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Thursday, July 18, 2024

GRICE ITALICO A/Z V

 

Grice e Vacca: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’ala del silenzio -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Bari). Filosofo italiano. Essential Italian philosopher. Grice: “My favourite of his books is “L’ala del silenzo” -- great title, from Alighieri about litotes and understatement. Deputato della Repubblica Italiana Legislature. Gruppo parlamentare Collegio Bari Partito Comunista Italiano, Partito Democratico della Sinistra, Partito Democratico Laurea in giurisprudenza e filosofia del diritto. Docente universitario. Si laurea in filosofia del diritto discutendo una tesi sulla filosofia politica e giuridica di CROCE. Svolge una intensa attività di organizzatore di cultura, culminata con l'impegno dedicato alla casa editrice De Donato. Membro del comitato centrale del Partito Comunista Italiano è poi stato nella direzione del Partito Democratico della Sinistra. Libero docente in storia delle dottrine politiche, vince la cattedra di tale disciplina a Bari. -- è stato nel consiglio di amministrazione della RAI. Deputato per il PCI nella IX e X Legislatura nella circoscrizione elettorale Bari-Foggia. In occasione delle elezioni comunali, si è candidato a sindaco con il sostegno della coalizione di centro-sinistra, ma è stato sconfitto da Abbrescia. Ha ricoperto incarichi di partito in Puglia e a livello nazionale. Ha rivolto poi i suoi studi alla storia del marxismo contemporaneo. Dirige la Fondazione Istituto Gramsci di Roma, diventandone poi Presidente. Membro del Cda dell’Istituto dell’Enciclopedia italiana presiede la Commissione scientifica dell’Edizione degli scritti di GRAMSCI. Professore di Storia delle dottrine politiche a Bari, si è occupato in particolare dell'idealismo novecentesco e dell'hegelismo italiano nella seconda metà del XIX secolo, con particolare riferimento alla genesi del marxismo in Italia. Saggi: “Politica e filosofia in SPAVENTA” (Bari, Laterza); Lukàcs o Korsch? (Bari, Donato); Marxismo e analisi sociale (Bari, Donato); Scienza, Stato e critica di classe. VOLPE (vedi) e il marxismo (Bari, Donato); Politica e teoria nel marxismo italiano, Antologia critica (Bari, Donato); PCI, Mezzogiorno e intellettuali. Dalle alleanze all'organizzazione, curatela (Bari, De Donato); Saggio su TOGLIATTI e la tradizione comunista (Bari, Donato); Osservatorio meridionale. Temi di politica culturale” (Bari, De Donato); Quale democrazia. Problemi della democrazia di transizione (Bari, Donato); Criticità e trasformazione. Korsch teorico e politico (Bari, Dedalo); Gl’intellettuali di sinistra e la crisi, curatela, Roma, Editori Riuniti, Comunicazioni di massa e democrazia, curatela, Roma, Editori Riuniti, L'informazione Roma, Editori Riuniti, Il marxismo e gl’intellettuali. Dalla crisi di fine secolo ai Quaderni del carcere, Roma, Editori Riuniti, Tra compromesso e solidarietà. La politica del PCI (Roma, Editori Riuniti); Gorbačëv e la sinistra europea, Roma, Editori Riuniti, Tra Italia e Europa. Politiche e cultura dell'alternativa (Milano, Angeli); “Gramsci e Togliatti” (Roma, Editori Riuniti); Dal PCI al PDS. Intervista (Bari, Delphos); Togliatti sconosciuto, Roma, l'Unità, Pensare il mondo nuovo. Verso la democrazia, Cinisello Balsamo, San Paolo, Per una nuova Costituente, Milano, PasSaggi Bompiani, Vent'anni dopo. La sinistra fra mutamenti e revisioni, Torino, Einaudi, Da un secolo all'altro. Mutamenti della politica nel Novecento, Milano, Bompiani, Appuntamenti con GRAMSCI: Introduzione allo studio dei Quaderni del carcere, Roma, Carocci,  GRAMSCI (Roma, Carocci); Presente futuro. Idee per lo sviluppo ecosostenibile della Puglia, Bari, Dedalo, X. Riformismo vecchio e nuovo, Torino, Einaudi, In tempo reale. Cronache del decennio, Bari, Dedalo, Ritorno in Puglia. Tre anni di volontariato politico, Bari, Palomar, Federalismo, sviluppo economico e coesione sociale in Puglia, e con Masella, Lecce. Martano, L'unità dell'Europa. Rapporto sull'integrazione europea, curatela, Bari, Dedalo, Roma, Nuova iniziativa editoriale,  Il dilemma euroatlantico. Rapporto della Fondazione Istituto Gramsci sull'integrazione europea, curatela, Roma, Nuova iniziativa editoriale, Dalla Convenzione alla Costituzione. Rapporto della Fondazione Istituto Gramsci sull'integrazione europea, a cura di, Bari, Dedalo,  I dilemmi dell'integrazione. Il futuro del modello sociale europeo. Rapporto sull'integrazione europea, e con Sausi (Bologna, Il mulino); “Il riformismo italiano: dalla fine della guerra fredda alle sfide future” (Roma, Fazi); “Gramsci tra MUSSOLINI e Stalin” (Roma, Fazi); cura di Gramsci, Nel mondo grande e terribile. Antologia degli scritti Torino, Einaudi, Studi gramsciani nel mondo.  e con Schirru, Bologna, Il mulino,  Perché l'Europa? Rapporto sull'integrazione europea, e con Sausi, Bologna, Il mulino, Studi gramsciani nel mondo. Gli studi culturali, e con Capuzzo e Schirru (Bologna, Il mulino) Le forme e la storia. Scritti in onore di Giovanni (vedi), e con Montanari e Papa, Napoli, Bibliopolis, Il Novecento di Garin. Atti del Convegno di studi, e con Ricci, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana. Studi gramsciani nel mondo. Gramsci in America, e con Kanoussi e Schirru, Bologna, Il mulino, Vita e pensieri di Gramsci.  Collana Storia, Torino, Einaudi, Collana ET Storia, Einaudi, Moriremo demo-cristiani? La questione cattolica nella ri-costruzione della repubblica, Roma, Salerno); “Il FASCISMO in tempo reale: studi e ricerche di Tasca sulla genesi e l'evoluzione del REGIME FASCISTA, con Bidussa (Milano, Feltrinelli); Togliatti e Gramsci. Raffronti, Pisa, Edizioni della Normale, Modernità alternative. Il Novecento di Gramsci, Torino, Einaudi, Togliatti, La politica nel pensiero e nell'azione, Scritti e discorsi, V. con Ciliberto, Bompiani, Milano  Quel che resta di Marx, Salerno Editore, Roma,  L'Italia contesa. Comunisti e democristiani nel lungo dopoguerra,  Marsilio, Venezia. V., su storia.camera, Camera dei deputati. Vacca. Keywords: solidarietà conversazionale, fascismo. Per H. P. Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.

 

Grice e Vaccarino: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’errore del filosofo – filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Pace del Mela). Filosofo italiano. Essential Italian philosopher. Grice: “I appreciate his metaphor of the ‘chemistry of the mind,’ la ‘chimica del pensiero,’and the idea that philosophers commit only ONE mistake (“l’errore dei filosofi”)!” Flosofo Figlio del titolare di un importante saponificio. Laureato a Milano. Fonda “Sigma” pubblicata a Roma. Fonda “Methodos”, trimestrale di metodologia e di logica simbolica. Si occupa prevalentemente di logica ed epistemologia. Pubblica una serie di articoli sulla rivista Archimede su invito di GEYMONAT. Abilitato alla libera docenza in filosofia della scienza, ma assorbito dai suoi studi e da altre attività non si dedica all'insegnamento. Ha incarico di tenere il corso di storia della filosofia antica presso Messina. Riceve anche quello di filosofia della scienza. Nominato professore associato di filosofia della scienza, ma non ottenne mai la cattedra di ordinario. Partecipa a vari congressi. In quello di Amsterdam ha l'occasione di conoscere Bochenski e incaricarlo di dirigere la sezione di logica simbolica di Methodos. A quello di Parigi partecipa insieme con CECCATO (vedi), SOMENZI (vedi), e LANDI (vedi), con i quali era in stretti rapporti di amicizia. Contribusce alla fondazione della rivista Methodologia nata per iniziativa della Società di cultura metodologica operativa a Milano, presieduta da Accame. Molto vicino alle vedute filosofiche dei neo-positivisti, ma in seguito si capì che per dare soluzione ai problemi posti dalla tradizionale filosofia bisogna anzitutto effettuare un'indagine sul metodo scientifico onde spiegare perché è l'unico considerabile come valido. Sviluppa in questo senso sulla “Sigma” una teoria che chiama della "meta-conoscenza", in quanto ricondotta a una disciplina avente per oggetto la conoscenza. Successivamente si convince che per procedere in modo effettivamente scientifico bisogna eliminare ogni a-priorismo effettuando un'analisi sistematica dei significati di tutte le parole di cui ci avvaliamo e riconducendoli alle operazioni da cui sono costituiti. Sotto questo profilo i suoi interessi si incontrarono con quelli di CECCATO e della scuola opperativa. Ma mantenne una posizione autonoma, ritenendo che la ricerca di base deve puntare su una semantica e non su una ricerca di tipo cibernetico, come invece sostene CECCATO. Però accetta e condivide il concetto che bisogna occuparsi del modo come operiamo a livello mentale per descrivere i significati. Perciò respinge vedute allora in auge, come quelle della filosofia analitica, che riconducendo il SIGNIFICATO semplicemente all’USO che se ne fa parlando, li lascia in analizzati assumendoli implicitamente come prius, in quanto tali, dogmatici. Si dedica assiduamente a queste ricerche, pervenendo alla elaborazione di un metodo generale di analisi dei significati. Le sue ricerche conduce, tra l'altro, all'introduzione di una formulistica idonea alla definizione delle operazioni mentali, prospettando una sorta di chimica della mente. La vastità e la complessità delle sue indagini lo costringe a procedere a molti ripensamenti e revisioni.  Pubblica “La chimica della mente” (Carbone, Messina), in cui espone i principali risultati a cui e pervenuto. Vince il premio L'Inedito con il racconto “Lo sporco”, pubblicato da Marsilio. Prospetta ampliamenti e modifiche delle sue teorie nel saggio “Analisi dei significati” (Armando, Roma). Pubblica “Scienza e semantica costruttivista” (Cooperativa Libraria Universitaria del Politecnico, Milano) dedicato a una critica di correnti vedute professate da filosofi della scienza.  I suoi interessi si rivolgeno anche alla codificazione di una logica contenutistica in grado di fissare i criteri di compatibilità e incompatibilità tra i significati in riferimento alle loro operazioni costitutive. In tal modo la logica diviene una filiazione della semantica. La summa dei suoi lavori di semantica è pubblicata in “Dalle operazioni mentali alla semantica” (Ciddo, Rimini). Nella prefazione al volume Introduzione alla semantica edito da Falzea a Reggio Calabria, si lo considera l'ultimo dei grandi illuministi. Altri saggi: “L'errore dei filosofi” (D'Anna, Messina); “Introduzione alla semantica” (Falzea, Reggio Calabria); “Scienza e semantica” (Melquiades, Milano); “Prolegomeni”, “Lo sporco. Il pulito, duepunti edizioni. Repubblica  Semantica Filosofia della scienza  Centro Internazionale Di Didattica Operativa onlus, su ciddo. Methodologia on-line, su methodologia. Vaccarino. Keywords: construzione prammatica. Per il H. P. Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.

 

Grice e Vaccaro: all’isola -- la ragione conversazionale e l’implicatura come eteropia -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Palermo). Filosofo italiano. Essential Italian philosopher. Grice: “My favourite of his books is ‘eteropie,’ a pun on homotopos.”  Si laurea a Palermo, inizia l'attività di docenza presso lo stesso ateneo prima come professore a contratto, poi come ricercatore e come professore associato. Titolare del corso di filosofia politica e supplente di scienza politica nella facoltà di scienze della formazione dell'ateneo palermitano.  -- è pro-rettore a Palermo per la politiche di solidarietà sociale e di co-operazione per lo sviluppo. Inoltre è condirettore della collana “Eterotopie” dell'editore Mimesis di Milano, membro fondatore della Società italiana di filosofia politica” e del Centro interdisciplinare in Bio-politica, Bio-economia e Processi di Soggettivazione a Salerno. Vicepresidente dell'ONG palermitana della Cooperazione Internazionale Sud-Sud. I suoi ambiti di ricerca si orientano sulla teoria critica (soprattutto Adorno e Benjamin della Scuola di Francoforte) e sulla decostruzione post-strutturalista francese (principalmente Foucault e Deleuze) dai quali ricava strumenti di analisi da mettere alla prova nel campo della globalizzazione, della governance e dei diritti umani. Saggi: “Decostruzione di una realtà macchinica”, in Il camaleonte e l'iscrizione, Palermo, Ila Palma); “Il capitalismo regolato statualmente”, curatela con Riccio e Caruso (Milano, Angeli); “Oltre la pace” -- saggi di critica al complesso politico militare, curatela con Magno (Milano, Angeli); “Adorno e Foucault: congiunzione disgiuntiva” (Palermo, ILA Palma); “Il pensiero (check) anarchico (Verona, Demetra); “Il secolo deleuziano” (Milano, Mimesis Edizioni); “Il pianeta unico” (Milano, Elèuthera); “Anarchismo e modernità” (Pisa, BFS); “CruciVerba: lessico per i libertari” (Milano); “Zero in condotta, Globalizzazione e diritti umani” (Milano, Mimesis); “Biopolitica e disciplina” (Milano, Mimesis); “Lo sguardo di Foucault” (Roma, Meltemi); “Governance e democrazia” (Milano, Mimesis). Vaccaro. Prof. Salvatore delegato alle politiche di solidarietà sociale e di co-operazione per lo sviluppo, su Università degli Studi di Palermo.  Mimesis Edizioni: collane. Archiviato Palermo: scheda docente., su scienze formazione.unipa. Biblioteca nazionale di Firenze: catalogo autore., su opac. bncf.firenze..  Foucault: scheda autore., su portail-michel-foucault.org. Vaccaro. Keywords: congiunzione e disgiunzione. Per H. P. Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.

 

Grice e Vailati: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della semantica filosofica di Peano– filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Crema). Filosofo italiano. Essential Italian philosopher. an important figure in the history of formal semantics, influenced by PEANO, who in turn influenced Whitehead and Russell, and thus Grice. Si laurea a Torino. Insegna a Torino, dopo aver lavorato come assistente di PEANO e VOLTERRA. Lascia il suo posto universitario e così puo proseguire i suoi studi in modo indipendente, e si guadagna da vivere insegnando matematica. Scrive saggi e recensioni che toccano un'ampia gamma di discipline. La sua opinione nei confronti della filosofia è che essa fornisse una preparazione e gli strumenti per il lavoro scientifico. Per questa ragione, e perché la filosofia dove essere neutrale fra opposte convinzioni, concezioni, e strutture teoriche, il filosofo evita l'uso di un linguaggio tecnico specialistico, ma usa il linguaggio che la filosofia adotta in quelle aree in cui è interessata. Ciò non vuol dire che il filosofo debba soltanto accettare qualunque cosa egli trovi. Un termine del linguaggio ordinario potrebbe essere problematico, ma la sua carenza e corretta piuttosto che sostituite con qualche nuovo termine tecnico. La suo filosofia sulla verità e sul significato e influenzato da filosofi come Peirce e Mach. Con cautela, distinse fra SIGNIFICATO e verità. La questione di determinare che cosa vogliamo dire quando enunciamo una data proposizione, non solo è una questione affatto distinta da quella di decidere se essa sia vera o falsa. Tuttavia, dopo aver deciso cosa si vuole dire, l'azione di decidere se ciò è vero o falso è cruciale. V. ha una filosofia positivista moderata. La tattica adottata dai pragmatisti in questa loro guerra contro l'abuso delle astrazioni e delle unificazioni consiste nel proporre che, anche nelle questioni filosofiche si esiga, da chiunque avanzi una tesi, che egli sia in grado di indicare quali siano i fatti che, nel caso che essa fosse vera, dovrebbero, secondo lui, succedere o esser successi, e in che cosa essi differiscano dagli altri fatti che, secondo lui, dovrebbero succedere o essere successi, nel caso che la tesi non fosse vera. Le influenze e i contatti di V. sono molti e vari, e spesso e etichettato come "l'italiano pragmatista". Deve molto a Peirce e James – V. è uno dei primi a distinguere i loro pensieri --, ma subì anche l'influenza di Platone e Berkeley -- che egli vide come precursori importanti del pragmatism -- Leibniz, V. Welby-Gregory, Moore, Russell, PEANO e Brentano. V. corrispose con molti dei suoi contemporanei. La prima parte della sua filosofia comprende scritti sulla logica matematica. In questi saggi, focalizza l'attenzione sul suo ruolo in filosofia e distinguendo fra logica, psicologia ed epistemologia. La dottrina recente pone V. e il suo allievo CALDERONI (vedi) nella categoria storiografica del pragmatismo analitico italiano.  I suoi principali interessi storici riguardarono la meccanica, la logica e la geometria. Egli da un importante contributo in molti campi, compreso lo studio della meccanica post-aristotelica, dei predecessori di GALILEI (vedi), della nozione di definizione e del suo ruolo nell'opera di Platone e Euclide, delle influenze matematiche sulla logica e sull'epistemologia, e sulla geometria non-euclidea di SACCHERI. S’interessa particolarmente  ai modi in cui quelli che potrebbero essere visti come gli stessi problemi sono inquadrati e trattati in periodi differenti. Il suo lavoro di storico della scienza e strettamente connesso con quello filosofico. Per le due attività, infatti, utilizza gli stessi pensieri e metodologie di fondo. Vede lo studio storico e lo studio filosofico come differenti nell'approccio ma non nell'argomento. Crede, inoltre, che dovesse esserci cooperazione fra filosofi e scienziati nell'approfondimento degli studi storici. Ritene anche che una storia completa richiedesse che si tenesse in conto anche il background sociale pertinente. Il superamento delle teorie scientifiche, grazie a nuovi risultati, non comporta la loro distruzione, perché la loro importanza aumenta proprio per il fatto di essere superate. Ogni errore ci indica uno scoglio da evitare mentre non ogni scoperta ci indica una via da seguire. La posizione di V. sulla storia della scienza ricalca quella di una serrata critica al positivismo, in un contesto teorico dove il pragmatismo ammette nuovi strumenti di comprensione e anche di valutazione della scienza, come mostrano anche le vicende di CALDERONI (Pozzoni, Il pragmatismo analitico italiano di Calderoni, Roma, IF Press) e di PEANO, il quale vanta certe affinità con il pensiero filosofico del periodo (Rinzivillo, V., Storia e metodologia delle scienze in Una epistemologia senza storia, Roma, Nuova Cultura, e PEANO, Contributi invisibili in Una epistemologia senza storia, Pozzoni, Il pragmatismo analitico (Villasanta, Liminamentis); PEANO, In Memoriam, Bolletino di matematica,  Pozzoni, Cent'anni di V.” (Liminamentis, Villasanta); Zan, “La formazione di V.” (Congedo, Galatina); Sava, La psicologia tra V. e Brentano, in "Il Veltro", Roma, Giordano, V., filosofo della scienza (Firenze, Le Lettere); Pozzoni, Il pragmatismo analitico italiano di V., Liminamentis Editore, Villasanta,  Ronchetti, L'archivio in Quaderni di Acme, Bologna, Cisalpino, Scritti filosofici. Treccani Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana; Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana; giovanni-vailati.net. Fondo archivistico e librario conservato presso Milano, Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Giovanni Vailati, Vailati. Keywords: Peano. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Vailati: la semantica filosofica," The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.

 

Grice e Valent: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della forma della lingua – filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Treviso). Filosofo italiano.  “Some like Vitters, but Valent’s my man.”Grice. Grice: “Valent wrote the only legible introduction to Vitters’s thought!” Essential Italian philosopher. Insegna a Catania e Venezia. Si occupa di ontologia, logica dialettica, linguaggio, storia e interpretazione delle grandi categorie della filosofia. Dai primi studi sull'empirismo-scetticismo, sulla filosofia e sull'analisi del linguaggio (Wittgenstein), è giunto ad indagare attorno alla teoria della negazione e del divenire in chiave dialettica. Sulla base di tali premesse, che orientano verso una rilettura dei canoni e dei presupposti del rapporto ragione-follia, si è impegnato a ri-disegnare, insieme con un gruppo di psichiatri e psicologi del centro psico-sociale di Orzi nuovi cresciuti nel solco dell'esperienza critica inaugurata da BASAGLIA, un modello della psiche adeguato alla comprensione e alla cura della malattia mentale, dando vita a quello che è stato definito l'approccio dialettico-relazionale. Collabora con il gruppo teatrale Scena Sintetica nella messa in scena di testi filosoficamente rilevanti (VELIA, VELINO, Eraclito, Melville, SEVERINO, GALIMBERTI). Presso Moretti l'edizione delle sue opera. La sua filosofia muove da un'originale riformulazione di alcune questioni legate alla filosofia di SEVERINO (vedi), alla tradizione neo-idealistica italiana (GENTILE) ma anche neo-scolastica (BONTADINI), e dipendenti dalla riconsiderazione speculativa del concetto del negativo. Descrivendo la sua formazione si define resciuto a una scuola filosofica di ispirazione ontologica, screziata da un netto disegno dialettico e pungolata dallo scrupolo fenomenologico. Analizzando le implicazioni concettuali e pratiche della negazione così com'è stata pensata in uno dei punti più alti e rilevanti della tradizione dialettica, ovvero nella “Scienza della logica” di Hegel, critica l'idea intellettualistica della negazione intesa come esclusione, proponendo al contrario una negazione come inclusione e una filosofia animata dal principio di ospitalità. Il "no" della negazione, lungi dal dar vita a una realtà separata, è ciò che innerva il reale nella sua essenza metamorfica e vitale, nella sua splendida apertura alla novità, alla trasformazione e al cambiamento di cui il filosofo è appassionato investigatore. A questo scopo e in evidente autonomia rispetto all'impianto destinale della filosofia della necessità di SEVERINO, esplora la categoria modale della possibilità, cercando di mettere in discussione sia l'opposizione frontale tra realtà e irrealtà, sia la priorità assoluta della positività del reale nonostante la negatività dell'irreale. L'esserci e non l'essere è, per V., che legge Hegel con Wittgenstein, la determinatezza semantica e sintattica, il plesso grammaticale e vitale che ricongiunge l'esperienza intesa come luogo dell'emergere della differenza e dell'incalzare degli eventi con la teoria della razionalità quale analisi del permanere e della necessità. Ecco che di contro all'ontologia fondamentale di Severino si fa largo l'idea di una micro-ontologia intesa non come una “ontologia del piccolo”, bensì, piuttosto, nel senso che non c'è nessun evento che non si disponga per virtù propria in una peculiarità di significato, nel vigore elementare e insieme metamorfico di un qui. Ma micro-ontologia anche come ontologia del remoto, dell'avverso-diverso, dell'improbabile, dell'anonimo, del folle: di tutto ciò che insieme si ritiene minore nella capacità di realtà. Con la proposta di una micro-ontologia intendeva sottolineare l'autonomia e la resistenza del diamante della dialettica come principio di determinazione semantica fondato sulla relazione-negazione inclusiva e situato nella prospettiva strategica propria dell'esserci, rispetto al rischio delle ricadute nella mistica dell'essere e di quella totalità assoluta che, in quanto tale, appare separata e isolata, esercitando la sua imposizione distruttiva al di fuori della logica della relazione e dell'inclusione. Di contro all'autentico totalitarismo di questa idea di totalità assoluta propone la ripresa del detto eracliteo del Panta δια pánton, ossia di quel tutto attraverso il tutto che è la forma radicale della illacerabile relazionalità della vita. Solo se ogni differenza tra gli umani è un modo differente di essere il tutto allora le discriminazioni tra piccolo e grande, forte e debole, femmina e maschio, nero e bianco, ricco e povero, sano e malato, non avranno ragione d'essere (se non in quanto differenti manifestazioni dell'identico, invece che differenze di principio e di valore. Saggi: “Verità e prassi” (Vannini, Brescia); “La forma del linguaggio: studio sul Tractatus logico-philosophicus” (Francisci, Abano Terme, Padova), Invito a Wittgenstein, Mursia, Milano; “Asymmetron, Quaderni de "Il Palazzo della Grande Utopia", Milano; Dire di no. Filosofia Linguaggio Follia, Teda, Castrovillari (Cosenza); Dire di no. Scritti teorici, Opere (Moretti, Bergamo); “Asymmetron: micro-ontologie della relazione. Scritti teorici in Opere di V., a c. di Tagliapietra, Moretti e Vitali, Bergamo. Panta διαpánton. Scritti teorici su follia e cura, in Opere di V., a c. di Tagliapietra, Moretti e Vitali, Bergamo. La forma del linguaggio. Studio sul "Tractatus logico-philosophicus. Scritti su Wittgenstein, Sophón. Aforismi per l'anima, a. c. di Valent, con un saggio di Tagliapietra, Moretti e Vitali, Bergamo. Opere. La filosofia, prima di ogni altra definizione dotta, è amore per la realtà. In ricordo, in "XÁOS. Giornale di confine", Dire di no. Scritti teorici, Panta διαpánton. Scritti teorici su follia e cura. Italo Valent. Valent. Keywords: la forma del linguaggio. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Valent”, The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Valentino: la ragione conversazionale a Roma e l’implicatura conversazionale di Romolo divino -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Roma). Filosofo italiano. He moves from elsewhere to Rome where he created a sect called ‘The Valentinians’, who Valentino described as being the only ones who would save themselves. Ippolito di Roma did not like him. Valentino. Keywords: Roma antica, Ippolito. Per H. P. Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.

 

Grice e Valeri: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dello spazio tra sè e sè – l’antropologia filosofica come ricerca dell’inter-soggetivo – filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Somma Lombardo). Filosofo italiano. Essential Italian philosopher. Grice: “I especially like his idea of anthropology, alla Kant, as the search for the subject.” “Tra se e se.” Si laurea in filosofia a Pisa, quale allievo pure della scuola normale superiore, discutendo una tesi sul pensiero di Lévi-Strauss, con relatore BARONE (vedi), si rivolse agli studi di antropologia, conseguendo un dottorato di ricerca a Pisa. Le sue ricerche riguardarono molti argomenti, fra cui, i sistemi politici, la parentela e il matrimonio, la ritualità, così come l'antropologia sociale ed economica, la storia comparata degli usi e costumi dei popoli, che condusse lungo la linea di pensiero del suo maestro Lévi-Strauss. Gl’è stato assegnato per i suoi studi e le sue ricerche di antropologia culturale, il premio ”Guggenheim Fellowship“ per le scienze sociali.  Fra i molti suoi saggi, cura pure diverse voci antropologiche per l'Enciclopedia Einaudi.  Tra le sue molte saggi, il saggio “Uno spazio tra sé e sé. L'antropologia come ricerca del soggetto” (Roma) può considerarsi una sua autobiografia intellettuale. Ghiaroni, "Società, soggetto, sacrificio. La teoria del sacrificio di V.", in Studi e materiali di storia delle religioni, Ghiaroni, ”Società, Soggetto, Sacrificio. La teoria del sacrificio di Valerio Valeri tra Hawaii e Indonesia“, Studi e materiali di storia delle religioni. Natura e cultura: introduzione alla teoria dello scambio e della parentela di Levi-Strauss, Pisa. Per notizie biografiche più esaustive, riferirsi alle  xxvii-xix dell'opera: in merito alla rilevanza di V. come studioso e ricercatore; Valerio Valeri. Valeri. Keywords: antropologia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Valeri” per H. P. Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.

 

Grice e Valerio: la ragione conversazionale a Roma e l’implicatura conversazionale della morale togata – il gentiluomo romano-- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Roma). Filosofo italiano. A philosopher of little originality, and a notorious flatterer of TIBERIO (vedi). He is best known for producing his IX books of memorable doings and sayings – the work is designed primarily as a resource for moral education by means of examples – showing how virtue is rewarded and vice punished. It preserves many otherwise lost snippets taken from a variety of sources – including newspapers. His ‘saggi’ are not much regarded today, but they were bestsellers throughout the dark ages and the Italian renaissance, “and I do find them incredibly amusing on a lazy after-noon,” – Grice. Morale pretesto. Ed Shackleton, Loeb. Skidmore, “Practical ethics for Roman Gentlemen”. Valerio Massimo. Keywords: Roma antica. Per H. P. Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.

 

Grice e Valerio: la ragione conversazionale alla villa di Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Roma). Filosofo italiano. He has a statue erected in his honour in his own villa (‘Ain’t that cute?’). Publio Avianio Valerio. Keywords: Roma antica. Per il H. P. Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.

 

Grice e Valla: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della volutta – filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Roma). Filosofo italiano. Essential Italian philosopher. Nato da genitori di origini piacentine -- il padre era l'avvocato Luca della Valle -- riceve la sua prima educazione a Roma e Firenze, imparando il greco da Aurispa e Aretino. Lo guida lo zio Scribani, un giurista funzionario in Curia. Il  suo primo saggio e il “De comparatione CICERONIS Quintilianique” in cui elogia Quintiliano a scapito di CICERONE (vedi), andando contro all'idea corrente e mostrando già in questo primo saggio il suo gusto per la provocazione. Quando muore lo zio, spera di ottenere un impiego nella Curia Pontificia. Ma i due autorevoli segretari Loschi e Bracciolini, ferventi ammiratori di CICERONE, si opponeno all'assunzione. Grazie all'aiuto di Beccadelli, detto il Panormita, e chiamato ad insegnare retorica a Pavia, succedendo al maestro bergamasco BARZIZZA. Questi anni furono fondamentali per lo sviluppo della sua filosofia. Pavia e infatti un vivo centro culturale e puo approfondire le sue conoscenze giuridiche, osservando inoltre l'efficacia del procedimento di analisi critica dei testi, che lo studio pavese applicava con rigore. Acquire una grande reputazione con il dialogo “Della volutta”, nel quale si oppone fermamente alla morale del Portico e all'ascetismo, sostenendo la possibilità di conciliare la morale ricondotto alla sua originarietà, con l'edonismo dei filosofi dell’orto, recuperando così il senso della filosofia di LUCREZIO (vedi), che sottolinea come tutta la vita dell'uomo sia fondamentalmente volta alla volutta, intesa non come istinto, ma come calcolo dei vantaggi e svantaggi conseguenti ad ogni azione. A conclusione del “Della volutta”, sottolinea, però, come per l'uomo la suprema voluttà e la ricerca spirituale. Si tratta di un saggio considerevole. Per la prima volta, una tendenza filosofica che era rimasta confinata nell'ambito della filosofia romana classica e ri-valutata. Le polemiche che seguirono alla pubblicazione del “Della volutta”, gli costringe a lasciare Pavia.  Da allora passa da un luogo all’altro, accettando brevi incarichi e tenendo lezioni in diverse città. Fa la conoscenza d’Alfonso V al cui servizio entra. Il re ne fa il suo segretario, lo difende dagl’attacchi dei suoi nemici e lo incoraggia ad aprire una scuola a Napoli. Durante il pontificato di Eugenio IV, pubblica sulla falsa donazione di COSTANTINO, “De falso credita et ementita Constantini donatione". In esso, con argomentazioni storiche e filologiche, dimostra la falsità della donazione di Costantino, documento apocrifo in base al quale i cattolici giustificano la propria aspirazione al potere temporale. Secondo questo documento, infatti, e lo stesso COSTANTINO, trasferendo la sede dell'impero a COSANTINO-POLI, a lasciare al pontifice massimo di ROMA il restante territorio del principato. La dimostrazione di V. è accettata e lo scritto è datato all'VIII secolo o IX secolo. “Quid, quod multo est absurdius, capit ne rerum natura, ut quis de CONSTANTINOPOLI loqueretur tanquam una patriarchalium sedium, que nondum esset, nec patriarchalis nec sedes, nec urbs nec sic nominata, nec condita nec ad condendum destinata?” “Quippe privilegium concessum est triduo, quam CONSTANTINUS esset effectus christianus, cum Byzantium adhuc erat, non Constantinopolis.” V. dimostra che anche la lettera ad Abgar V attribuita a Gesù e un falso e, sollevando dubbi sull'autenticità di altri documenti spuri e ponendo in discussione l'utilità della vita monastica e mettendone in luce anche l'ipocrisia nel “De professione religiosorum” suscita l'ira delle alte gerarchie ecclesiastiche. E obbligato, pertanto, a comparire davanti al tribunale dell'inquisizione, alle cui accuse riusce a sottrarsi soltanto grazie all'intervento del re. Visita Roma, dove i suoi avversari sono ancora molti e potenti. Riusce a salvarsi da morte certa travestendosi e ritornando a Napoli. Vengono divulgati gli “Elegantiarum libri sex”.  Il saggio raccoglie una serie straordinaria di passi desunti dai più celebri scrittori latini – CICERONE, LIVIO, VIRGILIO -- dallo studio dei quali occorre codificare i canoni linguistici, stilistici e retorici della lingua latina. Il saggio costitue la base scientifica del movimento umanista impegnato a riformare il latino sullo stile di CICERONE.  In le "Emendationes sex librorum Titi LIVII" discute, col suo modo di scrivere brillante e caustico, correzioni ai libri di LIVIO in opposizione ad altri due intellettuali della corte napoletana Panormita e Facio che non avevano il suo stesso spessore filologico. Con la morte del re, la sua fortuna inizia a volgere in meglio. Recatosi nuovamente a Roma, e ricevuto da Niccolò V. Assume il ruolo a lui più consono di professore di retorica, ma non perde nemmeno il suo spirito caustico e inizia a criticare la Vulgata, facendo confronti con l'originale greco sminuendo il ruolo di traduttore di GIROLAMO (vedi) e DONATO e giudica spuria la corrispondenza tra SENECA e Paolo. Sotto Callisto III raggiunse il culmine della carriera, divenendo segretario apostolico. È quasi impossibile farsi un'idea precisa della sua vita privata e di suo carattere, essendo i documenti nei quali vi si fa riferimento sorti in contesti polemici e, pertanto, fonte più di esagerazioni e calunnie che di testimonianze attendibili. Appare comunque come persona orgogliosa, invidiosa e irascibile, caratteristiche cui però si affiancano le qualità di elegante umanista, critico acuto e scrittore pungente nella sua continua e violenta polemica sul potere temporale dei cattolici. -- è un personaggio di eccezionale importanza soprattutto quale rappresentante del più puro umanesimo. Con le sue spietate critiche ai cattolici e un precursore di LUTERO contro VIO, ma fu anche il promotore di molte revisioni di testi. La sua filosofia si basa su una profonda padronanza della lingua latina e sulla convinzione che fosse stata proprio un'insufficiente conoscenza del latino la vera causa del linguaggio ambiguo di molti filosofi. V. e convinto che lo studio accurato e l'uso corretto della lingua e l'unico mezzo di acculturazione feconda e comunicazione efficace. La grammatica e un appropriato modo di esprimersi sono a suo modo di pensare alla base di ogni enunciato e, prima ancora, della stessa formulazione intellettuale. Da questo punto di vista, la sua filosofia e  tematicamente coerente, in quanto ciascuna delle parti si sofferma innanzitutto sulla lingua, sul suo impiego rigoroso e sull'individuazione delle applicazioni erronee della grammatica latina. Il profondo distacco storico ci permette di distinguere la sua filosofia in due filoni, quello filologico e quello critico. Sebbene sa mostrare eccezionali doti di storico negli saggi critici, questa capacità non è però riscontrabile nell'unico saggio definito storico, cioè nella biografia di Ferdinando d'Aragona, tutto sommato un modesto elenco di aneddoti. Il principato romano inizia a tramontare, il che si palesava non solo nell'indebolimento delle forze politiche e militari, ma anche nello sfaldamento dell'ordinamento interno e soprattutto nell'imbarbarimento della cultura. La crisi generale e l'accettazione di molte genti non italiche tra i cittadini romani provocano un lento ma significativo allontanarsi dalla lingua verso forme dialettali e meno eleganti. Si evidenzia la necessità di uno sviluppo della lingua che presuppone la canonizzazione della parlata popolare e della sua semplice grammatica. Sono i primi sintomi della nascita del volgare, che necessita di un millennio per svilupparsi pienamente. Durante questa lunghissima transizione, in tutta l’Italia ci fu un'enorme incertezza linguistica. Il romano classico cede lentamente il posto ad una mescolanza di nuovi idiomi che combatteno per la supremazia.  Gl’effetti di questo periodo di passaggio sono ben visibili soprattutto nelle traduzioni che via via nasceno dal romano verso l'italico, poché la linea di demarcazione tra il romano e il volgare e fluttuante e nessuno dei traduttori puo dirsi un vero esperto in materia. E il primo a stabilire un limite alla volgarizzazione, decidendo che un cambiamento oltre tale limite e già parte del processo di sviluppo. In questo modo, riusce non solo a salvaguardare la purezza del romano, ma pone anche le basi per lo studio e la comprensione del volgare nato dal romano.  Si pone tra i maggiori esponenti dell'umanesimo non solo per il suo costante apporto di punti di vista umanistici, bensì anche per la sua annosa avversione alla cultura scolastica.  È indicativa ad esempio la sua tesi in “Della volutta” sugli errori de PORTICO praticato dagli asceti che non avrebbero preso in debita considerazione la legge naturale. La morale consiglierebbe infatti, a suo avviso, un'esistenza allegra e godereccia che non precluderebbe in alcun modo l'aspirazione alle gioie del paradiso. Analogamente, nelle “DIALECTICAE DISPUTATIONES”, confuta il dogmatismo di Aristotele e del LIZIO e la sua arida logica che non offre insegnamenti o consigli, bensì discute solo di parole senza raffrontarle con il loro significato nella vita reale. Altrettanto critico si dimostra nelle “Adnotationes in Novum Testamentum” quando usa la sua profonda padronanza del latino per provare che sono state le traduzioni maldestre di alcuni passi del Nuovo Testamento a causare incomprensioni ed eresie.  È a lui dedicata una fondazione che in collaborazione con Mondadori, pubblica la collana dei romani i in cui vengono proposte edizioni critiche di testi classici.  L'arte della grammatica, Casciano (Milano, Mondadori); “La falsa donazione del principe Costantino”, Pepe, Firenze, Ponte alle Grazie, Scritti filosofici e religiosi, Radetti, Firenze, Sansoni, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, “Repastinatio dialectice et philosophie” (Padova, Antenore). Treccani enciclopedia, Il Contributo italiano alla storia del Pensiero: Filosofia) ; Garin, "La letteratura degl’umanisti", in Cecchi-Sapegno Letteratura italiana (Milano, Garzanti); Basilica Papale SAN GIOVANNI IN LATERANO, su Vatican.  Pubblicate per la prima volta da Erasmo da Rotterdam. Antonazzi, “V. e la polemica sulla donazione di Costantino, Roma); Camporeale, Valla. Umanesimo e teologia, Firenze, Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento, Fink, Laffranchi, “Dialettica e filosofia in V.” (Milano, Vita e Pensiero); Mancini, “Vita di V.”, Firenze, Sansoni; Regoliosi, “V.. La riforma della lingua e della logica” (Atti del convegno del Comitato Nazionale, Prato); Firenze, Polistampa, Donazione di Costantino. Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Rita Pagnoni Sturlese. Su treccani. in Il contributo italiano alla storia del pensiero Filosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, La falsa donazione di Costantino, su classic italiani. La tomba su Penelope uchicago, Laurentius Vallensis. Lorenzo Valla. Valla. Keywords: Cicerone, Virgilio, Quintiliano, Livio, rinascimento, grammatica, dialettica e rettorica. Refs.: Luigi Speranza, “Valla e Grice,”per la Fondazione Lorenzo Valla, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.

 

Grice e Vallauri: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’interpretazione giuridica -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Roma). Filosofo italiano. Essential Italian philosopher. “Italians, especially noble ones, love a long surname, so this is Luigi Lombardi Vallauri. I say: if he wants to keep the Vallauri, that’s what he’ll go with by!” Grice: “He favours animal rights, as I do.” Professore universitario italiano. È stato Professore di filosofia del diritto a Milano e Firenze. Insegna all'Università degli Studi dell'Insubria e all'Università degli Studi di Sassari, dalla quale è stato chiamato per chiara fama. Nipote del predicatore gesuita Riccardo Lombardi, cugino del direttore della Sala stampa vaticana Federico Lombardi, nonché nipote di Gabrio Lombardi, si avvia alla formazione teologica alla Gregoriana di Roma. Si laurea in giurisprudenza col massimo dei voti a Roma, suo maestro è stato BETTI. Dopo la laurea perfeziona gli studi giuridici in Germania e vince molto presto il concorso per la libera docenza. Diviene professore in filosofia del diritto a Firenze, dove ha insegnato anche argomentazione giuridica e filosofia del diritto. Ottiene la cattedra in filosofia del diritto a Milano. Dopo il collocamento a riposo insegna presso le Como e Sassari. Massimo esperto di teoria dell'interpretazione giuridica, già direttore dell'Istituto per la documentazione giuridica del CNR e presidente della Società italiana di filosofia giuridica e politica -- è autore di saggi filosofico-giuridici. Con il suo Terre: Terra del Nulla, Terra degli uomini, Terra dell'Oltre ha aperto un nuovo filone della sua ricerca, dedicato alla filosofia della religione e della spiritualità. Al saggio Nera Luce, V. ha consegnato la sua critica serrata ai dogmi del cattolicesimo e l'approdo all'apofatismo. I suoi interessi recenti riguardano la tutela giuridica dei diritti degl’animali. È vegano. Fonda e conduce, un gruppo di meditazione teso a esplorare le possibilità di una vita contemplativa all'altezza del sapere moderno. Il suo libro traduce in scrittura il seguitissimo corso di meditazioni tenuto dall'autore per Radio Tre Rai, propone una mistica laica, ossia una mistica che prescinde da rivelazioni soprannaturali coniugando il pensiero scientifico occidentale con le tecniche di meditazione tipiche delle filosofie orientali.  Allontanamento dall'Università Cattolica. Insegna filosofia del diritto presso l'Università cattolica di Milano. Tiene una conferenza a Bari e all'inizio decide di sedersi in terra, giustificandosi presso l'uditorio con la frase. Del Dio che emoziona non mi sento di parlare seduto su una sedia, quindi, mentre parlerò di questo Dio, starò seduto in terra». Sospeso dall'attività didattica a causa del suo insegnamento ritenuto eterodosso rispetto alla dottrina della chiesa cattolica. Fra i punti problematici secondo le autorità ecclesiastiche, un giudizio di V. sul dogma dell'inferno, da lui definito:  incostituzionale in quanto nessun atto per quanto grave può meritare una pena eterna e perché è contraria ai princìpi più avanzati del diritto, e specificamente del diritto influenzato dal cristianesimo, una pena che in nessun modo tenda alla rieducazione/riabilitazione del condannato. Il professore ha affermato in seguito. Quando i giudici ecclesiastici mi hanno cacciato fuori dall'Università Cattolica non riuscivano a formulare l'accusa ed io ho detto. Ve la do io, il papa è quasi infallibile nell'errare. Dopo l'esito negativo dei ricorsi giudiziari interni, si è rivolto alla corte europea dei diritti dell'uomo.  La corte si è pronunciata a favore del ricorrente, ritenendo che fossero stati lesi i suoi diritti alla libertà di espressione (per il provvedimento adottato dalla cattolica senza contraddittorio) e a un equo processo (per il rifiuto a pronunciarsi opposto dagl’organi giurisdizionali amministrativi), entrambi garantiti, rispettivamente, dagli articoli della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali.  Nei suoi corsi e libri V. si è occupato di varie tematiche: filosofia del diritto, critica dei riduzionismi, filosofia della mente, misticismo, buddismo, sessualità, meditazione, diritti degli animali. Riassumeva la situazione storica attuale tramite la seguente formula: [E = (m+e) + i (ab) + fd + oid] -> [N.O.] -> [(N. e/ax/es)] + (I.P.)]  La prima parte è l’equazione del riduzionismo ontologico. L’essere è riducibile alla somma di materia, energia e informazione. L’informazione è di due specie: algoritmica e biologica. Il riduzionismo diventa poi scientismo tecnologico, con l’aggiunta di un fattore di dominazione, ossia la teoria baconiana del conoscere per dominare, e dell'organizzazione industriale del dominio portata dalla rivoluzione industriale. Le conseguenze dello scientismo sono il nichilismo ontologico, ossia la scomparsa di ogni tipo di spirito (dio angeli anima), il quale può avere due esiti antitetici: le filosofie del soggetto assoluto e quelle della morte del soggetto. L’ultima conseguenza del processo è il nichilismo etico assiologico ed esistenziale, ossia la negazione di norme e valori oggettivi. Esso genera un vuoto, che nella nostra epoca viene occupato dall’individualismo possessive, ossia la credenza che gli unici beni sono ricchezza successo e potere. Occorre dunque articolare una risposta filosofica al riduzionismo, individuando quali realtà si sottraggano alle sue pretese. L’oggetto principale che sfugge alla riduzione è la mente. Saggi: “Saggio sul diritto giurisprudenziale” (Milano); “Amicizia, carità e diritto” (Milano); Corso di filosofia del diritt (Padova); Cristianesimo, secolarizzazione e diritto moderno (Milano) Terre: Terra del Nulla, Terra degli uomini, Terra dell'Oltre, Milano. Il Meritevole di tutela, Milano, Logos dell'essere Logos della norma, Bari, Nera luce (Firenze); Riduzionismo e oltre: Dispense di filosofia per il diritto, Padova, Trattato di Bio-diritto. La questione animale, Milano,  Meditare in Occidente. Corso di mistica laica, Firenze,  Scritti animali. Per l'istituzione di corsi universitari di diritto animale, Gesualdo,  Note. Magister, L'inferno? Una vergogna, L'Espresso. Guadagnucci; Scritti Animali. Per l'istituzione di corsi universitari di diritto animale, in Visionari, Gesualdo (AV) (Gesualdo, Guadagnucci); Bosco, Cristo o l'India, Verona, Fede e Cultura, Guadagnucci. Sullo scarso fondamento dei fondamentalismi, Nuovamente. V., Neuroni, mente, anima, algoritmo: quattro ontologie, Lettura magistrale al VI congresso della Società italiana di neuroscienze,  Guadagnucci, Il filosofo degli animali, in Restiamo animali: Vivere vegan è una questione di giustizia, Milano, Terre di mezzo,  Meditare in occidente Corso di mistica laica, ciclo di trasmissioni radiofoniche su Radio3 Rai. Meditare in occidente Corso di mistica laica, ciclo di trasmissioni radiofoniche su Radio3 Rai, Meditare in occidenteL'anima di paesaggio, ciclo di trasmissioni radio-foniche su Radio3 Rai, edizione. Conferenza/lezione tenuta dal titolo: Non-violenza e Animali: un tema antico come le montagne e sempre più ricco di futuro. Evento organizzato da Progetto Vivere Vegan,   Interviste Sì agli interventi che aiutano i nascituri, intervista di Perna, LIBERO, l'Unità, Firenze, e Rassegna stampa sul "Caso V." I Nuovi Inquisitori, di Pace, a Repubblica, A dialogo con V., di Pollastri, Phronesis, Note, di Franza, Officina sedici. Luigi Lombardi Vallauri. Vallauri. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Vallauri” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Valletta: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dei liberali, libertari e libertinisti -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Napoli). Filosofo italiano. Eessential Italian philosopher. Grice: “He was a libertine from Naples. I like him. His oeuvre published in Firenze. Studia dapprima letteratura presso i gesuiti per poi dedicarsi al diritto. Insieme a Andrea, e fra i fondatori degl’investiganti, che da impulso al grande rinnovamento culturale che prende grande avvio. Nelle accese polemiche filosofico-scientifiche tra progressisti e conservatori, insieme a CORNELIO, ANDREA, CAPUA e agl’altri investiganti appoggia attivamente i progressisti.  Istituì a sue spese la cattedra di lingua greca a Napoli, affidando l'incarico di insegnamento al suo maestro ed amico MESSERE (vedi, illustre filosofo. Cura l'edizione napoletana delle opere e del Bacco in Toscana dello scienziato toscano REDI. Grande appassionato e conoscitore di libri, meritandosi l'appellativo di Helluo librorum et Secli Peireskius alter. Grazie all'interessamento di VICO, il fondo librario confluì nella Biblioteca dei Girolamini. Saggi: “Lettera in difesa della moderna filosofia e de' coltivatori di essa”, “Historia filosofica”.  Lombardi, Storia della letteratura italiana, Tipografia camerale. Nicolini, V., in Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Gl’Investiganti Andrea, Redi, V.,, nipote di V. Breve scheda biografica, Redi. Scienziato e poeta alla corte dei Medici.  Lettera   di V.,   napoletano   fn difetta della moderna Filofòfia , e  de' coltivatori di eflà,   INDIRIZZATA ALLA SANTITÀ’   DI CLEMENTE XLAggiuntavi in fine un'ojf umazioni fopra '  la medefima .  IN ROVERETO   Nella Stamperia di Pierantonio Berno Libr.  ALL’ XLWSTRISS. SIC. AB. ’f   FRANCESCO PARTINI   • • * è   ;DE N AJOF,   • f + • -   Nobile Provinciale del Tirolo, ec.ec, ,     l    ♦ «   » »# » , » • * * »,   » * • » •   Olto tempo è, Jlluflriffmo  Signor Abate , che  per darvi qualche piccio-  lo contraffegno della divo -  Zioa mia verfo di voi , io vado tra me  ftejjo meditando , qual co/ a , non del tut-  to di] pregevole , e di . voi indegna , do -  vejft offerirvi . Ed ora ufcendo da’ miei   * 5 tor-      / '    « ' *- .4 . *    * ' p t * •#    /« •. è . * »    .• * •* . •    * . - j» %    ■ T“ » 'f '' i*' *'* * -ì r .!   *orri&; la prima volta una dotta * ed  erudita Opera del Sig. Giufeppe Val*  tetra , la quale manofcritta lungamen-  te era andata per le mani de* virtuofi;  quefta appunto ho . difegnato d' indiriz-  zare a voi , sì 5 per darvi un picciolo  faggio del de fiderio ardentìjfimo > eh' io  bo d' incontrare con e fio voi ferviti , sì  ancora per fare un pubblico attediato  al mondo della /lima grande , ch'io con-  fervo della voftra ragguardevole Perfo-  ra . E nel vero fé , com * a tutt' altri  è in ufo di fare , io voleffi raccoglier  qui le glorie de * trapaffati , teffendo un  lunoo catalogo di tanti e tanti glorio fi  Antenati della vofira nobile Famiglia ,  i quali e nell' armi , e nelle . lettere rif-  plendendo , non meno il vofiro Ceppo ,  che tutta cotejìa Patria ili ufi r areno ;  certo de non ■; uno > ma ben mille moti-  osi io avrei per indurmi a ciò fare .   . Concioffiachè allora egli . mi fi farebbe  . tofto innanzi la fingolar perizia nell' ar-  mi di PIETRO , illu (Ire, e .antico ger-  irne della vofira onorati fiima Prof apia ,   * il    Digitized by Google    il quale da Galeazzo Vìfconte Duca di  Milano meritò d* ejsere fatto Condot tiere  delle fue. armi > Mi . fi prefent crebbe  fitto gli occhi il valore di quell* altro  PIET RO d' età ma ? non di merito  inferiore , a cui i eccellenza nel mefiier  te ftmil mente della guerra , acqutfiò l*  uffizio d) Capitano dell*. Imperador Maj •  fimifiano J. i , e di ALESSANDRO  altresì , che in qualità pur di Capita •  no fi morì in Ungheria . Ma molti ,  e molti ì anche fiudiof amente, trapalan-  do y come potrebbe . poi .fuggirmi dalla  vijìa la , decantata dottrina . , fingolar-  mente nell* arte Medica > e la probità 9  e integrità de' cofiumi di FRANCESCO PARTINI , il quale in quel feli-  ce fecola del cinquecento cotanto s* avan-  zò > e ft difiinfe , che meritò le lodi , e  gli applaufi d'uno de' maggiori letterati  di quell'età , che fu Andrea Mattioli > (i)   • e d'ef-  (i) Nell* Epiftola dedicatoria de 1 Di/cor fi /opra  Diofcoride al Principe Ferdinando d* A u Aria . Ve-  nezia 1668. E negli fte/fi Difcorfi /opra il libro 4-  di Diofcoride capitolo 80.    e d' e ([ere fatto Prot omedico dì due Ce-  fali , cioè Ferdinando I . , e - Maffimilia-  no li.'? Cèrto che i pregi di co fiat , i  quali di molto accrebbero lo fplendore del-  la vofira Stirpe -, io non potrei per mo-  do alcuno non Jommamente celebrare:  e tanto meno que' di MELCHIORE  fuo figlio i il quale dalla matura pru-  denza pur di Maffimiliano li. Impera -  dorè » di cui era ' Configliero , > fu' (celta  a far efeguire ^Imperiai comandamento  di por giù /’ armi, fattola'- judditì  del Finale in Italia '.(*) Ma io non ne  verrei sì toflo a' capo , : quando 'a’ me-  riti degli Avi'-vojìrì i.'com' -bó det-  to piuttofiò chea voi mede fimo va-  le jft riguardare . " I pregj degli ante-  nati' apportano più (limolo >3 -che lode  a' ■ (uccefiori \ , ed è molto ' mifer, abile  la condizione di colui -, ' il quale noti  po((a in altro . mod o diftinguerft , che  col! aprire i (epolcri de’ fuoi maggio-  ri » .    \ • r t    • r i n* •* a    (2) Mambrino Rofeo Storie del Mondo libro II.  a io4«    ri , e temendo nn lungo panegirico del-  le loro gloriofe azioni , far fi corona  al capo di meriti non fuoi . ■ Per la  qual cofa , ponendo da /’ • un de' lati  quelle lodi , le quali non fono sì pro-  prie dì voi , che comuni non fieno an-  cora a tutta la Famìglia , ed alle fole  voftre t in cui gli altri non v* hanno  parte alcuna rifiringendomi ; dico >  che quello , che principalmente rn ha  invogliato a procacciarmi luogo nel no-  vero de' vofìri fervidori t e che non  pojfo fe non grandemente ammirare ,  fi è quella incredibile gentilezza , ■ e  foavità di coftumi.y e di maniere ,  per mezzo della quale ben fate chia-  ramente apparire da qual . forgente  traete t origine , e i natali . h  non fo per cagion di quefla con qual  fronte poffano riguardare in voi cer-  te anime t le quali non riflettendo >  che • /’ e (fere nate nobili è fiato un  accidente , cui altro loro non appor-  ta , che impegno di ben imitare gli   antecejfori ; di tanta rufiicìtà , e   fai -    ... V3&7'   falvatkhe^za ripiene comparirono  folamente nell * afpre , ed altiere   fembr ano .avere ripofia la loro gloria .  Poi fiete certamente di un amaro rim-  provero a tutti cofioro % e C umanità  vofìra , quando attentamente vi riguar-  da Q ero , non potrebbe che riufcir loro di  jomma vergogna , e confo fione . Ma fic-  come y nè alterigia , o di / prezzo altrùi  la nobiltà della Famìglia , per chiara ,  eh' ella fi fa , è fiata giammai baftan-  te ad infpirarvi , . Così nè al fafio y o al-  la. libertà le •comodità » e gli agj > che  dalla fortuna avete : nè .alla vanaglo-  ria * o alla prefunzione le nobili quali-  tà. dell’ animo voflro , hanno giammai  potuto aprirvi la firada , Tanti rari  pregi- finalmente , tutti infieme uniti ,  non fono -fiati valevoli a feemar punto  di quella vofira naturale affabilità , e  dolcezza di tratto , la quale quanto in  altri è più rara > altrettanto in voi ab-  bondantemente appari fee t e campeggia .  Qttefta vi eccita la maraviglia di tut-  ti coloro , che di voi hanno alcuna co.   no-    • >. .   / *   't    d -    * *• 'V.    •4     ami. * - '    difienpì guefia concilia ì* amore ,  e ^uCfi^nera^iòni de- vojìri Concito adì*   . niy^ 0?quefia finalmente induce , an-  zi con una dolce violenta quaft rapi*  ffce , e sforzai cìafcbeduno a farvi un  volontario tributo de* fuoi affetti , e  del fuo cuore . Ma che dirò di quel -  i* bontà j ingoiare , con cui prendete  a protteggere qualche perfona ingiù •  fiamente oppreffa , e oltraggiata > fa-  cendo vedere , non altrimenti effervi  fenfibili- i torti > che fi fanno alla  ragione , e alla gtufiìzia , che fe a  voi me de fimo f off ero fatti ? Voi con  quel rincrefcimento fiete folito fentìre  i colpi t che la fortuna vibra con -  tra /’ onefie infelici perfine > col qua-  le gli fentirefie , fi contra voi me-  ' de (imo foffero fcagltati ; e con queir  occhio riguardate gl * infortuni » e mi-  ferie altrui , con cui riguarderefie quel-  le de* vojìri più cari congiunti . Di  qui è y che e col configlio , e con  /’ opera non mai vi mofìrate fianco  di fivvenire > e beneficare coloro >   i qua-    Digitized by Google    * quali per la loro innocenza fi ren-  dono meritevoli della vofira protezio-  ne ; ; ed avendo avvertito , che il ve-  ro carattere degli animi nobili , an-  zi quello , che piu .all' Al tifiimo ld-  dio viene ad accodarci , è * il f al-  levamento delle per fine \o dalla ma-  lignità degli uomini, >o dall' .avver-  ata della fortuna inìquamente fir ac-'  date ; voi perciò, avete creduto im -  prefa degna di voi lo fendere a que- >  fie benignamente il braccio , acciò la  Patria vofira potefse andare altiera ;  e dar fi vanto -, d'. avere >■ d mercè di  voi maifempre aperto un a filo all '  innocenza , re .fempremai pronta una  fpada cantra la malvagità , e la co*  lunnia . Con tal- mezzo voi rifiorate -  i danni , che la me de [una '.per /’ im.  matura morte dì MELCHIOR PAR-  TINI vofiro . degnifsìmo , Fratello ha  que fi* anni addietro, fifferti # e quello ~  fplendore le ritornate ,%che allora per  efser ella refiata priva -d'-uno de'-fuoi ■  più cofpicui , e qualificati Cittadini ,  ave-    aveva pèrduto l ; A che fero molto t  molto contriluifcono ancora gli altri  due vofìri meritevoli (fimi Fratelli , di -  co GIOVA M BA TJS T A 'PA RTI-  NI > Abate della Reai Badìa di  San Pietro di Loreto nell ’ Abruz-  zo , e il Padre CARLO PARTINI , Definitor Perpetuo Carmelita-  no t la prudenza , e pietà di cui  è così nota , e pale/e in quefìa Cit-  tà. .y che. inut il cofa farebbe il farne  per me qui parole . Ma troppo chiaro  io m’aveggio d* avere già foverchiamen-  te la modejìia vofira offefa , non ri-  flettendo f che una delle maggiori lo-  di > che vi fi debbono , è appunto il  franco rifiuto , anzi difpregio , che  voi fate delle medefime , Solo mi re-  fia adunque di fupplicare il generofo  animo voflro a ricevere in buon grado  ia piccolezza del dono , che umilmen-  te vi offro , non alla qualità di ejfo ,  ma al de fiderio dei donatore riguardan-  do \ e pregandovi in fine a non difdir-  mi la fofpirata grazia d’effere anch' io   al-    A      >**    » * *    allogato tra i voflri   ~ fso v •    y    i , , , •    Di V.S   ♦ . /     f .    *   * i    l    Rovereto;    V    *'> 1 ^ «a ^   V . o V ^      / «' • 1 . . .   . t i »    ‘ t    •• « •    V «    • 1 J    VmìUfs. Devotìfs. ObbUgatìfs. Servo   Pierantonio Berno.    lo    Digitized by Google    LO STAMPATORE   A CHI LEGGE. NON poco tempo e (Tendo , che va  per le mani degli ftudiofi una Lee*  tera manoferitta di V., Letterato Napoletano in difefa della Filofofia moderna , e d’ alquan-  ti Tuoi concittadini profeflori della medefi»  ma , .fino dal 1700. dirtela : ed avendo rav.  v ifato , com’ ella è molto avidamente ricer.  cata , e letta dagl’intendenti ; ho (limato  di far colà grata al pubblico , ed alle per*  Ione letterate , dandola fuori per mezzo  delle (lampe, sì per renderla più comune,  e sì ancora per levare la briga a chi deli*  dera averla, di farla tralcrivere.* (concia co*,  là parendomi , che un così utile lavoro ve*  nirte tuttavia contaminato, e guado dalla  trafeuraggine, e fonnolenza de’copifti. Io a»  vrei per verità molto caro avuto di abbatter*  mi (e non all’ Originai medelimo dell’ Auto-  re , almeno a qualche copia elàtta , e fedele;  il che per diligenza ufata non m* è venuta  pienamente fatto di conlèguire. Spero però,'  che mercè 1’ afliftenza da perlbne delle buo-  ne lettere amanti predatami > le quali lì fono    validamente adoperate in correggerla , rive-  dendo poco men che tutti i palli nel proprio  fonte, e togliendovi que* moiri , e quali in-  finiti errori incorfivi nelle copie ; il cottele  Lettore non avrà molto che deliberare . V*  ho in fine aggiunta un’Offervazione fopra la  medefi ma, affai tortele mente dal Sig. Gir ola-  7 ino Tartarotti Róveretano comunicatami , la  quale fono più che certo , o Lettore , che  non t’ increfcerà d’aver Ietta. Vivi felice , e  - favorirci col tuo aggradimento la buona incli-  nazione,- ch’io ho d* adoperarmi a tuo van-  taggio . La fegùente notizia , polla per più  contezza dell* Autore dell’Opera , è tratta dal  Leffico degli Eruditi del Sig. Burcardo Men.  thenio . • ’ '• '■ » •   V. Giureconfulto Italiano , na.  Io in Napoli a* 6 . d' Ottobre V anno 1 666. fece  la pratica nella fua Patria , e ranno una copio,  ftffimd libreria , injìeme con un gabinetto prezio fo  di monete antiche , in frizioni ecì Corrifponde .  va co ’ più infigni Letterati d’ Europa . Traduf-  fe alcuni libri dall ’ Inglefe in Italiano . Scriffe  un libro della necejjìtà della [olita pratica in ma-  teria di religione , come pure un ’ opera toccante  V impresone di monete move . Morì a' $. di  Marzo Vanno 17.14. ' •    BE AT 1S S IMO   «   P A D R E.    f * » **•    ♦ » « 4    %# * • * t •    • • f f • f   l,i * • »    ; r     r* « *   I.    ’ s.    »4 I     Ntichìflìmo coftumefu  Beatissimo Pad re ,o  dir il vogliamo naturai  genio, ovvero inclina-  zione, o qual egli fi .fia avvenimento  degli uomini, i quali a’pofteri hanno  avuto in penfiero di lafciar qualche me-  moria per mezzo delle lettere, di muo-   A * verfi    Digltized by Google     %   verfi a tal opra da picciola e lieve oc-  cafione , ed. alle voi ce incominciare da  balle , e aHai deboli fondamenta , ed  indi poi pian piano p a dare più olcre fin-  ché al defiato fine fi aggiunga ; e quali  Tempre digiuni , e non mai fazj di di-  vorare fulle carte il tempo , e l’ore.  Quindi è , che veggiamo , che una fa-  - tica, la quale fui principio fu ftimara  opra di pochi fogli , tratto tratto li  avanzi » e fi accresca in tanta gran-  dezza , e mole , che a gran pena fe  ftelfa comprenda . Lo ftelfo eflere av-  ' venuto a me io già divido; ma non fo  com’egli avvenuto fia . Perocché aven-  do già per foddisfare al gènio de* Depu-  tati » incominciato a fcrivere una lette-  ra indirizzata alla Santità' Vostr a  intorno al procedimento del Santo Uf-  fìzio nella noftra città di Napoli ; cer-  to è, che io non ebbi altra intenzione^  che di raccorre breve e femplicemente  le ragioni) ch’ella ne tiene. ..Indi po>i  crefcendo da giorno in giorno , o ciò  folfe per l’ampiezza della materia > o   per la moltitudine delle ragioni , e va»  rietà degli argumenti, e delle autorità  che fi recavano in prova; s’ è tant’ol- .  tre la fcrittura avanzata. , eh* è -per  comporre un volume intero .. Così io  mentre penfava di avere già compita  tutta la fatica , volli ancora inveftiga-  r e la cagione , el’ origine de* movimen-  ti > e tumulti della noftra città, acca»   * »   duti per tal procedimento nel tribunale  del Santo Uffizio ; quand’ecco che io  conobbi-, Ae vidi chiaramente, che la  cagione-di tai tumulti altro non fia fra-  ta c che una tal gelofia, per così dire,  di Scuole coll* occafione d' una . cer*  ta Filofpfia , nomata- comunemente  Moderna , avvegnaché dia fia anct»  chiffima , e profetata dagli uomini mi-  gliori, e più fa vj della noli r a città. £  perchè la cofa o non è pur ben intefa ,  ovvero fe intefa , per ambizione, por  aftio, o per altra cofa , è contrafiata a  campo aperto , fono forzato , come av«  vifai nella fuddetta altra fcrittura > con  quell* altra lettera , indirizzata pari-   A 2 racn-    f    i    Digitized by Google    mente alla Santità* Vostra , dimoi  Ararne apertiflinumente la verità. ( per  ordine ancora datomi da’ medefimi De-  putati ) acciocché niente li taccia per  quello , che convenevolmente appar-  tiene alla difefa così della vita » come  della fama de’ noftri cittadini ; e difen-  dere un lungo ragionamento > per far  palefe una volta > e più chiara teliimo-  nianzaal mondo dell* empietà della Fi-  iofolia Ariftotelica * « dell* innocenza  di quell* altra che chiaman Moderna;  al di cui manifeflamento ben poteano  dare opera gli altri , e non ftarfene sì  lentamente a ripofo in una caufa pub-  blica, e di tanta, importanza ,• perla  quale ne lìamo malignamente tacciati ,  echi per Eretico» e chi per Ateo» fe-  condo il livore» e l’ignoranza di quelli  banditori del Periparo; mentre vene  fono pur molti intendentilììmi di que-  lla novella Filofofta , che meglio di me»  e più profondamente l’appararono» il  che loro eforco a fare ugualmente , per  non cadere almeno nel bialìmo» che Ci-    .cerone diede a coloro , che appretto di  fefolirengon na 'corti i tefori delle let-  tere!,, fenza farne partecipi gli altri ;  così dicendo nell’orazione a favore di  Archia . Pudeat , ft qui ita fe litteris  abdiderunt , ut nibil po fjìnt ex bis , ne -  que ad communem adferre fruSìum ,  ncque in : adfpeSìum , lucemque proferì  re . Ma non con animo , che pubbli-  candoli quella fcrittura » vi lìa taluno,  che fcrivcndo full’ifteffa materia , del-  le medelìme co fe li avvagha , facen-  done un’ altro edificio , in cui non vi  ila di nuovo che una deferente figu-  ra, e dimenfione. . .   Laonde tralafciando la parte difpu-  tabile, dalla quale fempremai la veri-  tà fugge , e ne va lontana , opponen-  doli ragioni a ragioni , . argomenti ad  argomenri , e fpette volte iofifmi co*  fofifini pugnando » con aliai delibera-  to conliglio ho, fcelta la-parte idonea,  in qua ponete, argumenta licei , non  argument ari . , La quale ettendo màe-  fira della vita , e de’ tempi , e de’co-   A 3 ftu-    «   « _ _   fiumi allo ferì vere di Cicerone fteflò j   potrà affai bene acconciamente com-  parire più fchietta, e più finceramen-  te difenderli avanti la Santità* Vo-  stra la caufa oneftilfima, e il diritto  di quella Filofofia iniquilfimamente  oltraggiata dalla turba de’ Peripatetici . Così furon degni di grandiffima lo-  da tanti fcrittori , e Greci , e Latini ;  i- quali all* i fioria fi appigliarono , po-  nendo perpetuo filenzio alle difpute ,  tormento degl* ingegni delle Scuole li-  cenziofiflime delle feienze : così anco-  ra fu degnilfimamente commendato an-  che dagli eretici fiefii il dottilfimoCar-  dinal Baronio , il quale dovendo fcri-  vere delle colè appartenenti alla noftra  Chiefa cattolica » lafciando a’ chioftri  le controverfie , e le quefiioni , elefie  con affai maturo , e più fano avvedi-  mento la parte ifiorica > per trarne le  confeguenze- più vere , e reali . Plus  enim Annate s Baranti > quam Contro -  verfue Bellàrmini bar etici s necuerunt .  • .£ qui io avrei già finito , nè bifb.   gne-    ; . 7  gnerebbe più dilungarmi : ma perchè   1* origine di tutto ciò è. d’ uopo che Ha  palefe , prima di paflare più oltre , e  affine , ,-cbe niente fi taccia per quello,  che appartiene alla difeia , così della  vita , come della fama de’noftri citta-  dini; egli è neceflario far noto ancora  alla Santità' Vostra, che 1 * origine  di quelli nuovi rigori dell' Inquifizio-  ne ella è data , che vedendoli pur trop-  po fuora de’chioftri dilattate le lette-,  re, e propagata nella noQra patria la  Filofofia , la quale o fia. propria fata-  lità / portando fempremai feco defla  difagj , e fyenture , come dice Boe-  zio , Atque boe ipfo affine s fuiffe vtde-  mur maleficio , quod tua imbuti dìfcU  pìtnis o Pbìlofopbia :o-fia per propria-  gelosìa delle fcuole degli altri Filofo-,  fanti ; perchè Nibil volunt inter borni'  nes credi jmlius , quam quod ipfi te w,  nent / ha cagionato a’ medefimi fai  movimenti,. che fi fon lafciati a dire,  .che quella fpffe di pregiudizio aliano*  Ara fede , perchè da’ principi d’ A-ri-,   A4. fio- .    /•»    »   Itotele lontana fia, come per la tanta  autorità data ad Arinotele , diede mo*  tivo a taluno di dire fcherzando: Se»*  %a Ariftotele noi mancavamo di molti  articoli dì fede : come fe quelli fof-  fero (tati cavati dalla dottrina d' Ari-  notele , e non dalla facra Scrittura ,  e da altro ; che tanto dir non fi po-  trebbe di S. Paolo , quanto alcuni han  detto d’ un autore gentile , quando,  come fcrifle un altro autore , e con  fenno : Sanila fanliorum non babet  _ bete Pbilofopbia .   Ma prima di venire allo fcioglinaen-  to di quelle vaniflìme oppofizioni , egli  è di bifogno ricordare alla Santità*  Vostra , quanto fia (tata commenda,  ta la Filofofia non meno da' Gentili,  che da* fanti Padri medefimi . Ecco  quel > che se diffe Tullio . Pbilofopbia  am vita parentem , & hoc parricidio fe  ( quifquam ) inquinare audet y & tam  impie ingratus effe , ut e am accufct ,  quam vereri de ber et etiamfi minus per -  cipere potuijfet ? S. Giuftino così : Pbi-   lo m    I    ! 9   lofopbìa efl revfrà maximum lonutn t  & poffeffio i & apud Deum verter abili fi  qua" ducit ad eum > & fi flit fola > &  fanti i , beatique Htì, qui mentem et do-  nane. E più oltre: Nemo fine Pbilofo-  pbia reti am rationem intelligit ; quare  omnes homines pbilofopbari % & barre  pracipuam fanti ione m ducere (de. San  Clemente 1* Aleflandrino n* avvifa lo  fteflò, e Sant* Agortino parimente co-  sì : Qui Pbilofopbiam fugiendam putat %  nibil  vult aliud , quarti noi non amara  fapientiam . E 1’ A portolo quando dif»  fe , Videte ne quii vos decipìat per Pbi-  lofopbiam t egli intefe di quella Filofo-  fia , la quale con folli argomenti da  Sofirti > e fecondo lemalfime del mon-  do 6 produce ; il che chiarirtimo fi feor-  ge dalle parole che feguono , a ut ina •  nem fallati am % fecundum traditionem  bomìnum , fecundum dementa mundi .  11 che vien dichiarato da Sant’Agoftk  no medefimo, detto luogo fpiegando:  Et quia ipfum nomen Pbiiofopbia ft con-  fiderete rem magnam , totoque animo   ap-    Digitized by Google    *°   appetendam ffgnifieat ( fiquìdem Pbiìoì  fophia e fi amof yfiudìumque f apienti* ), .  cautifftme Apcfialus h ne ab amore fapie a*,  ti* deterrere videretur , fubjeeit fecun -  d*m dementa bujus mundi .   . Egli è dunque affai ben chiaro, che  nè Satv Paolo , nè Sant* Agoftino , o  niun altro fanto Padre , Greco, o La-  tino , abbia giammai pretefo , che quel»  la apparare non fi doveffe ; anzi che  leggiamo tutto il contrario , come s’è  detto. Al che aggiugner u può - l’av-  vertimento di S. Clemente l’ Aleffan-  drino fopral lodato; Pbilofopbiam ante  Domini adventùm , Crucis ad jufiitiam  fui (fé neeeffariami nunc autem ad pei  caltum t & pietatem utilem effe (*j La   m* * » i j C|tt3e l •   ». ■ •   » » ...   " « » « ...(*) Quello non fi vuol in terpefrar In modo, che  S* Clemente Aimafle , che I Greci fi giufti6catfe-  ro per mezzo della Filofofia .» Egli credeva , che  la Filofofia remotamente gli difndnetfe alla cogni-  zione di Crifio , dando lor notizia del vero Dio,  c fomminiftrando loro i mezzi per isfuggire gli er-  rori . Per altro fenza la Divina grazia , la fede,  la carità &c. non credette, che uom fi giuftificaf-  • fe. Vedi Naral Alefiàndro Dijfert. Vllh in Hijior . ,  E cc kf. f*c. IL    Digltlzed by Google    qual co fa ugualmente avverti il Cardi*  nal Palla vicino : La Fibfofia nelle dot-  trine Teologiche è utile come i foldati  frante ri negli eferciti; cioè in maniera  che fervano > ma non comandino . Im-  perocché a tutti fi permette la liber-  tà di fìlofofare. Bona mene ( dice Se-  neca ) omnibat patet , omnes admittit ,  omnes ad hoc fumus nobile r , nec rejicit  quemquam Pbilofopbia , nec digit > omni-  bus lue et . Tanto maggiormente che  la natuta invidiofà per così dire a li-  vellare i fuoi Segreti avarifiimaraen-  te permette , che ora una cola , ora  un* altra fi fveli , come s’ è finora  fperimentato per tante ofiervazioni  fatte e che fi fanno in molte cele-  bri Accademie dell* Europa , (copren-  doli fempremai novelli arcani » non  che nuove, e plausibili opinioni nel-  le Filosofie . Jn Pbilofopbia ( lafciò  fcritto Seneca fcefio ) re maxima , &  involai iffima , cum etìam multum atìum  fuerit , omnis tamen atas , quod agat ,  inveniet . Quindi Atenagora , che det-  tò    k*   tè un’ Apologia . a prò de’Criftiani agl*  Imperatori Antonino , e Commodo  ambeduo filofofi , dille : Nulìum in  Pbilofopbia rcdundat Crimea .. £ più  oltre così : Profeto autem bac crimine  vacat . Tutto ciò però intender fi dee  per la cognizione di quelle cole > che  dipendono da caufe naturali, non al*  tri menti foprannaturali. Il che fu con-  fiderà to dal medefimo Seneca , ancorch*  ei fofle gentile . Perfeveras ire ad bo~  nam mentem , quam fiultum ejì opta -  re, cum pojfis a te impetrare. Non fune  ad Ccelum eleva» da marnisi &c. £ pri-  ma di lui avvisò Simplicio , Eos folum  de cauffis naturalihus pbilofopbari fiata «  ifie: nequaquam autem de Ut ^ qua fa «  fra naturam exifiebant .  r : Ora fia lecito d* efaminare più efpref-  famente, fela Filofofia, che chiama»  Moderna fia d* alcun pregiudicio alla  noftra fede cattolica .   . Primieramente è neceflario, ch'io  rinnovi alla mente della Santità* Vo-  stra quei tempi più frefchi , in cui   sì    Digitized by Google    sì felicemente apparò le feienze tut-  te , e con ciò : io rinnovèlli , e rallegri  infìeme . 1* idee della prima fua età ;  perchè non v'è co fa (come ditte il  Cardinal Bentivoglio ) che maggior-  mente I’ animo ricrei , che la memo-  ria degli anni fcolarefchi , perchè ciò  egli non è altro , che un tornare a vi-  vere quella vita innocente , e piò  lieta dell’ uomo. Si ricorderà dunque  Vostra Santità» , che malamente  quefta Filofofìa fia nomata moder-  na , perocch* ella è più antica , anzi  la primiera d’ Bardefane, ed altri  difenfori della Religione, furono tutti  Platonici • Ed a chi non è palefe l’A-  leffandrina fcuola in Oriente , ripiena  di tanti fanti Padri, e tutti Platonici?  Origene, Clemente, Cirillo, Eraclio,  Dionifio , Atanafio , ed altri , io modo  che Aleflandria , non meno per lofplen»  dorè della difciplina Ecclefiaftica , che  della domina, fu dimata un’altra Ro- i  ma, e la feconda fedia Patriarcale do»  po quella di S. Pietro . Sant’Agoftino  nel libro delle Confefttoni di fe fteffo , e \  d* altri rettifica eflere flati Platonici ,   quando e’ narra la vilìta , che fece a Si m>  pliciano > maeftro dì Sant’ Ambrogio,  raccontandogli i libri eh' egli aveva  letto de’ Platonici , da' Vittorino Ora-  tore Romano tradotti in Latino , che  morì poco dopo d’elferfi fatto Criftia-  no . Sopra la qual cofa fè palefe anco-  ra il piacere, che ricevette Simplicia-  no in fentire , che non era caduto nel-  la lezione d'altri libri di Filofofia , pie-  ni di menzogne, e d* inganni; ma lo-  lamente in quei de' Platonici , che in*  fegnavàno la conofcenza di 'Dìo, e del  Verbo Divino , le di cui parole fono  qu ette: Gratulatiti eft ntìbi , quod non  in aliorum Pbilofopborum f cripta incidi f-  fem , piena faltaciarum , & deceptionum ,  fecundum dementa bujus mundi : in illh  autem omnibus in ftn aari Deum ' % & ejus  Verbum . Indi Agostino ileflo poi gli 1  chiamò i Filofofi di Dìo amatori ; ed  Eufebio nel libro XI. della Demolirà-  zione Evangelica , narra , commendan-  do tanto le contemplazioui di Plato-  ne, averle tratte da’facri libri degli E-'   B x brei ,    IO   *, *   brei, cioè dell’Ente primiero ndelPI-  dee , deli*, immortalità dell’ Anima ,  della produzione dell’ Univerfo ,;del  bruciamento del Mondo , del R i forgi -  mento de’ morti , della Terra cele (le*  e del Giudicio'. ultimo : il cbe vieti ri-  portato ancora da Teofilo Galeo in di-  fefa della Filofofia Platonica; ed Eu-  febio. (lefib la difugualianza tra la Fi-  lofofia Platonica ,.e T Ariftotelica in  quella maniera divisò : Mofes , Hebra't-  que Pro.pheta beate Divendi finem tn P r  ih mòdo • che fecondo  la jua dottrina il Mondo * non è già - una  monarchia , ma poliarchia y o piuttòflo  anarchia p. ciò che -San 'Gregorio Na%i.  anzeno ha' affai ben ■ condannato . *   II, Platone chiama 'Dio nofìro fovra -  no Padre:' Arinotele non conofce ver fin  Dio' per padre . 1 * «4 u«>v > -.-v. ->   III. Platone nel primo- libro della fua   Repubblica affìcura , - che Dio fia > una  fo fianca (empiici fftma : • Arinotele ah duo-  decimo della fua 'Me taf (tea , lo pone  nelC ordine degli animali > e dell' effe n^e  compone. B 3 IV-    il   . ; IV. Platone nel [e fio della fua Re-  pubblica , che Dio fta nofro fommo be-  ne : Arinotele al duodecimo, della fua  Metafiftca , che' Dio fta un bene , che  conviene folamente al primo Cielo > del  quale egli è Motore. > ,   . V. Platone nel quinto della ' fua Repub-  blica y che Dìo fta la fovraha Sapienza: .  Arinotele y che. fta un' intelligenza , che  conofcendo le cofe un he rf ali » non, f appi a  le. particolari . • •**..«   VI. Platone nel Timeo y che Dio fta   onnipotente,: Ari fot eie nell Opere fue ,  che, non abbia ' altra potenza. > che di  far muovere il Cielo. , .   VII. Platone nel.Filebo , , nel Soffia*  e nel Parmenide % thè . Dio abbia crea-  to le foftanze incorporee: Ari fatele che    tati .   ? X; Piatone , che il Mondo offendo' un  corpo , abbia . una potenza finita: Ari-,  (tot eie , che il Cielo , e il Mondo abbia-  no una potenza infinita dì muover fi .   XI. Platone y che il Cielo , e il Mon-  do^ come corporei ftano corruttìbili • A*  tintotele incorruttibili « -   = XII. Platone , che- Dìo [taf opra ogn\  e fiere , J opra ogni foftaitzai Arifioteic-y.  cbe’fìa falò foftanza .    ^ X /. . Platone che hi fogna pregare   D.io .a fiacche ci ' faccia buoni.: Anfiote -  le , , che Dio. -non .poffa- fentire, le no fi re  preghiere , non conofcendo le cofe parti»  eoi ari .   XXllvPlaton* i/ebe p uomo di buo-  na vita. i:. fta gradevole' a Dio: Art fia-  te le , che non .io gradifc4-\ t % 'non cono»  fcendolò\ «'■Vi (. ^ viv   ■.XXIII, Platone , che dopo morte , 7*   ani-      «*    *5   anime de * malfattori fatto gafligate : ' A-  ri flot eie-, ube /’ anime e fendo corrotte  Col corpo i non -patif canti- più altro . f  ■ XX^fV.- Piatone y^ thè, i' morti rifer-  gerantio' 1 Arijìotele , che dalla privanti*  otte all'abito non vi fia "rif òr pimento .   XXK Piatone , che V anirne derub-  ili faratino collocate in luogo y dove fa-  ranno molto' felici i' Arinotele non cono-  fce alcun- luogo di quefia fori a . • '■   ' Quindi il Sidonio-difle, Explicatut  Plato, ìmpiicat ut Ari fot elei, 'e il Pei  trarca del difcorfo dell* ignoranza di  fe ftefloy e d’altri, attéfta , che Pia*  toner» Divinum, Ari fot e lem Damo» iuta  Grati nuncupabant ; e però nel Trioni»  fo della Fama, così di lui. degnamene    te canto:    A •    \ \    • t I n it    . V'olfimi dà man manca , e vidi  . Plato, .......   Cfo n quella fcbiera andò più prefr  , . fo al fegno, . s  «* 4 / ?«*/ aggiunge , a chi dal cielo  ...... ^ dat o • .. '*■ ...   E fi-    *, £ finalmente tutti concordano, che  la Filofofia di Platone fia fiata la più  favorevole > ed acconcia , e quella d*  «Ariftotele la più contraria , e pregiu-  diciale alla dottrina della nofira Chie-  fa cattolica, E Sant* Agoftino attefla.  Platonica f amili* Pbilofopbos facillìme  omnium , paucifque mutatiti r fieri poffe  Cbrifiianos , Anzi un Autore, che fé*   ce una Diftertazione del modo di ftu-   « \ 1   diare la Teologia , impreca coll’altre  di Ugone Grozio De Jìudiis inflit uendis ,  vituperando aifatto la Filofofia Ari»  fio te lica , e ragionando egli degli anti-  chi Filofofi Crifiiani , così dice \ \Qm  quis effet Arifiot elicti s , eo minus • Còri-  flianum fuiffe E, de’ Padri foggiunge :  Olir» multi viri pii , (S doElì % Origene: t  Clemens Alexandrinut , Jufiinus , Augu -  jlinu ! , & alit y ex Plafoni s fcbola ad £c-  clefiam Cbriftianamtranfierunt : f ed nul-  li y aut certe pattei ex fcbola Ariftotelis ,  qui metaphyftcis ejus fpeculationibtn , &  arguti is inferii erant . E il medefimo  Autore dice f che Pietro £amo era  -fi d’opi*    Digitized by Google    d’ opinione , che fi dovefle bandire da T  tutte le Scuole , ed Accademie la Me-t  tafifica d’ Ariftoteleu Petrus Ramasi   I   ( fono parole dello fleflò Autore ) stiri  do fi us , & perfpicacis in Philofopbia ju-  dici't ( luet Ariftotelici contra fentiant )  Tbeologiam illam , quam ? Arinotele s in  Metapbyjica docet » impietatem omnium  impie tatum maxime execrabìlem , & de->  tefiabilem effe confirmat , adeoque ex A-  cadem'ùs exterminanàam , ut a multi s fa-  flit atum efi . Avendo egli ancora propo-  fto> fecondò l'ufo dell’ Uni ver (Ita di Pa*  rigi , primach’ ei fofle creato Maeftro ,  e primachè caduto fofle nell’erefla, pub*  bliche Conclufioni,per le quali foftenne,  Qutecumque ab Ari jlot eie dì fi a funt^falfa 4  & commentiti a effer , e perciò ifuoi fcrit-  ti in Francia in grandiflimo pregio fono  tenuti . £ di Guftavolte di Svezia rap*  porta il medeflmo Autore > che Omnes  Metapbyficas a regno fuo expulit t & exfu-  Idrejuffit . Come primamente Antonino  Caracalla, conofcendo ancor egli quefra  verità , vietò affatto l’ Accademie de’   ‘ Pe-    /    Peripatetici , 'facendo bruciare ancora  tutti i Iibrrd’ Arinotele . E Pietro Poi-  ret nel libro de Deo , le diede più. che  bando dalle fcuole con quella ’ defini-  zione: Pbilofopbia e fi contemplatiti , vel  cotnpages nugarum Scbolafìicarum ) Ari -  fiotelicarutii t vel fimiVtum , ad oblivi] ce n-  dum Dettm , mentemque tumidi s tenebri! t  & inquieta - pet ulani ta implendam ; In  modo che da’ mèdefimi Eretici fi con-  feda edere la Filosofia Ariftotelica dan-  nofilfima al Criftianefitrio.    : £ chi potrà giammai dubitare , che  la Fftofofia Ariftotelica- fia Hata l’uni-  ca e fola cagione, anzi l’origine ftefta  di tutte 1* creile, eflendo ciò mani fe-  llo per l’autorità di tutti gl’lftorici,  e di tutti i fanti Padri , ' che in quei  tempi fiorirono, i quali erano preden-  ti alle difpute , e ne’ Concili ftefti per  confutarle ? Aezio Vefcovo d* Antio-  chia ne’ primi tempi appunto della no-  ftra Chiefa , non fu egli Eretico, e  poi foprannomato Ateo: Astìus Atbe-  usì non peraltro, fe non perchè trop-     *9   po addetto alle Categorie d* Arinote-  le egli era , come nota Svida; ed Epi-  fanio , e Gregorio Nifi'eno lo ftefio afr  fermano.. De Chrijìo magis Academico t  quant Eccleftaftico more f ape differebat .  E fattoli pertai fofifmi Eretico , e poi  Ateo, coro’ è detto,; fu. privato della  Chiefa, e la fua fetta, ,ch’è la ftefla,  che l’Eunomiana , detta da Eunomio  fuo, difcepolo , e compagno nell’erefia;  fu fino alla morte perieguitata dagl*  Imperadori Onorio „ è Arcadio ; e Te-  miftio Ariftotelico , come nota Svida  ftefio , chefcriffe fopra il trattato del-  la Fifica ». dell*. Animai» e d’altri libri  d’ Arinotele , fu Eretico, come Gio-  vanni Filopono. ; N ice foro così d’eflb  loro dicendo : Johannes ifte Philopone -  us Alexandrìnus , . ita ut diximus T rithei-  tarum i hdereticorum pr afe Bus fuit , prò-  inde atque olim Tbemiftius Pbilofopbut  jub .Valènte Agnoetarum feft & , qua conventi» lucis ad Be-  Hai? £ S. Gregorio Nazianzeno ugual-  mente ne fa molta doglianza, dicendo :  In Ecclefiam irrepftffe captiones fopbiflicas ,  ac pravum art if cium Arinotele# artìs ,  & bujus generis alia , veìut ALgyptiacas  quafdam piagar . E altrove così . Abjice  Ariflotelis minutiloquium , Jagacitatem ,  & art ifi cium: abjice mortale s illos fuper  Anima fermones,& human a illa dogmata.  Ed in altro luogo deteftando in tutto e  per tutto Ariftotele il chiama Struggit »•  re della provi de n^a Divina . Ireneo in  in quefto modo ne parla: Minutiloquium,  & fubtilitatem circa quajìiones , cum ftt  Ariflotelicum , fidei inferre conantur :  Lattanzio così ; Arijlotelem de Deo    ìpfum fecum dtfftdere , & repugnantia di-  cere t & Jentire immo Deum nec colu-  ti, % nec curavit « San Girolamo ad Eu-  ftochio feri vendo : Attende & tu fa -  tuorum fapientum princeps Ariftoteles .  In altro luogo . Omnium b*reticorum do-  ppiata fedem fthi & requiem inter Art -  fiotelif , 0 Cbryfippi [pineta reponunt ,  & Ut fub diem cunfia concludam fer mo-  ne , de illis fontibus univerfa dogmata ar -  gumentationum fuarum rivulis . trabunt .  E femprcmai.con aperto vocabolo Gi-  rolamo fteflb verfutiet chiama gli ar-  gomenti di lui. Origene ne* libri ch’ha  fatto contro Celfo , grida in più luo-  ghi contro d’ A ri Itotele come nocivo  al Criftianefimo > e la maggior parte  degli altri fanti Padri fono del mede-  limo fentimento, come Sàn Giuftino  nel Dialogo per la verità della religio-  ne Criftiana- con Trifone Giudeo : S.  Clemente PAleflandrino nelfuo avver-  timento , . che fa a’ Gentili ; Eufebio in  più luoghi delle fue Opere: Sant’Ata-  nalio contra Macedonia no : San Gre-    Digitized by Google    gorio Ni fieno eontra Cunomio : San  Gregorio Nazianzeno più voice nelle  fue Orazioni ; Sant* Epifanio ne* libri  contro l’ercfie : Sant’Ambrogio di nuo-  vo ne* libri degli Uffizi : S Gio. Grifo-  ftomo fall* Epistola a* Romani ; e fo-  pra tutto, quel» che ne feri fie Tertul»  liano in più d’un luogo nel libro delle  Prefcrìzioni , e dichiarando egli quel di  San Paolo , Ne quii tot decipiat per  Pbilofopbiam , intende egli quella d’A«  riftorele vana , e fallace per fentenza  di tutti. Quindi Cirillo l’ A leflandrU  no gridava.* Heeretici- nìbil aìiud , quarti  Arifiotelem ruSlant . E Sant’ Ambrogio  con ugual fentimento, e colle lagrime  agli occhi dicea , Reliquerunt Apofiolunt »  fequuntur Arifiotelem . E fra Moderni  Melchior Cano così ; Habent Arifiote-  lem prò Cbrtfto , Averroem prò Retro ,  & Alexandrum prò Paulo . E tant' ab  tri, i quali l'hanno riprovato, e con*  futato , foto per timore, che non s’irn-  primefle al Criftiano un carattere deb  fa fua dialettica » per efler tutta con»   *• C tra-    traria alla femplicità della fede > la qua»  le altro non richiede , che una umile  fommiffione» e totale credenza, fenza  veruno ragionamento , e difcorfo uma-  no . E finalmente lafciar non fi dee  ciò , che ne fcrifle S. Vincenzo Ferre--  rio » che fremeva contro un tanto abu-  fo nelle Scuole . Quel Predicatore io  dico tanto zelante , che introduce la  vigilanza dell’ Inquifizione .per man-  tenere la purità della fede, non appel-  la egli queft-a dottrina d’ Arinotele, e  quella d‘ Averroe fuo feguace, Pbia  ìas ir  che nell’ anno MCCIV. fotto Filip-  po ;1* Augufto , per pubblico confi-  gli©,' come dannevoli alla noftra fe-  de i libri della Metafilica , che al-  lora folamente veduti s’erano, e tut-  ti gli altri ancorché, non veduti , e  foflcro per ^comparire , fu ordinato >  che fi ì mandafiero alle fiamme . Ec-  co le : parole . , dell’ Iflorico riporta-  .te dal medefimo Padre Petavio >  in diebus .uillis .legebantur, Parifiis. li-  belli quidam ab Arinotele > ut dice ?   » C i ban-  bamur, compo fiti t luì aocebdnt Meta -  pbyftcatn ,  éf 4 Graco in Latinum  translati; qui quoniam non folum pre-  dilla bareft fententiis (ubtitibus occafto *  **0» prabebant , ò»/»o 6 * 4/»/ sondane  investii pr abere poter ant , jufi funt 0-  mnes comburi t & fub paena excommuni-  eationis cautum eft in eodem Concilio ,  ne quìi de cetero eoi fcribere , legere  fra fumerete vel quocumque modo b abe-  re. Esfei anni dopo che fu condanna-  ta ia Metafilica dei medeiimo , il Car-  dinal di S. Stefano mandato in Fran-  cia da Innocenzio III. in qualità di Le-  gato , proibì a* Profeffori dell* Oniver-  fità di Parigi d’ infegnare più la Fifica  del medefimo Arifrotele , il che fu con-  fermato poi per una Bolla di Gregorio  IX. come ancor prima per lo Concilio  •Tu rose fe fotto Aleflandro IIL fu pa-  rimente vietato leggerli più la Fifica  a’Religiofi ; quindi dall* Università del-  la Facultà Teologica di Parigi , c da  Francefco primo fu fcabilito > Che s*   r    Digitized    37   infognale la f 'anta Scrittura , i fanti  Canoni > i fanti Padri , la Teologia an-  tica con tutta la purità e femplicità  pofjtbile , e che fe ne sbandi (fero tutte le  vane fattigliele , come riferifce coll*  autorità di molti , M. Baillet . Alma*  rico ( narra il medefimo Ifrorico , ri*  portato dal P. Petavio (tetto ) non fu  egli eretico , come feguace de* princi*  pj d* Arifrotele? Simone de Turne ce*  iebre Profettòre di Teologia della me-  defima Univerfità di Parigi, e David  Dedinant, poco tempo dopo , non fu-  rono acculati per eretici , come trop-  po attaccati, a* fentimcnti d* Arinote-  le ? Gli Abailardi t i Lombardi , i Poi-  * tierfi, i Porretatii» come Iettatori del  medefimo , non furon eglino eretici ?  Quefte fono le parole del prologo del  libro contro le fentenze de* medefimi  condannate « Quii quii hoc legerit , non  dubitabit quatuor labyrintbos Francia ,  id efl Abaelardum , & Lombardata , Pe-  trum PìEìavìnum , & Cilbertum Porre*  tanum uno fpiritu Arijìotelico affiatos ,   C j dum    3 * .   dum ineffabtìia Trmitatis , & Incarna-   tionìs fcholaflica levitate t raffi arcnt ,  multai barefet olim vomuiffe , & adbuc  errore s pullulare. I Luteri, i Calvini ,  iMelantoni , i Buceri, i Zuinglj , e '  gli altri loro feguaci , ancorché apparen-  temente fi dimoftraflfero nemici. d’Ari-  ftotele, gettarono, e coltivarono i loro  velenofi Temi , non con altri ^principi fe  non 'con quelli d’Ariftotele ftefio . I  Pomponazj , i Porzj , ed altri traligna-  rono da’ veri fentimenti deirimmorta-  lità dell’anima, non con altro errore ,  fe non con quello d* Ariftotele medefi-  mo . I Serveti , i Socini , i Poftelli ,  non con altra direzione che di lui ftefio  divulgarono que’ loro pefiimi ritrovati ;  e fceleratifiìme innovazioni alla noftra  Religione . 11 Macchiavellifmo, ch’è  lo ftefio che l’Ateifmo Exiit ( dice il  Campanella , col fentimento ancora di  Melchior Cano , dottifiimo Spagnuolo,  ed uno de’ più facondi Scola dici del Tuo  tempo, ed il maggior ornamento della  famiglia Domenicana , degnifiimo Vef-   , co-    Digltized by Google    J9   covo nell* Ifole Canariè, e fu eziandio  uno de'Padri , che intervennero ahCon-  cilio di Trento) exiìt t torno a dire,, ex    Pcripateticifmo - Il quale aggiunge anco-  ra : Ex Arinotele nata funt in Italia pe*  fiifera illa dogmata de mori alitate animi ,  & divina circa res bumanat improvi dea-  tia. £ Seneca ancorché Stoico , perchè  la Filofofia Stoica alla Criftiana li ag-  guaglia,' come dice Girolamo il Santo  nelle Aie Epiftole » non fu valevole ar  cancellare dal cuore di Nerone Aio di-    fcepolo que* peftilènriflìmi. fentimenti,  che imprefli. gli *avea. Alèflandro d\E-  gea Aio primiero maeftra f efilofófo Pe-  ripatetico. Come Peripatetico fu ancor  ' Sergio , il maeftrcnperfidilfimodi Mau-  mety il che* vien -riferitò da Pico della  Mirandola ; avendo ancoi egli ( Arido*  tele io dico) d’ una maniera- infegnato la  fua Fitofofìa ad Alèflandro , e d’ um al-  tra in Atene, quafi che varia , ediver-  fà la.lnat ural Filofofìa infegnar fi dovef»  fe ad un Principe ciré al popolo ; del che  molto-de me. querelò «Alèflandro • cor»    4 ® . . „   Arinotele fteflb , il quale fu atnbiziofó   nel dominio delle lettere , come fa  di più mondi . £ il Carpentario , an-  corché eretico, nel principio del libro   della fua JFilofofìa libera , non dice li-   • \   bera mente così tjQuis enim ita ferver fi  genti e fi , qui mecum nitro non fatea*  tur., Pbilofophorum Principi ( d* Arino-  tele ei parla )) ut bomini multa falja »  & erronea ; : ut etbnico, & pagano mul*  ta impia , & profana ; ut primo in*  fìauratori multa . manca , & $mperfe *  fi a excictife». £ il Padre Petavio ftef-  fo , torno a dire , il genio veramente  della Teologia * e delle feienze , il qua-  le degnamente appellare fi dee il fior  degl’ ingegni , e ’1 primiero letterato  tra i Padri Gefui ti , allegando l’auto*  rità. d’Anaftafio Sinai ra, non dice egli  così ?, Anaftaftus Sinaita . in eo libro quem  Via: Ducem nominavif, tefiit e fi , ha*  reticos omnet , qui vel contra Incarna*  tionit dogma nefarium movere belìum ,  ex ilio Ari fìat elico fonte fuxiffe . Indi  egli è , che 1\ Autore fiefib della Filo-    Digitized by Google    4 * .   fofia volgare re fatata ; così contro i  fetrarj del medefimo grida : Et adbuà  Arifiotelem leghi s t interpretamini , de-  fenditi ! , & exornatis.   Quindi egli è , che da’fan ti filmi Pa-  dri medefnni , e da molti favillimi , e  dotti (fimi Autori è (lato ancora nota-  to di gravifiimi errori . S Giuftino fcrif-  fe tutto un Trattato contro i dogmi a  e le fentcnze d* Arifiotele , nel princi-  pio del quale così ragiona : It nibil dà  rebus , quas definiendas ftbi commenta -  tionibus fui f ftatuit . San Cirillo nel li-  bro contro a Giuliano fra i Filofofi »  eh’ hanno errato , principalmente ri-  pone Arinotele . E' perciò molto deri-  fo da Bafilio , e particolarmente per  quello , eh’ egliafierì intorno alla Ma-  teria prima , e che la materia abbia  una limpatia naturale d* unirli i e per-  fezionarti colla forma - Eufebio nel li-  ti ro della Preparazione dell’ Evangelio*  e in quello contro i Filofofi detefia non  (blamente la vita» i cofiumi, la Filo-  fofia morale > e naturale ; ma la fua   Me-      4 **   Metafifica, come una pelle delle Re-  pubbliche. Lattanzio Firmiano il dan-  na come Sofilla ., ed a fe fteflo contra-  rio . Ambrolio ugualmente come va-  rio, e incollante.- Come menzognero,  efavolofoil riprendono Ago (lino, Teo- ,  doreto, S. Bernardo, e il .Beato Sera-  fino da Fermo . San Tommafo allegane  do Agoftino medefimo coll’autorità del  Gcllio, prova, che fia un impoflore >  come rapporta il Campanella.. Scoio,  e Francefco Mairone , come un igno-  rante affatto della Metafifica, e che le  cofe tra effo loro repugnanti a-yefle ap-  provato . Gio. Pico della 'Mirandola ,  e Francefco Patrizio il riprendono nel-  la Geografia , e nell’ Agronomia, nel-  le Meteore , nejl’jftorie degl’ animali;  e eh* egli abbia ! malamente creduto ,  che la terra fia più elevata verfo il  Settentrione, che altrove.* che’l Da-  nubio prenda l’origine da’ Pirenei . Pie-  tro Gaflcndp lo biafima nell’errore in-  torno alla Galaflìa , all’ origine' delle  Vene, c jje* nervi del cuore t c in mol-  . . •> te    s   V   N   te altre fimili cofe . Telefio, Duran-  do , Baccone , Baffone ,. l’ Harveo >•  Cherneo , Galilei , Maurneo , e Pie-  tro Alliacenfe , e Niccola di Cufa Car-,  dinali , ed ultimamente il P. Valeria-  no Magno , piiffimo , e dottiamo au-  tore Cappuccino , che fu Miffionario  al Nord, il confutano» l’ acculano, e  lo tacciano di molte altre limili fcioc-  chezze . La fomma , e la foffanza fia,  dice il medefimo Gaffendo ,che non  v’è per fona, che fenza roffore diffen-  der lo poffa , nè fenza tema , e nota ef-  preffa d’infamia, e di vituperio , che  l'eguire lo voglia nell’ impoffibilità del-  la creazione per lo ftabilimento del fuo  principio , che noii fi faccia niente dal  niente: che il Mondo fia eterno» e l’a-  nima mortale : che la previdenza di  Dio fia talmente limitata nelle cofe ce-  letti , che non fi eftenda più di queir  lo, ch’è fopra la Luna , negando an-  corai’ idee, e confeguentemente il Ver-  bo di Dio , non che Dio fteffo auto-  re di tutte le cofe : l’efiftenza degli  . An-    ^ ^ ' -   Angeli, de* Diavoli! , l’Inferno , eia  gloria beata,, e con ciò le pene adat-  tivi, e i premj a ’ buoni . Inferni , &  Supere s , effe fabulas Legislatori! e' dif-  fe nel libro II. e XII. della fua Meta-  filica. £ tutto ciò o fia propria difav-  vedutezza , o fi a perchè fi ano fiate  trafilate , e guade le fue opere , co-  llie vogliono alcuni , perocché egli fa  uno de’ maggiori Filofofi della Grecia»  di cui molto n* hanno celebrata la fa-  ma , e la dottrina, come dice Macro-  bio : Nibil tantus vir ignorare potuit *  Certo egli è nondimeno , che leggia-  mo predo Diogene Laerzio , antichif-  fimo autore , che Cleante Stoico fin  da’fuoi tempi dir folea , Peripateticit  idem uccidere , quod litteris , qua cum  bene fonent , fé ipfas tamen non nudi*-  unt * £ che il medefimo Arifiotele fof.  fe fiato chiamato in giudicio a pena  capitale dagli Ateniefi, per non poter  (offrire anche nella loro politica , e  falfa religione quei bugiardi , e corrot-  ti principi d’ Arifiotele, diruttori per   così    Digitized by Google    così dire dell* uomo , e di Dio freffo }  la qual pena egli fchifò colla fuga .  Per la qual cofa in quella maniera fcla-  mò il Campanella di fdpra lodato; Et  nos Cbrtfiiarìt retinebimus tanquam ma -  gijlrum , ne àum tontra Patres > & Con-  cilia / aera jubentia , quod jubebant A *>  tbenienfes ; & quod jus : naturar damnat  in illis, fciolonm au£lori%abit in nobisì  Abfit Cosi il fuo difeorfo conchiu*  dendo. O Ecelefia prudente r paftores ,  & o prudente s priucipes , vefirum eft  banc domenicani perni eiem agnofeert »  & prodigate . : i .   £ quel , che maggiormente reca  maraviglia egli è , che quei medefimi,  che 1* hanno comentato , difendono  Platone , dove Aratotele lo danna , e  quei > che 1* hanno feguifato in molte  cofe , non folamente 1* hanno contrad*  detto y ma 1* hanno quali infamato .  Alberto Magno l’arguifce , Quod ani-  mai Coeli mot or e m facit . San Tomma*  fo lo beffa , Quod bine Mundi eterni-  tatem adferuit > illine animarum immor •    4 « . .   t alitatevi fili contradixerit . Scoto il fot-   tiliffimo Io. fchernifce , Quod tam in -  conflanter de anima fenferit . E quel ,  che fommamente notar fi dee egli è ,  che il mentovato Alberto Magno, tan-  to feguace d’ A ri (lo te le, per lo dubbio,  ch’egli aveva» fe bene, o male avef-  fe ragionato , in quello modo prote-  •ftandofi ne’ Tuoi comentarj , conchiu-  fe : In bis nibil.dixi fecundum opimo-  nem me am propriam ; fed juxta pofitio -  nes Peripateticorum ; & ideo illos l.au-  det , vel reprebendat , non me .   Quindi S. Tommafo fteflò, difcepo-  lo d’Alberto Magno, fi avvalfe nella  fua Teologia di quella Filofofìa , e di  .quella morale d’ Ariftotele , che più.  purgatamente fu difcefa in compendio !  da S- Gio. Damafceno , avendo da ef-   • & * % « , v - ^ * W   fo prefo un modo, più particolare, e  (incero ; e il Campanella afferma , che  S. Tommafo . Nullo palio putandum  efl Ariftotelizaffe ; fed tantum Arifìote-  lem expofuiffe , ut occurreret malis per I  Arifìotelem illatis. E S. Tommafo me-    Digltized by Google    47   defìmé^iì lamentò molto con altri Fi-    lofofi più giudiciofi del fuo tempo ,  che gli Arabi, e i Mori colà nell' Àfri-  ca avevan contaminata laFilofofia, e  T Opere tutte d’ Ariftotele , per non  faper eglino molto bene di Greco; per  la quai cofa Giovanni Lomejero nel  fuo libro della Biblioteca n* avvisò ;  Qtiod fi Graca exemplaria corrupta fue -  runt , quid de bis putandum e fi , qua  in Lattnum.converfa funt ? Sed melius  cum eo a Slum efi, qtsam cum aliis , . quo*  rum opera funditus perierunt , & ipfe  c auffa cxtitit cur multa per irent , qui  aliar um gloriam adfetraxit .. Indi  Monfignor Ciampoli chiamolla Filo-  fofia Morefca t Monfignor Minturno  Barbarica , e tutti Pagana-. E ben-  ché in «tempo poi dello /cadimento  dell* Imperio , e dell; Imperatore Pa-  leologo > venuti alla noftra Italia i  Greci filosofanti , e, fcienziati, forte ri-  fiorita; la nobiltà dell’ idioma Greco 9  delle filofofie , e delhaltrd Scienze, ap-  prettano! già eStinte* e tamraerfc coll*    ♦*   innondatone de* Barberi ; eglino parò  fi manifeftarono gagliardi difenfori del*  la Filosofia Platonica » e particolar.  mente il Cardinal BeiTarione Arcivef*  covo di Nicea , e il più dotto tra elfi  fai merito di cui tolfe il Papato laru*  fiicità dell* Arcivefcovo Perotti Tuo fa*  migliare » e concia viftaj dicendo in pri*  mo luogo contro i Peripatetici , eh* e*  glino .malamente . Conantur Ariftote •  lem ex gentili) & infitteli Apoflolum f&  sere . Quoniamfides nojlr * Religionis cum  Feripatcticorum dottrina no» convenite  Ne formò molte E pi (loie ; il quale  fu poi feguitato da' maggiori ingegni  Italiani» cioè da Marfilio Ficino , Gio.  Pico della Mirandola , e da altri cat-  tolici , e particolarmente da Niccola  di Cufa , e da Pietro Bembo ambe*  due Cardinali ; il quale contro d* Ari*  itatele così fclamò: Fovemus ferpentem  inter vifeera noftra . Di maniera che  vedeli per lo più Tempre ofiervata là  Platonica t la Democritica , e 1' Epi-  curea Filofofia « e (fendo che fono tut-  to    \    Digitlzed by Google    z. . 49   te uniformi in concedendo , che gli Ato-  mi foflero i primi principi di tutte le  co fé corporee , e che il fovrano bene  del piacere non confìtta ne’ diletti in-  degni , e brutali ; ma (blamente nell»  animo , e nella vitaonetta, e tranquil-  la della virtù : non come altrimenti  voleva Arittotele , conti* è detto . .Fu  notato bensì Epicuro per così dire pla-  giario > avendo pubblicati per fuoi i li-  bri degli Atomi di Democrito, «dan-  nata in lui l' opinione della mortalità  dell’anima . Gii altri fuoi fentimenti,  per la fua moderazione, e moralità ,  fembrarono così giutti , e ragionevoli  a Girolamo il Santo , che propofe a*  Crittiani di fuo tempo la lezione de*  fuoi libri ; e da molti fanti Padri eì fu  commendato . E San Gregorio Naziao-  zeno, così ne ragiona: jQuis crederete  Mode rat us , & cafìus dum vixit fuìt fi-  le , dogma moribui probans. E Sant’Am-.  brogio ancorché più fevero d'ognaltro  fanto Padre, e nelle Filofofie più ri-  gido» pur egli ftimò effere più cpmpa*   * . D ti*    59   tìbili gli orti d’ Epicuro , che d’ Ari-  notele i portici , come affatto danne-  voli non che pericolofì ; perocché ne*  libri degli uffizj al Cri diano apparte-  nenti » così n’ avvisò ; Epicuri Hortot  tolcrabiliorcs effe Lyceo Arinoteli; . Il  che rien confettato ancora da Lattan-  zio » e da Origene contra Cello . Ari*  Jlotelem effe deteriorerà Epicurei / . Que-  lla Filofofia adunque d’ Epicuro , o fe  altrimenti chiamar fi voglia Democri.  tica » vien molto largamente di vi fata,  e comprovata dall* incomparabile Pier  Gattendi > Canonico , e poi Propoflo  nella Chiefa di Digne fua patria , Teo-  logo , e profeffore delle Matematiche  feienze in Parigi» il quale fu di pura*  e cadiflìma vita , e uno de* più illuftri  ornamenti della Francia» o quali l’ora-  colo detto delle lettere del fecol no-  Uro» di cui giudamente dir li potreb-  be , eh* egli intorno alle cofe filofofi-  che » e feienze Matematiche ne diede  il giudicio cóme Pittagora , e fpiegol-  le come Platone . Indi il volere qui ri-  pe.    5 1   petere , anche in menoma parte quel*   10 , eh* egli medefimo n’ ha fcritto ,  farebbe un ridire miferamente ciò » eh’  egli felicemente ne diffe ; e tanto mag-  giormente , quantochè noi richiede la  prefente fcrittura, per edere il tutto  notiflìmo alla Santità' Vostra. An-  zi in qualunque altra occalione che  fofle , farebbe un cimentar la propria  ftima , ed acquetarli certamente la  rota di temerario , e d’arrogante. Ma  da lecito farne qualche parola , e dir  folo > che il Galìendi avendo apprefo  nelle, fcuole la Filofofia d’ Ariftotcle,  e da eflo poi tutti i varj fiftemi degli  antichi Filofofanti , per quanto gli fu  permeilo dalla condizione umana » e  dal fuo proprio intendimento » e abi-  lità ; volle dopo feguitare , e perfe-  zionare quella d’ Epicuro , come piti  acconcia , e proporzionata Filofofia  d’ ognaltra , ammettendo gli Atomi  principi di tutte le cole corporee ;  come fende di fe Giacomo) Colonna   11 Vefcovo al Petrarca:   Da    Se    5 *   Se le parti del corpo mio diflrutte ,  E ritornate in atomi > e faville .   Softenendo però , che Dio gli abbia  creati , e che Dio averte lor dato il  movimento) e il dirtendimeato , e la  figura.   E che il corpo umano, fia di minu-  ti ffime particelle coni porto, leggefine*  libri del diritto Civile, e propriamen-  te nel Titolo de judiciis , nella Lege  ' Proponebatur , così dicendo A 1 fono Var-  rò, gran Filofofo, e gran Giurcconful-  to, e Confole di Roma, Quod fi quis  pittar et , partibut commutati s , aliam rem  feri: f ore, ut ex ejus ratione nos ipfi non  idem eflemus , qui abbine anno fuiffemur,  fropterea quod , ut pbilofopbi dicerent , ex  quibus particul'ti mìnimts confliteremus ,  bue quoti die ex noflro corpore dee e dere nt,  aliaque extrinfecus in earum locum acce*  derent. Ouapropter, cujus rei Jpecies e a-  dem confifieret , rem quoque eandem ef-  fe exifìimari &c.   Quelta Filofofia è (lata feguitata  / v in    io molte i e quali innumerabili carte-  dre dell’ Europa, e ballerebbe fol di-  re, eh* ella non è altrimenti proibita  da verun Pontefice voftro predeceflb- ;  re; anziché quali in tutti i luoghi cat-  tolici pubblicamente s* infegna , ù. ap-  para , e li profèta . Sia ancor lecito  aggiungere a tante dottrine che li ad-  ducono dal mede fimo G a flcndi , e da  altri, per corroboramento di tal Filo-:  fofia, un’ altra autorità di S. Grego.:  rio Vefcovo di Nilfa, la primiera «fé-:  dia della Cappadocia, il quale viveva  nel quarto fecolo, fecondiamo di tan-  ti e tanti fanti Padri , e Dottori della  noftra Chiefa , fratello di S. Balilio il  grande , e di S» Pietro Vefcovo di Se perocché egli diffe:  Fuit fuhita , urgebat , nova rei fui fa -  bat aures . £ finalmente foggiunfe,  Che Veritas placet , & vincit . Carte -  fius bene intelleflut, nibsl cont'met ma-  li . Onde ravvedutili gli altri , fi di-  chiararono ugualmente Cartefiani .  ^Soggiungendo ancora altriTeologi , che  fentimenti di Renato intorno all’efi»  ftenza di Dio fi conformavano con quei  medefimi di Sant* Agostino , diftefi  nel librò X. della Trinità > e -propria-   merv    5 *   mente nel capitolo X. Ed un dotti f-  fiimo Padre , di cui ne lafcia il no-  me lo fcrittore della vita di Rena-  to , vi aggiunfe molte altre limili dot-  trine > eh’ egli aveva ritrovato in pro-  va delle opinioni di Renato ; in mo-  do che ciò fu di gran gioja.a Rena-  to fteflò, in fentire, che i fuoi penile-  ri erano uniformi con quei di Sant’A-  goftino , e di Sant'Anfelmo nel libro,  detto Profologio , e d’altri fanti Padri.  E per li fentimenti dell' anima io vi  aggiungo Glaudiano Mamerto , uno  de’ più celebri fonti Padri, . che fiori  nel quarto fecolo ftefiò della noli ra  Chiefa , che compofc un divinilfimo  Trattato dell’anima t in confutando  quell’ enormilfimo errore di Faufto ,  Ve f covo di Rems nella Francia, che  tenea quella falfiffima opinione >xhe  nelle creature non vi fia niente d’ in-  corporeo; ma Solamente in Dio . Que-  llo Trattato fu dedicato. a Sidonio  Apollinare, amiciflimo di Mamerto;  .ed egli è molto elegantemente, e con   foni-    59   fommo giudicio , e finimmo • ingegno  dirtelo , in cui trattanfi le queftioni  metafifi che con ogni chiarezza , e fa-  cilità poflibile in prova dell’immorta-  lità dell’ anima in modo che non vi  è fiato chi migliore, di lui ciò abbia  comprovato . Fondando egli con ro«  bufiifiitne ragioni, che l’anima operi  tutta intera ne’ Tuoi movimenti: che  non fi mova nè verfo l’alto, .-nè ver-  fo il baffo , o altrove ; eh* ella non  fia nè lunga» nè, larga, nè più alta r  eh’ ella non abbia parti interne , nè  efierne ; e eh* ella penfi , ella fenta,  ella immagini , e penetri tutta in  tutte le fofianze : eh* ella fia tutta  intendimento , tutta fentimento , tut-  ta immaginazione , tutta di. qualità»  e non altrimenti di quantità; e final-  mente , che fia immagine di Dio »  e confeguentemente incorporea , e im-  mortale. Et quia imago Dei efi , non  e fi corpus . E che però cerchi Tempre  Dio , e defideri conofcerlo , non con al-  tra immagine di Divinità, chedelia /ua    6o   propria ; e che fola mente il corpo fi  tnifuri per lo fuo di (tendi mento in  lunghezza» larghezza, e profondità ,  e con altri fomiglianti principi , de*  quali fe la maggior parte fi veggono  nelle Meditazioni , e negli altri libri  di Renato » dir fi potrebbe , o che  Renato gli abbia stolti da Mamerto ,  ò ch’egli abbia avuto un ingegno geo»  metrico » giudo » e uguale a quello  di Mamerto . Da tutto ciò adunque  fi vede » che quelli principi di Rena»  to fiano gl’ ideili d* un Tanto Padre ,  che fu Mamerto » gran Filofofo , e  gr.and* Oratore , il quale fu giudicato  uno de’migliori, e favillimi Padri del-  la Chiefa: che meritò la dima d’ ef-  fere tenuto dotto , quanto Girolamo;  dedruttore degli errori , quanto Lat-  tanzio ; provatore della verità » quan-  to Agodino; e che fia levato in alto t  quanto Uario ; che abbia ancora fa-  vellato , come Grifodomo ; riprefo ,  come Bafilio ; confortato» come Gre-  gorio/ e che fia dato fertile » come Orofio; robufto, come Ruffino; nar-  ratore, come Eufebio; dettatore, co*  me Eucherio ; declamatore , come  Paolino ; e foavitfimo , come Ambro-  gio .   Quella adunque nuova Filofofia , o  rinnovellata per dir meglio Filofofia  di Renato, è fiata feguitata, e dife-  fa dalle migliori Uniycrfità, e proviti-  eie dell'Europa, ed infegnata pubbli-  camente nelle cattedre più rinomate  del Mondo ; e i cattolici fieffi ne fo-  no difenfori , non che gli autori , e fer-  rar] ancora , così attefiando il dottif-  fimo Sorel ne’ Tuoi libri della Scienza  universale . La dottrina di Momìt Defi  cartes oggigiorno è feguitata in molte  , Accademie , e conferenze . V* ha de*  Prof e (fori di Filofofia , che /* infegnano.  Molti fe ri appagano piu , che del -  la Filofofia antica . La quale vien con-  fermata con pubbliche (lampe da mol-  ti Religiofi , che n’han divifato tanti  e tanti libri che nulla più, approvati  da’ loro Superiori , e fpeciali/fimamen-   te    Digitized by Google    te ne fono Seguaci nelle cofe più prin-  cipali i dottiifimi Padri Merfenni , e  Detei , e Niceron Minimi . IIP. Mai-  gnani, e il P. Barde : T incomparabi-  le P. Nicolle , e il P. Malebranche ,  che nel fuo libro de inquirenda Verità -  te vi pofe tutti i principi , e tutti le  parti della fua Filofofia Opera , che fi  potrebbe appellare ' 1’ ultimo sforzo  dell’ ingegno umano ; ed altri Padri  dell* Oratorio di Parigi , i quali furo-  no ancora amiciffimi di Renato, e fo-  pra ognaltro affezionati (fimo , e mol-  to famigliare di lui , e della fua JFilo-  _ rf * fofa feguace, A ntonio Arnaldo uno de»   maggiori Teologi della Sorbona , e che  M per la fublimità del fuo ingegno , ed  eccellenza della fua dottrina , fi può  - £ /giustamente chiamare l’Aquila degl*  ingegni, lo Splendore dell’età noftra,  e il più gagliardo foftenitore della fe-  ‘uWw^r^de Contro il Calvinifmo ; il quale col  __ . , , ~fuo libro della perpetuità della fede, in   ~ * cui con robufte ragioni , e con eloquen-   za veramente Grifciana ha fondata 1*   eli*     J     e fi (lenza reale di Cri (lo nella fantini**  ma Eucaristia , e poi con altri volu-  mi , autorizzando colle fentenze de*  fanti Padri e Greci, e Latini di feco-  lo in fecolo, e della Chiefa Orientale  ancora , che fervirono di ri fpofta al li-  bro di Monsù Claudio , Minirtro di  Charenton , approvati da tutti gli Ar-  ci vefcovi , Vefcovi * e Curati della  Francia > e da altri Teologi , e Dotto-  ri della Sorbona ; ha dato tal confu-  sone a'Calvinirti , colla lezione di quel*  lo , che molti d’elfi illuminati , fi fo-  no uniti alla nortra Chiefa , come il  Vefcovo della Roccella , uno degli ap-  provatoti fuddetti l’attefta: e per tan-  ti altri libri , che quali ogn’ anno di  fua vita ha dato alle (lampe , fe ne  va carco di gloria , e d* anni con  quella folitudine , propria d* un let-  terato in Olanda , dove gran tem-  po menò la fua vita ugualmente  Renato , con rifiuto magnanimo  delle cofe del Mondo . Parimen-  te furono di Renato amorevoli il   Car-    I    «4 ,   Cardinal de Bagne , e il Cardinal di  Ecrè, e il Cardinal Berul , e il Car-  dinal Barberino* quando ei fu Lega»  to alla Francia * il quale tanto fu a-  mantiflìmo delle cofe dell’anima > che  non per altro . pare * eh* egli avelie  trasportato dall’ idioma Greco al no*  Uro Italiano la vita di Marco Aure*  lio Antonino Imperadore , eh* ei def*  crifle di fe fteflb a fa fteffo * fé non  per dedicarlo all’ anima fua , come  Specchio veramente, e dottrina , quel  libro* delle cofe morali * che ponde-  rar fi debbono dall* uomo ; perciocché  tutte le cofe di quaggiù, anche in ai-  tiamo grado confiderate * fvampano  in nulla . Fu protetta » e difefa anco*  ra quefta Filofofia da tutti i Principi*  e potentati ftelfi d* Europa } e partico-  larmente dal Re di Francia* che grati-  ficò di due penfioni Renato* e dalla Re-  gina di Svezia * in cafa di cui egli mo-  ri * ed ella in grembo della Chiefa ;  coftà venuta , e fatta cattolica per o-  pera fola d’un folo Renato * com’ el-  la      65   la fteffa afferma in fua lettera , che fi  legge nella vira del medefimo; l’auto-  re della quale narra ancora , che la  iua maniera di parlare della Religio-  ne fece convertire alla noftra. Chiefa  il Marefciallo di Torrena , un Ateo ,  e due Proiettanti; e dalla Principcfla  Ehfabetta r fu nomato il refugio de’  cattolici di Olanda , ed al medefimo  furono celebrati i funerali con aflìften-  za di molti Prelati, e delì’Ambafcia.  tore di Francia -, e d* altri perfonaggi  illuftri t ed Ecclefiattici , e fu compian-  to con funeftiffime Orazioni, e lugu-  bri apparati dalle migliori Accademie,  a cui ugualmente furono rizzati più e.  pitafj e maufolei, ed impreffe medaglie  in memoria della fua pietà , e dottrina .  - Ed ancorché i Padri Gefuiti , i  quali poffono dar norma, ed efemplo  per la loro dottrina , e - fantità di  coftumi , abbiano, particolare infti-  tuto , e regola di feguitare affolu-  tamente .la . Filofofia d’ Ariftotele ;  il che vien riferito ancora da uno   E fcrit-    66   fcrittore , così dicendo : Apud Jefuitas  ie gibus fauci curii e fi , neminem in Pbilo -  fopbia prater Ariftotehm [equi , qua  caufja e(ì, cur rnjtltt Ortbodoxi non alia  de c auffa Pbilofopbiam rimentur , quam  qmd abfque ea non poffe cum Jefuitis  rette difputari ; nulladimeno vedefi ,  che molti d’ elfi di celebre .fama , e  d’ una vita efemplare , non fedamente  la FUofofia.Ariftotelica hanno trala.  fciata, ma quella novella forma difi-  lofofare hanno abbracciata , come fo-  no il P. Fabbri , • il P. Cafati , ' il P.  Grimaldi, il P Lana, il P. Pardies »  e il P. Bartoli . La qual cofa li olTer-  va per lo modo di filofofare , fpiegan-  do gli effetti della natura per mezzo  delle particelle, eh’ eglino -han tenu-  to ne’ loro libri già pubblicati alle (lam-  pe , le quali non altrimenti permettonli  fe non coll’ approvazioni d’altri Padri, ,  a ciò deflinati dal medefitno lor P.  Generale, o Provinciale . Il P. Char-  let , ugualmente Gefuita , che fu affi-  ttente Francefe del P. Generale della  Compagnia, e milfionario nell’Attjefi*  ca, non fu egli amico , protettoref^é  direttore di Renato? 1} rJ*>j Giacomo*  Dinet ^Provinciale nella Francia,:^*  conf flore di Lodovico XIII. e di Lo-:  dovico XI V. non fu affezionato di Re--  nato raedefimo ? Ilr:P.:Braudin firnil-j  mente Gefuita, benché una volta, gli?  avelie contraddetto » e riprovate lo,  Meditazioni , non fu egli medefimo £>  che ravvedutoli, fi riconciliò con Re»  nato IfelTo per mezzo del medefimo P.;  Dinet ? Il P. Atanafio Kircher preoc-'  cupato una volta dall’odio contro Re-»  nato, non procacciò poi la fua amici»  zia, e corrifpondenza èri! P. Miland  ugualmente Gefuita, non fu feguace  della Filofofia. di Renato, riducendo;  in compendio le di lui Meditazioni , ed  in metodo Scolallico per infegnarle a’  fuoi difcepoli ? Anzi quello medefimo  Padre prima di partire per 1* America,  volle oflequiofamente , e con particó*  lar fentimento dar. 1* ultimo addio: a  Renato fuo amiciflìmc , quali che in   £ 2 tal    68 '   tal dipartenza non fendile altro cor-  doglio, che di lafciar Renato , non  già i Tuoi compagni , i parenti , e la  patria fteffa. Il P. Stefano' Noe! non  fu egli parziali (fimo di Renato, e fat-  to Rettore del Collegio di Chiaramon-'  te a Parigi , non dedicò i due fuoi li-  bri di Filìca a Renato , conformandoli  co’ fentimenti del medefimo ? Pren-  dendo ancor egli la difefa contro Paf-  cale per l’opinione toccante il Vacuo.  IlP.Vatier, parimente Gefuita , non  fu egli fettario di Renato , ed appro-  vante delle maniere di fpiegare il fa-  crofanto mifterio della Santilfima Eu-  cariftia, fecondo i fuoi principi, e ra-  gioni? Il P.Grandamy gli fu finalmen-  te amiciflirao i II P. Francò , il P#  Fournier furono tanto amici di lui ,  che gli dedicarono i loro libri-. Il P.  Fonfeca, benché Portoghefe , e il P.  Ciermans Fiamingo , ma ugualmente  Gefuiti, fecero un elogio alla Metafi-  lica del medefimo . In fomma tutti i '  Padri-Gefuiti de’ Collegi della Fran-  i eia    Digltized by Google    69   eia furonoapprovatori , e fettatori della  filofòfia di Renato, co’ quali egli ebbe  una continua corrifpondenza , e vicen-  devoi commercio di lettere ; e della Tua  vita ne' due libri ultimamente pubbli-  cati. Ed ancorché pochi anni fono ilP.  Rapini , Umilmente Gefuita fi fia al-  quanto allontanato da’fentimenti di Re-  nato , dicendo egli molte cofe contra lui,  ie quali quanto fian meritevoli di rifpo-  ila lo dican gli altri , noi comportando  la prefente Scrittura ; nulladimeno il  xnedefimoP Rapini, parlando egli pri-  3 fiieramente del Cavalier Digby,eflerfi  egli tròppo attratto nel fuo Trattato  dell* immortalità dell'anima , così di  .Renato favella : Le Meditazioni Meta «  .fifiche del Defcartes hanno avuto della re.  f> ut azione j perch'egli s'interna più che al -  .trinci midollo di quefte materie. Soggiun-  gendo a quefte parole l’autor della vita  di Renato . Senza eccettuarne t Gefuiti  Suarez , e Fonfeca , de* quali prima egli  aveva parlato, e che p affano per i migliori,  e più profondi Met affici delle Scuole . •   E 3 Ag-    Aggiungendoli ancora , che-veden*  do le Univerlìtà Protettami di Bafilea  e d* Olanda effer pur troppo pregi udi-  ziale la Filofofia di Renato al Calvi*  nifmo, Il concitarono tanto contro Re*   . nato , che non contenti di fori vere con-  tro la fua dottrinargli ordirono anco-  ra contro la per fona molte calunnie,  in modo che GisbertoVoezio Miniftro  d* Utrecht , per avergli oppofto con  malignità il     Ir   r»       V    *   {   t    >    t   ì   |   *   *    t   .ì   r • —    74   tìamo le vivande fenza penfarci , dice  il dottiffimo Boezio, noi refpiriamo  dormendo fenza ciò considerare, e tan-  to meno faper fi, pofTono 1* altre cofe  naturali , e celefti . Jacent ( ne laSciò  fcritto Cicerone ) ita omnia crajjts oc»  calta , & circumfufa tenebris , ut nul-  la acies bumani ingenti tanta fit , qua  penetrare . in coelum , & terram intrare  pofjit i Corpora noftra non novimus , qui  fit fitus partium , quam vim unaquaque  pars , babeat ignoramus . L’Angelo del-  le Scuole manifestandone la ragione  nella fua Somma, così favella : Quia  ratio bumana in rebus bumani s ejl multum defciens , cujus fignum ejl , quia Pbilo/o-  pbi de rebus bumanis naturali invejìi-  gatione perfcrutantes in multis errave •  runt , & / ibi ipftt contraria \fenferunt ..  Il che Similmente avea detto Crifo.  Homo ; Hi ipji , qui ad omnem pom-  pam de Pbilofopbia gloriantur, multos ,  & plurimos de eifdem cauffts fcribentes  libros , non modo fimpliciter difcepta-  rmt t fed ttiam ftbi contraria pleraque  ' di »    X    1S   dixerunt . Quindi Sant’ Agoflino fteflb,  delle cole Metafifiche ragionando, con*  figliò : Noli qu^rere quid fit Veritas %  fiatim entra fé' oppone nt calìgine! imagi •  num corporalium , & " nubila ■ pban t af-  ta at a , & pertutbabunt ferenitatem t  qua primo iftu diluxit tìbi , ut dìce-  rem Veritas . • Non perchè quella non vi  lìa ; ma perchè di quella capaci non fu-  mo , dille il medelimo ! Cicerone . Ve-  ri effe al'tquìd non negamut , pertipi pof-  fe negamus : E altrove : Non enim fu-  mar ii , quibus nihil verum effe videtur ;  fed qui omnibus veris fai fa quidam a-  djunSla effe dicamus tanta fimilitudi -  ne y ut nulla inftt certa judicandi , &  difcernendi nota . £ quella è la cagio-  ne , per ria- quale tanto fi lamentava  A gofiinò medelimo dell* ignoranza u-  •mana. QUomodo hoc fcio, quando quid  fit tempus nefcioì-An forte ne feto que-  madmodum- die am quod fcio ? Hei mi-  bi , qui nefcio faltem '-quod nefeiam !  Come Plinio parimente compaifionan*  do tutto l’uomo , ftimollo in ciò piò   mi*      L     9     f    »   ' 1   $   i    an incredibili celeritate vol-  vatur : quanta fit terra crajjitudo , aut  qtitbus fundamentis librata > & ( ufpen -  fit . £' volere ciò difputare, e con-  ghietturare Lattanzio il medefimo di-  ce , non e (Ter altro , che difeorrere , e  giudicare di cofe fatte in remotifiime  parti non mai da noi vedute , o fapu-  te . Quindi il medefimo Lattanzio- ,  così ragionando , il fuo difcorfo con-  chiude : Si nobis in ea re feientiam  vendicemus , qua non potejl feirì , non-  ne infanire videamur , qui id affirmare  audeamus , *» quo revinci po/Jimus ?  Quanto, magis , qui natura Ha , qua jet*  ri ab bomine non poQunt , /city />«-  , furìofi , dementefque funt ju di-  cati di ? £ A rnobio così ; X?*»*/  incerta r fuf-  penfa ; magìfque omnia verifimilia , quam  vera , Minuzio Felice dille , Indi il  Poeta .j   In-    8 $   Incerta bac ft tu poflules '   Battone certa facere nihilo plus  ■ 1 agas >   Quam ft des operata , ut cum ra-  • tione infantai .   £d in confermamento di ciò , fs noi  riguardar vogliamo a quel, che n’han  giudicato i medelimi , e i primi fetta-  tori delle Filofofie, ritroveremo , eh’  eglino fteffi han detto > aver fondato  il filofofare fu i principi dell’ ignoran-  za medefima, comen’avvifà Arnobio  fteflo . Ipft denique principe t & feti a-  rum patres , nonne ipfa e a , qua dicunt ,  fuit eredita fufpicionibus dicunt* Zeno-  ne, e tutti gli Stoici negarono 1’ opi-  nazioni ftefle .• Opinar i entra , te feire ,  quod nefeias , non ejl fapientis , fed te-  mer a rii potius , ac fluiti . Socrate ,  Quod neque feiri quicquam poteft, nec  opinati oportet . Adunque Tota Pbilo-  fophia fublata efl , difle Lattanzio.  Ariftotele fteffo ne’ libri della Metafi-  sica così ; De bis- enìm omnibus non mo-  ** ’ Fi do    \    84   do invenire veritatem difficile ejl , verune  ncque bene ratione dubitare facile ejl .  Gli Accademici contro a’ Filici, Nul-  la m effe fcientiam , ed ogni cola proba-  bile . Democrito , che la verità delle  fcienze ftia nell’- abiflò nafcolta . Arce-  fila ( narra Epifanio ) nomato il mae-  ftro dell’ignoranza da Lattanzio ftef-  fo , niente doverli affermare di certo ,  negando all’ uomo la fcienza , riponen-  dola lolo in Dio , e Dio ftelfo Non nifi  ignorando fcire pojftmus Là onde Cice-  rone così tutto il fuo detto fiabililce :  Arcefilas ftbì otnne certamen inftituit ,  non pertinacia , aut fludìo vincendi , ut  mihì quidem videtur , fed earum tettine  ohfcuritate , qtu ad confejjionem ignora-  tionif adduxerant Socra tem , & velutì a-  mantes Socratem, Democrìtum , Anaxa-  goram , Empedoclem , orane s pane vele-  rei ; qui nìbil cognofci , nihil per dpi , ni-  hil fciri pofje dixerunt : angttjlos fenfus ,  imbecillos animoiy brevia curricula vita t  & y ut Democritus , in profundo verita-  tem effe demerfam; opinicnibus , & injìi -   tu-    S J    Digitized by Google    8 5   tutìs ornata teneri : . nìhil ■ ventati reità*  qui : deinceps omnia tenebri! circttmf ti-  fa effe dixerunt . £ della varietà di tan-  te opinioni , dell* incertezza delle fa-  enze y e della moltitudine di tanti Fi-  losofi giudiciofiffi ma  pirico così ne ragiona : Ita etiam in'  hunc mundum , velati in quamdamma -  i gnam domum , accefjìt multitudo Pbi -  lofophorum t ad quarendam veritatem ,  quam qui acceperit e fi veriftmile e am  non credere , quod reEìe conjecerit . li  quidem certe non dicit ejse \aliquid ,  quod judicetur verità! , propterea quod 4  in eorum ,r qua funt natura , nìhil pef-  ftt comprebendi . Il che vien confermato  ancora da Galeno, così dicendo: Scien-  tiam neque apud Pbilofophoi , prafertim  dum rerum naturam perfcrutantur , in-  ventai . Ammonio tanto fettario d’ A-  riftotele fteffo n’allega la ragione: Quia  diverfitate opinionum, diverfo modo rei ef-  fe verni velf alfa! : quoniam autem opinio-  ne ihominum varine funt ,& incerta , ideo  fcientiat quoque e] se variai , & incerta!, ac   F l prò -    86   proinde nuìlam effe rerum eertam f, eie ».  tiam , & veritatem. Avendo ciafcuno  il fuo fenfo , e la fua fantafia a parte,  perchè , come fi dice , quanti uomini,  tanti pareri:   m   Mille homìnum fpecies , & rerum  difcolor ufus .   Per la qual cofa è egli moltd virifimi-  le, che ognuno dipenda dalle fue fan-  tafìe, ed opinioni , Cum fit ftngulis o-  pinio affluxus diffe Empirico fletto; di  qui viene , che Eraclito nominava O-  pìnìonem facrum morbum . Quella è  quella , dalla quale fìam tocchi , e  non dalle co fe medefìme, la quale di. -  pende dalle prevenzioni , ed anticipa-  zioni della mente , Sua cuique cum (tt  animi cogitatio , colorque prior . Come  ancora per la flima fuperiore al meri-  to , eh’ ognuno fa di fe flefTo * cagio-  natagli dall’ amor proprio, eh’ è il più  cieco, ed il più violento d’ognalero,,  a niuno ceder volendo : Pbilautia enim  ejl omnium amorum violentiffìmus , cete-   .. * ToJ-    i   *7   rofque fuperat ; vien fempremai a darli  cieco , ed imperfetto il giudicio . A -  mor , ftcut odium , ventati! judicium  nefcit , ditte Bernardo il Santo. E 1*  uomo non ha altro di proprio, che il  mentire, e *1 peccare . Nemo enìmba v  het de fuo y nifi mendacium , & pecca -  tum . Per la qual cola , torno a dire  con Lattanzio fteffo: dov’eglièla Fi-  lofofia? O coll'autore de’ cinque Dia-  loghi , della Filofofia fletta parlando :  Non e fi enìm de terminisi fed de tota  profefftone coment io . Cioè, che non vi  fia affatto certa , e determinata Filo-  fotta, anche Propter natuv alerti borni -  num ad difjentiendum facilitatem . Re-  nato medefimo per primo principio  nelle fue Meditazioni non pone egli  1’ averli Tempre a dubitare nelle co-  fe filofofiche? In modo eh’ e’ con mo*  deftiflima protefiazione la Tua Filo-  fotta dirtele , confettando egli . dì fe  fletto nella IV. Meditazione così . Cum  enìm jam feiam naturam me am effe vai -  di tnfirmam , & limitatam . Ed etten*   F 4 do-    88   dogli (lato una volta afpra, ed acerba-  mente jfcritto contro da un Padre Ge-  fuita , di cui virtuofameate non volle  palefare il nome alle (lampe , fé ne la-  mentò benignamente in una lettera ,  che fcriffe al P. Dinet Tuo amico , ri-  chiedendogli , ch’ei tro valle il modo,  acciò gli fi notificaflero gli errori , per  emendargli , così dicendo-; Nibil enim  inibì cptatius efl , cjuam vel opinionum  mearum certitudinem experiri , fi forte  a magni! viris ex aminata nulla ex parte  falfa rsperiantur , vel faltem errorum  admoneri , ut ìpfos emendem . Come di  (e (teffo Agoftioo il Santo : Si ahquid  vel incautius , vel tndoSìius a me pofitum ,  ab aliis merito reprebenderetur , necm't-  randum e fi , nec dolendum ; fed pottus ì-  gnofcendum , atque gratulandum , non  quia errai um eft ; fed quia improbatum.  E pure quello Padre non aveva lette,  nè vedute l’opere di Renato ; così egli  fcrivendo nella medefi ma lettera: Etfi  enim mibi valde indignum videretur ,  hominem Rtligìofum , cum quo nulla    n    *9   mibt unquam inìmìcitia , nee quidem  notitia intercejjerat , tam . publice t  tam aperte , tam infolenter de me ma •  le dixìfje , nibilque aìiud balere excu «  f atlanti , . quota quod diceret , fe Dif*  fertationem meam de Metbodo non le*   gip-- \ •   £ tutto quello perchè ben Sapeva  non eflervi certo filtema di Filofofia,  che l’uomo Scuramente Seguitar do*  vede ; elfendo ella in tante fette di-  vifa j che Varrone fin da* Suoi tem-  pi ducento ottantotto ne conta , e  Temiftio trecento: onde Sant’Ambro-  gio gridò: lnter bas diffenfiones , qu&  veri potejl effe affina t io ? £ Lattanzio  ugualmente così : In qua ponimus ve*  ritatem ? In omnibus certe non potejl  Or che direbbero Ambrogio, e Lat-  tanzio Hello fe foffero a* tempi no-  ftri , ; vedendoli in maggior numero  Sopraggiunte , ecrelciute ? E quella fra  Religiofi (ledi , dalla Chiefa non con-  traddetta , quella io dico sì fiera , e da  non mai rappattumarli , e quietarli tra   Tom-    9  . „ . .   Tommifti» e Scotifti , Nominali , Re-  alifti, ed altri, e tutti Ariftotelici , a  fembianza degli Arabi , de* Greci , e  Latini , i quali eran difcordi in fegui-  re , ed interpetrare 1’ opinioni del me>  delimo Arinotele, come rapporta Pi-  to della Mirandola . Per la qual .cola  Teodoreto fin da* Tuoi tempi fciamò :  In litibus omne fiuditim , ornai s   nibiì denique de quo univerfi una men-  te , ac voce confentiant . £ San Bafilio  di quei , che furon tenuti i primi Savj  della Grecia, dice non efiervi nè an-  che una fola ragione ferma, e collan-  te . Nee fola quidem ratio , apud Gr ita ut eos refel-  lere nibil fit negotii , cum illi propria  dogmatibus evertendo fujficiant. E Teo-  > doreto (ledo in quella maniera favel»  la : Et Ht fiorici, & Pbilofopbi , & Po~  età tum de anima , tum de corpore ,  tum de bominis genitura , & confiit ut io-  ne inter fe litem exercent , dum olii  qttidem bac » alti vero illa pr a ferunt ,  alti rurfus & bis & - illis contrariam o-  pinionem adducunt , neque enim verità-  tìs dicentes fiudio , & defiderio teneban-  tur ; fed inani gloriola » & ambitioni  fervientes, ex quo fané faBum efi, ut  in errores multo: inciderint . Per la qual  cofa in quella maniera n’avvisò Minu-  zzo Felice : Itaque indignandum omni-  bus y indolofcendumque efi , audere quof-  dam certum aliquid de fumma rerum ,  ac majeftate decernere » de qua ab o-  mnibus faculis feftarum plurimarum uf-  que adbuc ipfa Pbilofopbia deliberat *   Ed    i t    Ed allora » che le Filofofie de’Greci in*  cominciarono a comparire al cielo Romano, i Romani ftelfi non s’appiglia*  rono a veruna d’cfle, foggi ungendo Ci-  cerone , perchè non eran sì balli gl’ in-  gegni Romani , che avelfero a foggia*  cere alle altrui difcipline ; perocché Ro-  ma t che aveva trionfato nell* armi ,  non comportava farli fervile alle lette*  re : anzi i Romani ftelfi non fi manife*  fìarono giammai fettatori d* alcuna Fi-  losofia, ed i Nobili li guardavano, co*  me da una pelle , di non efl'er tenuti  tali ; perchè certi , che avevano prò*  felfato la fetta Stoica , come Bruto ,  e Caffio ; Aruleno , e Sorano ; Sene*  ca, e Trafea , ed altri erano tutti mal  capitati , come macchinatori di congiu-  re > quantunque Seneca flelTo avelie  altrimente prote flato in una delle fue  .Epi Itole , dicendo : Non me cu'tquam  mancipavi , nttllius nomen fero , multum  magnorum ingenio virorum tribuo , ali -  quid et fi meo vindico . Onde lubito che  alcuno attendeva alla Filofofia, ca-    , 93   deva nell* ifteflo fofpetto , come di (Te   Tacito di Agricola fuo focero . E a 'tem-  pi notòri dal Re di Francia con un fuo  arrefio delli d’Ottobre 1668. fu  proibito a tutti i fuoi fudditi di chia-  marli l’un l’ altro fettario > e fpecial*  mente Gianfenitòa. I fanti Padri me-  defimi avvertirono non dover elfere  fettario 1 * uomo , e fra gli altri Cle-  mente 1’ Aleffandrino > così dicendo :  Praterea non particularìs fefia efi eli-  genda , [ed quidquìd omnes reile dixe -  runt Stoici , Platonici , Epicurei > Ariflo-  telici . Hoc totum [eie Slum dico Pbilofo-  pbiam. E Sant’Agoftino nel libro deh  le Confezioni, diffe, Non iftam , a ut  illam feti am , [ed ipfam , quacumque ef-  jet , fapientiam diligebam > q vare barn ,  & ampie Sì ebar , Quindi San Tommalo  ne’ fuoi Opufcoli infegnò con Agotòino  medefimo , Non effe adfentiendum alieni  Pbilofopbo in fcbola Cbriftiana , [ed ex  omnibus decerpendum^quodreiìe dixerint.  E fra moderni filofofanti Pietro Petito  afferma nelle Differtazioni , che fece   in-    Digitized by Google    f    »♦   incorno alla Filofofia ftelfa di Cartellò ,  doverli notare d’arroganza colui, che*  preflumcr voglia d’ alfentire più ad u-  na fetta, che ad un’altra , la ragione  egli rendendo : Ne uni precipue inba-  rentes , in alias fotte me Hot e s , iniqui,  & contumeliofi viderentur . Ed ancora  quell’ altra» perchè non puote perfo-  na veruna, benché a tutt’ uomo vi s*  applicale , apparare , e farli capace  di tutte; conciolfiecofachè non potreb-  be darne retto giudicio , lodando più  una , che un’ altra Filofofia . Omnium  ( die’ egli ) fetta rum fieri perfette pe-  ritum , humanum piane captum exce-  dit . E a fen lenza d’ Euripide .* Unus  non omnia vìdet . E Galeno così : Dif-  ficile effe , ut qui homo fit , non in  multis peccet , quadam videlìcet peni-  tus ignorando , quadam vero male in-  dicando , & quadam tandem negligen-  tius fcriptis tradendo . E quando vo-  glia alcuno vantarli di fapere , appet-  to di quel , che non fa , egli è nul-  la , dille Temiltio . Ea , qua novimuty   por-    I    i    Digitized by Google    9 $   por t ione minima contìnentur , fi .colla*  ta, & comparata bis fuerint , qua igne*  ramus. E Paganino Gaudenzio Teolo-  go , e Protonotario A poftolico nel Li-  bro degli errori delle Sette , parlando  egli delle Scuole di Zenone) di Plato-  ne , di Democrito , e d’ Arinotele ,  così n* avvisò : Illusi quoque colligendum,  in iis , in quibus nobis Cbnfiianis diffi-  derà licet > non effe exploratam verità *  tem. Magna nobis fas e fi uti liberiate  extra illa , qua arcem Re ligio ni s non  refpidunt , ut defendamus , quod nobis  probabilius videretur.   , Ora egli è vero , com’ è verini-  mo, che quei medefimi tanto fegua-  ci d’ Arinotele fono gli autori , oppu-  re gli approvatoti neflì dell* opinione  probabile nelle cofe Morali , ammet-  tendola per lo parere di due , ed an-  che alle volte d’un folo Teologo, dot-  to , e dabbene ; perchè nella Èilofofia  non ammettono ugualmente la proba-  bilità per tanti, e tanti gravifiimi au- -  tori, e Teologi , e fanti Padri medeli-   mi.      9 t   mi , dove ancora vi è la libertà di file*  fofare , fecondo Ariftotele fteffo ? Per-  chè concedere la probabilità nelle co-  fe Morali, e poi nelle Fifiche negarla?  Perchè amettere la probabilità in quel-  le co fe, che riguardano i precetti del  Decalogo, e di Cri Ilo, e poi contrad-  dirla nelle Filofofie , così incerte , e  dubbiofe? Perchè approvar , per co-  sì dire, la libertà di teologare, e poi  oppugnare la libertà nel filofofare ? In-  trodurre il probabile nelle cofe fpiri-  tuali, l’improbabile nelle feienze uma-  ne : magnifiche opinioni nel mefiiere  dell’ anima, Gretti cancelli nell* ope-  razioni dell’intelletto, argomenti nel-  la Morale, freno agl’ingegni : fetenza  nelle confcienze, confidenza nelle fet-  enze : ed in un motto , Accademici  nella ^Teologia, Dogmatici nelle Filo-  fofie : Filofofi nella Teologia , e nella  Filosofia Teologi?   Di qui neceffariamente nefegueper  forza de’ loro argomenti medefimi , o  che neghino affatto la probabilità nel-  le    97 '   le co fé Morali , o feguitandola , la con-  fe(fino .lunga certamente s’ in-  gannerebbe , perocché eflendo.fi dopo  tante fette fcòvérro, -nuove' delle, nuo-  vi pianeti , ed altri fenomeni,: e tane*  altre cofe, e quali :un nuovo Mondo *  par eh’ egli era d’uopo di nuova Filo-  fofia per inveli igarle , non badando 1*  antiche, per le quali torno 3 dire con  Seneca dedo , Multum adhuc re fìat 0-   - perii, multumque refìabit ; nec ulti noi  to pofl mille facula pracludetur oc c a fio  aliquid adbuc adjiciendi . E altrove c  Veniet tempus i quo po/leri nojìri tam a+  perta noi nefcìffe mirentur . Plotino  predo Teodoreto così : Multa , qua  nobis 'ohm latebant , ipfa die i invenie tJ   Ed il Poeta:   • v . * •   Multa dies 9   tabilii avi   f 4 k • • t *   Rettulit in melius   • 4 * # « * • 0 t • •   » • * ' ,» * » t   E noi fopravanzando in due mila anni  d’ efperienza , fiam piuttofto fuperio-  ri . . Indi Cicerone tteflò fin da* Tuoi  tempi vantava d* efferfi la fua etàl.u-  gualmente fatta fuperiore nell’ arti, e  nelle» feienze , perchè più finamente  refe migliori , e perfette , come ugual-  mente de’fuoi tempi affermò Tacito .•  Nec omnia apud priores meliora , fed  nojira quoque atas multa laudit > . &  art tu m imìtanda pofleris . £ che i Mo-  derni abbiano trapaflato , e fopraftat-  to gli Antichi > egli è chiaro per tanti   G 3 fpe-    variufque lai or ma-    I    102 .   fperimenti , e. nuovi inftrumenti per  elfi fatti nelle celebri Accademie di  Firenze, della Fraocia , della Germa-  nia, dell’Inghilterra , di Lipfia , ed al-  trove ; come ancora per molti libri  ciò fi comprova ,• e particolarmente per  quelli delPerhault nel paragone tragli  Antichi, e i Moderni; e del.P. Rapi-  ni nella comparazione de’ medefimi %   , * * i « V * * ' * . | * *   dottilfimi in vero , ed eloquenti Ili mi  fcrittori . Quelle fono le parole del me*  defimo P’ Malebranche : Si quis Ari-  jìoteiem , & Platonem taf allibite s fui ([e  crederet , tum ih folis dumtaxat intei «  ligendis merito • forte incumberet , [ed  quii id credat , cui faltem mens jana  fuerit ? quin ratio noe monet ìpfos no-  vi s Pbilofopbis inferiore s effe , quippe  bis mille annorum , quo tempori s fpatio  silos Pbilofophos fuperamus , experien-  ti a nos efficere debuit pe/tticres . E  più nobilmente da Renato {ledo in  quella maniera : Non eft quod anti-  quis multum. tribuamus propter antiqui-  tatem , (ed nos  potius jis antìquiores  .... di-    Digitized by Google    10 $    dìcendi ; jam en'rn fenior e fi mundus t  quatti tutte » major emque babemus rerum  experientiam . Il che fu detto fi foll-  mente prima dal P. Antonio Pofle-  vini dottillimo , ed eruditismo Ge«  fuita - \Quamobrem fi diutius vtxijjet  Anftotekt , vel fi jam revwifceret pofl  tot fxcttla » quibtts ali £ res innumera t  ac propemodum alter orbis emerfit , mul-  ta effet correSìurus , quia contraria not  experimur . Ed anche fulle feene dal  latiniStno Comico . • r-   I   Res y tetas , ufus » aliqtiid adpor-    ' ; tet novi y   Aliquid admoneat , ut qu quos varia de parte  Ventai éff anditi- non cernant , propte>ea  quod uni fefe Arinoteli non dediderunt  fnodo y fed adeo devoverunt , ut fi fue -  rit opus , prò dogmatibus ejus tuendit  in fierrum , fiammamque ruaUt;' in cu -  jus Pbilofopbia fi quafdam opinione s pra-  va! conce perù ut $ ut iffum , fi furgeret  e a defiomacbaturum putem &c. -E vicn  confermato ancora dal medesimo So-  rel , così dicendo .* Noi ci' prete jìia-  mo di voler men male ad Arinote-  le , che agli 'Arifiot elici . ; JZjfi fono  guelfi , che ofiinatamente #* oppongono a  cofe > ch’egli , fe vive (fé riceverebbe   con piacere , per far profitto de' nuovi  lumi , che ai .Mondo comparir vedreb-  be. Lamentandoli ancora il medefimo  P. Malebranche , che li ut piar imam,  qui adverfus quafdam Pbilofopbia veri -  ’tates : ree e ns ‘ compertas pertinacia s ob-  firepunt , quibufdam innovatìonibus in  Tbeologia detefiandis, pertinacia! a db at-  tere 1 & indulgere videntur-. Quando   i fe-    Digltized by Google    iò 5   i feguaci fteflì d” Ariftotel® , Ammo-  nio dico» e Simplicio» : antichilfimi au-  tori, avvertirono non dover effere gl»  Interpetri ^cogì attaccati a’fentimenti  delmedefimò» cornei ex tripode pro-  nunziati, e tanto meno , come fetta-  rj fcguirgti . Ammonio così: Horum  . vero explanatcr debet ; neque per bene -  volentiam afiruere conari ea , qua per -  per am funt ditta , ac velati a tripode  ea recipere t fed fuum ìpftus adferre  dicium . Simplicio in quell’ altra ma-  niera : Dignum autem Ariftotelicorum  fcriptorum expofetorem oportet , non ef-  fe vacuum undequaque magnitudine il-  lius mentis . Oportet quoque judicium  babere fwcerum^ jut neque ea , que re-  tte ditta funt , malo more fufcipiendo ,  invalida ofiendat , neque ft quid ani-  madverftone indigeat , omni contentane  inculpabilia moneret , velati in Pbilofo-  pbi fettam fe fe infcripfe/tt •   Anzi infra i Giureconfulti ancora ,  i quali a guifa di Filofofanti fi divife-  ro ugualmente in fette , chiamandole   Tul-    v    ioS   Tullio Famtlias diffentìentet ; legge fi,  ch’eglino non erano cosi pertinaci in  feguire le loro fette , che liberamen-  te non dicefiero i loro proprj lenti-  menti , ed alle volte a quei della con-  traria fcuola non aderifiero , come fi  vede praticato tra Capitone , e La-  beone > i quali furono i primi fetta-  tori affatto contrari fotto Auguflo ,*  e fotto Vefpafiano , ancorché vi folle  quella de' Proculejani , e Pegafiani ,  e l’altra de’Sabiniani, e Caffiani, af-  fai più contrarie fra efiò loro , perchè  quei 1’ Aritmetica proporzione, e quc-  fti la Geometrica feguitavano, gli uni  Stoici , e gli altri Accademici elfendo;  nulladimeno fu riguardevole la loro  modeflia in non aderire tanto fervil-  jnente alle loro famiglie , che volle  la loro modejflia avellerò apportato  freno alla libertà delle loro opinioni.  Matiifejia futi , & confpicua vtterum  Jurifconfultorum mode fi a y quod non  ita nec certa alicujus feSìa opinionibus,  nec futi quoque peculiaribus fententiis   inh il quale ragionando  di Cello; contrario alla fetta di Jabo*  leno , fotto Adriano > e Antonino Pio f  così loggiunge : Et fané videtur bh  Celfus non adeo partium fiudiis addiSlut  fuiffe ; • quintino Uberrima voluntate in  utraque verfatut barefi , & qua ( ibi ad  palatum fuere , nullo babito feSìa fua  refpetlu [elegiffe . E in ritornando al  medefimo Arinotele , leggeli nell’ O-  pere di effo lui, ch’egli non prelume-  va tanto di fe , che altri onninamen-  tefeguitar lo doveffe. Nec alìud ( dif-  fe un autore ) noi docet Arìftoteles *  quam quod etiam docuerat Plato : ni»  mirum fe ipfum refutare. Dicendo dife  quello medelimo autore. Omne equidem  genus Pbilofopbia peragravi , nulli acqui e f-  co, & quamvis ex pr : mis fludkrum rudimen-  ti! , Peripatetici , Stoici , aut Ac aderitici  audivimus, pofiremotamen fapientijjimum   quem-    IO?   f uemque Scepticam faSlum , tanquam  ffanum aliquem in fetenti* campii in -  gredientem video . E chi fece la nota  al libro del fuddetto autore, foggiun-  fe : Plato docuit Veritatem omnibus re*  bus effe anteponendam . Male ergo fibi  confulunt , qui veterum , a ut Arijlote -  ìis placitis ita ob finate inbarent , ut  tnalint cum illis .  Uro Lionardo da Capua ne’ Tuoi Pare * '■  r», e nelle Mofetc , e di Francesco Re-  di . Il nobilissimo ritrovamento dell*  argento vivo ne* cannelli per la prova  del vuoto del Torricelli , efaminata  alla lunga dal P. Bartoli Gefuita : de*  Vortici del gran Renato ; e di tanti ,  e tant* altri ritrovati del Verulamio ,  del Sorelli , del Keplero , del Gil-  berto, dello Steiliola, del Campanel-  la , del Digby , del GaSTendi , del Boy-  le , ed’ altri. Neil’ Algebra il Cardi-  nal Slulio , che non ha rinvenuto col  fuo libro Mefolabium , e il Cardinal  Ricci in quello De maximis , & mini-  mii ? Nell’ Agronomia che non hanno  fcoverto i moderni ? dimostrando i  Cieli edere fluidi, e non più orbi So-  lidi, come vollero gli antichi : i pia-  neti Stimati prima fare i loro giri in-    ili   >»   torno alla terra , muoverli intorno al  Sole; Venere mutar le lue fall , o  figure a gutfa di Luna : Mercurio ,  e Marte ancora far lo' Hello : Giove   • « t   edere circondato da quattro delle ,  chiamate Medicee, e Saturno da cin-  que altre , come ditte il Cattini .* ef-  fer la Lunà un corpo di fùperficie di-  fuguale , e montuofa : ritrovarli nel--  la faccia del Sole molte macchie di'  difuguale grandezza , e di varia dura*  zione, agli antichi affatto ignote; eia  qualità, e difpolizione delle Comete»  e d’altri corpi celelti non intefe da A-  riftotele , ed ; inveftigàte da Ticone ;  e dal" Galilei : la Zòna torrida ere-  duta inabitabile, etter abitabile, Antì-  pode! , qui imaginarìì dicelantur , nunc rt-  vera effe t & alia f excent a , ditte il noftro  Luca Tozzi nella fua Lezione: e final-  mente l’agghiacciamento de* liquori non  etter condenfazione.ma rarefazione con-  tra Ariftotele:ne’gravi cadenti accelerar-  fi il moto fecondo i numeri fpari , ed ef-  fer il tempo radice quadrata dello fpazio   de-    r    I    «   ì *   Jt   # Ir     I     t    IM '  '#1    « J    ij    V   I   1:i   r    11.    ' avverandófi  quello, che dagli antichi (ledi fu pre-  detto , e fi confeda da Cicerone anc'o^  ra : O pintori um commenta delet dies 't  natura judicia confrmat . E però egli  è vero , che quella Filofofia d’ Ari-  notele dagli Àriftotelici (ledi non è  altrimenti commendata , così dicendo 1  il ; medefimo P. • Podevini i' Deiride  monjìrandum ( id quod etiam tritura  ejì apud omnet Ariflotelicos ) nidiata-  e!}e in Arifìotelis libris fcientificam de-  fnonftrationem qua ' perfedìiffma fit y &  omnibus numeris abfoluta' it agite nàti  effe ipfius doSlrinam inconcuffam . La  quale ha avuto- tanta varietà , ed  incodanza di fortuna , óra 5 abbrac-  ciandofi , ora rifiutandoli > che nul-  la più , dome fi può- leggere Irt  quel libro di Giovanni Launoi ^ quin-  di in fimil calo ebbe a dire un au-  tore Francefe : In effetto fi vede 1 ';   che la fortuna ugualmente efercita il  fuo capricciofo impero . fopra 1‘ opinio-  ni , che jopr a /’ altre coje umane ;   . H ma    ma. non già fopra ìe mentì purìffime ,  e tétte de’ Tanti Padri, da* quali lem*  pre è (lata bìafi mata, come nociva al*  la noftra religione , e proibita da’  Sommi Pontefici , e da* Concili ltefli,  com* è detto, e da quello Lateran eTe  nella Seflìone ottava affatto vietato da  infegnarfi piu nelle Scuole, come rap-  porta il Campanella , e Neri nel libro, detto Setta Pbilo -  fopbica , dicendo quefti ; Pracepit Con-  ciliarti Scbolajiìcìs in Pbilojopbia drijlo-  telila non immorari , quoniam babet ra-  dica infetta!.   ' J ' ' *  * i  . ,   Ma Te, come poco dianzi io dilli ,  fra tanti Filofofì , i prìncipi di Rena*  to fono piìi conformi alla nollra reli-  gione, chi non dirà, che colf ui, più che  Ariftoteie .feguìr li debba ? Perocché  chiunque hlofofar voleffe fra noi Cri-  lliani co* medelimi principi di Renato,  li uniformerebbe Co’ fentimenti d’A-  goftino il. Santo , da cui o avvertito  Renato , o Renato col proprio fpirito  Criftiano, e filofofico meditandogli ,    Digltized    US   gli ha pubblicati , e dirteli. Parole del  Santo , nella Città di Dio , fecondo i  documenti -del quale compofe il fuo  Cftema Renato : Quìcumque igitur Pbi-  lofophi de -Dea fummo > & vero ifìa jen-  jerunt y quod & rerum creatarum fit  ejfefior y & lumen cognofcendarum , &  borni m agendarum » quod ab ilio nobis  ftt & princtpium'- natura meritar   doZìrin# * & felicita s vitee , five Pla-  tonici accomoda tius numupentur ? fi ve  quodlibet aliud fu a feti a. nomea impo *  nani ; five itant ammodo J onici generiti-  qui in eit precipui -fuerunt , ifìa jenfe -  rinty ficut idem Plato , & qui eum be-  ne intellexerunt : five etiam Italici prò-  pter Pytbagoram , &• Pytbagoreos , & fi  qui -forte alii: ejufdem Pententi# in ìd  idem fuerunt : -.five -. aliar um quoque gen-  tium , qui f apiente t y vel Pbilojopbi ba  li , Hi f pani. , alìique reperiuntur , qui  boQ viderint. , ac docuerint ; eos amnes.  ceterii' anteponimi •;» eofque nobis . prò  -tV* H 2 fin -    x 1 6   pìnquiores fatemsir . Chi filofofa f vo-  lt fle co’principj diRenatofi unifor-  merebbe con S. Gregorio Nifleno, di-  cendo egli nella narrazione della vira  di Moisè : Si immortalerà effe animarti  Pbilofopbus perbibet tic, & Deum effe  non negat , - creatoremque omnium , d  quo curiti a depende nt , & vere adfeve -  rat , ac rationibus quantum fieri potè fi ,  demonftrat ; propìtius nobis Dei angelus  fiet. Quella adunque è la Filofofia ve-  ramente Criftiana , e non altrimente  Pagana , come quella d’ .Arinotele  Quella è la '. Filofofia veramente cat-  ' tolica , fecondo gli avvertimenti de’  fanti Padri-.»..... .   Quella è quella Filofofia di Rena-  to, il quale fdegnando di vedere piò-  involte , e deturpate le fcuole Criftia-  ne nelle Filofofiede’ gentili, meditò,  e diltefe una Filofofia affatto lontana  dal Paganefimo , conformandola, alla,  noffra fanta religione, alla quale pa-  reagli , che folo mancafle ,* per laper •  egli molto bene , che Definitisi! erat -   - i Pia -   »    r    «7   Plato J & Arinotele } , po/l mortem Cbri -  fii , & eo rum I afte atta in Ecclefta pro>  nibilo' babetur , come il dottiflìmo Re-  my l’Arcirefcovo di Lione , re l’ avea  infegnato colla fentenza fuddetta; de-  liri dimando le Filosofie d’ ambedue  il piiflimo. Prudenzio , in quella ma-:  niera dicendo . ,t    Confale barbati delir amenta Pia -  >tonis .«   Confale » & birce fot Cynicos > quos  • fomniat , Ó* quos   Texit Arijloteles torta vertigine  , -nv- nervotv   • Quella .è quella Filofofìa di Re-  nato il quale confederando , che   tutta la Filofofìa Agoflino il Santo   diftinfe in due foli principi , che fo-  no 1* immortalità dell’anima , accioc-  ché noi ftelfi riconofciamo ; e 1’ efi-  lienza diDio» acciocché riconofciamo  la noftra origine . Pbilojopbi# duplex   guaflio e fi , una de Anima > altera de  Deo . Prima ejficit y ut'nofmet ipfot  nove rimas : altera originerà noflram ;   H 3 fon-    ri8   fondò i principi dei fuo fi'lofo/are fu  quefte eterne,. ed infallibili verità., v ;   .Quella è; quella Filofofia di Rena*,  to, la quale non folo , come didi, fu  > lodata da tanti e tanti Relig'tofi , ed  uomini di fantiffima vira,. -ma fpecial-  mente dal P. Merfcnni , intendentifli-  xno delle Matematiche, e 'Teologiche  fcienze , così dicendo in un' Epiflola :  Son refiato forprefo , che .un -uomo , il  quale non ha fluitato in Teologia , ab -  ha rifpofio sì fondatamente / opra punti  import antijfimi della noftra religione . lo  l'ho trovato così uniforme- collo, fpirito ,  e dottrina dì Sant' Ago fino., che. offerì  vo quaft le cofe.. medeftme negli .ferii ti  dell'uno , e dell altro . E più oltre  così : Lo . fpirito di Monsu Defcartes  infptra Soavemente l' amor di Dio , di  modo che non pojfo perfuadermi , che  la Filofofia di lui non fta , per Aornare  in bene , e in ornamento dell a.. ver a re -  ligione . Ed in un’ altra Lettera. , che  fi legge registrata nel primo Tomo  della Geometria . del medefimo P.   Mer-    Merferini, cosi feri ve à Retiatd fteffiò:'  Quibus omnibus , cum a udì am Pbyfii  cam illam 'ab eruditi: viri: adeo exo-  ptatam , prope dieta edìturum , qud  longe perfeSfius cum dofir# fdei myftfr  riis conveniat > omnium catbolicoriim  nomine iibì maxima: ,qua: poffum ,  gratids b’abtó > qui non folum Pbilofp-  pbicis » fed' edam Tbeologicìf verltatV  bus tam feliciter patrocinarli V ’ ' , .   Quella è quella Fflofófia di Ruba-  to , alla quale diedeiJtìtolo Moiìsù  Parlier Antiqua' fide:, Tbeologia no?  va perchè Vincenzo Lirinefe dicea,  Ecclefiam non dovere nova , fed nove \  Sòltenendó egli , che i principi di Re-  nato fono più acconci > ed oppdrtuni  di quelli , onde fi fervono' volgarmén-  te gli altri , in ifpiegando ì mifteij  della nolfra religióne - , ‘ e :che non "vi   fia cofa nella fua Filófofià > che non  s’accord» co* principi della hofira Chie-  fa cattolica , così il detto Parlier at-  teftando ; Ma egli ba fatto altresì ve-  dere t non avervi altra Filo fifa ,~che  d H 4 me-    1    t V !    , .1   b*      ‘H*’    •h    »•   .t    no   meglio della fu a j* accordi co’.prinìcpj  della fede della Cbiefa . : .. ...   Quella è quella Filofofia di Rena*  to , della quale il profondo , ed acu-  tilfimo ingegno 4* Monfignor Caramu*  .cle ne diede il giudizio . , e prefagio  infieme , dicendo., che 1' opinioni di  Renato faranno un giorno comuni .  ed univerfalmente ricevuta , toltene  però alcune pochiflìme cofe, copie ri*  ferifle llaut I pj;e G della vita del medefi-  mo . • Monfignor \ Caramuele ba predetto ,  che l opinioni del • DejcarW,. diverrei   * ** » « Li V. • • » »* A'i . * *   botto un.', giorno affatto comuni t e fareb»  fono univer/aìmente ricevute . ,  rr»r alcune poche . E con ciò verifican-  doli 1* altro prefagio d’Alefiandro Taf-  fone, intorno ad Arinotele Iteflò , di-  cendo cosi; i L‘ opinioni d* ziri fot ile , le  quali innanzi (e vittorie di Siila non erano  introdotte , nè conofciute in Italia , potrebbe  venir tempo , che non oftante /’ ofiin anione  degl ’ idolatri di quel Filofofo , fi vedranno  f cartate , * . / r   Quella è quella Filofofia di Renatola   * V '  Cattolica religioni*  profefftone perfeverans y me prafente , &  exbortante , mortem cum vita commu-  tanti , Cbrifti Salvator» redemtionem  petit ur us . In ipforum fidem coram Dee  tejìimonium perbibens , prafentem Aflum  fubftgnavi in Conventu SanEìi Augufli -  ni de Urbe r Rom* t die nona Ma ìì 1667.   Que-   o pur per  geiofia di gloria» da cui vien tócca, e  facilmente turbata la Repubblica de’  Letterati . E fe in alcune cofc la Tan-  ta .Sede-ha voluto , che refii donec  cpYrigatur , potrebbe alla fine la San-  tità' Vostra purgandola , fedare tan-  te liti, e difpute , ancorché il contra-,  rio malamente pretenda, e con danna-  bile temerità la famiglia d’ alcuni Re.  ligiofi , Solo per mantenere odi nata-  mente le loro opinioni nelle loro Filo-  fofie , come vien riferito dal P. Gre-  gorio di Valenza , dal Vefcovo Fra  Melchior Cano , e da altri . .   Ma refiino pur nelle , fcuole que-  lli , e sì fatti argomenti , e ragioni  intorno alla varietà delle Filofofie,  e Vostra Santità* a cui s’appartie-  ne di fiabilirne la verità./ perocché   non    **$   non ceffan mai tali contefe ; concor.  dandoci piuttofto , come Seneca ditte»  la divertirà degli orologi ne’ momenti»  che de’filofofànti le fcuole,e partico-  larmente tanto più fiere , quantochè  fono d’ ingegno ; ond’ ebbe a dire uni  certo autore: Citiut in gratiam , pojt  mutuai cladei ingerita redeunt 'regei- »'  quam partium fìudio infiammati pkilo-  fopbi . Vnaqueque enim feda ( Lat-'  tanzio ditte-) omnei aitai- evertit , ut  fe j fitaque confrmet , nec ulti - alteri  fapere conce dit , ne fe dèfipere fatea -  tur . Ita ut ( foggiunfe Eufebio  non lingua , & calamo foltim , verum  etiam manibui pralium -geratur . E  sì fiottili ? e facili in rifutando  beifando 1* una 1’ altra , com’; egli’  è più agevole il riprendere , .che 1*  insegnare ■; il convincere la bugia ,  che ritrovare la verità E. in ve--  ro che ha che fare la Filofofia u—  mana colla - ' celefte , eh’ è • la reli-  gione , così appellandola Crifnftomo  in più luoghi ? Religio Cbrijìiana  ve-    Digitized by Google    I.i6   9 0 •   vera » & caelejlìs Pbilofopbia eft . Che hi  che fare la Filofofia umana > o fia l’an-  tica , o fia la moderna colla fede , quan-  do non v,’è altra Filofofia più vera, che  la dottrina della Chiefa ?• Hanc ipfam  folata comperi efse ver am , atque utilem  Pbilofopbiam .» di/Te Giudino . C fe al-  cuna cofa di vero avellerò detto i Fi-  Iqfofi , come ingiudi pofleflòri di quel-  la-rgli riprende Agodino . Si qua Pbi-  lofopbi vera dix/rqnt , ab eis effe tan-  quam injufiis poffefforibus vindicanda .  E però 1* Apodolo delle genti , fopra  ognaltra cofa efprelfamente comandò:  Captare intelleRum in obfequium jidei  noe debere  qua rat ione demon -  firari nequeunt . Conciolfiecofachè la  nodra fede derivi da principi altiflìmi,  e fopraqnaturali . Che ha che fare la  ragione umana colla Teologia ftelfa ?  Qjtemadmodum enim ( dice il Ver u la-  mio ) Tbeologiam in Pbilofopbia qua*  rere per inde e fi , ac fi viver quarat  inter mortuos , ita contra Pbilofopbiam  in Tbeologia quarert aliud non e fi V  quarti mortuos quarere inter v'tvos . Ol-  treché la Filofofia egli è ancella , e  ferva della Teologia medefìma la  quale , come regina , delle fcienze ,  tragge dietro di fe incatenate tutte 1*  altre facoltà > e difcipline umane ; la.  qual cofa in piìi luoghi vien detta da  S. Gio Grifo domo. Ex Pbilofopbia res  divinar intelligere velie , e fi candent.  ferrant i , non forcipe yf ed digito contee  Slare . Lo fteffo in quelF altro modo .*  Nibil commune babet bumana ratio  collata in divinis ; ideoque * blafpbemia    I    \    1 '     4   *#   . |   f ■' condan-  nata per comune parere de’ mede li mi  Arillotelici , • a tellimonianza del, !*.  PolTevini di fopra lodato ; ardirono  di dire quella eflere la vera -, quella  elTere la più certa, quando mon effer-  vi niente di vero , e di certo nelle Fi*  lofofie , Porfirio dilTe : Nulium effe in  Pbilofopbia locum non dubitabìlem . Lo  Hello altrove : De rebus Pbilofopbia  multa diSla effe a Gradi , veruni ex  conjeSìura . Quindi è, che.Adexerci-  t attorie m ingenti Pbilofopbias > effe inven-  tar ,-Seneca manifellò . £d altrove co-  sì : Pbilofopbias ft elegantias , & argu-  tias dixero , reSìe cenfeam appella fj e .  Anzi dalle ciance , e favole de’ Poeti }  efler quelle originate arrelìa PlutarcOi  Omnes videlicet P biìofopborum feSlas ab  fìomero originerà fumfiffe . lpfeque Art -  fioteles fatetur Pbilefopbos natura Pbi -  lotnytbos , hoc efi fabularum fludtojos   ■ ' '/•      .--J    Digltized by Google    li*   effe. De’ quali per li loro fogni , e fe-  gni dati alle delle , diffe Manilio   Fit totum fabula Coslum — • '• .   Vuole però Macrobio-» che Nec omni-  bus f abititi Pb lo jopbia repugnai , nec o-  mnibus acquìi'fcit . E San r ’ Epifanio  fpezialmenre chiamò' la Filofofia d’A-  ri Itocele quoddam fabulamentum . Leg-  gendoli preìfo Varrone' ancora : Porre-  mo nemo agrotus quidquam (orrtniat tam  ìnfandum , quod non alìquis dìcat Pbi -  Jofopbus . E predo Cicerone lo (ledo:  Nefcto quomedo nibil tam abfurdi dici  potelì , quod non dicatur ab aliquo Pbi -  lofopbo . E parlando della barbarica  Filofofìa Clemente 1’ Aledandrino cosi  ne lafciò fcrirto: Quod hi novi Pbilo •  fopbi apud Gr fecondo il Paflavanti , diconfot-  tigliezze , e noviradi , e varie Filofo-  fie con parole miftiche , e figurate ,  che nulla conchiudono , come di Por.  firio l’Ariftotelico , tanto nemico de*  Crittiani , e della Criftiana dottrina  cantò il Petrarca:   Pot firio y .cbe d'acuti, fillogifmi  Empiè la dialettica faretra ,  Facendo contea s / vero arme i fo-  fifmi .   Dicendo fimilmente il Petito , eh’ e-  glino (ledi non intendono quello, che  dicono, e tantomeno gli uditori. Non  ìntellìgunt neque , qua loquuntur , ne-  que de quibus affirmant . Il ,he fece  dire al Verularmo : Habet hoc ìnge -   nìum bumanum , ut cum ad folida non  fuffeccrìt , in futihbus atteratur . Po-  co o nulla badando, quando fentono  altrimeore parlare nella Teologia dell'  Evangelio , de’ Padri , de’ Concilj  Aedi, come n’avvifa il P. Malebran-  che . Nejcio tamen qua mentis per-  turbatione nonnulli eferantur , fi ali-  ter quam Arijìoteles , pbilofopbari a si-  de as , dum parum curant , an in re-  bus T beolcgicis ab Evangelio Patribus t  & Concilìis non difeedas . Il che fu  detto primamente da Monlignor Ciam-  poli , chiamandogli in primo luogo  ambizioni di parere più Peripateti-  ci , che Cattolici , poi fclamò; Che  perversione di gìudicio è quefia , volere      f    ...Il      f    f    ! i     fk •     «    ,j t|    Sì    *    Ir    134   introdurre una religione più fedele ad  Arijlotele , che a Dio ? E quel eh’ è di  maraviglia, proccurano coltoro ('dice  l’autore de’ cinque Dialoghi ) Di jof-  fogare tutte l' altre fette nella maniera  dagli Ottomani ujata , i quali non la-  j ciano vivere alcuno de’ fuoi fratelli ,  per ijlabilire sì magi fralmente i loro do-  gmi in tutte le fctiole Crìfiane . Come  riferifee d’ Arinotele fteflo il Verula-  mio. Arifìoteles more Otbomanorum re-  gnare jebaud tutopoffe putaret , nifi fra -  tres fuos omnes trucidaret . Credendo  ancora di ritrovar in quello loro mae*  Aro la falute , e di Ilare con elfo lui  sì llrettamente attaccati , come ad un  fallo, ad uno fccglio , qualìchè foffe-  ro buttati da una tempella per fuggi,  re il naufragio . E così appiccati , ed  ubbidienti , dice un altro autore alla  Filofofia del medefimo , che fembra  lor commettere un delitto di fellonia  il partirli un menomo punto da lui ,  in modo che non dicefi Peripatetico  chiunque in tutto non s’ abbandona a’   fen.    Digitized by Google    H5   feriti menti del medefimo. Eaàem men-  te ( dice il medefimo P. Malebranche  in un altro luogo ) Pbilofopbia ifta di-  scenda eji , qua leguntur bì fiori* ; fi  enìm eo licentia deveniat ut ratióne &  mente tua Utaris > ..nonefi quoà fpe-  res te evafurum effe in magnum Philo-  fopbum : oportet enim difcipulum ere.  dere > £ il giudiciofiflìmo Sorel di fo-  pra lodato , in quell’ altra maniera .*  Jntantb quefii ciechi volontari ar di) co-  no di pubblicare , che non bi fogna Sof-  frire alcuna innovazione nè' riformazione  nelle .fetenze ; benché quefio fi a il. filo  piezzo per. renderle perfette . • Ma. a chi  creder affi; piuttofio , a degli f chiavi , e  mercenari* che non. fanno jemplicemente,  che. difiribuire per gli feriti i t e per le loro  lezioni la dottrina , ch'eglino hanno tro-  fvata negli ,.fcr itti degli altri} E pi fi  oltre il medefimo Sorel così : Ci fino  delle perfine così f empiici , che credono,  che non fi debba ; rivocar pili in dubbio  quello , eh' è in Arjfiotele , che quello »  eh' è nell' Evangelio . , ■ . ..   I 4 ' Non      ■ i   ¥ '   »       I   l‘ "   .vjfl     :   l*V  « /    !>       4    1   Non mancandovi ancora degli altri,  ì quali per difendere cotefta lor Filo-,  fofia fi danno alle maldicenze , ed  alle fatire , poco avvertendo non ef-  fervi fatira maggiore > che quella  della ragione llefla , la quale rende  bugiardo , ed ignorante colui , che  vien convinto da fbrtifiimi argomenti ,  facendo ingiuria ancora a tanti uomi-  ni dabbene , e a tanti Religiofi, co-  me fono i Padri de’ Minimi , e i  Padri dell’ Oratorio , ed i migliori  Gefuiti , eh* han feguitato la Filo-  fofia moderna , e foraftieri , e Ita-  liani , e in Bologna particolarmente ,  dov* è Campata la Filofofia moder-  na , fotto nome Burgundi a , infegna-  ta pubblicamente a tempo , che  Vostra Santità’ era ivi Legaro . E  perciò coftui in quella maniera vien  riprefo da Sant* Agoftino : Illius [cri-  pta fumma funt , & au fioritale dignif-  ftma , qui nuìlum verbum , quod revo-  care deber et omifit . Hoc quifquis non  efi adjequutus fecundas babeat partes    *37   modeftU , quia primas non potuti ba-  lere Capti nti & catbedrar primas  ambiente s ; in quello modo con in-  crepazione favella : A deo nimirum   altercando • non modo verità f arnitti-  tur , jed caritas exjìinguitur , & dif-  pntandi modum majorum exemplo tan-  tum agreffos , nulla modeftia repagu-  la cohibent ; ; Onde Luca Holftenio  eruditilfimo Bibliotecario , -dolendoli  della difunione della Chiefa Orien-  tale , ed Occidentale ebbe a- di-  re : LuEluofum fcbtfma Orienti! , &   Occidenti s Ecclefias divìdens induxit  dijput aridi pruritus , omnia in quafito-  nem , & controverfiam > • poftb abita  cantate , adducens ; nulla venta »   ' tis cura , fed uno vincendi ftudio ;  .e a confuet udine , vel opinione aliis   legern fr^jcribens » & quod • mife-   ra ,    Digitized by Google    * 3 $   ra j ó* afflìtta fortuna duri (firn atto ha-  hjet , é? iniquijfmum efi, qttod ir, fugati-  ti um ludibriis impune pateat -, Dicendo  un altro autore : Jd nec Pbìkfophum ,  multo minus Cbrijlianum decuiffe videtur.  Nè qui termina la loro baldanza, ar-  rogandoli , ]a medelìma poteftà della  SENTITA'- Vostra in condannare quel-  lo., che non mai ha condannato nè  Vostra Santità’ , nè altro Pontefi-  ce , dico, 1’, opinare nelle Filofofie, for-  zando gl’ ingegni umani a feguir folo  ifentimenti d’un gentile. Peripatetico,  e con noyp giogo privarli di quella li-  bertà, ch’.abbiamo per diritto di na-  tura , e per legge d’ Iddio , che ci ha  Jafciato il liberamente penfarc e medi-  tare :> il che è quali l’ unica, e fola ra.  gione , colla quale provali , che l’uo-  mo lia ragionevole, e l’anima immor-  tale . Quindi è , che prefe giufta oc-  cafione Tommafo Moro ( alle di cui  lodi ogni penna è ..vile per elTer egli  chiari (fimo non meno nelle lettere ,  che nella pietà Criftiana, per la quale    *39   facrifìcò fa vita , c i beni , e la fami-  glia della ) di formare appodatamen-  te una DilTertazione intorno a que*  Teologi di fuo tempo » dandole que-  llo titolo : Differtatio Epiftolica de a-  lìquot fui tempori s Tbeologaftrorum ine •  pt'jis ; non per altro , fe non perchè  quedi co* principi d’ Aridotele difen-  dere voleano , o piuttodo offen-  dere la Teologia , • in quella ma-  niera fgridandogli : Quamobrem piane  non video qu  qui in fuo fterquilinio fuperbit > ac. extra  illa fepta fi panilo producatur longius »  illico ignota rerum omnium facies , tene-  bras > ac vertiginem offundit . E più ol-  tre il fuo dilcorfo feguendo : Et mi-  rum in modum verfa rerum vice contin-  gity ut qui prius omnes fapie ntia numeros in  argumentoja loquacitate pofuerat > jam    I    fenex infantijfimus omnibus rifui foret ~  nifi fluititi^ fu* fuperciliofum fuentium t  fapientia loco pratexeret ; imo potute  hoc ipfo ridìculus , quod qui fuerat  Stentore 'damo fior , taciturnior pj[ce  reddatur , & inter loquentes fedeat ,   v" * ' %   Per fon* muta > truncoque ftmìlli-   tnus Herma.   • . * '   E Umilmente Gio. Gerfone il gran  Cancelliere della Chiefa , e dell’U*  niverfità di Parigi , non potè atte-  nerli di non- querelarli ancor egli  de* Teologi di fuo tempo , in que-  lla maniera dicendo : Cur appellati-  tur Tbeologi nofìri tempori s fopbifl* ,  ut verbofi , imo & pbantafiici , nifi  quia r elidi is utilibus , intelligibilibus  prò auditorum qualìtate > transferunt  fe ad nudam Logicam , vel Metaphy •  ficam , etz/nw Mathematica™ > ubi t  & , quando non oportet , i».   ten fionc formarum , nunc de div'tfione  continui , nunc detegendo fopbifmata The-  ologicis termini s adumbrata , pri-  ori-    Digltized    oritates quafdam.in Divini! , menfuraf % '  durationes , injìantias » ftgna natura ,  éf ftmilia in medium adducentes ,   vera r & foli da effent , ficut non  funt , ad fubverfiotiem tamen magie .  audientium • , vel irriftonem , quam  re Sì am fidei adipe ationem proficiunt .   •• Come eziandio de’ filofofanti diiuO  tempo il giudiciofiflimo Niccola Le-  oni co , {limato il più dotto delia  fua età , nel Dialogo , a cui diede  il titolo di Peripatetico , così lafciò  fcritto : An non ego decem integro s   annos , borum auditori a , ne die am  ìufira , ad fidu a contrivi opera ? om -  nefque illorum ineptiat , . & futile s co-  ptionum tricas , ficcis , ut ajunt , an*  ribus ebibi ? anxie femper quteritans  fi quid inde excerpere poffem , ne va-  cui s , quod dicunt , manibus & ofei-  tans domum rtdirem . Verum , Dii  immortale s , quam rerum inanità -  tem ■ apud silos , quantam      ?    ■ u   ? r      I    y   i     r4.it:   mìb't magis fapere vifus fum , f »»  quod cum Ulti de fi pere aliquando de (li-  ti ; »  così egli' ragiona ?  Quofdàm pbilofopbantium avibus fimiles  vide ri, qui levitate quadam , & ambi-  tione ingenti e lati , alta petunt , &  Phiftca fcrutantur tantum : aliot cani-  bit t , qui laniare , & vellicare avidi *  foli Logica adbarefcunt ut pelli , & in  ea rixantur , & mentem ad ulteriora   non mittunt . Indi leggiamo predo La*  erzio , che da Euclide fofle fiata no-  mata la Logica Rabiem difputandi : e  leggiamo ancora che Arifione antichif-  firno Filofofò quelli tali Cum iis compa -  rabat , quicancros comedunt . Nam prò-  pter exiguum alimentum circa crujìas ,  & teftat diu occupantur .   Quindi Mario Nizolio, che fece un  Trattato de' veri principi , e del vero  modo di filofofare, fi lamentò non po-  co di Leonico parimente , e di Pico ,   com’ eglino s’aveflero folamente rifen-  tiro degl’ Intepetri e non d' Arino-  tele , origine, e caufadi tutti. i mali*  così dicendo: Hac quoque Jo Pieus Mi-  randola co» tra barbato* Ariflotelis Inter-  prete* conqueritur , & vere Me quidem t  Jed quemadmodum Leonicus , non cami-  no jujìe , quia pratermittit eum , qui tan-  forum illis errorym. c auffa fuerat , boa  eji Arijìo telem . Sed o Bice non re Sì e  faci* , cum de foli s Ini erpretibus Arifto-  teli $ quereris , ipfum autem Ariflotelem ,  qui omnium malorum cauffq , & origo f it-  iti. » omittis ; dìcen* te perdidiffe meliores  anno* , tantafque vigilia* apud Interpre-  te* Arinoteli * , & nollens illud dicere  quod erat verius , eadem ■ illa omnia te  multo ante perdidiffe apud Ariftot.elem ;  Per la qual cofa pareagli , che miglio-  re d’ ognaltro avefle fatto il Valla ,  che lafciando gl’ Interpetri fi prele la  briga in dar la colpa ad Ariftotele, co-  me vero autore, e primo fonte di tan-  ti errori , e fallita , riprendendolo a-  pertilfimamente dov* egli andò errato. Maravigliandoli grandemente il mede-   fimo Nizolio ancora della barbarie del   , .   lor favellare , Qui 5 e fi enim in fcbolit  ijiorum pbilofopbaflrorum tam parum ver*  fatti s , qui non centies audierit , potentia -  Ut atei, quidditates . entitates , ecceitates ,  univerfalitates , formalitates , materiali -  tates , & alia Jexcenta hujufmodi verbo -  rum monfira , qua qui pattilo frequentiut  ufurpant , ufquc adeo l^duntur , & per •  vert untar , ut neceffe ftt eos , non folum  valde falli, & errare in pbilojophando ,  fed etiam in loquendo , & fcrìbendo ve -  hementer fadari , & confpurcari . Co-  me ugualmente molto fé ne querelò  Apulejo per alcune novità di parole a  fuo tempo introdotte , le quali difle  egli non fervire che all’ofcurità delle  cole. Datar venia novitati ve ri or um ,  rerum obfcuritatibus fervientibm . E fi-  nalmente cosi il medefimo Nizolio  tutto il fuo difcorfo conchiufe: Qui-  bus ita monftratìs , ut tandem aliquan-  do & Caput hoc pofìremum , & totum   bttnc Librum abfolvamus , ita concludi -   K mus ,    X4$   tnuf , ut reììnquamus duo memoria man»  danda , & adfidtte diligenter cogitanda  omnibus , r^iìte pbilofopbari cupiunt ,  quorum unum e fi , Ubicumque, & quot»  Cumque Dialettici, Metaphyfìcique funt ,  ibidem , & totidem effe capitales . veri i  latti bofìes : alterum vero » Quandiu  in fcboiii pbilofopborum regnabit, Ari fio -  rrtex 7/te Dialetticus , Ó* Metapbyftcus,  fonditi in eis & falfitatem & barbari -  fi» „ fi non lingua & orit , at perocché   la Pitagorica > nomavafi Italiana } ila  Platonica per efler egualmente Pitta*  gorica non potea (limarli , anzi piut-  tolto dottrina , e Capienza > tche •Filo*  fofia, come dipendente da quella de*  gli Ebrei. La Stoica poi , Epicurea ,  o (ìa Democritica riguarda più la Mo*  tale , e il regolamento de’coltumi .che  altro. E quella d* Arinotele io 'fon per  dire edere la medeiima con quella d*  A ree fila, (limata la più enorme ; per-  chè quelli malamente (i ferviva della  Platonica , infegnatagli da Crantore  Platonico t imbrattandola co* (odimi  di Diodorot (ottilifiuno dialettico , e  col mutabile» e fuggitivo di Pirrone*  acutiflìmo fillogilta. Indi egli è » che  dicealì di lui » come narra Plato > 'ex  pojìerioribus Pyrrbo * ex mediti Diodo •  rui ; E (eguitando Eufebio (ledo »  cosi parla di lui : H/c autem fubtìlìtch  tibus-. Diodori , qui actttui dìalefttcus  erat , . & Pirrbonis ratiocinationibus Pia*  tonte am eloquentiam feedavit ■ , & modo   K a toc y     /     I     I   >    «I *    qua ! pria ! aflruxerat ,  confutare . Erat igitur Hydra capita  fap proprio enfe amputanti nec aliquìd  habem utile » , nifi quod libenter > &  audiretur , & videretur . E dell’ of-  curità , e ftrepiro di parole , di cui  fon pieni i libri d’ Arinotele con ter-  mini vaghi , e generali , in modo che  appena rinvenire fi poflan due , an-  corché fuoi feguaci , e Tettar j , che  convenir fappiano in un medefimo   fen-     Digltized by Google    fentimento ; ecco il P. Malebranche  come ne fa chiari/lima testimonianza:  Quamvii cairn Pbilofopbiipftus do Sì ria am  fc docere adfeverent & autument , vìx  tamen duo reperientur , qui circa ejat  fententiam inter fe conjentiant ; quanti,  am revera /iriflotelis libri adeo objcurl  funt , totque fcatent termini t vagit &  generalibui , ut eorum opinione s , qunC  ipft maxime adverfantut non fine verift-  milìtudine pojfìnt ipft trtbuì . In non-  nulla illìus operibus quidlibet ipft adfcri-  bere lìcet , quia in ijs ntbil pene dicìt t  quamvts multa magno (Irepitu deblate-  ret : quemadmodum pueri campwnas fo-  ndu fuo quidlibet dicere fingunt , quia  campana ingentem edunt fonum , nec  quicquam dicunt . ' \   Quindi non fenza roSTóre de’ me-  desimi Ariftotelici Gio. Sculero nell*  Orazione per cosi dire inaugurale ,  eh’ ei fece intorno al riftauramer-  to della Filofofia con quel princi-’  pio-: .   ‘ i    diffe : Quid magli noxiura Cbrijlìanre  }uventuti Cógitarì fot e fi ,  a  tenerti audire ? Quid periculoftus quarti  tene* riniti eofum animiti > qui ad majo »  ra defìinantut , & qu bui > juo tempo •  re > fine ReìpubVtca » fitte Eoclefue ad L  tninìfiratio committenda , talia , in fi ahi»  lire , aperte Tbeologis Cbriftian qui ex prafcripto propri t inftitu-  tì \ five ex adfeSlu erga praceptores.  certi! opinionibui adharent , omnia fe-  cundum illos dtjudicanl , quacumque  auEìor ìtale y & demonflratione po fi b abi-  ta , ad eafdem trahentes quidqutd au-  diunt i qmdquid ìegunt . Il che fo al-  mamente difpiacque ancora a Rodol-  fo Agricola , uno de’ primi - letterati  del fecolo pattato, (*) che di tanti FU  lofofi 'dell’ antica età era folamente   - • * ■ * ■ * * 4 ri-   • *   • » •  m 1 , -»«. % • * • * »• » •> *   , (*} Cioè del fecolo fedicefimo, mentre il Signor  Valletta { criflfe la fua Lettera nel 1700. in pun-  tò : ma veramente Agricola non toccò  plinto il decin*ofefto fecolo , pbiché nacque Tan-  no *44 x.e mori l’anno 1485, come notò il Trite-  mio • * v     Ci       u   *    ir    tì   ì  1 •     f    y       v»   A'   r   (■   ’i   I    \   t       I    'I    Jil   f    :n       ; -ib,  pra coftui muore T ultimo Audio de*,  vecchi . ... Ecco le Aie parole ? Quid  de Ari ftotele die am ? hic gnìm prope*  modum [ohi omnium prife a alati! Pbi-  ìojopborum permanfit in manibui : hunc  [ohm , -, qui \ Pbilojopbite , defìinantur ,  attìngunt : hunc .primum pueri difeunt  buie ultimum jenum jl uditi m immori -  tur : hunc artet omnei , omnia fiu*  diorum genera terunt , trahunt,, dif*  cerptmt . Ma non già dopo che il  Cartello aprì, il vero fentiero al mi-  gliore , e più certo modo di filofo*  fare;, che ad un Criftiano convenga*.  Come ugualmente tutto ciò fu con»  fiderato dal dottilfimo Vanhelmon-  zio , dicendo ; Jndignor & merito »  quod ScboU •• Pbilofopbia ethnica ado »  lefcentet male ìmbuant . Lamentan-  doli egli fra 1* altre cofe , non ben convenire la definizione pi che Ari*  Itotele diede all* uomo chiamando-  lo Animai ' Rat tonale ; , ■ • non avendo  egli conofciuto la Tua creazione > nè  T effetto d’ ella ; e perciò 1 , dice il fud«   detto autore malamente fervirfène le   * •   fcuole Criftiane Vituperai am ìtaqttc   definitìonem exìfiimo t qua homo Ani *  mal rat tonale , vel e a effenti ee defcrì-  ptione depìngitur . Siquidem ex ulti •  mato fine dejìinationum . proprietatibus  in creando - dejiniendut erat , fi .finii  fit cauffarum prima ex Arinotele . Qua-  propter nec hominii de fini fio e fonte  Pagani f mi mendicanda erat ì qui ere*  ationem , ejufque fines piane ignora*  vit , Così egli defìniendolo ; Homo  ergo eft creatura vivent in corpore • per.  a rum am immortalem oh honorem Dei *  fecundum lumen » &: ad tmaginem Ver-  bi . Quando Arinotele -diede una  definizione all* uomo che nulla va-»  le » - non 'Vedendoli in quella nè crea*  tura di Dio , nè immortalità dell*  anima , da ‘ effo lui affatto negata *    Digitized by Google    *54   come Cerna verun dubbio l’ affettano  Ciucino nella Parerteli , Teodoreto  nel Libro della natura dell* uomo ,  Gregorio Nifleno nel Libro dell* Ani-  ma Origene in più luoghi delle Tue  Opere, Gregorio Nazianzeno nella dif-  puta contro Eunomio , il Cardinal  Gaetano nel Trattato deli’ Anima ,  Plutarco y Galeno , ed infiniti altri  fcrittori profani . Per lo che non fen*  za ragione chia mai Io Tertu]]iano«?//é-  to f dicendo nel Libro delle Ptefcrizio-  ni Miferum Arijlotelem ; foggiung; ndo,  J Qui illis Diale Che am inHituit , artifi -  eem (Intendi , & defiruendi verfipellem t  in fententiìs co a Cium , in conjeCìurit  nec t allietate Panos - , oec ar*  tibusGracos, nec denique hoc ipfo bu -  jus' sentii , & terra domenica > . nativo •  que - fenftt Jtalos iffoi > & Latìnot $  fed pktate , ac religione , atque  naiionel ’•   que [uperavìmus . •• ’• • :i   E finalmente eonofeendofi ancora   dagli Ebrei , la Filofofia d’ Arinotele   ef-      li   •* *   è 1  > :   »   f     r    f     Ì-1    h    È   i    l -     i   Ir    À ,   • I   f   ./■»    t    •1    a  # •   i    li      I   t5*   eflere in pregiu diciò della religione ,  fa. pubblicato decreto nel Sinedrio de-  gli Afrnonei ( come fi legge nell* irto-  ria de’ loro tempi ) così dicendo .• Ma-  le diti us qui docet filium fuum Pbtlofo-  pbiam G rac am . : Il che vien riferito  ancora da Arrigo Enefiio nel fuo Li-  bro Vir fapiens . Quindi, non fia ma-  raviglia , quando leggiamo preffoCle-  mente 1’ Aleflandrino , Grata itaque •  Pbilofopbia , ut alti volunt , a Diabo-  lo mota e fi i Anzi i Giudei dopo la  venuta del noftro Salvatore, ancorché  * empj , pur dannarono la Filofofìa d’A-  riftotele ; perocché avendo pubblicato  il Re Moisè un Libro» a cui diede il  titolo 1 Mereh Nevekim , fu acculato,  dagli altri Dottori d’aver corrotta la  loro religione » per aver in effo pur  troppo mefcolata la Metafilica d’ Ari-  flotele , come narra il P. Si mone nel  fupplemcnto al Libro delle cerimonie/  e de’coftumi de’ Giudei di Leone Mo-  dena .. Ed io in finendo dirò di lui  con il gran Pico della Mirandola ;     Mali prtnctpiì finis masut .   Da turco ciò , che fi è fin qui rap*  portato , potrà la Santità 1 V ostra  pienamente avvifare quànto fian da ri-  prenderti co fi oro , ì quali ardi (cono di  biafimare quefta Filofofia , che mala-  mente chiaman moderna , e nuova , e  dannarla come fcandalofa , e mala - r  quando finora nè la Santità’ Vostra*  nè gli altri fantiflìmi Pontefici antecefi»  fori * hannola giammai penfiata con-  dannare . Anzi il contrario leggiamo  riabilito dalla Santità d’Innocenzio XI»  in una Bolla ; ciò egli è * . che niuna.  cola tra filofofanti , ed altri , che fico-  lafiicamente fi contende, giammai fi'  danni o in difiputando* o fcrivendo , o  in pubblicando , che pria dalla Santa  Romana Chiefia condannata non fia ;  Ma quando anche ciò non fofie , qual  furore , o fpinto dii zelo ijpinge tant*  oltre, cofioro ad incagionar coma- rea *  e mala una Filofofia * che ha per au-  tori uomini cattolici , • dabbene , e di  integrifiìma vita ; avendo per lo con*    x$8   trario la lor Filofofia per autori fio.  mini gentili , e tra gentili i più per-  vertì, e federati ? Qual ila (iato già il  lor Padre Arinotele, e di che coftumi  l’iftorie de* Greci, e de’. Latini ne fan  piena , ed affai- ampia tedimonianza ;  Quai fentimenti , e quanto perniziofi  sì alle Repubbliche , sì alla j religione,  che a* Tuoi tempi lì tenea tra Greci ,  egli lanciato abbia a’ poderi la San-  tità' Vostra, rivolgendo l’occhio a  quello , che per 1* autorità d’ infiniti  fanti Padri , e di molti altri autori pro-  fani fi è riportato, porrà benignamen-  te giudicarlo., Non evvi Tanto Padre,  che per otto e più - fecoli riprefo - , e  biafimato non l’abbia , nè mai leggia-  mo , che alcuno l’abbia feguito, o fia  dato così dettamente legato alla di  lui dottrina , come tuttavia fon codo-  ro. Dottrina veramente tre volte per-  niziofiflìma , madre, e fonte di tante  e tante erefie + che per tanto tempo  didurbarono. ed affliflero la Chiefa ,  e di Crido la vede lacerarono . E fe  .. : rifor-    159   riforgefle il gran Bafilio, quanti equa-'  li de’ noftri tempi riprenderebbe più  fortemente, che non fece ad Eunomio^  ed agli Eunomiani- de* Tuoi tempi j t -  quali giuravano Tulle parole d* Arino-  tele, come full* Evangelo > e pofero in  ifcompigtio la Chiefa d’ Oriente? Che  diremo degli Atanasj, e degli A leffa n*  dri Vefcovi d\ Aleffandria ? . Quanti  Crilìiani taccierebbono d’ Arianifmo,  yeggendogli così attaccati ad Arinotele,  onde Tempio Ario prefe Tarmi , e le  faettc contro del Verbo ? Non farei  per mai finirla , fe voleffi addurre par*  titamente tutte Terefie , • che da’fegua*  ci d’ Arinotele fono fiate indotte nell»  Romana Chiefa per tanti fecoli , e di  giorno. in giorno van riforgendo. Baffi  fol dire , che da fei , o più. fecoli tut-  ti gli errori fian venuti da oriondi per  così dire , e figliuoli del grande Aride*  tele ... i ' «   • Ma fliafì pur colla fua pace Arido*  tele , con quella pace , che nel più cu-  po dell’ Inferno, ov’egli fea.giace, dar  > fi può    i6o   fi può- Siali ' flato Arinotele non tan-  to federato ; anzi dirò più , fiati (tato  uomo dabbene, avvegnaché gentile ei  lì (offe . Sianli Santi tutti gli Arifto-  telici, i quali hanno avuto , ed hanno  il nome di Criltiano . Siali la lor dot-  trina ottima-, e di niun pregiudicio j  non però avrà che far nulla colla no-  Itra l’anta' religione nè di buono , nè  di malo . Siali io dico , e ridico la lor  dottrina profittevole in ifpiegare gli ar-  cani della natura , la natura delle pian-  te » degli animali , e che lo io ; non  dovran perciò biafimare tutte 1’ altre  Filofofie , eh’ eglino non profèlTano ,  quando quelle niuna cola infegnano ,  che contraria lia a’ buoni collumi , al-  le leggi naturali, ed alle leggi di Cri-  Ho , e della Chiefa . Coloro, che rin-  novate l’hanno tutti fon già morti cat-  tolici , ed in feno della Chiefa , lenza  veruno fofpetto , quantunque minimo  d’ erefia . E* conceduto , che in qual-  che Libro d’ alcun Filofofo Criltiano  vi folle qualche opinione » chiaramente   con-    rii   'contraria alla verità della religione ,  fenza dubbio 'veruno toccherebbe alla  Chiefa di condannarla . Potrebbe!! pe-  rò ( parlo pieno di rifpetto, e di zelo,  con quella riverenza ed ubbidienza ,  che lì dee alla Santità* Vostra , ed  alla Santa Chiefa ) dìdimamente con-  dannare quella opinione eretica , ovve-  ro fcandalofa > come fece per molte  dichiarazioni AlelTandro VII. ed altri  Pontefici ; e non ributtarli tutto il cor-  po d’un libro , il quale lì compone d*  infinite, e varie opinioni , delle quali  la maggior parte niuno attaccamento  ha , ovvero dipendenza colla verità del-  la fede. Così leggiamo Origene , e  Tertulliano lìcuramente , avvegnaché  ambedue in molte co fe lian traviati ,  come poco ollervanti della nollra reli.  gione . Così leggiamo ancora ' San Ci-'  priano Martire , quantunque folle fia-  to d'opinione , che i battezzati dagli  eretici lì doveflero ribattezzare ; laqua-  le poi fu dannata dalla Santa Chiefa'  per mezzo d’ un Concilio > come an«   L co.    3   * 6 »   cora tanti altri errori di Lattanzio >d*  Arnobio» e d’altri. Or fe ciò fia lecir-  to nelle cofe di tanta importanza » cioè  nella Teologia , potrà ancora efler-Te- /  cito nelle Filosofie , le quali van de-  correndo femplicemente degli arcani  della natura.   Il filosofare , Beatissimo Padre ,  fu Tempre mai , conforme s* è dimo-  ftrato , libero , e permefiò a chi che  fia , purché contrario egli non fia alla  religione > alle leggi umane > ed a’ buo-  ni coftumi. Non han cofa gli uomini»  che fia più lontana > e men foggetta al-  le poteftà terrene, che il loro Spirito.  Nè v’ è cofa più intollerabile , cl}e  quando fi veggono rapire la libertà de*  loro penfieri ; perocché tanto è toglie-  re la libertà del filosofare ,■ quanto è  togliere la libertà dell’ opinare ftefTo,  non effendo altro le Filofofie che opi-  nazioni * Quindi è, che coloro, i qua-  li per dura legge delle genti fono fchia-  vi delle altrui volontà > pur fi riman-  gono liberi nelle loro opinioni , ed i lor   pa-   e    Digitized by Google    padroni > i quali han poteftà della lor  vita, non poflòno difporre de’ loro li*  beri fentimenti . Solamente lo fpirita  dell’ uomo a Dio è tenuto renderli av-  vinto , elfendo egli folo la prima veri-  tà per elfenza , la quale non può giam-  mai nè ingannarli , nè ingannare ; ed  iòdi poi ancora la fua Chiefa > la qua-  le ci favella da fua parte , toccando a  lei d’interpetrare gli oracoli , ed arca-  ni di Dio . Indi quella ubbidienza del-  la nollra ragione libera all* autorità  Divina fu fempre giudicata da tutti la  prima , e più grata vittima , che noi  dobbiamo offerire a Dio. Il facrifizio  certamente non è egli fanguinofo , è  ben però il più pregiato , e caro ; pe-  rocché conduce gli fpiriti nollri , na-  turalmente di ripofo impazienti a sì  felice fervi tù , principio » e mezzo d*  ogni nollro bene, e falute • Perchè li  dee in ciò ufare grandilfima diligenza,  nè legare sì llrettamente quello nollro  libero arbitrio in cofe , le quali poco ,  o nulla montano ; perocché potreb-   Lz beli    befi temere di qualche rivolgimento ,  o per così dire temerità dal vederli  sì ftretto , e incatenato . Oltreché po-  trebbeli da ciò dar luogo di penfar  malamente , che la noftra fede dipcn-  deffe da’ principi delle Filofofie, e che  la noftra religione » ed Arinotele fot  fero sì Erettamente uniti , e me (cola-  ti , che 1' una fenza l’altro non polla  da noi crederli. Sarebbe ben tre volte  incollante la noftra fede , fe ftabilita  folle fopra così balle , e poco (labili  fondamenta , ed andalfe dietro a’fogni,  ed alle frafche de’ Filofofanti . La ve-  rità vien ricercata si dalla Filofofia ,•  ed è Hata ricercata già per migliaia d*  anni ; ma non giammai però è Hata  ella ritrovata ; perocché Iddio ha vo-  luto lafciare il Mondo all’efercizio in-  nocente delle Filofolie , ed all’incerto  inveftigamento delle cole naturali , e  però alle difpute . Mundum tradidit  difputation'tbus eorum. Conforme anco-  ra va dimoftrando San Gregorio Nazianzeno in un difeorfo, ch’egli detta   delle    /    . *65   delle dìfpute. La Teologia fola ha ri-  trovata la verità, perch’ella fola s’ ag-  gira intorno alla vera luce , e prima 1   ferità , eh’ è Iddio , principio d’ ogni j   noftro fapere; onde gloriavafi 1* Apo-  flolo di non fapere altra cofe, cheCri-  tto crocifitto. Quefla verità ritrovata  nella Teologia altri non poffede , che 1   la noftra fanta religione , la quale quan-  tunque contrattata , ed afflitta da tan-  ti e tanti tiranni , pur fempre mai •   vìttoriofa per tanti » e tanti fecoli ha  trionferò , e trionferà per fempre più  gloriofa . Veritatem ( ditte un autore )   Pbilofopbia quper ciò fare ha volu-  to fervirfi ; perocché verfando quefte intorno  ad una caufa , la quale al prefente fi può dir  prelfochè comune, di comune , ed univerlal  difefa ancora elleno pedono molto acconcia-  mente fervire . .   . Recando adunque le molte parole fue m  una , quella nella foftanza fembra edere fia-  ta T idea di lui . Egli ha come in due parti  divifa tutta la Lettera , in una delle quali s*  è ingegnato di biafimare, e deprimere il pia  che ha potuto Ariftotile; e nell’altra lodare,  e portare alle ftelle Renato Defeartes. Egli  ha depredo Ariftotile , comparandolo prima-  mente con Platone , e inoltrando , che il  principato tra i filolòfi è di quello fecondo;   L 4 chc      *6$   che da tutti i fanti Padri molto è flato cele*  brato: che la fua filofofìa è la più favorevo-  le, ed acconcia alla Chiefà cattolica ; e che  quella d’ Ariftotile è la più contraria, e pre-  giudiziale . S’ e poi ingegnato di inoltrare ,  che Ariftotile è flato 1* origine di tutte l’ere-  fie.* eh’ è flato biafimato da tutti i fanti Pa-  dri , e finalmente tutto quello ha raccolto ,  che può fèrvire di biafimo , e di vitupero di  quello filolofo • Di qui è pallato a glorifica-  re il Defcartes . Ha mcftrato da quanti e  quali uomini e fiata la lita filofofìa appro-  vata , e ricevuta : com’ ella s’ uniforma a’fen-  timenti de’ fanti Padri : come ferve molto per  difi reggere l’erefie , e così fatte altre cofe af-  fai. Onde porta l’incertezza di tutte le filo-  fofie per cagione del corto intendimento u*  mano , e porta Umilmente la libertà di giu-  dicare , eh’ hanno gl’ intelletti nelle materie  fìlofcfiche y ha concitilo, ellère molto da ri-  provare Tattaccarfi fidamente ad Ariftotile .  C jntra il quale molte colè di nuovo adducen*  do, e moltiflime altresì a favore di Renato,  della filofofìa di cui teffe un lungo panegiri-  co ; finalmente conclude , effere forte da ri-  prendere coloro , che ardifeono biafimare la  filofofìa moderna , la quale non fido al paro  coll’ Ariftotelica può andare; ma in oltre ad  erta dee ellère antiporta , come quella , che  dalla Platonica fi deriva , e per più altre lo*    4   i6$   di, ch’egli affai minutamente, e a lungo ya  numerando.   Ora volendo (opra cosi fatta argomentazio-  ne col medefimo fine dell* autor fuo , cioè a  prò della moderna filofòfia , alcuna colà of*  fervare; dico in prima, non effere molto da  commendare Io ftabilire la difefa di effe mo-  derna filofòfia fopra la depreffione d’Arifto-  tile, e fopra la deificazione, per dir così, di  Renato delle Carte . Quantunque volte un  eccellente fcrittore ha occupato un poftocon-  fiderabile nella repubblica delle lettere, non  manca mai la fazione di quelli, che Pefàlta-  no , e di coloro , che lo deprimono fuori del  dovere . Vero è , che ci fono ancora difcreti  eftimatori delle cole, i quali il buono dal reo  feparando , quel prudente mezzo eleggono  nel dar giudicio , che fecondo dirittura di ra*  gione fi vuol tenere. Molti efèmpj io potrei  addurre per confermazione di ciò: ma perchè  fopra Ariflotile procede ilnoftro ragionamen-  to , volentieri io non mi partirò da eflo. Per  efempio adunque de’ glorificatori affettati di  quello filofofo fia Averroe , il quale in que-  llo modo lafciò fcritto di lui : j4riflotelir do *  Urina efl Stimma Veritas, quoniam ejus intei*  lelhts fuit finis bumani intclleftus ; quare bene  dicitur de ilio , quod ipfe fnit creatus , & da*  tus nobis Divina providentia , ut non ignori   mus Doffibilia feiri . E nella Prefazione alla   .. Fifica; Complevii ( Ix>gicam , Ethicam -, óc  Metaphyficam ) quia nullus eorum , qui fecu *  ti funt eum ufque ad hoc tcmpus , quod efl  mille & . quingentorum annorum , quidquam ad*  didit , nec invenies in ejus verbi s errorem ali*  cujus quantitatis , # ta/ew £// per quan-  to egli raedefimo ne dice , venti anni interi  fpefi avendo iti Squadernare i libri d* Ariflo-  tile , anzi oracolo , che giudicio è da repu-  tarli . Così adunque egli fcrive nel Prolago  al libro JY. del fuo Examen vanitati* dottrir  Tue gentium : Multa apud Ariflotelem erudì . f >   tio , multa eleganti a fcribendi , inulta etiam ,   fcrtajfe verità* : fed certe non parva vanita* *   - JLo fcrutinio fin qui da noi fatto di varj ,  c oppofti giudicj intorno al medefimo fog-  getto formati, può fervir di regola nel giudi- 1   care di. tutti gli eccellenti fcrittori. Noq bifir  gna nè alla bellezza della virtù, nè alia brut-  tezza de’vizj lafciarfi cosi rollo ingannare , nè '    2   1 -    I 7 i * ■ . .   fafcinare in modo la vi (la , che fi travegga  e fi finarrilca quel fenderò dì mezzo, per cui  Tempre colla (corta della ragione dobbiamo  proccurare d* incamminarci . Ma egli fi ritro-  vano uomini d’ immaginazione tanto gagliar-  da e forte , che poiché hanno fidato la men-  te nella qualità d’ un oggetto , non (anno  tanto o quanto fidarla per dominarne le al-  tre - Conoro confederano ' le colè (blamente  per quel verfo, a cui dal moto de* (oro fpi-  riti fono portati , e di qui è, che o il bene  folo , o il male precifamente contemplano »  Quello predominio dell’ immaginazione in  nelfun’ altra opera per mio avvilo meglio fi  fcorge , quanto in quella de veris principiis ,  & vera ratione pbilofopbaudi di Mario Nizo-  iio. Quello fcrietore avendo al principio con-  ceputo della (lima verfo Cicerone, e vdeldifi  credito per • Ari dotile ,‘a poco a poco  s* è lafeiato condurre a tale , che nuli*- altro  che il lodevole in quello , e in quello nuli*  altro che il biafimevole egli vedeva . Gli è fi-  nalmente» paruto , eh’ ogni cofa , anche 1’  imperfezioni del primo roderò divinità , e le  cole anche buone del fecondo fodero vizj , e  magagne . Di qui è , che negli accennati li-  bri , egli conculca ogni opinione, e lèntenzia  d’ Arillotile, e glorifica ogni detto di Cice-  rone ; per qualunque definizione anche de-  bole , e imperfetta del quale, egli s’ ingegna   di    *    di ritrovare principi , da cui fi deduce com*  ella è giuftiflima , e vera. Quella lòrta di li-  bri può efler utile per quelli , che all* oppo-  fla parte fono dalla palfione portati / perchè  fcorgendo nella lettura di elfi il rovescio, co-  me fi dice , della medaglia , può avvenire ,  che s* inducano a dubitare di quello, che fi-  no allora aveano tenuto per fermo . Per al-  tro e T uno e 1* altro di quelli eflremi me-  rita grandilfimo biafimo , nè v’ ha colà ,che  più i retti giudici impedifca quanto quello fv la-  mento della ragione, a cui la fantafia ha tolto  la briglia di mano,. Intanto la vanità, e lafu-  perbia dell’ uomo fi palce molto di così fat-  to cibo , perchè o colla deificazione, o colla  deprelfione altrui o coll’uno e l’altro inlìeme,  fi fpera di potere llabilire la propria fama «  Egli avviene nonpertanto , che la colà il più  delle volte va tutt* all’ oppollo . Nulla è  che minor imprelfione faccia nelle menti de-  gli uomini, e che più agevolmente dimenti-  chino , quanto quelli sforzi violenti : degl’  intelletti da troppo gagliarda immaginazione  trafportati : non altrimenti appunto , che 1*  azioni llravaganti , e inufitate de’ pazzi , ap-  pena s’oflèrvano . E chi è egli , che fìlolò-  fando fi Ila giammai attenuto a’ principj di-  Mario Nizolio? lo non ritrovo appena regi-  flrato il filo nome tra i nemici d’Àrillotile .   . Ma ritornando in via, dico, che l’autore   di    Digitized by Google    !    di quella Lettera fembra effere (lato alquan*  to tocco dal prurito y di cui abbiamo fin qui  favellato , mentre con tutto lo sforzo dello  fpirito s y è ingegnato di raccogliere il polfibL.  le con tra Ariftotile, e dall* altro canto por-  tare fino alle ftelle il Delcartes ; ogni prova  facendo > e nulla intentato lalciando per ap-  pannare, e far violenza agl* intelletti de’luoi  leggitori . Per contraflegno della fila palilo*  ne , anche dentro a* cancelli di puro racco*  glitore degli altrui giudicj, offervifi il modo ,  eh* egli tiene alla pagina 34. in iftorcere vio-  lentemente contra Ariftotile alcune parole  del P. Petavio, dette ad altro intendimento,  anzi in propofito tutto conti ario. Quello Pa-  dre nel capitolo III. numero V. dei Prolago  alla fua Opera de* Dogmi Teologici , dopo  avere addotto un lungo palio di S. Bafiiio ,  nel quale lèmbra , eh* e* rigetti in tutto la  filolòfia Ariftotelica , foggiunge al fine cobi:  Ceterum iifdem in verbi * videtur Bafìlius in  totum abdicale , ac rejecijje ab fidei , Theo*  hgiécque conjortio univerfam Ariflotelis philofo*  phiam tanquam Cbriflo irrvifam , & inimicami  atque ab bofle illius Diabolo proferì am . Quam  uonmllorum opinionem refellit Clemens Ale*an-  drinus in primo Stromateon > ut alibi memini -  mus . Sed ab bujufmodi Jufpicione Bafilium  paullo pofl purgabimus . Ora il nollro autore  prende da quello palio quelle lòie parole ;   Ari m  Ari flotti is j>hilofophiam tanquam Chriflo invi,  fam , & inimicam i atque ab hofle illitis Dia.  bolo profeti am ; e le porta come un detto del  P. Petavio contra la fìlolòfia d’ Ariftotile. E  chi non vede però che il prurito di conculcare  quello filofofo ha fuggerito all’autore della let-  tera una sì aperta , e abominevole ftorpiatura?   E pure y fe per 1* altro verfo vogliamo ri-  guardare e Arillotile , e il Delcartes , non ci  mancherà motivo , nè fcrittori , i quali ci a-  prirànno la ftrada a deificare il primo , ed a  deprimere , e conculcare ancora il fecondo ,  lènza nè pure aver bifogno di ricorrere a tali  artificj . Ogni volta che uno fcrittore s’ha a.  cquiftato un gran nome nella repubblica del-  le lettere , e mafTìme per lungo tratto di tem-  po , ’è pazzia l’immaginarli , che tutte le co-  fe lue pollano eflère tee . Il buono làrà mi-  fto col men buono , come di tutte l’ umane  cofe , che perfette giammai non li videro j  fiiole avvenire ; e però quelli , eh’ amano dì  cogliere negli eftremi , troveranno in amen. -  due le parti da làttollarli . Il punto Uà , che  non lì lufinghino d’innalzare una fabbrica ,  che non polla eflère da alcun altro colle ilei*  fe forze diftrutta , per non ritrovarli contra  la loro efpettazione ingannati. Un altro, che  riguardi lo fteflò oggetto dal lato oppofto a  quello , che 1’ hanno riguardato efli , ritro-  verà tolto gli liromenti da dilhuggere in   quel*    !   I    176   quella fletta fucina dov’eglinò gli avevano ri.  trovati per fabbricare - Di quella difputa d’  Ugone da Siena, al tempo del Concilio , che  fi cominciò in Ferrara , riferita dall* autor  della Letteta, come cola inftituitaperefalta-  re Platone, e deprimere Ariftotile, così nel.,  la fua Cronaca lafciò fcritto Filippo da Ber-  gamo : Cumque Nicolaus Marchio , & multi  in Synodo congregati pbilofophi excellentes ad -  venijfent , cuniios in medium philofophia jocos  adduxit ( Ugo ) de quibus inter fe Plato ±  Arifloteles fuis in Operibus contendere , ac  magnopere dijfentire videntur , cdocens eamfe  partem defenfurum y quamGraci oppugnandam  ducer ent , five Platone m y fi ve alium je fequen -  dum arbitrarentur . Lo fletto atteftano Enea  Silvio nel capitolo LI I. della Dedizione delF  Europa , e Andrea. Tiraquello nel capìtolo  XXXI. del libro de Nobilitate . Ecco pertan-  to , che il fine d’ Ugone non fu V efaltazion  di Platone , e Pabbaflàmento d* Ariftotile ,  come vien fuppofta : ma fi profefsò di voler  difputare problematicamente , che vai a dire,  difendere la parte impugnata , e per confe-  guenza difendere o l’uno, o l’altro di quelli  due fUofofì . Cosi il Concilio Lateranefe V.  a torto vien portato alla facciuola 114. come  difàpprovatore , e condannatore della filofo-  fia Peripatetica nella Scffione Vili. Bafta fo-  to leggere P accennato luogo per chiarirli ,  che quello Concilio non condannò nè Anda-  tile, nè Platone, nè alcun altro filofofo in  particolare : ma generalmente della filofòfia  ragionando , proibì primamente I* abufo a  que’ tempi introdotto di difendere nelle pub-  bliche Tefi, che circa lo dello punto, quel-  lo era da dire fecondo la filofofia , e quefto  fecondo la verità : ovvero tal colà fecondo la  filosofia e r a vera, che fecondo la fede erafal-  fa . In fecondo luogo ordinò a tutti i Lettori  pubblici delle Univerfità , chefpiegando i  fìlofòfi, avvertilfero la gioventù degli errori  loro , alla fede noftra contrari , -confutando*  gli, e riprovandogli . E finalmente (labili ,  che niunCherico doveffe dopo io ftudio della  Grammatica appigliarli a quelloodeilaPoefia,  o della Filolòfia, lènza ftudiareinfieme Teolo-  gia , e Canoni, acciocché, foggiugne, In bis  Janlìif , & utilibus profijfionibus Sacerdotes  Domini inveniant , unde infili a s Pbilofopbia ,  & Poe fi s r adice s purgare, & fanare valeant.  E tanto è lontano , che i Padri di quefto  Concilio abbiano avuto in animo d’oltraggia-  re Ariftotile, eh’ anzi lette le poco fa accen-  nate cofe , e ricercato , fe alcuno avelTè pun-  to che dire in contrario, fi levò fufo Niccolò  Lippomano Vefcovo di Bergamo, e sì difle^  Quod non pìacebat fìbi , quod Tbeoìogi impo -  nerent Pbilofopbis difputantibus de veritate in -  ielle fi us tanquam de materia po/ita de mente   M - Ari»    Digitized by Google    178 ...   .Ariflotelis y quam [ibi imponti Averroes : lieti  fecundum verità rem tali* opimo e fi fai fa . Si-  milmente di queir Aezio Vefcovo * che dall*  autor deir Epiftola è rapportato come uno *  che per troppo ftarfi attaccato alle Categorie  cT Ariftotile , cadeffe in erefia * e diventaflTe  Ateifta , Socrate nel libro II. capitolo XXXV-  della Tua fteria Ecclefiafticacosl ragion a: Hoc  aiitem facit Cat egorii s Ariflotelis ( fic liber iU  le e fi ir.fcriptus ) fidem habens * ex quibus  difputando * ac fe ipfum fallendo y non int clie-  nti y ncque a feientibus didicìty quis fìt Ari fio -  telis feopus . Ille namque propter fopbifias phi*  lofoph'ue lum illudentes id genus exerctiii con -  fcripfit y & Di al etite en per fophifmata novis  fopbiflis dicavti. Itaque Academici * qui Pia-  toni* y ac Plotini fcripta e L 9 immaginazioni belle piut-  rollo ad udirli , che fiifliftenti e fode ,  le quali fono fparfe per tutto il corpo del-  la fua filolòfia y e che tinta di fanatifmo  T hanno fatta comparire . I Vortici , che  da fonti torbidi Italiani , come fono quel-  li di Giordano Bruno Nolano , ha prefi  il . Defcartes per far girare la fila tripli-  ce materia ; fono colori , che poffono fer-  vire a fare un ritratto di lui tutto diver.  fo da quello , che ha fatto V autor del-  la Lettera * Il Padre Malebranche mede,  fimo 5 uno de* più acerrimi difenfòri , e  approvatori della dottrina di Renato , co-  sì lafciò fcritto nel libro ili. patte L  capitolo» IV. della ricerca della Verità .  Mortsù Defcartes era anch'egli uomo y fog -  getto all 9 errore , e all 9 illufione , come gli  altri . Non v 9 ha alcuna delle fue Ope-  re y non eccettuando nè pure la fua Geome*  * tri a y in cui non fi a . qualche fegno della  debolezza dello fpirito umano . Non bifo-  gna adunque fi are alla fua parola ; ma  leggerlo cautamente , com 9 egli ftejfo ci av~  vertijfe . Non fono anche mancati uomi-  ni dotti , i quali hanno fatto vedere , che  Ja fua filofofia è di pregiudicio alla fede ,    i8i   cd è contrarla a molti dogmi cattolici - AI-  cuno ha pretefo , eh * ella rinnovi V ere-  fie di Pelagio , e di Neftorio : ed altri ,  eh* ella fia la firada allo Spinofifmo , e  all* Ateifmo * Io fò , eh 5 è flato rifpo-  fto a quefli tali , e che vi fi rifponde.  rà : ^ma quello appunto è quello , che il  di fopra da noi detto conferma , e che  moftra quanto agevol colà fia o, ecceder  nella lode , o ecceder nel biafimo , quan-  do non s 9 ami di fidar V occhio che o ne*  fòli vizj , o nelle fole virtù . Non fem-  bra adunque , com > ho detto , degno di  molta lode il difegno di ftabilire la difefa  della filofofia moderna fopra le lodi , el*  efaltazione di Renato Defcartes , e fopra  i biafimi , e depreflione d * Ariftotile , fic-  oome fopra un fondamento , che fi può di-  ftruggere con quella fteflà facilità , con  cui s è innalzato : e per mezzo del quale ,  fermo e inconcuflò renando , fi verrebbe a  flabilire quello , che V autor filo medesi-  mo in alcun luogo con molte parole s 9 e  ingegnato di diftruggere , cioè il farli fè-  guace indivifibile d* alcun filofbfo partico-  lare .   Ora diciamo alcuna cofa della principal ra-  gione, fopra cui Pautor della Lettera ha pian-  tato la difefa della filofofia modèrna ; la qua-  le fi è , che derivando ella dal fonte di Pia-  rvi 3 «o*    iS z   tone, fìlofcfo fupcrioread Ariftotile, appro-  vato dagli antichi Padri, e riconofciuto come  molto vicino a’dogmi cattolici; ella non vuol  eflere riprovata , maflimamente in confronto  dell* Ariftotelica, la quale, fecondo lui, è J }a*  fa V unica , e fola cagione , anzi l y orìgine JìcJfa  di tutte V erefie.   E quanto al primo , cioè quanto al prin-  cipato ,tra Platone, ed Ariftotile ; molto dif-  ficile, molto dibattuta, e da niiino per anche  decite quiftione ha prefo a diterminare il no-  Aro autore , augnandolo al primo • La dif-  ficoltà di tal decisione procede , che molti ef-  ffendo i pregj delfinio e dell* altro filofofo ,  amendue ancora hanno le loro imperfezioni.  Secondcchè pertanto fi vogliono riguardare sì  nell* uno, che nell* altro più quelli, che ques-  te, fi ha campo ancora di antiporre , o pote  porre V uno all* altro.   Ma per quello , che riguarda il fecondo y  cioè quanto al far ufo dell* uno, o delP altro  nella Teologia , e nelle cole della religione ,  non fono pure ben d* accordo tra loro gli uo-  mini dotti qual fia da preferirli . Se per Pla-  tone fta P ufo , che moftrano averne fatto i  primi Padri della Chiete: nè anche Ariftotile  va privo in tutto di fimi! pregio , mentre al  riferire d’Eufebio nel libro VII. cap. XXXIL  della Storia Ecclefiaftica , in Aleftàndria , an-  che al tempo , che i Dottori Apoftolici rif-   pJea«    plendevano , l’Ariflotelica (cuoia fioriva. Gle-  mente Aleffandrino lib.V. Stromatam, riferita,  che Ariltobolo con molti libri provò, la (liofoba  Peripatetica dalla legge di Mosè,e dagli altri  Profeti derivarli. E Gioleffo nel lib. I. contvaAp*  pìonem , infieme col mentovato Eufebio nel lib.  IX. cap. V. de preparatane Evangelica , recano  un luogo di Clearco,ditapoIod’ Annotile, da  cui fi fcorge, come quello filofofo, eliendo m A-  fia, tenne lunghi, e fciendfici ragionamenti  con un dotto , e favio Ebreo , da cui apparo mol.  te belle, ed eccellenti cofe ne’ Divini libri con*  tenute . Anzi fu opinione d’alcuni , che lo «el-  fo filofofo , avendo avuti per mezzo d Alelìan.  dro i libri di Salamone , molte cofe da quelli rac-  coglielTe,e trafportalfene’ fuoi .Ne mancarono  fra moderni ( lafciando per ora da parteltare i  libri de vietate Arijlotelis , de f alate Anflotchs ,  ed altri limili dati fuori ) chi comparazioni tra  la Scrittura facra , ed Ariftotile facendo , s in-  segnarono a tutta lor polla di moftrarc, eh e-   alino pattano d’accordo , come Giorgio Trape-  zonzio, Giovanni Zeifoldo , AgofiinoSteuco,  ed altri . Sopra così fatta lite pertanto a muno ,  s’ io non vado errato , difpiacerà il prudente   giudiciodi Melchior Cano, (limato meritamen-  te dall’autor del la Lettera il maggior ornamen-  to della famiglia Domenicana. Divo Augufli ,  wofdice quell’ autore nel lib. X- cap. V . de loets  Tbeologicis ) Pialo fummus efl : Divo Tbom   Enea Gazeo , di Teofìlo Patriarca d’ Antio-  chia, di Lattanzio Firmiano, d’ Eufebio Ce-  fàrienfe, d’ Epifanio, di Gregorio Nazianze-  [ no , di Girolamo , di Crifoftomo , e di Teodo-  reto, ne’quali, tutti concordemente biafima-  no , e {gridano Platone , e la fua fìlofòfia , co-  me quella, ch’era fiata l’origine , ed aveva  dato palcolo, e fomento ad infiniti errori , ed  erefie. Ecco adunque , che Ariflotile non è  fiata la fola pietra dello fcandalo : ecco eh* egli   non    i     f    188   non è l’unica cagione di tutte V erefie : ma  Platone fenz’alcun dubbio, in quella parte lo  fupera, ed è flato guardato di malocchio da*  Padri; e l’ accollarli , ch’egli fa in qualche  modo più a noi , è ridondato in nollro mag-  gior pregiudicio . Di qui fu però , che negìi  ultimi tempi , quando Giorgio Gemillo , il  Cardinal BelTarione , il Cardinal Gufano , e  Marlilio Ficino illullrarono , e fecero rifiori-  re la Platonica limola, quali tutti nonpertan-  to {limarono miglior avvifo, o almeno minor  pericolo, attenerli tuttavia ad Ariflotile. Sen.  tali lòpra ciò 1’ avvedutiflìmo Giovan Fran-  celco Pico Mirandolano , il quale nel libro 1 V.  capitolo IL del fuo Ex amen vanìtatis dotivi,  ttee gentium , in quello modo lafciò Icritto.  Alti nihilominus , Platone poflhabito , haferunt  Arifloteli , exiflimantes illum noflr & exatìe,  fed in comuni defumta ) prxbere aditum faci -  lius po/fit , quam Arifloteles , qui rationibus ,  non fide , foleat plurìmum & fere femper inni -  ti . Ma il talento di avvallare Ariflotile , e  cacciamelo del mondo , e della memoria de-  gli uomini; non ha lalciato Icorgere all’ au-  tor della Lettera, non dico le lodi fue ; ma   nè    Digltized by Google    nè pure i biafimi, «Squali i medefimi Padri  ne’medefimi luoghi, in cui nello ripigliano,   » anche il fuo maedro fogliono non punto di-  verfamente trattare . Per cagion d y efempio  nel capitolo XJ. del Libro intitolato Regala  Monacharum , a S. Girolamo già attribuito ,  fi leggono quelle parole ; Attende , & tu fa-  tuorum fapientum princeps Arifloteles . Elleno  però fono Hate tolto notate dal nodro auto,  re , e nella lettera aliai avidamente inferite :  ma queir altre: Verum non fine labore didicu  ) fii tuam Japientiam fatuam Plato y folamente  due verfi lontane,* e quelle ancora aliai vicine;  Non banv fatuitatem doéìijjimam Athenis Plato  didicit , non Arifloteles y non Anaxagoras > non cete -  rorum fiultorum mundi fapientum turba percepita  non fono Hate avvertite da lui , nè notate ,  non altrimenti, che feo non iforitte, o rafe,  e cancellate Hate li fodero. Ma che diremo,  che dopo quel detto da lui in difcredito d* A-  f rillotilc recato , immediatamente al medefimo  . filofofo quedo elogio è teduto, o leurato fi mil-  mente, non fo come, c tolto agli occhi del  nollro autore? Et fi fueris abfque dubitano,  ne prfdigium , grandeque miraculum in tota na+  tura y cui pene videtur infufum , quicquid  naturai iter efl capax humanum genus , 43c.  Le quali parole anzi della foiocca abbjezio-  > ne , e viltà del Chiofatore Arabo, che del-  la gravità Geronimiana tenere mi fcmbra-   no   r    190   no (*) Vero è però, che da tutti i Critici efl  fendo coiai opera da quelle di Girolamo fe pa-  rata , e come lavoro di più baili tempi , non   fu*   (*) Averroe nella Prefazione alla Fifica 4 parlan-  do d’ Afiftotile difTe : Talem ejfe virtutem in indi-  viduo uno tniraculofum & extra neum exifiit . A che pa-  re , che corrifpondano qtìeft e parole : Si fuerir ab -  fque dubitation e prodigi um 3 grand eque mìraculurn in  tota natura . Averroe ancora fopra il libro JL della  generazione degli animali , così lafciò fcrirto : Lau*  demur Deum , qui feparavit lune virum ab a li ir in  perfezione 5 appropriavitque ei vltimam dignità tem  bumanam ò quam non omnis homo pottft in quacum -  que £tote attingere . Alle quali parole s } accofta-  no ùmilmente quell* altre : Cui pene videtur infu -  fum , quicquid naturaliter efl capax bumanutn gsnut .  Di qui fi può formar conghiettura , che cotal Li-  bro non fia flato feri ero prima del 1150 , in cui fio-  rì Averroe . Oltre a moire voci de 9 tempi baffi , e  parecchj veftigj di fcolaftico , e Parigino idioma ,  che vi s* incontrano y e che pofTono fervire per  confermazione di quello 3 maggiormente ancora  tutto ciò fi ftabilifce dalle parole , che fi leggo*  Do nel capitolo X. Ut quafi quorundam pbilofo -  pborum videretur in eis verificavi opinio , qui unam  ponunt in bominibur univerfir animar» folam . La qual  è opinione venuta fu ne* tempi baffi ,dai rappor-  tato Averroe mefTa fuori e difefa , impugni 3 da  S. Tommafo,e finalmente condannata nel V. Con-  cilio Lateranefe alla Seffione Vili. Ma perchè per  . altra parte dell* accennata opera fi fa menzione del pranfodo-  po nona ne’ dì di digiuno ; il qua! ufo s* è nella  Chiefa confervato fin verfo il fine del XIV. fecole 5  perciò potrebbe argomentarli 3 che il Libro non fof-    f    Digitized by Google    . *9i   fna giudicata * (**) non era da farfi arma  fuor di ragione contra lo Stajprita del  nome d’un tanto Padre . Ben piu vantag-  giofo e per V autore della Lettera , e per la  verità flato farebbe , eh’ egli nelle vere ope-  re i veri '(entimemi di sì gran Santo intorno  a ciò rintracciato , e quafi fpigolato avefle ,  mentre in quella guifa il perfeguitato Arifto-  tile dal glorificato Platone non mai guari lon-  tano ritrovato avrebbe - Come (opra il capi-  tolo X. v. XV. deir Ecclefiade . Lege Plato-  ne m : Arifloìdis revolve verfutias y & proba -  bis verum effe quod dicitar : labor flaltoram  affliget eos . Sopra il Salmo CXL v. Vi. al-  tresì. Nane ipji hareticì licet per Arìftotelern y  & Platonem videantar fimplicitatern Ecdefi  e fin dove fi debba  fèguitargli • Poflòno è vero accodarli f chi  piu , e chi meno a* dogmi della noftra re-  ligione , fecondo i fonti da* quali attinie*  ro le loro cognizioni ; ' ma non è però  giammai da fperare , che ferifcano il fe.  gno , perchè le tenebre , nelle quali vi-  veano , loro non permettevano d y arrivare  tant* alto . Altro dunque non fi può in  /quella parte , che com piagnere la mifèria,  e infelicità loro : per altro il biafimo , e  la lode non ha propriamente luogo fòpra  elfi ,?fe non quando fi confiderano • da fe,  come puri filofòfi , e fèparatamente da* do-  gmi de* Criftiani. T   Ora palliamo a dilcorrere brevemente  dell* idea generale , che P amore della  prefènte Lettera ha avuto ; il quale ha  divifato > che la difefà di Renato Defcar-  tes fia la difefa della filofofia moderna , e  la condannagione d* Ariftotiie fia la con.  dannagione cella volgare.   Incorno a ciò è da avvertire , che la mo-  derna filcfòfia non è in modoconftituita dal-  la filofofia del Defcartes, che Cartellano, e   N Mo' Moderno fìa la medefitrià cofa. E 1 ben vero,  che non fi può eflère Cartellano lènza eflère  ancora Moderno; ma non è vero, che non  fi pofla eflère Moderno fenza eflère Cartefia-  no , Per la qual cofa la filolòfia Cartefiana  fi ha alla Moderna , come la fpezie al gene-  re. Ancora è da notare, che avvegnacchè la  volgare fiJtfofia abbia voluto unicamente ac.  taccarfi ad Ariftotile , tuttavia eflèndofi ella  lèrvira per intenderlo dell* ioterpetrazioni de-  gli Arabi , i quali per l’ignoranza delle lirt^  gue, e per mancanza d’erudizione, peflima-  mente 1’ hanno iotefo: nè lette avendo gli  Scolaflici quefte interpetrazioni nell’idioma ,  .in cui da’ loro autori erano fiate fcritte ; ma  dall’Arabico trafportate in Latino , o come  alcun dice , in Ebreo dall’ Arabico , e po.  fcia dall’Ebreo in Latino trafvafate ; può et  fere per ciò aflai facilmente avvenuto , che  la mente d’ AriflotiJe per lo diritto intendi-  mento prefo , fia del. tutto oppofta a quella  degli Scolaflici, e cosi la mente degli Scola.  Ilici a quella d’Ariflotele. Ora di qui ne fé-  gue, che come vituperandoli, e condannan-  doli i modei ni , per avventura nè fi vitupe-  rerebbe , .nè fi condannerebbe il Defcartes ; '  così per l’oppoflo lodandoli, e difendendoli  il Defcartes, può eflère , che nè fi lodino ,  nè fi difendano i moderni . Similmente fi c-   come vituperandoli , e condannandoli gli Sco-  la-    Digitized by Google    lattici, è facil cotti, che nè fi vituperi, nè  fi condanni Arittotile • cosi potrebbe dare  il calo, che vituperandoli, e condannandoli  Ariftotele , nè fi vituperaflèro , nè li con-  dannaflèro gli Scolatici , eh’ è quanto dire  la filolòfia volgare. E* ben vero però, che  quell’ ultima . eiTendo colà dilEcilittima , e  preffochè imponibile ; perchè non è da cre-  dere, eh’ elfi Scolatoci perverlàmente inten-  dendo Arittotile 1’ abbiano migliorato : ma  piuttotto piggiorato affai ; cosi il vituperare,  e il condannare Arittotile pare , che provi  molto quanto al vituperare , e condannare  la filolòfia volgare . Ma per 1’ oppofta {ra-  gione il lodare, e il difendere Renato Dett  cartes non pare, che provi tanto per quello^  che fpetta al lodare , e difendere la filcfofia  moderna;.. .   Perbene adunque, e acconcia diente difen-  dere, e lodare quella filofofia, {ómbra di me*  ftieri cercare il fuo verocottitutivo, dalla bon-  tà ^.o difetto del quale, la lode , e il bia*  fimo ad eflà Umilmente fe ne derivi. Ora  quello , che fembra la filofofìa moderna  conttituire , e alla volgare degli Scolali ici  immediatamente oppofta; renderla , fi è lo  lcotimento del giogo Peripatetico , e di  qualunque altro particolar filolòfo ; e la  pura ricerca della verità. dove , e in qua-  lunque luogo ella fi fia . La ichiavitù nel.   N * la    196 . .   la quale, feguendo gli Arabi, gente d f ani*  ino baffo , e fervile , avevano pollo il loro  intelletto gli Scolaftici , per ellere dapper-  tutto fparfi , e difufi, s’era ancora dapper^  tutto difufa , e inoltrata , ed avevano cbbli*  gato tutto il mondo a non filofofare con al-  tra mente , che con quella ' d* Ariflotile •  Avvegnaché fopra infinite quiflioni di filo-  lofi a 7 col là pere* la mente di quello filofo-  fo, non fi fappia per anche nulla y tuttavia  eglino s* erano immaginati di làper tutto ♦  Nequc erìnn- Philofophum ; ( cóme dice Gio-  va n Francefco Pico ) fed Pbìlofopbi* legem  pkrique omnès arbitrobantur . Quella però è  la cagione, che fi fono veduti fopra tal qui.  ftionepiù libri, deflinati ad eliminar la men-  te d’ Ariflotile,' che a ricercare la lidia veri,  tà della colà . Molti hanno incominciato a  riflettere , che quello era un travaglio molto  penofò , e che il frutto non -iftance era aliai  tenue. Hanno offervato, che per quella via,  al più non fi’ poteva venire in cognizione che  di quanto fapeva Ariflotile , che vuol dire  di pochiflìme cofe , rifpetto a quelle, che s*  avrebbono potute fcoprire . Dove 1* altre ar-  ti al tempo de* primi ritrovatori • fono Tem-  pre comparlè rozze ,     19 7   tempi d’ A ri Rotile >' di Piatone , di Demo-  erito, e d’ Ippocrate , molto fi làpeva per  squelPctà, allo ’ncontrocol tratto del tempo  era venuto anzi perdendo che no, e le fet-  enze s* erano piuttolìo abballate , e o Taira te,  ^he illuflrate, e innalzateli , com’era di ra-  gione - Conchifero adunque , che quello modo di filofofare degli Scolatici èra irragione-  vole , e barbaro , e non tendeva ad altro , che  a coprire tutto il mondo d’ una miferabile i-  gnoranza, mentre , come avvertì anche Sene»  .Qui aitimi fequtiur tiibil inventi , imo ne*  que quarti.. Lorenzo Valla Romano fu il pri-  , che a’ adpprò a trarre la filofofia del mi.  fero fervaggio , in cui li giaceva , inoltrando  èllere lecito fentire diverfo da Ariftotile co*  duci tre Libri Diale Elie arum difputatwmm , che  fcriflfe a ^quello fine . Anche .Giovati Francei-  co Pico Mirandolano ne’ tre .ultimi Libri del  fuo E* amen vanitati s dottrina gentium , molte  colè difputò contra lo lìdio filofofo ; e mol-  te altresì ; Lodovico iVives ne* fuoi Libri de  cauffts corrupanrm artium , per non dir nulla  delTelefio, del Patrizio i e d’altri fomiglian.  ti ,ii quali pure tennero la ll'eflà via . Die*  tro le velìigie di coltoro Galileo Galilei in  Italia, e Prancefeo Barcone, in Inghilter-  ra inftituirono Un modo di frlólòfare libero,  e del tutto oppolto, all’ antico. Scola Iti co, e  gittarono le prime fondamenta di quella ft-   r«o n ? •  io.    t98   lotcfia che fi chiama Moderna/ non perchè  fidamente ora Ì fuoi principi fieno /tari po.  Iti in ufo; che Tempre, e in tutti i fiecoli gli  uomini ragionevoli altra via non hanno mai  tenuto ne! tilofcfare; ma perché dopo ? in.  fezione orribile , e univerfale degii Scolaftick  iqtiali amava n meglio di fcioccheggiare coti  Ariftotile, che con altri tàggiameme'iditcop*  rere , come alcun diffe j q netti ottimi pria,  eipj fono fiati felicemente richiamati , e pa.  fti in ufo da moderni . Aperta cosi Ja fi rada  da queftì due nobili, e valorófi ingegni . «  primo de* quali fu il primo ancora , che chia.  mo in ajuto della filofofia le Matematiche,  e che con profpero avvenimento Je v’ intro-  dufie; comparvero ben tofloCartefio, e Gali   , do ?r, r £ na . altri ec.   celienti filofofì, i quali t a n te ^ e sì diverte   ecfe e in cielo *, e in terra difcóprirono , e  cosi fatto utile recarono a tutte I» altre arti ,  e fpecialmente alla Medicina , che ben fece,  ro conofcere cogli effetti, quanto infelice, e  miterevole fia la condizione di qpefti aridi ,   f d, g' 1 ™ d* Ariftotifc ; e quanta fia   la necetfita di battere altra via per ben fìioi   babugemus in Italia Galil quotiefeumque ipfi permittitur libere quo*  cumque vagari. Verumenimvcro nec argumen -  ta in oppofitum defunty pracipue quantum ad  pbilofopbiam . ^Ecce quanam plus minufve . /.  Ouod nonHdeo rerum fcìentia aequiritur y fla-  tim ac auttpfis innotefeit opimo 5 quacumque  aliter fentiendi , aut fcribendi pr aclu fa facuh  tate . Ih Qupd fape fapius temporis multum  fruflra tranfigitur , germanum vefligando prò*  prii auttoris fenfum > fpeciatim in aliquibus con-  troverfiis y quas ipfe fubobfcure refolvit : III  Hinc ea penitus non declinari y qua timentur  abfitrda , hoc efl circa opinandi libcrtatem ;  Magifler enim nonnibil acutuSy auttorem quem-  piam ad proprhtm fenfum jugiter potè fi expo -   . i ntn -    Digltized by Google    tot   tendo trabere , ita ut in eunlfis fihi patroci.  nari videatur. IV. Quod in pbilcfapbicis libe .  rum unieuique effe debeat fuopte nutu de re.  .rum natura fentire , & quod fcrutanda veri,  tati plurimum obefl ita jur are in verba dolio,  rum, ut borum auHoritatì , baudquaquam li.  eeat refragari.V-, Quod iflopotifftmum loco  Divi Atfguftinì norma m fequi cportet , adferen.  tis , quantavis auiloritate , ac fanlìitate fulge.  fit aliquis aulior, ipfi tamen indubitatum , fir.  tnumque affenfum co folum effe prabendum ,   ? to rationes ejus illum a nobis extorqent . VI.   andem Deum onice. effe , cujus auHoritati ,  nipote maino infallibili , fit tace fidendum.  «   I 3    4 t 1 » i    INE.     0 •* •           ) :t \    2O3      ; u    • * * • M    s i  Delle cofe notabili , contenute nella  preferite Lettera , . e -nell’; ; ;  Offer vazione .■    M *    * •     » si  pone in Dio. 84. gran fbfifta. 147. 148  AriflptplicìJ Vedi Perl pitici . Tjf J   AriflotUe rfòvetchia autorità dataglida alcuni 8  . * 1 ?4- condanna Platone, e n*è riprefo. 1 j.fiioi  * : ièguaeV eretici . 30Ì 38. 15 9. pròBaMJifti venerato còme idolo. 30. i59.bia/tmatoda >  fanti Padri ..   da altri . 40. 41. 45. fuoi libri condannati .  35. 36. notato di gravi errori da’ Padri , ed  r , altri. 41. 4Z. 43.,'fu uno de 9 maggiori filo-  . lòfi delia Grècia 44. fu chiamato in giu-  *5 ^icio . 44. fuoi principi bugiardi . 44.; infa-  mato da 1 fuoi feguaci lteffi ., 45-46. fe ve-  nifle ora al mondo fi difdirebbe. 103. 104  c noniftimò di dover eflère norma univerfà-  le . 107. e 1 origine di tutti gli errori de  interpetri. i^.fwacrfcurità. 148. 149. è  li ìóJò tra tanti filofofi,(:he fia ftudiatq, fxid ila  V n izio ne deIL*iTOii\c> biajtj ma|? - 1*   - immortaJi^delranima.24. 153. fua Logica  T fofìftica . 154. lodato affettatamente .169  flrabocchevolmente biafimato> 170.. 172  giudici retti fopra il medefimo . 171. non  •%• •   C Ano ( Melchior ) ; Tuo elogio •: 38. giu-  ì dicio del medefimo intorno a Piatone ,  . ; e jAnilotile. ; !.. 183   Capitone : fct raggiante i, ; Caramuele ( Gio. ) : ilio prelag io intorno al-  , la filofofìa Cartefiana. . {, 120   Cartefto ( Renato ): lii che fondamenti pian-  « tane il fuo fiftema - 53.. fiioi principi giu*  ili y e buoni. 55* 114. fuoi fèguaci. 56. 57  «‘ fo*! fuoi protettori converte la Regina di Svezia . 64. e   . altri . 65. lupi fentimenti fi conformano  v «> n que , de y Padri.  n8. chiamato il refu gio de J cartoli-  . • 65* onori fattigli. 65. calunniato dalle   univerfità Protettami . 70. fuoi nemici -  fiioi difenlòri . 71. 72. pone  per primo principio il dubitare . 87-fua prote-  it azione , $7. a ma d’effère corretto. 88. per-  chè fine meditate una nuova, fflofofìa. 116  lodato dal P. .Merlènni . 118.119. s’uniforma  fo’ftntimenti di Platone. 121. fuoi coltami.   iiz. giudicio fòpra il medefi.   ino del Malebranche . 180. fua filofofia  -difefa dalle migliori univerfità d’Europa.   61. ù     »Ojr   61. fi dee antiporte a quella d* Ariftolile.  114. è veramente Criltiana  lodata.  prefagio del Caramuele intorno al*  la medefima- 120. è tratta dalla Genefi perchè contraddetta da alcuni ha dato motivo a molti di dar in pazzie .  ed empietà. 179. fuoi difetti U  ha alla Moderna come la fpecie al genere Cartellano , e Moderno non è lo   fteflq. 19+   P. C a fati: abbraccia la fìlolòfia Moderna. 66  Caffi ni: fila oflervazione . ili   Celfo: contrario a J a bolero. 107   CeJ alpini ( Andrea ) .* fua. (coperta. Charlet : amico del Cartello.. • . 66   Cbiefa: fua dottrina è la vera fìlolòfia .   è interpetre degli arcani Divini . 163. Ve-  di Teologia .   P. Cbirchero ( Atanafio ): proccura 1’ amici-  zia del Cartello Clemente ( AlefTandrino ): non iftimò, che i  Greci fi giuftificafièro per mezzo della fìlo-  lòfia. Cicerone ( M. Tullio ) .* divinizzato dal Nizo-  Ito. 172   Cielo : (ita grandezza , materia , e moti igno-   ti. • . . .• '• '>'••• ' Cipriano ( Martire ): fao errore . 16 1   P.Ciermans : loda il Cartello. Concilio Latermefe V. : filo luogo alla Seflìo-   ne    to8   Tie 8. fplegato . D Daniel ( Niccola ) : impugna il Carte-    bracciata fua opinione intorno alla   i . . •   P- Detei: Cartellano . Defcartes . Vedi Carte fio.   Digiuno : fin quanto abbia durato nella Chie-  *'• là il pranlò dopo Nona.  p. Di net ( Giacomo )ì amico del Cartello . >   Dio: è la prima verità. . 163   Difpute : la verità fogge da eflè . 5. fono un   tormento degl’ingegni . 6 . hanno diftrut.   * to la filolofìa . altro lor pelfi-   mo effètto. 137. Vedi Filofofi i Perìpate.    E Berardo ( Gio. ) difende il Cartello. 71  Epicuro : plagiario. 49- commendato da’  Padri . 49. 50. 53. fua filofofìa abbracciata.  48. 51. 53. anche da’ Padri meri.  •• tò della medesima . 49. 53. illultrata dal     tiri) Sette.    E    Gal'    . ; 209   v ; G^irenaiv T " - ; ' 5 °   Erbe : non fi fa la loro virtù Ereboore : ( Adriano ) : Cartellano. . 7 O  Euclide: fuo detto ’ ; \ r \ * : f ’ Eunomiam: giurano 4 filile parole d’Ariftotile.   - ^ 59 . ,   Etintìniicr: compagno d’ Aezio nell’erefia . 29   ‘ ^ fi vanta di conofcer Dio r . 7 6 : è riprefo da   ’ Bafilio. ' ’ " : i ! ' , 7*    Eurìpo : fuoi vortici non fi fa donde derivi-   ■ ' • 81    no*. « , .   • .op * u:- t \ r r *jLvì r   r f r   *• » /i # ' »IA «4 • al * ,1 *l*v* • 1 I • #   5 " Fabbri i abbraccia la fìlofofia Moderna.   p. Farvagtie : difertfore del Cartefio. • 5^  Fede : 'richiede fommiffiorie. 34. Vedi Chic.   • *'/», ‘ : v>- ! v .   Ecmrib( S. Vincenzo ) : introduttore dell In.   '• cfuifizione. * * .. . .. . 34   Fìlopono X Giovanni ) .* eretico . ^ ' ■ 2.9   Filo fof are : è permeilo à tutti . -ir. liberta di  •' éffo . l 72. 97- 99: 1?8. die fine deb-   : bà avere.' • ^ ^ — ^*54   Filofofi'r contrari a fe medefimi .' 74. ton-  ’ dano i principi del fi lofofare foli’ igno.   •' ... .-L 'i. a_ . 1 14 fri-    • I • « »    » « t  “ « •.    ?» tii.t 22.'fonó amanti delle favole .  • i-! o *J°»    1     ZIO   330. dicono le maggiori pazzie. *3 1. fé. ne  - può trar bene, e male per la religione , 19^  non poflòno eflère biafimati di queftó *191.   • non bilbgna fperare , che parlino da Cri-   tìiani. 193. biasimo 1 e lode quando abbia,  luogo lopra euì. ' Filofopa: commendata’ da’ Gentili ) $ da^Pa-  dii. 8. 9. io. 11. ip. non è fapienza..rV7^  : non è altro che opi nazione  non  . ve n'ha al mondo. divife in mille  fette . 89. 90. 129. fua incertezza . 00. 91  130. non abborrifce Je novità * 98. fogget-  ta a nuove (coperte. 100. 101. ancella del.   . la Teologia. 127. 129. è (tata ritrovata per  efercitazion dell’ ingegno Jia avuto  t. origine dajle fàvole de’ Poeti . 130. . non è  . contraria a tutte le. favole. 131.nan.haan.   cor trovato la verità. .,-y '^64   Filofofia Antica : fua / debolezza . j Hj-è up   • giuoco fanciulldco Vedi Àrtjlotùc ~ y  . 'Peripatetici t Scelffiiai •  Fihfofià, ' Moderna : malamente n; ’4 • v - . 198     ‘ " j; - :l ;;;;i 51   Gtfitttr:' hanno partkolar irtftituto di feguita*  c re Ariftotile. 65. molti hanno abbracciato  la fìlofofìa Moderna*. Gianfenifla : titolo proibito in Francia. 93  G indie io : norma .da tenerli nel. dar gfridició.  .cr 171. noti bifògna dar negli cftremi Giureconsulti : non fono così pertinaci , come  v : i iPcripa tctìdl*;! f: >\ fi j . vui !;; .1,06.107  Giuflino ( Martire ) : convertito per mezzo  -ideila fìlofofìa Platonica i \ :U iV *7  f. Grandamy : amico del Cartello . 68   O 2 Gran*    i    212 .    Grandini: non fi fa cóme s’ingenerino. 8r  S, 'Gregorio ( Nifleno ) fuo elogio. 53. Epi-   _ laureo. . .. 53- 54   P. Grimaldi : abbraccia la filofofia Moderna.   • L ^ •   ^ ' t   \ * ; , M • - » . • ■ \ •   «•..*# t 4 ( / 1 »» M « ^ 1 f » V •      * ' i »»•'   #..*•> « y i »    ♦ • f . r    I * *    % 4   \ * •    I Gnoranz* ì & uo panegirico. 1 -- : % V« % ’  Incendy: ne* monti , non fi fa come fi  i-ì facciano. . • *:,. ' \    r . . » .   ^ . »... » ir f-.' % » “ 1 .   «ili i • » r - •    r » M ' • « 1 » t : ♦: io5   i Lampi : non n fa come s’ ingenerino.   .    ci. ;   P. Lupi : fi fa Cartellano. 56. perchè. 57   ,   ? . S . •   Stoici : negano 1 * opinarionì . 83. lofpetti ap-  po i Romani. -    * '    T Affitti - f Alefiàndro ^ : fuO prefagio in-  torno ad Ariftotilc verificato a 120    ■Temiflio: eretico. ’ *9   Teologi: loro> difetti- • • 1 ^ 9 - * 4 °   Teologia : le novità in eflà fimo pericolofe . 98  ammeflè dagli Scolali ici. 164.133. è regina  delle fcienze. 127. non ha che fare colla fi-  , lofofia.127. 128. ha ritrovato la verità. 165  Icolallica non fi dee riprovareperchè fa ufo  . • d* Arittotile." . » 7 ?   Terremoti : non fi là come fi facciano . 81   Terra : ignoto fu qual baie fi libri , e quanto  Ila grande. "8*   Tejt pubbliche : loro abufo al tempo del V.   Concilio Lateranelè . *77   Ticcùne: file {coperte: • ” ^   S. Tommafo ( d’ Aquino ) : come , e a che   fine iludiafle Ariftotile . 46. fuo lamento .   * . * » • • , ,   47 - ' • - _    Digltized by Google    iZlO   Tmricdli : .dio ritrovamento . . ' jio   De Turne ( Simon ) : perchè acculato d* ere-  fia. , ... 22    f   • f    V   ' “ f*** j    »' i • ■* ^   * • • ♦ I    V ' Alla ( Lorenzo .) r Tuo penfiero appro-  vato dalNizolio. 144. Fu il primo a li.  re: nega Topinazioni. 83. fua fetta  fofpetta appo i Romani. Giuseppe Valletta. Valletta Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Valletta” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.

 

Grice e Valore: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’inventario del mondo – filosofia italiana- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Milano). Filosofo italiano. Essential Italian philosopher. Grice: “Having philosophsided on what Italians call ‘valore,’ I admire Valore!” Si occupa di metafisica, di ontologia generale e delle implicazioni ontologiche delle teorie formali. Si interessa anche dei progetti di linguaggi artificiali e di lingue ausiliarie. Si laurea in filosofia a Milano, vi ha conseguito il dottorato di ricerca con uno studio su riferimento, rappresentazione e realta. Ricerca a Milano, dove insegna storia della filosofia. La sua prima produzione è stata dedicata principalmente a studi sulla filosofia dell'Ottocento e del Novecento e alla riabilitazione di una prospettiva trascendentalista soprattutto in metafisica. Partecipa al gruppo fondatore della rivista Problemata. Quaderni di Filosofia, di cui è stato caporedattore. Quando la Facoltà di ingegneria industriale del poli-tecnico di Milano gli ha affidato un corso di "Verità e teoria della corrispondenza", la sua ricerca si è spostata su tematiche sempre più teoriche, collegate alla filosofia analitica, alla metafisica e all'ontologia analitica. Organizza e cura il progetto. Diviene quindi professore aggregato di storia della metafisica a Milano, di filosofia teoretica al poli-tecnico con corsi dedicati all'ontologia formale e di filosofia degl’oggetti sociali (ontologia sociale) a Milano. Fonda In Koj. Interlingvistikaj Kajeroj, rivista di studio e discussione accademica sulle tematiche dei linguaggi artificiali. È stato membro del gruppo di ricerca European collaborative research finanziato dall'European science foundation e è il responsabile del progetto  per il programma Euro Scholars USA European Under-graduates Research Opportunities. Lavora su un suo progetto di ricerca di ontologia formale per il quale ha vinto una sponsorizzazione Fulbright nella categoria Fulbright Visiting Scholar. Collabora con la Rivista di storia della filosofia, è nel comitato scientifico delle riviste Materiali di estetica, Rivista Italiana di Filosofia Analitica Junior e Multi-linguismo e società ed è direttore delle collane di filosofia Biblioteca di Problemata (editore LED di Milano) e Ratio. Studi e testi di filosofia contemporanea (editore Polimetrica di Monza). Saggi: “Trascendentale e idea di ragione. Studio sulla fenomenologia di BANFI” (Firenze, Nuova Italia); “Rappresentazione, riferimento e realtà” (Torino, Thélème); “L'inventario del mondo. Guida allo studio dell'ontologia” (Torino, Pomba); “La sentenza di Isacco: come dire la verità senza essere realisti” (Milano-Udine, Mimesis); Curatele BANFI, Platone. Lezioni,  (Valore), Milano, Unicopli, Forma dat esse rei. Studi su razionalità e ontologia, Milano, Led, Paolo Va Ars experientiam recte intelligendi. Saggi filosofici, Monza, Polimetrica, Da un punto di vista logico. Saggi logico-filosofici (Milano, Cortina); Materiali per lo studio dei linguaggi artificiali (Milano, Cuem); “Questioni di metafisica” (Milano, Il Castoro); Quine (Milano, Angeli). Monaco di iera, Grin Verlag,. Pubblicato anche come “Inter-linguistica e filosofia dei linguaggi artificiali”, come numero monografico per la prima uscita del giornale accademico multilingue InKoj. Interlingvistikaj Kajeroj. Pisa, E di studio, Dispense universitarie La categoria di sostanza in Aristotele, Milano, Cuem, Introduzione al dibattito sulla distinzione tra analitico e sintetico (Milano. Cuem); Questioni di ontologia (Milano, Cusl); La struttura logico-analitica dell'ontologia di HERBART (Milano, Cusl); Laboratorio di ontologia analitica (Milano, Cusl); Verità e teoria della corrispondenza (Milano, Cusl); Philosophy of Social Objects (Milano, Bocconi); Bibliografie ragionate Ontologia, Milano, Unicopli, Verità, Milano, Unicopli, Saggi e articoli Acme,  "Idealizzazione della verità e coerentismo. Due perplessità sul realismo della 'seconda ingenuità'", in Iride. Filosofia e discussione pubblica, "La 'posizione' esistenziale e il giudizio ipotetico nell'ontologia di HERBART: il caso degl’oggetti inesistenti", in POGGI, Natura umana e individualità psichica. Scienza, filosofia e religione in Italia (Milano, Unicopli); “Sull'idea di una logica trascendentale", in Chora. Laboratorio di attualità, scrittura e cultura filosofica, "Alcune note sull'attualità dell'ontologia nella filosofia contemporanea più recente", in  V., Forma dat esse rei..., "L'interpretazione semantica del trascendentale e l'ontologia del mondo reale in PRETI", in V., Forma dat esse rei...,  "Il mestiere antico e nuovo del filosofo", in la Repubblica, (Milano).  "Fisica e geometria come modelli di lavoro per l'ontologia. Un'interpretazione del metodo delle relazioni”, Dall'epistolario di PRETI a BANFI", Ad BANFI cinquant'anni dopo, Milano, Unicopli, "Due tipi di parsimonia. Alcune considerazioni sul costruttivismo e il nominalismo ontologico", in La filosofia e i linguaggi, Macerata, Quodlibet. "Cosa c'è che non va nell'idea di una lingua cosmica. Il caso del LINCOS di Freudenthal", in Multilingusimo e Società,  "Nothing is part of everything", in Giornale di filosofia, Ontologie, Milano, Volume recensito da Utri sulla rivista Iride. Filosofia e discussione pubblica, Secretum on line. Scienze, saperi, forme di cultura,  e da Marazzi sulla Rivista di filosofia neoscolastica, Volume recensito da Gesner sulla rivista Belfagor. Rassegna di varia umanità, Volume recensito da Bianchetti, Chora. Laboratorio di attualità, scrittura e cultura filosofica,  Volume recensito da Giardino sulla Rivista di filosofia, nell'articolo "Tra i cavalli alati e la realtà" – cf. H. P. Grice, “Pegasus is Pegasus” Nomi vacui, su Il manifesto, Armezzani su SWIF Volume recensito da Corsetti su “L'esperanto. Revuo de itala esperanto-federacio”, recensito da sulla rivista web Secretum. Scienze, saperi, forme di cultura Si tratta di un Book accessibile con password. Si tratta di una replica critica all'articolo di Valduga "Filosofi all'anagrafe", pubblicato su la Repubblica, sezione Milano. Profilo accademico su immagini della mente. Elenco completo delle pubblicazioni sul sito universitario academia.edu. Paolo Valore. Valore. Keywords: Pegasus is Pegasus. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Valore” – per il H. P. Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza

 

Grice e Vanini: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dei peripatetici del lizio – filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Taurisano). Filosofo italiano. Essential Italian philosopher. “If you speak Italian, you should never confuse Vanini with Vannini” -- Grice. Fra i primi esponenti di rilievo del libertinismo erudito. Nasce al casale di Terra d'Otranto, nella famiglia che il padre, uomo d'affari originario di Tresana in Toscana, costitusce sposando una Lopez de Noguera, appartenente a una famiglia appaltatrice delle regie dogane della Terra di Bari, della Terra d'Otranto, della Capitanata e della Basilicata. Anche un successivo documento scoperto nell'srchivio segreto vaticano, lo qualifica pugliese, confermando il luogo di nascita ch'egli si attribuisce nelle sue opere. Nel censimento ufficiale della popolazione del casale di Taurisano figurano solo i nomi di Giovan Battista Vanini, del figlio legittimo Alessandro, e del figlio naturale Giovan Francesco. Nessun cenno della moglie e dell'altro figlio legittimo Giulio Cesare. Si ha motivo di ritenere che il padre sia ri-entrato a Napoli. Sistemata ogni pendenza economica, entra nell'ordine carmelitano assume il nome di Gabriele e si trasfere a Padova per intraprendere gli studi. Giunge nelle terre della repubblica di Venezia quando le polemiche provocate due anni prima dall'interdetto di Paolo V sono ancora vivacissime. Durante il soggiorno padovano entra in contatto con il gruppo capeggiato da SARPI che, con l'appoggio dell'ambasciata inglese a Venezia, alimenta la polemica anti-papale. Consegue a Napoli il titolo di dottore in utroque iure, superando l'esame che gli consente di esercitare la professione di dottore nella legge civile e canonica. Come verrà descritto in documenti posteriori, assimila una grande cultura. Parla assai bene il latino e con una grande facilità, è alto di taglia e un po' magro, ha i capelli castani, il naso aquilino, gl’occhi vivi e fisionomia gradevole ed ingegnosa. Divenuto maggiorenne, si fa riconoscere da un tribunale della capitale erede di Giovan Battista. Con una serie di rogiti e procure notarili redatte a Napoli, inizia a sistemare ogni pendenza economica conseguente alla morte del padre. Vende una casa di sua proprietà sita in Ugento, a pochi chilometri dal suo paese d'origine. Dà mandato a uno zio di assolvere incarichi dello stesso tipo, incarica l'amico Scarciglia di recuperagli una somma e gli vende alcuni beni rimasti a Taurisano e tenuti in custodia dai due fratelli. Partecipa alle prediche quaresimali, attirandosi i sospetti delle autorità religiose. In conseguenza dei suoi atteggiamenti anti-papali, e allontanato dal convento di Padova e rinviato, in attesa di ulteriori sanzioni disciplinari, al provinciale di Terra di Lavoro con sentenza del generale dell'Ordine carmelitano, SILVIO, ma fugge in Inghilterra, insieme con il confratello genovese GENOCCHI. Nel viaggio, toccano Bologna, Milano, i grigioni svizzeri e discendono il corso del Reno sino alla costa del mare del nord, attraversando la Germania, i paesi bassi, il canale della Manica e giungendo infine a Londra e a Lambeth -- sede arcivescovile del Primato d'Inghilterra. Qui i due frati rimarranno per quasi II anni, nascondendo la loro reale identità perfino ai loro ospiti inglesi, poiché è provato che lo stesso arcivescovo di Canterbury, ABBOT, li conosceva sotto un nome diverso da quello reale. Nella chiesa londinese detta dei MERCIAI o degl’italiani, alla presenza di un folto auditorio e di Bacone, V. e il suo compagno fanno una pubblica sconfessione della loro fede cattolica, abbracciando la religione anglicana. In realtà i due frati non hanno tagliato i ponti con i loro ambienti di provenienza: infatti nel GENOCCHI viene raggiunto da una lettera molto amichevole di un amico e confratello genovese, SPINOLA. A loro volta, le autorità cattoliche vengono subito informate di questo caso. -- è il nunzio a Parigi ad avvertire la segreteria di stato vaticana che due frati veneziani non meglio identificati sono fuggiti in Inghilterra e si sono fatti ugonotti, che un vescovo italiano sta per seguirli e che lo stesso SARPI, morto il doge e privato della sua protezione, per non cadere in mano dei suoi nemici, è sul punto di fuggire in Palatinato tra i protestanti. Analoga notizia, arricchita di altri particolari, viene inoltrata dal nunzio in Fiandra al cardinale BORGHESE a Roma, che risponde mostrandosi già al corrente dei fatti e dell'esatta identità dei due frati. Sa che la fuga di V., di GENNOCHI, di SARPI, e di un non ancora identificato vescovo italiano potrebbe portare alla ricostituzione in terra protestante del gruppo di opposizione al papato già operante nella repubblica veneta al tempo dell'interdetto. Il nunzio UBALDINI da Parigi continua a inviare a Roma dettagli sulla condotta dei due frati rifugiati in Inghilterra, sulle loro predicazioni, su come sono stati accolti a corte e dalle autorità religiose, su come si continui a parlare dell'arrivo del vescovo italiano. La segreteria di stato vaticana esorta il nunzio in Francia ad attivare i suoi confidenti in Inghilterra al fine di scoprire l'identità del vescovo intenzionato a rifugiarvisi. Il cardinale UBALDINI da Parigi assicura alla segreteria di stato tutto il suo impegno in merito all'argomento dei due frati. Nello stesso dispaccio afferma che non mancherà di informare di ogni dettaglio anche il cardinale ARROGONI, che gli ha scritto in merito per conto del papa e della congregazione del sant’uffizio. Evidentemente a quella data la condotta veneziana e la successiva fuga dei due frati era già diventata argomento di discussione dell'inquisizione romana. Un'altra lettera del cardinale BORGHESE invita il nunzio in Francia ad essere vigile sulla faccenda della fuga del vescovo in Inghilterra e, nel caso egli passi per il suolo francese, a far di tutto per «farlo ritenere», come suggerisce il Papa e «come sarebbe molto a proposito». In dicembre il Nunzio UBALDINI invia da Parigi al cardinale BORGHESE notizie dettagliate e di tenore molto diverso rispetto alle precedenti sui due frati, attestando la buona reputazione di cui essi godono in Inghilterra e la fiducia che possano presto essere recuperati alla chiesa di Roma. Questa lettera viene poi trasmessa al tribunale dell'inquisizione romana che nei primi giorni del gennaio successivo inizia di fatto a istruire il processo contro V.. Nei mesi successivi si hanno varie notizie di un gran traffico di suppliche e lettere dei due frati a Roma, specialmente tramite l'ambasciatore spagnolo a Londra, per ottenere il perdono del papa e il ri-entro nel cattolicesimo. Le autorità religiose inglesi ne vengono segretamente informate e dispongono un'attenta sorveglianza nei confronti dei due frati.  Tra la fine dele l'inizio del V. si reca in visita a Cambridge e poi ad OXFORD (cf. H. P. GRICE). A OXFORD, V. confida ad alcuni conoscenti la sua ormai imminente fuga dall'Inghilterra, cosicché in gennaio i due frati vengono arrestati dalla guardie dell'arcivescovo dopo una funzione religiosa nella chiesa degli Italiani e rinchiusi in case di alcuni servi dell'arcivescovo. Scoppia un grande scandalo e dell'episodio vengono informati il re e le massime autorità dello stato, in quanto nelle operazioni di recupero appaiono chiaramente coinvolti agenti di nazioni straniere accreditati nelle ambasciate a Londra. Altissime personalità cattoliche da Roma seguono la vicenda e la favoriscono con grande calore.  GENOCCHI, eludendo la sorveglianza e con l'aiuto di agenti stranieri, fugge dalla prigione e dall'Inghilterra. In conseguenza di ciò, viene trasferito in luogo più sicuro e rinchiuso nella carzel publica, ovvero nella gate-house adiacente all'abbazia di Westminster. Dilaga lo scandalo. Volano le accuse di leggerezza nei confronti dei fautori della fuga dei due frati dall'Italia, mentre cominciano a circolare apertamente i nomi del cappellano dell'ambasciatore veneto a Londra, MORAVO, e dell'ambasciatore spagnolo quali autori del clamoroso recupero. Dalla curia romana si continua a seguire la vicenda e a favorirla in ogni modo.  A Londra viene intanto istruito il processo a V. Il frate rischia una severa punizione, non il rogo come i martiri della fede -- come il carmelitano scrive con enfasi poi nelle sue opera --, ma una lunga deportazione in desolate colonie lontane, come l'arcivescovo ABBOT suggerisce al re.  Anche V. riesce a evadere di prigione e a fuggire dall'Inghilterra, sempre grazie all'aiuto degli agenti dell'ambasciatore spagnolo a Londra, incoraggiato da alte personalità romane e del cappellano dell'ambasciata della repubblica veneta, che si avvale anche dell'opera di alcuni servi dell'ambasciatore stesso, ma all'insaputa di questi.  II anni dopo, durante il processo della repubblica veneta contro l'ambasciatore FOSCARINI per spionaggio e per aver consentito ad ABBOT di sottoporre ad interrogatorio il personale dell'ambasciata, vengono alla luce anche dettagli sulla complicità della fuga di V. da Londra. V. e GENOCCHI arrivano a Bruxelles e si presentano al nunzio di Fiandra, BENTIVOGLIO, che li attende da tempo. Vengono iniziate le prime pratiche per la concessione del perdono per la fuga in Inghilterra e per l'apostasia e viene loro accordato di tornare in Italia e di vivervi in abito di prete secolare, senza più indossare l'abito religioso, ma con il vincolo dell'obbedienza al loro superiore. Forti di tali concessioni, alla fine di maggio i due frati vengono posti sulla via per Parigi, dove devono presentarsi al nunzio di quella città, UBALDINI. All'incirca nello stesso periodo giunge a Parigi anche l'ultimo frate recuperato dall'Inghilterra, MARCHETTI. Altri due frati, invece, non ottengono il perdono dalle autorità cattoliche. A Parigi, durante la permanenza presso la sede del nunzio UBALDINI, V. si inserisce nella polemica relativa all'accettazione dei principi del concilio di Trento in Francia, che tarda ad arrivare a causa del rifiuto di parte del clero gallicano. Per orientare gl’animi nella direzione voluta dalla santa sede, scrive i Commentari in difesa del concilio di Trento, di cui egli poi intende avvalersi, come scrive UBALDINI ai suoi superiori in Roma, per dimostrare la sincerità del suo ritorno nella fede cattolica.  Riprende quindi la strada per l'Italia, dirigendosi a Roma, dove deve affrontare le difficili fasi finali del processo presso il tribunale dell'inquisizione. Dimora per qualche mese a Genova, dove ritrova l'amico GENOCCHI e si guadagna da vivere insegnando filosofia ai figli di DORIA. Nonostante le assicurazioni ricevute, il ritorno dei frati non è del tutto tranquillo. GENOCCHI viene inaspettatamente arrestato dall'inquisitore di Genova. A Ferrara accade lo stesso all'altro frate "recuperato", MARCHETTI. V. teme che gli accada la stessa sorte, fugge nuovamente in Francia e si dirige a Lione. Gl’esiti finali delle esperienze capitate al frate genovese e a quello ferrareseche vennero rilasciati dopo un breve periodo di detenzione e restituiti alla normale vita religiosasembrano indicare che forse V. esagera il pericolo insito in queste operazioni di polizia dell'inquisizione. A Lione, pubblica l' “Amphitheatrum”, che egli intende esibire in sua difesa alle autorità romane, come si legge in un dispaccio di UBALDINI alle autorità romane. Esso è dedicato a CASTRO, ambasciatore spagnolo presso la santa sede, già collegato con la famiglia V., da cui il frate fuggiasco s'aspetta un aiuto nell'operazione della concessione del perdono da parte delle autorità romane. Poco tempo dopo, grazie anche agli appoggi acquisiti presso certi ambienti cattolici con la pubblicazione della sua opera, V. ritorna a Parigi e si ripresenta al nunzio UBALDINI, chiedendogli di intervenire in suo favore presso le autorità di Roma. Il prelato scrive al cardinale BORGHESE, chiedendo chiare indicazioni sulla sorte dell'ex-carmelitano. Non si conosce la risposta del segretario di stato. V., comunque, non ritorna più in Italia e riesce invece a trovare la strada e i mezzi per entrare in ambienti molto prestigiosi della nobiltà francese. V. completa un'altro suo saggio, il “De Admirandis Naturae Reginae Deaeque Mortalium Arcanis” ed l'affida a due filosofi della Sorbona perché ne autorizzino la pubblicazione, secondo le norme del tempo vigenti in Francia. Il saggio è pubblicato in settembre a Parigi. Esso è dedicato a BASSOMPIERRE, uomo potente alla corte di Maria de' MEDICI, ma è stampata da Perier, tipografo notoriamente PROTESTANTE. Il saggio vede la luce in un ambiente ricco di pubblicazioni che vengono guardate con sospetto e che provocano pesanti condanne. L'opera del V. ottiene un immediato successo presso certi ambienti della nobiltà, popolati di spiriti che guardano con interesse alle innovazioni culturali e scientifiche che vengono dall'Italia. In questo senso il “De Admirandis” costituisce una summa, esposta in modo vivace e brillante, del nuovo sapere. Dà una risposta alle esigenze del momento di questo settore della nobiltà. Diviene una specie di manifesto culturale di questi esprits forts e rappresenta per V. una possibilità di stabile permanenza negli ambienti vicini alla corte di Parigi. Tuttavia, pochi giorni dopo la pubblicazione del saggio, i due teologi della Sorbona che espressano la loro approvazione alla pubblicazione si presentano ai membri della facoltà di teologia in seduta ufficiale e li informano di aver letto, a loro tempo, certi dialoghi scritti da V. Di non avervi trovato allora niente che contrastasse con il cattolicismo; di averli restituiti muniti della loro approvazione alla stampa e con la condizione che il manoscritto da essi controfirmato fosse depositato presso di essi a pubblicazione avvenuta, a testimonianza della fedeltà del testo pubblicato a quello da loro approvato; che ciò non era avvenuto e che circola invece un testo dell'opera diverso da quello approvato e contenente alcuni errori contro la comune fede di tutti, per cui i due dottori avanzano la supplica che il saggio non circoli più con la loro approvazione e che tale richiesta venga trascritta nel libro delle conclusioni della facoltà stessa. La Sorbona accoglie tale richiesta che costituì di fatto un DIVIETO di circolazione del testo. La Sorbona, però, sembra non occuparsi più del saggio di V., non prenderne più in esame l'opera, non elencarne o denunciarne, come da prassi, gl’errori da emendare, né mai condanna il suo contenuto o il suo autore. Comunque, una condanna espressa dal vicario episcopale di Tolosa, RUDÈLE, a sottoscritta anche dall'inquisitore BILLY. Inoltre anche la congregazione dell'indice pronuncia una condanna con la quale il “De admirandis” e condannato con la formula del “donec corrigatur” -- in base alla quale il SOTOMAIOR colloca V. nella prima classe degli autori proibiti nel suo indice. La collectio judiciorum de novis erroribus qui ab initio duodecimi seculi post Incarnationem Verbi, in Ecclesia proscripti sunt et notati, di ARGENTRÉ, dottore della Sorbona e vescovo, edita a Parigi, esamina le censure e le conclusioni espresse dalla facoltà che aveva condannato l'Amphitheatrum Aeternae Sapientiae di KHUNRATH e la “De Republica Ecclesiastica” di DOMINIS) non menziona invece provvedimenti contro V..  Tutto questo porterebbe a ritenere che non vi siano stati atti ufficiali specifici di persecuzione contro V. da parte delle autorità parigine, né religiose né civili, né in questo periodo né negli anni seguenti. Ma solo proteste e minacce nei suoi confronti da parte di alcuni settori. Una condanna del saggio di V. non avrebbe trovato fondate giustificazioni, né sul piano giuridico né su quello culturale, in quanto gran parte delle teorie esposte da V. non costituivano una novità.  Fuggito da pochi mesi dall'Inghilterra, impossibilitato a ri-entrare in Italia, minacciato da alcuni settori cattolici francesi, V. vede restringersi intorno gli spazi di movimento e ridursi le possibilità di trovare stabile sistemazione nella società francese. Ha paura che venga aperto un processo contro di lui anche a Parigi, per cui fugge dalla capitale e si nasconde in Bretagna, in una delle cui abbazie, quella di Redon, è abate commendatario il suo amico e protettore, SAINT-LUC. Ma intervengono anche altri fattori di preoccupazione. Viene ucciso a Parigi CONCINI, favorito di Maria de MEDICI, uomo potentissimo e molto odiato in Francia. L'episodio, seguito poco dopo dall'allontanamento della regina dalla capitale con il suo odiato seguito di italiani, crea notevole turbolenza politica e suscita un vasto movimento di ostilità nei confronti degl’italiani residenti a corte. Altre cronache del tempo segnalano la presenza di un misterioso italiano, con un nome strano, in possesso di una grande cultura ma dall'incerto passato, ancora più a sud, in alcune città della Guienna e poi della Linguadoca ed infine a Tolosa. Nella particolare suddivisione politica della Francia, il duca di MONTMORENCY, protettore degli esprits forts del tempo, sposato con la duchessa italiana ORSINI, è governatore di questa regione e sembra poter accordare protezione al fuggiasco, che continua comunque a tenersi prudentemente nascosto. La presenza a Tolosa di questo misterioso personaggio, di cui si ignora la provenienza e la formazione culturale, ma che fa mostra di grande sapienza, di grande vivacità dialettica specialmente e di affermazioni non sempre allineate con la morale del tempo, non passa inosservata ed attira i sospetti delle autorità, che cominciano a sorvegliarlo.  Dopo averlo ricercato per un mese, le autorità tolosane lo fanno arrestare e chiudere in prigione. Lo sottopongono ad interrogatorio, cercano di scoprire chi egli sia, quali siano le sue idee in materia di di morale, perché fosse arrivato fin in quel lontano angolo della Francia meridionale. Vengono convocati testimoni contro di lui, ma non riescono ad accertare nulla, né a farlo tradire. Il misterioso personaggio viene improvvisamente riconosciuto colpevole e condannato al rogo. Ormai isolato, braccato, impossibilitato a chiamare a sua difesa un passato travagliatissimo e ricco di nodi mai sciolti, abbandonato dai pochi amici rimastigli fedeli perché impotenti ad organizzare una chiara strategia in sua difesa, muore di morte atroce. Il Parlamento di Tolosa lo riconosce colpevole del reato di ateismo e di bestemmie contro il nome di Dio, condannandolo, sulla base della normativa del tempo prevista per i bestemmiatori, alla stessa pena cui erano andati incontro, in luoghi diversi ma in circostanze analoghe, certi FREMOND e FONTANIER. Gli viene tagliata la lingua, poi è strangolato e infine arso. Subito dopo l'esecuzione furono pubblicati due anonimi che fanno esplicitamente il nome del V. e quindi nel misterioso italiano giustiziato viene riconosciuto V., l'autore del “De Admirandis” che suscita i sospetti di alcuni settori cattolici parigini. Comparvero le Histoires memorables di ROSSET, che, con la quinta Histoire, divulga con poche modifiche il secondo dei due citati canards. RUDELE, teologo e vicario generale dell'arcivescovado di Tolosa, avverte pubblicamente di aver esaminato le due saggi di V. insieme con BILLY e di averle trovate contrarie al culto e all'accettazione del vero Dio e assertrici dell'ateismo, emettendo ufficiale ordinanza di condanna e proibendone la stampa e la vendita nella diocesi di Tolosa, territorio posto sotto la sua giurisdizione. In precedenza, La Sorbona non ha comunicato di aver adottato analogo provvedimento. Saggi: “Amphitheatrum Æternæ Providentiæ divino-magicum, christiano-physicum, necnon astrologo-catholicum adversus veteres philosophos, atheos, epicureos, peripateticos et stoicos” (Lione). Il saggio si compone di esercitazioni, che mirano a dimostrare l'esistenza di Dio, a definirne l'essenza, a descriverne la provvidenza, a vagliare o confutare le opinioni di Pitagora, Protagora, CICERONE (vedi), BOEZIO (vedi), AQUINO (vedi), l’orto, Aristotele, Averroè, CARDANO, i peripatetici dei LIZIO, il PORTICO, ecc., su questo argomento. “De Admirandis Naturæ Reginæ Deæque Mortalium Arcanis libri quattuor” (Parigi, Périer). Il saggio si divide in IV libri:  un Liber I de Cœlo et Aëre; un Liber II de Aqua et Terra; un Liber III de Animalia Generatione et Affectibus Quibusdam; un Liber IV de Religione Ethnicorum; in forma di dialogo -- che avvengono tra lui, nelle vesti di divulgatore del sapere, e un immaginario Alessandro, che si presta ad un gioco sottile e divertente nel corso del quale, con un atteggiamento compiacente e un po' complice, tra espressioni di meraviglia e ammirazione per la vastità del sapere di cui l'amico fa mostra, sollecita il suo interlocutore ad elencare e spiegare gli arcani della natura regina e dea che esistono intorno e all'interno dell'uomo. Così, in un misto di rilettura in nuova chiave critica del pensiero degli filosofi antichi e di divulgazione di nuove teorie scientifiche e religiose, il protagonista del lavoro discetta sulla materia, figura, colore, forma, motore ed eternità del cielo; sul moto, centro e poli dei cieli; sul sole, sulla luna, sugli astri; sul fuoco; sulla cometa e sull'arcobaleno; sulla folgore, la neve e la pioggia; sul moto e la quiete dei proiettili nell'aria; sull'impulsione delle bombarde e delle balestre; sull'aria soffiata e ventilata; sull'aria corrotta; sull'elemento dell'acqua; sulla nascita dei fiumi; sull'incremento del Nilo; sull'eternità e la salsedine del mare; sul fragore e sul moto delle acque; sul moto dei proiettili; sulla generazione delle isole e dei monti, nonché della causa dei terremoti; sulla genesi, radice e colore delle gemme, nonché delle macchie delle pietre; sulla vita, l'alimento e la morte delle pietre; sulla forza del magnete di attrarre il ferro e sulla sua direzione verso i poli terrestri; sulle piante; sulla spiegazione da dare ad alcuni fenomeni della vita di tutti i giorni – SUL SEME GENITALE -- sulla generazione, la natura, la respirazione e la nutrizione dei pesci; sulla generazione degli uccelli; sulla generazione delle api; sulla prima generazione dell'uomo; sulle macchie contratte dai bambini nell'utero; sulla generazione del MASCHIO e della femmina; sui parti di mostri; sulla faccia dei bambini coperta da una larva; sulla crescita dell'uomo; sulla lunghezza della vita umana; sulla vista; sull'udito; sull'odorato; sul gusto; sul tatto e solletico; sugli affetti dell'uomo; su Dio; sulle apparizioni nell'aria; sugli oracoli; sulle sibille; sugli indemoniati; sulle sacre immagini dei pagani; sugli àuguri; sulla guarigione delle malattie capitata miracolosamente ad alcuni al tempo della religione pagana; sulla resurrezione dei morti; sulla stregoneria; sui sogni. Empio osarono dirti e d'anatemi oppressero il tuo cuore e ti legarono e alle fiamme ti diedero. O uomo sacro! perché non discendesti in fiamme dal cielo, il capo a colpire ai blasfemi e la tempesta tu non invocasti che spazzasse le ceneri dei barbari dalla patria lontano e dalla terra! Ma pur colei che tu già vivo amasti, sacra Natura te morente accolse, del loro agire dimentica i nemici con te raccolse nell'antica pace. Hölderlin. L'interpretazione naturalistica dei fenomeni soprannaturali che POMPONAZZI (vedi) chiamato da V. magister meus, divinus praeceptor meus, nostri speculi philosophorum princeps da nel “De incantationibus” “aureum opusculum”, è ripresa nel De admirandis naturae, dove, con una prosa semplice ed elegante,fa riferimento anche a CARDANO, a BORDONI e ad altri cinquecentisti.  Dio agisce sugli esseri sub-lunari (cioè sugli esseri umani) servendosi dei cieli come strumento. Di qui l'origine naturale e la spiegazione razionale dei pretesi fenomeni sopra-naturali, dal momento che anche l'astrologia è considerata una scienza. L’esere supremo, quando incombono pericoli, dà avvertimenti agli uomini e specialmente ai sovrani, agli esempi dei quali il mondo si conforma. Ma i reali fondamenti dei presunti fenomeni sovrannaturali sono soprattutto la fantasia umana, capace a volte di modificare l'apparenza della realtà esterna, i fondatori delle religioni rivelate, Mosè, Gesù, Maometto e gli ecclesiastici impostori che impongono false credenze per ottenere ricchezze e potere, e i regnanti, interessati al mantenimento di credenze religiose per meglio dominare la plebe, come insegna già MACHIAVELLI, il principe degli atei per il quale tutte le cose religiose sono false e sono finte dai principi per istruire l'ingenua plebe affinché, dove non può giungere la ragione, almeno conduca la religione. Seguendo ancora POMPONAZZI e PORZIO nella loro interpretazione dei testi aristotelici, mutuata dai commenti di Alessandro di Afrodisia, nega l'immortalità dell'anima. Anche il cosmo aristotelico-scolastico subisce il suo attacco distruttivo. Analogamente a BRUNO, nega la differenza peripatetica tra un mondo sub-lunare e un mondo celeste, affermando che entrambi sono composti della stessa materia corruttibile. Scardina nell'ambito fisico e biologico il finalismo e la dottrina ile-morfica aristotelica, e, ricollegandosi a l’orto di LUCREZIO, elabora una nuova descrizione dell'universo d'impianto meccanicistico-materialistico. Gl’organismi sono parago orology. E concepisce una prima forma di trasformismo universale delle specie viventi. Concorda con gl’aristotelici del LIZIO sull'eternità del mondo, considerando in particolare l'aspetto temporale. Ma, contro di essi, afferma il moto di rotazione terrestre e appare respingere la tesi tolemaica in favore di quella eliocentrica copernicana. Se il primo curator CORVAGLIA e lo storico RUGGIERO, ingiustamente, considerarono la sua filosofia semplicemente un centone privo di originalità e di serietà scientifica, Garasse, ben più preoccupato delle conseguenze della diffusione della sua filosofia, li giudica la filosofia più perniciosa che in fatto di ateismo fosse mai uscita negli ultimi cento anni. E stato ampiamente ri-considerato e ri-valutato dalla critica, mettendo in mostra l'originalità e le intuizioni metafisiche, fisiche, biologiche, talvolta precorritrici nei tempi, dei suoi saggi. Visto che nasconde la sua filosofia, secondo un tipico espediente della cultura del suo tempo, per evitare seri conflitti con le autorità religiose e politiche costituite, conflitti che, come paradossalmente e sfortunatamente avvenne, nonostante le cautele, lo condussero infine alla morte), l'interpretazione del suo pensiero si offre a diversi piani di lettura. Tuttavia, nella storia della filosofia, resta di lui acquisita un'immagine di miscredente e persino di ateo (il che non era). E questo perché avversario di ogni superstizione e di fede costituita (meglio un proto-agnostico), tanto da essere considerato uno dei padri del libertinismo, malgrado avesse scritto persino un'apologia del concilio di Trento. Per una sintesi della sua filosofia si deve guardare da un lato al retroterra culturale, che è quello abbastanza tipico del Rinascimento, con prevalenza di elementi dell'aristotelismo ma con forti elementi di misticismo platonico. Dall'altro lato egli trae dal Cusano dei tipici elementi panteistici, simili a quelli che si ritrovano anche in Bruno, ma più materialistici. La sua visione del mondo si basa sull'eternità della materia, sulla omogeneità sostanziale cosmica, su un Dio dentro la natura come forza che la forma, la ordina e la dirige. Tutte le forme del vivente hanno avuto origine spontanea dalla terra stessa come loro creatrice. Considerato ateo, nel titolo del suo saggio pubblicato a Lione nel Amphitheatrum aeternae providentiae divino-magicum, christiano-physicum, nec non astrologo-catholicum adversus veteres philosophos, atheos, epicureos, Peripateticos et Stoicos dimostra di non esserlo. Come precursore del libertinismo vi sono invece molti elementi che lo avvicinano al pensiero dell'ignoto autore del trattato dei tre impostori anch'egli panteista. Pensa infatti che i creatori delle tre religioni monoteiste, Mosè, Gesù Cristo e Maometto, non siano altro che degl’impostori. In “De admirandis Naturae Reginae Deaeque mortalium arcanis libri quatuor” stampato a Parigi nelvengono riprese le tesi dell' “Amphiteatrum” con precisazioni e sviluppi che ne fanno il suo capolavoro e la sintesi della sua filosofia. Viene negata la creazione dal nulla e l'immortalità dell'anima, Dio è nella natura come sua forza propulsiva e vitale. Entrambi sono eterni. Gl’astri del cielo sono una specie di intermediari tra dio e la natura che sta nel mondo sub-lunare e di cui noi facciamo parte. La religione vera è perciò una religione della natura che non nega Dio ma lo considera un suo spirito-forza. La sua filosofia è abbastanza frammentaria e riflette anche la complessità della sua formazione. E un filosofo, un naturalista, un religioso, ma anche un medico e un po' un mago. Ciò che ne caratterizza è la veemenza anti-clericale. Tra le cose originali della sua filosofia c'è una specie di anticipazione della teoria dell’evoluzione, perché, dopo un primo tempo in cui sostiene che le specie animali nascano per generazione spontanea dalla terra, in un secondo tempo -- lo pensa anche CARDANO -- pare convinto che esse possano trasformarsi le une nelle altre e che l'uomo derivia d’animali affini all'uomo come la bertuca, il macacho e la scimmia in genere. Appaiono due saggi che consacrano il mito del V. ateo: La doctrine curieuse des beaux esprits de ce temps, di GARASSE e le Quaestiones celeberrimae in Genesim cum accurata explicatione, di MERSENNE. I due saggi, però, anziché spegnere la voce del filosofo, la amplificano in un ambiente che evidentemente e pronto a ricevere, discutere e riconoscerne la validità delle affermazioni. Il nome di V. viene nuovamente proiettato all'attenzione della filosofia in occasione del clamoroso processo che viene celebrato contro VIAU. Il progetto di interrogatorio che il procuratore generale del re, Molé, predispone con ben articolati capi d'accusa su cui interrogare VIAU, contiene impressionanti analogie colla filosofia vaniniana, cui vien fatto esplicito riferimento mentre MERSENNE torna a martellare su V., analizzandone alcune affermazioni nel suo “L'Impiétè des Déistes, Athées et Libertins de ce temps, combatuë, et renversee de point en point par raisons tirées de la Philosophie, et de la Theologie”, nel quale porta il suo giudizio concernente CARDANO e BRUNO. Anche Leibniz, oppositore al pari di Mersenne del libertinismo, si esprime duramente contro V., considerandolo un empio, un pazzo e un ciarlatano. Je n'ai pas encore vu l'apologie de V., je ne pense pas qu'elle mérite fort d'être lue. La philosophie de ce personnage e bien peu de chose. Mais un imbécille comme lui, ou pour mieux dire, un fou ne méritoit pas d'être brûlé. On étoit seulement en droit de l'enfermer, afin qu'il ne séduisît personne -- Epist. ad Kortholtum in Opera omnia, Genève. Ancora la leggenda nera creata intorno alla figura di V. sopravvive al passare del tempo, si espande ed affascina molti studiosi, che si avvicinano alla sua filosofia e ne tentano dei profili biografici. Così anche la cultura inglese mostra interesse per il filosofo di Taurisano ed è soprattutto con BLOUNT che V.entra nella filosofia inglese ed acquista una dimensione che non abbandona mai più, quando diviene un elemento cardine del libertinismo e deismo. Un manoscritto inedito della biblioteca municipale di Avignone custodisce delle Observations sur Lucilio V. redatte da Velleron, ma fornisce solo delle incerte notizie sul filosofo, in gran parte rettificate dagli ultimi studi. Viene effettuata una copia manoscritta dell'Amphitheatrum, su commissione di Uriot, il quale la trasferisce poi nella biblioteca ducale del duca di Württemberg. Attualmente essa si trova nella Württembergische Landesbibliothek di Stoccarda. Un'altra copia manoscritta del saggio si trova nella Staats und Universitätbibliothek di Amburgo, a testimonianza del perdurante interesse per V. Viene data alle stampe a Londra una biografia vaniniana con un estratto delle sue opere, dal titolo “The life of ‘Lucilio’, alias V., burnt for atheism at Toulouse, with an abstract of his writings. Il saggio, pur ricollegandosi alla consueta storiografia vaniniana e quindi con i soliti errori d'origine, sottopone ad un dibattito ponderato la figura ed il pensiero del filosofo italiano, a cui riconosce qualche merito. Ma la strada per una collocazione europea di V. e del suo pensiero è ormai aperta. Saggi: “Amphitheatrum aeternae providentiae divino-magicum, christiano-physicum, nec non astrologo-catholicum adversus veteres philosophos, Atheos, Epicureos, Peripateticos et Stoicos, Auctore Iulio Caesare Vanino, Philosopho, Theologo et Iuris utriusque Doctore, Lugduni, Apud Viduam Antonii de Harsy, ad insigne Scuti Coloniensis” (Galatina). “Iulii Caesaris Vanini, Neapoletani Theologi, Philosophi et Iuris utriusque Doctoris, De admirandis Naturae Reginae Deaeque mortalium arcanis libri quatuor, LPombaiae, Apud Adrianum Perier, via Iacobaea” (Galatina). Le opere di V. e le loro fonti, Milano (Galatina,); “Opere” (Porzio, Lecce); “Anfiteatro dell'eterna Provvidenza” Galatina; “I meravigliosi segreti della natura, regina e dea dei mortali” Galatina); “Opere (Galatina); “Confutazione delle religioni “Anna Vasta, Catania, De Martinis & C.); “Opere” (Milano, Bompiani). Bucciantini, Lutero in Campo dei Fiori, in Il Sole 24 ORE Terzapagina. Filosofia ed ecologia per il "compleanno" di V., Una lettera dell'ambasciatore inglese a Venezia, Carleton, fa risalire l'episodio a nove anni prima. Raimondi, “V. e il libertinismo” Atti del Convegno di Studi, Taurisano (Galatina,  Raimondi, “Dal tardo Rinascimento al Libertinismo erudite” Atti del Convegno di Studi, Lecce-Taurisano Galatina, Spini, “Vaniniana” in «Rinascimento», Paola, “Il primo seicento anglo-veneto” Cutrofiano; Paola, “V. da Taurisano filosofo europeo, Fasano); Paola, “Documenti per una lettura di V., in «Bruniana & Campanelliana», Raimondi, Documenti vaniniani nell'archivio segreto vaticano, in «Bollettino di Storia della Filosofia dell'Università degli Studi di Lecce», Raimondi, Il soggiorno vaniniano in Inghilterra alla luce di nuovi documenti spagnoli e londinesi, in «Bollettino di Storia della Filosofia dell'Università degli Studi di Lecce», Raimondi, “La Santa Inquisizione, Taurisano, Raimondi, “L'Europa del Seicento. con una appendice documentaria, Pisa Roma. L'appendice contiene la più completa documentazione sulla biografia vaniniana: documenti dalla nascita al rogo. Fasano, Fazio, V. nella cultura filosofica (Galatina); Marcialis, “Natura e uomo in V.” in «Giornale Critico della Filosofia Italiana»; Marcialis, V. nell'Europa del Seicento, in "Rivista di Storia della Filosofia", Paganini, Le Theophrastus redivivus et V., in «Kairos»,  Papuli, Le interpretazioni di V., Galatina, Perrino, "V. nel Theophrastus redivivus", in «Bollettino di Storia della Filosofia dell'Università degli Studi di Lecce», Raimondi, V. e il "De tribus impostoribus", in «Ethos e Cultura», Padova, G. Spini, Ricerca dei libertini. La teoria dell'impostura delle religioni nel Seicento italiano, Roma, Firenze); Teofilato, V. nel III Centenario del suo martirio, Milano, Tip. Ed. La Stampa d'Avanguardia. Teofilato, V., in The Connecticut Magazine, articles in English and Italian, New Britain, Conn, C. Teofilato, Vaniniana, in La puglia letteraria, mensile di storia, Roma; V., Riflessioni sul problema V., in Bertelli, Il libertinismo in Europa, Milano-Napoli, Vasoli, V. e il suo processo per ateismo, in Niewohner e Pluta, Atheismus im Mittelalter und in der Renaissance, Wiesbaden); V. in Inghilterra. La seguente è una lista di alcuni documenti in cui è possibile trovare riferimenti alla presenza del frate carmelitano a Lambeth a Londra. Trascrizioni complete, riassunti e contesto di questi documenti sono disponibili. "V. e il primo seicento anglo-veneto" e in "V. da Taurisano filosofo europeo", Schena Editore, Brindisi. Documenti: London Public Record Office State Papers Venice Notizie sulla Mercers' Chapel a Londra, dove V. sconfesso la sua fede cattolica e tenne vari sermoni. London Public Record Office State Papers Petizione di due Carmelitani, V. e Genocchi, a Carleton, ambasciatore inglese a Venezia, per essere accettati in Inghilterra. Venezia. London Public Record Office State Papers Lettera di Carleton a Salisbury. Da Venezia, Carleton informa Salisbury che due frati gli hanno chiesto permesso di rifugiarsi in Inghilterra per evitare persecuzioni dai loro superiori. London Public Record Office State Papers. V. a Carleton. Da Lambeth. V. manda a Carleton informazioni riguardanti alla sua ricezione a Lambeth e la buona stima di cui gode lì. London Historical Manuscripts Commission De L'Isle and Dudley Manuscripts, Sir John Throckmorton al visconte Lisle. Flushing. Corrispondenza tra i due statisti riguardo ad una missione segreta di Florio, che forse accompagnò V. e il suo compagno a Londra. London, Manuscripts of the Marquess of Downshire preserved at Easthampstead Park Berk. Papers of Trumbull. Albery a Trumbull. Londra. Albery, un mercante inglese e corrispondente di Trumbull, agente inglese a Bruxelles, manda informazioni sull'arrivo di V. e le sue esperienze a Venezia. London Historical Manuscripts Commission Report on the Manuscripts of the Marquess of Downshire, Trumbull Papers. Albery a William Trumbull. Londra. Una copia della lettera da una fonte diversa. London Public Record Office State Papers Da Spinola a Ginocchio. Genova London Public Record Office State Papers Wake a Carleton. Londra London Public Record OfficeState Papers Wake a Carleton. Londra London Manuscripts of the Marquess of Downshire preserved at Easthamstead Park Berk. Papers of William Trumbull the Elder Alfonse de S. Victors a William Trumbull Da Middolborg (Middelburg) London Historical Manuscripts Commission Report on the Manuscripts of the Marquess of Downshire, Trumbull Papers, Alfonse de St. Victor a William Trumbull. Middelborg. London Public Record Office State Papers Domestic Series Jac. Chamberlain a Carleton. Londra, London Public Record Office State Papers Carleton a Lake. Da Venezia London Public Record OfficeState PapersDomestic Series, Biondi a Carleton. Da Londra LondonPublic Record Office State Papers, Carleton a Chamberlain. Da Venezia London Manuscripts of the Marquess of Downshire preserved at Easthampstead Park Berks. Papers of William Trumbull the Elder. George Abbot a William Trumbull. Da Lambeth. London Historical Manuscripts Commission Report of the Manuscripts of the Marquess of Downshire,  Trumbull Papers, Abbot a Trumbull. Lambeth  London Public Record OfficeState Papers Carleton a Chamberlain. Venezia, London Public Record Office State Papers Carleton a Giovan Francesco Biondi. Venezia, London Public Record Office State Papers Domestic Series, Abbot a Carleton. Lambeth London Public Record Office State Papers Sarpi a Carleton. Venezia London Record Office State Sarpi a Carleton. Venezia, London Public Record OfficeState Papers Paolo Sarpi a Sir Dudley Carleton. Venezia, giugno. London Historical Manuscripts Commission Report Hastings,  Notes of speeches and proceedings in the House of Lords. London Historical Manuscripts Commission Hastings, Notes of speeches and proceedings in the House of Lords London Public Record Office State Papers Carleton a Sua Signoria l'Arcivescovo di Canterbur. Venezia London Manuscripts of the Marquess of Downshire preserved at Easthampstead Park Berks. Papers of William Trumbull the Elder Abbot a Trumbull. Lambeth London Historical Manuscripts Commission Report of the Manuscripts of the Marquess of Downshire,  IV, Trumbull Papers George Abbot, Arcivescovo di Canterbury, a William Trumbull. Lambeth Archivio di Stato di VeneziaInquisitori di Stato, Istruzioni degli Inquisitori di Stato all'ambasciatore in Inghilterra. LondonCalendar of State Papers on English Affairs in the Archives of Venice and other Libraries of North Italy Inquisitori di Stato, busta Venetian Archives. Gli Inquisitori di Stato a Gregorio Barbarigo,  London Calendar of State Papers on English Affairs in the Archives of Venice and other Libraries of North Italy Inquisitori di Stato, Venetian Archives. Examinations for Foscarini. Archivio di Stato di Venezia Inquisitori di Stato, Londra, Interrogatorio di Lunardo Michelini sulle modalità della fuga di V. da Lambeth. Archivio di Stato di Venezia Inquisitori di Stato, Interrogatorio di Alessandro di Giulio Forti da Volterra sulle modalità della fuga di Vanini da Lambeth. Archivio General de Simancas fondo Inglaterra Legajo foglio privo di indicazioni. Bentivoglio a Sarmiento. Bruxelles. Il nunzio apostolico a Bruxelles informa l'abasciatore di Spagna che Vanini e il suo compare sono arrivati sani e salvi dopo la loro fuga da Londra. Archivio General de Simancas Bentivoglio a Sarmiento. Bruxelles. Il nunzio apostolico a Bruxelles informa l'abasciatore di Spagna che Vanini e il suo compare sono partiti verso l'Italia, come era stato concordato a Roma. Documenti inclusi nell'opera di Namer La seguente è la lista dei documenti inglesi inclusi nel lavoro Documents sur la vie de V. de Taurisano di Ėmile Namer, che può essere considerato come un utile punto di partenza per la delineazione di una biografia di Vanini, e di cui la nuova documentazione deve essere considerata un completamento. London Foreign State Papers. Venice. Carleton ad Abbot. LondonForeign State Papers. Venice.Abbot a Carleton LondonState Papers Domestic. James I.  Carleton a Chamberlain. Venezia, London Foreign State Papers. Venice. Sir D. Carleton all'Arcivescovo di Canterbury. London State Papers Domestic. James I. Chamberlain a Carleton. Londra, London State Papers Domestic. James I.  7 Chamberlain a Carleton. London Foreign State Papers. Venice Abbot a Carleton. London State Papers Domestic. James I.  Carleton a Chamberlain. London State Papers Domestic. James I. l'Arcivescovo di York al conte di Suffolk. London State Papers Domestic. James I. V. a Dudley Carleton. Da Lambeth, iLondonState Papers Domestic. James I.  Giulio Cesare Vanini a Sir Isaac Wake. Da Lambeth iLondon State Papers Domestic. James I.  John Chamberlain a Carleton. da Londra. London State Papers Domestic. James I.  Abbot a Carleton. Lambeth London State Papers Domestic. James I. John Chamberlain a Dudley Carleton. Da Londra London State Papers Domestic. James I.  Biondi a Carleton. Da Londra London Foreign State Papers. Venice. Carleton a Abbot.  London State Papers Domestic. James I. John Chamberlain a Dudley Carleton. Da Londra London State Papers Domestic. James I.  Abbot al vescovo di Bath Da Lambeth. London State Papers Domestic. James I.   Lake a Carleton. Dalla corte a Royston, London State Papers Domestic. James I.  John Chamberlain a Sir Dudley Carleton. Da Londra London Foreign State Papers. Venice Carleton a Abbot London Foreign State Papers. Venice. Carleton a Sir Thomas Lake. London State Papers Domestic. James I.  Abbot  a Carleton a Venezia. Lambeth, London State Papers Domestic. James I.  John Chamberlain a Dudley Carleton. Londra, LondonForeign State Papers. Venice.  Carleton a Abbot. Archivio de Simancas, Estado,  Cardinale Millino a Alonso de Velasco, ambasciatore spagnolo a Londra. Roma, Archivio de Simancas, Estado,  Cardinal Millino a Diego Sarmiento de Acuña, ambasciatore spagnolo a Londra. Roma, Archivio de Simancas, Estado,  Cardinal Bentivoglio a Diego Sarmiento de Acuña, ambasciatore spagnolo a Londra. Bruxelles, Archivio de Simancas, Estado,  Bentivoglio a Diego Sarmiento de Acuña, ambasciatore spagnolo a Londra. Bruxelles,V. e l'Inquisizione di Roma Elenco di alcuni documenti presenti nella corrispondenza tra alcuni Nunzi apostolici in Europa e le autorità vaticane, dove è possibile trovare informazioni relative alla fuga, permanenza e rientro segreto dall'Inghilterra del frate carmelitano. Le trascrizioni complete, i sommari e le contestualizzazioni di questi documenti sono disponibili per studiosi e lettori in V. da Taurisano filosofo europeo, Schena Editore, Fasano (Brindisi), Il pontefice Paolo V e l'Inquisizione in Roma furono informati continuamente della vicenda di V. con dispacci dei Nunzi apostolici in Venezia, Francia e Fiandra e con missive dell'ambasciatore di Spagna a Londra, a cominciare dalla sua fuga da Venezia sino al suo desiderio di rientrare nel mondo cattolico.  RomaArchivio Segreto VaticanoSegreteria di StatoNunziatura di Francia,  Ubaldini, Nunzio papale in Francia, al Borghese, Segretario di Stato di Paolo V, de Parigi.  RomaA. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziature diverse, Fiandra,   il Nuntio alla Segreteria, Bentivoglio, Nunzio papale in Fiandra, al Card. Borghese. (Bruxelles) Roma A. S. Vaticano Segreteria di StatoNunziature diverse, Francia, lettere scritte al Nuntio in Francia Borghese a Ubaldini. Di Roma li Roma A. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziatura di Francia, Ubaldini da Parigi a Borghese Roma A. S. Vaticano Segreteria di StatoNunziature diverse, Francia,  293A, lettere scritte al Nuntio in Francia Borghese a Ubaldini. Di Roma Roma A. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziatura di Francia,  Ubaldini a Borghese Rom aA. S. Vaticano Segreteria di StatoNunziature diverse, Francia, lettere scritte al Nuntio in Franci Il card. Borghese a Ubaldini. Di Roma Roma A. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziatura di Francia Registro Ubaldini a Borghese Londra, British Museum, Lettere di Ubaldini, nella sua Nunziatura di Francia, Ubaldini a Borghese Roma A. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziatura di Francia, Ubaldini a Mellini, membro del Sant'Uffizio, il Tribunale dell'Inquisizione di Roma. Roma A. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziature diverse, Francia, lettere scritte al Nuntio in Francia da Borghese, Borghese a Ubaldini. Roma A. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziatura di Francia,  Registro di Lettere della Segreteria di Stato di Paolo V al Vescovo di Montepulciano Nuntio in Francia Il Segretario Porfirio Feliciani vescovo di Foligno al Nuntio in Francia. Roma, RomaA. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziatura di Francia, Ubaldini al Mellini Roma A. S. Vaticano Segreteria di StatoNunziatura di Francia, Ubaldini a Mellini RomaA. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziatura di Francia Registro Ubaldini a Borghese. Di Parigi RomaA. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziatura di Francia Registro Ubaldini a Millini Roma A. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziature diverse, Francia,  lettere scritte al Nuntio in Francia dal Card. Borghese, Il card. Borghese a Ubaldini. Di Roma Roma A. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziatura di Francia Ubaldini a Borghese Di Parigi.  RomaA. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziatura di Francia Registro Ubaldini a  Millini Roma A. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziatura di Francia Registro Ubaldini a Borghese Londra, British Museum, Lettere del Card. Ubaldini, nella sua nunziatura di Francia, Card. Ubaldini a Borghese Parigi, Bibliothèque nationale de FranceDepartement des Manuscrits, Italien Registro di Lettere della Nunziatura di Francia di Ubaldini dell'anno lettera, Ubaldini a Borghese Parigi) Roma A. S. VaticanoSegreteria di Stato Nunziature diverse, Francia,  Lettere del Sir. Card.le Ubaldini nella sua Nunciatura di Francia Ubaldini a Borghese Treccani Enciclopedie Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Amphitheatrum e De admiandis. Raimondi Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Giulio Cesare Vanini. Vanini. Keywords: Vanini, Oxford. Refs.: Luigi Speranza, “Vanini e Grice,” Villa Grice, Luigi Speranza, “La statua all’aperto di Vanini,” Luigi Speranza, “Il medaglione di Vanini a Roma.”

 

Grice e Vanni: la ragione conversazionale dell’azione e l’implicatura conversazionale dell’inter-azione conversazionale – filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Città della Pieve). Essential Italian philosopher. Filosofo italiano. Inizia la carriera a Perugia e successivamente insegna a Parma, Bologna, e Roma.  Tra i fondatori del positivismo soziale, la sua filosofia si ispira a Kant e agli principali filosofi del positivismo. A lui si deve anche una originale lettura positivista della dottrina storicistica di VICO. Il suo è stato definito un positivismo critico, che vuole distinguere cioè tra la scienza dell’uomo dalla filosofia’ dell’uomo, contestando e rifiutando l'assimilazione positivista di quest'ultima con la morale e la sociologia, dottrina nata nell'ambito del positivismo, verso la quale V. ha un interesse particolare cercando di teorizzarne il carattere scientifico differenziandola però sia dall'evoluzionismo che dalla biologia. V. considera essenziale l'autonomia teorica del ‘ius’ o devere dai rapporti con gli aspetti storici-etnografici delle istituzioni giuridiche. V. è convinto che la filosofia, come analisi concettuale, del diritto ha la funzione pratica di definire il ‘fine’ (métier) della inter-azione umana. In questo modo, V. ribade l'impostazione criticista kantiana che acquista un tono metafisico criticato dai positivisti ortodossi che lo accusano di eclettismo. Saggi: “Della consuetudine nei suoi rapporti col dritto e con la legislazione” (Perugia); “Saggi critici sulla teoria socio-logica della popolazione” (Città di Castello); “Prime linee di un programma critico di sociologia” (Perugia); “Il problema della filosofia del diritto nella filosofia, nella scienza e nella vita ai tempi nostril” (Verona); “La filosofia del diritto” (Verona); “La funzione della filosofia considerata in sé ed in rapporto al socialismo” (Bologna); “La filosofia del diritto e la ricerca positivista” (Torino); “Il dritto nella totalità dei suoi rapporti e la ricerca oggettiva” (Roma); “La teoria della conoscenza come induzione socio-logica e l'esigenza critica del positivismo” (Roma); “Filosofia del diritto” (Bologna); “Filosofia sociale e filosofia giuridica” (Bologna). Biografia in Scuola normale superiore, Pisa, su picus.unica. Marino, Positivismo e giurisprudenza, Napoli, Cuculo, La sociologia positivista di V., in A. Millefiorini, Fenomenologia del disordine. Prospettive sull'irrazionale nella riflessione sociologica italiana (Nuova Cultura, Roma); Amelio, Positivismo, storicismo, materialismo storico in I. Vanni, «Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno», Pusceddu, La sociologia positivista in Italia (Roma). siusa. archivi.beniculturali, Sistema Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche.  Opere u open MLOL, Horizons Unlimited srl. Opere. I. Vanni. Vanni. Keywords: action, interaction, azione, interazione, Vico, positivismo, positivismo critico, etologia, ethology -- Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft MS, -- Luigi Speranza,, “Grice e Vanni: azione ed inter-azione” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.

 

Grice e Vannini: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del mistico – scuola di mistica -- di ‘Vitters’ – filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (San Piero a Sieve). Filosofo italiano. Essential Italian philosopher. “Never to be confused with the vain Vanini!” -- Grice. Dopo gli studi al ginnasio Michelangiolo di Firenze, si laurea in filosofia a Firenze, discutendo una tesi su “‘Vitters’: metafisico e mistico”! Ha vissuto nel convento agostiniano di S. Spirito a Firenze, ospite di Ciolini. Ha compiuto viaggi e soggiorni di studio in Europa. Insegna filosofia nei licei. Per un triennio storia della filosofia a Firenze e storia della mistica all'Istituto di scienze religiose a Trento.  Ha tenuto seminari e conferenze in università ed accademie italiane e straniere: Genova, Trento, Ancona, Perugia, Urbino, Pavia, Pisa, Macerata, Napoli, Fermo, Parma, Arezzo, Chieti, Roma, Avila, Strasburgo, Berlino. Considerato il maggior studioso di mistica o anche il più importante studioso italiano di Eckhart e della mistica cristiana, ha curato l'edizione italiana delle opera latine di Eckhart, nonché quelle di altri autori spirituali, come AGOSTINO, Gerson, Fénelon, Porete, Taulero, Anonimo Francofortese, Lutero, SILESIO, Czepko, Franck, Weigel, ecc.  Lungo un percorso ormai di quasi mezzo secolo, è stato traduttore e curatore di importanti testi della mistica; critico della fenomenologia, da un punto di vista teoretico e storico; filosofo della religione, soprattutto nei suoi rapporti con la ragione e con la fede. V. legge il fenomeno mistico in maniera innovativa ma, soprattutto, pone lo stesso a fondamento di ogni forma ed esperienza religiosa. Tale presupposto impone come fuori da un'esperienza diretta di questo tipo sia pressoché impossibile cogliere il senso, le modalità e le finalità delle varie dottrine e pratiche religiose.  Per V., la mistica è un sapere spirituale, inoggettivabile ma, soprattutto, un sapere che è un essere: è l'identità mistica il vero e proprio criterio per discernere il vero dal falso. Tale ermeneutica costituisce una propedeutica all'inverarsi in senso mistico della religione cristiana.  La filosofia di V. si basa su una esperienza spirituale, unitiva e teo-morfica. Centrali appaiono pertanto concetti appartenenti alla sfera semantica della divinizzazione, dell’homoiosis theo, quali vuoto, fondo dell'anima, generazione del logos, complementarità tra distacco ed amore. Tale esperienza risulta comprensibile solo quando si è fatto il vuoto nell'anima attraverso il distacco, diventando in tal modo recettivi alla luce proveniente dall'alto, tali da rendere il soggetto esso stesso luce eterna. Al vuoto in cui si perviene nel distacco corrisponde una pienezza, una traboccante ricchezza ed energia, una gioia sconfinata ed inesauribile. Il rapporto tra il divino e uomo non è quindi statico, di mutua esclusione, ma “dialettico” o dinamico, di reciproca compenetrazione. La “salvezza” viene letta nei parametri teologici di una escatologia realizzata nel presente, come immanente esperienza dello spirito. Essenziale diventa perciò il recupero della antropologia classica corpo, anima, spirito ove l'uomo è un corpo, piccola parte dell'universo; una psiche, fluttuazione infinita di pensieri, sentimenti, volizioni, soggetta al determinismo del tempo, dello spazio, delle circostanze. Ma soprattutto uno spirito universale, eterno, libero, uno nell'uno. L'attualità e l'originalità della posizione di V. ha suscitato e continua a suscitare un acceso dibattito in seno al panorama culturale italiano, filosofico e teologico: nei confronti dell'autore vari infatti sono stati i commenti, le recensioni, i contributi e gli interventi critici da parte di personalità quali (in ordine alfabetico) BOZZO, BALDINI, BIANCHI, CACCIARI, MONTICELLI, ESPOSITO, FORTE, GIVONE, MANCUSO, MUCCI, RAVASI, REALE, TORNO, VATTIMO, e VOLPI.  La particolare rilevanza della filosofia di V. può trasparire anche, ad esempio, dalle seguenti affermazioni in meritocitate in ordine sparsodi alcuni dei suddetti illustri filosofi. GIVONE: “A V., cui siamo debitori d'un lavoro filosofico estremamente prezioso, rivolgiamo questa domanda. A V. dobbiamo non soltanto edizioni impeccabili delle opere di Eckhart, Porete, Silesius, Gerson; ma anche il pensiero vigoroso e chiaro, qualunque cosa gli si posa obiettare, che la mistica è da un lato il cuore e la radice viva di ogni religione, ma dall'altro “la filosofia nel suo senso più reale e profondo”, la conoscenza e la pratica dell'essere e “la gioia dell'essere”. CACCIARI: “È un grosso debito quello che la filosofia e la teologia hanno accumulato in questi anni nei confronti di V.. Grazie al suo instancabile lavoro o sotto la sua direzione il nostro paese può oggi contare su impeccabili edizioni di Gerson, Silesius, Porete ed Eckhart. MUCCI: “In questi tempi di declino dell'ontologia, V. è certamente, in Italia, fuori dell'ambito ecclesiastico, il più illustre studioso di mistica.” REALE: “L'esperienza mistica è comunque per sua natura connessa con il religioso, come viene mostrato nella filosofia di V.i “La mistica delle religioni (Le Lettere) in questi giorni in libreria. V., uno dei massimi esperti in materia a livello nazionale e internazionale, analizza in modo dettagliato questa esperienza spirituale nell'induismo, nel buddismo, nell'ebraismo, nell'islamismo e nel cristianesimo.” TORNO: “Segnalare un livre de chevet, vale a dire una di quelle opere maneggevoli che mai dovrebbero allontanarsi dal capezzale, è diventato difficile oltre che inattuale. Eppure qualcosa circola, come prova l'ultimo delizioso saggio di V. sulla grazia». FORTE: “L'ultimo bel libro di V. su “Mistica e filosofia” rivela ancora una volta la sua straordinaria competenza di storico e interprete della mistica.” Al pensiero di V. è stato dedicato “Mistica e filosofia in V. ”  Saggi: “Lontano dal SEGNO. Saggio sul cristianesimo” (La Nuova Italia, Firenze); “Esame della certezza” (Cenacolo, Firenze); “Eckhart. Opere” (Nuova Italia, Firenze); “Dialettica della fede” (Marietti, Casale Monferrato -- Le Lettere, Firenze); “L'esperienza dello spirito” (Augustinus, Palermo); “Mistica e filosofia” (Piemme, Casale Monferrato -- prefazione di CACCIARI -- Le Lettere, Firenze); “Il volto del Dio nascosto: l'esperienza mistica dall'Iliade a Weil” (Mondadori, Milano); “Storia della mistica occidentale” (Mondadori, Milano; Lettere, Firenze); “Introduzione alla mistica” (Morcelliana, Brescia); “La morte dell'anima: dalla mistica alla psicologia” (Lettere, Firenze); “La mistica delle grandi religioni” (Mondadori, Milano; Lettere, Firenze); “Tesi per una riforma religiosa (Lettere, Firenze);
“La religione della ragione” (Mondadori, Milano); “Sulla grazia” (Lettere, Firenze); “Prego Dio che mi liberi da Dio: la religione come verità e come menzogna” (Bompiani, Milano); “Lessico mistico: le parole della saggezza” (Le Lettere, Firenze) – under M, ‘scuola di mistica fascista’; “Il santo spirito fra religione e mistica” (Morcelliana Brescia); “Oltre il cristianesimo: da Eckhart a Le Saux” (Bompiani, Milano); “Inchiesta su Maria: la storia vera della fanciulla che divenne mito” (Rizzoli, Milano); “Indagine sulla vita eterna” (Mondadori, Milano); “Introduzione a Eckhart -- profilo e testi” (Lettere, Firenze); “L'Anti-Cristo: storia e mito” (Mondadori, Milano); “All'ultimo papa: lettere sull'amore, la grazia, la libertà” (Saggiatore, Milano); “VIO contro Lutero e il falso evangelo” (de' Medici, Firenze); “Il muro del paradisoL dialoghi sulla religione” (Medici, Firenze); “Mistica, psicologia, teologia” (Lettere, Firenze); liceo ginnasio Michelangiolo, Firenze. Mancuso, Lutero è vivo e lotta con noi, s.a., in: <Panorama> Azzarà, su Materialismo Storico   Bio-  Givone, Luce mistica dei moderni in: «Il ManifestoAlias», in il manifesto Alias, V., Mistica e filosofia, Prefazione, Firenze, Le Lettere, Mucci, Il pensiero di V., in «La Civiltà Cattolica»; Reale, Il misticismo vive in tutte le culture. Il testo di V., le «Upanishad» riedite, su corriere. Torno, Alla ricerca della grazia nel segno di Eckhart, «Corriere della Sera», Cultura, Forte, Mistica, l’enigma dell’altro, in «Avvenire», Schiavolin, Mistica e filosofia in V. (Nerbini, Firenze). Mistica Misticismo cristiano Mistica renana Meister Eckhart Hadot Henri Le Saux. Marco Vannini. Vannini. Keywords: the mystic, das mystische, la scuola di mistica fascista. Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft MS – Luigi Speranza, “Vannini e Grice: il mistico di ‘Vitters’ – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.  

 

Grice e Vario: la ragione conversazionale della filosofia della vita a Roma – Philosophy of Life -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Roma). Filosofo italiano. L’orto. Friend of FILODEMO (vedi). A poet. One of his works, “On death,” was doubtless shaped by L’Orto. He had a significant influence on VIRGILIO (vedi). His tutor was SIRO (vedi). Lucio Vario Rufo. Per H. P. Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.

 

Grice e Varisco: la ragione conversazionale, o l’implicatura conversazionale del sommario di criticismo – filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Chiari). Essential Italian philosopher. Filosofo italiano. Grice: “We all learned about the ‘gnothi seauton’ at Clifton – Varisco composed a full tract about it! Calogero has analysed the implicatures! The idea is that you need a ‘thou’ to tell ‘thou’ ‘knowest THYself” – although the oracular mystique is still there!” – Insegna filosofia a Roma e senator. La sua formazione filosofica coincide con la crisi del positivismo.  Si laurea a Pavia. Partendo da posizioni solidamente scientifiche, V. avverte sollecitamente il limite di ogni conoscenza che voglia essere esclusivamente composto di ragione, e scopre insieme la concomitante componente fideistica di ogni affermazione di verità.  Questo ricorso alla fede come sentimento del sopra-naturale è utilizzato da V. sia per affermare la preminenza della filosofia come conoscenza concreta sui processi astrattivi della scienza -- “I massimi problemi” (Milano, Libreria Editrice Milanese) -- sia per approdare ad uno spiritualismo pluralistico con forti accentuazioni teistiche -- “Dall'uomo a Dio” (Padova, Milani).  Altre saggi: “Scienza ed opinione” (Roma, Alighieri); “La patria” (Roma, Provenzani), “Conosci te stesso” (Milano, Libreria Milanese); “La scuola per la vita” (Milano, Isis); “Linee di filosofia critica” (Roma, Signorelli); “Discorsi politici” (Roma, Alberti); “Sommario di filosofia” (Roma, Signorelli). Cavaliere dell'Ordine della Corona d'Italia nastrino per uniforme ordinaria cavaliere dell'Ordine della corona d'Italia, ufficiale dell'Ordine della Corona d'Italia nastrino per uniforme ordinaria Ufficiale dell'Ordine della Corona d'Italia, Commendatore dell'Ordine della Corona d'Italia nastrino per uniforme ordinaria Commendatore dell'Ordine della Corona d'Italia. Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine della Corona d'Italia nastrino per uniforme ordinaria Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine della Corona d'Italia. Senatori d'Italia, Senato della Repubblica. Varisco. Keywords: know theyself, oracular implicature, Calogero. Refs.: The H. P. Grice Papers, BANC MS, -- Luigi Speranza, “Grice e Varisco: per un sommario di filosofia critica” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.

 

Grice e Varrone: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della semiotica filosofica – filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Rieti). Filosofo italiano. Grice: “I count Varrone as the first language philosopher. He woke up one day, and realised he was speaking ‘lingua latina,’ and dedicated 36 volumes to it!” --. Grice: “’Lingua latina’ has a nice Roman ring to it. In modern Italian, the ‘t’ has become an ‘z,’ as in “Lazio,  -- the calcio team from Latium – or a ‘d’ as in ‘ladino.’” Grice: “I know his Loeb edition by heart!” – Grice: “The Greeks never studied their lingo as Varro studied his! Of this Austin always reminded me: ‘We should be like Varro, analysing our tongue as a ‘fluid’ semiotic system!’”. Academic, Roman polymath, author of essays on language, agriculture, history and  philosophy, as well as satires, and principal conversationalist in CICERONE’s "Academica.” Questore della repubblica romana. Gens: Terentia. Questura in Illyricum. Pro-pretura in Spagna. Tu ci hai fatto luce su ogni epoca della patria, sulle fasi della sua cronologia, sulle norme dei suoi rituali, sulle sue cariche sacerdotali, sugli istituti civili e militari, sulla dislocazione dei suoi quartieri e vari punti, su nomi, generi, su doveri e cause dei nostri affari, sia divini che umani -- CICERONE, Academica Posteriora. Detto reatino, attributo che lo distingue da “Varrone Atacino,” vissuto nello stesso periodo. Nato da una famiglia di nobili origini, ha rilevanti proprietà terriere in Sabina, dove e educato con disciplina e severità dai familiari, integrate dall'acquisto di lussuose ville a Baia e fondi terrieri a Tusculum e Cassino. A Roma compe studi avanzati presso i migliori maestri del tempo. Lucio Elio Stilone PRECONINO (vedi) lo fa appassionare anche agli studi etimologici ed oratoria. Studia la lingua italiana con Lucio ACCIO (vedi), a cui dedica “De antiquitate litterarum.” Come molti romani, compe un grand tour in Grecia, dove ascolta filosofi accademici come Filone di Larissa e Antioco di Ascalona, da cui deduce una posizione filosofica di tipo eclettico. A differenza di molti altri filosofi del tempo, non si ritira dalla vita politica ma, anzi, vi prende parte attivamente accostandosi agl’optimates, forse anche influenzato dall'estrazione sociale. Dopo aver, infatti, percorso le prime tappe del cursus honorum – trium-viro capitale, questore, e legato -- e vicino a POMPEO, per il quale ricopre incarichi di grande importanza. Legato e pro-questore, combatte nella guerra contro i pirati difendendo la zona navale tra la Sicilia e Delo. Allo scoppio della guerra civile e propretore. In una guerra che vede i romani contro i romani, tenta un’incerta difesa del suo territorio che si concluse in una resa che GIULIO (vedi) CESARE (vedi), nei Commentarii de bello civili, define poco gloriosa. Dopo la disfatta dei pompeiani, si avvicina, comunque, a GIULIO CESARE, che apprezza il reatino soprattutto sul piano culturale, affidandogli la costituzione di una biblioteca. Dopo l’assassinio di GIULIO CESARE, anzi, e inserito nelle liste di proscrizione sia di MAR’ANTONIO che di OTTAVIANO -- interessati più alle sue ricchezze che a punire i congiuranti -- da cui si salva grazie all'intervento di Fufio CALENO (vedi) per poi avvicinarsi a OTTAVIANO a cui dedica il “De vita populi Romani” volto alla divinizzazione della figura di GIULIO CESARE. Ha una produzione di oltre 620 libri, suddivisi in circa settanta opere. Saggi: “De re rustica” (Varrone) e “De lingua Latina”. La sua vasta produzione è suddivisa da Girolamo in un catalogo. Le sue opere di sono verosimilmente 74, suddivise in 620 volumi, sebbene stesso egli rifere di aver scritto 490 saggi.  I suoi saggi  possono essere suddivise in vari gruppi, dalle opere di erudizione, filologia (filosofia del linguaggio, o semantica) e storia a quelle giuridiche e burocratiche, dalle opere di filosofia (filosofia del linguaggio, semantica, semiotica) e agricoltura alle opere di poesia, di linguistica e letteratura; di retorica e diritto, con ben 15 libri De iure civili; di filosofia. Di questa enorme produzione è pervenuta quasi integra solo un'opera, il “De re rustica”. Del “De lingua Latina” sono pervenuti solo 6 libri su 25. Probabilmente, causa del quasi completo naufragio della immane varroniana è che, avendo compulsato tanta parte della cultura romana precedente, divenne la fonte indispensabile per i filosofi successivi, perdendosi, per così dire, per assimilazione. Della sua attività filologica fa testimonianza il cosiddetto canone varroniano, elaborato a partire da due opere, le “Quaestiones Plautinae” e il “De comoediis Plautinis”, in cui riparte il corpus plautino, che include 130 fabulae. Di queste, 21 vengono definite autentiche, 19 di origine incerta (dette "pseudo-varroniane”);  le restanti, spurie.  Si occupa soprattutto di antiquaria, con i 41 libri di “Antiquitates”, il suo capolavoro, divisi in 25 di “res humanae” e 16 di “res divinae”, fonte precipua di AGOSTINO nel “De civitate Dei.” Proprio d’AGOSTINO si evidenzia l'attenzione di V. sulla religione civile, con una compiuta disamina su culti e tradizioni, pur con acute critiche alla teologia mitica dei poeti in nome di una theologia naturalis. A questo gruppo appartiene anche l'opera, non pervenuta, “De bibliothecis”, presumibilmente legata alle incombenze come bibliotecario affidategli da GIULIO CESARE. Nell'ambito filosofico, notevoli dovevano essere “I logistorici” -- dal greco “discorsi di storia” -- in 76 libri, composta in forma di dialogo in prosa, di argomento morale e antiquario, in cui ogni libro prende il nome di un personaggio storico e un tema di cui il personaggio costituiva un modello, come il “Mario”, “de fortuna” o il “Cato”, “de liberis educandis”. Questi dialoghi storico-filosofici sono tra i modelli espositivi del “Lelio”; “de amicitia” e del “Catone maggiore”, “de senectute” di CICERONE. Al suo interesse filosofico e divulgativo, probabilmente scritte lungo tutto il corso della sua parabola culturale, riconducevano le “Saturae Menippeae”, che prendeno come modello Menippo, esponente della filosofia cinica -- da cui il nome. Le “Saturae Menippeae” si componevano di 150 libri, in prosa e in versi, di cui però ci rimangono circa 600 frammenti e novanta titoli, di argomento soprattutto filosofico, ma anche di critica dei costumi, morale, con rimpianti sui tempi antichi in contrasto con la corruzione del presente. Ciascuna satira reca un titolo, desunto da proverbi (“Cave canem” -- con allusione alla mordacità dei filosofi cinici) o dalla mitologia (“Eumenide” contro la tesi stoico-cinica per cui gl’uomini sono folli, “Trikàranos”, il mostro a tre teste, con un mordace riferimento al primo triumvirate, ed era caratterizzata da lessico popolaresco, polimetria e, come in Menippo, uno stile tragi-comico. Valerio Massimo, Aulo Gellio. Ce ne parla lui stesso in “De lingua latina”. Cicerone, Academica posteriora, Appiano, Guerre civili. Varrone, De re rustica. Svetonio, Cesare, Appiano, Ausonio, Commemoratio professorum Burdigalensium, Chronicon, ann. Aulo Gellio, Gellio, I cui frammenti sono editi nell’edizione di Cardauns: “Antiquitates rerum divinarum” Cfr. Zucchelli, V. logistoricus. Studio letterario e prosopografico, Parma, Cfr., ad esempio, il Fr. XIX Riese: "Da ragazzo, avevo solo una tunica modesta e una toga, calzature senza fascette, un cavallo non sellato; bagno giornaliero, niente e, davvero di rado, una tinozza".  Horsfall, V., in Letteratura Latina (Milano, Mondadori). Cfr. Salanitro, Le Menippee di V.: contributi esegetici e linguistici (Roma, Ateneo). Sulla satira varroniana, cfr. Alfonsi, Le Menippee di V., in "ANRW". Atti del Congresso di studi varroniani. Rieti, CENTRO DI STUDI VARRONIANI. Cenderelli, “Varroniana” Istituti e terminologia giuridica nelle opere di V. (Milano, Giuffrè); Dahlmann, “V. e la teoria della lingua” (Napoli, Loffredo), Corte, “V., il terzo gran lume romano” (Genova, Istituto universitario di Magistero); “De vita populi Romani” Introduzione e commento, Pisa; Riposati, “V. De vita populi Romani”. Fonti, esegesi, edizione critica dei frammenti (Milano, Vita e pensiero), Riposati, “V.: l'uomo e il filosofo” (Roma Istituto di studi romani); Traglia, Introduzione a V., “Opere” (Torino, POMBA), Zucchelli, “V. logistoricus: prosopo-grafica”, Parma, Istituto di lingua e letteratura latina, Satira menippea Biblioteche romane Antiquitates rerum humanarum et divinarum Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. V. “De lingua Latina libri qui supersunt: cum fragmentis ejusdem” Biponti, ex typographia societatis. Biblioteca degli scrittori latini con traduzione e note: “V. quae supersunt opera” Venetiis, excudit Antonelli, “Grammaticae Romanae Fragmenta”, Gino Funaioli, Lipsiae, in aedibus Teubneri. “M. Terenti Varronis saturarum menippearum reliquiae” -- cur. Riese, Lipsiae, in aedibus Teubneri. In passing from Rome to Rieti we enter a different world. One rightly speaks of the Greco-Roman era as a period of unified civilisation around the Mediterranean area, but the respective roles of the Italotes and the Romns are dissimilar, if complementary. Without the other, the contribution of either would have been less significant and less productive. The Romans have for long enjoyed contact with Hellenic and Etrurian material culture and intellectual ideas, and further through the Greek settlements in the south of Italy: Sicily and Magna Grecia.The Romans learned to write from the western Greeks. But the Hellenic world fell progressively within the control of Rome, by now the mistress of the whole of Italia The expansion of Roman rule becomes complete, and the Roman Empire, as it now is, achieves a relatively permanent position, which, with fairly small-scale changes in Britain and on the northern and eastern frontiers, remains free of serious wars for years. The second half of this period earns Gibbon's encomium, 'If a man were called to fix the period in the history of the world during which the condition of the human race is most happy and prosperous, he would, without hesitation, name that which elapsed from the death of DOMIZIANO to the accession of COMMODO.' In taking over the Hellenic world, the Romans bring within their sway whatever they find on the way.The intellectual background of Etruria and the Hellenes and the polical unity and freedom of intercourse provided by Roman stability are the conditions in which the Roman Empire shines. To the Romans, Europe and much of the entire modern world owe the origins of their intellectual, moral, political and religious civilisation. From their earliest contacts, the Romans cheerfully acknowledge the superior pompousness of the Greeks – by which they included the Etrurians. Linguistically, this is reflected in the different languages of the eastern and the western provinces. In the western half of the Roman empire, where no contact had been made with a recognised civilization, Latin  -- which subsists in Italian – becomes he language of administration, business, law, learning, and social advancement. Ultimately, Latin displaces the former languages of most of the western provinces, and becomes in the course of linguistic evolution the modern Romance, or Neo-Latin, languages of contemporary Europe, notably French (Italian is no romance; Italian IS Latin!). In the east, however, already largely under Hellenic administration since the Hellenistic period, Greek retains the position it has already reached. Roman officials often complain about having to learn and use Greek in the course of their duties, and Hellenic philosophy was quite respected for its eccentricity. Ultimately this linguistic division is politically recognized in the splitting of the Roman Empire into the Western and the Eastern Empires, with the new eastern capital at COSTANTINO’s Constantinople enduring as the head of the Byzantine dominions through much trial and tribulation up to the beginning of the western Renaissance. The accepted view of the relation between Roman rule and Hellenic civilization is probably well represented in Vergil's summary of Rome's place and duty: let others (i.e. the Greeks) excel if they will in the arts, while Rome keeps the peace of the world. During the years in which Rome rules the western civilised world, there must have been contacts between speakers of Latin and speakers of other languages at all levels and in all places. Interpreters must have been in great demand, and the teaching and learning of Latin -- and, in the eastern provinces, of Greek --  must have been a concern for all manner of persons both in private households and in organized schools. Translations are numerous. Greek literature is systematically translated into Latin. So much did the prestige of Greek writing prevail, that Latin poetry abandons its native metres and was composed during the classical period and after in metres learned from the Greek poets. This adaptation to Latin of Greek metres find its culmination in the magnificent hexameters of VIRGILIO and the perfected elegiacs of OVIDIO. It is surprising that we know so little of the details of all this linguistic activity, and that so little writing on the various aspects of linguistic contacts is either preserved for us or known to have existed. The Romans are aware of multi-lingualism as an achievement. AULO GELLIO tells of the remarkable king Mithridates of Ponto who was able to converse with any of his subjects, who fell into more than twenty different speech communities. In linguistic science, the Roman experience is no exception to the general condition of their relations with Greek intellectual work. Roman linguistics is largely the application of Greek philosophy, Greek controversies, and Greek categories to the Latin language. The relatively similar basic structures of the two languages, together with the unity of civilization achieved in the Greco-Roman world, facilitate this meta-linguistic transfer. The introduction of linguistic studies into Rome is credited to one of those picturesque anecdotes that lighten the historian's narrative. CRATES, a philosopher of the Porch and grammarian, comes to Rome on a political delegation, and while sightseeing, falls on an open drain and is detained in bed with a broken leg. CRATES passes the time while recovering in giving lectures on literary themes to an appreciative audience. It is probable that Crates as a philosopher of the PORCH introduces mainly that doctrine in his teaching. But Greek philosophers and Greek philosophy enter the Roman world increasingly in this period, and by the time of V., both Alexandrian and Stoic opinions on language are known and discussed. V. is the first serious Latin philosopher on linguistic questions of whom we have any records. V. is a polymath, ranging in his interests through agriculture, senatorial procedure, and Roman antiquities. The number of his writings is celebrated by his contemporaries, and his "De lingua Latina", wherein he expounds his linguistic opinions, comprise XXV volumes, of which books V and VI and some fragments of the others survive. One major feature of V.’s linguistic philosophy is his lengthy exposition and formalization of the opposing views in the analogy-anomaly controversy, and a good deal of his description and analysis of Latin appears in his treatment of this problem. He is, in fact, one of the main sources for its details, and it has been claimed that he misrepresents it as a matter of permanent academic attack and counter-attack, rather than as the more probable co-existence of opposite tendencies or attitudes. V.'s style is criticised as unattractive, but on linguistic questions he is probably the most original of all the Latin philosophers. V. is much influenced by the philosophy of the Porch, including that of his own teacher STILONE. But V. is equally familiar with Alexandrian doctrine, and a fragment purporting to preserve his definition of grammar, 'the systematic knowledge of the usage of the majority of poets, historians, and orators' looks very much like a direct copy of Thrax's definition. On the other hand, V. appears to use his Greek predecessors and contemporaries rather than merely apply them with the minimum of change to Latin. His statements and conclusions are supported by argument and exposition, and by the independent investigation of earlier stages of the Latin language. V. is much admired and quoted by later philosophers, though in the main stream of linguistic theory his treatment of Latin grammar does not bring to bear the influence on the successors to antiquity that more derivative scholars such as PRISCIANO does, who set themselves to describe Latin within the framework already fixed for Greek by Thrax's Techne and the syntactic works of Apollonius. In the evaluation of V.'s work on language we are hampered by the fact that only two of the XXV books of the “De lingua Latina” survive. We have his threefold division of linguistic studies, into etymology, morphology, and syntax, and the material to judge the first and second.V. envisages language developing from an original set of primal words, imposed on things so as to refer to them, and acting productively as the source of large numbers of other words through subsequent changes in letters, or in phonetic form -- the two modes of description comes to the same thing for him.. These changes take place in the course of years. An earlier forms, such as "duellum" for classical "bellum", V. cites as an instance. At the same time, a *meaning* may change, as, for example, the meaning of “hostis”, once 'stranger', but in V.'s time, 'enemy.' These etymologico-semantic statements are supported by scholarship. But a great deal of V.’s etymology suffers from the same weakness and lack of comprehension that characterizes Hellenic work in this field. "Anas", from "nare", to swim, “vitis,” from “vis;” “cilra, “care, from “cor iirere,” are sadly typical both of V.’s philosophy and of Latin etymological studies in general. A fundamental ignorance of linguistic history is seen in V.'s references to Hellenism. A similarity in a form bearing comparable meanings in Latin and Greek is obvious. Take the first personal pronoun: 'ego.' Some similarities are the produ.ct of historical loans at various periods once the two communities made indirect and then direct contact. Other similarities are the joint descendants of an earlier common Aryan forms whose existence may be inferred and whose shape may to some extent be reconstructed by the methods of comparative and historical linguistics. But of this, V., like the rest of antiquity, has no conception. All such bunch is jointly regarded by him as a direct loan from the conquered Greek, whose place in the immediate history of Latin is misrepresented and exaggerated as a result of the Romans’ consciousness of their cultural debt to Greece and mythological associations of Greek heroes -- and their enemies, like Aeneas! -- in the story of the founding of Rome. In his conception of vocabulary growing from alterations made to the forms of primal words, V. unites two separate considerations: historical etymology and the synchronic formation of derivations and inflexions. Certain canonical members of paradigmatically associated word series are said to be primal -- all the others resulting from “declinatio”, the formal process of change. A derivational prefix is given particular attention. One must regret V.’s failure to distinguish two linguistic dimensions, because, as with other linguistic philosophers in antiquity, V.’s synchronic descriptive observations are much more informative and perceptive than his attempts at historical etymology. As an example of an apparent awareness of the distinction, one may note V.’s statement that, within Latin, "equitiittis" and "eques" -- stem "equit-" – may be associated with and descriptively referred back to "equus". But that no further explanation on the same lines is possible for "equus". Within Latin, ‘equus’ is primal. Any explanation of its form and its meaning involves a dia-chronic research into an earlier stages of the Indo-European family and cognate forms in languages other than Latin. In the field of word form variations from a single root, both derivational and inflexional, V. rehearses the arguments for and against analogy and anomaly, citing Latin examples of regularity and of irregularity. Sensibly enough, V. concludes that both the principle of analogy and the principle of anomaly must be recognized and accepted in the word formations of a language and in the meanings associated with them. In discussing the limits of strict regularity in the formation of words V. notices the pragmatic nature of language, with its vocabulary more differentiated in culturally important areas than in others. Thus "equus" and "equa" have separate forms for the male and female animal, because the sex difference is important to the Romans. But "corvus" does not, because in them the difference is not important to Romans. Once this is true of "columba" -- formerly all designated by the feminine noun. But since "columbae" are domesticated, a separate, analogical, masculine form "columbUS" is ‘coined.’ V. further recognises the possibilities open to the individual, particularly in poetic diction, of variations or anomalies beyond those sanctioned by majority usage or 'ordinary language', a conception not remote from the Saussurean interpretation of langue and parole. One of V.'s most penetrating observations in this context is the distinction between derivational and inflexional formation, a distinction not commonly made in antiquity. One of the characteristic features of inflexions is their very great generality. Inflexional paradigms contain few omissions and are mostly the same for all speakers of a single dialect or of an acknowledged standard language. This part of morphology V. calls 'declinatio naturalis’, because, given a word and its inflexional class, we can infer its other forms. By contrast, synchronic derivations vary in use and acceptability from person to person and from one word root to another. From "ovis" and "sus" are formed "ovile" and "suile.” But "bovile" is *not* acceptable to V. from "bos" -- although rustic CATONE is said to have used the form as opposed to the more standard "bubile.” The facultative and less ordered state of this part of morphology, which gives a language much of its flexibility, is distinguished by V. in what he dubs ‘declinatio VOLUNTARIA.’ V. shows himself likewise original in his proposed morphological classification of Latin words. His use in this of the morphological categories shows how V. understands and makes use of Greek sources without deliberately copying their conclusions. V. recognises, as the Greeks do, case and tense as the primary distinguishing categories of inflected words, and sets up a quadripartite system of FOUR inflexionally contrasting classes. Those with case inflexion. Those with tense inflexion. Those with case and tense inflexion. Those with neither. Noun (including Adjective). Verbs. Participle. Adverb. These IV classes are further categorised as a forms which, respectively, names, makes a statement, joins (i.e. shared in the syntax of nouns and verbs), and supports (constructed with verbs as their subordinate members). In the passages dealing with these IV classes, the adverbial examples are all morphologically derived forms -- like "docte" and "lecte". V.’s definition would apply equally well to the un-derived and mono-morphemic adverbs of Latin -- like "mox" and "eras". But these are referred to elsewhere among the uninflected, invariable or 'barren,’ sterile, words. A full classification of the invariable words of Latin would require the distinction of syntactically defined sub-classes such as Thrax used for Greek and the later Latin grammarians took over for Latin. But, from his examples, it seems clear that what was of prime interest to V. is the range of grammatically different words that may be formed on a single common root -- e.g. "lego" (VERB – CLASS II) , "lector" – NOUN, CLASS I --, "legens" – PARTICIPLE, CLASS III -- and "lecte" – ADVERB – CLASS IV. In his treatment of the verbal category of tense, Varro displays his sympathy with the doctrine of the Porch, in which two semantic functions are distinguished within the forms of the tense paradigms, time reference and ‘aspect.’ In his analysis of the VI INDICATIVE indicative tenses, active and passive, the *aspectual* division, incomplete-complete, is the more fundamental for V., as each aspect regularly shares the same stem form, and, in the passive voice the *completive* aspect tenses consists of *two* expressions, though V. claims that, erroneously, most people only consider the time reference dimension. IS Active Time past present future Aspect incomplete DISCIBAM  I was DISCO I learn DISCAM I shall learning learn complete DIDICERAM I had DIDICI I have DIDICERII I shall learned learned have learned Passive incomplete AMTIBAR I was AMOR I am AMITBOR  I shall be loved loved loved complete AMTITUS  I had AMTITUS I have AMIITUS I shall ERAM been sum been ERA have been loved loved loved The Latin future perfect is in more common use than the corresponding Greek (Attic) future perfect. V. puts the Latin perfect tense forms DIDICI, etc., in the present *completive* place, corresponding to the place of the Greek perfect tense forms. In what we have or know of his writings, V. does not appear to have allowed for one of the major differences between the Greek and Latin tense paradigms -- viz. that, in the Latin perfect tense, there is a syncretism of a simple past meaning ('I did'), and a perfect meaning ('I have done') -- corresponding to the Greek aorist and perfect respectively. The Latin perfect tense forms belong in *both* completive and non-completive aspectual categories, a point clearly made later by PRISCIANO in his exposition of a similar analysis of the Latin verbal tenses. If the difference in use and meaning between the Greek and Latin perfect tense forms seems to escape V.'s attention, the more obvious contrast between the V-term case system of Greek and the *VI*-term system of Latin forces itself on him, as it does on anyone else who learned both languages. Latin formally distinguished an ABLATIVE CASE. 'By whom an action is performed' is the gloss given by V.. THE ABLATIVE CASE shares a number of the meanings and syntactic functions of both the Greek GENITIVE and DATIVE case forms. V. takes the NOMINATIVE form not as a casus but as as the canonical word forms, from which the oblique forms -- cases -- are developed. Like his Greek colleagues across the pond, V. contents himself with fixing on one stereo-typical meaning or relationship as definitive for each case. V., who was no Cicero – ‘he is a Varro’ implicates ‘he is a know-it-all’ in Roman -- mistranslates ‘aitiatike ptosis’ by ACCUSATIVUS rather than the more correct, CAUSATIVUS. V. is probably the most independent and original philosopher on linguistic topics among the Romans. After V. we can follow discussions of existing questions by several philosophers with no great claim on our attention. Among others, GIULIO CESARE – the well-known general assassinated by the senators -- is reported to have turned his mind to the analogy-anomaly debate while crossing the Alps on a campaign. Thereafter, the controversy gradually fades away. PRISCIANO uses ‘analogia’ to mean the regular inflexion of an inflected word, without mentioning ‘anomalia’. ‘Anomalia’ appears occasionally among the late grammarians.V.'s ideas on the classification of Latin words have been noticed. But the word class system that is established in the Latin tradition enshrines in the ‘saggi’ of PRISCIANO and the late Latin ‘philosophical’ grammarians – cf. CAMPANELLA, ‘Grammatica filosofica’ -- is much closer to. the one given in Thrax's Techne. The number of classes remains now at VIII, with one change. A class of words corresponding to the Greek definite article ‘ho,’ ‘he,’ ‘to,’ does not exist in  Latin. The definite article of Italian develops later from weakened forms of the demonstrative pronoun ‘ille’ (il) and ‘illa’ (la). The Greek *relative* pronoun is morphologically similar to the article and classed with it by Thrax and Apollonius. In Latin, the relative pronoun – ‘qui’, ‘quae’, and ‘quod’ -- is morphologically akin to the interrogative pronoun – ‘quis’, ‘quid’ -- and both are classed together either with the noun or the pronoun class. In place of the article, Latin grammarians recognise the ‘interjection’ as a separate ‘pars orationis’, instead of treating it as a subclass of adverbs as Thrax and Apollonius do. PRISCIAN regards the separate status of the interjection as common practice among Latin scholars. But the first philosopher who is known to have dealt with it in this way is REMMIO PALEMONE, a grammatical and literary scholar who defines the interjection as having no statable meaning but merely indicating – via natural meaning, as H. P. Grice would have it – emotion, as in Aelfric he he versus ha ha (Roman versus English laughter). PRISCIANO lays more stress on the syntactic independence of the interjection in sentence structure. QUINTILIANO, a Spaniard, not a Roma, is PALEMONE’s pupil. This Spaniard writes extensively on education, and in his “Institutio aratoria”, wherein he expounds his opinions, he dealt briefly with ‘GRAMMATICA’ – the first of the trivial arts -- , regarding it as a propaedeutic to the full and proper appreciation of literature in a liberal education, in terms very similar to those used by Thrax at the beginning of the Techne. In a matter of detail, QUINTILIANO discusses the analysis of the Latin case system, a topic always prominent in the minds of Latin scholars who knew Greek by default (Who didn’t have a Greek slave?). QUINTILIANO suggests isolating the instrumental use of the ABLATIVE -- "gladiii" -- as case VII, since, as he notes, this instrumental use of the ablative case has nothing in common semantically with the other meanings of the ablative. A separate ‘instrumental’ case forms is found (but a Spaniard wouldn’t know) in Sanskrit, and may be inferred for unitary Indo-european, though the Greeks and Romans knew nothing of this. It was and is common practice to name the cases by reference to one of their meanings – DATIVUS,  'giving', ABLATIVUS, 'taking away', etc. -- but their formal identity as members of a VI-term paradigm rests on their meaning, or more generally, their meanings, and their syntactic functions being associated with a morphologically distinct form in at least some of the members of the case inflected word classes. PRISCIAN and DONATO see this, and in view of the absence of any morphological feature distinguishing an alleged instrumental use of the ablative case forms from their other uses, PRISCIANO explicitly reproves of such an addition to the descriptive grammar of Latin as redundant – or “supervacuum,” as he said for ‘otiose.’ The work of V., QUINTILIANO, shows the process of absorption of Greek linguistic theory, controversies, and categories, in their application to the Latin language. But Latin linguistic scholarship is best known for the formalization of descriptive Latin grammar, to become the basis of all education in later antiquity and the traditional schooling of the modern world. The Latin grammar of the present day is the direct descendants of the compilations of the later Latin grammarians, as the most cursory examination of PRISCIANO’s “Institutiones grammaticae” will show. PRISCIANO’s grammar, comprising XVIII books and running to nearly a thousand pages may be taken as representative of their work. Quite a number of writers of Latin grammars, working in different parts of the Roman Empire, are known to us. Of them DONATO and PRISCIANO are the best known. Though they differ on several points of detail, on the whole these philosopohical grammarians set out and follow the same basic system of grammatical description. For the most part, Roman philosophical grammarians show little originality, doing their best to apply the terminology and categories of the Greek grammarians to the Latin language. The Greek technical terms are given fixed translations with the nearest available Latin word. ‘onoma’, ‘NOMEN’ ‘anto-nymia,’ ‘PRO-NOMEN’ ‘syn-desmos,’ ‘CON-IUCTIO’ etc. In this procedure they had been encouraged by DIDIMO,  a voluminous scholar, who states that every feature of Greek grammar IS TO BE found in Latin. DIDIMO follows the word class system of the PORCH, which included the article (absent in Latin) and the personal pronouns in one class, so that the absence of a word form corresponding to the Greek article does not upset him or his classification. Among the Latin philosophical grammarians, MACROBIO gives an account of the 'differences and likenesses' of the Greek and the Latin verb, but it amounted to little more than a parallel listing of the forms, without any penetrating investigation of the verbal systems of the Latin language – his own, or Greek. The succession of Latin philosophical grammarians through whom the accepted grammatical description of the language is brought to completion and handed on to the Middle Ages spanned the centuries until the foundation of Oxford. This period covers the pax Romana and the unitary Greco-Roman civilization of the Mediterranean that lasts during the first two centuries, the breaking of the imperial peace in the third century, and the final shattering of the western provinces, including Italy, by invasion from beyond the earlier frontiers of the empire. Historically these centuries witness two events of permanent significance in the life of the civilized world. In the first place, Christianity – or the coming of the Galileans -- which, from a secular standpoint, starts as the religion of a small deviant sect of Jewish zealots, spread and extended its influence through the length and breadth of the empire, until, in the fourth century, after surviving repeated persecutions and attempts at its suppression, it is recognized as the official religion of the state! (Except Giuliano). Its subsequent dominance of European thought (except Luther) and of all branches of learning for the next thousand years is now assured, and neither doctrinal schisms nor heresies, nor the lapse of an emperor into apostasy could seriously check or halt its progress. As Christianity gains the upper hand and attracts to itself men of learning, the scholarship of the period shows the struggle between the old declining pagan standards of classical antiquity and the rising generations of Christian apologists, philosophers, and historians, interpreting and adapting the heritage of the past in the light of their own conceptions and requirements. The second event is a less gradual one, the splitting of the Roman world into two halves, east and west. After a century of civil turmoil and barbarian pressure, Rome ceases under DIOCLEZIANO to be the administrative capital of the empire, and his later successor COSTANTINO transfers his government to a new city, built on the old Byzantium and named Constantino-polis (literally: ‘my (kind of) town’). By the end of the fourth century, the Roman empire is formally divided into an eastern and a western realm, each governed by its own emperor (who often did not speak to each other – and for whom there was no lingua franca to be found). This division roughly corresponds to the separation of the old Hellenized area conquered by Rome but remaining Greek in culture and language, and the provinces raised from barbarism by Roman influence and Roman letters. Constantinople, assailed from the west and from the east, continues for a thousand years as the head of the Eastern Byzantine Empire, until it falls to the Turks. During and after the break-up of the Western Empire, Rome endures as the capital city of the Roman Church, while Christianity in the east gradually evolved in other directions to become the Eastern Orthodox Church. Culturally one sees as the years pass on from the so-called 'Silver Age' a decline in liberal attitudes, a gradual exhaustion of older themes, and a loss of vigour in developing new ones. Save only in the rising Christian communities, scholarship is backward-looking, taking the form of erudition devoted to the acknowledged standards of the past. This is an era of commentaries, epitomes, and dictionaries. The Latin grammarians, whose oudook is similar to that of the Alexandrian Greek scholars, like them directed their attention to the language of classical literature, for the study of which grammar serves as the introduction and foundation. The changes taking place in the spoken and the non-literary written Latin around them arise VERY little interest – ‘the plebs use it!’ --; their works are liberally exemplified with texts, all drawn from the prose and verse writers of classical Latin and their ante-classical predecessors Plautus and Terence. How different accepted written Latin is becoming may be seen by comparing the grammar and style of GIROLAMO's fourth translation of the Bible (the Vulgate), wherein several grammatical features of the Romance languages are anticipated, with the Latin preserved and described by the grammarians, one of whom, DONATO, second only to PRISCIANO in reputation, was in fact GIROLAMO’s teacher – and learned from him that God could be allowed a solecism or two! The nature and the achievement of the Latin philosophical grammarians can best be appreciated through a consideration of the work of their greatest representative, PRISCIANO, who teaches Latin grammar in Constantino-polis. Though PRISCIANO draws much from his Latin predecessors, his aim, like theirs, is to transfer as far as he could the grammatical system of Thrax's Techne and of Apollonius's writings to Latin. PRISCIANO’s admiration for Greek linguistic scholarship and his dependence on Apollonius and his son ERODIANO, in particular, 'the greatest authorities on grammar', are made clear in his introductory paragraphs and throughout his grammar. PRISCIANO works systematically through his subject, the description of the language of classical Latin literature. Pronunciation and syllable structure are covered by a description of the “littera’, defined as the smallest part of articulate speech, of which the properties are “nomen”, the name of the letter, “figura”, its written shape, and “potestas,” its phonetic value. All this had already been set out for Greek, and the phonetic descriptions of the letters as pronounced segments and of the syllable structures carry little of linguistic interest except for their partial evidence of the pronunciation of the Latin language. From phonetics PRISCIANO passes to morphology, defining the “dictio” and the “oratio” in the same terms that Thrax uses, as the minimum unit of sentence structure and the expression of a complete thought, respectively. As with the rest of western antiquity, PRISCIANO’s grammatical model is word and paradigm, and he expressly denies any linguistic significance to a division, in what would now be called morphemic analysis, *below* the word. On one of his rare entries into this field, PRISCIANO misrepresents the morphemic composition of words containing the negative prefix “in-“ -- “indoctus” -- by identifying it with the preposition “in.” These two morphemes, “in-“, negative, and “in-”, the prefixal use of the preposition, are in contrast in “invisus”, which may negate or strengthen the stem that follows (two words with two meanings, not a polysemous expression). After a review of earlier theories of Greek linguists, PRISCIANO sets out the classical system of VIII word classes laid down by Thrax and Apollonius, with the omission of the article but the separate recognition of the interjection. Each class of words is defined, and described by reference to its relevant formal category and “accidentia,” whence the later accidence for the morphology of a language, and all are copiously illustrated with examples from classical texts. All this takes up XVI of the XVIII books, the last II being devoted to syntax. PRISCIANO addresses himself (OBVIOUSLY) to readers already knowing Greek, as Greek examples are widely used and comparisons with Greek are drawn at various points, and the last hundred pages are wholly taken up with the comparison of different constructions in the two languages. Though Constantinopolis was a Greek-speaking city in a Greek-speaking area, Latin is decreed the official language when the new city was founded as the capital of the Eastern Empire. Great numbers of speakers of Greek as a first language needed Latin teaching from then on. The VIII parts of speech, or word classes, in PRISCIANO’s grammar may be compared with those in Dionysius Thrax's Techne. Reference to extant definitions in Apollonius and PRISCIANO’s expressed reliance on him allow us to infer that PRISICIANO’s definitions are substantially those of Apollonius, as is his statement that each separate class is known by its semantic content. “Nomen,” including adjectives. The property of the noun is to indicate a substance and a quality, and it assigns a common or a particular quality to every body or thing. The property of the VERBUM is to indicate an action or a being acted on; it has tense and mood forms, but is not case inflected. The PARTICIPIUM is a class of words always derivationally referable to a VERBUM, sharing the categories of verbs and a NOMEN (tenses and cases) -- and therefore distinct from both. This definition is in line with the Greek treatment of these words. The property of the PRONOMEN is its substitutability for a proper nouns and its specifiability as to person -- first, second, or third. The limitation to proper nouns, at least as far as third person pronouns are concerned, contradicts the facts of Latin. Elsewhere, PRISCIANO repeats Apollonius's statement that a specific property of the PRONOMEN is to indicate substance *without* quality, as a way of interpreting the lack of lexical restriction on the NOMEN which may be referred to anaphorically by a PRONOMEN. The property of the ADVERBIUM is to be used in construction with a VERBUM, to which it is syntactically and semantically subordinate. The property of the PRAE-POSITIO is to be used as a separate word before case inflected words and in composition before both case-inflected and non-case-inflected words. PRISCIANO, like Thrax, identifies the first part of words like “PRO-consul” and “INTER-currere”, as PRAE-POSITIO. INTER-IECTIO is a class of words syntactically independent of a VERBUM, and indicating a feeling or a state of mind. The property of the CON-IUCTIO is to join syntactically two or more members of any other word class, indicating a relationship between them. In reviewing PRISCIANO' s work as a whole, one notices that in the context in which he is writing and in the form in which he casts his description of Latin, no definition of grammar itself is found necessary. Where other late Latin grammarians do define the term, they do no more than abbreviate the definition given at the beginning of Thrax's Techne. It is clear that the place of grammar, and of linguistic studies in general, in education is the same as is precisely and deliberately set out by Thrax and summarily repeated by QUINTILIANO. PRISCIANO's omission is an indication of the long continuity of the conditions and objectives taken for granted during these centuries. PRISCIANO organises the morphological description of the forms of nouns and verbs, and of the other inflected words, by setting up canonical or basic forms, in nouns the nominative singular and in verbs the first person singular present indicative active. From these he proceeds to the other forms by a series of letter changes, the letter being for him, as for the rest of western antiquity, both the minimal graphic unit and the minimal phonological unit. The steps involved in these changes bear no relation to morphemic analysis, and are of the type that finds no favour at all in recent descriptive linguistics, though under the influence of the generative grammarians somewhat similar process terminologies are being suggested. The accidents or categories in which PRISCIANO classes the formally different word shapes of the inflected or variable words include both derivational and inflexional sets, PRISCIANO following the practice of the Greeks in not distinguishing between them. V.’s important insight is totally disregarded! But PRISCIANO is clearly informed on the theory of the establishment of categories and of the use of semantic labels to identify them. Verbs are defined by reference to action or being acted on. But PRISCIANO points out that on a deeper consideration – SI QUIS ALTIUS CONSIDERET --  such a definition would require considerable qualification; and case names are taken, for the most part, from just one relatively frequent use among a number of uses applicable to the particular case named. This is probably more prudent, if less exciting, than the insistent search for a common or basic meaning uniting all the semantic functions associated with each single set of morphologically identified case forms. The status of the VI cases of Latin nouns is shown to rest, not on the actually different case forms of any one noun or one declension of nouns, but on semantic and syntactic functions systematically correlated with differences in morphological shape at some point in the declensional paradigms of the noun class as a whole. The many-one relations found in Latin between forms and uses and between uses and forms are properly allowed for in the analysis. In describing the morphology of the Latin verb, PRISCIANO adopts the system set out by Thrax for the Greek verb, distinguishing present, past, and future, with a fourfold semantic division of the past into imperfect, perfect, plain past – aorist -- and pluperfect, and recognizing the syncretism (as V. does not) of perfect and aorist meanings in the Latin perfect tense forms. Except for the recognition of the full grammatical status of the Latin perfect tense forms, PRISCIANO’s analysis, based on that given in the Techne, is manifestly inferior to the one set out by V. under the influence of THE PORCH. The distinction between incomplete and complete aspect, correlating with differences in stem form, on which V. lays great stress, is concealed, although PRISCIANO recognises the morphological difference between the two stem forms underlying the VI tenses. Strangely, PRISCIANO seems to have misunderstood the use and meaning of the Latin future perfect, calling it the ‘future subjunctive’, though the first person singular form by which he cited it – “scripsero” -- is precisely the form which differentiates its paradigm from the perfect subjunctive paradigm – “scripserim” -- and, indeed, from any subjunctive verb form, none of which show a first person termination in -im. This seems all the more surprising because the corresponding forms in Greek --  “tetypsomai” -- are correctly identified. Possibly his reason was that his Greek predecessors had excluded the future perfect from their schematization of the tenses, in that this tense was not much used in Greek, and was felt to be an atticism. A like dependence on the Greek categorial framework probably leads Priscian to recognize both a subjunctive mood (subordinating) and an OPTATIVE mood (independent, expressing a wish) in the Latin verb, although Latin -- unlike Greek -- nowhere distinguishes these two mood forms morphologically, as PRISCIAN in fact admits, thus confounding his earlier explicit recognition of the status of a formal grammatical category. Despite such apparent misrepresentations, due primarily to an excessive trust in a point for point applicability of Thrax's and Apollonius's systematization of Greek to the Latin language, Priscian's morphology is detailed, orderly, and in most places definitive. His treatment of syntax in the last two books is much less so, and a number of the organizing features that we find in modern grammars of Latin are lacking in his account. They are added by later scholars on to the foundation of Priscianic morphology. Confidence in PRISCIANO’s syntactic theory is hardly increased by reading his assertion that the word order, most common in Latin, nominative case noun or pronoun (subject) followed by verb is the NATURAL one, because the substance (“homo”) is PRIOR to the action it performs (“currit”). Such are the dangers of philosophising on an inadequate basis of empirical fact. In the syntactic description of Latin, PRISCIANO classifies verbs on the same lines as had been worked out for Greek by the Greek grammarians, into active (transitive), passive, and neutral (intransitive), with due notice of the deponent verbs, passive in morphological form but active or intransitive in meaning and syntax and without corresponding passive tenses. Transitive verbs are those colligating with an oblique case -- “laudo te”, “noceo tibi,” “ego miserantis” -- and the absence of concord between oblique case forms and finite verbs is noted. But the terms subject and object were not in use in PRISCIANO’s time as grammatical terms, though the use of “subiectum” to designate the logical subject of a proposition is common. PRISCIANO makes mention of the ablative absolute construction, though the actual name of this construction is a later invention. PRISCIANO gives an account and examples of exactly this use of the ablative case -- me vidente puerum cecidisti -- and -- Augusto imperiitiire Alexandria provincia facta est. Of the systematic analysis of Latin syntactic structures PRISCIANO has little to say. The relation of subordination is recognized as the primary syntactic function of the relative pronoun -- qui, quae, quod -- and of similar words used to downgrade or relate a. verb or a whole clause to another, main, verb or clause. The concept of subordination is employed in distinguishing nouns (and pronouns used in their place) and verbs from all other words, in that these latter were generally used only in syntactically subordinate relations to nouns or verbs, these two classes of word being able by themselves to constitute complete sentences of the favourite, productive, type in Latin. But in the subclassification of the Latin conjunctions, the primary grammatical distinction between subordinating and coordinating conjunctions is left unmentioned, the co-ordinating “TAMEN”, being classed with the sub-ordinating “QUAMQUAM” and “QUAMSI”. – cf. Grice on ‘if’ as subordinating. Once again it must be said that it is all too easy to exercise hindsight and to point out the errors and omissions of one's predecessors. It is both more fair and more profitable to realise the extent of PRISCIANO’s achievement in compiling his extensive, detailed, and comprehensive description of the Latin language of the classical authors, which is to serve as the basis of grammatical theory for centuries and as the foundation of Latin teaching up to the present day. Such additions and corrections, particularly in the field of syntax, as later generations need to make could lie incorporated in the frame of reference that Priscian employs and expounds. Any division of linguistics (or of any other science) into sharply differentiated periods is a misrepresentation of the gradual passage of discoveries, theories, and attitudes that characterizes the greater part of man's intellectual history. But it is reasonable to close an account of Roman linguistic scholarship with PRISCIANO. In his detailed -- if in places misguided -- fitting of Greek theory and analysis to the Latin language he represents the culmination of the expressed intentions of most Roman scholars once Greek linguistic work had come to their notice. And this was wholly consonant with the general Roman attitude in intellectual and artistic fields towards 'captive Greece' who 'made captive her uncivilized captor and taught rustic Latium the finer arts. PRISCIANO’s work is more than the end of an era. It is also the bridge between antiquity and the Middle Ages in linguistic scholarship. By far the most widely used grammar, PRISCIANO’s “Institutiones grammaticae” runs to no fewer than one thousand manuscripts, and forms the basis of mediaeval Latin grammar and the foundation of mediaeval linguistic philosophy – i modisti or philosophical grammarians. PRISCIANO’s grammar is the fruit of a long period of Greco-Roman unity. This unity had already been broken by the time he writes, and in the centuries following, the Latin west is to be shattered beyond recognition. In the confusion of these times, the philosophical grammarians, their studies and their teaching, have been identified as one of the main defences of the classical heritage in the darkness of the Dark Ages. ARENS, Sprachwissenschaft: der Gang ihrer Entwicklung von der Antike bis zur Gegenwart, Freiburg. Bolgar, The classical heritage and its beneficiaries, Cambridge. J. Collart, V. grammairien latin, Paris. FEHLING, 'V. und die grammatische Lehre von der Analogie und der Flexion', Glotta, LERSCH, Die Sprachphilosophie der Alten, Bonn, H. NETTLESHIP, The study of grammar among the Romans, Journal of philology, ROBINS, Ancient and mediaeval grammatical theory in Europe, London, JSANDYS, History of classical scholarship, Cambridge, STEINTHAL, Geschichte der Sprachwissenschaft bei den Griechen und Romern, Berlin. GIBBON, The decline and fall of the Roman Empire (ed. BURY), London, VERGIL, Aeneid 6, Ssi-3: Tu regere imperio populos, Romane, memento (hae tibi erunt artes), pacisque imponere morem, parcere subiectis et debellare superbos. Noctes Atticae GEHMAN, The interpreters of foreign languages among the ancients, Lancaster, Pa., FEHLING, FUNAIOLI, Grammaticorum Romanorum fragmenta, Leipzig. Ars grammatica scientia est eorum quae a poetis historicis oratoribusque dicuntur ex parte maiore. De lingua Latina CHARisrus, Ars grammaticae I (KEIL, Grammatici, Leipzig). On Varro's linguistic theory in relation to modern linguistics, cp. D. LANGENDOEN, 'A note on the linguistic "theory of V.', Foundations of language 2, SUETONIUS, Caesar, GELLIUS, Noctes Atticae  PRISCIANO, Institutio de nomine pronomine et verbo 38, Institutiones grammaticae PROBUS, Instituta artium (H. KEIL, Grammatici Latini), DIONYSIUS-THRAX, Techne BEKKER, Anecdota Graeca, Berlin, APOLLONIUS DYSCOLUS, Syntax As noun, PRISCIAN as pronoun,- PROBUS, Instituta (KEIL, Grammatici APOLLONIUS, De adverbio, BEKKER, Anecdota Graeca , CHARISIUS, Ars grammaticae KEIL, Grammatici -- Nihil docibile habent, significant tamen adfectum animi. QUINTILIAN, Institutio aratoria Their works are published in KEIL, Grammatici Latini, Leipzig, PRISCIAN De figuris numerorum  PRISCIAN De differentiis et societatibus Graeci Latinique verbi, KEIL, Grammatici 5, Leipzig, Artis grammaticae maximi auctores', dedicatory preface Dictio est pars minima orationis constructae; Oratio est ordinatio dictionum congrua, sententiam perfectam demonstrans. Proprium est nominis substantiam et qualitatem significare; Nomen est pars orationis, quae unicuique subiectorum corporum seu rerum communem vel propriam qualitatem distribuit. Proprium est verbi actionem sive passionem significate; Verbum est pars orationis cum temporibus et modis, sine casu, agendi vel patiendi significativum. Participium iure separatur a verbo, quod et casus habet, quibus caret verbum, et genera ad similitudinem nominum, nee modos habet, quos continet verbum; Participium est pars orationis, quae pro verba accipitur, ex quo et derivatur naturaliter, genus et casum habens ad similitudinem nominis et accidentia verba absque discretione personarum et modorum. The problems arising from the peculiar position of the participle among the word classes, under the classification system prevailing in antiquity, are discussed there. Proprium est pronominis pro ali quo nomine proprio poni et certas significare personas; Pronomen est pars orationis, quae pro nomine proprio uniuscuiusque accipitur personasque finitas recipit. Substantiam significat sine aliqua certa qualitate. Proprium est adverbii cum verbo poni nee s·ine eo perfectam significationem posse habere; Adverbium est pars orationis indeclinabilis, cuius.significatio verbis adicitur. Praepositionis proprium est separatim quidem per appositionem casualibus praeponi coniun~tim vero per compositionem tam cum hahentibus casus quam cum non habentibus; Est praepositio pars orationis indeclinabilis, quae praeponitur aliis partibus vel appositione vel compositione. 48. IS-7·40: Videtur affectum habere in se Yerbi et plenam motus animi significationem, etiamsi non addatur verbum, demonstrare. Proprium est coniunctionis diversa nomina vel quascumque dictiones casuales vel diversa verba vel adverbia coniungere; Coniunctio est pars orationis indeclinabilis, coniunctiva aliarum partium orationis, quibus consignificat, vim vel ordinationem demons trans. so. cp. MATTHEWS, 'The inflectional component of a word-and-paradigm grammar', :Journal of linguistics HORACE, Epistles 2.1.156-7: Graecia capta ferum victorem cepit et artes Intulit agresti Latio. .LOT, La fin du monde antique et le debut du moyen age, Paris.  Marco Terenzio Varrone. He led an active and sometimes risky political life. Although he backed the wrong side in the civil war, he survived. He was a pupil of Posidonio at Rome. He was influenced by Antioco d’Ascalon. He wrote hundreds of works, most of which have since been lost. Amongst them was an extended series of fictional philosophical dialgoues, the Logistorici, in wich assorted Romans debated a variety of toipics, illustrating the arguments with examples from history. Tertulliano calls him the Roman Cynargo, perhaps because of some satires he wrote but it is highly unlikely that he was a Cinargo. Better attested is his interest in Pythagoreanism, whose cult he followed to the letter.  Marco Terenzio Varrone. Varrone. Keywords: centro di studi varroniani, idioma, idiom, lingua latina, lingua anglica, Lazio, Lazini, la lingua del Lazio, Varrone, Prisciano, Donato, Girolamo, Giulio Cesare – Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft, MS – Luigi Speranza, “Grice e Varrone: semiotica filosofica” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.

 

Grice e Varzi: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale delle parole, degl’oggetti, e degl’eventi – filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Galliate). Filosofo italiano. Essential Italian philosopher. Some Italians do not consider Varzi an “Italian” philosopher in that his maximal degree was earned elsewhere! If philosophy is a branch of the belles lettres, part of Varzi’s essays belong in English literature. He has written on ‘universal semantics.’ All'Trento. Grice: “Varzi rather freely uses ‘universal’ as in ‘universal semantics’ – while my own pragmatic rules have been challenged universal status, by, of all people, Elinor Ochs!” Grice: “Some Italians consider Varzi a specimen of ‘brain drain’ in more than one way: his maximal degree was obtained without Italy, not within Italy, and not in Italian – plus the fact that he is at Colombo’s Columbia!” Esponente della filosofia analitica, è noto principalmente per le sue ricerche di logica e per il suo contributo alla rinascita degli studi in ambito di metafisica e ontologia. Laureatosi a Trento con una tesi, “La logica libera” stato insignito della Targa Piazzi per la ricerca scientifica e del Premio Bozzi per l'Ontologia. Dopo un periodo dedicato soprattutto allo studio dell'immagine del mondo propria del senso comune, si è indirizzato progressivamente verso posizioni di stampo nominalista e convenzionalista, nella convinzione che buona parte della struttura che siamo soliti attribuire alla realtà esterna risieda a ben vedere nella nostra testa, nelle nostre pratiche organizzatrici, nel complesso sistema di concetti e categorie che sottendono alla nostra rappresentazione dell'esperienza e al nostro bisogno di rappresentarla in quel modo. Noto anche per la sua attività divulgativa, spesso in collaborazione con Casati, ispirata al principio secondo cui la filosofia è una sfida in cui il pensiero parte dalla semplicità delle cose quotidiane e ne mostra la meravigliosa complessità. Saggi: “Semplicemente diaboliche” (Laterza); “L’amicizia” (Orthotes); “I colori del bene, Orthotes,. L'incertezza elettorale (Aracne). Le tribolazioni del filosofare. Comedia Metaphysica ne la quale si tratta de li errori & de le pene de l’Infero (Laterza); Il mondo messo a fuoco, Laterza, Il pianeta dove scomparivano le cose. Esercizi di immaginazione filosofica, Einaudi, Ontologia, Laterza, Semplicità insormontabili storie filosofiche, Laterza, Parole, oggetti, eventi e altri argomenti di metafisica, Carocci. “Logica” McGraw-Hill Italia,  Buchi e altre superficialità, Garzanti. Studi: Casetta e Giardino, Mettere a fuoco il mondo. Conversazioni sulla filosofia di V., Isonomia Epistemologica,  Calemi, V.. Logica, semantica, metafisica (Albo Versorio, Milano); Il mondo messo a fuoco, Laterza. Dal risvolto di copertina di Semplicità insormontabili, Laterza. Da questo libro è stato tratto lo spettacolo teatrale Insurmountable Simplicities, per la regia di Glick, presentato dall'All Gone Theatre Company all'edizione  del New York International Fringe Festival. Biografia "negativa" di V., su columbia. Intervista ad V. di Caffo, Rivista italiana di filosofia analitica. Achille Varzi. Varzi. Keywords: ‘universal’. Refs.:  Luigi Speranza, "Grice e Varzi: semantica filosofica," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.

 

Grice e Vasa: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della RAGIONE E LA LIBERTÀ – filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Aggius). Essential Italian philosopher. Filosofo italiano. Società Filosofica Italiana Congresso Nazionale L'Aquila. Nacque al paese della Gallura di forte e suggestivo paesaggio e di forti vicende. Compiuti in anticipo gli studi secondari, anda a studiare filosofia a Milano dove si laurea. Insegna nel liceo ginnasio “Arnaldo” di Brescia. Dove interrompere l’insegnamento a causa della sua partecipazione alla Resistenza con il gruppo che fa capo a Parri. Alla fine della guerra riprese l’insegnamento a Milano nel liceo classico Carducci nel liceo ginnasio Manzoni. Ottenne la libera docenza. Assistente volontario e poi incaricato di filosofia, Milano. Vincitore di un concorso a cattedre di filosofia teoretica, chiamato  a Cagliari e Firenze. Rimase sempre fortemente legato al paese natale. Il Comune di Aggius ne ha conservato la memoria.  Negli anni di formazione, si trova a partecipare al tentativo condotto da BONTADINI, di cui era allievo e amico, di superare la contrapposizione tra la scolastica e l’idealismo, comprendendo e assimilando quanto della metafisica hegeliana e cristiana era in questo indirizzo. In questa operazione prende una sua via personale. Abbandona l’interesse metafisico simpatizzando per l’attualismo di GENTILE (vedi) per quanto esso restituiva all’uomo dignità e responsabilità, mettendone tuttavia in luce l’impossibilità di una fondazione logica. Nacquero così le indagini sulla logica di Hegel che portarono a rilevanti osservazioni critiche riguardo all’idealismo. Con l’idea che i valori immanenti costituiscono l’orizzonte trascendentale nella prassi razionale ed etica dell’uomo vienne a cadere per V. l’opposizione di immanenza e trascendenza.  Nella comune partecipazione alla Resistenza si lega di amicizia con PRA (vedi), filosofo di profonda esperienza religiosa e sociale e innovatore della storiografia filosofica. Tramite PRA, V. entra in contatto con BANFI, che rappresenta la scuola filosofica milanese. Nel confronto con il razionalismo critico di BANFI, che mira a chiarire una struttura della ragione nel solco della tradizione kantiana, V. pensa ad un razionalismo che anda oltre ogni struttura presupposta della ragione verso un orizzonte di possibilità non ancora prevedibili. Questo comporta l’idea della ricerca di una logica della possibilità. Si pone così quella proposta filosofica detta “trascendentalismo della prassi”, radicalmente critica e programmaticamente aperta, e che venne difesa da PRA e Vn, sia nella «Rivista di storia della filosofia» fondata da PRA, sia nei Congressi della “Società filosofica italiana” ri-nata dopo lo scioglimento imposto dall’autorità del FASCISMO. Il “trascendentalismo della prassi” è contrapposto al "teoricismo", inteso come il carattere di tutta filosofia che presuppone un principio di datità del reale e del valore, cioè di tutta filosofia metafisica. Il trascendentalismo della prassi non vuole essere una teoria, ma un atteggiamento pratico possibile, effettivo, che riconosce la temporalità della prassi e ne rivendica la libertà e la responsabillità. La proposta del trascendentalismo della prassi, che è immediatamente critica del pensiero di CROCE e GENTILE, ma che investiva tutti gli indirizzi contemporanei, è il modo più radicale del domandarsi dopo la guerra, sul métier della filosofia. La «Rivista di storia della filosofia» costituì il contatto con il “neo-illuminismo”, che, animato da ABBAGNANO (vedi), avendo come centro Torino, collega e confronta in convegni periodici i nuovi indirizzi metodologici e anti-metafisici. Affermatisi gli indirizzi della fenomenologia trascendentale, della filosofia analitica e dell’empirismo. Con il suo metodo, caratterizzato dall’apertura e dalla tensione critica ad un continuo “andar oltre”, V. da di essi interpretazioni originali in numerosi studi e seminari. La sua ricerca, ora caratterizzata come razionalismo della prassi, continua a mettere in discussione ogni naturalismo limitativo della libertà della persona. Conferma così l’idea di una “via negativa alla filosofia” a cui siamo costretti in mancanza di principi universali oggettivi o di autorità universali nella prassi. Questa negazione confuta la tematizzazione ingenua del mondo, mette fra parentesi la tradizione, toglie l’unicità di senso al nostro rapporto con la realtà e, aprendo la ricerca alla prospettiva di generalizzazioni nuove, risponde al bisogno della persona di costruirsi e perseguire finalità proprie.  Per influenza dell’amico GEYMONAT, e in discussione con lui, V. vide concretamente nelle scienze in sviluppo l’orizzonte effettivo delle possibilità razionali, pertanto si cimentò nella comprensione di esse attraverso l’epistemologia e la logica. Esamina il moderno formalismo logico-matematico di Russell; l’analisi del linguaggio (formale ed ordinario) di ‘Vitters’; il convenzionalismo logico e linguistico che egli coglieva nell’empirismo di Carnap e nella discussione di Quine sull’ontologia; lo stesso svolgimento dell’epistemologia dagli inizi col circolo di Vienna ai successivi sviluppi autocritici e “liberali”; le rivoluzioni concettuali delle scienze. Sono tutti problemi che hanno all’origine e segnalano una crisi del fondamento. V. vuole chiarirli leggendovi la sollecitazione a porre fra parentesi ad aggredire o a variare all’infinito ogni “conoscenza, di spazi e tempi, di atomi, masse e cause naturali. La sua ricerca mantene così l’etica dei fini umani. La logica è anche logica della Speranza. La filosofia ritrova il senso originario di “amore della saggezza”. Saggi: “Il problema della ragione” (Bocca, Milano); “Ricerche sul razionalismo della prassi” (Sansoni, Firenze); “Logica, scienza e prassi” (Nuova Italia, Firenze); “Logica, religione e filosofia” (Angeli, Milano); “Logica, scienze della natura e mondo della vita” (Angeli, Milano); “Poeti di Aggius. Michele Andrea Tortu, Pisanu (Antologia di Lepori con prefazione, traduzione e note di V.), Nota introduttiva di Pirodda, Istituto Superiore Regionale Etnografico, Nuoro. “Il Trascendentalismo della prassi, la filosofia della Resistenza. Sandrini, Mimesis, Centro Internazionale Insubrico, Milano. In memoria di V., filosofo della modernità, La Nuova Sardegna, Treccani: V. Ragione e libertà. Saggio sul pensiero di V. V., Una discussione con Bontadini su metafisica e filosofia, in Studi di filosofia in onore di Bontadini, Vita e Pensiero, Milano I saggi di V. sono raccolti in “Logica, religione e filosofia: Scritti filosofiici”. Memoria di Gentile, in Giornale critico della filosofia italiana, Vedi Croce, Le cosiddette ‘riforme della filosofia’ e in particolare di quella hegeliana, a proposito del saggio di V. su RUGGIERO (vedi) -- Quaderni della Critica, poi in Indagini su Hegel, Laterza, Bari. Pra, La filosofia italiana oggi, Rivista critica di storia della filosofia, Sul trascendentalismo della prassi, in Il problema della filosofia oggi. Atti del Congresso nazionale di Filosofia (Bologna,  promosso dalla SFI, Bocca, Roma-Milano, Vedi: saggi come l’Introduzione alla trad. Di Husserl, L’idea della fenomenologia (Rosso), Il Saggiatore, Milano,  Logica e religione di fronte al compito di una possibile unificazione del sapere, in «Il Pensiero», L’ateismo religioso di Wittgenstein, in «Archivio di Filosofia», (Esistenza, Mito, Ermeneutica), e le lezioni raccolte nel volume Logica, scienze della natura e mondo della vita. V., Logica, scienze della natura e mondo della vita.  La frase (di V.) compare nella presentazione editoriale del volume Logica, scienza e prassi. Luporini, Casari, Pra, Geymonat, Marinotti, Ricordo di V.. Corsi, seminari, Olschki, Firenze, Natale, Storicità della filosofia e filosofia come storiografia. Un dibattito tra filosofi italiani in Dentro la storiografia filosofica. Questioni di teoria e didattica (Dedalo, Bar). Cambi, Razionalismo e prassi a Milano, Cisalpino-Goliardica, Milano. Marinotti,  Handjaras, “Ragione e libertà: la filosofia di V., Prefazione di Pra (Angeli, Milano); Pra, Filosofi del Novecento, Angeli, Milano, vi è raccolto il contributo già in, Ricordo di V. (Olschki, Firenze); Monti, Religione e prassi in V., in «La Fortezza. Rivista di studi», Liberalismo etico e prospettive razionalistiche in V., Etica e scienza. Saggi di filosofia, Carocci, Roma. Sandrini e Al., V. uomo e filosofo (Atti del convegno di Aggius. Comprende: relazioni di Sandrini, “L’eredità vasiana”. Lecis, Viaggio verso una meta incerta. L’universo dei mondi possibili di V.; F. Minazzi, La strada per Megara e l’irriducibilità della libertà umana. Il problema della ragione nel trascendentalismo della prassi di V.; E. Palombi, Sul senso dell’uomo nel pensiero di V.; alcuni brevi Scritti e testi inediti,  Minazzi e Sandrini, in «Il Protagora», poi in volume con lo stesso titolo, Barbieri, Manduria. Marinotti, Ragione e prassi in V. e in Geymonat. Memoria di una discussione filosofica e di un’amicizia, in Geymonat un maestro del Novecento. Il filosofo, il partigiano e il docente, Minazzi, Unicopli, Milano; Rambaldi, La formazione di V., in Pala filosofo laico, appassionato delle scienze. Studi e testimonianze, Maiorca, Cuec, Cagliari, Rambaldi, Da Gentile a Hegel. Trascendentalismo e anti-fascismo in V.. Con un’appendice di testi e documenti, in «Rivista di storia della filosofia». Andrea Vasa. Vasa. Keywords: liberta, freedom. Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft MS – Luigi Speranza, “Grice e Vasa: ragione e liberta” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.

 

Grice e Vatinio: la ragione conversazionale a Roma – l’implictaura conversazionale della setta di Crotone -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Roma). Filosofo italiano. A politician, supporter of GIULIO (vedi) CESARE and a friend of CICERONE, who at different times, attacks and defends him. V. calls himself a Pythagorean, but Cicerone questions V’s right to do so on account of his dubious behaviour. Publio Vatinio. Keywords: Roma antica. Per H. P. Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.

 

Grice e Vattimo: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’implicatvm o impiegato come comunicatvm debole -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Torino). Filosofo italiano. Essential Italian philosopher. Grice: “It may be argued that what Vattimo means by ‘strong’ is what I mean by ‘weak’ and viceversa – With Popper, ‘I know’ is weaker than ‘I believe’ and ‘every x’ is weaker than ‘some (at least) one’ or ‘the’ – I have explored ‘the’ – Keyword: massima della debolezza conversazionale; massima della forza conversazionale” – Filosofo italiano. -- not one that provinicial Beaney would include in his handbooks and dictionaries. Vattimo’s philosophy shares quite a bit with Grice’s programme, as anyone familiar with both Vattimo and Grice may testify. Vattimo has philosophised on Heidegger and Nietzsche, and one of his essays is on the subject and the maskanother on reality. There is a volume in his honour. Participante del Foro Internacional por la Emancipación y la Igualdad. Partito Comunista. In precedenza: DS PdCI IdV Indipendente. Laurea in Filosofia. Torino. Filosofo, professore universitario. Tra i massimi esponenti della corrente post-moderna, è teorizzatore della filosofia debole. Il padre è un poliziotto calabrese, che muore quando V. ha I anno e mezzo. La madre è una sarta. Ha una sorella di otto anni più grande. Durante la guerra si trasferisce con la famiglia in Calabria, restandoci per II anni e ritornando a Torino. Studente del liceo classico Gioberti è attivo nella Gioventù Studentesca di Azione Cattolica, e collabora a Quartodora, rivista del movimento diretta da Straniero. Si autodefine come un cattolico militante, influenzato dalla lettura di Maritain, Mounier e dei racconti di Bernanos, portato dalla fede ad un disinteresse per il razionalismo storico, l'Illuminismo e le filosofie di Hegel e Marx. Allievo di PAREYSON (vedi) assieme a ECO (vedi) con cui ha condiviso amicizia e interessi, si laurea in filosofia a Torino. Lavora ai programmi culturali della Rai. Consegue la specializzazione a Heidelberg, con Löwith e Gadamer, di cui ha introdotto la filosofia in Italia. Professore incaricato e ordinario di estetica a Torino, nella quale è stato preside, della facoltà di Lettere e Filosofia. Ordinario di filosofia teoretica presso la stessa università. Professore emerito, titolo che non gli precluse lo svolgimento d’eventuali attività didattiche presso la suddetta università. Idea e condotto su Raitre il programma di divulgazione filosofica “La clessidra.” Insegnato come visiting professor negli Stati Uniti e ha tenuto seminari in diversi atenei del mondo. Direttore della Rivista di estetica, membro di comitati scientifici di varie riviste, socio corrispondente dell'Accademia delle Scienze di Torino, nonché editorialista per i quotidiani La Stampa e La Repubblica e per il settimanale L'espresso. Dirige la rivista Tropos. Rivista di ermeneutica e critica filosofica edita da Aracne Editrice. Per i suoi saggi riceve lauree honoris causa dalle La Plata, Palermo, Madrid e Lima. È stato più volte docente alle Vacances de l'Esprit. Svolge attività politica in diverse formazioni: nel Partito Radicale, Alleanza per Torino, Democratici di Sinistra, per i quali è stato parlamentare europeo, e nel Partito dei Comunisti Italiani. Candidato da una lista civica a sindaco di una cittadina calabrese, San Giovanni in Fiore (Cs), per combattere la degenerazione intellettuale che affligge quel paese, ma non è riuscito ad arrivare al secondo turno. Annunciato la sua candidatura a parlamentare europeo nelle liste dell'Italia dei Valori di Pietro, rivendicando tuttavia le proprie origini comuniste, venendo eletto nella circoscrizione Nord-Ovest. Nel giorno dell'anniversario della fondazione del PCd'I, annuncia la sua adesione al Partito Comunista.  Il suo ideale politico-religioso si riassume in una forma da lui definita comunismo cristiano e comunismo ermeneutico, un' ideale anti-dogmatico di comunismo debole nel pensiero e nell'essere, che si ispira alla vita comunitaria delle prime comunità cristiane. Esso rinnega e si oppone alla violenza delle industrializzazione pesante forzata e dello stalinismo in genere, così come anche alle tesi di Lenin e del terrorismo, muovendo a favore di una sinistra improntata al dialogo, alla dialettica e alla tolleranza. Accusato di antisemitismo, a causa delle sue dichiarazioni sul controllo ebraico di banche. "Ricordiamoci che la Federal Reserve è di proprietà di Rothschild. Gattegna, presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, lo accusa di anti-semitismo, additando le sue dichiarazioni come "parole di odio che non aggiungono nulla di nuovo e che sono accompagnate dalla riproposizione squallida di stereotipi anti-semiti". Anche Aiello, primo rabbino donna in Italia, corrobora queste accuse, tacciando V. di antisemitismo. Rilascia un'intervista al Corriere in cui dichiara, riguardo a Israele  «bisognerebbe procurarsi missili più efficaci dei Qassam e portarli laggiù». La dichiarazione, riferita ai missili Qassam con cui Hamas colpisce Israele, ha suscitato molte polemiche. Il filosofo ha tuttavia chiarito che le sue prese di posizione sono rivolte contro Israele e che non hanno nulla a che vedere con l’anti-semitismo. In occasione dell'aggressione di Tartaglia a Berlusconi ha espresso a Radio Radicale la convinzione che quell'aggressione fosse stata una montatura. Afferma inoltre che se l'aggressore avesse voluto veramente fare del male a Berlusconi era preferibile usare una pistola invece di una statuetta. Si è occupato dell'ontologia ermeneutica, proponendone una propria interpretazione, che chiama “debolita”, in contrapposizione con le diverse forme di pensiero forte (fortitude) dell'hegelismo con la sua dialettica, il marxismo, la fenomenologia, la psicanalisi, lo strutturalismo. Ognuno di questi movimenti si è proposto come superamento delle posizioni filosofiche precedenti e smascheramento dei loro errori. Ma ogni volta l'errore consiste proprio in questo gesto teoretico. Non ci sono nuovi inizi, l'errore consiste proprio nella volontà di rifondare fundamenta inconcussa che non vi possono essere. Debolita è invece un atteggiamento della postmodernità che accetta il peso dell'errore, ossia del caduco, dell'effimero, di tutto ciò che è storico e umano. È la nozione di verità a doversi modellare sulla dimensione umana, non viceversa. La debolita è la chiave per la democratizzazione della società, la diminuzione della violenza e la diffusione del pluralismo e della tolleranza. In questa maniera deve essere almeno segnalata la grande e decisiva importanza che assume nella sua filosofia la nozione di nichilismo, che rimette all'eredità di Nietzsche e Heidegger e si lega a vari temi vattimiani (dall'etica, alla politica, dalla religione -- l'indebolimento del divino alla teoria della comunicazione – implicatura come communicatum debole. Con i suoi saggi come “Credere di credere”  rivendica alla proprio filosofia anche la qualifica di autentica filosofia cristiana per la postmodernità.  Avvalendosi infatti della visione cristiana del maestro PAREYSON e di Quinzio, V. rifiuta l'identificazione del divino nell'essere razionale, così come concepito dalla tradizione filosofica occidentale. Di PAREYSON  e Quinzio, però, non condivide la visione religiosa tragica. Suggestionato da Girard, V. legge la vicenda di Cristo come rifiuto di ogni sacrificio, anzitutto umano ed esistenziale. La kénosis -- lett. svuotamento -- divina è a vantaggio della libertà e della pace umana.  Le posizioni di V. rappresentano una svolta, sia nella sua impostazione filosofica dell'interpretazione del presente, sia nel campo dell'attività politica. Abbandona il partito dei Democratici di Sinistra e abbraccia il marxismo rivalutandone positivamente l'autenticità e validità dei principi progettuali, auspicando un ritorno al pensiero del filosofo di Treviri e a un comunismo epurato dagli sviluppi delle distorte politiche pubbliche sovietiche da superare dialetticamente. Per quanto la svolta possa apparire contraddittoria con le precedenti posizioni, V. rivendica la continuità delle nuove scelte con il processo di ricerca sul pensiero debole, pur ammettendo il cambiamento di "molte delle sue idee". È lo stesso filosofo a parlare di un "Marx indebolito", ovvero di una base ideologica capace di illustrare la vera natura del comunismo e adatta nella pratica politica a superare ogni tipo di pudore liberal. L'approdo al marxismo si configura quindi come una tappa dello sviluppo del pensiero debole, arricchito nella prassi da una prospettiva politica concreta.  V. ha anche espresso posizioni ambientaliste ed in particolare a favore dei diritti degli animali. In un'epoca in cui l'umanità si vede sempre più minacciata nelle stesse elementari possibilità di sopravvivenza -- la fame, la morte atomica, l'inquinamento -- la nostra radicale fratellanza con gl’animali si presenta in una luce più immediata ed evidente. Da parlamentare europeo si è battuto, tra l'altro, contro la sperimentazione animale e contro il maltrattamento degli animali negli allevamenti. Pubblicamente dichiara la sua omosessualità. Sviluppa una concezione di Cristianesimo secolarizzato, il quale, conseguentemente, non necessita di istituzioni ecclesiastiche, fondandosi sulla kénosis, ossia sull'abbassamento e sull'indebolimento dell'idea di Dio. Per V. il non riconoscimento di un "assoluto", inteso come una verità definitiva, porterebbe ad una maggiore accettazione della diversità sociale e culturale.  Il compagno di V., Mamino, storico dell'architettura, malato di tumore ai polmoni, muore nel bagno dell'aereo che lo portan nei Paesi Bassi per effettuare un'eutanasia. Ad accompagnarlo c'era con lui sull'aereo lo stesso V.  Collabora con vari quotidiani (La Stampa, L'Unità, il manifesto, Il Fatto Quotidiano), con editoriali e riflessioni critiche su vari temi di attualità, politica e cultura.  Saggi: “Il concetto di fare in Aristotele” (Giappichelli, Torino); “Essere, storia e linguaggio in Heidegger” (Filosofia, Torino); “Ipotesi su Nietzsche” (Giappichelli, Torino); “Poesia e ontologia” (Mursia, Milano); “Schleiermacher, filosofo dell'interpretazione” (Mursia, Milano); “Introduzione ad Heidegger” (Laterza, Roma); “Il soggetto e la maschera” (Bompiani, Milano); “Le avventure della differenza” (Garzanti, Milano); “Al di là del soggetto” (Feltrinelli, Milano); “Il pensiero debole” (Feltrinelli, Milano); Vattimo e Rovatti); “La fine della modernità” (Garzanti, Milano); “Introduzione a Nietzsche (Laterza, Roma); “La società trasparente” (Garzanti, Milano); “Etica dell'interpretazione” (Rosenberg e Sellier, Torino); “Filosofia al presente” (Garzanti, Milano); “Oltre l'interpretazione” (Laterza, Roma); “Credere di credere” (Garzanti, Milano); “Vocazione e responsabilità del filosofo” (Melangolo, Genova); “Dialogo con Nietzsche” (Garzanti, Milano); “Tecnica ed esistenza: una mappa filosofica” (Mondadori, Milano); “Dopo la cristianità. Per un cristianesimo non religioso” (Garzanti, Milano); “Nichilismo ed emancipazione. Etica, politica e diritto, Zabala” (Garzanti, Milano); “Il socialismo ossia l'Europa” (Trauben); “Il Futuro della Religione, S. Zabala, Garzanti, Milano, “Verità o fede debole? Dialogo su cristianesimo e relativismo, Antonello, Transeuropa Edizioni, Massa); “Non essere Dio. Un'autobiografia a quattro mani, Aliberti editore, Reggio Emilia, “Ecce comu. Come si ri-diventa ciò che si era, Fazi, Roma, “Addio alla Verità, Meltemi, Introduzione all'estetica, ETS, Pisa, “Magnificat. Un'idea di montagna, Vivalda, “Della realtà, Garzanti, Milano, Pubblica presso Laterza un annuario filosofico a carattere monografico (Filosofia). La sezione Filosofia ha vinto il Premio Brancati.  V. a Lima, Perú. Pecoraro, "Dossier Vattimo", Pecoraro, in: "Alceu". Rivista del Dip. di Comunicazione. Monaco, V.. Ontologia ermeneutica, cristianesimo e postmodernità, Ets, Pisa; Weiss, V.. Einführung. Vienna, Passagen Giovanni Giorgio, Il pensiero di V.. L'emancipazione della metafisica tra dialettica ed ermeneutica (Franco Angeli, Milano); Numero della rivista A Parte Rei (Madrid), dedicato a V.. Pensare l'attualità, cambiare il mondo, Chiurazzi, Mondadori, Milano); Redaelli, Il nodo dei nodi. L'esercizio del pensiero in V., Vitiello, Sini, Ets, Pisa  L'apertura del presente. Sull'ontologia ermeneutica di V., L. Bagetto, Tropos. Rivista di ermeneutica e critica filosofica. Kopić, V. Čitanka, V. Reader. Zagabria, Antibarbarus. Gutiérrez, Leiro, Rivera.  Fondazione verano centini/images/ allegati Movi100 Cent'anni di Movimento Studenti di Azione Cattolica, su movi100.azione  Gallo, V. Interview, su public seminar.; V.: viva i giustizialisti. Corro con Tonino Di Pietro. Rizzo con GRAMSCI alla Camera (il nipote omonimo) e il filosofo V., nuovi iscritti al Partito Comunista. Comitato Centrale a Livorno, su Ilpartito comunista, Angus, Interview with V.: “Only Weak Communism Can Save Us”, su MRANSA, Italian philosopher politician slammed as anti-Semite, su la gazzetta delmezzogiorno.   'Shoot those bastard Zionists': Italian scholar, su the local Corriere della Sera, Non acquistiamo i prodotti di lì, su archivio storico.corriere. Repubblica -V.: "Non sono un antisemita. Solo anti-israeliano", su torino repubblica. A Radio Radicale Il delirio di V.: «Per fargli male doveva sparare»  Il Giornale,  In questo senso Cfr, tra molti, La fine della modernità e Nichilismo ed emancipazione. Etica, politica e diritto, dello stesso V. e Niilismo e (Pós-Modernidade) dell'italo-brasiliano Pecoraro, libro pubblicato a Rio de Janeiro e San Paolo.  Da Animali quarto mondo, in, I diritti degl’animali, Battaglia e Castignone, Centro di Bioetica, Genova. Dichiarazione scritta sul riconoscimento dell'obiezione di coscienza alla sperimentazione animale nell'UE, su gianni vattimo. Interrogazione scritta alla Commissione sul benessere degli animali, su Gianni vattimo. 4Vattimo: accanimento sui gay, ma io non bacio in pubblico, Corriere della Sera, su corriere.   «Il mio compagno voleva farla finita Ma morì in viaggio tra le mie braccia» Corriere della Sera, su corriere. Albo d'oro premio Brancati, su comune. zafferana etnea.ct. Pensiero debole. Blog su Gianni vattimo blog spot V., su BeWeb, Conferenza Episcopale Italiana. su open MLOL, Horizons Unlimited srl.  V. su europarl. europa.eu, Parlamento europeo.  Registrazioni su Radio Radicale. Revista A parte rei, su personales. ya.com. Dicussion e sul Pensiero Unico su mito11settembre. Lezione di congedo dall'Torino La verità e l’evento: dal dialogo al conflitto, su teologiae liberazione. blogspot.com. Credere di credere. Genesi e significato di una conversione debole Giornale di filosofia della religione V. Un comunista postmoderno? (di Preve) RAI Filosofia, su filosofia.rai. Gianteresio “Gianni” Vattimo. Gianteresio Vattimo Gianni Vattimo. Vattimo. Keyword: debole/forte – implicatum come communicatum debole. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Vattimo," The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.

 

Grice e Veca: la ragione conversazional e l’implicatura conversazionale della massima dell’altruismo conversazionale – filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Roma). Filosofo italiano. Grice: “I like Veca. Like me, he speaks of altruisn, and he has contributed to a collective volume, “Cooperare e competere.”” Essential Italian philosopher. Svoge un ruolo chiave nell'introduzione nel dibattito culturale italiano dell'approccio alla filosofia politica derivato dall'impostazione di Rawls, divenendo un punto di riferimento filosofico della sinistra, sia come teorico che come militante. La sua formazione di tipo analitico -- sensibile quindi alle metodologie e alle questioni della filosofia del linguaggio e della logica -- insolita rispetto alla figura del teorico politico così come tradizionalmente concepito in Italia, ha permesso alla sua riflessione di spaziare anche negli ambiti dell'epistemologia e della metafisica, indagandone le connessioni con l'ambito della filosofia morale e politica.  V. da un impulso decisive nel dibattito filosofico italiano a temi quali il realismo, il problema della completezza nelle teorie epistemiche e politiche, la giustizia globale e la sostenibilità. Studia a Milano, dove si laurea con una tesi sotto PACI (vedi) e GEYMONAT (vedi). Assistente volontario, borsista CNR e assistente incaricato presso la cattedra di filosofia teoretica a Milano. Professore incaricato di filosofia a Calabria. Professore incaricato di storia delle istituzioni e delle strutture sociali presso la facoltà di filosofia di Bologna.  Professore incaricato, professore incaricato stabilizzato e professore associato di filosofia politica presso la facoltà di scienze politiche di Milano. Professore straordinario di filosofia politica presso la facoltà di filosofia, Firenze. Professore di filosofia politica, facoltà di scienze politiche, Pavia. Vicepreside della facoltà di scienze politiche, Pavia. Presidente della Facoltà di Scienze politiche, Pavia. Membro del Comitato direttivo della Scuola Superiore IUSS di Pavia. rettore del Collegio Universitario Giasone del Maino, Pavia. Direttore del Centro Inter-Dipartimentale di Studi e Ricerche in Filosofia sociale a Pavia; prorettore per la didattica dell'Pavia; componente del Consiglio di amministrazione della Fondazione Romagnosi di Pavia e del Comitato scientifico dell’European Centre for Training and Research in Earthquake Engineering presso l'Pavia; parte del Consiglio d'amministrazione dell'Istituto italiano di scienze umane di Firenze; vicedirettore dell'Istituto Universitario di Studi Superiori di Pavia. Coordinatore dei corsi ordinari dell'Istituto Universitario di Studi Superiori di Pavia. Pro-rettore vicario dell'Istituto Universitario di Studi Superiori di Pavia. Professore di Filosofia politica presso l'Istituto Universitario di Studi Superiori di Pavia. Insegna Filosofia politica nelle Classi di Scienze umane e Scienze sociali dell'Istituto Universitario di Studi Superiori, Pavia. Tienne seminari e cicli di lezioni a Cambridge (Christ's), a San Paolo, Campinas, Bogotà, Evora, La Sorbonne, Grenoble, Istituto Universitario Europeo. Svolge un'intensa attività di consulenza e direzione editoriale. Ha assunto, grazie a un invito di Bo, la direzione scientifica della Fondazione Feltrinelli di Milano presidente della Fondazione Feltrinelli, promuovendo lo sviluppo del suo Centro di Scienza politica. Direttore degli "Annali" della Fondazione, impegna l'istituzione in una ampia gamma di attività di ricerca, documentazione e pubblicazione nell'ambito della teoria politica e sociale contemporanea che perseguono lo scopo di coniugare la tradizione della ricerca storico-sociale con l'innovazione dei metodi e degli esiti della teoria normativa e descrittiva della politica. Coordina le attività del Seminario annuale di Filosofia politica, promosso dalla Feltrinelli in collaborazione con il Centro Studi Politici Farneti di Torino e la Scuola Normale Superiore di Pisa. Avvia il progetto della “Biblioteca europea” della Fondazione Feltrinelli, di cui è direttore. Designato Presidente onorario della Fondazione Feltrinelli ed è direttore scientifico del suo Laboratorio Expo -- è inoltre stato condirettore di Aut Aut con PACI (vedi) e ROVATTI. Dirigge la collana Readings per l'Università della Casa editrice Feltrinelli, di cui è consulente per la saggistica nel campo della filosofia e della teoria politica e sociale. Consulente della saggistica de il Saggiatore, di cui ha diretto, con Mondadori, la collana Theoria.  Fa parte del comitato scientifico o di direzione di riviste quali "Rassegna italiana di sociologia", "Teoria politica", "Biblioteca della libertà", "Transizione", "Etica degli affari", "Iride", "European Journal of Philosophy", "Filosofia e questioni pubbliche", "Reset", "Quaderni di Scienza politica", "Il Politico", "Rivista di filosofia", “Italianieuropei”. Direttore de “Il giornale di Socrate al caffè. Bimestrale di cultura e conversazione civile; curatore scientifico della Carta di Milano per Expo. Parte del Comitato direttivo di "Politeia", Centro per la ricerca e la formazione in politica ed etica di Milano, di cui è stato uno dei fondatori. Comitato etico dell'Istituto Europeo di Oncologia di Milano e del Comitato etico dell'Istituto Mondino di Pavia; Comitato scientifico della Fondazione Rosselli di Torino; coordinatore del Comitato Scientifico dell’Associazione per la ricerca e l'insegnamento della filosofia, parte del Consiglio direttivo nazionale della Società Filosofica italiana. Componente del Consiglio nazionale presso il Ministero dei Beni culturali e ambientali; presidente dell'Associazione “I quattro cavalieri” che ha promosso le attività dell’ensemble cameristico “I solisti di Pavia”, diretto da Dindo. Comitato generale Premi della Fondazione Balzan “Premio” di Milano. Presidente della Fondazione Campus di Lucca; direttore delle Scuole di formazione politica dell'Associazione “Libertà e giustizia; presidente della Fondazione Grassi La voce della culturadi Milano; Presidente del Comitato Generale Premi della Fondazione Balzan di Milano; membro del Comitato dei Garanti della Scuola Galileiana di Studi Superiori di Padova. Socio corrispondente residente della Classe di Scienze morali dell'Istituto lombardo di scienze e lettere; consigliere della Fondazione del Centenario della BSI di Lugano. Membro del Comitato Scientifico della Fondazione Gualtiero Marchesi. Accademico corrispondente non residente della Classe di Scienze Morali dell'Accademia delle Scienze dell'Istituto di Bologna; designato da Pavia quale Garante dei diritti degli studenti; presidente della Casa della Cultura di Milano.  Socio corrispondente non residente dell'Accademia delle Scienze di Torino. membro effettivo dell'Istituto Lombardo di Lettere e Scienze e componente del Comitato dei Garanti del FAI. Premio Castiglioncello sezione di filosofia per il saggio “Dell'incertezza” e gli è stata conferita, con decreto del Presidente della Repubblica, la medaglia d'oro e il diploma di prima classe, riservati ai benemeriti della Scienza e della cultura. Riceve il premio dell'Accademia di Carrara per il saggio “La filosofia politica”. Premio per la filosofia “Viaggio a Siracusa” per La priorità del male e l'offerta filosofica; premio “Ponte per la cultura” della Fondazione Europea Venosta per il saggio “Etica e verità”. Medaglia d'oro di benemerenza civica dal Comune di Milano. Nella sua filosofia sono individuabili tre fasi distinte.  La prima fase della sua ricerca è stata dedicata a questioni di teoria della conoscenza o di epistemologia. Pubblica “Fondazione e modalità in Kant” e altri saggi su problemi di filosofia della logica, della matematica e della fisica in Whitehead, Frege, Cassirer e Quine. Il suo centro di interesse scientifico si sposta sulle teorie di Marx in rapporto alle scienze economiche, sociali e politiche, delineando una seconda fase i cui esiti sono formulati in “Marx e la critica dell'economia politica” e, soprattutto, “Il programma scientifico di Marx.” Si impegna in un programma di ricerca nell'ambito della filosofia politica influenzato dalla prospettiva della teoria normativa della politica. Dopo “Le mosse della ragione,” introduce la discussione sulla giustizia con “La società giusta” ed elabora e sviluppa la sua prospettiva teorica in “Questioni di giustizia” e “Una filosofia pubblica.” Dedica un saggio divulgativo agli esiti di questa fase della sua ricerca, “L'altruismo.” Gli sviluppi successivi della sua ricerca, orientata al problema dei rapporti fra teoria normativa e teoria descrittiva della politica e incentrata sulla questione del pluralismo come fatto e come valore per la teoria democratica, sono rinvenibile in “Libertà e eguaglianza.” Una prospettiva filosofica in Progetto Ottantanove, in Etica e politica e, in particolare in “Cittadinanza: riflessioni filosofiche sull'idea di emancipazione.” Lavora alla stesura di tre meditazioni filosofiche intorno a questioni di verità, giustizia e identità, in cui estende la gamma dei suoi interessi teorici. Sviluppando una serie di idee originariamente presentate in Questioni di vita e conversazioni filosofiche, gli esiti di questa ricerca sono contenuti in “L’incertezza.” Pubblica “L'idea di giustizia da Platone ad oggi.” Pubblica un saggio di filosofia sociale e politica, “La lealtà civile: un messaggio nella bottiglia” e un saggio dedicato alla interpretazione e alla ricostruzione della teoria politica normative, “La filosofia politica.” Pubblica “La penultima parola e altri enigmi. Questioni di filosofia” in cui sono approfonditi alcuni esiti di Dell'incertezza ed è affrontata la questione meta-teorica della relazione fra l'attività filosofica e la sua storia nel tempo. Pubblica “Il bello e gl’ppressi: l'idea di giustizia” in cui sono presentate alcune idee di base per una teoria della giustizia globale. Presenta la sua prospettiva filosofica nel saggio “Il giardino delle idee: passi nel mondo della filosofia.” In “La priorità del male e l'offerta filosofica” sviluppa e approfondisce le questioni di una teoria della giustizia globale e mette a fuoco, fra l'altro, le connessioni fra l'offerta di filosofia politica e le circostanze e i soggetti di politica.  “Le cose della vita: congetture, conversazioni e lezioni personali” estende l'esame delle questioni di vita, inteso come tentativo di autoritratto, e lo connette al problema dell'eredità intellettuale, nel senso della dimensione storica del sapere filosofico. Il “Dizionario minimo. Per la convivenza democratica,” esamina e discute alcuni temi fondamentali per l'interpretazione e la valutazione della forma di vita democratica, sulla base di una tesi sulla natura della libertà democratica. “Etica e verità” raccolge saggi incentrati sui rapporti fra la crescita dell'impresa scientifica e i nostri criteri di giudizio etico. “Quattro lezioni sull'idea di incompletezza” presenta i primi risultati di una ricerca filosofica sull'idea di incompletezza, messa a fuoco in distinti domini di applicazione, quali quello della interpretazione, della giustificazione e della dimostrazione. In “Incompletezza” espone gli esiti delle sue ricerche filosofiche cercando di esplicitarne la coerenza e la connessione con l’incertezza. In “L'immaginazione filosofica” sviluppa la tesi conclusive del contributo all'idea di incompletezza e sullo sfondo di una definizione delle principali linee della propria ricerca filosofica. In “Un'idea di laicità” propone un argomento a favore della laicità delle istituzioni e delle scelte sociali basato su un'interpretazione della natura della libertà democratica e del fatto del pluralismo. In “Non c'è alternativa. Falso!” mette a fuoco, in una prospettiva filosofica, alcuni aspetti rilevanti della crisi economica strutturale e dei rapporti fra capitalismo e democrazia rappresentativa. In “La gran città del genere umano” tratta temi differenti accomunati dalla prospettiva globale “degli occhi del resto d'umanità”. In “La barca di Neurath” affronta questioni epistemologiche, normative e meta-filosofiche sullo sfondo dell’incertezza e dell'incompletezza; curatore del volume degli Annali della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, Laboratorio Expo. “Il senso della possibilità, dove Veca, raccogliendo intuizioni sviluppate in quegli anni nelle lezioni presso la Scuola Superiore IUSS di Pavia, espone il suo interesse per la l'interpretazione filosofica delle modalità. In particolare, le questioni metafisiche delle modalità (specie il confronto tra mondo attuale e mondi possibili, esaminando le differenti posizioni di Kripke, Lewis, e Armstrong) costituirebbero la chiave di volta filosofica a cui si riconducono le questioni normative ed ontologiche relative all'epistemologia, all'etica e alla politica esposte nel saggio sull’incompletezza e sull’incertezza. In particolare, la distinzione tra mondi possibili e realtà modale, che fornirebbe una fondazione alla compatibilità tra costruttivismo griceiano e realismo, proposta in chiusura, può considerarsi l'apertura di una nuova fase di sua filosofia, stavolta di stampo prettamente metafisico, e che si ricollega peraltro all'interesse per le modalità centrale nella sua opera prima. Altre saggi: “Fondazione e modalità in Kant” (Milano, Saggiatore); “Marx e le critiche dell'economia” (Milano, Saggiatore); “Il programma scientifico di Marx” (Milano, Saggiatore); “Le mosse della ragione” (Milano, Saggiatore); “La società giusta: argomenti per il CONTRATTUALISMO” (Milano, Il Saggiatore); “Crisi della democrazia e neo-CONTRATTUALISMO” (Roma, Riuniti); “Questioni di giustizia” (Parma, Pratiche); “Co-operare e competere” (Milano, Feltrinelli); “Una filosofia pubblica” (Milano, Feltrinelli); “L'Altruismo” (Milano, Garzanti); “Etica e politica” (Milano, Garzanti); “Progetto Ottantanove” (Milano, Il Saggiatore); “Cittadinanza. Riflessioni filosofiche sull'idea di emancipazione” (Milano, Feltrinelli); “Questioni di vita e conversazioni filosofiche” (Milano, BUR, Biblioteca Universale Rizzoli); “Questioni di giustizia. Corso di filosofia politica. Torino, Einaudi,  Europa Universitas. Tre saggi sull'impresa scientifica europea, Milano, Feltrinelli, Filosofia, politica, società. Annali di etica pubblica, Roma, Donzelli,  L'Idea di giustizia da Platone a Rawls, Roma, Laterza, Dell'incertezza. Milano, Feltrinelli, La politica e l'amicizia, Milano, Edizioni lavoro, Della lealtà civile: un messaggio nella bottiglia. Milano, Feltrinelli, La penultima parola e altri enigmi. Roma, Laterza, La filosofia politica. Roma, Laterza, La bellezza e gli oppressi: sull'idea di giustizia. Milano, Feltrinelli,  Il giardino delle idee. Quattro passi nel mondo della filosofia. Milano, Frassinelli, collana "I libri di Arnoldo Mosca Mondadori",  La priorità del male e l'offerta filosofica” (Milano, Feltrinelli); Le cose della vita. Congetture, conversazioni e lezioni personali. Milano, BUR, Biblioteca Universale Rizzoli, Dizionario minimo. Le parole della filosofia per una convivenza democratica. Milano, Frassinelli, Quattro lezioni sull'idea di incompletezza. Milano, La Scuola di Pitagora); “Etica e verità” Milano, Giampiero Casagrande editore, collana "Attualità e studi", L'idea di incompletezza. Quattro lezioni. Milano, Feltrinelli,  Sarabanda. Oratorio in tre tempi per voce sola. Milano, Feltrinelli,  Kant. Milano, Book Time,  Tolleranza. Le virtù civili. Milano, ASMEPA,  L'immaginazione filosofica” (Milano, Feltrinelli); “Un'idea di laicità. Bologna, il Mulino,  Ragione, giustizia, filosofia, scritti scelti, Antonella Besussi e Anna E. Galeotti. Milano, Feltrinelli, Omnia Mutantur. La scoperta filosofica del pluralismo culturale (Milano, Marsilio,. Non c'è alternativa. Falso! Roma, Laterza,. La gran città del genere umano. Milano, Mursia,. La barca di Neurath. SPisa, Scuola Normale Superiore,. Laboratorio Expo.  Milano, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli,. Il giardino di Camilla. Milano, Mursia,. Responsabilità-Uguaglianza-Sostenibilità. Tre parole-chiave per interpretare il futuro (Bologna, Dehoniane); Il senso della possibilità” Milano, Feltrinelli); “Le virtù cardinali: prudenza, temperanza, fortezza, giustizia” (Roma, Laterza), A proposito di Marx. Milano, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli,. Quasi un diario. Socrate al caffè. Milano, Casagrande, “ Qualcosa di sinistra. Idee per una politica progressista. Milano, Feltrinelli,. Libertà. Roma, Treccani. Cura, introdotto la filosofia di Rawls, Nozick, Dahl, Easton, Nagel, Williams, Parfit, Putnam, Walzer, Berlin, Sen, Goodman, Arrow, Regan, Elster, Passmore, Pontara, Dunn, Larmore, MacIntyre, Harsanyi, Hempel, Finetti, Meade, Dworkin, Axelrod, Moore, Hampshire, Pettit, Spence, scrittore britannico  Scuola di Milano. Treccani Enciclopedie  Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Socrate al Caffè, su socrate.apnetwork. Biografia. Pavia. Centro di filosofia sociale Scritti Pavia. Centro di filosofia sociale la teoria della giustizia  RAI Filosofia Presentazione del volume Ragione, Giustizia, Filosofia. Scritti in onore. Le mosse della ragione conversazionale – La mossa della ragione conversazionale – dinamica conversazionale – la dinamica della ragione conversazionale. Salvatore Veca. Keywords: altruismo, Hampshire, Hart, Grice, giustizia, cooperare e competere,  – ragione – virtu capitali, le mosse della ragione – ragione conversazionale -- -- Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft MS – Luigi Speranza, “Grice e Veca: la massima dell’altruismo conversazionale” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.

 

Grice e Vecchio: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del criticismo trascendentale contro il positivismo di neo-Trasimaco – filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Bologna). Filosofo italiano. Essential Italian philosopher. Interessi principali: Etica, filosofia del diritto, filosofia politica. Influenzato a BOBBIO. Eminente filosofo italiano del diritto. Tra gl’altri, ha influenzato BOBBIO. Famoso per il suo saggio “Giustizia.” Insegna a Ferrara, Sassari, Messina, Bologna e Roma. Rettore a Roma. Aderito al FASCISMO, come molti filosofi del diritto in Italia -- anche se lui stesso rimosso dal l'ideologia fascista nella fase iniziale. Perde la sua cattedra per due volte e per ragioni opposte. Per mano dei fascisti, perché e un ebreo. Per mano di anti-fascisti, perché è accusato di simpatizzare con il fascismo all'inizio della sua carriera. Reintegrato nell'insegnamento durante la seconda guerra mondiale, lavora con il Secolo d'Italia e la rivista Pages libero, pubblicazione regia di Panucci. Fa parte del comitato organizzatore di INSPE, un Istituto di ricerca che negli anni Cinquanta e Sessanta si è opposto alla cultura marxista, la promozione di conferenze internazionali e pubblicazioni. Fondatore e direttore del giornale internazionale di Filosofia del Diritto. Considerato tra i maggiori interpreti del kantismo. Criticato il positivismo, affermando che il concetto di ‘ius’ non può essere derivata dall'osservazione dei fenomeni giuridici. A questo proposito, le sue convinzioni concordarono con una vertenza che si svolge in Germania tra filosofia, sociologia e legale Teoria generale che sembra di ridefinire la "filosofia del diritto" a cui Vecchio ha attribuito questi tre compiti:  compito logico: costruire il concetto di ‘legge’ -- compito fenomenologico: lo studio del diritto come fenomeno sociale. Compito ontologico: la natura del ‘giusto’ --  o l'essenza del diritto come – dovere -- dovrebbe essere. Saggi: “Senso giuridico: presupposti del concetto di legge, Il concetto di legge, Il concetto di natura e il principio di diritto, Sui principi generali della legge, Giurisprudenza,  Lezioni Filosofia del diritto, La crisi della scienza del diritto, Storia della Filosofia del diritto, Mutevolezza ed Eternità della legge, Gli studi sul diritto. Treccani. “Principi generali del diritto.” Vechio: essential Italian philosopher. Grice: “Note that it is DelVecchio.” SCOPO DELLO STATO È ATTUARE LA GIUSTIZIA LUG 25, 2022  Giorgio Del Vecchio in una foto d'epoca In anni di incontrastato positivismo, la pubblicazione in successione di tre opere di Giorgio Del Vecchio, I presupposti filosofici della nozione del diritto (1905), Il concetto del diritto (1906), Il concetto della natura e il principio del diritto (1908), sconvolse il mondo degli studi filosofico-giuridici italiani. Al suo interno fermenti antipositivistici covavano, ma non trovavano la via per svilupparsi, mentre molti positivisti si risvegliarono da quello che si potrebbe chiamare kantianamente il loro sonno dogmatico. Ebbe inizio in Italia – così come in Germania con R. Stammler – quel capovolgimento dell’impostazione del problema filosofico del diritto, che vedrà quest’ultimo osservato non dalla parte dell’oggetto, come fenomeno che il pensiero passivamente conosce, bensì dalla parte del soggetto.  1. Giorgio Del Vecchio è rimasto sempre legato a Bologna, dove è nato il 26 agosto 1878, fino alla morte avvenuta nel 1970, tanto da interessarsi da ultimo anche della storia cittadina. Il trasferimento a Genova del padre – docente di statistica –, lo porta a laurearsi e a vivere in questa città, dove nel 1902 pubblica su Il Convito e sulla Rivista ligure di scienze lettere ed arti. Nello stesso periodo si dedica a due saggi scientifici, uno “L’evoluzione della ospitalità”, apparso sulla Rivista italiana di sociologia, e l’altro, “Il sentimento giuridico”, sulla Rivista italiana per le scienze giuridiche. Insegna Filosofia del diritto nel 1903 all’Università di Ferrara e pubblica Le dichiarazioni dei diritti dell’uomo e del cittadino nella rivoluzione francese[1] .  Nel frattempo avvia alcune delle relazioni internazionali che caratterizzeranno la sua attività scientifica, frequentando l’Università di Berlino, dove conosce Lasson, Kohler e Paulsen[2]. Nel 1906 viene chiamato presso l’Università di Sassari e successivamente, nel 1909, in quella di Messina; diventato ordinario, si trasferisce dall’Università di Messina a quella di Bologna, e nel 1920 a Roma. Nel 1905 scrive I presupposti filosofici della nozione del diritto, nel 1906 Il concetto del diritto e nel 1908 Il concetto della natura e il principio del diritto, raccolte successivamente nell’opera Presupposti, concetto e principio del diritto, denominata Trilogia nel 1959, apparsa in America già nel 1914 con il titolo unitario The formal bases of law, per la Boston Book Company, inserita nel 1921 nella The modern legal philosophy series.  Presupposti, concetto e principio del dirittorappresenta a pieno titolo il pensiero filosofico-giuridico di Del Vecchio: in esso egli definisce il diritto come «la coordinazione obiettiva delle azioni possibili tra più soggetti, secondo un principio etico che le determina, escludendone l’impedimento». Gli studi su Kant e le riflessioni in un orizzonte di proiezione universale lo portano ad approfondire e ad avvicinare i neokantiani, che in Italia vede studiosi come Petrone, Bartolomei e Ravà. Il suo lavoro, in realtà, si muove tra idealità e prassi del diritto, nella ricerca costante di un’armonia che chiarifichi le distonie; l’ispirazione a Kant lo fa assimilare alla Scuola di Marburgo, mentre l’attenzione all’idealismo tedesco lo porta a criticare, in modo metodico, sia il positivismo filosofico che quello giuridico.  2. Alla filosofia del diritto Del Vecchio pone un problema preliminare: quello della possibilità della determinazione del concetto del diritto. È questa la prima delle tre ricerche proprie, come già avevano ritenuto Vanni e Petrone, della filosofia del diritto, la ricerca logica, quella fenomenologica, e quella deontologica.  Alla ricerca logica devono accompagnarsi secondo Del Vecchio quelle fenomenologica e deontologica. La ricerca fenomenologica, studio misto di filosofia della storia del diritto e di sociologia giuridica, non è fra gli aspetti più significativi del suo pensiero: essa dovrebbe consistere nella determinazione delle linee generali dello svolgimento storico del diritto, che dimostrerebbero la tendenza degli ordinamenti giuridici positivi a una progressiva adeguazione all’ideale della giustizia, in quanto nel corso del tempo emergerebbero, sarebbero riconosciute, e a poco a poco si attuerebbero le prerogative essenziali della persona umana[3].  Questo fine che Del Vecchio riconosce nello svolgimento storico del diritto – o piuttosto assegna a esso – indica quale sia la sua prospettiva riguardo al problema «deontologico», ossia di ciò che il diritto dovrebbe essere: in altre parole, al problema della giustizia. In questa materia, da un’iniziale posizione kantiana Del Vecchio via via si avvicina a quella del giusnaturalismo cattolico: mediante l’attribuzione di un significato sempre meno formale e più contenutistico del concetto di persona. Del Vecchio dichiara «legge etica fondamentale» il dovere di operare «non come mezzo o veicolo delle forze della natura, ma come essere autonomo, avente la qualità di principio e fine…, non come individuo empirico (homo phaenomenon), determinato da passioni e affezioni fisiche, ma come io razionale (homo noumenon), indipendente da esse»[4]. Il concetto, e la stessa terminologia, sono kantiani, e del resto il richiamo al Kant è esplicito.  3. Nel campo dell’«etica oggettiva», ossia del diritto, da questa concezione della natura (nel senso di essenza) dell’uomo, discende logicamente il diritto soggettivo a non essere costretto ad accettare un rapporto con altri che non dipenda anche dalla propria determinazione; e questo diritto soggettivo costituisce il «principio, o idea-limite, di un diritto proprio universalmente della persona, insito in essa e non esauribile mai in alcun rapporto concreto di convivenza»[5].  Del Vecchio non esita a chiamare tale diritto «diritto naturale», considerandolo «anteriore ad ogni applicazione e ad ogni rapporto sociale» – di cui esso è anzi la legge[6] –, ed indipendentemente dal rispetto che un ordinamento giuridico positivo ne compia. Del Vecchio sostenne sempre, seguendo un giusnaturalismo che da quello kantiano andò avvicinandosi a quello tomistico, il limite al potere dello Stato costituito dai diritti naturali dell’individuo (o della «persona»).  Nella prospettiva ideale di uno «Stato di giustizia» la cui ragione prima è la tutela di tali diritti, egli respinge ogni teoria che ponga lo Stato al di sopra o al di fuori del limite giuridico costituito dalla sua intima ragione d’essere, l’attuazione della giustizia, in quanto solo da questa sua missione esso trae la propria autorità[7]; anzi, di uno Stato che agisca in contrasto con la giustizia Del Vecchio giunge a parlare come di «Stato delinquente»[8] . La giustizia è da lui affermata perciò «valida ed efficace anche contro un sistema giuridico positivamente vigente» quando questo contrasti irreparabilmente con le esigenze elementari della giustizia che sono le ragioni della sua validità: è legittima allora «la rivendicazione del diritto naturale contro il positivo che lo rinneghi»[9].  Daniele Onori  [1] Del Vecchio, La dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino nella rivoluzione francese. Tra le sue opere: Il sentimento giuridico, 1902; L’etica evoluzionista, 1902; Diritto e personalità umana, 1904; I presupposti filosofici della nozione del diritto, 1905; Su la teoria del contratto sociale, 1906; Il concetto del diritto, 1906; Il concetto della natura e i principio del diritto, 1908; Sull’idea di una scienza del diritto universale comparato, 1908; Il fenomeno della guerra e l’idea della pace, 1909; Sulla positività come carattere del diritto, 1911; Sui principi generali del diritto, 1921; Sulla statualità del diritto, 1929; Stato e società degli Stati, 1932; La crisi della scienza del diritto, 1933; La crisi dello Stato, 1933; Il problema delle fonti del diritto positivo, 1934; Individuo, Stato e corporazione, 1934; Etica, diritto e Stato, 1934; Diritto ed economia, 1935; L’homo juridicus e l’insufficienza del diritto come regola della vita, 1936; Sulla involuzione nel diritto, 1938; Sul fondamento della giustizia penale, 1945; Verità e inganno nella morale e nel diritto, 1945; Dispute e conclusioni sul diritto naturale, 1948.  [2] R. Orecchia, Bibliografia di Giorgio Del Vecchio, p. 11  [3] Del Vecchio, Lezioni di filosofia del diritto, pp. 350-351 della 13 a ediz., Milano, 1965  [4] Del Vecchio, Il concetto della natura e il principio del diritto, p. 72, Torino, 1908  [5] Ivi, p.85  [6] Ivi, p. 86  [7] Del Vecchio, Etica, diritto e Stato, nel vol. Saggi intorno allo Stato, Roma, 1935, pp. 168-169. Nello stesso volume, nel saggio Individuo, Stato e corporazione, v. il tentativo di fare rientrare nel concetto di Stato di diritto lo «Stato corporativo» fascista (p. 134 ss.).  [8] Del Vecchio, Lo Stato delinquente (1962)  [9] Del Vecchio, La giustizia, pp. 121-124 della 6 a ediz., Roma, 1959. Ma le idee di Del Vecchio circa il diritto naturale appaiono in numerosi suoi scritti: fra quelli dedicati espressamente a tale argomento v. Dispute e conclusioni sul diritto naturale (1948), Essenza del diritto naturale (1952), e Mutabilità ed eternità del diritto naturale (1952), gli ultimi due ora in Studi sul diritto, I e II.Giorgio Del Vecchio. DelVecchio. Vecchio. Keywords: neo-Trasimaco, Hart, ius, kantismo, positivism, giustizia, il giusto, fascismo, Bobbio. Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft, MS – Luigi Speranza, “Grice, Hart, e Vecchio: il kantianismo dell’ ‘ius.’”

 

Grice e Vedovelli: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale di una furtiva lagrima -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Roma). Essential Italian philosopher. Filosofo italiano. Rettore a Siena, assessore alla cultura del comune di Siena. Laureato in filosofia a Roma. Insegna a Siena, dove Precedentemente svolge attività di ricerca e di docenza a Heidelberg, Calabria, Roma, e Pavia. I suoi settori di ricerca si muovono nell'ambito della glossologia, la semiotica, la sociolinguistica e la linguistica acquisizionale. Introduce il concetto di lingua immigrata. Le sue ricerche si concentrano sull'insegnamento e apprendimento delle lingue in contesto migratorio. È autore di un commento al quadro comune europeo di riferimento per l'insegnamento delle lingue e co-autore della ricerca italiano, indagine motivazionale sui pubblici dell'italiano all'estero, realizzata  sotto la guida di Mauro. Fondatore e direttore della certificazione di italiano come lingua straniera, e del Centro di eccellenza della Ricerca Osservatorio linguistico dell'italiano diffuso fra stranieri e delle lingue immigrate in Italia, istituiti a Siena. Saggi: “Lessico di frequenza dell'italiano parlato” (Milano, IBMEtas),  Italiano, I pubblici e le motivazioni dell'italiano diffuso tra stranieri (Roma, Bulzoni); Guida all'italiano per stranieri: la prospettiva del quadro comune europeo per le lingue” (Roma, Carocci); “Una furtiva lagrima: l'italiano degli stranieri – specialmente nei tenori di opera” (Roma, Carocci); Lingua in giallo. Analfabeti, criminali, sordomuti, certificazioni di lingua straniera, Perugia, Guerra, Storia linguistica dell'emigrazione italiana nel mondo, Roma, Carocci, Siena Certificazione CILS Linguistica educativa Glottodidattica Semiotica  Registrazioni di V. su Radio Radicale. Massimo Vedovelli. Vedovelli. Keywords. Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft MS, -- Luigi Speranza, “Grice e Vedovelli” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.

 

Grice e Vegetti: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’accademia di Pater – vadum boum -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Milano). Essential Italian philosopher. Filosofo italiano. Insegna a Pavia. Si laurea a Pavia con la tesi, “La storiografia di Tucidide,” quale alunno del collegio Ghislieri. Libero docente e successivamente professore incaricato in storia della filosofia antica. Professore di questa disciplina a Pavia dove ricopre più volte il ruolo di direttore nel dipartimento di filosofia. Docente presso la scuola superiore IUSS di Pavia e la scuola europea di studi avanzati dell'Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli. Membro del Collegium Politicum e socio dell'Accademia di scienze morali e politiche di Napoli, e dell'Istituto lombardo accademia di scienze e lettere. Condivise il lavoro intellettuale e l'impegno sociale con Finzi. Si dedica alla filosofia greco-romana, secondo l'insegnamento del suo maestro GEYMONAT (vedi). Fa studi sulla medicina e sulla biologia da Ippocrate a Galeno. Il primo in Italia a impartire un corso di storia della filosofia antica che prende in considerazione i riferimenti alla storia della scienza, particolarmente in ambito greco-romano. Nella ricerca della connessione fra scienze e filosofia, segue la metodologia di GEYMONAT. Il campo d'indagine approfondito da V. consistette nello studio degl’aspetti etici e politici della filosofia, in particolare il platonismo dell’accademia, il aristotelismo del lizio, e il PORTICO, in rapporto con l'ambito sociale ed ideologico della cultura greco-romana. Relativamente all'etica, che assimila l'ordine stabilito dalla legge morale e politica con l'ordine naturale insito nel kósmos, l'universo ordinato, V. ritenne che si configurasse per la prima volta nell' “Iliade” proseguendo poi nella riflessione orfica-pitagorica sull'anima. Apprezzato per i suoi studi su Platone, Aristotele, Ippocrate, Galeno  e sull'etica. Saggi: “Il coltello e lo stilo” (Saggiatore, Milano); “Tra Edipo e Euclide” (Saggiatore, Milano); “L'etica degl’antichi” (Laterza, Roma); “La medicina platonica” (Cardo, Venezia); “La Repubblica platonica” (Napoli, Bibliopolis); “Il platonismo” (Einaudi); “Socrate incontra Marx. Lo Straniero di Treviri, ed. Guida; “Guida alla lettura della Repubblica di Platone (Laterza, Roma); “Un paradigma in cielo. Platone politico, ed. Carocci. Collabora in: “Marxismo e società antica” (Feltrinelli, Milano); “Oralità, scrittura, spettacolo” (Boringhieri, Torino); Il sapere degl’antichi” (Boringhieri, Torino); “L'esperienza religiosa antica” (Boringhieri, Torin) (con Giannantoni) La scienza ellenistica, Bibliopolis, Napoli, Le opere psicologiche di Galeno, Bibliopolis, Napoli, Nuove antichità, "Aut Aut", "Dialoghi con gl’antichi", Sankt Augustio. Traduce  Ippocrate, Opere, Vegetti, POMBA, Torino, Aristotele, Opere biologiche, Lanza e V., POMBA, Torino, Galeno, Opere, Garofalo e Vegetti, POMBA, Torino, Platone, Repubblica, Vegetti, Libri I-III, Dipartimento di Filosofia, Pavia, "Platone, Repubblica", Vegetti, BUR Biblioteca Univ. Rizzoli, Milano. “Nell'ombra di Theuth: dinamiche della scrittura in Platone, in Sapere e scrittura in Grecia, Detienne (Laterza, Roma); “Tra il sapere e la pratica: la medicina ellenistica” in Storia del sapere medico occidentale Grmek, Laterza, Roma-Bari. “L' idea del bene nella Repubblica di Platone, in "Discipline filosofiche", Passioni antiche: l'io collerico, in Storia delle passioni S. Vegetti Finzi, Laterza, Roma. Curato inoltre, per Zanichelli, “Filosofie e società.” Biografia su Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche, su emsf.rai. Vegetti, Finzi, Celli, Fare società, ed. Einaudi  Entrambi collaboratori della rivista “Iride” delle edizioni del Mulino. Biografia su Enciclopedia delle scienze filosofiche, su emsf. rai. Filosofo studioso di Platone, su corriere.  Curci, Intervista a Gastaldi, in ricordo di V., la provincial pavese. Enciclopedia Treccani alla voce "Galeno" Intervista Carioti, "Critico il Platone di REALE, il marxismo non c'entra", intervista di V., Corriere della Sera, Opere su open MLOL, Horizons Unlimited srl. Opere V. Pubblicazioni su Persée, Ministère de l'Enseignement supérieur, de la Recherche et de l'Innovation.  Registrazioni su Radio Radicale. L'etica e la filosofia antica, su emsf. La retorica e la persuasione, su emsf. La medicina greca. Aristotele. I pitagorici. Socrate., su emsf. L'etica in Platone e Aristotele, su emsf. V.: il primato del filosofo per Aristotele, sul  RAI filosofia. Mario Vegetti. Vegetti. Keywords: ariskant, plathegel. -- Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft MS, -- Luigi Speranza, “Grice e Vegetti e il platonismo oxoniense di Pater” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.

 

Grice e Velino: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dei velini – filosofia italiana -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Velia). Italian philosopher Grice: “”A = A,” Parmenides says,” “Le donne sono le donne,” “La guerra è la guerra.” Enough to irritate an Italian neo-non-parmenideian“ One of the most important Italian philosophers, if only because Plato dedicated a dialogue to him!” Grice.   --   Parmenide Parmènide di Velia. Παρμενίδης, Parmenídēs. Velia. Filosofo antico. Autore di un poema sulla natura. Viene considerato il fondatore dell'ontologia, con cui ha influenzato l'intera storia della filosofia occidentale. È il filosofo dell'essere statico e immutabile, in contrasto col divenire d’Eraclito, secondo il quale viceversa, tutto cambia. A V. si deve la nascita della scuola eleatica – o velina -- a cui appartenevano anche Zenone, o ‘Senone’ nella grafia antica più correta -- di Velia e Melisso. La rivalità tra Parmenide ed Eraclito è stata reintrodotta negli odierni dibattiti sulla concezione del tempo, e della fisica moderna. Nacque a Velia, in Ascea, da una famiglia aristocratica. Della sua vita si hanno poche notizie. Secondo Speusippo, nipote di Platone, e chiamato dai suoi concittadini a re-digere la legge di Ascea. Secondo Sozione è discepolo del pitagorico AMINIA (vedi), di Crotone. Per altri, è probabilmente discepolo di Senofane di Colofone. Ad Ascea fonda inoltre una scuola o setta, insieme al suo discepolo prediletto, Zenone. Platone nel “Parmenide” riferisce di un viaggio che Parmenide intraprese alla volta di Atene, dove conosce Socrate col quale ebbe una vivace discussione. L'unica opera di Parmenide è il poema in esametri “sulla natura”, di cui alcune parti sono citate da Simplicio in “De coelo” e nei suoi commenti alla fisica del Lizio, da Sesto Empirico e da altri saggi filosofichi antichi. Di queso poema sulla natura ci sono giunti ad oggi XIX frammenti, alcuni dei quali allo stato di puro stralcio, che comprendono un proemio e una trattazione in parti II: la via della verità e la via dell'opinione. Di quest'ultima abbiamo solo pochi versi.  Εἰ δ' ἄγ' ἐγὼν ἐρέω, κόμισαι δὲ σὺ μῦθον ἀκούσας, αἵπερ ὁδοὶ μοῦναι διζήσιός εἰσι νοῆσαι· ἡ μὲν ὅπως ἔστιν τε καὶ ὡς οὐκ ἔστι μὴ εἶναι, Πειθοῦς ἐστι κέλευθος - Ἀληθείῃ γὰρ ὀπηδεῖ - , ἡ δ' ὡς οὐκ ἔστιν τε καὶ ὡς χρεών ἐστι μὴ εἶναι, τὴν δή τοι φράζω παναπευθέα ἔμμεν ἀταρπόν· οὔτε γὰρ ἂν γνοίης τό γε μὴ ἐὸν - οὐ γὰρ ἀνυστόν - οὔτε φράσαις. ... τὸ γὰρ αὐτὸ νοεῖν ἐστίν τε καὶ εἶναι. Orbene io ti dirò, e tu ascolta accuratamente il DISCORSO, quali sono le vie di ricerca che sole sono da pensare. L’una che "è" e che non è possibile che non sia, e questo è il sentiero della persuasione -- infatti segue la verità. L’altra che "non è" e che è necessario che non sia, e io ti dico che questo è un sentiero del tutto inaccessibile. Infatti non potresti avere cognizione di ciò che non è -- poiché non è possibile -- né potresti esprimerlo. Infatti lo stesso è pensare ed essere. Sostiene che la molteplicità e i mutamenti del mondo sono illusori, e afferma, contrariamente al senso comune, la realtà dell'essere: immutabile, ingenerato, finito, immortale, unico, omogeneo, immobile, eterno.  La narrazione si snoda intorno al percorso intellettuale del filosofo che racconta il suo viaggio verso la dimora della dea della giustizia la quale lo conduce al cuore inconcusso della ben rotonda verità. La dea, in quanto tutrice dell'ordine cosmico, e vista in tal senso anche come garante dell'ordine logico, cioè del corretto filosofare. La dea gli mostra la via dell'opinione, che conduce all'apparenza e all'inganno, e la via della verità che conduce alla sapienza e all'essere -- τὸ εἶναι.  Pur non specificando cosa sia questo essere, è il che per primo ne mette a tema esplicitamente il concetto. Su di esso egli esprime soltanto una lapidaria formula, la più antica testimonianza in materia, secondo la quale l'essere è, e non può non essere. Il non-essere non è, e non può essere -- ἡ μὲν ὅπως ἔστιν τε καὶ ὡς οὐκ ἔστι μὴ εἶναι … ἡ δ' ὡς οὐκ ἔστιν τε καὶ ὡς χρεών ἐστι μὴ εἶναι -- è, e non è possibile che non sia … non è, ed è necessario che non sia»  -- Simplicio, Phys., Proclo, Comm. al Tim.). Con queste parole intende affermare che niente si crea dal niente -- ex nihilo nihil fit -- e nulla può essere distrutto nel nulla. Già i primi filosofi avevano cercato l'origine (ἀρχή) della mutevolezza dei fenomeni in un principio statico che potesse renderne ragione, non riuscendo a spiegarsi il divenire. Ma i cambiamenti e le trasformazioni a cui è soggetta la natura, tali per cui alcune realtà nascono, altre scompaiono, non hanno semplicemente motivo di esistere, essendo pura illusione. La vera natura del mondo, il vero essere della realtà, è statico e immobile. A tali affermazioni giunge promuovendo per la prima volta una filosofia – discorso filosofico -- basato non più su spiegazioni mitologiche del cosmo, ma su un metodo razionale, servendosi in particolare della logica formale di non-contraddizione, da cui si traggono le seguenti conclusion. L'essere è immobile perché se si muovesse sarebbe soggetto al divenire, e quindi ora sarebbe, ora non sarebbe. L'essere è uno perché non possono esserci due esseri. Se uno è l'essere, l'altro non sarebbe il primo, e sarebbe quindi non-essere. Allo stesso modo per cui, se A è l'essere, e B è diverso da A, allora B non è. Qualcosa che non sia essere non può essere, per definizione. L'essere è eterno perché non può esserci un momento in cui non è più, o non è ancora. Se l'essere è solo per un certo periodo di tempo, a un certo momento non è, e si cade in contraddizione. L'essere è dunque ingenerato e immortale, poiché in caso contrario implicherebbe il non essere. La nascita significa essere, ma è anche non essere prima di nascere. La morte significa non essere, ovvero essere solo fino a un certo momento. L'essere è indivisibile, perché altrimenti richiederebbe la presenza del non-essere come elemento separatore. L'essere risulta così vincolato dalla necessità (ἀνάγχη), che è il suo limite ma al contempo il suo fondamento costitutivo. La dominatrice necessità lo tiene nelle strettoie del limite che lo rinserra tutto intorno. Perché bisogna che l'essere non sia incompiuto. L'essere, secondo Parmenide: privo di imperfezioni e identico in ogni sua parte come una sfera paragona l'essere a una sfera perfetta, sempre uguale a se stessa nello spazio e nel tempo, chiusa e finita -- il finito è sinonimo di perfezione. La sfera è infatti l'unico solido geometrico che non ha differenze al suo interno, ed è uguale dovunque la si guardi. L’ipotesi collima suggestivamente con la teoria della relatività di Einstein. Se prendessimo un binocolo e lo puntassimo nello spazio, vedremmo una linea curva chiusa all'infinito in tutte le direzioni dello spazio, ovvero, complessivamente, una sfera. Per lo scienziato infatti l'universo è finito sebbene illimitato, fatto di uno spazio tondo ripiegato su se stesso. Fuori dell'essere non può esistere nulla, perché il non-essere, secondo logica, non è, per sua stessa definizione. Il divenire attestato dai sensi, secondo cui gl’enti ora sono e ora non sono, è una mera illusione -- che appare ma in realtà non è. La vera conoscenza dunque non deriva dai sensi, ma nasce dalla ragione. Non c'è nulla di errato nell'intelletto che prima non sia stato negli erranti sensi. Questa è la frase che d'ora in poi è attribuita a Parmenide. Il pensiero è dunque la via maestra per cogliere la verità dell'essere. Ed è lo stesso il pensare e pensare che è. Giacché senza l'essere non troverai il pensare, a indicare come l'essere si trovi nel pensiero. Pensare il nulla è difatti impossibile, il pensiero è necessariamente pensiero dell'essere. Di conseguenza, poiché è sempre l'essere a muovere il pensiero, la pensabilità di qualcosa dimostra l'esistenza dell'oggetto pensato.Tale identità immediata di essere e pensiero, a cui si giunge scartando tutte le impressioni e i falsi concetti derivanti dai sensi, abbandonando ogni dinamismo del pensiero, accomuna Parmenide alla dimensione mistica delle filosofie apofatiche orientali, come il buddhismo, il taoismo e l'induismo. Una volta stabilito che l'essere è, e il non-essere non è, restava tuttavia da spiegare come nascesse l'errore dei sensi, dato che nell'essere non ci sono imperfezioni, e perché gl’uomini tendano a prestare fede al divenire attribuendo l'essere al non-essere. Parmenide si limita ad affermare che gl’uomini si lasciano guidare dall'opinione (δόξα), anziché dalla verità. Ossia, giudicano la realtà in base all'apparenza, secondo procedimenti illogici. L'errore in definitiva è una semplice illusione, e dunque, in quanto non esiste, non si può trovargli una ragione. Compito del filosofo è unicamente quello di rivelare la nuda verità dell'essere nascosta sotto la superficie degl’inganni. Il tema è ripreso da Platone che cerca una soluzione al conflitto tra l'essere e il molteplice. Per sciogliere il dramma umano costituito dal divenire per cui tutto muta che si scontra con una ragione, altra dimensione fondamentale, che è portata a negarlo, Platone conceve il non-essere non più alla maniera di Parmenide staticamente e assolutamente contrapposto all'essere, ma come diverso dall'essere in maniera relativa, nel tentativo di dare una spiegazione razionale anche al tempo e al molteplice.  Il rigore logico di Parmenide gli valse inoltre l'appellativo di "venerando e terribile" da parte di Platone. La fiducia di Parmenide in un sapere completamente dedotto dalla ragione, e viceversa la sua totale sfiducia nei confronti dei sensi e di una conoscenza empirica, fa di lui un filosofo profondamente razionalista.  Parmenide e la scuola di Veli. Parmenide ne "La scuola di Atene", affresco di Sanzio. Parmenide è il fondatore della scuola o setta di Velia, dove ha vari discepoli, il più importante dei quali è Zenone. Il metodo usato dagli velini è la dimostrazione per assurdo, con cui confutano le tesi dellavversario giungendo a dimostrare la verità dell'essere, nonché la falsità del divenire e delle impressioni dei sensi, per una impossibilità logica di pensare altrimenti. Stupiva i contemporanei un ragionamento che scaturiva dalla radicale contrapposizione essere/non-essere e da un'immediata conseguenza del principio di non-contraddittorietà dell'essere e del pensiero, teorizzato in seguito da Aristotele nel Lizio come evidenza prima e indimostrabile alla ragione senza la quale diverrebbe impossibile qualsiasi conoscenza necessaria-filosofica, restando solo il mondo dell'opinione.  Parmenide e i velini si contrapponevano soprattutto al pensiero d’Eraclito, loro contemporaneo, filosofo del divenire che basa la conoscenza interamente sui sensi. Nella prospettiva della storia della filosofia, è quindi Hegel a concepire l'essere in maniera radicalmente opposta a Parmenide.  Anche l'atomismo democriteo intese contrapporsi alla teoria velina dell'essere -- che cerca una soluzione al problema dell'archè negando alla radice un fondamento originario al divenire -- presupponendo gl’atomi e uno spazio vuoto, diverso dagl’atomi, in cui essi potessero muoversi, ipotizzando in una certa maniera una convivenza di essere e non-essere.  In seguito furono i sofisti a cercare di confutare il pensiero dei velini, opponendo al loro sapere certo e indubitabile (επιστήμη) sia il relativismo di Protagora, sia il nichilismo di Gorgia di Leonzio. Uno dei maggiori problemi sollevati da Parmenide riguardava in particolare l'impossibilità di oggettivare l'essere, di darne un predicato, di sottrarlo all'astrattezza formale con cui egli l'enuncia, e che sembra contrastare con la pienezza totale del suo contenuto. È seguendo questa strada che Platone, nel tentativo di risolvere il problema, approde al mondo delle idee.  L'interpretazione della "doxa" REALE (vedi) ha elencato le diverse interpretazioni contemporanee sullo statuto e il significato dell'opinione ed il suo rapporto con la verità. Accanto ad una lettura che le vede contrapporre radicalmente, ne esiste una diversa, che REALE appoggia, secondo cui l'opinione (δόξα) non è da intendersi in Parmenide come negazione assoluta della verità, ma come un modo improprio di accostarsi ad essa. Non si tratterebbe cioè di puro non-essere, della via dell'errore scartata a priori, ma di una TERZA possibilità in cui i fenomeni (δοκοῦντα) sarebbero entità pensabili e quindi plausibili, se non altro come manifestazioni esteriori del fondamento occulto e autentico dell'essere. Nelle parole della dea, infatti, Parmenide è chiamato a conoscere anche le opinioni dei mortali, in cui non è certezza verace. Eppure anche questo imparerai. Come l'esistenza delle apparenze sia necessario ammetta colui che in tutti i sensi tutto indaga. Si tratta di un'interpretazione condivisa in varia misura anche da Schwabl, Untersteiner, COLLI (vedi), RUGGIU (vedi), sebbene respinta da altri, che fa di Parmenide un anticipatore della futura ontologia platonica, mentre i suoi discepoli invece mantenneno una concezione più rigorosa dell'essere, quella tradizionalmente attribuita ai velini. Tra le filosofie volte al recupero del pensiero classico in chiave attuale, in direzione del quale si sono mossi specialmente gli studi di Heidegger e di BONTADINI, l'opera di SEVERINO si segnala come una parziale ripresa della dottrina di Parmenide, e viene perciò definita neo-parmenidismo. In particolare nel suo saggio “Ritornare a Parmenide”, SEVERINO intende proporre un'originale re-interpretazione delle categorie fondamentali del pensiero alla luce della rigorosa logica del velino. Secondo Platone in “Parmenide”. Dopo che è scoperta in uno scavo ad Ascea un'erma acefala con l'iscrizione Πα[ρ]μενείδης Πύρητος Οόλιάδης φυσικός -- Parmenide figlio di Pirete medico degli Uliadai -- dove Parmenide viene cioè indicato come capo della scuola medica di Velia degli Ούλιάδαι, si ritrova in seguito la testa-ritratto con barba qui raffigurata, con la base del collo adattata ad essere sovrapposta in un'erma del tipo di quella precedentemente ritrovata con l'iscrizione citata. Altri ritengono invece che questa scultura riproduca il busto del filosofo epicureo Metrodoro di Lampsaco (Picozzi, Parmenide, Enciclopedia dell'arte antica Treccani).  Logos: rivista internazionale di filosofia, Bartelli e Verando. I paradossi di Zenone contro il movimento vennero enunciati proprio per argomentare la posizione filosofica di Parmenide. Lugiato, L'uomo e il limite, Milano, FrancoAngeli, Secondo Platone in Parmenide, Diogene Laerzio. Così Plutarco, Contro Colote. Fra questi Aristotele, (Metafisica) e Platone (Sofista) e così anche Diogene Laerzio, Vite dei filosofi. I presocratici, a cura di Giannantoni, Bari. Platone, Parmenide, Simplicio, De cœlo. Simplicio, In Aristotelis Physica commentaria. Sesto Empirico, Adversus mathematicos. Finito non da intendersi come imperfetto perché per la mentalità antica il segno di perfezione è la compiutezza, il finito. L'infinito vorrebbe dire che non è completo, che gli manca qualcosa quindi imperfetto. Sul tema del viaggio in Parmenide si veda quest'intervista a Ruggiu, tratta dall'Enciclopedia delle scienze filosofiche. Dalla raccolta I presocratici di Diels e Kranz. Jellamo, Il cammino di Dike: l'idea di giustizia da Omero a Eschilo, Roma, Donzelli. Sull'ipotesi che la dea della giustizia è interpretata da Parmenide in una maniera nuova, filosofica, cfr. Fränkel, Wege und Formen Frühgriechischen Denkens. Literarische und Philosophiegeschichtliche Studien, München, Beck -- per il quale essa veniva ora vista come dea della giustezza o esattezza (dikaiosyne), preludio di quella platonica. Sulla dike "filosofica" cfr. anche Deichgräber, Parmenides' Auffahrt zur Göttin des Rechts, Untersuchungen zum Prooimion seines Lehrgedichts, Magonza. La nascita della parola "filosofia" è molto controversa, in quanto ha diverse accezioni. Già anticamente, così come altri termini composti col suffisso "philo-" (cfr. Hadot, Che cos'è la filosofia antica?, Torino, Einaudi) essa indicava una passione, una tensione (φίλος, fìlos) verso il sapere (σοφία, sofìa). Secondo Capizzi, tuttavia, Parmenide non era un filosofo nel senso etimologico, in quanto più che al "sapere per il sapere" propende per le applicazioni politiche del sapere, ma la questione è tutt'altro che definitiva. Principio enunciato da Melisso e poi reso in latino da LUCREZIO (vedi), ma implicitamente presente in un fragmento di Parmenide (cfr. Garrigou-Lagrange, La sintesi tomistica, Fede & Cultura. Il principio di non-contraddizione, introdotto da Parmenide per rivelare l'essere stesso, la verità essenziale, è successivamente impiegato come strumento del pensiero logicamente cogente per qualsiasi affermazione esatta. Sorsero così la logica e la dialettica -- Jaspers, I grandi filosofi, Longanesi, Milano). Della raccolta Diels e Kranz. Einstein si espresse tra l'altro in maniera sorprendentemente simile a Parmenide, in quanto anch'egli tende a negare la discontinuità del divenire e il suo svolgimento nel tempo. Secondo Popper, grandi scienziati come Boltzmann, Minkowski, Weyl, Schrödinger, Gödel e, soprattutto, Einstein hanno concepito le cose in modo similare a Parmenide e si sono espressi in termini singolarmente simili. La materia, secondo Einstein, si curverebbe su se stessa, per cui l'universo sarebbe illimitato ma finito, simile ad una sfera, che è illimitatamente percorribile anche se finita. Inoltre Einstein ritiene che non ha senso chiedersi che cosa esista fuori dell'universo (Riva, Manuale di filosofia).  Meinong, proprio come Parmenide, difese ad esempio l'idea che anche la montagna d'oro sussista poiché se ne può parlare. Diels e Kranz. Sull'analogia tra la posizione parmenidea e le filosofie dell'Oriente, cfr. Severino. Il Poema, le fonti, le interpretazioni, su filosofico. Cfr. anche l'intervista a SEVERINO (Venezia, Museo Correr, Biblioteca Marciana) in Parmenide su Emsf.rai Platone, Teeteto. Un famoso esempio si ha nelle aporie note come paradossi di Zenone. Si veda La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico, di Zeller, Mondolfo, Eleati, a cura di Reale, Firenze, La Nuova Italia, a cura di Girgenti, Milano, Bompiani. Dunque, Parmenide ha esposto un'opinione plausibile, oltre a quella fallace, e cerca, a suo modo, di dar conto dei fenomeni -- Reale, Storia della filosofia antica, Vita e Pensiero, Milano, trad. di Reale. Schwabl, Sein und Doxa bei Parmenides, Wiener Studien, Untersteiner, La Doxa di Parmenide, in Parmenide. Testimonianze e frammenti, Sansoni, Firenze, COLLI, Physis kryptesthai philei, ed. dell'Ateneo, Roma. Ruggiu, Saggio introduttivo e commentario filosofico, in Parmenide, Poema sulla natura: i frammenti e le testimonianze indirette, Rusconi, Milano. Di origine evidentemente iranica è il dualismo luce-tenebre che per Parmenide sta alla base della dóxa, mentre è addirittura di origine indiana il carattere puramente apparente da lui attribuito al mondo sensibile (sostenuto dalla corrente Samkya delle Upanishad nella famosa dottrina del "velo di Maya", ripresa da Schopenhauer), e lo stesso viaggio del filosofo al cospetto della dea, esposto nel proemio del poema parmenideo, ricorderebbe i viaggi degli sciamani asiatici -- West, La filosofia greca arcaica e l'Oriente (Mulino, Bologna). In esso, tuttavia, SEVERINO afferma dapprima di aver compiuto il secondo grande parmenicidio, dopo quello di Platone. Parmenide svaluta e quindi annulla i fenomeni. Ma questi appaiono, quindi esistono e, se esistono, non divengono. Ma tutti sono eterni. In secondo luogo, SEVERINO usa la logica parmenidea per confutare l'etica e la fede in Dio. Poiché il divenire non esiste, non sarebbero possibili la libera scelta morale e l'esistenza di un creatore che tragga l'essere dal nulla, creandolo ex nihilo. Diogene Laerzio, Vite e dottrine dei più celebri filosofi, a cura di Reale con la collaborazione di Girgenti e Ramelli (Milano, Bompiani); Albertelli, Gli Eleati: testimonianze e frammenti (Bari, Laterza); Vitali, Parmenide d'Elea. Peri physeos, una ricostruzione del Poema (Faenza, Lega); Reale, Ruggiu, Parmenide. Poema sulla natura (Milano, Rusconi); Cerri, Parmenide. Poema sulla natura (Milano, BUR); Nolletti, Che cos'è l'essere di Parmenide: spiegazione di un enigma filosofico” (Teramo, La Nuova Editrice); I presocratici. Prima traduzione integrale con testi originali a fronte delle testimonianze e dei frammenti di Diels e Kranz, a cura di Reale (Milano, Bompiani); Untersteiner, Eleati. Parmenide, Zenone, Melisso. Testimonianze E Frammenti (Milano, Bompiani); Severino, Ritornare a Parmenide in Essenza del nichilismo (Paideia, Brescia); DIANO (vedi), Parmenide in Studi e saggi di filosofia antica, successivamente ne Il pensiero greco da Anassimandro agli Stoici (Bollati Boringhieri); Ruggiu, Parmenide (Venezia, Marsilio); Capizzi, Introduzione a Parmenide (Laterza, Roma); CAPIZZI (vedi), La porta di Parmenid: saggi per una nuova lettura del poema” (Ateneo, Roma); CALOGERO, Studi sull'eleatismo (Roma, La Nuova Italia, Firenze); Hussey, I presocratici, Rampello (Mursia, Milano); Heinrich, Parmenide e Giona: studi sul rapporto tra filosofia e mitologia” (Guida, Napoli); Casertano, Parmenide il metodo la scienza l'esperienza” (Loffredo, Napoli); Popper, “Il mondo di Parmenide: alla scoperta dell'illuminismo presocratico” (Piemme, Casale Monferrat); Heidegger,
“Parmenide”, a cura di VOLPI (vedi) (Adelphi, Milano); Gadamer, Scritti su Parmenide, a cura di Saviani (Filema, Napoli); Colli, Gorgia e Parmenide. Lezioni (Adelphi, Milano); Cordero, “By Being, It is. The Thesis of Parmenides, Parmenides Publishing, Las Vega); Pulpito, Parmenide e la negazione del tempo. Interpretazioni e problemi” (LED, Milano); Sangiacomo, La sfida di Parmenide. Verso la Rinascenza, Il Prato, Padova); Abbate, Parmenide e i neoplatonici. Dall'Essere all'Uno e al di là dell'Uno” (Edizioni dell'Orso, Alessandria); Toro, L'enigma Parmenide. Poesia e filosofia nel proemio” (Aracne, Rom); Ferrari, “Il migliore dei mondi impossibili: Parmenide e il cosmo dei Presocratici” (Aracne, Roma); Donà (vedi), Parmenide. Dell'essere e del nulla, (Alboversorio, Milano); Sperduto, Il divenire dell'eterno (Aracne, Roma); Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,  Parmènide (filosofo), su sapere; Agostini. Spiegazione dell'enigma dell'essere di Parmenide, su parmenide; Severino. Il Poema, le fonti, le interpretazioni, su filosofico. Severino: Parmenide, su rai scuola; Sull'Essere" recitato in greco antico ricostruito, su podium-arts; Un'ampia lista degli studi dedicati a Parmenide su Parmenides; Parmenides and the Question of Being in Greek Thought, su ontology. con una bibliografia annotata degli studi recenti e delle edizioni critiche.Stanford. Refs.: H. P. Grice, “Negation and privation,” “Lectures on negation,” Wiggins, “Grice and Parmenides”. Parmenide. Keywords: Velia, velino, velini, la porta. Refs.: Luigi Speranza, “Il parmenideismo italiano,” Luigi Speranza, "Grice e Parmenide," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.

 

Grice e Velia: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dei velini – filosofia italiana -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Velia). Filosofo italiano. Cf. senofane, parmenide -- Velia --  (or as Strawson would prefer, Zeno). Sometimes spelt ‘Senone’ "Senone *loved* his native Velia. Vivid evidence of the cultural impact of Senone's arguments in Italia is to be found in the interior of a red-figure drinking cup (Roma, Villa Giulia, inv. 3591) discovered in the Etrurian city of Falerii. It depicts a heroic figure racing nimbly ahead of a large tortoise and has every appearance of being the first known ‘response’ to the Achilles (or Mercurio, Ermete) paradox. “Was ‘Senone’ BORN in Velia?” -- that is the question!” -- Grice. Italian philosopher, as as such, or as Grice prefers, ‘senone’ – Zeno’s paradoxes. “Since Elea is in Italy, we can say Zeno is Italian.” H. P. Grice. “Linguistic puzzles, in nature.”  H. P. Grice. four paradoxes relating to space and motion attributed to Zenone di Velia. The race-track, Achilles and the tortoise, the stadium, and the arrow. Zenoe’s work is known to us through secondary sources, in particular Aristotle. The race-track paradox. If a runner is to reach the end of the track, he must first complete an infinite number of different journeys: getting to the midpoint, then to the point midway between the midpoint and the end, then to the point midway between this one and the end, and so on. But it is logically impossible for someone to complete an infinite series of journeys. Therefore, the runner cannot reach the end of the track. Since it is irrelevant to the argument how far the end of the track is -- it could be a foot or an inch or a micron away -- this argument, if sound, shows that motion is impossible. Moving to any point involves an infinite number of journeys, and an infinite number of journeys cannot be completed. The paradox of Achilles and the tortoise. Achilles runs much faster than the tortoise. A race is arranged between them, and the tortoise is given a lead. Zenone argues that Achilles never catches up with the tortoise no matter how fast he runs and no matter how long the race goes on. For, the first thing Achilles has to do is to get to the place from which the tortoise started. But the tortoise, though slow, is unflagging. While Achilles is occupied in making up his handicap, the tortoise advances a little farther. The next thing Achilles has to do is to get to the new place the tortoise occupies. While Achilles is doing this, the tortoise has gone a little farther still. However small the gap that remains, it take Achilles some time to cross it. In that tim, the tortoise creates another gap. So, however fast Achilles runs, all that the tortoise has to do, in order not to be beaten, is not to stop. The stadium paradox. Imagine three equal cubes, A, B, and C, with sides all of length l, arranged in a line stretching away from one. A is moved perpendicularly out of line to the right by a distance equal to l. At the same time, and at the same rate, C is moved perpendicularly out of line to the left by a distance equal to l. The time it takes A to travel l/2 relative to B equals the time it takes A to travel to l relative to C. So, it follows that half the time equals its double. The arrow paradox. At any instant of time, the flying arrow occupies a space equal to itself. That is, the arrow at an instant cannot be moving, for motion takes a period of time, and a temporal instant is conceived as a point, not itself having duration. It follows that the arrow is at rest at every instant, and so does not move. What goes for arrows goes for everything: nothing moves. Scholars disagree about what Zenone himself takes his paradoxes to show. There is no evidence that Zenone offers any “solution” to his paradoxes. One view is that the four paradoxes are part of a programme to establish that *multiplicity* -- including motion -- is an illusion of the senses, and that reality is a seamless whole. Zeno’s argument may be reconstructed like this. If you allow that reality can be successively divided into parts, you find yourself with these four insupportable paradoxes. So you must think of reality as a single indivisible one. Senza le premesse di tale discussione e problematica si precisano chiaramente nei finissimi argomenti di Zenone di Velia, discepolo e difensore di Parmenide di Velia, in cui si vede bene il taglio netto tra l'essere che è e in cui tutto si annulla, e il mondo umano costruito dall'uomo stesso. All'inizio del “Parmenide” Platone narra che una volta, durante le grandi Panatenee, Parmenide e Zenone vennero ad Atene. Parmenide e d'aspetto bello e nobile. Zenone, di grande statura e bell'uomo anche (“Parmenide”). Platone dice, poi, che in quell'occasione Zenone legge un saggio che scrive per difendere la tesi di Parmenide di Velia, ma che quel saggio Zenone compose per amor di polemica e che per giunta un tale glielo ha sottratto, per cui, Platone fa dire a Zenone. Non ha neppure il tempo di pensare se fosse o no il caso di darlo alla luce. Platone, forse, per dare avvio alla sua discussione, probabilmente nei confronti della setta di Velia, si riallaccia di proposito a Parmenide e a Zenone mettendoli in rapporto con Socrate. Può darsi, dunque, che Platone forza la notizia di Zenone e Parmenide ad Atene in un'epoca in cui sembra difficile, per ragioni cronologiche, che Parmenide sia potuto venire ad Atene. Nulla vieta, invece, di pensare che lui sia stato effettivamente ad Atene, anche se in epoca diversa. Discepolo di Parmenide, Zenone nasce a Velia. Platone (“Parmenide”) narra che Zenone e venuto con Parmenide ad Atene. Tutte le fonti lo presentano come uomo prestante e altamente intelligente, che prende attiva parte alla vita politica di Velia, dove sarebbe eroicamente morto combattendo il tiranno Ncarco, quando, preso da Nearco e torturato, per non parlare si spezza la lingua con i denti, sputandola addosso al tiranno. Sembra che la struttura originaria del saggio di Zenone, o dei suoi saggi, e anti-nomica, e che [Altro punto sospetto è che Platone dice che il saggio che Zenone scrive e stato fatto circolare senza il permesso dell'autore. Potrebbe questo essere indice che Platone, in effetto, non espone la tesi vera di Zenone, anche se, nella finzione del dialogo, lui stesso approvi, con qualche riserva, il sunto che dei punti salienti dà Socrate. Platone, nel “Parmenide” tende a dimostrare l'impossibilità di pensare l'essere di Parmenide che porta dietro di sé l'altrettanta impossibilità di pensare i molti, onde, postici sul piano di Parmenide, risulta impossibile il discorso, un qual-sivoglia giudizio. Non interessa ora la soluzione di Platone e il suo tentativo di poter pensare l'essere come dialetticità corrispondente alla dialetticità del pensiero, per cui si rende possibile porre un tutto oggettivo. come ordine dialettico e misura su cui scandire, attraverso la conoscenza di sé, lo stesso ordine politico. È tuttavia importante sottolineare che nei confronti dell'uno di Parmenide e delle opere di lui -- che accettando l'ipotesi di Parmenide e anche accettando che l'uno di Parmenide si può, all'estremo, ritenere assurdo, vuoi dimostrare che altrettanto assurdo è porre unità accanto a unità, come i pitagorici, quando si ritenga che queste siano realtà per sé e non puri nomi -- la polemica di Platone chiarifica quella che storicamente dev'essere stata l'aporia fondamentale in cui si trova il lettore del saggio di Zenone. In verità - abbietta Zenone nel Parmenide di Platone - questo mio saggio vuol essere in certo modo una difesa della dottrina di Parmenide contro quelli che cercano di metterla in ridicolo sostenendo che la tesi dell'esistenza dell'uno va incontro a molte conseguenze ridicole e contraddittorie. Vuole confutare perciò questo mio saggio quelli che asseriscono l'esistenza dei molti e render loro la pariglia e anche di piu, cercando di mostrare che la loro ipotesi dell'esistenza dei molti va incontro a CONSEQUENZE ANCOR  PIU RIDICOLE di quella dell'uno se si vuole andare in fondo alla ricerca. In effetto, qui Platone corregge la sua prima affermazione che Zenone e Parmenide diceno la stessa cosa ("dite su per giu la cosa medesima”), e per i suoi intenti lascia cadere la precisazione di Zenone. Ma ciò è fondamentale, perché, in genere, è con questi abili accenni che Platone distingue, quello che a Platone importa da quello che accantona, ma che corrisponde, quasi sempre, alla verità storica. Zenone, quaranta fossero gl’argomenti contro la tesi che sostiene il molteplice e il moto. Platone che vede in Zenone il difensore dell’Uno di Parmenide, lo chiama il "palamede eleatico" (Fedro) ] dunque, sarebbe parmenideo alla rovescia. Zenone accetta che l'uno-tutto di Parmenide porta alla finale contraddizione dell'impensabilità -- proprio sulla via del pensiero -- dell'uno stesso. Solo che la facile critica dell'annullarsi dell'uno deve tener presente che, ammessa la esistenza dei molti, di punti accanto a punti, come enti reali, si cade nelle stesse contraddizioni di chi pone l'uno. Zenone non dice mai cosa sia l'essere. Zenone nega che posti i molti come esistenti, sul piano logico i molti esistano, confermando cosi la tesi di Parmenide che i molti in quanto tali, in quanto definizioni, non sono che puri *nomi* (nel piano linguistico) o illusione (nel piano cognoscitivo). Ammessa, dunque, pitagoricamente, l'esistenza di punti reali costituenti le cose, bisogna necessariamente ammettere che ciascuna di tali unità in quanto punto ha una grandezza, anche se minima, onde in ogni punto vi sono infiniti punti e quindi ogni punto-unità e infinitamente grande. Se il punto poi non ha gradezza, poiché le cose si costituiscono come aventi grandezza per l'unione dei punti, come e mai possibile che punti senza grandezza diano luogo a grandezze? Un punto dunque, se non ha grandezza, non è. Ancora: ammesse piu cose costituite di punti, esse saranno ad un tempo in numero finito e infinito, il che è contraddittorio. Saranno in numero finito, perché non possono essere piu o meno di quante sono. Saranno in numero nfinito perché tra l'una e l'altra ve ne sarà un'altra ancora, e tra questa e l'altra un'altra ancora all'infinito. Ancora: ammessa la molteplicità di cose reali per sé, bisogna ammettere o che sono continue, onde la molteplicità si annulla nella continuità, che, essendo divisibile all'infinito, è costituita d’infiniti punti a loro volta divisibili all'infinito, fino al nulla; oppure che ogni cosa, limitando l'altra, occupa uno spazio e si distingue dall'altra per uno spazio. Ma allora ogni spazio in quanto luogo implica un altro luogo e cosi all'infinito, sino all'unico luogo cioè l'uno, cioè il nulla (Aristotele, Fisica; Simplicio, Fisica). Entro questa linea rientra anche il cosiddetto argomento del grano di miglio. Un grano o la decimillesima parte di un grano di miglio fa rumore. Ora, se fra un grano di miglio e un medimmo c'è proporzione, vi sarà proporzione anche tra i suoni, per cui se un medimmo di miglio fa rumore lo fa anche un solo grano (Aristotele, Fisica; Simplicio, Fisica). Ma ciò non avviene. Evidentemente quest'ultimo argomento rientra nei termini dei primi. Se l'uno, o la totalità, è impensabile irrelativamente, altrettanto impensabili sono i molti qualora si pongano quali realtà accanto a realtà. Nessuna parte del molteplice costituie il limite ultimo e nessuna e senza una relazione con un'altra. Poiché i molti sono impensabili, se non determinati come variazione di quantità di un CONTINUO, e poiché IL CONTINUO si può rappresentare come retta all'infinito, fino al nulla, i molti, se posti come realtà per sé, non sono. Cosi nell'ipotetica retta -- nulla è pensabile se non in quanto estensione ed estensione che si qualifica -- altrettanto inconcepibile è il moto, o meglio la possibilità dello spostamento e del passaggio da punto a punto, ché, dato, ad esempio, un segmento AB, tra A e B posta una metà A', necessariamente tra A e A', vi sarà una metà A" e cosi vita all'infinito – eis apeiron -- (argomento della dicotomia, cioè della divisione in due: Aristotele, Fisica; Simplido, Fisica). Evidentemente non vi è allora passaggio tra un ipotetico primo punto A e il punto della linea accanto ad A, onde si può dire che Achille piè veloce" in A non raggiunge mai la tartarugà che sia un passo avanti in A", ché, in effetto, logicamente, né l'uno né l'altra si muovono -- argomento dell'Achille—pie-veloce: cfr. Aristotele, Fisica; Simplicio), tanto piu che la linea, essendo costituita d'infiniti punti, è divisibile all'infinito, e quindi, all'infinito, si annulla. Analogamente LA FRECCIA non raggiungerà mai il bersaglio, dovendo percorrere l'infinito e rimanendo sempre ferma al punto di partenza -- argomento della freccia: cfr. Aristotele, Fisica; Simplicio, Fisica; Filopono, Fisica; Temistio, Fisica). Infine, dei presunti XL argomenti con i quali Zenone dimostra la contraddittorietà in cui pone o l'esperienza sensibile o la definizione dei dati che implicano la molteplicità o il movimento, abbiamo l'argomento detto dello stadio. Considerando in uno stadio un punto mobile che va ad una certa velocità, se lo si considera rispetto ad un punto fermo andrà, ad esempio, a X chilometri l'ora. Se lo si considera invece rispetto a un altro punto mobile che vada alla sua stessa velocità in senso opposto, quello stesso mobile va a XX chilometri all'ora. Il  argomento IV - dice Aristotele - è quello delle due serie di masse uguali che si muovono in senso contrario nello stadio, lungo altre masse uguali, le une cioè a partire dalla fine dello stadio, le altre dalla metà, con velocità uguale. La conseguenza è che la metà del tempo è uguale al doppio (Fisica; cfr. anche Simplicio, Fisica). I celebri argomenti contro il movimento, con cui, accettata la premessa che esiste il moto, con ferrea consequenzialità, di deduzione in deduzione, si dimostra come sul piano logico, contraddicendosi, non si possa se non negare il moto -- onde, appunto, Aristotele, secondo Diogene Laerzio, nel “Sofista” andato perduto - ha potuto dire che lui e padre della DIALETTICA, e non Gorgia da Leonzio -- come arte del confutare -- ci sono rimasti attraverso le discussioni e le critiche di Aristotele. Non sappiamo, in effetto, se tali argomenti sono proprii del saggio di Zenone, ché le fonti precedenti, ivi compreso Platone -- che fa intravedere solo gli argomenti contro l'esistenza della molteplicità -- ne tacciono. Certo gl’argomenti contro il movimento potevano essere conseguenza di quelli sulla pluralità, che, portando a dimostrare l'intraducibilità della fisica in termini logico-matematici, per l'impensabilità del CONTINUO SPAZIALE, portano anche a rendere impensabile il continuo spazio-temporale su cui si determinano, definendoli, i punti-geometrici, i cui rapporti di movimento divenivano rapporti spaziali e, quindi, ancora una volta impensabili o contraddittori. La sua polemica sembra quindi rivolta sia contro i punti-cose dei primi della setta di CROTONE (o se si vuole contro la riduzione a numeri interi delle cose da parte dei primi de quella setta), supponendo i numeri irrazionali, sia contro l'impossibilità di ridurre le esperienze della vita, della mutevolezza, alla sfera della ragione e dei numeri, senza perdere in puri nomi quella stessa vitalità. Le conseguenze della discussione di Zenone di V., tenendo presenti certe posizioni a lui contemporanee o immediatamente posteriori - lasciando da parte le implicazioni che vi hanno veduto certi storici, riferendo le sue tesi ad alcune delle concezioni della matematica e della fisica moderna -- sembrano potersi indicare nei seguenti punti. L’impossibilità di ridurre la fisica in termini matematici. La conseguente impossibilità di pensare, e quindi di definire, sia l'essere come totalità, sia la molteplicità. La consapevolezza che ogni ricostruzione matematica è valida, in quanto ipotetica e che altrettanto ipotetica è ogni ricostruzione fisica. Sul piano storico si determinano cosi. Posizioni diverse, a seconda di quale aspetto della problematica, impostata da Zenone, viene approfondito. O si insistito sul continuo giungendo a risolvere e ad annullare i molti (che restano come determinazioni valide su di UN PIANO PURAMENTE LINGUISTICO) nel continuo stesso, cioè nell'infinita unità (Melisso).O si è risolto l'uno su di un piano puramente matematico, per cui l'uno non è nessuno dei punti della serie, né il pari né il dispari, ma la possibilità dell'uno e dell'altro, e che nell'opposizione-armonia dà luogo a un'ipotesi logica che spiega un'ipotesi fisica (CROTONE e TARANTO). O si è assunta l'ipotesi fisica del continuo divisibile all'infinito in infiniti punti ognuno dei quali, infinito, ha in sé tutte le infinite possibilità, gl'infiniti semi vitali, onde in ogni punto tutto è tutto (Anassagora); o si è fatta l'ipotesi che gli infiniti punti, proprio perché infiniti e quindi escludenti un passaggio dall'uno all'altro all'infinito costituiscono infiniti limiti, d'onde una infinita serie di limiti, d'indivisibili (atomi) implicanti nel limite una separazione, cioè un altro limite come vuoto (Leucippo, che fu discepolo di Zenone di V., e Democrito). Infine, se da un lato la sua problematica portava a impostare l'intelligibilità del reale non come afferrante la struttura in sé del reale stesso, ma come ipotesi o fisica o matematica, dall'altro lato portava, nella consapevolezza dell'impossibilità logica dell'essere o del divenire, della verità, a rimanere sul piano dell'opinione e del discorso umani, entro i termini dello stesso mondo dègl’uomini e dei loro rapporti (Protagora, Gorgia). Senone di Velia. Keywords: reductio ad absurdum, alievo di Parmenide di Velia, scuola di Velia, scuola di Crotone, i veliati, i veliani, Adorno, velino. Refs.: H. P. Grice, “Zeno’s sophisma;” Luigi Speranza, "Senone e Grice," “Grice e Zenone” -- The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.

 

Grice e Velleio: la ragione converazionale a Roma –- l’orto divino -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Roma). Filosofo italiano. L’orto. Used by Cicerone as a representative of L’orto -- on the topic of the divine in “De natura deorum.” Although a senator, his philosophical views lead him to steer clear of ‘dirty’ politics. Gaio Velleio. Velleio. Keywords: Roma antica. Luigi Speranza, for H. P. Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza. Velleio.

 

Grice e Venanzio: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’estetica -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Portogruaro). Essential talian philosopher. Filosofo italiano. Dov'e nato gli e dato a precettore Fortis, prete onesto, né senza ingegno. A' tredici anni studiò nel patrio seminario belle lettere e filosofia; ed è ben curioso a pensare, come a quel tempo, che pur anch'esso gloriavasi di civiltà e cominciava a combattere la tirannia de vecchii errori, non mancasse più d'uno che con ra-gionamento, meglio specioso che giusto, sentenziasse doversi apprendere prima filosofia e poscia retorica, perché, innanzi di scrivere, era debito d'imparare a pensare. Una fedele immagine di quelle scuole ci presenta lo stesso V. In retorica continue traduzioni dei classici latini, affatto pedantesche, per non dire meccaniche; della letteratura italiana neppure un cenno; Dante, Petrarca, Tasso, Ariosto, nomi ignoti; non si prefiggeva allo scrivere italiano altro modello, che il Cesarotti nei versi, ed il Thomas nella prosa; onde chi produceva versi più sonanti, o periodi più tronchi, più smozzicati, più era lodato. In FILOSOFIA, la lettura di qualche TESTO LATINO DI LOGICA E DI METAFISICA, che poscia si mandava alla memoria senza bene intenderlo; qualche libamento di fisica; le quattro operazioni fondamentali dell'aritmetica ed una occhiata al calcolo delle frazioni; le prime proposizioni d'Euclide; a ciò tutto riducevasi allora il tirocinio filosofico'». qualche cosa. Il Venanzio abbracciò coll'acutezza dell'ingegno e con solerte diligenza la filosofia e la giurisprudenza: nella quale fu addottorato; e fra la gravità degli studii continui, che lo fecero prematuramente vecchio, fra le publiche cure e l'esemplare affetto alla sua famiglia può dirsi ch'egli abbia spesa la vita. E fu la sua veramente vita non vaga di brighe, né di mondano romore, ma quale si conviene a chiunque ami sinceramente gli studii e voglia rendersi non talso sacerdote del bello. La natura lo aveva arricchito di tutte le doti che sono richieste al filosofo e al letterato. V. abbraccia coll'acutezza dell'ingegno e con solerte diligenza la filosofia e la giurisprudenza: nella quale fu addottorato; e fra la gravità degli studii continui, che lo fecero prematuramente vecchio, fra le publiche cure e l'esemplare affetto alla sua famiglia può dirsi ch'egli abbia spesa la lunga vita. E fu la sua veramente vita non vaga di brighe, né di mondano romore, ma quale si conviene a chiunque ami sinceramente gli studii e voglia rendersi non talso sacerdote del bello. La natura lo aveva arricchito di tutte le doti che sono richieste al filosofo e al letterato. Forza e acume d'intellet-to, tenace memoria, pronta e fervida fantasia; animo capace di sentir alto e soave. Tentata, non intelicemente, la lirica e la drammatica, non tardò a comprendere il grandissimo bisogno che di buoni prosatori, più che di poeti, aveva l'Italia. E a conseguire il nobilissimo fine stimò necessarii gli studii estetici; ai quali si siede con largo apparecchio di filosofia e filologia, apprendendo altresì con volere fermissimo il greco. Onde compose e pubblica quell'opera, che dall'amore del bello non saprei perché intitolasse Callofilia me-glio, che Filocalia. Della quale meritamente egli colse a que' giorni bellissima fama, come di lavoro d'alta natura e di sottili investiga-zioni, chiaramente e ordinatamente esposte e di certa eleganza e amenità di stile vestite.  Divide la materia in tre libri. Parla nel primo del bello naturale; e definito essere la bellezza non una verità, ma un sentimento, dimostra che in tutte le età, in tutte le condizio-ni, in tutte le sue principali tendenze l'uomo è dominato dalla forza del principio estetico, e prova sempre il bisogno di porre in movimento le proprie facoltà vitali. Famiglia, patria, religione, aspetti naturali, avvenimenti storici d'ogni maniera, tutto agita, tutto commuove, tutto modifica la sua vita. La storia de popo-li, tanto somigliante alla vita degl'individui, (poiché questi fanno per giorni ciò che quelli per secoli) ne fa certi che la brama di senti-re, di pensare, è in tutte le nazioni operosa e assidua. Ondeché, ristrignendo le osservazioni al bello e alle facoltà sensitive, pone l'autore che il bello naturale consiste nell'at-titudine che hanno gli oggetti componenti la universale natura di esercitare proporzionatamente le facoltà sensitive dell'uomo. Svolge ampiamente e sottilmente le conseguenze che se ne traggono; e, detto della differenza tra il vero, il bello e il buono, dimostra come l'accoppiamento del vario coll'uno sia il necessario generatore della bellezza. E poiché primo bisogno dell'anima nostra è, che sieno le facoltà convenientemente esercitate, ed è proprio ed essenziale uffizio della bellezza il soddisfare a questo bisogno, per quanto spetta alle facoltà sensitive, il Venanzio stabilisce i principii, secondo che si può conoscere quali tra le passioni abbiano veracemente in sé il pregio della morale bellezza, e in qual grado e per quali motivi. Di che si fa manifesto che la morale bellezza, la quale è l'esemplare della vita e la regola de' costumi, non è un ente speculativo dipendente dai pensamenti e dai capricci degli uomini, talora dagli errori oscurato, spesso alterato e contraffatto da' bisogni, dalle vicende, da ogni maniera di malvagità; ma un ente che per le sue ispirazioni può dirsi reale ed effettivo, reggentesi sul fondamento posto dalla natura e dettante le leggi sue con una voce, ch'è una in tutti. Per la qual cosa, essendo la bellezza morale riproduzione della naturale, ne segue che le stesse norme e condizioni attribuite all'una sieno da attribuire anche all'altra; onde primieramen-te e solamente la vista e l'udito sono organi della morale bellezza; della cui molteplice e ordinata varietà d'aspetti egregiamente discorre V., e ne addita la scala, che una serie di gradi progressivi d'efficacia e di forza compone. E così procedendo a faticosa e ingegnosa analisi pon fine al secondo libro.  Materia al terzo è il bello artificiale; obietto precipuo dell'opera. Quando in un uomo perfettamente costituito la bellezza genera le sue impressioni, havvi un punto, in cui la sensazione si trasforma in imagine; e per l'ettetto simultaneo della della imagine sorgono nell'anima gl'impul-si creatori e le determinazioni della volontà.  Ivi è l'origine della poesia, ch'è nel suo più ampio concetto la commozione dell'animo eccitato dalla bellezza a operare. Tutte le opere dell'uomo, nate dalle ispirazioni della bellezza, costituiscono vera e schietta poesia; ma come non tutte le azioni della vita hanno in sé l'impronta della bellezza, così alcune sono di lor natura poetiche, e altre non sono.  Senza che, varie son le maniere di presentare le inspirazioni del bello; o cercando nelle forze fisiche e morali, commosse a splendidi impeti, la via di palesare con fatti la propria commozione; o, in luogo di fatti, figurando un sentimento vero con mezzi che non son veri. Di qua l'origine della imitazione; la quale viene l'autore mirabilmente considerando in tutte le possibili relazioni e in tutte le varietà de fenomeni ch'ella presenta; né meno maestrevolmente esamina quella parte della poesia, che nella imitazione è riposta, distinguendo in essa il concetto, la composizione e la esecuzione. Molto poi sottilmente ragiona del bello ideale, che tanto e lungamente diede a pensare e discutere. E vinti tutti i sofismi, egli ammette l'esistenza di questo bello idea-le, che molti pur negano, e n'espone gli ufficii e ne dimostra i caratteri con assai giuste ragioni ed esempii autorevoli. Né con minore importanza tralascia di parlare della esecuzione, punto in cui nascono e si partono le arti imitative, onde l'ingegno rende manifesti e sensibili i suoi proprii concepimenti. E, o imiti l'artista il bello naturale per mezzo delle arti del disegno, o il bello morale per quelle dell'armonia, si troveranno spesso amendue queste parti rannodate fra loro dall'espressio-ne; santissimo vincolo della bellezza naturale colla bellezza morale. Appartiene finalmente all'estetica e alla retorica, non meno che alle pratiche istituzioni additar l'uso de' mezzi materiali, particolari a ciascun'arte; e insegnare le forme, le figure, i modi acconci ad efficacemente e nobilmente rappresentare il concetto. In fine conchiude, non essere il bello argomento di diletto e di piacevoli in-vestigazioni, ma motore principalissimo della natura morale, dalla quale e impulso e norma e qualità e misura ricevono le passioni; doversi e per importanza e per dignità agguagliare alla logica; perocché l'una mira a bene indirizzare la mente; l'altra educa il cuore; questa segue il lume della verità: quella, della bellez-za; potere insomma e l'etica e la metafisica e il diritto in generale e l'economia trarre grandissima utilità dall'amore della bellezza.Carrer. Pietose esequie per lui si celebrarono nella Basilica di S. Marco, e il dolore apparve su tutti i volti, qual era in tutti i cuori, solenne e profondo; ed il municipio di Venezia gli decreta sepoltura propria ed iscrizione monumentale nel comunale cimiterio. Così quella feconda vita innanzi tempo si spense e la gloria dell'estinto ormai più non dura che nella memoria delle sue virtù e nella splendida bellezza delle sue opere. Sventura acerbissima! che priva la patria di un cospicuo decoro e tolse alla italiana filosofia di cogliere il pieno frutto dei nobili studj di un tanto filosofo, ed a questo di godere più a lungo, dopo i sofferti infortunj, il meritato riposo e e ben conseguite ricompense. -- Dal Comentario della vita e delle opere di Carrer, in Carrer, Poesie (Le Monnier, Firenze). Sulla eccellenza dei prosatori. Chiunque alle prime origini ed alle rarie vicende della italiana filosofia volga la mente, scorgerà dì leggieri, che ogni epoca di essa è renduta dalle altre singolare da pregi non solo segnalati in se stessi, ma eziandio ai progressi della letteratura medesima in partìcolar modo accomodati; cosicché, mentre le altre nazioni la maggior loro gloria in un solo secolo ripongono, la nostra può a giusto diritto di molti egualmente vantarsi. Amore ardentissimo di patria, zelo di libertà e quel senso squisito del bello che alla prima aurora della civiltà corse a risvegliare gli animi per lungo sonno inoperosi, mossero i nostri padri del trecento a fondare la lingua e la letteratura italiana; e tanta fu la fiamma allora accesa nei petti sdegnosi dell'antica barbarie, che sursero ad un tratto quei miracoli di sapere e d'ingegno, Dante, Petrarca, e Boccaccio; ai quali tenne dietro la onorata comitiva dei Villani, dei Cavalca, dei Passavanti, dei Compagni, e di parecchi illustri Volgarizzatori, dalle cui scritture la purissima vena discorre dell'italiano favellare.  E nella eccelsa carriera, dappertutto, ed alla testa di tutti si mostra GALILEI; spirito che più che a decoro della sua patria e del suo secolo parve nato a lume ed a stupore dell'universo. Ch'egli pensò e previdde come Bacone, ma con alacrità inoltrossi pel sentiero che quegli aveva soltanto additato; dubitò come Cartesio, ma alle opinioni rivocate in dubbio non sostituì come quello vane chimere e sognate ipotesi; osservò e scoprì come Newton; ma la progressione dei tempi riservò al filosofo inglese il vanto di dare il suo nome al grande sistema per cui l'italiano aveva in gran parte approntato i materiali. Imperciocchè dopo avere in terra stabilite le leggi della caduta dei gravi, delle velocità, delle resistenze, delle percosse, e dopo aver per così dire valutati i corpi in numero, peso e misura, colla pupilla armata del telescopio da lui forse inventato e certamente perfezionato speculò arditamente nel cielo, ed ivi con invitta forza stabilì l'impero del sole ed il nostro mondo gli rese soggetto, vide valli e monti nella luna, vide di nuove stelle risplendere il firmamento, e Giove che prima per solitaria via moveva deserto fornì d'astri seguaci, ed il vaghissimo volto di Venere a seconda dei tempi e delle vicende fece che in vari aspetti ai cupid'occhi si mostrasse: felice! chè le opere ed i trovati mostrarono quanto in lui vi fosse di divino, le sole sventure quanto di mortale. Il Dizionario della Crusca è il solo da cui e precettori e discepoli trar possano norme e soccorsi, serbiamo con ogni cura intatta la fede e la dignità di questo libro reverendo; e non feriamone l'autorità coll'arme del ridicolo. Gli alti pensieri, lo stile acconcio e severo e le scelte ed accresciute parole costituiscono le qualità distintive delle prose dei buoni scrittori del seicento; per le quali la lingua italiana giunse in quel secolo ad un vigore e ad un nerbo, che fra le splendide pompe e le floride eleganze del secolo antecedente non aveva forse saputo acquistare. A niuno inferiore e superiore a molti è Redi, e sia che il proprio animo manifesti nella epistolare corrispondenza, sia che della inferma salute de' suoi ammalati discorra, sia ch'espenga le sue gravissime osservazioni alla istoria naturale pertinenti, sia che si applichi ad illustrare la patria favella ed a risolverne le più sottili questioni, dagli altri di lunga mano si distingue per la spontanea leggiadria con cui le scritture condisce senza renderle affettate o leziose, per le grazie ingenue e festive di cui le sparge, pel patrimonio prezioso di schiette e adequate parole di cui le arricchisce, esoprattutto per certi ritorcimenti e per certe giudiziose piegature con cui nuovi significati e vaghezza nuova alle voci radicali sa dare.  Girolamo Venanzio, Sulla eccellenza dei prosatori, in Memorie scientifiche e letterarie dell'Ateneo di Treviso, Andreola, Treviso. Girolamo Venanzio Venanzio. Keywords: filocallia, callofilo, il bello, l’estetica. Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft, MS – Luigi Speranza, “Grice e Venanzio” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.

 

Grice e Vera: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’idealismo italiano – filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Amelia). Essential Italian philosopher. Senatore del Regno d'Italia. Filosofo italiano. Grice: “One of my own favourite unpublications is “Absolutes,” which took its inspiration from a little tract by Vera which was especially influential on Flaubert, “Il problema dell’assoluto.” Strawson remarked: “it was a boojum, you see!” Senatore del Regno d'Italia. Compe i suoi studi alla Sapienza di Roma, terminandoli alla Sorbona di Parigi. Mostra subito un immenso talento per l'insegnamento, caratterizzato da lucidità di esposizione e genuino spirito filosofico, reggendo svariate cattedre in città importanti della Francia e della Svizzera. Il colpo di stato di Napoleone III lo costrinse a rifugiarsi in Inghilterra a causa delle sue idee eterodosse. Qui intraprese la stesura in francese dell’“Introduzione alla filosofia” di Hegel. Torna in Italia, riuscendo a diventare il più geniale e originale comunicatore della filosofia di Hegel, insegnando storia della filosofia dapprima all'accademia di Milano, e poi, su invito di SANCTIS (vedi), a Napoli. Continua a intrattenere scambi fecondi con la Società filosofica di Berlino e con gl’ambienti hegeliani tedeschi e francesi. Divenne socio nazionale dell'accademia dei lincei.  E suo fedelissimo allievo MARIANO.  E durante i suoi studi con Cousin a Parigi che V. arriva a conoscere la filosofia, risentendo fortemente dell'hegelismo allora in voga, di cui divenne in Italia promotore indiscusso. Si deve infatti a V. il risveglio in Italia dell'interesse per la filosofia idealista ed hegeliana in particolare, anche se egli godette di maggior fortuna all'estero, mentre ha un influsso molto minore in patria rispetto a quello esercitato ad esempio dai lavori di SPAVENTA. A differenza di SPAVENTA, infatti, che reinterpreta la filosofia di Hegel in chiave critica, V. si mantenne sostanzialmente fedele al dettato ortodosso della dottrina.  Nei suoi saggi, che esaltano la capacità di Hegel nel collegare ogni aspetto della realtà in un sistema organico, prevale l'attenzione per il problema religioso. V. interpreta l'idea logica hegeliana in senso trascendente, come il concetto del divino venendo per questo accostato in certa misura alla destra hegeliana in Germania, sebbene una tale lettura possa apparire una forzatura.  Centrale è il primato dell'idea, che si articola nella storia come organismo spirituale, e per attingere la quale occorre trascendere la natura. L'idea esiste bensì anche nelle piante e neg’animali, ma in maniera incosciente, e nel’imperatore di Prussia in maniera consciente. Solo nell'essere umano – la persona -- essa giunge a pensarsi come idea, divenendo in tal modo storia, e rendendo possibile anche il progresso delle entità collettive di personi che sussistono come una nazione. Finché una nazione vive nella sfera del suo essere sensibile e animale, essa non si muove. Essa ripete ogni giorno la stessa vita e gli stessi eventi. Essa prova sempre gli stessi bisogni. Che se non fosse possibile trascendere questa sfera, la storia stessa non sarebbe possibile. Queste poche considerazioni ci spingono adunque a riconoscere con più pieno convincimento che solo l'idea o l'assoluto è il motore della nazione italiana e dell'umanità, ovvero il principio determinante della storia” -- “Introduzione alla filosofia della storia” (Monnier, Firenze). La sua “Introduzione alla filosofia di Hegel” influenza Flaubert nella stesura di Bouvard e Pécuchet.  In Italia invece è stato determinante per aver stimolato, insieme a SPAVENTA, la nascita dell'idealismo con CROCE e GENTILE. Il suo saggio filosofico più famoso è “Il problema dell'assoluto.” Si dedica anche a tematiche giuridiche e politiche su Cavour con Libera Chiesa in libero Stato, in cui attribuie il ritardo del processo di rinnovamento liberale in Italia alla mancanza, durante il suo rinascimento, di una riforma luterana come quella d'oltralpe. Tesi in latino: “Platonis, Aristotelis et Hegelii: de medio termino doctrina. Quaestio philosophica”. Saggi: “Amore e filosofia: orazione inaugurale nel solenne riaprimento dell'accademia (Milano); “La pena di morte” (Napoli); “Prolusioni alla storia della filosofia e alla filosofia della storia” (Napoli); “Ricerche sulla scienza speculativa e sperimentale” (Napoli); “La filosofia della storia” (Firenze); “Cavour e libera Chiesa in libero Stato” (Napoli); “Problema dell'assoluto” (Napoli); “Platone e l'immortalità dell'anima” (Napoli); “Saggi filosofici” (Napoli). Cavaliere dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro nastrino per uniforme ordinaria. Cavaliere dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro. Enciclopedia Italiana. V., su treccani. La Civiltà cattolica, Firenze, libraio L. Manuelli. Sträter osserva in proposito che V. sembra la degna riproduzione italo-francese di quel tipo a cui in Germania usiamo dare il nome di hegeliani o anche di ortodossi di stretta osservanz -- cit. in Tortora, Le filosofie italiane,  de "Le filosofie contemporanee", Università degli Studi Federico II di Napoli. La rinascita hegeliana a Napoli, su eleaml. altervista.o.  Lezioni di V., raccolte e pubblicate con l'approvazione dell'autore da Mariano, Monnier, Firenze, Revue Flaubert, L'escatologia pitagorica nella tradizione occidentale, su rito simbolico. Cotroneo, Filosofia e storiografia, Rubbettino, Mariano, Introduzione alla filosofia della storia. Lezioni di V. raccolte e pubblicate con l'approvazione dell'autore da Mariano (Firenze, Monnier). Gentile, V. e l'ortodossismo hegeliano, in Le origini della filosofia contemporanea in Italia,  Messina, Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana Treccani, PLEBE, Spaventa e Vera, Torino, Edizioni di Filosofia, Oldrini, “Gli hegeliani di Napoli. V. e la corrente ortodossa” (Milano, Feltrinelli); Cricelli, V. e la filosofia hegeliana, Il Testo. Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  V., Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. V., Senatori d'Italia, Senato della Repubblica. Vita e opere di V., su malerba. Introduzione alla filosofia della storia. Lezioni di V. raccolte e pubblicate con l'approvazione dell'autore da Mariano (Firenze Monnier).  Gatti, per far meglio conoscere ai lettori della sua Rivista napoletana Augusto Vera, il pensatore illustre che insegnava già da due anni nell'Università di Napoli, ma non pare godesse la riputa-zione e la simpatia di altri professori aderenti alla stessa scuola filosofica e assai men noti fuori d'Italia, pubblicava due inediti frammenti di filosofia hegeliana del  Vera: e si accingeva quindi a voltare in italiano e a divulgare in elegante o puscolo una discussione dell'empirismo inglese, dall'autore già pubblicata a Londra nel 1856 %.  Gli pareva che le questioni toccatevi fossero cosi fondamentali e riguardassero cosi da vicino l'essenza stessa del sapere filosofico da poter giovare all'Italia non meno che all'Inghilterra, aiutando gli studi nostri ad orientarsi verso un concetto esatto della filosofia come scienza dell'assoluto, da conseguire con un metodo adeguato al suo oggetto, ossia parimenti assoluto: che era la tesi propugnata dal Vera dal punto di vista dello hegelismo, che è a come a dire l'ultima parola della scienza». Giac-ché la reazione sorta in Germania, in quegli anni, contro questa filosofia, era, agli occhi del nostro Gatti, fallita, non essendo riuscita ad opporre allo hegelismo e un altro sistema della medesima comprensione, il quale abbia potuto come quello impadronirsi di tutto il sapere e penetrarne tutte le parti». E intanto il Gatti vedeva che non c'era campo di studi che il pensiero hegeliano non avesse fecondato, « e le scienze naturali e le filologiche e le istoriche son tutte piene del suo spirito. Prova indu-bitata che quel sistema rappresenta la general maniera di pensare e le esigenze del pensiero contemporaneo e che ha le sue radici, come ogni altra filosofia le ha avute, nelle intime condizioni dello spirito stesso del secolo», Le proteste individuali erano state sopraffatte dall'energia del pensiero; e lo spirito della filosofia combattuta aveva, senza che essi lo sapessero, soggiogato i suoi stessi avver-sari, « riducendoli, quasi direi, a muoversi nella sua atmo-sfera, a respirarne l'aria, a guardare attraverso di essa le cose e i fatti e le loro relazioni e trasformazioni ».  Questa filosofia con sforzi perseveranti e con ricchezza non comune di sapere il Vera s'era studiato di diffondere, di renderla accessibile al maggior numero in Francia, «d' inocularla colle sue genuine fattezze in Italia » e d'ini-ziarvi anche l'Inghilterra. Di questa vasta filosofia il Gatti non conosceva « né più intero interprete, né più ardente propagatore, né più libero e insieme più fedel seguace; e ne tesseva l'elogio con evidente intenzione di contrapporlo a un altro interprete della stessa filosofia, che insegnava allora nella Università di Napoli accanto al Vera, e che molti pel rigore e la profondità del pensiero come pel libero atteggiamento verso l'autore del sistema propendevano a mettere al di sopra del Vera. « Con una conoscenza profonda del sistema che ha accettato, con una persuasione intima che fuori di quello non sia salvezza per la filosofia, il Vera è lontano da quella pedan-teria che fa consistere la profondità o la sostanza di un sistema in certe astruserie di formole, le quali spesso perdono il significato passando di una lingua in un'altra.  Né meno è lontano da quella affettazione d' indipendenza per la quale i discepoli più pedissequi si credono talora ambiziosamente obbligati a cercare un punto in cui si possano mostrare in disaccordo col maestro». Dove par di udire l'eco di certi giudizi privati dello stesso Vera, che, come vedremo, fu di proposito e per forza il più ortodosso degli hegeliani. Non v'ha dubbio d'altronde che egli, in perfetto accordo col Gatti, fosse convinto che la sua perfetta ortodossia non stesse per nulla a scapito della sua originalità: « Francamente e compiutamente hegeliano ha invece tutta quell'aria di originalità che viene dall'intera padronanza di una dottrina divenuta propria x 1.  2. — Pure questo franco e compiuto hegeliano, questo geniale e originale espositore di Hegel in un paese cosi ben preparato a ricevere un insegnamento di filosofia hegeliana, come forse nessun altro in Europa, insegnò a Napoli per circa un quarto di secolo senza quasi lasciarvi traccia della sua opera. E il suo nome, se vivo ancora in Francia e altrove come quello del traduttore francese dell' Enciclopedia e di parte della Filosofia della religione di Hegel, è presso che dimenticato in Italia, dove Hegel ora si può leggere in traduzioni italiane migliori e s'è spenta la fievole eco de suoi scritti. Il discepolo, l'unico discepolo del Vera, fu Raffaele Mariano che, a furia di dilucidare in prolisse elucubrazioni quei profondi concetti che gli pareva d'aver imparato a intendere alla scuoladel suo maestro, fini col non raccapezzarne più nulla 1.  E anche lui non mancò mai di fare le proteste del Gatti intorno all'originalità del maestro, sciogliendole bensi nel suo stile lungo e nella sua più libera logica. La mente dell' Hegel, disse egli, una volta, tessendo l'elogio del  Vera, «appunto per la novità, e ancora più per la vastità sintetica ed organica, era apparsa pressoché impene-trabile. Non solo fuori della Germania, ma quivi stesso la forma astrusa ed inviluppata aveva fatto intoppo  agli stessi discepoli immediati di lui, i quali in molti, e forse nei punti più essenziali, non giunsero ad affer-rarla». Ma quel che non giunsero ad afferrare gli scolari immediati, l'afferrò, miracolosamente, il Vera, che mai non vide l' Hegel; e con sapiente accorgimento poté comunicarlo a chiunque poi ne avesse voglia. * A renderla universalmente accessibile e intelligibile, era necessario spezzarne il rigido involucro formalistico, schiuderne e rivelarne lo spirito e le intime e recondite potenze. E tale è lo scopo a cui il Vera ha mirato». Egli non riprodusse, non ripeté le cose da colui insegnate; ma vi aggiunse la spontaneità ed originalità del proprio pensiero ». Come si possa aggiungere alle cose un'originalità e spontaneità di pensiero, lasciando le cose quelle cose che erano, il Mariano naturalmente non può dirci se non ripetendo, alla sua volta, la metafora del viluppo formalistico che il Vera spezzò, per assicurarci che « passando attraverso la mente di lui, l' Hegel esce rifatto, rinnovato, compiuto; non è più l'Hegel, che, nel primo intuire e manifestare i suoi nuovi e profondi concetti rimane incompreso e riesce in molta parte incomprensibile; ma è l' Hegel che, a dir così, s'è ripiegato sopra di sé, è ritornato suiconcetti suoi, e, pel ripetuto lavorio riflessivo e cogita-tivo, vi ha acquistato consapevolezza perspicua e piena ».  L'originalità non consiste « nell'avere e nel propalare una dottrina di nostro capo». La dottrina del Vera è quella di Hegel: tal quale. Ma l'essenziale dell'originalità consiste, a giudizio del Mariano, nel contribuire a mantener viva, svolgendola ed allargandola, la tradizione filosofica (anzi «la continuità» di questa tradizione):  consiste nel concorrere « a spingere, a condurre il pensiero e la ragione ad una più intima, ad una più consapevole comprensione di sé e dell'universo». O che volete che il Vera inventasse? L'invenzione non è affar della filosofia (ciò che proverebbe troppo, perché bisognerebbe allora indurne o che Hegel non ha trovato nulla di nuovo, o che quel che ha trovato, non ha che fare con la filosofia).  « Più dell'escogitare e porre nuove questioni, vale a gran pezza il dare alle antiche questioni soluzioni soluzioni più adeguate, più determinate e concrete che penetrino più addentro nella natura di quelle»* In-  somma, il Vera fu più originale di Hegel!  3. - Ma se l'originalità è stata per solito messa in dubbio, la fedeltà, invece, agl' insegnamenti dell' Hegel, la schiettezza e rigorosità dell' hegelismo da lui professato sono state sempre riconosciute universalmente; e perfino hegeliani tedeschi come il Rosenkranz lo proclamarono tra i più autorevoli e felici interpreti della dottrinaOnde spesso nei paesi di lingua latina è accaduto che detti e modi del Vera passassero per detti e modi di Hegel, e che i più trovassero comodo di cercare l'immagine del  filosofo tedesco nel suo traduttore e manipolatore italo-francese, fattosi l'apostolo ispirato e il privilegiato maestro del suo verbot. Hegel e Vera furono per molti anni due nomi inseparabili. Lo stesso Vera, rinato nello spirito hegeliano, non serbò quasi più nessuna memoria della sua vita precedente e dovette finire col persuadersi di non essere mai stato altro che illuminato da quella su-periore luce, che fu per lui l'hegelismo. Non pare che il suo scolaro e intimo amico, che se ne fece biografo, cono-  scesse direttamente i primi scritti di lui; né si può spie-gare se non come un'eco di conversazioni dello stesso Vera quel che racconta dell'esame pel dottorato sostenuto dal Vera alla Sorbona: dove gia egli si  sarebbe  presentato, nel 1845, paladino dell'idealismo assoluto.  Fu questo il momento, racconta il Mariano, in cui gli screzi già latenti tra lui e il Cousin si fecero mani-festi. L'appoggio da costui prestatogli non era valso a far velo alla mente del Vera. Le dottrine e un po' anche  il carattere, tutt'altro che schietto e sincero, dell'uomo gli avevano ispirato sin dal principio forte ripugnanza.  Ora che nella filosofia di Hegel s'era addentrato e ne aveva misurato davvero l'intimo e profondo valore,gli faceva sopra tutto nausea la guerra sleale da colui mossale, dopo averla sfruttata». Guerra che avrebbe fatto tremare un candidato meno del Vera coraggiosamente risoluto a scendere in campo per le proprie idee.  Questi invece, irremovibile nelle sue convinzioni, deciso ad affermate a viso aperto, facendo tacere considerazioni e rispetti umani e mondani, quella che egli reputava la verità, non esitò un istante a presentare due tesi pel dottorato, il Problème de la certitude e il Pla-tonis, Aristotelis et Hegeli de medio termino doctrina, delle quali il Cousin non voleva affatto sentir parlare..  Fortuna che, se il Cousin fu fieramente avverso (argo-mentando, ci assicura il Mariano, contro quelle tesi a in modo poco degno, nonché per un filosofo, ma per un uomo serio*), tutti gli altri membri della commissione furono unanimi nel dire che « da un pezzo alla Sorbona non s'era avuto un esame si splendido»; e uno di essi, il Saint-Marc-Girardin, « discutendo sull'essere e non essere, fece una specie di professione di fede hegeliana i con grande sorpresa del Saisset che lo sapeva solito ad andare a messa tutte le domeniche. Ma il Mariano lascia credere che dopo quell'esame si sarebbe voltata in Francia pel Vera la ruota della Fortuna, che vi aveva percorso piuttosto rapidamente la carriera dell'insegnamento.  Sicché il filosofo italiano avrebbe incominciato fin d'al-lora, a proprie spese, il suo apostolato, durato fin presso alla morte, incoltagli nella solitudine e nell'abbandono, a Napoli, in mezzo alla quasi indifferenza d'una nazione incapace d'apprezzare l'alto valore scientifico e morale della dottrina e dell'uomo che se n'era fatto campione.imparare da giovinetto l'inglese. Compiuti gli studi letterari nei seminari di Amelia, Spello, Todi, era passato a studiar leggi nella Università di Roma; ma non pare venisse a capo di nulla. E nell'inverno 1835 cedé agl' inviti d'un suo parente, archeologo e antiquario, che dimorava in Francia; e si recò a Parigi. Dove conobbe alcuni scrittori illustri; frequentò la Sorbona; e il 1837 poté ottenere il posto d'insegnante di latino e letteratura francese nell'Istituto di Hofwyl, presso Berna, diretto dal Fellenberg, discepolo del Pestalozzi. Vi rimase un anno, e vi studio il tedesco e la filosofia germanica, specialmente Kant; ma alla fine di quell'anno gli convenne dimettersi a causa delle sue opinioni religiose non cosi rigidamente cristiane come le avrebbe volute il direttore dell'Istituto, quantunque il Vera allora riconoscesse la divinità di Cristo. Passò in un altro istituto, a Champel, vicino a Ginevra 1; e vi comincio a insegnareanche filosofia. A Champel un suo collega hegeliano l'introdusse nella conoscenza della filosofia di Hegel.  Ma nel 1839 era tornato a Parigi, dove il Cousin cono-sciutolo e avuto con lui un colloquio intorno alle condizioni degli studi filosofici, gli avrebbe chiesto: Voules-vous vous enrôler sous ma bannière? E di li a pochi giorni gli avrebbe recato a casa egli stesso il diploma (Io settembre 1839) di professore di filosofia nel collegio comunale di Mont-de-Marsan, L'anno dopo il Cousin, ministro dell'istruzione, lo promoveva a Tolone. Donde il Vera, che intanto s'era fornito dei necessari gradi accademici, era nel 43 trasferito a Lilla. Di qui nel novembre 1845 a Limoges: dove rimase fin al 48, quando per un anno suppli il Franck in un liceo di Parigi. Da Limoges nell'aprile 49 passò a Rouen, e quindi nel settembre 1850 a Strasburgo. Che fu l'ultima tappa del suo insegnamento in Francia. Dopo il colpo di Stato, non si sa perché, lasciò questa sua seconda patria; e si recò in Inghilterra. Dove sperò da principio di ottenere una cattedra filosofica nell'Università di Londra; ma dovette contentarsi di vivere de' magri proventi di conferenze private e lavori letterari. Torno in Italia, e Mamiani lo nomina alla cattedra di Storia della filosofia nell'Accademia scientifico-letteraria di Milano; donde il ministro  Sanctis lo tramuta, insieme con Spaventa, a Napoli. E qui rimase tutto il resto della vita. Quandera a Tolone nel maggio 1843, secondo il Mariano, egli avrebbe pubblicato nella Revue du Lyon-  nais «il suo primo scritto filosofico»: Philosophie alle-mande: Doctrine de Hégel, che dovette essere un breve articolo informativo. " Rapido schizzo», e' informa lo stesso Mariano, « della filosofia germanica da Kant ad  Hegel »: e continua:  Certo, come primo scritto, si risente dell' insufficienza degli studi. Il pensiero non vi è per anco profondo né appieno sicuro e maturo: pure, er ungue leonem: ci è uno sguardo a dir cosi fatidico sulla seconda maniera della filosofia di Schelling, che allora insegnava a Berlino. Quel che essa propriamente fosse, il Vera non mostra saperlo in modo chiaro e preciso; e, nondimeno, in una nota osserva che non potrebbe aggiungere nulla di nuovo al pensiero filosofico tedesco, il quale con Hegel aveva toccato al più alto punto di svolgimento, e che con le sue nuove speculazioni lo Schelling.  lungi di accrescersi gloria, se la sarebbe  diminuita 1  Checché ne sia di questo scritto (che io non ho potuto vedere), a leggere il giudizio che del sistema di Hegel il Vera faceva anche due anni dopo, si stenta a credere che questo sistema potesse nel '43 esser detto da lui il più alto punto di svolgimento della speculazione germa-nica. Certo, non fu quello il primo scritto di carattere filosofico pubblicato dal Vera. Nel Museo scientifico, letterario ed artistico, che si pubblicava a Torino sotto la direzione del poeta estemporaneo Luigi Cicconi (che il Vera conobbe in Francia e fu da lui presentato a Mme Louise Colet, presso la quale ebbe frequente occasione d'incontrarsi col Cousin) 3, egli aveva già inserito il 16 febbraio 1839 un articolo sulla Filosofia della storiadel Ballanche, annunziando il proposito di « scrivere alcun cenno sui più famosi sistemi che governano il movimento delle idee de tempi nostri, in Francia e in Ale-magna, al fine di « spargere in Italia alcun soffio della vita intellettuale che si vive», egli diceva, al di qua de' monti». Egli avrebbe fatto soltanto la parte dell'espo-sitore, lasciando al lettore quella del critico e riserbandosi intatta la propria opinione. Ma non cela le sue idee a tal punto da non lasciare scorgere che il Ballanche, che fu uno dei primi scrittori francesi che egli personalmente conobbe e coi quali strinse relazioni amichevoli, un forte influsso aveva esercitato sulla sua mente giovanile, Per spiegare infatti il vivo interesse cosi largamente diffuso nel periodo della restaurazione per gli studi di filosofia della storia, il Vera rappresenta coi colori proprii dei tradizionalisti cattolici del tempo il senso di sgomento onde fu presa la società in seguito all'opera demolitrice delle dottrine del sec. XVIII. Le quali avevano distrutto, anche secondo il giovane scrittore umbro, « l'edificio sociale, senza poterlo ristorare. e abbandonata  «l'umanità come perduta in una vasta solitudine senza religione, senza costumi, senza leggi ».  Il turbine della rivoluzione, dopo aver solcato il suolo di Francia e dell'Europa, dopo aver scosso e scompaginato i troni e gli altari, e offerto dappertutto olocausti di sangue umano colpevole e innocente, andava a spegnersi sulle spiaggie lontane e deserte dell'Africa. La ragione gemette allora sui suoi travia-menti, gittò uno sguardo pieno d'ansia e di dolore sul passato e sul terribile avvenire, e non vide ovunque che ruite, nazioniin aspro travaglio, credenze affievolite o spente, l'uomo avvolto nel fango del senso, dimentico di sé, di Dio e dell'alto fine a cui è creato. Ma in mezzo a questo trambusto d'opinioni.... vi furono degli uomini generosi e santi, che custodirono puro ed intatto il sacro deposito della verità e della scienza, e lo condussero a salvamento a traverso gli incendi e le ruine, e lo mostrarono qual segno di salute all' Europa attonita e sfiduciata. Si nobile officio adempirono l'illustre autore del Genio del Cristianesimo, il conte De Maistre, De Bonald e Ballanche.  Dopo la Rivoluzione, la società dovette pensare al proprio avvenire per rialzare quanto era stato demolito; e per questo bisogno sarebbe sorta questa profonda riflessione di tanti pensatori sull'andamento delle cose umane e sulle leggi che governano il corso della storia.  *Noi rigettiamo a tutta possa le dottrine del XVIII se-colo, e gli effetti che ne sono derivati. Saremmo però ingiusti e irragionevoli se ricusassimo loro il beneficio di aver risvegliato una novella energia nella società ». Anche nel 1839 dunque dopo la prima conoscenza dell' hege-lismo fatta già in Svizzera, egli era dominato dallo spirito tradizionalista e aspirava anche lui alla ristaurazione nella religione; e se inneggiava alla novella energia della ragione risvegliatasi in Francia e in Germania, (e doveva ignorare quel che intanto, più profondamente, aveva fatto in Italia il Rosmini, e già s'apprestava a fare con maggior forza il Gioberti), questa energia non gli appariva ancora nella forma più possente dell'idealismo assoluto; quantunque gli studi che in quel torno continuava sugli scrittori tedeschi gli facessero intravvedere di là dal Reno una gran luce nuova.  Caratteristico, sotto questo riguardo, l'esordio di un articolo su Koerner pubblicato nello stesso giornale, nell'aprile dell'anno dopo. In esso, ricordata la Germania di Tacito, scritta con la speranza che al paragone i concittadini avrebbero provato onta della propria degradazione e si sarebbero indotti a ristorare le vecchie e cadenti istituzioni della patria, protestava:Io non ho né la forte penna, né l'autorità dell'austero patrizio di Roma, ma ho ugual affetto pel mio paese, ugual sentimento della grandezza e dignità dell'uomo, e mi stimerei ben fortunato se questi scritti invogliassero i miei concittadini a comprendere e studiar il movimento della scienza e letteratura tedesca.  Allorché Tacito scrivea, era ben lungi dal prevedere ciò che segui.  Il settentrione fece irruzione sul mezzodi, e il giovin sangue germano scese a rinvigorire le razze vecchie e spossate degl' itali.  Ora l'umanità è più ricca d'esperienza e di previsione; e chi può e sa esaminare lo stato della società e della scienza, vede chiaramente che avvenimenti analoghi si preparano; ma ora i popoli non si rinnovellano per dir cosi fisicamente, per mezzo d'emigrazione e di grandi catastrofi, ma spiritualmente. per virtù e commercio delle idee e della scienza. E questa si e una delle più grandi, e forse la più gran differenza tra il vecchio e il nuovo mondo.  Idea non mantenuta poi interamente, dopo che ebbe meglio conosciuto Hegel; ma che già era attinta a quella stessa corrente del romanticismo tedesco, da cui era sorto il pensiero hegeliano, e che, meglio determinata più tardi in conformità delle opinioni espresse da Hegel, segnatamente nella Filosofia della storia, resterà uno degli articoli più saldi del credo di V..  Gli articoli, che tra il 40 e il '45 dovette venite scrivendo in vari giornali, da lui stesso poi dimenticati (o rifiutati), ci aiuterebbero forse a illuminare questo periodo di formazione della sua mente, e a determinare quindi meglio il carattere del suo posteriore sviluppo.  Ma siamo costretti a saltare alla tesi francese e alla tesi latina del 45, che lo stesso Vera citò sempre nelle sue opere degli anni più tardi come contenenti dottrine hege-liane; e invece serbano alla nostra curiosità la inaspet-tata scoperta di un Vera (del più vecchio Vera, non destinato presumibilmente a sparire del tutto nel nuovo !) antihegeliano.  Vera antihegeliano! Si direbbe una contradictio in adiecto. Eppure in questi due scritti il Vera non solo combatte Hegel, dandogli battaglia sul terreno stesso della sua logica, e come nella piazza forte della sua dot-trina; ma si inspira a tutta una concezione recisamente avversa allo spirito hegeliano.  Ci sia permesso di studiare con qualche cura questo  Vera antihegeliano, nella speranza che la conoscenza di esso ci giovi ad intendere meglio il Vera di dopo, e fors'anco a darci la soluzione di quel problema storico, in cui ci siamo di sopra incontrati: di un cosi poderoso hegeliano, che per molti anni insegnò e scrisse liberamente con l'autorità di un ufficio universalmente tenuto in grande estimazione e reverenza, e in un paese già pregno di spirito hegeliano, senza lasciar quasi  nessuna  traccia dell'opera propria.  Sedici pagine della tesi francese 1 contengono una rapida esposizione e una critica dei principii fondamentali della logica hegeliana; ma delle sedici, l'esposizione ne ha sole quattro. Dove si dice che, secondo Hegel, l'essere e la conoscenza, l'esistenza e la verità fanno uno: sono due forme d'una stessa unità, percorrono gli stessi gradi, si sviluppano e finiscono simultaneamente. L'essenza delle cose è la ragione, e la ragione è il pensiero puro, perché il pensiero non ha altro oggetto che se stesso, cioè la nozione o l'idea. Porre con un processo d'analisi ciò che è essenzialmente contenuto nell'idea, sviluppare  L'idea sotto tutte le sue forme, seguirla e, per cosi dire,ritrovarla ne' diversi gradi dell'esistenza, questo il compito della filosofia. Ed ecco spuntare un' interpretazione dello hegelismo, che si può certamente difendere sotto il riguardo storico, ma che può anche condurre a una radicale falsificazione del significato storico di questa filosofia. Giacché altro è dire che l'essere e la conoscenza, il reale e l'idea sono uno, altro che siano due forme, due facce di un'unità, tra loro perfettamente parallele.  Nel primo caso siamo sulla via dell'idealismo assoluto; e nel secondo siamo nello spinozismo e potremmo finire addirittura nel platonismo accentuando, come fa il Vera, l'organismo dell'idea come unico oggetto della filosofia.  L'idea, secondo il Vera, è da prima, nel suo stato astratto e assoluto, separata da ogni esistenza concreta e da ogni oggetto. Come tale si sviluppa in una serie di termini, il cui insieme costituisce la logica. Questo sviluppo ha luogo in virtù d'un movimento proprio e interno alla stessa Idea, prodotto dalla dialettica dell'Idea, ossia da una necessità inerente a questa, per cui l'Idea si nega e passa nel suo contrario, e annulla quindi l'opposizione in un terzo termine che ci dà l'unità e la conciliazione dei due primi. Con questo processo l'Idea attraversa tutte le forme logiche fino all'ultima, che è l'Idea asso-luta: con la quale si compie la logica che è «l' Idea allo stato astratto», ossia: una realtà, una forza infinita, ma una realtà, una forza che ignora se stessa ». Essa deve realizzare l'idea della sua infinità, deve acquistare la coscienza di sé: deve, per dir cosi, manifestarsi a se medesima, ponendo un oggetto alla propria attività ..  Evidentemente, qui il Vera concepisce il passaggio dall'Idea alla Natura, o dall'astratto, com'egli dice, all'esi-  stenza, come un'aggiunta anzi che  come uno sviluppo.  L'oggetto che l'Idea si dà nella natura, non par che ei lo concepisca come la stessa Idea. E vero, che chiarendo poi l'antinomia di Logica e Natura, dice: «l'Idée, DEVENUE NATURE, se sépare en quelque sorte d'elle même»; ma, poco dopo, definisce lo Spirito (il tetzo termine in cui concilia Logica e Natura) «un idéal où l'Idée a acquis la conscience d'elle même, où, APRÈS AVOIR, pour ainsi dire, FAÇONNÉ SON OBJET el s'être retrouvée en lui, elle rentre dans son absolue antén.  Ma, e questo è più notevole, pel Vera, lo Spirito, come mediatore dell'Idea logica e della Natura, non è, logi-camente, dopo la Natura; bensi nella stessa Natura, quantunque non vi si possa realizzare. V' è dentro, ed esso (come finalità) la muove da dentro. Onde la triade vien capovolta. Non è la dialettica dell'Idea che crea il mondo. La dialettica dell'Idea hegeliana, al pari della pigra dialettica delle idee platoniche, non genera nulla, non vive, non si muove. « L'Idée ne devient pas, à pro-prement parler; car elle est éternelle et infinie.. E lo Spirito farebbe proprio le parti del demiurgo del Timeo. * Son oeurre consiste à faire descendre l'Idée dans la Nature, et puis à vamener la Nature à l'Idée par un acte pur et simple de la pensée». E cosi col divenire dello Spirito l'Idea spiegherebbe tutta la ricchezza delle sue forme, penetrando nella Natura ed entrando in possesso della sua esistenza assoluta. Per se stessa, adunque, la Logica potrebbe restare un arsenale di armi arrugginite.  Ma non è meraviglia se qui il Vera non penetrasse nell'intimo del sistema hegeliano, poiché protestava che esso «donne lieu à des graves objections», pur giudicandolo una delle più vaste e profonde concezioni della filosofia moderna. I due elementi, egli notava, di questo sistema, sono 1' Idea e il movimento dialettico, Gravi difficoltà s'affollano intorno ad entrambi. L'Idea è da principio essere puro, che trova la sua negazione nel puro niente, e la conciliazione con questo nel divenire. Ma, dice il futuro hegeliano: è proprio vero che l'essere puro contiene il niente? «L'essere puro, dice Hegel, richiama [appelle)il niente, perché non c'è in esso nessun segno, nessun carattere, e niente si può pensare né affermare di esso ».  Questa spiegazione dell'identità essere - niente più tardi apparirà anche a lui ineccepibile: qui invece non riesce a rendersene conto. L'essere, egli dice, o è, o non è. Se non è, allora tanto vale cominciare dal niente, quanto dall'essere. Se è, ci sarà soltanto l'essere, e non si vedrà il suo contrario.  Così, in due parole, la prima proposizione della Logica è bella e spacciata. Non monta che Hegel inviti a considerare che proprio lo stesso concetto dell'essere che è, puramente e semplicemente, s' identifica col non-essere, da se medesimo (e che insomma richiami l'attenzione sulla impossibilità di tener separati i due concetti di essere e non-essere). Il Vera non sa vedere altro essere che l'essere di Parmenide (l'idea stessa platonica): e però sentenzia che «l'idea del niente è qui aggiunta all'essere da un pensiero finito, anzi che esser dedotta dall'analisi pura dell'idea stessa dell'essere». E così anche il Vera, almeno qui, resta tra le corna di quello stesso dilemma, in cui si impiglio, come vedemmo, il Passerini *. E come era da prevedere, non riesce quindi a capacitarsi del terzo termine della triade: il divenire. Questo termine non si può, egli dice, dedurre legittimamente dai primi due.  Infatti, se di fronte all'essere puro c'è il puro niente, il niente annullerà l'essere, e non ci sarà punto divenire. Inoltre: di ciò che diviene si può dire che i o che non è, ma non che è e non è a un tempo; perché, se ciò che diviene è realmente a un dato momento del suo divenire, non si potrà dire di esso se non che  ¿, e il niente sarà avanti o dopo di esso. Che se al contrario si concepisce ciò che diviene come tale che in ogni momento del suo divenire non sia, tutto quello che se ne potrà dire, è che non i, e non che diviene. Ancora: da quale dei due termini il divenire è dedotto? O dall'essere o dal niente divisi, o dall'esseree dal niente congiunti. Ma non può esser dedotto dal niente, perché il niente, non essendo, non può divenire. Né dall'essere, perché l'essere è, e non diviene. Né dall'essere e dal niente presi insieme, perché, quel che non possono separati, non potranno neppure congiunti. E del resto, chi li congiunge? il divenire ? ma allora il divenire non sarà dedotto dalla loro combinazione.  Ovvero sono riuniti prima di divenire? ma allora non si vede più quale sia l'ufficio [le vôle] del divenire.  Sofismi dello stesso genere di quelli di Zenone, di Gor-gia, dei Megarici; e che avevano un grandissimo valore quando la logica era la logica degli Eleati, dell'essere che non può essere altro che essere: la logica che con Platone e Aristotele si fisso e s' irrigidi come logica dell'idea astratta; ma che dopo Hegel giova conoscere soltanto come documento dell'educazione mentale del Vera trentaduenne, indugiantesi tuttavia agli antipodi della nuova concezione dialettica hegeliana.  Procedendo, l'oscurità si addensa, com'è ovvio, al passaggio dalla Idea logica alla Natura. « Questo passaggio non è spiegato». Si dice che l'Idea nella natura si dà l'oggetto, per conoscersi poi nello spirito. Dunque, nella logica non si conosce. E come da questa idea senza oggetto e ignara di sé può ricavarsi la realtà e la cono-scenza? E se non ha un oggetto in cui conoscersi, come va che la meta di tutto lo sviluppo è la conoscenza appunto dell'Idea nella sua pura idealità logica? - Voi volete dedurre da questa Idea logica la natura e lo spirito.  Ma, quantunque sia difficile vedere come si possa, con una deduzione pura  l'intervento dell'esperienza,  cavare  l'idea della natura dall'idea logica, ad ogni modo non si potrà tirare altro da un essere logico che un essete egualmente logico: e cosi non si avrà più una natura reale, ma una natura ideale:  non si avrà esseri organizzati, qualità e una materia concrete, ma esseri organizzati, qualità e una materia astratte. E in fine sarà sempre l'Idea logica. Solamente,  I'Idea-natura espri-  merá altra cosa dell'Idea-logica, ma, in quanto Idea,non ci sarà tra loro nessuna differenza. E lo stesso si dica dello spirito, Giacché, con una simile deduzione, si avrà uno spirito ideale e non uno spirito reale e personale.  Obbiezioni, senza dubbio, tutt'altro che lievi, ma che provano appunto che egli aveva inteso la dottrina di Hegel come una nuova edizione non corretta, in verità, né riveduta della platonica: l'Idea fuori del mondo, e non come lo stesso principio interno e assoluto del mondo. La Idea hegeliana, non essendo natura né spi-rito, è astratta, pel Vera, e cioè non reale. E invece per Hegel è la stessa realtà. Onde lo sforzo maggiore che egli dovrà fare per entrare nell' hegelismo, e quasi la breccia che gli dovrà aprire il varco per introdursi in questa filosofia, consisterà proprio in questo punto: d'intendere l'idea come realtà, e fin da principio l'es-sere, non come l'idea dell'essere, ma l'essere dell'Idea.  8. - Quanto allo Spirito, ci sono altre gravi ripu-gnanze, O l'Idea, egli dice, pensa fin da principio, nello stato d'Idea logica, o pensa quando diviene Spirito.  Ma nel primo caso l'edifizio hegeliano crolla; ed Hegel infatti esclude questa alternativa. Per pensare, adunque, deve farsi Spirito. E allora o la facoltà di pensare c'era nell'Idea fin da principio, o le si viene ad aggiungere quando si trasforma in Spirito, Ma, se l'Idea come tale avesse già la facoltà di pensare, non potrebbe non pensarsi, almeno come Idea. Se questo pensiero le si aggiunge, allora il pensiero sarà altra cosa dall'Idea, e dovrà avere un'altra origine. E poiché il pensiero, non derivando dall' Idea, conterrebbe in sé l'Idea e la rea-lizzerebbe, sarebbe un principio superiore all'Idea, la quale non si potrebbe più dire essenza di tutte le cose. - Obbiezione anche questa assai grave, ma fondata sulla falsa concezione dell'Idea hegeliana come contenuto-oggetto di pensiero, e non, qual'è, forma assoluta e cioèassoluto soggetto,  sich wissende Wahrheit, come dice  Hegel: onde, se si distingue uno Spirito da un Logo, anche questo, per Hegel, è pensiero.  Se si nega, insiste il Vera, la successione di Idea, Natura e Spirito, facendone tre termini inseparabili e simultanei di un'unità, che è la pienezza dell'esistenza e la vita del mondo, viene a mancare il movimento: tutto è, e nulla diviene. Il divenire nel sistema hegeliano non è nell'Idea in sé. « Si elle devient, c'est-à-dire si elle se ma-nifeste, c'est par l'action successive de l'esprit qui la pense».  Bisogna dunque ammettere una successività, che importa nello spirito qualche cosa che non è nell'Idea: bisogna concepire questo Spirito non come l'idea dello Spirito, bensi come pensiero di un soggetto uno e indivisibile, che genera le idee e comunica loro attività e vita.  Cosi a questa unità dell'essere e del conoscere, che si pretende realizzare nell'unità dell'Idea, sfugge, e la molteplicità degli elementi riapparisce ». Anche ammesso che il pensiero possa ricavarsi dall' Idea, esso penserebbe bensi insieme i due contrari, ma distinguendoli, non unificandoli. Essere e non-essere, idea e natura, bene e male, giustizia e crimine restano nel pensiero opposti.  E del resto « lors même que la pensée pourrait effacer l'op-position des contraires, il ne suivrait pas de là nécessai-rement que l'opposition aurait disparu dans la réalité », Ora che l'opposizione non possa esser cancellata dal pensiero, si è visto per le due categorie di essere e non-  essere: ma si può dimostrare in un modo più generale «en signalant un vice qui atteint el ruine, suivant nous,  tout le système d' Hégel.  Quest'ultima critica è il suggello dell'incapacità del Vera a superare, con tutto l'aiuto di Hegel, la posizione platonica. In questo sistema, egli dice, la verità e l'essere non sono principii, ma risultati. La natura e ilpensiero non sono mossi da un principio posto fuori del mondo, e in possesso della pienezza dell'essere e della verità. L'essere da sé non si muove, né muove. Il non-  essere piuttosto sollecita l'essere; e come essere e non-  essere si uniscono nel divenire, il principio non è l'essere ma il divenire. E lo stesso si dica della triade maggiore  Idea-Natura-Spirito. L'Idea in sé è morta, e non si moverebbe mai. Dev'esser negata nella Natura, perché abbia luogo la vita dello Spirito. Se mai, la Natura, non l'Idea, dovrebbe considerarsi come principio dello Spi-rito, svegliando in certo modo l'Idea e comunicandole con la sua negazione una certa energia. Ma il vero principio è lo Spirito, in cui si concilia l'opposizione di Idea e Natura; e che trascinerà nel flusso del suo divenire l'essere e il non-essere dell'Idea, ossia Idea e Natura.  E insomma: o nulla diviene facendosi l'Idea principio di una Natura come Idea-natura e di uno Spirito che è Idea-spirito; che sarebbe il partito della logica; o tutto diviene, facendosi lo Spirito principio di tutto; che sarebbe il partito dell'esperienza. Nel primo caso si hanno tre idee pure ed immobili, e non si ha il mondo, Nel secondo si ha il divenire dello Spirito, e quindi della Natura e della stessa Idea, ma non si ha più principii, né asso-luto: e lo stesso spirito del mondo, di cui parla Hegel, non sarà, in fondo, se non una generalizzazione dell'esperienza e degli spiriti finiti.  In conclusione, la principale esigenza della critica del Vera è il concetto dell'assoluto estramondano; e la legge del suo pensiero il principio astratto d'identità.  10. - Nella tesi latina (dove la dottrina hegeliana confrontata a quella platonica e a quella aristotelica del termine medio è appunto la dialettica, la cui sintesi vien considerata come termine medio tra tesi e antitesi) il Vera ripete in parte la critica che abbiamoesposta della sua tesi francese, ma formula pure la prima: e capitale obbiezione nella più schietta forma teistica, che giova a determinare nettamente la sua posizione mentale. Dice qui presupposto gratuito quello di Hegel quando ideas aeternas rerum causas el principia esse contendit!. Le idee possono aver questo valore, oppone il Vera, si cui vi, vel menti, insint, quod sensit Plato. Ciò che non è storicamente esatto, ma serve a dirci in che modo il Vera intendesse il platonismo da cui era do-minato.  E accumula contro le prime categorie altre difficoltà.  Hegel vede il niente nell'essere come una sua determinazione (o nota), perché dell'essere non si può dire se non che è. Ma questo è piuttosto una ragione perché l'essere respinga da sé il nulla. Affinché infatti si possa dire che l'essere è, non occorre che in esso ci sia determinazione di sorta: e il niente vi sarebbe se l'essere fosse in qualche modo determinato: - Poi, se tutto deve cominciare con l'essere e niente ci dev'esser prima del-  l'essere, nec vor, nec res, nec cognitio, allora prima dell'essere non ci sarà altro che il niente; e dal niente si dovrebbe cominciare piuttosto che dall'essere. Ancora: per Hegel l'essere diviene; e niente è. Ma, affinché qualche cosa divenga, bisogna che qualcosa sia, e non divenga.  Giacché se a prima vista pare che quel che diviene sia e non sia insieme, in realtà, chi consideri con più diligenza, esso non è, solamente. Giacché quel che ora diviene,dev'essere stato e non divenuto; e poiché era, diviene. - Inoltre, essere e niente son cose; il divenire, invece, è stato o proprietà d'una cosa; e non può quindi congiungere l'essere e il niente. Hae enim verum proprietatibus virtus inesse nequit. - La verità e la potenza che e è nel divenire, deve ricavarsi da quel che era e che è. Sicché l'essere dovrebbe essere alcunché di più perfetto di quel che ne deriva, realtà o cognizione. Laddove Hegel muove da un essere, che non è il primo essere, ma un essere, per così dire, passato attraverso il niente. Onde il processo va dal meno al più, dall' imperfetto al per-  fetto; il divenire invece è incremento di perfezione.  Verum haec rationi repugnant.  E c'è altro. O c'è un principio delle cose, o no. Se c'è, qualunque sia, o una forza (vis quaedam), o solo una idea (ens logicum), deve preceder tutto, rispetto alla forza, al tempo, al moto, al vero. Hegel muove dall'essere: ebbene da quest'essere, se forza, dovrà ricavarsi la forza di tutto; se idea, tutte le idee. E non si uscirà mai quindi dall'essere; il principio sarà sempre l'essere. - Che se la conclusione dovesse essere il divenire, il divenire non cessa mai, non è mai un atto esaurito: e il processo del reale e del conoscere andrebbe all'infinito. - E guardando ai rapporti non più intelligibili dell'Idea con la Natura e con lo Spirito, la tesi latina, con qualche variante dalla tesi francese, trae questo colpo finale contro la dottrina di Hegel: « Infine, se lo spirito sta di mezzo tra la natura e la idea e per ciò stesso va innanzi alle idee, le idee non sono i principii. E ammesso che siano principii, poiché lo spirito diviene, e le idee sono inerenti allo spirito, è necessario che divengano anch'esse.  Se  non che quel che diviene, non è, ma sarà; né intende, ma intenderà; sicché né spirito né idea avranno coscienza di sé, né ci sarà un fine nel mondo, ma il tutto andrà soggetto alla cieca necessità delle idee».11. - Dei quali errori tutti il Vera trova la prima origine in due cause principali. L'una, che Hegel torse la dialettica dal suo vero ufficio, che è di respingere il falso, alla scoperta e dimostrazione del vero: pretendendo di edificare con uno strumento di demolizione. L'altra, che ben vide doversi cercare nell'infinito la ragione del suo rapporto col finito, ma errò presumendo di rendersi conto del modo di questo rapporto, onde fu costretto a cercare il finito nella stessa natura necessaria dell' in-  finito: ponendo un infinito semplice che si dirompe suapte natura e quodam necessario impetu nelle cose finites, e non potendovi poi restare si sforza di tornare a sé e ri-staurare certo infinito composto, con un circolo che Hegel per altro non riesce a chiudere, perché l'infinito, una volta mescolatosi alle cose finite, non può più tornare infinito.  Egli è, insomma, che Hegel vide il vero problema della scienza; mai però appunto andò più lungi dal segno (sed ob ipsum forsan longius a vero provectum). Perché il Vera è convinto che tale problema è troppo più grave che non possa sostenere l'omero mortale. Funzione del termine medio, fulero d'ogni dimostrazione, è unire il finito con l'infinito. Ma come questa unione avvenga né Aristotele, né Hegel, né lo stesso Platone, quantunque la sua dottrina sia la più soddisfacente, han potuto ad-ditare, perché il rapporto muove dall'infinito, la cui natura sfugge alla mente umana. Si enim intelligeremus (dice il Vera riecheggiando un motivo della filosofia ales-sandrina, già accolto dal Ficino, e tornato in onore nel De antiquissima Italorum sapientia del Vico) *, Si enim intelligeremus (infiniti naturam], non solum rerum ratio, sed el quomodo res perficiuntur nobis innotesceret, neque id tantum, sed el res ipsas quodammodo perficere nobisconcessum esset. Qui enim verum vim naturamque pentus  agnoscit,  his recte uti ad res ipsas conficiendas valebit.  Isque absolute demonstrat qui non modo res intelligit, sed et intelligendo conficit. Quemadmodum summus is est artifex qui opus non modo in mente revolvit, sed et conficit et confi-ciendo sibi et aliis mentem suam patejacit et demonstrat 1.  12. - Di questo scetticismo teistico il Vera tratto di proposito nel Problème de la certitude. Dove, è superfluo dirlo, non solo Hegel, ma anche Kant è assai bistrattato.  Basti per un esempio la prima obbiezione che il Vera muove contro la Critica; ed è che la distinzione di senso, intelletto e ragione è più artificiale che reale; perché né la sensazione è altro che un giudizio, né la categoria ha caratteri diversi dalle idee. « Che l'atto intellettuale non venga ad aggiungersi [sic] all'impressione esterna, e la sensazione non avrà luogo. Essa è dunque un giudizio sollecitato da una causa esterna, ma che, come ogni altro giudizio, non può aver luogo senza l'intervento dell'in-telletto. Sicché senso e intelletto non sono due facoltà distinte; ciò che Kant stesso confessa implicitamente, allorché attribuisce certe categorie al senso non meno che all'intelletto. Infatti, il tempo e lo spazio sono concetti puri dell'intelligenza, né più né meno della causa, della sostanza, ecc., e quelli non sono meno di queste condizioni essenziali di ogni pensiero. Non si vede dunque in che differiscano queste due facoltà, poiché sono sede di nozioni della stessa natura»?. E con osservazioni della stessa forza continua a dimostrare che non c'è modo di distinguere per davvero le categorie dalle idee, fino a far sospettare che il Vera non avesse mai letto la Critica (per la quale infatti rinvia 3 alle lezioni del Cousin).In tutta la storia della filosofia non vede se non sforzi vani per superare lo scetticismo; e il suo lavoro vuol essere un nuovo saggio di teoria della conoscenza. Ogni conoscenza riguarda i fatti o i principii. Fatti sono le esistenze e le qualità fenomeniche; principii, le cause delle une e delle altre. La causa d'un fenomeno non è il fenomeno che lo precede, ma il principio interno, la natura dell'essere che si manifesta nel fenomeno: l'es-senza. Altro è la sostanza, sostrato o soggetto delle qualità; altro l'essenza, forma intelligibile della stessa sostanza. Ed è chiaro che il pensiero non può mirare di là dell'essenza alla sostanza; perché di questa che altro potrebbe cercare che l'essenza? La vera cognizione, che non si arresti al puro fenomeno, s' indirizza all'essenza. Ma l'essenza non è conoscibile, per ragioni derivanti in parte dalla natura sua, in parte dalla costituzione della nostra intelligenza.  L'essenza è una; e intanto è uopo che si moltiplichi negl' individui. Che è il problema della creazione, inespli-cabile, Si ammetterà un'essenza per le cose periture e una per le eterne? Ma quale sarà il loro rapporto? e quale la loro differenza se, come essenze, saranno pure entrambe eterne ed infinite? Si ammetteranno soltanto essenze individuali (atomismo): e allora l'essenza in sé sarà una semplice astrazione. - O si ammetterà una sola essenza; e allora tutti gli individui diverranno fenomeni transitori e apparenze. - E poi è necessario ridurre tutte le essenze a un solo principio, e che questo esista; perché quando ve ne fossero molte, dovrebbero sempre essere tra loro in un rapporto; e questo importerebbe un principio superiore, il quale sarebbe perciò il vero principio e unico. E che sarà questo principio? Gli si possono attribuire, come s'è fatto in tutti i sistemi, tanti caratteri; ma questi caratteri non ci faranno mai vedere l'intimo del principio e la sua propria natura.La natura poi della nostra mente ci toglie la possibilità di montare all'unità assoluta; perché niente possiamo pensare che non si presenti alla nostra coscienza come suo oggetto e che, sia esso Io o non-lo, non si ponga pel fatto stesso d'esser pensato come non-lo di contro al nostro Io. Né giova la pretesa intuizione intellettuale di Schelling. Perché o in essa il pensiero conserva la coscienza di sé, e allora permane la dualità: o smarrisce questa coscienza, e assorbendosi nell'oggetto, non sarà più pensiero, ma il niente del pensiero.  Ignorando l'essenza, non si possono spiegare i rapporti.  Si conoscono le esistenze e si conoscono i rapporti degli esseri; ma dal che non si passa al come. Non si può contestare che io sia, e che siano i prodotti della mia attività interna e del mio pensiero e gli oggetti e fenomeni del mondo esterno. Saranno tutti fenomeni, apparenze fugaci; ma non si potrà negar loro un certo essere e dire che non siano, almeno nel momento in cui sono. Chi si provasse a farlo, si contraddirebbe. Ma se vi sono esistenze che cominciano, che sono e non erano, e, insomma, effetti, questi effetti devono avere una causa. La quale causa o bisognerà cercarla tra le cose finite, o sarà la collezione delle cose finite, o la sostanza infinita di cui le sostanze finite siano emanazioni, o infine un principio separato dal mondo e avente esistenza propria e indivi-  duale. Le prime tre ipotesi sono da escludere.  a) E evidente che non può esser causa del finito un fini-to, che come tale è effetto, e richiede esso stesso una causa.  6) La collezione dei finiti non aggiunge ai finiti se non una unità artificiale ed astratta, esistente solo nel soggetto che la pensa. Quindi non può contenere più dei finiti, né essere altro che finita: cioè un effetto, anch'essa.  Senza dire che la collezione è risultato e non principio, e suppone una causa radunatrice degli elementi e quindi costitutiva di essa collezione.c) La sostanza che producesse eternamente le cose, effondendosi in esse senza potersene distinguere, anzi facendone parte, potrebbe essere o un Io, o una causa meccanica. Un lo, di cui le coscienze individuali fossero parti integranti, sarebbe tanto causa di queste, quanto queste di esso. Giacché in un tutto essenziale alle parti come le parti al tutto, non ci può essere efficienza o causalità vera, ma solo una causalitá logica. Che se l'Io assoluto si concepisca come una forza infinita manifestantesi negli individui, si potrà chiedere: e perché si manifesta o sviluppa? per darsi così una coscienza più chiara e più larga? ovvero per passare dalla potenza all'atto? In un caso e nell'altro l'effetto conterrebbe qualche cosa di più che la causa, e questo di più resterebbe senza causa. - O sarà la sostanza una causa cieca e meccanica? Ma la sola vera causa è la libertà. Se un corpo in movimento ne mette in moto un altro, noi diciamo impropriamente il primo causa del movimento del secondo; laddove ne è solo la condizione. Infatti esso non può non muovere il corpo, e non può non muoverlo con la velocità e la direzione con cui lo muove perché non è esso stesso la causa del proprio movimento, né quindi del movimento che ha comunicato. La vera causa del movimento non dev'esser mossa, ma deve muovere da sé: esser libera.  Sicché la causa assoluta dev'essere separata dal finito, libera, persona assoluta. Libera, in quanto indipendente dal suo effetto; ma legata bensi alla legge della sua es-senza. Questo già vede il Vera: che la necessità interna non è incompatibile con la libertà, almeno quando si tratti della causa assoluta. Perché nell'uomo, che non s'è dato il suo essere, il Vera crede bene che la necessità interna sia anche esterna; quantunque anche l'uomo che fa il bene, se fare il bene si concepisce come legge della sua natura, debba dirsi libero. La necessità, invece, della causa assoluta le è, per dir così, più intimamente interna.Il Vera, in questa tesi, non ammette nessuna reciprocità tra la causa e l'effetto. Questo richiama quella: ma «l'idea di causa, lungi dal contenere quella dell'effetto, l'esclude pel fatto stesso che è causa», Insomma, dualismo assoluto.  La causa assoluta, essendo libera, è intelligente, perché non è libertà senza intelligenza. E semplice e indivisibile; perché se il suo atto non fosse uno, e si risolvesse p. e. in due parti, una di queste agirebbe sull'altra, e la causa non sarebbe causa, e le due azioni causali, esercitandosi successivamente, darebbero luogo ad effetti a un dato istante sottratti alla causa, che cesserebbe perciò di essere assoluta causa. E l'atto uno suppone la sostanza una.  E già una sostanza composta sarebbe materiale, e non sarebbe più libera. Né occorre dire che, per essere asso-luta, la causa dev'essere universale.  La causalità conferisce realtà all'idea di sostanza, concepita come principio del finito, e conferisce realtà ugualmente a tutte le idee effettrici delle esistenze finite: al bene assoluto, causa del bene relativo, alla verità assoluta, alla bellezza assoluta, e via discorrendo. Con la sola categoria di sostanza potremo avere l'idea di Hegel, l'essere puro, come una « concezione logica ».  La causa ci fa fermare il piede nel reale; e la certezza del fenomeno si fonda sull'intuizione della causalità reale supposta dal fenomeno. * Il pensiero non comincia con l'affermazione d'una causalità astratta, ma d'una causalità reale. Il sentimento della mia finità è inseparabile dalla mia esistenza, e col primo sentimento della vita si produce a un tempo il sentimento del mio niente e d'un principio che mi ha fatto passare dal niente all'es-sere. Ecco già l'idea di causa che si manifesta a me insieme con la mia esistenza. E non è una causa astratta e possibile, ma una causa reale e attuale come il suo ef-fetto; non è una causa che deduco da un principio, mauna causa che colgo con un' intuizione semplice e imme-diata, con un atto analogo a quello col quale affermo me stesso». Nel libro non è citato mai il Gioberti; ma questa dottrina coincide a capello con quella della formola ideale, che cinque anni prima il Gioberti aveva propugnata nell'Introduzione allo studio della f-losofia.  Immediatezza della cognizione, inconoscibilità dell'es-senza, e quindi misticismo scettico; opposizione assoluta tra essere e pensiero, Dio estramondano e quindi negazione della libertà e della verità dello spirito come della spiritualità del vero; concezione conseguente della verità o idea come contenuto trascendente del pensiero, retto quindi dalla legge dell'identità, e della dialettica come funzione meramente negativa del pensiero soggettivo: tutta la somma delle dottrine essenziali alla vecchia intuizione platonica del mondo, contro le quali da secoli e secoli combatteva la filosofia moderna, e che furono definitivamente superate dal principio hegeliano, faceva intoppo nella mente del Vera all'intelligenza dello hege-lismo. La folla incomposta delle difficoltà che egli vi in-  contrava, attesta chiaramente la refrattarietà del suo spirito agli incitamenti e alle suggestioni della nuova filosofia, cosi rudemente paradossale a chi non sia preparato da un vivo affiatamento con tutta la storia del pensiero moderno (e si può dire anche del pensiero cri-stiano, in opposizione al greco) a guardare il mondo con gli occhi nuovi dello spirito conscio della sua vita assoluta.  Come fece il Vera negli anni seguenti a liberarsi dalla grave mora de vecchi pregiudizi, per rifarsi con nuovo e fresco vigore intorno allo hegelismo, romperne la dura scorza, e penetrarne l'intimo spirito? Rifece egli più metodicamente il cammino percorso dal pensiero speculativo da Cartesio a Hegel13. - Dopo il 1845, i primi lavori del Vera sono quattro articoli del 1848, scritti per una rivista La liberté de penser, fondata a Parigi dopo la rivoluzione di febbraio da alcuni giovani professori, come il Simon, il  Saisset, il Jacques e lo stesso Vera. E in essi il demolitore della logica e di tutto il sistema di Hegel ci si presenta in veste di hegeliano. Nessun documento illumina la crisi antecedente del suo pensiero; e bisogna contentarsi di osservare in questi articoli il suo primo atteggiamento nel nuovo indirizzo.  Il primo (La Religion et l'Etat) fu scritto a proposito delle discussioni dell'Assemblea Nazionale per definire i rapporti tra Stato e Chiesa; e combatte l'idea della se-  parazione. Sarà più tardi, come vedremo, uno degli argomenti su cui più si travaglierà il pensiero del Vera, senza riuscire mai a dar nettamente la soluzione del pro-blema. In questo primo saggio, forse perché lo scrittore non sente ancora tutta la difficoltà della questione, il suo pensiero tocca il massimo della chiarezza, che abbia mai raggiunto. Vede il progresso storico dei rapporti tra Chiesa e Stato indirizzato verso la libertà di coscienza; e giudica la Riforma protestante, malgrado la sua proclamazione del libero esame, inferiore a cotesto principio, per cui la ragione umana può sottrarsi alla tutela dell'autorità sacerdotale; perché la Riforma non proclamò insieme l'abolizione delle religioni di Stato. E religione di Stato significa autorità che è compressione della li-bertà, in quanto non è l'autorità della ragione invisibile e universale, conciliatrice della regola con la libertà, della disciplina col movimento, ma quell'autorità visibile e materiale, che, come imprigionata nel fatto e nella  lettera della legge, colpisce d'immobilità il pensiero, contrasta ogni espansione nuova dello spirito e riesce alla violenza e all'asservimento delle coscienze. La Rivoluzione francese ha compiuto l'opera della Riforma,ispirandosi a un principio superiore: il principio dei diritti dell'uomo in generale, onde la libertà nuova da lei proclamata non è più quella di una società particolare, ma del mondo. E abolisce la religione di Stato, presupponendo quella religione ideale e assoluta - scoperta dalla filosofia, di cui la Rivoluzione è figlia ed erede - la quale si sviluppa e manifesta successivamente nella coscienza dei popoli, domina e abbraccia tutte le religioni positive e compone ad armonia nella propria unità le credenze parziali del genere umano: la religione, in-  somma, naturale o razionale. Ma né la Francia né l'Europa eran preparate alla riforma religiosa, che questi principii, rigorosamente applicati, avrebbero richiesta: e ad essi occorre tuttavia far capo per gettare le basi della nuova carta religiosa.  In un articolo successivo, ma dello stesso anno, il Vera, accintosi ad esporre la filosofia della religione di Hegel, giudicherà con lui e rifiuterà, come idealismo ordinario, cotesto deismo prevalso nel sec. XVIII, il quale astrattamente foggiava la religione ideale e filosofica, che giace in germe nel fondo d'ogni intelligenza »1, Ma, pure appigliandosi per qualche altro particolare alla dottrina di Hegel, è fermo nella convinzione che basti svolgere razionalmente il principio posto dalla rivoluzione francese, fondato, come s'è visto, sulla dottrina della religione naturale. Segno che egli non era ancor giunto a possedere un concetto determinato della religione, né, comunque, a impadronirsi di quello di  Hegel.  Svolgere il principio della Rivoluzione, della libertà di coscienza, non era ciò che dal Lamennais in poi venivano chiedendo in Francia i cattolici, e avevano finito con invocare gli stessi gesuiti? Ecco, dice il Vera: « nellapresente questione, come nella maggior parte delle questioni sociali, la difficoltà consiste nel conciliare l'ordine e la libertà. Se si sopprime una di queste due condizioni, s' incorrerà nell' inevitabile alternativa, o di tornare all'autorità e alle religioni ufficiali, o di rinunziare a ogni azione normale ed efficace sugli spiriti ", Temeva il Vera. che se l'Impero, la Ristaurazione e la Monarchia di Luglio avevano piegato dal lato della tradizione e del-l'autorità, ora si piegasse dal lato opposto, esagerando il principio della libertà. Si preoccupava degli effetti di una libertà assoluta, che avrebbe portato all'anarchia delle coscienze, all'impossibilità di ogni governo morale e quindi d'ogni governo politico. Se la pigliava con la stessa espressione di libertà illimitata, che non può essere, diceva, se non una figura rettorica lusingatrice degli orecchi e del gusto del pubblico, non potendosi concepire potere che non sia limite della libertà. Né pertanto è ammissibile la separazione. I sostenitori della quale si rappresentano la società come una sorta di d'ag-gregato di parti unite insieme da legami estrinseci: laddove la storia e la teoria ci mettono innanzi un'unità sociale organica, in cui tutto è concatenato e la vita di una parte va di conserva con quella del tutto, e un'unità invisibile vi circola dentro. Perciò Hegel disse che le rivoluzioni politiche e religiose sono inseparabili; e un popolo che ne fa una e non fa l'altra, ha lasciato a mezzo la sua opera, mantenendo un antagonismo, che dovrà rimuovere, se non vuol soccombere. E questo basta qui al Vera per concludere che Chiesa e Stato sono insepara-bili. Quantungue non sia difficile vedere che il suo argomento supponga provato quel che è da provare: l'imma-nenza dell'elemento religioso, anzi della Chiesa, nell'organismo dello Stato.  La separazione è voluta da coloro che dividono con un taglio netto la sfera religiosa da quella del diritto:nella prima delle quali lo spirito umano si solleva all'eterno e all'infinito, laddove nella seconda l'uomo rimane stretto ai suoi bisogni passeggeri e terreni, e quindi implicato negli interessi, nelle passioni, nelle lotte, da cui si libera affatto mercé la religione. In questo argomento V. riconosce, a primo aspetto, un'apparenza di verità. Ma gli studi che in quel torno ei doveva fare della filosofia hegeliana, gliene additano il difetto. « Au fond, il repose sur une notion incomplète de la vie religieuse, et il se rat-tache à cette métaphysique qui ne saisit qu'un seul élément dans les êtres, el qui, en négligeant l'élément contraire, n' aboutit qu'à des abstractions ou à des inconséquences... E vero che Dio, comunque si concepisca, trascende ogni limite, ed è termine immutabile e infinito. Ma Dio è un termine solo del rapporto religioso, onde Dio si manifesta, e l'altro è l'uomo con le sue condizioni sensibili e finite. Né la religione è un fatto isolato, chiuso nella coscienza del-l'individuo, ma un'istituzione sociale, la quale ha per iscopo l'istruzione e la guida delle anime; e pertanto non può sorgere, conservarsi e svolgersi senza determinate condizioni materiali ed esterne, insegnamento orale e simbolico, associazione, disciplina, mezzi finanziari ecc.:  tutte cose che rannodano la Chiesa con lo Stato,  Ebbene, esclusa la separazione (lo stesso Vera si pro-pone, come sarà sempre suo costume, l'obbiezione), come sfuggire all'alternativa dell'oppressione della Chiesa sullo Stato, o dello Stato sulla Chiesa? Ma (come sarà pur sempre suo costume) se n'esce pel rotto della cuffia, perché non si spinge fino a una rigorosa definizione dei concetti che adopera. La soluzione qui la trova in quella astratta filosofia della religione, che ha accettata dal secolo XVIII, e che è pure quella dottrina eclettica della verità relativa di tutte le religioni positive nell'assolutaverità della religione naturale, che, nei nostri filosofi della Rinascenza (Bruno e sopra tutto Campanella, che ne è il vero fondatore, a lui, molto probabilmente, essendosi inspirato Herbert di Cherbury) ' portava logicamente alla religione di Stato. Lo Stato, pel Vera, deve sanzionare la libertà di coscienza: ma in questo stesso postulato è implicata l'attribuzione allo Stato di legiferare in materia religiosa, riconoscendo a tutte le religioni positive quella legittimità che è loro conferita dalla religione ideale in cui tutte sono comprese. Se lo Stato non s'incontrasse nella religione, non potrebbe né anche riconoscerne e garentirne la libertà. Lo Stato s' investe in questo suo atto di un principio filosofico, e la filosofia gli conferisce la potenza e il diritto di dettar legge in re-ligione. La filosofia che è « la fonte della vera libertà, perché essa sola proclama ed assicura quell'alta libertà dello spirito che è il principio di ogni libertà, e perché essa solleva continuamente l'umanità al di sopra di se medesima, e delle cose periture e finite, alla regione dell'eterno e dell'infinito». E però nell'alleanza dello Stato con la filosofia è il fondamento di ogni libertà: alleanza tutt'altro che facile, di certo, anzi, sotto certi aspetti. né possibile né desiderabile: ma perciò appunto fornita del carattere di ogni ideale, che genera il progresso in quanto meta inattingibile. «Tout progrès possible repose  sur un principe impossiblen 3.  E un altro punto, in cui il Vera non si solleva fino allo hegelismo, restando al dover essere (Sollen) kantiano, messo in derisione dal pensatore di Stoccarda. E la coscienza dell' irrealità dell'ideale limita l'astrattezza, tutta platonica, di questo Stato filosofico, in cui si rifugia ilVera, assai imbarazzato poi quando si tratta di tornare fuori, per rimettersi in rapporto con la realtà storica.  Se Stato e Chiesa sono inseparabili, il prete è, pel  Vera, un funzionario dello Stato. Dacché un culto è legalmente ammesso, esso diventa una funzione di Stato.  Funzione varia, diversa, molteplice, perché lo Stato ammette tutti i culti, quantunque non s' immedesimi con nessuna religione. E lo Stato perciò retribuirà i ministri di tutti i culti. - Ma proprio tutti? - Sì certamente, perché « tutti i culti, quali che siano le dottrine che professano e la parte di verità che contengono, devon o incontrarsi in un pensiero e in un'opera comune, dovendo tutti, sotto una forma o un'altra, per vie e gradi differenti, disciplinare le anime non soltanto a salvarsi, ma ad adempiere i loro doveri civili». Devono in - contrarsi: ma s'incontrano realmente? Lo Stato solo può giudicare se e in quel misura una dottrina religiosa soddisfi questa condizione. Che se si contesta allo Stato questa facoltà, bisognerà contestargli anche quella di concedere la libertà dei culti: poiché la libertà dei culti, ripeto, suppone questo criterio: suppone che lo Stato abbia saputo riconoscere che la verità non è prerogativa d'un solo culto, e che saprà anche distinguere, fra le dottrine nuove, quelle che bisognerà ammettere o rigettare ».  Ossia, in conclusione, saranno ammessi tutti i culti, che lo Stato con la sua filosofia approverà, poiché pare ce ne possano anche essere di quelli che non siano compatibili coi fini essenziali dello Stato. E allora? Noi crediamo, conchiude il Vera, che « nello stato presente del mondo, appartenga ai poteri civili e alla civiltà laica l'iniziativa della riforma religiosa, e che questa riforma debba essere imposta alla Chiesa nell'interesse della libertà e della Chiesa stessa ».  Ma allora abbiamo lo Stato teologo e la religione di Stato! - Parola più speciosa che vera», risponde l'au-tore. « Noi pretendiamo che lo Stato, quale l'abbiamo definito, quale l'han reso la filosofia e la Rivoluzione, sia perfettamente competente nella questione religiosa.  Lo Stato, bensì, non fa della teologia scolastica, non disserta sulla grazia, il peccato originale e la trinità.  Lascia queste dispute ai teologi e ai filosofi. Ma può dire fino a che punto una religione risponda ai bisogni della società, e studiando seriamente questi bisogni, giovandosi dei lumi della filosofia e della libera discussione, ha il diritto e il potere di imprendere la riforma delle istituzioni religiose, modificarle e ringiovanirle, facendovi penetrare i germi di verità nuova na  14. - Come possa lo Stato riformare una religione senza entrare nella teologia; come giovarsi della filosofia, senza intendere la filosofia stessa, e quindi filosofare: come proclamare la libertà dei culti e riconoscere a tutti i culti un valore, dovendone pure eventualmente respingere qualcuno con un criterio suo; come imporre una riforma alla Chiesa, rispettando il principio della libertà: sono tutti certamente punti molto oscuri, e non i soli, della soluzione caldeggiata dal Vera. Ma qui giova soltanto fermare l'attenzione sul carattere permanente di questa filosofia del Vera, malgrado il giudizio sulla Rivoluzione francese, cosi diverso da quello enunciato otto anni prima, e malgrado gli spunti hegeliani contro le astrazioni dell'intelletto. Essa evidentemente è ancora una filosofia non compenetrata dal concetto della razionalità del reale e della realtà del razionale: una filosofia di una ragione concepita come sovrapposta alla vita, alla storia, al reale. L'infinito si vuole congiunto essenzialmente col finito (e però la Chiesa con lo Stato). Ma l'infinito è infinito, e il finito è finito. Lo Stato non hainfinità (non ha valore), se non gli viene comunicata dalla Chiesa; né  esso può acquistarsela da sé, incorpo-  randosi e risolvendo in sé la Chiesa: a fine di stabilire i suoi rapporti con la Chiesa deve ricorrere alla filosofia, che non è nello Stato, e non è perciò lo Stato. Tutta la storia, come progresso compiuto in virtù d'un principio impossibile, ha il proprio valore fuori di sé: ossia, non ha valore. Questo non era il nuovo mondo di Hegel.  Segui la prima parte dello studio sulla Philo-sophie de la religion de Hégel, non continuato, perché la Liberté de penser cessò di pubblicarsi. E in questo scritto il Vera espose il punto di vista di Hegel in questa parte del suo sistema e il suo concetto in generale della filosofia con manifesti segni di adesione, sebbene qui ancora non s'incontrino quell' iperbolici elogi della filosofia hegeliana che poi diverranno frequentissimi nei suoi libri. Tornò ad esporre brevemente il concetto della filosofia hegeliana col metodo stesso adoperato nelle tesi di tre anni prima, quantunque le difficoltà formidabili intorno ai punti fondamentali e preliminari che tre anni prima gli sbarravano l'adito al sistema, pare siano già come per incanto sparite: quel metodo, il quale consiste nel saltar dentro a una filosofia, dopo averla distaccata dal complesso della storia, in cui essa sorse e visse, e nel muovervisi dentro come altri può percorrere una galleria di quadri che non sappia come e donde raccolti. Il metodo più antihegeliano che ci sia. E cosi ora, così sempre: anche quando egli diventerà assai più esperto hegeliano e più fervido propugnatore di questa filosofia, Hegel sarà un filosofo, per V., tutto chiuso in sé, che si lascia indietro, a mille miglia di distanza, non pure la filosofia prekantiana, ma Kant, Fichte e lo stesso Schelling: e se qualche riscontro potrà consentire, richiamerà Platone e Aristotele (che sono poi gli antesignani dell'oppostaconcezione del mondo). Per ora, non una parola di altri filosofi, e le determinazioni della filosofia hegeliana, strappate dal loro terreno storico, si presentano, com'è na-turale, in un aspetto equivoco ed incerto.  La filosofia ricerca l'universale, l'infinito, l'assoluto in tutte le sfere sulle quali si esercita l'attività del pensiero»›, Definizione, che, se non è detto quale sia la natura di questo universale, eterno, infinito, può competere tanto alla filosofia di Hegel, quanto a qualunque altra. « Secondo Hegel, l'oggetto della filosofia è la conoscenza dell'Idea». Anche questo è troppo poco.  E tutto quello che segue non giova a differenziare 1 he-gelismo dal platonismo: « L'assoluto è lIdea, la quale si divide e si specifica in una serie di determinazioni, di cui ciascuna costituisce un modo della Idea, nonché un grado e una faccia dell'esistenza. Questa Idea e questa serie di idee non si producono a caso e secondo rapporti arbitrari ed esteriori, ma sono legate da rapporti necessari ed eterni, e formano un organismo interno, e come una trama indistruttibile su cui sono fondate l'unità e la vita del mondo»2. Lo stesso Vera sa che così c' è una profonda differenza tra l'idealismo « ordinario» e l'idea-lismo « assoluto » di Hegel. L'idea di quello è astratta, e l'idea di questo è concreta. Cioè? - Le idee del primo sono poste meccanicamente l'una accanto all'altra:  quelle del secondo hanno un concatenamento e una necessità interna. - Distinzione così, sulle generali, ille-gittima: perché non c'è filosofia idealistica che non miri appunto a questo intimo concatenamento delle sue idee; e in questo senso le idee di tutti gli idealisti sono state concrete. La concretezza hegeliana non consiste tantonella concatenazione delle idee, che, tutte concatenate, possono essere nondimeno tutte fisse, immobili: quanto nell'atto stesso del concatenamento, per cui l'idea non è legata più a un'altra idea, ma è l'altra; è, e non è se stessa; si muove, e movendosi, divenendo, è un'idea ed è un'altra idea. Sicché non più catena, ma medesi-mezza, coincidenza di opposti. E se non si guarda a questa concretezza, l'idealismo hegeliano smarrisce la sua fiso-nomia, e si confonde con l'antico idealismo.  17. - Il Vera nota che l'idea concreta è una triade: nè prima se stessa, poi il suo contrario, e infine la loro unità»; dove il 'prima', il 'poi' e l'infine', possono già dar luogo ad equivoci grossi. « Cosi il vero non è né nel-  Tessere, nénel non-essere, né nella causa, nénell'effetto, nénel tempo, né nello spazio ecc.  L'essere e il non-essere, la causa e l'effetto, il tempo e lo spazio sono elementi essenziali del vero, ma questo non è se non nella loro identificazione in un terzo termine: nel divenire, nel movimento ecc. essi attingono la loro completa realtà. Qui la cosa è diventata chiaris-sima, e le critiche di tre anni prima contro le prime categorie della logica hegeliana sono cose dimenticate.  Capi l'autore che egli mal si era apposto, cercando come il non-essere possa uscire dall'essere, ed essere e non-essere, messi insieme, produrre il divenire? Intende egli ora il processo logico come superamento dell'astrattezza nella realtà della sintesi? Parrebbe ora la sua interpre-tazione. Ma anche qui può risorgere il malinteso, assai più pericoloso, perché chi non se n'accorga, crederà d'essere già dentro l' hegelismo, e non sarà giunto invece né anche a Platone. Se l'essere e il non-essere sono elementi del vero, e il vero completo, la realtà è nel dive-nire, unità concreta dei due elementi, il passaggio del-l'astratto al concreto si può intendere in doppio modo:come passaggio dello stesso astratto alla propria con-  cretezza; ovvero come passaggio del pensiero che pensa la realtà e che, dopo averla pensata astrattamente ne' suoi elementi, si sforza di pensarla in concreto nella sua unità. Nel primo caso si tratta di un passaggio oggettivo, che è in fondo un passaggio soggettivo; nel secondo, di un semplice passaggio soggettivo, che importa un oggettivo non-passaggio. Giacché nel primo caso si muove, realizza od invera l'oggetto, la stessa realtà; che in tanto si muove, realizza od invera in quanto la stessa realtà è pensiero, Nel secondo invece è il pensiero, postosi di fronte alla realtà, o foggiatasi una realtà opposta a sé, che si muove nello sforzo di adeguarsi alla realtà stessa: segno che, se vi si adegua o quando vi si adegua, non avrà più bisogno di muoversi perché la realtà è immobile.  La strada eraclitea che è la stessa strada nelle opposte direzioni in su e in giù (ádóc ava váTo pía xai duTi)  dà luogo a una contrarietà e a un movimento appartenenti soltanto al soggetto: ma in sé è una, immutabile e immobile, come l'essere eleatico. L'idea (dell'essere elea-tico o del divenire eracliteo) si può concepire in due modi: o come una cogitatio (modus cogitandi, ipsum intelligere) come profondamente voleva Spinoza, o come un quid mutum instar picturae in tabula. Anche il fiume eracliteo infatti può esser dipinto! E allora non scorre, quantunque noi vi scorriamo sopra con la fantasia. Questo è stato il problema secolare del concetto del divenire, che non poteva risolversi se non nella filosofia moderna dopo il cogito (ergo sum) di Cartesio, e quell'idea che è l'ipsum intelligere di Spinoza, e il nuovo concetto leib-niziano della monade, e la sintesi di Kant, e l'Io di Fichte e l'Identità di Schelling- Se lo stesso divenire è visto come esterno al pensiero, si ferma e sta, come pictura in tabula. Il divenire è vero divenire del reale quando il reale non è di fronte al pensiero che lo pensa (movendosi  lui, o illudendosi di far muovere il reale), ma dentro il pensiero, lo stesso pensiero che pensando diviene e genera appunto quella realtà che esso è. Qui è il punto. E la costruzione difficile dell' hegelismo è cosiffatta, che molti han potuto, prima e dopo il Vera, scambiare l'Idea lo-gica hegeliana con l'Idea platonica, oggetto del pensiero solo considerando la posizione di essa di fronte alla na-  importante ed essenziale, che si la natura come lo spirito (fin allo spirito assoluto, e alla stessa filosofia del filosofo  che sta filosofando) sono la realizzazione dell' Idea stessa, e cioe la stessa Idea nel processo autonomo del suo  svolgimento.  18. - Come l'intende il Vera in questo suo primo saggio di filosofia hegeliana? Dice:  Tout le travail de la pensée consiste à poser un élément de l'idée, - moment immédiat, — à saisir dans cet élément un élément contraire, — moment de médiation, analyse — et à trouver un troisième terme qui concilie et unit les deux pre-miers, - synthèse — puis à dégager de ce troisième terme une nouvelle détermination qui enveloppe les précédentes, et qui, à son tour, engendre une détermination opposée, laquelle se trouve conciliée avec la première dans une troisième, et ainsi de suite, jusqu'à ce qu'on s'élève à une esistence, à une idée suprême qui efface et absorbe tous les moments, toutes les contradictions précédentes dans son unité. C'est là la vie et le mouvement éternels de la pensée, et, partant, la vie et le mouvement éternels de la réalité ! 1.  Il pensiero, di cui qui si narrano le gesta, è il pensiero in sé, lo stesso reale, o il pensiero che intende il reale, il pensiero del filosofo che tesse la faticosa tela della lo-gica? Nel primo caso il pensiero sarebbe la stessa idea;e la maniera in cui il Vera si esprime, facendo del pensiero l'artefice e dell'idea la materia del suo lavoro, sarebbe per lo meno molto fantastica e metaforica. Non che queste espressioni siano illegittime; ma qui dan luogo al ragionevole sospetto che l'autore abbia veramente inteso il rapporto del pensiero con l'idea in senso dua-listico, in guisa che la conchiusione (c'est là la vie et le mouvement éternels de la pénsée, et, partant, la vie et le mouvement étérnels de la réalité) non possa avere altro significato che di una dommatica inferenza, contraria del tutto allo spirito dello hegelismo. Giacché quel partant. in astratto, potrebbe avere due significati ben diversi: o dire che il processo logico è il processo della realtà, perché la realtà è pensiero (identita); o dire che il processo logico è anche il processo della realtà, perché la forma della realtà è intelligibile come pensiero, il pensie-ro si attua nella realtà, e (nella forma più rigorosa di questa concezione) ordo et connexio verum idem est ac ordo et con-nexio idearum (parallelismo, e, in fondo, duali-smo). Ma nel nostro caso l'interpretazione dualistica é confortata dalla più ovvia interpretazione dei periodi prece-denti, dove è evidente che l'autore non avrebbe mancato di richiamare esplicitamente l'attenzione sul vero e proprio rapporto del pensiero con l'idea, se egli ne fosse stato  nettamente consapevole.18. - Ed è anche confermata dal modo in cui il Vera passa ad esporre la triade Idea-Natura-Spirito, L'Idea, egli dice, è da prima in uno stato « d' indeterminazione e semplice virtualità», quando è idea logica, e contiene le determinazioni più generali degli esseri. Giunta al limite estremo della sua evoluzione logica, l'Idea e esce da questa esistenza formale e indeterminata, e si dà per sua virtù propria, e come spinta da una necessità interna, una esistenza oggettiva e determinata nella natura n.  L'Idea infatti genera la Natura; ma in questa non esiste nella sua forma logica, generale ed assoluta, nella purezza perfetta delle sue determinazioni: diviene esterna a se stessa, si spezza in prodotti particolari esposti alla contingenza e al caso. Questa contraddizione è superata in una terza forma dell'esistenza, superiore alle due prime e che le involge nella sua unità: lo Spirito, il pensiero, dove l'idea concreta e determinata, risolleva la natura all'unità ed universalità ed acquista coscienza di sé nella libertà. - Orbene: il processo nello stesso Hegel è tutt'altro che facile; e lo vedremo a suo tempo; ma ha un carattere determinato, che a chi sia penetrato, secondo le osservazioni già fatte, nello spirito dello hegelismo, non può sfuggire. Dev'essere tutto un processo logico: una via che il pensiero pensando deve necessariamente percorrere. Ora il Vera non si mette per questa via. Egli è appunto come lo spettatore della pictura in tabula: vede uscire dall'Idea la Natura, o l'Idea generare o farsi la Natura, e non sa né può sapere per quale interna necessità: non si prova nemmeno a fare (egli che è pen-siero, quella stessa idea) quel medesimo che vede fare all'idea: non si prova a pensarlo. E come potrebbe pen-sarlo, dopo aver definito il logo una semplice vir-tualità? Posta l'assolutezza del logo, se s'intende la virtualità al modo di Leibniz (ossia nel modo più fa-vorevole), donde la ragion sufficiente ?I9. — Ma il senso di questa virtualità della idea logica ci può essere svelato da scritti posteriori del Vera, il quale, sia detto qui subito, rimase fermo a questo con-cetto. Apriamo l'Introduction à la philosophie de Hégel  (1855), che è il suo lavoro più organico su Hegel, ed ebbe molta fortuna in Francia e in Italia come autorevole esposizione della filosofia hegeliana: che i più si contentarono di non conoscere altrimenti 1. In questo libro si legge che nella sfera della logica, Dio è la possibilità e la forma assoluta; è l'essere anteriore a ogni cosa creata, e che contiene perciò stesso, virtualmente, tutte le cose » 3: dove possibilità non significa altro che pensabilità, Infatti l'autore è stato trascinato innanzi a svelare e confessare quel suo segreto concetto della logica, come non la storia eterna, la gesta eterna, dell'idea, ma come la semplice scienza dell'idea, poiché intanto era germogliato il seme da noi sospettato nel saggio del 1848. Qual è, ora egli si chiede, l'oggetto della logica? La logica è « la scienza delle forme universali e assolute del pensiero e dell'esi-stenza»: forme, bensi, che non sono semplici forme, perché queste forme si compenetrano col con-  tenuto, sono le forme del contenuto, che è l'idea stessa nella serie delle sue determinazioni. Come tale, la logica è il fondamento di tutte le scienze.  La Nature et 1 Esprit costituent, il est vrai, des états, des sphères plus concrétes et plus réelles de l'Idée, et, a cet égard la Logique peut être considérée comme une science formelleou comme la science de la méthode, mais comme la science de la forme et de la méthode absolues, comme le type, le modèle intérieur, sur lequel la Nature et l'Esprit doivent se développer et s'organiser, comme la forme, en un mot, sous laquelle l'être et la vérité existent 5.  Dove si può bensi distinguere tra logica e idea, di cui la prima è la scienza; ma è chiaro che quel che il Vera dice tipo e modello della natura e dello spirito è appunto la logica e non l'idea. Non già che egli finisca nel concetto della categoria kantianamente intesa come  condizione soggettiva della costituzione dell'esperienza, e però della natura fenomenica, quale si trova nella nostra esperienza. Il Vera rimane molto più indietro di Kant.  Oscillando tra la sua ingenua interpretazione soggetti-vistica e la lettera degli scritti di Hegel, dove l'Idea é lo stesso assoluto, egli, se da una parte non sa concepire la logica se non come una elaborazione scientifica della mente contemplatrice della verità e della mente che pensa di fatto questa verità per le idee dell'essere, della qualità, della quantità, della causa ecc., dall'altra non riesce a conferire altrimenti valore oggettivo  a siffatte  condizioni della pensabilità del reale se non ipostatiz-zandole platonicamente come tipo e modello della natura e dello spirito: ai quali l'Idea fornisce - egli dice esplicito - una parte del loro contenuto: (e chi darà il resto ?). Su questo punto il Vera si spiega chiaramente, notando che si potrebbe dire la Logica, cosi concepita, la scienza delle possibilità assolute, non nel senso che le idee logiche siano possibilitàe non realtà, ma in questo senso che niente non e possibile né può esser pensato se non per queste idee .1.  E ricorda Kant, che aveva riconosciuto le idee logiche  come « condizione necessaria di ogni esistenza e verità »; ma le aveva concepite come condizioni negative, indotto in errore dal termine stesso di condizione; laddove 1' idea  ¿ condizione come elemento integrante  e costitutivo  delle cose. La possibilità insomma, di cui parla V.,  ¿ possibilità rispetto alla natura e allo spirito: in sé e reale e principio di realtà. La possibilità, egli dice in fine, non può toccare i principii; perché i principii o sono o non sono. Possibile è questo individuo, questo triangolo, ma non l'essenza dell' individuo e del triangolo. I concetti universali, realizzati; ecco la logica di Hegel, per V.: che e per l'appunto, sostanzialmente, il mondo ideale di Platone, con la sua impossibilità di risolversi  nel mondo dell'esperienza :.  Ma nel saggio hegeliano del 1848 la conchiusione è che « la logica, la natura e lo spirito formano una triade indivisibile; sono tre termini consustanziali di cui l'idea è il fondo comune, ed è l'azione reciproca e la fusione eterna di queste tre sostanze che fanno l'unità e la vita del mondo«3. Dove quel che si vede è la tri-plicità delle sostanze, e quel che si dice di vedere l'unità  dell' idea.  Insomma, abbiamo fin qui un hegeliano che vuol esser tale, perché ha studiato Hegel e ha creduto d'intravve-dere il vasto mondo della sua filosofia, assai più sícuro rifugio dallo scetticismo del Problème de la certitude, chenon fosse quella ragnatela di teismo intuizionistico in cui dapprima gli parve di poter riparare. Ma il segreto di quella filosofia rimane ancora per lui un segreto; e il suo spirito continua a gravitare verso la trascendenza platonica.  20. - Nel terzo articolo Un mot sur la philosophie el la Revolation française, il Vera, prendendo le mosse dal giudizio dato da Hegel nella Filosofia della Storia sulla Rivoluzione, come opera del pensiero, ritorna sul tema del primo scritto, sulla libertà di coscienza che lo Stato deve garentire ispirandosi alla filosofia. Ma veniamo all'ultimo La souveraineté du peuple, che, come il Vera ci fa sapere, la direzione della Liberté de penser, all'in-domani della rivoluzione di febbraio, non credette op-portuno pubblicare perché « il aurait trop heurté les opinions du moment». Vi era infatti combattuta la sovranità del popolo e il suffragio universale, sostenendo che la vera autorità è l'autorità della ragione; che la ragione non raggiunge lo stesso grado di forza, di chiarezza in tutte le intelligenze, qui restando latente e oscura, li ma-nifestandosi in una maniera incompleta, e in pochi rag-  giungendo il maggiore sviluppo; e che pertanto l'autorità spetta alla minoranza. E guardando questo lato solo della verità che egli vedeva, difende la sua tesi con quel calore d'entusiasmo, che fu con la facilità della forma una delle cause più efficaci della riputazione conquista-tasi dallo scrittore:  Si toute vérité a son origine dans l'esprit, elle est d'abord à l'état théorique et idéal avant de revêtir une forme matérielle et de passer dans les faits. Dans cet état, elle se trouve en face de la réalité matérielle, il faut qu'elle lutte contre des intéréts et des croyances séculaires, contre des habitudes invétérées; contre les préjugés et l'ignorance. C'est cette vue antérieure et prophétique de la vérité, c'est ce combat pour le triomphe d'une idée, qui constitue l'héroisme et le génie. Or les massesne sauraient s'élever à la conception de l'idéal; car l'idéal ne se révéle qu'à la contemplation solitaire et réfléchie, il demande une culture speciale, une organisation d'élite, et cette  inspira-  tion, qui a sa source dans les profondeurs cachées de l'ame, et qui ne s'éveille que sous l'action paisible et soutenue de l'intelligence et de la volonté. Les masses sont comme emprisonnées dans la réalité visible, et par le gente de leurs travaux, par leurs goûts, leurs habitudes, et par la nécessité où elles sont de pour-voir a leurs besoins matériels, elle ne peuvent franchir les limites du fait et de l'ordre actuel des choses, ni discerner le vrai et le faux, le possibile et l'impossibile 1.  Il vero uomo di Stato non si confonde infatti col po-polo, non se ne fa strumento - che sarebbe interdirsi ogni azione durevole e salutare su di esso; non abdica alla propria individualità, ma la fa servire al bene del paese. Ebbene, se la luce nella società e perciò l'autorità, non sale ma scende dall'alto, al sommo della vita sociale ci sono tre sfere d'attività che riassumono e dominano tutte le altre: la politica la religione e la filosofia. In quale di esse risiederà l'autorità suprema? Nell'uomo politico, nel prete, o nel filosofo? Il Vera rinvia la ricerca a un altro studio; ma la risposta è implicita nel suo scritto e nel primo di questi articoli: il potere cioè spetta all'uomo politico, che prende voce e norma dal filosofo. - Con tutto l' hegelismo del Vera, siamo ancora, almeno fino a questo punto, al concetto della repubblica di Platone!  21. - L' hegelismo tuttavia, a poco per volta, divenne un credo fermissimo pel Vera; e la storia della filosofia fini con l'esser messa da parte. Non abbiamo certo Coup d'oeil sur l'Idéalismes, che dovette esser pubblicato prima che il Vera passasse in Inghilterra. E di anterioreall'Introduction à la philosophie de Hégel non ci resta che l'opuscolo inglese del 18554, scritto in proposito di  una  Teorica dell' infinito del filosofo scozzese Calder-wood (contro Hamilton) e delle Istituzioni di metafisica del Ferrier: libri che parvero notevoli al Vera perché  questi autori  si sollevavano al di sopra del solito empi-  rismo inglese e della filosofia del senso comune. Il giudizio del Ferrier su Hegel (che a guisa di gigantesco serpente boa avrebbe stretto nelle spire delle sue dottrine impenetrabili come diamante tutti gli errori correnti)  dava qui occasione al Vera di dichiarare che « ci ha nella filosofia dell' Hegel una certa natural direzione, certi tratti cosi determinati e certe principali conseguenze che non possono sfuggire a chiunque vi si sia accostato, e che formeranno d'oggi innanzi il criterio e la norma direttiva di ogni ricerca filosofica; e di accennare quindi questi punti fondamentali della filosofia hegeliana. In questi punti, evidentemente, si condensa l' hegelismo del  Vera.  In primo luogo: la filosofia è la scienza dell'assoluto: postulato indimostrabile, perché ogni dimostrazione 1o presuppone, non essendovi intendere che non sia intendimento dell'assoluto. Quindi l'assurdità di tutte le dottrine che cominciano dal negare o mettere in dubbio il valore della conoscenza.  In secondo luogo: chi dice scienza dell'assoluto, dice scienza delle idee, perché tutto si conosce per mezzo delle idee», né possiamo conoscer nulla di là dai limiti del mondo delle idee: onde, se diciamo che l'anima non è un'idea, ma una forza, una causa, una sostanza, che è semplice, immateriale ecc., anche allora, senza riflettervi « noi usiamo delle idee, e descriviamo l'oggetto come unaggregato di quelli stessi elementi che abbiamo respinti sotto un'altra forma ».  In terzo luogo: il metodo filosofico è il metodo proprio della conoscenza dell'assoluto, o delle idee: metodo as-soluto, non essendo altro che la forma dello stesso as-soluto, o la forma in cui le cose esistono e sono cono-sciute: ossia il sistema, nel suo ordinamento dialettico.  In quarto luogo: il sistema importa l'unità e la molte-plicità, elementi identici e contradittori. Il metodo assoluto o speculativo si distingue appunto per questa sua conciliazione dei contrari, onde gli elementi discordi si compongono in armonia.  Con questi concetti Hegel ha dato corpo a uno de' più comprensivi e profondi sistemi che mai vennero fuori della mente umana, il quale abbraccia tutte le parti del sapere, la logica, la filosofia dello spirito, la filosofia della natura, la politica, la filosofia dell'istoria, l'estetica, la religione. Anzi, strettamente parlando, si può dire che nell'istoria della scienza il suo sia il primo e vero sistema, imperocché né Platone, né Ari-stotele, né alcun moderno filosofo hanno avuto un cosi vasto concetto della scienza, e così abbracciato e legato insieme i diversi anelli dell'aurea catena a cui l'universo è sospeso. E uno de' tratti principali di questo maraviglioso filosofo si è che le sue più alte speculazioni hanno un carattere tutto istorico, e un risultamento positivo e una pratica applicazione. Cosi potente e cosi comprensiva era la sua mente, cosi profondo lo sguardo che egli getta nella natura delle cose 1,  E il primo inno cantato dal Vera al suo autore, che tornerà a dire nella sua prolusione napoletana (16 dicembre 1861): « quella mente prodigiosa e sovrana, che i nostri tempi hanno prodotta, e che, non esito a procla-marlo, per la profondità, per la vastità delle cognizioni, e anzitutto per la mente speculativa e sistematizzatrice tutte le altre ha vinte, ma le ha vinte in sé riepilogandolee concentrandole»*; e altrove: « le plus grand génie dont s'honore l'humanité»=; colui nella cui filosofia e' è tutto, e c'è « comme il doit y être, par là qu' il y est dans  SON existence systématique»3; e la cui  Enciclopedia si  compiacerà di considerare come una nuova Bibbia, « la Bibbia dell' hegelismo • 4, Ed è altresì la prima volta che egli enuncia come titolo singolarissimo della filosofia hegeliana questa sua prerogativa, che poi non si stancherà mai di esibire: la sua sistematicità, parendogli pregio altissimo questo di Hegel di aver trattato ex projesso tutte le parti del sistema della sua filosofia, ed esteso il suo sguardo a tutti i rami del sapere, legandoli fortemente tra loro e creando un vero sistemas: non considerando che non c'è filosofia, né pensiero mai, che non abbia la sua perfetta sistematicità; e che il sistema non consiste nella configurazione esteriore delle parti (al qual patto Wolff è più sistematico assai di Leibniz, e ogni pedante espositore dell'autore esposto), sibbene nella universalità del principio e nella profondità dell'intuizione originaria. Egli superficialmente si contentava della forma estrinseca e non cercava più in là, lasciandosi sfuggire i titoli più autentici del genio di  Hegel.22. -— Ma, tornando ai quattro punti essenziali che gli pareva di scorgere, quando già meditava la sua Intro-duzione, nella filosofia hegeliana, non occortono commenti ad assodare che il suo hegelismo era tuttavia un hegelismo abbastanza platonico; e platonico di quel platonismo della decadenza della filosofia greca, in cui, sorto già lo scetticismo contro la primitiva posizione platonica, la fede nelle idee era ristaurata con nuova e peggior forma di dommatismo. Che sono infatti quelle idee, in cui si risolvono tutte le categorie della realtà, così come il Vera ce le presenta, se non le stesse idee vuote della vecchia metafisica wolfiana, riduzione ideale evanescente del mondo, onde tutto si pensa senza nulla fare? quella specie d'oro di Mida, in cui si converte tutto il mondo del povero re, esposto alla dura sorte di morirsi di fame e di sete ?  Questa concezione rimase fitta nella mente del Vera.  Il quale, nella sua prolusione di Milano Amore e filosofia (11 novembre 186t), uno degli scritti, di cui più egli si compiacque!, ripetendo il ritornello che la filosofia è la scienza dell'assoluto, che l'assoluto è l'idea, in cui si concentrano e unificano la molteplicità e le diffe-renze, sostenne che perciò « la filosofia e la scienza delle scienze e, rigorosamente parlando, la sola scienza, e che tutte le scienze e tutte le filosofie, che lo vogliano o non lo vogliano, che lo sappiano o l'ignorino, sono parti di una sola scienza e di una sola filosofia»: o, come dirà altrove :, tutti gli uomini sono hegeliani senza saperlo. Poiché pensare e intendere è pensare e intendere idee, e non e' è altra filosofia o scienza che l'idealismo assoluto 3. Sicché il materialista, che non pensa « la materia, la forza, la na-tura senza le idee di forza, di materia e di natura», è anche lui a suo marcio dispetto dentro l'idealismo, e non se n'accorge. E come il materialista, lo scienziato, il fisico e il matematico sono idealisti senza saperlo; perché tutti maneggiano le idee; e non potrebbero fare altrimenti. E nella già citata prolusione della fine dello stesso anno ripeté le stesse cose ponendo in forma più ingenua l' inconsapevole dualismo e il conseguente dom-matismo in cui egli restava sempre impigliato. « Nella stessa guisa che non si può pensare il triangolo, o il bene, o la giustizia, o la luce, o il tempo, o lo spazio, o un altro ente qualsiasi senza l'idea che ad essi corrisponde, così non si può pensar l'assoluto senza l'idea dell'assoluto » 1.  Non si potrebbe più chiaramente confessare che questo assoluto, il quale deve generare non solo l'essere ma la cognizione dell'essere, non si sa d'altra parte concepire se non come l'obbietto della mente, in sé, perciò, estraneo alla mentalità, e l'idea della mente come altro dall'assoluto a cui deve corrispondere. E come corrispondere ?  23. - Il Vera non ebbe mai un orientamento storico degno di una filosofia come la hegeliana, che concepisce tutte le filosofie precedenti come suoi momenti. Chiusosi nello hegelismo, ei fu subito tratto instintivamente dal suo cattivo genio a tagliare i ponti con tutti gli altri sistemi e principii filosofici, di cui avrebbe invece dovuto cercare i rispettivi gradi di verità. Nelle Ricerche sulla scienza speculativa e sperimentale, combattendo l'empi-rismo inglese, si rifà dalla dottrina baconiana dell'indu-zione, e giudica a questo proposito Bacone. E lo giudica cercando se nel Novum Organum ci sia un principio nuovo.  L'induzione? Ma negli Analitici di Aristotele la natura di questo metodo, le sue leggi, i suoi limiti, le sue rela-zioni con la conoscenza oggettiva  Sono  State descritte  con quella maniera concisa ma sostanziale che è propria del filosofo greco. Né Bacone vi ha fatto alcuna giunta essenziale. Peggio: Bacone non aveva un concetto esatto della natura della scienza e delle sue esigenze, e però né anche della stessa induzione, come è dimostrato dalla sua pretesa che la scienza non si possa ottenere se non induttivamente. Bacone, troppo poco versato nella flo-soha greca, non vide che le sue novità erano vecchie: i suoi contemporanei « non meglio istruiti di lui sulle fonti originali e sul vero valore delle teoriche aristoteliche, accettarono leggermente le sue opinioni., Insomma, tutta la fama di Bacone è una fama scroccata, fondata su errori di fatto, cui basterebbe a correggere il solo voltare la pagina di un libro».  E con questi profondi criteri storici scrisse in inglese nel 57 uno studio su Bacone, in certo giornale, Emporio italiano, che egli stesso dirigeva:: dove le stesse considerazioni delle Ricerche sono svolte e confortate dall'analisi di alcune dottrine baconiane per conchiudere egualmente, che si può cancellare dalla storia del pensiero speculativo un così importante momento qual è, per chi l'intenda, questa prima affermazione, nell'età moderna, della storicità del sapere o del momento della certezza.  Il saggio finisce con una sentenza che potrebbe esser profonda, ma è piuttosto superficiale: « La scienza, anziché essere la esatta riproduzione e la copia fedele del-l'esperienza, dev'esser in certo senso l'opposto dell'espe-rienza; e quindi voler fondare la scienza sulla esperienza è andare a ritroso della scienza stessa ». Frase che, ristampando il saggio nel 1883, l'autore stesso senti il bisogno di commentare con autocorrection.cancel lunga nota, poiché gli si affac-ciò il sospetto che una volta che c'è il mondo dell'esperienza e dell'induzione, il mondo fenomenale debb'avere anch'esso la sua ragion d'essere e contenere la verità; sicché esagera negando alla cognizione empirica ogni ragione ed ogni verità». E si scusava adducendo che il suo scritto aveva carattere popolare, e che egli vi s'era proposto di mettere sopra tutto in rilievo il lato vulnerabile del-l'empirismo, e che infine la verità della cognizione empirica è una « verità subordinata, una verità, cioè, che non rinchiude in se stessa la ragione del suo essere, e suppone quindi una più alta verità; e che perciò quando l'empirismo pretende di essere il solo e vero organo della verità, «esso sconvolge l'ordine delle cose e nel fatto nega ogni verità e cognizione. Scuse troppo magre, perché queste ragioni potevano limitare, non negare il valore di Bacone.  24. - E in realtà quale sia la verità dell'empirismo né allora né poi il Vera volle mai dire 1. Nelle Ricerche, postosi sullo stesso terreno dell'empirista, l'esperienza la concepisce, per rigettarla, allo stesso modo di chi ne fa l'unica fonte della conoscenza quasi sbocco nel pensiero, di una realtà esterna. E contro Locke sostiene che tutte le idee sono innate, perché non c'è sensazione che possa essere avvertita, e cioè pensata, come una sensazionesenza un idea corrispondente; che il non esserne mai consapevoli non prova, come credette il Locke, che non esistano, come non si può dire « che non vi siano leggi che regolano le operazioni organiche del corpo perché  da prima camminiamo, mangiamo, digeriamo senza es-serne consci, ed ignorandole». L'empirista, intento ad osservare e raccoglier fatti, non s'accorge di adoperare una quantità di principii, che pur « debbono preesistere nella sua mente, e dee la sua mente concepirli, ancorché oscuramente e sotto un' incerta e confusa luce.. - Dove parrebbe di scorgere una prova che ancora il Vera non si fosse dato la pena di studiare la Critica della ragion pura, né i Nuovi Saggi sull' intelletto umano.  Di Leibniz si occupò nel 186r nella sua polemica col  Saisset e col Janet ‹, poiché il primo di questi, parlando  insieme di Leibniz e di Hegel, aveva accennato a met-tere il filosofo della Teodicea al di sopra di quello della Fenomenologia: e il nome del Leibniz, grazie all' interesse per gli studi storici suscitato e nudrito dall' impulso del Cousin, era salito in auge in Francia, e Foucher de Careil aveva dato i due volumi del carteggio di Leibniz con Bossuet, e l'Accademia aveva messo a concorso un tema sulla filosofia leibniziana, ottenendo due lavori degni del premio, uno dello stesso Foucher de Careil e l'altro del Nourrisson. Il Vera, che gia insegnava storia della filosofia, e si professava hegeliano, dice a questo pro-posito in tono tra l'ironico e lo stizzito:  J'ai moi aussi le culte des morts, qui est une religion, on l'a dit, je crois, et qui, comme toute religion, est utile aux vivants.  Aussi l'Acadentie mettrait-elle au concours la vie et les gestes de Confucius, ou de Menou qu'il faudrait lui en savoir gré. A plus forte raison, faut-il lui en savoir, lorsqu'elle fait de son mieux pour entourer d'une nouvelle auréole un nom comme celui deLeibriz. Jusque là c'est très-bien. Mais ce qui est moins bien, ce que du moins je ne puis approuver, et ce qui pourrait même au besoin m'indigner et me révolter, c'est qu'on fasse du bruit autour d'un mort pour étouffer la voix des vivants, c'est qu'on veuille donner à une ombre des proportions gigantesques pour couvrir et effacer un véritable géant.  E alzando sempre più il tono:  Voilà ce que je ne veux point, et ce que je combattrai de toutes mes forces, eusse-je devant moi l'ombre de Platon ou d'Aristote. Et, en combattant ainsi, je croirai combattre, non sculement pour la vérité et la justice, mais pour la dignité de mon siècle, et de la nature humaine.  E pare credesse sul serio che si « esumasse » Leibniz, e si « facesse chiasso» intorno a questo nome per dirci che l'epoca dei giganti è passata e siamo a quella dei  pigmei; sicché oggi « per colpire Hegel» ci serviamo di  Leibniz; domani si potrà esumare Plotino, Giamblico, per mostrare, come diceva il Saisset, che la dottrina di Hegel è quella del vecchio panteismo: et nous reculerons ainsi, s'il le faut, jusqu'au paradis terrestre1 Onde ridu-ceva la questione a questi termini:  Ainsi donc, vous nous dites, Leibniz est un grand personnage, et Hégel n'est pas un grand personnage, car c'est là, au fond, la pensée qui domine dans l'écrit de M. Saisset. À cela je repon-drai sans hésiter, si Leibniz est grand, Hégel est plus grand encore.  passi. Ma il Vera, per rendere, com'egli dice, più preciso e più sensibile il proprio pensiero, aggiunge che «se Leibniz non fosse esistito, la catena della scienza non sarebbe punto spezzata, perché noi avremmo Newton a prendere il posto lasciato da Leibniz», che è un gran matematico, ma un mediocre filosofo e un diplomatico: diplomatico non solo nelle controversie religiose, ma nella stessa filosofia. « La sua filosofia è la filosofia degli espe-dienti, delle parole e delle apparenze. Quando non intende la cosa, mette una parola al suo posto; quando una difficoltà lo stringe, non vi si sottrae attaccandola sinceramente e di fronte, ma per l'uscio di dietro ».  E della sua critica concreta basti un esempio. Che è la monade di Leibniz? Questi parte dal principio che ogni essere o ogni sostanza composta, in quanto tale, deve risolversi negli elementi componenti semplici e indivi-sibili; che sono appunto le monadi. - Ora che metodo è questo? Decomporre un tutto nelle sue parti: il metodo che aveva prodotto l'atomismo: metodo volgare, arbi-trario, che non si preoccupa niente niente di giustificarsi.  Perché si decompone? a qual fine? che si cerca? Nessuna risposta. E si può decomporre un tutto? Ma se certi elementi sono uniti in un tutto, il loro essere dipende anche dalla loro unione, e separarli è distruggerli.  Donde poi le escogitazioni puramente verbali dell'armonia prestabilita e delle fulgurazioni della monade delle mo-nadi, necessarie per ricostruire alla meglio quell'unità malamente infranta. - Critica, che è vera certamente ed hegeliana: ma ha il gravissimo difetto (e difetto tutt'altro che hegeliano!) di essere soltanto negativa, e non saper vedere il pregio grandissimo della monade leibni-ziana, come la prima concezione, nella storia del pensiero umano, dell'autonomia assoluta dello spirito.  Né più penetrazione e simpatia storica ebbe per l'altro grande filosofo prussiano, E. Kant, malgrado la sua capitale importanza nella genesi dell' hegelismo.  Ogni volta che ne scrisse 1, ne disconobbe affatto il va-lore, guardando solo al lato negativo della filosofia critica,e sconvolgendo co'  suoi giudizi tutta la storia che la pre-  para. Non può intendere Kant, chi non intenda Cartesio.  E che è Cartesio pel Vera? Uno scettico, da dar dei punti a Carneade. E vero che la dottrina della versimiglianza è per l'accademico il risultato della scienza; e il dubbio è, invece, per Cartesio un punto di partenza e il mezzo di purificare la mente che deve accingersi alla ricerca della verità. « Tuttavia, questa differenza fra le sue dottrine è più apparente che reale. Imperocché ogni qual volta si fa del dubbio una condizione o un elemento essenziale della cognizione, ch'egli si mostri al punto d'arrivo...  o al punto di partenza.... il risultato è lo stesso: si colpi-sce, cioè, la scienza nella sua essenza, che è l'affermazione, e la si rende impossibile »1. E non riesce a scorgere mai né la ragione metodica del dubbio cartesiano, dimostrazione di quel carattere essenziale della conoscenza, che è la certezza, o presenza del soggetto nella verità; né della necessità di quel dubbio, per giungere all'affermazione tutta cartesiana del cogito; né il significato di questo  cogito 326. - Scettico Cartesio, due volte scettico Kant.  Contro il quale il Vera non si stancò mai di ripetere la critica hegeliana (che in Hegel ha un valore affatto in-cidentale) della assurdità di una ricerca sul valore della cognizione come necessario preliminare all'uso della cognizione stessa. Critica, sulla quale non giova insistere troppo contro Kant, che dal bisogno di una preliminare teorica della conoscenza non parte per giungere allo scet-ticismo, ma alla giustificazione di una sua positiva filo-sofia; essendo questa la natura propria di ogni filosofia, ossia della filosofia, di essere un circolo, in cui non si può muovere da un punto senza volgere le spalle a tutto il resto del cerchio che si ha da percorrere. Ma, a parte questo punto, che non fu chiaro nemmeno a Hegel, del Vera è tutta la scoperta (in un suo articolo del '60) che uno dei risultati» dell'analisi kantiana dell'intelligenza « fu, com' è noto, la discoperta di un doppio elemento in ogni atto o operazione del pensiero, di un elemento estrinseco, cioè contingente e variabile, il feno-meno, e d'un elemento intrinseco, necessario e inva-riabile, il noumeno: il quale venne da Kant suddiviso in categorie e idee:!. Confusione tra noumeno e categorie o idee (ossia di ciò che vi ha di più opposto per Kant), che non impedisce al Vera di identificare poi il noumeno con la cosa in sé, mediante l'equazione del noumeno con « Dio, l'idea, l'assoluto». Onde la sua critica di Kant culmina in quest'accusa, che in realtà, la sensazione costituisce il criterio della filosofia critica, e tutti i suoi ragionamenti vertono intorno a questo principio: l'assoluto, il noumeno, la cosa in sé (Ding an sich), come Kant la chiama, non possono esser conosciuti ed affermati, perché non possono essere sentiti e imaginati ». Così non v'ha dubbio che Kant stesso (quellosopra tutto dalla seconda edizione della Critica) si sarebbe visto camuffato da scettico!  Il Vera dovette più tardi, io credo, leggere l'opera maggiore di Kant, e della sua dottrina tornò a discorrere un po' distesamente all'Accademia delle scienze morali e politiche di Napoli nel 1882. Dopo la solita accusa di scetticismo larvato, prese ad esporte umoristicamente la teoria kantiana dell'esperienza, accennando la decomposizione dell'atto dell' intendimento in forma a priori e contenuto a posteriori, o categoria e dato sensibile. Due elementi, che non sono separati, ma uniti indivisibil-mente.  Come, adunque, S'incontrano e si uniscono? Nulla di più semplice. Quando il mondo esterno, la natura, viene col concorso della sensibilità a bussare alla porta della intelligenza, questa sorge dal suo letargo, trae fuori dal suo arsenale le categorie, e risponde alla chiamata battezzando e imponendo un nome al-l'obbietto, e impartendo con ciò a se stessa una esistenza e una realtà obbiettiva. Quindi l'esperienza è un battesimo in cui il neonato, l'obbietto esterno, riceve un nome, una forma razionale che lo trasforma in un qualché d' intelligibile 1.  E dopo questa caricatura, eccolo a far la voce seria e a rimproverare Kant di aver diviso i due elementi del-l'esperienza: chiudendo gli occhi, malgrado i magistrali lavori dello Spaventa, che c'erano stati in Italia, e malgrado le profonde interpretazioni di Schultze e di Beck prima, e poi di Fichte (che il Vera non avrebbe dovuto ignorare), su tutta l'attività creatrice dello spirito, che plasma e governa l'esperienza di Kant.  Qui, se non confonde più categorie e noumeni, continua a ritenere sinonimi nel linguaggio kantiano noumeni, cosa in sé e idee, e la ragione chiama • facoltà dei nou-  meni, cioè delle idee propriamente detten e dalla semi-passività delle categorie, la cui funzione è subordinata al concorso dell'oggetto esterno, argomenta:  Se gli elementi, o principii che costituiscono l'esperienza, sono limitati, subordinati e passivi, ne siegue ch'essi presuppongono un principio attivo che li domina, che è il loro comune prin-cipio, la loro unità, e di cui sono le differenze, i momenti. La cosa in sé, il noumeno, l'idea di Kant altro non può essere che siffatto principio. Il noumeno è principio del fenomeno, vale a dire della categoria e dell'obbietto sensibile, come anche del loro rapporto, della loro unione, cioé, nell'atto sperimentale, nel fe-  nomeno.  E cosi, per intendere la sintesi a priori guarda all'estremo opposto di quello, a cui la storia della filosofia già, continuando Kant, aveva guardato.  Eppure, nell' Introduction à la philosophie de Hégel il Vera riconobbe che accanto ai risultati negativi della critica, vi son pure in quella filosofia « des germes si fé-conds, des vues si larges et si riches, et une intuition si profonde de la science, qu'elle était destinée à susciter un grand et nouveau monvement» t. Ma li dall' indirizzo stesso della sua ricerca, in cui si proponeva di sbozzare in qualche modo il risorgimento dell'idealismo fino al suo culminare in Hegel, era stimolato a cercare in Kant l'addentellato della filosotia posteriore. Ma anche li, quali sono pel Vera i meriti di Kant? Tutto si riduce a questo: che Kant, pel primo nei tempi moderni, ha ricondotto l'idealismo sul terreno dell'ontologia, provocando cosi, dopo Platone, una nuova ricerca sulla natura delle idee.  Infatti, « movendo dal principio che ogni conoscenza si fonda su una forma primitiva del pensiero, fu condotto a seguire il pensiero in tutte le sue applicazioni e in tutte le sfere della sua attività, e a fissare per ciascuna d'esse l'elemento essenziale che la regge e determina. Dondenumerose ricerche concernenti la cerchia intera delle cognizioni, la metafisica, la morale, la natura, la religione, il diritto, l'arte, . dove Kant si sforza sempre di cogliere le leggi invariabili e assolute dell'intelligenza ». Sicché il pregio dell'idealismo kantiano consisterebbe nell'esempio dato di una indagine universale governata da unità di principii: l'unità della scienza e del metodo: « voilà le côté posilij el vraiment fécond de la philosophie de Kant, et c'est par ce côté qu'elle se rattache au monvement ulté-rieur de la philosophie allemande». Concetto che non gli potrebbe servire a una qualunque ricostruzione di questa filosofia; se egli (messo, forse, sulla strada dalla fonte di cui si doveva servire) non passasse poi a determinarlo altrimenti, facendo consistere l'unità di principio, portata da Kant in tutta la scienza, nell'idea considerata come condizione assoluta della conoscenza, e il processo speculativo da Kant ad Hegel nel passaggio dell'idea stessa da condizione della conoscenza a principio assoluto delle cose. Quel che segue infatti, dove passa a mostrare che i germi di questa trasformazione erano già in Kant, non può essere pensiero del Vera, il quale non se ne ricordo mai, in séguito, nei suoi giudizi sul criticismo. Il passaggio da Kant a Hegel era per lui oscuro, e chi sa donde è attinta questa giustissima osservazione, dove per altro talune espressioni incerte e poco esatte tradiscono una conoscenza indiretta: che « nella filosofia kantiana, quantunque essa faccia una larga parte all'esperienza, considerata come condizione all'esercizio dell'intelletto e il solo mezzo di verificare il valore oggettivo delle sue leggi, il pensiero conserva la sua superiorità sull'esperienza, e, anzi che ricevere da essa le sue leggi, gliele impone in guisa che esso foggia (jaçonne] e si assimila i fenomeni, i quali non possono giungere a lui se non attraverso le sue forme e le sue leggi»; e quest'altra idea, più profonda, che «l'atto trascendente e sintetico della coscienza, iopenso, vi è presentato come la condizione essenziale e, per dir cosi, il substratam di ogni conoscenza, e costituente l'unità della coscienza e di tutti i suoi elementi, delle sue appercezioni interne o esterne, delle categorie e delle idee come dei materiali forniti dall'esperienza. Anche il passaggio da Kant a Fichte (il Vera pare non sappia nulla dei minori kantiani che spianano la via a Fichte) è bene rappresentato, almeno in appa-renza: osservandosi che le leggi del pensiero non sono poi elementi vuoti e inerti, ma potenze, forze che producono i fenomeni; e che il loro centro è in quell'unità profonda dell'Io («la cui forma più elevata è l'atto sintetico del pensiero i); e però dall'Io scaturisce ogni attività dell'intelletto, e quindi questo mondo esterno e oggettivo, su cui l'intelletto si esercita. Donde Fichte, che pone nell'Io l'unità delle cose. Ma le poche pagine dedicate al pensiero di Fichte sono seguite da critiche, che dimostrano la scarsa familiarità del Vera con quel pensiero in relazione ai principii più profondi della Cri-tica, e la sua incapacità di apprezzare storicamente questi punti capitali della preparazione allo hegelismo.  Tutto il progresso di Fichte è raccolto in queste tre osservazioni, superficiali o del tutto erronee: 1) che Fichte ristabili l'unità della intelligenza, che Kant aveva spezzata con la sua divisione della ragione, in pratica e spe-culativa; 2) dedusse con metodo rigoroso l'una dall'altra le varie parti della conoscenza, facendo così sentire sempre di più il bisogno e mostrando insieme la possibilità di organizzare la scienza secondo i rapporti interni delle sue parti; 3) facendo dell'Io il principio del pensiero e dell'essere, «provocava ricerche più profonde sulla natura e le leggi del pensiero e i loro rapporti con le cose, e preparava la via alla filosofia dello spirito di Hegel ».  Ma la parte negativa, al solito, supera di gran lunga lapositiva; e le censure si accumulano l'una sull'altra con una desolante inintelligenza. Eccone qualche esempio.  Le deduzioni di Fichte non penetrano gran che nella natura delle cose, di modo che non si vede né perché né come si producano le opposizioni e come si passi da un termine all'altro. — Il non-io è contenuto bensi nell'Io (anzi, dice il Vera, dans la notion même du moi) ma questo punto non è dimostrato; perché Fichte non s'era elevato a quel metodo che ricava dal concetto di una cosa la sua differenza e la sua unità. Il suo metodo era ancora accidentale ed estrinseco; e però egli ridusse tutte le opposizioni a quelle di lo e non-Io, laddove la contradizione c'è anche nel non-lo preso separatamente (bel gusto, invero, a prenderlo separatamente, dopo Fichte!). - E poi l'Io è un concetto o una forza? (domanda, che è una rivelazione o una confessione rispetto alla posizione del Vera nell'intendere la natura del movimento del pensiero nella logica hegeliana). - Ancora: I' Io di Fichte, se è un lo relativo, contingente e finito, si lascia sfuggire l'assoluto e l'infinito della scienza; se è l'Io assoluto, allora la sua tendenza, il suo sforzo infinito per attingere l'assoluto è inesplicabile. E via di questo passo, o con questi salti. Ma il più curioso è che il Vera infine dice: «Telles (0 sont les lacunes que présent la doctri-ne de Fichle et que Schelling s'efforça de faire dispa-  raitre ".  28. - E sorte non migliore, per iscarsa o nessuna conoscenza diretta e per divergenza di punto di vista, capita quindi a Schelling, di cui il Vera, non occorre dirlo, non sospetta nemmeno il reale motivo speculativo e il progresso vero su Fichte: e il cui sistema giudica, a un tratto, come « plutot une oeuvre d'arl qu'ane ocuore waiment scientifique,.. plutôt le produit de la jeunesse que de la maturité de la pensée d'une vive et riche imagi-nation que de celle intuition profonde et réféchie, qui est le résultat des procédés sevères de la sciencent.  29. - Se cosi giudicava i maggiori filosofi tedeschi, che non fossero Hegel, qual meraviglia che non tenesse in nessun conto tutti i filosofi italiani? Quanto più d' ingegno e di dottrina spiegava il suo collega napoletano  B. Spaventa a mettere, come si dice, in valore la filosofia italiana, dimostrando con le sue penetranti investigazioni i tesori di pensiero che si celavano nelle sue viscere, tanto più il Vera, la cui cultura s'era formata fuori d'Italia, e che, scrivendo in Francia, aveva finito col non dire più  'i francesi ' ma 'noi'=; e imbevutosi dell' hegelismo, non aveva più saputo guardare all'Italia con altri occhi, che quelli onde, in generale, tutti i romantici tedeschi vi guardarono commiserando 3; tanto più, il Vera, per cuidunque non esisteva il problema dello Spaventa, di edificare sulle fondamenta, e svolgere il pensiero italiano,  movendosi dentro di esso e movendosi con esso, più s' impuntava, assai poco hegelianamente, ad asserire che in Italia non s'era mai filosofato, e che bisognava rifarsi da capo. Una eccezione parve talora farla pel Bruno, celebrato da Hegel come » nobile anima, che sente in sé l' immanenza dello spirito e intende l'unità della sua essenza e dell'essenza universale come tutta la vita del pensiero. Nella sua prolusione a Napoli, la occasione stessa l'obbligò quasi a ricordare i due grandi nomi na-poletani: Bruno e Vico. E il primo mise al di sopra del secondo, quantunque manchi a quello « sopratutto il punto di vista, o concetto istorico, concetto importantissimo e che è il segno caratteristico, e dirò come il trionfo della filosofia moderna»: e l'abbia invece il Vico, e sia anzi la sua originalità. Pure, «Bruno è un profondo me-tafisico, a tal segno ch' è come l'eco dell'antica filosofia e il precursore della moderna». Ma non andò (né credo potesse con la cognizione che doveva averne) oltre tali e simili generalità. A cui si attenne anche lo scolaro  Raffaele Mariano in quel suo pamphlet sulla filosofia contemporanea italiana, in cui si fece, come già in altri scritti, organo del pensiero del Vera. Tra Bruno e Vico il Vera non vedeva che tenebre. Di Campanella mai una parola, che io sappia. Vico è lodato caldamente in un articoletto (L'esegesi), scritto in Inghilterra, nel 1857% con qualche accento di italianità: lodato come « genio profondo e originale», « uno dei primi, per non dire il primo, ad entrar nella carrieran in cui andarono poi tanto innanzi i tedeschi, della critica erudita e della filologia: come quegli che nel De antiquissima Italorum sapientia « ha poste le basi della critica filosofica delle lingue», nel De unico principio et fine tris (sic) « ha poste le basi della critica del diritto e nella Scienza nuova ha fondato la filosofia della storia, e quindi i principii della critica storica. e con la sua teoria sul « vero Omero » va considerato «come il punto di partenza e il motore di tutte le ricerche posteriori sulla questione omerica..  Giudizio molto modificato più tardi:, in parte corretto (in ciò che concerne il De antiquissima ne aveva bisogno), in parte peggiorato e ravvolto in un apprezzamento complessivo superficialissimo. « Vico è un mediocre me-tafisico. Trasportando l'idea platonica, e anzitutto l'idea della repubblica di Platone nella storia comprese che avervi una storia ideale. Questo intese, ma mal comprese; e mal comprese ed attuò, perché alla verità e altezza del concetto non aggiunse una facoltà vera-mente speculativa». Non seppe addentrarsi nella cognizione dell'idea, «sia con uno studio profondo delle dottrine platoniche e aristoteliche, sia con indagini proprie e veramente originali». Avrebbe dovuto costruire prima l'idea della storia, e indi desumere il fatto o storia reale delle nazioni. E invece mosse dal fatto, la storia di Roma, e però non poté intendere l'Oriente, la Grecia, il Cristianesimo e le nazioni e la storia moderna (che sono, come ognun vede dall'indice della Filosofia della Storia di Hegel, le altre parti della trattazione hegeliana, oltre la storia romana). Più tardi disse che Vico intravvide, non vide la vera idea della storia!. Viceversa, discorrendone più di proposito nella Introduzione alla filosofia della Storia :, tornava ad asserire che « il gran pregio di Vico, che niuno potrà rapirgli, sta in questo, nell'aver pel primo riconosciuto che l'idea è il principio della storia». Ma, con l'usata deplorevole confusione,  accettava l'inter-  pretazione platonica che il Vico stesso fa delle sue idee, parendogli chiaro che «studiando la teorica platonica delle idee, comprendendo, cioè, l'importanza e la funzione dell'idea dell'universo, si giunge naturalmente al punto di vista di Vico». E d'altra parte, guardando poi all'applicazione che il Vico aveva fatto della sua dottrina alla scoperta del vero Omero, dove il Vico non avrebbe inteso che l'idea non si manifesta se non incarnandosi in certi individui, non dubitava di arguirne che  *Vico non intese la vera natura dell'idea, né quella del suo rapporto con la storia e con l'individuo ».  E dopo Vico? «Vico», risponde per lui il Mariano, « è un'apparizione che non ha antecedenti e non lascia tradizione »3. E poiché Vico non ebbe coscienza della me-tafisica richiesta dal suo concetto storico della scienza, si può dire che « il pensiero italiano chiuda il suo ciclo storico con Bruno, e s'estingua, se cosi può dirsi, sul suo rogo». Doloroso a dirsi: l'Italia moderna non esiste nella storia, se esistere nella storia significa rappresentare un'idea; o esiste pel suo papato. Dall'alto di questo giudicatorio universale, che diventavano quei pigmei di un Galluppi, di un Rosmini, di un Gioberti, di cui faceva tanto caso lo Spaventa? Il Mariano risponde:  « A nostro avviso, i filosofi italiani degli ultimi tempi non hanno contribuito in nessuna maniera con le loro dottrine al movimento e allo sviluppo del pensiero filo-sofico; poiché, oltre a venire quando tutto lo sviluppo di questo pensiero era già compiuto, essi si chiudono in punti di vista esclusivi e subordinati. Le loro dottrine non sono siste-matiche, nascono non si potrebbe dire donde né come,  senza aver nemmeno una coscienza chiara di se stesse, né della filosofia in generale; e infine segnano un regresso e una decadenza del pensiero. La tesi dello Spa-venta, che non intendeva si potesse trapiantare in Italia una filosofia la quale non avesse nessun appiglio nella tradizione del suo pensiero, e che andava orgoglioso di aver dimostrato che tutti i nostri più grandi pensatori da Bruno a Campanella al Gioberti s'erano mossi nello stesso circolo del moderno pensiero europeo, pareva al Mariano e al Vera « falsasse il concetto della filosofia, del suo oggetto e della sua storia», uno di quei « tours de force intellettuali, che non sono rari, che sono anzi disgraziatamente troppo comuni, e consistono nel mettere in una dottrina quel che è nel nostro proprio pensiero e nel pensiero d'un altro».  Bella testa davvero quello Spaventa, che veniva a dire 'a questi asini papalini degl' Italiani, che alla fine la filosofia di Hegel non era poi l'ultima parola dello spirito speculativo, e non si doveva ripetere e commentare meccanicamente le sue deduzioni come tante formole sacramentali. « Parole sonore, ma vuote. L'essenziale è intendere quelle deduzioni e quelle formole, come piace allo Spaventa di chiamarle. Ma lo Spaventa le intende ?  Par di no, dacché identifica [e non era vero] Gioberti e Hegel. Poi che il pensiero di Hegel possa essere ulteriormente svolto e compiuto entro certi limiti, nessuno hegeliano, noi crediamo, si rifiuterà di ammetterlo. Ma se lo Spaventa avesse inteso la storia della filosofia e l'hegelismo, avrebbe visto che non sono possibili svolgimenti ulteriori deviando o uscendo dal pensiero hegeliano, e in questo senso può dirsi che la filosofia di Hegel sia per l'appunto l'ultima parola dello spirito speculativo ...  Che poteva essere magari la convinzione dello Spaventa, ove si dia a questa frase un significato rigoroso, che non era disposto di certo a darle né il Mariano né il Vera, quando questi scriveva p. e, che « la filosofia di Hegel chiude, quanto alle parti costitutive, il ciclo storico della filosofia; quantunque non vogliamo negar con ciò la possibilità di altri svolgimenti, ma sempre di un ordine particolare e subordinato, che il pensiero filosofico potrà ammettere »3. - Uomo pericoloso quello Spaventa, infido hegeliano! Quei suoi Principii di filosofia, cominciati a pubblicare nel 1867! Sempre quel suo fare d'uomo che dice e non dice (les mêmes allures contournées et de-tournées !), quell'ambiguità di linguaggio, quell' hegelismo che non è punto hegelismo: « una logica hegeliana che si dà delle arie di non sappiamo qual'altra logica: infine, una filosofia nuova, ma stranamente nuova, prima perchévi si dà per nuovo quel che Hegel stesso e dopo Hegel alcuni de suoi discepoli hanno esplicitamente e da lungo tempo insegnato, e poi, sopra tutto, perché non si potrebbe dire che cosa è, donde viene e dove va, e perché non può avere altro risultato che di creare o perpetuare l'equivoco, la confusione e l'indisciplina degli spiriti».  Cosi dal Vera aveva imparato a giudicare dello Spaventa, uno scrittorello, che, tanto per accreditare la filosofia hegeliana, rifaceva in quattro e quattr'otto e tenendosi sempre sulle generali, senza analisi di testi, né discussione di punti controversi, la storia della filosofia italiana della prima metà del sec. XIX, e sentenziava che quella specie di eclettismo del Galluppi era un « fenomeno isolato e accidentale, che non s'era accorto di venire al mondo quando il movimento filosofico tedesco con Hegel era « achevé, lorsque l'idéalisme étail une doctrine constituée» (povero Galluppi!). Il pensiero del Rosmini è più vasto e completo, ma è un vano sforzo • di risuscitare la filosofia scolastica, e, per questo rispetto, un regresso. Gioberti poi « non soltanto un'apparizione inutile nell'ordine del pensiero come in quello della storia, ma la negazione della storia e della scienza " 5  Lo Spaventa ne aveva fatto la satira anticipata. A proposito di costoro che non vedevano nulla di nulla in Italia, e la filosofia morta da due o trecento anni, e si scalmanavano a raccomandare l'idea, a rifarsi dalla idea, e sopra tutto a far come loro (e guardate a noi, fate come facciamo noi, e dite come diciamo noi: uno, due, tre; e ritornerete vivi, sani e salvi; e sarete felici »)  aveva ricordato « un tale, bravomo del resto; il quale un giorno, di pien meriggio, nel mese di luglio, non sapendo che fare e avendo accolto in casa, nel suo gabi-netto, numerosi amici, chiuse ermeticamente le impostedelle finestre e l'uscio, e all'oscuro accese subitamente un suo lumicino, e fattosi in mezzo, non per gioco, ma col maggior senno del mondo, esclamò: - Non temete; ecco, io vi riporto la luce!* E la satira conchiudeva: « Mi fu detto poi, che il brav'omo fini i suoi giorni al mani-comio, e non parlava d'altro che del lume spento e del suo lumicino. Quando imprese la sua volgarizzazione della filosofia hegeliana, V. non s'era proposto se non di tradurre in francese la piccola Enciclopedia di Hegel, come già erano state tradotte le opere principali di Kant, Fichte, Schelling, l' Estetica dello stesso Hegel e una parte della Logica. Ma estremamente prolisso com'era, e com'è degli scrittori che non approfondiscono il pensiero e scivolano sulle difficoltà, postosi a scrivere un proemio introduttivo alla traduzione, la materia gli crebbe ben presto tra mani fino ad imporgli la necessità di pubblicare questo scritto a parte, come formante da solo un tutto « indipendente, sotto certi aspetti, dal sistema di Hegel», le cui tre parti pensò quindi di dare poi in tre volumi distinti. Se non che quando poté cominciare a pubblicare la sua traduzione, penso che se a tutta l'Enciclopedia aveva mandato innanzi una introduzione generale, una speciale per la Logica, ossia per la prima parte, da cui gli toccava di cominciare, sarebbe stata pure opportuna.  E cosi per la sola Logica occorsero già due volumi 3;come tre gliene occorsero poi per la Filosofia della natura 5  infarcita di lunghissime note, oltre la solita vasta introduzione; e due infine per la F'ilosofia dello spiritos, ma grossi: perché, pubblicato a tre anni di distanza dal primo, il secondo gli parve che non potesse andar privo di una nuova speciale introduzione. E tra introduzioni prime e seconde, avant-propos e avertissements premessi agli avant-propos, commenti perpetui, appendici, pole-miche, si esauri tutta la sua attività letteraria non impiegata nel tradurre il testo. Tutta, o quasi tutta. Quando parve proporsi un tema di trattazione originale, come il Cavour (1871) e il Problema dell'Assoluto (1872-82), in fatto continuò egualmente a discettare intorno all'uno o all'altro punto di dottrina hegeliana; e quando, come nel Problema dell Assoluto, doveva pure levar l'ala pervoglia di volare, finiva tosto per fare come il cicognino dantesco, che  non s'attenta  D'abbandonar lo nido, e giù la cala.  E lasciava interrotto il lavoro.  L'opuscolo sulla Pena di morte (1863) 1, che, per il vivo interesse che suscitava allora la questione in Italia, fu degli scritti più noti, più letti e discussi del Vera 3, è anch'esso un commento a un'opinione dell' Hegel.  L'Introduzione alla filosofia della storia (1869) sono corsi di lezioni raccolte da uno scolaro, le quali non hanno nessuna pretesa d'originalità scientifica. Lo Strauss, l'ancienne et la nouvelle foi (1873) si propone di chiarire e confermare la filosofia della religione di Hegel contro il radicalismo teologico dello Strauss. Si può dire pertanto che tutta l'opera del Vera si riduca alla traduzione e al commento dell' Enciclopedia di Hegel con speciale insistenza sulla parte che riguarda la filosofia della religione.  Opera certamente assai benemerita pei vantaggi arrecati alla cultura delle nazioni latine, principalmente della Francia e dell'Italia, in un tempo in cui la filosofia di Hegel era venuta in discredito, le sue opere apparivano in conseguenza assai più difficili che in realtà non siano, e facevano torcere il muso agli studiosi, i quali non avrebbero forse letto nulla di lui, se non avessero avuto a portata di mano quell' Hegel volgare (come avrebbero dettoi nostri antichi), così agevolmente accessibile nello sciolto francese in cui il Vera lo dilavò, e cosi largamente illustrato da chi non dubitava di parlare come l'autentico interprete dello hegelismo. Soltanto in questi ultimi anni le sue traduzioni sono state, nel rinnovato studio di Hegel, riscontrate accuratamente con l'originale; e trovate malfide. Se nella prima traduzione della Logica gli errori d'interpretazione erano frequenti, i lettori non lo seppero forse prima che ne li avvertisse lo stesso Vera quando li corresse nella seconda?. Lo stile discorsivo, senza muscoli e senza nervi, del traduttore non somigliava punto a quello di Hegel: ma chi se n'accorgeva ?  I punti più delicati ed essenziali dello hegelismo nelle interpretazioni veriane andavano alterati. Il colorito generale e il carattere fondamentale di questa filosofia attraverso quelle interpretazioni eran cancellati o apparivano troppo sbiaditi. E questo era certamente difetto ingente per la fortuna del pensiero hegeliano e il progresso speculativo. Ma non è per altro da credere che una più schietta traduzione e una interpretazione più rigorosa del pensiero hegeliano sarebbe bastato in quel ventennio tra il 186o e l'8o in cui cadde l'opera del Vera, a dare una direzione diversa allo spirito filosofico, preso com'era dalla brama dei fatti e dal disgusto d'ogni speculazione.  E d'altra parte, c'è in ogni grande filosofo e in ogni grande scrittore una folla di verità particolari, frammenti e scheggie luminose di pensiero, di cui giova pure arricchire ed accade sempre provvidenzialmente che venga arricchito il patrimonio generale della cultura, e impinguato quello che si può dire il terreno spirituale, da cui germogliano, maturate che siano le stagioni opportune,i nuovi pensieri, e da cui pur continuamente traggono il loro succo vitale tutte le forme dell'attività umana.  Chi potrebbe dire, da questo aspetto, quanto sia il benefizio arrecato alla cultura dalle fatiche di V.?  3L. - Questa fu la sua parte: la parte del commen-tatore, che si chiude nel pensiero del suo autore, quasi in un cerchio di Orbilio, e non vede come sia più possibile uscirne. Il « Commentatore» per antonomasia del medio evo disse di Aristotele, che egli era stato la regola della natura e come un modello in cui essa aveva cercato di esprimere il tipo dell'ultima perfezione; posto al più alto grado dell'eccellenza umana, cui nessun uomo mai aveva saputo pervenire: disse la sua dottrina « la verità sovrana: perché il suo intelletto è stato il limite dell'intelletto umano, sicché di lui possa a ragione dirsi esserci stato dalla Provvidenza dato per imparare tutto ciò che è possibile sapere»; e che insomma egli « è il principio di ogni filosofia: non si può differire se non nell'interpretazione delle sue parole e nelle conseguenze da ricavarne». E le stesse cose, su per giù, ripete di Hegel, come già in parte abbiamo visto, V., lieto di potersi dire «un hégélien pur, un hégélien à outrance n3; pronto a protestare che gli anni e la riflessione non facevano che fortificare la sua convinzione che la philosophie de Hégel est la sente philosophie véritable, la philosophie absolue »3; che sempre Hégel a raison contre tous4, perché egli è non pure uno dei più potenti pensatori, ma il più potente forse che sia mai esistito s. Nella Introduction del 1855 riconosceva ancora un qualche valore al concetto (hegelianeggiante) *di Leibniz della philosophia perennis; ma nel 1873. polemizzando con lo Strauss « in nome della filosofia » teneva a dichiarare com'egli la intendesse. « Per me, lo confesso, quando sento parlare di una filosofia in generale, di quella filosofia che Leibniz e altri sulle sue tracce chiamano col nome sonoro di philosophia perennis, chiudo gli occhi e gli orecchi, e preferisco non vedere né sentire, che sentire e vedere mercé d'una tale filosofia». E si appellava al principio, hegeliano senza dubbio, che la filosofia non può essere che una determinata filosofia; ma continuava, distruggendo ipso facto il valore di quel principio: « E questa filosofia non mi stancherò di ripeterlo, e, per quanto è in me di dimostrarlo, è la filosofia hegeliana » *; laddove una delle determinazioni essenziali della filosofia hegeliana era appunto questa di adeguarsi alla storia della filosofia o, se si vuole, alla philosophia pe-rennis, in cui tutte le determinate filosofie sono la filosofia veramente determinata.  E da quest'angusta e in certo senso materialistica concezione della filosofia hegeliana, tutta chiusa in una individualità semifantastica, sorretta dalla rappresentazione di certi libri e di certe parole o di una certa persona vissuta in certi tempi e luoghi, il Vera era trascinato a perpetrare un vero tradimento di Hegel: da lui disarmato e consegnato, legato mani e piedi, al primo venuto dei suoi avversari. Poiché, una volta concepito un sistema filosofico come chiuso in sé, senza rapporti con gli altri sistemi, prodotto di una speciale visione del mondo, che non ha che fare con gli altri possibili punti di vista, quasi spettacolo che si goda in una stanza, e di cui non sia dato saper nulla a chi non vi entri, cotesto sistema non si può più dimostrare a chi non sia già persuaso della sua verità; perde cioè la sua universalità,la sua verità, il suo valore di pensiero, che non è mai atto di uno senza esser atto di tutti: perde la vita del pensiero che è espansione e forza invadente, conquistatrice e trionfatrice; per diventare una cosa, che sta dove la mettete, in eterno, ignara di sé, inerte, esposta al libito di chi vi si abbatta! Concezione strana, umiliante, ad accettar la quale, coraggiosamente, il Vera fu anche spinto da un profondo concetto hegeliano, da lui inteso a metà: che la verità di un sistema sta dentro il sistema e in tutto il sistema. Ma Hegel stesso andava subito incontro al pericolo d'una possibile interpretazione materialistica di questa proposizione, per cui il suo pensiero sarebbe rimasto disteso sovra un'altura inacces-sibile, concependo dapprima come una prima parte del sistema una  Fenomenologia dello spirito come autoaf-  fermazione della propria filosofia attraverso tutte le posizioni storiche e ideali del pensiero, e premettendo poi all' Enciclopedia un'introduzione critica e polemica destinata a giustificare il proprio punto di vista di fronte a quelli inferiori. Talché, se pure era nella sua dottrina,  quale si venne scolasticamente consolidando attraverso le varie redazioni dell' Enciclopedia (nata per la scuola), la tendenza a fare del sistema un dato circolo chiuso, nel quale bisognasse penetrare per non so quale grazia sovrannaturale o luce illuminante ogni privilegiato hege-liano; questa tendenza era spontaneamente frenata e corretta dalla possente vita del genio investito dalla forza della verità. Ed era intanto punto capitale della sua dottrina, che la critica di un sistema filosofico - e quindi il passaggio a un sistema superiore - non è critica soggettiva che altri possa fare movendo da principii di sistemi diversi, ma critica interna, autonoma, sgorgante dalle viscere dello stesso sistema; sicché non si sale slanciandosi in alto per aggrapparsi con la punta delle dita alla proda delle balze superiori, ma fermando bene ilpiede sul grado già raggiunto, e di li sforzandosi di salire, costretti dallo stesso disagio della via erta ed arta, - per tornare ancora una volta alle immagini dantesche. Sicchè la vera dottrina di Hegel è che la verità della sua filosofia, se, come sistema, vive nel circolo del suo pensiero siste-matico, si conquista attraverso tutte le filosofie, e si pone percio per motivi di verità che giacciono in tutti i sistemi. L' hegelismo che si chiude gli occhi e gli orec-chi, e, come la Notte di Michelangelo, vuole « non veder, non sentir, non è quell'originale hegelismo che figge per tutto il suo occhio sereno, certo che tutto che è reale è anche razionale, ma un hegelismo veriano, alquanto adulterato.  E cosi accadeva al Vera, malgrado tutta la forza del  suo hegelismo, di trovarsi come chi, in paese straniero di cui ignori la lingua, abbia bisogno di far valere le proprie ragioni, e non trovi né anche un interprete. Non sapeva parlar altro che l'« hegeliano » 1 Nella introdu-zione alla Filosofia dello spirito, dopo avere intravvedute ben sei gravi obbiezioni contro il concetto da lui esposto del sistema hegeliano, dovendo ribatterle, si ricordò della  sua  teoria dell'hegelismo chiuso, gia spiattellata tre anni prima nella nuova prefazione all' Introduction à la philosophie de Hégel, a proposito delle critiche del Foucher de Careil e del Trendelenburg; e si senti in dovere di fare questa confessione:  Nous commencerons par avouer que ces objections  nOuS  embarassent très-fort, et que nous ne voyons pas comment nous pourrions y répondre d'une manière satisfaisante, d'une manière, voulons-nous dire, qui satisfasse complètement celui qui nous les adresse. Car ce n'est pas nous autres hégéliens, bien entendu [l]. qui nous faisons ces objections, ou si nous nous les faisons, nous en trouvons aussi la solution. Seulement cette solution est valable pour nous, mais elle ne l'est pas, len général, pour les au-tres, c'est-à-dire pour les non-hégéliens (!).Et la raison en est bien simple. C'est que la solution est dans le système, et que par suite elle ne saurait être entendue et acceptée qu'autant qu'on est dans le système. Par conséquent, celui qui fait des objections, qui les fait hors du système, c'est-à-dire en se plaçant au point de vue de l'opinion, de la conscience vulgaire et irréfléchie du sens commun comme on l'appelle, et même de la philosophie de l'entendement, et qui, avant d'entrer dans le système, demande qu'on lui réponde d'une façon qui leve complètement ses doutes, demande ce qu'en réalité il n'est pas raisonnable de nous demander. Car ces doutes viennent précisément de ce qu'il demeure hors du système, et que sa pensée est impuissante à saisir la vérité systématique. Par con-séquent, tant qu'il n'aura pas franchi cette limite, et qu'il ne sera pas entré dans le système, toutes nos réponses et toutes nos explications devront nécessairement lui paraitre insuffisantes, par la même que sa pensée et notre pensée ne sont pas la même pensée 1.  Non era questo un disarmare Hegel e consegnarlo  agli avversari? Tommaso d'Aquino, convinto che oltre gli articuli fidei, ci siano anche i preambula ad articulos, aveva potuto scrivere una somma de veritate catholicae fidei contra gentiles; ma contro i gentili dell' hegelismo il nuovo apostolis gentium non vedeva come un povero diavolo d'apostolo se la potesse cavare: e badava a ri-petere il motto di Anselmo: fides quaerens intellectum,  ma senza ottemperare troppo alacremente al maggior detto dello stesso Anselmo (Cur Deus homo, c. 2): « Ne-  gligentiae mihi esse videtur, si postquam confirmali sumus in fide, non studemus, quod credimus intelligere! ». Il mo-mento della fede, come vedremo più chiaramente, era l'essenziale per lui. Questo infatti gli bastava a reggere l'opera sua di paladino di Hegel. Non confessó quel tale, che moriva in duello pel Tasso contro l'Ariosto, di non aver letto nessuno dei due ?I libri di Hegel il Vera certamente li aveva letti e ri-letti. Non tutti, forse, quando scese in campo per lui con l'Introduction, né tutti poi con la stessa attenzione e diligenza. Il Janet • notò che in quella Introduzione manca ogni menzione della Fenomenologia; e la critica che già ne abbiamo rilevata contro lo Schelling autorizza a crede che ei non avesse ancor letta la prefazione di quell'opera di Hegel. Doveva allora conoscere l'Enciclopedia e, in parte, la Filosofia della religione: in parte anche la Scienza della logica; ma così male, da non essersi ancora reso conto ben chiaro della redazione di queste opere. Cosi allora dimostrava di sconoscere che le appendici (Zusätze) ai singoli paragrafi dell' Enciclopedia non furono aggiunte da Hegel stesso, bensi dagli scolari (Henning, Mi-chelet e Boumann) che ne curarono l'edizione postuma e si giovarono di appunti del maestro e di quaderni di scuola:  Anzi, confondendo con tali appendici le osservazioni che Hegel infatti aggiunse per la prima volta nel 1827 ai singoli paragrafi, - che da soli formavano il testo della prima edizione, - asseri 3 che Hegel nella seconda edizione credette di aggiungere co-teste appendici, per rendere il suo pensiero meno astratto e più accessibile. E questo errore ripeté nel '59 nell'avvertenza premessa alla Logica, aggravandolo di un'altra inesattezza che potrebbe far credere non aver egli allora col secondo e col terzo volume dell' Enciclopedia postuma (detta ordinariamente Grande Enciclopedia, per distinguerla dalla Piccola, cui mancano quelle appendici) la familiarità che dovevaaver acquistato col primo contenente la Logica: perché dice che nel 1827 Hegel non diede propriamente una seconda edizione di tutta l'Enciclopedia accresciuta delle appendici, ma della sola Logica: « Par les deux autres parties de la Grande Encyclopédie n'ont paru qu'après la mort de Hégel dans Védition complète de ses oeuvres qui a été publiée par le soin de ses disciples et de ses amis » 1.  Apparse dopo la morte di Hegel: ma già redatte da lui stesso, comprese le appendici, come il Vera tornò a dire chiaramente nell'avvertenza al primo volume della Filosofia della natura *.  Confusionis che potrebbero anche ascriversi a sbadataggine di studioso inesperto d'ogni buona usanza filologica: ma che, se in parte son pure indizio di scarsa familiarità coi testi hegeliani, in questo caso son pure da riportarsi all'indole del suo spirito, di cui abbiamo già cominciato a intendere alcuni tratti essenziali. Il Vera era cominciato mistico: scettico verso i metodi razionalisti, aveva asserito l' inconoscibilità delle essenze, e certa intuitiva rivelazione originaria di Dio, alla Jacobi.  Il mistico non può essere idealista che a mo' di Platone: per cui la verità non è processo, ma conoscenza immediata e miracolosa, presenza dell'oggetto, in cui si prescinde dal soggetto o in cui perciò il pensiero tende a risolvere e seppellire la propria soggettività. L'idea a chi cerchi una tale verità si presenta e impone da sé; è se stessa; e non può farsi, ancorché definita come processo (diventa allora idea del processo, e, come idea, immobile). In quanto sistema, diventa sistema in sé, che non forma la mente, ma è innanzi alla mente; e non è svolgimento;ma un tutto perfetto, in sé, senza passaggio da altro a esso, né da esso ad altro. E filosofia che non è la filosofia, ma una filosofia, che ha fuori di sé le altre, il pensiero volgare, l'opinione, la filosofia intellettualistica, senza un ponte da queste forme mentali a essa. - O tutto, o niente; o scetticismo, o cognizione assoluta (idest, il sistema di Hegel), come badava a ripetere V.. E che cosa era per lui la mente fuori dell' hegelismo? Se la verità era tutta dall'altra parte, di qua non ci restava nulla. La sua pertanto era una concezione mistica del-  1' hegelismo, per cui il rapporto dello spirito con la vera filosofia, o illuminazione mentale, veniva concepito come una unione soprarazionale, di là dalla quale si sarebbe instaurata la razionalità dello spirito. E questa tendenza mistica del Vera, se io non m' inganno, gli faceva prendere in mano i libri di Hegel e non guardare attentamente alle prefazioni, non cercare le varie edizioni, non studiare la storia dei testi: giacché in ogni tempo la misticità è stata nimica mortale di tutte le questioni concernenti la lettera, come ad esse piace di dire, e non lo spirito, quali son quelle di filologia. Pericolosissima china; giacché se questa tendenza nel Vera col dispregio della filologia portò l'impossibilità di una vera dottrina storico-filosofica, nel discepolo Mariano, che avrebbe dovuto essere di professione uno storico del cristianesimo, frutto tutta una boriosa e vuota teorica di metodo storico, che è una delle più solenni e funeste falsificazioni della dottrina hegeliana, cioè della prima filosofia venuta in luce dacché il pensiero prosegue la sua eterna fatica, a giustificare non solo, ma ad esaltare ogni forma di storia; e nella scuola del Vera, tra i suoi insegnamenti di storia della filosofia e di filosofia della storia, fu piegata goffamente a significare un pensiero rispettoso bensi a parole della storia, dello svolgimento, della determinatezza, ma, nei fatti, di una tracotante svalutazione d'ogni sincera ricerca dellastoria, ossia dei particolari più determinati, in cui pur consiste il concreto svolgimento del reale.  32. — Della quale tendenza, mistica e però antisto-rica, della mente del Vera si potrebbero raccogliere ne' suoi scritti molte manifestazioni. Il Janet, in un suo articolo sul primo volume della Filosofia della religione notava finemente che il Vera, nella lunghissima introduzione che mise di suo in quel volume per ragionare dei rapporti tra filosofia e religione, «est encore ici fort dans la discussion, vague et obscur dans la conclusion. Il ré-sume très-bien toutes les manières de se rapresenter le rap-port de la religion et de la philosophie. Mais on ne vort trop quelle est la vaie». E nel '73 lo stesso V. contro Strauss osservava che la posizione da costui assunta era très-nette. E, soggiungeva «les positions très-nettes sont souvent, surtout dans la science, très-fausses, par la raison même qu'elles sont très-nettes, par la raison, veux-je dire, qu'elles mutilent les problèmes, et qu'en les simplifiant les faussent». Ragione hegeliana e piena di verità; ma pretesto, pel Vera, e conforto a non trarsi fuori da quel-  l'oscuro, da quel vago che il Janet gli rimproverava, e a restare irresoluto tra il sì e il no. Giacché sarebbe invero assai volgare insolenza asserire di Hegel, nuovo e pit rigoroso assertore della dialettica del sic et non, che ei si tenesse perciò di qua dalle soluzioni très-nettes! Ché se rifiutava, e metteva in satira anche lui, le soluzioni semplicistiche dell' intelletto astratto, poneva nettissime, per suo conto, quelle della ragione. E non era il Vera che potesse in nome della dialettica accamparsi contro il semplicismo e l'astrattismo dei semplificatori; egli chenon sapeva entrare nella realtà se non armato di astratte definizioni; e si scalmanava contro chi nella realtà vedeva si quei concetti, ma limitati e commisti ai loro contrari; e lo Stato reale, p. e., essere e non essere Stato: la Chiesa essere e non essere Chiesa; e l'esercito essere e non essere esercito; e cosi ogni cosa, non in quanto considerata nel mondo intelligibile, a cui egli platonicamente guardava, ma in quello reale, in cui, con tanto poco gusto (a quel che pare), era pur costretto a vivere.  Egli è piuttosto che, com'è proprio dei mistici, il Vera, da una parte, doveva dilettarsi di cotesto mondo di puri intelligibili, che appunto perché tali sono estranei alla vita dell'intelligenza e non si pongono se non per negazione o una mera affermazione immediata dell'in-telligenza, e poteva d'altra parte riuscir più nella critica e demolizione che nell'affermazione e nella dimostrazione.  Giacché questo è uno dei caratteri del misticismo: che non rifugge bensi dalla filosofia, ma si pasce di una filosofia negativa che ha per conchiusione, com' è facile scorgere nella storia della mistica, una dotta ignoranza: hoc unum scio. Così nel Problème de la certitude, della età giovanile, il verbo della speculazione veriana era stato lo scetticismo: la sua affermazione dommatica un timido e vago tentativo di filosofia dell'intuizione immediata di Dio, conosciuto come che, ma non come quale: postu-lato, non propriamente conosciuto. Quella stessa menta-lità, abbattutasi quindi a una conoscenza meno superficiale dello hegelismo, presa di ammirazione per quella  vasta sistemazione del mondo contemplato sub specie aeterni, cambiò forma, non sostanza; e sotto il nuovo abito rimase presso che immutato il vecchio Vera. L'oggetto del suo mistico intuito (conoscenza immediata, senza processo) era prima quel Dio inconoscibile e indi-  mostrabile, di cui non si poteva fare a meno; ora è il sistema hegeliano, cioè, non propriamente una filosolia,ma un xóguo vontós, e insomma Dio stesso, quello di prima, egualmente indimostrabile e irraggiungibile con un processo di pensiero.  E pure nell' Introduction volle scrivere anche lui, come già tanti altri mistici, il suo itinerario della mente a Dio: o come egli disse, mettere sotto gli occhi del lettore «les recherches qui nous ont conduit nous-mêmes à l'intelligence de la philosophie hégélienne»t, Ma, posto quel concetto del sistema chiuso, che per allora covava nel profondo della sua mente, che itinerario poteva essere il suo? Sarebbe facile dimostrare che questa specie di itinerario procede, non altrimenti da tutti gli scritti consimili, per presupposizione, fin da principio, del punto d'arrivo, e per conseguente critica e negazione delle posizioni diverse: non muove da queste, e non dimostra realmente il punto a cui vuol pervenire; non è insomma  un processo.  E già noi vedemmo a che si riduca pel Vera il movimento da Kant a Hegel. Dopo un brevissimo capitolo (di tre pagine) sulla « fisonomia generale della filosofia di Hegel», in cui si coglie, ma assai estrinsecamente, un tratto senza dubbio essenziale di essa, qual è quello della storicità sua, oggettiva e soggettiva, in quanto essa concepisce il suo oggetto come manifestantesi attraverso il movimento storico e sé stessa in intima e necessaria relazione con la propria storia 1, il Vera passa subito a dimostrare quella sua tesi, che già conosciamo, tutti ifilosofi essere idealisti senza saperlo: poiché, nell'antichità e nei tempi moderni, tutti, compresi i materialisti, han sempre mirato all'idea; poiché nessun filosofo mai ha potuto fare a meno dei principii che sono al di là dell'esperienza. Basta pel Vera esser metafisico per  CS-  sere idealista; e in questo senso egli pensa che in ogni filosofia sia un germe di verità, che si deve svolgere e compiere, e non si può negare. Vale a dire, all'esclusi-vismo dei vari sistemi che ricorrono a una o più idee, bisogna sostituire una filosofia comprensiva che le accolga tutte e le organizzi; fare insomma quel che aveva fatto Platone, quantunque ora si possa fare un po' meglio.  Sicché l'oggetto della filosofia, quale egli lo concepisce, non è diverso da quello che aveva dato vita all'idealismo platonico; né egli sapeva concepire altra filosofia che sul tipo di quell'idealismo, e quasi frammento di esso. Quindi tutto il resto della sua Introduzione, prima di quel rapidissimo schizzo dell'Enciclopedia hegeliana che forma la seconda parte del volume, è tutta una polemica per determinare il concetto della filosofia, come scienza delle idee, e il metodo di essa, che all'organismo delle idee non può adeguarsi se non mercé la dialettica. Tutto 1' itine-rario, adunque, consiste nel mettersi dentro alla verità, fin da principio, e difenderla contro gli errori. Ma se la filosofia per Platone e pel mistico era pura contemplazione, parrebbe che il Vera ne avesse un concetto assai più profondo e nuovo, dove sostiene che essa è non solo una spiegazione della realtà (inten-dendo per spiegazione la contemplazione appunto di tutto il reale in idea), ma « anche e per ciò stesso, una  crea -  zione":  e una creazione, com'egli dice, nel solo e  vero senso del termine»!. Ma dal detto al fatto corre8ran  tratto; e quando deve realmente concepire questa creazione che dice di concepire, la cosa non gli riesce; perché tutto si riduce a dire che le essenze, l'assoluto, le idee sono eterne, e che di creato e generato non v'è se non i fenomeni, le esistenze particolari e finite; le quali sono create appunto, dall'assoluto, che ne è la ragion d'essere; e che la filosofia, se ha per oggetto l'assoluto, deve non solo sapere come l'assoluto genera le esistenze particolari e finite, ma deve in certo modo (d'une certaine façon»!) generarle essa stessa, perché, se non si vuol negare la scienza, bisogna ammettere «qu' il y a un point où la connaissance et l'être, la pensée et son objet coincident et se confondenti. Bisogna ammettere; ma è questo il punto: hoc opus! E il Vera si sente tanto poco di superate questo punto, che passa subito a intendere la creazione in un altro modo: nel senso cioè che la scienza, elevandosi all'assoluto e cogliendo la natura intima degli esseri, elle refait et dédouble en quelque sorte leur existence».  Sicché, «d'une certaine façon » prima, e «en quelque sorte » poi: e la creazione vera e propria «nell'unico senso del ter-mine» non si vede e non si tocca mai. Giacché, se c' è duplicità tra il processo dall'assoluto al relativo e il processo dalla conoscenza dello assoluto alla conoscenza del relativo, il due non è uno, e non solo si rinunzia alla creazione delle cose per tenersi soltanto alla cognizione delle cose, ma pare anche si abbia una certa voglia di tinunziare altresi a quell'unità del sapere e dell'essere, senza di cui pur s'intravvede non essere vero sapere.  Conchiusione innanzi alla quale si ritira sgomento il pensiero del nuovo hegeliano. Egli infatti, a questo punto, per garentire il carattere creativo della cognizione assoluta sottraendola a quell'ombra che sarebbe per lei quel doppio, contorce e trae a un significato improprio la dottrina hegeliana del rapporto della natura con lo spi-rito. La vera creazione, egli dice, non è quella che dal-l'assoluto va al particolare delle esistenze finite. Perché la natura, considerata in se stessa e indipendentemente dallo spirito, è un'esistenza morta, priva di coscienza e di pensiero, un aggregato di elementi e forze individuali e isolate, che non hanno in se stesse il loro legame, il loro principio e il loro fine; e lo spirito stesso ne' suoi gradi inferiori, per cui è a contatto della natura, in quella sua vita oscura e irriflessa in cui s'ignora e mescola e confonde tutto, e si lascia avvolgere nell'infinita varietà dei fenomeni e delle sensazioni, ha un'esistenza imperfetta, « che non risponde né all'idea della scienza, né a quella dell'assoluto». Ora questa imperfezione sparisce per opera della scienza, la quale « completa e rifa l'esistenza della natura e dello spirito, elevandoli, con la riflessione e col pensiero, fino al loro principio, dando loro la coscienza di se medesimi e ordinandoli secondo la ragione. 1.  Se non che, questo processo dall' imperfetto al perfetto, dalla natura allo spirito, e dai gradi inferiori di questo ai gradi superiori, in Hegel è, e non può essere altro che un processo ontologico, il processo dall'assoluto alla coscienza dell'assoluto, o dalla idea logica allo spirito as-soluto. Ma, per intendere qui la creatività di questa scienza che rifà, noi dovremmo ritornare sul processo stesso e ripercorrerlo, secondo la concezione del Vera. Chi gli garentisce che il secondo viaggio non sia inutile, e serva anch'esso a creare qualche cosa? Perché il processo gnoseologico creasse davvero, non dovrebbe rifare l'ontologico, mettendosi fuori di esso, come altro da esso, ma fare, semplicemente, continuando quell'identico processo; e la scienza non dovrebbe guardarsi indietro.  V. non ha quest'orientamento. Il suo assoluto è dietro le sue spalle; ed è necessario che egli si rivolti.Con la scienza si corregge il fatto e la realtà materiale, con una specie di creazione continua, « per cui l'assoluto entra più profondamente nella vita del mondo per imprimervi una impronta sempre più visibile di se stesso, e farlo sempre più a sua immagine». Egli è persuaso che « sans doute, l'absolu et le monde, l'idée et le fail, la pensée et sa réalisation matérielle demeureront fowjours distinels, et même, dans une certaine mesure, opposés » 1, L'Assoluto è prima del mondo, che deve rassomigliarvisi; deve e non può, pei limiti della materia, al di sopra della quale lo spirito si solleva, per riunirsi alla sua origine ideale.  E la vecchia posizione platonica.  L'essenza, inconoscibile nel Problème de la cer-titude, ora per definizione è conoscibile. E un progresso questo? Quella scepsi conteneva un bisogno e un'affer-mazione: quel bisogno e quell'affermazione che minavano da secoli l'universale astratto della filosofia greca, e che dopo Hume dovevano far nascere la critica di Kant: la realtà non si coglie con idee astratte; cento talleri si possono pensare benissimo senza che perciò esistano.  Che cosa manca loro? Cartesio aveva trovata la via: cogito ergo sum: un ergo che non è sillogismo, che non muove da idee, da quegli universali, in cui ancora V.  faceva consistere l'assoluto. E si domandava: se di ogni essere c'è un'idea corrispondente, ne segue che quella idea sia la sua essenza? O c'è, oltre l'idea, « un'esistenza più alta e più profonda di cui l'idea non sarebbe se non la forma, una forza di cui la natura intima ci sfugge, e che avrebbe la sua radice nell'essenza divina, o che, per dir meglio, non sarebbe altro che quest'essenza stessa?». Questa era la dottrina sua del 1845. - Ora la sua risposta suona il contrario; e la ragione che gliha fatto cangiare avviso è questa: che ove si ammetta un'essenza di là dall'idea, quest'altro quid non è pensabile se non per mezzo di idee. Ma la verità è che, non avendo egli prima approfondito, attraverso Kant (che non aveva letto), il significato della esigenza a cui obbediva il suo scetticismo, ora è di troppo facile contenta-tura; togliendosi per essenza appunto quello che come mera idea gli appariva una volta ben altra cosa dall'es-senza, e rinunziando di fatto all'essenza più preziosa, che allora desiderava. E che? dice ora per consolarsi, facendo il verso al Socrate di Platone: « quando studiamo l'anima, non tale anima in particolare, ma l'anima in generale noi vogliamo conoscere, né crediamo di possedere la scienza dell'anima se non quando possediamo cotesta conoscenza»*: come se con l'anima in generale ci fosse, o ci potesse essere un'anima! Giacché il destino curioso di questo hegelismo veriano, come del platonismo, è proprio questo: che queste idee che son tutto, poi non sono niente: e pel Vera rimangono come abbiamo visto assolute possibilità o virtualità.  Ma come con un tal concetto dell'idea, che non è Thathandlung dell' Io (per usare la gran parola di Fichte), ma termine esterno o eterno presupposto del pensiero, può egli ammettere una dialettica nel senso hegeliano?  Sorvoliamo sui rapporti che il Vera vede tra la dialettica di Hegel e quella di Platone; e tocchiamo brevissimamente del suo modo d' intendere la prima nell'Introduction e nelle opere posteriori. Qui è il centro del suo hegelismo.  In tutti i suoi seritti, se si paragonano a quell'articolo del 48, che abbiamo altra volta analizzato, non c'è pro-gresso, ma sempre un medesimo concetto che torna su se stesso, si rafferma sempre maggiormente e si ribadisce.  Li egli saltò il fosso, sembratogli già abisso invalicabile,affermando, come vedemmo, la posizione, innanzi al pensiero, non dei contrari singolarmente presi in astratto, ma della loro unità. Nella Introduction dice che, se i membri della contraddizione presi separatamente sono incompleti e falsi, si contraddicono in quanto sono in rapporto tra loro mediante un terzo termine, che « non è nessuno di essi presi sia separatamente sia congiunta-mente, ma è tutto insieme se stesso e i due termini che esso involgen 1, sicché « l'essere e il non-essere si trovano identici nel divenire n. Posti cosi l'essere e il non-essere, e in generale tesi e antitesi, non come momenti, ma come elementi della sintesi, ci può essere quel movimento soggettivo, che già illustrammo: ma oggettivamente c' è la sintesi, stabile e fissa, identica a se stessa. Dei tre termini, idea logica, natura e spirito, la realtà appartiene al terzo termine, che contiene nel suo seno fin dal principio gli altri due: e dentro lo spirito ogni triade non avendo mai una tesi, da cui sia da sviluppare un'anti-tesi, è come un fiume dipinto, la cui acqua non scorre.  Tutto il congegno del movimento è arrestato da un pensiero intuitivo che impietra l'oggetto suo.  Quasi tutti gli hegeliani s'erano travagliati e si travagliavano nell'intelligenza del dialettismo dell'idea hegeliana. Vedremo quali sforzi costasse questo punto a Bertrando Spaventa. A V., quand'ebbe pensato che essere e non essere fanno uno nel divenire, il passaggio dall'uno all'altro apparve cosi ovvio, così semplice, che nulla più (infatti era un passaggio che non passava!).  A proposito delle critiche del Janet: « Il fant voir », diceva tutto meravigliato, «dans quel dédale inestricable de rai-sonnements M. Janet s'engage à cet égard, sans se rendre compte ni du point de départ ni du point d'arrivée».era dimenticato, a quel che pare, del suo labirinto del  1845). L'essere, che è il termine più astratto, da cui il pensiero possa muovere, non è se non l'essere: e tutto ciò che si può dire di esso è, che esso è. E anche dicendo questo, non si rappresenta il suo concetto secondo verità;  perché il pronome e la terza persona vi aggiungono elementi e gli danno una forma che gli sono estranei, e appartengono a determinazioni ulteriori dell'idea. Peggio poi se vi s' introduce il concetto del vuoto, come ha fatto l'Erdmann, o pure il pensiero, come ha fatto Kuno  Fischera. Qui noi siamo nella sfera della scienza, e l'essere è colto dal pensiero tal quale è nel suo concetto.  L'essere è nel pensiero, è l'essere pensato, ma il pensiero, per coglierlo nel suo vero concetto, deve pensarlo qui come essere e non come pensiero, perché, pensandolo come essere pensato, vi aggiunge un elemento o una proprietà, che esso, in quanto essere, non ha. Con quest'aggiunta si facilita la dimostrazione, ma non si ha più la vera dimostrazione. L'essere non è altro che l'es-sere, l'essere assolutamente indeterminato, e però non si può dire neanche che esso è, e per ciò stesso non è, o è il non-essere. Ora l'essere che non è, o che è il non-  essere, è anche il non-essere che è, ossia è il divenire.  * E la dimostrazione più semplice, più diretta e più vera del passaggio dall'essere al non essere nella loro unità, il divenire »3. Dimostrazione, la cui ingenuità salta agli (Si —occhi; perché mentre si dice che all'essere non si deve aggiungere il pensiero, si fa divenire l'essere mettendoci dentro questo pensiero: che non si possa né anche dire che esso sia, - Nella introduzione alla Logica * (1859) aveva detto: « L'essere puro è l'essere, ma l'essere che non è se non l'essere, e che, per questo fatto che non è se non l'essere, richiama il non-essere, o il non-essere dell'essere, o, se si vuole, ciò che l'essere non e.... In altri termini, i due concetti di essere e non-essere sono inse-parabili: dato l'uno, è dato anche l'altro, e quel che è uno, è l'altro. Formano, per conseguenza, un solo e stesso concetto, e questo concetto è il divenire ». Dove di chiaro non c'è se non l'unità del divenire; ma quell'essere che si tira dietro il non-essere, anch'esso, come l'altro di prima, non può farlo se non aiutato dal pensiero, che lo mette in rapporto con quel che esso non è. - In una nota al § 87 della Logica in altra forma ripete lo stesso.  « L'essere che non è se non l'essere, è l'essere assolutamente indeterminato, e per quanto è permesso di far intervenire qui la possibilità e la cosa, si potrebbe dire che esso è la possibilità assoluta di tutte le cose, ma che non è nessuna cosa, non è niente; e che quindi è il niente, il non-essere », Se non che qui ha un vago sentore di certe difficoltà; ma non le affisa di fronte, e se ne lascia sfuggire tutto il valore. In primo luogo egli si obbietta: Altro è dire che l'essere non è niente, altro dire che è il niente.  Cioè la prima volta si nega dell'essere ogni determinazione; la seconda lo stesso essere indeterminato. Ma il Vera non intende la cosa con tutto questo rigore, perché risponde che « qui si tratta del niente assolutamente astratto, o, se si vuole, del niente assoluto; di guisa che dire l'es-sere non è niente, torna lo stesso che dire: l'essere è niente o il niente. Il che non è vero, evidentemente. L'assolu-  tamente astratto, il niente, di cui si parla qui, è il non -  determinato, non già il non-indetermi-nato!. - In secondo luogo: questo niente, questa negazione prima e assolutamente astratta non  Viene qui  ad aggiungersi all'essere, dal di fuori? - E anche qui una risposta insufficiente: « Il niente non è se non il niente dell'essere: il non essere. E l'essere che si nega egli stesso ».  La risposta può avere un significato solo a un patto: che s'intenda il non-essere come non-essere dell'essere, in quanto il concetto dell'essere non può prescindere (come fu detto nell' Introduction) dal concetto del non-  essere; e che cioè il divenire è prima dell'essere e del non-essere. L'essere, insisteva contro il Trendelen-burg, passa nel non-essere perché non è altro che essere, per la sua assoluta indeterminatezza e astrattezza: e nella massima astrattezza dell'essere e della sua negazione sta la difficoltà del passaggio. « Via via che si procede nell'evoluzione dell'idea, si coglie più facilmente il passaggio reciproco dei termini, perché si hanno termini più concreti, come lo stesso e l'altro, l'uno e il più, la causa e l'effetto, ecc., tra i quali si trova più facilmente un rapporto, laddove al principio non si ha se non l'essere ».  Questa è certamente la via da battere per afferrare il senso segreto della dialettica hegeliana: la quale, ormai è chiaro, malgrado le proteste dei semplicisti alla maniera del Vera 3, non pervenne in Hegel alla chiaracoscienza della propria natura, come è dimostrato dal ginepraio, in cui si son trovati involti i suoi seguaci. Ma quella è una via che non spunta, o meglio riconduce alla vecchia filosofia da cui si crede di allontanarsi, se non si bada bene a considerare che non è via già bella e fatta innanzi al pensiero, e che al pensiero non resti se non di percorrere, ma è la via del pensiero, la via che esso si apre e che prolunga in eterno. Essere e non-essere sono identici (e differenti) nel divenire; ma il divenire non è niente più dell'essere che si pretende di superare, se esso stesso rimane di fronte al pensiero, e non è appunto esso il pensiero che ha negato l'essere. Perché il divenire non ha da essere giustapposizione de due momenti, ma compenetrazione e unità intima: la quale non è cosa, ma atto: non è termine di pensiero, ma pensiero; non è punto a cui il pensiero pervenga e da cui poi debba muovere, ma lo stesso movimento del pensiero; non è limite, ma posizione di limite, e opera dell' illimitato. Se il divenire si vuol concepire come l'organismo, di cui essere e non-es-sere siano le membra indivisibili, ebbene, si badi che l'organismo non è il corpo che la vita debba investire o con cui debba accoppiarsi: l'organismo in tale astrattezza esanime non vale né più né meno di un membro avulso dal resto: è la morte. L'organismo è organizzazione continua e attualità, è anima, che crea gli organi. E così il divenire, se dev'essere la risoluzione vera degli opposti, dev'essere pure l'energia creatrice di essi: cioè, come di-  cevo, il pensiero.Non basta perciò dire rapporto, anteriore ai termini: bisogna concepire questo rapporto come rapporto vivo.  E dalla logica movendo, come fa il Vera, per la natura allo spirito, non basta dire, com'egli dice, coerentemente alla sua intuizione del mondo hegeliano che a c'est l'esprit lui-même, ou l'idée en tant qu'esprit, qui pose la logique et la nature»t; e che «la pensée (= l'esprit) est l' idée active et creatrice»; e che questa attività non è l'activité qui crée accidentellement, ni l'activité qui crée hors d'elle-même un monde antre qu'elle-même, mais L'activité qui crée au dedans d'elle-même, qui crée un monde qui n'est pas autre qu'elle-même, mais l'autre d'elle-même, si l'on peut ainsi s'exprimer, et qui crée pour être elle-même, c'est-á-dire pour être dans la plénitude de sa nature et de sa réalité»: bisogna che questo non sia soltanto il pensiero in sé, il pensiero che pensa se stesso, di cui parla Aristotele, il pensiero divino: ma appunto il nostro stesso pensiero, tanto più divino quanto più nostro, colto nella realtà massima della nostra intima soggettività e indivi-dualità, dove più vibra l'attualità del mondo. E perché questo pensiero sia davvero il pensiero vivo, esso appunto bisogna che divenga, e si muova, e viva insomma, e vibri, e in esso vibri il mondo: e che non rappresenti il termine fisso d'ogni desio, la morta gora ove precipiti ogni acqua corrente dell'universo. Che se col Vera si dice  "tout devient hormis la pensée, et tout devient parce qu' il n'est pas la pensée, et pour devenir pensée, el exister en tant que pensée»3, questo pensiero diventa qualche cosa di trascendente il pensiero storico e il mondo, e però assolutamente trascendente; e quindi il suo stesso processo ideale (posizione e negazione del logo e della naturaper la posizione di se medesimo) diventa tutto un processo trascendente, come la processione dello spirito nella teologia cristiana; e tutto l' immanentismo di Hegel sfuma, e la sua dialettica s'irrigidisce nel mondo ideale, di là da ogni reale accadimento, e concepito ancora una volta, alla maniera del vecchio Platone, come natura (ancorché ideale) e non più come spirito. Il Vera vi dirà in tanti modi diversi, perché messo sull'avviso da tante esigenze interne dell' hegelismo, che «ce qui devient n'est pas étranger à la pensée» e che « il faut même dire que c'est la pensée qui pose son devenir, et que, s' il devient, c'est précisément que la pensée est en lui». Ma distinguerà allora tra pensiero in potenza e pensiero in attor e il pensiero immanente nel mondo lo portà come pensiero virtuale («sculement la pensée n'est en lui que virtuellements).  Tal quale è concepito il pensiero da Aristotele. « Tout se ment en vue de la pensée, et tout est má par la pensée». Il pensiero è il motore immoto. Perché il pensiero « atto assoluto» è unità d'intelligenza e intelligibile, come totalità dell'idea una e sistematica.  Due, dunque, i difetti capitalissimi di questa dialet-tica, a cui si solleva V.: 1) che il pensiero, e nel pensiero tutto il processo del reale nelle sue forme ideali o intelligibili che aristotelicamente il Vera è costretto a inchiudere nel pensiero stesso, è un pensiero trascendente, il cui processo pertanto è egualmente trascendente;  2) che, come trascendente, cotesto processo è un processo ideale senza essere un processo reale; non è un vero processo. Due difetti che sono un solo: la negazione pura e semplice della dialettica hegeliana, sfuggita dal mondo, di sopra alla testa del filosofo.38. - Situazione disperante per una filosofia che avesse mirato alla comprensione della realtà determinata, attuale, storica, del sistema, insomma, in cui è il soggetto artefice della filosofia, anzi dello stesso mondo nel sistema di esso soggetto; ma il più comodo dei piani inclinati in cui potesse scivolare un temperamento mistico, portato perciò stesso alla negazione di ogni determinatezza e della propria concreta individualità. E allora s' intende da una parte il vuoto di tutte le discussioni di Augusto  Vera intorno ai problemi storici e concreti: esempi solenni le sue lezioni di filosofia della storia, uno dei libri più flosci e vacui, che si siano mai pubblicati, pur essendovi gettati dentro, come in un sacco, taluni dei più forti pensieri che siano stati mai pensati, ma tolti dal sistema e dall'anima che li regge nella mente poderosa di Hegel; nonché quella lunga filatessa che reca il titolo di Cavour e libera Chiesa in libero Stato, con annessa prefazione, apparsa la prima volta nella traduzione francese, la più strana discussione che si possa immagi-nare: rivolta a combattere il pensiero d'un uomo e un uomo e un sistema e tutta la storia d'un popolo, il tutto speculato dentro una formola (libera Chiesa ecc.), quando il più elementare buon senso richiedeva che si  cercasse  com'era nata quella formula, nel pensiero dell'uomo, nelle circostanze e dottrine che all'uomo l'avevan sug-gerita, e quali problemi, dentro quali limiti, essa mirava a risolvere, e insomma quale ne era il proprio e genuino e determinato significato. Perché egli è chiaro che l'intelligenza del Vera era la più antistorica e antibegeliana che ci potesse essere. E s'intende d'altra parte il segreto motivo della preminente importanza da lui attribuita alla questione religiosa e quel suo perpetuo bisogno di rifarsi da essa, quantunque la filosofia che aveva alle mani non gli desse modo di ottenerne una soluzione per lui molto soddisfacente.Egli è che al Vera, come a tutti i mistici, il mondo restava scisso in due mondi: uno dei quali non era il suo, e (ahimé!) era tutto. In fondo alla lunga introduzione premessa al primo volume della Filosofia della religione, dopo centocinquanta pagine di schiarimenti, sentiva che gli si sarebbe potuto opporre: - Voi dite che il pensiero è l'assoluto, e che come tale è il principio supremo e ge-neratore delle cose. Sicché, tutte le cose saranno pensieri.  Intanto, riconoscete anche voi che c'è qualche altra cosa oltre i pensieri, poiché parlate di rappresentazione, fenomeno, natura e spirito finito. Questa qualche altra cosa, avrà essa un altro principio? E com' è che l'asso-luto non basta a se stesso? E come conciliate l'idea o il pensiero con la storia? « La storia è moto, sviluppo, trasformazione, laddove l'idea, il pensiero, l'assoluto è l'assoluto precisamente perché esclude ogni trasformazione ogni cangiamento, ogni divenire. Infine voi dite che l'idea è insieme forma e contenuto. E sta bene. Ma l'idea sarà sempre un contenuto ideale, laddove il contenuto che la storia sviluppa e aggiunge incessantemente a se stessa è un contenuto sensibile, fenomenico, reale. Cosi ci sono  due mondi....». Obbiezioni che colpivano in pieno petto.  Ebbene, risponde il Vera, noi in parte abbiamo risposto  a queste obbiezioni; ma le ripiglieremo e le esamineremo nei volumi seguenti, che trattano più specialmente delle questioni a cui queste obbiezioni si riferiscono, e che si possono in generale designare come il problema storico. - Ma nel secondo volume il problema è appena accennato; gli altri volumi non vennero più; e li dove il problema è accennato, la soluzione non è una soluzione, e lascia intatto il problema.  Nous disons que si l'absolu est le devenir, il n'y a ni histoire ni absolu, si l'histoire n'est pas un moment de l'absolu lui-même.  Par consequent notre thèse est que l'histoire est un moment de l'absolu, mais qu'elle n'est qu'un moment, et qu'ainsi pendant que d'un côté, l'absolu crée et engendre l'histoire, et qu'il est lui-même dans la création et l'histoire, il s'élève, de l'autre, au-dessus de l'histoire, la nie, il est la negativité absolue......  Dove l'unico senso possibile è quello aristotelico già indicato, che è in realtà la negazione della storia: per cui cioe l'atto assoluto del pensiero è di là dalla storia.  E però ogni volta che risorgeva questo problema storico, che il Vera pur sapeva essere il segreto dell' hegelismo, era un tormento pel suo povero cervello, rimasto in pre-senza di quel Dio pronto, peggio che Saturno, a divo-rate le sue creature.  Suo vero problema non era quello storico, bensi il religioso. Il suo hegelismo era cominciato, come s'e visto, con uno studio sulla Filosofia della religione di Hegel, quando non gli pareva possibile concepire altri-menti lo Stato che subordinato al divino della religione professata nella Chiesa 3, E quando con la Filosofia dello spirito ebbe condotta a termine la versione dell' Enci-clopedia, le ultime pagine di questa Filosofia lo ricon-dussero a meditare il problema religioso secondo la filo-sofia hegeliana. E allora scrisse il Cavour, lo Strauss, e la prefazione all'edizione francese del Cavour; e si accinse a lavorare attorno alla Filosofia della religione di Hegel, che, pubblicandone il primo volume, annunziava di voler accompagnare de plusieures introductions. Poiché qui si imbatteva in un arduo pro-blema: in cui egli disse di veder chiaro, ma di cui parlò tanto da dimostrare che non ci vedeva poi tutta quellachiarezza che diceva: il problema dei rapporti tra religione e filosofia: «un des problèmes les plus difficiles », come protesto una volta con tutta franchezza, « peut-être même le problème le plus difficile que l'intelligence trouve devant elle, ou, pour mieux dire, en elle-même et dans les profondeurs de sa nature ».  La soluzione hegeliana, infatti, si presenta tutt'altro che facile. Dire che la religione e la filosofia hanno lo stesso contenuto (conoscenza dell'assoluto) ma in una forma diversa (conoscendo l'una per rappresentazioni, miti, simboli, e l'altra per concetti) è porre anzi che risolvere un problema per una filosofia che non concepisce forma separabile dal contenuto, e non può porre perciò un contenuto in due forme. Questo bensi non è un problema speciale in seno allo hegelismo: ma sempre quello stesso problema che s'incontra già sulla soglia, dell'unità di identità e differenza implicita nel concetto del dive-nire. La forma della religione hegeliana non è una veste soggettiva, onde nell'anima degl' ignoranti si rivesta Iddio: è una forma dello stesso Dio. Il Dio dello spirito assoluto, che è religione, diviene il Dio dello spirito assoluto che è filosofia. Il rapporto tra religione e filosofia è il rapporto tra questi due momenti di Dio o dello spirito assoluto. Come si passa da un momento all'altro ?  O, in generale, come si passa? Ecco il problema. E il povero Vera che non era venuto a capo di questo pro-blema, se lo ritrovava avanti in fondo all'Enciclopedia; e per pronto che fosse a sobbarcarsi a svelare altrui l'enigma, badava a ripetere: « Sans donte, déterminer, saisir l'idée de la religion, et la saisir à la fois en elle-même, et dans son rapport avec l'idée de la philosophie, c'est le problème le plus ardu peut-être qui s'ofre à notre intelligence». E dopo le molte pagine spese attorno a questa difficoltà nel primo volume della Filosofia della religione, passandosi una mano sul petto, confessava:C'est celle difficulté que je me suis appliqué à lever....  L'ai-je complètement levée? Eh non! je le sais». Gli si affacciava alla mente, a confortarlo, quella bella e comoda idea che non si può ai non-hegeliani togliere le difficoltà di Hegel. E accennava anche ciò; ma soggiungeva subito con una osservazione che è una rivelazione intima: « On peut même dire qu'il est impossible de la lever [cette diffi-culté] complètement dans un livre. Un livre est toujours une ouvre imparfaite. C'est plus ou moins la lettre, ce n'est pas l'esprit. Un livre a toujours besoin d'être complété et vivifié.... 1. Osservazione, che è forse anche una reminiscenza dell'immortale discorso di Socrate nel Fedros ma è pure la sincera confessione del personal sentimento dello autore analogo a quello del poeta:  Ahi, fu una nota del poema eterno  Quel ch'io sentiva, e picciol verso or e:  quel sentimento appunto del mistico che non vede proporzione tra il picciol verso e il poema eterno, e questo gli suona dentro come ineffabile; e se gli apparisce sotto forma di problema, è un problema senza soluzione. Se la filosofia, infatti, è pensiero assoluto, se questo è di là dal divenire, qual uomo mortale che ad ora ad ora viene imparando a meglio pensare avrà la tracotanza di pre-tendersi in possesso di quel sistema dentro il quale sarebbe la soluzione? Ora è chiaro che in questa situazione di spirito la filosofia, in quanto filosofia negativa o dimostrazione dell'impossibilità di raggiungere l'assoluta cono-scenza, non può menare ad altra soluzione del problema religioso che a quella direttamente opposta professata da Hegel. Di tale soluzione, non occorre dirlo, il Vera non farà mai esplicita asserzione, non essendo tale il suo atteggiamento mentale verso la dottrina di Hegelda permettergli di questi aperti dissensi; ma non perciò essa sarà meno la base di tutti i suoi ragionamenti intorno alla questione religiosa, e il centro della sua vita spirituale.  Particolarmente significativa in questo proposito l'ultima lettera da lui scritta al suo diletto Mariano, prima di morire:  Se al vostro ritorno [gli scriveva] la Parca fatale avrà troncato il filo della mia vita, io me ne sarò andato col dolce pensiero che la mia immagine, e piú della mia immagine, il mio insegnamento mai non si cancellerà dalla vostra memoria. Perché credo che il mio insegnamento sia la vera e genuina esposizione della dottrina hegeliana. E la filosofia hegeliana è la sola e vera filosofia; e lo è anzitutto, perché è essenzialmente reli-giosa, e religiosa nel senso profondo della dottrina cristiana.  Ed è questo tratto saliente che la distingue da tutte le altre filosofie, che a lei mi attiro sin dai primi passi della mia carriera filosofica, come ne fa fede uno scritto pubblicato, se ben ricordo,  nella Liberté de penser. Ed anche il Cavour non ha altra origine. Perché io sono, e sono sempre stato, e per indole e per riflessione, un uomo religioso. E la religione io ho sempre considerata come uno dei più alti privilegi della natura nostra. Senza di essa l'uomo è un essere degradato e miserabile. E la dottrina hegeliana insegna ad amare ed adorare Iddio col cuore e con la mente, due cose che in una anima bene equilibrata non si esclu-dono, anzi si compiono a vicenda. E da questa via, caro Mariano, non vi scostate. Solo in essa troverete e conforto e la forza per traversare questa vita si ripiena di disinganni e di amarezze.  Perché Iddio é il sommo e il solo bene, onde, vivendo col cuore e con la mente e con tutto l'esser nostro con lui e in lui, diventiamo partecipi delle sue eterne ed immortali perfezioni 3.  Ora la filosofia hegeliana è sì una filosofia essenzialmente religiosa, ma appunto in quanto risolve in sé la religione, ed è religione: si concepisce come la rivela-zione, anzi realizzazione di Dio; e nella unità sua di sapere e saputo, concepisce tutto il suo mondo, in tutti isuoi gradi, come rivelazione o realizzazione di Dio: onde, mediando Dio, supera l'immediatezza propria della religione come tale (insufficiente coscienza che lo spirito, secondo la dottrina hegeliana, avrebbe della propria natura, e però del reale assoluto), e non lascia posto per lei, in quanto religione pura (in quanto non fi-losofia) in nessuna parte del suo mondo. Il mondo hegeliano, d'altra parte, non è soltanto il mondo della filosofia, in cui tutti i gradi anteriori siano già risoluti.  Una tale filosofia sarebbe astratta e trascendente. La sua concretezza importa, quel che il Vera non poté vedere, il suo eterno divenire, ossia l'eterno risolversi degli altri gradi in questo grado supremo del processo dialettico della realtà. Di guisa che la filosofia hegeliana è portata a concepire tutto ciò che non è filosofia e la stessa religione come momento necessario di se medesima: e in questo senso, a concepire razionale tutto il reale. La religione come tale è conservata dallo hegelismo, ma dichiarata momento della filosofia, e quindi subordinata, nella filo-sofia, a questa. Sit viva, dum non sit diva. Pertanto il filosofo hegeliano: 1) ha la sua religione nella sua filosofia;  2) riconosce che ognuno, di qua dallo hegelismo, ha la propria religione nella sua filosofia, o la filosofia nella propria religione.  Le questioni adunque in cui si travagliò il Vera, se nella vita delle nazioni ci sia nulla che possa sostituire la religione (ed egli era d'avviso che non ci fosse nulla, né la scienza, né la filosofia) *: se la Chiesa debba essere subordinata allo Stato, o lo Stato alla Chiesa, o se debbano separarsi (ed egli inclinava alla seconda ipotesi, benché non sapesse poi concepire il come della subordi-nazione, né determinare la Chiesa a cui lo Stato si sarebbedovuto subordinare) *; queste e simili questioni sono questioni suscettibili, nello hegelismo, di una sola solu-zione, che è quella derivante dal concetto filosofico hegeliano della manifestazione mediata di Dio in tutto il reale e in sommo grado nella filosofia; ma anche di infinite soluzioni per tutti coloro, che non essendo hegeliani aspirano soltanto, secondo l'hegelismo, a esser tali, quantunque non lo sappiano. Ma è pur chiaro che se la verità dell' hegelismo deve valere per lui come la sola verità, egli non potrà non combattere le soluzioni diverse dalla sua, ossia tutte le altre filosofie in quanto vogliano passare per filosofia, e dominare. Il filosofo hegeliano non solo rispetterà tutte le credenze religiose, ma avrà interesse ad alimentarle come quel terreno da cui soltanto essa potrà germogliare; così come entra negli interessi dello spirito, secondo la sua filosofia, la cura della salute fisica.  Le soluzioni del Vera erano invece non per il dominio od autonomia della filosofia e di tutte le forme spirituali che entrano nel mondo della filosofia, ma per la soggezione di tutto alla religione: come di chi non ha la propria religione nella filosofia, ma la propria filosofia nella religione. Egli, insomma, per usare il linguaggio hegeliano, non si sollevò mai veramente dalla sfera della rappresentazione a quella del concetto nello spirito assoluto.  4I. - Non si poteva sollevare, pel suo radicale misti-  cismo. Al quale non mi pare contrasti la tesi presa a sostenere nella Introduction contro l'immortalità dell'anima:  onde la sua autorità d'interprete consumato dello hege-lismo era opposta poi alla Florenzi Waddington, solatra gli hegeliani d'Italia a propugnare il concetto dell'immortalità dell'anima. Giacché non è vero quello che Kant e tutti i filosofi della religione naturale sosten-gono, che la credenza nella immortalità sia un principio essenziale dello spirito religioso. Che anzi la più profonda radice della religione, nel senso più stretto del misticismo, è riposta nel senso della vanità e nullità dell'individuo, nella nichiltade cantata così fervidamente da Jacopone, nell'aspirazione al nirvana bud-distico, nell'affermazione della divinità sola; e non si capisce l'anima immortale se non si concepisce la sostanzialità assoluta dell'io individuale, senza riconoscere l'infinito nello stesso finito e insomma superare, come fa il cristianesimo, l'astrattezza della religione imme-diata. Che anzi nella incertezza del Vera nella Intro-duction circa l'interpretazione di questo punto di dottrina in conseguenza dei principii hegeliani=, la sua pro-pensione verso la tesi negativa non credo si possa altrimenti spiegare che con la sua tendenza generale a negare il finito nell'infinito, e il pensiero dell'uomo e lo spirito individuale nel divino. Alla stessa tendenza riporterei anche l'interesse da lui posto nella questione dell'abolizione della pena di morte, che a lui non si presentava tanto, come ad Hegel, come una conseguenza ferrea della dialettica della legge, che non si può volere disvolendola, e da accettare virilmente come il taglio del chirurgo che arreca la vita, quanto una delle parti più belle e più sante della filosofia della morte: poiché gli piacque considerarla più come un diritto dello Stato sull'individuo colpevole che come un logico momento del diritto, in cui si realizza la vita dello Stato insieme e dello stesso individuo, che ne è parte. E però ricondusse la legittimità della pena di morte a una questione più generale: della razionalità della morte inflitta dallo Stato; passando quindi a quella del diritto che lo Stato ha di far guerra. E scioglieva appassionati inni alla guerra, che fa sentire ai popoli quel che valgono e quel che possono operare, dà loro la coscienza dei propri diritti, sveglia tutte le energie dello spirito, è stromento di civiltà e di progresso: alla guerra, dove l'uomo non muore per sé, ma per la patria e per l'umanità, e la morte adempie a un più alto ufficio e raggiunge più alti fini della semplice morte naturale: poiché in essaL'individuo si sacrifica non ai fini naturali della specie, sì a quelli morali della civiltà. E in generale, sempre, « la morte è un bene, ora per l'individuo, ora per l'uma-nità; per l'individuo anche se tutto egli perisce con la morte: perché se la morte lo colpisce nella vecchiaia, lo colpisce quando la sua vita non ha più pregio né per lui né per gli altri; e se lo coglie nel vigor degli anni, essa lo eleva nello stesso istante al più alto grado della libertà e dell'amore. Ma sopra tutto per l'umanità la morte è un bene, sempre un bene. Infatti, la gioventù, la bellezza, la potenza, l'espansione dello Spirito suppongono la morte: dell'individuo, come dei popoli: giacché lo Spirito non si conserva, non si rafforza, non cresce che per la morte. L'individuo, per potenti che siano le sue facoltà, è uno spirito limitato pel solo fatto che vive in organi limitati; ond'è che, dopo aver con-tribuito, per la sua parte, allo svolgimento e alla vita dello Spirito, non pure ei diviene un ostacolo a nuovi svolgimenti, ma s'abbandona egli stesso, se può dirsi cosi: ciò che v' ha di profondo e di eterno nel suo pensiero gli sfugge, e cade come colpito d'atonia e d'impotenza.  E quel che è vero per l'individuo, è vero altresi per i popoli. Cosi la Grecia e Roma, dopo aver elevato il mondo antico alla più alta civiltà, diventano un ostacolo alla civiltà nuova. - Bisogna dunque che la morte, affrancando lo Spirito dai lacci della Natura, gli permetta di vivere una vita sempre giovane e sempre nuova, e d'in-nestare sull'antico lo spirito nuovo. Cosi si spiega perché l'individuo cresce dopo la morte nella coscienza dell'u-manità, e perché la morte è considerata come la consacrazione dell'amore e il segno della riconciliazione dello spirito. E infatti come la pace, che viene dopo la guerra e la termina, la pace che è il risultato dell'esercizio di tutte le potenze della vita, val meglio, checché se ne dica, di quella pace artificiale che snerva e ammollisce il corpoe l'anima; così la morte, liberando lo spirito dalle sue pastoie, fa brillare la verità eterna di cui egli era l'organo d'un più vivo splendore, la rende più visibile agli altri spiriti, la propaga e la fortifica con la loro adesione e trionfa così della natura » 1.  Quest'argomento faceva il Vera eloquente, come corda che risuonava dal profondo del suo animo. E altrove, cantando l'amore, a mo' di Platone, come l'aspirazione allo Assoluto o filosofia, si riscaldava all' ispirazione leo-pardiana di Amore e morte, facendo della morte « il segno, la consacrazione e il trionfo dell'amore.:. E nella morte inflitta dallo Stato, vindice dell'eterna giustizia dello Spirito, egli vedeva pertanto l'olocausto dell'individuo sull'altare dello Spirito: poiché nell'individuo vedeva, come testé ci ha detto, l'organo dello Spirito, ma non lo Spirito stesso, che come tale non è individualità finita.  43. - Non era questa l'interpretazione della filosofia hegeliana, che potesse concorrere al progresso del pensiero speculativo. Ma è indubitabile che essa pure traeva  alimento da uno di quei forti amori dell'eterno e del divino, senza i quali lo spirito umano non sarebbe a volta a volta distratto dagl' interessi mondani e spinto alla ricerca filosofica. E per questo verso il Vera fu uno degli scrittori più vigorosi, più sinceri, più alacri che ci siano stati in Italia negli ultimi tempi; e non possiamo passare innanzi a lui senza inchinarci.  Il suo fu un vano sforzo di impadronirsi di quell'ideale di sistema, unità di religione e di filosofia, che Hegel gli fece balenare alla mente: vano sopra tutto per mancato orientamento nella storia della filosofia, dacui l' hegelismo aveva con stretta possente voluto spremere il succo vitale. Perciò una costante meditazione di trent'anni non valse a fargli superare definitivamente il punto di vista, da cui  nelle sue tesi di dottorato aveva cominciato a combattere Hegel. Nell'ultimo suo scritto Dio secondo Platone, Aristotele ed Hegel sentiva egli stesso di « tornare ai primi e quindi vecchi amori, poiché l'argomento» che vi esaminava « non differisce in fondo da quello trattato nell'opuscolo Platonis, Aristotelis el Hegeli de medio termino doctrina», e prendeva di nuovo a studiarlo e svolgendo ed allargando la prima tratta-zione, chiarendone e correggendone alcuni punti, e in tal senso compiendola». Ma le correzioni non toccavano, in verità, la sostanza delle sue giovanili speculazioni.  Poiché egli ancora, come nel 1845, toglieva a difendere la tesi che la filosofia muove da una fede; dalla fede dell'intelligenza in se stessa; dalla fede nella conoscenza; nella conoscenza della verità; cioè dell'Assoluto o di Dio:  dalla fede dell' Efesio ady pi huntoy auniatow oin  EfEupnGEL, aveEepeivntoy Eoy xoi aopov. E se ora bensi  diceva, che questa fede è l'alfa della scienza e la sola possibilità di essa, la scienza, pur troppo, non seguiva.  Lo scritto, condotto innanzi fino al punto in cui ancora una volta il filosofo stanco si ritrovava innanzi al problema della differenza tra religione e filosofia, si arre-  stava, troncato dalla morte.Augusto Vera. Vera. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Vera” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Vercellone: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del bello e l’estetico – filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Torino). Essentail Italian philosopher. Filosofo italiano. La sua filosofia si svolge inizialmente intorno all’ermeneutica e il concetto di ‘classico’ – as in English ‘classy’, in Loeb’s classy library --. Anche il nichilismo: la sua “Introduzione al nichilismo” edito da Laterza.  Continuando a muoversi intorno al rapporto tra estetica ed ermeneutica, il suo percorso filosofico verte in seguito su ambiti decisivi:  il rapporto tra temporalità storica e coscienza estetica, la dispersione dell'estetico; il problema del ‘pulcer’ (‘il bello’) (“Oltre il bello” – Castiglioncello, Bologna, Il Mulino); e il concetto di ‘immagine’. Soprattutto quest'ultima linea occupa le sue ricerche orientate sull'idea di un radicamento estetico. Insengna a Torino. Direttore del centro inter-universitario inter-dipartimentale di ricerca sulla morfologia dell’Udine. Presidente dell’Associazione italiana degli studiosi d’stetica. Vice-Presidente della Società italiana d’estetica. Collabora con La Stampa. Altre saggi: “Identità dell' ‘antico’ – (drawing from the antique”) – il concetto di  ‘classico’” (Torino, Rosenberg e Sellier); “Apparenza e interpretazione” (Milano, Guerini e Associati);  “Pervasività dell’arte: ermeneutica ed estetizzazione” del mondo della vita” (Milano, Guerini); “Nature del tempo. Novalis e la forma poetica del romanticismo tedesco” (Milano, Guerini); “Estetica”, Bologna, Il Mulino); “Storia dell’estetica” (Bologna, Il Mulino); “Morfologie del moderno” (Genova, Il Melangolo); “Lineamenti di storia dell’estetica. La filosofia dell’arte” (Bologna, Il Mulino); “Pensare per immagini: tra scienza e arte” (Milano, Mondadori); “Le ragioni della forma” (Milano-Udine, Mimesis); “Dopo la morte dell'arte” (Bologna, Il Mulino); “Il futuro dell'immagine” (Bologna, Il Mulino); “Simboli della fine”  (Bologna, Mulino); “Morte dell'arte e rinascita dell'immagine: saggi in onore di V.” (Roma, Aracne); Perniola, “Estetica italiana” (Bompiani; D’Angelo); “L’estetica italiana” (Laterza); Franzini, Immagini del moderno, in Bertinetto, Garelli, Morte dell'arte e rinascita dell'immagine. Saggi in suo onore, Roma, Aracne.  Vattimo, L'arte è morta, anzi no: è "dopo", Repubblica, Bertinetto, Garelli, Morte dell'arte e rinascita dell'immagine. Saggi in onore di V. Belpoliti, “Tra bello e brutto non c'è più differenza” La Stampa, Bodei, “Là dove rinasce il bello” Il Sole 24 Ore, Bodei, Salto nel vuoto dell'immagine, Il Sole 24 Ore, Mattazzi, Aprire lo sguardo. Stili della visione in grado di agire sul reale, Il Manifesto; Vallora, Nelle torri di Kiefer per trovare un senso in mezzo alle rovine, La Stampa, Università degli Studi di Torino.  La filologia, il tragico, lo spazio letterario. Per una rilettura del giovane Nietzsche, in «Rivista di estetica», Oriente e ornamento nell'estetica di Hegel, in «Rivista di Estetica«, L'Oriente romantico, in «Rivista di estetica», 1Scheda di "The British Journal of Aesthetics", vol. 21, n.2, primavera 1981, in "Rivista di Estetica", Scheda di "The British Journal of Aesthetics", vol. 21, n.3, estate 1981, in "Rivista di Estetica", Scheda di "Revue d'Esthétique", Musique présente, in "Rivista di Estetica", Scheda di "The British Journal of Aesthetics", "Rivista di Estetica", Scheda di "Revista de estética","Rivista di Estetica", Dal simbolo alla scrittura. Friedrich Creuzer, in «Rivista di estetica», La riappropriazione del senso e l'opacità della lettera. Modelli della comprensione storica, in "Rivista di Estetica", Cura della sezione dedicata a L'Ottocento di AA.VV., Il pensiero ermeneutico, Scheda di "Revue d'Esthétique", n.8, 4, 1985, in "Rivista di Estetica", Scheda di "Zeitschrift für Asthetik und allgemeine Kunstwissenschaft "Rivista di Estetica",Scheda di "Revue d'Esthétique", n. 12, 1986, in "Rivista di Estetica", Al di là della lettera. Lo studio dell'antichità nel pensiero di Ast, in M. Ravera, F.  Vercellone, T. Griffero, Estetica ed ermeneutica, Palermo, Aesthetica.  16) Scheda di "Zeitschrift für Asthetik und allgemeine Kunstwissenschaft "Rivista di Estetica", Identità dell'antico . L'idea del classico nella cultura tedesca del primo Ottocento, Torino, Rosenberg. L'estetica moderna. Percorsi bibliografici, in S. Givone, Storia dell'estetica, Roma- Bari, Laterza.  Per una storia del circolo ermeneutico in : AA. VV., Ciò che l'autore non sa, Milano, Guerini.  Apparenza e interpretazione, Milano, Guerini. Con Gianni Carchia, Premessa a Romanticismo e poesia, in "Rivista di Estetica", Scheda di "The Journal of Aesthetics and Art Criticism", 'Rivista di Estetica", Sublime e memoria. A partire dal giovane Nietzsche, in Dicibilità del sublime, a cura di T. Kemeny e E. Cotta Ramusino, Udine, Campanotto. Pervasività dell'arte, Milano, Guerini. Aparencia y desencanto. Nihilismo y hermenéutica en la Frühromantik, in «Revista de Occidente», Scheda di "The British Journal of Aesthetics", vol. 27, n. 1,inverno 1987, in "Rivista di Estetica", rasa a della di resenca, Mila D, a Rimanik a Niezsche, in Teatro   Heidegger e Bäumler interpreti di Nietzsche, in «Immediati dintorni».  Introduzione al nichilismo, Roma-Bari, Laterza. Allegoria del contesto. Note su ermeneutica e modernità, in Oltre la linea dell'avanguardia, a cura di E. Calvi, Milano, Guerini. Forma ed estetismo nella Torino di Gobetti e di Lionello Venturi, in Alberto Sartoris. Novanta gioielli, a cura di A. Abriani e J. Gubler, Milano, Mazzotta. L'utopia del visibile. Note sull'ermeneutica dell'immagine a partire dalla 'Romantik', in «aut aut», Introduzione a W. H. Wackenroder, Scritti di poesia e di estetica, Torino, Bollati Boringhieri. Anmerkungen zur Romantik, Hermeneutik, Nihilismus, in H.M.Baumgartner und W. Jacobs (a cura di) Philosophie der Subjektivität? Zur Bestimmung der neuzeitlichen Philosophierens, Stuttgart, Fromman-Holzboog.  Autocoscienza, immaginazione e temporalità nelle Fichte-Studien di Novalis, in «Annuario filosofico», Milano, Mursia. Estetica ed ermeneutica nella filosofia italiana contemporanea, in AA. VV. L'estetica italiana del '900, Napoli, Tempi Moderni.  Recensione a G. Moretti, L'estetica di Novalis, Torino, Rosenberg & Sellier,  in «Itinerari», n.2. Voci: «Nichilismo», «Jonas», «Koselleck», «K. Ph.Moritz», «Wackenroder» in Enciclopedia Garzanti di Filosofia. Classicità fra natura e artificio. Goethe e Nietzsche, in «Itinerari», 3 (ripubblicato poi in «Paradosso»,  a cura di S. Givone, Sul pensiero simbolico). Modernità e progetto; lezione tenuta nell'ambito del corso di perfezionamento in Progettazione Architettonica della Facoltà di Architettura di Roma (prof. F.Purini), in «Bolletino della Biblioteca del Dipartimento di Architettura di analisi della città», La volontà e l'informe. In margine alla recente riedizione della «Volontà di potenza», in «Iride», anno VII, n.11. Prospettiva sull'Ofterdingen di Novalis, in «Paradosso», n. 9. Recensione a E. Calvi, Tempo e progetto, Milano, Guerini, 1991, in «Rivista di estetica», La questione della forma parte della voce Estetica, redatta in collaborazione con M. Ferraris e Sergio Givone, in La filosofia, vol.III, diretta da P. Rossi, Torino, Utet. Storicità e destino. A proposito del Nietzsche di Heidegger, in «Iride», La temporalità del poetico in Goethe e Novalis in Atti del Convegno dell'«Associazione Italiana Studi di Estetica», 1993, Milano, Luni. 17) Depregia del sublime at onl sed e anore di Citici della Pri comanik.  Carchia e M. Ferraris, Milano, Cortina.  48) P. Szondi, Saggio sul tragico, (a cura di F. Vercellone, trad. it. di G. Garelli),  Torino, Einaudi.  Estetica, in collaborazione S. Givone e M. Ferraris, Milano, TEA (riproduce n.44). Recensione a U. Perone, Nonostante il soggetto, Torino, Rosenberg & Sellier, 1995, su «Iride», L'ermeneutica e l'autore, in Prima dell'autore. Spettacolo cinematografico, testo, autorialità dalle origini agli anni Trenta, Udine, Forum, Romanticismo e modernità, a cura di C. Cianc io e F. Vercellone, Torino, Zamorani. L'altro sublime: note sull'ontologia del primo romanticismo tedesco in Romanticismo e modernità, cit.  Recensione del vol. di G. Carchia, Arte e bellezza. Saggio sull'estetica della pittura (Bologna, Il Mulino), in «Iride», Note su caos e morfogenesi nel romanticismo tedesco, in Il paesaggio dell'estetica, Torino, Trauben. M. Frank, Individualità. Difesa della soggettività dai suoi detrattori, ediz. it. a cura di F. Vercellone, Udine, Campanotto. Nature del tempo. Novalis e la forma poetica del romanticismo tedesco, Milano, Guerini & Associati.  58) Nichilismo e cristianesimo, intervista a mia cura di L. Pareyson, comparsa originariamente su «L'Ora», Liberatevi da ogni colpa); versione ampliata in «Annuario filosofico», Pareyson, Opere complete, vol. 19, Essere Libertà Ambiguità, a cura di F. Tomatis,  Milano, Mursia, Categorie estetiche. in Estetica. Storia, categorie, bibliografia, a cura di S.  Givone, Firenze, La Nuova Italia.  Einführung zum Nihilismus, München, Fink (trad. ted. con lievi modifiche del vol. di cui a 29). L'Occidente della verità. Identità e destino della cultura europea, a cura di C. Ciancio e F. Vercellone, Milano, Guerini.  62) Arte e bellezza (testo della conferenza tenuta a Jesi, il 20.1.1998, presso il Palazzo dei Convegni di Jesi nel ciclo L'estetica e i suoi luoghi a cura del Circolo Culturale Jesino «Massimo Ferretti»), in AA.VV., L'estetica e i suoi luoghi, Jesi,  Arti Grafiche Jesine).  63) Recensione a: Maria Moneti Codignola, Moralità e soggetto in Hegel, Pisa, ETS,  1996, su «Iride», 25, dicembre 1998.64) Estetica dell'Ottocento, Bologna, Il Mulino (trad. portoghese: A estética do século  X/X Editorial Estampa, Lisbona, 2000; trad. spagnola: Estetica del siglo X/X, Madrid,  Machados., Corpo, memoria, storia., in «Iride» nella rubrica «Libri in discussione», a proposito del volume di D. Dietrich Harth, Das Gedächtnis der Kulturwissenschaften, Dresden, Dresden Recensione al vol. di N. Humphrey, Una storia della mente, trad. it. di B. Antonielli, Torino. Instar Libri, 1998 su «Iride», Recensione a G. Carchia, L'estetica antica, Roma-Bari, Laterza, 1999, su «Iride», Composizione dell'infinito: Goethe e Novalis, in «Annali dell'Istituto Universitario Orientale di Napoli-Sezione Germanica»,mMerce come ornamento, in Le provocazioni dell'estetica. Dibattiti a Gargnano, Torino, Trauben. L'eredità estetico-filosofica di Goethe, In Omaggio a Goethe. Fotografie di Dario Lanzardo, Torino, Museo Regionale di Scienze Naturali. L'artificio della bellezza, in Arte, Natura, Storicità, Atti del Convegno Dipartimento di Filosofia dell'Università della Calabria, a cura di R. Bufalo e P.  Colonnello, Napoli, Luciano (riproduce con alcune modifiche ...).  Note su Gadamer e la filosofia italiana, in «Iride» Trad. con Serenella lovino del saggio di P. Maisak, Parole e immagini sono correlati che incessantemente si ricercano, in J.W. Goehte, Immagini per la prospettata edizione italiana del Viaggio in Italia, a cura di C. Diekamp, Torino, Museo Regionale di Scienze Naturali. 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Estetica, architettura, new media, Milano, Bruno Mondadori, 2015, pp. versione ampliata di 176). The lost Experience of Art, in «Cosmo», Art and aesthetic experience, InSpe iosotto Nuneto 15 - F StA I, Spaio Fisoridlco. regolazians socie, Miens il no 201n Romanticism, in Teoria e Critica ella  3orelone Mence, Tit SEN rad K Veves. F. tamell, F.  Das Ende der Kunst und die Geburt der Ästhetik Nemo contra deum nisi deus ipse. Il nichilismo dell'apparenza e il re- Ricensament onicanidate su. X, o losofico» Vichlismo e moderità.  Concepts of Morphology, edited by O. Breidbach & F. Vercellone, rist. rivista di 122), Milano-Udine, Mimesis International- Chaos and Morphogenesis in German Romanticism, in Visiocrazia. Immagine e forma della legge/ Visiocracy. Image and Form of Law, Milano-Udine, Mimesis, trad. Inglese con lievi modifiche pe estelica Rico do riach, in «Anuario  207, Misil osare in eie ne ritrea prima pal do e ell eranza,  Prefazione a A. Vianello, Sapere e fede. Un confronto credibile, Udine, Forum, Identità a venire nello specchio del Grand Tour, in «nuova informazione bibliografica», Braco Dimitrijevic. La storia oltre la storia, in Braco Dimitrijevic, a cura di D. Eccher,  L'universalità dell'ermeneutica nel tempo dell' "immagine del mondo". Note e riflessioni, in «Lo sguardo». Rivista di filosofia. Herméneutique et interculturalité, a cura di C.Berner, C.Canullo, J.-J. Wunenburger,  LoSguardo While Love is not a Feeling, in Love. Contemporary Art meets Amour, edited by Eccher, Milano, Skira, Nuovo romanticismo: la civiltà dell'immagine, in G. Lingua e Sergio Racca (a cura di), La cornice simbolica del legame sociale. Prospettive sugli immaginari contemporanei, Mimesis, Milano, Francesca Iannelli, Gianluca Garelli, Federico Vercellone, Klaus Vieweg (a cura di), Fine o nuovo inizio dell'arte. Estetiche della crisi da Hegel al pictorial turn, ETS, Pisa, La fine dell'arte e la nascita dell'estetica, in lannelli, G. Garelli, F. Vercellone, K. Vieweg, Oltre la leggenda della fine dell'arte, El nihilismo y las nuevas formas de la imagen tardomoderna, in «Bajo Palabra. Revista de Filosofia», La morte dell'arte dopo Hegel, in Ángel Gabilondo, Patxi Lanceros Méndez, Antonio Gómez Ramos, Jorge Pérez de Tudela, Valerio Rocco Lozano (a cura di), La herida del concepto, UAM, Madrid, Preface, in C. Concilio, M. Festa (a cura di), Word and Image in Literature and Visual Arts, Mimesis, Milano,Bertram, L'arte come prassi umana: un'estetica, edizione italiana a cura di Federico Vercellone, Raffaello Cortina, Milano, Introduzione Il futuro dell'immagine, il Mulino, Bologna, Fantasmi, fantasmagorie, agnizioni, in D. Eccher (a cura di), Boltanski: Anime, di luogo in luogo, Cinisello Balsamo, Silvana Editoriale, Trad. ingl., Ghosts, Phantasmagorias, Agnitions, in D. Eccher (ed.), Boltanski: Souls, from Place to Place, Cinisello Balsamo, Silvana Editoriale, Nuovo romanticismo? La civiltà dell'immagine, in «Teologia», Beyond Beauty, New York, SUNY, tIl lusso come problema filosofico, in «Iride», Cura del numero monografico di «Azafea», La Nueva Morfologia, Perspectives On A New Morphology, Kiefer e I Sette Palazzi Celesti. Ovvero l'inizio come la fine e l'inverso, in «Bollettino filosofico», Pareyson, Suny Press, Albany Simboli della fine, Bologna, il Mulino, con esteria Maria e ilesia di) Champo delo, logaica, Palarono,  Palermo, Libri in discussione: Vita quotidiana di Enrica Lisciani-Petrini (con M. Garda e S.  Forti), in Iride - Filosofia e Discussione Pubblica, Dream, Geist. Strategie del Regno, in Dream - L'arte incontra i sogni - catalogo.  Skira, Roma, In uscita o da verificare:  en el siglo XIX Universidad Internacional Menéndez  Pelayo; traduzi lituana in corso; L'educazione estetica nella civiltà dell'immagine. Ipotesi sul futuro prossimo in versione spagnola negli Atti del con vegno Schiller a Madrid  La morfologia oltre l'estetica. Ricordo di Olaf Breidbach, trad. tedesca in Atti del convegno «Anschauen, Ordnen, Deuten, Wissen». Gedächtnissymposium zur  Erinnerung von Olaf Breidbach, Jena. Federico Vercellone. Vercellone. Keywords: bello, estetico, immagine. Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft MS – Luigi Speranza, “Grice e Vercellone: l’estetico e il bello’ – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.

 

Grice e Verdiglione: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della congiura degl’idioti – filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Caulonia). Essential Italian philosopher. Filosofo italiano. Grice: “I like Verdiglione; my favourite: his “La congiura degl’idioti” – I have used the Greek root which Boezio translated as ‘proprium’ twice in my seminar on implicature. The first time to refer to ‘kick the bucket’ as a ‘recognised idiom’ – idioma in Latin and idIoma, with stress on the i, in the Grecian; but more importantly – since ‘recognised by who?’ – in the next session I referred to a conversationalist using a one-off signaling which I referred to as a ‘signalling idiolect.’ Yes, Speranza and I can be pretty idiosyncratic!”. Vincitore di una borsa di studio nel collegio Augustinianum, studia a Milano, dove si laurea con una tesi sulla filosofia semiotica di PIRANDELLO (vedi). Formatosi con Lacan, pubblica con le case editrici Marsilio, Rizzoli, Feltrinelli e Sugarco, con cui collabora. Per quest'ultima dirige la collana "Bordi". Traduce la raccolta di testi Scilicet di Lacan per Feltrinelli e il Seminario XXII. Con la sua casa editrice, Spirali, pubblica testi come la traduzione del Malleus Maleficarum, Il martello delle streghe, il manuale dell'Inquisizione per la caccia alle streghe, e in seguito, sempre per le edizioni Spirali, pubblica alcuni testi di BRUNO, come “Le ombre delle idee” e “Cabala del cavallo pegaseo.” Traduce per Feltrinelli libri che in Francia animano il dibattito in ambito culturale, come il saggio di Irigaray Speculum. L'altra donna edito da Feltrinelli nella traduzione di Muraro, il saggio di Mannoni, Educazione impossibile. Introduce in Italia Kristeva. Incontra anche Oury, fondatore assieme a Guattari della clinica La borde, di cui pubblica “Creazione e schizophrenia”, “Psicosi e logica istituzionale”. “Il collettivo”, Babele e la Pentecoste. La Borde e la scrittura della psicosi, La psicosi e il tempo. Traduce sempre per Feltrinelli l'edizione del libro di Jean-Goux, Freud, Marx: economia e simbolico. Fonda il Movimento freudiano e la Spirali Edizioni. Con Spirali, pubblica autori come  Daniel, Lévy, Glucksmann, Halter, Arrabal, Grillet.  Esce in edicola il primo numero del mensile “Spirali: giornale di cultura”, a cui segue l'edizione francese Spirales, Il Secondo Rinascimento. V. e il Collettivo “Semiotica e psicanalisi” organizzano a Milano, in V sedi differenti, il Congresso internazionale "Sessualità e politica" seguito dai media italiani. Partecipano molte filosofi. Sempre con il Collettivo “Semiotica e psicanalisi”, organizza il congresso “La follia”, che si svolge in più sedi, tra cui il Palazzo dei Congressi e il Museo della scienza e della tecnica. Il congresso è seguito dalla stampa di vari paesi. Intanto, inventa la “cifre-matica,” la cosiddetta scienza della parola. Nell'Enciclopedia Rizzoli Larousse viene così definita la cifrematica come dottrina della parabola intesa come cifra -- dottrina elaborata da V. e utilizzata all'interno di esperienze di conversazione, lettura, ecc. Secondo la cifre-matica, ogni parabola può essere analizzata secondo la sua logica idiomatica – cfr. Grice, “Idioma, not language” -- o la sua qualità cifratica, come ‘cifrema.’ C’e logica idiomatica della relazione, dello stigma, della funzione, della operazione, e della dimensione. C’e tre 'strutture': struttura sintattica, struttura frastica e struttura pragmatica – o griceiana, secondo cui ogni expression – idioma --  può essere 'de-cifrata.’ E a Milano, su invito di V. Ionesco. In un'assemblea di intellettuali e lettori, c’e un convegno organizzato da lui, portando la testimonianza della sua vita e della sua attività filosofica, documentata nel libro Una vita di poesia.  La sua Università internazionale del Secondo Rinascimento acquista dalla famiglia Borromeo la Villa di Senago e il parco, lasciati per anni in uno stato di abbandono. I nuovi proprietari decidono pertanto di avviare un primo importante restauro che mira alla salvaguardia stessa del bene. Il restauro si è protratto nel tempo, fedele a criteri conservativi, con la collaborazione di ingegneri, esperti, architetti, tecnici, storici e filologi che hanno lavorato, insieme, sotto la direzione della sopra-intendenza ai beni ambientali ed architettonici di Milano. L'attività editoriale prosegue quanto già avviato e si indirizza soprattutto sulla dissidenza, in particolare romanzieri. Pubblica libri di Bukovskij, Zinovev, Naghibin, Maksimov e molti altri. L'interesse per la dissidenza lo porta a pubblicare saggisti come Suvorov, gl’ambasciatori russi in Italia Adamishin, Jurij, il teorico della perestrojka Jakovlev, e l'ex ministro per l'energia e leader dell'opposizione di destra Nemtsov. Oltre agl’autori, pubblica dissidenti provenienti da tutto il pianeta. In questa direzione sono stati organizzati i convegni internazionali Festival della modernità che propongono, in ciascuna edizione, diverse tematiche -- scrittura, libertà, politica.  Prosegue il lungo processo di restauro della Villa San Carlo Borromeo di Senago, restituendo all'edificio la sua originaria bellezza e trasformandolo in un palazzo del turismo culturale e artistico, nella sede dell'Università internazionale del Secondo Rinascimento e della casa editrice Spirali. In questi anni, la villa è sede di congressi, di corsi, di seminari, di riunioni di enti pubblici e privati, italiani e stranieri, di un museo permanente e di un museo per grandi mostre. V. ha totalizzato X anni e VI mesi di carcere per reati vari.  È stato condannato a IV anni e due mesi per truffa, tentata estorsione e circonvenzione di incapace. Dopo un patteggiamento è stato condannato a I anno e IV mesi. è stato di nuovo condannato in primo grado a IX anni (e la moglie a VII) per associazione a delinquere, frode fiscale, truffa alle banche e allo stato. In seguito la pena è stata ridotta a V anni. In tale occasione ha causato sofferenze bancarie per 73,4 milioni: 18,3 sono in capo a Intesa Sanpaolo, altri 25,9 milioni a Banca Etruria. Truffa, tentata estorsione e circonvenzione di incapace V. è al centro di una serie di vicende giudiziarie (Affaire V.) relative all'attività sua, della sua fondazione e dei suoi collaboratori. Viene condannato a IV anni e due mesi di reclusione per truffa, tentata estorsione e circonvenzione di incapace, condanna che passa in giudicato. Intellettuali di vari paesi -- tra cui Lévy, Ionesco, Arrabal, Halter, Benamou, Henric, Bukovskij, Safouan, Xenakis, Zinovev, Mathé, Lanzmann -- acquistano una pagina del quotidiano “Le Monde” in cui pubblicano e sottoscrivono un appello rivolto al presidente della repubblica italiana e ai giudici milanesi, col quale denunciano un presunto clima di caccia alle streghe. Il caso V. secondo i firmatari mette in discussione le nozioni di diritto, giustizia e libertà di parola in Italia. Daniel, direttore del Nouvel Observateur, pubblica su la Repubblica una lettera, intitolata "Difendo V.", rivolta al direttore del quotidiano. Il Partito Radicale organizza un incontro internazionale in piazza Montecitorio sul Ve., a cui partecipano anche importanti esponenti del "Comitato Internazionale per V.", promosso da MORAVIA, Ionesco, Lévinas, Arrabal, Bukovskij, Lévy, Halter. La Repubblica scrive che dopo quello di Tortora ci e la sponsorizzazione da parte del PR del caso giudiziario di V.”. Il programma satirico Drive In lo fa conoscere anche al grande pubblico, attraverso la parodia del "Dottor Vermilione, psicanalista santone" impersonato da Greggio. Il caso V. è anche citato in relazione al disegno di legge per l'abolizione del reato di circonvenzione d'incapace -- articolo del codice penale. Dopo la condanna in Cassazione, la vicenda giudiziaria si conclude con il rinvio a giudizio per i capi di imputazione stralciati in occasione del primo procedimento giudiziario e con il definitivo patteggiamento a una pena di I anno e IV mesi e indennizzi di oltre 3 miliardi di lire a ex allievi. Si concludono le indagini della Guardia di Finanza coordinate dalla Procura della Repubblica di Milano, Viene indagato per evasione fiscale in relazione all'emissione di fatture false, e appropriazione indebita. A seguito della richiesta avanzata dalla procura di Milano, due dimore storiche riconducibili al professore (tra cui la Villa San Carlo Borromeo di Senago) per ordinanza del Gip vengono poste sotto sequestro preventivo, pur mantenendone la disponibilità. A meno di III settimane di distanza il Tribunale del Riesame di Milano annulla i decreti di sequestro concessi dal GIP C. Mannocci al PM Albertini, e restituisce gli immobili alle proprietà, in quanto non sussiste l'accusa di evasione fiscale. Si tratta invece di neutralità fiscale, in quanto l'IVA dovuta sarebbe sempre stata pari a zero. In base alle conclusioni del giudice, sarebbero state emesse fatturazioni fittiziema regolarmente pagatetra società facenti capo a V., allo scopo di ottenere crediti presso gli istituti finanziari, potendo esibire bilanci dai quali risultano entrate ingenti, in realtà fasulle.  La giudice Marchiondelli rinvia a giudizio V. per associazione a delinquere finalizzata a frode fiscale e truffa allo stato. Viene condannato a IX anni per i reati di associazione a delinquere finalizzata a frode fiscale, truffa alle banche e truffa allo stato. Nel medesimo processo vengono emesse condanne anche a carico della moglie  Angeli e di due sue società, intanto fallite. Viene altresì disposta la confisca, fino ad un valore equivalente rispettivamente di 100 milioni e 10 milioni di euro, di beni come la storica dimora trecentesca Villa San Carlo Borromeo a Senago con 10 ettari di parco. La sentenza di secondo grado conferma la prima, nonostante che Procuratore generale, nella sua requisitoria, abbia chiesto l'annullamento della sentenza di primo grado per assoluta indeterminatezza e intrinseca contradditorietà delle accuse. La condanna a V anni di reclusione diventa esecutiva. Nel pieno delle inchieste giudiziarie, l'associazione da lui fondata viene definita setta dallo psicoterapeuta infantile Foti. Analoga affermazione fu fatta da Calefato, professoressa associata di sociolinguistica, che così si espresse in un'intervista per un quotidiano locale in occasione dell'incontro con Verdiglione organizzato a Bari da Ponzio, Professore di filosofia del linguaggio, intitolato "La cifra del Levante". MUSATTI, considerato il fondatore della psicanalisi italiana, prova una profonda avversione per V. che etichetta come "“il magliaro di Caulonia” e come "cialtrone". V. ha ospitato come relatori, nell'ambito di alcuni congressi organizzati alla Villa San Carlo Borromeo, autori come Duesberg, virologo statunitense, scopritore dei retrovirus, e Rasnick, biologo, che negano l'esistenza dell'AIDS, sostenendo che gli ammalati di tale morbo morissero in realtà sia a causa dell'assunzione di droghe sintetiche fortemente immune-soppressive sia a causa delle cure che erano loro imposte nella prima fase sperimentale, dove si ricorreva all'utilizzo di farmaci come l'AZT, originariamente sintetizzato a scopo anti-neoplastico e poi abbandonato per l'elevata tossicità. Saggi: “Il carcere. La questione della parola, Associazione Amici di Spirali,  Ur-kommunismus; “La paura della parola”, Associazione Amici di Spirali, “La grammatica dello spirito,” L'androgino trinitario e la bilancia dell'orrore, Associazione Amici di Spirali, “I padroni del nulla” Associazione Amici di Spirali,  L'Operazione guru, Associazione Amici di Spirali,  La rivoluzione dell'imprenditore, Associazione Amici di Spirali,  Il bilancio di guerra, Associazione Amici di Spirali,  In nome del nulla. L'accusa di blasfemia, Associazione Amici di Spirali,  Il bilancio intellettuale dell'impresa, Associazione Amici di Spirali,  Parola mia, Spirali,  La realtà intellettuale, Spirali,  L'Affaire fiscale ovvero il dispensario del tempo, Spirali,  Scrittori, artisti, Spirali, La libertà della parola, Spirali, “La politica e la sua lingua”, Spirali, La nostra salute, Spirali, Il capitale della vita, Spirali,  Master dell'art ambassador, Spirali, Master del brainworker, Spirali, Master del cifrematico, Spirali,  “L'interlocutore”, Spirali, Il Manifesto di cifrematica, Spirali, La rivoluzione cifrematica, Spirali, Artisti, Spirali, Il brainworking. La direzione intellettuale. La formazione dell'imprenditore. La ristrutturazione delle aziende, Spirali, Edipo e Cristo. La nostra saga, Spirali, La famiglia, l'impresa, la finanza, il capitalismo intellettuale, Spirali, Venere e Maria. La fiaba originaria, Spirali, MACHIAVELLI, Spirali/Vel, Vinci, Spirali/Vel, La congiura degl’idioti, -- cfr. Grice, “L’idioma dell’idiota” -- Spirali/Vel, L'albero di San Vittore, Spirali, Lettera all'eccellentissima corte di appello, Spirali, Quale accusa?, Spirali, Processo alla parola, Spirali, Il giardino dell'automa, Spirali, Manifesto del secondo rinascimento, Rizzoli, Spirali, La mia industria, Rizzoli Spirali,  Dio, Spirali, La peste, Spirali, La psicanalisi questa mia avventura, Marsilio, Spirali, La dissidenza freudiana, Feltrinelli, Spirali. E. Roudinesco, Histoire de la psychanalyse en France, Paris: Le Seuil (réédition Fayard )  dal sito web italiano per la filosofia.  il domenicale arretrati n. Domenicale miei libri Scienze umane Sociologia e comunicazione Sollers-scrittore La dissidenza della scrittura Lacan e altri, Scilicet: rivista dell'école freudienne de Paris, trad. di V., Feltrinelli, Milano, Lacan,  Il seminario, in «Ornicar? Venezia. Institor (Krämer), Sprenger, V., Il martello delle streghe. La sessualità femminile nel "transfert" degli inquisitori, Spirali, Milano, BRUNO, Caiazza, Le ombre delle idee, Spirali, Milano, BRUNO, Sini, Cabala del cavallo pegaseo, Spirali, Milano, Mannoni, Educazione impossibile, (Feltrinelli, Milano). Spirali pubblica le opere La rivoluzione del linguaggio poetico. L'avanguardia, : Lautrémont e Mallarmé e Poteri dell'orrore. Saggio sull'abiezione  Guattari /spirali books-of-Jean+Oury. Php  Goux, Freud, Marx: economia e simbolico, introduzione e cura di V., Milano, Feltrinelli, atti del Convegno Sessualità e politica edito da Feltrinelli, 2000 partecipanti al Congresso di Psicanalisi con tema "Sessualità e Politica", svoltosi a Milano", Anquetil, "A Milan, le sage congrès de la folie", Les Nouvelles Littéraires, Dadoun, "A Milan F comme Folie", La Quinzaine littéraire,  Descamps, "A Milan au congrès de psychanalyse on a débattu (vivement) de “Sexe et politique”", La Quinzaine littéraire, Congres v Milanu, “Razprave problemi”, Maggiori, "La 'Jet Society' psychanalytique reunie a Milan", Liberation,  Italianistica, Cifrematica: di che cosa parliamo?  Enciclopedia Universale Rizzoli Larousse, Rizzoli, Milano, Mascheroni, il Giornale, Borzi, Etruria perde 26 milioni nel crack V., in Il Sole 24 ore, V. affidato al servizi sociali, la Repubblica, in Archiviola Repubblica.  "Pour V.", Le Monde, "Difendo Verdiglione", di Daniel, direttore di Le Nouvel Observateur pubblicato da la Repubblica, Caso v.: , all'hotel nazionale in piazza montecitorio, a partire dalle ore 11.45, incontro internazionale sul tema: "il caso v.". marco pann..., su radio radicale. I radicali bocciano pannella, la Repubblica, in Archivio la Repubblica legislature camera dati/leg10/lavori/ stampati Milano, 18 rinvii a giudizio per la vicenda v., Repubblica » Ricerca, non profit, v. fa lo sponsor e le associazione danno forfeit, la Repubblica, in Archivio la Repubblica. Turano, V. spa, in Corriere Economia, V., ovvero come sposare lo sponsor e viver felici  Corriere della Sera, su milano.corriere.  Archivio Corriere della Sera, su archivio storico.corriere. Corriere della Sera, su archivio storico.corriere.  Frode fiscale, IX anni a V. confiscati beni per 110 milioni, in Corriere della Sera. Lo psicanalista V. dai fasti al ritorno in carcere, su milano corriere.  sito dell'associazione diretta da Foti, 'V. fuori dall'Ateneo' la Repubblica, in Archivio la Repubblica. Il chiaccierato V. , la Repubblica, in Archivio la Repubblica. musatti Analisi laica, su Analisi laica. Italian guru, la Repubblica, in Archivio la Repubblica. Szaz, La battaglia della salute, Spirali. «L'Aids non è contagioso in nessun modo, non si trasmette né attraverso rapporti eterosessuali né attraverso rapporti omosessuali e neanche senza rapporti, non si trasmette in nessun modo; l'Hiv è un retro-virus che, secondo Dusberg, è innocuo." "Muoiono per via della cura. È la cura, che li ammazza."».  Dizionario di cifrematica, su dizionario di cifrematica. V.  Com: Recenti Vicende, su tg mediaset. Armando Verdiglione. Verdiglione. Keywords: de-ciphering the cipher, cifra decrifrata, implicatura e cifra, Bruno, Machiavelli. Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft MS – Luigi Speranza, “Grice e Verdiglione e l’idioma dell’idiota” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.

 

Grice e Vernia: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dei peripatetici del lizio – filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Chieti). Filosofo italiano. Grice: “I love Vernia, but then any Englishman would, especially when learning that Saint Thomas (Aquino) would have made such a fuss about him!” -- Essential Italian philosopher. Allievo a Padova di PERGOLA e Thiese e successore di quest'ultimo. Ha come collega POMPONAZZI (il Pomponaccio). Tra i suoi allievi: NIFO e PICO. Seguace dell'ermetismo imperante a Padova, cura un'edizione di Aristotele, il lizio. V. sostenne l'unità dell'intelletto -- dottrina poi abbandonata a causa di una condanna inflittagli dal vescovo di Padova --, l'autonomia della fisica rispetto alla meta-fisica, e la superiorità della scienza della natura sulle scienze dell'uomo. Saggi: “Contra perversam Averrois opinionem de unitate intellectus et de animae felicitate”; “De unitate intellectus et de animae felicitate”; “Expositio in posteriorum capitulum secundum in fine”; “Expositio in posteriorum librum priorem”; “Quaestio de gravibus et levibus”; “Quaestio de rationibus seminalibus”; “Quaestio de unitate intellectus”; “Quaestio in De anima. Bellis, “L’aristotelismo” – del lizeo (Firenze, Olscheki editore, Treccani Enciclopedie Istituto dell'Enciclopedia Italiana.   Esaminiamo in prima quali sieno le sue cose stampate, le quali sono poco conosciute, si perché si trovano inserite in altre opere, si perché scritte con caratteri molto fitti, danno pena all'occhio anche molto paziente. La dissertazione più conosciuta é l'ultima, contro l' unità dell'intelletto di Averroe; tanto è vero, che nella seconda iscrizione apposta al monumento trasportato dalla chiesa di S. Bartoloneo all'oratorio dell'ospedale civile di Vi-cenza, è precisamente questo ultimo scritto ricordato. Del Vernia sono stampate sei dissertazioni. La prima porta la data del 1480 (') ed è: quuestio un ens mobile sit toliusphilosopine nuturalis siljectum ('); essa si trova nel commento sul de general. et corrupt. di Aristotele, di Egidio Romano, di Marsilio Ingnen, e di Alberto di Sassonia.  La seconda é collegata colla terza, e tratta della partizione della filosofia; è una prolusione ad un corso di un anno intorno alla fisica di Aristotele. La terza è: utrum medicina jure civili sit nobilior: è come una conclusione della seconda (°); tutte e due sono nella fisica di Burleo, e sono precedute da una lettera a Sebastiano Baduario, censore di Vicenza (3), nella quale ricorda il Vernia la grandezza della di lui famiglia, di cui i capitani sono scolpiti nelle immagini del Palazzo Ducale di Venezia. Il Badua-rio fu discepolo, come il Vernia, di Paolo della Pergola, ed addivenne illustre scotista. In sua casa fu educato il compaesano del Vernia, Nicola Manupello, di Chieti, che fu fisico e medico. E qui soggiunge, che essendo stato pregato dagli stampatori di emendare il libro sulla fisica di Burleo che era corrotto e che doveva leggere agli scolari, volle premettere la divisione della filosofia e l'ampia questione de inchoatione formaruin da lui trattita, ed al Baduario dedicata. Questa ultima questione è andata perduta; almeno finora non la rinvenni. La partizione della filosofia e l'altra sulla medicina portano la data della fine di febbraro 1482 (*). La quarta dissertazione è sul  de gracibns et lucciles, dedicata a Berardo Bolderio filosofo e medico veronese; tratta se i gravi ed i leggeri inanimati si muovano da se stessi o da altro, quando sia rimosso ogni impedimento. Essa si trova nello scritto sull'intelletto contro Averroe. La data non ci è veramente segnata; ma siccome essa é citata nella quinta dis-sertazione, e non nelle altre prevedenti, è da dirsi essere la quarta. La quinta dissertazione é: questio an denter unicersalin realia, ed é premessa al commento sulla fisica di Urbano Servita, Averroista. Il Renan seguendo l'Hain, ha creduto che sia una prefazione ('); invece è una questione a se, che la poca relazione propriamente culla fisica. Antonio Alabante scrive al Vernia di leggere ed esaminare il manoscritto di Urbano Servita, e di vedere se ne sia stato l'autore Giovanni Marcanova, ovvero Ur-bano. Il Vernia risponde che il manoscritto nel primo esemplare è di Urbano: Marcanova lo copiò e fu trovato nei libro di costui senza indice: che è degno di essere stampato, jerche Urbano supera moltissimi averroisti, e non islugge le questioni le più difficili della fisica. Corrisponde alla gentilezza e stima di Alabante di Bologna con pari condutta, mandandogli la dissertazione sugli uni-versali, perché la legga e gli dica se può essere stanpata.  La lettera di accompagnamento porta la data del giugno 1492 da Padova; e la dissertazione è stata terininita nel 17 febbraio 1492 (*). Sino a questo tempo il Vernia è un pretto averroista, mostrando nei suoi scritti unlampo di razionalitá e di liberta di filosofare pregevole e rarissima a quei tempi.  Ma alla sorveglianza del Vescovo di Padova e alla • pietá di un uomo dottissimo quale era il Barozzi non poteva sfuggire il libero pensiero del Vernia. Imperocche il Barozzi nel 4 maggio 1489 aveva emanata la scomunica lutae sententiae a tutti quelli che disputavano pubblicamente quoris quaesito colore, sull'unità dell' intelletto.  Il Vernia con tutto ciò si mantiene ancora fermo ai suoi principii; sperava che essi fossero mantenuti illesi colla pubblicazione delle sue dottrine, affidata alla protezione di uomo colto ed autorevole che l'aveva accolta.  Cio non basto a salvarlo: una più severa minaccia di seo-munica direttamente al Vernia dovette venire, la quale l'obbligava a ritrattarsi. Non si puù spiegare diversamente la vicinanza delle due date, della quarta e della sesta dissertazione, nella quale ultima il Vernia si ritratta interamente del suo averroismo. La questione degli universali porta la data del 17 febbraio. La lettera poi di accompagnamento di questa dissertazione diretta ad Antonio Alabante porta la data di giugno 1492; mentre quella contro l'unità dell'intelletto è del 18 settembre, dello stesso anno, 1192.  Non dustrente ophtelmia quae me tune molestant, soggiunge il Vernia in fine: una circostanza tuti'altro favorevole a fare scrittura. Argomento da ciò, che il Vernia la dovuto affrettarsi a fare questa ritrattazione. Che la dissertazione sesta sia un po' affrettata ed un poco anche confusi, é in qualcle parte evidente. Che rimanga il dubbio di avere abbandonato l' averroismo perfettamente, e evidentissimo; ed il Barozi se n'era già accorto. Epperò non possiamo noi accettare come veridica la sua confessione, cioé, che solo per disputare e per aguzzare l'ingegno tentò di corroborare con argonenti l'opinione di Averroe intorno all'unico intelletto.  Contro tale dichiarazione sta non solo la dissertazione precedente dello stesso anno sugh universali, in cui si professa pu-ru averroista, ma anche un'altra che è sparita, intorno al-1180 nella prina questione preliminare intorno al soggetto della fisica (').  Ma la vita di insegnante per 33 anni nell' università di Padova sarebbe stata troppo scarsa di frutti intellettivi, se il Vernia si fosse limitato a queste sole sei dissertil-zioni. Giá abbiamo visto che egli emendo la fisica di Bur-leo. Anche ai tempi di Pomponazzi il Burleo godeva all-cora grande autoritá nella scienza. Ed alcune opere di lui erano già andate perdute (°). Un altro lavoro di cur-rezione di edizione lo fece intorno al de caelo et murulo del Gianduno. Il Pellenegra di Troja che insegno filosofia morale a Padova, ci da notizia di avere più accuratamente stampate le questioni del Giandono che furono emendate dal Vernia ('). Noto questa notizia molto rilevan-Imperocché sono di credere che molti hanno pubblicato dei lavori del Vernia, non originali però, ma intorno ai commenti di Aristotele, appropriandosi in tutto e per tutto gli scritti del filosofo chietino. Che il Vernia non abbia perduto il tempo sulla cattedra, si rileva dalle sue stesse parole nelle quali dice che essendo stato professore per 33 anni a Padova, credeva essere poco decoroso, se non avesse pubblicato ció che avea raccolto con diligenza per tanti anni dagli autori greci e latini. Egli non cessava tutti i giorni di forbire e ritrallare i commenti che aveva fatto su tutti i libri di Aristotele, perché potessero meritare di essere pubblicati ('). Ma mandava alla stampa in prima l'opuscolo sulla immortalità secondo la fede cattolica, aí-finché fosse esso come il conduttiero delle altre opere.  Prega inoltre Domenico Grimani di accettare questo dono durante il tempo, che egli da un'aitra mano ai coinmenti di Aristotele. Se la lettera dedicatoria è scritta nel 1499, nella quale confessa che egli ha già pronti questi commenti, ma non li pubblica perché hanno bisogno di essere ricor-secondo il tenore del suo opuscolo, cioè contraria ad Averroe, di cui era stato per tanti anni fautore. Quindi si può supporre, o che egli non li abbia pubblicati prima per la minaccia del Barozzi, ovvero che dal 1499 egli siasi messo a ritrattare tutti i commenti in senso anti-averroistico, e che non li abbia finiti per gli acciacchi della sua età. Pochissimo é stato anche il tempo dalla pubblicazione dell'opuscolo alla sua morte; quindi si può ritenere che i suoi scritti sieno andati nelle mani degli altri.  Una caratteristica quasi costante si può notare negli scritti del Vernia, la quale è duplice, materiale e formale.  Il Vernia è molto ordinato nel suo scrivere: quasi tutte le sue dissertazioni sono divise in tre parti: la prima espone tutti coloro che hanno deviato da Aristotele e dal suo commentatore, Averroe; la seconda, che cosi al buno sentito entrambi intorno al quesito proposto, e la terza contuta le opposizioni addotte dagli avversari. Questo tenore di dividere in tre parti l'argomento era però comune a tutti i tomisti e scotisti. Ciò riguarda la materia dei suoi argomenti. Circa la sua opinione, a quale cioé, dei filosofi più si accostava, è da dire in genere, che egli sebbene averroista, era piu veramente un albertista. Tomista non mai periettanente. Il suo storzo è di mostrare che l'opinione di Averroe poco differisce da quella di Al-berto. Lo dice finanche nella sua sesta questione contro l'unità dell'intelletto. Sebbene in quest'ultima sia stato costretto ad essere tonista, per avvalorare la sua ritratta-zione.  Il Vernia insegnava propriamente li tisica nell'Università di Padova ('), e non poteva sottrarsi all'esameseguace, di S. Tommaso, o di Alberto ('). Tale questione era, se l'oggetto della filosofia naturale era l'ens mobile, come disse S. Tommaso, ovvero il corpres mobile, come opinó Alberto. Osserva che Egidio Romano combatté l'o-pinione di S. Tommaso, perché la scienza naturale non è subalterna della metafisica; poiché tre sono gli abiti speculativi, il metafisico, il matematico, ed il naturale. E se la mobilità è un' accidentalità, questa non deriva punto dall' essere, in quanto questo è obbietto della metafisica.  La scienza naturale non é parte della metafisica, ma que-sta e quelle sono diverse parti della filosofia. Di S. Tom-maso la la più buona opinione, dicendolo il migliore espo-sitore tra i latini; ma pure non solo in questa, ma in altre questioni gli é spesso contrario. Lo Scoto volevi invece clie l'oggetto dalla fisica fosse la sostanza naturale, che é soggetto del moto e di altre aflezioni. Ma se per naturale s' intende il sensibile, soggiunge il Vernia, esso  è il soggetto che é principio di moto e di quiete.  Sostiene perció che il corpo mobile sia il soggetto della fisica (°). Otto sono le condizioni requisite per un subbietto di una scienza: che sia reale, uno almeno per unitá analogica, universale, adeguato, primo noto in quanto alla sua ragion formale, che abbia parti, che abbia affe-zioni, che abbia principii. Ora l'errore di Antonio Andrea è di aver posto l'essere come comune a Dio ed alla crea-tura. Queste otto condizioni si trovano nel corpo mobile,l'ammettere il noto come soggetto di scienza, risponde che quell'accidente solo non entra nella scienza, il quale non ha causa.  Due difficoltá considerevoli s'incontravano in tale de-finizione della fisica. Se il corjo mobile é il subbietto della fisica, gli angeli sono mobili, ma non sono corpi: inoltre, il cielo non é composto di materia e forma, e quindi cone può essere l'obbietto della fisica? La questione dell'an-  gelo intorbidava la liberta di filosofare nella scienza na-turale. Intorno alle specie ci era quella della plurabilita,  o moltiplicabilità dell'angelo, che non era ammessa da S.  Tommaso, perché ogni angelo rappresentava la specie tutta. Per l'anima umana invece si doveva sostenere la plu-  rabilita, altrimenti si cadeva nell'averroismo, e si ri-conosceva l'unita dell'intelletto umano. Il Vernia confessa che egli intende di parlare secondo la ragion na-turale in tale questione: e dice che gli angeli non si possono muovere con una velocita infinita, perché la ve-locita dura un certo tempo: il loro moto locale, se fosse veloce infinitamente, dovrebbe avere uno spazio infinito ; locché non conviene all'angelo. Esso é dunque una so-stanza semplice ricettiva di luogo, e quindi di moto. Era giá il primo indizio, con cui egli si dipartiva dalle veritá di fede e della teologia ('). I teologi invero volevano con-cedere all'angelo il moto infinitamente veloce, ovrero  l'ubiquità, negandogli il luogo. Locché e contraddittorrio per il Vernia (3). E se con S. Tommaso ammetteva che l'angelo rappresentando tutta la specie, era impluri-ficabile, lo stesso sosteneva rispetto all'intelletto umano (').  Ma si riserva di trattare tale questione in quella dell'in-telletto.  Se questo scritto sia stato pubblicato, non si sa: forse dovette sparire dietro la persecuzione del Barozzi; non credo però che gli fu impedito di pubblicarlo. Il Nifo pare che lo accenni. Imperocché e chiaro che la citazione sui concorda perfettamente colla dottrina che espone e che pol Il Nito combatte. Cioé, che per sostenere l' unità dell'in-telletto, disse un nuoro espositore, che una stessa forma spirituale informa subbiettivamente la fantasia e l'intel-letto. Imperocché la forma spirituale può essere una di numero in diversi soggetti, come il colore nell'acqua e nell'aria. L'intelletto in se come uno in atto informa il nostro intelletto, ed é la specie intelligibile; informa an-clie la fantasia, ed è il fantasma (*).  La seconda difficolta era: se  Averroe aveva ammes-  so che il cielo non è coinposto di materia e foria, perché é ingenerabile e pur tuttavolta è mobile, come poteva abbracciare l'idea del corpo mobile il cielo e le cose terre-stri? Il Vernia risponde che la sostanza mobile è cio che è soggetto alla triplice dimensione. Pare accostarsi per ciò all'opinione di Egidio romano che poneva identici natura nel cielo e nella terra. Ma pure non é veramente cosi; perché confessa altrove che il cielo è atto, e non si da in esso passaggio dall' essere al non essere.  Il punto di vista interessante per caratterizzare fin da ora il chietino filosofo è questo nel primo suo lavoro, di-chiarare, cioè, la fisica indipendente della metafisica: sottrarre la natura, per quanto poteva, dall'influenza della teologia. Fin di ora i fisici non stunno in accordo coi metafisici. E una linea di condotta che è troppo costante  nel Vernia.  La seconda dissertazione intorno alla partizione delli filosofia è una prolusione che fece in un anno del suo insegnamento; nel quale dovendo esporre la filosofia na-turale, esamina quali sieno le relazioni delle varie parti del sapere al tutto.  La filosofia, dice il Vernia, è la perfezione del sapere; essa è prattica, speculativa e razionale; e riducendo, è reale e razionale. Questa ultima è la logca; dando a questa il solo valore razionale e non reale, il Vernia si dichiara vero occamista: non tomista, né scotista. In tal guisa seguiva la tradizione patavina cirça la logi-ca, la quale, non solo di Nicoletto Veneto e da Nicola della Pergola era stata ritenuta come speculativa secondo Alberto, il differenza di alcuni tomisti che la dissero pratica, ma anche di valore nominale; e cio era la massima distinzione degli occanisti moderni dai logici antichi che erano o tomisti, o scotisti ('). Siccome tre sono gli atti di ragione in eni jo siano errare, tre sono le parti della logica che servono a dirigerci alla verita.  Le Categorie che Aristotele e Platone ricevettero da Archita Tarentino, servono a non attribuire id una cosa uni qualitá che conviene ad un'altra. Il libro de interpretalione tratta delle enunciazioni singole, in cui vi è la composizione, o la divisione dell'intelletto. Il terzo atto é il sillogino pertetto: ed è questa l'arte nuova che fu da Aristotele ritrovata. Questa parte é divisa nell'inventiva e nella giudicativa: quindi la topica e la sofistica. Lia giudicativa è l'analitica, di cui la prima tratta del sillogismo comune in cui si risolve la conclusione nella preinessa;la seconda é quella che riduce gli elletti alle loro cause.  La risolucione prima é relativa alla seconda ; perché quella é comune ad ogni sillogismo, questa é speciale al sillogismo che versa intorno alle cose necessarie.  Al libro dei primi analitici viene quello dei topici; e poi quello dei secondi analitici, e finalmente quello degli elen-chi. Doyo, la rettorica e la pratica.  La scienza reale poi é divisa in prattica e speculativa.  Quella in fattiva come la medicina, ed in attiva clie com-prende l'etica, l'economica e la politica. Questa com-pren Je la naturale, la matematica e la divina. La consi-derazione intorno al mobile in se è della fisica, che è pri-una tra le parti della filosofia naturale: se si considera il solo moto locale, ecco la trattzione del cielo; se verso la forina, ecco il libro della generazione; se verso il mi-sto, si la il libro dei meteorologici, e quello dei minerali : se é animato, questo o è in genere ed ecco il libro de  parcis naturalibus, o é specitico, ed e il de planlis et de animalibus.  La scienza dell' anima contiene tre parti : la prima il trattato deila vita e della morte, poi quello de respirationo e il de jucentute et seneclule, de causis  lougitulinis et bieritatzs citae, de sunate et acgrie-dine el de nutrimento, i quali due ultimi libri non ci pervennero. La seconda ciò che riguarda il motivo, de cresis motes animalium et de pingresse animalium.  La terra cio che è propriamente del sensitivo, quindi de sense et sensat), de memoria et reminiscentia, de sonno et vigiliu. Ma perché dai sinili si procede al dissimile, per-ció dopo il libro dell'anima in genere, vien quello del senso, del sonno e della veglia. L'intelletto non a. endo concretez/a nel corjo, é delle sostance separate che ap-partengono alla metatisica. Sbagliano perciò coloro che dicono soggetto del libro dell'anima il corpo animato e che l'anima sia sostanca del corpo. Perché il corpo ani-mato secondo le operazioni comuni a tutti i corpi animati,è soggetto del libro perenni animalinm: considerato poi secondo le operazioni specifiche è il soggetto dei libri de animalibus et plantis.  Il Vernia è nella dottrina dell'anima in armonia colla dottrina del cielo. L'anima è propriamente l'intelligenza, così nel cielo, come nell'uomo L'intelligenza è sostanza separata; eppero non appartiene veramente alle cose né celesti, né umane. L'anima come senso, come fantasia, appartiene alla natura, siccome la forma e la materia del cielo danno il cielo nella sua pienezza. Questa dottrina del 1482 è in pieno accordo colla dissertazione inedita del 1491, se il cielo é animato.  Di qui è chiaro l'ordine delle arti liberali: cioé, prima apprendiamo la grammatica, indi la logica e la parola, poi la filosofia naturale e la matenatica: da ultimo la divina sapienza.  Da questa seconda dissertazione non comparisce per noi nulla di notevole, salvo una mente abbastanza ordinata in mezzo a tutto il ginepraio dei trattati aristotelici. Si può ritenere che il Vernia gia si era dichiarato per l'unità dell'intelletto fin dal 1482, perché dichiara l'intelletto non avere concreteria nel corpo, essendo una potenza separata. Una dottrina che aveva per conseguenza la mortalitá dell'anima. Imperocché egli confessa che non solo la sensazione, ma anche la memoria appartengono alla vita sensitiva. Il senso non è che una specie dell'anima.  L'intelletto come unico appartiene alla metafisica. Non sappiamo se a quest'ora avesse gia pubblicato il suo traltato de unitute intellectus. Forse no: ma questa dichiarazione è già abbastanza, oltre quella che si trova nella prima dis-sertazione, per dichiararlo rigido averroista.  La terza dissertazione, se sia jiù nobile la professione della medicina o quella del dritto civile ('), ha qualcheche di spiritoso. Nissuno si deve meravigliare che il Ver-nia abbia preso a trattare quest'argomento; poichè era egli un medico e filosofo. Difatti, distingue in questo lavoro la medicina come scienza di cui parla, dalla medicina come arte, la quale dipende da quella. I medici artisti sono quelli che discreditano la nostra medicina, dice lui:  e dovrebbero essere espulsi dalle città (').  Dopo avere esposto alcuni argomenti in contrario, tra cui, che il fine del dritto è fare l'uomo virtuoso, quello della medicina conservarlo nel suo essere solamente, che con questa si sana il corpo, con quello si sana l'anima, ragiona cosi per la parte vera. La medicina riguarda la conservazione dell'individuo, che è come la sostanza migliore di ogni accidente. Il dritto si appoggia sull'autorità dei dottori, la medicina dá una certezza dimostrativa.  Essa veramente dipende immediatamente dalla filosofia na-turale. Senza di quella nulla si conoscerebbe: ed in essa consiste la felicità, anzi che nella convivenza, che è una certa felicita. Dimostra a lungo la felicità consistere nella speculazione; e gli pare clie il giurista sia più lontano dall'ultimo fine che attinge il naturalista. La medicina fu sempre avuta più in onore, epperò fu bene ricompensata.  Qui non gli mancano vari esempi dalla storia. Una scienza indeterminata e variabile non può mai essere davvero scientifica. Tale è la legge degli atti umani, in cui è impossibile dire universalmente un vero: anzi è utile in certi casi particolari osservare l'opposto di una legge (°).  I forestieri che entrano nella cittá, sono puniti: ma se questa è assediata, ed entrano per liberarla, sono degnidi premio. Cne leges cariantui secundum locorum commoditutes et ad libitum hominum. Leges enim Ju-stiniani in Gallia nihil culent. Aristotele nel V dell'etica le rassomiglia alle misure del vino e del frumento. Simi-liter non naturalia et lumana justa non eadem ubi-que. Dopo aver distinto la inedicina come scienza da quella come arte, osserva che gli scicnziati medici non solo fanno gli esperimenti, ma ricercano le cause di essi dalle cose naturali. E se ad Esculapio gli Ateniesi, ad Antonio  Musso i Romani per avere sanato Ottavio Augusto ere:-sero una statua di bronzo, che cosa dovremmo fare noi a Gerardo Bolderio di Verona, principe tra i moderni  medici? (').  Osserva clie i legislatori dei suoi tempi sono privi di cultura e li disprezza, perclé non conoscono le scienze morali, nè quelle dell'anima. Tali non furono gli antichi legislatori, come Solone ed Aristotele, che erano periti nella scienza naturale. Dopo aver riferita l'autorità di (icerone nella pro Murena, in cui dice che se Servio Sulpicio aprese dritto civile, non perciò trova aperta la via al consolato, mette in ridicolo alcune glosse che si trovano nel codice giustinianeo (*).  Fra le risoluzioni delle difficoltà poste nella prima parte della discussione, noto questa. Sebbene la virtú siapreferibile alla vita nel genere dei costumi, perchè la morte è preferibile alla vita turpe, perché è più lodevole chi muore per virti di chi vive ozioso; pure nel genere della natura non è cosi, anzi è l'opposto, essendo preferibile l'essere alla virtú. E siccome, più essenziale è il genere di natura di quello del costume, è meglio vivere cle è il fine della medicina, che essere virtuoso che è il fine della legge. Acuta riflessione! Questa dissertazione mi è apparsa la più originale tra tutte, perché, oltre che è lasciata interamente la forma scolastica, essendo scritta in maniera molto spigliata e libera, è piena di osservazioni punto, sprezzabili ('). Né si dica che era usuale a quei tempi l'invettiva dei professori di vari studi contro i legisti, i quali erano decaduti nella stima jer l'aridità delle loro dottrine (*). Imperocchè il Vernia si mostra jiuttosto inspirato ad un altissimo concetto che è vero : cioè, che la scienza della natura è la sola che ci procaccia una felicita per le verità conosciute, le quali non sono variabili come le leggi umane. Comprendo che da essa risulta pure evidente lo stato di decadimento della giuri-sprudenza a quei tempi. Ma il Vernia indica pure il modo come rinsanguare quegli studi coll' estendere la coltura a quelle sorgenti, da cui puó fluire la vita del pensiero che era rimasta assiderata nella forma e nella parola.  La questione de paritus et lecilus è di poca impor-tanza: tratta se i gravi e leggieri inanimati, rimosso l'impedimento, si muovono localmente da se, o da altro.  Espone secondo il solito, le opinioni devianti da Aristotele e le confuta, quella di Averroe che é la stessa di Ari-stotele, e finalmente risponde alle obbiezioni. Platone che pose l'anima e le cose inanimate muoversi da se, è in opposizione ad Aristotele, che volle nissuna cosa poter muovere se stessa. Alberto disse muoversi per accidente; e che non ci è bisogno del movente nel moto naturale, ma solo nel violento: e questo è l'aria. Ma osserva che ogni moto ricerca per se il movente, e tali sono i gravi. Contro S. Tommaso che disse i gravi fin-maliter si muovono da se, ed effectire dal movente, dice che per il moto in atto ci è bisogno del movente in atto.  Neppure l'opinione di Gianduno che disse il movente essere la forma, e la materia la cosa mossa, sta benc, perché allora la forma sarebbe movente e mossi, perché il moto in atto è distinto dal motore. Alcuni teologi separarono la gravità dalla sostanza; e dissero clie l'ostia consacrata cade in giù come gravità, non come sostanza.  Ma questa opinione non è naturale: e non ne parla perciò ('). Egli dice che i gravi e leggieri, dopo che sono ge-nerati, si muovono da se, rimosso l'ostacolo, ai loghi naturali propri, e fuori di essi sono mossi dall'aria per l'impeto dato dal morente violento. I proiettili sono mossi dall'aria secondo Averroe, la quale è causa della velocita.  Imperocché il mobile in fine è più veloce, perché maggiore quantità d'aria lo segue nel fine, che nel principio.Lo stesso succede per l'acqua, perché aria ed acqua sono corpi interminati, indifferenti a qualunque figura, come non é dei solidi. Cosi si spiega, perché la balista percuote più a certa distanza che vicino, perché i raggi si uniscono nello specchio a certa distanza. E curioso che si mantiene più fedele ad Averroe che ad Alberto, il quale secondo lui non ha detto bene che i gravi sono mossi dal-l'impeto ad essi dato e non dall'aria e dall'acqua, perché i gravi misti terminati non sono nati a ricevere tali vio-lenze. Altrimenti un uomo getterebbe a maggiore distanza una piuma che un pezzo di ferro; locché è contro l'e-sperienza. E se il maestro Gaetano risponde, che avendo il ferro più materia, riceve più impeto e va quindi a may-giore distanza, gli osserva il Vernia che, data una pietra ed un pezzo di ferro della stessa quantita, il ferro dovrebbe andare a maggiore distanza. Cio proviene perché la mano si applica meglio alla pietra, che alla piuma (').  Questa dissertazione fa troppo desiderare la venuta di Galileo per isciogliere questo quesito della fisica che arri-luppo nel buio le povere menti aristoteliche (*).  Nella quinta dissertazione, un dentur unirersalia vea-lia, il Vernia è ancora pretto averroista, cioè sino algiugno del 1492. Espone secondo il solito le opinioni devianti da Aristotele e dal commentatore, poi quella di questi due, e finalmente risolve un numero immenso di obbiezioni. Dice che gli universali o sono concetti puri secondo Occam, ovvero sono reali secondo Burleo nel prologo della fisica; oppure ci è la via media in quanto sono reali nella cosa singolare e formali nell'intenzione.  Il Vernia prende lo stato della questione non dai primordi della discussione, ma dalle ultine forme che aveva assunte nella scienza ('). Perché il Burleo discepolo di Occam stando alla pura questione filosofica, aseva guardato più alla parte fisica dei generi e delle specie, ed Occam aveva ridotto la soluzione al puro nominalismo. Non crede dover fare lunga discussione sugli universali ante rem, parendogli fuori proposito pei tempi della scienza. Noi che camminiamo nella via media, dice lui, affermiamo che l'essenza di ogni cosa si può considerare doppiamente, cioè in se, e nella materia, in quanto è quell'aptitudo realis che nou è particolare, perche è una essenza non di unitá di numero, ma l'unità secondo l'aptiludinem communicabilitatis. È una comunità non di materia, ma di forma. Ed é appunto questa inchoulio formae che é reale. Cosi nello sperma non cessa mai la forma umana, fin tanto chie l'nomo si perfeziona. Altrimenti la forma sarebbe creata dal niente di se. Il Vernia è un fisico, e non può trattare la questione degli universali, se non dal lato della sua scienza. Essa si può dire che si identiticacon quella dei germi della vita, sino ad un certo punto.  Occam aveva sciolto la questione degli universali negando ogni esistenza astratta e tutto riducendo il loro valore al puro termine. Ma la specie non ha valore in se? Ecco il Burleo che ammette quest' universale nella specie : il Vernia lo chiama unita di forma che é increata, eterna, appunto per negare la creazione temporanea della specie.  La difficoltà era per l'anima intellettiva, ritenendosi che essa è creata prima e poi infusa nel corpo. Sebbene ciò, dice il Vernia, é secondo la mente dei sacri teologi, non è però secondo la mente di Aristotele ('). Poichè secondo Averroe nel settimo della metafisica non può uno stesso effelto essere prodotto da due agenti che non sono subordinati nell'operare, e che non concorrono aggiustata-mente allo stesso effetto. Cosi sarebbe di Dio e di un particolare agente nella generazione di Socrate. Epperó egli é di opinione clie la dottrina di Alberto a questo punto poco differisca da quella di Averroe. Il quale volle tutte le forme prodotte ed emanate dalla potenza della materia e non per creazione, la quale credette essere impossibile (°). Quindi l'anima intellettiva non è creata, maché la volle creata. Ma cio che ha esistenza preesistente, è al aeterno.  Il Vernia nella questione dell'anima vede la cosa secondo il fatto. L'uomo genera l'uomo per l'apretito naturale clie non può essere indarno. L'agente fa la  mil-  tazione, trasmutando la materia dalla potenza all'atto, non congregando due cose jer fare l'unità di un effetto: cosi si approssima alla creazione. La forma non si crei, ma si produce per generazione. La creazione de noco non gli va. La generazione non é per trasferimento secondo Anassagora, nè per le idee secondo Platone. Per Averroe quando succede la generazione, vi è qualche cosa che si completa: la forma è il termine di essa. La forma particolare è distinta dalla essenza che la include; jercio essa non si crea, ma si genera. Se Alberto dice che è creata dal niente di se stessa, rispondo che è jer accidente ge-nerata. E se soggiunge che incomincia ad essere de noco, rispondo anche dicendo non dal niente di se stessa, ma da qualche clie di se, cioè dalla essenza che è l'incoazio-ne ed il seme nella stessa specie. E coloro che non intendono queste cose, non hanno il cervello abilitato al bene, e non sono atti a filosofare secondo i principi di Aristotele ('), il cui assioma è dal niente niente farsi. La quale dottrina fu accolta da tutti quelli che parlano na-turalmente. Ottima confessione !  Ma osserva ancora che la forma della specie non è distinta da quella dell'individuo; perché nell'uomo vi è una forma particolare che si dice l'anima cogitativa. Nello sperma da cui si ha l'uomo, non si distruggono le parti di esso, ma si generano successivamente le forme dell'uono, finchè si perfeziona la forma umana. L'incoa-tivo sene non è una potenza subbiettiva, ma potenza formale, distinta dalla materia ('). Da ciò segue darsi gli universali reali. Anzi arriva a dire che tutte le specie rimangono in ogni ora, altrimenti tutto sarebbe corrutti-bile, locché appartiene al solo singolare. Perfino il concetto di finalità nella natura non lo ammette; poiché il fine è ens rationis, il quale è ben diverso dal processo naturale, che non dipende dall'anima nostra. L'incoazio-  ne è reale, dice più prima, é nella materia, non è nell'intuizione delle cause agenti (*). Segue una immensità di obbiezioni che tralascio per brevità: qualcuna solo voglio menzionare. Con questa teoria in ogni uomo vi sarebbe qualche che dell' asino; risponde : in potenza vi é questa indifferenza della specie, in atto no. (3) Essendo questi universali separati dall'individuo, non vi sarebbe la necessita dell'intelletto agente. Risponde: questo essere necessario a produrre nell'intelletto jossibile mediante i fantasmi le intenzioni dell'intelletto in atto. Nota poi con Alberto che questi universali incorporei sono sempliciquiddità ulique eristentes, come la quantità indetermi-nata. Infine a Burleo che nega gli universali nella mente, altrimenti si andrebbe all'infinito nei concetti comuni, e cosi non vi sarebbero principi primi della scienza, rispon-de, che il concetto dell' essenza in ratione entis è singo-lare, in ratione signi è comunissimo. Un uomo e un uomo sono lo stesso rutione signi, ma differiscono mate-rialiter. Per questa dottrina egli si avvicina di molto ad Occam che è un puro terminista; ritiene con lui gli universali nella mente rutione signi, e combatte Burleo clie li negó nella mente: ma ritiene con costui la realtà degli universali come enti obbiettivi, che nego l'Occan.  In questa dissertazione vi è del buono, vi è del fal-so. Ad ogni modo è la ultima manifestazione del suo averroismo. Il Vernia nega la creazione perché riconosce in natura la sola generazione: ed arriva sino a toccare la questione nebulosa della generazione spontanea colla dottrina della indifferenza dei generi. Non fa eccezione per l'uomo e neinmeno per l'anima cogitativa, dicendola una specie non diversa dall'individuo, un' accidentalità della natura, per cui non ci è bisogno della creazione de noco. Nega l'infondersi dell'anima nel corpo umano secondo S. Tommaso, reputando sufficiente la generazione per l'appetito naturale inerente all'uomo. Questo è il lato più vero dell'arerroismo professato dal Vernia. E se ritiene gli universali separati dai singolari in quanto sono in se, non è meraviglia che sia costretto ad ammettere anche l'intelletto agente che completa nell'uomo la cognizione. Il Vernia mi pare proprio sospeso tra il cielo e la terra, tra la scolastica antica a cui non può dare un totale addio, e la nuova dottrina della realtá della natura di cui ne ha qualche presagio. E certo peró, che se altro scritto mancasse a conoscere qualche valore negli studi naturali, questa quinta dissertazione è la più valida prova del suo talento negli studi filosofici. Con questa dissertazione quinta preceduta dall'altra, se il cielo èanimato, inedita, il Vernia chiude il suo averroismo il più deciso. E si noti che è una dissertazione pubblicata dopo il 1479 in cui fu minacciato della scomunica; cioé nel giugno del 1402 ovvero tre mesi prima della sua ritrattazione, due mesi prima del trattato de intellecte del Nifo, che ne era il preludio.  Nel 26 ¡gosto (') e nel 18 settembre (°) dello stesso anno, 1492, arviene, che discepolo e maestro, cioe il Nifo prima e poi il Vernia scrivono due trattatelli contro l'unità dell'intelletto di Averroe.  Il trattato de intellectu del Nifo è molto più lungo: maci sostara e quine di io iu pablicato nel 1503, cosi quello del Vernia vidde la luce nel 1499. Il Naude ha detto che il de intellecte di Nifo fu prima di quello de unitrle del Vernia (3). É vero, perché nella dedica del libro a Sebastiano Baduario, patrizio Veneto, dice che gli avevabe procurato di stamparla, se non ci fossero stati gli invidiosi che lo accusavano di eresia. Da ció si è argomentato che nel 1491 il Nifo aveva giá fatto il trattato; e che avendo diteso il Vernia, si attirò sopra di lui accuse di eresia; epperò fu costretto a pubblicarlo nell'anno dopo, avendolo prima del tutto emendato (').  E questo ha potuto essere sino al Giugno del 1492, quando il Vernia era ancora averroista. Ma mutatosi d'opinione il maestro, si muto anche lo scolaro (%). Ki-mane la difficoltà rispetto al Vernia, che è maggiore di quella del Nifo, come dopo più di due mesi soltanto cambio opinione, cive da averroista addivenne antiaveroista col trattato de unitute intellectus contro Averroe. Di cosi subitanea mutazione la causa dovette essere la scomunica del Barozzi fattasi sentire un po' più efficacemente.  Che il Nifo ricerette dal Vernia l'indirizzo fondamentale dalla sua ritrattazione, risulta non solo dall'andamento del libro de intellecte nel tutto insieme, ma anche da un'al-tra circostanza che c' induce a credere cosi. Il Nifo confessa nella dedica del commento de anima (') al Giulio cardinale dei Medici, che tutte le cose raccolte sul de anima da lui fin da quasi fanciullo gli furono rubate e stampate a sua insaputa e col suo nome, acciocché la cosa fosse più verosimile (). Si capisce che queste cose raccolte furono sotto scuola del Vernia. E se il de intellectu a confessione del Nifo si intende per il commento de anima, e deve succedere a questo, ed è giudicato il primo parto suo giovanile, è ragionevole supporre che l'un e l'altro libro sieno stati inspirati dal suo maestro nei punti principali della ritrat-tazione.  Percorriamo ora brevemente la sesta dissertazione, per vederne il contenuto. Dice che Anassagora, Esiodo, Senofane, Melisso e Parmenide convengono nel porre che sia lo stesso Dio e l'anima intellettiva: unico Dio, unico intelletto. Di qui nacque l'errore di Averroe e di altri peripatetici che dicono uno essere l'intelletto in tutti.  Democrito e Leucippo non facendo differenza tra senso ed intelletto, ammisero l'anima fatta di atomi. Empedocle volle l'anima composta degli stessi principii delle cose, perché conosce queste cose. Costoro dunque ammettono l'anima generabile. Riferisce l'opinione di Pitagora che pose l'anima immortale per la metempsicosi, e di Platone che disse l'anima da Dio creata, infusa nei corpi. Ma Ori-gene secondo S. Tommaso volle l'anima creata de noronon eterna, rinchiusa nel corpo pel peccato originale.  Avicenna che ammise l'immortalità, disse le specie non causate dai fantasmi per l'agente intelletto, ma clie questi dispongano l'anima a ricevere le specie. Dopo ciò, magna discordia inter peripateticos, perché in Aristotele non si trova sciolta né la prima ne la seconda questione, cioe an anima intellection sit forina substantiulis humani corporis, utrunce sit in eo felicitabilis.  Alessandro ammise l'anima intellettiva essere eterna, e pose l'intelletto agente e possibile come eterni. Averroe non avendo conosciuto il horo dell'anima di Aristotele, disse l'intelletto possibile corruttibile, ed intese per intelletto possibile l'anima cogitativa. Ma se è immortale l'agente, tale è anche il possibile. La sua attitudine a tutto ricevere è in consonanza colla libertà. Qui ci è una esposizione delle ragioni per cui Averroe ammise l'unita dell'intelletto; perché è impossibile l'infinita moltitudine d'intelletti, perché non non vi è moltitudine nella stessa specie se non per la materia, perché è impossibile la creazione. E subito dopo una imprecazione ad Arerroe.  Conchiude coi peripatetici più famosi che tra Platone ed Aristotele non ci è discordia, se non nelle parole, e che l' anima sia sostanziale dans esse forinaliter corpori hurano, moltiplicata in singulis hominibus, ab acteï-no creata a deo et corporibus infusa. E ciò secundum sacrosanctam Rom. Ecclesiam et veritatem. Ma ci è qualche cosa di più: sostiene che queste cose non solo bisogna credere ex fide, sei philosoplice, non dicendo nulla di contrario ai principii di Aristotele. Arriva ad ascrivere ad Aristotele anche la creazione: locché é la cosa più strana per il Vernia, che a questo profosito si era cosi decisanente espresso cessario cambiarne altre con quella connesse. Ritiene perciò che all'anima non conviene mutazione per l'acquisto della scienza. Per l'unione ai fantasmi è l'universale co-  nosciuto. Ma il singolare non può essere conosciuto prima dall'intelletto, ma solo dal senso in cui vi è mutazione.  Nega quindi al Gianduno che l'intelletto per conoscere l'universale abbia prima bisogno della conoscenza del par-ticolare; altrimenti vi sarebbe mutazione nella scienza, e quindi alterazione nell'intelletto. Cosi spiega che l'inten-dere è per reminiscenza. Similmente circa la indivisibilità dell'anima, il cui opposto ammise Averroe, Osserva che se l'anima non fosse tale, l'uomo non sarebbe lo stesso da mane a sera. Un altro inciampo era, come l'anima intellettiva dá l'essere al corpo umano. Crede una stoltezza l'affermare col Gianduno che non può avvenire se non jer miracolo, che una forma inestesa dia l'estensione.  Qui intanto anche lui si rifugia alla fede, ut fideles po-nunt. Finalmente ne dimostra la immortalità: ciò che é indebilitabile per la esistenza dell'oggetto, è immortale.  L'intelletto è tale: è eterno, come gli universali, non è organico, jerché la sua operazione non è corporea. Un argomento spesso riprodotto dal Pomponazzi, è questo : non si va da un estremo all'altro senza un mezzo. Tri la forma astratta e la nateriale ci è la media che dá l'essere alla materiale: e jer questo conviene colla be-stia, ed è incorrutibile come la celeste natura. In mezzo a tante difficoltà che tratta, egli è però convinto che lasoluzione si trova nella fede: e e Platone si accostò alla verità, non la vidde completamente. Sei soluin ficiles inspirationis lemine fidei illuminati ceritatem attingere complete, et soli complete salisfuciunt omnies poesi-  tis in his difficultatibies.  Da questa dissertazione si vede che il Vernia mostra di aver perduto ogni vigoria speculativa, ed ogni connes sione stretta di pensare. Ed essa si può piuttosto accettare come una confessione di fede, anzi che come una vera tesi scientifica. Il rifugio nella scienza era S. Tommaso, od un Platonismo cristiano. Tale era l'intonazione che aveva dato il Bessarione venendo in Italia: e questa si seguito piuttosto a Firenze, che a Padova. E nissnn dubbio che questo indirizzo lo segue il Vernia. E credo che gli faceva coin-modo per levarsi dagli impicci che gli dava il Baroz-zi, e perché desiderava il canonicato di Aquileia, al quale avrebbe trovato ajerta la via con tale pubblica con-tessione. Ma, siccome è troppo difficile abbandonare quelle idee che sono state il nutrimento di un giovane intelletto; cosi anche qui si vede in mezzo alle imprecazioni ad Averroe ed alle eccessive dottrine di fede, una tendenza a mitigare l'averroismo, cioè a con-temperarlo colle dottrine della chiesa. Ed il Barorzi gli dice nella lettera di risposta che lui la fatto bene di fare questo opuscolo, sia che senta cosi, sia che no, perché la sua autorità è grandissima. E lo paragona a S. Paolo con-  vertito; ma pure il sospetto sulla sua fede non cessó to-talmente. Epperò egli replica la sua confessione dopo pochi mesi dalla pubblicazione del suo opuscolo nel suo testamento.  Il Nifo nella età giovane imito in tutto il suo mae.tro nella tarda etá colla sua barcollante fede nell' arerroi-smo. Cosa che il Pomponazzi gli osservò bene nel de-fensorium. Che autorità ha quest'uomo (ei dice) che mentre ora segue l'unita dell'intelletto che noi diciano essere di Averroe, prima l'ha condannata! Allude appunto al trat-se il sistema secondo il Bessarione, di non avere nissun criterio proprio. E nella prefazione al de Anima egli professa col Bessarione (') che né Platone ne Aristotele arrivarono perfettamente alla fede ortodossa; ma in loro si osserva una parvenza della nostra religione, che poi il creatore per mezzo della dottrina del suo figlio rivelò più manife-stamente. Le sentenze perció di Platone e di Aristotele si debbono accomodare a quella di Cristo. Tale fu il Ver-nia nell'eta decrepita, e tale il Nifo nella gioventi.  Il sistema era molto commodo non solo a non avere disturbi quali ebbe il Vernia, ma anche ad aprirsi una via sicura agli onori che la chiesa impartiva. Era il tempo della simonia allora: una fede anche larvata ci voleva semj re, come scala alle lucrose onorificenze.  Noi non ci meraviglieremo delia confessione del Ver-nia, o meglio della sua ritrattazione, perclé ancle il povero Pomponari fu obbligato a confessare che gli argomenti del Padre Crisostomo, dell'ordine dei predicatori, contro il suo trattato de immortalitale erano fuori ogni dubbio. E si obbliga che il suo libro non puù esser venduto senza quella aggiunzione! Solo ci possiamo meravigliare del suo discejolo che seppe imitare a proprio vantaggio ció che fu un tratto di deboleza senile del suo maestro, senza aver mai dato in tutte le sue 44 opere un lampo di ingegno un po' libero e meno servile alla chiesa.Nicoletto Vernia. Vernia. Keywords: i parepatetici, i parepatetici padovani – i parepatetici di padova, il lizio, unita, Aquino, method in philosophical psychology -- Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft MS – Luigi Speranza, “Grice e Vernia: viva Aristotele!” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria. Vernia.

Grice e Vero: la ragione conversazionale a Roma – l’implicatura conversazionale del fratello d’Antonino -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Roma). Filosofo italiano.  Like Antonino, he is adopted by Antonino Pio. They share many tutors, including Erode Attico, Frontone, Apollonio, and Sesto. They both succeed the throne when their adoptive father dies. When he dies, his brother deifies him for the Roman people.   Quando Marco Aurelio , gia’ Cesare di Antonino Pio , divenne Augusto alla morte del padre adottivo , si verifico’ un fatto straordinario : l’ Impero Romano ebbe per la prima volta nella sua storia due Imperatori legittimi ; ma come si giunse a questa anomala circostanza ?  L' Imperatore Adriano aveva stabilito che alla sua morte l’ Impero passasse all’ adottato Cesare , Lucio Ceionio Commodo , meglio conosciuto come Lucio Elio Vero , non tutti i consiglieri di Adriano approvarono questa scelta , ma cosi’ fu ; Lucio Elio dopo una breve permanenza lungo la frontiera del Danubio , tipiche di questo periodo sono le monete emesse con al rovescio Pannonia , tornò a Roma per pronunciarvi il primo giorno del 138 , un discorso innanzi al Senato riunito . La notte prima del discorso però si ammalò e morì di emorragia nel corso della giornata . Il 24 gennaio del 138 Adriano scelse allora come successore Aurelio Antonino , che assunse poi l’ appellativo di Pio , obbligandolo a sua volta di adottare il futuro Imperatore Marco Aurelio e Lucio Vero il figlio di Elio Cesare .  Marco Aurelio , nato come Marco Annio Catilio Severo , divenne Marco Annio Vero , che era il nome di suo padre , al momento del matrimonio con sua cugina Faustina , figlia di Antonino , assunse quindi il nome di Marco Aurelio Cesare , figlio dell' Augusto , durante l'impero di Antonino Pio .  Marco Aurelio Antonino fu dunque , su espressa indicazione di Adriano , adottato nel 138 dal futuro suocero e zio acquisito Antonino Pio che lo nominò erede all' Impero . Alla morte di Antonino Pio il Senato voleva confermare solo Marco ma si rifiutò di entrare in carica senza che Lucio ricevesse gli stessi onori , alla fine il Senato fu costretto ad accettare e insignì anche Lucio Vero del titolo di Augustus . Marco divenne nella titolatura ufficiale , Imperatore Cesare Marco Aurelio Antonino Augusto mentre Lucio divenne Imperatore Cesare Lucio Aurelio Vero Augusto . Per la prima volta Roma veniva governata da due imperatori contemporaneamente .  Marco conservò una preminenza , dovuta al fatto che era stato Cesare dell’ ultimo Imperatore Antonino Pio , fatto che Vero non contestò mai sebbene la sua elezione ad Augusto fosse stata voluta da Adriano per onorare la memoria di Lucio Elio adottandone il figlio e al tempo stesso lasciare l' Impero anche a  Marco Aurelio di cui aveva capito le grandi qualità . A dispetto della loro uguaglianza nominale , Marco ebbe maggior autorita' di Lucio Vero e fu Console una volta di più avendo condiviso la carica già con Antonino Pio ; fu anche il solo tra i due a divenire Pontifice Massimo . In pratica l' Imperatore più anziano , Marco Aurelio aveva circa 10 anni piu' di Lucio Vero , deteneva un comando superiore al fratello più giovane .  Marco Aurelio durante l’ Impero tenuto in fratellanza con Lucio Vero ebbe diversi figli da Faustina minore ma uno solo sopravvisse , il futuro Imperatore Commodo . Apparentemente sembra che i due Imperatori regnassero in armonia con l’ unica informazione certa che Marco Aurelio non approvasse lo stile di vita del fratello adottivo in quanto da lui ritenuta troppo libertina per un Imperatore , come dimostro’ Lucio nella campagna partica nella quale affido’ in loco gran parte della guerra ai suoi generali mentre lui si divertiva in Antiochia ; Lucio ebbe anche qualche remora nel seguire Marco nella campagna in Germania essendo da poco tornato dall’ Oriente .  A questo punto della storia sorge la domanda del titolo , la morte di Lucio Vero ad Altino vicino Venezia a causa di un colpo apoplettico , fu casualita’ naturale o dovuta ad altra causa ? La domanda nasce spontanea per due motivi principali , il primo , forse meno importante , si riferisce al fatto che Cassio Dione nel narrare dei fatti di questa epoca , tace completamente sulla morte di Lucio Vero e questo fatto e’ alquanto strano aver taciuto sulla morte di un Imperatore conoscendo la serieta’ , scrupolisita’ e precisione dello storico greco , una dimenticanza ? Forse , ma rimane comunque un fatto strano .  Secondo motivo , piu’ importante , e’ che Marco Aurelio aveva quasi 10 anni in piu’ di Lucio vero e sapendo sempre tramite Cassio Dione che Marco Aurelio era di costituzione fisica non perfetta anzi cagionevole , in teoria sarebbe forse morto con molta probabilita’ prima di Lucio Vero e a quell’ epoca avere 10 anni in piu’ rispetto ad altra persona era quasi una naturale condanna a morire prima . Cio’ avrebbe comportato il fatto che Lucio Vero sarebbe rimasto un giorno unico Imperatore legittimo in carica , alla barba di Commodo figlio di Marco , oppure se questi avesse rivendicato l’ Impero anche per se , si sarebbe verificato il rischio di una guerra civile , come in seguito avvenne tra Marco e Avidio Cassio . Insomma i motivi per eliminare Lucio Vero erano seri , a Marco non piaceva il suo stile di vita e si sentiva anche legato nelle scelte di politica imperiale , inoltre lo strano assoluto silenzio di Cassio Dione sulla morte di Lucio lascia quanto meno perplessi essendo stato questi un Imperatore .  Occorre anche aggiungere che Giulio Capitolino nel narrare la Vita di Marco Aurelio riporta un passo secondo cui Marco Aurelio , nonostante le sue grandi qualita’ morali da tutti riconosciutegli , “sapesse anche abilmente fingere o almeno di essere meno leale di quanto sembrava”  Al termine di questo discorso si puo’ affermare che non esiste nulla di concreto , si ipotizza soltanto , ma le basi per avere dei blandi sospetti esistono ; naturalmente se di omicidio si tratto’ , non e’ detto che sia avvenuto per volonta' di Marco Aurelio , contrasterebbe troppo con la sua natura umana , potrebbe essere stato deciso da altra persona della cerchia imperiale , i pettegolezzi circa la sua morte , inseriti nella Vita di Lucio Vero , in questo senso non mancano .  In foto un cammeo antico in sardonice con Marco e Lucio , due busti al Museo di Londra , una moneta celebrante la Concordia degli Augusti e una di Lucio Elio con la Pannonia .Lucio Vero. Vero. Keywords: il principe filosofo. Luigi Speranza, “Grice e Vero”. Vero.

Grice e Veronelli: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del sadismo italiano – filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Milano). Filosofo italiano Essential Italian philosopher. Figura centrale nella valorizzazione e diffusione del patrimonio eno-gastronomico. Antesignano di espressioni e punti di vista che poi sono entrati nell'uso comune e protagonista di caparbie battaglie per la preservazione delle diversità nel campo della produzione agricola e alimentare, attraverso la creazione delle denominazioni comunali, le battaglie a fianco delle amministrazioni locali, l'appoggio ai produttori al dettaglio. V. assieme ad alcuni sommelier F.I.S.A.R. Originario del quartiere Isola di Milano, dopo il r. ginnasio Parini, compie studi di filosofia a Milano, diventando assistente di BARIE (vedi). Si professa per tutta la vita di fede anarchica, rifacendosi anche alle ultime lezioni tenute da CROCE a Milano. Inizia l'esperienza di editore, pubblicando tre riviste: “I problemi del socialismo,” “Il pensiero”, e “Il gastronomo.” Pubblica “La questione sociale di Proudhon” e “Historiettes, contes et fabliaux di De Sade”. Per quest'ultima viene condannato, insieme a MANFREDI (autore dei disegni, poi assolto), a tre mesi di reclusione per il reato di pornografia. L’opera di De Sade e poi messa al rogo nel cortile della procura di Varese. Subisce anche una condanna di VI mesi di detenzione per aver istigato i contadini piemontesi alla rivolta, con l'occupazione della stazione di Asti e dell'auto-strada, per protestare contro l'indifferenza della politica per i problemi dei contadini e dei piccoli produttori. Diventa collaboratore de Il Giorno.  L'attività giornalistica lo impegna, e i suoi articoli, di stile aulico e provocatorio, ricchi di neologismi e arcaismi, faranno scuola nel giornalismo eno-gastronomico e no. Tra le testate cui collabora vanno ricordate, oltre a Il Giorno: Corriere della Sera, Class, Il Sommelier, V. EV, Carta, Panorama, Epoca, Amica, Capital, Week End, L'Espresso, Sorrisi e Canzoni TV, A Rivista Anarchica, Travel e Wine Spectator, Decanter, Gran Riserva ed Enciclopedia del Vino, The European. L'apparizione televisiva ne aumenta notevolmente la fama, in particolare A tavola alle 7, in cui conduce il programma prima a fianco di Scala e di Orsini, poi di Ave Ninchi, e il Viaggio Sentimentale nell'Italia dei Vini, dove realizza l'aggiornamento, provocatorio e di denuncia, della viti-coltura italiana, con inchieste, interviste, proposte che hanno scosso quel mondo.  La sua attività di ricerca e di approfondimento nel campo eno-gastronomico lo porta alla pubblicazione di alcune opere fondamentali, anche di carattere divulgativo. Da segnalare: “I Vignaioli Storici”, “Cataloghi dei Vini d'Italia”, dei “Vini del Mondo”, “Degli Spumanti e degli Champagne, delle Acquaviti e degli Oli extra-vergine”, “Alla ricerca dei cibi perduti”, “Il vino giusto”, e la collana Guide V. all'Italia piacevole. Fondamentale anche la collaborazione con Carnacina, maître e gastronomo celeberrimo e Guazzoni maître e sommelier. Ne nascono, ad esempio, “La cucina italiana” e “Il Carnacina.”  Fonda la seconda V. Editore col puntuale obiettivo di approfondire la classificazione dell'immenso patrimonio gastronomico italiano e contribuire ad accrescere la conoscenza dell’attrattive turistiche del “paese più bello del mondo,” secondo Platone. La casa editrice cessa l'attività a fine. Collabora con Derive\Approdi scrivendo le prefazioni ad alcuni libri di carattere storico, politico e gastronomico. L'intenso rapporto epistolare sulle pagine di Carta con Echaurren costituisce un forte stimolo di riflessione sulle questioni legate alla terra e alla qualità della vita materiale per il movimento contro la globalizzazione. Isieme ad alcuni centri sociali, tra cui La Chimica di Verona e il Leoncavallo di Milano, al movimento Terra e libertà. Sempre di questi anni le battaglie per le denominazioni comunali, una salvaguardia dell'origine di un prodotto; per il prezzo-sorgente, cioè l'identificazione del prezzo di un prodotto alimentare all'origine, per rendere evidenti eccessivi ricarichi nei passaggi dal produttore al consumatore; per l'olio extra vergine d'oliva, contro le prepotenze e il monopolio delle multi-nazionali e le ingiustizie della legislazione per i piccoli olive-coltori. Di idee anarchiche, si è anche interessato di questioni filosofiche, pubblicando anche articoli su A/Rivista Anarchica e saggi. Le pubblicazioni hanno subito il segno dei suoi interessi libertari, libertini, eno-gastronomici: racconti, novelle e novelline di de Sade -- che gli procurerà una denuncia e la condanna al rogo dei libri, tra gli ultimi roghi di libri avvenuti in Italia --, le poesie di Pagliarani, la rivista Il gastronomo e quella di filosofia “Il pensiero”, poi interessante per qualche anno e l'editore della rivista Problemi del socialismo, diretta da BASSO. In seguito mise un po' in disparte le questioni filosofiche per concentrarsi su quelle più propriamente eno-gastronomiche e agricole. In A-Rivista Anarchica si definisce V. l'"anarchenologo" ritenendo che l'attività di V. vada inquadrata in un ambito libertario e contro l'attività delle multi-nazionali agricole.  Gli anarchici della Cellula V., con l'intento di mostrare l'aspetto più propriamente politico di V., hanno organizzato un incontro intitolato "V. politico", a cui hanno preso parte personalità del calibro di MURA, giornalista di La Repubblica, FERRARI della Federazione Anarchica Reggiana (promotrice dell'evento biennale, ideato nella sua prima edizione insieme allo stesso Veronelli, Le cucine del popolo) e TIBALDI. Dag’anarchici è sempre stato considerato un compagno. V. e un libertario, un uomo colto, senza dogmi, senza ipocrisie, in perenne lotta contro l’armate schiaviste delle multi-nazionali (Pagliaro, Umanità Nova, Milano gli attribuisce l'ambrogino d'oro.  Rassegna stampa. A-Rivista, Lettera i giovani estremi  Proudhon: La questione sociale – V. politico. L'ultimo dei vini artigianali sarà sempre migliore del primo dei vini industriali, perché avrà un'anima -- Il canto della Terra. Il nostro anarchenologo. Un incontro inatteso. Cellula V. Veronelli politico. Circolo Cucine del Popolo, l'addio, Bosana Salsa suprema. Luigi Veronelli. Veronelli. Keywords. Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft – Luigi Speranza, “Grice e Veronelli: metafisica dell’amore” – The Swimming-Pool Library, Liguria.

Grice e Verrecchia: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della falena dello spirito -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Vallerotonda). Filosofo italiano Essential Italian philosopher. Studia a Torino. Trascorse un certo periodo nel parco nazionale del Gran Paradiso, considerato come il più formativo della sua vita. Lì contempla in modo disinteressato i fenomeni della natura. Fa tre università -- e solito dire -: quella vera e propria, che non mi ha dato nulla o quasi; la collaborazione alle pagine dei quotidiani come elzevirista, che mi ha costretto a leggere libri che altrimenti non avrei mai letto; e infine l'università più utile in assoluto, vale a dire il soggiorno nel Gran Paradiso a contatto con la natura. Frutto di quel soggiorno è il saggio che contiene la sua filosofia, potentemente aforistica. I manoscritti riaffiorati molto più tardi spiegano la tardività della sua pubblicazione, avvenuta presso Fògolasi tratta del Diario del Gran Paradiso. Visse poi a Berlino ed e per addetto culturale all'ambasciata d'Italia a Vienna. Collabora alle pagine culturali di giornali italiani, tra cui Il Resto del Carlino, La Stampa, Il Giornale. Collabora stranieri (Die Presse, Die Welt). Non parla volentieri della sua vita privata perché, dice, di un filosofo ciò che interessa sono gli teorie e non le vicissitudini personali. Traduttore di Lichtenberg, appassionato studioso di BRUNO e Nietzsche, nel suo orizzonte culturale, però, la figura che risalta di più è senz'altro quella di Schopenhauer, da lui considerato a tutti gl’effetti un maestro da tradurre e continuare. Elementi caratteristici dei suoi saggi sono l'irriducibile vena polemica e una sacra bilis, ma la sua prosa spicca anche per chiarezza ed energia. La sua prosa insieme a quella di CERONETTI, SGALAMBRO e GIAMETTA è stata giudicata la migliore prosa filosofica. Saggi: “L'eretico dello spirito” (Firenze: Nuova Italia); “La catastrofe di Nietzsche a Torino” (Torino: Einaudi), “La tragedia di Nietzsche a Torino: la catastrofe del filosofo che sogna un super-uomo al di là del bene e del male (Milano: Bompiani); “Incontri viennesi” (Genova: Marietti), “Cieli d'Italia (Milano: Spiral); “Diario del Gran Paradiso (Torino: Fogola), “BRUNO: la falena dello spirito” (Roma: Donzelli); “Rapsodia viennese: luoghi e personaggi celebri della capitale danubiana” (Roma: Donzelli), “Schopenhauer e la Vispa Teresa: l'Italia, le donne, le avventure” (Roma: Donzelli), “Vagabondaggi culturali” (Torino: Fogola); “La stufa dell'Anti-cristo: altri vagabondaggi culturali” (Torino: Fogola), “Batracomachia di Bayeruth: nietzschiani contro wagneriani; Padova: il prato, Lettere Mercuriali (Torino: Fògola). “Il cantore filosofo” (Firenze, Clinamen); “Il mastino del Parnaso: elzeviri e polemiche” (Firenze: Clinamen); Saggi introduttivi, traduzioni e cure Viaggio in Italia  di Mommsen (Torino: Fogola). Libretto di consolazione (Milano: Rizzoli); Le civiltà pre-colombiane (Milano: Bompiani,). Colloqui (Milano: Rizzoli), poi: “Il filosofo che ride” (Milano: Rizzoli), “Metafisica dell'amore sessuale: l'amore inganno della natura” (Milano: Rizzoli); “Sulla filosofia di Schopenhauer (Milano: TEA); “Aforismi per una vita saggia” (Milano: Fabbri); “O si pensa o si crede: sulla religione” (Milano: Rizzoli); “Lo scandaglio dell'anima” (Milano: Rizzoli); “Breviario spirituale” (Torino: POMBA). A Bogotà c'è un erede di Montaigne. Tuttolibri de La Stampa, Allora basta un rospo per finire al rogo. Tutto libri de La Stampa, MATHIEU, Tre giorni in giallo. Tutto libri de La Stampa, Risvolto di copertina della Rapsodia viennese.  Verrecchia, su digilander libero. Lanterna, V. venerando e terribile, Pulp Libri, (ora in Lanterna, Il caleidoscopio infelice. Note sulla letteratura di fine libro, Clinamen, critica Lanterna, Il caleidoscopio infelice. Note sulla letteratura di fine libro, Clinamen. Dotti, I vagabondaggi culturali di V., in rivista. Le case illustri, di Lisa Elena su archivio la stampa. Addio al filosofo V., di Sorrentino, su poesia. RAInews. L'Anticristo goloso, di Rota, su piemontemese. Anacleto Verrecchia. Verrecchia. Keywords: la metafisica dell’amore, Nietzsche a Torino, Bruno, la falena dello spirito. Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft MS – Luigi Speranza, “Grice e Verrecchia: metafisica dell’amore” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.

Grice e Viano: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del va’ pensiero – il carattere della filosofia italiana – filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Aosta). Esential Italian philosopher. Filosofo italiano. Si laurea in filosofia a Torino sotto ABBAGNANO. Insegna a Milano e Cagliari. Fa ritorno, in qualità di ordinario fuori ruolo di storia della filosofia, a Torino. Fa parte del Comitato Nazionale per la bio-etica, ed è stato membro del direttivo della “Rivista di filosofia” e socio nazionale dell'accademia delle scienze di Torino.  Insignito del premio Feltrinelli per la storia dela filosofia. Di formazione illuminista, V. si occupa di storia della filosofia antica. -- è autore di importanti studi su Aristotele (“La logica di Aristotele” (Torino, Taylor) e l’empirismo (“Dal razionalismo all'illuminismo” (Einaudi, Torino); “Il pensiero politico” (Laterza, Roma). Nel campo dell'etica, oltre a studi storici -- “L'etica” (Mondatori, Milano), “Teorie etiche” (Boringhieri, Torino) -- si dedica a promuovere la costruzione di una bio-etica e a denunciare la timidezza dei laici di fronte alle ingerenze del cristianesimo.  Da Mistretta, direttore editoriale della Laterza di Roma, gli fu affidata, la direzione di una “Storia della filosofia.” Altre saggi: “La selva delle somiglianze: il filosofo e il medico” (Torino, Einaudi); “Va' pensiero: il carattere della filosofia italiana” (Torino, Einaud); “Filosofia italiana nel dopo-guerra” (Bologna, Mulino); “Etica pubblica” (Roma/Bari, Laterza); “Le città filosofiche: per una geografia della cultura filosofica italiana” (Bologna, Il Mulino); “Le imposture degl’antichi e i miracoli dei moderni” (Torino, Einaudi); “Laici in ginocchio” (Roma/Bari, Laterza); “Stagioni filosofiche: la filosofia del Novecento fra Torino e l'Italia” (Bologna, Mulino); “La scintilla di Caino: storia della coscienza e dei suoi usi” (Torino, Boringhieri). Profilo biografico sull’accademia delle scienze. Mori, Torino ricorda V., su Torino. Cerimonia nell'accademia nazionale dei lincei, su presidenza della repubblica, Roma. Treccani Enciclopedie,  Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Registrazioni su Radio Radicale, Radio Radicale.  Biografia e testi sull'Enciclopedia multimediale RAI delle scienze filosofiche Rassegna stampa sul Sito Italiano per la Filosofia Recensione di "Le città filosofiche" su Recensioni Filosofiche. Il lizio. Il punto di vista da cui intendiamo prendere le mosse e che ci pare adatto a permettere un proficuo studio della logica del LIZIO – tanto celelbrato a Roma -- può essere sufficientemente precisato se messo in rapporto con la tradizione storiografica concernente questo argomento. Le non molte pagine che compongono l’ “Organon” hanno suscitato interessi per secoli intieri dal tempo dei commenti romani fino ai rinnovati studi aristotelici del '500, attraverso gli studi medioevali, e fino alla logica classica dell'800. Ma una vera e propria indagine storiografica volta non a sviluppare una tecnica logica i cui principi si considerassero posti da Aristotele, bensì a comprendere il significato delle dottrine dello Stagirita e nei rapporti con gli atteggiamenti di pensiero dei suoi contemporanei e nei rapporti con gli interessi dello Stagirita stesso, sorse solo all'inizio del secolo scorso e tramontò abbastanza rapidamente: tanto che da cinquant'anni a questa parte poche e non molto significative sono le opere dedicate alla logica aristotelica.  Le ragioni di ciò si possono forse trovare nella impostazione che nella filosofia contemporanea viene data al problema logico. Infatti, nell'800 da un lato la critica kantiana presenta un' interpretazione della scienza classica servendosi proprio delle categorie della logica tradizionale come categorie proprie dell'intelletto umano, categorie di cui si serve ancora la logica hegeliana che pretende addirittura di assurgere a logica di tutta la realtà; d'altra parte il positivismo, soprattutto in Inghilterra, tenta di elaborare una logica empirica servendosi degli schemi che la logica tradizionale aveva mutuato da Aristotele; e la stessa logica formale ottocentesca finisce con il favorire lo studio di quello che i suoi cultori conside ravano come il fondatore della loro disciplina. Invece nel 'goo l'ideali-smo neo-hegeliano abbandona l' esigenza panlogistica, almeno quale si configura nello Hegel, preferendo parlare di una Coscienza assoluta più che di un'Idea che si svolga secondo una necessità logica, scoprendo perciò negli schemi cui ancora la Wissenschaft der Logik si era attenuta contraddizioni insanabili, come il Bradley, o vedendo nella logica che si attiene agli schemi aristotelici una indebita infiltrazione di schemi verbali irrigiditi nel campo del pensiero puro, come CROCE, o l' irrigidirsi del pensiero pensante nell'astratto pensiero pensato, come GENTILE. D'altra parte anche la logica della scienza tentava di liberarsi degli schemi tradizionali diventati incapaci di intendere i metodi nuovi di cui l' indagine scientifica si serviva o avvicinandosi sempre di più alla tecnica della ma-  tematica, con la logistica, o configurandosi come rigorosa analisi sintat-tica del linguaggio o servendosi delle nuove categorie che il pragmatismo offriva per l'interpretazione della scienza. In questo orizzonte gli studi sulla logica aristotelica non trovavano terreno propizio per germogliare.  Infatti gli interpreti idealisti, tra i quali il più significativo è forse CALOGERO, accettavano ben volentieri la qualificazione della logica aristotelica come logica formale, come solidificazione astratta ed artificiosa dell'opera vivente del pensiero e perciò tentavano di mostrare come essa non fosse essenziale per la comprensione del vero pensiero aristotelico in quanto costituisce un' intrusione del dianoetico nella noesi, cioè nell'atto di pensiero puro che determina i suoi contenuti immediatamente e senza ricorrere allo schema verbale del giudizio, come dimostrerebbe nel modo più lampante il libro della Metaphysica ed il frequente affiorare di questa esigenza anche nelle pagine dell'Organon, additate con molto acume e con molta perizia nella succitata opera del CALOGERO. La logistica, per bocca del Russell, prendeva un netto atteggiamento polemico nei riguardi della logica aristotelica vedendo in essa un insieme di schemi verbali non rispondenti però ad un'autentica tecnica logica, perché inficiati dal presupposto sostanzialistico, di carattere metafisico, che, riducendo tutte le enunciazioni a proposizioni della forma soggetto-predicato, preclude ogni considerazione delle relazioni. Tuttavia proprio nell'ambito della logistica doveva sorgere un altro atteggiamento verso la logica ari-stotelica, meno polemico, rappresentato soprattutto dallo Scholz, dal Becker e dal Bochénski. Comune a questi interpreti è il presupposto che la logica di Aristotele sia logica formale, cioè volta ad elaborare schemi linguistici aventi rapporti noti ed indipendenti dal valore dato alle incognite che in essi possono comparire. In questo modo, pur accettando l'osservazione del Russell che la logica aristotelica non va accettata così com'è perché deve essere integrata e sviluppata soprattutto con l'aggiunta della logica delle relazioni, essi non polemizzano più contro di essa, ma anzi la considerano come il precedente storico della logica formale contemporanea che si presenta appunto come un progresso rispetto a quella. Di conseguenza questi interpreti non mettono in problema le dottrine aristoteliche e l'impostazione da esse data al problema della logica; ma anzi accettano che quella dello Stagirita sia la vera impostazione del problema logico, la soluzione del quale consiste nello sviluppo diretto delle dottrine dell'Organon. Infatti secondo lo Scholz Aristotele avrebbe formulato un'as-siomatica che permetteva alla scienza del suo tempo di organizzarsi come un sistema di proposizioni necessariamente connesse; su questa base, da un lato, il Becker ha intrapreso una trascrizione in simboli della dottrina aristotelica della possibilità senza dare ragione delle diverse interpretazioni che di questa categoria lo Stagirita veniva dando, mentre dall'altro il Bochénski ha svolto un esame particolareggiato dell'assio-matica di cui parlava lo Scholz e della dottrina linguistica da questa pre-supposta, senza però vedere i rapporti tra questa e quella. Contro questo rapporto di derivazione diretta della logica formale contemporanea da quella aristotelica protestava il Veatch facendo però uso di argomenti non molto persuasivi. Fuori della logistica, frattanto, le difficoltà sorgenti dal tentativo di interpretare la scienza contemporanea con la logica aristotelica venivano messe in luce dal Reiser in alcuni articoli assai superficiali e disordinati, ma contenenti alcune buone osservazioni, e soprattutto dal Dewey che, con un atteggiamento ben più equilibrato, notava come la logica aristotelica presupponesse l'ontologia della sostanza alla quale era legata. Ma, facendo occasionalmente queste osservazioni in un'opera teorica, egli lasciava aperto proprio il problema di trovare i modi precisi di questo rapporto tra ontologia e logica e di determinare come l'ontologia si modelli attraverso la logica.  Dall'esame delle interpretazioni surriferite si possono trarre alcune importanti considerazioni che permettono subito di orientarsi di fronte alla logica aristotelica. Infatti lo studio della logica propria della scienza contemporanea ci fa subito avvertiti che ad essa 101 sono più applicabili gli schemi dell'Organon distruggendo così la pretesa di vedere in esso le tavole eterne, sebbene magari ancora incomplete, su cui sono segnate le leggi del pensiero umano e scoprendo le quali Aristotele avrebbe fatto l'uomo razionale, dopo che Dio lo aveva fatto semplice creatura a due gambe, come disse il Locke. Ciò posto, risulta impossibile giustificare storicamente la logica aristotelica vedendo in essa la scoperta del procedimento del pensiero in quanto tale, che è in fondo l'interpretazione del Barthélemy Saint-Hilaire, o anche solo dell’intelletto che sarà poi superato dialetticamente dalla Ragione, come sostiene lo Hegel. Ma allora il problema della logica aristotelica si presenta in tutta la sua gravità. Infatti essa non potrà più essere giustificata come insieme di regole che reggano il corso del pensiero stesso in quanto tale, ma bisognerà esaminare l'effettivo valore che essa ha per noi, i problemi che essa ci pone, gli eventuali mezzi per risolverli che essa ci offre. Ma queste sono prospettive di ricerca che ci si offrono solo in quanto alla logica aristotelica non si attribuisca una validità metastorica e si riconosca in essa un insieme di dottrine storicamente condizionate che storicamente vanno studiate. Da ciò consegue che la logica di Aristotele non potrà essere studiata come logica in quanto tale, ma dovrà essere studiata come logica aristotelica: cioè svolgere una ricerca su di essa vorrà dire giustificare il suo posto nell'insieme delle opere aristoteliche, mettere in luce quali problemi il suo autore si proponeva di risolvere e quali riusciva a risolvere con essa. Perciò le interpretazioni idealistiche e lo-  gistiche, che sopra abbiamo esaminato, non conducono a fondo l'interpretazione storica della logica aristotelica in quanto lasciano sussistere dei termini - logica formale, schema verbale - il cui significato non viene determinato nel corso dell'indagine stessa, ma presupposto ad essa. È vero che la logica di Aristotele è costruita di schemi verbali; ma l'osservare che quegli schemi verbali sono troppo limitati o che essi oggi non servono più e rimproverare ad essi di soffocare la vera vita del pensiero non serve a comprendere storicamente il pensiero dello Stagirita; piuttosto giova vedere che cosa potesse significare per Aristotele stesso « schema verbale», quale uso di esso egli giustificasse, di quali dimensioni tenesse conto e quali eliminasse per costruire proprio quella nozione.  Ed altrettanto dicasi per la qualificazione della sua logica come logica formale: in un certo senso questa attribuzione può essere sostenuta in quanto almeno gli Analytica priora si occupano di pure forme verbali in cui i termini sono rappresentati con lettere che prescindono da ogni eventuale contenuto. Ma il problema che subito si presenta è quello di determinare che significato abbia per Aristotele la « forma» e l'aggettivo « verbale» che ad essa viene attribuito. Perciò la comprensione storica della logica aristotelica ha come sua condizione la connessione delle dottrine logiche con le altre dottrine filosofiche dello Stagirita: a questo modo la logica non verrà considerata come la scienza del pensiero in quanto tale, ma come la logica resa possibile da una ben determinata posizione filosofica, presupponente una ben determinata metafisica, mentre, d'altra parte, sarà aperta la via a considerare con quali mezzi logico-lin-guistici sia stato possibile costruire quella metafisica.  La connessione delle dottrine logiche con quelle metafisiche nell' interpretazione di Aristotele non è nuova e, anzi, costituisce il tema dominante di alcuni studi assai celebri. Essa è riscontrabile nelle opere appartenenti alla storiografia francese di ispirazione spiritualistica facente capo al Ravaisson, all' Hamelin ed al Bergson. Carattere comune di questi studi è la presupposizione di una certa interpretazione della metafisica aristotelica, nella quale si cerca un posto per la logica o partendo dalla quale si discutono questioni pertinenti propriamente alla logica. E anche l'interpretazione della metafisica è caratterizzabile in modo assai tipico: essa infatti viene spiegata con schemi in prevalenza neoplatonici in base ai quali si vuole vedere teorizzata l'opera di un universale che darebbe vita agli individuali senza tuttavia risolversi totalmente in essi, lasciando così sussistere quelle aporie che. secondo questi interpreti, sarebbero riscontrabili nel xoprouós delle idec platoniche. Di conseguenza le interpretazioni della logica appartenenti a questa corrente, comc quelle dello Chevalier, dell'Aslan, del Badareu, del Robin, di S. Mansion rivelano un unico schema nel quale la logica appare come la dottrina dell'universale puro ed assolutamente necessario che lascia fuori di sé il particolare esistente, nel quale la nocessità si attenua fino a diventare soltanto il per lo più: anche qui cioè spunta la difficoltà della metafisica per cui da un lato l'universale è il solo oggetto veramente conoscibile, dall'altro il particolare è il solo oggetto veramente esistente. A questa interpretazione si potrebbe obbiettare che lascia insoluto proprio il problema della logica come logica, ossia come ricerca sulla possibilità di un discorso rigoroso, in quanto in questi studi non si vede come lo stesso discorso rigoroso, per potersi costituire come tale, richieda per Aristotele una certa metafisica. Del resto è assai significativo che questi interpreti si siano cimentati ben poco con gli Analytica priora esponendone semmai la dottrina, ma accettando implicitamente la tesi che in essi è svolta una trattazione di logica formale. Lo stesso Chevalier, che più degli altri si addentra nell'analisi di questo trattato, dichiara che esso rappresenta un tentativo di costruire una logica formale -- tentativo fallito perché il sillogismo richiede come fondamento una necessità reale che è concepibile solo se le premesse sono immediatamente intuibili, perché in caso contrario la pura necessità logica diventerebbe una mera necessità ipotetica. Ma la difficoltà sta proprio qui, cioè nell'assunzione che il sillogismo sia un mero mezzo di svolgere cocrente-mente un'ipotesi, il cui unico contatto con la realta consista in un' intui-zione intellettuale.  Ben più significativo è il modo in cui il Prantl tenta di connettere la logica con la metafisica nella sua Geschichte der Logik im Abendlande. Il fondamento della mediazione logica è un Realprincip immanente alle cose stesse e costituente l'equivalente ontologico delle categorie linguistiche di cui fa uso la logica. Il merito del Prantl consiste appunto nel tentare di definire per quel che gli è possibile il principio ontologico con categorie logiche, mettendo in luce la stretta connessione che per Aristotele sussiste tra questi due aspetti. Senonché anche qui non si vede poi come non solo il Realprincip sia definibile con categorie logiche, ma come le stesse categorie logiche determinino il Realprincip costituendosi pro-prio come categorie logiche. Mentre il Prantl pone al centro della inter-pretazione il concetto che è definibile contemporaneamente con catego-rie ontologiche e con categorie logiche, il Trendelenburg preferisce par-tire dalla considerazione del giudizio nel quale prendono senso lc cate-gorie che deriverebbero dalle varie parti del discorso distinte dalla gram-matica. Da questa interpretazione prendeva l'avvio una lunga discus-sione sulla dottrina delle categorie aristoteliche condotta dal Bonitz, dall'Apelt, dal Gercke, dal Witte, dal Geyser, dal Gillespie, dal von Fritz, nel corso della quale si tenta di penetrare sei-pre meglio i precedenti academici della dottrina aristotelica e si abban-dona anche l'analogia con le categorie kantiane che in un primo tempo erano state il termine del confronto che tutte le trattazioni si sentivano in dovere di fare impedendosi cosi la comprensione del significato propria-mente aristotelico di quella dottrina. Ma il motivo della centralità del giudizio nella logica aristotelica veniva ripreso ed ampliato dal Maier che intitolava un'amplissima opera sulla logica aristotelica Die Syllogi-stik des Aristoteles, mostrando appunto di voler imperniare tutte le sue indagini sul sillogismo considerato come la base di tutte le dottrine del-l'Organon. Il Maier rifiuta nettamente l'interpretazione formalistica della logica aristotelica sostenendo che per lo Stagirita giudizio e sillogismo hanno sempre un valore logico ed un valore ontologico. Ma poi distingue il significato ontologico da quello metafisico considerando l'intrusione del metafisico nella logica come un passaggio indebito compiuto in più punti dallo stesso Aristotele. Di conseguenza la logica, anziché essere interpretata in connessione con le dottrine metafisiche di Aristotele, viene disgiunta da esse ed irrigidita in una struttura formale che a quelle è estranea: perciò solo apparentemente il Maier respinge l'interpretazione formale della logica aristotelica, in quanto la sua interpretazione si distingue da quella formalistica solo perché non riconosce valore meramente linguistico agli schemi logici, ma li trasporta nel reale stesso pur senza alterare la loro natura. Appunto perciò l'interprete non è poi in grado di mettere in luce la connessione di quegli schemi con le altre dottrine filosofiche dello Stagirita, dalle quali, anzi, pretende di prescindere. Il Maier mette iu luce una esigenza che si fa veramente valere nell'indagine sull' Organon - cioè il bisogno di precisare il valore ontologico degli schemi logici —, ma non è in grado di soddi-sfarla, in quanto la distinzione dell'ontologia dalla mctafisica non regge, almeno nell'ambito delle dottrine aristoteliche, perché 1°) per Aristotele la metafisica si configura appunto come ontologia, in quanto pretende di essere la teoria dell'essere in quanto tale; 2°) l'eliminazione della metafisica dalla pura ontologia costituita dalle dottrine dell'Organon ha costretto il Maier ad espungere idealmente dalla logica aristotelica sviluppi non irrilevanti.  Poiché abbiamo visto che l'autentica comprensione storica delle dottrine logiche dello Stagirita ha come condizione la loro connessione con le dottrine metafisiche, ci pare di poter affermare che gli interpreti che si sono messi su questa via e che sopra abbiamo citato, non hanno realizzato appieno il loro proposito in quanto non hanno del tutto realizzato proprio quella condizione. Infatti o, come il Maier, hanno irrigidito la logica in una struttura che ha impedito ogni suo ulteriore collegamento  son le errin pietarite oraco, i Pro e su pisto mone nageione,  poi la logica si sarebbe dovuta adeguare. Per stabilire un più stretto legame tra logica e metafisica aristoteliche bisogna esaminare la logica con l'intento di cercarvi gli strumenti con cui Aristotele ha potuto costruire la metafisica: cioè non si deve studiare la logica presupponendo la meta-fisica, ma considerando la metafisica come punto di arrivo della logica.  Ciò tuttavia non implica che la logica si svolga senza presupposti metafisici; ché anzi le dottrine logiche si vengono precisando via via con il precisarsi delle dottrine metafisiche e presuppongono posizioni metafisiche dalle quali sono indisgiungibili. La metafisica, perciò, si costituisce come punto di arrivo della logica non perché sia separata da questa, ma perché queste stesse categoric della metafisica si configurano in modo tale da determinare anche gli strumenti con cui esse sono usabili; d'altra parte dallo studio della logica si vedrà appunto come l'uso di certi determinati strumenti logici, l'impostazione della ricerca su certe determinate dimensioni e l'eliminazione di altre, porti all'elaborazione di una certa determinata metafisica che, a sua volta, giustifica quegli strumenti ed è il loro presupposto. A questo modo è possibile trarre dallo studio della logica l'orizzonte categoriale della metafisica, vale a dire l'unità delle dottrine metafisiche stabilite in base all'uso degli strumenti ad esse ap-propriati. Solo dalla indagine delle effettive categorie di cui Aristotele fa uso e del loro modo di operare potrà così emergere l'unità della filosofia aristotelica.  Ma per far ciò non sarà più possibile considerare la logica aristotelica come dottrina del procedere naturale dell'intelligenza o dottrina della conoscenza in generale, ma bisognerà fare concreto rifcrimento al modo preciso in cui Aristotele pensò che l'intelligenza lavorasse, cioè alla sua concezione della scienza. Infatti la stretta connessione della logica con la metafisica, nel modo che sopra abbiamo illustrato, diventa la stretta connessione della logica con la scienza, in quanto la metafisica di Aristotele si presenta appunto come una scienza che ha la medesima struttura delle altre scienze. Perciò dire che l'oggetto della logica aristotelica è il discorso comune, come fa il Kapp, non è interamente vero, in quanto il discorso comune può si costituire il punto di partenza ed il materiale delle considerazioni di Aristotele il cui oggetto, però, è la costruzione di un discorso scientifico fondato sul reale. Perciò se da un lato la metafisica esige la logica come quella che può determinare gli strumenti con cui le categorie metafisiche sono usabili, d'altra parte la logica tende alla metafisica come quella che, dando un fondamento nell' essere alle categorie logiche, legittima l'uso degli strumenti che quelle presuppongono. Ed appunto perciò la logica non sarà, come la tradizione con il nome di organon ha tramandato e come lo Zeller interpreta, uno strumento essa stessa, anche se mette in luce gli strumenti con cui certe categorie possono essere usate: essa, infatti, è una struttura che è necessaria all'essere perché possa esserci un discorso che lo enunci e al discorso per potersi costituire come discorso, anche sbagliato. Perciò presentandosi come logica della scienza quella di Aristotele non si configura come inetodologia, in quanto quest'ultima è possibile solo là dove non si presupponga l'esistenza di una struttura dell'essere già costituita e gli strumenti per conoscere la quale sono stabiliti una volta per tutte e stanno originariamente nelle nostre mani. Di conseguenza l'unico precetto metodologico che dalla logica aristotelica deriva è quello di non falsare gli strumenti che possediamo e di riconoscere l'essere in quello che veramente è. Ma tutto ciò potrà veramente venire alla luce solo attraverso lo studio dei fondamenti linguistici della logica aristotelica: infatti per Aristotele, come per Eraclito, la ragione è essenzialmente lóyos, discorso, cioè capacità di cogliere e di indicare con parole l'essenza stessa dell'essere. Il linguaggio, perciò, è lo strumento essenziale con il quale le categorie aristoteliche hanno da essere usate; e la posizione che ad esso Aristotele conferisce e le possibilità che ad esso apre costituiscono i fondamenti di tutta la costruzione logica e metafisica dello Stagirita. Del resto questo lato dell'indagine risponde pienamente agli interessi cui la filosofia odierna dedica la sua attenzione. Infatti, mentre da un lato la logica e la metodologia delle scienze dedicano sempre maggiore cura all'esame delle scienze in quanto fanno uso di certi determinati linguaggi e alle possibilità e ai limiti di questi linguaggi, dall'altro la considerazione dell'elemento linguistico della ricerca filosofica ha assai contribuito ad aumentare la cautela critica di quest'ultima e l'interesse per l'indagine sulle sue reali possibilità. Dalla tendenza volta a limitare la filosofia ad un'attività critica sull'uso delle parole ad altre più propense a dare ad essa un più vasto significato, le correnti più significative della filosofia con-temporanca si rendono conto dell'importanza che ha la determinazione del tipo di discorso che la filosofia deve adottare e delle possibilità che ne può trarre; e nella stessa tecnica dell'indagine filosofia l'analisi linguistica dei termini è praticata con sempre maggior frequenza nel tentativo di eliminare quelle parole o quei significati la cui determinazione non è possibile fare con mezzi il cui comportamento sia noto e, in qualche modo, controllabile. Il linguaggio cioè non è un insieme di segni assolutamente trasparenti, capaci di riprodurre fedelmente il puro pensiero o l'essere senza nulla pregiudicare di quella ricerca che nelle parole troverebbe solo la sede adatta alle sue conclusioni, ma interviene attivamente nella ricerca rischiando di deviarla su direzioni del tutto illusorie. Questo problema è particolarmente importante per la filosofia aristotelica che pretende di rintracciare, proprio avvalendosi del discorso, una struttura dell'essere universalmente valida e che nella logica si preoccupa di mettere in luce la posizione che il linguaggio ha come mezzo per enunciare quella strut-tura. Dalla soluzione data al problema del linguaggio come mezzo per enunciare l'essere dipende la configurazione della logica come struttura necessaria e non come disciplina possibile del discorso; nel senso che i mezzi semantici di cui il discorso è costituito sono sempre adatti a mettere capo ad un insieme in cui le categorie dell'essere sono adeguatamente aggravata dal fatto che sull'autenticità di due opere del corpus logicum si sono sollevati dubbi. È nostro preciso intento trattare questo problema nella misura richiesta dall'indagine che intendiamo condurre ed esclusivamente in vista di essa. Ora, del trattato delle Categoriae ci siamo serviti solo in quanto conteneva dottrine del tutto confermate da altri scritti di sicura attribuzione, mentre più largo uso abbiamo fatto del De interpretatione. Contro le difficoltà di natura oggettiva sollevate fin dall'antichità contro il trattatello ha svolto considerazioni probanti il Maier. Quanto a noi ce ne siamo serviti per studiare dottrine che trovano sicuro riscontro negli Analytica priora (qualità e quantità dei giudizi e dottrina della modalità), salvo differenze trascurabili per il punto di vista da cui ci siamo collocati (p. es. la comparsa dei giudizi individuali non considerati dagli Analytica). La dottrina della convenzionalità non trova invece riscontro letterale in altri testi aristotelici; senonché si può osservare: 1°) la nozione di inópavas come avíleois di arópiois e xatápaois compare anche negli Analytica posteriora e la costituzione di un discorso apofantico presuppone appunto l'eliminazione del problema della semanticità, che è proprio il senso in cui abbiamo interpretato la nozione aristotelica di convenzionalità del linguaggio; 2°) la dottrina del giudizio in tutte le sue enunciazioni presuppone la convenzionalità nel senso sopra specificato; 3") la Poetica che parairasa passi del “De interpretatione” eliminando la tesi della convenzionalità è stato dimostrato dal Maier essere un'in-terpolazione tendenziosa. Perciò mentre mancano criteri oggettivi sicuri capaci di sostenere la tesi dell' inautenticità, neppure l'esito dell'esame condotto sulla concordanza dottrinale può indurrc a pronunciare l'atetesi del De interpretatione, o almeno delle parti che ci interessano.  Assai più difficile si presenta la questione della collocazione cronologica degli scritti logici. Essa fu affrontata dapprima dal Brandis che sostenne la precedenza dei Topica rispetto alle altre opere aristote-liche, tesi ripresa e completata dal Maier che ritenne di poter dividere i Topica in parti che non presuppongono la conoscenza del sillogismo e parti che la presuppongono. Altre a ciò il Maier ritenne di poter considerare il De interpreta-tiene posteriore agli Analytica, dando così un piano completo della successione delle opere logiche aristoteliche, dai più accettato e confer-mato recentemente, con uno studio sui rinvii reciproci delle singole opere, dal Tielscher. Mentre la considerazione dei libri B e H (nei ca-pitoli sopra citati) come le parti più antiche dell' Organon sembra del tutto pacifica, maggiori riserve si potrebbero sollevare di fronte alla col-locazione nello stesso periodo dei libri che eseguono un progetto tracciato all' inizio del A, sì da costituire un corpo ab-bastanza unitario nel quale si trova un rinvio ben netto alla dottrina della dimostrazione di Analytica posteriora. Se questo indizio nonè affatto sufficiente per posticipare i libri in questione, esso rivela tuttavia il tentativo di trovare, attraverso un' interpolazione, un inserimento della dialettica dei Topica nella sillogistica degli Analytica. Quanto alla posticipazione del “De interpretatione”, le ragioni più importanti addotte dal Maier - la mancanza di citazioni in altri scritti e la giustificazione del cap. go come polemica contro Diodoro Crono - non sono del tutto probanti.  L'opera iniziata dal Maier portava innanzi il Solmsen che, partendo dagli studi del Jäger, suo maestro, dava un ordinamento del tutto nuovo al corpus logicum accettando quasi integralmente le tesi del Maier per i Topica ma facendo precedere gli Analytica posteriora ai priora; ordinamento che, accettato dallo Stocks, veniva criticato con consi-derazioni ragionevoli del Ross. D'altra parte il Gohlke, prendendo in esame le dottrine della quantità e della modalità dei giudizi tentava di individuare strati diversi di composizione delle opere dell' Organon; ten-tativo parzialmente condotto anche dal Becker. In realtà nessuno di questi tentativi ha dato finora un ordine cronologico fornito di un grado apprezzabile di probabilità e stabilito su basi puramente oggettive, cioè tale da non implicare un' interpretazione filosofica della logica aristotelica.  Vista l'estrema difficoltà di stabilire un ordine cronologico filologi-camente fondato in maniera soddisfacente, abbiamo preferito rinunciare all'ordine cronologico (che sarebbe stato ben malsicuro), pur tenendo conto, dove ciò ci è parso indispensabile, dei nessi di priorità che ci sono sembrati indiscutibili. Ma, d'altra parte, abbiamo cercato di non irrigidire le dottrine di Aristotele in un sistema che non fosse il sistema stesso di Aristotele, tentando piuttosto di mettere in luce l'orizzonte in cui tutte quelle dottrine si impostano e sforzandoci di non impacciare le loro movenze pur cercando la loro unità: unità consistente appunto nel problema di rintracciare una struttura linguistica universalmente necessaria. Se essa precisa i suoi tratti con particolare evidenza nel De interpretatione e negli Analytica priora, tuttavia sta già alla base della dottrina del giudizio e del ragionamento rintracciabile nei Topica e costituisce uno dei tratti tipici dell'aristotelismo; quell'aristotelismo che è già riscontrabile nel platonisino del Aristotele dell’Accademia e non del Lizio! Viano. Keywords: la filosofia romana, il neo-tradizionalismo. Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft MS – Luigi Speranza, “Grice e Viano: il neo-tradizionalismo” – “Viano e la filosofia romana” -- The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.

Grice e Viazzi: la ragione conversazionale  e l’implicatura conversazionale della bellezza della vita – filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library  (Gavi). Essential Italian philosopher. Filosofo italiano. Apprezzato teorico e studioso di filosofia. Fra critici e interpreti di VICO, vuol esser ricordato con speciale considerazione, V.; il quale cura un'edizione della Scienza Nuova, facendola precedere d'una sua lunga prefazione, “La modernità e il positivismo di V.”, e accompagnandola con note che vorrebbero essere interpretative del testo. Comte e Spencer, Vogt e LOMBROSO, Büchner Haeckel, Ribot e Morselli, son questi i nomi cari a V. E accanto ad essi, egli pone quello del VICO, come di un sicuro e diretto loro antenato. Gli è che l'opera del VICO, fuori l'indirizze genuino dei metodi naturalistici, non può affatto intendersi, com non l'hanno intesa appunto - afferma esplicitarente il nostre nuovo interprete vichiano - tutti i metafisici, dai concettualisti pur ai neo-critici. Nè, altresì, conviene altrimenti giudicare il metod‹ vichiano, nell'idea e nell'attuazione, se non come empirico, in duttivo e psicologico, in forza del quale, è chiaro come il pen siero del filosofo, fortemente temprato dell'empiria del Bacone traesse decisamente a un sistema di sociologia o di demopsicologia. Il vero si è che VICO, accanto a Comte e Spencer, deve esser considerato come uno dei fondatori della scienza sociale; e nel modo suo di ricerca, negl'indirizzi degli studi nel loro stesso risultato, ci si rivela come il più genuino forse dei precursori dell'odierno positivismo critico, o filosofia scientifica che altri la voglia chiamare. Se è cosi, la nota dell'irreligiosità, nel sistema di dottrine di VICO, deve risonare con aperta e larga intonazione, non come un semplice motivo, chiuso chiuso, di preludio. Non si tratta più, dunque, di germi ideali ancora immaturi per il loro tempo, ma destinati poi alla fecondazione, dopo circa due se! coli d' inosservata incubazione; a spandere i loro effluvi inebbrianti sul campo rinnovellato del pensiero, che reca la piena iberta dello spirito, la suprema indipendenza della ragione. Contrariamente a ciò che opina il CROCE con i suoi, le conclusioni antireligiose dei principi vichiani sono apparse limpidamente delineate nel libero pensiero del filosofo; e inoltre sono state, esplicitamente, già dedotte dall'autore medesimo con una certa sufficienza, a chi ben osserva, e insieme con meditata parsi-monia, e, secondo l'importanza che esse hanno nell'organismo del sistema, messe nella loro vera luce, sebbene non piena e sfolgorante e a tutti accessibile. Sicché, da ogni pagina della Scienza Nuova emerge spontaneo, per una critica evoluta, il pensiero tutto vibrante di naturalità scientifica, tutto saturo di positivismo, che s'effonde con facile corso, attraverso il modo suo di ricerca, nell'indirizzo degli studi, nel loro stesso rieultato. Che se il VICO, per tal modo, ebbe a bandire estremamente, con matura persuasione e con coscienza, dall'opera sua di pensiero ogni genuina idea del divino e di religione, non poté conservare alcuna fede in fondo al suo cuore. Questo è ovvio.  Nè deve fare impressione di sorta il parlare, talvolta coperto, dell'autore, talvolta, ancora, irto di reticenze e concessioni, che sembra voglian salvare la forma d'una certa professione religiosa. Tale professione di fede (ci si fa notare) soverchiamente ripetuta, ha quasi sempre tutta la forma di un voler parere, più che altro si rifletta all'epoca ed al luogo in cui scrisse il nostro autore, e si comprenderà tutta la ragionevolezza pratica di talune concessioni'». Siamo, dunque, intesi: era una pura finzione di religiosità; una professione di fede, che doveva servire soltanto per il libero scambio nello smercio delle idee. E V. viene alle corte. A carico del VICO (s' intende, dall'aspetto del positivismo) fu quasi unanimemente posta la importanza, reputata eccessiva, non solo, ma intaccante alla base tutto il suo sistema, ch'egli dà ad una provvidenza divina regolatrice di questo mondo delle nazioni che egli prese a studiare. Ma quei che in tal guisa obbiettano, s'arrestano alla corteccia, e non penetrano con lo sguardo al midollo sottostante.  Non s'è detto, insomma, che VICO, non amante delle noie, cercava sempre, con insistente ostentazione, di allontanare il pericolo che s'addensassero, intorno alla sua opera, i sospetti e le avversioni dell'ortodossia dominante? Vico lo sente, quest'odioso freno all'espressione della sua idea, ma vi si trova costretto, e lo subisce. E incredulo qual'era nel pensiero e nel sentimento, tuttavia volle adoperare un ripiego formale che, senza dubbio, poteva giovargli di passaporto nell'epoca e nel luogo di pubblicazione del suo libro.? Si rifletta poi, in fine, che egli non era punto di apostolo.Se avesse avuto l'animo di BRUNO, si sa che le cose sarebbero procedute ben altrimenti. Cosi il nostro animoso interprete vichiano va difilato alla conclusione della sua fatica, per quel che concerne l'idea (della provvidenza divina) che domina e vivifica tutta l'esposizione dottrinale della Scienza Nuova. È chiaro, secondo lui, che anche qui la parola e l'espressione metempirica adoperate segnano un concetto prettamente positivo. Ricordiamo anzitutto come con singolare ostinazione VICO si richiami assai spesso a questo suo concetto, che il mondo delle gentili nazioni è pur certamente opera degli uomini. Questo nel campo delle idee. Nel campo ristretto della sua operosità di uomo, bisogna tener conto del fatto che VICO era obbligato a mettere i suoi libri sotto la protezione di cardinali; che scriveva prolusioni le quali non dovevano soverchiamente urtare il Corpo accademico dell'Università. Poichè in Italia si faceva professione di cattolicismo. quanto più superficiale tanto più generalmente ostentato; era utile e, più che utile, necessario, per un uomo che si trovava nelle umilissime condizioni del nostro autore dimostrare l'importanza del sentimento religioso nella vita sociale? Pio Viazzi. Viazzi. Keywords: Vico. Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft MS – Luigi Speranza, “Grice e Viazzi” – “Il Vico di Grice e il Vico di Viazzi” -- The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria

Grice e Vico: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’antichissima sapienza degl'italici -- da rintracciare nelle origini della sua lingua – filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Napoli). Filosofo italiano. “The best philosopher, but that’s Hampshire’s judgement!” – Grice. “Si potrebbe presentare la storia ulteriore del pensiero come un ricorso delle idee del Vico” (CROCE, La filosofia di V., Laterza, Bari). – cf. Whitehead on metaphysics as footnotes to Plato. Molte delle notizie riguardanti la vita di V. sono tratte dalla sua “Autobiografia”, scritta sul modello letterario delle “Confessioni” d’AGOSTINO. Dall’autobiografia V. cancella ogni riferimento ai suoi interessi giovanili per le dottrine atomistiche e per la filosofia di Cartesio, che hanno cominciato a diffondersi a NAPOLI, ma venneno subito repressi dalla censura delle autorità civili e religiose, che le consideravano moralmente perniciose e contrari all'indice dei libri proibiti. Nato da una famiglia di modesta estrazione sociale – il padre e un libraio – V. e un bambino molto vivace. A causa di una caduta, si procura una frattura al cranio che gli impede di frequentare la scuola per III anni e che, pur non alterando le sue capacità mentali, quantunque “il cerusico ne fe' tal presagio: che egli o ne morrebbe o arebbe sopravvissuto stolido,” contribusce a sviluppare “una natura malinconica ed acre.” Ammesso agli studi di grammatica presso il collegio massimo dei gesuiti, li abbandona per dedicarsi al privato approfondimento dei testi di NICOLETTI [vide], il quale, tuttavia, rivelandosi superiore alle sue capacità, provoca l'allontanamento dall'attività intellettuale per I anno e mezzo.  Ripresa la via degli studi, V. si reca nuovamente dai gesuiti per seguire le lezioni di RICCI. Rimasto ancora una volta insoddisfatto, si apparta nuovamente a vita privata per affrontare la meta-fisica. Successivamente, per secondare il desiderio paterno, V. e “applicato agli studi legali.” Frequenta per II mesi le lezioni di VERDE, s’iscrive alla facoltà di giurisprudenza, senza tuttavia seguirne i corsi, e si cimenta, come di consueto, in studi di diritto. Conseguita la laurea a SALERNO, si appassiona subito ai problemi filosofici, segno “di tutto lo studio che ha egli da porre all'indagamento de’ princìpi del diritto universal.” Lapide nella casa natale di via San Biagio dei Librai che recita: In questa cameretta nasce V.. Nella sottoposta piccola bottega del padre libraio usa passare le notti nello studio. Vigilia della sua opera sublime. La città di Napoli pose.” Il periodo di tempo intercorrente e denominato dell' “auto-perfezionamento.” Difatti, nonostante l' “Auto-biografia” riporti indietro la data d'inizio del suo magistero, svolge attività di precettore dei figli del marchese ROCCA presso il castello di Vatolla nel Cilento e colà, usufruendo della grande biblioteca, ha modo di studiare l’Accademia di FICINO e PICO. Approfondisce gli studi del Lizio, nonostante la dichiarata avversione per Aristotele e la scolastica. Legge i saggi di di BOTERO e di BODIN, scoprendo al contempo TACITO (che divenne un maestro cui s'ispira la sua filosofia) e la sua “mente metafisica incomparabile con cui contempla l'uomo qual è.” Affronta per un breve periodo studi di geometria e pubblica la canzone “Affetti di un disperato,” d'ispirazione lucreziana (vide LUCREZIO). Erma del V. Ritornato a Napoli, affetto dalla tisi, rientra nella misera dimora paterna. A causa delle grosse difficoltà economiche, V. è costretto a tenere ripetizioni di retorica e grammatica. Pubblica un discorso proemiale a una crestomazia poetica dedicata alla partenza di Benavides, vice-ré e conte di S. Stefano. Compone un'orazione funebre in memoria di Cardona, madre del nuovo vice-ré. Tenta vanamente di ottenere un posto di lavoro come segretario al municipio di Napoli. Vince, con striminzita maggioranza, il concorso per la cattedra di eloquenza e retorica a Napoli, da cui non riusce, con suo grande rammarico, a passare a una di diritto. -- è aggregato all'accademia palatina fondata dal vice-ré Aragón, duca di Medinaceli. Anche dopo la nomina accademica per il mantenimento del padre e dei fratelli, totalmente dipendenti da lui, apre uno studio dove dà lezioni di retorica e di grammatica e impegnarsi a lavorare su commissione alla stesura di poesie, epigrafi, orazioni funebri, e panegirici. Può finalmente prendere in affitto in vicolo dei Giganti una casa di tre camere, sala, cucina, loggia e altre comodità, come rimessa e cantina e sposar e avere VIII figli. Da quel momento non ha più la tranquillità necessaria per condurre gli studi, ma prosegue ugualmente le sue meditazioni tra lo strepitio de' suoi figlioli. A questo periodo risale, inoltre, la conoscenza con DORIA (vide) e l'incontro con la filosofia di Bacone. Il governo partenopeo gli commissiona la scrittura del “Principum neapolitanorum coniuratio” e in una cena a casa di DORIA, espone le sue idee sulla filosofia della natura che lo conduceno alla composizione del “Liber physicus.” Pronunzia in latino le VI orazioni inaugurali, ossia le prolusioni all'anno accademico e, se ne aggiunge una VII, più ampia e importante, “De nostri temporis studiorum ratione,” la quale si concentra molto sul metodo degli studi giuridici, poiché sempre ha la mira a farsi merito con l'università nella giurisprudenza per altra via che di leggerla ai giovinetti. Nel “De ratione”, inoltre, è contenuta la critica al razionalismo di Cartesio e l'elogio dell'eloquenza, della retorica, della fantasia, nonché dell’ingegno produttore della META-FORA. L'insieme delle prolusioni universitarie sono rielaborate per essere raccolte in “De studiorum finibus naturae humanae convenientibus”. È aggregato all'accademia dell'Arcadia e pubblica il primo libro dell'opera dedicata a DORIA, “De antiquissima italorum sapientia ex linguae latinae originibus eruenda,” recante il sottotitolo “Liber primus sive metaphysicus.” Accanto al “Liber Meta-Physicus,” l'opera comprender anche il “Liber Physicus” e un mai compost, “Liber Moralis.” Un anonimo recensisce l'opera nel “Giornale de' letterati d'Italia”, cui segue la risposta del V., accompagnata dal ristretto o ri-assunto del “Liber Meta-Physicus”. Aseguito di nuove obiezioni prodotte dall'anonimo recensore, replica con una Risposta II. Pubblica un trattatello sulle febbri ispirato alle bozze del “Liber Physicus”, recante il titolo di “De aequilibrio corporis animantis.” Inoltre, si dedica alla stesura del “De rebus gestis Antonii Caraphaei,” una biografia del maresciallo Carafa. Durante i lavori di questa opera biografica, V. si dedica alla ri-lettura del suo quarto «auttore», Grozio, cui dedicha un commento al “De iure belli ac pacis”. L'incontro di V. con la filosofia di «Ugon capo» ha un'importanza decisiva per il suo sviluppo filosofico. Da quel momento, il suo interesse e completamente assorbito dai problemi storici e giuridici. L'idea dell'esistenza di un'umanità ferina e primitiva, dominata solamente dal senso e dalla fantasia, ed entro cui si producono gl’ordini civili divenne centrale in tutta la sua filosofia. Vide la luce un'opera di filosofia del diritto, intitolata “De uno universi iuris principio et fine uno”, seguita dallo saggio “De constantia iurisprudentis,” diviso in II parti, “De constantia philosophiae” e “De constantia philologiae,” e che, nonostante il titolo si riferisca alla tematica giuridica, è meno incentrato sull'argomento rispetto al “De uno”. Benché le due opere si differenzino, segno di un rapido sviluppo della sua filosofia, è d'uso considerarli, come invero fece anche Vico, insieme alle notae aggiunte e le sinopsi premesse al saggio, sotto l'unico titolo di “Diritto universale”. S'iscrive al concorso per ottenere la cattedra di diritto civile a Napoli e commenta un passo delle “Quaestiones di Papiniano “davanti a un collegio di giudici, ma, con suo grande scorno, il posto e assegnato a GENTILE. Dopo la fama ottenuta dalla pubblicazione della “Scienza Nuova”, ottenne da Carlo III, la carica di storiografo regio. Tanto nuova e la sua dottrina che la cultura del tempo non puo apprezzarla. Così che V. rimanda appartato e quasi del tutto sconosciuto negl’ambienti filosofici, dovendosi accontentare di una cattedra di secondaria importanza a Napoli che lo mantene inoltre in tali ristrettezze economiche che per pubblicare il suo capolavoro, la “Scienza Nuova”, dovette toglierne alcune parti in modo che risultasse meno costoso per la stampa. Alle difficoltà economiche vissute per la pubblicazione dell'opera sua, che inficiarono la sua notorietà nel seno dell'accademia partenopea, s’accompagna una prosa involuta, pertanto di difficile penetrazione. Prima della “Scienza Nuova” V. scrive la prolusione inaugurale “De nostri temporis studiorum ratione,” il “De antiquissima italorum sapientia, EX LINGUAE LATINAE originibus eruenda” a cui si devono aggiungere le II risposte al “Giornale dei letterati di Venezia” che critica la sua filosofia, il “De uno universi iuris principio et fine uno” e il “De costantia iurisprudentis”. Afflitto da difficoltà e disgrazie familiari, V. incomincia a scrivere la sua “Autobiografia” pubblicata a Venezia. Vengono pubblicati i “Principii di una scienza nuova intorno alla natura delle nazioni.” Alla “Scienza nuova” lavora per tutto il corso della sua vita, con un’edizione integralmente ri-scritta anche a seguito delle critiche ricevute (cui aveva risposto nelle “Vici Vindiciae”) e, infine, rivista completamente, senza grandi modifiche, per la edizione III, pubblicata pochi mesi dopo la sua morte da suo figlio che lo aveva sostituito nell'insegnamento accademico. La morte «[incominciarono a crescere] quei malori che fin dai suoi più floridi anni l’avevano debilitato. Comincia adunque ad essere indebolito in tutto il sistema nervoso in guisa che a stento poteva camminare e, quel che più lo affligea, e di vedersi ogni giorno infiacchire la reminiscenza. Il fiaccato corpo anda in seguito ogni giorno più a debilitarsi in guisa che perde quasi interamente la memoria fino a dimenticare gl’oggetti a sé più vicini ed a scambiare i nomi delle cose più usuali. Affetto probabilmente dalla malattia di Alzheimer, all'epoca non ancora descritta scientificamente, negl’ultimi anni non riconosceva più i suoi stessi figli e e costretto ad allettarsi. Solo in punto di morte ri-acquista la coscienza come svegliandosi da un lungo sonno. Chiese i conforti religiosi e recitando i salmi di Davide muore. Per la celebrazione delle esequie nasce un contrasto tra i confratelli della congregazione di S. Sofia, alla quale V. era iscritto, e i professori di Napoli su chi dovesse tenere i fiocchi della coltre mortuaria. Non giungendo ad un accordo il feretro, che era stato calato nel cortile, e abbandonato dei membri della congregazione e e riportato in casa. Da lì finalmente, accompagnato dai colleghi dell'università, e sepolto nella chiesa dei padri dell'oratorio detta dei Gerolamini in Via dei Tribunali. Nell'ambiente culturale napoletano, molto interessato alle nuove dottrine filosofiche, V. ha modo di entrare in rapporto con il pensiero di Cartesio, Hobbes, Gassendi, Malebranche e Leibniz anche se i suoi autori di riferimento risalivano piuttosto alle dottrine neo-platoniche dell’accademia, rielaborate dalla filosofia rinascimentale di FICINO e PICO, aggiornate dalle moderne concezioni scientifiche di Bacone e GALILEI e del pensiero giusnaturalistico moderno di Grozio e Selden. Dal Portico di MALVEZZI riprende l'intuizione che il corso storico sia retto da una sua logica interna. Questa varietà di interessi fa pensare alla formazione di un pensiero eclettico in V. che invece giunse alla formulazione di un'originale sintesi tra una razionalità sperimentatrice e la tradizione platonica, accademica, e religiosa.  “De antiquissima Italorum sapientia” consta di tre parti: il “Liber Meta-Physicus”, che usce senza l'appendice riguardante la logica che, nella sua intenzione, avrebbe dovuto avere; il “Liber Physicus”, che pubblica sotto forma di opuscolo col titolo “De aequilibrio corporis animantis”, che anda smarrito, ma ampiamente riassunto nella Vita; e infine il “Liber moralis”, di cui non abbozza nemmeno il testo. Nel “De antiquissima” V., considerando il linguaggio come oggettivazione del pensiero, è convinto che dall'analisi etimologica di alcune parole si possano rintracciare originarie forme del pensiero. Applicando questo metodo, risale ad un antico sapere filosofico delle popolazioni italiche. Il fulcro di queste arcaiche concezioni filosofiche è la convinzione antichissima che “Latinis verum et factum reciprocantur, seu, ut scholarum vulgus loquitur, convertuntur” -- che cioè il criterio e la regola del vero consiste nell'averlo fatto. Per cui possiamo dire ad esempio di conoscere le proposizioni matematiche perché siamo noi a farle tramite postulati, definizioni. Ma non potremo mai dire di conoscere nello stesso modo la natura, perché non siamo noi ad averla creata.  Conoscere una cosa significa rintracciarne i principi primi, le cause, poiché, secondo l'insegnamento del Lizio, veramente la scienza è “scire per causas.” Ma questi elementi primi li possiede realmente solo chi li produce, “provare per cause una cosa equivale a farla”. Il principio del “verum ipsum factum” non e una nuova e originale scoperta di V. E già presente nell'occasionalismo, nel metodo baconiano che richiede l'esperimento come verifica della verità, nel volontarismo scolastico che, tramite la tradizione scotista, e presente nella cultura filosofica napoletana del tempo di V. La tesi fondamentale di queste concezioni filosofiche è che la piena verità di una cosa sia accessibile solo a colui che tale cosa produce. Il principio del verum-factum, proponendo la dimensione fattiva del vero, ridimensiona le pretese conoscitive del razionalismo di Cartesio che inoltre giudica insufficiente come metodo per la conoscenza della storia umana, che non può essere analizzata solo in astratto, perché essa ha sempre un margine di imprevedibilità. Si serve, però, di quel principio per avanzare in modo originale le sue obiezioni alla filosofia di Cartesio  trionfante in quel periodo. Il cogito di Cartesio infatti potrà darmi certezza della mia esistenza ma questo non vuol dire conoscenza della natura del mio essere. Coscienza non è conoscenza. Avrò coscienza di me ma non conoscenza poiché non ho prodotto il mio essere ma l'ho solo riconosciuto. L'uomo può dubitare se senta, se viva, se sia esteso, e infine in senso assoluto, se sia. A sostegno della sua argomentazione escogita un certo genio ingannatore e maligno. Ma è assolutamente impossibile che uno non sia conscio di pensare, e che da tale coscienza non concluda con certezza che egli è. Pertanto Cartesio svela che il primo vero è questo, Penso dunque sono. --“De antiquissima Italorum sapiential” in “Opere filosofiche,” a cura di Cristofolini (Firenze, Sansoni). Il criterio del metodo di Cartesio dell'evidenza procura dunque una conoscenza chiara e distinta, che però non è scienza se non è capace di produrre ciò che conosce. In questa prospettiva, dell'essere umano e della natura solo il divino, creatore di entrambi, possiede la verità.  Mentre quindi la mente umana procedendo astrattamente nelle sue costruzioni, come accade per la matematica, la geometria crea una realtà che le appartiene, essendo il risultato del suo operare, giungendo così a una verità sicura, la stessa mente non arriva alle stesse certezze per quelle scienze di cui non può costruire l'oggetto come accade per la meccanica, meno certa della matematica, la fisica meno certa della meccanica, la morale meno certa della fisica. Noi dimostriamo le verità geometriche poiché le facciamo, e se potessimo dimostrare le verità fisiche le potremmo anche fare. I latini diceno che la mente è data, immessa negl’uomini dagli dei. È dunque ragionevole congetturare che gl’autori di queste espressioni abbiano pensato che le idee negl’animi umani siano create e risvegliate dal divino. La mente umana si manifesta pensando, ma è il divino che in me pensa, dunque nel divino conosco la mia propria mente. Il valore di verità che l'uomo ricava dalle scienze e dalle arti, i cui oggetti egli costruisce, è garantito dal fatto che la mente umana, pur nella sua inferiorità, esplica un’attività che appartiene in primo luogo al divino. La mente dell'uomo è anch'essa creatrice nell'atto in cui imita la mente, le idee, del divino, partecipando metafisicamente ad esse. Imitazione e partecipazione alla mente divina avvengono ad opera di quella facoltà che V. chiama “ingegno” che è la facoltà propria del conoscere per cui l'uomo è capace di contemplare e di imitare le cose. L'ingegno è lo strumento principe, e non l'applicazione delle regole del metodo di Cartesio, per il progresso, ad esempio, della fisica che si sviluppa proprio attraverso gl’esperimenti escogitati dall'ingegno secondo il criterio del vero e del fatto.  L'ingegno dimostra, inoltre, i limiti del conoscere umano e la contemporanea presenza della verità divina che si rivela proprio attraverso l'errore. Il divino mai si allontana dalla nostra presenza, neppure quando erriamo, poiché abbracciamo il falso sotto l'aspetto del vero e i mali sotto l'apparenza dei beni. Vediamo le cose finite e ci sentiamo noi stessi finiti, ma ciò dimostra che siamo capaci di pensare l'infinito. Contro la Scessi sostiene che è proprio tramite l'errore che l'uomo giunge al sapere metafisico. Il chiarore del vero metafisico è pari a quello della luce, che percepiamo soltanto in relazione ai corpi opachi. Tale è lo splendore del vero metafisico non circoscritto da limiti, né di forma discernibile, poiché è il principio infinito di tutte le forme. Le cose fisiche sono quei corpi opachi, cioè formati e limitati, nei quali vediamo la luce del vero metafisico. Il sapere metafisico non è il sapere in assoluto. Esso è superato dalla matematica e dalle scienze ma, d'altro canto, la metafisica è la fonte di ogni verità, che da lei discende in tutte le altre scienze. Vi è dunque un primo vero, comprensione di tutte le cause, originaria spiegazione causale di tutti gli effetti; esso è infinito e di natura spirituale poiché è antecedente a tutti i corpi e che quindi si identifica con divino. Nel divino sono presenti le forme, simili alle idee platoniche, modelli della creazione divina.  Il primo vero è nel divino, perché il divino è il primo facitore (primus factor); codesto primo vero è infinito, in quanto facitore di tutte le cose; è compiutissimo, poiché mette dinanzi al divino, in quanto li contiene, gli elementi estrinseci e intrinseci delle cose. Se l'uomo non può considerarsi creatore della realtà naturale ma piuttosto di tutte quelle astrazioni che rimandano ad essa come la matematica, la stessa metafisica, vi è tuttavia un'attività creatrice che gli appartiene  questo mondo civile egli certamente è stato fatto dagli uomini, onde se ne possono, perché se ne debbono, ritruovare i principi dentro le modificazioni della nostra medesima mente umana. L'uomo è dunque il creatore, attraverso la storia, della civiltà umana. Nella storia, l'uomo verifica il principio del “verum ipsum factum” creando così una scienza nuova che ha un valore di verità come la matematica. Una scienza che ha per oggetto una realtà creata dall'uomo e quindi più vera e, rispetto alle astrazioni matematiche, concreta. La storia rappresenta la scienza delle cose fatte dall'uomo e, allo stesso tempo, la storia della stessa mente umana che ha fatto quelle cose. La definizione dell'uomo, della sua mente non può prescindere dal suo sviluppo storico se non si vuole ridurre tutto a un'astrazione. La concreta realtà dell'uomo è comprensibile solo riportandola al suo divenire storico. È assurdo credere, come fa Cartesio o i ne-oplatonici, che la ragione dell'uomo sia una realtà assoluta, sciolta da ogni condizionamento storico. La filosofia contempla la ragione, onde viene la scienza del vero. La filologia osserva l'autorità dell'umano arbitrio onde viene la coscienza del certo. Questa medesima degnità o assioma dimostra aver mancato per metà così i filosofi che non accertarono le loro ragioni con l'autorità de’ filologi, come i filologi che non curarono d'avverare la loro autorità con la ragion dei filosofi. Ma la filologia da sola non basta, si ridurrebbe a una semplice raccolta di fatti che invece vanno spiegati dalla filosofia. Tra filologia e filosofia vi deve essere un rapporto di complementarità per cui si possa accertare il vero e inverare il certo. Compito della 'scienza nuova' sarà quello di indagare la storia alla ricerca di quei principi costanti che, secondo una concezione per certi versi platonizzante, fanno presupporre nell'azione storica l'esistenza di una legge che ne sia a fondamento com'è per tutte le altre scienze. Poiché questo mondo di nazioni egli è stato fatto dagl’uomini, vediamo in quali cose hanno con perpetuità convenuto e tuttavia vi convengono tutti gl’uomini; poiché tali cose ne potranno dare i principi universali ed eterni, quali devon essere d'ogni scienza, sopra i quali tutte sursero e tutte vi si conservano le nazioni. La storia quindi, come tutte le scienze, presenta delle leggi, dei principi universali, di un valore ideale di tipo platonico, che si ripetono costantemente allo stesso modo e che costituiscono il punto di riferimento per la nascita e il mantenimento delle nazioni. Rifarsi alla mente umana per comprendere la storia non è sufficiente. Si vedrà, attraverso il corso degli avvenimenti storici, che la stessa mente dell'uomo è guidata da un principio superiore ad essa che la regola e la indirizza ai suoi fini che vanno al di là o contrastano con quelli che gli uomini si propongono di conseguire; così accade che, mentre l'umanità si dirige al perseguimento di intenti utilitaristici e individuali, si realizzino invece obiettivi di progresso e di giustizia secondo il principio della eterogenesi dei fini. Pur gli uomini hanno essi fatto questo mondo di nazioni, ma egli è questo mondo, senza dubbio, uscito da una mente spesso diversa ed alle volte tutta contraria e sempre superiore ad essi fini particolari ch'essi uomini si avevan proposti. La storia umana in quanto opera creatrice dell'uomo gli appartiene per la conoscenza e per la guida degli eventi storici ma nel medesimo tempo lo stesso uomo è guidato dalla provvidenza che prepone alla storia divina. Secondo V. il metodo storico dove procedere attraverso l'analisi delle lingue dei popoli antichi poiché i parlari volgari debono essere i testimoni più gravi degl’antichi costumi de' popoli che si celebrarono nel tempo ch'essi si formarono le lingue, e quindi tramite lo studio del diritto, che è alla base dello sviluppo storico delle nazioni civili.  Questo metodo ha fatto identificare nella storia una legge fondamentale del suo sviluppo che avviene evolvendosi in tre età:  l'età degli dei, nella quale gli uomini gentili credettero vivere sotto divini governi, e ogni cosa esser loro comandata con gl’auspici e gli oracoli; l'età degl’eroi dove si costituiscono repubbliche aristocratiche; l'età degl’uomini nella quale tutti si riconobbero esser uguali in natura umana. La storia umana, secondo V., inizia con il diluvio universale, quando gl’uomini, giganti simili a primitivi "bestioni", vivevno vagando nelle foreste in uno stato di completa anarchia. Questa condizione bestiale e conseguenza del peccato originale, attenuata dall'intervento benevolo della provvidenza divina che immise, attraverso la paura dei fulmini, il timore degli dei nelle genti che scosse e destate da un terribile spavento d'una da essi stessi finta e creduta divinità del cielo e di Giove, finalmente se ne ristarono alquanti e si nascosero in certi luoghi; ove fermi con certe donne, per lo timore dell'appresa divinità, al coverto, con congiungimenti carnali religiosi e pudichi, celebrarono i matrimoni e fecero certi figlioli, e così fondarono le famiglie. E con lo star quivi fermi lunga stagione e con le sepolture degli antenati, si ritrovarono aver ivi fondati e divisi i primi domini della terra. L'uscita dallo stato di ferinità quindi avviene:  per la nascita della religione, nata dalla paura e sulla base della quale vengono elaborate le prime leggi del vivere ordinato, per l'istituzione delle nozze che danno stabilità al vivere umano con la formazione della famiglia e per l'uso della sepoltura dei morti, segno della fede nell'immortalità dell'anima che distingue l'uomo dalle bestie. Della prima età sostiene di non poter scrivere molto poiché mancano documenti su cui basarsi. Infatti quei bestioni non conoscevano la scrittura e, poiché erano muti, si esprimevano a segni o con suoni disarticolati. L'età degl’eroi ha inizio dall'accomunarsi di genti che trovavano così reciproco aiuto e sostegno per la sopravvivenza. Sorsero la città guidata dalle prime organizzazioni politiche dei signori, gl’eroi che con la forza e in nome della ragion di stato, conosciuta solo da loro, comandano su i servi che, quando rivendicano i propri diritti, si ritrovarono contro i signori che, organizzati in ordini nobiliari, danno vita allo stato aristo-cratico che caratterizza il secondo periodo della storia umana.  In questa seconda, dove predomina la fantasia, nasce il linguaggio dai caratteri mitici e poetici. Infine, la conquista dei diritti civili da parte dei servi dà luogo alla età degl’uomini e alla formazione del stato popolari (res pubblica) basato sul diritto umano dettato dalla ragione umana tutta spiegata. Sorge quindi uno stato non necessariamente demo-cratico ma che puo essere pure monarchico poiché l'essenziale è che rispetta la ragione naturale, che eguaglia tutti. La legge delle tre età costituisce la storia ideale eterna sopra la quale corrono in tempo le storie di nostra nazione. Il popolo conforma il suo corso storico a questa legge che non è solo delle genti ma anche di ogni singolo uomo che necessariamente si sviluppa passando dal primitivo senso nell'infanzia, alla fantasia nella fanciullezza, e infine alla ragione nell'età adulta. Gl’uomini prima sentono senza avvertire. Dappoi avvertiscono con animo perturbato e commosso. Finalmente riflettono con mente pura. Se nella storia pur tra le violenze, i disordini, appare un ordine e un progressivo sviluppo ciò è dovuto all'azione della provvidenza che immette nell'agire dell'uomo un principio di verità che si presenta in modo diverso nelle tre età. Nella prima età degl’eroi, il vero si presenta come certo gl’uomini che non sanno il vero delle cose procurano d'attenersi al certo, perché non potendo soddisfare l'intelletto con la scienza, almeno la volontà riposi sulla coscienza. Questa certezza non viene all'uomo attraverso una verità rivelata ma da una constatazione di senso comune, condivisa da tutti, per cui vi è un giudizio senz'alcuna riflessione, comunemente sentito da tutto un ordine, da tutto un popolo, da tutta una nazione o da tutto il genere umano. Vi è poi, nella seconda età della storia e dell'uomo, caratterizzata dalla fantasia, un sapere tutto particolare che V. define poetico. In questa età nasce infatti il linguaggio non ancora razionale ma molto vicino alla poesia che alle cose insensate dà senso e passione, ed è proprietà dei fanciulli di prender cose inanimate tra le mani e, trastullandosi, favellarvi, come se fussero, quelle, persone vive. Questa degnità filologica-filosofica ne appruova che gl’uomini del mondo fanciullo, per natura, furono sublimi poeti. Se vogliamo quindi conoscere la storia del antico popoli romano dobbiamo rifarci ai miti che hanno espresso nella loro cultura. Il mito o la leggenda infatti non è solo una favola e neppure una verità presentata sotto le spoglie della fantasia ma è una verità di per sé elaborata dagl’antichi che, incapaci di esprimersi razionalmente, si servano di universali fantastici che, sotto spoglie poetiche, presentano modelli ideali universali. I antichi romani non definano razionalmente la prudenza ma raccontarono di ENEA, modello universale fantastico dell'uomo prudente.  V. si dedica poi a definire la poesia che innanzitutto è autonoma come forma espressiva differente dal linguaggio tradizionale. I tropi della poesia come la metafora, la metonimia, e la sineddoche, sono stati erroneamente ritenuti strumenti estetici di abbellimento del linguaggio razionale di base. Invece, la poesia è una forma espressiva naturale e originaria i cui tropi sono necessari modi di spiegarsi della nazione romana poetica. La poesia ha una funzione rivelativa, custodisce le prime immaginate verità dei primi uomini. La lingua romana non ha quindi un'origine convenzionale. Questo presupporrebbe un uso tecnico. Ma la lingua romana sorge invece spontaneamente come poesia. Poiché il linguaggio e i miti costituiscono la cultura originaria e spontanea di tutto il popolo romano, arriva alla discoverta dell’epica, l'espressione del patrimonio culturale comune di tutto il popolo romano. È comunque da respingere la interpretazione platonica dell’epica come filosofia, -- l’epica e fornita di una sublime sapienza riposte. Farsi intendere da volgo fiero e selvaggio non è certamente opera d'ingegno addomesticato ed incivilito da alcuna filosofia. Né da un animo da alcuna filosofia umanato ed impietosito potrebbe nascer quella truculenza e fierezza di stile, con cui descrive tante, sì varie e sanguinose battaglie, tante sì diverse e tutte in istravaganti guise crudelissima spezie d'ammazzamenti, che particolarmente fanno tutta la sublimità dell'epica romana. La sapienza antica ha per contenuto principi di giustizia e ordine necessari per la formazione di popoli civili. Questi contenuti si esprimono in modi diversi a seconda che siano formati dal senso o dalla fantasia o dalla ragione. Questo vuol dire che la sapienza, la verità, si manfesta in forme diverse storicamente ma che essa come verità eterna è al di sopra della storia che di volta in volta la incarna. La verità della storia è una verità metafisica nella storia. Nella storia si attua la mediazione tra l'agire umano e quello divino:  nel fare umano si manifesta il vero divino e il vero umano si realizza tramite il fare divino: la provvidenza, legge trascendente della storia, che opera attraverso e nonostante il libero arbitrio dell'uomo. Questo non comporta una concezione necessitata del corso della storia poiché è vero che la provvidenza si serve degli strumenti umani, anche i più rozzi e primitivi, per produrre un ordine ma tuttavia questo rimane nelle mani dell'uomo, affidato alla sua libertà. La storia quindi non è determinata come sostengono gli stoici e gl’epicurei che niegano la provvedenza, quelli facendosi strascinare dal fato, questi abbandonandosi al caso», ma si sviluppa tenendo conto della libera volontà degli uomini che, come dimostrano i ricorsi, possono anche farla regredire. Gl’uomini prima sentono il necessario; dipoi badano all'utile; appresso avvertiscono il comodo; più innanzi si dilettano nel piacere; quindi si dissolvono nel lusso; e finalmente impazzano in istrapazzar di sostanze. A questa dissoluzione delle nazioni pone rimedio l'intervento della provvidenza che talora non può impedire la regressione nella barbarie, da cui si genererà un nuovo corso storico che ripercorrerà, a un livello superiore, poiché dell'epoca passata è rimasta una sia pur minima eredità, la strada precedente. Paradossalmente la criticità del progresso storico appare proprio con l'età della ragione, quando cioè questa invece dovrebbe assicurare e mantenere l'ordine civile. Accade infatti che la tutela della provvidenza che si è imposta agli uomini nei precedenti due stadi, ora invece deve ricercare il consenso della «ragione tutta spiegata che si sostituisce alla religione: Così ordenando la provvedenza: che non avendosi appresso a fare più per sensi di religione (come si erano fatte innanzi) le azioni virtuose, facesse la filosofia le virtù nella lor idea. La ragione infatti, pur con la filosofia, custode della legge ideale del vivere civile, con il suo libero giudizio, può tuttavia incorrere nell'errore o nello scetticismo per cui si diedero gli stolti dotti a calunniare la verità.  La ragione non crea la verità, poiché non può fare a meno dal senso e dalla fantasia senza le quali appare astratta e vuota. Il fine della storia infatti non è affidato alla sola ragione ma alla sintesi armonica di senso, fantasia e razionalità. La ragione poi è ispirata dalla verità divina per cui la storia è sì opera dell'uomo, ma la mente umana da sola non basta poiché occorre la provvidenza che indichi la verità. La filosofia è succeduta alla religione ma non l'ha sostituita anzi essa deve custodirla. Da tutto ciò che si è in quest'opera ragionato, è da finalmente conchiudersi che questa Scienza porta indivisibilmente seco lo studio della pietà, e che, se non siesi pio, non si può daddovero esser saggio. Predicavano la ragione individuale, ed egli le opponeva la tradizione, la voce del genere umano. Gl’uomini popolari, i progressisti di quel tempo, sono CAPUA, DORIA, e CALOPRESO, che stano con le idee nuove, con lo spirito del secolo. Lui e un re-trivo, con tanto di coda, come si direbbe oggi. La coltura europea e la coltura italiana s'incontravano per la prima volta, l'una maestra, l'altra ancella. Resiste. Era vanità di pedante? Era fierezza di grande uomo? Resiste a Cartesio, a Malebranche, a Pascal, i cui pensieri sono lumi sparsi, a Grozio, a Puffendorfio, a Locke, il cui saggio e la metafisica del senso. Resiste, ma li studia più che facessero i novatori. Resiste come chi sente la sua forza e non si lascia sopraffare. Accetta i problemi, combattea le soluzioni, e le cerca per le vie sue, co' suoi metodi e coi suoi studi. E la resistenza della coltura italiana, che non si lascia assorbire, e stava chiusa nel suo passato, ma resistenza del genio, che cercando nel passato trovava il mondo moderno. E il re-trivo che guardando indietro e andando per la sua via, si trova da ultimo in prima fila, innanzi a tutti quelli che lo precedevano. Questa e la resistenza di V. E un moderno e si sente e si crede antico, e resistendo allo spirito nuovo, riceveva quello entro di sé. SANCTIS. Fintanto che e in vita la portata e la ricezione critica del suo pensiero sono circoscritte quasi unicamente agl’ambienti intellettuali della propria città, trovando poi un ben più vasto seguito. Affermatasi la fama del pensiero vichiano, esso e conteso dalle più disparate correnti filosofiche: dal pensiero cristiano -- nonostante l'iniziale rifiuto --, dagl’idealisti -- dai quali fu proclamato precursore dell'immanentismo hegeliano --, dai positivisti, e persino da diversi marxisti. V. è ben più di un semplice filosofo tanto che in certi momenti della sua travagliatissima fama e apprezzato prevalentemente per la sua filosofia del diritto, così come in altri momenti e celebrato precursore della sociologia, della psicologia dei popoli, o come campione fra i maggiori della filosofia della storia, mentre venne ignorata la sua pur genialissima metafisica, che è ad un tempo il punto d'arrivo e il presupposto logico di tutte le ricerche da lui condotte nei più vari campi dell'operare umano. Il pensiero vichiano, le cui prime fonti s'ispirano alla tradizione filosofica che permea l'ambiente partenopeo della sua epoca, rappresenta un ponte. Nonostante V. non sia caratterizzato dall'audacia innovatrice illuminista, il suo pensiero raggiunse – come nota ABBAGNANO – alcuni risultati fondamentali che lo connettono a pieno titolo alla riforma. Tuttavia, non può tacersi il carattere conservatore della sua filosofia politico-religiosa, generato dal turbamento di chi, assistendo alla fine di un mondo famigliare, non sa scoprire i segni del sorgere di un nuovo. Ciò è dimostrato dalla giustapposizione del certo – ossia, il peso dell'autorità della tradizione -- al vero – ossia, lo sforzo innovatore della ragione -- che è il segno di una ricerca di equilibrio estranea all’illuminismo. A tali conclusioni il pensiero vichiano e condotto dalla limitatezza della sua gnoseologia e dalla polemica contro Cartesio, il quale professa, al contrario, l'eliminazione di ogni limite gnoseologico. Altri saggi: “VI Orazioni Inaugurali”: “De nostri temporis studiorum ratione”: “Orazione Inaugurale”; “Proemium”; “Risposte al giornale dei letterati Prima risposta”; “Seconda risposta”; “Institutiones oratoriae”; “De universis Juris”; “De universis juris uno principio et fine uno liber unus - include “De opera proloquium”; “De constantia jurisprudentis liber alter”; “ Notae in II libros, alterum De uno universi juris principio et fine uno, alterum De constantia jurisprudentis”; “Scienza nuova prima”; “Vici vindiciae”; “Vita di V. scritta da se medesimo, (l'«Autobiografia» («Supplemento») Scienza nuova seconda, De mente heroica, Scienza nuova terza. Edizioni: Scritti storici, V., Scienza nuova, Scrittori d'Italia, Bari, Laterza, V., Scienza nuova seconda. 1, Scrittori d'Italia, Bari, Laterza, V., Scienza nuova seconda. Scrittori d'Italia, Bari, Laterza, V., Opere a cura di Nicolini, Laterza, Bari, Orazioni inaugurali, De studiorum rationum, De antiquissima Italorum sapientia, Risposte al giornale dei letterati; Diritto universale, Scienza nuova; Scienza nuova, Autobiografia, Carteggio, Poesie varie; Scritti storici; Scritti vari e pagine disperse; Poesie, Institutiones oratoriae. V., Opere filosofiche a cura di Cristofolini, Firenze, Sansoni. V., Opere giuridiche a cura di Cristofolini, Firenze, Sansoni. V., Institutiones oratoriae, testo critico, versione e commento a cura di Crifò, Napoli, Istituto Suor Orsola Benincasa. Il pensiero vichiano rimase quasi del tutto ignorato dalla cultura europea con una diffusione limitata nell'Italia meridionale. Ancora in età romantica V. e poco conosciuto anche se filosofi tedeschi come Herder, chiamato il V. tedesco, e Hegel presentano delle somiglianze con la dottrina vichiana per quanto riguarda il ruolo della storia nello sviluppo della filosofia.  La filosofia di V. comincia ad essere conosciuta e apprezzata nel clima del romanticismo francese e italiano: Chateaubriand e Maistre ma, soprattutto Michelet, “Principes de la philosophie de l'histoire” (Parigi) diffonde il pensiero di V. di cui apprezza la concezione della storia come sintesi di umano e divino. Comte e Marx stimarono la filosofia della storia di V. Ma furono i filosofi italiani, come SERBATTI, e soprattutto GIOBERTI, che videro in lui un maestro. Tommaseo, V. e il suo secolo, rist. Torino mette in evidenza la grande affinità del pensiero vichiano con quello di GIOBERTI. Carlo, “Istituzione Filosofica secondo i Princìpj di V.” (Napoli, Cirillo). Nuove interpretazioni basate sul principio vichiano del verum ipsum factum considerano V. un anticipatore del positivismo. FERRARI, Il genio di V., rist. Carabba, CATTANEO, Sulla 'scienza nuova' di V.” (Milano); CANTONI, “V.” (Torino); Siciliani, “Sul rinnovamento della filosofia positiva in Italia” (Civelli Firenze). Viene rivalutato il legame stringente fra il filosofo e l’illuminismo. Donati, “V., filosofo dell'Illuminismo” (Aracne). Una spinta decisiva all'apprezzamento e alla diffusione del pensiero vichiano come anticipatore di Kant e dell'idealismo, si ha in Italia a cominciare dagli studi di SPAVENTA e SANCTIS iniziatori di quella corrente dottrinale interpretativa che si ritrova soprattutto in CROCE e  GENTILE, Studi vichiani, Messina, rist. Sansoni Firenze che ne mette in luce le ascendenze neo-platoniche e rinascimentali, rifiutandone nel contempo l'interpretazione positivista, e interpretandone il verum ipsum factum in senso idealistico. Una forzatura questa, secondo alcuni critici, ripresa da  CROCE, “La filosofia di Vico” (Laterza, Bari) che ha soprattutto il merito di aver intuito in V. una definizione dell'arte come attività autonoma dello spirito e della visione storicistica dello sviluppo dello spirito da cui CROCE elimina ogni riferimento alla trascendenza della provvidenza vichiana.  Un'accurata ricerca storica su V. e operata dal crociano  Nicolini, “V.” (Laterza, Bari); Nicolini, “La religiosità di V.” (Laterza, Bari); Nicolini, Commento storico alla seconda 'Scienza Nuova (Roma); Nicolini, Saggi vichiani (Giannini, Napoli); Nicolini,  V. nella vita domestica. La moglie, i figli, la casa” (Osanna Venosa). Contrari all'interpretazione immanentistica della provvidenza vichiana sono gli studi di autori cattolici che ne mettono invece in risalto la trascendenza:  Chiocchietti, La filosofia di V., Vita e Pensiero, Milano, Amerio, Introduzione allo studio di V., SEI, Torino, Bellafiore, “La dottrina della provvidenza in V., Milani, Bologna, A. Mano, “Lo storicismo di V.” (Napoli); Lanza, Saggi di poetica vichiana, Magenta, Varese, Il dibattito tra le interpretazioni laiche e cattoliche su V. si è attenuato in periodi recenti dove lo studio del pensiero vichiano si è dedicato a particolari aspetti della sua dottrina:  Fassò, I «quattro auttori» del V.. Saggio sulla genesi della Scienza nuova” (Milano, Giuffrè), non esistente. Fassò, Vico e Grozio, Napoli, Guida, Serra, Eredità e kenosi tematica della "confessio" cristiana negli scritti autobiografici di V., in Sapientia, sulla concezione della storia ad opera della quale avviene la conciliazione tra immanenza e trascendenza del pensiero vichiano:  Caponigri, Tempo e idea, Pàtron, Bologna, sulla estetica vichiana gli studi più notevoli sono quelli di Bianca, Il concetto di poesia in V.,  D'Anna, Messina, Prestipino, "La teoria del mito e la modernità di Vico", Annali della facoltà di Palermo, sugl’aspetti giuridici e sociologici: Fabiani, La filosofia dell'immaginazione in V. e Malebranche, Firenze,  Donati, Nuovi studi sulla filosofia civile (Firenze); Bellafiore, Il diritto naturale (Milano); Pasini, Diritto, società e stato in V., Jovene, Napoli, Giannantonio, "Oltre V. - L'identità del passato a Napoli e Milano (Carabba, Lanciano); Leone, [rec. al vol. di] Giannantonio, "Oltre V. - L'identità del passato a Napoli e Milano” (Carabba. Lanciano, in Misure critiche, La Fenice, Salerno, e in "Forum Italicum", Wehle, Sulle vette di una ragione abissale: V. e l'epopea di una 'Scienza Nuova'. In: Battistini e Guaragnella, V. e l'enciclopedia dei saperi. - Lecce: Pensa multimedia (Mneme). Croce, La filosofia di Vico, Bari, Laterza, Consiglia, Napoli, Editoria clandestina e censura ecclesiastica a Napoli, in Rao, Editoria e cultura a Napoli, Napoli: Liguori, Adorno, Gregory, Verra, Storia della filosofia, Laterza, V., La scienza nuova (a cura di Rossi), Biblioteca Universale Rizzoli, V., Ferrari, La scienza nuova (a cura di Rossi), Tip. de' Classici Italiani,  Cioffi ed altri, I filosofi e le idee, Mondadori, Armando, Sanna, Il Contributo italiano alla storia del Pensiero – Politica, Enciclopedia Italiana Treccani, Adorno, Gregory, Verra, Storia della filosofia (Laterza); Fassò, Storia della filosofia del diritto (Laterza); Abbagnano, Storia della filosofia (L'Espresso); V., La scienza nuova (Rizzoli); V., Principj di scienza nuova, di V.: d'intorno alla comune natura delle nazioni, Amico,  Nicolini, V. nella vita domestica. La moglie, i figli, la casa, Osanna Venosa, V. Autobiografia, ed. Nicolini (Bompiani, Milano); V., La scienza nuova (a cura di Rossi), Rizzoli, Grozio, Prolegomeni al diritto della guerra e della pace (a cura di Fassò), Morano, V., La scienza nuova (Rizzoli); Liccardo, Storia irriverente di eroi, santi e tiranni di Napoli. V. che si era rivolto inutilmente per sovvenzionare la stampa dell'opera prima al cardinale Orsini, poi a Papa Clemente XII, e costretto a vendere un anello per farla pubblicare. V. scrisse in seguito che, in fondo, l'accaduto era stato un bene poiché lo aveva spinto a riscrivere l'opera in maniera più completa. Cfr. Fubini, V. Autobiografia (Torino Einaudi). La prima redazione dell'opera, andata perduta, ha il titolo di Scienza nuova in forma negative.  L'Autobiografia e pubblicata postuma  ampliata con una modifica di V..  RIVISTA DI STUDI CROCIANI, a cura della Società napoletana di storia patria, La fondazione V. voluta da Marotta, presidente dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, con sede nella Chiesa di S. Biagio Maggiore, Napoli, si occupa della promozione del pensiero vichiano e della gestione di alcuni siti vichiani come il castello Vargas di Vatolla (Salerno) e la Chiesa di S. Gennaro all'Olmo in Napoli. V., Principi di una scienza nuova d'intorno alla comune natura delle nazioni, a cura di Ferrari, Società tipografica de' Classici italiani, Milano. Candela, L'unità e la religiosità del pensiero di V., Serafico, Inesatto è altresì che V. terminasse di vivere a più di settantasei anni. Per contrario, manca ai vivi nella notte e a settantacinque anni e sette mesi precisi, in La Letteratura italiana: Storia e testi, V., Ricciardi. La storia di V., su napolit oday. Secondo notizie di stampa diffuse resti della salma di V. sarebbero stati recuperati nei sotterranei della chiesa napoletana. (Vedi: Corriere del Giorno: Ritrovata la salma di V.? I ricercatori vanno cauti Archiviato in Internet Archive. La notizia è stata comunque commentata con prudenza dagl’esperti. La scienza nuova, Biblioteca Universale Rizzoli. Nicolini, V.: saggio biografico (Il Mulino), CROCE, Nuovi saggi. Per una silloge di pensieri di MALVEZZI, Politici e moralisti, ediz. CROCE-CARAMELLA, Bari, Laterza. V. nel perduto De equilibrio corporis animantis espone una concezione secondo cui riponevo la natura delle cose nel moto per il quale, come se fossero sottoposte alla forza di un cuneo, tutte le cose vengono spinte verso il centro del loro stesso moto e, invece, sotto l'azione di una forza contraria, vengono respinte verso l'esterno; e sostenni anche che tutte le cose vivono e muoiono in virtù di sistole e diastole. Secondo un'ipotesi di Croce e Nicolini l'opera e stata concepita come appendice al “Liber Physicus” ed e donata in forma manoscritta al suo grande amico, Aulisio. La trattazione di quella teoria di ispirazione cartesiana e pre-socratica venne poi inserita più ampiamente nella Vita.  Toma, Ecco l'origine delle scienze umane: aspetti retorici di una contesa intorno al De antiquissima italorum sapienti, Bollettino del CENTRO DI STUDI VICHIANI (Roma: Edizioni di storia e letteratura).  Opere, Sansoni, Firenze -- è considerato da alcuni interpreti della sua filosofia come il primo ‘costruttivista’. Infatti, V. sostiene che l'uomo può conoscere solo ciò che può costruire, aggiungendo poi che in effetti solo il divino conosce veramente il mondo, avendolo creato lui stesso. Il mondo quindi è esperienza vissuta e al suo riguardo non vale per gl’uomini alcuna pretesa di verità ontologica. Watzlawick, La realtà inventata (Milano, Feltrinelli)  Per V. la filologia non è solo la scienza del linguaggio ma anche storia, usi e costumi, e religioni dei popoli antichi. L'età degli dei nella quale gl’uomini gentili credettero vivere sotto divini governi, e ogni cosa esser loro comandata con gli auspici e gli oracoli, che sono le più vecchie cose della storia profana: l'età degli eroi, nella quale dappertutto essi regnarono in repubbliche aristocratiche, per una certa da essi rifiutata differenza di superior natura a quella de’ lor plebei. Finalmente, l'età degl’uomini, nella quale tutti si riconobbero esser uguali in natura umana, e perciò vi celebrarono prima le repubbliche popolari e finalmente le monarchie, le quali entrambe sono forma di governi umane. V., Scienza Nuova, Idea dell'Opera. La RAGION DI STATO non è naturalmente conosciuta da ogni uomo ma da pochi pratici di governo. Degnità. Sull'immaginazione nei primitivi secondo la filosofia vichiana si veda: Fabiani, La filosofia dell'immaginazione in V. e Malebranche, La rivendicazione dell'assoluta autonomia dell'arte e della poesia nei confronti delle altre attività spirituali e uno dei meriti che CROCE riconosce al pensiero vichiano. V. critica tutt'insieme le tre dottrine della poesia come esortatrice e mediatrice di verità intellettuali, come cosa di mero diletto, e come esercitazione ingegnosa di cui si possa senza far danno fare a meno. La poesia non è sapienza riposta, non presuppone logica intellettuale, non contiene filosofemi. I filosofi che ritrovano queste cose nella poesia, ve le hanno introdotte essi stessi senza avvedersene. La poesia non è nata per capriccio, ma per necessità di natura. La poesia tanto poco è superflua ed eliminabile, che senza di essa non sorge il pensiero: è la prima operazione della mente umana. CROCE, La filosofia di V. -- qual era quello dei tempi d'Omero. V., Scienza Nuova, Conclusione  Nel senso di pietas, sentimento religioso.  V., La scienza nuova (Biblioteca Universale Rizzoli). CROCE NICOLINI Storicismo Filosofia della storia Filologia. su Treccani – Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. V., in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. V., su sapere, De Agostini. V., su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Battistini, V., in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Bertland, La Scienza nuova su letteratura italiana Opere, su biblioteca italiana integrali in più volumi dalla collana  "Scrittori d'Italia" Laterza, Fabiani, La filosofia dell'immaginazione in V., su academia, Firenze, Pellegrino, 'La concezione della storia di V., su centro studi LA RUNA it. CENTRO DI STUDI VICHIANI, su Consiglio nazionale delle ricerche. Fondazione V., su Fondazione gbvico Portale Vico, su giambattist avico. u treccani., in Il contributo italiano alla storia del Pensiero, Filosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, V., Principj di una scienza nuova di Vico: d'intorno alla comune natura delle nazioni, Tip. di A. Parenti. Italian philosopher. Grice: “The Italians revere him so much that his emblem is on one of their stamps!”“It would be as having Ryle on one of ours!” Vico: He is so beloved by the Italians “that they made a stamp of him.”Grice. cited by H. P. Grice, “Vico and the origin of language.” Philosopher who founded modern philosophy of history, philosophy of culture, and philosophy of mythology. He was born and lived all his life in or near Naples, where he taught eloquence. The Inquisition was a force in Naples throughout Vico’s lifetime. A turning point in his career was his loss of the concourse for a chair of civil law. Although a disappointment and an injustice, it enabled him to produce his major philosophical work. He was appointed royal historiographer by Charles of Bourbon. Vico’s major work is “La scienza nuova”  completely revised in a second, definitive version. He published three connected works on jurisprudence, under the title Universal Law; one contains a sketch of his conception of a “new science” of the historical life of nations. Vico’s principal works preceding this are On the Study Methods of Our Time, comparing the ancients with the moderns regarding human education, and On the Most Ancient Wisdom of the Italians, attacking the Cartesian conception of metaphysics. His Autobiography inaugurates the conception of modern intellectual autobiography. Basic to Vico’s philosophy is his principle that “the true is the made” “verum ipsum factum”, that what is true is convertible with what is made. This principle is central in his conception of “science” scientia, scienza. A science is possible only for those subjects in which such a conversion is possible. There can be a science of mathematics, since mathematical truths are such because we make them. Analogously, there can be a science of the civil world of the historical life of nations. Since we make the things of the civil world, it is possible for us to have a science of them. As the makers of our own world, like God as the maker who makes by knowing and knows by making, we can have knowledge per caussas through causes, from within. In the natural sciences we can have only conscientia a kind of “consciousness”, not scientia, because things in nature are not made by the knower. Vico’s “new science” is a science of the principles whereby “men make history”; it is also a demonstration of “what providence has wrought in history.” All nations rise and fall in cycles within history corsi e ricorsi in a pattern governed by providence. The world of nations or, in the Augustinian phrase Vico uses, “the great city of the human race,” exhibits a pattern of three ages of “ideal eternal history” storia ideale eterna. Every nation passes through an age of gods when people think in terms of gods, an age of heroes when all virtues and institutions are formed through the personalities of heroes, and an age of humans when all sense of the divine is lost, life becomes luxurious and false, and thought becomes abstract and ineffective; then the cycle must begin again. In the first two ages all life and thought are governed by the primordial power of “imagination” fantasia and the world is ordered through the power of humans to form experience in terms of “imaginative universals” universali fantastici. These two ages are governed by “poetic wisdom” sapienza poetica. At the basis of Vico’s conception of history, society, and knowledge is a conception of mythical thought as the origin of the human world. Fantasia is the original power of the human mind through which the true and the made are converted to create the myths and gods that are at the basis of any cycle of history. MICHELET was the primary supporter of V.’s ideas. He made them the basis of his own philosophy of history. COLERIDGE is the principal disseminator of V.’s views in England. Joyce uses the New Science as a substructure for Finnegans Wake, making plays on V.’s name, beginning with one in Latin in the first sentence: “by a commodius vicus of recirculation.” CROCE revives V.’s philosophical thought, wishing to conceive Vico as the  Hegel. V.’s ideas have been the subject of analysis by such prominent philosophical thinkers as Horkheimer and Berlin, by anthropologists such a Leach, and by literary critics such as Wellek and Read. Refs.: S. N. Hampshire, “Vico,” in The New Yorker. Luigi Speranza, “Vico alla Villa Grice.” H. P. Grice, “Vico and language.” Danesi, Metaphor, and the Origin of Language. Serious scholars of Vico as well as glotto-geneticists will find much of value in this excellent monograph. Vico Studies. A provocative, well-researched argument which might find re-application in philosophy. Theological Book ReviewDANESI returns to Vico to create a persuasive, original account of the evolution and development of the Italian language, one of the deep mysteries of Italians. V.’s reconstruction of the origin of language is described and evaluated in light of Grice’s philosophical conversational pragmatics. Keywords: Vico e la filosofia romana, Vico, VARRONE, storia della linguistica, storia della rhetorica, glotto-genesi, la ricostruzione di V., The New Science Basic Notions. Language and the Imagination: V.’s Glottogenetic Scenario; V.’s Approach; Reconstructing the Primal Scene; After the Primal Scence; the dawn of communication: iconicita e mimesi, hypotheses The Nature of Iconicity. Imagery, Iconicita e gesto. Iconic Representation. Osmosis Hypothesis Ontogenesis From Percept al concetto. The Metaphoricity Metaphor metafora; Metaphor and Concept-Formation Mentation, Narrativity, e mito; the socio-biological-Computationist Viewpoint:A Vichian Critique; The Vichian Scenario Revisited; Revisting the Genetic Perspective; computationism. Giovanni Battista Vico. Giambattista Vico. Keywords: Vico. Refs.: Luigi Speranza, “Vico e Grice,” Villa Grice, for H. P. Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.

Grice e Vieri: la ragione conversazionale della filiale fiorentina dell’accademia -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library  (Firenze) Essential Italian philosopher. Filosofo italiano. Di famiglia nobile. Insegna a Pisa. Dell’ACCADEMIA, molto attivo. E contestato dai colleghi per il suo vagheggiare un nuovo circolo dei filosofi dell’Accademia, improntato su PICO. Suo principale avversario e BORRI. Saggi: “Liber in quo a calumniis detractorum PHILOSOPHIA defenditur et eius praestantia demonstrator” (Roma). Grice: “The term ‘accademia’ is mostly misused, as in The British Accademy – strictly, it is Hekademos, and so, anything connected with Plato, as in V.’s case! But V. is what I call a co-philosopher. Without BORRI, or PICO, no V. – and his essay on his ‘demonstration’ of the excellence of philosophy against her detractors is hardly a best-seller!” Crusca. LEZZIOne   DI M. FRANCESCO   DE'  VIERI  FIORENTINO,   detto  il  Verino  Secondo   Per  recitarla  netf ^4 ce ademi a  Fiorentina  ,   nel  Confo! afe  di  M.  Federigo  StxoYz}  l'anno  1580.   DOVE  SI  RAGIONA  DELLE  IDEE,  Et   Delle   Bellezze.   Dedicdtd  all' illu fri (?  ty  Eccellenti^,  signor  Conte  V  L 1  s  S  E  Bcntitiogli . IN FIORENZA,  Appretto  Giorgio  Marcfcottt  1  5  8  1.   Con  licenzi  di*  ì»*trÌ4ri .  ALL'ILLVSTRISSIMO,   ET  ECCELLENTISS. Signore,   llSì?.  [onte  OLISSE  Hmmglì   Mto  Sig.oJJeruandifìmo     L  desiderio  mio  era  in  quella  itate  con  leg-  gere di  nuouo  all'Ac-  cademia di  Firenze  fa  tisfare  in  qualche  par-  te a  molti  &  molti  obIighi,che  io  ten-  go con  il  Magnifico  &  prudentifTimo  Signor  Confblo ,  &  con  il  letteratifli-  mo,  &  graziofiflìmo  fuo  fratello  M.  Giouambatilfca  Strozzi  ;  &  in  oltre    il  mio  difeorfo  era  da  querti,&  da  mol  ti  altri  così  intendenti ,  come  gentili  {piriti  approuato ,  &  giudicato  degno  di  cflere  vdito  &  Ietto  da  grandi,  &  da  A     2  no- nobili ,  mandarlo  in  luce  Cotto  il  pre-  giato nome  di  V.Ecc.Ill.  la  quale  (per  quello ,  che  mi  ha  riferito  M.Aleffan-  dro  Catani ,  huomo  così  amatore  del  vero,  come  eccellenti^,  nell'arte  della  Medicina)  non  meno  è  fèmpre  difpo-  ila  a  difendere^  fauorire  le  lettere,&  le  virtù,  &  i  loro  profeflbri ,  che  ella  fi  fia  nata  nobiIe,Sc  con  nobiliffime  per-  fbnedi  nuouo  congiunta,  quello  dico  era  tutto  il  difideno  mio  Uluftrifs.  &c  Eccellentifs.  mio  Signore  :  ma  l'infer-  miti mia,  &  alcuni  negozi]  di  grandif  lima  importanza,  m'hanno  in  guifa  impedito ,  che  non  (blamente  io  non  ho  potuta  leggere  quella  mia  Lezzio-  ne,ma  ne  pure  nuederla,&ripulirla,&  nondimeno  io  non  poffo,  ne  debbo  mancare  di  tetitiare  m  qualche  modo  a  eentiliffimi  Strozzi,  &  alli  altri  gen-  cihfii'mi  fpintij&  quella  mia  fatica  di*   fiderà    fiderà  la  protezzione  di  V.Ecc.III.ElIa  dunque  l'accetti  con  pronto ,  &c  grato  animo,  come  io  prontamente,  &  con  ardentifsimo  difìderio  gnene  offero,  e  raccomando,&  come  io  fpero,  cKe  el-  la fia  per  fare .  Le  bacio  le  mani ,  &c  le  difidero  da  Dio  non  meno  ogni  felice  contento ,  che  io  mi  difideri ,  che  ella  tenga  memoria  di  me,  &  di  chiunque  rama,&:  la  nuerifce  delli  amatori  delle  virtù,  &c  delle  lettere,  fènza  le  quali  il  mondo  altro  non  {àrebbe,che  vn  foi  tifsimo  bofco  di  tenebre  per  Tignoran  za,&  vnafèlua  (pauenteuole,  &c  brut-  ta ,  mercè  di  vna  infinita  di  vizij,  che  ci    ritrouerrebbero .   Dt  V*e.  I.&* molto  Mag,  &  gentile   Senatore  afFezzionatifsimo Francesco  de  Vieri  detti  il  ferino  Secondo  %    1]V  qual  parte  del  del,  in  qualided  Lra  l  e f empio ,  onde  natura  tot    Quel  bel  Info  leggiadra  :  in  ch'ella  ^rolfe  Afoffrar  quaggiù  ,  quanto  la  sùpotea  ?  Qual  Ninfa  in  fonti ,  mfelue  mai  qual  Dee  chiome  d'oro  fi  fino  jc  Laura fctolfe  :  Quand'^n  cor  tante  in    lurtute  accolfe  f  Benché  lafomma  e  di  mia  morte  rea  ?  Per  diurna  bellezza  m  damo  mira  f   chi  gli  occhi  di  cosieigiamai  non  ~>tde.  Come  foauemente  ellagligira  ,  iVon  sa  come  ^morfana,  cr  come  ancide  ;  chi  non  sa  come  dolce  ella  filtra  0  M  orni  dolce  farla  ,  e  dolce  ride*    LEZZIONE   DI  M.  FRANCESCO  DE'  VIERI»   detto  il  Verino  Secondo:   Votte  fi  ragiona  delle  Idee ,  &  delle  'Bellezza . IL  PROEMIÒ.   É  quefto    honorato  luogo,nel  qua  le  lòno  ftati  per  tanti  &  tanti  anni  infiniti  [piriti  gentili ,  &  vi  hanno  Magnifico  Sig.Confolo,&  nobili^  fimi  Accademici,  &  Vditori,  con  i  loro  leggiadriflìmi  dilcorfi  con  no  minore  contentezza,  che  con  iftu-  pore  trattenuti. Se  quefto  luogo  di  co  è  ordinato  prima  dalla  feliciflì-  ma  memoria  del  prudentiflìmo,  &  magnanimo  Gran  Du  cail  G.D.Cofimo  de'  Medici ,  &  poi  mantenuto  dal  Se-  rcniflìmo  G.D.  Francefco  luo  figliuolo  a  quefto  fine  lòia  mente,che  molti  con  la  diligenza  del  dire  bene,&  co  or-  namento di  parole  diuenghino  ottimi  ambafeiadori ,  &  gentilifiìmi  poeti,  a  vtilita,  grandezza,  &  diletto  di  que-  fìi  ftati  &  di  loro  S.  A.  come  alcuni  fi  penfano  ;  al  Filolo-  go dunque,  il  quale  più  della  verità  delle  cole  fpecolabi-  li ,  &deli'az7Ìonihumanetien  conto  ,  che  del  graziolo  ragionamento,  non  apparterrà  falire  in  quefto  fteflb  luo-  go :  ma  fi  bene  à  quelli,i  quali  fanno  profeflìone  di  Ora-  tori ,  &  di  Poeti .  Se  più  oltre  l'Accademia  fia  ancora  inftituitai  fine  che  in  quefta  lingua  fi  eiprima  da  ogni  perfona  letterata  ogni  maniera  di  concetto^  onde  fi  gioui   A    4   à    8    Lezzione   a  quelli,  i  quali  non  hanno  potuto  con  altra  lingua  intcB  dere  £liarnhzij  degli  Oratori,  &  de  Poeti,  &  gli  alti  co  certi  Filolòfici .  quelli  Ioli  deono  qui  l'altre  de  letterari,  &  de  Filoiolantiji  quali  da  ogni  altro  penfiero  hf.no  l'ani  mo  libero,  &  nonio,prudemiflìir:i,&  giudiziofìrTimi  Ac  cademici  Se  Vditori ,  il  quale  negli  ftudij  di  Ariitotele,  &  di  Platone  iòno  tutto  occupato  à  publica  vtilità  &  nel  la  cura  ditanta  mia  famiglia,  ricercandoli  alla  fpècola-  zione  delle  cole  ,  &  al  dire  acconciamente  ozio,  &  tran-  quillità d'animo,  con  tutto  ciò  io  fon  tanto  obliato  al  Magnifico  Sig.  Confolo ,  &  à  M.  Giouambatiitaiuo  fratello, che  io  non  ho  potuto  mancare  di  non  nlalire  dopo  molti  &  molti  anni  in  quello  cosi  degno  luogo  per  fatis-  fare  per  quanto  io  potrò  a  loro  Signorie, &  a  voi  altri  no-  rbili:ìimi,&  gentikiliiru  Accademici, &  Vditori>&  perche  io  non  pollo  piacerai  con  la  grazia  del  dire  per  non  ne  fa  re  io  proiezione,  ne  con  la  fufHzienza  della  dottrina  per  le  molte  Se  molte  occupa/ ioni, &  perturbazioni,  ho  pen-  iamo di  compiacerui  con  la  nobiltà, &  grandezza  del  log-  getto,  del  quale  io  ragionerò,che  tiranno  l'Idee  delle  co  le,  che  (I  contengono  nella  mente  di  Dio,  &  le  grazie,  &  le  bellezze  di  M.  Laura  :  onde  infìeme  s'harà  più  prò  fon  da,  &  più  chiara  intelligenza  di  quel  dottiiìirno  ,  &  gra-  2 iofilfimo Sonetto  del  noiiro  M  .  Francefco  Petrarca,  il  cui  principio  e  queito  .      in  qualparte del  Cielo,  in  qual  idea  0J  Era  l'esempio  ,  onde  natura  tolfe  0,  Quel  bel  yifo  leggiadro  :  in  cWella  x>lfe  3J  Mostrar  quaggiù ,  quanto  lifiùpotea  t  Preconi  Magnanimo  Sig.  Cordolo ,  &  voi  nobili/Timi  Accademici  &  Vditori ,  che  vi  degnate  predarmi  grata  ydienza  più  perche  cosi  conuiene  alla  dignità  del  iogget  to,che  ènobilifiìmo,&:alloiplendore  dell  animo  volito,  che  è  di  gradire  le  cole  alte  &  diuine,  che  per  alcuna  mia  iurfizienza  di  dottrina,  &  che  per  alcuna  mia  grazia  di  parole. Per  precedere  con  più  facilità, &  con  più  ordinc,io  «Huiderò  tutto  quello  mio  ragionamento  in  tre  parti;  nel  la  nrima  delle  quali  fi  disputerà  ,  &  determinerà  delle  Idee, poiché  in  quello  Sonetto  il  Poeta  cene    occafio-  nemeila  feconda  per  la  medefima  ragione  decorrerò  del  le  bellerze  di  M.  Laura  ;  quanto  pero  fa  all'intelligenza  di  quello  Sonetto  ;  nella  terza  &  vltima  (  urline  che  tut-  to quello,  che  da  me  fi  farà  detto  delle  Idee,&  deila  bel-  lezza di  queib  donna  fi  conofea  elfere,  non  folo  di  pare-  re de'  più  gran  Filolòfi,  quali  fono  flati  Platone  ,  &  Ari-  stotile :  ma  ancora  di  eiYo  M.Francefco  Petrarcaa  del  qua  le  voi  fiate  cotanto  ftudiofi,  &  il  quale  cotanto  vi  e  grato  quanto  ei  merita  per  il  ilio  graziofiiìimo  poema  di  eifere  letto  &  vdito  )  10  efporrò  alcune  parole  deltcfìo,&  mo-  flrerrò  l'arti^  io,  che  quefto  Poetatiene  in  ragionare  deH'Ic[ee,&  della  bellezza  della  (uà  donna,  &  muouerò,  &  feiorrò  alcune  dubita'/ ioni .  col  faucre  dunque  di  co-  lui; il  quale  è  la  vera  iàpicn:?a,&  la  prima  verità  darò  ho-  ra  mai  principio  à  quanto  io  ho  propoflo  di  dire  .   Intorno  al  primo  punto  deiridee,toccheròbre*  «ementc  tre  capi,  il  primo  farà  lo  efporre  con  efempi  quello, che  fi  unifichino  qtieiìe  voci  Idee,  efempi,  fpezie,  &  vnmerfali ,  che  precedono  la  moltitudine  de  partico-  lari .  il  fiondo  le    danno  l'Idee,  ò  nò;  poiché  Arifloti-  le  in  tanti  luoghi  cerca  di  leuarle  via  ,  &  Platone  le  con-  cerìe quafi  in  ogni  libro  delle  lue  opere,  &  queito  noiiro  Poeca.  lMtimo  capo  farà  di  quante  &  quali  cole  fi  ritro-  uinoi'jdee:  da  quali  tre  punti  farà  facil  cola  raccorrc  quelle  ch'elle  fi  Mano.   Quanto  al ^r imo  la  cognizione  d'vna  cofa  in  quanto  ella  Terne  per  immagine  e  farne  vn'altra,  ò  à  giudicare    è  ben  tarta;&  ad  intenderla  à  punto,  fi  domanda  elèmpio  &  modello  &  Idea,come  quel  ritratto, che  ha  nella  men-  te vn'irtcfice  d'vno  artihzioio,  e  mirabile  palagio  glifer  ne  à  Hrne  cosi  bene  vno,  &  molti  &  molti  :  &  à  giudica-  re i  hUXi  ic  iòno  con  tutte  le  regole  dell'  arte  fabbricati  ò   nò,    io       Lezzione   nò ,  &  quanto  e'  vi  fi  accollino  :  quefti  medcfimi  efèmpl  in  quanto  e1  rapprefentono  le  forme,  che  danno  lo  effcre  fpeziale  al  foggetto,nel  quale  le  fi  riceuono,  come  le  for  me  nella  materia  fenfibile  &  corporale  fi  chiamano  fpe*  zie  &  forme  .  quefti  fteiTì  modelli ,  &  quefte  fteffe  noti*  zie  delle  colè  in  quato  le  Tono  vniuerfàli  di  più  cofe  par  ticolari,&  di  nature  vniuerfàli,  che  ne  particolari  fi  ritro  nano,  &  fono  come  cagioni  di  quefte  precedédole  di  pre  cedenza  di  natura,come  dell'eterne  fecondo  i  Filofofi,  ò  ancora  di  tempo ,  come  delle  cofe  temporali ,  &  nuoue»  anzi  l'Idee  ,  &  di  precedenza  di  natura ,  &  di  tempo  fon  prima  di  qua!  fi  voglia  creatura,  attefo  che  quelle  fon  sé-  piterne,&  ciò  che  è  fuori  della  diuina  effenza  di  buono  è  flato  creato  di  nuouo  quado  cominciò  iltempo,&  in  que  ila  maniera  le  fi  domadono  da  Greci uniuerfàli  innanzi  a  molti  particolari ,  come  il  modello  nell'animo  dello  Scultore  d' vna  ftatua,  ad  efempio  del  qual  ritratto  molte  &  molte  fimiglianti  ftatue  fi  poflbn  fare .  E  ben  vero,che  il  modello  delh artefici,  ò  vero  Idea ,  &  quello ,  che  da  Platone,&  da  Ariftotile  fi  concede  in  Dio,  &  in  vn  certo  modo  ancora  nel  Cielo,  fono  tra  loro  differenti;  perche  l'Idea  dello  artefice  è  prima  prela  dalle  cofe  ben  fatte  da  altri,  come  ancoraridea,&  l'immagine,  che  riluce  nello  specchio  ,  mercè  della  cofa ,  che  glie  dauanti .  ma  l'ldea>  che  è  in  Dio  &  nel  Ciclo  precede  alle  cofe,&  è  caulà  del  le  cofe,che  d  fanno:  dipoi  l'ldea,che  è  nello  arteficemon  è  fempiterna  non  durando  fempre  l'artefice  ,  ma  fi  bene  quella ,  che  é  in  Dio  &  nel  Cielo  foftanze  incorrottibili  éc  eterne .  finalmente  l'Idea,  ò  notizia  ,  che  ha  l'artefice  «Iella  cofa  ha  due  modi  d'eflère,vno  vniuerfale  nell'ime!  letto  poffibile ,  &  l'altro  particolare  nel  fènfo  di  dentro  :  il  Pittore  efempigrazia  ha  nell'intelletto  l'Idea  in  vni-  uerlàle  di  donna  graziofiflima ,  &  nella  fantafia  di  riele-  tta ,  di  Laura ,  ò  di  qualche  altra  limile  :  il  Filofofo  natu-  rale ha  qucfto  concetto  dell'Intorno  nell'intelletto  ,  che  fa  animale  ragioneuole  &  mortale  quanto  al  corpo,  &  lo   info   Inferiori  potenze,  &  immortale  quanto  alta  mente,©  ve-  ro ragione  ,  &  nel  fenfo  di  dentro  ,  quando  epji  applica  quefto  concetto  à  Socrate,ò  a  Platone ,  ò  à  qualcun'uitro  particolare  :  come    caua  da  Ariftotile  nel  terzo  dell'ani  ma ,  &  nel  principio  del  primo  libro  dell'aite  del  dimo-  ftrare. fecondo  l'ordine  di  natura  le  notme  vniueriàli  precedono  le  particolarità  fecondo  l'ordine  dei  noftro  imparare  fi  fono  ritrouate  l'arti,  Se  le  fcicn7C  dalla  cogni-  zione de'  particolari  di  qui  peruenendo  alla  cognizione  vniuerfale  :  come  c'infegna  il  Filolòfo  nel  primo  libro  della  Metafifica,  ò  vero    può  dire,che  i  concetti  vniuer-  Tali  precedono  i  particolari  in  chi  impara  l'artì,&  le  feien  re  da  altri, che  di  elfe  è  perito,&  f ciéziato:  &  poi  gli  efpe  rimenta  nelle  cofe  particolari ,  le  quali  formano  di  loro  fteife  ne'  (enfi  i  particolari  concetti  :  Ma  rifpcrto  àgli  in-  uentori  dell'arti ,  &  delle  feienze  ,  prima  nafeono  i  con*  certi  particolari  ne'  fenfi ,  che  gli  apprendono  dalle  cole  come  particolari ,  poi  fene  fanno  gli  vniuerfali  per  opera  dell'intelletto  agente,  i  quali  rapprefentano  le  nature  vni  uerlali,  che  ne*  particolari  fono  nafeofte.  Ma  ritornando  alla  terza  differenza,  che  ètra l'Idee,che  lono  in  Dio,  &  quelle,  che  fono  nell'animo  delli  artefici ,  &  de*  Filofofi,  &  delli  feienziati  :  quelle  hanno  in  Dio  vn  modo  di  effe-  re,che  non  è  ne  vniuerfale  ne  (ingoiare,  come  in  noi, non  vniuerfale,perche  con  la  notizia  vniuerlale  delle  colè  ftà  l'ignoranza  de'  particolari .  può  efempigrazia  {tare  ch'io  fappia  vniuerlàlmente,  che  ognuno  degli  huomini  è  atto  a  ridere,  &  infierire  non  fappia  di  quelli,  che  fono  lonta-  ni come  in  Francia,  ò  in  Ilpagna ,  ò  al  Perù  ,  ò  altroue    fono  atti  à  ridere,  perche  io  non  so    fonohuomini  non  gli  hauendo  mai  veduti ,  ne  vditi ,  come  bene  dice  ancora  Ariftotile  nel  primo  capo  dell'arte  del  moftrare;  ma  in  Dio  non  é  lecito  porre  ignoranza ,  ò  imperfezzio-  tie  alcuna,  non  vi  fono  ancora  i  concetti  particolari  :  per-  che quefti  fono  del  Iònio ,  che  e  virtù  materiale ,  &  cor-  ruttibile ,  &  egli  è  immateriale  &  eterno  j  come  confck   sono  1  nolln  Theologi ,  &  come  fi  di  morirà  dal  Filofofo  nell'ottauo  de"  principi) .  reità  dunque  cheridec,&  con  certi  delle  colè  (lana  in  Dio  in  vn  terzo  modo  più  perret  to,  &  tanto  eccellente,  che  in  noi,che  dall'intelletto  no-  terò non  fi  può  comprendere  ,  ne  con  voce  alcuna  efpli-  care  ad  altri:    noi  potcffimo  intendere  come  Dio  intenda le  cole,  l'intelletto  noftro  farebbe  di  tanta  perfez-  ione di  quanta  è  l'intelletto  di  Dio,  come  beniflìmo  dif    il  gran  Comentatore  Auerroe  nelle  lue  difputazioni  contro  ad  Algazcle  :  (blamente  fi  può  dare  ad  intendere  ofciramente  con  alcuni  efempi ,  vno  de  quali  è  queilojfe  il  fuoco  ,  che  è  caldo  fecondo  i  Filolorì  naturali  in  otto  gradi  i\  intenderle ,  intenderebbe  inficine    clfere  parti-  cipato  fecondo  tutti  quelli  otto  gradi  da  chi  fecondo  vn  grado  folojcomc  l'acqua  tiepida,  da  chi  fecondo  due  gra  di,&  cosi  decorrendo  :  Cosi  Dio  intendendo  fé,  intende  ancora  che  la  (ùa  natura  è  partecipata  da  tutte  le  creatu-  re^ più  &  meno,  come  confeflbno  le  cole  ftelfe,  &  Ari-  stotile nel  prime  del  Cielo  al  1. 1 00.&  Dante  Aldighieri  nel  principio  del  primo  canto  del  Paradifo  cosi  dicédo       La  gloria  di  colu'h  che  tutto  mttoue,       Ver  l\nit*erfo  penetra  &  njhlende   it  In  >na  parte  più,  armeno  altrove.  Et  quefto  è Tefempio  del  gran  Comentatore  Auerroe.  Tn'altro  efempio  e  de'  Greci .  quelli  volendo  farci  com»  prendere ,  come  Dio  ,  il  quale  e  vna  natura  intellettuale  indiuifibile  intenda  infieme  le  cofe  fimilmente  indiuifi-  bili,come  lòn  gli  Angioli,  Si  le  diuilìbili  &  corporali,  co-  me fono  1  corpi  celeih  ,  &  tutte  l'altre  di  quaggiù  ,  fuori  che  l'huomo  >  Se  cflò  huomo  ancora  che  delfvna,  &  del-  l'altra natura  participa,  per  vn  mei/.o  iòio,  che  e' la  ileifo  natura  lua  impartitale ,  ci  danno  lo  elèni  pio  del  punto  di  mezzo  del  cerchio,  il  quale  è  vaio  &  indiuifibile,  &  da  ef  io  denuano  infinite  linee,  &  infiniti  punti ,  che  le  termi-  nano .  Se  quello  punto  ò  vero  centro  fulfc  vna  natura  in*  tcUcuuaie,&  fi  ia:eiideiTe,mtcadereubc  fimUmente  le  ef   ter   caufà  di  tutte  le  lince,  che  da  elio  deriuano,&  de  pun  ti  che  le  terminano:  cosi  Dio  a  guifa  di  quello  punto  in-  tendendo fc  ftefio,  donde  deriuano  tutte  le  creature  così  diuifibili  come  indiuifibili,&  noi  iteflì,  che  partici  piamo  della  condizione  &  di  quefre  &  di  quelle,tutte  le  inten-  de &  conolce  ,  &  cosi  noi  fteiTì  ;  è  ben  vero,  che  il  punto  è  con  la  quantità,  &  hi  fito,  ma  Dio  è  foftanza  &  lepara-  to  dal  (ito  &  da  luogo,(e  bene  e  per  tutto  come  fino  a  più  eccellenti  Filoiòh"  confeflono  come  prima  vnità  ,  donde  è  nata  ogni  moltitudine,  &  quefto  fi  caua  da  Platone  nel  Par.  come  prima  forma,  vltimo  fine  ,  &  primo  principio  produmuo  del  tutto, e  tutto  quello  ancora  ccnfefta  il  me  defimo  Fiìofofo,  parte  nel  Timeo  ,  &  parte  nelle  lue  let-  cere,&  A riftotelc  ancora  nel  primo  del  Cielo,  nell'otta-  110  de'  principij,S:  nel  1 2  della  Metafifìca  j  ancora  Dio  è  per  tutto  come  ottimo    dell'Vnii.erfo  ,  il  quale  regge  &  gouerna  col  marauielioio  ordine  ,  che  egli  ha  di  tutte  le  cole  dentro  di    .  Et  qui  èdaauuertire,  che  le  bene  Dio  fi  aììbmiglia  al  punto  del  circulo  ,  donde  deriuano  tutte  le  creature  vgualmenre  &  immediatamente:  non  pero  tutte  lono  di  vguaie  bontà, &  perfettione  dotate, ma  quali  più  &  quali  meno  ne  participano  ,  affine  che  fra  lo-  ro fufle  cosi  marauigliolo  ordine,  che  fa  allo  ctfere,&  al-  la bellezza  dell' Vniuer(o,&  iteftimonianza  dellaDiui-  na  Sapienza,  l'vfizio  della  quale  è  dare  ordine,  &  mifura  a  tutte  le  cole ,  &  ferue  per  il  cala  ad  alzare  con  la  cognizione il  noftro  intelletto  di  grado  in  grado  fino  a  quelli,  il  quale  e  l'alta  cagion  prima, &  cosi  co  l'amore .  dal  qual  amore  ,  ne  furge  in  noi  ogni  atto  piufto  &  retto  concor-  rendoci però  la  Diuina  grazia  infieme  con  la  fede  con  la  Speranza  &  con  la  carità, &  con  l'altre  virtù,  &  doni  :  cosi  ancora  non  efiendo tutte  le  creature  vgualmente  buone,  non  fono  ancora  con  vguaie  amore  in  vn  certo  modo  a-  mate,  &  dico  in  vn  certo  modo  :  perche  quanto  allo  atto  dell'amare. cosi  come  Dio  èin£nito,così  co  infinito  amo»  re  tutte  l'ama:  ma  quato  a  beni  che  vuole  &  che    à  eia-  fami    14       Lezzione   fcuna  non  già  ;  ma  à  qual  più  ,  &  a  qual  meno  ò  men  de-  gni :  fecondo  che  le  cóuiene  loro,&  parlando  degli  huo-  mini  giufti,&  che    faluano,qucfti  nell'altra  vita  tutti  faranno felici  &  beati  in  Dio,  tra  gli  Angioli ,  &  in  sempiterno ,  ma  non  con  vgtial  mifura  intenderanno ,  &  gode-  ranno la  Diuina  Verità, &  Bontà,  ma  quegli  più  ,  che  più  di  qua  haranno  offeruato  ifuoi  fanti  comandamenti  con  fauore  della  grazia  &  quegli  meno,che  meno,come  fi  co  uiene  alla  Diuina  giuftitia,  &  quefte  fono  quei  molti  luo  ghi  ò>  molte  manfìoni ,  che  fono  nella  cafa  del  celcfte  pa-  3re,come  dirle  il  vero  Maeftro  della  verità  Chrifto  Gie-  «ù  infìeme  Dio  &  huomo  ,  &  quello  ci  lignificò  Paulo  Apoftolo  quando  ei  diflc ,  che  fi  come  le  ftelle  in  cielo  fon  differenti  di  chiarezza,  &  di  fplendore,  cosi  faranno  i  giufti  in  cielo .   Più  oltre  ancora  è  da  fàpere,che  tutte  le  creature  qua-  tto furon  prodotte  per  creatione  di  niente  ,  furon  fatte  da  Dio  folo ,  &  immediate  :  ma  poi  quelle  di  quaggiù si  conferuano  per  fuccefTione  di  nuoui  particolari,  concor-  rendoci ancora  i  cieli,&  le  cagioni  di  quaggiù,  perche  la  D.Bontà,come  ha  farte  partecipi  le  creature  del  bene,  &  dello  edere,  così  ha  volfuto,  che  ancora  elle  habbmo  vir-  tù di  dare  lo  eflere,&  qualche  perfezzione  ad  altri ,  per-  che ci  feopriffe  il suo  amore  &  i  fuoi  tanti  benefizij,6^fuf  fimo  tanto  più  tenuti  di  amarlo,  &  di  riuerirlo  fòpra  ogni  altra  poteftà  :  potrebbe  Dio  egli  folo  produrre  ogni  di  delle  creature ,  &  conlèruar  le  fpezie  lènza  l'aiuto  delle  caule  feconde  ,  come  ci  le  creò  ;  ma  per  le  cagioni  dette  non  volle:  ne  per  quefto  alcuna  mutazione  ònouitàfì  pone  in  Dio:  perche  egli  le  creò  quando  ab  eterno  ei  propofè  di  crearle,c  cosiauuerrebbe  fè'ne  creafle  di  nuo  uo,&  come  accade  dell'anime  humane.  Platonc,&  Ari-  stotile pongano  la  creazione  deH'Vniueriò ,  ma  ab  eter-  no, come  Simplicio  &  San  Tommafò  attribuirono  loro;  &  come  è  forza  di  dire  volendo  parlare  conforme  ad  al-  luce loro  autorità,  come  altrouc  io  ho  dimoftro.il  terz»  &  vltìmo  efempio  è  de*  Latini,  i  quali  hano  voluto  efpor  ci  l'vnità  dell'Idea  ,  &  la  fomma  Tua  eccellenza  inficme,  &  il  loro  efempio  è  d'vno  feudo  d'oro  ,  &  di  vna  gioia  di  grà  valutarquefto  fcudo,poniamo  per  cafò,  vale  cèto  era  zie  ,  &  la  ^ioia  vn  milione  di  feudi,    quefto  feudo  s'intenderle intenderebbe  infìeme    valere  cento  crazic  :  &  così  le  intenderebbe  per  mezzo  della  fua  natura ,  &  non  per  concetti  di  argento, &  di  crazie:  così    la  gioia    co-  nofcefle,conof  cerebbe  quel  milione  di  feudi:  ma  non  per  la  natura  dell'oro,ò  dell'argéto,ne  per  la  figura  delli  leu*  di,ò  delle  crazie,ò  d'altra  moneta  .  Iddio  è  vno  feudo  ò  vna  gioia*  che  racchiude  in    lo  eflere,&  la  perfezzione  di  tutte  le  creature  ,  &  più  in  infinito  ,  ma  fotto  natura  di  Deità,  &  così  le  intende  ,  &  cosi  in  vn  modo  quanto  allo  effere  di  infinità ,  quanto  allo  intelletto  creato  è  incom-  prenfibile  ,  &  quanto  al  fignificarlo  ad  altri  è  ineffabile:  perche  come  fi  può  dare  ad  intédere  ad  altri  quello  ,  che  per  noi  non  polliamo  capire,  &  quello,  che  è  infinito  co-  me infinito  è  incomprenfibile  dall'intelletto  creato, &  fi-  nito,&  Dio  poiché  produce  ogni  cofa  di  niente  (  cosi  co  me  infinita  è  la  proporzione  tra  il  niente,  &  quello  ,  ch«  è  attualmente  )  cosi  è  d'infinita  poteftà ,  non  folo  quanto  al  durar  fempre  :  ma  ancora  in  vigore  .   Sino  a  qui  penfcrò  ,  che  da  voi  gentiliflìmi  (piriti  fi  fia  intelo  benifs. quello,  che  fignifìchino  qfte  voci  Idea,  vniucrfale  innanzi  a  molti  particolari, &  eséplari,fegue  hora  che  io  vi  proui  breuemente,  che  l'Idee,  &  efemplari  del  le  cofe  fiano  nella  mente  di  Dio;  la  qual  verità  non  io-  lamente  è  confefTata  da  noftri  Theologi,che  non  poflbno  errare  cauandola  dalle  diurne  fcritture,  doue  fi  dice,  che  Dio  è  {àpientiiTimo,ottimo,omnipotentiffimo,  &  che  in-  tende fino  i  lègreti  del  cuore  :  ma  ancora  fi  concede  da  Platone,  &  da  Ariftotile  Principi  dellhumana  fapienza*  Platone  nel  Parmenide  pone  nell'vno,&  nel  primo  ente  l'Idee,  le  quali  participate  &  imitate,  fono  cagioni  dello  cflerc  y  &  delia  moltitudine  delle  cole  :  nel  Timeo  pon*   due mondi ,  il  mondo  efèmplare ,  che  iòlo  con  la  mente  fi  comprende  da  noi  :  &  poi  il  ienfibile,  che  fi  conofee  an  cora  col  fenfò.Nel  Conuito  due  Venere  vna  intellettua-  le,che  é  ?ordine,&  la  grazia,che  refulta  dalla  moltitudi-  ne delle  Idee  ,  l'altra  celefte ,  che  confitte  nell'ordine  di  tutte  le  creature  del  Cielo  ,  &  deirVniuerìo  .  Cosi  Ari-  ftotile  nel  primo  della  Metafifica  dice  ,  che  la  fapienzaé  vna  cognizione  di  tutte  le  cofe  per  le  prime  cagioni ,  la  quale  principalmente  è  in  Dio  ,  &  di  Dio  :  adunque  lè-  condo  il  maeftro  ancora  di  coloro,chc  fanno, &  che  lòno  dotti  nellhumana  Filofòfia  le  Idee ,  ò  notizie  cji  tutte  le  cofe  fono  in  efio  Dio  Principe  deirVniuerib  ;  nel  deci-  mo delfEthica  dimoftra  come  à  Dio  ci  aflò migliamo  propriamente  nell'atto  dell'intendere  le  cole  diuine ,  &  ipecolabilii  come  ancora  quefto  medefimo  ci  proua  Alef  fandro  Tuo  eipofitore  nel  proemio  Jbpra  il  primo  libro  della  Priora,ò  vero  de  Sillogi  (mi;  e nel  duodecimo  della Metafifica  ci  infognano  Ariftotile,&  AleiTandro,cheil  bene  defl'vniuerio  è  di  due  maniere  ,  come  ancora  il  be-  ne dell'elercito  de' foldati ,  l'vno  e  elio  Capitano  degli  eferciti,  nel  quale  ftà  principalmente  il  fine,  che  è  la  vit-  toria, l'altro  è  l'ordine  fenfibile  delle  file  de'  foldati,  che  pende  dall'ordine, che  quel  Generale  hi  nell'animo:  co-  ki Dio  è  bene  dell'Vniuerfo  in  quato  è  quel  ente,  &  quel  bene,  che  è  amato  &  desiderato  (òpra  ogni  coià,&  di  più  l'ordine  intelligibile,che  è  nella  mente  di  Dio  di  tutte  le  creami e,dal  quale  pende  l'ordine  ienfibile  di  elle  :  Ecco  che  fecondo  Ariftotiie  ancora  fa  di  biiògno  concedere  l'Idee:  come  ancora  con  ragione  fi  può  dimoflrarc,e  pri-  ma fé  a  Dio  fi  niega  l'atto  dell'intendere  atto  nobilifli-  mo,  che  operazione  più  nobile  le  gli  può  attribuire?  cer-  to ninna  &  così  fari  in  tutto  oziolo:  come  bene  argo-  mentò quello  gran  Filoiòfo  nel  decimo  libro  dell'Etni-  ca^ vero  de'  coltami,  &    egli  non  intende  tutte  le  codina folo  le  ilcifojò  le  più  nobili,adunque  egli  làprà  me    di  noi,  che  se  incendiamo  di  molte  &  moke ,  come   argomenta  Ariitotile  contro  ad  Empedocle  di Girgenti,  che  voleua  che  Dio  non  intendere  la  difcordia,  &  le  cole  diicordan  ti  :  ma  folo  l'amicizia,  &  le  colè  concordi ,  oltre  che  le  fi  concede ,  che  Dio  intenda  fc  ftcflb,  fa  di  bilògno  ancora  che  egli  intenda  ih  eflère  caufa  dogri  altra  cola  da  elfo  caufata,&  dipendente,  &  la  curia,  &  cioche  pende  da  eim  fa ,  è  oppofto  per  relazione  ;  in  guila  che  chi  ne  intende  vno, intende  ancora  l'altro .    Adunque  Dio  intendendo  le  fteflò  (  come  confeflbno  Annotile,  &  il  fuo  gran  Ce-  mentatore Auerroe  nel  duodecimo  della  iuaMetafifica  altefto  ?i  )  s'intende  come  caufa  vniuerlàle  di  tutte  le,  cofe,che  da  eflò  procedono  :  &  cosi  intende  ancor  quel-  le, &quefte  notizie  ibno  l'iftefle  Idee ,  &  ritratti  delle  cofe .  Finalmente    le  cofe  delTvniuerfo  Iòn  ben  goucr-  nate  ,  &  per  i  debiti  mezzi  al  loro  debito  fine  condotte  ,  come  fi  vede ,  &  la  natura  non  intende  ;  adunque  e  retta  eia  chi  le  intédc,&  quelli  ò  è  Dio,ò  colà  fuperiore  à  Dio,  il  che  non  fi  può  pure  con  l'animo  fingere,  &  penfàrc.  La  D.  M.  dunque  intendendo  le  cofe,&  il  bene  di  ciafeu  na,&  d  quello  indinzzandolc,come  il  làettatore  la  làetta  alberzaglio  non  conofeiuto  da  lei, le  intende  ancora ,  &  le  conofee  benifiimo;  di  qui  portiamo  intendere,comc  (b  no  molto  più  arroganti  quei  Filolòfi  ;  i  quali  con  le  loro  fofifliche  argomentazioni ,  &  perche  e'  non  iànno  rilòl-  uere  alcune  obiezioni,ardifcano  didire,cheDio  non  in-  tende (è  non    ltefib,  &  che  ei  regge,  &  gouerna  tutte  le  altre  colè  come  la  natura  lènza  intenderle  :  di  qui  dico  polliamo  conofeere ,  che  quefti  tali  fono  molto  più  arro-  gacene non  furono  quelli  huomini  così  grandi  &  di  cor    &  d'animo,  che  ardirono  mettendo  monte  (opra  mon  te  di  prendere  il  Cielo:  però  che  quefti  così  facendo  fi  penfàuano  arriuare  à  celefti  corpi  :  ma  quelli  più  su  pen-  landò  di  peruenire  fino  à  Dio,  lo  priuono  dell'intelligen  la  delle  colè  .  Chi  dunque  bene  &  fottilmcnte  confide-  rà le  autorità,&  le  ragioni  non  folo  di  Platone,  ma  anco-  ra quclle,che  fi  cauano  da  AriAoulc,è  forzato  di  confcf-   B         fare,    u  8       Lezzione   Tare,  che  le  Idee  &  notizie  delle  cofe  fiano  veramente  in  Dio  :  &  ie  bene  cucilo  filofofo  in  tanti  &  tanti  luoghi,  Se  della  Logica, &  dell'Ethica, &  della  Filosbfia  naturale,  &  della  Metafisica  s'ingegna  di  leuarle  via ,  inoltrando  che  le  non  fanno  ne  alla  produzione  delle  cole  in  alcun  ge-  nere di  caule,ne  alla  cognizione, &  nel  duodecimo  della  Metafifica  fi  dice ,  che  Dio  non  intende    non  le  itefTò  :  perche  la  liia  faenza  farebbe  vile  ,  (e  ancora  fi  cftendeife  all'altre  cole,  le  quali  rilpetto  a  lui  fon  molto  vili,  &  im-  perfette :  oltre  che    tante,  &  tante  notizie  follerò  nel  ilio  intelletto,  come  le  fono  nel  noftro,e  non  farebbe  firn  pliciffuno  atto  ne  pura  foftanza,  ma  vn  comporto  d'intel-  letto, &  di  forme  intelligibili,  &  cosi  non  farebbe  vgual-  mente  perfettiflìmo  ,  perche  la  natura  intellettuale  in  lui  harebbe  ragione-di  potenza,  &  le  forme  di  atti,&  perfez.  7Ìoni  :  accioche  non  legnino  cotah  incouenienti  per  non  dire  impietà, &  à  fine    parli  conforme  ad  Arili  otele,chc  -vuole  3  che  in  Dio  fia  laiapienza ,  &  feienza  del  tutto,  fi  dee  dire,chc  quando  egli  niega  l'Idee,  le  mega  nel  fen  Co  cattino  &  fallo  :  nel  quale  l'erano  intelc  da  molti  :  co-  me bene  di  ciò  ciauuertilcono  i  Greci  efpofitori  :  ma  quelli  dunque  i  quali  penlano  ,  che  l'Idee  fiano  agenti  immediati  urincipali,&  fuori  delFeifenza  diuina,s'ingan  nono  non  eifendo  congiunte  con  materia ,  nella  quale    fondano  le  qualità  fenfibili ,  con  le  quali  gli  agenti  natu-  rali alterano  1  pazienti:  ma  bene  l'Idee  in  Dio  fono  agen  ti ,  che  indirizzono  le  cagioni  naturali  al  bene-,  &  retta-  mente adoperare;  cosi  chi  penfa ,  che  l'Idee  eiìendo  for-  me ieparate  fiano  Felfenza  formale  intrinseca  delle  colè>  che  fono  fuori  di  Dio  prende  grande  errore  :  ma  non  già  quelli ,  il  quale  crede  ,  che  quelle  forme,  che  hanno  vno  efiere  formale  diftinto,  &  multiplice,  dipenda  da  quelle,  che  hanno  l'eHerc  vnito  nella  diuina  Eifenza,  &  che  fia-  no multiplicate  folo  virtualmente  ,  come  di  fopra  da  me  fi è  efpoito  .   E' ancora  falfo  il  penfare ,  che  l'Idee  fiano  cagioni  finali ,  che  terminino  le  generazioni  delle  colè  :   attefo      1,9   attefò  che  cotali  fini  s'acquiftono  di  nuouo,  &  no  prece-  dono la  generazione, ma  fon  fini  per  cóformità  in  quan-  to i  fini ,  à  quali  terminano  le  generazioni  fi  confermano  con  quelli  del  mondo  ideale ,  &  intelligibile  .  in  vltimo  quando  fi  diccua,che  Videe  non  feruono  a  conolcerc ,  &  intendere  le  cofe,  perche  noi  le  intendiamo,apprenden-  do  le  fimilitudini  da  effe  per  via  de'ièntimcnti ,  &  dello  intelletto  .  fi  dee  dire ,  che  quefto  argomento  folo  con-  chiude/che nel  noftro  intelletto  porTibile    fiano  le  no-  tizie delle  cole  ,    maniera  ,  che  il  noftro  fàpere  fia  vn  ricordarfi  come  penfauano  i  Platonici ,  percioche  l'ani-  me noftre  fono  come  tauole  non  iicritte,  &  libri  no  ilcrit  ti,doue'ii  può  fcriuere  ogni  cognizione ,  perche  fiamo  nello  flato  doue  fi  va  dalla  imperfezzione  alla  perfez-  zione ,  come  dal  non  potere  generare  al  potere,  dal  non  làpere  al  fapere  :  ma  il  primo  huomo  Adamo  cosi  come  ei  fu  creato  perfetto  quanto  al  corpo  ,  che  poteua  lubito  generare  delh  altri,  così  fu  creato  perfetto  quanto  all'ani  ma,  &  gli  furono  infufe  da  Dio  le  notizie ,  &  le  fpetie  di  tutte  le  colè  quanto  baftaua ,  acciò  potetfe  ammaestrare  gli  altri,&  perciò  potette  porre  il  nome  conueniente  an-  cora à  tutte ,  come  fi  dice  da  Mosé  nel  Genefi  ,  &  tutto  quefto  conlèntono  i  Theologi,come  SanTommafo  nel*  la  prima  parte  delia  Somma  alla  dift.^.art^ .  Non    nie  ga  dunque,  che  le  Idee  non  fiano  in  qualche  modo  in  Dio  :  anzi  è  neceifario  che  le  vi  fiano  :  come  da  me  fi  è  dimoftro ,  &    in  Dio  è  la  làpienza ,  &  cognizione  delle  colè  per  la  notizia  di    fteifo,che  è  la  prima  cagionc,co-  me  Ariftotile  confeifa  nel  primo  della  Metafifica,  &altroue  Platone  nel  Timeo,&  in  molti  altri  luoghi.  Et  qua  do  i  Peripatetici  opponendoli  à  quefta  fermiiììma  &  im-  portatiilìma  verità  dicono,  che  Dio  fi  auuilirebbe    egli  ìntendelie  altro,  che  le  ftcilo.  fi  dee  rifponderc,chc  Ari-  ftotile per  quefto  argomento    niega  in  tutto  &  per  tut-  to la  cognizione  dell'altre  cole  da  Dio,  come  li  è  proua-  to,  ma  la  niega  in  quel  modo,  che  ella  è  in  noi ,  &  che  la   h    z   pòtrebbe  concernere  in  Dio  qualche  imperfezzionCjCO*  me  auuerrebbe  feUio  nello  intendere  dipcndelfc  dalle  cof. ,  che  fono  fuori  di  lui,  &  da  effe  apprenderle  le  noti-  zie ci  oselle ,  à  guifa  che  facciamo  noi  3  anzi  la  Icienza  di  Dio,  tra  Faltrc  differenze  ha  ancora  quella  per  la  qua-  le ella  fi  diftingue  dalla  noìtra  :  perche  la  iiia  è  caufa  del-  le cofe,  &  la  noitra  da  elle  è  cagionata  come  beniifimo  ci  in'ccnail  gran  Comentatorc  nel  duodecimo  libro  della  Mctarifica  j  ci  quella  altiflìma  verità  non  meno  è  confor-  me alla  condizione  dell'intelletto  diuino  ,  che  ella  (I  fìa  ad  Àriftptile ,  &  à  Piatene  ,  i  quali  tra  tutti  i  filosofanti  tengono  il  preircìpatò:  e  dico  conforme  alla  condizione  di  Dio  l'intendere  per  vn  mezzo  interno,che  è  la  fua  di-  luna efTenza,  perche  al  primo, &  diuino  intelletto,  come  atto  puriffimo,  &  mafTimamcnte  non    gli  conuicne  rice  i-er  le  fpcv-ìc  da  akri,ne  hauerle  in    fteife  multiplicate  :  ma  all'intelletto  noftro  come  pura  potenza,  &  come  con  giunto  à  materia  corporale  a  ragione  conaicne  l'inten-  dei  per  le  fpezie  &  fimiglianze,  riceuute  da  diuerfe  co-  le ,  &  riformate  dall'intelletto  agente  .  cosi  ancora  l'in—  tendono  quégli  due  gran  Fìiofofì ,  come  di  (opra  fi  è  di-  pioftrato  di  Dio,&  come  del  modo  del  noftro  intendere  £  d.J  chiara  e  fi  tocca  da  Platone  nel  Filebo, doue  ei  dice,  che  l'anima  npfìra  è  come  vn  libro  non  ifcritto,&  che  gli  fcrittori  fono  i  fenfì,&  nel  fettimo  della  republica  con  lo  elèmpio  di  collii,  che  è  legato  in  vna  fpelonca  in  guiia  che  non  vede    non  le  fimilitudini ,  &  l'ombre  delle  co-  lè, &  noi  fiiiolto  le  feorge  chiariiTimamente,  ci  monVa  co  ipe  1  miprrip  dalla  notivia  delle  colè  di  quaggiù  s'alzi  al-  la cognizione  delie  cofe  diuine  ,  &  da  Ariitotile  nel  ter-  io  dell'anima:  deueper viade'fenfi  ,  &  rer virtù  dello  intellètto  agente  li  efpone  come  noi  intendiamo  tutte  le  cofe,  &  nel  icttimo  della  Metallica  fi  rende  ragione,  per  rodotte,come  determinano  beniflìmo i  Theolo-- i,&  tré'   B    j    °  gli    21  Lezzione     tefo  che  per  quello,  che  è  diritto,  &  retto  ,  fi  giudica  del  torto,&nóalcótrario,comedice  Arift.nel  1. dell'anima.  Più  oltre  molti  &  molti  affermano  che  in  Dio  ncn  fo-  no i  ritratti  degli  effetti  carnali  &  fortuiti  :  perche  cfuefti  non  procedono  le  non  da  cagioni  indcterminate,&  di  ra  «lo,  &  la  feienza  è  di  quelle  cole,  che  dipendono  dalle  lo  ro  proprie  cagioni  &  tèmpre;  &    ciò  è  vero  della  faen-  za noftra  quanto  più  della  feienza  diuina .  Ma  quefti  fi  ingannano  prefupponendo  in  pnma,cherifpetto  a  Dio  G.  dia  la  fortuna  &  il  cafo ,  &  gli  effetti  fortuiti  :  attefo  che  Pio  intende  ogni  colà,  &  rilpetto  a  lui  quefti  effetti  pro-  cedono da  cagioni  certe,  ma  R  bene  a  noi  incerte,  &  oc-  culte, $c  fon  «épre  nelle  loro  caufe,come  Jccliffe  del  So» .   le,    Del  Verino.        2$   le;&  della  Luna  nelle  loro  .  Si  penlàno  ancora  molti  de*  Platonici, che  nella  D.Sapiéza    (ìano  i  modelli  di  quel  le  colè,  che  naicono  di  putrcfaz.ione,comc  efèmpiprazia  de'  vermi,  si  perch'eglino  no  pelano  che  in  Dio  {ìano  i  ri  tratti  delle  colè  vili, si  ancora  perche  e'fi  dano  ad  intéde-  re, che  cosi  fatte  cole    fi  riduchino  fotto  l'ordine  elsé-  tiale  delle  creature  :  &  nódimeno  più  dalla  produzzione  di  cosi  fatte  cole  per  virtù  de'  lumi,  &  del  calore  celefte  proporzionato  ììamo  indotti  à  venire  in  quella  credè? a,  che  in  Dio  fiano  Y  Idee  ,  che  per  l'altre  cole  ,  perche  elio  folo  sa  quitti  gradi  di  calore  bilògna  alla  loro  generazio-  ne^ formazione,    altramente  che  l'eccellente  fabbro  sàquato  caldo  dee  elfere  il  ferro  per  introdurui  qualche  forma,&  per  farne  qualche  colà,  come  confella  il  grà  Co  mét.Auerroe:&  pili  oltre  participàdo  quelle  colè  di  qual  che  forma,  &  la  forma  è  vn  certo  bene  &  certa  perfezzio  ne  della  materia,con1e  C\  dice  nel  i.lib.de'princ.all'Si.t.  &  mercè  di  lei  la  materia  diuenta  qualche  cola  lpeziale  ;  per  qfte  cagioni  io  mi  pélo,  che  le  bene  le  lìano  vili  qua-  to  alla  materia,  che  le  siano  però  di  qualche  perfezzionc  quato  alla  forma,  &  pche  fon  buone  a  qualche  colà, no  ci'  sedo  da  Dio,e  dalla  natura  fatta  colà  alcuna  i  damo,  ma  à  qualche  fine,&  a  qualche  vtilità:  Et    pur  alcun  voglia  te  nerc,che  ciò  che  fi  genera  p  putrefazione  non  fia  dell'or  dine  efséziale  delle  colè  deH'vniuerib,  ne  di  elle  fiano  le  Idee  in  Dio, nò  perciò  legue,  che    l'intenda  per  l'Idee  di'qlle  fpezie  più  rimili, &  che  fono  dell'ordine  elséziale  del  Modo,  quale  di  quefte  due  rifpoile  fia    lòio  più  co  forme  alla  dottrina  de'  più  eccell.  Filoforanti,  ma  ancora  (&  qfto  impòrta  all'honore  della  D.M.&  alla  làlute  nra)  io  mene  rimetto  in  quello,  &  in  ogni  altra  cola  da  me    fata,detta,ò  fcntta,à  più  giudiziofi,e  lbpra  tutto  à  quello,  che  netiene,e  determina  la  S.M.Chiela  Cat.Ap.&  Rom.  Più  oltre  della  materia  prima  non  e  dicono  alcuni  Idea»  non  eiìèndo  ella  forma,ne  di  lùa  natura  colà  formata,  mi  ;  Dio  intendédo  le  forine,  infieme  intéde  il  loro  foggetto;  .   B  4  t'iwls    24        Lezziome   finalmente  de*  generi  delle  cofe  non  fi  pone  diftinta  Idea  >  confiderata  come  elèmpio  dall'Idea  delle  fpczie  :  non  fi  ritrouando  mai  i  generi  fuori  delle  lorofpezie.   Da  tutto  cjuello ,  che  da  me  C\  è  ragionato  dell'Idee  fi  può  raccorre  quello ,  che  le  fiano ,  dicendo ,  che  le  non  iòno  altro,  che  la  ilella  divina  efienza  non  alfolutamett-  te,  ma  in  quanto  le  fono  fimilitudini ,  ò  ragioni  delie  Tue  creature ,  &  come  quella ,  che  è  partecipata  da  efle  lotto  diuerfi  gradi  di  più  ,  ò  meno  perfezione ,  mercè  ancora  delle  quali  di  tutte  le  cole  ne  ha  ottima  prouidenza.  Puoflì  ancora  quella  dirHnizione  dell'Idee  con  quella  ra  gione  procedente  per  diu  ifione  cosi  ritronare,&  confer-  mare, argomentando  in  quella  maniera .  O  Dio  intende  le  cole,  che  fono  fuori  della  lua  diuina  eilen7a,ò  nò.  non  fi  può  dire,  che  non  l'intenda,  perche  egli  intende  le  ilef  lo,  &  cosi  fc  eifere  caula  d'ogni  cola,adunquc  egli  inten-  de ancora  ciò  che  è  fuori  di  lui .  il  dire,  che  non  intenda  aflblutamente, farebbe  non  folo  fomma  impietà ,  ma  an-  cora vna  delle  maggiori  bugie,che  fi  poteife  dire,  perche  qual  più  eccellente  operazione  Te  gli  può  attribuire,  che  lo  intendere  ?  più  oltre  le  Dio  produce  le  cofe  bene ,  Se  bene  le  regge,&  gouerna;  adunque  ancora  l'intende ,  al-  tramente da  vn'intelletto  liiperiore  iàrebbe  retto  &  gui-  dato, come  gli  linimenti  dallo  artefice,  che  sà,&  incende  quello  ch'ei  fa  con  eifi,&  eglino    :  e  dunque  colà  chia»  ra  &  fermiilìma  verità,che  Dio  intende,  &  non  lolamuc  le  fteflb,ma  ancora  l'altre  cofe,ch'egh  produce,  &  gouer  na,e  di  più  quelle,che    ha  prodotte,&  polche  Dio  l'in  fède,  e  conofce,ò  e'  fa  quello  p  vn  mezzo  chefia  fuori  di  le  fteflo,ò  che  fia  in  lui .    fuori  di  le  follò,  ò  le  fono  for  me  co  la  materia,  parlando  delle  cole  matenali,ò  le  lòno  fpezie,&  fimilitudini  attratte  dalla  materia,  no  è  ragione  noie  dire ,  che  in  alcuno  di  qfti  modi  Dio  le  intéda  si  per  che'I  Tuo  lapere  dipéderebbe  dalle  cole  come  il  noflro,6c  no  farebbe  in  tutto  perfetto,  si  ancora  poi  in  particolare  ,  perche  le  egli  incédeife  le  forme,  come  difterici  nella  ma   «cri*     2f   tenia  ad  ette  voltandola,  no  farebbe  proportione  tra  il  fuo  irttelletto,che  è  atto  puro,&  le  forme  materiali .  noi  an-  cora non  conofciamo  le  cole    non  per  mezzo  delle  fpe  zie  attratte  dalla  materia  &  fpiritali,  come  fono  i  Icnfi,&  molto  piti  l'intelletto,  fi. vilmente  non    dee  credercene  Dio  intenda  le  forme  materiali  per  le  fpczie  attratte  dal-  la materia,  &  dalle  fiic  condizioni ,  perche  ò  le  lòno  tali  per  opera  dell'intelletto  adente,  &  cosi  lopraDiobiìò-  gnerebbe  porre  vn  piu  nobile  intelletto,  che  lo  reduceffe  dalla  potenza  dello  intendere ,  &  del  lapere  allo  atto ,  &  la  dia  fcicn7a  non  farebbe  fempiterna,  ma  nuoua,  ò  vera-  mente quefte  forme  aitratte,5:  fuori  di  Dio,fòno  di  loro  natura  tari, *:  cosi  Dio  nello  intendere  dependerebbe  da  altri ,  &  non  farebbe  perfetti/fimo  :  in  niun  modo  adun-  que Dio  intende  le  cole  per  il  mezzo  che  fia  fuori  di  lui.  Kefta  che    vegga  come  ei  le  conofea  per  vn  mezzo,  che  fia  dentro  di  lui  ;  dico  adunque  che  ò  que^e  ìono  le  for-  me,&  le  fyezie  delle  cole,ò  elfa  diuina  elfcnza,    le  fpc-  zie  delle  colè,  ò  con  la  materia ,  &  cosi  egli  farebbe  ma-  teriale, Se  non  in  tu  ito  ottimo,  &  pur:  filmo  atto    lènza  materia  come  le  immagini  fono  nello  fpecchio ,  il  quale    fulfe  natura  intelligente  per  effe  intenderebbe  le  cole,  che  iono  fuori  di  lui;m  quello  modo  ancora  non  è  da  di-  re,che  Dio  intenda  le  creature  :  però  che  egli  non  fareb-  be atto  purilTimo ,  ma  vn  comporto  della  natura  intellet-  tuale,come  potenza  &  di  effe  forme,come  atti,  fìmilmen  te  non  farebbe  in  tutto  ottimo,  &  perfettiilìmo  :  perciò  fi  dee  conchiudere,  che  Dio  intenda  tutte  ie  cofè,che  lbno  fuori  di  lui  per  la  fùa  diuina  clfenza,&  non  per  effa  come  infmìta:perche  cosi  intende  le  iìefio,  il  quale  è  inrmito,fic  le  creature  fono  finite;  &  quale  più  &  quai1  meno  parti-  cipa  dello  efferc,  &  della  perfezzione:  adunque  l'Idee  in  Dio  non  fono  altro,  che  eflà  diuina  ellènza,come  rap-  prefentatrici  al  D.  intelletto  delle  creature,  &  fecondo  che  ne  partecipano  più  ò  meno.  AgoiHno  Santo  nelli-  %ro  dcÙ'otcStatre  ouiitioni  alla  quiitione  46  le  dirHnifcf   CQH LEZZIONE   cosi  dicendo,che  le  fono  certe  fornicò  rigioni  ftabili,& v  fempiterne,&  no  fono  formate,&  fi  contengono  nella  di  .  ulna  intelligenza, &  che  le  h  di  ino  lo  prona  cosi,  perche  .  il  Creatore  con  retta  ragione  fa  le  cofe,&  co  altra  l'huo-  mo,&  con  altra  il  cauallo  :  &  che  le  non  pollino  effer  fuo  ri  del  Creatore  è  manifefto ,  dice ,  perche  fuori  di  lui  ei .  non  cótéplaua  cofa  alcuna. L'Angelico  Dottore  S.Tom-  mafo  d'Aquino,  la  cui  dottrina  è  cotanto  reale,  ficura,  &  fanta,  ancor  egli  nella  prima  parte  della  Soma  alla  q.  1 5.  tiene,che  glie  ncceflario  porre  l'Idee  nella  méte  diuina  :  che  le  fono  più,  &  che  le  non  fono  altro,  che  ella  Diuina  cifenz.a  non  allolutamente  confiderata :  ma  in  quanto  è  efempio ,  &  ragione  delle  cole  create  da  Dio  >  6  che  pòtrebbe  creare .   Speditomi  nella  prima  parte,  dal  ragionamento  dell'Idee,  leguita  hora,che  in  quella  feconda  io  difeorra  alquanto  delle  bellezze  di  M.  Laura,  quanto  però  appar-  tiene all'intelligenza  di  quefto  Sonetto  ,  doue  fa  di  bifo-  gno  primieramente  intendere,quello  che  fi  fia  la  bellez-  ,  fca,  dipoi  di  quante  fpezie,&  terzo  in  quello,  che  le  con-  uenghino  tra  loro ,  &  in  quello  che  le  fiano  differenti .  Quanto  al  primo  punto  la  bellezza  non  è  altro  ,  che  vna  certa  proporzione  &  grazia, che  reliilta  da  più  cofe,onde  per  il  contrario  le  colè  brutte  fon  tutte  quelle ,  che  fono  fproporzionate  nelle  loro  parti,&  condizioni,&  fenza  al  cunagrazia.-quetta  difHnizione  è  più  prelto  pre(a  da  prin  cipij  interni  iolamente,  de  quali  ella  è  compofta,  che  al-  tramente, come  fono  in  cambio  di  forma  proporzione  &  grazia,&  in  cabio  di  materia  più  parti,  ò  più  condizioni :  legno  di  ciò  che  vna  colà  fola  ,  come  vn'elemento  non  fi  domanda  bello .  Puollì  ancora  difKnire  la  bellezza  più  perfettamente  dicendo,che  ella  è  vn  fiore,  &  vna  grazia,  ò  fplendpre.di  più  bontà,&  perfezzioni  vnite,  che  è  arde  tifììmaméte  difiderata.  dicefi  fiore,grazia,&  (plédore  per  4i^inguerl4  dal  iuo  eontiario,,chc.  e  la  bruttezza  composta  di  più  perfezzioni  defettiuc  vnitc ,  ma  {proporziona-  te, &  difcordanti .   Più  oltre  fi  aggiugnc  in  più  bontà  ,  perche  come  fi  é  detto  vna  colà  in  tutto  femplice,&  come  fcmplice  confi-  derata  non  fi  domanda  bella,  ancora  che  come  partecipe  della  forma  Tua  iemplice  fia  buona,come  fi  è'dato  l'efem-  pio  d'vno  elemento.  Terzo  ho  detto  ardentiflìmamente  difidcrata,  perche  cosi  ancora  la  bellezza  Ci  diilingue  dal  bene  come  bene,  che  none  cotanto  amato  &  difiderato,  &  quando  pure  alcuna  forte  di  bene  fia  troppo  amato,  co  .  roc  dagli  auari  fono  le  ricchezze,  dagli  ambiziofi  gli  ho-  nori ,  dal  vulgo  i  piaceri  del  fenfo,  &  che  Ci  dice  e'  ne  fo-  no innamorati ,  quefto  auuiene  per  certa  fimilitudine  di  ecceiliuo  amore  .  di  qui  fi  poflbn  cauare  le  ragioni  di  al-  cune òccultilìime  verità  .  Tvnaè,  che  la  materia  prima  perche  e  lòftanza  femplice  ,  &  non  è  buona,  non  eflendo    forma,ma  lbggetto  atto  à  riccuere  le  forme  non  è  bella,  ne  brutta, &  fi  dee  dire  propriamente  non  bella,&    buo  na,&  quella  medefima  cófideratacome  informata  di  tut-  te le  forme  séza  ordine, &  proporzione  è  buona:  ma  bruì  ta,  &  come  informata  delle  forme  con  ordine  &  propor.  7ione  é  beila  &  buona  .  l'altra  nafeoià  verità  è  ,  che  Dio  perche  è  Comma  bontà,  &  perche  con  iòmma ,  &  infinita  proporzione  &  graziale  contiene  tutte  in  vn  modo  per-  fettiflimo  ,  perciò  è  la  fomma,  &  infinita  bellezza,&  me-  rita di  eflere  amato  con  ardentifììmo ,  &  infinito  amore,   6  Ce  gli  amanti  delle  terrene  &  create  bellezze  fentono  marauigliofi  diletti  lenza  alcuno  difpiacere  quando  le  ri  mirano  come  e3  vogliono  :  quanto  più  lenza  coinpara-   7  ione  ne  fentono  delimcreata,&  diurna  bellezza  gli  An  gipli  sii  in  Cielo ,  &  l'anime  beate  in  eflètto ,  &  quaggiù  ì  giufti  &  gli  eletti  per  ifperanza .   In  vltimo  fi  può  aggiugnere  alla  predetta  difhnizione  &  dire  della  bellezza  veduta  :  perciochc  fino  à  tanto  che  la  cofà  bella  no  è  veduta,  ò  con  l'occhio  corporale,  ò  eoo  quello  dell'anima,  eh  e  la  mente,  niuno  iène  innamora. OndeilnoftroM.  Francefco  Petrarca  quando  le  bellez-  ze della  ina  donna  gli  dauano  di!piacere,fi  doleua  d'ha-  uerla  guardata  dicendo .   j,   Occhi  pianate  accompagnate  il  core  ,  Jt  Che  divoftiofalltr  morte  foftiene  .   E Cavalcanti  nella  lua  così  dotta,come  ofeura  Canzone  dell'amore  dice,  che  viene  da  veduta  forma,  che  s'intende.   Quanto  al  fecondo  punto,  che  era  delle  fpezie  dell'ai  more  quante  &  quali  le  fìano .    vogliamo  feguire  il  pa-  rere di  M.  Marsilio  Ficini ,  il  quale  più  copioiamente,  &  più  fottilmente,  chealcun'altro  de'  Platonici ,  ha  ragio-  nato d'Amore  fopra  Famorofo  Cóuito  di  Platone  fi  dee  dire,  che  le  fono  di  tre  maniere ,  vna  dell'animo ,  qhe  fi  conoicc  con  la  mente ,  l'altra  del  corpo,che  fi  feorge  cori  la  villa,  &  vna  delle  voci,  la  quale  fi  comprende  co  l'vdi-  to,ma    fi  riguarda  à  quello ,  che  fi  è  detto  dell'Idee  ,  &  della  bellezza  con  Platone, &  con  Ariftotele  di  fopra,  &  alle  parti  principali  dell'huomo,pare  che  le  bellezze  fie-  ro folo  di  due  maniere,  vna  del  corpo,  che  fi  conofee  col  lenfo  della  vifta>&  con  l'occhio  corporale; &  l'altra  dello  animOjche  fi  contempla  con  l'occhio  dell'anima, che  è  la  méte.Ét  volendo  difendere  il  noterò  M. Marfilio  {pudo-  re apprellb  di  noi  Latini  della  Platonica  Filofofia  fi  può  dire,  che  la  diuifione  di  Platone  nelle  due  Venere,  cioè  nella  intelligibile,&  nella  lènfibile,  &  le  quali  in  quanto    confiderono  ncll'Vniuerfò,iòno  da  Ariitot'ile  chiamate ordine  delle  cofe  intelligibili  in  Dio,  &  ordine  ienfibi  le  nelle  ipezie  del  mondo  fuori  di  Dio,  fi  può  dico  dire*  che  quclta  diuifione  è  prefa  dalle  oppoite  bellézze,  atte-  (o  che  vna  è  immateriale  &  in  Dio, raltrafcnfib;1e,&  tuo  ri  della  diiiina  eiìenza,cos'i  è  preia  da  due  diuerie  poten-  te, che  fono  in  noi,  &  queite  (òno  l'intelletto  &  il  (enfo.  MailFicino  via  la  diuifione,  &  ibeto  diuifione  infieme volendo  dire  cosi  che  iàbellezza,  &  mafiìmamente  con-  Édérata  neU'iiuomo>ò  nella  donna,  è  ò  dell'animo  folo,   del  corpo  lòlo,  ò  dciranimo,&  del  corpo  infìeme  :  quale  è  la  bellezza,  &  la  grazia  delle  voci,  &  de1  gentili  ragionamenti ;  perciochc  in  quanto  concionano  all'orecchio  &all'vdito  corporale,  &con  moto  corporale  dell'aria,  é  bellezza  corporale,  ma  in  quanto  a'  gentili  concetti,c  nobili  affezzioni, Se  disij, che  le  fignifìcano,che  fono  nell'animo, e  bellezza  interna  &  dell'animo  .  Puofli  ancora  dire,  che  le  bellezze  eflenziah  del  mondo  grande,  &  del  piccolo,  che  e  lhuomo,  fono  di  due  maniere  vna  intelli-  gibile^ l'altra  iènfibile  5  delle  quali  quefta  cosi  è  fcala,  &  mezzo  à  quella,  come  il  séfo  ierue  nelle  cófiderazioni  all'intelletto .  ma  per  accidente  poi,  perche  all'intelletto  in  noi  non  iolo  ièruc  la  vifta,ma  ancora  rvdito,perciò  an  cora  ci  fu  di  bilbgno  della  bellezza  &  grazia  delle  voci  5  Et  le  alcuno  dicerie  fefonoeuenzialmente  di  due  forti  di  bellezze,  ò  di  Venere  vna  intclligibile,&  l'altra  iènfi-  bile :  donde  nafce,che  alcuni  de*  maggiori  Platonici  pon  gono  tre  forti  d'Amori,  vno  beftiale,  che  è  il  defiderio  grande, che  moki  hanno  di  goder  la  bellezza  fenfibile  co  diletto  carnale  del  tatto  ;  l'altro  humano  col  quale  dama  la  medefima  bellezza  con  honeftà ,  ò  per  dir  meglio  con  minore  errore  fermandoli  in  efla;  &  il  terzo  amore  è  in-  tellettuale &  diuino  &  perfetto ,  perche  termina  alle  di-  urne bellezze,  le  quali  iole  co  le  tre  diuine  perfòne  fono  il  vero  oggetto  fruibile,  parea  ragioneuole,che  quanti  io  no  gli  amori  tante  fiano  le  Venere,ò  vero  le  bellezze  ei-  iendo  queite  cagioni  dell'amore  .  più  oltre  fi  può  cerca-  re da  qualche  bello  ipirito ,  perche  la  bellezza  fi  chiami  madre  dell'amore  ,  &  non  padre  ?  &  perche  la  fi  chiami  col  nome  di  femmina,  fendo  cola  perfetta,  &  l'amore  col  nome  di  maftio,  che  è  imperfetto,&  cógiunto  con  la  po-  uertà,  ò  mancamento.   Al  primo  dubbio  fi  dee  riipondcre,chc  fecondo  i  duoi  oggetti  dell'amore  eflenziali,  che  fono  la  bellezza  f  enfi-  bile  &  l'intelligibile,  fono  ancora  due  amori  foli  il  ienfi-  biie,&  l'intelligibile;  ma  per  accidente  poi;perche  alcune   ni  hanno  dell'animale,  &  del  bruto  feguédo  i  piaceri  del  Ieri  lo  : diquìé  che  l'amor  loro  è  lènlùale  ,  &  brutale  in-  fieme  .  Al  (econdo  dico  (  rimettendomene  a  più  lottili,  •&  à  più  intelligenti  )  che  la  bellezza  fi  domanda  madre  &  non  padre,  &  con  nome  di  femmina,&  non  di  maftio,  perche  la  bellezza  lenza  l'amante  atto  a  innamorarli ,  &  lenza  il  dilcorrerui  intorno  è  cagione  imperfetta  dell'amore, come  la  femmina senza  il  maftio  non  può  ancor  el  la  generare,  ne  le  ftelle  fenza  il  Iole ,    Venendo  hora  al  terzo  capo  dico, che  la  bellezza  intelligibile,  &  la  fenfibi  le  conuengono  primieramente  in  più  condizioni, poiché  tutte  e  due  lbn  grazie,  fiori ,  &  fplendori,  tutte  e  due  fo-  no di  più  perfezzioni,&  in  pili  forme,  ò  beni  fi  fondano  ,  &noninvnfolo.  Terzo  tutte  e  due  iòno  oggetti  di  potenze cognoicitrici,  &  quarto  fono  difiderate  di  amoro-  {b,  &  vehementilfimo  difiderio  .  Sono  lecondariamente  uuette  due  Venere  ò  bellezze  tra  loro  differenti  primie-  ramente perche  vna  è  di  cofe  Ipiritali ,  l'altra  corporali  :  dipoi  vna  fi  comprende  con  l'intelletto,  Faitra  col  fènfo  .  Terzo  vna  ne  guida  Tempre  al  bene  operare,che  è  l'intel  Iettuale  bellezza,  l'altra  talhora  ne  fa  cadere  in  rei  diade  rij,&  in  più  fozzi  fatti  per  difetto  però  di  noi,  &  queita  è  lalènfibile.  quarto  l'intelligibile  non  fi  conofee  da  noi  per    fterTa,&  chiaramente,  che  le  fi  vedelfe  chiaramen-  te, molto  più  ci  accenderebbe  di  amorolò  defiderio,  che  ella  non  fi,  il  vederli  chiaraméte  tocca  folo  alla  bellezza  del  corpose  però  ella  lòia  ardentimmaméte  da  noi  è  ama  ta  :  come  ne  moitral'eiperienza  in  ogni  fecolo,  come  ne  fanno  ampiflìma  tede  i'Iftorie,&  il  Petrarca  nel  Trionfo  d'Amore ,  &  come  bene  dice  il  Diuino  Platone  nel  Fe-  dro .&  la  cagione  perche  la  bellezza  fia  lommamente  amata, &  difiderata  e  perche  il  bene  è  colà  amabile, &  di-  fidcrabilc  ,  più  beni  molto  più ,  &  le  vi  è  la  grazia  ancora  in  fommo,&  ardentifiìmamentc .   In  quella  vltinia  parte  di  quclto  mio  difeorfo  fi  dee  da  me  lpiegare  il  raara-iglielò  ordine ,  che  uenc  in  questo Sonetto  M  .  Francesco  Petrarca  in  celebrare  le  bellezze  della  dia  Madonna  Laura  ,  &  'fi  dcono  efporre  alcu-  ne voci  deltefro  :  accioche  &  l'artifizio  ,  &  tutto  quel-  io  ,  che  qui  dal  Poeta  è  detto  della  Tua  donna,  s'inten-  da chiariflimamente  ,  &  fi  deono  muouere  Se  iicior-  re  alcune  dubitazioni  per  difefa  di  quello ,  che  fi  farà  detto.   Quanto  all'artifizio, ò  vero  ordine  io  ci  auuertifco  tre  -cole  la  prima  che  il  Poeta  primieramente  nel  primo  qua  dernario  ragiona  delle  cagioni  delle  bellezze  della  tua  M. Laura  &  poi  nell'altro  quadernario.^  ne  due  terzetti  -parla  delle  bellezz  e  ,  ieguendo  in  ciò  l'ordine  di  natura,  fecondo  il  quale  le  cagioni  precedono  i  loro  effetti .  La seconda  cola  che  io  ci  noto  è ,  che  queflo  Poeta  lo-  dando le  gmzie  di  lei  compitamente  dalle  loro  più  pre-  diate cagionile  celebra  prima  dalle  cagioni  anteceden-  ti, che  fono  l'ideale  bellezza ,  il  cielo, &  la  natura,  dipoi  dalla  ca^ione,che  accompagna  quella  f    donna,  che  è  il  iiio  viiòcon  legge  &  maeftria  fatto  dalla  natura  :  &  ter-  zo da  quella,  che  fegue,  che  è  il  fine,  che  fegue  all'opera  beila,&  e  per  moitrar  quaggiù  in  terra  quàto  lafsù  potea.  Vedete,vedete  vi  prego  giudiziofiflimi  Accademici, co-  me compitamente  ,  &  con  ordine  efàlti  le  bellezze  della  lui  amata  :  conforme  al  compimento  di  ciafcuna  cofa  ,  il  quale  ftà  nello  hauer  tre  parti  il  principio  ,  il  mezzo  ,  &  il  fine, come  con  tre  prcue  ci  dimoftra  Ariftotile  nel  pri-  mo del  Cielo,  cioè  dell'autorità  di  grandinimi  Filofo»  fanti,  quali  furono  i  Pitagorici ,  dai  numero  che  fi  via  in  ogni  religione  di  honorare  Dio  ,  che  é  il  numero  ternario  ,  &  dal  perfetto  modo  di  parlare  de'  Greci  al  quale  gli  induceua  la  natura  delle  cofe  .   La  terza  &  vltima  cola ,  che  fi  dee  auuertire  intorno  all'ordine  ,  che  tiene  M.Francefco  in  quelto  &  leggia-  dria.&  aitifìziofifs.  Sonetto  in  celebrare  le  marauiglioiè  bellezze  della  fu  a  donna  è,  che  egli  procede  nel  fecon-  do quadernario >  &  ne*  due  ternari;  in  quefta  maniera   te-    ff   Lezzione   facendofi  in  prima  dalla  bellezza  del  corpo  più  alta,qua-  le  e  quella  deile  chiome  corrilpondenti  a  quella  del  So-  le di  Cielo  ,  dipoi  fegue  di  dire  della  occulta,  conforme  in  qualche  parte  à  quella  del  Sole  diurno,  &  mutàbile,  &  terzo  diicende  alle  bellezze  delle  parti  più  bafle,&  pri  ma  alla  bellezza,  &  leggiadria  delli  occhi,  che  con  la  villa fi  comprende  ,  &  poi  della  bocca  diuidendola  in  tre  :  vna ,  che  ancide  per  pietadc ,  &  confitte  nel  dolce  lòfpi-  rare  :  l'altra  nel  dolce  efprimcre  de*  concetti  :  l'altra  nel  ridere  dolcemente  :  &  tutte  e  tre  appartengono  alla  bocca  polla;  di  lòtto  a  gli  occhi,  &  quelli  Iorio  nel  mez  mezzo  tra  quella,  &  il  capo,  donde  efeono  i  capelli.  Da  tutto  quello ,  che  io  ho  detto,  potete  ingegnofiflìmi  Accademici  conoscere, chc  quello  noilro  Poeta  non  con  minore  ordine, &artifìzio,che  con  grazia,  Sgmaeflà  cele  bra,&  ammira  le  bellezze,  &  le  grazie  del  bel  vifo  di  M.  Laura,  &  infieme  di  qui  fi  può  da  voi  fapere  come  cosi  le  bellezze,  come  ogn'altro  bene,  s'ha  da  Dio  fonte  d'ogni  bontà ,  &  d'ogni  bellezza  per  mezzo  de*  celefli  lumi ,  &  della  diuina,&  ideale  bellezza .   Quanto  all'elpofizione  delle  voci  più  ofeurc  la  prima  fia  quella  qllo,che  il  Poeta  nitida  [  per  parte  del  Cielo;]  alcuni  dellielpofitori  del  Petrarca  per  parte  del  Cielo  dicono,che  egli  intefe  le  flelle  parti  più  denfe  de'  celefli  corpi,  come  i  nocchi  in  vn  legno ,  &  che  egli  parla  come  Platonico,tenendo,  che  l'anime  noftre  follerò  tutte  crea  te  ad  vn  tratto ,  &  ciaf  cuna  furie  alìegnata  alla  Tua  ftella  ;  come  racconta  Platone  nel  Timeo:  ma  a  me  piace  di  cfporre  per  parte  del  Cielo ,  tutta  quella  parte  ò  flellata,  ò  non  iftellata ,  la  quale  con  debito  modo  riguardaua  il  luogo  doue  fu  ingenerata,  &  doue  nacque  quella  fi  bella  donna  j  attelb  che  dalla  debita  fituazionc  delle  flelle  in  cotal  parte ,  come  da  caufe  vniucrfàli  nacquero  le  grazie  di  lei  :  come  vogliono  gli  Astrologi ,  &  cosi  piace  anco-  ra à  quello  noflro  Poeta ,  come  fi  può  vedere  in  quella  £iuzone,  il  cui  principio  è  queilo .   MJ  Tdctr    D£L   VERTNO.  j|   0>  Tacer  nonpcffo,  e  temo  non  adopre   0,  Contrario  effetto  la  mia  Imgua  al  core  l  doue  nella  quinta  itanza  ei  dice  .      1/    che  coftei  nacque  eran  UJlelle, Che prodvcon  fra  voi  feliii  effetti   j,    1/7  luoghi  altt  er  eletti     Vvna  -ver  l'altra  con  amor  conuerfe .  In  quefta  parte  del  Cielo  :  come  in  cagione  efficiente,  mediante  il  lume  &  il  moto  era  il  bel  viio  di  M.  Laura ,  &  nell'Idea  come  in  eiempio  [  onde  natura  tolfe.  ]  Puoi"  fi  per  natura  intendere  la  forma  delli  agenti  naturali  :  i  quali  prendono  il  modello  dell'operare  bene  da  Dio,in  quanto  da  elfo  fono  bene  indirizzati    bene  non  inten-  dono; O  vero  per  natura  fi  dee  elporre  Dio  itelfo,donde  dipende  tutta  la  natura  ,  nel  qual  lignificato  ancora  Tin-  tele Ariitotile  quando  nel  primo  del  Cielo  ei  dice  ,  che  fa  natura  fece  bene  a  lpogliare  il  corpo  celeite  da  ogni  contrarietà,  da  che  douea  elìere  eterno,fecondo  che  e^lì    pensò,  piìi  pretto  guidato  da  ragioni  humane,che  dalle  infallibili  verità ,  che  altramente  ci  moitrano .   Più  oltre  leguitando  [  per  vn  cuore  doue  fono  unte  virtudi  accolte  ]  il  Petrarca  intende  non  il  cuore  ,  che  è  parte  corporale  prima  dell'altre  :  ma  o  Tanimo,che  rifie-  cie  nel  cuore,nel  qual  ientimento  vfìamo  di  dire  io  ho  in  bocca  cioche  io  ho  nel  cuore,  ò  vero  per  l'vno  &  l'altro  :  anelò  che  formalmente  il  cuore  èl'iiteifo  appetito  ienfi-  tiuo  :  del  quale  la  virtù  é  moderatrice,  &  delle  parti  ma-  teriali gli  fpiriti  fono  il  foggetto  delle  fpezie  di  effe  virtà  come  conofeiute,  come  d'ogni  altra  cola,  che  fi  conofee.  Quanto  alle  dubitazioni  qui  dirà  qualche  ingegnolb  fpirito  come  può  cilere,  che  il  leggiadro  vilo  di  M.  Lau»  ra  fulfe  in  qualche  parte  del  Cielo ,  &  in  qualche  Idea  ì  attefo  che  il  bel  vilo  di  lei  era  cola  particolare,  &  il  Cic-  lo, &  l'Idea  lòn  cagioni  vniuerfaii .   Dipoi  come  celebrali  Petrarca  la  bellezza  della  fu»  donna,  &  dice ,  che  la  fomma  e  di  fua  morte  rea  ;  attclà   C  cht   LEZZION   E   che    le  grazie  dell'animo, &  quelle  del  corpo  di  lei  fon  congiurate  contro  di  luì ,  &  afpirano  à  darli  morte  ,  fon  crudeli, &  unto  più  fi  deono  biafimare,chc  lodare  quan-  to la  morte  è  cola  rea,&  la  vita  cola  buona .  Et  finalmen-  te come  può  Ilare ,  che  il  dolce  rifò  di  lei,i  dolci  foipiri,  &  il  dolce  parlare,  fiano  cagioni,  che  amori  iani,&  anci-  da,  che  iòno  effetti  contranj  ,  e  douerrebbero  nafcere  da  contrarie  cagioni,  di  maniera  che    i  dolci  fofpiri,  il  dol  ce  parlare ,  &  il  dolce  rilo  3  danno  all'amante  la  fanità  &  la  vita  ;  Tamaro  iòlpirare ,  ragionare  t  &  ridere  lo  faran-  no infermare,  &  lo  condurranno  à  morte .   Al  primo  dubbio  &  primieramente  quanto  al  Ciclo  di  co, che  egli  fi  può  confiderare  in  due  modi,in  uno  da  per  le  lenza  le  cagioni  particolari  di  quaggiù, &  fenza  la  par-  ticolare materia, &  in  vn'altro  inficine  con  quelli  agenti,  &  con  quella  materia  jnel  primo  modo  è  vero, che  il  Cie-  lo no  può  eiTerc  cauta  delle  cole  particolari, come  di  particolari leoni,  cani ,  &  huomini ,  altramente  in  damo  fa-  rebbe data  da  Dio  la  virtù  del  generare  à  quefti  inferio-  ri agenti ,  nel  fecondo  modo  è  ben  vero  :  attefo  che  ogni  mouimento  di  quaggiù  fino  all'alterazione,  perlaquale    diipone  la  materia,&  fi  generano  le  cole  pende  dal  mo  uimento  &  da  lumi  deJ  celefti  corpi,  come  ne  inoltra  co-  si l'clperienza,  come  Aristotile  ancora  nel  lècondo  della  generazione, &  della  ccrruzzione,&  nel  primo  della  Me  theora,oltre  che  la  ragione  il  medefimo  ci  confermale  -  ro  che    i  Cieli  con  il  loro  moto,&  con  il  loro  lume  non  cor  correderò  gli  agéti  di  quaggiù  alla  produzzione  del-  le cole  generali, non  conosceremo  come  Dio  fia  la  prima  &  vniuerf  ale  cagione  di  tutte  le  colè ,  &  al  Cielo  che  in-  terne con  l'intelligenze  participa  molto  più  della  bontà,  che  le  creature  di  quello  mondo  inferiore, farebbe  nega-  ta la  virtù  di  comunicarla  ad  altri,  &  all'altre  creature  mcn  buone  conceduta,&  l'vno  &  l'altro  farebbe  non  me  no  inconueniente  che  fal(o  .  Secondariamente  quanto  all'Idee ,  le  quali  fono  in  Dio  »  dico  che    bene  le  fono cagioni  vniuerfali  delli  effetti  in  if  pezic  da  per  loro  con-  fidente ,  nondimeno  con  gli  agenti  particolari,  &  con  la  particolare  materia  ,  fono  ancora  cagioni  particolari .  Puoflì  ancora  dire  che  l'Idee, fé  fi  considerano  come  for«  me  in  Dio  che  è  caufa  vniuerfale,  in  quefta  maniera,  ioti  caule  delli  effetti  Ipeciali ,  &  vniuerfali .  ma    le  fi  con-  templano in  Dio  come  cofa  che  è  maftimamente  in  atto  come  ancora  i  particolarità  quella  maniera  Dio  intende  più  prefto  in  particolare,  che  in  vniuerfale, &  cosi  ancora  ne  è  cagione  .  più  oltre  che  cofà  non  iòlo  fallà,&  empia,  ma  ancora  ridicola  farebbe  quella  de*  Fiiofòfanti,    cre-  deflero,che  Dio  ch'e  l'ottima, Scleccellentifs.  cagione, e  che  le  foftanze  particolari, fono  più  pertette,che  Tvniuer  (ali,  come  fi  dimoftra  da  Ariftotile  nel  capitolo  della  fo-  ftanza  >  &  nondimeno  più  prefto  fi  penlàifero  che  Dio  producefTe  rvniuerfali,cheleparticolaii,&  che  più  pre-  fto di  quelle,che  di  quefteteneffe  cura,perciò  vfizio  è  di  huomo  fàuio,  pio,  &  amatore  del  vero  ,  tenere ,  che  Dio  &  in  vniuerfale,  &  in  particolare  fìa  autore  delle  cole,  &  tanto  più  in  particolare ,  che  in  vniuerfale  :  quanto  così  fono  più  perfette,che  in  quel  modo,&  cosi  deono  crede-  re dello  intendere  di  Dio  :  &  chi  non  sa  rifoluere  le  argomentazioni più  forti, che  in  contrario  fono  itate  ritrovate  da  fottili  ingegni,  dee  più  prefto  in  ciò  confeffare  lz  fiia  ignoranza,  che  per  non  fare  quefro ,  che  farebbe  fe-  gno  di  modeftia  incorrere  in  quelli  tre  grandiflìmi  vizij  di stoltizia  ,  di  menzogna,  &  d'impietà  .   Alla  terza  &  vkima  difficultà  fi  può  rifpódere,  che  gli  effetti  contrarij  poifon  nafeere  da  vn  medefìmo  agente,ò  da  due  agenti  contrarij'.  da  vn  medefìmo  in  più  modi,  ò  perche  egli  fìa  diversamente  dispotto,  ò  i  fuoi  finimenti,  ola  materia,  ò  perche  in  diuerfitépiafpiriàdiuerfìfini.  può  vn  medefìmo  agente  effere  diuerfamente  difpofto,&  così  cagionare  diuerfì  eftetti,come  il  gouernatore  &  mae  ftro  di  naue  con  la  f    pref enza ,  &  con  1  arte  fùa  faiua  la  iauc  dalle  fortune  del  mare,  &  de'  corlali ,  &  con  la  (uà   C  a   alfe*        Le  2  z  ione   fllTcn?! ,  ò  non  fapendo  ben  farti ,  è  caufa  del  contrario    umilmente    vn  medelìmo  agente  fi  lèrua  di  linimenti  diuerfi,  farà  diuerfe  operazioni  &  contrarie, con  le  tana-  glie esépi grazia  vn  legnaiuolo  caua  gli  aguti  d'vn  legno,  e  col  martello  ve  gii  ficca  ,  vn'eccell.  pittore  le  ha  buon  pennellij&  buon  colori  fa  vna  bella  figura,  le  altramente  brutta .  Che  più  oltre  vn'iftelfo  agente  ,  mercè  della  di-  vertita della  materia  faccia  contrarij  effetti ,  è  chiaro  di  qui  perche  il  Sole  indurifee  la  terra,  che  e  tenera  per  ef-  iere mefcolata  con  l'acqua,  &  intenerire  la  cera.  aelFaz.  zioni  humane  vn'iftelfo  Capitano  delli  elèrciti  Ce  ha  per  fine  la  vittoria  per  quella  Rcpubl. per  la  quale  e5  combatte la  può  conlèguire  .    la  perdita  &  la  rovina  ancora  di  cotanto  male  può  eifere  caufa  ;  &  cosi  la  diuerfità  de'  fini  è  caufa  ancora ,  che  da  vna  medemna  cagione  effettrice  nafehino  diuerfi  effetti,  in  vltimo,che  duoi  contrarij,có-  trarij  effetti  preduchino  è  chiaro,  il  bene  accende  in  noi  desiderio  di  le  il eifo,&  di  qui  è  che  ci  muouiamo  per  ac-  quiftarlo, il  male  cagiona  l'odio, &  il  fuggirlo. dalla  fanità  procedono  le  operazioni  naturali  Se  buone,dairinfermi-    fono  impediti, &  fatte  imperfette,  da  queita  diftinzio-  ne  è  manifefto  come  il  dolce  lòfpirare, parlare,  &  ridere  dell'amata  dia  la  làmta  all'amante,  fendo  li  ella  con  que-  fte  gra7ie  prefente,  e  l'infermi, e  dia  morte  con  la  fua  ai-  lènza,  poi  come  contrarie  cagioni  il  dolce  lòfpirare,par-»  lare  &  ridere,  el  fare  tutto  que  :o  con  afprezza  &  sgar-  batamente, ne  lègue  ò  la  lanità  &  la  vita,  o  la  malattia,  8c  la  morte  nello  amante ,  effetti  contrarij  da  contrarie  ca-  gioni procedenti.   Da  tutto  quefto  mio  ragionamento  può  ciafeuno  di voi  gentiliduni ,  &  accortitììrni  Accademici ,  &  Vditori  haucrecomprelò,  chcilnoltro  M.  Francesco  Petrarca  non  con  minore  altezza  ni  concetti ,  ne  con  manco  beilo  ordine  hi  celebrate  le  bellezze  &  le  gra?  ie  delia  t    M.  Laura,che  con  maeità  &  grazia  di  parole,  ateeiò  che  egli  «el primo  quadernario  di  quello  Sonetto  l'eiàlta  da  tut-    Del  Verino.%f   te  le  principali^  più  degne  cagioni,come  tra  le  irrumen  tali  è  il  Cielo  con  1  fuoi  più  benigni  lumi ,  i  quali  in  luo*  ghi  alci  &  eletti  fi  ridonarono  il  di  che  cortei  nacque ,  tra  l'elemplari  l'Idea  d'vna  graviofilTima  Donna,  tra  le  agenti  la  natura  prima, ò  vero  eifa  prima  ,  &  iuprema  ca-  gione d'ogni  colà  buona ,  &  d'ogni  rara  bellezza ,  tra  le  formali  più  notabilità  grazia  &  la  Ieggiadna,&  tra  le  ma  renali  il  vifo  di  queita  iva  donna  .  Confederando  più  ol-  tre, che  quello  &  dotto  &  gentil  Poeta  nel  lecondo  qua-  dernario lèguita,  ma  più  particolarmente  ài  renderci  ma  rauigliofele  bellezze  di  M.Laura, celebrandole  fuechio  me,  con  agguagliarle  al  finiiììmo  ore  nel  colore,  &  nello  fplendore ,  &  preponendole  alle  chiome  fparie  all'aura  di  qual    voglia  Ninfa ,  che    ritroui  ne'  fonti,&  di  qual  fi  voglia  Dea  habitatrice  delle  lelue  ,  &  credo  io  ,  che  à  più  eleuati  ingegni  intenia  di  lodarla  di  carità  attribuì»  ta  alle  Ninfe  ,  le  quali  l'ardore  delle  carnali  dilettazioni  eitinguono  con  queita  angelica  virtù,  non  altraméte,che  il  fuoco  iìa  eitinto  dall'acqua  .  cosi  voglia  Ibpra  modo  li-  gnificarci ,  che  ella  ha  in  se  raccolte  le  virtù  in  eccellen-  za ,  il  che  e  colà  rara  &  folitaria  come  quelli ,  che  per  attendere  alle  diuine  fpecolazioni ,  fuggono  le  conucr-  fazioni,  Se  li  riducono  ad  habitare  ne' dolchi,  &  nel-  le felue.  nelmedefimo  quadernario  magnifica  le  virtù  di  queita  dia  donna  dal  gran  numero  ,  che  ella  n'ha  rac-  colte nel  fuo  animo ,  quafi  volendo  dire  ,  che  doue  nel-  l'altre belle  ne  è  vna ,  e  óuq,  ò  poche  più  in  lei  iòn  tutte .  cosi  dalleilremo  poterebbe  l'hanno  in  lui,che  è  di  condurlo à  morte  per  l'infinite ,  &  grandiilune  pailìoni ,  eoa  le  quali  tutta  la  f    vita  è  mole-Hata,  e  quello  perche  egli  non  teneua  modo  ,  ne  anfora  in  amarle,  onde  el-  la molte  volte  le  gli  moitraua  disdegnofa ,  e  adirata;  &  quefto  li  recaua  infiniti  tormenti ,  come  per  il  contra-  rio le  benigne  accoglierne  vq  contento,^  vn  allegrézza  lenza  termine  »   Tcn#    $8      Lezzione   Terzo  &  vltimo  più  in  particolare  ci  efprimc  le  gra-  fie &  la  forza  di  alcune  parti  di  queftabelliiTima,  &  le?-  giadriflìmà  Donna:  le  quali  grazie  dico  iono  di  alcune parti  del  corpo ,  come  degli  occhi, del  cuore,  e  della bocca,  e  ci  annunziano  vna  maggiore  grazia ,  che  è  quella  del  Tuo  bell'animo,  quella  degli  occhi  è  di-  vina, &  confifbepiù  che  in  altro  nel  girargli  con suavità,  e  perche  per  gli  occhi  molto  si  lcuoprono  altrui ,  le  qualità  dell'animo:  come  i  più  dotti  de  Fifìonomi  ci  dimoftrano,&  refperienzaftefla  :  di  quìè,che  dalmo-  uimento  fòaue  &  gentile  degli  occhi ,  fi  può  prendere  fpedito  argomento  del  fuo  bell'animo  dal  lòfpirare  similmente  con soavità,  fi  conofee  vn'animo  appaflìona-  tOi  ma  con  certa  moderanza  comeauuicne  in  chi  modera gli  affetti  col  freno ,  e  con  la  legge  della  retta  ragione.  Le  grazie  finalmente  della  bocca  Tono  il  dolce  parlare ,  che  ci  dinota  vna  moderanza  nell'appetito  ira-  labile,  che  ci  ìùole  per  la  bellezza,  ò  per  qualche  bene^  che  è  m  noi  più  che  in  altri  inluperbire ,  &  il  dolce  riio  dolcezza  &  piaceuolezza  nel  conuerfàre ,   O  Dio  immortale  con  quanta  arte  ci  fai  tu  quaggiù  in  terra  &  inquefta  materia  vedere  la  tua  bontà,  &  le  tue  bellezze,  &  con  quanto  ftupore  cosi  dottamente ,  &  con  tanta  leggiadria  di  parole  quefto  Poeta  ce  le  ha  cfprefTe  &  cantate  in  quefto  Sonetto  :  perche  non  ho  io  potuto  con  quell'altezza  di  concetti,  con  quel  maraui-  gliofo  ordine,  &  con  quella  maeftà  di  parole,  che  fi  conueniua ,  &  che  io  più  defidcrauo  difeorrerne  digniil  fimi  Accademici ,  &  Vditori  ?  perche  dico  non  ho  io  potuto  così  celebrarle  alla  prelènza  vostra?  mercè  credo  io  della  debolezza  del  mio  intelletto,  &  della  rozzez-  za del  mio  dire ,  con  le  quali  imperfezzioni  è  piaciuto alla  DiuinaProuidenza  cheiofia,  acciò  più  illuftre  &  chiare  apparifehino  leperfezzioni,  &  le  grazie  di  molti  altri,  &atfine  che  io  comprenda,  che  tanto  più   fi    Del  Verino. 0   ri  fono  obbligato  della  grata  vdienza ,  che  come  corte*   fiiTimi  mi  hauete  data ,  quanto  meno  mi  II  conuc-   niua ,  &  perciò  con  tutto  lo  affetto  del   cuore  ve  ne  ringrazio     IO  HO  DETTO»   Il   Fini, Francesco Vieri. Keywords: Pico, Accademia. Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft; Luigi Speranza, “Grice e Vieri: la dialettica fiorentina”, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria. 

Grice e Vigellio: la ragione conversazionale al portico romano – filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Roma). Filosofo italiano. Amico ed allievo di Panezio. Stoic philosopher. A riend and pupil of Panaetius, with whom he also lives. He is noted by CICERONE in “De Oratore” to have also been a friend of Lucio Licinio CRASSIO (vide), the greatest Roman orator prior to CICERONE. All other information has been lost.  See also List of Stoic philosophers. References: Blits, “The Heart of Rome: Ancient Rome’s Political Culture”; CICERONE. The first Stoic philosopher in Rome is the famous Panezio, who joins The Scipionic Circle, lives for a while in SCIPIONE’s home and travels with him for more than a year on a public embassy to the East. Besides SCIPIONE, consul, and censor, at least six  *other* consuls study under Panaetius. They include LELIO and L. FURIO, both of whom, along with SCIPIONE and Polibio, hear the three Greek philosophers at Rome; FANNIO; Q. Elio TUBERONE, suffect consul, Q. Mucio SCEVOLA, and Rutilio RUFO. In addition, Spurio Mummio, one of the legates sent to settle Greek affairs is trained in the doctrine of il PORTICO (Cicero, “Bruto”). V., friend of CRASSIO, consul, is Panezio’s friend and pupil, and lives with him (CICERONE, “De oratore”); and Sesto POMPEO, son of the governor of Macedonia, brother of a consul, and uncle of POMPEO maggiore, withdraws from politics in order to devote himself to the philosophy of the Portico (CICERONE, Bruto, De oratore). Portico. Pupil of Panezio. Marco Vigellio. Marcus Vigellius. Luigi Speranza for H. P. Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.

Grice e Vigna: la ragione conversazionale e la regola d’oro conversazionale – filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Rosolini). Essential Italian philosopher. Filosofo italiano. Studia filosofia a Milano, legandosi in special modo all'insegnamento di BONTADINI (vide) e SEVERINO (vide). Con SEVERINO si laurea con la tesi, ‘La logica dell'astratto – generale -- e la logica del concreto – particolare’”. Insegna filosofia a Milano e Venezia. Presidente della Società italiana di filosofia morale. Si occupa della filosofia del lizio, o peripato, e di neo-idealismo italiano. Si concentra in maniera speciale sull'ontologia, proponendo una ‘semantizzazione’ del concetto di ‘essere’ capace di risolvere la aporia del “parmenidismo” (vide VELIA) di SEVERINO, che in qualche modo grava anche sulla speculazione di BONTADINI. Questa ‘semantizzazione’ permette di leggere nel ‘divenire’ (“x divenne y”), non l'annullamento dell'ESSERE (“x e y”), ma piuttosto l’annullamento di UN ENTE. La differenza fondamentale è proprio quella che passa tra l’essere ‘assoluto’ che *non* diviene, e UN ente finito che comincia e cessa di essere – cfr. Grice, relative identity in Geach and Myro, and his schema on becoming after von Wrigt in “Actions and events.” Questa impostazione ha consentito di raffinare ulteriormente il tema della mediazione metafisica che sfrutta e compone la posizione necessaria della totalità di un essere con la posizione della totalità molteplice e mutabile dell'esperienza.  Insieme all’analisi di ontologia, si sono svolte quelle di etica (bio-etica). L'etica è intesa fondamentalmente come un’annalisi del desiderio o volere, il quale, a sua volta, è fondamentalmente desiderio di un altro desiderio (“meta-desiderio”), cioè poi di un altro essere umano – il co-conversazionalista B -- che ci desideri e ci riconosca. L'etica e così ri-condotta alle dinamiche di una relazione inter-soggettiva, che si puo descrivere secondo tre modelli basilari. Il primo modello è il modello griceiano – ariskantiano -- quello regolativo per l'etica. E quello in cui le soggettività si riconoscono reciprocamente come delle soggettività, e cioè come delle persone o degl’esseri che pensano e desiderano in modo trascendentale. Il secondo modello, piu primitive, è quello trasgressivo della ragione istrumentale. Quello in cui le soggettività confliggono e cercano di dominare il soggetto che hanno di fronte, trattandolo come un oggetto o istrumento -- o una cosa manipolabile a loro piacimento. Il terzo modello, che si colloca a mezza strada fra i due precedenti, è quello che V. definisce come modello griceiano ‘oblativo,’ in cui, mentre una delle due soggettività riconosce l'altra e si dispone a trattare l'altra secondo la cura e il rispetto che le convengono, l'altra soggettività non offre nessun riconoscimento e cerca di imporsi sulla soggettività riconoscente come soggettività dominante. Questa impostazione onto-etica si caratterizza per il tentativo di fondare la regolatività etica del modello ariskantiano di Grice su argomentazioni che partono dal rilievo irrefutabile della trascendentalità della persona, la quale si trova invece contraddetta in tutte le situazioni di rapporto inter-soggettivo ri-conducibili agl’altri due modelli (razionalita istrumentale – Modelo II --, e razionalita di oppression – Modelo III).  L’indagini di antropologia trascendentale completano e chiudono questo percorso, ponendosi come il termine medio che stringe e salda l'ontologia all'etica. Il concetto di ‘persona’ viene inteso alla Grice e Strawson come sinergia del concetto di ‘sostanza’ e di quello di relazione (la categoria della relazione di Aristotele, la relati, o il ‘pros ti’.  Sostanza (ousia, sub-stantia,  essential) è classicamente quello che permane e sta in sé. La relazione, invece, è qui il rapporto intenzionale ad altro da sé. La persona è una sinergia di sostanza e relazione perché è sia rapporto a se stesso sia rapporto all'altro da sé, in quanto è essenzialmente una intenzionalità trascendentale, ovverosia un orizzonte consistente di relazione all'altro da sé, secondo il corso illimitato del desiderio che lo abita. Saggi: “La dialettica di GENTILE” in “Giornale critico della filosofia italiana”, “La religione nella filosofia di GENTILE”, “Giornale critico della filosofia italiana”, “GENTILE, interprete di Marx”, in  Enciclopedia. La filosofia di GENTILE, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, “Ragione e religione”(CELUC, Milano); “Filosofia e marxismo” (CELUC, Milano); “Le origini del marxismo teorico in Italia: il dibattito tra LABRIOLA, CROCE, GENTILE, e Sorel sui rapporti tra marxismo e filosofia (Città Nuova, Roma); “GRAMSCI: il pensiero teorico e politico e la questione leninista” (Città Nuova, Roma); “Invito al pensiero di Aristotele” (Mursia, Milano), “Sostanza e relazione: una aporetica della persona,” in L'idea di persona, Melchiorre (Vita e Pensiero, Milano); “L'enigma del desiderio” (San Paolo, Cinisello Balsamo); “La politica e la speranza” (Lavoro, Roma); “Il frammento e l'intero: -- il toto e la parte -- indagini sul concetto di essere e sulla stabilità del sapere” (Orthotes, Napoli); “Sul trascendentale come inter-soggettività originaria”, in “Le avventure del trascendentale,” Rigobello (Rosenberg, Torino); “Sulla verità e sul bene” (Petite Plaisance, Pistoia); “Etica del desiderio come etica del riconoscimento” (Orthotes, Napoli); “Sostanza e relazione: indagini di struttura sull'umano che ci è comune” (Napoli); “Studi su GENTILE” (Orthotes, Napoli); “Studi su Marx” (Orthotes, Napoli); “Studi su Aristotele” (Orthotes, Napoli); “La ragione e la dialettica: studi su Marx e VOLPE” (Marsilio, Venezia); “Teorie della felicità” (Francisci, Abano Terme); “La qualità dell'uomo: filosofi e psicologi a confronto” (Angeli, Milano); “Dio e la ragione” (Marietti, Genova); “L'etica e il suo altro” (Angeli, Milano); “Strutture del sapere filosofico” (Cardo, Venezia); “La libertà del bene” (Vita e Pensiero, Milano); “Essere giusti con l'altro” (Rosenberg, Torino); ‘Introduzione all'etica” (Vita e Pensiero, Milano); “Etica trascendentale e intersoggettività” (Vita e Pensiero, Milano); “Multi-culturalismo e identità” (Vita e Pensiero, Milano); “La persona e i nomi dell'essere: sritti di filosofia in onore di MELCHIORRE” (Vita e Pensiero, Milano); “Libertà, giustizia e bene in una società plurale” (Vita e Pensiero, Milano); “Etiche e politiche della post-modernità” (Milano, Vita e Pensiero); “Etica del plurale: giustizia, riconoscimento, responsabilità” (Vita e Pensiero, Milano); “Affetti e legami” (Vita e Pensiero, Milano); “La REGOLA D’ORO come etica universale (Vita e Pensiero, Milano); “BONTADINI e la metafisica” (Vita e Pensiero, Milano); “Metafisica e violenza” (Vita e Pensiero, Milano); “Etica di frontiera: nuove forme del bene e del male” (Vita e Pensiero, Milano); “Di un altro genere: etica al femminile” (Vita e Pensiero, Milano); Pira. Un san Francesco nel Novecento (AVE, Roma); “Multi-culturalismo e inter-culturalità: l'etica in questione” (Vita e Pensiero, Milano); “La vita spettacolare: questioni di etica” (Orthotes, Napoli); “Etica dell'economia: idee per una critica del riduzionismo economico (Orthotes, Napoli); “Differenza di genere e differenza sessuale: un problema di etica di frontiera” (Orthotes, Napoli); “Il dovere dell'ospitalità (Orthotes, Napoli). Dell'interpretazione di GENTILE offerta da V. discutono, fra gl’altri, Berlanda, “GENTILE e l'ipoteca kantiana. Linee di formazione del primo attualismo” (Vita e Pensiero, Milano); Bettineschi, “Critica della prassi assoluta: analisi dell'idealismo di GENTILE” (Orthotes, Napoli). Si vedano anche “Studi GENTILIANI” (Orthotes, Napoli). Cfr. “Studi marxiani” (Orthotes, Napoli). Cfr. gli scritti raccolti in V., Studi aristotelici” (Orthotes, Napoli); Saccardi, Semantizzazione dell'essere e inferenza metempirica, in Pagani, “Debili postille. Lettere a V.” (Orthotes, Napoli). Cfr. anche Messinese, “L'apparire del mondo: dialogo con SEVERINO sulla ‘struttura originaria’ del sapere” (Mimesis, Milano). “V., invece, che pur si è formato alla scuola di BONTADINI e di SEVERINO, non segue più i suoi maestri, perché ormai ritiene che, se si accetta la “semantizzazione parmenidea” (vide VELIA) dell’essere, non si può evitare di estendere gl’attributi dell'essere assoluto all’ente, come precisamente è avvenuto nello svolgimento della filosofia di SEVERINO. L'errore, però, prosegue V., sta proprio in questo “aver trattato la questione dell'essere come una questione di ESSENZA.” L'errore viene eliminato convincendosi che la “semantizzazione” dell'essere coincide con la relazione d’essenza ed esistenza': questo è il 'tratto comune' tra tutti gl’enti".  Cfr. V., “Il frammento e l'intero,  Sulla semantizzazione dell'essere. L'eredità speculativa di BONTADINI, in “BONTADINI e la metafisica.” Si veda inoltre SOLLIANI, “Dell'essere come essenza: per una rivisitazione del problema a partire d'AQUINO” in Debili postille, Il frammento e l'Intero, Cfr. anche Pagani, “Una rivisitazione della via del divenire e Peratoner, Intorno alla conoscibilità di Dio, la ragione, la fede, in Debili postille,  Si veda poi Barzaghi, Percorsi di rigorizzazione della teologia naturale nella filosofia neo-classica milanese”, “Rivista di filosofia neo-scolastica”. Cfr. Vigna, Etica del desiderio umano (in nuce), in Introduzione all'etica, Aporetica dei rapporti intersoggettivi e sua risoluzione, in Etica trascendentale e inter-soggettività,  Si veda anche il saggio di Fanciullacci, “Dell'inter-soggettività e del riconoscimento, in Debili postille, Cfr. V., Sul trascendentale come inter-soggettività originaria. Venuti, La cura dell’altro come REGOLA D’ORO. Lettera aperta a V., e Zanardo, Sul dono della differenza, in Debili postille, Per una discussione complessiva del pensiero di V. si vedano i saggi contenuti in Pagani  Debili postille. Lettere a V.” (Orthotes, Napoli); “Sostanza e relazione: una aporetica della persona.” Si può vedere anche Bettineschi, Finità e infinità della soggettività. Lettera aperta a V., in Bettineschi, “Intenzionalità e riconoscimento: scritti di etica e antropologia trascendentale” (Orthotes, Napoli). Bergamo festival: l'intuizione, su you tube. Malato o persona?, su you tube. L'etica, you tube.com. Treccani. Intervista a V.: la filosofia morale, you tube. Tugnoli, V.: il desiderio come orizzonte trascendentale, su mondo-domani. Venezia, su unive Bollettino della Società filosofica italiana, Centro di etica generale ed applicata, su centro di etica. Centro inter-universitario per gli studi sull’etica, su venus unive. Società italiana di filosofia morale, Intervento su La Pira, su avvenire. Attualismo, problematicismo, metafisica, su filosofia. La politica e il sacro, su in schibboleth.  Bisognerebbe oggi parlare piuttosto di metafisica del male comune… Siamo infatti  dinanzi ad un certo tramonto del politico, almeno nell’Occidente post-industriale: lo siamo  nel senso che la società civile, negli ultimi decenni, ha assorbito in sé ciò che una volta era,  almeno in parte, contenuto della sfera politica; ma lo siamo soprattutto nel senso che il  compito politico sembra troppo difficile da eseguire ed è in effetti non di rado tradito da  coloro che ne sono in prima battuta responsabili. Ad una sorta di processo di disseminazio-  ne di progettualità creativa in seno alla società civile sembra corrispondere una sorta di di-  scredito e di scetticismo quanto alla sfera politica. La sfera politica sembra non riuscire più  ad occuparsi della cosa comune ed essere diventata, piuttosto, il luogo di una distribuzione  corporativa delle risorse. Quando non si giunge, come ad esempio in Italia (ma certo non  soltanto in Italia), a forme molto gravi di corruzione e di spreco. Il cittadino medio tende  perciò a ritrarsi dalla politica o semplicemente cerca di profittarne.  Di fronte all’ingestibilità della progettualità politica, e pure di fronte al discredito del-  la politica, si capisce perché vi sia un generale movimento di conversione dai fini ai fondamenti  della comune convivenza. Ma questa conversione a me pare, in realtà, non tanto una con-  versione dalla progettualità politica all’amministrazione della società civile, quanto una  qualche conversione dalla politica all’etica.  Ci si è convertiti all’etica, quasi per esaurimento della sfera politica: questo ho appena  suggerito. Ma l’etica non pare offrire uno spettacolo diverso dalla politica, nonostante oggi  la si chiami fuori, l’etica, per dirimere, quasi giudice supremo, i conflitti tra il politico, il so-  ciale e il privato; anche l’etica, infatti, ha i suoi problemi, né suscita consensi facili, quando  si va a determinare caso per caso che cosa può dirsi garantito dall’etica. Sono note ad es. le  polemiche sulla bioetica, tanto per citare uno dei temi oggi forse più rilevanti, anche per le  sue immediate ripercussioni in ambito politico. Dobbiamo dunque mettere sul conto della  nostra quotidianità una eclisse anche dell’accordo sulle convinzioni etiche? Così pare. E il  multiculturalismo spinge nello stesso senso. Fino a qualche decennio fa la trasgressione  prendeva di mira la legge politica (si ricordi la temperie sessantottina); oggi quel tipo di trasgressione sembra rientrata e sembra, appunto, presa di mira anche l’etica. Cito solo un  sintomo, ma vistoso: ciò che si discute con sempre maggiore frequenza è la possibilità di  stabilire regole per tutti che siano regole puramente convenzionali o formalistiche, anche  sul piano “etico”. L’area anglosassone, più sperimentata in fatto di multiculturalismo, ha  avanzato non poche proposte in tal senso. Ma bisogna pur dire che ogni formalismo con-  venzionalistico contiene in sé il difetto radicale di valere tanto per le cose buone quanto per quelle malvagie (anche una organizzazione mafiosa rispetta una serie di convenzioni...),  sicché serve solo a scansare il problema fondamentale, anzi che a risolverlo. Ed è qui che  il bisogno di stare al sostanziale tende alla compensazione dell’etica, lmeno nel senso di  ricorrere ad elementi o frammenti di rimandi all’etica, per ottenere coesione e consenso.  Una certa fiducia nell’universale rispetto dell’essere umano e un certo rimando ad una fede  paiono non di rado un collante più potente di qualsiasi considerazione ideologica, visto  anche il discredito su larga scala patito dalle ideologie novecentesche.  4. Eppure, dell’etica e della politica, in realtà, nessuno può fare a meno. L’etica e la  politica, come tutte le cose “necessarie” per la vita degli uomini, si raccomandano da sole.  Come tutte le cose “necessarie”, l’etica e la politica ricompaiono e persino dominano anche  là dove le si vuole a tutti i costi esorcizzare. Solo che tutte queste cose prendono vesti di-  verse da quelle di una volta: tendono a frantumarsi in molti rivoli o assumono andamenti  carsici. Per esempio, l’etica e la politica diventano oggi cura del mondo della natura o  riscatto del femminile, lotta per l’integrazione delle etnie o sostegno per gli emigranti e gli  emarginati. Comunque, quando e a misura che appaiono onorate, queste dimensioni del  senso della vita umana sembrano rendere possibile la convivenza, perché esse si presenta-  no come custodi di ciò che accomuna gli esseri umani nel profondo. Più di quanto accada  alla semplice fattualità dell’ethos. L’etica e la politica sembrano qualcosa di infinitamente  più prezioso dell’ethos. Sono in effetti il giudizio sull’ethos a partire dalla verità del desi-  derio umano, se intendiamo per ethos ciò che appare come la realizzazione storico-fattuale  di tale desiderio.  5. Abbiamo evocato la “verità” a proposito del desiderio umano. In realtà, l’etica e la  politica, sono solitamente intese come il luogo del riferimento all’”oggettività” normativa.  Ma l’”oggettività” qui che cos’è, se non la “verità” di quel che il desiderio del singolo o  della collettività desidera? Una certa eclisse dell’etica e della politica, in particolare, sem-  bra l’eclisse della consapevolezza di questo legame originario con la verità dell’esistenza.  E allora? Come far fronte a questa “sfida” paradossale del nostro tempo, che vorrebbe fare  a meno dell’universale verità, proprio mentre la invoca per governare la frammentazione  delle esperienze dei singoli e dei molti? Semplificando non poco, io azzarderei questo tipo  di risposta. Un codice universale di natura semplicemente teorica, cioè veritativa, sembra  diventato di fatto improponibile. Questo non significa che sia impossibile. Significa sempli-  cemente che la cultura dominante, incline al relativismo e allo scetticismo, non lo cerca e  non lo vuole. In fondo, ne dispera. Eppure, tenta di rimediare a questo fallimento epocale  mediante la ricerca di un codice pratico. È degna di rilievo la circostanza che gli “ultimi fuo-  chi” della “fondazione” di qualcosa siano, nel pensiero filosofico occidentale, di tipo etico-  pratico (cfr. ad es. le proposte di Apel). Ma anche la fondazione dell’eticità, purtroppo, è…  un che di teorico. Perciò non funziona più di tanto. Ossia: anche l’etica e la filosofia della  politica dividono. Sembra che unisca, piuttosto, la pratica tout court, forse perché nella  pratica ci si deve necessariamente determinare così e così. La pratica è “reale”, si pensa, o  è almeno la riconduzione del pensiero alla realtà (laddove la teoria è la riconduzione della  realtà al pensiero e quindi sembra offrire un margine maggiore alla variazione soggettiva).  Per una metafisica del bene comune  Ma non ci si illude anche da questa parte? È possibile. E tuttavia la pratica, come alter-  nativo terreno di intesa, sembra più efficace della teoria, perché si orienta al reale, e il reale  tendenzialmente unifica, se e quando ci è dinanzi (almeno in qualche modo), più di quanto non  accada alla teoria, che soffre degli equivoci insuperabili della comunicazione.  6. Ma una maggiore approssimazione al nostro obbiettivo richiede una manovra ag-  giuntiva. Noi dobbiamo cercare ciò in cui gli esseri umani possono praticamente convenire,  ossia ciò che li può praticamente accomunare. Orbene, ciò che tutti desideriamo è almeno  questo: d’essere riconosciuti e onorati nella nostra umana soggettività. Detto in altri ter-  mini, ogni soggettività umana chiede d’essere riconosciuta come un orizzonte di senso  inoltrepassabile, cioè intenzionalmente infinito, perché tale essa è per via del logos che la  informa. Ma le soggettività sono molte. E come è possibile che più orizzonti intenzional-  mente infiniti coesistano? Non si riesce facilmente a capire proprio questo. Sulle prime, più  infinità, per quanto semplicemente intenzionali, sembrano incompossibili. L’una sembra  togliere all’altra proprio tale carattere (Sartre). Di qui l’impulso al conflitto e quindi alla po-  tenziale esterminazione dell’altro. E in effetti l’esito è inevitabile, se ogni soggettività viene  innanzi esigendo, anzitutto, dall’altra il riconoscimento della propria trascendentalità. Cioè  imponendolo. L’altra, per lo più, farà lo stesso con la prima. Così entrambe le soggettività  finiranno per lottare per la vita e per la morte. Non così, se ogni soggetto, anziché esigere  d’essere riconosciuto nella sua trascendentalità, viene innanzi offrendo, anzitutto, il proprio  riconoscimento della trascendentalità dell’altro. Non così, se l’altro, riconosciuto, viene in-  nanzi riconoscendo a sua volta la trascendentalità del primo. Poiché la trascendentalità in  tal caso non è predata, ma reciprocamente offerta, accade che ognuna delle due coscienze  sia riconosciuta dall’altra. E poiché ognuna liberamente riconosce, resta nella propria tra-  scendentalità anche quando lascia essere l’altra allo ste4sso modo. Due trascendentalità,  così chiasmaticamente incrociate, non sono più incompossibili, anzi si sostengono e si ali-  mentano a vicenda. L’inciampo dell’ostilità reciproca è qui tolto in via di principio.  Il primo codice universale e il più efficace è dunque il principio del reciproco riconoscimento. In effetti, il principio del reciproco riconoscimento è il codice universale più  praticabile: un gesto di riconoscimento può esser fatto da chiunque lo voglia. La sequenza che ho sinora esposto si può riassumere così: possiamo tornare alla po-  litica solo se transitiamo per un’etica del riconoscimento reciproco. Ma il riconoscimento  reciproco implica inevitabilmente trattare ogni essere umano come fine in sé. Cioè come  qualcosa di inoltrepassabile. Cioè come libero dall’ambiguità delle relazioni di dominio.  La vita umana non può che abitare questo luogo, se andiamo alla sua regola secondo verità. Ma come in concreto si struttura la salvaguardia della vita umana nella società civile?  Credo che si possa agevolmente rispondere a questa domanda riproponendo nel giusto  ordine tre grandi convinzioni che da tempo immemorabile gli esseri umani hanno tentato  in un modo o nell’altro di onorare: la libertà del gesto, che fa dell’azione una azione umana  nella sua dignità, la mira del bene, che riscatta la libertà da possibili ambiguità, la giustizia  del gesto che fa della mira del bene una questione non solo della vita del singolo, ma anche della vita di tutti. Vediamo partitamente queste tre convinzioni, che rendono possibile  l’umana convivenza come società civile e che devono essere protette dall’umana convivenza  come società politica. Il primo breve discorso che vorrei fare è quello sul bene1, perché sono convinto del  fatto che dal bene cominci propriamente la possibilità di una determinazione equilibrata  delle altre due parole: la libertà e la giustizia e perché il bene custodisce in sommo grado  la natura sacro-santa della vita umana. La vulgata precedenza della libertà sul bene e sulla  giustizia è in realtà un capovolgimento della vera sequenza teorica. Dobbiamo tale errata  precedenza alla modernità. Essa compare con solennità epocale per la prima volta nelle  parole d’ordine della rivoluzione francese: libertà, eguaglianza, fraternità. Da allora in poi  ha fatto, purtroppo, molta strada. Dico “purtroppo”, perché sono dell’avviso che, comin-  ciando dalla libertà si onora un essere umano, ma solo cominciando dal bene lo si orienta  in modo conveniente nei suoi propositi di vita, singolare o collettiva. E un essere umano è  libero soprattutto per questo, per confrontarsi col bene. Il bene è infatti il fine d’ogni azione  e nella vita pratica tutto prende senso dal fine.  Ma lasciamo i discorsi formali e veniamo a qualche considerazione un po’ più con-  tenutistica. Chiediamoci, anzitutto, perché nel corso della modernità il bene è stato gra-  dualmente messo da parte (il grande discrimine è il Kant della Critica della ragion pratica).  La risposta a questo interrogativo è nota ai metafisici – solo la richiamo – ed è duplice.  Prima parte: il tema del bene è stato accantonato, perché strettamente legato all’ontologia  metafisica, da Kant in poi (v. Critica della ragion pura), per comune convinzione, considerata  impossibile. L’ontologia metafisica, veicolata, specialmente da Wolff in avanti, come un  sapere sistematico, con l’aura dell’assolutezza, era simbolicamente accostata, in termini  politici, a qualcosa come la monarchia assoluta e/o il papato. Ma questo, in molti spiriti  liberi, significava inevitabilmente dispotismo, autoritarismo, inquisizione e simili. La mo-  dernità è rappresentabile, da questo punto di vista, come la rivolta della soggettività contro  un simile apparato, in nome d’un nuovo fondamento di senso: la soggettività medesima,  cui appartiene essenzialmente l’attributo trascendentale della libertà. Il cogito cartesiano  inaugura questa stagione, anche se l’emergenza della figura della libertà è da addebitare  alla stagione illuministica.  11. Ma vediamo l’altra parte. Nella modernità il riferimento al divino, cui il bene era da  molti secoli, in ultima istanza, rapportato, si attenua fortemente e gradualmente; dall’Uma-  nesimo in avanti, viene innanzi, e anche occupa per intero lo scenario, l’essere umano con  il suo mondo. Il contenuto del bene diventa proprio questo. Non è, il bene, sparito dalla  circolazione delle idee: ha solo mutato nome. E del resto non poteva sparire, perché fa parte  del modo in cui necessariamente viviamo. Dunque, il bene della soggettività moderna in rivol-  ta è la soggettività medesima: in versione singolare o in versione comunitaria. Troviamo l’espres-  sione più netta della rotazione di senso nella prima e nella terza parola della sequenza della  1 Mi permetto rimandare al vol. da me curato, AA. Vari, La libertà del bene, Vita e Pensiero, Milano 1998 e spec. al  mio saggio su Bene e male. Una riconsiderazione, ivi, pp. 55-80.  45  Per una metafisica del bene comune  rivoluzione francese: la “libertà” e la “fraternità”. A seconda che si propenda per il primato  dell’una o dell’altra parola, si avrà nel seguito il liberalismo o il collettivismo. Da allora, a  mio avviso, non è cambiato molto su questo terreno. Tutti i pensatori etico-politici moderni  e molti dei pensatori contemporanei si schierano tendenzialmente da una parte o dall’altra.  12. Direi che questa “vulgata” ha per ora pochi avversari. Ma a breve le cose potrebbero  cambiare. Timidamente si fa innanzi presso alcuni post-moderni (ad es. Foucault) e presso  alcuni esponenti radicali del pensiero verde (v. Bateson, ad es.) l’oltrepassamento della centralità del soggetto e dei soggetti, in direzione di un paganesimo cosmicizzante. Nietzsche  è il piccolo padre anche di questa nuova ondata. La cosa era forse in certo modo prevedibile.  Una volta eliminato il Dio della metafisica e della religione, il piccone della critica si è anda-  to esercitando, anzi si è andato accanendo sulla portata trascendentale della soggettività, e  ne ha decretato la fine. E allora, cosa può diventare riferimento ultimo del senso, messo da  parte Dio e l’uomo, se non il cosmo, che è poi la terza della grandi parole della metafisica,  ancora presenti nella critica kantiana come indicazioni sistematiche ideali? Questa recente direzione di marcia lavora sulla fine della soggettività trascendentale  forse anche a partire da un certo fascino indotto dalla vita materiale: la durezza delle di-  namiche economiche, apparentemente incontrollabili; il trionfo della tecnologia, dilatabile,  si opina, senza limiti; il fascino della biosfera, che fa sognare una sorta di unità mistica  quanto alle forme di vita, compresa la vita umana; la rete mediatica che influisce poten-  temente sui costumi e produce condotte eteronome di massa, l’enorme flusso migratorio,  che relativizza tutto ciò che la soggettività singola ha costruito come propria storia. La  soggettività moderna, insomma, ne sembra schiacciata. Marx pensava ancora di mettere  innanzi la grandezza della specie umana per governare la storia. I contemporanei si sono  arresi, quando anche questa variante consolatoria è fallita. Le voci che fanno dell’umanità  un giocattolo in balia di mani più forti, come sono quelle della tecnologia o quelle delle  forze naturali, sono sempre più ascoltate.  14. Personalmente, resto scettico di fronte ai tentativi di oltrepassamento dell’orizzon-  te della soggettività in una neutra oggettività. Neutra, poi, non proprio, perché si colora  subito di irrazionalità, arbitrarietà, crudeltà e cinismo. Nietzsche ancora una volta ha già  predetto l’essenziale, cioè ha visto in anticipo la deriva di ciò che segue alla “morte di Dio”.  Egli voleva reagire a questa deriva, con un rinnovato umanesimo. E noi siamo forse ancora  al punto in cui egli si era fermato; dobbiamo, cioè, capire che fare quanto al nostro destino  di umani, ora che cominciamo a nutrire seri dubbi sulla capacità nostra di governare la  terra.  15. Chiedersi da che parte andare è lo stesso che chiedersi qual è il nostro bene, il bene  per noi post-moderni. S’intende: trattandosi del nostro bene, si tratta del bene non solo  di un singolo, ma anche dei molti e in una società pluralistica. Si tratta del bene comune  dell’intera umanità. A guardare le cose un po’ dall’alto, vien da dire che oggi bisognerebbe  decidere quale delle tre grandi parole della metafisica prima citate può interessare una so-  46  Carmelo Vigna  cietà pluralistica come riferimento di senso. Dico “può interessare”. Faccio, in altri termini,  un discorso di “persuasività”, non un discorso di stretta “verità”. Se dovessi fare un discor-  so di stretta verità, dovrei molto semplicemente affermare che il primo e, in certo senso,  l’unico oggetto degno dell’attenzione originaria di un essere umano è l’Assoluto. Cioè,  solo Dio è degno, in ultima istanza, dei nostri desideri e dei nostri pensieri. Nessun altro  e nient’altro. La stragrande parte degli uomini, in modo più o meno rozzo o più o meno  sofisticato, pensa spontaneamente così e in qualche modo cerca di onorare questo modo di  pensare. L’enorme impatto sulla faccia della terra delle convinzioni religiose è lì a testimo-  niarlo. Solo una sparuta minoranza, in realtà, per lo più abitante dell’Occidente opulento  e post-industriale, si permette, a questo riguardo, forme insistite o incistate di scetticismo  a trecentosessanta gradi. Se si vuol fare, tuttavia, un discorso di persuasività etico-politica,  cioè un discorso che si fonda su una serie di evidenze abbastanza facili da percepire per  i più, allora il discorso sul bene in una società pluralistica non può che essere centrato sugli  esseri umani. Non certo sulla natura, la quale deve essere, sì, oggetto di cura, perché è il no-  stro “grande corpo organico”, ma, appunto, di una cura subordinata alla cura degli umani;  non, purtroppo, su un Dio trascendente, perché non tutti lo riconoscono, perché di Lui,  comunque, nulla possiamo sapere in linea puri intellectus, eccetto l’esistenza sua, e quel che  ne diciamo quanto alla sua essenza, ci divide più di qualsiasi altra cosa. Insomma, resta  l’uomo come fine. In termini etico-politici, cioè di pragmatica possibilità di stringere accordi  potenzialmente universali, una impostazione come quella ad es. di Hans Jonas potrebbe  essere accettabile. Ma studiosi come Rawls o Habermas propongono strategie simili. Del  resto, se questo primato antropologico venisse perseguito a fondo, sarebbe più facile per  molti sentire in cuor proprio il bisogno di volgersi all’origine ontologico-metafisica della buo-  na qualità dei rapporti tra noi, anche perché una parte, almeno, dell’umanità sicuramente  continuerà a testimoniare il nesso tra la pratica della fraternità e il rimando inevitabile ad  una suprema e universale Paternità. Lì abita in ultima istanza il sacro-santo della vita. Ma  qui devo lasciare in sospeso il tema, perché andrebbe nel senso della teologia politica, su  cui è bene che sia altri a dire.  16. Ora andiamo al tema della giustizia. Come è noto, l’etica pubblica si divide tra i so-  stenitori del primato della giustizia come elemento procedurale e formale dell’architettura  della convivenza umana e i sostenitori del primato del bene o dei beni come acquisizione  “sostantiva”. Lo abbiamo accennato prima. Io credo, invece, che si tratti di due “cifre”, la  giustizia e il bene, per nulla alternative, anche perché entrambe “originarie”. Se ben si riflette, appare sufficientemente chiaro che il giusto è un certo rapporto, men-  tre il bene è il termine di un rapporto. Giusto, poi è il rapporto buono, mentre il bene non si  risolve semplicemente nel rapporto giusto. Il rapporto giusto è solo uno dei beni possibili.  I due significati, dunque, non sono propriamente equivalenti (il bene, ad evidentiam, ha una  estensione maggiore), anche se l’uso linguistico tende a trattarli quasi in modo sinonimico2.  È vero, piuttosto, che essi in qualche modo si determinano a vicenda, perché il bene non  2 È anche evidente che l’oggetto cui ci si rapporta è più importante del rapporto. Il rapporto è una realtà inten-  zionale, mentre il bene è una realtà ontologica. Naturalmente, anche la realtà intenzionale è in qualche modo  47  Per una metafisica del bene comune  può prescindere da un certo rapporto e il giusto non può fare a meno del riferimento al  bene. E tuttavia, se è vero che il bene non può fare a meno d’essere un rapporto, ciò che  nel determinare il bene importa è, in primo luogo, la natura dell’oggetto cui ci si rapporta;  parimenti, se il giusto non può fare a meno di una relazione ai beni (questo è specialmente  evidente nella giustizia di tipo distributivo, ma poi appare anche in quella di tipo commu-  tativo), la natura del bene è per il giusto relativamente indifferente. Si può stare nel giusto  con beni piccoli o con grandi beni. Conta, appunto la natura del rapporto, cioè che si tratti  di un rapporto in cui non manchi l’uguaglianza (commutativa o distributiva che sia).  18. Che ne è della giustizia in una società veramente civile? La domanda importa che  si trovi un rapporto giusto per tutti, indipendentemente da una certa identità culturale. Ora,  che cosa è anzitutto giusto per qualsiasi essere umano? Ossia: quale rapporto un essere  umano giudica come tale che non viola le proprie attese originarie di giustizia? La risposta  obbligata mi par questa: per un essere umano è anzitutto giusto o ingiusto ciò che concerne  l’immediato rapporto suo con gli altri esseri umani. E il rapporto giusto è il rapporto che  rispetta, anzi onora e quindi si prende cura della soggettività nella sua trascendentalità; è  il rapporto che lascia essere gli esseri umani come tali, cioè non li riduce a oggetti manipo-  labili; è il rapporto, per dirla kantianamente, che tratta un essere umano sempre anche come  fine e mai come semplice mezzo. Abbiamo già detto che questo, universalmente praticato, è  proprio solo del rapporto di riconoscimento reciproco, perché solo nel riconoscimento reci-  proco le due (o più) soggettività si lasciano essere come tali. Bene e giustizia, dunque, qui  convengono. Soltanto qui. E questo per il fatto che l’essenza di un essere umano è d’essere  un rapporto. Egli è, dunque il bene del rapporto e, nel contempo, il rapporto del bene, se  si rapporta riconoscendo. S’intende, secondo le forme della finitudine. Non ho inteso, con  ciò, dimenticare la complessità e la difficoltà di trovare criteri appropriati per la giusta di-  stribuzione dei beni della terra. Non v’è dubbio che il concetto di giustizia passa, innanzi  tutto e per lo più, per questa pratica quotidiana. Ma la giusta distribuzione dei beni non è  che l’effetto, in parte, e in parte l’individuazione simbolica del giusto rapporto tra noi, che è,  appunto, il rapporto di riconoscimento reciproco.  19. Giustizia dunque come riconoscimento della dignità di un essere umano, delle sue  opportunità d’ingresso alla vita e del suo onesto disegno di fioritura. È a questo punto che  può cominciare l’istruzione del tema della libertà. La libertà non può che essere l’ultima  delle tre parole, e non la prima. Questo non significa che essa non sia altrettanto originaria  delle altre due. Significa solo che è ordinata alle altre due, mentre non è vera l’affermazione  reciproca. Lo smarrimento di quest’ordine, che direi onto-etico, è forse una delle più grandi  sciagura della modernità. E noi viviamo ancora sull’onda di quella deriva. I moderni han-  no fatto della libertà una magica parola, cui tutto dovrebbe essere sottomesso; ma la libertà,  come prima ho ricordato, fa la dignità del gesto di un essere umano, non ne fa, da sola, la  bontà, anche per il fatto incontestabile che esistono, e come!, gesti di libertà cattivi.  qualcosa e quindi ha una valenza ontologica, ma l’ha di seconda battuta. Un po’ come accade alla verità rispetto  all’essere.  48  Carmelo Vigna  20. Una società veramente civile è possibile pensarla, solo se si oltrepassa la convinzione  moderna del primato assoluto e incondizionato della libertà e si accede al primato assoluto  e incondizionato del bene di e per ogni essere umano (che comprende di certo anche la sua  condizione di libero, ma non si riduce a quella). Né basta dire che la mia libertà finisce,  quando comincia la libertà dell’altro, che è lo slogan più noto della tradizione liberale.  Non basta, anzitutto, perché questo slogan confligge teoricamente con l’idea del primato  incondizionato della libertà. La libertà dell’altro invocata come limitante è, infatti, un bene  dell’altro; quindi la libertà è limitata, come dev’essere, dal bene e non è affatto incondizio-  nata. Solo il bene lo è. Non basta poi perché, riducendo il bene dell’altro alla libertà dell’al-  tro, si tace di tanti altri beni dell’altro che devono costituire, anch’essi, un limite alla mia  libertà. Non è sufficiente, infatti, che l’altro sia libero. Se l’altro è libero di morire di fame, e  io sono libero di mangiare a crepapelle, la mia libertà è la maschera penosa e vigliacca di un  delitto. Io mi approprio in esclusiva dei beni della terra che sono comuni e di fatto escludo  l’altro che ne ha gli stessi diritti. Così lo lascio morire.  21. C’è un senso, tuttavia, secondo cui la libertà può esser concepita come incondiziona-  ta, ma non è il senso difeso dalla tradizione teorica liberale: io la chiamo: la libertà del bene,  cioè la libertà di fare il bene3. Qui la libertà è incondizionata, perché gode, per una sorta di  simbiosi, dell’incondizionatezza del bene. Poiché in una società veramente civile, la libertà  come arbitrio non può avere solo l’altrui libertà come limite, ma deve avere come limite  tutti i diritti dell’altro, compreso certo anche quello della sua libertà, per questo l’umana  libertà deve farsi carico di tutto ciò che la giustizia invoca per l’altro. È questa la ragione  per cui le società liberali sono incapaci di essere veramente civili, nonostante l’abbondanza  delle dichiarazioni in contrario. Esse dimenticano facilmente, o meglio, occultano il lato  della cura e della giusta promozione dell’altro e così proteggono di fatto le situazioni di-  scriminanti, che sono poi la radice permanente della conflittualità endemica. La situazione  nordamericana è un esempio per molti versi eclatante. Sotto il manto della libertà, mes-  sicani, asiatici e neri praticano in massa gli umili mestieri che consentono ai bianchi una  vita agiata. Sono liberi d’esser poveri… Più o meno come accade in Italia per la fascia degli  immigrati extracomunitari.  22. Se la libertà del bene guida l’azione, allora la mira è il bene dell’altro, cioè l’altro come  bene. È anche il mio bene, ma di me come l’altro di un altro. Solo così io posso conseguire,  storicamente parlando, il massimo bene. Sulle prime, questa affermazione può parere per-  sino patetica: l’invocazione del “buon cuore” come regola di condotta in un mondo che il  pluralismo tende piuttosto ad indurire. Una riflessione accorta però è in grado di far vede-  re che il mio bene, cioè poi la mia fioritura di vita, può avere senso solo se il movimento del  desiderio verso l’oggetto a lui conveniente, il bene, appunto, compie il giro della referenza  immediata all’alterità e di quella all’identità in modo mediato. Mediato, appunto dall’alterità.  3 Rimando di nuovo al vol. La libertà del bene, cit., e stavolta spec. alla mia Introduzione, pp. 3-18.  49  Per una metafisica del bene comune  23. Provo a tirare in breve le fila del mio discorso. Posso anche far presto, perché tutte  le fila conducono, come si è di certo inteso, allo stesso punto: alla cifra del riconoscimento  come forma regolativa dell’esistenza degli esseri umani. Una società veramente civile infatti  è possibile, se i molti si onorano reciprocamente, cioè appunto, reciprocamente si riconoscono. È  questo il senso primo (primo per noi) del bene comune. Nel reciproco riconoscimento, ognuno è  signore dell’altro (in quanto riconosciuto nella propria trascendentalità, quindi come oriz-  zonte inoltrepassabile di senso) e ognuno è servo dell’altro (in quanto riconosce nell’altro  la signoria del senso). Le forme democratiche di vita politica tendono ad approssimarsi a  queste dinamiche più d’ogni altra forma. Nella democrazia infatti l’autorità del cittadi-  no su un altro cittadino è o dovrebbe essere semplicemente di tipo funzionale. Tutti sono  eguali, cioè tutti sono signori, ma fatti signori gli uni dagli altri, mai da se stessi.  24. All’interno della cifra del riconoscimento, come regola universale, prendono un sen-  so determinato, come si è detto, tanto il bene, quanto la giustizia e la libertà come realiz-  zazione e, insieme, protezione del bene comune. Bene significa voler ciò che consente la  mia fioritura di vita; bene è dunque volermi bene, volendo bene altri come quegli che tale  fioritura in me rende possibile. Altri, naturalmente, solo che lo si voglia o, meglio, solo che lo si  creda, può essere scritto – dovrebbe anche essere scritto – con la maiuscola (la dinamica relazionale è  la stessa). Il bene comune in una società veramente civile è questo, essenzialmente. Giustizia  significa rendere ad ognuno ciò che gli spetta (unicuique suum). Ma ciò che spetta ad ognu-  no è anzitutto d’essere trattato come una soggettività (trascendentale). Cioè come un essere  umano in totalità. La reciprocità riconoscente è dunque il luogo della massima giustizia per  ognuno di noi. Libertà significa non arbitrio incondizionato, bensì libertà di fare il bene. E  poiché il primo bene, storicamente parlando, è l’esserci d’altri per me, libertà del bene vuol  dire di nuovo libertà di riconoscere l’altro come il mio bene. Come il bene che tutti accomuna. Carmelo Vigna. Keywords: bein, essence, essenza, essere, intersoggetivo, tre tipi di intersoggetivo: trascendentale, oppressivo, istrumentale, being and becoming. Refs.: H. P. Grice Papers, Bancroft MS. Luigi Speranza, “Grice e Vigna: la regola d’oro conversazionale” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.

Grice e Vignoli: la ragione conversazionale della etologia filosofica – della legge fondamentale dell’intelligenza nel regno animale – filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Rosignano Marittimo). Essential Italian philosopher. Filosofo italiano. Grice: “I spent quite some time observing a species of pirot: the squarrel – mainly I was in search of what Vignoli calls ‘la legge fondamentale dell’intelligenza nel regno animale” – his ‘saggio,’ he says, is in ‘psicologia comparata,’ but since it is vintage, I might just as well refer to is as being one in ‘philosophical ethology’!” -- Si trasfere a Milano. Insegna antropologia presso la Reale Accademia di Scienze e Lettere. Direttore del Museo di storia naturale.  I suoi saggi apparvero su “Il Politecnico” e sulla “Rivista di filosofia scientifica”. Due sue saggi hanno risonanza: “Della legge fondamentale dell'intelligenza nel regno animale: saggio di psicologia comparata” -- e “Mito e scienza”.   Nel 1863 io terminava il mio saggio in-   iiorno ad una Dottrina razionale del Progresso,  inserito con una serie di articoli nel Poli-  tecnico a Milano , diretto già da Carlo Cat-  taneo , e poi ristampato a parte , con queste  parole e in queste sentenze, risultato di tutti  gli studi e argomenti anteriori:   « Quésta libertà del pensiero cresce   ^*B 9     terello, soqo antiche e> costanti nella mia  mente. Onde due anni or sono terminava la  mia prolusione ad un corso di Antropologia  generale gratuito nella R. Accademia scien-  tifico-letteraria di Milano, al quale venni in-  vitato dall' illustre professore Ascoli , gloria  della glottologia italiana — allora Preside di  • quel chiaro istituto.   « Siamo nuovi ancora si può dire nei mo-  «• derni studi, se volgiamo lo sguardo alle  « altre nazioni che ci superarono , ma i ri-  « sultati ottenuti e che si vanno conqui-  « stando, sono augurio che sapremo perve-  « nire a quella gloria che un giorno sì chia-  \ ramente ci segnalò tra le genti. Ma molti  RBPAZioini   e per rispetto del pubblico ; e che infine fui  sempre consentaneo con i miei principi, come  tutti possono toccare con mano dalla lettura  dei brani sopra trascritti, e stesi a lunghi  intervalli e dal presente mio opùscolo stesso.  Che se V ingegno è tapino , e il sapere non  così vasto come vorrei, e come dovrebbe es-  sere, la colpa non è mia, né della mia vo-  lontà : poiché tra i tanti difetti , che in me  possono annidare, l'ozio certo, e l'ignavia non  vi si trovano:, perchè li sfuggii sempre, come  la peste più oscena, brut a e nefanda di tutte,  e la più dannosa ai privati ed alle nazioni.   Milano. Sitixa;25Ìoiie«     Posta la nostra società odierna tra due sette te-  merarie e procaccianti) diverse d'origine, ma identi-  che di propositi nefandi e distruttori, i retrivi cleri-  cali, e i demagoghi incendiarli, non mai soverchia  riuscirà la solerzia, la virtù, la virilità di atti e di  concetti ad allontanare e vincere i mali, sociali, mo-  rali e materiali a cui esse mirano con tenacità for-  midabile. Che se Tuna vorrebbe ridotto il mondo a  un cenobio e a una triste tebaide, l'altra procaccia  che gli uomini ritornino alla selvatichezza preistorica,  e alla squisitezza sociale delle caverne. Certamente  le magnanime speranze di questi tristi non si avve-  reranno, poiché la mentalità umana, la libertà civile  e le suppellettili industriali tanto cresciute e potenti  non lo concedono, e in Italia specialmente, ove l'in-  dole, gl'istinti, il senno proprio della razza, e le necessità storielle assolutamente vi si oppongono ; ma  tuttavìa è d'uopo avvisare ai pericoli^ e alle sciagure  parziali^ addottrinati dall'esempio miserando di altre  nazioni. I retrìvi e demagoghi sono gli estremi fa-  ziosi e a cosi dire l'oscena e perversa caricatura dei  due legittimi fattori della vita civile dei popoli, e del  loro intrinseco progresso, i conservatori cioè e gl'in-  novatori, necessarii entrambi al perfetto e mobile equi-  librio delle forze, e al loro dinamico esplicamento :  in quella guisa che nella compagine oi^anica, e nel-  l'esercizio delle sue funzioni, trovansi nervi modera-  tori, e stimolanti, onde resulti quella armonia di ef-  fetti che vita si appella. Imperocché come in questa  si arresterebbe immoto il circolo animatore se l'ener-  gia del freno prevalesse, e tanto si accelererebbe da  distruggere sé medésimo quando quella contraria ec-  cedesse : parimente una nazione perirebbe, se V uno  l'altro dei fattori accennati rimanesse vincitore nella  lotta, che l'uno la renderebbe mummia o cristallo^  mentre il secondo la dileguerebbe in vapore. La sa^  pienza e la scienza civile consistono quindi nel prov-  vedere che un equo temperamento intervenga fra le  due forze rivali, o a disporre le cose in guisa che  l'una a vicenda con l'altra serva all'incremento del  bene sociale, e al sempre più largo, e sincero eser-  cizio della libertà civile e politica   Ma a raggiungere questo arduo e nobile scopo l'in-  tenzione e il desiderio non bastano: vuoisi non solò  perizia grande d'uomini e di negozj, animo pronto,  profonda conoscenza dei fatti e leggi "Bociali, risolu-  tezza impavida nelle difficili prove, onestà costante  di mezzi, magnanimo sprezzo d'insulti e guerre volgari; ma rìohiedesi altresì vasta e chiara dottrina sto*  rica, e quel senso sicuro dei bisogni^ dell'indole^ delle  ^piraadoni legittime. del popolo^ e limpida intuizione  Clelia legge che regola i moti delle genti europee in  generale; e di quella italiana in particolare* Or qui  in Italia ì, caduti principati lasciarono copiosa eredità  di elementi conservatori e retrivi, fatti più rabbiosi  •dal prevalere delle istituzioni ed istinti democratici^  a^vviticchiàntisi con disperato amplesso al papato, che  i loro rammarichi, ire, convinzioni, speranze rese dom-  ina religioso, ultimo strumento alla assoluta sua si-  gnoria vacillante ; méntre d'altra parte le inveterate  abitudini cospiratrici, l'intempestive brame di utopie  facilmente nascenti in popoli non assuefati a libertà,  gli antagonismi regionali superstiti alla unificazione dei  varii Stati, le bieche e torbide imitazioni demagogi-  che d'altri paesi, e l'arruffio anche di tristi, tengono  la nazione incerta, rinfocolano odii di parte, e la spin-  gono soverchiamente nelle avventure : e quindi tanto  più difficile riesce l'impemare stabilmente lo Stato, e  condurlo sapientemente.   Tra queste due forze rivali, ostacolo al retto an-  damento della cosa pubblica, rimane poderósa za-  vorra, la maggioranza della nazione, la quale, aliena  in parte dai mutamenti radicali, intenta alle private  faccende, e guidata dal senso positivo delle cose, e  dagli interessi domestici, mantiene a cosi dire un mec-  canico equilibrio nelle loro lotte, e fece si che sino  ad ora né l'una, ne l'altra prevalesse : e la nazione  perciò stette, e vinse prove che sbalordirono il mondo,  e procacciò ai reggitori una gloria, che in fondo e in  parte derivava dalla sua consapevole inerzia. Né si creda che io voglia, concludere non aver ben  meritato della patria coloro^ che per vari v anni stet-  tero al timone della Bua nave.^ e che questa se noa  pericolò e. si sommerse nelle tempeste ove fu più di  lina fiata travolta^ debba soltanto la propria salute  alla indifferenza^ o agli istinti conservatori delle mol-  titudini : imperocché i fatti mi sbugiarderebbero, e  non conoscerei affatto, o confusamente la nostra sto-  ria contemporanea. Certamente Emilio Visconti- Ve-  nosta che a più riprese diresse e in condizioni so-  vente ardue e perigliose i nostri rapporti con gli stra-  nieri, seppe schivare con tatto fino, e con squisitezza^  di modi, non disgiunti da dignitosa fermezza, i rischi  che ci minacciarono, sia di lusinghe subdole, di al-  tere brame, o di tenebrose cospirazioni del Vaticano.  E potrei pure ricordare con encomio altri, che con  zelo ed onestà, si adoperarono a prò della nazione.  Né si vuole poi dimenticare il grande partito libe-  rale, erede degli intendimenti di Camillo CavQur, il  quale nei giornali, dalle cattedre, nelle concioni, nel  parlamento con costanza segui in parte quelle caute  e forti norme, che ci condussero sino ai tempi pre-  senti. Ma tutti questi saggi consigli e propositi, edi  fatti che vi corrisposero, non avrebbero certamente  salvato dai perigli la nazione, se la maggioranza de-  gli italiani col suo contegno fermo, l'indole non ec-  citabile, e col veto, a cosi dire, della passività, non  avesse resi vani i proponimenti, sventate le trame  sotterranee, e lasciati in secco gli apostoli del di-  sordine e del dispotismo : che anzi il più delle volte  scossa da evidente rischio, segnò col desiderio espresso  virilmente in mille guise, la via da tenersi dai reggitoli, e si può dire in un certo modo, che Ella fu  che governò il paese, con senno suo proprio, e con  quegli spiriti liberali che seppero infonderle molti va-  lenti predecessori, e il grande intelletto del più grande  ministro del secolo.   E Cavour potè essere concreatore di un  popolo,, perchè nella vasta mente raunò a cosi dire  tutti i pensieri, le idee, i concetti, e nell'animo i de-  siderii, i sentimenti, gl'istinti magnanimi di tutta la  nazione che in lui si confidò : associandosi senza tema,  o gelosa inquietudine, in momenti solenni, nell'impresa  unificatrice a Garibaldi, che, quale soldato  della libertà, fu a cosi dire la popolare poesia del  nostro riscatto : egli fu grande perchè conscio dell'in-  dole moderna dei popoli non si argomentò di rendere  libera e indipendente la patria con mezzi termini,  con sussidii di una o altra casta e fazione esclu-  siva, ma si armonizzando in un solo pensiero, e ad  un solo e generoso scopo tutti i ceti, tutti i par-  titi, tutte le forze vive della nazione, non pauroso  di sette, o queste trasformando in leve poderose ad  inalzare dal servaggio l' Italia : insomma ei fu grande  e riusci, perchè senti tutti gl'influssi, vasti e potenti  di un popolo intero: che sarà sempre, come per il  passato r«/n hoc signo mnces!^ di coloro, che fecero  e faranno opere generose ed immortali nel mondo.   Morto Cavour rimase al governo il partito che avevalo  ajutato in gran parte nell'opra santissima della reden-  zione della patria, il quale si propose e si argomentò  di seguire quella via, che dischiuse la mente e l'o-  perosità del grande uomo, onde si compissero i fati  della nazione, e si raggiungesse il fine desiderato. Ma se il concetto politico e Tindìrizzo del maestro fu com-  preso, e seguito all'ingrosso dai successori, e la na-  zione si dispose ad effettuare i suoi disegni, nessuno  però dei reggitori ebbe l'ingegno l'animo e lo spirito  del sommo cittadino, e comecché mandassimo ad ef-  fetto difficili imprese, e si conseguisse il massimo scopo  della indipendenza e unità della patria, pure alla lunga  si manifestò a poco a poco nel governo, e nel vasto  partito, d'onde visceralmente egli usciva, il difetto di  comprensione potente ed intera, e di quel senso ge-  neroso di libertà piena ed operosa, ove si mostrò l'ec-  cellenza del primo. Ne io* offendo l'amor proprio di  alcuno di quelli che mano mano vennero impugnando  le redini dello Stato, con l'asserire che non raggiunse  l'ingegno, la perizia e l'animo suo, poiché è cosa evi-  dente di per sé stessa, e l'esemplare troppo noto e  cospicuo. Ed in vero uno degli uomini che maggior-  mente fecero parlare di sé più frequentemente e sedette  in scranna al governo dello Stato, e si segnalò per varie  vicende, fu Marco Minghetti, conosciuto moltissimo  eziandio dagli stranieri. Or bene, chi non scorge a  prima vista quanto ei sia inferiore per molti versi al  Cavour? Per quanto io possa avere dei contraddittori  non mi perito dire che il Minghetti è un mediocre  uomo di Stato, in quanto gli manca ogni nota che  distingue coloro che nacquero a tanto ufficio. Mente  lucida e simmetrica, ma non acuta e profonda; bel  parlatore, ma più facondo che eloquente, animo più  ostinato, che tenace, scrittore sensato e forbito, ma  privo di nerbo e di vena inventrice ; ambizioso, certo  nobilmente, d'aura popolare, ma incapace a raggiun-  gerla : ondeggiante tra le diverse parti, non abile    3f dominarle: non q;ristocraticp per proposito o arte  di governo, ma inclinato a riceverne di riverbero \^  fosforescenza : e non facile a sentire i fecondi in?  flussi del popolo. Che se per ora pronunziò raggiun^iQ  il pareggio, e gli fu attribuito come cosa sua, quando  non una legge di finanza gli è propria, e la longa-  nimità e sofferenza invece del popolo italiano ne è  il più grande fattore, la freddezza e indifferenza con  che accolse il paese questa notizia, che pure doveva  riempirlo di fervida letizia, è la miglior prova di  quanto riserbo si senta per le cose sue nell'animo degli  italiani, e come egli non abbia veramente radici nella  fede delle moltitudini. Si badi però che io parlando  si schiettamente del Minghetti, come Ministro e scrit-  tore, solo sindacabili in paese libero e dalla stampa  onesta, faccio e rendo omaggio alla sua vita priv^)t^,  a.lla nobiltà dell'animo e delFingegno — e in altra oc-  casione ne feci testimonianza — e al disinteresse per-  sonale, che spiccò sempre anche posto al governo della  cratica, osservata e giudicata con occhio scevro da  prevenzioni, e con animo non travolto da passioni o  dA interessi parziali. Né facciano illusione all^ intel-  letto alcune singole pretese, o desiderii in paesi ove da poco la legge livellatrice civile tolse i privilegi  d'ordini vecchi: imperocché tali avanzi archeologici  di tempi irremissibilmente passati^ sono a cosi dire  piante morte, alle quali s' inaridiscono le radici, e  che fra i nuovi còlti, e rampolli rimangono in piedi  senza vita e finitti, sinché cadano per intrinseco e na-  turale sfacelo. Nella sola Inghilterra, e meno altrove,  alcuni privilegi territoriaU o ereditarii mantengono  un ordine nello Stato, ma già ne vennero scrollate le  basi, e tra non molto anche colà, se ne sono veduti  i sintomi, e i desiderii legalmente espressi testé, si  dilegueranno del tutto. Quando nelle nazioni Tegua-  lità civile dei ceti si ottenne, e tutti vengono rappre-  sentati in parlamenti elettivi, e la stampa è libera,  la necessità della democrazia è già posta, e non può  tardare a vincere in un avvenire più o meno pros-  simo, a seconda dell'indole, dei costumi, e delle ra-  gioni storiche delle nazioni. GHi ordini nelle società  una volta spenti, o trasformati non si restaurano, e  mal si oppongono coloro che carezzano Tidea di un  ritorno al passato in ogni genere di istituzioni privi-  legiate ; solo provano che non sanno la storia, né com-  prendono i itempi che corrono, né antivedono quelli  avvenire. Che se nella caduta del romano imperio e  per le invasioni delleif.orde settentrionali, il sorgere  poi del feudalismo si considera come un ritorno ad  un patriziato ereditario, oltreché il paragone non regge,  poiché nella storia non si ripetono mai esattamente  le vicende e gli istituti d'altra età, or sarebbe anche  quel fatto assolutamente impossibile, dacché mancano  inteme ed esteme condizioni ad awerarlo^E chi sup-  ponesse che a ciò potesse bastare Tinflìisso in^retto^  o la invasipne dei Russi; solo popolo che si accampi  formidabile di fronte all'Europa mediana e occiden-  tale, non conoscerebbe affatto le condizioni civili in  cui versa la Russia. Imperocché per l'autocrazia di per  sé stessa sempre livellatrice, lo Czar attuale anche per  intendimenti di civiltà tolse in gran parte i resti di  privilegi con Temancipazione, e la franchigia dei servi,  eguagliando) le persone dinanzi alla legge, e quindi rese  impossibili una aristocrazia dominatrice. I Russi se invadesserc una parte d'Europa limitrofa al vasto impero,  recherebbero per costumi e idee piuttosto principj comu-  nistici, propri in alcune parti del loro organamento  municipale, ampliati e resi più forti per le sette che  formiolano nel suo seno, e che la rodono con mani-  festo danno. Onde é vano sperare anche stando ai  calcili meramente empirici, e all'osservazione super-  ficiae, che in Europa possa avvenire una restaura-  zioiB del patriziato, come ordine distinto per dritti  dal resto della nazione. E ducimi che qua e là in  Itala ed altrove in special modo tra giovani ram-  poli dejle vecchie, o più moderne famiglie gentilizie,  riesca in alcuni un certo spasimo e languore perle  anicaglie, e si tenti quasi con amminìl^i araldici,  dJricostituire un ceto a parte, separandosi con ridi-  cio anacronismo dal resto del popolo. La quale ubbia  aguisce una ignoranza profonda della epoca nostra,  ci una nullità prodigiosa nei nuovi, cxdtori dei ca-  selli in rovina : Ut nomine Toagnifieo segne otium  tlaret! per dirla con Tacito. Lungi da me il pen-  iero di menomare il lustro, il decoro, la fama di  tÉinte famiglie storiche nostre : sono anzi il primo a  riverire un lungo ordine di discendenti che ai segnalarono con la mente, o con le armi: questo è pa-  trimonio privato inviolabile } quanto altra mai prò*  prietà, e fanno bene a tenersi care e onorate le  memorie d'avi illustri, quando furono veramente il-  lustri, e vorrei che un tal culto fosse sprone ad emu-  larli nella eccellenza delle opere. Né la querela può  venire oramai da invidia, e da astio, quatdo ordini  distinti non esistono più, e tanto vale di &ccia alla  legge e alla nazione rispetto ai diritti, un ciabat-  tino che un principe. Onde la gara tra patrizj e ple-  bei non può più rinascere, in quanto > tutti aono po-  polo: e se si parla di volgo, il volgo adesso può tro-  varsi in tutti i ceti, unica norma alla stima sociale,  essendo, la Dio mercè, il valore personale. Parlo sol-  tanto di quelli, e certamente son pochi, che invece  di adoperare le loro forze, i loro ozj, le loro ricclezze  ad egregio scopo sia nelle arti, nella scienza, ielle  armi, in ogni argomento di progresso civile, si tra-  stullano con le ferraglie del medio-evo, sciupano tenpo  e decoro, e si preparano una vita squallida, vana fu-  nerea di mezzo a quella fervida che già erompe dslle  viscere della nazione, che farà cerna dei forti e nu)vi  rampolli, disperdendo, non col ferro, col sangue, o al-  tre nequizie, come gridano a squarciagola i pusila-  nimi gli astuti, ma con la ferrea necessità di la-  tura e della sua legge di selezione, i neghittosi, e ca-  boU di mente e di volontà. E tanto più desta meur  viglia questa vanagloria di festuche blasoniche in 4-  cuni, in quanto la eletta parte del patriziato italian  die largo tributo di sussidj, di sapere, di sangue A,  nostro risorgimento, e si segnalò per generosa cariti  di patria: ed anche oggi molti tra essi onorano TI-          t^a e gli avi loro con operose virtù cittadine, e qual*-  cheduno con gU scritti e l'ingegno. Si ricordi che i  tre più grandi poeti della nostra epoca, animati da  fieri e virili spiriti di libertà, Alfieri, Niccolini e Leo-  pardi uscirono dalle loro fila; e del loro ceto fu pure  il più grande, e liberale Ministro della età nostra (!)•  Altri s'immagina che la democrazia sia irrazionale  mente livellatrice, e la confondono con le utopie co-  munistiche, impossibili ad effettuarsi, e non mai ef-  fettuate : onde rimpiangono i tempi passati, ove tutto  era ordine e casta distinta, e già mirano le genti* eu-  ropee in un non lontano avvenire, o mummificate ed  immote in una sterile eguaglianza assoluta; ovverà  scatenate in passioni furibonde spargere dappertutto  fiamme, mine, stragi, ed avverarsi il finimondo. Tali  piagnoai, o gufi di cattivo augurio, provano una cosa  sola, ehe non intendono nulla; prendono l'accidente  per li legge, il particolare pel generale, il deviare di  una jetta pel costume dell'universale, e i loro sogni  per i&altà. Certamente se questi conservatori dirigessero  le sirti dei popoli, le tristi scene e nefarie che non a     (1)11 patrizio Piola, seguendo Tesempio della  egr^ia e chiara famiglia, dio alla luce neirannò scorso un libro di  eeoDmia, che certamente merita di essere segnalato. Che se al-  cuil non potrà condividere tutte le idee, o ascriversi assolutamente  ai luoi principj, trovansi nel suo trattato cose ottime, e ricerche  fate con lungo studio ed amore : e fanno onore a chi le scrisse. Or  be^e nessuno intraprese a parlarne, eziandio criticandolo. Questo si-  bilo non é buon segno : V esempio era eccellente anche per Tori-  fiée e il ceto dello scrittore: nò doveva trascurarsene ropportunità^  .nche civile. guari inorriditi vedemmo in altri paesi; inevitabil-  mente accadrebbero, e con sempre più frequente ri-  petizione; ma governandoci con altri intendimenti e  con più larghi e generosi propositi, quei mali diver-  ranno sempre più rari, e impossibili. Del resto a nessuno  che abbia fior di senno verrà in mente mai, o cre-  derà, che nelle cose umane possa affatto il male evi-  tarsi, quando lo scopo a cui deve intendere ognuno,  si è il procacciare di sminuirlo con costante operosità.  L'età d'oro e di ogni bene, i miti e i poeti la posero  al principio, o alla fine del mondo; e ragionevol-  mente, perchè dell'una non ci ricordiamo,^ all'altra non  siamo ancora pervenuti.   La democrazia, intesa come vedremo, tra poco,  mentre suscita tutte le forze vive della nazione, pone  in moto tutti i valori, fa con rapidità ricircolare nel  corpo sociale i beni avvivatori, e tiene desta la mente  di tutti nella universale concorrenza a vantag^o poi  di tutti, non livella matematicamente le rjmsse, come  con eleganza di eloquio, e con dignità cristiana chia-  mano il popolo : poiché nella libera attività di i cia-  scuno, sorge una disuguaglianza proporzionale, 6 l'a-  ristocrazia legittima, cioè dell'ingegno e del valor per-  sonale ; ed appunto perchè personale non la perpetua  con violenza alla verità e alla giustizia, nei succes-  sori. Onde i timidi del livello si rassicurino ; se lunno  mente, vigore, volontà possono saUre nelle società de-  mocratiche, con più decoro, al sommo della glorii, o  del legittimo potere, quanto ai tempi dei paladin: di  Carlo Magno. Se una cosa hanno da temere, temtno  di quelle dottrine, che frapponendo violenti ostacoU  alla libera esplicazione delle potenze e attività uman^^ raccolgono legna agli incendii futuri, e preparano le  bufere sanguinose delle rivoluzioni delle plebi maneg-  giate allora dagli arruffoni e dai demagoghi.   La vittoria della democrazia, e il suo regno du-  raturo nelle nazioni civili, dipende dalla natura me-  desima del principio che la informa, che è un por-  tato necessario della evoluzione sociale, e la distingue  dalle democrazie antiche , e da quelle che sussegui-  rono al rinascimento dei comuni nella età media di  Europa. La democrazia moderna è l'effetto di leggi  non solamente sociali, morali, economiche ìiella signi-  ficazione loro ordinaria , ma di leggi antropologiche,  che s'innestano, e s'immedesimano a quelle naturali,  che governano l'evoluzione intera delle cose che sono.  £ questo nesso, questa identità analogica della espli-  cazione delle razze e istituzioni umane, con le leggi  che signoreggiano la dinamica universale degU esseri  fii da tempo avvertita, e nella Grran Bretagna, Ger-  mania, Francia, Bussia stessa ed America ha validi  campioni che la sostengono, e sarà certo la scienza  sociale avvenire. Coloro, che adesso sequestrano e di-  vidono i fatti sociali, morali, storici dalla generale  forma evolutiva dei varii fenomeni, nei quali, a dirla  col grande Poeta, si squaderna la vita dell'Universo,  come se consistessero impomati in sé medesimi, e se-  parati dal mondo, non se ne intendono; e mal com-  prendono l'alto e nuovo valore della scienza attuale,  e vìvono ancora della vita postuma dei nostri arca-  voli^ E si badi che io non ripongo tra i cultori dei  nuovi metodi storici, e della nuova scuola dinamica,  i vaporosi filosofi egeliani, od affini, che sbalordi-  rono per poco il mondo con le loro teoriche sperticaie e temerarie^ e lo stomacarono poi negli stessi  paesi ove nacque : teoriche si disformi dall'indole delle  menti italiane^ e piuttosto delirii,. che scienza; ma si  bene io intendo parlare di quelli, che mediante norme  osservatrici e sperimentali, e con la sovrana leva del-  l'induzione, virilmente applicati (secondo gli esempii  ed i canoni del divino Galileo, che primo nei moderni  tempi ruppe non solo nelle scienze fisiche, ma per  analogia in quelle organiche e morali stesse, i clau-  stri e i ceppi scolastici del pensiero, e le arbitrarie  quisquilie a priori) seppero, io dissi, ricondurre la mente  alla realtà delle cose in ogni ordine della scienza, e  dare base solida alla enciclopedia, che deve essere  l'interprete, e lo specchio sincero, e intellettivo della  jiatura.   E certo alcuno non sarà si tracotante da negare gli  splendidi effetti e le portentose applicazioni che tali me-  todi in ogni ramo d'arte, di industrie, di scienze produs-  sero, e quanto se ne avvantaggiarono eziandio quelle di-  scipline che sembrano agli uomini superficiali maggior-  mente aliene à^ quei procedimenti : poiché tutto il bene  materiale e morale e la stessa vittoria della libertà ci-  vile e politica nei presenti tempi, è dovuta per chi ha  fior di senno, a questo sovrano e indipendente indi-  rizzo della ragione. Io so che molti, che si dicono con  sorridente compiacenza di sé medesimi , positivi , e  fanno professione di arguto realismo, e canzonano co-  loro che non partecipano alla loro innata divinazione,  trattano quasi da allucinati , e di spiriti perduti nel  vano delle sottili astrazioni, quelli che dai fatti ri-  salgono alle leggi, dalla norma sensata degli atti so-  ciali ai principii che ne governano l'esplicamento ,    daUa esperienza giomaUera dei negozii privati e pub^  blici, alle profonde ragioni che li rendono inevitabili.  Ma di tali Tersiti della scienza^ la scienza ha fatto  giustizia^ e non ne possono certamente arrestare il  corso trionfale. Quando ci mostreranno che la scienza^  qualunque sia il proprio obbietto, è una raccolta inor-  ganica di fatterelli, e di qualche regoluccia metodica :  che le varie discipline non abbiano tra loro alcun  rapporto, e sieno disposte una dopo Taltra, senza in-  trinseco legame, come le pietre migliari, avranno ra-  gione : e allora confesserò contrito che il manuale che  accatasta, equilibrandoli, sciolti materiali, ne sa più  di Archimede e di Newton.   Ma ritornando al nostro argomento della natura  della democrazia moderna, ripeto che ella si disforma  da quelle che con tal nome si ebbero pel passato.  Nell'antichità stavano in generale di fronte due or-  dini di cittadini, ordini più o meno distinti, gli ottimati e le plebi: e il valore di queste si argomen-  tava nella lotta contro i primi, che resistevano ad una  eguaglianza di diritti in parte civili, in parte pub-  blici, ereditarli nella loro classe per lungo corso di  tempo: e, condizione sociale rilevantissima, viveva  al di sotto di esse, un immane numero di schiavi, i  quali attendevano, mere macchine animah, alla pro-  duzione delle cose necessarie, utili e superflue, ed an-  che alle arti, e agli uffici indispensabili alla civile  convivenza. Nella età media le lotte dei borghesi e  dei castellani sotto altra forma è vero, ma lotte di  potenza, eguaglianza e sopreminenza politica si rin.-  novarono, e se schiavi nel significato antico non c'e-  rano, rimanevano però i vassalU e i servi della gleba :   ed U lavoro stesso nelle città libere veniva in ogni  maniera vincolato dalle maestranze e dalle corpora-  zioni artificiali dei travagliatori. In tali società cer-  tamente non esisteva esplicito un principio che in-  volgesse la necessità di una vittoria definitiva della  democrazia^ e dì una forma civile di evoluzione della  operosità di tutti^ e dello Stato medesimo. Non vi ha  dubbio che fin da quelle epoche lontane il principio  generatore della democrazia moderna non operasse ; e  le condizioni intermedie non fossero per cosi dire  anelli e spire per le quali andasse svolgendosi con  irresistibile moto. Or quasi dappertutto in Europa  quelle condizioni cambiarono: gli ordini distinti si  ruppero, e si fusero in quello unico dello Stato: le  arti, le professioni divennero libere e comuni: il pa-  triziato perdette i suoi privilegi, come fu costretto a  svestirsene il clero, ed una uguaglianza perfetta e vir-  tuale dinanzi alla legge si estese dai sommi agli imi,  dal ricco al povero, dal dotto all'ignorante, dal ma-  nuale sino ai maggiori uffizii di Stato. Quindi nessun  ordine di cittadini potendo consistere e perpetuarsi  per via di privilegi, e tutti dovendo personalmente  bastare a se stessi, privi di appoggio artificiale che in  qualunque evento ne garantisse il possesso, rimane  che runico principio che informa e mantiene la so-  cietà moderna nella eguaglianza legale assoluta dei  cittadini, è il lavoro nella indefinita molteplicità delle  sue forme: il lavoro, etemo generatore di tutte le  cose, spirito vivificatore del mondo, arte divina che  tutte le cose produce, e produsse, e le spinge, le  evolve a sempre nuovi e splendidi effetti: il lavoro,  il quale elevò alla loro altezza morale e intellettuale  Tuomo e la società, e li redense: conforto e premio  nel tempo stesso; causa ed effetto della democrazia  moderna, e garanzia perpetua della sua durata, e dei  suoi progressi.   Le lotte contro gli ordini- privilegiati, del popolo, e  delle plebi serve con Teguaglianza civile cessate, a poter  vivere e durare rimane a tutti e inevitabile il lavoro :  e poiché questo è libero, chi non vede , che per la  inesorabile legge della selezione naturale, il neghit-  toso dee alla lunga scomparire, anche per la radicale  divisione dei beni tra i figli, e lasciare il posto agli  operosi : provvidenziale magisterio del mondo, che una  legge fisica e organica, si trasmuti socialmente in una  giustizia morale! La democrazia moderna è invinci-  bile per* questo appunto che tutta quanta s' impema  e vive nel lavoro, reso formidabile e irresistibile nei  suoi effetti dalla eguaglianza di tutte le classi; onde  ogni specifica distinzione anteriore delle diverse forme  di Stati nel loro interno componimento sparisce, e ri-  mane splendida per tutti, chiara e nobilissima quella  di popolo, che tutti comprende, tutti inalza, tutti re-  dime in un alto e dignitoso nome : in quella guisa. che  uno pure ne resta il principio vivificatore, premio ai  buoni, minaccia ai tristi e agli ignavi che lo dispre-  giano, il lavoro. A questa conclusione di fatti e di  ragioni storiche e sociali provenne la razza nostra  per una lenta evoluzione delle sue potenze, governata  da leggi fisse organiche e morali, che poi tutte in una  si convertono, nella costante esplicazione delle forze  in ogni ordine di fenomeni dalla genesi siderale sino  alla costituzione della città moderna. Or vedasi quanto  fanno mostra di avvedimento, di senno, di sapere coloro che si argomentano e sperano di ricondurre le  società presenti alla forma di quelle passate, sia va-  gheggiando le antiche repubbliche, o più tristi le mi-  serande anticaglie del medio evo. Arrestare il corso  dei firmamenti, la produttività della natura, mutar le sue  leggi, sembra a tutti impossibile, e concetto di mente  stravolta: orbene, altrettanto impossibile ò il far re-  trócedere la umana società, e rifare il cammino per-  corso, e ritornare don^de partimQio. La legge del moto  sociale è invitta ed etema ; Tonda trasformatrice della  vita passa e non rinverte — Spingete, o retrogradi,  pure rocchio d'intorno : nessuna orda selva^a, o po-  polo rozzo, che possa, invadendo, ripristinare le squi-  sitezze feudali: all'interno con F eguaglianza assoluta  e col lavoro che la nutre e la difende, nessun modo di  elevarsi a casta dominatrice : poichà se > lo tentassero,  sarebbero dispersi in pochi giorni dal genio libero e  insofferente di privilegi moderno : genio non sorto da  condizioni speciali o da particolari necessità in un  breve giro di mura, di provincia, di popolo, ma ef-  fetto e compimento di una legge eterna, in tutta la razza  nostra. Quindi sono vaghe lusinghe, sperpero di fanta-  sia, sogno sterile, e che uccide miseramente il sogna-  tore ; poiché mentre ei si travaglia in un lavoro impro-  duttivo e chimerico, altri si inalza con quello maschio e  fecondo, e rovescia chi perdeva il tempo a insidiarlo.  Alcuno potrà credere forse che in altri paesi d'Eu-  ropa la legge che noi abbiamo formulato non valga,  o sia lontana ancora dal compimento come da noi  latine nazioni, avvenne più o meno perfettamente.  S'inganna! Della più lontana jRussia parlammo,  e vedemmo che ivi pure oramai l'eguaglianza si effettuava, e con la eman■ \U 4à'"fe. iSX I     Ideet dello Stato.     Definita liella sua natura^ nel suo valore storico y  e per la sua genesi la moderna demoera^a^ e fatti  certi ohe ella consiste e si fonda sulla eguaglianza  assoluta dei diritti ciyili « politici di tuttì^ e sul la-  voro libero, indipendente e affatto personde, vedia-  mo quale sia la forma genkulna e necessaria dello  stato che visceralmente ne germo^a, e quale l'idea  che del medesimo se ne svolga, e si disegni. Trala  pevsonate egualmente. Quindi il diritto di proprietà è ìmplicitameiite contenuto, e identificato a cosi dire  nel diritto al libero esercizio delle personali potenze,  poiché il lavoro, che è la condizione assoluta della  vita e della libertà delle società moderne, non si con-  suma soltanto nel suo atto presente, ma si continua  negli effetti suoi, giacché in essi restarono scolpiti  inerenti, consustanziati gli atti successivi via via delle  potenze che li produssero. Imperocché se prodotto un  oggetto, od attuato un fatto qualunque economico ,  materiale o intellettivo, cessa il lavoro della facoltà,  e dell'arte nostra a produrlo, egli è perciò ancora una  emanazione della nostra persona, fa parte della me-  desima, nò potrebbe essermi tolto gratuitamente, e di  forza, senza che venga io stesso violato in una apparte-  nenza della mia propria persona : ed è appunto per questo  che TeguagUanza vera, e la condizione sua, il lavoro,  fattori della libertà privata e pubblica, presuppongono  la proprietà, e la proprietà dei prodotti: onde nel la-  voro libero, abbiamo non solo un principio economico,  ma giuridico. Ed in vero se la proprietà, prodotto  del lavoro, o la possibilità di possedere stabilmente  secondo i canoni della legge di eguaglianza, non fosse  un fatto, un diritto d'ogni singolo, eguaglianza e la-  voro sarebbero nomi vani, e la proprietà come fu du-  rante secoli molti un privilegio di pochi, e di caste.  Quindi i comunisti e socialisti che distruggono o vio-  lano per arbitrarie teoriche il diritto pieno di pro-  prietà, distruggono a un tempo eguaglianza, libertà  e lavoro, annichilando gU effetti della evoluzione ge-  nerale della società umana, *e spegnerebbero ogni  progresso. Ma l'uomo vive di libertà, e a libertà si  muovono le genti, e con la libertà alla dignità morale e intellettiva: senza eguaglianza di diritto^ che  piresuppone lavoro, e virtualmente proprietà, libertà  e benessere non sussistono: il principio loro quindi  riinane sempre economico, in cui implicitamente è  contenuto e connaturato il giuridico.   Le attitudini umane sono svariatissime e molte>  plici:'le indoli diverse, dissimiU i desiderii, le aspi-  razioni, gli scopi, come distinte le condizioni econo-  miclie di ciascheduno ; onde nasce e pullula una infi*-  nita varietà di lavori, di atti, di esercizio, di prodòtti,  di gara che avvivano, rimutano, conunovono e corro-  borano la società, ove lìberamente possono effettuarsi.  Ma per la ragione appunto per cui tutte queste atti-  tudini e facoltà debbono pel libero lavoro esplicarsi^  ed operare in una società d'uomini eguali virtual-  mente in ogni diritto fra loro, sorge la necessità di  rispettare reciprocamente il lavoro, e il suo prodotto  in ciascheduno: il che implica nel diritto il dovere^  e la ragione reciproca loro. Imperocché sarebbe af-  fatto vana illusione l'eguaglianza^ e con essa la  libertà del lavoro, e la proprietà dei prodotti, che  indi risultano, se a tutti vicendevolmente si conce-  desse di violare Tesercizio degli ^ altri ; ed- illusione  sarebbe pure l'effetto della legge di evoluzione sto-  rica, che in quella eguaglianza di diritti si conchiu-  deva, e sciaguratamente inutili tanti sacrificj, tanto  sangue, tante violenze sofferte € superate dai dere-  litti lungo i secoli, per conquistarla. Quindi come nel  fette economico del lavoro, era implicito, inchiuso,  consustanziato quello giuridico, cosi c'è pure involuto    fu la forza, 3 l'utilità immediata reciproca. E si badi  che io sono lontano dall'affermare — e come npl sa-  rei, se il sipposto è ridicolo? — che questa forza,  questa utiltà, causa e tutela delle prime aggregazioni, foss3 voluta per deliberato proposito e cosciente  degli sciani rozzi a selvatichi : che nulla nelle ori-  gini umaae avviene per esplicito divisamente , ma  tutto pet spontanea evoluzione delle potenze nostre  nella coitorrenza e operosità loro, secondo ragioni  di luogo, di tempo, di razza. Verità che non dee mai  dimenticarsi, e canone storico da non mai trascurare  da tutti,!che desiderano raggiungere con certezza le  reali ori(ini d'ogni umana istituzione e credenza.  Quandoinvero le intelligenze dei singoli uomini pri-  mitivi fano si umili, e sì nel senso implicate, e le  volontèrsì poco esplicite per razionale valutazione di  motivi e mentre le necessità di natura, d'altra parte,  appar^nen ti tutte alla conservazione individuale gli  spingv^a ad aggregarsi, nessun altro stimolo, oltre la  legg legame che quello della forza sia di uno o di più a norma dei varii modi di ordinarsi valeva a te-  nerne stretta la convivenza. In quel primo stadio,  in quella prima forma se possa cosi chiamarsi, di  stato, nessun principio teocratico, mitico, simbolico  era sorto , dappoiché le intelligeme erano ancora  troppo chiuse, e involute e non pote-^ano sollevarsi a  quelle idee, proprie d'altre età, e coniizioni psicolo-  giche successive. In questo stadio gF Stinti animali  prevalevano, e la mente sordamente      in quando tra essi sorgono ingegni che o per senso  di umanità^ o per ambizione personale, o sete di glo-  ria si fanno campioni di più giuste leggi^ e preparano  i rirolgimenti sociali. Al di sotto di questi ordini su-  periori^ altri minori stanno sinché si giunga alle plebi,  le quaU benché non serve, pure non usufruiscono di  tutti i diritti dei primi, e per ultimo vive una mol-  titudine di servi, cose e non uomini. Or tutto questo  immenso numero di meno privilegiati, e di servi, men-  tre è materia infiammabile per chi nacque in alto, e  vuole per buono o malvagio fine adoprarla, essa stessa  é spontanea artefice d' insurrezioni o rivoluzioni so-  ciali, che conducono in ultimo alla eguaglianza delle  persone e dei cet^. E ciascuno sa, come sempre in un  modo nell' altro , continuamente ciò avvenne , per  lungo corso di Secoli : fatti che predispongono ed av-  viano lo Stato alla terza sua forma, la simbolica.   In questa novella forma in cui si risolve l'idea  dello Stato antecedente, i diversi ordini e poteri, co-  mecché permangano ancora nominalmente, cangiono  però d'origine e d'indole propria per la comune egua-  glianza che quasi si raggiunse, sancita dai nuovi co-  dici e dagli Statuti. L'investitura divina del supremo  potere, la quale a sua volta istituiva ordini, e dele-  gava uffici in virtù di questa sublime prerogativa  cessò quasi, rimanendo ancora, qualunque sia il nome  del governo, soltanto come fede pubblica, nella ele-  zione continua ed ereditaria delle famiglie regnanti  non solo per volontà nazionale , ma si per la divina  grazia. Il quale presupposto teologico però per l'in-  cremento della mentalità, ed il progresso intellettivo  della cittadinanza , ed un sentimento implicito nelle classi inferiori della ' eguaglianza civilei anche quando  e dove non si rese universale , divenne piuttosto un  simbolo sociale^ . che una fede positiva ad un fatto re-  ligioso^ come per il passato. In qualunque confessione  religiosa tra i popoli civili , l'adagio che ogni potere  viene da Dio, come ogni evento è signoreggiato dal  medesimo, resta nella fede e nella abitudine generale  degli spiriti eziandio allora che il pensiero tanto si  aflfòrzò, ed emancipò da dileguare ogni mitica rappre-  sentazione, -e valutare più razionalmente le leggi della  natura e quelle che reggono i moti del mondo sociale,  dove veracemente il principio etemo si matdfesta.  Onde Tidea di un influsso divino , e di un regime  provvidenziale immediato negli ordini politici perdura  nel nuovo concetto della vita dei popoli, e cinge per  cosi dire di una aureola religiosa le persone che eser-  citano le più alte funzioni dello Stato: benché a que-  ste non presiedano più , tranne la famiglia domina-  trice, classi privilegiate, che ne ereditano gli ufficii.  La quale discrepanza tra le idee e le cose , tra gU  ufficii e le persone , tra la costituzione razionale , a  dir così, dello Stato , e le abitùdini degli spiriti nel  supporlo preordinazioni divine, dà vita appunto alla  forma simbolica, di cui discorriamo. Le leggi razio-  nalmente sono discusse e ordinate, i poteri dello Stato  si esercitano in forza di queste leggi, le persone che  gli rappresentano non sono più identificate con I me-  desimi, il sentimento della libertà umana è profondo,  e quello della eguaglianza dei cittadini dinanzi alla  legge, diviene una verità sempre più chiara, amata  e voluta; ma pure ogni grado pel quale sì ascende  dalle funzioni infime alle supreme, è vivificato da una rappresentazione simbolica ^ ove continua sotto una  certa forma fantastica e incoscente, la mitica e teecratica natura dei poteri della fase anteriore. Cosi la  grazia divina pei principi, Temanazione della giustizia persoi^ale, la permanenza legale, se non privile-  giato, dell'ordine patrizio, e la facoltà di aggiungere  membri al medesimo con titoli vecchi, la costituzione  dei diversi poteri come entità sostanziali, e via discor-  rendo, sono tutti simboli sociali a cui si attribuisce  un valore pubblico, mentre in sostanza le* condizioni  civili e intellettuali del popolo ripugnano a queste  credenze.   Questa forma simbolica della idea dello Stato per-  chè si effettui e si manifesti, è d'uopo che l'egua-  glianza dei cittadini nel giure civile, se non in quello  politico, sia raggiunta: poiché il simbolo sottentra ap-  punto alla personificazióne effettiva di una emana-  zione o delegazione divina neUe famiglie, o ceti pre-  posti al potere, e con esso quindi identificate : perchè  il sentimento della eguaglianza comune già esplicito  nelle moltitudini, e legittimamente stabilito nei rispetti  civili, scassina, abbatte, ruina l'idolo teocratico che  dianzi regnava: onde la forma simbolica dello Stato  è propria di quelle nazioni civili che avanzarono nella  democrazia, e preposero agli ordini e ai moti sociali  del medesimo un principio affatto razionale: come si  vede , a modo di esempio , in quasi tutti gli odierni  Stati d'Europa. E quindi mentre gl'intendimenti più  esplicitamente manifesti, verso l'eguaglianza, là libertà^  la rappresentanza nazionale prevalgono nel governo  della cosa pubblica, e nella formazione delle leggi,  contemporaneamente perdurano formolo, fatti, istituti che con quelli intendimenti sono in contraddizione^ e  che solo hanno ragione transitoria di vita, in quanto  sono meri simboli di più antiche credenze , dommi ,  costumi. Cosi molte formule di diritto e di procedura,  d'investitura agli ufficii, e via discorrendo, come crea-  zione di nobiltà nuova, distribuzione di titoli, ordini  cavallereschi, le quali cose tutte non avendo oramai  alcun valore reale e positivo, restano come meri sim-  boli nella costituzione dello Stato. Se, come dimo-  streremo, cagione e fonte di questa terza forma, fu  il principio di eguaglianza civile, ed un sentimento  più esplicito della libertà morale e giuridica, che di-  struggevano gli antichi idoli, egli è un vero progresso  di fronte alle forme antecedenti, ed una ultima pre-  parazione alla forma pura e razionale deUa democra-  zia futura, o a quella che i^oi appellammo funzione:  e già ne delineammo per sommi capi la natura, e  l'organamento. In questa ultima forma che è quella  verso cui corrono le società moderne, per adagiarvisi  completamente, effettuandone in ogni singola parte il  principio generatore, i simboli cadono, come cadde la  forza, ed il mito, e la saldezza dello Stato dipende e  rampolla da una legge naturale di esplicamento ne-  cessario delle società umane, intrecciantesi con tutte  le altre che armonicamente compongono e reggono  r ordine universale. La quale legge riassumendo in  sé stessa tutto il valore morale, giuridico, economico  della operosità singolare dell'uomo consociato in politico e civile ordinaùiento, possiede di fronte alla ra-  gione particolare e sociale quella assoluta autorità,  che per l'innanzi fondavasi in finzioni legali, o nella   forza. Imperocché nella democrazia moderna ogni potere emana legittimamente dal popolo, chiamato nei  suoi liberi comizi, come ogni delegazione di nfficii  deriva da lui direttamente o indirettamente: quindi  nella quarta forma dello Stato, ogni potere rampol-  lando dal fette concreto del suflfragio comune, ed ogni  delegazione agli ufficii per essere legittima ed auto-  revole per diretto o indiretto fecendosi dal medesimo ;  e i varii ufficii costituendo le funzioni che via via s'in-  gradano a sempre più alto valore, a comporre nell'in-  sieme loro il vivo organamento della nazione, non vi  ha più luogo a qualsiasi finzione, e cade pure la pe-  ricolosa nozione dello Stato , come astrazione legale :  la quale fu più volte cagione d'errori , di sventure ,  di tirannide mostruosa. Imperocché rese possibile Tin-  camazione dello Stato in una persona, secondo la vana  e stolta sentenza del più fastoso e pernicioso dei de-  spoti francesi; e die e dà occasione alle teoriche e  conati impossibili e micidiali della civiltà, dei comu-  nisti e socialisti di tutte le epoche storiche.   Or se riflettasi e s'indaghi quale sia stato il prin-  cipio trasformatore della costituzione dello Stato per  il lungo corso della storia in queste quattro forme  che assunse , vedremo di nuovo mostrarsi il senti-  mento, il concetto, la vittoria mano mano della egua-  glianza morale, civile e politica tra gli uomini, che a  poco a poco ridussero e spensero la prevalenza della  forza, distrussero gli ordini e i poteri privilegiati, dis-  sipano i simboli che ancor rimangono ad offuscare la  pura razionalità civile, e preparano la vittoria della  libertà e della legge in tutte le classi dei cittadini.  Onde, abbattuta ogni finzione, autorità arbitraria, mito,  simbolo, privilegio, resta a sussidio unico di esistenza.     IDBA. DELLO STATO di progresso economico, intellettivo, e di libertà, il la-  voro libero, che come provammo fin da principio, è  il cardine e lo spirito creatore delle società moderne:  e quindi seguendo il corso della evoluaione storica  dello Stato in Europa, e nelle razze che la popolano,*  e che via via si allargano a vivificare le altre parti  del mondo, si pervenne alla medesima conclusione ,  cioè che il sentimento del^a eguaglianza che ha per  strumento il lavoro fisico-intellettuale, e la sua estrin-  secazione in un fatto giuridico , è il resultato, come  è il fattore di tutta la storia antecedente: e la de-  mocrazia, forma attuale e necessaria delle società mo-  derne, è l'effetto per una parte , e il principio per  l'altra, del generale incivilimento. Noi dicemmo che  le nazioni moderne riposano tutte sopra un fatto e  un principio economico , poiché riposano inevitabil-  mente e s'impemano nel lavoro , ed in questo si ri-  solve tutto quanto il valore e l'ordine della attuale  iTOLo ni     metterebbe Fatto della più violenta tirannide, e la  democrazia civile non sarebbe phe una turpe copia  di quei sistemi d'intolleranza, cui ella combatte da  secoli. Quindi ove l'eguaglianza giuridica del cit-  tadino è un fatto, e la democrazia prevalse, la li-  bertà di coscienza, o la inviolabilità del foro inte-  riore, è una condizione della sua legge, è la sua es-  senza medesima.   Noi abbiamo adunque in Italia nemico alla unità  nostra, alla indipendenza, alla libertà, il Papato, che  da pertutto d'altronde si pone come tale di fronte  alle nazioni, e al pensiero : e poiché il Papato è una  istituzione rehgiosa, la forma di un sistema spirituale  di credenze, una fede, così per lo Stato importa, come  sentimento individuale, una inviolabilità assoluta pel  principio della libertà di coscienza, condizione impre-  teribile della vera democrazia. Quindi a combatterlo  abbisognano armi adeguate alla smisurata potenza, e  che non oflFendano i diritti dei cittadini. L'unico stru-  mento, l'unico modo di lottare, e di vincere, è la.di-  visione assoluta, ma veramente assoluta dello Stato  dalla Chiesa: non ce n'è altro, né vi può essere, che  tutti si romperebbero dinanzi alla sua forza. Le per-  secuzioni, le minaccie, l'intromettersi ad ogni ora  nelle cose attinenti strettamente alla Chiesa, non lo  debilita, lo invigorisce, perchè la fede della maggio-  ranza ingigantisce nella fantasia il castigo, e lo tra-  sforma in martirio, e tronca i nervi allo Stato. Ogni  ingerenza di questo sia a favorire una parte del clero,  per abbatterne un' altra , è seme di futuro danno,  è un intricarsi in un dedalo senza uscita, è un ap-  poggio indiretto alla istituzione che vuoisi conibattere. Lo Stato^ nella democrazia moderna, appunto  perchè sorto e informato da questa, dovendo tutelare  con forza e scrupolo la libertà di coscienza, dee es-  sere indifferente alle varie forme di fede, di culto:  tutte sono eguali dinanzi a lui: e la sua operosità  e ingerenza in queste materie dee solo versare nel-  r impedire che i varii culti con fatti si cozzino, e si  osteggino, ed offendano cosi la generale libertà di co-  scienza. GHi ordini e gli atti religiosi e civili pos-  sono nello Stato moderno vivere insieme, ma assolu-  tamente distinti, senza mai confondersi, senza mai ,  come erroneamente si crede, a vicenda rafforzarsi;  essi sono indipendenti l'uno dall'altro. La vita civile  è una cosa, quella religiosa un'altra: la loro confu-  sione è dispotismo inevitabile,, e il più tristo e il più  feroce. H matrimonio civile, i riti funebri estrinseci,  r insegnamento, l'educazione, la libera espressione del  pensiero, la costituzione delle leggi, il governo della  cosa pubbKca, sono diritti propri dello Stato e della  società laicale: né si dee permettere che tra queste  facoltà, e le correlative religiose vi sia mischianza, e  confusione mai: quantunque sia lecito alla diverse  confessioni religiose risguardare quegl'atti dal proprio  e spirituale punto di vista, ed ai cittadini il confor-  marvisi, quando non ledano l'ordine pubblico. La  Chiesa nell'esercizio dei suoi riti, del suo culto, nel-  r insegnamento religioso, in tutto ciò, in una parola,  che spetta alla sua indole interna spirituale, è libera,  e deve essere, dall'intromissione dello Stato, quando  non assalga apertamente le sue istituzioni, e non of-  fenda i suoi diritti: ma l'insegnamento pubbKco dei  cittadini, popolare, secondario, superiore, tutto, dee ni     essere esclusivamente per quanto concerne i gradi^ i  diplomi, i diritti che ne provengono di pertinenza as-  soluta dello Stato, e sotto la di lai unica e sola di-  rezione. Come tutti i cittadini sono eguali dinanzi  alla legge, tutte le istituzioni civili dallo Stato di-  pendono: e quindi il clero in quanto alle persone fa  parte del diritto comune: nessun privilegio sostenen-  dolo ove egli infranga le leggi : il codice e la proce-  dura penale colpiscono il sacerdote, come il laico sia  nelle transazioni civili, come in quelle d'ordine pub-  blico. La giustizia perfetta richiederebbe che lo Stato  non s' ingerisse affatto nelle rendite dei diversi culti,  ne spendesse una lira a mantenerli : poiché in un po-  polo essendo diverse le confessioni , se lo Stato ne  sussidii una sola, ne sc'ende la mostruosa consegueìiza  che taluni, come contribuenti, paghino pel culto non  proprio, e che anzi ripudiano. Ogni culto dovrebbe  sostenersi "dalla libera concorrenza e cooperazione dei  propri credenti, e lo Stato non avrebbe sulla pro-  prietà di ciascuno altro sindacato che la tutela delle  medesime, sciolte da qualunque vincolo arbitrario ,  sottoposte alle medesime leggi, e agli stessi tributi.  Questa condizione civile dei culti è V unica giusta ,  e lo Stato dee intendere ad affrettarne il compimento. La divisione della Chiesa dallo Stato nei termini  accennati è necessaria al vercJ progresso delle nazioni,  ed è l'unico modo della sconfitta del Papato, come  ostacolo alla libertà civile dei popoli. H fondamento  alla secolarizzazione dello Stato consiste principal-  mente nella direzione esclusiva delle scuole , nelle  quali non dovrebbero immischiarsi legalmente i chie-  rici, né compartirvi nelle medesime alcun insegnamento positivo delle religioni, essendo tutte queste  fuori della cerchia delle attribuzioni dirette del go-  verno. Poiché se fosse concessa l'istruzione intomo ad  una sola nelle scuole, sia pure la più prevalente, i  cittadini che appartengono ad altre religioni verreb-  bero lesi nei loro diritti, in quanto e difetterebbero  di uno speciale insegnamento, pel quale pure pagano  il loro tributo, o sarebbero costretti ad assistere a  definizioni dommatiche che non approvano ; onde ver-  rebbe in parte lesa quella eguaglianza che è l'anima  d'ogni Stato che voglia essere civile. L'insegnamento  religioso poi affidato a laici non può riuscire che vano,  e incompleto, destituito pel fatto stesso delle persone,  di autorità, e di competenza: quindi si rischia, tenuto  conto delle varie opinioni dei docenti, che riesca più  di danno che di profitto. La dottrina elementare dom-  matìca meglio si imparte nel seno delle famiglie ,  l'autorità patema e* materna essendo più viva e sen-  tita che quella di estranei ; e più propriamente nella  Chiesa, per bocca di coloro che a ciò sono superior-  mente ordinati; ove Uberamente e con efficacia si  professa. Nelle scuole dovrebbesi diffondere, rinforzare  ad ogni occasione quel sentimento di civile onestà ,  ove consiste ogni dignità morale, comune a tutti gli  nomini, a qualunque fede appartengano. Che se, come  altri notò, il rimuovere dalle scuole l'insegnamento  religioso per mezzo dei chierici, o il toglierlo affatto,  temesi occasione di allontanamento dalle medesime di  grande copia di alunni, è questo uno dei soliti timori,  prodotti da fatti particolari innalzati dalle fantasie e  dagli interessi di vario genere, a legge, e che produ-  cono inevitabilmente questo effetto solo, cioè di non osare mai avanzare, avendo paura della propria om-  bra. Quando a nessuna professione, a nessun tiroci-  nio, a nessuno utile esercizio sociale non si potesse  pervenire, od essere legalmente abilitato a goderne  i vantaggi, se non frequentando le scuole dello Stato,  sottomesso ai loro esami, e ai diritti che ne ram-  pollano , Tallontanamento non sarebbe di lunga du-  rata, e dopo qualche oscillazione, o ricalcitranza ,  tutti volentieri e senza ombra di scrupolo vi inter-  veprrebbero. Ben poco conosce gli uomini e.i tempi  nostri colui che dubiterebbe di una tal verità: gli  esempi che la testimoniano in altri ordini di fajtti,  non m^cano tutti i giorni. Certamente, e questa è  la condizione assoluta della riuscita, il governo dee  curare con assidua e scrupolosa attenzione, e ferma  volontà che le scuole dello Stato sieno le migliori di  tutte quelle che sotto altro nome possano sorgere, e  quindi i maestri dai gradi infimi ai supremi sieno  degi^ dell'alto magisterio a cui si consacrano senza  cerna partigiana, e che gli stipendi si accrescano,  onde onestamente possano vivere e con quejla dignità  e decoro atti ad infondere eziandio per sé stessi nelle  giovani menti il sentimento di autorità: poiché pur  troppo lo squallore, la miseria, gli stenti palesi , de-  gni di altissimo rispetto, quando sieno virtuosamente  sopportati , non sempre accrescono per la fralezza e  vanità umana, merito in chi ne è vittima immerite-  vole. Finché risolutamente non si porrà mano ad un  tale riordinamento radicale dell'insegnamento, e non  verrà divisa la Chiesa dallo Stato nelle pertinenze  civili, vano é lo sperare di vincere grinflussi faziosi  clericali, e la continua intromittenza loro nelle facende laicali* Non oso sperare^ tanta e la nostra fiac-  chezza^ un si gran bene^ e si necessario^ prontamente,  benché sia Tunieo modo di vincere. Ma quello di cbe  sono certissimo; si è che dovrà farsi^ quando che sia,  perchè è Funico argomento per combattere il pertinace  iiiimico.   Alcuni sottilmente sillogizzando potrebbero opporre  a queste nostre dottrine l'obiezione, dimandando il  perchè lo Stato solo e nella democrazia prevalente,  può foggiare la forma interna di sé medesimo, secondo  il canone del giure civile esclusivamente , negando  questa facoltà a quello ecclesiastico, che si radica pa-  rimente nella inviolabilità personale dei cittadini. Alla  quale speciosa obiezione facile è la risposta : poiché  Fattuazione organica delle funzioni e delle leggi onde  risulta poi la nazione legalmente costituita, dipende  e si evolve da quelle facoltà e potenze individuali  che spettano all'esercizio d'atti esteriori, di fatti eco-  nonùci, di procedure eflfettive, riguardano fini essen-  zialmente terreni ed eudemonici, i di cui profitti e uti-  Utà sono per sé medesimi così definiti e certi che  acquistano spontaneamente l'assenso dell'universale :  mentre il sentimento religioso, e le formolo onde obiet-  tivamente si veste, variando da persona a persona,  e riguardando interessi, e speranze che effettivamente  qui BuUa terra non hanno compimento, se dovessero  dar forma a così dire civile, ed estrinsecarsi in un  ordine pubblico di popolo, recherebbero confusione e  anarchia , o prevalendo il più forte, ritornerebbe a  galla lo stato teocratico, che è la più bieca e turpe  tirannide. Quindi mentre il sentimento religioso che  nella democrazia vera dee risolversi nella assoluta liberta di coscienza^ viene tutelato come diritto inalie-  nabile dallo Stato, non può^ come il fatto meramente  giuridico, assumersi a principio organatore della so-  cietà medesima, come qualunque altro sentimento del-  l'animo umano. Ma alcuno , e ce ne sono molti , più  appassionato amatore,, che fidente nei benefici effetti  della libertà , insorgerà a ripetere ciò , che si andò  ripetendo dai dottori in politica soventi volte , che^  concessa questa separazione dello Stato in tutti i suoi  ordini dalla Chiesa, basterà poi a contrapporsi vitto-  riosamente al gigante che ci sovrasta, e agli influssi  perniciosi del medesimo verso la civiltà in generale,  e la libertà della nazione in particolare? Una potenza  cosi formidabile verrà poi sconfitta, in quanto agli  effetti civili, con un tale metodo, e non userà invece  della libertà sconfinata che le concediamo, a schiac-  ciarci più prontamente? Vane paure! Se il papato  conta una vita di diciotto secoli , se la sua efficacia  penetra da per tutto, se sotto gli ordini suoi milita  una moltiforme schiera di sudditi operosi e ubbidienti,  e formolo adesso nel sillabo la teorica^ del dispotismo  teocratico, l'umanità e la razza nostra europea nu-  mera d'altra parte, ben più secoli di vita: crebbe e  si emancipò con lotte continue e pertinaci d'onde  uscivano più vive scintille di luce intellettiva, pro-  rompevano più fervidi desiderii di libertà ; si raffor-  zarono propositi più civili di vittorie futurp, che an-  davano animando mille e mille e poi milioni di adepti,  che poi si dilatavano baldi e procaci su tutta la terra^  recandovi non solo germi di verità e libertà, ma isti-  tuzioni imperiture, Ed ora non solamente nel suo va-  sto e onnipotente pensiero agita tutte le genti euro-     PROPOSTE 85     ^eO; ma ravviva metà del nuovo mondo j fascia le  bollenti terre dell'Africa, signoreggia l'Asia, ripopola  l'Oceania, e stende la mano minacciosa già sul Giap-  pone e la China, che eccita a nuovi fati, o li tras-  forma a sua immagine :£ già nell'animo e nell'intel-  ligenza sua stanno indelebili, consustanziati, e immor-  iali l'eguaglianza civile, politica e la libertà del pensiero : tre libertà che non si spengono , tre soli che  non vedranno tramonto, e che bastano di per sé col  tempo a sconfiggere qualunque potenza. Al sillabo noi  opponiamo il codice del libero esame, e l'immenso  jcumulo delle conquiste della natura , che sono stru-  menti poderosi non di servitù, ma di libertà, ed eman-  jcipazione: al servaggio delle menti, la vittoria vivi-  £catrice della scienza moderna, al mito il vero, alle  jsquallide e lugubri letane dei mistici, lo splendido e  stridente carro dell'incivilimento. Chi dubita della  finale vittoria, chi crede di fronte alla civiltà moderna  ultrapotente il Papato, non intese la storia, o non  comprese la legge indefettibile della nostra intrinseca  evoluzione, e non sentì nell'anima quella voce divina  che grida alla nostra umanità. Sorgi e cammina ! Che  se vuoisi opporre all'esito favorevole della lotta, anche la enorme virtù della unità del Papato, come  forza direttrice, tenacemente nelle sue compagini co-  stituita, e presente per tutto, si pensi che adèsso la  nostra razza omogenea e identica nei tratti suoi prin-  cipali, e animata degli stessi sentimenti, è parimente  diffusa e organizzata nel mondo, e che la sua unità  morale si va compiendo ogni giorno. Perchè per i tro-  vati meravigliosi della scienza e dell'arte, che assog-  gettarono alla volontà umana le potenti energie della natura^ il pensiero che da prima esemplò sé stesso e^  scolpì nelle pietre; nei bronzi^ nelle pergamene dei  popoli separati^ o inimici^ or non solo con la stampa si  moltiplicò con la velocità quasi del concepimento in  innumerevoli copie, ma identificandosi con l'immane  rapidità deirelettrico in un istante, e in un punto  raccoglie tutto ciò che avviene su tutta la superficie  del mondo : e le merci, gli uomini , le dottrine , travalicano con l'impeto della ijieteora nejla espansione  del vapore, immensi spazi di terre, perforano mon-  tagne, e sorvolano^- emulando i venti, gli oceani, ae-  oumunando prodotti materiali e intellettivi in breve  giro di giorni: onde, per la originaria parentela e  indole della stirpe or dominatrice, tutte insieme le  forze domate della natura, van componendo l'unità di  pensiero^ di scopo, di istituzioni per ogni dove : contrapponendo ai concili! jeratici, le splendide e prov-  vide mostre dell'industria e del sapere universale. La  quale unità, perchè effetto della spontanea e nativa  evoluzione della specie, non meccanico sistema di ar-  tificiale organismo, è assai più potente di quella pon-  tificale: ed ha nella legge che la governa, e negli  effetti che naturalmente ne rampollano , la necessità  d'infuturarsi, e la inevitabilità della vittoria. ' Di fronte  alla cattolicità dommatica e ufficiale, la cattolicità delia-  stirpe, del pensiero, delle istituzioni, della Civiltà va  costituendosi, e poderosa si accampa, libera signora  di sé medesima. Pongasi mente a questo fatto inne-  gabile, e veggasi se le paure soverchie di chi nulla  osa tentare, sieno giustificate dalle condizioni generali  del mondo. Ma si rassicurino i timorati e i timorosi,,  il sentimento ingenuo e nobile religioso non verrk    Spento^ ma non verrà spenta neppure quella luce pu-  rìssima di verità, quel calore di bene, quel fuoco di  libertà che crebbero, e trionfarono a costo di lacriimè,  di sangue, di stragi, di roghi infami e scellerati. Sia  libera la Chiesa, ma libero lo Stato e autonomo in  ogni ordine di sé medesimo , e sieno libere tutte le  religioni che in esso convivono : non temete, il resul-  tato finale non è dubbio, trionfo della libertà da una  parte, ed epurazione daJU altra.   Altri forse può dubitare, pur riconoscendo l'impos-  sibilità della vittoria del sillabo nel mondo, che parzial-  mente i popoli rischino secondo le proprie condizioni  civili diverse, soccombere, ed in ispecie Y Italia ove il  Papato ha la visibile sede, e regna il Pontefice.  Vero è che non tutte le nazioni avanzarono siffatta-  mente da superare e non temere gl'influssi perniciosi  del Papato, e sarebbe follia il negarlo. Ma oltre gli  aiuti che vengono loro dal di fuori per la continua  efficacia del generale incivilimento, che da per tutto  penetra e si diffonde, ciascuno di questi popoli, ap-  punto perchè affine alla comune razza europea, ha in  sé medesimo la necessità della emancipazione, la quale  può parzialmente ritardare ad effettuarsi, ma deve in  ultimo avverarsi per le ragioni discorse. In quanto  poi all' Italia in particolare, non conosce l' indole del  popolo nostro chi crede alla sua etema e congenita  servilità religiosa tramutantesi in quella civile; chi  crede che a questa posponga i suoi affetti e i suoi  interessi; che rinunzi alla terra ed ai suoi leciti go-  dimenti; voglia, parlo dell'universale, porre in non  cale la nazione , rinunziare all' indipendenza ed alla  libertà per vivere una squallida vita di chiostro, e salire per lugubre scala al paradiso. L'italiano è con-  servativo, non retrivo, per indole, e non inerte nel  pensiero; e altrettanto rapido' ad afferrare il lato giu-  sto, positivo delle dottrine, valutare con abilità in-  genita gli avvenimenti e considerare ed estimare le  sue condizioni; aperta una via, sorto un barlume di  vero alla sua mente, vi s'innoltra con prudenza si^  ma virilmente, e con tenacità la segue. Conosco, gra-  zie al cielo, il mio paese, e a palmo a palmo io posso  dire; conversai con tutti i ceti, in tutte le parti della  penisola, ed ho una chiara idea delle loro condizioni  morali; e certamente in alcune provincie tali condi-  zioni non sono liete e normali, e richiedono tutta la  sollecitudine provvida e saggia dei governanti; ma  non si illuda l'osservatore superficiale, anche fra loro,  come dappertutto, l'agitazione operosa nazionale sotto  mille forme si propagò; l'idea del riscatto politico, il  sentimento di libertà, una forma migliore e più degna  di vita, traversarono, mossero quelle menti e quegli  animi, ed all'occorrenza saprebbe deludere le cieche  mene dei retrogradi e dei demagoghi.   Cosi dunque non temasi in Italia della libertà con-  cessa alla chiesa e alle chiese, e si proceda con riso-  lutezza; si armi dei suoi diritti naturali lo Stato, e  si lasci il clero esercitare il suo ufficio, e di fare e  disfare in casa propria in quelle cose che strettamente  si attengono al suo ministerio. Contro la fazione cle-  ricale, non v'ha altra politica possibile; ogni aggres-  sione è vana, ogni minaccia non rintuzza ma fortifica  l'avversario, ed ogni ingerenza dello Stato nelle cose  interne delle chiese, riesce poi di danno a sé stesso.  I clericali, e parlo della fazione politica loro, ben  sanno del resto^ (gli abili e che hanno il mestolo in  mano) che senza lo Stato e il suo appoggio , le loro  forze sono monche e sfatate ; imperocché il giorno nel  quale in Italia^ per una ipotesi impossibile^ avessimo  un parlamento del loro colore e spirito, e quindi un  governo uscito dalle loro viscere, sarebbe l'ultima ora   * della loro fazione , poiché nessun popolo di Europa  vorrebbe e potrebbe mantenere rapporti col nero e   ' funesto governo, mentre una riscossa di tutte le gra-  dazioni dei partiti liberali della penisola fora inevitabile o spaventosa. Questa i clericali sanno, e quindi  non tentano, né tenteranno l'ultima prova, e solo pro-  cacceranno di tenere Ymo zampino ed un addentellato  nel giure pubblico della nazione, perché lo Stato da  sé medesimo, per gli errori servili o erroneamente  aggressivi, si procuri una certa rovina. Quindi, qualunque sia il governo che resti al timone della no-  stra patria, non devii dalle norme che ora tracciammo ;  ogni altra politica sarebbe funesta; con l'apparenza   • della forza e della libertà troncherebbe i nervi a sé  stesso. Adoperandoci di questa guisa, noi renderemo  a Cesare quel che è di Cesare, a Dio quel che é di  Pia, secondo il detto profonda del Nazzareno ; e men-  tre daremo saldi fondamenti alla libertà ed al suo  incrementa, faremo un bene eziandio alla chiesa, poi-  ché, toltole ogni speranza d' ingerenza nelle cose civili,  e richiamata al suo morale ministerio, abbraccerà nella  carità religiosa anche la patria ; come sanno molti  buoni fra loro, i quali sentono che per conquistare,  secondo la loro fede, la'^patria celeste, bisogna amare  e difendere quella terrena.   L'altra fazione che tenta* e vorrebbe sconvolgere      m     Fattuale ordine di cose civili, quali vennero prodotte  dal lento moto della evoluzione sociale, è la dema-  gogia anarchica e selva^ia, avente gradazioni diverse,  come diversi propositi, diffusa da per tutto,^e stretta  da vincoli, patti, associazioni, e guidate da uomini  risoluti. E da prima è d'uopo , per giusta ed equa  estimazione d'uomini e di cose, distinguere ed asso-  lutamente separare da una tale fazione il partito re-  pubblicano che si agita anch'esso da per tutto, e che  in varie parti del mondo ha vita effettiva e legale  riconoscimento. Vero è che una tale distinzione sa-  rebbe superflua e stolta, se pur troppo lo zelo im-  provvido o l'ignoranza, non spingesse molti a con-  fondere cose insociabili, e a far tutto un mazzo, sieno  buoni o rei, di quelli che a puntino non partecipano  al grado presente del loro liberalismo. Il partito re-  pubblicano, quando come in generale si mostra, segue  la legge sana della democrazia moderna, riposa sui  medesimi fondamenti giuridici e éivili dei popoli retti  a monarchia rappresentativa; mantiene saldi i principj *  • di proprietà, di famiglia, d'ordine, senza cui convi-  venza umana non è possibile, ed è una naturale e  necessaria evoluzione sociale. Quindi è d'uopo non  fraintendersi, né recare violentemente e con palese in-  giustizia le colpe, i danni, i pericoli alla forma repubbli-  cana, che sono propri esclusivamente della demagogia.  Dispregiare con puerile sussiego questa torbida fa-  zione, è follia; la fidanza di sterminarla con le sole  armi, è concetto che non può capire che in un cer-  vello da Don Chisciotte ; combatterFa con palliativi o  discorsi, è troppo ingenua bredulità. A mali morali,  profondi, tenaci, universali come quelli di cui trattìatnO; si può ovviare soltanto con serii e virili pro-  positi, e Còli rimedi adeguati alla forza che li produce*  IEj prima condizione a sapersi schermire da un tale  nemico, è quella al solito di non farsi illusione alcuna  intorno alla sua potenza, indagarne l'origine, e non  attenuarne il pericolo. E questo si farà per noi il più  brevemente possibile, onde premunirsi in Italia anti-  cipatamente dagli influssi e danni di questo malanno,  perchè la libertà sana e la civiltà non ne soffrano  detrimento.   La demagogia o l'insurrezione anarchica delle classi  povere e proletarie non è nuova, e si può dire che  i germi sbocciarono col costituirsi delle società pri-  mitive; imperocché di fronte ai più potenti, ai più  agiati e felici, stettero sempre i derelitti dalla for-  tuna, i deboli, i miseri, qualunque ne fossero le ca-  gioni. Ma se il sentimento , il mobile , lo scopo si  mantenne identico di mezzo alle trasformazioni sociali,  la forma della demagogia cambiò, e i suoi seguaci e  proseliti crebbero spaventosamente di numero. Quindi  nell'età nostra, per quanto si estende la civiltà eu-  ropea sopra la terra, assunse una forma consuonante  con quella naturale del progresso sociale, delle con-  dizioni economiche presenti, e con l'immenso accre-  scimento della popolazione. Or noi si vide che il fon-  damento, il fatto che costituiva l'indole propria della  società moderna e dell'incivilimento stesso, è un fatto  economico, il lavoro, reso libero, scevro di qualsiasi  privilegio od ostacolo, e sostegno unico dei singoli  associati, nella moltiforme sua natura, e nella immensa  varietà dei suoi atti, dal rozzo manuale al più alto  intelletto, H sentimento di questa feconda e santa      m     T-erità, pel naturale svolgimento che in tutti lo pro-  dusse e lo suscitò; nacque nell'animo di tutte le classi^  vagamente le eccitò, spingendole di un salto con Tim-  maginativa agli effetti ultimi e salutari di questo  principio, valicandone i necessari intervalli per igno-  ranza da una parte , e per impeto di bisogno dal-  l'altra. Indi la foga pertinace, perseverante, ma più  calma, o Torrido assalto ^subitaneo di selvaggie ire  contro quei medesimi sostegni, quelle istituzioni che  Bono anzi i mezzi di giungete gradatamente ad una  condizione migliore di tutti. Cosi nacquero per un  verso le associazioni della cosi detta intemazionale,  o le improvvise ruine della comune. Ma nel tempo  stesso che noi dobbiamo combattere le funeste teo-  riche di queste sette, e soffocarne con pronta energia  i delirii nefandi, non bisogna, lo ripeto, fanciullesca-  mente cullarsi nella idea, che fatti cosi universali, e  che in un modo o nell'altro si mostrano per quanto  fii stende il campo civile delle nazioni, sia un mero  capriccio momentaneo d' ebbre moltitudini, vapore di  idioti, e fenomeno che non abbia fondamento di sorta  nella storia; né in se, in mezzo al profondo errore  che l'offusca, e lo insozza, un raggio e un filo di vero.  E noi vedemmo già che la demagogia ha la sua sto-  ria, antica quanto il mondo , e svolgentesi e sgomi-  tolandosi con i secoli parallela alla trasformazione  fiociale della nostra stirpe. Ed il vero, che questa fa-  zione nelle sue teòriche micidiali racchiude è questo:  che ad ogni uomo, ad ogni cittadino, sia qualunque  la nascita, l'economica condizione, incombe egualmente  l'obbligo salutare del lavoro, ed è compartecipe di  tutti i doveri che stringono autorevolmente tutti i consociati a prò di tatti con reoiprocft operosità; im-  perocché l'ozio infecondo , e soltanto consumatore &  cormttore, è oramai agli occhi di tutti il più tristo,  squallido e vituperevole vizio sociale, la causa e il  fomite di ogni disordine e , d' (^ni ruina. Ma questo  vero, che or comincia, rispetto al suo valore sociale,  a risplendere alle menti di tutti, e che mano mano  che la società progredisce, sempre più palese si farà,  e che dee divenire la fede comune , nelle sette de-  magogiche si trasformò in ribellione ad ogni sano  principio, e divenne piuttosto sorgente di miserie e  di lutti, che fonte di prosperità per gli stessi che si  Intano in suo nome. Quindi la fallacia nella cre-  denza di poter sterminare ogni sentimento religioso^  come quello che secondo essi sostiene i perni della  . società attuale; la puerile fidanza del condividere i  beni fra tutti, e ritornare, per essere felici e mirabili,  alle delizie animalesche delle prime orde umane. II  sentimento religioso in sé , astraendo dalle forme  dommatiche che può rivestire , è in quella vece sì  connaturato all'uomo, appena gli balenò un ra^io di  intelligente attività nella mente, è un. bisogno cosi  profondo, che il supporlo nell'universale temporario  periturio, riesce un errore sì madornale, quanto il  credere che possa miù cessare il sentimento del bello,  del buono, dell'utile, e così via discorrendo. Un tal  sentimento muterà forma, materia, simbolo, a sempre  più puro e razionale aere s'innalzerà, ma rimarrà^  e quando anche in tutti si trasmutasse in effettiva  intellezione dell'ordine infinito del mondo, e dell'e-  terna energia che lo vivifica, e continua, avrà sempre  una efficacia potente negli animi umani , e una autorità suprema nei loro atti. Quindi, sicc^ome è vano  l'assunto, è assurdo il crederlo effettuabile ; e di questo  si persuadano coloro che eccitano a simili fantaami le  moltitudini. In quanto poi alla proprietà e alla fami-  glia, sarebbe con esse distrutto l'ordine civile, ogni spe-  ranza di miglioramento, ogni libertà. Poiché l'ultimo  fatto sociale a cui" pervenne il moto evolutivo umano  è Tuniversale libero lavoro, questo senza la proprietà  non può sussistere, in quanto mancherebbe di sussidi,  e dei giusti stimoli ad esercitarsi. Che se il lavoro è  un dovere, un godimento, una dignità, la sola nobiltà  possibile oramai nel mondo, oltre avere un effetto che  giova alla generale convivenza nella reciprocanza di  ragioni e d'influssi che l'anima, è pure un modo di  rendere più lieta, agiata e amabile la vita; poiché  colui che vuole rendere l'uomo misticamente perfetto,  e che tutto versi e si travagli nella carità, e non  senta e non provi gli onesti piaceri, e rinunzi ai co-  modi, agli agi, agli utili personali, non solo disconosce  la umana natura, ma annienta la storia. Laonde la  proprietà ed in conseguenza la famiglia, sono condi-  zioni indispensabili del lavoro, e con esso della civiltà  tutta quanta, e della libertà che a tutti è si cara, e  desiderata. Questi sono i veri contro cui infuriano i  propositi dell'intemazionale, i quali se venissero ad  effetto, ogni bene sarebbe distrutto; sono errori in cui  cadono e caddero non una sola volta, quelli che, vi-  vificati da un sentimento giusto e da un vero che  balena incerto e confuso nelle loro menti, credono  raggiungere la meta sterminando gli argomenti che  vi conducono.  Egli è certo però che tali sette sono or formidabili e sparse da per tutto: hanno associazioni, pecu-  nia, giornali, conventicole e cattedre: e gl'iniziati si  mescolano in tutti gli ordini della vita, e gli arruf-  foni ne sfruttano la credulità, o ne inveleniscono, rin-  fuocano le ire: pericolo tanto più tremendo, quanto  più è avvalorato da un sentimento giusto di una ve-  rità male intesa. Or che contrapporrete a questa fiu-  mana? — La Forza? — fu tentato, ma l'idra rina-  sce: oltre, che la forza contro il sentimento e il nu-  mero non prevale, e senza un principio che la sostenga,  è vano amminicolo. Combatterlo con principii con-  trarii? — si sperimentò, risorse, e sempre più sì  estende. Con gl'influssi" religiosi? — Ma ella imper-  versò maggiormente ove le genti erano guidate e  ispirate dal clero, e si agita nei paesi, ove la fede è  più viva, poniamo che non sia la cattolica, tralasciando  anche che alcune tendenze, ire, dispetti clericali sono  fomite a queste sette, e piuttosto che attutarle, le  attizzano. Forse pej: mezzo delle esortazioni, le per«  suasioni, i libri, e i giornali? — Certamente questi  modi, e argomenii quando sieno bene appropriati e  condotti, hanno un grande valore, e maggior della  forza, e degli influssi religiosi, perchè vanno a poco  a poco componendo una opinione favorevole ai suoi  principj, e l'opinione oggi è regina, e può molto: ma  la sua efficacia è in parte frustrata dai giornali, dalle  associazioni della setta, onde è lento e stentato il be-  nefico risultamento. Dunque non hawi rimedio? —  I rimedii opportuni, i soli efficaci, e che, spero, sa-  ranno riconosciuti tali a poco a poco da tutti, se vo-  gliamo salvare la civiltà, sono di due sorta, privati e  pubblici: e ne discorreremo partitamente le loro ragioni.     Odesi tutto giorno dalle persone di ogni ordine e  d'ogni ceto, tra quelli più agiati^ lamenti e querimonie  rispetto ai pericoli che ci sovrastano da parte della  demagogia universale^ e si paventa^ si trema^ s'im-  preca^ o si pronostica il finimondo. Ma sciaguratamente  tutto questo tumulto dì sgomenti^ predizioni^ spasimi  si risolve in parole, in chiacchere, in vaniloquio ef-  fervescente, e nessuno, parlo in generale, fa nulla, o  aspetta da un arcangelo la spada salvatrice, o grida  contro il governo e i governi che non uccidono a  soffocano nella culla il mostro divoratore. E mi fanno  la figura di chi, appreso lentamente il fuoco in un  canto della propria casa, corra in piazza a gemere^  a piangere la imminente ruina delle sue mura, im-  precando perchè il sindaco non distrugga i zolfanelli,  causa immediata del danno, invece di provvedere to-  sto e virilmente al pericolo, tenue da principio, con  la propria persona, o con gli ajuti che ai forti e volonterosi non mancano mai. Cosi presso a poco va la  faccenda per tutti coloro, e sono innumerevoli, che  presentendo l'avvento della cosi detta questione so-  ciale, credono rimediare al male col vociferare ai  quattro venti il prossimo diluvio, o volendo che altri  gli soccorra con modi, che neppure essi sanno in che  veramente consistono. Ma in tale maniera l'acqua arriva  alla gola, e senza rimedio, perchè il neghittoso è spia-  cevole a tutti, utile a nessuno. Egli è oramai tempo  di mutare registro, e se veramente stanno a cuore  gli averi, i diritti, la giustizia, non fosse che rispetta  ai privati vantaggi, bisogna persuadersi, perdio! che  il tempo è venuto, ove chi non opera, e fortemente  vuole e lavora, verrà travolto non solo dalla fiumana     impura ch^ paventano^ ma dalla indole della civiltà  presìHite, nella quale il volontarìp infingardo nozi può  trovare modo durevole di vita. E innanzi tutto la so- *  cietà è solidale d'ogni bene^ d'ogni male, e chi non  sente q^uesto alto dovere, è indegno di chiamarsi uomo  civile: e quindi ognuno è strettamente tenuto a coo-  perare al maggior benessere possibile della nazione.  E si badi che questa, di cui parlo, non è mica una  carità estrinseca e contingente, che possa a volontà  con minore o maggiore zelo esercitarsi, come avviene  in altri fatti di pubblica o privata beneficenza, ma è  una necessità intrinseca, senza la quale la società  minerebbe. La quale cosa si fa a tutti palese anche  materialmente, se riflettono ajla solidarietà, sempre  più stretta e generale che nasce fra tutti gì' interessi,  sia per associazioni a scopi diversi di utilità perso-  nale, o di prodotti, sia per la dipendenza d'ogni or-  dine di fatti economici fra loro, sia nel più vasto e  universale credito dello Stsito, da cui dipendono una  immensa varietà di fortune particolari. Quindi il lavoro libero, ma cooperativo dei singoli, onde si con-  servino intatte e abbondanti le fonti .di ricchezza e  di sussistenza nazionale, anche per questo lato, è la-  voro necessario: che se egli allentasse, svigorisse., o  venisse meno, il popolo perirebbe senza rimedio.   Adunque tra i rimedii privati che possono contra-  stare all' ampliarsi delle sette demagogiche a danno  di tutti, è l'operosità di tutti, e in specie di quelli  che più avrebbero a perdere, e nei quali quanto è  più grande la ricchezza e l'agio, tanto più cresce e  ingigantisce il dovere dell'opera. Si persuadano che  nelle moltitudini adesso il prestigio solo delle ricchezze, o del nome; o del fasto è scemato, e va sce-  mando, grazie al cielo, rapidamente, e invano si at-  * teggerk a pavone , chi sotto le splendide penne , e  r iridiscente folgore delle piume , cela miseramente  una cornacchia. D popolo non dispregia- né nomi ,  né fasto, quando coloro che li portano, o V esercitano  senza jattanza , sono degni della civiltà nostra , la  quale consiste tutta nel lavoro, utile e generoso. Bi-  sogna adunque che coloro a    crescente onda delle mene demagogidie , è una ne-  cessità delle stesse condizioni civili deUe nazioni moderne, un diritto e un dovere. '   Dichiarati brevemente i rimedi privati, conside-  riamo quali sieno ,o possano essere quelU pubblici, o  di pertinenza dello Stato, e del suo governo. Questi  a divisarli compiutamente si disbrancano in lare or-  dini, e possono essere quindi di tre specie: mo^?ali,  amministrativi e poUtìci. . Un grande rimedio aU'er-  rore, al vizio e alle miserie, è certamente V istruzione  diffusa, e più tra quelle classi che di per sé mal sa-  prebbero provvedervi, e alle quali manc^ lo stimolo  proprio ad avanzare, vale a dire alle plebi della città  e delle campagne. Che questo sia precipuo ed asso-  luto dovere di ogni governo civile, è chiaro, e sarebbe  anche più chiaro, se non fossero ancora alcuni, e non.  son pochi, nei quali si mantiene la dignitosa e gene-  rosa ctedenza, che T ignoranza delle moltitudini la-  voratrici, è un ingrediente e un sussidio nòbilissimo  di governo, e si affidano nella loro maraVigliosa atti-  tudine, di contrastare ad ogni male, puntellati all'arte  provvida di pochi, e all'uni vergfale e servile asinag-  gine. E tatLto più stupore arreca una tale saggia sen-  tenza, in qitanto di preferenza è sostenuta da quelli  — non parlo certamente di tutti — che bazzicano  frequentemente per le chiese, e fanno pompa di cri-  stiana pietà. Brutta e ridicola contraddizione, la quale  se ingenuamente* professata, indica in essi una igno-      105     ranza proporzionata al grottesco proposito; se ad afte  pensata, è iniqua e degna deff universale dispregia.  Jn ciasctm uomo come sono eguali potenzialmente i  diritti e i doveri, sono eguali i bisogni e la necessità  deiihi dignità della vita; ora in tutti in quella guisa  dello stato, e migliorare le loro condizioni economiche;  ma parlandosi di suffragio fermarsi alle porte del sal-  terio e dell'abbaco, è tale stravaganza che la maggiore  non si può immaginare; si crede d'essere' del nostro'  secolo, e viviamo delle idee dei bisarcavoli!     ^P 12T   Cicerone assennatamente dicera essere gF ignoranti  capaci di verità^ poiché T ignoranza ^ cioè la mente  primitiva^ non ingombra da sfumature; e il più delle  volte arruffata da un sapere rachitico, entrato a spruzzi  anarchici nel celabro, è tutt'altro che chiusa alle ve-  rità pratiche della vita ; che anzi quando queste ver-  tono intomo a positive questioni d' interessi generali,  ma consuonanti o influenti con e su quelli particolari  della famiglia, del comune, della provincia, sono pronte  a colpirne il nocciolo principale, e a scegliere le per-  sone più idonee a risolverle secondo le necessità del  momento. Se non fosse così, se noi attendessimo ad  allargare il diritto di suff'ragio che virtualmente è di  tutti, quando tutti fossero dotti, ed uomini di stato  almeno in cacchioni, io credo che si aspetterebbe in-  darno quel giorno, e si aprirebbero le universali urne  dei trapassati allo squillo finale dell'arcangelo, più  presto che quelle generali del popolo pel comune  sufeagio.   Ma ribadiscono gli oppositori : voi desiderate esten-  dere il diritto di suffragio mentre ^ nessuno, o da  pochi si chiede : attendete che il desiderio nasca, si  diffonda, giunga legalmente al parlamento, e allora  si aprirà la mano, ma sempre con prudente riserva.  E cosi, soggiungerò io, noi liberi cittadini di libero  Stato, e un governo che dalla libertà è sorto, e a que-  sta deve intendere con tenaci propositi, saremo meno  generosi, meno magnanimi dei governi dispotici ? In  questi sovente, e la storia anche contemporanea è  piena di esempj, il governo costringe spontaneamente  le moltitudini riluttanti a incivilirsi, e con violenta  mano le sforza ad accettare .riforme civili, ammini-  ni     stratìve, economiofae : noi BEtremo il contrario: in nome  delia libertà, teleremo lontani dalle riforme utili e ne-  cessarie quelle moltitudini chC; secondo il ^iblime  concetto, persistono nella ignoranza, o nella indiffe-  renza politica. Un governo onesto di libero popola  dee spingere al meglio di proprio impulso le genti  confidate al suo senno : nò dee nelle leggi fondamen-  tali attendere che altri domandi, ma generosamente  anticipare opportune riforme. Ma se del resto tuUi  non chiedono o vogliono il diritto di suffi*agio, questi  è sorto nella coscienza dei più, emana spontanear-  mente dal nostro giure pubblico, è una necessità dei  tempi, è un dovere civile. Che se un tale dovere, per  ipotesi impossibile, non* si sentisse, o si dissimulasse,  p^r durare in un certo grado matematicamente mi-  surato, e fisso di libertà, a prò di minoranze qua quando anche,  per ipotesi, ciò avvenisse, Teffetto sólo che produr-  rebbe, fora certamente una'^pìù grande e viva ope-  rosità nei partiti liberali, e una agitazione legale più  intensa, le quali riuscirebbero in fine a risolvere più  presto e ricisamente una tale questione interna, e  scongiurare più virilmente i pericoli, onde è gravida  per la nazione. Altro benefizio che recherebbe seco  la partecipazione, larga del popolo al Suffragio, sa-  rebbe quello di stimolare, (essendo più vasto il sin-  dacato, e le possibili peripezie del voto), e costrin-  gere i- deputati ad intervenire scrupolosamente al par-  lamento^ e smettere il brutto sciopero in cui sono ca-  duti molti ripetutamente, e in modo da far credere  cronico il morbo pernicioso, che gl'infesta, e li rende  colpevoli dinanzi alla nazione. Più e più volte gli  atti e le discussioni del parlamento, d'importanza ca-  pitale per la prosperità e ordine del paese, non po-  terono aver termine necessario, o sanzione legale, per  Io scarso numero degli intervenuti, e ancKe quando  giungevano alla cifra prestabilita, di fronte alla to-  talità dei rappresentanti, erano si può dire al disotto  del decoro del parlamento.' Se coloro che pur brigano,  e fauno chiasso per essei'c assunti al grave incarico,     V     IdS m     e rappresentano ciò che v'ha di più vivo nella na*  ssioney e la funzione più eccelsa di un popolo, che è  quella 4'essere il legislatore di sa medesimo^ danno  un si tristo esempio di trascuranza agli alti doveri, e  di abbandono alla alacrità civile della vita pubblica,  B0^ è da atupire, se gli aitai alla base imitano nel  laìiguote, nella cascarne, nella dimenticanza dei di-  ritti e doveri civili, i loro rappresentanti ; e «'ingeneri nella na2doDe quell'ozio politico, che è la lue  più deleteria, e corruttrice delle viscere della medesima; sintomo, se i rimedii non intervengono pronti  ed energici, di inevitabile morte. O non cercare, de-  siderare r^lezioùe e intromettersi in ogni maniera per  ottenerla, o ottenuta, attendere con lealtà e perseveranza al proprio mandato, ^d esercitarlo costantemente,  risparmiando cosi un malo esempio al popolò \ intero,  un acerbo e giusto rimprovero a sé medesimi; la-  sciando aperto il corso ai più degni, e più operosi, e  non ocisasionando cosi la morale decadenza dell'auto-  rità del parlamento, come pur troppo fra noi già per  moltissimi accadeva : e che io dica il vero faccio ap-  pello alla stampa quotidiana di tutti i colori piena so-  vente di acuti, e meritati riinbrotti ai neghittosi le-  gislatori.   Bispetto al pericolo del cesarismo, che secondo altri  sarebbe il mostro che uscirebbe dal voto generale,  come quei fantocci deformi e strani, che scattano al*  Timprowiso dalla scatola magica, a stupose e terrore  dei nostri fanciulli, temerlo da senno in Italia, è cosa  che non Val la pena di confutare. Il cesarismo è  solo possibile in un paese, sconvolto ^à , sconquas'  fiato, disordinato a più riprese, e dove la furia delle fazioni anaik^hicbe^ o le gare di pretendenti più  meno apocrifi, tanto scrollarono le fondamenta d'o*  gni ordine, e tanto impaurirono le maggiorante, che,  conservatrici sempre, si appigliano di iiecessità all'u-  nico modo di salvezza che si presenta, sia pute Tau-  tonta irra:dónaie della sciabola, o la potenza moi'ale  di un nome: poiché ove è questione di anarchia di  forze brute tenzonanti , il popolo si rivolge a quella  che ha maggiore probabilità di vittoria, e di ristabi-  lire quindi la pace, e la cancordia nel caos informe  sociale. Ma un tal voto," quando è generale, se ma-  nifestasi sostenitore di una forma dittatoriale in un  dato momento^ ove egli è necessario, apparisce anche  come fondatore di repubblica, quando una tal forma  di reggimento ad un dato momento, sia Tunica arra  di durevole ordine, come intervenne in Francia : nella  quale, nonostante la lunga cospirazione della caduta  assemblea, e del suo governo, retrogrado e monar-  chico, e tutto rìmmienso arrabbattarsi dei clericali, e  dei funzionari governativi, sorse testé la repubblica da  quelle Urne rurali^ che secondo i giusti estimatori del  senno delle moltitudiiii, dovevano imporre alla Francia  il -^èsaitfismo na^Kileonico^ o il lugubre spettro della  rameica tirannide legittimista. Che se invece avvenne il  contrario della comune aspettativa, si deve solo a ciò,  che tra i varii e funesti pretendenti al trono francese, e  delle loro ingenerose e tristi fazioni, il popolo senti, che  runico governo d'ordine, era il rejpubblicano, che ta-  gliava a tutti la cresta, e li poneva fuori dell'astioso e  cupido combattimento, e per la repubblica votò. In Italia  non vi sono affatto elementi per un cesarismo possi-  bile, e mancano condizioni antecedenti per un tal ri-      ni     Bultato; qui non sfacelo, qui non anarchia^ qui non  odii; rancori^ ambizioni^ rafforzati dal sangue sparso^  da vendette nefande, da rappresaglie inique ; qui nes-  sun bisogno di salvatore, o d'incoronare col servag-  gio del popolo, un fortunato vincitore di eroiche bat-  taglie. Da noi le istituzioni, grazie al cielo, possono  per poco affievolirsi , o venire in meglio modificate,  ma legalmente operano , e sono fisse nella coscienza  pubblica, né alcuno anche dei partiti possibili più  risoluti, e accentuati, pensa a rovesciarle, perchè in  Italia c'è senso in tutti della realtà, né ci si sca-  priccia in utopie senza pratico costrutto: in Italia  la dinastia regnante è politicamente insigne pel ri-  spetto alle leggi, né vi attenta, né vi corrìe rischio,  (quando esercita il suo mandato, come ora fa) di v^e-  nire rejetta, e inimicata dalla nazione^ e F esercito  nostro, quanto valoroso, fedele^ onesto, e nel quale  in bella armonia si fusero tutti gli elementi fortf  della nazione, sia patrizi, sia popolani, se è tutela delle  leggi, dell'ordine, della integrità della patria , non è  una accolta di pretoriani, e conosce a prova quali sieno  i suoi doveri di soldato leale e devoto e quelli di  cittadino. Indi il timore e lo spauracchio di Cesari  possibili in Italia è affatto chimerico, e non conosce  certo il popolo nostro, né le nostre condizioni civili  interno in tutti i loro elementi , chi paventa di un  tale babau,   E dico adunque che si dee proporre legalmente e  stabilire una tal forma di suffragio, senza indugio^  poiché la libertà lo richiede, la dignità della nazione  lo esige, la prudenza Io consiglia. Le moltitudini eleg-  gono, non governano; immenso ' divario ; ed esse in  media secondo tempi, luoghi, e coadisiom sociali soel-  gono' seeipmi pia opportuni ai bisogni presenti. Io  80 a rn^AA dito tatto quello che poseono rispondere ,  e obiettAi^é coloro ohe sono di contrario avviso : e m'in-  vitératino ad inchieste del come si fanno e si fecero  le elezioni' in varie provincie della penisola, sia per  brogli, tàsir per persone e mi sopraffaranno di una  quai^tità enorme di fatti , e' di aneddoti ; ma queste  cose^ e questi riposti archivi! ,li conosciamo: ed è ap-  punto perchè U conosciamo, che invochiamo la ri-  forma del voto. Poiché il ragionamento dì alcuni fra  gli awersarii consiste a dire: il voto, nella guisa  che ora si esercita, è vero, non dà buoni restdtati,  dunque.... Voi* attendete una conclusione necessaria:  ohibò! la logica loro è più stupènda: dunque conser-  viamolo!   Altri potrebbe opporre : concesso che la moltitudine,  la gt»nde maggioranza delle nazioni sieno di fatto e  sempre conservatrici, perchè allora prevalsero via via,  e vinsero le rivoluzioni , effettuando ad onta di quel  freno costante, mutamenti radicali nel costume e nelle  idee dei popoli? La ragione e la spiegazione di un  tale fette è ovvia a trovarsi; poiché per una parte  le moltitudini, perchè conservatrici, e lontane e abor-  renti per le loro faccende, dal moto e dall'agitazione  delle minoranze, che vivono in special modo di pen-  sieiV)^ e di abitudini innovatrici, nulla iniziano spon-  taneamente, e rimangono estranee agli influssi delle  novelle idee; e dall'altra non chiamate a manifestare  legalmente i loro sentimenti, non possono arrestare,  moderare o piegare il corso degli avvenimenti, o mo^-  dificame i resultamenti sociali. Le moltitudini vivono   m   sciolte y guardando ciascuno ai propri negozii^ e non  possono congregarsi facilmente in assemblee, in comitati, in conventicole, come è facile alle minoranze ap-  punto perchè minoranze. Ma una tale inerzia, una  tale paziente annegazione, non rimane senza effetto  col tempo; inquanto se le minoranze si spinsero oltre  certi confini morali e civili e vollero trionfanti prin-  cipii che offendono il sentimento ereditario della mol-  titudine, cadono poi in seguito le loro esagerazioni  stesse, non nutrite e sostenute dall'universale, e solo  resta il progresso possibile, pratico, buono, il quale,  comechè nuovo, pure non perturbando le coscienze e  abitudini della maggioranza nazionale, viene a poco  a poco a consustanziarsi con le medesime: e cosi i po-  poli camminano e vanno perfezionandosi. E che ciò  sia vero, oltre la testimonianza palese di tutte le sto-  rie, basta fermarsi a considerare il corso delle rivo-  luzioni moderne di tutti gli Stati, perchè la realità  della dottrina nostra salti agli occhi ai più miopi. Affine dunque che le moltitudini non per lunga e  sempre faticosa efficacia, come freni conservativi, operanti spontaneamente e fuori del giure positivo, riescano immediatamente salutari all'equabile e fruttuoso  progresso dei popoli civili, è d'uopo renderle partecipi  della vita pubblica, chiamandole alla elezione di co-  loro che sono poi i legislatori della nazione, è debbono guidarla alla libertà e ai beni che essa racchiude^  con ordine e operosità. Così facendo, con quei tem-  peramenti richiesti dalla moralità e dignità stessa del  voto, si otterrà una maggiore attività politica ; la na-  zione non sonnecchierà mai, né ristagnerà; i partiti  che pervengono al governo dello Stato, nella vicenda continua di nuovi biefogni^ non crìstalUzzeranno^ e ri-  poseranno in una beata e grassa quiete^ ringipvaniti  e stimolati sempre dal voto popolare^ donde tutto nelle  democrazie fluisce e sorge ^ e viene legittimato; si  avrà sempre una benefica remora alle intemperanze  delle fazioni, e quello che più importa , un ostacolo,  e, si radichi bene nella mente , V unico ostacolo all' imperversare della furibonda demagogia. Io non  aspiro alla divina prerogativa della infallibilità, e  lascio ad altri senza rammarico questa modesta ed  umile virtù ; ma per quello che io valgo a discernere  dopo lungo studio e lungo amore pel pubblico bene,  crèdo fermamente alla efficacia, necessità, utilità delle  mie proposte, come sono certo che quadrano a capello  con le norme positive di una scienza sociale, vera-  mente degna di questo nome. '   Tali sono le proposte, che coscienziosamente e dopo  maturo e scrupoloso esame, e modestia, venni svol-  gendo in questo mio scritto ; tali le riforme che credo  indispensabili per la durata, la esplicazione naturale  e la salute delle nostre istituzioni, e pel decoro e la  prosperità della patria. Certamente non si possono  tutte e subito attuare , e Roma non fii fatta in un  giorno; ma necessario è che gli uomini a qualunque  partito nazionale appartengano, proposti al governo  della cosa pubblica, vi si accingano con tenace pro-  posito, e vi aspirino costantemente. Un sentimento di  malessere indefinito occasionò la crisi presente, e la  nazione sta raccolta attendendo che i diversi ordini  dello Stato meglio rispondano all'indole loro e dei  tempi, e si ritemperi a vita più robusta e libera la  fibra dei cittadini; e tale è il compito di coloro che m     /   ora salirono; è giudicheremo dai fatti se sono da tanto.  Quelli che caddero ^ il partito cioè che fino ad o^  resse i destini d' Italia^ operò cèrto molte cose buotie^  e condusse a termine, stimolato però dalla piÙL viva '  e impaziente parte della nazione e laicamente eoa;*  diuvato da questa, Tunità territoriale e politica della  patria^ protetto da fortuna propizia e da eventi in-  sperati, trasmutanti in vittoria eziandio la sconfitta;  ma a poco a poco, ritirandosi in sé medesimo e chiuso  troppo forse agli influssi sempre salutari della maggioranza del popolo, si aflSevoll ed obbliò le origini  sue, e la natura essenzialmente democratica degli  Stati moderni. L'Italia oramai è giunta a quel tem-  peramento civile ehe esclude la violenza e T illegale  intromissione di fazioni perturbatrici, ma vuole ed  esige che si avanzi e che si cammini di pari alle na-  zioni più civili; che gli uomini che la capitaneggiano  si governino con le idee nuove, e si lascino i metodi  troppo curialeschi e scolastici nell' indirizzo della cosa  pubblica. Or non è più tempo, e tra poco lo vedranno  anche i più restii e ostinati, di grette abilità e di pic-  coli e scuciti mezzi, giorno per giorno, di reggere gli  Stati ; tutte le questioni sono larghe e grandi, e non  si risolvono che con intendimenti e principj larghi e  generosi; in ogni vertenza è conflata, a cosi dire, la  vita di tutto un popolo, anche per i rapporti che  essa ha o può avere con tutte le nazioni civili. Iso-  larsi, fetcendo i suoi affari alla guisa di un agente di  fattoria, è impossibile, dannoso e indecoroso; la ne-  cessità presente spinge i popoli europa all'unità mo-  rale della razza loro, ed all'equilibrio econoiiiicO civile  e politico di tutte le membra ; ciò che non importa ima yi^ota cosmopQlitia alla maniera dei politici mi-  stici: m ogoji inombro e nazione vive della sua vita  particolare; ma in conserto di vincoli si stretti, e una  reciprocità di r^oni che costringono tutti ad avan-  z^ure perire ; poiché la selezione naturale governa  anche 1^* vita dei pppoli. Né valga il dire, come da  molti si ripete^ che il governo è, od era assai più  liberale della na:pione, e quindi ogni spinta o riforma  riuscire inutile , o inopportuna; poiché, oltre essere  questo in generale vero per tutti i governi, in quanto  sono al di sopra del sapere e del civile temperamento  delle moltitudini, suscita spontaneamente questo dilemma: o il governo, in uno Stato libero, possiede  minori spiriti liberi del popolo, e quindi dee, in virtù  della legge fondamentale di un libero Stato, ritirarsi,  perchè violatore moralmente della medesima; o si  confessa più liberale del paese, e allora piuttosto che  ristarsi e mantenere il grado fisso del valore civile  del medesimo, dee spingerlo innanzi e trasformarlo  alla sua immagine; che se sta, non procacciando di  eccitarlo alla riforma, è indegno dell'alto loco che occupa. Queste teoriche di accomodamenti pratici non  sono più d'uso, e solo argomentano una profonda imperizia del come si dirigano le società moderne, e dei  doveri effettivi dei governanti. Sciolto da qualunque legame di disciplina, come di-  cesi, di partiti, perchè uomo affatto privato ed oscuro, e  al di sopra di questi, come debbo essere lo scrittore im-  parziale, non consigliandomi con altre norme che con  quella che io credo il giusto , scevro da qualunque am-  bizione personale, né stimolato da ire o passioni di  parte, liberamente dissi , comecché sempre con rispetto in  olle persone, ciò che stimava opportuno ed utile, devoto  in tutta la mia vita ad una cosa sola, ma quella grandissima e santa, la verità. Se altri mi provi che io mi  ingannai, sarò ancora felice quando il contrario di ciò  che credetti, profitti alla mia patria. In ogni modo,  nel piccolo giro delle mie facoltà, avrò soddisfatto al-  l'obbligo di cittadino ; ciascuno dovendo servire la pa-  tria in quel modo che gli è concesso. Solo una cosa  detesto in questo ordine di fatti: la petulante vanità  dei neghittosi. Altri saggi:    S^Uo ai ierehi:   DELLK   CONDIZIONI INTELLETTUALI D.' ITALIA  ITm preparmziùHe ì SELLA LEGGE FONDAMENTALE DELLA INTELLIGENZA ffCL RC6II0 ANIMALC  S t'Udii di Psicologia compartita. Se- ■   rv;.■ft- Tito Vignoli. Vignoli. Keywords: squirrel, squarrel, psicologia comparata, etologica filosofica, una legge della intelligenza degl’animali – mito e scienza – mitos e logos – animale, legge, legge della psicologia, psicologia comparata, etologia comparata, evoluzione. Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft MS, Luigi Speranza, “Grice e Vignoli” – “La etologia filosofica di Grice e Vignoli” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.

 

Grice e Vinadio: la ragione conversazionale della prassi e del valore – filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Torino). Filosofo italiano. Grice: “Of course, Vinadio is bound to be a good dialectician, since Italian neo-idealists take Hegel’s Dialektik – or colloquenza, as the count prefers – much more seriously than the most Hegelian of Oxonians! (And I don’t mean Bradley!”) --  Grice: “I like Vinadio; but then I’m English and we like an earl!” – “My favourite of his tracts is the one about dialettica which he understood just as Plato did, only better!” -- Felice Balbo di Venadio, conte di Venadio, vide, “Il conte di Vinadio” --. Considerato una delle voci più significative della filosofia italiana e un intellettuale impegnato in un vasto progetto di ri-fondazione della filosofia politica nell'immediato secondo dopoguerra. Figlio di Enrico Balbo di V., naque in via Bogino 8, nel palazzo che e del conte Cesare Balbo, ministro di casa Savoia. Dopo la laurea, partecipa alla seconda guerra mondiale, prima come sottufficiale degll’apini, poi come membro della resistenza. Come consulente d’Einaudi cura una collana di filosofia. Insegna filosofia a Roma. Si raccolge attorno a lui un gruppo di filosofi per discutere sulla crisi dei valori nella società e sui modi di superarla mediante l'impegno sociale. Il suo impegno trova espressione inoltre con i contributi alle riviste “Cultura e realtà” e “Terza generazione”. Vicino all’organizzazioni della sinistra e al partito comunista, comprende come il mutamento centrale della società e avvenuto nel rapporto tra lavoro umano e tecnica. Assunto all'IRI presso il Servizio problemi del lavoro. Si interessa di formazione del personale. Direttore del Centro IRI per lo studio delle funzioni direttive aziendali. Saggi: “L'uomo senza miti”; “Il laboratorio dell'uomo”; “Studi in memoria di SOLARI [vide] dei discepoli” (Torino, Ramella); “La sfida storica del comunismo al cristianesimo e le sue conseguenze filosofiche” (Mulino); “Idee per una filosofia dello sviluppo umano” (Torino, Boringhieri); “Opere” (Torino, Boringhieri)’ “Essere e progresso”; “Lezioni di etica” (Roma, Lavoro); “Lettere a Ludovica”; Archinto. Boringhieri, “Per un umanesimo scientifico. Storia di libri, di mio padre e di noi” (Torino, Einaudi); Cavalieri, “Scienza economica e umanesimo positivo. la critica della ragione economica” (Milano, Angeli); Tassani, “La Terza Generazione: tra stato e rivoluzione” (Roma, Lavoro); Tassani, “Lezioni di etica” (Roma, Lavoro); Invitto, “Una filosofia pragmatica dello sviluppo” (Mulino, Bologna); Invitto, “Di fronte a fenomenologia ed esistenzialismo” (Salentina, Lecce); Invitto, “Una questione aperta, "Italia contemporanea", Dizionario storico del movimento cattolico in Italia: i protagonisti” (Marietti, Torino); Grotti (Boringhieri, Torino); Grotti, “Un altro futuro è possible” (Egeria); Possenti, “La filosofia dell'essere” (Vita e Pensiero, Milano); “Tra filosofia e società” (Angeli, Milano); Invitto, “Il superamento delle ideologie” (Roma, Studium); Ricci, “Cattolici e marxismo: filosofia e politica” (Milano, Angeli); Dal marxismo ad economia umana” (Brescia, Morcelliana); “La prassi e il valore: la filosofia dell'essere” (Roma, Aracne); “Il cristianesimo nella sfida della “modernità” su storia e futuro” -- Dizionario biografico degl’italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Filosofi italiani del XX secolo Insegnanti italiani Professore.  IOVANNI INVITTO Le idee di V. Una filosofia pragmatica dello sviluppo IL MULINO L'istanza manageriale L'uscita dal PCI non determina l'ingresso di Balbo in schieramenti alternativi, ma lo porta ad assumere una azione di fiancheggiamento, di « compagno di strada » per alcune forze interne allo schieramento cattolico, in chiara antitesi alla linea degasperiana 1. Nel '51 è Dossetti ad avvicinarsi a Balbo e a subire la sua in fluenza e nel senso della visione della « catastrofe » del sistema e nel rifiuto delle tesi maritainiane, fino ad allora costante ideologica degli intellettuali cattolici di sinistra 2. L'accostamento Dos- setti-Balbo è stato importante in quanto, nel momento della dissoluzione del gruppo dossettiano, il suo leader, ma solo per una breve stagione, ha pensato di poter avere nel pensiero balbiano una integrazione teorica 3. Ben presto t Non ritengo di condividere nella sostanza quanto afferma Giura Longo. V., invece di Rodano, segui altre strade, giungendo a farsi ispiratore di un gruppo di intellettuali democristiani, attraverso la rivista ` Terza generazione ' che ha dato qualche contributo (si pensi ad un Morlino) sul piano dell'impegno politico dell'attuale gruppo diri- gente democristiano » (La sinistra cattolica in Italia. Dal dopoguerra al Referendum - Storia documentaria, a cura di R. Giura Longo, Bari, 1975, p. 31). teli sembra che sia, piuttosto, un gruppo di intellettuali cat- tolici, anche impegnati nella D.C., ad interessarsi al pensiero di Balbo (che allora era ad una chiara svolta) ed a tentare di annetterlo e di mu- tuarlo. 2 Cfr. G. Baget-Bozzo. Nel convegno di Merano (agosto 1951) dei giovani democristiani, la mediazione del pen- siero di Balbo, portata da Baget-Bozzo, « consenti di ristabilire alla diri- genza giovanile DC quell'unità di linguaggio che lo scioglimento del dossettismo aveva posto in crisi. La presenza in politica dei cattolici ` in quanto tali ' era giustificata dal fatto che la Chiesa aveva conservato la filosofia perenne e, quindi, il principio della ripresa culturale e civile ». Si ebbe, cosí, il superamento del maritainismo portato da Lazzati (Ibidem, p. 369). 3 Se « Cronache Sociali » si era interessata a Balbo (cfr. A. Romanò, op. cit.; S. Lombardini scrive che Dossetti « personalmente ancora nel 1945 ebbe occasione di esprimere [a Padre Stefano Bianchi] simpatie per la sinistra cristiana » op. cit., p. 37) anche i cattolici-comunisti si erano 139  Dalla rivoluzione alla collaborazione inventiva Dossetti si accorge che il tentativo di filtrare i suoi motivi attraverso quelli balbiani non può avvenire per una na- interessati alla rivista di Dossetti (dr. P. Pombeni, Le « Cronache So- ciali » di Dossetti, cit., pp. 161, 225, 231). Anzi possiamo dire che, soprattutto con La Pira, c'erano stati accostamenti già dal '38 (A. Os- sicini, a nome del gruppo Roma-Sud di Azione Cattolica, aveva eviden- ziato a La Pira « l'urgenza di un impegno diretto nell'azione politica, e La Pira ammise che questo era necessario, anche se le forme di esso era difficile prevederle e prospettarle. Rispose esplicitamente: ` Fate; comunque, qualcosa uscirà ' »; A. Cuccchiari, op. cit., pp. 25-26). Il fu- turo sindaco di Firenze prenderà le distanze « ideologiche » necessarie, criticando i cattolici-comunisti, perché, secondo lui, il materialismo dia- lettico è « causa » del materialismo storico: « Ora l'effetto non è mai separabile dalla causa » (G. La Pira, Premesse della politica, Firenze, 1945, pp. 62-63; riportato da L. Fiorillo, Il fondamenti teorici dell'im- pegno politico di Giorgio La Pira (1926- 1945), in Novecento minore, cit., p. 209). Anche su « Cultura e realtà » era stato un dibattito sul dossettismo, attraverso un intervento di F. Rodano (l'articolo, Laicismo e Azione cattolica in Italia, n. 2, luglio-agosto 1950, era però firmato da Nino N o- vacco) e una risposta di Baget-Bonzo (cfr. G. Baget-Bozzo, op. cit., p. 364). Secondo Possenti la diversità fra V. e Dossetti è costituita dal fatto che, mentre il torinese « manteneva aperta la possibilità di una azione civile sulla base di una cultura rinnovata », Dossetti si stava volgendo verso la tesi della estraneità del cristiano al civile e verso una visione « panmonastica » (op. cit., p. 216). Mi sembra, invece, che anche la concezione di Dossetti monaco recuperi il civile in una sfera più alta. Infine, ricordo a titolo di testimonianza che Giuseppe Dossetti, in uno scambio di battute avute con me a Bologna il 5 febbraio 1978, mi diceva che a V. era stato legato da profondo affetto e che V. « era stato molto importante in un certo periodo de lla sua vita ». Ciò non toglie la differenza di temperamento, di cultura, di problematica tra i due; differenze che sembrano determinanti a chi ha avuto lunga consuetudine con entrambi (mi riferisco a quanto mi dicevano Mar- cella e Giuseppe Glisenti). 4 Due storici della sinistra cattolica italiana, pur partendo da pre- supposti storiografici diversissimi, hanno notato che l'accostamento fra Dossetti e Balbo (che avrebbero avuto come comune « preoccupazione apologetica » quella di inserire la Chiesa fra le masse operaie, anche se proponendo vie alternative; cfr. L. Bedeschi, La sinistra cristiana ecc.) non è casuale nelle motivazioni, né nel tempo in cui é avvenuto. Scrive Campanini: « Nel 1951, infatti, sembra consu- marsi l'illusione, comune e insieme diversa, di Balbo e di Dossetti. La prima, quella di condizionare dall'interno il partito comunista italia- no e di potere operare in esso come cattolici; la seconda, quella di con- dizionare dall'interno la Democrazia Cristiana e di spostarla nel suo com- plesso a sinistra. L'uscita di Balbo dal PC e di Dossetti dalla DC appaiono cosí in un certo senso il segno emblematico de lla conclusione di questa vi- cenda » (G. Campanini, Fede e politica, cit., pp. 14-15). Lo stesso Campanini ricorda che nel '51 (al congresso dell'UCIIM tenuto a Camaldoli nel-140 tura diversa dei due pensieri: da una parte Balbo ribadisce il primato della tecnica filosofica, dall'altra Dossetti è fer- mo al primato della prassi, mistica o politica 5.In questa forma di gramscismo balbiano (gli intellet- tuali forza trainante nella prassi politica) è da ritrovare una chiara eredità della « corrente Politecnico », relativa al con- cetto di « eccedenza » della cultura sulla politica 6. All'in- terno della cultura cattolica la posizione di Balbo era di assoluta novità non tanto perché si contrapponeva ai due integralismi in auge: quello di destra geddiano, quello di sinistra, dossettiano, come è stato molto « schematicamen- te » definito '. La novità è costituita da lla pregnanza filo-l'agosto), Dossetti svolse una relazione che « si può considerare il suo testamento politico ». In essa, parlò del fascismo come « autobiografia della nazione » e « sbocco inevitabile del liberalismo », evidenziando l'accostamento ad alcune tesi portate avanti in quegli stessi anni da Felice Balbo » (Ibidem, p. 90).Da testimonianze indirette, si sa che l'ultimo Dossetti, per intender- ci il.monaco che vive a Gerico, insiste nelle sue prediche sulla situazione di « catastrofe » della civiltà occidentale. Anche questo concetto, tipica- mente balbiano, può essere stato acquisito da Dossetti nel periodo del loro avvicinamento. È utile aggiungere, però, che già nel gruppo dos- settiano era presente il tema dell'« apocalittica dell'ora decisiva » (che P. Pombeni riconduce a un clima generale nell'Europa post-bellica; cfr. Il « dossettismo », cit., p. 131).5 Il tentativo di Dossetti avvenne nell'agosto del '52. Sul fallimento di questa mossa, scrive Baget-Bozzo: « Probabilmente le tesi di V. gli [a Dossetti] apparvero troppo esclusivamente filosofiche ed intellettua- li: una causalità assoluta e primaria della filosofia sullo sviluppo storico non era facile da accettarsi per una persona cosí legata alla concretezza dell'agire » (Op. cit., p. 356).6 Aveva scritto vittorini a Togliatti che la cultura che si adegua alle masse è politica, ed è cultura quella che si impegna nella ricerca: « Ma se tutta la cultura diventa politica, e si ferma su tutta la linea, e non vi è pii ricerca da nessuna parte, addio » (Politica e cultura, cit.).7 L'accusa di « integralismo » di sinistra a Dossetti è di A. Del Noce (Genesi e significato ecc., cit., p. 458) ed è confutata da G. Baget-Bozzo con argomenti definitivi (op. cit., pp. 361-62). Anche Pombeni prende chiara posizione contro l'ipotetico integralismo di Dossetti, aggiungendo che quasi sempre il termine si usa in maniera imprecisa e generica (Il « dossettismo », cit., pp. 128-29). A proposito del termine « integra- lismo », spesso usato phi per evitare un giudizio che non per esprimer- lo in concreto, mi viene in mente ciò che Bobbio ha scritto sul termine « borghese » e sul suo uso: « Oggi si chiama da alcuni ` borghese ' tutto quello che si vuol respingere. ` Borghese' ha soltanto piú un significato negativo, è un segno ` non ' posto di fronte a un qualunque sostantivo, e quindi privo totalmente di contenuto » (N. Bobbio, Politica e cultura, Torino. L'istanza manageriale141 Dalla rivoluzione alla collaborazione inventivasofica della proposta di V., che non si limita ad ope- rare all'interno delle masse cattoliche organizzate, ma, de- lineando un profilo della crisi umana del Novecento, ripro- pone un ribaltamento anzitutto del progetto filosofico, co- me ritorno al senso comune e, quindi, l'opzione per una via pragmatica ed anti-utopica allo sviluppo.In questa rifondazione filosofica ci si è chiesto quale sia stata la prospettiva dominante: se quella di Maritain o quella di Mounier. Del Noce dice che la sinistra cristia- na dimostra la sua simpatia prima per Maritain, poi per Teilhard de Chardin, ma aggiunge che il vero iniziatore della sinistra cristiana è stato Mounier (che sta a Mari- tain, come Gobetti sta a Croce) s. Ora bisogna dire che per Del Noce, Mounier è di molto inferiore a Maritain, e V. avrebbe di fatto incoraggiato la diffusione del suo pensiero in Italia 9. Questo è vero solo in parte in quanto il pensiero di Mounier, assolutamente assente dagli scritti di Balbo, è invece reperibile in esperienze culturali diverse sin dal '46, da « Il Politecnico » a « Cronache sociali » 10.Comunque l'accostamento alla cattolicità ufficiale vede da parte di questa un tentativo di « catturare » V. e di aiutarlo finanziariamente per un programma di elabo- razione di una « scienza dello sviluppo » 1. Il programma, che impegnerà Balbo fino al '54, sarà basato su un gruppo di ricercatori di filosofia e di scienze sociali 1`. La suddi-8 Cfr. A. Del Noce, Pensiero cristiano e comunismo ecc., cit., p. 976.9 « L'interesse [fu] portato sul tanto inferiore Mounier, in cui tut- to c`, veramente esplicito, senza germe alcuno che abbia bisogno di ma- turare; col che non intendo dire che Balbo abbia incoraggiato volontariamente la fortuna italiana di Mounier, ma che contribuí, per l'abban- dono dell'aspetto filosofico-politico del pensiero di Maritain, allo spo- stamento di interesse verso la sua opera » (A. Del Noce, Genesi e signi- ficato ecc., cit., p. 483).10 Su « Il Politecnico » (n. 31-32, luglio-agosto 1946, pp. 7-8) appare un articolo di E. Mounier, Agonia del Cristianesimo (il termine « ago- nia » è preso da M. de Unamuno), con presentazione di F. Fortini (Fr. F.). Su « Cronache Sociali » nel '49 (n. 10) c'è una intervista a Mou- nier; nel 1951 appaiono due articoli di P. Scoppola, uno sul filosofo francese (n. 6) ed uno su « Esprit » (n. 9). Questa linea si affianca a quella maritainiana di Lazzati.11 C. Leonarcli dice che tramite per il finanziamento fu L. Gedda La suddivisione fatta da V. era in cinque settori che corrispon- 142 visione rappresenta i settori nei quali la crisi è avvenuta in maniera globale, e attraverso i quali una ripresa « ri- voluzionaria » può avvenire. Non è, però, assolutamente il caso di gonfiare l'espediente dei gruppi (che era piú una metodologia) a sistema. Il pensiero, l'impegno di V. negli anni '51-'54 non si risolvono nei « quintetti ». La crisi è per lui caduta di un rapporto di funzioni nel- l'ambito del sistema sociale globale: il sistema teoretico deve svolgere funzione di rinnovamento, il sistema etico ha funzione di sviluppo, quello economico la funzione di innovazione, quello politico la funzione di movimento, í1 sistema giuridico-statuale la funzione di conservazione 13. Sulla base di questi schemi ideali (che qualcuno definirà utopici) si svilupperà una nuova iniziativa-esperienza-ten- tativo cui partecipa V.: « Terza generazione ». Il grup- po balbiano cerca di conservare una « propria rilevanza pubblica » inserendosi nell'ideazione di questa rivista men- sile 14. Si è parlato molto, ma si è scritto un po' di meno su « Terza generazione ». Anzitutto c'è da definire il rapporto con il degasperismo nell'indirizzo della rivista. Sappiamo già come il distacco tra Balbo e il PCI non colmi la diffidenza e il rifiuto di Balbo nei confronti de lle tesi degasperiane. D'altra parte è appurato l'aiuto finan- ziario dato da De Gasperi a lla rivista, ma meno noto è il disinteresse pratico dello statista per « Terza genera- zione » 15. La nascita della rivista non fu ritenuta underebbero a cinque scienze autonome: diritto, economia, sociologia, morale e politica. Responsabili dei gruppi erano: C. Napoleoni, M. Motta, G. Sebregondi, U. Scassellati, N. Novacco (cfr. C. Leonardi, op. cit., pp. 377 e segg. e le Note biografiche in V., Opere).13 Cfr. G. Baget-Bozzo, op. cit., p. 516. Confrontando lo schema proposto da Leonardi e quello proposto da Baget-Bozzo, troviamo l'as- similazione tra momento sociologico e momento teoretico (cfr. C. Leonar- di, op. cit., p. 377).14 Cfr. anche G. Baget-Bozzo Leonardi, che fu redattore nella rivista nella seconda fase, in una conversazione con chi scrive, nel novembre 1975, diceva che De Gasperi finanziò la rivista, ma che probabilmente non l'ha mai letta. L'interesse di De Gasperi per l'iniziativa era stato sollecitato da padre Delbono (cfr. C. Leonardi, op. cit., p. 398; l'autore riprende L. Garruccio (pseud. di L. Incisa di Camcrana), La politica era tuttoL'istanza manageriale143 Dalla rivoluzione collaborazione inventivafatte r, strutturale » ma una iniziativa « congiunturale », derivata dalle elezioni dei '53, per lo meno a quanto dice uno dei suoi responsabili ', ma ebbe ambizioni « struttu- rali » e di rifondazione ideologica. Ciccardini, nel rico- struirsi le fonti, integra le nutrici balbiane de « Il Poli- tecnico » con alcuni autori cattolici i-`, ma riafferma la congiuntura catastrofica della realtà 's. Balbo, nell'unico suo scritto sulla rivista, puntualizza il senso della crisi come crisi del modello di autosufficienza dell'individuo che andava dalla Grecia a Mara ', e il riconoscimento del fallimento di tutta la storia 0. La via che Balbo e « Terza generazione » cercano di perseguire e però una via asso- lutamente nuova rispetto a quelle tentate da lle altre forzepolitiche, culturali, economiche: la proposta di una diver- sa classe manageriale.La nuova dirigenza, scrive Balbo a Ciccardini, deve reggersi sul piano dell'invenzione e non su quello dello sfruttamento delle doti naturali; « dirigenze sociali » di nuovo tipo faranno salvi gli indici intellettuali , morali e tecnici dell'intera soviet ì 2t. La dirigenza sociale proposta(Cronache della generazione del '45), in « L'Europa », VII, 1973, n. 8-9, p. 90).to Cfr. C. Lelnardi, op. cit., p. 37S.17 « Eleggemmo a nostri maestri Maritain e Ferrero, Mounier, Dor- so, Sturzo, Giobetti e Gramsci «: Ciccardini, L.: politica: era tutto, in « Terza generazione », num. di presentazione, agosto 1953, pp. 1-3. Balbo aveva scritto: « Dobbiamo rifarci essenzialmente ai nomi di Go- betti e di Dorso e di Gramsci » (Cultura antifascista, cit., p. 14).is « Se non appare unsi soluzione. 1a nostri so ìer ì si :ivvi:i :alla disgregazione ed alla catastrofe » (B. Ci ecirdini, op. cit., p. 3).t^ Cfr. F. Balbo, Le soluzioni stanno ogi davanti a noi, in « Terza ge- nerazione », num. di presentazione, agosto 1953; ora in Opere. pp. 533-42, il concetto richiamato è a p.p. S36.20 V. scrivcral in seguito: «Comprendendo la verit:t di Mari si viene a riconoscere la fine dell'epoca moderna e il fallimento di tutta la storia fino ad oggi se non si origini uno nuovi storta a livello supe- riore »; in Per la rilevazione e l,: critica delle: scoperta essenziale d MMfart, in Studi in memoria di G. Solari, Torino, 1974, pp. 375-9t; orsin Opere, pp. 318-31; il passo cit. ` a p. 330.21 Cfr. Le soluzioni stanno oggi davanti a noi, cit., p. 541. Questi originale identificazione trai imprenditore cd intellettualeun° degli spunti pití interessanti della proposta bailbiana. intatti, an- che questo il periodo in cui Balbo tentava a Torino il « Centro dì rela- zionc » c sperimentava in Irpinia. assieme ad altri ricercatori, tipi cui Achille Ardigò, un nuovo modo di impostare l'iniziativa agri olai. Quel144 da V. è qualcosa di diverso dall'operatore privato e dall'operatore pubblico, in tal senso è qualcosa di pii dell'imprenditore di tipo gobettiano, che è sempre l'ope- ratore privato anche . se aperto all'uso sociale dei suoi beni 2. Ciò che sollecita questa proposta ultimativa è, ancora una volta, la coscienza di una « crisi finale » del sistema storico-sociale dominante, cioè quello illuministico- democratico o individualistico che ha incluso e raggiunto ogni altro sistema. E come sistema individualistico, Balbo pone anche quello comunista per la sua « originaria e íne- liminabile ispirazione anarchica » 23. In questo senso, « Ter-za generazione » nasce dal crollo della generazione prece- dente, quella resistenziale e antifascista. C'è l'illusione nei giovani redattori de lla rivista di superare la genera- zione che « aveva dato vita al Politecnico a Cronache So- ciali ad Iniziativa Socialista » 2'. Invece, per certi versi, esiste una palese continuità tra questi fatti culturali e, ad- dirittura, alcune impostazioni redazionali di « Terza ge- nerazione » ricordano esplicitamente la rivista vittorinia- na. L'ambiguità unanimistica del nuovo tentativo è chia-periodo é ricordato come quello dei « pomodori ».Tutto ciò ci dice la fondatezza delle motivazioni di chi ha respintoun appiattimento teoreticistico del pensiero balbiano (P. Pratesi, Lafilosofia di F. Balbo, in « L'Avvenire d'Italia », 22-XI-1966, contro l'in-terpretazione di Del Noce).È anche questo il caso di Penati che, però, critica il ridimensiona-mento balbiano della teoresi (cfr. Penati, rec. Idee, in « Rivista di Fil. neoscolastica Gobetti parla di imprenditori nuovi (« i soli che abbiano diritto a chiamarsi borghesi nel senso economico della parola ») all'interno di un sistema capitalistico del quale però sia possibile un esito socialista (« Il socialismo è conquista da parte del proletariato di una relativa indispensabile autonomia economica e l'aspirazione delle masse ad af- fermarsi nella storia [...]. Anche il nostro liberalismo è socialista se si accetta il bilancio del marxismo e del socialismo da noi offerto pii volte. Basta che si accetti il principio che tutte le libertà sono solidali »). I brani sono presi, rispettivamente, da Storia dei comunisti torinesi scritta da un liberale, in « La Rivoluzione Liberale », I, n. 7, 2 aprile 1922, pp. 24-26; ora in P. Gobetti, Scritti politici, cit., p. 279; e da Liberali- smo socialista, in « La Rivoluzione Liberale », III, n. 29, 15 luglio 1924, p. 114, nota non firmata a un articolo di C. Rosselli; ora in Scritti poli- tici, cit., p. 761. Sull'ultimo brano, v. pure L. Valiani, Gobetti, uno dei nostri, in « L'Espresso », XXII, n. 7, 15 febbraio 1976, p. 112.23 Le soluzioni stanno oggi davanti a noi, cit., p. 356. u B. Ciccardini, op. cit., p. 2.L'istanza manageriale145 Dalla rivoluzione alla collaborazione inventivaramente enunciato da Leonardi quando parla di richiami per la sinistra e per la destra (per la prima era determi- nante il carattere « utopico » della proposta di V., per la seconda il superamento di fascismo e antifascismoriba- dito da Scassellati) 25. Naturalmente la critica successiva ha privilegiato una categoria o l'altra 26. Comunque non do- vrebbe esser messa più in discussione la « leadersbip » di Balbo sul gruppo 27, anche se si tratta di un primato p1625 Cfr. Leonardi, op. cit., p. 378. Alla discussione intorno alla ipotesi di una sostanziale utopia del pensiero balbiano è dedicato il quinto capitolo di questa seconda parte.26 Leonardi ci presenta la storia delle interpretazioni di «Terza generazione» come« fatto» di destra. Ricorda gli articoli di «Panora- ma» (Cinque per cinque, X, n. 298, 30 dicembre 1971, pp. 68·73; J profeti armati, XI, n. 299, 13 gennaio 1972, pp. 48-54) dove si parla del gruppo di «Terza generazione» come di un gruppo che stava prepa- rando una «svolta totalitaria di destra in Italia ». Ricorda pure un ar- ticolo su «Astrolabio », a cui risponde A. Paci, con la lettera Un disce- polo di Balbo, ioi, 15 febbraio 1972, pp. 9-10. Anche F. Parri rispose su « Astrolabio ». Se «Lotta Continua» ha definito Balbo «un cretino» (iI 16 dicembre 1971; cfr. C. Leonardi), Giura Longa ba visto nella rivista «inquinamenti di carattere reazionario»Giura Longo, op. cit., p. 73). Pregiudizi partitici? Autosuggestioni? di si, se un intellettuale come N. Bobbio ha parlato di «Terza generazione» come «di un gruppo avanzato che ha gli occhi sulle cose del nostro paese » (Cultura ueccbia e politica nuova, in «II Mulino », IV, 1955, n. 45; ora in Bobbio, Politica e cultura, p. 205). un giornalista-scrittore, che ha la destra politica ineccess,ivJ 'lU!]'alla, ha scritto di V.:« in Francia o in o anche income un rivoluzionario culturale in sensoNonscrittodoveconosce(G.F.in alcunesociali e dice che le Einaudi).ifosse vissuto, poniamo, sarebbe oggi riconosciuto un paese cattolico. odierno che Balbo non abbia affrontato: chiunque abbiaultimi trent'anni, pertra la società politica, se non ri- o improvvisa» fa cadere l'autore i cattolici comunisti con i cristiano- di V. sono state pubblicate dastoriche:27 È sempre Leonardi a riportare la criticap. 366). Lo stesso Ciugni, che dala prospettiva umanistica che costituiscebalbiano (Giugnì dice che deveduttivo «ma l'iniziativaun ordine capace di garantiresioni »; in J m i t i in cui abbiamone », num. di present., cit., p. Il). Inè presentata in maniera piti scopertaper l'organizzazione della cultura, in « Terza generazione », I, n. 2, no-146delpunto (op. cit., socialista, assume nodale del discorso non solo il lavoro pro- I'invcnzione creativa [ ...] umana in tutte le sue dimen- ii Terza generazio-l'Ipotesi balbiana immediata (cfr A. Paci, Appunti di fatto, che non per decisione esplicita,L'ipotesi chiave è la situazione di «zero alla partenza », a cui esser fedeli senza guardare il passato, sicuri che non tutto è politica, come afferma Balbo 28, e come di- ce Cìccardini nell'editoriale di presentazione 29, Ma la si- tuazione di « zero alla partenza» e il rifiuto del totus po- liticus erano già de « Il Politecnico », sulla linea, anche in ciò, di un involontario crocianesimo 30,La rivista entra, però, in serie contraddizioni. La esperienza di Scassellati alla direzione mette in crisi lo stesso Balbo perché, secondo Leonardi, aveva dimostrato il carattere utopico di fondo del suo pensiero «che era in grado di mobilitare delle forze, ma non di soddisfar- le» 31, Con l'avvento della linea di Claudio Leonardi, ab- biamo una ulteriore contraddizione «formale ed espli- cita» con lo schema balbiano, in quanto il neo responsa- bile privilegia il momento morale, rispetto alle altre tec- niche 32, Se Balbo non accetta la posizione politica divernbre 1952, pp. 33-34).Chi, tra gli altri, ha sostenuto la tesi della egemonia culturale diBalbo su «Terza generazione» è stata la Buongiorno Veroi che affer- ma essere stato V. il «vero animatore» della rivista (cfr. T. Buongiorno Veroi, «Terza generazione », in «Il Veltro », La stessa fa dipendere la fine della rivista da una autonoma decisione di Balbo, dopo una riunione ristretta in cui il filosofo avreb- be fatto l'autocritica per l'errore pelagiano in cui si era caduti (p. 683).28 Cfr. Le soluzioni stanno oggi davanti a noi, Ciccardini, op. cit., tra l'altro dice: «Ma nel '45 [...] la poli- tica era tutto: morale e rivoluzione, speranze e novità d'esperienze, con- servazione e poesia. Era un fatto molto vitale in cui ciascuno cercava la sua parte e vi si trovava a suo agio ».30 La polemica di Vittorini con Togliatti era basata, come si è già ricordato, sul rifiuto di una concezione della cultura come realtà totale. Poco prima della polemica in questione, Croce aveva scritto a Togliatti: «lo ripugno a diventare toius politicus come (e non la invidio perché talvolta penso che debba soffrirne) è Lei in ogni Suo gesto e parola» (la lettera è pubblicata in «Rinascita» Garin, nel commentare il brano, aggiunge che, però, Croce fu semper politicus (cfr. Intellettuali italiani del XIX secolo, cit., p. 66).31 C. Leonardi. È dunque il fatto stesso di porci il problema dello sviluppo che ci obbliga immediatamente a porre il problema della moralità »; C. Leonardi, La questione prcgiudiziale, in «Terza generazione » Dalla rivoluzione alla collaborazione inventivaScassellati, non accetta neanche quella di Baget o di nardi, che vede legati a prospettive integralistiche 33. Cosi muore questo tentativo culturale, lasciando però, anche qui, qualche eredità balbiana 34.L'uomo cerca una sua collocazione precisa, degli stru- menti adeguati alla realizzazione delle sue intuizioni spe- culative, un modo nuovo di essere intellettuale, o meglio, di essere un filosofo non intellettuale. Il 1956 presenta, su questa linea, due avvenimenti-svolta nell'esistenza di Balbo: gli ultimi significativi fatti che, rappresentando dei momenti di professionalità, sono anche due nuovi modi di dimostrare una nuova figura di filosofo. Mi riferisco alla assunzione di Balbo presso l'IRI, per il settore « Problemi del lavoro» e all'incarico di Filosofia Morale avuto al Magistero di Roma. Comincia cosi a lavorare come « l'al- tra gente» 35. Se l'insegnamento universitario gli permet-33 « P e r il filosofo torinese, infatti, la dimensione ecclesiale era una condizione personale del ricercatore, che non poteva mai intervenire direttamente nel discorso storico »; Baget-Bozzo, op. cit., p. 531.34 Se l'inizio di «Terza generazione» era stato possibile anche gra- zie al sostegno economico di De Gasperi, la fine della rivista si ebbe un mese dopo la morte dello statista (con il n. 12, del settembre 1954). Ma neanche qui esiste un rapporto di causalità fra i due fatti. La rivista fu chiusa dopo varie riunioni indette da Balbo e dal suo gruppo «rivo- luzionario» (cfr. Leonardi, «Terza generazione» ecc., cit., p. 433); il filosofo torinese accusò il gruppo redazionale di eresia « semi-pelagia- na » (con un termine dossettiano); Lconardi, invece, vede nel falli- mento della rivista il limite dell'esperienza pluri-idcologica di V.; la velleità di partire «da zero» ingenerava componenti «moralistiche e attivistiche [Leonardi intuisce, senza il nucleo pragmatico del pensiero di Balbo?], e dunque nuove » (Ibidem, pp. 432-33).Una eredità di questa esperienza rimane anche in Baget-Bozzo, che in essa rappresentava di fatto l'alternativa teorica all'impostazione di V.. Dice il teologo genovese che nel periodo della rivista « L'Ordine civile» egli risente delle posizioni culturali che lo hanno in- fluenzato: il dossettisrno, «Terza generazione» V.(« la no- zione della crisi della civiltà e della necessità di nuove forme di pensiero e di azione autonome dallo Stato come condizione per la stessa ripresa dell'azione dello Stato »; G. Baget-Bozzo, I l partito cristiano e l'apertura a sinistra - La DC di Fanfani e di Moro .19.54/1962, Firenze Scrive Ginzburg: «V. andò a vivere a Roma, e lasciò la casa editrice. Poi annaspò per anni fra progetti assurdi ed errori. Infine ebbe un vero lavoro. Imparò a lavorare come l'altra gente» te di approfondire alcune tematiche interne ai suoi inte- ressi etico-politici36, l'impegno all'IRI, accettato per ne- cessità 37, lo porta a non considerarsi un intellettuale in senso classico in quanto rifiuta, come nota Baget, un com- pito legato solo alla parola, che è strumento di mistifica- zione 38,Nel frattempo il suo discorso tende a mettere in luce, ancora una volta, sotto prospettive diverse, la novità di Marx, ma anche i suoi sotismi. La premessa metodologica che Balbo ritiene indispensabile è riconoscere come im- prescindibile «necessità teorica e pratica» quella di un « integrale ricominciamento storico dalla filosofia alle isti- tuzioni » 3 9 , Sempre sulla linea di un marxismo italiano che privilegia i Manoscritti (vedi Della Volpe) 40, il pen-36 Argomenti dei corsi universitari di Balbo sono quelli della urna- nizzazione dell'uomo nella moderna civiltà industriale, della proprietà privata e del bene comune, del problema dell'utopia di K. Mannheim e S. Weil, il problema del diritto naturale in L. Strauss, la crisi dei valo- ri in M. Scheler (cfr. Note biografiche). Il metodo d'insegnamento seguito da Balbo consisteva nel prendere spunto da fatti realmente accaduti e da questi risalire a considerazioni teoriche.37 Il dover lavorare alle dipendenze dello Stato non fu una scelta di comodo per Balbo, ma, come testimoniano le persone a lui più vicine, gli fu imposto dalla necessità di «dover vivere» (problema che prima non si era mai posto in termini concreti). Pertanto ci sembrano OlLllJLLUX:, su tale argomento, le critiche « teoreticistiche » di Lconardi a intoppo esistenziale del filosofo (« Il sistema obiettivamente mo- ralmente più forte [00']' Ci pare che la presenza di Balbo nell'Llc.L, che iniziò poco dopo, come la sua ultima produzione siano lemeno significative della sua attività, e rappresentinovistoso del suo limite laicistico »; «Terza generazione » ecc"). Più aderente alla realtà, nei suoi toni l'intuizionechi afferma che Balbo «spari nel gorgo, e diversi anni pni tardi morf, ingoiato da una professione di prestigio certote accettato con la rassegnazione implicita in casi» (G.F,op, cit.). Mi piace ripetere ora una affermazione di Pombeni: «l~ malsano tentare interpretazioni del dossetìisrno traendo spunto dalle tuali vicende dei suoi personaggi» (Il «dossettismo» ecc., cit., p. 118), È un invito a non mescolare le carte e i piani del discorso ed è premessa indispensabile per ogni metodologia corretta,38 Cfr. G. Baget-Bozzo, Il partito cristiano al potere, Per la rilevazione e la critica ecc., cit., p. 330,40 Cfr. su'questo tema G. Duso, Il nodo Hegel-Marx nel dibattitodel '48, in Gli intellettuali in trincea, cit., pp. 101-06.Pavese ci parla di «orrore» di Balbo e del gruppo romano, quandoin una riunione della Einaudi, egli aveva proposto la pubblicazione delL'istanza manaueriaie149 Dalla rivoluzione alla collaborazione inventivasatore torinese coglie la verità filosofica fondamentale del marxismo-leninismo nel vedere come le idee, i comporta- menti e le manifestazioni dell'uomo, in quanto prodotti,41.Mediando certi temi del marxismo con le istanze della43,Il limite del marxismo, limite teorico-pratico, è indi- viduabile nel concetto di sintesi, come fine o soppressione semplice della proprietà privata. In questo modo non si arriva, secondo Balbo, al superamento ma alla disgregazio- ne; un reale processo dialettico non dovrebbe comportare una oppressione positiva della proprietà privata, ma una forma superiore del sistema di appropriazione, « deve es- sere la nascita di istituzioni superanti (ossia superiori si- stematicamente) il nostro attuale sistema istituzionale » 45.Capitale, « estravagante », in una collana assieme alla Bibbia e a Mille Volevano linciarmi » (lettera a G. Einaudi del 7 settem- eunanote:«bre 1945, in Lettere, cit., pp. 499-500).41 Cfr. Per la rilevazione e la critica ecc., cit., p. 319. Balbo affermache la contraddizione del marxismo è stata centrata da Della Volpe, Del Noce e Löwith (Ibidem, p. 318 e n.). Aggiunge che si rimane nell'apolo- gia del marxismo anche in casi di « altissimo livello culturale », come in Gramsci e Lukàcs (Ibidem, p. 319). É evidente che V. sta rivedendo il suo giudizio su Gramsci.42 « La forza-lavoro o pratica attività sensibile è indubbiamente il presupposto reale attivo (causa efficiente) della produzione come tale cosí come la natura ne è il presupposto reale passivo (causa materiale). Ma altrettanto indubbiamente non sono e non possono essere i presup- posti reali di ogni ` modo particolare ' della produzione » , escludendo cosí la peculiarità dell'uomo, cioè la produzione razionale come specifica (Ibidem, p. 323). Si ricorda su ciò una polemica con Rodano.43 Balbo sarebbe, invece, piú vicino alla visione dell'antropologia culturale, secondo la quale ogni forma storico-culturale è un prodotto umano. Cfr. S. Moravia, La ragione nascosta ecc., cit., pp. 327-37.44 Per la rilevazione e la critica ecc., sottostanno alle leggi della produzioneper Balbo costituisce il sofisma marxiano è il far coinci- dere ogni forma di produzione (anche quella razionale) con la attività pratica-sensibile, cadendo nel materialismo dia- lettico 42.antropologia culturalesuo complesso ciò che include tutta la storia umana, e ciò che misura la realizzazione della natura umana: « Dove c'è produzione c'è storia e realizzazione umana, dove non c'è produzione non c'è storia né realizzazione umana » 44.150Balbo vede nella produzione nelCiò che, invece, Infatti, l'eliminazione di uno dei termini dialettici non risolve la contraddizione e rappresenta, invece, elemento di corruzione della storia esistente, in quanto conserva all'infinito la contraddizione invece di superarla ` 6. Non si tratta piú di sopprimere istituzioni, ma di crearne altre nel quadro di una espansione organica totale. Quindi non si parla di fine dello Stato, ma « della nascita di nuove dirigenze dello sviluppo continuo della società » (l'istanza manageriale), non di fine della filosofia nella rivoluzione, ma di definitiva acquisizione della indispensabilità della47.filosofia come funzione socialequesta fase del suo pensiero, Balbo ha ormai raggiunto alcune linee abbastanza precise e nei confronti del marxi- smo (che non si tratta piú di integrare, ma di correggere), e anche nei confronti di un quadro globale delle istitu- zioni sociali: riaffermazione della proprietà privata, tra- sferita su un piano di solidarietà umana non adeguatamente definita, ripresa della proposta manageriale, corroborata da una nuova figura di filosofo. L'errore essenziale di Marx sarebbe di aver voluto impostare una problematica48,« aristotelica » (o realistica) in termini hegelianirore che si accompagna alla verità delle domande poste da Marx, domande per le quali non esiste ancora, a livello storico, una filosofia adeguata. Balbo comunque dice che la via per rispondere esiste ed è l'assumere la posizione filosofica di Aristotele e di san Tommaso (non la loro filosofia, ma il loro punto di vista sul reale).In sostanza « da Marx in avanti, resta tutto da fare in teoria e in pratica » 49. Marx, affossatore e vittima della dialettica hegeliana 50, annulla la dimensione creativa del-46 Cfr. Ibidem, p. 330.47 Cfr. Ibidem, pp. 329-30.48 Cfr. Ibidem, p. 322n.49 Ibidem, p. 331.3o Balbo afferma che Marx demistifica la dialettica hegeliana, manon la rifiuta; perciò il rovesciamento della prassi riduce il marxismo a « empirismo praticistico collettivistico ». Sotto questo aspetto, gli ul- timi scritti di Stalin (probabilmente il filosofo si riferisce alle trad. it. apparsc in quegli anni di Questioni di leninismo, Roma, 1952 e di Pro- blemi economici del socialismo nell'URSS, Roma, 1953) rappresentereb- bero « il tentativo di una specie di ' revisionismo pratico ' interno alL'istanza managerialeCome si può notare, inun er-151 Dalla rivoluzione alla collaborazione inventival'uomo; anche a certe interpretazioni pii disponibili per l'uomo non si può dar credito perché non sono conformi alla « norma base » della verità del sistema S 1. Una ri- presa delle tesi umanistiche non può avvenire che come ripresa filosofica: una storia priva di filosofia « a livello storico » è quella storia disumana e catastrofica, dice Bal- bo, che il marxismo ci ha svelato. Se prima la filosofia ha solo conosciuto o solo mutato la storia, ora si deve con- temporaneamente conoscerla e mutarla S2.Il filosofo che deve conoscere e mutare il mondo non è in questo autosufficiente, ma deve strumentare i suoi interventi attraverso organismi intermedi. Quello su cui la riflessione e la funzione organizzativa di Balbo si ap- puntano maggiormente è il « gruppo di lavoro ». Ogni elaborazione specifica è sempre inquadrata in una visione pití ampia e piú fondata teoricamente. V. afferma che il problema primario dell'ontogenesi sociale non è quello dello Stato o dell'assetto giuridico-economico della proprie- tà (come dice Marx), ma è quello della giusta forma so-ciale dei lavoro, cioè « il trascendimento effettivo del si- stema sociale da parte della persona, senza evasione », cosa che Marx addirittura nega, sostanzializzando la real- tà collettiva S3. Alla istanza etica di recupero dell'uomo va, pertanto, affiancata una tecnica adeguata , al pari di quan-marxismo e tendente ad impedire, o almeno a ritardare, le conseguenze ultime, tecnocratico-burocratiche, dell'essere teoretico tipico del marxi- smo »; (Per la rilevazione e la critica ecc., cit., p. 327).51 V. si riferisce a Lenin e a Gramsci come elaboratori delle tesi « sull'umanità dell'uomo » all'interno del marxismo. Cfr. Il piccolo gruppo di lavoro e la sua funzione nella grande or- ganizzazione, in Termine e concetto di Costume, Atti del II Convegno- laboratorio del Centro Intern. delle Arti e dei Costume, Venezia, 27-29 settembre 1956 (B rescia, 1957); ripubblicato con alcune varianti in « Rivista di Organizzazione aziendale », III, n. 4, 1958; ora in F. Balbo, Opere, pp. 543-64; i concetti citati sono a p. 547. G. Petrilli ha ricor- dato alcuni passi di Balbo relativi a lla pianificazione e al lavoro come« ritrovamento dell'ordine » (G. Petrilli, Dal progresso alla crescita, in « Civiltà delle macchine).St « L'etica senza tecnica adeguata non vive, infatti, nella societ ì umana. Vive in alcuni momenti della vita degli individui, può risorgere continuamente e come intenzione pura. Ma, poichi. gli uomini non sono152 to è avvenuto in America (come fenomeno secondario e non primario). Infatti 11 vi è stata la scoperta « dell'uma- nità dell'uomo » da parte della società industriale: è stata una scoperta empirica e sperimentale della non riducibi- lità dell'uomo a « fattore economico », attraverso nuovi modi di gestione del lavoro nell'industria S5. In questo orizzonte, ci deve essere una chiara collaborazione fra me- todo sperimentale e metodo filosofico: ciò che si ottiene con l'uno, non si ottiene con l'altro, e viceversa 56. Il pic- colo gruppo di lavoro diventa quindi il risultato di unaconvergenza tra istanze filosofiche, morali, manageriali: « Il piccolo gruppo umano e in particolare il piccolo grup- po di lavoro viene considerato oggi dagli scienziati, tec- nologi ed educatori come una unità sociale primaria, aven- te realtà, proprietà e caratteri distinti da quelli dei singoli individui, che lo compongono » S'. Se il tecnicismo può es- sere liberato dai suoi vizi e dai suoi mali, questo, affermaangeli, non può esistere socialmente senza tecnica corrispondente e a livello tecnico dell'ambiente. Peggio, l'intenzione etica retta pub con- giungersi con una porzione di ambiente tecnico opposto e determinare delle vere e proprie mostruosità sociali di cui la nostra epoca è ricca » (Ibidem, p. 560).55 Balbo si riferisce all'esperimento di Elton Mayo alla Western Electric (Ibidem, p. 548). L'esperimento in questione va con il nome di « Hawthorne », perché ebbe luogo dal 1927 al 1932, negli stabilimenti Hawthorne della Western Electric C., che si trovano a Cicero, alla peri- feria di Chicago. La sostanza dell'esperimento consiste nel tentativo di scoprire il rapporto tra il rendimento dell'operaio e le condizioni « uma- ne » del lavoro. Il resoconto phi ampio di questo esperimento è nel vol. dei diretti esecutori F. J. Roethlisberger e W. J. Dickson, Manage- ment and the Worker, Boston, 1934; Cambridge, Mass., 1939. Si leggano pure E. Mayo, The human problems of an industrial civilization, New York, 1933; una sec. ed. è The social problems of an industrial civiliza- tion, Boston, 1946. Una buona esposizione è in J. Madge, Lo sviluppo dei metodi di ricerca empirica in sociologia, [1962], trad. it., Bologna,19692, pp. 221-83; a p. 279 è una bibliografia de lla critica alla scuola di Elton Mayo. Sugli stessi temi, ritornano gli scritti di A. Zaleznik, C. P. Christensen, F. J. Roethisberger, Motivazioni, produttività e soddi- sfazione nel lavoro, [ 1958], trad. it., Bologna, 1964. Per un rifiuto glo- bale delle human relations, e delle « comunità » di fabbrica come « trap- pola ormai logora », cfr. A. Illuminati, Lavoro e rivoluzione, Milano,1974; in particolare, dove l'autore vede E. Mayo inglobato nel taylorismo (p. 29).56 Cfr. 11 piccolo gruppo di lavoro ecc., cit., p. 552. S7 l bick,,,, p. 550.L'istanza manageriale153 Dalla rivoluzione alla collaborazione inventivaBalbo, può avvenire attraverso il piccolo gruppo di lavoro, diventato generatore delle norme etiche e tecniche della grande organizzazione, che può soltanto applicarle ".È un po' la critica allo Stato etico, ribaltata a livello di impresa industriale: a Balbo interessa tanto la umanità del lavoro, quanto la produttività dello stesso 59, privile- giando il primo momento rispetto al secondo che, invece, poteva essere pii presente nell'esperimento di Hawthorne.Quella balbiana è una ricerca di soluzione all'interno delle strutture malate: si tratta non di modificare il si- stema, ma di giungere a forme pii umane di lavoro e quindi a una maggiore produttività. V. sembra essersi rassegnato al sistema capitalistico, non prospetta alter- native strutturali, ma solo terapie per l'individuo e vede nel piccolo gruppo la nuova cellula in cui ogni realtà, ogni fatto della vita del gruppo, ogni elemento del suo lavoro può essere a portata diretta dei sensi, dell'intelligenza e del fare di ogni singolo componente E 0.In questo quadro si colloca il riemergere, nel pen- siero di Balbo, delle istanze antropologiche, il riesame delle possibilità storiche dell'uomo e una definizione ot- timistica della vita terrena 61. Se si è parlato di pessimismo cristiano è stato per l'esperienza dello scarto tra la con- dizione umana di peccato .e il presentimento del possibile essere, mentre il pessimismo pagano è irreversibile in quanto parte dallo stato di decadenza e dalle perdite de- finitive dell'età dell'oro 62. II discorso di Balbo sembra rie- cheggiare il clima de « Il Politecnico », quando nota una« reciproca universale necessità di ogni uomo per ogni uomo, in quanto in ogni uomo si sostanzia l'essere urna-58 Cfr. Ibidem, p. 559.59 Cfr. Ibidem, p. 557.60 Cfr. Ibidem, p. 552.6t Balbo afferma che la vita terrena è incoativa, quella ultraterrenaé perfettiva; ma aggiunge che questo non comporta una concezione « at- tesista » e una svalutazione della vita terrena (cfr. Il futuro e l'« al di là » - Note di ricerca metafisica sull'uomo, in « Archivio di Filosofia », Metafisica ed esperienza religiosa, 1956, pp. 235-55; poi in Idee per una filosofia dello sviluppo umano, I1 motivo dell'io umano « onni-esistenziale » è unodei pii complessi all'interno del pensiero di V., inquanto ha matrici non bene definite o, al limite, può es-sere il minimo comune denominatore di fonti diverse,talvolta opposte. « Analizzando la mia esistenza intendodunque analizzare l'essere umano che è in me come inogni altro che ha la mia stessa natura » 64: dalle letterepaoline, a Croce e Gentile, si trova tutto in questa defi-nizione, ma l'ancoraggio è costituito da una solida filosofia65.ritrovata mediante la ricerca e la dimostrazione razionale, mentre la nozione religiosa è dogmatica 6. Alla fine non possono, però, divergere e V. definisce l'uomo come o il poter essere sussistente » dal punto di vista dinami- co, dell'azione pratica, della produttività 67. Una ripresa, ancora una volta puramente lessicale, di termini marce- liani troviamo quando il pensatore torinese enuclea le categorie antropologiche e dice che l'uomo ha bisogno di essere, di avere e di dare; ma la categoria dell'avere è quella maggiormente rilevante, per una continuità ed in- tegrazione anche a livello ontico 63. Direttamente legato I1 riferimento a lla rivista è, in questo caso, molto mediato. Infatti su « Il Politecnico » (n. 1 del 29 settembre 1945, p. 3) appare il brano di J. Donne, premesso ai romanzo di E. Hemingway, Per chi suona la campana, [ 1940], trad. it., Milano, 1945 (l'ultima è del 1977). Sulla rivista di Vittorini è pubblicata la trad. a puntate, a cura di L. Foà e B. Zevi, con il titolo Per chi suonano le campane. Il brano di J. Donne è questo: « Nessun uomo è un'Isola in sé compiuta; ogni uomo è un frammento del Continente, una parte del tutto; se il Mare inghiotte una zolla di terra, l'Europa ne è diminuita, come se quella zolla fosse un Promontorio, o la Casa dei tuoi amici o la tua propria; la morte di ogni uomo diminuisce me, perché io sono parte dell'Umanità. E cosí non mandar mai a chiedere per chi suonano le campane: suo- nano per te » (trad. de « Il Politecnico »).64 Idee per una filosofia dello sviluppo umano, cit., p. 400.65 F. Ferrarotti scrive: « V. passa dall'io trascendentale de lla filo- sofia moderna all'io umano onni-esistenziale de lla filosofia dell'essere che in assoluta libertà di spirito, al di là degli schemi consueti del tomismo e della neo-scolastica, si apprestava ad elaborare: una filosofia come attività » (Op. cit., p. 16).Cfr. Il futuro e l'« al di la», cit., p. 446.67 L'uomo « ha bisogno di avere per affermare ed espandere l'esseredell'essereL'antropologia di Balbo, a questo punto, è critica eL'istanza manageriale155 Dalla rivoluzione alla collaborazione inventivaa questa categoria antropologica è il lavoro, fatto metafi- sicamente costitutivo dell'uomo, tanto nella fase terrena « incoativa » quanto nella fase ultraterrena « perfettiva »; ma del « lavoro » necessario pure nella vita ultraterrena non possiamo dire niente se non per rivelazione divina 69. Attraverso il lavoro si attua quella integrazione con gli altri che è sintesi nuova e non somma di elementi; perciò Balbo dice che questa sintesi nuova è un dato reale cherende essenziale l'integrazione nella ricerca dell'umanità 70. È facile riscontrare in queste affermazioni, accanto alla teorizzazione dei molteplici gruppi costituiti nelle varie esperienze culturali di Balbo, la sua nuova ipotesi di una filosofia costruibile in gruppo; cosí come, dal punto di vi- sta manageriale, si può vedere una riproposta del piccologruppo come cellula nuova dell'organismo industriale da ristrutturare.Alla base di questa speculazione è oramai chiara- mente individuabile l'impronta di una ontologia « leggi- bile » in termini aristotelico-tornisti, ma Balbo ricorda che i termini non glieli suggerisce la tradizione filosofica bensí « la fortissima vergine evidenza della verità » cui cerca di corrispondere Aveva detto la stessa cosa san Tom- maso a proposito de lle sue fonti Nell'ammettere un im- porsi della verità attraverso la evidenza dei principi è ilche è secondo le potenze ad esso proprie. Ha bisogno di avere per con- tinuare ad essere ciò che è e non morire. Ha anche bisogno di avere per essere ciò che non è ancora, ma che può essere La ripresa filosofica di F. Balbo è citata in questo senso anche da C. Napoleoni (cfr. L'enigma del valore, in « Rinascita », Tommaso aveva pii volte ripetuto che l'argomento dell'auto- rità è il pii debole (Summa Theol., I, I, a.8; In VIII Phys., 1.III); che la sapienza non procede « propter auctoritatem dicentium », bensí « propter rationem dictorum » (Sup. I3oët. de Trinit., p. II, a.3). Infine aveva scritto: « Studium philosophiae non est ad hoc quod sciatur quid hornines senserint, sect qualiter se habeat veritas rerum » (In I De Coelo, 1.22), Erroneamente il Sertillanges (La filosofia di s. Tommaso d'Aquino,[1910, n.e. 1940] trad. it., Roma, 1957, p. 22) traduce il qualiter ... con « di sapere quello che han detto di vero », inquinando le intenzio- ni e il testo tomistici che eliminano la mediazione dei filosofi e dicono che occorre conoscere in che modo si abbia la veritil.156 tomismo di Balbo, o, come preferisce dire il filosofo del Novecento, il punto dove anche san Tommaso ha toccato la verità. Quindi tale tomismo consiste, ora, nel tema della evidenza dei principi primi pratici, « incorruttibile garanzia morale » del potere dell'uomo sul futuro. Anzi Balbo rilegge la sua prima produzione proprio sotto il tema della sinderesi 73.Lo sguardo appuntato sulla funzione dell'uomo di cul- tura ci mostra ancora un Balbo in parte legato all'im- magine dell'intellettuale che esce da lla Resistenza. Parla, infatti, di un intellettuale che « non deve appartenere a coloro che decidono, o che muovono le masse, ma a coloro che propongono, che sollecitano, che ideano e aprono nuove vie, che portano a verità l'opinione confusa e con- traddittoria, che scoprono ed enunciano nuovi bisogni, nuovi doveri, che determinano, in una parola, il primo atto in ogni processo di umanizzazione degli uomini » 74.L'autonomia, o « distinzione » dell'intellettuale nei confronti del politico, comporta un eroismo di preveg- genza 7S, una priorità di mansioni (che nello sviluppo della speculazione balbiana si riaccostano sempre piú a tema- tiche crociane a livello di « autocoscienza ») 76, e rischia di isolarlo in una casta, quando Balbo parla della neces- sità della vocazione, aggiungendo, però, che con questo7a Cfr. Il futuro e l'« al di là », cit., p. 470. Nella nota Balbo af- ferma che L'uomo senza miti, «malgrado le insufficienze e le oscillazioni, verte, in fondo, tutto sulla tematica della sinderesi ». Come ho già chia- rito prima, non è corretto parlare, a proposito del primo libro di Balbo, di tomismo, inteso come ripresa diretta di teorie torniste, quanto piut- tosto di una confluenza teorica tra la visione balbiana di un ripristino della evidenza e quella tomistica della sinderesi, cui solo dopo Balbo si avvicinerà chiaramente.74 La funzione dell'intellettuale L'intellettuale, per Balbo, non deve avere il coraggio fisico delle armi, ma l'eroismo dei momenti non eroici: « La vedetta ha il suo mo- mento eroico nel resistere al sonno delI'alba, quando gli altri dormono, e non nel darsi da fare con gli altri quando la nave è finita tra gli scogli » (Ibidem, p. 568).76 a Intellettuale [non è uno status sociologico], mi pare, è chi espri- me con la parola, o manifesta con l'esempio dei valori universali nel tno- mento storico, e cioè chi produce l'autocoscienza storica del suo tempo » (Ibidem, p. 565).L'istanza managcriale Dalla rivoluzione alla collaborazione inventivatermine non vuole indicare altro che una particolare capa- cità alla funzione, al compito intellettuale n. E che l'in- tellettuale abbia un primato nei confronti del politico è, per Balbo, evidenziato dal fatto che non è mai una strut- tura organizzativa a dare la giustizia sociale, ma l'ethos trasformato e sviluppato n.Il nodo che gli intellettuali italiani, ed europei in ge- nerale, si trovano a dover affrontare e risolvere alla metà degli anni Cinquanta, dopo la destalinizzazione in Russia, è quello di un possibile dilemma tra le istanze dell'indi- vidualismo liberale e que lle di un collettivismo che ha an- nullato tutta la sua potenzialità positiva nelle forme radi- cali del regime sovietico. Balbo afferma che il dilemma tra individualismo e collettivismo non si risolve scegliendo uno dei termini, ma superando la contraddizione « in una nuova realtà che include ciò che tutti i contrari includono e ciò che la loro contrarietà esclude »". Questo tema del superamento e del rifiuto di una logica dicotomica, inteso come somma dei valori positivi inclusi nelle tesi, ridimen- siona il tema marxiano della lotta di classe che, se è vista come principio, può dare origine a una evasione perma- nente, o a una centralizzazione di tutto il potere in una classe, o in un gruppo, o in un individuo B0. Il rifiuto della lotta rivela nelle tesi del Balbo una sfiducia progressiva verso la dialettica politico-economica, ridefinisce la lotta come mezzo e non come principio perché in tal caso non dà origine « ad altra realtà che la lotta stessa » 81. Questa Cfr. Note filosofiche sul problema della giustizia sociale, conf. te- nuta a lla Fac. di Magistero di Roma, in u Atti della Società filosofica romana », 1957; poi in Tesi filosofiche per lo sviluppo sociale, dispense redatte da F. Balbo sul corso tenuto da lui alla Fac. di Magistero di Roma, nell'a.a. 1959-60; ora in Opere, pp. 577-627 (pub- blicazione parziale); il concetto ricordato nel testo è alle pp. 596-97.79 Il futuro e l'« al di là », cit., p. 469.sa Cfr. Note filosofiche sul problema della giustizia sociale Ibidem. La teoria statuale di Balbo fu ripresa in un convegno or- ganizzato a Lucca dalla Democrazia Cristiana, nel 1967. In quella sede, G. De Rosa ricordò Balbo, come un « profondo filosofo cristiano della nostra età » (cfr. Orfci, L'occupazione del potere, Milano, e G. Galli, Storia della Democrazia Cristiana, Bari polemica « strisciante » con le teorizzazioni marxiste del- la società borghese, come società essenzialmente conflittua- le, è interna a tutta la revisione che Balbo ha operato della sua lettura del marxismo; revisione il cui punto centrale è costituito dallo spostamento di giudizio sulla ateologicit à che diventa « ateismo » e « antireligione mar- xista » s`. Il pensatore torinese non rinunzia, però, ancora a rintracciare, oltre l'ateismo dichiarato, « un'orma di Dio » nel desiderio di giustizia presente nel marxismo s3Da una angolazione piú chiaramente po litica, l'ideo- logo della Sinistra Cristiana, che aveva fondato la scelta di classe anche per i cattolici, ora propone la collabora- zione di classe come risultato di una certa lotta « che miri appunto all'equilibrio per integrazione di soggetti auten- tici di interessi e di poteri: si può considerare cioè che esista una lotta di classe che non cerca di sopprimere uno dei termini della lotta, che cerca anzi l'equilibrio effettivo dei termini e che quindi coincide con la collaborazione di classe » s4. L'interclassismo era stato uno dei motivi teo- rici per cui non si era realizzata la fusione tra la « Sini- stra giovanile cattolica » e il partito degasperiano nel '43Galli critica come « ovvietà tardoilluministiche » il concetto balbiano di Stato rappresentativo, gestito dai piú forti o dall'equilibrio dei gruppi phi forti: è questa, chiaramente, una banalizzazione del pensiero di Balbo sul superamento della lotta di classe). La stampa vedrà proprio nella riscoperta di Balbo l'aspetto phi interessante di quel convegno (cfr. M. Scarano, Affrontare la sfida degli anni '70, in « Il giorno », 30- IV- 67).82 Cfr. Il futuro e l'« al di la », cit., p. 458n.83 « Chiamo il ` desiderio di giustizia ' presupposto reale e non prin- cipale del marxismo, perché, mentre il marxismo non lo riconosce come elemento del proprio sistema teorico e pratico [...], esso è d'altra parte la forza senza la quale il marxismo stesso non avrebbe corso storico. Il marxismo a mio avviso ricava la sua forza storica piú profonda dal fatto di apparire come il realizzatore della desiderata giustizia, vera ed effet- tiva, e come il giustiziere della morale e del diritto ` astratti ' » (Ibidem).84 Note filosofiche sul problema della giustizia sociale Cfr. C. F. Casula, Il Movimento dei cattolici comunisti e la Resi- stenza a- Roma, in « I1 Movimento di liberazione in Italia », ottobre- dicembre 1973, pp. 48 e segg.; poi in C. F. Casula, Cattolici- comunisti ecc., cit., pp. 63-64. Per il programma interclassista della DC i documen- ti fondamentali sono Il programma di Milano e le Idee ricostruttive della Democrazia Cristiana, che possono essere letti nella stesura origi- naria in E. Aga Rossi, Dal Partito Popolare alla Democrazia Cristiana,L'istanza manageriale159 Dalla rivoluzione alla collaborazione inventivaemerge ora una proposta interclassista avanzata da un Balbo che ha abbandonato i programmi massimalistici per un riformismo non ipocrita, ma comunque ambiguo ed eterogeneo al quadro della sua speculazione anteriore 86.Infatti ora il filosofo teorizza la tesi per cui è necessa- rio che « gli interessi e le classi sussistano e non si sop- primano con violenza diretta o indiretta » 87. Né riteniamo di poter accostare questo interclassismo ai temi di Gobetti nei quali il termine di « classe » era pura astrazione: quindi ci poteva essere annullamento delle classi, ma non loro collaborazione S8. Invece, per Balbo si deve instaurare un equilibrio dinamico fra le classi, « ossia un equilibrio che si fondi su di un'autonoma, effettiva e adeguata (so-stanzialmente e non solo quantitativamente) partecipazio- ne al potere in tutte le sue forme da parte di ogni classe, di ogni interesse, singolo e collettivo. Il che sarebbe ap- punto la giustizia sociale » 89. Questo interclassismo ha motivazioni antropologiche ed etiche che per certi versi richiamano temi dell'anarco-marxismo di Sartre, ma solo perché convergono nell'identificare la libertà nella libera- zione, e la integrazione creativa nel movimento 90.Bologna, Scoppola parla, pure, delle difficoltà in- terne alla DC, che non riusciva ad esprimere compiutamente la propo- sta interclassista « di cui la società italiana aveva bisogno » (cfr. P. Scoppola, La proposta politica di De Gasperi, Bologna; da p. 124 esamina acutamente e attraverso documenti spesso inediti l'atteg- giamento di De Gasperi nei confronti della Sinistra Cristiana e il suo incunearsi tra essa e la Santa Sede).36 « Una collaborazione di classe che non riconosca i termini dei contrasti fondamentali e particolari di classe (nel senso assunto da que- sto termine dopo Marx), che non riconosca la esistenza, la natura e le ragioni dei contrastanti interessi sociali e delle lotte aperte o nascoste che conseguono a tali contrasti, non è una collaborazione di classe, ma la maschera ipocrita del dispotico dominio (o tentativo di dominio) di una classe sull'altra, di un interesse sull'altro » (Note filosofiche sul problema della giustizia sociale). Ha scritto Gobetti: « Nella concreta realtà dell'atto spirituale glischemi perdono la validità loro: le classi diventano meri fantasmi » (Definizioni: la Borghesia, in « La Rivoluzione Liberale », I, n. 4, 5 marzo 1922, ora in Scritti politici, Note filosofiche sul problema della giustizia sociale. Gli uomini non sono liberi cd eguali in senso rigoroso se non nella loro integrazione creativa per lo sviluppo umano, per la giustizia160 prospettiva riformistica, in chiave interclassista, non può che realizzarsi tornando agli incroci tra privato e pubblico, tra momento di analisi e momento di sintesi deliberativa.Cosi Balbo, che ha cercato di correggere la struttura industriale intervenendo sui piccoli gruppi di lavoro, ri- tiene che il problema centrale della democrazia sia nelle « erme ï collettive », dove di tatto è il potere e il con- trollo delle masse; quelle entità erano diventate, dopo oltre un decennio dalla Resistenza, delle « macchine » V', senza spazi reali per le decisioni di base. Il filosofo scrive che solo con un'azione individuale e collettiva, teorica e pratica, centrale (non centralistica) e periferica di inven- zione si può realizzare un equilibrio dinamico di interessi e si può realizzare l giustizia sociale, cioè un crescente influsso di collettività di persone « sulla proprietà, sull'uso, sulla destinazione dei mezzi di produzione » y=.L'ipotesi balbiana è quella di intervenire sugli orga- nismi intermedi come strutture portanti di un regime de- mocratico; il discorso dei rapporti economici diventa, quin- di, un tema consequenziale e derivato. t un ridare il pri- mato alla politica, ma, come tiene a specificare il pensa- tore, non il primato al pensiero politico. I.l pensiero è solo « la premessa statica » dei partiti, una premessa ge- nerica e spesso mistificatrice « presa in prestito e non creata dalla loro attività », strumento di persuasione o « momento subordinato dell'organizzazione » ". Ciò chesociale » (Ibidem, p. 597). Sartre dirà che il superamento della dialettica tra soggetto e oggetto è il gruppo, .< per la sua impresa e per quel suo movimento costante d'integrazione che tende a farne una praxis pura e a sopprimere in esso tutte le forme d'inerzia » (Critica; della ragione lettica - I - Teoria degli insiemi pratici, [1960], trad. it., Milano, Cfr. Note filosofiche sui problema della giustizia sociale, R. De Vita cita e illustra la teoria balbiana del « piccolo grup- po », nel suo scritto Piccoli gruppi e società in trasformazione, Milano, 1978, pp. 112- 13.92 Note filosofiche sul problema della giustizia sociale, La sfida storica del comunismo al Cristianesimo e le sue couse- gueuze filosofico - sociali, in a Il M ulino », a.V II, n. 3, 1958; unito a Ancora su Cristianesimo, comunismo e azione politica, ivi, a.VII, n. 12,L'istanza manageriale161Dalla rivoluzione alla collaborazione inventivacostituisce realmente i partiti (clic Balbo ritiene le arterie della democrazia) è l'essere strumenti di organizzazione della volontà e degli interessi politici 94.L-`rilevante sottolineare che questo tema del partito politico come struttura portante è una ulteriore caratte- rizzazione ciel pensiero filosofico di Balbo che lo pone a metà strada tra la concezione del materialismo storico e quelle, estranee ma parallele, dello storicismo crociano e della storia cone storia filosofica di Del Noce 95C'è quindi, nell'autore di L'uomo senza miti, questa esigenza esasperata di sceverare nelle sue esperienze teo- riche una linea di unificazione, anche se la sua « filosofia della storia » propende verso una accentuazione dei mo- tivi di « materialità » (o nel senso delle istituzioni, o nel senso del bisogno economico), rispetto alle urgenze puramente ideali.L'operare dall'interno del sistema, pid che rassegnazione alla sconfitta, è caparbietà pragmatica e machiavelli- ca nel voler trasformare le cose e frenare la « catastrofe ». Non sempre la proposta speculativa di Balbo è, però, ade- guata alle sue istanze.1958, è ora in Opere, con il titolo Comunismo e Cristianesimo; il brano cit. 6 a p, 339.w Cfr. ibidem.as Riguardo a questo dissenso, Del Noce afferma che fu tra le cause clic gli vietarono di aderire alle trii di Balbo, nel periodo della Sinistra Cristiana. Da ciò il sorgere tra lui e Balbo a di una discussione, che per l'uno e per l'altro era piuttosto un monologo che un dialoga; non certosensodl una sordia, ma anzi in quello di una fusione masatma,nel ,per cui ognuno combatteva nell'altro una posizione che ritenevadl aver Avissuto '(e non soltanto obiettivam ente pensato) e oltrepas - atrt^ r (Ge netlesignificatoecc).162 Felice Balbo Venadio, conte di Venadio. Felice Balbo Vinadio. Keywords. Refs.: H. P. Grice Papers, Bancroft MS – Luigi Speranza, “Grice e Vinadio: being, value – and colloquenza!” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.

Grice e Vio: la ragione conversazionale e le categorie del lizio – un senso, un’analogia -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Gaeta). Filosofo italiano. Essential Italian philosopher. Grice: “While the typical Englishman is more interested in the fact that Vio never thought that Henry VIII did divorce Aragon, I prefer his commentary on the ‘prae-dicamentum’ of Aristotle, via ‘Porfirio’!” -- Grice was irritated that when ‘Vio’ became a saint, the Italians list him under ‘c’. O. P. cardinale di Santa Romana Chiesa. V. riceve Lutero, Template-Cardinal. Incarichi ricoperti. Maestro generale dell'ordine dei predicatori, cardinale presbitero di San Sisto, arcivescovo metropolita di Palermo, arcivescovo-vescovo di Gaeta, cardinale presbitero di Santa Prassede. Ordinato presbitero, nominato arcivescovo da Leone X, consacrato arci-vescovo da Fieschi, creato cardinale da Leone X. Religioso domenicano, generale dell'ordine: filosofo, teologo e diplomatico pontificio. Incontro tra V. e Lutero in una stampa d'epoca. Entra tra i frati domenicani del monastero di Gaeta, e prosegue i suoi studi in filosofia a Napoli, Bologna e Padova. Insegna filosofia a Pavia e Roma. Acquisce una considerevole fama in seguito ad un pubblico dibattito con PICO a Ferrara. Generale dell'ordine e consigliere dei papi, dimostra grande zelo nel difendere il diritto del papa contro il concilio di Pisa, polemizzando contro Almain in una serie di articoli messe al bando dalla Sorbona e bruciati per ordine di Luigi XII. Leone X crea V. cardinale, e fatto arci-vescovo di Palermo. Arci-vescovo di Gaeta, inviato in Germania come legato apostolico per partecipare alla dieta di Augusta, si adopera con profitto per l'elezione di Carlo V d'Asburgo ad imperatore del sacro romano impero -- prevalendo sull'altro concorrente Francesco I -- e lì cerca di arginare la nascente riforma protestante di Lutero. Fa rientro in Roma senza essere riuscito a convincere Lutero ad abbandonare i suoi propositi di riforma. Aiuta il papa nell'estensione della bolla “Exsurge domine” rivolta a contrastare il dilagare della riforma di Lutero. Oganizza la resistenza contro i turchi. Venne fatto prigioniero durante il sacco di Roma dai Lanzichenecchi, inviati da Carlo V per punire Clemente VII per il tradimento della parola datagli. Pronuncia la sentenza definitiva di validità del matrimonio di Enrico VIII e Caterina d'Aragona, rifiutando il divorzio al sovrano inglese. Accanto alla produzione filosofica e di teologia filosofica, secondo la linee della scuola d’AQUINO, V. si distinque come esegeta. Ignora attamente l’ebraico, ma consulta esperti rabbinici e grazie alla sua familiarità con il testo greco, ubblica un commentario dei libri sacri di giuidei e galilei. L’enfasi alla Grice di V. sulla ricerca del SIGNIFICATO letterario o LITERALE dell’Eneide o altri testi pone V. alle origini della tradizione esegetica del cattolicismo contro le sette delle differenti nazioni.  Saggi: “Summula Caietani”; “Opuscula omnia” (Giunta); “Commentaria super tractatum de ente et essentia [di Aquino]”; “De nominum analogia”; “Commentaria in III libros Aristotelis de anima”; “Auctoritas pape et concilii sive ecclesie comparata” (Silber); “Oratio in secunda sessione concilii lateranensis” (Berlin); “Apologia de comparata auctoritate pape et ecclesie”; “De divina institutione pontificatus romani pontificis”; “Jentacula Nuovo Testamento, expositio LITERALIS sexaginta quatuor notabilium sententiarum Novi Testamenti” (Roma). Francesco senese De Franceschi; “In Porphyrii Isagogen ad Praedicamenta Aristotelis”; “Opera omnia”; “Scripta philosophica”; “De conceptu entis”; “De comparatione auctoritatis papae”; “Apologia”. Allaria, V.: cardinale -- Roma; Treccani, Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Dizionario biografico degl’italiani, Conferenza Episcopale Italiana. ALCUIN, Università di Ratisbona. V. philosophised extensively on free will, and had a colourful dispute with, of all people, Luther, well represented in a painting that Grice adored. Shropshire borrowed his proof for the immortality of the soul from V. Prelate and theologian. Born in Gaeta from which he take his name, he enters the Dominican order and studies philosophy at Naples, Bologna, and Padua. He becomes a cardinal, and travels to Germany, where he engages in a theological controversy with Luther. His major work is a Commentary Aquino’s Summa Theologiae, which promotes a renewal of interest in scholastic and ‘Thomistic’ philosophy. In agreement with Aquino, V. places the source of knowledge in sense perception. In contrast with Aquino, V. *denies* that the immortality of the soul and the existence of the divine as our creator may be proved. V.’s work in logic is based on the traditional syllogistic logic that he called ‘dal Lizio,’ but is original in its discussion of the notion of “analogy”. V. distinguishes *three* types of analogy: analogy of inequality, analogy of attribution, and analogy of proportion. Whereas he rejects “analogy of inequality” and “analogy of attribution” as improper, fallacious, and invalid, V. regards the analogy of proportion as valid and basic and appeals  to it in explaining how humans may come to know propositions about the divine  and how analogical reasoning, applied to both the divine, and the divine’s creatures, may avoid being aequi-vocal. DE NOMINUM ANALOGIA. QUOTUPLEX SIT ANALOGIA, CUM DECLARATIONE PRIMI MODI  Invitatus et ab ipsius rei obscuritate, et a nostri aeui flebili profundarum litterarum penuria, de nominuin analogia in his uacationibus tractatum edere intendo. Est siquidem eius notitia necessaria adeo, ut sine illa non possit metaphysicam quispiam discere, et multi in aliis scientiis ex eius ignorantia errores procedant. Quod si ullo usquam tempore accidit, hac aetate id euenire clara luce uidemus, dum analogiam, uel indisiunctionis, uel ordinis, uel conceptus praecisi unitate, cum inaequalis participatione constituunt. Ex dicendis namque patebit, opiniones huiusmodi a ueritate, quae ultro se offerebat, per abrupta deuiasse.  2. Analogiae igitur uocabulum proportionem siue proportionalitatem (ut a Graecis accepimus) in proposito sonat. Adeo tamen extensum distinctumque est, ut multa nomina analoga abusiue dicamus; et multarum distinctionum adunatio si fieret, confusionem pareret. Ne tamen rectum obliqui iudicio priuetur, et singularitas in loquendo accusetur, unica distinctione trimembri omnia comprehendemus, et a minus proprie analogis ad uere analoga procedemus.  3. Ad tres ergo modos analogiae omnia analoga reducuntur: scilicet ad analogiam inaequalitatis, et analogiam attributionis, et analogiam proportionalitatis. Quamuis secundum ueram uocabuli proprietatem et usum Aristotelis, ultimus modus tantum analogiam constituat, primus autem alienus ab analogia omnino sit.  4. Analoga secundum inaequalitatem uocantur, quorum nomen est commune, et ratio secundum illud nomen est omnino eadem, inaequaliter tamen participata. Et loquimur de inaequalitate perfectionis: ut corpus nomen commune est corporibus inferioribus et superioribus, et ratio omnium corporum (in quantum corpora sunt) eadem est. Quaerenti enim quid est ignis in quantum corpus, dicetur: substantia trinae dimensioni subiecta. Et similiter quaerenti: quid est caelum in quantum corpus, etc. Non tamen secundum aequalem perfectionem ratio corporeitatis est in inferioribus et superioribus corporibus.  5. Huiusmodi autem analoga Logicus uniuoca appellat, Philosophus uero aequiuoca, eo quod ille intentiones considerat nominum, iste autem naturas. Unde et in X Metaph., text. ultim. Aristoteles dicit quod corruptibili et incorruptibili nihil est commune uniuocum, despiciens unitatem rationis seu conceptus tantum. Et in VII Physic., text. 13 dicitur iuxta genus latere aequiuocationes; quia huiusmodi analogia cum unitate conceptus non dicit unam naturam simpliciter, sed multas compatitur sub se naturas, ordinem inter se habentes, ut patet inter species cuiuslibet generis, specialissimas et subalternas magis. Omne enim genus analogum hoc modo appellari potest, (licet non multum consueuerint nisi generalissima et his propinqua sic uocari), ut patet de quantitate et qualitate in praedicamentis, et corpore, etc.  6. Hanc analogiam S. Thomas, in I Sent., dist. 19 uocat analogiam secundum esse tantum, eo quod analogata parificantur in ratione significata per illud nomen commune, sed non parificantur in esse illius rationis. Perfectius enim esse habet in uno, quam in alio, cuiuscumque generis ratio, ut in Metaphysica pluries patet. Non solum enim planta est nobilior minera; sed corporeitas in planta est nobilior corporeitate in minera: et sic de aliis.  7. Perhibet quoque huic analogiae testimonium Auerroes in XII Metaph., text. 2 dicens, cum unitate generis stare prioritatem et posterioritatem eorum, quae sub genere sunt. Haec pro tanto analoga uocantur, quia considerata inaequali perfectione inferiorum, per prius et posterius ordine perfectionis de illis dicitur illud nomen commune. Et iam in usum uenit, ut quasi synonime dicamus aliquid dici analogice et dici per prius et posterius. Abusio tamen uocabulorum haec est; quoniam dici per prius et posterius, superius est ad dici analogice. In huius modi autem analogis, quomodo inueniantur unitas, abstractio, praedicatio, comparatio, demonstratio et alia huiusmodi, non oportet determinare; quoniam uniuoca sunt secundum ueritatem, et uniuocorum canones in eis seruandi sunt.  ANALOGIA ATTRIBUTIONIS QUID SIT, ET QUOT MODIS FIAT, ET QUAE EIUS CONDITIONES. Analoga autem secundum attributionem sunt, quorum nomen commune est, ratio autem secundum illud nomen est eadem secundum terminum, et diuersa secundum habitudines ad illum: ut sanum commune nomen est medicinae, urinae et animali; et ratio omnium in quantum sana sunt, ad unum terminum (sanitatem scilicet), diuersas dicit habitudines. Si quis enim assignet quid est animal in quantum sanum, subiectum dicet sanitatis; urinam uero in quantum sanam, signum sanitatis; medicinam autem in quantum sanam, causam sanitatis proferet. Ubi clare patet, rationem sani esse nec omnino eamdem, nec omnino diuersam; sed eamdem secundum quid, et diuersam secundum quid. Est enim diuersitas habitudinum, et identitas termini illarum habitudinum.  9. Quadrupliciter autem fieri potest huiusmodi analogia, secundum quatuor genera causarum (uocando pro nunc causam exemplarem causam formalem). Contingit siquidem multa ad unum finem, et ad unum efficiens, et ad unum exemplar, et ad unum subiectum, secundum aliquam unam denominationem et attributionem diuersimode habere: ut patet ex exemplis Aristotelis, IV Metaph., text. 2. Ad causam enim finalem pertinet exemplum de sano in III Metaph., text. 2, ad efficientem uero exemplum de medicinali ibidem positum; ad materialem autem analogia entis ibidem subiuncta; ad exemplarem demum analogia boni, posita in I Ethic., cap. 7.  10. Attribuuntur autem huic analogiae multae conditiones, ordinate se consequentes: scilicet quod analogia ista sit secundum denominationem extrinsecam tantum; ita quod primum analogatorum tantum est tale formaliter, caetera autem denominantur talia extrinsece. Sanum enim ipsum animal formaliter est; urina uero, medicina et alia huiusmodi, sana denominantur, non a sanitate eis inhaerente, sed extrinsece, ab illa animalis sanitate, significatiue uel causaliter, uel alio modo. Et similiter idem est de medicatiuo et de substantia, quae sunt formaliter in primo; in caeteris uero denominatiua significatione denominantur et extrinsece. Boni quoque ratio in bono per essentiam saluata, quo exemplariter caetera denominantur bona, in solo primo bono formaliter inuenitur; reliqua uero extrinseca denominatione, secundum illud bonum, bona dicuntur.  11. Sed diligenter aduertendum est, quod haec huiusmodi analogiae conditio, scilicet quod non sit secundum genus causae formalis inhaerentis, sed semper secundum aliquid extrinsecum, est formaliter intelligenda et non materialiter: idest non est intelligendum per hoc, quod omne nomen quod est analogum per attributionem, sit commune analogatis sic, quod primo tantum conueniat formaliter, caeteris autem extrinseca denominatione, ut de sano et medicinali accidit; ista enim uniuersalis est falsa, ut patet de ente et bono; nec potest haberi ex dictis, nisi materialiter intellectis. Sed est ex hoc intelligendum, quod omne nomen analogum per attributionem ut sic, uel in quantum sic analogum, commune est analogatis sic, quod primo conuenit formaliter, reliquis autem extrinseca denominatione. Hoc siquidem uerum est, ex formali intellectu praecedentium; ex eisque manifeste sequitur. Ens enim quamuis formaliter conueniat omnibus substantiis et accidentibus etc., in quantum tamen entia, omnia dicuntur ab ente subiectiue ut sic, sola substantia est ens formaliter; caetera autem entia dicuntur, quia entis passiones uel generationes etc. sunt; licet entia formaliter alia ratione dici possint. Et simile est de bono. Licet enim omnia entia bona sint, bonitatibus sibi formaliter inhaerentibus, in quantum tamen bona dicuntur, bonitate prima effectiue aut finaliter aut exemplariter, omnia alia nonnisi extrinseca denominatione bona dicuntur: illamet bonitate, qua Deus ipse bonus formaliter in se est.  Et ex hac conditione statim infertur alia: scilicet quod illud unum, ad quod diuersae habitudines terminantur in huiusmodi analogis, est unum non solum ratione, sed numero. Quod dupliciter intelligi potest, secundum quod analogata dupliciter sumi possunt: scilicet uniuersaliter et particulariter.  Si enim sumantur analogata particulariter, illud unum necessario est unum numero uere et positiue. Si autem sumantur uniuersaliter, illud unum necessario est unum numero negatiue, idest non numeratur in illis analogatis ut sic, quamuis in se sit uniuersale quoddam, et non unum numero. Verbi gratia, si sumantur haec urina sana, haec medicina sana, et hoc animal sanum: haec omnia dicuntur sana a sanitate quae est in hoc animali, quam constat unam numero uere esse. Sortes enim dicitur sanus, quia habet hanc sanitatem; medicina, quia illam facit; urina, quia eamdem significat, etc. Si uero sumantur animal sanum in communi, et urina sana in communi et medicina sana in communi: sic, formaliter loquendo, sanitas a qua huiusmodi sana dicuntur, non est una numero in se: eo quod causae uniuersales effectibus uniuersalibus comparandae sunt, ut II Phys., text. 39 dicitur. Et simile est de signis, et instrumentis, et conseruatiuis, et aliis huiusmodi; sed est una numero in istis analogatis negatiue. Non enim numeratur sanitas in animali, urina et diaeta; quoniam non est alia sanitas in urina, et alia in animali, et alia in diaeta.  13. Et sequitur conditio ista ex praecedenti: quoniam commune secundum denominationem extrinsecam non numerat id a quo denominatio sumitur in denominatis, sicut uniuocum multiplicatur in suis uniuocatis; et propter hoc dicitur unum ratione tantum, et non unum numero in suis uniuocatis. Alia est enim animalitas hominis, et alia equi, et alia bouis, animalis nomine adunatae in una ratione.  14. Ex hac autem conditione infertur alia, quod scilicet primum analogatum ponitur in definitione caeterorum, secundum illud nomen analogum; quoniam caetera non suscipiunt illud nomen, nisi per attributionem ad primum, in quo formaliter saluatur eius ratio. Cadit siquidem in ratione medicinae, et diaetae, et urinae etc., in quantum sanae sunt, animalis sanitas: sine qua intelligi caetera sana non possunt. Et simile est de aliis iudicium.  15. Ex hoc autem sequitur ulterius, quod nomen sic analogum, unum certum significatum commune omnibus partialibus eius modis, seu omnibus analogatis, non habet. Et consequenter, quod nec conceptum obiectiuum, nec conceptum formalem abstrahentem a conceptibus analogatorum habet; sed sola uox cum identitate termini diuersimode respecti communis est: ita quod cum in hac analogia sint tria: uox scilicet, terminus et respectus diuersi ad illum; nomen analogum terminum quidem distincte significat, ut sanum sanitatem; respectus autem diuersos ita indeterminate et confuse importat, ut primum distincte uel quasi distincte ostendat, caeteros autem confuse, et per reductionem ad primum. Sanum enim respectus multos ad sanitatem, puta habentis, significantis, causantis, etc., sic in una uoce sanitatem distincte importante confundit, ut respectum primum scilicet habentis seu subiecti, distincte significet (Sanum enim absolute dicimus sanitatem habentem, ut subiectum); caeteros autem respectus indeterminate importat et per attributionem ad primum, sicut patet ex dictis.  16. Et propter hoc tria de huiusmodi analogo dicuntur: scilicet quod commune est omnibus analogatis non secundum uocem tantum; - et quod simpliciter prolatum stat pro primo; - et quod non est prius primo analogato, in quo tota sua ratio formaliter saluatur. Primum quidem peculiarius significat, et super omnia analogata superius significatum non habet.  17. Diuiditur autem a sancto Thoma analogia haec in analogiam duorum ad tertium, ut urinae et medicinae ad animal sanum; et in analogiam unius ad alterum, ut urinae uel medicinae ad animal sanum  18. Nec habet ista diuisio alia membra a supradictis: quoniam haec circuit analogiam secundum omnia genera causarum. Sed ad hoc facta est, ut ostendatur differenter suscipi nomen analogum, quando ponitur primum analogatum ex una parte, et caetera ex altera parte; et quando secundorum analogatorum unum hinc et alterum inde ponitur, secundum quodcumque genus causae analogia fiat. Primo enim et caeteris sic commune est analogum, ut nihil eis prius ponat aut significet: et propterea uocatur analogia unius ad alterum, ponendo omnia alia a primo, loco unius. Secundis autem analogatis sic commune est nomen analogum, ut aliquid omnibus eis prius ponat: primum scilicet ad quod omnia secunda attribuuntur. Et uocatur analogia duorum ad tertium, uel multorum ad unum: quia non inter se est attributio, sed ad primum.  Appellantur autem haec analoga a Logico aequiuoca, ut in principio Praedicamentorum patet, ubi animal aequiuocum dicitur ad animal uerum et animal pictum. Animal enim pictum non pure aequiuoce, sed per attributionem ad animal uerum, animal dicitur; et in ratione eius in quantum animal manifeste patet animal uerum accipi. Quaerenti enim: quid est animal pictum in eo quod animal? respondebitur: imago animalis ueri.  20. A philosophis uero Graecis, nomina ex uno, uel ad unum, aut in uno, et media inter aequiuoca et uniuoca dicuntur, ut pluries in Metaphysica patet; et expresse in I Ethic. huiusmodi nomina contra analoga distinguuntur, ut infra amplius dicetur. A Latinis autem uocantur analoga uel aequiuoca a consilio.  21. Hanc analogiam S. Thomas in I Sent., dist. 19, q. 5 a. 2 ad 1 uocat analogiam secundum intentionem, et non secundum esse: eo quod, nomen analogum non sit hic commune secundum esse, idest formaliter; sed secundum intentionem, idest secundum denominationem. Ut enim ex dictis patet, in hac analogia nomen commune non saluatur formaliter nisi in primo; de caeteris autem extrinseca denominatione dicitur. Haec ideo apud Latinos analoga dicuntur: quia proportiones diuersas ad unum dicunt, extenso proportionis nomine ad omnem habitudinem. Abusiua tamen locutio haec est, quamuis longe minor quam prima.  22. Quomodo autem de huiusmodi analogis sit scientia, et contradictiones et demonstrationes, et consequentiae et alia huiusmodi de eis fiant, ex dictis, et consuetudine Aristotelis patet. Oportet enim significationes diuersas prius distinguere (propter quod ambigua apud Arabes haec dicuntur), et deinde a primo ad alia procedere, sicut a centro ad circumferentiam diuersis proceditur uiis. DE ANALOGIA PROPORTIONALITATIS: QUID SIT ET QUOTUPLEX SIT, ET QUOD SOLA PROPRIE ANALOGIA VOCETUR  23. Ex abusiue igitur analogis ad proprie analogiam ascendendo, dicimus: analoga secundum proportionalitatem dici, quorum nomen est commune, et ratio secundum illud nomen est proportionaliter eadem. Vel sic: Analoga secundum proportionalitatem dicuntur, quorum nomen commune est, et ratio secundum illud nomen est similis secundum proportionem: ut uidere corporali uisione, et uidere intellectualiter, communi nomine uocantur uidere; quia sicut intelligere, rem animae offert, ita uidere corpori animato. Quamuis autem proportio uocetur certa habitudo unius quantitatis ad aliam, secundum quod dicimus quatuor duplam proportionem habere ad duo; et proportionalitas dicatur similitudo duarum proportionum, secundum quod dicimus ita se habere octo ad quatuor quemadmodum sex ad tria: utrobique enim dupla proportio est, etc.; transtulerunt tamen Philosophi proportionis nomen ad omnem habitudinem conformitatis, commensurationis, capacitatis, etc. Et consequenter proportionalitatem extenderunt ad omnem similitudinem habitudinum. Et sic in proposito uocabulis istis utimur.  25. Fit autem duobus modis analogia haec: scilicet metaphorice et proprie. Metaphorice quidem, quando nomen illud commune absolute unam habet rationem formalem, quae in uno analogatorum saluatur, et per metaphoram de alio dicitur: ut ridere unam secundum se rationem habet, analogum tamen metaphorice est uero risui, et prato uirenti, aut fortunae successui; sic enim significamus haec se habere, quemadmodum homo ridens. Et huiusmodi analogia sacra Scriptura plena est, de Deo metaphorice notitiam tradens. Proprie uero fit, quando nomen illud commune in utroque analogatorum absque metaphoris dicitur: ut principium in corde respectu animalis, et in fundamento respectu domus saluatur. Quod, ut Auerroes in comm. septimo I Ethic. ait, proportionaliter de eis dicitur.  27. Praeponitur autem analogia haec caeteris antedictis dignitate et nomine. Dignitate quidem, quia haec fit secundum genus causae formalis inhaerentis: quoniam praedicat ea, quae singulis inhaerent. Altera uero secundum extrinsecam denominationem fit.  28. Nomine autem, quia analoga nomina apud Graecos (a quibus uocabulum habuimus) haec tantum dicuntur; ut ex Aristotele etiam colligitur, qui in Metaphysica nomina quae dicimus analoga per attributionem, ex uno, uel ad unum, uel in uno uocat: ut patet in principio IV et in VII, text. 15. In V autem Metaphysicae, cap. de uno, text. 12, definiens unum secundum analogiam, ut synonimis utitur unum analogia et unum proportione; et definit ea esse, « quaecumque se habent ut aliud ad aliud »: aperte insinuans illam esse proprie analogatorum definitionem, quam diximus. Quod tamen clarius habetur in Arabica translatione, ubi dicitur: « Illa quae sunt unum secundum aequalitatem, scilicet proportionalem, sunt quorum proportio est una, sicut proportio alicuius rei ad aliam rem ». Ubi Auerroes exponens ait: « Et illa dicuntur unum, quae sunt unum secundum proportionalitatem; sicut dicitur, quod proportio rectoris ad ciuitatem et gubernatoris ad nauem, est una ». In secundo quoque Posteriorum, cap. XIII huiusmodi nomina proportionalia, analoga uocat. Et quod plus est, in I Ethic., cap. 7 distinguit supradicta nomina ad unum aut ex uno, contra analoga; dum, loquens de communitate boni ad ea quae bona dicuntur, ait: « Non assimilantur a casu aequiuocis; sed certe ei, quod est ab uno esse, uel ad unum omnia contendere, uel magis secundum analogiam ». Et subdens exemplum analogiae dicit: « Sicut enim in corpore uisus, in anima intellectus ». In quibus uerbis diligenti lectori, non solum nomen analogiae hoc, quod diximus, sonare docuit; sed praeferendam esse in praedicationibus metaphysicis hanc insinuauit analogiam (in ly magis), ut S. Thomas ibidem propter supradictam rationem optime exponit.  29. Scimus quidem secundum hanc analogiam rerum intrinsecas entitates, bonitates, ueritates etc., quod ex priori analogia non scitur. Unde sine huius analogiae notitia, processus metaphysicales absque arte dicuntur. Acciditque huiusmodi ignorantibus, quod antiquis nescientibus logicam, ut in II Elenchorum dicitur. Nec fuit forte ab Aristotelis tempore tam periculosus casus iste, sicut modo apud nos est; quoniam blasphemare fere uidetur, qui metaphysicales terminos analogos dicens, secundum proportionalitatem communes exponit. Cum tamen Auerroes dicat super praedicto textu: « Et dignius his tribus modis est, ut sit nomen boni dictum de eis secundum uiam, quae dicitur de proportionalibus ».  Vocatur quoque a Sancto Thoma in I Sent., dist. 19, ubi supra, analogia secundum esse et secundum intentionem; eo quod analogata ista, nec in ratione communis nominis, nec in esse illius rationis parificantur, et tamen tam in ratione illius nominis, quam in esse eiusdem, proportionaliter, conueniunt. Sed quoniam, ut dictum est, obscura et necessaria ualde res haec est, accurate distincteque dilucidanda est per plura capitula.  QUOMODO ANALOGUM AB ANALOGATIS DISTINGUATUR. Quoniam autem analogia media est inter aequiuocationem puram et uniuocationem, ex extremis natura medii declaranda est. Et quia in nominibus tria inueniuntur, scilicet uox, conceptus in anima, et res extra, seu conceptus obiectiuus: ideo singula perlustrando, dicendum est, quomodo analogum ab analogatis distinguatur  32. Et a rebus incipiendo, quia priores conceptibus et nominibus sunt, dicimus quod, nomine aequiuoco ita diuersae res significantur, quod ut sic non nisi uoce adunantur. Uniuoco uero diuersae res ita significantur, quod, ut sic, ad rem in se simpliciter unam abstractam et praecisam in esse cognito ab eis, adunantur. Analogo autem nomine res diuersae ita significantur, quod ut sic ad res diuersas secundum proportionem unam uniuntur. Vocatur autem in proposito res, non solum natura aliqua, sed quicumque gradus, quaecumque realitas, et quodcumque reale in rebus inuentum. Unde inter uniuocationem et analogiam haec est differentia: quod res fundantes uniuocationem sunt sic ad inuicem similes, quod fundamentum similitudinis in una est eiusdem rationis omnino cum fundamento similitudinis in alia: ita quod nihil claudit in se unius ratio, quod non claudat alterius ratio. Ac per hoc fundamentum uniuocae similitudinis, in utroque extremorum aeque abstrahit ab ipsis extremis. Res autem fundantes analogiam, sic sunt similes, quod fundamentum similitudinis in una, diuersae est rationis simpliciter a fundamento illius in alia: ita quod unius ratio non claudit id quod claudit ratio alterius. Ac per hoc fundamentum analogae similitudinis, in neutro extremorum oportet esse abstractum ab ipsis extremis; sed remanent fundamenta distincta, similia tamen secundum proportionem; propter quod eadem proportionaliter uel analogice dicuntur.  34. Et ut possint omnibus praedicta patere, declarantur exemplariter in uniuocatione huius nominis animal, et analogia huius nominis ens. Homo, bos, leo et caetera animalia, quia habent in se singulas naturas sensitiuas, seu proprias animalitates, quas constat diuersas secundum rem esse, et mutuo similes: sic quod in quocumque extremo, puta homine aut leone, consideretur secundum se animalitas, quae est similitudinis fundamentum, inuenitur aequaliter abstrahens ab eo in quo est, et nihil includens in uno quod non in alio. Ideo et in rerum natura fundant secundum suas animalitates similitudinem uniuocam, quae identitas generica uocatur; et in esse cognito adunantur non ad duas uel tres animalitates, sed unam tantum, quae animalis nomine in concreto per se primo significatur, et uniuoce uocatur communi nomine animal. Omnium siquidem eorum, secundum quod naturas sensitiuas habent, indistincta omnino est ratio ab omnibus abstracta, quae illius rei, quam animalitatem uocauimus, adaequata est definitio. Substantia autem quantitas, qualitas etc., quia non habent in suis quidditatibus aliquid praedicto modo abstrahibile, puta entitatem, (quoniam supra substantialitatem nihil amplius restat), ideo nullam substantialem uniuocationem inter se compatiuntur.  35. Et quia cum hoc, quod non solum eorum quidditates sunt diuersae, sed etiam primo diuersae; retinent similitudinem in hoc, quod unumquodque eorum secundum suam proportionem habet esse; ideo et in rerum natura non secundum aliquam eiusdem rationis in extremis sed secundum proprias quidditates, ut commensuratas his propriis esse fundant analogam idest proportionalem similitudinem. Et in intellectu adunantur ad tot res, quot sunt fundamenta, proportionis similitudine unitas, significatas (propter illam similitudinem) entis nomine, et analogice communi nomine uocantur ens. Differenter ergo res adunantur sub nomine Analogo et Uniuoco.  36. Conceptus quoque mentalis non eodem modo inuenitur in uniuocis et analogis: quoniam nomen uniuocum et omnia uniuocata ut sic, unum tantum conceptum in mente habent perfecte et adaequate eis correspondentem; quia fundamentum uniuocae similitudinis (quod significatum formale est nominis uniuoci), unius omnino rationis est in omnibus uniuocatis; ac per hoc in uno repraesentato, omnia repraesentari necesse est. In analogis uero, quoniam fundamenta analogae similitudinis diuersarum rationum sunt simpliciter, et eiusdem secundum quid, idest secundum proportionem: oportet duplicem analogi mentalem conceptum distinguere, perfectum et imperfectum; et dicere quod analogo et suis analogatis respondet unus conceptus mentalis imperfectus, et tot perfecti, quot sunt analogata. Quia enim unum analogatorum ut sic, simile est alteri: consequens est, quod conceptus repraesentans unum, repraesentet alterum, iuxta illam maximam: Quidquid assimilatur simili ut sic, assimilatur etiam illi, cui illud tale est simile.  Quia uero talis similitudo secundum proportionem tantum est, quae diuersam rationem in altero fundamento habet: conceptus perfecte repraesentans unum analogatorum, a perfecta repraesentatione alterius deficit; et per consequens oportet alterius analogati alterum adaequatum conceptum esse. Unde et analogum unum habere mentalem conceptum, et plures habere conceptus mentales: uerum est diuersimode; quamuis simpliciter loquendo, magis debeat dici, analogi esse plures conceptus; nisi loquendi occasio aliud exigat. Dico autem hoc: quoniam cum secundum dicentes, analoga omnino carere uno conceptu mentali, sermo est; unum eorum conceptum absolute dicere non est reprehendendum. Propter quod oportet solerti discretione lectorem uti quando inuenitur scriptum, quod analogata conueniunt in una ratione, et quando inuenitur dictum alibi, quod analogata non conueniunt in una ratione. Est ergo differentia inter analogiam et uniuocationem quoad conceptum mentalem, ita quod uniuoci et uniuocatorum ut sic, unus est conceptus perfecte et adaequate eis respondens, ut de conceptu animalis patet. Analogi uero et analogatorum ut sic, plures necessario sunt conceptus perfecte ea repraesentantes, et unus est conceptus imperfecte repraesentans. Non tamen ita quod sit unus conceptus adaequate respondens nomini analogo, et inadaequate analogatis: quoniam secundum ueritatem nomen illud uniuocum esset; sed ita quod conceptus unus repraesentans perfecte alterurn analogatum ut sic, imperfecte repraesentat reliquum. Quoad uocem autem, non est inter analoga et uniuoca differentia.  39. His autem praelibatis, intentum facile patere potest: quomodo scilicet disfinguitur analogum, puta ens, ab analogatis, puta substantia, quantitate et qualitate. Uniuocum enim, puta animal, distinguitur ab uniuocatis, puta homine et leone, quoad rem significatam seu conceptum obiectiuum, et quoad conceptum mentalem, sicut unum simpliciter abstractum etc., a multis simpliciter etc. Analogum uero, quoad rem, seu conceptum obiectiuum, distinguitur sicut unum proportione a multis simpliciter; uel (et idem est) sicut multa ut similia secundum proportiones a multis absolute. Verbi gratia, ens distinguitur a substantia et quantitate, non quia significat rem quamdam eis communem; sed quia substantia quidditatem tantum substantiae importat, et similiter quantitas quidditatem quantitatis absolute significat; ens autem significat ambas quidditates, ut similes secundum proportiones ad sua esse; et hoc est dicere ut easdem proportionaliter.  40. Quoad conceptum autem mentalem adaequatum, hoc quoque eodem omnino modo distinguitur. Secundum uero conceptum mentalem imperfectum, quamuis distinguatur sicut unum simpliciter a multis simpliciter; non tamen sicut unum abstrahens in repraesentando ab illis multis, quemadmodum in uniuocis contingit. Quoniam, ut ex dictis patet, conceptus ille, puta qualitatis, in quantum ens, alterius analogati, idest ipsius qualitatis, secundum quod se habet ad suum esse, est adaequate repraesentatiuus, et a qualitatis quidditate non abstrahens; caeterorum uero, puta quantitatis et substantiae, imperfecte tantum est repraesentatiuus, in quantum eis similis est proportionaliter. QUALIS SIT ABSTRACTIO ANALOGI AB ANALOGATIS. Oportet autem ex praemissis ostendere, qualiter analogum abstrahat ab his, quibus commune secundum analogiam dicitur, puta qualiter ens abstrahat a substantia et quantitate. Insurgit siquidem difficultas quaedam in re hac, et ex parte rerum, et ex parte conceptus. Ex parte siquidem rerum, quia uidetur analogi nominis res significata, eodem abstrahibilis et abstracta modo, quo res uniuoco nomine significata. Quoniam cum, ut in V Metaph. dicitur, unum in qualitate faciat simile, nulla apparet ratio, cur a quibusdam similibus sit una res abstrahibilis, et a quibusdam non; licet euidens ratio sit, cur ab his similibus, puta Sorte et Platone, abstrahibilis sit res magis una, et ab illis, puta homine et lapide, minus una. Unde si substantia et quantitas assimilantur in hoc, quod utraque est ens, et consequenter in eis est aliquid unum, quod est fundamentum illius similitudinis: quid uetat ab eis abstrahi rem unam utrique communem?  Ex parte uero conceptus, quia uidetur eodem modo conceptus analogi abstrahere ab analogatis, sicut uniuocum ab uniuocatis: eo quod analogum nomen importat in confuso singulas proportiones analogatorum, et distincte non significat nisi proportionem in communi. Verbi gratia, ens non significat habens se ad esse sic uel sic, puta ut substantia, aut ut quantitas; sed si proportionale nomen est, significare uidetur, habens se ad esse secundum aliquam proportionem, quaecumque illa sit. Hoc autem constat esse aeque abstractum a substantia et a quantitate; et consequenter per modum uniuoci in analogis abstractio conceptus apparet.  43. Ut autem euidens fiat huius ambiguitatis determinatio, sciendum est, quod licet abstrahere diuersa significet, cum dicimus intellectum abstrahere animal ab homine et equo, et cum dicimus animal abstrahere ab homine et equo: eo quod tunc significat ipsam intellectus operationem attingentem in eis unum et non alia; nunc uero significat extrinsecam denominationem ab illa intellectus operatione, qua res cognita abstracta denominatur: in unum tamen et idem semper tendit, quoniam semper sonat intelligi unum, non intellecto altero.  44. Ideoque nihil aliud est agere de abstractione analogi ab analogatis quam inquirere et determinare, quomodo res significata analogo nomine intelligi possit, non cointellectis analogatis; et quomodo conceptus illius habeatur, absque conceptibus istorum.  45. Cum igitur ex supradictis, et ex ipso analogiae uocabulo pateat, quod analogo nomine non simpliciter una res, sed res proportione una significatur, talis autem idem est quod res diuersae, ut similes proportionaliter: facile deduci potest, quod res analoga potest quidem intelligi, non cointellectis analogatis, et consequenter abstrahere ab eis.  46. Sed non sicut in uniuocis res una, (puta natura sensitiua, seu animal intelligitur, non cointellectis omnino natura humana et equina ut sic), sed sicut duae res ut proportionaliter similes intelliguntur, non cointellectis ipsismet duabus rebus secundum suas proprias naturas absolute. Ita quod analogi abstractio non consistit in cognitione unius et non cognitione alterius; sed in unius et eiusdem intellectione ut sic, et non intellectione absolute. Verbi gratia, entis abstractio non consistit in hoc, quod entitas apprehenditur, et substantia aut quantitas non; sed in hoc: quod substantia aut quantitas apprehenditur ut sic se habens ad proprium esse; (in hoc enim similitudo proportionalis attenditur) et non apprehenditur substantia, aut quantitas absolute. Et simile est de aliis rebus analogis, quales sunt fere omnes metaphysicales.  47. Unde concedi potest, rem analogam abstrahere, et non abstrahere ab analogatis diuersimode. Abstrahit quidem, pro quanto abstrahit ab eis, quemadmodum res ut sic, idest ut res similis alteri proportionaliter abstrahit a se absolute sumpta. Non abstrahit uero, pro quanto res ut sic accepta seipsam necessario includit, et absque seipsa intelligi non potest. Quod de uniuocis dici non potest: quia res uniuoca, absque aliis quibus est uniuoce communis, intelligitur sic, quod res in suo intellectu nullo modo actualiter includit ea quibus est comm unis, ut patet de animali  48. Obiectioni autem in oppositum adductae, ex analogae similitudinis natura facile satisfit, dicendo, quod cum unum multipliciter dicatur, non oportet omnem similitudinem attendi secundum unum simpliciter; sed quandoque sufficit, quod unum secundum proportionem faciat simile. Unum autem proportionaliter non est simpliciter unum; sed multa similia secundum proportiones, a quibus ideo non potest abstrahi res una simpliciter: quia similitudo ipsa proportionalis tantum est, et fundamentum non est unum nisi proportionaliter  49. De ratione siquidem unius proportionaliter est habere quatuor terminos (ut in V Ethicorum dicitur). Quoniam proportionalitas qua similitudo proportionum fit, inter quatuor ad minus, (quae duarum proportionum extrema sunt), necessario est; et consequenter unum proportione non unificatur simpliciter, sed distinctionem retinens, unum pro tanto est et dicitur, pro quanto proportionibus dissimilibus diuisum non est. Unde sicut non est alia ratio quare unum proportionaliter non est unum absolute, nisi quia ista est eius ratio formalis; ita non est quaerenda alia ratio, cur a similibus proportionaliter non potest abstrahi res una; hoc enim ideo est, quia similitudo proportionalis talem in sua ratione diuersitatem includit. Et accidit ulterius procedentibus, ut quaerant id, quod sub quaestione non cadit: ut quare homo est animal rationale, etc.  De abstractione quoque conceptus, eodem modo est dicendum: abstrahit enim conceptus analogi nominis non sicut unum simpliciter, sed sicut unum proportione, seu simile secundum proportiones a multis absolute.  Sed quia in obiciendo tangitur de abstractione conceptus analogi a specialibus conceptibus illius analogiae, et abusiue analogata ibidem uocantur partiales analogi rationes; ideo diligenter cauendum est, ne apparentia in obiectione tacta in illum errorem ducat, qui ibi tangitur. Sciendum siquidem est, quod licet in analogis secundum attributionem in hoc omnia analogata conueniant, quod eamdem formam omnino respiciunt, ita quod non solum conueniunt in uno termino, sed in hoc, quod est respicere illum: erroneum tamen est, analogo per attributionem conceptum unum respectus in communi ad illum terminum, per abstractionem a tali et tali respectu, attribuere. Verbi gratia: animal in quantum sanum, urina in quantum sana, et medicina in quantum sana, licet conueniant et in sanitate tamquam termino: cuius animal est subiectum, urina signum, et medicina causa; et conueniant in hoc, quod est respicere sanitatem (quodlibet enim eorum sanitatem respicit, licet diuersimode); ab his tamen specialibus respectibus non abstrahitur respectus in communi ad sanitatem, importatus nomine sani, in cuius conceptu omnes speciales respectus ad sanitatem, confuse et in potentia clauduntur.  52. Falsum enim est, quod sanum significet hoc quod dico, respiciens uel aliqualiter se habens ad sanitatem. Tum quia sic sani nomen uniuocum uere esset ad urinam et animal etc., ut patet ex uniuocorum definitione. Tum quia hoc est contra intentionem dicentium, urinam aut diaetam sanam. Percunctantibus siquidem, quid est urina in quantum sana, non respondetur: respiciens sanitatem; sed omnes respectum illum specificant respondentes: signum sanitatis; et similiter de diaeta respondetur, quod est conseruatiua sanitatis, etc. Tum quia contra omnes Philosophos et Logicos (hucusque a me uisos) hoc est.  Sicut autem in praedictis analogis praedictus cauendus est error, ita in analogis secundum proportionem (quae sola simpliciter analoga sunt) similis cauendus est error, ex simili causa apparentiae firmitatem trahens. Quia enim analogata conueniunt in hoc, quod unumquodque eorum commensuratum seu proportionatum est (licet diuersimode), credi potest quod ab his specialibus proportionibus abstrahatur proportionatum in communi, et nomine analogo significetur. Ac per hoc analogum habeat conceptum unum, in quo confuse et in potentia claudantur omnes speciales proportiones analogatorum; uerbi gratia, ut quia substantia proportionata est suo esse, et similiter quantitas et qualitas (licet diuersimode) ideo a substantia et quantitate et qualitate etc., diuersimode proportionatis suis esse, abstrahatur res seu quidditas proportionem habens ad esse, qualiscumque sit illa proportio, et hoc sit entis primarium significatum, in quo omnes speciales proportiones substantiae quantitatis et qualitatis etc., ad sua esse confuse claudantur et in potentia.  54. Sed hoc falsissimum est. Tum quia hoc quod dicitur, scilicet res proportionata ad hoc quod sit, non est res una simpliciter etiam in esse obiectiuo, nisi chimerice. Tum quia proportionalia nomina uniuoca essent (ut patet ex uniuocorum definitione), et consequenter periret proportionalitatis ratio, quae extrema unum simpliciter esse non compatitur; et sic essent proportionalia et non proportionalia: quod intellectus capere nullo modo potest. Tum quia contra Aristotelis auctoritatem, in II Poster. inferius adducendam, et adductam ex I Ethic., et S. Doctorem et Auerroem et Albertum expresse est. Unde confusio, qua analogum tam secundum attributionem quam secundum proportionem, importat speciales habitudines aut proportiones: non est confusio plurium conceptuum in uno communi conceptu; sed est confusio significationum in una uoce, licet difformiter. Quoniam in analogia attributionis uox analoga primum distincte significat, caetera autem confuse. In analogia uero proportionis, nomen analogum ad omnes suas significationes indistincte se habere permittitur. Cautum tamen et attentum oportet hic esse; quia cum analogi rationes dupliciter sumi possint: scilicet secundum se, et ut eaedem et ipsae ut eaedem propter identitatis proportionalis naturam non abstrahant a seipsis, et tamen aliquid conuenit eis ratione identitatis, seu in quantum eaedem sunt, quod non conuenit eis ratione diuersitatis, ut patet de communibus eis: uidetur quod duo incompossibilia secundum apparentiam, analogi rationibus conueniant; scilicet quod ipsae ut eaedem non abstrahant a seipsis, et quod ipsae ut eaedem aliquid causent et habeant, quod non ut diuersae; reduplicarique possint ut eaedem, non reduplicatis ut diuersae sunt. Haec enim non solum compossibiliter, sed necessario sibi simul uindicat identitas proportionalis; quoniam et extrema uniri omnino non patiens, ab eis abstrahi omnino non permittit; et extrema aliqualiter indiuisa et eadem ponens, ut eadem ea considerabilia et reduplicabilia exigit.  56. Sicque fit, ut in analogo secundum identitatem in se clausam, ad diuersitatem rationum in se quoque clausam comparato, abstractio quaedam, quae non tam abstractio quam quidam abstractionis modus est inueniatur; propter quam non solum ab analogatis (puta substantia et quantitate), analogum (puta ens), abstrahere dicitur, ut supra diximus; sed ab ipsis eius rationibus, seu a diuersitate ipsarum rationum eius: puta rationis entis in substantia, et rationis entis in quantitate. Non quia quamdam rationem eis communem dicat: quia hoc est fatuum; nec quia illae rationes sint omnino eaedem, aut eas omnino uniat: quia sic non esset analogum, sed uniuocum; sed quia eas proportionaliter adunans, et ut easdem proportionaliter significans, ut easdem considerandas offert: annexa inseparabiliter, diuersitate quasi seclusa; et identitate proportionali unit, et confundit quodammodo diuersitatem rationum. Sicque non sola significationum in uoce confusio, analogo conuenit, sed confusio quaedam conceptuum, seu rationum fit in identitate eorum proportionali, sic tamen ut non tam conceptus, quam eorum diuersitas confundatur. Et quoniam analogum talem identitatem praecipue importat, et tali confusione frequenter utimur; analoga nomina ab omni rationum eius diuersitate abstrahere dicentes, dum confuse pro omnibus supponere ipsum pluries exponimus, ideo non mediocri opus est uigilantia, ne in uniuocationem labi contingat.  Abstrahit ergo analogum a suis analogatis, puta ens a substantia et quantitate, sicut unum proportione a multis; seu sicut similia proportionaliter a seipsis absolute, tam quoad conceptum obiectiuum, quam mentalem, siue sit sermo de abstractione totali siue de formali. Hae enim abstractiones non differunt in eodem, nisi secundum praecisionem et non praecisionem, ut alibi declarauimus. Unde nihil aliud est dicere ens abstractum a naturis praedicamentorum abstractione formali, quam dicere naturas praedicamentales proportionales ad sua esse ut sic praecise; a specialibus autem seu singulis analogiae rationibus extremis, non tertio conceptu simplici, sed uoce communi et identitate proportionali earumdem, quodammodo abstrahit.  QUALIS SIT PRAEDICATIO ANALOGI DE SUIS ANALOGATIS  59. Videbitur autem forte alicui ex his, quod praedicatio analogi de suis analogatis, puta entis de substantia et quantitate, aut formae de anima et albedine etc., sit sicut praedicatio aequiuoci de suis aequiuocatis; ita quod non sit praedicatio superioris de suis inferioribus, nec communioris de minus communi, nisi sola uoce; sed eiusdem de seipso. Non est enim analogo una res significata, quae in utroque analogatorum saluetur; absque hoc autem praedicatio communioris aut superioris non inuenitur secundum intrinsecam denominationem, seu inexsistentiam. Sic enim analogum secundum proportionalitatem commune esse dictum est.  60. Fouere quoque potest non parum opinionem hanc processus iuxta I Topicorum. Aut scilicet analogum est praedicatum conuertibile, aut inconuertibile, seclusa uocis communitate. Et cum constet non esse inconuertibile, - quoniam substantia ut sic se habens ad suum esse, quod ens de substantia dictum praedicat, conuertitur cum substantia: et similiter quantitas sic commensurata suo esse, cum quantitate conuertitur, et sic de aliis, - consequens est, quod analogum tamquam superius, de analogatis praedicari non possit. Superioris enim intentionem suscipere non potest, quod conuertibile esse comprobatur.  61. Et quoniam secundum ueritatem analogum ut superius praedicatur de analogatis, et non sola uoce commune est eis, sed conceptu unico proportionaliter: cuius unitas ad hoc, quod praedicatum aliquod superioris rationem habeat, sufficit: quia superius nihil aliud sonat, quam unum praedicatum ad plura se extendens; unum autem non per accidens, neque aggregatione, sicut aceruum lapidum; sed per se, constat esse etiam unum proportione: ideo ad huius ueritatis claritatem ex extremis procedendo, sciendum est, quod quia analogum medium est inter uniuocum et pure aequiuocum: consequens est, quod analogum aliquo modo idem, et non idem aliquo modo de suis praedicet analogatis. Et quia praedicat aliquid abstrahens aliquo modo a suis analogatis, ut ex praemisso patet capite; consequens est, quod comparetur ad sua analogata ut maius ad minora, seu ut superius ad inferiora; licet non omnino unum secundum rationem sit, quod imponit.  Quod ut clarius pateat, figuraliter declaratur sic: Tam in uniuocis, quam in aequiuocis, quam in analogis quatuor inueniuntur, scilicet duae res ad minus, aequiuocatae, uniuocatae, aut analogatae; et duae res, seu rerum rationes, aequiuocationem, uniuocationem aut analogiam fundantes. Verbi gratia: In aequiuocatione canis inueniuntur haec quatuor: scilicet canis marinus, et canis terrestris, et ratio illius, et ratio istius secundum canis nomen. In uniuocatione quoque animalis inueniuntur quatuor: scilicet homo, et bos, et natura sensitiua hominis et natura sensitiua bouis, quae animalis uniuocationem fundant. In analogia similiter entis quatuor sunt: scilicet substantia et quantitas, et substantia in quantum commensurata suo esse, et quantitas secundum quod suo esse proportionatur. Et licet prima duo, scilicet aequiuocata et analogata, eodem modo quantum ad propositum spectat in omnibus his distinguantur, quia ubilibet ex opposito condistincta sunt; altera tamen duo uniuocationem, aequiuocationem et analogiam fundantia, diuersimode unita aut distincta sunt. In aequiuocis namque rationes illae, puta canis marini et terrestris, sunt omnino diuersae secundum rationem; et propter hoc id quod praedicat canis de marino cane, nullo modo praedicat de terrestri, et e conuerso; et ideo sola uoce communius aut maius aequiuocatis dicitur et est.  64. In uniuocis uero res illae, puta animalitatis in boue et animalitatis in leone, licet et numero et specie diuersae sint, ratione tamen omnino eaedem sunt; ratio enim unius est omnino eadem quod ratio alterius, et, e conuerso; et propter hoc id quidem quod praedicat animal de homine, idem praedicat omnino de boue, et uniuocum dicitur et superius homine, leone boueque. In analogis autem res analogiam fundantes (puta quantitas ut sic se habens ad esse, et substantia ut sic se habens ad esse), licet diuersae sint et numero et specie et genere; ratione tamen eaedem sunt non omnino, sed proportionaliter; quoniam unius ratio proportionaliter eadem est alteri.  66. Et propterea, id quod praedicat analogum, puta ens de quantitate, illud idem proportionaliter praedicat de substantia, et e conuerso; est enim illudmet proportionaliter id quod in substantia ponit, et e conuerso. Et propter hoc analogum, puta ens, non sola uoce communius, maius aut superius analogatis est; sed conceptu, ut dictum est, proportionaliter uno. Ita quod analogum et uniuocum conueniunt in hoc, quod utrumque communioris et superioris rationem habet. Differunt autem in hoc, quod illud est superius analogice seu proportionaliter, hoc uero uniuoce.  67. Et merito, quia fundamentum superioritatis utrobique saluatur, uniuocationis autem non. Fundatur enim superioritas super identitate rationis rei significatae, idest super hoc quod res significata inuenitur non in hoc tantum, sed illamet non numero sed ratione inuenitur in alio. Uniuocatio autem supra modo identitatis omnimodae scilicet identitate rationis rei significatae, idest super hoc quod ratio rei significatae in illo et in isto est eadem omnino.  68. Quamuis enim in analogis hic identitatis modus non inueniatur, quem in uniuocis inueniri pluries dictum est, identitas tamen ipsa rationum inuenitur. Est namque identitas proportionalis, identitas quaedam. Et ideo non minus analogum (puta ens) est praedicatum superius, quam uniuocum (puta animal), sed alio modo: analogum enim est superius proportionaliter, quia fundatur supra identitate proportionali rationis rei significatae; uniuocum autem praecise et simpliciter, quia supra omnimoda identitate rationis rei significatae eius superioritas fundatur. Propter quod S. Thomas, superioritatis fundamentum aspiciens, in V Metaph. dicit, quod ens est superius ad omnia, sicut animal ad hominem et bouem.  69. Unde obiectiones ad oppositum adductae in hoc peccant, quod inter identitatem et modum identitatis non distinguunt. Fatendum enim est, quod ad hoc, quod aliquis terminus denominetur superior aut communior, oportet ut rem unam et eamdem in utroque ponat; sed sophisma consequentis committitur inferendo ex hoc: ergo oportet quod dicat rem unam et eamdem omnino. Et est semper sermo de identitate secundum rationem, seu definitionem. Identitas enim et unitas continent sub se non solum unitatem et identitatem omnimodam, sed proportionalem, quae in analogi nominis ratione saluatur. Negandum est igitur quod in analogis non praedicetur idem de uno et de alio analogato: quoniam unum et idem proportionaliter de omnibus analogatis dicitur; et propterea inter praedicata non conuertibilia numerandum est. Quantitas enim licet adaequet ens de quantitate uerificatum secundum rationem omnino eamdem, non tamen secundum rationem illam proportionaliter: quoniam entis ratio non alia proportionaliter ad substantiam et quantitatem se extendit. Verum quia analogum sonat identitatem proportionalem, ideo huiusmodi rationibus formaliter respondendo, nullo pacto concedendum est conuerti analogum cum analogato aliquo. Ad materiam tamen descendendo, potest intrepide dici, quod quia analogum rationem unam tantum proportionaliter praedicat, et unum proportionaliter plura esse proportionibus similia manifestum est; dupliciter potest secundum singulas rationes ad analogata comparari. Uno modo absolute: et sic secundum singulas rationes cum singulis analogatis conuertitur; quia nulla omnino una analogi ratio in duobus analogatis inuenitur. Alio modo secundum identitatem proportionalem, quam habet una cum altera: et sic cum nullo analogato conuertitur, quoniam omnes analogi rationes indiuisae sunt proportionaliter, et una est altera proportionaliter. Et quia, ut dictum est, analogum hanc sonat identitatem, ideo formaliter et simpliciter loquendo, analogum inconuertibile et communius praedicatum, concedendum est esse. Non tamen genus, aut species, aut proprium, aut definitio, aut differentia, aut accidens uniuersaliter est. Nec propterea Aristoteles diminutus fuit aut Porphyrius, quoniam praedicabile, quod unum est simpliciter, edocebant; ac per hoc inter aequiuoca, analoga numerarunt. Ex prædictis autem manifeste patet, quod analogum non conceptum disiunctum, nec unum praecisum inaequaliter participatum, nec unum ordine; sed conceptum unum proportione dicit et praedicat. De ordine tamen in analogis incluso inferius tractabitur. Unde cum dicitur de homine, aut albedine, aut quocumque alio, quod est ens: non est sensus, quod sit substantia, uel accidens; sed sic se habens ad esse.  72. Utor autem ly sic, quoniam de propriis nominibus proportionum ad esse in actu exercito eas importantibus, disputare nolo ad praesens; quoniam Metaphysici negotii opus hoc est, et exemplariter hic de ente loquimur. Simile siquidem est de actu, potentia, forma, materia, principio, causa, et aliis huiusmodi, indicium.  QUALIS SIT ANALOGATORUM SECUNDUM ANALOGI NOMEN DEFINITIO. Apparere quoque alicui poterit, quod in ratione unius analogati, (puta qualitatis) secundum analogi (puta entis) nomen, alterius analogati, puta substantiae, uel quantitatis ratio secundum idem nomen analogi cadere debeat, sicut in analogia attributionis contingere dictum est. Fundamentum autem inde apparentia haec sumit: quia ratio unius analogati ut eadem proportionaliter est alteri, absque illa altera exprimi nequit complete. Dictum est autem, quod analogo nomine rationes hae importantur, ut eadem proportionaliter sunt.  74. Et confirmat hoc expositio ipsa analogiae ab Aristotele, Auerroe et S. Thoma in I Ethic. posita. Exponunt enim quod bonum, seu perfectio, analogice dicitur de uisu et intellectu, quia sicut uisus in corpore, ita intellectus in anima perfectio est. Constat autem, quod non est intelligibile hoc se habere sicut illud, nisi utrumque extremorum percipiatur. Necessario igitur uidetur, unum analogatorum secundum analogi nomen per aliud definiendum esse.  75. Ut autem liqueat huius ambiguitatis solutio, recolendum est analoga haec dupliciter inueniri, scilicet proprie et metaphorice. Diuersimode enim haec se habent ad propositam quaestionem. In analogia siquidem secundum metaphoram, oportet unum in alterius ratione poni, non indifferenter; sed proprie sumptum, in ratione sui metaphorice sumpti claudi necesse est; quoniam impossibile est intelligere quid sit aliquid secundum metaphoricum nomen, nisi cognito illo, ad cuius metaphoram dicitur. Neque enim fieri potest, ut intelligam quid sit pratum in eo quod ridens, nisi sciam quid significet risus nomen proprie sumptum, ad cuius similitudinem dicitur pratum ridere.  76. Est autem huius ratio radicalis, quia analogum metaphorice sumptum, nihil aliud praedicat, quam hoc se habere ad similitudinem illius, quod absque altero extremo intelligi nequit. Et propter hoc huiusmodi analoga prius dicuntur de his, in quibus proprie saluantur, et posterius de his, in quibus metaphorice inueniuntur et habent in hoc affinitatem cum analogis secundum attributionem, ut patet.  77. In analogia uero, in qua nominis saluatur proprietas, nullum analogi membrum per alterum definiri oportet, nisi forte gratia materiae, ut S. Thomas in qq. de Verit., q. 2, a. 11 docuit. Sunt enim analogatorum rationes secundum analogi nomen quodammodo mediae inter analoga secundum attributionem, et uniuoca. In analogis enim secundum attributionem, primum definit reliqua. In uniuocis uero neutrum alterum definit, sed unius definitio est completa alterius definitio, et e conuerso. In analogis autem neutrum alterum definit; sed unius definitio est proportionaliter alterius definitio. Et loquimur semper de ratione secundum nomen commune. Verbi gratia, in definitione cordis, secundum quod principium animalis, non ponitur fundamentum secundum quod principium domus, nec e conuerso; sed eadem proportionaliter est principii ratio utrobique, ut Commentator ubi supra dicit. Duabus autem opus est distinctionibus uti in hac re: ea scilicet, quae in logica, traditur de actu signato et exercito; et ea quae a metaphysico ut plurimum tractatur, de ordine rerum sub uno nomine ex parte rei, et ex parte impositionis nominis.  79. Ex prima siquidem distinctione scimus duo. Primo, quod sicut animal dictum de homine et de equo importans uniuocationem in actu exercito, non praedicat de homine totum hoc, scilicet naturam sensitiuam eamdem omnino secundum rationem naturae sensitiuae equi et bouis, sed naturam sensitiuam simpliciter; quam tamen ad hoc, quod uniuoca sit praedicatio, oportet omnino esse eamdem secundum rationem naturae sensitiuae equi et bouis, - ita ens importans proportionalitatem in actu exercito, non praedicat de quantitate totum hoc, scilicet habens se ad esse sic proportionaliter sicut substantia, aut qualitas ad suum esse; sed habens se ad esse sic absque alia additione; quod tamen oportet, ad hoc quod analoga sit praedicatio, idem proportionaliter esse cum altero, sic se habere ad esse quod de substantia aut qualitate ens praedicat.  80. Secundo, quod sicut ex declaratione, qua manifestatur animal esse uniuocum, quia dicit unam et eamdem omnino rationem in omnibus, non fallimur, nec confundimur, nec uagamur circa hominis et bouis secundum animalis nomen rationem; sed quiescimus, intuentes quod animal exercet, quod uniuocorum definitio et expositio significat: - ita ex hoc, quod declaratur ens aut bonum, aut quodcumque aliud esse analogum, quia dicit rationes plures easdem proportionaliter, et importat hoc se habere quemadmodum proportionaliter illud se habet ad esse uel appetitum etc., non debemus turbari et inquirere in analogi nominis (puta boni) ratione significationem istam; sed sat sit, distinguendo inter actum signatum et exercitum, inspicere quod analogi nominis ratio id exercet, quod analogi ratio et declaratio significat.  81. Ex his autem duobus patere iam potest intentum, quod scilicet non oportet unum analogiae membrum per alterum definire, ex eo quod analogum significat ea esse eadem proportionaliter, quoniam haec in actu exercito significat.  82. Ex secunda uero distinctione scimus, non solum - quod praeposterus est ordo rerum et significationum quandoque sub nomine analogo, ita quod prior secundum rem ratio, posterior interdum significatione est (ut de ente et bono et aliis huiusmodi communibus Deo et creaturis accidit: ratio enim quam in Deo quodlibet horum ponit, significatione quidem posterior, re autem prior est); et quod propter alterum horum dicitur analogum praedicari de suis analogatis secundum prius et posterius ipsam analogi rationem. - Sed etiam scimus, quod quando ratio, quam ponit analogum in uno, ex ratione quam in altero ponit, exponitur: non ideo fit, quia unum in alterius ratione cadat; sed quia unius ratio posterior altera est significatione; et per priorem, utpote notiorem declaratur: ut S. Thomas in I p., q. XIII, art. 2 fecit: declarans quod, dicendo: Deus est bonus: sensus est, id quod bonitatem in creaturis dicimus, praeexsistit in Deo proportionaliter etc. Et eadem intelligendum est ratione fieri, si posterior secundum rem per priorem declaretur. Non definit ergo analogum secundum unam rationem, seipsum secundum alteram, licet exponat et declaret.  83. Obiectionibus autem in oppositum, quamuis ex dictis satisfactum sit, formaliter responderi potest, quod cognosci aliqua ut eadem proportionaliter, seu hoc se habere sicut illud, dupliciter contingit. Uno modo formaliter, idest quoad relationem identitatis et similitudinis, et sic absque extremis cognitio haec haberi non potest. Alio modo fundamentaliter, et sic in ratione unius non cadit reliquum; sed ratio unius est ratio alterius omnino, uel proportionaliter. Constat autem quod analogum nomen, puta ens aut bonum, non relationem identitatis aut similitudinis significat, sed fundamentum; et ideo obiectiones quae iuxta primum sensum procedunt, nihil concludunt contra intentum. Patet autem facillime, haec esse uera exempla de uniuocis, ponendo et applicando ad identitatem uniuocationis. Significat namque nomen uniuocum plura, in quantum eadem sunt uniuoce, seu secundum rationem omnino. Et identitatis relatio in nullo extremorum absque altero intelligibilis est. QUALIS SIT IN ANALOGO COMPARATIO. Difficultas etiam non parua, quae multos inuasit ac superauit, de comparatione in analogo, dilucidanda est. Creditum enim est a quibusdam, quod non posset, analogia posita, sermo ille nisi extorte exponi, quo unum analogatum magis aut perfectius tale secundum analogi nomen diceretur. Verbi gratia: substantia est magis, aut perfectius ens quam quantitas. Moti sunt autem ex eo, quod comparatio in uno communi, utrinque facienda est, etiam secundum grammaticos; quod in analogo non inueniri uidetur. Et potest formari ratio pro eis talis: Aut comparantur analogata in una communi eis ratione, aut in suis rationibus. Non in ratione communi: quia illa analogum caret; nec in rationibus propriis: quia tunc falsum est, substantiam magis esse ens quam quantitatem. Non enim minus aut imperfectius quantitas est sua ratio, quam ens in ea ponit, quam substantia sua etc. Nullo igitur modo uidetur comparationem cum analogia saluari posse.  86. Succumbitur autem difficultati huic, quia proprium comparationis fundamentum non consideratur. Fundatur enim super identitate seu unitate rei, in qua fit comparatio, et non super modo identitatis aut unitatis; sicut de intentione superioritatis praedictum est. Unde cum analogum ex dictis constet rem unam, licet proportionaliter, dicere; nihil prohibet in ipso comparari analogata, licet non eo modo, quo uniuoca fit comparatio. Ad comparationem siquidem cum requirantur et sufficiant haec tria: scilicet distinctio extremorum, et identitas eius, in quo fit comparatio, et modus essendi illius in extremis, scilicet eaque, uel magis aut minus perfecte; sub identitate autem seu unitate, proportionalis unitas seu identitas contineatur, consequens est, quod si in diuersis idem proportionaliter eaque uel magis aut minus perfecte esse habet, comparatio secundum illud proportionale fieri possit, comparatione non uniuoca, sed analoga.  88. Sicut enim, quia natura sensitiua est in boue, et illamet omnino secundum rationem est in homine, et perfectius esse habet in homine quam in boue: homo perfectius animal boue dicitur, uniuoca comparatione; sic quia sic se habere ad esse est in substantia, et hoc idem proportionaliter est in quantitate, et imperfectius esse habet in quantitate quam in substantia: dicitur substantia magis seu perfectius ens, quam quantitas, analoga comparatione. Unde S. Thomas in art. 7, quaest. VII de Potentia Dei, tripliciter comparationem fieri docens, duos modos analogicae comparationis ponit: aperte ex hoc insinuans, comparationem non solum super identitate numerali, specifica aut generica fundari, sed etiam proportionali.  89. Modi autem comparationis ibidem traditi sunt, hi scilicet secundum solam quantitatem rei participatae: et sic unum album dicitur altero albius. Vel extendendo, propter praesens propositum, hunc modum ad omnem comparationem uniuocam, dicatur quod primus attenditur secundum quantitatem rei participatae, eiusdem omnino secundum rationem, siue illa ratio sit specifica, siue generica: ut calidum magis calidum altero dicitur, et homo perfectius animal leone est.  90. Secundus uero modus attenditur secundum quod res aliqua in uno inuenitur participatiue, in altero uero est per essentiam: quemadmodum homo Platonicus longe perfectior homo esset nobis. Et abstractione intellectus utendo, quemadmodum bonitas longe melior est quocumque bono, quod participatiue bonum dicitur.  91. Tertius autem modus attenditur secundum quod res aliqua in uno inuenitur formaliter et secundum se, in altero autem uirtualiter et eleuatum ad rem superioris ordinis. Quemadmodum dicitur quod sol est magis calidus quam ignis; uel quod calor perfectius esse habet in sole, quam in igne.  Nec est dubium hos duos modos uniuocam comparationem impedire, ut S. Thomas ibidem dicit, et Aristoteles in I Ethic. de primo modo testatur: ubi bonum commune non uniuoce, sed secundum proportionalitatem dicendum docet, bonitati separatae et bonis caeteris per participationem. Patet igitur ex his, eadem proportionaliter ut sic esse comparabilia; quamuis, physice loquendo, in sola specie aut genere comparatio fiat.  93. Ad obiectionem autem in oppositum, dicitur quod utroque modo in analogis comparatio fit. Comparantur siquidem analogata, puta substantia et quantitas, in ratione una et communi proportionaliter, quam analogi nomen, puta ens, dicit, et addit supra analogata, ut ex dictis patet. Et comparantur secundum suas rationes, secundum tamen analogi nomen, quae earum sit perfectior, secundum quod dicimus substantiam esse perfectius ens quantitate; quia ratio entis in substantia perfectior est ratione entis in quantitate. Ita quod iuxta istam comparationem est sensus: Substantia habet, secundum entis nomen, perfectiorem rationem quam quantitas; et non quod substantia est magis aut perfectius substantia quam quantitas sit quantitas, ut quidam somniare uidentur.  94. Unde comparatio ista extenditur usque ad analoga secundum attributionem, licet in tali analogia non nisi abusiue comparatio fieri possit. Dicimus enim quod ens reale est magis et perfectius ens ente rationis, quod per attributionem ad illud ens dicitur in IV Metaph. text. com. II; quia ens reale habet, secundum entis nomen, perfectiorem rationem. Iuxta quem modum, si usus admitteret, diceremus: animal est magis sanum urina; quia perfectiorem secundum sani nomen rationem habet.  QUALIS SIT ANALOGI DIVISIO ET RESOLUTIO  95. Qualiter autem analogum diuidendum sit, ex dicendis manifestum est. Potest siquidem trifariam analogi diuisio intelligi. Primo, ut diuidatur uox in suas significationes. Dictum est enim, quod analogum plures rationes significat immediate, et haec diuisio conuenit sibi, in quantum aequiuocum quoddam est.  96. Secundo, ut diuidatur significatum eius in quasi membra eius: eo modo quo eius, quod proportionaliter unum est, sic et sic proportionatum, membra dici possunt. Dictum est enim, quod analogum non ita diuersas rationes significat, quin significet unam rationem proportionaliter. Omnes namque rationes analogo nomine immediate significatae eaedem proportionaliter sunt. Ratio autem una proportionaliter, cum constituatur ex pluribus rationibus proportionalibus, in eas secari potest. Haec autem non est diuisio analogi in sua analogata: quoniam rationes hae in ipsius analogi ratione intrinsece clauduntur, et analogata ea sunt, in quibus rationes illae saluantur, et non ipsae rationes. Entis enim analogata sunt substantia et quantitas, et non rationes entis in substantia et quantitate. Rationes enim ut dictum est, analogae sunt.  97. Unde tertio modo potest diuidi analogum, diuidendo significatum eius in sua analogata per diuersos modos, quibus analogi rationem proportionalem analogata ipsa diuersimode suscipiunt: ita quod diuisum est significatum unum proportionaliter, diuidentia sunt modi fundantes et facientes in analogatis proprias proportiones, secundum quas fit analogia; constituta autem per diuisionem, ut partes subiectiuae, sunt analogata ipsa. Verbi gratia: quando ens diuiditur in substantiam et quantitatem, diuisum est ratio entis nomine significata, quae omnes in se entis nomine significatas rationes claudit, utpote una proportionaliter; diuidentia sunt substantiuum et mensuratiuum, seu per se et in alio, sicut ex quibus substantia et quantitas habent quod diuersas entis rationes subintrent; partes autem subiectiuae sunt substantia et quantitas, quae in entis ratione analogantur. Et quia haec est propria analogi diuisio, idcirco distincte explicandum est, quomodo differat diuisio haec ad uniuoca. Tripliciter siquidem differunt. Primo ex parte diuisi: quia diuisione uniuoca unum omnino secundum rationem secatur; hic autem unum proportionaliter.  99. Secundo ex parte diuidentium: quia differentiae secantes genus, extra genus sunt; modi autem secantes analogum, in ipsius analogi ratione clauduntur, quemadmodum ipsa analogata (ut in capitulo de abstractione declaratum est); propter quod in III Metaph. text. comm. X ens genus esse negatur.  100. Tertio ex parte ipsarum partium subiectiuarum, quae per diuisionem fiunt: quia partes diuisionis uniuocae, licet ordinem habeant secundum se, et originis: ut dualitas est prior trinitate; et perfectionis: ut albedo est perfectior nigredine; tamen secundum diuisi rationem, puta numeri, aut coloris, neutra altera prior, aut posterior est; sed omnes aequaliter in diuisi ratione communicant. Analogata uero, quae analoga diuisione constituuntur, non solum secundum se, sed etiam in ipsius analogi quod diuiditur ratione ordinem habent; et aliud prius aliud posterius est; adeo ut in uno eorum, tota ratio diuisi saluari dicatur; in alio autem imperfecte et secundum quid. Quod non est sic intelligendum quasi analogum habeat unam rationem, quae tota saluetur in uno, et pars eius saluetur in alio. Sed cum totum idem sit quod perfectum, et analogo nomine multae importentur rationes, quarum una simpliciter et perfecte constituit tale secundum illud nomen, et aliae imperfecte et secundum quid: ideo dicitur, quod analogum sic diuiditur, quod non tota ratio eius in omnibus analogatis saluatur, nec aequaliter participant analogi rationem, sed secundum prius et posterius.  101. Cum grano tamen salis accipiendum est, analogum simpliciter saluari in uno et secundum quid in alio. Sufficit enim hoc uerificari: uel absolute, ut patet in diuisione entis in substantiam et accidens; (illa enim absolute loquendo dicitur ens simpliciter, hoc autem secundum quid); uel in respectu, ut patet in diuisione entis in Deum et creaturam. Utrumque enim licet ens simpliciter sit et dicatur, absolute loquendo; creatura tamen in respectu ad Deum, ens secundum quid, et quasi non ens est et dicitur.  102. Circa resolutionem autem analogatorum, sciendum est: quod cum uniuersaliter, primum in compositione sit ultimum in resolutione, et per diuisionem in ea, quae actu in aliquo sunt resolutio fiat: eodem modo resoluenda sunt analogata in suum analogum, quo caetera resoluuntur, scilicet utendo diuisione praedicta (quae uocatur diuisio in partes essentiae uel rationis), et a posterioribus secundum consequentiam ad priora procedendo, si longa esset resolutio facienda. Ad rationem autem analogi cum deuentum fuerit, singulis analogatis in suas rationes secundum analogi nomen resolutis: cum illa analogi ratio ex multis constituatur rationibus, ordinem inter se et proportionalem similitudinem habentibus: uel ordinate ad primam resolutio fiat, ueniendo semper ad similius et propinquius primae, et id, in quo dissimilitudo est, relinquendo. Vel si non sic ordinatas inter se contingit esse rationes illas, ad primam omnes modo praedicto reducendae sunt. Ordinem enim ad primam nulla subterfugere potest. Nec refert in proposito, an fiat resolutio ad rationem primam, significatione, uel secundum rem. Intelligenda enim sunt haec in suo ordine, scilicet, significationum aut rerum.  CAPUT X  QUALITER DE ANALOGO SIT SCIENTIA  104. Visum est autem quibusdam de analogo scientiam esse non posse, nisi quemadmodum de aequiuocis scientia habetur: eo quod plures rationes dicit licet similes. Imo fallaciam aequiuocationis committi in syllogismis, in quibus, analogo pro medio sumpto, certum analogatum subsumitur, (nisi forte gratia materiae bonus esset processus) astruunt ex eadem ratione. Nec posse ex unius analogati ratione, secundum analogi nomen, concludi alterum analogatum tale formaliter esse; sed semper praedictum incidere uitium, ratione praedicta, confirmant. Verbi gratia: si ponamus sapientiam esse analogice communem Deo et homini, ex hoc quod sapientia, in homine inuenta, secundum formalem rationem praecise sumpta, dicit perfectionem simpliciter: non potest concludi: ergo Deus est formaliter sapiens, sic arguendo: Omnis perfectio simpliciter est in Deo; sapientia est perfectio simpliciter; ergo etc. Minor enim distinguenda est: et si ly sapientia pro ratione sapientiae, quae est in homine stat, argumentum est ex quatuor terminis: quia in conclusione, sapientia stat pro ratione sapientiae quam ponit in Deo, cum concluditur: ergo sapientia est in Deo. Si autem pro ratione sapientiae in Deo, stat in minore; non concluditur, ex perfectione sapientiae creatae, Deum esse sapientem; cuius oppositum et philosophi et theologi omnes clamant.  106. Decipiuntur autem isti, Scotum (cuius est ratio haec I Sent., dist. 3, q. I) sequentes: quia in analogo diuersitatem rationum inspicientes, id quod in eo unitatis et identitatis latet, non considerant. Rationes enim analogi (ut superius etiam diximus) possunt dupliciter accipi: Uno modo secundum se, in quantum ab inuicem distinguuntur, et ea quae conueniunt eis ut sic, seu ex hoc. Alio modo in quantum eadem sunt proportional iter. Primo modo acceptae, uitium aequiuocationis inducerent, si quis eis uteretur, ut patet. Secundo autem modo eis utendo, peccatum nullum incurritur: eo quod quidquid conuenit uni, conuenit et alteri proportionaliter; et quidquid negatur de una, et de altera negatur proportionaliter: quia quidquid conuenit simili, in eo quod simile, conuenit etiam illi, cui est simile, proportionalitate semper seruata.  Unde si ex immaterialitate animae, concluditur eam esse intellectualem; ex immaterialitate proportionaliter posita in Deo optime concluderetur, Deum esse intellectualem proportionaliter: ut quantum immaterialitas illa excedit istam, tantum intellectualitas illa excedit istam etc. Propter quod S. Thomas in quaestione II De Potentia Dei, art. 5, analogata omnia sub una analogi distributione cadere dixit. Et merito, quia unitas analogiae non esset in coordinatione unitatum numeranda, nisi unum proportionaliter, unum esset affirmabile et negabile, et consequenter distribuibile et scibile, ut subiectum, et medium, et passio.  Unde ad obiecta in oppositum dicitur, quod quia, ut in II Elenchorum cap. X dicitur, aequiuocatio latens in huiusmodi proportionalibus peritissimos etiam latet: ideo oportet, huiusmodi analogis nominibus utendo ex parte unitatis, semper modum proportionalitatis subintelligi; aliter in uniuocationem lapsus fieret. Nisi enim prae oculis haberetur proportionalitas, cum dicitur immateriale omne esse intellectuale, tamquam uniuoce dictum acciperetur, et latens aequiuocatio non uisa obreperet.  109. Proportionalitate autem seruata, de analogis scientiam esse: et diui Thomae processus de bono et uero et aliis huiusmodi, et quotidianum conuincit exercitium. Testatur quoque demonstratiuae artis pater Aristoteles, in II Poster., cap. XIII incipiente: Ut habeamus autem proposita (uel problemata) analogum causam adaequatam esse alicuius passionis, et in medium oportere quandoque a demonstratore assumi, dum uenationem propter quid docens, inquit: « Amplius alius modus est secundum analogiam eligere. Unum enim idem non est accipere quod oportet uocare sepion, et spinam, et os. Sunt autem quae sequuntur et hoc, tamquam natura una huiusmodi exsistente ». Et sequenti cap. ait: « Secundum autem analogiam eiusdem, et medium se habet secundum analogiam ». In quibus uerbis non solum docuit, analogum ut medium assumi quandoque in demonstrationibus; sed etiam ipsum non esse unum in se expressit, et cum hoc habere passionem adaequatam, ac si unius esset naturae.  110. Nec impedit analogia haec processum formalem ad concludendum de Deo et creaturis praedicatum aliquod eis commune: quoniam accepta sapientiae ratione, et segregatis ab ea per intellectum eis, quae sunt imperfectionis, ex hoc quod id, quod est sibi proprium formaliter sumptum, perfectionem absque imperfectione claudit, concluditur ergo sapientiae ratio non omnino alia, nec omnino haec, sed haec proportionaliter est in Deo: quia similitudo inter Deum et creaturam non est uniuoca, sed analoga.  Nec pari ratione potest concludi, Deum esse lapidem proportionaliter: quia ratio lapidis formaliter sumpta, quantumcumque expoliata, imperfectionem aliquam claudit, quae prohibet tam ipsam secundum se, quam ipsam proportionaliter in Deo reperiri, nisi metaphorice: quemadmodum dictum est: Petra autem erat Christus. Unde, cum fit huiusmodi processus: Omnis perfectio simpliciter est in Deo; sapientia est perfectio simpliciter; ergo etc.; in minore ly sapientia non stat pro hac uel illa ratione sapientiae, sed pro sapientia una proportionaliter, idest, pro utraque ratione sapientiae non coniunctim uel disiunctim; sed in quantum sunt indiuisae proportionaliter, et una est altera proportionaliter, et ambae unam proportionaliter constituunt rationem  Significantur enim analogo nomine in quantum eaedem sunt; unde non oportet analogum distinguere, ad hoc quod contradictionem fundet, et enuntiationis subiectum, aut praedicatum fiat; sed ratione identitatis preportionalis in se clausae, et quam principaliter dicit, ex se ad hoc sufficit. Contradictio enim dicitur consistere in affirmatione et negatione eiusdem de eodem etc., et non in affirmatione et negatione uniuoci de eodem uniuoco. Identitas siquidem tam rerum quam rationum, ut pluries replicatum est, ad identitatem proportionalem se extendit.  Ex hoc autem apparet, Scotum in I Sent., dist. 3, q. I, uel male exposuisse conceptum uniuocum uel sibi ipsi contradicere: dum, uolens uniuocationem entis fingere, alt: « Conceptum uniuocum uoco, qui ita est unus, quod eius unitas sufficit ad contradictionem, affirmando et negando ipsum de eodem ». Et sic uniuocum uult esse ens. Si enim identitas sufficiens ad contradictionem, uniuocatio dicitur; constat quod, ponendo ens esse analogum, et secundum proportionalitatem tantum unum, satisfiet uniuocationi: quod scoticae doctrinae aduersatur, tenenti ens habere conceptum unum simpliciter, et omnino indiuisum, (ut de uniuocis diximus). Si autem non omnis talis identitas sufficit ad uniuocationem, non recte igitur uniuocatio conceptus declarata est esse eam, quae ad contradictionem sufficit, quasi proportionalis identitas ad hoc non sufficiat. DE CAUTELIS NECESSARIIS CIRCA ANALOGORUM NOMINUM INTELLECTUM ET USUM. Quia uero Aristoteles in praedicta ex Elenchis auctoritate, doctissimos uiros circa horum nominum conceptus errare dicit, ob latentem eorum unitatis modum: idcirco necessarium fore duximus, in fine huius tractatus cautelas quasdam tradere, quibus possit se quis ab errore multiplici in re hac praeseruare.  Cauendum est igitur in primis, ne ex uniuocatione ipsius nominis analogi respectu quorumdam, credamus simpliciter ipsum esse uniuocum: omnia enim fere analoga proprie, prius fuerunt uniuoca, et deinde extensione, analoga communia proportionaliter illis quibus sunt uniuoca et aliis uel alii, facta sunt. Sapientiae enim nomen primo impositum est humanae sapientiae, et uniuocum omnium hominum sapientiis erat. Deinde, ad diuinae naturae cognitionem ascendentes, proportionalemque similitudinem inter nos ut sapientes et Deum contemplantes, sapientiae nomen extenderunt ad id in Deo significandum, cui nostra sapientia proportionalis est; sicque uniuocum nobis, analogum factum est nobis et Deo. Et similiter de aliis accidit.  Falli autem contingit faciliter ex hoc, quia illa ratio prior, utpote notior et familiarior et prior quoad nos, semper profertur ab illustribus uiris, et ab eorum sequacibus, cum analogi significatio quaeritur; et dicitur esse tota analogi ratio, pro qua simpliciter prolatum stat, et omnia analogata illam participare: ut patet cum sapientiae ratio redditur. Assignatur enim differentialis eius conceptus pro ratione, secundum quam communis ponitur Deo et creaturis. Et similiter est in aliis. Creditur enim ex hoc, quod illa sit ipsa analogi ratio, et incaute uniuocatio acceptatur: non enim illa ratio est ratio analogi, sed eius origo quoad nos; quoniam non illa, sed illa proportionaliter in altero analogato inuenitur, ut ex dictis patet. Cauendum secundo est, ne nominis unitas, aut diuersitas rationum, analogam unitatem obnubilet; hoc enim tamquam quoddam accidens, in re hac suscipiendum est. Nihil enim minus analogice idem sunt sepion, os, et spina, unum non habentia nomen, quam si unum nomen haberent. Nec magis idem essent, si unum nomen haberent, et tamen si communi nomine ossa uocarentur, ita quod defectu uocabulorum, uel rerum proportionali similitudine ossis nomen ad caetera extensum esset, crederemus eiusdem esse naturae et rationis, ossa, sepion, et spinas. Praesertim quia, ut dictum fuit, ad ea quae sunt proportionaliter eadem, consequuntur passiones tamquam si eorum esset natura una. Cauendum tertio est, ne uocalis unitas rationis analogi nominis mentem inuoluat. Ex eo namque uerbi gratia, quod principium dicitur esse id ex quo res fit, aut est, aut cognoscitur; et haec ratio in omnibus quae principia dicuntur, saluatur: principii nomen uniuocum creditur. Erratur autem, quia ratio ipsa non est una simpliciter, sed proportione et uoce. Vocabula enim, ex quibus integratur, analoga sunt, ut patet; neque enim fieri, neque esse, neque cognosci, neque ly ex unius omnino est rationis, sed proportionalis saluatur. Et propterea ratio illa in omnibus utpote proportionalis saluatur: sicut et principii nomen proportionaliter commune dicitur.  119. Cauendum demum est, ne diuersa doctorum dicta de analogis nos perturbent. Considerandum quippe est quod, quia analogum medium inter uniuocum et aequiuocum est, et medium extremorum naturam sapiens: ad alterum comparatum, alterum induit; adeo ut quando medio, secundum id quod de uno extremo habet, utimur, illius extremi conditiones ei attribuamus, ut in V Physic., text. comm. 6 et 52 patet. Ideo plerumque doctores utentes analogo ex parte unitatis, quam ex uniuocis participat, uniuocorum non solum conditiones, puta abstractionem, indistinctionem, etc. sed etiam nomen ei attribuunt. Utentes uero analogo ex parte diuersitatis, quam ex aequiuocis trahit, conditiones quoque supradictis oppositas, et nomen illi imponunt aequiuoci.  120. Et ut de multis pauca dicantur, Aristoteles in II Metaph., text. comm. 4, ens et uerum uniuoca uocat; quia ex parte identitatis illis utitur, ut processus suus aperte ostendit. S. Thomas quoque pluries dicit, in ratione alicuius analogi, puta paternitatis communis diuinae et humanae paternitati, omnia contenta esse indiuisa et indistincta; et quod paternitas, uerbi gratia, abstrahit a paternitate humana et diuina: quia utitur analogo ex parte identitatis.  121. Nec tamen falsae sunt aut abusiuae praedictae utriusque locutiones et similes; sed amplae potius et largae, quemadmodum pallidum nigro contrarium est et dicitur. Saluatur siquidem in analogis identitas nominis et rationis, in qua (ut ex dictis patet) non solum analogata, sed etiam singulae analogi rationes uniuntur, et quodammodo confunduntur, utpote abstrahentes aliqualiter ab earum diuersitate.  122. Rursus pater Aristoteles in I Physic., ex parte diuersitatis ente utens contra Parmenidem et Melissum, multiplex seu aequiuocum, (ut ipsemet illum textum sic exponendum specialiter in II Elenchorum tradit) uocauit. Unde et Porphyrius, Aristotelem dicere ens esse aequiuocum accepisse uidetur, utens ente ex parte diuersitatis. Quod tamen Scotus, in I Sent., dist. 3, q. 3, in Logica Aristotelis non inueniri ideo dixit: quia praedictos textus non coniugauit. Propter quod, ibidem quoque contra textum, glossauit principium Aristotelis contra Parmenidem in I Physic., text. comm. 13, ut in Elenchis (ut dictum est) clare patet. Thomas etiam, ens prius non esse primo analogato, nihilque Deo prius secundum intellectum esse, dicit pluries: utens analogo ex parte diuersitatis rationum eius. Quaelibet siquidem eius ratio secundum se, quia proprium analogatum in se claudit, et in sui abstractione illud secum trahens, cum illo conuertitur, ut supra diximus: ideo prior secundum consequentiam, aut abstractior suo analogato negatur. Ac per hoc, primo analogato et Deo nihil est prius: quia eius ratio secundum analogi nomen, quae ipso prior secundum se non est, sed conuertitur, caeteris prior est rationibus. Cum his tamen stat, quod ratio illa in Deo ut eadem est proportionaliter alteri rationi, secundum idem nomen superior, et secundum consequentiam prior logice loquendo sit, ut ex dictis patet. Dico autem logice: quia physice loquendo, analogum nec est prius secundum consequentiam omnibus analogatis (quia ab eorum propriis abstrahere non potest, quamuis ut saluatur in uno sit prius altero), nec potest esse sine primo analogato, ubi analogata consequenter se habent.  125. Unde si quis falli non uult, solerter sermonis causam coniectet, et extremorum conditiones medio applicaturum se recolat; sic enim facile erit omnia sane exponere, et ueritatem assequi, quae a prima est Veritate. Cuius cognitio ex hoc exaltetur et firmetur Opusculo.  Completo in conuentu S. Apollinaris, Papiae suburbio, die primo Septembris MCCCCXCVIII.  EXPLICIT TRACTATUS DE NOMINUM ANALOGIA. Gaetano. Cajetanus. Caietanus Vio. Cajetano Vio. Caetano Vio. Gaetano Vio. Al secolo: Giacomo De Vio. Jacopo De Vio. Tommaso De Vio. Cardinal Caetano. Cardinal Gaetano. Tommaso De Vio da Gaeta, detto il Gaetano. Vio. Keywords: analogia, commentary on Porphyry on Aristotle’s categories, the example of ‘healthy’[sanus, corpore, medicina, excrementum], analogy in philosophical eschatology, analogy of proportion, aequivocality, Grice, “focal unity”, “Aristotle on the multiplicity of ‘being’” – ‘healthy’ – an animal is healthy – various types of analogy. Unfortunately, the Germans focus more on his, the saint’s, fight with Luther!” Refs.: Luigi Speranza, “Grice e de Vio” – Luigi Speranza, “Grice e Vio: Le categorie” -- The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.

Grice e Virgilio: la ragione conversazionale e la leggenda d’Enea a Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Andes). Influssi lucreziani, e, quindi, della filosofia dell’orto. Nato presso Mantova, muore a Brindisi. Studia la filosofia dell’orto sotto SIRONE. In “Catal.” prende congedo dalle muse per volgersi verso la scuola di SIRONE affinchè la filosofia gl’insegni a liberare la sua vita dalle passioni. Esprime il proponimento di dedicare alla filosofia il resto dell’esistenza. Nel “Ciris,” esaltando di nuovo l'insegnamento dei filosofi dell’ORTO, manifesta l'intenzione di filosofare sui fenomeni celesti. L’influsso dell’orto è esplicito nelle “Georgiche.” L' “Eneide", invece, nella escatologia, dipende dalle correnti orfica e pitagorica – di CROTONE --, mediata, si erede, da Posidonio, dal quale si fa derivare le rappresentazioni dell’età dell'oro e dello sviluppo della civiltà umana e alcune teorie d’impronta del PORTICO. Agl'interessi di psicologia filosofica si collegano quelli naturalistici. In una ecloga, Sileno espone una cosmogonia. Nelle "Georgiche" prega le muse d’interpretargli una serie di fenomeni naturali. Nell’ “Eneide” Iopas tratta di problemi naturalistici. Fa parte dell' “Appendix Vergiliana” il poemetto "Aetna" sullo cause e gl’effetti di queso volcano -- del quale sono incerte la paternità e la data. Fra i filosofi ai quali è stato attribuito il "Aetna", trovano adesioni soprattutto V. e LUCILIO, l’amico di SENECA. Per le teorie scientifiche particolari, l’autore dell'"Aetna" si serve principalmente di Posidonio e ciò spiega l’affinità dell'"Aetna" con le "Questioni Naturali" di Seneca che provengono dalla stessa fonte. Per la filosofia, V. mescola ecletticamente elementi svariati e non fusi, perchè espone dottrine del portico, dell’orto-lucreziane e inoltre eraclitei, democritei, ecc. Grice: “It is interesting to study Virgil as the author of what at Oxford we call “Beowulf,” an heroic narrative of origin. But in the history of philosophy, -- and the history of Roman philosophy under the principate, specifically, it was the exegesis of “Eneide” that we only have with Beowulf when it comes to Tolkien and the monsters!  On the other hand, the Roman aristocrats find in “Eneide” a fabulous source for their even more fabulous philosophisings! My favourite is Macrobio’s “Saturnalia” – it fits a gentleman’s pocket – but there are others. The idea is to produce a didaskalia, i. e. a way to deal with conceptual notions or philosophical concepts as we study one line or other from “Eneide” as we did at Clifton! However false, the philosophy behind Virgilio comprises not only a physical theory (natural philosophy) – the theory of the three ages – but a full moral theory – and one of philosophical psychology. The Eurialo/Niso episode is an interesting one as a re-creation of the old Achilles-Patroclus topos that has fascinated even Plato and the author of “Maurice,” i. e. E. M. Forster. Usually, you won’t find Virgil listed in any manual on Roman philosophy, but you should. It is fascinating also to trace the influence, via Alighieri in “Commedia” down to Mussolini, where there were few exhibitions of the Mostra della Revoluzione Fascista that would fail to quote from Enea. Note that the iconography – and I don’t mix the effeminate one by Flaxman, but the fascist one – helped!”. Publio Virgilio Marone – He spent some time in fellowship with a Garden community in Naples headed by Siro. He appears to have been a particular favourite of Siro, inheriting the villa upon his death. The extent to which the Garden influenced his poetry has long been debated. Approdato a Cuma, Enca consulta la Sibilla nell'antro presso il tempio di Apollo e la prega di guidarlo negli Inferi. La Sibilla accetta, ma l'eroe deve prima procurarsi il ramo d'oro da offrire in dono a Proserpina e dare sepoltura a un compagno morto durante la sua assenza dalle nasi. Dunque, Enea porta alla Sibilla il ramo d'oro, trovato nel bosco grazie all'aiuto di Venere, e celebra i funerali di Miseno. Giunta la notte, e compiuto il sacrificio propiziatorio alle divinità infernali, inizia il viaggio verso gli Inferi, e l'eroe varca, con la Sibilla, la soglia dell'Averno. Essi attraversano il vestibolo, pieno di mostri e simulacri di mali e malattie, e arrivano alla riva del fiume Acheronte, dove appare Caronte, il traghettatore infernale.tra i quali spicca la figura di Marcello. Infine, Enea e la Sibilla varcano la porta d'avorio e ritornano alla luce.libro 6 dell'Encide: la Sibilla cumana e la discesa agli inferiEneide: analisi Libro 6 Cuma e la Sibilla nel Libro 6 dell'Eneide Lapio po de i praga da pala, le da di ad ge di and in al pre fite di Oli, nd e alce e esca cabr sua discendenza. In questa parte si distinguono le fasi di un vero e proprio percorso iniziatico: rispettare gli ordini di un sacerdote, la Sibilla dare prova della pietas celebrando i riti trovare il ramo d'oro da donare a Proserpina, per poter entrare negli Inferi. Enea viene assistito dalla madre nel recupero del ramo, mentre la Sibilla lo aiuta nel viaggio verso gli Inferi. La catabasi è preceduta da due rituali: le esequie di Miseno, e il rito propiziatorio agli dei inferi. Questi riti sottolineano la sacralità dell'impresa. La differenza fra la catabasi di Odisseo e quella di Enca sta nel fatto che quella di Odisseo non è altro che l'ennesima avventura ai confini della realtà, mentre l'eroe virgiliano intraprende un viaggio religioso per assecondare i voleri del Fato.Gli Inferi nel Libro 6 dell'Eneide Celebrati i rituali, Enea e la Sibilla entrano nel regno dei morti. Predominano le descrizioni dell'Aldilà, ma l'attenzione si sposta sull'eroe nel momento in cui entrano in scena personaggi a lui collegati. Per esempio, gli incontri con Palinuro e Didone permettono al poeta di dare spazio ad Enca e alla sua umanità. Il passo delinea la concezione virgilianadell'Oltretomba: un luogo in cui le ombre si aggirano rimpiangendo la vita perduta, e in cui i giudici infernali, Minosse e Radamanto, assegnano la dimora definitiva nel Tartaro alle anime malvagie, nei Campi Elisi ai beati.Dal Tartaro ai Campi Elisi nel Libro 6 dell'Encide un bivio: a sinistra la Sibilla mostra ad Enca il Tartaro, dove sono puniti gli empi, e poi lo conduce a destra, verso la città di Dite. Dopo essersi purificato, Enea afligge sulla porta delle case di Plutone il ramo d'oro, come dono a Proserpina. Poi prosegue con la Sibilla verso i Campi Elisi. giovane Marcello, il giovane adottato da Augusto ma morto precocemente, rappresenta un omaggio alla casa di Augusto, ma nello stesso tempo sfuma in immagini di morte la visione trionfalistica del destino di Roma. pitagorismo, l'orfismo, lo stoicismo. Nella parte finale del libro, in ogni caso, domina l'esaltazione delle glorie romane, del periodo augusteo e della missione civilizzatrice e ordinatrice di Roma. L'orgoglio di appartenere a un popolo vincitore non impedisce a Virgilio di condannare la guerra e di celebrare i valori della pace della concordia. Completata l'analisi e il riassunto del libro 6 dell'Eneide, ti potrebbero interessare altri approfondimenti dei poemi epici di Virgilio e Omero: Publio Virgilio Marone. Virgilio. Keywords: catabasi. Luigi Speranza, per il Play Group di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.

Grice e Virno: la ragione conversazionale di un popolo di due -- filosofia ed azione – filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Napoli). Filosofo italiano. Essential Italian philosopher. Grice: “Virno, like me, is a semiotician.” D’orientamento operaista, insegna filosofia a Roma. Tra i principali esponenti dell'organizzazione della sinistra extra-parlamentare, Potere Operaio, il suo nome ricorse nelle cronache dei cosiddetti anni di piombo in Italia. Arrestato e detenuto in prigione. Nel corso della detenzione elabora la sua filosofia che trova espressione in Luogo comune. Democrazia è il fucile in spalla agl’operai -- slogan attribuito a Potere Operaio. “Mi sono formato politicamente a Genova, dove la mia famiglia vive e io faccio liceo. Genova e esposta all’influenza di Torino, dove vi sono le prime occupazioni. Quindi, si mobilitarono gli studenti del liceo – molto vivaci e in contatto con le organizzazioni tradizionai dei partiti, UGI e via dicendo. Come studente del liceo fondo dunque il sindacato degli studenti, che fa i primi scioperi sulla lotta all’autoritarismo, solidarietà con Grecia dopo il golpe dei colonnelli e quant’altro. Per un trasferimento di famiglia, vengo ad abitare a Roma, e di lì a non molto prendo contatti e rapporti con il gruppo che divenne Potere Operaio, che allora sostanzialmente a Roma e il gruppo delle facoltà. Entra in Potere operaio dopo gl’episodi cruciali della primavera a Torino. Lavora a Milano come insegnante all'Alfa Romeo di Arese e all'Innocenti, organizzando anche azioni collettive nelle fabbriche sino alla dissoluzione di Potere operaio. Si laurea con la tesi, Lavoro e coscienza –su Adorno, non Francesco. Partecipa attivamente alle manifestazioni ad opera dei lavoratori precari e di altri emarginati. Fonda Metropoli, organo ideologico del movimento politico. Nell'ambito dell'inchiesta giudiziaria nota come 7 aprile, la redazione di Metropoli viene accusata di appartenere in blocco all'organizzazione eversiva costituita in più bande armate variamente denominate.  “Siamo arrestati io, CASTELLANO, MAESANO, e PACE -- che però sfugge all’arresto, di nuovo, giuro, non per sagacia. Noi siamo arrestati,  poi ci fanno confluire, ritroviamo gl’altri nel cortile di Rebibbia, nel braccio speciale, stiamo un po’di mesi lì, poi c’è la diaspora, cioè il ministero ordina di mandare ognuno di questi detenuti in un carcere speciale diverso, perché ovviamente, tramite avvocati, visite, benché ci fosse il regime di braccio speciale, quello e diventato una specie di luogo in cui si elaborano documenti, lettere a giornali, si fa campagna politica, c’e state delle lotte interne. Quindi, c’è la diaspora, io vado a Novara. Oreste va a Cuneo; quell’altro va a Favignana. Quell’altro ancora da un’altra parte. Comincia questo giro negli speciali, e ci ritroviamo non tutti ma in parte nel carcere di Palmi, carcere per soli politici o per detenuti comuni completamente politicizzati, una specie di “Kesh”. Là dentro c’e una situazione curiosa, anche molto spettacolare, perché si incontrano assolutamente tutti. Infatti, per un primo periodo con i compagni delle BR o con Alunni o quelli dei NAP, si pensa anche di approfittare di questa situazione per avviare una discussione larga, di carattere costituente. Però, il problema è che anche lì c’è il fatto che i più spregiudicati di loro, come CURCIO, sono d’accordo, hanno capito di aver perso l’essenziale, cioè il cambio di paradigma, cioè il fatto che gl’operai sono non più riconducibili, altri invece no. Riassumendo in breve, la mia detenzione e un anno, poi due anni liberi in cui curai la serie continua di Metropoli, due anni ancora di carcere, condanna a 12 anni in primo grado, un anno di arresti domiciliario e l’assoluzione, insieme a tanti altri imputati, du la conferma. La travagliata esperienza politica e esistenziale di questi anni e trasfusa nella pubblicazione di “Luogo Comune,” una rivista dedicata all'analisi della vita nella situazione sociale del "postfordismo".  Lascia il lavoro di editore della rivista per insegnare filosofia a Urbino e filosofia del linguaggio, semiotica ed etica della comunicazione a Calabria da dove si trasferisce a Roma. Convinto della necessità di un nuovo linguaggio della politica che chiarisca le trasformazioni economiche, sociali e culturali che caratterizzano le società occidentali, introduce nella “Grammatica della moltitudine” una riflessione sul contrasto tra i termini di “popolo” – il “popolo” di Cicerone, S. P. Q. R -- e moltitudine che generano una accesa polemica filosofica. Quando avvenne la formazione dello stato nazionale e l’espressione “popolo” a prevalere. V. si domanda se non sia venuto il tempo di restaurare l'altro concetto della “moltitudine”. La multitude è quell'insieme di persone che nell'azione politica e in quella economica, pur agendo collettivamente, non perdono il senso della propria individualità, resistendo sempre alla riduzione a unica massa informe com'è nel termine di "popolo". La “moltitudine” è dunque la base della libertà civile – l’uno e i molti dei veliani.  Una “moltitudine” e una dualita o una pluralità che non si sintetizza nell'uno, il più grave pericolo per l'autorità di uno stato che esercita il supremo imperio.  Dopo i secoli del “popolo” e quindi dello stato -- stato-nazione, stato centralizzato, ecc. - torna infine a manifestarsi la polarità contrapposta. . La moltitudine come ultimo grido della teoria sociale, politica e filosofica? Grice: “Peacocke popularized ‘population’ in the Oxford seminar organized by Evans and McDowell. Thus, I cannot claim to have meant that p, unless ‘p’ means that p for a population – of say, me and myself!” Forse.” Saggi: “L'idea di mondo: intelletto pubblico e uso della vita” (Quodlibet); “Saggio sulla negazione: per una antropologia linguistica” (Bollati); “E così via, all'infinito: Logica e antropologia” (Boringhieri), “Motto di spirito e azione innovative: per una logica del cambiamento” (Boringhieri); “Quando il verbo si fa carne: linguaggio e natura umana” (Boringhieri); “Scienze sociali e natura umana -- facoltà di linguaggio, invariante biologico, rapporti di produzione” (Rubbettino); “Grammatica della moltitudine: per una analisi delle forme di vita contemporanee” (Derive Approdi); “Esercizi di esodo: linguaggio e azione politica” (Ombre Corte); “Il ricordo del presente: saggio sul tempo storico” (Bollati); “Parole con parole: poteri e limiti del linguaggio” (Donzelli); “Mondanità: l'idea di “mondo” tra esperienza sensibile e sfera pubblica” (Manifesto libri); “Convenzione e materialismo” (Theoria). Roma Tre  Intervista, Hecceitas. Questo termine è entrato nel linguaggio corrente per indicare un insieme di caratteristiche economiche, sociali e istituzionali del nostro presente, avvertite pessimisticamente come profondamente diverse rispetto al nostro recente passato e in genere come molto negativamente mutate. Fordismo e postfordismo. Qualche dubbio su alcune certezze della sinistra italiana. Protagonisti; “Anni di piombo: potere operaio"; Lessico postfordista: dizionario di idee della mutazione. Feltinelli, sito "Filosofico net".  Virno. Keywords: populus, res publica res populi, Cicerone, multus, unus e multi, due e moltitudine, linguaggio e azione, linguaggio, base biologica, invariante biologica, rappori di produzioni, natura umana, el verbo fatto carne. Refs.: H. P. Grice Papers, Bancroft MS. Luigi Speranza, “Grice e Virno”; “Grice e Virno: la conversazione: una popolazione di due!” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.

Grice e Viroli: la ragione conversazionale della res pvblica – Cicerone e la filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Forlì). Filosofo italiano. Essential Italian philosopher. Actually “Viroli-Cavalieri”? Grice, “I shall be fighting soon.” “The loyalty for one’s country is not based on evidence.” Durante il settennato di Ciampi serve la presidenza della repubblica italiana. Insegna a Lugano. I suoi campi di ricerca sono la filosofia politica e la storia della filosofia politica. I suoi autori di riferimento sono MACHIAVELLI, Rousseau, MAZZINI, CROCE, ROSSELLI, e ROSSELLI. La sua ricerca si basa sul metodo contestualista di Skinner, a cui apporta alcune innovazioni. Il suoi riferimenti politico-ideali sono il repubblicanesimo e l'azionismo del partito dell’azione. Collabora ad alcune testate giornalistiche, tra cui La stampa, il Sole 24 ORE e Il fatto quotidiano. Si laurea dal liceo Calbol di Forlì. Come egli stesso racconta in L'autunno della Repubblic”, per mantenersi agli studi,  lavora come garzone di bottega, cameriere d'albergo e operaio presso lo zuccherificio. Abitavo a Forlì con i miei genitori, in via Mellini, in un appartamento angusto e freddissimo, riscaldato soltanto da una stufa a gas tenuta, per la nostra povertà, sempre con la fiammella azzurrognola al minimo. Al termine degli studi liceali si iscribe a Bologna. Si laurea con la tesi su Engels. Svolge il servizio di leva a Casarsa in Venezia Giulia.  Il ritorno alla vita civile è stato all'insegna del precariato. Perceve un piccolo salario organizzando convegni e lavorando come redattore alla rivista Problemi della transizione all’istituto Gramsci di Bologna. Studia Firenze. Di fronte alla commissione composta dai Maihofer, Skinner, BOBBIO, Cranston, e Moulakisha, discute la tesi sulla società bene ordinata, Mulino. Perfeziona la sua formazione svolgendo attività di ricerca. Insegna comunicazione politica alla Svizzera. Dirige il Laboratorio di Studi civili, Svizzera italiana.  Finanzato dal Fondo Svizzero per la Ricerca Scientifica con un progetto di ricerca che prevede l'impegno di un folto gruppo di ricercatori.  I suoi interessi di studio ruotano intorno alla filosofia politica e alla sua storia. Studia il repubblicanesimo nella sua accezione classica da MACHIAVELLI a Rousseau e in quella contemporanea. Si occupa di culto uffiziale e politica, di retorica classica, libertà e tirannide, di patriottismo e nazionalismo, di etica civile, di diritti e doveri. Pone particolare attenzione ai fondamenti della convivenza civile. I suoi periodi storici di riferimento sono il rinascimento con MACHIAVELLI, il risorgimento con MAZZINI e il FASCISMO – con sui opponenti: CROCE, ROSSELLI, e ROSSELLI. I suoi filosofi di riferimento sono Machiavelli, Rousseau, Mazzini, Croce, Rosselli e Rosselli. Come impegno civile si occupa d'educazione civica e della difesa e dell'attuazione della costituzione della repubblica italiana. Collabora colla direzione generale dell'Ufficio Scolastico Regionale per le Marche a progetti di educazione alla cittadinanza. Fonda il Master in Civic Education presso l'associazione Ethica di Asti. Coordina e diregge progetti di Educazione civica per la Fondazione per la scuola della Compagnia di San Paolo. Dirige un progetto a San Marino. Dirige il progetto Lezioni di Casa Cervi-Scuola di Etica civile presso Casa Cervi. Prende parte attivamente alle campagne referendarie svoltesi in occasione del referendum costituzionale, contro la riforma proposta dal centro-destra, e del referendum costituzionale contro la riforma costituzionale Renzi-Boschi. Colleziona inviti e incarichi di insegnamento presso prestigiose istituzioni culturali. Insegna a Pisa, Trento, Molise, Ferrara, Catania ed Urbino. Collabora con Milano e la Scuola Superiore della pubblica amministrazione, Scuola superiore di polizia, Fondazione per la Scuola della Compagnia di San Paolo, il Collegio Carlo Alberto e l'Associazione Nazionale Comuni Italiani, la Fondazione Alcide Cervi presso Casa Cervi.  Spiega la le sua posizione politica. Non sono soltanto uno studioso del repubblicanesimo, mi sento repubblicano. Amo il princìpio della reppublica e cerco di applicarli nella vita e nell’analisi dei fatti politici e sociali. Più oltre, in riferimento a Ciampi racconta. La prima volta che incontro CIAMPI provo la sensazione di trovarmi di fronte ad un uomo di straordinaria energia morale, l’esempio vero della migliore cultura del risorgimento e dell’azionismo. Rammento ancora le parole che mi dice dopo aver ascoltato con attenzione la mia considerazione sul significato del concetto di amor di patria. Quello che Ciampi dice l’ho sempre sentito e vissuto nella mia coscienza. E allora che realizzai che io sono prima uno studioso di repubblicanesimo e poi un repubblicano. Ciampi è repubblicano nell’intimo della coscienza: repubblicano e azionista. Anzi, credo, repubblicano perché azionista. Anche la lotta contro il fascismo é rilevante nel patrimonio ideale. Trovo in Croce, Rosselli, Parri, Rossi, Calamandrei -- per citare soltanto i nomi più noti -- non solo idee e argomenti in perfetta sintonia con il mio anti-fascismo assoluto e intransigente, ma anche e soprattutto le più convincenti riflessioni sulle ragioni della fragilità della libertà. Il patriottismo si oppone al nazionalismo, anzi, ne è l'antidoto. Ancora ne L'Autunno della Repubblica si legge a proposito del Per amore della patria. In Italia abbiamo una tradizione di patriottismo di straordinario valore morale e politico, la migliore che io conosca. Mi riferisco in primo luogo al patriottismo di MAZZINI, fondato sul principio che la patria non è il territorio -- bensì un principio di libertà, e al patriottismo degl’anti-fascisti di Giustizia e Libertà, concordi nell’affermare che la nostra patria coincide con il mondo morale delle persone libere non e poi idea tanto peregrina sostenere che il patriottismo repubblicano e il mezzo più efficace per combattere la marea del nazionalismo che comincia a montare. Credo sia troppo tardi. Infine, ci spiega il suo relativismo. Sulle questioni etiche sono stato sempre un convinto relativista, con comprensibile scandalo di molti. Se il dovere esiste soltanto là dove la coscienza morale personale lo riconosce come tale, segue necessariamente che ci sono persone che riconoscono quali loro doveri determinati princìpi, altre che riconoscono quali loro doveri princìpi diversi, se non del tutto opposti. Il pluralismo e il contrasto dei doveri sono sotto gl’occhi di tutti. Ad alcuni il dovere indica il servizio e la pratica della carità, ad altri la pura e semplice affermazione di sé stessi, anche a costo di usare altri esseri umani come mezzi. La ragione, tante volte invocata quale guida sicura all’agire umano, non detta i fini ma solo i mezzi. Lo spiega in modo esemplare JUVALTA (si veda). La ragione per sé non comanda nulla. Né l’egoismo né l’altruismo -- né la giustizia. La ragione cerca, e mostra, se le riesce, i mezzi che servono a conservar la vita a chi la vuol conservare, a distruggerla a chi la vuol distruggere. La ragione addita ai pietosi le vie della pietà, ai giusti le vie della giustizia, e le vie del proprio tornaconto agl’uomini senza scrupoli. Ma l’egoismo non è per sé più razionale dell’altruismo, né il regresso più razionale del progresso. Né la conservazione dell’individuo più razionale di quella della specie. Né l’utile proprio più razionale che l’utile della collettività. Razionale non e il fine, ma la relazione del mezzo al fine. Ed è così ragionevole che dia la vita per un’idea chi pregia più l’idea che la vita, come che taccia la verità per un ciondolo chi ama più i ciondoli che la verità. Consulente della Presidenza della Repubblica Italiana per le attività culturali durante il settennato di Ciampi. Collabora con la Presidenza della Camera dei Deputati durante la presidenza di Violante. Coordinatore del Comitato Nazionale per la valorizzazione della Cultura della Repubblica presso il Ministero dell'Interno.  Presidente dell'ASSOCIAZIONE MAZZINIANA. Ufficiale dell'Ordine al merito della Repubblica italianana strino per uniforme ordinaria; Ufficiale dell'ordine al merito della repubblica italiana di iniziativa del presidente della repubblica. Saggi: “Nazionalisti e patrioti” (Roma, Laterza); “Etica del servizio e etica del commando” (Napoli, Scientifica); “L’autunno della repubblica” (Roma, Laterza); “La redenzione dell’Italia: sul principe” (Roma, Laterza); “Il sorriso di Machiavelli” (Roma, Laterza); “Scegliere il principe: i consigli di MACHIAVELLI al cittadino elettore” (Roma, Laterza); “L’Intransigente” (Roma, Laterza); “Le parole del cittadino” (Roma, Laterza); “La libertà dei servi” (Roma, Laterza); “Lo scrittore di ricami” (Reggio Emilia, Diabasis); “Come se Dio ci fosse: religione e libertà nella storia d’Italia” (Torino, Einaudi); “MACHIAVELLI, filosofo della libertà” (Roma, Castelvecchi); “L’Italia dei doveri” (Milano, Rizzoli); “Il dio di Machiavelli e il problema morale dell’Italia” (Roma, Laterza); “Dialogo intorno alla repubblica” (Roma, Laterza); “Per amor alla patria: patriottismo e nazionalismo nella storia” (Roma, Laterza); “Dalla politica alla RAGION DI STATO” (Roma, Donzelli); “L’etica laica di JUVALTA” (Milano, Angeli); “La civiltà statuale’, in “Cultura civica e civiltà statuale” (Bologna, Mulino); “Libertà e profezia in MACHIAVELLI’, MACHIAVELLI e i confini del potere” (Milano, Mimesis); “La passione civile e la scienza politica di Sartori’, Protagonisti sempre. Un secolo di storia visto con gl’occhi dei ragazzi, Reggio Emilia, Imprimatur ‘Prefazione’, in Mosca, Il prefetto e l’unità nazionale, Napoli, Editoriale Scientifica. ‘Skinner’, ‘God’ and ‘Macaulay’, Enciclopedia machiavelliana” Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Vita di MACHIAVELLI” (Roma, Castelvecchi); “La tradizione del Risorgimento” (Roma, Castelvecchi); “Se è libero bisogna che creda”; “Cinque variazioni sul credere” (Torino, Abele); “L’attualità del principe”; “Il principe e il suo tempo” (Roma, Complesso del Vittoriano, Salone centrale, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana); “La moralità della resistenza: l’esperienza del partigiano Bosco” (Benevento, Terre dei Gambacorta); “Dalla patria allo stato: una biografia intellettuale di SPAVENTA” (Roma, Laterza); “‘La costituzione repubblicana: un manuale di educazione civica’, in Lessico civico: teorie e pratiche della cittadinanza (Reggio Emilia, Diabasis); “Le origini meridiane del repubblicanesimo, Ethos repubblicano e pensiero meridiano” (Reggio Emilia, Diabasis); “La dimensione religiosa del risorgimento -- Cristiani d’Italia. chiese, società, stato” (Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana); “La libertà politica è un bene fragile’, Lettera internazionale.  Rivista europea; “Ragione e passioni nell’educazione civica -- Questioni civiche. Forme, simboli e confini della cittadinanza” (Reggio Emilia, Diabasis); “La costituzione: il pilastro di cristallo” (Napoli, Pitagora); “MACHIAVELLI, il carcere, Il Principe”, in Gl’anni di Firenze, Roma-Bari, in La Costituzione ieri e oggi. Roma, Atti dei Convegni Lincei (Roma, Bardi); “Etica e diritto: la forza intelligente per sconfiggere la violenza’ in Regione Piemonte, Piano regionale per la prevenzione della violenza contro le donne e per il sostegno alle vittime; “Religione e libertà nella Democratie en Amérique’, Fra libertà e democrazia: l’eredità di Tocqueville e Mill” (Milano, Angeli); “Una nuova utopia della libertà’, Quaderni del Circolo Rosselli, ‘Machiavelli’s Realism’, Constellations,  ‘Religione”; “Tutte le ragioni del liberalismo’, Dove Ratzinger sbaglia”; “MACHIAVELLI oratore”; “Machiavelli senza i Medici, scrittura del potere, potere della scrittura,” Atti del convegno di Losanna (Roma, Salerno); ‘Due concetti di religione civile’, in “Rituali civili: storie nazionali e memorie pubbliche in Europa” (Roma, Gangemi); “Patriottismo e rinascita civile’, Aspenia,  in MAZZINI, Scritti politici” (Torino, POMBA); “Che cos’è l’uomo? Raccolta di pensieri” (Senigallia, MIUR, Le Marche); “Repubblicanesimo”; “Dizionario di Politica” (Torino, POMBA); “Libertà democratica, libertà repubblicana e libertà socialista”; “Repubblicanesimo, democrazia, socialismo delle libertà”; “Incroci” per una rinnovata cultura politica” (Milano, Angeli); “Il lavoro nobilita l’uomo e l’impresa’, Impegno. Mensile di cultura sociale”; “Della lontananza’, La saggezza del vivere. Tracce di etica” (Reggio Emilia, Diabasis); “Repubblicanesimo e costituzione della repubblica’ Almanacco della Repubblica: storia d’Italia attraverso le tradizioni, le istituzioni e le simbologie repubblicane (Milano, Mondadori); ‘Europa contro America?’, Il pensiero mazziniano, ‘Dio nella costituzione’, Il pensiero mazziniano, con BOBBIO, ‘Sul rientro dei Savoia’, Il pensiero mazziniano, ‘Scrivere la costituziuone. L’esempio della storia americana’, Il pensiero mazziniano”; “Il despota e il tiranno si sono fatti furbi’, Il pensiero mazziniano, ‘Il repubblicanesimo di Machiavelli”; ‘Le ragioni di un dibattito’, Politica e cultura nelle repubbliche italiane dal medioevo all’età moderna: Firenze, Genova, Lucca, Siena, Venezia. Atti del convegno (Siena), Roma, Istituto Storico Italiano per l’età moderna e contemporanea.  ‘Giù le mani da CATTANEO’, Il pensiero mazziniano, ‘Questioni attorno al repubblicanesimo”;  “Il pensiero mazziniano”; “Repubblicanesimo, liberalism. e comunitarismo”; Filosofia e questioni pubbliche; “Machiavelli’, Il pensiero politico. Idee, teorie, dottrine. Età moderna” (Torino, POMBA); “La repubblica romana’, Il pensiero mazziniano, ‘Repubblicanesimo’,  ‘La sinistra non scordi la Patria’, Il pensiero mazziniano,  ‘I guerrieri di Dio: chi sono i theo-conservatori che scendono in lotta contro aborto, eutanasia e gay’, “La Stampa”,  ‘L’arcipelago progressista: l’orgogliosa cultura liberal, fra battaglie per le minoranze, ambientalismo e progetti per riprendere il New Deal’, La Stampa, “Discussione americana e caso italiano”; “Piccole patrie, grande mondo” (Roma, Donzelli); “Il significato storico della nascita del concetto di RAGION DI STATO’, Aristotelismo politico e RAGION DI STATOr. Atti del Convegno a Torino” (Firenze, Olschki); “Patrioti o traditori?”; “L’Indice”; “Il ritorno della nazione’, I democratici,   ‘L’etica politica di CICERONE e il suo significato moderno’, Nuova Civiltà delle Macchine, ‘La cattiva retorica dell’autonomia della politica’, (Mulino); ‘Nazionalismo e patriottismo’ (Mulino); “Una filosofia civile tra comunitari e liberali’, Ragioni Critiche,  ‘Introduction’, in Skinner,  “Le origini del pensiero politico moderno” (Bologna, Mulino); “L’Indice”; “Machiavelli e Rousseau: i dilemmi della politica republicana”; “Teoria Politica, ‘“Revisionisti” e “ortodossi” nella storia delle idee politiche”, Rivista di filosofia; “Dovere morale e pluralismo etico in JUVALTA’, Rivista di Storia della Filosofia; “La “Morale dei Positivisti” e l’etica del socialismo’, L’età del positivismo” (Bologna, Mulino); “Il Marxismo e l’ideologia del socialismo italiano’, Despotismo e cittadini’, Transizione, JUVALTA e la teoria della giustizia, Rivista di filosofia,  ‘LABRIOLA, filosofo del socialismo”, Giornale critico della filosofia italiana, ‘Aspetti della recezione di Engels in Italia: tra socialismo scientifico e crisi del marxismo”; “L’Antidühring: affermazione e deformazione del marxismo? Annale della Fondazione Issoco” (Milano, Angeli); “Il problema dell’etica razionale in JUVALTA’, “Studi sulla cultura filosofica italiana” (Bologna, CLUEB); Etica e marxismo: a proposito di una recente discussione’, Problemi della Transizione”; “Socialismo e cultura, 'Studi Storici”; “Il dialogo fra Engels e LABRIOLA”; “Critica marxista”; “Nella crisi del positivismo: la ricerca teorica del divenire sociale,” “Giornale critico della filosofia italiana”; “Filosofia e politica nell’Engels di Mondolfo’, Pensiero antico e pensiero moderno” (Bologna, Cappelli); “Wellness. Storia e cultura del vivere bene” (Milano, Sperling & Kupfer); “Libertà politica e virtù [andreia] civile”; “Significati e percorsi del repubblicanesimo classico” (Torino, Agnelli); “Lezioni per la repubblica: la festa è tornata in città” (Reggio Emilia, Diabasis); “Ascesa e declino delle repubbliche” (Urbino, Quattro Venti); “L'Autunno della Repubblica” (Laterza); “Per amore della patria. Patriottismo e nazionalismo nella storia” (Laterza); Quirinale. blogspot issuu.com/edizioni-in-magazine/docs/forli Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche della RAI  profilo biografico da Ethica Forum profilo dall'Università della Svizzera italiana Nello Ajello, Quanti servi in giro per l'Italia, recensione a La libertà dei servi, la Repubblica, La libertà dei servi, Associazione Labini; “La libertà dei servi; L'intransigente, da Fahrenheit del Radio Tre. Grice: “At Oxford, we don’t have a republic!” -- Il repubblicanesimo è una lunga e variegata tradizione del pensiero politico che si ispira all'ideale della repubblica intesa quale comunità di cittadini sovrani fondata sul diritto e sul bene comune. Il punto di riferimento ideale più rilevante del repubblicanesimo è il concetto ciceroniano di res publica. Repubblica per CICERONE vuol dite «ciò che appartiene al popolo» (respublica respopuli), e aggiunge che non è popolo ogni moltitudine di uomini riunitasi in modo qualsiasi, bensì una società organizzata che ha per fondamento l'osservanza della giustizia e la comunanza di interessi (De re publica, 1. 25). Agli albori dell'età contemporanea un altro esponente del repubblicanesimo, Rousseau, ribadisce la medesima interpretazione del concetto di repubblica. Chiamo repubblica, scrive, «ogni Stato retto dalle leggi, qualunque sia la sua forma di amministrazione, poiché solo allora l'interesse pubblico governa e la cosa pubblica è qualcosa » (Contrat Social. Per i teorici repubblicani la repubblica è l'opposto del potere senza freno e senza regola, chiunque lo eserciti, e della tirannide, ovvero il dominio di un uomo (o di una fazione o di molti) contro l'interesse comune. La repubblica si contrappone anche alla monarchia perché la libertà sotto il re è sempre dipendente dalla volontà arbitraria di un uomo. Il re, anche nelle monarchie costituzionali, assume in virtù della nascita prerogative e poteri che sono negati agli altri cittadini e dunque viola il principio dell'uguaglianza repubblicana. Il concetto di repubblica è connesso al principio che la vera libertà politica consiste nel non essere dipendenti dalla volontà arbitraria di un uomo o di alcuni uomini ed esige l'uguaglianza dei diritti civili e politici. La vera libertà, spiega Cicerone, esiste «solo in quella repubblica in cui il popolo ha il sommo potere» e comporta «una assoluta uguaglianza di diritti», in quanto «la libertà  non consiste nell'avere un buon padrone, ma nel non averne affatto» (De re publica). Questo concetto di libertà vale sia per l'individuo sia per lo stato. Uno stato può dirsi libero se non dipende dalla volontà di un altro stato e non deve ricevere da altri gli statuti e leggi o richiedere approvazione per i suoi atti.Come recitano le formule di Bartolo da Sassoferrato, le città che vivono in libertà si governano da sole («proprio regimine»). Esse non riconoscono alcun potere superiore («civitas quem superiorem non recognoscit»), e per questo il loro popolo è un popolo libero. Rousseau, ma altri esempi si potrebbero citare, racchiude in una formula precisa il concetto di libertà repubblicana: «un popolo libero obbedisce ma non serve; ha dei capi, ma non dei padroni; obbedisce alle leggi, ma solo alle leggi; ed è in virtù delle leggi che non diventa servo degli uomini» (Jean-Jacques Rousseau, Lettres écrites de la montagne, VIII). Per i filosofi politici repubblicani la libertà politica ha quale condizione necessaria il governo della legge. Essi hanno sempre sottolineato che la vera legge è un comando pubblico e universale che vale ugualmente per tutti i cittadini, o per tutti i membri del gruppo rilevante. La limitazione o l'interferenza che la legge impone sulle scelte degli individui non è dunque una restrizione della libertà ma come un freno essenziale e benefico. Se il governo della legge è scrupolosamente rispettato, nessun individuo può impone la sua volontà arbitraria ad altri individui in virtù del fatto che egli può compiere con impunità azioni che ad altri sono proibite sotto pena di sanzione. Se invece sono gli uomini e non la legge a governare, alcuni individui possono imporre la loro volontà arbitraria ad altri ed impedire ad essi di perseguire i fini che essi vorrebbero perseguire, e quindi privarli della libertà (questo vale anche nel caso in cui è la maggioranza degli uomini a governare, ovvero una democrazia). Questa interpretazione della libertà politica è descritta in modo eloquente in testi classici che diventarono il nucleo centrale del repubblicanesimo moderno, in particolare un passo in cui Livio afferma che la libertà dei romani consiste in primo luogo nel fatto che le leggi sono più potenti degli uomini (Ab urbe condita) e un passo di Cicerone, citato infinite volte dagli scrittori politici repubblicani: «Legum idcirco omnes servi sumus ut Liberi esse possimus» (Pro Cluentio, 146). Anche Machiavelli identifica la libertà politica con le restrizioni che il diritto impone ugualmente a tutti i cit-tadini. Se in una città vi è un cittadino che i magistrati temono, e che può rompere i vincoli delle leggi, egli scrive, la città non è libera (Discorsi). Nelle Istorie fiorentine (Proemio) osserva che «si può chiamar libera» solo quella città in cui le leggi e gli ordinamenti costituzionali restringono in modo efficacie i «cattivi umori » della nobiltà e del popolo. Per contro, tutti gli esempi di oppressione che i repubblicani classici offrono nei loro scritti sono violazioni del principio del governo della legge: il tiranno che si pone al di sopra delle leggi civili e delle leggi costituzionali e quindi comanda ad arbitrio; il cittadino potente che ha ottenuto per se un privilegio che è negato ad altri cittadini; i governanti che hanno poteri discrezionali. Le restrizioni che la legge impone sulle azioni dei governanti e dei cittadini sono dunque, per i repubblicani, l'unica valida difesa contro la coercizione imposta da individui: essere liberi vuol dire vivere sotto leggi eque. L'argomento repubblicano che il governo della legge è la condizione necessaria affinché i cittadini non siano assoggettati alla volontà arbitraria di alcuni individui (o di un solo individuo), e possano pertanto vivere liberi, è il tema di fondo di uno dei più significativi dibattiti nella storia del repubblicanesimo, ovvero la risposta di James Harrington a Hobbes, che nel Leviatano aveva sostenuto che non è affatto vero che i cittadini di una repubblica come Lucca sono più liberi dei sudditi di un sovrano assoluto come il sultano di Constantinopoli perché tanto i primi quanto i secondi sono sottomessi alle leggi. Ciò che rende i cittadini di Lucca più liberi dei sudditi di Costantinopoli, spiega Harrington, è il fatto che a Lucca tanto i governanti quanto i cittadini sono sottoposti alle leggi civili e costituzionali, mentre a Constantinopoli il sultano è al di sopra delle leggi e può disporre arbitrariamente delle proprietà e della vita dei sudditi, costringendoli in tal modo a vivere in una condizione di completa dipendenza, e dunque di mancanza di libertà. I cittadini di Lucca sono liberi «per le leggi di Lucca» («by the laws of Lucca»), perché essi sono controllati solo dalle leggi (James Harrington, The Commonwealth of Oceana and A System of Politics, a cura di J.G.A. Pocock, Cambridge, Cambridge University Press, 1992, Preliminaries). Nella sua lunga storia, il repubblicanesimo si è caratterizzato non solo per gli ideali della repubblica e della libertà ma anche per l'insistenza sull'idea che l'una e l'altra hanno bisogno della virtù civile dei cittadini. Per virtù essi intendono la saggezza che fa capire ai cittadini che il loro interesse individuale è parte del bene comune, la generosità dell'animo che spinge a partecipare alla vita pubblica, la forza interiore che dà la determinazione di resistere contro i potenti e gli arroganti che vogliono opprimere. Nonostante l'autorevole opinione di Montesquieu che considerava la virtù politica una forma di rinuncia e di sacrificio, gli scrittori politici repubblicani dei secoli precedenti interpretavano la virtù come una passione che non si contrapponeva né all'interesse né alla ricchezza, ma solo all'avarizia e all'ambizione sfrenata di dominio. Il repubblicanesimo è stato il linguaggio politico dominante delle élites politiche e sociali delle repubbliche commerciali d'Europa. Anche se non mancarono, come nel caso di Girolamo Savonarola, pensatori repubblicani che teorizzarono la repubblica come una Nuova Gerusalemme abitata da uomini dediti alla virtù cristiana, il pensiero politico repubblicano, con i suoi pensatori più influenti, ha teorizzato un ideale mondano e realistico di virtù. Accanto all'ideale della virtù civile, un altro concetto fondamentale della tradizione repubblicana è il patriottismo. Per il repubblicanesimo classico l'amore della patria è una passione, e più precisamente un amore caritatevole per la repubblica (caritas reipublicae) e per i concittadini (caritas civium). Anche se rispetta i principi della giustizia e della ragione, e può quindi essere chiamato «amore razionale», l'amore della patria è un affetto particolare per una particolare repubblica e per i suoi cittadini che nasce fra i cittadini delle libere repubbliche perché essi condividono molti e importanti beni, quali le leggi, la libertà, i consigli pubblici, le pubbliche piazze, gli amici e i nemici, le memorie delle vittorie e delle sconfitte, le speranze, le paure. Essa presuppone l'eguaglianza civile e politica e si traduce in atti di servizio (officium) e di cura (cultus) per il bene comune. Infine, la caritas reipublicae è una passione che irrobustisce l'animo, dà ai cittadini la forza per compiere i loro doveri civici e ai governanti il coraggio di assolvere gli obblighi, spesso onerosi, che la difesa della libertà comune richiede. Il principio fondamentale del patriottismo repubblicano è che vera patria è solo la libera 2 repubblica in cui vivono solo cittadini liberi ed eguali. La parola patria si legge ad es. nell'Encyclopédie, non significa il luogo in cui siamo nati, come vuole la concezione volgare, bensí uno stato libero (état libre) di cui siamo membri e le cui leggi proteggono le nostre libertà e la nostra felicità (D'Alembert, Diderot, Encyclopédie, Neuchatel, Bouloiseau 1765, vol. XII, p. 178). Gli scrittori repubblicani dell'età dell'Illuminismo usavano la parola «patria» come sinonimo di «repubblica». Questa identificazione non era solo un motivo polemico; riassumeva la considerazione che sotto il giogo del despota i cittadini sono senza protezione e non possono partecipare alla vita pubblica, come se fossero stranieri, e dunque non hanno patria. Il concetto di patria è dunque strettamente connesso alla libertà e alla virtù, come scrive Jean Jacques Rousseau: «La patria non può sussistere senza la libertà, né la libertà senza la virtù, ne la virtù senza i cittadini» (Economie politique, in Oeuvres Complètes, III, p. 258). Anche MAZZINI sottolinea che la vera patria è quella che assicura a tutti i cittadini non solo i diritti civili e politici, ma anche il diritto al lavoro e all'educazione. Per Mazzini e per i repubblicani dell'Ottocento la patria è la casa comune dove viviamo con persone che capiamo e che abbiamo care perché le sentiamo simili e vicine. Ma è anche una patria accanto ad altre patrie di ugual pregio.Quando siamo nella nostra casa dobbiamo assolvere i nostri obblighi in quanto cittadini; quando siamo in casa di altri dobbiamo assolvere i doveri verso l'umanità. La difesa della libertà è l'obbligo supremo di ognuno, anche se viviamo in suolo straniero e anche se il popolo oppresso è un popolo straniero. Gli obblighi morali verso l'umanità vengono prima degli obblighi verso la patria. Prima di essere cittadini di una patria particolare, siamo esseri umani.Nonostante l'accordo sui principi della repubblica, della libertà, e del patriottismo, il repubblicanesimo non è mai diventato un corpo dottrinario sistematico e ha assunto molteplici accentuazioni legate ai diversi contesti storici e culturali nei quali si è sviluppato dall'antichità classica all'età contemporanea. Il repubblicanesimo è dunque una tradizione del pensiero politico solo nel senso che i teorici repubblicani hanno spesso elaborato le proprie analisi riprendendo concetti di scrittori politici di epoche precedenti. Ma è del pari vero che i teorici repubblicani hanno spesso rielaborato in maniera anche radicale idee di altri scrittori politici appartenenti alla medesima tradizione.Le divergenze più significative riguardano la forma di governo considerata più atta a realizzare l'ideale della repubblica. Quasi tutti i teorici repubblicani furono sostenitori del governo misto inteso quale forma di governo che contempera gli aspetti positivi delle tre forme rette: il governo di uno(monarchia), ilgoverno del pochi (aristocrazia) e il governo dei molti (governo popolare o democratico). Mentre alcuni ritenevano che nell'ambito del governo misto il popolo (il consiglio grande) dovesse avere un ruolo preponderante, altri erano favorevoli ad assegnare tale ruolo all'elemento aristocratico rappresentato da un senato, o da un consiglio ristretto. Un'altra differenza è quella fra i sostenitori della repubblica che garantisce i diritti politici alla maggioranza degli abitanti (repubblica democratica) e i sostenitori di una repubblica che garantisce i diritti politici solo ad una minoranza degli abitanti (repubblica aristocratica). Inoltre, alcuni teorici repubblicani, come Machiavelli, sostenevano la necessità dell'espansione territoriale sulla base del modello della repubblica romana (o del modello federativo etrusco); altri, ad es. Rousseau, erano convinti che la repubblica, per conservarsi incorrotta, doveva rimanere confinata entro un piccolo territorio. Vi furono pensatori repubblicani che propugnarono l'ideale di una repubblica unitaria, e pensatori che propugnarono l'ideale di una repubblica fondata sul decentramento amministrativo e sull'autogoverno, come Carlo Cattaneo. Infine, la storia del pensiero politico repubblicano presenta pensatori favorevoli ad usare la religione per rafforzare la lealtà dei cittadini verso la repubblica (Machiavelli) accanto ad altri che raccomandarono la creazione di una vera e propria religione civile (Rousseau) e altri ancora che si fecero banditori dell'idea religiosa come principio morale interiore (Mazzini). Anche a causa della molteplicità di concezioni politiche che si raccolgono all'interno del pensiero repubblicano, gli studiosi contemporanei hanno opinioni diverse su importanti problemi storici e teorici. Mentre John Pocock sostiene che il repubblicanesimo è una forma di aristotelismo politico 3 fondato sull'idea che la vita politica è la massima realizzazione dell'individuo, altri studiosi, in particolare Quentin Skinner, sottolineano il ruolo prevalente del pensiero politico e giuridico ROMANO. Anche l'interpretazione del concetto di libertà è materia di divergenze interpretative. Philip Pettit sostiene che la mancanza di libertà consiste solo nella dipendenza dalla volontà arbitraria di altri uomini; per Quentin Skinner la mancanza di libertà può essere causata sia dalla dipendenza che dall'interferenza. Vi sono inoltre autori che interpretano il repubblicanesimo come una dottrina democratica, lontana dal liberalismo, che insiste sulla partecipazione dei cittadini alle decisioni politiche; altri avvicinano il repubblicanesimo al comunitarismo, altri ancora sottolineano piuttosto l'affinità fra repubblicanesimo e liberalismo radicale; altri infine ritengono che tanto il liberalismo quanto la democrazia siano derivazioni del repubblicanesimo. Nonostante le divergenze interpretative gli studiosi di storia del pensiero politico e di filosofia politica sono in larga maggioranza concordi nel riconoscere che il repubblicanesimo rappresenta un'autonoma e distinta tradizione di pensiero politico che ha svolto un ruolo di primo piano nella nascita e nella formazione delle moderne democrazie. BIBLIOGRAFIA. - BARON, In Search of Fiorentine Civic Humanism: Essays on the Transition from Medieval io Modern Thought, 2 voll., Princeton, Princeton University Press, BOCK, Q. SKINNER,VIROLI, Machiavelli and Republicanism, Cambridge University Press, Cambridge POCOCK, Il momento machiavelliano. Il pensiero politico fiorentino e la tradizione repubblicana anglosassone Il Mulino, Bologna; SANDEL, Democracy's Discontent: America in Search of a Public Philosophy, Harvard University Press, Cambridge (Mass.) PETTIT, Repubblicanesimo, a cura di M. GEUNA, Feltrinelli, Milano; Q. SKINNER, The Foundations of Modem Political Thought, 2 voll. Cambridge University Press, Cambridge; Le origini del pensiero politico moderno, a cura di M. VIROLI, Il Mulino, Bologna 1989; ID., Libertà prima del liberalismo, a cura di M. GEUNA, Einaudi, Torino, SMITH, Civic Ideals: Conflicting Visions of Citizenship in U.S. History, Yale University Press, New Haven, Conn. V., Repubblicanesimo, Laterza, RomaBari 1999. V.] Da N.Bobbio, N. Matteucci, G. Pasquino, Il dizionario di Politica, UTET, Torino. Maurizio Viroli. Keywords: Cicerone, ragion di stato, repubblica, repubblicanismo, la repubblica romana, la morte, il crollo, il fine, la caduta della repubblica romana, l’assassinio di Giulio Cesare, Catone Uticense, la repubblica romana, del re Romo alla repubblica romana, il ratto di Lucrezia – republicanism e principato, storia della repubblica di Genova, la repubblica romana, il gusto per l’antico; quasi-contratto, il sorriso di Macchiavelli. Refs.: H. P. Grice Papers, Bancroft MS, Luigi Speranza, “Grice e Viroli: Contrattualismo e quasi-contrattualismo” – Luigi Speranza: “Il sorriso di Viroli: Grice e Machiavelli ironista” -- The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.

Grice e Vitielo: la ragione conversazionale e il segno infranto nel Vico topologico – filosofia italiana -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Napoli). Filosofo italiano. “Come la lingua dell’eroe separa l’eroe dall’uomo, così la lingua volgare separa il filologo dal filosofo. La lingua italiana volgare, comune a ogni uomo, non riusce a descrivere la natura e le proprietà delle cose. Sorge la scissione tra un filosofo – come Paul Grice -- che si dettero ad investigare sulla natura delle cose, e un filologo – come H. P. Grice -- che, invece investiga sulle origini delle parole. Così la filosofia e la filologia che sono nate tutte e due dalla lingua dell’eroe, vennero ad essere divise dalla lingua volgare o commone. Essential Italian philosopher. Insegna a Salerno. Studia VICO, l'idealismo, Nietzsche e Heidegger in rapporto con la filosofia romana, elabora una teoria ermeneutica. La sua topo-logia si fonda su una re-interpretazione del concetto di spazio come orizzonte trascendentale dell'operare umano. Gli sviluppi della sua topologia riguardano in particolare la genealogia della communicazione. Affronta più volte la fede da un punto di vista laico. Fonda Paradosso. Collabora a Filosofia di Laterza e a numerose altre riviste filosofiche, tra cui “aut aut.” Dirige Il pensiero. Collabora all'annuario Filosofia e all'annuario sulla Religione. Pubblica in Teoria ed altre ancora. Svolge un’intensa attività pubblicistica su quotidiani e periodici. Tenne cicli di conferenze e seminari. Saggi: Filosofia della pratica e dottrina politica liberale in CROCE, Napoli; Etica e liberalismo in CROCE, Napoli; Il carattere DISCORSIVO del conoscere, Napoli; ANTONI, interprete di CROCE, Napoli; Storia e storiografia nella filosofia di CROCE, Scientifica, Napoli; Sentimento e relazione nell’ESPERIENZA, Napoli; Il nulla e la fondazione dello storico, Argalia, Urbino; Dialettica ed ermeneutica, Guida, Napoli; Utopia del nichilismo, Guida, Napoli; Studi heideggeriani, Roma; Ethos ed eros, ESI, Napoli; Logica e storia in Hegel, Napoli; Il problema del cominciamento, Guida, Napoli; Hegel e la comprensione;Topologia, Marietti, Genova; La voce riflessa, Logica ed etica della contraddizione, Lanfranchi, Milano; Elogio dello spazio: ermeneutica e topologia, Bompiani, Milano; Cristianesimo senza redenzione, Laterza, Roma; Non dividere il sì dal no: tra filosofia e letteratura (Laterza, Roma); Filosofia teoretica: le domande fondamentali: percorsi e interpretazioni (Milano); La favola di Cadmo (Laterza, Roma); “VICO (si veda) e la topologia” (Cronopio, Napoli); “La vita e il suo oltre: sulla morte” (Roma); “Il Dio possibile, esperienze di cristianesimo” (Città Nuova, Roma); “Hegel in Italia, Milano); “Dire Dio in segreto” (Roma); “Cristianesimo e nichilismo: Dostoevskij-Heidegger” (Morcelliana, Brescia); “Estetica e ascesi” (Modena); E pose la tenda in mezzo a noi,” Albo Versorio, Il Decalogo. Ricordati di Santificare le feste; I tempi della poesia. Ieri/oggi” (Mimesis, Milano); “Dipingere Dio” (Albo Versorio); “VICO: storia, LINGUAGGIO, natura, Storia e Letteratura, Roma); “Ri-pensare il cristianesimo” (De Europa, Ananke); “Oblio e memoria del sacro” (Moretti, Bergamo); “Grammatiche del pensiero: dalla kenosi dell'io alla logica della seconda persona, ETS, Celan; Heidegger” (Mimesis); “I comandamenti. Non dire falsa testimonianza” (Il Mulino); “L'ethos della topologia. Un itinerario di pensiero” (Lettere, Firenze); “Paolo e l'Europa: cristianesimo e filosofia” (Città Nuova, Roma); “L'immagine infranta: linguaggio e mondo in VICO” (Bompiani, Milano); “VICO: tra storia e natura,” aut aut; “Complessità e aporie del moderno”, in Filosofia politica; “Dall'ermeneutica alla topologia”,“aut aut”; “Goethe, interprete della modernità” aut aut; “Per amicizia: Epochè e metafora”; “aut aut”, “Sentire le Radici, la Terra stessa”, i“aut aut”; “Zanzotto, ovvero: la poesia come genealogia della parola”, in “aut aut”; “Redaelli, Il nodo dei nodi; L'esercizio del pensiero in VATTIMO”, V. (Sini, ETS, Pisa); “Luoghi del pensare” (Mimesis, Milano); Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche di RAI Educational; "Filosofia". Appare la "seconda" Scienza Nuova. Non è propriamente una seconda edizione dei Principj di una Scienza Nuova intorno alla Natura delle Nazioni, apparsi cinque anni innanzi. La revisione, a cui Vico ha sottoposto il testo del 1725, è tale da farne un'altra opera: basterebbe ricordare l'inserimento della "discoverta del vero Omero", argomento affatto nuovo e fondamentale che occupa un intero libro, il terzo; invero è mutata la struttura stessa del lavoro, come anche una rapida scorsa degli indici delle due edizioni mostra. Se, ciononostante, Vico ha mantenuto anche nella successiva edizione il medesimo titolo, salvo piccole varianti,2 è perché l'ampliamento e la diversa distribuzione della materia, nonché la correzione dell'"errore" d'aver egli separato, nella prima redazione, i "principi delle idee" da quelli "delle lingue", che sono "per natura tra loro uniti", non solo non hanno mutato l'orientamento di fondo dell'opera, l'hanno bensì approfondito e sviluppato, specialmente riguardo al tema del linguaggio. Tra le "novità" della seconda Scienza Nuova spicca l'immagine posta sul frontespizio dell'opera: una "dipintura allegorica" commissionata dal filosofo a Domenico Antonio Vaccaro, noto pittore napoletano, che l'aveva eseguita secondo precise indicazioni e sotto il controllo del committente. Che l'uso di accompagnare un testo filosofico o letterario con un'immagine fosse frequente al tempo di Vico è cosa nota: si citano come esempi illustri l'Organon di Francesco Bacone, il Leviathan di Hobbes, i Second Characters di Shaftesbury e da ultimo la Istoria universale provata con monumenti e figurata con simboli degli antichi di Francesco Bianchini. Che il filosofo napoletano ne sia stato influenzato, ben si ricava da quanto egli stesso dice nel primo capoverso dell'Introduzione, dove spiega che l'immagine sul frontespizio dell'opera serve a"ridurla più facilmente a memoria [...] dopo di averla letta".Ma che la funzione mnemonica di questa Tavola delle cose civili sia affatto secondaria, è del tutto chiaro, premurandosi Vico di dire per prima cosa che la dipintura "serv(e) al Leggitore per concepir l'idea di quest'Opera avanti di leggerla" (SN). Prima di chiarire questo punto che è essenziale comprendere l'esigenza filosofica cui risponde la "dipintura", è opportuno darle uno sguardo veloce. In alto, a sinistra dell'osservatore, è dipinto un sole, al cui interno è un triangolo con dentro un occhio, dal quale parte un raggio di luce che giunge al petto della fanciulla dalle tempie alate, allegoria della Metafisica, che ha lo sguardo fisso al sole. Dal petto della fanciulla, i cui piedi poggiano sul globo terrestre, il raggio si riflette sulla statua collocata in basso a sinistra. Ai piedi della statua, che raffigura Omero, vari arnesi: та оно, un timone, un aratro, una borsa; poi una tavola con su scritte alcune lettere alfabetiche, quindi un fascio di verghe. Al lato opposto della statua un altare, su cui scorgiamo un lituo, una fiaccola, un orciuolo contenente acqua, quindi il fuoco accanto al globo su cui poggia la fanciulla alata. La fascia che cinge il globo è quella dello zodiaco, con i segni delle costellazioni della Vergine e del Leone in evidenza. In basso, a destra, un'urna cineraria, ai margini di una gran selva. Vico concepì il dipinto come "Idea dell'opera" - così nell'Introduzione dedicata alla "spiegazione della dipintura proposta al frontespizio" - e cioè come figura o immagine della Scienza Nuova, ovvero della storia: della storia ideale eterna e delle storie che "corron' in tempo". L'ampiezza e la meticolosità della "spiegazione"5 attestano l'importanza ch'egli attribuiva alla "traduzione" dei suoi argomenti in "immagine". L'immagine doveva, infatti, integrare la voce, facendo cogliere uno actu - e non in successione - i due aspetti che caratterizzano la storia: 1) la cornice stabile e permanente dell'eterna provvedenza, esemplata nel raggio di luce che parte dall'occhio divino e, toccando la metafisica, illumina e regge il mondo degli uomini, e 2) l'operare umano nel tempo, volto, anche inconsciamente, a Dio, testimoniato dallo sguardo della fanciulla alata, eternamente fisso sul triangolo solare. E, pertanto, come l'immagine serviva ad integrare la voce, così questa doveva a sua volta completare l'immagine, dacché soltanto la voce dà in successione quello che in successione accade entro l'ordine necessario della storia ideale eterna: il "correre in tempo" delle storie di tutte le nazioni "ne' loro sorgimenti, progressi, stati, decadenze e fini" (SN44, p. 903). Vico non intese questa congiunzione di voce e immagine - phonè kai schêma, per dirla con le parole del Cratilo di Platone, di cui il filosofo napoletano resta insuperato "interprete"6 - come una "novità" da lui introdotta in filosofia. Al contrario la presentava come un'operazione di restauro. Per comprenderne le ragioni, dobbiamo fare alcuni passi indietro nel tempo e leggere quella nota che lui aggiunse al Il Libro del Diritto Universale, il De constantia jurisprudentis:[...] Come prima la lingua eroica aveva diviso gli eroi dagli uomini, così dopo la lingua volgare divise i filologi dai filosofi. Il motivo di questa seconda osservazione è che, poiché la lingua volgare, in quanto comune, non riusciva a descrivere la natura e le proprietà delle cose, sorse la scissione tra i filosofi che si dettero a investigare sulla natura delle cose, e i filologi che invece investigavano sulle origini delle parole; e così la filosofia e la filologia, che erano nate tutte e due dalla lingua eroica, vennero ad essere divise dalla lingua volgare.? La lingua volgare, così detta perché lingua della comunicazione - in seguito Vico la chiamerà "pistolare" (SN, Degnità) -, rende solo i caratteri "comuni", "generici", delle cose, non la loro "natura", ciò che ad esse è proprio, la loro concreta, reale, determinatezza. Questo ha portato alla divisione della filologia, che s'interroga sull'origine delle parole - quindi su come siano sorte le parole generiche, vuote di determinatezza, della lingua "comune" -, dalla filosofia che, invece, investiga direttamente la natura delle cose. Ma in che modo? Non è anche la filosofia legata al linguaggio? Vico s'avvide del cul-de-sac in cui s'era cacciato. Ne uscì, con due mosse geniali. La prima fu l'abbandono del latino delle scuole, lingua di pura comunicazione di concetti, priva di vero rapporto con la vita quotidiana del popolo, fatta di eventi reali e cose concrete; scelse di scrivere in volgare - ma bisogna aver confidenza con la lingua di Vico, con il "barocco napoletano" della Scienza Nuova, per capire la portata di questo mutamento.La seconda mossa strategica fu "l'idea dell'opera": la "dipintura allegorica", con cui egli volle ricongiungere voce e immagine, o, per dirla con Nietzsche, il mondo dell'ascolto, della parola (Hörwelt), e quello della visione, dell'immagine (Schauwelt). 8 Vico operava, consapevolemente, in controtendenza rispetto all'intera tradizione occidentale e in particolare al suo tempo, che spingeva la lingua all'astrazione, secondo il modello"matematico". Vico - ho detto; ma debbo subito precisare: il filologo più che non il filosofo. Ché come filosofo non fu meno attratto dal mos geometricum di quanto lo furono Cartesio e Spinoza, se volle estendere alla storia quella mathesis universalis già da Grozio applicata al diritto. Come filologo, invece, seppe risalire alle origini lontane, remote del linguaggio, alle fonti antiche della poesia greca, con la "discoverta" del vero Omero o dei molti Omeri, e della latina, leggendo insieme con Virgilio e Lucrezio, e Orazio, Stazio, Plauto, gli "storici" e gli"eruditi", interpretando anche l'antico diritto romano qual"serioso poema" e l'antica giurisprudenza come"severa poesia". Né si fermò qui, ma piegandosi sulla lingua dei contadini, sulle loro metafore e i loro gesti, vide con l'occhio di una fervida immaginazione i primi abitanti della Terra, i forti ed empiamente pii Polifemi, atterriti dalla luce del lampo che squarcia le notti e dal cupo rimbombo del tuono che fa tremare la Terra, emettere i primi suoni inarticolati di un linguaggio "naturale", inintenzionale, prima fonte della lingua articolata dell'uomo. Scorse, talora come da dietro un vetro opaco, la nascita dell'uomo dall'animale, della mente dal corpo, della storia dall'ingens sylva, e ne descrisse lo sviluppo, non senza "salti" e "confusioni" di tempi e forme linguistiche. Philologia contra philosophia? In certo senso sì, se la filologia lo convinse non solo a trattare dei miti, ma in qualche modo a "mimarne" il gesto narrativo.10 Tentò una nuova lingua, logica e mitica ad un tempo, capace di tenere insieme narrazione e logica, la contingenza della storia e la necessità della mathesis. Anticipava con le sue folgoranti intuizioni, l'idea della Mythologie der Vernunft,11 che nacque all'incirca mezzo secolo dopo in terra germanica, ma che presto fu abbandonata, e proprio dal suo massimo rappresentante, Hegel, che, anni dopo, avrebbe esaltato il linguaggio alfabetico sulla lingua geroglifica, per essere quello costituito di nomi, che sono bildlose Vorstellungen, rappresentazioni senza immagini. Ed "è nei nomi che noi pensiamo", La "dipintura" serviva a Vico per ricostruire nella composizione di parola e immagine quella unità di voce e gesto che l'uomo storico aveva già perduto molto prima che sorgesse la lingua della comunicazione - la lingua "pistolare" della ragione riflessa -, già con la lingua eroica. Ma era, Vico, in ritardo sul suo tempo. La frattura parola/immagine era solo l'aspetto "in superficie" di una più profonda scissione.Vincenzo Vitielo. Vitielo. Keywords: la lingua dell’eroe, la lingua degl’eroi, Lazio, lazini, italiano, volgare, Lucrezio, confronto vichiano, vicho contro vico, la lingua eroica di Vico, Vico, semiotica, Croce, Vico topologico, linguaggio in Vico.  Refs.: H. P. Grice Papers, Bancroft. Luigi Speranza, “Grice e Vittielo” – “Topologia semiotica di Vico” – “Il Vico di Vittielo” – Vico e il segno infranto”, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.

Grice e Volpe: la ragione conversazionale e la logica come scienza storica – filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Imola). Filosofo italiano. Essential Italian philosopher. Filosofo italiano. Studia a Bologna laureandosi in filosofia sotto Mondolfo. Insegna al Galvani di Bologna, l’Alighieri di Ravenna, e a Messina.  Legato alla tradizione di GENTILE (si veda), si dedica a questioni strettamente teoretiche e storico-filosofiche, attestandosi infine su posizioni fortemente anti-idealistiche. Approda così attraverso la ri-valutazione dell’ESPERIENZA dell’empirismo e dell’UMANO dell’umanesimo, mantenendo un'impostazione fondamentalmente dialettico-materialistica in costante confronto critico e polemico soprattutto con la dialettica hegeliana e l'idealismo post-hegeliano, ma anche con le correnti positivistiche semiotica, e con l'esistenzialismo. Questa svolta, testimoniata dal Discorso sull'ineguaglianza, conduce a V.  a un sempre maggiore interesse per i problemi della filosofia politica e dell'etica, considerati comunque in stretto rapporto con le questioni semiotiche. Non abbandona comunque i propri interessi storico-filosofici. Tra i saggi quello che, oltre ad aver avuto più ampia diffusione, rappresenta il più perspicuo esempio della sua capacità di di muoversi con piena consapevolezza critica tra i piani teoretico, storico e politico, è senz'altro il saggio “Rousseau e Marx.” sul concetto di libertà (cf. Grice, “Freedom”) è perfettamente integrabile con la dottrina di Rousseau, il quale quindi non sarebbe da considerarsi né tra i teorici della rivoluzione borghese né tra i nostalgici di una società parcellizzata in piccolissime unità cittadine, ma tra i più attuali preconizzatori di una società egualitaria. Un altro dei punti nodali della sua filosofia è il tentativo di elaborare una teoria estetica rigorosamente materialista. Sottolinea il ruolo delle caratteristiche strutturali e del processo sociale di produzione dell’espressione nella formazione del giudizio estetico, in forte polemica con la dottrina dell'intuizione di CROCE -- da lui considerata in continuità con la tradizione romantica e misticheggiante, elabora il concetto di gusto come principale fonte del giudizio estetico. Presenta nella filosofia una posizione contro-corrente. Altri saggi: L'idealismo dell'atto e il problema delle categorie, Bologna, Zanichelli, Le origini e la formazione della dialettica hegeliana; Hegel, romantico e mistico, Firenze, Monnier; Il misticismo speculativo di Eckhart, Bologna, Cappelli, La filosofia dell'ESPERIENZA, Firenze, Sansoni, Espressione, Bologna, Meridiani, Il principio di contraddizione e la sostanza prima nel Lizio: contributo a una critica dei pensieri logici” Bologna, Azzoguidi; Crisi dell'estetica romantica, Messina, Anna; Critica dei principi logici, Messina, D'Anna; Discorso sull'ineguaglianza, con due saggi sull'etica dell'esistenzialismo, Roma, Ciuni; Emancipazione e tras-mutazione dei valori, Messina, Ferrara; Libertà: saggio di una critica della ragion pura pratica, Messina, Ferrara; Studi sulla dialettica mistificata; “Lo STATO RAPPRESENTATIVO, Bologna, UPEB; Umanesimo; Studi e documenti sulla dialettica materialistica, Bologna, Zuffi; Logica come scienza positiva, Messina, D'Anna; Eckhart o della filosofia mistica, Roma, Storia e letteratura; La poetica del Lizio nei commenti essenziali degl’umanisti, Bari, Laterza; Il verosimile filmico e altri scritti di estetica, Roma, Film; La nuova sinistra, Rousseau e Marx e altri saggi di critica materialistica, Roma, Riuniti; Critica del gusto, Milano, Feltrinelli; Chiave della dialettica storica, Roma, Samonà; Umanesimo ed emancipazione, Milano, Sugar; Critica dell'ideologia: saggi di teoria dialettica, Roma, Riuniti; Schizzo di una storia del gusto, Roma, Riuniti; Opere; Ambrogio, Roma, Riuniti; Violi, La Libra, Messina; Dizionario biografico degl’italiani,  Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Volpe. Keywords: critica del gusto per l’antico, il gusto per gl’antichi degl’antichi, chiave della dialettica storica, la logica come storia, espressione. Refs.:  H. P. Grice, The H. P. Grice Papers, Bancroft; Luigi Speranza, “Grice e Volpe: l’espressione” – The Swimming-Pool Library, Liguria.

Grice e Volpi: la ragione conversazionale dell’essere univoco – filosofia italiana -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Vicenza). Essential Italian philosopher. Filosofo italiano. “Wild clarity” in Heidegger! Insegna a Padova. Borsista della Humboldt di Bonn, dell'Institut International de Philosophie, Parigi, dell'Istituto veneto di scienze, lettere ed arti e dell'Accademia Olimpica di Vicenza. Insignito dei premi Montecchio e Nietzsche. Altri saggi: Heidegger e Brentano; La filosofia pratica, Francisci, Albano, Padova – Filosofia pratica e scienza politica, Francisci, Albano, Padova; Heidegger e Aristotele, Daphne, Padova, Il nichilismo, Laterza, Roma, Guida a Heidegger, Laterza, Roma; I titani: una conversazione con Jünger e Gnoli; Dizionario delle opere filosofiche, Il dio degl’acidi, conversazioni con Hofmann e Gnoli;L'ultimo sciamano, conversazioni heideggeriane con Gnoli, Storia della filosofia dall'antichità a oggi con Berti.  Per Adelphi cura opere di Schopenhauer, Heidegger e Schmitt. Collabora alla Repubblica. Mentre e in sella alla sua bicicletta a Berici, e investito da un'auto e cadde in coma irreversibile. Muore il giorno successivo. Commemorato dal preside assieme a tutto il corpo docente di Padova. Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, Parolin, Commozione al Bo per l'addio a V., Giornale di Vicenza.  Altri saggi: L'aristotelismo e il problema dell'univocità dell'essere in Heidegger (Milani, Padova) – cf. Grice, ‘multiplicity of ‘being’ --; Il concetto di decadenza divina; Filosofia politica; Hegel e i suoi critici, Laterza, Roma; Interprete del pensiero contemporaneo, Incontro di studio, Padova, Vicenza, Accademia Olimpica, Atti dell'incontro, comune di Lavarone; Il pudore, Brescia, Morcelliana, Opere su Istituto veneto di scienze, lettere ed arti. Essere, tempo, esistenza, Associazione Asia, Sul valore e la funzione della filosofia; Sul significato e lo statuto di ‘Essere e tempo’ di Heidegger”, Capurro, Rezension von V. Heidegger e Aristotele, Daphne Editrice, Padova Zuerst erschienen in: W. Schirmacher Hrsg.: Schopenhauers Aktualität. Ein Philosoph wird neu gelesen. Schopenhauer-Studien 1/2. Passagen Verlag, Wien. In seinem 1967 in der Akademie der Wissenschaften und Künste in Athen gehaltenen Vortrag schreibt Heidegger:  "Die Kunst entspricht das physis und ist gleichwohl kein Nach- und Abbild des schon Anwesenden. Physisund téchne gehören auf eine geheimnisvolle Weise zusammen. Aber das Element, worin physis und téchne zusammengehören, und der Bereich, auf den sich die Kunst einlassen muß, um als Kunst das zu werden, was sie ist, bleiben verborgen." (M. Heidegger: Denkerfahrungen, Frankfurt a.M. 1983, S. 139)Für wen bleibt dieser Bereich "verborgen"? Zumal für unsere technische Zivilisation, die sich mehr und mehr, über alle Grenzen hinweg, ausbreitet und somit sich jeder Möglichkeit einer selbstkritischen Distanz beraubt. Und dennoch: wir sind dem nicht ausgeliefert. Heidegger wird öfter bekanntlich vorgeworfen, er verfalle mit seiner Auffassung des "Seinsgeschickes" im pessimistischen Mystizismus und ergreife die Flucht in die Antike durch seinen "Schritt zurück". Nichts von alledem. Wir lesen im selben Vortrag:  "Schritt zurück heißt: Zurücktreten des Denkens vor der Weltzivilisation, im Abstand von ihr, keineswegs in ihrer Verleugnung, sich auf das einlassen, was im Anfang des abendländischen Denkens noch ungedacht bleiben müßte, aber dort gleichwohl schon genannt und so unserem Denken vorgesagt ist." (ebda.)Das Thema Heidegger scheint indessen im deutschsprachigen Raum und insbesondere in der Bundesrepublik weiterhin von aller Art von Vorurteilen belastet zu sein. Man braucht nur an die klischeeartigen Ausführungen von Jürgen Habermas in seinen Vorlesungen "Der philosoophische Diskurs der Moderne" (Frankfurt a.M. 1985) zu denken, um das Groteske dieses Mißverständnisses (falls der Versuch eines Verständnisses unterstellt wird) zu exemplifizieren. Und Aristoteles? Er gilt inzwischen für viele als "Urvater" bzw. "Urheber" der heute herrschenden Technologie, nämlich der Informationstechnologie Die Bestrebungen der "Künstlichen-Intelligenz-Forschung", etwa in der Herstellung von "Expertensystemen", haben in der aristotelischen Logik ihr Rezeptbuch gefunden. V. lädt uns mit seinem schlicht betitelten Buch Heidegger und Aristoteles zu einer Begegnung dieser Denker ein, die, ganz außerhalb von diesen Klischees, zur Sache selbst führt. Der Dialog Heideggers mit Aristoteles ist zwar ein lebenslanger Dialog gewesen, aber der Verfasser betont mit Recht drei Höhepunkte, nämlich  die frühe Anwesenheit des Aristoteles in Heideggers Seinsfrage, indem diese durch den scholastischen Filter Brentanos und Braigs zu ihm drängt und zu Aristoteles führt;die (etwa zehnjährige) Periode des Ausbrütens von Sein und Zeit, als die entscheidende Zeit des Dialogs, die sich in den Marburger Vorlesungen sowie in Sein und Zeit selbst niederschlägt;und schließlich die Anwesenheit Aristoteles' nach der "Kehre".Dementsprechend fällt  der Schwerpunkt von Volpis Ausführungen auf den zweiten Höhepunkt, der mit der Überschrift "Wahrheit, Subjekt, Zeitlichkeit" gekennzeichnet ist. Heidegger begegnet Aristoteles ausgehend von den in der Husserlschen Phänomenologie offen gelassene Frage nach der ontologischen Konstitution des menschlichen Lebens (bzw. der "Lebenswelt"). In dieser Begegnung, die auf eine kategoriale Differenzierung hinausläuft, öffnet sich der Blick für die Kantische Frage nach der Einheit des Kategorialen, die, sofern sie auf ein endliches Subjekt zurückgeführt wird, den Zusammenhang zwischen Subjektivität (bzw. "Dasein") und Zeitlichkeit offenbart. Damit kündigt sich zugleich die zentrale "These" Heideggers bezüglich des metaphysischen Seinsverständnisses im Sinne von Anwesenheit, mit der dazugehörigen Privilegierung der zeitlichen Dimension der Gegenwart an. Gegenüber einer kategorialen (bzw. "gnoseologischen") Wahrheitsauffassung sucht Heidegger (Husserl folgend) in Aristoteles die Spuren einer präkategorialen "fundierenden" Wahrheit, wobei solange man den Bereich eines endlichen Subjektes nicht verläßt, eine solche "Fundierung" auf die Einheit von sinnlicher Wahrnehmung und Verstand bezogen bleibt. Der Verfasser erläutert in klaren Umrissen die Kernpunkte der Heideggerschen Analysen aus De interpretatione sowie aus ausgewählten Stellen der Metaphysik. Es geht dabei u.a. darum zu zeigen, inwiefern die Struktur des prädikativen logos nicht nur in die Frage nach der "Wahrheit", sondern vor allem in die nach dem "Wahr-sein", also noch einem ontologischen vorprädikativen Sinne von Wahrheit mündet. Die psyche ist "in" der Wahrheit, d.h. sie ist in der Weise des "Entbergens" (aletheuein). Während es bei den prädikativen Wahrheit um die Wahrheit bzw. Falschheit der Aussage geht, geht es bei der ontologischen Ebene um das "Vernehmen" bzw. "nicht Vernehmen" (noein / agnoein) des Sich-Entbergenden. Mit anderen Worten, das Sein, temporal vorverstanden als "Anwesenheit", ermöglicht erst die Prädikation des "Wahren" und "Falschen". Dieses temporale Vorverständnis des Seins bildet, wie der Verfasser richtig bemerkt, die eigentliche "Entdeckung" Heideggers, die ihn zu einem kritischen Durchgang durch die Geschichte der Metaphysik führt. In einem zweiten Schritt erläutert Volpi die gewissen Parallelität zwischen den ontologischen Bestimmungen von "Dasein", "Zuhandenheit" und "Vorhandenheit" (als die drei Seinsmodi, die Heidegger in Sein und Zeit eingehend erörtert) und den aristotelischen Unterscheidungen zwischen praxis, poiesis und theoria, wobei, nach Ansicht Volpis, die Korrespondez praxis / "Dasein" zunächst ungewöhnlich erscheint. Hier zeigt der Verfasser, wie mir scheint, den entscheidenden Durchbruch Heideggers in seiner Kritik der bisherigen Vorherrschaft einer kognitiv-theoretisch orientierten Bestimmung des Menschen. Hier liegt auch der Anknüpfungspunkt Heideggers am "praktischen" Denken Aristoteles' in der Nikomachischen Ethik (bes. im VI. Buch), wobei man erneut die erstaunliche produktive (!) Parallelität, die aus diesem Dialog hervorgeht, feststellen kann, z.B. in Bestimmungen wie "Gewissen" / phronesis, "Sorge" / orexis,  "Entschlossenheit" / prohairesis, "Befindlichkeit" / pathe  bis hin zur Deuttung des "Verstehens" im Sinne des nous praktikós. Im Hinblick auf die Frage nach der Zeit, den dritten Schwerpunkt von Volpis Analysen dieses zweiten Höhepunktes in der Begegnung zwischen Heidegger und Aristoteles, ist die (christlich-) kairologische gegenüber der "chronologischen" Erfahrung der Zeitlichkeit für Heidegger bedeutsam.  Heidegger reift schrittweise, so Volpi, zu seiner Auffassung, daß die Zeitlichkeit die Struktur menschlichen Lebens darstellt. In diesem Reifungsprozeß setzt sich Heidegger kritisch mit der naturalistischen Auffassung der Zeit bei Aristoteles auseinander, indem er, aufgrund einer Analyse der Bestimmung der Zeit in der Physik, die aristotelische Definition als die Frage nach dem Zusammenhang zwischen der Zeit und der (zählenden) "psyche", d.h. also als die Frage nach der ontologischen Bestimmung der "psyche" nachweist. Der Rezensent kann hier nur auf den analytisch "glasklaren" Text des Verfassers hinweisen, der diese schwierige Aus-einander-setzung zwischen Heidegger und Aristoteles in einer so zentralen Frage meisterhaft bewältigt. von der aristotelischen ("vulgären") Auffassung der Zeit führt dann der Weg zur Analyse der "Zeitlichkeit" sowie der "Temporalität", von wo aus erst das primus und posterius der Bewegung in ihrer Dimensionalität (wozu auch das nunc gehört) erfaßt werden können. So gelangt Heidegger, von Aristoteles ausgehend, zur Zeitlichkeitsstruktur des "Daseins" (in Sein und Zeit). Die Anwesenheit Aristoteles' nach der "Kehre", so der Titel des letzten Teils des Buches, weist zunächst auf die Heideggersche Radikalisierung der Metaphysik (etwa in der "Physis"-Schrift), indem das (metaphysische) Projekt einer "Fundamentalontologie" verlassen wird, hin. Der Verfasser vertieft aber die Anwesenheit Aristoteles' in den Jahren 1929 bis 1931, in denen die Fragen nach dem "Ort" des 'logos' im Ereignis der Wahrheit (seine weltbildende Kraft), nach dem Sein als Anwesenheit und als Wahrheit (Sein als "energeia") bis hin zur entscheidenden Entdeckung des Seins als physis (wie es die "Vorsokratiker", vermutlich erfahren haben) und seines "Einfangens" in der techne im Vordergrund stehen. Das Phänomen der Technik wird vom 'späten' Heidegger insofern radikal in Frage gestellt, als es die (anfänglich positiv bewertete) Operationalität des "Zuhandenen" beinahe monströsen bzw. zerstörerischen Dimensionen erreicht. Demgegenüber betont aber Heidegger, daß techne bei den Griechen das eigentliche "Gegenüber" der physis darstellt, d.h. das, wodurch die physis in ihrer Offenheit und "Verborgenheit" aufgenommen wird, sowie das, wodurch die physei onta so in ihren "Formen" (eidos, idea) erkannt werden, daß man etwas Entsprechendes gegenüberstellt. Dieses "Gegenüber" von techne und physisbedeutet aber (noch) nicht den Verlust der physis in ihrer "überwältigenden" Dimension. Was Heidegger in der "Physis"-Schrift leistet, so mit Recht der Verfasser, ist eine (im doppelten Sinne des Wortes) "epochale" Auslegung des Aristoteles, nämlich eine "Über-Setzung" von Fragen, die längst überholt schienen, während sie in Wahrheit unserer modernen Auffassung von Natur und Technik buchstäblich zugrundeliegen. Darauf weist Volpi ausdrücklich im Schlußkapitel hin. Gerade für eine Analyse der "Moderne" bietet der Dialog Heidegger-Aristoteles entscheidende Anhaltspunkte. Zwei kritische Bemerkungen schließen diese Arbeit: Vollzieht tatsächlich das Wesen der modernen Technik den originären impetus des griechischen logos? Und inwiefern ist dem "Finitismus" Heideggers zuzustimmen, daß die Zeit den logos formt (und nicht umgekehrt, wie für die Griechen? V. deutet an, beide Fragen gewissermaßen vereinigend, daß es einen "polyvalenten logos" gibt, den es gegenüber einem "eindimensionalen logos" wiederzugewinnen gilt. Müßte man nicht auch von einer 'polyvalenten techne' (bzw. Technik!) sprechen? Wie steht es aber dann mit der Frage nach der Kunst? Ist nicht Eros ein großer Dämon, der zu verdolmetschen weiß? Heidegger in Dialog mit Platon? Franco Volpi. Keywords: dizionario dell’opere filosofico: Lucrezio, Cicerone, Vico, Croce, Gentile… -- multiplicity of  being in Aristotele, univocita dell’essere; equivocita dell’essere, essere univoco, energeia, einheit, sein, als energeia, l’unita dell’essere come energeia. H. P. Grice, The Grice Papers, Bancroft, MS. Luigi Speranza, “Grice e Volpi: l’univocita dell’esere” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.

Grice e Volpicelli: la ragione conversazionale -- corpi e corpi – maschi fascisti – colossi fascisti -- la flosofia italiana nel veintenno fascista -- filosofia fascista -- filosofia italiana -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Roma). Filosofo italiaano. Grice: “While Volpicelli does use ‘spirito,’ he means ‘breath of air,’ since he is ultimately a naturalist, like I am.” Essential Italian philosopher. Grice: “I read with interest his “Nature and spirit.” At that time, at Oxford, there was not much of an Oxford spirit, so it spirited me.” Prende parte come sotto-tenente alla grande guerra. Si laurea in filosofia sotto GENTILE (vide). Insegna a Urbino, Pisa, e Roma. Teorico del corporativismo integrale. Direttore di Nuovi studi e Archivio di studi corporativi. Altri saggi: Natura e spirito; L'educazione politica dell'Italia; I presupposti scientifici dell'ordinamento corporativo; Corporativismo e scienza giuridica; La certezza del diritto e la crisi odierna; Dizionario di Filosofia  Franchi, Per una teoria dell'auto-governo, ESI, Napoli. Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Diritto, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, su Treccani Enciclopedie Istituto dell'Enciclopedia Italiana. La filosofia di V. costituisce un importante e, probabilmente, ineludibile termine di confronto onde comprendere appieno, sul terreno proprio del diritto, gli sviluppi più profondi dell'attualismo di GENTILE (si veda) e le sue possibili conclusioni teoretiche circa la possibilità di ammettere, nel suo seno, una filosofia del diritto. Il peculiare interesse per i risvolti speculativi della sua dottrina nella corretta definizione di una Rechtsphilosophie fanno, infatti, di V, un insostituibile interlocutore. Punto di partenza della sua riflessione è, per l'appunto, la definizione di una FILOSOFIA del diritto. La distinzione con una mera SCIENZA del diritto che investe in primis la speculazione. [Tale problematica viene affrontata, parallelamente, seppur da un versante più marcatamente economico e sociologico, da SPIRITO (si veda), con il quale condivide le avventure e, soprattutto, le disavventure di “Nuovi studi di diritto, economia e politica” che, raccoglie i loro principali saggi e, in particolare, il loro tentativo di indagare - sulla base dell'insegnamento di GENTILE - quegli ambiti delle scienze pratiche nei quali il complesso rapporto con una FILOSOFIA  unificatrice ed escludente come l'attualismo determina l'esigenza di un approfondimento speculativo particolare. I Nuovi studi, riprendendo la felice sintesi di Franchi, possono] [teoretica tout court, ma che poi - come si vedrà - finisce per calarsi perfettamente nella definizione del diritto e nella tipologia di analisi e studio che concernono l'esperienza giuridica nel suo insieme? Fedele trascrittore della lezione di GENTILE, V.  separa schematicamente i due campi. La FILOSOFIA è la considerazione integrale e, quindi, reale dei fenomeni singoli come individuazioni assolute dell'intero universo. Scienza, invece, e una limitazione operata sull'universale individuo, e, quindi, una considerazione parziale e astratta della realtà.  Se dunque l'UNIVERSALITA FILOSOFICA si costituisce come determinatezza assoluta, occorre asserire che l'astrazione e limitazione scientifica non si costituisce fuori o accanto, ma sul fondamento e nell'ambito della conoscenza  filosofica. Perciò essa è distinta e autonoma, ma entro il circolo invalicabile della filosofia -- e della storia d’ITALIA. Una storia da pensare, si badi, sempre e comunque come l'immanente atto del pensiero concreto. La FILOSOFIA, dunque, non costituisce un Prolog im Himmel, ossia un semplice e grezzo materiale aggregato di preliminari nozioni scientifiche, ma piuttosto il sostrato ontologico su cui la scienza può e deve modellare quelle categorie e quelle nozioni idonee a favorire l'autentica conoscenza di determinati settori della vita spirituale. Essa, in altre parole, ha il compito di realizzare un determinato percorso gnoseologico il cui sviluppo non può prescindere dalla consapevolezza che il processo di unificazione o unità conoscitiva non avviene per opera della scienza, ma avviene già nella realtà. La scienza deve solo 'attuare', con i suoi termini e i suoi concetti, una realtà che storicamente già si compie come processo unitario'. Un] [considerarsi come "il manifesto dell'attualismo applicato alle scienze sociali" (cfr. G. Franchi, Araldo Volpicelli. Per una teoria dell'autogoverno, Napoli. Sul tema pure cfr. Losano, Prefazione a Id. cur., Kelsen – V. Parlamentarismo, democrazia e corporatirismno, Torino. Sul punto cfr. Gennaro, Crocianesimo e cultura giuridica, Milano. Cfr. Volpicelli, Orlando, in Nuovi studi di diritto, economia e politica. Sul punto cfr. Riccobono, Intervento, in La filosofia del diritto IN ITALIA; Alti del Congresso nazionale di filosofia giuridica e politica, Napoli-Sorrento, Milano, Franchi. La scienza - sentenzia altrove V. - è, infatti, vero ed effettivo conoscere (cfr. Corporativismo e scienza del diritto, in Nuovi studi di diritto, economia e politica. Sul binomio realtà-storia V., nel già citato passaggio chiarisce così: "La realtà è una, categoricamente una ed omogenea, talché le sue distinzioni - innegabili e imprescindibili all'esistenza del mondo o, meglio, della realtà come mondo - non possono essere, e ciò per defini-zione, assolute, eterogenee; non possono cioè importare una contraddittoria moltiplicazione reale dell'unità. Le distinzioni sono e debbono essere per definizione omogenee, e non sostanziali. Ciò val quanto affermare che sono storiche, se è vero che la storia è il processo di differenziamento dell'uno: sì differenziamento e processo unitario, e cioe tale da importare l’omogeneita] [processo unitario il cui svolgimento, a sua volta, è contrassegnato da una dialettica intesa come «ritmo della realtà nella sua spirituale natura», ovvero non come essere ma come farsi.  Ciò che V. tenta di raggiungere, nell'ambito della riflessione giuridica, è la formulazione di un concetto del diritto che sia capace di incarnare l'intima e l'immediata attuazione 'scientifica' della teoria 'filosofica' dell'identità di individuo e Stato», e, al tempo stesso, di schivare il pericolo di una «arbitraria traduzione di essa nei disparati termini empirici della scienza giuridica..Dimensione ontologica della filosofia, funzione gnoseologica della scienza: sono questi i postulati da cui occorre muoversi per intraprendere la costruzione tanto di una filosofia quanto di una scienza del dintto. La realizzazione della prima passa per un confronto-scontro con CROCE (si veda), più tenue, e con VECCHIO (si veda), più violento, -- ossia con i due autori che con maggiore vigore si oppongono al positivismo filosofico di fine secolo, ma da posizioni differenti: idealista quella crociana, neo-kan-tiana quella del filosofo romano. La formazione della seconda, viceversa, parte da una revisione critica della dottrina dei due protagonisti, maestro e allievo, della pubblicistica italiana: Orlando eRomano. Il problema di fondo che V. intende affrontare è, quindi, quello di ridefinire la filosofia del diritto come scienza filosofica, ovvero come un'attività che indaga su un fenomeno particolare dell'esperienza esistenziale, ovvero il diritto. La particolarità del suo oggetto, seguendo questa impostazione, consentirebbe la possibilità di essere concepita come scienza, 'filosofica', e quindi subordinata alla filo-sofia, ovvero a quel processo speculativo che tende alla universalità.Secondo Volpicelli, infatti, un difetto ricorrente delle filosofie del diritto coeve -soprattutto quelle di matrice positivista - era quello di considerare «le filosofie par-ticolari» - e quindi quella del diritto - «come entità irrelative e intermedie tra la filosofia e la scienza. A causa della deriva sociologistica e positivistica che conduce ad una «concezione naturalistico-deterministica della realtà umana e perciò del diritto», la filosofia del diritto alla fine dell'Ottocento, «non conserva che il] [sostanziale dei suoi differenziati momenti, senza di che non c'è processo e passaggio ma statica e irrelata molteplicità naturale" (cfr. A. V. Corporativismo e scienza del diritto, Cfr. V., La teoria dell'identità di individuo e Stato, in Nuovi studi di diritto, economia e politica. V., Corporativismo e scienza del diritto, V. La teoria del diritto di CROCE, in Nuovi studi di diritto, economia e politica] [nome. Il nodo cruciale è, insomma, l'impossibile distinzione tra una filosofia generale ed una speciale, come appunto si presenterebbe quella del diritto: una filosofia generale che ammette filosofia speciali non è più in grado di risolvere «sul suo terreno tutti i problemi della realtà. D'altro canto, una filosofia speciale che «ap-plica passivamente lo schema e il metodo» di una filosofia generale perde il suo compito essenziale ovvero «spiegare e necessitare il suo oggetto. Una riaffermazione di una riflessione intimamente giusfilosofica, quindi, «è possibile e intrinsecamente giustificabile» laddove si accetti il presupposto che il diritto sia «una posizione o forma assoluta dello Spirito stesso. Pertanto, oggetto e ragion d'essere della filosofia del diritto finiscono per identificarsi con «la determinazione della forma giuridica nel suo peculiare carattere e nella sua connessione intrinseca con le altre forme spirituali»"'. Solo in questo modo la filosofia del diritto «non è distinguibile dalla filosofia», ma nasce e si sviluppa «nell'ambito e nel sistema di essa» con lo scopo di perseguire due finalità essenziali: da un lato, in funzione anti-positivista, «considerare il diritto come attività dello spirito e non come «fatto» o schema»; dall'altro, in funzione anti-naturalista, «concepire storicamente il diritto come creazione incessante, progressiva ed organica. All'interno di questo quadro, V.  riconosce - in aperto contrasto col formalismo neo-kantiano - dei meriti anche a Croce: in particolar quello di aver ricomposto «il dissidio tra la filosofia e la storia, l'universalità e la concretezza, la categoria e l'esperienza» grazie al superamento del dualismo «di filosofia generale e filosofia particolari»'. Nonostante ciò, la posizione crociana va rigettata nel suo complesso per la presenza di insuperabili limiti speculativi: in particolare, in ambito filosofico-teoretico, la logica dei distinti; su un piano più specificamente giuridico, invece, la visione della legge come pseudo-concetto e la sua idea del rapporto tra società e Stato.Procediamo per gradi. Per Volpicelli, l'ipotesi di una dialettica tra i distinti è una mera contraddizione in termini in quanto le distinzioni che accompagnano la A. V. Recenti indirizzi italiani di filosofia del diritto, in Nuovi studi di diritto, economia e politica. Si ripropone, perciò, il problema 'crociano' "dell'essere o del non essere" della filosofia del diritto "come materia d'insegnamento" (cfr. ibidem).A. Volpicelli, Recenti indirizzi italiani di filosofia del diritto. V. La teoria del diritto di Croce, cL'errore del giusnaturalismo "non consiste nel fatto della sua «fissità», nel suo contraddire cioè alla autorevolezza delle leggi (...) ma nel carattere trascendente di esso, come presupposto e limite a priori, e, solo conseguentemente, statico e fisso, della volontà"] [costante e continua formazione dello spirito si rivelano solamente nel «processo di auto-oggettivazione dell'Io. L'attività dello spirito, prescindendo dalla sua manifestazione fenomenica, «è solo ed essenzialmente attività etica»?': per cui l'autoco-scienza - del soggetto agente - «nell'atto stesso in cui costituisce la volontà come tale, ne costituisce insieme e indistinguibilmente l'assoluto valore etico. Questa ripresa lineare e rigida della dimensione morale dell'intero processo spirituale dalla speculazione gentiliana è il presupposto che consente a Volpicelli di attaccare frontalmente «l'assurdità della distinzione spirituale tra attività economica e attività etica», poiché non è possibile concepirsi una differenza tra volontà universale e volontà individuale, ossia «tra fini che ci appagano come individui e fini che ci appagano come uomini. Due sono, dunque, le conseguenze derivanti da tali assunti: in primis, che l'utile «non è quella forma distinta di attività dello spirito, ma di un semplice, necessario modo di considerazione della volontà nel suo divenire. In secundis, che «il diritto è una forma distinta dell'attività dello spirito», che può presentarsi «come economia», ma soltanto «in virtù di una distinzione gnoseologica operantesi e risolventesi nel reale processo di svolgimento dello spirito come eticità»?.Rispetto dunque al primo punto, la critica ai 'distinti conduce ad una parziale e vaga accettazione dell'identità diritto-economia e ad una rapida e sbrigativa descrizione della relazione tra i vari momenti della praxis: diversamente da Gentile, e anche da Maggiore, in cui l'approdo alla moralità avviene in maniera graduale e complessa, in Volpicelli costituisce un dogma non approfondito, ma assiomaticamente sostenuto. V. La teoria del diritto di Croce. Gentile, criticando la filosofia crociana dei distinti e, nel contempo, rigettando i presupposti della dialettica hegeliana, sostiene che la morale investa "ogni momento della vita dello spirito" in quanto proiezione di "un dover essere imprescindibile hic et nunc in virtù della libertà" (cfr. GENTILE, I fondamenti della filosofia del diritto, Firenze. Maggiore, invece, distin-guendo, in un primo tempo, teoria e prassi, colloca la morale al termine del percorso dialettico di formazione della volontà (sul punto cfr. Maggiore, L'unità del mondo nel sistema del pensiero, Palermo; in un secondo tempo, poi, riconsiderando l'esperienza giuridica nel suo insieme, giunge a decretare la sostanziale identità di diritto e morale (cfr. Id., Il diritto e il suo processo ideale, V. La teoria del diritto di Croce. Gentile, criticando la filosofia crociana dei distinti e, nel contempo, rigettando i presupposti della dialettica hegeliana, sostiene che la morale investa "ogni momento della vita dello spirito" in quanto proiezione di "un dover essere imprescindibile hic et nune in virtù della libertà" (cfr. G. Gentile, I fondamenti della filosofia del diritto, Firenze. Maggiore, invece, distin-guendo, in un primo tempo, teoria e prassi, colloca la morale al termine del percorso dialettico di formazione della volontà (sul punto cfr. G. Maggiore, L'unità del mondo nel sistema del pensiero, Palermo; in un secondo tempo, poi, riconsiderando l'esperienza giuridica nel suo insieme, giunge a decretare la sostanziale identità di diritto e morale (cfr. Id., Il diritto e il suo processo ideale, Palermo: un passaggio che segna l'inizio di un lento ma inesorabile allontanamento dall'attualismo e dall'idealismo tout court che si compirà negli anni successivi. Più in ge-nerale, sull'evoluzione del pensiero di Giuseppe Maggiore si rimanda a F. D'Urso, L'emersione del giuridico' nella filosofia di Giuseppe Maggiore: da L'unità del mondo a Il diritto e il suo processo ideale, in Annali dell'Università degli Studi Suor Orsola Benincasa, Napoli.] [Il vero problema filosofico-giuridico, del resto, è rappresentato dal rapporto tra volontà e legge. Contro l'impostazione di Croce, che la vedeva semplicemente come uno pseudo-concetto della sfera pratica, Volpicelli considera la legge «regola imperativa» che costituisce la base di «un momento sui generis e irriducibile dello spirito pratico»?. Essa, perciò, «non è una costruzione arbitraria», bensì «l'immanente proiezione astrattiva e generalizzante della concreta volontà»28Se ad una prima lettura la legge appare, perciò, come «l'oggetto in cui la volontà si pone ed è reale», nel momento in cui la voluntas «se ne stacca», diviene «lo schema ideale dell'agire»; seguendo tale ragionamento, si può correttamente ritenere che «la sua dissoluzione è la condizione perché l'atto volitivo sorga e si effettui,?.Il diritto, allora, non può non identificarsi con la legge, cioè con il voluto «nella sua astrattezza e rigidezza di posizione innanzi e contro al volere»3°. Mentre la volontà etica «pone e risolve la legge nella sua libera ed intima creatività», la volontà giuridica è quella in cui «la legge è esterna però coattiva»''. Ecco il motivo per cui il diritto assume la coattività e l'esteriorità come elementi - gnoseologicamente - distinti dall'etica 32.Infine, Volpicelli intravede e contesta nel pensiero crociano una lettura 'machia-vellica' della politica: concepita come «la forma individuale o utilitaria dell'attività pratica dello spirito», essa si apre all'idea che la filosofia politica «non ha più per oggetto lo Stato» e quindi la sintesi di autorità e libertà, molteplicità e unità del va-lore33.A. Volpicelli, La teoria del diritto di Benedetto Croce, cit., p. 269.Ivi, p. 272.Ibidem.A. Volpicelli, La teoria del diritto di Benedetto Croce, cit., p. 273.Ibidem.Volpicelli considera essenziale separare l'ambito gnoseologico da quello fenomenologico e deontologico: in particolare, nel criticare le conclusioni che Vanni prospetta ne Il problema della filosofia del diritto nella filosofia, nella scienza e nella vita (1890) - ovvero l'idea che la filosofia costituisca un grado intermedio del conoscere mentre la scienza una mera filosofia applicata - sostiene che "il problema gnoseologico include quello fenomenologico, e questo esclude o sopprime il deon-tologico" (cfi. A. Volpicelli, Recenti indirizzi italiani di filosofia del diritto, cit., p. 28) . Questo approccio ricorda la distinzione gentiliana tra la categoria in sé, ossia "concetto universale, o eterno momento della vita dello spirito" (cfr. G. Gentile, Teoria generale dello spirito come atto puro (1913), Firenze 2003, pp. 220-221), e la categoria considerata come "contenuto di un certo atto conoscitivo" (cfr. ID., I fondamenti della filosofia del diritto, cit., p. 15).V., La filosofia della politica di Benedetto Croce, in Nuovi studi di diritto, economia e politica, V. La teoria del diritto di Benedetto Croce, cit., p. 269.Ivi, p. 272.Ibidem.3° A. Volpicelli, La teoria del diritto di Benedetto Croce, cit., p. 273.Ibidem.Volpicelli considera essenziale separare l'ambito gnoseologico da quello fenomenologico e deontologico: in particolare, nel criticare le conclusioni che Vanni prospetta ne Il problema della filosofia del diritto nella filosofia, nella scienza e nella vita (1890) - ovvero l'idea che la filosofia costituisca un grado intermedio del conoscere mentre la scienza una mera filosofia applicata - sostiene che "il problema gnoseologico include quello fenomenologico, e questo esclude o sopprime il deon-tologico" (cfr. A. Volpicelli, Recenti indirizzi italiani di filosofia del diritto, cit., p. 28) . Questo approccio ricorda la distinzione gentiliana tra la categoria in sé, ossia "concetto universale, o eterno momento della vita dello spirito" (cfr. G. Gentile, Teoria generale dello spirito come atto puro (1913), Firenze 2003, pp. 220-221), e la categoria considerata come "contenuto di un certo atto conoscitivo" (cfr. ID., I fondamenti della filosofia del diritto, cit., p. 15).A. Volpicelli, La filosofia della politica di Benedetto Croce, in Nuovi studi di diritto, economia e politica, VI, 1928, p. 322.479 Logica e storia: l'attualismo giuridico di V. ] [Volpicelli riconosce al formalismo giuridico di ispirazione neo-kantiana un importante merito ma, di contro, attribuisce ad esso un altrettanto decisiva responsa-bilità: il suo pregio consisterebbe nell'aver riaffermato «l'identità e l'universalità del diritto», il suo difetto nello «essersi arrestato a un concetto astratto e antistorico della categoria del diritto», 34.Il formalismo neo-kantiano, in altre parole, riaffermando «l'apriorità e categori-cità del diritto», rivendicava «legittimità ed autonomia della rispettiva indagine filo-sofica»35. Un'autonomia che, in Volpicelli, va sempre però concepita entro il perimetro della filosofia generale e mai al di fuori e all'esterno di essa36. L'insuperabile limite del neo-kantismo, allora, appare quello di inseguire un'illusione, ossia di poter sostenere «l'autonomia dottrinale di quella particolare filosofia contro i congiunti ostacoli della filosofia generale e della giurisprudenza»37.E arriviamo, così, all'analisi del maggiore e più influente esponente del neo-kan-tismo italiano, ovvero Giorgio Del Vecchio38. Volpicelli contesta due aspetti fondamentali della sua teoresi: la distinzione tra concetto e idea del diritto - che ripro-pone, sotto mentite spoglie, quella tra una giurisprudenza che studia il diritto particolare e la filosofia che studia il diritto universale3; la riproposizione, consequen-ziale, dei tre 'compiti' (gnoseologico, fenomenologico, deontologico) del diritto *".A. Volpicelli, La teoria del diritto di Benedetto Croce, cit., p. 241.Ivi, p. 212.Volpicelli, nel ritenere che la filosofia del diritto come "un'autonoma scienza filosofica" nasce con Thomasius, interpreta la sua distinzione tra diritto e morale come specchio della distinzione tra diritto naturale e diritto positivo (cfr. A. Volpicelli, Recenti indirizzi italiani di filosofia del diritto, cit., p. 25).A. Volpicelli, La teoria del diritto di Benedetto Croce, cit., p. 243. Per comprendere meglio la prospettiva volpicelliana, è interessante la lettura dell'opera di Igino Petrone. Sebbene consideri la sua filosofia come "unico sforzo compiuto dal filosofismo accademico italiano per costruire una filosofia del diritto su fondamenti speculativi", in essa traspare nitidamente il fatto che l'apriori kantiano diviene "una statica e trascendente idea innata" e, di conseguenza, la realtà fenomenica come una"bruta empiria avente fuori di sé il suo principio" (cfr. Id., Recenti indirizzi italiani di filosofia del diritto, I, cit., 30-31). Pertanto, nel suo idealismo critico "permaneva, in fondo, tenace la concezione positivistica" (cfr. ivi, p. 29).Quando ci riferiamo al neo-kantismo italiano, come sostiene nella sua ricostruzione storico-filosofica Nicola Tabaroni, possiamo individuare tre autori 'per antonomasia', ovvero Igino Petrone,Adolfo Ravà e, per l'appunto, Giorgio del Vecchio; in merito cfr. N. Tabaroni, La terza via neo-kantiana. Della gius-hlosofia in Italia, Napoli 1987, pp. 5-6.Una problematica, questa, che viene approfondita da altri studiosi prossimi alla filosofia attuale, tra i quali certamente spicca Angelo Ermanno Cammarata. Si ricordi, a riguardo, soprattutto il Contributo a una critica gnoscologica della giurisprudenza (1925), in cui emerge, come scrive Teresa Serra, la necessità di "ridare legittimità alla filosofia del diritto rifiutando l'elisione idealistica della realtà del diritto" (cfr. T. Serra, Angelo Ermanno Cammarata: la critica gnoseologica della giurispru-denza, Napoli 1988, p. 61) V. Recenti indirizzi italiani di filosofia del diritto] [In primo luogo, egli ritiene che «la fenomenologia del diritto» coincida con «la storia stessa del concetto di diritto»4: tra lo svolgimento dell'idea-diritto e la trasformazione del concetto-diritto non vi è, dunque, alcun dualismo ma piuttosto una sostanziale identità. Un'identità che consente a Volpicelli di accentuare quell'avvi-cinamento tra forma e contenuto del diritto, già riconoscibile nell'opera gentiliana e già intrapreso da Maggiore, che, pur riprendendo nozioni kantiane, le plasma e le adatta all'interno della sua speculazione a consolidamento e sostegno della posizione attualista43.La forma, per Volpicelli, è sempre «forma viva», ossia «concreta, processuale e differenziantesi»: una forma che, così intesa, può essere perfino definita come «il contenuto medesimo nella sua spiritualità»*. Una forma che non può mai identificarsi con la vuota e indifferente nozione, di derivazione neo-kantiana, dell'«univer-sale logico»*. Da qui, la seconda fondamentale critica a Del Vecchio, ossia la sua fatua distinzione tra essere e conoscere. Il fenomeno giuridico, infatti, va concepito, secondo tale lettura, come un qualcosa «che non cade fuori dall'atto che la pro-duce», ma piuttosto come una realtà «in cui si individua, e cioè si converte e rifonde senza residuo, l'universale attività concepente»*.La riconduzione dell'elemento fenomenico nell'ambito formativo del processo spirituale determina, altresì, l'identificazione della conoscenza con il valore, o meglio, dell'attività conoscitiva con quella valutativa. Lungi dall'accogliere la separazione weberiana tra giudizio di fatto e giudizio di valore, Volpicelli perviene al rifiuto dell'altra importante dicotomia nella filosofia delvecchiana, ossia quella tra idea logica e idea valutativa, da cui derivano rispettivamente il «giudizio storico-positivo» e il «giudizio deontologico-razionale»47. Per l'allievo di Gentile, «conoscere è, indi-stinguibilmente, e in sé medesimo, valutare» perché ogni valutazione avviene sempre in re, e non extra o post rem, e pertanto «è possibile e giustificabile solo nell'attoUn concetto di diritto che "non è nulla di diverso e distinto dalle sue manifestazioni, ma è proprio, assolutamente, quest'ultima" (cfr. ibidem).Il Kant 'attualista' è quello che apre all'identità hegeliana di reale e razionale attraverso il ribaltamento del rapporto tra soggetto e oggetto e la negazione della preesistenza della realtà al pensiero."Una tale conquista - osserva Franchi - che capovolge il tradizionale rapporto tra il pensiero e l'es-sere, si sarebbe però arrestata, secondo Volpicelli, con il riconoscimento di un dato che trascende il pensiero, cioè la materia, a cui il pensiero si limita a dare una forma, e che avrebbe obbligato Kant a introdurre nel suo sistema il concetto di «noumeno», elemento non conoscibile dall'intelletto, a fondamento della stessa realtà naturale" (cfr. G. Franchi, Amaldo Volpicelli, cit., p. 19).A. Volpicelli, Recenti indirizzi italiani di filosofia del diritto, I, cit., pp. 42-43.A. Volpicelli, Recenti indirizzi italiani di filosofia del diritto, II, in Nuovi studi di diritto, economia e politica, 1931, II, p. 108.A. Volpicelli, Recenti indirizzi italiani di filosofia del diritto, I, cit., pp. 44 e 47.A. Volpicelli, Recenti indirizzi italiani di filosofia del diritto] conoscitivo, e non fuori o dopo di esso»48. Il valore, dunque, finisce per identificarsi con l'essere in maniera ancora più netta rispetto al fenomeno, essendo non altro che «la stessa formale ed infinita creatività dello spirito»: un'identificazione garantita dai suoi caratteri essenziali, ovvero «l'autoposizione e l'infinità»49Il valore così definito svolge, all'interno della ricostruzione volpicelliana, un'ultima importantissima funzione, ossia quella di offrire un ulteriore e decisivo argomento contro ogni visione giusnaturalista. Non potendo, infatti, rinunciare alla sua «spirituale natura e immanenza», alla sua indole «interiore e cosciente» e alla sua«inesauribile dialettica», il valore, applicato al diritto, trasforma questo in una peculiare espressione concreta della coscienza umana, specificamente quella dell'«essere doveroso e continuo»: un diritto che «è sempre giusto»°. Alla luce di ciò, appare assolutamente inutile ipotizzare un diritto naturale a priori, eterno, immutabile, espressione di un ideale astratto sempre esterno alla realtà. Il giusnaturalismo, in ogni sua formulazione, svela sempre il suo carattere filosoficamente falso per questa sua incapacità di essere immanente e 'procedurale' all'interno della realtà dello spi-rito: idealità e realtà, in definitiva, non si traducono mai in un dualismo, bensì si rapportano sempre nell'alveo di un processo dialettico. Passando sul versante della scienza del diritto, Volpicelli legge con interesse critico tanto l'opera di Vittorio Emanuele Orlando quanto quella di Santi Romano. Il confronto con entrambi scaturisce dall'interesse per lo Stato, in particolar modo per la sua definizione e la sua funzione nell'ambito dell'esperienza giuridica. In sintesi, pur condividendo sensibilità e fini che la scienza del diritto pubblico mostra e per-segue, Volpicelli individua nella dottrina dei due giuristi siciliani degli elementi critici da cui occorre allontanarsi apertamente: in Orlando ravvisa il pericolo di una scissione tra diritto e legge con la subordinazione del primo nei confronti della seconda; in Santi Romano, invece, la riduzione dello Stato a species del genus diritto rappresenta un presupposto incauto da cui potrebbe derivare una frammentazione dell'universo giuridico e un abbandono del processo unitario che, viceversa, lo con-trassegna.Ciò che, invero, preoccupa maggiormente Volpicelli sul piano della scientia juris è quella che egli indica come «la tendenza più generale e caratteristica della giurisprudenza contemporanea», ossia quella «di determinare e porre alla base delle sue costruzioni il puro concetto di fatto giuridico»; un concetto, in altre parole, «valido**Ivi, pp. 109-110. Questa interiorità dell'atto conoscitivo, sorprendentemente, viene trovata da Volpicelli in Kant stesso, laddove "il conoscere", formandosi "secondo le forme funzionali dell'auto-coscienza" costituisce "già per ipotesi il nostro conoscere" (cfr. ibidem).49 A. Volpicelli, Recenti indirizzi italiani di filosofia del diritto] una volta per sempre e per tutti i possibili fatti»'. E necessario, perciò, una forte contrapposizione a questo formalismo che, come «mostro insaziabile», divora e annulla la scienza «nell'assurda pretesa di rendere quanto più rigorosi e universali gli schemi scientifici»52.Per Volpicelli la scienza, in generale, «non astrae dalla realtà», ma piuttosto «in funzione» di essa. In questo senso, la logica - che è in capo a qualsiasi concezione epistemologica - e la storia - che è l'incessante motore della realtà ideale - determinano due verità che non possono non coincidere. La logica, infatti, in quanto «immanente forma della realtà storica», non può mai scindersi dalla cosa in sé, dalla concretezza dello spirito, ma fondersi sempre con essa 4Ma la scienza non può 'spiegare sé stessa, dal momento che la sua intima ragione può essere definita soltanto dal di fuori, ovvero dalla speculazione filosofica, «nes-suna scienza può scientificamente dimostrare i suoi presupposti» e quindi «la scienza giuridica non può pretendere di spiegare giuridicamente il diritto»55. La genesi e i fondamenti del diritto «trascendono la competenza e la stera della scienza giuridica» perché essi hanno una «vera e genuina natura metagiuridica»56.La scienza giuridica è «distinta ed autonoma nella politica o nella storia, ma non dalla politica e dalla storia»57. Il grande torto di Orlando, come si vedrà, sarà quello di aver cercato di rendere la scienza giuridica autonoma dalla politica, ovvero dalla storia, e perciò di affrancarla dalla filosofia. Volpicelli, in verità, apprezza di Orlando la posizione antirazionalista e antigiu-snaturalista, nonché l'aver fondato una scienza del diritto capace di cogliere organicamente quei principia juris che costituiscono «le premesse storico-ideali informatrici delle istituzioni giuridiche positive»8. Inoltre, egli sottolinea positivamente51 A. Volpicelli, Santi Romano (@, in Nuovi studi di diritto, economia e politica, Volpicelli, Vittorio Emanuele Orlando (III), in Nuovi studi di diritto, economia e politica,1927, I, р. 200.54 Ivi, p. 201.SS Ivi, pp. 205-206.Ivi, p. 206.Ibidem. VITTORIO EMANUELE ORLANDO Volpicelli, in verità, apprezza di Orlando la posizione antirazionalista e antigiu-snaturalista, nonché l'aver fondato una scienza del diritto capace di cogliere organicamente quei principia juris che costituiscono «le premesse storico-ideali informatrici delle istituzioni giuridiche positive»58. Inoltre, egli sottolinea positivamente51 A. Volpicelli, Santi Romano (I), in Nuovi studi di diritto, economia e politica, I, 1929, p. 17.52Ivi, p. 18.53A. Volpicelli, Vittorio Emanuele Orlando (III), in Nuovi studi di diritto, economia e politica,1927, I, р. 200.Ivi, p. 201.Ivi, pp. 205-20636 Ivi, p. 206.Ibidem.A. Volpicelli, Vittorio Emanuele Orlando (D), in Nuovi studi di diritto, economia e politica, 1927, L, p. 14. In verità, come osserva Pietro Costa, in questa riconosciuta affinità con l'impostazione orlandiana, si può riscontrare quel più generale consenso verso "quella pregiudiziale antropologica (di ispirazione anti-individualistica e organicistica) che collega Volpicelli non solo ad Orlando, ma all'intera tradizione giuspubblicistica" (cfr. P. Costa, Lo Stato immaginario. Metafore e paradigmi della cultura giuridica italiana fra Ottocento e Novecento, Milano] [l'atteggiamento dichiaratamente critico del giurista palermitano nei confronti sia del contrattualismo, sia del giusnaturalismo"".Ciò che, invece, rappresenta - come detto - uno strappo che determina il rigetto della visione orlandiana nel suo insieme è la distinzione, di matrice storicista, tra legge e diritto". Una distinzione che riproporrebbe - in altro modo - il dualismo tra diritto positivo e diritto naturale, laddove si affermi che «il diritto positivo o vigente (legge) dichiara e impone l'antecedente, genuino ed autonomo diritto so-ciale»61.In ciò non può non ravvisarsi, secondo l'interpretazione volpicelliana, uno sdoppiamento che è matrice e, a un tempo, figlia della medesima scissione tra Stato e società, già individuata e criticata - da Gentile e Maggiore - nell'hegeliana dialettica tra bürgerliche Gesellschafte Staaf2. Uno Stato che rimane mero titolare della legge con la quale riconosce e sanziona un diritto che non nasce in esso e con esso, ma in una società che precede sempre la sua formazione. Ma la società, secondo Vol-picelli, «non crea il diritto, se non in quanto Stato», assumendo in tale veste il ruolo di società politica 3.Il nesso tra diritto e politica, allora, costituisce il vero nodo da sciogliere, il terreno su cui è possibile porre le solide fondamenta della scienza giuridica, delineandone definitivamente caratteristiche e confini. Diritto e politica rappresentano l'astratto e il concreto del processo ideale che accompagna e contrassegna perpetuamente l'ente Stato. Se, perciò, il diritto può essere pensato come «l'obiettivazione astratta» del «concreto essere e operare» della politica, le scienze impegnate a studiare e definire i rispettivi oggetti sono agevolmente identificabili: la scienza del59 Orlando, infatti, da un lato considera il diritto come "una creazione spontanea, incessante ed organica della società", dall'altro sia allontana da tutte quelle dottrine che "ponevano a centro e a soggetto del mondo giuridico il puro individuo come immediatamente dotato di naturali diritti" (cfr.A. Volpicelli, Vittorio Emanuele Orlando (1),cit., p. 16).Volpicelli scorge in questa separazione un retaggio diretto della scuola storica del diritto. Una corrente a cui viene riconosciuto un duplice merito: "contro il contrattualismo, riafferma l'apriorità e originarietà della società come fonte e principio del diritto; contro il giusnaturalismo, la storicità e positività di quest'ultimo" (cfr. ibidem). E, infine, "l'avversione costante e irriducibile di quella scuola alle codificazioni, che pretende di arrestare il corso storico" e alle riforme imposte "da una ragione arbitraria (perché metastorica)" (ibidem). Ciò che, al contrario, valuta come un limite è la negazione dello Stato come fuoco incessante della società: una società descritta come "una realtà piena e perfetta prima e fuori dello Stato" e quindi una realtà "immediatamente statuale e giuridica" (cfr. A. Volpicelli,Vittorio Emanuele Orlando (D), 1927, I, cit., p. 17).Cfr. A. Volpicelli, Vittorio Emanuele Orlando (1), 1927, I, cit., p. 17.Il confronto di gentile con la filosofia hegeliana si traduce in un più complessivo abbandono dello schema triadico della sua dialettica e nell'adozione di un processo di auto-sintesi che si regge sulla continua contrapposizione tra 'concreto' ed 'astratto'; sul punto soprattutto cfr. G. Gentile, La riformaconfronto di gentile con la filosofia hegeliana si traduce in un più complessivo abbandono dello schema triadico della sua dialettica e nell'adozione di un processo di auto-sintesi che si regge sulla continua contrapposizione tra 'concreto' ed 'astratto'; sul punto soprattutto cfr. G. Gentile, La riforma della dialettica hegeliana (1913), Firenze 2003. La critica di Maggiore ad Hegel, invece, si sviluppa organicamente, seguendo per grandi linee la lettura gentiliana, in Maggiore, Hegel, Milano.] [diritto ha il compito di analizzare lo Stato «ipostatizzandolo e irrigidendolo», considerandolo sempre come «obiettivo e statico ordinamento istituzionale», la scienza politica ha viceversa la funzione di approcciare alla realtà statuale «nel suo divenire concreto», ovvero «nel suo interno rapporto con la progressiva e piena volontàumana» 64.In sintesi, diritto e politica - e con essi le relative scienze - sono senza dubbio distinti, ma non del tutto separati perché «non rispondono affatto a due concezioni opposte della realtà», ma piuttosto «poggiano su un fondamento ideale comune», lo Stato, di cui incarnano l'astratto e il concreto"s.L'approccio orlandiano, in questo senso, viene certamente 'salvato', dal momento che l'analisi e il valore degli istituti pubblici «nella loro giuridica realtà» costituiscono «il fine della scienza giuridica»: un fine che, tuttavia, non si persegue correttamente se questi «si staccano dal processo storico in cui si enucleano»66. Proprio qui, infatti, affiorerebbe il secondo e decisivo limite della ricerca di Orlando, ossia il tentativo impossibile «di accogliere e conciliare in un più comprensivo sistema i motivi parimente essenziali, ma inadeguati ed erronei nella loro unilateralità, delle due scuole di diritto pubblico del sec. XIX»: la scuola 'francese', che continua a dare forma «alle premesse politico-ideologiche della rivoluzione», e la scuola 'tede-sca', che al contrario «avvia e apre a sostanziali sviluppi l'assolutismo tradizionale»67Se, dunque, il legame con la scuola storica lo conduce all'inaccettabile divaricazione tra legge e diritto (rectius: società e Stato), l'attenzione al modello francofono lo porta, viceversa, verso un imprudente abbandono proprio della dimensione storica (rectius: politica) della realtà giuridica in quanto realtà statuale"8. La vera 'colpa' di Orlando, dunque, sarebbe quella di non aver realizzato la sintesi tra le due teorie, ovvero di non aver costruito una scienza giuridica capace, a un tempo, di affermare «l'autonomia e l'assoluta sovranità dello Stato», nonché «l'esigenza dello Stato giu-ridico» e «della libertà civile»6. Il suo vero fallimento è determinato dal vano sforzo di conciliare la necessità delle prerogative sovrane della realtà statuale con l'esigenza64Ivi, pp. 20-22.6Ivi, p. 21. Sul rapporto tra diritto e politica, come suggerisce Irene Stolzi, Volpicelli - insieme ad Ugo Spirito con il quale condivide fino in fondo le avventure e le disavventure dei Nuovi studi, rivendica "la netta supremazia del momento politico su quello giuridico", ossia "la necessità che la politica diventasse l'effettivo motore dello stesso diritto" (cfr. I. Stolzi, Il fascismo totalitario: il contributo della riflessione idealistica, in Historia et ius (www.historiaetius.eu), 2/2012, paper 14, p. 6).6Ivi, p. 23.6 A. Volpicelli, Vittorio Emanuele Orlando (III), cit., p. 183.68 In verità, rileva Aldo Sandulli, le molteplici ascendenze culturali che caratterizzano la formazione della dottrina orlandiana, possono essere ricondotte "ad un ceppo comune culturale" rappresentato dalla "scuola storica di Savigny", dal quale poi si distanzia per seguire "gli indirizzi dei più rilevanti approdi della coeva giuspubblicistica tedesca", ovvero Gerber, Laband, e, infine, soprattutto Jellinek (cfr. A. Sandulli, Costruire lo Stato. La scienza del diritto amministrativo in Italia (1899-1945)Milano 2009, p. 72).6 A. Volpicelli, Vittorio Emanuele Orlando] di riconoscimento della libertà politica ad ogni individuo. Volpicelli risolve questa, per lui, intollerabile giustapposizione orlandiana con la 'sintesi' dei due elementi, sovranità statuale e libertà politica, nella nozione di libertà civile che, andando a coincidere con l'autolimitazione statale, si realizza in «un congruo e determinatosistema di norme giuridiche»70.La libertà civile, intesa in senso volpicelliano, se traslata nel rapporto tra i singoli, può costituire i presupposti della libertà giuridica, cioè di quella libertà «insita e definita nello stesso diritto» che deriva «in modo indiretto, subordinato e contingente dal diritto posto» e che trova «nella empirica formulazione di legge il suo fondamento e i suoi limiti»". Mentre, quindi, l'attributo civile sembra connotare più propriamente i rapporti tra individuo e Stato, quella giuridica pare riferirsi in maniera più manifesta alle relazioni intersoggettive: due formulazioni della libertà che, da un lato, avallano una differenziazione tra ius - in quanto materializzazione dello70 Ibidem. Il problema dell'auto-limitazione dello Stato spinge Volpicelli ad un naturale accostamento teoretico tra la dottrina Orlando e quella di Jellinek che costituisce, per il giurista romano, l'occasione per un ulteriore chiarimento concettuale.Se la dottrina di Jellinek ha il merito di mirare alla "organica coesistenza" di sovranità e libertà, sulla limitazione del potere sovrano Volpicelli esprime chiaramente la sua posizione differenziandola dalla teoria dei diritti pubblici Ibidem. Il problema dell'auto-limitazione dello Stato spinge Volpicelli ad un naturale accostamento teoretico tra la dottrina Orlando e quella di Jellinek che costituisce, per il giurista romano, l'occasione per un ulteriore chiarimento concettuale.Se la dottrina di Jellinek ha il merito di mirare alla "organica coesistenza" di sovranità e libertà, sulla limitazione del potere sovrano Volpicelli esprime chiaramente la sua posizione differenziandola dalla teoria dei diritti pubblici soggettivi: secondo quest'ultima, infatti, "limitazione giuridica del sovrano vuol dir soltanto relazione giuridica di esso col suddito: relazione insidente nell'atto stesso onde lo Stato legifera o pone il proprio comando nella forma di legge" (cfr. A. Volpicelli, Vittorio EmanueleOrlando (III), cit., pp. 193-194).In Volpicelli, dunque, è la legge medesima a contenere in sé il senso del limite. Essa, infatti, non è mai e solo "un unilaterale comando al suddito", ma è sempre "un comando a se stesso", ossia "un continuo organizzarsi e procedere giuridicamente" (cfr. ivi, p. 194). Del resto, se 'filosoficamente'Stato e individuo si identificano, in ambito giuridico la teoria dei diritti pubblici soggettivi non è accettabile perché presuppone l'auto-poiesi di uno Stato, che si astrattizza nella fictio iuris della persona giuridica. Una fictio che poi si 'sdoppia' attraverso il riconoscimento della personalità giuridica del cittadino.La teoria dei diritti pubblici soggettivi presuppone la relazione tra due soggetti ontologicamente diversi; l'attualismo filosofico, invece, li considera come i momenti distinti di un'unica sostanza. Il legame sovrano-suddito, Stato-individuo, è sempre 'interno' e mai 'esterno'. Perciò, su un piano speculativo è inaccettabile; ma da un punto di vista della scienza, nel senso astratto datogli da Volpicelli, potrebbe anche essere accettata, quanto meno nei suoi presupposti se non in tutte le sue conclusioni.Rispetto ad Orlando, dunque, Volpicelli cerca una sorta di interpretazione attualisticamente orientata dell'opera di Jellinek e della dottrina dell'autolimitazione. Uno Jellinek il cui merito è quello di essere partito "dal puro atto legislativo ut sic, senza pretesa alcuna di assegnare e imporre allo Stato un determinato atto legislativo iniziale", evitando così lo sdoppiamento tra sovranità e popolo (cfr. ivi, p.196)."Ivi, p. 190. "Legiferare è limitarsi": pertanto, "Stato legislatore e Stato giuridico non sono, in-somma, due Stati o parti staccate ed eterogenee di un unico Stato - una originaria e sottratta al diritto (autocratica, illimitata, assoluta) e l'altra postuma, derivata e vincolata da esso", bensì "i due momenti ideali e inscindibili dell'unico Stato nel suo eterno processo di posizione e costituzione di sé" (efr. ivi,p. 195).Lo Stato legislatore, in definitiva, "è continuamente e inscindibilmente un sempre nuovo determinato Stato giuridico", cosicché la legge è l'atto che garantisce il continuo processo di produzione della giuridicità] [Stato - e lex - in quanto astrazione individuale dello spirito, fugando però il rischio della scissione perpetrata da Orlando, in cui rimane impossibile «conciliare la sta-tualità del diritto con la sua preesistenza allo Stato». In definitiva, attraverso tale duplice articolazione, Volpicelli finisce, volente o nolente, per assecondare - tramite il diritto - quella indispensabile identità gentiliana di libertà e autorità -- sovranità. Il percolo di una separazione tra Stato e società, già paventatosi in Orlando, trova, secondo Volpicelli, con l'affermarsi dell'istituzionalismo romaniano, un'ulteriore fonte di minaccia, ma anche un'apprezzabile opportunità di sviluppo. Per far sì che «la società sia l'immanente sostanza dello Stato» e che quest'ultimo si trasformi nella «coestensiva e interiore organizzazione autorevole» della societas me-desima, occorre che il diritto pubblico, lungi dal ridursi alla «figura del rapporto politico tradizionale atopicamente concepito», incominci a «svolgersi e articolarsi in un compatto sistema d'istituzioni attraverso cui circoli tutta la vita sociale»74.In questo senso, Volpicelli può ben richiamarsi a L'ordinamento giuridico nel sostenere che «il diritto non è norma o regola estrinseca di rapporti atomistici», bensì una «compatta organizzazione sociale in cui le norme e i rapporti rientrano come particolari e subordinati momenti». Ma, soprattutto, la realtà giuridica è una «organizzazione, in virtù della quale la società si articola e costituisce in un ente unitario ed autonomo rispetto ai vari elementi che lo compongono»76. In sostanza, in tale lettura si accetta, come fondamento incontestabile, l'inscindibile connubio tra ius e societas. Un connubio che trova la sua primigenia unità nell'individuum72A. Volpicelli, Vittorio Emanuele Orlando (III), cit., p. 199. Sul rapporto tra individuo e Stato inVolpicelli cfr. A. De Gennaro, Crocianesimo e cultura giuridica, cit. pp. 365-366.73 Cfr. G. Gentile, I fondamenti della filosofia del diritto, cit., pp. 65-88. Sul rapporto tra autorità e libertà in Gentile, tra le possibili letture cfr. G. M. Barbuto, Nichilismo e Stato totalitario, Napoli2007. 74A. Volpicelli, Santi Romano (I), cit., p. 10.75 Ibidem. Per Volpicelli la norma "è una linea divisoria tra le azioni umane", una connessione tra ordinamento giuridico e realtà umana • openstarts.units.it72A. Volpicelli, Vittorio Emanuele Orlando (III), cit., p. 199. Sul rapporto tra individuo e Stato inVolpicelli cfr. A. De Gennaro, Crocianesimo e cultura giuridica, cit. pp. 365-366.73 Cfr. G. Gentile, I fondamenti della filosofia del diritto, cit., pp. 65-88. Sul rapporto tra autorità e libertà in Gentile, tra le possibili letture cfr. G. M. Barbuto, Nichilismo e Stato totalitario, Napoli2007. 14A. Volpicelli, Santi Romano (I), cit., p. 10.75 Ibidem. Per Volpicelli la norma "è una linea divisoria tra le azioni umane", una connessione tra ordinamento giuridico e realtà umana che costituisce "un limite oggettivo" con "due facce assolutamente congrue" (cfr. A. Volpicelli, Santi Romano (continuo e fine), in Nuovi studi di diritto, economia e politica, 1929, VI, p. 363). Più in generale, l'attenzione per le teorie romaniane è un tratto comune a molti teorici appartenenti alla scuola gentiliana o comunque in qualche modo aderenti o vicini alla filosofia attualista. Oltre a Volpicelli, come ricorda Irene Stolzi, anche Maggiore e Panunzio riconobbero a Santi Romano "il merito di aver sollevato la questione della identità profonda del fenomeno giuridico e di aver chiarito come tale identità non potesse in alcun modo esser ricavata dalla mera superficie normativa, dal semplice sistema del diritto positivo" (cfr. I. Stolzi, L'ordine corporativo.Poteri organizzati e organizzazione del potere nella riflessione giuridica dell'Italia fascista, Milano2007, р. 105).76д. Volpicelli, Santi Romano] [medesimo. La società e il diritto, «nel senso più genuino e completo», sono, infatti, presenti già «nell'individuo isolato», il quale, malgrado rimanga «chiuso della sua vita interiore», in quanto espressione della soggettività concreta dello spirito, costituisce «un solido e articolato sistema di volizioni e mezzi di vita, di poteri e istituti, di garanzie e di norme, di facoltà e obblighi»; e quindi una forma di «redenzione essenziale di sé con sé», motivo per il quale va considerato, senza ombra di dubbio, come una «società formalmente piena e perfetta»"?.Tuttavia, ciò che rimane estraneo all'ortodosso attualismo volpicelliano è l'idea di un diritto oltre lo Stato8. Il diritto, infatti, «è l'obiettivazione positiva della volontà dello Stato», ossia «l'organizzazione statica e obiettiva in cui, di momento in mo-mento, si configura e conchiude il vivente processo politico dello Stato». Esso è certamente 'organizzazione' - come sostiene Santi Romano - ma soltanto quella che si incarna nella forma', ma soprattutto nella 'sostanza', dello Stato. Inoltre, è la sua presupposta mutevolezza a fornire quella solida e irrinunciabile garanzia di adeguamento continuo all'azione dello Stato e, di conseguenza, della società tout court.In definitiva, se, da un lato, viene accolta favorevolmente, in funzione anti-for-malista e anti-normativista la nozione del diritto come istituzione, dall'altro non è possibile sostenere la conseguente visione pluralista, derivante - per il vero - da una lettura accentuatamente 'progressista' e 'innovatrice' del saggio di Santi Romano8:l'istituzione, in ultima analisi, secondo Volpicelli, non può che essere lo Stato, ossia il soggetto che, per affrancarsi definitivamente dalla sua ipostatizzazione moderna,V., del resto, legge in chiave assai personale anche la crisi dello Stato moderno: nella sua ottica, il superamento dello statualismo ottocentesco rappresenta "il passaggio dalla concezione nor-mativa, e quindi individualistica e privatistica, a quella istituzionale e pubblicistica del diritto", ovvero"dalla concezione atomistica e formalistica a quella socialitaria ed organica dello Stato" (cfr. A. Vol-picelli, Santi Romano (continuo e fine), cit., p. 363).79 Ivi, p. 351.8 In realtà, la teoria di Santi Romano andrebbe letta come un tentativo di conservazione. attraverso l'adozione di un modello organicistico e anti-individualistico, dello statualismo. Uno statualismo che, tuttavia, avrebbe dovuto definitivamente accantonare le forme giuridiche ottocentesche. In tal senso, come scrive Sabino Cassese, la visione di Santi Romano rappresenta "il contrario del plurali-smo" (cfr. S. Cassese, Lo Stato, «stupenda creazione del diritto» e «vero principio e vita», nei primi anni della Rivista di diritto pubblico (1909-1911), in Quaderni fiorentini, Milano 1987, p. 507). Pertanto, seguendo le parole di Alfonso Catania, si può ulteriormente concludere che Romano "elabora una concezione giuridica che, lungi dal riflettere e comunque lungi dal mettere in evidenza anche la possibilità di una lettura conflittuale della società, giuridifica la realtà stessa, in questo senso la forma-lizza, in questo senso depotenzia il conflittualismo perché in qualche modo la visione giuridica, nella sua struttura ordinamentale-organizzatoria, tende ad esaltare tutti i momenti in cui appunto l'azione sociale si mostra fondativa e corroborativa dell'organizzazione stessa, senza che minimamente si formulino ipotesi sulla reale composizione e sul reale scontro delle organizzazioni sociali irrompenti sulla scena storico-politica" (cfr. A. Catania, Formalismo e realismo nel pensiero di Santi Romano, inId., Teoria e filosofia del diritto. Temi, problemi, figure, Torino. Sull'interpretazione della dottrina romaniana, ancora cfr. A. Sandulli, Costruire lo stato.] [cideve assumere l'attributo dell'organizzazione. L'addivenire ad una qualsiasi «teoria della pluralità degli ordinamenti giuridici» rappresenterebbe «il logico corollario» di una concezione formalistica del diritto e, a un tempo, «la negazione flagrante della istituzionalità del diritto»8'. Il diritto, in altre parole, «è istituzione» solamente «se e perché il mondo dei rapporti giuridici» si origina, si sviluppa e si conserva come «una compatta unità» 82.Ciò che, dunque, finisce sotto la lente critica volpicelliana è l'ipotesi di una elaborazione dottrinaria, da parte della scienza giuridica, di una teoria che consideri «il diritto o l'istituzione ut sic, nella sua purità e generalità», e che risponda così, in maniera fatua ma pericolosa, «al più tormentoso ed insistente problema della moderna giuspubblicistica», ovvero quello di «legare o subordinare lo Stato al diritto»83Un'operazione considerata vanamente astuta perché, passando da una surrettizia e apparente identificazione tra Stato e ordinamento, si traduce in un'inaccettabile riduzione del primo termine a species del genus 'istituzione'.Nel rigettare contestualmente l'identità Stato-diritto e l'assorbimento dell'ordinamento statuale nella più ampia nozione di istituzione, Volpicelli ravvede il verificarsi di una fallacia analoga a quella naturalista. Sebbene, infatti, lo 'statualismo' sia, storicamente e filosoficamente, antitetico al giusnaturalismo perché dà al diritto «una'fonte' immanente e positiva», ovvero un «istituto», esso finisce per cadere nella stessa fallacia, ossia di «subordinare al diritto lo Stato, che da tale subordinazione trarrebbe la propria esistenza e legittimazione giuridica, 84. L'unica legittima identificazione - su un piano filosofico - di Stato e diritto è quella che vede il secondo come «l'incessante organizzazione obiettiva del concreto processo politico», laddove 'politico' corrisponde con 'etico'85.Questa familiare dialettica tra oggetto (diritto) e soggetto (Stato), tra astratto e concreto, che trova ampio riscontro nella filosofia di Gentile, in Volpicelli viene ulteriormente sviluppata attraverso l'approccio al tema del diritto internazionale. Se lo Stato è, dunque, quella «concreta realtà politica che pone e riforma e vivifica incessantemente se stesso come entità o istituzione giuridica»8, si pone il problema di definire, in maniera coerente con le premesse dell'attualismo filosofico, l'ordinamento fra Italia e il resto del mondo, ovvero rifiutando qualsiasi soluzione dualistica e, a maggior ragione, pluralistica. V. affronta la questione sostenendo che l'ordinamento fra l’Italia e il resto del mondo (no una corporazione) trascende e comprende bensì il singolo stato italiano come soggetto giuridico -- rectius: i singoli ordinamenti giuridici statuali -- ma mai e in nessun modo lo stato italiano come soggetto politico in quanto centro vitali, costruttore e riformatore.  Volpicelli, Santi Romano] [dell'organizzazione giuridica internazionale. Solo in questo senso l'ordinamento internazionale può delinearsi come «unica istituzione o organizzazione giuridica» all'interno della quale sussistano molteplici «relazioni giuridiche» che sono appunto«di ordine intra-istituzionale. Ecco, allora, svelata la ragione del mantenimento della nozione di istituzione in un sistema rigidamente identitario e monistico come quello implicitamente o esplicitamente avallato dalla filosofia 'attuale': lo Stato si identifica col diritto astratta-mente, ma non concretamente. Sia nel rapporto interno, sia nel rapporto esterno, il processo identitario a cui Volpicelli continuamente fa ricorso concerne l'analisi giuridica (e quindi scientifica), non quella politica (e quindi filosofica). Lo Stato, come realtà concreta e agente, crea sempre il diritto con cui, nell'atto creativo, va a identificarsi. Una cosa è, pertanto, lo stato fascista italiano politicamente, o meglio, eticamente, inteso, un'altra lo stato italiano nella sua obiettivazione giuridica. Alla natura distintamente ontologica o NOUMENICA del primo, corrisponde - rimanendone ineluttabilmente separata ed estranea – la mera natura fenomenica e contingentemente storica del secondo. V. Urso, V. -- Arnaldo Volpicelli. Volpicelli. Keywords: natura, spirito, corpi e corpi, corporazione. H. P. Grice Papers, Bancroft. Luigi Speranza, “Grice e Volpicelli: il naturalismo,” Luigi Speranza: Grice e Volpicelli: natura e naturalismo” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria. Volpicelli.

Grice e Voltaggio: all’isola, la scienza della fantasia di Vico -- la ragione conversazionale del ‘vel’: p v ~p – fondamenti della logica – filosofia italiana – filosofia siciliana -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice (Palermo). Essential Italian philosopher. Grice: “I enjoyed “What Leibniz actually said and not just implicated.” “Voltaggio also clarified Husserl to me.”  Filosofo italiano. Si laurea a Roma sotto ANTONI. Insegna a Roma, Mogadiscio e Macerata. Cappo ridattore di Sapere, collabora con Il manifesto, Lettera, di cui è socio fondatore, Apeiron, Janus, e Medical. Consulente di Sigma Tau di Roma e dell'istituto psico-nanalitico per le ricerche sociali, membro del seminario di filosofia di Senigallia. Altri saggi: Fondamenti di logica, Milano, Comunità; La funzione critica, Roma; Che cosa ha veramente detto Leibniz, Roma, Ubaldini; Scienza, Milano, Comunità; I filosofi e la storia, Milano, Principato; L'arte della guarigione, Torino, Bollati; Il filosofo nel bosco, Roma, Di Renzo; Scienza filosofica, Roma, Laterza; Italia mediterranea: I flussi migratori nelle principali città rivierasche, Roma, Edup; Antigone tradita: una contraddizione: libertà e STATO nazionale Roma, Internazionali; Il paradosso dell'infinito, Milano, Feltrinelli; Epistemologia e politica della ricerca, Roma, Armando; L'evoluzione di un evoluzionista, Roma, Armando; La conoscenza inespressa, Roma, Armando -- ‘a bit like my ‘tacit knowledge’ – Grice. --; L'ora della socio-biologia, Roma, Armando; L'arte della ricerca scientifica, Roma, Armando; Il potere: processi e strutture: un'analisi dall'interno, Roma, Armando; Progresso e razionalita della scienza, Radnitzky, Andersson, Armando, Roma); Verene: “VICO: La Scienza della fantasia” Armando, Roma; L'intelligenza scientifica: un'indagine sull'immaginazione creatrice dello scienziato; Roma, Armando; Filosofi per la pace, Roma, Riuniti; Galeno: Trattato sulla bile nera, Torino, Aragno. Voltaggio. Keywords: Vico, “la scienza della fantasia” fundamenti della logica – fundamenti della logica di voltaggio – veramente detto Vico – veramente impiegato Vico --. Refs.: Luigi Speranza, “Voltaggio: what Leibniz implicated, as explicated by Grice.” H. P. Grice, “Voltaggio,” BANC MSS 90/135 c. Luigi Speranza, “Grice e Voltaggio,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria

Grice e Vopisco: La ragione conversazionale all’orto di Roma– filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice (Roma). Filosofo italiano. L’Orto. Patron of STAZIO (si veda). Grice: “When I say ‘Garden’ I mean: ‘filosofo che segue la dottrina dell’Orto” – i. e. Marius, the Epicurean! The category of ‘patron’ is more or less publicly unknown in Oxonian philosophy. The term is applied to what the stereotypical patron was applied, as when we say ‘Mecenas’ without meaning ‘Mecenas.’ Inglobati nel parco di Villa Gregoriana sono i resti di una antica villa romana. Essendo consoli a Roma Quinto Ninio Asta e V., dal genitore di V. e infatti edificata a Tivoli una villa di cui il STAZIO (si veda) ci dà conferma nelle sue “Sylvae.” Questa lussuosa villa e tanto spaziosa che si estende dall'attuale ingresso di Villa Gregoriana fino all'ex albergo Sirene. Le fonti antiche infatti ci dicono che la dimora e abbastanza articolata ed estesa. Il terreno e attraversato da un canale di acqua, proveniente dal vicino Aniene, che la divide in due parti: una era posta all'interno di Villa Gregoriana mentre l'altra e situata appunto vicino all'ex hotel Sirene. La scelta del luogo ove edificarla e influenzata dal fatto che qui si estende il bosco sacro di Tiburno, qui c'e la grotta della Sibilla, qui si ergevano i templi magnifici ed imponenti dell'acropoli. Dagli studi compiuti alcuni sostengono però che la villa Vopisco non sarebbe stata costituita da due ma da tre aree, attraversate dai canali Stipa e Chiavicone o V. i quali sono una specie di valvola di sfogo quando l'Aniene e in piena. Stipa dà luogo alla cascata del Bernini, dal Bernini che ri-struttura il canale di origine romana. STAZIO (si veda), nella sua opera, Sylvae, considera un'attrattiva della villa V. il fatto di essere fornita di acqua potabile dall'Acqua Marcia. Interessante a tal proposito è la fistola trovata in piombo. Nella villa infatti, nel corso delle esplorazioni, è stato rintracciato un acquedotto così come è documentata la presenza di una piscina utilizzata per l'allevamento ittico. Attualmente della villa rimangono solo 13 ambienti aperti e finalizzati ad essere delle sostruzioni su cui poggiare le varie parti edili della villa sovrastante. L'idea dell'architetto e che essi, guardandoli, dessero l'impressione di trovarsi davanti a delle grotte naturali e per questo motivo dove e possibile si lascia intatto il terreno roccioso. Tuttavia si suppone, basandoci sulla testimonianza di fonti, che la dimora e costituita da vari padiglioni isolati. Non è semplice oggi però la lettura di ciò che resta del complesso anche se Canina tenta di ricostruire come la villa doveva essere.Publio Manlio Vopisco. Keywords: la villa del filosofo.

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