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Thursday, June 11, 2015

FRANCESCONIANA: I legami pericolosi

Speranza

Avete presente il film con John Malkovich e Glenn Close Le relazioni pericolose?

Quartetto di Luca Francesconi - l’opera in scena alla Scala in prima mondiale tratta più o meno lo stesso tema: un perverso ritorno di fiamma tra due navigati ex amanti, che ordiscono intricati intrighi sessuali ai danni di una terza persona (La signora) e una quarta persona (La signorina Cecilia), rinfacciandosi con torbido cinismo ogni sorta di bassezze.

Il film di Frears deriva a sua volta da un celebre romanzo epistolare del settecento, il cui autore ha un nome talmente lungo: Pietro Ambrogio Francesco Choderlos di Laclos, che per comodità lo si chiama semplicemente Laclos.

Il soggetto, di singolare crudezza psicologica, ha avuto innumerevoli versioni.

Un altro film è stato tratto da Milos Forman (il regista di Amadeus), che non l’ha voluto intitolare Le relazioni pericolose come la fonte, ma "Il visconte di Valmont", dal cognome del protagonista, un nobilotto parecchio libertino (Colin Firth).

Tuttavia la libera versione più agghiacciante, brutale e piena di umor nero, di un testo già in sé terribile, è quella per il teatro dovuta a Heiner Müller, artista ribelle cresciuto tra i fili spinati della Germania, probabilmente il maggiore drammaturgo tedesco del Novecento insieme a Bertolt Brecht.

Mueller l’ha chiamata Quartetto.

Un concentrato di spudorate atrocità: le schermaglie distruttive di due belve che ironizzano ad oltranza sull’orlo dell’abisso.

Da questa versione, opportunamente ridotta, Francesconi ha tratto il suo melodramma.

Forse, a questo punto, grazie a una musica fra le più impressionanti del panorama attuale, arriveremo al capolinea del soggetto in termini di espressione della cattiveria erotica.

Perché si chiama "quartetto" un melodramma con due soli personaggi, sempre intenti a scorticarsi a sangue coi loro inganni d’alcova?

Semplice.

Il melodramma è spesso una recita atteggiata in cui le due tigri sarcastiche del sesso

1) IL VISCONTE DI VALMONT

2) LA MARCHESA DI MERTEUIL

si fanno il verso l’un l’altro o impersonano le loro vittime:

3) una signora molto pia, e

4) una verginella fresca di collegio,

entrambe di carne debole.

Spesso lo scambio di ruoli viene tradotto sulla scena con travestimenti.

Il visconte Valmont e la marchesa di Merteuil si conoscono talmente bene che si permettono audaci turpitudini fisiologiche, che spesso suonano al confine con la poesia.

Con un acume assolutamente acuminato, Müller e Francesconi fano recitare ai due amanti inveleniti rosari blasfemi di aforismi, per un testo assolutamente esacerbato, anche se falsamente manierato secondo il costume settecentesco.

Müller narra che scrisse il testo in un periodo in cui sua moglie lo stava tradendo palesemente e forsennatamente.

Inoltre disse di NON AVER TENUTO CONTO DEL ROMANZO DI LACLOS! che in effetti non è molto presente, a parte i nomi dei personaggi e i fatti illustrati.

La cattiveria divorante del testo – ambientato in un salotto prima della rivoluzione francese è reso da due solisti, due orchestre e un coro.

Mentre i protagonisti, inscenando la loro recita, si scagliano addosso motti arroventati, il coro ne riprende echi e sillabe.

Un’elaborazione elettronica di suoni e spazi amplifica la percezione.

Le orchestre rosolano le situazioni a vari livelli.

La prima orchestra traduce il diagramma delle pulsioni private.

La seconda orchestra è come un’eco del sociale e del mondo.

Francesconi, compositore ben noto a livello internazionale, si può considerare un erede della grande avanguardia (è stato assistente di Luciano Berio).

Si è servito della tecnologia dell’IRCAM di Parigi per l’elettronica di quest’opera ambiziosa.

La forza espressiva della sua invenzione musicale, pensata in termini complessi e multiformi, colpisce spesso anche chi non segue la musica nuova.

Ha raccontato di aver tratto ispirazione anche dal film di Frears, citato all’inizio, a testimonianza di un dialogo che la musica moderna continua a intrecciare con il pubblico.

Da un punto di vista visivo lo spettacolo è affidato ad Alex Ollé che proiette la metafora sesso/potere in una dimensione epocale legata alle sorti della civiltà occidentale su un piano universale.

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