BREVI PRECETTI
DELL'ARTE
RETTORI CA
ESPOSTI IN
DIALOGO DA
Giuseppe Ignazio Montanari
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B 20
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BIBLIOTECA NAZIONALE
CENTRALE - FIRENZE
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•mtEVI PRECETTI
DELL'ARTE RETTORIGA.
Finn». Tipcgrafia Le Monnier.
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BREVI PRECETTI
DELL'ARTE RETTORICA
MPMTl IN 1»1 Alloco
DAL
■
DOTT. GIUSEPPE IGNAZIO HONTANAIU
Già Professore di Mie-Lettere in Pesaro.
ed ora
nel nobile Collegio ^^mi^à e vulnerabile Seminano d Osimo.
PER G. RICORDI B STEFANO JOUUAUD.
4 8^1.
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AL CmRISSIIfO SIGNORE
A¥Y€NI4LTO liUlOl WOWmACÈAUE
filVSEPPE*IGKAZIO XONIANARI.
> »
*
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È buon tempo che io desiderava darvi pub-
blico segno della gratiludine mia, carissimo For-
naciari, e porgermi per qualche guisa ricono-
sceale a voi de tanti obblighi che alla gentilezza
e bontà vostra professo; e però essendo in sul
dare alla luce questo mio Trattato di Rettorica ,
ho credulo che questa sia la migliore occasione
che per me si possa cogliere a fare mMifestó a
voi, ed a tutti, che de' benefizj vostri inverso
me ho memoria , e che se voi collocaste i vostri
favori in isterile terreno , certo non H poneste
in ingrato. Offero adunque a voi questa mia fa
tica qual siasi , e a voi la raccomando per modo
eh' ella debba essere cosa vostra; nè da ciò mi
ritiene saperla povera e sparuta, non per difetto
di diligenza in me, ma per manco di quella bontà
d'ingegno e tranquillità di vita , senza le quali
uom noD può venire a speranza di far bene qual
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vorrebbe. Chè io sireUo da famigliari e quoli- '
diane angustie, sottoposto a fatiche oltre le forze
per trarne frutto di magro pane , appena ho li-
bero il pensare per poche ore a quegli stndj a
cui forse natura mi avrebbe formalo, e cui la
lunga abitudine ha fatto sole delizie della trava-
gliata mia vita. E queste cose vi pongo innanzi
perchè fin d' ora avvisiate che io stesso sento
che meglio si potria fare da chi fiorisse di mi-
gliore fortuna che non è la mia, ed avesse que-
gli agi che sono dimandati dalle lettere ; non
però io poteva fare meglio nella presente mia
condizione di tempi e di vita. Laonde se d' altro
le genti non potranno lodarmi, ho per certo che
almeno del buon volere non nù negheranno lode;
tanto più che codesto mio buon volere istesso
ha dovuto sovente lottare con que* disagi che
sogliono anche T animo dei più coraggiosi dis-
francare. Quanto a. me sarò conlenlissimo della
fatica mia se voi vorrete aggradirla , e se i buoni
e gli studiosi diranno in leggendola: — Costui
mirò a giovare le lettere per quanto era da luì.
Resta ora che io vi dichiari cagione che mi
ha mosso a dar mano a questo libretto, e inten-
dimento che io ho avuto nei compilarlo e nello
stamparlo. Dovete adunque sapere che quando
io ebbi dato a luce la Rettorica del Blair com-
pendiata dal padre Francesco Soave , e da. me
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accomoUaia ali usq delle scuole italiana, fu chi
nelle pagine d' un Giomale mi dififie, quel libro,
comecché eccellente per gli adulti, essere troppo
elevato pei giovanetti , troppo profondo, nè essi
coglierne quel bene che io aveva avvisato , c
già per qualche anno aveva sperimentato nella
scuola mia, nel Ginnasio di Pesaro, forse più
per bontà d' ingegno ne ifìscepolicàe per valore
dei maestro. Allora mi andò per la mente di com-
porre nn libro il quale meglio si confaoesse a
tenera giovinezza , e recasse quanto di utile vi
ha nel Blair, e quanto vi ha ne' migliori maestri
dell'arte. Meditai un poco, considerai il tema
che io m'' imponeva , e a non molto, trasportato
dal sommo amore che ho al profitto della gio-
ventù, posi mano all'opera, la qoale neir andar
di due anni ebbi a vedere compita quale a voi
la presento. Nè qai starò a raccontarvi quanto
in prima avessi a pensare fra ma, per risolvermi
riguardo al metodo e alla forma che dovrei pren-
dere; perchè nè in tutto mi soddisfaceva f an-
damento del Blair, nè in tutto mi piaceva quello
tenuto da Paolo Costa neir aureo suo libro della
Elocuzione. Chè parevami doversi serbare modo
più analitico del primo , e meno metafisico del
secondo; e quanto alla trattazione, mi sembrava
si dovesse rendere più agevole d* amendue. La
qua! eosa fu ancora cagione che io sorivessì il
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Trattalo per domande e risposte, e incominciando
dalie paróle seguitassi ai perìodo, all' intero di-
scorso , alle doli che il medesimo aver debbe ,
e via vìa giungessi allo stile. E qui mi cadde in
pensiero di trattare materia, che non mi avvenne
mai vedece trattata coovenieDtemeBte nei libri
dùReitorica, quantunque necessaria principal-
mente ed utilissima, quel è T imitazione, per la
quale lo stile si forma; che è quanto dire si per-
feziona la ragione, e si crea il criterio ed il gu-
sto. Per la qual cosa, dopo avere insegnato che
studio si debba porre dal giovanetto a fine di
acquistare uno stile lodevole, sono tosto entrato
a parlare dell' imitazione, . mostrandolrnon cosa
che inceppa gl'ingegni quale se la figurano gì in-
dotti , e coloro che giudicano le cose dalla prima
corteccia, ma si cosa che aggiunge lena agli in-
gegni, li rafforza, e dà loro inventare e creare.
E perchè non vi abbia persona del mondo che
creda quelle regole che 4o, e intorno V imitazio-
ne, e intorno .le altre cose, ho assegnate, siano
cosa mìa, o novità che io ami introdurre, ho
cercalo sovente recare le parole stesse di Cice-
rone, di Quintiliano e d'altri, l'autorità de' quali
debbe essere grande appo tutti. Siccome poi è
mio intendimento che questo mio libro sia ad
uso anche di coloro che non sanno, o non vo-
gliono saper di latino, ho procurato che i lue*
Oigitized
— 9 —
gbi Ialini siano sempre esposti in italiano: e in
qnesto non pìccola ìnduslrìa ho posto. Perchè
ove ho trovato buoni traduttori, della traduzione
loro mi sono valso; ed ove mi è parato che essi
non ci bastassero, ho cercato io stesso di tra-
durre il me» male che mi fosse possibile. Dirò
ancora che molte volte a recare in volgar no-
stro i luoghi latini da me sceki , non mi sono
fermato ad un solo volgarizzatore , ma ora 1 uno
ora r altro ho trascello, con questa intenzione
che i giovani imparino a conoscere quali sono i
più pregevoli traduttori. Che se alcuno volesse
dire che io doveva tutti que branì^tradurre da
me (cosa* che mi fu dolcemente rimproverata* *
quando nel mio libretto suW arte dello scrivere lei-
(ere a tradattore delle lettere di Cicerone pre*
scelsi il Cesari), sappia che io non ho voluto per
buone ragioni formi io volgarizzatore di que bra*
ni, non già per scemarmi fatica, ch'ella è ben
lieve cosa a chi scrive un libro voltaiie dal latino
un dieci o dodici luoghi, ma perchè io non po-
teva promettermi di far meglio di coloro che a
sentenza de più savj hanno fatto bene prima di
me. Conosco anch' io che codesti traduttori, ed
in ispecie il Cesari, hanno alcun difetto o d'esat-
tezza o d' altro: ma avrei io potuto credermi tale
da tenermi sicuro da ogni difetto, se anche i di-
< Ghmah mtdko, tomo UXXVUI, pag. 346.
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— fo-
retti loro avessi saputo evitare? Avrei io potuto
sperare d' avere quelle belle doti di oeltezza , di
chiarezza, di eleganza, per cui essi hanuo ti-
tolo d'essere buoni, se non eccellenti? lo non
ho quest' ambizione , nè tanto so promettermi
della pochezza mia; se altri di sè può sperarlo,
buon prò gli faccia. A me non piace meglio che
il libro sia tutto mio: ma bramo che se si può,
o mio solo , 0 mio e d'altri, sia buono. E questo
valga a risposta anche a coloro i quali volessero
riprendermi dell'avere alle volle preso paragrafi
interi dal Costa, esempli dal RoUin e dal Ricci;
sebbene poti^bbe aggiungersi che Cicerone dai
Greci, Quintiliano da Cicerone,. Blair, Rollio,
Balleux ed altri non ebbero a schifo di prendere
brani interi da Cicerone e da Quintiliano , e re-
carli come sono latini , anzi qualche volta gl'in-
teri capi ricopiare e tradurre. Conciossiachè se
rutiliti è quella a cai deesi mirare, che ogni al-
tra gloria che si consegua senza T utile altrui
è vaniti e stoltezza , non deve chi scrive essere
così invidioso degli altri , da non valersene, ma
delle bontà loro dee fare prò a sè , e le cose
dette dai medesimi accettare come J>uona for-
tuna mandatagli da Dominedio. Temo ancora non
vi sia chi voglia affermare avere io recato in-
nanzi numero soverchio di esempi ; sebbene da
questo timore mi scioglie il sapere che tutti in
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^ciò si convengono, per gli esenipj rendersi più
utili le regole; e grandi uomini (e voi fra questi
cogli aurei Esempj di bello scrivere in prosa ed
in verso da voi scelti ed illustrati ) avere inse-
gnato che più negli esempj che ne precellì 1 arte
sè contiene. E qui manifesterò ragione che io
ho avuta nel porre ai giovani esempj in copia.
Ho voluto che essi vedano la regola nei diversi
stili messa io pratica , non meno che nelle di-
verse lingue ; e questo ha fatto che sovente ad
un esempio latino ne soggiungessi un italiano ,
da uno in prosa uno in verso. C se i precettori
.colle osservazioni loro applicherajino ad ogni
esempio la regala » forse Y industria mia non
tornerà al tutto vana nè infruttuosa. Una cosa
io posso dirvi , ed è , che con profitto ho usato
di questo libretto, ed uso, nella scuola mia, la
qnal cosa mi dà speranza che non sarà per es-
sere agli altri inutile affatto. Vero è, noi discon-
fesso , che a' giovanetti ; ai quali do in mano que«
sto compendio , prescrivo poi di studiare da sè
la Rettoricà del Blair , la quale riesce molto più
agevole e facile a chi sappia in prima le regole
e le dottrine, che a quella lettura direi quasi ap-
pianano innanzi la via: e questo mi piace qui
dichiarare, perchè non vi sia chi giudichi che
con questo mìo lavoro io voglia scemar pregio
a quello assai più ampio e profondo, nè alcun
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— iì —
giovanelto si pensi che io con questo lo assolva
dal inedHare sulle opere de' Retori filosofi , a
capo de quali fra' moderni non è certo chi oon
ponga quel sommo Inglese, che ora meritamenle
' signoreggia tutte le scuole ben of dinate , nelle
quali , più che T amore del bene dei giovani ,
non prevalgano quelle vecchie e superstiziose
abitudini, che ritardano ed abbassano indegna*
mente gì ingegni , a grande vergogna e danno
deir età nostra e dell' italica gioventù.
Ma è tempo che io ponga fine alle parole ,
le quali oramai di troppo 60\'erchiano al biso-
gno, e che io me e l' operetta mia raccomandi
al patrocinio deir amicizia vostra , pregandovi
che vogliate accoglierla con queir animo istesso
col quale io a voi i' ho donata e dedicata.
Osimi éliOéel 4843.
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DELL' ART£ MTTORlCilo
CMe Tosila dire RettorlM. — Quale iKiMtà
•t vlmMlil «elle paMle» • pweliè.
Cane ékm mmm pvaeeda la eliiareaaa.
D. Che cosa è la lìettorica?
lì, È un' arte, la quale c' insegna a fare buon uso
ideila parola; e però si deBnisce Farle dui parlar bene
ed acconcia$nerUe. Sì dice del parlar bene per iodicare,
che nelle parole deve esservi alcuna bonth ; acconcia-
mente, perchè non sempre que'modi, che sono conve-
nienti ad un luogo, eonvengono anche air altro.
D. Quali bontà denno avere in eè le parole?
R. Tre principalmente: 4" Purità; Proprietà ;
30 Decenza, La Purità importa che le parole appar-
tengano a quella lingua, nella quale si scrive, e vi ap-
partengano per modo, che riescano chiare, e consentite -
dair uso de' buoni scrittori. 2*» La Proprietà vuole che
si scelga fra i vocaboli quello, che V uso ha appropriato
a significare precisamente quel concetto che noi inten-
diamo di esprimere. 3^ La Decenza infine domanda,
che si tengano lontane dalia scrittura quelle parole, le
quali hanno perduto bellezza ed onestà nelP uso del
Tolgo, e si usino quelle, le quali non possono spiacere
a civile e costumato lettore.
D. Perchè si deve aveve questo riguardo neUe parole ?
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jR. P«roliè4e parole sono i segni delle idee, e se
noi non mostriamo chiaramente i nostri concetti , non
accadercì mai che siamo intesi chiaramente, cioè come
noi desideriamo. E però ad acquistare <|tiesto pregio
importante della chiarezza, converrà che noi studiamo
hi lingue, nelle quali vogliamo scrivere o parlare; seo:^
questo non ci avverrà mai nè di esprimere con aggiu-
sUtezza i nostri concetti, nè di £arli intendere agli altri*
D Da quante cose proccfle la chiarezza?
H. Dal buon uso delle parole, e dalla buona ^ollo-
cazioiie delle medesime., lufatlo, se le parole non corri-
spondono primamente all' idee , non sarà giusta l'espres-
sione ; se poi non saranno collocate secondo le leggi della
retta sintassi, non renderanno mai quel senso che si
vorrebbe trariie. Ad esempio : se voi chiedete ad un
amico un fiore in genere, con animo eh* egfi debba
darvi una rosa, male farete l'inchiesta, alla quale egli
avrà soddisfatto ogni qualvolta vi presenti d' un fìore,
qualunque egli siasi e di qualunque specie : ma se voi
r avrete domandato d'un fiore di rosa, non potrà fal-
lire eh' ei non risponda secondo il desiderio vostro
air inchiesta. £ perciò grande cura si conviene avere
neir uso delle parole che noi diclamo sinoniroe, le quali ,
sebbene siano tutte eguali ncIT idea principale, pure
diversificano nell' idee accessorie. Ad esempio : i verbi
di uccidere j ed ammazxare, hanno comune l' idea dì
, recar morte , ma banoo diversa V idea del modo di re*
caria, perchè il verbo uccidere, derivando dal cedere
dei Latini, significa veramente toglier la vita per feri-
mento; il verbo ammazzare poi significa togliere la
vita per colpo di mazza, o per percossa di simil genere,
e però sarebbe improprio il dire : ammazzare uno di
fame , e dovria dirsi : farlo morire di fame.
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— i5 —
D. Come $i ottiene la chiarezza dalla collocazione
delle parole?
R. Disponendole secondo la retta costruzione, a
modo che ogni parola tenga il suo luogo , e n' esca quel
senso che si vuole e non altro. Conviene anche sapere
^be una sola parola, la quale sià collocata male, o
camWa H senso dell'espressione, o le rende ambiguo.
Il Passavanti cadde in questo difetto là dove disse , che
un uomo passò di questa vita m Inghilterra ; perchè
• sebbene si voglia intendere, cbe un uomo in Inghil-
terra passò di questa* vita, tuttavia per la collocatone
delle parole il senso è, che un uomo partendo di questa
vita se n' andò in Inghilterra. Così pure il Boccaccio
iacofitrò in questo difètto dicendo, cbe — Dmiie di uver
fcUto quel Hbreito ndf età piò mahmi si vergognò ; percbè
non si conosce se nell'età più matura si vergognasse,
ovvero se facesse quel libretto ; il quale difetto sarebbe
state tolto disponendo coii altro ordine le parole, e di-
cendo : si vergognò nell' etli più matura.
D. Con che altro modo si ottiene la chiarezza nel
cottocare le parole?
R. Componendo bene il periodo, cioè dando il suo
luogo a ciascuna proposizione nel discorso, per modo
che r una non debba entrare nelle ragioni dell' altra, c
siano chiare le espressioni non meno che le relazioni
delle medesime.
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Caw. il.
D. Che cosa è il Periodo? '^
R* 11 Periodo non è che up intero diecorso, nel
quale si esprìme una sentenza composta di piU giodizj ,
i quali tutti dipendono da un solo, che si chiama prin-
cipcJe, mentre essi sono detti incidenti. Si dice discorso
intero, perchò il Perìado deve racchiiidere in sò com-
piutamente r espressione del sentimento , che si vuole
manifestare. Dico poi che il Periodo debbo esprimere
un sentimento composto di più giudizj . perchò se vi
fesse r espressione d'un giudizio solo, allore, se mal
non mi appongo, non sarebbe Periodo, ma una sem-
plice proposizione, o, come altri dicono, sentenza. Non
ignoi'o che vi ha di molti i quali danno nome dii^
nodo anche ad una sàia proposisiene, come: III a/ io
mio maestro; ma penso che sia mal fatto, conciossiachè
la parola Periodo indica giro, àmbito; nè veramente giro
od Àmbito vi ha in una sola proposisione. £ .però amo
distìnguere il Perìodo da semplice sentensa.
D. Che cosa è la Sentenza?
^ ìL È V espressione di un nostro giudizio manife-
stato per modo che egli abbia principio e fine, come
sarebbe questo : Cedro amò la ma Pairia ; dove Codro
è il principio, la sua Patria il fine della proposizione.
U perìodo si forma di queste sentenxe riunite insieme
per modo ohe la loro unione formi un giro od un àm-
bito, come dicevano i Latini, piacevole agli orecchi, e
« tale che presenti alia mente quasi uno il concetto. Però
è che a formare il periodo non basterà accozzare in-
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sieme piti sealenae : perchè se sareooo unite iilsieiiie.
senza queir ordine, che dalla ragione e dall'arte è ri-
chiesto y sarà sem|)re un ammasso di seotense dis-
giunte^ e non un perioda È quindi. neeessiHrio a ben
formare il periodo, disporre pet modo le propoeizioni
che una sola stia a capo di tutte, e le altre servano al
tutto a questa, e strettamente con lei si coUeghino.
Per esempio : Fatta iw/a, i Trojani m partirono dd^
risola di Creta ^ e navigando per il mare di Giaccia,
dopo molta tempera, ohe sostennero, capitarono alle
Isole Sirofadi. In questo breve periodo vi sono piti
proposiiieiri : I* Trojani partirono -<» imitarono per il
mare di Grecia — sostennero molla tempesta — capi-
tarono alle Strofadi. Le quali proposizioni tutte oosk
distaccate non formerebbero un perioda: lo lormafto
però qoando una di queste è posta al reggimento del-
l'altre, nel modo che sta nelF esempio recato, dove-r-
/ Trc^jam copUarom Me Strofadi è la propesisioa
principale, che modl6ea tutte le altre; le quali periìbè
sono modificate hanno nome di suballerne. ^^,]
D. Come sono chiamate dai Retori le parti che con^
pongono il periodo?
R. GhiaoMno membri qoelle parti del periodo ehe
contengono una sentenza accessoria ; chiamano iìicisi
le parti delle quali si compongono i membri ; come, ad
esei&pie: Et si kaenini nikil est magie optamhm, qimm
proepera, esquabilt^, perpetuaque fortuna, secundo vitce
sine ulta offensione cursu; tamen si mihi tranquilla et
pacata oeum fuiesent, ineredibili quadam, et peiie di-
VMMi, qua mme-wstro ben^hio firuor, keiiiim voh^ptate
caruissem. « E se dall'uomo non si dee desiderare al-
cuna cosa maggiormente che una prospera , temperata
e perpetua fortune, uu secondo corso di vita sensa
s
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— 18 —
disturbo od olfesa «hmna, io nondimefio, se avessi aviite
tutte le mie cose tranquille e prospere, sarei ora privo
d*UQa iacredibiie e quasi divina contentezza e letìzia,
die io godo per lo beneficio Tostro. » (Lodovico Dolce.)
In questo perìodo la proposizion principale è co-
ruissem voluptate Ixtitice, alla quale proposizione, come
vedete, tutte le altre sono coliegate per opera delle
congiontioni , officio delle qaali è rannodare V un
membro coli' altro. I membri nei quali si può dividere
il periodo sono questi : Nihil ai magis optandum qmm
f ottima jiroqMfa ^^si mihi fuisimU omnia focata et tran*
fuiOa camàmm voluptate lastitkB, GV incisi poi sono
questi : sine offensiorte ulla^ — cursii secundo vitcB, —
wquabilis ,perpetuaque, — incredibili, oc pene divina, —
qaajoetiro ben^io fruor. i
D. Di quanti membri si deve comporr^ il Periodo?
R. Non vi è legge che determini il numero dei
membri dei periodo, e purché eia agevole a compren-*
dorai, secondo che insegna Aristotile, si potrà fininare
de' periodi di quattro, e di cinque membri ancora. Cice-
rone nell'Oratore c'insegnò: Constai iUe Mmbitiis^ et
plma comprehmuio e fwMor fere partibus^ qua membra
dhimiiur, ut et otires nmpkat, et ne brwhr sit, quam
satis sitj nec longior. « Quel giro, e quella piena com-
prensione si compone quasi di quattro parti, che si
chiamano membri, a modo che riempia le crocchie,
e non sia nè più breve di quel che basta, nè piti .
lungo. »
D. Quali regole si danna a ben-formareél Periodo?
il. Tre principalmente: 4® Che i membri siano ben
•f; collegati fra di loro per mezzo di congiunzioni così che
abbia unità ; Che il senso esca perfetto ed agevole
per la buona collocauone delle parole e dei membri ;
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3^ Che si chiuda in un pieno ed armoaioso giro di pa-
roie. Ucbeyuol dire ohe il periodo deve avere: 4^ Uniilif
S[<»iUkacia, 3^ Armonia.
Caf* III.
Belle iiualiià eeeensiall 4el Perlede*
D. Àv§i$ deéto che funUà, Feghacia e Farmonia,
sono le tre qualità essenziali del periodo; ora spiega-
temi un poco perchè è fèecessaria V unità?
R. V ufiilè è neeeeaaria ed eaaeuialef perchè ella
fa che r oggetto principale sì mostri cosi ben collegato
..polle sue parti, da uscirne alla fìae una sentenza com-
piala. AJpbiaoM deUo ohe nel periodo vi possono essere
o ^ sentenie ; ma sa queste non sono si fattamente
unite da presentarsi alla mente come un tutto solo,
esse recheranno disagio e confusione. £ in quella guisa
ehe nel eorpo umane il capo signoreggia tutte le altre
membra, le quali unite, e direi governate da lui, for-
mano un corpo solo, così la sentenza principale deve
reggere e fare un corpo solo con tutte le altre subalterne^
KpM^priMipal cura debbo essere di ooiloeare in modo
la proposiiione principale , che ella riceva lume e fini-
' mento dalle subalterne, e da quelle chiaramente si di-
stingna.
D. Coma SI ellMfie Pumtà?
R. Per quattro modi s'ottiene l'unità: 1" Non in-
troducendo mai troppe proposizioni subalterne, e non
iermandosi tfoppo sulle medesime , sicché non faccia
alcuna <M queste sulla mente una impressiMie o eguale
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— 20 —
0 pili forte che non fa la proposizione principale,
lo 2*» luogo: non inframmettendo mai nel periodo
membri , dei quali Isa seotensà pn(» fare a meuOf o
che non vi hanno relazione ; perchè allora ne nasce
un affastellamento /che da confusione alla mente, ed
a^ava la memoria. Se occorre dir cose molto piìi
di quelle che in un salo periodo ti possono contenere,
sarb molto meglio ripartirle in due, che per volerle
racchiudere in uno fare cosa viziosa e senza unitò. In
30 luogo conviene cercare introdurre parentesi quel
meno che si può. Ogmmo sa che la parentesi è una sen-
tenza messa dentro ad un' altra sentenza, la qual cosa
è fatta per dar luce e chiarezza. Ma se la parentesi sarà
troppo lui^a, e dimanderk più atlensioiie ohe le altre
sentenze delle quali si forma il periodo, etlrfne tuiterh
r unita, e in luogo di portar luce, porterà oscurità. Se
poi la parentesi sarb troppo spesseggiata, distraendo e
interrompendo.il corso d^r astensione, verrà a togliere
r unith del periodo e ad isoonòiarle. Non si dice'che non
possa usarsi la parentesi qualche volta con buon prò:
chè ben si può, e giova; ma si vuol dire che ohi la
prelunga soverchiamente, o chi ne usa troppo qpsBSO,
dà sea»no di non avere saputo a tempo ordinare le idee
e distribuirle bene. La quarta regola infine è che ogni
periodo venga ad una perfetta conclusione. E vizio
insopportabile f! formare de' periodi per mède ehe non
se ne trae mai quella conclusione che si deve; 0 il for-
marli in guisa che la conclusione vada piìi là di quello
che ci aspettavamo; perchè alla mente è grave sempre
il non trovare quello che cerca : 0 il trovarvi per sòprap-
piii cose, delle quali non si cura. I quali due vizj sono
cagione che il periodo perda unità ; e però denno stu-x
diosamente evitarsi.
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— ai —
D. Che intendete qmndo dite che il periodo deve
avere efficacia?
JL & inlande dire obe le parole, ed i membri del
pemdo demie essere disposU per guisa, die faociano
la maggior impressione possibile sulla mente, a modo-
chò li leUore ooa solo iateada ad ua punto , ma seata
oéli'.ammo 11 valor di ciaeeitii membro» di»€its<mii
•oeiao, e di eiascuna parola.
D. Quali regole si danno per ottenere t tfficacia
deW espressione nel periMo ?
R. AlquanteréfiDtoei daniiò, e innansi tutte questa:
che si tolga via ogni parola superflua, — perchè tutto ciò
che non giova, nuoce assolutamente, ai dire di Quintilia-
no; in fatte o etanca la mente, oytìto sceiiia parte di
cpiell* attentiem, che a cose più importaoti è dovuta:
oltredichè, al dire d'Orazio, « è d'uopo usare brevità per
render più spedita la sentenza , la quale deva trascor-
rere iiberOy e noa graivate di veni euònì le stancbe
QÉed^yìa»
Est brevitate opus ut currot sententia : tutu te
Impediat verbis Iqsms onerauUbus aure».
La «piale cepria dovrà essere osservata seoofire con savia
diserezione, perchè non abbiasi ad incontrare nell'uoitè
difetto; che sta sempre a costo della precisione, cosic-
chó apveoÉs. aooade , idie per cercare efficacia nei dire,
si dado nèlF arideua.
' D. Si deve egli evitare la superfluità soltanto nelle
parolel
B. SiocMie io ouperfluità può essere aocgca nei
membri e negl'incisi, co8\ anche di Ih converrà to-
glierla. Alcuni scrittori poco avveduti cercano d'intro-
durre nel periodo una piena di seatenze, e poco badano
se tutte siano néesisaria o oo^ purché alla fine e$ca
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— 22 —
un su<iiio grave e armoniom. Il qaile difcUo è da fug-
gire sommamente, perchè se torna grave alla mente
una parola superflua, molto più le sar^ una sentenza.
D. Quah altra fdgtì^ siéàpet oUmmn PefUkama
mi periodo?
R, Quella del saper ben collocare le parole che
rappresentano l'idea priocipalei akchò abbiano il prìn-
cipi luogo, e colpiscano la mente anohe per Mesto
dell' armonia. Il quale artifizio certamente è di non
lieve momento. Valga un esempio. Cieerone neli' ora-
rione a difesa di Ligario voleva dire <Ae egli pure
aveva seguito le parti di Pompeo.- Egli si esprìme ceift:
in iisdem ego armis fui: ed osservate, che se egli avesse
detto: ego fui in armii iiidem, — V efficacia della sen-
tenza sareUie al lutto svanita. Ma poneado ^ueU* ego
in luogo cbe ferisce là mente, e méttendo quel fui al
fine , la sentenza acquista un non so che d' efficacia e
di forza. Così in quest' altro luogo pur di Cicerone nelle
Filippiche: AdeiratjanUor mrceris, caimifex pmioris,
mors, terrorque sociorum , et civium romanorum , lictor
Sextim. « Si trovava il portinaio della prigione, il ma-
nigoldo del pretore, la morte e il terrore cM eoufede*
rati' e cittadini romani, Sestio littere. » (Dolce.) Qod
Lictor Sextius posto a principio toglierebbe ogni effi-
cacia a questa sentenza, nella quale Cicerone ha prima
voluto porre dinami ag^ occhi quanto era di terribile
in questo carnefìqe , poi quasi a compimento della pit-
tura nominarlo infine.
D. Quale aUra regola auegmreelB olire le accen-^
naU?
R. Che ì membri del periodo sempre siano dispo-
sti per modo che vadano crescendo a guisa di scala,
eosicohè le idee ultime abbiano sempre maggior pese
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delle prime, come in quésto esempio di Cicerone, al
quale QuìntiliaDO stesso fa chiosa: In istis faucibus,
iitis lakrilm, ùta gladùihria toiÌMS ccrporis fimUUUe, #
tunkm inni m Hippm nuptiis eoAanseirat, UH fieeesse
es$et in conspectu populi romani vomere postridie. « Tu
con queste tue fauci, con questi fianchi^ eoa questa
gladiatoria fona di Uilt* il corpo, luti tanta copia di
▼ìm traeaiiiiato aUe nosie di Ippìa , dkè necessith ti fa
il giorno appresso di vomitare al cospetto di tutto il
popolo romano. «a (P. G. Biaiiohi.) Se Cicerone aveaaa
prima aooannatD alla robostesia gladiat»ria dalla per-
sona, poi ai fianchi, poi alle fauci, il periodo avrebbe
perduto efiìcacia per difetto di gradazione.
D. QmU è la quarla regota per ilare effimda alpe^
rmiù?
B. È quella di contrapporre nel periodo stesso
membro a membro, e quasi farne confronto , serbando
aat linguaggio e nella aiulaaBi ima certa omiapondansa :
per esempio: Vieti pudorefà libido, timorem audacia,
rationem amentia (Cicerone) ; ove la modestia è con-
trapposta alla sfrontatezza , il timore att' audacia, la
ragione alla stoltezza. — E questo modo, cbe i Betori
chiamano antitesi, vale all' efficacia del periodo, per-
chè avendo ogni concetto il suo contrapposto ai fian-
chi, la mente dal paragone è aiutata a sentir meglio
quefl' idea ohe le si Tnole presentare: come appunto
più spicca una figura in un dipinto quando è aiutata
dalle ombre e dai chiaroscuri. Conviene però andare
canti mW oso dalle antitesi) per non mostrare di avere
più oera delle parole ohe da* smtimenti. Ma di questo
altrove si dìvh.
D. QmU è ta qitùUa regota per rendere efficace il
pariodo?
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R. È quella di non chiudere mai il periodo con
una parola ) che sia di poca importanza: vale a dire con
una di quelle, che non esprimono realmente un'idea,
ma soltanto la modificano, come sarebbero gli aggettivi,
ì participj, gli avverbj. A meno che non si voglia che
la mente si fermi sopra le qualità di una cosa , o sopra
la modificazione d' un' azione, perchè in questo caso
starà bene portare in fine quelle parole stosse, còme
nell' esempio di Cicerone: tu istis faiicibus ec. Egual-
mente si dica dei monosillabi, i quaii chiudono con
asprezza di suono; e degl'infiniti, i quali sovente re-
cano in sè un suono languido , e non aggradevole. Ma
in queste cose non si può dare certezza di legge, e si
conviene prendere norma dal proprio sentimento, e dal
fatto dei Classici; come ad esempio: Quapropter me-
moriam vestri bene/icii colam benevolentia sempiterna ,
non solum dum anima spirabo mea, sed etiam cum mor-
tuo monumenta vestri in me benefica permanebunt « Laon-
de io onorerò la memoria del vostro beneficio con per-
petua benevolenza; e non solamente mentre avrò vita,
ma quand' anco io sarò morto rimarranno in me le
memorie del beneficio che fatto m' avete. » (Dolce.) Si
perde ogni efficacia in questo periodo, qualora si chiuda
cos\: sed etiam cum mar tuo permanebunt monumenta
veslri in me bene fidi.
D. Quai è la sesta regola per dare efficacia al joe-
riodo?
Il Fare buon uso delle particelle congiuntive e
disgiuntive, dalle quali, quantunque non paia, sovente
il discorso acquista di molta efficacia. Ma per usarne
bene conviene considerare prima se noi vogliamo che
tutti i membri del periodo facciano forza sull'animo
quasi ad un punto ; o se meglio ci torna che 1' uno
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- 25 -
dopo r altro faccia forza. Se ci giova che tutti ad un
puato Cacciano impressione, allora noi dobbiamo sop-
prìmere e togliere affiatte le coogiuaftioai; se all' incoQ-
tio, dobbiamo collooarle a divìdere V un membro dalFal*
tro. Nelle cose in cui è necessaria rapidità, le coni^iuii-
zioai iudeboliscooo il periodo; in quelle, in cui è ne*
cessarìa posatezza e distinzione, le particelle rafforzane
il perìodo. ^Cesare descrìveva una battaglia, e voleva
mostrare la rapidità, colla quale era stata combattuta,
e come il combattere ^ il dar la carica, il vincere, era
Stato quasi un sol pufttoi Dica adunque cos) : Noitri^
emissis ptlis, gladiis rem germi; repente post tergum
equitatus cernitur; cohortes alice appropinquant , hostes
tirga vertuiU, fugienttìms equUei occurrunt, fU magna
ecedeg. « I nostri, laooìate le aste, si avventano colle
spade; improvvisamente vedesi a tergo la cavalleria;
s' avvicinaa le altre coorti, i nemici voltan le spalle, la
cavallerìa dà la eariea ai fàggUivi, si fa grandissima
strage. » Se Ossafe avesse ad ogni nieiaBbro frapposta
una particella, avrebbe mostrato che da una cosa all'al-
tra vi eca passato alcun tempo: mentre presentando
epsl in groppo tatto le eiroostanze^ dà a vedere la
preetesia « te rapidità del fHto. Ha Cesare stesso vo-
lendo nella descrizione di un' altra battaglia mostrare
molte e diverse difficoltà superate, e far vedere il ne-
uM, in diversi* luof^ ad uno stesfià tempo sem-
brava essere , ammette le copulative , e ne ottiene bel-
lissimo efiétto. Eccone le parole: Eie equitihus facile
piiJ$ii oc petÉurbatis , mer^dibUi eelunècUe ad fiwmn ^
iecùmmi, ut pem «no ef odsihm, ef tu flu*
mine, etjam in manibus noslris hosles viderentur. « Qui
sospinta facilmente e scompigliata Ja cavalleria, con
incredibile eeMrità ceraare al fiame; eosìsfiiiò i nemici
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parevano essere quasi al tempo istesso, e nelle selve, e
nel fiume, e alfine nelle nostre mani. » Queste sei re*
gole generalmente insegnate dai Retori giovano oertà-
mente a rinvigorire e fare efficace il periodo, quando
però esse non offendano la naturalezza , e quel lucido
ordine, senza il quale non vi è mai Tera bellezza nelle
scritture.
D. Che 9ùia deve dà^i deW amonmf
A. armonia è quel dolce risuonar del T>eriodo^
che nasce dalla scelta e dalla collacazione delle parole,
e mentre rende il discorso grate all' oreccbio di obi
ascolta, gli aggiunge Acacia* Dalle quaU cose si vede
che non è da trascurare l'armonia del periodo, perchè,
come dice Quintiliano: Nihil potest intrare in affectum
qwd frim m ours, wkM qwiiom ve$léi»b^ «Mm ùf^
fendik « Non è cosa cl^e possa entrare nel cuore uma-
no, se dapprima intoppa negjX orecchi che sono quasi
le porte. »
D. P&rckè Mi0 «fallo ehé V anmia nmm dalia
scelta delle parole ?
R, Perchè le parole possono dalla diversa combi*
nazione delle lettere ,4dUa quali elleno 0D11O iNtnale,
ricevere diversi mml e diverse melodie. Ognune sa
che le vocali rendono dolce il vocabolo; le consonanti
lo fanno robusto: ma siccome ogni soverchio è vizioso,
cosi le troppe vecali danne sme spiacevole per ia$a;
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— 27 —
le troppe consonaDti rendono un suono aspro e difficile.
Aggiungasi ancora che le parole composte di poche sil-
labe sono generalmeiite pìU franche e spedile, che me-
lodiose e 8op vi ; e sono poi all' incontro melodiose quelle,
che di un giusto numero di sìllabe si compongono, ele-
mento delle quali è una proporzionata mistura di vo-
cali e dì consonaiiti. Chi diuMpw sappia trasceglìere
qudle parete, che hanno armonia e sono dolci al pro-
nunziare, renderà sempre armonico il periodo.
D. Quante regole si possono dare per rendere or-
nmioio il perMQ coUa ecelia delle parolef
R. Quattro, e sono le seguenti: 4<» Che si usino
parole di agevole pronunzia, perchè i vocaboli diflìciU
alla proniuizSa sono anche aspri « difficili all' udito; 2«Che
si evitino i monosillabi troppo vicini fra loro, o Fincon*
tro delle sillabe somiglianti, le quali recano cacofonia;
3^ Che non si usi perpetuamente un' eguale maniera
di giro e di cadenza nel periodo; 4* .Che ai vocaboli di
poche sillabe siano frammischiate voci di molte sìllabe;
perocché da questa varietà deriva specialmente un' ag-
gradevole armonia.
D. Dareste le regole che riguardané la diqnieisnene
dèlk parole per ottenere armonia?
R. Eccole, e brevi. In primo luogo sì deve cercare
che il periodo sìa composto per modo, che in fine di
ciascun membro possa avere luogo ma pausa; e che
queste pause siano collocate in tale distanza fra loro,
die n' esca un piacevole suono: si badi però che non
siano troppo scropalosamente ansuratOf né troppo egual-
mente; perchè la soverchia «lisura e regelariài rende*
rebbe affettato il periodo; P eguale cadenza lo rende-
rebbe monotono. Che anzi accortamente si devono in-
fraounettere non ingrate dissonaiiie e spaasatiire, le
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quali, iodueeiido varietii nell' armcMML, «9 'aceresootìo
il dilotto. ' ;
D. Chi può dirigere, e dar leggi migliari interno
tarmenim?
>
B. Il solo orèeohìo; ma perchè sia bùon giudice,
conviene che sìa ben educato; e per avvezzare i' oreo-
ohio Qoa vi ò miglior aiaaco ohe roaaervatione e Fimi-*
tassile degli ottimi aaaaqplari. Leggete autori elaiaicf ^
recitateli con attenzione a memoria, sicché T orecchio
ue gusti le armonie, A poco a poco egli vi si abituerà,
e senza alcuna fatica , ansi inseneibilmente^ quell'alnto
tornerli in natura. Fra i latini leggete spectalmente
Cicerone e Livio, fra gf italiani Boccaccio, Casa, Spe-
roni, Tasso e Caro; sebbene riguardo al Boccaccio non
ai possa andare tanto ài sioart per quella sua forsata
sintassi , la quale spesse volte* rende oscuro ed intral-
ciato il periodo.
D. Jn fuanti wzj ti può cadere Gerco^tdo eever^ .
chiamente farmoma?
IL Neir affettazione , neir ampoUosith e nelT oscu-
rità; vizj tutti egualmente da fuggire. £ neir aftetta-
Siene al oade oMStrando scopertaneiìte lo studio posto
o nella scelta o nella colloeaziofie delle parole; nel*
l'ampollosità, aggiungendo parole, incisi e membri
inutili ai periodo, solo per averne quella rotondità di
cadenza e quel .suono aggradevole, die eontenta Tome-
chio; nelP oscurità infine, trasportando fuor di luogo
parole ed incisi, e forzando oltre il debito la sintassi.
Si deve anuhe guardare lo scrittore dai confondere il
ritmo della prosa col melffo della poesia, conciossiadiò
quello è regolato semplicemente dalT orecchio , questo
da una determinata misura, e non vi è^osa piii scon-*
eia che vedere la prosa vineolala ai numeri della poesia.
- 29 -
D. Conviene forse iMia sola armonia egualmente a
luta i periodi? »•
R. Certa che no* Abbiamo deUo che de' periodi ve
ne ha di brevi , cioè di doe o tre membri , e di lunghi ,
cioè di molti membri, e da questo ne consegue che
come diversa è la misura del periodo^ diverse aocora
ne sia il suono. E aieoome ge&efahnenle I periodi non
lunghi convengono ad un semplice discorso, e i lunghi
periodi sono proprj del discorso oratorio, così ne viene
che altra debba essere V armoma d' un tismpliee e fa*
migliare dtocorso , altra quella di un oratone. E ceHo
mal farebbe assai chi ad un semplice discorso volesse
dare V armonia e Y andamento 4kel discorso oratorio.
D. Si dovrà egli cmpmr&^l diicono 8empHc$ fo*
famente di irwi periodi, e /F or^Mria solamente di
lunghi? /
R. Se ricordate che abbiamo insegnato doversi
fuggire come viaio la monotonia , vedrete venirne di
conseguente, che sebbene il periodo breve sia proprio
del discorso semplice, il lungo sia proprio dell' orato-
rio, nullameno si devono c<|d' giudiziosa arte frammi^
sehiare e eontemperare. InfAto Cicerone insegna, che
« non si ha sempre ad usare di una lunghezza, e quasi
di un egual torno di parole, ma spesso spesso nel di-
soorso a lunghe membra si donno intrameziare le bre-
vi, t jVen semper fààmikm est perpetmkde et quaei con-
versione verhorum, sed scepe carpenda membris minuUo-
ribus or alio est.
D. Conchec/He $i rende hmgoilperiedof
A. Accomodando molte proposisloni subalterne
per fare risplendere maggiormente la principale. Il
breve periodo esponendo una sentenza 9on poche altre
che la modificano, vi toglie il diletto di vedére la rela-.
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zione, che ella può avere con molte altre: il lungo vi fa
conoscere quasi ad un tratto un maggior numero di rap-
porti della sentenza principale colie accessorie. Per fare
cenoscere adunque tatti questi rappocti ad un tempo,
egli è necessario ricorrere ad alcuni modi , che i Retori
chiamano amplifìcazioue, antitesi , enumerazione di par-
tL Ad esempie: Cicerone vokTa dire ironicamente che
tutti piangevano per la morte di Clodio. In un breve
periodo si sarebbe detto : non vi è in Roma chi non pianga
per la morte di Clodio. Cicerone air incontro per messo
deir enumerasione amplifica il perMo, e gK dà suono
oratorio in questa maniera: Publii Clodii mortem cequo
animo nemo ferre potest; luget senatus, mceret equeiUr
ordo, tokk cwiias confecta senio eit; sqwUhiU munieipia^
afflìCkoUui^ cohnkB ; agri dmdqm tpsi Ann ben^tùum,
tam salutarem , tam mansuetum civem desiderant. i Piange
il senato, V ordine equestre è in tribolo, tutta la città è
di malinconia rifinita; squallidi i mnniciiy , afflitte soa
le colonie: finalmente i medesimi campi dfcone: Deb!
chi ci rende un cosi benefico, sì mansueto e salutevole
cittadino? 9 (Cesari.)
D. Formato eko sia bene ilptfrkdo; cosicché riesca
dotato d'unità, d' efficacia, di armonia, che altro resta
a fare?
R. Beata a formare il discorso: cesia a congiungere
insieme piìi periodi, i quali- contengano un intero ragio-
namento, 0, come i Latini chiamavano, Orazione^ la
quale abbia tutte quelle doti che sono necessarie a ren-
derla perfetta. £ perà verremo a parlare dd Discorso e
delle sue priiicipali qualitt.
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- ai ~
. Del SisMMW» • dMle mw pri— >y« l t
D. Cofne fi pud dijfinm Diieano ?
Jt. Il Ditoorsò non è altra obe Fmiione di molti pe*
riodi concatenati per modo, che i' uno venga necessa-
rìamente di conseguenza air altro, e tutti insieme ne-
soaoQ a quel che ci siamo proposti da prima.
D. Quanti sono ifini che Vuomo si può proporre nel
diicorso?
R. Tre priocipalmeiite. O non si ia altro che nar*
rare ed esporre sempliosmente i nostri concetti per trat-
tenere piacevolmente chi ci ascolta, e allora il Discorso
ha per fine il diletto; o si vuole dimostrare una qualche
veritèi, e allora il Discorso ha per fine la cofivmsfone; o
infine si vnoìe costringere chi ci ascolta a fare il voler
nostro, e allora egli ha per fine la persuasione,
D. Nei tre fini diversi che t uomo si propone par-
lando, devono forse mere sempre egwdi le qtsaUtà del
Discorso ?
R. No. £ per determinare quali devono essere le
qualità ohe al Disoorso ri convengono, Usogoa osser-
vare alcune cose. L'uomo, quando parla, può trovarsi
in diversi stati : o coli' animo tranquillo e dominato dalla
sola ragione, o coli' animo signoreggiato dalia fantasia,
0 infine ooU' animo dominato dalla passione» A seconda
delio stato in eni si trova l' animo di chi parla , il Di-
scorso riòhiede un linguaggio diverso: imperocché il
linguaggio della ragione ò fiempUce , chiaro ed elegante ;
qttrib della fantasia s^ inaiza con figure che gli danno
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propri colorì; quello. deKB passioae poi è commosso ed
iigilalo, ed ha modi e figure liltte sue proprie. E però
alcune qualith richieste da una di. queste specie, squo
poi rifiutate dair altre.
D. Insegnateci ora le qtmHtà proprie ad ognuna di
queste tre specie.
R, Di alcune qualitè per le quali si ottiene la chiù-
rena , cioè della purità , della peoprieià • deUa decenza ^
si è toeeate da principio. Ora rimane a dira d^* elire,
e in prima di quelle che sono proprie a tutte tre lo
specie; oioò veritb, ordine, naturalezza, eleganza: po-
scia traiieremo delle qoalità piwprìe di quella speeie di
Discorso che è mosso dalla fantasia, e diremo delle ficiire
prodotte dall' immaginazione; infine accenneremo di
(fueila specie che ò sigooreggiala dalla passieiiei e par^
leremo di3le figure proprie della pasaioiiev
Dellii Yerit»9 dell' ordine , della natiirideHA
p ' deir eiei^nza» .
D. Ghe cosa intendete dir^ quando prescrivete che il .
Discoreo abbia verità? .
R. S intende dire che i concetti^ i quali noi espo-
niamo, devono essere veri o molto somiglianti al vero,
e devono essere espressi con una elocuzione egualmente
vera, cioè predsa in*8ò, e taleda rendere efficacemente
con aggiustatezza quei coifeelti che noi vogliamo naui-
festare. Ovunque manchi la verità nei concetti , o quella
verisùniglianza che ha immag^é. di verità i T umano
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Discorso sì caogia in vamièi di suoni e di stranezze ; ove
manchi verità all'espressione, i nostri concelti non fanno
mai forza alcuna sali' animo altrui ; nè gioverà puntc^
adoperare deganza e bei modi se il fondamento non è '
vero, 0 somigliante al rero.
D. Che cosa è V ordine?
H. V otxLine die fu dnamato buoido, e raccoman-
dato con tento calore da Orazio, è qndia qualità , per
la qoalc si dispongono i concetti in modo che l'unp sem-
bri derivato dall' altro, e messi insieme formino un tutto
di perfetta regolarità. £gii è certo, die per dichiarare
alcuni concetti noi dobWamo dichiararne alcuni altri o
dipendenti da quelli, o a quelli per relazione congiunti,
e però ohi scrive deve disporre i suoi concetti per modo
che r un pensiero rampolli dall' altro, e dall' uno all'aP
Irò il lettore passi senza disagio, anzi senza avveder-
sene, cosicché creda una materia sola quella che com-.
pone un intero disooiao. Yet ottenere ciò egli è necessario
sapere mettere in esecuzione quello che Orazio stesso
insegna in quei versi dell' epistola ai Pisoni:
Or^nù hmc viHut erii , et venu», ani ^ fui/or,
VÈjam tmnc diotiijam %UM deb9»lh M;
PkTMqné éifeni, «I pnmtu iu tempia emittùt.
La grazia poi dell'ordine e il valore,
A parer mio , consiste in ciò che sappia « *
Il destro autor sul cominciar deir opra
^ Di tutto ciò cbtì dovrà dir, quii parte
Subito esporre, e quale io aiiro tempo
Differir aia vaaiaagio.
(Uetastasio.)
E grandi sono in vero i beni che ne vengono dal saper
dire a tempo ciò che si deve, e lasciare ciò che non è
necessario dire: perchè appunto l'ordine si turba e
quando non si dice a suo tempo ciò che è necessario
z
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allo sviluppo dei oonceitt, e quando ai dice piii di quello
che occorre; perchè nel primo caso s'interrompe la ca-
tena delie idee, e si reca disagio alla mente; nel secondo
si opprime la memoria per modo che ella ci perda il filo
del discorso, e non lo possa senza fatica rintracciare.
L' ordine fa che ci riesca più facile a conoscere la suc-
cessione delie idee, e cbet se ne comprendano agevol-
mente i rapporti : e, come dice un prefondo scrittore
moderno, ^ « L' ordine àh air anima il massimo eccita-
mento congiunto al minimo di fatica; perchè fissando
la nostra intelligenza il suo punto d' appoggio nel cen-
tro, signoreggia da quello tutte le parti della cosa. »
L' uomo ama V ordine naturalmente, il quale ordine è
principio di diletto, perchè scema fatica alia mente; è
principio di bellezza^ perchè eccita dolcemente la fan-
tasia ed il cuore.
D. Che cosa mi dite della naturalezza?
lì. Questa dote del Discorso, secondo Aristotile, è
quella per la quale nelle scritture s' imita sempre il
parlar naturale, cioè si mantiene quell'ordine nelle
idee e quei colori nell'elocuzione, che sono richiesti
dalla natura stessa. Egli è vero che non si dee scrivere
come gli uomini comunemente parlano , perchè nel par-
lar comune è scorrettezza presso che sempre, e vi ha
* Il professore Gratinano Bonacci cosi si esprime nel § 3o del
Gap. Q° della sua veramente filosofica opera inlitolata Noiioni fon^
damentali ri' £<leli«a. ( Foligno , tipografia Tornassi ni ,1857. ) Colgo
qaesta occasione per neeoinandare ai giovani la lettura di questo
libro, Il quale 9 ae con assai meno booià fosse nato di là Uair Alpi e
dal mare, e veouto a noi» dooo di mente straniera, avrebbe in
lulia a qoest' ora e molle traduzioni , e molti adoratori. Ma penjiè
è nato in Italia, forse da pochi è conoscioto, da pocliissimi pregialo
secondo il merito » e studiato. Così va la bisogna degli stndj in Italia !
0 temporali a momllll
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, de' modi e de' costrutti, chiamati idiotismi, che nella
scrittura si denno evitare; ma è vero altresì , che ove
Tarte si faccia a rabbellire il Discorso, lo dee fare per
modo che sembri cosi fatto per sola opera della natura.*
Perciò i grandi maestri insegnano, ninna cosa essere
più diffìcile aeir arte che nasconder V arie , e fare che
ella si paia natura. Conciessiacfaè ancbe allorquando
la materia del Discorso è presa dal verisimile, egli deve
avere talmente faccia dì vero da potersi trovare il vero
nel fiato: nò questa illusione può fare V arte se in tutto
non segue le norme della natura , cioè a dire se il Di-
scorso non ha pregio di naturalezza. E perchè abbia
tal pregio, tre cose principalmente si debbono schivare;
la prima delle quali è che non si scelgano mai im-
magini troppo raffinate, né parole troppo leziose, e fuor
dell'uso nella costruzione delle sentenze: ma le imma-
gini e le parole siano spontanee, e non mostrino artih-
sic, ma, come dÀoB CUierone^ exeadem re effloruisse
videanhir; cr paiano sbucciate fuorì da sè. » E quel che
si dice delle immagini e delle parole si dica pure del-
l' armonia del periodo, la quale deve procedere per
modo da prender dolcemente gli orecchi e tentare il
cuore^ senza mai dare nelF affettato, nè dipartirsi dal
naturale, la seconda luogo acquista naturalezza il Di-
scorso dal mantenere la decenza , cioè facendo che ogni
persona che parla, pari! secondo il proprio carattere,
in quella maniera stessa che un uomo parlerebbe in
realtà se fosse posto in quelle circostanze. Periochò
egli è chiaro che non essendo dato a tutti da natura
un carattere eguale , o doti eguali d* ingegno e di cuore,
ciascuno deve parlare seconda quel carattere o quello
doti che ha, o che lo scrittore gli ha assegnate, ila da
principio; perchè, facendo altrimenti, il Discorso per-
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— se-
derebbe pregio di naturale. Finalmente iu terzo luogo si
conviene studiare che le parole e le frasi, non meno *
che i pensieri , siane adattali al soggetto che si tratta ,
e alle persone innansi alle quali si tratta; la qual cosa
costituisce ciò che si chiama carattere di stile, di che
parleremo a suo luogo , e dà lode di naturalezza al Di-
scorso. Da queste cose è nanifésto che la naturalesza
è princìpio e conseguenza della chiarezza.
I). Che cosa è eleganza, e in che consiste?
R. Eleganza è quella qualità ^ per la quale il Di-*
scorso non solo si purga dagli errori , ma prende abito
di terso e di gentile, allontanandosi dai modi della
plebe senza punto perdere T essere di naturale. Questa
parola eleganza nasce dal verbo latino eUgerif M quale
suona in volger nostro — scegliere condiligensa: e Tele-
ganza è proprio una scelta che si fa delle parole e dei
colori della favella per rendere più vago ed efficace il
Discorso. Ma questa virtU non è si facile ad ottenere se '
prima V ingegno non si assicuri da ogni errore gram-
maticale, e non conosca profondamente quelle leggi
che la volontà de' primi scrittori ^ e V uso di quelli c^e
vennero appresso, ebbero imposto aUa lingua. I quali
scrittori certamente recarono quelle leggi, tolte dalla
osservazione del parlar comune , cioè dalla natura stessa
della lingua; e a queste ìaggL chi nega sottopora^i non
otterrà giammai, non dico lode di eleganza, ma nep-
pure titolo di essere scrittore: conciossiachè a conse-
guire eleganza è fondamento T osservanza delle leggi
grammaticali; e dopo queste, quattro mezai vi sono
che possono veramente chiamarsi principio e fonte d'ogni
eleganza: cioè T uso delle figure grammaticali, dei tropi,
dei concetti e delle sentenze; e infine la varietà. Di cia-
scuna di queste cose parleremo ne' seguenti capitoli.
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€aw. TIf •
Delle flswe del DImomo eblanuite
D. Che cosa sono queste figure grammaticali?
IL Sono certe forme di costruito, ie quali hanno
io sé nna ragionevole irregdaritè; perloehè ben dissero
coloro che le definirono — un errore fatto con ragione,
perchò l'errore non istè che neir apparenza, e la ra-
gione del medesimo ha radice nella natura; tanto che
si può dire che la sintassi naturale le porta con sè. In-
fatto se l'ordine successivo dei rapporti delle idee non
è esattamente seguito neir espressione, non è per que-
sto che noi non siamo benissimo intesi da coloro che
et ascoltano, la qunl cosa non sarebbe se dalle figure
di costrutto restasse offesa la naturale sintassi. La mente
di chi ascolta o legge, facilmente entra nel nostro con-
cetto, conoiQSStachè per leggi di analogia ella a sò rende
regolare quel Discorso il quale infatto è irregolare;
laonde si deve concludere non essere queste figure in-
▼enzione de' Grammatici ; ma sì i Grammatici averle
trovate nel naturale Discorso, ed essere quindi nate
dalia natura, e non dall' arto.
D. Come può dirsi che le figure grammaticali già-
wmo ali eleganMa M eoUruUo?
R, Perchè esse lo rendono più cahaiite ed efficace,
esprimendo certe condizioni o dell' immaginazione oil
anche dei cuore, a modo che possa dirsi che elleno
siano linguaggio proprio dello spirito in quelle date
condizioni. Infatto, quando lo spirito mira direttamente
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— 38
c con interesse ad un oggetto, egli facilmente sopprime
e tralascia quelle idee a cui egli non mette gran conto, e
che possono essere intese dair insieme dell'altre: quando
una cosa fa gagliarda impressione sulla fantasia, lo spi*
rito vi si ferma sopra, e qualche volta, senza raddoppiare
r idea, raddoppia Tespressione: alcun'altra volta perse-
guitare V andamento delle idee turba Uordine della sin-
.tassi; alcun' altra infine scambia le relazioni riferendo il
pronome non al nome espresso, ma al nome dell'oggetto
che lo colpiseei e-che è già chiaro dal complesso delle
idee esposte, cosicché il lettore o l'uditore per mezzo
deir analogia rettamente interpreta il Discorso, non
secondo le parole, ma secondo T intenzione di chi parla.
Ecco qua la sorgente delie figure che malamente si
dicono grammaticali , e dovriano dirsi figure del co-
strutto naturale.
D. Quante e quali iono queste figure?
A. Se guardiamo- ai Grammatici sono in gran nu-
mero, ma avvisati da Gherardo Vossio, che le piìi non
sono che stranezze e vera invenzione >di Grammatici, e
non prodotto della natura, noi ci fermeremo a cinque:
la 4* delle quali, ohe è la piti usata, eidirei regina delle
altre, ha nome Elissi; la 2^^ Pleonasmo; la 3» Silessi;
la 4^ Enallage; la 5^^ Iperbato. Diremo ora di ciascuna.
D. Come definireste la Elùsi ^ e che easa dirute di
questa figura?
R. Elissi è parola greca la quale significa manca-
mento; e però questa figura consìste nel togliere e tra-
lasciare alcuna parte che sarebbe necessaria, all' inte-
grità della sintassi, in modo però che non ne nasca
oscurità alcuna, ma anzi il Discorso acquisti forza ed
efficacia. Vi ha delle lingue, a cui T elissi è frequentis-
sima, e fra queste la latina e la nostra. Se dunque,
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— 39 —
coniD è detto, TEIissi consiste nel tralasciare, ella co-
stituirà principalmente quella brevità, che spesso è
vaghezza del IMscorso.
D. In quanti modi si può fare tSlissi?
R. In molti modi : ora tralasciando un nomé so-
stantivo, che facilmeute si può sottiuteDdere^ come ad
esempio in qnel di Dante :
Gliene diè cento» e non stnlì te diece ;
ove si sottintenda il sostantivo htue, nome che facii«
mente si supplisce, intesa che sia l'azione, nè ci vuol
fatica ad intendci la, poiché il poeta dice come Ercole
a furia di busse fini il ladrone Caco. Cosà facilmente
s^ intende la parola jsodum soppres^ nel seguente d* Ora*
zio (Ode 34, lib. 4"] :
• • . • • nom^tie DinpUtr
PUrwnque per pumm. • , •
Egil equa
sottintendendo ccelum* Con itoolta vaghezza talora si
sopprimono gli adiettivi , come ad esempio : nec tu sol-
vendo eraS; — cioè aptus. Cos\ nel Boccaccio : E sempre
poi per da molto l' ebbe, e per amico, sottintendendo —
per da ùioho pregio^; e neir altro : Il garzoneelh infer^
mo, di eh» fa madre dolorosa tonto, come coki che più
non ama ; — dove è agevole sottintendere figliuoli.
De' verbi ancora si fa olissi, siano essi finiti o in-
finiti; così in quel di Virgilio: Ne te f rigora hedant;
cioè cave ne. E in quel di Dante :
Ed ecco verso noi yenir per nate
Ud vecchio bianco ec. ;
dove manca il verbo apparve: e nel bellissimo luogo
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— 40 —
del Passavanti , ove V albergatore di Mahnamile diee
dì sè: Io ricco, io sano, io bella donna , assai figliuoli ^
grande famiglia, né ingiuria^ onta o darnio riceveUi mai
dapersona : ove è facile il aoiimteiiderd — io sono, io ho.
11 verbo infinito ancora elegantemente si sottintende.
Così il Boccaccio : U Saladino e compagni, e famigliari
tutti sapevan ìaHno, cioè pariare ; e ailrove : Impoaibil
che mai imnbmeficj e il suo valore di mente gli iMCtV-
sero; supplisci, esser impossibile. Le preposizioni infine
(chò dell' altre parti del discorso ci passeremo per bre-
vità) coQ> molla grazia si sotiiotmidioDe. Eceone alcuni
esempj italiani : avvisò ^ che gran cortesia sarel^be dar
loro bere. (Boccaccio.) Supplisci, da bere.
Questi avea poco aodare ad esser morto.
(Petrarca.)
Supplisci, da andare.
Lo fondo suo ed ambo le peadici
Tult' eran pietra, ec.
(Dante.)
Cioè di pietra.
Chi yunÀe più copia d* esempj intorno dò, ricorra ai
Grammatici, e n' avrh a satollo. A noi basti avvertire,
che dair olissi il discorso acquista brevità, rapidità ed
efficacia ; le quali cose , coinè producono dilelfto nel-
¥ animo, così partoriscono veneri, e grazie, dalle quali
si forma principalmente V eleganza. Vogliamo anche
osservare che molte figure, cui i Betori chiamano di
parole, non sono che le stesse figure grammaticali. Ma
di ciò a suo tempo.
D. sChe cosa è il Pleonasmo, e in quanti modi si fa?
R. li pleonasmo si fa nel discorso ogni quel volta
s* inti'oaiette nella (rase una parola, la quale tolta ohe
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Le, non T«r<«bbe meno .ionn. 00081 al eonceito. Ha
nome da una voce greca, che signiiìca ridondanza. La
quale superiliuU noa deve credersi lasciala iix arbitrio
di chi scrìTO : perocché ove ella non sìà comandata
dalla natura, diviene vizio e non vaghezza del favella-
re. Quando una cosa colpisce fortemeote la nostra im-
maginazione o il caoroy noi, perchè sia conosciota Firn-
^; pressione che essa fa dentro noi , usiamo raddoppiare
qualche parola. Dal che ne viene che il pleonasmo
aggiunge di gran forza air espressione ; e non sarebbe
cosi, se questa soperflaìtà tion ìmm comandata, ma
capricciosa. E vaglia il vero, quando Dante disse nel
canto di Ugolino :
Ambo le roani per dolor mi mor&i :
ognun sa che le mani sono due, cosicché pare superflua
Ja voce ambo; ma s'ella è superflua alla sintassi rego^
lare, non è superQua air immaginazione, la qpaale per
mezzo di quel pleonasmo vede V azione di mettersi ad
un tempo con doloroso modo d'ira le mani alla bocca,
e colorisce agli occhi la disperazione del conte Ugolino.
Di qui è chiaro che se il pleonasmo aggittoge forza e co-
lorito all'espressione, deve essere Hn principio sicuro
d' eleganza. Badino però i giovani che facilmente sì
cade in Tizio di superfluità dove si voglia usare di
questa figura senza ragione. I varj modi di pleonasmo,
usati nel voìgar nostro e nel latino, ricercherete dai
Grammatici, A noi basti il detto fin qui.
D. Che cosa dowrà dirsi della Siìeaei?
R, La Silessi, figura che ha nome da greca voce,
la quale significa concepimento, si fa allorquando le pa-
role sono costruite secondo il senso e il pensiero, an-
ziché secondo V uso della costrusion regolare, a modo
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~ 4i —
che ella ti pare a {nniaia ghuita una discordanza. Così
ad esempie in qnel di Livio : Capita coniurmiioms vir-
gis cessi; invece che coesa. Questa forma di parhire, che
pare strana, è al tutto naturalissima* Vediamolo in
quaiciie esempio. Dante dice nel settimo deU' Inftrm :
Che soUo l' acqaa ba genie cbe sospira ,
E bone pallttlar quesf acqos al sommo.
Sotto la parola gente, V immaginazione vede una mol-
titudine d* uomin^ ; e però V azione s^ accorda col nome
uomini sottinteso, anziché col nome espresso gente. Così
Orazio, parlando di Cleopatra nella 37^ Ode del i"* libro,
la chiama fnonstnm fbUah; poi segue a riferire V azione
a Cleopatra stessa:
Darei «f eelenti
FakUe monttnm: fu» gwemim -
Ptriréqmremeta.;
e altrove Dante :
Di fuor dorale sod sì di' egli abbaglia;
e dovrebbe dire regolarmente : sì cha elleno abbaglia-
no ; ma sicoeme il poeta ha voluto Hiostrare ohe quel
bagliore nasceva dal molto oro ivi profuso, ha concor-
dato il relativo al nome oro sottinteso, aiutando per
questo modo T immaginazione a raggiungere il con-
cetto. Conviene però nelF uso di questa figura andare
molto a rilenlo, né si dee credere che tutte le discor-
danze di sintassi si debbano avere per Silessi, perchè
pur questa figura non è bella, se n<m è ragionevole
mente irregolare. /
D. Che dee dirsi dell' Enallage? j
H, Dee dirsi, cbe ella è una figura per la quale /
si pone un caso, un genere, un modo, in luogo dell' al- /
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- 43 —
tro. ié parola che in greco significa mancamento. Di
questa figura gl' iialìani fanno uso assai di sovente,
forse anche più del Latini; cosi si usa Tinfinito in forza
di nome, come nel seguente esempio del Boccaccio,
ove r infinito vivere sta in luogo del sostantivo vita:
— da questo vieM il nostro viver lieto eke voi vedete.
Così Livio: et facere, et pati fortia , r(mumtm est ; ove
gF infiniti facere e pati, hanno forza di nomi. Si usa
con molta vaghezza V aggettivo in luogo deiravverbio;
così Orasìo nell'Ode SS del libro
Duke ridenlem Lalagen amato,
Dulct laquenUm;
e il Petrarca:
Chi oso ss mae dolce ella scMqrinif
E come dolce parla, e dolce ride;
dove r aggettivo doìoe sì in latino che in italiano è
posto in luogo deir avverbio. Si pone il participio per
r infinito, come in questo del Boccaccio: fece veduto
ai suoi sudditi, per dire fece, vedere. V infinito invece
del soggiuntivo; ossi il Boccacdo: Qui ha questa cena,
e non saria chi mangiarla, cioè chi la mangiasse. Il pre-
terito determinato in luogo dell' indeterminato , come;
Io andava per grande bisogno in servigio della mia
donna, e il re fu giunto; cioè giunse; e così dicasi di
altri casi. Ma, quel che più è, alcuna volta si usa un
verbo in luogo d' un altro, come in questo del Boccac-
cio : Vwer sensa te non saprei ; ove saprei equivale a
potrei: così il verbo aieere può usarsi in senso di ri-
putare , di ritenere, d' intendere o sapere, di procac-
ciare. 11 verbo fare si mette 4b luogo del verbo procu*
rare^ di terminare ^ di nascere, di apparire. Ma di queste
cose chi brama avere copia a mano, può rivolgersi ai
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— u —
{irammatici. Se ci si domandasse quale proviene al Di-
scorso da questa figura, rìspond^remmo, che non lieve;
perocché, quando altro non fosse, lo rende graiioeo e
peregrino senza scemargli chiarezza, e colla novità
stessa ingenera diletto ed eleganza ; col cambiamento
poi dei tmtfi aggiunge vigorìa ed efficacia al Discorso.
Così il dire U re fu giunto, anziché gmucy indicando
un'azione già compiuta e determinata, in luogo di una
iadetermioata e lontana, rende piii scolpito il concetto^
e mostra con più efficacia la prontessa del venire.
Anche in questa figura non deve però lo scrittore an-
darsene alla sbrigliata , perchè gii potrebbe accadere
di rendere strano il Discorso ed oscuro in luogo di
dai^li vaghezza e novità.
D. Quale è la quinta di queste figure?
R, V Iperbato, parola greca, che in Ialino suona
tramgressio, in italiano direbbe irapasso, E questa
figura si fa traslocando una pairola dal luogo suo pro-
prio , e recandola ad altro ; cosa che spesse volte giova
assai alla fantasia ed air affetto* £lla si fa per quattro
modi principalmente: 4^ per Trasposizione (i Greci di-
cevano Anastrofe), come in, quel di Virgilio, Eneide,
libro 4<> :
• multo$qué per annoi
BmbùM «eli fath ména omnia eiremm ;
e il Petrarca :
Ho di i^ravi pensier tale una nebbia, ec. ;
ove è da osservare, ohe la parola cireum posta in fine
da Virgilio, la quale dovria slare innanzi al maria, è
un espressivissimo tratto di pennello, conciossiachò
ferisce la mente del leggitore a consìderafe quanto a
lungo errassero i Trojani per tutto il mare, e ve ne
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- 45 —
mostra quasi i lunghi errori: e il Petrarca ponendo
r aggettivo UUe innanzi ad una nebbia, rende più ef-
ficace e più: sensibile la metafora, in %^ lucgo si fa per
Divisione (Tmcsi), o mettendo il sostantivo in mezzo a
due aggettivi, come nel Boccaccio: A piè d'una bellis-
sima fontana e chiara che tiel giardino erA, a starsi se
ne andò : o col dividere una parola in due, e intramei-
zarla ad un' altra, come in qaesto di Virgilio: Seplem
subiecta trioai, — e in questo del Passavanti : Acciò
dunque cbe per tgmrtUMa non si ùscurino. Il 3^ modo ò
la Parentesi ; della quale fu detto. Il 4* è la Sinchisi,
cioè confusione, come : Per ego te Deos oro. (Livio.) Que-
sl' ultimo modo esprime meravigliosamente il turba-
mento dell' animoy corno nel citato esempie di Livio. E
però da avvertire che ove sia usato fuori di questo
caso, produce facilmente oscurità, e lo scrittore accu-
rato dee guardarsene. Nò valga a scusa il potere recare
esempi di grandi autori, perchò ciò che ai grandi ò
permesso, non si concede a lutti del pari. Conviene
: anche ricordare a questo proposito ciò che il principe
dei Retori, Quintiliano, lasciò scritto nei libri delle ln«
stituzìòni : NequeidstaUm legenii persuasum sii, emnia,
quce magni anctores dixerint, utique esse per feda; nam
et labanL aliquando, et oneri cedunt, et induìgent ingenio-
rum euorum volupiati, nec semper inàendunt anmum, et
nonnumquam faligantur, eum Ciceroni dormitare inter-
dum Demosthenes , Horatio Homerus ipse videatur. a ^è
subitamente si persuada chi legge essere egualmente
tutt* oro ciò che dissero i grandi autori : perchò e' pure
alcuna volta sdrucciolano e cedono al peso, e condì-
scendono al diletto de' loro ingegni ; e alcuna fiata sono
stanchi ; così che talor paia a Ciceroue che Demostene
donna 9 e ad Orazio sembri che dorma Omero. »
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■
— 46 -
D. Perchè fi parla delk figure grammaiioali , e nm
si fa motto di quelle, che i littori chiamano figure di
parole? '
Perchè è nostro avviso che quelle figure, alle
quali i Retori hanno dato titolo di essere figure di pa-
role , non siano altro che varie guise di elissi e di pleo-
nasmo. Infetto, che altro sono dal pleonasmo la dupli-
eazione, la ripetizione, il peltsfj^iufeto» (ripetizione di
congiunzioni), la sinonimia? Noi abbiamo detto che il
pleonasmo aggiunge o raddoppia parole che sono su-
perfine alla sintassi, noi sono air efficacia dd Discorso ;
e che appunto si duplicano o si aggiungono a queir idea ,
alla quale si vuol dare maggiore rilievo. Or bene, che
altro fauno le suaccennate figure? La duplicazione rad-
doppia una stessa voce, perohè sa qnella si fermi la
mente. Dante dicer
■
Non ton colui, non aon colui, ebe credi;
appunto per mosirare con sicurezza, sè non esser quel-
lo. Cicerone nella 1* Catilinaria per mostrare che tutto
il male nasceva dal poco animo dei consoli, dei quali
egli «ra uno, dice: — Not, nos, aperte dho, eànstdes
deeumm. La ripetizione è fatta pur essa per ribadire ia
mente un'idea, la quale però sarebbe espressa senza
ripetere quelle stesse parole. Così ciascuno intende il
concetto di Dante in qtèlla terzina che sta scritta sulla
porta deir inferno, ancorché si dica : Per me si va nella
città dolente^ neW eterm dolore, e fra la perduta gente.
Mentre qui la ripetizione non aggiunge aloun concetto,
ma solo rafforza il concetto già espresso :
Pir me f t va nella città dolente »
Per me il va nelT eterno dolore.
Per me li fw fra la perdala genie.
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— i7 —
Così si ripetono le conG;iunzioni solo perchè ogni idea
faccia separata impressione suir aniiiM) ; e questa re-
plica è un semplicissimo pleonasmo. Come pure è un
vero pleonasmo V esprimere una cosa stessa con di-
verse parole, che non hanno altro ufficio che di raffor-
zare r idea principale; come in quei di Cicerone : Vobis
populoqu» romano pctcem, IranquUBtakm , otium , concar*
diamadferam. E tale è pure l'Apozeugma, la quale ripete
pili verbi a significare cosa, a cui un soio verbo baste-
rebbe, come in questo della Rettorica ad Erennio:
Populus romarm Numanitam iklevU^ Carlhaginem su-
stulit, Coryntum disjecit, Fregellas evertit. « 11 popolo
romano distrusse Numanzia, disfece Cartagine, atterrò
Corinto, abbattè Fregelle. i» Air olissi poi si riducono
facilmente e la Disgiunzione , e lo Zeugma , e la Reti-
cenza ; conciossiachè la prima di queste figure sta nel
togliere le congiunsiom', la seconda nel far riferire a
plit sentimenti un v^rlio solo, la teria nel tralasciare
parte di un sentimento, al quale il lettore colla propria
immaginazione supplisce ; e questo si può vedere dagli
esempj. Disgiunzione : « li padre nefandamente uodso,'
la casa assediata dai nemici , tolti i beni , i possessi
rapinali. » Pater occisus nefarie^ domus obsessa ab ini'
micis, bona adempta,pos$eisa direpla, (Cicerone.) Zeugpia:
VicUfiiàdùrtm libido, timorem audacia, riUionem amentia
« Fu vinta la modestia dalla sfrontatezza, il timor dal-
l'audacia, la ragione dalla pazzia. » iieticenza:
Io vi farò.... ma di meslieri è prima
Abbonazzar quest'onda.
(Caeo» tradutione di VirgiliiL)
Dopo aver resa ragione per questo modo del tacere
che facciamo intorno le figure che i Beton ekiamano di
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— 4S —
parole, e delFayere mostrato che le figure, così dette
gramraalicali, sono fondamento d'eleganza, è tempo
di passare a dire dei Tropi , onde T eleganza anche a
maggior oofià si deriva.
CAr. Vili.
Del Tropi.
D. Che cosa sono i Tropi f
R. 1 tropi sono cerio parole , le quali, comecché
siano nate a significare una cosa, nM le trasponiamo
a significarne un' altra. Hanno questo nome dalla pa-
rola greca Trope, la quale deriva dal verbo Tropo, che
in latino si direbbero eonvsrsto e eonVErto, in italiano
cangiamento e cangiare; e sono state chiamate con
questa denominazione, perchè quando si prende una
parola nel senso figurato, conviene raggirarla, per dir
così, a modo cb* ella significhi ciò che nel senso proprio
non significherebbe. Le parole poi possono avere due
significali, r uno proprio, e V altro figurato. Gol proprio
rendono la prima e vera signiflcatione per la quale la
parola è stata trovata ; nel figurato rendono un signi-
ficato che non è il naturale. Ad esempio Ja parola cieco
significa in senso proprio uomo priva degli occhi ; in
senso metaforico può avere altra sijpiificazione, come
ia quello del Petrarca :
Dove me lasci sconsolato e cìho,
Posda che II dolce ed anoroso e plano
Lame dagli occhi miei non è più awcoT
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— 49 —
ove cieco è usato in senso figurato. Così Virgilio , par-
lando di Didone, dice:
caeco carpitur igni;
e cieco qui significa occulto. Dalle quali cose è agevole
il conoscerei che la radice, da coi naseono le diverse
signifìeasioni figurate, non è altra ohe quel legame ehe
vi ha fra le ideo accessorie, conciossiachò le cose, le
quali fanno impressione sopra di noi, sono sempre ac-
compagnate da alcune eircostanse, le quali ci etAfA-
scono forte la fantasia ed il cuore, e noi spesse volte
con queste ci facciamo a significare quegli oggetti che
elleno accompagnano. Laonde avviene che talora il
nome proprio di un* idea accessoria ci ridiiama più
agevolmente al pensiero un oggetto cui ella accompa-
gna, che non lo stesso nome proprio dcir idea princi-
pale. Per questo poniamo il segno, ansicfaè la cosa sir
gnificata, la causa anziché l'efietto, la parte in luogo
del tutto, e via via discorrendo. E siccome Tuna di
queste idee essendo associata naturalmente all' altra,
non si potrebbe risvegliare senza pure ridestare le altre
che reca con sè, ne viene che T espressione figurata è
di leggieri intesa , p^bò chiara al pari della propria ;
è poi' più assai vivace e piacevole, perchè non risveglia
soltanto un'immagine, ma più ad un tempo, con che
alletta T immaginazione, e db all' intelletto cagione di
piacere. E da questo è chiaro che la significazione
figniata «delle parole giova di molto all' ornamento e
air degansa del discorsa.
IX^ Onde ha avuto origine il linguaggio figurato?
R. Se crediamo a Cicerone e ad altri Hetori, pare
che dalia povertà del linguaggio, perocché essendo ri-
stretta assai ne' primi tempi dell' lunaso aonsorzio la
• • •
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— 50 —
favella, ed essendo molti più gli oggetti che le parole,
ne venne che alcuni si dovessero nominare col nome
proprio di alcun altro, col quale avevano un aperto
rapporto di somiglianza. Ecco le parole di Cicerone,
riferite anche da Quintiliano: Modm transfer endi verbi
Ulte patet, quem mcessitas primum genuit inopia coacta
et angusHis; fost autm deìectatio, jucunditasque cele^
bravii, Nam ut vestis frigoris depelhndi musa r&-
perta primo, post adhtberi coepta est ad ornatum etiam
corporis et dignitatem, sic verbi tratislatio instituta est \
inopim causa, frequentata delectatione. (Cicerone, De
Oratore, lib. 3°.) « Un ampio uso ha il modo di dare
alle parole un senso traslato, il qual costume introdotto
prima dalia necessità per la penuria de* vocaboli prò* .
prj, è poi st^o messo in voga por vezzo e ornamento.
Imperocché come furon dapprima le vesti trovate per
riparo del freddo poi cominciarono ad usarsi per ag-
giungere decoro o grazia alla persona, cosi la trasla-
sione delle parole nacque dalla carestia, ma fu in sé*
guito resa frequente per solo fine di diiettare. » (Can-
to va.)
Ci sia lecito però di osservare, che se la necessità
ebbe in ciò alcuna parte, non f%]a sola né la prima a
produrre il linguaggio figurato. Conciossiachè la ìfanta-
sia e r affetto, i quali dominano principalmente gli ani-
mi rudi e lontani da civiltà, pare a noi che debbano
avervi avuta la parie principale; cosicché possa con-
chiudersi, che ogni guisa di linguaggio figurato diviene
linguaggio proprio, se si consideri ne' suoi rapporti colla
fantasìa e ed cuore. Gli uomini dapprima, pea espri-
mere alcuna cosa, non hanno cercato se vi era parola
propria a significarla; ma seguendo l'impeto dell'im-
maginazione e della passione ^ T hanno sanificata in
< I
m
\
1:
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— 51 -
quei modo che veniva loro più pronto ed eiEcace a met-
terla sotto gli occhi degli ascoltanti.
D. Quali sono i principali Tropi dei quali si deve
parlare?
R. Sarebbero molti, se noi ci volessimo attenere al
cornane dei Retori, i quali anche delle minime cose so-
gliono far tropi e figure. Noi però di sei soltanto faremo
parola, a capo dei quali è da collocare la Metafora ; la
quale non sólo può considerarsi come il primo fra i tro*
pi , ma si potrebbe dire che tutti gli altri non sono che
diverse niodilicazioni della metafora stessa, perocché
tutti a lei si possono facilmente ridurre. Nullameno per
maggiore chiarezza noi parleremo di sei, come è detto,
i quali sono: Metafora, SI 'Metonimia, 3<>Sinecdoche,
A'^ Antonomasia, 5^ Catacresi, Metalessi. Incomiucie-
remo a dire della Metafora.
Della Hetefora.
D. Che casa è la ìfeiafara?
B. Secondo la definizione che ne dh Aristotile, è
imposizioìie del nome d' altri; secondo poi T autore delia
Rettorica ad Erennio, la metafora, o traslazione, si fa
quando una parola da una cosa si trasporta a significarne
un' altra colla quale ha qualche rapporto di somiglian-
za. Dal che ne consegue, che la metafora non è se non
una similitudine abbreviata, la quale si fà recando un
vocabolo dalla propria significazione ad altra, èhe non
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— 52 -
gli sarebbe propria, ma solo per rapporto dì somigliaaza
gli può convenire. Ad esempio:
Ma se a conoscer la prima radice
Del Doslro amor lu bai colaoio affello ec.
La parola radice non esprime il significato suo proprio,
ma A vale prinoipio^ ed è quasi lo stesso che dire: Ma
se moi conoscere U principio del nostro amore ; concios-
sìacbè siccome \à prirna radice è propriamente il prin-
cipio di una pianta, questa parola per similitudine è
portata a significare prtnciptb. In fatto, volendo, ri può
allargare la similitudine, come chi dicesse: ma se vuoi
conoscere quel principio, dal quale, come pianta da prima
radice, nacque il nostro a/more ec.{ perlocbò maggior-
mente si mostra vero ciò che abbiamo accennato nel
definire la metafora. Questa permutazione si può fare
in più modi, o trasportando una voce propria di cosa
animata a significare un' altra cosa animata; come:
Brato eoa Cassio neir Inferno latra;
conciossiachè il latrare è proprio del cane, e qui. è
posto a significare voce umana fli dolore: o reoando
parola propria di cosa inanimata ad altra inanimata,
come:
Classique immiuil hahenas;
e quel del Petrarca:
Tonian d* armento i mscelleUi e i fiumi;
nel quale primo esempio si danno le briglie, proprie
a reggere cavalli, anche alla flotta; e nel secondo si
dà ai msceMi ed ai fiumi T attributo d' argeiUùj per in-
dicame la limpidezza; o recando parola propria di cosa
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- 53 -
anmaia a significare comi iDaDiiDaU, oofiie in quel
d' Orazio :
Gurag laqueau circiim
Tecla volaRle»;
e il Petrarca:
Ridon or per le piagge erbelie e Quri ;
dove nel primo esempio TaiioDe del votare, propria de-
gli animali, è data alle cure, e quella del ridere, propria
soitanto dal volto umano ,0 aUribuita alle piaggio ed ai
fiori: o reeando infine voce propria di cosa inanimata a
significare cosa animata , come:
Duo fulmina belU
Scipiadas; ,
e il Petrarca:
E dae fo/gori seco di battaglia
Il maggiore e mioor Scipio Affrìcano,
D. Quali fra tMe le più belle metafore?
R, Quelle che più potentemente servono alFimma*
ginazione ed air alletto. Però si avranno per migliori
quelle ciie ai traggono da qualità corporee, ie quali cor-
rono da sè sotto gli ocobi: potehò^ ^i ricordare le qua-
lità dei corpi, dai quali noi prendiamo la metalora, si
risvegliano laciimeote nella memoria tjilte 1' altre che
nel corpo sono associate. Dal che nasce singolare dilet-
to, a cagione del presentare che si fa alla mente mag-
gior copia d' immagini. In fatto quando io dico: ride la
. terra; colia parola ride non richiamo soltanto l'azione
dei ridere, ma quasi ho presente agli occhi della mente
la gioia e la gaiezza che spirano da un bel volto che ri-
de. Belle pur sono le metafore che si traggono da qua-
lità sottoposte ai sensi , perocché elleno offrono alP ani-.
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mo immagini, ohe quasi entrano per ì sensi, e s* impri-
mono neir intelletto. Così il dire: Odore di santità;
durezza di cuore\ ruggire di venti; dolcezza di parole;
è più beilo, perchò i sensi stessi, quasi mettendosi in
azione , pare che non solo rendano all' intelletto più effi-
cace l'idea , ma vi aggiungano di molte altre circostanze,
le quali per altro modo non sì potrebbero risvegliare.
Quante idee, a cagione d'esempio, non si risvegliano
nella fantasia a quel passo di Giobbe ove egli descrive
il cavallo che sbuffa, nitrisce, allarga le narici , odorando
da lungi odor di gìierra? Se voi air incontro diceste:
presefUendo da lungi la guerra; avreste tolto ogni di-
letto alla fantasia, la quale per quella metafora è mi-
rabilmente dilettata. Così ha più vaghezza il dire: Lume
ed onor de' poeti; che il dire: poeta chiaro ed morato;
eosì iì dire: Nascose sotto fronte serena il cor doglioso,
che 50^/0 aspetto tì^anquillo e lieto; e via discorrendo.
Piacque pure ad Aristotile e a Demetrio Fal^reo la me*
talora , la quale sta in azione; e così si chiama perchè
induce le cose inanimate ad operare alcuna cosa, come
se le avessero vita e senso: In actu est^ atque ita voca-
tUTy eo quod res inanimas aliquid agentes inducat, tam- .
gifam anima, oc sensu prceditas. Ad esempio: Virgilio
volea dire che ai fiume Arasse non era possibile im-
porre un ponte, e con bella metafora, dando anima e
persona al fiume, dice:
Fontem iodignatus Àraxet;
e altrove volendo dire che un^ asta si fermò nel petto,
della vergine Camilla, e ne fe' uscire tutto il sanmef
dice che V asta bevve il sangue: .
Hasia sub exerlam donec periata popillnm
MmtUp virifineimque aU$ bibii aota ctmrem.
jDit^iti-ica L7 Google
— 55 —
Anche da lodare sono le metafore, dalle quali nasce
dottrina , perocché esse ci mettono innansi alcuni rap-
porti d' idee , i quali non avevamo prima osservati. Così
Orazio ci fa scorgere Tailmenza che vi è fra un
roKto panno, a cui sono appiccati posticci ornamenti di
porpora, ed un discorso carico di ligure e di tropi usati
fuor di tempo:
InccBptis gravibus plerumque , et magna profestit
Purpureus late qui splendeat unus et alter
Aisuitur pannut,
Nè questi sono i pregi soli della metafora: ben altri ve
ne ha^ fra' quali principale è quello di servire ali* af-
fetto; poiché per mezzo della metafora possiamo re-
care immagini delicate e commoveati , a cui non ba-
sterebbero le parole proprie. Voleva dire il Petrarca:
Non à fiiesto la terra, dooe io fui dolcemente nudriio? e
disse:
Non è questo il mio nido.
Ove nudrito fui sì dolcemente?
£ con quella metafora nido^ quante care e delicate idee
non ridesta egli neir animo! Se voi esaminate, vedrete
che alla parola nido vi soccorre alla mente V ìmaglnedi
piccioleUi implumi, che stanno sotto Tali materne, a
cui il padre reca cibo, e colla madre stessa gareggia di
carità verso la prole. E dove fosse tolta la parola meta-
fcrica nido^ e posta la propria terra y sarebbe insieme '
tolto ogni gretto ed ogni delicata allusione. Ultimo, e
non meno grande vantaggio reca le metafora servendo
alla modestia, coneiossiachè ella quasi di un velo rico-
pra certe immagini , che o immodeste o sconce sareb-
bero, ove fossero significate per voce propria. Dante vo-
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— 56 —
leva dire cfae Semiramide fii disoneslìssiiDa donna ; con
una bella metafora diee:
A vìzio di lussuria fu sì rotta ec;
e colla luetaJora presa dal verbo rompere copre la tur-
pUodine dell' idea. Gosì il Pelrarea con bella metafora
rese nobilissimo un concetto, che tale non era in sè:
Ricordati, che fece il peccar Doslro
Prender Dio, per camparne,
Umana carne ai ino Terginal ehwUro,
Ma dei pregi della metafora si è dello abbastanza, ed
ora è tempo parlare dei vizj della mede&ima.
D. Quali vìmJ pnncg>alnmie rendono sconcia e de-
forme la metafora?
R, La metafora, la quale serve all' ornamento del
Discorso, ed ba tutte quelle virtù che noi abbiamo osser-
vato, diviene nna deformità ed una oscurità , se ella non
sia reizolata e spontaneamente condotta. Laonde in prf-
mo luogo è da cercare che ella non sia tirata da cosa ,
della quale non si possa prontamente vedere la somi-
glianza. Così a ragione Paolo Costa nel suo Trattato del-
l' Elocuzione mostra difettosa la metafora con che il
Marini esalta la penna di un caiiigraloi che formava di
be|^ esempi scrivere, dicendo:
perchè una penna sola,
Benché s' alzi per sè pronta e sicura,
Se divina non è, tanio non vola.
La quale metafora veramente è viiiosa, perchò non vi
ha somiglianza alcuna tra il volare e Io scrivere. Per
egual modo sono viziose quelle che voiendg significare
piccole oose, recano m messo iannagini troppo gran-
diose^ Longino- per ciò solo dibe a ripr^dere qudla
metafora, con che Giorgia Leontino chiamò gli avrei -
toj, dicendoli Sqiokri aaimati; e Cicerone (DeOraèore,
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iib. 3<», cap. 40) ^riprese £iiiiio dell' aver detto: Qm in
genere primum fugienda €$t dissimlUudù; G<bIì fornioes;
quamvis spheram in scenam , ut dicitur , attulerit Ennius ;
tamen in spheram fornicis simiUtudo mn potest inesse.
« Nel qual genere priaiieramente è da fuggire la disso-
miglianza: — Le gran volte del cielo; — quantunque
Ennio (come dicesi) recasse sulla scena una sfera; non
però una sfera è baond simiglianza a spiegar una voi*
ta. » (Cantova.) « La metafora, dice Quintiliano, o deve
occupare un luogo che vaca, o se occupa il luogo di al-
tra parola, deve essa valer più di quella che ella cac-
oia di luogo. » Metaphora autvacantem occupare hcum
debeiy €Mt si in alienum venù, plus valere eo quod eospeir
Ut (Lib. 8", c. 6.) E dobbiamo anche ricordare che per
la metafora noi presentiamo più vivamente colorite le
idee air immaginazione, cosicchò quando ella, anziché
accrescere, diminuisce la forza del colorito, debbo aversi
per viziosa. Bella è k metafora seguente:
B le biade ondeggiar come h il mare; t
perchè presenta alla fantasia più calzante e più viva
IMmmagine del muoversi che fanno le spiche, asso-
migliandone il moto air ondeggiamento di placida ma-
rina; ma la slessa metafora divenlerebbe viziosa, se
si dicesse:
E tremolare !| mar cerne le spighe;
perchè toglierebbe forza air espressicMiie. È pure vizia
nelle metafore se elleno hanno in sè alcuna durezza,
vale a dire se vengono un po' stentate ; e qualche
volta giova rammotiirie con alcune maniere di dire^
come sarebbe: quasi, per dits cosi^ e^ somiglianti; seb-
bene nei piti deKe velie questo non sia mazzo ohe
scusi baalantemente T imperizia delio scrittore. Ben più
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viziose sono quelle metafore che ti fanno risovvenire di
alcuna cosa turpe o sconciai come sareU)e quella ripresa
da Orazio: •
lupiUr hibenm eana niw conipiiU tAp» ; •
, e r altra:
Se avessi avolo dì tal iigna brama;
perocché fanno risovvenire al lettore idee sconce e sto*
madievoli. Degne di biasimo sono pure anche le meta-
fore, le qualf si derivàno da cose filosofiche, ignorale
dal più de' lettori; perchè queste rendono oscuro il
concetto e non hanno in sè vaghezza alcuna; come sa-
rebbe il dire — Cahmita Mcuori^ a significare la potensa
che uno ha di farsi benevoli ed amici gli uomini; e sif-
fatte altre maniere , che si tolgono o dalla tìsica o dalle
altre scienze esatte, cioè che non hanno alouna^potensa
sulla fentasia. Un'altra cosa è da osservare, senza la
• quale può la metafora dare in vizio, ed è che ella deb-
b' essere bene appropriata a quella specie di stile nella
quale scriviamo. Gonciossiachè possa avvenire che una
metafora bella e garbata in prosa riesca poi di niun conto
in una poesia; e che una tale metafora che va-
ghezza in poesia, riesca o dura o strana nella prosa.
£ ({ùi è da sapere, che piti specie di metafora vi ha:
alcune, ^1e quali, comecché siano metafore, pure per
lungo uso hanno perduto Tessere di metafora, e si
usano €ome le fossero parole proprie; alcune, che con-
servano ancora V essere di metafora , ma non sono nò
forti nò troppo sfolgorale, a niodocliò possono conve-
nire benissimo ad ogni genere di prose; alcune infine,
le quali sono cosWatlamente riscnitite, da non conve-
nire che alla solà^ poesia. Que^colk sarh chiara per
. esempj. La j)arola gemma in significato di pietra pre*
- 59 -
zio8a*è certamente parola metaforica, conciossiaohè
in senso propri» ella non sigaifithi altro che certo tur-
gore che chiamano V occhio delia v^te. Ma T uso ha fatto
si, che il senso metaforico stesso di questa parola alttna
faccia di proprio. Gemma oculus vitts proprie, deùide
generale nomen est lapidum prcetiosorum. « Gemma, a
parlare propriamente, è 1' occhio delia vite, poscia nome
generico dì quante vi ha pietre preziose. » (Bas. Fabri
Thesaur,) Ardere di desiderio, — Desiderio flagrare, è
modo metaforico, perocché V ardere è proprio del fuoco,
e solo per somiglianza è trasp^tato a signifìcare forza
di desiderio e di brama ; ma pure è tale metafora, che
viene consentita liberamente alla prosa ed al verso. Ma
non sarebbe consentita alia prosa la metafora, tutta
poetica, che Dante usò quando disse : ^
Io venni in loco d' ogni luce mulo;
nè r altra :
Mi ripìDgeva là dove il Sol tace;
perocché queste, che sono belle in pogsia, sarebbero •
strane nella più nobile prosa.
E qui prima di por fine, mi è pur necessario av-
vertire, che ogni lingua ha metafore e modi suoi proprj ,
cosicché quella metafora, che è bella in una lingua,
può facilmente divenire strana in un' altra; cosa, alla
quale devono attendere assai colepo che trasportano le-
prose e i versi da altre lingue alla nostra, conciossiaohè
si possa facilmente cadere a gravi falli. traducendo let-
teralmente. Terenzio, ad esempio, chiama Nosiri funài
ccUamìtas una rea donna, la quale conduceva un figliuolo
di famiglia a far gitto degli averi paterni; sarebbe ri-
dicolo il tradurre « Calamità del nostro fondo, 9 anzi- ^ ^
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chè « ruma della nostra casa ; n e così dicasi di altri
modi e metafore, che non consentono di passare di una
ad al Ira lingua, e [oczate che vi siano, riescono defor-
mità delia favella anziché ornamento. Perlochè giova
avere in mente ciò che Cicerone i nsef^nava : Vereeunda
dehet esse translaiio , ut deducta esse in alienum locum,
non irruisse; atqm vokuìiarie, non vi, venisse videaUnr.
ce Modesto debb* essere il traslato , così che paia traspor-
tato nel luogo d'altri, non entratovi a furia; e volon-
tariamente, non a forza, venuto. » {De Oratore, lib 3®,
cap. £sposte oo^ le cose che possono rendere difet-
tosa in sè la metafora, ci resta a dire di quelle, che la
possono fare viziosa nel Discorso, o per raainso.o per
mala collocazione. £ in prima deve avvertirsi di non
ammassarne troppe, a jnodo che vi paiano tirale adi
arte ed a forse. In secondo luogo, che sì conservino
sempre eguali dal principio al fine, e non si unisca il
semplice al metaforico, per modochèil discorsosi abbia
ad intendere parte semplicemente, e parte metaforica-
mente. Custodie ìidum est in primis , avverte ben a pro-
posito Quintiliiiuo, ut quo genere coeperis translationis ^
hoc finias. Multi enim cum iniiiiiin^n ienq^iteUe iumps^
rint, incendio aut mina finiunt, ^tifllhetf^iilii^^
rerum fcedissima. « Dòssi badare principalmente, che
ove con un genere di traslato siasi cominciato, con
quello stesso si termini. Di molti, poi vi ha che oemiiif
«ciano da una tempesta, e terminano con una rovina, o
con un incendio, cosa veramente sconcissima, inconser
guentissim'tg » (Quintiliano, lib. 8^, cap. 6.].
' ' ' K^^i^è in questo vizio vediamo talora caduti-àu^
tori eccellenti, matmiormeiile dobbiamo noi starne in
guardia. 11 Petrarca, ad esempio, vi cadde in quel suo
Sonetto, nel quale volendo dire ohe se Morte o Amere
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non lo avessero impedito^ avrebbe fatto un lavoro da
averne fama insino a Homa :
»Se Amore o Morte non dà qualclie stroppio
Alla tela novella cb* ora ordisco,
rfarò forse il mio lavor sì doppio
Fra lo stil de' moderni e '1 sermou prisco»
Che (pavenlosainente a dirlo ardisco)
lutili a Roma a' udirai lo scoppio.
men riprovevole vizio è soggiungere il parlar i^m-
plioe al metaforico, e dare alla metafora quel valore che
ha la sola parola propria. Sta bene per metafora dire
. che gli occhi sono stelle, ma non istarebbe poi soggiun-
gere, che le stelle guardano: così è bello dire d' un ora-
tore: egU è tm fiume & éhquensta, per dire: — egli è elo-
quenlissimo; ma sarebbe ridicolo il dire: un fiume d> elo-
quensta parla dai rostri. Vizio poi maggiore sarebbe se
si volesse dedurre dal significato proprio ai metaforico^
perchè le conseguenze non potrebbero essere che strane
e ridicole, come in quel sonetto del Marini:
Se il crine è un Togo, e son due soli i lumi, ;f .
Nofi vide mal maggior prodigio il Cielo , f >
Bagaar eoi soli » e rasclugaf coi fiumi.
Con la parola Iago imposta per cagione di similitudine
al crine (conciossiachè dicesi che il fiume Iago abbia
le arene d* oro), e la parola soli imposta per cagione di
somiglianza a significare occW, viene il poeta a trasfor-
mare i capelli in un fiume vero, che porta acque; gli
occhi in due soli, che hanno luce e calore ; e quindi ne
trae quella ridicola consegoenza , per la quale il ba-
gnare è attribuito ai soli, il rasciugare ai fiumi. Ma
questo basii intorno i vizj della metafora.
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AWICOM II*
nella ■etoaiaia.
D. Che cosa è la metonimia, e per quante guise si fa?
• La metonimia è un tropo, che si fa ponendo un
nome in luogo di un altro , col quale vi sia afi&aità o
relazione. Però Quintiliano la disse: Nominis prò nmim
pasitio; Cicerone y denominano ; noi in italiano la chiame-
remo denominazione. Questo tropo, sebbene abbia n^olta
somiglianza colla metafora , 'o possa come tutti gli altri
giudicarsi una raodifìcazione della medesima, pure è
altra cosa, come dagli esempj si vedrà : e giova a ren-
dere piti vivace il concetto , e a rendere piìi potente la
locuzione. Si fa principalmente per sei modi. Il primo
è quando si nomina la cagione in luogo dell' eiretj,o , come
ad esempio:
Invadunt urbem tonino vinoque sepuUam.
(ViRGU.10, libi t^t Eneid.)
mS £ di bianca paura il volto tinge.
^» (Petrarca.)
Recando al contrario V effetto per significare la ca-
gione , come in quel di Virgilio :
Bigina e ^leeuiis eum pHmun albescere hieem
Yidit. •
{Eneid., \\b.4fi.)
ove il biancheggiare del cielo è posto in luogo delF au«
rora , che ne è cagione ; così in Dante :
e per fa mesto
Seln saranno i nostri corpi appeal. •
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— 63-
3*^ Si fa la metonimia, quando si prende il contenente
kiYece del contenuto, come in Virgilio (lib. 3^):
ilU impiger hautit •
Spumantfm paleram , et pieno se proluit auro.
Lucrezio avea detto :
'Sepire plagis saltum , canibusque ciere.
Dai quali due eaemfij ò chi^o , che la tazza è posta da
Yii^Ho invece del vino , la selva da Lucrezio è posta
in luogo degli animali che ella conteneva ; per questo
tropo istesso Dante , per dire che Gesù Cristo ci salvò
col suo scmgue , dice :
Cristo ne liberò colla sua vena;
e il Petrarca altrove , parlando delle guerre di Cesare ,
dice:
Cesare taccio, che per ogni piaggia
Fece r erbe sanguigne
1)1 lor vene .
4° Quando si nomina la materia in luogo della cosa
che di quella è composta , come il ferro invece della
spada , il pino o T abete in luogo della nave ; co^ in
Tibullo :
Nondim cmruUu9 plous conUmpuraCìindoi;
e il Petrarca :
Noi^ It'lMlla Romana che jsol fmo
Apri il soo eatio e dlsdegooio peiio.
5» Quando si pone il nome di chi possiede una cosa an-
ziché quello della cosa jstessa , o V autore in luogo delle
sue opere : ^os\ Virgilio , volendo dire che la casa di
Ucalegone andava in fìamme , dice :
Jam pnximus aràei
Dcalegon ;
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- 64 —
e CiceroDe inveendo contro Terre , per dirgli ohe aveva
spo£^1iato il tempio di ApoUiue, dice: Apollimm ne tu
Delium spoliare atisus es ?
60 Sì pone qualobe volla il nome del Visio 0 della
virtù in luogo del vizioso a del virtuoso ; così ad esem-
pio: cum ignavia, cum luocuria, cim amentia nobis cer-
ianàum est: così il nome del protettore di una cosa in
luogo della cosa stessa ; come in Virgilio :
Impleniur veteru Bacchi pinguiique ferina;
oppure :
Tum Cererem eorrupiam widii, eereatiàgu» «rms >.
B^peàiunt fem rerum.
11 segno per la cosa significata , come in qael di Vir*
gaio :
JUum non populi fasces, non purpura regum
Flexit
£ Dante :
E oome t messaggier cba porta ulivo
Tragge la gente
Per questi modi si ha il tropo metonimia , il quale se
torna a lume della locuzione , quando il nome che sì
usa in luogo di un altro richiama più prontamente e
con più splendidezza alla mente V idea che noi vogliamo
svellere , riesce inefficace e vano ogni qualvolta non
sia bene associato alle idee stesse ohe vogliamo ride*
stare. Egli è certamente assai più bello il dire, che un
uomo — non si lascia piegare nè dai fasci consolari , uè
dalla porpora dei re ,-*-ann che dire che— "non ha paura
nè di consoli nò di re, — perchè la mente con questo dire
non ha ia nuda idea della potenza consolare e della
reale I ma nello stesso tempo vede quasi la formidabile
pompa dei fasci e dei littori 1 e lo splendore del regio
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manto ; ed in luogo di avere conoscenza soltanto di
una verità, se la vede dipinta innanzi dai colori delia
fantasìa, e accompagnata da tutte le immagini che
vi hanno stretto rapporto, di che ne nasce meraviglioso
diletto.
Bella Slaecéoelie*
D. Che cos' è la Sviecdoche?
R. £ un tropo, il quale usurpa una parola in luogo
di un'altra, non come fa la metafora, né come la meto-
nimia, ma in modo che dà alla medesima un senso più
o meno esteso di quello che si avrebbe dal proprio: e
si fa, o ponendo il tutto per la parte, o la parte per il
' tutto; 0 il genere per la specie, o la specie pel genere;
o il plurale pel singolare, o viceversa; o gli antecedenti
pel conseguente. Eccone esempj. Si fa ponendo il tutto
per la parte in questo modo:
Aul Àrarim Parlus bibet , aut Germaoia Tigrim;
come fece Virgilio; a come il Petrarca:
Come il fìredd' mino oltre 1* ondoso mare
Caccia gli sugelli;
e ponendo la parte in luògo ^1 tutto, come in Vir-
gilio :
Vela dabant to/i, et spumas salis cere ruebant;
e Dante:
Risposi lui con vergognosa fnmU ;
8i fa usando il genere per la specie per questo modo,
come fe^ Sallustio: OH a mcoton; el mmwi eonsueve-
s
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uerard UaUd generis muUi morialos, — ove la parola
tmrtales genema sta in luogo di homines; e Dante:
0 insensata cura de* morlali ,
Quanto son difellivi sillogismi
Que* cbe ci fanno in basso batter ralil
Si fa adoperando la specie in luogo del genere, come
le Orazio, che, per nominare un luogo delizioso in ge*
nerOy nominò la famosa Tempo di Tessaglia:
somnus agrestium
Lenis virorum, non humiles domos
Fastidii, umbrosamque ripattif
Non Zepìiiris agitata Tempc.
£ il Tasso, per dire tigre in genere, disse:
E le mamme allattar di tigre ircana,
lì plurale pel singolare, come4a quel di Giovenale:
Qui Cui'ios simulant, ti Bacchanalia vivunl;
0 in quello dell'Ariosto:
Crudel secolo , poi che pieno sei
Di Tietti, di Tantali e di Alrei.
Così Cicerone usò il singolare pel plurale in questo mo*
do: Ut ab Samnite hoste tuta Ime ora esset, quam mmc
nonvicinus Samuis urit, sed Prcnus advena: ove Samnis ,
e PùBvm, stanno in vece di iSamni^es, e Pcmù Si fa
pure la sinecdoche usando il numero indeterminato per
lo determinato; così Virgilio:
Non anni domuere decM, non mille carinm:
0 pure nominando ^qli antecedenti in luogo de' conse-
guenti come fe' Virgilio:
Bijam iumma proeul villanm outnUna fumant,
Mqjaretquù eadunt altU d€ montiku lunàrar.
E questo basti aver detto dei modi diversi con cui si
fa la sinecdoche. Noa creda però alcuno che si possa
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— e? —
senza ragione usare una parola per modo di sinecdoche,
perchè questi tropi sono colori delia elocuzione, e non
vanno gettati all'impazzata ed a caprìccio, ma secon-
dochè occorre per meglio dipingere le cose. Quando Vir-
gilio per sinecdoche disse:
Submersasque obrue puppes;
non poteva indinerentemenle dire: oò/ weproras. E però
concluderemo qui colle parole di Paolo Costa, il quale
ci avvisa che si può cadere in difetto usando questo
traslato, ogni qualvolta i' immagine della cosa, da cui
prende la parola, non sia bene associata alle ideo che
si vogliono svogliare in altrui , e non sia atta a fare im-
pressione neir animo piti che le altre idee che vanno
in sua compagnia. Vaglia a dichiarazione di ciò un solo
esempio. Si dirà con maggiore elTicacia: fuggono per
t allo mare le vele, — che fuggono per V allo mare le
prore; poiché V immagine delle vele gonfiate dal vento,
come quella che percuote maggiormente la vista di co-
lui che mira la nave in alto, più strettamente di ogni
altra idea si associa air idea*del fuggire.
Dell' AatoMOMMla.
D. Che cosa è V Antonomasia?
R. Antonomasia , ohe i Latini dissero pronominaHo,
e noi pure chiameremo pì'onoìninazione, è un tropo,
mediante il quale una parola cornujae acquista forza di
parola propria; e si ia per cinque modi: ponendo,
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— 68 —
anziché il nome di una persona, il nome del padre suo;
così Virgilio nomina Enea dal nome di Anchise suo pa-
dre nel 5^ deìVEneùie:
Magnanimu$que Anchisfades;
altrove Aiace dal nome di Telamone suo padre:
Hinc eral oppositus conira Telamonius Heros.
9<> Usando il nome della patria , anziché il nome della
persona, come: Il pio Trojano, anziché il pio Enea. Così
Diana è chiamata Delia dall'isola di Delo sua patria:
Noiior ut jam tit canibus non Delia nostris;
e Apollo è detto Cinzie dal monte Cinto che sorge nella
stessa ìsola:
Cum eanerem rege$ et firmila f GjnUitiis ourem
YellUf eiadmonuit.
(ViRcaiO, Egl. 6, y. 5.)
£ Catullo disse :
IntoMum pueri dicUe Cyclbium.
E il Petrarca chiamò Annibale così:
Vidi olirà ua rivo il gran Cartaginue.
3<> Usando un aggiunto in luogo del nome proprio ;
così Didone invece del nome di Enea, pone l' aggiunto
impius:
Arma viri talamo, qum fixa reliquit
linpSus.
11 Petrarca nomina Archimede per questo modo :
Vidi dipìnto il nobil Geometra,
4» Pimendo qualche nome proprio in luogo di un nome
appellativo, come- sarebbe Mecenate per prolettore di
letterati, Demostene per eloquente. Così Pompeo Ma-
gno nominava LucuUo, Serse togato:-— qua de causa
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J
— 69 —
magms Pompeus Xersem togatum eum appellai. Così un
Doslro poeta disse:
I versi
Che il Lombardo pnogeaii SardanapiUo.
5® Infine si fa antonomasia, quando in luogo di un attri-
buto si pone il nome di qualche popolo o di qualche
gente, a cui quel!' attributo è dato comunemente; oos\
un nostro poeta disse:
Grecia non v'è, ma Gred son per tolte;
alludendo all' antico proverbio:
Grctca fides,^ nuUa ftdei.
Da questo tropo molti vantaggi ne vengono all' elocu-
zione, conciossiachè per mezzo di questo si può met-
tere innanzi alia mente un oggetto con quelle circo-
stanze che piti ci giovano. Egli però non va usato con
troppa frequenza.
AnTi€oi.o \.
Mia CtatMMi e MOm HeteloMl.
D. Che casa è la Catacresi?
R. La catacresi o abusione fu definita cos\ dal*
Fautore della Rettorica ad Erennio: Abusio est qiice
verbo simili et propinquo , prò certo, et proprio abutilur.
Virgilio per questo tropo chiamò cavallo quella gran
macchina a forma di cavallo, che i Greci edificarono a
prendere Troia:
Instar moniis equom ^vina Pattadis arte
SUfieanU
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— 70 —
Così noi dicfamo cavalcare una canna, sebbene la pa-
rola significhi andare a cavallo. Orazio:
Ludere par, <mpar, èquiUre tu arundiM hnga;
<j altrove con più ardimento:
Eurui per Heula» equiuvil unda$.
A questa figura si riferiscono tutte le improprieth di
parlare, che con tanta eleganza vediamo usate dai
Glassici (quantunque con riserbo grande si debbano imi-
tare), come, ad esempio, sperare in luogo di temere^
come in quel di Virgilio:
Hune ego $i poiui tantum sperare dolorm;
e in altro luogo:
ÀI sperate Dm memom fondi aéqué nefandi»
che fu poi imitato dal Petrarca:
Nè coDtre morte wperù altro ehe morte.
E molti altri abusi di parole , alcuni dei quali a dir vero
non si sentono piii da noi , perchè sono tornati per V uso
a parere proprj.
D. Che cosa è la Metalessi?*
il. La roetalessi, detta dai Latini partecipano, è
un tropo che si fa usando una parola, dal significato
della quale sì passa alla cognizione di un allro, e per
(lire con Quintiliano, ex alio in aliud viam prcestat:
e si fa per due modi: 1"" qualora un oggetto la nel-
r atto medesimo doppia impressione sulla mente no-
stra , poi indistintamente ne richiama le qualità, come
per esempio:
r venni Hi luogo di ogni Inee muto.
Dante con questa raetalessi ci viene a significare il si-
lenzio e r oscurità di quel luogo, e la qualità della
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— 71 —
doppia impressione confonde , riferendo 1' epiteto muto
alla luce ; e Virgilio aveva detto: .
Fri gut caplamus opucMttìt
a significare :
Sediamo all'ombra per godervi il fresco.
Si fa hi 2.** luogo , quando per esprimere una cosa ne
nominiamo un^altra, ma alquanto lontana , cosicché per
intenderla bisogna un jm>' ragionarvi sopra. Virgilio an«
zichè dire tre anni , disse : * • ,
Tertia dum Latto regnaniem viéerit €uUu;
6 il Tasso neir AmnUa:
E già tre ^fls
Ha il nudo mieiilor tronche le spleke;
e Dante , per diire lo spazio di 50 mesi , disse :
Ma DOB eiiM|iiaDU toI^ 6a raccesa
La Ciccia della domia, che qui regna « ,
Che to vedrai quanto qoest' arie pesa ,
cioè la faoeia della Luna , la quale in cielo ha nome di
Luna , in inferno sì diee Proserpina , ed essendo moglie
di Plutone è regina del luogo ; lo che torna ; non pas-
seranno cinquanta plenilunj ; giacché nel plenilunio la
faecia tutta della Luna che riguarda la terra Tiene dal
Sole accesa , cioè illuminata.
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— 72 —
AmnooiiO TI*
«
Come I iMpI aggiungano grami» al MflMim teovMi»
émai vlaaitt iMleme , e marne mimmm iaiii 4evlmtl
dalla aietefoni.
D. Dopo queste cose resta altro a dire?
R. Resta a dichiarare cosa insegnata dal cartjiinal
Pallavicino nel suo Trattato delio Stile , ed è che i tropi
per dare vaghezza ed eleganza allo stile non devono
mai andare disoompagnati l'uno daìl* altro, ma , quasi
riuniti insieme (non però rammassali) , V uno all' altro
aggiungere grazia e vaghezza , Qome si può vedere nei
Classici. E per dame alcun esempio, eccovi qua i primi
due versi della prima Egloga di Virgilio :
filire, lu jMliffe reevhans tié iSf/nUne fagi,
SUmtrem tenui mutam meUtarii avena,
•
Se noi facciamo 1' analisi di questi due versi soli , tro-
veremo un numero di tropi maggiore di quel che pare.
L' epiteto patide dato al faggio è una bella metaforetUf
la qual significa quidquid potei , cioè tutto oiò che per
estensione , o per larghezza si manifesta agli occhi : re-
cubo , che significa giacere ^ qui per tropo significa sem-
plicemente sedere e riposare : tegmime , derivando da
lego , è parola generica , che indica tutto ciò che rico-
pre , e qui per tropo significa V ombrello de' rami che
difende e copre dai raggi del sole : iilvestrgm vuol dire
in senso proprio ciò che è proprio della selva : o che è
nella selva , e qui è trasportato a significare pastorale,
villereccio. Musam , che in senso proprio non vorria
dire che una delle nove divinità le quali presiedevano
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— 73 —
al canto , per tropo è posta invece del canto istesso.
Avena non è in senso proprio che un' erba , dallo stelo
della quale si formano pive, e qui è posta per piva, o
aomigUante stnimeuto pastorale. Tenuk non vuol dire
che sottile , e qui vale umile per tropo. Meditavi non è
altro che mente cogitare, cioè pensare , e qui per tras*
lato suona Untore ^ andar prwando: le quali metaforette
insieme riunite sono quelle appunto che danno un gra^
zioso colorito poetico a questi due versi. Conviene anche
avvertire , che quello che si dice di questi tropi, i quali
sono molto rammolliti dall' uso , sicché a gran parte
non ci paiano più tropi qua! sono, ma voci proprie, non
si può applicare a quelli che sono più sfolgorati, o alle
figure di concetto delle quali parleremo ; perocché in
quella guisa che queste piccole traslasioni aggiungono
diletto e vaghezza , se sono a discreta copia seminatQ
nel Discorso , quelle, multiplica te che (ossero, darebbero
etranesia e affettazione. allo stile.
D. AveU accennato che itUti i tropi non sono che
modificazioni della Metafora; sapreste voi dichiarar-
melo?
Facilmente. Se la Metafora non è che imposi-
slone del nome proprio di una cosa ad un* altra, secon*
dochè fu detto, e la similitudine ne è il fondamento, ne
consegue che i tropi, essendo pur essi imposizione del
nome proprio dì una cosa applicato variamente ad un'al-
tra , non sono che varietà della Metafora. Infatti la Si-
necdoche col nome proprio del tutto significa una parte
sola dei medesimo , o viceversa , ed applica al genere il
nome proprio delia specie , e così al contrario. La Me*
tonimia col nome degli effetti accenna alle cause, e sotto
il nome delle cause inteude gii efi'etti: o impone il nome
del contenente al contenuto , o col nome del possessore
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nomina la cosa posaedata; o col segno che significa una
cosa , vuol farti intendere la cosa stessa , e via via. La
Catacresi abusa di un nome a significare una cosa che
per quel nome non poirebl)e essere significata , e solo lo
pfuò per rapporti'di somiglianza. La Metalessi poi , che
i Latini dissero partecipazione, non è in sè che metafora
e metonimia insieme congiunte. L'Antonomasia infine
ohe altro ò essa se non che imposisionedi un nome ge*
nerico ed appellativo a significarne un proprio? Se dun-
que tutti questi tropi altro non sono che diverse impo-
sizioni di nomi di una cosa ad un'altra, usate per rendere
più efficace il discorso e pili ornato , e fondamento loro
è sempre la similitudine , sarh fuori di dubbio che si
possano tutti considerare varietà della Metafora. Per
questo quella gran mente di Aristotile comprese sotto
il generico nome di Metafora tutti i tropi , seoondochò
ne avvisa Cicerone : Aristoteles ista omnia traslationes
vocat; e per questo si possono considerare anche da noi
una cosa stessa colla Metafora.
D. Direste voi ora per qwd ragione avete lotto dal
novero dei tropi l'Allegoria, l' Iperbole, la Perifrasi, l Iro^
nia,edU Sarcasmo f
R. Perobò queste forme di parlare non si oonten-
c:ono come le altre nella traslazione di un nomo , ma
più largamente nel Discorso procedono. Di più^ osser-
vando che r Allegoria è un parlare artifizioso , il quale
sotto le apparenze di una cosa ne significa un^ altra , e
nasce principalmente dalla fantasia, che per meglio sot-
toporre ai sensi immagini astratte pone invece di quelle
oggetti reali , ci è parso dover collocare ;l'Allegoria ap-
presso la Similitudine e la Comparazione , figure delle
(juali essa si giova per modo da poter essere giudicata
cosa non molto difierente da quelle. Così la Perifrasi e
- 75 —
r Iperbole sono siale posle fra le forme di parlare pro-
prie dell' immaginazione , perchè esse procedono dallo
stalQ della lantasìai e a quella servono. L'ironìa ed il
Sarcasmo poi essendo sempre prodotti da passione vio-
lenta , ci è sembrato che debbano aver luogo fra le for-
me di parlare derivanti dalla passione. Se però alcuno
volesse altramente pensare, faccia a suo senno, chènò
per questo V arte si rimuta , nò le cose cambiano da
quello che intimamente sono nella propria natura.
CoHie osai mpeéke di •crltHira ami wmm MMUileM
propria di tropi*
D. Ogni spededi tropi comnme forse ad ogni maniera
di scriUuref
' R. No certamente : e per conoscere quali ad una
maniera di scrittura , e quali ad un' altra convengono,
si deve por mente al fine che c' induce a parlare o scri-
vere, e vedere se lo scritto nostro è condotto semplioe-
mente dalla ragione e mira al solo convincimento, ose
è mosso dalla fantasia e si volge principalmente al di-
letto , 0 se in fine è guidato dalla passione e si volge
alla mozion degli alfetti. E quando sia chiaro il fine dello
scritto e il principio da cui è dominato , allora si può
determinare quali tropi convengano ad una specie, quali
ad un' altra. E siccome ii Discorso che ha per fine il con-
vincimento muove da riposata ragione , e la ragione
guarda le cose in sè freddamente , e sdegna ornamenti
che a lei non appartengono , diremo che a questa spe-
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— 76 —
eie nen appartengono òhe i tropi pia temperati, e quelli
che per V uso hanno quasi perduta faccia di tropo , e
che se ne dee fare uso parco e misurato. Consentiremo
ai filosofi la Metafora e qualche altra translazione, pur- ■
diè sia casta e vereconda, e non sappia nulla d'imma-
ginoso, nulla di appassionato. Ma a quella guisa di scrit-
ture che sono signoreggiate o dalla fantasia o dall' af-
fetto daremo più in copia l' uso dì tropi, e sensa riserbo
tutti del pari come buoni li concederemo, quando siano
bene appropriati, e vengano nel discorso spontanei e
non forzati , e non oontradicano al carattere di quella
specie del Discorso od oratorio o poetico a cui apparten-
gono. In somma convien ricordare che la ragione, la fan-
tasia, gli adetti , hanno delle forme di linguaggio proprie
soltanto di sè, e sdegnano quelle che loro propriamente
non appartengono. E perchè sia più chiara e patente
questa verità , ci faremo ora a parlare delle forme pro-
prie della fantasia , poscia di quelle proprie deli' affet-
to , le quali comunemente si chiamano figure di pen-
siero prodotte dall'immaginazione, o derivate dalla
passione.
Dalle fénue M iiarton pMpvie
D. Che cosa sono le figure dmioQU dait immagine^
stione?
R, Sono certe naturali forme di parlare , le quali
soTonte adopriamo perchè i noski pensieri acquistino
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- 77 —
maggiore efficacia ogni qual volta noi parliamo, o mossi
dalla iorte impressione che un oggetto ha falla sopra di
noi , o anche solo perchè faccia sugli altri un' impres-
sione maggiore di quella che farebbe , se il linguaggio
della fantasia si restringesse al semplice e severo della
ragione. £ siccome per mezzo della Immaginazione noi
possiamo avere presenti all' animo oggetti lontani , con-
frontarli fra loro , comporli , discomporli , e crearne di
nuovi , cosi ne viene che dalia osservazione dei rap-
porti diversi nascano la Similitudine, la Comparazione,
l'Allegoria , la Perìfrasi , V Iperbole , l'Antitesi , la Pro-
gressione, la Preoccupazione, la Concessione, la Prete-
rizione , la Sermocinazione , l' Ipotiposi ; figure le quali
. noi verremo ora partitamente esponendo.
D. Che cosa è la SimilUudinef
R. La Similitudine è una forma di parlare, colla
quale mosl riamo pid cbiai*amente una cosa per mezzo
di un' altra. Ella in sostanza non è che una larga me-
tafora , ed è soggetta alle regole della metafora stessa.
Eccone un esempio :
Come le pecorelle escon del chiuso
A una , a due , a tre , e l' altre stanno
Tiraidette atterrando rocchio e il muso;
E ciò che fa la prima, e l'altre fanno.
Addossandosi a lei s'ella s'arresta,
Semplici e quete, e lo mpercbè non sanno.
(Dante» Purgalorio.)
D. Che cosa è la Comparazione?
A. È una forma di parlare, per cui raffrontando '
insieme due oggetti, si viene a mostrare che quegli at-
tributi che convengono aduno, convengono pure all'al-
tro. Ella non si contenta, come la Similitudine, che vi
sia una somiglianza, ma esige di più ohe il fondamento
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— 78 — •
della somiglianza si spieghi , e si aecenni il modo per
io quale i due oggetti paragonati fra loro convengono.
Per esempio :
Come impasto Leone in stalla piena »
Che lunga fame abbia smacrato e asciano.
Uccide y scflomat mangia, e a strazio mena
L* infermo gregge in sua balia condallo:
Così il erode! Pagan nel sonno a? ena
La nostra gente , e fa macel per latto.
La spada di Medoro anco non ebe;
Ma li sdegna ferir Tignobll plebe.
(AniosTO» OrUmdo fiaiow.)
D. Si deve osservare akuna cosa intorno l'i$so di ^
qìAeste figure?
R. È necessario osservare in prima oh' dUeno mal
si addicono ad un discorso appassionato, specialmente
ove la passione sia forte ; perchè 1' animo in mezzo ad
una tempesta di affetti noo ha di che perdersi in con-
fronti 0 simiglianze , ohe sono opera della fantasia e della
ragione. In fatto la fantasia nei suoi voli facilmente s'av-
viene a trovar oggetti con cui compone le immagini che •
le si presentano : e la ragione qualche volta^ per me-
glio dichiarare le cose eh' ella espone, ama trovare con-
Ironti e similitudini. Di che viene, che alcune sono a
solo abbellimento , altre sono a rischiarare le cose. Quelle |
che valgono solo a dar lume, piacciono più ai prosatori;
quelle che sono di tutto abbellimento, sono meglio pro-
prie de' poeti. Aggiungasi che alcuna volta da un' im-
magine di confronto inaspettato la mente rimane così
sopraffatta ed investita, che pih non potrebbe ; a segno
che possa dirsi da quelle figure nascere talora il subli-
me. Quello però che principalmente si dee osservare,
è che la similitudine o il paragone aìalio tplti da cose
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— 79 —
vicine e facili a cadere sotto gli occhi della mente dei
lettori, non da lontane od astruse; e che queste figure
conTengaDo al genere ed alla specie della scrittura,
perchè, ove non ci convenissero, anzi che lume e bel-
lezza, rcchorcbbero oscuriti e stranezza.
D. Date alcun esempio che mostri, come la Similitu-
dine (Ucliiora meglio le cose, o le ctbbeUisce , o le sMimal
R. Il Boccaccio, alla 20» Novella della Prima Gior-
nata , voleva dire che i piacevoli motti rendono pivi lieto
e leggiadro il conversare. Egli a dichiarare questa sen-
tenza si vale di una ben acconcia similitudine per que-
sto modo : Come ne' lucidi sereni sono le stelle ornamento
del cielo, e nella primavera i fiori de' verdi prati, cosi
de^la/udevoU costumi e de' ragionamenti piacevoli sono i
leggiadri motti.
Serve ancora a dichiarazione la similitudine che
Dante usò nel Canto Ili dell' Inferno, per rappresentare
i malvagi che corrono alla barca di Caronte.
Ckiine d'antanno si lem le foglie
L'una appretto dell'altra, infin che 11 ramo
Rende alla terra tutte le sue spoglie;
Simitemenie il mal seme d' Adamo:
Gillansi di quel lito ad una ad una,
Per cenni , come augel per suo richiamo.
Vale poi ad esornare, come si può vedere nella
seguente stanza dell'Ariosto, il quale, nel descrivere
due guerrieri obesi azzuffano^ ti porge in essi V imma-
gine di due cani che vengono ai morsi.
Come soglion talor due can mordenti»
0 per invidia o per altr* odio mossi,
Avvicinarsi digrignando i denti»
Cdn oeehi bleclil e pit die iMsgla rossi;
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80
Indi a' moni venir di rabbli ardenti,
Con aspri rìngljj e rabbuffiti dossi ;
Così alle spade , dai gridi e dall* onte,
Venne il Circasso e quel di Cbiaramonle.
L* Alighieri si valse della similitudine a sublimare
il suo concetto nelle seguenti terzine tratte dal Purga-
torio: *
A noi venia la creatura bella
Bianco vestila , e nella faccia quale
Par tremolando mattutina atella.
E neir altra : .
Ella non ci diceva alcuna cosa;
Ma lasciavano gir, solo guardando
A guiaa di leon quando ai posa.
D. Che cosa è V Allegoria, e perchè si pone fra le
figure d' inmaginazùme ?
R. L'Allegoria non è altro che una forma di parla-
re, la quale por mezzo di un discorso ne presenta un
altro latente. Ella non differisce dalla Similitudine se
non in questo, che 1* allegoria non mostra un oggetto
per mezzo dell'altro, ma dà un oggetto in luogo del«
r altro. È inutile spendere novamente parole per mo-
strare che questa forma di parlare va qui registrata;
poiché ognun vede chiaramente come ella è un pro-
dotto della immaginazione. Abbiamo un beli' esempio
nell'Ode 14» del libro 1° d'Orazio (se pure non è da
seguirsi T opinione di coloro ; che queir Ode vogliono
diretta alla nave nella quale Orazio scampò dopo la
battaglia di Filippi, opinione molto probabile), e nel
Petrarca nel seguente sonetto :
Passa la nave mia colma d' obblio
Per aspro mare a mena notte il Tento
Infra Scilla e Cariddi ; ed al governo
Siede 'I signor» ansi 1 nemico mio.
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— «1 —
A ciascun remo un pensier pronto e rio,
Che la tempesta e '1 fin par eh' abbi' a scUerDo:
La vela rompe un vento umido eterno
Di sospir, di speranze e di desio.
Pioggia di lagrimar, nebbia di sdegni
Bagna e rallenta le già stanche sarte,
Che son d* error con ignoranza attorto.
Cèlansi i duo miei dolci usati segni;
Morta fra l'onde è la ragion e l'arte;
Tal cb' ìDcomiDcio a disperar del porlo.
Avveriiremo però fin d* ora cbe quest^ allegoria è
impura, poiché al senso allegorico è sovente commisto
il vero. Il più sublime esempio di tal figura T abbiamo
nel Salmo 79 , ove il popolo- d' Israele è rappresentato
sotto r immagine di una vigna. A noi basterà dame un
breve esempio, tratto da un Classico latino, lasciando
a chi vuole andare a consultare il suaccennato. Cice-
rone neir orazione a difesa di Quinzio per mezzo deir al-
legoria si esprime così : Ita fit ut ego, qui téla depellere,
et vulneribus mederi deheam, tiim id facere cogar , cum '
etiam telum adversarius nuUum jecerit: Ulis autem id
tengnts impugnandi detur, ctm et vitandi Hkrum impetus
potestas adepta nobis ertt; et si qua in re, id qnod pa-
rati sunt facere, falsum crimen , quasi venenatum aliquod
telum jecerint, medicime fadmdm locus non erit. c Così
avviene che io, il quale debbo levar dalle cam! il
ferro delle saette, e medicar le ferite, sono sforzato a
ciò fare prima che V avversario abbia fatto il colpo: ed
a lui è conceduto facultà di assalirci a tempo^ die a
noi sarà tolto di poter iscbifare il suo impeto: e dove
in alcuna cosa (il che essi son presti di dover fare] con-
tro di noi, lanceranno, quasi avvelenato dardo, qual-
che falsa opposizione, non sarà luogo ad apprestarne
il rimedio. i> (Dolce.)
e
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82 —
I Retori poi distinguono rAIfegorit in pura ed im-
pura: pura la chiamano quando non si esce mai dal
senso allegorico^ impura quando dal seuso allegorico
si passa al proprio. Cesi Dante nel Canto primo del
Purgatorio j dice:
Per correr miglior acqua alza le vele
Ornai la oavioella del mio iagegao»
Che lascia dietro sè mar si crudele.
Sarebbe stala pura V allegorìa sè avesse detto , an-
ucbè la navicella del mio ingegno, la navicella mìa.
Anche l'apologo può dirsi un'allegoria pura, e così
pure r enimma , o V indovinello, dei quali per brevità
qui non si parla. Una sola osservazione ferino, ed è
che r allegoria deve essere breve, ben adattata e facile,
perchè si possa agevolmente conoscere il senso nasco-
sto sotto r immagina rappresentata.
D. Che cosa è la Pèrifiroii?
lì. PeriiVasi, che in volgar nostro significa circon-
foctA^MÒne^ in latino circuUio, è una forma di parlare, la
Auale esprime con più parole ciò che in una o in poche
si potea dire: Pluribus verbis cum id, quoduno, aut
paucioribus, certe dicipotest, explicatur, vocant circui-
Èum loquendi. (Quintiliano.) E di questa forma pare che
r immaginazione principalmente si compiaccia, perchè
per questa ella può mostrare i confini d' una cosa , anzi-
ché la cosa slessa, come fece il Petrarca , il quale per
nominar T Italia disse:
.... il bel Paese,
Cile Appeonia parie e il mar circonda e l' alpe;
w
o dar a vedere una cosa per mezzo delle sue prìnci*
é
— 83 —
pali qualità, come fe' Dante, il quale, per nominare ii
Sole, disse:
«
Lo mioistro maggior della naiura.
Serre sBeora la Perifrasi a dare chiaresza maggio-
re: alle vette vale ad Isfuggire con grazia cerle espres-
sioni, cui nuocerebbe usare, comò in quel magnifico
esempio che ne otire Cicerone nell' orazione />ro Milane,
V Oratore Romano dovea pur confessare che Glodio era
stato ucciso; ma perchè la parola uccidere, o altra so-
migliante, recava odio aMilone, compassione a Clodio,
egli per mezzo di una circonlocuzione espresse il suo
concetto in guisa, che la ragione di Milena vi trionfa:
Fecerunt id servi Milonis {dicam enim non derii andi cri-
minis causa, sed lU factum sii), ncque imperante, ncque
sciente, neque prmenie domino quod quis^ servos suos
in ioli re facére voluisset « Questi servi dì. Milone (e lo
dico non per imporre ad altri la colpa, ina perché il
fatto andò pur così), non di ordine del padrone, non
sapendolo lui, uè essendo quivi, fecero quello, che cia-
scuno in cos\ fatto termine' avria voluto- veder fare
a' suoi servi. » (Cesari.) La (jualo perifrasi fu bene imi-
tata in egual caso dal cardinal Commendone nella sua
orazione in difesa di alcuni scolari dello studio di Pado-
va: Avvenne adunque , dice egli, dopo molta sofferenza ^
ohe più della ragione potò lo sdegno: non si nega il fatto.
Questa forma di parlare però, se non sia usata con
molta moderazione ed a tempo, produce languidezza
e superfluità. Non vi sia alcuno che creda la Perifrasi
essere egual cosa che la Parafrasi, perocché la Para-
fram, la quale significa dichiarazione, allargamento,
appartiene in genere all' amplifioaziona.
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— 84
D. Che cosa è r Iperbole?
B. L'Iperbole, che i Latini chiamarono superlatio
(noi diremo esagerazione) , si fa col portare una cosa ol-
tre il suo essere naturale, o innalzandola più che non
è , 0 più che non è diminuendola. E questa si fa quando
noi vivamente colpiti da qualche idea che altrui voglia-
mo rappresentare, credendo troppo deboli le espressioni
proprie, ci serviamo di alcune, le quali a intenderle
strettamente vanno fuori del vero. Cosi per iperbole
Virgilio ci descrive i cavalli di Turno:
Qui candore nivet ante irent , cursibiu auras.
Due guise d'iperbole si danno, Tuna delle quali
move dair immaginazione, come è detto, l' altra da com-
mozione d'animo. Da semplice immaginazione è V iper-
bole colla quale T Ariosto descrive la mensa preparata
da Aicina a Ruggero.
Qual mensa trionfarne e sontuosa
Dì qualsivoglia successor di Nino,
0 qual mai tanto celebre e fumosa
Di Cleopatra al vincitor latino,
Potria a questa esser par, che V amorosa
Fata avea posta innanzi al Paladino?
Tal non cred' io che s' apparecchi , dove
Mioistra Ganimede al sommo Giove.
Se però non si abbia molto buon giudizio V iperbole
descrittiva dk facilmente nelP esagerato e nel falso ; spe>
cialmente quando si voglia usare prima che l' immagi-
nazione sia bastantemente riscaldata. Iperbole si usa
con più buon successo a descrìvere esseri immaginari
al tutto, 0 almeno in gran parte, dei quali i sensi no-
stri non possono avere contezza se non in quanto sono
loro descritti dalla fantasia; come sarebbe la Fama dì
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Virgilio, il Silenzio e la Frode noli' Ariosto, esimili
altri^ nei quali soggetti l' esagerazione è più consentita.
Infatti Virgilio potè dire, che la Fama passeggia il siwlo^
ed ha fra le mbi il capo, la qual cosa sicuramente non
avrebbe potuto affermare, se qaesta Fama fosse stata
altro che un essere immaginario. Men pericolo è nel*
l'iperbole mossa dall' afTetlo, perocché qaando il cuore
è agitato fortemente, ogni esagerazione che non esca
affatto dai ragionevole gii ò consentita. Bella è quella
che Torquato Tasso ebbe imitata sì nobilmente da Vir^
gilio:
•
Nè te SoQa produsse, e non sei nato
Dell' Azz!o sangue tu: te Tonda insana
Del mar produsse, e '1 Caucaso gelalo,
£ le mamme aliauàr di tigre ircaDa.
D. Che cosa è PAntUesi?
R. È una forma di parlare, la quale cade in accon-
cio ogni qual volta i' Oratore o il Poeta , cercando dare
maggiore rilievo ad un pensiero o ad un oggetto, gli con-
trappone il suo contrario. E però l'autore della Retto-
rica ad Erennio la definiva così: Contentio est cura ex
cùntrariis verbis aut rebus oratio conftcitur. Perlochè
apparisce chiaro che questa figura si fa, o contrappo-
nendo parole a parole, o contrapponendo sentenze a
sentenze. Esempio della 1» maniera può essere il se-
guente del Segneri : Tutti gitanti qui siamo, o giovani o
vecchi, 0 poveri o ricchi, o nMU o plebei, tutti dobbiamo
morire. Esempio della 2* maniera d' antitesi può essere
questo di Cicerone: In pace ad vexandos cives acervi-
muSy m bello ad eajmgnandos hostes inertissimus. Bella
è pure P antitesi che abbiamo nell' orazione a Paolo
Terzo d'Alberto Lollio: Muovesi l imperatore, non per
— 86 —
cupidigia d allargare i confini: ma per conservarli, non
per difendere le membra deW Impero, ma per non perdere
il capo, nùnper opprimere gV mAoce^M, ma per eorreg^
gere i dmAbidknli, Questa figura perd deve essere
usata con molte avvertenze; deve essere breve, poco
frequente, naturale: brevei perchè altrimenti scopre
l'arte, e ristucca; poca frequeale, perehò, ove sta spes-
seggiata, illanguidisee e raffredda il discorso; naturale,
perche, ove mostri fatica di studio, disgusta 1 lettori
anziché dilettarli. È anche da osservarci che questa
figura alcune volte serve alla passione , specialmente
quando ò portata molto innanzi, conciossiachè nelle
forti agitazioni dell' animo avviene che le idee quasi tu-
multuariamente presentandosi al pensiero, si dispon-
p:ono per modo nella mente, che ognuna di esse reca
con sò il suo contrario. Esempio ne abbiamo nella 2^ Ca-
tilinaria di Marco Tullio: Hoc vero quis ferro potest,
inertee homines forliseimis òuidiari, eiuUissònos pruden-
tiseimis, ebriosos sobriis, dormientes vigikmtSms?.*. e
più verso al fine: Ex hac enim parte piignat piidor , il-
line petulaìUia: hino pudicitia, illinc sttipnm: hinc pie-
tae: illinc sceìus: hinc comtantia, illinc furor: hinc ho-
nestas: mine turpiiudo: hinc conHnentia, illinc libòhi
denique wquitas j temperantia, fortitudo , prude ntia ^ vir-
tutes omnes certant cum iniquitate, cum luxuria, cum
ignafria, cum temeritate, cum vitiis omntìm> « Ma ohi
potrebbe sopportare che gli uomini pieni di dappocag-
.nine tendano agguati ai valorosi, i pazzi ai prudenti,
f^rimbriachi ai sobrj?... — Chè da questa parte com-
batte la modestia, da quella la petulanza; di qui la
castità, di là gli stupri; di qui la fede, di là la fraude;
(li qui la pietà, di là la scelleraggine, di qui la costan-
za, di là il furore; di qui la contmensa} di 1^ la eupidi*
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- 87 —
già: finalmente l'equi Ih, la temperanza, la fortezza, la
prudenza, e tutte le virtù prendono la spada in mano
contra la iniquità, cantra la lussuria, contro la dappo*
caggine , contro la temeritli , contro tutti i vizj. » (Dolce.)
D. Che cosa è la Progressione?
/?. È una iòrma di parlare , per la quale , salendo
grado grado da un pensiero air altro , si dà maggiore
efficacia alla sentenea. Questo modo dai Oreci fu chia-
mato climax , e noi lo diremo scala. Eccone da Cice-
rone un esempio : Facinus est vincire cwem romanum ,
teeka wrberarè, prope parrieiditmneoare; quid dicam
m crucem toUere? « È delitto legare un cittadino roma-
no , scelleraggine vergheggiarlo , quasi parricidio ucci-
derlo : che dirò io del crocifiggerlo ? » Osservate come
r autore per questa figura ha mostrato che T avere messo
in croce un cittadino romano era delitto senza pari.
Egli grado grado esaminando quanto sia grande colpa
mettere in ferri un cittadino , quanto grande sc^Uerag»
gine vergheggiarlo , quanto orrìbile parricidio metterlo
a morte, fa conoscere che il crocifiggerlo è delitto sovra
ogni delitto. Questa forma è di grande elLicacia , peroc-
ché ella presenta quasi ali' intelletto una serie di pro-
posizioni concatenate a modo, che posta la prìma, tutte
le altre necessariamente si denuo ammettere come di-
scendenti da quella. Un altro esempio ne porge il Se-
gneri nella 4* predica : Questa è dunque- la cura-, ohe vai
teMte delia vostra anima? questa è la ^ima del tostro
fine? questa è la sollecitudine della vostra felicità? saper
di slare in ìnezzo a rischi sì gravi , e non riscuotervi?
Ponete mente alia doppia gradazione di questo periodo:
la prima è nelle parole cura , stima , soUeeiiuéine ;
r altra nelle parole —anima, fine , felicità. Anche i poeti
fanno uso con profìMo di questa figura , la quale però
«
— 88 —
eonvien cercare che non iscuopra Tatte,' altrimentì di-
vieue cosa viziosa, come appunto è quella del Tasso me-
rilameate ripresa dai Galilei.
Sparsa è d* armi la terra , e V armi sparse
Di sangue, e il sangue col sudor si mesce.
D. Che cosa è la Preoccupc»ioneZ
R. £ una forma di parlare, la quale usiamo per
prevenire una obieetone o una donanda , la quale ci
potrebbe esser fatta , e togliere o|5ni dubbio che po-
trebbe nascere negli ascoltatori ; cosi il Casa nella prima |
oraiione per la Lega , prevedendo che alcuno avrebbe
potuto obiettargli , che Carlo Quinto metteva in essere
i suoi eserciti per difendersi, per mezzo di questa figura
previene V obiezione , e dice : Se. mi mi direU che egl%
si vuol difendere io vi domando: chi lo minaccia , cftt fo
spaventa , chi lo assalisce? Questa figura , come ognun
vede , giova molto agli oratori, e non inutile ai poeti.
f In fatto asaai bene ne usò Torquato Tasso nella Geru-
salemme :
Ta , ebe srdfto sin qai ti sei condotto.,
Onde speri nutrir etvalli e fami ? t
Dirai : V armata in mar enra ne prende.
Dai venti adunque il viver tuo dipende?
«
D. Che cosa è la Concessione? -
R. È una forma di parlare , per la quale , mentre
noi concediamo una cosa all' avversario , lo costringiamo
con questo stesso modo a concedere a noi ciò che vo-
^mo. Elia è figura* di mirabile effetto e di grande uso
presso gli oratori e presso i poeti. Così il Gasa iiella
2» orazione per la Lega : Or ecco V imperatore riposerà
quest' anno , 4» coù pa , perocché nessuno ce ne fa certi;
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ma ie pur eoA fla , egli starà fermo quesfamo non per ^
tardare , ma per andare piìì ratto.
£ r Alfieri nei Don Gariia:
m
Uccìderai Salviati,
Fona Bun reo: nemici allri verranno.
Pian spenti? ed aiiri insorgeranao. — 11 brando
Del diffidar la insazìabii punta
Ritoioe al fin contro ehi V elsa impogna.
D. Che cosa è la Preterizione?
B. £ una figura per la quale fìogeDclo di voler ta-
cere alcune cose, poi espressamente le diciamo, e ^e-
sta giova assai , perchè mostra T Oratore poco curante
di quelle cose stesse che sono a suo prò, come quegli
che ben altre e di maggior peso ne ha ; e mette nel-
l' ascoltatore confidenza, facendogli conoscere che FOra*
tore ha ragioni piii del bisogno. Cicerone nelT orazione
in favore della Legge Manilia, parlando per preterizione
delle lodi di Pompeo , dice cesi : Itaque nm non prcedi-
caturus, Quiriles , quantas iUe ree demi mUiticeque , terra
marique , quantaque felicitate gesserit; ut ejus semper vo-
luntatibus non modo cives assenserinl , sodi obtempera-
rint, hostes obediermt;8ed etiam venti tmnpeeiatesqmolh
secundarini, t Laonde io non son per raceoatare, Roma-
ni , quante egregie operazioni, e con quanta felicita egli
abbia fa^e &ì nelle cure della città , come nei maneggi
della guerra , in terra e in mare , e di maniera che alle
sue YoloDtk non solamente i cittadini sempre abbiano
acconsentito , i confoderati servito , i nemici ubbidito ,
ma i venti e le fortune gli sono stati secondi. »
(Dolce). '
Così pure, presso Virgilio, Venere enumerando a
Giove le ofiese che eila^veva ricevute da Giunone, dopo
- 00 —
averne esposte alqaaiiiè , fìngendo di voler passare le
altre sotto silenzio, dice:
Quid repetam exustax Ericino in litore classesì
Quid tetnpeslatum regem, ventosque fur^niet,
jEolia excitoi? aut aclam nubibui Jrimt
Cb*io non vuo'dir delle combuste navi
Sulla spiaggia Ericina, nò de' venti
Che M re spìnse d' Eolia a tempestarlo,
Nè d'Iri che di qui fu già mandata ec.
(Gaao.)
D. Che cosa è la Smnoeinanone?
R. È una figura perla quale s' introduce qualcuno
a parlare quasi dialogizzando coli' oratore o coi poeta ,
per aggiungere dignità alle cose che si dicono, e nel* .
Fìstesso tempo per dilettare. Esempi ne abbiamo ne'poeti
e ne* prosatori latini ed italiani ad ogni passo. A noi
piace sceglierne mio del Segneri. L' oratore descrive la
pesnma fine dì un cavaliere , il quale muore imponi*
lente. In mezzo la narrazione introduce il confessore, il
quale si la al letto deli' infermo per disporlo a ben mo-
rirOb Vivo e commovente è il dialogo. — Im$dici tuiAo-
menU vi hanno disperato; però se volete compor le vo-
stre partite , poche ore vi rimarranno:-^ Tanto più adun-
que ^ soggiunse l' altro; affrettiamoci: che ho da fare? —
Avreste, ripigliò il Padre, per avventura alcm credito*
re, a cui vi coimenisse di soddisfare ? -^Gli aveva , ma
gli ho soddisfatti. — Avreste niente (f altrui, die dovreste
rendere ? — L aveva, ma V ho parimente renduto. — E se
per i addietro aveste portata malevolenMa ad akmno,non
la deponete daVl animo? --La depongo. ^Perdonale a chi
vi ha offeso? — Perdono. — Vi umiliate a chi avete offeso?
— Mi umilio.'^ Non. volete adunque per uUimo ricevere
oiyu.^uu Ly Google
— 91 —
I sacra$nenti, come conviensi ad uom cristiano per ar-
marvi contro le tentazioni deìl inimico , e contro i peri-
coli deir Inferno? —-Volentieristimo gli Hcmferò, se voi,
Padre, vi compiacerete d' amministrarmeli. — Ma sapete
pure che questo non si potrà, se prima non licenziate da
voi quella giovane? — Oh queeto non pouo, Padre , non
poeso ! — Ohimè ! che dite ! non posso? perchè non potete?
e potete, e dovete , signor mio caro, se volete salvarvi,—
Io dicovi che non posso ec. —
Ed Orazio neir Epistola ai Pisoni in questo modo
si vale della sermocinazione: ^
Dicnt
Ftlius Albini: si de quincunre remota est
lincia, quid superai? poterai dixtsae: triens. Eul
Rem poleris servare tuam, Redit uncia : quid fitf
Semis •
Non conviene però abusare di questa figura , la
quale, se giova chiamata a tempo, nuoce e raffredd*!
quando ella sia fuor di tempo adoperata. Questa poi
serve piti spesso alia fantasia che air affetto; nuilaroeno
qualche vòlta serve anche mh*abìimeote aHa passione.
D. Che cosa è Ipotiposi?
H. È, una ligura per la quale l'oratore o il poeta
cerca- di porre sotto gli occhi col più vivi colori una
cosa od una persona , tantoché il lettore o V uditore
creda vederla anziché udirla. Questa forma di parlare
però prende diversi nomi dalle diverse cose che ella
descrive, cosicché l' ipotiposi di persona si chiama prO"
sopografia; la descrizione dei costumi, efopea; la descri-
zione delle sembianze e dei caratteri di persone imma-
ginate 0 ^nie ^somatopea; la descrizione infine dei luoghi
topografia. Dì ciascuna di queste noi daremo lui esempio.
L^ yi i^uu Ly Google
IpotipiMil %n fODere.
II Meiastasio, imitando Virgiiio, descrive nella Ga-
latea il Ciclope , che decide un misero pastore.
Vidi il crudele
Frangere incontro al sasso
Un misero pastor, che al varco ei prese»
Per farne orrido pasto alla sua fame.
Lo stracciò* lo divise;
E le lacere membra »
Tiepide e semivive ,
Sotto i morsi omicidi
Tremar fra'denU» e palpitare io vidi.
E r atro sangoe intanto ,
Cbf spumeggiava alle sue sanno intorno »
Uscia per doppia strada (oh Aero aspetto! )
Dal sotso labbro» e gli scorrea sol p^tto.
Ipotlpo»! dM ^MOAttf ^mI« prooopograflfi.
L' Ariosto così descrive Brunello :
Non è sei palmi , ed ha il capo ricciuto;
Le chiome ha nere, ed ha la pelle fosca;
Pallido il viso, oltre il dover barbuto;
Gli occhi tronfiali , e guardatura losca;
Schiacciala il naso, e nelle ciglia irsuto:
L* abito, acciò che lo dipinga intero,
fi Stretto e corto » e sembra di cornerò,
IpoUposI del «••tninl» tmia etopea.
Non lasceremo di recare ad esempio retopoa clie Sal-
lustio ci offre diCatilina: Lucius Catilina, nobili genere
fuUus, fuU magna vi et animi et eorporis , sed ingenio malo,
prcmque. Buie ab adohseentia betta intestina ; cades,,
rapince , discordia civilis , grata fuere; ibique juventiUem
suam exercuU. Corpus patens inedice, vigilias^ algoris,
«t4pm qwm euiguam credibile est Animus audax, ni-
— d3-
bdohu, mrius, m^libet rei simuhtor oc dissinmlalor ,
alieni appetens , sui profusus, ardens in cupiditatibits ;
satis loquentice , sapientice parum, Vastus animus immo-
derata, incredibilia, nimis altasen^^a^iebai. » Lucio
Gatiliòa di nobil sangue fu nato, uomo di grande virtù '
(F animo e di corpo , ma d' ingegnamento reo e perverso.
Da sua prima gioventù le brighe dentro la città , le fe-
rite, gli omicidj 9 le rapine , a lui piacquero molto; e in
queste cotali cose contìnuamente studiò. Il corpo aveva
poderoso , e sofferente di fame , di freddo, di vegghia ,
e più che uomo credere potesse. L'animo era ardito,
malizioso e isvariato : qua! cosa volea infingeva , e
qual volea disfingea. Dell* altrui desideroso , del suo
isi)argitore ; tutto acceso di desiderj ; assai bello parla-
tore f savio poco. 11 suo smisurato animo cose ismisura-
te , non credibili , e sempre troppo alte , desiderava. «
(Bartolomeo da San Concordio.)
Ipoiiposl di persoae flato» o aoiiiAtopea.
» »
Bella è la somatopea , con efae il Tasso ci mette
sotto gli occhi il re- degli abissi .
Orrida maestà nel faro aspetto
Terrore accresce, e più superbb il rende;
Roasegglan gU occhi , e di Teoeno infetto.
Come infausu cometa, il guanto splende;
Gl' invòlve il mento, e sali* irsuto petto
Ispida e folta la gran barba scende;
E in goisa dì vongine profonda
S*apre la bocca d' atro sangue immonda.
Esempi di questa figura abbiamo neUa descrizione
• ideila Fama nel libro 1.» dell' Eneide : nella descrìiione
della Frode neir/^i/^rm» di Dante: nella descrizione della
Discordia , della Frode , dell'Avarizia , e del Silenzio ,
nei Furioso dell' Ariosto.
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94 —
*
* HMfirlsione del luoghi ^ o lopograflo.
L' Ariosto ci descrive meravigliosamente per mezzo
di questa figura ua'isoielta deserta:
0' tbitatori è l' isoletta moU ,
Piena d'wnil OHNteUe e éi ginepri;
Giooondft solilndlne renoia
A cervi t a daini , a caprioli , a lepri ;
E fuorché a pescatori è poco nota ,
Ove sovente ai rimondati vepri
Sospendon per seccar l' umide reti:
Dormono intanto i pesci io mar quieti.
D. Vi è wMa da avvertire intemo queste forme di
parlare?
R. Quanto all' Ipotiposi in genere è da avvertire,
che eiia sia facile , naturale e ben condotta. Non creda
alcuno che P Ipotiposi riesca tanto jÀh viva quanto pftì
ò lunga , perchè tulLa V arte , per cui ella acquista vi-
vezza, sta non nella minutezza delle circostanze, ma nei
tratti 'PitL interessanti; chè anzi la lunghezza spesso to-
glie alla verità e reca noia. Riguardo alla Prosopogra-
fia, si deve cercare che le qualità della persona la quale
vogliamo dipingere corrispondano al vero , e siano co-
lorite con risentite tinte, a modo che alla lettura ognuno
debba riconoscere la persona che abbianio ritratta. L'Eto-
pea domanda chiarezza e precisione: chiarezza, perchè
si dee rendere sensibile ciò che non è ; precisione , per-
chè i costumi di quella persona , della quale parliamo,
devono essere proprj a lei sola , a segno che non possa
confondersi con altra. Circa la Somatopea, è da studiare
che la persona, la quale noi fìngiamo, sia quale richiede
e II carattere ohe volgarmente le è attribuito , e la eir«
costanza nella quale viene rappresentata. Il Tasso nel
dare corpo umano a Satana ha avuto tutti questi ri-
I
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— 95 —
guardi , e però bella è quella sua ìpotiposi. Se altri-
menti avesse fatto, oltre all'essere deforme in sè, avrebbe
nociuto al buon etietto. Riguardo iotìae all' ipotiposi di
luogo ^ avvertiremo soltanto che non si deuno tratteg-
giare ad una ad una tutte le |>arti di un luogo, ma rile-
varne solo quelle che bastano a darne una compiuta
idea , e a distinguerlo da o^i altro luogo del medesimo
genere.
CAP» IL.
Uelle forme di parlare proprie
dell» pamione*
D. QucUi sono le forma di parlare proprie della pas-
sione?
* R. Sono quelle le quali non si odono neir umano
linguaggio , se non quando V uomo è agitato da qualche
forte affetto ; per forma che queste possono dirsi un
oarattere speciale delia passione : conciossiachè non sia
persona al mondo , la quale, avendo il cuore in tumul<
to , non prenda un linguaggio diverso dall' ordinario*
Poi vedete che nell' uomo preso da passione la fìsono-
mia del volto si fa più risentita , più gagliardo il suono
deHa voce , più vibrati gli atti ed i gesti , e da questo
potete argomentare, che, volendo la natura distinguere
cosi neir esterno lo slato deli' animo in passione, doveva
anche distinguerlo nel lingua^io, che può dirsi lo spec-
chio deir animo; e però ben male avvisato sarebbe ehi
credesse, che le forme delle quali parleremo siano in-
venzione delle scuole, o cose particolari soltanto agli
— 96 —
scritlori; perchè elle sono cosa della natura e non del-
r arte , e comuni a tutti gli uomini, l^eriocbè è molto
necessario il ben conoscerle, perchè il non saperne far
uso porterebbe Io scrittore sovente a mancare nella
parte dei caratteri. Di queste forme quindici ne anno-
veriamo , le quali sono: \^ Esclamazione, 21* Epifonema,
3* Interrogazione, 4* Subiezione, 5^ Ironia, 6* Sarca-
smo, 7* Preghiera, 8* Imprecazione, 9* Dubitazione,
10* Correzione, 41* Sospensione , 12^ Comunicazione ,
43* Personificazione, 44* Apostrofe, 15* Visione. Avver-
tiamo ancora chd alcune di quelle, che dicemmo essere •
proprie dell' immaginazione, servono pur e^ alla pas-'
sione ; quali sono T Iperbole, la Progressione, la Prele-
riziéfne, Tlpotiposi e la Sermocinazione, sebbene però
r uso di queste sia piti rado nel linguaggio, degli affetti.
Dell' BeclamasloBe • dell' EplfoneatA.
D. Che cosa è tEsckmiaiUone, e come di lei nasce
l' Epifonema?
R. È una forma di parlare, per mezzo della quale
esprimiamo le più gagliarde commozioni dell'animo, con-
cìossiachè quando noi «iamo potentemente sorpresi da
meravìglia, da timore, da allegrezza, da dolore, quasi
improvvisamente interrompiamo il discorso, e alzando
la voce facciamo una interieiione. Ella è quasi il carat-
tere principale del linguaggio appassionato, come si può
vedere di leggieri, osservando anche il parlare degli uo-
mini volgari, allorché sono presi da un forte commovi-
mento dell' animo. Così Dante, avèndo narrato la morie
crudele che ì Pisani fecero sostenere al Conte Ugolino,
esce ia una esclamazione di dolore e di sdegno contro
Pisa;
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— 97 —
Abi Pisa, yituperio delle genti
Del bel paese là, dove II si suona,
' Poicbè i vicini a te punir son lenti ec.
£ il Boccaccio, dopo avere descritto i mali recati
dalla pestilenza alla sua patria , esce in questa pietosa •
esclamazione : Oh quanti gran palagi rimasero vuoti,
quante memorabili schiatte si videro senza debito sue-
cesswr rimanere I
Alcuna volta nella esclamazi<me noi racohindiamo
naturalmente un qualche concetto o detto sentenzioso .
e ciò è appunto che cangia 1 esclamazione in epilone-
nia. Così Titiro presso Virgilio, dopo avere esposte nar-
rando le sue disgrazie , termina in questo modo :
Bn f no dkeordia eives
FerduzU mlieroi/ en queii emuerimui offrii
£ il Petrarca, a mostrare la vanità delle cose mor-
0 tali, esclamava :
Oh ciechi , il tanto affaticar che giova?
Tulli tornale alla gran Madre amica,
E il nome vostro a pena si ritrova!
9ell' iBtMVosaBloBe « della Sii1»I«bI€»mc*
D. Che cosa è t Interragasnone?
R. È una forma per la quale T uomo spinto dalla
passione, anziché affernure o negare alcuna cosa, la
esprime per modo di domanda, con che maggior
enfasi al discorso, e mostra tutta la confidenza nella
verità del suo concetto, e pare che provochi gli uditori
a mostrargli se può essere al contrario. Bella è V inter-
rogazione colla ({uale Cicerone, difendendo Ligario,in«
calza Tuberone : Quid enim, Tubero^ tuus ille disirietM
in acie Pharsalica gladius agebat? cujus latus ille mucro
7
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— 98 —
oculi ? manus? ardor animi? quid cupiebas ? quid optabas ?
« Che faceva, Tuberone, quella tu^ spadai impugnata
nella battaglia di Farsaglia? il fianco di cui ricercaTa
quella punta? Qual era F intensione delle tue èrmi?
Quale la tua mente? gli occhi ? le mani? 1' ardor dell' ani-
mo? Che desideravi? che bramavi? » (Dolce.)
Gos\ presso V Alfieri , Giocasta cerca mostrare a Po-
linice, come desiderando egli sfisenatamente di regnare
in Tebe, non faceva che cercare il suo peggio.
Sablime fin d' ogni tao voto è dnoque
Di' Tebe il trono? Ohi non sai tu» che in Tebe
Sommo Infortunio è li irono? il pensler vo^l
Agii avi tool : qual ebbe in Tebe sceltro »
EnondelilU? '
Questa forma serve pressoché sempre ai forti af-
fetti : è tuttavia da osservare che qualche volta la con-
vinzione stessa, che noi abbiamo di qualche verità, ci
conduce a disporre il discorso a modo d'interrogazione,
ancorché l' animo non sia commosso o turbato.
Qualche volta ancora all' interrogazione noi sog-
giungiamo la risposta, ed allora ne nasce un' altra figle-
rà, la quale si chiama subiezione, Eccone un esemplo
di Cicerone a favore di Archia : QtKBres a nMs, Grac-
che, cur tantopere hoc homine delectemur? quia snppe-
ditat nobis ubi et animits ex hgc forensi strepitu re^dg-
tur, ^ mires convido d$fm<B oonqui^cmU. « Tu cer-
cherai forse*, 0 Gracco, d* intender da noi la eagiene,
per la quale sì fattamente diquest' uomo ci dilettiamo?
È ella per questo: che egli ci dà modo da poter risto-
rare r animo degli strepili del fòro, ed alleggiar le
orecchie stanche' di ascoltare le mddicenxe che vi si
usano. » iDolce,)
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Così Didon# risoluta di morire domanda a sé stessa
se ella debba morire invendicata, e tosto soggiunge che
le basta morire.
Moriemur inultoB?
Sed moriamur, aU. Sic, tiejuvat ire sub un^nu,
Uéir Ironia e del taraMM».
D. Che cosa è Ironia, e in che differiàce dal Sarcasmo?
lì, L' Ironia è un modo di parlare coperto, col quale
noi vogliamo che ie nostre parole siano intese in senso
contrano da quello che esprimono. Ella nasce spesso
dall'animo turbato da sdegno o da ira compressa, e
però noi abbiamo creduto che, anziché stare fra i tropi, si
debba collocare Ira le figure di passione, poiché ella senza
passione non può nascere ; in fotto,-s6 osserviam o gli esem-
pj, vedremo che ella ha radice nell* amarezza dello sde-
gno. Cicerone nella Miloniana, volendo dire che la morte
di elodie era una pubblica allegrezza e che ne godevano
tutti gli ordini della repubblica-, usa parole le quali mo-
strerebbero che ella è disgrazia maggiore d' ogni altra ,
che tutti ne piangono. Sed stulti sumus qui Drusum, qui
Africamm, Pompqum, nosmelipsos , cum P. Clodio con-
ferre audeamus. Tolerabilia illa fueruni. Clodii mortem
requo animo ferrenemopotest. Luget senatus : moìret eque-
ster orda: tota civiias coufecta senio est: squallent mu-
nto^wi: afflickmtur colonim: agri den^fue yfsi km bei^e*
fieim, tam singtUarem, tamfnansueUmdvemdesideranL
(( Ma pazzi siam noi, che osiam di mettere un Druse,
un Affricano, un Pompeo, noi medesuui, aliato a un
P. elodìe. Di quelle morii era a darsi pace : alla morte di
P. Gladio non è anima che^debba rassegnarsi in pazienza.
Piange il senato; F ordine equestre è iu tribolo; tutta
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• — 100 -
la cìtiìi dì maliiiconia è rifinita: squallidi i mnnicìpj,
nlflitte son le colonie; finalmente i medesinfii campi di-
cono : Deh ! chi ci rende un cos'i loenefìco, cosi mansueto
e salutevole cittadino? » (Cesari.)
Così Dante, dopo avere neW Inferno posti ai tor-
menti i principali cittadini di Firenze, con amarezza di
dolore e d' ira ironicamente esclama :
Godi, Firenze, poi che se* si grande,
Che per mare e per terra balli V ali ,
E per lo' Dferoo il tuo nome si spande.
Alcune cose sono da notare intorno questa figura:
1<> cbe ella deve essere chiara a modo cbe si debba in-
tendere — le cose che si dicono tornare a senso opposto ;
che non se ne usi se i\on quando v' è naturalmente chia-
mata; e che sia più breve che si può, altrimenti diviene
insipida e noiosa. Anche vuoisi osservare che V Ironia
v.ì spesso congiunta all'Esclamazione; il che prova che
ella muove da passione. Non negheremo però che qual-
che volta anche fuor di passione si possa tenere un lin-
guacjgio coperto, come spesso sappiamo essere stato
usato da Socrate ; ma noi con Quintiliano volentieri di-
remo, cbe ben altra cosa è V ironia, e che codesto par-
lare dissimulato deve avere altro nome.
Se poi si voglia conoscere in che differisca T Ironia
dal Sarcasmo, basterà osservare che il Sarcasmo vien
definito una pungente ed amara ironia, a modo che
volendo formarne una sola figura si potrebbe dire che
il sarcasmo è il grado superlativo delF ironia. Eccone
esempj. Turno nel libro 12 deìV Eneide così insulta ad
Eumede Troiano da lui ucciso :
En agros, et quam bello y Trojane , pelisti ^
Hesperiam melire jacpns: hcBc prcEmia, qui me
^Ferro ami tentare, ferunt: «te menia condunt.
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— 101 —
Troiano, ecco V Italia, ecco i suoi campi.
Che tanto desiasti : or gli misura
Cosi i^iacendo. E questo si guadagna
Chi centra Turno ardisce: e 'o^qucsla guisa
Si fondan le cillà.
(Caro.)
Così nel canto 19, st. 3 e 5, della Gerusalemme libe-
roto^ Argante insulta Tancredi chiamandolo uccisor delle
donne :
Che non potrai dalie mie mani , o forte
Delle donne uccisor , fuggir la morie;
a cui Tancredi con pari sarcasmo risponde :
Vienne in disparte pur, tu, che omicida
Sei de* giganti solo e degli eroi :
L' accisor delle femmine ti sfida.
D. Che cosa è la Preghiera? ,
lì. È una forma di parlare, la quale noi usiamo
quando, o nei confessare qualche colpa imploriamo
r altrui perdono, o trovandoci in istato di miseria, dal
quale non potreinino da noi stessi scampare, imploria-
mo r altrui soccorso. Egli è certo che per ottenere T ef-
fetto che ci proponiamo pregando, conviene muovere
Fanimodi chi ascolta , e parlargli , direi quasi, col cuore.
Esempio della manièra ci porge Cicerone nelT ora-
zione prò Ligario: — Ad judicem sic agi solet, sed eg^
adparenim loquor. Erravi, temere feci ;pcBnitet; ad cle-
mentiam tuam confugio, delieti veriiam petOj ut ignoscas
oro: si nemo impetraverit , arroganter; si plurimi , tn
idem fer opem, qui spem dedisti. « Innanzi al giudice
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^ 102 —
in tal guisa si suole procedere, ma io parlo innanzi al
padre; per ciò dico: ho errato, ho operato inconsidera-
tamente; io ricorro alla tua clemenza, chieggio perdono
del delitto, e ti prego a condonarlomi. Se ninno l'ha
ottenuto, io chieggo questo arrogantemente ; se paroc-
chi, tu stesso sovvieni, che vi hai dato speranza. »
(Dolce.)
Esempio del 5I« modo abbiamo nel Tasso, ft dove
introduce Armida supplichevole ai pi,edi di Goffredo :
Per questi piedi , onde i superbi e gli empj
Calchi ; per questa man , cbe '1 drillo aita;
Per r alte tue vittorie, e per qne' lempj
Sacrit cui désti, e cui dar cerchi aita;
11 mìo desir. cbe to puoi solo, adempi;
B in «n col regno a me serbi la'viu
Lt taa pietà.
La naturalezza, la semplicità, sono le doti principal-
mente domandate da questa figura; la quale, ove sia
'scopertamente artificiosa e ne* concetti e ndle parole,
riesce fredda e vana. Anche la soverchia lunghezza si
dove fuggire, perchè dissolvendo la forza, le toglie ogni
efficacia.
•ella ImprecasloBe.
D. Che cosa è C Imprecazione?
R. È il linguaggio di un animo pienamente sde-
lunato, e tratto fuori da ogni speranza di giusta vendet-
ta. Basta &ò a conoscere, che questa ò figura la quale
domanda il più alto grado di passione. Elia consiste nei
pregare ogni male o controia persona la quale è cagione
del nostro sdegno, o anche qualche volta contro noi
medesimi ; nei quel caso perìKshi parla deve parere ed
L.iyi.i^uu Ly Google
- 103 -
essere preso da disperazione. Esempio della 4^ maniera
ci porge Dante nel del Purgatorio :
Gioflo giodicio dalle stelle caggia
Sopn il IQO sangue, e sia immvo ed aperto.
Tal che il toc sucoessor temena n'aggia.
E Virgilio ancora fa che Didone imprechi ad Enea (EneiiLf
lib. 40):
Litora Hteriku eonhmrla, fluoUbtu wnitu
Imprecar, arma armit ; pugnsnt ipsique nepotet;
• e sian . . • •
i-iili ai Uli
Contrari eternamente, l' onde a r onde,
E V armi incontro a Tarmit e i nostri a i loro
In ogni tempo.
(GAao.)
Del 2'' modo Virgilio stesso ci porge esempio là dove
Bidone impreca contro sè stessa :
Sed mihi vel tellus optem prius ima dehiscnt,
Vel pater omnipolens adigat me fulmine ad uinbrat,
Pallentes umbras Èrebi, noctemque profundam,
ÀiUe, Pudor, quam te vioiem, aut tuajura resolvam.
Ma la terra m' ingoj , e 'I del mi fulmini, ,.p^ ,
' E neir abisso mi tralx>ecbi in prima e/ » C J*^^
Ch'io li violi mai, pudico amore.
(Caro.)
D. Che cosa è la DubUazione?
R È una forma di parlare propria dell' uomo, il
quale è in tanta agitazione dlanimoche non sa nò cosa
dire nè cosa fare, e sta sospeso nelF incertezza. 1^
domanda uno stato dì forte agitazione, altrimenti Vf
rebbe ridicolo supporre che per piccola cagione si do- '
' vesso cadere in mezzo a tante incertezze. Così , presso
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JL
— 104 —
Tito Livio Scipione parlando a' suoi soldati , si tiene a
questa figura (Decade 5>): Apudvos quemadmodum lo-
quar,'nec consilium, nec ortUio suppedikit, quos ne quo
nomine quidem appellare deheam scio. Cives? quiapoHa
vestra descivistis? An milites? qui impcrium , auspìcium-
q%ie abruiitis, sacramenti religionem ì^pistis? Hostes?
corpora, ora, msHtum, luiAUum eimm agnosco ; facia,
dieta, Consilia, animos kostium video. « Ora non trovo
concelti, nè mi sovvengono le parole da parlare appo
di voi, i quali certo non so con qual nome piuttosto
appellare mi debba. Or chìamerovvi io cittadini? che
vi siete ribellati dalla propria patria? Nominerovvi io
soldati? che avete negato V ubbidienza, e rifiutato il
nome, e 1* auspicio del vero capitano, e avete rotto la
religione del sacramento? Debbo io chiamarvi nemici?
conciosia eh' io pur conosca le pt^rsoiie vostre, le faccie,
le vesti, r abito e portatura dei miei cittadini ; ma veg-
gio i fatti ed i detti e i pensieri e gli animi dei nemici. »
(Nardi.) Bella è pure la dubitazione di Olimpia abban-
donata da Bireno presso V Ariosto :
■
Tonerò io Piaodri • ove ho vendalo il vesio
Di cbe io Yivea, benché non fosse moltOt
Per soTTenirU , e di prigione irtrteT
Meschina! dove andrò? non so in qnal parte.
Debbo forse ire in Frisa, ove io potei,
E per le non vi volsi , esser regina?
Il che del padre e dei fratelli miei,
£ d* ogni altro mio ben fu la ruioa.
Della Ckirremione*
D. Che cosa è la Correzione?
R. La Correzione è quella forma di parlare eh©
usiamo quando trasportati da un oggetto, del quale
■
. •••
— 105 —
pure abbiamo detto molto, ci ritrattiamo, quasi ci paia
aver detto poco, ed aggiungiamo cosa di masgior peso.
Così il Sdgaeri nella prima predica del suo Quaresima-
le: Toccherà ora a medi proibirvi quanfo sia grande la
presunssione di coloro , che irivono un sol momento in colpa
mortale. Perchè 'presunzione diss' io? audacia, audacia^
COSI dovea nominarla, se non anzi insensala temerità,
E Armida nel Tasso usa di questa figura parlando a
Rinaldo:
Vaitene; passa il mar: pugna, trav:ìf?lia;
Slruj^'gi la fede nostra, anch' io t' alTreilo.
Che (lieo nostra ? ab non più mia ! fedele
Sono a te solo, idolo mio crudele.
Questa figura qualche volta istà in una parola sola come
neir esempio dei Petrarca:
Vergine saggia , e del bel amner una
Delle beate ? ergioi prudenti ,
Anzi la prifna.
Qualche volta di questa figura si vale anche l'im-
maginazione, specialmente descrivendo cosa onde ella
è piena di meraviglia; così il Caro:
Un'onda,
Aliti tifi mar, ebe da poppa in guisa urtolla ee.
Tuttavia la passione se ne vale piìi spesso e con miglior
prO) quando sia usata a tempo e con naturalezza.
Della SiMpMeloM*
D. Che cosa è la Sospensione?
R, Quando noi siamo altamente commossi al ricor-
dare, 0 al narrare cosa portentosa od atroce, nell^atto
del narrarla quasi per natùrale ribrezzo sospendiamo il
discorso: e questo è ciò che si ciiiama figura di sospeu-
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106 —
siono. Tale è, per esempio , presso Virgilio, quando Enea
si fa a dire ciò che aveva udito alla tomba di Polidoro
{Eneid., lib. 3o.):
Terlia sed postquom mnjore haslilia nisu
Aggredior, genihusqiie ndversx obluctor orcnce...
Eloquar, an sileom? gemitus ìacrimabilis imo
ÀwUiwr /anniilo, el wo» nddiU feriur ad mire$;
• . . RHeiUiDd^ tnoon»
Vengo al terzo virgulto , e con più foru
Mentre lo scerpo, e i piedi al anelo appunto,
E lo acnoto e lo abarlio (il dico, o 11 taccio?),
Un aoapiroao e lacrimabii anono
Dair imo poggio odo che grida , e dice ec.
(Caro.)
E il Moni! nella BiuviUiam:
Peroccliè dal costoro empio furore
A gittar strascinalo (ahi! parlo o laccio?)
De' ribaldi il capestro al mio Signore,
Di man mi cadde l' esecralo laccio.
Vi ha di quelli, i quali sotto il nome di questa forma
intendono quell'artifizio, con cui l;Iì oratori, o i poeti,
per destare aspettazione nell' uditore, sogliono tenerlo
incerto su ciò che essi vogliono dire , perchè giunti a
significarlo senta egli il piacere d* una grata sorpresa :
ma (juesto artifizio non potrebbe aver luogo fra le figure
di passione; e salvo errore, anziché una forma propria
della passione o della immaginazione, deve essere chia-
mata una particolare maniera di disporre ì concetti,
perchè facciano più forte impressione.
*
HelUi CTommlrasloiie.
D. Che cota è la Cùmunieaaitmef
H. È una forma, che si fa quando l'oratore, inti-
mamente persuaso della rettitudine o convenienza della
— 107 —
propria opinione , per far conoscere che non si può
uscire di quella , si volge agli uditori quasi chieda loro
consiglio; perchè essendo essi costretti a dargli quello
stesso che l'oratore di per sè f>reDderebbe, l'orazione
acquista piii forza e più efficacia di persuasione. Così
Cicerone neir orazione centra Ver re chiede consiglio ai
Giudici: Nuncego not ccnsulo, judice$ ^qtM mihifadef^
dum putetis : id enim consilii prafeeto taciH dabùis , quod
ego milii necessario capiendiim inlclligo. « Or io a voi
chieggio, 0 giudici, quale cosa a parer voslro m'abbia
a fare: e tal consiglio al certo mi darete tacendo, quale
ben IO conosco che necessariamente dovrò prendere. »
Il qual esempio dal Salvini nella sesta orazione fu imi-
tato cosi: A voi stessi, o sapientissimi giudici, chiedo con-
siglio; cosa stimate che io debba fare: e tale certo lo mi
darete quale si è quello, che io stesso intenéh di dofoer
prendere necessariamente. Conviene avere riguardo nel-
r usare di ({uesta ligura, perchè se noi non siamo ben
sicuri che l' uditore non ci possa dar altro consiglio da
quello che noi vogliamo , ella non si deve usare mai, e
metterebbe assai male volerne fuor di tempo far uso.
Della Personiflcaslone.
D. Che cosa è la Personificasdcnef
^ B. La Personifìcasione , che i Greci clrìamarono pro-
sopopea, è una forma per la quale si da senso, vita,
discorso alle cose inanimate: conciossiachè , quando la
passione è molto forte, si riscalda V immaginazione, e
le porta innanzi quasi vive e vere quelle cose ohe non
esistono che nella mente dell'uomo appassionato. Bella
sopra molle è la personilicazionei per la quale il Tasso
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fa che Clorinda morta si mostri in sogno al disperato
Tancredi ^ e lo conforti:
£d ecco, in sogno, di stellala vesle
Cinta, gli appur la sospirata amica:
Bella assai più; ma lo splendor celeste
L'orna, e non toglie la notizia antica.
E con dolce atto di pietà le meste
Luci par cbe gli ascingbi, e così dica:
Mira come soa bella e come lieta,
Fedel mio caro ; e in me tuo daolo acqueta.
E perchè si veda come anche gli oratori non meno
che i poeti possono trarre profitto da questa forma, ne
recheremo un esempio tolto dalla prima Catilinaria di
Marco Tullio: Nunc te patria, qam commtmis est omnium
nostrum ytorens, odit oc metuit, etjam dia te mhUjudi--
cat ìiisi de parricidio suo cogitare: huius tu neque aucto-
ritatem ver ebere, neque judiciumsequer e, neque vim per-
tmesces? qua tecum, CatiUna, sic agit, et quodammodo
tacita loquitur: NtMtm jam tot annos facinus extitit, nisi
per te; nullum flagitium sine te: tibiuni multorum civium
neces, libi veaxUio, direptioque sociorum impunita fuit,
oc libera tu non sobm ad negligendas leges et qtuestio'
nes, verum etiam ad evertendas , perfringerandasque va-
luisti. Superiora Illa quondam f erenda non fuerunt; tamen,
tUpotuij tuli: nunc vero, me totam esse in ìnetu pt^opter
teuniim;quidquid increpuerit, CatUinam timere; nuUum
videri contrameconsUium tniri posse, quod a tuo scelere
abhorreat, non est ferendum. Quamobrem discede, atque
hunc miài timorem eripe; si verus, ne opprimar;sin fai"
$us tit tandem aliquando timere desinam. ffmc si teeum,
ut dixi , patria loquatur, nonne impetrare debeat etiam si
vim adhibere non possil? « Ora la patria, la quale è co-
mmie madre di ci8»oan di noi, ti odia e teme, e già da
— 109 —
gran tempo giudica, che tu d'allro non pensi che dei
parricidio di lei. £ tu non vuoi dubitare dell' autoritb
.di questa, né seguire il giudizio, nè temer la forza? La
quale, o Gatilina, si volge a te, ecos\ tacitamente par- .
la: Non fu mai senza le fatta malvagitli alcuna, ninna
scelleraggine senza di te: a te fu lasciata impunita c
libera V uccisione de' cittadini, l 'afflizione, la rapina di
tutte le cose: tu non solo hai avuto forza di sprezzar le
leggi, ma anco distruggerle e ruinarle. Le cose più in-
nanzi, ancora che elle non fossero da tollerarsi, nondi-
meno le sopportai come ho potuto; ora non è da sop-
portar che io sia tutta in paura per te solo; che io tema
Catilina in ogni rumore; che io veggia che non si può
fare alcun consiglio centra di me , che sia lontano dalia
tua scelleraggine. Laonde pàrtiti, campami di questa
. paura : se essa è vera , acciocché io non sia oppressa ; se
falsa, acciocché una volta cessi di temere. Se ciò la pa-
tria, come io dissi, ti dicesse, non dovrebbe ella in-
petrarlo ancora che non potesse usar la forza? » (Dolce.)
1 retori insegnano che la Personificazione ha tre
gradi: il primo dei quali consiste nel dare alle cose
inanimate qualità che sono proprie delle ammate; co-
me ad esempio:
Ridono per le piaggio erbette e fiori,
come disse il Petrarca; e Dante:
Lo bel pianeta, che ad amar conforta ,
Faceva rider tutto T Ofieote.
Questo grado tuttavia è sì tenue^ che va facilmente
confuso colla Metafora. Il secondo grado è quando alle
cose inanimate si dà atti e voci non altrimenti che alle
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— 110 —
animate. Cicerone volendo dire che aleuna volta le
Jeggi permettono che un uomo uccida un uomo a pro-
pria dilesa, si esprime per questo modo: Aliquamio già- .
dkii adoecidendim hominm aft ipsis parrigùur legibus.
« Alcuna volta dalle stesse leggi ti è posta in mano la
spada per uccidere un uomo. » Secondo la cjuale espres-
sione le leggi si mostrano in atto di offrire la spada al*
IMnnooente assalito. Nè differente è il modo, con cui
Virgilio personifica la Natura nelF atto che Didone si
restringe nella spelonca agi' infausti imenei con Enea:
. Prima et Teìlus, et pronuba Juno
* Dont fignum; fulsere ignest et comciut cether
6onnubiiSt summoque ulularunt vertice Nymphx,
Il terzo e più alto grado è quando cose inanimate
sono introdotte non solo a sentire ed operare, ma ezian-
dio a parlare ed udire, non altrimenti che se avessero
, anima e vita. Questo è sicuramente il sommo della Per-
sonificazione. Esempi ne danno i poeti e gli oratori: a
noi piace prenderne uno in prima dalle Sacre Carte. Ge-
remia prega Iddio a cessare i suoi flagelli contro il po-
polo eletto. Egli pieno di passione coisiì enfaticamente si
esprime: 0 spada del Signore, e fino a quando non ripo-
serai? entra nella tua vagina, rinfrescati, e taci. Tenera
è la prosopopea che si legge nel Tasso , quando un guer-
riero danese narrando a Goffredo la morte di Sveno suo
re, e la sconfitta di tutti i suoi, per prevenire la taccia
•d' essere egli vilmente iuggito, dice così :
Voi cliiamo in leslimonio, o del mìo caro
Signor sangue ben sparso c nobiTossa,
Ch'allor non fui delia mia vita avaro
Nò schivai ferro, nò schivai percossa;
E se piacili lo pur fosse là sopra
di' io vi morissi » il meriui eoo Topra.
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— Ili —
11 quale luogo è maravigliosamente imitato da quello
di Virgilio [Eneid.j lib. 2, v.
Iliaci cineres , et (lammn cxtrema
Tettar, in occasu vestro, ne^
Yitavisse vices Danauin, ti
Ut caderem, meruissr inrin
oViini
0 ceneri de 'miei! falorui ffvlp
Voi, che nel vostro ceca ^ » . ^ .iM:hio alcuno
Non rifiutai né d'arme, nè di foco,
Nè di qual fosse incontro, nè di quanti
Ne facessero i Greci : e se '1 Fato era
Ch'io dovessi cader, caduto fòra:
Tal ne feci opra.
(Caro)
A questa Ogura appartiene ancora la Canzone del
Petrarca, che incomincia:
Chiare, fresche, e dolci acque.
Tutte le forti passioni nel loro impeto escono facil-
mente in questa forma di favellare, e facilmente si può
osservare che nelle grandi commozioni noi parlia-
mo indifferentemente ai presenti, ai lontani, alle cose
animate e alle inanimate. Conviene però due cose
avvertire: Che questa forma non deve essere pro-
lungata, a segno che ella segua la passione anche quando
indebolisce, perchè allora perde ogni buon effetto; 2* Che
non si personifichino mai cose che non abbiano in sè
dignilh ed interesse. 11 far parlare un defunto può avere
dignità, non cos\ il far parlare le sue vesti o le sue armi.
Dell* Apostrofe.
D. Che cosa è l' Apostrofe?
7?. L' Apostrofe è un modo che tiene molto al 2"
grado della prosopopea , e si fa allora quando noi vol-
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— 112 —
giamo il discorso a persona o estinta o lontana , come
s' ella fosse viva o^pcescnte. Bellissimo è V esempio che
ce ne porce Vi/gilio nel 2*^ libro delT Eneide :
. . ^^m. ereunt Ihjyamsque , Dymasque,
CoTìpT^ !i(jvuii ; nac. te tua plurima y Panlheu,
ì.nbenlom pietas, nec AppQÌlinis iufula texit,
........ ed lMa»<^ e Dimanie
Caddjìro an(^««sK e qiiesli , oimè ! trafiUi
Per la man pur de' nostri. E Ui, pietoso
Pnnlo, cadesli; e la lua (;ran piclale ,
E Pinfiila santissima d'Apollo
In ciò nulla li valse.
(Caro)
Nè meno bella è l'apostrofe del Casa alle anime dei
trapassati , nell'orazione a Carlo V: 0 gloriose , o hm
natCf 0 bene avventurose anime, che nella pericolosa ed
aspira guerra della Magna seguiste il duca , e di sua mi-
lizia foste , e le quali per la gloria e per la salute di Ce-
sare i vostri corpi abbandonando , e alla tedesca fierezza
del proprio sangue, e di quel di lei, tinti lasciandoli, dalle
fatiche e dalle miserie del mondo vi dipartiste, vedete voi
ora in che dolente slato il vostro signore è posto, Nè meno
bella è 1' apostrofe che leggiamo nella predica del Se-
gneri , in cui egli , dopo avere mostrato a quale estremo
di miseria era giunto Sansone , a lui volge un discorso
di tal tenore: Oh Sansone , Sansone, e dov' è ora quella
virtù che rendevati sì temuto? quella virtù, dico ^ con cui
ti spezzavi d^ attorno i lacci di nervo, quasi fossero stoppe
mostrate al fuoco; e ti recavi in collo le porte della città,
quasi fossero bronzi dipinti in tela? Non sei tu quegli, che
sfidavi a lottar teco ì lioni , e ne lasciavi i cadaveri in
preda alle api? Non sei tu, che fugavi gì interi po-
poli? Non sei tu , che spiantavi gV interi campi? E
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— 113 —
mne dunque i cagnuoUm si forno ora beffe di te co' jor..
lairaH, e a te non dà pur V animo di acehetorli? Ognu->
no di per sè conosce che questa figura dimanda uno
sforzo di passione nello scrittore, d' immaginazione nei
lettori f meno dell' antecedente : tuttavia si deve usarne
con parsimonia assai. Ella è soggetta alle stesse leggi
della Prosopopea.
• Bollii 'VIoioM* •
D. Che cosa è la Vistone?
/?. La Visione, anche chiamata dai retori immagi-
nazione o descrizione, è una figura che si fa descrivendo
le cose lontane , passate , future, le quali al presente
non sono, come s'elle fossero presenti. Gli oratori
n' usano volentieri comedi mezzo eOicace a,persuadere,
pevoochè descrivendo come presenti i mali elie potreb-
bero venire in conseguenza di un eatlivo consiglio, essi
allontanano gli uditori dal prenderlo. Così Cicerone per
persuadere i Homani a combattere Catilina, nella 4» Ca-
tilinaria, descrive* i mali die ne verrebbero se colui
trionfasse: Videor m&i hanc wrbein videre, htcem orbis
terrarum , atque arcem omnium genthim^ subito uno in-
cendio concidentem: cerno animo sepolta in patria mise-
ree atque insepiuUoe acervos civnm; versatur mihi ante
octdos aspecius Celhegi et furor in vestra cade baccani
tis.„. « Sembrami di mirare questa cittb, splendore del
mondo, e rócca di tante nazioni , da universale incendio
improvvisamente distrutta; in mio pensiero già veggo
nella sepolta patria gli ammuccluati cadaveri de' miseri
cittadini insepolti: stammi dinanzi agli occhi l'aspetto
di Cetego , che infuria e gavazza nella sua carnificina.
(Gantova.)
Yale ancora per dare più rilievo alle cose, che nella
8
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passione vogliamo imprtmere nelP animo del leltori. —
II Botta, nella Storia d'Italia, dopo avere narrate le in-
sidie e la rovina della più illustre tra le italiane repub-
bliche, quasi profetando si fa a dire: Cosi pet^ Vene-
)stà: Ora'quando si dirà Veneìsia, ^intenderà di Venesià
serva: e tempo verrà , e forse ìion è lontano , in cui quando
si dirà Venessia, s* intenderà dirottami, e.d' alghe mari-
ne, là dove sargevm una ciUà magnifica, maraviglia del
mondo. Tali sono le opere Bonapartiane. (Lib. 12^ infine.)
Con questa istessa fìgura anche il FUicaja chiude mera-
vigliosamente la sua bella Canzone per Y assedio di
Vienna:
Ma sento* o seDlir parmì ,
Sacro fiiror, che di sè m' empie : nlite «
Udite , 0 voi , che r arme
^ Per Bio dogete : al trHMinai di Cristo
Già deoisa i» prò foatro è la gran Hle.
Al glorioso acqaisto
Sa su prooU movete: in lieto carme
Tra voi canta ogni tromba «
E trionfo predice. Ite» abbattete»
Dissipate , stroggete
Quegli empj , e1* latro al tinto atool 0a tomba.
D*alti applausi rimbomba
La terra omai : cbc più tardate? aperta
li già la strada , e la vittoria è ceru.
Per condurre con buon effetto questa figura due
cose SODO necessarie: 4^ sapere scegliere circostanze
vere^) e tratteggiarie con verità ; non tentare mai
questa fìgura, se non quando la passione è vivamente
accesa non meno nel dicitore, che in quelli che lo ascoi*
taAO.
— 115 —
Caf. XI.
dlie MM «I dteve mm mmwm» ^ tetom* I*ìim
del liiiiriiiiM»t« figurato^ e se sia da
antepoml il linsuass^^ semplice e pro-
D. sempre bello e lodevole il linguaggio figurato?
/?. Se richiamerete a mente ciò che fu detto, iiJin-
guaggio figurato essere proprio delle eominozioni della
taitasia e di quelle delP affetto , troverete cbe egli sarà
sempre bello e lodevole , quando sia usato convenien-
temeote. La passione adunque avendo come suoi prò-
pij quel modi e quelle forme che abUamo accennate ,
esse saranno sempre un abbellimento non solo , ma un
necessario colorito per ben ritrarre le perturbazioni del-
l' animo. £ così si dica delle forme proprie deir imma-
gìnasione. Conviene però che queste forme , qualunque
siano, nascano naturalmente, perchè se sono introdotte
con arte scoperta non hanno alcun buon elTetto; anzi
raffreddano e guastano il discorso.
D. È egli vero ciò che ineegnanQ alcuni, U senqdice
linguaggio servire alia passione?
R. Se bene si esamina la natura della passione ,
pare cbe questo non sia : perocché le agitazioni del--
r animo non si manifestano mai nel modo stesso in cui
la ragione tranquilla espone i suoi pensieri. La ragione
ha sempre delle forme sue proprie , e in quella guisa
che agli atti ed alle sembianze del volto tu leggi nel-
r uomo V affetto da cui è dominato tanto , che le sem-
bianze d' un uomo tranquillo non sono mai consomi-
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— il6 —
glianti a quelle dell' aomo agitato da poterle confondere ,
coflii la passione si esprìme sempre nel suo proprio lin-
guaggio, talché debba dirsi eh' ella non può mostrarsi
nel discorso se non per mezzo di quelle forme e figure
che le sono proprìe. Che se una volta leggiamo com-
moventi luoghi negli scrittori, e senza che essi usino
figure ci commovono e ci traggono le lagrime dagli
occhi, non è però da dirsi che la semplicità del linguag-
gio serva egualmente a rappresentar^ la passione. E
deve osservarsi che i luoghi ps^etici espressi in istile
non figurato non sono altro che narrativi. Or bene ,
narrare V altrui passione si può senza essere in pas-
sione , e perciò a descrivere o iiarrare le altrui per-
turbazioni lo stile semplice della ragione è sufficiente.
* Osserviamo però che nei processo della narrazione , se
avviene che il narratore un poco s' infiammi , alisi sem-
plicltè dei modi usati da prima succedcmo facilmente
le forme e i colori della passione.
.D. Come si mostra, per esempio, cìie lo stile sem^
plice non può mai essere proprio deUa passione?
R. Egli è ben facile mostrare questa verità. Se noi
ci facciamo ad analizzare neoclassici queMuoghi che
piU ci commovono , noi troveremo sempre che ove la
passione è descrìtta , « non mostrala in atto , il lin-
guaggio tenuto dallo scrittore è sempre il semplice:
ove poi esca in iscena T uomo appassionato , allora ha
luogo naturalmente il linguaggio figurato. Compassio-
nevole è il tratto nel quale il Tasso oi descrive la morte
di Clorinda ;
un bel pallore ba il bianco volto asperso,
Come a gigli sarian miste viole:
E gli occhi al cielo affissa; e in lei converso.
Sembra per la pietale il cielo e '1 sole :
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— 117 —
£, la man nuda e fredda alzando verso
Il cavaliero, in vece di parole
Gli dà pegno di pace. In questa forma
Passa la bella donna, e par che dorma.
Quale maggiore semplicith di stile poteva egli il
poeta usare per ritrarre una scena tanto commovente?
Qui non vi è certo alcuna di quelle forme che costitui-
scono il linguaggio proprio della passione. E questo è
latto perchè il poeta narra in persona propria , non
mette in atto la passione. Ben altro modo egli tiene
quando introduce a parlar Tancredi :
Io vivo? So spiro ancora? e gli odiosi
Rai miro ancor di qaest' infausto die? '
DI tesUmon de* miei mitftittl ascosi.
Che rimprovera a me le colpe mie!
Aliil maa timida e lenta, or dbè non osi
Tu , che sai tutte del ferir le vie ,
Tu ministra di morie empia ed infame.
Di questa vita rea troncar lo stame ?
Dalle qunli cose pare chiaro, il linguaggio semplice
appartenere alla tranquilla ragione, la passione e la
immaginazione avere quelle forme particolari, delle
quali abbastanza si è parlato; le quali, ove siano na-
turalmente e spontaneamente introdotte, renderanno
sempre piU efficace lo stile.
' D. Cùmepuò dirsi che serve aW eleganza tmo delie
forme di fmrbire prodoUe dalla fantasia e dalla passione?
R. Perchò solo per mezzo di queste il linguaggio
assume quel carattere che è proprio e naturale all' uo-
mo, quando egli è trasportato dalla fantasia o dalla
passione a modo, che, noa usando queste forme, il di-
scorso non può avere queir efficacia che deve ; e man-
cando di questa, non può ottenere il diletto, che è il
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— 118 -
fine principale ohe dall' elegansa si ricerca. E però
queste forme bene usate sono un principio perenne di
quel diletto, che nasce neg}i animi dalF imitazione della
passione o delie diverse commozioni della mente, alle
quali esse danno servire. Si badi però che se non sono
usate con naturalezza, esse, anziché produrre diletto,
generano, come sì disse, fastidio e noia.
D. l>Dpo aver parbUa delle figure come principio
//' eleganza, di che altro ci reeta a dire?
R, Se bene ricordate ciò che fu detto al fine del
sesto Capitolo, troverete che ci resta a discorrere d' al-
tre cose, cioè dei concetti, e delie sentenze, le quali, me-
glio che ogni altra forma, possono dirsi proprie del lin-
guaggio della tranquilla ragione, che è il terzo modo di
favella dato dalla natura agli uomini. Di queste cose noi
brevemente verremo qui appresso ragionando.
He! C e m c etlà e 4«ile Sm^mw*
D. Che cosa sono i Concetti?
R, I concetti sono certe proposizioni, le quali, giua-
gendo nuove ed inaspettate e in brevi parole al lettore,
gli recano meraviglia e piacere. Di questi ve ne ha di
più specie: alcuni sono gravi, altri piacevoli ; piacevoli
sono quelli che recano colla novità e colla sorpresa aU
cun diletto ; gravi sono quelli che arrecano meraviglia,
e fanno concepire idee grandi e sabUmi. DegU uni e
degli altri diremo alcun poco.
Digitized
— 119 —
D. Che cosa è a dire dei Concetti piacevoli?
B. Il concetto piacevole nasce dall' unire insieme
alenile idee fra bro discrepanti, a modo però che la
cognìsione loro ben ri convenga alla cosa della quale
vogliamo parlare. Come, ad esempio, chi volesse formare
la figura di un soldato noto per la sua viltà, e che, fat*
ione il ritratto, gli pcMMSse gambe e piò di cervo , che
altro vorrebbe, signifiòare con dò se non che egli è piti
presto allo fuga che alla battaglia? Vedete adunque cht^
il piacevole di questo concetto istà neir unire due idee
che discordano tra loro, qnal ò la forma umana e la fe-
rina, le quali però, nella discordanza loro, amendae
convengono ad una terza idea , cioè a quella di un sol-
dato vile. Per molti modi si possono formare questi con-
cetti : prima neir imitazione degli atti , poi nell' imita-
zione dei costumi, quindi nelF equivoco. Neir imitazione
degli atti, come sarebbe qualora parlando di una per-
sona si accennasse e descrivesse alcun atto suo proprio
a modo, che per quella toàse dagli uditori vivamente
raffigurata. Imitazione dé( costumi poi è quando con traf-^
facendo, descrivendo i costumi di alcuno, se ne richiama
vivamente V idea. Per equivoco ìnGne, quando si usano
parole che possono servire a doppio senso, carne sarebbe
questo : Ciò che egli ha non è suo ; che può significare
tanto che non è suo perchè ne fa parte a tutti, quanto
perohò P ha rubato. Bfadi questi, che ridevoli, meglio
che piacevoli concetti hannori a dire, molti escono dalla
metafora, dall' iperbole e dai contrarj. Non è da noi
parlarne lungamente, e meglio ci giova parlare dei
gravi, de* quali P oratore o il poeta fanno piti frequente^
uso.
D. Dite adunque dei Concetti gram,
H. Concetti gravi si dicono quelle proposizioni, che
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— 120 —
richiamatido em brevi parole o un' ìramagioe inaspet-
tata e grandiosa, o l'idea di alcuna potenza che sor-
prende r immaginazione^ occupano ad un tratto la nostra
mente, e la riempiono di meraviglioao diletto. Lucano,
descrivendo il tragitto che Cesare fa sovra piccola bar-
chetta in mare fortunoso, e mostrando la paura dei
piloto, arresta V attenzione del lettore con questo con-
cetto, col quale Cesare stesso rincuora il pauroso noc-
chiero :
Quid Unmf CcBsanm vehis.
Nè men belio è V altro concetto pur di Lucano, col quale
innalza Catone vinto sopra Cesare vincitore, e sopra
gli Dei :
Yi9irw 9auM JOUtplaeutt, Hd vieta Caioni.
Anche i' Alfieri neir Ottavia magnificamente fa cono-
scere con un concetto la pace essere il sommo bene dei
regnanti :
Seruea. Sigsor del mondo , a te cbe manca ?
Nerone» • Pace.
Tutti questi concetti, come ognun vede, aggiungono
gravitèi al discorso e destano meraviglia. Esaminiamo il
priipo.
Lucano , dicendo — Non temere^ perchè trasporti Ce-
sare, — richiama al pensiero V ardimento e la fortuna
di queir imperterrito figlio della vittoria, e quasi ti viene
a dire : Non temere ; chè neppure gli elementi hanno po-
tenza sopra di ine; dal quale grandioso pensiero non
può non rimanere sopraffatta e compresa da meraviglia
la mente. Altri gravi concetti vi sono, ai quali meglio
conviene il nome di sublimi , perchè ci recano innanzi
idee grandi oltre T usato, e quasi fuori deli' umano in-
121
4»
telletlo. Tale ad esempio è qaello di Mosè nel Genesi,
quando ec^li doscrive Iddio in atto di creare, e dice:
FicU luXf et facta est lux; conciossiachò appena uscito
il comando, non solo senza frappor tempo si compie, ma
è pienamente compito néìV atto del comando istesso.
Perlochè la mente resta meravigliata, non meno della
potenza creatrice, che delia rapidità della creazione. £
pure meravigltoso quel luogo di Omero , in cui descrive
Giove che alF inchinar del capo fa tremar tutto l'Olimpo,
perchè con questo concetto ci dà idea deli' immensa po-
tenza del Re degli Dei :
i neri
Sopraccìgli inchinò. Su V immorlale
Capo del Sire le divine cliiome
Ondeggiaro, e tremonoe il vaslo Olimpo.
D. Che dee avvertirsi intorno ai Concetti?
II. Che questi vogliono essere usati a tempo e a
luogo per produrre buon elTetto, e non devono parere
guidati dall' arte nelle sorìtture, ma, naturalmente ve-
nuti. Devesi anche guardare ohe non appai4aeano troppo
studiati ed ingegnosi, e che bene si confacciano alla ma-
teria, alle persone, al carattere della scrittura. Molti
scrittori, credendo di aggiungere bellessa per mezzo
dei conoetti alle scritture loro; le hanno rese Tiziose e
fredde, e noi Italiani dall'abuso del concettare dobbiamo
ripetere le stranezze che dominarono l'eloquenza e la
poesia nel secolo XVIL
D. Che eosasi puà dire della Seniensa?
R. La sentenza è una verità morale universalmente
cognita , espressa in brevi parole, perchè sia facile com-
prenderla e tenerla a mente. Blla ò di mirabile orna-
mento alle scritture, dando aria di molta gravità, e
nobilitando T elocuzione ueli' atto stesso in cui consola
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la melile di qualche sano dettato, che ella facilmente
trae dalla sentenza. Ecco alcuni esempj di sentenze :
Priusquam recìpias consulto^ et ubi consulueris ma-
ture, opus est facto.
Regibus boni quam mali suspecUores sufU.
CwiJtmptofr (mmu$ ^ siperbia comune nobilitatis
malum.
Concordia panxB res crescunt; discordia maxima:
dtiabuntur. (Sallustio.)
La fede unqua non deve esser corrotta,
0 data a un solo o data insieme a mille. (Ariosto.)
in breve spàzio anco si placa
Femmina, cosa mobil per mUura. ( Tasso. )
Miser chi mal oprando si confida
Che ognoi* star debba il malefi:iio occulto. (Ariosto.)
Ma sebbene le sentenae giovino assai ad ogni ge-
nere 'di scritture, non si convengono a tutti egualmente.
Le opere morali , storiche , politiche, ne usano più spesso
e in modo diverso che non fanno gli oratori. Infatto la
sentenza oratoria apiega sempre maggior pompa che
non la isterica e la filosofica. Perchè il carattere dello
stile deve essere diverso in questo diverso genere di
scrittura. Anche i poeti variamente ne usano, secondo-
diè è vario il genere di poesia a cui si danno. U Tragi*
co,rEpico, il Urico, amano tutti piti o meno quest* or-
namento , ma per diverso modo se ne valgono, secon-
dochè porla il carattere della poesia. Ma delia conve-
niensa e de' caratteri dello, stile si dirà altrove. Ora ci
basti soltanto afibrraare che la sentensa è lume bellis*
Simo di ogni genere di scrittura , quando con parsimo*
- 118 —
nia sia adoperata , perchè facendone abuso stanca i let-
tori , e dà aria di pedanteria allo scritto.
Cat» TLWMM.
D. Qual è il quinto elemento dell* eleganza?
R, La varietà, per opera della quale ua solo con-
cetto può in diverse guise offerirsi alla mente, sema
aver d' uopo di ripeterlo nelle stesse parole. Egli è certo
che^ come è cagione di noia il ripetere sempre le stesse
cose neUe medesime forme, il variarle è cagìene d' in-
finita vaghezza. Ossiachè fra le umane proprietà vi sia
qucsla di stancarsi presto anche delle cose buone, al-
lorché sono senza varietà ripetute ^ ossiachè la natura
abbia voluto per questa guisa disporre 1' uomO| aocioe-
chè esercitando il proprio ingegno non solo tramasse
modo da cessare la noia, ma da moltiplicare il diletto,
latto sta che V eleganza dei dire in gran parte dipende
dalla varietà. Ma per potere far uso di questa ed es-
sere vario nel dire, conviene (come avverte il Pallavi-
cino) aver gran dovizia, cioè gran perizia, di tutte le
voci e di tutte le forme usate da' buoni autori, a line di
poter prontamente spenderle^ or una or altra, che
siano di pari valuta, cioè atte ali* espressione del me-
desimo oggetto.
D. Per quanti modi può ottenersi la Varietà?
R. Noi crediamo, che per sei modi principalmen-
te: in primo luogo, quando ci accada di dover nomi-
nare replicatamente una persona o un oggetto, e per
Oigitized
fuggir noia siamo costretti a variare le forme del dire,
allora giova ricorrere alle parole sinonime. Se avviene
di dover nominare, ad esempio, piti volte la parola t;ta^
si potrk dire alcuna volta strada, alcuna catte, altra
sentiero, altra cammino. Perocché tutte queste voci ti
rendono una immagine stessa. Così Virgilio:
Pertfe moda, eiqtmU dacit vii dirige gressom.
Corripuere viam interea qua semita monslrat,
È però da avvertire die non può Uberamente usarsi
una per F altra parola, ma conviene badare che nel-
r idea accessoria , la quale si congiunge in ogni parola
' ali' idea principale , e fa che V una parola sia veramente
diversa gosa dali* altra , non vi abbia tale differensa che
offenda: starà bene, che per non ripetere la voce ca-
vallOf tu usi la parola destriero, e forse anche palare
freno, ma non istà che tu usi roxxa o rmxmù, perdiè
queste due ultime voci darebbero un vilissimo carat-
tere al tuo cavallo, e lo farebbero assai diverso da
quello che gli ò infatto , o sìa destriero, o sia palO"
fìreno*
D. Qual è il seconde luogo ende sipiiò deriwxre va-
rietà alle scritture?
R. Egli è quello di condurre V uditore quasi per
diversa via alla conoscenza d*uno istesso oggetto , o
recare alla mente varie immagini che indirettamente
rappresentano lo stesso. Noi possiamo per diverse guise
rappresentare una cosa, senza aver d^uopo di accen-
' narla col vocabolo proprio; la qual cosa costituisce ciò
che i retori chiamano amplificazione. Può dunque un
oggetto mostrarsi enumerando le parti di cui è com-
posto, come fe' Orazio nelF Ode 4^ del libro 3<»,,il quale
L^ yi i^uu Ly Google
— 125 —
per nominar Gioye si vatoe di questa enomeratiofie di
parti:
$eimui f ui impiot
Tilanoi, immanemque iurbam
FuhnUu mÈiIulirit mdmo»
Qui terram inertem, qui mare temperai
VenioBum, et wrhei et regna trittia:
Diimquet mortaleigue turbai
Imperio regtt mu$ aquo,
Snppiam come Daccò I' ardir ribelle,
E fulminando delia lerra i figli
Precipitò r immane ed empio sluolo.
Il Dio, che al pigro suolo, al mar veoloso.
Ai regni bai dà legge ,
£, giusto ei solo, aomiai e Dei corregge.
(COLOMETTJ.)
Altra volta un oggetto si può nominare, o per
quelle circostanze che lo precedono, o per quelle che lo
accompagnano e lo seguono; le quali drcoslanze dai re-
tori sono chiamate aggiunte. Per questo modo il Poli-
ziano descrive la primavera:
Zefiro gi^ di bel fioreUi adorno
Avea da'moDti lolla ogni praioa;
Afea faUo al suo nido già ritorno
La stanca rondinella peregrina :
Aisonava la selva intomo intorno
Soavemente atr(U^ mattutina ,
K l'ingegnosa pecchia al primo albore
Giva predando or l' uno or 1' altro fiore.
• * (Stanze, C. 1, St. 23.)
Dalle cause ancora si può aver modo di presentare
un oggetto egualmente che dagli effetti, e così dalla
specie e dal genere. Colui adunque, il quale più volte
debba accennare un oggetto, potrà conseguire la dote
della varietà , ove lo mostri ora enumerandone le parti.
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— 126 —
ora accennandolo pe'siioi a^teoedenli, ora pei oonse*
guanti , or dalle cause che lo producono , ora dagli ef-
fetti che lo seguono, ora dal genere acni appartiene,
ora dalla speoie, e vìa Tìa»
Pe' suoi effetti Dante meravigliosamente nominò la
sera, dicendo:
Ers già r ora, che volge il desio
A' navigtiiti, • loteoerìaee il cuore
Lo dì , che fasn detto ai dolci amici addio;
E che lo nuovo peregrin d'amore
Punge* se ode squilla di lontano
Che paia il giorno pianger* che si muore.
Con quanti diversi modi Orazio disse sempre variamente
che l'uomo deve morire! Vedetene alcuni che ora mi
vengono a mano:
VìUb tumma trevk ^em no* velai ìnehoare Umgam,
Si domut Mttìtf PlNtonfo. —
Pallida mori asquo puUat pede
Pauperum tabernas,
Regumque turres. —
Omne9 eodem cogimur: omnium
Venatur urna, serius, ocius, '
Son exitura et not in CRlernum
EaiUum impotUun 6ym6<B. —
«fida, teilieei amnibw,
Quieumque terrm munen vetdmvr,
Smvlgandtt, Wne regei,
Siv€ inopet erimui eohni, —
JEqua telltis
Pauperi recluditur, regumque pueris, —
Nos ubi decidimus
Quo pius Eneas, quo Tullut divei, et Àncus ;
Pulvis, et umbra sumus.
Debemur morti nos no9traque,
MèrtaUa fuiOr peribmU, -~
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— 127 —
Da questi esempj saranno, se non erro, confermate
le cose che furono esposte più sopra , e però ci basti il
detto.
D. QualèU t&rs» mudo (f indurre varietà nel di'-
selo?
R. S'induce varietà nel discorso ogni qual volta,
invece di nominare una cosa, ne rechiamo la defìnizio-
ne, 0 Y aooenmanio per perifrasi. Cosi , ad esempio, in-
yece di nominare il Sde, Dante disse:
Lo mioistro maggior delia natura;
e altrove:
Il Pianeta
Che mena dritto altrai per ogni calle.
E Virgilio, per nominare Giove, disse:
Patir AoflitiiiMi olfiie De4tnm.
Orazio poi, invece di nominare la Fortuna, la definisce
così:
0 IMm» enlum qum reqk Ànimm,
Prmm» «el Ima télkn de eradu
Mwtale eofjM»» 9él utperboi
Vertere flmeritue triumphoi etc ^
(Ub. lo, Ode 350
«
0 d' Anzio alnia reina,
Diva, se vuoi, possente
Di levar qual più cadde in alto loco; ^
E la gloria divina
Del trionfo, repente
Scambiar con ie gramaglie io fiero giuoco ec.
( Cesari. )
D. Accennate gli altri tre modi^ onde si ottiene va-
rielà,
R. Il quarto modo è questo, di usare promiscua-
mente la significazione attiva e passiva dei verbi; cos\,
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ad esempio, potrai dire: — Virgilio ÌDsegnò Varie di col-
tivare i campi; — e potrai egualmente dire: — Da Vir-
gilio fu insegnata l'arte di coltivare i campi. — Il 5<>
modo è r uflo del negativo ìq luogo del positivo, desi ia*
vece di dire « questa cosa è bella, » potrai dire « non
vi è cosa altra più bella; » invece di dire <r qui è pace , »
potrai dire « qui non è guerra. » li ed ultimo modo
poi sta nell'uso del parlar metaforico, figurato. Abbiamo
detto di questo abbondantemente, sicché ora ci basti
ricordare, che l'uso della metafora e dei tropi serve
mirabilmente alla varieté; é^lMr-tnezzo di questa fiori-
scono di eleganza e di diletto le scritture.
D. Dopo avere esaminati i cinque fonti dell' eleganza,
resta egli altro a dire?
R. Resta a parlare di due cose importantissime,
per mezzo delle quali Fumano discorso meglio sMnsi-
nua nell'animo, e vi fa una forza maggiore. Queste
sono l'armonia e la collocazione delie parole. Non creda
alcuno, che qui si voglia parlare di quell'armonia,
della quale gib si disse al Capitolo quarto, di quella
cioè, che non altro si propone che la dilettazione degli
orecchi; nè che si voglia trattare di quella collocazione
di parole, che è subordinata alle leggi dei Grammatici.
Noi qui intendiamo parlare dell'armonìa, la quale
imita suoni, movimenti , affetti; edi quella collocazione
delle parole, per la quale il discorso acquista maggiore
potenza. L'una e l'altra daranno soggetto ai due se-
guenti Capìtoli.
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D. Che cosa intendete per Armonia imitativa?
R, Qoel 8H0D0 d<^ce ed aggradevole del dìiworso,
il quale modifica per sì fatto modo la nostra senstbllitk
(la porne vivamente innanzi le cose sii^iii ficaie. Egli ò
certo che con temprando variamente le consonanze, che
possono uscire dalla mesoolanza delle lèttere, noi ab-
biamo nella lingua nostra tanta varietà dì suoni, da
poter rendere ed imitare qualunque armonia. E perciò
* disponendo le parole secondo il «nona di quelle cose
che noi vogUafM'rQppreaentare, avremo nelle stesse
parole un'armonia somigliante d'assai a quella che
dalle stesse cose ne verrebbe. Nè solamente possiamo
noi imitare i suoni /le grida, ì rumori, ma benanche i
movimenti. .Quando noi osserviamo che una cosa o ò
lenta , 0 è rapida al muoversi , possiamo di leggieri ri-
trarne il movimento per mozzo delle parole, facendo
che elleno si succedano o tarde o preste o impedite, se-
condochè porta Y imitazione di ciò che ci proponiamo. E
che ciò sia vero si mostra facilmente per gli esempj,
de' quali abbiamo grande copia i^iUlassicij Non si creda
però di potere ad ognifiaaso o ad ogni* loogo usare del-
l' armonia imitativa , cbè rado ne è Y uso, e non ò buono
se non è spontaneo. Gli autori classici, credo io, hanno
imitato per mezzo, dell'' armonia senza por mente alle
leggi, nè air ahte, ma*coadietti solbaBto-dair immagina-
zione, o dal cuore. E cos\ dobbiamo fare noi; e mai
farebbe chi proponesse a sè stesso di voler imitare per
' questo modo in uu luoga, e in un ailro> e pHma d' es-
9
— ISO —
é
sere trasportato daU'. affetto o dalla fantasia formasse
il pensiero d* imitare quel suono, quel mofviniento, quel
grido. La sua imitazione riescirebbe affettata, fredda,
senza grazia. La natura d deve spingere di per sò stessa
all'arte, e V arte non deve che secondar la natura. Ma
vediamo negli esempj de* Glassici la imitazione prima
delle grida, poi de* suoni, indi dei rumori e dei movi-
mantL
ladlABlone di (rida Infernali.
Quivi sospiri , pianti ed alti guai
Risonavan per V aer senza stelle»
Perch'io al cominciar ne iagrimai.
niverse lingue, orribili favelle,
Parola di dolore, acoeoli d' ira ,
Voci alle e fioche, e suod di man eoa elle»
Fioevano «n innraUo , il qnal a* aggira
Sempre la qnoll' aria senza tempo tiala»
Come la ma quando li turbo spira.
(Dantb.)
£ il Tasso ci fa sentire il suono delia tromba infernale
in questa meravigliosa ottava :
Chiama gli abitator deir ombre eterne
Il rauco suon della tartarea tomba:
Treman le spaziose atre caverne ,
£ r aèr cieco a quel romor rimbomba:
Nè stridendo così dalle superne
Regioni del cielo il folgor piomba,
Nè sì scossa giammai trema la terra
Quando i vapori io aen gravida serra.
£ chi non sente il guaire di una cagaolina , e il rispon-
der dell' eco in questi bei versi dei Panni?
aita , aita ,
Parea dicesse, e dalle arcate volte
A lei r impietoaiu w risposo*
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Virgilio ci fa sentire un confuso di grida in quel verso:
LammUii^ gmituque, et fanUn9ù ulMu
Tecla fremimi.
Per questo, modo si possono imitare i suoni d' ogni ma-
niera « disponendo le consonarne delle parole a rìtrarlì.
Nè solo i suoni, come fu detto, ma i rumori e le grida,
come negli esempj che verremo accennando.
L' impeto e il furore del vento si sente dentro que-
sti mirabili versi di Dante:
Non altrimenii fatto che d' un vento
Impetuoso per gli avversi ardori ,
Che fier la selva, e senza alcun ratlenlo
Li rami schianta, abbatte , e porta fuori;
.Dinanzi polveroso va superbo,
E fa fuggir le fiere e li paalarL
Virgilio ci fa sentire la prestezza del volar di Mercurio
in questo verso:
Yùée «06, «ole, veea Zq^kiroit éi leUre pemiii;
e il trottar di un cavallo in quest* altro:
Ovairupedanle pulrem eetUlu putii migiilà MMipiim*
Dante ci fa sentire V afiboiio d' uno, che scampato dal
mare, viene alla riva:
£ come quei, che con Iena affannata
Uscito fuor del pelago alla riva,
Si Tolge ali' acqua perigliosa , e guata»
li cadere di un corpo morto viene espresso a meravH
glia in quel di Dante:
fi ouldi, come eorpo mono cade.
e lo stramazzare di un bue in quel di Virgilio^
FroemiAU Ihmi èst. .
£ giacché questi due esempj a ciò mi richiamano,
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*
tuo' mostrjavì cornisti due poeti epa un'art» stessa ^
senza ricopiarsi 1' un V altro, luuino ollenuto il medesi-
mo eilétto. Dante tentudo basse armonie, e unendo in-
sieme cinque bisillabi, per cui V una parola non si con-
catena coir altra , ti fa sentire cotne un Icorpo cade, per^
che a poco a poco gli manca forza al ginocchio e alla
persona, onde cade in un abbandono di morie. Virgilio
vi fa sentire il suono della caduta del bue con quel iho-
uosillabo spiccato, e lanciato in fine. 'Gosìoefiè V un
poeta, imitando la caduta d'un corpo, T ha significata
per lo scioglimento totale delie forze; L'altro per lo
suono della caduta. Ma sediamo 'agli osempj.
Virgilio ti vuol destarè V impressione' di quel tardo
e falicoso moto che fanno i fabbri ferraj nel battere la
mazza, e T ottiene uneodo sillabe iungbe, e dipronun-
sìa alquanto aspra :
UH inier u u mà^na vi hnehia toUuni/ * • «
Dante colla medesima arte vi rende sotto gli occhi Cer-
bero che malmena gli spiriti:
Graffia gli spìrd, gli scuoia» ed i&qualra.
D. Come s' imitano gli.affeUi coW Armonia? :
R. Coir arte stessa, con^^ui sMmitano i suoni e i
movimenti. Egli ò certo che ogniafTetto umano, come ci
rende o tardi o. risentiti, o presti ^o, impetuosi , così si
esprime per meuo di siiopi^vooali» i^ijiaji p<^rt^aoin st^
quelle stesse qualità; cosicché, esaminata la natura le-
iiW alTeiti, osservata la maniera con cui essa si manifc- •
sta, noi avremo la nórma sicura per imitarli. Ponete
mente alle esclamasioni^ e trovereté che la subita
rayiglia vi mette improwisament* vn bocca un eh,
qualche^ volta un ahj un iini^rowiso dolgre yìj^a.fofn-
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- 133 —
pere ia un ahi, uoo stato di sofferenza ia un eh, una
subita paura va m 11/4; # di; qua traeU oh^ le parole
composte con vooaH, sioiìli a quella che è neir esclama-
zione, rendono 1' armonia dimanda'te dell* affetto, che
vogliamo imitare. E però V allegrezza e gli alti affelii si
rappresenteranuo i^eglio co' suoui larghi e pieni dell' a,
e deiro. Gli umili affiditi, la tristezza, la malincom'a,
coi più miti suoni dell' e, e dell' i. Le perturbazioni forli
e..paui*o^ dell'animo, coi &U0Q9 chiuso c eupo dell' u»
E non crediate ohe tutte quelite i^gole aiauo iaveuzione
o capriccio dei r«rtori , perocfchè elleiio sono nella natura
dell'uomo, ed ogni linguaggio umano ne è piti 0 meno
improntato, come potete coiMScere esaminando .i voca-
boli stessi. Sebbenè però quest' arte siaderìrante dalla
natura, pure bisogna usarne con grande parsimonia, e
solo quando la forza dell'affetto ci trasporta natural-
mente ad imitarlo. Ora veniamo agli esempj.
La piacevolezza di un luogo, il qttatedh di sua vi-
sta diletto, è espìrèssa a meraviglia in qùeàti versi di
Virgilio: . .
Devenere lócm léUkt ^ amena vireta '
Fortunatorum nem§ru9n, MUqw keatag,
Latifior hi» fnmptm tUur ti laminé ve^H
Purpureo; iolèmfM ménr; «ita Mtfo mrimt
Così regna una dolce quiete ne* seguenti delF Ariosto ,
nei quali descrive un luogo ameno: ^
NoD vide nè 'I più bel nè 1 più giocondo
Da luua l'aria ove le penne stese;
Nè, se tulio cerciito avesse il moado,
Vedria di ^esto il più geatil paese; .
• Ove, dopo an girarsi di gran tondo.
Con Rugger seco il grande augol discese.
Colte pianure e delicati colli ,
Chiare acquei; ombrose Hpe e pralt mòlli.
V
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484 -
. Vaghi bosctiett! di soavi allori ,
Di palme e amenissime mortelle ,
Cedri ed aranci eh' »vfM frulli e fiori
CdBtetU il varie forme e tolte htUet
Facean riparo ai fervidi calori
. De' giorni «siivi com ior spesse ombrelle;
E tra quel rami con sicuri voli
OanUiMlo se ife giano i rosignaoU.
(Canio Vi ,otUve9D eil.)
Che se ci avvenga di volere imitare un dolce senti-
mento di malinconia, lo potremo per mezzo dell'armo-
nia temperata con auono delicato, e direi quasi flebile.
Dante col solo risuonare delle parole dirette da France-
sca a lui mette una dolce tristezza neir animo:
Ma se a conoscer In prima radice
Del nostro amor tu bai cotanto afifello»
Farò come colui che piange e dice.
Piena pure di dolce malinconia è la seguente ottava del
Tasso:
Nou si desiò finché garrir gli augelli
Non sentì lieti , e salatar gli albori ,
E mormorare il fiume e gli arboscelli, *
0
E con Tonda scherzar 1' aura e co' fiori.
Apre i languidi lumi, e guarda quelli
Alberghi solilarj de* pastori ;
E parie voce udir tra T acqua e i rami,
Ch^ai sospiri ed al pianto la ricbiami.
Virgilio ci fa sentire il i^anto interrotto dai singhioizi
in questi versi:
At non Evandrum polis est vis ulla tenere,
Sed venit in medios; feretro Pallant» repotlo ,
Procumhil super atque hceret lacrimansque gemensque.
Et via vix tandem voci laxala dolore est.
L' allegrezza ancora ha un suono suo particolare,
come ne' seguenti versi:
lialiam, Ilaliam, prìmus conclamat Àcatet;
• Ilaliam UbIq tocii clamore salutant;
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. .À
— m —
■
e IO questi del Tasso:
Ila, quando il sol gli aridi campi fiede
Con raggi assai ferventi, e in alto sorge,
Ecco apparir Gerusalem si vede,
Ecco additar Gerusalem si scorge ;
Ecco da mille voci unitamente
Gerusalemme salutar si sente*
Lo sdegno si manifesta e s' imita per mezzo delle
armonie in questi versi:
UfM Uttrikm eaiUmtia, fhteUtm tmést*
Tmpreeùf, mia onntt, pugnent iptique nepotei»
E in quelli di Dante: *
Ma se le mie parole esser den seme,
Che fratti infamia al traditor eh* i* rodo»
Parlare e iagrimar vedrai Insfteme.
Gosk r Ariosto in quella magnifica similitudine deE'orsa
fa sentire nella diversità delle armonie i due eontraij
aflTettiy da cui la fiera è «gìtata:
Come orsa che V alpestre cacciatore
Nella pietrosa lana assaliu abbia ,
Sia sopra i SgH eoa iaoerio oore,
E IrenìfB IneiMNio di pietà e di rabbia:
Ira la invita e oatoral furore
A spiegar V ugno e a Insanguinar le labbia ;
Amor la intenerisce, e la ritira
A ^nardare ai figli lo meno l' Ira. (C. XIX.)
Confrontate la delicatezza de' suoni del 3», del 7o, e del-
l' 8° verso, e la forza, e T asprezza degli altri; e trove-
rete espressi al vivo V amore e la rabbia.
La paura fu espressa a meraviglia in questi yetsi:
Et ca/iyaniem nigra formiditèé lueum,
PuUenUi ttmhm BreH, noeimqwB profimélam ;
e in quelli di Dante:
lu venni in loco d'ogni luce mulo,
Clie mugghia , come fa mar per lompesUt
Se da cootrarj veoti è combauuio;
e in quegli altri:
Buio (T inferno , e di i|oUe pviiatii
D' ogni' pianeti solto i>over cielo •
Con un facile alternare di armonie esprimono
ancora gli affeUi ▼Iraci, e quella Tsloeitli di •pensieri,
che procede dal cuore. £ccoae un esempio in Virgilio :
Juptnvm matm emicat oréeiu
lUw in €9perìumi
e in quel di Dante:
Dunque che è? perchè, perchè ristai?
Perditi lama viltà nei cuore alleile?
Perchè anlire, e franchezza non hai ?
Ma basti il detto fin (jui per farvi avvisati che Io studio
delle armonie non deve essere trascurato da uno scrit-
tore che voglia tocpare la perfezione oell' arte. Vedete
dagli esempi' che Meravigliosi elisttf naeoono in. virtU
delle armonie imitative. Non per questo, come ho detto
innanzi, dovete voi occuparvi scoperlameule di questo
artifizio, perchè ove tali vagfiezze non entrino sponta-
nee nelle scritture , sono senza lode. Vuo^ ancora cho
osserviate, che piìi ai poeti clie ai prosatori giovano sì
latte coso, e perciò vedete che gh esempj sono tutti tolti
dai poeti. Non è per questo che il prosatore non debba
regolare le armonie a seconda degli afTetii, ma a lu!
giova meglio ricorrere ad altro artiQzio, che è ([uello
della oollocanione delle parole, per la quale acquista
- 437 —
più forza l'affetto, più vivezza la descrizione. Di que-
sta diremo nel seguenie Gapilolo.
CAP.
e la ileMrlBi4nBe«
Della eoUoeMiloM delie parole Hepetto alla
éeeevl8loBe«
1). Comesi può dire che la collocazione delle parole
giovi a rendere più efficaùe ia descrizione?
R. Quando fioi sappiatnò olie lè parole sono segni
dello idee, e ohe cpieste idee, assodate che siano nella
mente, ritornano innanzi alla medesima nello stesso or-
dine in cui vennero all' anima recate dalle esterne im-
{Nnessiotii, non è difficile a conoscere che l'umano di-
scorso deve avere efScacia tanto maggiore , quanto pid '
neir ordine suo mantiene quell' ordine stesso, conche
le idee entrarono nell' anima; peroccbò allora ò cerio
che la commozione del enore o della fantasia si otterrà
■ •
colla stessa efficacia, con che si ottenne flalle esterne
impressioni. E però egli ò certo, che se si potessero sem-
pre ordinar le parole seguitando le idee, ì' umano lin-
guaggio avrebbe tanto piti di potenza e di forza. Ma stc^
come le idee non denno obbedirè che alle impressioni
da cui sono mosse, e il linguaggio è costretto a h^sgi
ben diverse, e meno libere, essendo egli obbligato ad
oiy -.^uu Ly Google
UQ ordine di ragioDe) e a forme determioate, ne con*
segue cbe non può andare sempre d! pari passo colle
idee. Certo che quanto più a quell'ordine si avvicina,
tanto è più potente sulla fantasia e sul cuore. Che se
cercando dt seguir V ordine delle idee noi perdessimo
pregio di chiarezza , o mostrassimo scoperto V artifizio,
cadremmo in due falli gravissimi, e non avremmo al-
cun prò dai l>uoo collocamento delle parole. Innanzi a
tutto adunque, nel collocar le parole^ o le proposiziom
(le quali ognun sa che alle volte si possono anteporre
e posporre l' una ali* altra in più modi), dobbiamo cer-
care che non resti offesa la chiarezza , la quale è la
prima e più necessaria dote d' ogni scrittura. Anche si
conviene badare che l'arte non tolga al discorso quella
naturale fluidezza , senza la quale il discorso diviene
aspra, e sono toUe quelle grate armonie che aprono la
porta del cuore alle parole. Ma quando, salve la chia*
rezza e la naturalezza, potremo colla permutazione delle
parole secondare V ordine delle idee, noi otterremo che
pib pronta e più viva sia la passione, e più visibile la
descrizione.
D. Dareste voi un esempio che mostri quanto nella
descrizione può V ordine delle idee?
R. Eccolo^ tolto da Daniello Berteli. Descrìve egli
alcuni Etiopi , quali in leggier battelletto si lasdano
portar giù dalla corrente del Nilo. Uditene le parole:
Mettonsi un paio di loro chini e quaUi entro un
leggier battMetto:, Vuno. governa, V altro aggotta, e
netta parie superkre del Nilo messiii sul fUo deW ao*
qua le si danno a portar già a seconda: e portali pri-
ma dolcemente, come andassero per diporto, poi sem-
pre pià affìrettato , indi precipitoso per lo velodssiniù
tirar che fa ìa corrente, dove il fiume compresso fra
Oigitized by
— 139 -
gli stretti canali detta montagna tè mSle ìorcimmH riaih
volge per attorno a balzi e scogli che tutto il rompono, e
tal si fa un affrettarsi e correre, che V occhio al seguitarlo
aMfogìia. Cosi giunH alla terHbU face, mnde Umodàil
salto e mina nel piamo a piiè della rupe, anche essi col
capo in giù, seco dirupami. Chi li vede precipitar gii^ a
piombo cMa barchetta in piedi, perchè la proda è verso
terra, e la poppa diretta incido, e doto un orrtftib tiro-
mazzone in stdV acqua disotto entrar nella voragine, che
ivi apre il fiume colF impeto del cadere, gli ha per ingoiati
e immersi: quando in volger gli occhi li si veggon lonr
toni una hmga tratta colà fin dove U NUo a guisa di from*
boia gli scagliò,
(Geografia irasporiaia al morale.)
Osservate come Ineemincia : Mettensi m pah di
loro. Ed eccovi prima le persone, e il modo dello sta-
re, e il luogo ove stanno. Resta a sapere che facciano,
ed ecco che io prima vi si mostra V un d' essi in atto
di reggere il battelletto, l'altro la atto di gìttare via
con mano V acqua che entra nel medesimo. Ma dove
si fa questo, nella parte superiore del Nilo ; come? met-
tendosi sul filo deir acqua ; perchè? per lasciarsi portar
gid a seconda. Indi vedete il loro andare prima dolce,
poi affrettato, poi precipitoso; e se ne chiedete ragio-
ne, vedete che ciò è perchè il fiume è compresso fra
stretti canali, fr^ balzi si rompe; onde ne viene un
affrettarsi, un correre, che vince la vista. Ma che n' è
del battelletto nel gran salto che fanno? Essi col capo
ingiù seco dirupami: pittura vivissima» poiché quel-
l'essi ti richiama a mente le persone, delle quali per
lo pericolo in che sono hai maggiore sollecitudine, poi
te le mostra in atto di rovinare, sicché le vedi col capo .
in giù. Quel seco ti tien fìssa l'ìdoa del battcllelto in
òhe sono ; col verbo dirupami posto là in fine termina
a ÀeraHrrgtià il dipìnto. Il battelletto vieti giti é piombo
irt pìedfi, nel cadere là pròra s' abbassa, s' àlza la pop-
pa, sicché tu vedi la prora a terra, la poppa in cielo ;
e chi dicesse pirima Ih poppa in cielo, la prora in terra,
toglierebbe qùel vero che ha ìé descriiBione, séndo che
r alzarsi della poppa è conseguente dell' abbassarsi della
prora; e questa nelT ordine delle idee è prima della
seeondà.'! batcànuòli scendono ctfn esfsò il Isàttellètto
nella voragine , tehe ivi sotto apì-e fl 'flum'è; e chi lì Vede,
li pertsa izih ingoiati e perduti. Volgi gli occhi, e vedili
lontani lunga tratta per l'impeto dell'acqua, che così
lungi gli Incagliò a<gufsa di frombola. Il suono rapido,
rotto, impetuoso, della parola scagliò, e l'idea stessa
riservata a questo luogo, pare che osprimanó e la forza
e la prestezza e la lontananza ad un tempo. Ma questa
cosi viva descrìtìone ^érde gran parte di bdlèzàsa e di
forza , solo che voi permutiate V ordine delle parole. Se
voi dite , ad esempio : Quando colà dove gli scagliò il
Nilo a guisa di frombola li si veggono lontani ima lunga
traUa in volgere gli otchi, avrete soeinata tutta V evi-
denza e la forza a questo luogo, che pure è veramente
pittoresco.
Nò meno mirabile per V arte istessa del collocar le
parole è il luogo di Tito Livio, nel quale descrive i Rò*
mani alle forche di Claudio. Tornano i consoli negli ac-
campamenti dopo avere giurati vergognosi patti. L' ar-
rivo loro nel campo rinnova il lutto e la rabbia dei
soldati. Aia aHas intueri, contemplavi arma mox ira-
denda, et inermes futuras dextras. ohnoxiaque cor-
pora hosti. Proponere sihimet ipsi ante oculus jugum
hostHe, et lud^ria victoris, et vuttus superbos , et per
« I - -
armalos inermxum iter: inde fcadi agminìs miserabi-
lem^ vian^ p&t' sqaiiiivum urbeSj, v>e(Hiiyan, m pq,lriam od,
parenks , quo, S(Bp» mqjiur^qua eorjm ù-^K/anghapr^
t& venissenL Se iolos sine vub(^e9 sifi^ fffTQ, sine a^U
victos : sibi stringere non licuìsse gladios , non mamm
cìn^ hoste conferì e: sibi n^quicqmm arma, neqmfiqua>ì}
vire9^ nfi^it^lgji^ fi^^^ ^.Cìhi.si.f9ccia ad osser-
vare r arte, con che soiM> qui collocata le parole, sarà
chiaro e maniieslo che elleno seguono in lutto l'anda-
mento delle idee, e di là vi^e.^queUa forza che iauuo
suir animo^ Al priino vedere ìvcoo^li que' soidatii gli uni
f^uardano gli altri In faccia, moto spontaneo dell'ira e
della disperazione; e a mostrare che il medesimo atto
era ciguaia, e ad ua tempo, in tutti, lo storicQray.vicii;]^,
le pafple aUis cJi^, e lascia in fiqe razione del gvar-
dare: ma perchè quest' azione si continua in altro mo*
dp, e gli occhi passano ù, guardare le ,arn;ài, come è
naturala all' intueri segue, il p^y^i^a^^^
por mente) alla. vjerità delle due. asioiii inkf^ e,'OmemT.
* A questo loogo, perchè ti votgariszaminto ci perdesse il
meno possibile dai lato delta collocazione dèlie parole, ho siudinto
10 stesso di condurio collo slesso oidìue dei lesto per quaulo la
liu|sua nostra me l'ha consenlito. , *
« Gli uni agli altri guardare, contemplare le armi che fra breve
si dovrian cedere, e le destre fulure iiienni, e le persone a di-
screzione del nemico. Proporre a sè slessi innanzi a{>li ocelli il
giogo osiile, e gli seherni del vincitore, e le faccie superbe, e |)er
mezzo dì armali il caniniino d'inermi, lodi deUa miserabile schiera
11 vergognoso viag^Mo per le ciiià degli alleali, il riioruo in pauia
ai parenti , dove sovente essi e i lor maggiori trionfando usavano
venire. Essi soli senza forila, senza ferro, senza batlaglia esser
vinti: essi non aver potuto stringere ìe spade, non le mani col ne-
mica mesMae; mi soli imlMiia èhm i ìwkano leiie» iiid«riko co*
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— UJ —
pian. Il guardarsi in faccia è atto spontaaeo e breve ,
e però ben espresso col verbo ùUueri; quello di affis-
sar le anni è più forte e più durevole, e però benissi-
mo ritratto nel contemplari, che appunto vale affissar
gli occhi e il pensiero. Ma neir affissarsi alle armi ve-
niva innanzi ai miseri, che presto le dovrebbono cedere;
quindi opporiunamente segue quel max tradenda; da
quest'idea ne deriva T altra, che inermi resteranno le
destre loro , e quindi i corpi a discrezion del nimico,
ed eccoti, senza torcer parola dal corso delle idee, ef
■
1
essersi veduti in balla de' nemici , viene innanzi a quei
soldati l'immagine del giogo ostile; dall'idea del giogo
esce quella d^li schemi del vincitore e dei volti super-
bi; e quindi V altra degli armati, in mezzo ai quali essi
inermi denno passare. Usciti che siano disotto il giogo,
essi torneranno disarmati e disonorati alla patria; que-
sto pensiero si affisccia loro per primo, il disonore, tanto
più grave quantochè dovranno passare per la città de-
gli ailealT, tornare alla patria, ai parenti. Bella è l'idea
di confronto che viene a tormentarli, pensando al mi-
serabile ritorno in patria, quo scepe ipsi, majoresque ee-
rum triumphantes venissent. Osservate poi nella colloca-
zione il periodo che siegue. I soldati concentrano i loro
pensieri in sò stessi, si trovano vinti, ma in modo bea
diverso dagli altri. Laonde la prima idea è nel se ; la
seconda, quella che li mostra singolari dagli altri, so^
los; quindi l'essere vinti senza ferite, senza avere
sguainato le spade , senza essersi ordinati a battoglia :
voi qui aveto una gradazione di pensiero naturalissima,
l' idea del sangue , del ferro, delle schiere : e pure senza
questo cose esser essi vinti : sme vulnero, iine ferro ,
«the ocit victot; e se voi voleste traeportore quel vietos
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— 448 —
appresso solos, turbereste il corso delie idee, e togliere-
ste eflSeacìa alle parole; poiché prima sono le idee nega-
tive, e poi quelle affiMrmatìve. Non si è sparso sangue,
non si è nudata spada, non si è accampata schiera, e
nulla meno siamo vinti ; dall' idea dell' esser vinti per
questo modo ne viene il dolore di non aver potuto com-
battere y di avere invano le armi, le forse, il coraggio.
D. Che si deve apprender dall'analisi di questi
luoghi ?
B. Che r ordine delle parole nel discorso non deve
esser abbandonato senza regola da chi*vaole conseguire
prontamente quel fìne , che egli si propone parlando.
Condossiacbè tanto ò'pid potente il linguaggio, quanto
pìU precisamente esprime te idee, e quanto più le espri-
me con queir ordine stesso, col quale si presentano alla
mente. Egli è però necessario osservare che quest' arte
deve rimanere naseosta^ e parere natura. Chè certa- *
mente male avviserebbe colui, il quale forcasse la sin-
tassi , ed aspreggiasse il costrutto per disporre le pa-
role a seconda delle idee. La naturalezza è dote pri nei-
palissima del discorso, e il trascurarla per andare dietro
ad altre vag^esze sarebbe errore imperdonabile.
Della «ollocMloBe Mie parole rispetto agli «flètti.
D. La eottoeoMbme delk parole gimx$ eBa sokanio la
R. No; ella giova pur anco l'affetto; perocché più
facilmente le umane passioni si svegliano con parole ,.
allorché esse assalgono il cuore oon qudr ordine stesso
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d'idee^ che è da natura; Sef. voi togliete P ordine alle
s^uenli parole di Livio , voi avete loro tolta tutla
quf^impronta d' alf^tto che hanno. Virgiaio viiplejsat^
tran» ia figlia, dialle. mani di Appiioj; non ^ resta viai
a soarnparla; la, disperasìoiie gli inelte nelle mani tin.
ferro; egli lo dà in petto alla figlia, dicendo: //oc te
ohe parole, ^ ma poieati- a m^nare'te djfpamxioae, il
tumulto degli affetti, l'amor di patria e di libertà. Te-
li^ dietro al filo delle idee: la prima a rappresentarsi
ò.^pi#Ua.dcd. disperato oo«]^io preso da Yiiipuaio; laM-
cood^, quella della persona, oontro. eui. slaTa par
brare il colpo; la terza ò (luella p'cr cui vi mostra che
non vi è altra vìa allo scampo, hoc fó2i»o;<^ndi sG|gjtfi&
r jdea deirunioo potere che raete al; misero padrof, qm
possum : la parola m^io, poAa coslloatana dal suo relar?
live, quasi violentando il costrutto, mostralo stato vio-
lento del cuor.' patino: quel fiiia ivi, coUoeato acceana
al.dis||era^,araore;.fn^i6#*to(eiiiit'«wM^ fe -quasi vedere
il trionfo ch^eiimena suir iefaiBia di Appio. Riordinate
diversamente queste parole; dite, ad esempio: Filia. te
in liberUUeiA',ìki(3fì}mo modo, quo possum^ sn»ditìo^ ^ ve-
drete scomparire ogni efficacia dal discorso, ed ogni se-
gno di agitassione. E basCt" «nrere recalo questi pochi
esempj tolti ai prosatori, anzicliè ai poeti, perchè cono-
. sciate quanto alla pposa possa giovare un tale artifizio,
qualora non si contravvenga air indole. della lingua, e
alla naturalezza del costrutto. Esempj ne' poeti potrete
facilmente ritrovare du/voi, specialmante esamiaando
que' luoghi nei quali essi descrivono, o movoM g^ af-
fetti. Ogni descrizione di Virgilio e di Dante, ogni luogo
patetico, può dirsi da que' grandi maestri con somi-
gUaii^ àfiiH^io e^seriS:COQd(it(U)y.c.jrtoato.upacfezÌQae. .
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. 145 —
D. Serve egli solo aila fantasia e agli affetti lo eiu-
dio di ben collocar le parole ?
M. Se beae vi ricorda ciò che deUo è pik sopra,
ire «vere le «peeìe deir umano lingaaggìo, ima delle
craali servire alla feniasia, T altra all'affetto, la terza
air intelletto, ovvero alla tranquilla ragione, vi sarà
chiaro che alle due prime specie priacipalmeute. giova
porre studio nella collocazione deUe parole, per mezzo
della quale 1* arte, seguitando il naturale andamente
delle idee , acquista potenza di risvegliare la fantasia coi
colori della favella, non meno che faccia la natura istessa
cogli oggetti che ci presenta agli occhi. £ con questo ot-
tien pure di concitar la passione, imitandone, direi
quasi, gli atteggiamenti, così che talvolta il cuore si
trovi più sopraffatto dalla forza della passione imitata,
che della vera. Anche si oUiene con questo di rendere
armonioso il discorso, e piacente; la qual cosa quanto
giovi, secondo che detto è, voi sapete. Ma la terza spe-
cie di linguaggio, che serve alla quieta ragione, non
domanda altro studio nella collocazione delie parole fuor
quello di un' ordinata sintassi , per cui esca chiaro e
limpido il senso : perocché essendo fine di questa spe-
cie la ricerca e lo scoprimento del vero, lo spinto umano
per una via piana ed agevole ci vuol pervenire : laonde
sembra poter dirsi questa specie di linguaggio non al-
tro richiedere, se non che ordine e chiarezza.
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— 146 —
Aaticom UI.
Se f^iowlno egfnalmenle ad o^nl serlttara le «ose
deite fln qui intorno la collocasiono delle pmwa^
lei e del fini che pwtù V «emo prop<»rel yaglwdei
D. Non giova egli egualmente ad ogni specie di lin-
guaggio tuttociò che abbiamo insegnato intorno V uso delle
parole, la scelta e la collocazione delle medesime, i tropi,
le figure y P armonia e ffU altri ornamenti del discorso?
R. No certamente: perocché ogni specie ama quello
che le è proprio e confacente per natura, e tutt' altro
jigetta. Avete veduto che il linguaggio figurato, il quale
è proprio della passione, diversifica non poco da quello
che è proprio della fantasia ; e dovete ricordare che il
linguaggio deir iuleiletto la luogo ogni altro ornaoieato
cerca meglio il concetto e la sentenza : ogni linguaj^o
adunque è ristretto in determinati confini, segnati al
medesimo dalla natura, e proporzionati al fine che in-
duce r uotuo a parlare, secondo il qual fine il discorso
prende un carattere proprio e speciale^ e però a norma
di questo si donno temperare quegli elementi che costi»
tuiscono la bonth del discorso.
D. Quanti sono i fini che t uomo può avere parlando
0 scrivendo?
R, Tre fini può avere chiunque parla o scrive, con-
ciossiachè può intendere, o a convincere, o a persua-
dere, 0 a dilettare. E perchè il convincimento è opera
deir intelletto, il discorso che intende a questo fine do-
vrà essere facile, chiaro ed ordinato, quale è richiesto
dalla ragione rivolta alla ricerca del vero. Questo ò ap-
punto il parlare dei filosofi. La persuasione, la quale ha
radice nel convincimento, procede più innanzi ^ ooncios-
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— i47 -
siachè ella si proponga tirare le umane volonlh a quella
parte che meglio le giova per mezzo degli affetti: e però
il discorso della persuasione ne seconderà la natura de-
gli affetti per meglio ritrarli, e per giungere a destarli
potentemente. Tale è il parlare degli oratori. Chi tende
in fine al solo diletto, deve piacevolmente modificare la
fantasia, e recarle innanzi immagini vive e vere, o si-
mili al vero, per modo che ella illudendosi creda vero
il verisimile, e lo vagheggi, e se ne compiaccia non al-
trimenti che farebbe del vero. E tale è appunto il par-
lare dei poeti. Laonde se il convincimento è il fine che
il filosofo a sè propone , la persuasione è il fine che a
sè propone l'oratore, il diletto è il fine a cui mostra di
mirare il poeta, ne consegue che di «^ua nascano tre
generi diversi e distinti di scrittura e di discorso, i quali
debbono avere un carattere tutto proprio e particolare.
E questi generi saranno tre: \° filosofico, persuasivo.
3° poetico. Questi avranno tre distinti caratteri, i quali
noi chiameremo — carattere dello scrivere filosofico , ca-
rattere dello scrivere persuasivo, carattere dello scri-
vere poetico. E di questi verremo qui sotto trattando.
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— 148 —
CAP.
JPel earatlera dello acrivrae fltosofleo, del
peMUMlTO • dei peetteo» eH^e di-
▼ene eiieele in éiie elMenM «i «ipwto»
Del eavattore dello eeriveve pemaslvet
e (ielle. epeeie édk medeeliM*
D. Come definireste il carattere éUlo scrivere filo-
sofico?
R. Dirò essere quello, in cui la ragione mira diret-
taioente allo seoprimeiito del vero, e dominando sola
intrachiude ogni via agli affetti ed alla fantasia. Ho detto
mira direttamente alio scoprimento del vero, percliè of-
ficio del fìiosofo ò convincere di qualche verità T intel-
letto, e Ma convinsione si genera nel disoorao quando
dai principj generali per una serie di proposizioni de-
dotte l'una dall'altra si viene ai particolari. Ilo detto
che vuole dominarla senza V intervento della fantasia e
degli affetti, perchè nelP opera della deduzione la sola
ragione ha luogo; e gli affetti e le immagini della fan-
tasia non farebbero che turbarla. Per ottenere poi la
convinzione, il filosofo ha mestieri di usare precisione
neWocaboli, chiarezza ed ordine; ed ecco appunto che
le qualilcì delle quali debbe improntarsi il carattere del
parlar filosofico sono queste tre, e non altre. E siccome
la metafora e le figure per mezzo del nome d' altra co-
sa, c per mezzo d* altra immagine, recano innanzi il
aoQie e l' immagine delia cosa della quale si parla \ e
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— 149 —
basta a condurre facilmente l'animo in dubbiezza o in
errore, se la fantasia o la passione entrano Ih dove debbe
star sola la ragione ; co^ dalle soritlore del filosofo si
haimo a bandire, é con esse si devono cessare qoe'vezzì
e quegli ornamenti che sono proprj del carattere dello
scrivere persuasivo o dei poetico ; ai quali meglio che il
vero, 'a oni si ailieiie il filosofo, piace il verosimile*
D. Si deve apK m 9gmscriUum di. tarature /Uom*
/ko mantenere la stessa severità?
/i. 11 carattere d'una scrittura è T impronta dei
generò a oni elia apparliene* Ma siooome ogni genere
contiene in sè' piti specie, le qiiali dallo streilo discorso
della convinzione vengono a poco a poco a collegarsi
coi discorso delia persuasione , ne discenderà che non
in tuUe le specie sarà richiesta nna eguale severìtèi. Le
• sciemse matematicfae, le fisiclie, le metafisiche pura-
mente dette, domandano lo stretto lingtóggio della con-
vinzione ; le scienze morali o politiche fìnsooo allargarsi
nn po' piti, e qualche volta attingere a primo fiore gli
ornamenti del dire persuasivo. Cos\ dal succinto par-
lare di Euclide e di Aristotile, senza uscir mai dal ca-
rattere fiiosotìco, si viene a quello di Teofrasto e di
Platone: e per parlare de' nostri italiani, dallo stile ma*
tematico éeì Galilei si sale sino alla filosofica graviti
dei Dialoghi di Torquato Tasso e dello Zanetti, e si pro-
cede alla piacevolezza di quelli del Galli e dei Gozzi.
Certo è che non tutte ie cose, le quali danno snbietlo
allo filosofia , sono egualmente astratte , ossia lontane in
tutto dai sensi ^ chè anzi per modo ella si estende da
conànare coUe cose sensibili: però è, che secoedo la
flsaggiore o minore astraUei^sa del subietto, maniere
o minore debb* essere la severità della trattazione, e
il carattere sarà sempre mantenuto quando la ragione
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-160-
sigDoreggi , vale é dìrè quando il linguaggio deUa per«
suasione o della fantasia non sovrasti anche per poco
a quello della convinzione.
D« Dei^ tgliioUmio dalla maieria esser guidai» 4ihi
tùrwe di cmt filinofhhe o didaHic^?'
R. Egli deve non solamente secondo la natura della
materia condurre il suo dire, ma s\ ancora secondo la
qualitò delle persone, alle qaali ^li parla. £ siccome
di queste ve ne ha di dìie specie, la prima delle quali
è degli uomini di lettere, V altra di quei che sono roz-
sameate addottrinati , così in due si potrà dividere lo
stesso parlare dei filosofi. GógU uonini lelteraté si do-
vrli tenere -lo streito ragionamento delk eonvinziooe)
perocché essi hanno la mente usata a quella compressa
maniera, e poco loro basta ad intendere; mentre co-
gli altri, cui manca l'abifo dei ragìofiare, è d'uopo ^
largamente esporre, e le cose esposte anche per simi-
litudine dichiarare, tentando, per quanto si può, di
ridurre a forme sensibili le stesse astruse forme raw>*
nali.
D. Dopo queste cose, direste voi sulle generali quale
debba essere r elocuùom propria del carattere dello seri-
vere filosofico?
R. Volentieri : e per non errare userò le parrio
stesse di Cicerone nel!' Oratore (Lib. 3°), là dove egli
parla delle forme e del carattere del discorso : MolLis ,
dice e|^i, est ùraUo Philosephorwn^ et umbraHUs, nec
senÉenHis^ Me verhis instructa poputw^us, noe wneto
numeris, sed soluta liherius. Nthil iratum hahet,nihil in-
vidum, nUiil atrox, niììUmrabUe^nihilustulum; casta,
verecundd, virgo tn^rru]^ piodammoio; iSeqm serme
foHus, quamoratio dicittir. «Temperata è l'orazione
de' filosofi, e famigliare , nè si compone de' concetti e
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— 151 —
db' parlari del popolo, uè và legata a leggo d'anaoDia,
ma libera più -che ogni altra discorre. Nulla sa ira,
nulla d'invidia, nulla di fierezza, nulla di maraviglia,
mdla di 8ealtreice;oastae vereoooda, qvasi non t«ocoa
Tergi De ; meglio ragionamente cbe orazione si ap-
pella. 9
Aavicolo li.
Bel carattere dello scriver perfmaslvOf
« delle epecie del medeelmo*
t
D. Come potrebbe definirsi ilcca allere dello scrivere
penuasiw?
A« Diremo, il trattare dello scrivere persuasivo
essere quello, per Io quale non si cerca gib di mostrare
il vero secondo ragione risalendo alle prime percezioni,
e discorrendo per tutto le proposizioni , a modocbò V in-
teHetto, raffroDlato le relazioni, non possa rifiutarsi a
crederlo quello che è: masi quel carattere , pel quale
mtende a far credere vero ciò che noi proponiamo. La
eonYinzione adunque è altra cosa dalla persuasione,
posciachè quella dipende tutta da princìpi veri e dime-
strati per veri, la persuasione si fonda più che altro
sull'opinione, sulle apparenze e sull' autoriiè. Quella
stringe e trascina V intelletto, questa padroneggia la
votentà.
D. SpiegaUmì uìi poco ^con qualehe esempio qmsto
che dite.
A. A convincervi , per esempio , cbe due linee eguali
ad una terza sono eguali fra loro, basta che io vi fac-
— 152 —
eia ooiM>8cere,ohe quando due cose sono eguali ad una
terza conviene necessariamente che siano eguali fra
loro; e dichiarata chMo vi ho la ragione di questo as-
stoma, il vostro intelletto, se è sano, non pnè negarsi
ad averlo per vero. Ma se io vuo* persuadervi che la ione
ò abitata, io non posso procedere per egual modo; ma
solo argomentando secondo le leggi dell'analogia, se-
condo le apparenze, secondo le opinioni degli astrono»
mi piti rinomati e 1* autorità de^ sapienti , potrò indurre
la vostra volontà a credere per vera questa cosa , sia
ella infatio vera, o verisimile soltanto, o non vera. Di
qua è che V oratore, ancorché sì paia tener 'egual modo
col filosofo dimostrando , pure non va mai per quella
catenari proposizioni a trovare il vero, ma sì dimo-
stra* per vero 0 ciò ohe ne ha V apparenza, e ciò che ha
opinione di vero, o ciò che Y autorità di molli fia eire-
derc vero. Nei secoli passati si aveva opinione che esi-
stessero maghi e negromanti; poteva adunque in
que' tempi un oratore prendere a dimostrare die nelle
impreiie militari molta parte avevano ! professori di
quest' arte, e che eglino erano necessarj. K avrebbe po-
tuto egli fondare il suo ragionamento ne' molti fatti at-
tribuiti a negromanzia, cioè dall' apparenza.e sull'opi^
niene che ne correva, e sull' autorità de' filosofanti; e
usando bene della potenza della parola avrebbe potuto
persuadere, cioè far credere vero il suo assunto,- co-
munque falso in fatto, e soltanto verisimile in quella
condizione di tempi. Dal che si vede che la ragione sola
regge il discorso della convinzione, mentre ([uello della
persuasione dona gran parte alla fantasia, grandissima
agli affetti*
D. Che parte homo lafcamaeia e fU affeUi M di-
scorso della persuasiom?
— 153 —
R. Molta parte vi hanno , perocché se l' oratore non
è ristretto ad una dimostrazione di convincimento , ma
ad nna apparenza di dimoairanone, . ccmverré ehe dia
faeria di Yero al verisimile, e questo n<m potrai essere
senea il soccorso della fantasia: e quando abbia ottenuto
di far credere vero il verisimile, sarb d' uopo che feccia
foTBa aib'Tolontà perdiò lo abbracci (che in quealo ap-
punto ala la persaasbfie,ciaèdt fDnsare le alimi volontà a
venire nella nostra sentenza, anzi. corrervi); e per far
questo farà mestieri che commova gli aOelti. Concios-
siachè gli tiomini segnom piti foeilmente ciò ehe meglio
modifica Y appetito loro, e per muovere V appetito bi8<^*
gna correre alle passioni, le quali, destate che siano,
vinoom la volontà, e la spingono Ik dove lor piace.
Quindi è, che se 11 filosofo si arresta aliordbè ^bbìa dìr
mostrata innegabile la verità che egli propone, Torato-
tore, allorché abbia provata la sua proposizione con ap-
fàrens^ìéktjfemikai^^ iAipsièaqÉatèi^lbiise-
guire il 'dilello; e poacta véafa^irf^eoi ilMiiWi régiMM^
r arte sta appunto nel saper recare con accorgimento
le prove verisimili come vere, a modochè nò si scopra
artifizio, nè si desìi sospetto di falsità neii' oratore; e
poscia nel portare diletto all^ mente con Immagini com-
poste a verisimiglianza, e colle forme proprie del lin-
guaggio della fantasia , usandone però sobriamente , e
senza fame gitto; ed in fine nel perturbar gli animi r^
, sve^ndooe gli afifetti col mezzo delle forme del Un*
guaggio della passione, per la forza dei quali 1' uditore
costretto a conformare i proprj pensieri secondo la vo-
lontà deir oratore, è forza che voglia e disvoglia oon
Itti. Nè si creda -che per questa potenza l' arte del per-
suadere sia brutta arte di inganno ; perocché non si
vuole di questa usare per trarre gli uomini al male j ma .
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— 154 —
per governare le T^tontli e dirigerle a bene , usando
della ragione e del sentimento, che sono i due mezzi
de* quali la nalura principalmente ha donato gli uomi-
ni; oofiiccfaè possa dirsi che officio dell'oratore è ren-
dere più potente la ragtooe, aggiungendole ai fìancfai
la forza delle passioni. Per questo s' insegna che il pri-
mo fondamento di guest' arte poteutiesima è la proUfcà,
senza la quale il vero stesso io boóoa dell' oratore ai
perde assai, e il verisimile non ha forza alcuna; con*
ciossiachè la probith neir oratore reca necessariamente
con sò la poteasa deiropìiivme e dell' autorità ; tolte le
quali, la ragione non si acquieta nel vérìsiiiiile, le pas*
sioni per favellar figurato non si destano, le voionlh ri-
mangono fredde ed immobili. Ma di questo si dirà uel
Trattato delFArte Oratoria.
D. In quante specie et parie U ctaraUen detto eeri-
vere persuasivo? *
R. Principalmente in tre: la prima è quella, nella
quale.ia dimostrazione del vero è il pròno ed uoicefiae
che l'oratore a sé propone; la seeonda è quella, nella
quale egli mira specialmente al diletto; la terza è quel-
la, nella quale intende alla commozione. Le scritture
die appaftengouo alla prima specie si aeeostoho al par*
lare dei filosofi, le scrittùreehe appartengono alla se-
conda sono aflìni al parlare dei poeti. Tutte tre queste
specie poi considerate insieme formano il perfetto lia*
goaggio deir oratore. Il carattere di ciascuna di questo
specie, come di tutte insieme, è sempre la dimostra-
zione del vero, sia egli vero o verisimile, nel modo che
è detto più sopra.
D. Dawrà sempre il discorso pereuasho avere la
slessa immagine di vera dimostrazione?
IL Sì, lo dovrà, ma fatta ragione delle persone
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^ 155 -
alle quali si parla. Abbiamo veduto che il filosofo a due
gaise uomiai si dirige , ed ora diciamo che a tre si
volge l'oratore. Imperciocché oltre agli uomini di lettere,
e a quelli di mettila letteratura, ai quali favella il
filosofo, V oratore debbe sovente parlare col popolo; e il
popolo è una svariata moUilAidiae d'uomini colti ed
incolti , di growo e di svegliato ingegno, e piti non
addottrinati. A seconda cbe ora «ll'una, ora air altra
di queste classi d' uomini T oratore deve parlare, con-
viene che egH varj nei «odo. Nei letterati la ragione
prevale alta fintam8« olla paeslone ; nei messanamente
letterati, la fantasia e la passione contemprano spesso
la ragione ; nel popolo, h fantasia e la passione preval-
gano aempre alla ragione. Di qua viene eiie la' speeie
del parlare perraasivo>, Il quale è richiesto dalla prima
classe, debbe tenere più al modo temperalo dei filosofi:
concedere poco alia fantasia, poco alla passione, molto
ià \m%ì 0 naattigtaiijLa apÌBde die^ eet »lg>iè ^a^seeònda
«hlMNiMlihittgr'alqua dal AItib '^^dèlfl , peMl%
ammette la piacevolezza delle immagini e la potenza
deir affetto, sì però che la ragione si levi apertamente
sopra runa e T altra: la specie infine cbe si addice
alla tersa classe è vieina al dire dei poeti , per moda
che la fantasia e la passione ne abbiano il governo; seb-
bene le forze di queste devono servire a rendere mag-
giore la potenza (Mia ragione. Banche da tenersi <»filo
della materia la quale tratta, perchè da qoesta pure
s' induce varielb nei discorso persuasivo, come si dirà
parlando delio sUlo. '
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- 16« . •
■
• ■
ARiWffljP III*
• • ^
Bel carattere della àerivér poetléo^ e delle
•diverae apeele dal med dtfle »
• • • •
D. Come si può definirà iL cat^aUere delìfi- Me poe-
tico? . •
lì, Sieoooe la ptesia, qHantiittqae javehtstaad in-
tendimento di ammaestrare gli uomini ^nen mòslra altipo
scapo che il diletto, diremo^ il carattere di questo modo
di sorivere essere quelle, «osi quale isi iataod^L ou coa-
ceUi , coir eloeusioiie e coli' arttonib , a ondifioim jMt*
cevolmcnte la fantasia ed il cuore, ponendo sotto gli
occbi della mente gli oggetti , e dando loro qualità e per-*
sona coinè fossero vivi e'veri ; «ir tegliend» la materia
dal verisimile meglio che-dei vere. Dalla quale defiai*
lione sembra che appaia chiaro , il poeta dover dilettare
uoa meno trascegliendo coacetti ed ioi^mag^iif 0àa ve-
stendoii colle parole per modo c^ facclaao forea sul-
rimmagidazione e sugli affetti. Bene h foor di*did>bio
che la potenza della elocuzione è oltremodo grande, e
U poeta deve soprattutto in questa perire, sMV^io ; coa-
cìDssìaobèPspesso.avvieiie che giaodisiiitoxiBe ed imon^
gini non abbiano efficacia alcunUa per difetto di elocu-
zione, e molta ne abbiano le mediocri e le comuni
qualora vi si usi pppor^una elocuzione. li\jCatto il sapere
« 'trascegliere e rappresentare i concetti con quellef>aroIe
che 8ono*piti chiare, e, direi quasi, cbe ridono di più
vivi colori, è cagione alla mente di un diletto incompa-
* rabile. Quindi è che dai tropi e dalla; metalora, càie sono
i colori della tavella, il poela trae seslpreAwoa partito,
e dee sempre averne copia a mano. Anche per mezzo
di questi si ottiene più facilmente di dare vita e mo>
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— 157 -t-
venza alle cose cito- in, natiira boa hanno n^ moto né
vita, e di ritrarre sotto i sensi quelle che naturalmente
dai sen^i riiuggirebbero. Bene è grande iatica ridurre
a forma i^osjbil^ i consetti intellettuali , e. ridurli per
ipodo che r occhio lì vegga , la mano li toccht, 'laa^
grande lode è riuscirvi e recare diletto con ciò. Virgilio e
Dante spepialq^pte ebbero al sommo grado questa arte ; •
edi nasce che qttetli A stanno in«itnaditutti i paoli»
Un'waltra cosa è pur da av vartìre , ed ò> questa , che con-
viene fare buon uso dell'armonia. Abbiamo insegnato che
r armonia) piacevolmente toccando T orecchio, fa strada
aL cuore, e rende pià dilettosi i concetti. Questa debba
esser studiata. dal'poeta per modo, che non solo diletto;
ma benanche aiuto egli ne abbia, non meno a ravvivare
la descrizione ,*che a rendere pii^ forte la pasaione* È
detto delle direrse maniere di armonia , e come dcune
non fanno che lusingare F ofeophìOf altre sono naturai-
mente compagne agli svariati alTelti. Ora il poeta ap-
plicando jgifuscuna al proprio luogo, ne iiv^kt^Mifì non
iieveu Chè se sì doibandi in ehe varia il carattere delio
' scrivere persuasivo da quello dello scrivere poetico,
diremo che in ciò: — il c^irattere dello scrivere persua-
aivp dimostra il vera seisondo ragione, il po^ico lo di- *
iinostra pef finsume, e si vale della fantasia e- degli
affetti per raggiungere il .suo scopo. : ^ii*
p. Di guatUe ^ecieÀ ii mrqtl^re cI^Uq sorip^e^pg^r
lieo? . * -
/{.•..Veramente considerando che ogni maniera di
poesia reca diletto ad ogai specie d' uomini , diremmo
volentieri una sola Qs/iere.la specie del caraUere poetico:
ma parabò il popta spessa volte introduee persone a
' parlare > e varia materia prende a trattare, ne nasce
che se una è in sò smessa la spe<;ie pel carattere poe-
«
a
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lieo, per queste nuove condizioni varia e si divide. la-
fatto alcuna volta il poeta canta gli Dei, gli eroi ^ le
grandi e nMàì iinpfese ; alcun' altra la cMcéiBa del-
1* amore, i pubblici • privali 'affanni, o oerca destare
allegrezze, ire, sdegni, timori. Altra volta egli narra
estesamente grandi fotti e lunghi travagli d'eroi, e
ftarrando esprime passioni , descrìve luoghi, costami, a
intendimento principalmente di mettere maraviglia negli
animi; altra volta introduce a parlare persone, a rap-
presentare fatti, come allora ffiiora accadessero; altra
inftne prende 9 dettare precettidi cfnalche arte o solenza
utile agli uomini , condendo i precetti con ciò che la
fantasia ed il cuore hanno di .piìi dilettevole ; ed ecco
la poesia linea, l'epica, la drammatica, la didascaliea ;
generi diversi di poesia , i quali èanno leggi tanto par*
ticolari, che non si può le qualilh delF una confondere
con quelle dell'altra, senza togliere la verità e la con-
v^avolesza, e con esse il diletto. Gonciossiaofaò e nel
modo di presentare le immagini^ # nelFeìoeazione, e
nelle armonie , molta distanza vi ha dalla specie lirica
air epica, dall'epica alla drammatica, dalla dramma-
tica alla didascalica ; e II poeta devé sempre seguire il
verosimile e le leggi del decoro, trascurate le quali agni
arte perde bellezza e verità. Ma di queste cose avremo
a parlare altrove : ora- basti avvertire in generale, che
mentre ciascuna di queste specie di poesia in partico-
lari confini si racchiude, non è facile nè possibile mo-
strarci determinati limiti , entro i quali ciascuna specie
vuol esser contenuta. Tutte hanno (dice assai opportu-
namente Paolo Costa, colle parole tlal quale ci piace
por fine) nello intero loro corpo fattezze particolari, alle
quali colui che bea vede, distintamente le raiiìgura ;
pure a quando a quando or questa or quella viene a
— i59 —
parieclpare dell* altrui colore, in guisa cherepìco nelle
forti passioni innalza le parole al pari del cantore de-
gl'inni, e il più sublime Urico narra alcuna volta sic-
come fa r epioo ; lo aleaao inlervieiM delle altre specie,
fra le quali perfino la commedia talora si leva .a gareg-
giare colla tragedia, e la tragedia, al dire d'Orazio,
.spesso si duole eoa sermone pedestre.
D. A che giova fiMto éMmitme dei diioerei comi-
Uri détto scrivere e delle diverge specie?
R. Giova a formare lo scrittore eloquente ed ele-
gante, peroccbè errando nel oaraltere dellò scrivere sì
troncano i nervi dell* eloquenza, si attribuisce alla fan-
tasia ciò che è proprio dell* affetto o della quieta ra*-
gione, e il discorso che n'esce è involuto, impcoprio,
strano, e non consegue il fine a cui mostra di correre.
Ad ottenere però di scrivere e di parlare secondo la
proprietà di ciascun carattere e di ciascuna specie^ con-
viene principalmente osservare lo stato delF intelletto e
le qualità del medesimo in chi scrive, lo stato delia fan-
tasia e quello della passione. Quando avrai osservatò se
nel tuo discorso secondo lo stato delT animo, o V intel-
letto, 0 la fantasia, o la passione debba signoreggiare,
tu avrai conosciuto quale sia il carattere, e quale la
specie delb scrivere , che si conviene seguire; e tro-
vato che ciò tu abbia, se tu queste cose impronterai,
direi quasi, col marchio tuo proprio , e secondo il tuo
modo di semìre, tu avrai formato ciò che i retori chia-
roano stile/
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— 160 —
Dette mM9f • Mto Me «welità.
D. Che cosa è lo stik?
i2. Molte definizioni, e quasi tutte poco accoQfìie^&i
danno dello stile , le quali a noi non aggrada seguire
per buone ragioni: e però dovendo pur darne la defiai-
zioiie, ci sembra che si possa definire dicendo, che;
Lo stile è quella particolare maniera, con cui lo scrit-
tore modica le quaUià del suo ùUelkitai doUa sua fan-
tasia, de' suoi affetli, seeondandù il mraUsre dèi disoor^
so, improntandolo dell'indole sua propria secondo le
leggi del decoro. Intatto Io stile deve mostrare aperta*
mente il particolar modo di satire, proppio di colui che
scrive, perchè in natura veggiamo che ogni uomo ha
nel modo di sentire diverse qualità-, le quali ove non
appariscano, lo stile non è di colui che scrive, ma di
colui dal quale lo scrittore lo prese a pfestansa. È duo-
quc necessario a chi voglia formare uno stile perfetto
dare al medesimo V impronta del proprio modo di sen-
tire; e malamente fanno quelli, i quali foggiai lo stile
proprio ad immagina deli' altrui, come veggiamo essere
stato fatto da molti, i quali avendo preso ad esempio
uno scrittore, contrafecero lo stile, del medesimo. Co-
storo ',^pare a me, non altro nome mentano che quello
di scimmie, le quali solo materialmente ritraggono in
sè gli alti ed i modi delle persone; e di costoro, credo io,
intese il poeta quando disse; Imitatores servum pecus,
Conciossiachè lo stile deve metterti sott' occhio le qua-
litìi morali dello scrittore per modo, che tu senza errore
possa distinguere lo stile dell' uno da quello dell' altro , e
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— 161 —
appropriarlo con ^cbresze ài suo autore ; in quella guisa
che avviene dei poeti, i quali, mentre imitano tutti il
bello della natura, neir imitarlo ritraggono sè stessi, co-
slcehè all'occhio deir intolligeote 9k manifesti la mano
ebe scrisse. Michelangelo, ad esempio, Baflbello, Corag-
gio, Tiziano e Leonardo, erano tutti sommi nell'arte del
dipingere , ma ciascuno tenne uno stile cosi proprio ,
che distingue apertamente le opere dell' un pittore da
quelle dell' altro. Laónde i maestri dell'arte insegnano
che ciascun pittore debba farsi una maniera sua pro-
pria, e per maniera intendono quello stesso , che noi di-
remmo stile. Voi avete veduto quanti e quali siano gli
elementi neoessar} a scrivere bmie; nè uomo può aver
nome di perfetto scrittore, se alcuno di quegli elementi
trascura. Ma siccome le menti umane sono varie, e.ii
modo di sentire, noù altrimenti che le fattezze del vol-
to, diversifica quasi in ogni persona, così ne viene, che
mentre tutte insieme si riuniscono le qualilh*, per le
cpiali si forma un eccellente scrittore, non in tutti nei
medesimo modo si uniscono; ma se ne forma una cotale
diversa mistura , la quale prende'' norma appunto dalla
diversità del modo di sentire. Infatto e Dante e Petrarca
e Ariosto e Tasso , tutti accolsero nel loro stile le qua-
lità di perfetto scrittore: ma la mistura è tanto diversa
quanto era il modo di sentire di que' grandi uomini. Ri-
sentito, franco, inflessibile, era il carattere dell' Ali-
^ieri, e tale è il suo stile; perocché le qualità dell'evi-
denza e della forza sovrastano a tutte l'altre nella
composizione del suo stile; come la grazia, la soavità,
signoreggia tutte raltrequaliib nello stile del Petrarca;
la vaf ietà e la verità in quello deli' ÀriostOi la gravità
e la magnificenza ih cfuello deK Tasso: cosicché pos^
dirsi, che dalla diversa disposizione dell'ingegno e de-
li
L.yi.,^uu Ly Google
— 162 —
gli affluì nascono diversi filili » a k loro diversità è tanta
quanti sono gì' iDgegai umani. Ogni scrittore adunque
debbe modificare rintelletlo, la fantasia, gli affetti, se-
condo il proprio modo .(li sentire, se vuole avere stile
proprio; ma perchè «pasto non basta, sa non sia ser-
bato il carattere del discorso, non senza ragione noi ab-
biamo ag.qiunto che alla prima condizione, della quale
è detto, debba seguire V altra, la quale importa che si
secondi il carattere del discorso, e come, non manl^
nendolo , perda efficacia ogni più eletto modo di scri-
vere; sendochè questo carattere è fondato sulla natura,
e nasce dai diversi stati in che V uomo si trova, con»e
più sopra esponemmo, e peK^ al detto non mi piace af^
giungere parola. Quanto poi alle leggi del decoro che
denno osservarsi, ve ne rendono ragione le di veir^ spe-
cie in cui ogni carattere si divide, delle quali pure è
parlato abbastanza.
D. Si può egli dividere in diverse specie lo stile?
R, Ben si può , anzi sì deve : ma non per questo ci
pare che si abbia da [seguire la divisione che alcuni
maestri ne danno, i quali lo dividono in conciso e m
diffuso , ornalo e secco; perchè queste qualità dipen-
dono interamente dal modo di conc«|>ire di colui che
scrive , o dalla materia delia quale prende a scrivere.
A noi piace meglio tenere la divisione degli antichi , i
quali dissero in tre specie, o, a dir meglio, in tre gradi
ripartirsi lo stile, cioè in semplice o piano; intean-
perato o mediocre; 3» in magnifico o sublime; coooio»-
siachè ci paia che questa divisione risponda meglio ai
caratteri dello scrivere che noi abbiamo divisati; infatto,
chi scrive o parla seguendo ciò che la tranquilla ragione
gli detta, ci pare che non possa uscire .dal i** grado,
cioè dallo stile semplice o picm; chi scrive o pada col-
. j .:^uu Ly Google
Taniiiiio 6 la fantasia alonn pooa 4»maaossa9 pare a noi
che non debba uscire dal grado, cioè dallo stile me-
diocre 0 temperato; chi Qaalmeale fiori v.e o parla traspor-
talo o dalla fantaaia , o ilaUa paaià(t|iey oi aepnbra cho
debba usare il 3^ grado , cioè lo magnifico o $ìMme :
e però noi abbiamo V antica divisione per più buona ,
perchè più generale dello altre e più confacente alla
natura. Laonde di ciasoiuo di questi gradi disamo , e
non lasoermno di aoeennàre,oome, cercando la virtù
propria di ciascun grado, facilmente si possa trascor-
rere nel vizio opposto. _ . ^ ,
■Nilo siile acn^Uee o pliOi».
D. Come definireste lo stUe zempUce, e quando iiusa9
R. Stile semplice noi cbiamiamo quello che con
chiarezza, con precisione, descrive le cose serbando le
leggi del decoro, senza altri abbellimenti, che quelli che
gli vigono da una naturale facilità. Da questa defini*
zione Toi potete conoscere a prima giunta essere que-
sto lo stile che conviene usare quando chi scrive ha
r animo riposato e sicuro da ogni commovimeato di fan-
tasia e di cuore; e siccome chi scrive in questo stato,
si laacla sempre dominare dalla ragione, ne viene dì
conseguenza che nè i colori della fantasia , nè le forme
^proprie solo della passione, nè amplificazione alcuna
debba essere nello stile semplice. Ckdui che ha V animo
msL turbato , non commosso, vede chiaramente le cose^
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— 464 —
ne discopre freddamente i. rappòrti , li dispone e li or-
dina permodo che presentino unit^; e perciò è, che
r unità è dote principalmente necessaria allo stile sem-
plice. £ r unità questo importa j che V andamento del
discorso sia tate, che si conosca la dipendensa dell' una
cosa dall' altra , la relazione dell'una sentenza coU'altra ,
per modo che senza fatica la mente possa raccogliere
ciò che in iscritto o in parole a lei viene offerto. £ a
chi sa ben dare unith al discorso è ageveie cosa con-
seguire chiarezza, e quella mostra di facilità che pare
agevole ad imitarsi, ma riesce difficile assai a chi si
provi, onde Quintiliano ebbe a dire: OrcUionù facUitas
imitabilis illa quidem pideiur esse existimanii, sed nUiil
est experienti minus. La qual cosa avea insegnalo anche
Orazio nella Poetica, ìk ove disse:
• • • « aifrt quii9Ì$
Sperei idem, mdei miUum, frmtraque laberet
Aum idem*
< # » « m
...
D. QmU eùse som necéssùrie principaUmnte per
iscriver bene con questo stile?
R* Innanzi tutto è necessario avere molto chiare
le idee, saperle ordinare, ed esprimere con quella pre*
cisione e proprieth di parole , ehe domanda il buon uso
della lingua in cui scriviamo. E siccome è detto che lo
stile semplice si rifiuta a tutti gli ornamenti, de' quali
si abbdliscono le altre maniere di stile, -deYe pur dirsi
che. non rifiuta però, anzi domanda, tutti quelli che
il buon uso del linguaggio gli può recare. 1 o fatto , se
noi osserviamo le scritture di qiie^; che seno principal-
mente lodati per semplicità d! Stile , vedi^emo^ehe èssi ^
hanno ripieni^li scritti loro di tutte le grazie e le ^e-
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ganze del nativo linguaggio, anzi con ciò solo cercano
ne' leggiiorì .quel, dìlelto, sejua ddl quale wm vi è scrii*
tura ebe possa pìacerìa*' * •
D. A quaU safUlure principakiieiUe serve lo slUe
semplice? • ' ' ' '
R, Quaulunque sia chiara la risposta da qoaotp fa
deUOy pure dimno die ssrve prìaoipalmeote àììo stile
dei filosofi, e più generalmente allo stile precettivo ed
al familiare. Serve ai fìlosofi , perchè, mirando essi alla
sola conTiniioiie dell' iotelietto , per esporre i conoelti
loro Beo hanno bisogno d'altro che di uno stile puro,
proprio e conveniente: sermo purus erit et latinus (in-
segnava Cicerone nel Bruto): dilucide, planeque dicetur.
Serre èlio stile precettivo d* <^ni genere, perchè colui
che insegna non si propone altro soopo che di convin*
cere l'intelletto, mostrando la verità delle regole pro-
poste. Serve allo stile familiare (nei dialoghi, e nelle
lettere principalmente perohò in questa maniera di
scritture chi scrive o parla vuole seBipHcemente ritrarre
al naturale T immagine del corretto parlare domestico.
Attenuata est (insegna V autore della Rettorica ad Eren*
nio) orafsò^ piméenmsaeeiitiqiÈewi uiitatissimatn puri '
sermmit emmeiadmem: E certamènte n6n vi ha persona
al mondo ^ che domesticamente parli con sublimità di
concetti.edi parole reUoriche. Non si vuol dire con ciò,
che in queste guise di scrivere tutto deUM essere di~
sadomo e secco ; ma «i vuol insegnare che Io stile sem*
plico per propria natura non si consente agli ornamenti,
benché ai più tenui e verecondi non ai nieghi al tutto.
E la ragioné per cui non si-nt^^ è questa, che la
ménte* sarebbe troppo conthiuamente oocupata quando
non le si offerisse alcuna cosa da ricrearsi ; e manche-
rebbe quel diletto^ che, condendo la severità dei pi:e-
— lee —
celli, li rende più facili e più aggradevoli. Tuttavia
chi scrive deve sempre ricordarsi, che gli ornameoti
dello stile semplice sodo tollerati, iioa domandati, e
quindi assai paroo dève essere ndl' usarne.
D. In qual vizio si può cadere cercando il semplice
nello stile?
R. Neil' aridoe nel vile. Buie qmhmdam eontrarium
shtdhm (paria Quintiliano), quifugiunt^ cu: reformidani
omnem hanc in dicendo voluplatem, nihil probantes ^ nisi
pUmumetsme conatu; ila dura timent, ne aUquando
cadeau, semper jaceni. c Altri di contrario gusto >80iio,
i quali fuggono e temono tutto questo ptaceroìe orna-
mento , e niente altro lodano fuori che quanto scorgono
di piano e d' umile e di schietto. Così mentre stan pau-
rosi di non cadere alcuna volta, sempre osrcaU n tro*
vano. » (Toscanella.) E fautore delia Rettorìoa«dEren*
nio pur egli ci dice^ sovente avvenire che coloro, i quali
non sanno dare alio stile semplice quelle grasie e quelle
native caresze che sembrano facili, ssa pur noi sono,
cadono in una maniera di scrivere arida ed esangue a se-
gno, da mettere molestia e noia in chi legge od ascolta.
Qui wmposswU in iUafaceUssima verbanm attemuUione
eommoéh wnari, vèidmU ad aridnm, et txangm fmmt-
orationis, quodnmaiientm e^teocUe nominavi. « Que' che
non possono in quella facetissima a ttenu azione di parole
tenersi con prò, danno in ua' arida ed esangue maniera
di parlare, cui mal non si converrebbe dar titolo di
esile. « [Ad Herem., IV, il.) Eduna delle ragioni, per
cui spesse volte la semplicità torna in aridezza , è la
conditone servile de' tremo timidi imitatori, come bea
avvisa il' nostro Pei*tioari, il quale insegni obe lo scrit-
tore tremante , e tardalo dal ceppo, in questo vizio cade
senza avvedersene. ' •
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^ 467 —
D. Qiuili sono i principali autori latini da proporù
m 9$€mpio di itiie semplice?
Le Lettèrs e ì TnUali di Cieeiwe, i Gommeii-
tarj di Giulio Cesare, le-V4«&di Gernelio Nipote, sono
gli esempj migliori che noi abbiamo nella prosa latina.
Le GoHHaedie di Terenzio , le Buccoliche di Virgilio , le
Favole di Pedro^ gM EndeoMiUebi di Ca tallo, sono I plU
pregiati deHa poesia. Nè manoano belli esempli in ita-
liano : il Passavanti, il Paodolfìni , le Lettere del Caro,
del Tasso , del Redi ; ì Dialoghi ed i Trattati fìlosofìci
dei Galileo, étH Gdli, dei ZaiioU4| sono medelli degni
d'imitazione nella prosa italiana; nella poesia poi, il
Tasso neir Aminta^ il Sannazzaro nell' Arcadia, il Poli-
liano e molti altri, ci possono offrire a doviaia imitagli
esempli di stile eempUce.
AmntmtLm II.
Dello stile mediocre o temperato»
e delio ano ^aalii**
D* Qual è lo iiOe wiediocre, e guofM^e $i usa?
R. Stile mediocre, e fu anche dello temperato, è
quello che alquanto si solleva sullo siile semplice senza
però raggiungere nò la magnificenza, nò la elevatezza
del sublime. Vi ha uno sialo delP anioso, nel <{uoIe egli
si trova egualmente signoreggiato dalla ragione, dalla
fantasia e dal r affetto, e4 è appunto quello in cui le
eommoaioin deiraniase-aone soavi e temperate, cosici
ohè la ragtooe noo d perda. là questo stalo, ehi paria
o scrive, usa dello stile mediocre; e siccome questo
stato ò il più frequente deli' animo, ne consegue che lo
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— 168 —
stile medioere ha piti di «iveiité luogo Dèi parlare e
nello scrivere. Da queste cose è facile conoscere 'che
egli riceve voleotieri tutti gli priiaii&eati. delia favella,
dei tropi e delle figure moderate, e àk rifiuta à quei mòdi
che SODO coDveDieDti soltaoto ai veemeDti trasporti
deir immaginazione e dei cuore. In hoc gemis oratioms
(ci ioB^goa QttiutiliaQo) imb^imm eoAmtlumikmmmtk,
muUa étiam smteiii$imwn.... E$t enim quoddem et imigm
et fhrescens ontiionis, pictum el expolitum genus , in quo
mnes verbonm veneres, omnes seìUeiUiarum iUigankur
lepcres. c Io questa guisa d* orasiooe cadono in aeeon*
ciò tutti i lumi delle parole e molti anehedelle seùtenBel.V.
Ch'egli è un insigne e fiorito, e dipinto, e forbito ge-
nere d^ orazione , in cui mettono bene tutte le veneri
della favellai tutte le leggiadrie dei cottcetti* n Cosicché
possa affermarsi, che tutti i fiori di liogua, tutte le
vivezze di concetti, giovano allo stile mediocre.
D. Qitali soìw le qmlità principali dello stile me-
diocre?
B. Se Doi coDSìderiamo il modo per cui l'uomo
concepisce ed esprime i suoi concetti qualora egli si
trova temperatamente modificato dagli affetti e dalla
fantasia, védramo che egH ravvioina i rapporti delle
idee, studia un maggior numero di confronti^ partioo-
lareggia, e più minutamente espone le diverse qualità
delle cose, meglio che quando egli si trova dominato
dalia fredda ragiooie, e sansa la minima commozione di
fantasia o di affetto. Di qua noi ne trarremo agevolmente
che lo stile mediocre deve avere maggior diffusione del
semplice, deve aiutarsi di tutti i modi dell' amplificaaio*
ne, e mantenersi costantemente eguale; um tenore òi
dicendo fluii, nihil auferens prceter facilitatem et cequon
litatem, (die. ia Brut.)
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D. A quali scritture serve principalmente lo stUe
mediocre ?
. ÀU6 Bòritture-i^i^e, alle Aloriobe, aUe oooa-
demickef oonciMsiaciiè* F oratore ki qu^Ia parte ove
non è sospinto dalla passione mostri sempre ragionare^
e solo a crescere diletto inframmetta al ragiooameDio
imiiiaguii a oooeettii di che la fantiaaìa ed il cuore
gli ^ascoltanti egttakneQte si ' pascano e si dllettaiio; e
dico in quella parte ove non è spiegata la passione ; per-
chè ia quella lo stile s' inalza sino al sublime. Laonde
dovete ai^gomentare di qui^ che in una scrittara sola
possono aver luogo andie tutti e tre i generi dello stile.
Osservate le Orazioni di Cicerone. Elleno sono quasi
sempre di stile temperato negli esordj, distile semplice
nella propoMione, ueU^ aiiyMiientariotte, e il pili ddle
volte nella narrazione. Ma la perorazione prende sem-
pre veemenza, e tiene spesso spesso al sublime d' af-
feUo. È cosi è nella storia, nella quale la narrazione è
quasi sempre di stile. temperato, le^UocutioBi piegano
sempre al sublime, come potete vedere in Sallustio ed
in Livio. Così pure avviene ne' racconti e nelle novel-
le, secondochò elleno sono dettate, o col fine soltanto di
diiettare, ó di eommovere. Vero che le scritture ac-
cademiché contenendosi quasi sempre sensa grandi
emozioni, amano di seguire la mediocrità nello stile ;
ma vero è altresì, ohe se in alcuna di coiali scritture
accada che lo scrittore, deserivcHodo, commov^ la fin*
tasìa e turbi V affetto, può anche lo stile magnifico e
sublime avervi alcuna parte. Un' altra cosa deve essere
avvertita, e lodoyeva essere ancora parlando deUo stile
sempUce. Questa riguarda T armonia. Abbiamo inse-
gnato che r armonia è una delle qualità dell' umano Ai"
scorso, la quale priacipalm^ate serve al diietto, e spesso
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— 170 .
alla commozione dell'animo, e abbiamo detto ancora
che varie specie d'armooia sono. Ora qui, senza ripe-
tere il deUo^ acdeniiereiiio che V mnoiiia delhi siile sem-
plice dev^ esser facile, non risenlHa, e proporzionata
allo stato deir animo di chi scrive ; quella dello stile me-
diocre deve esser più pieDa , pid risentita. Di qoa aloani
hanno preteso di portare uoa distinsione nello stile,
chiamandolo conciso e periodico, perchè hanno osser-
vato che nello stile semplice ì periodi soao più brevi ,
essendoché la mente non s* impiglia ^ de**rapporti gfr*
nerali, e non de* particolari , siccome fa lo stile medio-
cre, il quale perciò abbisogna di un più largo giro di
periodo. Ma noi dubitiamo assai che questa sia piutto-
sto una distinzione ohe nasoe dalla natura dello stilOf
aniichè una necessiUi dell' arte per ottenere quella va*
rieth della quale abbiamo parlato. Infetto osserviamo
che anche lo stile semplice può avere lunghi periodi ,
sebbene egli ami più di sovente i eonoisi, e lo stile me-
diocre può averne di concisi , quantunque meglio dei
lunghi si compiaccia. Ma sì nei lunghi che nei brevi pe-
riodi ogni siile ha un' armonia sua particolare ; il sem-
plice non ha che un ritmo rimesso e appena ssasibile,
il mediocre ha quella rotondith e quella pienena di
suono, che accompagna con manifesto diletto i concetti
della mente.
D. In quoM vhj si può ooAtrt faieUmmiie mnmdo
di fùglntìre lo stik mediaor»?
R. Siccome è detto che tutte le eleganze della elo-
cuzione si ailanno bene a questo stile, egli ò ben iaoile
che avvenga di dare neir affettato e nel soverchiamente
iorito, cosa che nuoce assai, come quella che mostra
lo scrittore più inleso alle parole che alle cose. In altro
vizio, ci dice T autore delia Aettorica a^ Erennio, cade
— m —
facilmente colui che cerca distinguersi in questo genere
di stile , ed è di riuscire fliUtuante) sconnesso, per troppa
eara o di recare in mezzo indistintamente le qualità
delle cose, o di cercare armonie, e di rendere il periodo
pieno e sonoro. Qui in mediocre genus orationis profecti
sunt, si pervenire eo non poterunt, errantes pervenituU
ad confine ojui generis, qmd appelhmus fiuckme et
(Ussùhiwn, eo quod sme nerms et artieuUs fhietuat kuc
et illuc, nec potest confirnmte neque viriliter sese eocpe-
dire. « Coloro che si posero a questo mediocre genere
d'orazione, sé non bastanmo a venirne a capo, errando
si trovano a quel genere che ne sta ai con6ni, cui chia-
mo fluttuante e slegato, per questa ragione, ch'egli
senza nenri ed articoli va qua • colà fluttuando^ nò può
usoireene eoa sicurezza e con fona. »
Vi ha pure pericolo di cadere nel puerile , cercando
acutezza di concetti; o nel pedantesco, recando in
mezzo inopporUine sentenze; o n^' asiatico, esponendo
oon troppa verbosità i concetti. Ma da questi vìzj si
guarderà facilmente colui, il quale si proponga ad imi-
tare ì più sicuri e classici scrittori, fra' quali neMatini
eminenti sono Sallustio, Livio, Cicerone; ne^' italiani,
Gasa, 6iambul!arì,.BartoU, Segneri, ed ahri molti fra
i prosatori; Dante, Petrarca, Tasso ed Ariosto, fra
gU italiani poeti ; fra i latini, le Georgiche di Virgilio,
le Epistole ed i Sermoni d' Orazio.
— m. —
^ Dello stile magaiOco e sublime»
e delle sue quali I*.
• * ' , *
' D. Che cosa è lo stile sublime?
R. Lo stile mibliiiie è qQ0llo, che i&naUardi molto
sopra il mediocre per copia , per graTitè , per omaàien-
to, ed ha tanta forza , che vince e trionfa ogni ostacolo,
e lascia V animo e ia monte quasi per maraviglia stu-
pidi. Amplut, coptetis, graviij ormka ; in iUo premio
vis maxima est Lo stile sublime adunque si usdre
principalmente quando 1' animo è trasportato dai più
veemeoti moti della immaginazione o della passionai e
potrà aver loogOy sebbene, più di rado, quando la ra-
gióne tranquilla sollevandosi, direi quasi, sopra sè stes-
sa, esce in nobili ed inaspettate sentenze, e fa scorgere
i più reoonditi rapporti delie idee, siechè V inteiietto ne
resta atioaito e compreso. £ notale qui, ohe noi, par-
lando dello stile sublime, non intendiamo parlare della
natura di esso sublime, conciossiachè egli riguardi me-
glio le speoulazacni dei metafìsim e degli estettoi, ehe i
precètti dei fetori. Noi parliaino .dello stile, e dei modi
con cui egli acquista quella veemenza e quella subii-
mit^i per cui restano rapiti e quasi estatici gli ascol-
tanti, per usare la frase del retore Longino. Se noi pi-
gliamo ad analisi gli oratori e i poeti , facilmente cono-
sceremo da che procede questo innalzamento di stile,
sebbene a noi giova meglio seguire le tracce del greco
maestro. Questo però abbiate per fermo, òhe la sobli-
mitè dello stile e la magni6cenza non si ottengono , come
«ilcuni credono, nè coli' esagerar le cose, nè coli' ammas-
sare le figure, nè coir usare parole ampollose e ses({ui-
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pedali, ma s) col preaenlàre Idee' iDdspetCaie e tiuove,
col ferire il cuore con forti e non previsti colpi , e sco-
prire cos^ le relazioni degli oggelti più peregrine e meao
pirevednle.
D. Per qutmii moii «i rende nMim h «db?
R. Per cinque modi risponde Dionigio Longino:
4*^ con aiti concetti, elevate fantasie, magnanimi sen-
si ; in %^ laogo ai oMieoe dagU aiiBfcli yìvì e gag^ardi ,
eocHàti sino all' entusiasmo ; in luogo dèlie figure, e
specialmente dall' amplificazione; in 4* luogo da un' ar-
dita eleganza di frase, la quale tenga alla sublimità
de'ooneetti; in 5^ luogo dalla tessitttrft del periodo, e
delle armonie nobili ed acconcie a rendere più efficace
la sentenza.
D. Come si rende sublime lo stile coi concetti?
R. Quando la fantasìa viene eccitata, soTonti. volte
naturalmente ne escono concitati concetti, pei quali si
sublima lo stile. Virgilio, poiché ti ha descritta imma-
ginosamente la Fama, dMmproyviso innalza con subli-
me concetto lo stile, e le di porre il capo nel cielo e
passeggiare il suolo:
Jngrediturqu$ aoh» ti eapui inter mlnh oondii.
Cosi Dante nel 1° deìV Inferno , dopo che ha detto
che era tempo da principio del .mattino, sublima lo stile
seguitando eoA : . .
E il sol montava in su con quelle stelle
Ch' eran con lui, quando Vatnordivinù
' . . Mme da prima qmU^ con beile.
E V uno e V altro poeta, discoprendo maravigliose
relazioni di cose, reca concetti che stupendamente
- 174 —
magDìfieaiM lo stile. Naasan telAoie sarebbesi aspèllato
di vedere la Fama toccar col capo le stelle; nessuno
alia descrizione dell' ora mattutina avrebbe richiamato
al pensiero Dio Creatore, che nel vano del ciel» dà ino4«
agli astri • eoo leggi etemamente sicvire li onfina. An-
nibale , presso Livio, incoraggiando i soldati, i quali
alla vista di quelle altezze che sono T Alpi si erano ab-
bandonati deir animo: Quid Aìfm aliud u$e eredUii
quam monikun aUbuHnes? Fingermi^ aUioréi Pirrnmi
jugis: ìiullas prò fedo terras coelum conlingere, nec inexu-
perobilei humano generi esse. « Che altro credete voi
esaere le Alpi se non allesse di monii? £ pognamo che
si levino alto più che le giogaie de* Pirenei: ma certo è
che non vi ha terra che tocchi il cielo, e sia inespugna-
bile al genere umano. » Quante idee non si ridestavano
nella memoria de' Cartaginesi a queste parole! aver
essi passate le rupi dei Pirenei, come fossero giogaie di
monti; e ancoraché le Alpi fossero più alle di tutti i
monli, non esser invalicabili alFuomo, specialmente a
quelli che erano con AnnibalCi i. quali tante fatiche e
tante battaglie e tante fortune avevano superato. Nò
meno sublime è V altro luogo di Livio, dove introduce
Annibale a domandar pace a Scipione: Vestri patres non
nihil, etiam ob hoc quia parum dignitatis in legatione
ercU , negaverunt pacm. Annibal peto pacem. « I vostri
senatori furono indotti alquanto pur per questo a ne-
garci la pace, eh' ei non parve loro clie la nostra lega-
zione fosse tanto degna che bastasse, io Annuale in
persona chieggio la pace. » (Nardi.) In quella parola sola
Annibale voi vedete ritornarvi alla mente il vincitore
de' Romani al Ticino, al Trasimeno, a Canne, e tanto
pih si sente la magni6aenza del ooncetto, peroliò pre-
parata ad arte. Fu negata ^ disse, la pace , perchè non
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— 175 —
piemdigmtà aUmiìmta im bgaU die la €kktìeiMmo.
Ora io, che sono ArmSfalef cioè eolui, del quale non vi è
chi abbia più dignità, uè presso i Cartaginesi tante volte
per lui viUoriosi, nè presso i Emani tante volte éa lui
sconfitti, io stesso wngo a chieder pace. Da questi esempj
vedete come egli è vero, che il sublime di concetto sta
nel recare innanzi in una o in poche parole un cumulo
di grandi idee, dalle qoali resta sopraffatta la «lente.
Così' per questa stessa ragione sono sublimi i due se-
guenti luoghi:
Et eunta terrarum subacia ,
Praier atrocem animum Catonis.
(Orazio, Ub. 2«, Oda
I n toggeitato mondo i mi solo Imperò,
Salvo II Sor él GMone snlmo altero.
(CfiSARI.)
Nè meno sublimità è ne^ seguenti versi :
Egli {Ualaspina) airffluslre
Esul fu scado, liberal lo accolse
L'amistà sulle soglie, e il venerando
Ghibelliao parea Giove nascoso ^
Nelle case di Pelope
(Monti, versi premessi all' Aminta del Tasso. )
§ 2°.
D. Come si può dare sublimitcì allo stile cogli affetti?
R. ^oa v' ha dubbio che quando F uomo è alta-
mente commosso dalla passione non sia trasportato a
grandi «eutense^ a magnifici ed inaspettati conoetIL
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^ 176
Enea dfèpèrato .della salVési^a delta patria , Taóeotti ib-
torno a sè pochi, li conforta con queste parole:
Moriamur, et media in arma ruamm:
Um ÈttluB vieHi nMam gperare tiluiem,
Capaneo, presso Dante, dopo a^ere mostrato cogli atti
e colle parole il suo superbo dispetta anche fra i . tor-
menti, termina il suo discorso mostrando che Giove
stesso esaurirebbe invano tutta 1^ sua forza per $iver
di lui vittoria:
E me saetti di tuUa sua forza.
Non oe potrebbe aver vendetta allegta.
E il nostro Metastasi© neWAttilto Regolo mostrando
il suo sdegno coi^tro Publia e Licinio, in \ìfi. trasporto
d* ira magnanima innalza lo stile dicendo:
Taci: non è Romano
Chi una viltà consiglia.
- Taci: non è mia Ggiia
Chi più virtù non tia.
■ •
Nella parlata che Gatilina fa al congiurati , presso
Sallustio, lo stile in più luoghi si magnifica e si sublima
per la forza degli affetti. Egli dopo avere resa odiosa
la potenza dei grandi, e mostratò lo stremo a cui
erano ridotti i congiurati, per questo modo s'innalza
dicendo: Quce quousque tandem patiemini , fortissimi vi-
ri? nonne mori per virtutem prmtat, quam vttam mise-
ram aiqueinhonestam, ti6i aliencBSuperbÙB ludibrio fine-
riSj per dedecus amittere? « Sosterrete voi sempre que-
sto, 0 nomii^^ fortissimi? Or non è meglio morir per
mlore, che una misera e disonorata vita , poiché dal-
l' altrui superbia sarete scherùitt, ontosamente perdere?
Nè meno sublime è ciò che segue poco dopo; DB'
nique, quid reliqui habemus , prceter miseram animam?
Digiiized
— 177 —
j«im igitur eccpergescimini. En Uh, Ula, qwm stBpe
optaslis, libertas : prceterea divitice , decus , gloria, in
ocuUs sita sunt. Fortuna ea omnia victor^us premia pò-
suit. « Che abbiamo noi più , se non la misera vita?
Isveglialevi voi medesimi: ecco la liberti che tanto
avete desiderata: anche ricchezza, onòre e gloria, avete
ìonaDzi agli occhi. La ventura ha poste ti^tte cotali cose
per guiderdoQ di ci^oro che vìdoodo. »
Nè meno sublime è il seguente luogo, che si legge
nella Cantica di Giovanni Marchetti, intitolata : Um notte
di Dante:
A noi guardia sia 1* Alpd» e all' Àl{>e noU
8 3».
D. Come ti iublima lo iiUefCol mes^so dtìk figure?
R. Quando T animo ò commosso, voi sapete che
1' uso delle figure più veementi è naturale, e che per
quelle lo stile prende effioseia; ora vedrete come prenda
ancora abito di subBsiità. OsserfBte questo luogo di Ci*
cerone neir Orazione a favor di Milone: Vos, vos appel-
lo, fortissimi viri, qui muUum pra republica sanguinem
^udi^tis, Vos, in viri et civis invicli appetto perictdo,
eenhtriones, vosque, nUHUs: fMis non tnodo inspeekmii'
bus, sed armatis et huxc judicio prmidentibus , hcec tanta
virtiAS ex hac urbe expelletnr? a Voi, voi appello, o cam-
pioni, ohe molto del vostro sangue spargeste per la re-
pubblica: voi appello nel risico di qnest'nomo e citta-
dino invitto, 0 centurioni, voi, o soldati. Adunque su-
gli occhi vostri non solo, ma sdprastando voi armati a
questo giudizio, lascerete da questa città cacciare una
virtù così grande? sterminare? sequestrare? » (Cesari.)
Se osservate quante figure qui vi sono, troverete clic
i2
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— 178 —
Id breve spazio molle; apo3(rofe, im appelh; daplica-
zione , vos,vos; ripetizione, vos centuriones, vos milites;
progressione inspectatUibìtó arm<Uis, judicio prcesidenti-
bus; ì/fàterrogBaiiooei ex hoc urbe esq^eUetur? ed altri
tropi e metafore, tutte forme di dire attamente paaaie-
nate, per le quali si addoppia Y agitazione dell'affetto,
e a gran copia si presentano idee alla mente in brevis-
simo tratto. £ qui non mi tengo dal recare quel subli-
me luogo dì Demostene tanto ledafto da Longino.* De-
mostene vuol provare che egli aveva bene amministrata
la repubblica: Nm erraste no, Atetiiesif ponendovi a
cinmtoper la Kth&usa de^ Greci; voi ne ovete domestici
esempli. Nè meno errarono quelli che in Maratona, nè
quelli che in Salamina, nè quelli ancora che in Platea
combatterono. Non erraste al certo , no, giuro per le ani'
me di colerò che Uuciarùno larvila em caa^ di Jfaro-
tona» Sembra (prosegue Longino), che per questa figura
di giuramento (cui io qui chiamo apostrofe) T oratore
nel suo dire abbia ^nsecrali imaggiori, mostrando che
per coloro che ìm A latta guisa nlorìroiio doTesi come
per gli Dei stessi giurare; e mettendo ne' giudicanti il
coraggio di quelli che ivi al cimento lo esposero , pare
che egli abbia iaftio passare la natura della dimostra-
sione in una oltrepassante allèzBa ed affezione, ed in
una fedel prova di nuovi e pellegrini giuramenti, e
straordinarj e n^aravigliosi; e che negli animi degli udi-
tori come un certo reale medicamento o contravveleno
abbia fatto calare il diseorso, talché eccitati dagli en-
comj non minori spiriti si sentissero nel cuore per la
battaglia perduta ^ntro a Filippo, che per li premj
* Trattato del Sublime di Dìonigio Longino, Iradolto dal
greco da Anton-Francesco Cori.— Firenze, aU* insegna dell'Anco-
ra, Idia.— Sesione XVI, pag. d7
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— 179 —
delle vittorie riportate in Maratona e in Salamina: e
così con avere portato via per colai sorta di figura gli
animi degli uditori, si partì. Per eguali ragioni è magni-
fico il seguente passo di Virgilio nel secondo della Enei-
de ^ che già altrove recammo:
lUiaei cinerei, et fiamma extrema meoriim,
Teetor in oeeatù veitro, nee t^a, ne» nUae
Fltovtotf tkee Ani0fMi;«r K fata fititmi
Ui eadatentf m^fuieee mIami*
£ l'altro di Dante, quale introduce Pier dalle Vigne a
protestare la sua fedeltà verso Federigo signor suo:
Per le nuove radici d' esto legno
Ti giuro, che giammai non ruppi fede
Ai mio signor cbe fa d' oaor al 4legQ0«
Quante idee non contiene in sè Pespressione del prinràO
verso I
D. Come si rende sublime lo stile con ardita eleganza
di frase?
R. Quando nel nostro parlare, sia egli di fantasia
0 di afletto, con una o con poche parole risvegliamo
nella mente dei lettore qualche idea grande o potente ,
la quale, giungendo inaspettata, occupa la mente ed il
cuore, lo stile acquista nobiltà e magnificenza. Esempj
ne abbiamo più cbe molti. Virgilio nel 4^' delle Georgi-
che volendo accennare i trionfi' di Cesane ottenuti nei
Parti, dice cosk:
... C(esar dum magnui ad altum
Fulminat EuphraUm*
Quale parola più grandiosa pei molti concetti , che ad
un tempo risveglia l la poten^^ la celerUà dei vincere,
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si piresentaBO air animò ad uà tratto; contro le armi
di Cesare non è forza umana che resista, come ninna
foraa resiste al fulmine. L' idea di fulmine ti porta ne-
cessariamente Il coDOSoere la mano che lo scaglia ^ ella
è la mano di Giove; vedete adunque come con una sola
parola il poeta dice : Cesare è potente , invincibile, eguale
a Giove. Così Cicerone con poche e vibrate parole espri-
me la fuga di GatiUna, la raUna concai è fuggito, la
prestezza del fuggire , la ettlK scampata per la fuga di
lui. Ahiit, excessit, evasit, erupit, E poco appresso:
exuUat^ et iriumphsU oratio mea. Ove, se .osservate'
quante idee si ridestano a quelle due parole che indi-
cano gioia ed allegrezza somma, e nella gioia e nell'al-
legrezza la gioia d' aver vinto Catilina, vi confermerete
sempre più in ciò che è detto. 11 padre Segneri , quel
sommo fra gii oratori italiani, dopo avere numerato con
beir antitesi il gaudio che deve provare un' anima in
Paradiso, sublima lo stile colla soia parola Dio. — In
lui vedrete le perfestioni tutte, non vedrete in lui P essere
di veruna, e perciò in lui non vedrete verun difetto, tn lui
vedrete candore, ma non tinto da macchia; in lui beltà.
mo non soggetta a scolorimento; in lui potenza, ma non
ombreggiata da emulo ; in Imi sapere^ ma non dipetidente
da magistero; in lui ftoiiM, ma non sottoposta a punissiO'
ni; hi lui costanza , ma non mescolata con accidenti; in
lui vita, ma non dominata da morte. Che più? Vedrete Dio
[o voi^ille volte be(Ui)! Vedrete Dio. Cosi nelle seguenti
due terzine di Dante lo stile si sublima per la parola
Sole, e nella terza per ia frase farsi corona: -
E gìh la vita di quel nume santo
Rivolta s' era al Sol, che la riempie
— 18i
DI qudia c(Hta là <l«?'ellt frange
Più tua raltexia, nacque- al mondo un Sole,
Come fa questo tal?olU dal Gange.
ftatt fiipoB4er« sH ooelri m lefai» «
£ vidi lei (ehi BeatHee) clie H facea corona.
Riflettendo da tè gli eterni rai.
Quante grandiose Idee si sviluppano nella mente del
lettore per quella frase si facea corona! Iddio coi proprj
raggi la vestiva; non bastale; formavale sui capo ia co-
róna favillante degli eletti.
§50-
D. Come si ottiene da uliimo di rendere magnifico
ed elemto lo sHk per mezxo dèlia cow^ixione del pe-
riodo?
li. Per due modi si ottiene: o disponendo il perìodo
in maniera che ti présenti sotto una sola idea princi-
pale scoperti i rapporti con molte idee accessorie, e i
membri e gì' incisi siano così disposti che ne esca una
grave e dignitosa armonia*, o disponendo le parole per
modo, che seguitino più da vicino che si può V anda-
mento dell* idee, e quindi assalgano piùdiforsa la fan-
tasia e r animo. Esempj del primo modo troviamo spesso
negli oratori e nei poeti latini ed italiani; del secondo
meno sovente, specialmente tra gV italiani, la lingua
de* quali non molto a ciò si presta. Vedete nel seguente
esempio di Cicerone nella seconda Catilinaria , come por
grandiosa armonia ed elevala composizione di periodi
si solleva lo stile: Sed si vis manifestm audacioe, si im-
pendens Patrice périciilum, me necessario de hac ànimi
lenitale deduxerint, illud profecto perficiam, quocl in
tanto et tam insidioso bello vix optaÀdtm videtur, tU ne
quts bonus intereat, paucorumque pi»na vos omnes jam
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salvi esse possitis. Qìjub (ptMtm^ neqm prudeniia,
neque humanis consiliis fretus, polliceor vobis, Quirites;
sei muUis et non dubiis Deorum immortalium signifioan
tionibus , quibus ego dwrièm m home spm, èententiwnqtte
sum ingressus : qui jam non procul, ut quondam sole-
bant ab extremo hoste atque longinquo, sed Ine prmen-
tes suo rumine, otqifB auxilio, stia tempia, oJUpue urbis
tecta defenduni: guoe vos, Quirites, prwcarì, venerari,
atque implorare debetis, ut quam urbem pulcherrimam ,
florentissimam, potentissimamque esse voluerunt, kanc^
omnibus hoslium copiis terra tnartgtie supercUis, perdi*
Ussimorum cimm nefario scelere defendant. « Ma se la
manifesta forza dell'audacia, se il soprastante pericolo
della patria mi farà necessariamente lasciare la cle-
menza deir animo mìo, io farò quello che in così grande
e così insidiosa guerra pare che appena si debba desi-
derare; che niun bono moia, e voi tutti col supplicio
di pochi possiate esser conservali. Le quali cose, Roma-
ni, io non vi prometto per mia prudenza, nò pereisser-
mi appoggiato ne' consigli dell'umanità, ma per molte
c non dubbie dimostrazioni degli Dei immortali, i quali
mi sono stati guida ad entrare in questa speranza ed in
questo parere. E non di lontano, come già solevano da
lontano e "straniero nemico, ma essendo qui presenti
colla divinità ed aiuto loro i lor templi e gli edifìcj delia
città difendono. I quali voi, Romani, dovete pregare,
riverire, supplicare, che quella città, che essi hanno
voluto che sia bellissima, floridissima e potentissima,
vinte in terra ed in mare tutte le fòrze dei nemici, di-
fendano dalla scelleraggine di ribaldissimi cittadini. »
(Dolce.) Nè meno grandioso per la stessa tessitura del
periodo è il seguente luogo del Segneri, nel quale mo-
stra quanto sia formidabile la divina giustizia. Ed ève
— 183 —
mai tu potevi volger il guardo^ che non incontrassi la
gif4sU:&ia divina in atto di fulminmte? Se alzavi gli occhi
alt mpireò, iu la vedeui respinger quindi eoli' asta quel-
Por gog li oso esercito diribelUr se li chinavi agli abissi,
tu la vedevi attizzar quivi col fiato quelle fornaci caligi-
nose di reprobi* Entravi nel Paradiso Terrestre, e quivi
amuM dtum spada yireifole, la soofgevi manda/re in
lontano esilio, e condannare ad inevitabile morte i due
primi padri. Lei tu vedevi passeggiar lieta suW acqua
cT un mondo naufrago; lei sedersi eontenta sopra le ceneri
<f una Sodma divampata, e neW assorbimento famoso di
Faraone; lei tìi miravi sollecita affaticarsi tn risospingere
quei volubili monti di acque spumanti nelle teste egiziane:
lei spcMSMor carri; lei franger aste; lei rùvesdar cornili;
fei sommerger cavalieri. Osservate ancora quanto giovi
una grave armonia a dare aria di maestà e di subli-
mità alla seguente ottava del Tasso, nella quale il poeta
incomincia a descrivere la rassegna che Buglione eletto
duce fa de' suoi:
a
Tcila dama da gran d^sio compunto
Vesle le membra dell' onte spoglie,
E tosto appar dì toUe l'arme In punto.
Tosto sotto i suoi (luci ogni uom s'accoglie;
E r ordinalo esercito congiunto
Tutte le sue bandiere al vento scioglie ,
E nel vessillo imperlale e grande
La irionfanie Croce al ciel &ì spande.
Ma quanto giovi l'armonia, o sia ella semplice, o imi-
tativa, dicemmo a suo luogo ; e solo che voi ritorniate
la mente al detto, di leggieri coaosoerete quanto ella
giovi a ciò; ma forse più che V armonia giova una ac-
corta ed acconcia collocazion di parole, e questo si pa-
relio chiaramente dagli esempj ohe qui rechiamo, tolti
L.yi.,^uu Ly Google
— 184 —
di peso dal libro deirEloctuioiie di Paoto Costa, sensa di- •
stenderci più oltre, perchè già anche di questa fu detto,
abbastanza a suo luogo. Avendo PacuUo/Calav io ialeso
come il figliuoì soo PeroUa era fersao nel pensiero di
uccidere Allibale, come già vedesse cogli occhi il san-
gue del gran Cartaginese, fuor di se per paura si volgo
al fìgUo, e gli dice ; Per ego to, quomtmque juro,
los patris facere, et pati omnia infanda velis. « Io te, fi-
glio, per tutti i vincoli che i figliuoli restringono ai
genitori, che tu non voglia fare e patire la piti grande
nefanditii sugli occhi stessi del padre , prego e ti scon-
giuro; » e poscia: Annibàlem pater filio meo potui pla-
care: filium Amiihali nonpossumi v Padre, Annibale al
figliuolo mio potei placare, il figliuolo ad Annibale non
posso, j» In questo luogo sono anteposte le idee, che
prime si offrono alla vista dell' animo appassionato di
Calavio, sicché ultimo venga a recar luce il verbo, al
quale il discorso si chiude. Nella preposiuone per hai
eccennato, non «spresso, Tatto del pregare; neW ego,
la persona che prega ; nel fe, la pregata. Quindi i do-
veri da fìgliuolo a padre; poi la preghiera e la supplica,
indi la persona del padre, poi la cagione della preghie-
ra. Osservate con quant'arte quellMnmòafem domina
la prima parte del 2° periodo, e con quanta ragione gli
sussegue pater ; e al pater, fiUo meo; poi ultimi i du^
verbi: indi nella seconda parte filium, e quindi quasi
a contrapposto Annibali, e il verbo a compi mdnto del
concetto. Prima inCatto nella mente del padre (}ovea sor-
-gore l'idea della persona cui si voleva dar morte, po-
scia il pensiero della paterna autoriih, e qudlo d*an
figlio che non vi si piega. La vicinanza di codesti nomi,
il naturale contraslo che per essi nella mente si desta,
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. — 185 —
la quale è quasi costretta a passare rapidamente a ri-
flettere dall' una ali* altra persona , danno un non so che
di sublime e di prepotente al discorso di Calavio, e
tutta ne mostrano la concitazìon degli affetti. Per egual
arte si innalza lo stile nel seguente luogo delP^ssavanti.
Una madre vede venire al giudizio di Dio un figliuolo,
il quale per amore di santa vita in prima entralo alla
religione, lei lasciando vedova deserta, poscia abbando-
nato ai vizj, aveva traviato. Ella gli si fà innanzi cosi;
Che vuol questo dire, figliuolo mio! Oh se' tu veniUo
qui cui esser giudicato; tu! Se si dica: figliuolmio, que-
sto che vuol dire? or tu e€ venuto qui, tu ad eetere giU'
dietUo? è facile a sentire, ohe V eflSoacia e V eoeellensa
del dire si dileguano e si pèrdono al tutto, comunque
restino integri i concetti ; e che ciò avviene per la di-
versa coliocazìene. Coék pure V altro luifo delio stesso
scrittore è mirabile.*— Udendo il confessorech'egli aveva
morti due confessori, disse fra sè medesimo: me non uc-
ciderai tu; e la forza e la vaghezza tutta dispare sol che
si dica: tu nm ucciderai me, otume non ueeiderai. Ma
intomo queste cose basti il detto , perchè la brevilè cbe
mi sono imposta non permette di stendermi più oltre.
Nullameno non mi terrò per questo di non recare uniti
qui appreiso dnque esempli, i quali via meglio fsociano
sentire come si ottenga la vera sublimiti: Con alti
concelti. 2° Coli' opportuno governo degli affetti. 3** Con
belle figure. 4» Per ardita elega&za. 5<» Per elevata cùOh
posision del periodo. Bene per amore di brevitii mi
terrò dall' analizzarli, sperando che i giovanetti desi-
derosi d' apprendere vorranno farne analisi da sè nel
modo che è stato da noi insegnato e praticato.
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*
Ssempio del Sublime oUenulo in Jbfift «lei ^andi ooaeetUi
Proemio della Congiura di Catilina descritta in latino da Cojo
Crispo Sallustio, e voltala in italiano da frate Bartolommeo
da San Concordie,
• X)mms homines^ qui sese siudeni prtestat^e co^eris
fli i t i wn itfciify fumine ofe nifi ékcett wum HfeniiQ ne
tramean^, veluii pecora, quùs natura prona aique ven-
tri obedientia finxit, Sed nostra omnis vis in animo et
corpore sUa ut: ankni imperh* corporii teruitio ma-
gU ttfimnr. AUérum noè» oum Dm, allenm eum tid*
luis commune est. Quo mìhi rectius esse videtur ingenii
quai(gi virium opibus gloriam quasrere^ et quQniam vita
iput • qua firuM^mr^ hrévh cff , mett0riam nostri qwtm
mamtme hngam efficere, Nam iiHiMamtn. et farmte glo-
ria fluxa atque fragilis est; virtus darà (elernaque ha-
betur, Sed diu ^na^nuiti inter mortalis certamen fuUy
vim corporif » m viHute anim re$ rnUUttm n^h prò-
emteré$, Nam et, prtus quam Intàpia9, eonmUo; et, ubi
consuhieris, mature facto opus est. Ita ulrumque per se
indigens, allerum. alterèm aau;ttìo eyeL l§tiur iniiio re-
gee inam in ferrh nomen mpem U prmum fuk) éi-
vern; pan mgenUm^ olii eerpus emteAemt «ftam tum
vita hoininum sine cupiditate agitabatur ; sua cmque
saés placebant. Fostea vero quam in Am Cf/nu , m
Gnema Uttedesm^mk et ÀihemenHs ecepere urbet mlqne
natiónes subigere, lubidinem dominandi caussam belli
ìiakere^ maxumam gloriam m maxumo imperio putare;
tum demum perieulo atque nego&e oomjMrfnm cft, tn
beilo fìurìmum ingenium posse, Quod H regum atque
imperatorum animi virtus in pace ita uti in bello va-
— 187 —
leret, oBqnMR^u mique eotMmlim $e$é re$ hummHB
kaberent; neque aliud alio ferri, ncque mutavi ac mir
sceri omnia cernerei, Aoia imperìum faàle his ariibus
refinelttf» qnibu$ òntio fortum eU, Verum uU ffo lor
bore desìdia, prò eontmentàa et ceqmiale lubido alque
superbia invaserCy fortuna simul cum moribus immuta'
lur* Ila imperium semper ad optimum quemque a minus
bono iransferiur. Quas bomìnes arani, navtgant, mdifi-
cani, vhrluti onmia parenl. Sed multi mortales, dediti
ventri atque somno^ indocti, incultique vi/am, siculi
peregrimntu^ Iransegere; qmbiu^ profecto conira na-
iuram, corpus voluptati^ anima oneri fuiu Eorum ego
vìlam mortemque juxta cestumo, quoniam de utraque .
siletur. Verum enim vero is demum mihi vivere atque
frui anima videtur^ qm aìBquo negotio intenius piteobri
faeinoris aut artis bonas famam qumrU. Sed tu itM^iia
copia verum aliud alii natura iter ostendit, Pulchrum
est bene facere reipublicce: eliam bene dicere haud absur-
dum est. pace vel bMo ektnm fiori Ucci: ti qui fé-
eert^ et qui faeta tttorwn seripeere^ m«/lt lauàanHtr:
Ac mihi quidem^ tametsi haudquaquam par gloria se-
quaiur scripiorem et auciorem rerum, tamen in primie
arduum videtur rm gestae seribere: frìmnm^ quod faeea
^etis sunt excequanda; dehinc , quia plerique , quce de-
lieta reprehenderis f malivolentia et invidia dieta pu-
tant: ubi de magna virtuie et gloria bonontm mmorei,
quw sibi quisque faciWi faetm ptUal, a^uo animo acéb^
pit; siipra ea, velati ficta, prò falsis ducit. Sed ego ado-
lescentulus initio sicuti plerique , studio ad rem]^tldkam
latuM ftim» ìUquù miftt aimsa madia fisera. Nam prò
pudore, prò abstìneiuia, prò mrtute^ audacia, largitio, avor
ritia vigebant. Quce tametsi animus aspernabalur insolens
malaruni artium, tamen inier tanta vitia imbeciUa eeias
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— 188 —
ambilione corrupla tenehatur; ae me cum ah rcliquo-
rum malìs moribus dissenlirenif nihilo minu» honoris
cupido eadem, qum easteroi, famm atftte ìmMia vexa-
bai, Ighut ubi anhnuM ex mulHs miseriis aiqtie pericu-
li8 requievU, et mihi reliquam celatem a republica prò-
cui habendam decrevi; non futi eonsitium àecordia atque
detidia bonùm otàum eoniereré: neque vero agrum eo*
lendOy QUI venando, servilibus ofjìcus intentum, (vtatem
agere; sed a quo inceplo studio me ambilio mala deti-
nuerai^ eodem regressus sHiim rei gestas pojvU romani
mrpftm, ttf quceque memoria digna videhantur, perseH'
bere: co niagis quod mifii a xpe , metu , parùbus reipu-
bliccef animus liber eral. Igilur de Calilince conjuralio'
ne, quam verissnme poterò , paueìs absolvam. Ifam id
faànus m prim» ego memorabile exisiumo , scelerìs ai-
que periculi novilale. Ve cujus hominis moribus panca
prius explananda iun£» quam initium narrandi faciam.
e A tutti gli aomini , li quali si brigano di pili va*
lere che gli altri animali, si conviene con somnio stu-
dio isforzare che egli non trapassino questa vita io tal
modo elle di loro, non sia detto elcuno bene; siceome
diviene delle bestie, le quali la natura ha formate in-
chinate giù a terra, e ubbidienti al desiderio di lor
ventre. Ma ogni nostra vertU è posta noli* animo e nel
corpo: V animo per comandare, il eorpo per servire
più principalmente usiamo , e usar doverne. uno ,
cioè r animo, con li Dii ; l'altro, cioè il corpo, colle
bestie avemo comunale. Per la qnat cosa a me piii
diritto pare per istodio d' ingegno d* animo , 'che di
forze di corpo, addomandare gloria e cercare onore ; e
in questo modo, per cagione che la vita è briove , la
memoria di noi distendere e' rallungare. Perciocchò
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- 189 —
gloria e onore di ricchezza e di bellezza è mutevole e
fragile, la virtù è famosa e tesoro eternale. Ma di que-
sto lue iuDgo tempo ixa gli uomini grande questione: se
per forza di corpo o per vertù di animo li fatti caval-
lereschi più e maggiormente andassono innanzi. Perchè
anziché si comincino i fatti è mestieri il buono censi- ,
gliamento, e poiché i} consiglio è preso, si è sbrigaiji-
mente mestieri il fatto : e coà e Fune e V altro, insuf-
ficiente per sé, Tuno dell* altro ha bisogno. Dunque al
cominciamento i re, perciocchò in terra questo fuc
primo nome cU signoria, alcuni di loro studiavano e
adoperavano in loro e in lor gente lo ingegno, e al-
cuni altri il corpo. E infino a quel tempo senza avari-
zia e desiderio vivevano, e le sue cose propie a cia-
scuno piaceauo e contentavano assai. Ma poiché in
Asia il re Giro, in Grecia li Lacedemoni e gli AteiMesi
cominciarono a conquistare e sottomettere cittadì e
gente; e ad avere cagione di guerra e di battaglia la
grande voglia del signoreggiare; e a credere che som*
ma gloria fosse in avere grandissima signoria : allora
finalmente per pericoli e altri fatti fu trovato e veduto
che in guerra e in battaglia molto puote e. vale inge-
gno. £ se la virtù dell'animo de' re e dei signori | co-
me s' ingegna e si eforza di valere nel tempo delle bri-
glie, così facesse in tempo di pace, più chetamente e
più fermamente starebbono gli stati umani: nò non ve-
dresti altro stato ad altri andare , nè posi mutare nè
mischiare tutte cose; perciocchò la signorìa agevolmente
si ritiene con quelle arti per le quali al cominciamento
fu acquistata. Ma poiché in luogo di affaticare viene la
pigrizia , e in luogo di contenenza e di drittura ven-
gono i disordinati desiderj, lussuria e superbia; allora
la ventura insieme co' costumi si rimuta. £d in questo
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modo la signoria va a ciascun ottimo, partendosi dal
mea buono: e quelle cose che gli altri uomini navigan-
do, arando, edificando acquistano, alfa virtìi sono tutte
ubbidienti e soggette. Ma molti uomini dati al ventre,
al sonno, non savj e non composti, di questa vita tra-
passarono siccome pellegrini, de^ quali, poiché sono
partiti, non si cura più. AN|uali uomini centra natura
il corpo fu a disordinato diletto, e V animo fu a carico:
e io lor vita e lor morte egualmente giudico e stimo,
perocché deli' una e deir altra si tace. Ma per vero que-
gli a me finalmente pare che viva e die delF animo
goda, che ad alcuna operazione inteso di chiaro e famoso
fatto, ovvero d'arte buona d'animo, sua nominanza
va cercando. Ma infra la grande molbitudine delle cose
la natura dà diverse vie ; e 1* uno é acconcio natural-
mente ad una cosa, e V altro air altra. Onde bella cosa
é ben fare alla repubblica , cioè a suo Comune. Eziandio
ben dire non è laida né vile : ché in pace e in guerra
puote uomo diventare famoso : e quegli c' hanno fatto,
e coloro che i lor fatti scrissero, molto sono ragionevol-
mente lodati. £ avvegnaché non egual gloria si séguiti
allo scrittore che al fattore delle cose, importante a me
grande e malagevole cosa pare le cose fatte scrivere :
prima, perocché come sono sutili fatti, così si conviene
proseguitare, ed agguagliarli con parole e detti ; appres-
so, peroceliè molti quelle malfatte cose che tu ripren-
derai pensano detto per malivoglienza o per invidia :
laddove di grande virtù e gloria de' buoni parlerai, se
dirai quelle cose che ciascuno agevolmente creda di
poter fare le somiglianti, udendole sta per contento;
ma se dirai sopra a quelle , allora reputa cose composte
e non vere. Ora io assai garzone, al cominciamento, sic-
come molti altri fui levato dallo studio, e a* fatti del
uiyui-n-G Ly Google
— 191 —
Cronrane mèiialo e poslo ; e quivi molte cose mi farono
contra V animo ; perocché per l' onestà e per gli com-
posti atti, per la astinenza e per la virtù era disordi-
nato ardtflMito e allargamento di spendere e di donare y
e avarìzia : queste cose erano in me, e in me polensa
aveaoo. Le qu^li cose avvegnaché il mio animo schi-
vasse e spregiasse I siccome usato e non concorde-
vole con quelle male arii^ nientemeno la tenera mia età
corrotta per desiderio d^ onore in quelle era occupata
e distenuta. £ conciossiacosaché io da' mali costumi
d'altrui disoordasai e disconsentissi, importante quel
medesimo desiderio d* onore e di fama, e quella- mede-
sima invidia, che conturbava gli altri, conturbava e
occupava me. Però quando V animo mio di molle miserie
e pericoli riposò, e io mi determinai V altra etade avere
dilungata da* fatti del Comune, non fti mio intendi^
mento il buon tempo del riposo, che io preso avea, di
guastarlo o consumarlo per negligenza o per pigrizia4
nè eziandio intendendo a lavorio de' campi , ovvero k
cacciagione, a uecellagione^passare V età , occupandomi
in operazione cos\ vile. Anzi allo studio, dal quale, co-
minciato, m' avea dipartito e ditenuto io disordinato
desiderio di onore, a quel medesimo io ritornando, dili-
berai delle storio di Roma scrivere, non per tutto, ma
per parte, le cose, siccome ciascuna era di memoria
degna. E tanto più in ciò mi fermai, quanto io potea
sicuramente dire, sentendomi T animo lil)ero da spe-
ranza e da paura, le quali due sono come due parti
ne' fatti del Comune. Adunque della congiurazione, cioè
del trattamento e del tradimento di Gatellina, tanto
verissimamente quanto io più potrò , In brievi parole
riconterò; perciocché quel fatto io stimo e giudico in
prima ricordevole per novità di gran fallo e di perico-
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loso. Dé' cmUxm del qaàle nomò no pooo rteoiHerò , in
prima che io cominciamento facci di mio dire. »
Qaantt ailezia di filosofia, quaala ma^fioeosa di
concetti e di parole non è in questo proemio ! La natura
dell' uomo e degli umaai reggimenti vi, sono maestre-
volmente dipiodi eoa |[r«vità che sempre tieiie ai
sublime» Sentenze poi elevate e piene di Gatonli^na se*
verità, colla grandezza della mente dello scrittore ti
mostrano direi quasi in iscorcio la grandezza dell' im-
perio romano , e ie fondamenta iSuUe qnalt levò tant' alto ,
e più da lungi il principio dèi decadimento e della riiina.
Luogo più sublime per potenti concetti forse indarno
si oerca fuor di Sallustio, il quale in questo genere di
compressa e sentensiosa sublimili forse va innansi ad
ogni altro scrittore latino. Del volgarizzamento non par-
lerò, e mi basti dire ohe rado ci perde col testo, e se
non lo avansa ci va sovente del pari*
* ^ •
Ssempìo del Sublime otkei|uto in forza dell' afieito»
Proemio del libro VI delle Istiluiioni di Quinltliano, in cui de-
plora la perdila dell'unico figliuolo che gli era rittmto»
Filium , cujus, prfcter Marcelli sui et Coesaris ipsius
in hoc opere conficiendo, utilitatem respexisset, mòrte
interceptam esse dolet.
Hoec, Marcelle Ficfori, eo? fmi volunttiie masàme
ingrcssus, lurti si qua ex nobis ad juvenes bonos perve-
nire possei ulilitaS t novissime pene eliam neauàiUUe quor
dam offieii delegali mìftt, eedulo Morabam^: reij^em»
tamen illam curam meco volupiaiis, qui filìo^ cujus emt-
nens ingemum soUicUam quoque parenùs dU'^enliaiu
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— 108 —
■wrghiiiir» ìum oftìmtm frnim tMctwm kmNiiimii$
vUèlmrf «1, fi m§, quad mquum et opèMU fttU^ fata
inlercepusent f prceceplore tamen patre uteretur. Al me
forlum id agentem diebus ac noctibuSf fulinaiUemque
Mcm mem m&rtaUkUUf Um jiiMio prMmwUf mt làbih
rt$ mèi frwcHMM nd mmnm mimis, qu/am ùd me, perH'
nerel. lllum enim, de quo summa conceperam, et in quo
$pmi unicam ienectutis mete repombamf repeiila «tii-
mre atUMh amim» Qmd .mme afiinf M ^uem ullra
em$ Mnm itier, diii reprebanàlmi, credami Wam tic
forte accidit, ut eum quoque librum, quern de caussis
corrupte eloquenii» emUi^ .jam ecrìbere e^ggremu^ »-
scm ferirer. Tmw igkuir oftìmmm fmi^ imfexMm
opus, et quidqu'td hoc est in me infelicium literarunif su-
per immaiwrum funue eoneumpturis viscera mea flammis
hgkeret neqm lume Imfiam vtmiMMi nmdt inn^fer
curii feà^e. Qme emm mttl fcmM parali ìgmeeiU:
sì studere amplius possum? ac non oderit hanc animi
mei firmiuuem, <i qme inme eH alÀns imiu vocis ^ quam
«I meàeem dece, emperetee cmmbm mccrtmf nuUam
'terfQé deipieere proviffMttiiiii iMerf #i mmo auu,
età taìnen nihil objici^ msi quod vivam, potest: at ilio-
rum certe^, quot utique mmeritoe more acerba damna-
vk: creplm mtftt firiiit eorumdem mairCf qmm imdum
expleto ostatte nndemteàme anm duo$ enixa fHìos, quam-
vis Qcerbìssimis rapta folti j feìix decessit. Ego vel hoc
mo malo sic eram agUeim^ ta me jam nuUa fmrtma
poaet effkere fdieem. Num eum cmd Mrlaite, qiug m
feminas cadit, functa imanabilem attulit marito dola»
rem: tum astate ea paellari^ prasserlàm mece comparata,
paieel el ipea munerari-nUer vulnera- wMkak: ei, quod
nefae erai, wm {eed c pla ha i ipsa), -tiM-Mbo» fiMuriiiias
cruciatus prascipiti via effugit. Liberis tamen supentiti-
i3
uiyui-n-G Ly Google
104 —
bus obUcéakmr^ MUà fUim wàmr ^m t i tm egnmm m-
tttim, ni m ntiBr ager&m^ frìùr tkenm tr Amokiu ttmi
lumen. Non sum ambiliostis in malis, nec augere lacry»
marum caunas, volo: ulmamque esset rano mmuendL
Sed di$iimulwrt qm poMicm, quid iUi yaiim m mAm»
qmd jucirncKlAlit In $armone, quoi ingeàn ègmmihit
quam prwslanliam placidce, el (quod scio vìx posse credi
lanlum) alice menù$ oUenderei? qualis amorem qukum'
qu€ ofiefiNt imfan$ merenimt. JUmi vmto iitriiiianlti» qm
me voMìm eruótaret, forhOHB fuii, ut iUe mUà Man-
dissimus, me suis nutricibus^ me avias educanti, me om-
4Ùbu$, qui BoUUUne' soUu iUoi wlaUÈf mUeferreL Qmar
propier UH dohri, quem ^» maire <iplmMi, aiqu» kiadè»
4)mnem supergressa, pauco» ante menses coeperam, gra-
tular, Mirxui enim est, quod fiendum meo nomine, quam
qMod tUitft gamdmd$m eti. Una peti h&ge OìàtUàtUmi
-mei spe oc viÀnpimte «tleior ; d poserai sufficere «oblio.
JVon enim flosculos, sicut prior , sed jam decimum aslatis
ingrmui anuum^ ccrioi alqua deformaioi frucius ostm-
deroL Jiiffli p$t. mala nm^ per mfeliaam eaMdoiliam«
pet iUoB manes, mnnùna doloftt m«t, km wu m ìBo 9h
disse virtutes ingenti ^ non modo ad percipiendas disci-
plinai, quo mhU pnetiauéiuB cogmm, pbuima expaum^
fl urfì if u e jwn .uam nm ùimed {sdimi prmtplorer), «erf
prohilalis, pielalis, humanitatis, lìberalìlalis , ut pror-
sus posaii hinc esse tanti fulmmis melus, quod obierva-
imm fera atkrìm oaàden fiuHnakun mamrkatm:
et t$n nemm quam, qum spm UuUai daeerpat , hvUimn:
ne videlicei ultra, quam homini dalum est, nostra prn-
vehantur. Eliam iUa foriuita uderaM omma, vocìi jii-
etmdiiM dmiiAffiie, ora amviuta, of tu àir^temmqm
lingua, iamqmm ud mm 'émmm mim enei, esFpm m
proprielas omnium Ulerarum, Sed ìuec spei adkut:: iUa
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— 195 —
WHjcn, emutminmt j^istrifot » eonfra dobrc» arim»
nuiuB rohtr, Màm fu^ iib ammo, qua miikorum atf-
miratione, mensìum odo valeludinein tulli ? ut me in
supremii consokuus est ? qum etìam deficit » jamque
non noiteTj iptum Uhm atìenaue mentis enorem àrea
solai litteras hahuit f Tuotne erjo^ o mete spes inanes,
kifenèes oculos, luiim fugienlem spirilum vidi? Tuum
eorpm frigidim exangue compkxus^ ommt^m redpgrei
amramqm oomnmnm hmrke ampHw potiti? ^^im
ftif omciaffòtif, qme fero, diqnm ine eogilationilms.
Tene consulari nuper adoplione ad omnium . $pes /ioao*
rum pairis aémoUmf ie .avuneulo praséori generumish
etìnatum^ ie omnmm epe nitìeee deq^untke eendiiatumf
supersles parens larìiiim ad poenas, amisi? El, si non
cupido lucis, cerU patienlia vindUcei le r^liqua ceta"
te* Ifam fruom moto omma ai erìemi forumae rdegn*
mne. Nemo, nid enm enlpa, din. doki. Sei viemmSf et
aliqua vivendi ratio qucerenda est: credendumque doc-
tissimis hominibus , qui unicum advenortm soUnium
Ikteras'pwemferunt. Si quamde tnmen itn retederit- prte-
tene ìmpetue^ ut aUqua tot luelèhm nUa «olimpo éneerì
possity non ìnjuste petierim marce veniam, Quis enim
dilaia studia miretur^ quee palius non abrnpta esse mi*
ranésM est ? Tum^ si fsa nmiif fuerint ^fsekt tir, qmes
levitis adfiuc afflicli cosperamus^ imperitice aut fortunw
remittaniur: quce^ si quid me^^oerium aUoqui in nostro
ingenìo tMum fms^ ut non erlmMrti, debuttanti fa-
iiMii. Sed vsl propter hoe noe eensuntadus erigstmuSf
fuod Ulum ut perferre nobis dijjiciie est , ita facile con-
temnere. Nihil enim M advereus me reUqmi, etf infe-
Beem quidem^ sed e&ttissimmn uesun^ aitedèt mshi e»
hit malh secufttatem. Ami unum esmmdm noetrum
laborem vel propter hoc <equum est, quod in nuUum jam
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— 196 —
pr&pfhm man» perMeramut , ud mMiit km emm mà
alienas uiHiiatei {si modo qiM «fiie ffrlMmiu) speeiau
No8 miseri^ ikut facuUaiis patrìmonii nostri^ ita hoc
opu$ QÌHt prmpaitabammf alm nUqumUi.
c Dopo avere iatrapresa quest' opera specialmente
per secondare il tuo genio, Marcello Vittorio, ed anche
per fare ai giovani dabbene quel giovamento cèe io
potessi, ultimamente veggendomi anche in certo modo
necessitato dal carico impostomi, m'affaticava attorno
ad esM con applicazione, non perdendo però di vista
quel pensiero eb© era V oggetto del mio piacere, Ab
slimava che la miglior parte dell' eredità che al mio
fìglittolo (il cui eminente ingegno meritava anche la sol-
lecita attensione del padre) potessi lasciare, ftaae 'que-
sta , che se la morte , come etato sarebbe giusto e desi-
derabile per me , m' avesse sorpreso , ei non lasciasse
d* aver ancor per maestro il suo padre.
» Ma, mentreobè a CIÒ io attendea gionio e notte,
ed affretta vami per timore d' essere còlto dalla morte,
la fortuna m'ha d'improvviso talmente diserto, che il
frutto della mia fatica a niuno può toccar meno che a
me. Pereiocilièi raddof)f>iaodo8i, la ferita dMl'«rbi4k,
quel figliuolo perdetti, di cui concetta avea altissima
idea, e in cui l' unica speranza di mia vecchiezza rìpo-
nea. Che cosa ora farò? o a obe crederi io d'esser buono
d* or innanu, poiché gli Dei mi riprovano? . ..^
» Imperocché anche quando presi a con^porre il
libro che diedi in luce sopra le cagioni della corruzione
Ml'^hquemn, per mala ventura accadde d' essere
d' ua colpo simile a questo percoiso. Allora dunque
sarebbe stato meglio che avessi nelle i\amme di quel
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— 197 —
rogQf acceso sì iircinaliifanente per cónèumare le vi^
soere mie, gettata qaeUMalaoflta opera, é tutta questa
sventurata letteratura ch'io possa avere /senza affati-
care ancora eoa novelle cure quest' empia lunghezza
di yita. Perciocché qua! buon |>adre potrà perdonarmi,
ae ho II coraggio d^ occuparmi ancor nello studio? e non
detesterà la fermezza dell' animo mio , se io fo altro uso
della mia voce che per lagnarmi degli Dei che m' han
fallo sopravvivere^ a tutti i miei, e per dioinarare che
non e' è Provvidenza che vegli §ul1e cose di quaggiù?
se non per la mia sventura, cui non si può però rin-
facciar altro, se non che duro ancor in vita ; almeno
per ia sventura di quelli che contro ogni merito loro
m'ha acerba morte involati; essendomi prima stata
rapita la lor madre, la quale dopo aver messi al mondo
due figliuoli, non avendo ancora diciannove anni com-
piuti, bencfaò da morte acerbissmia rapita, partì però
avventurata da questa vita , e , cfé che era ingiusto , cru-
dele (ma il bramava ella stessa) per aver lasciato me
in vita , a grandissimi tormenti per precipitosa via si
sottrasse. Io per questo infortunio anche solo era'rimaso
talmente afflitto , che ninna ventura mi potea più render
felice. Perciocché , oltreché per aver praticata ogni virtCì
che a femmina si conviene, un inconsolabile dolore ca-
gionò al marito ; per emre morta in una etè sì fandnl-
lesca, specialmente in paragone della mia, si può no-
verar anch' essa tra le trafitture che cagiona il rimaner
privo de* figliuoli.
» Io nondimeno mi oonsoiava co' figliuoli che erano
dopo lei rimasi. Il figlio minore, dopo avere compiuti
cinque anni, acciocché continuassi a vivere tra le di-
sgrazie, fu il primo a cavarmi 1* uno dèi due occhi, lo
non sono ambiziosor nelle sciagmre, uè voglio le cagioni
I
— 1QS —
aeereicere del lagrioiaro (piaoeflfle afisi al cMoche oi
fMBeiBodo di^diminulrle); ma come dissìiDalar .potao
qual grazia egli avesse nel sembiante , qual gentilezza
nel parlare, quai faville ingegno mostrasse, e quale
ecoeìleiìta di oa* ankoa tranquilla, e (ciò ohe so eteoe
appena credibile in una tal etè) df uti* anima elèvala?
un tal fanciullo, di qualunque altro fosse stato, sarebbe
slato degno d' amore.
» Ma lift tratta dairifiisidiatrioe fortuDay per tormen-
tarmi più crudamente , fu , ch'egli mostrandosi pili ca-
rezzante con me che con ogni altro, me alle sue nutri-
ci, me air avola cbe avea cura di lui, me a tutte le per-
sone che colle careisaalletlar sogliono queir età, prefe-
riva. Per la qual cosa quel dolore ringrazio, che pochi
mesi avanti ebbi a provare per la morte della sua ottima
madre, e che lodar non si può quanto merita: percioc-
ché meno c'ò da piangere per rigumlo alio y di qilel ohe
ci sia da rallegrarsi per riguardo suo. f.
» Restavami dopo queste sciagure il mio Quintilia-
no ^ oh' era tutta la mia speranza e T unica mia delizia;
e veramente ei pdtea biuitare peMuia-coBaoheione* Im-*
perciocché non fiori, slocoree il primo, ma 'entrato già
nell'anno decimo dell' età sua, mostrava frutti formati,
dei quali era sicura la rapcolta. Giuro per le mie scia-
gure, pel d(riorosQ.te8timomodi mia coscieitaa,. per quei
Mani che sono gV idoli del mio dolore, d' aver veduto in
lui tali virtù d' ingegno, non solamente per apprendere
le scienze, del quale non ne conobbi alcono più eccel-
lente con. tutta l'euperieflUa che 'ho, edlstudie sin al-
lora non isforzato (i suoi maestri il sanno], ma di pro-
bità, di rispetto, d' umanità, di cortesia, che certamente
^'può per quesU^-temere un A- gran colpo di fulmine,
chè'siikoiidiaarìaraciijte-'esaervatfifehe tutto oii che ^u-
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glie si presto a maturità, più presto finisce; e che regna
una segreta invidia la qurie portasi yia si belle speran-
se, per impedire appunto che le nostre cose non si sol-
levino al di sopra dei confini che all' uomo sono prescrit-
ti» £gii avea altresì tutti i vantaggi che dà il caso, un
SQono di Tooe piacevole e chiaro, una flsonomia amabi-
le, e in quel delle dite lingue tu vuoi, un pronunziare
scolpito di tutte le lettere, come se nato fosse unica-
mente per quella.
» Ma queste non erane ancora se non preparasioai
per r avvenire: erano ben più rilevanti le>ae virtù
della costanza, della gravith, e della fortezza eziandio
con cui stavasi saldo centro i timori ed i dolori. Peroc-
ché, oh oen q«al coraggio, con quale stupore de' medici
sopportò egli una malattia di otto mesi ! oh come negli
ultimi momenti di sua vita mi consolò egli stesso ! oh
cerne anche in sul mancare, e, non essmido ornai più di
questo monde, in quelle stesso vaaeggier die iacea , avea
sempre la mente occupata soltanto negli sliidjl Ho io dun^
que (o mie vane speranze !) veduto venir mono i tuoi oc-
chi, e il tuo spirito Aiggire? Tenendo tra le mie braccia
il tuo fredde corpo esangue, ho potuto ancora ripigliar
fiato e respirar la comune aura vitale? merito io bene
questi tormenti che soffro, merito ben questi tristi pen-
sieri, le dunque, che per essere poc' anzi stato da un
console adottato, potevi sperar di succedere e tutti gli
onori del padre; te, che eri già da un pretore tuo ma-
terno zio per suo genero destinato, te, che tutti spera-
' vano di vedere aspirare al vanto dell' attica dcquenea,
ho io perduto; ó padre sopravvivo a te solamente pér
patire? E se non ti vendica il niun desiderio che ho di
vivere, ti vendicherei almeno la miseria che soffrirò nel
restante di mia vita; percioochò invano noi imputiamo
uiyui-n-G Ly Google
- 200 —
tutti i raali alla fortuna. Niuno è lungamente inOelice ,
se non per sua colpa.
» ila noi vìviamo, ed èjùene ohe qoalohe oocupa-
zione cerchiamo in cui impiegare la vita: e convien cre-
dere ai più dotti uomini che hanno riguardate le lettere
come l'imioo sollievo nelle avversità. Se mai però il do-
lore che al presente m'opprime, in modo si oalmer^,
che fra tante afflizioni possa aver luogo qualche altro
pensiero, non senza ragione domanderò perdono del mio
ritardo. Di fatto obi si stupirà che sieoo siali differiti
gli siodj, i quali è anzi da stupirsi cbe siali non sieno
interamente abbandonati? Inoltre se qualche cosa sarà
meno compiuta di quelle che avevam cominciato, quando
eravamo ancor meno afflitti, se ne dia la colpa alla mia
insufficiensa, o alla mia rea fortuna; la quale se io
avea per avventura un ingegno punto capace a qual-
che cosa, benché non V abbia spento, l' ha però indebo-
lito. Ma alnoten per questo riflesso, facciamo! piùoali*
natamente coraggio, che, siccome ci riesce diflieile il
sopportarla, così ne è facile il dispreizarla, perciocché
ella non si ha lasciata cosa con cui nuocermi ancora, e
ha dopo questi mali recala un' inCaliee si, ma porò
certissima sicurezza.
» Del resto son sicuro che in buona parte sarà presa
la mia fatica, almeno per questo rispetto, che non la
proseguiamo più per alcun nostro interesse particola-
re; ma tutta questa cura, come utile agli estranei (se
• pure è punto utile ciò che scriviamo) , è tutta per gli
estranei. Noi meschini, siccome le facoltà del nostro pa-
trimonio, cosi quest' opera abbiamo preparalo per §^i
unì, e lasceremo tutto agli altri. »
a
{VolgarùunmmUo di Jacopo Gùriglio.)
uiyui-n-G Ly Google
— MI —
Luogo più eloquente e più delicato di queslo non
ho mémoria d' avere lelto mai. Un padre che perduta
la moglie e Futi fi^iuolo ai dh lutto alla cura delFunioo
che gli avanza, e in che tutte ha riposte le speranze
sue; che sul meglio sei vede rapire, e tornar vane le
sue fatidie: un padre ohe sulla tomba dell'amor suo
perduto depone le sudale fatiche della sua mente , e la*
montando la trista sua fortuna quasi cerca rincuorarsi
riandando tutte ad una ad una le sue miserie^ non può
parlare pih teneramente , più lagrimevolmente di quello
che qui fa Quintiliano. Osservisi quanto sono naturali
i concetti, come spontaneo e naturalissimo l'uso delle
figure. A me sembra che a dimostrare V affettuosa su-
blimità di questo luogo non faccia di mestieri usarvi
V analisi; ma interrogare il proprio cuore. E s'io al cuor
mio mi appello, ne sento tutta la pietà e la bellezza che
lo rende sublime; nè dubito che vi sia persona sk sel-
vaggia e dura ohe noi aenta con me.
La traduzione è facile , piana , fedele , ma forse meno
affettuosa, perchè alquanto fredda. Tuttavia ha di bei
pregi nella sua elegante semplicità.
Xfmnpio d*l Soblame otteooio per !• ISgore*
Siordio e propoifstofié della predica del padre Paolo Segneri
eoniro la nuda Politica. *
Expedit ni OBMt morìatur homo prò popolo.
JOKAM., 11. ÓO.
E fìa dunque spediente a Gerusalemme che Cristo
muoia? Oh folli ocmsi^il Oh frenetiei consiglieri l Al-
* n Golonbo nella seeoadi dille tee taioM Mito ito^^ dé «se
eolla Amila dice mi di qveilo etordk: c Qui voi fedete adope-
» fate e l'iatanogaiioDe, e Teielamiilone» e Ismatafoit» e la si*
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lora io voglio che voi torniate a parlarmi, quando, co-
perte tutte le vostre campagiìe d' arme e d' armati, ve-
drate V aquile romaDe far nido d' inioraó alla voalre
ramra, ad appena quivi posate- agusiar gli arligU ed av«
ventarsi alla preda : quando udirete alto rimbombo di
tamburi e di trombe, orrendi ficchi di frombole e di $ae^-.
te^ oanfiiaa grida di iariii e di moriboodi^ allora io vo*
glie ohe aappiaie ri^KMidere, se ^ -aapedienie. BaopédU?
E oserete dir expedit^ allora quando voi mirerete correre
il sangue a rivi ed alzarsi Ja strage a monti? Quando ro-
vinasi vi BiaiiebBraano sotto i piè gli editisg? Quando
svenato vi.laDgenranDO ìnnansi agli occhi le spose?
Quando, ovunque volgiate stupido il guardo, vi scor-
gerete imperversare la crudeltè» signoreggiare il furo-
re, regnar la morte? ahi non dittano, gik $agfedit,
que* bambini die saran pascolo alle lor madri affamate:
noi diranno quei giovani che andranno a trenta per soldo
venduti schiavi : noi diranno quei vecoh* che pende^
» necdocbe, e ripotiposi, e V enunusmione, e la ripelizioDe: voi
» le vedete succedersi i' una air altra , anzi intrecciarsi e mesco-
» larsi , e non formar più tulle insieme se non una sola figura.
» Questo linguaggio sì straordinario non dee dall'oratore tenersi
)> fuor che nel colmo dell'entusiasmo, quando la fantasia somma-
» mente agitata dalla viva apprensione di casi gravi, funesti, alro-
)> ci, compassionevoli, lo coinmove al maggior segno, eccita in lui
» le più gagliarde passioni , e lo ir;ie quasi fuori di se. Il parlare a
>) questa foggia in altre occasioni, demenza sarebbe, non arte, lo
» non mi saprei dove rinvenire in alcun altro de' nostri oratori un
» tratto di eloquenza sì pien di calore e d' iuìpeto e di energia, e
» condotto con tanto e così Ono artilizio: e ad ogni modo non ose-
» rei proporlovi siccome cosa da invaghirvene e lenlar d'imitare.
» Le commozioni , che destansi con arti di tal falla, soglion esser
» grandi, ma passeggiera: e li finé principale deiroralore deV es-
>iKT quello di lasciare negUaniaii dagli «dilori «m4 imafaisiool
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ranno a cinquecento per giorno oonfiUi in croce. Eh,
obo non «cqMitt, infelioi; no^ cba non escpeiU. Noa ex-
pedU uè al sanluario che rimarrà proCnial» da abboni*
ne voli laidezze, nè al tempio che cadrh divampato da
formidabile incendio, nè ali' aitare dove uomini e donne
si scanneranno in cambio di agnelli e di tori. Non ex-
pedit alla Prdbatica , che vuoterassi d* acqua per correr
sangue: non eocpedit all' Olivete, che diserterassi di tron-
chi per apprestare patiboli: non expedii al sacerdozio,
che perderà T autorità ; non al regno, ohe perderà la
giurisdizione ; non agft oracoli, che perderan la favella;
non a' profeti, che perderan le rivelazioni ; non alla leg- '
gè» che qua! esangue- cadavere rimarrà sanità spirilo,
aensa forza t senza seguilo, senaa onore, seiuia comanr
do; nè potrà vantar più i suoi riti, nè potrà più salvare
i suoi professori. Mercecchè Dio vive in cielo, alBne di
ornare e confondere tutti quelli i quali più credono
ad una maliziosa ragion di stato, che a tutte le ragiom
sincere della giustizia ; ed indi vude con memorabile
esempio far manifesto, che non est sapientia, non est
prudentia, non est coìisilitm cantra Domiaum, (Prov., 84,
30.) Ecco: fu risoluto di uccider Cristo, pen^ i Bo-
mani non diventasser padroni di Gerosolima ; e diven-
tarono i Romani padroni di Gerosolima , perchè fu riso-
luto di uccider Cristo. Tanto è facile al Cielo di trasfor^
mare questi malvagi consigli, e mostrare come quella
politica che si fonda non ne' dettami delF onestà, ma
nelle suggestioni dell' interesse, è un' arie, quanto per-
versa, altrettanto inutile ; e ;la quale anzi, in cambio di
stabilire i principati, gli estermina ; in cami})ÌQ di arric*
chir le famiglie, le impoverisce; in cambio di felicitare
r uomo, ii distrugge. Questa rilevantissima verità vo-
gl'io per tanto questa mattina studiarmi di far palese
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per pubblico beneficio, provaado che noa è mai utile
quello^ che non è onesto ; onde nessnnò si dra follemente
a credere, cbo per eméte felice gior! eséer empio.
(Predica XXXllI.)
Zsemplo del Sublime ottenuto da ardita eloquensa»
M C$p. 4$ idie Frrertà ooalMa
« Eudossia per non aTcre chi alla sua ambizione
e cnpldtlè tenesse la brìglia corta, ciò che feceva Cri-
sostomo, vinta r innocenza con la forza, il ricacciò per
mano altrui di Costantinopoli in esìlio. Partissene egli
per non averd mai piti a tornar vivo, e portò seco il
cnere e^l' allegrezsa di tntti, che senza lui, come privi
del sole, in una densa malinconia rimasero. Sola F ere-
sia d'Ario, sola T invidia degli empj si vide far festa,
mentre la religione, e con essa il coro di tutte le virtti
inconsolabilmente piangevano. Dove egli passava, a
guisa d' un fiume in cui corrono a mettere tutti i rivi
delle acque dintorno, venivano a lu ipopoli intieri a
vedere quel secondo Paolo incatenato, quel gran mira- .
colo dell'Oriente, e a baciar le sue catene, e a conso-
lare con un comune compianto le sue miserie. Benché
anzi egli era quegli che consolava tutti, e, nel pubblico
dolore allegro, andava più in trionfo che in bando. Fra
gli altri che per sua cagione acerbamente si dolsero, fu
un santo vescovo per nome Ciriaco, che obbligato alla
cura della sua gre^a, né potendo partirsene, gli mandò
in una lettera il cuore: e vi si vedeano più le cancella-
ture delle lagrime che i caratteri dell' inchiostro. Cri-
sostomo, impetrata ad una mano la libertà delle sue
catene, consolò lo afflittissimo amico con una risposta
di questo tenore.
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- CUriaoo, questa è la prìma Tolta, ohe io posso do*
' lomi dt Toi, mentre veggo che voi tanto vi dolete per
me, e senza volerlo amareggiate le mie allegrezze col
vostro pianto I e intorbidate il mio sereno coi vostro do-
lore. L* amore che mi portate mostrar che non mi ama-»
te: altrimeatt non vi dorreste di' veAermi rapito da un
turbine che mi solleva , e porla per la strada d' Elia al
cielo. Voi cominciate ora a lagnarvi del mio esilio, ma
io tanto tempo è che lo piangOi quanti anni sono cdie
io vivo. Dacché seppi òhé il cielo è la mia patria, lo
chiamai sempre tutta la terra un esilio, e dovunque mi
fossi , mi tenni per isbandito. Tanto è lontano dal Pa-
radiso Costantinopoli d'onde mi cacciano, quanto il de-
serto dove mi mandano. Io non ho avuto mai il piè
stabile sopra la terra , perchè non ho mai trovato nulla
di stabile in terra. Quindi, come chi sta sotto le rovi-
ne, e sopra i precipisj, son sempre ito fuggendo, e cer-
cando in tanti pericoK sioureiza. Mi cacciano di Costan-
tinopoli: oh! mi cacciassero di tutta la terra: mi
cacciassero da me stesso: perchè temo ancora me stes-
so; e il mio spirito da queste roviuose membra, da cui
rimarrà con la morte oppresso, vorrebbe una volta
fuggirsi. Voi ancora temete che neir esilio m' uccidano.
Ciriaco, voi temete ohe ad un fuggitivo ^pran le porte,
e diano la liberth. Che mi faranno? Mi crocifiggeranno?
Ed io su la scala d' una croce salirò in due passi al
cielo. M' abbrucieranno? Volerò su l'ali di quelle fiam-
me alla mia sfera. affogheranno in mare? Troverò
in quelle acque il mio porto. Mi gitteranno alle fiere?
Quanto maggiori mi faranno gli squarci , tanto più
. ampie mi apriranno le porte alio spirito bramoso di li-
bertò. Mi troncheranno la testa? Toglieranno te un sol
colpo la testa a tutti i miei nemici, che ho dentro me
slesao. Povertà che mi spoglia, infermità che mi tor-
neata, disdnor oba mMnfiiinai afilisioiii ehe iii o)iprt«
mono, tutti questi miei nemiei morranno con me, ed io
morrò ad essi , ma non con essi. A mille naufragj un
porto, a mille nodi un taglio, a milie ceppi uoa chia-
ve, A mille laberinti un filo, a mille morti iia sol ri-
medio: per non mai piti morire,* morire una voha. In
fine consolatevi meco, e rallegratevi, in vedendo, che
obi tanti anni ha che fugge dal mondo, ha dietro, con
nome di ecUati^^veemeotiesimi aiimulaton die ^i al^
frettaoo il passo , perobè più presto giunga- eolà , d'onde
altra pena maggiore egli non prova che vedersi lon-
tano. »
• ■
Io credo che a mostrare come si sublimano le
scritture per ardita eleganza niun altro luogo classico
giovi. piti di questo. Che enfasi^ che intreccio di figo-
re, ohe fona d'aiitilesi e di gìradaskme ! I modir sono
non solo esprimenti , ma calzanti , ecolpiti , e di tanta
eiScacia sul T animo, che non è lettore sì freddo che al
leggere.queala leiiiera non 61 soaldie non s'infiammi^
Vogliamo però av.Ya9titi i giovani che ee il sublime ehe
si ottiene per arditezza d' eleganza è di molto potente
a rapire gli animi e ad infiammarli, è però di 4UoUo pe-
ricoloso, e sovente chi ne va in traccia oi cade prima
d'ottenerlo..
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Ma&mpiù del SubUmo olteanlo per elavala «oniponiSoM
il. Giovanni della Cnta ntlV esordio della prima ora%ifMe
a Carlo V imperalore.
« Siccome noi:Yflggt«n)o interveuire alcuna volU;
Saora Maaiià^ ohe quando o conetai o alira nuova
loee è' apparita aril'aria, U più delle feiUi rivolte al
cielo mirano colà dove quel maraviglioso lume risplen-
de, così avviene ora del vostro splendore e di voi; per*
oiooefaè laiU uomini ed ogtii popolo, e oiascona parte
deUa terra risguardft vorao di voi solo. Nè eroda Vostra
Maeslh, che i presenti Grecie noi Italiani ed alcune al-
tre nazioni dopo lauti e tanti secoli si vantino ancora
e si raUegriao della momorìa de' vidorosi autiohi pria-
-cipl loro; ed alibiamo ift faooea pur Dario e Ciro e Serse
e Milziade e Pericle e Filippo e Pietro ed Alessandro e
Maroeiie e Scipione e Mario e Cesare e Catone e Metel-
lo; e qiaesta etk non a gforìi e non sì dia.vauto di aver
voi vivo e presente: arn» se ne esalta, e vìvene lieta e
superba. Per la qual cosa io son certissimo, che essendo
Voi locato in &ì alta e sì riguardevole parte, ottima-
mente ooómoete, ohe al irostro aliissino grado m oon-
viene ohe ciascun vostro pensiero ed ogni vostra azione
sfa non solamente legìttima e buona, ma insieme an-
cora lodabile e generosa; e che ciò che procede da voi,
-sia non eoiament» lecito e eenoednto, ed approvato, ma
magnanimo insieme, e commendato, ed ammirato.
Conciossiachè la vostra vita, e i vostri costumi, e le
vostre maniere, e tatti i vostri preteriti e presenti latti
siano non aolamenle atleai e mnaii, ma ancora rac-
colti e scritti e diffusamente narrati da molti; sicché
non gli uomini soli di questo secolo, ma quelli che na-
uiyui-n-G Ly Google
— 208 —
, sceraniao dopo noi, e qaelli che saranno nelle fatare
età e nella lunghezza e neir eternità del tempo avveni-
re, udiranno le opere vostre e tutte ad una ad una le
$aperanno; e, come io spero, le approveranno tutte
siccome dritte e pura e chiare e grandi e meraviglio-
se: e quanto il valore e la virtù fìa cara agli uomini
ed in prezzo, tanto fìa il nome di Vostra Maestà som-
mamente lodato e venerato» Vera cosa è, <te malti sono
i quali non lodano cotA pienamente, ch'ella ritenga Pia-
cenza, come essi sono costretti di commendare ogni
cosa che infioo a quel dì era stata fatta da voi. £
quantunque assai diiaro indiiio possa essm a deaciuio
che quest'opera è giusta , poicM ella h vostra, e da voi
operata; nondimeno, perocché ella nella sua apparen-
za, e quasi nella corteccia di inori non si conià colle
altre vostre asiani, molti sono coloro, che non la rico-
noscono e non l'accettano per vostro fatto ; non contenti
che ciò che ha da voi origine si possa a buona equità
difendere, ma desiderosi ohe ogni vostra operaaione si
convenga a forca lodare. E veramente se io non sono
ingannato, coloro che così gtiidicano, quantunque eglino
forse in ciò si dipartano dalia ragione, nondimeno lar-
gamente meritano per dano da Vostra Maestà, permoc-
chè se essi attendono e ricercano da lei, e fra le ric-
chezze della sua chiarissima gloria, oro finissimo e
senza mistura; ed ogni altra materia, quantunque no-
bile e preziosa, riiotano da voi; 1a colpa è pure di Vo-
stra Biaestà, che avete avveasi ed abituati gli animi
nostri a pura e fina magnanimità per sì lungo e si con-
tinuo spazio. Perocché se quello che si accetterebbe da
altri per buono e per fe|^ltiao, ^ voi si .xifiuia; e
non come non buono, ma cene non vostro; e non co-
me scarso, ma come non viuìtaggiato non si riceve; e
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perchè voi lo scambiate, vi si rende: ciò non si dee at-
tribuire a biasimo de' presenti vostri fatti, ma è laude
delle vostre preterite asioni. £ quantunque V aver Vo-
stra Maestà, non dico tolta, ma accettata Piacenza, si
debba forse in sè approvare; nondimeno, perciocché
questo fatto verso di voi, e con altre chiarissime opere
comparato, per rispetto a quelle molto men riluce, e
molto men risplende, esso non è da' servidori di vostra
Maestà, come io dissi, volentier ricevuto, nè lietamente
collocato nel patrimonio delle vostre divine laudi. £ ve-
ramente egli pare da temer forse che questo atto possa
recare al nome di Vostra Maestà, se non tenebre, al-
meno alcuna ombra , per molte ragioni: le quali io
priego Vostra Maesthi che le piaccia di udire da me di-
ligentemente , non mirando quale io sono^ ma ciò ehe
io dico. »
Quante volte io mi fo a rileggere questo esordio e
tante a quel maestoso ed elevato andamento del pe-
riodo mi pare cosa nobilissima e veramente sublime. E
se in altri fa effetto eguale che in me quella maestosa
gravità, non dubiterei affermare che ci richiama col .
pensiero ai tempi gloriosi della romana eloquenia. Di-
ranno alcuni che le orazioni di Monsignor della Casa
alcuna volta patiscono di freddo, e sentono del misu-
rato, e forse in tutto non diranno male; ma ove esse
si scaldano un poco, gareggiano con quelle stesse più
grandi di Tullio.
D. In quali vizj s' incontra cercando di ^limare
io stUe ?
R. Come per cinque vie si ottiene di condurre a
sublimità lo stile, così per cinque si porta a vizio.
4^ Rafiìnando troppo i concetti, forzando le sentenze, e
traendo fuor del verismile le immaginasìoni. Pro-
li
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laogjaado V afibUa e' loglìindogli wrììk «cni arte troppo
scoperta. 3" 0 spesseggiando senza discrezione nelle
figure» ovvero U3dudo modi mal acconci, di troppo
ppr^ereionati, e tratti soverchiameote di lontano:
4^ Mostrando troppo artificio nelle araionie, e sacrìfi-^
eando all' armonia i concetti. Collocando con sover-
chio arte le parole, e rendendo aspro ed intralciato
il ooatmtto. E riguardo al prime tìzio a collo raffinare
soverchio ti porta, che è l'affettazione e ia stranezza,
{Quintiliano ne avverte, che pUrique nimis etiam inven-
thmcf^ gamdmt, qtks wàsciMm vititm habent, invmtm
fdcie ingenii blamdiuntur. <r I più troppo anche si piac-
ciono di certe invenzioncelle che esaminate hanno in
*sè Visio, appena trovate hanno faccia d'ingegnose. »
Uditene un esempio nel BartoK< Assomiglia egli il* mare
in tempesta ad un furioso, e dice cos^ : Comeun furioso,
che seioUo dalla catena , smania , e si dibatte, ed imper-
tmm, e vMigghia, e »i iieva ìUto, e eorrB, e awmUa,
e ixé$y é ekmm mniéro dks mmM tembpa enere un
paizo intero. Chi non vede 1' affettazione e la stranezza,
che è neir ultimo concetto? 2° Per eguale maniera si
dh nel^ freddo e nel poerile volendo prolungare oltpe il
debito, é con arte eeeesiSva far più seirtita la f^asetom».
Sappiamo che le passioni quanto più sono violente ,
tanto più SODO brevi, e però ohi le porta fuori della
naturale misara, ne perde ogni buon eflfetto. Vedetelo
in questo ln<^ del Tasso. (Can. XII, stanza M.)
Giunlo alla tomba, ove al suo spino yìto
Dolorosa prfgione il €Ìel prescrisse,
, , Pallido, freddo, maio» e quasi privo
Di mOTimento, al marmo gli ocelli afl^ssQ.
AIfln sgorgando un lagrlmoso rÌTo ,
' ia wi lanflpsiide oimè proroppe , e disse: '
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0 sasso amato ed onorato tanto;
Che dcnLro hai le mie fiamme > e fuori il piaoLOy
Non di morte sei tu , ma di vivaci
Ceneri albergo, ove è riposto Amore;
E ben sento io da te le usal(» faci ,
Men dolci sì ma non men calde al core :
Deh! prendi i miei sospiri , e questi baci
Prendi eh' io bagno di doglioso amore;
E dalli tu , poiclì' io non posso, almeno
All'amale reliquie eh' bai nel seno.
Dàlli lor tu; cli^, se mai gli occhi gira
L'anima bella alle sue belle spoglie,
Tua piotate e mio ardir non avrà in in:
Ch* odio o sdegno lassù ooo si raccogUa»
Perdona ella il mio fallo , e sol respira
In questa speme il cor fra tattte doglie.
Sa oh' empia è«soI la mano ; e non Fé noii,
Cbe, s'MMade lei fissi « Motiido r moia.
£d amaodo monr^: feltoe gimm
Quando cbe sia; ma più felice mo]to«
Se, come errando or fado a te d* intomo,
Allor sarò dentro al tuo grembo accolto.
Paoelan l'anime amicbe In elei soggiorno.
Sia r nn celiare e T altro In un sepolto:
Ciò cbe 'I viver non ebbe , abbia la morie.
Ob («se sperar dò- lice) altera sorte!
Chi non sente raffreddarsi il cuore a questo artifizioso
lamento? Chi è sì fuor di sè, che j)er 32 versi interi
si fermi a parlare con un sasso , e a concetiizzare per
questo modo, tanto piìi che II concetto è sempre Indi-
zio di passione falsata ? Vedete quanto conviene di met-
tersi in guardia, se anche i più grandi poeti errarono.
Cosi la magnificenza sublime che sarebbe nel seguente
passo deir Aristodemo del Monti degenera in turgore o
in rigoglio, perchè il poeta ha voluto dichiarare ciò
che doveva lasciare all' inteliigenza deir ascoltatore.
Il passo è orila scena tarza dril' atta t*», dove Li-
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Sandro viene a colloquio con Aristodemo. Eccone le
parole:
Li8. ' E se prosegue
La TincUrice Sparta il suo irioofo,
Qaal nume vi difende? *
ÀrM, Aristodemo.
E basta ei solo finché vive, e quando
Sarà sotterra , il cenere vi resta ,
Che muto ancora vi dacà terrore.
Chiunque ha fior di senno si accorge del vano e del
puerile che è Jo questi ultimi tre versi. Sublime era il
luogo f se il poeta si fosse conteuiato non far rispoa-
dere al re altro che qtiel risentito Aristodemo: e il let-
tore da sè scorgendone le debite relazioni, avrebbe sen-
tita e goduta la grandezza del concetto: ma cosi com' è
posto si stempera 9 si perdei e dk neoessariamente
luogo ad una risposta, che non da uno Spartano, ma
appena potrebbe aspettarsi da un fanciullo.
Lis, Signor, ciii vivo non ti teme, estioto
Ti temerii?....
3® Guardisi poi chi ha intero giudizio dall' andare raa-
nifestamente in traccia di quelle forme , per le quali di-
oemmo innalzarsi lo stile, pctocchè elleno denno ve-
nire da sè, non per forza d' arte. Se colui che scrive
avrk piena la mente di un grandioso concetto, se egli
ne sentirà tutta la forza e Y estensione , gli cadrà dalla
penna la parola del maraviglioso e del sublime, senza
eh' egli s' impigli troppo del ricercarla. Cum de rebus
grandioribus dicas (avvisa Cicerone), ipsoe res verba ra-
piurU. E chi altrimenti fa, cade in quel mal vezzo tanto
deriso da Orazio là dc^e dice: (Epistola ad Pisones.)
Prtfimt mnpuiki, et tmquipeMia èerèo.
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Cosi non si donno ammassare , e con manìfoslo
artifìzio accumulare le figure nel discorso per dargli
aria di grandiosità. Nam gravi figuriB (dice T autore
dalla Roitorioa ad Erennio), qwB Umdanda est, propin'
qua est ea, qum fugieìida est, qum note videbitur appeU
lari, si super fitta nominabitur. Nam ut corporis bonam
babitudinem tumor imiMur tape, ita gravis orcUia tm-
perUii iospe videimr ea, qum tutgét, «I innata est c Im-
perocché accanto alla grave figura, che merita lode,
sta quella che debb^ essere fuggita, alla quale mi parrà
aver dato il vero e proprio nome, se la chiamerò su-
perlina. Imperocché in qnella guisa che solente a buona
condizion di salute somiglia la gonfiezza della persona,
così agl'ignoranti par grave quel discorso che è tumido
*e gonfio, a
5« Così scrivendo a stadio di alte armonie si dà
facilmente nello snervato e nell' effeminato , e si molti-
plicano vanamente parole che opprimono -l' intelletto
sansa riempierlo, e lasciano freddo il cuore, y\t\o da
fuggirsi sommamente; perchè mmio male è i* asprezza
del suono che una effeminata mollezza. Duram potim,
atque asperam C(my[)ositionem mallm esse, quam effemi-
nakm et ènmvem; a ragione insegnava' Quintiliano.
« Verrei meglio che la composizione sia dura ed aspra
che effeminata e snervata. » E perciò tutti convengono
nel dare biasimo di Umidezza a Claudiano ne' primi
vml del suo Poema.
Inferni raptoris equos, afflalaque curru
Sidera TcRnario, caligantesque profundcB
Junonis thalamos audaci promere cùntu
JfetM congetta jubcU Grum$ removeU profani,
6° Volendo infine con troppa arte ordinare le pa-
role a soconda delie idee, occorre spesso di rendere
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oscaro, a spio e sconvolto il diaoorso. Eaent»j di con-
torsioni da fuggire abbiamo soveate neWersi dell' Al-
li<^ri, e più ancora ne'. versi di coloro che senza Tardità
potensa ingegno di quel grande tragico, hanno ere*
dttto imitarne la virtù ritraendone i vizj dello stile. Né
creda alcuno che l'arte sola posta Dell'ordinar le pa-^
i ole e nel cercar le armonie basti a sollevare Io stile.
Prìma di. tutto ci v^bono coneettL I^a.qualità^ la rie-
chesza, la forma delle vesti aggiungono maestà a mae-
stosa persona : scimmie o pigmei non acquistano mae-
stà, per quantunque ornata, ricchissma e ragguandev.ol6
roba ux loro indoéai. Ghinderemo infine il dieeorao eoa
questi generali awerUmeoti del pià volte ottelo Qnhi«
tiliano, al Libro 42, § 10 delle Istituzioni: Falluntur
enim plurimum qui vitiosum, et corruptum dicendi gmm^ *
quod aiii verìmm Itoentf» muUodp mti pueriUbus-'^en-
tentiolis loicwit, aut ifnmedico tttrgore twrgescity aut
imnihus locis baccatur, aut casuris,si leviter excutiatur,
flosculis nitet, prmdpitìa prò ^Mblimibuè haÒ€t y. ma
specie UberMis imcmii, magie efvisiimmt popttlarB aut
plausibile; e altrove al Libro 8, § 5 : Ego vero fuec lu^
mina c$:atimis mlut qquIqs. qmsdam etoqumtim'esse credfi:
seineqae QpulUà emM^ coBtfmre.velimrWteBtefa mmi^
bra ofjiokm mtm peréanit : et$i neùeeé& sit, miémm
lum horrorem dicendi malim quam islam novam licentiam,
« & ingannano di largo partito cqloro vàò teagoaa che
sia più accetta al popolo , e più acceam a tirarsi dietro
l'applauso quella maniera di dir viziosa e corrotta, la
quale per licenza di parole rimbomba, o fa di sè lasciva
mostra con vesti di sentenziette fanciullesche y o per
troppa gonfiezza ondeggia , 6 va per luoghi vani furio-
samente scorrendo, o risplende per fioretti che ogni
poco poQo che si scuotessero .oddi:ebbQno»,oÀiia (Mre/3ipi2j
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— Ì15i —
invece di altezze, o per specie di libertà divenia fu-
riosa ; » e altrove : « Io per coolessare il vero credo che
quesli liuni dell' urasione slatio come certi <Nsehi del-
reloquenia; ma non vorrai che per tatto il corfMiooebi
ci fossero, acciocché gli altri membri non perdano 1' uf-
ficio loro. *
(Toscanella.)
IX Qual è U migliore di qtMti tre gerwri di sHU?
R. Tutti e tre hanno virtù loro proprie, come ò
stato mostrato, e usati a tempo giovano egualmente tutti
all'oraziane; ma ae l'uno usnrperii il liaogoYieU' altre,
essi Ticieranno e guasteranno, anaichè adomare ed
inalzare il discorso. Per conoscere poi quale stile sia
conveniente, egli ò necessario osservare il carattere
deli' orasione , quello della perseoa degli uditori , cfaéllo
della persona assunta dallo scrittore, e secondo questi
governarci, seguendo le leggi del decoro che altrove
abbiamo accennato. Qui ci basti ripetere che ogni ma-
niera di atìle dipende dm diversi stati d^' animo, così
che non si pòssa nò si debba tentarne alcuno quando
lo stato deir animo non risponde pienamente alia mate-
ria^ ali* intenzione deir arte e dello scrittore.
CAr« XITIII.
m M«iY€v bene»
• • • ' .
D. Quali precetti si damo per acquistare uno stile
lodevole?
Se bene si metta ad esame la definizione che ho
data dello stile, si avr^ chiaro per quali vie possa ren-
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dersi lodevole e perfetto. Conviene in prima por mente
come dair intelletto, dalia fantasia e dagli affetti, quasi
da Batorali demenU, modifieati seoondo V indole dello
sorìliore e seoondo le leggi dèi decoro, si generi lo stile;
per tener modo che ogni elemento si combini secondo
le leggi poste dalla natura e dall'arte, sì che n'esca
buono lo stile.
D. Che ikwrà fmiper otten&re di per f esimiate Fifh
telleUo?
A Userò le parole di Paolo Costa a sciogliere que*
sta domanda, ooneiosaiadiò me^io fer non si possa.
« L'uomo nasce, dice egli, fornito delF intelletto, cioè
j> della facoltà di sentire , di percepire, di attendere, di
» paragonare, di giudicare, di astrarre, di ricordarsi,
» d' imaginare : ma d' uopo è ohe queste faoelth yen-
» gano poscia dirittamente usate ed esercitate ; onde
sia generata quella virtù pressoché divina, che si ap«
» pelle la ragion», la quale oonslste neli' abito di pa-
» ragonare insìeiàe i sentimenti distinti dsl? anima, e
» le idee ; di derivare dai fatti particolari le nozioni
D generali, di anteporre o posporre le une alle altre,
» di congiungerle o separarle secondo la oonventensa
» o disconvenienza loro, e secondo i loro gradi di pih
» 0 di meno. A formare quest'abito sarà bisogno stu-
» diare le opere de' filosofi che trattano sottilmente
» delle cose naturali , delle proprietà dell' intelletto e
9 del cuore umano; e di apprendere V Istoria, senza la
» cognizioQe della quale, al dire di Cicerone, Tuomo
9 si rimane sempre fanciullo ; di osservare la natura,
» <U praticare fra le diverse condizioni degli uomini, e
» di operare nei privati negozj e nei pubblici. * Dalle
quali cose si rileva che non si può perfezionare V intel-
letto senza arricchirlo con lungo studio, e che i giova*
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— . 217 - .
netti denno contentarsi d'essere avviati a bene, consi-
derando che la perfezione deli' arte sta nella lunghezza
della vita e deli' esercizio.
D. Cerna li può arricckire P inunaginaiim?
R. « Ad arricchire V immaginativa (segue lo stesso
» scrittore), la quale è V abito di recare all'animo la
» reminiseeasa delle cosa sensibili che piii ci movono e
» dilettano, di congiungere insieme con verisimigliansa
>» quelle che sono disgiunte in natura, e di significare
» per similitudine delle cose corporee i concetti astratti,
» non solo metterei bène di leggere gì' inventori di
» nnove e vaghe fantasie, m^ di por mente a totto ciò
» che ai sensi porge diletto, sia nelle azioni degli uomini
» e degli animali, sianeU'estenoreaapettoemovimento
» delle cose inanimate ; e soprattutto gioverà di ben
» considerare le somiglianze che hanno fra loro le cose
» di qualsivoglia genere e specie, chè questo si è il
» fonte dal quale si derivano le nuove e maravigliose •
» metafore. Di molta utilità poi sarà all' intelletto ed
» all'immaginativa lo studio de' precetti dell'arte ora-
» toria e della poetica, i quali essendo il compendio di
» quanto i filosofi hanno osservato intorno le cagioni
ù onde piacciono e dispiacciono» le opere degli scrittori,
» apportano quella luce che un uomo solo nel breve
y> spazio della vita studierebbe indarno di procacciarsi
9 colla sola vùriii del proprio ingegno. »
D. Che deve dirti intorno agli affeUi?
jR. « Rispetto agli affetti io mi penso (prosegue il
9 Costa), ohe sebbene sieno da natura, pui*e a conciliarli
9 in altrui grande aiuto ai possa trarre dall' arte. 8e
» ramerà, l'odio, l'^ra, la mansuetudine, la miserieor-
» dia ed altre affezioni dell' animo nascono da cagioni
9 determinate, come per esempio T amore da beUez^a
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-.218- —
seda yfrtti , T Ó41ò da male qualMi del earpo o deiratii»
» mo altrui, non v'ha dubbio che gli affetti medesimi si
D debbano in cbi legge risvegliare per virtù della viva
9 rappredetìlaBione di quelle cagiom : dal^ che si racco-
9 glie che lo scrittore considerando le varie dlsposi-
» zioni degli uomini passionati, e le cagioni per leniuali
» la pawoQe ai genera; avrb materia onde gli animi
» perturbare. Goti per aiuto dell' arte verrk ad operare
» in altrui quolT effetto che imperfettamente avrebbe
» operato mercè della soia naturale sua disposizione. »
D. Che ne dovrà avwnire 4ÌcU f^rfesHmamefUo del-
F imOMo, data ^mkiMia e degli affetU?
R. Ne avverrà che noi modificando, cioè accomo-
dando queste facoltà già perfezionate al nostro modo di
sentire, avremo reso efficace il nostro dire>^ sia per eid
che riguarda IMnveuiiotte e la dispositieiie, si» perciò
che riguarda V effetto, e potremo promettercene quella
riuscita che vogliamo, semprechò non usciamo delle
leggi del deeoro, cioè di qudla oonvenidusa ohe vuoisi
mantenere, fatta ragione della persona che parla, della
cosa di che si parla , del tempo e del luogo in cui si
parla, e infine delle persone che ascoltano. Perocché,
siocoane-fo osservalo, V «aaaa» discorso prende da que*
ste eircestause diverse quaiìlà, e se non si kiad» bene
e alcuna si trasandi, perde o in tutto o in parte la pro-
pria virtù. In quella guisa ohe le diverse fegg^ dette
vesti non hannb beUesse^e Mh picédom^ ove mal si
addicano al tempo, al luogo, alla persona, e sebbene
siano di buona materia , e fatte con perfezion d' arte ,
SODO biasimate, cos^ è del disoorso umano, se non è
appropriato alP uopo secondo le norme del decoro*
D. Oltre queste regole vi è alcun' altra maniera per
cui si possa perfezionare, lo stile? :
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R. Vi è sicura , e forse anco più spedita. Osservale
le scritture degli eccellenti autori, componetevi al-
l'esempio di quelli, imitateli. L'uomo è animale d'imi-
tazione^ DOQ vi ha dubbio, e l'arte stessa del dire per
imitazione si acquista come tutte le altre arti umane,
e però dal sommo Aristotile fu detta arte imitatrice,
conciossiacbè ella prenda ad imitare la. natura e l'uomo,
riUcaendone le bellezze, le affezioni ed ! modi. £ oerto,
se la natura lum avesse posto il fondamento della poe-
sia e dell'eloquenza nell'uomo, sarebbero invano le
poetiche e le rettoricbe. Inlatto Orazio neir epistola ai
Pisoni asserisce:
Format tnim natura pHv» noè intm ad omnem
Fartummm ka^wm; jtmi «ut im f oU U ad IrMit
AuiadhmmmwMBmragtaHiai9ii^4lmtffUi
Pagi tftrl mnin^ molm fntvpnU linguos,
Ghè anzi tanto si debbo Hr conto del naturale fonda-
mento , che noi la natura slessa dobbiamo prendere a
guida, e solo darla a dirigere all' arte; couciossiachò
lottar coir arte ben si può, colla natura non mai. Ma
per renderci al filo del nostro discorso^ diciamo che
avendo la natura fatto l'uomo per modo che imitando
debba perfezionarsi in ogni arte, il mezzo più pronto
di conseguire eccellenza di stile e divenire scrittore
istà appunto neir imitazione.
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CAP. JLMJL.
Bell* ImitMioue*
D. Che cosa è tmttoume?
It. Se voglia definirsi colle parole deiP autore della
Rettorica ad Erennio, hnìtazione è quella dalla quale
siamo condotti eoa dilìgente maniera a voler essere
somiglìanii ad alcano nel dire: — ImUatìo ai qua tm-
peUmur, tU aliquorum smUes in dicendo vdimus esse.
(Lib. 4, e. S ] Ma questa defìnizione non mi garba così,
che io non ami recarne in mezzo una pìd ampia , che
libera dalla taccia di aeriililà gVimitétorì; e però dico:
Imikuùme essere studio di natura o di arte, per tnezso
del quale decomponendo , comparando y giudicando, tro-
viamo gU elementi della bellezza e della bontà nelle opere
naturali o art^iciaie, cosicché conosciute per mezzo della
decomposizione le norme che Varie o la natura serbano nel
comporre, possiamo mi pure le cose della natura o del-
t arte ritrarze, e fingerne anche di nuove a somiglianza»
Dico stadio di natura , perchè la natura è fondamento,
come fu detto, d'ogni bell'arte, e di Ih ha principio
r imitazioni; : aggiungo deir arto , perchè dall'esame del-
r opere de' grandi artisti si trae pur giovamento. Io vedo
a cagione d' esempio un padre addolorato per la morte
del figliuolo suo unico, il quale si getta sul feretro che
ne porta il cadavere; prendo ad esame gli atti e T espres-
sioni del suo dolore, e v<^endo ritrarre Giacobbe, a cui
è presentato la vesto di Giuseppe , cerco rìtrarlo a so-
miglianza di queir infelice che in natura ho osservato.
£ se io sto sulle oorme sincere della medesima , otterrà
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H mio dire queir effeti^ che otterrebbe la vista istessa
del lètto. Che se non to' dalia natura « ma dall'arte
fare ritratto, mi propongo Evandro qual è descrìtto da
Virgilio, e conseguo quasi T istesso fine. Dico quasi,
perchè ove T ingegno abbia (orza dì ritrarre da natu-
ra, penso che più ci valga , e meglio dipinga al vero.
Io non so se la famosa statua di Laocoonte sta ante-
riore ai versi di Virgilio, ma dato che noi fosse, lo
scultore imitando quella divina poesia avrebbe potuto
crearla; e se la fosse anteriore , Virgilio imitando quel-
r animato marmo avrebbe potuto dar vita a qae' suoi
versi immortali. Tanto è vero che arte fa arte per mezzo
deir imitazione. Perlochè chi toglie dal mondo V imita-
sìcme (come alcuni poco avveduti vorrebbono) toglie dal
mondo le arti, ed ogni guisa di buoni studj.
1). Non è egli vero ciò che alcuni dicono , r imita-
zione restringere le mentietoglier Imre la pokMm crear
trice?
R. Coloro che avvisano cos\ , sono in vero male av-
visati , e non sanno che altro è imitare, altro è con-
traffare e copiare. Conciossiachò V imitazione non istk
nel fare le cose fatte sansa diiereiisa o diversità alcu-
na, perocché allora tutte le arti non basterebbono ad
avanzare d' un passo , e sempre avrebbero il piè sul-
r orme istesse , ma nel tar capere nnovOi o v^gjàam dire
di nuova invenzione, con quelP arte istessa colla quale
sono condotte quelle che prendiamo ad imitare. La qual
cosa non restringe, ma bensì amplifica la potenza inven-
trice, e la rafforza. La imitasioiM, se io non erro, è lo
stesso che 1* analogia nelle sdense naturali. Il Galilei,
applicando al sistema celeste la legge generale del moto
de' corpi, ha provato che la terra si aggira intorno al
sole come tatti gli altri pianeti. QiMta legge era pare
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anche prima conosciuta, ma per non essere stata appli-
cata, non avevà dato al moodo questa scoperta. Or chi
dirè ohe questa non sia sooperla Tera, {lerdiè la legge
era nota? Chi dirh che la conoscenza delle leggi fìsse
della natura siano inceppamento ai fìlosofì per iscoprirne
ì fenomeni? Similmeoto è a dire dell' imìtazkKie , eon-
cìossiacèè ella non limita nè restiiiN^ T umano-ingegno,
ma anzi ijli db norme sicure perchè meglio si conduca
nelle sue creazioni. Quando io dico : se volete esser
buon oratore imitato Giceronet non dico io giè: fato
un discorso a mosaico colle parole, eo*modi, eoli' àmbito
del parlare Ciceroniano; ma guidate 1' arte con quelle
leggi con oui la guidò Cicerone, perchè se egli ne ebbe
buon successo toì pure V avreto. E quando dico : imi*
toto Dante, noni ri prescrìvo gih di recarmi innanti
arcaismi, durezze, scoria rigettata a ragione dall' uso ,
ma vi dico : osservate qual cosa dà evidenza, fòrza, ef-
ficacia alla poesia di quel divino; e trovata che abbiate
la legge eh* egli si diè ad osservare, fatone soggetto di
studio e d' imitazione. Per questo studio e per questa
imitazione poi conseguìreto una vena di buona e ga-
gliarda poesia*, la quale sadi Tostra, quantunque fatta
imitando: perchè V imitare J' arte, non toglie, ma cresce
là potenza dell'inventare e del creare.
D. ^etie ho mteio; ma penhè^ dunfve tiaUs scuole si
pnt&fids ohe noi riportiamo frase, eoneeth, e aikhtmento
dagli autori che si porgono a noi da imitare?
jR. Perchè incominciate a conoscer V arte che poi
vi sarà guida* neli' imitm* He détto* càe V iuiitotore
decomponendo-, comparando, giudicando, trova gli ele-
menti della bellezza e della bontà nelle opere; ora per-
chè voi vi avvezziate a decomporre ne' Classici quelle
parti ehe voleto ìnkitare, vi ai dice ^ sce^ietone le frasi
ed i modi, reoatene i eoneeiti, prendeteiie l' amfonnii-
lo, — perchè il precettore dall' uso che voi fate di que-
ste cose giudica.se voi bene intendete, se avete preso
piena cmosoeaza delle nedesime, e se sapete osarne a
tempo e a luogo. Egli è adunque uno de' primi passi
necessari a chi vuol imitare, e imitando divenire scrit-
tore. Dico de' primi passi , perchè noli' ioiilaziooe , CQine
in tutte le opere d' ingegno, si dee procedere per
di, e non si può di salto o di slanoio venirne a capo.
D. Avrei a caro che m' indicaste quali sono i gradi
diversi per cui si penyiene a ben imitare,
R. Penso che primo grado sia la traduzione, secondo
r analisi, terzo V emulazione. Per questi tre gradi, pare
a me, si consegue quella verace maaiera d' imitazione
che lipraia i grandi artisti, ed è ben lontana da quella
falsa ohe non produce che pedanti, seruum fecus , come
disse Orazio.
AftvicoM !•
Bella Tradnsione*
D. JHreste voi oicuna cote» deità kuduxione?
A. Io avviso ohe Io tradatare da una ad altra fo-
velia sia il primo grado dell' imitazione. Infatto innanzi
tutto è d' uopo conoscere la materia che si ha a tratta-
re, cioè la Cavalla in cui si ebave serivere o parlare, ve*
derne le proprietà , sapere come modi e frasi si iòrmino,
come si lochino a tempo; e prenderne quell'armonia,
la quale par naUa a chi non sa, ed è mollo a chi sa.
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%
« Utllissinio è soprattutto (dice Plinio, let. 9, lib. 7) ìl
traslatare dalla greca nella latina, e dalla latina nella
greca favella (e noi nel caso nostro diremo dalla la*
tiiia air italiana, e dall'italiana alla latina favella):
qualità d* esercizio, col quale proprietà e splendore di
parole, abbondanza di modi figurati, nello spiegarsi
forza, e finalmente attività di ritrovare cose somi*
giianti a qoelle degli ottimi scrittori, imitando si acqui*
sta. » (Traduzione del Gozzi.) — Utile in primis, et multi
prcecipiuntf ex grceco in latinum vertere, vel ex latino
vertere in grcecum: quo genere exerettaHonis prqnieka
splendorque verborum, copia figurarum, iris ex/Mxmdi,
prcetereaque imitatione optimorum similia inveniendi fa"
cultas paratur. £ Quintiliano segue (lib. X, g 5): Quid?
Quod auckree maximi eie MUgentm eognoeomlitr? Non
enim ecripta ledume seeura traneciirrimue: eed Iraele»-
mus singula, et necessario introspicimus , et quantum vir^
ttUis habeant^ vel in hoc ipso cognoscimue, quod inUtari
non posnanm, < Che vuol dire che si ha così diligente
considerazione sopra gli autori grandissimi? Noi non
scorriamo via leggendo le cose scritte : ma andiamo esa-
minando le cose d* una in una, e necessariamente pe-
netriamo a dentro considerandoci: e quanto' in loro dì
virtù si abbiano, almeno da questo lo conosciamo, che
non possiamo imitarle. » (Toscanella.) Oltre di che è a
dire <;he per mezzo dalia traduzione ai acquista intelli-
genza e giudizio, cioè si Ibrma il gusto e si consegue
quel sapet^e, che è fonte e principio dello scrivere bene,
secondo Orazio. Questo esercizio in fine è approvato an*
che da Cicerone stesse, il quale nel lib. 4<» deir Oratore
(Gap. 34) dice: Po9tea mMt placuit, eoque eum utus
adolescens, ut summorum oratorum grcBcas orationes ex-
pìicarem; quibus lectis hoc aeeequebar, ut oum ea quoe
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— tt5 -
kgwrmgrmoe, kUm» réddwm , non soltm optimis
ukrer^ et tamm taUatis, sed €tum eacprimerem quasdam
verba imitando , quce nova Jioslris essent , dummodo es-
^mt idonea. « Il perchè dopo appigliai ad uq altro
espediente, ehe ho da giovane praticato, ed era il iras-
pcMtare in latino le orazioni de' più rinomati oratori
greci ; nel che fare non solamente poteva io scegliere
delle parole tra noi usate le più eleganti, ma ne seguiva
che nel recitare in latino dò ohe letto avea in greco,
mi venivano ani guato greco formate delle maniere di
dire non usate ancora tra noi , ma buone tuttavia , e
adatte al bisogno, » (Canto va.)
AwmtmtM II*
MI' AMllel*
D. Dite ora dell AnaUsi,poùM ho detto quanto basta
intomo il vantaggio cho fHen dal tradmre.
R. Secondo grado a chi voglia, imitando, venire in
fama di scrittore, credo che sia V analisi. Ella è, come
ognun sa, quel modo per cui un discorso si decompone
nelle sue minime parti a segno di trovare la ragione di
ciascuna in sè, e nella relazione che ha colle altre: os-
servare i nessi, i passaggi, e tutto che la natura e Tarte
hanno di più prepotente nella favella. Sappiamo che i
cerusici per meglio conoscere V ufficio di ciascuna parte
del corpo vanno col ferro anatomico decomponendolo,
e in ogni minima fibra lo ricercano; per eguale maniera
è d' uopo a noi anatomixaare (sia lecito dir cosi) il di-
scorso, perchè avvisati della qualità e dell'ufficio di
15
L.yi.,^uu Ly Google
— 8M —
ciasouoa parteacqiiìstiaoiQspedikttM a «omporlo quando
ci piaccia. Dall' analisi poscia sa ne ha, che la menle
impressa di quel modo di disporre ed ordinare le idee,
le quali troviamo negli scrillori che ci proponiamo ad
esempio» e di quel vezao di tralt^iarle con forse e
con efficacia, a poco a poco a ciò spesso ella si abiltta,
e senza altro uopo di regole o d'arte, acquista, quasi
le fosse da natura, di fare il somigliante. Periocbè io
vorrei che i giovani non ìeggjmmù^ ben traducessero
cosa alcuna, senza bene analisBarla e femarvisi sopra,
e improntarla nella memoria: e vorrei che di questo
più che d' altro esercizio si piacessero.! maestri, che de-
siderano nella lode dei discepoli assicurata la propria.
D. Dareste vai un emnpio, dal quale ei rUevasee il
modo di analizzante?
R, Volentieri vel recherò, anzi tanto più volentieri,
quanto io lo traggo dal fondo di un grande maestro, il
Rollin. {Detta maniera d insegnare, e studiare h héUe let-
tere, libro 3<*, della Rettorica, cap. Ili, art. 2^.)
CtonbeniMaie degU Oraid • M 9mm^.
« La descrisione di questo combattimento è senaa
coniraddikione uno de' pili be' luoghi di Tito Livio, e
de' più adattati ad insegnare a' giovani come si debba
abbellire un racconto con pensieri naturali ed ingegnosi.
Per ben conoscerne l'arte e la dilioatessa, basta il ri-
durla ad un racconto del tutto-semplice, non omettendo
alcuna delle circostanze essenziali , ma spogliandole
d' ogni ornamento. Ne contrassegnerò le parti 4ifforenti
con numeri diversi per n^Hé diatingoerle, e per po-
terle di poi piti facilmente métlere* in paragone colla
narrazione slessa di Tito Livio.
uiyui-n-G Ly Google
- m —
Fwdere iak^, trigemini, ncidémvgrtBrai, arma
capiunt. So Statim in meditm inter éuai ades preoeduni.
3® Consederant utrinque prò Cdstris duo exercitus, in hoc
spectaculum totis animis irUenti. 4<> Datur signum, infe-
stiique amtf krmjmmn cmmsrrmà. ^ Cum ùUquandiu
inter asquis tnn'ftuf pugmBSiefd, duo Rmam, super tdium
alius, vulneratis Iribus Albanis ^ expiranles corruerunL
6^ Illi superstiUm^ Romanum circumistunL Forte is inr
teger fuU. Ergo^ td eegregaret pugmM emm, eapenU
fugam, ita rattis sectdttros, ut quemque vulnere affectum
corpus sinerei. 7^ Jam aliquantum spalii ex eo loco, ubi
pugnatum est, aufugerat, €iim respieiens videt magnis in-
ÈervaUis seqmnies; umim Aawf proemi ab seee abeeee; m
eum magno impetu redit, eumque interficit, S^Moxprope-
ratadsecunduin,eumquepafiterneoidat. Jam osquato
Morte singtdi stiperertt$U,nUmeropeu^e$,sed Umge uH6ia
dn>irsi, 40^ Romanus eandtmte: Duo», inqmt, fratnim
Manibus dedi, terlium catrsSBB "belli hujusce, ul Roma-
nus Albano i raperei, dabo. Tum gladium superne illius
jugulù d^it; jaeentem spoUat. 44<> Romani owaOes oc
graifdanÉèsBoraiiumaccipiimt. ^S^lnieexulraqueparte
' suos sepeliunt. '
» Si tratta di estendere questo raeconto, e di arric-
chirlo di penfiiari e d* inunagiai cbe if^essioo e colpi-
scano vivaaieiite il lattm., e gli rendano quasi' asione
così presente, che sMmmagini non leggerla, ma vederla
cogli occhi proprj, nel che consiste la principal forza
deir eloquenza. Per far .questo, altro non ricercasi
eh* esaminar la naiar», ben istaidlanie i movimenti ,
cercare attentamente quello che ha dovuto seguire nel
cuore degli Orazj , de' Guriazj, dei Eomani, degli Alba-
ni , e, dipingere ogni circostanza col mezzo di colori s\
vivi-, ma s\ naturali , che si venga ad im m aginarsi di
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— tS8 —
assistere al eombaiiimento». Tiio Livio fa iuilo questo
d' una nanltra maravigliosa.
1° Federe iclo, trigemini, sicut convenerat, arma
capiunt. *
domi, quidquid in
exercitu sii, illorum tunc arma, illorum intueri mamis;
— feroce^ et suopte ingenioj et pieni adhortantìum voci-
fm9, in meOim inier 4nas aeiee prùceékmL *
9 Era cosa naturale che ogni partito esortasse i
suoi: e lor rappresentasse che la patria intera stava at*
tenta ai loro combatiimento. Qoesto pensiero ò molto
bello, ma lo diviene assai piti piar la maniera onde è
espresso. Una esortasione più lunga sareblìe languida e
fredda. Leggendo V ultime parole si crede vedere i ge-
nerosi combattenti avanzarsi nei mesato ai due eserciti
con nobile ed intrepida fiefeaia.
9^ Cùmeierant utrinque prò eaiirie duo exercOus,
perictdi magis proesentis quam curce expertes: quippe im-
perium agebcUur, in tampauconm viràute atque fortuna
patHum. Itoque trgo eredi impemiqm m mìfitinfe gra-
tum spectaculum animo intenduntur.*
« I* Coodoio il trittito» i tfe liralelll deH'oao e éBA*«llro
IMffiiio preodoBo r mU, coaie se a'm Dota la eoBitaiioae.
s 9^ Mcntie ogni punito esorta i tosi a ben fare il lor dovere,
rappresentaodo loro che gli Dei» la patria, i loro padri e le loro
madri, taulieiuadiiit ch'arano nella ciltà e neir esercito, hanno
gli occhi Assi snlle lor armi e anile lor braccia ; questi generosi
atleti pieni di coraggio da sè stessi , ed aninnti anche da sì po-
tenti esortazioni , si avanzano nei mezzo ai due eserciti.
5o Erano disposti dall' una e dall' altra parie intorno al
campo di battaglia, esenti per verità dal pericolo presente, ma
non da T inquietudine ; perchè trattavasi di sapere qua! de' due
popoli avrebbe a comandare all'altro, e il talore di sì piccolo nu*
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— 219 ^
> Nulla meglio qui conveniva che questo peosieroi
pericM magis prm$mUii qwm eurm easperki; e Tito Li*
vie ne adduce subito la ragione. Quale immagine queste
due parole, erecti stapensique, dipingono alla mente!
jumm, magnanm eacéreHmm ammsgermUes, concur^
runt. Nec his , nec illis periculum suum; publicum impe-
rium servitiumqm obsejvcUurhnimo , ftUuraque ea deinde
fotrim forhma ywuii qui fecieimU. Uiprinm sUUim con*
eur$ù ùiorepuere arma, mkmUetqué (ubere gladii, Aor-
ror ingens spectantes perstringit; et, neutro inclinata spe,
torpebat vox^ spiritusque.^
Ji Nulla m. può aggiungere alla nobile idea ohe Tito
Livio qui ci somministra de* combattenti. I tre fratelli
erano dall' una e dall' altra parte con eserciti intieri , e •
ne avevano il coraggio; insensibili al loro proprio peri-
glio, noQHsi occupavano che della pubblica sorte confl»
data uiivcemente alle loro braccia. Due pensieri magnifici
e tratti dal vero. Ma si può leggere ciò che segue senza
sentirsi ancora presi dair orrore , e dal raccapriccio, non
mero di combattenU ert per decidere della lor aorte. Oecapaii da
qaeati peaiieri, e dairaspeltailooe iDqoieta di quanto era per ane-
eedete, prealano dooqoe tutta la lor atteailo&e ad ano apetUe
colo, ebe non pelea lasciar di metterli In lapavenlow
* 4» SI di II aesno: i nloioal eroi eamminano tre a tre gli ani
eoniro gli altri, portando in eaai ael 11 coraggio di doe grandi eaer-
dil. laaeoaibni dalT ani e dall' altra parte al loro proprio periglio «
non hanno avanti agli ooohi ohe la aervttù, o la liberti' delie lor
pairta, la sene deUa qaile of»ai dipende anloaaiieale dal loro eo>
raggio^ Uaeebè ai odi r arto deUe lor ennl^ e si «Mero brWar le
loro apode , gli spettatori prosi dal timore e , dallo spaveetOt sema
cfte la spersnta piegaaae aoeora dati* osa e daU' altra paite, nata»
rooo di tal maniera immobili , che avrebbeai dslls aver sgUse per»
dttlo4'u80 della voce e del respiro.
uiyui-n-G Ly Google
- Ì30 —
meno che gli spettatori del combattimento? Qui l'espres-
sioni sono tatte poetiebe; e si dee fare osservare a^gio*
vani die T espressioni poelìohe, dèlie quali non si de»
servirsi se non di rado e eoa sobrietà, erano chiamate
dulia stessa grandezza del soggetto, e dalla necessità
di eguagliare co* (ennuii il macavig^ioso delle qpetla*
colo.
» Questo mesto e tristo silenzio che gli tenea lutti
come sospesi ed immobili, si scambiò ben presto in
grida d' aliagreisa dalla psrto degli Albani, quando vi-
dero cader morii due degli Orazj. DaH' altra ^arle ì H<^•
mani restarono senza speranza , ma non senza inquietu-
dine. Spaventati e tremanti per quello degli Orazj, che
solo restava contro ti^è, non erayo ptli ocou|iati da» del
suo periglio. Non era questa la verà disposisioóe dei due
eserciti dopo la caduta di due Romani; ed il qu^dro che
oe fa Tito Livio non è copiato dalia patuca?
&^ Ccmmiii dmds mtmbm, etm jam fton mefi»
kmium eerportim, agitatioque mckp9 tehrvm ammrwn-
que, sed vulnera quoque et sanguis spectaculo essent;
duo Romani, super cUium alius, vulnercUts tribus Albanis,
• expirantes eorruerunt. Ad quorum casum cum concia-^
masset gaudio Al6anus exercihtSf romànas legtones jam
spes tota, nondum tamen, cura deseruerat, exanimes
-vice unius,qum tre^ Curiaiii ciroumeieterafU, ^
< 5° Indi quando, essendo venuti alle mani, Doa< pià sola*
mante il oioio delle bnceìa e r agliaiione deir armi serYiffoao di
spettacolo, ma si scoprirono delle, feri le , e si vide scorrere il ian«
gae, due Romeni cedettero morti eppiè degli Alt^aei , che tatti e tra
ennò restiti feriti. Alla loro cedult l'eaereito nemico geilè grandi
«ridad!iUegrein(fmeoiredey*.altra|arte le legioni romeqe re-
sturoae ^BB» spersDia» ma ooa seoeii inquietudine, liremando pec
il Romanot che ere restato solo y e cbe da tre Albani era cmcoadatt*
L.y(.,^L,o Ly Google
:d Riferirò il resto di questo racconto senza farvi
quasi alcuna riflessione, per iefuggire una noiosa lun*
ghena. Debbo solo awertiM che quello ehe fa la prìn-
cipal bellezza di questa narrazione, non meno che della
storia LQ generale, secondo l'osservazione giudiciosa di
Cicerone, * ò la maraTigiieia varietà che dapperiuUo vi
regna, ed i moTinienti diversi di timore, 4' inquietudi*
ne, di speranza, di allegrezza, di disperazione, di do-
lore, cagionati da improvvisi combattimeoii» e da ino-
pinale vicenda, che riavegiiano i' atlenaione oaa graia
sorpresa, che tengono persino al fine F anime-dei lettore
come sospeso, e che colla stessa incertezza gli procurano
un incredibil piacere, in ispezieltà quandi il racconto
ò ^OMniBalo da un avvMimeiito intaresaante e aingo*
Idre. Sarà faeile V applicare qaeati principj a quanto
segue.
60 Forte is integer fuUf ut univirtis soliis mqua-
quam par, sic advertus singuloi fero». Efgo, ut segre^
* Multam casus nostri libi varielatem in scribendo suppedita»
bunt, plenam cujusdam voluptatis, qu(B vehemenier animos homi'
num in legenda seripto reiinere pouit. Nihil est enim apiius ad
delectationtm leetorii, quam Umporum varielatet, fortunceque vi-
tMtuiinm.^. Àwdpita wtriiqué mtm Mmt admirotionem,
expeeiationem, keiUmm, moU^m, ipim, timtfm* Si vero tsàlm
notabili eoncluduntur , exptetnr animui jumditaiMm Uciion ii Vù»
filplol«. ( Cic;, fi|K 12 , iib. 6 ai CmbìL )
« I nostri casi •ffiriimio a la naU» scriTere molta varìeià
piena d'un tal dUallo, ehe fasta l«Mr Ioni aUe JeUara deUo
gorilla gU'anW dagli aoailoL Glie aians cosa pHl vale al diletta-
«Mulo dM laMfItorat irMto le laiialà dai Mipi, el»iioeode dalla
MaMi.... Gl'iaoerii e sfaristi casi dsMaao maraitfilia» aspettai-
Ifaaa, ileia»albaao» apafaaiai dsMit. Se poi ai ctó«deao eaa
MaMle^laa, rariao dal pitoaire di «selli g i ss s a dIssi Bia lallm
è ripiena» b *
L.yi.,^uu Ly Google
— 33i —
garet pugnata eorum, capessit fugam ; ita ratus secuturos,
lU quemque vulnere affkckm eorpm. Minerà* '
7^ Jam aliquanium tjKdU ex eo loco, uUpugwhm
est, aufkigerctt, cum respiciens videt magnis intervallis
sequentes : unum kaud procul ab sese abesse. In eum ma-
gno imp^ rtdit: et dum Albatm^ocercUm inclamat Cu-
riahii, uti opém ferant fragri, jam BnuUuB, coeso koete,
Victor secundam pugnam petebat. *
8°. Tu0clamore, qualis ex insperato faventium solet,
Romani mijixocnt miUtem iwm; e^ iUe defwngipvadio fé-
eUnai. Priue itaque quam aUer, qui im procul eAerat^
consequi posset, et alterum Curiatium conficit. ^
90 Jamq^ asquato Marte singuli supererant, sed nec
epe, nec vàibue pam. AUerum mtachm ferro corpm,
et geminata Victoria feroem, in eertamen tertium dabmnt :
alter, fessum vulnere j fessum cursu trahens corpus, vie*
tusque fratrum ante seetrqgù, motori objicitur hosii. Nec
Ulud prwlium fuit. "
< 6<> Fortunatamente era senza ferite ; cos) troppo debole con-
tro lutti insieme , ma più forte che ognuno di essi, servesi di uno
strattagemma, che gli riuscì. Per dividere i suoi uemici prende la
fuga, persuaso che io seguirebiMUìo più o meno vel<Mi secondo che
lor restava più 0 meno di foraa.
s 70 Di già era assai lontano dal luogo, nel quale era seguito il
eonbaUinento, quando volgendo la faccia vede i Curla^ in una
assai wnm dislaiiia gli ani dagli altri, ed uno di essi a sé vicino:
ritoma contro questo con tutta la sua fona; e mentre r esercito
d* AUm grida a'sttoi firaléUi perobò la soooomMO, di già Orasio
via^tm di qasaio |Nteo a«nics corre Jid ona seeonda vittoria.
' 8* AUomiRanMl anifiMno illor fuentefo «on delle grida
taU« an il'4W>fiiii«iito fni|iiOfili« dMnaspettata allegreisa «m1
te gittare* «d egli dal canto 800 si afiiralilt a dar Bne al sasraéo
«ontattimeoto. Mon donqoo che V aitrot li qoale oon ora Milo
IsolasOf avoHopolotoragi^gQoriOySlendoaiemii sooneoieo.
* Oo Non più resta? a dall' ona 0 dall* altra parlo clieon combati-
«
- 183 —
)> Che bellezza di espressioni e di pensieri ! Che vi-
Taciià d' imuuigiiii • di descriaiooi I
lOo Romanm mu l taM : IhioB, inquit, fratrnm Mar
nibus dedi; tertium, causae belli hujusce, ut Romanus
Albano imperai , dabo. Male sustinenti arma gladium su-
perne juguh defigit : jac&Uem spoliai. ^
44<» liofnofif ovantes oc grahdantes HoraJtbm acci-
piunt eo majore cum gaudio^ quo propius metum res fue-
rat.*
Ho Ad sepuUuram mie iuorumneqiuiquamparSna
ammt« ^erhmlur ; quippe imperia tJtm wucti, aUeti di-
tionis alienag facli, *
» Non so se vi sia cosa piti adattata a formafe il
guaio d#'g»avaQi» e <}oaiiio alla lettura degli autori, e
quanlo alla eompesisione, del proporre loro atetti luo-
ghi, e dell'avvezzarli a scoprirne da sè stessi tutta la
bellezza 9 apogliaadoli de' loro^oroameati^eriduceodi^,
*
lente: ma se il numero era eguale, non 1* erano le forze e la spe-
ranza. Il Romano senza ferite, e altiero per doppia vittoria, cani-
mina pieno di confidenza al terzo combattimento. L'altro per lo con-
trario indebolito per il sangue che ha perduto , e privo di forze a
cagione del corso, appena si strascina, e di già vinto per la morte
dei due suoi fratelli, come vittima senza difesa presenta ii petto al
suo vincitore. Così quello non fu un combattimento.
* IQo Orazio già anticipatamente trionfante disse: Ho sacrificati
i due primi air ombre de* miei fratelli: sacrificherò il larzo alla mia
patria « affinchè Roma diventi aignora d' Alba » e ie imponga la legge.
Appena il Caraiio potefi sostenere le sne anni: gli trafigge colla
sua spada 11 petto» e lo spoglia estinto.
* il» i Romani acoolgono Oraslo nel loro campa con on'all^
gran e.coa-mia gratitadine tsalo plà Tifi, qaaato esiao stut più
Ticini al periglio.,
' Ilo Dopo di dò egei partito pensa a seppèltire I suoi» ma con
disposiiioni ben diUiBrenii : i Romani essendo divenntl padroni decoro
nemici , e gli Albani f edeadosi sottomessi ad nn dominio straniero.
-nasi-
corne noi qui abbiamo fatto , a semplici proposizioni. Con
questo insegna ad essi come si debbano .ritrovare i
peosìori y « conie si dobbano «flprim ^
Articom III.
Dell' EiniilaBlone.
D. Espomt» ùm ehe cosa 9' iiiende per emMlasUme,
la quale è il temo grado per cui si giurie alla perfetta
imitazione?
A. Emulare non è altro die tentar di fare una dosa
con quelfa perfexlone con ohe altri l'ha fatta. Quindi io
chiamo emulazione quella maniera colla quale noi, per
esercitarci a bene scrivere, imprendiamo a scrivere ciò
stesso che da un eccellente scrittore fu scritto, per poi
mettere a confronto la scrittura nostra con quella del-
l' autore imitato, e trovarne le parti mal composte, 0
ine^cacemen te espresse Y per poi ricorreggerle allo spec«
chic di quella scrittura che ci siamo proposta. Il qiialé
esercizio, nella citata lettera, Plinio (libr. 7, ep. 9) in-
segnava al suo Fosco con queste parole : « Di più ti gio-
verà, quando bai letto una ooaa di fresco^ acciocché
r argomento e la materia in capo ti rimanga v quasi ga*
reggi andò, scrivere quel che leggesti scritto ; paragonare,
e sottilmente pesare in che tu, in che l'altro autore siate
migliori: se tu.ia qualche cosa sei migliore di lui,
avrai allegrezza grande ; se efjà è 'miglior» di te 'in
tutte, gran vergogna. Potrai anche i più eccelleiìti passi
eleggere, e co' più squisiti azzuffarti. Zuffa ardita, ma
ma isfacciata, perchè ninno la sa^ quantunque molti
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— ess-
ile vediamo mettersi a tal cimento, che n'hanno lode
grandissima , perclocehò, mentre bastava loro d' a&dar
dietro i Testigi altrai, non diaperandoai delF impresa,
passaron oltre. » (Gozzi.)
Nihil obfiterit, quce legerù hactenus, ut rem argth
meniumque leneai, quasi mmidumicrihere, lecUsquecmh
ferve f oc seduto pensitare^ quid tu, quid iUe eotnmodius.
Magìia gratulano , si non nulla tu; magnus pudor, si
cuncta aie meUus. Licebit interdum et notissima eUgere,
eS certare eum dectis. Audaoo hmc^ non tamen improba,
quia secreta, rnsOenHo: quamquam miuUos videmus ejus*
modi cer lamina sibi cum multa laude sumpsisse, quosque
siibsequi satis habebant, dum non desperant, antecessisse.
D. Dareste voi un esempio del come si possa imitare
emulando?
R. Serva d'esempio F episodio di Medoro e Clori-
dano immaginato dall' Ariosto ad imitazione dell' episo-
. dio di Niso ed Eurìalo nel Liivo ^ dell' Enoide di Vir-
gaio.*
Niso ed Eurialo, l'uno cacciatore delle selve Idee,
r altro bellissimo giovanetto troiano, stretti d'eguale
amicizia, stanno a guardia della nuova cittk sorgente
nel Lazio, assediata da'Rutuli, dove si tratta di richia-
mare Enea, che è ito a domandare soccorso ad Evandro
nella città PaUantea. Salta in capo a Niso di tentar
questa impresa, mentre il campo nemico è sepolto nel
sonno , e si con6da colP amico Eurialo : '
•
Cemis , fa» RutuloM Masi fidutia fmtm,
Lt^mne rara mieant ; somm tineque
Proeàhiere: rileni lau Iom eie*
r
> •
* (toesi*0iaiiipiod*iaiilaiiQiieelwfsi raeot^atsiadft «•lolio
«Ul «eeoado Tobuae dei libri delia nolgm alafieiisi del e»? . Angelo
Maria Ricci » a pag. 198 a SOO.
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«96 —
. In Ariosto, Canto 18 e <9,Cloridano e Medoro stanno
, io guardia del campo aaraceao assediato da^.Efanchi.
Clorìdaoo è eacoialore^ Medoro nel fior degli anai , ambo
stretti d'amicizia. Medoro propone al compagno di gir
nel campo nemico, e raccorvi le spoglie deli' infelice
loro capo Dardineilo, il quale y'ò rimasto insepolto, e
che fu da loro tanto amato.
Il campo* dorine » e tatto è spento il fuoco »
Percbè del Saradn poca tema banno.
Tnr Tarroe e* carriaggi stao roversi ,
Nei Yin , nel aonao ìnsioo agli occbi immersi.* *
Niso non permette con generosa gara che 1' amico
Euhalo si spinga a tanto periglio senza di lui , consi-
dera che Eurialo lascia una vecchia madre « e che si
espone a morto sul fior degli anni : '
• • •
Nèu matri mkem UmH tim ùaurn doìùrk;
QmB u tois, piMri vmUii e wudrikm aum
Non cede Eurialo a tali ragioni : si presentano en-
trambi ai duci Troiani a domandar l'assenso all' im-
presa, ne designano i modi ec. Sono incoraggiati dal
< De* Franchi.
s Fin qui l' invenzione è la stessa ia quanto al procedimento. Bla
in Ariosto due Mori di Toiomita« quali sono Cloridano e Medoro
(C. i8| sL i05], e* interessano meno, perchè meno vicini alla nostra
razza» perchè roggello della laro Impreaa » quantunque pietoso , è
tutto di privata pietà $ e se ae afvide forae 1* Arioato» quando disse
(come vedremo in appresso) ehenon era molto ra gia n evoie esporre
due vivi a pericolo per uo morto. All'Incontro il progetto di Miao
è chIoBiato dalla pubblica atcessità « e daHa ciieostinsa divi^ pili
nobile» perchè al tra^a d* inooMire un periglio per la salvezza di
tutu, nel che. sta l' eroismo.
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_ 237 —
giovane prìncipe Ascanio, che palpita pel padre suo, e
dal vecchio Alate che esclama :
Di patrii, quorum semper sub numine Troia ui;
Non iamen omnino Teucros delere paratis,
Quum ialet animai juvwum, et tam eerta tuHiti»
Peetora etc.
Ascanio promette loro premj ed altro la tempi più
felici : Eurìalo ringrazia, e raccomanda la madre :
Hanù ego nane ignarom hHjuf, quadmnque perieli eti ;
Inqne eidulatam linquo; nox, et tua te$tis
Dextera , quod nequeam lacrymat perferre parenftf»
Àt tUf oro, solare inopem , et succurre relictos*
Banc sine me $pem [erre lui: audentior ibo
In casus omnes eie.
Ascanio dà la sua spada al giovanetto Eurialo :
Mnesteo colla pelle d'un leone, Mete con il suo elmo,
travestono Niso ; sono questi giovanetti eroi accompa-
gnati fino alia soglia dai Tenerandi duci.
In Ariosto Cloridano tenta dissuadere Medoro, ma
4
I
Veduto che noi piega e che noi muove ,
Qoridaa gli risponde : E verrò anch' io :
Anch' io vo' pormi a si iodefol proove»
Anch* io fiinioca morte asso e Mo :
Qoal cosa sarà mal che più mi giovot
S'io resto sensale, Medoro mio? -
Morir leco eon T arme è meglio moltoi
Che poi di daol, s* a? vien che mi sii loHo.
S* avviano i due compagni pel campo nemico per
cercar la spoglia dell' estìnto Dardinello, ed intanto
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faaoo strage de' nemici sopiti ; con diversi accidenU,
tolti dair autore originale/
Lo stesso fanno in Virgilio Niso ed Eurialo. Intanto
sopraggiunge un corpo leggiero di rinforzo a Turno sul-
]' atto che ì due amici uscian di periplo, scopre da lunge
Eurialo al lampeggiar delP elmo rincontro al lume della
luna : Volscente capo della spedizione grida loro il chi
va là: tacciono questi, e s^ inselvano.
In Ariosto Medoro indrizsa le sue preghiere alla
* I molivi che adduce Nìso per trattenere Earialo, son più forti
e toccaDti. Il primo sentimento d*afleltO| che si sviluppa nel cuor
dell' uomo, è quello d' un figlio verso la madre , e questo affetto di-
vicn sacro e più commovènte quando rivolgasi verso una madre vec-
chia. Tal ò la situazione del giovane £urialo; e se Niso parla ancor
per sentimento di privala amicizia, ella è più nobile in quanto cbe
nasconde il suo proprio interesse. Qui Nìm si U^juttàv^ anche pift
cbe il giovinetto £uria1o, cbe ci dispiace per ora nn .pocoi appunto
perchè non s'arrende alla pietà Aliale» e mira piuttosto alla sua glo*
ria. In Ariosto Cloridaao parla per sola amiclila, nè par cbe molto
s'a£faticbi a dissuader Medoro^ ilqeale lenté ancor più la gratiti^
(Une pel morto Dardinello« e soprattutto l' amor Min soa.gloria» che
non è lontano itoU' amor proprio. In Virgilio f due eroi sono piU
posati, ed agiscono con mente serena; nel che II valore si confonde
colla virtù. Il presentarti die finno ni duci rimasti al comando ddia
città» il palpito» la rieelioscémt d' nn principe giovanetto che molto .
s*sglta pel padre suo» la tenerena del veodiio Mele» Il travesti-
mento de* due giovanetti per mano degli eroi» fiinno nn quadro cosi
eommovente» cbe In esse IIMIé d* a^ni efd» tUOtrem di agni HnO'
«fsftsa si manifesta ; e la gara e l'Impresa deT due giovanetti divien
gaia e palpito di tutti. Ariosto non si curò d'Imitar questo tratto, e
fissò lo sguardo piuttosto angli accidenti notturni del campo, dove
la scena più maravigliosa, e forse meno patetica, rispondeva più al
suo carattere. Qui per altro potea dilungarsi un poco più dalle par- ^
ticolarità accennate da Virgilio, e dare maggiore originalità alia sua
imitazione.
L^ yi i^uu Ly Google
239 —
Lviui, oVesea fuor delle nnhif e gli palesi ove giaccia
Ja spoglia amata di Dardinello.
La Lona, a qnel pregar* la nube aperse,
0 foflie caso, oppur humia feife;
Con Parigi a quel lume ti scoperse
V un campo e V altre; e 1 monte e il pita si Tede:
Si Tldero i duo colli di lontano,
Martire a destra, e Ler! ali* altra mano.
Rifulse lo splendor molto più chiaro
Ove Almonle giacea iiiorlo il Aglio.
. Medoro andò, piangendo, al signor caro;
Cbè conobbe il quartier bianco e vermiglio:
E lutto 'I viso gli bagnò d'amaro
« Pianto (chè n* avea un rio sotto ogni ciglio)
lo si dolci atti f in sì dolci lamenti ,
Cbe pelea ad ascoUar fcriaare i venti*
#
Quindi Medoro con derìdano si caricano amendue
del pese del cadarere di Dardinello. Sol far deir alba
sopraggiugne Zerbino de' Franchi, il quale avendo cac-
ciati tutta la notte i Mori, si ritraeva al campo. Glori*
dano ooDSigUa a Medoro di sgravarsi del peso del cada*
vere per sottrarsi al neniicoy sulla ragione
Che sarebbe pensier non troppo accorte
Perder duo. vivi per salvale un mrto* -
Ed infatti Cloridauo si libera dal peso, ma tutto lo
ritiene sulle sue spalle Medoro, mentre quello avanza
piti lieve e più celere il passo. Zerbino col suo séguito
dà loro la caccia, ed essi s' inselvano. ^
* La luna che in mal punto si scopre, e che rifolgorando dal-
l' elmetto d' Eurialo, il pone a periglio (mentre la stessa Diana non
dovea cosi tradire il disgraziato giovinetto, cacciatore a lei devoto)
ci presenta il vero naturale che illumina la scena ; mentre nel-
V Ariosto I Medoro fa quasi un siiraoole cbiamaDdola obbidisate a
L.yi.,^uu Ly Google
— «40 —
Del pari in VirgUìa ì cavalieri Rttluli occupano lotte
le uscite della selva. Borialo è ritardato dalP ombra
della boscaglia , e dal carico della preda. Niso è trascorso
innanzi, ed è già prossimo ad uscir dì periglio, quando
si ricorda dell' amico; ritorna indietro,. ode lo strepito
dell* armi, vede Earialo stretto da* nemici; dopo un
momento di esitazione si rivolge con una preghiera alla
Luna come cacciatore, scaglia alla cieca un dardo, uc-
cide un nemico , poi un altro non veduto , e difeso da' ra-
mi : infuria il capo Volscente , e vuol sacrificare Eurialo ;
ma in tanto cimento deir amico offre Niso il petto alle
ferite, ed esclama:
Me me, adsum, qui feci, in me convertite ferrum,
0 Rululi: mea fraus omnis: nihil iste nee auiu$,
Aec potuit : calum hoc et conscia sidera ttitor.
Tantum infelieem nimium diUmt amiettm.
Neil' Ariosto, Medoro ò aggravato dal caro peso del
cadavere di Dardinéllo, e si è avviluppato tra l' orror
delle selve, mentre Cloridano era già quasi al sicuro.
Costui, mentre s^ avvede aver perduto V amico, ricalca
la selva ^ ed ode strepito d' armi :
Ali* ultimo ode il suo Medoro , e vede
Che ira molti a cavallo è solo a piede. ^
Lo circondano tutti , e Zerbino grida che sia arre-
seobprlre 11 luogo, ove giaccia 11 cadatere di Oardtaèno. Tolto H
procedimeDio Id VirgHIo è fa natam più die aair Arloeio, laa as-
sai toccante In questo è il punto io cui Medoro è tardalo dal paia
del cadavere amato; e qui Cloridano è un poco troppo soOedto al
ripiego per salvarsi senza esitare un momento, e quasi sì avtilltee
in quella riflessione , che è pur vera, ma poco nobile. Medoro,
ctie ciò non ostante in mezzo a tanto periglio si ostina a portare
il caro peso i qui s' innalza fino air eroismo.
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— 241 —
sialo. Egli cerea scbeimo e riparo qua e Ik , nè mai si
scosta dal caro peso:
L*ba riposato alQo suirerba, qaaodo
Regger noi puoie , e gU va intorno emodo :
Ck>ine orsa che 1* alpeslre cacciatore
Nella pietrosa tana assalita abbia,
Sia sopra i figli con incerto eore«
E freme in suono di pietà e di rabbia:
Ira la *ntrita e naturai furore
A spiegar V ngne e insaguinar le labbia :
Amor la *kiteneri8ce, e te ritira
A riguardare ai figli in meno 1* ira.
Cloridano allora nascoso trae un dardo e poi V al*
tro, e uccìde alcuni de' nemici: Zerbino si scaglia con-
tro Medoro per ucciderlo, egli si raccomaada, e col suo
bel volto e co' suoi preghi implora tanto di vita che
gli basti a seppelh're il cadavere del suo signore : ma
in questo mezzo un cavalier villano sopraggìunto feri-
. sce Medoro, tal che se ne sdegna Zerbino, e vedendolo
caduto a terra il giudica morto, ^
< In Virgilio la preghiera di Niso alU Luna, come già diTOto a
lei« ha qualche cosa di pio e di patetico: e quel tornare indietro
per r amico per quella linea che divide il periglio dalla salveiza
iaituaaione egualmente adottata dall* Ariosto in Clo'ridaDo), è una
circostanza tutta eroica, in Virgilio le parole generose di Niso ea-
ratterìuano il quadro; in Ariosto Ui eostanu di Medoro» che s' ag-
gira qua e ih cacciato e percosso, gemebondo e ferito» intorno al
cadavere amato, fissa dei pari la ince di tutta la scena» e il colpo
d' occhio della prospettiva. Bellisrima altresì in Ariosto è la almi-
fitudine Cam' ona ee. Essi però nacque in orìgine sott* altro ponto
di vista anche da Virgilio » che l' aecenna II dove Iffeo ed Enrialo
fumo strage nel campo sopito do* Rutuli» e forse vi è più opportu-
namente collocata:
Impasttts ceti piena ieo per ovilia ttirlanSf
J ' Stiadet enim vesana fames , tnanditque trahitqiie
Molle pecusp mutiimijuo metti: Jremit ore cruento,
16
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— 242 ^
Io Virgilio , non osUoti le preghiere di Niso , Voi-
scente uccide T amabile giovanetto Eurialo, fl quale
cade :
Purpureiis veluli quum fiat auccitiu aratro
Langueteit moriens ; kutwe papavera (Ma
Demitere capul , pUaia qmm forte ^ovoiiter.
Niso si scaglia in mezzo a' nemici cercando a morte
Volscente, sostit-ne da ogni lato un nembo di strali e
di guerra, c uon ristassi finché non abbia uccìso Voi-
* soente; quindi percosso anch* egli e in tanti modi ferito
va a morire sul cadavere deli' estinto amico:
Tarn super exanimem sese projecit amicum
Confossui^ placidaque ibi demum morte quicvit.
In Ariosto Zerbino si ritira criicciato ali* atto vii*
lane per far vendetta di quel cavaliere che fugge via; ma
Cloridan, cbe Medor vede per ierra«
Salta Del bosco a discoperia guerra;
e fatta molta strage, e trafitto anch' ei per molte ferite,
E tolto che si sente ogni potere ,
Si lascia accanto al suo Medor caliere.
S rivo^no altroire i Franchi; il giovane Medoro
rinviene r ed essendo ivi sopravvenuta Angelica ventu-
Gmì neli' imilaalone diviene originale lo stesso pensiero e le flessa
immagine y presenUadoU soli* altro paeto di prospeitifa e eoa ac-
cideaii dìyersi.
In Ariosto la situazione di Medoro die domanda in grazia la
vita a Zèrbioo per seppellire il oadaTere di Dardineilo ; l' atto f il-
Jaoo di qoel eavallerQ cbe in tal poslaiooo lo feriao^» il geneieso
sdegno chene prende Zerbino» son cose tni.te nuove* assai beo
infnpginste, onde i*^utoBef scostandosi dall'Invenaion Viigiliana» rin-
nova e rende originale la scena. Qui diviene Interes^nte aneto
Zerbino» ciò che non è Volscente in Virgilio; il quale forse lo volle
dipingere cosUlttrOt perchè facesse contrasto coli' amabile giova-
netto Eurialo» assomiglialo ad on flore cbe cade reciso dal duro
vomero.
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riera figlia re dt Calai, aenle di hii pteta , Io cara
con erbe salutari , lo conduce alla casa di un pietoso
pastore, dove ella s' innamora del giovinelto, e dove
Di sè aon cara ; e non è ad altro intenta ,
Che a risanar cM lei fere e tormenta. *
In Virgilio i Riituli troncano le teste de' due gio-
vani inielicì, riconoscono qua e ]ò quante stragi hanno
essi fatte sul campo, e si presentano dinanzi alle trin-
cee ed alle mura degli assediati Troiani , col miserando
spettacolo di quelle testo confitte alle picche, sul far
del giorno. Accorre la madre di Eurialo alla infausta
novella:
BMtmi^nlhiirùéii, fewoluttique penta*
vola alle mufa in mezzo alla turba la vecchia ma-
dre infelice, vede da lungo il mozzo capo del figlio, ed
esclama:
Hunc ego te, Euryale, adspicio? lune illa tenedce
Sera meoe requies? potukii linquere solam,
Crudelis? nec te, sub tarila pericula missum.
A/fari extremum miserw data copia mairi?
HeUt terra ignota canibus data praida lalinii,
ÀlitibMquejacei! nec U tua funera maler
* Qnl tanto' Virgilio, quanto PArfo^, Tmo sseatandosi a
graéo a grado MT aUre^ mm% del pari nel merito dell' Invenaione.
Miao e deridano sono egoalmenle interessanti, e se il secondo in
Ariosto Ita f^tto dubitare nn momento del suo eroismo , qui ricu-
pera tuUa la prioria, alla quale unisce un soave patetico eguale a
• quello che c' ispira la caduta di Niso sul corpo dell'estinto Eurialo.
In Virgilio il villaifo Volscente è punito da Niso con eroica vendetta :
Zerbino in Ariosto meritava d'essere risparmiato; ma se per un
caso fosse stato ferito dopo la sua nobile indignazione, o anche
morto, avrebbe data nuova luce e nuovo interesse al quadro, e
nuova originalità : ma Zerbino nel piano del poeflM era riserbalo ad
alire^venture d' armi e d' amare.
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— 244 —
Praduai, frmim «oii/af, aaif vuluré M,
Vai tegent. Ubi quam iW6le« fattna dl$tq9ie
Urgebam . $t tela curai lolaòar aaiUs*
Quo Hquar f
Commossi i Troiani a tali lamentìi per comando di Dio-
neo e di Ascanio,
muUum laerimanUt JuU,
CorripiutU, inierque manmiub Ueia reponunt,
E qui si riprendono le operazioni di guerra. *
D. Dopo avere tradotto, analizzato , ed emulato, è
egU terminata V opera deW imikunone?
lì. No , anzi ella allora veramente incomincia, pe-
roccliè questi esercizj non sono che il principio e V av-
viamento all' imitazione , come bo asserito fin dappri-
ma, conciossìachè T imitazione sta più in alto. Infetto
r imitatore deve sapere tutta in sè ritrarre V arte del-
l' imitare ^ e le cose suddette giovano princìpalmenle
* Io Ariosto Medoro è serbito ad altri casi, e T episodio si ran-
noda all'azione principale con mmvigllofia irarietà di Unte e di pro-
spelUve. Dal fremito della battaglia alla quiete di ona capanna pasto-
rale, dairire agli amori, cui serre di dolce tniermeiio e di grada-
zione l'idea d'nna tenera amlsiii, d'una pietà generosa, sono pas-
saggi di scena così bene immaginati, che la imitazione si colloca al
lato della inveniiene Virgiliana. Air incontro in Virgilio il ritorno
che ftcciamo indietro a pensare sulla situazione della vecchia madre
d'Eurialo, il ricordarsi delle promesse, de' palpiti del giovanetto prin-
cipe Ascanio, de^vecchi dod; il rammentarci in fine generalmente psf^
laudo di quel momento felice, nel contrapposto di cosi nriseranda
sventura (per cui palpitammo tu qui tra la speraoza e SI timore), è
veramente il compimento del quadro, In cui l'azione tutta Insieme
ci si sclliera davanii. E la dìpiniura della madre d'Eurialo, allorché
di man le cade la conocchia, e i suoi lamenti , e la commozione dei
Troiani , fanno gradazione al momento terribile in cui risorge il ter-
lor della battaglia, cresce la sospensione, ia maraviglia, il terrore;
e razione ad eventum {ulinaL
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per venire a ciò. Colui imiterb, che con ispesso eserci-
zio si farà a scrivere, e cercherà ohe la sua scrittura
^ condaca con qaella stéssa arte, con cui ì Classici re-
sero belle e piacenti le proprie. Nè basterà che una o
due volte si abbandoni all'esercizio dello scrivere, ma
molti anni dovrà scrivere , solo per imparare a seri*
vere, e formarsi una maniera propria composta all' imi-
tazione de* migliori.
Cap* ILlLm
umm Mto • tnM imlMie i mìsUotI mH*-
torì mi debbaiio imitare, e quali sono
quelli elle ileTOiio innanzi m tvMk essere
inaitati.
D. Si dovrà egli imitare un solo , o tuUigli scrittori
msieme, i quali hanno titolo d* essere eccellenti?
R. Molte questioni si hanno intorno ciò , e molti
avvisano che. un solo si debba prendere ad esempio;
altri, che da tutti si debba sestiere. Se a me è lecito
dire la sentenza mia, io reputo che T una e V altra cosa
si debba lare , cosicché quella disputa che fu accesa e
ventilata assai nel 4500 tra uomini sommi, Pico, Bem-
bo^ Polisiano, Cortese, mi pare che possa risolversi col
prò d' amendue le parti. In fatto io sono di credere ,
che dapprima un solo e il piii eccellente si debba pren-
dere ad esempio , come appunto fanno i pittori che
iniziano air arte i giovani sulle tavole di Raffaello, pe-
rocché egli fu il più perfetto fra quanti penaelleggia-
L^ yi i^uu Ly Google
— 246 —
rono tavole e tele. E così debbo fare chi vuole riuscire
scrittore; dapprima si dia a guidare ad un solo; ne
prenda l' arte, gli audameoti, le traosuionii U periodo*
il modo del comporre ^ tutto io somma che- Tarte ba
di bello e di buono in quello scrittore. E se per caso
iu alcuna parte egli fosse men che perfetto, quella
parte egli cessi, e tenti migliorare. Poscia dopo laago
esercizio , quando V arte è divenuta nostra, e quasi fotta
ia noi slessi natura, saremo liberi di recarci alF altre
fonti, acciocché, se qualche special colorito più confa-
cente alla nostra maniera di sentire in altri ci avvenga
trovare, Io facciamo nostro, e quasi raggiungiamo a
perfezionare il modello che dapprima imitammo. Così
i pittori, dòpo essersi formati una maniera alla scuola
di Raffaello, sì conducono allo studio delle tavole del
divin Le<Hiardo, del Tiziano e del Correggio , e tutto
insieme fanno una maniera che non ò veramentcd' al-
cuno , ma sì cosa lor propria , nè d' altri , alla quale
tutti insieme que* grandi, ^e' quali studiarono, banno
dato conforto.
D. Quali sono gli autori che si devono dapprima
proporre a chi vuole venire in fama di scrittore?
R. Tutti i più eccellenti possono essere presi ad
esempio singolare, e la scelta non è da fare in genere ,
ma si conviene applicarla specialmente alla natura di
colui che vuole apprendere V arte. Eccellenti sono tra
I Latini, e Terenzio e Cicerone e Livio e Sallusl^ e Cor^
nelio e Cesare e Quintiliano; e ognuno di questi può
essere ottimo esemplare: ma io non direi così alla
cieca: — prendi questo, prendi quello; ma vorrei obe
studiata la natura del giovane, il savio aiaestre ^
assegnasse queir autore che piii tiene alle stesse qua-
lità d' animo o di mente. I^ò io a giovane d' iodole
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— 247 —
tranqQiIla e doloe yorrei dare Sallustio, Livio, o le piti
veementi orazioni di Cicerone; ma sì mi piacerebbe
eh' ei si fermasse sopra Cornelio Nipote, sopra Cesare,
osoi trattali a sulle lettere di Cicerone: e coiA a gio-
vane di forte fantasia e di risentiti affetti darei molilo
Livio e Cicerone; e a chi abbia forza di meato e di ri-
tlessioiie, proporrei Sallustio, e poco appresso forse
aneo Tacito. Ch'egli mi pare che meglio la natura spie-
ghi le sue forze, guidata dalla somiglianza, che non
abbandonata alia scorta di chicchessia. Nè dòssi temere
che codesta somiglianza feccia imitatori servili ; per-
chè per molto somigliante che sia il modo di sentire,
pure vi ha sempre una differenza propria di ciascuno,
la quale nello stile per poco va a primeggiare , e cO"
stHuisce poi la maniera propria di ciascuno scrittore.
Vero è che vi sono alcuni scrittori, che, avendo in di*
verso siile dettate opere, facilmente s'accostano alla
maniera di tutti, come Cicerone fra i Latini, il quale
non meno agli oratori che ai filosofi, agli storici, ai co-
mM, si eonfh; cosicché tu possa o alle orazioni, o, se
r ingegno tuo è da meno, alle lettere, ai trattati, ai
dialoghi rivolgerti; e ùra gli italiani Dante, il quale
tutti i generi raccolse nella sua Commedia, e in tatti
si levò all'eccellenza. E di qua venne che il solo Cice-
rone potè da molti essere preso ad esempio, senza che
r uno sappia dello stile deli' altro, come bene osserva
Paolo Cortese da San Giiàignano, scrittore e giudice
ottimo di tai cose , nelh\ risposta eh' egli invia ad An-
gelo Poliziano. — « Guarda, dice egli, a coloro. che si
» fecero ad imitare Marco Tallio, ed osserva qoanto
9 siano distanti Tuo dall'altro, e quanto anche fra
9 sò clissomiglianti. Livio prese quella larga e ricca
0 veua che non conosce freno , Quintiliano V acume,
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» Lattanzio Fannooia, Garslo la doloena, Columella '
» r eleganza, e mentre questi avevano tutti un solo
» proposito, cioè di comporsi allo specchio di Gicero-
» ne, pure, se si paragonioo, non vi è cosa laato disao-
» migliaQte quanto sono essi fra loro; nulla tanto di-
h stante, quanto essi da Cicerone. » Una cosa però
inculcheremo sopra tutte, ed è questa: che ninno per
piegarsi air imitazione altrui contraffaocia alla propria
natura, né preitda que'mod! che Fuso ha rigettati, ma
la propria natura modifichi soltanto secondo l'arte al-
trui. Ogni scrittore debbe essere uno, aver proprio ca-
rattere ^ stile e maniera ; e chi altrimenti fa, si confonde
colla derisa greggia servile degV imitatori , anzi de' con*
traffattori, che sono sempre i peggio scrittori.
D. Quali sono gli scrittori che debbono eoeglitrei
j9mei}x»{fRstite a maestri fra i Latini?
R. Fra i prosatori, come fu detto, Cicerone a capo
di tutti, poi Livio, Cesare, Cornelio, Sallustio, Pater-
colo, Curzio, Quintiliano, Columella: e dopo.questi Ta-
cito, Plinio, Floro , i quali per avere difetti non lievi
non si possono così di subito prendere a mano per non
riuscire a {peggio. Infatti troppa brevità, che genera
oscurità e durezza, è in Tacito: troppo studio che dà
in affettazione, è in Plinio: Floro in mezzo ad una vl<
vace brevità, ha sovente concetti raffinati, oscuri, e
spesso più da poesia, che da prosa.
Fra i poeti Virgilio, Orazio, Catullo, Tibullo, Te-
renzio e Fedro anteporrei a tutV altri ; non disdirei però
dopo qiiesti la lettura di Lucrezio, sebbene qualche volta
più filosofo che poeta; nò Properzio, che spesso è in-
tricato, e soverchiamente eriidito; nò Ovidio, che spesse
per troppa prolissità ristucca, e per difetto d*arte
manca di nobiltà; nò Lucano, che troppo spesso la fa
da oratore e da istorico^ anziché da poeta; nè Giovena-
le, che risente dello stesso vizio di declamazione. So-
vra tatto però lodo chi prende ad imitare Virgilio, per-
chè niano fìi mai piti perfetto di lui nell* arte, e perchè,
avendo trattato diversi generi, può a diverse indoli
d' ingegno facilmente accomodarsi. Aggiungerò che
V imitazione delFarte di costui è piU utile agli Italiani,
perchè cpieirarte stessa si trasfuse nell'Autieri, e di-
ventò arte nostrale.
D. Quali scrittori italiani vorrete voi proporci a
maeilri?
R, A queste vo' che vi risponda per me Paolo Co-
sta, grande maestro che fu dell'arte e amico mio, le
parole del quale ora recherò così come sono, e tali sono
che pid saggio non vi potrei dare io stesso: « E prima
è a sapere, die' egli, che nel secolo XIV alcuni prosa-
tori ed alcuni poeti diedero al volgar nostro tanta pro-
prietà e grazia , che nessuno poi ha potuto eguagliarli ;
ohe nel secolo XV questo volgare fu quasi abbandonato
per soverchio amore della lingua latina , e per pusilla^
nimith degli uomini d' Italia: che nel secolo XVI fu dal
Fortunio e dal Bembo ridotto a regole determinate , e
da molti fo nobilmente adoperato in varj generi di
scritture: che nel secolo XVII fù da taluno aoconeia-
raente impiegato, ed arricchito di voci pertinenti alle
scienze: fu da alcun altro scritto con eleganza , ma ven-
ne da moltissimi in parte corrotto, e rìvdto in vanità
di falsi concetti: che nel XVllI Gnalmente fu da pochi
bene usato, e da moltissimi con parole e modi forestieri
vituperato. Tale essendo stata la fortuna di questa bel-
lissima lingua , chi potrà dubitare che oggi non sia a noi
salutevole il consiglio, che ci porgono gli uomini sapien-
ti, cioè quello di studiarsi gli antichi esemplari? Se nel
— 250 —
btton secolo ddla lingaa latina si stimava essere opera
di gran profitto ai giovani il molto leggere gli antichi
scrittori del Lazio, quanto maggiormeote non ai dee
credere che lo studiare i nostri sia per giovare a noi,
che viviamo in un secolo, ove gli Italiani pressoché tut-
ti, più delle cose forestiere che delle proprie dilettan-
dosi, scrivono sì^ che punto non pare alle loro scritture
che sieno stati allevati in Italia? * Verissimo si è (andie
parlando delle arti) quello che dicono i politici; cioè
che qualvolta le cose sieno pervenute a corruzione, bi-
sogna richiamarle a' loro prìncipj. Questa sentenza doi*
vrebbe essere dinansi all' animo de' giovani nelle let*
terc umane; pure sono alcuni, che, deridendo coloro
ohe molto studiano i testi delia lingua, dicono essere;
sdocdiezza il darù tanto peosiero delie parole egfd qual
volta si abbia cura dei concetiì, come se il recare alla
mente altrui i nostri concetti non dipenda dalla virtù
di bene accomodate parole. Cotaii persone avendo po-
sta kro usanaa o ne'soli domestici negOijjy aia al-
cuna sdenta o arte, nè mai data opera allo studio dell»
lingua, vilipendono ciò che non conoscono, e perciò,
non avendo autorità, aon meritano alcuna risposta^
Tutti gli uomini di mente lUscreta Ma<ai maraviglie^
ranno se qui vengono còOsigliati i gìóvanelti a studiare
prima nelle opere de' trecentisti , ne' quali è dovizia di
vocaboli propij, e di forme gentili, e chiarezza, e seaah-
pKdtà , e urbanìlè , e maravigliosa dolcèna, ed a riser-
bare agli anni loro più maturi lo studio de' cinquecen-
tisti , che scrissero eloquentemente di cose gravi e ma-
gnifiche.
* Tale era la condizione deir Italia quando per la prima volta
fa stampalo il libretto dell' Elocuzione: ogsi» la I)io mercòy molti
soiào<:be scrivono in porgala favella.
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» Ma per avTenlora alcuno dirli: non debbiamo noi
essere intesi dagli uomini del nostro secolo, e cercar di
piacer loro seguendo T usanza? Perchè dunque vorremo
che la gioventii studj ancora quelle opere ove si trova-
no, oltre le voci ed i modi che sono fuor d^uso, e l)ar-
barismi, e pleonasmi, e solecismi, ed equivocazioni, e
talvolta negligenza e stranezza ne' costruiti? Perchè
non vorremo consigliarla piuttosto a leggere i soli sorìt-
tori del cinquecento, i quali, seguitando le regole gram-
maticali (iettale dal Fortunio e dal Bembo, non solo
scrissero correttamente, ma trattarono eloquentemente
di varie ed importanti materie? A queste obiezioni ri*
spondoremo, che si dee seguitare l'usanza dei buoni
scrittori, raa non T usanza del volgo; che non si vuole
negare che in molte opere del trecento non si trovino,
* fra la copia delle maniere proprie, nobili e grasiose, vai^
difetti : ma che per questo non ci rimarremo dal consi-
gliare la gioventù di avere sempre caro sopra tutti quel
secolo beato, e di leggere per tempo i suoi ecaellenti
scrittori ; poiché ci teniamo certi che , quanto è difficile
il renderci familiari e domestiche le maniere native e
gentili, altrettanto è facile di perdere T abito di peccare
contro la grammatica e contro V uso. La predetta virtd
non si può acquistare se non con lungo esercìzio: il di-
fetto si può togliere assai agevolmente dopo lo studio
della grammatica , e dopoché per la liiosoha e per la
erudizione ci verrà dato di ben conoscere il valore delle
parole, e di ben distinguere la lingua nobile dalla pìth
bea, e le maniere che per vecchiezza hanno perdutala
grazia e la forza nativa, da quelle ciie sono ancora
belle ed efficaci.
» Quanto allo studio de' cinquecentisti, non dubi-
tiamo che ei sia per essere utilissimo^ essendoché molti
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— 252 —
eccellenti scrittori di quel tempo adoperarono la lingua
che appresero da Daate, dal fioccaccio, dal Petrarca e
dai^i altri trecentisti, emalando mirabilmente i Greci
ed i Latini in molti generi di scritture : ma teniamo
per fermo che convenga alla gioventù di avvezzarsi al
candore ed alla seniplicità del trecento prima di cercare
lo splendore, la magnificenza, la copta e V altezza de' pen-
sieri ne^ cinquecentisti. Perciocché tutti coloro di^ si
sforzano di parere magnifici e splendidi prima che dalla
filosofìa sieno fatti ricchi di cognizioni, fauno V orazione
loro bella nella buccia , ma nel!' intrinseco vana e pue-
rile. Non polendo i giovanetti esprimere con yeritò se
non que' pensieri e quegli affetti che sono proprj della
tenera elò, troveranno assai accomodate al bisogno le
parole ed i modi usati dai trecentisti, la più parte de'
quali, come que'che vissero nell'infanzia dell' italico
sapere, scrissero di tenui materie. Verrà poi quel tempo
maturo in che ai giovani farà mestiere di alzare a gravi
concetli Io stile, ed allora apprenderanno dal Gueciar-
dini gravi th e nerbo ; dal Segretario Fiorentino sobrietà
ed evidenza; dal Caro copia, efficacia e gentilezza; dal
Gasa splendore e magnificenza; dal Galileo ordine e
precisione; dall'Ariosto e dal Tasso i pregi tutti onde
è divina la poesia. Ma allo studio di questi e degli altri
molti, che fecero glorioso il secolo di papa Leone, non
avranno l' animo ben disposto se non coloro, cui prima
sarà piaciuto di attingere ai puri fonti del trecento, dai
quali derivarono i sopraddetti abbondantissimi Oumi.»
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cmcMJDnMmsB.
Dalle cose brevemente fìa qui dichiarate sarà facile
rilevare in ohe prìDcipalmente ooosisia qaeU* arte che
si chiama Rettorica, e che 'cosa debba fare chi bene e
sicuramente voglia apprenderla. Yedrh che il primo
studio dee porsi nella scelta delle parole, perchè siano
quali sono domandate a significare precisamente le idee,
e perchè siano collocate con quel giusto ordine, senza
del quale non si forma bene il periodo. Apprenderà
quali r^ole denno governare esso periodO| e quali qua-
lità precipue debba avere. Poscia conoscerà come si
formi il discorso, e che le doti le quali lo rendono po-
tente sull'animo sono la verità, l'ordine, la naturalez-
za^ r eleganza. Quindi si recherà a studiare quegli ele-
menti di che r eleganza fii genera, e fra questi vedi^
annoverate quelle forme di parlare che dagli scolastici
furono chiamate figure di grammatica. Appresso impa-
rerà quale giovamento rechino air umano discorso i tro-
pi , e come il linguaggio si divida in tre specie , la prima
delle quali è dalla fantasia, T altra dalla passione, la
terza è governata dalla semplice ragione ; e gli sarà ma-
nifesto quali forme sian proprie del primo, quali del se-
condo modo; e come il linguaggio della ragione ami
una schietta semplicità, confortata a quando a quando
da concetti e da sentenze convenienti al carattere del
discorso, non che alla specie dì esso. E seguitando avrà
appreso che la varietà, e queir armonia che ha nome
d' imitativa, rendono più dilettevole e potente il discor-
L^ yi i^uu Ly Google
— 254—
so; che la descrisfone e 1* affetto da un* adeguata collo-
cazione delle parole acquistano vigore e vita. Vedrà
quali sono i diversi caratteri dello scrivere, e quali le
specie che da ogùuno di questi caratteri si derivano.
Infine saprè che cosa è stile, e a quali leggi dee sotto-
stare, in quante specie comunemente si divida, e come
si possa formare buono , ponendo mente alle norme che
ne assegnano i maestri dell' arte» e applicando V animo
alFimìtacione dei Glassici, dalla quale principalmente
si può avere giovamento e conforto. E di tutto avrà
esempli a dovizia, allo specchio de' quali potrà sé e le
opere proprie comporre.
Non vi sia però alcuno che avvisi con la sola
lettura , ed anche il solo apprendimento delle regole,
poter riuscire scrittore buono, perchè senza un eserci-
zio continuato e paziente le regole o tornano invano,
0 mettono assai poco conto. Laonde voglio che siano av-
vertiti. i giovani di ciò ; e che neli' esercitarsi bene pon-
gano tempo e paziensa. Ricordino che come la terra
non produce le cose appena' le fu fidato il seme , nè
senza fatica lunga di coltura, così nelle creazioni del-
l' umano ingegno, dopo gittate il buon seme delle regole
e de' precetti, fa di mestieri adope*ar fatica perchè a
bene sviluppino, e crescano a buono ed ubertoso frut-
to. Chi vuol fare risparmio di tempo e di fatica, non
potrb mai riuscire con lode. A far presto non consegue
mai il far bene, si al lungo esercizio la speditezza dello
scrivere tien dietro, come insegnò Quintiliano nel libro
decimo delle sue Istituzioni al capo terzo, colle parole
del quale mi piace>dar fine: Moram U tottecitudmm
HiMs tmpero. Nam primwn hoc comHiimdum aique
^btinendum est, ut quam optime scribamus: celerita-
teoi dabit conmetudo, PauUaUm rei facilius se osten*
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dent, verba respondtbutèi , emposùio prosequelwr. Cm-
età dernque, ut in familta bene instituta, in officio
erurU. Summa hcec est rei: cito scribendo, non fit lU re-
cU scribatur; bene scribendo, fit ut cito. « Posatezza ed
attenzione vo^che si abbia in sai cominciare. €hè, in-
nanzi tutto, ciò si dee stabilire ed ottenere, di scrivere
quanto piìi meglio si può: dall' esercizio ci verrh la pre-
stezza. A poco, a poco le cose con magnar facilità si
offeriranno, le parole corrìsponderannovi ; il discorso
prenderà forma. Tulle cose infine, come in ben ordinata
famiglia, basteranuo al debito loro. La somma è que-
sta : collo scrivere presto non ^ impara a scrivere be-
ne ; collo scrivere bene si ha di scriver presto. »
FINE.
uyQui^CQ Uy Google
msiGE.
Al cbiarissimo signore avvocato Luigi Foraaciari. — Giù-
aeppe-Ignaiio Montaiiari. . • • . Pag. 5
DBLL' ARIB HBIieElCA.
GAP. I. '
Che voglia dire Retlorka, — Quale bontà si ricerchi
nelle parole^ e perchè, — Come da eue proceda la
ekiarezzak
D. Che cosa è la Rellorica ? * , . 13
D. Quali bonlà denno avere in sè le parole? • ivi
D. Perchè si deve avere questo riguardo nelle parole? ... ivi
1). Da quante cose procede la chiarezza? 14
D. Come si oUieoe la cbiacezza dalla collocazione delle pa-
role? : 15
D. Con che altro modo si ottiene la «hlafena nel eolloeare
le piurole? • . , ivi
CAP. il. .
Del Periodo.
D. Che cosa è il periodo? 16
/). Che cosa è la sentenza? Ivi
D. Come sono chiamate dai retori le parti che compongono
il periodo? 17
D. Di qiianli membri sì deve comporre il periodo ? f8
D. Quali regole si daono a ben formare il periodo? ivi
CAP. 111.
DeUe qualità eeeenziali del Periodo.
D. Avete detto che r unità, la cbiarezza e l'armonìa, sono
le tre qualità essenziali del periodo; oi'a spiegatemi un
poco perchè è necessaria V unità iU
17
«
•
— «58 —
D. Come si oltiene l'uniià? Pag. 19
D. Che intendete quando dite che ii periodo deve avere ef-
ficacia? 2i
D. Qaaìi regole ai danno per ottenere l' efficacia deli* eeprea-
alone nel periodo t ivi
D. Si deve egli evitare la superfloità aoltanto nelle parole? ivi
D. Qnale altra regola ai dà per ottenere l'efficacia nel pe-
riodor? . ; • . . . M
D: Quale altra regola aaaegnereste oltre le accennate? .... Ivi
D. Qual è la quarta regola per dare efficacia al periodo ?.. 83
D. Qnal è la qoinu regola* pee rendare efficftice II periodo? . . 84
D. Qual è la sesta regola per dare efficacia al periodo? .... ivi
CAP. IV.
«
Dell' Artnonia,
f
D. Che cosa deve dirsi dell' armonia? 86
D, Perchè avete detto die i' armonia nasce dalia sceiu delle
parole? . . .....
0. Qamte regole ai possono dare per tendere armonioso il
periodo eolla acelu delle parole? 87
Dm Dareste le regole die rigvardano la diapoaiiione delle pa-
role per ottenere armonia? .
D. Chi può dirigere» e dar leggi. migliori iàloruo 1* armonia ? 88
D. In quanti vi^ ai può cadere cercando sovercbiamente Tar-
monia? * • • .•
I>. Conviene forse vna sola armonia egualmente ^ ui^ i pe*
riddi? • ^
D. SI dovrà egli comporre 11 tDacorao- semplice solamente di
brevi periodi » e V oratorio solamente di ioagU ?•••.. in*
D. Con che arte al rende lungo il periodo} ivi
D, Formato che sia bene il periodo, cosiccàè riesca doUto
d' unità , d' efficacia, d' armonia, che altro resu a href 30
C/LP. V. »
' Bel DiseonOt e delle sue principali quMà.
D, Come si po6 definire il discorso ?
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-, 259 —
A. Qiittiti s«Bo i fisi èbi ruomo si fob pM^om nel di-
Mono? «... Pag. 31
D. tre fini diversi che raomo si propose parlando» de-
vono forse essere sempre egoili le qnalfià del discorso? ivi
D, Insegnateci ora le qualità proprie ad ognuna di queste
ire specie. r , . . . 32
«
CAP. VI.
DeUa nerità, deW ordine ^ deUa naiur(deua
e deU* deganza.
D. Che cosa intendete dire quando prescrivete che il discorso
abbia verittf ....... ivi
D. Che cosa è l'ordine? \ 33
D« Che cosa ori dite della naturale»? 34
D. Che cosa h elegante, e in obe censiMt 36
CAP. VM.
*
Delle figure del Dkeerto tMamaf^ granmalicdi.
D. Che cosa sono queste fi{?ure grammaticali ? 37
D. Come può dirsi che le figure grammaiicali giovano all'ele-
ganza del costrutto? '. % • • • ivi
D. Quante e quali sono queste figure? 38
D, Come definireste la elissi , e che cosa direste di questa fi-
gara? ivi
D. In quanti modi si può fare T olissi 39
D. Che cosa è il pleonasmo ; e in quanti modi si 11 ? • f . . . 40
D. Che cosa dovrà dirsi della siiessi? *. • . 4f
D. Che dee dirsi dell* enallage? 42
0. Quale è la quinta di queste figure? 44
l>. Perchè si parta delle figure grammaticali, e non si fli motto
di quelle che 1 retori chiamano figore di parole? 46
«
GAP. vai.
Dei Tropi,
D. Che cosa sono i tropi ? 48
D. Onde ha avuto origioe il linguaggio figuralo? ....... 49
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— 260 —
D. Quali sono i principali tropi dei quali sì deve parlare? Pn!]f.
51
ARTICOLO I» *
Ti/ili /t nnatnifHI*n
UCllCL irieiajora.
ivi
Ivi
D. Quali fra tutte sono le più belle metafore ?
53
D. Quali VI7J principalmente rendono sconcia e aeiornìe la
56
Articolo 11.
Della Metonimia»
D. Che cosa è la metonimia, e per quante guise si fa? ... . 62
Articolo III.
Della Sinecdoche.
D. Che cosa fe la sinecdoche?
Artìcolo IV.
Dell Antonomasia,
T). Che cosa è antonomasia ? 67
Articolo V.
Della Catacresi e della Melalesii.
D. Che cosa è la catacresi ? 69
n. Che cosa è la metalessi ? 70
Articolo VI.
Come i tropi aggiungano grazia al discorno trovandosi
riuniti insieme t « come sieno tutti derivati dalla
metafora.
D. Dopo queste cose resta altro a dire? 72
D. Avete accennato che lutti i tropi non sono che modifica-
zioni della metafora; sapreste voi dichiararmelo? .... 75
D. Direste voi ora per qual ragione avete tolto dal novero dei
LiLjki^uu L> Google
— 261 -
tropi l'allegoria, T iperbole, .1» perifrasi, T ironia, ed 11
Articolo VII.
C^me ogni ipeeìe dì scrittura ami una matàira
propria di tropi. ' •
D, Ogni specie di tropi eonviene forse ad ogni maniera di
CAP. iX.
Delle fbrme di parlare proprie della fantam.
D, Gbecosa sonq le figure derivate dall'lmmaglnasione? ' . 70
D. Cìte cosa è la similitudine? * * 77
D, Che cosa è la comparazione? i^
B,. Si de?e osservare alouna cosa intomo l'uso dt queste li»
gure? 78
D, Date alcun esempio che mostri, come la similitudine di*
diiara meglio le uose, e le nblMlllsce » o le sublima. . . 79
D. Che cosa i l'allegoria, e percbè st pone fra le figure
d'immaginazione? 80 «.
D Che cosa è In perifrasi? 82
D. Che cosa è l' iperbole? 84
D. Che cosa è i'anlilesi?
D. Che cosa è la progressione? 87
D. Che cosa è la preoccupazione? • • • • 88
D. Che cosa è la concessione? ivi
D. Che cosa è la preterizione? • 89
D. Che cosa è la sermocinaziooe? 90
D. Che cosa è ìpotiposi? 91
Ipoliposi in genere ' 93
• di persona, ossia prosopograUa ivi
> di costumi, ossia etopea ivi
» di persone -fìme, o somatopea. • 93
Descrizione dei luoghi, o topografia 94
D, Vi è nulla da avvertir^ intorno .queate forme di parlare? • ivi
i7*
L.yi.,^uu Ly Google
- 262
CAP. X.
Delle forme Sì parlare proprie della passione,
D, Quali sono le forme di parlare proprie della passione? Pag. 95
D, Che cosa è V esclamaziope e come di lei nasce V eplfo -
nema? 96
D. Glie cosa fe rinlerrogazione ? 97
D. Glie cosa è ironia, e in cìie differisce dal sarcasmo? ... 99
D, Ghc cosa ò la preghiera? 101
D. Ghe cosa è r imprecazione? -lOi
IL CAìo. cosa fe la diibit;>zione? lOS
D. Ghe cosa è la correzione? lOi
i>. Che cosa fe la sospensione? 105
D. Che cosa è la comunicazione? 106
D. Che cosa è la personificazione? 107
D, Cbe cosa è l'apostrofe? Ili
P. Cbe cosa è la visione? 113
CAP. xr. *
Che cosa si deve osservare intorno V uso del linguaggio
figurato: e se sia da anteporsi il linguaggio semplici
e proprio.
D. È sempre bello e lodevole il linguaggio Ggiirato ? 115
D. É egli vero ciò cbe insegnano alcuni , il semplice linguag-
gio servire alla passione? ivi
D, Come si mostra, per esempio, cbe lo stile semplice non
può mai essere proprio della passione? 116
D, Come può dirsi cbe serve all' eleganza I* uso delle forme
di parlare prodotte dalla fantasia e dalla passione? .... 117
D. Dopo avere parlato delle figure come principio d'eleganza,
di cbe altro ci resta a dire? 118
CAP. XII.
Dei Concelli e delle Sentenze.
D, Cbe cosa sono i concetti? ivi
D. Cbe cosa è a dire dei concetti piacevoli? 119
D, Dite adunque dei concetti gravi. . . ivi
D. Che (Ice avvenirsi inluroo ai concelli?* Pag. 121
jD. Glie cosa si paò dire della seoteoza? « • . • ivi
GAP. XIII. '
Della Yarieià.
D. Qaal è il qoiDto elemeDlo deirelegansaf 125
D. Per quanti modi può otienersi la varieU? . • • « Ivi
D, Qoal è il secondo luogo onde al derinre varietà alle
scrittore? It4
D, Qual è il teno modo d'iodorro varietà nel discorso? . • 137
Accennate gli altri tre modi onde si ottiene varietà. ... ivi '
D. Dopo avere esamioati i cinque fonti dell'eleganza, resta
egli altro a dire? 128
CAP. XIV.
Dell' Armonia ìmUaliva.
D. Ciie cosa intendale per armonia imilaliva? 129
D, Come si imitano gli affetti coir armooia? • • 133
CAP. XV.
Della eolloeasione delle parole^ per la quale ti reniie
piò efficace la pamone e la ieecrimone.
Articolo I.
Della cùUaenmne delle parole riepetto alla detcruiom.
D. Come si può dire che la collocazione delle parole giovi a
rendere più efficace la descrizione? 137
D, Dareste voi un esempio cbe mostri quanto nella descri-
zione può r ordine delle idee? 138
D. Glie si deve apprender dair analisi di qaestl loogbi? ... 143
■
Articolo II.
Della coUocaztane delle parale rispello agU afptUi.
D, La coliocaaione delle parola giova ella soltanto la descri-
alone? ivi
- 261 —
D. Serve egli solo alla fantasia e agli affetti lo studio di ben
collocar le parole? Pag. 145
- ' Articolo III.
Se giovino egualmente ad ogni scrittura le cose dette fin
qui intorno la collocazione delle parole: e dei fini chi
può r uomo proporsi parlando.
D. Non giova egli egualmente ad ogni specie di linguaggio
tutto ciò che abbiamo insegnalo intorno Toso delle paro -
le, la scclia e la collocazione delle medesime, i tropi, le
fi^uiro , raniK^nia , e gli altri ornamenti do! rliscorso? . . 146
D. Quanti sono i fìni che V uomo può avere parlando o scri-
vendo? ivi
CAP. XVl.
Del carattere dello scrìvere filosofico, del persuasivo e
del poetico, e delle diverse specie in che ciascuno si ri-
parte.
Articolo I.
Del carattere dello scrivere filosofico,
e specie del medesimo.
D. Come definireste il carattere dello scrivere filosoOco? . . 148
D, Si deve egli in ogni scrittura di carattere filosofico mante -
nere la stessa SL'verilà? #• > . i49
D. Deve egli soltanto dalla materia essere guidato chi scrive
di cose filosofiche o diiialliclie? 150
D. Dopo queste cose, direste voi sulle generali quale debba
essere T elocuzione propria del carattere dello scriver
filosofico? ivi
Articolo 11.
Del caraflere dello scriver persuasivo,
•* e delle specie del medesimo.
I). Come potrebbe definirsi il carattere dolio scrivere [)er-
suasivQ? 151
. Ly Google
— 265 —
D. Spiegatemi un poco questo che dite con qualche esem «
pio Pag. 151
D. Che parte lianno la fantasia e gli affetti nel discorso della
persuasione? , 132
D, In quante specie si parte il carattere dello scrivere per»
suasivo? 1S4
D. Dovrà sempre il discorso persuasivo a?ere la stessa im-
magine di vera dimostrazione? ivi
Articolo III. . "
Del carattere dello scriver poetico, e delle diverse
specie del medesimo.
D. Comesi può de6nire il carattere dello stile poetico? . . . f56
D. Di quante specie è il carattere dello scriver poetico? . . . io7
D, A che giova questa distinzione dei diversi caratteri delio •
scrivere e delle diverse specie? 159
CAP, xvir.
Dello stile e delle sue qualità,
D. Che cosa fe lo stile? .* ICO
D. Si può egli dividere in diverse specie lo stile? 162
Articolo l.
Dello stile semplice o piano,
D, Come definireste lo stile semplice, e quando si usa? . . . 163
D. Quali co§e sono necessarie principalmente per iscriver
bene con questo stile? ..... ^. 104
D. A quali scriilure principalmenlo serve lo stile semplice? . i6o
■P. In qua! vizio si può cadere cercando il semplice nello stile ? jC6
D. Quali sono i principali autori latini da proporsi in esem -
pio di stile semplice? , 167
Articolo II.
Dello stile mediocre o temperato, e delle sue qualità,
D. Qnal è lo stile mediocre ^ e quando si usa? . . • ivi
D. Quali sono le qualità principali dello stile mediocre? . . . 168
. Ly Google
0
D. A quali scritture serve principalmente Io stile me- *
.diocre? Pag. 169
D. In quali viq si può cadere facilmente cercando di raffinare
lo stile mediocre? '■^
. . . Aaticolo III. .
Dello stile irtagnìfico e sublime ^ e delle sue qualità.
D. Cliè cosa è lo stile sublimé? . . . « . l . : /. ^2
Z?r Per quanti modi si rende sublime lo stile?
D. Come si rende sublime lo 'élile coi concetti? . ivi
^ V. Come si può dare sublimità alio stile cogli iatffetti? . . . .175
' § ^ ^ '■
P. Come si sublima lo stile col mezzo delle figure ? 177
D. Come si rende sublime lo siile con ardita eleganza di Frase? 179
D. Come si oliiene da ultimo di rendere magnifico ed eie-
* vato lo stile per mezzo della composizione del periodo? 181
Esempio del sublime ottenuto in fona dei grandi con»
cp.ttL . 186
Esempio del sublime ottenuto in fona dell' affetto. . 192
Esempio del sublime ottenuto per le figure 201
Esempio del sublime ottenuto da ardila eloquema. . 2Qi
Esempio del sublime ottenuto per elevata composi -
%ione di periodoé 207
, p. In quali mj «'incontra cercando dt sublimare lo stilèrt .
* D. Oual è il migliore di questi tre generi di stile? 215
Come possono ottenersi le doti necessarie a scriver bene. •
» ' - •
D. Quali precetti si danno pep acqtìistare uno stile lodevole? ivi
— 267 — *
D. Che dovrà farsi per otteoere di perfezionare V inieU
letto? ,. i ..... . Pag. 2ifi
D, Come si può arricchire IMfmnaginativay .... ; 217
D. Che deve dirsi intorno n^li affetli? . ivi
. D. Che ne dovrà avvenire dal Mcrfezionameoto dell' intelletto,
delia fanUsia e degli aifeui? . '. ^ ....... 218
D. Oltre queste regole alcun* altra maniera per cui si
possa perfezionare lo stile? ^19
CAP. XIX.
« •
Dell' Imitazione.
D. Che cosa è imitazione? ^ . . ' ' 220
D. Non è egli vero ciò che alcuni dicono, T imitazione re »
stringere le menti e to^^lier loro la potenz:i creatrice? 221
D. Bene ho inteso; ma perchè dunque nelle scuole si pre -
tende che noi riportiamo frase, concetto e andamento
dagli autori che si por^^ono a noi da inniare? 222
D. Avrei a caro che in* indicaste quali sono i gradi diversi
pertui sì perviene a ben imitare 225
Articolo I. *
Della Traduzione,
D. Direste voi alcuna cosa della traduzioiie? ivi
Articolo li.
Deir Analié, .
D. Dite ora dell'analisi, poiché ho detto quanto basta intorno
il vantaggio che vien dal tradurre. 225
D. Dareste voi un esempio dal quale si rilevasse il modo di
analizzare? % . . ^ . . . 226
a ■_. 5
Articolo HI.
Dell' Emulazione.
1). Esponete ora che cosa s* intende per emulazione , la quale
è il terzo grado per cui si ginnge alla perfetta imitazione. 234
■ t
1). Dareste voi ud esempio del coxne si possa imitare emù-
laudo? . . . M . . . , ^. . . . Pag. 25S
/>. Dopo avere tradotto, analizzalo ed emulato, è egli termi-
nata l' opera dell' imitazione? 244
'—^ CAP^ XX .
. «
. Se uno solo 0 tulli insieme i migliori scrittori si debbano
*\ imitare, e quali sono quelli che devono innanzi a tulli
' ■ essere imitati. »
D. Si dovrà egli imitare un solo o tmti gli scrittori insieme,
quali hanno titolo d'essere eccellenti? 245
H. Quali sono gli autori che si devono dapprima proporre a
chi vuole venire in fama di scrittore? ^ . 246
I>, Quali sono gn «crutori che debbono scegliersi prlucipai=
^ mente a maestri fra i Latini? . .'^ 248
D. Qaali scrittori italiani vorrete voi proporei a maestri? . . 24y
Comcluiione, . . y . . . V * * ^
• •


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