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Saturday, January 18, 2014

ROME O MORTE: LA GRANDE BELLEZZA

Speranza

Il segreto di Paolo Sorrentino
Ti piace «La grande bellezza»?

Dopo il Golden Globe e verso l'Oscar: esprimete il vostro parere commentando questo articolo.



Vi è piaciuto il film «La grande bellezza»?

Perché?

Dopo l'annuncio del Golden Globe a Paolo Sorrentino si è scatenato sui social network e tra gli spettatori appassionati di cinema un nuovo dibattito sul lavoro felliniano del regista vomerese, in corsa per gli Oscar.

Si propone dunque ad intellettuali, artisti, professionisti e a tutti i lettori di esprimere la loro opinione.

Si comincia con i quattro pareri raccolti in questa pagina, poi la discussione proseguirà anche sul web.

COME FERITO A MORTE.

Esistono due grandi famiglie a cui si può appartenere in qualità di cinefili. I godardiani e i viscontiani.

Alla prima genealogia appartengono tutti quei cineasti che hanno predicato un cinema di «messaggi», magari sporco nella realizzazione, volutamente impreciso ma eticamente corretto.

L'altro, di converso, tecnicamente impeccabile e stilisticamente sontuoso ma che può rasentare l'algido.

Paolo Sorrentino appartiene sicuramente alla seconda fazione, con un cinema fatto di luci particolari, con tagli di inquadrature vertiginosi e scenografie sfarzose.

I suoi film si sono connotati da subito con lo stigma della perfezione tecnica che ha fatto gridare allo scandalo i seguaci di Dogma e del cinema «guerrigliero» e disturbante.

E La grande bellezza è il punto di non ritorno di una carriera piena di successi come poche negli ultimi anni.

Paragonato fino allo sfinimento a La dolce vita, è invece da accostarsi più all'altro grande capolavoro felliniano.

Di Otto e mezzo c'è il bilancio dell'intellettuale che ha raggiunto la piena maturità e l'accumulazione di temi visionari (magari non tutti pienamente risolti) che sfociano nel grottesco.

Ma non è solo e tanto al cinema che rimanda questo affresco preciso e al tempo eccessivo.

Nella riflessione civile, nella polifonia elegiaca, nel pedale spinto sullo struggimento e sulla nostalgia c'è il ritorno a cui noi napoletani dobbiamo, prima o poi, fare riferimento.

Quel Ferito a morte che mezzo secolo fa ha costretto tutti a confrontarsi con l'insoddisfazione e il pessimismo senza prospettive, all'impegno e al rigore.

Jep Gambardella è insomma l'indolente Massimo de Luca di Raffaele La Capria cui questi cinquant'anni hanno lasciato in eredità disincanto e cinismo cui la «grande bellezza» dello sfondo fa risaltare, per contrasto, tutta la sua miseria.
UNA PASSIONE PER LA VITA.

Ho visto La grande bellezza.

È un rito che si svolge ogni tanto di domenica, quando mia moglie ha qualche impegno e che amo moltissimo.

Da quando poi ho scoperto che Benedetto Croce usava andare al cinema con sua figlia Silvia la cosa mi piace ancora di più, ma io e mia figlia cerchiamo di non montarci la testa.

Ci sono andato francamente con qualche prevenzione, avevo sentito parlare di un film f elliniano e d'altra parte l'ambientazione romana rendeva perfettamente credibile l'idea e, in linea di massima, sono sfavorevole ai remake, soprattutto quando riguardano grandi autori e quindi film che sono entrati in maniera decisiva nella cultura e nell'immaginario del secolo scorso.

Invece il film mi è piaciuto moltissimo per molte ragioni tra cui ne indicherò una soltanto, molto particolare e perfino personale, resa possibile dallo straordinario rapporto soprattutto tra il regista e il suo attore principale.

Il film si svolge nell'atmosfera di una Roma senza ideali e decadente, eppure il muoversi un po' dinoccolato di Antonio Servillo e di molti altri attori nei frequenti «balletti» che chiudono molte serate di Jep al ritmo serrato che Bob Sinclair ha dato al vecchio successo, e alla stessa voce, di Raffaella Carrà in «A far l'amore comincia tu», sembra dare corpo ad una straordinaria passione per la vita fisica degli uomini, capace di prevalere su tutte le maschere culturali e non che gli uomini si danno.

Insomma è come se, mentre tutto sembra finire in un languore senza senso, la vita ricominciasse ogni volta da quella musica, da quei corpi che non si fermano.

Uomini che diventano quasi animali senza valori che vogliono agitandosi ritornare uomini.

Certo il film è felliniano, ma, anche per questa via, ho capito che la grandezza di Fellini è stata anche quella di interpretare un modo di essere dell'uomo e della nostra cultura.

Si può amare la vita anche fingendo di non amarla e perfino senza sapere di amarla.

Poi la musica riparte e c'è qualcosa che supera tutti noi e i nostri orpelli culturali.

Alla fine lo smidollato Jep Gambardella, scrittore di un solo libro, ricomincia a scrivere, e la Carrà ripete «a far l'amore comincia tu».

SOLO UN AFFRESCO DI ROMA -

È un film sicuramente bello, ma a me La Grande Bellezza non è piaciuto.

Non mi è piaciuto perché vedermi sbattere in faccia questo spaccato romano, questo cinismo molto anni Ottanta mi ha francamente infastidito.

Sono andato a vedere il film dopo averne sentito parlare per un bel po'.

Ero curioso, avevo sentito tanti commenti e ho voluto capire e verificare di persona.

Detto questo, e chiariti i motivi per i quali non ho amato quest'opera, direi che siamo di fronte ad una straordinaria promozione per Roma, che ne viene fuori languida ed irresistibile.

È meraviglioso l'affresco della città che viene raccontata per quello che è: una grande opera d'arte realizzata nei secoli che è arrivato a noi bellissima e sfrontata.

Ma non è solo la città a funzionare.

Meritano lodi Antonio Servillo e tutti quelli coinvolti, anche solo per un cameo.

Paolo Sorrentino ha messo insieme un bel concorso di talenti e spero che sia stata solo l'emozione a fargli dimenticare di ringraziare quanti hanno contribuito alla buona riuscita del film.

So che la mia è una posizione non allineata con l'entusiasmo generale ma, al di là del parere personale, devo riconoscere che questo film è un'opera apprezzabile per la sua universalità.

Quando la porti in giro per il mondo racconta l'Italia, che è una cosa che i cinesi non possono replicare.

È un film che svela il nostro fascino e la nostra storia, che poi sono il nostro petrolio.

Gli Stati Uniti hanno tante cose, ma a loro manca la grande bellezza del nostro Paese.
QUEL FASCINO PERTURBANTE - E chi l'ha detto che una storia, per essere bellissima, debba necessariamente comunicare soddisfazione e beatitudine?

Chi mai l'ha scritto che una storia per essere arricchente e profonda debba avere un fine lieto, o uno scopo etico?

 La Grande Bellezza di Paolo Sorrentino è un cammino ondivago tra i vicoli nei quali abbiamo perso l'anima, inseguendo vanità e superfluo, superficialità ed effimero.

Seguendo i passi di un Antonio Servillo semplicemente gigantesco, Sorrentino ci accompagna a guardare il panorama del nostro inverno, della stagione in cui si è probabilmente completata la decadenza totale della nostra vita sociale e di ogni processo etico.

La stagione del silenzio e dei sorrisi di plastica, della musica a palla e dei fiumi di liquidi e polveri che ci possano far dimenticare quello che siamo diventati, sballandoci del grande futuro che ci siamo lasciati alle spalle e di un passato che portiamo addosso come un marchio d'infamia.

Migliore è lo specchio in cui ci guardiamo, più pulito e limpido è, più sarà spietata l'immagine che rimanderà ai nostri occhi.

Se non ci piace quello che vediamo, è solo il gran merito dello specchio.

Siamo vecchi.

Totalmente, irriducibilmente vecchi.

E poveri, e secchi.

Colti, intelligenti e disperati, come Jep Gambardella.

La Grande Bellezza è uno straordinario, fantastico prodotto di un'inventiva cinematografica geniale, ed è interpretato da un Genio della scena.

 Quello che racconta di noi, ovviamente, non può che darci paura e sofferenza.

UN'ITALIA CHE NON C'È PIU'

Uno spaccato di una Italia oramai superata, di una vecchia opulenta Italia che non esiste più, con tutti i suoi pregi e difetti: così mi è apparso in tutta la sua vivacità «La grande bellezza» di Paolo Sorrentino.

Il film rappresenta pienamente e fedelmente l'Italia di qualche decennio fa, cui in troppi, ancor oggi, sono rimasti ancora legati.

Quell'Italia fatta di feste, banchetti, di una vita mondana che non appartiene più ai tanti come un tempo, ad un'Italia che, con molta probabilità, ha minato la nostra società di oggi, le cui conseguenze della futilità di tante azioni, la continuiamo a pagare ancor oggi.

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