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Tuesday, July 16, 2024

GRICE E VOLPICELLI: LA RAGIONE CONVERSAZIONALE -- CORPI E CORPI -- MASCHI FASCISTI -- COLOSSI FASCISTI -- LA FILOSOFIA ITALIANA NEL VEINTENNO FASCISTA -- FILOSOFIA FASCISTA -- FILOSOFIA ITALIANA -- LUIGI SPERANZA, PEL GRUPPO DI GIOCO DI H. P. GRICE, THE SWIMMING-POOL LIBRARY

 

Grice e Volpicelli: la ragione conversazionale -- corpi e corpi – maschi fascisti – colossi fascisti -- la flosofia italiana nel veintenno fascista -- filosofia fascista -- filosofia italiana -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Roma). Filosofo italiaano. Grice: “While Volpicelli does use ‘spirito,’ he means ‘breath of air,’ since he is ultimately a naturalist, like I am.” Essential Italian philosopher. Grice: “I read with interest his “Nature and spirit.” At that time, at Oxford, there was not much of an Oxford spirit, so it spirited me.” Prende parte come sotto-tenente alla grande guerra. Si laurea in filosofia sotto GENTILE (vide). Insegna a Urbino, Pisa, e Roma. Teorico del corporativismo integrale. Direttore di Nuovi studi e Archivio di studi corporativi. Altri saggi: Natura e spirito; L'educazione politica dell'Italia; I presupposti scientifici dell'ordinamento corporativo; Corporativismo e scienza giuridica; La certezza del diritto e la crisi odierna; Dizionario di Filosofia  Franchi, Per una teoria dell'auto-governo, ESI, Napoli. Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Diritto, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, su Treccani Enciclopedie Istituto dell'Enciclopedia Italiana. La filosofia di V. costituisce un importante e, probabilmente, ineludibile termine di confronto onde comprendere appieno, sul terreno proprio del diritto, gli sviluppi più profondi dell'attualismo di GENTILE (si veda) e le sue possibili conclusioni teoretiche circa la possibilità di ammettere, nel suo seno, una filosofia del diritto. Il peculiare interesse per i risvolti speculativi della sua dottrina nella corretta definizione di una Rechtsphilosophie fanno, infatti, di V, un insostituibile interlocutore. Punto di partenza della sua riflessione è, per l'appunto, la definizione di una FILOSOFIA del diritto. La distinzione con una mera SCIENZA del diritto che investe in primis la speculazione. [Tale problematica viene affrontata, parallelamente, seppur da un versante più marcatamente economico e sociologico, da SPIRITO (si veda), con il quale condivide le avventure e, soprattutto, le disavventure di “Nuovi studi di diritto, economia e politica” che, raccoglie i loro principali saggi e, in particolare, il loro tentativo di indagare - sulla base dell'insegnamento di GENTILE - quegli ambiti delle scienze pratiche nei quali il complesso rapporto con una FILOSOFIA  unificatrice ed escludente come l'attualismo determina l'esigenza di un approfondimento speculativo particolare. I Nuovi studi, riprendendo la felice sintesi di Franchi, possono] [teoretica tout court, ma che poi - come si vedrà - finisce per calarsi perfettamente nella definizione del diritto e nella tipologia di analisi e studio che concernono l'esperienza giuridica nel suo insieme? Fedele trascrittore della lezione di GENTILE, V.  separa schematicamente i due campi. La FILOSOFIA è la considerazione integrale e, quindi, reale dei fenomeni singoli come individuazioni assolute dell'intero universo. Scienza, invece, e una limitazione operata sull'universale individuo, e, quindi, una considerazione parziale e astratta della realtà.  Se dunque l'UNIVERSALITA FILOSOFICA si costituisce come determinatezza assoluta, occorre asserire che l'astrazione e limitazione scientifica non si costituisce fuori o accanto, ma sul fondamento e nell'ambito della conoscenza  filosofica. Perciò essa è distinta e autonoma, ma entro il circolo invalicabile della filosofia -- e della storia d’ITALIA. Una storia da pensare, si badi, sempre e comunque come l'immanente atto del pensiero concreto. La FILOSOFIA, dunque, non costituisce un Prolog im Himmel, ossia un semplice e grezzo materiale aggregato di preliminari nozioni scientifiche, ma piuttosto il sostrato ontologico su cui la scienza può e deve modellare quelle categorie e quelle nozioni idonee a favorire l'autentica conoscenza di determinati settori della vita spirituale. Essa, in altre parole, ha il compito di realizzare un determinato percorso gnoseologico il cui sviluppo non può prescindere dalla consapevolezza che il processo di unificazione o unità conoscitiva non avviene per opera della scienza, ma avviene già nella realtà. La scienza deve solo 'attuare', con i suoi termini e i suoi concetti, una realtà che storicamente già si compie come processo unitario'. Un] [considerarsi come "il manifesto dell'attualismo applicato alle scienze sociali" (cfr. G. Franchi, Araldo Volpicelli. Per una teoria dell'autogoverno, Napoli. Sul tema pure cfr. Losano, Prefazione a Id. cur., Kelsen – V. Parlamentarismo, democrazia e corporatirismno, Torino. Sul punto cfr. Gennaro, Crocianesimo e cultura giuridica, Milano. Cfr. Volpicelli, Orlando, in Nuovi studi di diritto, economia e politica. Sul punto cfr. Riccobono, Intervento, in La filosofia del diritto IN ITALIA; Alti del Congresso nazionale di filosofia giuridica e politica, Napoli-Sorrento, Milano, Franchi. La scienza - sentenzia altrove V. - è, infatti, vero ed effettivo conoscere (cfr. Corporativismo e scienza del diritto, in Nuovi studi di diritto, economia e politica. Sul binomio realtà-storia V., nel già citato passaggio chiarisce così: "La realtà è una, categoricamente una ed omogenea, talché le sue distinzioni - innegabili e imprescindibili all'esistenza del mondo o, meglio, della realtà come mondo - non possono essere, e ciò per defini-zione, assolute, eterogenee; non possono cioè importare una contraddittoria moltiplicazione reale dell'unità. Le distinzioni sono e debbono essere per definizione omogenee, e non sostanziali. Ciò val quanto affermare che sono storiche, se è vero che la storia è il processo di differenziamento dell'uno: sì differenziamento e processo unitario, e cioe tale da importare l’omogeneita] [processo unitario il cui svolgimento, a sua volta, è contrassegnato da una dialettica intesa come «ritmo della realtà nella sua spirituale natura», ovvero non come essere ma come farsi.  Ciò che V. tenta di raggiungere, nell'ambito della riflessione giuridica, è la formulazione di un concetto del diritto che sia capace di incarnare l'intima e l'immediata attuazione 'scientifica' della teoria 'filosofica' dell'identità di individuo e Stato», e, al tempo stesso, di schivare il pericolo di una «arbitraria traduzione di essa nei disparati termini empirici della scienza giuridica..Dimensione ontologica della filosofia, funzione gnoseologica della scienza: sono questi i postulati da cui occorre muoversi per intraprendere la costruzione tanto di una filosofia quanto di una scienza del dintto. La realizzazione della prima passa per un confronto-scontro con CROCE (si veda), più tenue, e con VECCHIO (si veda), più violento, -- ossia con i due autori che con maggiore vigore si oppongono al positivismo filosofico di fine secolo, ma da posizioni differenti: idealista quella crociana, neo-kan-tiana quella del filosofo romano. La formazione della seconda, viceversa, parte da una revisione critica della dottrina dei due protagonisti, maestro e allievo, della pubblicistica italiana: Orlando eRomano. Il problema di fondo che V. intende affrontare è, quindi, quello di ridefinire la filosofia del diritto come scienza filosofica, ovvero come un'attività che indaga su un fenomeno particolare dell'esperienza esistenziale, ovvero il diritto. La particolarità del suo oggetto, seguendo questa impostazione, consentirebbe la possibilità di essere concepita come scienza, 'filosofica', e quindi subordinata alla filo-sofia, ovvero a quel processo speculativo che tende alla universalità.Secondo Volpicelli, infatti, un difetto ricorrente delle filosofie del diritto coeve -soprattutto quelle di matrice positivista - era quello di considerare «le filosofie par-ticolari» - e quindi quella del diritto - «come entità irrelative e intermedie tra la filosofia e la scienza. A causa della deriva sociologistica e positivistica che conduce ad una «concezione naturalistico-deterministica della realtà umana e perciò del diritto», la filosofia del diritto alla fine dell'Ottocento, «non conserva che il] [sostanziale dei suoi differenziati momenti, senza di che non c'è processo e passaggio ma statica e irrelata molteplicità naturale" (cfr. A. V. Corporativismo e scienza del diritto, Cfr. V., La teoria dell'identità di individuo e Stato, in Nuovi studi di diritto, economia e politica. V., Corporativismo e scienza del diritto, V. La teoria del diritto di CROCE, in Nuovi studi di diritto, economia e politica] [nome. Il nodo cruciale è, insomma, l'impossibile distinzione tra una filosofia generale ed una speciale, come appunto si presenterebbe quella del diritto: una filosofia generale che ammette filosofia speciali non è più in grado di risolvere «sul suo terreno tutti i problemi della realtà. D'altro canto, una filosofia speciale che «ap-plica passivamente lo schema e il metodo» di una filosofia generale perde il suo compito essenziale ovvero «spiegare e necessitare il suo oggetto. Una riaffermazione di una riflessione intimamente giusfilosofica, quindi, «è possibile e intrinsecamente giustificabile» laddove si accetti il presupposto che il diritto sia «una posizione o forma assoluta dello Spirito stesso. Pertanto, oggetto e ragion d'essere della filosofia del diritto finiscono per identificarsi con «la determinazione della forma giuridica nel suo peculiare carattere e nella sua connessione intrinseca con le altre forme spirituali»"'. Solo in questo modo la filosofia del diritto «non è distinguibile dalla filosofia», ma nasce e si sviluppa «nell'ambito e nel sistema di essa» con lo scopo di perseguire due finalità essenziali: da un lato, in funzione anti-positivista, «considerare il diritto come attività dello spirito e non come «fatto» o schema»; dall'altro, in funzione anti-naturalista, «concepire storicamente il diritto come creazione incessante, progressiva ed organica. All'interno di questo quadro, V.  riconosce - in aperto contrasto col formalismo neo-kantiano - dei meriti anche a Croce: in particolar quello di aver ricomposto «il dissidio tra la filosofia e la storia, l'universalità e la concretezza, la categoria e l'esperienza» grazie al superamento del dualismo «di filosofia generale e filosofia particolari»'. Nonostante ciò, la posizione crociana va rigettata nel suo complesso per la presenza di insuperabili limiti speculativi: in particolare, in ambito filosofico-teoretico, la logica dei distinti; su un piano più specificamente giuridico, invece, la visione della legge come pseudo-concetto e la sua idea del rapporto tra società e Stato.Procediamo per gradi. Per Volpicelli, l'ipotesi di una dialettica tra i distinti è una mera contraddizione in termini in quanto le distinzioni che accompagnano la A. V. Recenti indirizzi italiani di filosofia del diritto, in Nuovi studi di diritto, economia e politica. Si ripropone, perciò, il problema 'crociano' "dell'essere o del non essere" della filosofia del diritto "come materia d'insegnamento" (cfr. ibidem).A. Volpicelli, Recenti indirizzi italiani di filosofia del diritto. V. La teoria del diritto di Croce, cL'errore del giusnaturalismo "non consiste nel fatto della sua «fissità», nel suo contraddire cioè alla autorevolezza delle leggi (...) ma nel carattere trascendente di esso, come presupposto e limite a priori, e, solo conseguentemente, statico e fisso, della volontà"] [costante e continua formazione dello spirito si rivelano solamente nel «processo di auto-oggettivazione dell'Io. L'attività dello spirito, prescindendo dalla sua manifestazione fenomenica, «è solo ed essenzialmente attività etica»?': per cui l'autoco-scienza - del soggetto agente - «nell'atto stesso in cui costituisce la volontà come tale, ne costituisce insieme e indistinguibilmente l'assoluto valore etico. Questa ripresa lineare e rigida della dimensione morale dell'intero processo spirituale dalla speculazione gentiliana è il presupposto che consente a Volpicelli di attaccare frontalmente «l'assurdità della distinzione spirituale tra attività economica e attività etica», poiché non è possibile concepirsi una differenza tra volontà universale e volontà individuale, ossia «tra fini che ci appagano come individui e fini che ci appagano come uomini. Due sono, dunque, le conseguenze derivanti da tali assunti: in primis, che l'utile «non è quella forma distinta di attività dello spirito, ma di un semplice, necessario modo di considerazione della volontà nel suo divenire. In secundis, che «il diritto è una forma distinta dell'attività dello spirito», che può presentarsi «come economia», ma soltanto «in virtù di una distinzione gnoseologica operantesi e risolventesi nel reale processo di svolgimento dello spirito come eticità»?.Rispetto dunque al primo punto, la critica ai 'distinti conduce ad una parziale e vaga accettazione dell'identità diritto-economia e ad una rapida e sbrigativa descrizione della relazione tra i vari momenti della praxis: diversamente da Gentile, e anche da Maggiore, in cui l'approdo alla moralità avviene in maniera graduale e complessa, in Volpicelli costituisce un dogma non approfondito, ma assiomaticamente sostenuto. V. La teoria del diritto di Croce. Gentile, criticando la filosofia crociana dei distinti e, nel contempo, rigettando i presupposti della dialettica hegeliana, sostiene che la morale investa "ogni momento della vita dello spirito" in quanto proiezione di "un dover essere imprescindibile hic et nunc in virtù della libertà" (cfr. GENTILE, I fondamenti della filosofia del diritto, Firenze. Maggiore, invece, distin-guendo, in un primo tempo, teoria e prassi, colloca la morale al termine del percorso dialettico di formazione della volontà (sul punto cfr. Maggiore, L'unità del mondo nel sistema del pensiero, Palermo; in un secondo tempo, poi, riconsiderando l'esperienza giuridica nel suo insieme, giunge a decretare la sostanziale identità di diritto e morale (cfr. Id., Il diritto e il suo processo ideale, V. La teoria del diritto di Croce. Gentile, criticando la filosofia crociana dei distinti e, nel contempo, rigettando i presupposti della dialettica hegeliana, sostiene che la morale investa "ogni momento della vita dello spirito" in quanto proiezione di "un dover essere imprescindibile hic et nune in virtù della libertà" (cfr. G. Gentile, I fondamenti della filosofia del diritto, Firenze. Maggiore, invece, distin-guendo, in un primo tempo, teoria e prassi, colloca la morale al termine del percorso dialettico di formazione della volontà (sul punto cfr. G. Maggiore, L'unità del mondo nel sistema del pensiero, Palermo; in un secondo tempo, poi, riconsiderando l'esperienza giuridica nel suo insieme, giunge a decretare la sostanziale identità di diritto e morale (cfr. Id., Il diritto e il suo processo ideale, Palermo: un passaggio che segna l'inizio di un lento ma inesorabile allontanamento dall'attualismo e dall'idealismo tout court che si compirà negli anni successivi. Più in ge-nerale, sull'evoluzione del pensiero di Giuseppe Maggiore si rimanda a F. D'Urso, L'emersione del giuridico' nella filosofia di Giuseppe Maggiore: da L'unità del mondo a Il diritto e il suo processo ideale, in Annali dell'Università degli Studi Suor Orsola Benincasa, Napoli.] [Il vero problema filosofico-giuridico, del resto, è rappresentato dal rapporto tra volontà e legge. Contro l'impostazione di Croce, che la vedeva semplicemente come uno pseudo-concetto della sfera pratica, Volpicelli considera la legge «regola imperativa» che costituisce la base di «un momento sui generis e irriducibile dello spirito pratico»?. Essa, perciò, «non è una costruzione arbitraria», bensì «l'immanente proiezione astrattiva e generalizzante della concreta volontà»28Se ad una prima lettura la legge appare, perciò, come «l'oggetto in cui la volontà si pone ed è reale», nel momento in cui la voluntas «se ne stacca», diviene «lo schema ideale dell'agire»; seguendo tale ragionamento, si può correttamente ritenere che «la sua dissoluzione è la condizione perché l'atto volitivo sorga e si effettui,?.Il diritto, allora, non può non identificarsi con la legge, cioè con il voluto «nella sua astrattezza e rigidezza di posizione innanzi e contro al volere»3°. Mentre la volontà etica «pone e risolve la legge nella sua libera ed intima creatività», la volontà giuridica è quella in cui «la legge è esterna però coattiva»''. Ecco il motivo per cui il diritto assume la coattività e l'esteriorità come elementi - gnoseologicamente - distinti dall'etica 32.Infine, Volpicelli intravede e contesta nel pensiero crociano una lettura 'machia-vellica' della politica: concepita come «la forma individuale o utilitaria dell'attività pratica dello spirito», essa si apre all'idea che la filosofia politica «non ha più per oggetto lo Stato» e quindi la sintesi di autorità e libertà, molteplicità e unità del va-lore33.A. Volpicelli, La teoria del diritto di Benedetto Croce, cit., p. 269.Ivi, p. 272.Ibidem.A. Volpicelli, La teoria del diritto di Benedetto Croce, cit., p. 273.Ibidem.Volpicelli considera essenziale separare l'ambito gnoseologico da quello fenomenologico e deontologico: in particolare, nel criticare le conclusioni che Vanni prospetta ne Il problema della filosofia del diritto nella filosofia, nella scienza e nella vita (1890) - ovvero l'idea che la filosofia costituisca un grado intermedio del conoscere mentre la scienza una mera filosofia applicata - sostiene che "il problema gnoseologico include quello fenomenologico, e questo esclude o sopprime il deon-tologico" (cfi. A. Volpicelli, Recenti indirizzi italiani di filosofia del diritto, cit., p. 28) . Questo approccio ricorda la distinzione gentiliana tra la categoria in sé, ossia "concetto universale, o eterno momento della vita dello spirito" (cfr. G. Gentile, Teoria generale dello spirito come atto puro (1913), Firenze 2003, pp. 220-221), e la categoria considerata come "contenuto di un certo atto conoscitivo" (cfr. ID., I fondamenti della filosofia del diritto, cit., p. 15).V., La filosofia della politica di Benedetto Croce, in Nuovi studi di diritto, economia e politica, V. La teoria del diritto di Benedetto Croce, cit., p. 269.Ivi, p. 272.Ibidem.3° A. Volpicelli, La teoria del diritto di Benedetto Croce, cit., p. 273.Ibidem.Volpicelli considera essenziale separare l'ambito gnoseologico da quello fenomenologico e deontologico: in particolare, nel criticare le conclusioni che Vanni prospetta ne Il problema della filosofia del diritto nella filosofia, nella scienza e nella vita (1890) - ovvero l'idea che la filosofia costituisca un grado intermedio del conoscere mentre la scienza una mera filosofia applicata - sostiene che "il problema gnoseologico include quello fenomenologico, e questo esclude o sopprime il deon-tologico" (cfr. A. Volpicelli, Recenti indirizzi italiani di filosofia del diritto, cit., p. 28) . Questo approccio ricorda la distinzione gentiliana tra la categoria in sé, ossia "concetto universale, o eterno momento della vita dello spirito" (cfr. G. Gentile, Teoria generale dello spirito come atto puro (1913), Firenze 2003, pp. 220-221), e la categoria considerata come "contenuto di un certo atto conoscitivo" (cfr. ID., I fondamenti della filosofia del diritto, cit., p. 15).A. Volpicelli, La filosofia della politica di Benedetto Croce, in Nuovi studi di diritto, economia e politica, VI, 1928, p. 322.479 Logica e storia: l'attualismo giuridico di V. ] [Volpicelli riconosce al formalismo giuridico di ispirazione neo-kantiana un importante merito ma, di contro, attribuisce ad esso un altrettanto decisiva responsa-bilità: il suo pregio consisterebbe nell'aver riaffermato «l'identità e l'universalità del diritto», il suo difetto nello «essersi arrestato a un concetto astratto e antistorico della categoria del diritto», 34.Il formalismo neo-kantiano, in altre parole, riaffermando «l'apriorità e categori-cità del diritto», rivendicava «legittimità ed autonomia della rispettiva indagine filo-sofica»35. Un'autonomia che, in Volpicelli, va sempre però concepita entro il perimetro della filosofia generale e mai al di fuori e all'esterno di essa36. L'insuperabile limite del neo-kantismo, allora, appare quello di inseguire un'illusione, ossia di poter sostenere «l'autonomia dottrinale di quella particolare filosofia contro i congiunti ostacoli della filosofia generale e della giurisprudenza»37.E arriviamo, così, all'analisi del maggiore e più influente esponente del neo-kan-tismo italiano, ovvero Giorgio Del Vecchio38. Volpicelli contesta due aspetti fondamentali della sua teoresi: la distinzione tra concetto e idea del diritto - che ripro-pone, sotto mentite spoglie, quella tra una giurisprudenza che studia il diritto particolare e la filosofia che studia il diritto universale3; la riproposizione, consequen-ziale, dei tre 'compiti' (gnoseologico, fenomenologico, deontologico) del diritto *".A. Volpicelli, La teoria del diritto di Benedetto Croce, cit., p. 241.Ivi, p. 212.Volpicelli, nel ritenere che la filosofia del diritto come "un'autonoma scienza filosofica" nasce con Thomasius, interpreta la sua distinzione tra diritto e morale come specchio della distinzione tra diritto naturale e diritto positivo (cfr. A. Volpicelli, Recenti indirizzi italiani di filosofia del diritto, cit., p. 25).A. Volpicelli, La teoria del diritto di Benedetto Croce, cit., p. 243. Per comprendere meglio la prospettiva volpicelliana, è interessante la lettura dell'opera di Igino Petrone. Sebbene consideri la sua filosofia come "unico sforzo compiuto dal filosofismo accademico italiano per costruire una filosofia del diritto su fondamenti speculativi", in essa traspare nitidamente il fatto che l'apriori kantiano diviene "una statica e trascendente idea innata" e, di conseguenza, la realtà fenomenica come una"bruta empiria avente fuori di sé il suo principio" (cfr. Id., Recenti indirizzi italiani di filosofia del diritto, I, cit., 30-31). Pertanto, nel suo idealismo critico "permaneva, in fondo, tenace la concezione positivistica" (cfr. ivi, p. 29).Quando ci riferiamo al neo-kantismo italiano, come sostiene nella sua ricostruzione storico-filosofica Nicola Tabaroni, possiamo individuare tre autori 'per antonomasia', ovvero Igino Petrone,Adolfo Ravà e, per l'appunto, Giorgio del Vecchio; in merito cfr. N. Tabaroni, La terza via neo-kantiana. Della gius-hlosofia in Italia, Napoli 1987, pp. 5-6.Una problematica, questa, che viene approfondita da altri studiosi prossimi alla filosofia attuale, tra i quali certamente spicca Angelo Ermanno Cammarata. Si ricordi, a riguardo, soprattutto il Contributo a una critica gnoscologica della giurisprudenza (1925), in cui emerge, come scrive Teresa Serra, la necessità di "ridare legittimità alla filosofia del diritto rifiutando l'elisione idealistica della realtà del diritto" (cfr. T. Serra, Angelo Ermanno Cammarata: la critica gnoseologica della giurispru-denza, Napoli 1988, p. 61) V. Recenti indirizzi italiani di filosofia del diritto] [In primo luogo, egli ritiene che «la fenomenologia del diritto» coincida con «la storia stessa del concetto di diritto»4: tra lo svolgimento dell'idea-diritto e la trasformazione del concetto-diritto non vi è, dunque, alcun dualismo ma piuttosto una sostanziale identità. Un'identità che consente a Volpicelli di accentuare quell'avvi-cinamento tra forma e contenuto del diritto, già riconoscibile nell'opera gentiliana e già intrapreso da Maggiore, che, pur riprendendo nozioni kantiane, le plasma e le adatta all'interno della sua speculazione a consolidamento e sostegno della posizione attualista43.La forma, per Volpicelli, è sempre «forma viva», ossia «concreta, processuale e differenziantesi»: una forma che, così intesa, può essere perfino definita come «il contenuto medesimo nella sua spiritualità»*. Una forma che non può mai identificarsi con la vuota e indifferente nozione, di derivazione neo-kantiana, dell'«univer-sale logico»*. Da qui, la seconda fondamentale critica a Del Vecchio, ossia la sua fatua distinzione tra essere e conoscere. Il fenomeno giuridico, infatti, va concepito, secondo tale lettura, come un qualcosa «che non cade fuori dall'atto che la pro-duce», ma piuttosto come una realtà «in cui si individua, e cioè si converte e rifonde senza residuo, l'universale attività concepente»*.La riconduzione dell'elemento fenomenico nell'ambito formativo del processo spirituale determina, altresì, l'identificazione della conoscenza con il valore, o meglio, dell'attività conoscitiva con quella valutativa. Lungi dall'accogliere la separazione weberiana tra giudizio di fatto e giudizio di valore, Volpicelli perviene al rifiuto dell'altra importante dicotomia nella filosofia delvecchiana, ossia quella tra idea logica e idea valutativa, da cui derivano rispettivamente il «giudizio storico-positivo» e il «giudizio deontologico-razionale»47. Per l'allievo di Gentile, «conoscere è, indi-stinguibilmente, e in sé medesimo, valutare» perché ogni valutazione avviene sempre in re, e non extra o post rem, e pertanto «è possibile e giustificabile solo nell'attoUn concetto di diritto che "non è nulla di diverso e distinto dalle sue manifestazioni, ma è proprio, assolutamente, quest'ultima" (cfr. ibidem).Il Kant 'attualista' è quello che apre all'identità hegeliana di reale e razionale attraverso il ribaltamento del rapporto tra soggetto e oggetto e la negazione della preesistenza della realtà al pensiero."Una tale conquista - osserva Franchi - che capovolge il tradizionale rapporto tra il pensiero e l'es-sere, si sarebbe però arrestata, secondo Volpicelli, con il riconoscimento di un dato che trascende il pensiero, cioè la materia, a cui il pensiero si limita a dare una forma, e che avrebbe obbligato Kant a introdurre nel suo sistema il concetto di «noumeno», elemento non conoscibile dall'intelletto, a fondamento della stessa realtà naturale" (cfr. G. Franchi, Amaldo Volpicelli, cit., p. 19).A. Volpicelli, Recenti indirizzi italiani di filosofia del diritto, I, cit., pp. 42-43.A. Volpicelli, Recenti indirizzi italiani di filosofia del diritto, II, in Nuovi studi di diritto, economia e politica, 1931, II, p. 108.A. Volpicelli, Recenti indirizzi italiani di filosofia del diritto, I, cit., pp. 44 e 47.A. Volpicelli, Recenti indirizzi italiani di filosofia del diritto] conoscitivo, e non fuori o dopo di esso»48. Il valore, dunque, finisce per identificarsi con l'essere in maniera ancora più netta rispetto al fenomeno, essendo non altro che «la stessa formale ed infinita creatività dello spirito»: un'identificazione garantita dai suoi caratteri essenziali, ovvero «l'autoposizione e l'infinità»49Il valore così definito svolge, all'interno della ricostruzione volpicelliana, un'ultima importantissima funzione, ossia quella di offrire un ulteriore e decisivo argomento contro ogni visione giusnaturalista. Non potendo, infatti, rinunciare alla sua «spirituale natura e immanenza», alla sua indole «interiore e cosciente» e alla sua«inesauribile dialettica», il valore, applicato al diritto, trasforma questo in una peculiare espressione concreta della coscienza umana, specificamente quella dell'«essere doveroso e continuo»: un diritto che «è sempre giusto»°. Alla luce di ciò, appare assolutamente inutile ipotizzare un diritto naturale a priori, eterno, immutabile, espressione di un ideale astratto sempre esterno alla realtà. Il giusnaturalismo, in ogni sua formulazione, svela sempre il suo carattere filosoficamente falso per questa sua incapacità di essere immanente e 'procedurale' all'interno della realtà dello spi-rito: idealità e realtà, in definitiva, non si traducono mai in un dualismo, bensì si rapportano sempre nell'alveo di un processo dialettico. Passando sul versante della scienza del diritto, Volpicelli legge con interesse critico tanto l'opera di Vittorio Emanuele Orlando quanto quella di Santi Romano. Il confronto con entrambi scaturisce dall'interesse per lo Stato, in particolar modo per la sua definizione e la sua funzione nell'ambito dell'esperienza giuridica. In sintesi, pur condividendo sensibilità e fini che la scienza del diritto pubblico mostra e per-segue, Volpicelli individua nella dottrina dei due giuristi siciliani degli elementi critici da cui occorre allontanarsi apertamente: in Orlando ravvisa il pericolo di una scissione tra diritto e legge con la subordinazione del primo nei confronti della seconda; in Santi Romano, invece, la riduzione dello Stato a species del genus diritto rappresenta un presupposto incauto da cui potrebbe derivare una frammentazione dell'universo giuridico e un abbandono del processo unitario che, viceversa, lo con-trassegna.Ciò che, invero, preoccupa maggiormente Volpicelli sul piano della scientia juris è quella che egli indica come «la tendenza più generale e caratteristica della giurisprudenza contemporanea», ossia quella «di determinare e porre alla base delle sue costruzioni il puro concetto di fatto giuridico»; un concetto, in altre parole, «valido**Ivi, pp. 109-110. Questa interiorità dell'atto conoscitivo, sorprendentemente, viene trovata da Volpicelli in Kant stesso, laddove "il conoscere", formandosi "secondo le forme funzionali dell'auto-coscienza" costituisce "già per ipotesi il nostro conoscere" (cfr. ibidem).49 A. Volpicelli, Recenti indirizzi italiani di filosofia del diritto] una volta per sempre e per tutti i possibili fatti»'. E necessario, perciò, una forte contrapposizione a questo formalismo che, come «mostro insaziabile», divora e annulla la scienza «nell'assurda pretesa di rendere quanto più rigorosi e universali gli schemi scientifici»52.Per Volpicelli la scienza, in generale, «non astrae dalla realtà», ma piuttosto «in funzione» di essa. In questo senso, la logica - che è in capo a qualsiasi concezione epistemologica - e la storia - che è l'incessante motore della realtà ideale - determinano due verità che non possono non coincidere. La logica, infatti, in quanto «immanente forma della realtà storica», non può mai scindersi dalla cosa in sé, dalla concretezza dello spirito, ma fondersi sempre con essa 4Ma la scienza non può 'spiegare sé stessa, dal momento che la sua intima ragione può essere definita soltanto dal di fuori, ovvero dalla speculazione filosofica, «nes-suna scienza può scientificamente dimostrare i suoi presupposti» e quindi «la scienza giuridica non può pretendere di spiegare giuridicamente il diritto»55. La genesi e i fondamenti del diritto «trascendono la competenza e la stera della scienza giuridica» perché essi hanno una «vera e genuina natura metagiuridica»56.La scienza giuridica è «distinta ed autonoma nella politica o nella storia, ma non dalla politica e dalla storia»57. Il grande torto di Orlando, come si vedrà, sarà quello di aver cercato di rendere la scienza giuridica autonoma dalla politica, ovvero dalla storia, e perciò di affrancarla dalla filosofia. Volpicelli, in verità, apprezza di Orlando la posizione antirazionalista e antigiu-snaturalista, nonché l'aver fondato una scienza del diritto capace di cogliere organicamente quei principia juris che costituiscono «le premesse storico-ideali informatrici delle istituzioni giuridiche positive»8. Inoltre, egli sottolinea positivamente51 A. Volpicelli, Santi Romano (@, in Nuovi studi di diritto, economia e politica, Volpicelli, Vittorio Emanuele Orlando (III), in Nuovi studi di diritto, economia e politica,1927, I, р. 200.54 Ivi, p. 201.SS Ivi, pp. 205-206.Ivi, p. 206.Ibidem. VITTORIO EMANUELE ORLANDO Volpicelli, in verità, apprezza di Orlando la posizione antirazionalista e antigiu-snaturalista, nonché l'aver fondato una scienza del diritto capace di cogliere organicamente quei principia juris che costituiscono «le premesse storico-ideali informatrici delle istituzioni giuridiche positive»58. Inoltre, egli sottolinea positivamente51 A. Volpicelli, Santi Romano (I), in Nuovi studi di diritto, economia e politica, I, 1929, p. 17.52Ivi, p. 18.53A. Volpicelli, Vittorio Emanuele Orlando (III), in Nuovi studi di diritto, economia e politica,1927, I, р. 200.Ivi, p. 201.Ivi, pp. 205-20636 Ivi, p. 206.Ibidem.A. Volpicelli, Vittorio Emanuele Orlando (D), in Nuovi studi di diritto, economia e politica, 1927, L, p. 14. In verità, come osserva Pietro Costa, in questa riconosciuta affinità con l'impostazione orlandiana, si può riscontrare quel più generale consenso verso "quella pregiudiziale antropologica (di ispirazione anti-individualistica e organicistica) che collega Volpicelli non solo ad Orlando, ma all'intera tradizione giuspubblicistica" (cfr. P. Costa, Lo Stato immaginario. Metafore e paradigmi della cultura giuridica italiana fra Ottocento e Novecento, Milano] [l'atteggiamento dichiaratamente critico del giurista palermitano nei confronti sia del contrattualismo, sia del giusnaturalismo"".Ciò che, invece, rappresenta - come detto - uno strappo che determina il rigetto della visione orlandiana nel suo insieme è la distinzione, di matrice storicista, tra legge e diritto". Una distinzione che riproporrebbe - in altro modo - il dualismo tra diritto positivo e diritto naturale, laddove si affermi che «il diritto positivo o vigente (legge) dichiara e impone l'antecedente, genuino ed autonomo diritto so-ciale»61.In ciò non può non ravvisarsi, secondo l'interpretazione volpicelliana, uno sdoppiamento che è matrice e, a un tempo, figlia della medesima scissione tra Stato e società, già individuata e criticata - da Gentile e Maggiore - nell'hegeliana dialettica tra bürgerliche Gesellschafte Staaf2. Uno Stato che rimane mero titolare della legge con la quale riconosce e sanziona un diritto che non nasce in esso e con esso, ma in una società che precede sempre la sua formazione. Ma la società, secondo Vol-picelli, «non crea il diritto, se non in quanto Stato», assumendo in tale veste il ruolo di società politica 3.Il nesso tra diritto e politica, allora, costituisce il vero nodo da sciogliere, il terreno su cui è possibile porre le solide fondamenta della scienza giuridica, delineandone definitivamente caratteristiche e confini. Diritto e politica rappresentano l'astratto e il concreto del processo ideale che accompagna e contrassegna perpetuamente l'ente Stato. Se, perciò, il diritto può essere pensato come «l'obiettivazione astratta» del «concreto essere e operare» della politica, le scienze impegnate a studiare e definire i rispettivi oggetti sono agevolmente identificabili: la scienza del59 Orlando, infatti, da un lato considera il diritto come "una creazione spontanea, incessante ed organica della società", dall'altro sia allontana da tutte quelle dottrine che "ponevano a centro e a soggetto del mondo giuridico il puro individuo come immediatamente dotato di naturali diritti" (cfr.A. Volpicelli, Vittorio Emanuele Orlando (1),cit., p. 16).Volpicelli scorge in questa separazione un retaggio diretto della scuola storica del diritto. Una corrente a cui viene riconosciuto un duplice merito: "contro il contrattualismo, riafferma l'apriorità e originarietà della società come fonte e principio del diritto; contro il giusnaturalismo, la storicità e positività di quest'ultimo" (cfr. ibidem). E, infine, "l'avversione costante e irriducibile di quella scuola alle codificazioni, che pretende di arrestare il corso storico" e alle riforme imposte "da una ragione arbitraria (perché metastorica)" (ibidem). Ciò che, al contrario, valuta come un limite è la negazione dello Stato come fuoco incessante della società: una società descritta come "una realtà piena e perfetta prima e fuori dello Stato" e quindi una realtà "immediatamente statuale e giuridica" (cfr. A. Volpicelli,Vittorio Emanuele Orlando (D), 1927, I, cit., p. 17).Cfr. A. Volpicelli, Vittorio Emanuele Orlando (1), 1927, I, cit., p. 17.Il confronto di gentile con la filosofia hegeliana si traduce in un più complessivo abbandono dello schema triadico della sua dialettica e nell'adozione di un processo di auto-sintesi che si regge sulla continua contrapposizione tra 'concreto' ed 'astratto'; sul punto soprattutto cfr. G. Gentile, La riformaconfronto di gentile con la filosofia hegeliana si traduce in un più complessivo abbandono dello schema triadico della sua dialettica e nell'adozione di un processo di auto-sintesi che si regge sulla continua contrapposizione tra 'concreto' ed 'astratto'; sul punto soprattutto cfr. G. Gentile, La riforma della dialettica hegeliana (1913), Firenze 2003. La critica di Maggiore ad Hegel, invece, si sviluppa organicamente, seguendo per grandi linee la lettura gentiliana, in Maggiore, Hegel, Milano.] [diritto ha il compito di analizzare lo Stato «ipostatizzandolo e irrigidendolo», considerandolo sempre come «obiettivo e statico ordinamento istituzionale», la scienza politica ha viceversa la funzione di approcciare alla realtà statuale «nel suo divenire concreto», ovvero «nel suo interno rapporto con la progressiva e piena volontàumana» 64.In sintesi, diritto e politica - e con essi le relative scienze - sono senza dubbio distinti, ma non del tutto separati perché «non rispondono affatto a due concezioni opposte della realtà», ma piuttosto «poggiano su un fondamento ideale comune», lo Stato, di cui incarnano l'astratto e il concreto"s.L'approccio orlandiano, in questo senso, viene certamente 'salvato', dal momento che l'analisi e il valore degli istituti pubblici «nella loro giuridica realtà» costituiscono «il fine della scienza giuridica»: un fine che, tuttavia, non si persegue correttamente se questi «si staccano dal processo storico in cui si enucleano»66. Proprio qui, infatti, affiorerebbe il secondo e decisivo limite della ricerca di Orlando, ossia il tentativo impossibile «di accogliere e conciliare in un più comprensivo sistema i motivi parimente essenziali, ma inadeguati ed erronei nella loro unilateralità, delle due scuole di diritto pubblico del sec. XIX»: la scuola 'francese', che continua a dare forma «alle premesse politico-ideologiche della rivoluzione», e la scuola 'tede-sca', che al contrario «avvia e apre a sostanziali sviluppi l'assolutismo tradizionale»67Se, dunque, il legame con la scuola storica lo conduce all'inaccettabile divaricazione tra legge e diritto (rectius: società e Stato), l'attenzione al modello francofono lo porta, viceversa, verso un imprudente abbandono proprio della dimensione storica (rectius: politica) della realtà giuridica in quanto realtà statuale"8. La vera 'colpa' di Orlando, dunque, sarebbe quella di non aver realizzato la sintesi tra le due teorie, ovvero di non aver costruito una scienza giuridica capace, a un tempo, di affermare «l'autonomia e l'assoluta sovranità dello Stato», nonché «l'esigenza dello Stato giu-ridico» e «della libertà civile»6. Il suo vero fallimento è determinato dal vano sforzo di conciliare la necessità delle prerogative sovrane della realtà statuale con l'esigenza64Ivi, pp. 20-22.6Ivi, p. 21. Sul rapporto tra diritto e politica, come suggerisce Irene Stolzi, Volpicelli - insieme ad Ugo Spirito con il quale condivide fino in fondo le avventure e le disavventure dei Nuovi studi, rivendica "la netta supremazia del momento politico su quello giuridico", ossia "la necessità che la politica diventasse l'effettivo motore dello stesso diritto" (cfr. I. Stolzi, Il fascismo totalitario: il contributo della riflessione idealistica, in Historia et ius (www.historiaetius.eu), 2/2012, paper 14, p. 6).6Ivi, p. 23.6 A. Volpicelli, Vittorio Emanuele Orlando (III), cit., p. 183.68 In verità, rileva Aldo Sandulli, le molteplici ascendenze culturali che caratterizzano la formazione della dottrina orlandiana, possono essere ricondotte "ad un ceppo comune culturale" rappresentato dalla "scuola storica di Savigny", dal quale poi si distanzia per seguire "gli indirizzi dei più rilevanti approdi della coeva giuspubblicistica tedesca", ovvero Gerber, Laband, e, infine, soprattutto Jellinek (cfr. A. Sandulli, Costruire lo Stato. La scienza del diritto amministrativo in Italia (1899-1945)Milano 2009, p. 72).6 A. Volpicelli, Vittorio Emanuele Orlando] di riconoscimento della libertà politica ad ogni individuo. Volpicelli risolve questa, per lui, intollerabile giustapposizione orlandiana con la 'sintesi' dei due elementi, sovranità statuale e libertà politica, nella nozione di libertà civile che, andando a coincidere con l'autolimitazione statale, si realizza in «un congruo e determinatosistema di norme giuridiche»70.La libertà civile, intesa in senso volpicelliano, se traslata nel rapporto tra i singoli, può costituire i presupposti della libertà giuridica, cioè di quella libertà «insita e definita nello stesso diritto» che deriva «in modo indiretto, subordinato e contingente dal diritto posto» e che trova «nella empirica formulazione di legge il suo fondamento e i suoi limiti»". Mentre, quindi, l'attributo civile sembra connotare più propriamente i rapporti tra individuo e Stato, quella giuridica pare riferirsi in maniera più manifesta alle relazioni intersoggettive: due formulazioni della libertà che, da un lato, avallano una differenziazione tra ius - in quanto materializzazione dello70 Ibidem. Il problema dell'auto-limitazione dello Stato spinge Volpicelli ad un naturale accostamento teoretico tra la dottrina Orlando e quella di Jellinek che costituisce, per il giurista romano, l'occasione per un ulteriore chiarimento concettuale.Se la dottrina di Jellinek ha il merito di mirare alla "organica coesistenza" di sovranità e libertà, sulla limitazione del potere sovrano Volpicelli esprime chiaramente la sua posizione differenziandola dalla teoria dei diritti pubblici Ibidem. Il problema dell'auto-limitazione dello Stato spinge Volpicelli ad un naturale accostamento teoretico tra la dottrina Orlando e quella di Jellinek che costituisce, per il giurista romano, l'occasione per un ulteriore chiarimento concettuale.Se la dottrina di Jellinek ha il merito di mirare alla "organica coesistenza" di sovranità e libertà, sulla limitazione del potere sovrano Volpicelli esprime chiaramente la sua posizione differenziandola dalla teoria dei diritti pubblici soggettivi: secondo quest'ultima, infatti, "limitazione giuridica del sovrano vuol dir soltanto relazione giuridica di esso col suddito: relazione insidente nell'atto stesso onde lo Stato legifera o pone il proprio comando nella forma di legge" (cfr. A. Volpicelli, Vittorio EmanueleOrlando (III), cit., pp. 193-194).In Volpicelli, dunque, è la legge medesima a contenere in sé il senso del limite. Essa, infatti, non è mai e solo "un unilaterale comando al suddito", ma è sempre "un comando a se stesso", ossia "un continuo organizzarsi e procedere giuridicamente" (cfr. ivi, p. 194). Del resto, se 'filosoficamente'Stato e individuo si identificano, in ambito giuridico la teoria dei diritti pubblici soggettivi non è accettabile perché presuppone l'auto-poiesi di uno Stato, che si astrattizza nella fictio iuris della persona giuridica. Una fictio che poi si 'sdoppia' attraverso il riconoscimento della personalità giuridica del cittadino.La teoria dei diritti pubblici soggettivi presuppone la relazione tra due soggetti ontologicamente diversi; l'attualismo filosofico, invece, li considera come i momenti distinti di un'unica sostanza. Il legame sovrano-suddito, Stato-individuo, è sempre 'interno' e mai 'esterno'. Perciò, su un piano speculativo è inaccettabile; ma da un punto di vista della scienza, nel senso astratto datogli da Volpicelli, potrebbe anche essere accettata, quanto meno nei suoi presupposti se non in tutte le sue conclusioni.Rispetto ad Orlando, dunque, Volpicelli cerca una sorta di interpretazione attualisticamente orientata dell'opera di Jellinek e della dottrina dell'autolimitazione. Uno Jellinek il cui merito è quello di essere partito "dal puro atto legislativo ut sic, senza pretesa alcuna di assegnare e imporre allo Stato un determinato atto legislativo iniziale", evitando così lo sdoppiamento tra sovranità e popolo (cfr. ivi, p.196)."Ivi, p. 190. "Legiferare è limitarsi": pertanto, "Stato legislatore e Stato giuridico non sono, in-somma, due Stati o parti staccate ed eterogenee di un unico Stato - una originaria e sottratta al diritto (autocratica, illimitata, assoluta) e l'altra postuma, derivata e vincolata da esso", bensì "i due momenti ideali e inscindibili dell'unico Stato nel suo eterno processo di posizione e costituzione di sé" (efr. ivi,p. 195).Lo Stato legislatore, in definitiva, "è continuamente e inscindibilmente un sempre nuovo determinato Stato giuridico", cosicché la legge è l'atto che garantisce il continuo processo di produzione della giuridicità] [Stato - e lex - in quanto astrazione individuale dello spirito, fugando però il rischio della scissione perpetrata da Orlando, in cui rimane impossibile «conciliare la sta-tualità del diritto con la sua preesistenza allo Stato». In definitiva, attraverso tale duplice articolazione, Volpicelli finisce, volente o nolente, per assecondare - tramite il diritto - quella indispensabile identità gentiliana di libertà e autorità -- sovranità. Il percolo di una separazione tra Stato e società, già paventatosi in Orlando, trova, secondo Volpicelli, con l'affermarsi dell'istituzionalismo romaniano, un'ulteriore fonte di minaccia, ma anche un'apprezzabile opportunità di sviluppo. Per far sì che «la società sia l'immanente sostanza dello Stato» e che quest'ultimo si trasformi nella «coestensiva e interiore organizzazione autorevole» della societas me-desima, occorre che il diritto pubblico, lungi dal ridursi alla «figura del rapporto politico tradizionale atopicamente concepito», incominci a «svolgersi e articolarsi in un compatto sistema d'istituzioni attraverso cui circoli tutta la vita sociale»74.In questo senso, Volpicelli può ben richiamarsi a L'ordinamento giuridico nel sostenere che «il diritto non è norma o regola estrinseca di rapporti atomistici», bensì una «compatta organizzazione sociale in cui le norme e i rapporti rientrano come particolari e subordinati momenti». Ma, soprattutto, la realtà giuridica è una «organizzazione, in virtù della quale la società si articola e costituisce in un ente unitario ed autonomo rispetto ai vari elementi che lo compongono»76. In sostanza, in tale lettura si accetta, come fondamento incontestabile, l'inscindibile connubio tra ius e societas. Un connubio che trova la sua primigenia unità nell'individuum72A. Volpicelli, Vittorio Emanuele Orlando (III), cit., p. 199. Sul rapporto tra individuo e Stato inVolpicelli cfr. A. De Gennaro, Crocianesimo e cultura giuridica, cit. pp. 365-366.73 Cfr. G. Gentile, I fondamenti della filosofia del diritto, cit., pp. 65-88. Sul rapporto tra autorità e libertà in Gentile, tra le possibili letture cfr. G. M. Barbuto, Nichilismo e Stato totalitario, Napoli2007. 74A. Volpicelli, Santi Romano (I), cit., p. 10.75 Ibidem. Per Volpicelli la norma "è una linea divisoria tra le azioni umane", una connessione tra ordinamento giuridico e realtà umana • openstarts.units.it72A. Volpicelli, Vittorio Emanuele Orlando (III), cit., p. 199. Sul rapporto tra individuo e Stato inVolpicelli cfr. A. De Gennaro, Crocianesimo e cultura giuridica, cit. pp. 365-366.73 Cfr. G. Gentile, I fondamenti della filosofia del diritto, cit., pp. 65-88. Sul rapporto tra autorità e libertà in Gentile, tra le possibili letture cfr. G. M. Barbuto, Nichilismo e Stato totalitario, Napoli2007. 14A. Volpicelli, Santi Romano (I), cit., p. 10.75 Ibidem. Per Volpicelli la norma "è una linea divisoria tra le azioni umane", una connessione tra ordinamento giuridico e realtà umana che costituisce "un limite oggettivo" con "due facce assolutamente congrue" (cfr. A. Volpicelli, Santi Romano (continuo e fine), in Nuovi studi di diritto, economia e politica, 1929, VI, p. 363). Più in generale, l'attenzione per le teorie romaniane è un tratto comune a molti teorici appartenenti alla scuola gentiliana o comunque in qualche modo aderenti o vicini alla filosofia attualista. Oltre a Volpicelli, come ricorda Irene Stolzi, anche Maggiore e Panunzio riconobbero a Santi Romano "il merito di aver sollevato la questione della identità profonda del fenomeno giuridico e di aver chiarito come tale identità non potesse in alcun modo esser ricavata dalla mera superficie normativa, dal semplice sistema del diritto positivo" (cfr. I. Stolzi, L'ordine corporativo.Poteri organizzati e organizzazione del potere nella riflessione giuridica dell'Italia fascista, Milano2007, р. 105).76д. Volpicelli, Santi Romano] [medesimo. La società e il diritto, «nel senso più genuino e completo», sono, infatti, presenti già «nell'individuo isolato», il quale, malgrado rimanga «chiuso della sua vita interiore», in quanto espressione della soggettività concreta dello spirito, costituisce «un solido e articolato sistema di volizioni e mezzi di vita, di poteri e istituti, di garanzie e di norme, di facoltà e obblighi»; e quindi una forma di «redenzione essenziale di sé con sé», motivo per il quale va considerato, senza ombra di dubbio, come una «società formalmente piena e perfetta»"?.Tuttavia, ciò che rimane estraneo all'ortodosso attualismo volpicelliano è l'idea di un diritto oltre lo Stato8. Il diritto, infatti, «è l'obiettivazione positiva della volontà dello Stato», ossia «l'organizzazione statica e obiettiva in cui, di momento in mo-mento, si configura e conchiude il vivente processo politico dello Stato». Esso è certamente 'organizzazione' - come sostiene Santi Romano - ma soltanto quella che si incarna nella forma', ma soprattutto nella 'sostanza', dello Stato. Inoltre, è la sua presupposta mutevolezza a fornire quella solida e irrinunciabile garanzia di adeguamento continuo all'azione dello Stato e, di conseguenza, della società tout court.In definitiva, se, da un lato, viene accolta favorevolmente, in funzione anti-for-malista e anti-normativista la nozione del diritto come istituzione, dall'altro non è possibile sostenere la conseguente visione pluralista, derivante - per il vero - da una lettura accentuatamente 'progressista' e 'innovatrice' del saggio di Santi Romano8:l'istituzione, in ultima analisi, secondo Volpicelli, non può che essere lo Stato, ossia il soggetto che, per affrancarsi definitivamente dalla sua ipostatizzazione moderna,V., del resto, legge in chiave assai personale anche la crisi dello Stato moderno: nella sua ottica, il superamento dello statualismo ottocentesco rappresenta "il passaggio dalla concezione nor-mativa, e quindi individualistica e privatistica, a quella istituzionale e pubblicistica del diritto", ovvero"dalla concezione atomistica e formalistica a quella socialitaria ed organica dello Stato" (cfr. A. Vol-picelli, Santi Romano (continuo e fine), cit., p. 363).79 Ivi, p. 351.8 In realtà, la teoria di Santi Romano andrebbe letta come un tentativo di conservazione. attraverso l'adozione di un modello organicistico e anti-individualistico, dello statualismo. Uno statualismo che, tuttavia, avrebbe dovuto definitivamente accantonare le forme giuridiche ottocentesche. In tal senso, come scrive Sabino Cassese, la visione di Santi Romano rappresenta "il contrario del plurali-smo" (cfr. S. Cassese, Lo Stato, «stupenda creazione del diritto» e «vero principio e vita», nei primi anni della Rivista di diritto pubblico (1909-1911), in Quaderni fiorentini, Milano 1987, p. 507). Pertanto, seguendo le parole di Alfonso Catania, si può ulteriormente concludere che Romano "elabora una concezione giuridica che, lungi dal riflettere e comunque lungi dal mettere in evidenza anche la possibilità di una lettura conflittuale della società, giuridifica la realtà stessa, in questo senso la forma-lizza, in questo senso depotenzia il conflittualismo perché in qualche modo la visione giuridica, nella sua struttura ordinamentale-organizzatoria, tende ad esaltare tutti i momenti in cui appunto l'azione sociale si mostra fondativa e corroborativa dell'organizzazione stessa, senza che minimamente si formulino ipotesi sulla reale composizione e sul reale scontro delle organizzazioni sociali irrompenti sulla scena storico-politica" (cfr. A. Catania, Formalismo e realismo nel pensiero di Santi Romano, inId., Teoria e filosofia del diritto. Temi, problemi, figure, Torino. Sull'interpretazione della dottrina romaniana, ancora cfr. A. Sandulli, Costruire lo stato.] [cideve assumere l'attributo dell'organizzazione. L'addivenire ad una qualsiasi «teoria della pluralità degli ordinamenti giuridici» rappresenterebbe «il logico corollario» di una concezione formalistica del diritto e, a un tempo, «la negazione flagrante della istituzionalità del diritto»8'. Il diritto, in altre parole, «è istituzione» solamente «se e perché il mondo dei rapporti giuridici» si origina, si sviluppa e si conserva come «una compatta unità» 82.Ciò che, dunque, finisce sotto la lente critica volpicelliana è l'ipotesi di una elaborazione dottrinaria, da parte della scienza giuridica, di una teoria che consideri «il diritto o l'istituzione ut sic, nella sua purità e generalità», e che risponda così, in maniera fatua ma pericolosa, «al più tormentoso ed insistente problema della moderna giuspubblicistica», ovvero quello di «legare o subordinare lo Stato al diritto»83Un'operazione considerata vanamente astuta perché, passando da una surrettizia e apparente identificazione tra Stato e ordinamento, si traduce in un'inaccettabile riduzione del primo termine a species del genus 'istituzione'.Nel rigettare contestualmente l'identità Stato-diritto e l'assorbimento dell'ordinamento statuale nella più ampia nozione di istituzione, Volpicelli ravvede il verificarsi di una fallacia analoga a quella naturalista. Sebbene, infatti, lo 'statualismo' sia, storicamente e filosoficamente, antitetico al giusnaturalismo perché dà al diritto «una'fonte' immanente e positiva», ovvero un «istituto», esso finisce per cadere nella stessa fallacia, ossia di «subordinare al diritto lo Stato, che da tale subordinazione trarrebbe la propria esistenza e legittimazione giuridica, 84. L'unica legittima identificazione - su un piano filosofico - di Stato e diritto è quella che vede il secondo come «l'incessante organizzazione obiettiva del concreto processo politico», laddove 'politico' corrisponde con 'etico'85.Questa familiare dialettica tra oggetto (diritto) e soggetto (Stato), tra astratto e concreto, che trova ampio riscontro nella filosofia di Gentile, in Volpicelli viene ulteriormente sviluppata attraverso l'approccio al tema del diritto internazionale. Se lo Stato è, dunque, quella «concreta realtà politica che pone e riforma e vivifica incessantemente se stesso come entità o istituzione giuridica»8, si pone il problema di definire, in maniera coerente con le premesse dell'attualismo filosofico, l'ordinamento fra Italia e il resto del mondo, ovvero rifiutando qualsiasi soluzione dualistica e, a maggior ragione, pluralistica. V. affronta la questione sostenendo che l'ordinamento fra l’Italia e il resto del mondo (no una corporazione) trascende e comprende bensì il singolo stato italiano come soggetto giuridico -- rectius: i singoli ordinamenti giuridici statuali -- ma mai e in nessun modo lo stato italiano come soggetto politico in quanto centro vitali, costruttore e riformatore.  Volpicelli, Santi Romano] [dell'organizzazione giuridica internazionale. Solo in questo senso l'ordinamento internazionale può delinearsi come «unica istituzione o organizzazione giuridica» all'interno della quale sussistano molteplici «relazioni giuridiche» che sono appunto«di ordine intra-istituzionale. Ecco, allora, svelata la ragione del mantenimento della nozione di istituzione in un sistema rigidamente identitario e monistico come quello implicitamente o esplicitamente avallato dalla filosofia 'attuale': lo Stato si identifica col diritto astratta-mente, ma non concretamente. Sia nel rapporto interno, sia nel rapporto esterno, il processo identitario a cui Volpicelli continuamente fa ricorso concerne l'analisi giuridica (e quindi scientifica), non quella politica (e quindi filosofica). Lo Stato, come realtà concreta e agente, crea sempre il diritto con cui, nell'atto creativo, va a identificarsi. Una cosa è, pertanto, lo stato fascista italiano politicamente, o meglio, eticamente, inteso, un'altra lo stato italiano nella sua obiettivazione giuridica. Alla natura distintamente ontologica o NOUMENICA del primo, corrisponde - rimanendone ineluttabilmente separata ed estranea – la mera natura fenomenica e contingentemente storica del secondo. V. Urso, V. -- Arnaldo Volpicelli. Volpicelli. Keywords: natura, spirito, corpi e corpi, corporazione. H. P. Grice Papers, Bancroft. Luigi Speranza, “Grice e Volpicelli: il naturalismo,” Luigi Speranza: Grice e Volpicelli: natura e naturalismo” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria. Volpicelli.

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