Grice e Dalmasso: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale della giustizia nel discorso – scuola
di Milano – filosofia milanese – filosofia lombarda -- filosofia italiana –
Luigi Speranza (Milano). Filosofo milanese. Filoofo lombardo. Filosofo
italiano. Milano, Lombardia. Grice: “Dalmasso is what at Oxford we call a
‘derivative’ philosopher, and at Cambridge a ‘Derrideian’! But he’s written some original work too, mostly as editor, as in “La
passione della ragione” – he has also explored ‘discourse’ in terms of
‘rationality’ and ‘fairness’ – In my model, both conversationalists are
symmetrical, so questions of unfairness do not apply! I took the inspiration
from Chomsky!” – Si laurea a Milano. Insegna a Calabria, Roma, Pisa, e
Bergamo. Membro della Societa Italiana di Filosofia Teoretica. Studia Derrida, ha commentato “La voix et le phénomène” e “De la grammatologie
(Jaca Book). Comments
on “L’offerta obliqua” e “Passioni” --Dai problemi del soggetto del discorso e
della genesi del segno nel dibattito sul nichilismo i suoi interessi si sono
rivolti alla ragione in rapporto all'etica e Hegel. Pubbllica in Oltrecorrente,
di Magazzino di Filosofia. Altre opere: Hegel, probabilmente. Il movimento del
vero (Milano: Jaca).Hegel e l'Aufhebung del segno, Chi dice io. Chi dice noi
(duale). L’implicatura del noi duale. Razionalità e nichilismo, Jaca, Milano, La
passione della ragione. Il pensiero in gabbia. La politica dell’imaginario, la
verita in effetti. La sovranita in legame. Etica e ontologia: fatto, valore,
soggetto, l’interosoggetivo. Il tra noi. Di-segno – la giustizia nel discorso. Hegel
e l’Aufhebung del SEGNO. L'implicatura del noi duale. L’intreccio fra sapere
e ragione Il tema della filosofia di D. riguarda la domanda originaria.
Domanda e origine sono problemi del pensiero che, fin dall’inizio
della filosofia, non costituiscono un approccio di controllo e di dominio
dell’esistenza, quanto piuttosto un ripiegamento su sé stessi che
si interroga sulla propria genesi. In termini meno esistenziali e
più antichi tale questione occupa il posto dell’anima. Dalla consapevolezza
dell’incombere della morte nel primo stasimo dell’Antigone al costituirsi,
per così dire, di un’interiorità nella sofistica e in Platone, l’anima
(animatum) ha funzionato come principio originario in una forma diversa
che il dominio. Principio che annoda e che manifesta, secondo vie
non solo immediate e speculari, il logos (la ragione), il noein come conoscenza
e misura di un ordine. Quando il nous, attraverso Aristotele, acquista
tutto il suo sviluppo concettuale e strategico, nel pensiero
tardo-antico, a partire da Plotino, l’ anima rimane ed è ribadita
come il luogo e il venire a coscienza del rapporto con lo stesso “nous,”
cioè con il formularsi dell’originario (uno, bene o atto che
sia). Grice e D. scelgono di leggere Bradley e Hegel. Scelta motivata
da loro interessi di ricerca, ma anche, più ampiamente, dall’attualità
di un linguaggio che è in grado di riformulare questioni sull’assetto
moderno del sapere e sul soggetto – e l’intersoggetivo -- di tale sapere.
Su un ‘noi’ duale, che, nella esplicita strategia hegeliana, articola
e raddoppia il ruolo di due anime. Sapere su di un noi duale è comunque
per Hegel un sapere sulle strutture di un noi duale chi, che sono in grado
di formulare una domanda originaria. Il testo, di cui Bradley
propone alcune note essenziali di commento, riguarda i paragrafi
dalla “Psicologia razionale”della Filosofia dello Spirito contenuta
nella edizione dell’Enciclopedia. A differenza dell’“antropologia”,
in cui due anime sono considerate come l’aspetto immediato della
vita dello spirito (le due anime considerate come il sonno dello spirito,
problemi del rapporto delle due anime con I due corpori, questioni del
sonno, della veglia, delle sensazioni ecc.) la Psicologia non è scienza
delle due anima, ma scienza del sapere intorno alle due anime, cioè
scienza veramente tale, nella sua portata concettuale. Per Bradley e
Hegel, ‘scienza’, Wissenschaft, ogni scienza, e soprattutto quella
scienza massimamente rigorosa che è la filosofia (‘regina
scientiarum) è scienza sempre di secondo grado: scienza che controlla e
che ha come oggetto la sua stessa genesi. La filosofia e la regina
scientiarum, la scienza che misura il negativo rispetto al suo assunto
e al suo stesso metodo, scienza che è in grado di smarcarsi dal piano del
suo stesso sapere e di comprendere il rapporto dinamico, generativo
e mai astrattamente “speculare” o reflessivo delle due anime, in cui la inter-conoscenza
si costituisce. Così, nel caso del testo commentato da Bradley, i contenuti
della psicologia sono curiosamente tutti diversi da quelli che nell’assetto
della fine dell’Ottocento e del primo Novecento ci si aspetterebbe da
una psicologia del tipo elaborato a Oxford dai Wilde lecturer in ‘mental
philosophy”: Stout, -- cf. Prichard – cit. da Grice, “Intention and
dispositions”. La psicologia filosofica o razionale non è scienza delle
leggi delle anime o psichai, ma del movimento generativo delle leggi
delle anime o delle psichai. I testi che sono oggetto del commento di
Bradley sono, come Bradley nota, estremamente difficili. Prima di cominciare
Bradley fa qualche rilievo sul problema della difficoltà in generale
nella lettura del testo di Hegel. La questione si pone secondo tre punti
di vista. Innanzi tutto come questione della natura e della destinazione
del testo. Ad esempio l’ “Enciclopedia delle scienze filosofiche”, nel
nostro caso, è pensata come un riassunto delle lezioni per i ‘tuttee’.
In secondo luogo il problema del significato espresso, del voler dire
del discorso hegeliano. In terzo luogo, che è quello decisivo, la questione
del metodo di composizione del testo di Hegel, metodo che riguarda,
d’un colpo solo, due anime: mittente e recipiente. Questioni, dette altrimenti,
di sintonizzarsi con il testo che, per quanto riguarda il metodo
filosofico di Hegel, non può essere altro che ripercorrere l’elemento
generativo del significato di ciò che Hegel explicitamente communica.
Senza di questo incessante ripercorrimento a livello della genesi
del testo, il suo ‘segnato’ posse appare incomprensibile o appiattito.
Appiattito come su di una superficie, in modo che il gioco delle interpretazioni
del tutee, anche nel caso si tratti di studioso molto qualificato, tende
spesso a sbizzarrirsi in grovigli di ipotesi filologiche o di carattere
ideologico-metafisico. Il minimo comun denominatore è la perdita
del nesso fra il segnato di ciò che è detto nel testo con li movimento generativo
di tale segnato. Così si può separare perfino il concetto di negativo
dal concetto di generazione sovrapponendo l’uno sull’altro e rendendo
incomprensibili entrambi. Questione che si pone in modo non infrequente,
anzi malessere spesso diffuso anche nel commento di Bradley. Iniziamo
la lettura partendo dalle prime righe. Lo spirito si è determinato
divenendo la verità dell’anima e della coscienza, cioè la verità di
quella totalità semplice e immediata e di questo sapere. Adesso
il sapere, in quanto forma infinita, non è più limitato da quel contenuto,
non sta in rapporto con esso come con un oggetto, ma è sapere della
totalità sostanziale, né soggettiva né oggettiva, ma intersoggetiva. ll
problema del rapporto fra il sapere e la ragione inaugura qui il dibattito
sulla scienza della psiche. L’intreccio fra sapere e ragione inizia a
dipanarsi nel paragrafo seguente: L’anima è finita nella misura
in cui è determinata immediatamente, cioè determinata per natura.
La coscienza è finita nella misura in cui ha un oggetto. Lo spirito
è invece finito, “insofern ist endlich,” nella misura in cui esso, nel
suo sapere (in seinem Wissen) non ha più un oggetto, ma una determinatezza,
nel senso che è finito per via della sua immediatezza e — che è la stessa
cosa — perché è soggettivo, è cioè come il Concetto. Lo spirito è finito
nella misura in cui esso, nel suo sapere, non ha più un oggetto, ma una
determinatezza. Lo spirito sembra essere quell’attività in grado di
contenere e controllare l’intreccio fra la ragione e il sapere,
anche se ora solo nella forma dell’immediatezza. L’intreccio si organizza
su due poli: la ragione e il sapere. Essi si implicano reciprocamente.
A seconda che si consideri come concetto la ragione o il sapere.
Qui è indifferente ciò che viene determinato come concetto dello spirito
e ciò che viene invece determinato come realità o “Realität” di questo
concetto. Se infatti la ragione assolutamente infinita, oggettiva,
viene posta come concetto dello spirito, allora la realità è il sapere,
cioè l’intelligenza; se invece è il sapere a essere considerato
come il concetto, allora la realità del concetto è questa ragione e la
realizzazione (Realisierung) del sapere consiste nell’appropriarsi
della ragione. La finitezza dello spirito pertanto consiste in
ciò: il sapere non comprende l’Essere in-sé-e-per-sé della sua ragione.
In altri termini: la ragione non si è manifestata pienamente nel sapere.
C’è un dislivello dunque strutturale con la ragione che funziona nel
sapere. Dislivello strutturale che per i greci era invece costituito
dal rapporto fra il sapere e la verità. Comunque la realtà, considerata
come realtà del sapere o come realtà della ragione, si costituisce e funziona
per Hegel come un farsi che è un intreccio inestricabile. Una purità e
verginità dell’origine è introvabile. La questione di un sapere
dello/sullo spirito si articola ulteriormente nel paragrafo. Il procedere
dello spirito è sviluppo (“Entwicklung”) nella misura in cui la sua esistenza,
il sapere, ha entro se stessa l’essere — determinato in sé e per sé,
cioè ha per contenuto, “Gehalte,” e per fine, “Zweck” il razionale,
“Vernunftige.” L’attività di trasposizione è dunque puramente e soltanto
il passaggio formale nella manifestazione e, in questa, è ritorno
entro sé, “Rückkehr in sich.” Nella misura in cui il sapere, affetto
dalla sua prima determinatezza, è soltanto astratto, cioè formale, la
meta dello spirito è quella di produrre il ri-empimento oggettivo, “die
objective Erfüllung hervorzubringen,” e quindi, a un tempo, la libertà
del suo sapere. In questo testo il movimento del sapere e il suo saperne
si articola come questione della conoscenza dell’originario. Tale
questione, che ha la forma del ritorno, è pensabile come libertà. L’avventura
dello spirito che è sempre un appropriarsi, un far proprio, qui, e secondo
la radicalità della sua struttura, funziona come appropriarsi del sapere
e coincide con l’avventura della libertà. Il cammino dello spirito
consiste pertanto nell’essere spirito teoretico, cioè nell’avere
a che fare con il razionale nella sua determinatezza immediata, e di
porlo adesso come il suo. Il cammino consiste innanzi tutto nel liberare
il sapere dal presupposto e, con ciò, dalla sua astrazione, e rendere
soggettiva la determinatezza. Poiché in tal modo il sapere è in sé e
per sé determinato come sapere entro sé, e poiché la determinatezza
è posta come la sua, quindi come intelligenza libera, il sapere
è volontà, spirito pratico, il quale innanzi tutto è anch’esso
formale. Il sapere a un contenuto che è soltanto il suo. Esso vuole immediatamente,
e adesso libera la sua determinazione di volontà dalla soggettività e
l’intersoggetivita che la condiziona come forma unilaterale del proprio
contenuto. In tal modo gli spiriti divieneno come spiriti liberi,
nel quale è rimossa quella doppia unilateralità. Lo scorcio teorico fornito
in questo paragrafo merita una puntualizzazione. Abbiamo in precedenza
accennato alla cornice della psicologia filosofica o razionale come progetto
scientifico: scienza delle anime che si pone come scienza dei fattori generativi
delle anime. Il percorso dei spiriti che si sforzano di conoscere
se stessi, che tentano di comprendere l’esperienza della lor libertà,
che nella Fenomenologia dello spirito prende la via della morale come
storia, in queste pagine prende la via della psicologia come scienza
della libertà. Che il sapere possa afferrare se stesso, possa appropriarsi
di sé. La strategia hegeliana implica che l’originario, per i soggetti
(l’intersoggetivo) e per il sapere, funzioni e sia conoscibile come effetto
di questo appropriarsi che è etico, pratico. Se non si pensa il significato
del sapere e di suoi soggetti come etico, pratico, i soggetti del sapere
si dibatteno «in una bi-lateralità»: la rappresentazione che i soggetti
fano di sé come suoi e l’immediatezza di tale rappresentazione. Le
libertà dell’anime è pensabile come lo spiazzamento in cui i soggetti
del sapere conosceno il loro essere fatto, nonostante e attraverso
il loro co-fare (co-operare) impossibilitato a cogliere l’identità fra
sé e le loro immagini. Questa divisione e dislivello interno che è
l’impossibilità di cogliere l’origine del proprio costituirsi è per
Hegel l’Intelligenza (cf. H. L. A. Hart, su Holloway, “Language and
Intelligence” – Signs). Nel montaggio linguistico di questo testo tale divisione
e tale dislivello vanno ad occupare il posto della classica opposizione
fra il dentro e il fuori. L’intelligenza, in quanto è questa unità
concreta dei due momenti — vale a dire, immediatamente, di essere ricordata
entro sé in questo materiale esteriormente essente, e di essere immersa
nell’essere fuori-di-sé mentre entro sé si interiorizza col proprio
ricordo —, è intuizione. Il cammino dell’Intelligenza sta proprio
nel battere in breccia l’opposizione fra il dentro e il fuori. Le
intelligenza, quando ricordano inizialmente l’intuizione, poneno
il contenuto del sentimento nella propria interiorità, nel loro proprio
spazio e nel loro proprio tempo. In tal modo il contenuto è immagine,
liberata dalla sua prima immediatezza e dalla dualità astratta rispetto
all’altro soggetto, in quanto essa è accolta nella dualità del noi. Questo
battere in breccia, visto dal punto di vista dell’intelligenza, è l’immagine.
L’intelligenza possiede dunque le immagini. L’intelligenza è il
Quando e il Dove dell’immagine. L’immagine è per sé “trans-eunte”,
nomade, da una anima ad altra anima, e
l’intelligenza stessa, in quanto attenzione, è il tempo e anche lo spazio,
il Quando e il Dove, dell’immagine. L’intelligenza però non è
soltanto la co-scienza e l’esserci delle proprie determinazioni,
bensì, in quanto tale, ne è anche i soggetti e l’In-sé. Ricordata nell’intelligenza,
perciò, l’immagine non è più esistente, ma è conservata inconsciamente.
Nell’Anmerkung dello stesso paragrafo Hegel inaugura la metafora del
pozzo notturno per definire il funzionamento dell’intelligenza
come un luogo in cui sono conservate immagini e rappresentazioni che
l’intelligenza stessa non conosce. Hegel prosegue la sua indagine
attraverso una sorta di tiro incrociato fra intuizione ed immagine,
mettendo in azione uno stile agostiniano alla “De magistro” d’AGOSTINO.
Anche la nozione, classica, di “re-praesentatum,” il rappresentato, entra,
ricompresa e ripensata, come dall’interno, nel movimento produttivo
dell’intelligenza. La nozione di “memoria,” come stato
temporario totale, è anch’essa ripercorsa, nella sua struttura classica,
come movimento attivo e imprendibile, funzionante nell’intelligenza
e produttiva di essa, in una svolta decisiva del paragrafo. L’intelligenza
è la potenza che domina sulla riserva di immagini e IL RAPPRESENTATO che
le appartengono. Essa è quindi congiunzione e sussunzione libera
di questa riserva sotto il contenuto peculiare. L’intelligenza si
ricorda ed interiorizza in modo determinato entro quella riserva,
e la plasma immaginativamente secondo questo suo contenuto. Essa
è quindi fantasia, immaginazione SIMBOLIZZANTE, allegorizzante o
poetante. Questa formazione immaginativa più o meno concrete,
più o meno individualizzate, e ancora delle sintesi nella misura in
cui il materiale, in cui il contenuto inter-soggettivo conferisce
un esserci a IL RAPPRESENTATO , proviene dal trovato, “dem Gefundenen,”
dell’intuizione. Passività, evidenza, sorpresa di fonte al darsi originario
delle cose riguarda perciò per Hegel un movimento che ha come suo elemento
lo scenario dell’inte-rsoggetività. Il trovato dell’intuizione, incontro,
evidenza, accoglienza della realtà è pensabile in un registro che è
già una traduzione, un ‘trans-latum.” È nel registro di una traduzione (“trans-latum”)
che nel percorso di questo testo di Hegel, di una traduzione (trans-latum)
del fuori nel dentro e viceversa, che si può avvistare ciò in filosofia
si chiama realtà. Quando l’intelligenza, in quanto ragione,
parte dall’appropriazione dell’immediatezza trovata entro sé, cioè
la determina come un “universale”, ecco allora che la sua attività razionale
procede dal punto attuale, “dem nunmehrigen Punkte,” a determinare
come essente ciò che in essa si è sviluppato in auto-intuizione concreta,
procede cioè a rendere se stessa essere, cosa, il reale. L’intelligenza
stessa così si fa essente, si fa cosa, si fa il reale. Quando è attiva
in questa determinazione, l’intelligenza si estrinseca, “aussernd,”
produce, “produzierend,” intuizione. E fantasia che si esprime in un
“SEGNO” -- “ZIECHEN machende Phantasie,” token-making fantasy – fantasia
che fa SEGNO, fantasia che SEGNA.—L’intelligenza e fantasia che SIGNI-fica. L’intelligenza
esiste in quanto fantasi. Tesi non immediatamente prevedibile nel
dispositivo, intricato, di questo percorso hegeliano. Tesi cui
pure spinge, con rigorosa necessità, questa analisi scientifica delle
anime. Una anima, A, SEGNA, l’altra, B, passivamente CAPISCE. Questo testo di Hegel innesca consapevolmente
una polemica ed anche una ri-formulazione metodologica radicale
nei confronti della tradizione empirista, dei sensisti, di Condillac
e degli ideologues. Attraverso le scorribande dell’intelligenza
fra sapere e “SEGNO” (ZEICHEN – inglese ‘TOKEN’ -- , la fantasia che fa SEGNO,
la fantasia che SEGNA –SIGNI-FICA), scienza e realtà, attraverso e al di là
della dialettica fra il positivo e il negativo, fra i soggetti e la
verità ecc, Hegel afferma che l’intelligenza è il suo atto. Esistere
non è l’immediatezza di un che rispetto a se stessi, ma è l’atto in
cui, in un contenuto determinato, l’intelligenza si rapporta a se
stessa. La fantasia è il punto centrale in cui l’universale e
l’essere, il proprio e il trovato, l’interno e l’esterno – cf. Bradley,
relazione interna, relazione esterna -- sono perfettamente unificati. Le
sintesi precedenti dell’intuizione, del ricordo ecc., sono unificazioni
del medesimo momento, tuttavia si tratta pur sempre di sintesi. Solo
nella fantasia l’intelligenza non è più come il POZZO indeterminato
e come l’universale, bensì è come singolare, cioè come inter-soggettività
CONCRETA nella quale l’relazione è determinata sia come essere sia
come universale.L’intelligenza è inte-rsoggettività concreta solo nella
fantasia con-divisa. Tale questione è chiarita dal seguito della stessa
Anmerkung. Tutti riconoscono che le immagini della fantasia costituiscono
tali unificazioni del proprio e dell’interno dello spirito con l’elemento
intuitivo. Il loro contenuto ulteriormente determinato appartiene
ad altri ambiti, mentre qui questa fucina interna va intesa soltanto
secondo quel momento astratto. In quanto attività di questa unione,
la fantasia è ragione, ma è ragione formale, solo nella misura in cui
il contenuto in quanto tale della fantasia è indifferente. La ragione
in quanto tale, invece, determina a verità anche il contenuto. Nell’ “Anmerkung”
successiva nello stesso paragrafo Hegel opera la svolta decisiva nel
percorso che qui ci interessa: In particolare bisogna ancora
rilevare questo fatto. Poiché la fantasia porta il contenuto interno
a immagine e a intuizione, e ciò viene espresso dicendo che essa lo determina
come essente, non deve sembrare sorprendente l’espressione secondo
cui l’intelligenza si fa essente, si fa cosa, si fa il reale. Il contenuto
dell’intelligenza, infatti, è l’intelligenza stessa, e lo è altrettanto
la determinazione che essa gli conferisce. L’immagine prodotta
dalla fantasia è inter-soggettivamente intuitiva, mentre è NEL SEGNO
(ZEICHEN, inglese‘token’) che la fantasia aggiunge a ciò l’autentica
intuibilità – “eigentliche Anschaulichkeit.” Nella memoria meccanica,
poi essa completa in sé questa forma dell’essere. L’immagine solo
nel “SEGNO” (Zeichen, token) è autentica intuibilità di ciò che è. L’essente
è coglibile come “SEGNO” (Zeichen, token), non come dato, come dono. Dato e
dono non sono pensabili. Ma neppure sperimentabili nella forma della
presenza, cioè in un darsi -- che, in termini hegeliani, è la materia
dell’intuizione. Essi sono già trascritti nel contenuto interno dell’intelligenza,
cioè come un SEGNO (Zeichen, token). L’elemento imprendibile, enigmatico
della conoscenza è IL SEGNO (Zeichen, token) e non il dato, il dono. Nella
struttura di questo testo Hegel afferma che il non proprio, il non nostro
sovrasta e spiazza nella forma di IL SEGNO (Zeichen, token), non nella forma
del dono. In questa unità, procedente dall’intelligenza, di una RA-PRESENTAZIONE
-- rappresentazione autonoma -- “selb-ständiger Vorstellung,” e di
una intuizione, la materia dell’intuizione è certo innanzitutto un
qualcosa di accolto, di immediato e di dato – “ein aufgenommenes,
etwas unmittelbares oder gegebenes” -- per esempio il colore della
coccarda e affini. In questa identità però l’intuizione non ha il valore
di RA-PRESENTARE -- rappresentare positivamente e di rappresentare
se stessa, bensì di rappresentare qualcos’altro. Essa è un’IMMAGINE che
ha ricevuto entro sé una RA-PRESENTAZIONE -- rappresentazione autonoma
dell’intelligenza come anima, che ha ricevuto, cioè, IL SUO SEGNATO. Questa
intuizione è il SEGNO (Zeichen, token). L’intuizione, rapportata scientificamente
alla sua origine, ha la forma del SEGNO (Zeichen, token). Tale forma ha una
struttura che coinvolge i termine stessi dell’intelligenza. L’intelligenza
sembra funzionare in una deriva di cui IL SEGNO (Zeichen, token) costituisce
una sorta di cerniera, snodo in cui l’intelligenza stessa è tolta-conservata.
L’intuizione che immediatamente e inizialmente è qualcosa di dato
e di spaziale -- “gegebenes und raumliches” -- una volta IMPIEGATA COME
SEGNO (Zeichen, token) riceve la determinazione essenziale di essere
soltanto come intuizione rimossa. Questa sua negatività è l’intelligenza. Perciò
la figura più autentica dell’intuizione, che è un SEGNO (Zeichen,
token), è di essere un esserci nel tempo: un dileguare -- “Verschwinden”
-- dell’esserci mentre l’esser ci è. Inoltre, secondo la sua ulteriore
determinatezza esteriore, psichica, la figura più vera dell’intuizione
è un essere-posta dall’intelligenza, esser-posta che viene fuori dalla
naturalità propria, antropologica, dell’intelligenza stessa: è il tono,
“Ton,” cioè l’estrinsecazione riempita dell’interiorità annunciantesi.
Il “tono” che si articola ulteriormente in vista del rappresentato determinate
è il dis-corso –dis-cursus – general principles of rational discourse -- e un
sistema del discorso è la communicazione – CO-MUNIO. In questo ambito il
“tono” conferisce a una sensazione, una intuizione e un rappresentato
un *secondo* (duale) esserci, più
elevato dell’esserci immediato. In generale conferisce loro un’esistenza
che ha valore nel regno dell’attività rappresentativa – che RA-PRESENTA.
Questo progetto hegeliano di una scienza della psiche tenta qui un ulteriore
radicale approccio alla genesi dell’intelligenza. L’intuizione,
in quanto funzionante come SEGNO (Zeichen, token), riceve la determinazione
essenziale di essere soltanto come intuizione rimossa – “ZU EINEM
ZEICHEN GEBRAUCHT WIRD, DIE WESENTLICHE BESTIMMUNG NUR ALS AUF-GEHOBENE ZU
ZEIN. In questo esser rimosso, tolto-conservato dell’intuizione sta
l’origine dell’intelligenza. La negatività di cui essa è fatta si intreccia
strutturalmente alla nozione di tempo. L’intuizione non è dominabile
da due soggetti se non nella forma del dopo, un dileguare dell’esserci
mentre esserci è. Quell’altro intreccio che costituisce l’intuizione,
l’intreccio fra il dentro e il fuori si esprime nel “tono,” suono articolato.
Il tono, visto in rapporto ad una rappresentazione determinata, è il
discorso --“Rede”, inglese ‘Read’ -- e il sistema del discorso è la lingua
-- Sprache, inglese ‘Speak’ -- e la communicazione – COM-MUNIO. A questo
punto del suo percorso la strategia di Hegel si incontra con il privilegio
greco e platonico accordato all’espressione, IL VERBUM – LA LOQUENZA --
la parola, al logos in quanto vivente pronunciato, DETTO -- dictum –
cf. indice, segnalato, segnato. Come nel “Cratilo” di Platone, anche in Hegel
l’espressione come SEGNO è centrale nella vita dell’intelligenza, ma di
una centralità che occupa il luogo di un movimento originario ed imprendibile. Per
un commento critico ed esplicativo dei paragrafi della «Psicologia»
nella sezione sullo «Spirito soggettivo», anche per ciò che concerne
le fonti di Hegel e la saggistica relativa, cfr. La «magia dello spirito»
e il «gioco del concetto». Considerazioni sulla filosofia dello spirito
soggettivo nell’Enciclopedia di Hegel, Milano, Guerini e Associati.
Uso la recente traduzione di Cicero (Enciclopedia delle scienze filosofiche
in compendio, Milano, Rusconi) che ritengo puntuale ed avvertita
delle questioni poste dal testo, nonostante la discutibilità di alcune
soluzioni su cui per altro pesa in certa misura la resistenza ad abbandonare
traduzioni familiari e consolidate. “Hegel e l’Aufhebung del segno.” L’intreccio
fra sapere e ragione Il tema di questo colloquio riguarda la domanda
originaria. Domanda e origine sono problemi del pensiero che, fin
dall’inizio della filosofia, non costituiscono un approccio di controllo
e di dominio dell’esistenza, quanto piuttosto un ripiegamento su
sé stessi che si interroga sulla propria genesi. In termini meno esistenziali
e più antichi tale questione occupa il posto dell’anima. Dalla consapevolezza
dell’incombere della morte nel primo stasimo dell’Antigone al costituirsi,
per così dire, di un’«interiorità» nella Sofistica e in Platone, l’anima
ha funzionato come principio originario in una forma diversa che il
dominio. Principio che annoda e che manifesta, secondo vie non solo
immediate e speculari, il logos, il noein come conoscenza e misura
di un ordine. Quando il nous, attraverso Aristotele, acquista tutto
il suo sviluppo concettuale e strategico, nel pensiero tardo-antico,
a partire da Plotino, l’ anima rimane ed è ribadita come il luogo e il
venire a coscienza del rapporto con lo stesso nous, cioè con il formularsi
dell’originario (Uno, Bene o Atto che sia). Scelgo di leggere
Hegel. Scelta motivata da miei interessi attuali di ricerca, ma
anche, più ampiamente, dall’attualità di un linguaggio che è in grado di
riformulare questioni sull’assetto moderno del sapere e sul soggetto
di tale sapere. Su un io, che, nella esplicita strategia hegeliana, articola
e raddoppia il ruolo dell’anima. Sapere su di un io è comunque per
Hegel un sapere sulle strutture di un chi, che è in grado di formulare
una domanda originaria. Il testo, di cui intendo proporre alcune
note essenziali di commento, riguarda i paragrafi della “Psicologia”,
sezione della “Filosofia dello Spirito” contenuta nella edizione
dell’ “Enciclopedia.” A differenza dell’ “Antropologia”, in cui l’anima
è considerata come l’aspetto immediato della vita dello spirito
(anima considerata come il sonno dello spirito, problemi del rapporto
dell’anima con il corpo, questioni del sonno, della veglia, delle sensazioni
ecc.), la Psicologia non è scienza dell’anima, ma scienza del sapere
intorno all’anima, cioè scienza veramente tale, nella sua portata
concettuale. Per Hegel scienza – “Wissenschaft” -- ogni scienza, e soprattutto
quella scienza massimamente rigorosa che è la filosofia, è scienza
sempre di secondo grado: scienza che controlla e che ha come oggetto la
sua stessa genesi. Scienza che misura il negativo rispetto al suo assunto
e al suo stesso metodo, scienza che è in grado di smarcarsi dal piano del
suo stesso sapere e di comprendere il rapporto dinamico, generativo
e mai astrattamente speculare, in cui la conoscenza si costituisce.
Così, nel caso del testo che stiamo per commentare, i contenuti della
psicologia hegeliana sono curiosamente tutti diversi da quelli che
nell’assetto della fine dell’Ottocento e del primo Novecento ci si
aspetterebbe da una psicologia in senso moderno e scientifico. La
psicologia non è scienza delle leggi della psiche, ma del movimento generativo
delle leggi della psiche. I testi che sono oggetto del mio commento
sono, come è noto, estremamente difficili. Prima di cominciare vorrei
fare qualche rilievo sul problema della difficoltà in generale nella
lettura del testo di Hegel. La questione si pone secondo tre punti di
vista. Innanzi tutto come questione della natura e della destinazione
del testo. Ad esempio l’ “Enciclopedia delle scienze filosofiche”,
nel nostro caso, è pensata come un riassunto delle lezioni per gli studenti.
In secondo luogo il problema del significato espresso, del voler dire
del discorso hegeliano. In terzo luogo, che è quello decisivo, la questione
del metodo di composizione del testo di Hegel, metodo che riguarda,
d’un colpo solo, autore e lettore. Questioni, dette altrimenti, di sintonizzarsi
con il testo che, per quanto riguarda il metodo di lavoro di Hegel, non
può essere altro che ripercorrere l’elemento generativo del significato
di ciò che Hegel dice. Senza di questo incessante ripercorrimento a livello
della genesi del testo, il suo significato risulta inevitabilmente
incomprensibile o appiattito. Appiattito come su di una superficie,
in modo che il gioco delle interpretazioni del lettore, anche nel caso
si tratti di studioso molto qualificato, tende spesso a sbizzarrirsi
in grovigli di ipotesi filologiche o di carattere ideologico-metafisico.
Il minimo comun denominatore è la perdita del nesso fra il significato
di ciò che è detto nel testo con li movimento generativo di tale significato..
Così si può separare perfino il concetto di negativo dal concetto
di generazione sovrapponendo l’uno sull’altro e rendendo incomprensibili
entrambi. Questione che si pone in modo non infrequente, anzi malessere
spesso diffuso anche nei commenti «professionali». Iniziamo la
lettura partendo dalle prime righe del par. 440. Lo spirito si è determinato
divenendo la verità dell’anima e della coscienza, cioè la verità di
quella totalità semplice e immediata e di questo sapere. Adesso
il sapere, in quanto forma infinita, non è più limitato da quel contenuto,
non sta in rapporto con esso come con un oggetto, ma è sapere della
totalità sostanziale, né soggettiva né oggettiva. ll problema del
rapporto fra il sapere e la ragione inaugura qui il dibattito sulla
scienza della psiche. L’intreccio fra sapere e ragione inizia a dipanarsi
nel paragrafo seguente: L’anima è finita nella misura in cui è
determinata immediatamente, cioè determinata per natura.
La coscienza è finita nella misura in cui ha un oggetto. Lo spirito
è invece finito (insofern ist endlich) nella misura in cui esso, nel
suo sapere (in seinem Wissen) non ha più un oggetto, ma una determinatezza,
nel senso che è finito per via della sua immediatezza e, che è la stessa
cosa, perché è soggettivo, è cioè come il Concetto. Lo spirito è finito
nella misura in cui esso, nel suo sapere, non ha più un oggetto, ma una
determinatezza. Lo spirito sembra essere quell’attività in grado di
contenere e controllare l’intreccio fra la ragione e il sapere,
anche se ora solo nella forma dell’immediatezza. L’intreccio si organizza
su due poli: la ragione e il sapere. Essi si implicano reciprocamente
. A seconda che si consideri come concetto la ragione o il sapere.
Qui è indifferente ciò che viene determinato come concetto dello spirito
e ciò che viene invece determinato come realità – “Realität” -- di questo
concetto. Se infatti la ragione assolutamente infinita, oggettiva,
viene posta come concetto dello spirito, allora la realità è il sapere,
cioè l’intelligenza; se invece è il sapere a essere considerato
come il concetto, allora la realità del concetto è questa ragione e la
realizzazione (Realisierung) del sapere consiste nell’appropriarsi
della ragione. La finitezza dello spirito pertanto consiste in
ciò: il sapere non comprende l’Essere in-sé-e-per-sé della sua ragione.
In altri termini: la ragione non si è manifestata pienamente nel sapere.
C’è un dislivello dunque strutturale con la ragione che funziona nel
sapere. Dislivello strutturale che per i greci è invece costituito
dal rapporto fra il sapere e la verità. Comunque la realtà, considerata
come realtà del sapere o come realtà della ragione, si costituisce e funziona
per Hegel come un farsi che è un intreccio inestricabile. Una purità e
verginità dell’origine è introvabile. La questione di un sapere
dello/sullo spirito si articola ulteriormente nel paragrafo. Il procedere
dello spirito è sviluppo – “Entwicklung” -- nella misura in cui la sua
esistenza, il sapere, ha entro se stessa l’essere, determinato in sé
e per sé, cioè ha per contenuto, “Gehalte”, e per fine, “Zweck -- il razionale.
“Vernunftige.” L’attività di trasposizione
è dunque puramente e soltanto il passaggio formale nella manifestazione
e, in questa, è ritorno entro sé – “Rückkehr in sich.” Nella misura
in cui il sapere, affetto dalla sua prima determinatezza, è soltanto
astratto, cioè formale, la meta dello spirito è quella di produrre il
riempimento oggettivo – “die objective Erfüllung hervorzubringen”
-- e quindi, a un tempo, la libertà del suo sapere. La via della psicologia
come scienza della libertà In questo testo il movimento del sapere e il
suo saperne si articola come questione della conoscenza dell’originario.
Tale questione, che ha la forma del ritorno, è pensabile come libertà.
L’avventura dello spirito che, hegelianamente, è sempre un appropriarsi,
un far proprio, qui, e secondo la radicalità della sua struttura, funziona
come appropriarsi del sapere e coincide con l’avventura della libertà.
Il cammino dello spirito consiste pertanto: nell’essere spirito
teoretico, cioè nell’avere a che fare con il Razionale nella sua determinatezza
immediata, e di porlo adesso come il Suo; in altre parole: il cammino
consiste innanzi tutto nel liberare il sapere dal presupposto e,
con ciò, dalla sua astrazione, e rendere soggettiva la determinatezza.
Poiché in tal modo il sapere è in sé e per sé determinato come sapere
entro sé, e poiché la determinatezza è posta come la sua, quindi come intelligenza
libera, il sapere è volontà, spirito pratico, il quale innanzi
tutto è anch’esso formale: ha un contenuto che è soltanto il suo: esso
vuole immediatamente, e adesso libera la sua determinazione di
volontà dalla soggettività che la condizionava come forma unilaterale
del proprio contenuto. In tal modo lo spirito diviene come spirito
libero, nel quale è rimossa quella doppia unilateralità.6 Lo scorcio
teorico fornito in questo paragrafo merita una puntualizzazione.
Abbiamo in precedenza accennato alla cornice della Psicologia hegeliana
come progetto scientifico: scienza della psiche che si pone come scienza
dei fattori generativi della psiche. Il percorso dello spirito
che si sforza di conoscere se stesso, che tenta di comprendere l’esperienza
della sua libertà, che nella Fenomenologia dello spirito prende la via
della morale come storia, in queste pagine prende la via della psicologia
come scienza della libertà Che il sapere possa afferrare se stesso,
possa appropriarsi di sé: la strategia hegeliana implica che l’originario,
per il soggetto e per il sapere, funzioni e sia conoscibile come effetto
di questo appropriarsi che è etico, pratico. Se non si pensa il significato
del sapere e del suo soggetto come etico, pratico, il soggetto del sapere
si dibatte «in una doppia unilateralità»: la rappresentazione che il
soggetto fa di sé come suo e l’immediatezza di tale rappresentazione.
Anticipiamo. La libertà è pensabile come lo spiazzamento in cui il
soggetto del sapere conosce il suo essere fatto, nonostante e attraverso
il suo fare, impossibilitato a cogliere l’identità fra sé e la sua immagine.
Questa divisione e dislivello interno che è l’impossibilità di cogliere
l’origine del proprio costituirsi è per Hegel l’Intelligenza.
Nel montaggio linguistico di questo testo tale divisione e tale dislivello
vanno ad occupare il posto della classica opposizione fra il dentro e
il fuori. L’intelligenza, in quanto è questa unità concreta dei
due momenti — vale a dire, immediatamente, di essere ricordata
entro sé in questo materiale esteriormente essente, e di essere immersa
nell’essere fuori-di-sé mentre entro sé si interiorizza col proprio
ricordo —, è intuizione. La centralità della parola nella vita dell’intelligenza
Il cammino dell’Intelligenza sta proprio nel battere in breccia l’opposizione
fra il dentro e il fuori. L’intelligenza, quando ricorda inizialmente
l’intuizione, pone il contenuto del sentimento nella propria
interiorità, nel suo proprio spazio e nel suo proprio tempo In tal modo il
contenuto è immagine, liberata dalla sua prima immediatezza e dalla
singolarità astratta rispetto ad altro, in quanto essa è accolta nella
singolarità dell’Io in generale. Questo battere in breccia, visto dal
punto di vista dell’intelligenza, è ll’immagine. L’intelligenza possiede
dunque le immagini. L’intelligenza, dice Hegel, è il Quando e il Dove
dell’immagine. L’immagine è per sé transeunte, e l’intelligenza
stessa, in quanto attenzione, è il tempo e anche lo spazio — il Quando e
il Dove — dell’immagine. L’intelligenza però non è soltanto la
coscienza e l’Esserci delle proprie determinazioni, bensì, in quanto
tale, ne è anche il soggetto e l’In-sé. Ricordata nell’intelligenza,
perciò, l’immagine non è più esistente, ma è conservata inconsciamente.
Nell’Anmerkung dello stesso paragrafo Hegel inaugura la metafora del
POZZO notturno per definire il funzionamento dell’intelligenza
come un luogo in cui sono conservate immagini e rappresentazioni che
l’intelligenza stessa non conosce. Hegel prosegue la sua indagine
attraverso una sorta di tiro incrociato fra intuizione ed immagine,
mettendo in azione uno stile agostiniano alla “De magistro”. Anche la
nozione, classica, di rappresentazione entra, ricompresa e ripensata,
come dall’interno, nel movimento produttivo dell’intelligenza.
La nozione di memoria è anch’essa ripercorsa, nella sua struttura
classica, come movimento attivo e imprendibile, funzionante nell’intelligenza
e produttiva di essa, in una svolta decisiva del paragrafo 456.
L’intelligenza è la potenza che domina sulla riserva di immagini e
rappresentazioni che le appartengono; essa è quindi congiunzione e
sussunzione libera di questa riserva sotto il contenuto peculiare.
L’intelligenza si ricorda ed interiorizza in modo determinato
entro quella riserva, e la plasma immaginativamente secondo questo
suo contenuto: essa è quindi fantasia, immaginazione simbolizzante,
allegorizzante o poetante. Questa formazioni immaginative
più o meno concrete, più o meno individualizzate, sono ancora delle
sintesi nella misura in cui il materiale, in cui il contenuto soggettivo
conferisce un Esserci alla rappresentazione, proviene dal Trovato
(dem Gefundenen) dell’intuizione.Passività, evidenza, sorpresa di
fonte al darsi originario delle cose riguarda perciò per Hegel un movimento
che ha come suo elemento lo scenario dell’interiorità. Il trovato dell’intuizione,
incontro, evidenza, accoglienza della realtà è pensabile in un registro
che è già una traduzione. È nel registro di una traduzione che nel percorso
di questo testo di Hegel, di una traduzione del fuorinel dentro e viceversa,
che si può avvistare ciò in filosofia si chiama realtà. Quando
l’intelligenza, in quanto ragione, parte dall’appropriazione dell’immediatezza
trovata entro sé, cioè la determina come Universale, ecco allora che
la sua attività razionale procede dal punto attuale (dem nunmehrigen
Punkte) a determinare come essente ciò che in essa si è sviluppato in
autointuizione concreta, procede cioè a rendere se stessa Essere,
Cosa. L’intelligenza stessa così si fa essente, si fa Cosa. Quando
è attiva in questa determinazione, l’intelligenza si estrinseca
(aussernd), produce (produzierend) intuizione: è fantasia che si
esprime in segni (Zeichen machende Phantasie). L’intelligenza esiste
in quanto fantasia… Tesi non immediatamente prevedibile nel dispositivo,
intricato, di questo percorso hegeliano. Tesi cui pure spinge, con rigorosa
necessità, questa analisi «scientifica» della psiche. Questo testo di
Hegel innesca consapevolmente una polemica ed anche una riformulazione
metodologica radicale nei confronti della tradizione empirista,
dei sensisti, di Condillac e degli ideologues. Attraverso le
scorribande dell’intelligenza fra sapere e segno, scienza e realtà,
attraverso e al di là della dialettica fra il positivo e il negativo,
fra il soggetto e la verità ecc, Hegel afferma che l’intelligenza è il
suo atto. Esistere non è l’immediatezza di un che rispetto a se stessi,
ma è l’atto in cui, in un contenuto determinato, l’intelligenza si
rapporta a se stessa. La fantasia è il punto centrale in cui l’Universale
e l’Essere, il Proprio e il Trovato, l’Interno e l’Esterno, sono perfettamente
unificati. Le sintesi precedenti dell’intuizione, del ricordo
ecc., sono unificazioni del medesimo momento, tuttavia si tratta
pur sempre di sintesi. Solo nella fantasia l’intelligenza non è più
come il pozzo indeterminato e come l’Universale, bensì è come Singolare,
cioè come soggettività concreta nella quale l’autorelazione è determinata
sia come Essere sia come Universalità. L’intelligenza è intelligenza
di un individuo, di un singolo, è soggettività concreta solo nella fantasia.
Tale questione è chiarita dal seguito della stessa Anmerkung:
Tutti riconoscono che le immagini della fantasia costituiscono
tali unificazioni del Proprio e dell’Interno dello spirito con l’elemento
intuitivo. Il loro contenuto ulteriormente determinato appartiene
ad altri ambiti, mentre qui questa fucina interna va intesa soltanto
secondo quel momento astratto. In quanto attività di questa unione,
la fantasia è ragione, ma è ragione formale, solo nella misura in cui
il contenuto in quanto tale della fantasia è indifferente. La ragione
in quanto tale, invece, determia a verità anche il contenuto. Nell’Anmerkung
successiva nello stesso paragrafo Hegel opera la svolta decisiva nel
breve percorso che qui ci interessa: In particolare bisogna ancora
rilevare questo fatto. Poiché la fantasia porta il contenuto interno
a immagine e a intuizione — e ciò viene espresso dicendo che essa lo
determina come essente, non deve sembrare sorprendente l’espressione
secondo cui l’intelligenza si farebbe essente, si farebbe Cosa. Il
contenuto dell’intelligenza, infatti, è l’intelligenza stessa, e
lo è altrettanto la determinazione che essa gli conferisce.
L’immagine prodotta dalla fantasia è solo soggettivamente intuitiva,
mentre è nel segno che la fantasia aggiunge a ciò l’autentica
intuibilità (eigentliche Anschaulichkeit); nella memoria meccanica,
poi essa completa in sé questa forma dell’Essere. L’immagine
solo nel segno è autentica intuibilità di ciò che è. L’essente è coglibile
come segno, non come dato, come dono. Dato e dono non sono pensabili, ma neppure
sperimentabili nella forma della presenza, cioè in un darsi (che, in termini
hegeliani, è la materia dell’intuizione). Essi sono già trascritti
nel contenuto interno dell’intelligenza, cioè come segni. L’elemento
imprendibile, enigmatico della conoscenza è il segno e non il dato,
il dono. Nella struttura di questo testo Hegel afferma che il non proprio,
il non mio sovrasta e spiazza nella forma del segno, non nella forma del
dono. In questa unità, procedente dall’intelligenza, di una rappresentazione
autonoma (selbständiger Vorstellung) e di una intuizione, la materia
dell’intuizione è certo innanzitutto un qualcosa di accolto, di immediato
e di dato (ein aufgenommenes, etwas unmittelbares oder gegebenes)
(per esempio il colore della coccarda e affini). In questa
identità però l’intuizione non ha il valore di rappresentare positivamente
e di rappresentare se stessa, bensì di rappresentare qualcos’altro.
Essa è un’immagine che ha ricevuto entro sé una rappresentazione autonoma
dell’intelligenza come anima, che ha ricevuto, cioè, il suo significato.
Questa intuizione è il segno. L’intuizione, rapportata scientificamente
alla sua origine, ha la forma del SEGNO. Tale forma ha una struttura che
coinvolge i termine stessi dell’intelligenza. L’intelligenza sembra
funzionare in una deriva di cui il segno costituisce una sorta di cerniera,
snodo in cui l’intelligenza stessa è tolta-conservata. L’intuizione
che immediatamente e inizialmente è qualcosa di dato e di spaziale
(gegebenes und raumliches) una volta impiegata come segno riceve la
determinazione essenziale di essere soltanto come intuizione rimossa.
Questa sua negatività è l’intelligenza. Perciò la figura più autentica
dell’intuizione, che è un SEGNO, è di essere un Esserci nel tempo: un
dileguare (Verschwinden) dell’Esserci mentre l’esserci è.
Inoltre, secondo la sua ulteriore determinatezza esteriore, psichica,
la figura più vera dell’intuizione è un essere-posta dall’intelligenza,
esser-posta che viene fuori dalla naturalità propria (antropologica) dell’intelligenza
stessa: è il tono (Ton), cioè l’estrinsecazione riempita
dell’interiorità annunciantesi. Il tono che si articola ulteriormente
in vista della RAPPRESENTAZIONE determinata è il discorso, e il sistema
del discorso è la lingua. In questo ambito il tono conferisce a sensazioni,
intuizioni e rappresentazioni un secondo Esserci, più elevato dell’Esserci
immediato: in generale conferisce loro un’esistenza che ha valore
nel regno dell’attività rappresentativa. Questo progetto hegeliano
di una scienza della psiche tenta qui un ulteriore radicale approccio
alla genesi dell’intelligenza. L’intuizione, in quanto funzionante
come segno, «riceve la determinazione essenziale di essere soltanto
come intuizione rimossa (zu einem Zeichen gebraucht wird, die wesentliche
Bestimmung nur als aufgehobene zu sein). In questo esser rimosso,
tolto-conservato dell’intuizione sta l’origine dell’intelligenza.
La negatività di cui essa è fatta si intreccia strutturalmente alla nozione
di tempo. L’intuizione non è dominabile da un soggetto se non nella
forma del dopo: «un dileguare dell’Esserci mentre Esserci è».
Quell’altro intreccio che costituisce l’intuizione, l’intreccio fra
il dentro e il fuori si esprime nel tono, suono articolato, “Ton”. Il
tono, visto in rapporto ad una rappresentazione determinata, è il discorso
(Rede) e il sistema del discorso è la lingua (Sprache). A questo
punto del suo percorso la strategia di Hegel si incontra con il privilegio
greco e platonico accordato alla parola, al logosin quanto vivente
pronunciato, detto. Come in Platone, anche in Hegel la parola è centrale
nella vita dell’intelligenza, ma di una centralità che occupa il luogo
di un movimento originario ed imprendibile. Per un commento
critico ed esplicativo dei paragrafi della psicologia nella sezione
sullo spirito soggettivo, anche per ciò che concerne le fonti di Hegel e
la saggistica relativa, cfr. Rossella Bonito Oliva, La «magia dello
spirito» e il «gioco del concetto». Considerazioni sulla filosofia
dello spirito soggettivo nell’Enciclopedia di Hegel, Milano, Guerini
e Associati. Uso la recente traduzione di Vincenzo Cicero (Enciclopedia
delle scienze filosofiche in compendio, ed. 1830, Milano, Rusconi)
che ritengo puntuale ed avvertita delle questioni poste dal testo, nonostante
la discutibilità di alcune soluzioni su cui per altro pesa in certa misura
la resistenza ad abbandonare traduzioni familiari e consolidate.
Anmerkung. Anmerkung. Grice: “There’s something
otiose about the ‘faciendi signum’ of the Romans, why not just ‘signare’?” –
Who or what ‘makes’ the sign of a dark cloud (=> rain)?” “While it seems
natural enough to say that a dark cloud is a sign of rain,it or better, that a dark cloud signs *that* it
may rain, I wouldn’t say that the cloud “MAKES” anything --. Grice: “It’s sad
that Hegel’s Latin wasn’t that good – the Romans used ‘signare’ (Italian
‘segnare’) much more than they did use ‘significare’. “With all my love and
kisses” “You used to sign your letters ‘with all my love and kisses” – Sam
Browne --. Horatio
Nicholls – aka as something else. Gianfranco Dalmasso. Keywords: la giustizia
nel discorso, sign-make, fare segno, fare segno a se – zeichen Machen, to sign
versus to signify -- Bradley, Hegel, io, noi, intersoggetivo, Hegel on Zeichen,
zeichen-machende fantasie” – zeichen-interpretand fantasie” -- “l’implicatura
del noi duale” “il tra noi” – la prossimita del tra noi -- Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Dalmasso”, per il gruppo di gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library, Villa Speranza. Dalmasso.
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