Terènzio Afro ‹-z- ...›, Publio (lat. Publius Terentius Afer). -
Frequentatore dei cenacoli aristocratici che a Roma, nella prima metà del 2º sec., andavano assimilando la cultura greca, fu autore di sei commedie, nelle quali si allontanò molto dalla forma complessa e movimentata di Plauto, e ritornò a una stretta aderenza al modello menandreo:
-- forte unità di azione
-- semplicità di stile
-- omogeneità e scarsa varietà dei metri
-- assenza pressoché assoluta di parti liriche.
La sua opera è giunta integralmente fino a noi.
Nato a Cartagine, probabilmente berbero, fu portato a Roma come schiavo dal senatore Terenzio Lucano, che lo affrancò.
Fu legato a famiglie di nobili, come C. Sulpicio Gallo, Q. Fulvio Nobiliore, M. Popilio.
Una diceria popolare faceva di questi i collaboratori e addirittura i veri autori delle commedie di T.
T. scrisse sei commedie:
Andria (La fanciulla di Andro); Heautontimorumenos (Il punitore di sé stesso); Hecyra (La suocera); Eunuchus (L'eunuco); Phormio (Formione); Adelphoe (I fratelli).
Assai discussa è la cronologia della loro composizione e rappresentazione.
Dalle didascalie premesse a ciascuna di esse dai grammatici antichi si ricava il seguente ordine: Andria, 166; primo tentativo di rappresentazione dell'Hecyra, 165; Heautontimorumenos, 163; Eunuchus, 161; Phormio, 160; Adelphoe e secondo tentativo di rappresentazione dell'Hecyra, ai ludi funebres di Paolo Emilio, 160; poi terza rappresentazione dell'Hecyra.
Ma tale cronologia è stata messa in discussione, senza che ancora si sia giunti a un accordo.
Le commedie di T., a differenza di quelle di Plauto, i cui modelli appartengono alle più svariate correnti della commedia attica nuova, hanno a modello le commedie di due soli autori: Menandro e il suo imitatore Apollodoro Caristio.
T. fu in certo senso soprattutto un traduttore di Menandro: ma in questa sua opera portò una notevolissima personalità di artista, sia nella sensibilità acuta per i caratteri (l'elemento comico, fortissimo in Plauto, quasi scompare in T., pensoso e interessato più alla fisionomia umana dei suoi personaggi che all'effetto esteriore dell'intreccio e del dialogo), sia nella padronanza perfetta della forma, limpida e scorrevole, sorvegliatissima.
Tali caratteristiche resero T. poco popolare presso il pubblico romano del suo tempo, e assai invece presso i più raffinati posteri romani.
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