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Friday, September 12, 2025

Grice e Montanari

 BREVI PRECETTI 

DELL'ARTE 



RETTORI CA 



ESPOSTI IN 



DIALOGO DA 



Giuseppe Ignazio Montanari 



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B 20 




66 5 ì 



BIBLIOTECA NAZIONALE 
CENTRALE - FIRENZE 



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•mtEVI PRECETTI 

DELL'ARTE RETTORIGA. 



Finn». Tipcgrafia Le Monnier. 



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BREVI PRECETTI 

DELL'ARTE RETTORICA 



MPMTl IN 1»1 Alloco 

DAL 

■ 

DOTT. GIUSEPPE IGNAZIO HONTANAIU 

Già Professore di Mie-Lettere in Pesaro. 

ed ora 

nel nobile Collegio ^^mi^à e vulnerabile Seminano d Osimo. 




PER G. RICORDI B STEFANO JOUUAUD. 

4 8^1. 



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ir 

AL CmRISSIIfO SIGNORE 

A¥Y€NI4LTO liUlOl WOWmACÈAUE 

filVSEPPE*IGKAZIO XONIANARI. 



> » 

* 

m 

È buon tempo che io desiderava darvi pub- 
blico segno della gratiludine mia, carissimo For- 
naciari, e porgermi per qualche guisa ricono- 
sceale a voi de tanti obblighi che alla gentilezza 
e bontà vostra professo; e però essendo in sul 
dare alla luce questo mio Trattato di Rettorica , 
ho credulo che questa sia la migliore occasione 
che per me si possa cogliere a fare mMifestó a 
voi, ed a tutti, che de' benefizj vostri inverso 
me ho memoria , e che se voi collocaste i vostri 
favori in isterile terreno , certo non H poneste 
in ingrato. Offero adunque a voi questa mia fa 
tica qual siasi , e a voi la raccomando per modo 
eh' ella debba essere cosa vostra; nè da ciò mi 
ritiene saperla povera e sparuta, non per difetto 
di diligenza in me, ma per manco di quella bontà 
d'ingegno e tranquillità di vita , senza le quali 
uom noD può venire a speranza di far bene qual 



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— 6 — 

vorrebbe. Chè io sireUo da famigliari e quoli- ' 
diane angustie, sottoposto a fatiche oltre le forze 
per trarne frutto di magro pane , appena ho li- 
bero il pensare per poche ore a quegli stndj a 
cui forse natura mi avrebbe formalo, e cui la 
lunga abitudine ha fatto sole delizie della trava- 
gliata mia vita. E queste cose vi pongo innanzi 
perchè fin d' ora avvisiate che io stesso sento 
che meglio si potria fare da chi fiorisse di mi- 
gliore fortuna che non è la mia, ed avesse que- 
gli agi che sono dimandati dalle lettere ; non 
però io poteva fare meglio nella presente mia 
condizione di tempi e di vita. Laonde se d' altro 
le genti non potranno lodarmi, ho per certo che 
almeno del buon volere non nù negheranno lode; 
tanto più che codesto mio buon volere istesso 
ha dovuto sovente lottare con que* disagi che 
sogliono anche T animo dei più coraggiosi dis- 
francare. Quanto a. me sarò conlenlissimo della 
fatica mia se voi vorrete aggradirla , e se i buoni 
e gli studiosi diranno in leggendola: — Costui 
mirò a giovare le lettere per quanto era da luì. 

Resta ora che io vi dichiari cagione che mi 
ha mosso a dar mano a questo libretto, e inten- 
dimento che io ho avuto nei compilarlo e nello 
stamparlo. Dovete adunque sapere che quando 
io ebbi dato a luce la Rettorica del Blair com- 
pendiata dal padre Francesco Soave , e da. me 



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accomoUaia ali usq delle scuole italiana, fu chi 
nelle pagine d' un Giomale mi dififie, quel libro, 
comecché eccellente per gli adulti, essere troppo 
elevato pei giovanetti , troppo profondo, nè essi 
coglierne quel bene che io aveva avvisato , c 
già per qualche anno aveva sperimentato nella 
scuola mia, nel Ginnasio di Pesaro, forse più 
per bontà d' ingegno ne ifìscepolicàe per valore 
dei maestro. Allora mi andò per la mente di com- 
porre nn libro il quale meglio si confaoesse a 
tenera giovinezza , e recasse quanto di utile vi 
ha nel Blair, e quanto vi ha ne' migliori maestri 
dell'arte. Meditai un poco, considerai il tema 
che io m'' imponeva , e a non molto, trasportato 
dal sommo amore che ho al profitto della gio- 
ventù, posi mano all'opera, la qoale neir andar 
di due anni ebbi a vedere compita quale a voi 
la presento. Nè qai starò a raccontarvi quanto 
in prima avessi a pensare fra ma, per risolvermi 
riguardo al metodo e alla forma che dovrei pren- 
dere; perchè nè in tutto mi soddisfaceva f an- 
damento del Blair, nè in tutto mi piaceva quello 
tenuto da Paolo Costa neir aureo suo libro della 
Elocuzione. Chè parevami doversi serbare modo 
più analitico del primo , e meno metafisico del 
secondo; e quanto alla trattazione, mi sembrava 
si dovesse rendere più agevole d* amendue. La 
qua! eosa fu ancora cagione che io sorivessì il 



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Trattalo per domande e risposte, e incominciando 
dalie paróle seguitassi ai perìodo, all' intero di- 
scorso , alle doli che il medesimo aver debbe , 
e via vìa giungessi allo stile. E qui mi cadde in 
pensiero di trattare materia, che non mi avvenne 
mai vedece trattata coovenieDtemeBte nei libri 
dùReitorica, quantunque necessaria principal- 
mente ed utilissima, quel è T imitazione, per la 
quale lo stile si forma; che è quanto dire si per- 
feziona la ragione, e si crea il criterio ed il gu- 
sto. Per la qual cosa, dopo avere insegnato che 
studio si debba porre dal giovanetto a fine di 
acquistare uno stile lodevole, sono tosto entrato 
a parlare dell' imitazione, . mostrandolrnon cosa 
che inceppa gl'ingegni quale se la figurano gì in- 
dotti , e coloro che giudicano le cose dalla prima 
corteccia, ma si cosa che aggiunge lena agli in- 
gegni, li rafforza, e dà loro inventare e creare. 
E perchè non vi abbia persona del mondo che 
creda quelle regole che 4o, e intorno V imitazio- 
ne, e intorno .le altre cose, ho assegnate, siano 
cosa mìa, o novità che io ami introdurre, ho 
cercalo sovente recare le parole stesse di Cice- 
rone, di Quintiliano e d'altri, l'autorità de' quali 
debbe essere grande appo tutti. Siccome poi è 
mio intendimento che questo mio libro sia ad 
uso anche di coloro che non sanno, o non vo- 
gliono saper di latino, ho procurato che i lue* 



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— 9 — 

gbi Ialini siano sempre esposti in italiano: e in 
qnesto non pìccola ìnduslrìa ho posto. Perchè 
ove ho trovato buoni traduttori, della traduzione 
loro mi sono valso; ed ove mi è parato che essi 
non ci bastassero, ho cercato io stesso di tra- 
durre il me» male che mi fosse possibile. Dirò 
ancora che molte volte a recare in volgar no- 
stro i luoghi latini da me sceki , non mi sono 
fermato ad un solo volgarizzatore , ma ora 1 uno 
ora r altro ho trascello, con questa intenzione 
che i giovani imparino a conoscere quali sono i 
più pregevoli traduttori. Che se alcuno volesse 
dire che io doveva tutti que branì^tradurre da 
me (cosa* che mi fu dolcemente rimproverata* * 
quando nel mio libretto suW arte dello scrivere lei- 
(ere a tradattore delle lettere di Cicerone pre* 
scelsi il Cesari), sappia che io non ho voluto per 
buone ragioni formi io volgarizzatore di que bra* 
ni, non già per scemarmi fatica, ch'ella è ben 
lieve cosa a chi scrive un libro voltaiie dal latino 
un dieci o dodici luoghi, ma perchè io non po- 
teva promettermi di far meglio di coloro che a 
sentenza de più savj hanno fatto bene prima di 
me. Conosco anch' io che codesti traduttori, ed 
in ispecie il Cesari, hanno alcun difetto o d'esat- 
tezza o d' altro: ma avrei io potuto credermi tale 
da tenermi sicuro da ogni difetto, se anche i di- 

< Ghmah mtdko, tomo UXXVUI, pag. 346. 



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— fo- 
retti loro avessi saputo evitare? Avrei io potuto 
sperare d' avere quelle belle doti di oeltezza , di 
chiarezza, di eleganza, per cui essi hanuo ti- 
tolo d'essere buoni, se non eccellenti? lo non 
ho quest' ambizione , nè tanto so promettermi 
della pochezza mia; se altri di sè può sperarlo, 
buon prò gli faccia. A me non piace meglio che 
il libro sia tutto mio: ma bramo che se si può, 
o mio solo , 0 mio e d'altri, sia buono. E questo 
valga a risposta anche a coloro i quali volessero 
riprendermi dell'avere alle volle preso paragrafi 
interi dal Costa, esempli dal RoUin e dal Ricci; 
sebbene poti^bbe aggiungersi che Cicerone dai 
Greci, Quintiliano da Cicerone,. Blair, Rollio, 
Balleux ed altri non ebbero a schifo di prendere 
brani interi da Cicerone e da Quintiliano , e re- 
carli come sono latini , anzi qualche volta gl'in- 
teri capi ricopiare e tradurre. Conciossiachè se 
rutiliti è quella a cai deesi mirare, che ogni al- 
tra gloria che si consegua senza T utile altrui 
è vaniti e stoltezza , non deve chi scrive essere 
così invidioso degli altri , da non valersene, ma 
delle bontà loro dee fare prò a sè , e le cose 
dette dai medesimi accettare come J>uona for- 
tuna mandatagli da Dominedio. Temo ancora non 
vi sia chi voglia affermare avere io recato in- 
nanzi numero soverchio di esempi ; sebbene da 
questo timore mi scioglie il sapere che tutti in 



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^ciò si convengono, per gli esenipj rendersi più 
utili le regole; e grandi uomini (e voi fra questi 
cogli aurei Esempj di bello scrivere in prosa ed 
in verso da voi scelti ed illustrati ) avere inse- 
gnato che più negli esempj che ne precellì 1 arte 
sè contiene. E qui manifesterò ragione che io 
ho avuta nel porre ai giovani esempj in copia. 
Ho voluto che essi vedano la regola nei diversi 
stili messa io pratica , non meno che nelle di- 
verse lingue ; e questo ha fatto che sovente ad 
un esempio latino ne soggiungessi un italiano , 
da uno in prosa uno in verso. C se i precettori 
.colle osservazioni loro applicherajino ad ogni 
esempio la regala » forse Y industria mia non 
tornerà al tutto vana nè infruttuosa. Una cosa 
io posso dirvi , ed è , che con profitto ho usato 
di questo libretto, ed uso, nella scuola mia, la 
qnal cosa mi dà speranza che non sarà per es- 
sere agli altri inutile affatto. Vero è, noi discon- 
fesso , che a' giovanetti ; ai quali do in mano que« 
sto compendio , prescrivo poi di studiare da sè 
la Rettoricà del Blair , la quale riesce molto più 
agevole e facile a chi sappia in prima le regole 
e le dottrine, che a quella lettura direi quasi ap- 
pianano innanzi la via: e questo mi piace qui 
dichiarare, perchè non vi sia chi giudichi che 
con questo mìo lavoro io voglia scemar pregio 
a quello assai più ampio e profondo, nè alcun 



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— iì — 

giovanelto si pensi che io con questo lo assolva 
dal inedHare sulle opere de' Retori filosofi , a 
capo de quali fra' moderni non è certo chi oon 
ponga quel sommo Inglese, che ora meritamenle 
' signoreggia tutte le scuole ben of dinate , nelle 
quali , più che T amore del bene dei giovani , 
non prevalgano quelle vecchie e superstiziose 
abitudini, che ritardano ed abbassano indegna* 
mente gì ingegni , a grande vergogna e danno 
deir età nostra e dell' italica gioventù. 

Ma è tempo che io ponga fine alle parole , 
le quali oramai di troppo 60\'erchiano al biso- 
gno, e che io me e l' operetta mia raccomandi 
al patrocinio deir amicizia vostra , pregandovi 
che vogliate accoglierla con queir animo istesso 
col quale io a voi i' ho donata e dedicata. 

Osimi éliOéel 4843. 



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DELL' ART£ MTTORlCilo 



CMe Tosila dire RettorlM. — Quale iKiMtà 
•t vlmMlil «elle paMle» • pweliè. 
Cane ékm mmm pvaeeda la eliiareaaa. 

D. Che cosa è la lìettorica? 

lì, È un' arte, la quale c' insegna a fare buon uso 
ideila parola; e però si deBnisce Farle dui parlar bene 
ed acconcia$nerUe. Sì dice del parlar bene per iodicare, 
che nelle parole deve esservi alcuna bonth ; acconcia- 
mente, perchè non sempre que'modi, che sono conve- 
nienti ad un luogo, eonvengono anche air altro. 

D. Quali bontà denno avere in eè le parole? 

R. Tre principalmente: 4" Purità; Proprietà ; 
30 Decenza, La Purità importa che le parole appar- 
tengano a quella lingua, nella quale si scrive, e vi ap- 
partengano per modo, che riescano chiare, e consentite - 
dair uso de' buoni scrittori. 2*» La Proprietà vuole che 
si scelga fra i vocaboli quello, che V uso ha appropriato 
a significare precisamente quel concetto che noi inten- 
diamo di esprimere. 3^ La Decenza infine domanda, 
che si tengano lontane dalia scrittura quelle parole, le 
quali hanno perduto bellezza ed onestà nelP uso del 
Tolgo, e si usino quelle, le quali non possono spiacere 
a civile e costumato lettore. 

D. Perchè si deve aveve questo riguardo neUe parole ? 



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— 14 — 

jR. P«roliè4e parole sono i segni delle idee, e se 

noi non mostriamo chiaramente i nostri concetti , non 
accadercì mai che siamo intesi chiaramente, cioè come 
noi desideriamo. E però ad acquistare <|tiesto pregio 
importante della chiarezza, converrà che noi studiamo 
hi lingue, nelle quali vogliamo scrivere o parlare; seo:^ 
questo non ci avverrà mai nè di esprimere con aggiu- 
sUtezza i nostri concetti, nè di £arli intendere agli altri* 
D Da quante cose proccfle la chiarezza? 
H. Dal buon uso delle parole, e dalla buona ^ollo- 
cazioiie delle medesime., lufatlo, se le parole non corri- 
spondono primamente all' idee , non sarà giusta l'espres- 
sione ; se poi non saranno collocate secondo le leggi della 
retta sintassi, non renderanno mai quel senso che si 
vorrebbe trariie. Ad esempio : se voi chiedete ad un 
amico un fiore in genere, con animo eh* egfi debba 
darvi una rosa, male farete l'inchiesta, alla quale egli 
avrà soddisfatto ogni qualvolta vi presenti d' un fìore, 
qualunque egli siasi e di qualunque specie : ma se voi 
r avrete domandato d'un fiore di rosa, non potrà fal- 
lire eh' ei non risponda secondo il desiderio vostro 
air inchiesta. £ perciò grande cura si conviene avere 
neir uso delle parole che noi diclamo sinoniroe, le quali , 
sebbene siano tutte eguali ncIT idea principale, pure 
diversificano nell' idee accessorie. Ad esempio : i verbi 
di uccidere j ed ammazxare, hanno comune l' idea dì 
, recar morte , ma banoo diversa V idea del modo di re* 
caria, perchè il verbo uccidere, derivando dal cedere 
dei Latini, significa veramente toglier la vita per feri- 
mento; il verbo ammazzare poi significa togliere la 
vita per colpo di mazza, o per percossa di simil genere, 
e però sarebbe improprio il dire : ammazzare uno di 
fame , e dovria dirsi : farlo morire di fame. 



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— i5 — 

D. Come $i ottiene la chiarezza dalla collocazione 
delle parole? 

R. Disponendole secondo la retta costruzione, a 

modo che ogni parola tenga il suo luogo , e n' esca quel 
senso che si vuole e non altro. Conviene anche sapere 

^be una sola parola, la quale sià collocata male, o 
camWa H senso dell'espressione, o le rende ambiguo. 
Il Passavanti cadde in questo difetto là dove disse , che 
un uomo passò di questa vita m Inghilterra ; perchè 

• sebbene si voglia intendere, cbe un uomo in Inghil- 
terra passò di questa* vita, tuttavia per la collocatone 
delle parole il senso è, che un uomo partendo di questa 
vita se n' andò in Inghilterra. Così pure il Boccaccio 
iacofitrò in questo difètto dicendo, cbe — Dmiie di uver 
fcUto quel Hbreito ndf età piò mahmi si vergognò ; percbè 
non si conosce se nell'età più matura si vergognasse, 
ovvero se facesse quel libretto ; il quale difetto sarebbe 
state tolto disponendo coii altro ordine le parole, e di- 
cendo : si vergognò nell' etli più matura. 

D. Con che altro modo si ottiene la chiarezza nel 
cottocare le parole? 

R. Componendo bene il periodo, cioè dando il suo 
luogo a ciascuna proposizione nel discorso, per modo 
che r una non debba entrare nelle ragioni dell' altra, c 
siano chiare le espressioni non meno che le relazioni 
delle medesime. 



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— 16 — 

Caw. il. 

D. Che cosa è il Periodo? '^ 
R* 11 Periodo non è che up intero diecorso, nel 
quale si esprìme una sentenza composta di piU giodizj , 
i quali tutti dipendono da un solo, che si chiama prin- 
cipcJe, mentre essi sono detti incidenti. Si dice discorso 
intero, perchò il Perìado deve racchiiidere in sò com- 
piutamente r espressione del sentimento , che si vuole 
manifestare. Dico poi che il Periodo debbo esprimere 
un sentimento composto di più giudizj . perchò se vi 
fesse r espressione d'un giudizio solo, allore, se mal 
non mi appongo, non sarebbe Periodo, ma una sem- 
plice proposizione, o, come altri dicono, sentenza. Non 
ignoi'o che vi ha di molti i quali danno nome dii^ 
nodo anche ad una sàia proposisiene, come: III a/ io 
mio maestro; ma penso che sia mal fatto, conciossiachè 
la parola Periodo indica giro, àmbito; nè veramente giro 
od Àmbito vi ha in una sola proposisione. £ .però amo 
distìnguere il Perìodo da semplice sentensa. 
D. Che cosa è la Sentenza? 
^ ìL È V espressione di un nostro giudizio manife- 
stato per modo che egli abbia principio e fine, come 
sarebbe questo : Cedro amò la ma Pairia ; dove Codro 
è il principio, la sua Patria il fine della proposizione. 
U perìodo si forma di queste sentenxe riunite insieme 
per modo ohe la loro unione formi un giro od un àm- 
bito, come dicevano i Latini, piacevole agli orecchi, e 
« tale che presenti alia mente quasi uno il concetto. Però 
è che a formare il periodo non basterà accozzare in- 



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sieme piti sealenae : perchè se sareooo unite iilsieiiie. 

senza queir ordine, che dalla ragione e dall'arte è ri- 
chiesto y sarà sem|)re un ammasso di seotense dis- 
giunte^ e non un perioda È quindi. neeessiHrio a ben 
formare il periodo, disporre pet modo le propoeizioni 
che una sola stia a capo di tutte, e le altre servano al 
tutto a questa, e strettamente con lei si coUeghino. 
Per esempio : Fatta iw/a, i Trojani m partirono dd^ 
risola di Creta ^ e navigando per il mare di Giaccia, 
dopo molta tempera, ohe sostennero, capitarono alle 
Isole Sirofadi. In questo breve periodo vi sono piti 
proposiiieiri : I* Trojani partirono -<» imitarono per il 
mare di Grecia — sostennero molla tempesta — capi- 
tarono alle Strofadi. Le quali proposizioni tutte oosk 
distaccate non formerebbero un perioda: lo lormafto 
però qoando una di queste è posta al reggimento del- 
l'altre, nel modo che sta nelF esempio recato, dove-r- 
/ Trc^jam copUarom Me Strofadi è la propesisioa 
principale, che modl6ea tutte le altre; le quali periìbè 
sono modificate hanno nome di suballerne. ^^,] 

D. Come sono chiamate dai Retori le parti che con^ 
pongono il periodo? 

R. GhiaoMno membri qoelle parti del periodo ehe 
contengono una sentenza accessoria ; chiamano iìicisi 
le parti delle quali si compongono i membri ; come, ad 
esei&pie: Et si kaenini nikil est magie optamhm, qimm 
proepera, esquabilt^, perpetuaque fortuna, secundo vitce 
sine ulta offensione cursu; tamen si mihi tranquilla et 
pacata oeum fuiesent, ineredibili quadam, et peiie di- 
VMMi, qua mme-wstro ben^hio firuor, keiiiim voh^ptate 
caruissem. « E se dall'uomo non si dee desiderare al- 
cuna cosa maggiormente che una prospera , temperata 

e perpetua fortune, uu secondo corso di vita sensa 

s 



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— 18 — 

disturbo od olfesa «hmna, io nondimefio, se avessi aviite 

tutte le mie cose tranquille e prospere, sarei ora privo 
d*UQa iacredibiie e quasi divina contentezza e letìzia, 
die io godo per lo beneficio Tostro. » (Lodovico Dolce.) 

In questo perìodo la proposizion principale è co- 
ruissem voluptate Ixtitice, alla quale proposizione, come 
vedete, tutte le altre sono coliegate per opera delle 
congiontioni , officio delle qaali è rannodare V un 
membro coli' altro. I membri nei quali si può dividere 
il periodo sono questi : Nihil ai magis optandum qmm 
f ottima jiroqMfa ^^si mihi fuisimU omnia focata et tran* 
fuiOa camàmm voluptate lastitkB, GV incisi poi sono 
questi : sine offensiorte ulla^ — cursii secundo vitcB, — 
wquabilis ,perpetuaque, — incredibili, oc pene divina, — 
qaajoetiro ben^io fruor. i 

D. Di quanti membri si deve comporr^ il Periodo? 

R. Non vi è legge che determini il numero dei 
membri dei periodo, e purché eia agevole a compren-* 
dorai, secondo che insegna Aristotile, si potrà fininare 
de' periodi di quattro, e di cinque membri ancora. Cice- 
rone nell'Oratore c'insegnò: Constai iUe Mmbitiis^ et 
plma comprehmuio e fwMor fere partibus^ qua membra 
dhimiiur, ut et otires nmpkat, et ne brwhr sit, quam 
satis sitj nec longior. « Quel giro, e quella piena com- 
prensione si compone quasi di quattro parti, che si 
chiamano membri, a modo che riempia le crocchie, 
e non sia nè più breve di quel che basta, nè piti . 
lungo. » 

D. Quali regole si danna a ben-formareél Periodo? 
il. Tre principalmente: 4® Che i membri siano ben 

•f; collegati fra di loro per mezzo di congiunzioni così che 
abbia unità ; Che il senso esca perfetto ed agevole 
per la buona collocauone delle parole e dei membri ; 



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— 19 — 

3^ Che si chiuda in un pieno ed armoaioso giro di pa- 
roie. Ucbeyuol dire ohe il periodo deve avere: 4^ Uniilif 
S[<»iUkacia, 3^ Armonia. 



Caf* III. 

Belle iiualiià eeeensiall 4el Perlede* 



D. Àv§i$ deéto che funUà, Feghacia e Farmonia, 

sono le tre qualità essenziali del periodo; ora spiega- 
temi un poco perchè è fèecessaria V unità? 

R. V ufiilè è neeeeaaria ed eaaeuialef perchè ella 
fa che r oggetto principale sì mostri cosi ben collegato 
..polle sue parti, da uscirne alla fìae una sentenza com- 
piala. AJpbiaoM deUo ohe nel periodo vi possono essere 

o ^ sentenie ; ma sa queste non sono si fattamente 
unite da presentarsi alla mente come un tutto solo, 
esse recheranno disagio e confusione. £ in quella guisa 
ehe nel eorpo umane il capo signoreggia tutte le altre 
membra, le quali unite, e direi governate da lui, for- 
mano un corpo solo, così la sentenza principale deve 
reggere e fare un corpo solo con tutte le altre subalterne^ 
KpM^priMipal cura debbo essere di ooiloeare in modo 
la proposiiione principale , che ella riceva lume e fini- 
' mento dalle subalterne, e da quelle chiaramente si di- 
stingna. 

D. Coma SI ellMfie Pumtà? 

R. Per quattro modi s'ottiene l'unità: 1" Non in- 
troducendo mai troppe proposizioni subalterne, e non 
iermandosi tfoppo sulle medesime , sicché non faccia 
alcuna <M queste sulla mente una impressiMie o eguale 



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■ 



— 20 — 

0 pili forte che non fa la proposizione principale, 
lo 2*» luogo: non inframmettendo mai nel periodo 
membri , dei quali Isa seotensà pn(» fare a meuOf o 
che non vi hanno relazione ; perchè allora ne nasce 
un affastellamento /che da confusione alla mente, ed 
a^ava la memoria. Se occorre dir cose molto piìi 
di quelle che in un salo periodo ti possono contenere, 
sarb molto meglio ripartirle in due, che per volerle 
racchiudere in uno fare cosa viziosa e senza unitò. In 
30 luogo conviene cercare introdurre parentesi quel 
meno che si può. Ogmmo sa che la parentesi è una sen- 
tenza messa dentro ad un' altra sentenza, la qual cosa 
è fatta per dar luce e chiarezza. Ma se la parentesi sarà 
troppo lui^a, e dimanderk più atlensioiie ohe le altre 
sentenze delle quali si forma il periodo, etlrfne tuiterh 
r unita, e in luogo di portar luce, porterà oscurità. Se 
poi la parentesi sarb troppo spesseggiata, distraendo e 
interrompendo.il corso d^r astensione, verrà a togliere 
r unith del periodo e ad isoonòiarle. Non si dice'che non 
possa usarsi la parentesi qualche volta con buon prò: 
chè ben si può, e giova; ma si vuol dire che ohi la 
prelunga soverchiamente, o chi ne usa troppo qpsBSO, 
dà sea»no di non avere saputo a tempo ordinare le idee 
e distribuirle bene. La quarta regola infine è che ogni 
periodo venga ad una perfetta conclusione. E vizio 
insopportabile f! formare de' periodi per mède ehe non 
se ne trae mai quella conclusione che si deve; 0 il for- 
marli in guisa che la conclusione vada piìi là di quello 
che ci aspettavamo; perchè alla mente è grave sempre 
il non trovare quello che cerca : 0 il trovarvi per sòprap- 
piii cose, delle quali non si cura. I quali due vizj sono 
cagione che il periodo perda unità ; e però denno stu-x 
diosamente evitarsi. 



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— ai — 

D. Che intendete qmndo dite che il periodo deve 
avere efficacia? 

JL & inlande dire obe le parole, ed i membri del 
pemdo demie essere disposU per guisa, die faociano 
la maggior impressione possibile sulla mente, a modo- 
chò li leUore ooa solo iateada ad ua punto , ma seata 
oéli'.ammo 11 valor di ciaeeitii membro» di»€its<mii 
•oeiao, e di eiascuna parola. 

D. Quali regole si danno per ottenere t tfficacia 
deW espressione nel periMo ? 

R. AlquanteréfiDtoei daniiò, e innansi tutte questa: 
che si tolga via ogni parola superflua, — perchè tutto ciò 
che non giova, nuoce assolutamente, ai dire di Quintilia- 
no; in fatte o etanca la mente, oytìto sceiiia parte di 
cpiell* attentiem, che a cose più importaoti è dovuta: 
oltredichè, al dire d'Orazio, « è d'uopo usare brevità per 
render più spedita la sentenza , la quale deva trascor- 
rere iiberOy e noa graivate di veni euònì le stancbe 
QÉed^yìa» 

Est brevitate opus ut currot sententia : tutu te 
Impediat verbis Iqsms onerauUbus aure». 

La «piale cepria dovrà essere osservata seoofire con savia 

diserezione, perchè non abbiasi ad incontrare nell'uoitè 
difetto; che sta sempre a costo della precisione, cosic- 
chó apveoÉs. aooade , idie per cercare efficacia nei dire, 
si dado nèlF arideua. 

' D. Si deve egli evitare la superfluità soltanto nelle 
parolel 

B. SiocMie io ouperfluità può essere aocgca nei 
membri e negl'incisi, co8\ anche di Ih converrà to- 
glierla. Alcuni scrittori poco avveduti cercano d'intro- 
durre nel periodo una piena di seatenze, e poco badano 
se tutte siano néesisaria o oo^ purché alla fine e$ca 



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— 22 — 

un su<iiio grave e armoniom. Il qaile difcUo è da fug- 
gire sommamente, perchè se torna grave alla mente 
una parola superflua, molto più le sar^ una sentenza. 

D. Quah altra fdgtì^ siéàpet oUmmn PefUkama 
mi periodo? 

R, Quella del saper ben collocare le parole che 
rappresentano l'idea priocipalei akchò abbiano il prìn- 
cipi luogo, e colpiscano la mente anohe per Mesto 
dell' armonia. Il quale artifizio certamente è di non 
lieve momento. Valga un esempio. Cieerone neli' ora- 
rione a difesa di Ligario voleva dire <Ae egli pure 
aveva seguito le parti di Pompeo.- Egli si esprìme ceift: 
in iisdem ego armis fui: ed osservate, che se egli avesse 
detto: ego fui in armii iiidem, — V efficacia della sen- 
tenza sareUie al lutto svanita. Ma poneado ^ueU* ego 
in luogo cbe ferisce là mente, e méttendo quel fui al 
fine , la sentenza acquista un non so che d' efficacia e 
di forza. Così in quest' altro luogo pur di Cicerone nelle 
Filippiche: AdeiratjanUor mrceris, caimifex pmioris, 
mors, terrorque sociorum , et civium romanorum , lictor 
Sextim. « Si trovava il portinaio della prigione, il ma- 
nigoldo del pretore, la morte e il terrore cM eoufede* 
rati' e cittadini romani, Sestio littere. » (Dolce.) Qod 
Lictor Sextius posto a principio toglierebbe ogni effi- 
cacia a questa sentenza, nella quale Cicerone ha prima 
voluto porre dinami ag^ occhi quanto era di terribile 
in questo carnefìqe , poi quasi a compimento della pit- 
tura nominarlo infine. 

D. Quale aUra regola auegmreelB olire le accen-^ 
naU? 

R. Che ì membri del periodo sempre siano dispo- 
sti per modo che vadano crescendo a guisa di scala, 
eosicohè le idee ultime abbiano sempre maggior pese 



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- 23 — 

delle prime, come in quésto esempio di Cicerone, al 
quale QuìntiliaDO stesso fa chiosa: In istis faucibus, 
iitis lakrilm, ùta gladùihria toiÌMS ccrporis fimUUUe, # 
tunkm inni m Hippm nuptiis eoAanseirat, UH fieeesse 
es$et in conspectu populi romani vomere postridie. « Tu 
con queste tue fauci, con questi fianchi^ eoa questa 
gladiatoria fona di Uilt* il corpo, luti tanta copia di 
▼ìm traeaiiiiato aUe nosie di Ippìa , dkè necessith ti fa 
il giorno appresso di vomitare al cospetto di tutto il 
popolo romano. «a (P. G. Biaiiohi.) Se Cicerone aveaaa 
prima aooannatD alla robostesia gladiat»ria dalla per- 
sona, poi ai fianchi, poi alle fauci, il periodo avrebbe 
perduto efiìcacia per difetto di gradazione. 

D. QmU è la quarla regota per ilare effimda alpe^ 
rmiù? 

B. È quella di contrapporre nel periodo stesso 
membro a membro, e quasi farne confronto , serbando 
aat linguaggio e nella aiulaaBi ima certa omiapondansa : 
per esempio: Vieti pudorefà libido, timorem audacia, 
rationem amentia (Cicerone) ; ove la modestia è con- 
trapposta alla sfrontatezza , il timore att' audacia, la 
ragione alla stoltezza. — E questo modo, cbe i Betori 
chiamano antitesi, vale all' efficacia del periodo, per- 
chè avendo ogni concetto il suo contrapposto ai fian- 
chi, la mente dal paragone è aiutata a sentir meglio 
quefl' idea ohe le si Tnole presentare: come appunto 
più spicca una figura in un dipinto quando è aiutata 
dalle ombre e dai chiaroscuri. Conviene però andare 
canti mW oso dalle antitesi) per non mostrare di avere 
più oera delle parole ohe da* smtimenti. Ma di questo 
altrove si dìvh. 

D. QmU è ta qitùUa regota per rendere efficace il 
pariodo? 



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— 24 — 

R. È quella di non chiudere mai il periodo con 
una parola ) che sia di poca importanza: vale a dire con 
una di quelle, che non esprimono realmente un'idea, 
ma soltanto la modificano, come sarebbero gli aggettivi, 
ì participj, gli avverbj. A meno che non si voglia che 
la mente si fermi sopra le qualità di una cosa , o sopra 
la modificazione d' un' azione, perchè in questo caso 
starà bene portare in fine quelle parole stosse, còme 
nell' esempio di Cicerone: tu istis faiicibus ec. Egual- 
mente si dica dei monosillabi, i quaii chiudono con 
asprezza di suono; e degl'infiniti, i quali sovente re- 
cano in sè un suono languido , e non aggradevole. Ma 
in queste cose non si può dare certezza di legge, e si 
conviene prendere norma dal proprio sentimento, e dal 
fatto dei Classici; come ad esempio: Quapropter me- 
moriam vestri bene/icii colam benevolentia sempiterna , 
non solum dum anima spirabo mea, sed etiam cum mor- 
tuo monumenta vestri in me benefica permanebunt « Laon- 
de io onorerò la memoria del vostro beneficio con per- 
petua benevolenza; e non solamente mentre avrò vita, 
ma quand' anco io sarò morto rimarranno in me le 
memorie del beneficio che fatto m' avete. » (Dolce.) Si 
perde ogni efficacia in questo periodo, qualora si chiuda 
cos\: sed etiam cum mar tuo permanebunt monumenta 
veslri in me bene fidi. 

D. Quai è la sesta regola per dare efficacia al joe- 
riodo? 

Il Fare buon uso delle particelle congiuntive e 
disgiuntive, dalle quali, quantunque non paia, sovente 
il discorso acquista di molta efficacia. Ma per usarne 
bene conviene considerare prima se noi vogliamo che 
tutti i membri del periodo facciano forza sull'animo 
quasi ad un punto ; o se meglio ci torna che 1' uno 



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- 25 - 

dopo r altro faccia forza. Se ci giova che tutti ad un 
puato Cacciano impressione, allora noi dobbiamo sop- 
prìmere e togliere affiatte le coogiuaftioai; se all' incoQ- 
tio, dobbiamo collooarle a divìdere V un membro dalFal* 
tro. Nelle cose in cui è necessaria rapidità, le coni^iuii- 
zioai iudeboliscooo il periodo; in quelle, in cui è ne* 
cessarìa posatezza e distinzione, le particelle rafforzane 
il perìodo. ^Cesare descrìveva una battaglia, e voleva 
mostrare la rapidità, colla quale era stata combattuta, 
e come il combattere ^ il dar la carica, il vincere, era 
Stato quasi un sol pufttoi Dica adunque cos) : Noitri^ 
emissis ptlis, gladiis rem germi; repente post tergum 
equitatus cernitur; cohortes alice appropinquant , hostes 
tirga vertuiU, fugienttìms equUei occurrunt, fU magna 
ecedeg. « I nostri, laooìate le aste, si avventano colle 
spade; improvvisamente vedesi a tergo la cavalleria; 
s' avvicinaa le altre coorti, i nemici voltan le spalle, la 
cavallerìa dà la eariea ai fàggUivi, si fa grandissima 
strage. » Se Ossafe avesse ad ogni nieiaBbro frapposta 
una particella, avrebbe mostrato che da una cosa all'al- 
tra vi eca passato alcun tempo: mentre presentando 
epsl in groppo tatto le eiroostanze^ dà a vedere la 
preetesia « te rapidità del fHto. Ha Cesare stesso vo- 
lendo nella descrizione di un' altra battaglia mostrare 
molte e diverse difficoltà superate, e far vedere il ne- 
uM, in diversi* luof^ ad uno stesfià tempo sem- 
brava essere , ammette le copulative , e ne ottiene bel- 
lissimo efiétto. Eccone le parole: Eie equitihus facile 
piiJ$ii oc petÉurbatis , mer^dibUi eelunècUe ad fiwmn ^ 
iecùmmi, ut pem «no ef odsihm, ef tu flu* 

mine, etjam in manibus noslris hosles viderentur. « Qui 
sospinta facilmente e scompigliata Ja cavalleria, con 
incredibile eeMrità ceraare al fiame; eosìsfiiiò i nemici 



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— 26 — 

parevano essere quasi al tempo istesso, e nelle selve, e 
nel fiume, e alfine nelle nostre mani. » Queste sei re* 
gole generalmente insegnate dai Retori giovano oertà- 
mente a rinvigorire e fare efficace il periodo, quando 
però esse non offendano la naturalezza , e quel lucido 
ordine, senza il quale non vi è mai Tera bellezza nelle 
scritture. 




D. Che 9ùia deve dà^i deW amonmf 

A. armonia è quel dolce risuonar del T>eriodo^ 

che nasce dalla scelta e dalla collacazione delle parole, 
e mentre rende il discorso grate all' oreccbio di obi 
ascolta, gli aggiunge Acacia* Dalle quaU cose si vede 
che non è da trascurare l'armonia del periodo, perchè, 
come dice Quintiliano: Nihil potest intrare in affectum 
qwd frim m ours, wkM qwiiom ve$léi»b^ «Mm ùf^ 
fendik « Non è cosa cl^e possa entrare nel cuore uma- 
no, se dapprima intoppa negjX orecchi che sono quasi 
le porte. » 

D. P&rckè Mi0 «fallo ehé V anmia nmm dalia 

scelta delle parole ? 

R, Perchè le parole possono dalla diversa combi* 
nazione delle lettere ,4dUa quali elleno 0D11O iNtnale, 
ricevere diversi mml e diverse melodie. Ognune sa 
che le vocali rendono dolce il vocabolo; le consonanti 
lo fanno robusto: ma siccome ogni soverchio è vizioso, 
cosi le troppe vecali danne sme spiacevole per ia$a; 



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— 27 — 

le troppe consonaDti rendono un suono aspro e difficile. 
Aggiungasi ancora che le parole composte di poche sil- 
labe sono generalmeiite pìU franche e spedile, che me- 
lodiose e 8op vi ; e sono poi all' incontro melodiose quelle, 
che di un giusto numero di sìllabe si compongono, ele- 
mento delle quali è una proporzionata mistura di vo- 
cali e dì consonaiiti. Chi diuMpw sappia trasceglìere 
qudle parete, che hanno armonia e sono dolci al pro- 
nunziare, renderà sempre armonico il periodo. 

D. Quante regole si possono dare per rendere or- 
nmioio il perMQ coUa ecelia delle parolef 

R. Quattro, e sono le seguenti: 4<» Che si usino 
parole di agevole pronunzia, perchè i vocaboli diflìciU 
alla proniuizSa sono anche aspri « difficili all' udito; 2«Che 
si evitino i monosillabi troppo vicini fra loro, o Fincon* 
tro delle sillabe somiglianti, le quali recano cacofonia; 
3^ Che non si usi perpetuamente un' eguale maniera 
di giro e di cadenza nel periodo; 4* .Che ai vocaboli di 
poche sillabe siano frammischiate voci di molte sìllabe; 
perocché da questa varietà deriva specialmente un' ag- 
gradevole armonia. 

D. Dareste le regole che riguardané la diqnieisnene 
dèlk parole per ottenere armonia? 

R. Eccole, e brevi. In primo luogo sì deve cercare 
che il periodo sìa composto per modo, che in fine di 
ciascun membro possa avere luogo ma pausa; e che 
queste pause siano collocate in tale distanza fra loro, 
die n' esca un piacevole suono: si badi però che non 
siano troppo scropalosamente ansuratOf né troppo egual- 
mente; perchè la soverchia «lisura e regelariài rende* 
rebbe affettato il periodo; P eguale cadenza lo rende- 
rebbe monotono. Che anzi accortamente si devono in- 
fraounettere non ingrate dissonaiiie e spaasatiire, le 



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— 28 



quali, iodueeiido varietii nell' armcMML, «9 'aceresootìo 

il dilotto. ' ; 

D. Chi può dirigere, e dar leggi migliari interno 
tarmenim? 

> 

B. Il solo orèeohìo; ma perchè sia bùon giudice, 
conviene che sìa ben educato; e per avvezzare i' oreo- 
ohio Qoa vi ò miglior aiaaco ohe roaaervatione e Fimi-* 
tassile degli ottimi aaaaqplari. Leggete autori elaiaicf ^ 
recitateli con attenzione a memoria, sicché T orecchio 
ue gusti le armonie, A poco a poco egli vi si abituerà, 
e senza alcuna fatica , ansi inseneibilmente^ quell'alnto 
tornerli in natura. Fra i latini leggete spectalmente 
Cicerone e Livio, fra gf italiani Boccaccio, Casa, Spe- 
roni, Tasso e Caro; sebbene riguardo al Boccaccio non 
ai possa andare tanto ài sioart per quella sua forsata 
sintassi , la quale spesse volte* rende oscuro ed intral- 
ciato il periodo. 

D. Jn fuanti wzj ti può cadere Gerco^tdo eever^ . 
chiamente farmoma? 

IL Neir affettazione , neir ampoUosith e nelT oscu- 
rità; vizj tutti egualmente da fuggire. £ neir aftetta- 
Siene al oade oMStrando scopertaneiìte lo studio posto 
o nella scelta o nella colloeaziofie delle parole; nel* 
l'ampollosità, aggiungendo parole, incisi e membri 
inutili ai periodo, solo per averne quella rotondità di 
cadenza e quel .suono aggradevole, die eontenta Tome- 
chio; nelP oscurità infine, trasportando fuor di luogo 
parole ed incisi, e forzando oltre il debito la sintassi. 
Si deve anuhe guardare lo scrittore dai confondere il 
ritmo della prosa col melffo della poesia, conciossiadiò 
quello è regolato semplicemente dalT orecchio , questo 
da una determinata misura, e non vi è^osa piii scon-* 
eia che vedere la prosa vineolala ai numeri della poesia. 




- 29 - 

D. Conviene forse iMia sola armonia egualmente a 
luta i periodi? »• 

R. Certa che no* Abbiamo deUo che de' periodi ve 
ne ha di brevi , cioè di doe o tre membri , e di lunghi , 
cioè di molti membri, e da questo ne consegue che 
come diversa è la misura del periodo^ diverse aocora 
ne sia il suono. E aieoome ge&efahnenle I periodi non 
lunghi convengono ad un semplice discorso, e i lunghi 
periodi sono proprj del discorso oratorio, così ne viene 
che altra debba essere V armoma d' un tismpliee e fa* 
migliare dtocorso , altra quella di un oratone. E ceHo 
mal farebbe assai chi ad un semplice discorso volesse 
dare V armonia e Y andamento 4kel discorso oratorio. 

D. Si dovrà egli cmpmr&^l diicono 8empHc$ fo* 
famente di irwi periodi, e /F or^Mria solamente di 
lunghi? / 

R. Se ricordate che abbiamo insegnato doversi 
fuggire come viaio la monotonia , vedrete venirne di 
conseguente, che sebbene il periodo breve sia proprio 
del discorso semplice, il lungo sia proprio dell' orato- 
rio, nullameno si devono c<|d' giudiziosa arte frammi^ 
sehiare e eontemperare. InfAto Cicerone insegna, che 
« non si ha sempre ad usare di una lunghezza, e quasi 
di un egual torno di parole, ma spesso spesso nel di- 
soorso a lunghe membra si donno intrameziare le bre- 
vi, t jVen semper fààmikm est perpetmkde et quaei con- 
versione verhorum, sed scepe carpenda membris minuUo- 
ribus or alio est. 

D. Conchec/He $i rende hmgoilperiedof 

A. Accomodando molte proposisloni subalterne 
per fare risplendere maggiormente la principale. Il 
breve periodo esponendo una sentenza 9on poche altre 
che la modificano, vi toglie il diletto di vedére la rela-. 



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— 80 — 

zione, che ella può avere con molte altre: il lungo vi fa 
conoscere quasi ad un tratto un maggior numero di rap- 
porti della sentenza principale colie accessorie. Per fare 
cenoscere adunque tatti questi rappocti ad un tempo, 
egli è necessario ricorrere ad alcuni modi , che i Retori 
chiamano amplifìcazioue, antitesi , enumerazione di par- 
tL Ad esempie: Cicerone vokTa dire ironicamente che 
tutti piangevano per la morte di Clodio. In un breve 
periodo si sarebbe detto : non vi è in Roma chi non pianga 
per la morte di Clodio. Cicerone air incontro per messo 
deir enumerasione amplifica il perMo, e gK dà suono 
oratorio in questa maniera: Publii Clodii mortem cequo 
animo nemo ferre potest; luget senatus, mceret equeiUr 
ordo, tokk cwiias confecta senio eit; sqwUhiU munieipia^ 
afflìCkoUui^ cohnkB ; agri dmdqm tpsi Ann ben^tùum, 
tam salutarem , tam mansuetum civem desiderant. i Piange 
il senato, V ordine equestre è in tribolo, tutta la città è 
di malinconia rifinita; squallidi i mnniciiy , afflitte soa 
le colonie: finalmente i medesimi campi dfcone: Deb! 
chi ci rende un cosi benefico, sì mansueto e salutevole 
cittadino? 9 (Cesari.) 

D. Formato eko sia bene ilptfrkdo; cosicché riesca 
dotato d'unità, d' efficacia, di armonia, che altro resta 
a fare? 

R. Beata a formare il discorso: cesia a congiungere 
insieme piìi periodi, i quali- contengano un intero ragio- 
namento, 0, come i Latini chiamavano, Orazione^ la 
quale abbia tutte quelle doti che sono necessarie a ren- 
derla perfetta. £ perà verremo a parlare dd Discorso e 
delle sue priiicipali qualitt. 



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- ai ~ 

. Del SisMMW» • dMle mw pri— >y« l t 

D. Cofne fi pud dijfinm Diieano ? 

Jt. Il Ditoorsò non è altra obe Fmiione di molti pe* 

riodi concatenati per modo, che i' uno venga necessa- 
rìamente di conseguenza air altro, e tutti insieme ne- 
soaoQ a quel che ci siamo proposti da prima. 

D. Quanti sono ifini che Vuomo si può proporre nel 
diicorso? 

R. Tre priocipalmeiite. O non si ia altro che nar* 
rare ed esporre sempliosmente i nostri concetti per trat- 
tenere piacevolmente chi ci ascolta, e allora il Discorso 
ha per fine il diletto; o si vuole dimostrare una qualche 
veritèi, e allora il Discorso ha per fine la cofivmsfone; o 
infine si vnoìe costringere chi ci ascolta a fare il voler 
nostro, e allora egli ha per fine la persuasione, 

D. Nei tre fini diversi che t uomo si propone par- 
lando, devono forse mere sempre egwdi le qtsaUtà del 
Discorso ? 

R. No. £ per determinare quali devono essere le 
qualità ohe al Disoorso ri convengono, Usogoa osser- 
vare alcune cose. L'uomo, quando parla, può trovarsi 
in diversi stati : o coli' animo tranquillo e dominato dalla 
sola ragione, o coli' animo signoreggiato dalia fantasia, 
0 infine ooU' animo dominato dalla passione» A seconda 
delio stato in eni si trova l' animo di chi parla , il Di- 
scorso riòhiede un linguaggio diverso: imperocché il 
linguaggio della ragione ò fiempUce , chiaro ed elegante ; 
qttrib della fantasia s^ inaiza con figure che gli danno 



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propri colorì; quello. deKB passioae poi è commosso ed 
iigilalo, ed ha modi e figure liltte sue proprie. E però 
alcune qualith richieste da una di. queste specie, squo 
poi rifiutate dair altre. 

D. Insegnateci ora le qtmHtà proprie ad ognuna di 
queste tre specie. 

R, Di alcune qualitè per le quali si ottiene la chiù- 
rena , cioè della purità , della peoprieià • deUa decenza ^ 
si è toeeate da principio. Ora rimane a dira d^* elire, 
e in prima di quelle che sono proprie a tutte tre lo 
specie; oioò veritb, ordine, naturalezza, eleganza: po- 
scia traiieremo delle qoalità piwprìe di quella speeie di 
Discorso che è mosso dalla fantasia, e diremo delle ficiire 
prodotte dall' immaginazione; infine accenneremo di 
(fueila specie che ò sigooreggiala dalla passieiiei e par^ 
leremo di3le figure proprie della pasaioiiev 



Dellii Yerit»9 dell' ordine , della natiirideHA 

p ' deir eiei^nza» . 

D. Ghe cosa intendete dir^ quando prescrivete che il . 
Discoreo abbia verità? . 

R. S intende dire che i concetti^ i quali noi espo- 
niamo, devono essere veri o molto somiglianti al vero, 
e devono essere espressi con una elocuzione egualmente 
vera, cioè predsa in*8ò, e taleda rendere efficacemente 
con aggiustatezza quei coifeelti che noi vogliamo naui- 
festare. Ovunque manchi la verità nei concetti , o quella 
verisùniglianza che ha immag^é. di verità i T umano 



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— 33 - 

Discorso sì caogia in vamièi di suoni e di stranezze ; ove 

manchi verità all'espressione, i nostri concelti non fanno 
mai forza alcuna sali' animo altrui ; nè gioverà puntc^ 
adoperare deganza e bei modi se il fondamento non è ' 
vero, 0 somigliante al rero. 
D. Che cosa è V ordine? 

H. V otxLine die fu dnamato buoido, e raccoman- 
dato con tento calore da Orazio, è qndia qualità , per 

la qoalc si dispongono i concetti in modo che l'unp sem- 
bri derivato dall' altro, e messi insieme formino un tutto 
di perfetta regolarità. £gii è certo, die per dichiarare 
alcuni concetti noi dobWamo dichiararne alcuni altri o 
dipendenti da quelli, o a quelli per relazione congiunti, 
e però ohi scrive deve disporre i suoi concetti per modo 
che r un pensiero rampolli dall' altro, e dall' uno all'aP 
Irò il lettore passi senza disagio, anzi senza avveder- 
sene, cosicché creda una materia sola quella che com-. 
pone un intero disooiao. Yet ottenere ciò egli è necessario 
sapere mettere in esecuzione quello che Orazio stesso 
insegna in quei versi dell' epistola ai Pisoni: 

Or^nù hmc viHut erii , et venu», ani ^ fui/or, 
VÈjam tmnc diotiijam %UM deb9»lh M; 
PkTMqné éifeni, «I pnmtu iu tempia emittùt. 

La grazia poi dell'ordine e il valore, 
A parer mio , consiste in ciò che sappia « * 
Il destro autor sul cominciar deir opra 
^ Di tutto ciò cbtì dovrà dir, quii parte 

Subito esporre, e quale io aiiro tempo 
Differir aia vaaiaagio. 

(Uetastasio.) 

E grandi sono in vero i beni che ne vengono dal saper 

dire a tempo ciò che si deve, e lasciare ciò che non è 
necessario dire: perchè appunto l'ordine si turba e 
quando non si dice a suo tempo ciò che è necessario 

z 



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- 34 — 

allo sviluppo dei oonceitt, e quando ai dice piii di quello 

che occorre; perchè nel primo caso s'interrompe la ca- 
tena delie idee, e si reca disagio alla mente; nel secondo 
si opprime la memoria per modo che ella ci perda il filo 
del discorso, e non lo possa senza fatica rintracciare. 
L' ordine fa che ci riesca più facile a conoscere la suc- 
cessione delie idee, e cbet se ne comprendano agevol- 
mente i rapporti : e, come dice un prefondo scrittore 
moderno, ^ « L' ordine àh air anima il massimo eccita- 
mento congiunto al minimo di fatica; perchè fissando 
la nostra intelligenza il suo punto d' appoggio nel cen- 
tro, signoreggia da quello tutte le parti della cosa. » 
L' uomo ama V ordine naturalmente, il quale ordine è 
principio di diletto, perchè scema fatica alia mente; è 
principio di bellezza^ perchè eccita dolcemente la fan- 
tasia ed il cuore. 

D. Che cosa mi dite della naturalezza? 

lì. Questa dote del Discorso, secondo Aristotile, è 
quella per la quale nelle scritture s' imita sempre il 
parlar naturale, cioè si mantiene quell'ordine nelle 
idee e quei colori nell'elocuzione, che sono richiesti 
dalla natura stessa. Egli è vero che non si dee scrivere 
come gli uomini comunemente parlano , perchè nel par- 
lar comune è scorrettezza presso che sempre, e vi ha 

* Il professore Gratinano Bonacci cosi si esprime nel § 3o del 
Gap. Q° della sua veramente filosofica opera inlitolata Noiioni fon^ 
damentali ri' £<leli«a. ( Foligno , tipografia Tornassi ni ,1857. ) Colgo 
qaesta occasione per neeoinandare ai giovani la lettura di questo 
libro, Il quale 9 ae con assai meno booià fosse nato di là Uair Alpi e 
dal mare, e veouto a noi» dooo di mente straniera, avrebbe in 
lulia a qoest' ora e molle traduzioni , e molti adoratori. Ma penjiè 
è nato in Italia, forse da pochi è conoscioto, da pocliissimi pregialo 
secondo il merito » e studiato. Così va la bisogna degli stndj in Italia ! 
0 temporali a momllll 



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-36- 

, de' modi e de' costrutti, chiamati idiotismi, che nella 
scrittura si denno evitare; ma è vero altresì , che ove 
Tarte si faccia a rabbellire il Discorso, lo dee fare per 
modo che sembri cosi fatto per sola opera della natura.* 
Perciò i grandi maestri insegnano, ninna cosa essere 
più diffìcile aeir arte che nasconder V arie , e fare che 
ella si paia natura. Conciessiacfaè ancbe allorquando 
la materia del Discorso è presa dal verisimile, egli deve 
avere talmente faccia dì vero da potersi trovare il vero 
nel fiato: nò questa illusione può fare V arte se in tutto 
non segue le norme della natura , cioè a dire se il Di- 
scorso non ha pregio di naturalezza. E perchè abbia 
tal pregio, tre cose principalmente si debbono schivare; 
la prima delle quali è che non si scelgano mai im- 
magini troppo raffinate, né parole troppo leziose, e fuor 
dell'uso nella costruzione delle sentenze: ma le imma- 
gini e le parole siano spontanee, e non mostrino artih- 
sic, ma, come dÀoB CUierone^ exeadem re effloruisse 
videanhir; cr paiano sbucciate fuorì da sè. » E quel che 
si dice delle immagini e delle parole si dica pure del- 
l' armonia del periodo, la quale deve procedere per 
modo da prender dolcemente gli orecchi e tentare il 
cuore^ senza mai dare nelF affettato, nè dipartirsi dal 
naturale, la seconda luogo acquista naturalezza il Di- 
scorso dal mantenere la decenza , cioè facendo che ogni 
persona che parla, pari! secondo il proprio carattere, 
in quella maniera stessa che un uomo parlerebbe in 
realtà se fosse posto in quelle circostanze. Periochò 
egli è chiaro che non essendo dato a tutti da natura 
un carattere eguale , o doti eguali d* ingegno e di cuore, 
ciascuno deve parlare seconda quel carattere o quello 
doti che ha, o che lo scrittore gli ha assegnate, ila da 
principio; perchè, facendo altrimenti, il Discorso per- 



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— se- 
derebbe pregio di naturale. Finalmente iu terzo luogo si 
conviene studiare che le parole e le frasi, non meno * 
che i pensieri , siane adattali al soggetto che si tratta , 
e alle persone innansi alle quali si tratta; la qual cosa 
costituisce ciò che si chiama carattere di stile, di che 
parleremo a suo luogo , e dà lode di naturalezza al Di- 
scorso. Da queste cose è nanifésto che la naturalesza 
è princìpio e conseguenza della chiarezza. 
I). Che cosa è eleganza, e in che consiste? 
R. Eleganza è quella qualità ^ per la quale il Di-* 
scorso non solo si purga dagli errori , ma prende abito 
di terso e di gentile, allontanandosi dai modi della 
plebe senza punto perdere T essere di naturale. Questa 
parola eleganza nasce dal verbo latino eUgerif M quale 
suona in volger nostro — scegliere condiligensa: e Tele- 
ganza è proprio una scelta che si fa delle parole e dei 
colori della favella per rendere più vago ed efficace il 
Discorso. Ma questa virtU non è si facile ad ottenere se ' 
prima V ingegno non si assicuri da ogni errore gram- 
maticale, e non conosca profondamente quelle leggi 
che la volontà de' primi scrittori ^ e V uso di quelli c^e 
vennero appresso, ebbero imposto aUa lingua. I quali 
scrittori certamente recarono quelle leggi, tolte dalla 
osservazione del parlar comune , cioè dalla natura stessa 
della lingua; e a queste ìaggL chi nega sottopora^i non 
otterrà giammai, non dico lode di eleganza, ma nep- 
pure titolo di essere scrittore: conciossiachè a conse- 
guire eleganza è fondamento T osservanza delle leggi 
grammaticali; e dopo queste, quattro mezai vi sono 
che possono veramente chiamarsi principio e fonte d'ogni 
eleganza: cioè T uso delle figure grammaticali, dei tropi, 
dei concetti e delle sentenze; e infine la varietà. Di cia- 
scuna di queste cose parleremo ne' seguenti capitoli. 



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— 37 — 

€aw. TIf • 

Delle flswe del DImomo eblanuite 

D. Che cosa sono queste figure grammaticali? 

IL Sono certe forme di costruito, ie quali hanno 
io sé nna ragionevole irregdaritè; perloehè ben dissero 
coloro che le definirono — un errore fatto con ragione, 
perchò l'errore non istè che neir apparenza, e la ra- 
gione del medesimo ha radice nella natura; tanto che 
si può dire che la sintassi naturale le porta con sè. In- 
fatto se l'ordine successivo dei rapporti delle idee non 
è esattamente seguito neir espressione, non è per que- 
sto che noi non siamo benissimo intesi da coloro che 
et ascoltano, la qunl cosa non sarebbe se dalle figure 
di costrutto restasse offesa la naturale sintassi. La mente 
di chi ascolta o legge, facilmente entra nel nostro con- 
cetto, conoiQSStachè per leggi di analogia ella a sò rende 
regolare quel Discorso il quale infatto è irregolare; 
laonde si deve concludere non essere queste figure in- 
▼enzione de' Grammatici ; ma sì i Grammatici averle 
trovate nel naturale Discorso, ed essere quindi nate 
dalia natura, e non dall' arto. 

D. Come può dirsi che le figure grammaticali già- 
wmo ali eleganMa M eoUruUo? 

R, Perchè esse lo rendono più cahaiite ed efficace, 
esprimendo certe condizioni o dell' immaginazione oil 
anche dei cuore, a modo che possa dirsi che elleno 
siano linguaggio proprio dello spirito in quelle date 
condizioni. Infatto, quando lo spirito mira direttamente 



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— 38 

c con interesse ad un oggetto, egli facilmente sopprime 
e tralascia quelle idee a cui egli non mette gran conto, e 
che possono essere intese dair insieme dell'altre: quando 
una cosa fa gagliarda impressione sulla fantasia, lo spi* 
rito vi si ferma sopra, e qualche volta, senza raddoppiare 
r idea, raddoppia Tespressione: alcun'altra volta perse- 
guitare V andamento delle idee turba Uordine della sin- 
.tassi; alcun' altra infine scambia le relazioni riferendo il 
pronome non al nome espresso, ma al nome dell'oggetto 
che lo colpiseei e-che è già chiaro dal complesso delle 
idee esposte, cosicché il lettore o l'uditore per mezzo 
deir analogia rettamente interpreta il Discorso, non 
secondo le parole, ma secondo T intenzione di chi parla. 
Ecco qua la sorgente delie figure che malamente si 
dicono grammaticali , e dovriano dirsi figure del co- 
strutto naturale. 

D. Quante e quali iono queste figure? 

A. Se guardiamo- ai Grammatici sono in gran nu- 
mero, ma avvisati da Gherardo Vossio, che le piìi non 
sono che stranezze e vera invenzione >di Grammatici, e 
non prodotto della natura, noi ci fermeremo a cinque: 
la 4* delle quali, ohe è la piti usata, eidirei regina delle 
altre, ha nome Elissi; la 2^^ Pleonasmo; la 3» Silessi; 
la 4^ Enallage; la 5^^ Iperbato. Diremo ora di ciascuna. 

D. Come definireste la Elùsi ^ e che easa dirute di 
questa figura? 

R. Elissi è parola greca la quale significa manca- 
mento; e però questa figura consìste nel togliere e tra- 
lasciare alcuna parte che sarebbe necessaria, all' inte- 
grità della sintassi, in modo però che non ne nasca 
oscurità alcuna, ma anzi il Discorso acquisti forza ed 
efficacia. Vi ha delle lingue, a cui T elissi è frequentis- 
sima, e fra queste la latina e la nostra. Se dunque, 

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— 39 — 

coniD è detto, TEIissi consiste nel tralasciare, ella co- 
stituirà principalmente quella brevità, che spesso è 
vaghezza del IMscorso. 

D. In quanti modi si può fare tSlissi? 

R. In molti modi : ora tralasciando un nomé so- 
stantivo, che facilmeute si può sottiuteDdere^ come ad 
esempio in qnel di Dante : 

Gliene diè cento» e non stnlì te diece ; 

ove si sottintenda il sostantivo htue, nome che facii« 
mente si supplisce, intesa che sia l'azione, nè ci vuol 
fatica ad intendci la, poiché il poeta dice come Ercole 
a furia di busse fini il ladrone Caco. Cosà facilmente 
s^ intende la parola jsodum soppres^ nel seguente d* Ora* 
zio (Ode 34, lib. 4"] : 

• • . • • nom^tie DinpUtr 

PUrwnque per pumm. • , • 

Egil equa 

sottintendendo ccelum* Con itoolta vaghezza talora si 
sopprimono gli adiettivi , come ad esempio : nec tu sol- 
vendo eraS; — cioè aptus. Cos\ nel Boccaccio : E sempre 
poi per da molto l' ebbe, e per amico, sottintendendo — 
per da ùioho pregio^; e neir altro : Il garzoneelh infer^ 
mo, di eh» fa madre dolorosa tonto, come coki che più 
non ama ; — dove è agevole sottintendere figliuoli. 

De' verbi ancora si fa olissi, siano essi finiti o in- 
finiti; così in quel di Virgilio: Ne te f rigora hedant; 
cioè cave ne. E in quel di Dante : 

Ed ecco verso noi yenir per nate 

Ud vecchio bianco ec. ; 

dove manca il verbo apparve: e nel bellissimo luogo 



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— 40 — 

del Passavanti , ove V albergatore di Mahnamile diee 
dì sè: Io ricco, io sano, io bella donna , assai figliuoli ^ 
grande famiglia, né ingiuria^ onta o darnio riceveUi mai 
dapersona : ove è facile il aoiimteiiderd — io sono, io ho. 
11 verbo infinito ancora elegantemente si sottintende. 
Così il Boccaccio : U Saladino e compagni, e famigliari 
tutti sapevan ìaHno, cioè pariare ; e ailrove : Impoaibil 
che mai imnbmeficj e il suo valore di mente gli iMCtV- 
sero; supplisci, esser impossibile. Le preposizioni infine 
(chò dell' altre parti del discorso ci passeremo per bre- 
vità) coQ> molla grazia si sotiiotmidioDe. Eceone alcuni 
esempj italiani : avvisò ^ che gran cortesia sarel^be dar 
loro bere. (Boccaccio.) Supplisci, da bere. 

Questi avea poco aodare ad esser morto. 

(Petrarca.) 

Supplisci, da andare. 

Lo fondo suo ed ambo le peadici 
Tult' eran pietra, ec. 

(Dante.) 

Cioè di pietra. 

Chi yunÀe più copia d* esempj intorno dò, ricorra ai 

Grammatici, e n' avrh a satollo. A noi basti avvertire, 
che dair olissi il discorso acquista brevità, rapidità ed 
efficacia ; le quali cose , coinè producono dilelfto nel- 
¥ animo, così partoriscono veneri, e grazie, dalle quali 
si forma principalmente V eleganza. Vogliamo anche 
osservare che molte figure, cui i Betori chiamano di 
parole, non sono che le stesse figure grammaticali. Ma 
di ciò a suo tempo. 

D. sChe cosa è il Pleonasmo, e in quanti modi si fa? 

R. li pleonasmo si fa nel discorso ogni quel volta 
s* inti'oaiette nella (rase una parola, la quale tolta ohe 



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Le, non T«r<«bbe meno .ionn. 00081 al eonceito. Ha 

nome da una voce greca, che signiiìca ridondanza. La 
quale superiliuU noa deve credersi lasciala iix arbitrio 
di chi scrìTO : perocché ove ella non sìà comandata 
dalla natura, diviene vizio e non vaghezza del favella- 
re. Quando una cosa colpisce fortemeote la nostra im- 
maginazione o il caoroy noi, perchè sia conosciota Firn- 
^; pressione che essa fa dentro noi , usiamo raddoppiare 
qualche parola. Dal che ne viene che il pleonasmo 
aggiunge di gran forza air espressione ; e non sarebbe 
cosi, se questa soperflaìtà tion ìmm comandata, ma 
capricciosa. E vaglia il vero, quando Dante disse nel 
canto di Ugolino : 

Ambo le roani per dolor mi mor&i : 

ognun sa che le mani sono due, cosicché pare superflua 
Ja voce ambo; ma s'ella è superflua alla sintassi rego^ 
lare, non è superQua air immaginazione, la qpaale per 
mezzo di quel pleonasmo vede V azione di mettersi ad 
un tempo con doloroso modo d'ira le mani alla bocca, 
e colorisce agli occhi la disperazione del conte Ugolino. 
Di qui è chiaro che se il pleonasmo aggittoge forza e co- 
lorito all'espressione, deve essere Hn principio sicuro 
d' eleganza. Badino però i giovani che facilmente sì 
cade in Tizio di superfluità dove si voglia usare di 
questa figura senza ragione. I varj modi di pleonasmo, 
usati nel voìgar nostro e nel latino, ricercherete dai 
Grammatici, A noi basti il detto fin qui. 

D. Che cosa dowrà dirsi della Siìeaei? 

R, La Silessi, figura che ha nome da greca voce, 
la quale significa concepimento, si fa allorquando le pa- 
role sono costruite secondo il senso e il pensiero, an- 
ziché secondo V uso della costrusion regolare, a modo 



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~ 4i — 

che ella ti pare a {nniaia ghuita una discordanza. Così 
ad esempie in qnel di Livio : Capita coniurmiioms vir- 

gis cessi; invece che coesa. Questa forma di parhire, che 
pare strana, è al tutto naturalissima* Vediamolo in 
quaiciie esempio. Dante dice nel settimo deU' Inftrm : 

Che soUo l' acqaa ba genie cbe sospira , 
E bone pallttlar quesf acqos al sommo. 

Sotto la parola gente, V immaginazione vede una mol- 
titudine d* uomin^ ; e però V azione s^ accorda col nome 
uomini sottinteso, anziché col nome espresso gente. Così 
Orazio, parlando di Cleopatra nella 37^ Ode del i"* libro, 
la chiama fnonstnm fbUah; poi segue a riferire V azione 
a Cleopatra stessa: 

Darei «f eelenti 

FakUe monttnm: fu» gwemim - 
Ptriréqmremeta.; 

e altrove Dante : 

Di fuor dorale sod sì di' egli abbaglia; 

e dovrebbe dire regolarmente : sì cha elleno abbaglia- 
no ; ma sicoeme il poeta ha voluto Hiostrare ohe quel 
bagliore nasceva dal molto oro ivi profuso, ha concor- 
dato il relativo al nome oro sottinteso, aiutando per 
questo modo T immaginazione a raggiungere il con- 
cetto. Conviene però nelF uso di questa figura andare 
molto a rilenlo, né si dee credere che tutte le discor- 
danze di sintassi si debbano avere per Silessi, perchè 
pur questa figura non è bella, se n<m è ragionevole 
mente irregolare. / 
D. Che dee dirsi dell' Enallage? j 
H, Dee dirsi, cbe ella è una figura per la quale / 
si pone un caso, un genere, un modo, in luogo dell' al- / 



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- 43 — 

tro. ié parola che in greco significa mancamento. Di 
questa figura gl' iialìani fanno uso assai di sovente, 
forse anche più del Latini; cosi si usa Tinfinito in forza 

di nome, come nel seguente esempio del Boccaccio, 
ove r infinito vivere sta in luogo del sostantivo vita: 
— da questo vieM il nostro viver lieto eke voi vedete. 
Così Livio: et facere, et pati fortia , r(mumtm est ; ove 
gF infiniti facere e pati, hanno forza di nomi. Si usa 
con molta vaghezza V aggettivo in luogo deiravverbio; 
così Orasìo nell'Ode SS del libro 

Duke ridenlem Lalagen amato, 
Dulct laquenUm; 

e il Petrarca: 

Chi oso ss mae dolce ella scMqrinif 
E come dolce parla, e dolce ride; 

dove r aggettivo doìoe sì in latino che in italiano è 
posto in luogo deir avverbio. Si pone il participio per 
r infinito, come in questo del Boccaccio: fece veduto 
ai suoi sudditi, per dire fece, vedere. V infinito invece 
del soggiuntivo; ossi il Boccacdo: Qui ha questa cena, 
e non saria chi mangiarla, cioè chi la mangiasse. Il pre- 
terito determinato in luogo dell' indeterminato , come; 
Io andava per grande bisogno in servigio della mia 
donna, e il re fu giunto; cioè giunse; e così dicasi di 
altri casi. Ma, quel che più è, alcuna volta si usa un 
verbo in luogo d' un altro, come in questo del Boccac- 
cio : Vwer sensa te non saprei ; ove saprei equivale a 
potrei: così il verbo aieere può usarsi in senso di ri- 
putare , di ritenere, d' intendere o sapere, di procac- 
ciare. 11 verbo fare si mette 4b luogo del verbo procu* 
rare^ di terminare ^ di nascere, di apparire. Ma di queste 
cose chi brama avere copia a mano, può rivolgersi ai 



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— u — 

{irammatici. Se ci si domandasse quale proviene al Di- 
scorso da questa figura, rìspond^remmo, che non lieve; 
perocché, quando altro non fosse, lo rende graiioeo e 
peregrino senza scemargli chiarezza, e colla novità 
stessa ingenera diletto ed eleganza ; col cambiamento 
poi dei tmtfi aggiunge vigorìa ed efficacia al Discorso. 
Così il dire U re fu giunto, anziché gmucy indicando 
un'azione già compiuta e determinata, in luogo di una 
iadetermioata e lontana, rende piii scolpito il concetto^ 
e mostra con più efficacia la prontessa del venire. 
Anche in questa figura non deve però lo scrittore an- 
darsene alla sbrigliata , perchè gii potrebbe accadere 
di rendere strano il Discorso ed oscuro in luogo di 
dai^li vaghezza e novità. 

D. Quale è la quinta di queste figure? 

R, V Iperbato, parola greca, che in Ialino suona 
tramgressio, in italiano direbbe irapasso, E questa 
figura si fa traslocando una pairola dal luogo suo pro- 
prio , e recandola ad altro ; cosa che spesse volte giova 
assai alla fantasia ed air affetto* £lla si fa per quattro 
modi principalmente: 4^ per Trasposizione (i Greci di- 
cevano Anastrofe), come in, quel di Virgilio, Eneide, 
libro 4<> : 

• multo$qué per annoi 

BmbùM «eli fath ména omnia eiremm ; 

e il Petrarca : 

Ho di i^ravi pensier tale una nebbia, ec. ; 

ove è da osservare, ohe la parola cireum posta in fine 

da Virgilio, la quale dovria slare innanzi al maria, è 
un espressivissimo tratto di pennello, conciossiachò 
ferisce la mente del leggitore a consìderafe quanto a 

lungo errassero i Trojani per tutto il mare, e ve ne 



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- 45 — 

mostra quasi i lunghi errori: e il Petrarca ponendo 
r aggettivo UUe innanzi ad una nebbia, rende più ef- 
ficace e più: sensibile la metafora, in %^ lucgo si fa per 
Divisione (Tmcsi), o mettendo il sostantivo in mezzo a 
due aggettivi, come nel Boccaccio: A piè d'una bellis- 
sima fontana e chiara che tiel giardino erA, a starsi se 
ne andò : o col dividere una parola in due, e intramei- 
zarla ad un' altra, come in qaesto di Virgilio: Seplem 
subiecta trioai, — e in questo del Passavanti : Acciò 
dunque cbe per tgmrtUMa non si ùscurino. Il 3^ modo ò 
la Parentesi ; della quale fu detto. Il 4* è la Sinchisi, 
cioè confusione, come : Per ego te Deos oro. (Livio.) Que- 
sl' ultimo modo esprime meravigliosamente il turba- 
mento dell' animoy corno nel citato esempie di Livio. E 
però da avvertire che ove sia usato fuori di questo 
caso, produce facilmente oscurità, e lo scrittore accu- 
rato dee guardarsene. Nò valga a scusa il potere recare 
esempi di grandi autori, perchò ciò che ai grandi ò 
permesso, non si concede a lutti del pari. Conviene 
: anche ricordare a questo proposito ciò che il principe 
dei Retori, Quintiliano, lasciò scritto nei libri delle ln« 
stituzìòni : NequeidstaUm legenii persuasum sii, emnia, 
quce magni anctores dixerint, utique esse per feda; nam 
et labanL aliquando, et oneri cedunt, et induìgent ingenio- 
rum euorum volupiati, nec semper inàendunt anmum, et 
nonnumquam faligantur, eum Ciceroni dormitare inter- 
dum Demosthenes , Horatio Homerus ipse videatur. a ^è 
subitamente si persuada chi legge essere egualmente 
tutt* oro ciò che dissero i grandi autori : perchò e' pure 
alcuna volta sdrucciolano e cedono al peso, e condì- 
scendono al diletto de' loro ingegni ; e alcuna fiata sono 
stanchi ; così che talor paia a Ciceroue che Demostene 
donna 9 e ad Orazio sembri che dorma Omero. » 



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■ 

— 46 - 

D. Perchè fi parla delk figure grammaiioali , e nm 

si fa motto di quelle, che i littori chiamano figure di 
parole? ' 

Perchè è nostro avviso che quelle figure, alle 
quali i Retori hanno dato titolo di essere figure di pa- 
role , non siano altro che varie guise di elissi e di pleo- 
nasmo. Infetto, che altro sono dal pleonasmo la dupli- 
eazione, la ripetizione, il peltsfj^iufeto» (ripetizione di 
congiunzioni), la sinonimia? Noi abbiamo detto che il 
pleonasmo aggiunge o raddoppia parole che sono su- 
perfine alla sintassi, noi sono air efficacia dd Discorso ; 
e che appunto si duplicano o si aggiungono a queir idea , 
alla quale si vuol dare maggiore rilievo. Or bene, che 
altro fauno le suaccennate figure? La duplicazione rad- 
doppia una stessa voce, perohè sa qnella si fermi la 
mente. Dante dicer 

■ 

Non ton colui, non aon colui, ebe credi; 

appunto per mosirare con sicurezza, sè non esser quel- 
lo. Cicerone nella 1* Catilinaria per mostrare che tutto 
il male nasceva dal poco animo dei consoli, dei quali 
egli «ra uno, dice: — Not, nos, aperte dho, eànstdes 
deeumm. La ripetizione è fatta pur essa per ribadire ia 
mente un'idea, la quale però sarebbe espressa senza 
ripetere quelle stesse parole. Così ciascuno intende il 
concetto di Dante in qtèlla terzina che sta scritta sulla 
porta deir inferno, ancorché si dica : Per me si va nella 
città dolente^ neW eterm dolore, e fra la perduta gente. 
Mentre qui la ripetizione non aggiunge aloun concetto, 
ma solo rafforza il concetto già espresso : 

Pir me f t va nella città dolente » 
Per me il va nelT eterno dolore. 
Per me li fw fra la perdala genie. 



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— i7 — 

Così si ripetono le conG;iunzioni solo perchè ogni idea 
faccia separata impressione suir aniiiM) ; e questa re- 
plica è un semplicissimo pleonasmo. Come pure è un 
vero pleonasmo V esprimere una cosa stessa con di- 
verse parole, che non hanno altro ufficio che di raffor- 
zare r idea principale; come in quei di Cicerone : Vobis 
populoqu» romano pctcem, IranquUBtakm , otium , concar* 
diamadferam. E tale è pure l'Apozeugma, la quale ripete 
pili verbi a significare cosa, a cui un soio verbo baste- 
rebbe, come in questo della Rettorica ad Erennio: 
Populus romarm Numanitam iklevU^ Carlhaginem su- 
stulit, Coryntum disjecit, Fregellas evertit. « 11 popolo 
romano distrusse Numanzia, disfece Cartagine, atterrò 
Corinto, abbattè Fregelle. i» Air olissi poi si riducono 
facilmente e la Disgiunzione , e lo Zeugma , e la Reti- 
cenza ; conciossiachè la prima di queste figure sta nel 
togliere le congiunsiom', la seconda nel far riferire a 
plit sentimenti un v^rlio solo, la teria nel tralasciare 
parte di un sentimento, al quale il lettore colla propria 
immaginazione supplisce ; e questo si può vedere dagli 
esempj. Disgiunzione : « li padre nefandamente uodso,' 
la casa assediata dai nemici , tolti i beni , i possessi 
rapinali. » Pater occisus nefarie^ domus obsessa ab ini' 
micis, bona adempta,pos$eisa direpla, (Cicerone.) Zeugpia: 
VicUfiiàdùrtm libido, timorem audacia, riUionem amentia 
« Fu vinta la modestia dalla sfrontatezza, il timor dal- 
l'audacia, la ragione dalla pazzia. » iieticenza: 

Io vi farò.... ma di meslieri è prima 
Abbonazzar quest'onda. 

(Caeo» tradutione di VirgiliiL) 

Dopo aver resa ragione per questo modo del tacere 
che facciamo intorno le figure che i Beton ekiamano di 



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— 4S — 

parole, e delFayere mostrato che le figure, così dette 

gramraalicali, sono fondamento d'eleganza, è tempo 
di passare a dire dei Tropi , onde T eleganza anche a 
maggior oofià si deriva. 



CAr. Vili. 

Del Tropi. 

D. Che cosa sono i Tropi f 
R. 1 tropi sono cerio parole , le quali, comecché 
siano nate a significare una cosa, nM le trasponiamo 

a significarne un' altra. Hanno questo nome dalla pa- 
rola greca Trope, la quale deriva dal verbo Tropo, che 
in latino si direbbero eonvsrsto e eonVErto, in italiano 
cangiamento e cangiare; e sono state chiamate con 
questa denominazione, perchè quando si prende una 
parola nel senso figurato, conviene raggirarla, per dir 
così, a modo cb* ella significhi ciò che nel senso proprio 
non significherebbe. Le parole poi possono avere due 
significali, r uno proprio, e V altro figurato. Gol proprio 
rendono la prima e vera signiflcatione per la quale la 
parola è stata trovata ; nel figurato rendono un signi- 
ficato che non è il naturale. Ad esempio Ja parola cieco 
significa in senso proprio uomo priva degli occhi ; in 
senso metaforico può avere altra sijpiificazione, come 
ia quello del Petrarca : 

Dove me lasci sconsolato e cìho, 
Posda che II dolce ed anoroso e plano 
Lame dagli occhi miei non è più awcoT 



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— 49 — 

ove cieco è usato in senso figurato. Così Virgilio , par- 
lando di Didone, dice: 

caeco carpitur igni; 

e cieco qui significa occulto. Dalle quali cose è agevole 
il conoscerei che la radice, da coi naseono le diverse 

signifìeasioni figurate, non è altra ohe quel legame ehe 
vi ha fra le ideo accessorie, conciossiachò le cose, le 
quali fanno impressione sopra di noi, sono sempre ac- 
compagnate da alcune eircostanse, le quali ci etAfA- 
scono forte la fantasia ed il cuore, e noi spesse volte 
con queste ci facciamo a significare quegli oggetti che 
elleno accompagnano. Laonde avviene che talora il 
nome proprio di un* idea accessoria ci ridiiama più 
agevolmente al pensiero un oggetto cui ella accompa- 
gna, che non lo stesso nome proprio dcir idea princi- 
pale. Per questo poniamo il segno, ansicfaè la cosa sir 
gnificata, la causa anziché l'efietto, la parte in luogo 
del tutto, e via via discorrendo. E siccome Tuna di 
queste idee essendo associata naturalmente all' altra, 
non si potrebbe risvegliare senza pure ridestare le altre 
che reca con sè, ne viene che T espressione figurata è 
di leggieri intesa , p^bò chiara al pari della propria ; 
è poi' più assai vivace e piacevole, perchè non risveglia 
soltanto un'immagine, ma più ad un tempo, con che 
alletta T immaginazione, e db all' intelletto cagione di 
piacere. E da questo è chiaro che la significazione 
figniata «delle parole giova di molto all' ornamento e 
air degansa del discorsa. 

IX^ Onde ha avuto origine il linguaggio figurato? 

R. Se crediamo a Cicerone e ad altri Hetori, pare 
che dalia povertà del linguaggio, perocché essendo ri- 
stretta assai ne' primi tempi dell' lunaso aonsorzio la 



• • • 



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— 50 — 

favella, ed essendo molti più gli oggetti che le parole, 
ne venne che alcuni si dovessero nominare col nome 
proprio di alcun altro, col quale avevano un aperto 
rapporto di somiglianza. Ecco le parole di Cicerone, 
riferite anche da Quintiliano: Modm transfer endi verbi 
Ulte patet, quem mcessitas primum genuit inopia coacta 
et angusHis; fost autm deìectatio, jucunditasque cele^ 
bravii, Nam ut vestis frigoris depelhndi musa r&- 
perta primo, post adhtberi coepta est ad ornatum etiam 
corporis et dignitatem, sic verbi tratislatio instituta est \ 
inopim causa, frequentata delectatione. (Cicerone, De 
Oratore, lib. 3°.) « Un ampio uso ha il modo di dare 
alle parole un senso traslato, il qual costume introdotto 
prima dalia necessità per la penuria de* vocaboli prò* . 
prj, è poi st^o messo in voga por vezzo e ornamento. 
Imperocché come furon dapprima le vesti trovate per 
riparo del freddo poi cominciarono ad usarsi per ag- 
giungere decoro o grazia alla persona, cosi la trasla- 
sione delle parole nacque dalla carestia, ma fu in sé* 
guito resa frequente per solo fine di diiettare. » (Can- 
to va.) 

Ci sia lecito però di osservare, che se la necessità 
ebbe in ciò alcuna parte, non f%]a sola né la prima a 
produrre il linguaggio figurato. Conciossiachè la ìfanta- 
sia e r affetto, i quali dominano principalmente gli ani- 
mi rudi e lontani da civiltà, pare a noi che debbano 
avervi avuta la parie principale; cosicché possa con- 
chiudersi, che ogni guisa di linguaggio figurato diviene 
linguaggio proprio, se si consideri ne' suoi rapporti colla 
fantasìa e ed cuore. Gli uomini dapprima, pea espri- 
mere alcuna cosa, non hanno cercato se vi era parola 
propria a significarla; ma seguendo l'impeto dell'im- 
maginazione e della passione ^ T hanno sanificata in 

< I 

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1: 

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— 51 - 

quei modo che veniva loro più pronto ed eiEcace a met- 
terla sotto gli occhi degli ascoltanti. 

D. Quali sono i principali Tropi dei quali si deve 
parlare? 

R. Sarebbero molti, se noi ci volessimo attenere al 
cornane dei Retori, i quali anche delle minime cose so- 
gliono far tropi e figure. Noi però di sei soltanto faremo 
parola, a capo dei quali è da collocare la Metafora ; la 
quale non sólo può considerarsi come il primo fra i tro* 
pi , ma si potrebbe dire che tutti gli altri non sono che 
diverse niodilicazioni della metafora stessa, perocché 
tutti a lei si possono facilmente ridurre. Nullameno per 
maggiore chiarezza noi parleremo di sei, come è detto, 
i quali sono: Metafora, SI 'Metonimia, 3<>Sinecdoche, 
A'^ Antonomasia, 5^ Catacresi, Metalessi. Incomiucie- 
remo a dire della Metafora. 



Della Hetefora. 

D. Che casa è la ìfeiafara? 

B. Secondo la definizione che ne dh Aristotile, è 
imposizioìie del nome d' altri; secondo poi T autore delia 
Rettorica ad Erennio, la metafora, o traslazione, si fa 
quando una parola da una cosa si trasporta a significarne 
un' altra colla quale ha qualche rapporto di somiglian- 
za. Dal che ne consegue, che la metafora non è se non 
una similitudine abbreviata, la quale si fà recando un 
vocabolo dalla propria significazione ad altra, èhe non 



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— 52 - 

gli sarebbe propria, ma solo per rapporto dì somigliaaza 
gli può convenire. Ad esempio: 

Ma se a conoscer la prima radice 

Del Doslro amor lu bai colaoio affello ec. 

La parola radice non esprime il significato suo proprio, 
ma A vale prinoipio^ ed è quasi lo stesso che dire: Ma 
se moi conoscere U principio del nostro amore ; concios- 
sìacbè siccome \à prirna radice è propriamente il prin- 
cipio di una pianta, questa parola per similitudine è 
portata a significare prtnciptb. In fatto, volendo, ri può 
allargare la similitudine, come chi dicesse: ma se vuoi 
conoscere quel principio, dal quale, come pianta da prima 
radice, nacque il nostro a/more ec.{ perlocbò maggior- 
mente si mostra vero ciò che abbiamo accennato nel 
definire la metafora. Questa permutazione si può fare 
in più modi, o trasportando una voce propria di cosa 
animata a significare un' altra cosa animata; come: 

Brato eoa Cassio neir Inferno latra; 

conciossiachè il latrare è proprio del cane, e qui. è 
posto a significare voce umana fli dolore: o reoando 
parola propria di cosa inanimata ad altra inanimata, 

come: 

Classique immiuil hahenas; 

e quel del Petrarca: 

Tonian d* armento i mscelleUi e i fiumi; 

nel quale primo esempio si danno le briglie, proprie 
a reggere cavalli, anche alla flotta; e nel secondo si 
dà ai msceMi ed ai fiumi T attributo d' argeiUùj per in- 
dicame la limpidezza; o recando parola propria di cosa 



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- 53 - 

anmaia a significare comi iDaDiiDaU, oofiie in quel 

d' Orazio : 

Gurag laqueau circiim 
Tecla volaRle»; 

e il Petrarca: 

Ridon or per le piagge erbelie e Quri ; 

dove nel primo esempio TaiioDe del votare, propria de- 
gli animali, è data alle cure, e quella del ridere, propria 
soitanto dal volto umano ,0 aUribuita alle piaggio ed ai 
fiori: o reeando infine voce propria di cosa inanimata a 

significare cosa animata , come: 

Duo fulmina belU 

Scipiadas; , 

e il Petrarca: 

E dae fo/gori seco di battaglia 

Il maggiore e mioor Scipio Affrìcano, 

D. Quali fra tMe le più belle metafore? 

R, Quelle che più potentemente servono alFimma* 
ginazione ed air alletto. Però si avranno per migliori 
quelle ciie ai traggono da qualità corporee, ie quali cor- 
rono da sè sotto gli ocobi: potehò^ ^i ricordare le qua- 
lità dei corpi, dai quali noi prendiamo la metalora, si 
risvegliano laciimeote nella memoria tjilte 1' altre che 
nel corpo sono associate. Dal che nasce singolare dilet- 
to, a cagione del presentare che si fa alla mente mag- 
gior copia d' immagini. In fatto quando io dico: ride la 
. terra; colia parola ride non richiamo soltanto l'azione 
dei ridere, ma quasi ho presente agli occhi della mente 
la gioia e la gaiezza che spirano da un bel volto che ri- 
de. Belle pur sono le metafore che si traggono da qua- 
lità sottoposte ai sensi , perocché elleno offrono alP ani-. 



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■1 



- 54- 

mo immagini, ohe quasi entrano per ì sensi, e s* impri- 
mono neir intelletto. Così il dire: Odore di santità; 
durezza di cuore\ ruggire di venti; dolcezza di parole; 
è più beilo, perchò i sensi stessi, quasi mettendosi in 
azione , pare che non solo rendano all' intelletto più effi- 
cace l'idea , ma vi aggiungano di molte altre circostanze, 
le quali per altro modo non sì potrebbero risvegliare. 
Quante idee, a cagione d'esempio, non si risvegliano 
nella fantasia a quel passo di Giobbe ove egli descrive 
il cavallo che sbuffa, nitrisce, allarga le narici , odorando 
da lungi odor di gìierra? Se voi air incontro diceste: 
presefUendo da lungi la guerra; avreste tolto ogni di- 
letto alla fantasia, la quale per quella metafora è mi- 
rabilmente dilettata. Così ha più vaghezza il dire: Lume 
ed onor de' poeti; che il dire: poeta chiaro ed morato; 
eosì iì dire: Nascose sotto fronte serena il cor doglioso, 
che 50^/0 aspetto tì^anquillo e lieto; e via discorrendo. 
Piacque pure ad Aristotile e a Demetrio Fal^reo la me* 
talora , la quale sta in azione; e così si chiama perchè 
induce le cose inanimate ad operare alcuna cosa, come 
se le avessero vita e senso: In actu est^ atque ita voca- 
tUTy eo quod res inanimas aliquid agentes inducat, tam- . 
gifam anima, oc sensu prceditas. Ad esempio: Virgilio 
volea dire che ai fiume Arasse non era possibile im- 
porre un ponte, e con bella metafora, dando anima e 
persona al fiume, dice: 

Fontem iodignatus Àraxet; 

e altrove volendo dire che un^ asta si fermò nel petto, 
della vergine Camilla, e ne fe' uscire tutto il sanmef 
dice che V asta bevve il sangue: . 

Hasia sub exerlam donec periata popillnm 
MmtUp virifineimque aU$ bibii aota ctmrem. 



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— 55 — 

Anche da lodare sono le metafore, dalle quali nasce 
dottrina , perocché esse ci mettono innansi alcuni rap- 
porti d' idee , i quali non avevamo prima osservati. Così 
Orazio ci fa scorgere Tailmenza che vi è fra un 
roKto panno, a cui sono appiccati posticci ornamenti di 
porpora, ed un discorso carico di ligure e di tropi usati 
fuor di tempo: 

InccBptis gravibus plerumque , et magna profestit 
Purpureus late qui splendeat unus et alter 
Aisuitur pannut, 

Nè questi sono i pregi soli della metafora: ben altri ve 
ne ha^ fra' quali principale è quello di servire ali* af- 
fetto; poiché per mezzo della metafora possiamo re- 
care immagini delicate e commoveati , a cui non ba- 
sterebbero le parole proprie. Voleva dire il Petrarca: 
Non à fiiesto la terra, dooe io fui dolcemente nudriio? e 
disse: 

Non è questo il mio nido. 
Ove nudrito fui sì dolcemente? 

£ con quella metafora nido^ quante care e delicate idee 
non ridesta egli neir animo! Se voi esaminate, vedrete 
che alla parola nido vi soccorre alla mente V ìmaglnedi 
piccioleUi implumi, che stanno sotto Tali materne, a 
cui il padre reca cibo, e colla madre stessa gareggia di 
carità verso la prole. E dove fosse tolta la parola meta- 
fcrica nido^ e posta la propria terra y sarebbe insieme ' 
tolto ogni gretto ed ogni delicata allusione. Ultimo, e 
non meno grande vantaggio reca le metafora servendo 
alla modestia, coneiossiachè ella quasi di un velo rico- 
pra certe immagini , che o immodeste o sconce sareb- 
bero, ove fossero significate per voce propria. Dante vo- 



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— 56 — 

leva dire cfae Semiramide fii disoneslìssiiDa donna ; con 
una bella metafora diee: 

A vìzio di lussuria fu sì rotta ec; 

e colla luetaJora presa dal verbo rompere copre la tur- 
pUodine dell' idea. Gosì il Pelrarea con bella metafora 
rese nobilissimo un concetto, che tale non era in sè: 

Ricordati, che fece il peccar Doslro 

Prender Dio, per camparne, 

Umana carne ai ino Terginal ehwUro, 

Ma dei pregi della metafora si è dello abbastanza, ed 
ora è tempo parlare dei vizj della mede&ima. 

D. Quali vìmJ pnncg>alnmie rendono sconcia e de- 
forme la metafora? 

R, La metafora, la quale serve all' ornamento del 
Discorso, ed ba tutte quelle virtù che noi abbiamo osser- 
vato, diviene nna deformità ed una oscurità , se ella non 
sia reizolata e spontaneamente condotta. Laonde in prf- 
mo luogo è da cercare che ella non sia tirata da cosa , 
della quale non si possa prontamente vedere la somi- 
glianza. Così a ragione Paolo Costa nel suo Trattato del- 
l' Elocuzione mostra difettosa la metafora con che il 
Marini esalta la penna di un caiiigraloi che formava di 
be|^ esempi scrivere, dicendo: 

perchè una penna sola, 

Benché s' alzi per sè pronta e sicura, 
Se divina non è, tanio non vola. 

La quale metafora veramente è viiiosa, perchò non vi 

ha somiglianza alcuna tra il volare e Io scrivere. Per 
egual modo sono viziose quelle che voiendg significare 
piccole oose, recano m messo iannagini troppo gran- 
diose^ Longino- per ciò solo dibe a ripr^dere qudla 

metafora, con che Giorgia Leontino chiamò gli avrei - 
toj, dicendoli Sqiokri aaimati; e Cicerone (DeOraèore, 



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- 57 — 

iib. 3<», cap. 40) ^riprese £iiiiio dell' aver detto: Qm in 
genere primum fugienda €$t dissimlUudù; G<bIì fornioes; 

quamvis spheram in scenam , ut dicitur , attulerit Ennius ; 
tamen in spheram fornicis simiUtudo mn potest inesse. 
« Nel qual genere priaiieramente è da fuggire la disso- 
miglianza: — Le gran volte del cielo; — quantunque 
Ennio (come dicesi) recasse sulla scena una sfera; non 
però una sfera è baond simiglianza a spiegar una voi* 
ta. » (Cantova.) « La metafora, dice Quintiliano, o deve 
occupare un luogo che vaca, o se occupa il luogo di al- 
tra parola, deve essa valer più di quella che ella cac- 
oia di luogo. » Metaphora autvacantem occupare hcum 
debeiy €Mt si in alienum venù, plus valere eo quod eospeir 
Ut (Lib. 8", c. 6.) E dobbiamo anche ricordare che per 
la metafora noi presentiamo più vivamente colorite le 
idee air immaginazione, cosicchò quando ella, anziché 
accrescere, diminuisce la forza del colorito, debbo aversi 
per viziosa. Bella è k metafora seguente: 

B le biade ondeggiar come h il mare; t 

perchè presenta alla fantasia più calzante e più viva 
IMmmagine del muoversi che fanno le spiche, asso- 
migliandone il moto air ondeggiamento di placida ma- 
rina; ma la slessa metafora divenlerebbe viziosa, se 
si dicesse: 

E tremolare !| mar cerne le spighe; 

perchè toglierebbe forza air espressicMiie. È pure vizia 
nelle metafore se elleno hanno in sè alcuna durezza, 

vale a dire se vengono un po' stentate ; e qualche 
volta giova rammotiirie con alcune maniere di dire^ 
come sarebbe: quasi, per dits cosi^ e^ somiglianti; seb- 
bene nei piti deKe velie questo non sia mazzo ohe 
scusi baalantemente T imperizia delio scrittore. Ben più 



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— 58 — 

viziose sono quelle metafore che ti fanno risovvenire di 
alcuna cosa turpe o sconciai come sareU)e quella ripresa 
da Orazio: • 

lupiUr hibenm eana niw conipiiU tAp» ; • 

, e r altra: 

Se avessi avolo dì tal iigna brama; 

perocché fanno risovvenire al lettore idee sconce e sto* 
madievoli. Degne di biasimo sono pure anche le meta- 
fore, le qualf si derivàno da cose filosofiche, ignorale 
dal più de' lettori; perchè queste rendono oscuro il 
concetto e non hanno in sè vaghezza alcuna; come sa- 
rebbe il dire — Cahmita Mcuori^ a significare la potensa 
che uno ha di farsi benevoli ed amici gli uomini; e sif- 
fatte altre maniere , che si tolgono o dalla tìsica o dalle 
altre scienze esatte, cioè che non hanno alouna^potensa 
sulla fentasia. Un'altra cosa è da osservare, senza la 
• quale può la metafora dare in vizio, ed è che ella deb- 
b' essere bene appropriata a quella specie di stile nella 
quale scriviamo. Gonciossiachè possa avvenire che una 
metafora bella e garbata in prosa riesca poi di niun conto 
in una poesia; e che una tale metafora che va- 
ghezza in poesia, riesca o dura o strana nella prosa. 
£ ({ùi è da sapere, che piti specie di metafora vi ha: 
alcune, ^1e quali, comecché siano metafore, pure per 
lungo uso hanno perduto Tessere di metafora, e si 
usano €ome le fossero parole proprie; alcune, che con- 
servano ancora V essere di metafora , ma non sono nò 
forti nò troppo sfolgorale, a niodocliò possono conve- 
nire benissimo ad ogni genere di prose; alcune infine, 
le quali sono cosWatlamente riscnitite, da non conve- 
nire che alla solà^ poesia. Que^colk sarh chiara per 
. esempj. La j)arola gemma in significato di pietra pre* 



- 59 - 

zio8a*è certamente parola metaforica, conciossiaohè 

in senso propri» ella non sigaifithi altro che certo tur- 
gore che chiamano V occhio delia v^te. Ma T uso ha fatto 
si, che il senso metaforico stesso di questa parola alttna 
faccia di proprio. Gemma oculus vitts proprie, deùide 
generale nomen est lapidum prcetiosorum. « Gemma, a 
parlare propriamente, è 1' occhio delia vite, poscia nome 
generico dì quante vi ha pietre preziose. » (Bas. Fabri 
Thesaur,) Ardere di desiderio, — Desiderio flagrare, è 
modo metaforico, perocché V ardere è proprio del fuoco, 
e solo per somiglianza è trasp^tato a signifìcare forza 
di desiderio e di brama ; ma pure è tale metafora, che 
viene consentita liberamente alla prosa ed al verso. Ma 
non sarebbe consentita alia prosa la metafora, tutta 
poetica, che Dante usò quando disse : ^ 

Io venni in loco d' ogni luce mulo; 
nè r altra : 

Mi ripìDgeva là dove il Sol tace; 

perocché queste, che sono belle in pogsia, sarebbero • 
strane nella più nobile prosa. 

E qui prima di por fine, mi è pur necessario av- 
vertire, che ogni lingua ha metafore e modi suoi proprj , 
cosicché quella metafora, che è bella in una lingua, 
può facilmente divenire strana in un' altra; cosa, alla 
quale devono attendere assai colepo che trasportano le- 
prose e i versi da altre lingue alla nostra, conciossiaohè 
si possa facilmente cadere a gravi falli. traducendo let- 
teralmente. Terenzio, ad esempio, chiama Nosiri funài 
ccUamìtas una rea donna, la quale conduceva un figliuolo 
di famiglia a far gitto degli averi paterni; sarebbe ri- 
dicolo il tradurre « Calamità del nostro fondo, 9 anzi- ^ ^ 



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— 60 — 

chè « ruma della nostra casa ; n e così dicasi di altri 

modi e metafore, che non consentono di passare di una 
ad al Ira lingua, e [oczate che vi siano, riescono defor- 
mità delia favella anziché ornamento. Perlochè giova 
avere in mente ciò che Cicerone i nsef^nava : Vereeunda 
dehet esse translaiio , ut deducta esse in alienum locum, 
non irruisse; atqm vokuìiarie, non vi, venisse videaUnr. 
ce Modesto debb* essere il traslato , così che paia traspor- 
tato nel luogo d'altri, non entratovi a furia; e volon- 
tariamente, non a forza, venuto. » {De Oratore, lib 3®, 
cap. £sposte oo^ le cose che possono rendere difet- 
tosa in sè la metafora, ci resta a dire di quelle, che la 
possono fare viziosa nel Discorso, o per raainso.o per 
mala collocazione. £ in prima deve avvertirsi di non 
ammassarne troppe, a jnodo che vi paiano tirale adi 
arte ed a forse. In secondo luogo, che sì conservino 
sempre eguali dal principio al fine, e non si unisca il 
semplice al metaforico, per modochèil discorsosi abbia 
ad intendere parte semplicemente, e parte metaforica- 
mente. Custodie ìidum est in primis , avverte ben a pro- 
posito Quintiliiiuo, ut quo genere coeperis translationis ^ 
hoc finias. Multi enim cum iniiiiiin^n ienq^iteUe iumps^ 
rint, incendio aut mina finiunt, ^tifllhetf^iilii^^ 
rerum fcedissima. « Dòssi badare principalmente, che 
ove con un genere di traslato siasi cominciato, con 
quello stesso si termini. Di molti, poi vi ha che oemiiif 
«ciano da una tempesta, e terminano con una rovina, o 
con un incendio, cosa veramente sconcissima, inconser 
guentissim'tg » (Quintiliano, lib. 8^, cap. 6.]. 
' ' ' K^^i^è in questo vizio vediamo talora caduti-àu^ 
tori eccellenti, matmiormeiile dobbiamo noi starne in 
guardia. 11 Petrarca, ad esempio, vi cadde in quel suo 
Sonetto, nel quale volendo dire ohe se Morte o Amere 



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— 61 — 

non lo avessero impedito^ avrebbe fatto un lavoro da 
averne fama insino a Homa : 

»Se Amore o Morte non dà qualclie stroppio 
Alla tela novella cb* ora ordisco, 

rfarò forse il mio lavor sì doppio 

Fra lo stil de' moderni e '1 sermou prisco» 
Che (pavenlosainente a dirlo ardisco) 
lutili a Roma a' udirai lo scoppio. 

men riprovevole vizio è soggiungere il parlar i^m- 
plioe al metaforico, e dare alla metafora quel valore che 
ha la sola parola propria. Sta bene per metafora dire 
. che gli occhi sono stelle, ma non istarebbe poi soggiun- 
gere, che le stelle guardano: così è bello dire d' un ora- 
tore: egU è tm fiume & éhquensta, per dire: — egli è elo- 
quenlissimo; ma sarebbe ridicolo il dire: un fiume d> elo- 
quensta parla dai rostri. Vizio poi maggiore sarebbe se 
si volesse dedurre dal significato proprio ai metaforico^ 
perchè le conseguenze non potrebbero essere che strane 
e ridicole, come in quel sonetto del Marini: 

Se il crine è un Togo, e son due soli i lumi, ;f . 
Nofi vide mal maggior prodigio il Cielo , f > 
Bagaar eoi soli » e rasclugaf coi fiumi. 

Con la parola Iago imposta per cagione di similitudine 
al crine (conciossiachè dicesi che il fiume Iago abbia 
le arene d* oro), e la parola soli imposta per cagione di 
somiglianza a significare occW, viene il poeta a trasfor- 
mare i capelli in un fiume vero, che porta acque; gli 
occhi in due soli, che hanno luce e calore ; e quindi ne 
trae quella ridicola consegoenza , per la quale il ba- 
gnare è attribuito ai soli, il rasciugare ai fiumi. Ma 
questo basii intorno i vizj della metafora. 



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AWICOM II* 



nella ■etoaiaia. 

D. Che cosa è la metonimia, e per quante guise si fa? 
• La metonimia è un tropo, che si fa ponendo un 
nome in luogo di un altro , col quale vi sia afi&aità o 
relazione. Però Quintiliano la disse: Nominis prò nmim 
pasitio; Cicerone y denominano ; noi in italiano la chiame- 
remo denominazione. Questo tropo, sebbene abbia n^olta 
somiglianza colla metafora , 'o possa come tutti gli altri 
giudicarsi una raodifìcazione della medesima, pure è 
altra cosa, come dagli esempj si vedrà : e giova a ren- 
dere piti vivace il concetto , e a rendere piìi potente la 
locuzione. Si fa principalmente per sei modi. Il primo 
è quando si nomina la cagione in luogo dell' eiretj,o , come 
ad esempio: 

Invadunt urbem tonino vinoque sepuUam. 

(ViRGU.10, libi t^t Eneid.) 

mS £ di bianca paura il volto tinge. 

^» (Petrarca.) 

Recando al contrario V effetto per significare la ca- 
gione , come in quel di Virgilio : 

Bigina e ^leeuiis eum pHmun albescere hieem 

Yidit. • 

{Eneid., \\b.4fi.) 

ove il biancheggiare del cielo è posto in luogo delF au« 
rora , che ne è cagione ; così in Dante : 

e per fa mesto 

Seln saranno i nostri corpi appeal. • 



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— 63- 

3*^ Si fa la metonimia, quando si prende il contenente 
kiYece del contenuto, come in Virgilio (lib. 3^): 

ilU impiger hautit • 

Spumantfm paleram , et pieno se proluit auro. 

Lucrezio avea detto : 

'Sepire plagis saltum , canibusque ciere. 

Dai quali due eaemfij ò chi^o , che la tazza è posta da 
Yii^Ho invece del vino , la selva da Lucrezio è posta 

in luogo degli animali che ella conteneva ; per questo 
tropo istesso Dante , per dire che Gesù Cristo ci salvò 
col suo scmgue , dice : 

Cristo ne liberò colla sua vena; 

e il Petrarca altrove , parlando delle guerre di Cesare , 

dice: 

Cesare taccio, che per ogni piaggia 
Fece r erbe sanguigne 
1)1 lor vene . 

4° Quando si nomina la materia in luogo della cosa 
che di quella è composta , come il ferro invece della 
spada , il pino o T abete in luogo della nave ; co^ in 
Tibullo : 

Nondim cmruUu9 plous conUmpuraCìindoi; 

e il Petrarca : 

Noi^ It'lMlla Romana che jsol fmo 
Apri il soo eatio e dlsdegooio peiio. 

5» Quando si pone il nome di chi possiede una cosa an- 
ziché quello della cosa jstessa , o V autore in luogo delle 
sue opere : ^os\ Virgilio , volendo dire che la casa di 
Ucalegone andava in fìamme , dice : 

Jam pnximus aràei 

Dcalegon ; 



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- 64 — 

e CiceroDe inveendo contro Terre , per dirgli ohe aveva 

spo£^1iato il tempio di ApoUiue, dice: Apollimm ne tu 
Delium spoliare atisus es ? 

60 Sì pone qualobe volla il nome del Visio 0 della 
virtù in luogo del vizioso a del virtuoso ; così ad esem- 
pio: cum ignavia, cum luocuria, cim amentia nobis cer- 
ianàum est: così il nome del protettore di una cosa in 
luogo della cosa stessa ; come in Virgilio : 

Impleniur veteru Bacchi pinguiique ferina; 

oppure : 

Tum Cererem eorrupiam widii, eereatiàgu» «rms >. 
B^peàiunt fem rerum. 

11 segno per la cosa significata , come in qael di Vir* 
gaio : 

JUum non populi fasces, non purpura regum 
Flexit 

£ Dante : 

E oome t messaggier cba porta ulivo 
Tragge la gente 

Per questi modi si ha il tropo metonimia , il quale se 
torna a lume della locuzione , quando il nome che sì 

usa in luogo di un altro richiama più prontamente e 
con più splendidezza alla mente V idea che noi vogliamo 
svellere , riesce inefficace e vano ogni qualvolta non 
sia bene associato alle idee stesse ohe vogliamo ride* 
stare. Egli è certamente assai più bello il dire, che un 
uomo — non si lascia piegare nè dai fasci consolari , uè 
dalla porpora dei re ,-*-ann che dire che— "non ha paura 
nè di consoli nò di re, — perchè la mente con questo dire 
non ha ia nuda idea della potenza consolare e della 
reale I ma nello stesso tempo vede quasi la formidabile 
pompa dei fasci e dei littori 1 e lo splendore del regio 



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manto ; ed in luogo di avere conoscenza soltanto di 
una verità, se la vede dipinta innanzi dai colori delia 
fantasìa, e accompagnata da tutte le immagini che 
vi hanno stretto rapporto, di che ne nasce meraviglioso 

diletto. 



Bella Slaecéoelie* 

D. Che cos' è la Sviecdoche? 

R. £ un tropo, il quale usurpa una parola in luogo 
di un'altra, non come fa la metafora, né come la meto- 
nimia, ma in modo che dà alla medesima un senso più 
o meno esteso di quello che si avrebbe dal proprio: e 
si fa, o ponendo il tutto per la parte, o la parte per il 
' tutto; 0 il genere per la specie, o la specie pel genere; 
o il plurale pel singolare, o viceversa; o gli antecedenti 
pel conseguente. Eccone esempj. Si fa ponendo il tutto 
per la parte in questo modo: 

Aul Àrarim Parlus bibet , aut Germaoia Tigrim; 

come fece Virgilio; a come il Petrarca: 

Come il fìredd' mino oltre 1* ondoso mare 
Caccia gli sugelli; 

e ponendo la parte in luògo ^1 tutto, come in Vir- 
gilio : 

Vela dabant to/i, et spumas salis cere ruebant; 

e Dante: 

Risposi lui con vergognosa fnmU ; 

8i fa usando il genere per la specie per questo modo, 

come fe^ Sallustio: OH a mcoton; el mmwi eonsueve- 

s 



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— 66 — 

uerard UaUd generis muUi morialos, — ove la parola 

tmrtales genema sta in luogo di homines; e Dante: 

0 insensata cura de* morlali , 
Quanto son difellivi sillogismi 
Que* cbe ci fanno in basso batter ralil 

Si fa adoperando la specie in luogo del genere, come 
le Orazio, che, per nominare un luogo delizioso in ge* 
nerOy nominò la famosa Tempo di Tessaglia: 

somnus agrestium 

Lenis virorum, non humiles domos 
Fastidii, umbrosamque ripattif 
Non Zepìiiris agitata Tempc. 

£ il Tasso, per dire tigre in genere, disse: 

E le mamme allattar di tigre ircana, 

lì plurale pel singolare, come4a quel di Giovenale: 

Qui Cui'ios simulant, ti Bacchanalia vivunl; 

0 in quello dell'Ariosto: 

Crudel secolo , poi che pieno sei 
Di Tietti, di Tantali e di Alrei. 

Così Cicerone usò il singolare pel plurale in questo mo* 

do: Ut ab Samnite hoste tuta Ime ora esset, quam mmc 
nonvicinus Samuis urit, sed Prcnus advena: ove Samnis , 
e PùBvm, stanno in vece di iSamni^es, e Pcmù Si fa 
pure la sinecdoche usando il numero indeterminato per 
lo determinato; così Virgilio: 

Non anni domuere decM, non mille carinm: 

0 pure nominando ^qli antecedenti in luogo de' conse- 
guenti come fe' Virgilio: 

Bijam iumma proeul villanm outnUna fumant, 
Mqjaretquù eadunt altU d€ montiku lunàrar. 

E questo basti aver detto dei modi diversi con cui si 
fa la sinecdoche. Noa creda però alcuno che si possa 



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— e? — 

senza ragione usare una parola per modo di sinecdoche, 
perchè questi tropi sono colori delia elocuzione, e non 
vanno gettati all'impazzata ed a caprìccio, ma secon- 
dochè occorre per meglio dipingere le cose. Quando Vir- 
gilio per sinecdoche disse: 

Submersasque obrue puppes; 

non poteva indinerentemenle dire: oò/ weproras. E però 
concluderemo qui colle parole di Paolo Costa, il quale 
ci avvisa che si può cadere in difetto usando questo 
traslato, ogni qualvolta i' immagine della cosa, da cui 
prende la parola, non sia bene associata alle ideo che 
si vogliono svogliare in altrui , e non sia atta a fare im- 
pressione neir animo piti che le altre idee che vanno 
in sua compagnia. Vaglia a dichiarazione di ciò un solo 
esempio. Si dirà con maggiore elTicacia: fuggono per 
t allo mare le vele, — che fuggono per V allo mare le 
prore; poiché V immagine delle vele gonfiate dal vento, 
come quella che percuote maggiormente la vista di co- 
lui che mira la nave in alto, più strettamente di ogni 
altra idea si associa air idea*del fuggire. 



Dell' AatoMOMMla. 

D. Che cosa è V Antonomasia? 

R. Antonomasia , ohe i Latini dissero pronominaHo, 

e noi pure chiameremo pì'onoìninazione, è un tropo, 
mediante il quale una parola cornujae acquista forza di 
parola propria; e si ia per cinque modi: ponendo, 



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— 68 — 

anziché il nome di una persona, il nome del padre suo; 
così Virgilio nomina Enea dal nome di Anchise suo pa- 
dre nel 5^ deìVEneùie: 

Magnanimu$que Anchisfades; 

altrove Aiace dal nome di Telamone suo padre: 

Hinc eral oppositus conira Telamonius Heros. 

9<> Usando il nome della patria , anziché il nome della 

persona, come: Il pio Trojano, anziché il pio Enea. Così 
Diana è chiamata Delia dall'isola di Delo sua patria: 

Noiior ut jam tit canibus non Delia nostris; 

e Apollo è detto Cinzie dal monte Cinto che sorge nella 
stessa ìsola: 

Cum eanerem rege$ et firmila f GjnUitiis ourem 
YellUf eiadmonuit. 

(ViRcaiO, Egl. 6, y. 5.) 

£ Catullo disse : 

IntoMum pueri dicUe Cyclbium. 

E il Petrarca chiamò Annibale così: 

Vidi olirà ua rivo il gran Cartaginue. 

3<> Usando un aggiunto in luogo del nome proprio ; 
così Didone invece del nome di Enea, pone l' aggiunto 
impius: 

Arma viri talamo, qum fixa reliquit 
linpSus. 

11 Petrarca nomina Archimede per questo modo : 
Vidi dipìnto il nobil Geometra, 

4» Pimendo qualche nome proprio in luogo di un nome 
appellativo, come- sarebbe Mecenate per prolettore di 
letterati, Demostene per eloquente. Così Pompeo Ma- 
gno nominava LucuUo, Serse togato:-— qua de causa 



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J 



— 69 — 

magms Pompeus Xersem togatum eum appellai. Così un 
Doslro poeta disse: 

I versi 

Che il Lombardo pnogeaii SardanapiUo. 

5® Infine si fa antonomasia, quando in luogo di un attri- 
buto si pone il nome di qualche popolo o di qualche 
gente, a cui quel!' attributo è dato comunemente; oos\ 
un nostro poeta disse: 

Grecia non v'è, ma Gred son per tolte; 

alludendo all' antico proverbio: 

Grctca fides,^ nuUa ftdei. 

Da questo tropo molti vantaggi ne vengono all' elocu- 
zione, conciossiachè per mezzo di questo si può met- 
tere innanzi alia mente un oggetto con quelle circo- 
stanze che piti ci giovano. Egli però non va usato con 
troppa frequenza. 



AnTi€oi.o \. 
Mia CtatMMi e MOm HeteloMl. 

D. Che casa è la Catacresi? 

R. La catacresi o abusione fu definita cos\ dal* 
Fautore della Rettorica ad Erennio: Abusio est qiice 
verbo simili et propinquo , prò certo, et proprio abutilur. 
Virgilio per questo tropo chiamò cavallo quella gran 
macchina a forma di cavallo, che i Greci edificarono a 
prendere Troia: 

Instar moniis equom ^vina Pattadis arte 
SUfieanU 



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— 70 — 

Così noi dicfamo cavalcare una canna, sebbene la pa- 
rola significhi andare a cavallo. Orazio: 

Ludere par, <mpar, èquiUre tu arundiM hnga; 

<j altrove con più ardimento: 

Eurui per Heula» equiuvil unda$. 
A questa figura si riferiscono tutte le improprieth di 
parlare, che con tanta eleganza vediamo usate dai 
Glassici (quantunque con riserbo grande si debbano imi- 
tare), come, ad esempio, sperare in luogo di temere^ 
come in quel di Virgilio: 

Hune ego $i poiui tantum sperare dolorm; 
e in altro luogo: 

ÀI sperate Dm memom fondi aéqué nefandi» 
che fu poi imitato dal Petrarca: 

Nè coDtre morte wperù altro ehe morte. 

E molti altri abusi di parole , alcuni dei quali a dir vero 
non si sentono piii da noi , perchè sono tornati per V uso 
a parere proprj. 

D. Che cosa è la Metalessi?* 

il. La roetalessi, detta dai Latini partecipano, è 
un tropo che si fa usando una parola, dal significato 
della quale sì passa alla cognizione di un allro, e per 
(lire con Quintiliano, ex alio in aliud viam prcestat: 
e si fa per due modi: 1"" qualora un oggetto la nel- 
r atto medesimo doppia impressione sulla mente no- 
stra , poi indistintamente ne richiama le qualità, come 
per esempio: 

r venni Hi luogo di ogni Inee muto. 

Dante con questa raetalessi ci viene a significare il si- 
lenzio e r oscurità di quel luogo, e la qualità della 



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— 71 — 

doppia impressione confonde , riferendo 1' epiteto muto 
alla luce ; e Virgilio aveva detto: . 

Fri gut caplamus opucMttìt 

a significare : 

Sediamo all'ombra per godervi il fresco. 

Si fa hi 2.** luogo , quando per esprimere una cosa ne 
nominiamo un^altra, ma alquanto lontana , cosicché per 
intenderla bisogna un jm>' ragionarvi sopra. Virgilio an« 
zichè dire tre anni , disse : * • , 

Tertia dum Latto regnaniem viéerit €uUu; 

6 il Tasso neir AmnUa: 

E già tre ^fls 

Ha il nudo mieiilor tronche le spleke; 

e Dante , per diire lo spazio di 50 mesi , disse : 

Ma DOB eiiM|iiaDU toI^ 6a raccesa 
La Ciccia della domia, che qui regna « , 
Che to vedrai quanto qoest' arie pesa , 

cioè la faoeia della Luna , la quale in cielo ha nome di 
Luna , in inferno sì diee Proserpina , ed essendo moglie 

di Plutone è regina del luogo ; lo che torna ; non pas- 
seranno cinquanta plenilunj ; giacché nel plenilunio la 
faecia tutta della Luna che riguarda la terra Tiene dal 
Sole accesa , cioè illuminata. 



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— 72 — 
AmnooiiO TI* 

« 

Come I iMpI aggiungano grami» al MflMim teovMi» 
émai vlaaitt iMleme , e marne mimmm iaiii 4evlmtl 
dalla aietefoni. 

D. Dopo queste cose resta altro a dire? 

R. Resta a dichiarare cosa insegnata dal cartjiinal 
Pallavicino nel suo Trattato delio Stile , ed è che i tropi 
per dare vaghezza ed eleganza allo stile non devono 
mai andare disoompagnati l'uno daìl* altro, ma , quasi 
riuniti insieme (non però rammassali) , V uno all' altro 
aggiungere grazia e vaghezza , Qome si può vedere nei 
Classici. E per dame alcun esempio, eccovi qua i primi 
due versi della prima Egloga di Virgilio : 

filire, lu jMliffe reevhans tié iSf/nUne fagi, 
SUmtrem tenui mutam meUtarii avena, 

• 

Se noi facciamo 1' analisi di questi due versi soli , tro- 
veremo un numero di tropi maggiore di quel che pare. 
L' epiteto patide dato al faggio è una bella metaforetUf 
la qual significa quidquid potei , cioè tutto oiò che per 
estensione , o per larghezza si manifesta agli occhi : re- 
cubo , che significa giacere ^ qui per tropo significa sem- 
plicemente sedere e riposare : tegmime , derivando da 
lego , è parola generica , che indica tutto ciò che rico- 
pre , e qui per tropo significa V ombrello de' rami che 
difende e copre dai raggi del sole : iilvestrgm vuol dire 
in senso proprio ciò che è proprio della selva : o che è 
nella selva , e qui è trasportato a significare pastorale, 
villereccio. Musam , che in senso proprio non vorria 
dire che una delle nove divinità le quali presiedevano 



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— 73 — 

al canto , per tropo è posta invece del canto istesso. 
Avena non è in senso proprio che un' erba , dallo stelo 
della quale si formano pive, e qui è posta per piva, o 
aomigUante stnimeuto pastorale. Tenuk non vuol dire 
che sottile , e qui vale umile per tropo. Meditavi non è 
altro che mente cogitare, cioè pensare , e qui per tras* 
lato suona Untore ^ andar prwando: le quali metaforette 
insieme riunite sono quelle appunto che danno un gra^ 
zioso colorito poetico a questi due versi. Conviene anche 
avvertire , che quello che si dice di questi tropi, i quali 
sono molto rammolliti dall' uso , sicché a gran parte 
non ci paiano più tropi qua! sono, ma voci proprie, non 
si può applicare a quelli che sono più sfolgorati, o alle 
figure di concetto delle quali parleremo ; perocché in 
quella guisa che queste piccole traslasioni aggiungono 
diletto e vaghezza , se sono a discreta copia seminatQ 
nel Discorso , quelle, multiplica te che (ossero, darebbero 
etranesia e affettazione. allo stile. 

D. AveU accennato che itUti i tropi non sono che 
modificazioni della Metafora; sapreste voi dichiarar- 
melo? 

Facilmente. Se la Metafora non è che imposi- 
slone del nome proprio di una cosa ad un* altra, secon* 

dochè fu detto, e la similitudine ne è il fondamento, ne 
consegue che i tropi, essendo pur essi imposizione del 
nome proprio dì una cosa applicato variamente ad un'al- 
tra , non sono che varietà della Metafora. Infatti la Si- 
necdoche col nome proprio del tutto significa una parte 
sola dei medesimo , o viceversa , ed applica al genere il 
nome proprio delia specie , e così al contrario. La Me* 
tonimia col nome degli effetti accenna alle cause, e sotto 
il nome delle cause inteude gii efi'etti: o impone il nome 
del contenente al contenuto , o col nome del possessore 



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nomina la cosa posaedata; o col segno che significa una 

cosa , vuol farti intendere la cosa stessa , e via via. La 
Catacresi abusa di un nome a significare una cosa che 
per quel nome non poirebl)e essere significata , e solo lo 
pfuò per rapporti'di somiglianza. La Metalessi poi , che 
i Latini dissero partecipazione, non è in sè che metafora 
e metonimia insieme congiunte. L'Antonomasia infine 
ohe altro ò essa se non che imposisionedi un nome ge* 
nerico ed appellativo a significarne un proprio? Se dun- 
que tutti questi tropi altro non sono che diverse impo- 
sizioni di nomi di una cosa ad un'altra, usate per rendere 
più efficace il discorso e pili ornato , e fondamento loro 
è sempre la similitudine , sarh fuori di dubbio che si 
possano tutti considerare varietà della Metafora. Per 
questo quella gran mente di Aristotile comprese sotto 
il generico nome di Metafora tutti i tropi , seoondochò 
ne avvisa Cicerone : Aristoteles ista omnia traslationes 
vocat; e per questo si possono considerare anche da noi 
una cosa stessa colla Metafora. 

D. Direste voi ora per qwd ragione avete lotto dal 
novero dei tropi l'Allegoria, l' Iperbole, la Perifrasi, l Iro^ 
nia,edU Sarcasmo f 

R. Perobò queste forme di parlare non si oonten- 
c:ono come le altre nella traslazione di un nomo , ma 
più largamente nel Discorso procedono. Di più^ osser- 
vando che r Allegoria è un parlare artifizioso , il quale 
sotto le apparenze di una cosa ne significa un^ altra , e 
nasce principalmente dalla fantasia, che per meglio sot- 
toporre ai sensi immagini astratte pone invece di quelle 
oggetti reali , ci è parso dover collocare ;l'Allegoria ap- 
presso la Similitudine e la Comparazione , figure delle 
(juali essa si giova per modo da poter essere giudicata 
cosa non molto difierente da quelle. Così la Perifrasi e 



- 75 — 

r Iperbole sono siale posle fra le forme di parlare pro- 
prie dell' immaginazione , perchè esse procedono dallo 
stalQ della lantasìai e a quella servono. L'ironìa ed il 
Sarcasmo poi essendo sempre prodotti da passione vio- 
lenta , ci è sembrato che debbano aver luogo fra le for- 
me di parlare derivanti dalla passione. Se però alcuno 
volesse altramente pensare, faccia a suo senno, chènò 
per questo V arte si rimuta , nò le cose cambiano da 
quello che intimamente sono nella propria natura. 



CoHie osai mpeéke di •crltHira ami wmm MMUileM 

propria di tropi* 

D. Ogni spededi tropi comnme forse ad ogni maniera 
di scriUuref 

' R. No certamente : e per conoscere quali ad una 
maniera di scrittura , e quali ad un' altra convengono, 
si deve por mente al fine che c' induce a parlare o scri- 
vere, e vedere se lo scritto nostro è condotto semplioe- 
mente dalla ragione e mira al solo convincimento, ose 
è mosso dalla fantasia e si volge principalmente al di- 
letto , 0 se in fine è guidato dalla passione e si volge 
alla mozion degli alfetti. E quando sia chiaro il fine dello 
scritto e il principio da cui è dominato , allora si può 
determinare quali tropi convengano ad una specie, quali 
ad un' altra. E siccome ii Discorso che ha per fine il con- 
vincimento muove da riposata ragione , e la ragione 
guarda le cose in sè freddamente , e sdegna ornamenti 
che a lei non appartengono , diremo che a questa spe- 



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— 76 — 

eie nen appartengono òhe i tropi pia temperati, e quelli 

che per V uso hanno quasi perduta faccia di tropo , e 
che se ne dee fare uso parco e misurato. Consentiremo 
ai filosofi la Metafora e qualche altra translazione, pur- ■ 
diè sia casta e vereconda, e non sappia nulla d'imma- 
ginoso, nulla di appassionato. Ma a quella guisa di scrit- 
ture che sono signoreggiate o dalla fantasia o dall' af- 
fetto daremo più in copia l' uso dì tropi, e sensa riserbo 
tutti del pari come buoni li concederemo, quando siano 
bene appropriati, e vengano nel discorso spontanei e 
non forzati , e non oontradicano al carattere di quella 
specie del Discorso od oratorio o poetico a cui apparten- 
gono. In somma convien ricordare che la ragione, la fan- 
tasia, gli adetti , hanno delle forme di linguaggio proprie 
soltanto di sè, e sdegnano quelle che loro propriamente 
non appartengono. E perchè sia più chiara e patente 
questa verità , ci faremo ora a parlare delle forme pro- 
prie della fantasia , poscia di quelle proprie deli' affet- 
to , le quali comunemente si chiamano figure di pen- 
siero prodotte dall'immaginazione, o derivate dalla 
passione. 



Dalle fénue M iiarton pMpvie 

D. Che cosa sono le figure dmioQU dait immagine^ 

stione? 

R, Sono certe naturali forme di parlare , le quali 
soTonte adopriamo perchè i noski pensieri acquistino 



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- 77 — 

maggiore efficacia ogni qual volta noi parliamo, o mossi 
dalla iorte impressione che un oggetto ha falla sopra di 
noi , o anche solo perchè faccia sugli altri un' impres- 
sione maggiore di quella che farebbe , se il linguaggio 
della fantasia si restringesse al semplice e severo della 
ragione. £ siccome per mezzo della Immaginazione noi 
possiamo avere presenti all' animo oggetti lontani , con- 
frontarli fra loro , comporli , discomporli , e crearne di 
nuovi , cosi ne viene che dalia osservazione dei rap- 
porti diversi nascano la Similitudine, la Comparazione, 
l'Allegoria , la Perìfrasi , V Iperbole , l'Antitesi , la Pro- 
gressione, la Preoccupazione, la Concessione, la Prete- 
rizione , la Sermocinazione , l' Ipotiposi ; figure le quali 
. noi verremo ora partitamente esponendo. 
D. Che cosa è la SimilUudinef 
R. La Similitudine è una forma di parlare, colla 
quale mosl riamo pid cbiai*amente una cosa per mezzo 
di un' altra. Ella in sostanza non è che una larga me- 
tafora , ed è soggetta alle regole della metafora stessa. 
Eccone un esempio : 

Come le pecorelle escon del chiuso 
A una , a due , a tre , e l' altre stanno 
Tiraidette atterrando rocchio e il muso; 

E ciò che fa la prima, e l'altre fanno. 
Addossandosi a lei s'ella s'arresta, 
Semplici e quete, e lo mpercbè non sanno. 

(Dante» Purgalorio.) 

D. Che cosa è la Comparazione? 

A. È una forma di parlare, per cui raffrontando ' 

insieme due oggetti, si viene a mostrare che quegli at- 
tributi che convengono aduno, convengono pure all'al- 
tro. Ella non si contenta, come la Similitudine, che vi 
sia una somiglianza, ma esige di più ohe il fondamento 



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— 78 — • 

della somiglianza si spieghi , e si aecenni il modo per 

io quale i due oggetti paragonati fra loro convengono. 
Per esempio : 

Come impasto Leone in stalla piena » 
Che lunga fame abbia smacrato e asciano. 
Uccide y scflomat mangia, e a strazio mena 
L* infermo gregge in sua balia condallo: 
Così il erode! Pagan nel sonno a? ena 
La nostra gente , e fa macel per latto. 
La spada di Medoro anco non ebe; 
Ma li sdegna ferir Tignobll plebe. 

(AniosTO» OrUmdo fiaiow.) 

D. Si deve osservare akuna cosa intorno l'i$so di ^ 
qìAeste figure? 

R. È necessario osservare in prima oh' dUeno mal 
si addicono ad un discorso appassionato, specialmente 
ove la passione sia forte ; perchè 1' animo in mezzo ad 
una tempesta di affetti noo ha di che perdersi in con- 
fronti 0 simiglianze , ohe sono opera della fantasia e della 
ragione. In fatto la fantasia nei suoi voli facilmente s'av- 
viene a trovar oggetti con cui compone le immagini che • 
le si presentano : e la ragione qualche volta^ per me- 
glio dichiarare le cose eh' ella espone, ama trovare con- 
Ironti e similitudini. Di che viene, che alcune sono a 
solo abbellimento , altre sono a rischiarare le cose. Quelle | 
che valgono solo a dar lume, piacciono più ai prosatori; 
quelle che sono di tutto abbellimento, sono meglio pro- 
prie de' poeti. Aggiungasi che alcuna volta da un' im- 
magine di confronto inaspettato la mente rimane così 
sopraffatta ed investita, che pih non potrebbe ; a segno 
che possa dirsi da quelle figure nascere talora il subli- 
me. Quello però che principalmente si dee osservare, 
è che la similitudine o il paragone aìalio tplti da cose 



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— 79 — 

vicine e facili a cadere sotto gli occhi della mente dei 
lettori, non da lontane od astruse; e che queste figure 
conTengaDo al genere ed alla specie della scrittura, 
perchè, ove non ci convenissero, anzi che lume e bel- 
lezza, rcchorcbbero oscuriti e stranezza. 

D. Date alcun esempio che mostri, come la Similitu- 
dine (Ucliiora meglio le cose, o le ctbbeUisce , o le sMimal 

R. Il Boccaccio, alla 20» Novella della Prima Gior- 
nata , voleva dire che i piacevoli motti rendono pivi lieto 
e leggiadro il conversare. Egli a dichiarare questa sen- 
tenza si vale di una ben acconcia similitudine per que- 
sto modo : Come ne' lucidi sereni sono le stelle ornamento 
del cielo, e nella primavera i fiori de' verdi prati, cosi 
de^la/udevoU costumi e de' ragionamenti piacevoli sono i 
leggiadri motti. 

Serve ancora a dichiarazione la similitudine che 
Dante usò nel Canto Ili dell' Inferno, per rappresentare 
i malvagi che corrono alla barca di Caronte. 

Ckiine d'antanno si lem le foglie 
L'una appretto dell'altra, infin che 11 ramo 
Rende alla terra tutte le sue spoglie; 

Simitemenie il mal seme d' Adamo: 

Gillansi di quel lito ad una ad una, 
Per cenni , come augel per suo richiamo. 

Vale poi ad esornare, come si può vedere nella 

seguente stanza dell'Ariosto, il quale, nel descrivere 
due guerrieri obesi azzuffano^ ti porge in essi V imma- 
gine di due cani che vengono ai morsi. 

Come soglion talor due can mordenti» 
0 per invidia o per altr* odio mossi, 
Avvicinarsi digrignando i denti» 
Cdn oeehi bleclil e pit die iMsgla rossi; 



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80 



Indi a' moni venir di rabbli ardenti, 
Con aspri rìngljj e rabbuffiti dossi ; 
Così alle spade , dai gridi e dall* onte, 
Venne il Circasso e quel di Cbiaramonle. 

L* Alighieri si valse della similitudine a sublimare 
il suo concetto nelle seguenti terzine tratte dal Purga- 
torio: * 

A noi venia la creatura bella 
Bianco vestila , e nella faccia quale 
Par tremolando mattutina atella. 

E neir altra : . 

Ella non ci diceva alcuna cosa; 
Ma lasciavano gir, solo guardando 
A guiaa di leon quando ai posa. 

D. Che cosa è V Allegoria, e perchè si pone fra le 
figure d' inmaginazùme ? 

R. L'Allegoria non è altro che una forma di parla- 
re, la quale por mezzo di un discorso ne presenta un 
altro latente. Ella non differisce dalla Similitudine se 
non in questo, che 1* allegoria non mostra un oggetto 
per mezzo dell'altro, ma dà un oggetto in luogo del« 
r altro. È inutile spendere novamente parole per mo- 
strare che questa forma di parlare va qui registrata; 
poiché ognun vede chiaramente come ella è un pro- 
dotto della immaginazione. Abbiamo un beli' esempio 
nell'Ode 14» del libro 1° d'Orazio (se pure non è da 
seguirsi T opinione di coloro ; che queir Ode vogliono 
diretta alla nave nella quale Orazio scampò dopo la 
battaglia di Filippi, opinione molto probabile), e nel 
Petrarca nel seguente sonetto : 

Passa la nave mia colma d' obblio 
Per aspro mare a mena notte il Tento 
Infra Scilla e Cariddi ; ed al governo 
Siede 'I signor» ansi 1 nemico mio. 



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— «1 — 

A ciascun remo un pensier pronto e rio, 

Che la tempesta e '1 fin par eh' abbi' a scUerDo: 

La vela rompe un vento umido eterno 

Di sospir, di speranze e di desio. 
Pioggia di lagrimar, nebbia di sdegni 

Bagna e rallenta le già stanche sarte, 

Che son d* error con ignoranza attorto. 
Cèlansi i duo miei dolci usati segni; 

Morta fra l'onde è la ragion e l'arte; 

Tal cb' ìDcomiDcio a disperar del porlo. 

Avveriiremo però fin d* ora cbe quest^ allegoria è 
impura, poiché al senso allegorico è sovente commisto 

il vero. Il più sublime esempio di tal figura T abbiamo 
nel Salmo 79 , ove il popolo- d' Israele è rappresentato 
sotto r immagine di una vigna. A noi basterà dame un 
breve esempio, tratto da un Classico latino, lasciando 
a chi vuole andare a consultare il suaccennato. Cice- 
rone neir orazione a difesa di Quinzio per mezzo deir al- 
legoria si esprime così : Ita fit ut ego, qui téla depellere, 
et vulneribus mederi deheam, tiim id facere cogar , cum ' 
etiam telum adversarius nuUum jecerit: Ulis autem id 
tengnts impugnandi detur, ctm et vitandi Hkrum impetus 
potestas adepta nobis ertt; et si qua in re, id qnod pa- 
rati sunt facere, falsum crimen , quasi venenatum aliquod 
telum jecerint, medicime fadmdm locus non erit. c Così 
avviene che io, il quale debbo levar dalle cam! il 
ferro delle saette, e medicar le ferite, sono sforzato a 
ciò fare prima che V avversario abbia fatto il colpo: ed 
a lui è conceduto facultà di assalirci a tempo^ die a 
noi sarà tolto di poter iscbifare il suo impeto: e dove 
in alcuna cosa (il che essi son presti di dover fare] con- 
tro di noi, lanceranno, quasi avvelenato dardo, qual- 
che falsa opposizione, non sarà luogo ad apprestarne 
il rimedio. i> (Dolce.) 

e 



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82 — 

I Retori poi distinguono rAIfegorit in pura ed im- 
pura: pura la chiamano quando non si esce mai dal 
senso allegorico^ impura quando dal seuso allegorico 
si passa al proprio. Cesi Dante nel Canto primo del 
Purgatorio j dice: 

Per correr miglior acqua alza le vele 
Ornai la oavioella del mio iagegao» 
Che lascia dietro sè mar si crudele. 

Sarebbe stala pura V allegorìa sè avesse detto , an- 
ucbè la navicella del mio ingegno, la navicella mìa. 

Anche l'apologo può dirsi un'allegoria pura, e così 
pure r enimma , o V indovinello, dei quali per brevità 
qui non si parla. Una sola osservazione ferino, ed è 
che r allegoria deve essere breve, ben adattata e facile, 
perchè si possa agevolmente conoscere il senso nasco- 
sto sotto r immagina rappresentata. 
D. Che cosa è la Pèrifiroii? 

lì. PeriiVasi, che in volgar nostro significa circon- 
foctA^MÒne^ in latino circuUio, è una forma di parlare, la 
Auale esprime con più parole ciò che in una o in poche 
si potea dire: Pluribus verbis cum id, quoduno, aut 
paucioribus, certe dicipotest, explicatur, vocant circui- 
Èum loquendi. (Quintiliano.) E di questa forma pare che 
r immaginazione principalmente si compiaccia, perchè 
per questa ella può mostrare i confini d' una cosa , anzi- 
ché la cosa slessa, come fece il Petrarca , il quale per 
nominar T Italia disse: 

.... il bel Paese, 
Cile Appeonia parie e il mar circonda e l' alpe; 

w 

o dar a vedere una cosa per mezzo delle sue prìnci* 



é 



— 83 — 

pali qualità, come fe' Dante, il quale, per nominare ii 
Sole, disse: 

« 

Lo mioistro maggior della naiura. 

Serre sBeora la Perifrasi a dare chiaresza maggio- 
re: alle vette vale ad Isfuggire con grazia cerle espres- 
sioni, cui nuocerebbe usare, comò in quel magnifico 
esempio che ne otire Cicerone nell' orazione />ro Milane, 
V Oratore Romano dovea pur confessare che Glodio era 
stato ucciso; ma perchè la parola uccidere, o altra so- 
migliante, recava odio aMilone, compassione a Clodio, 
egli per mezzo di una circonlocuzione espresse il suo 
concetto in guisa, che la ragione di Milena vi trionfa: 
Fecerunt id servi Milonis {dicam enim non derii andi cri- 
minis causa, sed lU factum sii), ncque imperante, ncque 
sciente, neque prmenie domino quod quis^ servos suos 
in ioli re facére voluisset « Questi servi dì. Milone (e lo 
dico non per imporre ad altri la colpa, ina perché il 
fatto andò pur così), non di ordine del padrone, non 
sapendolo lui, uè essendo quivi, fecero quello, che cia- 
scuno in cos\ fatto termine' avria voluto- veder fare 
a' suoi servi. » (Cesari.) La (jualo perifrasi fu bene imi- 
tata in egual caso dal cardinal Commendone nella sua 
orazione in difesa di alcuni scolari dello studio di Pado- 
va: Avvenne adunque , dice egli, dopo molta sofferenza ^ 
ohe più della ragione potò lo sdegno: non si nega il fatto. 
Questa forma di parlare però, se non sia usata con 
molta moderazione ed a tempo, produce languidezza 
e superfluità. Non vi sia alcuno che creda la Perifrasi 
essere egual cosa che la Parafrasi, perocché la Para- 
fram, la quale significa dichiarazione, allargamento, 
appartiene in genere all' amplifioaziona. 



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— 84 

D. Che cosa è r Iperbole? 

B. L'Iperbole, che i Latini chiamarono superlatio 
(noi diremo esagerazione) , si fa col portare una cosa ol- 
tre il suo essere naturale, o innalzandola più che non 
è , 0 più che non è diminuendola. E questa si fa quando 
noi vivamente colpiti da qualche idea che altrui voglia- 
mo rappresentare, credendo troppo deboli le espressioni 
proprie, ci serviamo di alcune, le quali a intenderle 
strettamente vanno fuori del vero. Cosi per iperbole 
Virgilio ci descrive i cavalli di Turno: 

Qui candore nivet ante irent , cursibiu auras. 

Due guise d'iperbole si danno, Tuna delle quali 
move dair immaginazione, come è detto, l' altra da com- 
mozione d'animo. Da semplice immaginazione è V iper- 
bole colla quale T Ariosto descrive la mensa preparata 

da Aicina a Ruggero. 

Qual mensa trionfarne e sontuosa 
Dì qualsivoglia successor di Nino, 
0 qual mai tanto celebre e fumosa 
Di Cleopatra al vincitor latino, 
Potria a questa esser par, che V amorosa 
Fata avea posta innanzi al Paladino? 
Tal non cred' io che s' apparecchi , dove 
Mioistra Ganimede al sommo Giove. 

Se però non si abbia molto buon giudizio V iperbole 
descrittiva dk facilmente nelP esagerato e nel falso ; spe> 
cialmente quando si voglia usare prima che l' immagi- 
nazione sia bastantemente riscaldata. Iperbole si usa 
con più buon successo a descrìvere esseri immaginari 
al tutto, 0 almeno in gran parte, dei quali i sensi no- 
stri non possono avere contezza se non in quanto sono 
loro descritti dalla fantasia; come sarebbe la Fama dì 



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Virgilio, il Silenzio e la Frode noli' Ariosto, esimili 
altri^ nei quali soggetti l' esagerazione è più consentita. 
Infatti Virgilio potè dire, che la Fama passeggia il siwlo^ 
ed ha fra le mbi il capo, la qual cosa sicuramente non 
avrebbe potuto affermare, se qaesta Fama fosse stata 
altro che un essere immaginario. Men pericolo è nel* 
l'iperbole mossa dall' afTetlo, perocché qaando il cuore 
è agitato fortemente, ogni esagerazione che non esca 
affatto dai ragionevole gii ò consentita. Bella è quella 
che Torquato Tasso ebbe imitata sì nobilmente da Vir^ 
gilio: 

• 

Nè te SoQa produsse, e non sei nato 
Dell' Azz!o sangue tu: te Tonda insana 
Del mar produsse, e '1 Caucaso gelalo, 
£ le mamme aliauàr di tigre ircaDa. 

D. Che cosa è PAntUesi? 

R. È una forma di parlare, la quale cade in accon- 
cio ogni qual volta i' Oratore o il Poeta , cercando dare 
maggiore rilievo ad un pensiero o ad un oggetto, gli con- 
trappone il suo contrario. E però l'autore della Retto- 
rica ad Erennio la definiva così: Contentio est cura ex 
cùntrariis verbis aut rebus oratio conftcitur. Perlochè 
apparisce chiaro che questa figura si fa, o contrappo- 
nendo parole a parole, o contrapponendo sentenze a 
sentenze. Esempio della 1» maniera può essere il se- 
guente del Segneri : Tutti gitanti qui siamo, o giovani o 
vecchi, 0 poveri o ricchi, o nMU o plebei, tutti dobbiamo 
morire. Esempio della 2* maniera d' antitesi può essere 
questo di Cicerone: In pace ad vexandos cives acervi- 
muSy m bello ad eajmgnandos hostes inertissimus. Bella 
è pure P antitesi che abbiamo nell' orazione a Paolo 
Terzo d'Alberto Lollio: Muovesi l imperatore, non per 



— 86 — 

cupidigia d allargare i confini: ma per conservarli, non 
per difendere le membra deW Impero, ma per non perdere 
il capo, nùnper opprimere gV mAoce^M, ma per eorreg^ 
gere i dmAbidknli, Questa figura perd deve essere 
usata con molte avvertenze; deve essere breve, poco 
frequente, naturale: brevei perchè altrimenti scopre 
l'arte, e ristucca; poca frequeale, perehò, ove sta spes- 
seggiata, illanguidisee e raffredda il discorso; naturale, 
perche, ove mostri fatica di studio, disgusta 1 lettori 
anziché dilettarli. È anche da osservarci che questa 
figura alcune volte serve alla passione , specialmente 
quando ò portata molto innanzi, conciossiachè nelle 
forti agitazioni dell' animo avviene che le idee quasi tu- 
multuariamente presentandosi al pensiero, si dispon- 
p:ono per modo nella mente, che ognuna di esse reca 
con sò il suo contrario. Esempio ne abbiamo nella 2^ Ca- 
tilinaria di Marco Tullio: Hoc vero quis ferro potest, 
inertee homines forliseimis òuidiari, eiuUissònos pruden- 
tiseimis, ebriosos sobriis, dormientes vigikmtSms?.*. e 
più verso al fine: Ex hac enim parte piignat piidor , il- 
line petulaìUia: hino pudicitia, illinc sttipnm: hinc pie- 
tae: illinc sceìus: hinc comtantia, illinc furor: hinc ho- 
nestas: mine turpiiudo: hinc conHnentia, illinc libòhi 
denique wquitas j temperantia, fortitudo , prude ntia ^ vir- 
tutes omnes certant cum iniquitate, cum luxuria, cum 
ignafria, cum temeritate, cum vitiis omntìm> « Ma ohi 
potrebbe sopportare che gli uomini pieni di dappocag- 
.nine tendano agguati ai valorosi, i pazzi ai prudenti, 
f^rimbriachi ai sobrj?... — Chè da questa parte com- 
batte la modestia, da quella la petulanza; di qui la 
castità, di là gli stupri; di qui la fede, di là la fraude; 
(li qui la pietà, di là la scelleraggine, di qui la costan- 
za, di là il furore; di qui la contmensa} di 1^ la eupidi* 



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- 87 — 

già: finalmente l'equi Ih, la temperanza, la fortezza, la 
prudenza, e tutte le virtù prendono la spada in mano 
contra la iniquità, cantra la lussuria, contro la dappo* 
caggine , contro la temeritli , contro tutti i vizj. » (Dolce.) 

D. Che cosa è la Progressione? 

/?. È una iòrma di parlare , per la quale , salendo 
grado grado da un pensiero air altro , si dà maggiore 
efficacia alla sentenea. Questo modo dai Oreci fu chia- 
mato climax , e noi lo diremo scala. Eccone da Cice- 
rone un esempio : Facinus est vincire cwem romanum , 
teeka wrberarè, prope parrieiditmneoare; quid dicam 
m crucem toUere? « È delitto legare un cittadino roma- 
no , scelleraggine vergheggiarlo , quasi parricidio ucci- 
derlo : che dirò io del crocifiggerlo ? » Osservate come 
r autore per questa figura ha mostrato che T avere messo 
in croce un cittadino romano era delitto senza pari. 
Egli grado grado esaminando quanto sia grande colpa 
mettere in ferri un cittadino , quanto grande sc^Uerag» 
gine vergheggiarlo , quanto orrìbile parricidio metterlo 
a morte, fa conoscere che il crocifiggerlo è delitto sovra 
ogni delitto. Questa forma è di grande elLicacia , peroc- 
ché ella presenta quasi ali' intelletto una serie di pro- 
posizioni concatenate a modo, che posta la prìma, tutte 
le altre necessariamente si denuo ammettere come di- 
scendenti da quella. Un altro esempio ne porge il Se- 
gneri nella 4* predica : Questa è dunque- la cura-, ohe vai 
teMte delia vostra anima? questa è la ^ima del tostro 
fine? questa è la sollecitudine della vostra felicità? saper 
di slare in ìnezzo a rischi sì gravi , e non riscuotervi? 
Ponete mente alia doppia gradazione di questo periodo: 
la prima è nelle parole cura , stima , soUeeiiuéine ; 
r altra nelle parole —anima, fine , felicità. Anche i poeti 
fanno uso con profìMo di questa figura , la quale però 



« 



— 88 — 

eonvien cercare che non iscuopra Tatte,' altrimentì di- 

vieue cosa viziosa, come appunto è quella del Tasso me- 
rilameate ripresa dai Galilei. 

Sparsa è d* armi la terra , e V armi sparse 
Di sangue, e il sangue col sudor si mesce. 

D. Che cosa è la Preoccupc»ioneZ 
R. £ una forma di parlare, la quale usiamo per 
prevenire una obieetone o una donanda , la quale ci 

potrebbe esser fatta , e togliere o|5ni dubbio che po- 
trebbe nascere negli ascoltatori ; cosi il Casa nella prima | 
oraiione per la Lega , prevedendo che alcuno avrebbe 
potuto obiettargli , che Carlo Quinto metteva in essere 
i suoi eserciti per difendersi, per mezzo di questa figura 
previene V obiezione , e dice : Se. mi mi direU che egl% 
si vuol difendere io vi domando: chi lo minaccia , cftt fo 
spaventa , chi lo assalisce? Questa figura , come ognun 
vede , giova molto agli oratori, e non inutile ai poeti. 
f In fatto asaai bene ne usò Torquato Tasso nella Geru- 
salemme : 

Ta , ebe srdfto sin qai ti sei condotto., 

Onde speri nutrir etvalli e fami ? t 

Dirai : V armata in mar enra ne prende. 

Dai venti adunque il viver tuo dipende? 

« 

D. Che cosa è la Concessione? - 

R. È una forma di parlare , per la quale , mentre 

noi concediamo una cosa all' avversario , lo costringiamo 
con questo stesso modo a concedere a noi ciò che vo- 
^mo. Elia è figura* di mirabile effetto e di grande uso 
presso gli oratori e presso i poeti. Così il Gasa iiella 

2» orazione per la Lega : Or ecco V imperatore riposerà 
quest' anno , 4» coù pa , perocché nessuno ce ne fa certi; 

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ma ie pur eoA fla , egli starà fermo quesfamo non per ^ 

tardare , ma per andare piìì ratto. 
£ r Alfieri nei Don Gariia: 

m 

Uccìderai Salviati, 

Fona Bun reo: nemici allri verranno. 

Pian spenti? ed aiiri insorgeranao. — 11 brando 

Del diffidar la insazìabii punta 

Ritoioe al fin contro ehi V elsa impogna. 

D. Che cosa è la Preterizione? 

B. £ una figura per la quale fìogeDclo di voler ta- 
cere alcune cose, poi espressamente le diciamo, e ^e- 
sta giova assai , perchè mostra T Oratore poco curante 
di quelle cose stesse che sono a suo prò, come quegli 
che ben altre e di maggior peso ne ha ; e mette nel- 
l' ascoltatore confidenza, facendogli conoscere che FOra* 
tore ha ragioni piii del bisogno. Cicerone nelT orazione 
in favore della Legge Manilia, parlando per preterizione 
delle lodi di Pompeo , dice cesi : Itaque nm non prcedi- 
caturus, Quiriles , quantas iUe ree demi mUiticeque , terra 
marique , quantaque felicitate gesserit; ut ejus semper vo- 
luntatibus non modo cives assenserinl , sodi obtempera- 
rint, hostes obediermt;8ed etiam venti tmnpeeiatesqmolh 
secundarini, t Laonde io non son per raceoatare, Roma- 
ni , quante egregie operazioni, e con quanta felicita egli 
abbia fa^e &ì nelle cure della città , come nei maneggi 
della guerra , in terra e in mare , e di maniera che alle 
sue YoloDtk non solamente i cittadini sempre abbiano 
acconsentito , i confoderati servito , i nemici ubbidito , 
ma i venti e le fortune gli sono stati secondi. » 
(Dolce). ' 

Così pure, presso Virgilio, Venere enumerando a 
Giove le ofiese che eila^veva ricevute da Giunone, dopo 



- 00 — 

averne esposte alqaaiiiè , fìngendo di voler passare le 
altre sotto silenzio, dice: 

Quid repetam exustax Ericino in litore classesì 
Quid tetnpeslatum regem, ventosque fur^niet, 
jEolia excitoi? aut aclam nubibui Jrimt 

Cb*io non vuo'dir delle combuste navi 
Sulla spiaggia Ericina, nò de' venti 
Che M re spìnse d' Eolia a tempestarlo, 
Nè d'Iri che di qui fu già mandata ec. 

(Gaao.) 

D. Che cosa è la Smnoeinanone? 

R. È una figura perla quale s' introduce qualcuno 
a parlare quasi dialogizzando coli' oratore o coi poeta , 
per aggiungere dignità alle cose che si dicono, e nel* . 
Fìstesso tempo per dilettare. Esempi ne abbiamo ne'poeti 
e ne* prosatori latini ed italiani ad ogni passo. A noi 
piace sceglierne mio del Segneri. L' oratore descrive la 
pesnma fine dì un cavaliere , il quale muore imponi* 
lente. In mezzo la narrazione introduce il confessore, il 
quale si la al letto deli' infermo per disporlo a ben mo- 
rirOb Vivo e commovente è il dialogo. — Im$dici tuiAo- 
menU vi hanno disperato; però se volete compor le vo- 
stre partite , poche ore vi rimarranno:-^ Tanto più adun- 
que ^ soggiunse l' altro; affrettiamoci: che ho da fare? — 
Avreste, ripigliò il Padre, per avventura alcm credito* 
re, a cui vi coimenisse di soddisfare ? -^Gli aveva , ma 
gli ho soddisfatti. — Avreste niente (f altrui, die dovreste 
rendere ? — L aveva, ma V ho parimente renduto. — E se 
per i addietro aveste portata malevolenMa ad akmno,non 
la deponete daVl animo? --La depongo. ^Perdonale a chi 
vi ha offeso? — Perdono. — Vi umiliate a chi avete offeso? 
— Mi umilio.'^ Non. volete adunque per uUimo ricevere 



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— 91 — 

I sacra$nenti, come conviensi ad uom cristiano per ar- 
marvi contro le tentazioni deìl inimico , e contro i peri- 
coli deir Inferno? —-Volentieristimo gli Hcmferò, se voi, 
Padre, vi compiacerete d' amministrarmeli. — Ma sapete 
pure che questo non si potrà, se prima non licenziate da 
voi quella giovane? — Oh queeto non pouo, Padre , non 
poeso ! — Ohimè ! che dite ! non posso? perchè non potete? 
e potete, e dovete , signor mio caro, se volete salvarvi,— 
Io dicovi che non posso ec. — 

Ed Orazio neir Epistola ai Pisoni in questo modo 
si vale della sermocinazione: ^ 

Dicnt 

Ftlius Albini: si de quincunre remota est 
lincia, quid superai? poterai dixtsae: triens. Eul 
Rem poleris servare tuam, Redit uncia : quid fitf 
Semis • 

Non conviene però abusare di questa figura , la 
quale, se giova chiamata a tempo, nuoce e raffredd*! 
quando ella sia fuor di tempo adoperata. Questa poi 
serve piti spesso alia fantasia che air affetto; nuilaroeno 
qualche vòlta serve anche mh*abìimeote aHa passione. 

D. Che cosa è Ipotiposi? 

H. È, una ligura per la quale l'oratore o il poeta 
cerca- di porre sotto gli occhi col più vivi colori una 
cosa od una persona , tantoché il lettore o V uditore 

creda vederla anziché udirla. Questa forma di parlare 
però prende diversi nomi dalle diverse cose che ella 
descrive, cosicché l' ipotiposi di persona si chiama prO" 
sopografia; la descrizione dei costumi, efopea; la descri- 
zione delle sembianze e dei caratteri di persone imma- 
ginate 0 ^nie ^somatopea; la descrizione infine dei luoghi 
topografia. Dì ciascuna di queste noi daremo lui esempio. 



L^ yi i^uu Ly Google 



IpotipiMil %n fODere. 

II Meiastasio, imitando Virgiiio, descrive nella Ga- 
latea il Ciclope , che decide un misero pastore. 

Vidi il crudele 
Frangere incontro al sasso 
Un misero pastor, che al varco ei prese» 
Per farne orrido pasto alla sua fame. 
Lo stracciò* lo divise; 
E le lacere membra » 
Tiepide e semivive , 
Sotto i morsi omicidi 
Tremar fra'denU» e palpitare io vidi. 
E r atro sangoe intanto , 
Cbf spumeggiava alle sue sanno intorno » 
Uscia per doppia strada (oh Aero aspetto! ) 
Dal sotso labbro» e gli scorrea sol p^tto. 

Ipotlpo»! dM ^MOAttf ^mI« prooopograflfi. 

L' Ariosto così descrive Brunello : 

Non è sei palmi , ed ha il capo ricciuto; 
Le chiome ha nere, ed ha la pelle fosca; 
Pallido il viso, oltre il dover barbuto; 
Gli occhi tronfiali , e guardatura losca; 
Schiacciala il naso, e nelle ciglia irsuto: 
L* abito, acciò che lo dipinga intero, 
fi Stretto e corto » e sembra di cornerò, 

IpoUposI del «••tninl» tmia etopea. 

Non lasceremo di recare ad esempio retopoa clie Sal- 
lustio ci offre diCatilina: Lucius Catilina, nobili genere 
fuUus, fuU magna vi et animi et eorporis , sed ingenio malo, 
prcmque. Buie ab adohseentia betta intestina ; cades,, 
rapince , discordia civilis , grata fuere; ibique juventiUem 
suam exercuU. Corpus patens inedice, vigilias^ algoris, 
«t4pm qwm euiguam credibile est Animus audax, ni- 



— d3- 

bdohu, mrius, m^libet rei simuhtor oc dissinmlalor , 

alieni appetens , sui profusus, ardens in cupiditatibits ; 
satis loquentice , sapientice parum, Vastus animus immo- 
derata, incredibilia, nimis altasen^^a^iebai. » Lucio 
Gatiliòa di nobil sangue fu nato, uomo di grande virtù ' 
(F animo e di corpo , ma d' ingegnamento reo e perverso. 
Da sua prima gioventù le brighe dentro la città , le fe- 
rite, gli omicidj 9 le rapine , a lui piacquero molto; e in 
queste cotali cose contìnuamente studiò. Il corpo aveva 
poderoso , e sofferente di fame , di freddo, di vegghia , 
e più che uomo credere potesse. L'animo era ardito, 
malizioso e isvariato : qua! cosa volea infingeva , e 
qual volea disfingea. Dell* altrui desideroso , del suo 
isi)argitore ; tutto acceso di desiderj ; assai bello parla- 
tore f savio poco. 11 suo smisurato animo cose ismisura- 
te , non credibili , e sempre troppo alte , desiderava. « 
(Bartolomeo da San Concordio.) 

Ipoiiposl di persoae flato» o aoiiiAtopea. 

» » 

Bella è la somatopea , con efae il Tasso ci mette 

sotto gli occhi il re- degli abissi . 

Orrida maestà nel faro aspetto 

Terrore accresce, e più superbb il rende; 
Roasegglan gU occhi , e di Teoeno infetto. 
Come infausu cometa, il guanto splende; 
Gl' invòlve il mento, e sali* irsuto petto 
Ispida e folta la gran barba scende; 
E in goisa dì vongine profonda 
S*apre la bocca d' atro sangue immonda. 

Esempi di questa figura abbiamo neUa descrizione 
• ideila Fama nel libro 1.» dell' Eneide : nella descrìiione 
della Frode neir/^i/^rm» di Dante: nella descrizione della 

Discordia , della Frode , dell'Avarizia , e del Silenzio , 
nei Furioso dell' Ariosto. 



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94 — 



* 



* HMfirlsione del luoghi ^ o lopograflo. 

L' Ariosto ci descrive meravigliosamente per mezzo 
di questa figura ua'isoielta deserta: 

0' tbitatori è l' isoletta moU , 

Piena d'wnil OHNteUe e éi ginepri; 
Giooondft solilndlne renoia 
A cervi t a daini , a caprioli , a lepri ; 
E fuorché a pescatori è poco nota , 
Ove sovente ai rimondati vepri 
Sospendon per seccar l' umide reti: 
Dormono intanto i pesci io mar quieti. 

D. Vi è wMa da avvertire intemo queste forme di 
parlare? 

R. Quanto all' Ipotiposi in genere è da avvertire, 
che eiia sia facile , naturale e ben condotta. Non creda 
alcuno che P Ipotiposi riesca tanto jÀh viva quanto pftì 
ò lunga , perchè tulLa V arte , per cui ella acquista vi- 
vezza, sta non nella minutezza delle circostanze, ma nei 
tratti 'PitL interessanti; chè anzi la lunghezza spesso to- 
glie alla verità e reca noia. Riguardo alla Prosopogra- 
fia, si deve cercare che le qualità della persona la quale 
vogliamo dipingere corrispondano al vero , e siano co- 
lorite con risentite tinte, a modo che alla lettura ognuno 
debba riconoscere la persona che abbianio ritratta. L'Eto- 
pea domanda chiarezza e precisione: chiarezza, perchè 
si dee rendere sensibile ciò che non è ; precisione , per- 
chè i costumi di quella persona , della quale parliamo, 
devono essere proprj a lei sola , a segno che non possa 
confondersi con altra. Circa la Somatopea, è da studiare 
che la persona, la quale noi fìngiamo, sia quale richiede 
e II carattere ohe volgarmente le è attribuito , e la eir« 
costanza nella quale viene rappresentata. Il Tasso nel 
dare corpo umano a Satana ha avuto tutti questi ri- 



I 



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— 95 — 



guardi , e però bella è quella sua ìpotiposi. Se altri- 
menti avesse fatto, oltre all'essere deforme in sè, avrebbe 
nociuto al buon etietto. Riguardo iotìae all' ipotiposi di 
luogo ^ avvertiremo soltanto che non si deuno tratteg- 
giare ad una ad una tutte le |>arti di un luogo, ma rile- 
varne solo quelle che bastano a darne una compiuta 
idea , e a distinguerlo da o^i altro luogo del medesimo 
genere. 



CAP» IL. 

Uelle forme di parlare proprie 
dell» pamione* 

D. QucUi sono le forma di parlare proprie della pas- 
sione? 

* R. Sono quelle le quali non si odono neir umano 
linguaggio , se non quando V uomo è agitato da qualche 
forte affetto ; per forma che queste possono dirsi un 
oarattere speciale delia passione : conciossiachè non sia 
persona al mondo , la quale, avendo il cuore in tumul< 
to , non prenda un linguaggio diverso dall' ordinario* 
Poi vedete che nell' uomo preso da passione la fìsono- 
mia del volto si fa più risentita , più gagliardo il suono 
deHa voce , più vibrati gli atti ed i gesti , e da questo 
potete argomentare, che, volendo la natura distinguere 
cosi neir esterno lo slato deli' animo in passione, doveva 
anche distinguerlo nel lingua^io, che può dirsi lo spec- 
chio deir animo; e però ben male avvisato sarebbe ehi 
credesse, che le forme delle quali parleremo siano in- 
venzione delle scuole, o cose particolari soltanto agli 



— 96 — 

scritlori; perchè elle sono cosa della natura e non del- 
r arte , e comuni a tutti gli uomini, l^eriocbè è molto 
necessario il ben conoscerle, perchè il non saperne far 
uso porterebbe Io scrittore sovente a mancare nella 
parte dei caratteri. Di queste forme quindici ne anno- 
veriamo , le quali sono: \^ Esclamazione, 21* Epifonema, 
3* Interrogazione, 4* Subiezione, 5^ Ironia, 6* Sarca- 
smo, 7* Preghiera, 8* Imprecazione, 9* Dubitazione, 
10* Correzione, 41* Sospensione , 12^ Comunicazione , 
43* Personificazione, 44* Apostrofe, 15* Visione. Avver- 
tiamo ancora chd alcune di quelle, che dicemmo essere • 
proprie dell' immaginazione, servono pur e^ alla pas-' 
sione ; quali sono T Iperbole, la Progressione, la Prele- 
riziéfne, Tlpotiposi e la Sermocinazione, sebbene però 
r uso di queste sia piti rado nel linguaggio, degli affetti. 

Dell' BeclamasloBe • dell' EplfoneatA. 

D. Che cosa è tEsckmiaiUone, e come di lei nasce 

l' Epifonema? 

R. È una forma di parlare, per mezzo della quale 
esprimiamo le più gagliarde commozioni dell'animo, con- 
cìossiachè quando noi «iamo potentemente sorpresi da 
meravìglia, da timore, da allegrezza, da dolore, quasi 
improvvisamente interrompiamo il discorso, e alzando 
la voce facciamo una interieiione. Ella è quasi il carat- 
tere principale del linguaggio appassionato, come si può 
vedere di leggieri, osservando anche il parlare degli uo- 
mini volgari, allorché sono presi da un forte commovi- 
mento dell' animo. Così Dante, avèndo narrato la morie 
crudele che ì Pisani fecero sostenere al Conte Ugolino, 
esce ia una esclamazione di dolore e di sdegno contro 
Pisa; 



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— 97 — 

Abi Pisa, yituperio delle genti 

Del bel paese là, dove II si suona, 
' Poicbè i vicini a te punir son lenti ec. 

£ il Boccaccio, dopo avere descritto i mali recati 
dalla pestilenza alla sua patria , esce in questa pietosa • 

esclamazione : Oh quanti gran palagi rimasero vuoti, 
quante memorabili schiatte si videro senza debito sue- 
cesswr rimanere I 

Alcuna volta nella esclamazi<me noi racohindiamo 
naturalmente un qualche concetto o detto sentenzioso . 
e ciò è appunto che cangia 1 esclamazione in epilone- 
nia. Così Titiro presso Virgilio, dopo avere esposte nar- 
rando le sue disgrazie , termina in questo modo : 

Bn f no dkeordia eives 

FerduzU mlieroi/ en queii emuerimui offrii 

£ il Petrarca, a mostrare la vanità delle cose mor- 
0 tali, esclamava : 

Oh ciechi , il tanto affaticar che giova? 
Tulli tornale alla gran Madre amica, 
E il nome vostro a pena si ritrova! 

9ell' iBtMVosaBloBe « della Sii1»I«bI€»mc* 

D. Che cosa è t Interragasnone? 

R. È una forma per la quale T uomo spinto dalla 
passione, anziché affernure o negare alcuna cosa, la 
esprime per modo di domanda, con che maggior 
enfasi al discorso, e mostra tutta la confidenza nella 
verità del suo concetto, e pare che provochi gli uditori 
a mostrargli se può essere al contrario. Bella è V inter- 
rogazione colla ({uale Cicerone, difendendo Ligario,in« 
calza Tuberone : Quid enim, Tubero^ tuus ille disirietM 
in acie Pharsalica gladius agebat? cujus latus ille mucro 

7 



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— 98 — 

oculi ? manus? ardor animi? quid cupiebas ? quid optabas ? 
« Che faceva, Tuberone, quella tu^ spadai impugnata 
nella battaglia di Farsaglia? il fianco di cui ricercaTa 
quella punta? Qual era F intensione delle tue èrmi? 
Quale la tua mente? gli occhi ? le mani? 1' ardor dell' ani- 
mo? Che desideravi? che bramavi? » (Dolce.) 

Gos\ presso V Alfieri , Giocasta cerca mostrare a Po- 
linice, come desiderando egli sfisenatamente di regnare 
in Tebe, non faceva che cercare il suo peggio. 

Sablime fin d' ogni tao voto è dnoque 
Di' Tebe il trono? Ohi non sai tu» che in Tebe 
Sommo Infortunio è li irono? il pensler vo^l 
Agii avi tool : qual ebbe in Tebe sceltro » 
EnondelilU? ' 

Questa forma serve pressoché sempre ai forti af- 
fetti : è tuttavia da osservare che qualche volta la con- 
vinzione stessa, che noi abbiamo di qualche verità, ci 
conduce a disporre il discorso a modo d'interrogazione, 
ancorché l' animo non sia commosso o turbato. 

Qualche volta ancora all' interrogazione noi sog- 
giungiamo la risposta, ed allora ne nasce un' altra figle- 
rà, la quale si chiama subiezione, Eccone un esemplo 
di Cicerone a favore di Archia : QtKBres a nMs, Grac- 
che, cur tantopere hoc homine delectemur? quia snppe- 
ditat nobis ubi et animits ex hgc forensi strepitu re^dg- 
tur, ^ mires convido d$fm<B oonqui^cmU. « Tu cer- 
cherai forse*, 0 Gracco, d* intender da noi la eagiene, 
per la quale sì fattamente diquest' uomo ci dilettiamo? 
È ella per questo: che egli ci dà modo da poter risto- 
rare r animo degli strepili del fòro, ed alleggiar le 
orecchie stanche' di ascoltare le mddicenxe che vi si 
usano. » iDolce,) 



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- 99 — 

Così Didon# risoluta di morire domanda a sé stessa 

se ella debba morire invendicata, e tosto soggiunge che 
le basta morire. 

Moriemur inultoB? 

Sed moriamur, aU. Sic, tiejuvat ire sub un^nu, 

Uéir Ironia e del taraMM». 

D. Che cosa è Ironia, e in che differiàce dal Sarcasmo? 

lì, L' Ironia è un modo di parlare coperto, col quale 
noi vogliamo che ie nostre parole siano intese in senso 
contrano da quello che esprimono. Ella nasce spesso 
dall'animo turbato da sdegno o da ira compressa, e 
però noi abbiamo creduto che, anziché stare fra i tropi, si 
debba collocare Ira le figure di passione, poiché ella senza 
passione non può nascere ; in fotto,-s6 osserviam o gli esem- 
pj, vedremo che ella ha radice nell* amarezza dello sde- 
gno. Cicerone nella Miloniana, volendo dire che la morte 
di elodie era una pubblica allegrezza e che ne godevano 
tutti gli ordini della repubblica-, usa parole le quali mo- 
strerebbero che ella è disgrazia maggiore d' ogni altra , 
che tutti ne piangono. Sed stulti sumus qui Drusum, qui 
Africamm, Pompqum, nosmelipsos , cum P. Clodio con- 
ferre audeamus. Tolerabilia illa fueruni. Clodii mortem 
requo animo ferrenemopotest. Luget senatus : moìret eque- 
ster orda: tota civiias coufecta senio est: squallent mu- 
nto^wi: afflickmtur colonim: agri den^fue yfsi km bei^e* 
fieim, tam singtUarem, tamfnansueUmdvemdesideranL 
(( Ma pazzi siam noi, che osiam di mettere un Druse, 
un Affricano, un Pompeo, noi medesuui, aliato a un 
P. elodìe. Di quelle morii era a darsi pace : alla morte di 
P. Gladio non è anima che^debba rassegnarsi in pazienza. 
Piange il senato; F ordine equestre è iu tribolo; tutta 



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t 



• — 100 - 

la cìtiìi dì maliiiconia è rifinita: squallidi i mnnicìpj, 

nlflitte son le colonie; finalmente i medesinfii campi di- 
cono : Deh ! chi ci rende un cos'i loenefìco, cosi mansueto 
e salutevole cittadino? » (Cesari.) 

Così Dante, dopo avere neW Inferno posti ai tor- 
menti i principali cittadini di Firenze, con amarezza di 
dolore e d' ira ironicamente esclama : 

Godi, Firenze, poi che se* si grande, 
Che per mare e per terra balli V ali , 
E per lo' Dferoo il tuo nome si spande. 

Alcune cose sono da notare intorno questa figura: 
1<> cbe ella deve essere chiara a modo cbe si debba in- 

tendere — le cose che si dicono tornare a senso opposto ; 
che non se ne usi se i\on quando v' è naturalmente chia- 
mata; e che sia più breve che si può, altrimenti diviene 
insipida e noiosa. Anche vuoisi osservare che V Ironia 
v.ì spesso congiunta all'Esclamazione; il che prova che 
ella muove da passione. Non negheremo però che qual- 
che volta anche fuor di passione si possa tenere un lin- 
guacjgio coperto, come spesso sappiamo essere stato 
usato da Socrate ; ma noi con Quintiliano volentieri di- 
remo, cbe ben altra cosa è V ironia, e che codesto par- 
lare dissimulato deve avere altro nome. 

Se poi si voglia conoscere in che differisca T Ironia 
dal Sarcasmo, basterà osservare che il Sarcasmo vien 
definito una pungente ed amara ironia, a modo che 
volendo formarne una sola figura si potrebbe dire che 
il sarcasmo è il grado superlativo delF ironia. Eccone 
esempj. Turno nel libro 12 deìV Eneide così insulta ad 
Eumede Troiano da lui ucciso : 

En agros, et quam bello y Trojane , pelisti ^ 
Hesperiam melire jacpns: hcBc prcEmia, qui me 
^Ferro ami tentare, ferunt: «te menia condunt. 



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— 101 — 

Troiano, ecco V Italia, ecco i suoi campi. 
Che tanto desiasti : or gli misura 
Cosi i^iacendo. E questo si guadagna 
Chi centra Turno ardisce: e 'o^qucsla guisa 
Si fondan le cillà. 

(Caro.) 

Così nel canto 19, st. 3 e 5, della Gerusalemme libe- 
roto^ Argante insulta Tancredi chiamandolo uccisor delle 
donne : 

Che non potrai dalie mie mani , o forte 
Delle donne uccisor , fuggir la morie; 

a cui Tancredi con pari sarcasmo risponde : 

Vienne in disparte pur, tu, che omicida 
Sei de* giganti solo e degli eroi : 
L' accisor delle femmine ti sfida. 

D. Che cosa è la Preghiera? , 
lì. È una forma di parlare, la quale noi usiamo 
quando, o nei confessare qualche colpa imploriamo 
r altrui perdono, o trovandoci in istato di miseria, dal 
quale non potreinino da noi stessi scampare, imploria- 
mo r altrui soccorso. Egli è certo che per ottenere T ef- 
fetto che ci proponiamo pregando, conviene muovere 
Fanimodi chi ascolta , e parlargli , direi quasi, col cuore. 
Esempio della manièra ci porge Cicerone nelT ora- 
zione prò Ligario: — Ad judicem sic agi solet, sed eg^ 
adparenim loquor. Erravi, temere feci ;pcBnitet; ad cle- 
mentiam tuam confugio, delieti veriiam petOj ut ignoscas 
oro: si nemo impetraverit , arroganter; si plurimi , tn 
idem fer opem, qui spem dedisti. « Innanzi al giudice 



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^ 102 — 

in tal guisa si suole procedere, ma io parlo innanzi al 
padre; per ciò dico: ho errato, ho operato inconsidera- 
tamente; io ricorro alla tua clemenza, chieggio perdono 
del delitto, e ti prego a condonarlomi. Se ninno l'ha 

ottenuto, io chieggo questo arrogantemente ; se paroc- 
chi, tu stesso sovvieni, che vi hai dato speranza. » 
(Dolce.) 

Esempio del 5I« modo abbiamo nel Tasso, ft dove 
introduce Armida supplichevole ai pi,edi di Goffredo : 

Per questi piedi , onde i superbi e gli empj 
Calchi ; per questa man , cbe '1 drillo aita; 
Per r alte tue vittorie, e per qne' lempj 
Sacrit cui désti, e cui dar cerchi aita; 
11 mìo desir. cbe to puoi solo, adempi; 
B in «n col regno a me serbi la'viu 
Lt taa pietà. 

La naturalezza, la semplicità, sono le doti principal- 
mente domandate da questa figura; la quale, ove sia 
'scopertamente artificiosa e ne* concetti e ndle parole, 
riesce fredda e vana. Anche la soverchia lunghezza si 
dove fuggire, perchè dissolvendo la forza, le toglie ogni 
efficacia. 

•ella ImprecasloBe. 

D. Che cosa è C Imprecazione? 

R. È il linguaggio di un animo pienamente sde- 

lunato, e tratto fuori da ogni speranza di giusta vendet- 
ta. Basta &ò a conoscere, che questa ò figura la quale 
domanda il più alto grado di passione. Elia consiste nei 
pregare ogni male o controia persona la quale è cagione 
del nostro sdegno, o anche qualche volta contro noi 
medesimi ; nei quel caso perìKshi parla deve parere ed 



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- 103 - 

essere preso da disperazione. Esempio della 4^ maniera 
ci porge Dante nel del Purgatorio : 

Gioflo giodicio dalle stelle caggia 

Sopn il IQO sangue, e sia immvo ed aperto. 
Tal che il toc sucoessor temena n'aggia. 

E Virgilio ancora fa che Didone imprechi ad Enea (EneiiLf 
lib. 40): 

Litora Hteriku eonhmrla, fluoUbtu wnitu 
Imprecar, arma armit ; pugnsnt ipsique nepotet; 

• e sian . . • • 

i-iili ai Uli 

Contrari eternamente, l' onde a r onde, 

E V armi incontro a Tarmit e i nostri a i loro 

In ogni tempo. 

(GAao.) 

Del 2'' modo Virgilio stesso ci porge esempio là dove 
Bidone impreca contro sè stessa : 

Sed mihi vel tellus optem prius ima dehiscnt, 
Vel pater omnipolens adigat me fulmine ad uinbrat, 
Pallentes umbras Èrebi, noctemque profundam, 
ÀiUe, Pudor, quam te vioiem, aut tuajura resolvam. 

Ma la terra m' ingoj , e 'I del mi fulmini, ,.p^ , 
' E neir abisso mi tralx>ecbi in prima e/ » C J*^^ 

Ch'io li violi mai, pudico amore. 

(Caro.) 

D. Che cosa è la DubUazione? 

R È una forma di parlare propria dell' uomo, il 
quale è in tanta agitazione dlanimoche non sa nò cosa 
dire nè cosa fare, e sta sospeso nelF incertezza. 1^ 
domanda uno stato dì forte agitazione, altrimenti Vf 
rebbe ridicolo supporre che per piccola cagione si do- ' 
' vesso cadere in mezzo a tante incertezze. Così , presso 



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JL 

— 104 — 

Tito Livio Scipione parlando a' suoi soldati , si tiene a 
questa figura (Decade 5>): Apudvos quemadmodum lo- 
quar,'nec consilium, nec ortUio suppedikit, quos ne quo 
nomine quidem appellare deheam scio. Cives? quiapoHa 
vestra descivistis? An milites? qui impcrium , auspìcium- 
q%ie abruiitis, sacramenti religionem ì^pistis? Hostes? 
corpora, ora, msHtum, luiAUum eimm agnosco ; facia, 
dieta, Consilia, animos kostium video. « Ora non trovo 
concelti, nè mi sovvengono le parole da parlare appo 
di voi, i quali certo non so con qual nome piuttosto 
appellare mi debba. Or chìamerovvi io cittadini? che 
vi siete ribellati dalla propria patria? Nominerovvi io 
soldati? che avete negato V ubbidienza, e rifiutato il 
nome, e 1* auspicio del vero capitano, e avete rotto la 
religione del sacramento? Debbo io chiamarvi nemici? 
conciosia eh' io pur conosca le pt^rsoiie vostre, le faccie, 
le vesti, r abito e portatura dei miei cittadini ; ma veg- 
gio i fatti ed i detti e i pensieri e gli animi dei nemici. » 
(Nardi.) Bella è pure la dubitazione di Olimpia abban- 
donata da Bireno presso V Ariosto : 

■ 

Tonerò io Piaodri • ove ho vendalo il vesio 
Di cbe io Yivea, benché non fosse moltOt 
Per soTTenirU , e di prigione irtrteT 
Meschina! dove andrò? non so in qnal parte. 

Debbo forse ire in Frisa, ove io potei, 
E per le non vi volsi , esser regina? 
Il che del padre e dei fratelli miei, 
£ d* ogni altro mio ben fu la ruioa. 

Della Ckirremione* 

D. Che cosa è la Correzione? 

R. La Correzione è quella forma di parlare eh© 
usiamo quando trasportati da un oggetto, del quale 

■ 

. ••• 



— 105 — 

pure abbiamo detto molto, ci ritrattiamo, quasi ci paia 

aver detto poco, ed aggiungiamo cosa di masgior peso. 
Così il Sdgaeri nella prima predica del suo Quaresima- 
le: Toccherà ora a medi proibirvi quanfo sia grande la 
presunssione di coloro , che irivono un sol momento in colpa 
mortale. Perchè 'presunzione diss' io? audacia, audacia^ 
COSI dovea nominarla, se non anzi insensala temerità, 
E Armida nel Tasso usa di questa figura parlando a 
Rinaldo: 

Vaitene; passa il mar: pugna, trav:ìf?lia; 
Slruj^'gi la fede nostra, anch' io t' alTreilo. 
Che (lieo nostra ? ab non più mia ! fedele 
Sono a te solo, idolo mio crudele. 

Questa figura qualche volta istà in una parola sola come 
neir esempio dei Petrarca: 

Vergine saggia , e del bel amner una 
Delle beate ? ergioi prudenti , 
Anzi la prifna. 

Qualche volta di questa figura si vale anche l'im- 
maginazione, specialmente descrivendo cosa onde ella 

è piena di meraviglia; così il Caro: 

Un'onda, 

Aliti tifi mar, ebe da poppa in guisa urtolla ee. 

Tuttavia la passione se ne vale piìi spesso e con miglior 
prO) quando sia usata a tempo e con naturalezza. 

Della SiMpMeloM* 

D. Che cosa è la Sospensione? 

R, Quando noi siamo altamente commossi al ricor- 
dare, 0 al narrare cosa portentosa od atroce, nell^atto 
del narrarla quasi per natùrale ribrezzo sospendiamo il 

discorso: e questo è ciò che si ciiiama figura di sospeu- 



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106 — 



siono. Tale è, per esempio , presso Virgilio, quando Enea 
si fa a dire ciò che aveva udito alla tomba di Polidoro 
{Eneid., lib. 3o.): 

Terlia sed postquom mnjore haslilia nisu 
Aggredior, genihusqiie ndversx obluctor orcnce... 
Eloquar, an sileom? gemitus ìacrimabilis imo 
ÀwUiwr /anniilo, el wo» nddiU feriur ad mire$; 

• . . RHeiUiDd^ tnoon» 

Vengo al terzo virgulto , e con più foru 
Mentre lo scerpo, e i piedi al anelo appunto, 
E lo acnoto e lo abarlio (il dico, o 11 taccio?), 
Un aoapiroao e lacrimabii anono 
Dair imo poggio odo che grida , e dice ec. 

(Caro.) 

E il Moni! nella BiuviUiam: 

Peroccliè dal costoro empio furore 

A gittar strascinalo (ahi! parlo o laccio?) 
De' ribaldi il capestro al mio Signore, 

Di man mi cadde l' esecralo laccio. 

Vi ha di quelli, i quali sotto il nome di questa forma 
intendono quell'artifizio, con cui l;Iì oratori, o i poeti, 
per destare aspettazione nell' uditore, sogliono tenerlo 
incerto su ciò che essi vogliono dire , perchè giunti a 
significarlo senta egli il piacere d* una grata sorpresa : 
ma (juesto artifizio non potrebbe aver luogo fra le figure 
di passione; e salvo errore, anziché una forma propria 
della passione o della immaginazione, deve essere chia- 
mata una particolare maniera di disporre ì concetti, 

perchè facciano più forte impressione. 

* 

HelUi CTommlrasloiie. 

D. Che cota è la Cùmunieaaitmef 

H. È una forma, che si fa quando l'oratore, inti- 
mamente persuaso della rettitudine o convenienza della 



— 107 — 

propria opinione , per far conoscere che non si può 
uscire di quella , si volge agli uditori quasi chieda loro 
consiglio; perchè essendo essi costretti a dargli quello 
stesso che l'oratore di per sè f>reDderebbe, l'orazione 
acquista piii forza e più efficacia di persuasione. Così 
Cicerone neir orazione centra Ver re chiede consiglio ai 
Giudici: Nuncego not ccnsulo, judice$ ^qtM mihifadef^ 
dum putetis : id enim consilii prafeeto taciH dabùis , quod 
ego milii necessario capiendiim inlclligo. « Or io a voi 
chieggio, 0 giudici, quale cosa a parer voslro m'abbia 
a fare: e tal consiglio al certo mi darete tacendo, quale 
ben IO conosco che necessariamente dovrò prendere. » 
Il qual esempio dal Salvini nella sesta orazione fu imi- 
tato cosi: A voi stessi, o sapientissimi giudici, chiedo con- 
siglio; cosa stimate che io debba fare: e tale certo lo mi 
darete quale si è quello, che io stesso intenéh di dofoer 
prendere necessariamente. Conviene avere riguardo nel- 
r usare di ({uesta ligura, perchè se noi non siamo ben 
sicuri che l' uditore non ci possa dar altro consiglio da 
quello che noi vogliamo , ella non si deve usare mai, e 
metterebbe assai male volerne fuor di tempo far uso. 

Della Personiflcaslone. 

D. Che cosa è la Personificasdcnef 
^ B. La Personifìcasione , che i Greci clrìamarono pro- 
sopopea, è una forma per la quale si da senso, vita, 
discorso alle cose inanimate: conciossiachè , quando la 
passione è molto forte, si riscalda V immaginazione, e 
le porta innanzi quasi vive e vere quelle cose ohe non 
esistono che nella mente dell'uomo appassionato. Bella 
sopra molle è la personilicazionei per la quale il Tasso 



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fa che Clorinda morta si mostri in sogno al disperato 
Tancredi ^ e lo conforti: 

£d ecco, in sogno, di stellala vesle 
Cinta, gli appur la sospirata amica: 
Bella assai più; ma lo splendor celeste 
L'orna, e non toglie la notizia antica. 
E con dolce atto di pietà le meste 
Luci par cbe gli ascingbi, e così dica: 
Mira come soa bella e come lieta, 
Fedel mio caro ; e in me tuo daolo acqueta. 

E perchè si veda come anche gli oratori non meno 

che i poeti possono trarre profitto da questa forma, ne 
recheremo un esempio tolto dalla prima Catilinaria di 
Marco Tullio: Nunc te patria, qam commtmis est omnium 
nostrum ytorens, odit oc metuit, etjam dia te mhUjudi-- 
cat ìiisi de parricidio suo cogitare: huius tu neque aucto- 
ritatem ver ebere, neque judiciumsequer e, neque vim per- 
tmesces? qua tecum, CatiUna, sic agit, et quodammodo 
tacita loquitur: NtMtm jam tot annos facinus extitit, nisi 
per te; nullum flagitium sine te: tibiuni multorum civium 
neces, libi veaxUio, direptioque sociorum impunita fuit, 
oc libera tu non sobm ad negligendas leges et qtuestio' 
nes, verum etiam ad evertendas , perfringerandasque va- 
luisti. Superiora Illa quondam f erenda non fuerunt; tamen, 
tUpotuij tuli: nunc vero, me totam esse in ìnetu pt^opter 
teuniim;quidquid increpuerit, CatUinam timere; nuUum 
videri contrameconsUium tniri posse, quod a tuo scelere 
abhorreat, non est ferendum. Quamobrem discede, atque 
hunc miài timorem eripe; si verus, ne opprimar;sin fai" 
$us tit tandem aliquando timere desinam. ffmc si teeum, 
ut dixi , patria loquatur, nonne impetrare debeat etiam si 
vim adhibere non possil? « Ora la patria, la quale è co- 
mmie madre di ci8»oan di noi, ti odia e teme, e già da 



— 109 — 

gran tempo giudica, che tu d'allro non pensi che dei 
parricidio di lei. £ tu non vuoi dubitare dell' autoritb 
.di questa, né seguire il giudizio, nè temer la forza? La 
quale, o Gatilina, si volge a te, ecos\ tacitamente par- . 
la: Non fu mai senza le fatta malvagitli alcuna, ninna 
scelleraggine senza di te: a te fu lasciata impunita c 
libera V uccisione de' cittadini, l 'afflizione, la rapina di 
tutte le cose: tu non solo hai avuto forza di sprezzar le 
leggi, ma anco distruggerle e ruinarle. Le cose più in- 
nanzi, ancora che elle non fossero da tollerarsi, nondi- 
meno le sopportai come ho potuto; ora non è da sop- 
portar che io sia tutta in paura per te solo; che io tema 
Catilina in ogni rumore; che io veggia che non si può 
fare alcun consiglio centra di me , che sia lontano dalia 
tua scelleraggine. Laonde pàrtiti, campami di questa 
. paura : se essa è vera , acciocché io non sia oppressa ; se 
falsa, acciocché una volta cessi di temere. Se ciò la pa- 
tria, come io dissi, ti dicesse, non dovrebbe ella in- 
petrarlo ancora che non potesse usar la forza? » (Dolce.) 

1 retori insegnano che la Personificazione ha tre 
gradi: il primo dei quali consiste nel dare alle cose 
inanimate qualità che sono proprie delle ammate; co- 
me ad esempio: 

Ridono per le piaggio erbette e fiori, 

come disse il Petrarca; e Dante: 

Lo bel pianeta, che ad amar conforta , 
Faceva rider tutto T Ofieote. 

Questo grado tuttavia è sì tenue^ che va facilmente 

confuso colla Metafora. Il secondo grado è quando alle 
cose inanimate si dà atti e voci non altrimenti che alle 



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— 110 — 

animate. Cicerone volendo dire che aleuna volta le 
Jeggi permettono che un uomo uccida un uomo a pro- 
pria dilesa, si esprime per questo modo: Aliquamio già- . 
dkii adoecidendim hominm aft ipsis parrigùur legibus. 
« Alcuna volta dalle stesse leggi ti è posta in mano la 
spada per uccidere un uomo. » Secondo la cjuale espres- 
sione le leggi si mostrano in atto di offrire la spada al* 
IMnnooente assalito. Nè differente è il modo, con cui 
Virgilio personifica la Natura nelF atto che Didone si 
restringe nella spelonca agi' infausti imenei con Enea: 

. Prima et Teìlus, et pronuba Juno 

* Dont fignum; fulsere ignest et comciut cether 

6onnubiiSt summoque ulularunt vertice Nymphx, 

Il terzo e più alto grado è quando cose inanimate 

sono introdotte non solo a sentire ed operare, ma ezian- 
dio a parlare ed udire, non altrimenti che se avessero 
, anima e vita. Questo è sicuramente il sommo della Per- 
sonificazione. Esempi ne danno i poeti e gli oratori: a 
noi piace prenderne uno in prima dalle Sacre Carte. Ge- 
remia prega Iddio a cessare i suoi flagelli contro il po- 
polo eletto. Egli pieno di passione coisiì enfaticamente si 
esprime: 0 spada del Signore, e fino a quando non ripo- 
serai? entra nella tua vagina, rinfrescati, e taci. Tenera 
è la prosopopea che si legge nel Tasso , quando un guer- 
riero danese narrando a Goffredo la morte di Sveno suo 
re, e la sconfitta di tutti i suoi, per prevenire la taccia 
•d' essere egli vilmente iuggito, dice così : 

Voi cliiamo in leslimonio, o del mìo caro 
Signor sangue ben sparso c nobiTossa, 
Ch'allor non fui delia mia vita avaro 
Nò schivai ferro, nò schivai percossa; 
E se piacili lo pur fosse là sopra 
di' io vi morissi » il meriui eoo Topra. 



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— Ili — 

11 quale luogo è maravigliosamente imitato da quello 
di Virgilio [Eneid.j lib. 2, v. 

Iliaci cineres , et (lammn cxtrema 
Tettar, in occasu vestro, ne^ 
Yitavisse vices Danauin, ti 
Ut caderem, meruissr inrin 

oViini 

0 ceneri de 'miei! falorui ffvlp 
Voi, che nel vostro ceca ^ » . ^ .iM:hio alcuno 
Non rifiutai né d'arme, nè di foco, 
Nè di qual fosse incontro, nè di quanti 
Ne facessero i Greci : e se '1 Fato era 
Ch'io dovessi cader, caduto fòra: 
Tal ne feci opra. 

(Caro) 

A questa Ogura appartiene ancora la Canzone del 
Petrarca, che incomincia: 

Chiare, fresche, e dolci acque. 

Tutte le forti passioni nel loro impeto escono facil- 
mente in questa forma di favellare, e facilmente si può 
osservare che nelle grandi commozioni noi parlia- 
mo indifferentemente ai presenti, ai lontani, alle cose 
animate e alle inanimate. Conviene però due cose 
avvertire: Che questa forma non deve essere pro- 
lungata, a segno che ella segua la passione anche quando 
indebolisce, perchè allora perde ogni buon effetto; 2* Che 
non si personifichino mai cose che non abbiano in sè 
dignilh ed interesse. 11 far parlare un defunto può avere 
dignità, non cos\ il far parlare le sue vesti o le sue armi. 

Dell* Apostrofe. 

D. Che cosa è l' Apostrofe? 

7?. L' Apostrofe è un modo che tiene molto al 2" 
grado della prosopopea , e si fa allora quando noi vol- 



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— 112 — 

giamo il discorso a persona o estinta o lontana , come 
s' ella fosse viva o^pcescnte. Bellissimo è V esempio che 
ce ne porce Vi/gilio nel 2*^ libro delT Eneide : 

. . ^^m. ereunt Ihjyamsque , Dymasque, 
CoTìpT^ !i(jvuii ; nac. te tua plurima y Panlheu, 
ì.nbenlom pietas, nec AppQÌlinis iufula texit, 

........ ed lMa»<^ e Dimanie 

Caddjìro an(^««sK e qiiesli , oimè ! trafiUi 
Per la man pur de' nostri. E Ui, pietoso 
Pnnlo, cadesli; e la lua (;ran piclale , 
E Pinfiila santissima d'Apollo 
In ciò nulla li valse. 

(Caro) 

Nè meno bella è l'apostrofe del Casa alle anime dei 
trapassati , nell'orazione a Carlo V: 0 gloriose , o hm 
natCf 0 bene avventurose anime, che nella pericolosa ed 
aspira guerra della Magna seguiste il duca , e di sua mi- 
lizia foste , e le quali per la gloria e per la salute di Ce- 
sare i vostri corpi abbandonando , e alla tedesca fierezza 
del proprio sangue, e di quel di lei, tinti lasciandoli, dalle 
fatiche e dalle miserie del mondo vi dipartiste, vedete voi 
ora in che dolente slato il vostro signore è posto, Nè meno 
bella è 1' apostrofe che leggiamo nella predica del Se- 
gneri , in cui egli , dopo avere mostrato a quale estremo 
di miseria era giunto Sansone , a lui volge un discorso 
di tal tenore: Oh Sansone , Sansone, e dov' è ora quella 
virtù che rendevati sì temuto? quella virtù, dico ^ con cui 
ti spezzavi d^ attorno i lacci di nervo, quasi fossero stoppe 
mostrate al fuoco; e ti recavi in collo le porte della città, 
quasi fossero bronzi dipinti in tela? Non sei tu quegli, che 
sfidavi a lottar teco ì lioni , e ne lasciavi i cadaveri in 
preda alle api? Non sei tu, che fugavi gì interi po- 
poli? Non sei tu , che spiantavi gV interi campi? E 



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— 113 — 

mne dunque i cagnuoUm si forno ora beffe di te co' jor.. 
lairaH, e a te non dà pur V animo di acehetorli? Ognu-> 

no di per sè conosce che questa figura dimanda uno 
sforzo di passione nello scrittore, d' immaginazione nei 
lettori f meno dell' antecedente : tuttavia si deve usarne 

con parsimonia assai. Ella è soggetta alle stesse leggi 
della Prosopopea. 

• Bollii 'VIoioM* • 

D. Che cosa è la Vistone? 

/?. La Visione, anche chiamata dai retori immagi- 
nazione o descrizione, è una figura che si fa descrivendo 
le cose lontane , passate , future, le quali al presente 
non sono, come s'elle fossero presenti. Gli oratori 
n' usano volentieri comedi mezzo eOicace a,persuadere, 
pevoochè descrivendo come presenti i mali elie potreb- 
bero venire in conseguenza di un eatlivo consiglio, essi 
allontanano gli uditori dal prenderlo. Così Cicerone per 
persuadere i Homani a combattere Catilina, nella 4» Ca- 
tilinaria, descrive* i mali die ne verrebbero se colui 
trionfasse: Videor m&i hanc wrbein videre, htcem orbis 
terrarum , atque arcem omnium genthim^ subito uno in- 
cendio concidentem: cerno animo sepolta in patria mise- 
ree atque insepiuUoe acervos civnm; versatur mihi ante 
octdos aspecius Celhegi et furor in vestra cade baccani 
tis.„. « Sembrami di mirare questa cittb, splendore del 
mondo, e rócca di tante nazioni , da universale incendio 
improvvisamente distrutta; in mio pensiero già veggo 
nella sepolta patria gli ammuccluati cadaveri de' miseri 
cittadini insepolti: stammi dinanzi agli occhi l'aspetto 
di Cetego , che infuria e gavazza nella sua carnificina. 
(Gantova.) 

Yale ancora per dare più rilievo alle cose, che nella 

8 



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passione vogliamo imprtmere nelP animo del leltori. — 

II Botta, nella Storia d'Italia, dopo avere narrate le in- 
sidie e la rovina della più illustre tra le italiane repub- 
bliche, quasi profetando si fa a dire: Cosi pet^ Vene- 
)stà: Ora'quando si dirà Veneìsia, ^intenderà di Venesià 
serva: e tempo verrà , e forse ìion è lontano , in cui quando 
si dirà Venessia, s* intenderà dirottami, e.d' alghe mari- 
ne, là dove sargevm una ciUà magnifica, maraviglia del 
mondo. Tali sono le opere Bonapartiane. (Lib. 12^ infine.) 
Con questa istessa fìgura anche il FUicaja chiude mera- 
vigliosamente la sua bella Canzone per Y assedio di 
Vienna: 

Ma sento* o seDlir parmì , 
Sacro fiiror, che di sè m' empie : nlite « 
Udite , 0 voi , che r arme 
^ Per Bio dogete : al trHMinai di Cristo 

Già deoisa i» prò foatro è la gran Hle. 
Al glorioso acqaisto 
Sa su prooU movete: in lieto carme 
Tra voi canta ogni tromba « 
E trionfo predice. Ite» abbattete» 
Dissipate , stroggete 

Quegli empj , e1* latro al tinto atool 0a tomba. 
D*alti applausi rimbomba 
La terra omai : cbc più tardate? aperta 
li già la strada , e la vittoria è ceru. 

Per condurre con buon effetto questa figura due 
cose SODO necessarie: 4^ sapere scegliere circostanze 
vere^) e tratteggiarie con verità ; non tentare mai 
questa fìgura, se non quando la passione è vivamente 

accesa non meno nel dicitore, che in quelli che lo ascoi* 
taAO. 



— 115 — 

Caf. XI. 

dlie MM «I dteve mm mmwm» ^ tetom* I*ìim 

del liiiiriiiiM»t« figurato^ e se sia da 
antepoml il linsuass^^ semplice e pro- 

D. sempre bello e lodevole il linguaggio figurato? 

/?. Se richiamerete a mente ciò che fu detto, iiJin- 
guaggio figurato essere proprio delle eominozioni della 
taitasia e di quelle delP affetto , troverete cbe egli sarà 
sempre bello e lodevole , quando sia usato convenien- 
temeote. La passione adunque avendo come suoi prò- 
pij quel modi e quelle forme che abUamo accennate , 
esse saranno sempre un abbellimento non solo , ma un 
necessario colorito per ben ritrarre le perturbazioni del- 
l' animo. £ così si dica delle forme proprie deir imma- 
gìnasione. Conviene però che queste forme , qualunque 
siano, nascano naturalmente, perchè se sono introdotte 
con arte scoperta non hanno alcun buon elTetto; anzi 
raffreddano e guastano il discorso. 

D. È egli vero ciò che ineegnanQ alcuni, U senqdice 
linguaggio servire alia passione? 

R. Se bene si esamina la natura della passione , 
pare cbe questo non sia : perocché le agitazioni del-- 
r animo non si manifestano mai nel modo stesso in cui 
la ragione tranquilla espone i suoi pensieri. La ragione 
ha sempre delle forme sue proprie , e in quella guisa 
che agli atti ed alle sembianze del volto tu leggi nel- 
r uomo V affetto da cui è dominato tanto , che le sem- 
bianze d' un uomo tranquillo non sono mai consomi- 



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— il6 — 

glianti a quelle dell' aomo agitato da poterle confondere , 
coflii la passione si esprìme sempre nel suo proprio lin- 
guaggio, talché debba dirsi eh' ella non può mostrarsi 
nel discorso se non per mezzo di quelle forme e figure 
che le sono proprìe. Che se una volta leggiamo com- 
moventi luoghi negli scrittori, e senza che essi usino 
figure ci commovono e ci traggono le lagrime dagli 
occhi, non è però da dirsi che la semplicità del linguag- 
gio serva egualmente a rappresentar^ la passione. E 
deve osservarsi che i luoghi ps^etici espressi in istile 
non figurato non sono altro che narrativi. Or bene , 
narrare V altrui passione si può senza essere in pas- 
sione , e perciò a descrivere o iiarrare le altrui per- 
turbazioni lo stile semplice della ragione è sufficiente. 
* Osserviamo però che nei processo della narrazione , se 
avviene che il narratore un poco s' infiammi , alisi sem- 
plicltè dei modi usati da prima succedcmo facilmente 
le forme e i colori della passione. 

.D. Come si mostra, per esempio, cìie lo stile sem^ 
plice non può mai essere proprio deUa passione? 

R. Egli è ben facile mostrare questa verità. Se noi 
ci facciamo ad analizzare neoclassici queMuoghi che 
piU ci commovono , noi troveremo sempre che ove la 
passione è descrìtta , « non mostrala in atto , il lin- 
guaggio tenuto dallo scrittore è sempre il semplice: 
ove poi esca in iscena T uomo appassionato , allora ha 
luogo naturalmente il linguaggio figurato. Compassio- 
nevole è il tratto nel quale il Tasso oi descrive la morte 
di Clorinda ; 

un bel pallore ba il bianco volto asperso, 
Come a gigli sarian miste viole: 
E gli occhi al cielo affissa; e in lei converso. 
Sembra per la pietale il cielo e '1 sole : 



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— 117 — 

£, la man nuda e fredda alzando verso 
Il cavaliero, in vece di parole 
Gli dà pegno di pace. In questa forma 
Passa la bella donna, e par che dorma. 

Quale maggiore semplicith di stile poteva egli il 
poeta usare per ritrarre una scena tanto commovente? 
Qui non vi è certo alcuna di quelle forme che costitui- 
scono il linguaggio proprio della passione. E questo è 
latto perchè il poeta narra in persona propria , non 
mette in atto la passione. Ben altro modo egli tiene 
quando introduce a parlar Tancredi : 

Io vivo? So spiro ancora? e gli odiosi 
Rai miro ancor di qaest' infausto die? ' 
DI tesUmon de* miei mitftittl ascosi. 
Che rimprovera a me le colpe mie! 
Aliil maa timida e lenta, or dbè non osi 
Tu , che sai tutte del ferir le vie , 
Tu ministra di morie empia ed infame. 
Di questa vita rea troncar lo stame ? 

Dalle qunli cose pare chiaro, il linguaggio semplice 
appartenere alla tranquilla ragione, la passione e la 
immaginazione avere quelle forme particolari, delle 
quali abbastanza si è parlato; le quali, ove siano na- 
turalmente e spontaneamente introdotte, renderanno 
sempre piU efficace lo stile. 

' D. Cùmepuò dirsi che serve aW eleganza tmo delie 
forme di fmrbire prodoUe dalla fantasia e dalla passione? 

R. Perchò solo per mezzo di queste il linguaggio 
assume quel carattere che è proprio e naturale all' uo- 
mo, quando egli è trasportato dalla fantasia o dalla 
passione a modo, che, noa usando queste forme, il di- 
scorso non può avere queir efficacia che deve ; e man- 
cando di questa, non può ottenere il diletto, che è il 



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— 118 - 

fine principale ohe dall' elegansa si ricerca. E però 

queste forme bene usate sono un principio perenne di 
quel diletto, che nasce neg}i animi dalF imitazione della 
passione o delie diverse commozioni della mente, alle 
quali esse danno servire. Si badi però che se non sono 
usate con naturalezza, esse, anziché produrre diletto, 
generano, come sì disse, fastidio e noia. 

D. l>Dpo aver parbUa delle figure come principio 
//' eleganza, di che altro ci reeta a dire? 

R, Se bene ricordate ciò che fu detto al fine del 
sesto Capitolo, troverete che ci resta a discorrere d' al- 
tre cose, cioè dei concetti, e delie sentenze, le quali, me- 
glio che ogni altra forma, possono dirsi proprie del lin- 
guaggio della tranquilla ragione, che è il terzo modo di 
favella dato dalla natura agli uomini. Di queste cose noi 
brevemente verremo qui appresso ragionando. 

He! C e m c etlà e 4«ile Sm^mw* 

D. Che cosa sono i Concetti? 

R, I concetti sono certe proposizioni, le quali, giua- 
gendo nuove ed inaspettate e in brevi parole al lettore, 
gli recano meraviglia e piacere. Di questi ve ne ha di 
più specie: alcuni sono gravi, altri piacevoli ; piacevoli 
sono quelli che recano colla novità e colla sorpresa aU 
cun diletto ; gravi sono quelli che arrecano meraviglia, 
e fanno concepire idee grandi e sabUmi. DegU uni e 
degli altri diremo alcun poco. 



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— 119 — 

D. Che cosa è a dire dei Concetti piacevoli? 

B. Il concetto piacevole nasce dall' unire insieme 
alenile idee fra bro discrepanti, a modo però che la 
cognìsione loro ben ri convenga alla cosa della quale 
vogliamo parlare. Come, ad esempio, chi volesse formare 
la figura di un soldato noto per la sua viltà, e che, fat* 
ione il ritratto, gli pcMMSse gambe e piò di cervo , che 
altro vorrebbe, signifiòare con dò se non che egli è piti 
presto allo fuga che alla battaglia? Vedete adunque cht^ 
il piacevole di questo concetto istà neir unire due idee 
che discordano tra loro, qnal ò la forma umana e la fe- 
rina, le quali però, nella discordanza loro, amendae 
convengono ad una terza idea , cioè a quella di un sol- 
dato vile. Per molti modi si possono formare questi con- 
cetti : prima neir imitazione degli atti , poi nell' imita- 
zione dei costumi, quindi nelF equivoco. Neir imitazione 
degli atti, come sarebbe qualora parlando di una per- 
sona si accennasse e descrivesse alcun atto suo proprio 
a modo, che per quella toàse dagli uditori vivamente 
raffigurata. Imitazione dé( costumi poi è quando con traf-^ 
facendo, descrivendo i costumi di alcuno, se ne richiama 
vivamente V idea. Per equivoco ìnGne, quando si usano 
parole che possono servire a doppio senso, carne sarebbe 
questo : Ciò che egli ha non è suo ; che può significare 
tanto che non è suo perchè ne fa parte a tutti, quanto 
perohò P ha rubato. Bfadi questi, che ridevoli, meglio 
che piacevoli concetti hannori a dire, molti escono dalla 
metafora, dall' iperbole e dai contrarj. Non è da noi 
parlarne lungamente, e meglio ci giova parlare dei 
gravi, de* quali P oratore o il poeta fanno piti frequente^ 
uso. 

D. Dite adunque dei Concetti gram, 

H. Concetti gravi si dicono quelle proposizioni, che 



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— 120 — 

richiamatido em brevi parole o un' ìramagioe inaspet- 
tata e grandiosa, o l'idea di alcuna potenza che sor- 
prende r immaginazione^ occupano ad un tratto la nostra 
mente, e la riempiono di meraviglioao diletto. Lucano, 
descrivendo il tragitto che Cesare fa sovra piccola bar- 
chetta in mare fortunoso, e mostrando la paura dei 
piloto, arresta V attenzione del lettore con questo con- 
cetto, col quale Cesare stesso rincuora il pauroso noc- 
chiero : 

Quid Unmf CcBsanm vehis. 

Nè men belio è V altro concetto pur di Lucano, col quale 
innalza Catone vinto sopra Cesare vincitore, e sopra 

gli Dei : 

Yi9irw 9auM JOUtplaeutt, Hd vieta Caioni. 

Anche i' Alfieri neir Ottavia magnificamente fa cono- 
scere con un concetto la pace essere il sommo bene dei 

regnanti : 

Seruea. Sigsor del mondo , a te cbe manca ? 
Nerone» • Pace. 

Tutti questi concetti, come ognun vede, aggiungono 
gravitèi al discorso e destano meraviglia. Esaminiamo il 

priipo. 

Lucano , dicendo — Non temere^ perchè trasporti Ce- 
sare, — richiama al pensiero V ardimento e la fortuna 
di queir imperterrito figlio della vittoria, e quasi ti viene 
a dire : Non temere ; chè neppure gli elementi hanno po- 
tenza sopra di ine; dal quale grandioso pensiero non 
può non rimanere sopraffatta e compresa da meraviglia 
la mente. Altri gravi concetti vi sono, ai quali meglio 
conviene il nome di sublimi , perchè ci recano innanzi 
idee grandi oltre T usato, e quasi fuori deli' umano in- 



121 



4» 



telletlo. Tale ad esempio è qaello di Mosè nel Genesi, 

quando ec^li doscrive Iddio in atto di creare, e dice: 
FicU luXf et facta est lux; conciossiachò appena uscito 
il comando, non solo senza frappor tempo si compie, ma 
è pienamente compito néìV atto del comando istesso. 
Perlochè la mente resta meravigliata, non meno della 
potenza creatrice, che delia rapidità della creazione. £ 
pure meravigltoso quel luogo di Omero , in cui descrive 
Giove che alF inchinar del capo fa tremar tutto l'Olimpo, 
perchè con questo concetto ci dà idea deli' immensa po- 
tenza del Re degli Dei : 

i neri 

Sopraccìgli inchinò. Su V immorlale 
Capo del Sire le divine cliiome 
Ondeggiaro, e tremonoe il vaslo Olimpo. 

D. Che dee avvertirsi intorno ai Concetti? 

II. Che questi vogliono essere usati a tempo e a 
luogo per produrre buon elTetto, e non devono parere 
guidati dall' arte nelle sorìtture, ma, naturalmente ve- 
nuti. Devesi anche guardare ohe non appai4aeano troppo 
studiati ed ingegnosi, e che bene si confacciano alla ma- 
teria, alle persone, al carattere della scrittura. Molti 
scrittori, credendo di aggiungere bellessa per mezzo 
dei conoetti alle scritture loro; le hanno rese Tiziose e 
fredde, e noi Italiani dall'abuso del concettare dobbiamo 
ripetere le stranezze che dominarono l'eloquenza e la 
poesia nel secolo XVIL 

D. Che eosasi puà dire della Seniensa? 

R. La sentenza è una verità morale universalmente 
cognita , espressa in brevi parole, perchè sia facile com- 
prenderla e tenerla a mente. Blla ò di mirabile orna- 
mento alle scritture, dando aria di molta gravità, e 
nobilitando T elocuzione ueli' atto stesso in cui consola 



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la melile di qualche sano dettato, che ella facilmente 

trae dalla sentenza. Ecco alcuni esempj di sentenze : 

Priusquam recìpias consulto^ et ubi consulueris ma- 
ture, opus est facto. 

Regibus boni quam mali suspecUores sufU. 

CwiJtmptofr (mmu$ ^ siperbia comune nobilitatis 
malum. 

Concordia panxB res crescunt; discordia maxima: 
dtiabuntur. (Sallustio.) 
La fede unqua non deve esser corrotta, 
0 data a un solo o data insieme a mille. (Ariosto.) 

in breve spàzio anco si placa 

Femmina, cosa mobil per mUura. ( Tasso. ) 

Miser chi mal oprando si confida 

Che ognoi* star debba il malefi:iio occulto. (Ariosto.) 

Ma sebbene le sentenae giovino assai ad ogni ge- 
nere 'di scritture, non si convengono a tutti egualmente. 
Le opere morali , storiche , politiche, ne usano più spesso 
e in modo diverso che non fanno gli oratori. Infatto la 
sentenza oratoria apiega sempre maggior pompa che 
non la isterica e la filosofica. Perchè il carattere dello 
stile deve essere diverso in questo diverso genere di 
scrittura. Anche i poeti variamente ne usano, secondo- 
diè è vario il genere di poesia a cui si danno. U Tragi* 
co,rEpico, il Urico, amano tutti piti o meno quest* or- 
namento , ma per diverso modo se ne valgono, secon- 
dochè porla il carattere della poesia. Ma delia conve- 
niensa e de' caratteri dello, stile si dirà altrove. Ora ci 
basti soltanto afibrraare che la sentensa è lume bellis* 
Simo di ogni genere di scrittura , quando con parsimo* 



- 118 — 

nia sia adoperata , perchè facendone abuso stanca i let- 
tori , e dà aria di pedanteria allo scritto. 



Cat» TLWMM. 

D. Qual è il quinto elemento dell* eleganza? 

R, La varietà, per opera della quale ua solo con- 
cetto può in diverse guise offerirsi alla mente, sema 
aver d' uopo di ripeterlo nelle stesse parole. Egli è certo 
che^ come è cagione di noia il ripetere sempre le stesse 
cose neUe medesime forme, il variarle è cagìene d' in- 
finita vaghezza. Ossiachè fra le umane proprietà vi sia 
qucsla di stancarsi presto anche delle cose buone, al- 
lorché sono senza varietà ripetute ^ ossiachè la natura 
abbia voluto per questa guisa disporre 1' uomO| aocioe- 
chè esercitando il proprio ingegno non solo tramasse 
modo da cessare la noia, ma da moltiplicare il diletto, 
latto sta che V eleganza dei dire in gran parte dipende 
dalla varietà. Ma per potere far uso di questa ed es- 
sere vario nel dire, conviene (come avverte il Pallavi- 
cino) aver gran dovizia, cioè gran perizia, di tutte le 
voci e di tutte le forme usate da' buoni autori, a line di 
poter prontamente spenderle^ or una or altra, che 
siano di pari valuta, cioè atte ali* espressione del me- 
desimo oggetto. 

D. Per quanti modi può ottenersi la Varietà? 

R. Noi crediamo, che per sei modi principalmen- 
te: in primo luogo, quando ci accada di dover nomi- 
nare replicatamente una persona o un oggetto, e per 



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fuggir noia siamo costretti a variare le forme del dire, 
allora giova ricorrere alle parole sinonime. Se avviene 
di dover nominare, ad esempio, piti volte la parola t;ta^ 
si potrk dire alcuna volta strada, alcuna catte, altra 

sentiero, altra cammino. Perocché tutte queste voci ti 
rendono una immagine stessa. Così Virgilio: 

Pertfe moda, eiqtmU dacit vii dirige gressom. 

Corripuere viam interea qua semita monslrat, 

È però da avvertire die non può Uberamente usarsi 

una per F altra parola, ma conviene badare che nel- 
r idea accessoria , la quale si congiunge in ogni parola 
' ali' idea principale , e fa che V una parola sia veramente 
diversa gosa dali* altra , non vi abbia tale differensa che 
offenda: starà bene, che per non ripetere la voce ca- 
vallOf tu usi la parola destriero, e forse anche palare 
freno, ma non istà che tu usi roxxa o rmxmù, perdiè 
queste due ultime voci darebbero un vilissimo carat- 
tere al tuo cavallo, e lo farebbero assai diverso da 
quello che gli ò infatto , o sìa destriero, o sia palO" 
fìreno* 

D. Qual è il seconde luogo ende sipiiò deriwxre va- 
rietà alle scritture? 

R. Egli è quello di condurre V uditore quasi per 
diversa via alla conoscenza d*uno istesso oggetto , o 
recare alla mente varie immagini che indirettamente 
rappresentano lo stesso. Noi possiamo per diverse guise 
rappresentare una cosa, senza aver d^uopo di accen- 
' narla col vocabolo proprio; la qual cosa costituisce ciò 
che i retori chiamano amplificazione. Può dunque un 
oggetto mostrarsi enumerando le parti di cui è com- 
posto, come fe' Orazio nelF Ode 4^ del libro 3<»,,il quale 



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— 125 — 



per nominar Gioye si vatoe di questa enomeratiofie di 

parti: 

$eimui f ui impiot 

Tilanoi, immanemque iurbam 
FuhnUu mÈiIulirit mdmo» 
Qui terram inertem, qui mare temperai 
VenioBum, et wrhei et regna trittia: 
Diimquet mortaleigue turbai 
Imperio regtt mu$ aquo, 

Snppiam come Daccò I' ardir ribelle, 

E fulminando delia lerra i figli 

Precipitò r immane ed empio sluolo. 

Il Dio, che al pigro suolo, al mar veoloso. 

Ai regni bai dà legge , 

£, giusto ei solo, aomiai e Dei corregge. 

(COLOMETTJ.) 

Altra volta un oggetto si può nominare, o per 
quelle circostanze che lo precedono, o per quelle che lo 
accompagnano e lo seguono; le quali drcoslanze dai re- 
tori sono chiamate aggiunte. Per questo modo il Poli- 
ziano descrive la primavera: 

Zefiro gi^ di bel fioreUi adorno 
Avea da'moDti lolla ogni praioa; 
Afea faUo al suo nido già ritorno 
La stanca rondinella peregrina : 
Aisonava la selva intomo intorno 
Soavemente atr(U^ mattutina , 
K l'ingegnosa pecchia al primo albore 
Giva predando or l' uno or 1' altro fiore. 
• * (Stanze, C. 1, St. 23.) 

Dalle cause ancora si può aver modo di presentare 
un oggetto egualmente che dagli effetti, e così dalla 
specie e dal genere. Colui adunque, il quale più volte 
debba accennare un oggetto, potrà conseguire la dote 

della varietà , ove lo mostri ora enumerandone le parti. 



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— 126 — 

ora accennandolo pe'siioi a^teoedenli, ora pei oonse* 

guanti , or dalle cause che lo producono , ora dagli ef- 
fetti che lo seguono, ora dal genere acni appartiene, 
ora dalla speoie, e vìa Tìa» 

Pe' suoi effetti Dante meravigliosamente nominò la 
sera, dicendo: 

Ers già r ora, che volge il desio 
A' navigtiiti, • loteoerìaee il cuore 
Lo dì , che fasn detto ai dolci amici addio; 

E che lo nuovo peregrin d'amore 
Punge* se ode squilla di lontano 
Che paia il giorno pianger* che si muore. 

Con quanti diversi modi Orazio disse sempre variamente 
che l'uomo deve morire! Vedetene alcuni che ora mi 

vengono a mano: 

VìUb tumma trevk ^em no* velai ìnehoare Umgam, 

Si domut Mttìtf PlNtonfo. — 

Pallida mori asquo puUat pede 
Pauperum tabernas, 
Regumque turres. — 

Omne9 eodem cogimur: omnium 
Venatur urna, serius, ocius, ' 
Son exitura et not in CRlernum 
EaiUum impotUun 6ym6<B. — 

«fida, teilieei amnibw, 

Quieumque terrm munen vetdmvr, 
Smvlgandtt, Wne regei, 
Siv€ inopet erimui eohni, — 

JEqua telltis 

Pauperi recluditur, regumque pueris, — 

Nos ubi decidimus 

Quo pius Eneas, quo Tullut divei, et Àncus ; 
Pulvis, et umbra sumus. 
Debemur morti nos no9traque, 
MèrtaUa fuiOr peribmU, -~ 



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— 127 — 

Da questi esempj saranno, se non erro, confermate 

le cose che furono esposte più sopra , e però ci basti il 
detto. 

D. QualèU t&rs» mudo (f indurre varietà nel di'- 
selo? 

R. S'induce varietà nel discorso ogni qual volta, 
invece di nominare una cosa, ne rechiamo la defìnizio- 
ne, 0 Y aooenmanio per perifrasi. Cosi , ad esempio, in- 
yece di nominare il Sde, Dante disse: 

Lo mioistro maggior delia natura; 

e altrove: 

Il Pianeta 
Che mena dritto altrai per ogni calle. 

E Virgilio, per nominare Giove, disse: 
Patir AoflitiiiMi olfiie De4tnm. 

Orazio poi, invece di nominare la Fortuna, la definisce 
così: 

0 IMm» enlum qum reqk Ànimm, 
Prmm» «el Ima télkn de eradu 
Mwtale eofjM»» 9él utperboi 
Vertere flmeritue triumphoi etc ^ 

(Ub. lo, Ode 350 

« 

0 d' Anzio alnia reina, 
Diva, se vuoi, possente 
Di levar qual più cadde in alto loco; ^ 
E la gloria divina 
Del trionfo, repente 

Scambiar con ie gramaglie io fiero giuoco ec. 

( Cesari. ) 

D. Accennate gli altri tre modi^ onde si ottiene va- 
rielà, 

R. Il quarto modo è questo, di usare promiscua- 
mente la significazione attiva e passiva dei verbi; cos\, 



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ad esempio, potrai dire: — Virgilio ÌDsegnò Varie di col- 
tivare i campi; — e potrai egualmente dire: — Da Vir- 
gilio fu insegnata l'arte di coltivare i campi. — Il 5<> 
modo è r uflo del negativo ìq luogo del positivo, desi ia* 
vece di dire « questa cosa è bella, » potrai dire « non 
vi è cosa altra più bella; » invece di dire <r qui è pace , » 
potrai dire « qui non è guerra. » li ed ultimo modo 
poi sta nell'uso del parlar metaforico, figurato. Abbiamo 
detto di questo abbondantemente, sicché ora ci basti 
ricordare, che l'uso della metafora e dei tropi serve 
mirabilmente alla varieté; é^lMr-tnezzo di questa fiori- 
scono di eleganza e di diletto le scritture. 

D. Dopo avere esaminati i cinque fonti dell' eleganza, 
resta egli altro a dire? 

R. Resta a parlare di due cose importantissime, 
per mezzo delle quali Fumano discorso meglio sMnsi- 
nua nell'animo, e vi fa una forza maggiore. Queste 
sono l'armonia e la collocazione delie parole. Non creda 
alcuno, che qui si voglia parlare di quell'armonia, 
della quale gib si disse al Capitolo quarto, di quella 
cioè, che non altro si propone che la dilettazione degli 
orecchi; nè che si voglia trattare di quella collocazione 
di parole, che è subordinata alle leggi dei Grammatici. 
Noi qui intendiamo parlare dell'armonìa, la quale 
imita suoni, movimenti , affetti; edi quella collocazione 
delle parole, per la quale il discorso acquista maggiore 
potenza. L'una e l'altra daranno soggetto ai due se- 
guenti Capìtoli. 



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D. Che cosa intendete per Armonia imitativa? 
R, Qoel 8H0D0 d<^ce ed aggradevole del dìiworso, 
il quale modifica per sì fatto modo la nostra senstbllitk 
(la porne vivamente innanzi le cose sii^iii ficaie. Egli ò 
certo che con temprando variamente le consonanze, che 
possono uscire dalla mesoolanza delle lèttere, noi ab- 
biamo nella lingua nostra tanta varietà dì suoni, da 
poter rendere ed imitare qualunque armonia. E perciò 

* disponendo le parole secondo il «nona di quelle cose 
che noi vogUafM'rQppreaentare, avremo nelle stesse 
parole un'armonia somigliante d'assai a quella che 
dalle stesse cose ne verrebbe. Nè solamente possiamo 
noi imitare i suoni /le grida, ì rumori, ma benanche i 
movimenti. .Quando noi osserviamo che una cosa o ò 
lenta , 0 è rapida al muoversi , possiamo di leggieri ri- 
trarne il movimento per mozzo delle parole, facendo 
che elleno si succedano o tarde o preste o impedite, se- 
condochè porta Y imitazione di ciò che ci proponiamo. E 
che ciò sia vero si mostra facilmente per gli esempj, 
de' quali abbiamo grande copia i^iUlassicij Non si creda 
però di potere ad ognifiaaso o ad ogni* loogo usare del- 
l' armonia imitativa , cbè rado ne è Y uso, e non ò buono 
se non è spontaneo. Gli autori classici, credo io, hanno 
imitato per mezzo, dell'' armonia senza por mente alle 
leggi, nè air ahte, ma*coadietti solbaBto-dair immagina- 
zione, o dal cuore. E cos\ dobbiamo fare noi; e mai 
farebbe chi proponesse a sè stesso di voler imitare per 

' questo modo in uu luoga, e in un ailro> e pHma d' es- 

9 



— ISO — 

é 

sere trasportato daU'. affetto o dalla fantasia formasse 

il pensiero d* imitare quel suono, quel mofviniento, quel 
grido. La sua imitazione riescirebbe affettata, fredda, 
senza grazia. La natura d deve spingere di per sò stessa 
all'arte, e V arte non deve che secondar la natura. Ma 
vediamo negli esempj de* Glassici la imitazione prima 
delle grida, poi de* suoni, indi dei rumori e dei movi- 
mantL 

ladlABlone di (rida Infernali. 

Quivi sospiri , pianti ed alti guai 

Risonavan per V aer senza stelle» 

Perch'io al cominciar ne iagrimai. 
niverse lingue, orribili favelle, 

Parola di dolore, acoeoli d' ira , 

Voci alle e fioche, e suod di man eoa elle» 
Fioevano «n innraUo , il qnal a* aggira 

Sempre la qnoll' aria senza tempo tiala» 

Come la ma quando li turbo spira. 

(Dantb.) 

£ il Tasso ci fa sentire il suono delia tromba infernale 
in questa meravigliosa ottava : 

Chiama gli abitator deir ombre eterne 
Il rauco suon della tartarea tomba: 
Treman le spaziose atre caverne , 
£ r aèr cieco a quel romor rimbomba: 
Nè stridendo così dalle superne 
Regioni del cielo il folgor piomba, 
Nè sì scossa giammai trema la terra 
Quando i vapori io aen gravida serra. 

£ chi non sente il guaire di una cagaolina , e il rispon- 
der dell' eco in questi bei versi dei Panni? 

aita , aita , 

Parea dicesse, e dalle arcate volte 
A lei r impietoaiu w risposo* 



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Virgilio ci fa sentire un confuso di grida in quel verso: 

LammUii^ gmituque, et fanUn9ù ulMu 

Tecla fremimi. 

Per questo, modo si possono imitare i suoni d' ogni ma- 
niera « disponendo le consonarne delle parole a rìtrarlì. 

Nè solo i suoni, come fu detto, ma i rumori e le grida, 
come negli esempj che verremo accennando. 

L' impeto e il furore del vento si sente dentro que- 
sti mirabili versi di Dante: 

Non altrimenii fatto che d' un vento 

Impetuoso per gli avversi ardori , 

Che fier la selva, e senza alcun ratlenlo 
Li rami schianta, abbatte , e porta fuori; 

.Dinanzi polveroso va superbo, 

E fa fuggir le fiere e li paalarL 

Virgilio ci fa sentire la prestezza del volar di Mercurio 
in questo verso: 

Yùée «06, «ole, veea Zq^kiroit éi leUre pemiii; 

e il trottar di un cavallo in quest* altro: 

Ovairupedanle pulrem eetUlu putii migiilà MMipiim* 

Dante ci fa sentire V afiboiio d' uno, che scampato dal 
mare, viene alla riva: 

£ come quei, che con Iena affannata 
Uscito fuor del pelago alla riva, 
Si Tolge ali' acqua perigliosa , e guata» 

li cadere di un corpo morto viene espresso a meravH 

glia in quel di Dante: 

fi ouldi, come eorpo mono cade. 

e lo stramazzare di un bue in quel di Virgilio^ 

FroemiAU Ihmi èst. . 
£ giacché questi due esempj a ciò mi richiamano, 



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* 

tuo' mostrjavì cornisti due poeti epa un'art» stessa ^ 

senza ricopiarsi 1' un V altro, luuino ollenuto il medesi- 
mo eilétto. Dante tentudo basse armonie, e unendo in- 
sieme cinque bisillabi, per cui V una parola non si con- 
catena coir altra , ti fa sentire cotne un Icorpo cade, per^ 
che a poco a poco gli manca forza al ginocchio e alla 
persona, onde cade in un abbandono di morie. Virgilio 
vi fa sentire il suono della caduta del bue con quel iho- 
uosillabo spiccato, e lanciato in fine. 'Gosìoefiè V un 
poeta, imitando la caduta d'un corpo, T ha significata 
per lo scioglimento totale delie forze; L'altro per lo 
suono della caduta. Ma sediamo 'agli osempj. 

Virgilio ti vuol destarè V impressione' di quel tardo 
e falicoso moto che fanno i fabbri ferraj nel battere la 
mazza, e T ottiene uneodo sillabe iungbe, e dipronun- 
sìa alquanto aspra : 

UH inier u u mà^na vi hnehia toUuni/ * • « 

Dante colla medesima arte vi rende sotto gli occhi Cer- 
bero che malmena gli spiriti: 

Graffia gli spìrd, gli scuoia» ed i&qualra. 

D. Come s' imitano gli.affeUi coW Armonia? : 
R. Coir arte stessa, con^^ui sMmitano i suoni e i 
movimenti. Egli ò certo che ogniafTetto umano, come ci 
rende o tardi o. risentiti, o presti ^o, impetuosi , così si 
esprime per meuo di siiopi^vooali» i^ijiaji p<^rt^aoin st^ 
quelle stesse qualità; cosicché, esaminata la natura le- 
iiW alTeiti, osservata la maniera con cui essa si manifc- • 
sta, noi avremo la nórma sicura per imitarli. Ponete 
mente alle esclamasioni^ e trovereté che la subita 
rayiglia vi mette improwisament* vn bocca un eh, 
qualche^ volta un ahj un iini^rowiso dolgre yìj^a.fofn- 



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- 133 — 

pere ia un ahi, uoo stato di sofferenza ia un eh, una 
subita paura va m 11/4; # di; qua traeU oh^ le parole 
composte con vooaH, sioiìli a quella che è neir esclama- 
zione, rendono 1' armonia dimanda'te dell* affetto, che 
vogliamo imitare. E però V allegrezza e gli alti affelii si 
rappresenteranuo i^eglio co' suoui larghi e pieni dell' a, 
e deiro. Gli umili affiditi, la tristezza, la malincom'a, 
coi più miti suoni dell' e, e dell' i. Le perturbazioni forli 
e..paui*o^ dell'animo, coi &U0Q9 chiuso c eupo dell' u» 
E non crediate ohe tutte quelite i^gole aiauo iaveuzione 
o capriccio dei r«rtori , perocfchè elleiio sono nella natura 
dell'uomo, ed ogni linguaggio umano ne è piti 0 meno 
improntato, come potete coiMScere esaminando .i voca- 
boli stessi. Sebbenè però quest' arte siaderìrante dalla 
natura, pure bisogna usarne con grande parsimonia, e 
solo quando la forza dell'affetto ci trasporta natural- 
mente ad imitarlo. Ora veniamo agli esempj. 

La piacevolezza di un luogo, il qttatedh di sua vi- 
sta diletto, è espìrèssa a meraviglia in qùeàti versi di 
Virgilio: . . 

Devenere lócm léUkt ^ amena vireta ' 
Fortunatorum nem§ru9n, MUqw keatag, 
Latifior hi» fnmptm tUur ti laminé ve^H 
Purpureo; iolèmfM ménr; «ita Mtfo mrimt 

Così regna una dolce quiete ne* seguenti delF Ariosto , 
nei quali descrive un luogo ameno: ^ 

NoD vide nè 'I più bel nè 1 più giocondo 
Da luua l'aria ove le penne stese; 
Nè, se tulio cerciito avesse il moado, 
Vedria di ^esto il più geatil paese; . 
• Ove, dopo an girarsi di gran tondo. 

Con Rugger seco il grande augol discese. 

Colte pianure e delicati colli , 

Chiare acquei; ombrose Hpe e pralt mòlli. 



V 



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484 - 

. Vaghi bosctiett! di soavi allori , 

Di palme e amenissime mortelle , 
Cedri ed aranci eh' »vfM frulli e fiori 
CdBtetU il varie forme e tolte htUet 
Facean riparo ai fervidi calori 
. De' giorni «siivi com ior spesse ombrelle; 
E tra quel rami con sicuri voli 
OanUiMlo se ife giano i rosignaoU. 

(Canio Vi ,otUve9D eil.) 

Che se ci avvenga di volere imitare un dolce senti- 
mento di malinconia, lo potremo per mezzo dell'armo- 
nia temperata con auono delicato, e direi quasi flebile. 
Dante col solo risuonare delle parole dirette da France- 
sca a lui mette una dolce tristezza neir animo: 

Ma se a conoscer In prima radice 

Del nostro amor tu bai cotanto afifello» 
Farò come colui che piange e dice. 

Piena pure di dolce malinconia è la seguente ottava del 

Tasso: 

Nou si desiò finché garrir gli augelli 
Non sentì lieti , e salatar gli albori , 
E mormorare il fiume e gli arboscelli, * 

0 

E con Tonda scherzar 1' aura e co' fiori. 
Apre i languidi lumi, e guarda quelli 
Alberghi solilarj de* pastori ; 
E parie voce udir tra T acqua e i rami, 
Ch^ai sospiri ed al pianto la ricbiami. 

Virgilio ci fa sentire il i^anto interrotto dai singhioizi 
in questi versi: 

At non Evandrum polis est vis ulla tenere, 
Sed venit in medios; feretro Pallant» repotlo , 
Procumhil super atque hceret lacrimansque gemensque. 
Et via vix tandem voci laxala dolore est. 

L' allegrezza ancora ha un suono suo particolare, 
come ne' seguenti versi: 

lialiam, Ilaliam, prìmus conclamat Àcatet; 
• Ilaliam UbIq tocii clamore salutant; 



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. .À 



— m — 

■ 

e IO questi del Tasso: 

Ila, quando il sol gli aridi campi fiede 
Con raggi assai ferventi, e in alto sorge, 
Ecco apparir Gerusalem si vede, 
Ecco additar Gerusalem si scorge ; 
Ecco da mille voci unitamente 
Gerusalemme salutar si sente* 

Lo sdegno si manifesta e s' imita per mezzo delle 
armonie in questi versi: 

UfM Uttrikm eaiUmtia, fhteUtm tmést* 
Tmpreeùf, mia onntt, pugnent iptique nepotei» 

E in quelli di Dante: * 

Ma se le mie parole esser den seme, 
Che fratti infamia al traditor eh* i* rodo» 
Parlare e iagrimar vedrai Insfteme. 

Gosk r Ariosto in quella magnifica similitudine deE'orsa 
fa sentire nella diversità delle armonie i due eontraij 
aflTettiy da cui la fiera è «gìtata: 

Come orsa che V alpestre cacciatore 
Nella pietrosa lana assaliu abbia , 
Sia sopra i SgH eoa iaoerio oore, 
E IrenìfB IneiMNio di pietà e di rabbia: 
Ira la invita e oatoral furore 
A spiegar V ugno e a Insanguinar le labbia ; 
Amor la intenerisce, e la ritira 
A ^nardare ai figli lo meno l' Ira. (C. XIX.) 

Confrontate la delicatezza de' suoni del 3», del 7o, e del- 
l' 8° verso, e la forza, e T asprezza degli altri; e trove- 
rete espressi al vivo V amore e la rabbia. 

La paura fu espressa a meraviglia in questi yetsi: 

Et ca/iyaniem nigra formiditèé lueum, 
PuUenUi ttmhm BreH, noeimqwB profimélam ; 



e in quelli di Dante: 

lu venni in loco d'ogni luce mulo, 

Clie mugghia , come fa mar per lompesUt 
Se da cootrarj veoti è combauuio; 

e in quegli altri: 

Buio (T inferno , e di i|oUe pviiatii 
D' ogni' pianeti solto i>over cielo • 

Con un facile alternare di armonie esprimono 
ancora gli affeUi ▼Iraci, e quella Tsloeitli di •pensieri, 

che procede dal cuore. £ccoae un esempio in Virgilio : 

Juptnvm matm emicat oréeiu 
lUw in €9perìumi 

e in quel di Dante: 

Dunque che è? perchè, perchè ristai? 
Perditi lama viltà nei cuore alleile? 
Perchè anlire, e franchezza non hai ? 

Ma basti il detto fin (jui per farvi avvisati che Io studio 
delle armonie non deve essere trascurato da uno scrit- 
tore che voglia tocpare la perfezione oell' arte. Vedete 
dagli esempi' che Meravigliosi elisttf naeoono in. virtU 
delle armonie imitative. Non per questo, come ho detto 
innanzi, dovete voi occuparvi scoperlameule di questo 
artifizio, perchè ove tali vagfiezze non entrino sponta- 
nee nelle scritture , sono senza lode. Vuo^ ancora cho 
osserviate, che piìi ai poeti clie ai prosatori giovano sì 
latte coso, e perciò vedete che gh esempj sono tutti tolti 
dai poeti. Non è per questo che il prosatore non debba 
regolare le armonie a seconda degli afTetii, ma a lu! 
giova meglio ricorrere ad altro artiQzio, che è ([uello 
della oollocanione delle parole, per la quale acquista 



- 437 — 

più forza l'affetto, più vivezza la descrizione. Di que- 
sta diremo nel seguenie Gapilolo. 



CAP. 

e la ileMrlBi4nBe« 



Della eoUoeMiloM delie parole Hepetto alla 

éeeevl8loBe« 

1). Comesi può dire che la collocazione delle parole 
giovi a rendere più efficaùe ia descrizione? 

R. Quando fioi sappiatnò olie lè parole sono segni 
dello idee, e ohe cpieste idee, assodate che siano nella 
mente, ritornano innanzi alla medesima nello stesso or- 
dine in cui vennero all' anima recate dalle esterne im- 
{Nnessiotii, non è difficile a conoscere che l'umano di- 
scorso deve avere efScacia tanto maggiore , quanto pid ' 
neir ordine suo mantiene quell' ordine stesso, conche 
le idee entrarono nell' anima; peroccbò allora ò cerio 
che la commozione del enore o della fantasia si otterrà 

■ • 

colla stessa efficacia, con che si ottenne flalle esterne 

impressioni. E però egli ò certo, che se si potessero sem- 
pre ordinar le parole seguitando le idee, ì' umano lin- 
guaggio avrebbe tanto piti di potenza e di forza. Ma stc^ 
come le idee non denno obbedirè che alle impressioni 
da cui sono mosse, e il linguaggio è costretto a h^sgi 
ben diverse, e meno libere, essendo egli obbligato ad 



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UQ ordine di ragioDe) e a forme determioate, ne con* 
segue cbe non può andare sempre d! pari passo colle 

idee. Certo che quanto più a quell'ordine si avvicina, 
tanto è più potente sulla fantasia e sul cuore. Che se 
cercando dt seguir V ordine delle idee noi perdessimo 
pregio di chiarezza , o mostrassimo scoperto V artifizio, 
cadremmo in due falli gravissimi, e non avremmo al- 
cun prò dai l>uoo collocamento delle parole. Innanzi a 
tutto adunque, nel collocar le parole^ o le proposiziom 
(le quali ognun sa che alle volte si possono anteporre 
e posporre l' una ali* altra in più modi), dobbiamo cer- 
care che non resti offesa la chiarezza , la quale è la 
prima e più necessaria dote d' ogni scrittura. Anche si 
conviene badare che l'arte non tolga al discorso quella 
naturale fluidezza , senza la quale il discorso diviene 
aspra, e sono toUe quelle grate armonie che aprono la 
porta del cuore alle parole. Ma quando, salve la chia* 
rezza e la naturalezza, potremo colla permutazione delle 
parole secondare V ordine delle idee, noi otterremo che 
pib pronta e più viva sia la passione, e più visibile la 
descrizione. 

D. Dareste voi un esempio che mostri quanto nella 
descrizione può V ordine delle idee? 

R. Eccolo^ tolto da Daniello Berteli. Descrìve egli 
alcuni Etiopi , quali in leggier battelletto si lasdano 
portar giù dalla corrente del Nilo. Uditene le parole: 

Mettonsi un paio di loro chini e quaUi entro un 
leggier battMetto:, Vuno. governa, V altro aggotta, e 
netta parie superkre del Nilo messiii sul fUo deW ao* 
qua le si danno a portar già a seconda: e portali pri- 
ma dolcemente, come andassero per diporto, poi sem- 
pre pià affìrettato , indi precipitoso per lo velodssiniù 
tirar che fa ìa corrente, dove il fiume compresso fra 



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— 139 - 

gli stretti canali detta montagna tè mSle ìorcimmH riaih 

volge per attorno a balzi e scogli che tutto il rompono, e 
tal si fa un affrettarsi e correre, che V occhio al seguitarlo 
aMfogìia. Cosi giunH alla terHbU face, mnde Umodàil 
salto e mina nel piamo a piiè della rupe, anche essi col 
capo in giù, seco dirupami. Chi li vede precipitar gii^ a 
piombo cMa barchetta in piedi, perchè la proda è verso 
terra, e la poppa diretta incido, e doto un orrtftib tiro- 
mazzone in stdV acqua disotto entrar nella voragine, che 
ivi apre il fiume colF impeto del cadere, gli ha per ingoiati 
e immersi: quando in volger gli occhi li si veggon lonr 
toni una hmga tratta colà fin dove U NUo a guisa di from* 
boia gli scagliò, 

(Geografia irasporiaia al morale.) 
Osservate come Ineemincia : Mettensi m pah di 

loro. Ed eccovi prima le persone, e il modo dello sta- 
re, e il luogo ove stanno. Resta a sapere che facciano, 
ed ecco che io prima vi si mostra V un d' essi in atto 
di reggere il battelletto, l'altro la atto di gìttare via 
con mano V acqua che entra nel medesimo. Ma dove 
si fa questo, nella parte superiore del Nilo ; come? met- 
tendosi sul filo deir acqua ; perchè? per lasciarsi portar 
gid a seconda. Indi vedete il loro andare prima dolce, 
poi affrettato, poi precipitoso; e se ne chiedete ragio- 
ne, vedete che ciò è perchè il fiume è compresso fra 
stretti canali, fr^ balzi si rompe; onde ne viene un 
affrettarsi, un correre, che vince la vista. Ma che n' è 
del battelletto nel gran salto che fanno? Essi col capo 
ingiù seco dirupami: pittura vivissima» poiché quel- 
l'essi ti richiama a mente le persone, delle quali per 
lo pericolo in che sono hai maggiore sollecitudine, poi 
te le mostra in atto di rovinare, sicché le vedi col capo . 



in giù. Quel seco ti tien fìssa l'ìdoa del battcllelto in 
òhe sono ; col verbo dirupami posto là in fine termina 
a ÀeraHrrgtià il dipìnto. Il battelletto vieti giti é piombo 
irt pìedfi, nel cadere là pròra s' abbassa, s' àlza la pop- 
pa, sicché tu vedi la prora a terra, la poppa in cielo ; 
e chi dicesse pirima Ih poppa in cielo, la prora in terra, 
toglierebbe qùel vero che ha ìé descriiBione, séndo che 
r alzarsi della poppa è conseguente dell' abbassarsi della 
prora; e questa nelT ordine delle idee è prima della 
seeondà.'! batcànuòli scendono ctfn esfsò il Isàttellètto 
nella voragine , tehe ivi sotto apì-e fl 'flum'è; e chi lì Vede, 
li pertsa izih ingoiati e perduti. Volgi gli occhi, e vedili 
lontani lunga tratta per l'impeto dell'acqua, che così 
lungi gli Incagliò a<gufsa di frombola. Il suono rapido, 
rotto, impetuoso, della parola scagliò, e l'idea stessa 
riservata a questo luogo, pare che osprimanó e la forza 
e la prestezza e la lontananza ad un tempo. Ma questa 
cosi viva descrìtìone ^érde gran parte di bdlèzàsa e di 
forza , solo che voi permutiate V ordine delle parole. Se 
voi dite , ad esempio : Quando colà dove gli scagliò il 
Nilo a guisa di frombola li si veggono lontani ima lunga 
traUa in volgere gli otchi, avrete soeinata tutta V evi- 
denza e la forza a questo luogo, che pure è veramente 
pittoresco. 

Nò meno mirabile per V arte istessa del collocar le 
parole è il luogo di Tito Livio, nel quale descrive i Rò* 

mani alle forche di Claudio. Tornano i consoli negli ac- 
campamenti dopo avere giurati vergognosi patti. L' ar- 
rivo loro nel campo rinnova il lutto e la rabbia dei 
soldati. Aia aHas intueri, contemplavi arma mox ira- 
denda, et inermes futuras dextras. ohnoxiaque cor- 
pora hosti. Proponere sihimet ipsi ante oculus jugum 
hostHe, et lud^ria victoris, et vuttus superbos , et per 



« I - - 

armalos inermxum iter: inde fcadi agminìs miserabi- 
lem^ vian^ p&t' sqaiiiivum urbeSj, v>e(Hiiyan, m pq,lriam od, 
parenks , quo, S(Bp» mqjiur^qua eorjm ù-^K/anghapr^ 
t& venissenL Se iolos sine vub(^e9 sifi^ fffTQ, sine a^U 
victos : sibi stringere non licuìsse gladios , non mamm 
cìn^ hoste conferì e: sibi n^quicqmm arma, neqmfiqua>ì} 
vire9^ nfi^it^lgji^ fi^^^ ^.Cìhi.si.f9ccia ad osser- 

vare r arte, con che soiM> qui collocata le parole, sarà 
chiaro e maniieslo che elleno seguono in lutto l'anda- 
mento delle idee, e di là vi^e.^queUa forza che iauuo 
suir animo^ Al priino vedere ìvcoo^li que' soidatii gli uni 
f^uardano gli altri In faccia, moto spontaneo dell'ira e 
della disperazione; e a mostrare che il medesimo atto 
era ciguaia, e ad ua tempo, in tutti, lo storicQray.vicii;]^, 
le pafple aUis cJi^, e lascia in fiqe razione del gvar- 
dare: ma perchè quest' azione si continua in altro mo* 
dp, e gli occhi passano ù, guardare le ,arn;ài, come è 
naturala all' intueri segue, il p^y^i^a^^^ 
por mente) alla. vjerità delle due. asioiii inkf^ e,'OmemT. 

* A questo loogo, perchè ti votgariszaminto ci perdesse il 
meno possibile dai lato delta collocazione dèlie parole, ho siudinto 

10 stesso di condurio collo slesso oidìue dei lesto per quaulo la 
liu|sua nostra me l'ha consenlito. , * 

« Gli uni agli altri guardare, contemplare le armi che fra breve 
si dovrian cedere, e le destre fulure iiienni, e le persone a di- 
screzione del nemico. Proporre a sè slessi innanzi a{>li ocelli il 
giogo osiile, e gli seherni del vincitore, e le faccie superbe, e |)er 
mezzo dì armali il caniniino d'inermi, lodi deUa miserabile schiera 

11 vergognoso viag^Mo per le ciiià degli alleali, il riioruo in pauia 
ai parenti , dove sovente essi e i lor maggiori trionfando usavano 
venire. Essi soli senza forila, senza ferro, senza batlaglia esser 
vinti: essi non aver potuto stringere ìe spade, non le mani col ne- 
mica mesMae; mi soli imlMiia èhm i ìwkano leiie» iiid«riko co* 



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— UJ — 

pian. Il guardarsi in faccia è atto spontaaeo e breve , 
e però ben espresso col verbo ùUueri; quello di affis- 
sar le anni è più forte e più durevole, e però benissi- 
mo ritratto nel contemplari, che appunto vale affissar 
gli occhi e il pensiero. Ma neir affissarsi alle armi ve- 
niva innanzi ai miseri, che presto le dovrebbono cedere; 
quindi opporiunamente segue quel max tradenda; da 
quest'idea ne deriva T altra, che inermi resteranno le 
destre loro , e quindi i corpi a discrezion del nimico, 
ed eccoti, senza torcer parola dal corso delle idee, ef 



■ 




1 





essersi veduti in balla de' nemici , viene innanzi a quei 
soldati l'immagine del giogo ostile; dall'idea del giogo 
esce quella d^li schemi del vincitore e dei volti super- 
bi; e quindi V altra degli armati, in mezzo ai quali essi 
inermi denno passare. Usciti che siano disotto il giogo, 
essi torneranno disarmati e disonorati alla patria; que- 
sto pensiero si affisccia loro per primo, il disonore, tanto 
più grave quantochè dovranno passare per la città de- 
gli ailealT, tornare alla patria, ai parenti. Bella è l'idea 
di confronto che viene a tormentarli, pensando al mi- 
serabile ritorno in patria, quo scepe ipsi, majoresque ee- 
rum triumphantes venissent. Osservate poi nella colloca- 
zione il periodo che siegue. I soldati concentrano i loro 
pensieri in sò stessi, si trovano vinti, ma in modo bea 
diverso dagli altri. Laonde la prima idea è nel se ; la 
seconda, quella che li mostra singolari dagli altri, so^ 
los; quindi l'essere vinti senza ferite, senza avere 
sguainato le spade , senza essersi ordinati a battoglia : 
voi qui aveto una gradazione di pensiero naturalissima, 
l' idea del sangue , del ferro, delle schiere : e pure senza 
questo cose esser essi vinti : sme vulnero, iine ferro , 
«the ocit victot; e se voi voleste traeportore quel vietos 



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— 448 — 

appresso solos, turbereste il corso delie idee, e togliere- 
ste eflSeacìa alle parole; poiché prima sono le idee nega- 
tive, e poi quelle affiMrmatìve. Non si è sparso sangue, 
non si è nudata spada, non si è accampata schiera, e 
nulla meno siamo vinti ; dall' idea dell' esser vinti per 
questo modo ne viene il dolore di non aver potuto com- 
battere y di avere invano le armi, le forse, il coraggio. 

D. Che si deve apprender dall'analisi di questi 
luoghi ? 

B. Che r ordine delle parole nel discorso non deve 
esser abbandonato senza regola da chi*vaole conseguire 
prontamente quel fìne , che egli si propone parlando. 
Condossiacbè tanto ò'pid potente il linguaggio, quanto 
pìU precisamente esprime te idee, e quanto più le espri- 
me con queir ordine stesso, col quale si presentano alla 
mente. Egli è però necessario osservare che quest' arte 
deve rimanere naseosta^ e parere natura. Chè certa- * 
mente male avviserebbe colui, il quale forcasse la sin- 
tassi , ed aspreggiasse il costrutto per disporre le pa- 
role a seconda delle idee. La naturalezza è dote pri nei- 
palissima del discorso, e il trascurarla per andare dietro 
ad altre vag^esze sarebbe errore imperdonabile. 



Della «ollocMloBe Mie parole rispetto agli «flètti. 

D. La eottoeoMbme delk parole gimx$ eBa sokanio la 

R. No; ella giova pur anco l'affetto; perocché più 
facilmente le umane passioni si svegliano con parole ,. 
allorché esse assalgono il cuore oon qudr ordine stesso 



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d'idee^ che è da natura; Sef. voi togliete P ordine alle 

s^uenli parole di Livio , voi avete loro tolta tutla 
quf^impronta d' alf^tto che hanno. Virgiaio viiplejsat^ 
tran» ia figlia, dialle. mani di Appiioj; non ^ resta viai 
a soarnparla; la, disperasìoiie gli inelte nelle mani tin. 

ferro; egli lo dà in petto alla figlia, dicendo: //oc te 

ohe parole, ^ ma poieati- a m^nare'te djfpamxioae, il 

tumulto degli affetti, l'amor di patria e di libertà. Te- 
li^ dietro al filo delle idee: la prima a rappresentarsi 
ò.^pi#Ua.dcd. disperato oo«]^io preso da Yiiipuaio; laM- 
cood^, quella della persona, oontro. eui. slaTa par 
brare il colpo; la terza ò (luella p'cr cui vi mostra che 
non vi è altra vìa allo scampo, hoc fó2i»o;<^ndi sG|gjtfi& 
r jdea deirunioo potere che raete al; misero padrof, qm 
possum : la parola m^io, poAa coslloatana dal suo relar? 
live, quasi violentando il costrutto, mostralo stato vio- 
lento del cuor.' patino: quel fiiia ivi, coUoeato acceana 

al.dis||era^,araore;.fn^i6#*to(eiiiit'«wM^ fe -quasi vedere 
il trionfo ch^eiimena suir iefaiBia di Appio. Riordinate 

diversamente queste parole; dite, ad esempio: Filia. te 
in liberUUeiA',ìki(3fì}mo modo, quo possum^ sn»ditìo^ ^ ve- 
drete scomparire ogni efficacia dal discorso, ed ogni se- 
gno di agitassione. E basCt" «nrere recalo questi pochi 
esempj tolti ai prosatori, anzicliè ai poeti, perchè cono- 
. sciate quanto alla pposa possa giovare un tale artifizio, 
qualora non si contravvenga air indole. della lingua, e 
alla naturalezza del costrutto. Esempj ne' poeti potrete 
facilmente ritrovare du/voi, specialmante esamiaando 
que' luoghi nei quali essi descrivono, o movoM g^ af- 
fetti. Ogni descrizione di Virgilio e di Dante, ogni luogo 
patetico, può dirsi da que' grandi maestri con somi- 
gUaii^ àfiiH^io e^seriS:COQd(it(U)y.c.jrtoato.upacfezÌQae. . 

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. 145 — 

D. Serve egli solo aila fantasia e agli affetti lo eiu- 

dio di ben collocar le parole ? 

M. Se beae vi ricorda ciò che deUo è pik sopra, 
ire «vere le «peeìe deir umano lingaaggìo, ima delle 
craali servire alla feniasia, T altra all'affetto, la terza 
air intelletto, ovvero alla tranquilla ragione, vi sarà 
chiaro che alle due prime specie priacipalmeute. giova 
porre studio nella collocazione deUe parole, per mezzo 
della quale 1* arte, seguitando il naturale andamente 
delle idee , acquista potenza di risvegliare la fantasia coi 
colori della favella, non meno che faccia la natura istessa 
cogli oggetti che ci presenta agli occhi. £ con questo ot- 
tien pure di concitar la passione, imitandone, direi 
quasi, gli atteggiamenti, così che talvolta il cuore si 
trovi più sopraffatto dalla forza della passione imitata, 
che della vera. Anche si oUiene con questo di rendere 
armonioso il discorso, e piacente; la qual cosa quanto 
giovi, secondo che detto è, voi sapete. Ma la terza spe- 
cie di linguaggio, che serve alla quieta ragione, non 
domanda altro studio nella collocazione delie parole fuor 
quello di un' ordinata sintassi , per cui esca chiaro e 
limpido il senso : perocché essendo fine di questa spe- 
cie la ricerca e lo scoprimento del vero, lo spinto umano 
per una via piana ed agevole ci vuol pervenire : laonde 
sembra poter dirsi questa specie di linguaggio non al- 
tro richiedere, se non che ordine e chiarezza. 



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— 146 — 

Aaticom UI. 

Se f^iowlno egfnalmenle ad o^nl serlttara le «ose 
deite fln qui intorno la collocasiono delle pmwa^ 
lei e del fini che pwtù V «emo prop<»rel yaglwdei 

D. Non giova egli egualmente ad ogni specie di lin- 
guaggio tuttociò che abbiamo insegnato intorno V uso delle 
parole, la scelta e la collocazione delle medesime, i tropi, 
le figure y P armonia e ffU altri ornamenti del discorso? 

R. No certamente: perocché ogni specie ama quello 
che le è proprio e confacente per natura, e tutt' altro 
jigetta. Avete veduto che il linguaggio figurato, il quale 
è proprio della passione, diversifica non poco da quello 
che è proprio della fantasia ; e dovete ricordare che il 
linguaggio deir iuleiletto la luogo ogni altro ornaoieato 
cerca meglio il concetto e la sentenza : ogni linguaj^o 
adunque è ristretto in determinati confini, segnati al 
medesimo dalla natura, e proporzionati al fine che in- 
duce r uotuo a parlare, secondo il qual fine il discorso 
prende un carattere proprio e speciale^ e però a norma 
di questo si donno temperare quegli elementi che costi» 
tuiscono la bonth del discorso. 

D. Quanti sono i fini che t uomo può avere parlando 
0 scrivendo? 

R, Tre fini può avere chiunque parla o scrive, con- 

ciossiachè può intendere, o a convincere, o a persua- 
dere, 0 a dilettare. E perchè il convincimento è opera 
deir intelletto, il discorso che intende a questo fine do- 
vrà essere facile, chiaro ed ordinato, quale è richiesto 
dalla ragione rivolta alla ricerca del vero. Questo ò ap- 
punto il parlare dei filosofi. La persuasione, la quale ha 
radice nel convincimento, procede più innanzi ^ ooncios- 



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— i47 - 

siachè ella si proponga tirare le umane volonlh a quella 
parte che meglio le giova per mezzo degli affetti: e però 
il discorso della persuasione ne seconderà la natura de- 
gli affetti per meglio ritrarli, e per giungere a destarli 
potentemente. Tale è il parlare degli oratori. Chi tende 
in fine al solo diletto, deve piacevolmente modificare la 
fantasia, e recarle innanzi immagini vive e vere, o si- 
mili al vero, per modo che ella illudendosi creda vero 
il verisimile, e lo vagheggi, e se ne compiaccia non al- 
trimenti che farebbe del vero. E tale è appunto il par- 
lare dei poeti. Laonde se il convincimento è il fine che 
il filosofo a sè propone , la persuasione è il fine che a 
sè propone l'oratore, il diletto è il fine a cui mostra di 
mirare il poeta, ne consegue che di «^ua nascano tre 
generi diversi e distinti di scrittura e di discorso, i quali 
debbono avere un carattere tutto proprio e particolare. 
E questi generi saranno tre: \° filosofico, persuasivo. 
3° poetico. Questi avranno tre distinti caratteri, i quali 
noi chiameremo — carattere dello scrivere filosofico , ca- 
rattere dello scrivere persuasivo, carattere dello scri- 
vere poetico. E di questi verremo qui sotto trattando. 



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— 148 — 

CAP. 

JPel earatlera dello acrivrae fltosofleo, del 
peMUMlTO • dei peetteo» eH^e di- 
▼ene eiieele in éiie elMenM «i «ipwto» 



Del eavattore dello eeriveve pemaslvet 
e (ielle. epeeie édk medeeliM* 

D. Come definireste il carattere éUlo scrivere filo- 
sofico? 

R. Dirò essere quello, in cui la ragione mira diret- 
taioente allo seoprimeiito del vero, e dominando sola 

intrachiude ogni via agli affetti ed alla fantasia. Ho detto 
mira direttamente alio scoprimento del vero, percliè of- 
ficio del fìiosofo ò convincere di qualche verità T intel- 
letto, e Ma convinsione si genera nel disoorao quando 
dai principj generali per una serie di proposizioni de- 
dotte l'una dall'altra si viene ai particolari. Ilo detto 
che vuole dominarla senza V intervento della fantasia e 
degli affetti, perchè nelP opera della deduzione la sola 
ragione ha luogo; e gli affetti e le immagini della fan- 
tasia non farebbero che turbarla. Per ottenere poi la 
convinzione, il filosofo ha mestieri di usare precisione 
neWocaboli, chiarezza ed ordine; ed ecco appunto che 
le qualilcì delle quali debbe improntarsi il carattere del 
parlar filosofico sono queste tre, e non altre. E siccome 
la metafora e le figure per mezzo del nome d' altra co- 
sa, c per mezzo d* altra immagine, recano innanzi il 
aoQie e l' immagine delia cosa della quale si parla \ e 



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— 149 — 

basta a condurre facilmente l'animo in dubbiezza o in 
errore, se la fantasia o la passione entrano Ih dove debbe 
star sola la ragione ; co^ dalle soritlore del filosofo si 
haimo a bandire, é con esse si devono cessare qoe'vezzì 
e quegli ornamenti che sono proprj del carattere dello 
scrivere persuasivo o dei poetico ; ai quali meglio che il 
vero, 'a oni si ailieiie il filosofo, piace il verosimile* 

D. Si deve apK m 9gmscriUum di. tarature /Uom* 
/ko mantenere la stessa severità? 

/i. 11 carattere d'una scrittura è T impronta dei 
generò a oni elia apparliene* Ma siooome ogni genere 
contiene in sè' piti specie, le qiiali dallo streilo discorso 
della convinzione vengono a poco a poco a collegarsi 
coi discorso delia persuasione , ne discenderà che non 
in tuUe le specie sarà richiesta nna eguale severìtèi. Le 
• sciemse matematicfae, le fisiclie, le metafisiche pura- 
mente dette, domandano lo stretto lingtóggio della con- 
vinzione ; le scienze morali o politiche fìnsooo allargarsi 
nn po' piti, e qualche volta attingere a primo fiore gli 
ornamenti del dire persuasivo. Cos\ dal succinto par- 
lare di Euclide e di Aristotile, senza uscir mai dal ca- 
rattere fiiosotìco, si viene a quello di Teofrasto e di 
Platone: e per parlare de' nostri italiani, dallo stile ma* 
tematico éeì Galilei si sale sino alla filosofica graviti 
dei Dialoghi di Torquato Tasso e dello Zanetti, e si pro- 
cede alla piacevolezza di quelli del Galli e dei Gozzi. 
Certo è che non tutte ie cose, le quali danno snbietlo 
allo filosofia , sono egualmente astratte , ossia lontane in 
tutto dai sensi ^ chè anzi per modo ella si estende da 
conànare coUe cose sensibili: però è, che secoedo la 
flsaggiore o minore astraUei^sa del subietto, maniere 
o minore debb* essere la severità della trattazione, e 
il carattere sarà sempre mantenuto quando la ragione 



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-160- 

sigDoreggi , vale é dìrè quando il linguaggio deUa per« 
suasione o della fantasia non sovrasti anche per poco 
a quello della convinzione. 

D« Dei^ tgliioUmio dalla maieria esser guidai» 4ihi 
tùrwe di cmt filinofhhe o didaHic^?' 

R. Egli deve non solamente secondo la natura della 
materia condurre il suo dire, ma s\ ancora secondo la 
qualitò delle persone, alle qaali ^li parla. £ siccome 
di queste ve ne ha di dìie specie, la prima delle quali 
è degli uomini di lettere, V altra di quei che sono roz- 
sameate addottrinati , così in due si potrà dividere lo 
stesso parlare dei filosofi. GógU uonini lelteraté si do- 
vrli tenere -lo streito ragionamento delk eonvinziooe) 
perocché essi hanno la mente usata a quella compressa 
maniera, e poco loro basta ad intendere; mentre co- 
gli altri, cui manca l'abifo dei ragìofiare, è d'uopo ^ 
largamente esporre, e le cose esposte anche per simi- 
litudine dichiarare, tentando, per quanto si può, di 
ridurre a forme sensibili le stesse astruse forme raw>* 
nali. 

D. Dopo queste cose, direste voi sulle generali quale 
debba essere r elocuùom propria del carattere dello seri- 
vere filosofico? 

R. Volentieri : e per non errare userò le parrio 
stesse di Cicerone nel!' Oratore (Lib. 3°), là dove egli 
parla delle forme e del carattere del discorso : MolLis , 
dice e|^i, est ùraUo Philosephorwn^ et umbraHUs, nec 
senÉenHis^ Me verhis instructa poputw^us, noe wneto 
numeris, sed soluta liherius. Nthil iratum hahet,nihil in- 
vidum, nUiil atrox, niììUmrabUe^nihilustulum; casta, 
verecundd, virgo tn^rru]^ piodammoio; iSeqm serme 
foHus, quamoratio dicittir. «Temperata è l'orazione 
de' filosofi, e famigliare , nè si compone de' concetti e 



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— 151 — 

db' parlari del popolo, uè và legata a leggo d'anaoDia, 
ma libera più -che ogni altra discorre. Nulla sa ira, 
nulla d'invidia, nulla di fierezza, nulla di maraviglia, 
mdla di 8ealtreice;oastae vereoooda, qvasi non t«ocoa 
Tergi De ; meglio ragionamente cbe orazione si ap- 
pella. 9 



Aavicolo li. 

Bel carattere dello scriver perfmaslvOf 
« delle epecie del medeelmo* 

t 

D. Come potrebbe definirsi ilcca allere dello scrivere 
penuasiw? 

A« Diremo, il trattare dello scrivere persuasivo 

essere quello, per Io quale non si cerca gib di mostrare 
il vero secondo ragione risalendo alle prime percezioni, 
e discorrendo per tutto le proposizioni , a modocbò V in- 
teHetto, raffroDlato le relazioni, non possa rifiutarsi a 
crederlo quello che è: masi quel carattere , pel quale 
mtende a far credere vero ciò che noi proponiamo. La 
eonYinzione adunque è altra cosa dalla persuasione, 
posciachè quella dipende tutta da princìpi veri e dime- 
strati per veri, la persuasione si fonda più che altro 
sull'opinione, sulle apparenze e sull' autoriiè. Quella 
stringe e trascina V intelletto, questa padroneggia la 
votentà. 

D. SpiegaUmì uìi poco ^con qualehe esempio qmsto 
che dite. 

A. A convincervi , per esempio , cbe due linee eguali 

ad una terza sono eguali fra loro, basta che io vi fac- 



— 152 — 

eia ooiM>8cere,ohe quando due cose sono eguali ad una 

terza conviene necessariamente che siano eguali fra 
loro; e dichiarata chMo vi ho la ragione di questo as- 
stoma, il vostro intelletto, se è sano, non pnè negarsi 
ad averlo per vero. Ma se io vuo* persuadervi che la ione 
ò abitata, io non posso procedere per egual modo; ma 
solo argomentando secondo le leggi dell'analogia, se- 
condo le apparenze, secondo le opinioni degli astrono» 
mi piti rinomati e 1* autorità de^ sapienti , potrò indurre 
la vostra volontà a credere per vera questa cosa , sia 
ella infatio vera, o verisimile soltanto, o non vera. Di 
qua è che V oratore, ancorché sì paia tener 'egual modo 
col filosofo dimostrando , pure non va mai per quella 
catenari proposizioni a trovare il vero, ma sì dimo- 
stra* per vero 0 ciò ohe ne ha V apparenza, e ciò che ha 
opinione di vero, o ciò che Y autorità di molli fia eire- 
derc vero. Nei secoli passati si aveva opinione che esi- 
stessero maghi e negromanti; poteva adunque in 
que' tempi un oratore prendere a dimostrare die nelle 
impreiie militari molta parte avevano ! professori di 
quest' arte, e che eglino erano necessarj. K avrebbe po- 
tuto egli fondare il suo ragionamento ne' molti fatti at- 
tribuiti a negromanzia, cioè dall' apparenza.e sull'opi^ 
niene che ne correva, e sull' autorità de' filosofanti; e 
usando bene della potenza della parola avrebbe potuto 
persuadere, cioè far credere vero il suo assunto,- co- 
munque falso in fatto, e soltanto verisimile in quella 
condizione di tempi. Dal che si vede che la ragione sola 
regge il discorso della convinzione, mentre ([uello della 
persuasione dona gran parte alla fantasia, grandissima 
agli affetti* 

D. Che parte homo lafcamaeia e fU affeUi M di- 
scorso della persuasiom? 



— 153 — 

R. Molta parte vi hanno , perocché se l' oratore non 
è ristretto ad una dimostrazione di convincimento , ma 
ad nna apparenza di dimoairanone, . ccmverré ehe dia 
faeria di Yero al verisimile, e questo n<m potrai essere 
senea il soccorso della fantasia: e quando abbia ottenuto 
di far credere vero il verisimile, sarb d' uopo che feccia 
foTBa aib'Tolontà perdiò lo abbracci (che in quealo ap- 
punto ala la persaasbfie,ciaèdt fDnsare le alimi volontà a 
venire nella nostra sentenza, anzi. corrervi); e per far 
questo farà mestieri che commova gli aOelti. Concios- 
siachè gli tiomini segnom piti foeilmente ciò ehe meglio 
modifica Y appetito loro, e per muovere V appetito bi8<^* 
gna correre alle passioni, le quali, destate che siano, 
vinoom la volontà, e la spingono Ik dove lor piace. 
Quindi è, che se 11 filosofo si arresta aliordbè ^bbìa dìr 
mostrata innegabile la verità che egli propone, Torato- 
tore, allorché abbia provata la sua proposizione con ap- 
fàrens^ìéktjfemikai^^ iAipsièaqÉatèi^lbiise- 
guire il 'dilello; e poacta véafa^irf^eoi ilMiiWi régiMM^ 
r arte sta appunto nel saper recare con accorgimento 
le prove verisimili come vere, a modochè nò si scopra 
artifizio, nè si desìi sospetto di falsità neii' oratore; e 
poscia nel portare diletto all^ mente con Immagini com- 
poste a verisimiglianza, e colle forme proprie del lin- 
guaggio della fantasia , usandone però sobriamente , e 
senza fame gitto; ed in fine nel perturbar gli animi r^ 
, sve^ndooe gli afifetti col mezzo delle forme del Un* 
guaggio della passione, per la forza dei quali 1' uditore 
costretto a conformare i proprj pensieri secondo la vo- 
lontà deir oratore, è forza che voglia e disvoglia oon 
Itti. Nè si creda -che per questa potenza l' arte del per- 
suadere sia brutta arte di inganno ; perocché non si 
vuole di questa usare per trarre gli uomini al male j ma . 



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— 154 — 

per governare le T^tontli e dirigerle a bene , usando 

della ragione e del sentimento, che sono i due mezzi 
de* quali la nalura principalmente ha donato gli uomi- 
ni; oofiiccfaè possa dirsi che officio dell'oratore è ren- 
dere più potente la ragtooe, aggiungendole ai fìancfai 
la forza delle passioni. Per questo s' insegna che il pri- 
mo fondamento di guest' arte poteutiesima è la proUfcà, 
senza la quale il vero stesso io boóoa dell' oratore ai 
perde assai, e il verisimile non ha forza alcuna; con* 
ciossiachè la probith neir oratore reca necessariamente 
con sò la poteasa deiropìiivme e dell' autorità ; tolte le 
quali, la ragione non si acquieta nel vérìsiiiiile, le pas* 
sioni per favellar figurato non si destano, le voionlh ri- 
mangono fredde ed immobili. Ma di questo si dirà uel 
Trattato delFArte Oratoria. 

D. In quante specie et parie U ctaraUen detto eeri- 
vere persuasivo? * 

R. Principalmente in tre: la prima è quella, nella 
quale.ia dimostrazione del vero è il pròno ed uoicefiae 
che l'oratore a sé propone; la seeonda è quella, nella 
quale egli mira specialmente al diletto; la terza è quel- 
la, nella quale intende alla commozione. Le scritture 
die appaftengouo alla prima specie si aeeostoho al par* 
lare dei filosofi, le scrittùreehe appartengono alla se- 
conda sono aflìni al parlare dei poeti. Tutte tre queste 
specie poi considerate insieme formano il perfetto lia* 
goaggio deir oratore. Il carattere di ciascuna di questo 
specie, come di tutte insieme, è sempre la dimostra- 
zione del vero, sia egli vero o verisimile, nel modo che 
è detto più sopra. 

D. Dawrà sempre il discorso pereuasho avere la 
slessa immagine di vera dimostrazione? 

IL Sì, lo dovrà, ma fatta ragione delle persone 



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^ 155 - 

alle quali si parla. Abbiamo veduto che il filosofo a due 
gaise uomiai si dirige , ed ora diciamo che a tre si 
volge l'oratore. Imperciocché oltre agli uomini di lettere, 
e a quelli di mettila letteratura, ai quali favella il 
filosofo, V oratore debbe sovente parlare col popolo; e il 
popolo è una svariata moUilAidiae d'uomini colti ed 
incolti , di growo e di svegliato ingegno, e piti non 
addottrinati. A seconda cbe ora «ll'una, ora air altra 
di queste classi d' uomini T oratore deve parlare, con- 
viene che egH varj nei «odo. Nei letterati la ragione 
prevale alta fintam8« olla paeslone ; nei messanamente 
letterati, la fantasia e la passione contemprano spesso 
la ragione ; nel popolo, h fantasia e la passione preval- 
gano aempre alla ragione. Di qua viene eiie la' speeie 
del parlare perraasivo>, Il quale è richiesto dalla prima 
classe, debbe tenere più al modo temperalo dei filosofi: 
concedere poco alia fantasia, poco alla passione, molto 
ià \m%ì 0 naattigtaiijLa apÌBde die^ eet »lg>iè ^a^seeònda 
«hlMNiMlihittgr'alqua dal AItib '^^dèlfl , peMl% 
ammette la piacevolezza delle immagini e la potenza 
deir affetto, sì però che la ragione si levi apertamente 
sopra runa e T altra: la specie infine cbe si addice 
alla tersa classe è vieina al dire dei poeti , per moda 
che la fantasia e la passione ne abbiano il governo; seb- 
bene le forze di queste devono servire a rendere mag- 
giore la potenza (Mia ragione. Banche da tenersi <»filo 
della materia la quale tratta, perchè da qoesta pure 
s' induce varielb nei discorso persuasivo, come si dirà 
parlando delio sUlo. ' 



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- 16« . • 

■ 

• ■ 

ARiWffljP III* 

• • ^ 
Bel carattere della àerivér poetléo^ e delle 

•diverae apeele dal med dtfle » 

• • • • 

D. Come si può definirà iL cat^aUere delìfi- Me poe- 
tico? . • 

lì, Sieoooe la ptesia, qHantiittqae javehtstaad in- 
tendimento di ammaestrare gli uomini ^nen mòslra altipo 
scapo che il diletto, diremo^ il carattere di questo modo 
di sorivere essere quelle, «osi quale isi iataod^L ou coa- 
ceUi , coir eloeusioiie e coli' arttonib , a ondifioim jMt* 
cevolmcnte la fantasia ed il cuore, ponendo sotto gli 
occbi della mente gli oggetti , e dando loro qualità e per-* 
sona coinè fossero vivi e'veri ; «ir tegliend» la materia 
dal verisimile meglio che-dei vere. Dalla quale defiai* 
lione sembra che appaia chiaro , il poeta dover dilettare 
uoa meno trascegliendo coacetti ed ioi^mag^iif 0àa ve- 
stendoii colle parole per modo c^ facclaao forea sul- 
rimmagidazione e sugli affetti. Bene h foor di*did>bio 
che la potenza della elocuzione è oltremodo grande, e 
U poeta deve soprattutto in questa perire, sMV^io ; coa- 
cìDssìaobèPspesso.avvieiie che giaodisiiitoxiBe ed imon^ 
gini non abbiano efficacia alcunUa per difetto di elocu- 
zione, e molta ne abbiano le mediocri e le comuni 
qualora vi si usi pppor^una elocuzione. li\jCatto il sapere 
« 'trascegliere e rappresentare i concetti con quellef>aroIe 
che 8ono*piti chiare, e, direi quasi, cbe ridono di più 
vivi colori, è cagione alla mente di un diletto incompa- 
* rabile. Quindi è che dai tropi e dalla; metalora, càie sono 
i colori della tavella, il poela trae seslpreAwoa partito, 
e dee sempre averne copia a mano. Anche per mezzo 
di questi si ottiene più facilmente di dare vita e mo> 



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— 157 -t- 

venza alle cose cito- in, natiira boa hanno n^ moto né 

vita, e di ritrarre sotto i sensi quelle che naturalmente 
dai sen^i riiuggirebbero. Bene è grande iatica ridurre 
a forma i^osjbil^ i consetti intellettuali , e. ridurli per 
ipodo che r occhio lì vegga , la mano li toccht, 'laa^ 
grande lode è riuscirvi e recare diletto con ciò. Virgilio e 
Dante spepialq^pte ebbero al sommo grado questa arte ; • 
edi nasce che qttetli A stanno in«itnaditutti i paoli» 
Un'waltra cosa è pur da av vartìre , ed ò> questa , che con- 
viene fare buon uso dell'armonia. Abbiamo insegnato che 
r armonia) piacevolmente toccando T orecchio, fa strada 
aL cuore, e rende pià dilettosi i concetti. Questa debba 
esser studiata. dal'poeta per modo, che non solo diletto; 
ma benanche aiuto egli ne abbia, non meno a ravvivare 
la descrizione ,*che a rendere pii^ forte la pasaione* È 
detto delle direrse maniere di armonia , e come dcune 
non fanno che lusingare F ofeophìOf altre sono naturai- 
mente compagne agli svariati alTelti. Ora il poeta ap- 
plicando jgifuscuna al proprio luogo, ne iiv^kt^Mifì non 
iieveu Chè se sì doibandi in ehe varia il carattere delio 
' scrivere persuasivo da quello dello scrivere poetico, 
diremo che in ciò: — il c^irattere dello scrivere persua- 
aivp dimostra il vera seisondo ragione, il po^ico lo di- * 
iinostra pef finsume, e si vale della fantasia e- degli 
affetti per raggiungere il .suo scopo. : ^ii* 
p. Di guatUe ^ecieÀ ii mrqtl^re cI^Uq sorip^e^pg^r 
lieo? . * - 

/{.•..Veramente considerando che ogni maniera di 
poesia reca diletto ad ogai specie d' uomini , diremmo 
volentieri una sola Qs/iere.la specie del caraUere poetico: 
ma parabò il popta spessa volte introduee persone a 
' parlare > e varia materia prende a trattare, ne nasce 
che se una è in sò smessa la spe<;ie pel carattere poe- 



« 

a 



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lieo, per queste nuove condizioni varia e si divide. la- 
fatto alcuna volta il poeta canta gli Dei, gli eroi ^ le 
grandi e nMàì iinpfese ; alcun' altra la cMcéiBa del- 
1* amore, i pubblici • privali 'affanni, o oerca destare 
allegrezze, ire, sdegni, timori. Altra volta egli narra 
estesamente grandi fotti e lunghi travagli d'eroi, e 
ftarrando esprime passioni , descrìve luoghi, costami, a 
intendimento principalmente di mettere maraviglia negli 
animi; altra volta introduce a parlare persone, a rap- 
presentare fatti, come allora ffiiora accadessero; altra 
inftne prende 9 dettare precettidi cfnalche arte o solenza 
utile agli uomini , condendo i precetti con ciò che la 
fantasia ed il cuore hanno di .piìi dilettevole ; ed ecco 
la poesia linea, l'epica, la drammatica, la didascaliea ; 
generi diversi di poesia , i quali èanno leggi tanto par* 
ticolari, che non si può le qualilh delF una confondere 
con quelle dell'altra, senza togliere la verità e la con- 
v^avolesza, e con esse il diletto. Gonciossiaofaò e nel 
modo di presentare le immagini^ # nelFeìoeazione, e 
nelle armonie , molta distanza vi ha dalla specie lirica 
air epica, dall'epica alla drammatica, dalla dramma- 
tica alla didascalica ; e II poeta devé sempre seguire il 
verosimile e le leggi del decoro, trascurate le quali agni 
arte perde bellezza e verità. Ma di queste cose avremo 
a parlare altrove : ora- basti avvertire in generale, che 
mentre ciascuna di queste specie di poesia in partico- 
lari confini si racchiude, non è facile nè possibile mo- 
strarci determinati limiti , entro i quali ciascuna specie 
vuol esser contenuta. Tutte hanno (dice assai opportu- 
namente Paolo Costa, colle parole tlal quale ci piace 
por fine) nello intero loro corpo fattezze particolari, alle 
quali colui che bea vede, distintamente le raiiìgura ; 
pure a quando a quando or questa or quella viene a 



— i59 — 

parieclpare dell* altrui colore, in guisa cherepìco nelle 

forti passioni innalza le parole al pari del cantore de- 
gl'inni, e il più sublime Urico narra alcuna volta sic- 
come fa r epioo ; lo aleaao inlervieiM delle altre specie, 
fra le quali perfino la commedia talora si leva .a gareg- 
giare colla tragedia, e la tragedia, al dire d'Orazio, 
.spesso si duole eoa sermone pedestre. 

D. A che giova fiMto éMmitme dei diioerei comi- 
Uri détto scrivere e delle diverge specie? 

R. Giova a formare lo scrittore eloquente ed ele- 
gante, peroccbè errando nel oaraltere dellò scrivere sì 
troncano i nervi dell* eloquenza, si attribuisce alla fan- 
tasia ciò che è proprio dell* affetto o della quieta ra*- 
gione, e il discorso che n'esce è involuto, impcoprio, 
strano, e non consegue il fine a cui mostra di correre. 
Ad ottenere però di scrivere e di parlare secondo la 
proprietà di ciascun carattere e di ciascuna specie^ con- 
viene principalmente osservare lo stato delF intelletto e 
le qualità del medesimo in chi scrive, lo stato delia fan- 
tasia e quello della passione. Quando avrai osservatò se 
nel tuo discorso secondo lo stato delT animo, o V intel- 
letto, 0 la fantasia, o la passione debba signoreggiare, 
tu avrai conosciuto quale sia il carattere, e quale la 
specie delb scrivere , che si conviene seguire; e tro- 
vato che ciò tu abbia, se tu queste cose impronterai, 
direi quasi, col marchio tuo proprio , e secondo il tuo 
modo di semìre, tu avrai formato ciò che i retori chia- 
roano stile/ 



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— 160 — 

Dette mM9f • Mto Me «welità. 

D. Che cosa è lo stik? 

i2. Molte definizioni, e quasi tutte poco accoQfìie^&i 
danno dello stile , le quali a noi non aggrada seguire 

per buone ragioni: e però dovendo pur darne la defiai- 

zioiie, ci sembra che si possa definire dicendo, che; 
Lo stile è quella particolare maniera, con cui lo scrit- 
tore modica le quaUià del suo ùUelkitai doUa sua fan- 
tasia, de' suoi affetli, seeondandù il mraUsre dèi disoor^ 
so, improntandolo dell'indole sua propria secondo le 
leggi del decoro. Intatto Io stile deve mostrare aperta* 
mente il particolar modo di satire, proppio di colui che 
scrive, perchè in natura veggiamo che ogni uomo ha 
nel modo di sentire diverse qualità-, le quali ove non 
appariscano, lo stile non è di colui che scrive, ma di 
colui dal quale lo scrittore lo prese a pfestansa. È duo- 
quc necessario a chi voglia formare uno stile perfetto 
dare al medesimo V impronta del proprio modo di sen- 
tire; e malamente fanno quelli, i quali foggiai lo stile 
proprio ad immagina deli' altrui, come veggiamo essere 
stato fatto da molti, i quali avendo preso ad esempio 
uno scrittore, contrafecero lo stile, del medesimo. Co- 
storo ',^pare a me, non altro nome mentano che quello 
di scimmie, le quali solo materialmente ritraggono in 
sè gli alti ed i modi delle persone; e di costoro, credo io, 
intese il poeta quando disse; Imitatores servum pecus, 
Conciossiachè lo stile deve metterti sott' occhio le qua- 
litìi morali dello scrittore per modo, che tu senza errore 
possa distinguere lo stile dell' uno da quello dell' altro , e 

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— 161 — 

appropriarlo con ^cbresze ài suo autore ; in quella guisa 

che avviene dei poeti, i quali, mentre imitano tutti il 
bello della natura, neir imitarlo ritraggono sè stessi, co- 
slcehè all'occhio deir intolligeote 9k manifesti la mano 
ebe scrisse. Michelangelo, ad esempio, Baflbello, Corag- 
gio, Tiziano e Leonardo, erano tutti sommi nell'arte del 
dipingere , ma ciascuno tenne uno stile cosi proprio , 
che distingue apertamente le opere dell' un pittore da 
quelle dell' altro. Laónde i maestri dell'arte insegnano 
che ciascun pittore debba farsi una maniera sua pro- 
pria, e per maniera intendono quello stesso , che noi di- 
remmo stile. Voi avete veduto quanti e quali siano gli 
elementi neoessar} a scrivere bmie; nè uomo può aver 
nome di perfetto scrittore, se alcuno di quegli elementi 
trascura. Ma siccome le menti umane sono varie, e.ii 
modo di sentire, noù altrimenti che le fattezze del vol- 
to, diversifica quasi in ogni persona, così ne viene, che 
mentre tutte insieme si riuniscono le qualilh*, per le 
cpiali si forma un eccellente scrittore, non in tutti nei 
medesimo modo si uniscono; ma se ne forma una cotale 
diversa mistura , la quale prende'' norma appunto dalla 
diversità del modo di sentire. Infatto e Dante e Petrarca 
e Ariosto e Tasso , tutti accolsero nel loro stile le qua- 
lità di perfetto scrittore: ma la mistura è tanto diversa 
quanto era il modo di sentire di que' grandi uomini. Ri- 
sentito, franco, inflessibile, era il carattere dell' Ali- 
^ieri, e tale è il suo stile; perocché le qualità dell'evi- 
denza e della forza sovrastano a tutte l'altre nella 
composizione del suo stile; come la grazia, la soavità, 
signoreggia tutte raltrequaliib nello stile del Petrarca; 
la vaf ietà e la verità in quello deli' ÀriostOi la gravità 
e la magnificenza ih cfuello deK Tasso: cosicché pos^ 
dirsi, che dalla diversa disposizione dell'ingegno e de- 
li 



L.yi.,^uu Ly Google 



— 162 — 

gli affluì nascono diversi filili » a k loro diversità è tanta 
quanti sono gì' iDgegai umani. Ogni scrittore adunque 

debbe modificare rintelletlo, la fantasia, gli affetti, se- 
condo il proprio modo .(li sentire, se vuole avere stile 
proprio; ma perchè «pasto non basta, sa non sia ser- 
bato il carattere del discorso, non senza ragione noi ab- 
biamo ag.qiunto che alla prima condizione, della quale 
è detto, debba seguire V altra, la quale importa che si 
secondi il carattere del discorso, e come, non manl^ 
nendolo , perda efficacia ogni più eletto modo di scri- 
vere; sendochè questo carattere è fondato sulla natura, 
e nasce dai diversi stati in che V uomo si trova, con»e 
più sopra esponemmo, e peK^ al detto non mi piace af^ 
giungere parola. Quanto poi alle leggi del decoro che 
denno osservarsi, ve ne rendono ragione le di veir^ spe- 
cie in cui ogni carattere si divide, delle quali pure è 
parlato abbastanza. 

D. Si può egli dividere in diverse specie lo stile? 

R, Ben si può , anzi sì deve : ma non per questo ci 
pare che si abbia da [seguire la divisione che alcuni 
maestri ne danno, i quali lo dividono in conciso e m 
diffuso , ornalo e secco; perchè queste qualità dipen- 
dono interamente dal modo di conc«|>ire di colui che 
scrive , o dalla materia delia quale prende a scrivere. 
A noi piace meglio tenere la divisione degli antichi , i 
quali dissero in tre specie, o, a dir meglio, in tre gradi 
ripartirsi lo stile, cioè in semplice o piano; intean- 
perato o mediocre; 3» in magnifico o sublime; coooio»- 
siachè ci paia che questa divisione risponda meglio ai 
caratteri dello scrivere che noi abbiamo divisati; infatto, 
chi scrive o parla seguendo ciò che la tranquilla ragione 
gli detta, ci pare che non possa uscire .dal i** grado, 
cioè dallo stile semplice o picm; chi scrive o pada col- 



. j .:^uu Ly Google 



Taniiiiio 6 la fantasia alonn pooa 4»maaossa9 pare a noi 

che non debba uscire dal grado, cioè dallo stile me- 
diocre 0 temperato; chi Qaalmeale fiori v.e o parla traspor- 
talo o dalla fantaaia , o ilaUa paaià(t|iey oi aepnbra cho 
debba usare il 3^ grado , cioè lo magnifico o $ìMme : 
e però noi abbiamo V antica divisione per più buona , 
perchè più generale dello altre e più confacente alla 
natura. Laonde di ciasoiuo di questi gradi disamo , e 
non lasoermno di aoeennàre,oome, cercando la virtù 
propria di ciascun grado, facilmente si possa trascor- 
rere nel vizio opposto. _ . ^ , 



■Nilo siile acn^Uee o pliOi». 

D. Come definireste lo stUe zempUce, e quando iiusa9 
R. Stile semplice noi cbiamiamo quello che con 
chiarezza, con precisione, descrive le cose serbando le 
leggi del decoro, senza altri abbellimenti, che quelli che 
gli vigono da una naturale facilità. Da questa defini* 
zione Toi potete conoscere a prima giunta essere que- 
sto lo stile che conviene usare quando chi scrive ha 
r animo riposato e sicuro da ogni commovimeato di fan- 
tasia e di cuore; e siccome chi scrive in questo stato, 
si laacla sempre dominare dalla ragione, ne viene dì 
conseguenza che nè i colori della fantasia , nè le forme 
^proprie solo della passione, nè amplificazione alcuna 
debba essere nello stile semplice. Ckdui che ha V animo 
msL turbato , non commosso, vede chiaramente le cose^ 



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— 464 — 

ne discopre freddamente i. rappòrti , li dispone e li or- 
dina permodo che presentino unit^; e perciò è, che 
r unità è dote principalmente necessaria allo stile sem- 
plice. £ r unità questo importa j che V andamento del 
discorso sia tate, che si conosca la dipendensa dell' una 
cosa dall' altra , la relazione dell'una sentenza coU'altra , 
per modo che senza fatica la mente possa raccogliere 
ciò che in iscritto o in parole a lei viene offerto. £ a 
chi sa ben dare unith al discorso è ageveie cosa con- 
seguire chiarezza, e quella mostra di facilità che pare 
agevole ad imitarsi, ma riesce difficile assai a chi si 
provi, onde Quintiliano ebbe a dire: OrcUionù facUitas 
imitabilis illa quidem pideiur esse existimanii, sed nUiil 
est experienti minus. La qual cosa avea insegnalo anche 
Orazio nella Poetica, ìk ove disse: 

• • • « aifrt quii9Ì$ 

Sperei idem, mdei miUum, frmtraque laberet 
Aum idem* 

< # » « m 

... 

D. QmU eùse som necéssùrie principaUmnte per 
iscriver bene con questo stile? 

R* Innanzi tutto è necessario avere molto chiare 
le idee, saperle ordinare, ed esprimere con quella pre* 
cisione e proprieth di parole , ehe domanda il buon uso 
della lingua in cui scriviamo. E siccome è detto che lo 
stile semplice si rifiuta a tutti gli ornamenti, de' quali 
si abbdliscono le altre maniere di stile, -deYe pur dirsi 
che. non rifiuta però, anzi domanda, tutti quelli che 
il buon uso del linguaggio gli può recare. 1 o fatto , se 
noi osserviamo le scritture di qiie^; che seno principal- 
mente lodati per semplicità d! Stile , vedi^emo^ehe èssi ^ 
hanno ripieni^li scritti loro di tutte le grazie e le ^e- 



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ganze del nativo linguaggio, anzi con ciò solo cercano 
ne' leggiiorì .quel, dìlelto, sejua ddl quale wm vi è scrii* 
tura ebe possa pìacerìa*' * • 

D. A quaU safUlure principakiieiUe serve lo slUe 
semplice? • ' ' ' ' 

R, Quaulunque sia chiara la risposta da qoaotp fa 
deUOy pure dimno die ssrve prìaoipalmeote àììo stile 
dei filosofi, e più generalmente allo stile precettivo ed 
al familiare. Serve ai fìlosofi , perchè, mirando essi alla 
sola conTiniioiie dell' iotelietto , per esporre i conoelti 
loro Beo hanno bisogno d'altro che di uno stile puro, 
proprio e conveniente: sermo purus erit et latinus (in- 
segnava Cicerone nel Bruto): dilucide, planeque dicetur. 
Serre èlio stile precettivo d* <^ni genere, perchè colui 
che insegna non si propone altro soopo che di convin* 
cere l'intelletto, mostrando la verità delle regole pro- 
poste. Serve allo stile familiare (nei dialoghi, e nelle 
lettere principalmente perohò in questa maniera di 
scritture chi scrive o parla vuole seBipHcemente ritrarre 
al naturale T immagine del corretto parlare domestico. 
Attenuata est (insegna V autore della Rettorica ad Eren* 
nio) orafsò^ piméenmsaeeiitiqiÈewi uiitatissimatn puri ' 
sermmit emmeiadmem: E certamènte n6n vi ha persona 
al mondo ^ che domesticamente parli con sublimità di 
concetti.edi parole reUoriche. Non si vuol dire con ciò, 
che in queste guise di scrivere tutto deUM essere di~ 
sadomo e secco ; ma «i vuol insegnare che Io stile sem* 
plico per propria natura non si consente agli ornamenti, 
benché ai più tenui e verecondi non ai nieghi al tutto. 
E la ragioné per cui non si-nt^^ è questa, che la 
ménte* sarebbe troppo conthiuamente oocupata quando 
non le si offerisse alcuna cosa da ricrearsi ; e manche- 
rebbe quel diletto^ che, condendo la severità dei pi:e- 



— lee — 

celli, li rende più facili e più aggradevoli. Tuttavia 
chi scrive deve sempre ricordarsi, che gli ornameoti 
dello stile semplice sodo tollerati, iioa domandati, e 
quindi assai paroo dève essere ndl' usarne. 

D. In qual vizio si può cadere cercando il semplice 
nello stile? 

R. Neil' aridoe nel vile. Buie qmhmdam eontrarium 
shtdhm (paria Quintiliano), quifugiunt^ cu: reformidani 
omnem hanc in dicendo voluplatem, nihil probantes ^ nisi 
pUmumetsme conatu; ila dura timent, ne aUquando 
cadeau, semper jaceni. c Altri di contrario gusto >80iio, 
i quali fuggono e temono tutto questo ptaceroìe orna- 
mento , e niente altro lodano fuori che quanto scorgono 
di piano e d' umile e di schietto. Così mentre stan pau- 
rosi di non cadere alcuna volta, sempre osrcaU n tro* 
vano. » (Toscanella.) E fautore delia Rettorìoa«dEren* 
nio pur egli ci dice^ sovente avvenire che coloro, i quali 
non sanno dare alio stile semplice quelle grasie e quelle 
native caresze che sembrano facili, ssa pur noi sono, 
cadono in una maniera di scrivere arida ed esangue a se- 
gno, da mettere molestia e noia in chi legge od ascolta. 
Qui wmposswU in iUafaceUssima verbanm attemuUione 
eommoéh wnari, vèidmU ad aridnm, et txangm fmmt- 
orationis, quodnmaiientm e^teocUe nominavi. « Que' che 
non possono in quella facetissima a ttenu azione di parole 
tenersi con prò, danno in ua' arida ed esangue maniera 
di parlare, cui mal non si converrebbe dar titolo di 
esile. « [Ad Herem., IV, il.) Eduna delle ragioni, per 
cui spesse volte la semplicità torna in aridezza , è la 
conditone servile de' tremo timidi imitatori, come bea 
avvisa il' nostro Pei*tioari, il quale insegni obe lo scrit- 
tore tremante , e tardalo dal ceppo, in questo vizio cade 
senza avvedersene. ' • 



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^ 467 — 

D. Qiuili sono i principali autori latini da proporù 
m 9$€mpio di itiie semplice? 

Le Lettèrs e ì TnUali di Cieeiwe, i Gommeii- 
tarj di Giulio Cesare, le-V4«&di Gernelio Nipote, sono 
gli esempj migliori che noi abbiamo nella prosa latina. 
Le GoHHaedie di Terenzio , le Buccoliche di Virgilio , le 
Favole di Pedro^ gM EndeoMiUebi di Ca tallo, sono I plU 
pregiati deHa poesia. Nè manoano belli esempli in ita- 
liano : il Passavanti, il Paodolfìni , le Lettere del Caro, 
del Tasso , del Redi ; ì Dialoghi ed i Trattati fìlosofìci 
dei Galileo, étH Gdli, dei ZaiioU4| sono medelli degni 
d'imitazione nella prosa italiana; nella poesia poi, il 
Tasso neir Aminta^ il Sannazzaro nell' Arcadia, il Poli- 
liano e molti altri, ci possono offrire a doviaia imitagli 
esempli di stile eempUce. 

AmntmtLm II. 

Dello stile mediocre o temperato» 
e delio ano ^aalii** 

D* Qual è lo iiOe wiediocre, e guofM^e $i usa? 

R. Stile mediocre, e fu anche dello temperato, è 
quello che alquanto si solleva sullo siile semplice senza 
però raggiungere nò la magnificenza, nò la elevatezza 
del sublime. Vi ha uno sialo delP anioso, nel <{uoIe egli 
si trova egualmente signoreggiato dalla ragione, dalla 
fantasia e dal r affetto, e4 è appunto quello in cui le 
eommoaioin deiraniase-aone soavi e temperate, cosici 
ohè la ragtooe noo d perda. là questo stalo, ehi paria 
o scrive, usa dello stile mediocre; e siccome questo 
stato ò il più frequente deli' animo, ne consegue che lo 



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— 168 — 

stile medioere ha piti di «iveiité luogo Dèi parlare e 
nello scrivere. Da queste cose è facile conoscere 'che 
egli riceve voleotieri tutti gli priiaii&eati. delia favella, 
dei tropi e delle figure moderate, e àk rifiuta à quei mòdi 
che SODO coDveDieDti soltaoto ai veemeDti trasporti 
deir immaginazione e dei cuore. In hoc gemis oratioms 
(ci ioB^goa QttiutiliaQo) imb^imm eoAmtlumikmmmtk, 
muUa étiam smteiii$imwn.... E$t enim quoddem et imigm 
et fhrescens ontiionis, pictum el expolitum genus , in quo 
mnes verbonm veneres, omnes seìUeiUiarum iUigankur 
lepcres. c Io questa guisa d* orasiooe cadono in aeeon* 
ciò tutti i lumi delle parole e molti anehedelle seùtenBel.V. 
Ch'egli è un insigne e fiorito, e dipinto, e forbito ge- 
nere d^ orazione , in cui mettono bene tutte le veneri 
della favellai tutte le leggiadrie dei cottcetti* n Cosicché 
possa affermarsi, che tutti i fiori di liogua, tutte le 
vivezze di concetti, giovano allo stile mediocre. 

D. Qitali soìw le qmlità principali dello stile me- 
diocre? 

B. Se Doi coDSìderiamo il modo per cui l'uomo 
concepisce ed esprime i suoi concetti qualora egli si 
trova temperatamente modificato dagli affetti e dalla 
fantasia, védramo che egH ravvioina i rapporti delle 
idee, studia un maggior numero di confronti^ partioo- 
lareggia, e più minutamente espone le diverse qualità 
delle cose, meglio che quando egli si trova dominato 
dalia fredda ragiooie, e sansa la minima commozione di 
fantasia o di affetto. Di qua noi ne trarremo agevolmente 
che lo stile mediocre deve avere maggior diffusione del 
semplice, deve aiutarsi di tutti i modi dell' amplificaaio* 
ne, e mantenersi costantemente eguale; um tenore òi 
dicendo fluii, nihil auferens prceter facilitatem et cequon 
litatem, (die. ia Brut.) 



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D. A quali scritture serve principalmente lo stUe 
mediocre ? 

. ÀU6 Bòritture-i^i^e, alle Aloriobe, aUe oooa- 
demickef oonciMsiaciiè* F oratore ki qu^Ia parte ove 

non è sospinto dalla passione mostri sempre ragionare^ 
e solo a crescere diletto inframmetta al ragiooameDio 
imiiiaguii a oooeettii di che la fantiaaìa ed il cuore 
gli ^ascoltanti egttakneQte si ' pascano e si dllettaiio; e 
dico in quella parte ove non è spiegata la passione ; per- 
chè ia quella lo stile s' inalza sino al sublime. Laonde 
dovete ai^gomentare di qui^ che in una scrittara sola 
possono aver luogo andie tutti e tre i generi dello stile. 
Osservate le Orazioni di Cicerone. Elleno sono quasi 
sempre di stile temperato negli esordj, distile semplice 
nella propoMione, ueU^ aiiyMiientariotte, e il pili ddle 
volte nella narrazione. Ma la perorazione prende sem- 
pre veemenza, e tiene spesso spesso al sublime d' af- 
feUo. È cosi è nella storia, nella quale la narrazione è 
quasi sempre di stile. temperato, le^UocutioBi piegano 
sempre al sublime, come potete vedere in Sallustio ed 
in Livio. Così pure avviene ne' racconti e nelle novel- 
le, secondochò elleno sono dettate, o col fine soltanto di 
diiettare, ó di eommovere. Vero che le scritture ac- 
cademiché contenendosi quasi sempre sensa grandi 
emozioni, amano di seguire la mediocrità nello stile ; 
ma vero è altresì, ohe se in alcuna di coiali scritture 
accada che lo scrittore, deserivcHodo, commov^ la fin* 
tasìa e turbi V affetto, può anche lo stile magnifico e 
sublime avervi alcuna parte. Un' altra cosa deve essere 
avvertita, e lodoyeva essere ancora parlando deUo stile 
sempUce. Questa riguarda T armonia. Abbiamo inse- 
gnato che r armonia è una delle qualità dell' umano Ai" 
scorso, la quale priacipalm^ate serve al diietto, e spesso 



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— 170 . 

alla commozione dell'animo, e abbiamo detto ancora 
che varie specie d'armooia sono. Ora qui, senza ripe- 
tere il deUo^ acdeniiereiiio che V mnoiiia delhi siile sem- 
plice dev^ esser facile, non risenlHa, e proporzionata 
allo stato deir animo di chi scrive ; quella dello stile me- 
diocre deve esser più pieDa , pid risentita. Di qoa aloani 
hanno preteso di portare uoa distinsione nello stile, 
chiamandolo conciso e periodico, perchè hanno osser- 
vato che nello stile semplice ì periodi soao più brevi , 
essendoché la mente non s* impiglia ^ de**rapporti gfr* 
nerali, e non de* particolari , siccome fa lo stile medio- 
cre, il quale perciò abbisogna di un più largo giro di 
periodo. Ma noi dubitiamo assai che questa sia piutto- 
sto una distinzione ohe nasoe dalla natura dello stilOf 
aniichè una necessiUi dell' arte per ottenere quella va* 
rieth della quale abbiamo parlato. Infetto osserviamo 
che anche lo stile semplice può avere lunghi periodi , 
sebbene egli ami più di sovente i eonoisi, e lo stile me- 
diocre può averne di concisi , quantunque meglio dei 
lunghi si compiaccia. Ma sì nei lunghi che nei brevi pe- 
riodi ogni siile ha un' armonia sua particolare ; il sem- 
plice non ha che un ritmo rimesso e appena ssasibile, 
il mediocre ha quella rotondith e quella pienena di 
suono, che accompagna con manifesto diletto i concetti 
della mente. 

D. In quoM vhj si può ooAtrt faieUmmiie mnmdo 
di fùglntìre lo stik mediaor»? 

R. Siccome è detto che tutte le eleganze della elo- 
cuzione si ailanno bene a questo stile, egli ò ben iaoile 
che avvenga di dare neir affettato e nel soverchiamente 
iorito, cosa che nuoce assai, come quella che mostra 

lo scrittore più inleso alle parole che alle cose. In altro 
vizio, ci dice T autore delia Aettorica a^ Erennio, cade 



— m — 

facilmente colui che cerca distinguersi in questo genere 
di stile , ed è di riuscire fliUtuante) sconnesso, per troppa 
eara o di recare in mezzo indistintamente le qualità 
delle cose, o di cercare armonie, e di rendere il periodo 
pieno e sonoro. Qui in mediocre genus orationis profecti 
sunt, si pervenire eo non poterunt, errantes pervenituU 
ad confine ojui generis, qmd appelhmus fiuckme et 
(Ussùhiwn, eo quod sme nerms et artieuUs fhietuat kuc 
et illuc, nec potest confirnmte neque viriliter sese eocpe- 
dire. « Coloro che si posero a questo mediocre genere 
d'orazione, sé non bastanmo a venirne a capo, errando 
si trovano a quel genere che ne sta ai con6ni, cui chia- 
mo fluttuante e slegato, per questa ragione, ch'egli 
senza nenri ed articoli va qua • colà fluttuando^ nò può 
usoireene eoa sicurezza e con fona. » 

Vi ha pure pericolo di cadere nel puerile , cercando 
acutezza di concetti; o nel pedantesco, recando in 
mezzo inopporUine sentenze; o n^' asiatico, esponendo 
oon troppa verbosità i concetti. Ma da questi vìzj si 
guarderà facilmente colui, il quale si proponga ad imi- 
tare ì più sicuri e classici scrittori, fra' quali neMatini 
eminenti sono Sallustio, Livio, Cicerone; ne^' italiani, 
Gasa, 6iambul!arì,.BartoU, Segneri, ed ahri molti fra 
i prosatori; Dante, Petrarca, Tasso ed Ariosto, fra 
gU italiani poeti ; fra i latini, le Georgiche di Virgilio, 
le Epistole ed i Sermoni d' Orazio. 



— m. — 

^ Dello stile magaiOco e sublime» 
e delle sue quali I*. 

• * ' , * 

' D. Che cosa è lo stile sublime? 
R. Lo stile mibliiiie è qQ0llo, che i&naUardi molto 
sopra il mediocre per copia , per graTitè , per omaàien- 
to, ed ha tanta forza , che vince e trionfa ogni ostacolo, 
e lascia V animo e ia monte quasi per maraviglia stu- 
pidi. Amplut, coptetis, graviij ormka ; in iUo premio 
vis maxima est Lo stile sublime adunque si usdre 
principalmente quando 1' animo è trasportato dai più 
veemeoti moti della immaginazione o della passionai e 
potrà aver loogOy sebbene, più di rado, quando la ra- 
gióne tranquilla sollevandosi, direi quasi, sopra sè stes- 
sa, esce in nobili ed inaspettate sentenze, e fa scorgere 
i più reoonditi rapporti delie idee, siechè V inteiietto ne 
resta atioaito e compreso. £ notale qui, ohe noi, par- 
lando dello stile sublime, non intendiamo parlare della 
natura di esso sublime, conciossiachè egli riguardi me- 
glio le speoulazacni dei metafìsim e degli estettoi, ehe i 
precètti dei fetori. Noi parliaino .dello stile, e dei modi 
con cui egli acquista quella veemenza e quella subii- 
mit^i per cui restano rapiti e quasi estatici gli ascol- 
tanti, per usare la frase del retore Longino. Se noi pi- 
gliamo ad analisi gli oratori e i poeti , facilmente cono- 
sceremo da che procede questo innalzamento di stile, 
sebbene a noi giova meglio seguire le tracce del greco 
maestro. Questo però abbiate per fermo, òhe la sobli- 
mitè dello stile e la magni6cenza non si ottengono , come 
«ilcuni credono, nè coli' esagerar le cose, nè coli' ammas- 
sare le figure, nè coir usare parole ampollose e ses({ui- 



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pedali, ma s) col preaenlàre Idee' iDdspetCaie e tiuove, 

col ferire il cuore con forti e non previsti colpi , e sco- 
prire cos^ le relazioni degli oggelti più peregrine e meao 
pirevednle. 

D. Per qutmii moii «i rende nMim h «db? 

R. Per cinque modi risponde Dionigio Longino: 
4*^ con aiti concetti, elevate fantasie, magnanimi sen- 
si ; in %^ laogo ai oMieoe dagU aiiBfcli yìvì e gag^ardi , 
eocHàti sino all' entusiasmo ; in luogo dèlie figure, e 
specialmente dall' amplificazione; in 4* luogo da un' ar- 
dita eleganza di frase, la quale tenga alla sublimità 
de'ooneetti; in 5^ luogo dalla tessitttrft del periodo, e 
delle armonie nobili ed acconcie a rendere più efficace 
la sentenza. 



D. Come si rende sublime lo stile coi concetti? 

R. Quando la fantasìa viene eccitata, soTonti. volte 

naturalmente ne escono concitati concetti, pei quali si 
sublima lo stile. Virgilio, poiché ti ha descritta imma- 
ginosamente la Fama, dMmproyviso innalza con subli- 
me concetto lo stile, e le di porre il capo nel cielo e 

passeggiare il suolo: 

Jngrediturqu$ aoh» ti eapui inter mlnh oondii. 

Cosi Dante nel 1° deìV Inferno , dopo che ha detto 
che era tempo da principio del .mattino, sublima lo stile 
seguitando eoA : . . 

E il sol montava in su con quelle stelle 
Ch' eran con lui, quando Vatnordivinù 
' . . Mme da prima qmU^ con beile. 

E V uno e V altro poeta, discoprendo maravigliose 
relazioni di cose, reca concetti che stupendamente 



- 174 — 

magDìfieaiM lo stile. Naasan telAoie sarebbesi aspèllato 

di vedere la Fama toccar col capo le stelle; nessuno 
alia descrizione dell' ora mattutina avrebbe richiamato 
al pensiero Dio Creatore, che nel vano del ciel» dà ino4« 
agli astri • eoo leggi etemamente sicvire li onfina. An- 
nibale , presso Livio, incoraggiando i soldati, i quali 
alla vista di quelle altezze che sono T Alpi si erano ab- 
bandonati deir animo: Quid Aìfm aliud u$e eredUii 
quam monikun aUbuHnes? Fingermi^ aUioréi Pirrnmi 
jugis: ìiullas prò fedo terras coelum conlingere, nec inexu- 
perobilei humano generi esse. « Che altro credete voi 
esaere le Alpi se non allesse di monii? £ pognamo che 
si levino alto più che le giogaie de* Pirenei: ma certo è 
che non vi ha terra che tocchi il cielo, e sia inespugna- 
bile al genere umano. » Quante idee non si ridestavano 
nella memoria de' Cartaginesi a queste parole! aver 
essi passate le rupi dei Pirenei, come fossero giogaie di 
monti; e ancoraché le Alpi fossero più alle di tutti i 
monli, non esser invalicabili alFuomo, specialmente a 
quelli che erano con AnnibalCi i. quali tante fatiche e 
tante battaglie e tante fortune avevano superato. Nò 
meno sublime è V altro luogo di Livio, dove introduce 
Annibale a domandar pace a Scipione: Vestri patres non 
nihil, etiam ob hoc quia parum dignitatis in legatione 
ercU , negaverunt pacm. Annibal peto pacem. « I vostri 
senatori furono indotti alquanto pur per questo a ne- 
garci la pace, eh' ei non parve loro clie la nostra lega- 
zione fosse tanto degna che bastasse, io Annuale in 
persona chieggio la pace. » (Nardi.) In quella parola sola 
Annibale voi vedete ritornarvi alla mente il vincitore 
de' Romani al Ticino, al Trasimeno, a Canne, e tanto 
pih si sente la magni6aenza del ooncetto, peroliò pre- 
parata ad arte. Fu negata ^ disse, la pace , perchè non 



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— 175 — 

piemdigmtà aUmiìmta im bgaU die la €kktìeiMmo. 

Ora io, che sono ArmSfalef cioè eolui, del quale non vi è 
chi abbia più dignità, uè presso i Cartaginesi tante volte 
per lui viUoriosi, nè presso i Emani tante volte éa lui 
sconfitti, io stesso wngo a chieder pace. Da questi esempj 
vedete come egli è vero, che il sublime di concetto sta 
nel recare innanzi in una o in poche parole un cumulo 
di grandi idee, dalle qoali resta sopraffatta la «lente. 
Così' per questa stessa ragione sono sublimi i due se- 
guenti luoghi: 

Et eunta terrarum subacia , 
Praier atrocem animum Catonis. 

(Orazio, Ub. 2«, Oda 

I n toggeitato mondo i mi solo Imperò, 
Salvo II Sor él GMone snlmo altero. 

(CfiSARI.) 

Nè meno sublimità è ne^ seguenti versi : 

Egli {Ualaspina) airffluslre 

Esul fu scado, liberal lo accolse 
L'amistà sulle soglie, e il venerando 
Ghibelliao parea Giove nascoso ^ 
Nelle case di Pelope 

(Monti, versi premessi all' Aminta del Tasso. ) 



§ 2°. 



D. Come si può dare sublimitcì allo stile cogli affetti? 

R. ^oa v' ha dubbio che quando F uomo è alta- 
mente commosso dalla passione non sia trasportato a 
grandi «eutense^ a magnifici ed inaspettati conoetIL 



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^ 176 

Enea dfèpèrato .della salVési^a delta patria , Taóeotti ib- 

torno a sè pochi, li conforta con queste parole: 

Moriamur, et media in arma ruamm: 
Um ÈttluB vieHi nMam gperare tiluiem, 

Capaneo, presso Dante, dopo a^ere mostrato cogli atti 
e colle parole il suo superbo dispetta anche fra i . tor- 
menti, termina il suo discorso mostrando che Giove 
stesso esaurirebbe invano tutta 1^ sua forza per $iver 
di lui vittoria: 

E me saetti di tuUa sua forza. 

Non oe potrebbe aver vendetta allegta. 

E il nostro Metastasi© neWAttilto Regolo mostrando 
il suo sdegno coi^tro Publia e Licinio, in \ìfi. trasporto 
d* ira magnanima innalza lo stile dicendo: 

Taci: non è Romano 
Chi una viltà consiglia. 
- Taci: non è mia Ggiia 
Chi più virtù non tia. 

■ • 

Nella parlata che Gatilina fa al congiurati , presso 
Sallustio, lo stile in più luoghi si magnifica e si sublima 
per la forza degli affetti. Egli dopo avere resa odiosa 
la potenza dei grandi, e mostratò lo stremo a cui 
erano ridotti i congiurati, per questo modo s'innalza 
dicendo: Quce quousque tandem patiemini , fortissimi vi- 
ri? nonne mori per virtutem prmtat, quam vttam mise- 
ram aiqueinhonestam, ti6i aliencBSuperbÙB ludibrio fine- 
riSj per dedecus amittere? « Sosterrete voi sempre que- 
sto, 0 nomii^^ fortissimi? Or non è meglio morir per 
mlore, che una misera e disonorata vita , poiché dal- 
l' altrui superbia sarete scherùitt, ontosamente perdere? 

Nè meno sublime è ciò che segue poco dopo; DB' 
nique, quid reliqui habemus , prceter miseram animam? 



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— 177 — 

j«im igitur eccpergescimini. En Uh, Ula, qwm stBpe 
optaslis, libertas : prceterea divitice , decus , gloria, in 
ocuUs sita sunt. Fortuna ea omnia victor^us premia pò- 
suit. « Che abbiamo noi più , se non la misera vita? 
Isveglialevi voi medesimi: ecco la liberti che tanto 
avete desiderata: anche ricchezza, onòre e gloria, avete 
ìonaDzi agli occhi. La ventura ha poste ti^tte cotali cose 
per guiderdoQ di ci^oro che vìdoodo. » 

Nè meno sublime è il seguente luogo, che si legge 
nella Cantica di Giovanni Marchetti, intitolata : Um notte 
di Dante: 

A noi guardia sia 1* Alpd» e all' Àl{>e noU 

8 3». 

D. Come ti iublima lo iiUefCol mes^so dtìk figure? 

R. Quando T animo ò commosso, voi sapete che 
1' uso delle figure più veementi è naturale, e che per 
quelle lo stile prende effioseia; ora vedrete come prenda 
ancora abito di subBsiità. OsserfBte questo luogo di Ci* 
cerone neir Orazione a favor di Milone: Vos, vos appel- 
lo, fortissimi viri, qui muUum pra republica sanguinem 
^udi^tis, Vos, in viri et civis invicli appetto perictdo, 
eenhtriones, vosque, nUHUs: fMis non tnodo inspeekmii' 
bus, sed armatis et huxc judicio prmidentibus , hcec tanta 
virtiAS ex hac urbe expelletnr? a Voi, voi appello, o cam- 
pioni, ohe molto del vostro sangue spargeste per la re- 
pubblica: voi appello nel risico di qnest'nomo e citta- 
dino invitto, 0 centurioni, voi, o soldati. Adunque su- 
gli occhi vostri non solo, ma sdprastando voi armati a 
questo giudizio, lascerete da questa città cacciare una 
virtù così grande? sterminare? sequestrare? » (Cesari.) 
Se osservate quante figure qui vi sono, troverete clic 

i2 



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— 178 — 

Id breve spazio molle; apo3(rofe, im appelh; daplica- 

zione , vos,vos; ripetizione, vos centuriones, vos milites; 
progressione inspectatUibìtó arm<Uis, judicio prcesidenti- 
bus; ì/fàterrogBaiiooei ex hoc urbe esq^eUetur? ed altri 
tropi e metafore, tutte forme di dire attamente paaaie- 
nate, per le quali si addoppia Y agitazione dell'affetto, 
e a gran copia si presentano idee alla mente in brevis- 
simo tratto. £ qui non mi tengo dal recare quel subli- 
me luogo dì Demostene tanto ledafto da Longino.* De- 
mostene vuol provare che egli aveva bene amministrata 
la repubblica: Nm erraste no, Atetiiesif ponendovi a 
cinmtoper la Kth&usa de^ Greci; voi ne ovete domestici 
esempli. Nè meno errarono quelli che in Maratona, nè 
quelli che in Salamina, nè quelli ancora che in Platea 
combatterono. Non erraste al certo , no, giuro per le ani' 
me di colerò che Uuciarùno larvila em caa^ di Jfaro- 
tona» Sembra (prosegue Longino), che per questa figura 
di giuramento (cui io qui chiamo apostrofe) T oratore 
nel suo dire abbia ^nsecrali imaggiori, mostrando che 
per coloro che ìm A latta guisa nlorìroiio doTesi come 
per gli Dei stessi giurare; e mettendo ne' giudicanti il 
coraggio di quelli che ivi al cimento lo esposero , pare 
che egli abbia iaftio passare la natura della dimostra- 
sione in una oltrepassante allèzBa ed affezione, ed in 
una fedel prova di nuovi e pellegrini giuramenti, e 
straordinarj e n^aravigliosi; e che negli animi degli udi- 
tori come un certo reale medicamento o contravveleno 
abbia fatto calare il diseorso, talché eccitati dagli en- 
comj non minori spiriti si sentissero nel cuore per la 
battaglia perduta ^ntro a Filippo, che per li premj 

* Trattato del Sublime di Dìonigio Longino, Iradolto dal 
greco da Anton-Francesco Cori.— Firenze, aU* insegna dell'Anco- 
ra, Idia.— Sesione XVI, pag. d7 



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— 179 — 

delle vittorie riportate in Maratona e in Salamina: e 
così con avere portato via per colai sorta di figura gli 
animi degli uditori, si partì. Per eguali ragioni è magni- 
fico il seguente passo di Virgilio nel secondo della Enei- 
de ^ che già altrove recammo: 

lUiaei cinerei, et fiamma extrema meoriim, 
Teetor in oeeatù veitro, nee t^a, ne» nUae 
Fltovtotf tkee Ani0fMi;«r K fata fititmi 
Ui eadatentf m^fuieee mIami* 

£ l'altro di Dante, quale introduce Pier dalle Vigne a 
protestare la sua fedeltà verso Federigo signor suo: 

Per le nuove radici d' esto legno 

Ti giuro, che giammai non ruppi fede 
Ai mio signor cbe fa d' oaor al 4legQ0« 

Quante idee non contiene in sè Pespressione del prinràO 
verso I 

D. Come si rende sublime lo stile con ardita eleganza 
di frase? 

R. Quando nel nostro parlare, sia egli di fantasia 
0 di afletto, con una o con poche parole risvegliamo 
nella mente dei lettore qualche idea grande o potente , 
la quale, giungendo inaspettata, occupa la mente ed il 
cuore, lo stile acquista nobiltà e magnificenza. Esempj 
ne abbiamo più cbe molti. Virgilio nel 4^' delle Georgi- 
che volendo accennare i trionfi' di Cesane ottenuti nei 
Parti, dice cosk: 

... C(esar dum magnui ad altum 
Fulminat EuphraUm* 

Quale parola più grandiosa pei molti concetti , che ad 
un tempo risveglia l la poten^^ la celerUà dei vincere, 



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si piresentaBO air animò ad uà tratto; contro le armi 

di Cesare non è forza umana che resista, come ninna 
foraa resiste al fulmine. L' idea di fulmine ti porta ne- 
cessariamente Il coDOSoere la mano che lo scaglia ^ ella 
è la mano di Giove; vedete adunque come con una sola 
parola il poeta dice : Cesare è potente , invincibile, eguale 
a Giove. Così Cicerone con poche e vibrate parole espri- 
me la fuga di GatiUna, la raUna concai è fuggito, la 
prestezza del fuggire , la ettlK scampata per la fuga di 
lui. Ahiit, excessit, evasit, erupit, E poco appresso: 
exuUat^ et iriumphsU oratio mea. Ove, se .osservate' 
quante idee si ridestano a quelle due parole che indi- 
cano gioia ed allegrezza somma, e nella gioia e nell'al- 
legrezza la gioia d' aver vinto Catilina, vi confermerete 
sempre più in ciò che è detto. 11 padre Segneri , quel 
sommo fra gii oratori italiani, dopo avere numerato con 
beir antitesi il gaudio che deve provare un' anima in 
Paradiso, sublima lo stile colla soia parola Dio. — In 
lui vedrete le perfestioni tutte, non vedrete in lui P essere 
di veruna, e perciò in lui non vedrete verun difetto, tn lui 
vedrete candore, ma non tinto da macchia; in lui beltà. 
mo non soggetta a scolorimento; in lui potenza, ma non 
ombreggiata da emulo ; in Imi sapere^ ma non dipetidente 
da magistero; in lui ftoiiM, ma non sottoposta a punissiO' 
ni; hi lui costanza , ma non mescolata con accidenti; in 
lui vita, ma non dominata da morte. Che più? Vedrete Dio 
[o voi^ille volte be(Ui)! Vedrete Dio. Cosi nelle seguenti 
due terzine di Dante lo stile si sublima per la parola 
Sole, e nella terza per ia frase farsi corona: - 

E gìh la vita di quel nume santo 
Rivolta s' era al Sol, che la riempie 



— 18i 

DI qudia c(Hta là <l«?'ellt frange 

Più tua raltexia, nacque- al mondo un Sole, 
Come fa questo tal?olU dal Gange. 

ftatt fiipoB4er« sH ooelri m lefai» « 

£ vidi lei (ehi BeatHee) clie H facea corona. 
Riflettendo da tè gli eterni rai. 

Quante grandiose Idee si sviluppano nella mente del 

lettore per quella frase si facea corona! Iddio coi proprj 
raggi la vestiva; non bastale; formavale sui capo ia co- 
róna favillante degli eletti. 

§50- 

D. Come si ottiene da uliimo di rendere magnifico 
ed elemto lo sHk per mezxo dèlia cow^ixione del pe- 
riodo? 

li. Per due modi si ottiene: o disponendo il perìodo 
in maniera che ti présenti sotto una sola idea princi- 
pale scoperti i rapporti con molte idee accessorie, e i 

membri e gì' incisi siano così disposti che ne esca una 
grave e dignitosa armonia*, o disponendo le parole per 
modo, che seguitino più da vicino che si può V anda- 
mento dell* idee, e quindi assalgano piùdiforsa la fan- 
tasia e r animo. Esempj del primo modo troviamo spesso 
negli oratori e nei poeti latini ed italiani; del secondo 
meno sovente, specialmente tra gV italiani, la lingua 
de* quali non molto a ciò si presta. Vedete nel seguente 
esempio di Cicerone nella seconda Catilinaria , come por 
grandiosa armonia ed elevala composizione di periodi 
si solleva lo stile: Sed si vis manifestm audacioe, si im- 
pendens Patrice périciilum, me necessario de hac ànimi 
lenitale deduxerint, illud profecto perficiam, quocl in 
tanto et tam insidioso bello vix optaÀdtm videtur, tU ne 
quts bonus intereat, paucorumque pi»na vos omnes jam 



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— 182 — 

salvi esse possitis. Qìjub (ptMtm^ neqm prudeniia, 
neque humanis consiliis fretus, polliceor vobis, Quirites; 
sei muUis et non dubiis Deorum immortalium signifioan 
tionibus , quibus ego dwrièm m home spm, èententiwnqtte 
sum ingressus : qui jam non procul, ut quondam sole- 
bant ab extremo hoste atque longinquo, sed Ine prmen- 
tes suo rumine, otqifB auxilio, stia tempia, oJUpue urbis 
tecta defenduni: guoe vos, Quirites, prwcarì, venerari, 
atque implorare debetis, ut quam urbem pulcherrimam , 
florentissimam, potentissimamque esse voluerunt, kanc^ 
omnibus hoslium copiis terra tnartgtie supercUis, perdi* 
Ussimorum cimm nefario scelere defendant. « Ma se la 
manifesta forza dell'audacia, se il soprastante pericolo 
della patria mi farà necessariamente lasciare la cle- 
menza deir animo mìo, io farò quello che in così grande 
e così insidiosa guerra pare che appena si debba desi- 
derare; che niun bono moia, e voi tutti col supplicio 
di pochi possiate esser conservali. Le quali cose, Roma- 
ni, io non vi prometto per mia prudenza, nò pereisser- 
mi appoggiato ne' consigli dell'umanità, ma per molte 
c non dubbie dimostrazioni degli Dei immortali, i quali 
mi sono stati guida ad entrare in questa speranza ed in 
questo parere. E non di lontano, come già solevano da 
lontano e "straniero nemico, ma essendo qui presenti 
colla divinità ed aiuto loro i lor templi e gli edifìcj delia 
città difendono. I quali voi, Romani, dovete pregare, 
riverire, supplicare, che quella città, che essi hanno 
voluto che sia bellissima, floridissima e potentissima, 
vinte in terra ed in mare tutte le fòrze dei nemici, di- 
fendano dalla scelleraggine di ribaldissimi cittadini. » 
(Dolce.) Nè meno grandioso per la stessa tessitura del 
periodo è il seguente luogo del Segneri, nel quale mo- 
stra quanto sia formidabile la divina giustizia. Ed ève 



— 183 — 

mai tu potevi volger il guardo^ che non incontrassi la 
gif4sU:&ia divina in atto di fulminmte? Se alzavi gli occhi 
alt mpireò, iu la vedeui respinger quindi eoli' asta quel- 
Por gog li oso esercito diribelUr se li chinavi agli abissi, 
tu la vedevi attizzar quivi col fiato quelle fornaci caligi- 
nose di reprobi* Entravi nel Paradiso Terrestre, e quivi 
amuM dtum spada yireifole, la soofgevi manda/re in 
lontano esilio, e condannare ad inevitabile morte i due 
primi padri. Lei tu vedevi passeggiar lieta suW acqua 
cT un mondo naufrago; lei sedersi eontenta sopra le ceneri 
<f una Sodma divampata, e neW assorbimento famoso di 
Faraone; lei tìi miravi sollecita affaticarsi tn risospingere 
quei volubili monti di acque spumanti nelle teste egiziane: 
lei spcMSMor carri; lei franger aste; lei rùvesdar cornili; 
fei sommerger cavalieri. Osservate ancora quanto giovi 
una grave armonia a dare aria di maestà e di subli- 
mità alla seguente ottava del Tasso, nella quale il poeta 
incomincia a descrivere la rassegna che Buglione eletto 
duce fa de' suoi: 

a 

Tcila dama da gran d^sio compunto 
Vesle le membra dell' onte spoglie, 
E tosto appar dì toUe l'arme In punto. 
Tosto sotto i suoi (luci ogni uom s'accoglie; 
E r ordinalo esercito congiunto 
Tutte le sue bandiere al vento scioglie , 
E nel vessillo imperlale e grande 
La irionfanie Croce al ciel &ì spande. 

Ma quanto giovi l'armonia, o sia ella semplice, o imi- 
tativa, dicemmo a suo luogo ; e solo che voi ritorniate 
la mente al detto, di leggieri coaosoerete quanto ella 
giovi a ciò; ma forse più che V armonia giova una ac- 
corta ed acconcia collocazion di parole, e questo si pa- 
relio chiaramente dagli esempj ohe qui rechiamo, tolti 



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— 184 — 

di peso dal libro deirEloctuioiie di Paoto Costa, sensa di- • 

stenderci più oltre, perchè già anche di questa fu detto, 
abbastanza a suo luogo. Avendo PacuUo/Calav io ialeso 
come il figliuoì soo PeroUa era fersao nel pensiero di 
uccidere Allibale, come già vedesse cogli occhi il san- 
gue del gran Cartaginese, fuor di se per paura si volgo 
al fìgUo, e gli dice ; Per ego to, quomtmque juro, 

los patris facere, et pati omnia infanda velis. « Io te, fi- 
glio, per tutti i vincoli che i figliuoli restringono ai 
genitori, che tu non voglia fare e patire la piti grande 
nefanditii sugli occhi stessi del padre , prego e ti scon- 
giuro; » e poscia: Annibàlem pater filio meo potui pla- 
care: filium Amiihali nonpossumi v Padre, Annibale al 
figliuolo mio potei placare, il figliuolo ad Annibale non 
posso, j» In questo luogo sono anteposte le idee, che 
prime si offrono alla vista dell' animo appassionato di 
Calavio, sicché ultimo venga a recar luce il verbo, al 
quale il discorso si chiude. Nella preposiuone per hai 
eccennato, non «spresso, Tatto del pregare; neW ego, 
la persona che prega ; nel fe, la pregata. Quindi i do- 
veri da fìgliuolo a padre; poi la preghiera e la supplica, 
indi la persona del padre, poi la cagione della preghie- 
ra. Osservate con quant'arte quellMnmòafem domina 
la prima parte del 2° periodo, e con quanta ragione gli 
sussegue pater ; e al pater, fiUo meo; poi ultimi i du^ 
verbi: indi nella seconda parte filium, e quindi quasi 
a contrapposto Annibali, e il verbo a compi mdnto del 
concetto. Prima inCatto nella mente del padre (}ovea sor- 
-gore l'idea della persona cui si voleva dar morte, po- 
scia il pensiero della paterna autoriih, e qudlo d*an 
figlio che non vi si piega. La vicinanza di codesti nomi, 
il naturale contraslo che per essi nella mente si desta, 



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. — 185 — 

la quale è quasi costretta a passare rapidamente a ri- 
flettere dall' una ali* altra persona , danno un non so che 
di sublime e di prepotente al discorso di Calavio, e 
tutta ne mostrano la concitazìon degli affetti. Per egual 
arte si innalza lo stile nel seguente luogo delP^ssavanti. 
Una madre vede venire al giudizio di Dio un figliuolo, 
il quale per amore di santa vita in prima entralo alla 
religione, lei lasciando vedova deserta, poscia abbando- 
nato ai vizj, aveva traviato. Ella gli si fà innanzi cosi; 
Che vuol questo dire, figliuolo mio! Oh se' tu veniUo 
qui cui esser giudicato; tu! Se si dica: figliuolmio, que- 
sto che vuol dire? or tu e€ venuto qui, tu ad eetere giU' 
dietUo? è facile a sentire, ohe V eflSoacia e V eoeellensa 
del dire si dileguano e si pèrdono al tutto, comunque 
restino integri i concetti ; e che ciò avviene per la di- 
versa coliocazìene. Coék pure V altro luifo delio stesso 
scrittore è mirabile.*— Udendo il confessorech'egli aveva 
morti due confessori, disse fra sè medesimo: me non uc- 
ciderai tu; e la forza e la vaghezza tutta dispare sol che 
si dica: tu nm ucciderai me, otume non ueeiderai. Ma 
intomo queste cose basti il detto , perchè la brevilè cbe 
mi sono imposta non permette di stendermi più oltre. 
Nullameno non mi terrò per questo di non recare uniti 
qui appreiso dnque esempli, i quali via meglio fsociano 
sentire come si ottenga la vera sublimiti: Con alti 
concelti. 2° Coli' opportuno governo degli affetti. 3** Con 
belle figure. 4» Per ardita elega&za. 5<» Per elevata cùOh 
posision del periodo. Bene per amore di brevitii mi 
terrò dall' analizzarli, sperando che i giovanetti desi- 
derosi d' apprendere vorranno farne analisi da sè nel 
modo che è stato da noi insegnato e praticato. 



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* 

Ssempio del Sublime oUenulo in Jbfift «lei ^andi ooaeetUi 

Proemio della Congiura di Catilina descritta in latino da Cojo 
Crispo Sallustio, e voltala in italiano da frate Bartolommeo 
da San Concordie, 

• X)mms homines^ qui sese siudeni prtestat^e co^eris 
fli i t i wn itfciify fumine ofe nifi ékcett wum HfeniiQ ne 
tramean^, veluii pecora, quùs natura prona aique ven- 
tri obedientia finxit, Sed nostra omnis vis in animo et 
corpore sUa ut: ankni imperh* corporii teruitio ma- 
gU ttfimnr. AUérum noè» oum Dm, allenm eum tid* 
luis commune est. Quo mìhi rectius esse videtur ingenii 
quai(gi virium opibus gloriam quasrere^ et quQniam vita 
iput • qua firuM^mr^ hrévh cff , mett0riam nostri qwtm 
mamtme hngam efficere, Nam iiHiMamtn. et farmte glo- 
ria fluxa atque fragilis est; virtus darà (elernaque ha- 
betur, Sed diu ^na^nuiti inter mortalis certamen fuUy 
vim corporif » m viHute anim re$ rnUUttm n^h prò- 
emteré$, Nam et, prtus quam Intàpia9, eonmUo; et, ubi 
consuhieris, mature facto opus est. Ita ulrumque per se 
indigens, allerum. alterèm aau;ttìo eyeL l§tiur iniiio re- 
gee inam in ferrh nomen mpem U prmum fuk) éi- 
vern; pan mgenUm^ olii eerpus emteAemt «ftam tum 
vita hoininum sine cupiditate agitabatur ; sua cmque 
saés placebant. Fostea vero quam in Am Cf/nu , m 
Gnema Uttedesm^mk et ÀihemenHs ecepere urbet mlqne 
natiónes subigere, lubidinem dominandi caussam belli 
ìiakere^ maxumam gloriam m maxumo imperio putare; 
tum demum perieulo atque nego&e oomjMrfnm cft, tn 
beilo fìurìmum ingenium posse, Quod H regum atque 
imperatorum animi virtus in pace ita uti in bello va- 



— 187 — 

leret, oBqnMR^u mique eotMmlim $e$é re$ hummHB 

kaberent; neque aliud alio ferri, ncque mutavi ac mir 
sceri omnia cernerei, Aoia imperìum faàle his ariibus 
refinelttf» qnibu$ òntio fortum eU, Verum uU ffo lor 
bore desìdia, prò eontmentàa et ceqmiale lubido alque 
superbia invaserCy fortuna simul cum moribus immuta' 
lur* Ila imperium semper ad optimum quemque a minus 
bono iransferiur. Quas bomìnes arani, navtgant, mdifi- 
cani, vhrluti onmia parenl. Sed multi mortales, dediti 
ventri atque somno^ indocti, incultique vi/am, siculi 
peregrimntu^ Iransegere; qmbiu^ profecto conira na- 
iuram, corpus voluptati^ anima oneri fuiu Eorum ego 
vìlam mortemque juxta cestumo, quoniam de utraque . 
siletur. Verum enim vero is demum mihi vivere atque 
frui anima videtur^ qm aìBquo negotio intenius piteobri 
faeinoris aut artis bonas famam qumrU. Sed tu itM^iia 
copia verum aliud alii natura iter ostendit, Pulchrum 
est bene facere reipublicce: eliam bene dicere haud absur- 
dum est. pace vel bMo ektnm fiori Ucci: ti qui fé- 
eert^ et qui faeta tttorwn seripeere^ m«/lt lauàanHtr: 
Ac mihi quidem^ tametsi haudquaquam par gloria se- 
quaiur scripiorem et auciorem rerum, tamen in primie 
arduum videtur rm gestae seribere: frìmnm^ quod faeea 
^etis sunt excequanda; dehinc , quia plerique , quce de- 
lieta reprehenderis f malivolentia et invidia dieta pu- 
tant: ubi de magna virtuie et gloria bonontm mmorei, 
quw sibi quisque faciWi faetm ptUal, a^uo animo acéb^ 
pit; siipra ea, velati ficta, prò falsis ducit. Sed ego ado- 
lescentulus initio sicuti plerique , studio ad rem]^tldkam 
latuM ftim» ìUquù miftt aimsa madia fisera. Nam prò 
pudore, prò abstìneiuia, prò mrtute^ audacia, largitio, avor 
ritia vigebant. Quce tametsi animus aspernabalur insolens 
malaruni artium, tamen inier tanta vitia imbeciUa eeias 



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— 188 — 

ambilione corrupla tenehatur; ae me cum ah rcliquo- 
rum malìs moribus dissenlirenif nihilo minu» honoris 
cupido eadem, qum easteroi, famm atftte ìmMia vexa- 
bai, Ighut ubi anhnuM ex mulHs miseriis aiqtie pericu- 
li8 requievU, et mihi reliquam celatem a republica prò- 
cui habendam decrevi; non futi eonsitium àecordia atque 
detidia bonùm otàum eoniereré: neque vero agrum eo* 
lendOy QUI venando, servilibus ofjìcus intentum, (vtatem 
agere; sed a quo inceplo studio me ambilio mala deti- 
nuerai^ eodem regressus sHiim rei gestas pojvU romani 
mrpftm, ttf quceque memoria digna videhantur, perseH' 
bere: co niagis quod mifii a xpe , metu , parùbus reipu- 
bliccef animus liber eral. Igilur de Calilince conjuralio' 
ne, quam verissnme poterò , paueìs absolvam. Ifam id 
faànus m prim» ego memorabile exisiumo , scelerìs ai- 
que periculi novilale. Ve cujus hominis moribus panca 
prius explananda iun£» quam initium narrandi faciam. 

e A tutti gli aomini , li quali si brigano di pili va* 
lere che gli altri animali, si conviene con somnio stu- 
dio isforzare che egli non trapassino questa vita io tal 
modo elle di loro, non sia detto elcuno bene; siceome 
diviene delle bestie, le quali la natura ha formate in- 
chinate giù a terra, e ubbidienti al desiderio di lor 
ventre. Ma ogni nostra vertU è posta noli* animo e nel 
corpo: V animo per comandare, il eorpo per servire 
più principalmente usiamo , e usar doverne. uno , 
cioè r animo, con li Dii ; l'altro, cioè il corpo, colle 
bestie avemo comunale. Per la qnat cosa a me piii 
diritto pare per istodio d' ingegno d* animo , 'che di 
forze di corpo, addomandare gloria e cercare onore ; e 
in questo modo, per cagione che la vita è briove , la 
memoria di noi distendere e' rallungare. Perciocchò 



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- 189 — 

gloria e onore di ricchezza e di bellezza è mutevole e 

fragile, la virtù è famosa e tesoro eternale. Ma di que- 
sto lue iuDgo tempo ixa gli uomini grande questione: se 
per forza di corpo o per vertù di animo li fatti caval- 
lereschi più e maggiormente andassono innanzi. Perchè 
anziché si comincino i fatti è mestieri il buono censi- , 
gliamento, e poiché i} consiglio è preso, si è sbrigaiji- 
mente mestieri il fatto : e coà e Fune e V altro, insuf- 
ficiente per sé, Tuno dell* altro ha bisogno. Dunque al 
cominciamento i re, perciocchò in terra questo fuc 
primo nome cU signoria, alcuni di loro studiavano e 
adoperavano in loro e in lor gente lo ingegno, e al- 
cuni altri il corpo. E infino a quel tempo senza avari- 
zia e desiderio vivevano, e le sue cose propie a cia- 
scuno piaceauo e contentavano assai. Ma poiché in 
Asia il re Giro, in Grecia li Lacedemoni e gli AteiMesi 
cominciarono a conquistare e sottomettere cittadì e 
gente; e ad avere cagione di guerra e di battaglia la 
grande voglia del signoreggiare; e a credere che som* 
ma gloria fosse in avere grandissima signoria : allora 
finalmente per pericoli e altri fatti fu trovato e veduto 
che in guerra e in battaglia molto puote e. vale inge- 
gno. £ se la virtù dell'animo de' re e dei signori | co- 
me s' ingegna e si eforza di valere nel tempo delle bri- 
glie, così facesse in tempo di pace, più chetamente e 
più fermamente starebbono gli stati umani: nò non ve- 
dresti altro stato ad altri andare , nè posi mutare nè 
mischiare tutte cose; perciocchò la signorìa agevolmente 
si ritiene con quelle arti per le quali al cominciamento 
fu acquistata. Ma poiché in luogo di affaticare viene la 
pigrizia , e in luogo di contenenza e di drittura ven- 
gono i disordinati desiderj, lussuria e superbia; allora 
la ventura insieme co' costumi si rimuta. £d in questo 



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— 190 — 

modo la signoria va a ciascun ottimo, partendosi dal 
mea buono: e quelle cose che gli altri uomini navigan- 
do, arando, edificando acquistano, alfa virtìi sono tutte 
ubbidienti e soggette. Ma molti uomini dati al ventre, 
al sonno, non savj e non composti, di questa vita tra- 
passarono siccome pellegrini, de^ quali, poiché sono 
partiti, non si cura più. AN|uali uomini centra natura 
il corpo fu a disordinato diletto, e V animo fu a carico: 
e io lor vita e lor morte egualmente giudico e stimo, 
perocché deli' una e deir altra si tace. Ma per vero que- 
gli a me finalmente pare che viva e die delF animo 
goda, che ad alcuna operazione inteso di chiaro e famoso 
fatto, ovvero d'arte buona d'animo, sua nominanza 
va cercando. Ma infra la grande molbitudine delle cose 
la natura dà diverse vie ; e 1* uno é acconcio natural- 
mente ad una cosa, e V altro air altra. Onde bella cosa 
é ben fare alla repubblica , cioè a suo Comune. Eziandio 
ben dire non è laida né vile : ché in pace e in guerra 
puote uomo diventare famoso : e quegli c' hanno fatto, 
e coloro che i lor fatti scrissero, molto sono ragionevol- 
mente lodati. £ avvegnaché non egual gloria si séguiti 
allo scrittore che al fattore delle cose, importante a me 
grande e malagevole cosa pare le cose fatte scrivere : 
prima, perocché come sono sutili fatti, così si conviene 
proseguitare, ed agguagliarli con parole e detti ; appres- 
so, peroceliè molti quelle malfatte cose che tu ripren- 
derai pensano detto per malivoglienza o per invidia : 
laddove di grande virtù e gloria de' buoni parlerai, se 
dirai quelle cose che ciascuno agevolmente creda di 
poter fare le somiglianti, udendole sta per contento; 
ma se dirai sopra a quelle , allora reputa cose composte 
e non vere. Ora io assai garzone, al cominciamento, sic- 
come molti altri fui levato dallo studio, e a* fatti del 



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— 191 — 

Cronrane mèiialo e poslo ; e quivi molte cose mi farono 

contra V animo ; perocché per l' onestà e per gli com- 
posti atti, per la astinenza e per la virtù era disordi- 
nato ardtflMito e allargamento di spendere e di donare y 
e avarìzia : queste cose erano in me, e in me polensa 
aveaoo. Le qu^li cose avvegnaché il mio animo schi- 
vasse e spregiasse I siccome usato e non concorde- 
vole con quelle male arii^ nientemeno la tenera mia età 
corrotta per desiderio d^ onore in quelle era occupata 
e distenuta. £ conciossiacosaché io da' mali costumi 
d'altrui disoordasai e disconsentissi, importante quel 
medesimo desiderio d* onore e di fama, e quella- mede- 
sima invidia, che conturbava gli altri, conturbava e 
occupava me. Però quando V animo mio di molle miserie 
e pericoli riposò, e io mi determinai V altra etade avere 
dilungata da* fatti del Comune, non fti mio intendi^ 
mento il buon tempo del riposo, che io preso avea, di 
guastarlo o consumarlo per negligenza o per pigrizia4 
nè eziandio intendendo a lavorio de' campi , ovvero k 
cacciagione, a uecellagione^passare V età , occupandomi 
in operazione cos\ vile. Anzi allo studio, dal quale, co- 
minciato, m' avea dipartito e ditenuto io disordinato 
desiderio di onore, a quel medesimo io ritornando, dili- 
berai delle storio di Roma scrivere, non per tutto, ma 
per parte, le cose, siccome ciascuna era di memoria 
degna. E tanto più in ciò mi fermai, quanto io potea 
sicuramente dire, sentendomi T animo lil)ero da spe- 
ranza e da paura, le quali due sono come due parti 
ne' fatti del Comune. Adunque della congiurazione, cioè 
del trattamento e del tradimento di Gatellina, tanto 
verissimamente quanto io più potrò , In brievi parole 
riconterò; perciocché quel fatto io stimo e giudico in 
prima ricordevole per novità di gran fallo e di perico- 



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— 192 — 

loso. Dé' cmUxm del qaàle nomò no pooo rteoiHerò , in 
prima che io cominciamento facci di mio dire. » 

Qaantt ailezia di filosofia, quaala ma^fioeosa di 

concetti e di parole non è in questo proemio ! La natura 
dell' uomo e degli umaai reggimenti vi, sono maestre- 
volmente dipiodi eoa |[r«vità che sempre tieiie ai 
sublime» Sentenze poi elevate e piene di Gatonli^na se* 
verità, colla grandezza della mente dello scrittore ti 
mostrano direi quasi in iscorcio la grandezza dell' im- 
perio romano , e ie fondamenta iSuUe qnalt levò tant' alto , 
e più da lungi il principio dèi decadimento e della riiina. 
Luogo più sublime per potenti concetti forse indarno 
si oerca fuor di Sallustio, il quale in questo genere di 
compressa e sentensiosa sublimili forse va innansi ad 
ogni altro scrittore latino. Del volgarizzamento non par- 
lerò, e mi basti dire ohe rado ci perde col testo, e se 
non lo avansa ci va sovente del pari* 

* ^ • 

Ssempìo del Sublime otkei|uto in forza dell' afieito» 

Proemio del libro VI delle Istiluiioni di Quinltliano, in cui de- 
plora la perdila dell'unico figliuolo che gli era rittmto» 

Filium , cujus, prfcter Marcelli sui et Coesaris ipsius 
in hoc opere conficiendo, utilitatem respexisset, mòrte 
interceptam esse dolet. 

Hoec, Marcelle Ficfori, eo? fmi volunttiie masàme 

ingrcssus, lurti si qua ex nobis ad juvenes bonos perve- 
nire possei ulilitaS t novissime pene eliam neauàiUUe quor 
dam offieii delegali mìftt, eedulo Morabam^: reij^em» 
tamen illam curam meco volupiaiis, qui filìo^ cujus emt- 
nens ingemum soUicUam quoque parenùs dU'^enliaiu 



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— 108 — 

■wrghiiiir» ìum oftìmtm frnim tMctwm kmNiiimii$ 
vUèlmrf «1, fi m§, quad mquum et opèMU fttU^ fata 
inlercepusent f prceceplore tamen patre uteretur. Al me 
forlum id agentem diebus ac noctibuSf fulinaiUemque 
Mcm mem m&rtaUkUUf Um jiiMio prMmwUf mt làbih 
rt$ mèi frwcHMM nd mmnm mimis, qu/am ùd me, perH' 
nerel. lllum enim, de quo summa conceperam, et in quo 
$pmi unicam ienectutis mete repombamf repeiila «tii- 
mre atUMh amim» Qmd .mme afiinf M ^uem ullra 
em$ Mnm itier, diii reprebanàlmi, credami Wam tic 
forte accidit, ut eum quoque librum, quern de caussis 
corrupte eloquenii» emUi^ .jam ecrìbere e^ggremu^ »- 
scm ferirer. Tmw igkuir oftìmmm fmi^ imfexMm 
opus, et quidqu'td hoc est in me infelicium literarunif su- 
per immaiwrum funue eoneumpturis viscera mea flammis 
hgkeret neqm lume Imfiam vtmiMMi nmdt inn^fer 
curii feà^e. Qme emm mttl fcmM parali ìgmeeiU: 
sì studere amplius possum? ac non oderit hanc animi 
mei firmiuuem, <i qme inme eH alÀns imiu vocis ^ quam 
«I meàeem dece, emperetee cmmbm mccrtmf nuUam 
'terfQé deipieere proviffMttiiiii iMerf #i mmo auu, 
età taìnen nihil objici^ msi quod vivam, potest: at ilio- 
rum certe^, quot utique mmeritoe more acerba damna- 
vk: creplm mtftt firiiit eorumdem mairCf qmm imdum 
expleto ostatte nndemteàme anm duo$ enixa fHìos, quam- 
vis Qcerbìssimis rapta folti j feìix decessit. Ego vel hoc 
mo malo sic eram agUeim^ ta me jam nuUa fmrtma 
poaet effkere fdieem. Num eum cmd Mrlaite, qiug m 
feminas cadit, functa imanabilem attulit marito dola» 
rem: tum astate ea paellari^ prasserlàm mece comparata, 
paieel el ipea munerari-nUer vulnera- wMkak: ei, quod 
nefae erai, wm {eed c pla ha i ipsa), -tiM-Mbo» fiMuriiiias 
cruciatus prascipiti via effugit. Liberis tamen supentiti- 

i3 



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104 — 

bus obUcéakmr^ MUà fUim wàmr ^m t i tm egnmm m- 
tttim, ni m ntiBr ager&m^ frìùr tkenm tr Amokiu ttmi 

lumen. Non sum ambiliostis in malis, nec augere lacry» 
marum caunas, volo: ulmamque esset rano mmuendL 
Sed di$iimulwrt qm poMicm, quid iUi yaiim m mAm» 
qmd jucirncKlAlit In $armone, quoi ingeàn ègmmihit 
quam prwslanliam placidce, el (quod scio vìx posse credi 
lanlum) alice menù$ oUenderei? qualis amorem qukum' 
qu€ ofiefiNt imfan$ merenimt. JUmi vmto iitriiiianlti» qm 
me voMìm eruótaret, forhOHB fuii, ut iUe mUà Man- 
dissimus, me suis nutricibus^ me avias educanti, me om- 
4Ùbu$, qui BoUUUne' soUu iUoi wlaUÈf mUeferreL Qmar 
propier UH dohri, quem ^» maire <iplmMi, aiqu» kiadè» 
4)mnem supergressa, pauco» ante menses coeperam, gra- 
tular, Mirxui enim est, quod fiendum meo nomine, quam 
qMod tUitft gamdmd$m eti. Una peti h&ge OìàtUàtUmi 
-mei spe oc viÀnpimte «tleior ; d poserai sufficere «oblio. 
JVon enim flosculos, sicut prior , sed jam decimum aslatis 
ingrmui anuum^ ccrioi alqua deformaioi frucius ostm- 
deroL Jiiffli p$t. mala nm^ per mfeliaam eaMdoiliam« 
pet iUoB manes, mnnùna doloftt m«t, km wu m ìBo 9h 
disse virtutes ingenti ^ non modo ad percipiendas disci- 
plinai, quo mhU pnetiauéiuB cogmm, pbuima expaum^ 
fl urfì if u e jwn .uam nm ùimed {sdimi prmtplorer), «erf 
prohilalis, pielalis, humanitatis, lìberalìlalis , ut pror- 
sus posaii hinc esse tanti fulmmis melus, quod obierva- 
imm fera atkrìm oaàden fiuHnakun mamrkatm: 
et t$n nemm quam, qum spm UuUai daeerpat , hvUimn: 
ne videlicei ultra, quam homini dalum est, nostra prn- 
vehantur. Eliam iUa foriuita uderaM omma, vocìi jii- 
etmdiiM dmiiAffiie, ora amviuta, of tu àir^temmqm 
lingua, iamqmm ud mm 'émmm mim enei, esFpm m 
proprielas omnium Ulerarum, Sed ìuec spei adkut:: iUa 



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— 195 — 

WHjcn, emutminmt j^istrifot » eonfra dobrc» arim» 
nuiuB rohtr, Màm fu^ iib ammo, qua miikorum atf- 

miratione, mensìum odo valeludinein tulli ? ut me in 
supremii consokuus est ? qum etìam deficit » jamque 
non noiteTj iptum Uhm atìenaue mentis enorem àrea 
solai litteras hahuit f Tuotne erjo^ o mete spes inanes, 
kifenèes oculos, luiim fugienlem spirilum vidi? Tuum 
eorpm frigidim exangue compkxus^ ommt^m redpgrei 
amramqm oomnmnm hmrke ampHw potiti? ^^im 
ftif omciaffòtif, qme fero, diqnm ine eogilationilms. 
Tene consulari nuper adoplione ad omnium . $pes /ioao* 
rum pairis aémoUmf ie .avuneulo praséori generumish 
etìnatum^ ie omnmm epe nitìeee deq^untke eendiiatumf 
supersles parens larìiiim ad poenas, amisi? El, si non 
cupido lucis, cerU patienlia vindUcei le r^liqua ceta" 
te* Ifam fruom moto omma ai erìemi forumae rdegn* 
mne. Nemo, nid enm enlpa, din. doki. Sei viemmSf et 
aliqua vivendi ratio qucerenda est: credendumque doc- 
tissimis hominibus , qui unicum advenortm soUnium 
Ikteras'pwemferunt. Si quamde tnmen itn retederit- prte- 
tene ìmpetue^ ut aUqua tot luelèhm nUa «olimpo éneerì 
possity non ìnjuste petierim marce veniam, Quis enim 
dilaia studia miretur^ quee palius non abrnpta esse mi* 
ranésM est ? Tum^ si fsa nmiif fuerint ^fsekt tir, qmes 
levitis adfiuc afflicli cosperamus^ imperitice aut fortunw 
remittaniur: quce^ si quid me^^oerium aUoqui in nostro 
ingenìo tMum fms^ ut non erlmMrti, debuttanti fa- 
iiMii. Sed vsl propter hoe noe eensuntadus erigstmuSf 
fuod Ulum ut perferre nobis dijjiciie est , ita facile con- 
temnere. Nihil enim M advereus me reUqmi, etf infe- 
Beem quidem^ sed e&ttissimmn uesun^ aitedèt mshi e» 
hit malh secufttatem. Ami unum esmmdm noetrum 
laborem vel propter hoc <equum est, quod in nuUum jam 



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— 196 — 

pr&pfhm man» perMeramut , ud mMiit km emm mà 

alienas uiHiiatei {si modo qiM «fiie ffrlMmiu) speeiau 
No8 miseri^ ikut facuUaiis patrìmonii nostri^ ita hoc 
opu$ QÌHt prmpaitabammf alm nUqumUi. 

c Dopo avere iatrapresa quest' opera specialmente 
per secondare il tuo genio, Marcello Vittorio, ed anche 
per fare ai giovani dabbene quel giovamento cèe io 
potessi, ultimamente veggendomi anche in certo modo 
necessitato dal carico impostomi, m'affaticava attorno 
ad esM con applicazione, non perdendo però di vista 
quel pensiero eb© era V oggetto del mio piacere, Ab 
slimava che la miglior parte dell' eredità che al mio 
fìglittolo (il cui eminente ingegno meritava anche la sol- 
lecita attensione del padre) potessi lasciare, ftaae 'que- 
sta , che se la morte , come etato sarebbe giusto e desi- 
derabile per me , m' avesse sorpreso , ei non lasciasse 
d* aver ancor per maestro il suo padre. 

» Ma, mentreobè a CIÒ io attendea gionio e notte, 
ed affretta vami per timore d' essere còlto dalla morte, 
la fortuna m'ha d'improvviso talmente diserto, che il 
frutto della mia fatica a niuno può toccar meno che a 
me. Pereiocilièi raddof)f>iaodo8i, la ferita dMl'«rbi4k, 
quel figliuolo perdetti, di cui concetta avea altissima 
idea, e in cui l' unica speranza di mia vecchiezza rìpo- 
nea. Che cosa ora farò? o a obe crederi io d'esser buono 
d* or innanu, poiché gli Dei mi riprovano? . ..^ 

» Imperocché anche quando presi a con^porre il 
libro che diedi in luce sopra le cagioni della corruzione 
Ml'^hquemn, per mala ventura accadde d' essere 
d' ua colpo simile a questo percoiso. Allora dunque 
sarebbe stato meglio che avessi nelle i\amme di quel 



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— 197 — 

rogQf acceso sì iircinaliifanente per cónèumare le vi^ 
soere mie, gettata qaeUMalaoflta opera, é tutta questa 

sventurata letteratura ch'io possa avere /senza affati- 
care ancora eoa novelle cure quest' empia lunghezza 
di yita. Perciocché qua! buon |>adre potrà perdonarmi, 
ae ho II coraggio d^ occuparmi ancor nello studio? e non 
detesterà la fermezza dell' animo mio , se io fo altro uso 
della mia voce che per lagnarmi degli Dei che m' han 
fallo sopravvivere^ a tutti i miei, e per dioinarare che 
non e' è Provvidenza che vegli §ul1e cose di quaggiù? 
se non per la mia sventura, cui non si può però rin- 
facciar altro, se non che duro ancor in vita ; almeno 
per ia sventura di quelli che contro ogni merito loro 
m'ha acerba morte involati; essendomi prima stata 
rapita la lor madre, la quale dopo aver messi al mondo 
due figliuoli, non avendo ancora diciannove anni com- 
piuti, bencfaò da morte acerbissmia rapita, partì però 
avventurata da questa vita , e , cfé che era ingiusto , cru- 
dele (ma il bramava ella stessa) per aver lasciato me 
in vita , a grandissimi tormenti per precipitosa via si 
sottrasse. Io per questo infortunio anche solo era'rimaso 
talmente afflitto , che ninna ventura mi potea più render 
felice. Perciocché , oltreché per aver praticata ogni virtCì 
che a femmina si conviene, un inconsolabile dolore ca- 
gionò al marito ; per emre morta in una etè sì fandnl- 
lesca, specialmente in paragone della mia, si può no- 
verar anch' essa tra le trafitture che cagiona il rimaner 
privo de* figliuoli. 

» Io nondimeno mi oonsoiava co' figliuoli che erano 
dopo lei rimasi. Il figlio minore, dopo avere compiuti 
cinque anni, acciocché continuassi a vivere tra le di- 
sgrazie, fu il primo a cavarmi 1* uno dèi due occhi, lo 
non sono ambiziosor nelle sciagmre, uè voglio le cagioni 



I 



— 1QS — 

aeereicere del lagrioiaro (piaoeflfle afisi al cMoche oi 
fMBeiBodo di^diminulrle); ma come dissìiDalar .potao 

qual grazia egli avesse nel sembiante , qual gentilezza 
nel parlare, quai faville ingegno mostrasse, e quale 
ecoeìleiìta di oa* ankoa tranquilla, e (ciò ohe so eteoe 
appena credibile in una tal etè) df uti* anima elèvala? 
un tal fanciullo, di qualunque altro fosse stato, sarebbe 
slato degno d' amore. 

» Ma lift tratta dairifiisidiatrioe fortuDay per tormen- 
tarmi più crudamente , fu , ch'egli mostrandosi pili ca- 
rezzante con me che con ogni altro, me alle sue nutri- 
ci, me air avola cbe avea cura di lui, me a tutte le per- 
sone che colle careisaalletlar sogliono queir età, prefe- 
riva. Per la qual cosa quel dolore ringrazio, che pochi 
mesi avanti ebbi a provare per la morte della sua ottima 
madre, e che lodar non si può quanto merita: percioc- 
ché meno c'ò da piangere per rigumlo alio y di qilel ohe 
ci sia da rallegrarsi per riguardo suo. f. 

» Restavami dopo queste sciagure il mio Quintilia- 
no ^ oh' era tutta la mia speranza e T unica mia delizia; 
e veramente ei pdtea biuitare peMuia-coBaoheione* Im-* 
perciocché non fiori, slocoree il primo, ma 'entrato già 
nell'anno decimo dell' età sua, mostrava frutti formati, 
dei quali era sicura la rapcolta. Giuro per le mie scia- 
gure, pel d(riorosQ.te8timomodi mia coscieitaa,. per quei 
Mani che sono gV idoli del mio dolore, d' aver veduto in 
lui tali virtù d' ingegno, non solamente per apprendere 
le scienze, del quale non ne conobbi alcono più eccel- 
lente con. tutta l'euperieflUa che 'ho, edlstudie sin al- 
lora non isforzato (i suoi maestri il sanno], ma di pro- 
bità, di rispetto, d' umanità, di cortesia, che certamente 
^'può per quesU^-temere un A- gran colpo di fulmine, 
chè'siikoiidiaarìaraciijte-'esaervatfifehe tutto oii che ^u- 



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glie si presto a maturità, più presto finisce; e che regna 
una segreta invidia la qurie portasi yia si belle speran- 
se, per impedire appunto che le nostre cose non si sol- 
levino al di sopra dei confini che all' uomo sono prescrit- 
ti» £gii avea altresì tutti i vantaggi che dà il caso, un 
SQono di Tooe piacevole e chiaro, una flsonomia amabi- 
le, e in quel delle dite lingue tu vuoi, un pronunziare 
scolpito di tutte le lettere, come se nato fosse unica- 
mente per quella. 

» Ma queste non erane ancora se non preparasioai 
per r avvenire: erano ben più rilevanti le>ae virtù 
della costanza, della gravith, e della fortezza eziandio 
con cui stavasi saldo centro i timori ed i dolori. Peroc- 
ché, oh oen q«al coraggio, con quale stupore de' medici 
sopportò egli una malattia di otto mesi ! oh come negli 
ultimi momenti di sua vita mi consolò egli stesso ! oh 
cerne anche in sul mancare, e, non essmido ornai più di 
questo monde, in quelle stesso vaaeggier die iacea , avea 
sempre la mente occupata soltanto negli sliidjl Ho io dun^ 
que (o mie vane speranze !) veduto venir mono i tuoi oc- 
chi, e il tuo spirito Aiggire? Tenendo tra le mie braccia 
il tuo fredde corpo esangue, ho potuto ancora ripigliar 
fiato e respirar la comune aura vitale? merito io bene 
questi tormenti che soffro, merito ben questi tristi pen- 
sieri, le dunque, che per essere poc' anzi stato da un 
console adottato, potevi sperar di succedere e tutti gli 
onori del padre; te, che eri già da un pretore tuo ma- 
terno zio per suo genero destinato, te, che tutti spera- 
' vano di vedere aspirare al vanto dell' attica dcquenea, 
ho io perduto; ó padre sopravvivo a te solamente pér 
patire? E se non ti vendica il niun desiderio che ho di 
vivere, ti vendicherei almeno la miseria che soffrirò nel 
restante di mia vita; percioochò invano noi imputiamo 



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- 200 — 

tutti i raali alla fortuna. Niuno è lungamente inOelice , 
se non per sua colpa. 

» ila noi vìviamo, ed èjùene ohe qoalohe oocupa- 
zione cerchiamo in cui impiegare la vita: e convien cre- 
dere ai più dotti uomini che hanno riguardate le lettere 
come l'imioo sollievo nelle avversità. Se mai però il do- 
lore che al presente m'opprime, in modo si oalmer^, 
che fra tante afflizioni possa aver luogo qualche altro 
pensiero, non senza ragione domanderò perdono del mio 
ritardo. Di fatto obi si stupirà che sieoo siali differiti 
gli siodj, i quali è anzi da stupirsi cbe siali non sieno 
interamente abbandonati? Inoltre se qualche cosa sarà 
meno compiuta di quelle che avevam cominciato, quando 
eravamo ancor meno afflitti, se ne dia la colpa alla mia 
insufficiensa, o alla mia rea fortuna; la quale se io 
avea per avventura un ingegno punto capace a qual- 
che cosa, benché non V abbia spento, l' ha però indebo- 
lito. Ma alnoten per questo riflesso, facciamo! piùoali* 
natamente coraggio, che, siccome ci riesce diflieile il 
sopportarla, così ne è facile il dispreizarla, perciocché 
ella non si ha lasciata cosa con cui nuocermi ancora, e 
ha dopo questi mali recala un' inCaliee si, ma porò 
certissima sicurezza. 

» Del resto son sicuro che in buona parte sarà presa 
la mia fatica, almeno per questo rispetto, che non la 
proseguiamo più per alcun nostro interesse particola- 
re; ma tutta questa cura, come utile agli estranei (se 
• pure è punto utile ciò che scriviamo) , è tutta per gli 
estranei. Noi meschini, siccome le facoltà del nostro pa- 
trimonio, cosi quest' opera abbiamo preparalo per §^i 
unì, e lasceremo tutto agli altri. » 

a 

{VolgarùunmmUo di Jacopo Gùriglio.) 



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— MI — 

Luogo più eloquente e più delicato di queslo non 
ho mémoria d' avere lelto mai. Un padre che perduta 
la moglie e Futi fi^iuolo ai dh lutto alla cura delFunioo 
che gli avanza, e in che tutte ha riposte le speranze 
sue; che sul meglio sei vede rapire, e tornar vane le 
sue fatidie: un padre ohe sulla tomba dell'amor suo 
perduto depone le sudale fatiche della sua mente , e la* 
montando la trista sua fortuna quasi cerca rincuorarsi 
riandando tutte ad una ad una le sue miserie^ non può 
parlare pih teneramente , più lagrimevolmente di quello 
che qui fa Quintiliano. Osservisi quanto sono naturali 
i concetti, come spontaneo e naturalissimo l'uso delle 
figure. A me sembra che a dimostrare V affettuosa su- 
blimità di questo luogo non faccia di mestieri usarvi 
V analisi; ma interrogare il proprio cuore. E s'io al cuor 
mio mi appello, ne sento tutta la pietà e la bellezza che 
lo rende sublime; nè dubito che vi sia persona sk sel- 
vaggia e dura ohe noi aenta con me. 

La traduzione è facile , piana , fedele , ma forse meno 
affettuosa, perchè alquanto fredda. Tuttavia ha di bei 
pregi nella sua elegante semplicità. 

Xfmnpio d*l Soblame otteooio per !• ISgore* 

Siordio e propoifstofié della predica del padre Paolo Segneri 

eoniro la nuda Politica. * 

Expedit ni OBMt morìatur homo prò popolo. 

JOKAM., 11. ÓO. 

E fìa dunque spediente a Gerusalemme che Cristo 
muoia? Oh folli ocmsi^il Oh frenetiei consiglieri l Al- 

* n Golonbo nella seeoadi dille tee taioM Mito ito^^ dé «se 
eolla Amila dice mi di qveilo etordk: c Qui voi fedete adope- 
» fate e l'iatanogaiioDe, e Teielamiilone» e Ismatafoit» e la si* 



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— 202 — 

lora io voglio che voi torniate a parlarmi, quando, co- 
perte tutte le vostre campagiìe d' arme e d' armati, ve- 
drate V aquile romaDe far nido d' inioraó alla voalre 
ramra, ad appena quivi posate- agusiar gli arligU ed av« 
ventarsi alla preda : quando udirete alto rimbombo di 
tamburi e di trombe, orrendi ficchi di frombole e di $ae^-. 
te^ oanfiiaa grida di iariii e di moriboodi^ allora io vo* 
glie ohe aappiaie ri^KMidere, se ^ -aapedienie. BaopédU? 
E oserete dir expedit^ allora quando voi mirerete correre 
il sangue a rivi ed alzarsi Ja strage a monti? Quando ro- 
vinasi vi BiaiiebBraano sotto i piè gli editisg? Quando 
svenato vi.laDgenranDO ìnnansi agli occhi le spose? 
Quando, ovunque volgiate stupido il guardo, vi scor- 
gerete imperversare la crudeltè» signoreggiare il furo- 
re, regnar la morte? ahi non dittano, gik $agfedit, 
que* bambini die saran pascolo alle lor madri affamate: 
noi diranno quei giovani che andranno a trenta per soldo 
venduti schiavi : noi diranno quei vecoh* che pende^ 

» necdocbe, e ripotiposi, e V enunusmione, e la ripelizioDe: voi 
» le vedete succedersi i' una air altra , anzi intrecciarsi e mesco- 
» larsi , e non formar più tulle insieme se non una sola figura. 
» Questo linguaggio sì straordinario non dee dall'oratore tenersi 
)> fuor che nel colmo dell'entusiasmo, quando la fantasia somma- 
» mente agitata dalla viva apprensione di casi gravi, funesti, alro- 
)> ci, compassionevoli, lo coinmove al maggior segno, eccita in lui 
» le più gagliarde passioni , e lo ir;ie quasi fuori di se. Il parlare a 
>) questa foggia in altre occasioni, demenza sarebbe, non arte, lo 
» non mi saprei dove rinvenire in alcun altro de' nostri oratori un 
» tratto di eloquenza sì pien di calore e d' iuìpeto e di energia, e 
» condotto con tanto e così Ono artilizio: e ad ogni modo non ose- 
» rei proporlovi siccome cosa da invaghirvene e lenlar d'imitare. 
» Le commozioni , che destansi con arti di tal falla, soglion esser 
» grandi, ma passeggiera: e li finé principale deiroralore deV es- 
>iKT quello di lasciare negUaniaii dagli «dilori «m4 imafaisiool 



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ranno a cinquecento per giorno oonfiUi in croce. Eh, 
obo non «cqMitt, infelioi; no^ cba non escpeiU. Noa ex- 
pedU uè al sanluario che rimarrà proCnial» da abboni* 

ne voli laidezze, nè al tempio che cadrh divampato da 
formidabile incendio, nè ali' aitare dove uomini e donne 
si scanneranno in cambio di agnelli e di tori. Non ex- 
pedit alla Prdbatica , che vuoterassi d* acqua per correr 
sangue: non eocpedit all' Olivete, che diserterassi di tron- 
chi per apprestare patiboli: non expedii al sacerdozio, 
che perderà T autorità ; non al regno, ohe perderà la 
giurisdizione ; non agft oracoli, che perderan la favella; 
non a' profeti, che perderan le rivelazioni ; non alla leg- ' 
gè» che qua! esangue- cadavere rimarrà sanità spirilo, 
aensa forza t senza seguilo, senaa onore, seiuia comanr 
do; nè potrà vantar più i suoi riti, nè potrà più salvare 
i suoi professori. Mercecchè Dio vive in cielo, alBne di 
ornare e confondere tutti quelli i quali più credono 
ad una maliziosa ragion di stato, che a tutte le ragiom 
sincere della giustizia ; ed indi vude con memorabile 
esempio far manifesto, che non est sapientia, non est 
prudentia, non est coìisilitm cantra Domiaum, (Prov., 84, 
30.) Ecco: fu risoluto di uccider Cristo, pen^ i Bo- 
mani non diventasser padroni di Gerosolima ; e diven- 
tarono i Romani padroni di Gerosolima , perchè fu riso- 
luto di uccider Cristo. Tanto è facile al Cielo di trasfor^ 
mare questi malvagi consigli, e mostrare come quella 
politica che si fonda non ne' dettami delF onestà, ma 
nelle suggestioni dell' interesse, è un' arie, quanto per- 
versa, altrettanto inutile ; e ;la quale anzi, in cambio di 
stabilire i principati, gli estermina ; in cami})ÌQ di arric* 
chir le famiglie, le impoverisce; in cambio di felicitare 
r uomo, ii distrugge. Questa rilevantissima verità vo- 
gl'io per tanto questa mattina studiarmi di far palese 



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per pubblico beneficio, provaado che noa è mai utile 
quello^ che non è onesto ; onde nessnnò si dra follemente 
a credere, cbo per eméte felice gior! eséer empio. 

(Predica XXXllI.) 

Zsemplo del Sublime ottenuto da ardita eloquensa» 

M C$p. 4$ idie Frrertà ooalMa 

« Eudossia per non aTcre chi alla sua ambizione 
e cnpldtlè tenesse la brìglia corta, ciò che feceva Cri- 
sostomo, vinta r innocenza con la forza, il ricacciò per 
mano altrui di Costantinopoli in esìlio. Partissene egli 
per non averd mai piti a tornar vivo, e portò seco il 
cnere e^l' allegrezsa di tntti, che senza lui, come privi 
del sole, in una densa malinconia rimasero. Sola F ere- 
sia d'Ario, sola T invidia degli empj si vide far festa, 
mentre la religione, e con essa il coro di tutte le virtti 
inconsolabilmente piangevano. Dove egli passava, a 
guisa d' un fiume in cui corrono a mettere tutti i rivi 
delle acque dintorno, venivano a lu ipopoli intieri a 
vedere quel secondo Paolo incatenato, quel gran mira- . 
colo dell'Oriente, e a baciar le sue catene, e a conso- 
lare con un comune compianto le sue miserie. Benché 
anzi egli era quegli che consolava tutti, e, nel pubblico 
dolore allegro, andava più in trionfo che in bando. Fra 
gli altri che per sua cagione acerbamente si dolsero, fu 
un santo vescovo per nome Ciriaco, che obbligato alla 
cura della sua gre^a, né potendo partirsene, gli mandò 
in una lettera il cuore: e vi si vedeano più le cancella- 
ture delle lagrime che i caratteri dell' inchiostro. Cri- 
sostomo, impetrata ad una mano la libertà delle sue 
catene, consolò lo afflittissimo amico con una risposta 
di questo tenore. 



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- CUriaoo, questa è la prìma Tolta, ohe io posso do* 
' lomi dt Toi, mentre veggo che voi tanto vi dolete per 

me, e senza volerlo amareggiate le mie allegrezze col 
vostro pianto I e intorbidate il mio sereno coi vostro do- 
lore. L* amore che mi portate mostrar che non mi ama-» 
te: altrimeatt non vi dorreste di' veAermi rapito da un 
turbine che mi solleva , e porla per la strada d' Elia al 
cielo. Voi cominciate ora a lagnarvi del mio esilio, ma 
io tanto tempo è che lo piangOi quanti anni sono cdie 
io vivo. Dacché seppi òhé il cielo è la mia patria, lo 
chiamai sempre tutta la terra un esilio, e dovunque mi 
fossi , mi tenni per isbandito. Tanto è lontano dal Pa- 
radiso Costantinopoli d'onde mi cacciano, quanto il de- 
serto dove mi mandano. Io non ho avuto mai il piè 
stabile sopra la terra , perchè non ho mai trovato nulla 
di stabile in terra. Quindi, come chi sta sotto le rovi- 
ne, e sopra i precipisj, son sempre ito fuggendo, e cer- 
cando in tanti pericoK sioureiza. Mi cacciano di Costan- 
tinopoli: oh! mi cacciassero di tutta la terra: mi 
cacciassero da me stesso: perchè temo ancora me stes- 
so; e il mio spirito da queste roviuose membra, da cui 
rimarrà con la morte oppresso, vorrebbe una volta 
fuggirsi. Voi ancora temete che neir esilio m' uccidano. 
Ciriaco, voi temete ohe ad un fuggitivo ^pran le porte, 
e diano la liberth. Che mi faranno? Mi crocifiggeranno? 
Ed io su la scala d' una croce salirò in due passi al 
cielo. M' abbrucieranno? Volerò su l'ali di quelle fiam- 
me alla mia sfera. affogheranno in mare? Troverò 
in quelle acque il mio porto. Mi gitteranno alle fiere? 
Quanto maggiori mi faranno gli squarci , tanto più 
. ampie mi apriranno le porte alio spirito bramoso di li- 



bertò. Mi troncheranno la testa? Toglieranno te un sol 

colpo la testa a tutti i miei nemici, che ho dentro me 
slesao. Povertà che mi spoglia, infermità che mi tor- 
neata, disdnor oba mMnfiiinai afilisioiii ehe iii o)iprt« 
mono, tutti questi miei nemiei morranno con me, ed io 
morrò ad essi , ma non con essi. A mille naufragj un 
porto, a mille nodi un taglio, a milie ceppi uoa chia- 
ve, A mille laberinti un filo, a mille morti iia sol ri- 
medio: per non mai piti morire,* morire una voha. In 
fine consolatevi meco, e rallegratevi, in vedendo, che 
obi tanti anni ha che fugge dal mondo, ha dietro, con 
nome di ecUati^^veemeotiesimi aiimulaton die ^i al^ 
frettaoo il passo , perobè più presto giunga- eolà , d'onde 
altra pena maggiore egli non prova che vedersi lon- 
tano. » 

• ■ 

Io credo che a mostrare come si sublimano le 
scritture per ardita eleganza niun altro luogo classico 
giovi. piti di questo. Che enfasi^ che intreccio di figo- 
re, ohe fona d'aiitilesi e di gìradaskme ! I modir sono 
non solo esprimenti , ma calzanti , ecolpiti , e di tanta 
eiScacia sul T animo, che non è lettore sì freddo che al 
leggere.queala leiiiera non 61 soaldie non s'infiammi^ 
Vogliamo però av.Ya9titi i giovani che ee il sublime ehe 
si ottiene per arditezza d' eleganza è di molto potente 
a rapire gli animi e ad infiammarli, è però di 4UoUo pe- 
ricoloso, e sovente chi ne va in traccia oi cade prima 
d'ottenerlo.. 



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— 207 — 

Ma&mpiù del SubUmo olteanlo per elavala «oniponiSoM 

il. Giovanni della Cnta ntlV esordio della prima ora%ifMe 

a Carlo V imperalore. 

« Siccome noi:Yflggt«n)o interveuire alcuna volU; 
Saora Maaiià^ ohe quando o conetai o alira nuova 
loee è' apparita aril'aria, U più delle feiUi rivolte al 

cielo mirano colà dove quel maraviglioso lume risplen- 
de, così avviene ora del vostro splendore e di voi; per* 
oiooefaè laiU uomini ed ogtii popolo, e oiascona parte 
deUa terra risguardft vorao di voi solo. Nè eroda Vostra 
Maeslh, che i presenti Grecie noi Italiani ed alcune al- 
tre nazioni dopo lauti e tanti secoli si vantino ancora 
e si raUegriao della momorìa de' vidorosi autiohi pria- 
-cipl loro; ed alibiamo ift faooea pur Dario e Ciro e Serse 
e Milziade e Pericle e Filippo e Pietro ed Alessandro e 
Maroeiie e Scipione e Mario e Cesare e Catone e Metel- 
lo; e qiaesta etk non a gforìi e non sì dia.vauto di aver 
voi vivo e presente: arn» se ne esalta, e vìvene lieta e 
superba. Per la qual cosa io son certissimo, che essendo 
Voi locato in &ì alta e sì riguardevole parte, ottima- 
mente ooómoete, ohe al irostro aliissino grado m oon- 
viene ohe ciascun vostro pensiero ed ogni vostra azione 
sfa non solamente legìttima e buona, ma insieme an- 
cora lodabile e generosa; e che ciò che procede da voi, 
-sia non eoiament» lecito e eenoednto, ed approvato, ma 
magnanimo insieme, e commendato, ed ammirato. 
Conciossiachè la vostra vita, e i vostri costumi, e le 
vostre maniere, e tatti i vostri preteriti e presenti latti 
siano non aolamenle atleai e mnaii, ma ancora rac- 
colti e scritti e diffusamente narrati da molti; sicché 
non gli uomini soli di questo secolo, ma quelli che na- 



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— 208 — 

, sceraniao dopo noi, e qaelli che saranno nelle fatare 

età e nella lunghezza e neir eternità del tempo avveni- 
re, udiranno le opere vostre e tutte ad una ad una le 
$aperanno; e, come io spero, le approveranno tutte 
siccome dritte e pura e chiare e grandi e meraviglio- 
se: e quanto il valore e la virtù fìa cara agli uomini 
ed in prezzo, tanto fìa il nome di Vostra Maestà som- 
mamente lodato e venerato» Vera cosa è, <te malti sono 
i quali non lodano cotA pienamente, ch'ella ritenga Pia- 
cenza, come essi sono costretti di commendare ogni 
cosa che infioo a quel dì era stata fatta da voi. £ 
quantunque assai diiaro indiiio possa essm a deaciuio 
che quest'opera è giusta , poicM ella h vostra, e da voi 
operata; nondimeno, perocché ella nella sua apparen- 
za, e quasi nella corteccia di inori non si conià colle 
altre vostre asiani, molti sono coloro, che non la rico- 
noscono e non l'accettano per vostro fatto ; non contenti 
che ciò che ha da voi origine si possa a buona equità 
difendere, ma desiderosi ohe ogni vostra operaaione si 
convenga a forca lodare. E veramente se io non sono 
ingannato, coloro che così gtiidicano, quantunque eglino 
forse in ciò si dipartano dalia ragione, nondimeno lar- 
gamente meritano per dano da Vostra Maestà, permoc- 
chè se essi attendono e ricercano da lei, e fra le ric- 
chezze della sua chiarissima gloria, oro finissimo e 
senza mistura; ed ogni altra materia, quantunque no- 
bile e preziosa, riiotano da voi; 1a colpa è pure di Vo- 
stra Biaestà, che avete avveasi ed abituati gli animi 
nostri a pura e fina magnanimità per sì lungo e si con- 
tinuo spazio. Perocché se quello che si accetterebbe da 
altri per buono e per fe|^ltiao, ^ voi si .xifiuia; e 
non come non buono, ma cene non vostro; e non co- 
me scarso, ma come non viuìtaggiato non si riceve; e 



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— 209 — 

perchè voi lo scambiate, vi si rende: ciò non si dee at- 
tribuire a biasimo de' presenti vostri fatti, ma è laude 
delle vostre preterite asioni. £ quantunque V aver Vo- 
stra Maestà, non dico tolta, ma accettata Piacenza, si 
debba forse in sè approvare; nondimeno, perciocché 
questo fatto verso di voi, e con altre chiarissime opere 
comparato, per rispetto a quelle molto men riluce, e 
molto men risplende, esso non è da' servidori di vostra 
Maestà, come io dissi, volentier ricevuto, nè lietamente 
collocato nel patrimonio delle vostre divine laudi. £ ve- 
ramente egli pare da temer forse che questo atto possa 
recare al nome di Vostra Maestà, se non tenebre, al- 
meno alcuna ombra , per molte ragioni: le quali io 
priego Vostra Maesthi che le piaccia di udire da me di- 
ligentemente , non mirando quale io sono^ ma ciò ehe 
io dico. » 

Quante volte io mi fo a rileggere questo esordio e 
tante a quel maestoso ed elevato andamento del pe- 
riodo mi pare cosa nobilissima e veramente sublime. E 

se in altri fa effetto eguale che in me quella maestosa 
gravità, non dubiterei affermare che ci richiama col . 
pensiero ai tempi gloriosi della romana eloquenia. Di- 
ranno alcuni che le orazioni di Monsignor della Casa 
alcuna volta patiscono di freddo, e sentono del misu- 
rato, e forse in tutto non diranno male; ma ove esse 
si scaldano un poco, gareggiano con quelle stesse più 
grandi di Tullio. 

D. In quali vizj s' incontra cercando di ^limare 
io stUe ? 

R. Come per cinque vie si ottiene di condurre a 

sublimità lo stile, così per cinque si porta a vizio. 

4^ Rafiìnando troppo i concetti, forzando le sentenze, e 

traendo fuor del verismile le immaginasìoni. Pro- 
li 



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— 210 — 

laogjaado V afibUa e' loglìindogli wrììk «cni arte troppo 

scoperta. 3" 0 spesseggiando senza discrezione nelle 
figure» ovvero U3dudo modi mal acconci, di troppo 
ppr^ereionati, e tratti soverchiameote di lontano: 
4^ Mostrando troppo artificio nelle araionie, e sacrìfi-^ 
eando all' armonia i concetti. Collocando con sover- 
chio arte le parole, e rendendo aspro ed intralciato 
il ooatmtto. E riguardo al prime tìzio a collo raffinare 
soverchio ti porta, che è l'affettazione e ia stranezza, 

{Quintiliano ne avverte, che pUrique nimis etiam inven- 
thmcf^ gamdmt, qtks wàsciMm vititm habent, invmtm 
fdcie ingenii blamdiuntur. <r I più troppo anche si piac- 
ciono di certe invenzioncelle che esaminate hanno in 
*sè Visio, appena trovate hanno faccia d'ingegnose. » 
Uditene un esempio nel BartoK< Assomiglia egli il* mare 
in tempesta ad un furioso, e dice cos^ : Comeun furioso, 
che seioUo dalla catena , smania , e si dibatte, ed imper- 
tmm, e vMigghia, e »i iieva ìUto, e eorrB, e awmUa, 
e ixé$y é ekmm mniéro dks mmM tembpa enere un 

paizo intero. Chi non vede 1' affettazione e la stranezza, 
che è neir ultimo concetto? 2° Per eguale maniera si 
dh nel^ freddo e nel poerile volendo prolungare oltpe il 
debito, é con arte eeeesiSva far più seirtita la f^asetom». 
Sappiamo che le passioni quanto più sono violente , 
tanto più SODO brevi, e però ohi le porta fuori della 
naturale misara, ne perde ogni buon eflfetto. Vedetelo 
in questo ln<^ del Tasso. (Can. XII, stanza M.) 

Giunlo alla tomba, ove al suo spino yìto 
Dolorosa prfgione il €Ìel prescrisse, 
, , Pallido, freddo, maio» e quasi privo 

Di mOTimento, al marmo gli ocelli afl^ssQ. 

AIfln sgorgando un lagrlmoso rÌTo , 

' ia wi lanflpsiide oimè proroppe , e disse: ' 



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— su - 

0 sasso amato ed onorato tanto; 

Che dcnLro hai le mie fiamme > e fuori il piaoLOy 

Non di morte sei tu , ma di vivaci 

Ceneri albergo, ove è riposto Amore; 
E ben sento io da te le usal(» faci , 
Men dolci sì ma non men calde al core : 
Deh! prendi i miei sospiri , e questi baci 
Prendi eh' io bagno di doglioso amore; 
E dalli tu , poiclì' io non posso, almeno 
All'amale reliquie eh' bai nel seno. 

Dàlli lor tu; cli^, se mai gli occhi gira 
L'anima bella alle sue belle spoglie, 
Tua piotate e mio ardir non avrà in in: 
Ch* odio o sdegno lassù ooo si raccogUa» 
Perdona ella il mio fallo , e sol respira 
In questa speme il cor fra tattte doglie. 
Sa oh' empia è«soI la mano ; e non Fé noii, 
Cbe, s'MMade lei fissi « Motiido r moia. 

£d amaodo monr^: feltoe gimm 
Quando cbe sia; ma più felice mo]to« 
Se, come errando or fado a te d* intomo, 
Allor sarò dentro al tuo grembo accolto. 
Paoelan l'anime amicbe In elei soggiorno. 
Sia r nn celiare e T altro In un sepolto: 
Ciò cbe 'I viver non ebbe , abbia la morie. 
Ob («se sperar dò- lice) altera sorte! 

Chi non sente raffreddarsi il cuore a questo artifizioso 
lamento? Chi è sì fuor di sè, che j)er 32 versi interi 
si fermi a parlare con un sasso , e a concetiizzare per 
questo modo, tanto piìi che II concetto è sempre Indi- 
zio di passione falsata ? Vedete quanto conviene di met- 
tersi in guardia, se anche i più grandi poeti errarono. 
Cosi la magnificenza sublime che sarebbe nel seguente 
passo deir Aristodemo del Monti degenera in turgore o 
in rigoglio, perchè il poeta ha voluto dichiarare ciò 
che doveva lasciare all' inteliigenza deir ascoltatore. 
Il passo è orila scena tarza dril' atta t*», dove Li- 



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— 212 — 

Sandro viene a colloquio con Aristodemo. Eccone le 
parole: 

Li8. ' E se prosegue 

La TincUrice Sparta il suo irioofo, 

Qaal nume vi difende? * 
ÀrM, Aristodemo. 

E basta ei solo finché vive, e quando 

Sarà sotterra , il cenere vi resta , 

Che muto ancora vi dacà terrore. 

Chiunque ha fior di senno si accorge del vano e del 
puerile che è Jo questi ultimi tre versi. Sublime era il 
luogo f se il poeta si fosse conteuiato non far rispoa- 
dere al re altro che qtiel risentito Aristodemo: e il let- 
tore da sè scorgendone le debite relazioni, avrebbe sen- 
tita e goduta la grandezza del concetto: ma cosi com' è 
posto si stempera 9 si perdei e dk neoessariamente 
luogo ad una risposta, che non da uno Spartano, ma 
appena potrebbe aspettarsi da un fanciullo. 

Lis, Signor, ciii vivo non ti teme, estioto 
Ti temerii?.... 

3® Guardisi poi chi ha intero giudizio dall' andare raa- 
nifestamente in traccia di quelle forme , per le quali di- 
oemmo innalzarsi lo stile, pctocchè elleno denno ve- 
nire da sè, non per forza d' arte. Se colui che scrive 
avrk piena la mente di un grandioso concetto, se egli 
ne sentirà tutta la forza e Y estensione , gli cadrà dalla 
penna la parola del maraviglioso e del sublime, senza 
eh' egli s' impigli troppo del ricercarla. Cum de rebus 
grandioribus dicas (avvisa Cicerone), ipsoe res verba ra- 
piurU. E chi altrimenti fa, cade in quel mal vezzo tanto 
deriso da Orazio là dc^e dice: (Epistola ad Pisones.) 

Prtfimt mnpuiki, et tmquipeMia èerèo. 



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— 213 — 

Cosi non si donno ammassare , e con manìfoslo 
artifìzio accumulare le figure nel discorso per dargli 
aria di grandiosità. Nam gravi figuriB (dice T autore 
dalla Roitorioa ad Erennio), qwB Umdanda est, propin' 
qua est ea, qum fugieìida est, qum note videbitur appeU 
lari, si super fitta nominabitur. Nam ut corporis bonam 
babitudinem tumor imiMur tape, ita gravis orcUia tm- 
perUii iospe videimr ea, qum tutgét, «I innata est c Im- 
perocché accanto alla grave figura, che merita lode, 
sta quella che debb^ essere fuggita, alla quale mi parrà 
aver dato il vero e proprio nome, se la chiamerò su- 
perlina. Imperocché in qnella guisa che solente a buona 
condizion di salute somiglia la gonfiezza della persona, 
così agl'ignoranti par grave quel discorso che è tumido 
*e gonfio, a 

5« Così scrivendo a stadio di alte armonie si dà 

facilmente nello snervato e nell' effeminato , e si molti- 
plicano vanamente parole che opprimono -l' intelletto 
sansa riempierlo, e lasciano freddo il cuore, y\t\o da 
fuggirsi sommamente; perchè mmio male è i* asprezza 
del suono che una effeminata mollezza. Duram potim, 
atque asperam C(my[)ositionem mallm esse, quam effemi- 
nakm et ènmvem; a ragione insegnava' Quintiliano. 
« Verrei meglio che la composizione sia dura ed aspra 
che effeminata e snervata. » E perciò tutti convengono 
nel dare biasimo di Umidezza a Claudiano ne' primi 
vml del suo Poema. 

Inferni raptoris equos, afflalaque curru 
Sidera TcRnario, caligantesque profundcB 
Junonis thalamos audaci promere cùntu 
JfetM congetta jubcU Grum$ removeU profani, 

6° Volendo infine con troppa arte ordinare le pa- 
role a soconda delie idee, occorre spesso di rendere 



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— 214 — . 

oscaro, a spio e sconvolto il diaoorso. Eaent»j di con- 
torsioni da fuggire abbiamo soveate neWersi dell' Al- 
li<^ri, e più ancora ne'. versi di coloro che senza Tardità 
potensa ingegno di quel grande tragico, hanno ere* 
dttto imitarne la virtù ritraendone i vizj dello stile. Né 
creda alcuno che l'arte sola posta Dell'ordinar le pa-^ 
i ole e nel cercar le armonie basti a sollevare Io stile. 
Prìma di. tutto ci v^bono coneettL I^a.qualità^ la rie- 
chesza, la forma delle vesti aggiungono maestà a mae- 
stosa persona : scimmie o pigmei non acquistano mae- 
stà, per quantunque ornata, ricchissma e ragguandev.ol6 
roba ux loro indoéai. Ghinderemo infine il dieeorao eoa 
questi generali awerUmeoti del pià volte ottelo Qnhi« 
tiliano, al Libro 42, § 10 delle Istituzioni: Falluntur 
enim plurimum qui vitiosum, et corruptum dicendi gmm^ * 
quod aiii verìmm Itoentf» muUodp mti pueriUbus-'^en- 
tentiolis loicwit, aut ifnmedico tttrgore twrgescity aut 
imnihus locis baccatur, aut casuris,si leviter excutiatur, 
flosculis nitet, prmdpitìa prò ^Mblimibuè haÒ€t y. ma 
specie UberMis imcmii, magie efvisiimmt popttlarB aut 
plausibile; e altrove al Libro 8, § 5 : Ego vero fuec lu^ 
mina c$:atimis mlut qquIqs. qmsdam etoqumtim'esse credfi: 
seineqae QpulUà emM^ coBtfmre.velimrWteBtefa mmi^ 
bra ofjiokm mtm peréanit : et$i neùeeé& sit, miémm 
lum horrorem dicendi malim quam islam novam licentiam, 
« & ingannano di largo partito cqloro vàò teagoaa che 
sia più accetta al popolo , e più acceam a tirarsi dietro 
l'applauso quella maniera di dir viziosa e corrotta, la 
quale per licenza di parole rimbomba, o fa di sè lasciva 
mostra con vesti di sentenziette fanciullesche y o per 
troppa gonfiezza ondeggia , 6 va per luoghi vani furio- 
samente scorrendo, o risplende per fioretti che ogni 
poco poQo che si scuotessero .oddi:ebbQno»,oÀiia (Mre/3ipi2j 



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— Ì15i — 

invece di altezze, o per specie di libertà divenia fu- 
riosa ; » e altrove : « Io per coolessare il vero credo che 
quesli liuni dell' urasione slatio come certi <Nsehi del- 
reloquenia; ma non vorrai che per tatto il corfMiooebi 

ci fossero, acciocché gli altri membri non perdano 1' uf- 
ficio loro. * 

(Toscanella.) 

IX Qual è U migliore di qtMti tre gerwri di sHU? 

R. Tutti e tre hanno virtù loro proprie, come ò 
stato mostrato, e usati a tempo giovano egualmente tutti 
all'oraziane; ma ae l'uno usnrperii il liaogoYieU' altre, 
essi Ticieranno e guasteranno, anaichè adomare ed 
inalzare il discorso. Per conoscere poi quale stile sia 
conveniente, egli ò necessario osservare il carattere 
deli' orasione , quello della perseoa degli uditori , cfaéllo 
della persona assunta dallo scrittore, e secondo questi 
governarci, seguendo le leggi del decoro che altrove 
abbiamo accennato. Qui ci basti ripetere che ogni ma- 
niera di atìle dipende dm diversi stati d^' animo, così 
che non si pòssa nò si debba tentarne alcuno quando 
lo stato deir animo non risponde pienamente alia mate- 
ria^ ali* intenzione deir arte e dello scrittore. 



CAr« XITIII. 

m M«iY€v bene» 

• • • ' . 

D. Quali precetti si damo per acquistare uno stile 
lodevole? 

Se bene si metta ad esame la definizione che ho 
data dello stile, si avr^ chiaro per quali vie possa ren- 



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dersi lodevole e perfetto. Conviene in prima por mente 
come dair intelletto, dalia fantasia e dagli affetti, quasi 
da Batorali demenU, modifieati seoondo V indole dello 
sorìliore e seoondo le leggi dèi decoro, si generi lo stile; 
per tener modo che ogni elemento si combini secondo 
le leggi poste dalla natura e dall'arte, sì che n'esca 
buono lo stile. 

D. Che ikwrà fmiper otten&re di per f esimiate Fifh 
telleUo? 

A Userò le parole di Paolo Costa a sciogliere que* 
sta domanda, ooneiosaiadiò me^io fer non si possa. 

« L'uomo nasce, dice egli, fornito delF intelletto, cioè 
j> della facoltà di sentire , di percepire, di attendere, di 
» paragonare, di giudicare, di astrarre, di ricordarsi, 
» d' imaginare : ma d' uopo è ohe queste faoelth yen- 
» gano poscia dirittamente usate ed esercitate ; onde 
sia generata quella virtù pressoché divina, che si ap« 
» pelle la ragion», la quale oonslste neli' abito di pa- 
» ragonare insìeiàe i sentimenti distinti dsl? anima, e 
» le idee ; di derivare dai fatti particolari le nozioni 
D generali, di anteporre o posporre le une alle altre, 
» di congiungerle o separarle secondo la oonventensa 
» o disconvenienza loro, e secondo i loro gradi di pih 
» 0 di meno. A formare quest'abito sarà bisogno stu- 
» diare le opere de' filosofi che trattano sottilmente 
» delle cose naturali , delle proprietà dell' intelletto e 
9 del cuore umano; e di apprendere V Istoria, senza la 
» cognizioQe della quale, al dire di Cicerone, Tuomo 
9 si rimane sempre fanciullo ; di osservare la natura, 
» <U praticare fra le diverse condizioni degli uomini, e 
» di operare nei privati negozj e nei pubblici. * Dalle 
quali cose si rileva che non si può perfezionare V intel- 
letto senza arricchirlo con lungo studio, e che i giova* 



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— . 217 - . 

netti denno contentarsi d'essere avviati a bene, consi- 
derando che la perfezione deli' arte sta nella lunghezza 
della vita e deli' esercizio. 

D. Cerna li può arricckire P inunaginaiim? 

R. « Ad arricchire V immaginativa (segue lo stesso 
» scrittore), la quale è V abito di recare all'animo la 
» reminiseeasa delle cosa sensibili che piii ci movono e 
» dilettano, di congiungere insieme con verisimigliansa 
>» quelle che sono disgiunte in natura, e di significare 
» per similitudine delle cose corporee i concetti astratti, 
» non solo metterei bène di leggere gì' inventori di 
» nnove e vaghe fantasie, m^ di por mente a totto ciò 
» che ai sensi porge diletto, sia nelle azioni degli uomini 
» e degli animali, sianeU'estenoreaapettoemovimento 
» delle cose inanimate ; e soprattutto gioverà di ben 
» considerare le somiglianze che hanno fra loro le cose 
» di qualsivoglia genere e specie, chè questo si è il 
» fonte dal quale si derivano le nuove e maravigliose • 
» metafore. Di molta utilità poi sarà all' intelletto ed 
» all'immaginativa lo studio de' precetti dell'arte ora- 
» toria e della poetica, i quali essendo il compendio di 
» quanto i filosofi hanno osservato intorno le cagioni 
ù onde piacciono e dispiacciono» le opere degli scrittori, 
» apportano quella luce che un uomo solo nel breve 
y> spazio della vita studierebbe indarno di procacciarsi 
9 colla sola vùriii del proprio ingegno. » 

D. Che deve dirti intorno agli affeUi? 

jR. « Rispetto agli affetti io mi penso (prosegue il 
9 Costa), ohe sebbene sieno da natura, pui*e a conciliarli 
9 in altrui grande aiuto ai possa trarre dall' arte. 8e 
» ramerà, l'odio, l'^ra, la mansuetudine, la miserieor- 
» dia ed altre affezioni dell' animo nascono da cagioni 
9 determinate, come per esempio T amore da beUez^a 



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-.218- — 

seda yfrtti , T Ó41ò da male qualMi del earpo o deiratii» 

» mo altrui, non v'ha dubbio che gli affetti medesimi si 
D debbano in cbi legge risvegliare per virtù della viva 
9 rappredetìlaBione di quelle cagiom : dal^ che si racco- 
9 glie che lo scrittore considerando le varie dlsposi- 
» zioni degli uomini passionati, e le cagioni per leniuali 
» la pawoQe ai genera; avrb materia onde gli animi 
» perturbare. Goti per aiuto dell' arte verrk ad operare 
» in altrui quolT effetto che imperfettamente avrebbe 
» operato mercè della soia naturale sua disposizione. » 

D. Che ne dovrà avwnire 4ÌcU f^rfesHmamefUo del- 
F imOMo, data ^mkiMia e degli affetU? 

R. Ne avverrà che noi modificando, cioè accomo- 
dando queste facoltà già perfezionate al nostro modo di 
sentire, avremo reso efficace il nostro dire>^ sia per eid 
che riguarda IMnveuiiotte e la dispositieiie, si» perciò 
che riguarda V effetto, e potremo promettercene quella 
riuscita che vogliamo, semprechò non usciamo delle 
leggi del deeoro, cioè di qudla oonvenidusa ohe vuoisi 
mantenere, fatta ragione della persona che parla, della 
cosa di che si parla , del tempo e del luogo in cui si 
parla, e infine delle persone che ascoltano. Perocché, 
siocoane-fo osservalo, V «aaaa» discorso prende da que* 
ste eircestause diverse quaiìlà, e se non si kiad» bene 
e alcuna si trasandi, perde o in tutto o in parte la pro- 
pria virtù. In quella guisa ohe le diverse fegg^ dette 
vesti non hannb beUesse^e Mh picédom^ ove mal si 
addicano al tempo, al luogo, alla persona, e sebbene 
siano di buona materia , e fatte con perfezion d' arte , 
SODO biasimate, cos^ è del disoorso umano, se non è 
appropriato alP uopo secondo le norme del decoro* 

D. Oltre queste regole vi è alcun' altra maniera per 
cui si possa perfezionare, lo stile? : 



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— 219.— 

R. Vi è sicura , e forse anco più spedita. Osservale 

le scritture degli eccellenti autori, componetevi al- 
l'esempio di quelli, imitateli. L'uomo è animale d'imi- 
tazione^ DOQ vi ha dubbio, e l'arte stessa del dire per 
imitazione si acquista come tutte le altre arti umane, 
e però dal sommo Aristotile fu detta arte imitatrice, 
conciossiacbè ella prenda ad imitare la. natura e l'uomo, 
riUcaendone le bellezze, le affezioni ed ! modi. £ oerto, 
se la natura lum avesse posto il fondamento della poe- 
sia e dell'eloquenza nell'uomo, sarebbero invano le 
poetiche e le rettoricbe. Inlatto Orazio neir epistola ai 
Pisoni asserisce: 

Format tnim natura pHv» noè intm ad omnem 
Fartummm ka^wm; jtmi «ut im f oU U ad IrMit 
AuiadhmmmwMBmragtaHiai9ii^4lmtffUi 
Pagi tftrl mnin^ molm fntvpnU linguos, 

Ghè anzi tanto si debbo Hr conto del naturale fonda- 
mento , che noi la natura slessa dobbiamo prendere a 
guida, e solo darla a dirigere all' arte; couciossiachò 
lottar coir arte ben si può, colla natura non mai. Ma 
per renderci al filo del nostro discorso^ diciamo che 
avendo la natura fatto l'uomo per modo che imitando 
debba perfezionarsi in ogni arte, il mezzo più pronto 
di conseguire eccellenza di stile e divenire scrittore 
istà appunto neir imitazione. 



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CAP. JLMJL. 
Bell* ImitMioue* 

D. Che cosa è tmttoume? 

It. Se voglia definirsi colle parole deiP autore della 

Rettorica ad Erennio, hnìtazione è quella dalla quale 
siamo condotti eoa dilìgente maniera a voler essere 
somiglìanii ad alcano nel dire: — ImUatìo ai qua tm- 
peUmur, tU aliquorum smUes in dicendo vdimus esse. 
(Lib. 4, e. S ] Ma questa defìnizione non mi garba così, 
che io non ami recarne in mezzo una pìd ampia , che 
libera dalla taccia di aeriililà gVimitétorì; e però dico: 
Imikuùme essere studio di natura o di arte, per tnezso 
del quale decomponendo , comparando y giudicando, tro- 
viamo gU elementi della bellezza e della bontà nelle opere 
naturali o art^iciaie, cosicché conosciute per mezzo della 
decomposizione le norme che Varie o la natura serbano nel 
comporre, possiamo mi pure le cose della natura o del- 
t arte ritrarze, e fingerne anche di nuove a somiglianza» 
Dico stadio di natura , perchè la natura è fondamento, 
come fu detto, d'ogni bell'arte, e di Ih ha principio 
r imitazioni; : aggiungo deir arto , perchè dall'esame del- 
r opere de' grandi artisti si trae pur giovamento. Io vedo 
a cagione d' esempio un padre addolorato per la morte 
del figliuolo suo unico, il quale si getta sul feretro che 
ne porta il cadavere; prendo ad esame gli atti e T espres- 
sioni del suo dolore, e v<^endo ritrarre Giacobbe, a cui 
è presentato la vesto di Giuseppe , cerco rìtrarlo a so- 
miglianza di queir infelice che in natura ho osservato. 
£ se io sto sulle oorme sincere della medesima , otterrà 



uiyui-n-G Ly Google 



H mio dire queir effeti^ che otterrebbe la vista istessa 
del lètto. Che se non to' dalia natura « ma dall'arte 
fare ritratto, mi propongo Evandro qual è descrìtto da 
Virgilio, e conseguo quasi T istesso fine. Dico quasi, 
perchè ove T ingegno abbia (orza dì ritrarre da natu- 
ra, penso che più ci valga , e meglio dipinga al vero. 
Io non so se la famosa statua di Laocoonte sta ante- 
riore ai versi di Virgilio, ma dato che noi fosse, lo 
scultore imitando quella divina poesia avrebbe potuto 
crearla; e se la fosse anteriore , Virgilio imitando quel- 
r animato marmo avrebbe potuto dar vita a qae' suoi 
versi immortali. Tanto è vero che arte fa arte per mezzo 
deir imitazione. Perlochè chi toglie dal mondo V imita- 
sìcme (come alcuni poco avveduti vorrebbono) toglie dal 
mondo le arti, ed ogni guisa di buoni studj. 

1). Non è egli vero ciò che alcuni dicono , r imita- 
zione restringere le mentietoglier Imre la pokMm crear 
trice? 

R. Coloro che avvisano cos\ , sono in vero male av- 
visati , e non sanno che altro è imitare, altro è con- 
traffare e copiare. Conciossiachò V imitazione non istk 
nel fare le cose fatte sansa diiereiisa o diversità alcu- 
na, perocché allora tutte le arti non basterebbono ad 
avanzare d' un passo , e sempre avrebbero il piè sul- 
r orme istesse , ma nel tar capere nnovOi o v^gjàam dire 
di nuova invenzione, con quelP arte istessa colla quale 
sono condotte quelle che prendiamo ad imitare. La qual 
cosa non restringe, ma bensì amplifica la potenza inven- 
trice, e la rafforza. La imitasioiM, se io non erro, è lo 
stesso che 1* analogia nelle sdense naturali. Il Galilei, 
applicando al sistema celeste la legge generale del moto 
de' corpi, ha provato che la terra si aggira intorno al 
sole come tatti gli altri pianeti. QiMta legge era pare 



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anche prima conosciuta, ma per non essere stata appli- 
cata, non avevà dato al moodo questa scoperta. Or chi 
dirè ohe questa non sia sooperla Tera, {lerdiè la legge 
era nota? Chi dirh che la conoscenza delle leggi fìsse 
della natura siano inceppamento ai fìlosofì per iscoprirne 
ì fenomeni? Similmeoto è a dire dell' imìtazkKie , eon- 
cìossiacèè ella non limita nè restiiiN^ T umano-ingegno, 
ma anzi ijli db norme sicure perchè meglio si conduca 
nelle sue creazioni. Quando io dico : se volete esser 
buon oratore imitato Giceronet non dico io giè: fato 
un discorso a mosaico colle parole, eo*modi, eoli' àmbito 
del parlare Ciceroniano; ma guidate 1' arte con quelle 
leggi con oui la guidò Cicerone, perchè se egli ne ebbe 
buon successo toì pure V avreto. E quando dico : imi* 
toto Dante, noni ri prescrìvo gih di recarmi innanti 
arcaismi, durezze, scoria rigettata a ragione dall' uso , 
ma vi dico : osservate qual cosa dà evidenza, fòrza, ef- 
ficacia alla poesia di quel divino; e trovata che abbiate 
la legge eh* egli si diè ad osservare, fatone soggetto di 
studio e d' imitazione. Per questo studio e per questa 
imitazione poi conseguìreto una vena di buona e ga- 
gliarda poesia*, la quale sadi Tostra, quantunque fatta 
imitando: perchè V imitare J' arte, non toglie, ma cresce 
là potenza dell'inventare e del creare. 

D. ^etie ho mteio; ma penhè^ dunfve tiaUs scuole si 
pnt&fids ohe noi riportiamo frase, eoneeth, e aikhtmento 
dagli autori che si porgono a noi da imitare? 

jR. Perchè incominciate a conoscer V arte che poi 
vi sarà guida* neli' imitm* He détto* càe V iuiitotore 
decomponendo-, comparando, giudicando, trova gli ele- 
menti della bellezza e della bontà nelle opere; ora per- 
chè voi vi avvezziate a decomporre ne' Classici quelle 
parti ehe voleto ìnkitare, vi ai dice ^ sce^ietone le frasi 



ed i modi, reoatene i eoneeiti, prendeteiie l' amfonnii- 

lo, — perchè il precettore dall' uso che voi fate di que- 
ste cose giudica.se voi bene intendete, se avete preso 
piena cmosoeaza delle nedesime, e se sapete osarne a 
tempo e a luogo. Egli è adunque uno de' primi passi 
necessari a chi vuol imitare, e imitando divenire scrit- 
tore. Dico de' primi passi , perchè noli' ioiilaziooe , CQine 
in tutte le opere d' ingegno, si dee procedere per 
di, e non si può di salto o di slanoio venirne a capo. 

D. Avrei a caro che m' indicaste quali sono i gradi 
diversi per cui si penyiene a ben imitare, 

R. Penso che primo grado sia la traduzione, secondo 
r analisi, terzo V emulazione. Per questi tre gradi, pare 
a me, si consegue quella verace maaiera d' imitazione 
che lipraia i grandi artisti, ed è ben lontana da quella 
falsa ohe non produce che pedanti, seruum fecus , come 
disse Orazio. 



AftvicoM !• 
Bella Tradnsione* 

D. JHreste voi oicuna cote» deità kuduxione? 

A. Io avviso ohe Io tradatare da una ad altra fo- 

velia sia il primo grado dell' imitazione. Infatto innanzi 
tutto è d' uopo conoscere la materia che si ha a tratta- 
re, cioè la Cavalla in cui si ebave serivere o parlare, ve* 
derne le proprietà , sapere come modi e frasi si iòrmino, 
come si lochino a tempo; e prenderne quell'armonia, 
la quale par naUa a chi non sa, ed è mollo a chi sa. 



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% 

« Utllissinio è soprattutto (dice Plinio, let. 9, lib. 7) ìl 

traslatare dalla greca nella latina, e dalla latina nella 
greca favella (e noi nel caso nostro diremo dalla la* 
tiiia air italiana, e dall'italiana alla latina favella): 
qualità d* esercizio, col quale proprietà e splendore di 
parole, abbondanza di modi figurati, nello spiegarsi 
forza, e finalmente attività di ritrovare cose somi* 
giianti a qoelle degli ottimi scrittori, imitando si acqui* 
sta. » (Traduzione del Gozzi.) — Utile in primis, et multi 
prcecipiuntf ex grceco in latinum vertere, vel ex latino 
vertere in grcecum: quo genere exerettaHonis prqnieka 
splendorque verborum, copia figurarum, iris ex/Mxmdi, 
prcetereaque imitatione optimorum similia inveniendi fa" 
cultas paratur. £ Quintiliano segue (lib. X, g 5): Quid? 
Quod auckree maximi eie MUgentm eognoeomlitr? Non 
enim ecripta ledume seeura traneciirrimue: eed Iraele»- 
mus singula, et necessario introspicimus , et quantum vir^ 
ttUis habeant^ vel in hoc ipso cognoscimue, quod inUtari 
non posnanm, < Che vuol dire che si ha così diligente 
considerazione sopra gli autori grandissimi? Noi non 
scorriamo via leggendo le cose scritte : ma andiamo esa- 
minando le cose d* una in una, e necessariamente pe- 
netriamo a dentro considerandoci: e quanto' in loro dì 
virtù si abbiano, almeno da questo lo conosciamo, che 
non possiamo imitarle. » (Toscanella.) Oltre di che è a 
dire <;he per mezzo dalia traduzione ai acquista intelli- 
genza e giudizio, cioè si Ibrma il gusto e si consegue 
quel sapet^e, che è fonte e principio dello scrivere bene, 
secondo Orazio. Questo esercizio in fine è approvato an* 
che da Cicerone stesse, il quale nel lib. 4<» deir Oratore 
(Gap. 34) dice: Po9tea mMt placuit, eoque eum utus 
adolescens, ut summorum oratorum grcBcas orationes ex- 
pìicarem; quibus lectis hoc aeeequebar, ut oum ea quoe 



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— tt5 - 

kgwrmgrmoe, kUm» réddwm , non soltm optimis 
ukrer^ et tamm taUatis, sed €tum eacprimerem quasdam 

verba imitando , quce nova Jioslris essent , dummodo es- 
^mt idonea. « Il perchè dopo appigliai ad uq altro 
espediente, ehe ho da giovane praticato, ed era il iras- 
pcMtare in latino le orazioni de' più rinomati oratori 
greci ; nel che fare non solamente poteva io scegliere 
delle parole tra noi usate le più eleganti, ma ne seguiva 
che nel recitare in latino dò ohe letto avea in greco, 
mi venivano ani guato greco formate delle maniere di 
dire non usate ancora tra noi , ma buone tuttavia , e 
adatte al bisogno, » (Canto va.) 



AwmtmtM II* 

MI' AMllel* 

D. Dite ora dell AnaUsi,poùM ho detto quanto basta 
intomo il vantaggio cho fHen dal tradmre. 

R. Secondo grado a chi voglia, imitando, venire in 
fama di scrittore, credo che sia V analisi. Ella è, come 
ognun sa, quel modo per cui un discorso si decompone 
nelle sue minime parti a segno di trovare la ragione di 
ciascuna in sè, e nella relazione che ha colle altre: os- 
servare i nessi, i passaggi, e tutto che la natura e Tarte 
hanno di più prepotente nella favella. Sappiamo che i 
cerusici per meglio conoscere V ufficio di ciascuna parte 
del corpo vanno col ferro anatomico decomponendolo, 
e in ogni minima fibra lo ricercano; per eguale maniera 
è d' uopo a noi anatomixaare (sia lecito dir cosi) il di- 
scorso, perchè avvisati della qualità e dell'ufficio di 

15 



L.yi.,^uu Ly Google 



— 8M — 

ciasouoa parteacqiiìstiaoiQspedikttM a «omporlo quando 
ci piaccia. Dall' analisi poscia sa ne ha, che la menle 

impressa di quel modo di disporre ed ordinare le idee, 
le quali troviamo negli scrillori che ci proponiamo ad 
esempio» e di quel vezao di tralt^iarle con forse e 
con efficacia, a poco a poco a ciò spesso ella si abiltta, 
e senza altro uopo di regole o d'arte, acquista, quasi 
le fosse da natura, di fare il somigliante. Periocbè io 
vorrei che i giovani non ìeggjmmù^ ben traducessero 
cosa alcuna, senza bene analisBarla e femarvisi sopra, 
e improntarla nella memoria: e vorrei che di questo 
più che d' altro esercizio si piacessero.! maestri, che de- 
siderano nella lode dei discepoli assicurata la propria. 

D. Dareste vai un emnpio, dal quale ei rUevasee il 
modo di analizzante? 

R, Volentieri vel recherò, anzi tanto più volentieri, 
quanto io lo traggo dal fondo di un grande maestro, il 
Rollin. {Detta maniera d insegnare, e studiare h héUe let- 
tere, libro 3<*, della Rettorica, cap. Ili, art. 2^.) 

CtonbeniMaie degU Oraid • M 9mm^. 

« La descrisione di questo combattimento è senaa 
coniraddikione uno de' pili be' luoghi di Tito Livio, e 
de' più adattati ad insegnare a' giovani come si debba 
abbellire un racconto con pensieri naturali ed ingegnosi. 
Per ben conoscerne l'arte e la dilioatessa, basta il ri- 
durla ad un racconto del tutto-semplice, non omettendo 
alcuna delle circostanze essenziali , ma spogliandole 
d' ogni ornamento. Ne contrassegnerò le parti 4ifforenti 
con numeri diversi per n^Hé diatingoerle, e per po- 
terle di poi piti facilmente métlere* in paragone colla 
narrazione slessa di Tito Livio. 



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- m — 

Fwdere iak^, trigemini, ncidémvgrtBrai, arma 
capiunt. So Statim in meditm inter éuai ades preoeduni. 

3® Consederant utrinque prò Cdstris duo exercitus, in hoc 
spectaculum totis animis irUenti. 4<> Datur signum, infe- 
stiique amtf krmjmmn cmmsrrmà. ^ Cum ùUquandiu 
inter asquis tnn'ftuf pugmBSiefd, duo Rmam, super tdium 
alius, vulneratis Iribus Albanis ^ expiranles corruerunL 
6^ Illi superstiUm^ Romanum circumistunL Forte is inr 
teger fuU. Ergo^ td eegregaret pugmM emm, eapenU 
fugam, ita rattis sectdttros, ut quemque vulnere affectum 
corpus sinerei. 7^ Jam aliquantum spalii ex eo loco, ubi 
pugnatum est, aufugerat, €iim respieiens videt magnis in- 
ÈervaUis seqmnies; umim Aawf proemi ab seee abeeee; m 
eum magno impetu redit, eumque interficit, S^Moxprope- 
ratadsecunduin,eumquepafiterneoidat. Jam osquato 
Morte singtdi stiperertt$U,nUmeropeu^e$,sed Umge uH6ia 
dn>irsi, 40^ Romanus eandtmte: Duo», inqmt, fratnim 
Manibus dedi, terlium catrsSBB "belli hujusce, ul Roma- 
nus Albano i raperei, dabo. Tum gladium superne illius 
jugulù d^it; jaeentem spoUat. 44<> Romani owaOes oc 
graifdanÉèsBoraiiumaccipiimt. ^S^lnieexulraqueparte 
' suos sepeliunt. ' 

» Si tratta di estendere questo raeconto, e di arric- 
chirlo di penfiiari e d* inunagiai cbe if^essioo e colpi- 
scano vivaaieiite il lattm., e gli rendano quasi' asione 
così presente, che sMmmagini non leggerla, ma vederla 
cogli occhi proprj, nel che consiste la principal forza 
deir eloquenza. Per far .questo, altro non ricercasi 
eh* esaminar la naiar», ben istaidlanie i movimenti , 
cercare attentamente quello che ha dovuto seguire nel 
cuore degli Orazj , de' Guriazj, dei Eomani, degli Alba- 
ni , e, dipingere ogni circostanza col mezzo di colori s\ 
vivi-, ma s\ naturali , che si venga ad im m aginarsi di 



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— tS8 — 

assistere al eombaiiimento». Tiio Livio fa iuilo questo 
d' una nanltra maravigliosa. 

1° Federe iclo, trigemini, sicut convenerat, arma 
capiunt. * 

domi, quidquid in 

exercitu sii, illorum tunc arma, illorum intueri mamis; 
— feroce^ et suopte ingenioj et pieni adhortantìum voci- 
fm9, in meOim inier 4nas aeiee prùceékmL * 

9 Era cosa naturale che ogni partito esortasse i 
suoi: e lor rappresentasse che la patria intera stava at* 
tenta ai loro combatiimento. Qoesto pensiero ò molto 
bello, ma lo diviene assai piti piar la maniera onde è 
espresso. Una esortasione più lunga sareblìe languida e 
fredda. Leggendo V ultime parole si crede vedere i ge- 
nerosi combattenti avanzarsi nei mesato ai due eserciti 
con nobile ed intrepida fiefeaia. 

9^ Cùmeierant utrinque prò eaiirie duo exercOus, 
perictdi magis proesentis quam curce expertes: quippe im- 
perium agebcUur, in tampauconm viràute atque fortuna 
patHum. Itoque trgo eredi impemiqm m mìfitinfe gra- 
tum spectaculum animo intenduntur.* 

« I* Coodoio il trittito» i tfe liralelll deH'oao e éBA*«llro 
IMffiiio preodoBo r mU, coaie se a'm Dota la eoBitaiioae. 

s 9^ Mcntie ogni punito esorta i tosi a ben fare il lor dovere, 
rappresentaodo loro che gli Dei» la patria, i loro padri e le loro 
madri, taulieiuadiiit ch'arano nella ciltà e neir esercito, hanno 
gli occhi Assi snlle lor armi e anile lor braccia ; questi generosi 
atleti pieni di coraggio da sè stessi , ed aninnti anche da sì po- 
tenti esortazioni , si avanzano nei mezzo ai due eserciti. 

5o Erano disposti dall' una e dall' altra parie intorno al 
campo di battaglia, esenti per verità dal pericolo presente, ma 
non da T inquietudine ; perchè trattavasi di sapere qua! de' due 
popoli avrebbe a comandare all'altro, e il talore di sì piccolo nu* 



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— 219 ^ 

> Nulla meglio qui conveniva che questo peosieroi 
pericM magis prm$mUii qwm eurm easperki; e Tito Li* 

vie ne adduce subito la ragione. Quale immagine queste 
due parole, erecti stapensique, dipingono alla mente! 

jumm, magnanm eacéreHmm ammsgermUes, concur^ 

runt. Nec his , nec illis periculum suum; publicum impe- 
rium servitiumqm obsejvcUurhnimo , ftUuraque ea deinde 
fotrim forhma ywuii qui fecieimU. Uiprinm sUUim con* 
eur$ù ùiorepuere arma, mkmUetqué (ubere gladii, Aor- 
ror ingens spectantes perstringit; et, neutro inclinata spe, 
torpebat vox^ spiritusque.^ 

Ji Nulla m. può aggiungere alla nobile idea ohe Tito 
Livio qui ci somministra de* combattenti. I tre fratelli 
erano dall' una e dall' altra parte con eserciti intieri , e • 
ne avevano il coraggio; insensibili al loro proprio peri- 
glio, noQHsi occupavano che della pubblica sorte confl» 
data uiivcemente alle loro braccia. Due pensieri magnifici 
e tratti dal vero. Ma si può leggere ciò che segue senza 
sentirsi ancora presi dair orrore , e dal raccapriccio, non 

mero di combattenU ert per decidere della lor aorte. Oecapaii da 
qaeati peaiieri, e dairaspeltailooe iDqoieta di quanto era per ane- 
eedete, prealano dooqoe tutta la lor atteailo&e ad ano apetUe 
colo, ebe non pelea lasciar di metterli In lapavenlow 

* 4» SI di II aesno: i nloioal eroi eamminano tre a tre gli ani 
eoniro gli altri, portando in eaai ael 11 coraggio di doe grandi eaer- 
dil. laaeoaibni dalT ani e dall' altra parte al loro proprio periglio « 
non hanno avanti agli ooohi ohe la aervttù, o la liberti' delie lor 
pairta, la sene deUa qaile of»ai dipende anloaaiieale dal loro eo> 
raggio^ Uaeebè ai odi r arto deUe lor ennl^ e si «Mero brWar le 
loro apode , gli spettatori prosi dal timore e , dallo spaveetOt sema 
cfte la spersnta piegaaae aoeora dati* osa e daU' altra paite, nata» 
rooo di tal maniera immobili , che avrebbeai dslls aver sgUse per» 
dttlo4'u80 della voce e del respiro. 



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- Ì30 — 

meno che gli spettatori del combattimento? Qui l'espres- 
sioni sono tatte poetiebe; e si dee fare osservare a^gio* 
vani die T espressioni poelìohe, dèlie quali non si de» 
servirsi se non di rado e eoa sobrietà, erano chiamate 
dulia stessa grandezza del soggetto, e dalla necessità 
di eguagliare co* (ennuii il macavig^ioso delle qpetla* 
colo. 

» Questo mesto e tristo silenzio che gli tenea lutti 
come sospesi ed immobili, si scambiò ben presto in 
grida d' aliagreisa dalla psrto degli Albani, quando vi- 
dero cader morii due degli Orazj. DaH' altra ^arle ì H<^• 
mani restarono senza speranza , ma non senza inquietu- 
dine. Spaventati e tremanti per quello degli Orazj, che 
solo restava contro ti^è, non erayo ptli ocou|iati da» del 
suo periglio. Non era questa la verà disposisioóe dei due 
eserciti dopo la caduta di due Romani; ed il qu^dro che 
oe fa Tito Livio non è copiato dalia patuca? 

&^ Ccmmiii dmds mtmbm, etm jam fton mefi» 
kmium eerportim, agitatioque mckp9 tehrvm ammrwn- 
que, sed vulnera quoque et sanguis spectaculo essent; 
duo Romani, super cUium alius, vulnercUts tribus Albanis, 
• expirantes eorruerunt. Ad quorum casum cum concia-^ 
masset gaudio Al6anus exercihtSf romànas legtones jam 
spes tota, nondum tamen, cura deseruerat, exanimes 
-vice unius,qum tre^ Curiaiii ciroumeieterafU, ^ 

< 5° Indi quando, essendo venuti alle mani, Doa< pià sola* 
mante il oioio delle bnceìa e r agliaiione deir armi serYiffoao di 
spettacolo, ma si scoprirono delle, feri le , e si vide scorrere il ian« 
gae, due Romeni cedettero morti eppiè degli Alt^aei , che tatti e tra 
ennò restiti feriti. Alla loro cedult l'eaereito nemico geilè grandi 
«ridad!iUegrein(fmeoiredey*.altra|arte le legioni romeqe re- 
sturoae ^BB» spersDia» ma ooa seoeii inquietudine, liremando pec 
il Romanot che ere restato solo y e cbe da tre Albani era cmcoadatt* 



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:d Riferirò il resto di questo racconto senza farvi 
quasi alcuna riflessione, per iefuggire una noiosa lun* 
ghena. Debbo solo awertiM che quello ehe fa la prìn- 
cipal bellezza di questa narrazione, non meno che della 
storia LQ generale, secondo l'osservazione giudiciosa di 
Cicerone, * ò la maraTigiieia varietà che dapperiuUo vi 
regna, ed i moTinienti diversi di timore, 4' inquietudi* 
ne, di speranza, di allegrezza, di disperazione, di do- 
lore, cagionati da improvvisi combattimeoii» e da ino- 
pinale vicenda, che riavegiiano i' atlenaione oaa graia 
sorpresa, che tengono persino al fine F anime-dei lettore 
come sospeso, e che colla stessa incertezza gli procurano 
un incredibil piacere, in ispezieltà quandi il racconto 
ò ^OMniBalo da un avvMimeiito intaresaante e aingo* 
Idre. Sarà faeile V applicare qaeati principj a quanto 
segue. 

60 Forte is integer fuUf ut univirtis soliis mqua- 
quam par, sic advertus singuloi fero». Efgo, ut segre^ 



* Multam casus nostri libi varielatem in scribendo suppedita» 
bunt, plenam cujusdam voluptatis, qu(B vehemenier animos homi' 
num in legenda seripto reiinere pouit. Nihil est enim apiius ad 
delectationtm leetorii, quam Umporum varielatet, fortunceque vi- 
tMtuiinm.^. Àwdpita wtriiqué mtm Mmt admirotionem, 
expeeiationem, keiUmm, moU^m, ipim, timtfm* Si vero tsàlm 
notabili eoncluduntur , exptetnr animui jumditaiMm Uciion ii Vù» 
filplol«. ( Cic;, fi|K 12 , iib. 6 ai CmbìL ) 

« I nostri casi •ffiriimio a la naU» scriTere molta varìeià 
piena d'un tal dUallo, ehe fasta l«Mr Ioni aUe JeUara deUo 
gorilla gU'anW dagli aoailoL Glie aians cosa pHl vale al diletta- 
«Mulo dM laMfItorat irMto le laiialà dai Mipi, el»iioeode dalla 
MaMi.... Gl'iaoerii e sfaristi casi dsMaao maraitfilia» aspettai- 
Ifaaa, ileia»albaao» apafaaiai dsMit. Se poi ai ctó«deao eaa 
MaMle^laa, rariao dal pitoaire di «selli g i ss s a dIssi Bia lallm 
è ripiena» b * 



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— 33i — 

garet pugnata eorum, capessit fugam ; ita ratus secuturos, 
lU quemque vulnere affkckm eorpm. Minerà* ' 

7^ Jam aliquanium tjKdU ex eo loco, uUpugwhm 
est, aufkigerctt, cum respiciens videt magnis intervallis 
sequentes : unum kaud procul ab sese abesse. In eum ma- 
gno imp^ rtdit: et dum Albatm^ocercUm inclamat Cu- 
riahii, uti opém ferant fragri, jam BnuUuB, coeso koete, 
Victor secundam pugnam petebat. * 

8°. Tu0clamore, qualis ex insperato faventium solet, 
Romani mijixocnt miUtem iwm; e^ iUe defwngipvadio fé- 
eUnai. Priue itaque quam aUer, qui im procul eAerat^ 
consequi posset, et alterum Curiatium conficit. ^ 

90 Jamq^ asquato Marte singuli supererant, sed nec 
epe, nec vàibue pam. AUerum mtachm ferro corpm, 
et geminata Victoria feroem, in eertamen tertium dabmnt : 
alter, fessum vulnere j fessum cursu trahens corpus, vie* 
tusque fratrum ante seetrqgù, motori objicitur hosii. Nec 
Ulud prwlium fuit. " 

< 6<> Fortunatamente era senza ferite ; cos) troppo debole con- 
tro lutti insieme , ma più forte che ognuno di essi, servesi di uno 
strattagemma, che gli riuscì. Per dividere i suoi uemici prende la 
fuga, persuaso che io seguirebiMUìo più o meno vel<Mi secondo che 
lor restava più 0 meno di foraa. 

s 70 Di già era assai lontano dal luogo, nel quale era seguito il 
eonbaUinento, quando volgendo la faccia vede i Curla^ in una 
assai wnm dislaiiia gli ani dagli altri, ed uno di essi a sé vicino: 
ritoma contro questo con tutta la sua fona; e mentre r esercito 
d* AUm grida a'sttoi firaléUi perobò la soooomMO, di già Orasio 
via^tm di qasaio |Nteo a«nics corre Jid ona seeonda vittoria. 

' 8* AUomiRanMl anifiMno illor fuentefo «on delle grida 
taU« an il'4W>fiiii«iito fni|iiOfili« dMnaspettata allegreisa «m1 
te gittare* «d egli dal canto 800 si afiiralilt a dar Bne al sasraéo 
«ontattimeoto. Mon donqoo che V aitrot li qoale oon ora Milo 
IsolasOf avoHopolotoragi^gQoriOySlendoaiemii sooneoieo. 

* Oo Non più resta? a dall' ona 0 dall* altra parlo clieon combati- 



« 



- 183 — 

)> Che bellezza di espressioni e di pensieri ! Che vi- 
Taciià d' imuuigiiii • di descriaiooi I 

lOo Romanm mu l taM : IhioB, inquit, fratrnm Mar 
nibus dedi; tertium, causae belli hujusce, ut Romanus 
Albano imperai , dabo. Male sustinenti arma gladium su- 
perne juguh defigit : jac&Uem spoliai. ^ 

44<» liofnofif ovantes oc grahdantes HoraJtbm acci- 
piunt eo majore cum gaudio^ quo propius metum res fue- 
rat.* 

Ho Ad sepuUuram mie iuorumneqiuiquamparSna 
ammt« ^erhmlur ; quippe imperia tJtm wucti, aUeti di- 
tionis alienag facli, * 

» Non so se vi sia cosa piti adattata a formafe il 
guaio d#'g»avaQi» e <}oaiiio alla lettura degli autori, e 
quanlo alla eompesisione, del proporre loro atetti luo- 
ghi, e dell'avvezzarli a scoprirne da sè stessi tutta la 
bellezza 9 apogliaadoli de' loro^oroameati^eriduceodi^, 

* 

lente: ma se il numero era eguale, non 1* erano le forze e la spe- 
ranza. Il Romano senza ferite, e altiero per doppia vittoria, cani- 
mina pieno di confidenza al terzo combattimento. L'altro per lo con- 
trario indebolito per il sangue che ha perduto , e privo di forze a 
cagione del corso, appena si strascina, e di già vinto per la morte 
dei due suoi fratelli, come vittima senza difesa presenta ii petto al 
suo vincitore. Così quello non fu un combattimento. 

* IQo Orazio già anticipatamente trionfante disse: Ho sacrificati 
i due primi air ombre de* miei fratelli: sacrificherò il larzo alla mia 
patria « affinchè Roma diventi aignora d' Alba » e ie imponga la legge. 
Appena il Caraiio potefi sostenere le sne anni: gli trafigge colla 
sua spada 11 petto» e lo spoglia estinto. 

* il» i Romani acoolgono Oraslo nel loro campa con on'all^ 
gran e.coa-mia gratitadine tsalo plà Tifi, qaaato esiao stut più 
Ticini al periglio., 

' Ilo Dopo di dò egei partito pensa a seppèltire I suoi» ma con 
disposiiioni ben diUiBrenii : i Romani essendo divenntl padroni decoro 
nemici , e gli Albani f edeadosi sottomessi ad nn dominio straniero. 



-nasi- 
corne noi qui abbiamo fatto , a semplici proposizioni. Con 
questo insegna ad essi come si debbano .ritrovare i 
peosìori y « conie si dobbano «flprim ^ 



Articom III. 

Dell' EiniilaBlone. 

D. Espomt» ùm ehe cosa 9' iiiende per emMlasUme, 

la quale è il temo grado per cui si giurie alla perfetta 
imitazione? 

A. Emulare non è altro die tentar di fare una dosa 
con quelfa perfexlone con ohe altri l'ha fatta. Quindi io 

chiamo emulazione quella maniera colla quale noi, per 
esercitarci a bene scrivere, imprendiamo a scrivere ciò 
stesso che da un eccellente scrittore fu scritto, per poi 
mettere a confronto la scrittura nostra con quella del- 
l' autore imitato, e trovarne le parti mal composte, 0 
ine^cacemen te espresse Y per poi ricorreggerle allo spec« 
chic di quella scrittura che ci siamo proposta. Il qiialé 
esercizio, nella citata lettera, Plinio (libr. 7, ep. 9) in- 
segnava al suo Fosco con queste parole : « Di più ti gio- 
verà, quando bai letto una ooaa di fresco^ acciocché 
r argomento e la materia in capo ti rimanga v quasi ga* 
reggi andò, scrivere quel che leggesti scritto ; paragonare, 
e sottilmente pesare in che tu, in che l'altro autore siate 
migliori: se tu.ia qualche cosa sei migliore di lui, 
avrai allegrezza grande ; se efjà è 'miglior» di te 'in 
tutte, gran vergogna. Potrai anche i più eccelleiìti passi 
eleggere, e co' più squisiti azzuffarti. Zuffa ardita, ma 
ma isfacciata, perchè ninno la sa^ quantunque molti 



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— ess- 
ile vediamo mettersi a tal cimento, che n'hanno lode 
grandissima , perclocehò, mentre bastava loro d' a&dar 
dietro i Testigi altrai, non diaperandoai delF impresa, 

passaron oltre. » (Gozzi.) 

Nihil obfiterit, quce legerù hactenus, ut rem argth 
meniumque leneai, quasi mmidumicrihere, lecUsquecmh 
ferve f oc seduto pensitare^ quid tu, quid iUe eotnmodius. 
Magìia gratulano , si non nulla tu; magnus pudor, si 
cuncta aie meUus. Licebit interdum et notissima eUgere, 
eS certare eum dectis. Audaoo hmc^ non tamen improba, 
quia secreta, rnsOenHo: quamquam miuUos videmus ejus* 
modi cer lamina sibi cum multa laude sumpsisse, quosque 
siibsequi satis habebant, dum non desperant, antecessisse. 

D. Dareste voi un esempio del come si possa imitare 
emulando? 

R. Serva d'esempio F episodio di Medoro e Clori- 
dano immaginato dall' Ariosto ad imitazione dell' episo- 
. dio di Niso ed Eurìalo nel Liivo ^ dell' Enoide di Vir- 
gaio.* 

Niso ed Eurialo, l'uno cacciatore delle selve Idee, 
r altro bellissimo giovanetto troiano, stretti d'eguale 
amicizia, stanno a guardia della nuova cittk sorgente 
nel Lazio, assediata da'Rutuli, dove si tratta di richia- 
mare Enea, che è ito a domandare soccorso ad Evandro 
nella città PaUantea. Salta in capo a Niso di tentar 
questa impresa, mentre il campo nemico è sepolto nel 
sonno , e si con6da colP amico Eurialo : ' 

• 

Cemis , fa» RutuloM Masi fidutia fmtm, 
Lt^mne rara mieant ; somm tineque 
Proeàhiere: rileni lau Iom eie* 

r 

> • 

* (toesi*0iaiiipiod*iaiilaiiQiieelwfsi raeot^atsiadft «•lolio 
«Ul «eeoado Tobuae dei libri delia nolgm alafieiisi del e»? . Angelo 
Maria Ricci » a pag. 198 a SOO. 



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«96 — 

. In Ariosto, Canto 18 e <9,Cloridano e Medoro stanno 
, io guardia del campo aaraceao assediato da^.Efanchi. 
Clorìdaoo è eacoialore^ Medoro nel fior degli anai , ambo 
stretti d'amicizia. Medoro propone al compagno di gir 
nel campo nemico, e raccorvi le spoglie deli' infelice 
loro capo Dardineilo, il quale y'ò rimasto insepolto, e 
che fu da loro tanto amato. 

Il campo* dorine » e tatto è spento il fuoco » 

Percbè del Saradn poca tema banno. 

Tnr Tarroe e* carriaggi stao roversi , 

Nei Yin , nel aonao ìnsioo agli occbi immersi.* * 

Niso non permette con generosa gara che 1' amico 
Euhalo si spinga a tanto periglio senza di lui , consi- 
dera che Eurialo lascia una vecchia madre « e che si 
espone a morto sul fior degli anni : ' 

• • • 

Nèu matri mkem UmH tim ùaurn doìùrk; 
QmB u tois, piMri vmUii e wudrikm aum 

Non cede Eurialo a tali ragioni : si presentano en- 
trambi ai duci Troiani a domandar l'assenso all' im- 
presa, ne designano i modi ec. Sono incoraggiati dal 

< De* Franchi. 

s Fin qui l' invenzione è la stessa ia quanto al procedimento. Bla 
in Ariosto due Mori di Toiomita« quali sono Cloridano e Medoro 
(C. i8| sL i05], e* interessano meno, perchè meno vicini alla nostra 
razza» perchè roggello della laro Impreaa » quantunque pietoso , è 
tutto di privata pietà $ e se ae afvide forae 1* Arioato» quando disse 
(come vedremo in appresso) ehenon era molto ra gia n evoie esporre 
due vivi a pericolo per uo morto. All'Incontro il progetto di Miao 
è chIoBiato dalla pubblica atcessità « e daHa ciieostinsa divi^ pili 
nobile» perchè al tra^a d* inooMire un periglio per la salvezza di 
tutu, nel che. sta l' eroismo. 



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_ 237 — 

giovane prìncipe Ascanio, che palpita pel padre suo, e 

dal vecchio Alate che esclama : 

Di patrii, quorum semper sub numine Troia ui; 
Non iamen omnino Teucros delere paratis, 
Quum ialet animai juvwum, et tam eerta tuHiti» 
Peetora etc. 

Ascanio promette loro premj ed altro la tempi più 
felici : Eurìalo ringrazia, e raccomanda la madre : 

Hanù ego nane ignarom hHjuf, quadmnque perieli eti ; 
Inqne eidulatam linquo; nox, et tua te$tis 
Dextera , quod nequeam lacrymat perferre parenftf» 

Àt tUf oro, solare inopem , et succurre relictos* 
Banc sine me $pem [erre lui: audentior ibo 
In casus omnes eie. 

Ascanio dà la sua spada al giovanetto Eurialo : 
Mnesteo colla pelle d'un leone, Mete con il suo elmo, 
travestono Niso ; sono questi giovanetti eroi accompa- 
gnati fino alia soglia dai Tenerandi duci. 

In Ariosto Cloridano tenta dissuadere Medoro, ma 

4 

I 

Veduto che noi piega e che noi muove , 
Qoridaa gli risponde : E verrò anch' io : 
Anch' io vo' pormi a si iodefol proove» 
Anch* io fiinioca morte asso e Mo : 
Qoal cosa sarà mal che più mi giovot 
S'io resto sensale, Medoro mio? - 
Morir leco eon T arme è meglio moltoi 
Che poi di daol, s* a? vien che mi sii loHo. 

S* avviano i due compagni pel campo nemico per 

cercar la spoglia dell' estìnto Dardinello, ed intanto 



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faaoo strage de' nemici sopiti ; con diversi accidenU, 
tolti dair autore originale/ 

Lo stesso fanno in Virgilio Niso ed Eurialo. Intanto 
sopraggiunge un corpo leggiero di rinforzo a Turno sul- 
]' atto che ì due amici uscian di periplo, scopre da lunge 
Eurialo al lampeggiar delP elmo rincontro al lume della 
luna : Volscente capo della spedizione grida loro il chi 
va là: tacciono questi, e s^ inselvano. 

In Ariosto Medoro indrizsa le sue preghiere alla 



* I molivi che adduce Nìso per trattenere Earialo, son più forti 
e toccaDti. Il primo sentimento d*afleltO| che si sviluppa nel cuor 
dell' uomo, è quello d' un figlio verso la madre , e questo affetto di- 
vicn sacro e più commovènte quando rivolgasi verso una madre vec- 
chia. Tal ò la situazione del giovane £urialo; e se Niso parla ancor 
per sentimento di privala amicizia, ella è più nobile in quanto cbe 
nasconde il suo proprio interesse. Qui Nìm si U^juttàv^ anche pift 
cbe il giovinetto £uria1o, cbe ci dispiace per ora nn .pocoi appunto 
perchè non s'arrende alla pietà Aliale» e mira piuttosto alla sua glo* 
ria. In Ariosto Cloridaao parla per sola amiclila, nè par cbe molto 
s'a£faticbi a dissuader Medoro^ ilqeale lenté ancor più la gratiti^ 
(Une pel morto Dardinello« e soprattutto l' amor Min soa.gloria» che 
non è lontano itoU' amor proprio. In Virgilio f due eroi sono piU 
posati, ed agiscono con mente serena; nel che II valore si confonde 
colla virtù. Il presentarti die finno ni duci rimasti al comando ddia 
città» il palpito» la rieelioscémt d' nn principe giovanetto che molto . 
s*sglta pel padre suo» la tenerena del veodiio Mele» Il travesti- 
mento de* due giovanetti per mano degli eroi» fiinno nn quadro cosi 
eommovente» cbe In esse IIMIé d* a^ni efd» tUOtrem di agni HnO' 
«fsftsa si manifesta ; e la gara e l'Impresa deT due giovanetti divien 
gaia e palpito di tutti. Ariosto non si curò d'Imitar questo tratto, e 
fissò lo sguardo piuttosto angli accidenti notturni del campo, dove 
la scena più maravigliosa, e forse meno patetica, rispondeva più al 
suo carattere. Qui per altro potea dilungarsi un poco più dalle par- ^ 
ticolarità accennate da Virgilio, e dare maggiore originalità alia sua 
imitazione. 



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239 — 

Lviui, oVesea fuor delle nnhif e gli palesi ove giaccia 

Ja spoglia amata di Dardinello. 

La Lona, a qnel pregar* la nube aperse, 
0 foflie caso, oppur humia feife; 



Con Parigi a quel lume ti scoperse 

V un campo e V altre; e 1 monte e il pita si Tede: 

Si Tldero i duo colli di lontano, 

Martire a destra, e Ler! ali* altra mano. 

Rifulse lo splendor molto più chiaro 
Ove Almonle giacea iiiorlo il Aglio. 
. Medoro andò, piangendo, al signor caro; 
Cbè conobbe il quartier bianco e vermiglio: 
E lutto 'I viso gli bagnò d'amaro 

« Pianto (chè n* avea un rio sotto ogni ciglio) 
lo si dolci atti f in sì dolci lamenti , 
Cbe pelea ad ascoUar fcriaare i venti* 

# 

Quindi Medoro con derìdano si caricano amendue 
del pese del cadarere di Dardinello. Sol far deir alba 

sopraggiugne Zerbino de' Franchi, il quale avendo cac- 
ciati tutta la notte i Mori, si ritraeva al campo. Glori* 
dano ooDSigUa a Medoro di sgravarsi del peso del cada* 
vere per sottrarsi al neniicoy sulla ragione 

Che sarebbe pensier non troppo accorte 
Perder duo. vivi per salvale un mrto* - 

Ed infatti Cloridauo si libera dal peso, ma tutto lo 
ritiene sulle sue spalle Medoro, mentre quello avanza 
piti lieve e più celere il passo. Zerbino col suo séguito 
dà loro la caccia, ed essi s' inselvano. ^ 

* La luna che in mal punto si scopre, e che rifolgorando dal- 
l' elmetto d' Eurialo, il pone a periglio (mentre la stessa Diana non 
dovea cosi tradire il disgraziato giovinetto, cacciatore a lei devoto) 
ci presenta il vero naturale che illumina la scena ; mentre nel- 
V Ariosto I Medoro fa quasi un siiraoole cbiamaDdola obbidisate a 



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— «40 — 

Del pari in VirgUìa ì cavalieri Rttluli occupano lotte 
le uscite della selva. Borialo è ritardato dalP ombra 

della boscaglia , e dal carico della preda. Niso è trascorso 
innanzi, ed è già prossimo ad uscir dì periglio, quando 
si ricorda dell' amico; ritorna indietro,. ode lo strepito 
dell* armi, vede Earialo stretto da* nemici; dopo un 
momento di esitazione si rivolge con una preghiera alla 
Luna come cacciatore, scaglia alla cieca un dardo, uc- 
cide un nemico , poi un altro non veduto , e difeso da' ra- 
mi : infuria il capo Volscente , e vuol sacrificare Eurialo ; 
ma in tanto cimento deir amico offre Niso il petto alle 
ferite, ed esclama: 

Me me, adsum, qui feci, in me convertite ferrum, 
0 Rululi: mea fraus omnis: nihil iste nee auiu$, 
Aec potuit : calum hoc et conscia sidera ttitor. 
Tantum infelieem nimium diUmt amiettm. 

Neil' Ariosto, Medoro ò aggravato dal caro peso del 
cadavere di Dardinéllo, e si è avviluppato tra l' orror 

delle selve, mentre Cloridano era già quasi al sicuro. 
Costui, mentre s^ avvede aver perduto V amico, ricalca 
la selva ^ ed ode strepito d' armi : 

Ali* ultimo ode il suo Medoro , e vede 
Che ira molti a cavallo è solo a piede. ^ 

Lo circondano tutti , e Zerbino grida che sia arre- 

seobprlre 11 luogo, ove giaccia 11 cadatere di Oardtaèno. Tolto H 
procedimeDio Id VirgHIo è fa natam più die aair Arloeio, laa as- 
sai toccante In questo è il punto io cui Medoro è tardalo dal paia 
del cadavere amato; e qui Cloridano è un poco troppo soOedto al 
ripiego per salvarsi senza esitare un momento, e quasi sì avtilltee 
in quella riflessione , che è pur vera, ma poco nobile. Medoro, 
ctie ciò non ostante in mezzo a tanto periglio si ostina a portare 
il caro peso i qui s' innalza fino air eroismo. 



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— 241 — 

sialo. Egli cerea scbeimo e riparo qua e Ik , nè mai si 
scosta dal caro peso: 

L*ba riposato alQo suirerba, qaaodo 
Regger noi puoie , e gU va intorno emodo : 
Ck>ine orsa che 1* alpeslre cacciatore 
Nella pietrosa tana assalita abbia, 
Sia sopra i figli con incerto eore« 
E freme in suono di pietà e di rabbia: 
Ira la *ntrita e naturai furore 
A spiegar V ngne e insaguinar le labbia : 
Amor la *kiteneri8ce, e te ritira 
A riguardare ai figli in meno 1* ira. 

Cloridano allora nascoso trae un dardo e poi V al* 
tro, e uccìde alcuni de' nemici: Zerbino si scaglia con- 
tro Medoro per ucciderlo, egli si raccomaada, e col suo 
bel volto e co' suoi preghi implora tanto di vita che 
gli basti a seppelh're il cadavere del suo signore : ma 
in questo mezzo un cavalier villano sopraggìunto feri- 
. sce Medoro, tal che se ne sdegna Zerbino, e vedendolo 
caduto a terra il giudica morto, ^ 

< In Virgilio la preghiera di Niso alU Luna, come già diTOto a 
lei« ha qualche cosa di pio e di patetico: e quel tornare indietro 
per r amico per quella linea che divide il periglio dalla salveiza 
iaituaaione egualmente adottata dall* Ariosto in Clo'ridaDo), è una 
circostanza tutta eroica, in Virgilio le parole generose di Niso ea- 
ratterìuano il quadro; in Ariosto Ui eostanu di Medoro» che s' ag- 
gira qua e ih cacciato e percosso, gemebondo e ferito» intorno al 
cadavere amato, fissa dei pari la ince di tutta la scena» e il colpo 
d' occhio della prospettiva. Bellisrima altresì in Ariosto è la almi- 
fitudine Cam' ona ee. Essi però nacque in orìgine sott* altro ponto 
di vista anche da Virgilio » che l' aecenna II dove Iffeo ed Enrialo 
fumo strage nel campo sopito do* Rutuli» e forse vi è più opportu- 
namente collocata: 

Impasttts ceti piena ieo per ovilia ttirlanSf 
J ' Stiadet enim vesana fames , tnanditque trahitqiie 

Molle pecusp mutiimijuo metti: Jremit ore cruento, 

16 



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— 242 ^ 

Io Virgilio , non osUoti le preghiere di Niso , Voi- 
scente uccide T amabile giovanetto Eurialo, fl quale 

cade : 

Purpureiis veluli quum fiat auccitiu aratro 
Langueteit moriens ; kutwe papavera (Ma 
Demitere capul , pUaia qmm forte ^ovoiiter. 

Niso si scaglia in mezzo a' nemici cercando a morte 

Volscente, sostit-ne da ogni lato un nembo di strali e 
di guerra, c uon ristassi finché non abbia uccìso Voi- 
* soente; quindi percosso anch* egli e in tanti modi ferito 
va a morire sul cadavere deli' estinto amico: 

Tarn super exanimem sese projecit amicum 
Confossui^ placidaque ibi demum morte quicvit. 

In Ariosto Zerbino si ritira criicciato ali* atto vii* 

lane per far vendetta di quel cavaliere che fugge via; ma 

Cloridan, cbe Medor vede per ierra« 
Salta Del bosco a discoperia guerra; 

e fatta molta strage, e trafitto anch' ei per molte ferite, 

E tolto che si sente ogni potere , 

Si lascia accanto al suo Medor caliere. 

S rivo^no altroire i Franchi; il giovane Medoro 
rinviene r ed essendo ivi sopravvenuta Angelica ventu- 

Gmì neli' imilaalone diviene originale lo stesso pensiero e le flessa 
immagine y presenUadoU soli* altro paeto di prospeitifa e eoa ac- 
cideaii dìyersi. 

In Ariosto la situazione di Medoro die domanda in grazia la 
vita a Zèrbioo per seppellire il oadaTere di Dardineilo ; l' atto f il- 
Jaoo di qoel eavallerQ cbe in tal poslaiooo lo feriao^» il geneieso 
sdegno chene prende Zerbino» son cose tni.te nuove* assai beo 
infnpginste, onde i*^utoBef scostandosi dall'Invenaion Viigiliana» rin- 
nova e rende originale la scena. Qui diviene Interes^nte aneto 
Zerbino» ciò che non è Volscente in Virgilio; il quale forse lo volle 
dipingere cosUlttrOt perchè facesse contrasto coli' amabile giova- 
netto Eurialo» assomiglialo ad on flore cbe cade reciso dal duro 
vomero. 



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riera figlia re dt Calai, aenle di hii pteta , Io cara 

con erbe salutari , lo conduce alla casa di un pietoso 
pastore, dove ella s' innamora del giovinelto, e dove 

Di sè aon cara ; e non è ad altro intenta , 
Che a risanar cM lei fere e tormenta. * 

In Virgilio i Riituli troncano le teste de' due gio- 
vani inielicì, riconoscono qua e ]ò quante stragi hanno 

essi fatte sul campo, e si presentano dinanzi alle trin- 
cee ed alle mura degli assediati Troiani , col miserando 
spettacolo di quelle testo confitte alle picche, sul far 
del giorno. Accorre la madre di Eurialo alla infausta 
novella: 

BMtmi^nlhiirùéii, fewoluttique penta* 

vola alle mufa in mezzo alla turba la vecchia ma- 
dre infelice, vede da lungo il mozzo capo del figlio, ed 
esclama: 

Hunc ego te, Euryale, adspicio? lune illa tenedce 
Sera meoe requies? potukii linquere solam, 
Crudelis? nec te, sub tarila pericula missum. 
A/fari extremum miserw data copia mairi? 
HeUt terra ignota canibus data praida lalinii, 
ÀlitibMquejacei! nec U tua funera maler 

* Qnl tanto' Virgilio, quanto PArfo^, Tmo sseatandosi a 
graéo a grado MT aUre^ mm% del pari nel merito dell' Invenaione. 
Miao e deridano sono egoalmenle interessanti, e se il secondo in 
Ariosto Ita f^tto dubitare nn momento del suo eroismo , qui ricu- 
pera tuUa la prioria, alla quale unisce un soave patetico eguale a 
• quello che c' ispira la caduta di Niso sul corpo dell'estinto Eurialo. 
In Virgilio il villaifo Volscente è punito da Niso con eroica vendetta : 
Zerbino in Ariosto meritava d'essere risparmiato; ma se per un 
caso fosse stato ferito dopo la sua nobile indignazione, o anche 
morto, avrebbe data nuova luce e nuovo interesse al quadro, e 
nuova originalità : ma Zerbino nel piano del poeflM era riserbalo ad 
alire^venture d' armi e d' amare. 



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— 244 — 

Praduai, frmim «oii/af, aaif vuluré M, 
Vai tegent. Ubi quam iW6le« fattna dl$tq9ie 
Urgebam . $t tela curai lolaòar aaiUs* 
Quo Hquar f 

Commossi i Troiani a tali lamentìi per comando di Dio- 
neo e di Ascanio, 

muUum laerimanUt JuU, 

CorripiutU, inierque manmiub Ueia reponunt, 

E qui si riprendono le operazioni di guerra. * 
D. Dopo avere tradotto, analizzato , ed emulato, è 
egU terminata V opera deW imikunone? 

lì. No , anzi ella allora veramente incomincia, pe- 
roccliè questi esercizj non sono che il principio e V av- 
viamento all' imitazione , come bo asserito fin dappri- 
ma, conciossìachè T imitazione sta più in alto. Infetto 
r imitatore deve sapere tutta in sè ritrarre V arte del- 
l' imitare ^ e le cose suddette giovano princìpalmenle 

* Io Ariosto Medoro è serbito ad altri casi, e T episodio si ran- 
noda all'azione principale con mmvigllofia irarietà di Unte e di pro- 
spelUve. Dal fremito della battaglia alla quiete di ona capanna pasto- 
rale, dairire agli amori, cui serre di dolce tniermeiio e di grada- 
zione l'idea d'nna tenera amlsiii, d'una pietà generosa, sono pas- 
saggi di scena così bene immaginati, che la imitazione si colloca al 
lato della inveniiene Virgiliana. Air incontro in Virgilio il ritorno 
che ftcciamo indietro a pensare sulla situazione della vecchia madre 
d'Eurialo, il ricordarsi delle promesse, de' palpiti del giovanetto prin- 
cipe Ascanio, de^vecchi dod; il rammentarci in fine generalmente psf^ 
laudo di quel momento felice, nel contrapposto di cosi nriseranda 
sventura (per cui palpitammo tu qui tra la speraoza e SI timore), è 
veramente il compimento del quadro, In cui l'azione tutta Insieme 
ci si sclliera davanii. E la dìpiniura della madre d'Eurialo, allorché 
di man le cade la conocchia, e i suoi lamenti , e la commozione dei 
Troiani , fanno gradazione al momento terribile in cui risorge il ter- 
lor della battaglia, cresce la sospensione, ia maraviglia, il terrore; 
e razione ad eventum {ulinaL 



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per venire a ciò. Colui imiterb, che con ispesso eserci- 
zio si farà a scrivere, e cercherà ohe la sua scrittura 
^ condaca con qaella stéssa arte, con cui ì Classici re- 
sero belle e piacenti le proprie. Nè basterà che una o 
due volte si abbandoni all'esercizio dello scrivere, ma 
molti anni dovrà scrivere , solo per imparare a seri* 
vere, e formarsi una maniera propria composta all' imi- 
tazione de* migliori. 



Cap* ILlLm 

umm Mto • tnM imlMie i mìsUotI mH*- 

torì mi debbaiio imitare, e quali sono 
quelli elle ileTOiio innanzi m tvMk essere 
inaitati. 

D. Si dovrà egli imitare un solo , o tuUigli scrittori 
msieme, i quali hanno titolo d* essere eccellenti? 

R. Molte questioni si hanno intorno ciò , e molti 
avvisano che. un solo si debba prendere ad esempio; 
altri, che da tutti si debba sestiere. Se a me è lecito 
dire la sentenza mia, io reputo che T una e V altra cosa 
si debba lare , cosicché quella disputa che fu accesa e 
ventilata assai nel 4500 tra uomini sommi, Pico, Bem- 
bo^ Polisiano, Cortese, mi pare che possa risolversi col 
prò d' amendue le parti. In fatto io sono di credere , 
che dapprima un solo e il piii eccellente si debba pren- 
dere ad esempio , come appunto fanno i pittori che 
iniziano air arte i giovani sulle tavole di Raffaello, pe- 
rocché egli fu il più perfetto fra quanti penaelleggia- 



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— 246 — 

rono tavole e tele. E così debbo fare chi vuole riuscire 

scrittore; dapprima si dia a guidare ad un solo; ne 
prenda l' arte, gli audameoti, le traosuionii U periodo* 
il modo del comporre ^ tutto io somma che- Tarte ba 
di bello e di buono in quello scrittore. E se per caso 
iu alcuna parte egli fosse men che perfetto, quella 
parte egli cessi, e tenti migliorare. Poscia dopo laago 
esercizio , quando V arte è divenuta nostra, e quasi fotta 
ia noi slessi natura, saremo liberi di recarci alF altre 
fonti, acciocché, se qualche special colorito più confa- 
cente alla nostra maniera di sentire in altri ci avvenga 
trovare, Io facciamo nostro, e quasi raggiungiamo a 
perfezionare il modello che dapprima imitammo. Così 
i pittori, dòpo essersi formati una maniera alla scuola 
di Raffaello, sì conducono allo studio delle tavole del 
divin Le<Hiardo, del Tiziano e del Correggio , e tutto 
insieme fanno una maniera che non ò veramentcd' al- 
cuno , ma sì cosa lor propria , nè d' altri , alla quale 
tutti insieme que* grandi, ^e' quali studiarono, banno 
dato conforto. 

D. Quali sono gli autori che si devono dapprima 
proporre a chi vuole venire in fama di scrittore? 

R. Tutti i più eccellenti possono essere presi ad 
esempio singolare, e la scelta non è da fare in genere , 
ma si conviene applicarla specialmente alla natura di 
colui che vuole apprendere V arte. Eccellenti sono tra 
I Latini, e Terenzio e Cicerone e Livio e Sallusl^ e Cor^ 
nelio e Cesare e Quintiliano; e ognuno di questi può 
essere ottimo esemplare: ma io non direi così alla 
cieca: — prendi questo, prendi quello; ma vorrei obe 
studiata la natura del giovane, il savio aiaestre ^ 
assegnasse queir autore che piii tiene alle stesse qua- 
lità d' animo o di mente. I^ò io a giovane d' iodole 



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— 247 — 

tranqQiIla e doloe yorrei dare Sallustio, Livio, o le piti 

veementi orazioni di Cicerone; ma sì mi piacerebbe 
eh' ei si fermasse sopra Cornelio Nipote, sopra Cesare, 
osoi trattali a sulle lettere di Cicerone: e coiA a gio- 
vane di forte fantasia e di risentiti affetti darei molilo 
Livio e Cicerone; e a chi abbia forza di meato e di ri- 
tlessioiie, proporrei Sallustio, e poco appresso forse 
aneo Tacito. Ch'egli mi pare che meglio la natura spie- 
ghi le sue forze, guidata dalla somiglianza, che non 
abbandonata alia scorta di chicchessia. Nè dòssi temere 
che codesta somiglianza feccia imitatori servili ; per- 
chè per molto somigliante che sia il modo di sentire, 
pure vi ha sempre una differenza propria di ciascuno, 
la quale nello stile per poco va a primeggiare , e cO" 
stHuisce poi la maniera propria di ciascuno scrittore. 
Vero è che vi sono alcuni scrittori, che, avendo in di* 
verso siile dettate opere, facilmente s'accostano alla 
maniera di tutti, come Cicerone fra i Latini, il quale 
non meno agli oratori che ai filosofi, agli storici, ai co- 
mM, si eonfh; cosicché tu possa o alle orazioni, o, se 
r ingegno tuo è da meno, alle lettere, ai trattati, ai 
dialoghi rivolgerti; e ùra gli italiani Dante, il quale 
tutti i generi raccolse nella sua Commedia, e in tatti 
si levò all'eccellenza. E di qua venne che il solo Cice- 
rone potè da molti essere preso ad esempio, senza che 
r uno sappia dello stile deli' altro, come bene osserva 
Paolo Cortese da San Giiàignano, scrittore e giudice 
ottimo di tai cose , nelh\ risposta eh' egli invia ad An- 
gelo Poliziano. — « Guarda, dice egli, a coloro. che si 
» fecero ad imitare Marco Tallio, ed osserva qoanto 
9 siano distanti Tuo dall'altro, e quanto anche fra 
9 sò clissomiglianti. Livio prese quella larga e ricca 
0 veua che non conosce freno , Quintiliano V acume, 



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» Lattanzio Fannooia, Garslo la doloena, Columella ' 

» r eleganza, e mentre questi avevano tutti un solo 
» proposito, cioè di comporsi allo specchio di Gicero- 
» ne, pure, se si paragonioo, non vi è cosa laato disao- 
» migliaQte quanto sono essi fra loro; nulla tanto di- 
h stante, quanto essi da Cicerone. » Una cosa però 
inculcheremo sopra tutte, ed è questa: che ninno per 
piegarsi air imitazione altrui contraffaocia alla propria 
natura, né preitda que'mod! che Fuso ha rigettati, ma 
la propria natura modifichi soltanto secondo l'arte al- 
trui. Ogni scrittore debbe essere uno, aver proprio ca- 
rattere ^ stile e maniera ; e chi altrimenti fa, si confonde 
colla derisa greggia servile degV imitatori , anzi de' con* 
traffattori, che sono sempre i peggio scrittori. 

D. Quali sono gli scrittori che debbono eoeglitrei 
j9mei}x»{fRstite a maestri fra i Latini? 

R. Fra i prosatori, come fu detto, Cicerone a capo 
di tutti, poi Livio, Cesare, Cornelio, Sallustio, Pater- 
colo, Curzio, Quintiliano, Columella: e dopo.questi Ta- 
cito, Plinio, Floro , i quali per avere difetti non lievi 
non si possono così di subito prendere a mano per non 
riuscire a {peggio. Infatti troppa brevità, che genera 
oscurità e durezza, è in Tacito: troppo studio che dà 
in affettazione, è in Plinio: Floro in mezzo ad una vl< 
vace brevità, ha sovente concetti raffinati, oscuri, e 
spesso più da poesia, che da prosa. 

Fra i poeti Virgilio, Orazio, Catullo, Tibullo, Te- 
renzio e Fedro anteporrei a tutV altri ; non disdirei però 
dopo qiiesti la lettura di Lucrezio, sebbene qualche volta 
più filosofo che poeta; nò Properzio, che spesso è in- 
tricato, e soverchiamente eriidito; nò Ovidio, che spesse 
per troppa prolissità ristucca, e per difetto d*arte 
manca di nobiltà; nò Lucano, che troppo spesso la fa 



da oratore e da istorico^ anziché da poeta; nè Giovena- 
le, che risente dello stesso vizio di declamazione. So- 
vra tatto però lodo chi prende ad imitare Virgilio, per- 
chè niano fìi mai piti perfetto di lui nell* arte, e perchè, 
avendo trattato diversi generi, può a diverse indoli 
d' ingegno facilmente accomodarsi. Aggiungerò che 
V imitazione delFarte di costui è piU utile agli Italiani, 
perchè cpieirarte stessa si trasfuse nell'Autieri, e di- 
ventò arte nostrale. 

D. Quali scrittori italiani vorrete voi proporci a 
maeilri? 

R, A queste vo' che vi risponda per me Paolo Co- 
sta, grande maestro che fu dell'arte e amico mio, le 
parole del quale ora recherò così come sono, e tali sono 
che pid saggio non vi potrei dare io stesso: « E prima 
è a sapere, die' egli, che nel secolo XIV alcuni prosa- 
tori ed alcuni poeti diedero al volgar nostro tanta pro- 
prietà e grazia , che nessuno poi ha potuto eguagliarli ; 
ohe nel secolo XV questo volgare fu quasi abbandonato 
per soverchio amore della lingua latina , e per pusilla^ 
nimith degli uomini d' Italia: che nel secolo XVI fu dal 
Fortunio e dal Bembo ridotto a regole determinate , e 
da molti fo nobilmente adoperato in varj generi di 
scritture: che nel secolo XVII fù da taluno aoconeia- 
raente impiegato, ed arricchito di voci pertinenti alle 
scienze: fu da alcun altro scritto con eleganza , ma ven- 
ne da moltissimi in parte corrotto, e rìvdto in vanità 
di falsi concetti: che nel XVllI Gnalmente fu da pochi 
bene usato, e da moltissimi con parole e modi forestieri 
vituperato. Tale essendo stata la fortuna di questa bel- 
lissima lingua , chi potrà dubitare che oggi non sia a noi 
salutevole il consiglio, che ci porgono gli uomini sapien- 
ti, cioè quello di studiarsi gli antichi esemplari? Se nel 



— 250 — 

btton secolo ddla lingaa latina si stimava essere opera 

di gran profitto ai giovani il molto leggere gli antichi 
scrittori del Lazio, quanto maggiormeote non ai dee 
credere che lo studiare i nostri sia per giovare a noi, 
che viviamo in un secolo, ove gli Italiani pressoché tut- 
ti, più delle cose forestiere che delle proprie dilettan- 
dosi, scrivono sì^ che punto non pare alle loro scritture 
che sieno stati allevati in Italia? * Verissimo si è (andie 
parlando delle arti) quello che dicono i politici; cioè 
che qualvolta le cose sieno pervenute a corruzione, bi- 
sogna richiamarle a' loro prìncipj. Questa sentenza doi* 
vrebbe essere dinansi all' animo de' giovani nelle let* 
terc umane; pure sono alcuni, che, deridendo coloro 
ohe molto studiano i testi delia lingua, dicono essere; 
sdocdiezza il darù tanto peosiero delie parole egfd qual 
volta si abbia cura dei concetiì, come se il recare alla 
mente altrui i nostri concetti non dipenda dalla virtù 
di bene accomodate parole. Cotaii persone avendo po- 
sta kro usanaa o ne'soli domestici negOijjy aia al- 
cuna sdenta o arte, nè mai data opera allo studio dell» 
lingua, vilipendono ciò che non conoscono, e perciò, 
non avendo autorità, aon meritano alcuna risposta^ 
Tutti gli uomini di mente lUscreta Ma<ai maraviglie^ 
ranno se qui vengono còOsigliati i gìóvanelti a studiare 
prima nelle opere de' trecentisti , ne' quali è dovizia di 
vocaboli propij, e di forme gentili, e chiarezza, e seaah- 
pKdtà , e urbanìlè , e maravigliosa dolcèna, ed a riser- 
bare agli anni loro più maturi lo studio de' cinquecen- 
tisti , che scrissero eloquentemente di cose gravi e ma- 
gnifiche. 

* Tale era la condizione deir Italia quando per la prima volta 
fa stampalo il libretto dell' Elocuzione: ogsi» la I)io mercòy molti 
soiào<:be scrivono in porgala favella. 



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— 251 — 

» Ma per avTenlora alcuno dirli: non debbiamo noi 

essere intesi dagli uomini del nostro secolo, e cercar di 
piacer loro seguendo T usanza? Perchè dunque vorremo 
che la gioventii studj ancora quelle opere ove si trova- 
no, oltre le voci ed i modi che sono fuor d^uso, e l)ar- 
barismi, e pleonasmi, e solecismi, ed equivocazioni, e 
talvolta negligenza e stranezza ne' costruiti? Perchè 
non vorremo consigliarla piuttosto a leggere i soli sorìt- 
tori del cinquecento, i quali, seguitando le regole gram- 
maticali (iettale dal Fortunio e dal Bembo, non solo 
scrissero correttamente, ma trattarono eloquentemente 
di varie ed importanti materie? A queste obiezioni ri* 
spondoremo, che si dee seguitare l'usanza dei buoni 
scrittori, raa non T usanza del volgo; che non si vuole 
negare che in molte opere del trecento non si trovino, 
* fra la copia delle maniere proprie, nobili e grasiose, vai^ 
difetti : ma che per questo non ci rimarremo dal consi- 
gliare la gioventù di avere sempre caro sopra tutti quel 
secolo beato, e di leggere per tempo i suoi ecaellenti 
scrittori ; poiché ci teniamo certi che , quanto è difficile 
il renderci familiari e domestiche le maniere native e 
gentili, altrettanto è facile di perdere T abito di peccare 
contro la grammatica e contro V uso. La predetta virtd 
non si può acquistare se non con lungo esercìzio: il di- 
fetto si può togliere assai agevolmente dopo lo studio 
della grammatica , e dopoché per la liiosoha e per la 
erudizione ci verrà dato di ben conoscere il valore delle 
parole, e di ben distinguere la lingua nobile dalla pìth 
bea, e le maniere che per vecchiezza hanno perdutala 
grazia e la forza nativa, da quelle ciie sono ancora 
belle ed efficaci. 

» Quanto allo studio de' cinquecentisti, non dubi- 
tiamo che ei sia per essere utilissimo^ essendoché molti 



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— 252 — 

eccellenti scrittori di quel tempo adoperarono la lingua 
che appresero da Daate, dal fioccaccio, dal Petrarca e 
dai^i altri trecentisti, emalando mirabilmente i Greci 
ed i Latini in molti generi di scritture : ma teniamo 
per fermo che convenga alla gioventù di avvezzarsi al 
candore ed alla seniplicità del trecento prima di cercare 
lo splendore, la magnificenza, la copta e V altezza de' pen- 
sieri ne^ cinquecentisti. Perciocché tutti coloro di^ si 
sforzano di parere magnifici e splendidi prima che dalla 
filosofìa sieno fatti ricchi di cognizioni, fauno V orazione 
loro bella nella buccia , ma nel!' intrinseco vana e pue- 
rile. Non polendo i giovanetti esprimere con yeritò se 
non que' pensieri e quegli affetti che sono proprj della 
tenera elò, troveranno assai accomodate al bisogno le 
parole ed i modi usati dai trecentisti, la più parte de' 
quali, come que'che vissero nell'infanzia dell' italico 
sapere, scrissero di tenui materie. Verrà poi quel tempo 
maturo in che ai giovani farà mestiere di alzare a gravi 
concetli Io stile, ed allora apprenderanno dal Gueciar- 
dini gravi th e nerbo ; dal Segretario Fiorentino sobrietà 
ed evidenza; dal Caro copia, efficacia e gentilezza; dal 
Gasa splendore e magnificenza; dal Galileo ordine e 
precisione; dall'Ariosto e dal Tasso i pregi tutti onde 
è divina la poesia. Ma allo studio di questi e degli altri 
molti, che fecero glorioso il secolo di papa Leone, non 
avranno l' animo ben disposto se non coloro, cui prima 
sarà piaciuto di attingere ai puri fonti del trecento, dai 
quali derivarono i sopraddetti abbondantissimi Oumi.» 



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cmcMJDnMmsB. 



Dalle cose brevemente fìa qui dichiarate sarà facile 
rilevare in ohe prìDcipalmente ooosisia qaeU* arte che 
si chiama Rettorica, e che 'cosa debba fare chi bene e 
sicuramente voglia apprenderla. Yedrh che il primo 
studio dee porsi nella scelta delle parole, perchè siano 
quali sono domandate a significare precisamente le idee, 
e perchè siano collocate con quel giusto ordine, senza 
del quale non si forma bene il periodo. Apprenderà 
quali r^ole denno governare esso periodO| e quali qua- 
lità precipue debba avere. Poscia conoscerà come si 
formi il discorso, e che le doti le quali lo rendono po- 
tente sull'animo sono la verità, l'ordine, la naturalez- 
za^ r eleganza. Quindi si recherà a studiare quegli ele- 
menti di che r eleganza fii genera, e fra questi vedi^ 
annoverate quelle forme di parlare che dagli scolastici 
furono chiamate figure di grammatica. Appresso impa- 
rerà quale giovamento rechino air umano discorso i tro- 
pi , e come il linguaggio si divida in tre specie , la prima 
delle quali è dalla fantasia, T altra dalla passione, la 
terza è governata dalla semplice ragione ; e gli sarà ma- 
nifesto quali forme sian proprie del primo, quali del se- 
condo modo; e come il linguaggio della ragione ami 
una schietta semplicità, confortata a quando a quando 
da concetti e da sentenze convenienti al carattere del 
discorso, non che alla specie dì esso. E seguitando avrà 
appreso che la varietà, e queir armonia che ha nome 
d' imitativa, rendono più dilettevole e potente il discor- 



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— 254— 

so; che la descrisfone e 1* affetto da un* adeguata collo- 
cazione delle parole acquistano vigore e vita. Vedrà 
quali sono i diversi caratteri dello scrivere, e quali le 
specie che da ogùuno di questi caratteri si derivano. 
Infine saprè che cosa è stile, e a quali leggi dee sotto- 
stare, in quante specie comunemente si divida, e come 
si possa formare buono , ponendo mente alle norme che 
ne assegnano i maestri dell' arte» e applicando V animo 
alFimìtacione dei Glassici, dalla quale principalmente 
si può avere giovamento e conforto. E di tutto avrà 
esempli a dovizia, allo specchio de' quali potrà sé e le 
opere proprie comporre. 

Non vi sia però alcuno che avvisi con la sola 
lettura , ed anche il solo apprendimento delle regole, 
poter riuscire scrittore buono, perchè senza un eserci- 
zio continuato e paziente le regole o tornano invano, 
0 mettono assai poco conto. Laonde voglio che siano av- 
vertiti. i giovani di ciò ; e che neli' esercitarsi bene pon- 
gano tempo e paziensa. Ricordino che come la terra 
non produce le cose appena' le fu fidato il seme , nè 
senza fatica lunga di coltura, così nelle creazioni del- 
l' umano ingegno, dopo gittate il buon seme delle regole 
e de' precetti, fa di mestieri adope*ar fatica perchè a 
bene sviluppino, e crescano a buono ed ubertoso frut- 
to. Chi vuol fare risparmio di tempo e di fatica, non 
potrb mai riuscire con lode. A far presto non consegue 
mai il far bene, si al lungo esercizio la speditezza dello 
scrivere tien dietro, come insegnò Quintiliano nel libro 
decimo delle sue Istituzioni al capo terzo, colle parole 
del quale mi piace>dar fine: Moram U tottecitudmm 
HiMs tmpero. Nam primwn hoc comHiimdum aique 
^btinendum est, ut quam optime scribamus: celerita- 
teoi dabit conmetudo, PauUaUm rei facilius se osten* 



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dent, verba respondtbutèi , emposùio prosequelwr. Cm- 

età dernque, ut in familta bene instituta, in officio 
erurU. Summa hcec est rei: cito scribendo, non fit lU re- 
cU scribatur; bene scribendo, fit ut cito. « Posatezza ed 
attenzione vo^che si abbia in sai cominciare. €hè, in- 
nanzi tutto, ciò si dee stabilire ed ottenere, di scrivere 
quanto piìi meglio si può: dall' esercizio ci verrh la pre- 
stezza. A poco, a poco le cose con magnar facilità si 
offeriranno, le parole corrìsponderannovi ; il discorso 
prenderà forma. Tulle cose infine, come in ben ordinata 
famiglia, basteranuo al debito loro. La somma è que- 
sta : collo scrivere presto non ^ impara a scrivere be- 
ne ; collo scrivere bene si ha di scriver presto. » 



FINE. 




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msiGE. 

Al cbiarissimo signore avvocato Luigi Foraaciari. — Giù- 
aeppe-Ignaiio Montaiiari. . • • . Pag. 5 

DBLL' ARIB HBIieElCA. 

GAP. I. ' 

Che voglia dire Retlorka, — Quale bontà si ricerchi 
nelle parole^ e perchè, — Come da eue proceda la 



ekiarezzak 

D. Che cosa è la Rellorica ? * , . 13 

D. Quali bonlà denno avere in sè le parole? • ivi 

D. Perchè si deve avere questo riguardo nelle parole? ... ivi 

1). Da quante cose procede la chiarezza? 14 

D. Come si oUieoe la cbiacezza dalla collocazione delle pa- 
role? : 15 

D. Con che altro modo si ottiene la «hlafena nel eolloeare 

le piurole? • . , ivi 

CAP. il. . 
Del Periodo. 

D. Che cosa è il periodo? 16 

/). Che cosa è la sentenza? Ivi 

D. Come sono chiamate dai retori le parti che compongono 

il periodo? 17 

D. Di qiianli membri sì deve comporre il periodo ? f8 

D. Quali regole si daono a ben formare il periodo? ivi 

CAP. 111. 

DeUe qualità eeeenziali del Periodo. 



D. Avete detto che r unità, la cbiarezza e l'armonìa, sono 
le tre qualità essenziali del periodo; oi'a spiegatemi un 

poco perchè è necessaria V unità iU 

17 



« 



• 



— «58 — 

D. Come si oltiene l'uniià? Pag. 19 

D. Che intendete quando dite che ii periodo deve avere ef- 
ficacia? 2i 

D. Qaaìi regole ai danno per ottenere l' efficacia deli* eeprea- 

alone nel periodo t ivi 

D. Si deve egli evitare la superfloità aoltanto nelle parole? ivi 
D. Qnale altra regola ai dà per ottenere l'efficacia nel pe- 

riodor? . ; • . . . M 

D: Quale altra regola aaaegnereste oltre le accennate? .... Ivi 

D. Qual è la quarta regola per dare efficacia al periodo ?.. 83 

D. Qnal è la qoinu regola* pee rendare efficftice II periodo? . . 84 

D. Qual è la sesta regola per dare efficacia al periodo? .... ivi 

CAP. IV. 

« 

Dell' Artnonia, 

f 

D. Che cosa deve dirsi dell' armonia? 86 

D, Perchè avete detto die i' armonia nasce dalia sceiu delle 

parole? . . ..... 

0. Qamte regole ai possono dare per tendere armonioso il 
periodo eolla acelu delle parole? 87 

Dm Dareste le regole die rigvardano la diapoaiiione delle pa- 
role per ottenere armonia? . 

D. Chi può dirigere» e dar leggi. migliori iàloruo 1* armonia ? 88 

D. In quanti vi^ ai può cadere cercando sovercbiamente Tar- 
monia? * • • .• 

I>. Conviene forse vna sola armonia egualmente ^ ui^ i pe* 

riddi? • ^ 

D. SI dovrà egli comporre 11 tDacorao- semplice solamente di 

brevi periodi » e V oratorio solamente di ioagU ?•••.. in* 

D. Con che arte al rende lungo il periodo} ivi 

D, Formato che sia bene il periodo, cosiccàè riesca doUto 

d' unità , d' efficacia, d' armonia, che altro resu a href 30 

C/LP. V. » 

' Bel DiseonOt e delle sue principali quMà. 
D, Come si po6 definire il discorso ? 



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-, 259 — 

A. Qiittiti s«Bo i fisi èbi ruomo si fob pM^om nel di- 
Mono? «... Pag. 31 

D. tre fini diversi che raomo si propose parlando» de- 
vono forse essere sempre egoili le qnalfià del discorso? ivi 

D, Insegnateci ora le qualità proprie ad ognuna di queste 
ire specie. r , . . . 32 

« 

CAP. VI. 

DeUa nerità, deW ordine ^ deUa naiur(deua 
e deU* deganza. 



D. Che cosa intendete dire quando prescrivete che il discorso 

abbia verittf ....... ivi 

D. Che cosa è l'ordine? \ 33 

D« Che cosa ori dite della naturale»? 34 

D. Che cosa h elegante, e in obe censiMt 36 

CAP. VM. 
* 

Delle figure del Dkeerto tMamaf^ granmalicdi. 

D. Che cosa sono queste fi{?ure grammaticali ? 37 

D. Come può dirsi che le figure grammaiicali giovano all'ele- 
ganza del costrutto? '. % • • • ivi 

D. Quante e quali sono queste figure? 38 

D, Come definireste la elissi , e che cosa direste di questa fi- 
gara? ivi 

D. In quanti modi si può fare T olissi 39 

D. Che cosa è il pleonasmo ; e in quanti modi si 11 ? • f . . . 40 

D. Che cosa dovrà dirsi della siiessi? *. • . 4f 

D. Che dee dirsi dell* enallage? 42 

0. Quale è la quinta di queste figure? 44 

l>. Perchè si parta delle figure grammaticali, e non si fli motto 

di quelle che 1 retori chiamano figore di parole? 46 

« 

GAP. vai. 

Dei Tropi, 

D. Che cosa sono i tropi ? 48 

D. Onde ha avuto origioe il linguaggio figuralo? ....... 49 



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— 260 — 




D. Quali sono i principali tropi dei quali sì deve parlare? Pn!]f. 


51 


ARTICOLO I» * 




Ti/ili /t nnatnifHI*n 

UCllCL irieiajora. 






ivi 

Ivi 


D. Quali fra tutte sono le più belle metafore ? 


53 


D. Quali VI7J principalmente rendono sconcia e aeiornìe la 






56 


Articolo 11. 




Della Metonimia» 





D. Che cosa è la metonimia, e per quante guise si fa? ... . 62 

Articolo III. 
Della Sinecdoche. 



D. Che cosa fe la sinecdoche? 

Artìcolo IV. 



Dell Antonomasia, 

T). Che cosa è antonomasia ? 67 

Articolo V. 



Della Catacresi e della Melalesii. 

D. Che cosa è la catacresi ? 69 

n. Che cosa è la metalessi ? 70 



Articolo VI. 

Come i tropi aggiungano grazia al discorno trovandosi 
riuniti insieme t « come sieno tutti derivati dalla 
metafora. 

D. Dopo queste cose resta altro a dire? 72 

D. Avete accennato che lutti i tropi non sono che modifica- 
zioni della metafora; sapreste voi dichiararmelo? .... 75 
D. Direste voi ora per qual ragione avete tolto dal novero dei 



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— 261 - 

tropi l'allegoria, T iperbole, .1» perifrasi, T ironia, ed 11 



Articolo VII. 

C^me ogni ipeeìe dì scrittura ami una matàira 

propria di tropi. ' • 

D, Ogni specie di tropi eonviene forse ad ogni maniera di 



CAP. iX. 

Delle fbrme di parlare proprie della fantam. 

D, Gbecosa sonq le figure derivate dall'lmmaglnasione? ' . 70 

D. Cìte cosa è la similitudine? * * 77 

D, Che cosa è la comparazione? i^ 

B,. Si de?e osservare alouna cosa intomo l'uso dt queste li» 

gure? 78 

D, Date alcun esempio che mostri, come la similitudine di* 

diiara meglio le uose, e le nblMlllsce » o le sublima. . . 79 
D. Che cosa i l'allegoria, e percbè st pone fra le figure 

d'immaginazione? 80 «. 

D Che cosa è In perifrasi? 82 

D. Che cosa è l' iperbole? 84 

D. Che cosa è i'anlilesi? 

D. Che cosa è la progressione? 87 

D. Che cosa è la preoccupazione? • • • • 88 

D. Che cosa è la concessione? ivi 

D. Che cosa è la preterizione? • 89 

D. Che cosa è la sermocinaziooe? 90 

D. Che cosa è ìpotiposi? 91 

Ipoliposi in genere ' 93 

• di persona, ossia prosopograUa ivi 

> di costumi, ossia etopea ivi 

» di persone -fìme, o somatopea. • 93 

Descrizione dei luoghi, o topografia 94 

D, Vi è nulla da avvertir^ intorno .queate forme di parlare? • ivi 

i7* 



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- 262 
CAP. X. 

Delle forme Sì parlare proprie della passione, 

D, Quali sono le forme di parlare proprie della passione? Pag. 95 
D, Che cosa è V esclamaziope e come di lei nasce V eplfo - 



nema? 96 

D. Glie cosa fe rinlerrogazione ? 97 

D. Glie cosa è ironia, e in cìie differisce dal sarcasmo? ... 99 

D, Ghc cosa ò la preghiera? 101 

D. Ghe cosa è r imprecazione? -lOi 

IL CAìo. cosa fe la diibit;>zione? lOS 

D. Ghe cosa è la correzione? lOi 

i>. Che cosa fe la sospensione? 105 

D. Che cosa è la comunicazione? 106 

D. Che cosa è la personificazione? 107 

D, Cbe cosa è l'apostrofe? Ili 

P. Cbe cosa è la visione? 113 



CAP. xr. * 

Che cosa si deve osservare intorno V uso del linguaggio 
figurato: e se sia da anteporsi il linguaggio semplici 
e proprio. 



D. È sempre bello e lodevole il linguaggio Ggiirato ? 115 

D. É egli vero ciò cbe insegnano alcuni , il semplice linguag- 
gio servire alla passione? ivi 

D, Come si mostra, per esempio, cbe lo stile semplice non 
può mai essere proprio della passione? 116 

D, Come può dirsi cbe serve all' eleganza I* uso delle forme 
di parlare prodotte dalla fantasia e dalla passione? .... 117 

D. Dopo avere parlato delle figure come principio d'eleganza, 
di cbe altro ci resta a dire? 118 

CAP. XII. 

Dei Concelli e delle Sentenze. 

D, Cbe cosa sono i concetti? ivi 

D. Cbe cosa è a dire dei concetti piacevoli? 119 

D, Dite adunque dei concetti gravi. . . ivi 



D. Che (Ice avvenirsi inluroo ai concelli?* Pag. 121 

jD. Glie cosa si paò dire della seoteoza? « • . • ivi 



GAP. XIII. ' 

Della Yarieià. 



D. Qaal è il qoiDto elemeDlo deirelegansaf 125 

D. Per quanti modi può otienersi la varieU? . • • « Ivi 

D, Qoal è il secondo luogo onde al derinre varietà alle 

scrittore? It4 

D, Qual è il teno modo d'iodorro varietà nel discorso? . • 137 

Accennate gli altri tre modi onde si ottiene varietà. ... ivi ' 
D. Dopo avere esamioati i cinque fonti dell'eleganza, resta 

egli altro a dire? 128 

CAP. XIV. 

Dell' Armonia ìmUaliva. 

D. Ciie cosa intendale per armonia imilaliva? 129 

D, Come si imitano gli affetti coir armooia? • • 133 

CAP. XV. 



Della eolloeasione delle parole^ per la quale ti reniie 
piò efficace la pamone e la ieecrimone. 

Articolo I. 

Della cùUaenmne delle parole riepetto alla detcruiom. 

D. Come si può dire che la collocazione delle parole giovi a 
rendere più efficace la descrizione? 137 

D, Dareste voi un esempio cbe mostri quanto nella descri- 
zione può r ordine delle idee? 138 

D. Glie si deve apprender dair analisi di qaestl loogbi? ... 143 

■ 

Articolo II. 

Della coUocaztane delle parale rispello agU afptUi. 



D, La coliocaaione delle parola giova ella soltanto la descri- 
alone? ivi 



- 261 — 



D. Serve egli solo alla fantasia e agli affetti lo studio di ben 
collocar le parole? Pag. 145 

- ' Articolo III. 

Se giovino egualmente ad ogni scrittura le cose dette fin 
qui intorno la collocazione delle parole: e dei fini chi 
può r uomo proporsi parlando. 

D. Non giova egli egualmente ad ogni specie di linguaggio 
tutto ciò che abbiamo insegnalo intorno Toso delle paro - 
le, la scclia e la collocazione delle medesime, i tropi, le 
fi^uiro , raniK^nia , e gli altri ornamenti do! rliscorso? . . 146 

D. Quanti sono i fìni che V uomo può avere parlando o scri- 
vendo? ivi 

CAP. XVl. 

Del carattere dello scrìvere filosofico, del persuasivo e 
del poetico, e delle diverse specie in che ciascuno si ri- 
parte. 

Articolo I. 

Del carattere dello scrivere filosofico, 
e specie del medesimo. 

D. Come definireste il carattere dello scrivere filosoOco? . . 148 

D, Si deve egli in ogni scrittura di carattere filosofico mante - 
nere la stessa SL'verilà? #• > . i49 

D. Deve egli soltanto dalla materia essere guidato chi scrive 

di cose filosofiche o diiialliclie? 150 

D. Dopo queste cose, direste voi sulle generali quale debba 
essere T elocuzione propria del carattere dello scriver 
filosofico? ivi 

Articolo 11. 

Del caraflere dello scriver persuasivo, 
•* e delle specie del medesimo. 

I). Come potrebbe definirsi il carattere dolio scrivere [)er- 
suasivQ? 151 



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— 265 — 

D. Spiegatemi un poco questo che dite con qualche esem « 



pio Pag. 151 

D. Che parte lianno la fantasia e gli affetti nel discorso della 

persuasione? , 132 

D, In quante specie si parte il carattere dello scrivere per» 

suasivo? 1S4 

D. Dovrà sempre il discorso persuasivo a?ere la stessa im- 
magine di vera dimostrazione? ivi 

Articolo III. . " 



Del carattere dello scriver poetico, e delle diverse 
specie del medesimo. 



D. Comesi può de6nire il carattere dello stile poetico? . . . f56 
D. Di quante specie è il carattere dello scriver poetico? . . . io7 
D, A che giova questa distinzione dei diversi caratteri delio • 
scrivere e delle diverse specie? 159 

CAP, xvir. 

Dello stile e delle sue qualità, 

D. Che cosa fe lo stile? .* ICO 

D. Si può egli dividere in diverse specie lo stile? 162 



Articolo l. 
Dello stile semplice o piano, 

D, Come definireste lo stile semplice, e quando si usa? . . . 163 
D. Quali co§e sono necessarie principalmente per iscriver 

bene con questo stile? ..... ^. 104 

D. A quali scriilure principalmenlo serve lo stile semplice? . i6o 
■P. In qua! vizio si può cadere cercando il semplice nello stile ? jC6 
D. Quali sono i principali autori latini da proporsi in esem - 
pio di stile semplice? , 167 

Articolo II. 

Dello stile mediocre o temperato, e delle sue qualità, 

D. Qnal è lo stile mediocre ^ e quando si usa? . . • ivi 

D. Quali sono le qualità principali dello stile mediocre? . . . 168 



. Ly Google 

0 



D. A quali scritture serve principalmente Io stile me- * 



.diocre? Pag. 169 

D. In quali viq si può cadere facilmente cercando di raffinare 

lo stile mediocre? '■^ 



. . . Aaticolo III. . 
Dello stile irtagnìfico e sublime ^ e delle sue qualità. 



D. Cliè cosa è lo stile sublimé? . . . « . l . : /. ^2 

Z?r Per quanti modi si rende sublime lo stile? 

D. Come si rende sublime lo 'élile coi concetti? . ivi 



^ V. Come si può dare sublimità alio stile cogli iatffetti? . . . .175 

' § ^ ^ '■ 

P. Come si sublima lo stile col mezzo delle figure ? 177 



D. Come si rende sublime lo siile con ardita eleganza di Frase? 179 

D. Come si oliiene da ultimo di rendere magnifico ed eie- 
* vato lo stile per mezzo della composizione del periodo? 181 
Esempio del sublime ottenuto in fona dei grandi con» 



cp.ttL . 186 

Esempio del sublime ottenuto in fona dell' affetto. . 192 

Esempio del sublime ottenuto per le figure 201 

Esempio del sublime ottenuto da ardila eloquema. . 2Qi 
Esempio del sublime ottenuto per elevata composi - 

%ione di periodoé 207 

, p. In quali mj «'incontra cercando dt sublimare lo stilèrt . 
* D. Oual è il migliore di questi tre generi di stile? 215 



Come possono ottenersi le doti necessarie a scriver bene. • 
» ' - • 

D. Quali precetti si danno pep acqtìistare uno stile lodevole? ivi 



— 267 — * 

D. Che dovrà farsi per otteoere di perfezionare V inieU 



letto? ,. i ..... . Pag. 2ifi 

D, Come si può arricchire IMfmnaginativay .... ; 217 

D. Che deve dirsi intorno n^li affetli? . ivi 

. D. Che ne dovrà avvenire dal Mcrfezionameoto dell' intelletto, 

delia fanUsia e degli aifeui? . '. ^ ....... 218 

D. Oltre queste regole alcun* altra maniera per cui si 

possa perfezionare lo stile? ^19 



CAP. XIX. 

« • 

Dell' Imitazione. 
D. Che cosa è imitazione? ^ . . ' ' 220 



D. Non è egli vero ciò che alcuni dicono, T imitazione re » 
stringere le menti e to^^lier loro la potenz:i creatrice? 221 

D. Bene ho inteso; ma perchè dunque nelle scuole si pre - 
tende che noi riportiamo frase, concetto e andamento 
dagli autori che si por^^ono a noi da inniare? 222 

D. Avrei a caro che in* indicaste quali sono i gradi diversi 



pertui sì perviene a ben imitare 225 

Articolo I. * 
Della Traduzione, 

D. Direste voi alcuna cosa della traduzioiie? ivi 

Articolo li. 
Deir Analié, . 



D. Dite ora dell'analisi, poiché ho detto quanto basta intorno 



il vantaggio che vien dal tradurre. 225 

D. Dareste voi un esempio dal quale si rilevasse il modo di 
analizzare? % . . ^ . . . 226 

a ■_. 5 

Articolo HI. 
Dell' Emulazione. 



1). Esponete ora che cosa s* intende per emulazione , la quale 
è il terzo grado per cui si ginnge alla perfetta imitazione. 234 



■ t 

1). Dareste voi ud esempio del coxne si possa imitare emù- 
laudo? . . . M . . . , ^. . . . Pag. 25S 

/>. Dopo avere tradotto, analizzalo ed emulato, è egli termi- 
nata l' opera dell' imitazione? 244 

'—^ CAP^ XX . 



. « 



. Se uno solo 0 tulli insieme i migliori scrittori si debbano 
*\ imitare, e quali sono quelli che devono innanzi a tulli 
' ■ essere imitati. » 



D. Si dovrà egli imitare un solo o tmti gli scrittori insieme, 

quali hanno titolo d'essere eccellenti? 245 

H. Quali sono gli autori che si devono dapprima proporre a 

chi vuole venire in fama di scrittore? ^ . 246 

I>, Quali sono gn «crutori che debbono scegliersi prlucipai= 

^ mente a maestri fra i Latini? . .'^ 248 

D. Qaali scrittori italiani vorrete voi proporei a maestri? . . 24y 
Comcluiione, . . y . . . V * * ^ 



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