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Wednesday, July 18, 2012

IL PASQUINO

Speranza

Il Pasquino inciso da Antonio Lafréry (Roma, 1550):
Pasquino, incisione di Antonio Lafréry (Roma 1550)
Sulla base della statua compare un sonetto (caudato, come da tradizione burchiellesca); sull’angolo di Palazzo Orsini sono affissi vari cartigli con versi e motti in italiano e in latino.
Commenta Valerio Marucci:
Il sonetto e i motti che ne risultano sono stati davvero mai affissi? E quando? Come e dove li aveva raccolti - se li aveva raccolti - lo stampatore? Quei motti sono certamente tutti un documento di cultura popolare o semicolta - alcuni sono in latino: ma spetta ad altro lavoro, con altre finalità, raccoglierli e studiarli. Nel caso specifico, essi danno l’idea di essere stati approntati a corredo della stampa e come presentazione in versi della figura, non senza echi di pasquinate autentiche.
(Valerio Marucci, Premessa, in Pasquinate, cit., p. XX)
Confronta ora questa replica forse posteriore al 1570, forse attribuibile a F. Muñoz (traggo entrambe le incisioni da Pasquinate, cit.: sono le tavole fuori testo III e IV):
Pasquino, copia dell'incisione di Lafréry ma con occhi chiusi e cartigli muti (autore ignoto)
L’iconografia di questo secondo Pasquino è identica, ma gli occhi sono chiusi e i cartigli muti: un Pasquino cieco e muto, un Pasquino censurato.
Ma questa “letteratura del vituperio” rappresentò davvero una “opposizione politica” meritevole di censura? È fin troppo chiaro che dal 1509 al 1566 (quando intervenne l’opera repressiva dell’Inquisizione) l’autorità ecclesiastica concesse grandi margini di tolleranza. Non dunque una vera e propria “opposizione”, quanto una polemica dal carattere “sostanzialmente conservativo” e funzionale al sistema cortigiano:
basti pensare che in un’epoca di fondamentali sovvertimenti politici e sociali su scala europea, e che pure si fecero tragicamente avvertire su scala nazionale e municipale, sarebbe vano cercarne traccia nell’ambio del corpus pasquinesco, al di là, ancora una volta, del vituperio personalistico, sia esso diretto al re di Francia o all’imperatore.
(Giovanni Aquilecchia, Presentazione, in Pasquinate, cit., p. XIII, da cui dipendono anche i virgolettati)

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