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Friday, July 13, 2012

L'Antinoo Farnese

Speranza

Antinoo morte e trasfigurazione della prima icona gay
Una mostra celebra il bellissimo giovane amato dall’imperatore Adriano e annegato nel Nilo. Un suicidio? Un omicidio? O un festino finito male?



L’Antinoo Farnese, un marmo alto due metri, dal Museo Archeologico di Napoli.

A sinistra un ritratto bronzeo del giovane, dal Museo Archeologico di Firenze.

Sotto Antinoo come Dioniso, dal British Museum di Londra

“Antinoo era greco, ma l’Asia aveva prodotto sul suo sangue un po’ acre l’effetto della goccia di miele che rende torbido e aromatico un vino puro», ha scritto Marguerite Yourcenar in quell’ineffabile falso novecentesco che sono le Memorie di Adriano . «Mi stupiva l’aspra dolcezza, la devozione torva che impegnava tutto il suo essere», fa dire al maturo imperatore. E ambienta l’incontro con il futuro giovane amante in una villa di lusso, sul bordo di una piscina sfiorata «dalla brezza della Propontide».

Dopo sei anni di tormentata e trasognata convivenza, fu in un altro viaggio in Oriente che Antinoo morì, annegato nel Nilo. Suicidio? Omicidio? Delitto passionale? Sacrificio spontaneo, in irrivelabili pratiche esoteriche? Commesso forse per allungare la vita al superstizioso imperatore, come suggerisce Aurelio Vittore? O fu un incidente, un’overdose di magia, uno scabroso rituale, un festino finito male?

«Incoronato di pesanti boccioli di loto, è apparso sulla prora del battello di Adriano, gli occhi fissi nel verde torbido Nilo», avrebbe scritto Oscar Wilde nel Ritratto di Dorian Gray , cui diede i suoi tratti, le labbra voluttuosamente tumide, i bei riccioli. Dalla metà del Settecento, dopo che Winckelmann, osservandolo nel rilievo della collezione del cardinale Albani, lo aveva identificato con l’ideale assoluto di bellezza greca, la sua effigie immune dal tempo si sarebbe propagata, diventando la prima e più universale icona gay.

Scriverà Flaubert: «Cantami della sera odorosa in cui udisti / levarsi dalla barca dorata di Adriano / il riso di Antinoo e per placare la tua sete lambisti / le acque e con desiderio guardasti / il corpo perfetto del giovane dalle labbra di melograno».

Per volontà dell’affranto Adriano, con amorosa forzatura della consuetudine rituale greco-egizia riservata alla «morte per acqua», Antinoo fu divinizzato. Se l’imperatore lo vide in una stella, ancora oggi intrappolata fra gli artigli dell’Aquila celeste, la storia ne fece una star.

Si trasformò in Attis, il giovinetto dal cui sangue erano sbocciate viole e il cui corpo era rimasto intatto per volontà della dea Cibele. Anche la sua bellezza sopravvisse alla morte. L’eco marmorea del corpo di Antinoo si propagò dai tondi adrianei ancora incastonati nell’Arco di Costantino alle colonne tortili dell’Antinoieion, la tomba-tempio recentemente portata alla luce nella Villa Adriana, dove oggi si apre la mostra curata, come il catalogo Electa, da Marina Sapelli Ragni, soprintendente per i Beni Archeologici del Lazio.

Antinoo fu anche Adone e Narciso, fu Ermes, perché ogni mistero si coronava in lui: di edera e grappoli, alloro e spighe, aghi di pino e pigne che lo consacravano alla madre terra, o l’eloquente papavero, il fiore di Demetra, il simbolo della vita-in-morte e morte-in-vita raggiunta nell’ebbrezza e nei misteri. Indossò l’ himation a Eleusi. Fu Apollo, come vediamo nella statua di Leptis Magna, che lo raffigura col tripode delfico, o in quella ritrovata proprio a Delfi a fine Ottocento. Ma anche Dioniso, come nell’Antinoo di Londra o in quello di Cambridge oltreché al Vittoriale. Perché l’apollineo e il dionisiaco in lui si componevano con la perfezione della tragedia greca. Fu un pastore, un satiro, quasi un ermafrodito nel sensuale Antinoo Grimani, dalle insuperabili natiche p e r f e t t a m e n t e tornite. Fu Osiride, il dio egizio che nell’acqua del Nilo muore per poi rinascere. Al luogo in cui annegò, e in cui ancora oggi fanno scalo le crociere dei turisti sul Nilo, fu dato nome Antinoupolis, «la città di Antinoo». Se all’Antinoo Capitolino è ispirato il meraviglioso Antinous di Mapplethorpe, non mancò di onorarlo il vigoroso culto dei Papi: l’obelisco a lui dedicato, con iscrizioni geroglifiche, ritrovato nel Cinquecent o, f u innalzato da Pio VII sul Pincio e ancora oggi i passanti e gli amanti di qualsiasi sesso possono onorarlo.

Adriano «muliebriter flevit», pianse come una donna, riporta l’ Historia Augusta . La morte del bellissimo efebo il cui nome era un omen ( Anti-noos , «colui che si oppone», un diverso) fu una tragedia che sarà inscenata più e più volte nei riti e nei misteri della Roma antica e in quelli della letteratura, da Dione Cassio ai Padri della Chiesa, da Boccaccio a Shelley, da Balzac a Flaubert, da Proust a Barthes, da D’Annunzio a Mann, da Pavese a Pasolini, passando per i versi di Rilke e Kavafis, fino a Pessoa: «Ti erigerò una statua che sarà / nel futuro prova incessante / del mio amore, della tua bellezza e del senso / che la bellezza dà del divino».

Nella Villa Adriana in cui l’imperatore moltiplicò all’infinito, come magnifici fantasmi, i simulacri dell’amato, la sua immagine si offre oggi in oltre cinquanta ritratti scolpiti nel marmo bianco, come il busto di Tivoli o quello della collezione Boncompagni-Ludovisi, o nel bronzo, come nel ritratto cinquecentesco di Guglielmo Della Porta, o nella quarzite rossa, come l’Antinoo-Osiride di Dresda, proveniente dalla collezione Chigi. Il suo volto meduseo si incide nelle monete, nell’onice e nella corniola dei gioielli, nelle piastre votive in terracotta di Aquileia. Ovunque si replicano gli obliqui occhi assorti nella nostalgia dell’attimo, in cui Thanatos già dimora insieme a Eros.
NOMEN OMEN
Il greco Anti-noos significa «colui che si oppone»: ossia un diverso
AFFASCINATI ANCHE I PAPI
L’obelisco a lui dedicato, ritrovato nel ’500, fu innalzato da Pio VII sul Pincio

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