233º papa della Chiesa cattolica | |
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Elezione | 16 maggio 1605 |
Insediamento | 29 maggio 1605 |
Fine pontificato | 28 gennaio 1621 |
Cardinali creati | vedi categoria |
Predecessore | papa Leone XI |
Successore | papa Gregorio XV |
Nome | Camillo Borghese |
Nascita | Roma, 17 settembre 1552 |
Morte | Roma, 28 gennaio 1621 |
Sepoltura | Basilica di Santa Maria Maggiore |
Paolo V, nato Camillo Borghese (Roma, 17 settembre 1552 – Roma, 28 gennaio 1621), fu il 233º papa della Chiesa cattolica e 141º sovrano dello Stato Pontificio dal 1605 alla sua morte.
Camillo Borghese nacque a Roma dalla nobile famiglia Borghese originaria di Siena, che era da poco tempo approdata nell'Urbe, figlio dell'avvocato concistoriale Marc'Antonio, patrizio senese, e della nobile romana Flaminia Astalli.
ROMANUS appare in molte delle sue iscrizioni.
Camillo Borghese studiò diritto canonico a Perugia e Padova e poi svolse l'attività di avvocato canonista, finché non scelse la carriera ecclesiastica, che intraprese con rapido successo.
Nel 1588 fu vice-legato a Bologna. Nel giugno 1596 venne creato cardinale da papa Clemente VIII per il quale era stato diplomatico nel 1593 presso la corte spagnola di Filippo II. Nel 1602 Clemente VIII lo nominò segretario del Sant'Uffizio, carica che mantenne fino all'elezione; divenne Vicario di Roma nel 1603. Non ebbe mai legami con alcuna parte politica o internazionale, dedicandosi molto allo studio del diritto.
Si spense il 28 gennaio 1621 per un colpo apoplettico durante una cerimonia di ringraziamento alla Madonna per la vittoria dei cattolici nella battaglia della Montagna Bianca e la sua tomba si trova nella cappella Paolina della Basilica di Santa Maria Maggiore di Roma.
A Paolo V successe Gregorio XV.
Il pontificato [modifica]
Alla morte di Leone XI dopo solo 26 giorni di pontificato il 27 aprile 1605, si aprì un conclave che come spesso avveniva, era tormentato da diversi interessi delle nazioni cattoliche cioè Francia, Austria e Spagna. Dopo otto giorni ed il veto di Filippo III di Spagna nei confronti dei cardinali Cesare Baronio e Roberto Bellarmino, considerati intransigenti ed a lui avversi, l'accordo venne il 16 maggio sul cardinal Borghese. La sua neutralità e la distanza dalle varie fazioni lo resero un ideale candidato di compromesso.Il suo carattere era abbastanza severo e poco incline ai compromessi; avvocato più che diplomatico, fortemente convinto dell'esigenza di riaffermare il potere della Chiesa romana, ne difese i diritti con tutte le sue forze. In questa chiave fece riordinare i fondi archivistici della Biblioteca Apostolica Vaticana (cioè le fonti giuridiche dell'attività della Curia romana), costituendo il primo nucleo dell'Archivio Segreto Vaticano.
Il suo primo atto fu quello di rispedire nelle loro diocesi i vescovi che soggiornavano a Roma, poiché il Concilio di Trento aveva ribadito che ogni vescovo doveva risiedere nella propria diocesi. Non per questo, tuttavia, si sottrasse al costume nepotistico dei papi, grazie al quale suo nipote, il cardinale Scipione Borghese, acquistò enorme potere, consolidando l'ascesa e il patrimonio della famiglia.
Composizione del conclave dell'8 - 29 maggio 1605 [modifica]
- Tolomeo Gallio, vescovo di Ostia e Velletri, Decano del Sacro Collegio
- Domenico Pinelli, vescovo di Frascati
- François de Joyeuse, vescovo di Sabina
- Girolamo Bernerio, vescovo di Albano
- Agostino Valier, vescovo di Verona
- Antonio Maria Galli, vescovo di Osimo
- Benedetto Giustiniani, legato pontificio nelle Marche
- Antonio Maria Sauli
- Giovanni Evangelista Pallotta
- Federico Borromeo, arcivescovo di Milano
- Francesco Maria Bourbon del Monte Santa Maria
- Mariano Pierbenedetti
- Gregorio Petrocchini
- Paolo Emilio Sfondrati, legato pontificio a Bologna e in Romagna
- Ottavio Paravicini
- Ottavio Acquaviva d'Aragona
- Flaminio Piatti
- Pietro Aldobrandini
- Francesco Maria Tarugi, arcivescovo di Siena
- Ottavio Bandini, arcivescovo di Fermo
- Anne d'Escars de Givry, vescovo di Lisieux
- Giovanni Francesco Biandrate di San Giorgio Aldobrandini, vescovo di Acqui
- Camillo Borghese (eletto papa Paolo V)
- Cesare Baronio
- Lorenzo Bianchetti
- Francisco de Ávila
- Francesco Mantica
- Pompeo Arrigoni
- Bonifazio Bevilacqua Aldobrandini, legato pontificio a Perugia e in Umbria
- Alfonso Visconti, arcivescovo di Spoleto
- Domenico Toschi, vescovo di Tivoli
- Paolo Emilio Zacchia
- Franz Seraph von Dietrichstein, arcivescovo di Olomouc
- Roberto Bellarmino
- François d'Escoubleau de Sourdis
- Séraphin Olivier-Razali
- Domenico Ginnasi, arcivescovo di Manfredonia
- Antonio Zapata y Cisneros, arcivescovo di Burgos
- Filippo Spinelli, vescovo di Policastro
- Carlo Conti, vescovo di Ancona
- Carlo Gaudenzio Madruzzo, vescovo di Trento
- Jacques Davy du Perron, vescovo di Évreux
- Innocenzo del Bufalo-Cancellieri, vescovo di Camerino
- Giovanni Dolfin
- Giacomo Sannesio
- Erminio Valenti
- Girolamo Pamphilj
- Ferdinando Taverna
- Anselmo Marzato
- Francesco Sforza
- Alessandro Damasceni Peretti
- Odoardo Farnese
- Giovanni Antonio Facchinetti de Nuce jr.
- Cinzio Passeri Aldobrandini
- Bartolomeo Cesi
- Andrea Baroni Peretti Montalto
- Alessandro d'Este
- Giovanni Battista Deti
- Silvestro Aldobrandini
- Giovanni Doria
- Carlo Emmanuele Pio di Savoia
La politica di restaurazione dell'autorità del papato [modifica]
La sua profonda cultura giuridica e la sua visione poco transigente comportarono subito contrasti con alcuni principati italiani e con la Francia. Difatti impose a Enrico IV l'accettazione delle norme del Concilio di Trento, censurò i duchi di Parma e di Savoia, obbligò inoltre la Repubblica di Genova e di Lucca ad abrogare dei provvedimenti per nulla eterodossi, ma spettanti solamente alla suprema autorità pontificia.Il contenzioso con Venezia [modifica]
Quindi incominciò a fare la voce grossa nei confronti della Repubblica di Venezia, intimò il Patriarca Francesco Vendramin di presentarsi a Roma per farsi esaminare, inoltre protestò, come fece il suo predecessore Clemente VIII, verso una legge della Serenissima che obbligava tutti i navigli pontifici di passare per Venezia. L'attrito trovò modo di esplicitarsi quando Venezia si rifiutò di concedere l'estradizione a due canonici, Scipione Saraceni ed il conte Marcantonio Brandolini (abate di Nervesa), il primo accusato per normali reati comuni, il secondo di omicidi, stupri ed altre violenze. Il Papa chiese che i due fossero estradati a Roma, in quanto religiosi, per essere sottoposti al tribunale ecclesiastico, inoltre chiedeva l'abrogazione di due leggi con le quali il Senato aveva vietato l'erezione di luoghi di culto senza esplicita autorizzazione del potere civile e aveva subordinato al proprio consenso l'alienazione di beni immobili ed ecclesiastici (lo fece per non rischiare di vedere la formazione di una massa troppo imponente di beni religiosi all'interno dei suoi territori).Venezia, attraverso l'ambasciatore Agostino Nani, si rifiutò affermando che i Veneziani non erano tenuti a rendere conto delle loro operazioni se non a Dio, che per il Senato Veneziano era l'unico superiore al Doge nelle cose temporali, quindi la minaccia di scomunica con cui aveva battuto le rimostranze di molti altri stati europei non aveva funzionato con Venezia. A dicembre inviò a Venezia due brevi apostolici che dichiaravano nulli quei due provvedimenti e pretese la loro abrogazione, sperando di sortire un effetto intimidatorio in quella parte del Senato Veneziano, i cosiddetti "giovani", che gli erano ostili.
La posizione veneziana venne difesa da un abile teologo, Paolo Sarpi religioso servita, che venne nominato il 28 gennaio come consultore in iure, ossia teologo e canonista della Repubblica, che estese la questione ai principi generali, definendo sfere separate per potere secolare e potere ecclesiastico.
Dopo l'elezione del nuovo doge Leonardo Donà, schierato con i "giovani", papa Paolo inviò un altro breve che esigeva la revoca di un'altra legge, quella che aboliva il diritto di prelazione degli ecclesiastici sui beni enfiteutici, quindi il 17 aprile del 1606 diede lettura in concistoro di un monitorio, un vero e proprio ultimatum, con il quale minacciò di scomunicare il Senato Veneziano e di interdire tutto il territorio della Serenissima se i due prigionieri non fossero stati consegnati e le tre leggi abrogate.
Ma la Repubblica, che aveva già ricevuto molte scomuniche durante la sua storia, rispose ponendo sui portali della Basilica di San Pietro a Roma il famoso «Protesto», un documento nel quale l'ultimatum papale veniva dichiarato nullo e privo di valore perché contrario alle Scritture, ai sacri canoni ed ai Padri della Chiesa e si pregava Dio che ispirasse papa Paolo a riconoscerne l'inutilità ed il male operato contro la Repubblica, mentre più dure furono le parole del doge Donà al nunzio apostolico di Venezia, al quale disse che la "vostra scomunica non la stimiamo per nulla, come cosa senza valore". Il Protesto fu diramato a tutte le autorità ecclesiastiche dello Stato veneziano. Con esso si decretava che, stante l'invalidità dell'interdetto, la vita religiosa dovesse proseguire normalmente. Nel Protesto i teologi veneziani sostenevano che il potere spirituale e quello temporale (entrambi istituiti da Dio) dovevano esser considerati indipendenti: il primo era stato affidato agli apostoli e ai loro successori (di qui il potere papale), mentre il secondo era stato consegnato ai prìncipi, ai quali anche gli ecclesiastici dovevano obbedienza in quanto sudditi: ogni intromissione papale era perciò inammissibile. Il papa e i suoi teologi invece si rifacevano alle dottrine medievali sull'origine divina di ogni potere e sulla supremazia assoluta del potere spirituale su quello temporale, delegabile, ma quindi anche revocabile dal papa; inoltre consideravano ingiusta e illecita ogni ingerenza del potere politico negli affari ecclesiastici. Il giudizio sugli atti del papa spettava solamente a Dio.
Tutti i cittadini della Repubblica continuarono ad andare regolarmente a messa, visto che fu dato l'ordine al clero veneziano di non fare menzione della scomunica, tutto il clero si schierò con il Senato ed il governo della città, ad eccezione dei Gesuiti, dei Teatini e dei Cappuccini, con il risultato che i primi furono espulsi a forza dal Senato in quanto volevano obbedire alle disposizione del Papa pur restando nei territori di Venezia (si dovette anche metterli sotto scorta armata per difenderli dalla violenza del popolo), i secondi ed i terzi se ne andarono di loro spontanea scelta. Le messe continuarono a venire celebrate, e la festa del Corpus Christi venne svolta con un'impressionante pompa e magnificenza, per dare mortificazione al Papa.
Nel giro di un anno (marzo 1607) il disaccordo venne mediato da Francia e Spagna poiché si stava rischiando di raggiungere una guerra europea, con Francia, Inghilterra e Turchi che si sarebbero schierati con Venezia in caso di un attacco spagnolo ed austriaco contro i domini del Golfo, che era di certo ben visto dal papa.
Il primo a muoversi fu Filippo III di Spagna che inviò a Venezia un ambasciatore straordinario che trovò favorevole lo stesso doge, ma la cui mediazione fu mandata in fumo dall'intransigente opposizione di una parte del Senato. Quindi si fece avanti Enrico IV di Francia, che attraverso il cardinale di Joyeuse negoziò un compromesso, al quale intervento la Spagna non si oppose. Il 21 aprile del 1607 la Serenissima consegnò i due canonici all'ambasciatore di Francia (con esplicita dichiarazione che lo si faceva per un atto di riguardo verso Enrico IV e senza alcun pregiudizio del diritto della Repubblica di giudicare anche gli ecclesiastici), il quale li rimise al cardinale François de Joyeuse che a sua volta li consegnò alle autorità pontificie, dopodiché si presentò in Collegio (magistratura Veneziana) e comunicò che l'interdetto era stato revocato e tutte le censure ecclesiastiche erano state levate; il doge, a sua volta, comunicò la revoca del Protesto, ma non abrogò le tre leggi contestate che furono solo sospese temporaneamente.
La Repubblica quindi riammise i Teatini ed i Cappuccini, ma non i Gesuiti - comminando anzi severe pene a chi avesse fatto educare i figli da loro fuori dello Stato. Rifiutò inoltre di assegnare la pingue abbazia della Vangadizza nel Polesine al cardinale e nipote del papa Scipione Borghese, e condannò a morte un ecclesiastico patrizio, l'abate Marcantonio Corner, colpevole del ratto a mano armata della moglie di un mercante.
Le pressioni sui cattolici inglesi [modifica]
Difficoltà di intesa a livello internazionale Paolo V le suscitò anche con l'Inghilterra.L'ascesa al trono di Scozia e Inghilterra del figlio della cattolica Maria Stuarda, Giacomo I Stuart, nel 1603, incoraggiò Paolo V ad intervenire attivamente nella politica religiosa inglese.
Il papa scrisse quindi una lettera di felicitazioni al nuovo re, il 9 luglio 1606 pregandolo, con l'occasione, di non far soffrire i cattolici innocenti, per il crimine di pochi, in riferimento alla Congiura delle Polveri che era stata ordita dai cattolici contro la vita del monarca e di tutti i membri del Parlamento nel novembre precedente, e promettendo di esortare tutti i cattolici del reame a sottomettersi al loro sovrano, in tutte le questioni che non si opponevano all'onore di Dio (l'effigie di Paolo V viene ancora oggi bruciata tutti gli anni a Lewes durante le celebrazioni per il Guy Fawkes Day - vedi Lewes Bonfire in en.wikipedia). Era chiaro il tentativo di influire sulla politica religiosa del nuovo re, volgendola in favore dei cattolici, e fu presto chiaro che Giacomo, occupato invece a consolidare il proprio trono perseguendo una politica di equilibrio tra protestanti e cattolici, non aveva alcuna intenzione di schierarsi in tal senso. Anzi, poco dopo il re inglese pretese un giuramento di fedeltà da tutti i suoi sudditi, nel quale si anteponeva l'interesse del re a qualsiasi altro dovere.
Paolo V condannò solennemente questa posizione in una nota pubblicata poche settimane dopo (22 settembre 1606, ed estesa il 23 agosto 1607). Questa condanna accentuò la divisione dei cattolici inglesi in lealisti e papisti.
Altro elemento di disturbo nelle relazioni con l'Inghilterra fu la lettera del Cardinale Roberto Bellarmino all'arciprete inglese Blackwell, che lo rimproverava per aver prestato il giuramento di fedeltà in apparente spregio dei suoi doveri nei confronti del Papa. La lettera ricevette sufficiente diffusione da venire citata in uno dei saggi teologici di Giacomo I (1608), e Bellarmino si trovò a duellare in uno scambio di pamphlet con il Re d'Inghilterra.
La politica culturale [modifica]
Paolo V si incontrò con Galileo Galilei nel 1616, dopo che il Cardinale Bellarmino aveva, su suo ordine, avvertito Galileo di non sostenere o difendere le idee eliocentriste di Copernico fino all'avvenuta dimostrazione certa e di poterla esporla come ipotesi matematica. Che ci fosse stato o meno anche un ordine di non insegnare tali idee, è stato oggetto di discussione.Incoraggiò sempre il pittore Guido Reni, e dichiarava la sua profonda ammirazione anche per le opere di Caravaggio. Canonizzò Carlo Borromeo (1 novembre 1610) e beatificò diverse personalità, tra cui Ignazio di Loyola, San Filippo Neri, Teresa d'Avila, e Francesco Xavier.
La Roma di Paolo V [modifica]
Gli interventi in campo architettonico e urbanistico di Paolo V a Roma, nonostante la lunghezza del suo pontificato non ebbero carattere strategico come era stato per Sisto V, ma puntarono piuttosto ad estendere la potenza della famiglia Borghese e a magnificarne il nome.In questa logica affidò a Carlo Maderno la radicale modifica del progetto michelangiolesco della Basilica di San Pietro, modificandone la pianta e iscrivendo nel timpano, al centro del nuovo amplissimo frontone, un gigantesco «PAULUS V BURGHESIUS» (il testo completo dell'iscrizione recita «IN HONOREM PRINCIPIS APOST(olorum) PAULUS V BURGHESIUS ROMANUS PONT(ifex) MAX(imus) AN(no) MDCXII PONT(ificati) VII»).
Affidò inoltre a Flaminio Ponzio l'ampliamento del Palazzo del Quirinale e la ristrutturazione della piazza, facendo del colle Quirinale, con il palazzo che il cardinal nepote Scipione Borghese si fece costruire nello stesso periodo (oggi Palazzo Pallavicini Rospigliosi), una sorta di belvedere su Roma, e come una "corte" delle residenze della famiglia Borghese.
A Paolo V si deve anche il restauro dell'acquedotto che portava a Roma l'Aqua Traiana da Bracciano, per alimentare la zona di San Pietro, e la costruzione delle due mostre, il Fontanone del Gianicolo e la fontana detta dei Cento Preti - oggi posta a Piazza Trilussa, ma originariamente eretta all'inizio di via Giulia presso ponte Sisto, dall'altra parte del Tevere. Per prelevare i materiali necessari alla costruzione della fontana dell'Acqua Paola, inoltre, diede ordine di smantellare il tempio di Minerva nel foro di Nerva, fino ad allora molto ben conservato.
Sull'Esquilino, di fronte alla Basilica di Santa Maria Maggiore dove si era fatto costruire da Flaminio Ponzio una cappella affrontata e simmetrica a quella di Sisto V, Paolo V fece erigere dal Maderno una colonna prelevata dalla Basilica di Massenzio, ponendola al centro di una fontana, ugualmente simmetrica all'obelisco eretto da Sisto V di fronte all'abside della basilica.
Genealogia episcopale [modifica]
Per approfondire, vedi la voce Genealogia episcopale. |
- Papa Giulio II
- Cardinale Raffaele Sansone Riario
- Papa Leone X
- Papa Paolo III
- Cardinale Francesco Pisani
- Cardinale Alfonso Gesualdo di Conza
- Papa Clemente VIII
- Papa Paolo V
Onorificenze [modifica]
Gran Maestro dell'Ordine Supremo del Cristo | |
Bibliografia [modifica]
- Giacomo I, De Triplici Nodo, Triplex Cuneus, (il suo pamphlet anonimo incoraggiante la lealtà alla corona, accompagnato dalle lettere di Paolo V sull'opinione della Chiesa Cattolica riguardo al giuramento di fedeltà e la risposta di Giacomo a queste).
- Stephen A. Coston, King James VI & I and Papal Opposition, 1998
Voci correlate [modifica]
Altri progetti [modifica]
- Commons contiene file multimediali su Papa Paolo V
Collegamenti esterni [modifica]
- Biografia di papa Paolo V, nella Enciclopedia dei Papi Treccani
- Catholic Encyclopedia: Paolo V
- Cardinali nominati da Papa Paolo V
Predecessore | Papa della Chiesa cattolica | Successore | |
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Papa Leone XI | 1605 - 1621 | Papa Gregorio XV |
Predecessore | Cardinale presbitero di Sant'Eusebio | Successore | |
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Giulio Canani sino al 1591 Sede Vacante (1591-1596) | 1596 - 1599 | Arnaud d'Ossat |
Predecessore | Vescovo di Jesi | Successore | |
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Gabriele del Monte | 1597 - 1599 | Marco Agrippa Dandini |
Predecessore | Cardinale presbitero dei Santi Giovanni e Paolo | Successore | |
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Agostino Cusani | 1599 - 1602 | Ottavio Acquaviva d'Aragona, Sr. |
Predecessore | Cardinale presbitero di San Crisogono | Successore | |
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Domenico Pinelli | 1602 - 1605 | Carlo Conti di Poli |
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