia (L'Espresso); V., La scienza nuova (Rizzoli); V.,
Principj di scienza nuova, di V.: d'intorno alla comune natura delle nazioni,
Amico, Nicolini, V. nella vita domestica. La moglie, i figli, la
casa, Osanna Venosa, V. Autobiografia, ed. Nicolini (Bompiani, Milano); V., La
scienza nuova (a cura di Rossi), Rizzoli, Grozio, Prolegomeni al diritto della
guerra e della pace (a cura di Fassò), Morano, V., La scienza nuova (Rizzoli); Liccardo,
Storia irriverente di eroi, santi e tiranni di Napoli. V. che si era
rivolto inutilmente per sovvenzionare la stampa dell'opera prima al cardinale
Orsini, poi a Papa Clemente XII, e costretto a vendere un anello per farla
pubblicare. V. scrisse in seguito che, in fondo, l'accaduto era stato un bene
poiché lo aveva spinto a riscrivere l'opera in maniera più completa. Cfr.
Fubini, V. Autobiografia (Torino Einaudi). La prima redazione dell'opera,
andata perduta, ha il titolo di Scienza nuova in forma negative. L'Autobiografia
e pubblicata postuma ampliata con una
modifica di V.. RIVISTA DI STUDI CROCIANI, a cura della Società
napoletana di storia patria, La fondazione V. voluta da Marotta, presidente
dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, con sede nella Chiesa di S. Biagio
Maggiore, Napoli, si occupa della promozione del pensiero vichiano e della
gestione di alcuni siti vichiani come il castello Vargas di Vatolla (Salerno) e
la Chiesa di S. Gennaro all'Olmo in Napoli. V., Principi di una scienza nuova
d'intorno alla comune natura delle nazioni, a cura di Ferrari, Società
tipografica de' Classici italiani, Milano. Candela, L'unità e la religiosità
del pensiero di V., Serafico, Inesatto è altresì che V. terminasse di vivere a
più di settantasei anni. Per contrario, manca ai vivi nella notte e a
settantacinque anni e sette mesi precisi, in La Letteratura italiana: Storia e
testi, V., Ricciardi. La storia di V., su napolit oday. Secondo notizie di stampa
diffuse resti della salma di V. sarebbero stati recuperati nei sotterranei
della chiesa napoletana. (Vedi: Corriere del Giorno: Ritrovata la salma di V.?
I ricercatori vanno cauti Archiviato in Internet Archive. La notizia è stata
comunque commentata con prudenza dagl’esperti. La scienza nuova, Biblioteca
Universale Rizzoli. Nicolini, V.: saggio biografico (Il Mulino), CROCE, Nuovi
saggi. Per una silloge di pensieri di MALVEZZI, Politici e moralisti, ediz. CROCE-CARAMELLA,
Bari, Laterza. V. nel perduto De equilibrio corporis animantis espone una
concezione secondo cui riponevo la natura delle cose nel moto per il quale,
come se fossero sottoposte alla forza di un cuneo, tutte le cose vengono spinte
verso il centro del loro stesso moto e, invece, sotto l'azione di una forza
contraria, vengono respinte verso l'esterno; e sostenni anche che tutte le cose
vivono e muoiono in virtù di sistole e diastole. Secondo un'ipotesi di Croce e
Nicolini l'opera e stata concepita come appendice al “Liber Physicus” ed e
donata in forma manoscritta al suo grande amico, Aulisio. La trattazione di
quella teoria di ispirazione cartesiana e pre-socratica venne poi inserita più
ampiamente nella Vita. Toma, Ecco l'origine delle scienze umane:
aspetti retorici di una contesa intorno al De antiquissima italorum sapienti,
Bollettino del CENTRO DI STUDI VICHIANI (Roma: Edizioni di storia e
letteratura). Opere, Sansoni, Firenze -- è considerato da alcuni
interpreti della sua filosofia come il primo ‘costruttivista’. Infatti, V.
sostiene che l'uomo può conoscere solo ciò che può costruire, aggiungendo poi
che in effetti solo il divino conosce veramente il mondo, avendolo creato lui
stesso. Il mondo quindi è esperienza vissuta e al suo riguardo non vale per gl’uomini
alcuna pretesa di verità ontologica. Watzlawick, La realtà inventata (Milano,
Feltrinelli) Per V. la filologia non è solo la scienza del
linguaggio ma anche storia, usi e costumi, e religioni dei popoli antichi.
L'età degli dei nella quale gl’uomini gentili credettero vivere sotto divini
governi, e ogni cosa esser loro comandata con gli auspici e gli oracoli, che
sono le più vecchie cose della storia profana: l'età degli eroi, nella quale
dappertutto essi regnarono in repubbliche aristocratiche, per una certa da essi
rifiutata differenza di superior natura a quella de’ lor plebei. Finalmente,
l'età degl’uomini, nella quale tutti si riconobbero esser uguali in natura
umana, e perciò vi celebrarono prima le repubbliche popolari e finalmente le
monarchie, le quali entrambe sono forma di governi umane. V., Scienza Nuova,
Idea dell'Opera. La RAGION DI STATO non è naturalmente conosciuta da ogni uomo
ma da pochi pratici di governo. Degnità. Sull'immaginazione nei primitivi
secondo la filosofia vichiana si veda: Fabiani, La filosofia dell'immaginazione
in V. e Malebranche, La rivendicazione dell'assoluta autonomia dell'arte e
della poesia nei confronti delle altre attività spirituali e uno dei meriti che
CROCE riconosce al pensiero vichiano. V. critica tutt'insieme le tre dottrine
della poesia come esortatrice e mediatrice di verità intellettuali, come cosa
di mero diletto, e come esercitazione ingegnosa di cui si possa senza far danno
fare a meno. La poesia non è sapienza riposta, non presuppone logica
intellettuale, non contiene filosofemi. I filosofi che ritrovano queste cose
nella poesia, ve le hanno introdotte essi stessi senza avvedersene. La poesia
non è nata per capriccio, ma per necessità di natura. La poesia tanto poco è
superflua ed eliminabile, che senza di essa non sorge il pensiero: è la prima
operazione della mente umana. CROCE, La filosofia di V. -- qual era quello dei
tempi d'Omero. V., Scienza Nuova, Conclusione Nel senso di pietas,
sentimento religioso. V., La scienza nuova (Biblioteca Universale
Rizzoli). CROCE NICOLINI Storicismo Filosofia della storia Filologia. su
Treccani – Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia
Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. V., in Dizionario di storia,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. V., su sapere, De Agostini. V., su
Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Battistini, V., in
Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Bertland, La Scienza nuova su letteratura italiana Opere, su biblioteca italiana
integrali in più volumi dalla collana
"Scrittori d'Italia" Laterza, Fabiani, La filosofia
dell'immaginazione in V., su academia, Firenze, Pellegrino, 'La concezione
della storia di V., su centro studi LA RUNA it. CENTRO DI STUDI VICHIANI, su
Consiglio nazionale delle ricerche. Fondazione V., su Fondazione gbvico Portale
Vico, su giambattist avico. u treccani., in Il contributo italiano alla storia
del Pensiero, Filosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, V.,
Principj di una scienza nuova di Vico: d'intorno alla comune natura delle
nazioni, Tip. di A. Parenti. Italian philosopher.
Grice: “The Italians revere him so much that his emblem is on one of their
stamps!”“It would be as having Ryle on one of ours!” Vico: He is so beloved by the Italians “that
they made a stamp of him.”Grice. cited by H. P. Grice, “Vico and the origin of
language.” Philosopher who founded modern philosophy of history, philosophy of
culture, and philosophy of mythology. He was born and lived all his life in or
near Naples, where he taught eloquence. The Inquisition was a force in Naples
throughout Vico’s lifetime. A turning point in his career was his loss of the
concourse for a chair of civil law. Although a disappointment and an injustice,
it enabled him to produce his major philosophical work. He was appointed royal
historiographer by Charles of Bourbon. Vico’s major work is “La scienza
nuova” completely revised in a second, definitive version. He
published three connected works on jurisprudence, under the title Universal
Law; one contains a sketch of his conception of a “new science” of the
historical life of nations. Vico’s principal works preceding this are On the
Study Methods of Our Time, comparing the ancients with the moderns regarding
human education, and On the Most Ancient Wisdom of the Italians, attacking the
Cartesian conception of metaphysics. His Autobiography inaugurates the
conception of modern intellectual autobiography. Basic to Vico’s philosophy is
his principle that “the true is the made” “verum ipsum factum”, that what is
true is convertible with what is made. This principle is central in his
conception of “science” scientia, scienza. A science is possible only for those
subjects in which such a conversion is possible. There can be a science of
mathematics, since mathematical truths are such because we make them.
Analogously, there can be a science of the civil world of the historical life
of nations. Since we make the things of the civil world, it is possible for us
to have a science of them. As the makers of our own world, like God as the
maker who makes by knowing and knows by making, we can have knowledge per
caussas through causes, from within. In the natural sciences we can have only
conscientia a kind of “consciousness”, not scientia, because things in nature
are not made by the knower. Vico’s “new science” is a science of the principles
whereby “men make history”; it is also a demonstration of “what providence has
wrought in history.” All nations rise and fall in cycles within history corsi e
ricorsi in a pattern governed by providence. The world of nations or, in the
Augustinian phrase Vico uses, “the great city of the human race,” exhibits a
pattern of three ages of “ideal eternal history” storia ideale eterna. Every
nation passes through an age of gods when people think in terms of gods, an age
of heroes when all virtues and institutions are formed through the
personalities of heroes, and an age of humans when all sense of the divine is
lost, life becomes luxurious and false, and thought becomes abstract and
ineffective; then the cycle must begin again. In the first two ages all life
and thought are governed by the primordial power of “imagination” fantasia and
the world is ordered through the power of humans to form experience in terms of
“imaginative universals” universali fantastici. These two ages are governed by
“poetic wisdom” sapienza poetica. At the basis of Vico’s conception of history,
society, and knowledge is a conception of mythical thought as the origin of the
human world. Fantasia is the original power of the human mind through which the
true and the made are converted to create the myths and gods that are at the
basis of any cycle of history. MICHELET was the primary supporter of V.’s ideas.
He made them the basis of his own philosophy of history. COLERIDGE is the
principal disseminator of V.’s views in England. Joyce uses the New Science as
a substructure for Finnegans Wake, making plays on V.’s name, beginning with
one in Latin in the first sentence: “by a commodius vicus of recirculation.” CROCE
revives V.’s philosophical thought, wishing to conceive Vico as
the Hegel. V.’s ideas have been the subject of analysis by such
prominent philosophical thinkers as Horkheimer and Berlin, by anthropologists such
a Leach, and by literary critics such as Wellek and Read. Refs.:
S. N. Hampshire, “Vico,” in The New Yorker. Luigi Speranza, “Vico alla Villa
Grice.” H. P. Grice, “Vico and
language.” Danesi, Metaphor, and the Origin of Language. Serious scholars of Vico as well as glotto-geneticists
will find much of value in this excellent monograph. Vico Studies. A
provocative, well-researched argument which might find re-application in
philosophy. Theological Book Review. DANESI
returns to Vico to create a persuasive, original account of the evolution and
development of the Italian language, one of the deep mysteries of Italians. V.’s
reconstruction of the origin of language is described and evaluated in light of
Grice’s philosophical conversational pragmatics. Keywords: Vico e la filosofia romana, Vico, VARRONE,
storia della linguistica, storia della rhetorica, glotto-genesi, la
ricostruzione di V., The New Science Basic Notions. Language and the
Imagination: V.’s Glottogenetic Scenario; V.’s Approach; Reconstructing the
Primal Scene; After the Primal Scence; the dawn of communication: iconicita e mimesi,
hypotheses The Nature of Iconicity. Imagery, Iconicita e gesto. Iconic
Representation. Osmosis Hypothesis Ontogenesis From Percept al concetto. The
Metaphoricity Metaphor metafora; Metaphor and Concept-Formation Mentation,
Narrativity, e mito; the socio-biological-Computationist Viewpoint:A Vichian
Critique; The Vichian Scenario Revisited; Revisting the Genetic Perspective; computationism. Giovanni Battista Vico. Giambattista Vico. Keywords: Vico. Refs.:
Luigi Speranza, “Vico e Grice,” Villa Grice, for H. P. Grice’s Play-Group, The
Swimming-Pool Library, Villa Speranza.
Grice e Vieri: la ragione
conversazionale della filiale fiorentina dell’accademia -- filosofia italiana –
Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Firenze) Essential Italian
philosopher. Filosofo italiano. Di famiglia nobile. Insegna a Pisa. Dell’ACCADEMIA,
molto attivo. E contestato dai colleghi per il suo vagheggiare un nuovo circolo
dei filosofi dell’Accademia, improntato su PICO. Suo principale avversario e BORRI. Saggi:
“Liber in quo a calumniis detractorum PHILOSOPHIA defenditur et eius
praestantia demonstrator” (Roma). Grice:
“The term ‘accademia’ is mostly misused, as in The British Accademy – strictly,
it is Hekademos, and so, anything connected with Plato, as in V.’s case! But V.
is what I call a co-philosopher. Without BORRI, or PICO, no V. – and his essay
on his ‘demonstration’ of the excellence of philosophy against her detractors
is hardly a best-seller!” Crusca. LEZZIOne DI M. FRANCESCO DE'
VIERI FIORENTINO, detto
il Verino Secondo
Per recitarla netf ^4 ce ademi a Fiorentina
, nel Confo! afe
di M. Federigo
StxoYz} l'anno 1580.
DOVE SI RAGIONA
DELLE IDEE, Et
Delle Bellezze. Dedicdtd
all' illu fri (? ty Eccellenti^,
signor Conte V L
1 s
S E Bcntitiogli . IN FIORENZA, Appretto
Giorgio Marcfcottt 1 5 8
1. Con licenzi
di* ì»*trÌ4ri . ALL'ILLVSTRISSIMO, ET
ECCELLENTISS. Signore,
llSì?. [onte OLISSE
Hmmglì Mto Sig.oJJeruandifìmo •
L desiderio mio
era in quella
itate con leg-
gere di nuouo all'Ac-
cademia di Firenze fa
tisfare in qualche
par- te a molti
& molti obIighi,che
io ten- go con
il Magnifico &
prudentifTimo Signor Confblo ,
& con il
letteratifli- mo, &
graziofiflìmo fuo fratello
M. Giouambatilfca Strozzi
; & in
oltre fé il
mio difeorfo era da querti,&
da mol ti
altri così intendenti ,
come gentili {piriti
approuato , & giudicato
degno di cflere
vdito & Ietto
da grandi, &
da A 2
no- nobili , mandarlo in
luce Cotto il
pre- giato nome di
V.Ecc.Ill. la quale
(per quello , che
mi ha riferito
M.Aleffan- dro Catani ,
huomo così amatore
del vero, come
eccellenti^, nell'arte della
Medicina) non meno
è fèmpre difpo-
ila a difendere^
fauorire le lettere,&
le virtù, &
i loro profeflbri ,
che ella fi
fia nata nobiIe,Sc
con nobiliffime per-
fbnedi nuouo congiunta,
quello dico era
tutto il difideno
mio Uluftrifs. &c
Eccellentifs. mio Signore
: ma l'infer-
miti mia, & alcuni
negozi] di grandif
lima importanza, m'hanno
in guifa impedito ,
che non (blamente
io non ho
potuta leggere quella
mia Lezzio- ne,ma
ne pure nuederla,&ripulirla,& nondimeno
io non poffo,
ne debbo mancare
di tetitiare m
qualche modo a
eentiliffimi Strozzi, &
alli altri gen-
cihfii'mi fpintij& quella
mia fatica di*
fiderà fiderà la
protezzione di V.Ecc.III.ElIa dunque
l'accetti con pronto ,
&c grato animo,
come io prontamente,
& con ardentifsimo
difìderio gnene offero,
e raccomando,& come
io fpero, cKe
el- la fia per
fare . Le bacio
le mani , &c
le difidero da
Dio non meno
ogni felice contento ,
che io mi
difideri , che ella
tenga memoria di
me, & di
chiunque rama,&: la
nuerifce delli amatori
delle virtù, &c
delle lettere, fènza
le quali il
mondo altro non
{àrebbe,che vn foi
tifsimo bofco di
tenebre per Tignoran
za,& vnafèlua (pauenteuole,
&c brut- ta ,
mercè di vna
infinita di vizij,
che ci (ì ritrouerrebbero
. Dt
V*e. I.&* molto Mag,
& gentile Senatore
afFezzionatifsimo Francesco
de Vieri detti
il ferino Secondo
% 1]V qual
parte del del,
in qualided Lra
l e f empio , onde
natura tot fé
Quel bel Info
leggiadra : in
ch'ella ^rolfe Afoffrar
quaggiù , quanto
la sùpotea ?
Qual Ninfa in
fonti , mfelue mai
qual Dee chiome
d'oro fi fino
jc Laura fctolfe :
Quand'^n cor tante
in fé lurtute
accolfe f Benché
lafomma e di
mia morte rea
? Per diurna
bellezza m damo
mira f chi
gli occhi di
cosieigiamai non ~>tde.
Come foauemente ellagligira
, iVon sa
come ^morfana, cr
come ancide ;
chi non sa
come dolce ella
filtra 0 M
orni dolce farla
, e dolce
ride* LEZZIONE DI
M. FRANCESCO DE'
VIERI» detto il
Verino Secondo: Votte
fi ragiona delle
Idee , & delle
'Bellezza . IL PROEMIÒ. É
quefto sì honorato
luogo,nel qua le
lòno ftati per
tanti & tanti
anni infiniti [piriti
gentili , & vi
hanno Magnifico Sig.Confolo,& nobili^
fimi Accademici, &
Vditori, con i
loro leggiadriflìmi dilcorfi
con no minore
contentezza, che con
iftu- pore trattenuti. Se quefto
luogo di co
è ordinato prima
dalla feliciflì- ma
memoria del prudentiflìmo, &
magnanimo Gran Du
cail G.D.Cofimo de'
Medici , & poi
mantenuto dal Se-
rcniflìmo G.D. Francefco
luo figliuolo a
quefto fine lòia
mente,che molti con
la diligenza del
dire bene,& co
or- namento di parole
diuenghino ottimi ambafeiadori , &
gentilifiìmi poeti, a
vtilita, grandezza, &
diletto di que-
fìi ftati &
di loro S.
A. come alcuni
fi penfano ;
al Filolo- go dunque,
il quale più
della verità delle
cole fpecolabi- li ,
&deli'az7Ìonihumanetien
conto , che
del graziolo ragionamento,
non apparterrà falire
in quefto fteflb
luo- go : ma
fi bene à
quelli,i quali fanno
profeflìone di Ora-
tori , & di
Poeti . Se più
oltre l'Accademia fia
ancora inftituitai fine
che in quefta
lingua fi eiprima
da ogni perfona
letterata ogni maniera
di concetto^ onde
fi gioui A
4 à 8
Lezzione a quelli,
i quali non
hanno potuto con
altra lingua intcB
dere £liarnhzij degli
Oratori, & de
Poeti, & gli
alti co certi
Filolòfici . quelli Ioli
deono qui l'altre
de letterari, &
de Filoiolantiji quali
da ogni altro
penfiero hf.no l'ani
mo libero, &
nonio,prudemiflìir:i,&
giudiziofìrTimi Ac cademici
Se Vditori , il
quale negli ftudij
di Ariitotele, &
di Platone iòno
tutto occupato à
publica vtilità &
nel la cura
ditanta mia famiglia,
ricercandoli alla fpècola-
zione delle cole
, & al
dire acconciamente ozio,
& tran- quillità d'animo, con
tutto ciò io
fon tanto obliato
al Magnifico Sig.
Confolo , & à
M. Giouambatiitaiuo fratello, che
io non ho
potuto mancare di
non nlalire dopo
molti & molti
anni in quello
cosi degno luogo
per fatis- fare
per quanto io
potrò a loro
Signorie, & a voi
altri no- rbili:ìimi,& gentikiliiru
Accademici, &
Vditori>& perche io
non pollo piacerai
con la grazia
del dire per
non ne fa re io
proiezione, ne con
la fufHzienza della
dottrina per le
molte Se molte
occupa/ ioni, &
perturbazioni, ho pen-
iamo di compiacerui con la nobiltà, & grandezza
del log- getto,
del quale io
ragionerò,che tiranno l'Idee
delle co le,
che (I contengono
nella mente di
Dio, & le
grazie, & le
bellezze di M.
Laura : onde
infìeme s'harà più
prò fon da,
& più chiara
intelligenza di quel
dottiiìirno , &
gra- 2 iofilfimo Sonetto del
noiiro M .
Francefco Petrarca, il
cui principio e
queito . „
in qualparte del Cielo,
in qual idea
0J Era l'esempio
, onde natura
tolfe 0, Quel
bel yifo leggiadro
: in cWella
x>lfe 3J Mostrar
quaggiù , quanto lifiùpotea
t Preconi Magnanimo
Sig. Cordolo , &
voi nobili/Timi Accademici
& Vditori , che
vi degnate predarmi
grata ydienza più
perche cosi conuiene
alla dignità del
iogget to,che ènobilifiìmo,&:alloiplendore dell
animo volito, che
è di gradire
le cole alte
& diuine, che
per alcuna mia
iurfizienza di dottrina,
& che per
alcuna mia grazia
di parole. Per precedere
con più facilità, & con
più ordinc,io «Huiderò
tutto quello mio
ragionamento in tre
parti; nel la
nrima delle quali
fi disputerà ,
& determinerà delle
Idee, poiché in quello
Sonetto il Poeta
cene dà occafio-
nemeila feconda per
la medefima ragione
decorrerò del le
bellerze di M.
Laura ; quanto
pero fa all'intelligenza di
quello Sonetto ;
nella terza &
vltima ( urline
che tut- to quello,
che da me fi farà
detto delle Idee,&
deila bel- lezza di
queib donna fi
conofea elfere, non
folo di pare-
re de' più gran
Filolòfi, quali fono
flati Platone ,
& Ari- stotile :
ma ancora di
eiYo M.Francefco Petrarcaa
del qua le
voi fiate cotanto
ftudiofi, & il
quale cotanto vi
e grato quanto
ei merita per il ilio
graziofiiìimo poema di
eifere letto &
vdito ) 10
efporrò alcune parole
deltcfìo,& mo- flrerrò
l'arti^ io, che
quefto Poetatiene in
ragionare deH'Ic[ee,& della
bellezza della (uà
donna, & muouerò,
& feiorrò alcune
dubita'/ ioni . col faucre
dunque di co-
lui; il quale è
la vera iàpicn:?a,& la
prima verità darò
ho- ra mai
principio à quanto
io ho propoflo
di dire .
Intorno al primo
punto deiridee,toccheròbre* «ementc
tre capi, il
primo farà lo
efporre con efempi
quello, che fi unifichino
qtieiìe voci Idee,
efempi, fpezie, &
vnmerfali , che precedono
la moltitudine de
partico- lari . il
fiondo le lì
danno l'Idee, ò
nò; poiché Arifloti-
le in tanti
luoghi cerca di
leuarle via ,
& Platone le con- cerìe quafi
in ogni libro
delle lue opere,
& queito noiiro
Poeca. lMtimo capo
farà di quante
& quali cole
fi ritro- uinoi'jdee:
da quali tre
punti farà facil
cola raccorrc quelle
ch'elle fi Mano.
Quanto al ^r imo la
cognizione d'vna cofa
in quanto ella
Terne per immagine
e farne vn'altra,
ò à giudicare
fé è ben
tarta;& ad intenderla
à punto, fi
domanda elèmpio &
modello & Idea,come
quel ritratto, che ha
nella men- te vn'irtcfice d'vno
artihzioio, e mirabile
palagio glifer ne
à Hrne cosi
bene vno, &
molti & molti
: & à
giudica- re i hUXi
ic iòno con
tutte le regole
dell' arte fabbricati
ò nò, io
Lezzione nò , &
quanto e' vi
fi accollino :
quefti medcfimi efèmpl
in quanto e1
rapprefentono le forme,
che danno lo
effcre fpeziale al
foggetto,nel quale le
fi riceuono, come
le for me
nella materia fenfibile
& corporale fi
chiamano fpe* zie
& forme . quefti fteiTì
modelli , & quefte
fteffe noti* zie
delle colè in
quato le Tono
vniuerfàli di più
cofe par ticolari,& di
nature vniuerfàli, che
ne particolari fi
ritro nano, &
fono come cagioni
di quefte precedédole
di pre cedenza
di natura,come dell'eterne
fecondo i Filofofi,
ò ancora di
tempo , come delle
cofe temporali , &
nuoue» anzi l'Idee
, & di
precedenza di natura ,
& di tempo
fon prima di
qua! fi voglia
creatura, attefo che
quelle fon sé-
piterne,& ciò che
è fuori della
diuina effenza di
buono è flato
creato di nuouo
quado cominciò iltempo,&
in que ila
maniera le fi
domadono da Greci uniuerfàli innanzi
a molti particolari ,
come il modello
nell'animo dello Scultore
d' vna ftatua, ad
efempio del qual
ritratto molte &
molte fimiglianti ftatue
fi poflbn fare .
E ben vero,che
il modello delh artefici, ò
vero Idea , &
quello , che da
Platone,& da Ariftotile
fi concede in
Dio, & in
vn certo modo
ancora nel Cielo,
fono tra loro
differenti; perche l'Idea
dello artefice è
prima prela dalle
cofe ben fatte
da altri, come
ancoraridea,&
l'immagine, che riluce
nello specchio ,
mercè della cofa ,
che glie dauanti .
ma l'ldea> che
è in Dio
& nel Ciclo
precede alle cofe,&
è caulà del
le cofe,che d
fanno: dipoi l'ldea,che
è nello arteficemon
è fempiterna non
durando fempre l'artefice
, ma fi
bene quella , che
é in Dio
& nel Cielo
foftanze incorrottibili éc
eterne . finalmente l'Idea,
ò notizia ,
che ha l'artefice
«Iella cofa ha
due modi d'eflère,vno
vniuerfale nell'ime! letto
poffibile , & l'altro
particolare nel fènfo
di dentro :
il Pittore efempigrazia
ha nell'intelletto l'Idea
in vni- uerlàle
di donna graziofiflima , &
nella fantafia di
riele- tta , di
Laura , ò di
qualche altra limile
: il Filofofo
natu- rale ha qucfto
concetto dell'Intorno nell'intelletto ,
che fa animale
ragioneuole & mortale
quanto al corpo,
& lo info
Inferiori potenze, &
immortale quanto alta
mente,© ve- ro ragione
, & nel
fenfo di dentro
, quando epji
applica quefto concetto
à Socrate,ò a
Platone , ò à
qualcun'uitro particolare :
come (ì caua
da Ariftotile nel
terzo dell'ani ma ,
& nel principio
del primo libro
dell'aite del dimo-
ftrare. fecondo l'ordine di
natura le notme
vniueriàli precedono le
particolarità fecondo l'ordine
dei noftro imparare
fi fono ritrouate
l'arti, Se le
fcicn7C dalla cogni-
zione de' particolari di qui peruenendo
alla cognizione vniuerfale
: come c'infegna
il Filolòfo nel
primo libro della
Metafifica, ò vero
lì può dire,che
i concetti vniuer-
Tali precedono i
particolari in chi
impara l'artì,& le
feien re da
altri, che di elfe
è perito,& f ciéziato:
& poi gli
efpe rimenta nelle
cofe particolari , le quali formano
di loro fteife
ne' (enfi i
particolari concetti :
Ma rifpcrto àgli
in- uentori dell'arti ,
& delle feienze
, prima nafeono
i con* certi
particolari ne' fenfi ,
che gli apprendono
dalle cole come
particolari , poi fene
fanno gli vniuerfali
per opera dell'intelletto agente,
i quali rapprefentano
le nature vni
uerlali, che ne*
particolari fono nafeofte.
Ma ritornando alla
terza differenza, che
ètra l'Idee,che lono in
Dio, & quelle, che
fono nell'animo delli
artefici , & de*
Filofofi, & delli
feienziati : quelle
hanno in Dio
vn modo di
effe- re,che non
è ne vniuerfale
ne (ingoiare, come
in noi, non vniuerfale,perche con
la notizia vniuerlale
delle colè ftà
l'ignoranza de' particolari .
può efempigrazia {tare
ch'io fappia vniuerlàlmente, che
ognuno degli huomini
è atto a
ridere, & infierire
non fappia di
quelli, che fono
lonta- ni come in
Francia, ò in
Ilpagna , ò al
Perù , ò
altroue fé fono
atti à ridere,
perche io non
so fé fonohuomini
non gli hauendo
mai veduti , ne
vditi , come bene
dice ancora Ariftotile
nel primo capo
dell'arte del moftrare;
ma in Dio
non é lecito
porre ignoranza , ò
imperfezzio- tie alcuna,
non vi fono
ancora i concetti
particolari : per-
che quefti fono del
Iònio , che e
virtù materiale , &
cor- ruttibile , &
egli è immateriale
& eterno j
come confck sono
1 nolln Theologi ,
& come fi
di morirà dal
Filofofo nell'ottauo de"
principi) . reità dunque
cheridec,& con certi
delle colè (lana
in Dio in
vn terzo modo
più perret to,
& tanto eccellente,
che in noi,che
dall'intelletto no- terò non
fi può comprendere
, ne con
voce alcuna efpli-
care ad altri:
(è noi potcffimo
intendere come Dio
intenda le cole, l'intelletto
noftro farebbe di
tanta perfez- ione di
quanta è l'intelletto
di Dio, come
beniflìmo dif fé
il gran Comentatore
Auerroe nelle lue
difputazioni contro ad
Algazcle : (blamente
fi può dare
ad intendere ofciramente
con alcuni efempi ,
vno de quali
è queilojfe il
fuoco , che
è caldo fecondo
i Filolorì naturali
in otto gradi
i\ intenderle , intenderebbe
inficine iè clfere
parti- cipato fecondo
tutti quelli otto
gradi da chi
fecondo vn grado
folojcomc l'acqua tiepida,
da chi fecondo
due gra di,&
cosi decorrendo :
Cosi Dio intendendo
fé, intende ancora
che la (ùa
natura è partecipata
da tutte le
creatu- re^ più &
meno, come confeflbno
le cole ftelfe,
& Ari- stotile nel
prime del Cielo
al 1. 1 00.& Dante
Aldighieri nel principio
del primo canto
del Paradifo cosi
dicédo • „
La gloria di colu'h che
tutto mttoue, „
Ver l\nit*erfo penetra
& njhlende it
In >na parte
più, armeno altrove.
Et quefto è Tefempio
del gran Comentatore
Auerroe. Tn'altro efempio
e de' Greci .
quelli volendo farci
com» prendere , come
Dio , il
quale e vna
natura intellettuale indiuifibile
intenda infieme le
cofe fimilmente indiuifi-
bili,come lòn gli
Angioli, Si le
diuilìbili & corporali,
co- me fono 1
corpi celeih ,
& tutte l'altre
di quaggiù ,
fuori che l'huomo
> Se cflò
huomo ancora che
delfvna, & del-
l'altra natura participa, per vn mei/.o
iòio, che e' la
ileifo natura lua
impartitale , ci danno
lo elèni pio
del punto di
mezzo del cerchio,
il quale è
vaio & indiuifibile,
& da ef
io denuano infinite
linee, & infiniti
punti , che le
termi- nano . Se
quello punto ò
vero centro fulfc
vna natura in*
tcUcuuaie,& fi ia:eiideiTe,mtcadereubc fimUmente
le ef ter
caufà di tutte
le lince, che
da elio deriuano,& de
pun ti che
le terminano: cosi
Dio a guifa
di quello punto
in- tendendo fc ftefio,
donde deriuano tutte
le creature così
diuifibili come indiuifibili,& noi
iteflì, che partici
piamo della condizione
& di quefre
& di quelle,tutte
le inten- de &
conolce , &
cosi noi fteiTì
; è ben vero, che
il punto è
con la quantità,
& hi fito,
ma Dio è
foftanza & lepara-
to dal (ito
& da luogo,(e
bene e per
tutto come fino
a più eccellenti
Filoiòh" confeflono come
prima vnità ,
donde è nata
ogni moltitudine, &
quefto fi caua
da Platone nel
Par. come prima
forma, vltimo fine
, & primo
principio produmuo del
tutto, e tutto quello
ancora ccnfefta il me defimo
Fiìofofo, parte nel
Timeo , &
parte nelle lue
let- cere,& A riftotelc
ancora nel primo
del Cielo, nell'otta-
110 de' principij,S:
nel 1 2 della
Metafifìca j ancora
Dio è per tutto come
ottimo Rè dell'Vnii.erfo ,
il quale regge
& gouerna col
marauielioio ordine , che egli
ha di tutte
le cole dentro
di fé . Et qui
èdaauuertire, che le
bene Dio fi
aììbmiglia al punto
del circulo ,
donde deriuano tutte
le creature vgualmenre
& immediatamente: non
pero tutte lono
di vguaie bontà, &
perfettione dotate, ma quali
più & quali
meno ne participano
, affine che
fra lo- ro fufle
cosi marauigliolo ordine,
che fa allo
ctfere,& al- la bellezza
dell' Vniuer(o,&
iteftimonianza dellaDiui- na
Sapienza, l'vfizio della
quale è dare
ordine, & mifura
a tutte le
cole , & ferue
per il cala
ad alzare con
la cognizione il noftro
intelletto di grado
in grado fino
a quelli, il
quale e l'alta
cagion prima, & cosi
co l'amore . dal
qual amore ,
ne furge in
noi ogni atto
piufto & retto
concor- rendoci però la
Diuina grazia infieme
con la fede
con la Speranza
& con la
carità, & con l'altre
virtù, & doni : cosi
ancora non efiendo tutte
le creature vgualmente
buone, non fono
ancora con vguaie
amore in vn
certo modo a-
mate, & dico
in vn certo
modo : perche
quanto allo atto
dell'amare. cosi come Dio
èin£nito,così co infinito
amo» re tutte
l'ama: ma quato
a beni che
vuole & che
dà à eia-
fami 14 Lezzione fcuna
non già ;
ma à qual
più , &
a qual meno
ò men de-
gni : fecondo che
le cóuiene loro,&
parlando degli huo-
mini giufti,& che
(ì faluano,qucfti nell'altra
vita tutti faranno felici &
beati in Dio,
tra gli Angioli ,
& in sempiterno ,
ma non con
vgtial mifura intenderanno , &
gode- ranno la Diuina
Verità, & Bontà, ma
quegli più ,
che più di
qua haranno offeruato
ifuoi fanti comandamenti
con fauore della
grazia & quegli
meno,che meno,come fi
co uiene alla
Diuina giuftitia, &
quefte fono quei
molti luo ghi
ò> molte manfìoni ,
che fono nella
cafa del celcfte
pa- 3re,come dirle
il vero Maeftro
della verità Chrifto
Gie- «ù infìeme
Dio & huomo
, & quello
ci lignificò Paulo
Apoftolo quando ei
diflc , che fi
come le ftelle
in cielo fon
differenti di chiarezza,
& di fplendore,
cosi faranno i
giufti in cielo .
Più oltre ancora
è da fàpere,che
tutte le creature
qua- tto furon prodotte
per creatione di
niente , furon
fatte da Dio
folo , & immediate
: ma poi
quelle di quaggiù si
conferuano per fuccefTione
di nuoui particolari,
concor- rendoci ancora i
cieli,& le cagioni
di quaggiù, perche
la D.Bontà,come ha
farte partecipi le
creature del bene,
& dello edere,
così ha volfuto,
che ancora elle
habbmo vir- tù di
dare lo eflere,&
qualche perfezzione ad
altri , per- che ci
feopriffe il suo amore
& i fuoi
tanti benefizij,6^fuf fimo
tanto più tenuti
di amarlo, &
di riuerirlo fòpra
ogni altra poteftà
: potrebbe Dio
egli folo produrre
ogni di delle
creature , & conlèruar
le fpezie lènza
l'aiuto delle caule
feconde , come
ci le creò
; ma per
le cagioni dette
non volle: ne per
quefto alcuna mutazione
ònouitàfì pone in
Dio: perche egli
le creò quando
ab eterno ei
propofè di crearle,c
cosiauuerrebbe fè'ne creafle
di nuo uo,&
come accade dell'anime
humane. Platonc,& Ari-
stotile pongano la creazione
deH'Vniueriò , ma ab
eter- no, come Simplicio
& San Tommafò
attribuirono loro; &
come è forza
di dire volendo
parlare conforme ad
al- luce loro autorità,
come altrouc io ho dimoftro.il
terz» & vltìmo
efempio è de* Latini, i
quali hano voluto
efpor ci l'vnità
dell'Idea , &
la fomma Tua
eccellenza inficme, &
il loro efempio
è d'vno feudo
d'oro , &
di vna gioia
di grà valutarquefto
fcudo,poniamo per cafò,
vale cèto era
zie , &
la ^ioia vn
milione di feudi,
fé quefto feudo
s'intenderle intenderebbe
infìeme fé valere
cento crazic :
& così le
intenderebbe per mezzo
della fua natura ,
& non per
concetti di argento, & di
crazie: così fé
la gioia fé
co- nofcefle,conof cerebbe
quel milione di
feudi: ma non
per la natura
dell'oro,ò dell'argéto,ne per la figura
delli leu* di,ò
delle crazie,ò d'altra
moneta . Iddio
è vno feudo
ò vna gioia*
che racchiude in
fé lo eflere,&
la perfezzione di
tutte le creature
, & più
in infinito ,
ma fotto natura
di Deità, &
così le intende
, & cosi
in vn modo
quanto allo effere
di infinità , quanto
allo intelletto creato
è incom- prenfibile
, & quanto
al fignificarlo ad
altri è ineffabile:
perche come fi può dare
ad intédere ad
altri quello ,
che per noi
non polliamo capire,
& quello, che
è infinito co- me
infinito è incomprenfibile dall'intelletto creato, &
fi- nito,& Dio
poiché produce ogni
cofa di niente
( cosi co
me infinita è
la proporzione tra
il niente, &
quello , ch«
è attualmente )
cosi è d'infinita
poteftà , non folo
quanto al durar
fempre : ma
ancora in vigore
. Sino a
qui penfcrò ,
che da voi
gentiliflìmi (piriti fi
fia intelo benifs. quello, che
fignifìchino qfte voci
Idea, vniucrfale innanzi
a molti particolari, & eséplari,fegue hora
che io vi
proui breuemente, che
l'Idee, & efemplari
del le cofe
fiano nella mente
di Dio; la
qual verità non
io- lamente è
confefTata da noftri
Theologi,che non poflbno
errare cauandola dalle
diurne fcritture, doue
fi dice, che
Dio è {àpientiiTimo,ottimo,omnipotentiffimo, &
che in- tende fino
i lègreti del
cuore : ma
ancora fi concede
da Platone, &
da Ariftotile Principi
dellhumana fapienza* Platone
nel Parmenide pone
nell'vno,& nel primo
ente l'Idee, le
quali participate &
imitate, fono cagioni
dello cflerc y
& delia moltitudine
delle cole :
nel Timeo pon*
due mondi , il mondo
efèmplare , che iòlo
con la mente
fi comprende da
noi : &
poi il ienfibile,
che fi conofee
an cora col
fenfò.Nel Conuito due
Venere vna intellettua-
le,che é ?ordine,&
la grazia,che refulta
dalla moltitudi- ne delle
Idee , l'altra
celefte , che confitte
nell'ordine di tutte
le creature del
Cielo , &
deirVniuerìo . Cosi
Ari- ftotile nel
primo della Metafifica
dice , che
la fapienzaé vna
cognizione di tutte
le cofe per
le prime cagioni ,
la quale principalmente è in Dio
, & di
Dio : adunque
lè- condo il
maeftro ancora di
coloro,chc fanno, & che
lòno dotti nellhumana
Filofòfia le Idee ,
ò notizie cji
tutte le cofe
fono in efio
Dio Principe deirVniuerib
; nel deci-
mo delfEthica dimoftra come
à Dio ci
aflò migliamo propriamente nell'atto
dell'intendere le cole
diuine , & ipecolabilii
come ancora quefto
medefimo ci proua
Alef fandro Tuo
eipofitore nel proemio
Jbpra il primo
libro della Priora,ò
vero de Sillogi
(mi; e nel duodecimo
della Metafifica ci infognano
Ariftotile,& AleiTandro,cheil
bene
defl'vniuerio è di
due maniere ,
come ancora il be- ne dell'elercito de' foldati ,
l'vno e elio
Capitano degli eferciti,
nel quale ftà
principalmente il fine,
che è la
vit- toria, l'altro è
l'ordine fenfibile delle
file de' foldati,
che pende dall'ordine, che quel
Generale hi nell'animo:
co- ki Dio è
bene dell'Vniuerfo in
quato è quel
ente, & quel
bene, che è
amato & desiderato
(òpra ogni coià,&
di più l'ordine
intelligibile,che è nella
mente di Dio
di tutte le
creami e,dal quale pende
l'ordine ienfibile di
elle : Ecco
che fecondo Ariftotiie
ancora fa di
biiògno concedere l'Idee:
come ancora con
ragione fi può
dimoflrarc,e pri- ma fé
a Dio fi
niega l'atto dell'intendere atto
nobilifli- mo, che
operazione più nobile
le gli può
attribuire? cer- to ninna
& così fari
in tutto oziolo:
come bene argo-
mentò quello gran Filoiòfo
nel decimo libro
dell'Etni- ca^ vero de' coltami, &
fé egli non
intende tutte le
codina folo le ilcifojò
le più nobili,adunque egli
làprà me *«
di noi, che se incendiamo
di molte &
moke , come argomenta
Ariitotile contro ad
Empedocle di Girgenti, che
voleua che Dio
non intendere la
difcordia, & le
cole diicordan ti
: ma folo
l'amicizia, & le
colè concordi , oltre
che le fi
concede , che Dio
intenda fc ftcflb,
fa di bilògno
ancora che egli
intenda ih eflère
caufa dogri altra
cola da elfo
caufata,& dipendente, &
la curia, &
cioche pende da
eim fa , è
oppofto per relazione
; in guila
che chi ne
intende vno, intende ancora
l'altro . Adunque Dio
intendendo le fteflò
( come confeflbno
Annotile, & il
fuo gran Ce-
mentatore Auerroe nel duodecimo
della iuaMetafifica altefto
?i ) s'intende
come caufa vniuerlàle
di tutte le,
cofe,che da eflò
procedono : &
cosi intende ancor
quel- le, &quefte notizie
ibno l'iftefle Idee ,
& ritratti delle
cofe . Finalmente fé
le cofe delTvniuerfo
Iòn ben goucr-
nate , &
per i debiti
mezzi al loro
debito fine condotte
, come fi
vede , & la
natura non intende
; adunque e
retta eia chi
le intédc,& quelli
ò è Dio,ò
colà fuperiore à
Dio, il che
non fi può
pure con l'animo
fingere, & penfàrc.
La D. M.
dunque intendendo le
cofe,& il bene
di ciafeu na,&
d quello indinzzandolc,come il
làettatore la làetta
alberzaglio non conofeiuto
da lei, le intende
ancora , & le
conofee benifiimo; di
qui portiamo intendere,comc (b
no molto più
arroganti quei Filolòfi
; i quali
con le loro
fofifliche argomentazioni , &
perche e' non
iànno rilòl- uere
alcune obiezioni,ardifcano didire,cheDio
non in- tende (è
non fé ltefib,
& che ei
regge, & gouerna
tutte le altre
colè come la
natura lènza intenderle
: di qui
dico polliamo conofeere ,
che quefti tali
fono molto più
arro- gacene non furono
quelli huomini così
grandi & di
cor pò &
d'animo, che ardirono
mettendo monte (opra
mon te di
prendere il Cielo:
però che quefti
così facendo fi
penfàuano arriuare à
celefti corpi :
ma quelli più
su pen- landò
di peruenire fino
à Dio, lo
priuono dell'intelligen la
delle colè .
Chi dunque bene
& fottilmcnte confide-
rà le autorità,& le
ragioni non folo
di Platone, ma
anco- ra quclle,che fi
cauano da AriAoulc,è
forzato di confcf-
B fare, u
8 Lezzione Tare,
che le Idee
& notizie delle
cofe fiano veramente
in Dio :
& ie bene
cucilo filofofo in
tanti & tanti
luoghi, Se della
Logica, & dell'Ethica, & della
Filosbfia naturale, &
della Metafisica s'ingegna
di leuarle via ,
inoltrando che le
non fanno ne
alla produzione delle
cole in alcun
ge- nere di caule,ne
alla cognizione, & nel
duodecimo della Metafifica
fi dice , che
Dio non intende
fé non le
itefTò : perche
la liia faenza
farebbe vile ,
(e ancora fi
cftendeife all'altre cole,
le quali rilpetto
a lui fon
molto vili, &
im- perfette : oltre
che fé tante,
& tante notizie
follerò nel ilio
intelletto, come le
fono nel noftro,e
non farebbe firn
pliciffuno atto ne
pura foftanza, ma
vn comporto d'intel-
letto, & di forme
intelligibili, & cosi
non farebbe vgual-
mente perfettiflìmo ,
perche la natura
intellettuale in lui
harebbe ragione-di potenza,
& le forme
di atti,& perfez.
7Ìoni : accioche
non legnino cotah
incouenienti per non
dire impietà, & à
fine (ì parli
conforme ad Arili
otele,chc -vuole 3
che in Dio
fia laiapienza , &
feienza del tutto,
fi dee dire,chc
quando egli niega
l'Idee, le mega
nel fen Co
cattino & fallo
: nel quale
l'erano intelc da
molti : co- me
bene di
ciò ciauuertilcono i
Greci efpofitori :
ma quelli dunque
i quali penlano
, che l'Idee
fiano agenti immediati
urincipali,& fuori delFeifenza
diuina,s'ingan nono non
eifendo congiunte con
materia , nella quale
lì fondano le
qualità fenfibili , con le quali
gli agenti natu-
rali alterano 1 pazienti:
ma bene l'Idee
in Dio fono
agen ti , che
indirizzono le cagioni
naturali al bene-,
& retta- mente adoperare; cosi
chi penfa , che
l'Idee eiìendo for-
me ieparate fiano Felfenza
formale intrinseca delle
colè> che fono
fuori di Dio
prende grande errore
: ma non
già quelli , il
quale crede , che quelle
forme, che hanno
vno efiere formale
diftinto, & multiplice,
dipenda da quelle,
che hanno l'eHerc
vnito nella diuina
Eifenza, & che
fia- no multiplicate folo
virtualmente , come
di fopra da
me fi è efpoito
. E' ancora falfo
il penfare , che
l'Idee fiano cagioni
finali , che terminino
le generazioni delle
colè : attefo
1,9 attefò che
cotali fini s'acquiftono
di nuouo, &
no prece- dono la
generazione, ma fon fini
per cóformità in
quan- to i fini ,
à quali terminano
le generazioni fi
confermano con quelli
del mondo ideale ,
& intelligibile .
in vltimo quando
fi diccua,che Videe
non feruono a
conolcerc , & intendere
le cofe, perche
noi le intendiamo,apprenden- do le fimilitudini
da effe per
via de'ièntimcnti , &
dello intelletto .
fi dee dire ,
che quefto argomento
folo con- chiude/che nel noftro
intelletto porTibile nò
fiano le no-
tizie delle cole ,
dì maniera ,
che il noftro
fàpere fia vn
ricordarfi come penfauano
i Platonici , percioche
l'ani- me noftre fono
come tauole non
iicritte, & libri
no ilcrit ti,doue'ii
può fcriuere ogni
cognizione , perche fiamo
nello flato doue
fi va dalla
imperfezzione alla perfez-
zione , come dal
non potere generare
al potere, dal
non làpere al
fapere : ma
il primo huomo
Adamo cosi come
ei fu creato
perfetto quanto al
corpo , che
poteua lubito generare
delh altri, così
fu creato perfetto
quanto all'ani ma,
& gli furono
infufe da Dio
le notizie , &
le fpetie di
tutte le colè
quanto baftaua , acciò
potetfe ammaestrare gli
altri,& perciò potette
porre il nome
conueniente an- cora à
tutte , come fi
dice da Mosé
nel Genefi ,
& tutto quefto
conlèntono i Theologi,come
SanTommafo nel* la
prima parte delia
Somma alla dift.^.art^ .
Non lì nie ga dunque,
che le Idee
non fiano in
qualche modo in Dio :
anzi è neceifario
che le vi
fiano : come
da me fi
è dimoftro , &
fé in Dio
è la làpienza ,
& cognizione delle
colè per la
notizia di fé
fteifo,che è la
prima cagionc,co- me
Ariftotile confeifa nel
primo della Metafifica,
&altroue Platone nel
Timeo,& in molti
altri luoghi. Et
qua do i
Peripatetici opponendoli à
quefta fermiiììma &
im- portatiilìma verità
dicono, che Dio
fi auuilirebbe fé
egli ìntendelie altro,
che le ftcilo.
fi dee rifponderc,chc Ari-
ftotile per quefto argomento
nò niega in
tutto & per
tut- to la cognizione
dell'altre cole da
Dio, come li
è proua- to,
ma la niega
in quel modo,
che ella è
in noi , &
che la h z pòtrebbe
concernere in Dio
qualche imperfezzionCjCO* me
auuerrebbe feUio nello
intendere dipcndelfc dalle
cof. , che fono
fuori di lui,
& da effe
apprenderle le noti-
zie ci oselle , à
guifa che facciamo
noi 3 anzi
la Icienza di
Dio, tra Faltrc
differenze ha ancora
quella per la
qua- le ella fi
diftingue dalla noìtra
: perche la
iiia è caufa
del- le cofe, &
la noitra da
elle è cagionata
come beniifimo ci
in'ccnail gran Comentatorc
nel duodecimo libro
della Mctarifica j ci quella
altiflìma verità non
meno è confor-
me alla condizione dell'intelletto diuino
, che ella
(I fìa ad
Àriftptile , & à
Piatene , i
quali tra tutti
i filosofanti tengono
il preircìpatò: e dico conforme
alla condizione di Dio l'intendere
per vn mezzo
interno,che è la
fua di- luna efTenza,
perche al primo, &
diuino intelletto, come
atto puriffimo, &
mafTimamcnte non (è
gli conuicne rice
i-er le fpcv-ìc
da akri,ne hauerle
in fé fteife
multiplicate : ma
all'intelletto noftro come
pura potenza, &
come con giunto
à materia corporale
a ragione conaicne
l'inten- dei per le fpezie
& fimiglianze, riceuute
da diuerfe co- le
, &
riformate dall'intelletto agente
. cosi ancora
l'in— tendono quégli
due gran Fìiofofì ,
come di (opra
fi è di-
pioftrato di Dio,&
come del modo
del noftro intendere
£ d.J chiara
e fi tocca
da Platone nel
Filebo, doue ei dice,
che l'anima npfìra
è come vn
libro non ifcritto,& che
gli fcrittori fono i fenfì,&
nel fettimo della
republica con lo
elèmpio di collii,
che è legato
in vna fpelonca
in guiia che
non vede (è
non le fimilitudini , &
l'ombre delle co-
lè, & noi fiiiolto
le feorge chiariiTimamente, ci
monVa co ipe
1 miprrip dalla
notivia delle colè
di quaggiù s'alzi
al- la cognizione delie
cofe diuine ,
& da Ariitotile
nel ter- io
dell'anima: deueper viade'fenfi ,
& rer virtù dello
intellètto agente li
efpone come noi
intendiamo tutte le
cofe, & nel
icttimo della Metallica
fi rende ragione,
per rodotte,come determinano
beniflìmo i Theolo-- i,& tré'
B j °
gli 21 Lezzione
tefo che per
quello, che è
diritto, & retto
, fi giudica
del
torto,&nóalcótrario,comedice
Arift.nel 1. dell'anima. Più
oltre molti &
molti affermano che
in Dio ncn
fo- no i ritratti
degli effetti carnali
& fortuiti :
perche cfuefti non
procedono le non
da cagioni indcterminate,& di
ra «lo, &
la feienza è
di quelle cole,
che dipendono dalle
lo ro proprie
cagioni & tèmpre;
& fé ciò
è vero della
faen- za noftra quanto
più della feienza
diuina . Ma quefti
fi ingannano prefupponendo
in pnma,cherifpetto a
Dio G. dia
la fortuna &
il cafo , &
gli effetti fortuiti
: attefo che
Pio intende ogni
colà, & rilpetto
a lui quefti
effetti pro- cedono da
cagioni certe, ma
R bene a
noi incerte, &
oc- culte, $c fon
«épre nelle loro
caufe,come Jccliffe del
So» . le, Del
Verino. 2$
le;& della Luna
nelle loro .
Si penlàno ancora
molti de* Platonici, che nella
D.Sapiéza nò (ìano
i modelli di
quel le colè,
che naicono di
putrcfaz.ione,comc
efèmpiprazia de' vermi,
si perch'eglino no
pelano che in
Dio {ìano i
ri tratti delle
colè vili, si ancora
perche e'fi dano
ad intéde- re, che
cosi fatte cole
nò fi riduchino
fotto l'ordine elsé-
tiale delle creature
: & nódimeno
più dalla produzzione
di cosi fatte
cole per virtù
de' lumi, &
del calore celefte
proporzionato ììamo indotti
à venire in
quella credè? a, che
in Dio fiano
Y Idee ,
che per l'altre
cole , perche
elio folo sa
quitti gradi di
calore bilògna alla
loro generazio- ne^ formazione, nò
altramente che l'eccellente
fabbro sàquato caldo
dee elfere il
ferro per introdurui
qualche forma,& per
farne qualche colà,
come confella il
grà Co mét.Auerroe:& pili
oltre participàdo quelle
colè di qual che
forma, & la
forma è vn
certo bene &
certa perfezzio ne
della materia,con1e C\
dice nel i.lib.de'princ.all'Si.t. &
mercè di lei
la materia diuenta
qualche cola lpeziale
; per qfte
cagioni io mi
pélo, che le
bene le lìano
vili qua- to
alla materia, che
le siano però
di qualche perfezzionc
quato alla forma,
& pche fon
buone a qualche
colà, no ci' sedo
da Dio,e dalla
natura fatta colà
alcuna i damo,
ma à qualche
fine,& a qualche
vtilità: Et fé
pur alcun voglia
te nerc,che ciò
che fi genera
p putrefazione non
fia dell'or dine
efséziale delle colè
deH'vniuerib, ne di
elle fiano le
Idee in Dio, nò
perciò legue, che
nò l'intenda per
l'Idee di'qlle fpezie
più rimili, & che
fono dell'ordine elséziale
del Modo, quale
di quefte due
rifpoile fia nò
lòio più co forme alla
dottrina de' più
eccell. Filoforanti, ma
ancora (& qfto
impòrta all'honore della
D.M.& alla làlute
nra) io mene
rimetto in quello,
& in ogni
altra cola da
me pé fata,detta,ò
fcntta,à più giudiziofi,e
lbpra tutto à
quello, che netiene,e
determina la S.M.Chiela
Cat.Ap.& Rom. Più
oltre della materia
prima non e
dicono alcuni Idea»
non eiìèndo ella
forma,ne di lùa
natura colà formata,
mi ; Dio
intendédo le forine,
infieme intéde il
loro foggetto; .
B 4 t'iwls
24 Lezziome finalmente
de* generi delle
cofe non fi
pone diftinta Idea
> confiderata come
elèmpio dall'Idea delle
fpczie : non
fi ritrouando mai
i generi fuori
delle lorofpezie. Da
tutto cjuello , che
da me C\
è ragionato dell'Idee
fi può raccorre
quello , che le
fiano , dicendo , che
le non iòno
altro, che la
ilella divina efienza
non alfolutamett- te, ma in
quanto le fono
fimilitudini , ò ragioni
delie Tue creature ,
& come quella ,
che è partecipata
da efle lotto
diuerfi gradi di
più , ò meno perfezione ,
mercè ancora delle
quali di tutte
le cole ne
ha ottima prouidenza.
Puoflì ancora quella
dirHnizione dell'Idee con
quella ra gione
procedente per diu
ifione cosi ritronare,& confer-
mare, argomentando in quella
maniera . O Dio
intende le cole,
che fono fuori
della lua diuina
eilen7a,ò nò. non
fi può dire,
che non l'intenda,
perche egli intende
le ilef lo,
& cosi fc
eifere caula d'ogni
cola,adunquc egli inten-
de ancora ciò che
è fuori di lui
. il
dire, che non
intenda aflblutamente,
farebbe non folo
fomma impietà , ma an- cora vna
delle maggiori bugie,che
fi poteife dire,
perche qual più
eccellente operazione Te
gli può attribuire,
che lo intendere
? più oltre
le Dio produce
le cofe bene ,
Se bene le
regge,& gouerna; adunque
ancora l'intende , al-
tramente da vn'intelletto liiperiore
iàrebbe retto &
gui- dato, come gli
linimenti dallo artefice,
che sà,& incende
quello ch'ei fa
con eifi,& eglino
nò : e
dunque colà chia»
ra & fermiilìma
verità,che Dio intende,
& non lolamuc
le fteflb,ma ancora
l'altre cofe,ch'egh produce,
& gouer na,e
di più quelle,che
nò ha prodotte,& polche
Dio l'in fède,
e conofce,ò e'
fa quello p vn mezzo
chefia fuori di
le fteflo,ò che
fia in lui .
fé fuori di
le follò, ò
le fono for
me co la
materia, parlando delle
cole matenali,ò le
lòno fpezie,& fimilitudini
attratte dalla materia,
no è ragione
noie dire , che
in alcuno di
qfti modi Dio
le intéda si
per che'I Tuo
lapere dipéderebbe dalle
cole come il
noflro,6c no farebbe
in tutto perfetto,
si ancora poi
in particolare ,
perche le egli
incédeife le forme,
come difterici nella
ma «cri* 2f
tenia ad ette
voltandola, no farebbe
proportione tra il
fuo irttelletto,che è atto puro,&
le forme materiali .
noi an- cora non
conofciamo le cole
fé non per
mezzo delle fpe
zie attratte dalla
materia & fpiritali,
come fono i
Icnfi,& molto piti
l'intelletto, fi. vilmente non
lì dee credercene
Dio intenda le
forme materiali per
le fpczie attratte
dal- la materia, &
dalle fiic condizioni ,
perche ò le
lòno tali per
opera dell'intelletto adente,
& cosi lopraDiobiìò-
gnerebbe porre vn
piu nobile intelletto,
che lo reduceffe
dalla potenza dello
intendere , & del
lapere allo atto ,
& la dia fcicn7a non
farebbe fempiterna, ma
nuoua, ò vera-
mente quefte forme aitratte,5:
fuori di Dio,fòno
di loro natura
tari, *: cosi Dio
nello intendere dependerebbe
da altri , &
non farebbe perfetti/fimo
: in niun
modo adun- que Dio
intende le cole
per il mezzo
che fia fuori
di lui. Kefta
che lì vegga
come ei le
conofea per vn
mezzo, che fia
dentro di lui
; dico adunque
che ò que^e
ìono le for-
me,& le fyezie
delle cole,ò elfa
diuina elfcnza, fé
le fpc- zie
delle colè, ò
con la materia ,
& cosi egli
farebbe ma- teriale, Se
non in tu
ito ottimo, &
pur: filmo atto
,ò lènza materia
come le immagini
fono nello fpecchio ,
il quale fé
fulfe natura intelligente
per effe intenderebbe
le cole, che
iono fuori di
lui;m quello modo
ancora non è
da di- re,che
Dio intenda le
creature : però
che egli non
fareb- be atto purilTimo ,
ma vn comporto
della natura intellet-
tuale,come potenza &
di effe forme,come
atti, fìmilmen te
non farebbe in
tutto ottimo, &
perfettiilìmo : perciò
fi dee conchiudere,
che Dio intenda
tutte ie cofè,che
lbno fuori di
lui per la
fùa diuina clfenza,&
non per effa
come infmìta:perche cosi
intende le iìefio,
il quale è
inrmito,fic le creature
fono finite; &
quale più &
quai1 meno parti-
cipa dello efferc,
& della perfezzione:
adunque l'Idee in
Dio non fono
altro, che eflà
diuina ellènza,come rap-
prefentatrici al D.
intelletto delle creature,
& fecondo che
ne partecipano più
ò meno. AgoiHno
Santo nelli- %ro
dcÙ'otcStatre ouiitioni alla
quiitione 46 le
dirHnifcf CQH LEZZIONE cosi
dicendo,che le fono
certe fornicò rigioni
ftabili,& v fempiterne,& no
fono formate,& fi
contengono nella di
. ulna intelligenza, & che
le h di
ino lo prona
cosi, perche .
il Creatore con
retta ragione fa le cofe,&
co altra l'huo-
mo,& con altra
il cauallo :
& che le
non pollino effer
fuo ri del
Creatore è manifefto ,
dice , perche fuori
di lui ei .
non cótéplaua cofa
alcuna. L'Angelico Dottore S.Tom-
mafo d'Aquino, la cui dottrina
è cotanto reale,
ficura, & fanta,
ancor egli nella
prima parte della
Soma alla q. 1
5. tiene,che glie
ncceflario porre l'Idee
nella méte diuina
: che le
fono più, &
che le non
fono altro, che
ella Diuina cifenz.a
non allolutamente confiderata :
ma in quanto
è efempio , &
ragione delle cole
create da Dio
> 6 che pòtrebbe creare .
Speditomi nella prima
parte, dal ragionamento
dell'Idee, leguita hora,che
in quella feconda
io difeorra alquanto
delle bellezze di M. Laura,
quanto però appar-
tiene all'intelligenza di quefto
Sonetto , doue
fa di bifo-
gno primieramente intendere,quello che
fi fia la
bellez- , fca,
dipoi di quante
fpezie,& terzo in
quello, che le
con- uenghino tra
loro , & in
quello che le
fiano differenti . Quanto
al primo punto
la bellezza non
è altro ,
che vna certa
proporzione & grazia, che
reliilta da più
cofe,onde per il
contrario le colè
brutte fon tutte
quelle , che fono
fproporzionate nelle loro
parti,& condizioni,& fenza
al cunagrazia.-quetta difHnizione
è più prelto
pre(a da prin
cipij interni iolamente,
de quali ella
è compofta, che
al- tramente, come fono
in cambio di
forma proporzione &
grazia,& in cabio
di materia più
parti, ò più
condizioni : legno di
ciò che vna
colà fola ,
come vn'elemento non
fi domanda bello .
Puollì ancora difKnire
la bellezza più
perfettamente dicendo,che ella
è vn fiore,
& vna grazia,
ò fplendpre.di più
bontà,& perfezzioni vnite,
che è arde
tifììmaméte difiderata. dicefi
fiore,grazia,& (plédore per
4i^inguerl4 dal iuo
eontiario,,chc. e la
bruttezza composta di
più perfezzioni defettiuc
vnitc , ma {proporziona-
te, & difcordanti . Più
oltre fi aggiugnc
in più bontà
, perche come
fi é detto
vna colà in
tutto femplice,& come
fcmplice confi- derata
non fi domanda
bella, ancora che
come partecipe della
forma Tua iemplice
fia buona,come fi
è'dato l'efem- pio
d'vno elemento. Terzo
ho detto ardentiflìmamente difidcrata,
perche cosi ancora
la bellezza Ci
diilingue dal bene
come bene, che
none cotanto amato
& difiderato, &
quando pure alcuna
forte di bene
fia troppo amato,
co . roc
dagli auari fono
le ricchezze, dagli
ambiziofi gli ho-
nori , dal vulgo
i piaceri del
fenfo, & che
Ci dice e' ne fo- no
innamorati , quefto auuiene
per certa fimilitudine
di ecceiliuo amore
. di qui
fi poflbn cauare
le ragioni di
al- cune òccultilìime verità
. Tvnaè, che
la materia prima
perche e lòftanza
femplice , &
non è buona,
non eflendo •
forma,ma lbggetto atto
à riccuere le
forme non è
bella, ne brutta, &
fi dee dire
propriamente non bella,&
nò buo na,&
quella medefima cófideratacome informata
di tut- te le
forme séza ordine, &
proporzione è buona:
ma bruì ta,
& come informata
delle forme con
ordine & propor.
7ione é beila
& buona .
l'altra nafeoià verità
è , che
Dio perche è
Comma bontà, &
perche con iòmma ,
& infinita proporzione
& graziale contiene
tutte in vn
modo per- fettiflimo
, perciò è
la fomma, &
infinita bellezza,& me-
rita di eflere amato
con ardentifììmo , &
infinito amore, 6
Ce gli amanti
delle terrene &
create bellezze fentono
marauigliofi diletti lenza
alcuno difpiacere quando
le ri mirano
come e3 vogliono
: quanto più
lenza coinpara- 7
ione ne fentono
delimcreata,& diurna bellezza
gli An gipli
sii in Cielo ,
& l'anime beate
in eflètto , &
quaggiù ì giufti
& gli eletti
per ifperanza . In
vltimo fi può
aggiugnere alla predetta
difhnizione & dire
della bellezza veduta
: perciochc fino
à tanto che
la cofà bella
no è veduta,
ò con l'occhio
corporale, ò eoo
quello dell'anima, eh
e la mente,
niuno iène innamora. OndeilnoftroM. Francefco
Petrarca quando le
bellez- ze della ina
donna gli dauano
di!piacere,fi doleua d'ha-
uerla guardata dicendo .
j, Occhi pianate
accompagnate il core
, Jt Che
divoftiofalltr morte foftiene
. E Cavalcanti nella
lua così dotta,come
ofeura Canzone dell'amore
dice, che viene
da veduta forma,
che s'intende. Quanto
al fecondo punto,
che era delle
fpezie dell'ai more
quante & quali
le fìano . fé
vogliamo feguire il
pa- rere di M. Marsilio Ficini ,
il quale più
copioiamente, & più
fottilmente, chealcun'altro de'
Platonici , ha ragio-
nato d'Amore fopra Famorofo
Cóuito di Platone
fi dee dire,
che le fono
di tre maniere ,
vna dell'animo , qhe
fi conoicc con
la mente , l'altra
del corpo,che fi
feorge cori la
villa, & vna
delle voci, la
quale fi comprende
co l'vdi- to,ma
fé fi riguarda
à quello , che
fi è detto
dell'Idee , &
della bellezza con
Platone, & con Ariftotele
di fopra, &
alle parti principali
dell'huomo,pare che le
bellezze fie- ro folo
di due maniere,
vna del corpo,
che fi conofee
col lenfo della
vifta>& con l'occhio
corporale; & l'altra dello
animOjche fi contempla
con l'occhio dell'anima, che è
la méte.Ét volendo
difendere il noterò
M. Marfilio {pudo- re apprellb
di noi Latini
della Platonica Filofofia
fi può dire,
che la diuifione
di Platone nelle
due Venere, cioè
nella intelligibile,& nella
lènfibile, & le
quali in quanto
(ì confiderono ncll'Vniuerfò,iòno da
Ariitot'ile chiamate ordine delle
cofe intelligibili in
Dio, & ordine
ienfibi le nelle
ipezie del mondo
fuori di Dio,
fi può dico
dire* che quclta
diuifione è prefa
dalle oppoite bellézze,
atte- (o che
vna è immateriale
& in Dio, raltrafcnfib;1e,& tuo
ri della diiiina
eiìenza,cos'i è preia
da due diuerie
poten- te, che fono
in noi, &
queite (òno l'intelletto
& il (enfo.
MailFicino via la
diuifione, & ibeto
diuifione infieme volendo dire
cosi che iàbellezza,
& mafiìmamente con-
Édérata neU'iiuomo>ò nella
donna, è ò
dell'animo folo, del
corpo lòlo, ò
dciranimo,& del corpo
infìeme : quale
è la bellezza,
& la grazia
delle voci, &
de1 gentili ragionamenti ; perciochc
in quanto concionano
all'orecchio &all'vdito corporale,
&con moto corporale
dell'aria, é bellezza
corporale, ma in
quanto a' gentili
concetti,c nobili affezzioni, Se disij, che
le fignifìcano,che fono
nell'animo, e bellezza interna
& dell'animo .
Puofli ancora dire,
che le bellezze
eflenziah del mondo
grande, & del
piccolo, che e
lhuomo, fono di
due maniere vna
intelli- gibile^ l'altra iènfibile
5 delle quali
quefta cosi è
fcala, & mezzo
à quella, come
il séfo ierue
nelle cófiderazioni all'intelletto . ma per accidente
poi, perche all'intelletto in
noi non iolo
ièruc la vifta,ma
ancora rvdito,perciò an
cora ci fu
di bilbgno della
bellezza & grazia
delle voci 5
Et le alcuno
dicerie fefonoeuenzialmente di
due forti di
bellezze, ò di
Venere vna intclligibile,& l'altra
iènfi- bile : donde
nafce,che alcuni de* maggiori Platonici
pon gono tre
forti d'Amori, vno
beftiale, che è
il defiderio grande, che
moki hanno di
goder la bellezza
fenfibile co diletto
carnale del tatto
; l'altro humano
col quale dama
la medefima bellezza
con honeftà , ò
per dir meglio
con minore errore
fermandoli in efla;
& il terzo
amore è in-
tellettuale & diuino &
perfetto , perche termina
alle di- urne bellezze, le
quali iole co
le tre diuine
perfòne fono il
vero oggetto fruibile,
parea ragioneuole,che quanti
io no gli
amori tante fiano
le Venere,ò vero
le bellezze ei-
iendo queite cagioni
dell'amore . più
oltre fi può
cerca- re da qualche
bello ipirito , perche
la bellezza fi
chiami madre dell'amore
, & non
padre ? &
perche la fi
chiami col nome
di femmina, fendo
cola perfetta, &
l'amore col nome
di maftio, che
è imperfetto,& cógiunto
con la po-
uertà, ò mancamento.
Al primo dubbio
fi dee riipondcre,chc fecondo
i duoi oggetti
dell'amore eflenziali, che
fono la bellezza
f enfi- bile
& l'intelligibile, fono
ancora due amori
foli il ienfi-
biie,& l'intelligibile; ma per accidente
poi;perche alcune ni
hanno dell'animale, &
del bruto feguédo
i piaceri del
Ieri lo : diquìé
che l'amor loro
è lènlùale ,
& brutale in-
fieme . Al
(econdo dico (
rimettendomene a più
lottili, •& à
più intelligenti )
che la bellezza
fi domanda madre
& non padre,
& con nome
di femmina,& non
di maftio, perche
la bellezza lenza
l'amante atto a
innamorarli , & lenza
il dilcorrerui intorno
è cagione imperfetta
dell'amore, come la femmina senza
il maftio non
può ancor el
la generare, ne
le ftelle fenza
il Iole , Venendo
hora al terzo
capo dico, che la
bellezza intelligibile, &
la fenfibi le
conuengono primieramente in
più condizioni, poiché tutte
e due lbn
grazie, fiori , &
fplendori, tutte e
due fo- no di
più perfezzioni,& in
pili forme, ò
beni fi fondano
, &noninvnfolo. Terzo
tutte e due
iòno oggetti di
potenze cognoicitrici, & quarto
fono difiderate di
amoro- {b, &
vehementilfimo difiderio .
Sono lecondariamente uuette
due Venere ò
bellezze tra loro
differenti primie- ramente perche vna
è di cofe
Ipiritali , l'altra corporali
: dipoi vna
fi comprende con
l'intelletto, Faitra col
fènfo . Terzo
vna ne guida
Tempre al bene operare,che è
l'intel Iettuale bellezza,
l'altra talhora ne
fa cadere in
rei diade rij,&
in più fozzi
fatti per difetto
però di noi,
& queita è
lalènfibile. quarto l'intelligibile non
fi conofee da
noi per fé
fterTa,& chiaramente, che
le fi vedelfe
chiaramen- te, molto più
ci accenderebbe di
amorolò defiderio, che
ella non fi,
il vederli chiaraméte
tocca folo alla
bellezza del corpose
però ella lòia
ardentimmaméte da noi
è ama ta
: come ne
moitral'eiperienza in ogni
fecolo, come ne
fanno ampiflìma tede
i'Iftorie,& il Petrarca
nel Trionfo d'Amore ,
& come bene
dice il Diuino
Platone nel Fe-
dro .& la cagione
perche la bellezza
fia lommamente amata, &
difiderata e perche
il bene è
colà amabile, & di-
fidcrabilc , più
beni molto più ,
& le vi
è la grazia
ancora in fommo,&
ardentifiìmamentc . In quella
vltinia parte di
quclto mio difeorfo
fi dee da
me lpiegare il
raara-iglielò ordine , che
uenc in questo Sonetto M
. Francesco Petrarca
in celebrare le
bellezze della dia
Madonna Laura ,
& 'fi dcono
efporre alcu- ne voci
deltefro : accioche
& l'artifizio ,
& tutto quel-
io , che
qui dal Poeta
è detto della
Tua donna, s'inten-
da chiariflimamente , &
fi deono muouere
Se iicior- re
alcune dubitazioni per
difefa di quello ,
che fi farà
detto. Quanto all'artifizio, ò vero
ordine io ci
auuertifco tre -cole
la prima che
il Poeta primieramente
nel primo qua
dernario ragiona delle
cagioni delle bellezze
della tua M. Laura
& poi nell'altro
quadernario.^ ne due
terzetti -parla delle
bellezz e ,
ieguendo in ciò
l'ordine di natura,
fecondo il quale
le cagioni precedono
i loro effetti .
La seconda cola che
io ci noto è
, che
queflo Poeta lo-
dando le gmzie di
lei compitamente dalle
loro più pre-
diate cagionile celebra prima
dalle cagioni anteceden-
ti, che fono l'ideale
bellezza , il cielo, &
la natura, dipoi
dalla ca^ione,che accompagna
quella f uà
donna, che è
il iiio viiòcon
legge & maeftria
fatto dalla natura
: & ter-
zo da quella, che
fegue, che è il fine,
che fegue all'opera
beila,& e per
moitrar quaggiù in
terra quàto lafsù
potea. Vedete,vedete vi
prego giudiziofiflimi Accademici, co- me compitamente ,
& con ordine
efàlti le bellezze
della lui amata
: conforme al
compimento di ciafcuna
cofa , il
quale ftà nello
hauer tre parti
il principio ,
il mezzo ,
& il fine, come
con tre prcue
ci dimoftra Ariftotile
nel pri- mo del
Cielo, cioè dell'autorità
di grandinimi Filofo»
fanti, quali furono
i Pitagorici , dai
numero che fi
via in ogni religione di
honorare Dio , che é
il numero ternario
, & dal
perfetto modo di
parlare de' Greci
al quale gli
induceua la natura
delle cofe .
La terza &
vltima cola , che
fi dee auuertire
intorno all'ordine ,
che tiene M.Francefco
in quelto &
leggia- dria.& aitifìziofifs. Sonetto
in celebrare le
marauiglioiè bellezze della
fu a donna
è, che egli
procede nel fecon-
do quadernario > & ne*
due ternari; in
quefta maniera te-
ff Lezzione facendofi
in prima dalla
bellezza del corpo
più alta,qua- le
e quella deile
chiome corrilpondenti a
quella del So- le
di Cielo
, dipoi fegue
di dire della
occulta, conforme in
qualche parte à
quella del Sole
diurno, & mutàbile,
& terzo diicende
alle bellezze delle
parti più bafle,&
pri ma alla
bellezza, & leggiadria
delli occhi, che
con la villa fi
comprende , &
poi della bocca
diuidendola in tre
: vna , che
ancide per pietadc ,
& confitte nel
dolce lòfpi- rare
: l'altra nel
dolce efprimcre de*
concetti : l'altra
nel ridere dolcemente
: & tutte
e tre appartengono
alla bocca polla;
di lòtto a gli occhi,
& quelli Iorio
nel mez mezzo
tra quella, &
il capo, donde
efeono i capelli.
Da tutto quello ,
che io ho
detto, potete ingegnofiflìmi Accademici
conoscere, chc quello noilro
Poeta non con
minore ordine,
&artifìzio,che con grazia,
Sgmaeflà cele bra,&
ammira le bellezze,
& le grazie
del bel vifo
di M. Laura,
& infieme di
qui fi può
da voi fapere
come cosi le
bellezze, come ogn'altro
bene, s'ha da
Dio fonte d'ogni
bontà , & d'ogni
bellezza per mezzo
de* celefli lumi ,
& della diuina,&
ideale bellezza . Quanto
all'elpofizione delle voci
più ofeurc la
prima fia quella
qllo,che il Poeta
nitida [ per
parte del Cielo;]
alcuni dellielpofitori del
Petrarca per parte
del Cielo dicono,che
egli intefe le
flelle parti più
denfe de' celefli
corpi, come i
nocchi in vn
legno , & che
egli parla come
Platonico,tenendo, che l'anime
noftre follerò tutte
crea te ad
vn tratto , &
ciaf cuna furie
alìegnata alla Tua
ftella ; come
racconta Platone nel
Timeo: ma a
me piace di
cfporre per parte
del Cielo , tutta
quella parte ò
flellata, ò non
iftellata , la quale
con debito modo
riguardaua il luogo
doue fu ingenerata,
& doue nacque
quella fi bella
donna j attelb
che dalla debita
fituazionc delle flelle
in cotal parte ,
come da caufe
vniucrfàli nacquero le
grazie di lei
: come vogliono
gli Astrologi , &
cosi piace anco-
ra à quello noflro
Poeta , come fi
può vedere in
quella £iuzone, il
cui principio è
queilo . MJ Tdctr
D£L VERTNO. j|
0> Tacer nonpcffo,
e temo non
adopre 0, Contrario
effetto la mia
Imgua al core
l doue nella
quinta itanza ei
dice . „
1/ dì che
coftei nacque eran
UJlelle, Che prodvcon fra voi
feliii effetti j,
1/7 luoghi altt
er eletti „
Vvna -ver l'altra
con amor conuerfe .
In quefta parte
del Cielo : come
in
cagione efficiente, mediante
il lume &
il moto era
il bel viio
di M. Laura ,
& nell'Idea come
in eiempio [
onde natura tolfe.
] Puoi" fi
per natura intendere
la forma delli
agenti naturali :
i quali prendono
il modello dell'operare
bene da Dio,in
quanto da elfo
fono bene indirizzati
fé bene non
inten- dono; O vero
per natura fi
dee elporre Dio
itelfo,donde dipende tutta
la natura ,
nel qual lignificato
ancora Tin- tele Ariitotile quando
nel primo del
Cielo ei dice
, che fa
natura fece bene
a lpogliare il
corpo celeite da
ogni contrarietà, da
che douea elìere
eterno,fecondo che e^lì
lì pensò, piìi
pretto guidato da
ragioni humane,che dalle
infallibili verità , che
altramente ci moitrano .
Più oltre leguitando
[ per vn
cuore doue fono
unte virtudi accolte
] il Petrarca
intende non il
cuore , che è parte
corporale prima dell'altre
: ma o
Tanimo,che rifie- cie nel
cuore,nel qual ientimento
vfìamo di dire
io ho in bocca cioche
io ho nel
cuore, ò vero
per l'vno &
l'altro : anelò
che formalmente il
cuore èl'iiteifo appetito
ienfi- tiuo :
del quale la
virtù é moderatrice,
& delle parti
ma- teriali gli fpiriti
fono il foggetto
delle fpezie di
effe virtà come
conofeiute, come d'ogni
altra cola, che
fi conofee. Quanto
alle dubitazioni qui
dirà qualche ingegnolb
fpirito come può
cilere, che il leggiadro vilo
di M. Lau»
ra fulfe in
qualche parte del
Cielo , & in
qualche Idea ì
attefo che il
bel vilo di
lei era cola
particolare, & il
Cic- lo, & l'Idea
lòn cagioni vniuerfaii .
Dipoi come celebrali
Petrarca la bellezza
della fu» donna,
& dice , che
la fomma e
di fua morte
rea ; attclà
C cht LEZZION
E che fé
le grazie dell'animo, & quelle
del corpo di
lei fon congiurate
contro di luì ,
& afpirano à
darli morte ,
fon crudeli, & unto
più fi deono
biafimare,chc lodare quan-
to la morte è
cola rea,& la
vita cola buona .
Et finalmen- te come
può Ilare , che
il dolce rifò
di lei,i dolci
foipiri, & il
dolce parlare, fiano
cagioni, che amori
iani,& anci- da,
che iòno effetti
contranj , e
douerrebbero nafcere da
contrarie cagioni, di
maniera che fé
i dolci fofpiri,
il dol ce
parlare , & il
dolce rilo 3
danno all'amante la
fanità & la
vita ; Tamaro
iòlpirare , ragionare t
& ridere lo
faran- no infermare, &
lo condurranno à
morte . Al primo
dubbio & primieramente
quanto al Ciclo
di co, che egli
fi può confiderare
in due modi,in
uno da per
le lenza le
cagioni particolari di
quaggiù, & fenza la
par- ticolare materia, & in
vn'altro inficine con
quelli agenti, &
con quella materia
jnel primo modo
è vero, che il
Cie- lo no può
eiTerc cauta delle
cole particolari, come di
particolari leoni, cani , &
huomini , altramente in
damo fa- rebbe data
da Dio la
virtù del generare
à quefti inferio-
ri agenti , nel fecondo
modo è ben
vero : attefo
che ogni mouimento
di quaggiù fino
all'alterazione, perlaquale lì
diipone la materia,&
fi generano le
cole pende dal
mo uimento &
da lumi deJ
celefti corpi, come
ne inoltra co- si
l'clperienza, come Aristotile
ancora nel lècondo
della generazione, & della
ccrruzzione,& nel primo
della Me theora,oltre
che la ragione
il medefimo ci
confermale - ro
che fé i
Cieli con il
loro moto,& con
il loro lume
non cor correderò
gli agéti di
quaggiù alla produzzione
del- le cole generali, non
conosceremo come Dio
fia la prima
& vniuerf ale
cagione di tutte
le colè , &
al Cielo che
in- terne con l'intelligenze participa
molto più della
bontà, che le
creature di quello
mondo inferiore, farebbe nega-
ta la virtù di
comunicarla ad altri,
& all'altre creature
mcn buone conceduta,& l'vno
& l'altro farebbe
non me no
inconueniente che fal(o
. Secondariamente quanto
all'Idee , le quali
fono in Dio
» dico che
fé bene le
fono cagioni vniuerfali delli
effetti in if
pezic da per
loro con- fidente ,
nondimeno con gli
agenti particolari, &
con la particolare
materia , fono
ancora cagioni particolari .
Puoflì ancora dire
che l'Idee, fé fi
considerano come for«
me in Dio
che è caufa
vniuerfale, in quefta
maniera, ioti caule
delli effetti Ipeciali ,
& vniuerfali . ma
fé le fi
con- templano in Dio
come cofa che è maftimamente
in atto come
ancora i particolarità
quella maniera Dio
intende più prefto
in particolare, che
in vniuerfale, & cosi
ancora ne è
cagione . più oltre che
cofà non iòlo
fallà,& empia, ma
ancora ridicola farebbe
quella de* Fiiofòfanti,
fé cre- deflero,che
Dio ch'e l'ottima, Scleccellentifs. cagione, e
che le foftanze
particolari, fono più pertette,che
Tvniuer (ali, come
fi dimoftra da
Ariftotile nel capitolo
della fo- ftanza
> & nondimeno
più prefto fi
penlàifero che Dio
producefTe
rvniuerfali,cheleparticolaii,&
che più pre-
fto di quelle,che di
quefteteneffe cura,perciò vfizio
è di huomo
fàuio, pio, &
amatore del vero
, tenere , che
Dio & in
vniuerfale, & in
particolare fìa autore
delle cole, &
tanto più in
particolare , che in
vniuerfale : quanto
così fono più
perfette,che in quel
modo,& cosi deono
crede- re dello intendere
di Dio :
& chi non
sa rifoluere le
argomentazioni più forti,
che in
contrario fono itate
ritrovate da fottili
ingegni, dee più
prefto in ciò
confeffare lz fiia
ignoranza, che per
non fare quefro ,
che farebbe fe-
gno di modeftia
incorrere in quelli
tre grandiflìmi vizij
di stoltizia , di
menzogna, & d'impietà
. Alla terza
& vkima difficultà
fi può rifpódere,
che gli effetti
contrarij poifon nafeere
da vn medefìmo
agente,ò da due
agenti contrarij'. da
vn medefìmo in
più modi, ò
perche egli fìa diversamente dispotto,
ò i fuoi
finimenti, ola materia,
ò perche in
diuerfitépiafpiriàdiuerfìfini.
può vn medefìmo
agente effere diuerfamente
difpofto,& così cagionare
diuerfì eftetti,come il
gouernatore & mae
ftro di naue
con la f
uà pref enza , &
con 1 arte
fùa faiua la
iauc dalle fortune
del mare, &
de' corlali , &
con la (uà
C a alfe*
;£ Le 2
z ione fllTcn?! ,
ò non fapendo
ben farti , è
caufa del contrario
• umilmente fé
vn medelìmo agente
fi lèrua di
linimenti diuerfi, farà
diuerfe operazioni &
contrarie, con le tana-
glie esépi grazia vn legnaiuolo
caua gli aguti
d'vn legno, e
col martello ve
gii ficca ,
vn'eccell. pittore le
ha buon pennellij& buon
colori fa vna
bella figura, le
altramente brutta . Che
più oltre vn'iftelfo
agente , mercè
della di- vertita della
materia faccia contrarij
effetti , è chiaro
di qui perche
il Sole indurifee
la terra, che
e tenera per
ef- iere mefcolata con
l'acqua, & intenerire
la cera. aelFaz.
zioni humane vn'iftelfo
Capitano delli elèrciti
Ce ha per
fine la vittoria
per quella Rcpubl. per
la quale e5
combatte la può conlèguire
. fé la
perdita & la rovina ancora
di cotanto male
può eifere caufa
; & cosi
la diuerfità de'
fini è caufa
ancora , che da
vna medemna cagione
effettrice nafehino diuerfi
effetti, in vltimo,che
duoi contrarij,có- trarij
effetti preduchino è
chiaro, il bene
accende in noi
desiderio di le il
eifo,& di qui
è che ci
muouiamo per ac-
quiftarlo, il male cagiona
l'odio, & il fuggirlo. dalla fanità
procedono le operazioni
naturali Se buone,dairinfermi- tà
fono impediti, & fatte
imperfette, da queita
diftinzio- ne è
manifefto come il
dolce lòfpirare, parlare, &
ridere dell'amata dia
la làmta all'amante,
fendo li ella
con que- fte
gra7ie prefente, e
l'infermi, e dia morte
con la fua
ai- lènza, poi
come contrarie cagioni
il dolce lòfpirare,par-» lare
& ridere, el
fare tutto que
:o con afprezza
& sgar- batamente, ne
lègue ò la
lanità & la
vita, o la
malattia, 8c la
morte nello amante ,
effetti contrarij da
contrarie ca- gioni procedenti. Da
tutto quefto mio
ragionamento può ciafeuno
di voi gentiliduni , &
accortitììrni Accademici , &
Vditori haucrecomprelò, chcilnoltro
M. Francesco Petrarca
non con minore
altezza ni concetti ,
ne con manco
beilo ordine hi
celebrate le bellezze
& le gra?
ie delia t
uà M. Laura,che
con maeità &
grazia di parole,
ateeiò che egli
«el primo quadernario di
quello Sonetto l'eiàlta
da tut- Del
Verino.%f te le
principali^ più degne
cagioni,come tra le
irrumen tali è il Cielo
con 1 fuoi
più benigni lumi ,
i quali in
luo* ghi alci
& eletti fi
ridonarono il di
che cortei nacque ,
tra l'elemplari l'Idea
d'vna graviofilTima Donna,
tra le agenti
la natura prima, ò
vero eifa prima
, & iuprema
ca- gione d'ogni colà
buona , & d'ogni
rara bellezza , tra
le formali più
notabilità grazia &
la Ieggiadna,& tra
le ma renali
il vifo di
queita iva donna
. Confederando più
ol- tre, che quello
& dotto &
gentil Poeta nel
lecondo qua- dernario lèguita, ma
più particolarmente ài
renderci ma rauigliofele
bellezze di M.Laura, celebrandole fuechio
me, con agguagliarle
al finiiììmo ore
nel colore, &
nello fplendore , &
preponendole alle chiome
fparie all'aura di
qual lì voglia
Ninfa , che (ì
ritroui ne' fonti,&
di qual fi
voglia Dea habitatrice
delle lelue ,
& credo io
, che à
più eleuati ingegni
intenia di lodarla
di carità attribuì»
ta alle Ninfe
, le quali
l'ardore delle carnali
dilettazioni eitinguono con
queita angelica virtù,
non altraméte,che il
fuoco iìa eitinto
dall'acqua . cosi
voglia Ibpra modo
li- gnificarci , che
ella ha in
se raccolte le
virtù in eccellen-
za , il che
e colà rara
& folitaria come
quelli , che per
attendere alle diuine
fpecolazioni , fuggono le
conucr- fazioni, Se
li riducono ad
habitare ne' dolchi, &
nel- le felue. nelmedefimo
quadernario magnifica le
virtù di queita
dia donna dal
gran numero ,
che ella n'ha
rac- colte nel fuo
animo , quafi volendo
dire , che
doue nel- l'altre belle
ne è vna ,
e óuq, ò
poche più in
lei iòn tutte .
cosi dalleilremo poterebbe
l'hanno in lui,che
è di condurlo à
morte per l'infinite ,
& grandiilune pailìoni ,
eoa le quali
tutta la f
uà vita è mole-Hata, e
quello perche egli
non teneua modo
, ne anfora
in amarle, onde
el- la molte volte
le gli moitraua
disdegnofa , e adirata;
& quefto li
recaua infiniti tormenti ,
come per il
contra- rio le benigne
accoglierne vq contento,^
vn allegrézza lenza
termine » Tcn#
$8 Lezzione Terzo
& vltimo più
in particolare ci
efprimc le gra-
fie & la forza
di alcune parti
di queftabelliiTima, &
le?- giadriflìmà Donna:
le quali grazie
dico iono di alcune
parti del corpo ,
come degli occhi, del
cuore, e della bocca,
e ci annunziano
vna maggiore grazia ,
che è quella
del Tuo bell'animo,
quella degli occhi
è di- vina, &
confifbepiù che in
altro nel girargli
con suavità, e perche
per gli occhi
molto si lcuoprono
altrui , le qualità
dell'animo: come i
più dotti de
Fifìonomi ci dimoftrano,& refperienzaftefla : di quìè,che
dalmo- uimento fòaue
& gentile degli
occhi , fi può
prendere fpedito argomento
del fuo bell'animo
dal lòfpirare similmente
con soavità, fi conofee
vn'animo appaflìona- tOi
ma con certa
moderanza comeauuicne in
chi modera gli affetti
col freno , e
con la legge
della retta ragione.
Le grazie finalmente
della bocca Tono
il dolce parlare ,
che ci dinota
vna moderanza nell'appetito
ira- labile, che
ci ìùole per
la bellezza, ò
per qualche bene^
che è m
noi più che
in altri inluperbire ,
& il dolce
riio dolcezza &
piaceuolezza nel conuerfàre ,
O Dio immortale
con quanta arte
ci fai tu
quaggiù in terra
& inquefta materia
vedere la tua bontà, &
le tue bellezze,
& con quanto
ftupore cosi dottamente ,
& con tanta
leggiadria di parole
quefto Poeta ce
le ha cfprefTe
& cantate in
quefto Sonetto :
perche non ho
io potuto con
quell'altezza di concetti,
con quel maraui-
gliofo ordine, &
con quella maeftà
di parole, che
fi conueniua , &
che io più
defidcrauo difeorrerne digniil
fimi Accademici , &
Vditori ? perche
dico non ho
io potuto così
celebrarle alla prelènza
vostra? mercè credo
io della debolezza
del mio intelletto,
& della rozzez-
za del mio dire ,
con le quali
imperfezzioni è piaciuto alla
DiuinaProuidenza cheiofia, acciò
più illuftre &
chiare apparifehino leperfezzioni, &
le grazie di
molti altri, &atfine
che io comprenda,
che tanto più
fi Del Verino. 0
ri fono obbligato
della grata vdienza ,
che come corte*
fiiTimi mi hauete
data , quanto meno
mi II conuc-
niua , & perciò
con tutto lo
affetto del cuore
ve ne ringrazio
• IO HO
DETTO» Il Fini, Francesco Vieri. Keywords: Pico,
Accademia. Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft; Luigi Speranza, “Grice e
Vieri: la dialettica fiorentina”, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza,
Liguria.
Grice e Vigellio: la ragione
conversazionale al portico romano – filosofia italiana – Luigi Speranza, pel
Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Roma). Filosofo italiano.
Amico ed allievo di Panezio. Stoic philosopher. A riend and pupil of Panaetius,
with whom he also lives. He is noted by CICERONE in “De Oratore” to have also
been a friend of Lucio Licinio CRASSIO (vide), the greatest Roman orator prior
to CICERONE. All other information has been lost. See also List of Stoic
philosophers. References: Blits, “The Heart of Rome: Ancient Rome’s Political
Culture”; CICERONE. The first Stoic philosopher in Rome is the famous Panezio,
who joins The Scipionic Circle, lives for a while in SCIPIONE’s home and travels
with him for more than a year on a public embassy to the East. Besides SCIPIONE,
consul, and censor, at least six *other*
consuls study under Panaetius. They include LELIO and L. FURIO, both of whom,
along with SCIPIONE and Polibio, hear the three Greek philosophers at Rome; FANNIO;
Q. Elio TUBERONE, suffect consul, Q. Mucio SCEVOLA, and Rutilio RUFO. In
addition, Spurio Mummio, one of the legates sent to settle Greek affairs is
trained in the doctrine of il PORTICO (Cicero, “Bruto”). V., friend of CRASSIO,
consul, is Panezio’s friend and pupil, and lives with him (CICERONE, “De
oratore”); and Sesto POMPEO, son of the governor of Macedonia, brother of a
consul, and uncle of POMPEO maggiore, withdraws from politics in order to
devote himself to the philosophy of the Portico (CICERONE, Bruto, De oratore). Portico.
Pupil of Panezio. Marco Vigellio. Marcus Vigellius. Luigi Speranza for H. P.
Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.
Grice e Vigna: la ragione
conversazionale e la regola d’oro conversazionale – filosofia italiana – Luigi
Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Rosolini). Essential Italian philosopher. Filosofo italiano. Studia filosofia
a Milano, legandosi in special modo all'insegnamento di BONTADINI (vide) e SEVERINO
(vide). Con SEVERINO si laurea con la tesi, ‘La logica dell'astratto – generale
-- e la logica del concreto – particolare’”. Insegna filosofia a Milano e Venezia.
Presidente della Società italiana di filosofia morale. Si occupa della
filosofia del lizio, o peripato, e di neo-idealismo italiano. Si concentra in
maniera speciale sull'ontologia, proponendo una ‘semantizzazione’ del concetto
di ‘essere’ capace di risolvere la aporia del “parmenidismo” (vide VELIA) di SEVERINO,
che in qualche modo grava anche sulla speculazione di BONTADINI. Questa
‘semantizzazione’ permette di leggere nel ‘divenire’ (“x divenne y”), non
l'annullamento dell'ESSERE (“x e y”), ma piuttosto l’annullamento di UN ENTE.
La differenza fondamentale è proprio quella che passa tra l’essere ‘assoluto’
che *non* diviene, e UN ente finito che comincia e cessa di essere – cfr.
Grice, relative identity in Geach and Myro, and his schema on becoming after
von Wrigt in “Actions and events.” Questa impostazione ha consentito di
raffinare ulteriormente il tema della mediazione metafisica che sfrutta e
compone la posizione necessaria della totalità di un essere con la posizione
della totalità molteplice e mutabile dell'esperienza. Insieme all’analisi
di ontologia, si sono svolte quelle di etica (bio-etica). L'etica è intesa
fondamentalmente come un’annalisi del desiderio o volere, il quale, a sua
volta, è fondamentalmente desiderio di un altro desiderio (“meta-desiderio”),
cioè poi di un altro essere umano – il co-conversazionalista B -- che ci
desideri e ci riconosca. L'etica e così ri-condotta alle dinamiche di una
relazione inter-soggettiva, che si puo descrivere secondo tre modelli basilari.
Il primo modello è il modello griceiano – ariskantiano -- quello regolativo per
l'etica. E quello in cui le soggettività si riconoscono reciprocamente come
delle soggettività, e cioè come delle persone o degl’esseri che pensano e
desiderano in modo trascendentale. Il secondo modello, piu primitive, è quello
trasgressivo della ragione istrumentale. Quello in cui le soggettività
confliggono e cercano di dominare il soggetto che hanno di fronte, trattandolo
come un oggetto o istrumento -- o una cosa manipolabile a loro piacimento. Il
terzo modello, che si colloca a mezza strada fra i due precedenti, è
quello che V. definisce come modello griceiano ‘oblativo,’ in cui, mentre una delle
due soggettività riconosce l'altra e si dispone a trattare l'altra secondo la
cura e il rispetto che le convengono, l'altra soggettività non offre nessun
riconoscimento e cerca di imporsi sulla soggettività riconoscente come
soggettività dominante. Questa impostazione onto-etica si caratterizza per
il tentativo di fondare la regolatività etica del modello ariskantiano di Grice
su argomentazioni che partono dal rilievo irrefutabile della trascendentalità
della persona, la quale si trova invece contraddetta in tutte le situazioni di
rapporto inter-soggettivo ri-conducibili agl’altri due modelli (razionalita
istrumentale – Modelo II --, e razionalita di oppression – Modelo III). L’indagini
di antropologia trascendentale completano e chiudono questo percorso, ponendosi
come il termine medio che stringe e salda l'ontologia all'etica. Il concetto di
‘persona’ viene inteso alla Grice e Strawson come sinergia del concetto di
‘sostanza’ e di quello di relazione (la categoria della relazione di
Aristotele, la relati, o il ‘pros ti’. Sostanza (ousia,
sub-stantia, essential) è classicamente quello che permane e sta in
sé. La relazione, invece, è qui il rapporto intenzionale ad altro da sé. La
persona è una sinergia di sostanza e relazione perché è sia rapporto a se
stesso sia rapporto all'altro da sé, in quanto è essenzialmente una
intenzionalità trascendentale, ovverosia un orizzonte consistente di relazione
all'altro da sé, secondo il corso illimitato del desiderio che lo abita. Saggi:
“La dialettica di GENTILE” in “Giornale critico della filosofia italiana”, “La
religione nella filosofia di GENTILE”, “Giornale critico della filosofia
italiana”, “GENTILE, interprete di Marx”, in Enciclopedia. La
filosofia di GENTILE, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, “Ragione e
religione”(CELUC, Milano); “Filosofia e marxismo” (CELUC, Milano); “Le origini
del marxismo teorico in Italia: il dibattito tra LABRIOLA, CROCE, GENTILE, e
Sorel sui rapporti tra marxismo e filosofia (Città Nuova, Roma); “GRAMSCI: il
pensiero teorico e politico e la questione leninista” (Città Nuova, Roma);
“Invito al pensiero di Aristotele” (Mursia, Milano), “Sostanza e relazione: una
aporetica della persona,” in L'idea di persona, Melchiorre (Vita e Pensiero,
Milano); “L'enigma del desiderio” (San Paolo, Cinisello Balsamo); “La politica
e la speranza” (Lavoro, Roma); “Il frammento e l'intero: -- il toto e la parte
-- indagini sul concetto di essere e sulla stabilità del sapere” (Orthotes, Napoli);
“Sul trascendentale come inter-soggettività originaria”, in “Le avventure del
trascendentale,” Rigobello (Rosenberg, Torino); “Sulla verità e sul bene”
(Petite Plaisance, Pistoia); “Etica del desiderio come etica del
riconoscimento” (Orthotes, Napoli); “Sostanza e relazione: indagini di
struttura sull'umano che ci è comune” (Napoli); “Studi su GENTILE” (Orthotes,
Napoli); “Studi su Marx” (Orthotes, Napoli); “Studi su Aristotele” (Orthotes,
Napoli); “La ragione e la dialettica: studi su Marx e VOLPE” (Marsilio,
Venezia); “Teorie della felicità” (Francisci, Abano Terme); “La qualità
dell'uomo: filosofi e psicologi a confronto” (Angeli, Milano); “Dio e la
ragione” (Marietti, Genova); “L'etica e il suo altro” (Angeli, Milano);
“Strutture del sapere filosofico” (Cardo, Venezia); “La libertà del bene” (Vita
e Pensiero, Milano); “Essere giusti con l'altro” (Rosenberg, Torino); ‘Introduzione
all'etica” (Vita e Pensiero, Milano); “Etica trascendentale e intersoggettività”
(Vita e Pensiero, Milano); “Multi-culturalismo e identità” (Vita e Pensiero,
Milano); “La persona e i nomi dell'essere: sritti di filosofia in onore di MELCHIORRE”
(Vita e Pensiero, Milano); “Libertà, giustizia e bene in una società plurale” (Vita
e Pensiero, Milano); “Etiche e politiche della post-modernità” (Milano, Vita e
Pensiero); “Etica del plurale: giustizia, riconoscimento, responsabilità” (Vita
e Pensiero, Milano); “Affetti e legami” (Vita e Pensiero, Milano); “La REGOLA
D’ORO come etica universale (Vita e Pensiero, Milano); “BONTADINI e la
metafisica” (Vita e Pensiero, Milano); “Metafisica e violenza” (Vita e
Pensiero, Milano); “Etica di frontiera: nuove forme del bene e del male” (Vita
e Pensiero, Milano); “Di un altro genere: etica al femminile” (Vita e Pensiero,
Milano); Pira. Un san Francesco nel Novecento (AVE, Roma); “Multi-culturalismo
e inter-culturalità: l'etica in questione” (Vita e Pensiero, Milano); “La vita
spettacolare: questioni di etica” (Orthotes, Napoli); “Etica dell'economia: idee
per una critica del riduzionismo economico (Orthotes, Napoli); “Differenza di
genere e differenza sessuale: un problema di etica di frontiera” (Orthotes,
Napoli); “Il dovere dell'ospitalità (Orthotes, Napoli). Dell'interpretazione di
GENTILE offerta da V. discutono, fra gl’altri, Berlanda, “GENTILE e l'ipoteca
kantiana. Linee di formazione del primo attualismo” (Vita e Pensiero, Milano); Bettineschi,
“Critica della prassi assoluta: analisi dell'idealismo di GENTILE” (Orthotes,
Napoli). Si vedano anche “Studi GENTILIANI” (Orthotes, Napoli). Cfr. “Studi
marxiani” (Orthotes, Napoli). Cfr. gli scritti raccolti in V., Studi
aristotelici” (Orthotes, Napoli); Saccardi, Semantizzazione dell'essere e
inferenza metempirica, in Pagani, “Debili postille. Lettere a V.” (Orthotes,
Napoli). Cfr. anche Messinese, “L'apparire del mondo: dialogo con SEVERINO
sulla ‘struttura originaria’ del sapere” (Mimesis, Milano). “V., invece, che
pur si è formato alla scuola di BONTADINI e di SEVERINO, non segue più i suoi
maestri, perché ormai ritiene che, se si accetta la “semantizzazione
parmenidea” (vide VELIA) dell’essere, non si può evitare di estendere gl’attributi
dell'essere assoluto all’ente, come precisamente è avvenuto nello svolgimento
della filosofia di SEVERINO. L'errore, però, prosegue V., sta proprio in questo
“aver trattato la questione dell'essere come una questione di ESSENZA.” L'errore
viene eliminato convincendosi che la “semantizzazione” dell'essere coincide con
la relazione d’essenza ed esistenza': questo è il 'tratto comune' tra tutti gl’enti". Cfr.
V., “Il frammento e l'intero, Sulla semantizzazione dell'essere.
L'eredità speculativa di BONTADINI, in “BONTADINI e la metafisica.” Si veda
inoltre SOLLIANI, “Dell'essere come essenza: per una rivisitazione del problema
a partire d'AQUINO” in Debili postille, Il frammento e l'Intero, Cfr. anche Pagani,
“Una rivisitazione della via del divenire e Peratoner, Intorno alla
conoscibilità di Dio, la ragione, la fede, in Debili postille, Si veda
poi Barzaghi, Percorsi di rigorizzazione della teologia naturale nella
filosofia neo-classica milanese”, “Rivista di filosofia neo-scolastica”. Cfr.
Vigna, Etica del desiderio umano (in nuce), in Introduzione all'etica,
Aporetica dei rapporti intersoggettivi e sua risoluzione, in Etica
trascendentale e inter-soggettività, Si veda anche il saggio di
Fanciullacci, “Dell'inter-soggettività e del riconoscimento, in Debili
postille, Cfr. V., Sul trascendentale come inter-soggettività originaria. Venuti,
La cura dell’altro come REGOLA D’ORO. Lettera aperta a V., e Zanardo, Sul dono
della differenza, in Debili postille, Per una discussione complessiva del
pensiero di V. si vedano i saggi contenuti in Pagani Debili
postille. Lettere a V.” (Orthotes, Napoli); “Sostanza e relazione: una
aporetica della persona.” Si può vedere anche Bettineschi, Finità e infinità
della soggettività. Lettera aperta a V., in Bettineschi, “Intenzionalità e
riconoscimento: scritti di etica e antropologia trascendentale” (Orthotes,
Napoli). Bergamo festival: l'intuizione, su you tube. Malato o persona?, su you
tube. L'etica, you tube.com. Treccani. Intervista a V.: la filosofia morale,
you tube. Tugnoli, V.: il desiderio come orizzonte trascendentale, su mondo-domani.
Venezia, su unive Bollettino della Società filosofica italiana, Centro di etica
generale ed applicata, su centro di etica. Centro inter-universitario per gli studi
sull’etica, su venus unive. Società italiana di filosofia morale, Intervento su
La Pira, su avvenire. Attualismo, problematicismo, metafisica, su filosofia. La
politica e il sacro, su in schibboleth. Bisognerebbe
oggi parlare piuttosto di metafisica del male comune… Siamo infatti
dinanzi ad un certo tramonto del politico, almeno nell’Occidente
post-industriale: lo siamo nel senso che la società civile, negli ultimi
decenni, ha assorbito in sé ciò che una volta era, almeno in parte,
contenuto della sfera politica; ma lo siamo soprattutto nel senso che il
compito politico sembra troppo difficile da eseguire ed è in effetti non di
rado tradito da coloro che ne sono in prima battuta responsabili. Ad una
sorta di processo di disseminazio- ne di progettualità creativa in seno
alla società civile sembra corrispondere una sorta di di- scredito e di
scetticismo quanto alla sfera politica. La sfera politica sembra non riuscire
più ad occuparsi della cosa comune ed essere diventata, piuttosto, il
luogo di una distribuzione corporativa delle risorse. Quando non si
giunge, come ad esempio in Italia (ma certo non soltanto in Italia), a
forme molto gravi di corruzione e di spreco. Il cittadino medio tende
perciò a ritrarsi dalla politica o semplicemente cerca di profittarne. Di
fronte all’ingestibilità della progettualità politica, e pure di fronte al
discredito del- la politica, si capisce perché vi sia un generale
movimento di conversione dai fini ai fondamenti della comune convivenza.
Ma questa conversione a me pare, in realtà, non tanto una con- versione
dalla progettualità politica all’amministrazione della società civile, quanto
una qualche conversione dalla politica all’etica. Ci si è
convertiti all’etica, quasi per esaurimento della sfera politica: questo ho
appena suggerito. Ma l’etica non pare offrire uno spettacolo diverso
dalla politica, nonostante oggi la si chiami fuori, l’etica, per
dirimere, quasi giudice supremo, i conflitti tra il politico, il so-
ciale e il privato; anche l’etica, infatti, ha i suoi problemi, né suscita
consensi facili, quando si va a determinare caso per caso che cosa può
dirsi garantito dall’etica. Sono note ad es. le polemiche sulla bioetica,
tanto per citare uno dei temi oggi forse più rilevanti, anche per le sue
immediate ripercussioni in ambito politico. Dobbiamo dunque mettere sul conto
della nostra quotidianità una eclisse anche dell’accordo sulle
convinzioni etiche? Così pare. E il multiculturalismo spinge nello stesso
senso. Fino a qualche decennio fa la trasgressione prendeva di mira la
legge politica (si ricordi la temperie sessantottina); oggi quel tipo
di trasgressione sembra rientrata e sembra, appunto, presa di mira anche
l’etica. Cito solo un sintomo, ma vistoso: ciò che si discute con sempre
maggiore frequenza è la possibilità di stabilire regole per tutti che
siano regole puramente convenzionali o formalistiche, anche sul piano
“etico”. L’area anglosassone, più sperimentata in fatto di multiculturalismo,
ha avanzato non poche proposte in tal senso. Ma bisogna pur dire che ogni
formalismo con- venzionalistico contiene in sé il difetto radicale di
valere tanto per le cose buone quanto per quelle malvagie (anche una
organizzazione mafiosa rispetta una serie di convenzioni...), sicché
serve solo a scansare il problema fondamentale, anzi che a risolverlo. Ed è qui
che il bisogno di stare al sostanziale tende alla compensazione
dell’etica, lmeno nel senso di ricorrere ad elementi o frammenti di
rimandi all’etica, per ottenere coesione e consenso. Una certa fiducia nell’universale
rispetto dell’essere umano e un certo rimando ad una fede paiono non di
rado un collante più potente di qualsiasi considerazione ideologica,
visto anche il discredito su larga scala patito dalle ideologie
novecentesche. 4. Eppure, dell’etica e della politica, in realtà, nessuno
può fare a meno. L’etica e la politica, come tutte le cose “necessarie”
per la vita degli uomini, si raccomandano da sole. Come tutte le cose
“necessarie”, l’etica e la politica ricompaiono e persino dominano anche
là dove le si vuole a tutti i costi esorcizzare. Solo che tutte queste cose
prendono vesti di- verse da quelle di una volta: tendono a frantumarsi in
molti rivoli o assumono andamenti carsici. Per esempio, l’etica e la
politica diventano oggi cura del mondo della natura o riscatto del
femminile, lotta per l’integrazione delle etnie o sostegno per gli emigranti e
gli emarginati. Comunque, quando e a misura che appaiono onorate, queste
dimensioni del senso della vita umana sembrano rendere possibile la
convivenza, perché esse si presenta- no come custodi di ciò che accomuna
gli esseri umani nel profondo. Più di quanto accada alla semplice
fattualità dell’ethos. L’etica e la politica sembrano qualcosa di
infinitamente più prezioso dell’ethos. Sono in effetti il giudizio
sull’ethos a partire dalla verità del desi- derio umano, se intendiamo
per ethos ciò che appare come la realizzazione storico-fattuale di tale
desiderio. 5. Abbiamo evocato la “verità” a proposito del desiderio
umano. In realtà, l’etica e la politica, sono solitamente intese come il
luogo del riferimento all’”oggettività” normativa. Ma l’”oggettività” qui
che cos’è, se non la “verità” di quel che il desiderio del singolo o
della collettività desidera? Una certa eclisse dell’etica e della politica, in
particolare, sem- bra l’eclisse della consapevolezza di questo legame
originario con la verità dell’esistenza. E allora? Come far fronte a
questa “sfida” paradossale del nostro tempo, che vorrebbe fare a meno
dell’universale verità, proprio mentre la invoca per governare la
frammentazione delle esperienze dei singoli e dei molti? Semplificando
non poco, io azzarderei questo tipo di risposta. Un codice universale di
natura semplicemente teorica, cioè veritativa, sembra diventato di fatto
improponibile. Questo non significa che sia impossibile. Significa
sempli- cemente che la cultura dominante, incline al relativismo e allo
scetticismo, non lo cerca e non lo vuole. In fondo, ne dispera. Eppure,
tenta di rimediare a questo fallimento epocale mediante la ricerca di un
codice pratico. È degna di rilievo la circostanza che gli “ultimi fuo-
chi” della “fondazione” di qualcosa siano, nel pensiero filosofico occidentale,
di tipo etico- pratico (cfr. ad es. le proposte di Apel). Ma anche la
fondazione dell’eticità, purtroppo, è… un che di teorico. Perciò non
funziona più di tanto. Ossia: anche l’etica e la filosofia della politica
dividono. Sembra che unisca, piuttosto, la pratica tout court, forse perché
nella pratica ci si deve necessariamente determinare così e così. La
pratica è “reale”, si pensa, o è almeno la riconduzione del pensiero alla
realtà (laddove la teoria è la riconduzione della realtà al pensiero e
quindi sembra offrire un margine maggiore alla variazione soggettiva).
Per una metafisica del bene comune Ma non ci si illude anche da questa
parte? È possibile. E tuttavia la pratica, come alter- nativo terreno di
intesa, sembra più efficace della teoria, perché si orienta al reale, e il
reale tendenzialmente unifica, se e quando ci è dinanzi (almeno in
qualche modo), più di quanto non accada alla teoria, che soffre degli
equivoci insuperabili della comunicazione. 6. Ma una maggiore
approssimazione al nostro obbiettivo richiede una manovra ag- giuntiva.
Noi dobbiamo cercare ciò in cui gli esseri umani possono praticamente
convenire, ossia ciò che li può praticamente accomunare. Orbene, ciò che
tutti desideriamo è almeno questo: d’essere riconosciuti e onorati nella
nostra umana soggettività. Detto in altri ter- mini, ogni soggettività
umana chiede d’essere riconosciuta come un orizzonte di senso
inoltrepassabile, cioè intenzionalmente infinito, perché tale essa è per via
del logos che la informa. Ma le soggettività sono molte. E come è
possibile che più orizzonti intenzional- mente infiniti coesistano? Non
si riesce facilmente a capire proprio questo. Sulle prime, più infinità,
per quanto semplicemente intenzionali, sembrano incompossibili. L’una
sembra togliere all’altra proprio tale carattere (Sartre). Di qui l’impulso
al conflitto e quindi alla po- tenziale esterminazione dell’altro. E in
effetti l’esito è inevitabile, se ogni soggettività viene innanzi
esigendo, anzitutto, dall’altra il riconoscimento della propria
trascendentalità. Cioè imponendolo. L’altra, per lo più, farà lo stesso
con la prima. Così entrambe le soggettività finiranno per lottare per la
vita e per la morte. Non così, se ogni soggetto, anziché esigere d’essere
riconosciuto nella sua trascendentalità, viene innanzi offrendo, anzitutto, il
proprio riconoscimento della trascendentalità dell’altro. Non così, se
l’altro, riconosciuto, viene in- nanzi riconoscendo a sua volta la
trascendentalità del primo. Poiché la trascendentalità in tal caso non è
predata, ma reciprocamente offerta, accade che ognuna delle due coscienze
sia riconosciuta dall’altra. E poiché ognuna liberamente riconosce, resta nella
propria tra- scendentalità anche quando lascia essere l’altra allo
ste4sso modo. Due trascendentalità, così chiasmaticamente incrociate, non
sono più incompossibili, anzi si sostengono e si ali- mentano a vicenda.
L’inciampo dell’ostilità reciproca è qui tolto in via di principio. Il
primo codice universale e il più efficace è dunque il principio del reciproco
riconoscimento. In effetti, il principio del reciproco riconoscimento è il
codice universale più praticabile: un gesto di riconoscimento può esser
fatto da chiunque lo voglia. La sequenza che ho sinora esposto si può
riassumere così: possiamo tornare alla po- litica solo se transitiamo per
un’etica del riconoscimento reciproco. Ma il riconoscimento reciproco
implica inevitabilmente trattare ogni essere umano come fine in sé. Cioè
come qualcosa di inoltrepassabile. Cioè come libero dall’ambiguità delle
relazioni di dominio. La vita umana non può che abitare questo luogo, se
andiamo alla sua regola secondo verità. Ma come in concreto si struttura la
salvaguardia della vita umana nella società civile? Credo che si possa
agevolmente rispondere a questa domanda riproponendo nel giusto ordine
tre grandi convinzioni che da tempo immemorabile gli esseri umani hanno
tentato in un modo o nell’altro di onorare: la libertà del gesto, che fa
dell’azione una azione umana nella sua dignità, la mira del bene, che
riscatta la libertà da possibili ambiguità, la giustizia del gesto che fa
della mira del bene una questione non solo della vita del singolo, ma anche
della vita di tutti. Vediamo partitamente queste tre convinzioni, che rendono
possibile l’umana convivenza come società civile e che devono essere
protette dall’umana convivenza come società politica. Il primo breve
discorso che vorrei fare è quello sul bene1, perché sono convinto del
fatto che dal bene cominci propriamente la possibilità di una determinazione
equilibrata delle altre due parole: la libertà e la giustizia e perché il
bene custodisce in sommo grado la natura sacro-santa della vita umana. La
vulgata precedenza della libertà sul bene e sulla giustizia è in realtà
un capovolgimento della vera sequenza teorica. Dobbiamo tale errata
precedenza alla modernità. Essa compare con solennità epocale per la prima
volta nelle parole d’ordine della rivoluzione francese: libertà,
eguaglianza, fraternità. Da allora in poi ha fatto, purtroppo, molta
strada. Dico “purtroppo”, perché sono dell’avviso che, comin- ciando
dalla libertà si onora un essere umano, ma solo cominciando dal bene lo si
orienta in modo conveniente nei suoi propositi di vita, singolare o
collettiva. E un essere umano è libero soprattutto per questo, per
confrontarsi col bene. Il bene è infatti il fine d’ogni azione e nella
vita pratica tutto prende senso dal fine. Ma lasciamo i discorsi formali
e veniamo a qualche considerazione un po’ più con- tenutistica.
Chiediamoci, anzitutto, perché nel corso della modernità il bene è stato
gra- dualmente messo da parte (il grande discrimine è il Kant della
Critica della ragion pratica). La risposta a questo interrogativo è nota
ai metafisici – solo la richiamo – ed è duplice. Prima parte: il tema del
bene è stato accantonato, perché strettamente legato all’ontologia
metafisica, da Kant in poi (v. Critica della ragion pura), per comune
convinzione, considerata impossibile. L’ontologia metafisica, veicolata,
specialmente da Wolff in avanti, come un sapere sistematico, con l’aura
dell’assolutezza, era simbolicamente accostata, in termini politici, a
qualcosa come la monarchia assoluta e/o il papato. Ma questo, in molti
spiriti liberi, significava inevitabilmente dispotismo, autoritarismo,
inquisizione e simili. La mo- dernità è rappresentabile, da questo punto
di vista, come la rivolta della soggettività contro un simile apparato,
in nome d’un nuovo fondamento di senso: la soggettività medesima, cui
appartiene essenzialmente l’attributo trascendentale della libertà. Il cogito
cartesiano inaugura questa stagione, anche se l’emergenza della figura
della libertà è da addebitare alla stagione illuministica. 11. Ma
vediamo l’altra parte. Nella modernità il riferimento al divino, cui il bene
era da molti secoli, in ultima istanza, rapportato, si attenua fortemente
e gradualmente; dall’Uma- nesimo in avanti, viene innanzi, e anche occupa
per intero lo scenario, l’essere umano con il suo mondo. Il contenuto del
bene diventa proprio questo. Non è, il bene, sparito dalla circolazione
delle idee: ha solo mutato nome. E del resto non poteva sparire, perché fa
parte del modo in cui necessariamente viviamo. Dunque, il bene della
soggettività moderna in rivol- ta è la soggettività medesima: in versione
singolare o in versione comunitaria. Troviamo l’espres- sione più netta
della rotazione di senso nella prima e nella terza parola della sequenza
della 1 Mi permetto rimandare al vol. da me curato, AA. Vari, La libertà
del bene, Vita e Pensiero, Milano 1998 e spec. al mio saggio su Bene e
male. Una riconsiderazione, ivi, pp. 55-80. 45 Per una metafisica
del bene comune rivoluzione francese: la “libertà” e la “fraternità”. A
seconda che si propenda per il primato dell’una o dell’altra parola, si
avrà nel seguito il liberalismo o il collettivismo. Da allora, a mio
avviso, non è cambiato molto su questo terreno. Tutti i pensatori
etico-politici moderni e molti dei pensatori contemporanei si schierano
tendenzialmente da una parte o dall’altra. 12. Direi che questa “vulgata”
ha per ora pochi avversari. Ma a breve le cose potrebbero cambiare.
Timidamente si fa innanzi presso alcuni post-moderni (ad es. Foucault) e
presso alcuni esponenti radicali del pensiero verde (v. Bateson, ad es.)
l’oltrepassamento della centralità del soggetto e dei soggetti, in direzione di
un paganesimo cosmicizzante. Nietzsche è il piccolo padre anche di questa
nuova ondata. La cosa era forse in certo modo prevedibile. Una volta
eliminato il Dio della metafisica e della religione, il piccone della critica
si è anda- to esercitando, anzi si è andato accanendo sulla portata
trascendentale della soggettività, e ne ha decretato la fine. E allora,
cosa può diventare riferimento ultimo del senso, messo da parte Dio e
l’uomo, se non il cosmo, che è poi la terza della grandi parole della
metafisica, ancora presenti nella critica kantiana come indicazioni
sistematiche ideali? Questa recente direzione di marcia lavora sulla fine
della soggettività trascendentale forse anche a partire da un certo fascino
indotto dalla vita materiale: la durezza delle di- namiche economiche,
apparentemente incontrollabili; il trionfo della tecnologia, dilatabile,
si opina, senza limiti; il fascino della biosfera, che fa sognare una sorta di
unità mistica quanto alle forme di vita, compresa la vita umana; la rete
mediatica che influisce poten- temente sui costumi e produce condotte
eteronome di massa, l’enorme flusso migratorio, che relativizza tutto ciò
che la soggettività singola ha costruito come propria storia. La
soggettività moderna, insomma, ne sembra schiacciata. Marx pensava ancora di
mettere innanzi la grandezza della specie umana per governare la storia.
I contemporanei si sono arresi, quando anche questa variante consolatoria
è fallita. Le voci che fanno dell’umanità un giocattolo in balia di mani
più forti, come sono quelle della tecnologia o quelle delle forze
naturali, sono sempre più ascoltate. 14. Personalmente, resto scettico di
fronte ai tentativi di oltrepassamento dell’orizzon- te della
soggettività in una neutra oggettività. Neutra, poi, non proprio, perché si
colora subito di irrazionalità, arbitrarietà, crudeltà e cinismo.
Nietzsche ancora una volta ha già predetto l’essenziale, cioè ha visto in
anticipo la deriva di ciò che segue alla “morte di Dio”. Egli voleva
reagire a questa deriva, con un rinnovato umanesimo. E noi siamo forse
ancora al punto in cui egli si era fermato; dobbiamo, cioè, capire che
fare quanto al nostro destino di umani, ora che cominciamo a nutrire seri
dubbi sulla capacità nostra di governare la terra. 15. Chiedersi da
che parte andare è lo stesso che chiedersi qual è il nostro bene, il bene
per noi post-moderni. S’intende: trattandosi del nostro bene, si tratta del
bene non solo di un singolo, ma anche dei molti e in una società
pluralistica. Si tratta del bene comune dell’intera umanità. A guardare
le cose un po’ dall’alto, vien da dire che oggi bisognerebbe decidere
quale delle tre grandi parole della metafisica prima citate può interessare una
so- 46 Carmelo Vigna cietà pluralistica come riferimento di
senso. Dico “può interessare”. Faccio, in altri termini, un discorso di
“persuasività”, non un discorso di stretta “verità”. Se dovessi fare un
discor- so di stretta verità, dovrei molto semplicemente affermare che il
primo e, in certo senso, l’unico oggetto degno dell’attenzione originaria
di un essere umano è l’Assoluto. Cioè, solo Dio è degno, in ultima
istanza, dei nostri desideri e dei nostri pensieri. Nessun altro e
nient’altro. La stragrande parte degli uomini, in modo più o meno rozzo o più o
meno sofisticato, pensa spontaneamente così e in qualche modo cerca di
onorare questo modo di pensare. L’enorme impatto sulla faccia della terra
delle convinzioni religiose è lì a testimo- niarlo. Solo una sparuta
minoranza, in realtà, per lo più abitante dell’Occidente opulento e
post-industriale, si permette, a questo riguardo, forme insistite o incistate
di scetticismo a trecentosessanta gradi. Se si vuol fare, tuttavia, un
discorso di persuasività etico-politica, cioè un discorso che si fonda su
una serie di evidenze abbastanza facili da percepire per i più, allora il
discorso sul bene in una società pluralistica non può che essere centrato
sugli esseri umani. Non certo sulla natura, la quale deve essere, sì, oggetto
di cura, perché è il no- stro “grande corpo organico”, ma, appunto, di
una cura subordinata alla cura degli umani; non, purtroppo, su un Dio
trascendente, perché non tutti lo riconoscono, perché di Lui, comunque,
nulla possiamo sapere in linea puri intellectus, eccetto l’esistenza sua, e
quel che ne diciamo quanto alla sua essenza, ci divide più di qualsiasi
altra cosa. Insomma, resta l’uomo come fine. In termini etico-politici,
cioè di pragmatica possibilità di stringere accordi potenzialmente
universali, una impostazione come quella ad es. di Hans Jonas potrebbe
essere accettabile. Ma studiosi come Rawls o Habermas propongono strategie
simili. Del resto, se questo primato antropologico venisse perseguito a
fondo, sarebbe più facile per molti sentire in cuor proprio il bisogno di
volgersi all’origine ontologico-metafisica della buo- na qualità dei
rapporti tra noi, anche perché una parte, almeno, dell’umanità
sicuramente continuerà a testimoniare il nesso tra la pratica della
fraternità e il rimando inevitabile ad una suprema e universale
Paternità. Lì abita in ultima istanza il sacro-santo della vita. Ma qui
devo lasciare in sospeso il tema, perché andrebbe nel senso della teologia
politica, su cui è bene che sia altri a dire. 16. Ora andiamo al tema
della giustizia. Come è noto, l’etica pubblica si divide tra i so-
stenitori del primato della giustizia come elemento procedurale e formale
dell’architettura della convivenza umana e i sostenitori del primato del
bene o dei beni come acquisizione “sostantiva”. Lo abbiamo accennato
prima. Io credo, invece, che si tratti di due “cifre”, la giustizia e il
bene, per nulla alternative, anche perché entrambe “originarie”. Se ben si
riflette, appare sufficientemente chiaro che il giusto è un certo rapporto,
men- tre il bene è il termine di un rapporto. Giusto, poi è il rapporto
buono, mentre il bene non si risolve semplicemente nel rapporto giusto.
Il rapporto giusto è solo uno dei beni possibili. I due significati,
dunque, non sono propriamente equivalenti (il bene, ad evidentiam, ha una
estensione maggiore), anche se l’uso linguistico tende a trattarli quasi in
modo sinonimico2. È vero, piuttosto, che essi in qualche modo si
determinano a vicenda, perché il bene non 2 È anche evidente che
l’oggetto cui ci si rapporta è più importante del rapporto. Il rapporto è una
realtà inten- zionale, mentre il bene è una realtà ontologica.
Naturalmente, anche la realtà intenzionale è in qualche modo 47 Per
una metafisica del bene comune può prescindere da un certo rapporto e il
giusto non può fare a meno del riferimento al bene. E tuttavia, se è vero
che il bene non può fare a meno d’essere un rapporto, ciò che nel
determinare il bene importa è, in primo luogo, la natura dell’oggetto cui ci si
rapporta; parimenti, se il giusto non può fare a meno di una relazione ai
beni (questo è specialmente evidente nella giustizia di tipo
distributivo, ma poi appare anche in quella di tipo commu- tativo), la
natura del bene è per il giusto relativamente indifferente. Si può stare nel
giusto con beni piccoli o con grandi beni. Conta, appunto la natura del
rapporto, cioè che si tratti di un rapporto in cui non manchi
l’uguaglianza (commutativa o distributiva che sia). 18. Che ne è della
giustizia in una società veramente civile? La domanda importa che si
trovi un rapporto giusto per tutti, indipendentemente da una certa identità
culturale. Ora, che cosa è anzitutto giusto per qualsiasi essere umano?
Ossia: quale rapporto un essere umano giudica come tale che non viola le
proprie attese originarie di giustizia? La risposta obbligata mi par
questa: per un essere umano è anzitutto giusto o ingiusto ciò che
concerne l’immediato rapporto suo con gli altri esseri umani. E il
rapporto giusto è il rapporto che rispetta, anzi onora e quindi si prende
cura della soggettività nella sua trascendentalità; è il rapporto che
lascia essere gli esseri umani come tali, cioè non li riduce a oggetti
manipo- labili; è il rapporto, per dirla kantianamente, che tratta un essere
umano sempre anche come fine e mai come semplice mezzo. Abbiamo già detto
che questo, universalmente praticato, è proprio solo del rapporto di
riconoscimento reciproco, perché solo nel riconoscimento reci- proco le
due (o più) soggettività si lasciano essere come tali. Bene e giustizia,
dunque, qui convengono. Soltanto qui. E questo per il fatto che l’essenza
di un essere umano è d’essere un rapporto. Egli è, dunque il bene del
rapporto e, nel contempo, il rapporto del bene, se si rapporta riconoscendo.
S’intende, secondo le forme della finitudine. Non ho inteso, con ciò,
dimenticare la complessità e la difficoltà di trovare criteri appropriati per
la giusta di- stribuzione dei beni della terra. Non v’è dubbio che il
concetto di giustizia passa, innanzi tutto e per lo più, per questa
pratica quotidiana. Ma la giusta distribuzione dei beni non è che
l’effetto, in parte, e in parte l’individuazione simbolica del giusto rapporto
tra noi, che è, appunto, il rapporto di riconoscimento reciproco.
19. Giustizia dunque come riconoscimento della dignità di un essere umano,
delle sue opportunità d’ingresso alla vita e del suo onesto disegno di
fioritura. È a questo punto che può cominciare l’istruzione del tema
della libertà. La libertà non può che essere l’ultima delle tre parole, e
non la prima. Questo non significa che essa non sia altrettanto
originaria delle altre due. Significa solo che è ordinata alle altre due,
mentre non è vera l’affermazione reciproca. Lo smarrimento di
quest’ordine, che direi onto-etico, è forse una delle più grandi sciagura
della modernità. E noi viviamo ancora sull’onda di quella deriva. I moderni
han- no fatto della libertà una magica parola, cui tutto dovrebbe essere
sottomesso; ma la libertà, come prima ho ricordato, fa la dignità del
gesto di un essere umano, non ne fa, da sola, la bontà, anche per il
fatto incontestabile che esistono, e come!, gesti di libertà cattivi.
qualcosa e quindi ha una valenza ontologica, ma l’ha di seconda battuta. Un po’
come accade alla verità rispetto all’essere. 48 Carmelo
Vigna 20. Una società veramente civile è possibile pensarla, solo se si
oltrepassa la convinzione moderna del primato assoluto e incondizionato
della libertà e si accede al primato assoluto e incondizionato del bene
di e per ogni essere umano (che comprende di certo anche la sua
condizione di libero, ma non si riduce a quella). Né basta dire che la mia
libertà finisce, quando comincia la libertà dell’altro, che è lo slogan
più noto della tradizione liberale. Non basta, anzitutto, perché questo
slogan confligge teoricamente con l’idea del primato incondizionato della
libertà. La libertà dell’altro invocata come limitante è, infatti, un
bene dell’altro; quindi la libertà è limitata, come dev’essere, dal bene
e non è affatto incondizio- nata. Solo il bene lo è. Non basta poi
perché, riducendo il bene dell’altro alla libertà dell’al- tro, si tace
di tanti altri beni dell’altro che devono costituire, anch’essi, un limite alla
mia libertà. Non è sufficiente, infatti, che l’altro sia libero. Se
l’altro è libero di morire di fame, e io sono libero di mangiare a
crepapelle, la mia libertà è la maschera penosa e vigliacca di un
delitto. Io mi approprio in esclusiva dei beni della terra che sono comuni e di
fatto escludo l’altro che ne ha gli stessi diritti. Così lo lascio
morire. 21. C’è un senso, tuttavia, secondo cui la libertà può esser
concepita come incondiziona- ta, ma non è il senso difeso dalla
tradizione teorica liberale: io la chiamo: la libertà del bene, cioè la
libertà di fare il bene3. Qui la libertà è incondizionata, perché gode, per una
sorta di simbiosi, dell’incondizionatezza del bene. Poiché in una società
veramente civile, la libertà come arbitrio non può avere solo l’altrui
libertà come limite, ma deve avere come limite tutti i diritti
dell’altro, compreso certo anche quello della sua libertà, per questo
l’umana libertà deve farsi carico di tutto ciò che la giustizia invoca
per l’altro. È questa la ragione per cui le società liberali sono
incapaci di essere veramente civili, nonostante l’abbondanza delle
dichiarazioni in contrario. Esse dimenticano facilmente, o meglio, occultano il
lato della cura e della giusta promozione dell’altro e così proteggono di
fatto le situazioni di- scriminanti, che sono poi la radice permanente
della conflittualità endemica. La situazione nordamericana è un esempio
per molti versi eclatante. Sotto il manto della libertà, mes- sicani,
asiatici e neri praticano in massa gli umili mestieri che consentono ai bianchi
una vita agiata. Sono liberi d’esser poveri… Più o meno come accade in
Italia per la fascia degli immigrati extracomunitari. 22. Se la
libertà del bene guida l’azione, allora la mira è il bene dell’altro, cioè
l’altro come bene. È anche il mio bene, ma di me come l’altro di un
altro. Solo così io posso conseguire, storicamente parlando, il massimo
bene. Sulle prime, questa affermazione può parere per- sino patetica:
l’invocazione del “buon cuore” come regola di condotta in un mondo che il
pluralismo tende piuttosto ad indurire. Una riflessione accorta però è in grado
di far vede- re che il mio bene, cioè poi la mia fioritura di vita, può
avere senso solo se il movimento del desiderio verso l’oggetto a lui
conveniente, il bene, appunto, compie il giro della referenza immediata
all’alterità e di quella all’identità in modo mediato. Mediato, appunto
dall’alterità. 3 Rimando di nuovo al vol. La libertà del bene, cit., e
stavolta spec. alla mia Introduzione, pp. 3-18. 49 Per una metafisica
del bene comune 23. Provo a tirare in breve le fila del mio discorso.
Posso anche far presto, perché tutte le fila conducono, come si è di
certo inteso, allo stesso punto: alla cifra del riconoscimento come forma
regolativa dell’esistenza degli esseri umani. Una società veramente civile
infatti è possibile, se i molti si onorano reciprocamente, cioè appunto,
reciprocamente si riconoscono. È questo il senso primo (primo per noi)
del bene comune. Nel reciproco riconoscimento, ognuno è signore dell’altro
(in quanto riconosciuto nella propria trascendentalità, quindi come oriz-
zonte inoltrepassabile di senso) e ognuno è servo dell’altro (in quanto
riconosce nell’altro la signoria del senso). Le forme democratiche di
vita politica tendono ad approssimarsi a queste dinamiche più d’ogni
altra forma. Nella democrazia infatti l’autorità del cittadi- no su un
altro cittadino è o dovrebbe essere semplicemente di tipo funzionale. Tutti
sono eguali, cioè tutti sono signori, ma fatti signori gli uni dagli
altri, mai da se stessi. 24. All’interno della cifra del riconoscimento,
come regola universale, prendono un sen- so determinato, come si è detto,
tanto il bene, quanto la giustizia e la libertà come realiz- zazione e,
insieme, protezione del bene comune. Bene significa voler ciò che consente
la mia fioritura di vita; bene è dunque volermi bene, volendo bene altri
come quegli che tale fioritura in me rende possibile. Altri,
naturalmente, solo che lo si voglia o, meglio, solo che lo si creda, può
essere scritto – dovrebbe anche essere scritto – con la maiuscola (la dinamica
relazionale è la stessa). Il bene comune in una società veramente civile
è questo, essenzialmente. Giustizia significa rendere ad ognuno ciò che
gli spetta (unicuique suum). Ma ciò che spetta ad ognu- no è anzitutto
d’essere trattato come una soggettività (trascendentale). Cioè come un
essere umano in totalità. La reciprocità riconoscente è dunque il luogo
della massima giustizia per ognuno di noi. Libertà significa non arbitrio
incondizionato, bensì libertà di fare il bene. E poiché il primo bene,
storicamente parlando, è l’esserci d’altri per me, libertà del bene vuol
dire di nuovo libertà di riconoscere l’altro come il mio bene. Come il bene che
tutti accomuna. Carmelo Vigna. Keywords: bein, essence, essenza, essere,
intersoggetivo, tre tipi di intersoggetivo: trascendentale, oppressivo,
istrumentale, being and becoming. Refs.: H. P. Grice Papers, Bancroft MS. Luigi
Speranza, “Grice e Vigna: la regola d’oro conversazionale” – The Swimming-Pool
Library, Villa Speranza, Liguria.
Grice e Vignoli: la ragione conversazionale della etologia
filosofica – della legge fondamentale dell’intelligenza nel regno animale –
filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Rosignano
Marittimo). Essential Italian
philosopher. Filosofo italiano. Grice: “I spent quite some time observing a
species of pirot: the squarrel – mainly I was in search of what Vignoli calls
‘la legge fondamentale dell’intelligenza nel regno animale” – his ‘saggio,’ he
says, is in ‘psicologia comparata,’ but since it is vintage, I might just as well
refer to is as being one in ‘philosophical ethology’!” -- Si trasfere a Milano.
Insegna antropologia presso la Reale
Accademia di Scienze e Lettere. Direttore del Museo di storia naturale. I suoi saggi apparvero su “Il Politecnico” e
sulla “Rivista di filosofia scientifica”. Due sue saggi hanno risonanza: “Della
legge fondamentale dell'intelligenza nel regno animale: saggio di psicologia
comparata” -- e “Mito e scienza”. Nel
1863 io terminava il mio saggio in-
iiorno ad una Dottrina razionale del Progresso, inserito con una serie di articoli nel Poli- tecnico a Milano , diretto già da Carlo
Cat- taneo , e poi ristampato a parte ,
con queste parole e in queste sentenze,
risultato di tutti gli studi e argomenti
anteriori: « Quésta libertà del
pensiero cresce ^*B 9 terello, soqo antiche e> costanti nella
mia mente. Onde due anni or sono
terminava la mia prolusione ad un corso
di Antropologia generale gratuito nella
R. Accademia scien- tifico-letteraria di
Milano, al quale venni in- vitato dall'
illustre professore Ascoli , gloria
della glottologia italiana — allora Preside di • quel chiaro istituto. « Siamo nuovi ancora si può dire nei
mo- «• derni studi, se volgiamo lo sguardo
alle « altre nazioni che ci superarono ,
ma i ri- « sultati ottenuti e che si
vanno conqui- « stando, sono augurio che
sapremo perve- « nire a quella gloria
che un giorno sì chia- \ ramente ci
segnalò tra le genti. Ma molti
RBPAZioini e per rispetto del
pubblico ; e che infine fui sempre
consentaneo con i miei principi, come
tutti possono toccare con mano dalla lettura dei brani sopra trascritti, e stesi a
lunghi intervalli e dal presente mio
opùscolo stesso. Che se V ingegno è
tapino , e il sapere non così vasto come
vorrei, e come dovrebbe es- sere, la
colpa non è mia, né della mia vo- lontà
: poiché tra i tanti difetti , che in me
possono annidare, l'ozio certo, e l'ignavia non vi si trovano:, perchè li sfuggii sempre,
come la peste più oscena, brut a e
nefanda di tutte, e la più dannosa ai
privati ed alle nazioni. Milano. Sitixa;25Ìoiie« Posta la nostra società odierna tra due
sette te- merarie e procaccianti)
diverse d'origine, ma identi- che di
propositi nefandi e distruttori, i retrivi cleri- cali, e i demagoghi incendiarli, non mai
soverchia riuscirà la solerzia, la
virtù, la virilità di atti e di concetti
ad allontanare e vincere i mali, sociali, mo-
rali e materiali a cui esse mirano con tenacità for- midabile. Che se Tuna vorrebbe ridotto il
mondo a un cenobio e a una triste
tebaide, l'altra procaccia che gli
uomini ritornino alla selvatichezza preistorica, e alla squisitezza sociale delle caverne.
Certamente le magnanime speranze di
questi tristi non si avve- reranno,
poiché la mentalità umana, la libertà civile
e le suppellettili industriali tanto cresciute e potenti non lo concedono, e in Italia specialmente,
ove l'in- dole, gl'istinti, il senno
proprio della razza, e le necessità storielle assolutamente vi si oppongono ;
ma tuttavìa è d'uopo avvisare ai
pericoli^ e alle sciagure parziali^
addottrinati dall'esempio miserando di altre
nazioni. I retrìvi e demagoghi sono gli estremi fa- ziosi e a cosi dire l'oscena e perversa
caricatura dei due legittimi fattori
della vita civile dei popoli, e del loro
intrinseco progresso, i conservatori cioè e gl'in- novatori, necessarii entrambi al perfetto e
mobile equi- librio delle forze, e al
loro dinamico esplicamento : in quella
guisa che nella compagine oi^anica, e nel-
l'esercizio delle sue funzioni, trovansi nervi modera- tori, e stimolanti, onde resulti quella
armonia di ef- fetti che vita si
appella. Imperocché come in questa si
arresterebbe immoto il circolo animatore se l'ener- gia del freno prevalesse, e tanto si
accelererebbe da distruggere sé medésimo
quando quella contraria ec- cedesse :
parimente una nazione perirebbe, se V uno
l'altro dei fattori accennati rimanesse vincitore nella lotta, che l'uno la renderebbe mummia o
cristallo^ mentre il secondo la
dileguerebbe in vapore. La sa^ pienza e
la scienza civile consistono quindi nel prov-
vedere che un equo temperamento intervenga fra le due forze rivali, o a disporre le cose in
guisa che l'una a vicenda con l'altra
serva all'incremento del bene sociale, e
al sempre più largo, e sincero eser-
cizio della libertà civile e politica
Ma a raggiungere questo arduo e nobile scopo l'in- tenzione e il desiderio non bastano: vuoisi
non solò perizia grande d'uomini e di
negozj, animo pronto, profonda
conoscenza dei fatti e leggi "Bociali, risolu- tezza impavida nelle difficili prove, onestà
costante di mezzi, magnanimo sprezzo
d'insulti e guerre volgari; ma rìohiedesi altresì vasta e chiara dottrina
sto* rica, e quel senso sicuro dei
bisogni^ dell'indole^ delle ^piraadoni
legittime. del popolo^ e limpida intuizione
Clelia legge che regola i moti delle genti europee in generale; e di quella italiana in
particolare* Or qui in Italia ì, caduti
principati lasciarono copiosa eredità di
elementi conservatori e retrivi, fatti più rabbiosi •dal prevalere delle istituzioni ed istinti
democratici^ a^vviticchiàntisi con
disperato amplesso al papato, che i loro
rammarichi, ire, convinzioni, speranze rese dom- ina religioso, ultimo strumento alla assoluta
sua si- gnoria vacillante ; méntre
d'altra parte le inveterate abitudini
cospiratrici, l'intempestive brame di utopie
facilmente nascenti in popoli non assuefati a libertà, gli antagonismi regionali superstiti alla unificazione
dei varii Stati, le bieche e torbide
imitazioni demagogi- che d'altri paesi,
e l'arruffio anche di tristi, tengono la
nazione incerta, rinfocolano odii di parte, e la spin- gono soverchiamente nelle avventure : e
quindi tanto più difficile riesce
l'impemare stabilmente lo Stato, e
condurlo sapientemente. Tra
queste due forze rivali, ostacolo al retto an-
damento della cosa pubblica, rimane poderósa za- vorra, la maggioranza della nazione, la
quale, aliena in parte dai mutamenti
radicali, intenta alle private faccende,
e guidata dal senso positivo delle cose, e
dagli interessi domestici, mantiene a cosi dire un mec- canico equilibrio nelle loro lotte, e fece si
che sino ad ora né l'una, ne l'altra
prevalesse : e la nazione perciò stette,
e vinse prove che sbalordirono il mondo,
e procacciò ai reggitori una gloria, che in fondo e in parte derivava dalla sua consapevole inerzia.
Né si creda che io voglia, concludere non aver ben meritato della patria coloro^ che per vari v
anni stet- tero al timone della Bua
nave.^ e che questa se noa pericolò e.
si sommerse nelle tempeste ove fu più di
lina fiata travolta^ debba soltanto la propria salute alla indifferenza^ o agli istinti
conservatori delle mol- titudini :
imperocché i fatti mi sbugiarderebbero, e
non conoscerei affatto, o confusamente la nostra sto- ria contemporanea. Certamente Emilio
Visconti- Ve- nosta che a più riprese
diresse e in condizioni so- vente ardue
e perigliose i nostri rapporti con gli stra-
nieri, seppe schivare con tatto fino, e con squisitezza^ di modi, non disgiunti da dignitosa fermezza,
i rischi che ci minacciarono, sia di
lusinghe subdole, di al- tere brame, o
di tenebrose cospirazioni del Vaticano.
E potrei pure ricordare con encomio altri, che con zelo ed onestà, si adoperarono a prò della
nazione. Né si vuole poi dimenticare il
grande partito libe- rale, erede degli
intendimenti di Camillo CavQur, il quale
nei giornali, dalle cattedre, nelle concioni, nel parlamento con costanza segui in parte quelle
caute e forti norme, che ci condussero
sino ai tempi pre- senti. Ma tutti
questi saggi consigli e propositi, edi
fatti che vi corrisposero, non avrebbero certamente salvato dai perigli la nazione, se la
maggioranza de- gli italiani col suo
contegno fermo, l'indole non ec-
citabile, e col veto, a cosi dire, della passività, non avesse resi vani i proponimenti, sventate le
trame sotterranee, e lasciati in secco
gli apostoli del di- sordine e del
dispotismo : che anzi il più delle volte
scossa da evidente rischio, segnò col desiderio espresso virilmente in mille guise, la via da tenersi
dai reggitoli, e si può dire in un certo modo, che Ella fu che governò il paese, con senno suo proprio,
e con quegli spiriti liberali che
seppero infonderle molti va- lenti
predecessori, e il grande intelletto del più grande ministro del secolo. E Cavour potè essere concreatore di un popolo,, perchè nella vasta mente raunò a
cosi dire tutti i pensieri, le idee, i
concetti, e nell'animo i de- siderii, i
sentimenti, gl'istinti magnanimi di tutta la
nazione che in lui si confidò : associandosi senza tema, o gelosa inquietudine, in momenti solenni,
nell'impresa unificatrice a Garibaldi,
che, quale soldato della libertà, fu a
cosi dire la popolare poesia del nostro
riscatto : egli fu grande perchè conscio dell'in- dole moderna dei popoli non si argomentò di
rendere libera e indipendente la patria
con mezzi termini, con sussidii di una o
altra casta e fazione esclu- siva, ma si
armonizzando in un solo pensiero, e ad
un solo e generoso scopo tutti i ceti, tutti i par- titi, tutte le forze vive della nazione, non
pauroso di sette, o queste trasformando
in leve poderose ad inalzare dal
servaggio l' Italia : insomma ei fu grande
e riusci, perchè senti tutti gl'influssi, vasti e potenti di un popolo intero: che sarà sempre, come
per il passato r«/n hoc signo mnces!^ di
coloro, che fecero e faranno opere
generose ed immortali nel mondo. Morto
Cavour rimase al governo il partito che avevalo
ajutato in gran parte nell'opra santissima della reden- zione della patria, il quale si propose e si
argomentò di seguire quella via, che
dischiuse la mente e l'o- perosità del
grande uomo, onde si compissero i fati
della nazione, e si raggiungesse il fine desiderato. Ma se il concetto
politico e Tindìrizzo del maestro fu com-
preso, e seguito all'ingrosso dai successori, e la na- zione si dispose ad effettuare i suoi
disegni, nessuno però dei reggitori ebbe
l'ingegno l'animo e lo spirito del sommo
cittadino, e comecché mandassimo ad ef-
fetto difficili imprese, e si conseguisse il massimo scopo della indipendenza e unità della patria, pure
alla lunga si manifestò a poco a poco
nel governo, e nel vasto partito, d'onde
visceralmente egli usciva, il difetto di
comprensione potente ed intera, e di quel senso ge- neroso di libertà piena ed operosa, ove si
mostrò l'ec- cellenza del primo. Ne io*
offendo l'amor proprio di alcuno di
quelli che mano mano vennero impugnando
le redini dello Stato, con l'asserire che non raggiunse l'ingegno, la perizia e l'animo suo, poiché è
cosa evi- dente di per sé stessa, e
l'esemplare troppo noto e cospicuo. Ed
in vero uno degli uomini che maggior-
mente fecero parlare di sé più frequentemente e sedette in scranna al governo dello Stato, e si
segnalò per varie vicende, fu Marco
Minghetti, conosciuto moltissimo
eziandio dagli stranieri. Or bene, chi non scorge a prima vista quanto ei sia inferiore per molti
versi al Cavour? Per quanto io possa
avere dei contraddittori non mi perito
dire che il Minghetti è un mediocre uomo
di Stato, in quanto gli manca ogni nota che
distingue coloro che nacquero a tanto ufficio. Mente lucida e simmetrica, ma non acuta e profonda;
bel parlatore, ma più facondo che
eloquente, animo più ostinato, che tenace,
scrittore sensato e forbito, ma privo di
nerbo e di vena inventrice ; ambizioso, certo
nobilmente, d'aura popolare, ma incapace a raggiun- gerla : ondeggiante tra le diverse parti, non
abile 3f dominarle: non q;ristocraticp
per proposito o arte di governo, ma
inclinato a riceverne di riverbero \^
fosforescenza : e non facile a sentire i fecondi in? flussi del popolo. Che se per ora pronunziò
raggiun^iQ il pareggio, e gli fu
attribuito come cosa sua, quando non una
legge di finanza gli è propria, e la longa-
nimità e sofferenza invece del popolo italiano ne è il più grande fattore, la freddezza e
indifferenza con che accolse il paese
questa notizia, che pure doveva
riempirlo di fervida letizia, è la miglior prova di quanto riserbo si senta per le cose sue
nell'animo degli italiani, e come egli
non abbia veramente radici nella fede
delle moltitudini. Si badi però che io parlando
si schiettamente del Minghetti, come Ministro e scrit- tore, solo sindacabili in paese libero e
dalla stampa onesta, faccio e rendo
omaggio alla sua vita priv^)t^, a.lla
nobiltà dell'animo e delFingegno — e in altra oc- casione ne feci testimonianza — e al
disinteresse per- sonale, che spiccò
sempre anche posto al governo della cratica,
osservata e giudicata con occhio scevro da
prevenzioni, e con animo non travolto da passioni o dA interessi parziali. Né facciano illusione
all^ intel- letto alcune singole
pretese, o desiderii in paesi ove da poco la legge livellatrice civile tolse i
privilegi d'ordini vecchi: imperocché
tali avanzi archeologici di tempi
irremissibilmente passati^ sono a cosi dire
piante morte, alle quali s' inaridiscono le radici, e che fra i nuovi còlti, e rampolli rimangono
in piedi senza vita e finitti, sinché
cadano per intrinseco e na- turale
sfacelo. Nella sola Inghilterra, e meno altrove, alcuni privilegi territoriaU o ereditarii
mantengono un ordine nello Stato, ma già
ne vennero scrollate le basi, e tra non
molto anche colà, se ne sono veduti i
sintomi, e i desiderii legalmente espressi testé, si dilegueranno del tutto. Quando nelle nazioni
Tegua- lità civile dei ceti si ottenne,
e tutti vengono rappre- sentati in
parlamenti elettivi, e la stampa è libera,
la necessità della democrazia è già posta, e non può tardare a vincere in un avvenire più o meno
pros- simo, a seconda dell'indole, dei
costumi, e delle ra- gioni storiche delle
nazioni. GHi ordini nelle società una
volta spenti, o trasformati non si restaurano, e mal si oppongono coloro che carezzano Tidea
di un ritorno al passato in ogni genere
di istituzioni privi- legiate ; solo
provano che non sanno la storia, né com-
prendono i itempi che corrono, né antivedono quelli avvenire. Che se nella caduta del romano
imperio e per le invasioni delleif.orde
settentrionali, il sorgere poi del
feudalismo si considera come un ritorno ad
un patriziato ereditario, oltreché il paragone non regge, poiché nella storia non si ripetono mai
esattamente le vicende e gli istituti
d'altra età, or sarebbe anche quel fatto
assolutamente impossibile, dacché mancano
inteme ed esteme condizioni ad awerarlo^E chi sup- ponesse che a ciò potesse bastare Tinflìisso
in^retto^ o la invasipne dei Russi; solo
popolo che si accampi formidabile di
fronte all'Europa mediana e occiden-
tale, non conoscerebbe affatto le condizioni civili in cui versa la Russia. Imperocché per
l'autocrazia di per sé stessa sempre
livellatrice, lo Czar attuale anche per
intendimenti di civiltà tolse in gran parte i resti di privilegi con Temancipazione, e la franchigia
dei servi, eguagliando) le persone
dinanzi alla legge, e quindi rese
impossibili una aristocrazia dominatrice. I Russi se invadesserc una
parte d'Europa limitrofa al vasto impero,
recherebbero per costumi e idee piuttosto principj comu- nistici, propri in alcune parti del loro
organamento municipale, ampliati e resi
più forti per le sette che formiolano
nel suo seno, e che la rodono con mani-
festo danno. Onde é vano sperare anche stando ai calcili meramente empirici, e
all'osservazione super- ficiae, che in
Europa possa avvenire una restaura-
zioiB del patriziato, come ordine distinto per dritti dal resto della nazione. E ducimi che qua e
là in Itala ed altrove in special modo
tra giovani ram- poli dejle vecchie, o
più moderne famiglie gentilizie, riesca
in alcuni un certo spasimo e languore perle
anicaglie, e si tenti quasi con amminìl^i araldici, dJricostituire un ceto a parte, separandosi
con ridi- cio anacronismo dal resto del
popolo. La quale ubbia aguisce una
ignoranza profonda della epoca nostra,
ci una nullità prodigiosa nei nuovi, cxdtori dei ca- selli in rovina : Ut nomine Toagnifieo segne
otium tlaret! per dirla con Tacito.
Lungi da me il pen- iero di menomare il
lustro, il decoro, la fama di tÉinte
famiglie storiche nostre : sono anzi il primo a
riverire un lungo ordine di discendenti che ai segnalarono con la mente,
o con le armi: questo è pa- trimonio
privato inviolabile } quanto altra mai prò*
prietà, e fanno bene a tenersi care e onorate le memorie d'avi illustri, quando furono
veramente il- lustri, e vorrei che un
tal culto fosse sprone ad emu- larli
nella eccellenza delle opere. Né la querela può
venire oramai da invidia, e da astio, quatdo ordini distinti non esistono più, e tanto vale di
&ccia alla legge e alla nazione
rispetto ai diritti, un ciabat- tino che
un principe. Onde la gara tra patrizj e ple-
bei non può più rinascere, in quanto > tutti aono po- polo: e se si parla di volgo, il volgo adesso
può tro- varsi in tutti i ceti, unica
norma alla stima sociale, essendo, la
Dio mercè, il valore personale. Parlo sol-
tanto di quelli, e certamente son pochi, che invece di adoperare le loro forze, i loro ozj, le
loro ricclezze ad egregio scopo sia
nelle arti, nella scienza, ielle armi,
in ogni argomento di progresso civile, si tra-
stullano con le ferraglie del medio-evo, sciupano tenpo e decoro, e si preparano una vita squallida,
vana fu- nerea di mezzo a quella fervida
che già erompe dslle viscere della
nazione, che farà cerna dei forti e nu)vi
rampolli, disperdendo, non col ferro, col sangue, o al- tre nequizie, come gridano a squarciagola i
pusila- nimi gli astuti, ma con la ferrea
necessità di la- tura e della sua legge
di selezione, i neghittosi, e ca- boU di
mente e di volontà. E tanto più desta meur
viglia questa vanagloria di festuche blasoniche in 4- cuni, in quanto la eletta parte del
patriziato italian die largo tributo di
sussidj, di sapere, di sangue A, nostro
risorgimento, e si segnalò per generosa cariti
di patria: ed anche oggi molti tra essi onorano TI- t^a e gli avi loro con operose virtù
cittadine, e qual*- cheduno con gU
scritti e l'ingegno. Si ricordi che i
tre più grandi poeti della nostra epoca, animati da fieri e virili spiriti di libertà, Alfieri,
Niccolini e Leo- pardi uscirono dalle
loro fila; e del loro ceto fu pure il
più grande, e liberale Ministro della età nostra (!)• Altri s'immagina che la democrazia sia
irrazionale mente livellatrice, e la
confondono con le utopie co- munistiche,
impossibili ad effettuarsi, e non mai ef-
fettuate : onde rimpiangono i tempi passati, ove tutto era ordine e casta distinta, e già mirano le
genti* eu- ropee in un non lontano
avvenire, o mummificate ed immote in una
sterile eguaglianza assoluta; ovverà
scatenate in passioni furibonde spargere dappertutto fiamme, mine, stragi, ed avverarsi il
finimondo. Tali piagnoai, o gufi di
cattivo augurio, provano una cosa sola,
ehe non intendono nulla; prendono l'accidente
per li legge, il particolare pel generale, il deviare di una jetta pel costume dell'universale, e i
loro sogni per i&altà. Certamente se
questi conservatori dirigessero le sirti
dei popoli, le tristi scene e nefarie che non a (1)11 patrizio Piola, seguendo Tesempio
della egr^ia e chiara famiglia, dio alla
luce neirannò scorso un libro di
eeoDmia, che certamente merita di essere segnalato. Che se al- cuil non potrà condividere tutte le idee, o
ascriversi assolutamente ai luoi
principj, trovansi nel suo trattato cose ottime, e ricerche fate con lungo studio ed amore : e fanno
onore a chi le scrisse. Or be^e nessuno
intraprese a parlarne, eziandio criticandolo. Questo si- bilo non é buon segno : V esempio era
eccellente anche per Tori- fiée e il
ceto dello scrittore: nò doveva trascurarsene ropportunità^ .nche civile. guari inorriditi vedemmo in
altri paesi; inevitabil- mente
accadrebbero, e con sempre più frequente ri-
petizione; ma governandoci con altri intendimenti e con più larghi e generosi propositi, quei
mali diver- ranno sempre più rari, e
impossibili. Del resto a nessuno che
abbia fior di senno verrà in mente mai, o cre-
derà, che nelle cose umane possa affatto il male evi- tarsi, quando lo scopo a cui deve intendere
ognuno, si è il procacciare di sminuirlo
con costante operosità. L'età d'oro e di
ogni bene, i miti e i poeti la posero al
principio, o alla fine del mondo; e ragionevol-
mente, perchè dell'una non ci ricordiamo,^ all'altra non siamo ancora pervenuti. La democrazia, intesa come vedremo, tra
poco, mentre suscita tutte le forze vive
della nazione, pone in moto tutti i
valori, fa con rapidità ricircolare nel
corpo sociale i beni avvivatori, e tiene desta la mente di tutti nella universale concorrenza a
vantag^o poi di tutti, non livella
matematicamente le rjmsse, come con
eleganza di eloquio, e con dignità cristiana chia- mano il popolo : poiché nella libera attività
di i cia- scuno, sorge una
disuguaglianza proporzionale, 6 l'a-
ristocrazia legittima, cioè dell'ingegno e del valor per- sonale ; ed appunto perchè personale non la
perpetua con violenza alla verità e alla
giustizia, nei succes- sori. Onde i
timidi del livello si rassicurino ; se lunno
mente, vigore, volontà possono saUre nelle società de- mocratiche, con più decoro, al sommo della
glorii, o del legittimo potere, quanto
ai tempi dei paladin: di Carlo Magno. Se
una cosa hanno da temere, temtno di
quelle dottrine, che frapponendo violenti ostacoU alla libera esplicazione delle potenze e
attività uman^^ raccolgono legna agli incendii futuri, e preparano le bufere sanguinose delle rivoluzioni delle
plebi maneg- giate allora dagli
arruffoni e dai demagoghi. La vittoria
della democrazia, e il suo regno du-
raturo nelle nazioni civili, dipende dalla natura me- desima del principio che la informa, che è un
por- tato necessario della evoluzione
sociale, e la distingue dalle democrazie
antiche , e da quelle che sussegui- rono
al rinascimento dei comuni nella età media di
Europa. La democrazia moderna è l'effetto di leggi non solamente sociali, morali, economiche
ìiella signi- ficazione loro ordinaria ,
ma di leggi antropologiche, che
s'innestano, e s'immedesimano a quelle naturali, che governano l'evoluzione intera delle cose
che sono. £ questo nesso, questa
identità analogica della espli- cazione
delle razze e istituzioni umane, con le leggi
che signoreggiano la dinamica universale degU esseri fii da tempo avvertita, e nella Grran
Bretagna, Ger- mania, Francia, Bussia
stessa ed America ha validi campioni che
la sostengono, e sarà certo la scienza
sociale avvenire. Coloro, che adesso sequestrano e di- vidono i fatti sociali, morali, storici dalla
generale forma evolutiva dei varii
fenomeni, nei quali, a dirla col grande
Poeta, si squaderna la vita dell'Universo,
come se consistessero impomati in sé medesimi, e se- parati dal mondo, non se ne intendono; e mal
com- prendono l'alto e nuovo valore
della scienza attuale, e vìvono ancora
della vita postuma dei nostri arca-
voli^ E si badi che io non ripongo tra i cultori dei nuovi metodi storici, e della nuova scuola
dinamica, i vaporosi filosofi egeliani,
od affini, che sbalordi- rono per poco
il mondo con le loro teoriche sperticaie e temerarie^ e lo stomacarono poi
negli stessi paesi ove nacque : teoriche
si disformi dall'indole delle menti
italiane^ e piuttosto delirii,. che scienza; ma si bene io intendo parlare di quelli, che
mediante norme osservatrici e
sperimentali, e con la sovrana leva del-
l'induzione, virilmente applicati (secondo gli esempii ed i canoni del divino Galileo, che primo nei
moderni tempi ruppe non solo nelle
scienze fisiche, ma per analogia in
quelle organiche e morali stesse, i clau-
stri e i ceppi scolastici del pensiero, e le arbitrarie quisquilie a priori) seppero, io dissi,
ricondurre la mente alla realtà delle
cose in ogni ordine della scienza, e
dare base solida alla enciclopedia, che deve essere l'interprete, e lo specchio sincero, e
intellettivo della jiatura. E certo alcuno non sarà si tracotante da
negare gli splendidi effetti e le
portentose applicazioni che tali me-
todi in ogni ramo d'arte, di industrie, di scienze produs- sero, e quanto se ne avvantaggiarono eziandio
quelle di- scipline che sembrano agli
uomini superficiali maggior- mente
aliene à^ quei procedimenti : poiché tutto il bene materiale e morale e la stessa vittoria della
libertà ci- vile e politica nei presenti
tempi, è dovuta per chi ha fior di
senno, a questo sovrano e indipendente indi-
rizzo della ragione. Io so che molti, che si dicono con sorridente compiacenza di sé medesimi ,
positivi , e fanno professione di arguto
realismo, e canzonano co- loro che non
partecipano alla loro innata divinazione,
trattano quasi da allucinati , e di spiriti perduti nel vano delle sottili astrazioni, quelli che dai
fatti ri- salgono alle leggi, dalla
norma sensata degli atti so- ciali ai
principii che ne governano l'esplicamento ,
daUa esperienza giomaUera dei negozii privati e pub^ blici, alle profonde ragioni che li rendono
inevitabili. Ma di tali Tersiti della
scienza^ la scienza ha fatto giustizia^
e non ne possono certamente arrestare il
corso trionfale. Quando ci mostreranno che la scienza^ qualunque sia il proprio obbietto, è una
raccolta inor- ganica di fatterelli, e
di qualche regoluccia metodica : che le
varie discipline non abbiano tra loro alcun
rapporto, e sieno disposte una dopo Taltra, senza in- trinseco legame, come le pietre migliari,
avranno ra- gione : e allora confesserò
contrito che il manuale che accatasta,
equilibrandoli, sciolti materiali, ne sa più
di Archimede e di Newton. Ma
ritornando al nostro argomento della natura
della democrazia moderna, ripeto che ella si disforma da quelle che con tal nome si ebbero pel
passato. Nell'antichità stavano in
generale di fronte due or- dini di
cittadini, ordini più o meno distinti, gli ottimati e le plebi: e il valore di
queste si argomen- tava nella lotta contro
i primi, che resistevano ad una
eguaglianza di diritti in parte civili, in parte pub- blici, ereditarli nella loro classe per lungo
corso di tempo: e, condizione sociale
rilevantissima, viveva al di sotto di
esse, un immane numero di schiavi, i
quali attendevano, mere macchine animah, alla pro- duzione delle cose necessarie, utili e
superflue, ed an- che alle arti, e agli
uffici indispensabili alla civile
convivenza. Nella età media le lotte dei borghesi e dei castellani sotto altra forma è vero, ma
lotte di potenza, eguaglianza e
sopreminenza politica si rin.- novarono,
e se schiavi nel significato antico non c'e-
rano, rimanevano però i vassalU e i servi della gleba : ed U lavoro stesso nelle città libere veniva
in ogni maniera vincolato dalle maestranze
e dalle corpora- zioni artificiali dei
travagliatori. In tali società cer-
tamente non esisteva esplicito un principio che in- volgesse la necessità di una vittoria
definitiva della democrazia^ e dì una
forma civile di evoluzione della
operosità di tutti^ e dello Stato medesimo. Non vi ha dubbio che fin da quelle epoche lontane il
principio generatore della democrazia
moderna non operasse ; e le condizioni
intermedie non fossero per cosi dire
anelli e spire per le quali andasse svolgendosi con irresistibile moto. Or quasi dappertutto in
Europa quelle condizioni cambiarono: gli
ordini distinti si ruppero, e si fusero
in quello unico dello Stato: le arti, le
professioni divennero libere e comuni: il pa-
triziato perdette i suoi privilegi, come fu costretto a svestirsene il clero, ed una uguaglianza
perfetta e vir- tuale dinanzi alla legge
si estese dai sommi agli imi, dal ricco
al povero, dal dotto all'ignorante, dal ma-
nuale sino ai maggiori uffizii di Stato. Quindi nessun ordine di cittadini potendo consistere e
perpetuarsi per via di privilegi, e
tutti dovendo personalmente bastare a se
stessi, privi di appoggio artificiale che in
qualunque evento ne garantisse il possesso, rimane che runico principio che informa e mantiene
la so- cietà moderna nella eguaglianza
legale assoluta dei cittadini, è il
lavoro nella indefinita molteplicità delle
sue forme: il lavoro, etemo generatore di tutte le cose, spirito vivificatore del mondo, arte
divina che tutte le cose produce, e
produsse, e le spinge, le evolve a
sempre nuovi e splendidi effetti: il lavoro,
il quale elevò alla loro altezza morale e intellettuale Tuomo e la società, e li redense: conforto e
premio nel tempo stesso; causa ed
effetto della democrazia moderna, e
garanzia perpetua della sua durata, e dei
suoi progressi. Le lotte contro
gli ordini- privilegiati, del popolo, e
delle plebi serve con Teguaglianza civile cessate, a poter vivere e durare rimane a tutti e inevitabile
il lavoro : e poiché questo è libero,
chi non vede , che per la inesorabile
legge della selezione naturale, il neghit-
toso dee alla lunga scomparire, anche per la radicale divisione dei beni tra i figli, e lasciare il
posto agli operosi : provvidenziale
magisterio del mondo, che una legge
fisica e organica, si trasmuti socialmente in una giustizia morale! La democrazia moderna è
invinci- bile per* questo appunto che
tutta quanta s' impema e vive nel
lavoro, reso formidabile e irresistibile nei
suoi effetti dalla eguaglianza di tutte le classi; onde ogni specifica distinzione anteriore delle
diverse forme di Stati nel loro interno
componimento sparisce, e ri- mane
splendida per tutti, chiara e nobilissima quella di popolo, che tutti comprende, tutti inalza,
tutti re- dime in un alto e dignitoso
nome : in quella guisa. che uno pure ne
resta il principio vivificatore, premio ai
buoni, minaccia ai tristi e agli ignavi che lo dispre- giano, il lavoro. A questa conclusione di
fatti e di ragioni storiche e sociali
provenne la razza nostra per una lenta
evoluzione delle sue potenze, governata
da leggi fisse organiche e morali, che poi tutte in una si convertono, nella costante esplicazione
delle forze in ogni ordine di fenomeni
dalla genesi siderale sino alla
costituzione della città moderna. Or vedasi quanto fanno mostra di avvedimento, di senno, di
sapere coloro che si argomentano e sperano di ricondurre le società presenti alla forma di quelle
passate, sia va- gheggiando le antiche
repubbliche, o più tristi le mi- serande
anticaglie del medio evo. Arrestare il corso
dei firmamenti, la produttività della natura, mutar le sue leggi, sembra a tutti impossibile, e concetto
di mente stravolta: orbene, altrettanto
impossibile ò il far re- trócedere la
umana società, e rifare il cammino per-
corso, e ritornare don^de partimQio. La legge del moto sociale è invitta ed etema ; Tonda
trasformatrice della vita passa e non
rinverte — Spingete, o retrogradi, pure
rocchio d'intorno : nessuna orda selva^a, o po-
polo rozzo, che possa, invadendo, ripristinare le squi- sitezze feudali: all'interno con F
eguaglianza assoluta e col lavoro che la
nutre e la difende, nessun modo di
elevarsi a casta dominatrice : poichà se > lo tentassero, sarebbero dispersi in pochi giorni dal genio
libero e insofferente di privilegi
moderno : genio non sorto da condizioni
speciali o da particolari necessità in un
breve giro di mura, di provincia, di popolo, ma ef- fetto e compimento di una legge eterna, in
tutta la razza nostra. Quindi sono vaghe
lusinghe, sperpero di fanta- sia, sogno
sterile, e che uccide miseramente il sogna-
tore ; poiché mentre ei si travaglia in un lavoro impro- duttivo e chimerico, altri si inalza con
quello maschio e fecondo, e rovescia chi
perdeva il tempo a insidiarlo. Alcuno
potrà credere forse che in altri paesi d'Eu-
ropa la legge che noi abbiamo formulato non valga, o sia lontana ancora dal compimento come da
noi latine nazioni, avvenne più o meno
perfettamente. S'inganna! Della più
lontana jRussia parlammo, e vedemmo che
ivi pure oramai l'eguaglianza si effettuava, e con la eman■ \U 4à'"fe. iSX
I Ideet dello Stato. Definita liella sua natura^ nel suo valore
storico y e per la sua genesi la moderna
demoera^a^ e fatti certi ohe ella
consiste e si fonda sulla eguaglianza
assoluta dei diritti ciyili « politici di tuttì^ e sul la- voro libero, indipendente e affatto personde,
vedia- mo quale sia la forma genkulna e
necessaria dello stato che visceralmente
ne germo^a, e quale l'idea che del
medesimo se ne svolga, e si disegni. Trala
pevsonate egualmente. Quindi il diritto di proprietà è ìmplicitameiite
contenuto, e identificato a cosi dire
nel diritto al libero esercizio delle personali potenze, poiché il lavoro, che è la condizione assoluta
della vita e della libertà delle società
moderne, non si con- suma soltanto nel
suo atto presente, ma si continua negli
effetti suoi, giacché in essi restarono scolpiti inerenti, consustanziati gli atti successivi
via via delle potenze che li produssero.
Imperocché se prodotto un oggetto, od
attuato un fatto qualunque economico ,
materiale o intellettivo, cessa il lavoro della facoltà, e dell'arte nostra a produrlo, egli è perciò
ancora una emanazione della nostra
persona, fa parte della me- desima, nò
potrebbe essermi tolto gratuitamente, e di
forza, senza che venga io stesso violato in una apparte- nenza della mia propria persona : ed è
appunto per questo che TeguagUanza vera,
e la condizione sua, il lavoro, fattori
della libertà privata e pubblica, presuppongono
la proprietà, e la proprietà dei prodotti: onde nel la- voro libero, abbiamo non solo un principio
economico, ma giuridico. Ed in vero se
la proprietà, prodotto del lavoro, o la
possibilità di possedere stabilmente
secondo i canoni della legge di eguaglianza, non fosse un fatto, un diritto d'ogni singolo,
eguaglianza e la- voro sarebbero nomi
vani, e la proprietà come fu du- rante
secoli molti un privilegio di pochi, e di caste. Quindi i comunisti e socialisti che
distruggono o vio- lano per arbitrarie
teoriche il diritto pieno di pro-
prietà, distruggono a un tempo eguaglianza, libertà e lavoro, annichilando gU effetti della
evoluzione ge- nerale della società
umana, *e spegnerebbero ogni progresso.
Ma l'uomo vive di libertà, e a libertà si
muovono le genti, e con la libertà alla dignità morale e intellettiva:
senza eguaglianza di diritto^ che
piresuppone lavoro, e virtualmente proprietà, libertà e benessere non sussistono: il principio loro
quindi riinane sempre economico, in cui
implicitamente è contenuto e connaturato
il giuridico. Le attitudini umane sono
svariatissime e molte> plici:'le
indoli diverse, dissimiU i desiderii, le aspi-
razioni, gli scopi, come distinte le condizioni econo- miclie di ciascheduno ; onde nasce e pullula
una infi*- nita varietà di lavori, di
atti, di esercizio, di prodòtti, di gara
che avvivano, rimutano, conunovono e corro-
borano la società, ove lìberamente possono effettuarsi. Ma per la ragione appunto per cui tutte
queste atti- tudini e facoltà debbono
pel libero lavoro esplicarsi^ ed operare
in una società d'uomini eguali virtual-
mente in ogni diritto fra loro, sorge la necessità di rispettare reciprocamente il lavoro, e il suo
prodotto in ciascheduno: il che implica
nel diritto il dovere^ e la ragione
reciproca loro. Imperocché sarebbe af-
fatto vana illusione l'eguaglianza^ e con essa la libertà del lavoro, e la proprietà dei
prodotti, che indi risultano, se a tutti
vicendevolmente si conce- desse di
violare Tesercizio degli ^ altri ; ed- illusione sarebbe pure l'effetto della legge di evoluzione
sto- rica, che in quella eguaglianza di
diritti si conchiu- deva, e
sciaguratamente inutili tanti sacrificj, tanto
sangue, tante violenze sofferte € superate dai dere- litti lungo i secoli, per conquistarla.
Quindi come nel fette economico del
lavoro, era implicito, inchiuso,
consustanziato quello giuridico, cosi c'è pure involuto fu la forza, 3 l'utilità immediata
reciproca. E si badi che io sono lontano
dall'affermare — e come npl sa- rei, se
il sipposto è ridicolo? — che questa forza,
questa utiltà, causa e tutela delle prime aggregazioni, foss3 voluta per
deliberato proposito e cosciente degli
sciani rozzi a selvatichi : che nulla nelle ori- gini umaae avviene per esplicito divisamente
, ma tutto pet spontanea evoluzione
delle potenze nostre nella coitorrenza e
operosità loro, secondo ragioni di
luogo, di tempo, di razza. Verità che non dee mai dimenticarsi, e canone storico da non mai
trascurare da tutti,!che desiderano
raggiungere con certezza le reali
ori(ini d'ogni umana istituzione e credenza.
Quandoinvero le intelligenze dei singoli uomini pri- mitivi fano si umili, e sì nel senso
implicate, e le volontèrsì poco
esplicite per razionale valutazione di
motivi e mentre le necessità di natura, d'altra parte, appar^nen ti tutte alla conservazione
individuale gli spingv^a ad aggregarsi,
nessun altro stimolo, oltre la legg
legame che quello della forza sia di uno o di più a norma dei varii modi di
ordinarsi valeva a te- nerne stretta la
convivenza. In quel primo stadio, in
quella prima forma se possa cosi chiamarsi, di
stato, nessun principio teocratico, mitico, simbolico era sorto , dappoiché le intelligeme erano
ancora troppo chiuse, e involute e non
pote-^ano sollevarsi a quelle idee,
proprie d'altre età, e coniizioni psicolo-
giche successive. In questo stadio gF Stinti animali prevalevano, e la mente sordamente in quando tra essi sorgono ingegni che o
per senso di umanità^ o per ambizione
personale, o sete di glo- ria si fanno
campioni di più giuste leggi^ e preparano
i rirolgimenti sociali. Al di sotto di questi ordini su- periori^ altri minori stanno sinché si giunga
alle plebi, le quaU benché non serve,
pure non usufruiscono di tutti i diritti
dei primi, e per ultimo vive una mol-
titudine di servi, cose e non uomini. Or tutto questo immenso numero di meno privilegiati, e di
servi, men- tre è materia infiammabile
per chi nacque in alto, e vuole per
buono o malvagio fine adoprarla, essa stessa
é spontanea artefice d' insurrezioni o rivoluzioni so- ciali, che conducono in ultimo alla
eguaglianza delle persone e dei cet^. E
ciascuno sa, come sempre in un modo
nell' altro , continuamente ciò avvenne , per
lungo corso di Secoli : fatti che predispongono ed av- viano lo Stato alla terza sua forma, la
simbolica. In questa novella forma in
cui si risolve l'idea dello Stato
antecedente, i diversi ordini e poteri, co-
mecché permangano ancora nominalmente, cangiono però d'origine e d'indole propria per la
comune egua- glianza che quasi si raggiunse,
sancita dai nuovi co- dici e dagli
Statuti. L'investitura divina del supremo
potere, la quale a sua volta istituiva ordini, e dele- gava uffici in virtù di questa sublime
prerogativa cessò quasi, rimanendo
ancora, qualunque sia il nome del
governo, soltanto come fede pubblica, nella ele- zione continua ed ereditaria delle famiglie
regnanti non solo per volontà nazionale
, ma si per la divina grazia. Il quale
presupposto teologico però per l'in-
cremento della mentalità, ed il progresso intellettivo della cittadinanza , ed un sentimento
implicito nelle classi inferiori della ' eguaglianza civilei anche quando e dove non si rese universale , divenne
piuttosto un simbolo sociale^ . che una
fede positiva ad un fatto re- ligioso^
come per il passato. In qualunque confessione
religiosa tra i popoli civili , l'adagio che ogni potere viene da Dio, come ogni evento è
signoreggiato dal medesimo, resta nella
fede e nella abitudine generale degli
spiriti eziandio allora che il pensiero tanto si aflfòrzò, ed emancipò da dileguare ogni
mitica rappre- sentazione, -e valutare
più razionalmente le leggi della natura
e quelle che reggono i moti del mondo sociale,
dove veracemente il principio etemo si matdfesta. Onde Tidea di un influsso divino , e di un
regime provvidenziale immediato negli
ordini politici perdura nel nuovo
concetto della vita dei popoli, e cinge per
cosi dire di una aureola religiosa le persone che eser- citano le più alte funzioni dello Stato:
benché a que- ste non presiedano più ,
tranne la famiglia domina- trice, classi
privilegiate, che ne ereditano gli ufficii.
La quale discrepanza tra le idee e le cose , tra gU ufficii e le persone , tra la costituzione
razionale , a dir così, dello Stato , e
le abitùdini degli spiriti nel supporlo
preordinazioni divine, dà vita appunto alla
forma simbolica, di cui discorriamo. Le leggi razio- nalmente sono discusse e ordinate, i poteri
dello Stato si esercitano in forza di queste
leggi, le persone che gli rappresentano
non sono più identificate con I me-
desimi, il sentimento della libertà umana è profondo, e quello della eguaglianza dei cittadini
dinanzi alla legge, diviene una verità
sempre più chiara, amata e voluta; ma
pure ogni grado pel quale sì ascende
dalle funzioni infime alle supreme, è vivificato da una rappresentazione
simbolica ^ ove continua sotto una certa
forma fantastica e incoscente, la mitica e teecratica natura dei poteri della
fase anteriore. Cosi la grazia divina
pei principi, Temanazione della giustizia persoi^ale, la permanenza legale, se
non privile- giato, dell'ordine
patrizio, e la facoltà di aggiungere
membri al medesimo con titoli vecchi, la costituzione dei diversi poteri come entità sostanziali, e
via discor- rendo, sono tutti simboli
sociali a cui si attribuisce un valore
pubblico, mentre in sostanza le* condizioni
civili e intellettuali del popolo ripugnano a queste credenze.
Questa forma simbolica della idea dello Stato per- chè si effettui e si manifesti, è d'uopo che
l'egua- glianza dei cittadini nel giure
civile, se non in quello politico, sia
raggiunta: poiché il simbolo sottentra ap-
punto alla personificazióne effettiva di una emana- zione o delegazione divina neUe famiglie, o
ceti pre- posti al potere, e con esso
quindi identificate : perchè il
sentimento della eguaglianza comune già esplicito nelle moltitudini, e legittimamente stabilito
nei rispetti civili, scassina, abbatte,
ruina l'idolo teocratico che dianzi
regnava: onde la forma simbolica dello Stato
è propria di quelle nazioni civili che avanzarono nella democrazia, e preposero agli ordini e ai moti
sociali del medesimo un principio
affatto razionale: come si vede , a modo
di esempio , in quasi tutti gli odierni
Stati d'Europa. E quindi mentre gl'intendimenti più esplicitamente manifesti, verso
l'eguaglianza, là libertà^ la
rappresentanza nazionale prevalgono nel governo
della cosa pubblica, e nella formazione delle leggi, contemporaneamente perdurano formolo, fatti,
istituti che con quelli intendimenti sono in contraddizione^ e che solo hanno ragione transitoria di vita,
in quanto sono meri simboli di più
antiche credenze , dommi , costumi. Cosi
molte formule di diritto e di procedura,
d'investitura agli ufficii, e via discorrendo, come crea- zione di nobiltà nuova, distribuzione di
titoli, ordini cavallereschi, le quali
cose tutte non avendo oramai alcun
valore reale e positivo, restano come meri sim-
boli nella costituzione dello Stato. Se, come dimo- streremo, cagione e fonte di questa terza
forma, fu il principio di eguaglianza
civile, ed un sentimento più esplicito
della libertà morale e giuridica, che di-
struggevano gli antichi idoli, egli è un vero progresso di fronte alle forme antecedenti, ed una
ultima pre- parazione alla forma pura e
razionale deUa democra- zia futura, o a
quella che i^oi appellammo funzione: e
già ne delineammo per sommi capi la natura, e
l'organamento. In questa ultima forma che è quella verso cui corrono le società moderne, per
adagiarvisi completamente, effettuandone
in ogni singola parte il principio
generatore, i simboli cadono, come cadde la
forza, ed il mito, e la saldezza dello Stato dipende e rampolla da una legge naturale di
esplicamento ne- cessario delle società
umane, intrecciantesi con tutte le altre
che armonicamente compongono e reggono r
ordine universale. La quale legge riassumendo in sé stessa tutto il valore morale, giuridico,
economico della operosità singolare dell'uomo
consociato in politico e civile ordinaùiento, possiede di fronte alla ra- gione particolare e sociale quella assoluta
autorità, che per l'innanzi fondavasi in
finzioni legali, o nella forza.
Imperocché nella democrazia moderna ogni potere emana legittimamente dal
popolo, chiamato nei suoi liberi comizi,
come ogni delegazione di nfficii deriva
da lui direttamente o indirettamente: quindi
nella quarta forma dello Stato, ogni potere rampol- lando dal fette concreto del suflfragio
comune, ed ogni delegazione agli ufficii
per essere legittima ed auto- revole per
diretto o indiretto fecendosi dal medesimo ;
e i varii ufficii costituendo le funzioni che via via s'in- gradano a sempre più alto valore, a comporre
nell'in- sieme loro il vivo organamento
della nazione, non vi ha più luogo a
qualsiasi finzione, e cade pure la pe-
ricolosa nozione dello Stato , come astrazione legale : la quale fu più volte cagione d'errori , di
sventure , di tirannide mostruosa.
Imperocché rese possibile Tin- camazione
dello Stato in una persona, secondo la vana
e stolta sentenza del più fastoso e pernicioso dei de- spoti francesi; e die e dà occasione alle
teoriche e conati impossibili e
micidiali della civiltà, dei comu- nisti
e socialisti di tutte le epoche storiche.
Or se riflettasi e s'indaghi quale sia stato il prin- cipio trasformatore della costituzione dello
Stato per il lungo corso della storia in
queste quattro forme che assunse ,
vedremo di nuovo mostrarsi il senti-
mento, il concetto, la vittoria mano mano della egua- glianza morale, civile e politica tra gli uomini,
che a poco a poco ridussero e spensero
la prevalenza della forza, distrussero
gli ordini e i poteri privilegiati, dis-
sipano i simboli che ancor rimangono ad offuscare la pura razionalità civile, e preparano la
vittoria della libertà e della legge in
tutte le classi dei cittadini. Onde,
abbattuta ogni finzione, autorità arbitraria, mito, simbolo, privilegio, resta a sussidio unico
di esistenza. IDBA. DELLO STATO di
progresso economico, intellettivo, e di libertà, il la- voro libero, che come provammo fin da
principio, è il cardine e lo spirito
creatore delle società moderne: e quindi
seguendo il corso della evoluaione storica
dello Stato in Europa, e nelle razze che la popolano,* e che via via si allargano a vivificare le
altre parti del mondo, si pervenne alla
medesima conclusione , cioè che il
sentimento del^a eguaglianza che ha per
strumento il lavoro fisico-intellettuale, e la sua estrin- secazione in un fatto giuridico , è il
resultato, come è il fattore di tutta la
storia antecedente: e la de- mocrazia,
forma attuale e necessaria delle società mo-
derne, è l'effetto per una parte , e il principio per l'altra, del generale incivilimento. Noi
dicemmo che le nazioni moderne riposano
tutte sopra un fatto e un principio
economico , poiché riposano inevitabil-
mente e s'impemano nel lavoro , ed in questo si ri- solve tutto quanto il valore e l'ordine della
attuale iTOLo ni metterebbe Fatto della più violenta
tirannide, e la democrazia civile non
sarebbe phe una turpe copia di quei
sistemi d'intolleranza, cui ella combatte da
secoli. Quindi ove l'eguaglianza giuridica del cit- tadino è un fatto, e la democrazia prevalse,
la li- bertà di coscienza, o la
inviolabilità del foro inte- riore, è
una condizione della sua legge, è la sua es-
senza medesima. Noi abbiamo
adunque in Italia nemico alla unità
nostra, alla indipendenza, alla libertà, il Papato, che da pertutto d'altronde si pone come tale di
fronte alle nazioni, e al pensiero : e
poiché il Papato è una istituzione
rehgiosa, la forma di un sistema spirituale
di credenze, una fede, così per lo Stato importa, come sentimento individuale, una inviolabilità
assoluta pel principio della libertà di
coscienza, condizione impre- teribile
della vera democrazia. Quindi a combatterlo
abbisognano armi adeguate alla smisurata potenza, e che non oflFendano i diritti dei cittadini.
L'unico stru- mento, l'unico modo di
lottare, e di vincere, è la.di- visione
assoluta, ma veramente assoluta dello Stato
dalla Chiesa: non ce n'è altro, né vi può essere, che tutti si romperebbero dinanzi alla sua forza.
Le per- secuzioni, le minaccie,
l'intromettersi ad ogni ora nelle cose
attinenti strettamente alla Chiesa, non lo
debilita, lo invigorisce, perchè la fede della maggio- ranza ingigantisce nella fantasia il castigo,
e lo tra- sforma in martirio, e tronca i
nervi allo Stato. Ogni ingerenza di
questo sia a favorire una parte del clero,
per abbatterne un' altra , è seme di futuro danno, è un intricarsi in un dedalo senza uscita, è
un ap- poggio indiretto alla istituzione
che vuoisi conibattere. Lo Stato^ nella democrazia moderna, appunto perchè sorto e informato da questa, dovendo
tutelare con forza e scrupolo la libertà
di coscienza, dee es- sere indifferente
alle varie forme di fede, di culto:
tutte sono eguali dinanzi a lui: e la sua operosità e ingerenza in queste materie dee solo
versare nel- r impedire che i varii
culti con fatti si cozzino, e si osteggino,
ed offendano cosi la generale libertà di co-
scienza. GHi ordini e gli atti religiosi e civili pos- sono nello Stato moderno vivere insieme, ma
assolu- tamente distinti, senza mai
confondersi, senza mai , come
erroneamente si crede, a vicenda rafforzarsi;
essi sono indipendenti l'uno dall'altro. La vita civile è una cosa, quella religiosa un'altra: la
loro confu- sione è dispotismo
inevitabile,, e il più tristo e il più
feroce. H matrimonio civile, i riti funebri estrinseci, r insegnamento, l'educazione, la libera
espressione del pensiero, la costituzione
delle leggi, il governo della cosa
pubbKca, sono diritti propri dello Stato e della società laicale: né si dee permettere che tra
queste facoltà, e le correlative
religiose vi sia mischianza, e
confusione mai: quantunque sia lecito alla diverse confessioni religiose risguardare quegl'atti
dal proprio e spirituale punto di vista,
ed ai cittadini il confor- marvisi,
quando non ledano l'ordine pubblico. La
Chiesa nell'esercizio dei suoi riti, del suo culto, nel- r insegnamento religioso, in tutto ciò, in
una parola, che spetta alla sua indole
interna spirituale, è libera, e deve
essere, dall'intromissione dello Stato, quando
non assalga apertamente le sue istituzioni, e non of- fenda i suoi diritti: ma l'insegnamento
pubbKco dei cittadini, popolare,
secondario, superiore, tutto, dee ni
essere esclusivamente per quanto concerne i gradi^ i diplomi, i diritti che ne provengono di
pertinenza as- soluta dello Stato, e sotto
la di lai unica e sola di- rezione. Come
tutti i cittadini sono eguali dinanzi
alla legge, tutte le istituzioni civili dallo Stato di- pendono: e quindi il clero in quanto alle
persone fa parte del diritto comune:
nessun privilegio sostenen- dolo ove
egli infranga le leggi : il codice e la proce-
dura penale colpiscono il sacerdote, come il laico sia nelle transazioni civili, come in quelle
d'ordine pub- blico. La giustizia
perfetta richiederebbe che lo Stato non
s' ingerisse affatto nelle rendite dei diversi culti, ne spendesse una lira a mantenerli : poiché
in un po- polo essendo diverse le
confessioni , se lo Stato ne sussidii
una sola, ne sc'ende la mostruosa consegueìiza
che taluni, come contribuenti, paghino pel culto non proprio, e che anzi ripudiano. Ogni culto
dovrebbe sostenersi "dalla libera
concorrenza e cooperazione dei propri
credenti, e lo Stato non avrebbe sulla pro-
prietà di ciascuno altro sindacato che la tutela delle medesime, sciolte da qualunque vincolo
arbitrario , sottoposte alle medesime
leggi, e agli stessi tributi. Questa
condizione civile dei culti è V unica giusta ,
e lo Stato dee intendere ad affrettarne il compimento. La divisione
della Chiesa dallo Stato nei termini
accennati è necessaria al vercJ progresso delle nazioni, ed è l'unico modo della sconfitta del Papato,
come ostacolo alla libertà civile dei
popoli. H fondamento alla
secolarizzazione dello Stato consiste principal- mente nella direzione esclusiva delle scuole
, nelle quali non dovrebbero
immischiarsi legalmente i chie- rici, né
compartirvi nelle medesime alcun insegnamento positivo delle religioni, essendo
tutte queste fuori della cerchia delle
attribuzioni dirette del go- verno.
Poiché se fosse concessa l'istruzione intomo ad
una sola nelle scuole, sia pure la più prevalente, i cittadini che appartengono ad altre religioni
verreb- bero lesi nei loro diritti, in
quanto e difetterebbero di uno speciale
insegnamento, pel quale pure pagano il
loro tributo, o sarebbero costretti ad assistere a definizioni dommatiche che non approvano ;
onde ver- rebbe in parte lesa quella
eguaglianza che è l'anima d'ogni Stato
che voglia essere civile. L'insegnamento
religioso poi affidato a laici non può riuscire che vano, e incompleto, destituito pel fatto stesso
delle persone, di autorità, e di
competenza: quindi si rischia, tenuto
conto delle varie opinioni dei docenti, che riesca più di danno che di profitto. La dottrina
elementare dom- matìca meglio si imparte
nel seno delle famiglie , l'autorità
patema e* materna essendo più viva e sen-
tita che quella di estranei ; e più propriamente nella Chiesa, per bocca di coloro che a ciò sono
superior- mente ordinati; ove Uberamente
e con efficacia si professa. Nelle
scuole dovrebbesi diffondere, rinforzare
ad ogni occasione quel sentimento di civile onestà , ove consiste ogni dignità morale, comune a
tutti gli nomini, a qualunque fede
appartengano. Che se, come altri notò,
il rimuovere dalle scuole l'insegnamento
religioso per mezzo dei chierici, o il toglierlo affatto, temesi occasione di allontanamento dalle
medesime di grande copia di alunni, è
questo uno dei soliti timori, prodotti
da fatti particolari innalzati dalle fantasie e
dagli interessi di vario genere, a legge, e che produ- cono inevitabilmente questo effetto solo,
cioè di non osare mai avanzare, avendo paura della propria om- bra. Quando a nessuna professione, a nessun
tiroci- nio, a nessuno utile esercizio
sociale non si potesse pervenire, od
essere legalmente abilitato a goderne i vantaggi,
se non frequentando le scuole dello Stato,
sottomesso ai loro esami, e ai diritti che ne ram- pollano , Tallontanamento non sarebbe di
lunga du- rata, e dopo qualche
oscillazione, o ricalcitranza , tutti
volentieri e senza ombra di scrupolo vi inter-
veprrebbero. Ben poco conosce gli uomini e.i tempi nostri colui che dubiterebbe di una tal
verità: gli esempi che la testimoniano
in altri ordini di fajtti, non m^cano
tutti i giorni. Certamente, e questa è
la condizione assoluta della riuscita, il governo dee curare con assidua e scrupolosa attenzione, e
ferma volontà che le scuole dello Stato
sieno le migliori di tutte quelle che
sotto altro nome possano sorgere, e
quindi i maestri dai gradi infimi ai supremi sieno degi^ dell'alto magisterio a cui si
consacrano senza cerna partigiana, e che
gli stipendi si accrescano, onde
onestamente possano vivere e con quejla dignità
e decoro atti ad infondere eziandio per sé stessi nelle giovani menti il sentimento di autorità:
poiché pur troppo lo squallore, la
miseria, gli stenti palesi , de- gni di
altissimo rispetto, quando sieno virtuosamente
sopportati , non sempre accrescono per la fralezza e vanità umana, merito in chi ne è vittima
immerite- vole. Finché risolutamente non
si porrà mano ad un tale riordinamento
radicale dell'insegnamento, e non verrà
divisa la Chiesa dallo Stato nelle pertinenze
civili, vano é lo sperare di vincere grinflussi faziosi clericali, e la continua intromittenza loro
nelle facende laicali* Non oso sperare^ tanta e la nostra fiac- chezza^ un si gran bene^ e si necessario^
prontamente, benché sia Tunieo modo di
vincere. Ma quello di cbe sono
certissimo; si è che dovrà farsi^ quando che sia, perchè è Funico argomento per combattere il
pertinace iiiimico. Alcuni sottilmente sillogizzando potrebbero
opporre a queste nostre dottrine
l'obiezione, dimandando il perchè lo
Stato solo e nella democrazia prevalente,
può foggiare la forma interna di sé medesimo, secondo il canone del giure civile esclusivamente ,
negando questa facoltà a quello
ecclesiastico, che si radica pa- rimente
nella inviolabilità personale dei cittadini. Alla quale speciosa obiezione facile è la risposta
: poiché Fattuazione organica delle
funzioni e delle leggi onde risulta poi
la nazione legalmente costituita, dipende
e si evolve da quelle facoltà e potenze individuali che spettano all'esercizio d'atti esteriori,
di fatti eco- nonùci, di procedure
eflfettive, riguardano fini essen-
zialmente terreni ed eudemonici, i di cui profitti e uti- Utà sono per sé medesimi così definiti e
certi che acquistano spontaneamente
l'assenso dell'universale : mentre il
sentimento religioso, e le formolo onde obiet-
tivamente si veste, variando da persona a persona, e riguardando interessi, e speranze che
effettivamente qui BuUa terra non hanno
compimento, se dovessero dar forma a
così dire civile, ed estrinsecarsi in un
ordine pubblico di popolo, recherebbero confusione e anarchia , o prevalendo il più forte,
ritornerebbe a galla lo stato
teocratico, che è la più bieca e turpe
tirannide. Quindi mentre il sentimento religioso che nella democrazia vera dee risolversi nella
assoluta liberta di coscienza^ viene tutelato come diritto inalie- nabile dallo Stato, non può^ come il fatto
meramente giuridico, assumersi a
principio organatore della so- cietà
medesima, come qualunque altro sentimento del-
l'animo umano. Ma alcuno , e ce ne sono molti , più appassionato amatore,, che fidente nei
benefici effetti della libertà ,
insorgerà a ripetere ciò , che si andò
ripetendo dai dottori in politica soventi volte , che^ concessa questa separazione dello Stato in
tutti i suoi ordini dalla Chiesa,
basterà poi a contrapporsi vitto- riosamente
al gigante che ci sovrasta, e agli influssi
perniciosi del medesimo verso la civiltà in generale, e la libertà della nazione in particolare?
Una potenza cosi formidabile verrà poi
sconfitta, in quanto agli effetti
civili, con un tale metodo, e non userà invece
della libertà sconfinata che le concediamo, a schiac- ciarci più prontamente? Vane paure! Se il
papato conta una vita di diciotto secoli
, se la sua efficacia penetra da per
tutto, se sotto gli ordini suoi milita
una moltiforme schiera di sudditi operosi e ubbidienti, e formolo adesso nel sillabo la teorica^ del
dispotismo teocratico, l'umanità e la
razza nostra europea nu- mera d'altra
parte, ben più secoli di vita: crebbe e
si emancipò con lotte continue e pertinaci d'onde uscivano più vive scintille di luce
intellettiva, pro- rompevano più fervidi
desiderii di libertà ; si raffor- zarono
propositi più civili di vittorie futurp, che an- davano animando mille e mille e poi milioni
di adepti, che poi si dilatavano baldi e
procaci su tutta la terra^ recandovi non
solo germi di verità e libertà, ma isti-
tuzioni imperiture, Ed ora non solamente nel suo va- sto e onnipotente pensiero agita tutte le
genti euro- PROPOSTE 85 ^eO; ma ravviva metà del nuovo mondo j
fascia le bollenti terre dell'Africa,
signoreggia l'Asia, ripopola l'Oceania,
e stende la mano minacciosa già sul Giap-
pone e la China, che eccita a nuovi fati, o li tras- forma a sua immagine :£ già nell'animo e
nell'intel- ligenza sua stanno
indelebili, consustanziati, e immor-
iali l'eguaglianza civile, politica e la libertà del pensiero : tre
libertà che non si spengono , tre soli che
non vedranno tramonto, e che bastano di per sé col tempo a sconfiggere qualunque potenza. Al
sillabo noi opponiamo il codice del
libero esame, e l'immenso jcumulo delle
conquiste della natura , che sono stru-
menti poderosi non di servitù, ma di libertà, ed eman- jcipazione: al servaggio delle menti, la
vittoria vivi- £catrice della scienza
moderna, al mito il vero, alle
jsquallide e lugubri letane dei mistici, lo splendido e stridente carro dell'incivilimento. Chi
dubita della finale vittoria, chi crede
di fronte alla civiltà moderna
ultrapotente il Papato, non intese la storia, o non comprese la legge indefettibile della nostra
intrinseca evoluzione, e non sentì nell'anima
quella voce divina che grida alla nostra
umanità. Sorgi e cammina ! Che se vuoisi
opporre all'esito favorevole della lotta, anche la enorme virtù della unità del
Papato, come forza direttrice,
tenacemente nelle sue compagini co-
stituita, e presente per tutto, si pensi che adèsso la nostra razza omogenea e identica nei tratti
suoi prin- cipali, e animata degli stessi
sentimenti, è parimente diffusa e
organizzata nel mondo, e che la sua unità
morale si va compiendo ogni giorno. Perchè per i tro- vati meravigliosi della scienza e dell'arte,
che assog- gettarono alla volontà umana
le potenti energie della natura^ il pensiero che da prima esemplò sé stesso
e^ scolpì nelle pietre; nei bronzi^
nelle pergamene dei popoli separati^ o
inimici^ or non solo con la stampa si
moltiplicò con la velocità quasi del concepimento in innumerevoli copie, ma identificandosi con
l'immane rapidità deirelettrico in un
istante, e in un punto raccoglie tutto
ciò che avviene su tutta la superficie
del mondo : e le merci, gli uomini , le dottrine , travalicano con l'impeto
della ijieteora nejla espansione del
vapore, immensi spazi di terre, perforano mon-
tagne, e sorvolano^- emulando i venti, gli oceani, ae- oumunando prodotti materiali e intellettivi
in breve giro di giorni: onde, per la
originaria parentela e indole della
stirpe or dominatrice, tutte insieme le
forze domate della natura, van componendo l'unità di pensiero^ di scopo, di istituzioni per ogni
dove : contrapponendo ai concili! jeratici, le splendide e prov- vide mostre dell'industria e del sapere universale.
La quale unità, perchè effetto della
spontanea e nativa evoluzione della
specie, non meccanico sistema di ar-
tificiale organismo, è assai più potente di quella pon- tificale: ed ha nella legge che la governa, e
negli effetti che naturalmente ne
rampollano , la necessità d'infuturarsi,
e la inevitabilità della vittoria. ' Di fronte
alla cattolicità dommatica e ufficiale, la cattolicità delia- stirpe, del pensiero, delle istituzioni,
della Civiltà va costituendosi, e
poderosa si accampa, libera signora di
sé medesima. Pongasi mente a questo fatto inne-
gabile, e veggasi se le paure soverchie di chi nulla osa tentare, sieno giustificate dalle
condizioni generali del mondo. Ma si
rassicurino i timorati e i timorosi,, il
sentimento ingenuo e nobile religioso non verrk Spento^ ma non verrà spenta neppure quella
luce pu- rìssima di verità, quel calore
di bene, quel fuoco di libertà che
crebbero, e trionfarono a costo di lacriimè,
di sangue, di stragi, di roghi infami e scellerati. Sia libera la Chiesa, ma libero lo Stato e
autonomo in ogni ordine di sé medesimo ,
e sieno libere tutte le religioni che in
esso convivono : non temete, il resul-
tato finale non è dubbio, trionfo della libertà da una parte, ed epurazione daJU altra. Altri forse può dubitare, pur riconoscendo
l'impos- sibilità della vittoria del
sillabo nel mondo, che parzial- mente i
popoli rischino secondo le proprie condizioni
civili diverse, soccombere, ed in ispecie Y Italia ove il Papato ha la visibile sede, e regna il
Pontefice. Vero è che non tutte le
nazioni avanzarono siffatta- mente da
superare e non temere gl'influssi perniciosi
del Papato, e sarebbe follia il negarlo. Ma oltre gli aiuti che vengono loro dal di fuori per la
continua efficacia del generale
incivilimento, che da per tutto penetra
e si diffonde, ciascuno di questi popoli, ap-
punto perchè affine alla comune razza europea, ha in sé medesimo la necessità della emancipazione,
la quale può parzialmente ritardare ad
effettuarsi, ma deve in ultimo avverarsi
per le ragioni discorse. In quanto poi
all' Italia in particolare, non conosce l' indole del popolo nostro chi crede alla sua etema e
congenita servilità religiosa
tramutantesi in quella civile; chi crede
che a questa posponga i suoi affetti e i suoi
interessi; che rinunzi alla terra ed ai suoi leciti go- dimenti; voglia, parlo dell'universale, porre
in non cale la nazione , rinunziare all'
indipendenza ed alla libertà per vivere
una squallida vita di chiostro, e salire per lugubre scala al paradiso.
L'italiano è con- servativo, non
retrivo, per indole, e non inerte nel
pensiero; e altrettanto rapido' ad afferrare il lato giu- sto, positivo delle dottrine, valutare con
abilità in- genita gli avvenimenti e
considerare ed estimare le sue
condizioni; aperta una via, sorto un barlume di
vero alla sua mente, vi s'innoltra con prudenza si^ ma virilmente, e con tenacità la segue.
Conosco, gra- zie al cielo, il mio
paese, e a palmo a palmo io posso dire;
conversai con tutti i ceti, in tutte le parti della penisola, ed ho una chiara idea delle loro
condizioni morali; e certamente in
alcune provincie tali condi- zioni non
sono liete e normali, e richiedono tutta la
sollecitudine provvida e saggia dei governanti; ma non si illuda l'osservatore superficiale,
anche fra loro, come dappertutto,
l'agitazione operosa nazionale sotto
mille forme si propagò; l'idea del riscatto politico, il sentimento di libertà, una forma migliore e
più degna di vita, traversarono, mossero
quelle menti e quegli animi, ed
all'occorrenza saprebbe deludere le cieche
mene dei retrogradi e dei demagoghi.
Cosi dunque non temasi in Italia della libertà con- cessa alla chiesa e alle chiese, e si proceda
con riso- lutezza; si armi dei suoi
diritti naturali lo Stato, e si lasci il
clero esercitare il suo ufficio, e di fare e
disfare in casa propria in quelle cose che strettamente si attengono al suo ministerio. Contro la
fazione cle- ricale, non v'ha altra
politica possibile; ogni aggres- sione è
vana, ogni minaccia non rintuzza ma fortifica
l'avversario, ed ogni ingerenza dello Stato nelle cose interne delle chiese, riesce poi di danno a
sé stesso. I clericali, e parlo della
fazione politica loro, ben sanno del
resto^ (gli abili e che hanno il mestolo in
mano) che senza lo Stato e il suo appoggio , le loro forze sono monche e sfatate ; imperocché il
giorno nel quale in Italia^ per una
ipotesi impossibile^ avessimo un
parlamento del loro colore e spirito, e quindi un governo uscito dalle loro viscere, sarebbe
l'ultima ora * della loro fazione ,
poiché nessun popolo di Europa vorrebbe
e potrebbe mantenere rapporti col nero e
' funesto governo, mentre una riscossa di tutte le gra- dazioni dei partiti liberali della penisola
fora inevitabile o spaventosa. Questa i clericali sanno, e quindi non tentano, né tenteranno l'ultima prova, e
solo pro- cacceranno di tenere Ymo
zampino ed un addentellato nel giure
pubblico della nazione, perché lo Stato da
sé medesimo, per gli errori servili o erroneamente aggressivi, si procuri una certa rovina.
Quindi, qualunque sia il governo che resti al timone della no- stra patria, non devii dalle norme che ora
tracciammo ; ogni altra politica sarebbe
funesta; con l'apparenza • della forza
e della libertà troncherebbe i nervi a sé
stesso. Adoperandoci di questa guisa, noi renderemo a Cesare quel che è di Cesare, a Dio quel che
é di Pia, secondo il detto profonda del
Nazzareno ; e men- tre daremo saldi
fondamenti alla libertà ed al suo
incrementa, faremo un bene eziandio alla chiesa, poi- ché, toltole ogni speranza d' ingerenza nelle
cose civili, e richiamata al suo morale
ministerio, abbraccerà nella carità
religiosa anche la patria ; come sanno molti
buoni fra loro, i quali sentono che per conquistare, secondo la loro fede, la'^patria celeste,
bisogna amare e difendere quella
terrena. L'altra fazione che tenta* e
vorrebbe sconvolgere m Fattuale ordine di cose civili, quali
vennero prodotte dal lento moto della
evoluzione sociale, è la dema- gogia
anarchica e selva^ia, avente gradazioni diverse, come diversi propositi, diffusa da per
tutto,^e stretta da vincoli, patti, associazioni,
e guidate da uomini risoluti. E da prima
è d'uopo , per giusta ed equa
estimazione d'uomini e di cose, distinguere ed asso- lutamente separare da una tale fazione il
partito re- pubblicano che si agita
anch'esso da per tutto, e che in varie
parti del mondo ha vita effettiva e legale
riconoscimento. Vero è che una tale distinzione sa- rebbe superflua e stolta, se pur troppo lo
zelo im- provvido o l'ignoranza, non
spingesse molti a con- fondere cose
insociabili, e a far tutto un mazzo, sieno
buoni o rei, di quelli che a puntino non partecipano al grado presente del loro liberalismo. Il
partito re- pubblicano, quando come in
generale si mostra, segue la legge sana
della democrazia moderna, riposa sui
medesimi fondamenti giuridici e éivili dei popoli retti a monarchia rappresentativa; mantiene saldi i
principj * • di proprietà, di famiglia,
d'ordine, senza cui convi- venza umana
non è possibile, ed è una naturale e
necessaria evoluzione sociale. Quindi è d'uopo non fraintendersi, né recare violentemente e con
palese in- giustizia le colpe, i danni,
i pericoli alla forma repubbli- cana,
che sono propri esclusivamente della demagogia.
Dispregiare con puerile sussiego questa torbida fa- zione, è follia; la fidanza di sterminarla
con le sole armi, è concetto che non può
capire che in un cer- vello da Don
Chisciotte ; combatterFa con palliativi o
discorsi, è troppo ingenua bredulità. A mali morali, profondi, tenaci, universali come quelli di
cui trattìatnO; si può ovviare soltanto con serii e virili pro- positi, e Còli rimedi adeguati alla forza che
li produce* IEj prima condizione a
sapersi schermire da un tale nemico, è
quella al solito di non farsi illusione alcuna
intorno alla sua potenza, indagarne l'origine, e non attenuarne il pericolo. E questo si farà per
noi il più brevemente possibile, onde
premunirsi in Italia anti- cipatamente
dagli influssi e danni di questo malanno,
perchè la libertà sana e la civiltà non ne soffrano detrimento.
La demagogia o l'insurrezione anarchica delle classi povere e proletarie non è nuova, e si può
dire che i germi sbocciarono col
costituirsi delle società pri- mitive;
imperocché di fronte ai più potenti, ai più
agiati e felici, stettero sempre i derelitti dalla for- tuna, i deboli, i miseri, qualunque ne
fossero le ca- gioni. Ma se il
sentimento , il mobile , lo scopo si
mantenne identico di mezzo alle trasformazioni sociali, la forma della demagogia cambiò, e i suoi
seguaci e proseliti crebbero
spaventosamente di numero. Quindi
nell'età nostra, per quanto si estende la civiltà eu- ropea sopra la terra, assunse una forma
consuonante con quella naturale del
progresso sociale, delle con- dizioni
economiche presenti, e con l'immenso accre-
scimento della popolazione. Or noi si vide che il fon- damento, il fatto che costituiva l'indole
propria della società moderna e
dell'incivilimento stesso, è un fatto
economico, il lavoro, reso libero, scevro di qualsiasi privilegio od ostacolo, e sostegno unico dei
singoli associati, nella moltiforme sua
natura, e nella immensa varietà dei suoi
atti, dal rozzo manuale al più alto
intelletto, H sentimento di questa feconda e santa m
T-erità, pel naturale svolgimento che in tutti lo pro- dusse e lo suscitò; nacque nell'animo di
tutte le classi^ vagamente le eccitò,
spingendole di un salto con Tim-
maginativa agli effetti ultimi e salutari di questo principio, valicandone i necessari intervalli
per igno- ranza da una parte , e per
impeto di bisogno dal- l'altra. Indi la
foga pertinace, perseverante, ma più
calma, o Torrido assalto ^subitaneo di selvaggie ire contro quei medesimi sostegni, quelle
istituzioni che Bono anzi i mezzi di
giungete gradatamente ad una condizione
migliore di tutti. Cosi nacquero per un
verso le associazioni della cosi detta intemazionale, o le improvvise ruine della comune. Ma nel
tempo stesso che noi dobbiamo combattere
le funeste teo- riche di queste sette, e
soffocarne con pronta energia i delirii
nefandi, non bisogna, lo ripeto, fanciullesca-
mente cullarsi nella idea, che fatti cosi universali, e che in un modo o nell'altro si mostrano per
quanto fii stende il campo civile delle
nazioni, sia un mero capriccio
momentaneo d' ebbre moltitudini, vapore di
idioti, e fenomeno che non abbia fondamento di sorta nella storia; né in se, in mezzo al profondo
errore che l'offusca, e lo insozza, un
raggio e un filo di vero. E noi vedemmo
già che la demagogia ha la sua sto- ria,
antica quanto il mondo , e svolgentesi e sgomi-
tolandosi con i secoli parallela alla trasformazione fiociale della nostra stirpe. Ed il vero, che
questa fa- zione nelle sue teòriche
micidiali racchiude è questo: che ad
ogni uomo, ad ogni cittadino, sia qualunque
la nascita, l'economica condizione, incombe egualmente l'obbligo salutare del lavoro, ed è
compartecipe di tutti i doveri che
stringono autorevolmente tutti i consociati a prò di tatti con reoiprocft
operosità; im- perocché l'ozio infecondo
, e soltanto consumatore &
cormttore, è oramai agli occhi di tutti il più tristo, squallido e vituperevole vizio sociale, la
causa e il fomite di ogni disordine e ,
d' (^ni ruina. Ma questo vero, che or
comincia, rispetto al suo valore sociale,
a risplendere alle menti di tutti, e che mano mano che la società progredisce, sempre più palese
si farà, e che dee divenire la fede
comune , nelle sette de- magogiche si
trasformò in ribellione ad ogni sano
principio, e divenne piuttosto sorgente di miserie e di lutti, che fonte di prosperità per gli
stessi che si Intano in suo nome. Quindi
la fallacia nella cre- denza di poter
sterminare ogni sentimento religioso^
come quello che secondo essi sostiene i perni della . società attuale; la puerile fidanza del
condividere i beni fra tutti, e
ritornare, per essere felici e mirabili,
alle delizie animalesche delle prime orde umane. II sentimento religioso in sé , astraendo dalle
forme dommatiche che può rivestire , è
in quella vece sì connaturato all'uomo,
appena gli balenò un ra^io di
intelligente attività nella mente, è un. bisogno cosi profondo, che il supporlo nell'universale
temporario periturio, riesce un errore
sì madornale, quanto il credere che
possa miù cessare il sentimento del bello,
del buono, dell'utile, e così via discorrendo. Un tal sentimento muterà forma, materia, simbolo, a
sempre più puro e razionale aere
s'innalzerà, ma rimarrà^ e quando anche
in tutti si trasmutasse in effettiva
intellezione dell'ordine infinito del mondo, e dell'e- terna energia che lo vivifica, e continua,
avrà sempre una efficacia potente negli
animi umani , e una autorità suprema nei loro atti. Quindi, sicc^ome è
vano l'assunto, è assurdo il crederlo
effettuabile ; e di questo si persuadano
coloro che eccitano a simili fantaami le
moltitudini. In quanto poi alla proprietà e alla fami- glia, sarebbe con esse distrutto l'ordine
civile, ogni spe- ranza di
miglioramento, ogni libertà. Poiché l'ultimo
fatto sociale a cui" pervenne il moto evolutivo umano è Tuniversale libero lavoro, questo senza la
proprietà non può sussistere, in quanto
mancherebbe di sussidi, e dei giusti
stimoli ad esercitarsi. Che se il lavoro è
un dovere, un godimento, una dignità, la sola nobiltà possibile oramai nel mondo, oltre avere un
effetto che giova alla generale
convivenza nella reciprocanza di ragioni
e d'influssi che l'anima, è pure un modo di
rendere più lieta, agiata e amabile la vita; poiché colui che vuole rendere l'uomo misticamente
perfetto, e che tutto versi e si
travagli nella carità, e non senta e non
provi gli onesti piaceri, e rinunzi ai co-
modi, agli agi, agli utili personali, non solo disconosce la umana natura, ma annienta la storia.
Laonde la proprietà ed in conseguenza la
famiglia, sono condi- zioni
indispensabili del lavoro, e con esso della civiltà tutta quanta, e della libertà che a tutti è
si cara, e desiderata. Questi sono i
veri contro cui infuriano i propositi
dell'intemazionale, i quali se venissero ad
effetto, ogni bene sarebbe distrutto; sono errori in cui cadono e caddero non una sola volta, quelli
che, vi- vificati da un sentimento
giusto e da un vero che balena incerto e
confuso nelle loro menti, credono
raggiungere la meta sterminando gli argomenti che vi conducono.
Egli è certo però che tali sette sono or formidabili e sparse da per
tutto: hanno associazioni, pecu- nia, giornali,
conventicole e cattedre: e gl'iniziati si
mescolano in tutti gli ordini della vita, e gli arruf- foni ne sfruttano la credulità, o ne
inveleniscono, rin- fuocano le ire:
pericolo tanto più tremendo, quanto più
è avvalorato da un sentimento giusto di una ve-
rità male intesa. Or che contrapporrete a questa fiu- mana? — La Forza? — fu tentato, ma l'idra
rina- sce: oltre, che la forza contro il
sentimento e il nu- mero non prevale, e
senza un principio che la sostenga, è
vano amminicolo. Combatterlo con principii con-
trarii? — si sperimentò, risorse, e sempre più sì estende. Con gl'influssi" religiosi? —
Ma ella imper- versò maggiormente ove le
genti erano guidate e ispirate dal
clero, e si agita nei paesi, ove la fede è
più viva, poniamo che non sia la cattolica, tralasciando anche che alcune tendenze, ire, dispetti
clericali sono fomite a queste sette, e
piuttosto che attutarle, le attizzano.
Forse pej: mezzo delle esortazioni, le per«
suasioni, i libri, e i giornali? — Certamente questi modi, e argomenii quando sieno bene
appropriati e condotti, hanno un grande
valore, e maggior della forza, e degli
influssi religiosi, perchè vanno a poco
a poco componendo una opinione favorevole ai suoi principj, e l'opinione oggi è regina, e può
molto: ma la sua efficacia è in parte
frustrata dai giornali, dalle
associazioni della setta, onde è lento e stentato il be- nefico risultamento. Dunque non hawi rimedio?
— I rimedii opportuni, i soli efficaci,
e che, spero, sa- ranno riconosciuti
tali a poco a poco da tutti, se vo-
gliamo salvare la civiltà, sono di due sorta, privati e pubblici: e ne discorreremo partitamente le
loro ragioni. Odesi tutto giorno
dalle persone di ogni ordine e d'ogni ceto,
tra quelli più agiati^ lamenti e querimonie
rispetto ai pericoli che ci sovrastano da parte della demagogia universale^ e si paventa^ si trema^
s'im- preca^ o si pronostica il
finimondo. Ma sciaguratamente tutto
questo tumulto dì sgomenti^ predizioni^ spasimi
si risolve in parole, in chiacchere, in vaniloquio ef- fervescente, e nessuno, parlo in generale, fa
nulla, o aspetta da un arcangelo la
spada salvatrice, o grida contro il
governo e i governi che non uccidono a
soffocano nella culla il mostro divoratore. E mi fanno la figura di chi, appreso lentamente il fuoco
in un canto della propria casa, corra in
piazza a gemere^ a piangere la imminente
ruina delle sue mura, im- precando
perchè il sindaco non distrugga i zolfanelli,
causa immediata del danno, invece di provvedere to- sto e virilmente al pericolo, tenue da
principio, con la propria persona, o con
gli ajuti che ai forti e volonterosi non mancano mai. Cosi presso a poco va
la faccenda per tutti coloro, e sono
innumerevoli, che presentendo l'avvento
della cosi detta questione so- ciale,
credono rimediare al male col vociferare ai
quattro venti il prossimo diluvio, o volendo che altri gli soccorra con modi, che neppure essi sanno
in che veramente consistono. Ma in tale
maniera l'acqua arriva alla gola, e
senza rimedio, perchè il neghittoso è spia-
cevole a tutti, utile a nessuno. Egli è oramai tempo di mutare registro, e se veramente stanno a
cuore gli averi, i diritti, la
giustizia, non fosse che rispetta ai
privati vantaggi, bisogna persuadersi, perdio! che il tempo è venuto, ove chi non opera, e
fortemente vuole e lavora, verrà
travolto non solo dalla fiumana
impura ch^ paventano^ ma dalla indole della civiltà presìHite, nella quale il volontarìp
infingardo nozi può trovare modo
durevole di vita. E innanzi tutto la so- *
cietà è solidale d'ogni bene^ d'ogni male, e chi non sente q^uesto alto dovere, è indegno di
chiamarsi uomo civile: e quindi ognuno è
strettamente tenuto a coo- perare al
maggior benessere possibile della nazione.
E si badi che questa, di cui parlo, non è mica una carità estrinseca e contingente, che possa a
volontà con minore o maggiore zelo esercitarsi,
come avviene in altri fatti di pubblica
o privata beneficenza, ma è una
necessità intrinseca, senza la quale la società
minerebbe. La quale cosa si fa a tutti palese anche materialmente, se riflettono ajla
solidarietà, sempre più stretta e
generale che nasce fra tutti gì' interessi,
sia per associazioni a scopi diversi di utilità perso- nale, o di prodotti, sia per la dipendenza
d'ogni or- dine di fatti economici fra
loro, sia nel più vasto e universale
credito dello Stsito, da cui dipendono una
immensa varietà di fortune particolari. Quindi il lavoro libero, ma
cooperativo dei singoli, onde si con-
servino intatte e abbondanti le fonti .di ricchezza e di sussistenza nazionale, anche per questo lato,
è la- voro necessario: che se egli
allentasse, svigorisse., o venisse meno,
il popolo perirebbe senza rimedio.
Adunque tra i rimedii privati che possono contra- stare all' ampliarsi delle sette demagogiche
a danno di tutti, è l'operosità di
tutti, e in specie di quelli che più
avrebbero a perdere, e nei quali quanto è
più grande la ricchezza e l'agio, tanto più cresce e ingigantisce il dovere dell'opera. Si
persuadano che nelle moltitudini adesso
il prestigio solo delle ricchezze, o del nome; o del fasto è scemato, e va
sce- mando, grazie al cielo,
rapidamente, e invano si at- * teggerk a
pavone , chi sotto le splendide penne , e
r iridiscente folgore delle piume , cela miseramente una cornacchia. D popolo non dispregia- né
nomi , né fasto, quando coloro che li
portano, o V esercitano senza jattanza ,
sono degni della civiltà nostra , la
quale consiste tutta nel lavoro, utile e generoso. Bi- sogna adunque che coloro a là
crescente onda delle mene demagogidie , è una ne- cessità delle stesse condizioni civili deUe
nazioni moderne, un diritto e un dovere. '
Dichiarati brevemente i rimedi privati, conside- riamo quali sieno ,o possano essere quelU
pubblici, o di pertinenza dello Stato, e
del suo governo. Questi a divisarli
compiutamente si disbrancano in lare or-
dini, e possono essere quindi di tre specie: mo^?ali, amministrativi e poUtìci. . Un grande rimedio
aU'er- rore, al vizio e alle miserie, è
certamente V istruzione diffusa, e più
tra quelle classi che di per sé mal sa- prebbero provvedervi, e alle quali manc^ lo
stimolo proprio ad avanzare, vale a dire
alle plebi della città e delle campagne.
Che questo sia precipuo ed asso- luto
dovere di ogni governo civile, è chiaro, e sarebbe anche più chiaro, se non fossero ancora
alcuni, e non. son pochi, nei quali si
mantiene la dignitosa e gene- rosa
ctedenza, che T ignoranza delle moltitudini la-
voratrici, è un ingrediente e un sussidio nòbilissimo di governo, e si affidano nella loro
maraVigliosa atti- tudine, di contrastare
ad ogni male, puntellati all'arte
provvida di pochi, e all'uni vergfale e servile asinag- gine. E tatLto più stupore arreca una tale
saggia sen- tenza, in qitanto di
preferenza è sostenuta da quelli — non
parlo certamente di tutti — che bazzicano
frequentemente per le chiese, e fanno pompa di cri- stiana pietà. Brutta e ridicola
contraddizione, la quale se
ingenuamente* professata, indica in essi una igno- 105
ranza proporzionata al grottesco proposito; se ad afte pensata, è iniqua e degna deff universale
dispregia. Jn ciasctm uomo come sono
eguali potenzialmente i diritti e i
doveri, sono eguali i bisogni e la necessità
deiihi dignità della vita; ora in tutti in quella guisa dello stato, e migliorare le loro condizioni
economiche; ma parlandosi di suffragio
fermarsi alle porte del sal- terio e
dell'abbaco, è tale stravaganza che la maggiore
non si può immaginare; si crede d'essere' del nostro' secolo, e viviamo delle idee dei
bisarcavoli! ^P 12T Cicerone assennatamente dicera essere gF
ignoranti capaci di verità^ poiché T
ignoranza ^ cioè la mente primitiva^ non
ingombra da sfumature; e il più delle
volte arruffata da un sapere rachitico, entrato a spruzzi anarchici nel celabro, è tutt'altro che
chiusa alle ve- rità pratiche della vita
; che anzi quando queste ver- tono
intomo a positive questioni d' interessi generali, ma consuonanti o influenti con e su quelli
particolari della famiglia, del comune,
della provincia, sono pronte a colpirne
il nocciolo principale, e a scegliere le per-
sone più idonee a risolverle secondo le necessità del momento. Se non fosse così, se noi
attendessimo ad allargare il diritto di
suff'ragio che virtualmente è di tutti,
quando tutti fossero dotti, ed uomini di stato
almeno in cacchioni, io credo che si aspetterebbe in- darno quel giorno, e si aprirebbero le
universali urne dei trapassati allo
squillo finale dell'arcangelo, più
presto che quelle generali del popolo pel comune sufeagio.
Ma ribadiscono gli oppositori : voi desiderate esten- dere il diritto di suffragio mentre ^
nessuno, o da pochi si chiede :
attendete che il desiderio nasca, si
diffonda, giunga legalmente al parlamento, e allora si aprirà la mano, ma sempre con prudente
riserva. E cosi, soggiungerò io, noi
liberi cittadini di libero Stato, e un
governo che dalla libertà è sorto, e a que-
sta deve intendere con tenaci propositi, saremo meno generosi, meno magnanimi dei governi
dispotici ? In questi sovente, e la
storia anche contemporanea è piena di esempj,
il governo costringe spontaneamente le
moltitudini riluttanti a incivilirsi, e con violenta mano le sforza ad accettare .riforme civili,
ammini- ni stratìve, economiofae : noi BEtremo il
contrario: in nome delia libertà,
teleremo lontani dalle riforme utili e ne-
cessarie quelle moltitudini chC; secondo il ^iblime concetto, persistono nella ignoranza, o nella
indiffe- renza politica. Un governo onesto
di libero popola dee spingere al meglio
di proprio impulso le genti confidate al
suo senno : nò dee nelle leggi fondamen-
tali attendere che altri domandi, ma generosamente anticipare opportune riforme. Ma se del resto
tuUi non chiedono o vogliono il diritto
di suffi*agio, questi è sorto nella
coscienza dei più, emana spontanear-
mente dal nostro giure pubblico, è una necessità dei tempi, è un dovere civile. Che se un tale
dovere, per ipotesi impossibile, non* si
sentisse, o si dissimulasse, p^r durare
in un certo grado matematicamente mi-
surato, e fisso di libertà, a prò di minoranze qua quando anche, per ipotesi, ciò avvenisse, Teffetto sólo che
produr- rebbe, fora certamente una'^pìù
grande e viva ope- rosità nei partiti
liberali, e una agitazione legale più
intensa, le quali riuscirebbero in fine a risolvere più presto e ricisamente una tale questione
interna, e scongiurare più virilmente i
pericoli, onde è gravida per la nazione.
Altro benefizio che recherebbe seco la
partecipazione, larga del popolo al Suffragio, sa- rebbe quello di stimolare, (essendo più vasto
il sin- dacato, e le possibili peripezie
del voto), e costrin- gere i- deputati
ad intervenire scrupolosamente al par-
lamento^ e smettere il brutto sciopero in cui sono ca- duti molti ripetutamente, e in modo da far
credere cronico il morbo pernicioso, che
gl'infesta, e li rende colpevoli dinanzi
alla nazione. Più e più volte gli atti e
le discussioni del parlamento, d'importanza ca-
pitale per la prosperità e ordine del paese, non po- terono aver termine necessario, o sanzione
legale, per Io scarso numero degli
intervenuti, e ancKe quando giungevano
alla cifra prestabilita, di fronte alla to-
talità dei rappresentanti, erano si può dire al disotto del decoro del parlamento.' Se coloro che pur
brigano, e fauno chiasso per essei'c
assunti al grave incarico, V IdS m
e rappresentano ciò che v'ha di più vivo nella na* ssioney e la funzione più eccelsa di un
popolo, che è quella 4'essere il
legislatore di sa medesimo^ danno un si
tristo esempio di trascuranza agli alti doveri, e di abbandono alla alacrità civile della vita
pubblica, B0^ è da atupire, se gli aitai
alla base imitano nel laìiguote, nella
cascarne, nella dimenticanza dei di-
ritti e doveri civili, i loro rappresentanti ; e «'ingeneri nella
na2doDe quell'ozio politico, che è la lue
più deleteria, e corruttrice delle viscere della medesima; sintomo, se i
rimedii non intervengono pronti ed
energici, di inevitabile morte. O non cercare, de- siderare r^lezioùe e intromettersi in ogni
maniera per ottenerla, o ottenuta,
attendere con lealtà e perseveranza al proprio mandato, ^d esercitarlo
costantemente, risparmiando cosi un malo
esempio al popolò \ intero, un acerbo e
giusto rimprovero a sé medesimi; la-
sciando aperto il corso ai più degni, e più operosi, e non ocisasionando cosi la morale decadenza
dell'auto- rità del parlamento, come pur
troppo fra noi già per moltissimi
accadeva : e che io dica il vero faccio ap-
pello alla stampa quotidiana di tutti i colori piena so- vente di acuti, e meritati riinbrotti ai
neghittosi le- gislatori. Bispetto al pericolo del cesarismo, che
secondo altri sarebbe il mostro che
uscirebbe dal voto generale, come quei
fantocci deformi e strani, che scattano al*
Timprowiso dalla scatola magica, a stupose e terrore dei nostri fanciulli, temerlo da senno in
Italia, è cosa che non Val la pena di
confutare. Il cesarismo è solo possibile
in un paese, sconvolto ^à , sconquas'
fiato, disordinato a più riprese, e dove la furia delle fazioni
anaik^hicbe^ o le gare di pretendenti più
meno apocrifi, tanto scrollarono le fondamenta d'o* gni ordine, e tanto impaurirono le
maggiorante, che, conservatrici sempre,
si appigliano di iiecessità all'u- nico
modo di salvezza che si presenta, sia pute Tau-
tonta irra:dónaie della sciabola, o la potenza moi'ale di un nome: poiché ove è questione di
anarchia di forze brute tenzonanti , il
popolo si rivolge a quella che ha
maggiore probabilità di vittoria, e di ristabi-
lire quindi la pace, e la cancordia nel caos informe sociale. Ma un tal voto," quando è
generale, se ma- nifestasi sostenitore
di una forma dittatoriale in un dato
momento^ ove egli è necessario, apparisce anche
come fondatore di repubblica, quando una tal forma di reggimento ad un dato momento, sia Tunica
arra di durevole ordine, come intervenne
in Francia : nella quale, nonostante la
lunga cospirazione della caduta
assemblea, e del suo governo, retrogrado e monar- chico, e tutto rìmmienso arrabbattarsi dei
clericali, e dei funzionari governativi,
sorse testé la repubblica da quelle Urne
rurali^ che secondo i giusti estimatori del
senno delle moltitudiiii, dovevano imporre alla Francia il -^èsaitfismo na^Kileonico^ o il lugubre
spettro della rameica tirannide
legittimista. Che se invece avvenne il
contrario della comune aspettativa, si deve solo a ciò, che tra i varii e funesti pretendenti al
trono francese, e delle loro ingenerose
e tristi fazioni, il popolo senti, che
runico governo d'ordine, era il rejpubblicano, che ta- gliava a tutti la cresta, e li poneva fuori dell'astioso
e cupido combattimento, e per la
repubblica votò. In Italia non vi sono
affatto elementi per un cesarismo possi-
bile, e mancano condizioni antecedenti per un tal ri- ni
Bultato; qui non sfacelo, qui non anarchia^ qui non odii; rancori^ ambizioni^ rafforzati dal
sangue sparso^ da vendette nefande, da
rappresaglie inique ; qui nes- sun
bisogno di salvatore, o d'incoronare col servag- gio del popolo, un fortunato vincitore di
eroiche bat- taglie. Da noi le
istituzioni, grazie al cielo, possono
per poco affievolirsi , o venire in meglio modificate, ma legalmente operano , e sono fisse nella
coscienza pubblica, né alcuno anche dei
partiti possibili più risoluti, e
accentuati, pensa a rovesciarle, perchè in
Italia c'è senso in tutti della realtà, né ci si sca- priccia in utopie senza pratico costrutto: in
Italia la dinastia regnante è
politicamente insigne pel ri- spetto
alle leggi, né vi attenta, né vi corrìe rischio, (quando esercita il suo mandato, come ora fa)
di v^e- nire rejetta, e inimicata dalla
nazione^ e F esercito nostro, quanto
valoroso, fedele^ onesto, e nel quale in
bella armonia si fusero tutti gli elementi fortf della nazione, sia patrizi, sia popolani, se
è tutela delle leggi, dell'ordine, della
integrità della patria , non è una
accolta di pretoriani, e conosce a prova quali sieno i suoi doveri di soldato leale e devoto e
quelli di cittadino. Indi il timore e lo
spauracchio di Cesari possibili in
Italia è affatto chimerico, e non conosce
certo il popolo nostro, né le nostre condizioni civili interno in tutti i loro elementi , chi
paventa di un tale babau, E dico adunque che si dee proporre
legalmente e stabilire una tal forma di
suffragio, senza indugio^ poiché la
libertà lo richiede, la dignità della nazione
lo esige, la prudenza Io consiglia. Le moltitudini eleg- gono, non governano; immenso ' divario ; ed
esse in media secondo tempi, luoghi, e
coadisiom sociali soel- gono' seeipmi
pia opportuni ai bisogni presenti. Io 80
a rn^AA dito tatto quello che poseono rispondere , e obiettAi^é coloro ohe sono di contrario
avviso : e m'in- vitératino ad inchieste
del come si fanno e si fecero le
elezioni' in varie provincie della penisola, sia per brogli, tàsir per persone e mi sopraffaranno
di una quai^tità enorme di fatti , e' di
aneddoti ; ma queste cose^ e questi
riposti archivi! ,li conosciamo: ed è ap-
punto perchè U conosciamo, che invochiamo la ri- forma del voto. Poiché il ragionamento dì
alcuni fra gli awersarii consiste a
dire: il voto, nella guisa che ora si
esercita, è vero, non dà buoni restdtati,
dunque.... Voi* attendete una conclusione necessaria: ohibò! la logica loro è più stupènda: dunque
conser- viamolo! Altri potrebbe opporre : concesso che la
moltitudine, la gt»nde maggioranza delle
nazioni sieno di fatto e sempre
conservatrici, perchè allora prevalsero via via, e vinsero le rivoluzioni , effettuando ad
onta di quel freno costante, mutamenti
radicali nel costume e nelle idee dei
popoli? La ragione e la spiegazione di un
tale fette è ovvia a trovarsi; poiché per una parte le moltitudini, perchè conservatrici, e
lontane e abor- renti per le loro faccende,
dal moto e dall'agitazione delle
minoranze, che vivono in special modo di pen-
sieiV)^ e di abitudini innovatrici, nulla iniziano spon- taneamente, e rimangono estranee agli
influssi delle novelle idee; e
dall'altra non chiamate a manifestare
legalmente i loro sentimenti, non possono arrestare, moderare o piegare il corso degli
avvenimenti, o mo^- dificame i
resultamenti sociali. Le moltitudini vivono
m sciolte y guardando ciascuno
ai propri negozii^ e non possono
congregarsi facilmente in assemblee, in comitati, in conventicole, come è
facile alle minoranze ap- punto perchè
minoranze. Ma una tale inerzia, una tale
paziente annegazione, non rimane senza effetto
col tempo; inquanto se le minoranze si spinsero oltre certi confini morali e civili e vollero
trionfanti prin- cipii che offendono il
sentimento ereditario della mol-
titudine, cadono poi in seguito le loro esagerazioni stesse, non nutrite e sostenute
dall'universale, e solo resta il
progresso possibile, pratico, buono, il quale,
comechè nuovo, pure non perturbando le coscienze e abitudini della maggioranza nazionale, viene
a poco a poco a consustanziarsi con le
medesime: e cosi i po- poli camminano e
vanno perfezionandosi. E che ciò sia
vero, oltre la testimonianza palese di tutte le sto- rie, basta fermarsi a considerare il corso
delle rivo- luzioni moderne di tutti gli
Stati, perchè la realità della dottrina
nostra salti agli occhi ai più miopi. Affine dunque che le moltitudini non per
lunga e sempre faticosa efficacia, come
freni conservativi, operanti spontaneamente e fuori del giure positivo,
riescano immediatamente salutari all'equabile e fruttuoso progresso dei popoli civili, è d'uopo
renderle partecipi della vita pubblica,
chiamandole alla elezione di co- loro
che sono poi i legislatori della nazione, è debbono guidarla alla libertà e ai
beni che essa racchiude^ con ordine e
operosità. Così facendo, con quei tem-
peramenti richiesti dalla moralità e dignità stessa del voto, si otterrà una maggiore attività
politica ; la na- zione non sonnecchierà
mai, né ristagnerà; i partiti che
pervengono al governo dello Stato, nella vicenda continua di nuovi biefogni^
non crìstalUzzeranno^ e ri- poseranno in
una beata e grassa quiete^ ringipvaniti
e stimolati sempre dal voto popolare^ donde tutto nelle democrazie fluisce e sorge ^ e viene
legittimato; si avrà sempre una benefica
remora alle intemperanze delle fazioni,
e quello che più importa , un ostacolo,
e, si radichi bene nella mente , V unico ostacolo all' imperversare
della furibonda demagogia. Io non aspiro
alla divina prerogativa della infallibilità, e
lascio ad altri senza rammarico questa modesta ed umile virtù ; ma per quello che io valgo a
discernere dopo lungo studio e lungo
amore pel pubblico bene, crèdo
fermamente alla efficacia, necessità, utilità delle mie proposte, come sono certo che quadrano a
capello con le norme positive di una
scienza sociale, vera- mente degna di
questo nome. ' Tali sono le proposte,
che coscienziosamente e dopo maturo e
scrupoloso esame, e modestia, venni svol-
gendo in questo mio scritto ; tali le riforme che credo indispensabili per la durata, la esplicazione
naturale e la salute delle nostre
istituzioni, e pel decoro e la
prosperità della patria. Certamente non si possono tutte e subito attuare , e Roma non fii fatta
in un giorno; ma necessario è che gli
uomini a qualunque partito nazionale
appartengano, proposti al governo della
cosa pubblica, vi si accingano con tenace pro-
posito, e vi aspirino costantemente. Un sentimento di malessere indefinito occasionò la crisi
presente, e la nazione sta raccolta
attendendo che i diversi ordini dello
Stato meglio rispondano all'indole loro e dei
tempi, e si ritemperi a vita più robusta e libera la fibra dei cittadini; e tale è il compito di
coloro che m / ora salirono; è giudicheremo dai fatti se
sono da tanto. Quelli che caddero ^ il
partito cioè che fino ad o^ resse i
destini d' Italia^ operò cèrto molte cose buotie^ e condusse a termine, stimolato però dalla
piÙL viva ' e impaziente parte della
nazione e laicamente eoa;* diuvato da
questa, Tunità territoriale e politica della
patria^ protetto da fortuna propizia e da eventi in- sperati, trasmutanti in vittoria eziandio la
sconfitta; ma a poco a poco, ritirandosi
in sé medesimo e chiuso troppo forse
agli influssi sempre salutari della maggioranza del popolo, si aflSevoll ed
obbliò le origini sue, e la natura
essenzialmente democratica degli Stati
moderni. L'Italia oramai è giunta a quel tem-
peramento civile ehe esclude la violenza e T illegale intromissione di fazioni perturbatrici, ma
vuole ed esige che si avanzi e che si
cammini di pari alle na- zioni più
civili; che gli uomini che la capitaneggiano
si governino con le idee nuove, e si lascino i metodi troppo curialeschi e scolastici nell'
indirizzo della cosa pubblica. Or non è
più tempo, e tra poco lo vedranno anche
i più restii e ostinati, di grette abilità e di pic- coli e scuciti mezzi, giorno per giorno, di
reggere gli Stati ; tutte le questioni
sono larghe e grandi, e non si risolvono
che con intendimenti e principj larghi e
generosi; in ogni vertenza è conflata, a cosi dire, la vita di tutto un popolo, anche per i rapporti
che essa ha o può avere con tutte le
nazioni civili. Iso- larsi, fetcendo i
suoi affari alla guisa di un agente di
fattoria, è impossibile, dannoso e indecoroso; la ne- cessità presente spinge i popoli europa
all'unità mo- rale della razza loro, ed
all'equilibrio econoiiiicO civile e
politico di tutte le membra ; ciò che non importa ima yi^ota cosmopQlitia alla
maniera dei politici mi- stici: m ogoji
inombro e nazione vive della sua vita
particolare; ma in conserto di vincoli si stretti, e una reciprocità di r^oni che costringono tutti ad
avan- z^ure perire ; poiché la selezione
naturale governa anche 1^* vita dei
pppoli. Né valga il dire, come da molti
si ripete^ che il governo è, od era assai più
liberale della na:pione, e quindi ogni spinta o riforma riuscire inutile , o inopportuna; poiché,
oltre essere questo in generale vero per
tutti i governi, in quanto sono al di
sopra del sapere e del civile temperamento
delle moltitudini, suscita spontaneamente questo dilemma: o il governo,
in uno Stato libero, possiede minori
spiriti liberi del popolo, e quindi dee, in virtù della legge fondamentale di un libero Stato,
ritirarsi, perchè violatore moralmente
della medesima; o si confessa più
liberale del paese, e allora piuttosto che
ristarsi e mantenere il grado fisso del valore civile del medesimo, dee spingerlo innanzi e
trasformarlo alla sua immagine; che se
sta, non procacciando di eccitarlo alla
riforma, è indegno dell'alto loco che occupa. Queste teoriche di accomodamenti
pratici non sono più d'uso, e solo
argomentano una profonda imperizia del come si dirigano le società moderne, e
dei doveri effettivi dei governanti.
Sciolto da qualunque legame di disciplina, come di- cesi, di partiti, perchè uomo affatto privato
ed oscuro, e al di sopra di questi, come
debbo essere lo scrittore im- parziale,
non consigliandomi con altre norme che con
quella che io credo il giusto , scevro da qualunque am- bizione personale, né stimolato da ire o
passioni di parte, liberamente dissi ,
comecché sempre con rispetto in olle
persone, ciò che stimava opportuno ed utile, devoto in tutta la mia vita ad una cosa sola, ma
quella grandissima e santa, la verità. Se altri mi provi che io mi ingannai, sarò ancora felice quando il
contrario di ciò che credetti, profitti
alla mia patria. In ogni modo, nel
piccolo giro delle mie facoltà, avrò soddisfatto al- l'obbligo di cittadino ; ciascuno dovendo
servire la pa- tria in quel modo che gli
è concesso. Solo una cosa detesto in
questo ordine di fatti: la petulante vanità
dei neghittosi. Altri saggi:
S^Uo ai ierehi: DELLK CONDIZIONI INTELLETTUALI D.' ITALIA ITm preparmziùHe ì SELLA LEGGE FONDAMENTALE
DELLA INTELLIGENZA ffCL RC6II0 ANIMALC S
t'Udii di Psicologia compartita. Se- ■
rv;.■ft- Tito Vignoli. Vignoli. Keywords: squirrel, squarrel, psicologia
comparata, etologica filosofica, una legge della intelligenza degl’animali –
mito e scienza – mitos e logos – animale, legge, legge della psicologia,
psicologia comparata, etologia comparata, evoluzione. Refs.: The H. P. Grice
Papers, Bancroft MS, Luigi Speranza, “Grice e Vignoli” – “La etologia
filosofica di Grice e Vignoli” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza,
Liguria.
Grice e Vinadio: la ragione conversazionale della
prassi e del valore – filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco
di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Torino). Filosofo italiano. Grice: “Of course, Vinadio is bound
to be a good dialectician, since Italian neo-idealists take Hegel’s Dialektik –
or colloquenza, as the count prefers – much more seriously than the most
Hegelian of Oxonians! (And I don’t mean Bradley!”) -- Grice: “I like Vinadio; but then I’m English
and we like an earl!” – “My favourite of his tracts is the one about dialettica
which he understood just as Plato did, only better!” -- Felice Balbo di
Venadio, conte di Venadio, vide, “Il conte di Vinadio” --. Considerato una delle voci più significative della
filosofia italiana e un intellettuale impegnato in un vasto progetto di ri-fondazione
della filosofia politica nell'immediato secondo dopoguerra. Figlio di Enrico
Balbo di V., naque in via Bogino 8, nel palazzo che e del conte Cesare Balbo,
ministro di casa Savoia. Dopo la laurea, partecipa alla seconda guerra mondiale,
prima come sottufficiale degll’apini, poi come membro della resistenza. Come
consulente d’Einaudi cura una collana di filosofia. Insegna filosofia a Roma. Si
raccolge attorno a lui un gruppo di filosofi per discutere sulla crisi dei
valori nella società e sui modi di superarla mediante l'impegno sociale. Il suo
impegno trova espressione inoltre con i contributi alle riviste “Cultura e
realtà” e “Terza generazione”. Vicino all’organizzazioni della sinistra e al partito
comunista, comprende come il mutamento centrale della società e avvenuto nel
rapporto tra lavoro umano e tecnica. Assunto all'IRI presso il Servizio
problemi del lavoro. Si interessa di formazione del personale. Direttore del
Centro IRI per lo studio delle funzioni direttive aziendali. Saggi: “L'uomo
senza miti”; “Il laboratorio dell'uomo”; “Studi in memoria di SOLARI [vide] dei
discepoli” (Torino, Ramella); “La sfida storica del comunismo al cristianesimo
e le sue conseguenze filosofiche” (Mulino); “Idee per una filosofia dello
sviluppo umano” (Torino, Boringhieri); “Opere” (Torino, Boringhieri)’ “Essere e
progresso”; “Lezioni di etica” (Roma, Lavoro); “Lettere a Ludovica”; Archinto. Boringhieri,
“Per un umanesimo scientifico. Storia di libri, di mio padre e di noi” (Torino,
Einaudi); Cavalieri, “Scienza economica e umanesimo positivo. la critica della
ragione economica” (Milano, Angeli); Tassani, “La Terza Generazione: tra stato
e rivoluzione” (Roma, Lavoro); Tassani, “Lezioni di etica” (Roma, Lavoro); Invitto,
“Una filosofia pragmatica dello sviluppo” (Mulino, Bologna); Invitto, “Di
fronte a fenomenologia ed esistenzialismo” (Salentina, Lecce); Invitto, “Una
questione aperta, "Italia contemporanea", Dizionario storico del
movimento cattolico in Italia: i protagonisti” (Marietti, Torino); Grotti (Boringhieri,
Torino); Grotti, “Un altro futuro è possible” (Egeria); Possenti, “La filosofia
dell'essere” (Vita e Pensiero, Milano); “Tra filosofia e società” (Angeli,
Milano); Invitto, “Il superamento delle ideologie” (Roma, Studium); Ricci, “Cattolici
e marxismo: filosofia e politica” (Milano, Angeli); Dal marxismo ad economia umana”
(Brescia, Morcelliana); “La prassi e il valore: la filosofia dell'essere” (Roma,
Aracne); “Il cristianesimo nella sfida della “modernità” su storia e futuro” --
Dizionario biografico degl’italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,
Filosofi italiani del XX secolo Insegnanti italiani Professore. IOVANNI
INVITTO Le idee di V. Una filosofia pragmatica dello sviluppo IL
MULINO L'istanza manageriale L'uscita dal PCI non determina l'ingresso di
Balbo in schieramenti alternativi, ma lo porta ad assumere una azione di
fiancheggiamento, di « compagno di strada » per alcune forze interne allo
schieramento cattolico, in chiara antitesi alla linea degasperiana 1. Nel '51 è
Dossetti ad avvicinarsi a Balbo e a subire la sua in fluenza e nel senso della
visione della « catastrofe » del sistema e nel rifiuto delle tesi maritainiane,
fino ad allora costante ideologica degli intellettuali cattolici di sinistra 2.
L'accostamento Dos- setti-Balbo è stato importante in quanto, nel momento della
dissoluzione del gruppo dossettiano, il suo leader, ma solo per una breve
stagione, ha pensato di poter avere nel pensiero balbiano una integrazione
teorica 3. Ben presto t Non ritengo di condividere nella sostanza quanto
afferma Giura Longo. V., invece di Rodano, segui altre strade, giungendo a
farsi ispiratore di un gruppo di intellettuali democristiani, attraverso la
rivista ` Terza generazione ' che ha dato qualche contributo (si pensi ad un
Morlino) sul piano dell'impegno politico dell'attuale gruppo diri- gente democristiano
» (La sinistra cattolica in Italia. Dal dopoguerra al Referendum - Storia
documentaria, a cura di R. Giura Longo, Bari, 1975, p. 31). teli sembra che
sia, piuttosto, un gruppo di intellettuali cat- tolici, anche impegnati nella
D.C., ad interessarsi al pensiero di Balbo (che allora era ad una chiara
svolta) ed a tentare di annetterlo e di mu- tuarlo. 2 Cfr. G. Baget-Bozzo. Nel
convegno di Merano (agosto 1951) dei giovani democristiani, la mediazione del
pen- siero di Balbo, portata da Baget-Bozzo, « consenti di ristabilire alla
diri- genza giovanile DC quell'unità di linguaggio che lo scioglimento del
dossettismo aveva posto in crisi. La presenza in politica dei cattolici ` in
quanto tali ' era giustificata dal fatto che la Chiesa aveva conservato la filosofia
perenne e, quindi, il principio della ripresa culturale e civile ». Si ebbe,
cosí, il superamento del maritainismo portato da Lazzati (Ibidem, p. 369). 3 Se
« Cronache Sociali » si era interessata a Balbo (cfr. A. Romanò, op. cit.; S.
Lombardini scrive che Dossetti « personalmente ancora nel 1945 ebbe occasione
di esprimere [a Padre Stefano Bianchi] simpatie per la sinistra cristiana » op.
cit., p. 37) anche i cattolici-comunisti si erano 139 Dalla rivoluzione
alla collaborazione inventiva Dossetti si accorge che il tentativo di filtrare
i suoi motivi attraverso quelli balbiani non può avvenire per una na-
interessati alla rivista di Dossetti (dr. P. Pombeni, Le « Cronache So- ciali »
di Dossetti, cit., pp. 161, 225, 231). Anzi possiamo dire che, soprattutto con
La Pira, c'erano stati accostamenti già dal '38 (A. Os- sicini, a nome del
gruppo Roma-Sud di Azione Cattolica, aveva eviden- ziato a La Pira « l'urgenza
di un impegno diretto nell'azione politica, e La Pira ammise che questo era
necessario, anche se le forme di esso era difficile prevederle e prospettarle.
Rispose esplicitamente: ` Fate; comunque, qualcosa uscirà ' »; A. Cuccchiari,
op. cit., pp. 25-26). Il fu- turo sindaco di Firenze prenderà le distanze «
ideologiche » necessarie, criticando i cattolici-comunisti, perché, secondo
lui, il materialismo dia- lettico è « causa » del materialismo storico: « Ora
l'effetto non è mai separabile dalla causa » (G. La Pira, Premesse della
politica, Firenze, 1945, pp. 62-63; riportato da L. Fiorillo, Il fondamenti
teorici dell'im- pegno politico di Giorgio La Pira (1926- 1945), in Novecento
minore, cit., p. 209). Anche su « Cultura e realtà » era stato un dibattito sul
dossettismo, attraverso un intervento di F. Rodano (l'articolo, Laicismo e
Azione cattolica in Italia, n. 2, luglio-agosto 1950, era però firmato da Nino
N o- vacco) e una risposta di Baget-Bonzo (cfr. G. Baget-Bozzo, op. cit., p.
364). Secondo Possenti la diversità fra V. e Dossetti è costituita dal fatto
che, mentre il torinese « manteneva aperta la possibilità di una azione civile
sulla base di una cultura rinnovata », Dossetti si stava volgendo verso la tesi
della estraneità del cristiano al civile e verso una visione « panmonastica »
(op. cit., p. 216). Mi sembra, invece, che anche la concezione di Dossetti
monaco recuperi il civile in una sfera più alta. Infine, ricordo a titolo di
testimonianza che Giuseppe Dossetti, in uno scambio di battute avute con me a
Bologna il 5 febbraio 1978, mi diceva che a V. era stato legato da profondo affetto
e che V. « era stato molto importante in un certo periodo de lla sua vita ».
Ciò non toglie la differenza di temperamento, di cultura, di problematica tra i
due; differenze che sembrano determinanti a chi ha avuto lunga consuetudine con
entrambi (mi riferisco a quanto mi dicevano Mar- cella e Giuseppe Glisenti). 4
Due storici della sinistra cattolica italiana, pur partendo da pre- supposti
storiografici diversissimi, hanno notato che l'accostamento fra Dossetti e
Balbo (che avrebbero avuto come comune « preoccupazione apologetica » quella di
inserire la Chiesa fra le masse operaie, anche se proponendo vie alternative;
cfr. L. Bedeschi, La sinistra cristiana ecc.) non è casuale nelle motivazioni,
né nel tempo in cui é avvenuto. Scrive Campanini: « Nel 1951, infatti, sembra
consu- marsi l'illusione, comune e insieme diversa, di Balbo e di Dossetti. La
prima, quella di condizionare dall'interno il partito comunista italia- no e di
potere operare in esso come cattolici; la seconda, quella di con- dizionare dall'interno
la Democrazia Cristiana e di spostarla nel suo com- plesso a sinistra. L'uscita
di Balbo dal PC e di Dossetti dalla DC appaiono cosí in un certo senso il segno
emblematico de lla conclusione di questa vi- cenda » (G. Campanini, Fede e
politica, cit., pp. 14-15). Lo stesso Campanini ricorda che nel '51 (al
congresso dell'UCIIM tenuto a Camaldoli nel-140 tura diversa dei due
pensieri: da una parte Balbo ribadisce il primato della tecnica filosofica,
dall'altra Dossetti è fer- mo al primato della prassi, mistica o politica 5.In
questa forma di gramscismo balbiano (gli intellet- tuali forza trainante nella
prassi politica) è da ritrovare una chiara eredità della « corrente Politecnico
», relativa al con- cetto di « eccedenza » della cultura sulla politica 6.
All'in- terno della cultura cattolica la posizione di Balbo era di assoluta
novità non tanto perché si contrapponeva ai due integralismi in auge: quello di
destra geddiano, quello di sinistra, dossettiano, come è stato molto «
schematicamen- te » definito '. La novità è costituita da lla pregnanza
filo-l'agosto), Dossetti svolse una relazione che « si può considerare il suo
testamento politico ». In essa, parlò del fascismo come « autobiografia della
nazione » e « sbocco inevitabile del liberalismo », evidenziando l'accostamento
ad alcune tesi portate avanti in quegli stessi anni da Felice Balbo » (Ibidem,
p. 90).Da testimonianze indirette, si sa che l'ultimo Dossetti, per intender-
ci il.monaco che vive a Gerico, insiste nelle sue prediche sulla situazione di
« catastrofe » della civiltà occidentale. Anche questo concetto, tipica- mente
balbiano, può essere stato acquisito da Dossetti nel periodo del loro
avvicinamento. È utile aggiungere, però, che già nel gruppo dos- settiano era
presente il tema dell'« apocalittica dell'ora decisiva » (che P. Pombeni
riconduce a un clima generale nell'Europa post-bellica; cfr. Il « dossettismo
», cit., p. 131).5 Il tentativo di Dossetti avvenne nell'agosto del '52. Sul
fallimento di questa mossa, scrive Baget-Bozzo: « Probabilmente le tesi di V.
gli [a Dossetti] apparvero troppo esclusivamente filosofiche ed intellettua-
li: una causalità assoluta e primaria della filosofia sullo sviluppo storico
non era facile da accettarsi per una persona cosí legata alla concretezza
dell'agire » (Op. cit., p. 356).6 Aveva scritto vittorini a Togliatti che la
cultura che si adegua alle masse è politica, ed è cultura quella che si impegna
nella ricerca: « Ma se tutta la cultura diventa politica, e si ferma su tutta
la linea, e non vi è pii ricerca da nessuna parte, addio » (Politica e cultura,
cit.).7 L'accusa di « integralismo » di sinistra a Dossetti è di A. Del Noce
(Genesi e significato ecc., cit., p. 458) ed è confutata da G. Baget-Bozzo con
argomenti definitivi (op. cit., pp. 361-62). Anche Pombeni prende chiara
posizione contro l'ipotetico integralismo di Dossetti, aggiungendo che quasi
sempre il termine si usa in maniera imprecisa e generica (Il « dossettismo »,
cit., pp. 128-29). A proposito del termine « integra- lismo », spesso usato phi
per evitare un giudizio che non per esprimer- lo in concreto, mi viene in mente
ciò che Bobbio ha scritto sul termine « borghese » e sul suo uso: « Oggi si
chiama da alcuni ` borghese ' tutto quello che si vuol respingere. ` Borghese'
ha soltanto piú un significato negativo, è un segno ` non ' posto di fronte a
un qualunque sostantivo, e quindi privo totalmente di contenuto » (N. Bobbio,
Politica e cultura, Torino. L'istanza manageriale141 Dalla rivoluzione
alla collaborazione inventivasofica della proposta di V., che non si limita ad
ope- rare all'interno delle masse cattoliche organizzate, ma, de- lineando un
profilo della crisi umana del Novecento, ripro- pone un ribaltamento anzitutto
del progetto filosofico, co- me ritorno al senso comune e, quindi, l'opzione
per una via pragmatica ed anti-utopica allo sviluppo.In questa rifondazione
filosofica ci si è chiesto quale sia stata la prospettiva dominante: se quella
di Maritain o quella di Mounier. Del Noce dice che la sinistra cristia- na dimostra
la sua simpatia prima per Maritain, poi per Teilhard de Chardin, ma aggiunge
che il vero iniziatore della sinistra cristiana è stato Mounier (che sta a
Mari- tain, come Gobetti sta a Croce) s. Ora bisogna dire che per Del Noce,
Mounier è di molto inferiore a Maritain, e V. avrebbe di fatto incoraggiato la
diffusione del suo pensiero in Italia 9. Questo è vero solo in parte in quanto
il pensiero di Mounier, assolutamente assente dagli scritti di Balbo, è invece
reperibile in esperienze culturali diverse sin dal '46, da « Il Politecnico » a
« Cronache sociali » 10.Comunque l'accostamento alla cattolicità ufficiale vede
da parte di questa un tentativo di « catturare » V. e di aiutarlo
finanziariamente per un programma di elabo- razione di una « scienza dello
sviluppo » 1. Il programma, che impegnerà Balbo fino al '54, sarà basato su un
gruppo di ricercatori di filosofia e di scienze sociali 1`. La suddi-8 Cfr. A.
Del Noce, Pensiero cristiano e comunismo ecc., cit., p. 976.9 « L'interesse
[fu] portato sul tanto inferiore Mounier, in cui tut- to c`, veramente
esplicito, senza germe alcuno che abbia bisogno di ma- turare; col che non
intendo dire che Balbo abbia incoraggiato volontariamente la fortuna italiana
di Mounier, ma che contribuí, per l'abban- dono dell'aspetto
filosofico-politico del pensiero di Maritain, allo spo- stamento di interesse
verso la sua opera » (A. Del Noce, Genesi e signi- ficato ecc., cit., p.
483).10 Su « Il Politecnico » (n. 31-32, luglio-agosto 1946, pp. 7-8) appare un
articolo di E. Mounier, Agonia del Cristianesimo (il termine « ago- nia » è
preso da M. de Unamuno), con presentazione di F. Fortini (Fr. F.). Su «
Cronache Sociali » nel '49 (n. 10) c'è una intervista a Mou- nier; nel 1951
appaiono due articoli di P. Scoppola, uno sul filosofo francese (n. 6) ed uno
su « Esprit » (n. 9). Questa linea si affianca a quella maritainiana di
Lazzati.11 C. Leonarcli dice che tramite per il finanziamento fu L. Gedda La
suddivisione fatta da V. era in cinque settori che corrispon- 142 visione rappresenta
i settori nei quali la crisi è avvenuta in maniera globale, e attraverso i
quali una ripresa « ri- voluzionaria » può avvenire. Non è, però, assolutamente
il caso di gonfiare l'espediente dei gruppi (che era piú una metodologia) a
sistema. Il pensiero, l'impegno di V. negli anni '51-'54 non si risolvono nei «
quintetti ». La crisi è per lui caduta di un rapporto di funzioni nel- l'ambito
del sistema sociale globale: il sistema teoretico deve svolgere funzione di
rinnovamento, il sistema etico ha funzione di sviluppo, quello economico la
funzione di innovazione, quello politico la funzione di movimento, í1 sistema
giuridico-statuale la funzione di conservazione 13. Sulla base di questi schemi
ideali (che qualcuno definirà utopici) si svilupperà una nuova
iniziativa-esperienza-ten- tativo cui partecipa V.: « Terza generazione ». Il
grup- po balbiano cerca di conservare una « propria rilevanza pubblica »
inserendosi nell'ideazione di questa rivista men- sile 14. Si è parlato molto,
ma si è scritto un po' di meno su « Terza generazione ». Anzitutto c'è da definire
il rapporto con il degasperismo nell'indirizzo della rivista. Sappiamo già come
il distacco tra Balbo e il PCI non colmi la diffidenza e il rifiuto di Balbo
nei confronti de lle tesi degasperiane. D'altra parte è appurato l'aiuto finan-
ziario dato da De Gasperi a lla rivista, ma meno noto è il disinteresse pratico
dello statista per « Terza genera- zione » 15. La nascita della rivista non fu
ritenuta underebbero a cinque scienze autonome: diritto, economia, sociologia,
morale e politica. Responsabili dei gruppi erano: C. Napoleoni, M. Motta, G.
Sebregondi, U. Scassellati, N. Novacco (cfr. C. Leonardi, op. cit., pp. 377 e
segg. e le Note biografiche in V., Opere).13 Cfr. G. Baget-Bozzo, op. cit., p.
516. Confrontando lo schema proposto da Leonardi e quello proposto da
Baget-Bozzo, troviamo l'as- similazione tra momento sociologico e momento
teoretico (cfr. C. Leonar- di, op. cit., p. 377).14 Cfr. anche G. Baget-Bozzo Leonardi,
che fu redattore nella rivista nella seconda fase, in una conversazione con chi
scrive, nel novembre 1975, diceva che De Gasperi finanziò la rivista, ma che
probabilmente non l'ha mai letta. L'interesse di De Gasperi per l'iniziativa
era stato sollecitato da padre Delbono (cfr. C. Leonardi, op. cit., p. 398;
l'autore riprende L. Garruccio (pseud. di L. Incisa di Camcrana), La politica
era tuttoL'istanza manageriale143 Dalla rivoluzione collaborazione
inventivafatte r, strutturale » ma una iniziativa « congiunturale », derivata
dalle elezioni dei '53, per lo meno a quanto dice uno dei suoi responsabili ',
ma ebbe ambizioni « struttu- rali » e di rifondazione ideologica. Ciccardini,
nel rico- struirsi le fonti, integra le nutrici balbiane de « Il Poli- tecnico
» con alcuni autori cattolici i-`, ma riafferma la congiuntura catastrofica
della realtà 's. Balbo, nell'unico suo scritto sulla rivista, puntualizza il
senso della crisi come crisi del modello di autosufficienza dell'individuo che
andava dalla Grecia a Mara ', e il riconoscimento del fallimento di tutta la
storia 0. La via che Balbo e « Terza generazione » cercano di perseguire e però
una via asso- lutamente nuova rispetto a quelle tentate da lle altre
forzepolitiche, culturali, economiche: la proposta di una diver- sa classe
manageriale.La nuova dirigenza, scrive Balbo a Ciccardini, deve reggersi sul
piano dell'invenzione e non su quello dello sfruttamento delle doti naturali; «
dirigenze sociali » di nuovo tipo faranno salvi gli indici intellettuali ,
morali e tecnici dell'intera soviet ì 2t. La dirigenza sociale proposta(Cronache
della generazione del '45), in « L'Europa », VII, 1973, n. 8-9, p. 90).to Cfr.
C. Lelnardi, op. cit., p. 37S.17 « Eleggemmo a nostri maestri Maritain e
Ferrero, Mounier, Dor- so, Sturzo, Giobetti e Gramsci «: Ciccardini, L.:
politica: era tutto, in « Terza generazione », num. di presentazione, agosto
1953, pp. 1-3. Balbo aveva scritto: « Dobbiamo rifarci essenzialmente ai nomi
di Go- betti e di Dorso e di Gramsci » (Cultura antifascista, cit., p. 14).is «
Se non appare unsi soluzione. 1a nostri so ìer ì si :ivvi:i :alla disgregazione
ed alla catastrofe » (B. Ci ecirdini, op. cit., p. 3).t^ Cfr. F. Balbo, Le
soluzioni stanno ogi davanti a noi, in « Terza ge- nerazione », num. di
presentazione, agosto 1953; ora in Opere. pp. 533-42, il concetto richiamato è
a p.p. S36.20 V. scrivcral in seguito: «Comprendendo la verit:t di Mari si
viene a riconoscere la fine dell'epoca moderna e il fallimento di tutta la
storia fino ad oggi se non si origini uno nuovi storta a livello supe- riore »;
in Per la rilevazione e l,: critica delle: scoperta essenziale d MMfart, in
Studi in memoria di G. Solari, Torino, 1974, pp. 375-9t; orsin Opere, pp.
318-31; il passo cit. ` a p. 330.21 Cfr. Le soluzioni stanno oggi davanti a
noi, cit., p. 541. Questi originale identificazione trai imprenditore cd
intellettualeun° degli spunti pití interessanti della proposta bailbiana.
intatti, an- che questo il periodo in cui Balbo tentava a Torino il « Centro dì
rela- zionc » c sperimentava in Irpinia. assieme ad altri ricercatori, tipi cui
Achille Ardigò, un nuovo modo di impostare l'iniziativa agri olai.
Quel144 da V. è qualcosa di diverso dall'operatore privato e
dall'operatore pubblico, in tal senso è qualcosa di pii dell'imprenditore di
tipo gobettiano, che è sempre l'ope- ratore privato anche . se aperto all'uso
sociale dei suoi beni 2. Ciò che sollecita questa proposta ultimativa è, ancora
una volta, la coscienza di una « crisi finale » del sistema storico-sociale
dominante, cioè quello illuministico- democratico o individualistico che ha
incluso e raggiunto ogni altro sistema. E come sistema individualistico, Balbo
pone anche quello comunista per la sua « originaria e íne- liminabile
ispirazione anarchica » 23. In questo senso, « Ter-za generazione » nasce dal
crollo della generazione prece- dente, quella resistenziale e antifascista. C'è
l'illusione nei giovani redattori de lla rivista di superare la genera- zione
che « aveva dato vita al Politecnico a Cronache So- ciali ad Iniziativa
Socialista » 2'. Invece, per certi versi, esiste una palese continuità tra
questi fatti culturali e, ad- dirittura, alcune impostazioni redazionali di «
Terza ge- nerazione » ricordano esplicitamente la rivista vittorinia- na.
L'ambiguità unanimistica del nuovo tentativo è chia-periodo é ricordato come
quello dei « pomodori ».Tutto ciò ci dice la fondatezza delle motivazioni di
chi ha respintoun appiattimento teoreticistico del pensiero balbiano (P.
Pratesi, Lafilosofia di F. Balbo, in « L'Avvenire d'Italia », 22-XI-1966,
contro l'in-terpretazione di Del Noce).È anche questo il caso di Penati che,
però, critica il ridimensiona-mento balbiano della teoresi (cfr. Penati, rec.
Idee, in « Rivista di Fil. neoscolastica Gobetti parla di imprenditori nuovi («
i soli che abbiano diritto a chiamarsi borghesi nel senso economico della
parola ») all'interno di un sistema capitalistico del quale però sia possibile
un esito socialista (« Il socialismo è conquista da parte del proletariato di
una relativa indispensabile autonomia economica e l'aspirazione delle masse ad
af- fermarsi nella storia [...]. Anche il nostro liberalismo è socialista se si
accetta il bilancio del marxismo e del socialismo da noi offerto pii volte.
Basta che si accetti il principio che tutte le libertà sono solidali »). I
brani sono presi, rispettivamente, da Storia dei comunisti torinesi scritta da
un liberale, in « La Rivoluzione Liberale », I, n. 7, 2 aprile 1922, pp. 24-26;
ora in P. Gobetti, Scritti politici, cit., p. 279; e da Liberali- smo
socialista, in « La Rivoluzione Liberale », III, n. 29, 15 luglio 1924, p. 114,
nota non firmata a un articolo di C. Rosselli; ora in Scritti poli- tici, cit.,
p. 761. Sull'ultimo brano, v. pure L. Valiani, Gobetti, uno dei nostri, in «
L'Espresso », XXII, n. 7, 15 febbraio 1976, p. 112.23 Le soluzioni stanno oggi
davanti a noi, cit., p. 356. u B. Ciccardini, op. cit., p. 2.L'istanza
manageriale145 Dalla rivoluzione alla collaborazione inventivaramente enunciato
da Leonardi quando parla di richiami per la sinistra e per la destra (per la
prima era determi- nante il carattere « utopico » della proposta di V., per la
seconda il superamento di fascismo e antifascismoriba- dito da Scassellati) 25.
Naturalmente la critica successiva ha privilegiato una categoria o l'altra 26.
Comunque non do- vrebbe esser messa più in discussione la « leadersbip » di
Balbo sul gruppo 27, anche se si tratta di un primato p1625 Cfr. Leonardi, op.
cit., p. 378. Alla discussione intorno alla ipotesi di una sostanziale utopia
del pensiero balbiano è dedicato il quinto capitolo di questa seconda parte.26
Leonardi ci presenta la storia delle interpretazioni di «Terza generazione»
come« fatto» di destra. Ricorda gli articoli di «Panora- ma» (Cinque per
cinque, X, n. 298, 30 dicembre 1971, pp. 68·73; J profeti armati, XI, n. 299,
13 gennaio 1972, pp. 48-54) dove si parla del gruppo di «Terza generazione»
come di un gruppo che stava prepa- rando una «svolta totalitaria di destra in
Italia ». Ricorda pure un ar- ticolo su «Astrolabio », a cui risponde A. Paci,
con la lettera Un disce- polo di Balbo, ioi, 15 febbraio 1972, pp. 9-10. Anche
F. Parri rispose su « Astrolabio ». Se «Lotta Continua» ha definito Balbo «un
cretino» (iI 16 dicembre 1971; cfr. C. Leonardi), Giura Longa ba visto nella
rivista «inquinamenti di carattere reazionario»Giura Longo, op. cit., p. 73).
Pregiudizi partitici? Autosuggestioni? di si, se un intellettuale come N.
Bobbio ha parlato di «Terza generazione» come «di un gruppo avanzato che ha gli
occhi sulle cose del nostro paese » (Cultura ueccbia e politica nuova, in «II
Mulino », IV, 1955, n. 45; ora in Bobbio, Politica e cultura, p. 205). un
giornalista-scrittore, che ha la destra politica ineccess,ivJ 'lU!]'alla, ha
scritto di V.:« in Francia o in o anche income un rivoluzionario culturale in
sensoNonscrittodoveconosce(G.F.in alcunesociali e dice che le Einaudi).ifosse
vissuto, poniamo, sarebbe oggi riconosciuto un paese cattolico. odierno che
Balbo non abbia affrontato: chiunque abbiaultimi trent'anni, pertra la società
politica, se non ri- o improvvisa» fa cadere l'autore i cattolici comunisti con
i cristiano- di V. sono state pubblicate dastoriche:27 È sempre Leonardi a
riportare la criticap. 366). Lo stesso Ciugni, che dala prospettiva umanistica
che costituiscebalbiano (Giugnì dice che deveduttivo «ma l'iniziativaun ordine
capace di garantiresioni »; in J m i t i in cui abbiamone », num. di present.,
cit., p. Il). Inè presentata in maniera piti scopertaper l'organizzazione della
cultura, in « Terza generazione », I, n. 2, no-146delpunto (op. cit.,
socialista, assume nodale del discorso non solo il lavoro pro- I'invcnzione
creativa [ ...] umana in tutte le sue dimen- ii Terza generazio-l'Ipotesi
balbiana immediata (cfr A. Paci, Appunti di fatto, che non per decisione
esplicita,L'ipotesi chiave è la situazione di «zero alla partenza », a cui
esser fedeli senza guardare il passato, sicuri che non tutto è politica, come
afferma Balbo 28, e come di- ce Cìccardini nell'editoriale di presentazione 29,
Ma la si- tuazione di « zero alla partenza» e il rifiuto del totus po- liticus
erano già de « Il Politecnico », sulla linea, anche in ciò, di un involontario
crocianesimo 30,La rivista entra, però, in serie contraddizioni. La esperienza
di Scassellati alla direzione mette in crisi lo stesso Balbo perché, secondo
Leonardi, aveva dimostrato il carattere utopico di fondo del suo pensiero «che
era in grado di mobilitare delle forze, ma non di soddisfar- le» 31, Con
l'avvento della linea di Claudio Leonardi, ab- biamo una ulteriore
contraddizione «formale ed espli- cita» con lo schema balbiano, in quanto il
neo responsa- bile privilegia il momento morale, rispetto alle altre tec- niche
32, Se Balbo non accetta la posizione politica divernbre 1952, pp. 33-34).Chi,
tra gli altri, ha sostenuto la tesi della egemonia culturale diBalbo su «Terza
generazione» è stata la Buongiorno Veroi che affer- ma essere stato V. il «vero
animatore» della rivista (cfr. T. Buongiorno Veroi, «Terza generazione », in
«Il Veltro », La stessa fa dipendere la fine della rivista da una autonoma
decisione di Balbo, dopo una riunione ristretta in cui il filosofo avreb- be
fatto l'autocritica per l'errore pelagiano in cui si era caduti (p. 683).28
Cfr. Le soluzioni stanno oggi davanti a noi, Ciccardini, op. cit., tra l'altro
dice: «Ma nel '45 [...] la poli- tica era tutto: morale e rivoluzione, speranze
e novità d'esperienze, con- servazione e poesia. Era un fatto molto vitale in
cui ciascuno cercava la sua parte e vi si trovava a suo agio ».30 La polemica
di Vittorini con Togliatti era basata, come si è già ricordato, sul rifiuto di
una concezione della cultura come realtà totale. Poco prima della polemica in
questione, Croce aveva scritto a Togliatti: «lo ripugno a diventare toius
politicus come (e non la invidio perché talvolta penso che debba soffrirne) è
Lei in ogni Suo gesto e parola» (la lettera è pubblicata in «Rinascita» Garin,
nel commentare il brano, aggiunge che, però, Croce fu semper politicus (cfr.
Intellettuali italiani del XIX secolo, cit., p. 66).31 C. Leonardi. È dunque il
fatto stesso di porci il problema dello sviluppo che ci obbliga immediatamente
a porre il problema della moralità »; C. Leonardi, La questione prcgiudiziale,
in «Terza generazione » Dalla rivoluzione alla collaborazione
inventivaScassellati, non accetta neanche quella di Baget o di nardi, che vede
legati a prospettive integralistiche 33. Cosi muore questo tentativo culturale,
lasciando però, anche qui, qualche eredità balbiana 34.L'uomo cerca una sua
collocazione precisa, degli stru- menti adeguati alla realizzazione delle sue
intuizioni spe- culative, un modo nuovo di essere intellettuale, o meglio, di
essere un filosofo non intellettuale. Il 1956 presenta, su questa linea, due
avvenimenti-svolta nell'esistenza di Balbo: gli ultimi significativi fatti che,
rappresentando dei momenti di professionalità, sono anche due nuovi modi di
dimostrare una nuova figura di filosofo. Mi riferisco alla assunzione di Balbo
presso l'IRI, per il settore « Problemi del lavoro» e all'incarico di Filosofia
Morale avuto al Magistero di Roma. Comincia cosi a lavorare come « l'al- tra
gente» 35. Se l'insegnamento universitario gli permet-33 « P e r il filosofo
torinese, infatti, la dimensione ecclesiale era una condizione personale del
ricercatore, che non poteva mai intervenire direttamente nel discorso storico
»; Baget-Bozzo, op. cit., p. 531.34 Se l'inizio di «Terza generazione» era
stato possibile anche gra- zie al sostegno economico di De Gasperi, la fine
della rivista si ebbe un mese dopo la morte dello statista (con il n. 12, del
settembre 1954). Ma neanche qui esiste un rapporto di causalità fra i due
fatti. La rivista fu chiusa dopo varie riunioni indette da Balbo e dal suo
gruppo «rivo- luzionario» (cfr. Leonardi, «Terza generazione» ecc., cit., p.
433); il filosofo torinese accusò il gruppo redazionale di eresia «
semi-pelagia- na » (con un termine dossettiano); Lconardi, invece, vede nel
falli- mento della rivista il limite dell'esperienza pluri-idcologica di V.; la
velleità di partire «da zero» ingenerava componenti «moralistiche e
attivistiche [Leonardi intuisce, senza il nucleo pragmatico del pensiero di
Balbo?], e dunque nuove » (Ibidem, pp. 432-33).Una eredità di questa esperienza
rimane anche in Baget-Bozzo, che in essa rappresentava di fatto l'alternativa
teorica all'impostazione di V.. Dice il teologo genovese che nel periodo della
rivista « L'Ordine civile» egli risente delle posizioni culturali che lo hanno
in- fluenzato: il dossettisrno, «Terza generazione» V.(« la no- zione della
crisi della civiltà e della necessità di nuove forme di pensiero e di azione
autonome dallo Stato come condizione per la stessa ripresa dell'azione dello
Stato »; G. Baget-Bozzo, I l partito cristiano e l'apertura a sinistra - La DC
di Fanfani e di Moro .19.54/1962, Firenze Scrive Ginzburg: «V. andò a vivere a
Roma, e lasciò la casa editrice. Poi annaspò per anni fra progetti assurdi ed
errori. Infine ebbe un vero lavoro. Imparò a lavorare come l'altra gente» te di
approfondire alcune tematiche interne ai suoi inte- ressi etico-politici36,
l'impegno all'IRI, accettato per ne- cessità 37, lo porta a non considerarsi un
intellettuale in senso classico in quanto rifiuta, come nota Baget, un com-
pito legato solo alla parola, che è strumento di mistifica- zione 38,Nel
frattempo il suo discorso tende a mettere in luce, ancora una volta, sotto
prospettive diverse, la novità di Marx, ma anche i suoi sotismi. La premessa
metodologica che Balbo ritiene indispensabile è riconoscere come im-
prescindibile «necessità teorica e pratica» quella di un « integrale
ricominciamento storico dalla filosofia alle isti- tuzioni » 3 9 , Sempre sulla
linea di un marxismo italiano che privilegia i Manoscritti (vedi Della Volpe)
40, il pen-36 Argomenti dei corsi universitari di Balbo sono quelli della urna-
nizzazione dell'uomo nella moderna civiltà industriale, della proprietà privata
e del bene comune, del problema dell'utopia di K. Mannheim e S. Weil, il
problema del diritto naturale in L. Strauss, la crisi dei valo- ri in M.
Scheler (cfr. Note biografiche). Il metodo d'insegnamento seguito da Balbo consisteva
nel prendere spunto da fatti realmente accaduti e da questi risalire a
considerazioni teoriche.37 Il dover lavorare alle dipendenze dello Stato non fu
una scelta di comodo per Balbo, ma, come testimoniano le persone a lui più
vicine, gli fu imposto dalla necessità di «dover vivere» (problema che prima
non si era mai posto in termini concreti). Pertanto ci sembrano OlLllJLLUX:, su
tale argomento, le critiche « teoreticistiche » di Lconardi a intoppo
esistenziale del filosofo (« Il sistema obiettivamente mo- ralmente più forte
[00']' Ci pare che la presenza di Balbo nell'Llc.L, che iniziò poco dopo, come
la sua ultima produzione siano lemeno significative della sua attività, e
rappresentinovistoso del suo limite laicistico »; «Terza generazione » ecc").
Più aderente alla realtà, nei suoi toni l'intuizionechi afferma che Balbo
«spari nel gorgo, e diversi anni pni tardi morf, ingoiato da una professione di
prestigio certote accettato con la rassegnazione implicita in casi» (G.F,op,
cit.). Mi piace ripetere ora una affermazione di Pombeni: «l~ malsano tentare
interpretazioni del dossetìisrno traendo spunto dalle tuali vicende dei suoi
personaggi» (Il «dossettismo» ecc., cit., p. 118), È un invito a non mescolare
le carte e i piani del discorso ed è premessa indispensabile per ogni
metodologia corretta,38 Cfr. G. Baget-Bozzo, Il partito cristiano al potere,
Per la rilevazione e la critica ecc., cit., p. 330,40 Cfr. su'questo tema G.
Duso, Il nodo Hegel-Marx nel dibattitodel '48, in Gli intellettuali in trincea,
cit., pp. 101-06.Pavese ci parla di «orrore» di Balbo e del gruppo romano,
quandoin una riunione della Einaudi, egli aveva proposto la pubblicazione
delL'istanza manaueriaie149 Dalla rivoluzione alla collaborazione
inventivasatore torinese coglie la verità filosofica fondamentale del
marxismo-leninismo nel vedere come le idee, i comporta- menti e le
manifestazioni dell'uomo, in quanto prodotti,41.Mediando certi temi del
marxismo con le istanze della43,Il limite del marxismo, limite teorico-pratico,
è indi- viduabile nel concetto di sintesi, come fine o soppressione semplice
della proprietà privata. In questo modo non si arriva, secondo Balbo, al
superamento ma alla disgregazio- ne; un reale processo dialettico non dovrebbe
comportare una oppressione positiva della proprietà privata, ma una forma
superiore del sistema di appropriazione, « deve es- sere la nascita di
istituzioni superanti (ossia superiori si- stematicamente) il nostro attuale
sistema istituzionale » 45.Capitale, « estravagante », in una collana assieme
alla Bibbia e a Mille Volevano linciarmi » (lettera a G. Einaudi del 7 settem-
eunanote:«bre 1945, in Lettere, cit., pp. 499-500).41 Cfr. Per la rilevazione e
la critica ecc., cit., p. 319. Balbo affermache la contraddizione del marxismo
è stata centrata da Della Volpe, Del Noce e Löwith (Ibidem, p. 318 e n.).
Aggiunge che si rimane nell'apolo- gia del marxismo anche in casi di «
altissimo livello culturale », come in Gramsci e Lukàcs (Ibidem, p. 319). É
evidente che V. sta rivedendo il suo giudizio su Gramsci.42 « La forza-lavoro o
pratica attività sensibile è indubbiamente il presupposto reale attivo (causa
efficiente) della produzione come tale cosí come la natura ne è il presupposto
reale passivo (causa materiale). Ma altrettanto indubbiamente non sono e non
possono essere i presup- posti reali di ogni ` modo particolare ' della
produzione » , escludendo cosí la peculiarità dell'uomo, cioè la produzione
razionale come specifica (Ibidem, p. 323). Si ricorda su ciò una polemica con
Rodano.43 Balbo sarebbe, invece, piú vicino alla visione dell'antropologia
culturale, secondo la quale ogni forma storico-culturale è un prodotto umano.
Cfr. S. Moravia, La ragione nascosta ecc., cit., pp. 327-37.44 Per la
rilevazione e la critica ecc., sottostanno alle leggi della produzioneper Balbo
costituisce il sofisma marxiano è il far coinci- dere ogni forma di produzione
(anche quella razionale) con la attività pratica-sensibile, cadendo nel
materialismo dia- lettico 42.antropologia culturalesuo complesso ciò che
include tutta la storia umana, e ciò che misura la realizzazione della natura
umana: « Dove c'è produzione c'è storia e realizzazione umana, dove non c'è
produzione non c'è storia né realizzazione umana » 44.150Balbo vede nella
produzione nelCiò che, invece, Infatti, l'eliminazione di uno dei termini
dialettici non risolve la contraddizione e rappresenta, invece, elemento di
corruzione della storia esistente, in quanto conserva all'infinito la
contraddizione invece di superarla ` 6. Non si tratta piú di sopprimere
istituzioni, ma di crearne altre nel quadro di una espansione organica totale.
Quindi non si parla di fine dello Stato, ma « della nascita di nuove dirigenze
dello sviluppo continuo della società » (l'istanza manageriale), non di fine
della filosofia nella rivoluzione, ma di definitiva acquisizione della
indispensabilità della47.filosofia come funzione socialequesta fase del suo
pensiero, Balbo ha ormai raggiunto alcune linee abbastanza precise e nei
confronti del marxi- smo (che non si tratta piú di integrare, ma di
correggere), e anche nei confronti di un quadro globale delle istitu- zioni
sociali: riaffermazione della proprietà privata, tra- sferita su un piano di
solidarietà umana non adeguatamente definita, ripresa della proposta
manageriale, corroborata da una nuova figura di filosofo. L'errore essenziale
di Marx sarebbe di aver voluto impostare una problematica48,« aristotelica » (o
realistica) in termini hegelianirore che si accompagna alla verità delle
domande poste da Marx, domande per le quali non esiste ancora, a livello
storico, una filosofia adeguata. Balbo comunque dice che la via per rispondere
esiste ed è l'assumere la posizione filosofica di Aristotele e di san Tommaso
(non la loro filosofia, ma il loro punto di vista sul reale).In sostanza « da
Marx in avanti, resta tutto da fare in teoria e in pratica » 49. Marx,
affossatore e vittima della dialettica hegeliana 50, annulla la dimensione
creativa del-46 Cfr. Ibidem, p. 330.47 Cfr. Ibidem, pp. 329-30.48 Cfr. Ibidem,
p. 322n.49 Ibidem, p. 331.3o Balbo afferma che Marx demistifica la dialettica
hegeliana, manon la rifiuta; perciò il rovesciamento della prassi riduce il
marxismo a « empirismo praticistico collettivistico ». Sotto questo aspetto,
gli ul- timi scritti di Stalin (probabilmente il filosofo si riferisce alle
trad. it. apparsc in quegli anni di Questioni di leninismo, Roma, 1952 e di
Pro- blemi economici del socialismo nell'URSS, Roma, 1953) rappresentereb- bero
« il tentativo di una specie di ' revisionismo pratico ' interno alL'istanza
managerialeCome si può notare, inun er-151 Dalla rivoluzione alla
collaborazione inventival'uomo; anche a certe interpretazioni pii disponibili
per l'uomo non si può dar credito perché non sono conformi alla « norma base »
della verità del sistema S 1. Una ri- presa delle tesi umanistiche non può
avvenire che come ripresa filosofica: una storia priva di filosofia « a livello
storico » è quella storia disumana e catastrofica, dice Bal- bo, che il
marxismo ci ha svelato. Se prima la filosofia ha solo conosciuto o solo mutato
la storia, ora si deve con- temporaneamente conoscerla e mutarla S2.Il filosofo
che deve conoscere e mutare il mondo non è in questo autosufficiente, ma deve
strumentare i suoi interventi attraverso organismi intermedi. Quello su cui la
riflessione e la funzione organizzativa di Balbo si ap- puntano maggiormente è
il « gruppo di lavoro ». Ogni elaborazione specifica è sempre inquadrata in una
visione pití ampia e piú fondata teoricamente. V. afferma che il problema
primario dell'ontogenesi sociale non è quello dello Stato o dell'assetto
giuridico-economico della proprie- tà (come dice Marx), ma è quello della
giusta forma so-ciale dei lavoro, cioè « il trascendimento effettivo del si-
stema sociale da parte della persona, senza evasione », cosa che Marx
addirittura nega, sostanzializzando la real- tà collettiva S3. Alla istanza
etica di recupero dell'uomo va, pertanto, affiancata una tecnica adeguata , al
pari di quan-marxismo e tendente ad impedire, o almeno a ritardare, le conseguenze
ultime, tecnocratico-burocratiche, dell'essere teoretico tipico del marxi- smo
»; (Per la rilevazione e la critica ecc., cit., p. 327).51 V. si riferisce a
Lenin e a Gramsci come elaboratori delle tesi « sull'umanità dell'uomo »
all'interno del marxismo. Cfr. Il piccolo gruppo di lavoro e la sua funzione
nella grande or- ganizzazione, in Termine e concetto di Costume, Atti del II
Convegno- laboratorio del Centro Intern. delle Arti e dei Costume, Venezia,
27-29 settembre 1956 (B rescia, 1957); ripubblicato con alcune varianti in «
Rivista di Organizzazione aziendale », III, n. 4, 1958; ora in F. Balbo, Opere,
pp. 543-64; i concetti citati sono a p. 547. G. Petrilli ha ricor- dato alcuni
passi di Balbo relativi a lla pianificazione e al lavoro come« ritrovamento
dell'ordine » (G. Petrilli, Dal progresso alla crescita, in « Civiltà delle
macchine).St « L'etica senza tecnica adeguata non vive, infatti, nella societ ì
umana. Vive in alcuni momenti della vita degli individui, può risorgere
continuamente e come intenzione pura. Ma, poichi. gli uomini non
sono152 to è avvenuto in America (come fenomeno secondario e non
primario). Infatti 11 vi è stata la scoperta « dell'uma- nità dell'uomo » da
parte della società industriale: è stata una scoperta empirica e sperimentale
della non riducibi- lità dell'uomo a « fattore economico », attraverso nuovi
modi di gestione del lavoro nell'industria S5. In questo orizzonte, ci deve
essere una chiara collaborazione fra me- todo sperimentale e metodo filosofico:
ciò che si ottiene con l'uno, non si ottiene con l'altro, e viceversa 56. Il
pic- colo gruppo di lavoro diventa quindi il risultato di unaconvergenza tra
istanze filosofiche, morali, manageriali: « Il piccolo gruppo umano e in
particolare il piccolo grup- po di lavoro viene considerato oggi dagli
scienziati, tec- nologi ed educatori come una unità sociale primaria, aven- te
realtà, proprietà e caratteri distinti da quelli dei singoli individui, che lo
compongono » S'. Se il tecnicismo può es- sere liberato dai suoi vizi e dai
suoi mali, questo, affermaangeli, non può esistere socialmente senza tecnica
corrispondente e a livello tecnico dell'ambiente. Peggio, l'intenzione etica
retta pub con- giungersi con una porzione di ambiente tecnico opposto e
determinare delle vere e proprie mostruosità sociali di cui la nostra epoca è
ricca » (Ibidem, p. 560).55 Balbo si riferisce all'esperimento di Elton Mayo
alla Western Electric (Ibidem, p. 548). L'esperimento in questione va con il
nome di « Hawthorne », perché ebbe luogo dal 1927 al 1932, negli stabilimenti
Hawthorne della Western Electric C., che si trovano a Cicero, alla peri- feria
di Chicago. La sostanza dell'esperimento consiste nel tentativo di scoprire il
rapporto tra il rendimento dell'operaio e le condizioni « uma- ne » del lavoro.
Il resoconto phi ampio di questo esperimento è nel vol. dei diretti esecutori
F. J. Roethlisberger e W. J. Dickson, Manage- ment and the Worker, Boston,
1934; Cambridge, Mass., 1939. Si leggano pure E. Mayo, The human problems of an industrial
civilization, New York, 1933; una sec. ed. è The social problems of an
industrial civiliza- tion, Boston, 1946. Una
buona esposizione è in J. Madge, Lo sviluppo dei metodi di ricerca empirica in
sociologia, [1962], trad. it., Bologna,19692, pp. 221-83; a p. 279 è una
bibliografia de lla critica alla scuola di Elton Mayo. Sugli stessi temi,
ritornano gli scritti di A. Zaleznik, C. P. Christensen, F. J. Roethisberger,
Motivazioni, produttività e soddi- sfazione nel lavoro, [ 1958], trad. it.,
Bologna, 1964. Per un rifiuto glo- bale delle human relations, e delle «
comunità » di fabbrica come « trap- pola ormai logora », cfr. A. Illuminati,
Lavoro e rivoluzione, Milano,1974; in particolare, dove l'autore vede E. Mayo
inglobato nel taylorismo (p. 29).56 Cfr. 11 piccolo gruppo di lavoro ecc.,
cit., p. 552. S7 l bick,,,, p. 550.L'istanza manageriale153 Dalla
rivoluzione alla collaborazione inventivaBalbo, può avvenire attraverso il
piccolo gruppo di lavoro, diventato generatore delle norme etiche e tecniche della
grande organizzazione, che può soltanto applicarle ".È un po' la critica
allo Stato etico, ribaltata a livello di impresa industriale: a Balbo interessa
tanto la umanità del lavoro, quanto la produttività dello stesso 59, privile-
giando il primo momento rispetto al secondo che, invece, poteva essere pii
presente nell'esperimento di Hawthorne.Quella balbiana è una ricerca di
soluzione all'interno delle strutture malate: si tratta non di modificare il
si- stema, ma di giungere a forme pii umane di lavoro e quindi a una maggiore
produttività. V. sembra essersi rassegnato al sistema capitalistico, non
prospetta alter- native strutturali, ma solo terapie per l'individuo e vede nel
piccolo gruppo la nuova cellula in cui ogni realtà, ogni fatto della vita del
gruppo, ogni elemento del suo lavoro può essere a portata diretta dei sensi,
dell'intelligenza e del fare di ogni singolo componente E 0.In questo quadro si
colloca il riemergere, nel pen- siero di Balbo, delle istanze antropologiche,
il riesame delle possibilità storiche dell'uomo e una definizione ot- timistica
della vita terrena 61. Se si è parlato di pessimismo cristiano è stato per
l'esperienza dello scarto tra la con- dizione umana di peccato .e il
presentimento del possibile essere, mentre il pessimismo pagano è irreversibile
in quanto parte dallo stato di decadenza e dalle perdite de- finitive dell'età
dell'oro 62. II discorso di Balbo sembra rie- cheggiare il clima de « Il
Politecnico », quando nota una« reciproca universale necessità di ogni uomo per
ogni uomo, in quanto in ogni uomo si sostanzia l'essere urna-58 Cfr. Ibidem, p.
559.59 Cfr. Ibidem, p. 557.60 Cfr. Ibidem, p. 552.6t Balbo afferma che la vita
terrena è incoativa, quella ultraterrenaé perfettiva; ma aggiunge che questo
non comporta una concezione « at- tesista » e una svalutazione della vita
terrena (cfr. Il futuro e l'« al di là » - Note di ricerca metafisica
sull'uomo, in « Archivio di Filosofia », Metafisica ed esperienza religiosa,
1956, pp. 235-55; poi in Idee per una filosofia dello sviluppo umano, I1 motivo
dell'io umano « onni-esistenziale » è unodei pii complessi all'interno del
pensiero di V., inquanto ha matrici non bene definite o, al limite, può es-sere
il minimo comune denominatore di fonti diverse,talvolta opposte. « Analizzando la
mia esistenza intendodunque analizzare l'essere umano che è in me come inogni
altro che ha la mia stessa natura » 64: dalle letterepaoline, a Croce e
Gentile, si trova tutto in questa defi-nizione, ma l'ancoraggio è costituito da
una solida filosofia65.ritrovata mediante la ricerca e la dimostrazione
razionale, mentre la nozione religiosa è dogmatica 6. Alla fine non possono,
però, divergere e V. definisce l'uomo come o il poter essere sussistente » dal
punto di vista dinami- co, dell'azione pratica, della produttività 67. Una
ripresa, ancora una volta puramente lessicale, di termini marce- liani troviamo
quando il pensatore torinese enuclea le categorie antropologiche e dice che
l'uomo ha bisogno di essere, di avere e di dare; ma la categoria dell'avere è
quella maggiormente rilevante, per una continuità ed in- tegrazione anche a
livello ontico 63. Direttamente legato I1 riferimento a lla rivista è, in
questo caso, molto mediato. Infatti su « Il Politecnico » (n. 1 del 29
settembre 1945, p. 3) appare il brano di J. Donne, premesso ai romanzo di E.
Hemingway, Per chi suona la campana, [ 1940], trad. it., Milano, 1945 (l'ultima
è del 1977). Sulla rivista di Vittorini è pubblicata la trad. a puntate, a cura
di L. Foà e B. Zevi, con il titolo Per chi suonano le campane. Il brano di J.
Donne è questo: « Nessun uomo è un'Isola in sé compiuta; ogni uomo è un
frammento del Continente, una parte del tutto; se il Mare inghiotte una zolla
di terra, l'Europa ne è diminuita, come se quella zolla fosse un Promontorio, o
la Casa dei tuoi amici o la tua propria; la morte di ogni uomo diminuisce me,
perché io sono parte dell'Umanità. E cosí non mandar mai a chiedere per chi
suonano le campane: suo- nano per te » (trad. de « Il Politecnico »).64 Idee
per una filosofia dello sviluppo umano, cit., p. 400.65 F. Ferrarotti scrive: «
V. passa dall'io trascendentale de lla filo- sofia moderna all'io umano
onni-esistenziale de lla filosofia dell'essere che in assoluta libertà di
spirito, al di là degli schemi consueti del tomismo e della neo-scolastica, si
apprestava ad elaborare: una filosofia come attività » (Op. cit., p. 16).Cfr.
Il futuro e l'« al di la», cit., p. 446.67 L'uomo « ha bisogno di avere per
affermare ed espandere l'esseredell'essereL'antropologia di Balbo, a questo punto,
è critica eL'istanza manageriale155 Dalla rivoluzione alla collaborazione
inventivaa questa categoria antropologica è il lavoro, fatto metafi- sicamente
costitutivo dell'uomo, tanto nella fase terrena « incoativa » quanto nella fase
ultraterrena « perfettiva »; ma del « lavoro » necessario pure nella vita
ultraterrena non possiamo dire niente se non per rivelazione divina 69.
Attraverso il lavoro si attua quella integrazione con gli altri che è sintesi
nuova e non somma di elementi; perciò Balbo dice che questa sintesi nuova è un
dato reale cherende essenziale l'integrazione nella ricerca dell'umanità 70. È
facile riscontrare in queste affermazioni, accanto alla teorizzazione dei
molteplici gruppi costituiti nelle varie esperienze culturali di Balbo, la sua
nuova ipotesi di una filosofia costruibile in gruppo; cosí come, dal punto di
vi- sta manageriale, si può vedere una riproposta del piccologruppo come
cellula nuova dell'organismo industriale da ristrutturare.Alla base di questa
speculazione è oramai chiara- mente individuabile l'impronta di una ontologia «
leggi- bile » in termini aristotelico-tornisti, ma Balbo ricorda che i termini
non glieli suggerisce la tradizione filosofica bensí « la fortissima vergine
evidenza della verità » cui cerca di corrispondere Aveva detto la stessa cosa
san Tom- maso a proposito de lle sue fonti Nell'ammettere un im- porsi della
verità attraverso la evidenza dei principi è ilche è secondo le potenze ad esso
proprie. Ha bisogno di avere per con- tinuare ad essere ciò che è e non morire.
Ha anche bisogno di avere per essere ciò che non è ancora, ma che può essere La
ripresa filosofica di F. Balbo è citata in questo senso anche da C. Napoleoni
(cfr. L'enigma del valore, in « Rinascita », Tommaso aveva pii volte ripetuto
che l'argomento dell'auto- rità è il pii debole (Summa Theol., I, I, a.8; In
VIII Phys., 1.III); che la sapienza non procede « propter auctoritatem
dicentium », bensí « propter rationem dictorum » (Sup. I3oët. de Trinit., p.
II, a.3). Infine aveva scritto: « Studium philosophiae non est ad hoc quod
sciatur quid hornines senserint, sect qualiter se habeat veritas rerum » (In I
De Coelo, 1.22), Erroneamente il Sertillanges (La filosofia di s. Tommaso
d'Aquino,[1910, n.e. 1940] trad. it., Roma, 1957, p. 22) traduce il qualiter
... con « di sapere quello che han detto di vero », inquinando le intenzio- ni
e il testo tomistici che eliminano la mediazione dei filosofi e dicono che
occorre conoscere in che modo si abbia la veritil.156 tomismo di Balbo, o,
come preferisce dire il filosofo del Novecento, il punto dove anche san Tommaso
ha toccato la verità. Quindi tale tomismo consiste, ora, nel tema della
evidenza dei principi primi pratici, « incorruttibile garanzia morale » del
potere dell'uomo sul futuro. Anzi Balbo rilegge la sua prima produzione proprio
sotto il tema della sinderesi 73.Lo sguardo appuntato sulla funzione dell'uomo
di cul- tura ci mostra ancora un Balbo in parte legato all'im- magine
dell'intellettuale che esce da lla Resistenza. Parla, infatti, di un
intellettuale che « non deve appartenere a coloro che decidono, o che muovono
le masse, ma a coloro che propongono, che sollecitano, che ideano e aprono
nuove vie, che portano a verità l'opinione confusa e con- traddittoria, che
scoprono ed enunciano nuovi bisogni, nuovi doveri, che determinano, in una
parola, il primo atto in ogni processo di umanizzazione degli uomini »
74.L'autonomia, o « distinzione » dell'intellettuale nei confronti del
politico, comporta un eroismo di preveg- genza 7S, una priorità di mansioni
(che nello sviluppo della speculazione balbiana si riaccostano sempre piú a
tema- tiche crociane a livello di « autocoscienza ») 76, e rischia di isolarlo
in una casta, quando Balbo parla della neces- sità della vocazione,
aggiungendo, però, che con questo7a Cfr. Il futuro e l'« al di là », cit., p.
470. Nella nota Balbo af- ferma che L'uomo senza miti, «malgrado le
insufficienze e le oscillazioni, verte, in fondo, tutto sulla tematica della
sinderesi ». Come ho già chia- rito prima, non è corretto parlare, a proposito
del primo libro di Balbo, di tomismo, inteso come ripresa diretta di teorie
torniste, quanto piut- tosto di una confluenza teorica tra la visione balbiana
di un ripristino della evidenza e quella tomistica della sinderesi, cui solo
dopo Balbo si avvicinerà chiaramente.74 La funzione dell'intellettuale L'intellettuale,
per Balbo, non deve avere il coraggio fisico delle armi, ma l'eroismo dei
momenti non eroici: « La vedetta ha il suo mo- mento eroico nel resistere al
sonno delI'alba, quando gli altri dormono, e non nel darsi da fare con gli
altri quando la nave è finita tra gli scogli » (Ibidem, p. 568).76 a
Intellettuale [non è uno status sociologico], mi pare, è chi espri- me con la
parola, o manifesta con l'esempio dei valori universali nel tno- mento storico,
e cioè chi produce l'autocoscienza storica del suo tempo » (Ibidem, p.
565).L'istanza managcriale Dalla rivoluzione alla collaborazione
inventivatermine non vuole indicare altro che una particolare capa- cità alla
funzione, al compito intellettuale n. E che l'in- tellettuale abbia un primato
nei confronti del politico è, per Balbo, evidenziato dal fatto che non è mai
una strut- tura organizzativa a dare la giustizia sociale, ma l'ethos
trasformato e sviluppato n.Il nodo che gli intellettuali italiani, ed europei
in ge- nerale, si trovano a dover affrontare e risolvere alla metà degli anni
Cinquanta, dopo la destalinizzazione in Russia, è quello di un possibile
dilemma tra le istanze dell'indi- vidualismo liberale e que lle di un
collettivismo che ha an- nullato tutta la sua potenzialità positiva nelle forme
radi- cali del regime sovietico. Balbo afferma che il dilemma tra
individualismo e collettivismo non si risolve scegliendo uno dei termini, ma
superando la contraddizione « in una nuova realtà che include ciò che tutti i
contrari includono e ciò che la loro contrarietà esclude »". Questo tema
del superamento e del rifiuto di una logica dicotomica, inteso come somma dei
valori positivi inclusi nelle tesi, ridimen- siona il tema marxiano della lotta
di classe che, se è vista come principio, può dare origine a una evasione
perma- nente, o a una centralizzazione di tutto il potere in una classe, o in
un gruppo, o in un individuo B0. Il rifiuto della lotta rivela nelle tesi del
Balbo una sfiducia progressiva verso la dialettica politico-economica,
ridefinisce la lotta come mezzo e non come principio perché in tal caso non dà
origine « ad altra realtà che la lotta stessa » 81. Questa Cfr. Note
filosofiche sul problema della giustizia sociale, conf. te- nuta a lla Fac. di
Magistero di Roma, in u Atti della Società filosofica romana », 1957; poi in
Tesi filosofiche per lo sviluppo sociale, dispense redatte da F. Balbo sul
corso tenuto da lui alla Fac. di Magistero di Roma, nell'a.a. 1959-60; ora in
Opere, pp. 577-627 (pub- blicazione parziale); il concetto ricordato nel testo
è alle pp. 596-97.79 Il futuro e l'« al di là », cit., p. 469.sa Cfr. Note
filosofiche sul problema della giustizia sociale Ibidem. La teoria statuale di
Balbo fu ripresa in un convegno or- ganizzato a Lucca dalla Democrazia
Cristiana, nel 1967. In quella sede, G. De Rosa ricordò Balbo, come un «
profondo filosofo cristiano della nostra età » (cfr. Orfci, L'occupazione del
potere, Milano, e G. Galli, Storia della Democrazia Cristiana, Bari polemica «
strisciante » con le teorizzazioni marxiste del- la società borghese, come
società essenzialmente conflittua- le, è interna a tutta la revisione che Balbo
ha operato della sua lettura del marxismo; revisione il cui punto centrale è
costituito dallo spostamento di giudizio sulla ateologicit à che diventa «
ateismo » e « antireligione mar- xista » s`. Il pensatore torinese non
rinunzia, però, ancora a rintracciare, oltre l'ateismo dichiarato, « un'orma di
Dio » nel desiderio di giustizia presente nel marxismo s3Da una angolazione piú
chiaramente po litica, l'ideo- logo della Sinistra Cristiana, che aveva fondato
la scelta di classe anche per i cattolici, ora propone la collabora- zione di
classe come risultato di una certa lotta « che miri appunto all'equilibrio per
integrazione di soggetti auten- tici di interessi e di poteri: si può
considerare cioè che esista una lotta di classe che non cerca di sopprimere uno
dei termini della lotta, che cerca anzi l'equilibrio effettivo dei termini e
che quindi coincide con la collaborazione di classe » s4. L'interclassismo era
stato uno dei motivi teo- rici per cui non si era realizzata la fusione tra la
« Sini- stra giovanile cattolica » e il partito degasperiano nel '43Galli
critica come « ovvietà tardoilluministiche » il concetto balbiano di Stato
rappresentativo, gestito dai piú forti o dall'equilibrio dei gruppi phi forti:
è questa, chiaramente, una banalizzazione del pensiero di Balbo sul superamento
della lotta di classe). La stampa vedrà proprio nella riscoperta di Balbo
l'aspetto phi interessante di quel convegno (cfr. M. Scarano, Affrontare la
sfida degli anni '70, in « Il giorno », 30- IV- 67).82 Cfr. Il futuro e l'« al
di la », cit., p. 458n.83 « Chiamo il ` desiderio di giustizia ' presupposto
reale e non prin- cipale del marxismo, perché, mentre il marxismo non lo
riconosce come elemento del proprio sistema teorico e pratico [...], esso è
d'altra parte la forza senza la quale il marxismo stesso non avrebbe corso
storico. Il marxismo a mio avviso ricava la sua forza storica piú profonda dal
fatto di apparire come il realizzatore della desiderata giustizia, vera ed
effet- tiva, e come il giustiziere della morale e del diritto ` astratti ' »
(Ibidem).84 Note filosofiche sul problema della giustizia sociale Cfr. C. F.
Casula, Il Movimento dei cattolici comunisti e la Resi- stenza a- Roma, in « I1
Movimento di liberazione in Italia », ottobre- dicembre 1973, pp. 48 e segg.;
poi in C. F. Casula, Cattolici- comunisti ecc., cit., pp. 63-64. Per il
programma interclassista della DC i documen- ti fondamentali sono Il programma
di Milano e le Idee ricostruttive della Democrazia Cristiana, che possono
essere letti nella stesura origi- naria in E. Aga Rossi, Dal Partito Popolare
alla Democrazia Cristiana,L'istanza manageriale159 Dalla rivoluzione alla
collaborazione inventivaemerge ora una proposta interclassista avanzata da un
Balbo che ha abbandonato i programmi massimalistici per un riformismo non
ipocrita, ma comunque ambiguo ed eterogeneo al quadro della sua speculazione
anteriore 86.Infatti ora il filosofo teorizza la tesi per cui è necessa- rio
che « gli interessi e le classi sussistano e non si sop- primano con violenza
diretta o indiretta » 87. Né riteniamo di poter accostare questo interclassismo
ai temi di Gobetti nei quali il termine di « classe » era pura astrazione:
quindi ci poteva essere annullamento delle classi, ma non loro collaborazione
S8. Invece, per Balbo si deve instaurare un equilibrio dinamico fra le classi,
« ossia un equilibrio che si fondi su di un'autonoma, effettiva e adeguata
(so-stanzialmente e non solo quantitativamente) partecipazio- ne al potere in
tutte le sue forme da parte di ogni classe, di ogni interesse, singolo e
collettivo. Il che sarebbe ap- punto la giustizia sociale » 89. Questo
interclassismo ha motivazioni antropologiche ed etiche che per certi versi
richiamano temi dell'anarco-marxismo di Sartre, ma solo perché convergono
nell'identificare la libertà nella libera- zione, e la integrazione creativa
nel movimento 90.Bologna, Scoppola parla, pure, delle difficoltà in- terne alla
DC, che non riusciva ad esprimere compiutamente la propo- sta interclassista «
di cui la società italiana aveva bisogno » (cfr. P. Scoppola, La proposta
politica di De Gasperi, Bologna; da p. 124 esamina acutamente e attraverso
documenti spesso inediti l'atteg- giamento di De Gasperi nei confronti della
Sinistra Cristiana e il suo incunearsi tra essa e la Santa Sede).36 « Una
collaborazione di classe che non riconosca i termini dei contrasti fondamentali
e particolari di classe (nel senso assunto da que- sto termine dopo Marx), che
non riconosca la esistenza, la natura e le ragioni dei contrastanti interessi
sociali e delle lotte aperte o nascoste che conseguono a tali contrasti, non è
una collaborazione di classe, ma la maschera ipocrita del dispotico dominio (o
tentativo di dominio) di una classe sull'altra, di un interesse sull'altro »
(Note filosofiche sul problema della giustizia sociale). Ha scritto Gobetti: «
Nella concreta realtà dell'atto spirituale glischemi perdono la validità loro:
le classi diventano meri fantasmi » (Definizioni: la Borghesia, in « La
Rivoluzione Liberale », I, n. 4, 5 marzo 1922, ora in Scritti politici, Note
filosofiche sul problema della giustizia sociale. Gli uomini non sono liberi cd
eguali in senso rigoroso se non nella loro integrazione creativa per lo
sviluppo umano, per la giustizia160 prospettiva riformistica, in chiave
interclassista, non può che realizzarsi tornando agli incroci tra privato e pubblico,
tra momento di analisi e momento di sintesi deliberativa.Cosi Balbo, che ha
cercato di correggere la struttura industriale intervenendo sui piccoli gruppi
di lavoro, ri- tiene che il problema centrale della democrazia sia nelle « erme
ï collettive », dove di tatto è il potere e il con- trollo delle masse; quelle
entità erano diventate, dopo oltre un decennio dalla Resistenza, delle «
macchine » V', senza spazi reali per le decisioni di base. Il filosofo scrive
che solo con un'azione individuale e collettiva, teorica e pratica, centrale
(non centralistica) e periferica di inven- zione si può realizzare un
equilibrio dinamico di interessi e si può realizzare l giustizia sociale, cioè
un crescente influsso di collettività di persone « sulla proprietà, sull'uso,
sulla destinazione dei mezzi di produzione » y=.L'ipotesi balbiana è quella di
intervenire sugli orga- nismi intermedi come strutture portanti di un regime
de- mocratico; il discorso dei rapporti economici diventa, quin- di, un tema
consequenziale e derivato. t un ridare il pri- mato alla politica, ma, come
tiene a specificare il pensa- tore, non il primato al pensiero politico. I.l
pensiero è solo « la premessa statica » dei partiti, una premessa ge- nerica e
spesso mistificatrice « presa in prestito e non creata dalla loro attività »,
strumento di persuasione o « momento subordinato dell'organizzazione » ".
Ciò chesociale » (Ibidem, p. 597). Sartre dirà che il superamento della
dialettica tra soggetto e oggetto è il gruppo, .< per la sua impresa e per
quel suo movimento costante d'integrazione che tende a farne una praxis pura e
a sopprimere in esso tutte le forme d'inerzia » (Critica; della ragione lettica
- I - Teoria degli insiemi pratici, [1960], trad. it., Milano, Cfr. Note
filosofiche sui problema della giustizia sociale, R. De Vita cita e illustra la
teoria balbiana del « piccolo grup- po », nel suo scritto Piccoli gruppi e
società in trasformazione, Milano, 1978, pp. 112- 13.92 Note filosofiche sul
problema della giustizia sociale, La sfida storica del comunismo al
Cristianesimo e le sue couse- gueuze filosofico - sociali, in a Il M ulino »,
a.V II, n. 3, 1958; unito a Ancora su Cristianesimo, comunismo e azione
politica, ivi, a.VII, n. 12,L'istanza manageriale161Dalla rivoluzione alla collaborazione
inventivacostituisce realmente i partiti (clic Balbo ritiene le arterie della
democrazia) è l'essere strumenti di organizzazione della volontà e degli
interessi politici 94.L-`rilevante sottolineare che questo tema del partito
politico come struttura portante è una ulteriore caratte- rizzazione ciel
pensiero filosofico di Balbo che lo pone a metà strada tra la concezione del
materialismo storico e quelle, estranee ma parallele, dello storicismo crociano
e della storia cone storia filosofica di Del Noce 95C'è quindi, nell'autore di
L'uomo senza miti, questa esigenza esasperata di sceverare nelle sue esperienze
teo- riche una linea di unificazione, anche se la sua « filosofia della storia
» propende verso una accentuazione dei mo- tivi di « materialità » (o nel senso
delle istituzioni, o nel senso del bisogno economico), rispetto alle urgenze
puramente ideali.L'operare dall'interno del sistema, pid che rassegnazione alla
sconfitta, è caparbietà pragmatica e machiavelli- ca nel voler trasformare le cose
e frenare la « catastrofe ». Non sempre la proposta speculativa di Balbo è,
però, ade- guata alle sue istanze.1958, è ora in Opere, con il titolo Comunismo
e Cristianesimo; il brano cit. 6 a p, 339.w Cfr. ibidem.as Riguardo a questo
dissenso, Del Noce afferma che fu tra le cause clic gli vietarono di aderire
alle trii di Balbo, nel periodo della Sinistra Cristiana. Da ciò il sorgere tra
lui e Balbo a di una discussione, che per l'uno e per l'altro era piuttosto un
monologo che un dialoga; non certosensodl una sordia, ma anzi in quello di una
fusione masatma,nel ,per cui ognuno combatteva nell'altro una posizione che
ritenevadl aver Avissuto '(e non soltanto obiettivam ente pensato) e oltrepas -
atrt^ r (Ge netlesignificatoecc).162 Felice Balbo Venadio, conte di Venadio. Felice
Balbo Vinadio. Keywords. Refs.: H. P. Grice Papers, Bancroft MS – Luigi
Speranza, “Grice e Vinadio: being, value – and colloquenza!” – The
Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.
Grice e Vio:
la ragione conversazionale e le categorie del lizio – un senso, un’analogia -- filosofia
italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Gaeta). Filosofo
italiano. Essential Italian philosopher. Grice: “While the typical Englishman
is more interested in the fact that Vio never thought that Henry VIII did divorce
Aragon, I prefer his commentary on the ‘prae-dicamentum’ of Aristotle, via
‘Porfirio’!” -- Grice was irritated that when ‘Vio’ became a saint, the
Italians list him under ‘c’. O. P. cardinale di Santa
Romana Chiesa. V. riceve Lutero, Template-Cardinal. Incarichi ricoperti. Maestro
generale dell'ordine dei predicatori, cardinale presbitero di San Sisto, arcivescovo
metropolita di Palermo, arcivescovo-vescovo di Gaeta, cardinale presbitero di
Santa Prassede. Ordinato presbitero, nominato arcivescovo da Leone X, consacrato
arci-vescovo da Fieschi, creato cardinale da Leone X. Religioso
domenicano, generale dell'ordine: filosofo, teologo e diplomatico pontificio. Incontro
tra V. e Lutero in una stampa d'epoca. Entra tra i frati domenicani del
monastero di Gaeta, e prosegue i suoi studi in filosofia a Napoli, Bologna e
Padova. Insegna filosofia a Pavia e Roma. Acquisce una considerevole fama
in seguito ad un pubblico dibattito con PICO a Ferrara. Generale dell'ordine e consigliere
dei papi, dimostra grande zelo nel difendere il diritto del papa contro il concilio
di Pisa, polemizzando contro Almain in una serie di articoli messe al bando
dalla Sorbona e bruciati per ordine di Luigi XII. Leone X crea V. cardinale, e fatto
arci-vescovo di Palermo. Arci-vescovo di Gaeta, inviato in Germania come legato
apostolico per partecipare alla dieta di Augusta, si adopera con profitto per
l'elezione di Carlo V d'Asburgo ad imperatore del sacro romano impero -- prevalendo
sull'altro concorrente Francesco I -- e lì cerca di arginare la nascente riforma
protestante di Lutero. Fa rientro in Roma senza essere riuscito a convincere Lutero
ad abbandonare i suoi propositi di riforma. Aiuta il papa nell'estensione della
bolla “Exsurge domine” rivolta a contrastare il dilagare della riforma di
Lutero. Oganizza la resistenza contro i turchi. Venne fatto prigioniero
durante il sacco di Roma dai Lanzichenecchi, inviati da Carlo V per punire
Clemente VII per il tradimento della parola datagli. Pronuncia la sentenza
definitiva di validità del matrimonio di Enrico VIII e Caterina d'Aragona,
rifiutando il divorzio al sovrano inglese. Accanto alla produzione filosofica
e di teologia filosofica, secondo la linee della scuola d’AQUINO, V. si distinque
come esegeta. Ignora attamente l’ebraico, ma consulta esperti rabbinici e
grazie alla sua familiarità con il testo greco, ubblica un commentario dei
libri sacri di giuidei e galilei. L’enfasi alla Grice di V. sulla ricerca del SIGNIFICATO
letterario o LITERALE dell’Eneide o altri testi pone V. alle origini della tradizione
esegetica del cattolicismo contro le sette delle differenti nazioni. Saggi:
“Summula Caietani”; “Opuscula omnia” (Giunta); “Commentaria super tractatum de
ente et essentia [di Aquino]”; “De nominum analogia”; “Commentaria in III
libros Aristotelis de anima”; “Auctoritas pape et concilii sive ecclesie
comparata” (Silber); “Oratio in secunda sessione concilii lateranensis” (Berlin);
“Apologia de comparata auctoritate pape et ecclesie”; “De divina institutione pontificatus
romani pontificis”; “Jentacula Nuovo Testamento, expositio LITERALIS sexaginta
quatuor notabilium sententiarum Novi Testamenti” (Roma). Francesco senese De
Franceschi; “In Porphyrii Isagogen ad Praedicamenta Aristotelis”; “Opera omnia”;
“Scripta philosophica”; “De conceptu entis”; “De comparatione auctoritatis
papae”; “Apologia”. Allaria, V.: cardinale -- Roma; Treccani, Enciclopedie, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, Dizionario biografico degl’italiani, Conferenza
Episcopale Italiana. ALCUIN,
Università di Ratisbona. V. philosophised extensively on free will, and had a
colourful dispute with, of all people, Luther, well represented in a painting that
Grice adored. Shropshire borrowed his proof for the immortality of the
soul from V. Prelate and theologian. Born in Gaeta from which he take his name,
he enters the Dominican order and studies philosophy at Naples, Bologna, and
Padua. He becomes a cardinal, and travels to Germany, where he engages in a
theological controversy with Luther. His major work is a Commentary Aquino’s Summa
Theologiae, which promotes a renewal of interest in scholastic and ‘Thomistic’
philosophy. In agreement with Aquino, V. places the source of knowledge in
sense perception. In contrast with Aquino, V. *denies* that the immortality of
the soul and the existence of the divine as our creator may be proved. V.’s work
in logic is based on the traditional syllogistic logic that he called ‘dal
Lizio,’ but is original in its discussion of the notion of “analogy”. V. distinguishes
*three* types of analogy: analogy of inequality, analogy of attribution, and
analogy of proportion. Whereas he rejects “analogy of inequality” and “analogy
of attribution” as improper, fallacious, and invalid, V. regards the analogy of
proportion as valid and basic and appeals to it in explaining how humans may come to
know propositions about the divine and
how analogical reasoning, applied to both the divine, and the divine’s creatures,
may avoid being aequi-vocal. DE NOMINUM ANALOGIA. QUOTUPLEX
SIT ANALOGIA, CUM DECLARATIONE PRIMI MODI
Invitatus et ab ipsius rei obscuritate, et a nostri aeui flebili
profundarum litterarum penuria, de nominuin analogia in his uacationibus
tractatum edere intendo. Est siquidem eius notitia necessaria adeo, ut sine
illa non possit metaphysicam quispiam discere, et multi in aliis scientiis ex
eius ignorantia errores procedant. Quod si ullo usquam tempore accidit, hac
aetate id euenire clara luce uidemus, dum analogiam, uel indisiunctionis, uel
ordinis, uel conceptus praecisi unitate, cum inaequalis participatione
constituunt. Ex dicendis namque patebit, opiniones huiusmodi a ueritate, quae
ultro se offerebat, per abrupta deuiasse.
2. Analogiae igitur uocabulum proportionem siue proportionalitatem (ut a
Graecis accepimus) in proposito sonat. Adeo tamen extensum distinctumque est,
ut multa nomina analoga abusiue dicamus; et multarum distinctionum adunatio si
fieret, confusionem pareret. Ne tamen rectum obliqui iudicio priuetur, et
singularitas in loquendo accusetur, unica distinctione trimembri omnia
comprehendemus, et a minus proprie analogis ad uere analoga procedemus. 3. Ad tres ergo modos analogiae omnia analoga
reducuntur: scilicet ad analogiam inaequalitatis, et analogiam attributionis,
et analogiam proportionalitatis. Quamuis secundum ueram uocabuli proprietatem
et usum Aristotelis, ultimus modus tantum analogiam constituat, primus autem
alienus ab analogia omnino sit. 4.
Analoga secundum inaequalitatem uocantur, quorum nomen est commune, et ratio
secundum illud nomen est omnino eadem, inaequaliter tamen participata. Et
loquimur de inaequalitate perfectionis: ut corpus nomen commune est corporibus
inferioribus et superioribus, et ratio omnium corporum (in quantum corpora
sunt) eadem est. Quaerenti enim quid est ignis in quantum corpus, dicetur:
substantia trinae dimensioni subiecta. Et similiter quaerenti: quid est caelum
in quantum corpus, etc. Non tamen secundum aequalem perfectionem ratio
corporeitatis est in inferioribus et superioribus corporibus. 5. Huiusmodi autem analoga Logicus uniuoca
appellat, Philosophus uero aequiuoca, eo quod ille intentiones considerat
nominum, iste autem naturas. Unde
et in X Metaph., text. ultim. Aristoteles dicit quod corruptibili et
incorruptibili nihil est commune uniuocum, despiciens unitatem rationis seu conceptus
tantum. Et in VII Physic., text. 13 dicitur iuxta genus latere aequiuocationes;
quia huiusmodi analogia cum unitate conceptus non dicit unam naturam
simpliciter, sed multas compatitur sub se naturas, ordinem inter se habentes,
ut patet inter species cuiuslibet generis, specialissimas et subalternas magis.
Omne enim genus analogum hoc modo appellari potest, (licet
non multum consueuerint nisi generalissima et his propinqua sic uocari), ut
patet de quantitate et qualitate in praedicamentis, et corpore, etc. 6. Hanc analogiam S. Thomas, in I Sent.,
dist. 19 uocat analogiam secundum esse tantum, eo quod analogata parificantur
in ratione significata per illud nomen commune, sed non parificantur in esse
illius rationis. Perfectius enim esse habet in uno, quam in alio, cuiuscumque
generis ratio, ut in Metaphysica pluries patet. Non solum enim planta est
nobilior minera; sed corporeitas in planta est nobilior corporeitate in minera:
et sic de aliis. 7. Perhibet quoque huic analogiae testimonium
Auerroes in XII Metaph., text. 2 dicens, cum unitate
generis stare prioritatem et posterioritatem eorum, quae sub genere sunt. Haec
pro tanto analoga uocantur, quia considerata inaequali perfectione inferiorum,
per prius et posterius ordine perfectionis de illis dicitur illud nomen commune.
Et iam in usum uenit, ut quasi synonime dicamus aliquid dici analogice et dici
per prius et posterius. Abusio tamen uocabulorum haec est; quoniam dici per
prius et posterius, superius est ad dici analogice. In huius modi autem analogis,
quomodo inueniantur unitas, abstractio, praedicatio, comparatio, demonstratio
et alia huiusmodi, non oportet determinare; quoniam uniuoca sunt secundum
ueritatem, et uniuocorum canones in eis seruandi sunt. ANALOGIA ATTRIBUTIONIS QUID SIT, ET QUOT
MODIS FIAT, ET QUAE EIUS CONDITIONES. Analoga autem secundum attributionem
sunt, quorum nomen commune est, ratio autem secundum illud nomen est eadem
secundum terminum, et diuersa secundum habitudines ad illum: ut sanum commune
nomen est medicinae, urinae et animali; et ratio omnium in quantum sana sunt,
ad unum terminum (sanitatem scilicet), diuersas dicit habitudines. Si quis enim
assignet quid est animal in quantum sanum, subiectum dicet sanitatis; urinam
uero in quantum sanam, signum sanitatis; medicinam autem in quantum sanam,
causam sanitatis proferet. Ubi clare patet, rationem sani esse nec omnino
eamdem, nec omnino diuersam; sed eamdem secundum quid, et diuersam secundum
quid. Est enim diuersitas habitudinum, et identitas termini illarum habitudinum.
9. Quadrupliciter autem fieri potest
huiusmodi analogia, secundum quatuor genera causarum (uocando pro nunc causam
exemplarem causam formalem). Contingit siquidem multa ad unum finem, et ad unum
efficiens, et ad unum exemplar, et ad unum subiectum, secundum aliquam unam
denominationem et attributionem diuersimode habere: ut patet ex exemplis
Aristotelis, IV Metaph., text. 2.
Ad causam enim finalem pertinet exemplum de sano in III Metaph., text. 2, ad efficientem uero exemplum de medicinali ibidem positum; ad
materialem autem analogia entis ibidem subiuncta; ad exemplarem demum analogia
boni, posita in I Ethic., cap. 7. 10.
Attribuuntur autem huic analogiae multae conditiones, ordinate se consequentes:
scilicet quod analogia ista sit secundum denominationem extrinsecam tantum; ita
quod primum analogatorum tantum est tale formaliter, caetera autem denominantur
talia extrinsece. Sanum enim ipsum animal formaliter est; urina uero, medicina
et alia huiusmodi, sana denominantur, non a sanitate eis inhaerente, sed
extrinsece, ab illa animalis sanitate, significatiue uel causaliter, uel alio
modo. Et similiter idem est de medicatiuo et de substantia, quae sunt
formaliter in primo; in caeteris uero denominatiua significatione denominantur
et extrinsece. Boni quoque ratio in bono per essentiam saluata, quo
exemplariter caetera denominantur bona, in solo primo bono formaliter
inuenitur; reliqua uero extrinseca denominatione, secundum illud bonum, bona
dicuntur. 11. Sed diligenter aduertendum
est, quod haec huiusmodi analogiae conditio, scilicet quod non sit secundum
genus causae formalis inhaerentis, sed semper secundum aliquid extrinsecum, est
formaliter intelligenda et non materialiter: idest non est intelligendum per
hoc, quod omne nomen quod est analogum per attributionem, sit commune
analogatis sic, quod primo tantum conueniat formaliter, caeteris autem
extrinseca denominatione, ut de sano et medicinali accidit; ista enim
uniuersalis est falsa, ut patet de ente et bono; nec potest haberi ex dictis,
nisi materialiter intellectis. Sed est ex hoc intelligendum, quod omne nomen
analogum per attributionem ut sic, uel in quantum sic analogum, commune est
analogatis sic, quod primo conuenit formaliter, reliquis autem extrinseca
denominatione. Hoc siquidem uerum est, ex formali intellectu praecedentium; ex
eisque manifeste sequitur. Ens enim quamuis formaliter conueniat omnibus
substantiis et accidentibus etc., in quantum tamen entia, omnia dicuntur ab
ente subiectiue ut sic, sola substantia est ens formaliter; caetera autem entia
dicuntur, quia entis passiones uel generationes etc. sunt; licet entia
formaliter alia ratione dici possint. Et simile est de bono. Licet enim omnia
entia bona sint, bonitatibus sibi formaliter inhaerentibus, in quantum tamen
bona dicuntur, bonitate prima effectiue aut finaliter aut exemplariter, omnia
alia nonnisi extrinseca denominatione bona dicuntur: illamet bonitate, qua Deus
ipse bonus formaliter in se est. Et ex
hac conditione statim infertur alia: scilicet quod illud unum, ad quod diuersae
habitudines terminantur in huiusmodi analogis, est unum non solum ratione, sed
numero. Quod dupliciter intelligi potest, secundum quod analogata dupliciter
sumi possunt: scilicet uniuersaliter et particulariter. Si enim sumantur analogata particulariter,
illud unum necessario est unum numero uere et positiue. Si autem sumantur
uniuersaliter, illud unum necessario est unum numero negatiue, idest non
numeratur in illis analogatis ut sic, quamuis in se sit uniuersale quoddam, et
non unum numero. Verbi gratia, si sumantur haec urina sana, haec medicina sana,
et hoc animal sanum: haec omnia dicuntur sana a sanitate quae est in hoc
animali, quam constat unam numero uere esse. Sortes enim dicitur sanus, quia
habet hanc sanitatem; medicina, quia illam facit; urina, quia eamdem
significat, etc. Si uero sumantur animal sanum in communi, et urina sana in
communi et medicina sana in communi: sic, formaliter loquendo, sanitas a qua
huiusmodi sana dicuntur, non est una numero in se: eo quod causae uniuersales
effectibus uniuersalibus comparandae sunt, ut II Phys., text. 39 dicitur. Et
simile est de signis, et instrumentis, et conseruatiuis, et aliis huiusmodi;
sed est una numero in istis analogatis negatiue. Non enim numeratur sanitas in
animali, urina et diaeta; quoniam non est alia sanitas in urina, et alia in
animali, et alia in diaeta. 13. Et
sequitur conditio ista ex praecedenti: quoniam commune secundum denominationem
extrinsecam non numerat id a quo denominatio sumitur in denominatis, sicut
uniuocum multiplicatur in suis uniuocatis; et propter hoc dicitur unum ratione
tantum, et non unum numero in suis uniuocatis. Alia est enim animalitas
hominis, et alia equi, et alia bouis, animalis nomine adunatae in una
ratione. 14. Ex hac autem conditione
infertur alia, quod scilicet primum analogatum ponitur in definitione
caeterorum, secundum illud nomen analogum; quoniam caetera non suscipiunt illud
nomen, nisi per attributionem ad primum, in quo formaliter saluatur eius ratio.
Cadit siquidem in ratione medicinae, et diaetae, et urinae etc., in quantum
sanae sunt, animalis sanitas: sine qua intelligi caetera sana non possunt. Et
simile est de aliis iudicium. 15. Ex hoc
autem sequitur ulterius, quod nomen sic analogum, unum certum significatum
commune omnibus partialibus eius modis, seu omnibus analogatis, non habet. Et
consequenter, quod nec conceptum obiectiuum, nec conceptum formalem
abstrahentem a conceptibus analogatorum habet; sed sola uox cum identitate
termini diuersimode respecti communis est: ita quod cum in hac analogia sint
tria: uox scilicet, terminus et respectus diuersi ad illum; nomen analogum
terminum quidem distincte significat, ut sanum sanitatem; respectus autem
diuersos ita indeterminate et confuse importat, ut primum distincte uel quasi
distincte ostendat, caeteros autem confuse, et per reductionem ad primum. Sanum
enim respectus multos ad sanitatem, puta habentis, significantis, causantis,
etc., sic in una uoce sanitatem distincte importante confundit, ut respectum
primum scilicet habentis seu subiecti, distincte significet (Sanum enim
absolute dicimus sanitatem habentem, ut subiectum); caeteros autem respectus
indeterminate importat et per attributionem ad primum, sicut patet ex
dictis. 16. Et propter hoc tria de huiusmodi
analogo dicuntur: scilicet quod commune est omnibus analogatis non secundum
uocem tantum; - et quod simpliciter prolatum stat pro primo; - et quod non est
prius primo analogato, in quo tota sua ratio formaliter saluatur. Primum quidem
peculiarius significat, et super omnia analogata superius significatum non
habet. 17. Diuiditur autem a sancto
Thoma analogia haec in analogiam duorum ad tertium, ut urinae et medicinae ad
animal sanum; et in analogiam unius ad alterum, ut urinae uel medicinae ad
animal sanum 18. Nec habet ista diuisio
alia membra a supradictis: quoniam haec circuit analogiam secundum omnia genera
causarum. Sed ad hoc facta est, ut ostendatur differenter suscipi nomen
analogum, quando ponitur primum analogatum ex una parte, et caetera ex altera
parte; et quando secundorum analogatorum unum hinc et alterum inde ponitur,
secundum quodcumque genus causae analogia fiat. Primo enim et caeteris sic
commune est analogum, ut nihil eis prius ponat aut significet: et propterea
uocatur analogia unius ad alterum, ponendo omnia alia a primo, loco unius. Secundis autem analogatis sic commune est nomen
analogum, ut aliquid omnibus eis prius ponat: primum scilicet ad quod omnia
secunda attribuuntur. Et uocatur analogia duorum ad
tertium, uel multorum ad unum: quia non inter se est attributio, sed ad
primum. Appellantur autem haec analoga a
Logico aequiuoca, ut in principio Praedicamentorum patet, ubi animal aequiuocum
dicitur ad animal uerum et animal pictum. Animal enim pictum non pure
aequiuoce, sed per attributionem ad animal uerum, animal dicitur; et in ratione
eius in quantum animal manifeste patet animal uerum accipi. Quaerenti enim:
quid est animal pictum in eo quod animal? respondebitur: imago animalis
ueri. 20. A philosophis uero Graecis,
nomina ex uno, uel ad unum, aut in uno, et media inter aequiuoca et uniuoca
dicuntur, ut pluries in Metaphysica patet; et expresse in I Ethic. huiusmodi
nomina contra analoga distinguuntur, ut infra amplius dicetur. A Latinis autem
uocantur analoga uel aequiuoca a consilio.
21. Hanc analogiam S. Thomas in I Sent., dist. 19, q. 5 a. 2 ad 1 uocat
analogiam secundum intentionem, et non secundum esse: eo quod, nomen analogum
non sit hic commune secundum esse, idest formaliter; sed secundum intentionem,
idest secundum denominationem. Ut enim ex dictis patet, in hac analogia nomen
commune non saluatur formaliter nisi in primo; de caeteris autem extrinseca
denominatione dicitur. Haec ideo apud Latinos analoga dicuntur: quia
proportiones diuersas ad unum dicunt, extenso proportionis nomine ad omnem
habitudinem. Abusiua tamen locutio haec est, quamuis longe minor quam
prima. 22. Quomodo autem de huiusmodi
analogis sit scientia, et contradictiones et demonstrationes, et consequentiae
et alia huiusmodi de eis fiant, ex dictis, et consuetudine Aristotelis patet.
Oportet enim significationes diuersas prius distinguere (propter quod ambigua
apud Arabes haec dicuntur), et deinde a primo ad alia procedere, sicut a centro
ad circumferentiam diuersis proceditur uiis. DE ANALOGIA PROPORTIONALITATIS:
QUID SIT ET QUOTUPLEX SIT, ET QUOD SOLA PROPRIE ANALOGIA VOCETUR 23. Ex abusiue igitur analogis ad proprie
analogiam ascendendo, dicimus: analoga secundum proportionalitatem dici, quorum
nomen est commune, et ratio secundum illud nomen est proportionaliter eadem.
Vel sic: Analoga secundum proportionalitatem dicuntur, quorum nomen commune
est, et ratio secundum illud nomen est similis secundum proportionem: ut uidere
corporali uisione, et uidere intellectualiter, communi nomine uocantur uidere;
quia sicut intelligere, rem animae offert, ita uidere corpori animato. Quamuis
autem proportio uocetur certa habitudo unius quantitatis ad aliam, secundum
quod dicimus quatuor duplam proportionem habere ad duo; et proportionalitas
dicatur similitudo duarum proportionum, secundum quod dicimus ita se habere
octo ad quatuor quemadmodum sex ad tria: utrobique enim dupla proportio est,
etc.; transtulerunt tamen Philosophi proportionis nomen ad omnem habitudinem
conformitatis, commensurationis, capacitatis, etc. Et consequenter proportionalitatem extenderunt
ad omnem similitudinem habitudinum. Et sic in proposito uocabulis istis
utimur. 25. Fit autem duobus modis
analogia haec: scilicet metaphorice et proprie. Metaphorice quidem, quando
nomen illud commune absolute unam habet rationem formalem, quae in uno
analogatorum saluatur, et per metaphoram de alio dicitur: ut ridere unam
secundum se rationem habet, analogum tamen metaphorice est uero risui, et prato
uirenti, aut fortunae successui; sic enim significamus haec se habere,
quemadmodum homo ridens. Et huiusmodi analogia sacra
Scriptura plena est, de Deo metaphorice notitiam tradens. Proprie uero fit,
quando nomen illud commune in utroque analogatorum absque metaphoris dicitur:
ut principium in corde respectu animalis, et in fundamento respectu domus
saluatur. Quod, ut Auerroes in
comm. septimo I Ethic. ait, proportionaliter de eis dicitur. 27. Praeponitur autem analogia haec caeteris
antedictis dignitate et nomine. Dignitate quidem, quia haec fit secundum genus
causae formalis inhaerentis: quoniam praedicat ea, quae singulis inhaerent. Altera uero secundum extrinsecam denominationem fit. 28. Nomine autem, quia analoga nomina apud
Graecos (a quibus uocabulum habuimus) haec tantum dicuntur; ut ex Aristotele
etiam colligitur, qui in Metaphysica nomina quae dicimus analoga per
attributionem, ex uno, uel ad unum, uel in uno uocat: ut patet in principio IV
et in VII, text. 15. In V autem Metaphysicae, cap. de uno, text. 12, definiens
unum secundum analogiam, ut synonimis utitur unum analogia et unum proportione;
et definit ea esse, « quaecumque se habent ut aliud ad aliud »: aperte
insinuans illam esse proprie analogatorum definitionem, quam diximus. Quod
tamen clarius habetur in Arabica translatione, ubi dicitur: « Illa quae sunt
unum secundum aequalitatem, scilicet proportionalem, sunt quorum proportio est
una, sicut proportio alicuius rei ad aliam rem ». Ubi Auerroes exponens ait: « Et illa dicuntur
unum, quae sunt unum secundum proportionalitatem; sicut dicitur, quod proportio
rectoris ad ciuitatem et gubernatoris ad nauem, est una ». In secundo quoque Posteriorum, cap. XIII huiusmodi nomina
proportionalia, analoga uocat. Et quod plus est, in I Ethic., cap. 7 distinguit
supradicta nomina ad unum aut ex uno, contra analoga; dum, loquens de
communitate boni ad ea quae bona dicuntur, ait: « Non assimilantur a casu
aequiuocis; sed certe ei, quod est ab uno esse, uel ad unum omnia contendere,
uel magis secundum analogiam ». Et
subdens exemplum analogiae dicit: « Sicut enim in corpore uisus, in anima
intellectus ». In quibus uerbis diligenti lectori, non solum nomen analogiae
hoc, quod diximus, sonare docuit; sed praeferendam esse in praedicationibus
metaphysicis hanc insinuauit analogiam (in ly magis), ut S. Thomas ibidem
propter supradictam rationem optime exponit.
29. Scimus quidem secundum hanc analogiam rerum
intrinsecas entitates, bonitates, ueritates etc., quod ex priori analogia non
scitur. Unde sine huius analogiae notitia, processus metaphysicales absque arte
dicuntur. Acciditque huiusmodi ignorantibus, quod antiquis nescientibus
logicam, ut in II Elenchorum dicitur. Nec fuit forte ab Aristotelis tempore tam
periculosus casus iste, sicut modo apud nos est; quoniam blasphemare fere
uidetur, qui metaphysicales terminos analogos dicens, secundum proportionalitatem
communes exponit. Cum tamen
Auerroes dicat super praedicto textu: « Et dignius his tribus modis est, ut sit
nomen boni dictum de eis secundum uiam, quae dicitur de proportionalibus
». Vocatur quoque a Sancto Thoma in I
Sent., dist. 19, ubi supra, analogia secundum esse et secundum intentionem; eo
quod analogata ista, nec in ratione communis nominis, nec in esse illius
rationis parificantur, et tamen tam in ratione illius nominis, quam in esse
eiusdem, proportionaliter, conueniunt. Sed quoniam, ut
dictum est, obscura et necessaria ualde res haec est, accurate distincteque
dilucidanda est per plura capitula.
QUOMODO ANALOGUM AB ANALOGATIS DISTINGUATUR. Quoniam autem analogia
media est inter aequiuocationem puram et uniuocationem, ex extremis natura
medii declaranda est. Et quia in nominibus tria inueniuntur, scilicet uox,
conceptus in anima, et res extra, seu conceptus obiectiuus: ideo singula
perlustrando, dicendum est, quomodo analogum ab analogatis distinguatur 32. Et a rebus incipiendo, quia priores
conceptibus et nominibus sunt, dicimus quod, nomine aequiuoco ita diuersae res
significantur, quod ut sic non nisi uoce adunantur. Uniuoco uero diuersae res
ita significantur, quod, ut sic, ad rem in se simpliciter unam abstractam et
praecisam in esse cognito ab eis, adunantur. Analogo autem nomine res diuersae
ita significantur, quod ut sic ad res diuersas secundum proportionem unam
uniuntur. Vocatur autem in proposito res, non solum natura aliqua, sed
quicumque gradus, quaecumque realitas, et quodcumque reale in rebus inuentum.
Unde inter uniuocationem et analogiam haec est differentia: quod res fundantes
uniuocationem sunt sic ad inuicem similes, quod fundamentum similitudinis in
una est eiusdem rationis omnino cum fundamento similitudinis in alia: ita quod
nihil claudit in se unius ratio, quod non claudat alterius ratio. Ac per hoc fundamentum uniuocae similitudinis,
in utroque extremorum aeque abstrahit ab ipsis extremis. Res autem fundantes
analogiam, sic sunt similes, quod fundamentum similitudinis in una, diuersae
est rationis simpliciter a fundamento illius in alia: ita quod unius ratio non
claudit id quod claudit ratio alterius. Ac per hoc fundamentum analogae
similitudinis, in neutro extremorum oportet esse abstractum ab ipsis extremis;
sed remanent fundamenta distincta, similia tamen secundum proportionem; propter
quod eadem proportionaliter uel analogice dicuntur. 34. Et ut possint omnibus praedicta patere,
declarantur exemplariter in uniuocatione huius nominis animal, et analogia
huius nominis ens. Homo, bos, leo et caetera animalia, quia habent in se
singulas naturas sensitiuas, seu proprias animalitates, quas constat diuersas
secundum rem esse, et mutuo similes: sic quod in quocumque extremo, puta homine
aut leone, consideretur secundum se animalitas, quae est similitudinis
fundamentum, inuenitur aequaliter abstrahens ab eo in quo est, et nihil
includens in uno quod non in alio. Ideo et in rerum natura
fundant secundum suas animalitates similitudinem uniuocam, quae identitas
generica uocatur; et in esse cognito adunantur non ad duas uel tres
animalitates, sed unam tantum, quae animalis nomine in concreto per se primo
significatur, et uniuoce uocatur communi nomine animal. Omnium siquidem eorum,
secundum quod naturas sensitiuas habent, indistincta omnino est ratio ab
omnibus abstracta, quae illius rei, quam animalitatem uocauimus, adaequata est
definitio. Substantia autem quantitas, qualitas etc., quia non habent in suis
quidditatibus aliquid praedicto modo abstrahibile, puta entitatem, (quoniam
supra substantialitatem nihil amplius restat), ideo nullam substantialem
uniuocationem inter se compatiuntur. 35.
Et quia cum hoc, quod non solum eorum quidditates sunt diuersae, sed etiam
primo diuersae; retinent similitudinem in hoc, quod unumquodque eorum secundum
suam proportionem habet esse; ideo et in rerum natura non secundum aliquam
eiusdem rationis in extremis sed secundum proprias quidditates, ut
commensuratas his propriis esse fundant analogam idest proportionalem
similitudinem. Et in intellectu adunantur ad tot res, quot sunt fundamenta,
proportionis similitudine unitas, significatas (propter illam similitudinem)
entis nomine, et analogice communi nomine uocantur ens. Differenter ergo res
adunantur sub nomine Analogo et Uniuoco.
36. Conceptus quoque mentalis non eodem modo inuenitur in uniuocis et
analogis: quoniam nomen uniuocum et omnia uniuocata ut sic, unum tantum
conceptum in mente habent perfecte et adaequate eis correspondentem; quia
fundamentum uniuocae similitudinis (quod significatum formale est nominis
uniuoci), unius omnino rationis est in omnibus uniuocatis; ac per hoc in uno
repraesentato, omnia repraesentari necesse est. In analogis uero, quoniam
fundamenta analogae similitudinis diuersarum rationum sunt simpliciter, et
eiusdem secundum quid, idest secundum proportionem: oportet duplicem analogi
mentalem conceptum distinguere, perfectum et imperfectum; et dicere quod
analogo et suis analogatis respondet unus conceptus mentalis imperfectus, et
tot perfecti, quot sunt analogata. Quia enim unum analogatorum ut sic, simile
est alteri: consequens est, quod conceptus repraesentans unum, repraesentet
alterum, iuxta illam maximam: Quidquid assimilatur simili ut sic, assimilatur
etiam illi, cui illud tale est simile.
Quia uero talis similitudo secundum proportionem tantum est, quae
diuersam rationem in altero fundamento habet: conceptus perfecte repraesentans
unum analogatorum, a perfecta repraesentatione alterius deficit; et per
consequens oportet alterius analogati alterum adaequatum conceptum esse. Unde
et analogum unum habere mentalem conceptum, et plures habere conceptus
mentales: uerum est diuersimode; quamuis simpliciter loquendo, magis debeat
dici, analogi esse plures conceptus; nisi loquendi occasio aliud exigat. Dico
autem hoc: quoniam cum secundum dicentes, analoga omnino carere uno conceptu
mentali, sermo est; unum eorum conceptum absolute dicere non est
reprehendendum. Propter quod oportet solerti discretione lectorem uti quando
inuenitur scriptum, quod analogata conueniunt in una ratione, et quando
inuenitur dictum alibi, quod analogata non conueniunt in una ratione. Est ergo
differentia inter analogiam et uniuocationem quoad conceptum mentalem, ita quod
uniuoci et uniuocatorum ut sic, unus est conceptus perfecte et adaequate eis
respondens, ut de conceptu animalis patet. Analogi uero et analogatorum ut sic, plures necessario sunt conceptus
perfecte ea repraesentantes, et unus est conceptus imperfecte repraesentans.
Non tamen ita quod sit unus conceptus adaequate respondens nomini analogo, et
inadaequate analogatis: quoniam secundum ueritatem nomen illud uniuocum esset;
sed ita quod conceptus unus repraesentans perfecte alterurn analogatum ut sic,
imperfecte repraesentat reliquum. Quoad uocem autem, non
est inter analoga et uniuoca differentia.
39. His autem praelibatis, intentum facile patere potest: quomodo
scilicet disfinguitur analogum, puta ens, ab analogatis, puta substantia,
quantitate et qualitate. Uniuocum
enim, puta animal, distinguitur ab uniuocatis, puta homine et leone, quoad rem
significatam seu conceptum obiectiuum, et quoad conceptum mentalem, sicut unum
simpliciter abstractum etc., a multis simpliciter etc. Analogum uero, quoad
rem, seu conceptum obiectiuum, distinguitur sicut unum proportione a multis
simpliciter; uel (et idem est) sicut multa ut similia secundum proportiones a
multis absolute. Verbi gratia, ens distinguitur a substantia et quantitate, non
quia significat rem quamdam eis communem; sed quia substantia quidditatem
tantum substantiae importat, et similiter quantitas quidditatem quantitatis
absolute significat; ens autem significat ambas quidditates, ut similes
secundum proportiones ad sua esse; et hoc est dicere ut easdem
proportionaliter. 40. Quoad conceptum autem
mentalem adaequatum, hoc quoque eodem omnino modo distinguitur. Secundum uero
conceptum mentalem imperfectum, quamuis distinguatur sicut unum simpliciter a
multis simpliciter; non tamen sicut unum abstrahens in repraesentando ab illis
multis, quemadmodum in uniuocis contingit. Quoniam, ut ex dictis patet,
conceptus ille, puta qualitatis, in quantum ens, alterius analogati, idest
ipsius qualitatis, secundum quod se habet ad suum esse, est adaequate
repraesentatiuus, et a qualitatis quidditate non abstrahens; caeterorum uero,
puta quantitatis et substantiae, imperfecte tantum est repraesentatiuus, in
quantum eis similis est proportionaliter. QUALIS SIT ABSTRACTIO ANALOGI AB
ANALOGATIS. Oportet autem ex praemissis ostendere, qualiter analogum abstrahat
ab his, quibus commune secundum analogiam dicitur, puta qualiter ens abstrahat
a substantia et quantitate. Insurgit siquidem difficultas
quaedam in re hac, et ex parte rerum, et ex parte conceptus. Ex parte siquidem
rerum, quia uidetur analogi nominis res significata, eodem abstrahibilis et
abstracta modo, quo res uniuoco nomine significata. Quoniam cum, ut in V
Metaph. dicitur, unum in qualitate faciat simile, nulla apparet ratio, cur a
quibusdam similibus sit una res abstrahibilis, et a quibusdam non; licet
euidens ratio sit, cur ab his similibus, puta Sorte et Platone, abstrahibilis
sit res magis una, et ab illis, puta homine et lapide, minus una. Unde si
substantia et quantitas assimilantur in hoc, quod utraque est ens, et
consequenter in eis est aliquid unum, quod est fundamentum illius similitudinis:
quid uetat ab eis abstrahi rem unam utrique communem? Ex parte uero conceptus, quia uidetur eodem
modo conceptus analogi abstrahere ab analogatis, sicut uniuocum ab uniuocatis:
eo quod analogum nomen importat in confuso singulas proportiones analogatorum,
et distincte non significat nisi proportionem in communi. Verbi gratia, ens non
significat habens se ad esse sic uel sic, puta ut substantia, aut ut quantitas;
sed si proportionale nomen est, significare uidetur, habens se ad esse secundum
aliquam proportionem, quaecumque illa sit. Hoc autem constat esse aeque
abstractum a substantia et a quantitate; et consequenter per modum uniuoci in
analogis abstractio conceptus apparet.
43. Ut autem euidens fiat huius ambiguitatis determinatio, sciendum est,
quod licet abstrahere diuersa significet, cum dicimus intellectum abstrahere
animal ab homine et equo, et cum dicimus animal abstrahere ab homine et equo:
eo quod tunc significat ipsam intellectus operationem attingentem in eis unum
et non alia; nunc uero significat extrinsecam denominationem ab illa
intellectus operatione, qua res cognita abstracta denominatur: in unum tamen et
idem semper tendit, quoniam semper sonat intelligi unum, non intellecto
altero. 44. Ideoque nihil aliud est
agere de abstractione analogi ab analogatis quam inquirere et determinare,
quomodo res significata analogo nomine intelligi possit, non cointellectis
analogatis; et quomodo conceptus illius habeatur, absque conceptibus
istorum. 45. Cum igitur ex supradictis,
et ex ipso analogiae uocabulo pateat, quod analogo nomine non simpliciter una
res, sed res proportione una significatur, talis autem idem est quod res
diuersae, ut similes proportionaliter: facile deduci potest, quod res analoga
potest quidem intelligi, non cointellectis analogatis, et consequenter
abstrahere ab eis. 46. Sed non sicut in
uniuocis res una, (puta natura sensitiua, seu animal intelligitur, non
cointellectis omnino natura humana et equina ut sic), sed sicut duae res ut proportionaliter
similes intelliguntur, non cointellectis ipsismet duabus rebus secundum suas
proprias naturas absolute. Ita quod analogi abstractio non consistit in
cognitione unius et non cognitione alterius; sed in unius et eiusdem
intellectione ut sic, et non intellectione absolute. Verbi gratia, entis
abstractio non consistit in hoc, quod entitas apprehenditur, et substantia aut
quantitas non; sed in hoc: quod substantia aut quantitas apprehenditur ut sic
se habens ad proprium esse; (in hoc enim similitudo proportionalis attenditur)
et non apprehenditur substantia, aut quantitas absolute. Et simile est de aliis rebus analogis, quales
sunt fere omnes metaphysicales. 47. Unde
concedi potest, rem analogam abstrahere, et non abstrahere ab analogatis
diuersimode. Abstrahit quidem, pro quanto abstrahit ab eis, quemadmodum res ut
sic, idest ut res similis alteri proportionaliter abstrahit a se absolute
sumpta. Non abstrahit uero, pro quanto res ut sic accepta
seipsam necessario includit, et absque seipsa intelligi non potest. Quod de
uniuocis dici non potest: quia res uniuoca, absque aliis quibus est uniuoce
communis, intelligitur sic, quod res in suo intellectu nullo modo actualiter
includit ea quibus est comm unis, ut patet de animali 48. Obiectioni autem in oppositum adductae,
ex analogae similitudinis natura facile satisfit, dicendo, quod cum unum
multipliciter dicatur, non oportet omnem similitudinem attendi secundum unum
simpliciter; sed quandoque sufficit, quod unum secundum proportionem faciat
simile. Unum autem proportionaliter non est simpliciter unum; sed multa similia
secundum proportiones, a quibus ideo non potest abstrahi res una simpliciter:
quia similitudo ipsa proportionalis tantum est, et fundamentum non est unum
nisi proportionaliter 49. De ratione
siquidem unius proportionaliter est habere quatuor terminos (ut in V Ethicorum
dicitur). Quoniam proportionalitas qua similitudo proportionum fit, inter
quatuor ad minus, (quae duarum proportionum extrema sunt), necessario est; et
consequenter unum proportione non unificatur simpliciter, sed distinctionem
retinens, unum pro tanto est et dicitur, pro quanto proportionibus dissimilibus
diuisum non est. Unde sicut non est alia ratio quare unum proportionaliter non
est unum absolute, nisi quia ista est eius ratio formalis; ita non est quaerenda
alia ratio, cur a similibus proportionaliter non potest abstrahi res una; hoc
enim ideo est, quia similitudo proportionalis talem in sua ratione diuersitatem
includit. Et accidit ulterius procedentibus, ut quaerant id, quod sub
quaestione non cadit: ut quare homo est animal rationale, etc. De abstractione quoque conceptus, eodem modo
est dicendum: abstrahit enim conceptus analogi nominis non sicut unum
simpliciter, sed sicut unum proportione, seu simile secundum proportiones a
multis absolute. Sed quia in obiciendo
tangitur de abstractione conceptus analogi a specialibus conceptibus illius
analogiae, et abusiue analogata ibidem uocantur partiales analogi rationes;
ideo diligenter cauendum est, ne apparentia in obiectione tacta in illum
errorem ducat, qui ibi tangitur. Sciendum siquidem est, quod licet in analogis
secundum attributionem in hoc omnia analogata conueniant, quod eamdem formam
omnino respiciunt, ita quod non solum conueniunt in uno termino, sed in hoc,
quod est respicere illum: erroneum tamen est, analogo per attributionem
conceptum unum respectus in communi ad illum terminum, per abstractionem a tali
et tali respectu, attribuere. Verbi gratia: animal in quantum sanum, urina in
quantum sana, et medicina in quantum sana, licet conueniant et in sanitate
tamquam termino: cuius animal est subiectum, urina signum, et medicina causa;
et conueniant in hoc, quod est respicere sanitatem (quodlibet enim eorum
sanitatem respicit, licet diuersimode); ab his tamen specialibus respectibus
non abstrahitur respectus in communi ad sanitatem, importatus nomine sani, in
cuius conceptu omnes speciales respectus ad sanitatem, confuse et in potentia
clauduntur. 52. Falsum enim est, quod
sanum significet hoc quod dico, respiciens uel aliqualiter se habens ad
sanitatem. Tum quia sic sani nomen uniuocum uere esset ad urinam et animal
etc., ut patet ex uniuocorum definitione. Tum quia hoc est contra intentionem
dicentium, urinam aut diaetam sanam. Percunctantibus siquidem, quid est urina
in quantum sana, non respondetur: respiciens sanitatem; sed omnes respectum
illum specificant respondentes: signum sanitatis; et similiter de diaeta
respondetur, quod est conseruatiua sanitatis, etc. Tum quia contra omnes Philosophos et Logicos
(hucusque a me uisos) hoc est. Sicut
autem in praedictis analogis praedictus cauendus est error, ita in analogis
secundum proportionem (quae sola simpliciter analoga sunt) similis cauendus est
error, ex simili causa apparentiae firmitatem trahens. Quia enim analogata
conueniunt in hoc, quod unumquodque eorum commensuratum seu proportionatum est
(licet diuersimode), credi potest quod ab his specialibus proportionibus abstrahatur
proportionatum in communi, et nomine analogo significetur. Ac per hoc analogum
habeat conceptum unum, in quo confuse et in potentia claudantur omnes speciales
proportiones analogatorum; uerbi gratia, ut quia substantia proportionata est
suo esse, et similiter quantitas et qualitas (licet diuersimode) ideo a
substantia et quantitate et qualitate etc., diuersimode proportionatis suis
esse, abstrahatur res seu quidditas proportionem habens ad esse, qualiscumque
sit illa proportio, et hoc sit entis primarium significatum, in quo omnes speciales
proportiones substantiae quantitatis et qualitatis etc., ad sua esse confuse
claudantur et in potentia. 54. Sed hoc
falsissimum est. Tum quia hoc quod dicitur, scilicet res proportionata ad hoc
quod sit, non est res una simpliciter etiam in esse obiectiuo, nisi chimerice. Tum quia proportionalia nomina uniuoca essent (ut patet ex uniuocorum
definitione), et consequenter periret proportionalitatis ratio, quae extrema
unum simpliciter esse non compatitur; et sic essent proportionalia et non
proportionalia: quod intellectus capere nullo modo potest. Tum quia contra
Aristotelis auctoritatem, in II Poster. inferius adducendam, et adductam ex I
Ethic., et S. Doctorem et Auerroem et Albertum expresse est. Unde confusio, qua
analogum tam secundum attributionem quam secundum proportionem, importat
speciales habitudines aut proportiones: non est confusio plurium conceptuum in
uno communi conceptu; sed est confusio significationum in una uoce, licet
difformiter. Quoniam in analogia attributionis uox analoga primum distincte
significat, caetera autem confuse. In analogia uero proportionis, nomen
analogum ad omnes suas significationes indistincte se habere permittitur.
Cautum tamen et attentum oportet hic esse; quia cum analogi rationes dupliciter
sumi possint: scilicet secundum se, et ut eaedem et ipsae ut eaedem propter
identitatis proportionalis naturam non abstrahant a seipsis, et tamen aliquid
conuenit eis ratione identitatis, seu in quantum eaedem sunt, quod non conuenit
eis ratione diuersitatis, ut patet de communibus eis: uidetur quod duo
incompossibilia secundum apparentiam, analogi rationibus conueniant; scilicet
quod ipsae ut eaedem non abstrahant a seipsis, et quod ipsae ut eaedem aliquid
causent et habeant, quod non ut diuersae; reduplicarique possint ut eaedem, non
reduplicatis ut diuersae sunt. Haec enim non solum compossibiliter, sed
necessario sibi simul uindicat identitas proportionalis; quoniam et extrema
uniri omnino non patiens, ab eis abstrahi omnino non permittit; et extrema
aliqualiter indiuisa et eadem ponens, ut eadem ea considerabilia et
reduplicabilia exigit. 56. Sicque fit,
ut in analogo secundum identitatem in se clausam, ad diuersitatem rationum in
se quoque clausam comparato, abstractio quaedam, quae non tam abstractio quam
quidam abstractionis modus est inueniatur; propter quam non solum ab analogatis
(puta substantia et quantitate), analogum (puta ens), abstrahere dicitur, ut
supra diximus; sed ab ipsis eius rationibus, seu a diuersitate ipsarum rationum
eius: puta rationis entis in substantia, et rationis entis in quantitate. Non
quia quamdam rationem eis communem dicat: quia hoc est fatuum; nec quia illae
rationes sint omnino eaedem, aut eas omnino uniat: quia sic non esset analogum,
sed uniuocum; sed quia eas proportionaliter adunans, et ut easdem
proportionaliter significans, ut easdem considerandas offert: annexa
inseparabiliter, diuersitate quasi seclusa; et identitate proportionali unit,
et confundit quodammodo diuersitatem rationum. Sicque non sola significationum
in uoce confusio, analogo conuenit, sed confusio quaedam conceptuum, seu
rationum fit in identitate eorum proportionali, sic tamen ut non tam conceptus,
quam eorum diuersitas confundatur. Et quoniam analogum talem identitatem
praecipue importat, et tali confusione frequenter utimur; analoga nomina ab
omni rationum eius diuersitate abstrahere dicentes, dum confuse pro omnibus
supponere ipsum pluries exponimus, ideo non mediocri opus est uigilantia, ne in
uniuocationem labi contingat. Abstrahit
ergo analogum a suis analogatis, puta ens a substantia et quantitate, sicut
unum proportione a multis; seu sicut similia proportionaliter a seipsis
absolute, tam quoad conceptum obiectiuum, quam mentalem, siue sit sermo de
abstractione totali siue de formali. Hae enim abstractiones non differunt in
eodem, nisi secundum praecisionem et non praecisionem, ut alibi declarauimus.
Unde nihil aliud est dicere ens abstractum a naturis praedicamentorum
abstractione formali, quam dicere naturas praedicamentales proportionales ad
sua esse ut sic praecise; a specialibus autem seu singulis analogiae rationibus
extremis, non tertio conceptu simplici, sed uoce communi et identitate
proportionali earumdem, quodammodo abstrahit.
QUALIS SIT PRAEDICATIO ANALOGI DE SUIS ANALOGATIS 59. Videbitur autem forte alicui ex his, quod
praedicatio analogi de suis analogatis, puta entis de substantia et quantitate,
aut formae de anima et albedine etc., sit sicut praedicatio aequiuoci de suis aequiuocatis;
ita quod non sit praedicatio superioris de suis inferioribus, nec communioris
de minus communi, nisi sola uoce; sed eiusdem de seipso. Non est enim analogo
una res significata, quae in utroque analogatorum saluetur; absque hoc autem
praedicatio communioris aut superioris non inuenitur secundum intrinsecam
denominationem, seu inexsistentiam. Sic enim analogum secundum
proportionalitatem commune esse dictum est.
60. Fouere quoque potest non parum opinionem hanc processus iuxta I
Topicorum. Aut scilicet analogum est praedicatum conuertibile, aut
inconuertibile, seclusa uocis communitate. Et cum constet non esse
inconuertibile, - quoniam substantia ut sic se habens ad suum esse, quod ens de
substantia dictum praedicat, conuertitur cum substantia: et similiter quantitas
sic commensurata suo esse, cum quantitate conuertitur, et sic de aliis, -
consequens est, quod analogum tamquam superius, de analogatis praedicari non
possit. Superioris enim intentionem suscipere non potest, quod conuertibile
esse comprobatur. 61. Et quoniam
secundum ueritatem analogum ut superius praedicatur de analogatis, et non sola
uoce commune est eis, sed conceptu unico proportionaliter: cuius unitas ad hoc,
quod praedicatum aliquod superioris rationem habeat, sufficit: quia superius
nihil aliud sonat, quam unum praedicatum ad plura se extendens; unum autem non
per accidens, neque aggregatione, sicut aceruum lapidum; sed per se, constat
esse etiam unum proportione: ideo ad huius ueritatis claritatem ex extremis
procedendo, sciendum est, quod quia analogum medium est inter uniuocum et pure
aequiuocum: consequens est, quod analogum aliquo modo idem, et non idem aliquo
modo de suis praedicet analogatis. Et quia praedicat aliquid abstrahens aliquo
modo a suis analogatis, ut ex praemisso patet capite; consequens est, quod
comparetur ad sua analogata ut maius ad minora, seu ut superius ad inferiora;
licet non omnino unum secundum rationem sit, quod imponit. Quod ut clarius pateat, figuraliter
declaratur sic: Tam in uniuocis, quam in aequiuocis, quam in analogis quatuor
inueniuntur, scilicet duae res ad minus, aequiuocatae, uniuocatae, aut
analogatae; et duae res, seu rerum rationes, aequiuocationem, uniuocationem aut
analogiam fundantes. Verbi gratia: In aequiuocatione canis inueniuntur haec
quatuor: scilicet canis marinus, et canis terrestris, et ratio illius, et ratio
istius secundum canis nomen. In uniuocatione quoque animalis inueniuntur
quatuor: scilicet homo, et bos, et natura sensitiua hominis et natura sensitiua
bouis, quae animalis uniuocationem fundant. In analogia similiter entis quatuor
sunt: scilicet substantia et quantitas, et substantia in quantum commensurata
suo esse, et quantitas secundum quod suo esse proportionatur. Et licet prima
duo, scilicet aequiuocata et analogata, eodem modo quantum ad propositum
spectat in omnibus his distinguantur, quia ubilibet ex opposito condistincta
sunt; altera tamen duo uniuocationem, aequiuocationem et analogiam fundantia,
diuersimode unita aut distincta sunt. In aequiuocis namque rationes illae, puta
canis marini et terrestris, sunt omnino diuersae secundum rationem; et propter
hoc id quod praedicat canis de marino cane, nullo modo praedicat de terrestri,
et e conuerso; et ideo sola uoce communius aut maius aequiuocatis dicitur et
est. 64. In uniuocis uero res illae,
puta animalitatis in boue et animalitatis in leone, licet et numero et specie
diuersae sint, ratione tamen omnino eaedem sunt; ratio enim unius est omnino
eadem quod ratio alterius, et, e conuerso; et propter hoc id quidem quod
praedicat animal de homine, idem praedicat omnino de boue, et uniuocum dicitur
et superius homine, leone boueque. In analogis autem res analogiam fundantes
(puta quantitas ut sic se habens ad esse, et substantia ut sic se habens ad
esse), licet diuersae sint et numero et specie et genere; ratione tamen eaedem
sunt non omnino, sed proportionaliter; quoniam unius ratio proportionaliter
eadem est alteri. 66. Et propterea, id
quod praedicat analogum, puta ens de quantitate, illud idem proportionaliter
praedicat de substantia, et e conuerso; est enim illudmet proportionaliter id
quod in substantia ponit, et e conuerso. Et propter hoc analogum, puta ens, non
sola uoce communius, maius aut superius analogatis est; sed conceptu, ut dictum
est, proportionaliter uno. Ita
quod analogum et uniuocum conueniunt in hoc, quod utrumque communioris et
superioris rationem habet. Differunt autem in hoc, quod illud est superius
analogice seu proportionaliter, hoc uero uniuoce. 67. Et merito, quia fundamentum
superioritatis utrobique saluatur, uniuocationis autem non. Fundatur enim
superioritas super identitate rationis rei significatae, idest super hoc quod
res significata inuenitur non in hoc tantum, sed illamet non numero sed ratione
inuenitur in alio. Uniuocatio autem supra modo identitatis
omnimodae scilicet identitate rationis rei significatae, idest super hoc quod
ratio rei significatae in illo et in isto est eadem omnino. 68.
Quamuis enim in analogis hic identitatis modus non inueniatur, quem in uniuocis
inueniri pluries dictum est, identitas tamen ipsa rationum inuenitur. Est namque identitas proportionalis, identitas quaedam. Et ideo non
minus analogum (puta ens) est praedicatum superius, quam uniuocum (puta
animal), sed alio modo: analogum enim est superius proportionaliter, quia
fundatur supra identitate proportionali rationis rei significatae; uniuocum
autem praecise et simpliciter, quia supra omnimoda identitate rationis rei
significatae eius superioritas fundatur. Propter quod S. Thomas, superioritatis fundamentum aspiciens, in V
Metaph. dicit, quod ens est superius ad omnia, sicut animal ad hominem et
bouem. 69. Unde obiectiones ad oppositum
adductae in hoc peccant, quod inter identitatem et modum identitatis non
distinguunt. Fatendum enim est, quod ad hoc, quod aliquis terminus denominetur
superior aut communior, oportet ut rem unam et eamdem in utroque ponat; sed
sophisma consequentis committitur inferendo ex hoc: ergo oportet quod dicat rem
unam et eamdem omnino. Et est semper sermo de identitate
secundum rationem, seu definitionem. Identitas enim et unitas continent sub se
non solum unitatem et identitatem omnimodam, sed proportionalem, quae in
analogi nominis ratione saluatur. Negandum est igitur quod in analogis non
praedicetur idem de uno et de alio analogato: quoniam unum et idem
proportionaliter de omnibus analogatis dicitur; et propterea inter praedicata
non conuertibilia numerandum est. Quantitas enim licet adaequet ens de
quantitate uerificatum secundum rationem omnino eamdem, non tamen secundum
rationem illam proportionaliter: quoniam entis ratio non alia proportionaliter
ad substantiam et quantitatem se extendit. Verum quia analogum sonat
identitatem proportionalem, ideo huiusmodi rationibus formaliter respondendo,
nullo pacto concedendum est conuerti analogum cum analogato aliquo. Ad materiam
tamen descendendo, potest intrepide dici, quod quia analogum rationem unam
tantum proportionaliter praedicat, et unum proportionaliter plura esse
proportionibus similia manifestum est; dupliciter potest secundum singulas
rationes ad analogata comparari. Uno modo absolute: et sic secundum singulas
rationes cum singulis analogatis conuertitur; quia nulla omnino una analogi
ratio in duobus analogatis inuenitur. Alio modo secundum identitatem
proportionalem, quam habet una cum altera: et sic cum nullo analogato
conuertitur, quoniam omnes analogi rationes indiuisae sunt proportionaliter, et
una est altera proportionaliter. Et quia, ut dictum est, analogum hanc sonat
identitatem, ideo formaliter et simpliciter loquendo, analogum inconuertibile
et communius praedicatum, concedendum est esse. Non tamen genus, aut species,
aut proprium, aut definitio, aut differentia, aut accidens uniuersaliter est.
Nec propterea Aristoteles diminutus fuit aut Porphyrius, quoniam praedicabile,
quod unum est simpliciter, edocebant; ac per hoc inter aequiuoca, analoga numerarunt.
Ex prædictis autem manifeste patet, quod analogum non conceptum disiunctum, nec
unum praecisum inaequaliter participatum, nec unum ordine; sed conceptum unum
proportione dicit et praedicat. De ordine tamen in analogis incluso inferius
tractabitur. Unde cum dicitur de homine, aut albedine, aut quocumque alio, quod
est ens: non est sensus, quod sit substantia, uel accidens; sed sic se habens
ad esse. 72. Utor autem ly sic, quoniam
de propriis nominibus proportionum ad esse in actu exercito eas importantibus,
disputare nolo ad praesens; quoniam Metaphysici negotii opus hoc est, et
exemplariter hic de ente loquimur. Simile siquidem est de actu, potentia,
forma, materia, principio, causa, et aliis huiusmodi, indicium. QUALIS SIT ANALOGATORUM SECUNDUM ANALOGI
NOMEN DEFINITIO. Apparere quoque alicui poterit, quod in ratione unius
analogati, (puta qualitatis) secundum analogi (puta entis) nomen, alterius
analogati, puta substantiae, uel quantitatis ratio secundum idem nomen analogi
cadere debeat, sicut in analogia attributionis contingere dictum est.
Fundamentum autem inde apparentia haec sumit: quia ratio unius analogati ut
eadem proportionaliter est alteri, absque illa altera exprimi nequit complete.
Dictum est autem, quod analogo nomine rationes hae importantur, ut eadem
proportionaliter sunt. 74. Et confirmat
hoc expositio ipsa analogiae ab Aristotele, Auerroe et S. Thoma in I Ethic.
posita. Exponunt enim quod bonum, seu perfectio, analogice dicitur de uisu et
intellectu, quia sicut uisus in corpore, ita intellectus in anima perfectio
est. Constat autem, quod non est intelligibile hoc se habere sicut illud, nisi
utrumque extremorum percipiatur. Necessario igitur uidetur, unum analogatorum
secundum analogi nomen per aliud definiendum esse. 75. Ut autem liqueat huius ambiguitatis
solutio, recolendum est analoga haec dupliciter inueniri, scilicet proprie et
metaphorice. Diuersimode enim haec se habent ad propositam quaestionem. In
analogia siquidem secundum metaphoram, oportet unum in alterius ratione poni,
non indifferenter; sed proprie sumptum, in ratione sui metaphorice sumpti
claudi necesse est; quoniam impossibile est intelligere quid sit aliquid
secundum metaphoricum nomen, nisi cognito illo, ad cuius metaphoram dicitur.
Neque enim fieri potest, ut intelligam quid sit pratum in eo quod ridens, nisi
sciam quid significet risus nomen proprie sumptum, ad cuius similitudinem
dicitur pratum ridere. 76. Est autem
huius ratio radicalis, quia analogum metaphorice sumptum, nihil aliud
praedicat, quam hoc se habere ad similitudinem illius, quod absque altero
extremo intelligi nequit. Et
propter hoc huiusmodi analoga prius dicuntur de his, in quibus proprie
saluantur, et posterius de his, in quibus metaphorice inueniuntur et habent in
hoc affinitatem cum analogis secundum attributionem, ut patet. 77. In analogia uero, in
qua nominis saluatur proprietas, nullum analogi membrum per alterum definiri
oportet, nisi forte gratia materiae, ut S. Thomas in qq. de Verit., q. 2, a. 11
docuit. Sunt enim analogatorum rationes secundum analogi nomen quodammodo
mediae inter analoga secundum attributionem, et uniuoca. In analogis enim
secundum attributionem, primum definit reliqua. In uniuocis uero neutrum
alterum definit, sed unius definitio est completa alterius definitio, et e conuerso.
In analogis autem neutrum alterum definit; sed unius definitio est
proportionaliter alterius definitio. Et loquimur semper de ratione secundum
nomen commune. Verbi gratia, in definitione cordis, secundum quod principium
animalis, non ponitur fundamentum secundum quod principium domus, nec e
conuerso; sed eadem proportionaliter est principii ratio utrobique, ut
Commentator ubi supra dicit. Duabus autem opus est distinctionibus uti in hac
re: ea scilicet, quae in logica, traditur de actu signato et exercito; et ea
quae a metaphysico ut plurimum tractatur, de ordine rerum sub uno nomine ex
parte rei, et ex parte impositionis nominis.
79. Ex prima siquidem distinctione scimus duo. Primo, quod sicut animal
dictum de homine et de equo importans uniuocationem in actu exercito, non
praedicat de homine totum hoc, scilicet naturam sensitiuam eamdem omnino
secundum rationem naturae sensitiuae equi et bouis, sed naturam sensitiuam
simpliciter; quam tamen ad hoc, quod uniuoca sit praedicatio, oportet omnino
esse eamdem secundum rationem naturae sensitiuae equi et bouis, - ita ens
importans proportionalitatem in actu exercito, non praedicat de quantitate
totum hoc, scilicet habens se ad esse sic proportionaliter sicut substantia,
aut qualitas ad suum esse; sed habens se ad esse sic absque alia additione;
quod tamen oportet, ad hoc quod analoga sit praedicatio, idem proportionaliter
esse cum altero, sic se habere ad esse quod de substantia aut qualitate ens
praedicat. 80. Secundo, quod sicut ex
declaratione, qua manifestatur animal esse uniuocum, quia dicit unam et eamdem
omnino rationem in omnibus, non fallimur, nec confundimur, nec uagamur circa
hominis et bouis secundum animalis nomen rationem; sed quiescimus, intuentes
quod animal exercet, quod uniuocorum definitio et expositio significat: - ita
ex hoc, quod declaratur ens aut bonum, aut quodcumque aliud esse analogum, quia
dicit rationes plures easdem proportionaliter, et importat hoc se habere
quemadmodum proportionaliter illud se habet ad esse uel appetitum etc., non
debemus turbari et inquirere in analogi nominis (puta boni) ratione
significationem istam; sed sat sit, distinguendo inter actum signatum et
exercitum, inspicere quod analogi nominis ratio id exercet, quod analogi ratio
et declaratio significat. 81. Ex his
autem duobus patere iam potest intentum, quod scilicet non oportet unum
analogiae membrum per alterum definire, ex eo quod analogum significat ea esse
eadem proportionaliter, quoniam haec in actu exercito significat. 82. Ex secunda uero distinctione scimus, non
solum - quod praeposterus est ordo rerum et significationum quandoque sub
nomine analogo, ita quod prior secundum rem ratio, posterior interdum
significatione est (ut de ente et bono et aliis huiusmodi communibus Deo et
creaturis accidit: ratio enim quam in Deo quodlibet horum ponit, significatione
quidem posterior, re autem prior est); et quod propter alterum horum dicitur
analogum praedicari de suis analogatis secundum prius et posterius ipsam
analogi rationem. - Sed etiam scimus, quod quando ratio, quam ponit analogum in
uno, ex ratione quam in altero ponit, exponitur: non ideo fit, quia unum in
alterius ratione cadat; sed quia unius ratio posterior altera est
significatione; et per priorem, utpote notiorem declaratur: ut S. Thomas in I
p., q. XIII, art. 2 fecit: declarans quod, dicendo: Deus est bonus: sensus est,
id quod bonitatem in creaturis dicimus, praeexsistit in Deo proportionaliter
etc. Et eadem intelligendum est ratione fieri, si posterior secundum rem per
priorem declaretur. Non definit ergo analogum secundum unam rationem, seipsum
secundum alteram, licet exponat et declaret.
83. Obiectionibus autem in oppositum, quamuis ex dictis satisfactum sit,
formaliter responderi potest, quod cognosci aliqua ut eadem proportionaliter,
seu hoc se habere sicut illud, dupliciter contingit. Uno modo formaliter, idest
quoad relationem identitatis et similitudinis, et sic absque extremis cognitio
haec haberi non potest. Alio modo fundamentaliter, et sic in ratione unius non
cadit reliquum; sed ratio unius est ratio alterius omnino, uel
proportionaliter. Constat autem quod analogum nomen, puta ens aut bonum, non
relationem identitatis aut similitudinis significat, sed fundamentum; et ideo
obiectiones quae iuxta primum sensum procedunt, nihil concludunt contra
intentum. Patet autem facillime, haec esse uera exempla de uniuocis, ponendo et
applicando ad identitatem uniuocationis. Significat namque nomen uniuocum
plura, in quantum eadem sunt uniuoce, seu secundum rationem omnino. Et
identitatis relatio in nullo extremorum absque altero intelligibilis est.
QUALIS SIT IN ANALOGO COMPARATIO. Difficultas etiam non parua, quae multos
inuasit ac superauit, de comparatione in analogo, dilucidanda est. Creditum
enim est a quibusdam, quod non posset, analogia posita, sermo ille nisi extorte
exponi, quo unum analogatum magis aut perfectius tale secundum analogi nomen
diceretur. Verbi gratia: substantia est magis, aut perfectius ens quam
quantitas. Moti sunt autem ex eo, quod comparatio in uno communi, utrinque facienda
est, etiam secundum grammaticos; quod in analogo non inueniri uidetur. Et
potest formari ratio pro eis talis: Aut comparantur analogata in una communi
eis ratione, aut in suis rationibus. Non in ratione communi: quia illa analogum
caret; nec in rationibus propriis: quia tunc falsum est, substantiam magis esse
ens quam quantitatem. Non enim minus aut imperfectius quantitas est sua ratio,
quam ens in ea ponit, quam substantia sua etc. Nullo igitur modo uidetur
comparationem cum analogia saluari posse. 86. Succumbitur autem difficultati huic, quia
proprium comparationis fundamentum non consideratur. Fundatur enim super
identitate seu unitate rei, in qua fit comparatio, et non super modo
identitatis aut unitatis; sicut de intentione superioritatis praedictum est.
Unde cum analogum ex dictis constet rem unam, licet proportionaliter, dicere;
nihil prohibet in ipso comparari analogata, licet non eo modo, quo uniuoca fit
comparatio. Ad comparationem siquidem cum requirantur et sufficiant haec tria:
scilicet distinctio extremorum, et identitas eius, in quo fit comparatio, et
modus essendi illius in extremis, scilicet eaque, uel magis aut minus perfecte;
sub identitate autem seu unitate, proportionalis unitas seu identitas
contineatur, consequens est, quod si in diuersis idem proportionaliter eaque
uel magis aut minus perfecte esse habet, comparatio secundum illud
proportionale fieri possit, comparatione non uniuoca, sed analoga. 88. Sicut enim, quia natura sensitiua est in
boue, et illamet omnino secundum rationem est in homine, et perfectius esse
habet in homine quam in boue: homo perfectius animal boue dicitur, uniuoca
comparatione; sic quia sic se habere ad esse est in substantia, et hoc idem
proportionaliter est in quantitate, et imperfectius esse habet in quantitate
quam in substantia: dicitur substantia magis seu perfectius ens, quam
quantitas, analoga comparatione. Unde S. Thomas in art. 7, quaest. VII de
Potentia Dei, tripliciter comparationem fieri docens, duos modos analogicae
comparationis ponit: aperte ex hoc insinuans, comparationem non solum super
identitate numerali, specifica aut generica fundari, sed etiam
proportionali. 89. Modi autem
comparationis ibidem traditi sunt, hi scilicet secundum solam quantitatem rei
participatae: et sic unum album dicitur altero albius. Vel extendendo, propter
praesens propositum, hunc modum ad omnem comparationem uniuocam, dicatur quod
primus attenditur secundum quantitatem rei participatae, eiusdem omnino
secundum rationem, siue illa ratio sit specifica, siue generica: ut calidum
magis calidum altero dicitur, et homo perfectius animal leone est. 90. Secundus uero modus attenditur secundum
quod res aliqua in uno inuenitur participatiue, in altero uero est per
essentiam: quemadmodum homo Platonicus longe perfectior homo esset nobis. Et
abstractione intellectus utendo, quemadmodum bonitas longe melior est quocumque
bono, quod participatiue bonum dicitur.
91. Tertius autem modus attenditur secundum quod res aliqua in uno
inuenitur formaliter et secundum se, in altero autem uirtualiter et eleuatum ad
rem superioris ordinis. Quemadmodum dicitur quod sol est magis calidus quam
ignis; uel quod calor perfectius esse habet in sole, quam in igne. Nec est dubium hos duos modos uniuocam comparationem
impedire, ut S. Thomas ibidem dicit, et Aristoteles in I Ethic. de primo modo
testatur: ubi bonum commune non uniuoce, sed secundum proportionalitatem
dicendum docet, bonitati separatae et bonis caeteris per participationem. Patet
igitur ex his, eadem proportionaliter ut sic esse comparabilia; quamuis,
physice loquendo, in sola specie aut genere comparatio fiat. 93. Ad obiectionem autem in oppositum,
dicitur quod utroque modo in analogis comparatio fit. Comparantur siquidem
analogata, puta substantia et quantitas, in ratione una et communi
proportionaliter, quam analogi nomen, puta ens, dicit, et addit supra
analogata, ut ex dictis patet. Et comparantur secundum suas rationes, secundum
tamen analogi nomen, quae earum sit perfectior, secundum quod dicimus
substantiam esse perfectius ens quantitate; quia ratio entis in substantia
perfectior est ratione entis in quantitate. Ita quod iuxta istam comparationem
est sensus: Substantia habet, secundum entis nomen, perfectiorem rationem quam
quantitas; et non quod substantia est magis aut perfectius substantia quam
quantitas sit quantitas, ut quidam somniare uidentur. 94. Unde comparatio ista extenditur usque ad
analoga secundum attributionem, licet in tali analogia non nisi abusiue
comparatio fieri possit. Dicimus
enim quod ens reale est magis et perfectius ens ente rationis, quod per
attributionem ad illud ens dicitur in IV Metaph. text. com. II; quia ens reale
habet, secundum entis nomen, perfectiorem rationem. Iuxta quem modum, si usus
admitteret, diceremus: animal est magis sanum urina; quia perfectiorem secundum
sani nomen rationem habet. QUALIS SIT
ANALOGI DIVISIO ET RESOLUTIO 95. Qualiter autem analogum diuidendum sit, ex dicendis manifestum est.
Potest siquidem trifariam analogi diuisio intelligi. Primo, ut diuidatur uox in
suas significationes. Dictum est enim, quod analogum plures rationes significat
immediate, et haec diuisio conuenit sibi, in quantum aequiuocum quoddam
est. 96. Secundo, ut diuidatur
significatum eius in quasi membra eius: eo modo quo eius, quod proportionaliter
unum est, sic et sic proportionatum, membra dici possunt. Dictum est enim, quod analogum non ita diuersas
rationes significat, quin significet unam rationem proportionaliter. Omnes
namque rationes analogo nomine immediate significatae eaedem proportionaliter sunt.
Ratio autem una proportionaliter, cum constituatur ex pluribus rationibus
proportionalibus, in eas secari potest. Haec autem non est
diuisio analogi in sua analogata: quoniam rationes hae in ipsius analogi
ratione intrinsece clauduntur, et analogata ea sunt, in quibus rationes illae
saluantur, et non ipsae rationes. Entis enim analogata sunt substantia et
quantitas, et non rationes entis in substantia et quantitate. Rationes enim ut
dictum est, analogae sunt. 97. Unde
tertio modo potest diuidi analogum, diuidendo significatum eius in sua
analogata per diuersos modos, quibus analogi rationem proportionalem analogata
ipsa diuersimode suscipiunt: ita quod diuisum est significatum unum
proportionaliter, diuidentia sunt modi fundantes et facientes in analogatis
proprias proportiones, secundum quas fit analogia; constituta autem per
diuisionem, ut partes subiectiuae, sunt analogata ipsa. Verbi gratia: quando
ens diuiditur in substantiam et quantitatem, diuisum est ratio entis nomine
significata, quae omnes in se entis nomine significatas rationes claudit,
utpote una proportionaliter; diuidentia sunt substantiuum et mensuratiuum, seu
per se et in alio, sicut ex quibus substantia et quantitas habent quod diuersas
entis rationes subintrent; partes autem subiectiuae sunt substantia et
quantitas, quae in entis ratione analogantur. Et quia haec est propria analogi
diuisio, idcirco distincte explicandum est, quomodo differat diuisio haec ad
uniuoca. Tripliciter siquidem differunt. Primo ex parte diuisi: quia diuisione
uniuoca unum omnino secundum rationem secatur; hic autem unum
proportionaliter. 99. Secundo ex parte
diuidentium: quia differentiae secantes genus, extra genus sunt; modi autem
secantes analogum, in ipsius analogi ratione clauduntur, quemadmodum ipsa
analogata (ut in capitulo de abstractione declaratum est); propter quod in III
Metaph. text. comm. X ens genus esse negatur.
100. Tertio ex parte ipsarum partium subiectiuarum, quae per diuisionem
fiunt: quia partes diuisionis uniuocae, licet ordinem habeant secundum se, et
originis: ut dualitas est prior trinitate; et perfectionis: ut albedo est
perfectior nigredine; tamen secundum diuisi rationem, puta numeri, aut coloris,
neutra altera prior, aut posterior est; sed omnes aequaliter in diuisi ratione
communicant. Analogata uero, quae analoga diuisione constituuntur, non solum
secundum se, sed etiam in ipsius analogi quod diuiditur ratione ordinem habent;
et aliud prius aliud posterius est; adeo ut in uno eorum, tota ratio diuisi
saluari dicatur; in alio autem imperfecte et secundum quid. Quod non est sic
intelligendum quasi analogum habeat unam rationem, quae tota saluetur in uno,
et pars eius saluetur in alio. Sed cum totum idem sit quod perfectum, et
analogo nomine multae importentur rationes, quarum una simpliciter et perfecte
constituit tale secundum illud nomen, et aliae imperfecte et secundum quid:
ideo dicitur, quod analogum sic diuiditur, quod non tota ratio eius in omnibus
analogatis saluatur, nec aequaliter participant analogi rationem, sed secundum
prius et posterius. 101. Cum grano tamen
salis accipiendum est, analogum simpliciter saluari in uno et secundum quid in
alio. Sufficit enim hoc uerificari: uel absolute, ut patet in diuisione entis
in substantiam et accidens; (illa enim absolute loquendo dicitur ens
simpliciter, hoc autem secundum quid); uel in respectu, ut patet in diuisione
entis in Deum et creaturam. Utrumque enim licet ens simpliciter sit et dicatur,
absolute loquendo; creatura tamen in respectu ad Deum, ens secundum quid, et
quasi non ens est et dicitur. 102. Circa
resolutionem autem analogatorum, sciendum est: quod cum uniuersaliter, primum
in compositione sit ultimum in resolutione, et per diuisionem in ea, quae actu
in aliquo sunt resolutio fiat: eodem modo resoluenda sunt analogata in suum
analogum, quo caetera resoluuntur, scilicet utendo diuisione praedicta (quae
uocatur diuisio in partes essentiae uel rationis), et a posterioribus secundum
consequentiam ad priora procedendo, si longa esset resolutio facienda. Ad
rationem autem analogi cum deuentum fuerit, singulis analogatis in suas
rationes secundum analogi nomen resolutis: cum illa analogi ratio ex multis
constituatur rationibus, ordinem inter se et proportionalem similitudinem
habentibus: uel ordinate ad primam resolutio fiat, ueniendo semper ad similius
et propinquius primae, et id, in quo dissimilitudo est, relinquendo. Vel si non
sic ordinatas inter se contingit esse rationes illas, ad primam omnes modo
praedicto reducendae sunt. Ordinem enim ad primam nulla subterfugere potest.
Nec refert in proposito, an fiat resolutio ad rationem primam, significatione,
uel secundum rem. Intelligenda enim sunt haec in suo ordine, scilicet,
significationum aut rerum. CAPUT X QUALITER DE ANALOGO SIT SCIENTIA 104. Visum est autem quibusdam de analogo
scientiam esse non posse, nisi quemadmodum de aequiuocis scientia habetur: eo
quod plures rationes dicit licet similes. Imo fallaciam aequiuocationis
committi in syllogismis, in quibus, analogo pro medio sumpto, certum analogatum
subsumitur, (nisi forte gratia materiae bonus esset processus) astruunt ex
eadem ratione. Nec posse ex unius analogati ratione, secundum analogi nomen,
concludi alterum analogatum tale formaliter esse; sed semper praedictum
incidere uitium, ratione praedicta, confirmant. Verbi gratia: si ponamus
sapientiam esse analogice communem Deo et homini, ex hoc quod sapientia, in
homine inuenta, secundum formalem rationem praecise sumpta, dicit perfectionem
simpliciter: non potest concludi: ergo Deus est formaliter sapiens, sic arguendo:
Omnis perfectio simpliciter est in Deo; sapientia est perfectio simpliciter;
ergo etc. Minor enim distinguenda est: et si ly sapientia pro ratione
sapientiae, quae est in homine stat, argumentum est ex quatuor terminis: quia
in conclusione, sapientia stat pro ratione sapientiae quam ponit in Deo, cum
concluditur: ergo sapientia est in Deo. Si autem pro ratione sapientiae in Deo,
stat in minore; non concluditur, ex perfectione sapientiae creatae, Deum esse
sapientem; cuius oppositum et philosophi et theologi omnes clamant. 106.
Decipiuntur autem isti, Scotum (cuius est ratio haec I Sent., dist. 3, q. I)
sequentes: quia in analogo diuersitatem rationum inspicientes, id quod in eo
unitatis et identitatis latet, non considerant. Rationes enim analogi (ut
superius etiam diximus) possunt dupliciter accipi: Uno modo secundum se, in
quantum ab inuicem distinguuntur, et ea quae conueniunt eis ut sic, seu ex hoc.
Alio modo in quantum eadem sunt proportional iter. Primo modo acceptae, uitium
aequiuocationis inducerent, si quis eis uteretur, ut patet. Secundo autem modo eis utendo, peccatum nullum incurritur: eo quod
quidquid conuenit uni, conuenit et alteri proportionaliter; et quidquid negatur
de una, et de altera negatur proportionaliter: quia quidquid conuenit simili,
in eo quod simile, conuenit etiam illi, cui est simile, proportionalitate
semper seruata. Unde si ex
immaterialitate animae, concluditur eam esse intellectualem; ex immaterialitate
proportionaliter posita in Deo optime concluderetur, Deum esse intellectualem
proportionaliter: ut quantum immaterialitas illa excedit istam, tantum
intellectualitas illa excedit istam etc. Propter quod S. Thomas in quaestione
II De Potentia Dei, art. 5, analogata omnia sub una analogi distributione
cadere dixit. Et merito, quia unitas analogiae non esset in coordinatione
unitatum numeranda, nisi unum proportionaliter, unum esset affirmabile et
negabile, et consequenter distribuibile et scibile, ut subiectum, et medium, et
passio. Unde ad obiecta in oppositum
dicitur, quod quia, ut in II Elenchorum cap. X dicitur, aequiuocatio latens in
huiusmodi proportionalibus peritissimos etiam latet: ideo oportet, huiusmodi
analogis nominibus utendo ex parte unitatis, semper modum proportionalitatis
subintelligi; aliter in uniuocationem lapsus fieret. Nisi enim prae oculis
haberetur proportionalitas, cum dicitur immateriale omne esse intellectuale,
tamquam uniuoce dictum acciperetur, et latens aequiuocatio non uisa
obreperet. 109. Proportionalitate autem
seruata, de analogis scientiam esse: et diui Thomae processus de bono et uero
et aliis huiusmodi, et quotidianum conuincit exercitium. Testatur quoque
demonstratiuae artis pater Aristoteles, in II Poster., cap. XIII incipiente: Ut
habeamus autem proposita (uel problemata) analogum causam adaequatam esse
alicuius passionis, et in medium oportere quandoque a demonstratore assumi, dum
uenationem propter quid docens, inquit: « Amplius alius modus est secundum
analogiam eligere. Unum enim idem non est accipere quod oportet uocare sepion,
et spinam, et os. Sunt autem quae sequuntur et hoc, tamquam natura una
huiusmodi exsistente ». Et sequenti cap. ait: « Secundum autem analogiam
eiusdem, et medium se habet secundum analogiam ». In quibus uerbis non solum
docuit, analogum ut medium assumi quandoque in demonstrationibus; sed etiam
ipsum non esse unum in se expressit, et cum hoc habere passionem adaequatam, ac
si unius esset naturae. 110. Nec impedit
analogia haec processum formalem ad concludendum de Deo et creaturis
praedicatum aliquod eis commune: quoniam accepta sapientiae ratione, et
segregatis ab ea per intellectum eis, quae sunt imperfectionis, ex hoc quod id,
quod est sibi proprium formaliter sumptum, perfectionem absque imperfectione
claudit, concluditur ergo sapientiae ratio non omnino alia, nec omnino haec,
sed haec proportionaliter est in Deo: quia similitudo inter Deum et creaturam
non est uniuoca, sed analoga. Nec pari
ratione potest concludi, Deum esse lapidem proportionaliter: quia ratio lapidis
formaliter sumpta, quantumcumque expoliata, imperfectionem aliquam claudit,
quae prohibet tam ipsam secundum se, quam ipsam proportionaliter in Deo
reperiri, nisi metaphorice: quemadmodum dictum est: Petra autem erat Christus.
Unde, cum fit huiusmodi processus: Omnis perfectio simpliciter est in Deo;
sapientia est perfectio simpliciter; ergo etc.; in minore ly sapientia non stat
pro hac uel illa ratione sapientiae, sed pro sapientia una proportionaliter,
idest, pro utraque ratione sapientiae non coniunctim uel disiunctim; sed in
quantum sunt indiuisae proportionaliter, et una est altera proportionaliter, et
ambae unam proportionaliter constituunt rationem Significantur enim analogo nomine in quantum
eaedem sunt; unde non oportet analogum distinguere, ad hoc quod contradictionem
fundet, et enuntiationis subiectum, aut praedicatum fiat; sed ratione
identitatis preportionalis in se clausae, et quam principaliter dicit, ex se ad
hoc sufficit. Contradictio enim dicitur consistere in affirmatione et negatione
eiusdem de eodem etc., et non in affirmatione et negatione uniuoci de eodem
uniuoco. Identitas siquidem tam
rerum quam rationum, ut pluries replicatum est, ad identitatem proportionalem
se extendit. Ex hoc autem apparet,
Scotum in I Sent., dist. 3, q. I, uel male exposuisse conceptum uniuocum uel sibi
ipsi contradicere: dum, uolens uniuocationem entis fingere, alt: « Conceptum
uniuocum uoco, qui ita est unus, quod eius unitas sufficit ad contradictionem,
affirmando et negando ipsum de eodem ». Et sic uniuocum uult esse ens. Si enim
identitas sufficiens ad contradictionem, uniuocatio dicitur; constat quod,
ponendo ens esse analogum, et secundum proportionalitatem tantum unum,
satisfiet uniuocationi: quod scoticae doctrinae aduersatur, tenenti ens habere
conceptum unum simpliciter, et omnino indiuisum, (ut de uniuocis diximus). Si autem non omnis talis identitas sufficit ad uniuocationem, non recte
igitur uniuocatio conceptus declarata est esse eam, quae ad contradictionem
sufficit, quasi proportionalis identitas ad hoc non sufficiat. DE CAUTELIS
NECESSARIIS CIRCA ANALOGORUM NOMINUM INTELLECTUM ET USUM. Quia uero Aristoteles
in praedicta ex Elenchis auctoritate, doctissimos uiros circa horum nominum
conceptus errare dicit, ob latentem eorum unitatis modum: idcirco necessarium
fore duximus, in fine huius tractatus cautelas quasdam tradere, quibus possit se
quis ab errore multiplici in re hac praeseruare. Cauendum est igitur in primis, ne ex
uniuocatione ipsius nominis analogi respectu quorumdam, credamus simpliciter
ipsum esse uniuocum: omnia enim fere analoga proprie, prius fuerunt uniuoca, et
deinde extensione, analoga communia proportionaliter illis quibus sunt uniuoca
et aliis uel alii, facta sunt. Sapientiae enim nomen primo impositum est
humanae sapientiae, et uniuocum omnium hominum sapientiis erat. Deinde, ad
diuinae naturae cognitionem ascendentes, proportionalemque similitudinem inter
nos ut sapientes et Deum contemplantes, sapientiae nomen extenderunt ad id in
Deo significandum, cui nostra sapientia proportionalis est; sicque uniuocum nobis,
analogum factum est nobis et Deo. Et similiter de aliis accidit. Falli autem contingit faciliter ex hoc, quia
illa ratio prior, utpote notior et familiarior et prior quoad nos, semper
profertur ab illustribus uiris, et ab eorum sequacibus, cum analogi
significatio quaeritur; et dicitur esse tota analogi ratio, pro qua simpliciter
prolatum stat, et omnia analogata illam participare: ut patet cum sapientiae
ratio redditur. Assignatur enim
differentialis eius conceptus pro ratione, secundum quam communis ponitur Deo
et creaturis. Et similiter est in aliis. Creditur enim ex
hoc, quod illa sit ipsa analogi ratio, et incaute uniuocatio acceptatur: non
enim illa ratio est ratio analogi, sed eius origo quoad nos; quoniam non illa,
sed illa proportionaliter in altero analogato inuenitur, ut ex dictis patet.
Cauendum secundo est, ne nominis unitas, aut diuersitas rationum, analogam
unitatem obnubilet; hoc enim tamquam quoddam accidens, in re hac suscipiendum
est. Nihil enim minus analogice idem sunt sepion, os, et spina, unum non
habentia nomen, quam si unum nomen haberent. Nec magis idem essent, si unum
nomen haberent, et tamen si communi nomine ossa uocarentur, ita quod defectu
uocabulorum, uel rerum proportionali similitudine ossis nomen ad caetera
extensum esset, crederemus eiusdem esse naturae et rationis, ossa, sepion, et
spinas. Praesertim quia, ut dictum fuit, ad ea quae sunt proportionaliter
eadem, consequuntur passiones tamquam si eorum esset natura una. Cauendum
tertio est, ne uocalis unitas rationis analogi nominis mentem inuoluat. Ex eo
namque uerbi gratia, quod principium dicitur esse id ex quo res fit, aut est,
aut cognoscitur; et haec ratio in omnibus quae principia dicuntur, saluatur:
principii nomen uniuocum creditur. Erratur autem, quia ratio ipsa non est una
simpliciter, sed proportione et uoce. Vocabula enim, ex quibus integratur,
analoga sunt, ut patet; neque enim fieri, neque esse, neque cognosci, neque ly
ex unius omnino est rationis, sed proportionalis saluatur. Et propterea ratio
illa in omnibus utpote proportionalis saluatur: sicut et principii nomen
proportionaliter commune dicitur. 119.
Cauendum demum est, ne diuersa doctorum dicta de analogis nos perturbent.
Considerandum quippe est quod, quia analogum medium inter uniuocum et
aequiuocum est, et medium extremorum naturam sapiens: ad alterum comparatum,
alterum induit; adeo ut quando medio, secundum id quod de uno extremo habet,
utimur, illius extremi conditiones ei attribuamus, ut in V Physic., text. comm.
6 et 52 patet. Ideo plerumque doctores utentes analogo ex parte unitatis, quam
ex uniuocis participat, uniuocorum non solum conditiones, puta abstractionem,
indistinctionem, etc. sed etiam nomen ei attribuunt. Utentes uero analogo ex
parte diuersitatis, quam ex aequiuocis trahit, conditiones quoque supradictis
oppositas, et nomen illi imponunt aequiuoci.
120. Et ut de multis pauca
dicantur, Aristoteles in II Metaph., text. comm. 4, ens et
uerum uniuoca uocat; quia ex parte identitatis illis utitur, ut processus suus
aperte ostendit. S. Thomas quoque pluries dicit, in ratione alicuius analogi,
puta paternitatis communis diuinae et humanae paternitati, omnia contenta esse
indiuisa et indistincta; et quod paternitas, uerbi gratia, abstrahit a
paternitate humana et diuina: quia utitur analogo ex parte identitatis. 121.
Nec tamen falsae sunt aut abusiuae praedictae utriusque locutiones et similes;
sed amplae potius et largae, quemadmodum pallidum nigro contrarium est et
dicitur. Saluatur siquidem in analogis identitas nominis et rationis, in qua
(ut ex dictis patet) non solum analogata, sed etiam singulae analogi rationes
uniuntur, et quodammodo confunduntur, utpote abstrahentes aliqualiter ab earum
diuersitate. 122. Rursus pater
Aristoteles in I Physic., ex parte diuersitatis ente utens contra Parmenidem et
Melissum, multiplex seu aequiuocum, (ut ipsemet illum textum sic exponendum
specialiter in II Elenchorum tradit) uocauit. Unde et
Porphyrius, Aristotelem dicere ens esse aequiuocum accepisse uidetur, utens
ente ex parte diuersitatis. Quod tamen Scotus, in I Sent., dist. 3, q. 3, in
Logica Aristotelis non inueniri ideo dixit: quia praedictos textus non
coniugauit. Propter quod, ibidem
quoque contra textum, glossauit principium Aristotelis contra Parmenidem in I
Physic., text. comm. 13, ut in Elenchis (ut dictum est) clare patet. Thomas etiam, ens prius non esse primo analogato, nihilque Deo prius
secundum intellectum esse, dicit pluries: utens analogo ex parte diuersitatis
rationum eius. Quaelibet siquidem eius ratio secundum se, quia proprium
analogatum in se claudit, et in sui abstractione illud secum trahens, cum illo
conuertitur, ut supra diximus: ideo prior secundum consequentiam, aut
abstractior suo analogato negatur. Ac per hoc, primo analogato et Deo nihil est
prius: quia eius ratio secundum analogi nomen, quae ipso prior secundum se non
est, sed conuertitur, caeteris prior est rationibus. Cum his tamen stat, quod
ratio illa in Deo ut eadem est proportionaliter alteri rationi, secundum idem
nomen superior, et secundum consequentiam prior logice loquendo sit, ut ex
dictis patet. Dico autem logice: quia physice loquendo, analogum nec est prius
secundum consequentiam omnibus analogatis (quia ab eorum propriis abstrahere
non potest, quamuis ut saluatur in uno sit prius altero), nec potest esse sine
primo analogato, ubi analogata consequenter se habent. 125. Unde si quis falli non uult, solerter
sermonis causam coniectet, et extremorum conditiones medio applicaturum se
recolat; sic enim facile erit omnia sane exponere, et ueritatem assequi, quae a
prima est Veritate. Cuius cognitio ex hoc exaltetur et firmetur Opusculo. Completo in conuentu S. Apollinaris, Papiae
suburbio, die primo Septembris MCCCCXCVIII.
EXPLICIT TRACTATUS DE NOMINUM ANALOGIA. Gaetano. Cajetanus. Caietanus
Vio. Cajetano Vio. Caetano Vio. Gaetano Vio. Al secolo: Giacomo De Vio. Jacopo
De Vio. Tommaso De Vio. Cardinal Caetano. Cardinal Gaetano. Tommaso De Vio da
Gaeta, detto il Gaetano. Vio.
Keywords: analogia, commentary on Porphyry on Aristotle’s categories, the
example of ‘healthy’[sanus, corpore, medicina, excrementum], analogy in
philosophical eschatology, analogy of proportion, aequivocality, Grice, “focal
unity”, “Aristotle on the multiplicity of ‘being’” – ‘healthy’ – an animal is
healthy – various types of analogy. Unfortunately, the Germans focus more on
his, the saint’s, fight with Luther!” Refs.: Luigi Speranza, “Grice e de
Vio” – Luigi Speranza, “Grice e Vio: Le categorie” -- The Swimming-Pool
Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
Grice e Virgilio: la ragione
conversazionale e la leggenda d’Enea a Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Andes). Influssi lucreziani, e, quindi, della filosofia dell’orto. Nato
presso Mantova, muore a Brindisi. Studia la filosofia dell’orto sotto SIRONE. In
“Catal.” prende congedo dalle muse per volgersi verso la scuola di SIRONE
affinchè la filosofia gl’insegni a liberare la sua vita dalle passioni. Esprime
il proponimento di dedicare alla filosofia il resto dell’esistenza. Nel “Ciris,”
esaltando di nuovo l'insegnamento dei filosofi dell’ORTO, manifesta
l'intenzione di filosofare sui fenomeni celesti. L’influsso dell’orto è
esplicito nelle “Georgiche.” L' “Eneide", invece, nella escatologia,
dipende dalle correnti orfica e pitagorica – di CROTONE --, mediata, si erede,
da Posidonio, dal quale si fa derivare le rappresentazioni dell’età
dell'oro e dello sviluppo della civiltà umana e alcune teorie d’impronta del
PORTICO. Agl'interessi di psicologia filosofica si collegano quelli
naturalistici. In una ecloga, Sileno espone una cosmogonia. Nelle
"Georgiche" prega le muse d’interpretargli una serie di fenomeni
naturali. Nell’ “Eneide” Iopas tratta di problemi
naturalistici. Fa parte dell' “Appendix Vergiliana” il poemetto
"Aetna" sullo cause e gl’effetti di queso volcano -- del quale sono
incerte la paternità e la data. Fra i filosofi ai quali è stato attribuito
il "Aetna", trovano adesioni soprattutto V. e LUCILIO, l’amico di SENECA. Per
le teorie scientifiche particolari, l’autore dell'"Aetna" si serve
principalmente di Posidonio e ciò spiega l’affinità dell'"Aetna" con
le "Questioni Naturali" di Seneca che provengono dalla stessa
fonte. Per la filosofia, V. mescola ecletticamente elementi svariati e non
fusi, perchè espone dottrine del portico, dell’orto-lucreziane e inoltre
eraclitei, democritei, ecc. Grice: “It is interesting to study Virgil as the
author of what at Oxford we call “Beowulf,” an heroic narrative of origin. But in the history of philosophy, -- and the
history of Roman philosophy under the principate, specifically, it was the
exegesis of “Eneide” that we only have with Beowulf when it comes to Tolkien
and the monsters! On the other hand, the
Roman aristocrats find in “Eneide” a fabulous source for their even more
fabulous philosophisings! My favourite is Macrobio’s “Saturnalia” – it fits a
gentleman’s pocket – but there are others. The idea is to produce a didaskalia,
i. e. a way to deal with conceptual notions or philosophical concepts as we
study one line or other from “Eneide” as we did at Clifton! However false, the
philosophy behind Virgilio comprises not only a physical theory (natural
philosophy) – the theory of the three ages – but a full moral theory – and one
of philosophical psychology. The Eurialo/Niso episode is an interesting one as
a re-creation of the old Achilles-Patroclus topos that has fascinated even
Plato and the author of “Maurice,” i. e. E. M. Forster. Usually, you won’t find
Virgil listed in any manual on Roman philosophy, but you should. It is
fascinating also to trace the influence, via Alighieri in “Commedia” down to
Mussolini, where there were few exhibitions of the Mostra della Revoluzione
Fascista that would fail to quote from Enea. Note that the iconography – and I
don’t mix the effeminate one by Flaxman, but the fascist one – helped!”. Publio
Virgilio Marone – He spent some time in fellowship with a Garden community in
Naples headed by Siro. He appears to have been a particular favourite of Siro,
inheriting the villa upon his death. The extent to which the Garden influenced
his poetry has long been debated. Approdato a Cuma, Enca
consulta la Sibilla nell'antro presso il tempio di Apollo e la prega di
guidarlo negli Inferi. La Sibilla accetta, ma l'eroe deve prima procurarsi il
ramo d'oro da offrire in dono a Proserpina e dare sepoltura a un compagno morto
durante la sua assenza dalle nasi. Dunque, Enea porta alla Sibilla il ramo
d'oro, trovato nel bosco grazie all'aiuto di Venere, e celebra i funerali di
Miseno. Giunta la notte, e compiuto il sacrificio propiziatorio alle divinità
infernali, inizia il viaggio verso gli Inferi, e l'eroe varca, con la Sibilla,
la soglia dell'Averno. Essi attraversano il vestibolo, pieno di mostri e
simulacri di mali e malattie, e arrivano alla riva del fiume Acheronte, dove
appare Caronte, il traghettatore infernale.tra i quali spicca la figura di
Marcello. Infine, Enea e la Sibilla varcano la porta d'avorio e ritornano alla
luce.libro 6 dell'Encide: la Sibilla cumana e la discesa agli inferiEneide:
analisi Libro 6 Cuma e la Sibilla nel Libro 6 dell'Eneide Lapio po de i praga
da pala, le da di ad ge di and in al pre fite di Oli, nd e alce e esca cabr sua
discendenza. In questa parte si distinguono le fasi di un vero e proprio
percorso iniziatico: rispettare gli ordini di un sacerdote, la Sibilla dare
prova della pietas celebrando i riti trovare il ramo d'oro da donare a
Proserpina, per poter entrare negli Inferi. Enea viene assistito dalla madre
nel recupero del ramo, mentre la Sibilla lo aiuta nel viaggio verso gli Inferi.
La catabasi è preceduta da due rituali: le esequie di Miseno, e il rito
propiziatorio agli dei inferi. Questi riti sottolineano la sacralità
dell'impresa. La differenza fra la catabasi di Odisseo e quella di Enca sta nel
fatto che quella di Odisseo non è altro che l'ennesima avventura ai confini della
realtà, mentre l'eroe virgiliano intraprende un viaggio religioso per
assecondare i voleri del Fato.Gli Inferi nel Libro 6 dell'Eneide Celebrati i
rituali, Enea e la Sibilla entrano nel regno dei morti. Predominano le
descrizioni dell'Aldilà, ma l'attenzione si sposta sull'eroe nel momento in cui
entrano in scena personaggi a lui collegati. Per esempio, gli incontri con
Palinuro e Didone permettono al poeta di dare spazio ad Enca e alla sua
umanità. Il passo delinea la concezione virgilianadell'Oltretomba: un luogo in
cui le ombre si aggirano rimpiangendo la vita perduta, e in cui i giudici
infernali, Minosse e Radamanto, assegnano la dimora definitiva nel Tartaro alle
anime malvagie, nei Campi Elisi ai beati.Dal Tartaro ai Campi Elisi nel Libro 6
dell'Encide un bivio: a sinistra la Sibilla mostra ad Enca il Tartaro, dove
sono puniti gli empi, e poi lo conduce a destra, verso la città di Dite. Dopo
essersi purificato, Enea afligge sulla porta delle case di Plutone il ramo
d'oro, come dono a Proserpina. Poi prosegue con la Sibilla verso i Campi Elisi.
giovane Marcello, il giovane adottato da Augusto ma morto precocemente,
rappresenta un omaggio alla casa di Augusto, ma nello stesso tempo sfuma in
immagini di morte la visione trionfalistica del destino di Roma. pitagorismo,
l'orfismo, lo stoicismo. Nella parte finale del libro, in ogni caso, domina
l'esaltazione delle glorie romane, del periodo augusteo e della missione
civilizzatrice e ordinatrice di Roma. L'orgoglio di appartenere a un popolo
vincitore non impedisce a Virgilio di condannare la guerra e di celebrare i
valori della pace della concordia. Completata l'analisi e il riassunto del
libro 6 dell'Eneide, ti potrebbero interessare altri approfondimenti dei poemi
epici di Virgilio e Omero: Publio Virgilio Marone. Virgilio. Keywords:
catabasi. Luigi Speranza, per il Play Group di H. P. Grice, The Swimming-Pool
Library, Villa Speranza.
Grice e Virno: la ragione conversazionale di un popolo di due -- filosofia
ed azione – filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P.
Grice, The Swimming-Pool Library (Napoli). Filosofo
italiano. Essential Italian philosopher. Grice: “Virno, like me, is a
semiotician.” D’orientamento operaista, insegna filosofia a Roma. Tra i
principali esponenti dell'organizzazione della sinistra extra-parlamentare, Potere
Operaio, il suo nome ricorse nelle cronache dei cosiddetti anni di piombo in
Italia. Arrestato e detenuto in prigione. Nel corso della detenzione elabora la
sua filosofia che trova espressione in Luogo comune. Democrazia è il fucile in
spalla agl’operai -- slogan attribuito a Potere Operaio. “Mi sono formato
politicamente a Genova, dove la mia famiglia vive e io faccio liceo. Genova e esposta
all’influenza di Torino, dove vi sono le prime occupazioni. Quindi, si
mobilitarono gli studenti del liceo – molto vivaci e in contatto con le
organizzazioni tradizionai dei partiti, UGI e via dicendo. Come studente del
liceo fondo dunque il sindacato degli studenti, che fa i primi scioperi sulla
lotta all’autoritarismo, solidarietà con Grecia dopo il golpe dei colonnelli e
quant’altro. Per un trasferimento di famiglia, vengo ad abitare a Roma, e di lì
a non molto prendo contatti e rapporti con il gruppo che divenne Potere
Operaio, che allora sostanzialmente a Roma e il gruppo delle facoltà. Entra in
Potere operaio dopo gl’episodi cruciali della primavera a Torino. Lavora a
Milano come insegnante all'Alfa Romeo di Arese e all'Innocenti, organizzando
anche azioni collettive nelle fabbriche sino alla dissoluzione di Potere operaio.
Si laurea con la tesi, Lavoro e coscienza –su Adorno, non Francesco. Partecipa
attivamente alle manifestazioni ad opera dei lavoratori precari e di altri
emarginati. Fonda Metropoli, organo ideologico del movimento politico. Nell'ambito
dell'inchiesta giudiziaria nota come 7 aprile, la redazione di Metropoli viene
accusata di appartenere in blocco all'organizzazione eversiva costituita in più
bande armate variamente denominate. “Siamo arrestati io, CASTELLANO, MAESANO,
e PACE -- che però sfugge all’arresto, di nuovo, giuro, non per sagacia. Noi siamo
arrestati, poi ci fanno confluire, ritroviamo
gl’altri nel cortile di Rebibbia, nel braccio speciale, stiamo un po’di mesi
lì, poi c’è la diaspora, cioè il ministero ordina di mandare ognuno di questi
detenuti in un carcere speciale diverso, perché ovviamente, tramite avvocati,
visite, benché ci fosse il regime di braccio speciale, quello e diventato una
specie di luogo in cui si elaborano documenti, lettere a giornali, si fa
campagna politica, c’e state delle lotte interne. Quindi, c’è la diaspora,
io vado a Novara. Oreste va a Cuneo; quell’altro va a Favignana. Quell’altro
ancora da un’altra parte. Comincia questo giro negli speciali, e ci ritroviamo
non tutti ma in parte nel carcere di Palmi, carcere per soli politici o per
detenuti comuni completamente politicizzati, una specie di “Kesh”. Là dentro c’e
una situazione curiosa, anche molto spettacolare, perché si incontrano
assolutamente tutti. Infatti, per un primo periodo con i compagni delle BR o
con Alunni o quelli dei NAP, si pensa anche di approfittare di questa
situazione per avviare una discussione larga, di carattere costituente. Però,
il problema è che anche lì c’è il fatto che i più spregiudicati di loro, come CURCIO,
sono d’accordo, hanno capito di aver perso l’essenziale, cioè il cambio di
paradigma, cioè il fatto che gl’operai sono non più riconducibili, altri invece
no. Riassumendo in breve, la mia detenzione e un anno, poi due anni liberi in
cui curai la serie continua di Metropoli, due anni ancora di carcere, condanna
a 12 anni in primo grado, un anno di arresti domiciliario e l’assoluzione, insieme
a tanti altri imputati, du la conferma. La travagliata esperienza politica e
esistenziale di questi anni e trasfusa nella pubblicazione di “Luogo Comune,”
una rivista dedicata all'analisi della vita nella situazione sociale del
"postfordismo". Lascia il lavoro di editore della rivista per
insegnare filosofia a Urbino e filosofia del linguaggio, semiotica ed etica
della comunicazione a Calabria da dove si trasferisce a Roma. Convinto della
necessità di un nuovo linguaggio della politica che chiarisca le trasformazioni
economiche, sociali e culturali che caratterizzano le società occidentali,
introduce nella “Grammatica della moltitudine” una riflessione sul contrasto
tra i termini di “popolo” – il “popolo” di Cicerone, S. P. Q. R -- e
moltitudine che generano una accesa polemica filosofica. Quando avvenne la
formazione dello stato nazionale e l’espressione “popolo” a prevalere. V. si
domanda se non sia venuto il tempo di restaurare l'altro concetto della “moltitudine”.
La multitude è quell'insieme di persone che nell'azione politica e in quella
economica, pur agendo collettivamente, non perdono il senso della propria
individualità, resistendo sempre alla riduzione a unica massa informe com'è nel
termine di "popolo". La “moltitudine” è dunque la base della libertà
civile – l’uno e i molti dei veliani. Una “moltitudine” e una dualita o
una pluralità che non si sintetizza nell'uno, il più grave pericolo per
l'autorità di uno stato che esercita il supremo imperio. Dopo i secoli
del “popolo” e quindi dello stato -- stato-nazione, stato centralizzato, ecc. -
torna infine a manifestarsi la polarità contrapposta. . La moltitudine come
ultimo grido della teoria sociale, politica e filosofica? Grice: “Peacocke popularized ‘population’ in
the Oxford seminar organized by Evans and McDowell. Thus, I cannot claim to
have meant that p, unless ‘p’ means that p for a population – of say, me and
myself!” Forse.” Saggi: “L'idea di mondo: intelletto
pubblico e uso della vita” (Quodlibet); “Saggio sulla negazione: per una antropologia
linguistica” (Bollati); “E così via, all'infinito: Logica e antropologia”
(Boringhieri), “Motto di spirito e azione innovative: per una logica del
cambiamento” (Boringhieri); “Quando il verbo si fa carne: linguaggio e natura
umana” (Boringhieri); “Scienze sociali e natura umana -- facoltà di linguaggio,
invariante biologico, rapporti di produzione” (Rubbettino); “Grammatica della
moltitudine: per una analisi delle forme di vita contemporanee” (Derive Approdi);
“Esercizi di esodo: linguaggio e azione politica” (Ombre Corte); “Il ricordo
del presente: saggio sul tempo storico” (Bollati); “Parole con parole: poteri e
limiti del linguaggio” (Donzelli); “Mondanità: l'idea di “mondo” tra esperienza
sensibile e sfera pubblica” (Manifesto libri); “Convenzione e materialismo” (Theoria).
Roma Tre Intervista, Hecceitas. Questo
termine è entrato nel linguaggio corrente per indicare un insieme di
caratteristiche economiche, sociali e istituzionali del nostro presente,
avvertite pessimisticamente come profondamente diverse rispetto al nostro
recente passato e in genere come molto negativamente mutate. Fordismo e
postfordismo. Qualche dubbio su alcune certezze della sinistra italiana. Protagonisti;
“Anni di piombo: potere operaio"; Lessico postfordista: dizionario di idee
della mutazione. Feltinelli, sito "Filosofico net". Virno. Keywords: populus, res publica res
populi, Cicerone, multus, unus e multi, due e moltitudine, linguaggio e azione,
linguaggio, base biologica, invariante biologica, rappori di produzioni, natura
umana, el verbo fatto carne. Refs.: H. P. Grice Papers, Bancroft MS. Luigi
Speranza, “Grice e Virno”; “Grice e Virno: la conversazione: una popolazione di
due!” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.
Grice e Viroli: la ragione conversazionale della res pvblica – Cicerone
e la filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice,
The Swimming-Pool Library (Forlì). Filosofo italiano. Essential Italian
philosopher. Actually “Viroli-Cavalieri”? Grice, “I shall be fighting soon.”
“The loyalty for one’s country is not based on evidence.” Durante
il settennato di Ciampi serve la presidenza della repubblica italiana. Insegna a
Lugano. I suoi campi di ricerca sono la filosofia politica e la storia della
filosofia politica. I suoi autori di riferimento sono MACHIAVELLI, Rousseau, MAZZINI,
CROCE, ROSSELLI, e ROSSELLI. La sua ricerca si basa sul metodo contestualista
di Skinner, a cui apporta alcune innovazioni. Il suoi riferimenti
politico-ideali sono il repubblicanesimo e l'azionismo del partito dell’azione.
Collabora ad alcune testate giornalistiche, tra cui La stampa, il Sole 24 ORE e
Il fatto quotidiano. Si laurea dal liceo Calbol di Forlì. Come egli stesso
racconta in L'autunno della Repubblic”, per mantenersi agli studi, lavora come garzone di bottega, cameriere
d'albergo e operaio presso lo zuccherificio. Abitavo a Forlì con i miei
genitori, in via Mellini, in un appartamento angusto e freddissimo, riscaldato
soltanto da una stufa a gas tenuta, per la nostra povertà, sempre con la
fiammella azzurrognola al minimo. Al termine degli studi liceali si iscribe a Bologna.
Si laurea con la tesi su Engels. Svolge il servizio di leva a Casarsa in
Venezia Giulia. Il ritorno alla vita civile è stato all'insegna del
precariato. Perceve un piccolo salario organizzando convegni e lavorando come
redattore alla rivista Problemi della transizione all’istituto Gramsci di
Bologna. Studia Firenze. Di fronte alla commissione composta dai Maihofer,
Skinner, BOBBIO, Cranston, e Moulakisha, discute la tesi sulla società bene
ordinata, Mulino. Perfeziona la sua formazione svolgendo attività di ricerca. Insegna
comunicazione politica alla Svizzera. Dirige il Laboratorio di Studi civili, Svizzera
italiana. Finanzato dal Fondo Svizzero per la Ricerca Scientifica con un progetto
di ricerca che prevede l'impegno di un folto gruppo di ricercatori. I
suoi interessi di studio ruotano intorno alla filosofia politica e alla sua
storia. Studia il repubblicanesimo nella sua accezione classica da MACHIAVELLI
a Rousseau e in quella contemporanea. Si occupa di culto uffiziale e politica,
di retorica classica, libertà e tirannide, di patriottismo e nazionalismo, di
etica civile, di diritti e doveri. Pone particolare attenzione ai fondamenti
della convivenza civile. I suoi periodi storici di riferimento sono il rinascimento
con MACHIAVELLI, il risorgimento con MAZZINI e il FASCISMO – con sui opponenti:
CROCE, ROSSELLI, e ROSSELLI. I suoi filosofi di riferimento sono Machiavelli,
Rousseau, Mazzini, Croce, Rosselli e Rosselli. Come impegno civile si
occupa d'educazione civica e della difesa e dell'attuazione della costituzione
della repubblica italiana. Collabora colla direzione generale dell'Ufficio
Scolastico Regionale per le Marche a progetti di educazione alla cittadinanza. Fonda
il Master in Civic Education presso l'associazione Ethica di Asti. Coordina e
diregge progetti di Educazione civica per la Fondazione per la scuola della
Compagnia di San Paolo. Dirige un progetto a San Marino. Dirige il progetto
Lezioni di Casa Cervi-Scuola di Etica civile presso Casa Cervi. Prende parte
attivamente alle campagne referendarie svoltesi in occasione del referendum
costituzionale, contro la riforma proposta dal centro-destra, e del referendum
costituzionale contro la riforma costituzionale Renzi-Boschi. Colleziona
inviti e incarichi di insegnamento presso prestigiose istituzioni culturali. Insegna
a Pisa, Trento, Molise, Ferrara, Catania ed Urbino. Collabora con Milano e la
Scuola Superiore della pubblica amministrazione, Scuola superiore di polizia,
Fondazione per la Scuola della Compagnia di San Paolo, il Collegio Carlo
Alberto e l'Associazione Nazionale Comuni Italiani, la Fondazione Alcide Cervi
presso Casa Cervi. Spiega la le sua posizione politica. Non sono soltanto
uno studioso del repubblicanesimo, mi sento repubblicano. Amo il princìpio della
reppublica e cerco di applicarli nella vita e nell’analisi dei fatti politici e
sociali. Più oltre, in riferimento a Ciampi racconta. La prima volta che
incontro CIAMPI provo la sensazione di trovarmi di fronte ad un uomo di
straordinaria energia morale, l’esempio vero della migliore cultura del risorgimento
e dell’azionismo. Rammento ancora le parole che mi dice dopo aver ascoltato con
attenzione la mia considerazione sul significato del concetto di amor di patria.
Quello che Ciampi dice l’ho sempre sentito e vissuto nella mia coscienza. E
allora che realizzai che io sono prima uno studioso di repubblicanesimo e poi
un repubblicano. Ciampi è repubblicano nell’intimo della coscienza:
repubblicano e azionista. Anzi, credo, repubblicano perché azionista. Anche la
lotta contro il fascismo é rilevante nel patrimonio ideale. Trovo in Croce,
Rosselli, Parri, Rossi, Calamandrei -- per citare soltanto i nomi più noti -- non
solo idee e argomenti in perfetta sintonia con il mio anti-fascismo assoluto e
intransigente, ma anche e soprattutto le più convincenti riflessioni sulle
ragioni della fragilità della libertà. Il patriottismo si oppone al
nazionalismo, anzi, ne è l'antidoto. Ancora ne L'Autunno della Repubblica si
legge a proposito del Per amore della patria. In Italia abbiamo una tradizione
di patriottismo di straordinario valore morale e politico, la migliore che io
conosca. Mi riferisco in primo luogo al patriottismo di MAZZINI, fondato sul
principio che la patria non è il territorio -- bensì un principio di libertà, e
al patriottismo degl’anti-fascisti di Giustizia e Libertà, concordi
nell’affermare che la nostra patria coincide con il mondo morale delle persone
libere non e poi idea tanto peregrina sostenere che il patriottismo
repubblicano e il mezzo più efficace per combattere la marea del nazionalismo
che comincia a montare. Credo sia troppo tardi. Infine, ci spiega il suo
relativismo. Sulle questioni etiche sono stato sempre un convinto relativista,
con comprensibile scandalo di molti. Se il dovere esiste soltanto là dove la
coscienza morale personale lo riconosce come tale, segue necessariamente che ci
sono persone che riconoscono quali loro doveri determinati princìpi, altre che
riconoscono quali loro doveri princìpi diversi, se non del tutto opposti. Il
pluralismo e il contrasto dei doveri sono sotto gl’occhi di tutti. Ad alcuni il
dovere indica il servizio e la pratica della carità, ad altri la pura e
semplice affermazione di sé stessi, anche a costo di usare altri esseri umani
come mezzi. La ragione, tante volte invocata quale guida sicura all’agire
umano, non detta i fini ma solo i mezzi. Lo spiega in modo esemplare JUVALTA
(si veda). La ragione per sé non comanda nulla. Né l’egoismo né l’altruismo --
né la giustizia. La ragione cerca, e mostra, se le riesce, i mezzi che servono
a conservar la vita a chi la vuol conservare, a distruggerla a chi la vuol
distruggere. La ragione addita ai pietosi le vie della pietà, ai giusti le vie
della giustizia, e le vie del proprio tornaconto agl’uomini senza scrupoli. Ma
l’egoismo non è per sé più razionale dell’altruismo, né il regresso più
razionale del progresso. Né la conservazione dell’individuo più razionale di
quella della specie. Né l’utile proprio più razionale che l’utile della
collettività. Razionale non e il fine, ma la relazione del mezzo al fine. Ed è
così ragionevole che dia la vita per un’idea chi pregia più l’idea che la vita,
come che taccia la verità per un ciondolo chi ama più i ciondoli che la verità.
Consulente della Presidenza della Repubblica Italiana per le attività culturali
durante il settennato di Ciampi. Collabora con la Presidenza della Camera dei
Deputati durante la presidenza di Violante. Coordinatore del Comitato Nazionale
per la valorizzazione della Cultura della Repubblica presso il Ministero
dell'Interno. Presidente dell'ASSOCIAZIONE MAZZINIANA. Ufficiale
dell'Ordine al merito della Repubblica italianana strino per uniforme ordinaria;
Ufficiale dell'ordine al merito della repubblica italiana di iniziativa del presidente
della repubblica. Saggi: “Nazionalisti e patrioti” (Roma, Laterza); “Etica del
servizio e etica del commando” (Napoli, Scientifica); “L’autunno della repubblica”
(Roma, Laterza); “La redenzione dell’Italia: sul principe” (Roma, Laterza); “Il
sorriso di Machiavelli” (Roma, Laterza); “Scegliere il principe: i consigli di MACHIAVELLI
al cittadino elettore” (Roma, Laterza); “L’Intransigente” (Roma, Laterza); “Le
parole del cittadino” (Roma, Laterza); “La libertà dei servi” (Roma, Laterza);
“Lo scrittore di ricami” (Reggio Emilia, Diabasis); “Come se Dio ci fosse: religione
e libertà nella storia d’Italia” (Torino, Einaudi); “MACHIAVELLI, filosofo
della libertà” (Roma, Castelvecchi); “L’Italia dei doveri” (Milano, Rizzoli); “Il
dio di Machiavelli e il problema morale dell’Italia” (Roma, Laterza); “Dialogo
intorno alla repubblica” (Roma, Laterza); “Per amor alla patria: patriottismo e
nazionalismo nella storia” (Roma, Laterza); “Dalla politica alla RAGION DI
STATO” (Roma, Donzelli); “L’etica laica di JUVALTA” (Milano, Angeli); “La
civiltà statuale’, in “Cultura civica e civiltà statuale” (Bologna, Mulino); “Libertà
e profezia in MACHIAVELLI’, MACHIAVELLI e i confini del potere” (Milano,
Mimesis); “La passione civile e la scienza politica di Sartori’, Protagonisti
sempre. Un secolo di storia visto con gl’occhi dei ragazzi, Reggio Emilia,
Imprimatur ‘Prefazione’, in Mosca, Il prefetto e l’unità nazionale, Napoli,
Editoriale Scientifica. ‘Skinner’, ‘God’ and ‘Macaulay’, Enciclopedia
machiavelliana” Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Vita di MACHIAVELLI”
(Roma, Castelvecchi); “La tradizione del Risorgimento” (Roma, Castelvecchi); “Se
è libero bisogna che creda”; “Cinque variazioni sul credere” (Torino, Abele); “L’attualità
del principe”; “Il principe e il suo tempo” (Roma, Complesso del Vittoriano,
Salone centrale, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana); “La moralità
della resistenza: l’esperienza del partigiano Bosco” (Benevento, Terre dei
Gambacorta); “Dalla patria allo stato: una biografia intellettuale di SPAVENTA”
(Roma, Laterza); “‘La costituzione repubblicana: un manuale di educazione
civica’, in Lessico civico: teorie e pratiche della cittadinanza (Reggio
Emilia, Diabasis); “Le origini meridiane del repubblicanesimo, Ethos
repubblicano e pensiero meridiano” (Reggio Emilia, Diabasis); “La dimensione
religiosa del risorgimento -- Cristiani d’Italia. chiese, società, stato” (Roma,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana); “La libertà politica è un bene fragile’,
Lettera internazionale. Rivista europea;
“Ragione e passioni nell’educazione civica -- Questioni civiche. Forme, simboli
e confini della cittadinanza” (Reggio Emilia, Diabasis); “La costituzione: il
pilastro di cristallo” (Napoli, Pitagora); “MACHIAVELLI, il carcere, Il
Principe”, in Gl’anni di Firenze, Roma-Bari, in La Costituzione ieri e oggi.
Roma, Atti dei Convegni Lincei (Roma, Bardi); “Etica e diritto: la forza
intelligente per sconfiggere la violenza’ in Regione Piemonte, Piano regionale
per la prevenzione della violenza contro le donne e per il sostegno alle
vittime; “Religione e libertà nella Democratie en Amérique’, Fra libertà e
democrazia: l’eredità di Tocqueville e Mill” (Milano, Angeli); “Una nuova
utopia della libertà’, Quaderni del Circolo Rosselli, ‘Machiavelli’s Realism’,
Constellations, ‘Religione”; “Tutte le ragioni del liberalismo’, Dove Ratzinger
sbaglia”; “MACHIAVELLI oratore”; “Machiavelli senza i Medici, scrittura del
potere, potere della scrittura,” Atti del convegno di Losanna (Roma, Salerno); ‘Due
concetti di religione civile’, in “Rituali civili: storie nazionali e memorie
pubbliche in Europa” (Roma, Gangemi); “Patriottismo e rinascita civile’,
Aspenia, in MAZZINI, Scritti politici” (Torino,
POMBA); “Che cos’è l’uomo? Raccolta di pensieri” (Senigallia, MIUR, Le Marche);
“Repubblicanesimo”; “Dizionario di Politica” (Torino, POMBA); “Libertà
democratica, libertà repubblicana e libertà socialista”; “Repubblicanesimo, democrazia,
socialismo delle libertà”; “Incroci” per una rinnovata cultura politica” (Milano,
Angeli); “Il lavoro nobilita l’uomo e l’impresa’, Impegno. Mensile di cultura
sociale”; “Della lontananza’, La saggezza del vivere. Tracce di etica” (Reggio
Emilia, Diabasis); “Repubblicanesimo e costituzione della repubblica’ Almanacco
della Repubblica: storia d’Italia attraverso le tradizioni, le istituzioni e le
simbologie repubblicane (Milano, Mondadori); ‘Europa contro America?’, Il
pensiero mazziniano, ‘Dio nella costituzione’, Il pensiero mazziniano, con BOBBIO,
‘Sul rientro dei Savoia’, Il pensiero mazziniano, ‘Scrivere la costituziuone.
L’esempio della storia americana’, Il pensiero mazziniano”; “Il despota e il
tiranno si sono fatti furbi’, Il pensiero mazziniano, ‘Il repubblicanesimo di
Machiavelli”; ‘Le ragioni di un dibattito’, Politica e cultura nelle
repubbliche italiane dal medioevo all’età moderna: Firenze, Genova, Lucca,
Siena, Venezia. Atti del convegno (Siena), Roma, Istituto Storico Italiano per
l’età moderna e contemporanea. ‘Giù le mani da CATTANEO’, Il pensiero
mazziniano, ‘Questioni attorno al repubblicanesimo”; “Il pensiero mazziniano”; “Repubblicanesimo, liberalism.
e comunitarismo”; Filosofia e questioni pubbliche; “Machiavelli’, Il pensiero
politico. Idee, teorie, dottrine. Età moderna” (Torino, POMBA); “La repubblica
romana’, Il pensiero mazziniano, ‘Repubblicanesimo’, ‘La sinistra non scordi la Patria’, Il
pensiero mazziniano, ‘I guerrieri di
Dio: chi sono i theo-conservatori che scendono in lotta contro aborto, eutanasia
e gay’, “La Stampa”, ‘L’arcipelago
progressista: l’orgogliosa cultura liberal, fra battaglie per le minoranze,
ambientalismo e progetti per riprendere il New Deal’, La Stampa, “Discussione
americana e caso italiano”; “Piccole patrie, grande mondo” (Roma, Donzelli); “Il
significato storico della nascita del concetto di RAGION DI STATO’, Aristotelismo
politico e RAGION DI STATOr. Atti del Convegno a Torino” (Firenze, Olschki); “Patrioti
o traditori?”; “L’Indice”; “Il ritorno della nazione’, I democratici,
‘L’etica politica di CICERONE e il suo significato moderno’, Nuova Civiltà
delle Macchine, ‘La cattiva retorica dell’autonomia della politica’, (Mulino); ‘Nazionalismo
e patriottismo’ (Mulino); “Una filosofia civile tra comunitari e liberali’, Ragioni
Critiche, ‘Introduction’, in Skinner, “Le origini del pensiero politico moderno” (Bologna,
Mulino); “L’Indice”; “Machiavelli e Rousseau: i dilemmi della politica
republicana”; “Teoria Politica, ‘“Revisionisti” e “ortodossi” nella storia
delle idee politiche”, Rivista di filosofia; “Dovere morale e pluralismo etico
in JUVALTA’, Rivista di Storia della Filosofia; “La “Morale dei Positivisti” e
l’etica del socialismo’, L’età del positivismo” (Bologna, Mulino); “Il Marxismo
e l’ideologia del socialismo italiano’, Despotismo e cittadini’, Transizione, JUVALTA
e la teoria della giustizia, Rivista di filosofia, ‘LABRIOLA, filosofo del socialismo”, Giornale
critico della filosofia italiana, ‘Aspetti della recezione di Engels in Italia:
tra socialismo scientifico e crisi del marxismo”; “L’Antidühring: affermazione
e deformazione del marxismo? Annale della Fondazione Issoco” (Milano, Angeli);
“Il problema dell’etica razionale in JUVALTA’, “Studi sulla cultura filosofica
italiana” (Bologna, CLUEB); Etica e marxismo: a proposito di una recente
discussione’, Problemi della Transizione”; “Socialismo e cultura, 'Studi Storici”;
“Il dialogo fra Engels e LABRIOLA”; “Critica marxista”; “Nella crisi del
positivismo: la ricerca teorica del divenire sociale,” “Giornale critico della
filosofia italiana”; “Filosofia e politica nell’Engels di Mondolfo’, Pensiero
antico e pensiero moderno” (Bologna, Cappelli); “Wellness. Storia e
cultura del vivere bene” (Milano, Sperling & Kupfer); “Libertà politica e
virtù [andreia] civile”; “Significati e percorsi del repubblicanesimo classico”
(Torino, Agnelli); “Lezioni per la repubblica: la festa è tornata in città” (Reggio
Emilia, Diabasis); “Ascesa e declino delle repubbliche” (Urbino, Quattro Venti);
“L'Autunno della Repubblica” (Laterza); “Per amore della patria. Patriottismo e
nazionalismo nella storia” (Laterza); Quirinale. blogspot
issuu.com/edizioni-in-magazine/docs/forli Enciclopedia multimediale delle
scienze filosofiche della RAI profilo
biografico da Ethica Forum profilo dall'Università della Svizzera italiana
Nello Ajello, Quanti servi in giro per l'Italia, recensione a La libertà dei
servi, la Repubblica, La libertà dei servi, Associazione Labini; “La libertà
dei servi; L'intransigente, da Fahrenheit del Radio Tre. Grice: “At Oxford, we
don’t have a republic!” -- Il repubblicanesimo è una lunga e variegata
tradizione del pensiero politico che si ispira all'ideale della repubblica
intesa quale comunità di cittadini sovrani fondata sul diritto e sul bene
comune. Il punto di riferimento ideale più rilevante del repubblicanesimo è il
concetto ciceroniano di res publica. Repubblica per CICERONE vuol dite «ciò che
appartiene al popolo» (respublica respopuli), e aggiunge che non è popolo ogni
moltitudine di uomini riunitasi in modo qualsiasi, bensì una società
organizzata che ha per fondamento l'osservanza della giustizia e la comunanza
di interessi (De re publica, 1. 25). Agli albori dell'età contemporanea un altro
esponente del repubblicanesimo, Rousseau, ribadisce la medesima interpretazione
del concetto di repubblica. Chiamo repubblica, scrive, «ogni Stato retto dalle
leggi, qualunque sia la sua forma di amministrazione, poiché solo allora
l'interesse pubblico governa e la cosa pubblica è qualcosa » (Contrat Social.
Per i teorici repubblicani la repubblica è l'opposto del potere senza freno e
senza regola, chiunque lo eserciti, e della tirannide, ovvero il dominio di un
uomo (o di una fazione o di molti) contro l'interesse comune. La repubblica si
contrappone anche alla monarchia perché la libertà sotto il re è sempre
dipendente dalla volontà arbitraria di un uomo. Il re, anche nelle monarchie
costituzionali, assume in virtù della nascita prerogative e poteri che sono
negati agli altri cittadini e dunque viola il principio dell'uguaglianza
repubblicana. Il concetto di repubblica è connesso al principio che la vera
libertà politica consiste nel non essere dipendenti dalla volontà arbitraria di
un uomo o di alcuni uomini ed esige l'uguaglianza dei diritti civili e
politici. La vera libertà, spiega Cicerone, esiste «solo in quella repubblica
in cui il popolo ha il sommo potere» e comporta «una assoluta uguaglianza di
diritti», in quanto «la libertà non
consiste nell'avere un buon padrone, ma nel non averne affatto» (De re
publica). Questo concetto di libertà vale sia per l'individuo sia per lo stato.
Uno stato può dirsi libero se non dipende dalla volontà di un altro stato e non
deve ricevere da altri gli statuti e leggi o richiedere approvazione per i suoi
atti.Come recitano le formule di Bartolo da Sassoferrato, le città che vivono
in libertà si governano da sole («proprio regimine»). Esse non riconoscono
alcun potere superiore («civitas quem superiorem non recognoscit»), e per
questo il loro popolo è un popolo libero. Rousseau, ma altri esempi si
potrebbero citare, racchiude in una formula precisa il concetto di libertà
repubblicana: «un popolo libero obbedisce ma non serve; ha dei capi, ma non dei
padroni; obbedisce alle leggi, ma solo alle leggi; ed è in virtù delle leggi
che non diventa servo degli uomini» (Jean-Jacques Rousseau, Lettres écrites de
la montagne, VIII). Per i filosofi politici repubblicani la libertà politica ha
quale condizione necessaria il governo della legge. Essi hanno sempre
sottolineato che la vera legge è un comando pubblico e universale che vale
ugualmente per tutti i cittadini, o per tutti i membri del gruppo rilevante. La
limitazione o l'interferenza che la legge impone sulle scelte degli individui
non è dunque una restrizione della libertà ma come un freno essenziale e
benefico. Se il governo della legge è scrupolosamente rispettato, nessun
individuo può impone la sua volontà arbitraria ad altri individui in virtù del
fatto che egli può compiere con impunità azioni che ad altri sono proibite
sotto pena di sanzione. Se invece sono gli uomini e non la legge a governare,
alcuni individui possono imporre la loro volontà arbitraria ad altri ed
impedire ad essi di perseguire i fini che essi vorrebbero perseguire, e quindi
privarli della libertà (questo vale anche nel caso in cui è la maggioranza
degli uomini a governare, ovvero una democrazia). Questa interpretazione della
libertà politica è descritta in modo eloquente in testi classici che diventarono
il nucleo centrale del repubblicanesimo moderno, in particolare un passo in cui
Livio afferma che la libertà dei romani consiste in primo luogo nel fatto che
le leggi sono più potenti degli uomini (Ab urbe condita) e un passo di
Cicerone, citato infinite volte dagli scrittori politici repubblicani: «Legum
idcirco omnes servi sumus ut Liberi esse possimus» (Pro Cluentio, 146). Anche
Machiavelli identifica la libertà politica con le restrizioni che il diritto
impone ugualmente a tutti i cit-tadini. Se in una città vi è un cittadino che i
magistrati temono, e che può rompere i vincoli delle leggi, egli scrive, la
città non è libera (Discorsi). Nelle Istorie fiorentine (Proemio) osserva che
«si può chiamar libera» solo quella città in cui le leggi e gli ordinamenti
costituzionali restringono in modo efficacie i «cattivi umori » della nobiltà e
del popolo. Per contro, tutti gli esempi di oppressione che i repubblicani
classici offrono nei loro scritti sono violazioni del principio del governo
della legge: il tiranno che si pone al di sopra delle leggi civili e delle
leggi costituzionali e quindi comanda ad arbitrio; il cittadino potente che ha
ottenuto per se un privilegio che è negato ad altri cittadini; i governanti che
hanno poteri discrezionali. Le restrizioni che la legge impone sulle azioni dei
governanti e dei cittadini sono dunque, per i repubblicani, l'unica valida
difesa contro la coercizione imposta da individui: essere liberi vuol dire
vivere sotto leggi eque. L'argomento repubblicano che il governo della legge è
la condizione necessaria affinché i cittadini non siano assoggettati alla
volontà arbitraria di alcuni individui (o di un solo individuo), e possano
pertanto vivere liberi, è il tema di fondo di uno dei più significativi
dibattiti nella storia del repubblicanesimo, ovvero la risposta di James
Harrington a Hobbes, che nel Leviatano aveva sostenuto che non è affatto vero
che i cittadini di una repubblica come Lucca sono più liberi dei sudditi di un
sovrano assoluto come il sultano di Constantinopoli perché tanto i primi quanto
i secondi sono sottomessi alle leggi. Ciò che rende i cittadini di Lucca più
liberi dei sudditi di Costantinopoli, spiega Harrington, è il fatto che a Lucca
tanto i governanti quanto i cittadini sono sottoposti alle leggi civili e
costituzionali, mentre a Constantinopoli il sultano è al di sopra delle leggi e
può disporre arbitrariamente delle proprietà e della vita dei sudditi,
costringendoli in tal modo a vivere in una condizione di completa dipendenza, e
dunque di mancanza di libertà. I cittadini di Lucca sono liberi «per le leggi
di Lucca» («by the laws of Lucca»), perché essi sono controllati solo dalle
leggi (James Harrington, The Commonwealth of Oceana and A System of Politics, a
cura di J.G.A. Pocock, Cambridge, Cambridge University Press, 1992,
Preliminaries). Nella sua lunga storia, il repubblicanesimo si è caratterizzato
non solo per gli ideali della repubblica e della libertà ma anche per
l'insistenza sull'idea che l'una e l'altra hanno bisogno della virtù civile dei
cittadini. Per virtù essi intendono la saggezza che fa capire ai cittadini che
il loro interesse individuale è parte del bene comune, la generosità dell'animo
che spinge a partecipare alla vita pubblica, la forza interiore che dà la
determinazione di resistere contro i potenti e gli arroganti che vogliono
opprimere. Nonostante l'autorevole opinione di Montesquieu che considerava la
virtù politica una forma di rinuncia e di sacrificio, gli scrittori politici
repubblicani dei secoli precedenti interpretavano la virtù come una passione
che non si contrapponeva né all'interesse né alla ricchezza, ma solo
all'avarizia e all'ambizione sfrenata di dominio. Il repubblicanesimo è stato
il linguaggio politico dominante delle élites politiche e sociali delle repubbliche
commerciali d'Europa. Anche se non mancarono, come nel caso di Girolamo
Savonarola, pensatori repubblicani che teorizzarono la repubblica come una
Nuova Gerusalemme abitata da uomini dediti alla virtù cristiana, il pensiero
politico repubblicano, con i suoi pensatori più influenti, ha teorizzato un
ideale mondano e realistico di virtù. Accanto all'ideale della virtù civile, un
altro concetto fondamentale della tradizione repubblicana è il patriottismo.
Per il repubblicanesimo classico l'amore della patria è una passione, e più
precisamente un amore caritatevole per la repubblica (caritas reipublicae) e
per i concittadini (caritas civium). Anche se rispetta i principi della
giustizia e della ragione, e può quindi essere chiamato «amore razionale», l'amore
della patria è un affetto particolare per una particolare repubblica e per i
suoi cittadini che nasce fra i cittadini delle libere repubbliche perché essi
condividono molti e importanti beni, quali le leggi, la libertà, i consigli
pubblici, le pubbliche piazze, gli amici e i nemici, le memorie delle vittorie
e delle sconfitte, le speranze, le paure. Essa presuppone l'eguaglianza civile
e politica e si traduce in atti di servizio (officium) e di cura (cultus) per
il bene comune. Infine, la caritas reipublicae è una passione che irrobustisce
l'animo, dà ai cittadini la forza per compiere i loro doveri civici e ai
governanti il coraggio di assolvere gli obblighi, spesso onerosi, che la difesa
della libertà comune richiede. Il principio fondamentale del patriottismo
repubblicano è che vera patria è solo la libera 2 repubblica in cui vivono solo
cittadini liberi ed eguali. La parola patria si legge ad es. nell'Encyclopédie,
non significa il luogo in cui siamo nati, come vuole la concezione volgare,
bensí uno stato libero (état libre) di cui siamo membri e le cui leggi
proteggono le nostre libertà e la nostra felicità (D'Alembert, Diderot,
Encyclopédie, Neuchatel, Bouloiseau 1765, vol. XII, p. 178). Gli scrittori
repubblicani dell'età dell'Illuminismo usavano la parola «patria» come sinonimo
di «repubblica». Questa identificazione non era solo un motivo polemico;
riassumeva la considerazione che sotto il giogo del despota i cittadini sono
senza protezione e non possono partecipare alla vita pubblica, come se fossero
stranieri, e dunque non hanno patria. Il concetto di patria è dunque
strettamente connesso alla libertà e alla virtù, come scrive Jean Jacques
Rousseau: «La patria non può sussistere senza la libertà, né la libertà senza
la virtù, ne la virtù senza i cittadini» (Economie politique, in Oeuvres
Complètes, III, p. 258). Anche MAZZINI sottolinea che la vera patria è quella
che assicura a tutti i cittadini non solo i diritti civili e politici, ma anche
il diritto al lavoro e all'educazione. Per Mazzini e per i repubblicani
dell'Ottocento la patria è la casa comune dove viviamo con persone che capiamo
e che abbiamo care perché le sentiamo simili e vicine. Ma è anche una patria
accanto ad altre patrie di ugual pregio.Quando siamo nella nostra casa dobbiamo
assolvere i nostri obblighi in quanto cittadini; quando siamo in casa di altri
dobbiamo assolvere i doveri verso l'umanità. La difesa della libertà è
l'obbligo supremo di ognuno, anche se viviamo in suolo straniero e anche se il
popolo oppresso è un popolo straniero. Gli obblighi morali verso l'umanità
vengono prima degli obblighi verso la patria. Prima di essere cittadini di una
patria particolare, siamo esseri umani.Nonostante l'accordo sui principi della
repubblica, della libertà, e del patriottismo, il repubblicanesimo non è mai
diventato un corpo dottrinario sistematico e ha assunto molteplici
accentuazioni legate ai diversi contesti storici e culturali nei quali si è
sviluppato dall'antichità classica all'età contemporanea. Il repubblicanesimo è
dunque una tradizione del pensiero politico solo nel senso che i teorici
repubblicani hanno spesso elaborato le proprie analisi riprendendo concetti di
scrittori politici di epoche precedenti. Ma è del pari vero che i teorici
repubblicani hanno spesso rielaborato in maniera anche radicale idee di altri
scrittori politici appartenenti alla medesima tradizione.Le divergenze più
significative riguardano la forma di governo considerata più atta a realizzare
l'ideale della repubblica. Quasi tutti i teorici repubblicani furono
sostenitori del governo misto inteso quale forma di governo che contempera gli
aspetti positivi delle tre forme rette: il governo di uno(monarchia), ilgoverno
del pochi (aristocrazia) e il governo dei molti (governo popolare o
democratico). Mentre alcuni ritenevano che nell'ambito del governo misto il
popolo (il consiglio grande) dovesse avere un ruolo preponderante, altri erano
favorevoli ad assegnare tale ruolo all'elemento aristocratico rappresentato da
un senato, o da un consiglio ristretto. Un'altra differenza è quella fra i
sostenitori della repubblica che garantisce i diritti politici alla maggioranza
degli abitanti (repubblica democratica) e i sostenitori di una repubblica che
garantisce i diritti politici solo ad una minoranza degli abitanti (repubblica
aristocratica). Inoltre, alcuni teorici repubblicani, come Machiavelli,
sostenevano la necessità dell'espansione territoriale sulla base del modello
della repubblica romana (o del modello federativo etrusco); altri, ad es.
Rousseau, erano convinti che la repubblica, per conservarsi incorrotta, doveva
rimanere confinata entro un piccolo territorio. Vi furono pensatori
repubblicani che propugnarono l'ideale di una repubblica unitaria, e pensatori
che propugnarono l'ideale di una repubblica fondata sul decentramento
amministrativo e sull'autogoverno, come Carlo Cattaneo. Infine, la storia del
pensiero politico repubblicano presenta pensatori favorevoli ad usare la
religione per rafforzare la lealtà dei cittadini verso la repubblica
(Machiavelli) accanto ad altri che raccomandarono la creazione di una vera e
propria religione civile (Rousseau) e altri ancora che si fecero banditori
dell'idea religiosa come principio morale interiore (Mazzini). Anche a causa
della molteplicità di concezioni politiche che si raccolgono all'interno del
pensiero repubblicano, gli studiosi contemporanei hanno opinioni diverse su
importanti problemi storici e teorici. Mentre John Pocock sostiene che il
repubblicanesimo è una forma di aristotelismo politico 3 fondato sull'idea che
la vita politica è la massima realizzazione dell'individuo, altri studiosi, in
particolare Quentin Skinner, sottolineano il ruolo prevalente del pensiero
politico e giuridico ROMANO. Anche l'interpretazione del concetto di libertà è
materia di divergenze interpretative. Philip Pettit sostiene che la mancanza di
libertà consiste solo nella dipendenza dalla volontà arbitraria di altri
uomini; per Quentin Skinner la mancanza di libertà può essere causata sia dalla
dipendenza che dall'interferenza. Vi sono inoltre autori che interpretano il
repubblicanesimo come una dottrina democratica, lontana dal liberalismo, che
insiste sulla partecipazione dei cittadini alle decisioni politiche; altri
avvicinano il repubblicanesimo al comunitarismo, altri ancora sottolineano
piuttosto l'affinità fra repubblicanesimo e liberalismo radicale; altri infine
ritengono che tanto il liberalismo quanto la democrazia siano derivazioni del
repubblicanesimo. Nonostante le divergenze interpretative gli studiosi di
storia del pensiero politico e di filosofia politica sono in larga maggioranza
concordi nel riconoscere che il repubblicanesimo rappresenta un'autonoma e
distinta tradizione di pensiero politico che ha svolto un ruolo di primo piano
nella nascita e nella formazione delle moderne democrazie. BIBLIOGRAFIA. - BARON, In Search of Fiorentine
Civic Humanism: Essays on the Transition from Medieval io Modern Thought, 2
voll., Princeton, Princeton University Press, BOCK, Q. SKINNER,VIROLI,
Machiavelli and Republicanism, Cambridge University Press, Cambridge POCOCK, Il
momento machiavelliano. Il pensiero politico fiorentino e
la tradizione repubblicana anglosassone Il Mulino, Bologna; SANDEL, Democracy's
Discontent: America in Search of a Public Philosophy, Harvard University Press,
Cambridge (Mass.) PETTIT, Repubblicanesimo, a cura di M. GEUNA, Feltrinelli,
Milano; Q. SKINNER, The Foundations of Modem Political Thought, 2 voll. Cambridge
University Press, Cambridge; Le origini del pensiero politico moderno, a cura
di M. VIROLI, Il Mulino, Bologna 1989; ID., Libertà prima del liberalismo, a
cura di M. GEUNA, Einaudi, Torino, SMITH, Civic Ideals: Conflicting Visions of
Citizenship in U.S. History, Yale University Press, New Haven, Conn. V.,
Repubblicanesimo, Laterza, RomaBari 1999. V.] Da N.Bobbio, N. Matteucci, G.
Pasquino, Il dizionario di Politica, UTET, Torino. Maurizio Viroli. Keywords: Cicerone,
ragion di stato, repubblica, repubblicanismo, la repubblica romana, la morte,
il crollo, il fine, la caduta della repubblica romana, l’assassinio di Giulio
Cesare, Catone Uticense, la repubblica romana, del re Romo alla repubblica
romana, il ratto di Lucrezia – republicanism e principato, storia della
repubblica di Genova, la repubblica romana, il gusto per l’antico; quasi-contratto,
il sorriso di Macchiavelli. Refs.: H. P. Grice Papers, Bancroft MS, Luigi
Speranza, “Grice e Viroli: Contrattualismo e quasi-contrattualismo” – Luigi
Speranza: “Il sorriso di Viroli: Grice e Machiavelli ironista” -- The
Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.
Grice e Vitielo: la ragione conversazionale e il segno infranto nel
Vico topologico – filosofia italiana -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di
H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Napoli).
Filosofo italiano. “Come la lingua dell’eroe separa l’eroe dall’uomo, così la
lingua volgare separa il filologo dal filosofo. La lingua italiana volgare,
comune a ogni uomo, non riusce a descrivere la natura e le proprietà delle cose.
Sorge la scissione tra un filosofo – come Paul Grice -- che si dettero ad
investigare sulla natura delle cose, e un filologo – come H. P. Grice -- che, invece
investiga sulle origini delle parole. Così la filosofia e la filologia che sono
nate tutte e due dalla lingua dell’eroe, vennero ad essere divise dalla lingua
volgare o commone. Essential Italian philosopher. Insegna a
Salerno. Studia VICO, l'idealismo, Nietzsche e Heidegger in rapporto con la
filosofia romana, elabora una teoria ermeneutica. La sua topo-logia si fonda su
una re-interpretazione del concetto di spazio come orizzonte trascendentale
dell'operare umano. Gli sviluppi della sua topologia riguardano in particolare
la genealogia della communicazione. Affronta più volte la fede da un punto di
vista laico. Fonda Paradosso. Collabora a Filosofia di Laterza e a numerose
altre riviste filosofiche, tra cui “aut aut.” Dirige Il pensiero. Collabora
all'annuario Filosofia e all'annuario sulla Religione. Pubblica in Teoria ed
altre ancora. Svolge un’intensa attività pubblicistica su quotidiani e
periodici. Tenne cicli di conferenze e seminari. Saggi: Filosofia della pratica
e dottrina politica liberale in CROCE, Napoli; Etica e liberalismo in CROCE,
Napoli; Il carattere DISCORSIVO del conoscere, Napoli; ANTONI, interprete di CROCE,
Napoli; Storia e storiografia nella filosofia di CROCE, Scientifica, Napoli; Sentimento
e relazione nell’ESPERIENZA, Napoli; Il nulla e la fondazione dello storico, Argalia,
Urbino; Dialettica ed ermeneutica, Guida, Napoli; Utopia del nichilismo, Guida,
Napoli; Studi heideggeriani, Roma; Ethos ed eros, ESI, Napoli; Logica e storia
in Hegel, Napoli; Il problema del cominciamento, Guida, Napoli; Hegel e la comprensione;Topologia,
Marietti, Genova; La voce riflessa, Logica ed etica della contraddizione, Lanfranchi,
Milano; Elogio dello spazio: ermeneutica e topologia, Bompiani, Milano; Cristianesimo
senza redenzione, Laterza, Roma; Non dividere il sì dal no: tra filosofia e
letteratura (Laterza, Roma); Filosofia teoretica: le domande fondamentali:
percorsi e interpretazioni (Milano); La favola di Cadmo (Laterza, Roma); “VICO (si
veda) e la topologia” (Cronopio, Napoli); “La vita e il suo oltre: sulla morte”
(Roma); “Il Dio possibile, esperienze di cristianesimo” (Città Nuova, Roma); “Hegel
in Italia, Milano); “Dire Dio in segreto” (Roma); “Cristianesimo e nichilismo:
Dostoevskij-Heidegger” (Morcelliana, Brescia); “Estetica e ascesi” (Modena); E
pose la tenda in mezzo a noi,” Albo Versorio, Il Decalogo. Ricordati di
Santificare le feste; I tempi della poesia. Ieri/oggi” (Mimesis, Milano); “Dipingere
Dio” (Albo Versorio); “VICO: storia, LINGUAGGIO, natura, Storia e Letteratura,
Roma); “Ri-pensare il cristianesimo” (De Europa, Ananke); “Oblio e memoria del
sacro” (Moretti, Bergamo); “Grammatiche del pensiero: dalla kenosi dell'io alla
logica della seconda persona, ETS, Celan; Heidegger” (Mimesis); “I comandamenti.
Non dire falsa testimonianza” (Il Mulino); “L'ethos della topologia. Un
itinerario di pensiero” (Lettere, Firenze); “Paolo e l'Europa: cristianesimo e
filosofia” (Città Nuova, Roma); “L'immagine infranta: linguaggio e mondo in VICO”
(Bompiani, Milano); “VICO: tra storia e natura,” aut aut; “Complessità e aporie
del moderno”, in Filosofia politica; “Dall'ermeneutica alla topologia”,“aut aut”;
“Goethe, interprete della modernità” aut aut; “Per amicizia: Epochè e metafora”;
“aut aut”, “Sentire le Radici, la Terra stessa”, i“aut aut”; “Zanzotto, ovvero:
la poesia come genealogia della parola”, in “aut aut”; “Redaelli, Il nodo dei
nodi; L'esercizio del pensiero in VATTIMO”, V. (Sini, ETS, Pisa); “Luoghi del
pensare” (Mimesis, Milano); Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche
di RAI Educational; "Filosofia". Appare la "seconda"
Scienza Nuova. Non è propriamente una seconda edizione dei Principj di una
Scienza Nuova intorno alla Natura delle Nazioni, apparsi cinque anni innanzi.
La revisione, a cui Vico ha sottoposto il testo del 1725, è tale da farne
un'altra opera: basterebbe ricordare l'inserimento della "discoverta del
vero Omero", argomento affatto nuovo e fondamentale che occupa un intero
libro, il terzo; invero è mutata la struttura stessa del lavoro, come anche una
rapida scorsa degli indici delle due edizioni mostra. Se, ciononostante, Vico
ha mantenuto anche nella successiva edizione il medesimo titolo, salvo piccole
varianti,2 è perché l'ampliamento e la diversa distribuzione della materia,
nonché la correzione dell'"errore" d'aver egli separato, nella prima
redazione, i "principi delle idee" da quelli "delle
lingue", che sono "per natura tra loro uniti", non solo non
hanno mutato l'orientamento di fondo dell'opera, l'hanno bensì approfondito e
sviluppato, specialmente riguardo al tema del linguaggio. Tra le
"novità" della seconda Scienza Nuova spicca l'immagine posta sul
frontespizio dell'opera: una "dipintura allegorica" commissionata dal
filosofo a Domenico Antonio Vaccaro, noto pittore napoletano, che l'aveva
eseguita secondo precise indicazioni e sotto il controllo del committente. Che
l'uso di accompagnare un testo filosofico o letterario con un'immagine fosse
frequente al tempo di Vico è cosa nota: si citano come esempi illustri
l'Organon di Francesco Bacone, il Leviathan di Hobbes, i Second Characters di
Shaftesbury e da ultimo la Istoria universale provata con monumenti e figurata
con simboli degli antichi di Francesco Bianchini. Che il filosofo napoletano ne
sia stato influenzato, ben si ricava da quanto egli stesso dice nel primo
capoverso dell'Introduzione, dove spiega che l'immagine sul frontespizio
dell'opera serve a"ridurla più facilmente a memoria [...] dopo di averla
letta".Ma che la funzione mnemonica di questa Tavola delle cose civili sia
affatto secondaria, è del tutto chiaro, premurandosi Vico di dire per prima
cosa che la dipintura "serv(e) al Leggitore per concepir l'idea di
quest'Opera avanti di leggerla" (SN). Prima di chiarire questo punto che è
essenziale comprendere l'esigenza filosofica cui risponde la
"dipintura", è opportuno darle uno sguardo veloce. In alto, a
sinistra dell'osservatore, è dipinto un sole, al cui interno è un triangolo con
dentro un occhio, dal quale parte un raggio di luce che giunge al petto della
fanciulla dalle tempie alate, allegoria della Metafisica, che ha lo sguardo
fisso al sole. Dal petto della fanciulla, i cui piedi poggiano sul globo
terrestre, il raggio si riflette sulla statua collocata in basso a sinistra. Ai
piedi della statua, che raffigura Omero, vari arnesi: та оно, un timone, un
aratro, una borsa; poi una tavola con su scritte alcune lettere alfabetiche,
quindi un fascio di verghe. Al lato opposto della statua un altare, su cui
scorgiamo un lituo, una fiaccola, un orciuolo contenente acqua, quindi il fuoco
accanto al globo su cui poggia la fanciulla alata. La fascia che cinge il globo
è quella dello zodiaco, con i segni delle costellazioni della Vergine e del
Leone in evidenza. In basso, a destra, un'urna cineraria, ai margini di una
gran selva. Vico concepì il dipinto come "Idea dell'opera" - così
nell'Introduzione dedicata alla "spiegazione della dipintura proposta al
frontespizio" - e cioè come figura o immagine della Scienza Nuova, ovvero
della storia: della storia ideale eterna e delle storie che "corron' in
tempo". L'ampiezza e la meticolosità della "spiegazione"5
attestano l'importanza ch'egli attribuiva alla "traduzione" dei suoi
argomenti in "immagine". L'immagine doveva, infatti, integrare la
voce, facendo cogliere uno actu - e non in successione - i due aspetti che
caratterizzano la storia: 1) la cornice stabile e permanente dell'eterna
provvedenza, esemplata nel raggio di luce che parte dall'occhio divino e, toccando
la metafisica, illumina e regge il mondo degli uomini, e 2) l'operare umano nel
tempo, volto, anche inconsciamente, a Dio, testimoniato dallo sguardo della
fanciulla alata, eternamente fisso sul triangolo solare. E, pertanto, come
l'immagine serviva ad integrare la voce, così questa doveva a sua volta
completare l'immagine, dacché soltanto la voce dà in successione quello che in
successione accade entro l'ordine necessario della storia ideale eterna: il
"correre in tempo" delle storie di tutte le nazioni "ne' loro
sorgimenti, progressi, stati, decadenze e fini" (SN44, p. 903). Vico non
intese questa congiunzione di voce e immagine - phonè kai schêma, per dirla con
le parole del Cratilo di Platone, di cui il filosofo napoletano resta
insuperato "interprete"6 - come una "novità" da lui
introdotta in filosofia. Al contrario la presentava come un'operazione di
restauro. Per comprenderne le ragioni, dobbiamo fare alcuni passi indietro nel
tempo e leggere quella nota che lui aggiunse al Il Libro del Diritto
Universale, il De constantia jurisprudentis:[...] Come prima la lingua eroica
aveva diviso gli eroi dagli uomini, così dopo la lingua volgare divise i
filologi dai filosofi. Il motivo di questa seconda osservazione è che, poiché
la lingua volgare, in quanto comune, non riusciva a descrivere la natura e le
proprietà delle cose, sorse la scissione tra i filosofi che si dettero a
investigare sulla natura delle cose, e i filologi che invece investigavano
sulle origini delle parole; e così la filosofia e la filologia, che erano nate
tutte e due dalla lingua eroica, vennero ad essere divise dalla lingua
volgare.? La lingua volgare, così detta perché lingua della comunicazione - in
seguito Vico la chiamerà "pistolare" (SN, Degnità) -, rende solo i
caratteri "comuni", "generici", delle cose, non la loro
"natura", ciò che ad esse è proprio, la loro concreta, reale,
determinatezza. Questo ha portato alla divisione della filologia, che s'interroga
sull'origine delle parole - quindi su come siano sorte le parole generiche,
vuote di determinatezza, della lingua "comune" -, dalla filosofia
che, invece, investiga direttamente la natura delle cose. Ma in che modo? Non è
anche la filosofia legata al linguaggio? Vico s'avvide del cul-de-sac in cui
s'era cacciato. Ne uscì, con due mosse geniali. La prima fu l'abbandono del
latino delle scuole, lingua di pura comunicazione di concetti, priva di vero
rapporto con la vita quotidiana del popolo, fatta di eventi reali e cose
concrete; scelse di scrivere in volgare - ma bisogna aver confidenza con la
lingua di Vico, con il "barocco napoletano" della Scienza Nuova, per
capire la portata di questo mutamento.La seconda mossa strategica fu
"l'idea dell'opera": la "dipintura allegorica", con cui
egli volle ricongiungere voce e immagine, o, per dirla con Nietzsche, il mondo
dell'ascolto, della parola (Hörwelt), e quello della visione, dell'immagine
(Schauwelt). 8 Vico operava, consapevolemente, in controtendenza rispetto
all'intera tradizione occidentale e in particolare al suo tempo, che spingeva
la lingua all'astrazione, secondo il modello"matematico". Vico - ho
detto; ma debbo subito precisare: il filologo più che non il filosofo. Ché come
filosofo non fu meno attratto dal mos geometricum di quanto lo furono Cartesio
e Spinoza, se volle estendere alla storia quella mathesis universalis già da
Grozio applicata al diritto. Come filologo, invece, seppe risalire alle origini
lontane, remote del linguaggio, alle fonti antiche della poesia greca, con la
"discoverta" del vero Omero o dei molti Omeri, e della latina, leggendo
insieme con Virgilio e Lucrezio, e Orazio, Stazio, Plauto, gli
"storici" e gli"eruditi", interpretando anche l'antico
diritto romano qual"serioso poema" e l'antica giurisprudenza
come"severa poesia". Né si fermò qui, ma piegandosi sulla lingua dei
contadini, sulle loro metafore e i loro gesti, vide con l'occhio di una fervida
immaginazione i primi abitanti della Terra, i forti ed empiamente pii Polifemi,
atterriti dalla luce del lampo che squarcia le notti e dal cupo rimbombo del
tuono che fa tremare la Terra, emettere i primi suoni inarticolati di un
linguaggio "naturale", inintenzionale, prima fonte della lingua
articolata dell'uomo. Scorse, talora come da dietro un vetro opaco, la nascita
dell'uomo dall'animale, della mente dal corpo, della storia dall'ingens sylva,
e ne descrisse lo sviluppo, non senza "salti" e
"confusioni" di tempi e forme linguistiche. Philologia contra
philosophia? In certo senso sì, se la filologia lo convinse non solo a trattare
dei miti, ma in qualche modo a "mimarne" il gesto narrativo.10 Tentò
una nuova lingua, logica e mitica ad un tempo, capace di tenere insieme
narrazione e logica, la contingenza della storia e la necessità della mathesis.
Anticipava con le sue folgoranti intuizioni, l'idea della Mythologie der
Vernunft,11 che nacque all'incirca mezzo secolo dopo in terra germanica, ma che
presto fu abbandonata, e proprio dal suo massimo rappresentante, Hegel, che,
anni dopo, avrebbe esaltato il linguaggio alfabetico sulla lingua geroglifica,
per essere quello costituito di nomi, che sono bildlose Vorstellungen,
rappresentazioni senza immagini. Ed "è nei nomi che noi pensiamo", La
"dipintura" serviva a Vico per ricostruire nella composizione di
parola e immagine quella unità di voce e gesto che l'uomo storico aveva già
perduto molto prima che sorgesse la lingua della comunicazione - la lingua
"pistolare" della ragione riflessa -, già con la lingua eroica. Ma
era, Vico, in ritardo sul suo tempo. La frattura parola/immagine era solo
l'aspetto "in superficie" di una più profonda scissione.Vincenzo Vitielo.
Vitielo. Keywords: la lingua dell’eroe, la lingua degl’eroi, Lazio, lazini,
italiano, volgare, Lucrezio, confronto vichiano, vicho contro vico, la lingua
eroica di Vico, Vico, semiotica, Croce, Vico topologico, linguaggio in Vico. Refs.: H. P. Grice Papers, Bancroft. Luigi
Speranza, “Grice e Vittielo” – “Topologia semiotica di Vico” – “Il Vico di
Vittielo” – Vico e il segno infranto”, The Swimming-Pool Library, Villa
Speranza, Liguria.
Grice e Volpe: la ragione conversazionale e la logica come scienza
storica – filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P.
Grice, The Swimming-Pool Library (Imola). Filosofo
italiano. Essential Italian philosopher. Filosofo italiano. Studia a Bologna laureandosi
in filosofia sotto Mondolfo. Insegna al Galvani di Bologna, l’Alighieri di
Ravenna, e a Messina. Legato alla tradizione di GENTILE (si veda), si dedica
a questioni strettamente teoretiche e storico-filosofiche, attestandosi infine
su posizioni fortemente anti-idealistiche. Approda così attraverso la ri-valutazione
dell’ESPERIENZA dell’empirismo e dell’UMANO dell’umanesimo, mantenendo
un'impostazione fondamentalmente dialettico-materialistica in costante
confronto critico e polemico soprattutto con la dialettica hegeliana e
l'idealismo post-hegeliano, ma anche con le correnti positivistiche semiotica,
e con l'esistenzialismo. Questa svolta, testimoniata dal Discorso
sull'ineguaglianza, conduce a V. a un
sempre maggiore interesse per i problemi della filosofia politica e dell'etica,
considerati comunque in stretto rapporto con le questioni semiotiche. Non
abbandona comunque i propri interessi storico-filosofici. Tra i saggi quello
che, oltre ad aver avuto più ampia diffusione, rappresenta il più perspicuo esempio
della sua capacità di di muoversi con piena consapevolezza critica tra i piani
teoretico, storico e politico, è senz'altro il saggio “Rousseau e Marx.” sul
concetto di libertà (cf. Grice, “Freedom”) è perfettamente integrabile con la
dottrina di Rousseau, il quale quindi non sarebbe da considerarsi né tra i
teorici della rivoluzione borghese né tra i nostalgici di una società
parcellizzata in piccolissime unità cittadine, ma tra i più attuali
preconizzatori di una società egualitaria. Un altro dei punti nodali della
sua filosofia è il tentativo di elaborare una teoria estetica rigorosamente
materialista. Sottolinea il ruolo delle caratteristiche strutturali e del
processo sociale di produzione dell’espressione nella formazione del giudizio
estetico, in forte polemica con la dottrina dell'intuizione di CROCE -- da lui
considerata in continuità con la tradizione romantica e misticheggiante, elabora
il concetto di gusto come principale fonte del giudizio estetico. Presenta
nella filosofia una posizione contro-corrente. Altri saggi: L'idealismo
dell'atto e il problema delle categorie, Bologna, Zanichelli, Le origini e la
formazione della dialettica hegeliana; Hegel, romantico e mistico, Firenze,
Monnier; Il misticismo speculativo di Eckhart, Bologna, Cappelli, La filosofia
dell'ESPERIENZA, Firenze, Sansoni, Espressione, Bologna, Meridiani, Il
principio di contraddizione e la sostanza prima nel Lizio: contributo a una
critica dei pensieri logici” Bologna, Azzoguidi; Crisi dell'estetica romantica,
Messina, Anna; Critica dei principi logici, Messina, D'Anna; Discorso
sull'ineguaglianza, con due saggi sull'etica dell'esistenzialismo, Roma, Ciuni;
Emancipazione e tras-mutazione dei valori, Messina, Ferrara; Libertà: saggio di
una critica della ragion pura pratica, Messina, Ferrara; Studi sulla dialettica
mistificata; “Lo STATO RAPPRESENTATIVO, Bologna, UPEB; Umanesimo; Studi e
documenti sulla dialettica materialistica, Bologna, Zuffi; Logica come scienza
positiva, Messina, D'Anna; Eckhart o della filosofia mistica, Roma, Storia e
letteratura; La poetica del Lizio nei commenti essenziali degl’umanisti, Bari,
Laterza; Il verosimile filmico e altri scritti di estetica, Roma, Film; La
nuova sinistra, Rousseau e Marx e altri saggi di critica materialistica, Roma,
Riuniti; Critica del gusto, Milano, Feltrinelli; Chiave della dialettica storica,
Roma, Samonà; Umanesimo ed emancipazione, Milano, Sugar; Critica dell'ideologia:
saggi di teoria dialettica, Roma, Riuniti; Schizzo di una storia del gusto, Roma,
Riuniti; Opere; Ambrogio, Roma, Riuniti; Violi, La Libra, Messina; Dizionario biografico
degl’italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Volpe.
Keywords: critica del gusto per l’antico, il gusto per gl’antichi degl’antichi,
chiave della dialettica storica, la logica come storia, espressione. Refs.: H. P. Grice, The H. P. Grice Papers, Bancroft;
Luigi Speranza, “Grice e Volpe: l’espressione” – The Swimming-Pool Library,
Liguria.
Grice e Volpi: la ragione conversazionale dell’essere univoco – filosofia
italiana -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Vicenza). Essential Italian philosopher. Filosofo
italiano. “Wild clarity” in Heidegger! Insegna a Padova. Borsista della Humboldt
di Bonn, dell'Institut International de Philosophie, Parigi, dell'Istituto
veneto di scienze, lettere ed arti e dell'Accademia Olimpica di Vicenza. Insignito
dei premi Montecchio e Nietzsche. Altri saggi: Heidegger e Brentano; La filosofia
pratica, Francisci, Albano, Padova – Filosofia pratica e scienza politica, Francisci,
Albano, Padova; Heidegger e Aristotele, Daphne, Padova, Il nichilismo, Laterza,
Roma, Guida a Heidegger, Laterza, Roma; I titani: una conversazione con Jünger e
Gnoli; Dizionario delle opere filosofiche, Il dio degl’acidi, conversazioni con
Hofmann e Gnoli;L'ultimo sciamano, conversazioni heideggeriane con Gnoli, Storia
della filosofia dall'antichità a oggi con Berti. Per Adelphi cura opere
di Schopenhauer, Heidegger e Schmitt. Collabora alla Repubblica. Mentre e in
sella alla sua bicicletta a Berici, e investito da un'auto e cadde in coma
irreversibile. Muore il giorno successivo. Commemorato dal preside assieme a
tutto il corpo docente di Padova. Istituto veneto di scienze, lettere ed
arti, Parolin, Commozione al Bo per l'addio a V., Giornale di Vicenza. Altri saggi: L'aristotelismo e il problema
dell'univocità dell'essere in Heidegger (Milani, Padova) – cf. Grice,
‘multiplicity of ‘being’ --; Il concetto di decadenza divina; Filosofia
politica; Hegel e i suoi critici, Laterza, Roma; Interprete del pensiero
contemporaneo, Incontro di studio, Padova, Vicenza, Accademia Olimpica, Atti
dell'incontro, comune di Lavarone; Il pudore, Brescia, Morcelliana, Opere su
Istituto veneto di scienze, lettere ed arti. Essere, tempo, esistenza,
Associazione Asia, Sul valore e la funzione della filosofia; Sul significato e
lo statuto di ‘Essere e tempo’ di Heidegger”, Capurro, Rezension von V.
Heidegger e Aristotele, Daphne Editrice, Padova Zuerst erschienen in: W.
Schirmacher Hrsg.: Schopenhauers Aktualität. Ein Philosoph wird neu gelesen. Schopenhauer-Studien 1/2. Passagen
Verlag, Wien. In seinem 1967 in der Akademie der Wissenschaften und Künste in
Athen gehaltenen Vortrag schreibt Heidegger:
"Die Kunst entspricht das physis und ist gleichwohl kein Nach- und
Abbild des schon Anwesenden. Physisund téchne gehören auf eine geheimnisvolle
Weise zusammen. Aber das Element, worin physis und téchne zusammengehören, und
der Bereich, auf den sich die Kunst einlassen muß, um als Kunst das zu werden,
was sie ist, bleiben verborgen." (M. Heidegger: Denkerfahrungen, Frankfurt
a.M. 1983, S. 139)Für wen bleibt dieser Bereich "verborgen"? Zumal
für unsere technische Zivilisation, die sich mehr und mehr, über alle Grenzen
hinweg, ausbreitet und somit sich jeder Möglichkeit einer selbstkritischen
Distanz beraubt. Und dennoch: wir sind dem nicht ausgeliefert. Heidegger wird
öfter bekanntlich vorgeworfen, er verfalle mit seiner Auffassung des
"Seinsgeschickes" im pessimistischen Mystizismus und ergreife die
Flucht in die Antike durch seinen "Schritt zurück". Nichts von
alledem. Wir lesen im selben Vortrag:
"Schritt zurück heißt: Zurücktreten des Denkens vor der
Weltzivilisation, im Abstand von ihr, keineswegs in ihrer Verleugnung, sich auf
das einlassen, was im Anfang des abendländischen Denkens noch ungedacht bleiben
müßte, aber dort gleichwohl schon genannt und so unserem Denken vorgesagt
ist." (ebda.)Das Thema Heidegger scheint indessen im deutschsprachigen
Raum und insbesondere in der Bundesrepublik weiterhin von aller Art von
Vorurteilen belastet zu sein. Man braucht nur an die klischeeartigen
Ausführungen von Jürgen Habermas in seinen Vorlesungen "Der
philosoophische Diskurs der Moderne" (Frankfurt a.M. 1985) zu denken, um
das Groteske dieses Mißverständnisses (falls der Versuch eines Verständnisses
unterstellt wird) zu exemplifizieren. Und Aristoteles? Er gilt inzwischen für
viele als "Urvater" bzw. "Urheber" der heute herrschenden
Technologie, nämlich der Informationstechnologie Die Bestrebungen der
"Künstlichen-Intelligenz-Forschung", etwa in der Herstellung von
"Expertensystemen", haben in der aristotelischen Logik ihr Rezeptbuch
gefunden. V. lädt uns mit seinem schlicht betitelten Buch Heidegger und
Aristoteles zu einer Begegnung dieser Denker ein, die, ganz außerhalb von
diesen Klischees, zur Sache selbst führt. Der Dialog Heideggers mit Aristoteles
ist zwar ein lebenslanger Dialog gewesen, aber der Verfasser betont mit Recht
drei Höhepunkte, nämlich die frühe
Anwesenheit des Aristoteles in Heideggers Seinsfrage, indem diese durch den
scholastischen Filter Brentanos und Braigs zu ihm drängt und zu Aristoteles
führt;die (etwa zehnjährige) Periode des Ausbrütens von Sein und Zeit, als die
entscheidende Zeit des Dialogs, die sich in den Marburger Vorlesungen sowie in
Sein und Zeit selbst niederschlägt;und schließlich die Anwesenheit Aristoteles'
nach der "Kehre".Dementsprechend fällt der Schwerpunkt von Volpis Ausführungen auf
den zweiten Höhepunkt, der mit der Überschrift "Wahrheit, Subjekt, Zeitlichkeit"
gekennzeichnet ist. Heidegger begegnet Aristoteles ausgehend von den in der
Husserlschen Phänomenologie offen gelassene Frage nach der ontologischen
Konstitution des menschlichen Lebens (bzw. der "Lebenswelt"). In
dieser Begegnung, die auf eine kategoriale Differenzierung hinausläuft, öffnet
sich der Blick für die Kantische Frage nach der Einheit des Kategorialen, die,
sofern sie auf ein endliches Subjekt zurückgeführt wird, den Zusammenhang
zwischen Subjektivität (bzw. "Dasein") und Zeitlichkeit offenbart.
Damit kündigt sich zugleich die zentrale "These" Heideggers bezüglich
des metaphysischen Seinsverständnisses im Sinne von Anwesenheit, mit der
dazugehörigen Privilegierung der zeitlichen Dimension der Gegenwart an.
Gegenüber einer kategorialen (bzw. "gnoseologischen") Wahrheitsauffassung
sucht Heidegger (Husserl folgend) in Aristoteles die Spuren einer
präkategorialen "fundierenden" Wahrheit, wobei solange man den
Bereich eines endlichen Subjektes nicht verläßt, eine solche
"Fundierung" auf die Einheit von sinnlicher Wahrnehmung und Verstand
bezogen bleibt. Der Verfasser erläutert in klaren Umrissen die Kernpunkte der
Heideggerschen Analysen aus De interpretatione sowie aus ausgewählten Stellen
der Metaphysik. Es geht dabei u.a. darum zu zeigen, inwiefern die Struktur des
prädikativen logos nicht nur in die Frage nach der "Wahrheit",
sondern vor allem in die nach dem "Wahr-sein", also noch einem
ontologischen vorprädikativen Sinne von Wahrheit mündet. Die psyche ist
"in" der Wahrheit, d.h. sie ist in der Weise des "Entbergens"
(aletheuein). Während es bei den prädikativen Wahrheit um die Wahrheit bzw.
Falschheit der Aussage geht, geht es bei der ontologischen Ebene um das
"Vernehmen" bzw. "nicht Vernehmen" (noein / agnoein) des
Sich-Entbergenden. Mit anderen Worten, das Sein, temporal vorverstanden als
"Anwesenheit", ermöglicht erst die Prädikation des "Wahren"
und "Falschen". Dieses temporale Vorverständnis des Seins bildet, wie
der Verfasser richtig bemerkt, die eigentliche "Entdeckung"
Heideggers, die ihn zu einem kritischen Durchgang durch die Geschichte der
Metaphysik führt. In einem zweiten Schritt erläutert Volpi die gewissen
Parallelität zwischen den ontologischen Bestimmungen von "Dasein",
"Zuhandenheit" und "Vorhandenheit" (als die drei Seinsmodi,
die Heidegger in Sein und Zeit eingehend erörtert) und den aristotelischen
Unterscheidungen zwischen praxis, poiesis und theoria, wobei, nach Ansicht
Volpis, die Korrespondez praxis / "Dasein" zunächst ungewöhnlich
erscheint. Hier zeigt der Verfasser, wie mir scheint, den entscheidenden
Durchbruch Heideggers in seiner Kritik der bisherigen Vorherrschaft einer
kognitiv-theoretisch orientierten Bestimmung des Menschen. Hier liegt auch der
Anknüpfungspunkt Heideggers am "praktischen" Denken Aristoteles' in
der Nikomachischen Ethik (bes. im VI. Buch), wobei man erneut die erstaunliche
produktive (!) Parallelität, die aus diesem Dialog hervorgeht, feststellen
kann, z.B. in Bestimmungen wie "Gewissen" / phronesis,
"Sorge" / orexis,
"Entschlossenheit" / prohairesis, "Befindlichkeit" /
pathe bis hin zur Deuttung des
"Verstehens" im Sinne des nous praktikós. Im Hinblick auf die Frage
nach der Zeit, den dritten Schwerpunkt von Volpis Analysen dieses zweiten
Höhepunktes in der Begegnung zwischen Heidegger und Aristoteles, ist die
(christlich-) kairologische gegenüber der "chronologischen" Erfahrung
der Zeitlichkeit für Heidegger bedeutsam.
Heidegger reift schrittweise, so Volpi, zu seiner Auffassung, daß die
Zeitlichkeit die Struktur menschlichen Lebens darstellt. In diesem
Reifungsprozeß setzt sich Heidegger kritisch mit der naturalistischen
Auffassung der Zeit bei Aristoteles auseinander, indem er, aufgrund einer
Analyse der Bestimmung der Zeit in der Physik, die aristotelische Definition
als die Frage nach dem Zusammenhang zwischen der Zeit und der (zählenden)
"psyche", d.h. also als die Frage nach der ontologischen Bestimmung
der "psyche" nachweist. Der Rezensent kann hier nur auf den
analytisch "glasklaren" Text des Verfassers hinweisen, der diese
schwierige Aus-einander-setzung zwischen Heidegger und Aristoteles in einer so
zentralen Frage meisterhaft bewältigt. von der aristotelischen
("vulgären") Auffassung der Zeit führt dann der Weg zur Analyse der
"Zeitlichkeit" sowie der "Temporalität", von wo aus erst
das primus und posterius der Bewegung in ihrer Dimensionalität (wozu auch das
nunc gehört) erfaßt werden können. So gelangt Heidegger, von Aristoteles
ausgehend, zur Zeitlichkeitsstruktur des "Daseins" (in Sein und
Zeit). Die Anwesenheit Aristoteles' nach der "Kehre", so der Titel
des letzten Teils des Buches, weist zunächst auf die Heideggersche
Radikalisierung der Metaphysik (etwa in der "Physis"-Schrift), indem
das (metaphysische) Projekt einer "Fundamentalontologie" verlassen
wird, hin. Der Verfasser vertieft aber die Anwesenheit Aristoteles' in den
Jahren 1929 bis 1931, in denen die Fragen nach dem "Ort" des 'logos'
im Ereignis der Wahrheit (seine weltbildende Kraft), nach dem Sein als
Anwesenheit und als Wahrheit (Sein als "energeia") bis hin zur
entscheidenden Entdeckung des Seins als physis (wie es die
"Vorsokratiker", vermutlich erfahren haben) und seines
"Einfangens" in der techne im Vordergrund stehen. Das Phänomen der
Technik wird vom 'späten' Heidegger insofern radikal in Frage gestellt, als es
die (anfänglich positiv bewertete) Operationalität des "Zuhandenen"
beinahe monströsen bzw. zerstörerischen Dimensionen erreicht. Demgegenüber
betont aber Heidegger, daß techne bei den Griechen das eigentliche
"Gegenüber" der physis darstellt, d.h. das, wodurch die physis in
ihrer Offenheit und "Verborgenheit" aufgenommen wird, sowie das,
wodurch die physei onta so in ihren "Formen" (eidos, idea) erkannt
werden, daß man etwas Entsprechendes gegenüberstellt. Dieses
"Gegenüber" von techne und physisbedeutet aber (noch) nicht den
Verlust der physis in ihrer "überwältigenden" Dimension. Was
Heidegger in der "Physis"-Schrift leistet, so mit Recht der
Verfasser, ist eine (im doppelten Sinne des Wortes) "epochale"
Auslegung des Aristoteles, nämlich eine "Über-Setzung" von Fragen,
die längst überholt schienen, während sie in Wahrheit unserer modernen
Auffassung von Natur und Technik buchstäblich zugrundeliegen. Darauf weist
Volpi ausdrücklich im Schlußkapitel hin. Gerade für eine Analyse der
"Moderne" bietet der Dialog Heidegger-Aristoteles entscheidende
Anhaltspunkte. Zwei kritische Bemerkungen schließen diese Arbeit: Vollzieht
tatsächlich das Wesen der modernen Technik den originären impetus des
griechischen logos? Und inwiefern ist dem "Finitismus" Heideggers
zuzustimmen, daß die Zeit den logos formt (und nicht umgekehrt, wie für die
Griechen? V. deutet an, beide Fragen gewissermaßen vereinigend, daß es einen
"polyvalenten logos" gibt, den es gegenüber einem
"eindimensionalen logos" wiederzugewinnen gilt. Müßte man nicht auch
von einer 'polyvalenten techne' (bzw. Technik!) sprechen? Wie steht es aber
dann mit der Frage nach der Kunst? Ist nicht Eros ein großer Dämon, der zu
verdolmetschen weiß? Heidegger in Dialog mit Platon? Franco
Volpi. Keywords: dizionario dell’opere filosofico: Lucrezio, Cicerone, Vico,
Croce, Gentile… -- multiplicity of being
in Aristotele, univocita dell’essere; equivocita dell’essere, essere univoco,
energeia, einheit, sein, als energeia, l’unita dell’essere come energeia. H. P.
Grice, The Grice Papers, Bancroft, MS. Luigi Speranza, “Grice e Volpi:
l’univocita dell’esere” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.
Grice e Volpicelli: la ragione conversazionale -- corpi e corpi – maschi
fascisti – colossi fascisti -- la flosofia italiana nel veintenno fascista -- filosofia
fascista -- filosofia italiana -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P.
Grice, The Swimming-Pool Library (Roma). Filosofo italiaano. Grice: “While Volpicelli
does use ‘spirito,’ he means ‘breath of air,’ since he is ultimately a
naturalist, like I am.” Essential Italian philosopher. Grice: “I read with
interest his “Nature and spirit.” At that time, at Oxford, there was not much
of an Oxford spirit, so it spirited me.” Prende parte come
sotto-tenente alla grande guerra. Si laurea in filosofia sotto GENTILE (vide).
Insegna a Urbino, Pisa, e Roma. Teorico del corporativismo integrale. Direttore
di Nuovi studi e Archivio di studi corporativi. Altri saggi: Natura e spirito; L'educazione
politica dell'Italia; I presupposti scientifici dell'ordinamento corporativo; Corporativismo
e scienza giuridica; La certezza del diritto e la crisi odierna; Dizionario di
Filosofia Franchi, Per una teoria dell'auto-governo,
ESI, Napoli. Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Diritto, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, su Treccani Enciclopedie Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. La filosofia di V. costituisce un importante e, probabilmente,
ineludibile termine di confronto onde comprendere appieno, sul terreno proprio
del diritto, gli sviluppi più profondi dell'attualismo di GENTILE (si veda) e
le sue possibili conclusioni teoretiche circa la possibilità di ammettere, nel
suo seno, una filosofia del diritto. Il peculiare interesse per i risvolti
speculativi della sua dottrina nella corretta definizione di una
Rechtsphilosophie fanno, infatti, di V, un insostituibile interlocutore. Punto
di partenza della sua riflessione è, per l'appunto, la definizione di una FILOSOFIA
del diritto. La distinzione con una mera SCIENZA del diritto che investe in
primis la speculazione. [Tale problematica viene affrontata, parallelamente,
seppur da un versante più marcatamente economico e sociologico, da SPIRITO (si
veda), con il quale condivide le avventure e, soprattutto, le disavventure di “Nuovi
studi di diritto, economia e politica” che, raccoglie i loro principali saggi
e, in particolare, il loro tentativo di indagare - sulla base dell'insegnamento
di GENTILE - quegli ambiti delle scienze pratiche nei quali il complesso
rapporto con una FILOSOFIA unificatrice
ed escludente come l'attualismo determina l'esigenza di un approfondimento
speculativo particolare. I Nuovi studi, riprendendo la felice sintesi di
Franchi, possono] [teoretica tout court, ma che poi - come si vedrà - finisce
per calarsi perfettamente nella definizione del diritto e nella tipologia di
analisi e studio che concernono l'esperienza giuridica nel suo insieme? Fedele
trascrittore della lezione di GENTILE, V. separa schematicamente i due campi. La FILOSOFIA
è la considerazione integrale e, quindi, reale dei fenomeni singoli come
individuazioni assolute dell'intero universo. Scienza, invece, e una limitazione
operata sull'universale individuo, e, quindi, una considerazione parziale e
astratta della realtà. Se dunque l'UNIVERSALITA
FILOSOFICA si costituisce come determinatezza assoluta, occorre asserire che
l'astrazione e limitazione scientifica non si costituisce fuori o accanto, ma
sul fondamento e nell'ambito della conoscenza
filosofica. Perciò essa è distinta e autonoma, ma entro il circolo
invalicabile della filosofia -- e della storia d’ITALIA. Una storia da pensare,
si badi, sempre e comunque come l'immanente atto del pensiero concreto. La FILOSOFIA,
dunque, non costituisce un Prolog im Himmel, ossia un semplice e grezzo
materiale aggregato di preliminari nozioni scientifiche, ma piuttosto il
sostrato ontologico su cui la scienza può e deve modellare quelle categorie e
quelle nozioni idonee a favorire l'autentica conoscenza di determinati settori
della vita spirituale. Essa, in altre parole, ha il compito di realizzare un
determinato percorso gnoseologico il cui sviluppo non può prescindere dalla
consapevolezza che il processo di unificazione o unità conoscitiva non avviene
per opera della scienza, ma avviene già nella realtà. La scienza deve solo
'attuare', con i suoi termini e i suoi concetti, una realtà che storicamente
già si compie come processo unitario'. Un] [considerarsi come "il
manifesto dell'attualismo applicato alle scienze sociali" (cfr. G.
Franchi, Araldo Volpicelli. Per una teoria dell'autogoverno, Napoli. Sul tema
pure cfr. Losano, Prefazione a Id. cur., Kelsen – V. Parlamentarismo,
democrazia e corporatirismno, Torino. Sul punto cfr. Gennaro, Crocianesimo e
cultura giuridica, Milano. Cfr. Volpicelli, Orlando, in Nuovi studi di diritto,
economia e politica. Sul punto cfr. Riccobono, Intervento, in La filosofia del
diritto IN ITALIA; Alti del Congresso nazionale di filosofia giuridica e
politica, Napoli-Sorrento, Milano, Franchi. La scienza - sentenzia altrove V. -
è, infatti, vero ed effettivo conoscere (cfr. Corporativismo e scienza del
diritto, in Nuovi studi di diritto, economia e politica. Sul binomio
realtà-storia V., nel già citato passaggio chiarisce così: "La realtà è
una, categoricamente una ed omogenea, talché le sue distinzioni - innegabili e
imprescindibili all'esistenza del mondo o, meglio, della realtà come mondo -
non possono essere, e ciò per defini-zione, assolute, eterogenee; non possono
cioè importare una contraddittoria moltiplicazione reale dell'unità. Le
distinzioni sono e debbono essere per definizione omogenee, e non sostanziali.
Ciò val quanto affermare che sono storiche, se è vero che la storia è il
processo di differenziamento dell'uno: sì differenziamento e processo unitario,
e cioe tale da importare l’omogeneita] [processo unitario il cui svolgimento, a
sua volta, è contrassegnato da una dialettica intesa come «ritmo della realtà
nella sua spirituale natura», ovvero non come essere ma come farsi. Ciò che V. tenta di raggiungere, nell'ambito
della riflessione giuridica, è la formulazione di un concetto del diritto che
sia capace di incarnare l'intima e l'immediata attuazione 'scientifica' della
teoria 'filosofica' dell'identità di individuo e Stato», e, al tempo stesso, di
schivare il pericolo di una «arbitraria traduzione di essa nei disparati
termini empirici della scienza giuridica..Dimensione ontologica della
filosofia, funzione gnoseologica della scienza: sono questi i postulati da cui
occorre muoversi per intraprendere la costruzione tanto di una filosofia quanto
di una scienza del dintto. La realizzazione della prima passa per un confronto-scontro
con CROCE (si veda), più tenue, e con VECCHIO (si veda), più violento, -- ossia
con i due autori che con maggiore vigore si oppongono al positivismo filosofico
di fine secolo, ma da posizioni differenti: idealista quella crociana,
neo-kan-tiana quella del filosofo romano. La formazione della seconda,
viceversa, parte da una revisione critica della dottrina dei due protagonisti,
maestro e allievo, della pubblicistica italiana: Orlando eRomano. Il problema
di fondo che V. intende affrontare è, quindi, quello di ridefinire la filosofia
del diritto come scienza filosofica, ovvero come un'attività che indaga su un
fenomeno particolare dell'esperienza esistenziale, ovvero il diritto. La
particolarità del suo oggetto, seguendo questa impostazione, consentirebbe la
possibilità di essere concepita come scienza, 'filosofica', e quindi
subordinata alla filo-sofia, ovvero a quel processo speculativo che tende alla
universalità.Secondo Volpicelli, infatti, un difetto ricorrente delle filosofie
del diritto coeve -soprattutto quelle di matrice positivista - era quello di
considerare «le filosofie par-ticolari» - e quindi quella del diritto - «come
entità irrelative e intermedie tra la filosofia e la scienza. A causa della
deriva sociologistica e positivistica che conduce ad una «concezione
naturalistico-deterministica della realtà umana e perciò del diritto», la
filosofia del diritto alla fine dell'Ottocento, «non conserva che il] [sostanziale
dei suoi differenziati momenti, senza di che non c'è processo e passaggio ma
statica e irrelata molteplicità naturale" (cfr. A. V. Corporativismo e
scienza del diritto, Cfr. V., La teoria dell'identità di individuo e Stato, in
Nuovi studi di diritto, economia e politica. V., Corporativismo e scienza del
diritto, V. La teoria del diritto di CROCE, in Nuovi studi di diritto, economia
e politica] [nome. Il nodo cruciale è, insomma, l'impossibile distinzione tra
una filosofia generale ed una speciale, come appunto si presenterebbe quella
del diritto: una filosofia generale che ammette filosofia speciali non è più in
grado di risolvere «sul suo terreno tutti i problemi della realtà. D'altro
canto, una filosofia speciale che «ap-plica passivamente lo schema e il metodo»
di una filosofia generale perde il suo compito essenziale ovvero «spiegare e
necessitare il suo oggetto. Una riaffermazione di una riflessione intimamente
giusfilosofica, quindi, «è possibile e intrinsecamente giustificabile» laddove
si accetti il presupposto che il diritto sia «una posizione o forma assoluta
dello Spirito stesso. Pertanto, oggetto e ragion d'essere della filosofia del
diritto finiscono per identificarsi con «la determinazione della forma
giuridica nel suo peculiare carattere e nella sua connessione intrinseca con le
altre forme spirituali»"'. Solo in questo modo la filosofia del diritto
«non è distinguibile dalla filosofia», ma nasce e si sviluppa «nell'ambito e
nel sistema di essa» con lo scopo di perseguire due finalità essenziali: da un
lato, in funzione anti-positivista, «considerare il diritto come attività dello
spirito e non come «fatto» o schema»; dall'altro, in funzione anti-naturalista,
«concepire storicamente il diritto come creazione incessante, progressiva ed
organica. All'interno di questo quadro, V. riconosce - in aperto contrasto col formalismo
neo-kantiano - dei meriti anche a Croce: in particolar quello di aver
ricomposto «il dissidio tra la filosofia e la storia, l'universalità e la
concretezza, la categoria e l'esperienza» grazie al superamento del dualismo
«di filosofia generale e filosofia particolari»'. Nonostante ciò, la posizione
crociana va rigettata nel suo complesso per la presenza di insuperabili limiti
speculativi: in particolare, in ambito filosofico-teoretico, la logica dei
distinti; su un piano più specificamente giuridico, invece, la visione della
legge come pseudo-concetto e la sua idea del rapporto tra società e
Stato.Procediamo per gradi. Per Volpicelli, l'ipotesi di una dialettica tra i
distinti è una mera contraddizione in termini in quanto le distinzioni che
accompagnano la A. V. Recenti indirizzi italiani di filosofia del diritto, in
Nuovi studi di diritto, economia e politica. Si ripropone, perciò, il problema
'crociano' "dell'essere o del non essere" della filosofia del diritto
"come materia d'insegnamento" (cfr. ibidem).A. Volpicelli, Recenti
indirizzi italiani di filosofia del diritto. V. La teoria del diritto di Croce,
cL'errore del giusnaturalismo "non consiste nel fatto della sua «fissità»,
nel suo contraddire cioè alla autorevolezza delle leggi (...) ma nel carattere
trascendente di esso, come presupposto e limite a priori, e, solo
conseguentemente, statico e fisso, della volontà"] [costante e continua
formazione dello spirito si rivelano solamente nel «processo di auto-oggettivazione
dell'Io. L'attività dello spirito, prescindendo dalla sua manifestazione
fenomenica, «è solo ed essenzialmente attività etica»?': per cui
l'autoco-scienza - del soggetto agente - «nell'atto stesso in cui costituisce
la volontà come tale, ne costituisce insieme e indistinguibilmente l'assoluto
valore etico. Questa ripresa lineare e rigida della dimensione morale
dell'intero processo spirituale dalla speculazione gentiliana è il presupposto
che consente a Volpicelli di attaccare frontalmente «l'assurdità della
distinzione spirituale tra attività economica e attività etica», poiché non è
possibile concepirsi una differenza tra volontà universale e volontà
individuale, ossia «tra fini che ci appagano come individui e fini che ci
appagano come uomini. Due sono, dunque, le conseguenze derivanti da tali
assunti: in primis, che l'utile «non è quella forma distinta di attività dello
spirito, ma di un semplice, necessario modo di considerazione della volontà nel
suo divenire. In secundis, che «il diritto è una forma distinta dell'attività
dello spirito», che può presentarsi «come economia», ma soltanto «in virtù di
una distinzione gnoseologica operantesi e risolventesi nel reale processo di
svolgimento dello spirito come eticità»?.Rispetto dunque al primo punto, la
critica ai 'distinti conduce ad una parziale e vaga accettazione dell'identità
diritto-economia e ad una rapida e sbrigativa descrizione della relazione tra i
vari momenti della praxis: diversamente da Gentile, e anche da Maggiore, in cui
l'approdo alla moralità avviene in maniera graduale e complessa, in Volpicelli
costituisce un dogma non approfondito, ma assiomaticamente sostenuto. V. La
teoria del diritto di Croce. Gentile, criticando la filosofia crociana dei
distinti e, nel contempo, rigettando i presupposti della dialettica hegeliana,
sostiene che la morale investa "ogni momento della vita dello
spirito" in quanto proiezione di "un dover essere imprescindibile hic
et nunc in virtù della libertà" (cfr. GENTILE, I fondamenti della
filosofia del diritto, Firenze. Maggiore, invece, distin-guendo, in un primo
tempo, teoria e prassi, colloca la morale al termine del percorso dialettico di
formazione della volontà (sul punto cfr. Maggiore, L'unità del mondo nel
sistema del pensiero, Palermo; in un secondo tempo, poi, riconsiderando
l'esperienza giuridica nel suo insieme, giunge a decretare la sostanziale
identità di diritto e morale (cfr. Id., Il diritto e il suo processo ideale, V.
La teoria del diritto di Croce. Gentile, criticando la filosofia crociana dei
distinti e, nel contempo, rigettando i presupposti della dialettica hegeliana,
sostiene che la morale investa "ogni momento della vita dello
spirito" in quanto proiezione di "un dover essere imprescindibile hic
et nune in virtù della libertà" (cfr. G. Gentile, I fondamenti della
filosofia del diritto, Firenze. Maggiore, invece, distin-guendo, in un primo
tempo, teoria e prassi, colloca la morale al termine del percorso dialettico di
formazione della volontà (sul punto cfr. G. Maggiore, L'unità del mondo nel
sistema del pensiero, Palermo; in un secondo tempo, poi, riconsiderando
l'esperienza giuridica nel suo insieme, giunge a decretare la sostanziale
identità di diritto e morale (cfr. Id., Il diritto e il suo processo ideale,
Palermo: un passaggio che segna l'inizio di un lento ma inesorabile
allontanamento dall'attualismo e dall'idealismo tout court che si compirà negli
anni successivi. Più in ge-nerale, sull'evoluzione del pensiero di Giuseppe
Maggiore si rimanda a F. D'Urso, L'emersione del giuridico' nella filosofia di
Giuseppe Maggiore: da L'unità del mondo a Il diritto e il suo processo ideale,
in Annali dell'Università degli Studi Suor Orsola Benincasa, Napoli.] [Il vero
problema filosofico-giuridico, del resto, è rappresentato dal rapporto tra
volontà e legge. Contro l'impostazione di Croce, che la vedeva semplicemente
come uno pseudo-concetto della sfera pratica, Volpicelli considera la legge
«regola imperativa» che costituisce la base di «un momento sui generis e
irriducibile dello spirito pratico»?. Essa, perciò, «non è una costruzione
arbitraria», bensì «l'immanente proiezione astrattiva e generalizzante della
concreta volontà»28Se ad una prima lettura la legge appare, perciò, come
«l'oggetto in cui la volontà si pone ed è reale», nel momento in cui la
voluntas «se ne stacca», diviene «lo schema ideale dell'agire»; seguendo tale
ragionamento, si può correttamente ritenere che «la sua dissoluzione è la
condizione perché l'atto volitivo sorga e si effettui,?.Il diritto, allora, non
può non identificarsi con la legge, cioè con il voluto «nella sua astrattezza e
rigidezza di posizione innanzi e contro al volere»3°. Mentre la volontà etica
«pone e risolve la legge nella sua libera ed intima creatività», la volontà
giuridica è quella in cui «la legge è esterna però coattiva»''. Ecco il motivo
per cui il diritto assume la coattività e l'esteriorità come elementi -
gnoseologicamente - distinti dall'etica 32.Infine, Volpicelli intravede e
contesta nel pensiero crociano una lettura 'machia-vellica' della politica:
concepita come «la forma individuale o utilitaria dell'attività pratica dello
spirito», essa si apre all'idea che la filosofia politica «non ha più per
oggetto lo Stato» e quindi la sintesi di autorità e libertà, molteplicità e
unità del va-lore33.A. Volpicelli, La teoria del diritto di Benedetto Croce,
cit., p. 269.Ivi, p. 272.Ibidem.A. Volpicelli, La teoria del diritto di
Benedetto Croce, cit., p. 273.Ibidem.Volpicelli considera essenziale separare
l'ambito gnoseologico da quello fenomenologico e deontologico: in particolare,
nel criticare le conclusioni che Vanni prospetta ne Il problema della filosofia
del diritto nella filosofia, nella scienza e nella vita (1890) - ovvero l'idea
che la filosofia costituisca un grado intermedio del conoscere mentre la
scienza una mera filosofia applicata - sostiene che "il problema
gnoseologico include quello fenomenologico, e questo esclude o sopprime il
deon-tologico" (cfi. A. Volpicelli, Recenti indirizzi italiani di
filosofia del diritto, cit., p. 28) . Questo approccio ricorda la distinzione
gentiliana tra la categoria in sé, ossia "concetto universale, o eterno
momento della vita dello spirito" (cfr. G. Gentile, Teoria generale dello
spirito come atto puro (1913), Firenze 2003, pp. 220-221), e la categoria
considerata come "contenuto di un certo atto conoscitivo" (cfr. ID.,
I fondamenti della filosofia del diritto, cit., p. 15).V., La filosofia della
politica di Benedetto Croce, in Nuovi studi di diritto, economia e politica, V.
La teoria del diritto di Benedetto Croce, cit., p. 269.Ivi, p. 272.Ibidem.3° A.
Volpicelli, La teoria del diritto di Benedetto Croce, cit., p.
273.Ibidem.Volpicelli considera essenziale separare l'ambito gnoseologico da
quello fenomenologico e deontologico: in particolare, nel criticare le
conclusioni che Vanni prospetta ne Il problema della filosofia del diritto
nella filosofia, nella scienza e nella vita (1890) - ovvero l'idea che la
filosofia costituisca un grado intermedio del conoscere mentre la scienza una
mera filosofia applicata - sostiene che "il problema gnoseologico include
quello fenomenologico, e questo esclude o sopprime il deon-tologico" (cfr.
A. Volpicelli, Recenti indirizzi italiani di filosofia del diritto, cit., p.
28) . Questo approccio ricorda la distinzione gentiliana tra la categoria in
sé, ossia "concetto universale, o eterno momento della vita dello
spirito" (cfr. G. Gentile, Teoria generale dello spirito come atto puro
(1913), Firenze 2003, pp. 220-221), e la categoria considerata come "contenuto
di un certo atto conoscitivo" (cfr. ID., I fondamenti della filosofia del
diritto, cit., p. 15).A. Volpicelli, La filosofia della politica di Benedetto
Croce, in Nuovi studi di diritto, economia e politica, VI, 1928, p. 322.479
Logica e storia: l'attualismo giuridico di V. ] [Volpicelli riconosce al
formalismo giuridico di ispirazione neo-kantiana un importante merito ma, di
contro, attribuisce ad esso un altrettanto decisiva responsa-bilità: il suo
pregio consisterebbe nell'aver riaffermato «l'identità e l'universalità del
diritto», il suo difetto nello «essersi arrestato a un concetto astratto e
antistorico della categoria del diritto», 34.Il formalismo neo-kantiano, in
altre parole, riaffermando «l'apriorità e categori-cità del diritto»,
rivendicava «legittimità ed autonomia della rispettiva indagine filo-sofica»35.
Un'autonomia che, in Volpicelli, va sempre però concepita entro il perimetro
della filosofia generale e mai al di fuori e all'esterno di essa36.
L'insuperabile limite del neo-kantismo, allora, appare quello di inseguire
un'illusione, ossia di poter sostenere «l'autonomia dottrinale di quella
particolare filosofia contro i congiunti ostacoli della filosofia generale e
della giurisprudenza»37.E arriviamo, così, all'analisi del maggiore e più
influente esponente del neo-kan-tismo italiano, ovvero Giorgio Del Vecchio38.
Volpicelli contesta due aspetti fondamentali della sua teoresi: la distinzione
tra concetto e idea del diritto - che ripro-pone, sotto mentite spoglie, quella
tra una giurisprudenza che studia il diritto particolare e la filosofia che
studia il diritto universale3; la riproposizione, consequen-ziale, dei tre
'compiti' (gnoseologico, fenomenologico, deontologico) del diritto *".A.
Volpicelli, La teoria del diritto di Benedetto Croce, cit., p. 241.Ivi, p.
212.Volpicelli, nel ritenere che la filosofia del diritto come
"un'autonoma scienza filosofica" nasce con Thomasius, interpreta la
sua distinzione tra diritto e morale come specchio della distinzione tra
diritto naturale e diritto positivo (cfr. A. Volpicelli, Recenti indirizzi
italiani di filosofia del diritto, cit., p. 25).A. Volpicelli, La teoria del
diritto di Benedetto Croce, cit., p. 243. Per comprendere meglio la prospettiva
volpicelliana, è interessante la lettura dell'opera di Igino Petrone. Sebbene
consideri la sua filosofia come "unico sforzo compiuto dal filosofismo
accademico italiano per costruire una filosofia del diritto su fondamenti
speculativi", in essa traspare nitidamente il fatto che l'apriori kantiano
diviene "una statica e trascendente idea innata" e, di conseguenza,
la realtà fenomenica come una"bruta empiria avente fuori di sé il suo
principio" (cfr. Id., Recenti indirizzi italiani di filosofia del diritto,
I, cit., 30-31). Pertanto, nel suo idealismo critico "permaneva, in fondo,
tenace la concezione positivistica" (cfr. ivi, p. 29).Quando ci riferiamo
al neo-kantismo italiano, come sostiene nella sua ricostruzione
storico-filosofica Nicola Tabaroni, possiamo individuare tre autori 'per
antonomasia', ovvero Igino Petrone,Adolfo Ravà e, per l'appunto, Giorgio del
Vecchio; in merito cfr. N. Tabaroni, La terza via neo-kantiana. Della
gius-hlosofia in Italia, Napoli 1987, pp. 5-6.Una problematica, questa, che
viene approfondita da altri studiosi prossimi alla filosofia attuale, tra i
quali certamente spicca Angelo Ermanno Cammarata. Si ricordi, a riguardo,
soprattutto il Contributo a una critica gnoscologica della giurisprudenza
(1925), in cui emerge, come scrive Teresa Serra, la necessità di "ridare
legittimità alla filosofia del diritto rifiutando l'elisione idealistica della
realtà del diritto" (cfr. T. Serra, Angelo Ermanno Cammarata: la critica
gnoseologica della giurispru-denza, Napoli 1988, p. 61) V. Recenti indirizzi
italiani di filosofia del diritto] [In primo luogo, egli ritiene che «la
fenomenologia del diritto» coincida con «la storia stessa del concetto di
diritto»4: tra lo svolgimento dell'idea-diritto e la trasformazione del
concetto-diritto non vi è, dunque, alcun dualismo ma piuttosto una sostanziale
identità. Un'identità che consente a Volpicelli di accentuare
quell'avvi-cinamento tra forma e contenuto del diritto, già riconoscibile
nell'opera gentiliana e già intrapreso da Maggiore, che, pur riprendendo
nozioni kantiane, le plasma e le adatta all'interno della sua speculazione a
consolidamento e sostegno della posizione attualista43.La forma, per
Volpicelli, è sempre «forma viva», ossia «concreta, processuale e
differenziantesi»: una forma che, così intesa, può essere perfino definita come
«il contenuto medesimo nella sua spiritualità»*. Una forma che non può mai
identificarsi con la vuota e indifferente nozione, di derivazione neo-kantiana,
dell'«univer-sale logico»*. Da qui, la seconda fondamentale critica a Del
Vecchio, ossia la sua fatua distinzione tra essere e conoscere. Il fenomeno
giuridico, infatti, va concepito, secondo tale lettura, come un qualcosa «che
non cade fuori dall'atto che la pro-duce», ma piuttosto come una realtà «in cui
si individua, e cioè si converte e rifonde senza residuo, l'universale attività
concepente»*.La riconduzione dell'elemento fenomenico nell'ambito formativo del
processo spirituale determina, altresì, l'identificazione della conoscenza con
il valore, o meglio, dell'attività conoscitiva con quella valutativa. Lungi
dall'accogliere la separazione weberiana tra giudizio di fatto e giudizio di
valore, Volpicelli perviene al rifiuto dell'altra importante dicotomia nella
filosofia delvecchiana, ossia quella tra idea logica e idea valutativa, da cui
derivano rispettivamente il «giudizio storico-positivo» e il «giudizio
deontologico-razionale»47. Per l'allievo di Gentile, «conoscere è,
indi-stinguibilmente, e in sé medesimo, valutare» perché ogni valutazione
avviene sempre in re, e non extra o post rem, e pertanto «è possibile e
giustificabile solo nell'attoUn concetto di diritto che "non è nulla di
diverso e distinto dalle sue manifestazioni, ma è proprio, assolutamente,
quest'ultima" (cfr. ibidem).Il Kant 'attualista' è quello che apre
all'identità hegeliana di reale e razionale attraverso il ribaltamento del
rapporto tra soggetto e oggetto e la negazione della preesistenza della realtà
al pensiero."Una tale conquista - osserva Franchi - che capovolge il
tradizionale rapporto tra il pensiero e l'es-sere, si sarebbe però arrestata,
secondo Volpicelli, con il riconoscimento di un dato che trascende il pensiero,
cioè la materia, a cui il pensiero si limita a dare una forma, e che avrebbe
obbligato Kant a introdurre nel suo sistema il concetto di «noumeno», elemento
non conoscibile dall'intelletto, a fondamento della stessa realtà
naturale" (cfr. G. Franchi, Amaldo Volpicelli, cit., p. 19).A. Volpicelli,
Recenti indirizzi italiani di filosofia del diritto, I, cit., pp. 42-43.A.
Volpicelli, Recenti indirizzi italiani di filosofia del diritto, II, in Nuovi
studi di diritto, economia e politica, 1931, II, p. 108.A. Volpicelli, Recenti
indirizzi italiani di filosofia del diritto, I, cit., pp. 44 e 47.A.
Volpicelli, Recenti indirizzi italiani di filosofia del diritto] conoscitivo, e
non fuori o dopo di esso»48. Il valore, dunque, finisce per identificarsi con
l'essere in maniera ancora più netta rispetto al fenomeno, essendo non altro
che «la stessa formale ed infinita creatività dello spirito»:
un'identificazione garantita dai suoi caratteri essenziali, ovvero
«l'autoposizione e l'infinità»49Il valore così definito svolge, all'interno
della ricostruzione volpicelliana, un'ultima importantissima funzione, ossia
quella di offrire un ulteriore e decisivo argomento contro ogni visione
giusnaturalista. Non potendo, infatti, rinunciare alla sua «spirituale natura e
immanenza», alla sua indole «interiore e cosciente» e alla sua«inesauribile
dialettica», il valore, applicato al diritto, trasforma questo in una peculiare
espressione concreta della coscienza umana, specificamente quella dell'«essere
doveroso e continuo»: un diritto che «è sempre giusto»°. Alla luce di ciò,
appare assolutamente inutile ipotizzare un diritto naturale a priori, eterno,
immutabile, espressione di un ideale astratto sempre esterno alla realtà. Il
giusnaturalismo, in ogni sua formulazione, svela sempre il suo carattere
filosoficamente falso per questa sua incapacità di essere immanente e
'procedurale' all'interno della realtà dello spi-rito: idealità e realtà, in
definitiva, non si traducono mai in un dualismo, bensì si rapportano sempre
nell'alveo di un processo dialettico. Passando sul versante della scienza del
diritto, Volpicelli legge con interesse critico tanto l'opera di Vittorio
Emanuele Orlando quanto quella di Santi Romano. Il confronto con entrambi
scaturisce dall'interesse per lo Stato, in particolar modo per la sua
definizione e la sua funzione nell'ambito dell'esperienza giuridica. In
sintesi, pur condividendo sensibilità e fini che la scienza del diritto
pubblico mostra e per-segue, Volpicelli individua nella dottrina dei due
giuristi siciliani degli elementi critici da cui occorre allontanarsi
apertamente: in Orlando ravvisa il pericolo di una scissione tra diritto e
legge con la subordinazione del primo nei confronti della seconda; in Santi
Romano, invece, la riduzione dello Stato a species del genus diritto
rappresenta un presupposto incauto da cui potrebbe derivare una frammentazione
dell'universo giuridico e un abbandono del processo unitario che, viceversa, lo
con-trassegna.Ciò che, invero, preoccupa maggiormente Volpicelli sul piano
della scientia juris è quella che egli indica come «la tendenza più generale e
caratteristica della giurisprudenza contemporanea», ossia quella «di
determinare e porre alla base delle sue costruzioni il puro concetto di fatto
giuridico»; un concetto, in altre parole, «valido**Ivi, pp. 109-110. Questa
interiorità dell'atto conoscitivo, sorprendentemente, viene trovata da
Volpicelli in Kant stesso, laddove "il conoscere", formandosi "secondo
le forme funzionali dell'auto-coscienza" costituisce "già per ipotesi
il nostro conoscere" (cfr. ibidem).49 A. Volpicelli, Recenti indirizzi
italiani di filosofia del diritto] una volta per sempre e per tutti i possibili
fatti»'. E necessario, perciò, una forte contrapposizione a questo formalismo
che, come «mostro insaziabile», divora e annulla la scienza «nell'assurda
pretesa di rendere quanto più rigorosi e universali gli schemi
scientifici»52.Per Volpicelli la scienza, in generale, «non astrae dalla
realtà», ma piuttosto «in funzione» di essa. In questo senso, la logica - che è
in capo a qualsiasi concezione epistemologica - e la storia - che è
l'incessante motore della realtà ideale - determinano due verità che non
possono non coincidere. La logica, infatti, in quanto «immanente forma della
realtà storica», non può mai scindersi dalla cosa in sé, dalla concretezza
dello spirito, ma fondersi sempre con essa 4Ma la scienza non può 'spiegare sé
stessa, dal momento che la sua intima ragione può essere definita soltanto dal
di fuori, ovvero dalla speculazione filosofica, «nes-suna scienza può
scientificamente dimostrare i suoi presupposti» e quindi «la scienza giuridica
non può pretendere di spiegare giuridicamente il diritto»55. La genesi e i
fondamenti del diritto «trascendono la competenza e la stera della scienza
giuridica» perché essi hanno una «vera e genuina natura metagiuridica»56.La
scienza giuridica è «distinta ed autonoma nella politica o nella storia, ma non
dalla politica e dalla storia»57. Il grande torto di Orlando, come si vedrà,
sarà quello di aver cercato di rendere la scienza giuridica autonoma dalla
politica, ovvero dalla storia, e perciò di affrancarla dalla filosofia. Volpicelli,
in verità, apprezza di Orlando la posizione antirazionalista e antigiu-snaturalista,
nonché l'aver fondato una scienza del diritto capace di cogliere organicamente
quei principia juris che costituiscono «le premesse storico-ideali informatrici
delle istituzioni giuridiche positive»8. Inoltre, egli sottolinea positivamente51
A. Volpicelli, Santi Romano (@, in Nuovi studi di diritto, economia e politica,
Volpicelli, Vittorio Emanuele Orlando (III), in Nuovi studi di diritto,
economia e politica,1927, I, р. 200.54 Ivi, p. 201.SS Ivi, pp. 205-206.Ivi, p.
206.Ibidem. VITTORIO EMANUELE ORLANDO Volpicelli, in verità, apprezza di
Orlando la posizione antirazionalista e antigiu-snaturalista, nonché l'aver
fondato una scienza del diritto capace di cogliere organicamente quei principia
juris che costituiscono «le premesse storico-ideali informatrici delle
istituzioni giuridiche positive»58. Inoltre, egli sottolinea positivamente51 A.
Volpicelli, Santi Romano (I), in Nuovi studi di diritto, economia e politica,
I, 1929, p. 17.52Ivi, p. 18.53A. Volpicelli, Vittorio Emanuele Orlando (III),
in Nuovi studi di diritto, economia e politica,1927, I, р. 200.Ivi, p. 201.Ivi,
pp. 205-20636 Ivi, p. 206.Ibidem.A. Volpicelli, Vittorio Emanuele Orlando (D),
in Nuovi studi di diritto, economia e politica, 1927, L, p. 14. In verità, come
osserva Pietro Costa, in questa riconosciuta affinità con l'impostazione
orlandiana, si può riscontrare quel più generale consenso verso "quella
pregiudiziale antropologica (di ispirazione anti-individualistica e
organicistica) che collega Volpicelli non solo ad Orlando, ma all'intera
tradizione giuspubblicistica" (cfr. P. Costa, Lo Stato immaginario.
Metafore e paradigmi della cultura giuridica italiana fra Ottocento e
Novecento, Milano] [l'atteggiamento dichiaratamente critico del giurista
palermitano nei confronti sia del contrattualismo, sia del
giusnaturalismo"".Ciò che, invece, rappresenta - come detto - uno
strappo che determina il rigetto della visione orlandiana nel suo insieme è la
distinzione, di matrice storicista, tra legge e diritto". Una distinzione
che riproporrebbe - in altro modo - il dualismo tra diritto positivo e diritto
naturale, laddove si affermi che «il diritto positivo o vigente (legge)
dichiara e impone l'antecedente, genuino ed autonomo diritto so-ciale»61.In ciò
non può non ravvisarsi, secondo l'interpretazione volpicelliana, uno
sdoppiamento che è matrice e, a un tempo, figlia della medesima scissione tra
Stato e società, già individuata e criticata - da Gentile e Maggiore -
nell'hegeliana dialettica tra bürgerliche Gesellschafte Staaf2. Uno Stato che
rimane mero titolare della legge con la quale riconosce e sanziona un diritto
che non nasce in esso e con esso, ma in una società che precede sempre la sua
formazione. Ma la società, secondo Vol-picelli, «non crea il diritto, se non in
quanto Stato», assumendo in tale veste il ruolo di società politica 3.Il nesso
tra diritto e politica, allora, costituisce il vero nodo da sciogliere, il
terreno su cui è possibile porre le solide fondamenta della scienza giuridica,
delineandone definitivamente caratteristiche e confini. Diritto e politica
rappresentano l'astratto e il concreto del processo ideale che accompagna e
contrassegna perpetuamente l'ente Stato. Se, perciò, il diritto può essere
pensato come «l'obiettivazione astratta» del «concreto essere e operare» della
politica, le scienze impegnate a studiare e definire i rispettivi oggetti sono
agevolmente identificabili: la scienza del59 Orlando, infatti, da un lato
considera il diritto come "una creazione spontanea, incessante ed organica
della società", dall'altro sia allontana da tutte quelle dottrine che
"ponevano a centro e a soggetto del mondo giuridico il puro individuo come
immediatamente dotato di naturali diritti" (cfr.A. Volpicelli, Vittorio
Emanuele Orlando (1),cit., p. 16).Volpicelli scorge in questa separazione un
retaggio diretto della scuola storica del diritto. Una corrente a cui viene
riconosciuto un duplice merito: "contro il contrattualismo, riafferma
l'apriorità e originarietà della società come fonte e principio del diritto;
contro il giusnaturalismo, la storicità e positività di quest'ultimo"
(cfr. ibidem). E, infine, "l'avversione costante e irriducibile di quella
scuola alle codificazioni, che pretende di arrestare il corso storico" e
alle riforme imposte "da una ragione arbitraria (perché metastorica)"
(ibidem). Ciò che, al contrario, valuta come un limite è la negazione dello
Stato come fuoco incessante della società: una società descritta come "una
realtà piena e perfetta prima e fuori dello Stato" e quindi una realtà
"immediatamente statuale e giuridica" (cfr. A. Volpicelli,Vittorio
Emanuele Orlando (D), 1927, I, cit., p. 17).Cfr. A. Volpicelli, Vittorio
Emanuele Orlando (1), 1927, I, cit., p. 17.Il confronto di gentile con la
filosofia hegeliana si traduce in un più complessivo abbandono dello schema
triadico della sua dialettica e nell'adozione di un processo di auto-sintesi
che si regge sulla continua contrapposizione tra 'concreto' ed 'astratto'; sul
punto soprattutto cfr. G. Gentile, La riformaconfronto di gentile con la
filosofia hegeliana si traduce in un più complessivo abbandono dello schema
triadico della sua dialettica e nell'adozione di un processo di auto-sintesi
che si regge sulla continua contrapposizione tra 'concreto' ed 'astratto'; sul
punto soprattutto cfr. G. Gentile, La riforma della dialettica hegeliana
(1913), Firenze 2003. La critica di Maggiore ad Hegel, invece, si sviluppa
organicamente, seguendo per grandi linee la lettura gentiliana, in Maggiore,
Hegel, Milano.] [diritto ha il compito di analizzare lo Stato «ipostatizzandolo
e irrigidendolo», considerandolo sempre come «obiettivo e statico ordinamento
istituzionale», la scienza politica ha viceversa la funzione di approcciare
alla realtà statuale «nel suo divenire concreto», ovvero «nel suo interno
rapporto con la progressiva e piena volontàumana» 64.In sintesi, diritto e
politica - e con essi le relative scienze - sono senza dubbio distinti, ma non
del tutto separati perché «non rispondono affatto a due concezioni opposte
della realtà», ma piuttosto «poggiano su un fondamento ideale comune», lo
Stato, di cui incarnano l'astratto e il concreto"s.L'approccio orlandiano,
in questo senso, viene certamente 'salvato', dal momento che l'analisi e il
valore degli istituti pubblici «nella loro giuridica realtà» costituiscono «il
fine della scienza giuridica»: un fine che, tuttavia, non si persegue
correttamente se questi «si staccano dal processo storico in cui si
enucleano»66. Proprio qui, infatti, affiorerebbe il secondo e decisivo limite
della ricerca di Orlando, ossia il tentativo impossibile «di accogliere e
conciliare in un più comprensivo sistema i motivi parimente essenziali, ma
inadeguati ed erronei nella loro unilateralità, delle due scuole di diritto
pubblico del sec. XIX»: la scuola 'francese', che continua a dare forma «alle
premesse politico-ideologiche della rivoluzione», e la scuola 'tede-sca', che
al contrario «avvia e apre a sostanziali sviluppi l'assolutismo
tradizionale»67Se, dunque, il legame con la scuola storica lo conduce
all'inaccettabile divaricazione tra legge e diritto (rectius: società e Stato),
l'attenzione al modello francofono lo porta, viceversa, verso un imprudente
abbandono proprio della dimensione storica (rectius: politica) della realtà
giuridica in quanto realtà statuale"8. La vera 'colpa' di Orlando, dunque,
sarebbe quella di non aver realizzato la sintesi tra le due teorie, ovvero di
non aver costruito una scienza giuridica capace, a un tempo, di affermare
«l'autonomia e l'assoluta sovranità dello Stato», nonché «l'esigenza dello Stato
giu-ridico» e «della libertà civile»6. Il suo vero fallimento è determinato dal
vano sforzo di conciliare la necessità delle prerogative sovrane della realtà
statuale con l'esigenza64Ivi, pp. 20-22.6Ivi, p. 21. Sul rapporto tra diritto e
politica, come suggerisce Irene Stolzi, Volpicelli - insieme ad Ugo Spirito con
il quale condivide fino in fondo le avventure e le disavventure dei Nuovi
studi, rivendica "la netta supremazia del momento politico su quello
giuridico", ossia "la necessità che la politica diventasse
l'effettivo motore dello stesso diritto" (cfr. I. Stolzi, Il fascismo
totalitario: il contributo della riflessione idealistica, in Historia et ius
(www.historiaetius.eu), 2/2012, paper 14, p. 6).6Ivi, p. 23.6 A. Volpicelli,
Vittorio Emanuele Orlando (III), cit., p. 183.68 In verità, rileva Aldo
Sandulli, le molteplici ascendenze culturali che caratterizzano la formazione
della dottrina orlandiana, possono essere ricondotte "ad un ceppo comune
culturale" rappresentato dalla "scuola storica di Savigny", dal
quale poi si distanzia per seguire "gli indirizzi dei più rilevanti
approdi della coeva giuspubblicistica tedesca", ovvero Gerber, Laband, e,
infine, soprattutto Jellinek (cfr. A. Sandulli, Costruire lo Stato. La scienza
del diritto amministrativo in Italia (1899-1945)Milano 2009, p. 72).6 A.
Volpicelli, Vittorio Emanuele Orlando] di riconoscimento della libertà politica
ad ogni individuo. Volpicelli risolve questa, per lui, intollerabile
giustapposizione orlandiana con la 'sintesi' dei due elementi, sovranità
statuale e libertà politica, nella nozione di libertà civile che, andando a
coincidere con l'autolimitazione statale, si realizza in «un congruo e
determinatosistema di norme giuridiche»70.La libertà civile, intesa in senso
volpicelliano, se traslata nel rapporto tra i singoli, può costituire i
presupposti della libertà giuridica, cioè di quella libertà «insita e definita
nello stesso diritto» che deriva «in modo indiretto, subordinato e contingente
dal diritto posto» e che trova «nella empirica formulazione di legge il suo
fondamento e i suoi limiti»". Mentre, quindi, l'attributo civile sembra
connotare più propriamente i rapporti tra individuo e Stato, quella giuridica
pare riferirsi in maniera più manifesta alle relazioni intersoggettive: due
formulazioni della libertà che, da un lato, avallano una differenziazione tra
ius - in quanto materializzazione dello70 Ibidem. Il problema
dell'auto-limitazione dello Stato spinge Volpicelli ad un naturale accostamento
teoretico tra la dottrina Orlando e quella di Jellinek che costituisce, per il
giurista romano, l'occasione per un ulteriore chiarimento concettuale.Se la
dottrina di Jellinek ha il merito di mirare alla "organica
coesistenza" di sovranità e libertà, sulla limitazione del potere sovrano
Volpicelli esprime chiaramente la sua posizione differenziandola dalla teoria
dei diritti pubblici Ibidem. Il problema dell'auto-limitazione dello Stato
spinge Volpicelli ad un naturale accostamento teoretico tra la dottrina Orlando
e quella di Jellinek che costituisce, per il giurista romano, l'occasione per
un ulteriore chiarimento concettuale.Se la dottrina di Jellinek ha il merito di
mirare alla "organica coesistenza" di sovranità e libertà, sulla
limitazione del potere sovrano Volpicelli esprime chiaramente la sua posizione
differenziandola dalla teoria dei diritti pubblici soggettivi: secondo
quest'ultima, infatti, "limitazione giuridica del sovrano vuol dir
soltanto relazione giuridica di esso col suddito: relazione insidente nell'atto
stesso onde lo Stato legifera o pone il proprio comando nella forma di
legge" (cfr. A. Volpicelli, Vittorio EmanueleOrlando (III), cit., pp.
193-194).In Volpicelli, dunque, è la legge medesima a contenere in sé il senso
del limite. Essa, infatti, non è mai e solo "un unilaterale comando al
suddito", ma è sempre "un comando a se stesso", ossia "un
continuo organizzarsi e procedere giuridicamente" (cfr. ivi, p. 194). Del
resto, se 'filosoficamente'Stato e individuo si identificano, in ambito
giuridico la teoria dei diritti pubblici soggettivi non è accettabile perché
presuppone l'auto-poiesi di uno Stato, che si astrattizza nella fictio iuris
della persona giuridica. Una fictio che poi si 'sdoppia' attraverso il
riconoscimento della personalità giuridica del cittadino.La teoria dei diritti
pubblici soggettivi presuppone la relazione tra due soggetti ontologicamente
diversi; l'attualismo filosofico, invece, li considera come i momenti distinti
di un'unica sostanza. Il legame sovrano-suddito, Stato-individuo, è sempre
'interno' e mai 'esterno'. Perciò, su un piano speculativo è inaccettabile; ma
da un punto di vista della scienza, nel senso astratto datogli da Volpicelli,
potrebbe anche essere accettata, quanto meno nei suoi presupposti se non in
tutte le sue conclusioni.Rispetto ad Orlando, dunque, Volpicelli cerca una
sorta di interpretazione attualisticamente orientata dell'opera di Jellinek e
della dottrina dell'autolimitazione. Uno Jellinek il cui merito è quello di
essere partito "dal puro atto legislativo ut sic, senza pretesa alcuna di
assegnare e imporre allo Stato un determinato atto legislativo iniziale",
evitando così lo sdoppiamento tra sovranità e popolo (cfr. ivi,
p.196)."Ivi, p. 190. "Legiferare è limitarsi": pertanto,
"Stato legislatore e Stato giuridico non sono, in-somma, due Stati o parti
staccate ed eterogenee di un unico Stato - una originaria e sottratta al
diritto (autocratica, illimitata, assoluta) e l'altra postuma, derivata e
vincolata da esso", bensì "i due momenti ideali e inscindibili
dell'unico Stato nel suo eterno processo di posizione e costituzione di
sé" (efr. ivi,p. 195).Lo Stato legislatore, in definitiva, "è
continuamente e inscindibilmente un sempre nuovo determinato Stato
giuridico", cosicché la legge è l'atto che garantisce il continuo processo
di produzione della giuridicità] [Stato - e lex - in quanto astrazione
individuale dello spirito, fugando però il rischio della scissione perpetrata
da Orlando, in cui rimane impossibile «conciliare la sta-tualità del diritto
con la sua preesistenza allo Stato». In definitiva, attraverso tale duplice
articolazione, Volpicelli finisce, volente o nolente, per assecondare - tramite
il diritto - quella indispensabile identità gentiliana di libertà e autorità --
sovranità. Il percolo di una separazione tra Stato e società, già paventatosi
in Orlando, trova, secondo Volpicelli, con l'affermarsi dell'istituzionalismo
romaniano, un'ulteriore fonte di minaccia, ma anche un'apprezzabile opportunità
di sviluppo. Per far sì che «la società sia l'immanente sostanza dello Stato» e
che quest'ultimo si trasformi nella «coestensiva e interiore organizzazione
autorevole» della societas me-desima, occorre che il diritto pubblico, lungi
dal ridursi alla «figura del rapporto politico tradizionale atopicamente
concepito», incominci a «svolgersi e articolarsi in un compatto sistema
d'istituzioni attraverso cui circoli tutta la vita sociale»74.In questo senso,
Volpicelli può ben richiamarsi a L'ordinamento giuridico nel sostenere che «il
diritto non è norma o regola estrinseca di rapporti atomistici», bensì una
«compatta organizzazione sociale in cui le norme e i rapporti rientrano come
particolari e subordinati momenti». Ma, soprattutto, la realtà giuridica è una
«organizzazione, in virtù della quale la società si articola e costituisce in
un ente unitario ed autonomo rispetto ai vari elementi che lo compongono»76. In
sostanza, in tale lettura si accetta, come fondamento incontestabile,
l'inscindibile connubio tra ius e societas. Un connubio che trova la sua primigenia
unità nell'individuum72A. Volpicelli, Vittorio Emanuele Orlando (III), cit., p.
199. Sul rapporto tra individuo e Stato inVolpicelli cfr. A. De Gennaro,
Crocianesimo e cultura giuridica, cit. pp. 365-366.73 Cfr. G. Gentile, I
fondamenti della filosofia del diritto, cit., pp. 65-88. Sul rapporto tra
autorità e libertà in Gentile, tra le possibili letture cfr. G. M. Barbuto,
Nichilismo e Stato totalitario, Napoli2007. 74A. Volpicelli, Santi Romano (I),
cit., p. 10.75 Ibidem. Per Volpicelli la norma "è una linea divisoria tra
le azioni umane", una connessione tra ordinamento giuridico e realtà umana
• openstarts.units.it72A. Volpicelli, Vittorio Emanuele Orlando (III), cit., p.
199. Sul rapporto tra individuo e Stato inVolpicelli cfr. A. De Gennaro, Crocianesimo
e cultura giuridica, cit. pp. 365-366.73 Cfr. G. Gentile, I fondamenti della
filosofia del diritto, cit., pp. 65-88. Sul rapporto tra autorità e libertà in
Gentile, tra le possibili letture cfr. G. M. Barbuto, Nichilismo e Stato
totalitario, Napoli2007. 14A. Volpicelli, Santi Romano (I), cit., p. 10.75
Ibidem. Per Volpicelli la norma "è una linea divisoria tra le azioni
umane", una connessione tra ordinamento giuridico e realtà umana che
costituisce "un limite oggettivo" con "due facce assolutamente
congrue" (cfr. A. Volpicelli, Santi Romano (continuo e fine), in Nuovi
studi di diritto, economia e politica, 1929, VI, p. 363). Più in generale,
l'attenzione per le teorie romaniane è un tratto comune a molti teorici
appartenenti alla scuola gentiliana o comunque in qualche modo aderenti o
vicini alla filosofia attualista. Oltre a Volpicelli, come ricorda Irene
Stolzi, anche Maggiore e Panunzio riconobbero a Santi Romano "il merito di
aver sollevato la questione della identità profonda del fenomeno giuridico e di
aver chiarito come tale identità non potesse in alcun modo esser ricavata dalla
mera superficie normativa, dal semplice sistema del diritto positivo"
(cfr. I. Stolzi, L'ordine corporativo.Poteri organizzati e organizzazione del
potere nella riflessione giuridica dell'Italia fascista, Milano2007, р.
105).76д. Volpicelli, Santi Romano] [medesimo. La società e il diritto, «nel
senso più genuino e completo», sono, infatti, presenti già «nell'individuo
isolato», il quale, malgrado rimanga «chiuso della sua vita interiore», in
quanto espressione della soggettività concreta dello spirito, costituisce «un
solido e articolato sistema di volizioni e mezzi di vita, di poteri e istituti,
di garanzie e di norme, di facoltà e obblighi»; e quindi una forma di «redenzione
essenziale di sé con sé», motivo per il quale va considerato, senza ombra di
dubbio, come una «società formalmente piena e perfetta»"?.Tuttavia, ciò
che rimane estraneo all'ortodosso attualismo volpicelliano è l'idea di un
diritto oltre lo Stato8. Il diritto, infatti, «è l'obiettivazione positiva
della volontà dello Stato», ossia «l'organizzazione statica e obiettiva in cui,
di momento in mo-mento, si configura e conchiude il vivente processo politico
dello Stato». Esso è certamente 'organizzazione' - come sostiene Santi Romano -
ma soltanto quella che si incarna nella forma', ma soprattutto nella
'sostanza', dello Stato. Inoltre, è la sua presupposta mutevolezza a fornire
quella solida e irrinunciabile garanzia di adeguamento continuo all'azione dello
Stato e, di conseguenza, della società tout court.In definitiva, se, da un
lato, viene accolta favorevolmente, in funzione anti-for-malista e
anti-normativista la nozione del diritto come istituzione, dall'altro non è
possibile sostenere la conseguente visione pluralista, derivante - per il vero
- da una lettura accentuatamente 'progressista' e 'innovatrice' del saggio di
Santi Romano8:l'istituzione, in ultima analisi, secondo Volpicelli, non può che
essere lo Stato, ossia il soggetto che, per affrancarsi definitivamente dalla
sua ipostatizzazione moderna,V., del resto, legge in chiave assai personale
anche la crisi dello Stato moderno: nella sua ottica, il superamento dello
statualismo ottocentesco rappresenta "il passaggio dalla concezione
nor-mativa, e quindi individualistica e privatistica, a quella istituzionale e
pubblicistica del diritto", ovvero"dalla concezione atomistica e
formalistica a quella socialitaria ed organica dello Stato" (cfr. A.
Vol-picelli, Santi Romano (continuo e fine), cit., p. 363).79 Ivi, p. 351.8 In
realtà, la teoria di Santi Romano andrebbe letta come un tentativo di
conservazione. attraverso l'adozione di un modello organicistico e
anti-individualistico, dello statualismo. Uno statualismo che, tuttavia,
avrebbe dovuto definitivamente accantonare le forme giuridiche ottocentesche.
In tal senso, come scrive Sabino Cassese, la visione di Santi Romano
rappresenta "il contrario del plurali-smo" (cfr. S. Cassese, Lo
Stato, «stupenda creazione del diritto» e «vero principio e vita», nei primi
anni della Rivista di diritto pubblico (1909-1911), in Quaderni fiorentini,
Milano 1987, p. 507). Pertanto, seguendo le parole di Alfonso Catania, si può
ulteriormente concludere che Romano "elabora una concezione giuridica che,
lungi dal riflettere e comunque lungi dal mettere in evidenza anche la
possibilità di una lettura conflittuale della società, giuridifica la realtà
stessa, in questo senso la forma-lizza, in questo senso depotenzia il
conflittualismo perché in qualche modo la visione giuridica, nella sua
struttura ordinamentale-organizzatoria, tende ad esaltare tutti i momenti in
cui appunto l'azione sociale si mostra fondativa e corroborativa
dell'organizzazione stessa, senza che minimamente si formulino ipotesi sulla
reale composizione e sul reale scontro delle organizzazioni sociali irrompenti
sulla scena storico-politica" (cfr. A. Catania, Formalismo e realismo nel
pensiero di Santi Romano, inId., Teoria e filosofia del diritto. Temi,
problemi, figure, Torino. Sull'interpretazione della dottrina romaniana, ancora
cfr. A. Sandulli, Costruire lo stato.] [cideve assumere l'attributo
dell'organizzazione. L'addivenire ad una qualsiasi «teoria della pluralità
degli ordinamenti giuridici» rappresenterebbe «il logico corollario» di una
concezione formalistica del diritto e, a un tempo, «la negazione flagrante della
istituzionalità del diritto»8'. Il diritto, in altre parole, «è istituzione»
solamente «se e perché il mondo dei rapporti giuridici» si origina, si sviluppa
e si conserva come «una compatta unità» 82.Ciò che, dunque, finisce sotto la
lente critica volpicelliana è l'ipotesi di una elaborazione dottrinaria, da
parte della scienza giuridica, di una teoria che consideri «il diritto o
l'istituzione ut sic, nella sua purità e generalità», e che risponda così, in
maniera fatua ma pericolosa, «al più tormentoso ed insistente problema della
moderna giuspubblicistica», ovvero quello di «legare o subordinare lo Stato al
diritto»83Un'operazione considerata vanamente astuta perché, passando da una surrettizia
e apparente identificazione tra Stato e ordinamento, si traduce in
un'inaccettabile riduzione del primo termine a species del genus
'istituzione'.Nel rigettare contestualmente l'identità Stato-diritto e
l'assorbimento dell'ordinamento statuale nella più ampia nozione di
istituzione, Volpicelli ravvede il verificarsi di una fallacia analoga a quella
naturalista. Sebbene, infatti, lo 'statualismo' sia, storicamente e
filosoficamente, antitetico al giusnaturalismo perché dà al diritto «una'fonte'
immanente e positiva», ovvero un «istituto», esso finisce per cadere nella
stessa fallacia, ossia di «subordinare al diritto lo Stato, che da tale
subordinazione trarrebbe la propria esistenza e legittimazione giuridica, 84.
L'unica legittima identificazione - su un piano filosofico - di Stato e diritto
è quella che vede il secondo come «l'incessante organizzazione obiettiva del
concreto processo politico», laddove 'politico' corrisponde con
'etico'85.Questa familiare dialettica tra oggetto (diritto) e soggetto (Stato),
tra astratto e concreto, che trova ampio riscontro nella filosofia di Gentile,
in Volpicelli viene ulteriormente sviluppata attraverso l'approccio al tema del
diritto internazionale. Se lo Stato è, dunque, quella «concreta realtà politica
che pone e riforma e vivifica incessantemente se stesso come entità o
istituzione giuridica»8, si pone il problema di definire, in maniera coerente
con le premesse dell'attualismo filosofico, l'ordinamento fra Italia e il resto
del mondo, ovvero rifiutando qualsiasi soluzione dualistica e, a maggior
ragione, pluralistica. V. affronta la questione sostenendo che l'ordinamento fra
l’Italia e il resto del mondo (no una corporazione) trascende e comprende bensì
il singolo stato italiano come soggetto giuridico -- rectius: i singoli
ordinamenti giuridici statuali -- ma mai e in nessun modo lo stato italiano
come soggetto politico in quanto centro vitali, costruttore e riformatore. Volpicelli, Santi Romano] [dell'organizzazione
giuridica internazionale. Solo in questo senso l'ordinamento internazionale può
delinearsi come «unica istituzione o organizzazione giuridica» all'interno
della quale sussistano molteplici «relazioni giuridiche» che sono appunto«di
ordine intra-istituzionale. Ecco, allora, svelata la ragione del mantenimento
della nozione di istituzione in un sistema rigidamente identitario e monistico
come quello implicitamente o esplicitamente avallato dalla filosofia 'attuale':
lo Stato si identifica col diritto astratta-mente, ma non concretamente. Sia
nel rapporto interno, sia nel rapporto esterno, il processo identitario a cui
Volpicelli continuamente fa ricorso concerne l'analisi giuridica (e quindi
scientifica), non quella politica (e quindi filosofica). Lo Stato, come realtà
concreta e agente, crea sempre il diritto con cui, nell'atto creativo, va a
identificarsi. Una cosa è, pertanto, lo stato fascista italiano politicamente, o
meglio, eticamente, inteso, un'altra lo stato italiano nella sua obiettivazione
giuridica. Alla natura distintamente ontologica o NOUMENICA del primo,
corrisponde - rimanendone ineluttabilmente separata ed estranea – la mera natura
fenomenica e contingentemente storica del secondo. V. Urso, V. -- Arnaldo
Volpicelli. Volpicelli. Keywords: natura, spirito, corpi e corpi, corporazione.
H. P. Grice Papers, Bancroft. Luigi Speranza, “Grice e Volpicelli: il
naturalismo,” Luigi Speranza: Grice e Volpicelli: natura e naturalismo” – The
Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria. Volpicelli.
Grice e Voltaggio: all’isola, la scienza della fantasia di Vico -- la
ragione conversazionale del ‘vel’: p v ~p – fondamenti della logica – filosofia
italiana – filosofia siciliana -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P.
Grice (Palermo). Essential Italian philosopher. Grice: “I enjoyed “What Leibniz actually
said and not just implicated.” “Voltaggio also clarified
Husserl to me.” Filosofo italiano. Si
laurea a Roma sotto ANTONI. Insegna a Roma, Mogadiscio e Macerata. Cappo ridattore
di Sapere, collabora con Il manifesto, Lettera, di cui è socio fondatore, Apeiron,
Janus, e Medical. Consulente di Sigma Tau di Roma e dell'istituto psico-nanalitico
per le ricerche sociali, membro del seminario di filosofia di Senigallia. Altri
saggi: Fondamenti di logica, Milano, Comunità; La funzione critica, Roma; Che
cosa ha veramente detto Leibniz, Roma, Ubaldini; Scienza, Milano, Comunità; I
filosofi e la storia, Milano, Principato; L'arte della guarigione, Torino,
Bollati; Il filosofo nel bosco, Roma, Di Renzo; Scienza filosofica, Roma,
Laterza; Italia mediterranea: I flussi migratori nelle principali città
rivierasche, Roma, Edup; Antigone tradita: una contraddizione: libertà e STATO
nazionale Roma, Internazionali; Il paradosso dell'infinito, Milano, Feltrinelli;
Epistemologia e politica della ricerca, Roma, Armando; L'evoluzione di un
evoluzionista, Roma, Armando; La conoscenza inespressa, Roma, Armando -- ‘a bit
like my ‘tacit knowledge’ – Grice. --; L'ora della socio-biologia, Roma,
Armando; L'arte della ricerca scientifica, Roma, Armando; Il potere: processi e
strutture: un'analisi dall'interno, Roma, Armando; Progresso e razionalita
della scienza, Radnitzky, Andersson, Armando, Roma); Verene: “VICO: La Scienza
della fantasia” Armando, Roma; L'intelligenza scientifica: un'indagine
sull'immaginazione creatrice dello scienziato; Roma, Armando; Filosofi per la pace,
Roma, Riuniti; Galeno: Trattato sulla bile nera, Torino, Aragno. Voltaggio. Keywords:
Vico, “la scienza della fantasia” fundamenti della logica – fundamenti della
logica di voltaggio – veramente detto Vico – veramente impiegato Vico --. Refs.: Luigi Speranza, “Voltaggio: what Leibniz
implicated, as explicated by Grice.” H. P. Grice, “Voltaggio,”
BANC MSS 90/135 c. Luigi Speranza, “Grice e Voltaggio,” The Swimming-Pool
Library, Villa Speranza, Liguria
Grice e Vopisco: La ragione
conversazionale all’orto di Roma– filosofia italiana – Luigi Speranza, pel
Gruppo di Gioco di H. P. Grice (Roma). Filosofo
italiano. L’Orto. Patron of STAZIO (si veda). Grice: “When I say ‘Garden’ I
mean: ‘filosofo che segue la dottrina dell’Orto” – i. e. Marius, the Epicurean!
The category of ‘patron’ is more
or less publicly unknown in Oxonian philosophy. The term is applied to what the
stereotypical patron was applied, as when we say ‘Mecenas’ without meaning
‘Mecenas.’ Inglobati nel parco di Villa Gregoriana sono i
resti di una antica villa romana. Essendo consoli a Roma Quinto Ninio Asta e
V., dal genitore di V. e infatti edificata a Tivoli una villa di cui il STAZIO
(si veda) ci dà conferma nelle sue “Sylvae.” Questa lussuosa villa e tanto
spaziosa che si estende dall'attuale ingresso di Villa Gregoriana fino all'ex
albergo Sirene. Le fonti antiche infatti ci dicono che la dimora e abbastanza
articolata ed estesa. Il terreno e attraversato da un canale di acqua,
proveniente dal vicino Aniene, che la divide in due parti: una era posta
all'interno di Villa Gregoriana mentre l'altra e situata appunto vicino all'ex
hotel Sirene. La scelta del luogo ove edificarla e influenzata dal fatto che
qui si estende il bosco sacro di Tiburno, qui c'e la grotta della Sibilla, qui
si ergevano i templi magnifici ed imponenti dell'acropoli. Dagli studi compiuti
alcuni sostengono però che la villa Vopisco non sarebbe stata costituita da due
ma da tre aree, attraversate dai canali Stipa e Chiavicone o V. i quali sono
una specie di valvola di sfogo quando l'Aniene e in piena. Stipa dà luogo alla cascata
del Bernini, dal Bernini che ri-struttura il canale di origine romana. STAZIO
(si veda), nella sua opera, Sylvae, considera un'attrattiva della villa V. il
fatto di essere fornita di acqua potabile dall'Acqua Marcia. Interessante a tal
proposito è la fistola trovata in piombo. Nella villa infatti, nel corso delle
esplorazioni, è stato rintracciato un acquedotto così come è documentata la
presenza di una piscina utilizzata per l'allevamento ittico. Attualmente della
villa rimangono solo 13 ambienti aperti e finalizzati ad essere delle
sostruzioni su cui poggiare le varie parti edili della villa sovrastante.
L'idea dell'architetto e che essi, guardandoli, dessero l'impressione di
trovarsi davanti a delle grotte naturali e per questo motivo dove e possibile
si lascia intatto il terreno roccioso. Tuttavia si suppone, basandoci sulla
testimonianza di fonti, che la dimora e costituita da vari padiglioni isolati.
Non è semplice oggi però la lettura di ciò che resta del complesso anche se
Canina tenta di ricostruire come la villa doveva essere.Publio Manlio Vopisco. Keywords:
la villa del filosofo.
Grice e Winspeare: la ragione conversazionele e l’elogio d’Antonino –
“Della filosofia romana” – filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di
Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Portici).
Filosofo italiano. Essential
Italian philosopher. “My Italian friends do not consider me Italian, though!”
Winspeare’s ancestors are from Yorkshire in a bad time. Henry VIII. “So the
king’s option was clear: either your head off or move to Capri. I chose the second.” Opere: “Delle confessioni spontanee de’ rei”
(Simoniana, Napoli); “L’abuso feudale” (Trani, Napoli); “Voti de’ Napolitano (Napoli);
“La voce di Napodano; ossia, illustrazione del patto di Capuana e Nido” (Trani,
Napoli); “Le Leggi di Cicerone” (Trani, Napoli); “Delle chiese ricettizie del regno”
(Trani, Napoli); “Filosofia” (Trani, Napoli); “Dissertazioni legali” (Agrelli,
Napoli); “La colonia perpetua ed il diritto feudale abolito” (Pesole, Napoli). Della
filosofia romana. La filosofia romana comincia da CICERONE. A CICERONE e dovuta
la lode di aver dato la cittadinanza latina alla disciplina greca, e di avere
eccitato in questo studio l’emulazione de’ suoi cittadini. Di Cicerone è il
vanto di avere richiamato la scienza ai principi dell’Accademia e di averla
applicata alla vita si private che publica, e di darli un linguaggio che prima
non aveva. Pe’quali meriti, Cicerone raccolge in se la gloria dei maestri
greci. Sapiente come Socrate, eloquente come Platone, erudito come Aristotele,
e austero come Zenone, Cicerone compende in se le più chiare menti di Grecia,
sì che risplende nel mondo intelligente, non solamente come il luminare della
filosofia latina, ma come il più ornato, il più elegante, e il più retto
ingegno, che onra la spezie umana. Che se mancogli il merito dell'invenzione,
ne ha bene un altro che quello eguaglia ed avanza, cioè l'essere stato tra gl’antichi
il più utile alla filosofia pratica, avendo rimosso dalla speculativa la
investigazione della causa naturale, e dimostralo l’unità del principio, a cui
si annodano la psicologia e la morale. Infatti, avendo, come Socrate, stabilito
per scopo d’ogni filosofia la conoscenza di se medesimo, da questo fa nascere
la conoscenza del divino, la celeste origine delle anime umane e l’ordine
morale degl’esseri creati, il fine de’ beni e de’ mali, la cognizione del sommo
bene, il principio dell’obligazione naturale, e la nozione di quella eterna
legge che tutto modera e governa. Avendo così dato alla filosofia un fine vero e
utile alla vita umana, poco entrar volle ne’ concetti astratti, e forse
disprezzogli al par di Socrate. Questo ha fatto a molti dire che Cicerone nell'
esporre filosofia non sempre penetrato addentro nel suo senso, e fosse quasi
rimaso straniero a quella esoterica sapienza, che taluni tanto più predicano e
ammirano, quanto più di tenebroso trovano nelle sue concezioni. E qui
domanderemmo, se non è arroganza de’ moderni il tassare di poca penetrazione la
più luminosa mente dell'antichità. Cicerone abbraccia tutte le parti del sapere
umano, svolge le più gravi questioni di filosofia intellettuale, e spogliandole
de’ sofismi della dialettica le rendette facili e popolari. E vorremmo ancora
sapere, se possa imputarsi a difetto di scienza l’avere ommesso quelle
controversie astratte, che non solamente non contribuiscono alla perfezione
della cognizione, ma la fanno in falsa parte piegare? Sarà facile il rispondere
a chiunque farassi a considerare le parti singole della filosofia trattate da
Cicerone, prendendole dal quadro che Cicerone stesso ne fa nella introduzione d’uno
de' suoi libri filosofici. Ne’ libri accademici Cicerone vuole dimostrare la
prima e più importante verità della cognizione umana, la certezza delle
sorgenti delle idee. In ciò fare, origine e realità della umana segue per
rispetto a' sensi la dottrina del Portico, che a quelli dato ha cognizione più
che non ha concesso Aristotele, o sia define e determina il comprensibile de’ sensi
ne’ termini stessi della scuola del Portico. Dal Portico Cicerone deduce, esser
la verità de’ sensi una condizione necessaria della natura, comprovata dalla
differenza che la natura stessa stabilito tra’l piacere e il dolore. Ma accanto
al principio della sensazione, Cicerone colloca la virtù intuitiva dell’anima
come affalto distinta da quello, o sieno le prime nozioni impresse dalla natura,
senza le quali l’anima puo nè intendere nè ragionare -- Tuscul., De legib.,
Academ. --. Visum, impressum, effictumque ex eo unde esset; quale esse non
possel ex eo, unde non esset. Lucullus. Circa la dottrina dell’idee, Cicerone
espone storicamente il concetto di idea dell’Accademia, senza impugnarlo o
sostenerlo. Cicerone narra lo strazio che fatto ne ha Aristotele, insieme co’ suoi
peripatetici nel Lico; lascia da banda la questione del come le nozioni nascose
e adombrate nell’anima si sviluppano, ma riconobbe come indispensabile la
necessità d’un secondo principio tutto intellettuale, senza del quale e impossibile
spiegare le operazioni della mente, l'astrarre, il generalizzare, l'inventare,
e sopratutto il prodigioso fenomeno della memoria. Conforme a’ principi della
umana cognizione e il resto del suo sistema conoscenza intellettuale, che espone
nelle “Tusculane” e ne’ saggi intorno a’ fini de’ beni e di se medesimo de
mali. Per la contemplazione di se medesimo, introdusce l'anima alla cognizione
della immortalità ed immaterialità della sua sostanza, della origine divina da
cui emana, dello scopo della vita, e del sommo bene cui debbe aspirare. E in
prima, la più importante qualità dell'anima, siccome CICERONE avverte, è
l'intuizione di se medesimo, la qual dote è appunto una conseguenza di quel
principio d’intellezione che la natura ha in lei impresso, che non si acquista
co' sensi, e che nella più matura età quando i sensi declinano, diviene più
retto e perspicace. Dalla virtù (andreia), che l'animo ha di vedere se medesimo
e le qualità sue, e dalla forza che ha in se di volere e di muovere, sente
l'uomo essere cotesta virtù (andreia) un principio proprio, non prodotto d’altra
esterna forza, e scopre essere quel principio stesso il quale muove la materia,
affatto simile all’azione, che dà moto e vita all’universo; d'onde conclude non
essere materiale o corporea, nè terrena o mortale, ma celeste ed eterna. Nè
solamente dal principio della volontà e del moto ricava l'immortalità e
l'immaterialità della sostanza sua, ma si bene dall’altre doti intellettuali,
di cui scorgesi arricchita: dalla facoltà di pensare, di ritenere e di
richiamare le idee e le nozioni passate, di antivedere le future, e di
abbracciare col pensiero il divino, le opere sue, e l'infinito stesso, che n'è
il principale attributo. In somma sviluppando il precetto di Socrate, conoscite
stesso, o sia investiga quale sia l’animo tuo, Cicerone fa da quello derivare i
tre primi dogmi della naturale sapienza dell' uomo, l’esistenza del divino,
l'immaterialità, e l’immortalità dell’anima umana. E allorchè dall’interna
investigazione dell'animo passa alla contemplazione de gl’obgetti esterni, e
delle altre opere della natura, quanto più luminoso non diviene il concetto del
divino, della dignità dell'uomo, della sua futura sorte, e del vero scopo della
vita? Delle quali magnificenze sarebbe l'uomo muto e indifferente spettatore al
pari dei bruti, se non avesse sviluppato entro di se le nozioni del proprio
essere, e delle relazioni sue colle altre creature, e coll'autore stesso
dell'universo Academ. “Animo ipso animum videre”. A stabilire poi la vera
nozione del divino, ne’ libri “de natura deorum” vuole Cicerone esporre le
principali opinioni delle scuole, l'accademica, il portico, e il giardino; e
sbandita questa -- la quale dava al divino per suo unico fondamento la pratica
credenza degl’uomini e rendevala affatto inutile alla vita -- dimostra come gl’accademici
discordassero dai filosofi del portico nelle parole più che nella sostanza.
Ciascuna di quelle due scuole non pertanto ha una parte vera: il concetto del
divino, ricavato dall'opera dell'universo, e degl’accademici, i quali ereditano
l'avevano dagl’accademici: l'altro della provvidenza, che tutto regge e dispone
per la utilità dell'uomo, e del Portico. Ma costoro d'altra parte ammetteno
dogmi, e commettevano insieme principii tra loro incompatibili, come la natura
animata cogl’attributi del divino, il fato colla provvidenza e colla libertà
dell’umane azioni. La stessa loro virtù (andreia), o il sommo bene non puo
accomodarsi al viver pratico degl’uomini, dapoichè e collocata in un estremo
tale, che per esso toglievasi ogni merito o biasimo ai fatti, buoni o tristi
che sono, se pur non toccassero l'apice della perfezione. Per esso l'uomo sapiente
divene un essere ideale, che non puo scontrarsi sulla terra. I doni della
natura, la sanità, il vigore, la bellezza, le sostanze sono agguagliate a’ difetti
e alle privazioni contrarie. Il piacere scambiassi col dolore. Le relazioni tra
gl’uomini, gl’ufizi della vita, la prudenza, l’ordine, le virtù (andreia) civili,
la cura de’ publici negozii, e la domestica economia, divenivano tutte qualità
di convenzione, estranee alla sapienza e alla vera virtù (andreia). A rimuovere
l'ostentazione di questa scabrosa virtù (andreia), dopo avere esposto le
opinioni delle greche scuole, Cicerone dimostra quanto di vano fosse nelle
parole e ne’ nuovi vocaboli introdotti dal Portico, e come il giusto mezzo si
trova nell’emendazioni di Panezio, il quale concilia Zenone, cogl’accademici e
co’ peripatetici del lieco. Tale e lo scopo de’ suoi libri intorno a’ fini de’ beni
e de’ mali, insieme co’quali va letto l'altro del fato, che scrive per
accordare insieme la dottrina dell'ordine della natura colla provvidenza, e
colla libertà delle umane azioni -- libro, per altro, di cui ci rimane soltanto
un malconcio avanzo. Non oseremmo fare la stessa apologia de’ libri intorno
alla divinazione, nè sapremmo dire, se avesse Cicerone inteso sostenere la
verità delle scienze divinatorie per l'autorità del portico, o per la necessità
di ri spettare una dottrina popolare, a cui non avrebbe potuto impunemente
contraddire. Forse la maggior lode di quella opera potrebbe ricavarsi dal
filosofico concetto che in essa sovente traluce, cioè che v' ha una provvidenza
conservatrice, della cui assistenza la mente umana senle il bisogno, per modo
che gli stessi prestigii e le superstizioni delle arti divinatorie sono la
pratica espressione di tal bisogno. Quae est causa istarum angustiarum gloriosa
ostentatio in constituendo summo bono. De Finibus. Le opere sin qua esposte
abbracciano tutta la filosofia speculativa di Cicerone. Non sono meno luminose
quelle della filosofia pratica: i libri degl’ufizi contengono l’applicazione
della dottrina del Portico, secondo le emendazioni di Panezio, a’ portamenti
della vita; siccome i libri della republica e delle leggi derivarono dagli
stessi principi le regole per la vita publica, e per lo civile reggimento de’ popoli.
Per Cicerone, in somma, la filosofia nacque in Roma matura, senza passare per
l'età dell'infanzia, siccome aveva fatto in Grecia. Negli studi della umana sapienza,
la ragione romana ha per guida la sperienza, o sia la storia dell’opinioni e
degl’errori del più perspicace e il luminato popolo del mondo, il quale figura
come l'antesignano e il luminare di tutti gl’altri nella carriera delle lettere
e delle scienze. Cicerone e eclettico, perchè altra parte non resta a chi
sopraggiugne nella maturità del sapere, fuorchè il giudicare e lo scegliere. Ma
l'avere esercitato il giudizio e la scelta in tutte le parti della filosofia;
lavere signoreggiato i pensieri de’ greci con un criterio sempre libero e retto;
e l'aver dato ai pensieri della scienza l’espressione, o sia il linguaggio di
cui i romani mancavano, gli meritarono presso i suoi un primato, che altro
sapiente mai non ha presso la propria nazione. In conferma di che giova
osservare, che in tutta la durata del romano impero, e in mezzo a tanti sommi
uomini i quali arricchirono ogni parte del sapere cogli scritti loro; non
apparve più alcuno che fosse stato comparato a Cicerone, si che Cicerone è solo
modello della sana filosofia tra’ latini, come Socrate tra’ greci. Della
filosofia pratica sopratutto Cicerone e benemerito, dapoichè per lui la
dottrina del Portico passa dalla scuola nel foro, e nel grande teatro del
mondo. Da questa la giurisprudenza attinse le cardinali nozioni della
giustizia, e dell’obligazioni, proprie a stringere e consolidare i legami delle
civili associazioni. E sebbene nelle mani de’ giureconsulti la dottrina del
portico acquistato ha una tinta di disputabile, aliena dalla sua naturale
rigidezza, e avesse da Seneca ricevuto un certo orpello declamatorio; pur
tuttavolta fu da Arriano nel manuale di Epitteto richiamata a’ severi principii
di Zenone e di Cleanto. Certamente in Roma ottenne successi maggiori che in
Grecia, per chè ivi divenne madre della sapienza civile, ed ha il vanto di aver
dato al mondo due perfetti modelli di re, nelle persone di Marc’Aurelio Antonino
e di Antonino. Restiamo dall’internarci negli ultimi periodi della filosofia
del basso impero. Tra perchè le vecchie nazioni che il componevano, nella
condizione stessa della loro vita civile trovano invincibili osta coli a’ progressi
della ragione; e perchè gl’ultimi aneliti della filosofia andano in quel tempo
a scontrarsi col grande avvenimento, che rinnovar doveva la religione, la
coltura e i costumi di tutti i popoli. Basta dire che il ritratto dell’opinioni
e de'costumi della ultima età dell'impero romano: lo scetticismo e
l'indifferenza per ogni verità formano la doltrina de’ sapienti. La corruzione
scioglieva ogni giorno i vincoli sociali. La superstizione e l'ignoranza hanno
ottenebrato la superficie della terra. Keywords: elogio d’Antonino. Grice: “Hailing remotely from the Catholic
North Riding of Yorkshire and settling in the most beautiful coastline in the
world, Winspeare knew all you need to know about Cudworth, and what he calls
‘percezione.’ I would call him an Oxonian.” Grice: “My favourite Winspeare is
his ‘dictionary’: obviously he found Italian furrin enough to want to organize
things in a sort of thesaurum. Speranza, on the other hand, likes Winspeare’s
idea of ‘volgarizzazione’ of Cicero’s ‘De Legibus.’ – one of the most boring
tracts in legalese, but then at Naples at the time, you HAD to be a lawyer!” Keywords:
Cicerone -- Refs.: H. P. Grice, “Winspeare, Speranza, Napoli, and me!”The Grice
Papers, BANC MSS 90/135c, The Bancroft. Luigi Speranza,
“Grice e Winspeare,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria
Grice e Zabarella: la ragione conversazionale e il lizio di Poppi – filosofia
italiana -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Padova). Filosofo italiano. Grice: “Most philosophers
are stealing the voice of Zabarella; Poppi ain’t!” Primogenito
di un’antica e nobile famiglia, eredita dal padre il titolo di conte palatino.
Considerato il massimo esponente del lizio padovano. Studia a Padova,
dove e allievo di ROBERTELLO, TOMITANO, E PASSERI, laureandosi in filosofia. Succedendo
a Tomitano nella cattedra di semiotica nello studio padovanoDeclina l'invito
del re Báthory di insegnare in Polonia, ma gli dedica un saggio, l’opera
logica, stampata a Venezia. Sono pubblicate a Padova le sue Tabulae logicae e a
Venezia, il suo commento agl’Analitici II del Lizio. In risposta alle critiche
mosse alla sua semiotica dai suoi colleghi, PICCOLOMINI, BALDUINO, E PETRELLA,
compone a Padova la “De doctrinae ordine apologia.” Apparvero rispettivamente i
suoi saggi, la “De naturalis scientiæ constitutione, e i De rebus naturalibus;
postumi comparvero i suoi commenti incompiuti alla fisica e al de anima di
Aristotele. I libri della sua biblioteca sono conservati presso a Padova. Altri
saggi: Opera logica, Venezia; De methodis; De regressu, Venezia, Bologna, Tabula
logicæ, Venezia; In duos Aristotelis libros posteriores analyticos commentarii,
Venezia, De doctrinae ordine apologia, Venezia, De naturalis scientiæ
constitutione, Venezia, De rebus naturalibus, Venezia, In libros Aristotelis physicorum
commentarii, Venezia; Opera physica, Francoforte, Verona; De generatione et
corruptione et Meteorologica commentarii, Francoforte; In tres libros
Aristotelis de anima commentarii, Venezia, De mente agente, De rebus
naturalibus ; De sensu agente; De rebus naturalibus, Rivista di Storia della
Filosofia, De inventione aeterni motoris e De rebus naturalibus, Bruniana &
Campanelliana. Berti, Metafisica e dialettica nel commento di Z. agl’Analitici
posteriori, Giornale di metafisica; Bottin, La teoria del regresso in Z., in
Giacon, Saggi e ricerche, Padova; Bottin, “La logica in Z.”, Giornale Critico
della filosofia Italiana; Cuttini, Natura, morale e seconda natura nel Lizio di
Z., Padova; Pra, Un’oratio programmatica di Z. Rivista critica di storia della
filosofia, Papuli, Da Balduino a Z. e Galilei: scienza e dimostrazioni, Bollettino
di storia e filosofia; Poppi, La scienza
in Z. Padova; Poppi, Introduzione a lizio Padovano, Poppi, Ricerche sulla
scienza nella scuola padovano, Rubbettino, Mannelli; Rossi, Il Lizio e i moderni:
le ipotesi e la natura, in Lizio veneto e scienza, Padova. Tonelli; Z. ispiratore
di Baumgarten; o l’origine della connessione tra ESTETICA e logica, Da Leibniz
a Kant, Napoli, Treccani – Enciclopedie Istituto dell'Enciclopedia Italiana; Cantimori,
in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario di
filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Grice: “Z. is what I would call
a proto-Griceian.” In fact, at
Villa Speranza, Grice is often referred to as the English Z., after Z. produces
extensive commentaries on Grice’s favourite tract by Aristotle, “De Anima,” and
“Physica” and also discusses some Aristotelian interpreters. However, Z,’s most
original contribution is his work in semiotics: “Opera logica.” Z, regards
semiotics as conceptual analysis. One tool Z. calls ‘ordine’ (cfr. Grice, ‘be orderly’). Another tool Z. calls
“metodo,” by far predating Cartesio. “Ordine” relates to how to organize the
content of a dictum to apprehend it more easily. ‘Metodo’ relates to how to
draw an illatum, or implicatum. Zabarella reduces the variety of ‘ordine’ and
‘metodo,’ classified by other interpreters, to ‘ordine compositivo’, ‘ordine
resolutivo’, ‘metodo compositivo’ and ‘metodo ‘resolutivo’. The ‘ordine
compositivo’ from a principle to this or that corollary applies to this or that
‘creditum.’ The ‘ordine resolutivo,’ from a desired end to the means
appropriate to its achievement applies to this or that ‘volitum,’ such as
‘pragmatics’ understood as a manual of rules of etiquette. This much is already
in Aristotle. However, Zabarella offers an original analysis of ‘metodo’ The
‘metodo compositivo’ infers a particular consequence or corollary from a
general principle. The ‘metodo resolutivo’ INFERS an originating principle from
a particular consequence, corollary, or instantiantion, as in inductive
reasoning or in reasoning from effect to cause. Zabarella’s terminology
influences GALILEI’s mechanics, and has been applied to Grice’s inference of
the principle of conversational co-operation out from the only evidence which
Grice has, which is this or that ‘dyadic’ exchange, as he calls it. In Grice’s
case, his corpus is intentionally limited to conversations between two Oxonian philosophers:
A: What’s that? B: A pillar box? A: What colour is it? B: Seems red to me. From
such an exchange, Grice infers the principle of conversational co-operation. It
clashes when a cancellation (or as Grice prefers, an annulation) is in sight:
“I surely don’t mean to imply that it MIGHT actually be red.” “Then why be so
guarded? I thought you were co-operating.” H. P. Grice. Grice liked to recite
Z’s works by heart. Saggi: Logica, Venezia, De methodis, De
regressu, Venezia, Tabula logicae, Venezia, In duos Aristotelis libros Posteriores
Analyticos commentarii, Venezia, De doctrinae ordine apologia, Venezia; De naturalis
scientiae constitutione, Venezia; De rebus naturalibus, Venezia; In libros Aristotelis
Physicorum commentarii, Venezia, Physica, Francoforte, De generatione et
corruptione et Meteorologica commentarii, Francoforte, In tres libros
Aristotelis De anima commentarii, Venezia. Z. Logicam dicunt cfle
facultatem , quod per hanc eornm
refponfioncm difficultas, qui
in pn fentianos vrget,
non foluitur"; quum
enim conflat Logicam habitum
cfle intellectualem, &
credendum fit plenam , Sc
sufficientem cfle talium
habituum enumerationem, quam Ariftotel.
in 6. lib.
de Moribus fecit, attamen nondum
apparet, ad quem
ex illis habitus logi»
redigendus fit : imo nos ad
nullum eorum redigi
pofle demostrauimus: et in sola
mentis conceptione confiftuntjfabricat enim
illa intclleftus, vt
ijs iuuetur ad rerum
cognitionem adipfcendam; hic non sunt
nili conceptus animi, qui
voce articulata fune a nobis significari; vox
enim articulata cft lignum
conceptus , qui ellin animo ,
duplex autem cft
ciufmodi vox, vt in huius
libri initio diccbamustalia namque fignificat conceptum
rei, vt homo,
animal; alia vero conccpcumconceptus, vt genus, fpecies , nomen , verbum , enuntiatio , ra-quial.ogicancquc est
scientia, neque intel- £ tiocinatio,
& alii huiufmodi; propterea le&us , neque sapientia ,
neque prudentia, neque ars;
qui igitur faculratcm
cfle dicur, fi facultatem
alium quendam habitum
cfle putant pritcr illos
quinque, Atiftotclem in habituum
enumeratione mancum, ac diminutum faciunt; fi
vero nonalium, fcd
eorum aliquem, id declarare
debebant, et argumenta, qui
nos attulimus, folucre, quod
ipfi neque fecerunt,
neque facere, vt
arbitror, potuerunt. hx vocantur fecundi
notiones ; illi autem primi :
prius enim mens
rem concipit : deinde in eo
conceptu alium conceptum
effingit, enmque voce fignificat,
qui dicitur vox fecundi
notionis , & eft nomen potius conceptus, feu nominis,
quam rei: voces quidem
primi notionis non
funt inftrumen ca.fed ligna
conceptuum, vel falrem
ipfi pri mi reru
concentus nulla ratione
inftrumenta funt, fed
imagines rerum, vt
docet Arifto telcs in
principio libri de
Interpretatione; propterca i»
Iacobi Z. Pataumi propterea
difciplinx illae, quj
in his vcrfantur.non
dicuntur inftrumentales. At
voces feciide notionis instrumenta
dicutrruriquoniam conceptus, qui per
eas lignificantur. Tunc instrumenta
nostri intellectus: nam
An-gere in conceptibus rerum
alios fecundos conceptus non
oportui/Tet. nili aliquam nobis vtilitate prxllicuri
fuiiTent ; igitur aliud non funt,quain
inflrumenta:quouiam ea vtilitate
amota, indigni qui a
nobis cognoicerentur.feu formarentur,
extitiifent:fcd quu vtiles fint , & ad rerum
cognitionem capeffendam
maxime conferant, digni fuerfit,
de j quibus aliqu*
difciplinx conllituerentur; non
quidem per fe
digni, fcd propter alia, ad
qua: vtiles funt:
propterea lue difcipline vocantur inftrumentales: quia
non propter J^;^y.fe,(ed propter
alias tradit* funt.
Has ego i’.f , duas cfTc
exiftimo, Grammaticam , & Logi- Gum**- eam :
namvtraqueeftinftrnmencum pliilo- i» fophif.fed
alia, et alia ratione, que
difterentia breviter declaranda est.
Mentis humane officium est, tum
humanam speciem confti- tuere.taquam proprie
eius forme, tum
etia proprias hominis edere
operationes, quaru prxftanrisfima eft
contemplari, et cognoscere: deindc vero, et
adionibus nostris pr$ef- Gramt-
fe, 5clnfpiccre quid a nobis
eligendum quid tkt mti-
ve fugiendum fit.
Sed caeftipfius infirmitas.vr ipfa
per fe. abfque alieno
auxilio, tum in
contemplatione , tum in adione
parum proficere queat, et
nemo hadenus fuerit
inventus qui solus ipfe cogitando, et ratiocinando plenam, &
feiendarum & agendarum rerum cognitionem
fuerit conlequutus-.fed artes
oinnes feientic ab hominibus
per additamentum
inuente,& pierfede funtjpri mus
quidem aliquis in
aliqua difciplinaali- i quid
inuenittid tamen rude»&
iniperfedu ; alius pofteaco principio
adiutus , aliquid aliud
inuenit:deindealiusaliud
adiecit, do nec ad
perfedionem per multorum
operam dudafit; quifque
igitur noftrum dodorc
in- diget,ad plenam eorum
notiriam aflequen- dam.qux homini
humanis viribus vtentico gnofccrc datum
eft , difeimus autem ab
alio aut prf fente> & per
vocem docente; aut absente, &perlitetas, qu{ loco
vocum funt; id- circo quum Scabalijs
intelligi. Et intelligere quid alij dicant, & feribant, & addifeen- j dum, &ad docendum
omnino necessarium fuerit, Grammatica inuenta
eft.quf concin- ne
loqui,& feribere doceret;
cuius quidem difeiplin; cognitio,
si omnes vno
atque eo- dem idiomate vteremur,
minus fortafle necessaria,
licet non omnind
inutilis nobis esser,quum
fepe videamus rudes, & imperitos homines ilia, que ab
eruditis dicuntur, vel
feribunturin eodem idiomate
non inrelli- gere : fed propter
linguarum varietatem est penitus neceliaru, quum
neque iiccraci viri , ea, que ab
alijS:aiio idiomate dicuntur. intel digere queant, nifi
illius linget intelligeutii per Grammaticam
fuerint aifccutj: propte- rea non eft
eadem apud omnes
Grammatica, quia neque ecdem
voccs,neque exdem Ii terx,
vt ait Ariftot.
iq principio libri
de Interpretatione jverfacur enim
Grammatica in fola vocum, quibus
conceptus animi figni- fkantur, limationc;& quutn
ad omnium disciplinarum
intelligentiam vtilis fit , preci- pue adomnium
prfllantisfimamcofert.que philofophia
est , eiusque porisfimum gratia
•s»***» inventaro ac traditam
fuifle credendum est. Logica
vero alia rationeinftrumentum di- citur:quoniam non
in polienda locutione, sed in
conceptibus ordinandis tota
eius na- tura confiftit; propterea
vn a, et eade
eft om- nibus getibus,& nationibus: quiaapud om nes homines
idem sunt conceptus, tametfi no ijfdem
vocibus, neq; ijfdem literis apud omnes
fignificentur : ideo Logica eget
Grammatica eaque
pofterioreft, quia intelligere aliorum conceptus
non po(rumus,nifi voces eoru
significatrices intelligamus quare
om- , nium disciplinarum prima
debet dfe Grammatica:quia omnes
ea egent, vt
intelligere, acjntelligipoifunt.
Ob aliam quoque
ra- tionem Logica Grammatica liquitur:
quo- niam ipfius Logicsr conftitutio
a nomine, et verbo exordiumluniit. quc a Grammati- *(•«« di- co videtur accipcre Logicus.quamqua alia, et
alia est
horum coniideratio in
Grammati ca ,& in Logica;
Gramaticus enim voces
re- rum significatrices alias
vocans nomina, & alias
verba; has & reliquas orationis
partes tradar, vt partes locl:tionis;conceptum autem significatum non
cofiecrat, nifi propter vocem
fignificantem; Logicus vero conceptusabeis fignificatos contemplatur, ipsas autem
voces significantes non conliderat,
nifi propter conceptus significatos,
quod di ferimen in definitionibus nominis,
& verbi a Grammatico, & a Logico
traditis infpici potcfl; Logicus
enim primario cocepru
s re- fpicit, fecundario voces ; contra Grammaticus primario voces, conceptus secudarid. Exijs, qtix diximus,
manifeftumeil Logica vnacum Grainaticafub intcllcduali
instrumento, tanquam fub
proximo genere conti- neri, vtraque enim
eft difciplina inftrumen- talis, seu habitus
animi instrumentarius, et nobis
inferuiensad omnium aliarum
difciplinarum,& habituum
acquiGtionem, precipue verd ad
prxeipuas difciplinas, et ad
habitus omnium prxftantisfimos. Differen- tia vero harum
duarum instrumentaliiim disciplinarum,
quemadmodum, & aliorum om niu inftrumctoru,afcopo, &ab vfu
vtriufique defumitur; Gramatic{ enim
fcopus eft, reda atque
concinna locutio , qua iuuemur ad
omnium difciplinarum intelligentiam, & au- De Natura Logica:,
Lib. L i 5 et audiendo, et
legendo. Logicz vero fco- i
puscfl, viam ac
methodum tradere, qua ad
rcrumnotitiam adipifcentiam vri
debea mus : ignotum enim noncognofcitur, nili ex
alicuius noti cognitione
, & ad cuiuf- que ignota
rei notitiam aifequendam
a fla- turis qinbufdam
principiis, & per certa que- dam
media progredi nccelfc
clt, line quibus eius
rei cognitione numqtiam
potiremur. Tales igitur methodos
Logica ducet, ouas coguofeere vanum
prorfus eiret.fi ad
rerum notiam adipifcendam nihil
nobis vellicaris przbcrcnr ;
quamobrem ea cli Logicz
natu ra , vt fcien riarum iufirumentumfic.ik do- cear quomodo conceptus
rerum difponen- di luit , vt
cx notis cognitionem
ignotorum adipifcamur.Scd de Logicz
fine diligentius ac fufius in
fcqucntibus loqucmur. Cap. XI . an
Logica fttb aliquo
quinque habU tuum intcllcduatium contineatur. Declarat vm efthaaenus, qua- lis habitus Logica
fit: efl enim
habi- tus intclledtualis
inllrumentalis.quo iuiia- ( tur
intelledlas ad aliorum
habituum ade- as ptionem. Nunc
videndum cll, ani.i
illis •»* quinque ab
Ariflotelc numeratis contincatur. Dicunt nonnulli
Aristotelem in illo sexto libro
de Moribus solos nominare
vn- , luifie habitus principales, i taque sufficientem
cifeeam numerationem, tanquam
habituum principalium; aft habitus
Logicz non est principalis , quum
fit inllrumentarius: nullum
enim inflrumentum dicitur principale, quatenus inrtru metum cll:
quia cll propter aliud
tanquam propter finem: finis
autem prellantior efl
ijs, quz ipfius
1 Y gratia funt, vel
fiunt; habitus igitur
Logicz illa enumeratione noh
fuit comprehendendus .
Hancrcfponfrnncm haud equidem fpernenda.aut refutandam
eife ccnlco, sed potius
magis declarandam, vt omnis hac
in re difficulcas
tollatur. Videtur enim
dicendum ellc Logicam
ea habituum nurnc ratione, et comprehenfam tui(fc, &
non coni prehenfam: no
fuit coprehcnfatquia no
fuit exprclfajfi quidem Arillotel. folos exprimt- re
voluit habitus principales;
fuit tamen etiam modo
quodam implicite, et secundario comprehenfa : qu ia prxeipuorum
habitu uni nominatione illi
quoque comprehenduntur, qui eorum
gratia funt; quemadmodum fi quis
ad percontantem quo iueric respondeat
Romam, hac responsione alias quoque medias
vrbes, per quas
tranfeundtim fuit, implicite
significat vt Bononiam re! Florentiam, quz
exprimende non funt: propterta quod
prxeipuus illius itineris fcopus, ac
finis non fuere , fcdfola Koma. Similiter ratione
folemus dicere, Jmpera- i tor Romam
venit, fine expreffione aliorum quam plurimorum
Ducum, & militum, qui vna
venerunt, hi namque
eius gratia venerunt: ideo ei
nsvnius nominatione totum eius
comitatum fubintelligimuGiacomo
Zabarella. Zabarella. Keywords: metodo compositivo, metodo
resolutivo, ordine compositivo, ordine resolutivo, logica ed estetica,
Baumgarten, il liceo, il lizio. Refs.: Luigi Speranza, Notes on I Tatti’s
edition of Zabarella, “On methods,” -- H. P. Grice, “Zabarella,” Speranza, “Grice
and Zabarella.” “Grice e Zabarella: la risoluzione buletica,” Villa Grice, The
Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.
Grice e Zaleuco: la
ragione conversazionale e la sapienza di Locri a Roma-- dura lex sed lex --
filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Locri). Filosofo italiano. He achieves great respute
and respect as a law-giver in Locri, and has a reputation for being both humane
and severe. He establishes fixed penalties for each offence, and two stories
are told about the consequences of this. According to one, the punishment for
adultery is the loss of both eyes. When his own son is found guilty of it, he
orders that the punishment should be divided between them, so that they lose
one eye each. The second story tells how the penalty for entering a particular
public building carrying an arm is death. When he inadvertently violates the
law, he executes himself. Both Diogene Laerzio and Giamblico call him a direct pupil
of Pythagora – but his laws are usually dated to a much later period, making
that impossible. In any case, Z., whose name improperly starts with a “Z”
making him very UN-ROMAN (CATONE infamously banned the letter Z from the Roma
alphabet, describing it as the ‘sound corpses make as they become’ – is a good
proof that Cuoco is right, and that there is an Italic wisdom that pre-dates
Pythagoras -- who had been born in Florence, anyway! There is no way to defend
the view that Z. owes everything to the Hellenistic philosophy, even if those
where the letters Pythagoras never wrote down! Locri is a fascinating
philosophical city – or ‘village,’ as the Romans prefer. Cicero would say: “It
is much easier to give good laws to Locri than it is to give bad laws to Rome!”
– Zaleuco. Keywords: dura lex sed lex – Luigi Speranza. For Grice’s Play-Group,
The Swimming-Pool Library.
Grice e Zamboni:
la ragione conversazionale e la dialettica del lizio – filosofia italiana --Luigi
Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Cento). Filosofo
italiano. “Famous for his dialettica e cosmologia and implicature!” – Grice. Figlio
di Matteo Z., un pittore originario di
Cremona, di cui si conservano affreschi negl’oratori delle chiese della Pietà e
di San Rocco. “Unlike his father” (Grice), Z. prende la strada degli studi
filosofici. Studia a Ferrara sotto PENDASIO (si veda). Insegna a Ferrara. Tenne
rapporti con la corte estense. Di fronte al duca d'Este recita il suo poemetto,
“Le pompe funebri” – “which the duke didn’t like” (Grice) -- e quando si trova
a essere oggetto di non chiarite gelosie e maldicenze da parte dei suoi
colleghi a Ferrara, scrive al duca per richiedere un suo intervento. Non
risulta il duca risolve i conflitti denunciati da Z., che, perciò, decide di
trasferirsi altrove. Chiamato a Padova per insegnare in sostituzione di Zabarella
– “whose surname also started with a Z” – Grice. Z. inizia il suo corso leggendo
la prolusione Exordium habitum Patavii. Contro il tentativo di fondare a Padova
uno studio rivale dell'università, Z. si espressa con l’oratione contro i
gesuiti a favore di Padova, tenuta di fronte alla signoria di Venezia, nella
quale sostenne che Padova, per insegnare, non ha bisogno dell'aiuto dei giesuiti
e paventa i rischi di dividere gli studenti in fazioni come i guelfi e gibellini.
L'autorizzazione all'apertura dello studio non a rilasciata e i gesuiti sono espulsi
dalla repubblica veneziana a causa dell'interdetto scagliato da Paolo V, cui
segue la cosiddetta guerra dell'interdetto. Ha una famosa controversia con
RAGUSEO R sul numero essatto dei quattro elementi, ma anche sul valore della
storia delle interpretazioni della filosofia del liceo, e su questioni
didattiche in torno dei pupili con calligrafia bella. Sostenitore dell’esistenza
della sua anima – “ma mortale” -- legata indissolubilmente a suo corpo, e sospettato
d’eresia e e denunciato all'inquisizione. Con l'amico GALILEI (si veda), Z., ad
opera di Belloni, condivideno accuse diverse, una denuncia al tribunale dell'inquisizione
che non ha conseguenza. GALILEI e accusato di praticare l'astrologia
giudiziaria e Z. di sostenere (i) che la sua anima e mortale e (ii) che
Aristotele separa la filosofia del papato. Z. affronta altri due processi dai
quali usce indenne grazie alla protezione della repubblica di San Marco. Molte
fonti riportano che muore durante l'epidemia di peste che colpe l'Italia.
Risulta che muore, invece, a causa di catarro accompagnato da febbre. Secondo
alcuni, GALILEI si ispira a Z. nella scelta di un “Simplicio” come
rappresentante dell'avversario liceale dell’elio-centrismo. Z. pubblica pochi
saggi della sua dottrina, mentre sono a noi giunte numerose trascrizioni delle
sue lezioni che prefere tenere solo oralmente. Le trascrizioni delle lezioni
tenute a Padova presentano gravi problemi interpretativi che hanno impedito
alla storiografia di poter avanzare una sintesi sicura di sua filosofia. Unica
eccezione a questa difficoltà interpretativa sono le Lecturae exordium. Nella
prima parte della lezione, si rammarica che il continuo rinascere della natura,
come la successione delle quattro stagioni, dalle sue forme ormai trascorse,
non susciti la meraviglia dell'uomo e lo sgomento per il continuo morire del
mondo. Il mondo non è mai. Il mondo nasce e muore continuamente. La
lezione si conclude con l’affermazione del dovere dell’uomo di conoscere se
stesso. L’uomo, filosofa Z., si scopre in mezzo alle tribolazioni
dell’incostanza. Ebbene, la conoscenza di sé è, per Z., l’unico strumento
capace di dare a Z. serenità. La strada per conoscere se stessi e raggiungere
la serenità è data dalla filosofia su cui si basa la morale e la scienza.
L'uomo – “o al meno, io” -- ha un intelletto onnipotente che dalla conoscenza
di se stesso e della natura giunge a congiungersi con la beatitudine del divino.
Secondo una diffusa narrazione Z. e uno di quei filosofi del LIZIO che non solo
rifiutano pervicacemente la scoperta eliocentrica di GALILEI in nome della
filosofia del Liceo ma si rifiutano, invitati da Galilei di osservare
direttamente nel telescopio l'esistenza delle montagne della luna, delle fasi
di Venere, dei satelliti di Giove. Questo avvenimento, tramandato come simbolo
della miopia di coloro che si ritengono custodi del vero sapere, è ritenuto
falso. Nella lettera Galilei racconta a Keplero il comportamento dei filosofi di
Padova ma non fa nomi. Che dire dei più celebri filosofi di Padova, i quali,
colmi dell’ostinazione dell’aspide, nonostante più di mille volte io offro loro
la mia disponibilità, non hanno voluto vedere né i pianeti, né la luna, né il
cannocchiale? Questo genere di uomini ritiene infatti che la filosofia naturale
e un libro come l’ENEIDE e che le verità e da ricercare non nel mondo o nella
natura, bensì, per usare le loro parole, nel confronto dei testi. Ad un esame
superficiale una lettera a Galilei, Gualdo conferma che tra coloro che
rifiutarono l'osservazione con il telescopio vi e anche Z.. Abbiamo qui Morosini,
il quale non può patire che Z. mentre V.S. è stata qui, non procura né voluto
vedere queste sue osservationi, avendole io detto ch’ella se gli e offerta di
andare sino alla sua propria casa per fargliele vedere; onde le pare che ha
torto contrariarle senza averne fatto qualche ESPERIENZA. Nella successiva
lettera di GUALDO a Galilei si riferisce di un colloquio con Z. che al
rimprovero di essersi rifiutato dell'ESPERIENZA col telescopio risponde che lo
fa perché, non volendo approvare cose di che io non ho cognizione alcuna né
l’ho vedute. Questo è quello, dico, ch’ha dispiacciuto a GALILEI ch’ella non ha
voluto vederle. Rispose: Credo che altri che lui non l’ha veduto. E poi quel MIRARE
PER QUEGL’OCCHIALI M’IMBALORDISCON LA TESTA. Basta, non ne voglio sapere altro.
Z. afferma in questo testo che gli causa DISAGIO mirare nel telescopio e che
dunque non si rifiuta di guardare ma non accetta di vedere cioè di accogliere
l'interpretazione di GALILEI di quella OSSERVAZIONE. Più in generale, Forlivesi
sostiene che la posizione di Z. e sempre coerente nel ritenere che
l'interpretazione dei dati osservativi non puo andare disgiunta dall'esistenza
di una dottrina filosofico-naturale complessiva. Forlivesi rileva altresì che
lo stesso Galilei, a volte, propone un’ipotesi circa la natura del cielo non
meno problematica di quelle proposte dal Lizio. D'altra parte, come conferma
Bellone il cannocchiale e uno strumento di fattura artigianale. Non c’e una
teoria dell'ottica - si deve attendere Newton e la immagine e alquanto deformata. Saggi:
“Le pompe funebri; ovvero, Aminta e Clori” Ferrara; Lecturae exordium habitum
Patavii, Ferrara, Mammarelli; Explanatio proœmii librorum LIZIO de physico
auditu cum introductione ad naturalem philosophiam, continente tractatum de
pædia, descriptionemque universæ naturalis philosophiæ quibus adjuncta est
præfatio in libros De physico auditu, Padova, Novellum; Oratio habita Ferrariae
ad Clementem VIII pro S. Q. Centensi, Ferrariae; Disputatio de formis IV corporum
simplicium quæ vocantur elementa, Venezia, Oratio habita in creatione
serenissimi venetiarum principis DONATI, Venezia, Disputatio de cœlo -- de
natura cœli, de motu cœli, de motoribus cœli abstractis; Adjecta est Apologia
dictorum del LIZIO, de via lactea, et de facie in orbe lunæ, Venezia, Balionum,
Oratione al serenissimo principe BEMPO nella sua essaltatione al principato; Apologia
dictorum LIZIO de V cœli substantia adversus Xenarcum, Venezia, Meiettum; Il
nascimento di Venezia, Venezia; Oratione al serenissimo principe Priuli nella
sua essaltatione al principato; Il ritorno di Damone, Venezia, Oratione in nome
di Padova, Chiorindo, Venezia; Apologia dictorum LIZIO de calido innato
adversus Galenum, Venezia, Deuchiniana; Apologia dictorum LIZIO de origine et
principatu membrorum adversus Galenum, Venezia, Piutum; Expositio in
digressionem Averrhois de semine contra Galenum pro LIZIO; Tractatus de
sensibus externis, de sensibus internis et de facultate appetitive, Venezia,
DIALETTICA Venezia, Le nubi, Venezia, Biblioteca Marciana; Z. Testamento. Fonte:
G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana. Favaro, Lo Studio di Padova; Preti,
Ragusa, Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Z. in occasione del trasferimento di Galilei da Padova a Firenze si
rammaricava scrivendo. O quanto harrebbe fatto bene anco GALILEI, non entrare
in queste girandole, e non lasciar la libertà patavine. Portale Galilei. Forlivesi,
Z. Il contributo italiano alla storia del pensiero – Filosofia, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Per esempio, Pinotti, autore dell'introduzione al “Dialogo
sopra i due massimi sistemi del mondo, Milano. Z. Lecturae exordium; Forlivesi,
Il contributo italiano alla storia del pensiero, filosofia; Enciclopedia
Italiana Treccani, Galilei, Epistola ad Keplerum, Padova, Le opere, A. FAVARO,
lettera, GUALDO, Lettera a GALILEI, Padova,, in Galilei, Opere; Gualdo, lettera
a Galilei, Padova; in Galilei, Le opere; Forlivesi. Galilei, Opere, ediz. naz.;
Tassoni, Lettere, Puliatti, Bari; Imperiale, Musaeum historicum et physicum,
Venezia; Arisi, Cremona literata, Parma-Cremona; Naudaeana et Patiniana,
Amstelodami; Crescimbeni, Dell'istoria della volgar poesia, Venezia; Borsetti,
Historia alini Ferrariae gymnasii, Ferrara, Guarino, Ad Ferrariensis gymnasii
historiam supplementum et animadversiones, Bologna; Borsetti, Adversus
supplementum et animadversiones, Venezia; Facciolati, Fasti Gymnasii Patavini, Padova;
Erri, Dell'origine di Cento, Bologna, Tiraboschi, Storia della letteratura
italiana, Venezia); Fiorentino, Pomponazzi,
Firenze, Favaro, Lo Studio di Padova, Atti del Reale Istituto veneto di
scienze, lettere ed arti; Berti, Di Z. e della sua controversia con
l'Inquisizione di Padova e di Roma, Memorie della Reale Accademia dei Lincei,
classe di scienze morali, storiche e filologiche; Mabilleau, Étude historique
sur la philosophie de la renaissance en Italie: Z., Paris; Favaro, Galilei e lo
studio di Padova, Firenze; ad Indicem; Favaro, in Archivio Veneto, rec. di
Mabilleau); Sighinolfi, Il posseso di Cento e della pieve e la legazione di Z. a
Clemente VIII in Ferrara, Atti e memorie della Regia Deputazione di storia
patria per le province di Romagna; Atti della nazione germanica artista nello
Studio di Padova; Favaro, Venezia; ad Indicem; Atti della nazione germanica dei
legisti nello Studio di Padova, cur. Brugi, Venezia; Charbonnel, La pensée
italienne et le courant libertin, Paris; Spampanato, Documenti intorno a negozi
e processi dell'Inquisizione, in Giornale critico della filosofia italiana; Spini,
Ricerca dei libertini, Roma; Firpo, Filosofia
e contro-riforma, Torino; Savio, Il nunzio a Venezia dopo l'Interdetto,
in Archivio Veneto; SAITTA, Il pensiero italiano, Firenze; Torre, Un processo: l'inquisizione
contro Z., Verità e libertà, Congresso della Società filosofica italiana, Palermo;
Rotondò, Documenti per la storia dell'Indice dei libri prohibiti; Garin, Storia
della filosofia italiana, Torino; Pupi, Una riflessione a proposito delle
critiche di Galilei al LIZIO, in Nel centenario della nascita di Galilei,
Milano; Acta nationis Germanicae artistarum a cura di L. Rossetti, Padova; ad
Indicem; Schiavone, ENCICLOPEDIA FILOSOFICA, Firenze; Torre, Studi su Z.,
Padova; Favaro, Galilei a Padova (Padova); Franceschini, Nuovi documenti
relativi ai docenti dello Studio di Ferrara, Ferrara; ad Indicem; Puliatti, Tassoni,
Firenze, ad Indicem; Rossetti, Manoscritti di Z., Cambridge, in Quaderni per la
storia dell'Università di Padova; Schmitt, Z., un aristotelico al tempo di
Galilei, Venezia; Corazzol, Portenari maestro di grammatica a Feltre ed una
lettera di Z., in Quaderni per la storia dell'Università di Padova, Torre,
Logica ed ESPERIENZA nel De Paedia di Z. in Aristotelismo veneto e scienza
moderna, Olivieri, Padova; A. Favaro, Lo Studio di Padova e la Compagnia di
Gesù sul finire del secolo decimosesto, in «Atti del regio Istituto veneto di
scienze, lettere e arti, Forlivesi, Z., Il contributo italiano alla storia del
Pensiero: Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Treccani, Carlini, in
Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Schmitt, Dizionario
biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Grice: “There’s something primitive about the
way Italians speak. We would never call Austin the Lancastrian, as the Greeks
called Aristotle the Stagirite, or the Italians call Zamboni ‘Cremonini’ just
because he had a connection with Cremona. As Wellington said when he was
referred to as an Irishman: ‘being born in a stable does make you not a
horse’!” Grice: “Cremonini is of course underrated in Italy because Galilei is
OVER-rated. But Galilei was HARDLY a philosopher – what’s philosophical about
sticking your eyes on a muddy micro or macroscope? Instead, Zamboni could
lecture on Aristotle to no end!” He was a lizio! Voniam autem omnia oportet de TERMINI
– NOMINE et verbo dicere, vt fuit PROPOSITVM, nomen autem,et verbum sunt VOX
SIGNIFICATIVA et propter hoc diftinguuntur à quibusliber VOCIBVS SIGNIFICATIONE
carentibus, ideo oportet declarare modum omnis SIGNIFICATIONIS, vt habeamus
quenam proximè ab ipsis vocibus, que sunt nomen, et verbum SIGNIFICENTVR, d
preterea, vt habeamus quot modis ipsa, que a vocibus significantur, le habeant,
inde enim habebimus originem ENVNCIATIVE orationis; quatuor igitur in ordine ad
SIGNIFICATIONEM se habeät: Vnum fignificatur et lunt ipse RES, aliud signiticat,
et sunt que scribuntur, ideft litters ipfei duo alia significant, et SIGNIFICANTVR
CONCEPTVS SIGNIFICANT IPSAM REM, et signitcantur per voces,et per litteras; similiter
VOX SIGNIFICAT CONCEPTVS ET MEDIANTIBVS
CONCEPTIVS IPSAM REM, significantur aut per litteras, unde VOX IMMEDIATE
SIGNIFICAT CONCEPTVS, quocirca qualis erit conditio conceptuum, ralis etiam
erit conditio vocum, et ita paret, quod primò res elt, vt “homo”, deinde guid
aliquis intelligit hominem, formatur conceptus euldem hommis; tercio ilte
conceptus homo exprimitur, quarto litteris defignatur: aduertendum autem etts
quod inter licteras, et voces noo eft neceffarius ordo, potell refcribi id,
quod non eft voce perlatum, & fic etiam littere poflunt immediatè conceptum
explicare, verumtamen ordo naturalis est, vt conceptus per vocem explicetur,
iita vero quatuor ita te habent, vi duo ex illis tint ea-dem apud omnes, duo
vero ad placitumlint; cadem apud omnes funt prima duo, conceptus icilicet, o
res, “HOMO” enim vorque idem elt, & 11 militer conceptus, qui tt de homine:
Dicetis, ti conceptus funt idem apud omnes, quomodo vnus haber diueríam
opinionem ab alio? veluti de Deo vari) varia opinantur; Respondetur, quod
conceptus dupliciter poteft confiderari, vel simpliciter vt elt PASSIO IPSIUS
ANIMI, & fic idem elt APVD OMNES, vel vi elt paffio talis in ordine ad
objectum, de quo fic conceptus, & hic poteft elle varietas apud varios;
alia verò duo, voces Icilicer & littere funt AD BENEPLACITVM – ET NON AD
NATURAM -- & apud varios variè le habent, apud Grecos enim alia voce homo
fignificatur rideft, antropos e & alia feribitur, & SIGNIFICATVR APVD
LATINOS. Dicetis etiam SONVS BRUTORVM, est vox, tamen NON EST AD PLACITVM illorum,
sed eodem modo voi que fe habent; Relpondetur, quod voces funt duplices, alig
que SIGNIFICAT AFFECTVS, alie que SIGNIFICAT CONCEPTVS, fi loquamur de vocibus,
que fignificant conceptus, tales autem funt voces, que lequuntur intellectum,
dideo VOX ARTICVLATA proprie lunt ipiorum HOMINVM, cum itaque dictum fit voces
imediaté fignificare conceptus, veluti fe habe--- Cesare Zamboni di Cremona
(Cremonini). Zamboni. Keywords: i galileiani, la
dialettica di Zamboni, de interpretatione, nomen, significatio, ad placitum. Refs.: Luigi
Speranza, "Grice e Cremonini," per Il Club Anglo-Italiano, The
Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. Zamboni.
Grice e Zamboni: la ragione conversazionale e il volere -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H.
P. Grice, The Swimming-Pool Library (Verona). Grice: “Not everybody knows his zamboni.”
There’s Giorgio Zamboni, but this entry is about Giovanni Zamboni. Essential Italian philosopher. Filosofo italiano. Saggi: Spencer: commemorazione e polemica, Garagnani, Bologna;
La filosofia scolastica secondo un positivista, Marchiori,Verona; Il valore
scientifico del positivismo d’ARDIGO (si veda) e della sua conversion, Verona; La
dottrina morale e la psicologia del VOLERE in un saggio di etica di un
discepolo d’ARDIGO, Società Veronese, Verona; La gnoseologia dell’atto come
fondamento della filosofia dell’essere: saggio d'interpretazione sistematica
della dottrina gnoseologica d’AQUINO, Milano; Gnoseologia, Vita e Pensiero,
Giuseppe, Milano; L’origine delle idee: saggio analitico INTROSPETTIVO, proposto
alla riflessione personale, Società Veronese, Verona; Sistema di gnoseologia e
di morale: base teoretica per esegesi e critica della filosofia, Studium, Roma;
Studi esegetici, critici, comparativi sulla CRITICA DELLA RAGIONE PURA, Veronese,
Verona; Metafisica e gnoseologia, Veronese, Verona; Il realismo critico della
gnoseologia pura: risposta al caso Zamboni, Gemelli, Olgiati e Rossi, Verona; Realismo,
metafisica, personalità: rilievi, note, discussioni, Veronese, Verona; La
persona umana: soggetto auto-cosciente nell’esperienza integrale: termine della
gnoseologia, base della metafisica, Verona, Giulietti., Vita e pensiero, Milano;
Precisazioni e complementi ai testi scolastici: religione naturale e l’essenza
della religione cristiana, Veronese, Verona; La filosofia dell’ESPERIENZA
IMMEDIATA, elementare, ed integrale: per la completa auto-consapevolezza dello
spirito umano, Veronese, Verona; Itinerario filosofico dalla propria coscienza
all’esistenza di Dio, Veronese, Verona; Teodicea, Rodella, Vita veronese,
Verona; La dottrina della COSCIENZA immediata: struttura funzionale della
psiche umana è la scienza positiva fondamentale, Veronese, Verona; Dizionario
filosofico, Vita e Pensiero, Milano; Idee e giudizi, Marcolungo F.L., IPL, Milano;
L’IO e le nozioni sopra-sensibili, (IPL, Milano; Corso di gnoseologia pura
elementare: spazio, tempo, percezione intellettiva, IPL, Milano; Corso di
gnoseologia pura elementare: idee e giudizi, IPL, Milano; Corso di gnoseologia
pura elementare; Autobiografia di una personalità integrale, Guidi). Archivio
storico, Curia diocesana, Verona, Studi sulla Critica della ragione pura; Qui Edit,Verona,
Sistema di gnoseologia e di morale; Qui Edit, Verona. Volontà. La Volontà,
statua di Janson per l'Opéra di Parigi. La volontà è la determinazione fattiva
e intenzionale di una persona ad intraprendere una o più azioni volte al
raggiungimento di uno scopo preciso. La
volontà consiste quindi nella forza di spirito diretta dall'essere umano verso
il fine, o i fini, che egli si propone di realizzare nella sua vita, o anche
solamente nel potere impiegato nelle sue azioni semplici e quotidiane. Esempi
di volontà possono essere il desiderio di lasciare un'eredità ai figli e/o ai
parenti, o il proposito di comprare una casa. Generalmente la volontà
rappresenta la facoltà di una persona di scegliere e raggiungere con
sufficiente convinzione un dato obiettivo. Da un punto di vista esclusivo, la
volontà di una persona è la sua capacità di non farsi condizionare dalle altre
persone. In questo senso, la volontà si può accomunare alla parola assertività.
Quello di volontà è un concetto fondamentale e a lungo dibattuto nell'ambito
della filosofia, in quanto inestricabilmente legato all'interpretazione dei
concetti di libertà e virtù. Particolarmente problematico è poi il suo rapporto
con le interpretazioni meccanicistiche del mondo. Se l'uomo sia capace di atti
volitivi – H. P. GRICE: WILLING AND VOLITING -- che, in quanto tali, rompono il
meccanicismo della realtà, o se invece la sua volontà sia determinata da una legge
che regola l'universo, e sia quindi snaturata e priva di ogni valore morale.
Sono qui evidenti i rapporti col concetto di libertà. La concezione intellettualistica dei
Greci Socrate, testa in marmo al Museo
del Louvre – Parigi. Una visione intellettualistica della volontà, condizionata
dal sapere, era nelle tesi di Socrate basate sul principio della naturale
attrazione verso il bene e dell'involontarietà del male. L’uomo per sua natura
è orientato a scegliere ciò che è bene per lui. La virtù è scienza, e consiste
nel dominio di sé e nella capacità di dare ascolto alle esigenze dell'anima. Se
non si fa il bene, è perché non lo si conosce. Il male quindi non dipende da
una libera volontà, ma è la conseguenza dell'ignoranza umana che scambia il
male per bene, proiettando quest'ultimo sui piaceri o su qualità
esteriori. L’accademia approfondì
quest'aspetto dell'etica socratica, in particolare nel Gorgia e nel
Filebo. Anche per il Lizio un'azione
volontaria e libera è quella che nasce dall'individuo e non da condizionanti
fattori esterni, purché sia predisposta dal soggetto con un'adeguata conoscenza
di tutte le circostanze particolari che contornano la scelta. Tanto più
accurata sarà questa indagine tanto più libera sarà la scelta corrispondente. Nel
PORTICO è centrale il tema della volontà di che aderisce perfettamente al suo
dovere – kathèkon --, obbedendo a una forza che non agisce esteriormente su di
lui, bensì dall'interno. Siccome tutto avviene secondo necessità, la volontà
consiste nell'accettare con favore il destino, qualunque esso sia, altrimenti
si è comunque destinati a farsi trascinare da esso contro voglia. Il dovere del
PORTICO non è quindi da intendersi come un esercizio forzato di vita, ma sempre
come il risultato di una libera scelta, effettuata in conformità con la legge
del lògos. E poiché il bene consiste appunto nel vivere secondo RAGIONE, il
male è solo ciò che in apparenza vi si oppone.
Plotino, rifacendosi all’accademia, sostenne analogamente che il male
non ha consistenza, essendo soltanto una privazione del bene che è l'uno
assoluto. La volontà consiste quindi nella capacità di ritornare all'origine
indifferenziata del tutto attraverso l'estasi, la quale però non può essere mai
il risultato di un'azione pianificata o deliberata. Si ha infatti in Plotino la
rivalutazione del procedere inconscio, dato che il pensiero cosciente e
puramente logico non è sufficiente. Lo stesso uno genera da sé i livelli
spirituali a lui inferiori non in vista di uno scopo finale, ma in una maniera
non razionalizzabile, poiché l'attività giustificatrice della ragione prende ad
agire solo ad un certo punto della discesa in poi. Il concetto di volontà
divenne centrale nella filosofia per la sua stretta relazione con i concetti di
peccato e virtù. Si pensi alla difficoltà di definire o concepire una colpa in
assenza della possibilità di determinare le proprie azioni. La filosofia accentua
l'aspetto volontaristico del neoplatonismo, a scapito di quello
intellettualistico, riprendendo ad esempio da Plotino il concetto dell'origine
imperscrutabile della volontà divina, ma attribuendovi decisamente il connotato
di persona, come soggetto che agisce intenzionalmente in vista di un fine. La BUONA VOLONTA [cf. H. P. GRICE,
“Ill-WILL”], e e non più LA RAZIONALITA, è quella che consente di volgersi alla
realizzazione del bene. Ma non è possibile raggiungere quest'ultimo senza
l'intervento divino elargitore della grazia – ‘Grice’s grace’ --, mezzo
essenziale di liberazione dell'uomo. La volontà non potrebbe indirizzarsi al
bene, corrotta com'è dalla schiavitù delle passioni corporee, se non ci fosse
la rinascita dell'uomo operata da Cristo. Agostino, dipinto di Antonello da
Messina- Palazzo Abatellis – Palermo. Permase tuttavia l'aspetto conoscitivo
della volontà, che si verifica attraverso un'illuminazione dell'intelletto per
opera dello Spirito Santo. Volontà e conoscenza rimasero così per Agostino
indissolubilmente legati. Non si può credere senza capire, e non si può capire
senza credere. La virtù che ne scaturisce divenne così la volontà di aderire al
disegno divino. In polemica contro Pelagio, Agostino aggiunse che la volontà
umana è stata irrimediabilmente corrotta dal peccato originale, che ha
inficiato la nostra capacità di compiere delle scelte, e quindi la nostra
stessa libertà. A causa del peccato originale nessun uomo sarebbe degno della
salvezza, ma Dio può scegliere in anticipo chi salvare, illuminandolo su cosa è
bene, e infondendogli anche la volontà effettiva di perseguirlo, volontà che
altrimenti sarebbe facile preda delle tentazioni malvagie Ciò non toglie che
l'uomo possegga un libero arbitrio, ossia la capacità razionale di scegliere
tra il bene e il male, ma senza l'intervento divino una tale scelta non avrebbe
alcuna efficacia realizzativa, sarebbe cioè preda di inerzia o
arrendevolezza. Il conflitto tra la
scelta operata dal libero arbitrio e l'impossibilità di attuarla secondo
libertà denota una condizione di duplicità della volontà: non si tratta di un
disaccordo tra la volontà e l'intelletto, né tra due principi contrapposti in
forma manichea, bensì di un conflitto tutto interno alla volontà, che è come
dilaniata: sente di volere, ma non completamente, e quindi in un certo senso
vorrebbe volere. Il comando della volontà riguarda se stessa, non altro da sé.
Quindi non è tutta la volontà che comanda; per questo il suo comando non si
realizza. Se fosse tutta, infatti, non comanderebbe di essere, poiché già
sarebbe. Allora le volontà sono due, poiché nessuna è intera e nell'una è
presente ciò che è assente nell'altra. Agostino, Confessioni; Opera Omnia d’Agostino,
cur. della Nuova Biblioteca Agostiniana Roma, Città Nuova. Intelletto e volontà
nella Scolastica Tommaso d'Aquino,
dipinto di Fra Angelico - Museo Nazionale di San Marco - Firenze Il connubio
tra intelletto e volontà permase nelle opere di Scoto Eriugena, e soprattutto d’Aquino,
secondo cui il libero arbitrio non è in contraddizione con la predestinazione
alla salvezza, poiché la libertà umana e l'azione divina della grazia tendono
ad unico fine, ed hanno una medesima causa, cioè Dio. AQUINO, come FIDANZA (si
veda), sostenne inoltre che l'uomo ha sinderesi, ovvero la naturale
disposizione e tendenza al bene e alla conoscenza di tale bene. Per Bonaventura
tuttavia la volontà ha il primato sull'intelletto. All'interno della scuola francescana di cui
Bonaventura era stato il capostipite, Duns Scoto si spinse più in là,
diventando assertore della dottrina del volontarismo, secondo cui Dio sarebbe
animato da una volontà incomprensibile e arbitraria, in gran parte slegata da
criteri razionali che altrimenti ne limiterebbero la libertà d'azione. Questa
posizione ebbe come conseguenza un crescente fideismo, ossia una fiducia cieca
in Dio, non motivata da argomenti. Al fideismo adere OCCAM, esponente della
corrente nominalista, il quale radicalizzò la teologia di Scoto, affermando che
Dio non ha creato il mondo per «intelletto e volontà» come sostene Aquino, ma
per sola volontà, e dunque in modo arbitrario, senza né regole né leggi. Come
Dio, anche l'essere umano è del tutto libero, e solo questa libertà può fondare
la moralità dell'uomo, la cui salvezza però non è frutto della predestinazione,
né delle sue opere. È soltanto la volontà di Dio che determina, in modo del
tutto inconoscibile, il destino del singolo essere umano. Le dispute tra Lutero, Erasmo, Calvino Martin Lutero - dipinto di Lucas Cranach il
Vecchio - chiesa di Sant'Anna, Augusta (Germania) Con l'avvento della Riforma,
Lutero fa propria la teoria della predestinazione negando alla radice
l'esistenza del libero arbitrio. Non è LA BUONA VOLONTA [cf. H. P. GRICE,
“ILL-WILL”] che consente all'uomo di salvarsi, ma solo la fede, infusa dalla
grazia divina. È solo Dio, quello absconditus della tradizione occamista, a
spingerlo in direzione della dannazione o della salvezza. La volontà umana è
posta tra i due, Dio e Satana, come un giumento, il quale, se sul dorso abbia
Dio, vuole andare e va dove vuole Dio,se invece sul suo dorso si sia assiso
Satana, allora vuole andare e va dove vuole Satana, e non è sua facoltà di
correre e cercare l'uno o l'altro cavalcatore, ma i due cavalcatori contendono
fra loro per averlo e possederlo -- Lutero, De servo arbitrio. Alla dottrina
del servo arbitrio invano Erasmo replica che il libero arbitrio è stato sì
viziato ma non distrutto completamente dal peccato originale, e che senza un
minimo di libertà da parte dell'uomo la giustizia e la misericordia divina
diventano prive di significato. Alla concezione volontaristica di Dio aderì tra
gli altri Calvino, che radicalizzò il concetto di predestinazione fino a
interpretarlo in un senso rigorosamente determinista. È la Provvidenza a
guidare gli uomini, indipendentemente dai loro meriti, sulla base della
prescienza e onnipotenza divina. L'uomo tuttavia può ricevere alcuni
"segni" del proprio destino ultraterreno in base al successo o meno
ottenuto nella propria vita politica ed economica. La dottrina molinista e giansenista Giansenio - Incisione di Jean Morin Anche
all'interno della chiesa cattolica, che pure si era schierata contro le tesi di
Lutero e Calvino, iniziarono una serie di dispute sul concetto di volontà.
Secondo Molina la salvezza era sempre possibile per l'uomo dotato di buona
volontà. Egli sostenne che: la
prescienza di Dio e la libera volontà umana sono compatibili, poiché Dio può
ben prevedere nella sua onnipotenza la futura adesione dell'uomo alla grazia da
lui elargita; questo piano di salvezza si attua per una valenza positiva
attribuita alla volontà umana, in quanto neppure il peccato originale ha spento
l'aspirazione dell'uomo alla salvezza. A lui si contrappose Giansenio, fautore
di un ritorno ad Agostino: secondo Giansenio l'uomo è corrotto dalla
concupiscenza, per cui senza la grazia è destinato a peccare e compiere il
male; questa corruzione viene trasmessa ereditariamente. Il punto centrale del
sistema di Agostino risiedeva per i giansenisti nella differenza essenziale tra
il governo divino della grazia prima e dopo la caduta di Adamo. All'atto della
creazione Dio avrebbe dotato l'uomo di piena libertà e della «grazia
sufficiente», ma questi l'aveva persa con il peccato originale. Allora Dio
avrebbe deciso di donare, attraverso la morte e resurrezione di Cristo, una
«grazia efficace» agli uomini da lui predestinati, resi giusti dalla fede e
dalle opere. Le divergenze tra le due
posizioni, che diedero vita a una disputa tra i religiosi di Port-Royal e i
gesuiti molinisti, saranno risolte con il formulario Regiminis apostolicis del
1665. La concezione del pensiero moderno
Nell'ambito della concezione religiosa della libertà il pensiero moderno ha
assunto una visione razionalista con Cartesio che, identificando la volontà con
la libertà, concepiva quest'ultima in senso intellettuale come scelta
impegnativa di cercare la verità tramite il dubbio. Una cattiva volontà è ciò
che può essere di ostacolo in questa ricerca e causa l'insorgere degli errori. Mentre però Cartesio si arenò nella duplice
accezione di res cogitans e res extensa, attribuendo assoluta volontà alla
prima e passività meccanica alla seconda, Spinoza si propose di conciliarle in
un'unica sostanza, riprendendo il tema stoico di un Dio immanente alla Natura,
dove tutto avviene secondo necessità. La libera volontà dell'uomo dunque non è
altro che la capacità di accettare la legge universale ineluttabile che domina
l'universo. Leibniz - dipinto di Christoph Bernhard Francke - Herzog Anton
Ulrich-Museum - Braunschweig Leibniz Leibniz accetta l'idea della volontà come
semplice autonomia dell'uomo, ossia accettazione di una legge che egli stesso
riconosce come tale, ma cercando di conciliarla con la concezione cristiana
della libertà individuale e della conseguente responsabilità. Egli ricorse
pertanto al concetto di monade, ossia "centro di forza" dotato di una
propria volontà, che sussiste insieme ad altre infinite monadi, tutte inserite
in un quadro di armonia prestabilita, la quale però non è dominata da una
razionalità rigidamente meccanica. Si tratta di una razionalità superiore,
voluta da Dio per un'esigenza di moralità, da comprendere in un'ottica
finalistica, nella quale anche il male trova la sua giustificazione: come
elemento che nonostante tutto concorre al bene e che all'infinito si risolve in
quest'ultimo. Da Kant a Hegel Kant - Herzog Anton Ulrich-Museum. Per Kant
la volontà è lo strumento che ci permette di agire, obbedendo sia agli
imperativi ipotetici (in vista di un obiettivo), sia a quelli categorici,
dettati unicamente dalla legge morale. Solo nel caso dell’IMPERATIVO CATEGORICO
la volontà è pura, perché in tal caso non comanda alcunché di particolare: essa
è formale, cioè prescrive solo come la volontà debba atteggiarsi, non quali
singoli atti deve compiere. In un mondo
dominato dalle leggi deterministiche della natura (fenomeni), la volontà morale
è ciò che rende possibile la libertà, perché obbedisce ad un comando che essa
stessa si è liberamente dato, non certo in maniera arbitraria, bensì
conformemente alla sua natura razionale (noumeno). Essa però non comanda il bene.
Per Kant l'unica cosa buona è la volontà intrinsecamente buona. Riprendendo il Kant della Critica del
Giudizio, Fichte e Schelling esaltano la volontà come assoluta attività
dell'Io, o dello Spirito, in contrapposizione alla passività del non-io, o
della Natura, nell'ottica però di un rapporto dialettico che si risolve nella
supremazia dell'etica per il primo, o dell'arte per il secondo. Per Hegel
invece un tale rapporto si risolve nella supremazia della Ragione dialettica
stessa, dando adito alle critiche di chi, come Schelling, sostenne
l'impossibilità di ricondurre un libero atto di volontà entro il rigido schema
razionale della dialettica. Schopenhauer e Nietzsche Schopenhauer - dipinto di Jules
Lunteschütz Lo stesso argomento in
dettaglio: Pensiero di Schopenhauer § Il mondo come volontà e Volontà di
potenza. Il tema della volontà è centrale nel pensiero di Schopenhauer, il
quale, riprendendo Kant, sostenne che l'essenza del noumeno è proprio la
volontà. In polemica contro Hegel, secondo Schopenhauer la natura e il mondo
non hanno un'origine razionale, ma nascono da un istinto irrazionale di vita,
da una pulsione informe e incontrollata che è appunto volontà. Non c'è dunque
spazio per l'ottimismo della ragione, dal momento che questa volontà di vivere
sfrenata e arbitraria è causa di sofferenza. Da questa se ne esce attraverso la
sublimazione e la presa di coscienza che il mondo è l'oggettivazione della volontà,
cioè è una mia stessa rappresentazione, fenomenica e illusoria (velo di Maya):
concetto di origine orientale e in parte neoplatonica, che si traduce nel
desiderio della vita stessa (eros) di diventare finalmente consapevole di sé;
questa consapevolezza coincide con l'auto-negazione della volontà e permette
così di uscire dal ciclo insensato dei desideri, morti e rinascite. A differenza di Schopenhauer, Nietzsche
esaltava questa volontà di vivere sfrenata e irrazionale, ponendo in primo
piano il valore dell'aspetto vitale e "dionisiaco" dell'essere umano,
in contrapposizione a quello riflessivo e "apollineo". Solo dalla
volontà di potenza, cioè dalla volontà che vuole se stessa e il proprio accrescimento
senza sosta, nasce la possibilità infinita del rinnovamento e della vita. La
rigidità della ragione, viceversa, che costringe la realtà dentro uno schema, è
una non-volontà, alleata della morte perché nega la possibilità del cambiamento
che è l'essenza del vivere. La volontà di potenza pertanto non si afferma come
desiderio concreto di uno o più oggetti specifici, ma come il meccanismo stesso
del desiderio nel suo funzionamento incessante: soffermarsi sulle forme che
essa produce sarebbe morire, e quindi deve ogni volta paradossalmente negarle
per potersi riaffermare di nuovo, in una continua oscillazione. Questioni sociologiche Nel campo della
sociologia, Tönnies ha proposto una «teoria della volontà» che distingue due
diverse forme di volontà: una basata sulla natura, cioè sul sentimento di
appartenenza e sulla partecipazione spontanea alla comunità -- Wesenwillen;
l'altra costruita artificialmente, fondata essenzialmente sulla convenienza e
sullo scambio economico, da cui deriva la moderna società post-industriale – Kürwillen.
Questa concezione sociologica influenzò anche i filosofi Barth, Gusti e Jacoby.
Lessico e modi di dire Frasi fatte e combinazioni di parole di uso
frequente della parola volontà sono: «le ultime volontà», riferita in genere
alle decisioni prese in punto di morte; «volontà di ferro», a indicarne
l'energica fermezza e costanza. Tipica di Vittorio ALFIERI (si veda) è il motto
«volli, sempre volli, fortissimamente volli», con la quale il drammaturgo
settecentesco spronava se stesso a studiare ininterrottamente facendosi legare
alla sedia per poter acquisire una valida cultura classica a partire dai
ventisette anni. Socrate ha espressamente identificato la libertà con
l'enkràteia. Prima di lui la libertà aveva un significato quasi esclusivamente
giuridico e politico; con lui assume il significato morale di dominio della
razionalità sull'animalità. Reale, Il pensiero antico, Vita e Pensiero, Milano.
Tutta la mia attività, lo sapete, è questa: vado in giro cercando di persuadere
giovani e vecchi a non pensare al fisico, al denaro con tanto appassionato
interesse. Oh! pensate piuttosto all'anima: cercate che l'anima possa divenir
buona, perfetta» (cit. da Apologia di Socrate, trad. di Turolla, Milano-Roma. Aristotele, Etica
Nicomachea. IL PORTICO in proposito paragona la relazione uomo-Universo a
quella di un cane legato ad un carro. Il cane ha due possibilità: seguire
armoniosamente la marcia del carro o resisterle. La strada da percorrere sarà
la stessa in entrambi i casi. L'idea centrale di questa metafora è espressa in
modo sintetico e preciso da Seneca, quando sostiene: «Il destino guida chi lo
accetta, e trascina chi è riluttante -- Seneca, Epist. Mathieu, Come leggere
Plotino, Bompiani, Milano. Questo è il senso della celebre affermazione
agostiniana credo ut intelligam, e intelligo ut credam. Agostino si rifaceva in
proposito alle parole di Paolo di Tarso. C'è in me il desiderio del bene, ma
non la capacità di attuarlo; io infatti non compio il bene che voglio, ma il
male che non voglio. Ora, se faccio quello che non voglio, non sono più io a
farlo, ma il peccato che abita in me. Lettera ai Romani, su laparola. Perone,
Ferretti, Ciancio, Storia del pensiero filosofico, Torino, SEI. Trad. in
Donatella Pagliacci, Volere e amare: Agostino e la conversione del desiderio. Città Nuova. Lutero, De servo arbitrio -- cit.
in Memorie di religione, di morale e di letteratura, Modena. Erasmo da
Rotterdam, De libero arbitrio. In esso, particolarmente incisivo è l'esempio
che Erasmo presenta per supportare la sua soluzione, di un padre e il suo
figliolo che vuole cogliere un frutto. Il padre alza nelle sue braccia il
figlio che ancora non sa camminare, che cade e che fa degli sforzi disordinati;
gli mostra un frutto posato davanti a lui; il bambino vuole correre a
prenderlo, ma la sua debolezza è tale che cadrebbe se il padre non lo
sostenesse e guidasse. È quindi solo grazie alla conduzione del padre (la
Grazia di Dio) che il bambino arriva al frutto che sempre suo padre gli offre;
ma il bambino non sarebbe riuscito ad alzarsi se il padre non l'avesse
sostenuto, non avrebbe visto il frutto se il padre non glielo avesse mostrato,
non sarebbe potuto avanzare senza la guida del padre, non avrebbe potuto
prendere il frutto se il padre non glielo avesse concesso. Cosa potrà arrogarsi
il bambino come sua autonoma azione? Malgrado nulla avrebbe potuto compiere con
le sue forze senza la Grazia, ciò nonostante ha pur fatto qualcosa. Cartesio,
Principia. Spinoza, Ethica. Egli sostenne infatti che «quando si discute
intorno alla libertà del volere o del libero arbitrio, non si domanda se l'uomo
possa far ciò che vuole, bensì se nella sua volontà vi sia sufficiente
indipendenza -- Leibniz, Nuovi saggi. Schelling, Filosofia della rivelazione. Tönnies,
Gemeinschaft und Gesellschaft. Abhandlung des Communismus und des Socialismus
als empirischer Culturformen; Gemeinschaft und Gesellschaft. Grundbegriffe der reinen Soziologie, Wissenschaftliche
Buchgesellschaft, Darmstadt, Dizionario dei modi di dire, Hoepli
editore.Espressione tratta dalla Lettera responsiva a Ranieri de' Calsabigi,
scritta da Alfieri. Alfieri, cur. Bartolucci. Brianese, La volontà di potenza
di Nietzsche e il problema filosofico del superuomo, Paravia, Costa, La paideia
della volontà. Una lettura della dottrina filosofica di Epitteto, Anicia,
Dorschel, The Authority of Will, in "The Philosophical Forum", Horn,
L'arte della vita nell'antichità. Felicità e morale da Socrate ai neoplatonici,
a cura di E. Spinelli, Carocci, Manca, Il primato della volontà in Agostino e
Massimo il Confessore, Armando, Müller, Volontà di potenza e nichilismo.
Nietzsche e Heidegger, a cura di C. La Rocca, Parnaso; Nietzsche, La volontà di
potenza. Scritti postumi per un progetto, a cura di G. Raio, Newton &
Compton, Pagliacci, Volere e amare: Agostino e la conversione del desiderio,
Città Nuova; Ricoeur, Filosofia della volontà, a cura di M. Bonato, Marietti; Schopenhauer,
Il primato della volontà, a cura di G. Gurisatti, Adelphi; Schopenhauer, Il
mondo come volontà e rappresentazione, a cura di A. Vigliani, Mondadori; Schopenhauer,
Sulla volontà nella natura, BUR Rizzoli; SEVERINO (si veda), Verità, volontà,
destino, Mimesis; Severino, La buona fede. Sui fondamenti della morale, BUR
Rizzoli; Vecchio, Volontà e essere. Saggio di filosofia prima, Gangemi, Voci
correlate Desiderio (filosofia) Elicito Etica Libero arbitrio Volontà di
potenza -- lemma di dizionario «volontà» -- volontà, in Dizionario di
filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, will, su Enciclopedia
Britannica. Filosofia Psicologia Sociologia Categorie: Etica Concetti e
principi filosofici. Giuseppe Zamboni. Keywords: psicologia del volere, volere,
l’io, sopra-sensibile, volere, volizione, volitum – the will -- Refs.: H. P.
Grice, “Gnoseologia,” The Grice Papers, BANC MSS 90/135c, Bancroft, University
of California, Berkeley. Luigi Speranza, “Grice e Zamboni, L’io,” The
Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.
Grice e Zanini: la ragione conversazionale e la simpatia conversazionale -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel
Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Legnano) Filosofo italiano. Essential Italian philosopher. Grice: “If Z. likes Smith for his ‘etica
della simpatia,’ I happen to prefer Englishman Butler, for his sermons on
self-love and benevolence!” -- Grice: “There are some resemblances between what
Zanini intelligently calls “the rhetorics, sic in plural, of truth, and my idea
of theoretical argument as a sort of deep-down practical argument.” Filosofo italiano. Si laurea in filosofia a Padova con CURI -- si veda:
Luigi Speranza, “GRICE E CURI”. Borsista
presso la Fondazione Einaudi di Torino, ove studia con LOMBARDINI. Insegna filosofia
a Le Marche. I suoi saggi sono indirizzati, in particolare, al rapporto tra filosofia
politica e filosofia dell’economia. È tra i principali interpreti di Smith e di
Schumpeter. Saggi principali: Filosofie del soggetto: soggettività e
costituzione, Palma, Palermo; Keynes: una provocazione metodologica, Bertani,
Verona; Schumpeter impolitico, Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani,
Roma; Il moderno come residuo: lemmi, Pellicani, Roma; Genesi imperfetta: il
governo delle passioni in Smith, Giappichelli, Torino; Modernità e nomadismo, Calusca,
Padova; Smith: economia, morale, diritto, Mondadori, Milano; Liberilibri,
Macerata; Macchine di pensiero: Schumpeter, Keynes, Marx, Ombre corte, Verona; Schumpeter,
Mondadori, Milano; Lessico postfordista, Feltrinelli, Milano; Retoriche della
verità. Stupore ed evento, Mimesis, Milano; Filosofia economica. Fondamenti
economici e categorie politiche, Bollati, Torino; L'ordine del DISCORSO economico.
LINGUAGGIO delle ricchezze e pratiche di governo, Ombre corte, Verona; Schumpeter:
principi e forme delle scienze sociali, Mulino, Bologna; Negri, Una traccia; Belfagor”,
Garin, L'etica della simpatia; L'indice; Salanti, L'economia politica come
critica della società, note sparse; Filosofia economia. Fondamenti economici e
categorie politiche, Quaderni del Dipartimento di Ingegneria gestionale, Bergamo.
Caruso, Alla ricerca della filosofia economica, Storia del pensiero economico, Fumagalli,
Sfera politica e sfera economica: un difficile rapporto. A proposito di
"Filosofia economica" “Economia
politica.” MLOL, Horizons Radio Radicale, univpm. Sito italiano per la
filosofia, su swif. Intervista su
Schumpeter. Video Mediaset, Legnago. Sympathy, di Brown. La simpatia, nell’uso
comune, indica un'inclinazione positiva verso un'ALTRA PERSONA, o più in
generale rispetto a un concetto o un'idea -- συν-πάσχω, letteralmente, patire
insieme, provare emozioni con.. -- Nel suo significato etimologico il termine
indica quindi un sentimento di partecipazione alle emozioni altrui, siano esse
positive o negative. Lo stato psicologico della simpatia ha tratti in comune
con quello dell'empatia, ma anche divergenti. Empatia e l’abilità di percepire
e sentire direttamente ed in modo esperienziale le emozioni di un'altra persona
così come lei le sente, indipendentemente dalla condivisione della sua visione
della realtà. Simpatia e la percezione di situazioni in maniera simile ad un'altra
persona. Questo quindi implica preoccupazione, partecipazione, o desiderio di
alleviare i sentimenti negativi che l'altro sta provando. Per questo è
possibile provare SIMPATIA, MA NON EMPATIA, quando si sente internamente la
voglia di AIUTARLO, ma non proviamo in modo diretto ed interiore il suo
sentimento di dolore (empatia). C’e empatia e simpatia quando si percepiscono i
sentimenti dell'altra persona (empatia) e si sente la voglia di AIUTARLA. Costellazioni dell'emisfero celeste
settentrionale raffigurate come esseri senzienti in un gigantesco zodiaco,
ovvero giro degli animali (da Harmonia Macrocosmica di Cellarius. Magia
simpatica. Nella filosofia antica, la simpatia, «sentire assieme», venne intesa
non solo come un sentimento umano di natura psichica o emotiva, ma come una
forza cosmica, capace di pervadere ogni creatura e persino gl’elementi fisici.
Alla base di questa forza vi era secondo IL PORTICO una concordanza occulta fra
i vari aspetti della realtà, dovuta alla penetrazione universale dello stesso
Logos-Fuoco, principio di coesione, di movimento, e di vita. Come in un
gigantesco organismo vivente, abitato da una sola grande anima, le varie parti
dell'universo comunicavano tra loro vibrando all'unisono, attraversati dal
medesimo respiro o soffio spirituale, pneuma, che crea quella interdipendenza
in virtù della quale ogni singolo accadimento si ripercuoteva su ogni altra
regione del mondo. Simpatia e quindi il
riverbero o l'influenza che un punto colpito da un evento esercita su un altro
situato anche a distanza. L'uomo
zodiacale in un manoscritto medico che illustra le relazioni di simpatia dei
vari organi con le corrispondenti entità del macrocosmo. Supponendo che la
natura formi un tutto ben collegato e coerente che l'intero universo sia uno IL
PORTICO ha raccolto più di un esempio a sostegno di questa tesi. Se si toccano
le corde di una lira, le altre corde risuonano. Le ostriche e tutte le
conchiglie crescono e si restringono di volume insieme alle fasi della Luna. Il
flusso e il riflusso delle maree sono controllati dai moti lunari-- CICERONE,
De divinatione. Secondo Plotino la simpatia è come una singola corda tesa che,
toccata a un'estremità, trasmette il movimento all'altra estremità. Il termine
puo estendersi all'animismo come nell'occultista Bolo di Mende, il quale parla
di consonanze astrologiche, misteriosofiche e alchimistiche tra oggetti
inanimati ed esseri viventi. Nel
Rinascimento l'argomento e affrontato da diversi filosofi, tra cui FICINO (si
veda), Paracelso, CARDANO (si veda), CAMPANELLA (si veda), e PORTA (si veda),
che concepivano un universo animato da reciproche simpatie e antipatie. Essi
traduceno operativamente questa teoria nella pratica della magia naturale,
basata in gran parte sui fenomeni simpatetici. I maggiori teorici del fenomeno della simpatia,
sebbene limitata all'ambito sentimentale dell'essere umano, sono Hume, Smith, e
Scheler. Un ritorno alla concezione cosmica della simpatia si è avuto in
seguito in Schopenhauer, che parla di Mitleid ossia di compassione morale per
la sofferenza altrui, e nella filosofia antroposofica, per la quale la simpatia
compenetra la vita soggettiva dell'anima con sentimenti di attrazione, anti-tetici
a quelli di repulsione che invece rendono possibile il distacco proprio della
conoscenza oggettiva. Simpatia, su treccani; Zapelli, Simpatia, antipatia,
empatia: la regia del pathos, su else-where.it. Empatia, simpatia, contagio
emotivo: le differenze, su tesionline. Festugière, La Révélation d'Hermès
Trismégiste. Plotino, Enneadi; Compagni, La magia naturale: il contributo
italiano alla storia del Pensiero, treccani; Ernst, Il Rinascimento: magia e
astrologia, su treccani, Enciclopedia Treccani - Storia della Scienza; Calogero,
Simpatia, su treccani, Enciclopedia
Italiana. Le forze della simpatia sono poste così in relazione con quelle del
volere, e dell'antipatia con quelle del pensare, cfr. Simpatia-volere;
antipatia-pensare, su anthropos conosci te stesso. Hume, Trattato sulla natura
umana, Bompiani, Milano; Scheler, Essenza e forme della simpatia, Angeli, Milano.
Antipatia Compassione (filosofia) Empatia Intelligenza emotiva Magia simpatica
Polvere di simpatia Similia similibus curantur Sincronicità Sistema simpatico
-- il lemma di dizionario «simpatia» Antropologia Filosofia Psicologia
Categorie: Concetti e principi filosofici Emozioni e sentimenti Magia. Adelfino
Zanini. Keyword: etica della simpatia, simpatia, empatia, impassibile, non
passibile, impatetico, impassionato, compassione --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice and Zanini: the
rhetorics of truth,” The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia; H.
P. Grice, “Zanini,” The Grice Papers, BANC MSS 90/135c, University of
California, Berkeley.
Grice e Zanotti: la ragione conversazionale e la forza viva – filosofia italiana – Luigi
Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Bologna). Filosofo italiano. Saggi: Della forza dei corpi che
chiamiamo la forza viva, Filosofia morale; De viribus centralibus, Bononiae,
Lelio dalla Volpe; Ragionamento sopra la filosofia, Paradossi, Epistolario. Grice: “Z.’s point is conceptual. We call a
body animated. Suppose the king dies – his corpse is that of a dead animal. But
is a dead animal an animal? The whole point of calling an animal ‘animal’ is
that his body is self-animated – i. e. self-moves, as a plant does. Plants,
remember, are alive and animal at heart! Now Z. goes one step further. Instead
of sticking with verbs (‘she walks in beauty like the night’) he goes to render
the thing abstract into what he calls ‘forza’ – so we had to get rid of the
spirit or animus or inspiration. Now we have the élan or ‘vital force’. ‘Forza’
rings the wrong bells, since there is nothing forceful about it. James famously
said to a chair, ‘Move towards me’. ‘I fail.’ While one can animate one’s own
body when one is alive, one cannot animate any other body – Shelley
notwithstanding!” Slancio vitale è un'espressione nota
soprattutto nell'ambito della filosofia francese l’élan vital, di solito usata
nella parapsicologia, nella new Age, nella scienze spirituali e filosofiche e
nella correnti artistiche del dadaismo e del fauvismo. Nella filosofia antica di
Posidonio si ipotizza il concetto di una sorta di forza vitale, ritenuta come
emanata dal sole verso tutte le creature viventi sulla superficie terrestre.
Nelle filosofie orientali si teorizza il ki -- un concetto delle energie
fondamentali dell'universo, di cui fanno parte la natura e le funzioni della
mente umana -- e la kundalini -- un'energia residuale della creazione, meglio
nota come ‘shakti’ che si trova in ogni essere umano. In particolare ‘kundalini’
corrisponde alla forza generativa in contrapposizione alle altre due forme di
energia tradizionali cioè ‘prana’ o energia vitale, e ‘fohat,’ o energia di
movimento. In Occidente la teoria dello
slancio vitale appartiene propriamente alle filosofie vitalistiche sviluppatesi
in opposizione al positivismo e all'idealismo ai quali si rimprovera di aver
ridotto la filosofia ad una riflessione astratta sulla realtà della vita che
dove invece essere definita tornando alla concretezza. Schopenhauer accentra la sua filosofia sulla
volontà di VIVERE, concetto alla base di fenomeni biologici e spirituali che hanno
come loro essenza una forza IRRAZIONALE e cieca che rende vano ogni tentativo
degl’uomini di dare senso e direzione alla loro stessa esistenza.
Contrariamente alla visione pessimista di Schopenhauer, Nietzsche, pur
riconoscendo L’IMPOSSIBILITA DI RAZIONALIZZARE l'esistenza, come e avvenuto da
Socrate in poi, con il risultato di far cadere l'uomo in un rinunciatario
nichilismo, tuttavia profetizza l'avvento di un oltre-uomo capace di accettare
e superare il dolore dell'esistenza ricorrendo alle sue terrestri forze vitali.
L'espressione "slancio vitale" è stata usata specificatamente da Bergson
nel suo Evoluzione creatrice, in cui
affronta la questione della auto-organizzazione e della morfogenesi spontanea
di tutte le cose della natura. Secondo Bergson vi è una continua
differenziazione nello sviluppo della VITA in varie direttrici evolutive, per
esempio lungo la linea organico-inorganico, che spiega l'evoluzione delle forme
viventi. Quando siamo bambini, spiega Bergson, il nostro futuro sviluppo è
caratterizzato da un numero imprecisato di tendenze. Pensiamo di volta in
volta, mentre cresciamo, che faremo il pompiere, il giornalista,
l'esploratore..ecc, ma poi alla fine una sola di queste strade diverrà reale.
Nella natura avviene altrettanto. All'inizio si dipanano molte vie evolutive,
alcune di queste si bloccano, e altre invece proseguono, e la forza vitale, la
spinta creatrice che e nella linea di sviluppo che si è fermata, prosegue,
confluisce e dà forza alle linee che continuano ad evolversi con uno slancio
vitale. È come dire che, dalle scimmie antropomorfe, lo SCIMPANZE [H. P. GRICE,
“READ ‘CHIMP’ LIT.”] rappresenta una linea evolutiva che, all'inizio, continua la
sua evoluzione, che poi si è fermata, mentre lo slancio vitale prosegue in
un'altra direzione che porta all'Homo sapiens. Inizialmente, nell'ambiente
letterario e para-scientifico dei salotti francesi e ipotizzato che l'energia
vitale degl’esseri viventi, vegetali e animali, potesse essere tradotta e
misurata come fosse energia elettrica, orgonica, prendendo spunto dal concetto
bergsoniano di corrente di vita Pur
confermando scientificamente una minima attività bio-elettrica di tutti gl’organismi
viventi, Huxley successivamente ne smente l'analogia con l'élan vital, usando
quest'ultimo termine, energia vitale, in un uso più metaforico. L'effetto più clamoroso della teoria dello
slancio vitale si ha nel campo artistico dove venne ripresa l'idea bergsoniana
che l'uomo dove fare della propria vita una creazione estetica. Le avanguardie
moderne come il dadaismo fanno proprio questo progetto tentando di superare la
distinzione tra l'opera artistica e il suo creatore esprimendo così nell'arte
la loro naturale gioia di vivere (bonheur de vivre). Anche l'espressionismo
risentì di questo aspetto del pensiero di Bergson. Nicola, Atlante illustrato
di Filosofia, Giunti. Un'espressione simile, ‘vital force,’ si ritrova in
Emerson. Fornero, Salvatore Tassinari, Le filosofie, Pearson Italia. Voci
correlate: aura (paranormale) Bergson Ki (filosofia) Kundalini Orgone Vitalismo,
élan vital, su Enciclopedia Britannica. Portale Filosofia: accedi alle voci di
Wikipedia che trattano di Filosofia Categoria: Concetti e principi filosofici. Keywords: forza viva. Refs.: H. P. Grice,
“Zanotti and me,” The Grice Papers, BANC MSS 90/135c, The Bancroft Library, The
University of California, Berkeley. Luigi Speranza, “Grice
e Zanotti: la forza viva,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.
Grice e Zimara: la ragione conversazionale dei peripatetici del lizio,
o la questione del primo cognito -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel
Gruppo di Gioco di H. P. Grice The Swimming-Pool Library (Galatina). Filosofo
italiano. Essential Italian philosopher. Grice: “Z. is a testimony that
Aristotle is popular without Oxford!” Si laurea a Padova e vi insegna. Sindaco di
Galatina. Si reca a Napoli per difendere la città dai soprusi dei Duchi
Castriota. Insegna filosofia a Salerno con la stesura di una guida alle opere
di Aristotele o del liceo o lizio. Cura la pubblicazione di alcune opere di
Alberto Magno e di Giovanni di Jandun. Dizionario
di filosofia. Cantimori, Enciclopedia Italiana. Saggi: Quæstio de primo cognito,
Papie, Iacob de Burgofranco impresse, Studi
galatinesi illustri, Guida Biografica, Tor Graf Galatina, Galatina. Treccani, Enciclopedia italiana. Grice: “It is amazing
how much Zimara loved Aristotle, at least for those who don’t love him that
much!” Grice: “Z. liked to retell the story of why he preferred to refer to
Aristotle’s philosophy as that of the ‘lizio’ – the ‘lizio’ is the antiquated
Italian way and spelling for Hellenic ‘lykaeon.’ This represents Apollo – in
the statue at the gymn -- ginnasio,’ since they were naked -- where Aristotle walked around. ‘Peripato’ is obscene;
lizio rings the right bell, and, also avoids to refer to the thing as
‘Aristotelian,’ avoiding what Frege calls a proper name!” Marco
Antonio (Marcantonio) Zimara o Zimarra o Zima. Zimara. Keywords: Aristotle, il
liceo, la filosofia del liceo, filosofia liceale, lizio, liziale. Refs.: H. P. Grice, The Grice Papers, BANC MSS
90/135c -- Luigi Speranza, “Grice e Zimara: Aristotle within and without
Oxford,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.
Grice e Zini: la ragione conversazionale del ivstvm qvia -- ⸠ -- ivssvm
-- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Firenze). Filosofo italiano. Grice: “Like me, Z. is interested in the
Graeco-Roman concept of ‘ius.’” -- Saggi: Proprietà individuale e proprietà
collettiva, Torino, Bocca, Il pentimento e la morale ascetica, Torino, Bocca; Giustizia:
storia d’una idea – cfr. Grice on ‘justice’ in Thrasymachus – Torino, Bocca, --
cf. Grice, “Justice in Plato’s Republic,” “Social justice,” The Grice Papers
--; La morale al bivio, Torino, Bocca, La doppia maschera dell'universo: filosofia
del tempo e dello spazio, Torino, Bocca, Il congresso dei morti, Roma, Partito
comunista d'Italia, ed. con introduzione di Bergami e prefazione di Nesi, Calabritto,
Mattia e Fortunato; Poesia e verità, Milano, Corbaccio, I fratelli nemici:
dialoghi e miti, Torino, Einaudi, La tragedia del proletariato in Italia:
diario, prefazione di Bergami, Milano, Feltrinelli, Appunti di vita torinese, Firenze,
Olschki, Pagine di vita torinese: note del diario, Torino, Centro studi
piemontesi. Grice enjoyed Z.’s
approach. “Z.’s philosophy on justice is divided in six parts. The first is on the
real and the ideal -- il reale e l’ideale --; the second is “la giustizia come
idea ed emozione” -- fairness as idea and as emotion --; the third, “i frutti
del lavoro e la loro distribuzione scondo giustizia,” The fruits of labour and
their distribution according to fairness; the fourth is “Libertà od
egualiglianza” -- Grice: “Note the ‘od,’ which need not be exclusive” --; the fifth
is “Analissi del merito,” an analysis of merit, and the last is “La pena
riparatrice,” literally the pain that repairs, the punishment that teaches, or
atones.” Grice: “In liberty or freedom versus equality, Zini approaches the ROMAN
attitude, rather brusque to those who rather strike an Anglo-Saxon attitude!” –
Grice: “An apt way to describe the underlying conceptual difference between
"malum in se" and "malum prohibitum" is "iussum quia
iustum" and "iustum quia iussum", namely something that is
commanded (iussum) because it is just (iustum) and something that is just
(iustum) because it is commanded (iussum). In symbols: ivstvm ⸠ ivssvm. Zini. Keywords:
ius, iustum quia iussum. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Zini”; H. P. Grice,
“Justice from Plato to Zini: the history of an idea, alla Berlin,” Luigi Speranza,
The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia, The Grice Papers, BANC
MSS 90/135c, The Bancroft Library, The University of California, Berkeley.
Grice e Zolla: la ragione conversazionale e la discesa d’Enea all’Ade –
filosofia italiana -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Venezia). Filosofo italiano. Essential
Italian philosopher. Saggi: Etica e estetica, Spaziani, Torino, L’eclissi
dell'intellettuale, Bompiani, Milano, Volgarità e dolore, Bompiani, Milano, Le
origini del trascendentalismo, Storia e letteratura, Roma, Storia del
fantasticare, Bompiani, Milano, Le potenze dell'anima: morfologia dello spirito
nella storia della cultura, anatomia dell'uomo spirituale-- cf. Grice, “the
power structure of the soul” -- Bompiani, Milano; Il letterato e lo sciamano, Bompiani,
Milano, Che cos'è la tradizione romana? Bompiani, Milano, Le meraviglie della
natura: introduzione all'alchimia, Bompiani, Milano, Archetipi, Marsilio,
Venezia; L'androg-gino: l'umana nostalgia dell'interezza, Red, Como – GIOVE
ANDROGINO; Incontro con l'andro-gino: l'esperienza della completezza sessuale,
GIOVE ANDROGINO, Como Aure: i luoghi e i riti, Marsilio, Venezia, L'amante
invisibile: l'erotica sciamanica nelle religioni, nella letteratura e nella
legittimazione politica, Marsilio, Venezia, Sincretismo, Guida, Napoli; Verità
segrete esposte in evidenza: sincretismo e fantasia, contemplazione e l’esoterico,
Marsilio, Venezia; Discorsi metafisici, Guida, Napoli; Uscite dal mondo, Adelphi,
Milano; La luce; La ricerca del sacro, Tallone, Alpignano Ioan Petru Culianu,
Tallone, Alpignano, Lo stupore infantile, Adelphi, Milano; Le tre vie, Adelphi,
Milan; Un destino itinerante: conversazioni tra oriente ed occidente, Marsilio,
Venezia; La nube del telaio: RAZIONALITA e irrazionalità tra oriente ed occidente,
Mondadori, Milano; La filosofia perenne: incontro fra oriente ed occidente, Mondadori,
Milano; Catabasi e anastasi, Tallone, Alpignano; La discesa d’ENEA all'Ade –
VIRGILIO (si veda) Adelphi, Milano; La ri-surrezione di BACCO; Minuetto
all'inferno, Einaudi, Torino; Cecilia o la disattenzione, Garzanti, Milano; Il moralista,
Garzanti, Milano; Saggi Bompiani, Milano; La psicanalisi, Garzanti, Milano; Dickinson:
selected poems and letters, Mursia, Milano; Il marchese de Sade, Longanesi, Milano;
Il mistico Vitters, Garzanti, Milano; Melville, Clarel, Einaudi, Torino; Adelphi,
Milano; Hawthorne, Felton o l'elisir della vita, Neri Pozza, Vicenza; Garzanti,
Milano; Il super-uomo e i suoi simboli, Nuova Italia, Firenze; Florenskij, Le
porte regali; Saggio sull'icona, Adelphi, Milano; “Novecento” Lucarini, Roma; L'esotismo
nella letteratura, Nuova Italia, Liguori, Napoli; Il dio dell'ebbrezza:
antologia dei dionisiaci, Einaudi, Torino; Conoscenza religiosa, Storia e
Letteratura, Roma; Gl’arcani del potere: elzeviri, Rizzoli, Milano; Gli usi
dell'immaginazione e il declino dell’occidente, A. I. R. E. Z., Montepulciano; Filosofia
perenne e mente naturale, Venezia; Il serpente di bronzo: scritti ante-signani
di critica sociale, Venezia, Civiltà indigene dell’Italia, Storia e
Letteratura, Roma; Archetipi. Aure. Verità segrete. Dioniso errante. Tutto ciò
che conosciamo ignorandolo, Marsilio, Venezia. Contiene Archetipi, aure e verità
segrete esposte in evidenza e l'introduzione all'antologia Il dio dell'ebbrezza,
Le tre vie. Soluzioni sovrumane, Marchianò, Marsilio, Venezia, La catabasis d’ENEA
– VIRGILIO (si veda). Arrivo a Cuma. Enea cerca la Sibilla. Racconto sulla
fondazione del tempio da parte di Dedalo e descrizione di esso. Acate conduce
la Sibilla Deifobe d’Enea. La Sibilla prescrive sacrifici. L’antro della
Sibilla. La sibilla invoca Apollo. Apollo esorta Enea a non indugiare. Responsi
della Sibilla sui futuri contingenti. Enea chiede alla Sibilla di fargli da
guida per l’oltre-tomba. Deifobe allora gli dice di trovare un ramo d’oro nel
bosco come offerta a Proserpina e di trovare e seppellire un compagno. Acate ed
Enea ritornano dall’antro e trovano Miseno morto. Enea e i suoi compagni vanno
nel bosco per preparare la pira. Appaiono alcune colombe ad Enea e lo guidano
al ramo d’oro. Esequie per Miseno. Sacrifici di fronte all’antro dell'Ade. Al
sorgere del sole Enea e la sibilla s’introducono nella grotta. Invocazione di VIRGILIO
agli dei inferi. Inizia il viaggio agl’inferi. Descrizione del vestibolo, dove
sono raggruppate le personificazioni dei mali e tanti mostri bivaccano: la chimera,
l'idra, i centauri, le scille, le arpie, il centimano Briareo, le gorgoni e
Gerione. Arrivo fino a Caronte. La sibilla dà spiegazioni sulla sorte degli’insepolti.
Enea tra questi scorge Leucaspi e Oronte, i lici periti nella tempesta marina. Enea
scorge Palinuro e chiede della sua fine. Palinuro chiede di essere sepolto. La
Sibilla gli dice che ci penseranno gl’abitanti di quei luoghi sollecitati da
prodigi celesti. I due proseguono. Caronte li rampogna e attacca Enea perché ANIMA
VIVA. La Sibilla lo fa tacere e gli mostra il ramo d’oro. Appare Cerbero, ma la
Sibilla la addormenta con una focaccia. Appaiono i primi morti nell'Ade vero e
proprio, ovvero i bambini e i condannati a morte ingiustamente. Poi i suicidi,
i morti per amore, tra cui Didone. Enea le parla, ma questa se ne va senza
rispondere. Incontro coi morti in guerra, tra cui i compagni d’Enea. Dialogo
con Deifobo, il quale racconta la sua fine, causata dall’inganno di Elena. La
Sibilla tronca la conversazione esortando Enea a raggiungere in fretta i campi elisi.
I due proseguono e vedono il Tartaro, dove sono i giganti, i titani, l’idra, e
gli spiriti di coloro che furono malvagi in vita, tra cui Issione, Piritoo,
Teseo, Flegias, tutti puniti per le loro nefandezze. Ingresso nei campi elisi
dove sono i beati. Museo accompagna Enea da Anchise. Anchise spiega al figlio
la sorte delle anime. Anchise illustra la progenie ROMANA. SILVIO, successore
di ASCANIO, figlio di Enea e Lavinia, Proca, Capys, Numitore, Silvio Enea, ROMOLO,
OTTAVIANO, Numa Pompilio, Tullo Ostilio, Anco Marzio, Tarquinio il Superbo,
Bruto, i Deci, i Drusi, Manlio Torquato, Furio Camillo, GIULIO CESARE, Pompeo,
Lucio Mummio, Lucio Emilio Paolo, Catone -- Censore o Uticense -- Aulo Cornelio
Cosso, i Gracchi, gli Scipioni, Caio Fabrizio Luscino, Serrano, i Fabi, Quinto
Fabio Massimo Verrucoso. Cenni di Anchise su Marco Claudio Marcello, figlio
adottivo e genero d’OTTAVIANO. Anchise profetizza ad Enea le guerre che duove
sostenere e lo accompagna all'uscita dell'Ade. Enea torna dai compagni, coi
quali si imbarca verso Gaeta La guerra latina. Enea alla corte del re Latino, olio
su tela di Bol, Amsterdam, Rijksmuseum. ENEA e i suoi compagni salpano da Cuma
e giungono in un porto della Campania situato a Nord. Qui muore Caieta, la
nutrice di Enea, nell'Esperia. Stanchissimi e affamati -- tanto da mangiare le
mense, piatti di focaccia dura, proprio come avevano previsto le arpie -- sbarcano
alla foce del Tevere. Enea decide quindi di inviare Ilioneo come ambasciatore al
re del luogo, Latino. Questi accoglie con favore l'emissario di Enea, e gli
dice di essere a conoscenza che Dardano, il capostipite del gruppo d’Enea, e
nato nella città etrusca di Corito, ab sede Tyrrena Corythi. Ilioneo risponde:
Da qui ebbe origine Dardano. Qui Apollo ci spinge con ordini continui. In ogni
caso Latino si mostra favorevole ad accogliere Enea e i suoi compagni perché
suo padre, il dio italico Fauno, gli ha pre-annunciato che l'unione di uno straniero
con sua figlia Lavinia genera una stirpe eroica e gloriosa. Per questo motivo,
il re ha in precedenza rifiutato di concedere Lavinia in moglie al re dei
Rutuli, Turno, anche lui semidio in quanto figlio della ninfa Venilia. La
volontà degli dei si manifesta anche attraverso prodigi. La piega che gl’eventi
stanno prendendo non piace a Giunone che con l'aiuto di Aletto, una delle furie,
rende geloso Turno e spinge la moglie del re, Amata, a fuggire nei boschi con
la figlia e a fomentare l'odio verso gli stranieri nella popolazione locale.
L'uccisione d’Almone, colpito alla gola da una freccia durante una rissa fra gl’italici
e Enea e i suoi compagni, provocata dalla furia, scatena la guerra. Turno,
nonostante il parere contrario di Latino, raduna un esercito da inviare contro Enea
i suoi compagni. Il suo alleato principale è Mezenzio, il re etrusco di Cere,
cacciato dai sudditi per la sua crudeltà. Vi sono poi, tra gl’altri, Clauso,
principe dei Sabini, alla testa di un corpo militare particolarmente imponente.
I due semi-dei italici Ceculo e Messapo, figli rispettivamente di Vulcano e
Nettuno, Ufente, capo deg’equi, Umbrone, condottiero dei marsi e noto serparo, Virbio,
re di Aricia e nipote di Teseo, la vergine guerriera Camilla, regina dei volsci.
Sepoltura di Caieta. Enea riparte. Enea e i suoi compagni passano vicino
all’isola di Circe. Enea e i suoi compagni avvistano la foce del Tevere
all’alba, e si fermano. Invocazione di Virgilio a Erato. Racconto sulle origini
del re Latino. Turno vuole in sposa Lavinia, ma i presagi divini fanno esitare
Latino. Qquest’ultimo chiede auspici all’oracolo di Fauno, il quale gli dice di
dare in sposa la figlia a un genero straniero che sta per arrivare. Magro
banchetto di Enea e i suoi compagni, e quindi avverarsi della profezia di
Celeno. Preghiere di Enea cui rispondono tre lampi di Giove. Ambasciata per la
pace inviata a Latino mentre Enea costruisce una cittadella fortificata. Latino
accoglie Enea e i suoi compagni e chiede cosa lo spinga a lui. Ilioneo risponde
che il volere degli dei li ha condotti in quei luoghi. Latino pensa agl’oracoli
di Fauno, li accoglie benevolmente e chiede di far venire Enea esponendo a loro
il vaticinio. Il re ricambia i doni. Giunone scorge le sorgenti case di Enea e
i suoi compagni, se ne duole e promette come dote a Lavinia una guerra; poi si
dirige d’Aletto e la esorta a portare discordia. La Furia si dirige nel LAZIO e
corrompe Amata, moglie di Latino, la quale si lamenta col marito per aver
privato Turno della mano di Lavinia, ma il re non si fa convincere. Amata
impazzisce per la città e porta sua figlia nella foresta. Le altre donne sono
colpite dalla medesima furia e la raggiungono in una specie di baccanale. Aletto
va da Turno prendendo le sembianze della sacerdotessa di Giunone, esortandolo a
guerreggiare con Enea e i suoi compagni, ma Turno la deride. Aletto s’infuria e
lo corrompe, facendo sì che dichiari guerra. Aletto si dirige su Enea e i suoi
compagni. Ascanio sta cacciando, e la furia fa in modo che egli ferisca a morte
UN CERVO SACRO. I contadini allora si armano ed Enea e i suoi compagni
accorrono d’Ascanio. Combattimento tra le due parti. Aletto va trionfante da
Giunone e torna agl’inferi su suo ordine. Giunone fa scoppiare definitivamente
la guerra, mentre Latino si dispera e scaglia una maledizione su Turno. Apertura
delle porte del tempio di Giano da parte di Giunone, poiché Latino non vuole
farlo. Preparativi della guerra. Invocazione alle Muse. Presentazione dei
condottieri italici: Mezenzio col figlio Lauso, Aventino, Catillo, Cora,
Ceculo, Messapo, Clauso, Aleso, Ebalo, Ufente, Umbrone, Virbio, Turno, Camilla.
Zolla. Keywords: fantasticare, Bacco, la discesa d’Enea all’Ade, escatologia,
la tradizione italica, la tradizione romana. Refs.: H. P. Grice, The Grice Papers, BANC MSS 90/135c, The Bancroft
Library, The University of California, Berkeley.
Grice e Zopiro: la ragione
conversazionale a Roma -- arma virvmque cano – l’arma del filosofo a Cumae – filosofia
italiana -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Taranto). Filosofo italiano. Pythagorean. Giamblico. Z.
appears to specialise in mechanical matters, and in particular the design and
construction of weapons. His skills are evidently in demand and there are
reports of him working in places as far apart as Miletus and Cumae. Grice:
“That he is of ‘Hellenic’ – so-called, and thus not properly Roman -- origin is
evident by the fact that his name starts with a ‘Z,’ a letter which Catone
managed to expel from the Latin alphabet. Catone would say: ‘z’ is the sound a
corpse makes just before it becomes one’ – rudely. He probably knew. Giamblico,
of Calcide, seems to have been very familiar with Italian geography, since he
lists all these ‘Pythagoreans,’ who managed to settle (while the sect was
banned in Crotone) all over the place. Taranto is close enough, but it seems
indeed that Z.’s skills led him as far as Cumae. Recall taxis or ubers were
unknown then!’. The concept of a weapon was well known to Aeneas and Hemingway.
In Anglo-Saxon, a weaponed man meant a man, i. e. a man, gender-neutral, with a
penis. Keywords: weapon, arma virvmqve cano -- Luigi Speranza. For Grice’s
Play-Group. The Swimming-Pool Library.
Grice e Zorzi: la ragione conversazionale e l’armonia del mondo --
filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Venezia). Filosofo italiano. Essential Italian
philosopher. Grice: “For some reason, in the Veneto area they cannot pronounce
the /dg/, which becomes /z/ as everyone who is familiar with Giorgone – as in
Quine’s infamous example -- knowa!”. Saggi: L'armonia del
mondo, Campanini, Pensiero occidentale, Bompiani, Milano; De harmonia mundi, Firenze,
Finestra; L'elegante, poema e commento, Maillard, Arché, Milano Paris. Onda, Le
vicende costruttive della chiesa e del convento, Il progetto di Sansovino e il memoriale
di Z.; La teoria ermetica di Z., La chiesa di San Francesco della Vigna e il suo
convento, Venezia, San Francesco della Vigna; Campanini, Le fonti dell’armonia
del mondo di Z., Ca' Foscari”; Campanini, La struttura simbolica dell’armonia
del mondo di Z., Materia Giudaica; Argento, Il cardinale e l'architetto: Aleandro
e il rinascimento adriatico, Apostrofo, Cremona. Grice: “Zorzi is an interesting one, as a proof that, in Italy, they
take the Hebrew language seriously! They call it a classic, even! I wish I had
learned some all those years I boarded at Clifton – especially since I will
later make use of ‘Fiat lux’!” – Grice: “While the concept of ‘harmonia mundi’
may claim a Judaeo-Christian heritage, as the Italians put it – a heritage they
lack! --, it is *so easy* to reconstruct the ‘harmonia mundi’ in purely Aryan,
that is, Pythagorean terms! The root of ‘mundo’ are complex enough, and the
English language lacks the concept, preferring vir-hood, ‘world,’ instead.
‘Harmonia’ is possibly so hellenic that CICERONE never cared to find the proper
Roman indigenous cognate! Zorzi. Keywords: armonia
conversazionale. Refs.: H. P. Grice, The Grice Papers, BANC MSS 90/135c, The
Bancroft Library, The University of California, Berkeley, Luigi Speranza,
“Grice e Zorzi: l’armonia del mondo,” pel gruppo di gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.
Grice e Zucca: la ragione conversazionale e il filosofo di filosofi --
filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool
Library (Villaurbana). Filosofo italiano. Grice: “I
like his surname. Mine means ‘pig;’ his means ‘pumpkin’!” -- zúcca prov. zucs,
sucs; a. fr. suc/cosse/; vuolsi derivi dalla voce popolare cucuzza, v. q. voce,
soppressa la prima sillaba e trasposte le lettere del rimanente. Altri dal gr. sikya,
zucca, Diez. Pianta annuale della
famiglia delle curbitacee con lo stello rampicante, le foglie grandi,
cuoriformi, rotonde, e i frutti buoni a mangiare, grossi e di varia rotondità --
rum. cucurbitu; mod. prov. cougourdo; mod. fr. courge; per similit. La testa
umana; deriv.: zuccata; zucchétta-étto -- quella berretta rossa che portano i
cardinalli -otto-íno-one. Grice:
“The metaphor is an interesting one. I’m not called ‘Grice’ because I look like
a pig, but Zucca _is_ called ‘Zucca’ because, as the dizionario etimologico
puts it – ‘per similit. la testa umana’!" Saggi: L'uomo
e l'infinito, Imola, Sociale; Il lamento del genio: parodia, Sassari, Gallizzi;
Dopo il dolore: canto, Chiari, Rivetti; Il grande enigma, Modena, Formiggini; Le
lotte dell'individuo, Rivista di filosofia, Modena, Formiggini; Essere e non
essere, Rivista di Filosofia; Roma, Formiggini; Pensieri, Rivista sarda, Leggenda
e realtà, Rivista sarda, Ardigò [si veda] e il vescovo di Mantova: un'intervista
nel sogno, Rivista sarda, Roma, Ferri; Un filosofo di un filosofo, Mediterranea;
I rapporti fra l'individuo e l'universo, Padova, Milani. Antioco Zucca. Zucca.
Keywords: un filosofo di un filosofo. Refs.: Luigi Speranza, “Un filosofo di un
filosofo: Grice e Zucca,” -- H. P. Grice, The Grice Papers, BANC, MSS The
Bancroft Library, The University of California, Berkeley. Luigi Speranza, The Swimming-Pool Library, for
the Anglo-Italian Club, Villa Speranza, Liguria.
Grice e Zubiena: la ragione conversazionale e l’implicatura demoniaca --
corpi e corpi -- filosofia fascista – filosofia italiana – Luigi Speranza, pel
Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Torino). Filosofo
italiano. Grice: “Perhaps without knowing it, Z. has explored a crucial concept
in Graeco-Roman philosophy, that of ‘daimone,’ – ‘il demoniaco,’ as Z. calls
it, focusing on its iconography. One may call Z. the Italian G. W. H. Parkinson.
Like Parkinson, Z. edits a volume on ‘semantics.’ I would also call him the
Italian A. G. N. Flew. Like Flew, Z. edits a volume on “Language and
philosophy.” Z. bears what Italians, and everybody else, for that matter, call
a ‘topographical’ cognomen. ‘Zubiena,’ being a comune nella
provincia di Biella, Piemonte.” Insegna a Roma. Fonda l'archivio di filosofia e
organizza i colloqui Castelli. Z. should have called these colloquia the Z.
colloquia --, incontri che riuniscono filosofi per discutere temi diversi. Vicino
all'esistenzialismo, Z. parte da una posizione spiritualista. Si caratterizza
per uno stile filosofico dal tratto auto-biografico. Si interessa di temi
legati al rapporto tra RAGIONE, arte, e religione. Introduce il dibattito sulla de-mitizzazione.
In general, since Evola, Italian philosophers should know better, and avoid the
Greek or Hellenic mystic concept of the ‘mythos’ and replace it for the very
relatable one of ‘legend.’ In Z. convergono suggestioni
tratte da Agostino, Kierkegaard, Šestov, e Heidegger, in una ricerca volta a
delineare una filosofia della storia italiana sulla base della considerazione
del concetto di peccato – ‘that Cicerone lacked’ -- Grice. Nei colloqui Z. convenneno filosofi di rilievo
della scena fenomenologica ed ermeneutica. Vi fanno la loro comparsa Gouhier,
Breton, Brun, Bruaire, Tilliette, Lacan, Ricœur, Lévinas, Ellul, Argan,
Starobinski, Benveniste, Eco (si veda) Scholem, Vahanian, e Giannini (si veda).
Z. prende il suo posto, come organizzatore dei colloqui e direttore dell'archivio
di filosofia, Olivetti. Panikkar e suo grande amico e collaboratore. Saggi: Il
tempo esaurito, Bussola, Roma; Presupposti di una filosofia della storia, Milani,
Padova; Il demone, Electa, Milano – cf. H. P. Grice on J. L. Ackrill on
eudaemon and kakodaemon --, Pensieri e giornate, Milani, Padova; Simbolo e
immagine, Rinascimento, Roma; Il tempo invertebrato, Milani, Padova; Paradossi
del senso commune, Milani, Padova – cf. H. P. Grice, “The Philosopher’s
Paradoxes and common sense”; La de-mitizzazione, Milani, Padova, Il tempo inqualificabile,
Milani, Padova; Diari, Milano, archivio di filosofia, Padova, Olivetti, La
filosofia cristiana, Città Nuova, Roma; Prini, L'esistenzialismo teologico, Filosofia
cattolica, Laterza, Roma. Enciclopedia Treccani, Sapienza Roma, Filosofia della
religione, esistenzialismo teologia razionale. Archivio di filosofia. Sichirollo,
Enciclopedia italiana, appendice, Roma, istituto dell'Enciclopedia Italiana, Episcopale
Italiana. Enrico Castelli Gattinara di Zubiena. Keywords: simbolo; parabola;
diavolo; l’individuo e lo stato, la corporazione, demonio, vita beata. Refs.:
Luigi Speranza: “Grice, Flew, Parkinson, and Zubiena,” Luigi Speranza, “Grice e
Zubiena: implicature demoniache,” pel gruppo di gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.
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