Musica di Niccolò Jommelli 1714-1774
|
Prima rappresentazione: Ludwigsburg, Teatro di corte, 11
febbraio 1768
|
Personaggi
|
Vocalità
|
Climene
|
|
Epafo
|
|
Fetonte
|
TENORE
|
il Sole
|
|
la Fortuna
|
|
Libia
|
|
Orcane
|
|
Proteo
|
|
Teti
|
|
L’opera che Jommelli scrisse per il nuovo teatro di
Ludwigsburg, residenza estiva di Karl Eugen, principe elettore e duca di
Württemberg, presenta tutti i caratteri dell’eccezionalità.
Anzitutto per la
nuova sala, attrezzata per i più moderni e spettacolari effetti scenografici,
che il compositore non mancò di sfruttare debitamente.
Inoltre il "Fetonte" rappresentò l’addio di Jommelli alla corte tedesca dopo
quindici anni di successi, nonché un episodio di rilievo nel processo di
rinnovamento dell’opera metastasiana.
SOGGETO MITOLOGICO OVIDIANO ARRICCHITO DA DIVAGAZIONE EROTICO-POLITICHE.
L’‘esperimento’ consistette nel coniugare
i due modelli drammaturgici antitetici della tragédie lyrique francese e
dell’opera seria italiana, combinando l’apparato spettacolare barocco della tragedia lirica francese -- cori, danze e meraviglie scenografiche -- con il repertorio tematico
classicistico della "tragedia per musica" italiana -- il soggetto mitologico ovidiano arricchito da
divagazioni erotico/politiche -- nonché le forme musicali di entrambe.
Corresponsabile del progetto fu Mattia Verazi, già autore di testi importanti e
originali per Traetta (Sofonisba, 1762) e per Jommelli stesso,
decisamente orientati a forzare i limiti del canonico dramma per musica
guardando con attenzione a Parigi.
IL FETONTE DI LULLI, 16843.
Verazi si avvalse in questo caso di un
precedente libretto, scritto da Quinault per Lully nel lontano 1683: Fetonte, rappresentato a Versailles.
Principalmente a causa della
grandiosità dello spettacolo ideato dalla coppia
Jommelli-Verazi, Fetonte non poté diventare un modello facilmente
riproducibile e capace di influenzare l’evoluzione dell’opera seria, ma la
musica di Jommelli fu ugualmente prodiga di suggestioni per l’intensità emotiva
della sua invenzione (sulla sua linea si sarebbe mosso, ad esempio, il Mozart
dell’Idomeneo).
La fortuna settecentesca di Fetonte è provata da diverse riprese a Stoccarda (stagioni 1770-73, ultima ripresa 1799) e dalla produzione di Lisbona (1769). In tempi moderni l’opera è stata allestita dapprima a Stoccarda (1986) con la regia di Axel Manthey e quindi in un’importante produzione al Teatro alla Scala (1988), con la regia di Luca Ronconi e la direzione di Hans Vonk.
Atto primo.
Già durante l’esecuzione della sinfonia, Climene e i sacerdoti di Teti invocano la nereide da una grotta sacra. Quest’ultima appare nel suo palazzo, circondata da divinità marine danzanti. Climene le confida i suoi timori: le nozze progettate dal defunto marito Merope per Libia, sua figlia di prime nozze ed erede, e Fetonte, figlio di Climene e del Sole, sono minacciate dalle mire del re Epafo su Libia. Proteo allora predice che Fetonte recherà sventura all’umanità. Più tardi Libia e Fetonte vengono a sapere che Climene è stata fatta prigioniera da Epafo: questi non la libererà se Libia non acconsentirà a sposarlo. A salvarla hanno pensato però i guerrieri del re moro Orcane. E proprio davanti al trono della regina quest’ultimo si incontra con Epafo per concludere la pace. Quando i progetti nuziali di entrambi i re (Orcane punta al matrimonio con Climene) vengono frustrati, i due pretendenti mettono in atto un piano per suscitare la gelosia della regina.
Atto secondo.
Scoperto il piano degli spasimanti, Climene e Libia reagiscono confondendo Orcane sulla natura dei loro autentici sentimenti. Fetonte, ignaro di tutto, rimane turbato, né sa come comportarsi. Climene annuncia che abdicherà quel giorno stesso in favore di Libia: la ragazza dovrà però sposarsi, secondo la profezia dell’oracolo, con il figlio di un dio. Climene approva la scelta di Fetonte, rivelandone l’origine divina, ma questa inaspettata notizia viene contestata dai pretendenti respinti, che esigono una prova della natura divina del ragazzo. Climene conduce allora Fetonte presso un cunicolo che, attraverso la montagna, guida al palazzo del Sole. Per dimostrare le sue vere origini, il ragazzo dovrà ottenere dal dio suo padre il permesso di apparire in cielo sul carro del Sole e portare alla Terra il giorno. Mentre Fetonte si appresta a compiere la sua missione, giunge Libia a scongiurarlo di desistere dall’impresa. Tutto è vano, però.
Atto terzo.
Fetonte viene accolto nella reggia del Sole dalla danza delle Ore, dei Momenti e delle Stagioni. Il padre lo istruisce sul pericolo cui andrà incontro se non saprà controllare il carro infuocato; non riesce tuttavia a intimorire il ragazzo, che rifiuta anche la protezione della Fortuna. Climene è stata intanto sequestrata da Epafo, mentre Libia si è affidata alla protezione di Orcane. I due re si preparano ormai allo scontro armato. Proprio mentre Epafo sta fuggendo di fronte al nemico, trascinando con sé Climene, compare nel cielo Fetonte fra tuoni e fulmini in un cerchio di fuoco che man mano si allarga sino a invadere tutta la Terra. Le divinità dei fiumi, dei laghi e delle sorgenti invocano l’intervento di Giove, che scaglia il suo fulmine contro Fetonte. Il ragazzo precipita in mare. Climene, venuta a sapere anche della morte di Libia, sfugge ai suoi carcerieri e si getta fra le onde per condividere il destino del figlio. Invano i soldati cercheranno di salvarla, mentre tutti i presenti si disperdono invasi dal terrore.
L’opera denuncia il suo carattere fuori del comune già dalla sinfonia
d’apertura, che abbandona il convenzionale ruolo di siparietto introduttivo per
lasciare irrompere l’azione scenica.
L’Allegro iniziale di prammatica è infatti seguito da un secondo movimento (Larghetto) che commenta la prima scena dell’opera: Climene e il coro di sacerdoti che invocano Teti dalla grotta sacra. Il successivo terzo tempo della sinfonia (Allegro di molto) segnala l’accoglimento della preghiera da parte di Teti, con la spettacolare apparizione del suo palazzo sottomarino abitato da nereidi danzanti. L’originalità dell’impianto musicale generale, così palesemente e programmaticamente dichiarato in questo inizio d’opera, viene confermata in chiusura, con quel finale del terzo atto che inscena l’apocalittica rovina del protagonista: un finale d’azione, che attinge a un livello di coinvolgimento dinamico dei personaggi sino ad allora inedito nell’opera seria. Oltre che nella sinfonia e nel finale, dramma, mutazioni di scene, solisti, coro e corpo di ballo vengono impegnati in continua interazione per tutta la durata dello spettacolo, negando di fatto la centralità drammaturgica della forma principe del teatro tragico per musica: l’aria. Il senso dell’azione drammatica cessa inFetontedi depositarsi in questa concisa sintesi dei diversi affetti, a vantaggio di azioni vere e proprie (agìte per davvero, non condensate in ‘affetti’, stilizzate e interiorizzate nel canto), che si susseguono spettacolari da un capo all’altro dell’opera. Se ancora numerose sono le arie nel primo atto, il secondo ne bilancia il peso drammatico con un duetto e due complessi concertati, affini come struttura a quelli adottati nell’opera buffa, conducendo direttamente, senza discesa di sipario, all’ultimo atto, aperto da un balletto. Discostandosi dalla tradizione, Jommelli e Verazi integrano i balletti nella vicenda, non solo legandoli al soggetto del dramma, ma anche collocandoli in posizioni strategiche, dove rappresentano occasioni digrandeurcoreografica (si pensi che per le evoluzioni militari previste al termine del primo atto vennero impiegati 341 soldati, 86 cavalli e 95 comparse) in corrispondenza di alcune svolte drammatiche fondamentali della vicenda (l’apparizione del palazzo di Teti o l’ingresso nella reggia del Sole). Non a caso fu infatti Verazi in persona a stendere il soggetto dei balletti, le cui coreografie vennero firmate da Louis Dauvigny (la musica, andata perduta, è invece di paternità ignota: normalmente la sua stesura non spettava all’autore dell’opera). L’idea originaria dei due balletti citati e del finale risale al libretto di Quinault per Lully, pienamente radicato nella tradizione drammaturgica francese, che ai tempi diFetonteera stata da pochi anni mutuata dall’opera riformata gluckiana:Orfeo ed Euridicerisale infatti al 1762. Proprio come nell’opera di Gluck, tutti i ruoli solistici, con l’eccezione di Orcane, sono appannaggio di voci acute: donne (Climene, Libia, Fortuna e Teti) o castrati (Fetonte, Epafo, Sole e Proteo).
L’intensità emotiva dello spettacolo risiede soprattutto nelle grandi scene
corali, come quella, senza precedenti per imponenza, che conclude l’opera:
l’orrore collettivo è veicolato dall’esclamazione “Che spiagge, che lidi
funesti” con cui il coro assiste attonito e annientato alla rovina di madre e
figlio. Si tratta di momenti in cui il sentimento deltremendumviene
espresso in forma fortemente incisiva, formulazione efficace e memorabile di
quel ‘sublime eroico’ comune anche ai drammi di un Traetta, spendibile in una
serie di situazioni analoghe nell’opera seria dei decenni successivi. Oltre ad
arie e cori, un ruolo fondamentale spetta a pantomima e recitativo accompagnato,
responsabili di una sapiente alternanza di strumenti formali differenziati e
sofisticati, capaci di restituire nel dettaglio l’evoluzione psicologica della
vicenda. Anche nei particolari compositivi la musica di Jommelli presenta una
serie di caratteristiche dal sapore tragico: la propensione per la declamazione,
l’irregolarità nella costruzione delle frasi, la continua attrazione dell’aria
verso la labilità del recitativo accompagnato.
|
No comments:
Post a Comment