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Wednesday, July 4, 2012

Statua dell'imperatore Antonino Pio

Speranza



La storia di oggi ripropone all’attenzione dei nostri affezionati lettori una vicenda curiosa, figlia degli anni Cinquanta e ci ricorda uno dei furti più gravi che la nostra città abbia subito ad opera della Soprintendenza per i beni Archeologici.

La controversia sulla statua di Antonino Pio è l’esempio più clamoroso di quanto sia appetibile il nostro patrimonio e di come si dovrebbe proteggere e rivalutare, riadattando o costruendo strutture in grado di ospitarlo in modo decoroso e scientifico.

L’inconsistente e risibile reazione del nostro Comune, la cocciuta intransigenza, legata a sclerotiche norme burocratiche dei Beni culturali di allora, l’illuminata difesa di un anonimo commissario, sono gli ingredienti di questo capitolo oscuro della nostra storia, che celebra uno dei più importanti benefattori della nostra città.


Aggiungiamo qualche precisazione sulla figura storica del personaggio e qualche notizia sul quartiere antico dove sorgeva la sua statua.

Antonino Pio fu imperatore romano dal 138 al 161 d.C. Nacque presso Lanuvio nel 56 d.C. da Aurelio Fulvio e Arria Fadilla, famiglia nobile. Console nel 120, fu adottato da Adriano e alla morte gli successe. Per la devozione nei confronti del padre adottivo ebbe il cognome di Pius. Istituì buoni rapporti con il Senato, abolendo i consulares e restituendogli il controllo giuridico della penisola italica. Governò con saggezza per il benessere del popolo, alleviando la pressione fiscale; non fu troppo intransigente nei confronti di ebrei e cristiani e con paterna sollecitudine avviò opere benefiche in favore di fanciulle orfane. Fronteggiò due importanti invasioni di barbari in Africa e in Britannia.

Come successore adottò il futuro Marco Aurelio e Lucio Vero. Musei vaticanibase colonna antonina.jpg

In sua memoria, i figli adottivi eressero in Campo Marzio (attuale piazza Montecitorio) una colonna monolitica di circa 15 metri di granito rosso, sormontata dalla sua statua.

Danneggiata la colonna nel 1704, durante gli scavi di recupero e poi definitivamente perduta, del monumento si conserva il basamento, collocato nel 1789 nel cortile della Pigna in Vaticano.

Il ritrovamento della statua di Antonino Pio a Terracina (Lungo Linea Pio VI, altezza autolinee) costituisce una scoperta importantissima perché conferma quello che di buono, secondo i documenti storici tramandati, aveva fatto questo imperatore per la nostra città. In particolare il completamento del porto di Traiano.

Della zona bassa di si conosce pochissimo, la statua sicuramente faceva parte di un complesso, misto pubblico/privato che sviluppava la città verso la marina.

La zona di interesse va dal canale, la parte poi tombinata, fino al mare, oltre l’area Chezzi e che includeva nel tragitto importanti strade di scorrimento (Appia, Appia trainea, Via Severiana –odierna via Badino) l’anfiteatro (le cui fondazioni sono state ritrovate alle capanne e da non confondere con il teatro sopra la città alta), le terme (ruderi nell’area Chezzi), importanti resti di ville aristocratiche, poi sepolte e probabilmente un foro (Severiano). Tutto questo era in funzione del nostro Porto, uno dei più importanti dell’epoca nel mediterraneo, grande quattro volte quello attuale e con funzioni prettamente commerciali. L’articolo che segue, a firma di Venceslao Grossi, è apparso in origine su V. Grossi, M.I. Pasquali, R. Malizia, Il Museo Civico “Pio Capponi” di Terracina. Storia dell’Istituto e delle sue collezioni, Formia 1998.
Buona visione e buona lettura a tutti.







Si espongono di seguito i fatti e si riportano i documenti salienti (contenuti nell’ACD, Cat. IX, Cl. V fasc. 4) sulla controversia che oppose l’Amministrazione Comunale a quella statale di tutela per il ritrovamento ed il successivo trasporto a Roma, nel Museo Nazionale Romano, della statua di Antonino Pio.
Statua dell'imperatore Antonino Pio, rinvenuta nel 1958 durante l'edificazione delle case popolari in Lungolinea Pio VI. Il reperto è oggi nel Museo Nazionale Romano

In proposito, va osservato come ci si trovi qui di fronte ad un esempio quanto mai concreto ed emblematico di quella situazione anomala e squilibrata per la quale, in assenza di una programmatica azione di tutela sviluppata nei confronti del patrimonio archeologico e storico-artistico locale, da parte degli enti e degli istituti preposti, attraverso lo strumento conservativo principale di quell’azione, e cioè il Museo, adeguato nelle sue strutture e nelle sue funzioni, si preferisse invece ricorrere, con atti di vera deportazione artistica, ai metodi del vecchio centralismo statale ed ai mezzi coercitivi di una legge autoritaria ed attardata, di fatto contrastante con i nuovi orientamenti culturali e con i principi affermati dalla Costituzione, comportamenti, peraltro, che continuano a trovare seguito, purtroppo, ancora oggi.

Ecco comunque la vicenda.

Dopo il ritrovamento, effettuato il 17 giugno 1958, ed il trasferimento a Roma della statua di Antonino Pio, avvenuto il mattino del giorno seguente, partì un telegramma di protesta, in data 19 giugno 1958, inviato dal Comune di Terracina e diretto alla Soprintendenza alle Antichità di Roma I. Seguirono il giorno dopo, sempre a firma del sindaco “Comm. ing. Pasquale Di Stefano“, tre lettere dello stesso tono, inviate rispettivamente al prefetto di Latina, alla Soprintendenza ed all’allora ministro delle Finanze, Giulio Andreotti, per protestare contro l’asporto clandestino” il quale aveva, secondo il sindaco, “sollevato indignazione nella popolazione“, e per richiedere infìne di ”disporre perché la statua sia riportata a Terracina entro il più breve tempo possibile.

Le modalità di trasferimento del reperto adottate dalla Soprintendenza, oggettivamente improprie sui piano procedurale – dato il mancato coinvolgimento del Comune – ed irriguardose nei confronti dell’istituzione locale, e la reazione immediata che quel gesto aveva suscitato, con l’intervento diretto anche del ministro delle Finanze, imposero al soprintendente Jacopi di rimettere la questione, alcuni giorni dopo, al “Ministero della Pubblica Istruzione – Direzione Generale Antichità e Belle Arti“.
Il 22 luglio 1958, il Ministero, con lettera ai sindaco di Terracina e, per conoscenza al soprintendente alle Antichità di Roma I, così rispose:

“Questo Ministero è stato informato della protesta della S.V. nei riguardi della destinazione della statua iconica di Antonino Pio, recentemente rinvenuta in un terreno dì proprietà dell’Istituto Case Popolari di Latina, sito in codesta Città, e trasportata a Roma presso il Museo Nazionale Romano a cura della competente Soprintendenza alle Antichità. In proposito questo Ministero, ritiene necessario richiamare l’attenzione della S.V. sulle note disposizioni della Legge 1 giugno 1939, n. 1089, che disciplina la tutela delle cose di interesse storico, artistico e monumentale, cui è preposta questa Amministrazione, e, in particolare, sugli artt. 44 e 49 che affermano l’appartenenza allo Stato degli oggetti archeologici ritrovati in occasioni di scavi o scoperti fortuitamente.
La S.V. vorrà, inoltre, considerare l’articolo 121 del Regolamento 30 gennaio 1913 n. 363, tuttora in vigore ai semi dell’art, 73 della precitata legge, il quale sancisce che le “cose” provenienti da scavo o da scoperte fortuite, di proprietà dello Stato, vanno destinate ad Istituti governativi della regione da cui provengono.
In ossequio alle menzionate disposizioni dì legge, questo Ministero non può, pertanto, accogliere la richiesta della S.V.” medesima, intesa ad ottenere, l’assegnazione della statua al locale Museo dì Terracina, tanto più che questo non ha quella opportuna sistemazione che si desidererebbe per un pubblico Istituto.

Il Ministero, dunque, non accolse la richiesta avanzata dal Comune di riottenere la statua: non soltanto per rispetto alla norma, che assegnava allo Stato gli “oggetti archeologici ritrovati in occasioni di scavi o scoperti fortuitamente” ed imponeva di destinare gli oggetti “ad Istituti governativi della regione da cui provengono“, ma anche perché il Museo di Terracina non aveva “quella opportuna sistemazione che si desidererebbe per un pubblico Istituto“.
Due fondamentali argomenti erano quindi stati portati dal Ministero a sostegno e giustificazione dell’azione compiuta dalla Soprintendenza e di cui era certamente molto difficile non vedere la ragione. Ogni possibile replica sembrava a questo punto inutile. Tuttavia, la cosa non cadde del tutto, ed ebbe anzi un risvolto molto interessante. Scioltosi poco dopo il Consiglio Comunale terracinese, la questione venne decisamente ripresa dal. commissario prefettizio Gaetano Napoletano, il quale, in occasione dell’avviato riordinamento del Museo Civico, con lettera dell’11 settembre 1959 così si rivolse alla Soprintendenza:
Come è noto alla S.V. Ill.ma, sono in corso i lavori per il riordinamento del Museo Civico, che avrà degna sistemazione nei locali al pianterreno del nuovo Palazzo Comunale. Ad avvenuta sistemazione, Terracina avrà messo nel giusto valore le testimonianze del glorioso passato, creando COSÌ anche un nuovo ed importante motivo di attrazione per gli studiosi ed i turisti.
Allo scopo di dare maggior decoro ai Museo stesso, sarebbe opportuno collocare una statua nel portico, proprio di fronte all’ingresso principale, come giù discusso con rappresentanti di codesta Soprintendenza; e la solennità ed il decoro dell’ambiente assai ne guadagnerebbero.
Ritengo che questa sarebbe la sede adatta per la statua di Antonino Pio rivenuta a Terracina nel giugno 1958 e trasportata a Roma.
Verrebbero, così, soddisfatte anche le generali istanze della popolazione di Terracina che tiene moltissimo alla conservazione delle sue memorie e che, nella sua storia, ricorda Antonino Pio per le importanti opere pubbliche, da lui fatte eseguire, tra le quali primeggia d completamento del Porto Traiano.
Prego pertanto V.S. Ill.ma di voler aderire alte presente proposta, disponendo con cortese urgenza, dato che i lavori del palazzo municipale volgono ormai al loro termine
“.
Alla motivata esposizione dei fatti portata da! commissario Napoletano, alle garanzie offerte dalla nuova struttura museale all’interno del ricostruito Palazzo Municipale, le quali rimuovevano, di fatto, uno degli ostacoli principali che impedivano la restituzione della statua di Antonino Pio, alle ampie disponibilità di mezzi concessi per un allestimento tecnico e scientifico completamente deciso in accordo con l’organismo statale di tutela, al grande significato culturale e civile, infine, che quella restituzione avrebbe avuto per la città intera, il soprintendente Giulio Jacopi, il 29 settembre 1959, così rispose:
(…) Ho esaminato con profonda attenzione la possibilità del rinvio a Terracina della statua di Antonino Pio colà rinvenuta due anni or sono. Debbo però con rincrescimento significarle che anche per uniformità coll’operato delle consorelle in casi analoghi, non posso accedere alla proposta. Infatti la norma regolamentare è che i ritrovamenti del sottosuolo, che sono proprietà governativa, vergano ricoverati nel più vicino museo statale.

La statua di divinità barbata al momento della scoperta nel 1957 (da V. Grossi, M.I. Pasquali, R. Malizia, Il Museo Civico Pio Capponi di Terracina, Formia 1998).

Una deroga è possibile solo per oggetti di minore importanza, o per i doppioni di cui e più agevole consentire il deposito in sito. Il non attenersi a queste disposizioni costituirebbe oltre a tutto un pericoloso precedente, a danno dei maggiori musei statali, che per il loro stesso carattere devono pur contare su un certo incremento da parte della regione. Nel caso presente, Antonino Pio integra mirabilmente la collezione iconografica dei nostro grande Museo Nazionale, ove esso figurerà con l’indicazione della provenienza, la quale sarà per sé già un potente richiamo per la città di Terracina. La prego di voler considerare come già, in favore della sua città, io abbia fatto una concessione importante, lasciando depositato nel museo locale, ove verrà convenientemente sistemata, la statua di divinità barbata pure recuperata per merito della Soprintendenza: essa è, dirò cosi, più localmente significativa, integrando il pantheon anxurate di un nuoto importantissimo elemento. E questa considerazione che mi ha indotto a sacrificare l’interesse sempre vivo nel Museo Nazionale, per un oggetto che è pur sempre di grandissimo valore. Del ritratto imperiale, che è invece di importanza più generale conto far eseguire quanto prima (dopo il restauro definitivo del cimelio) un calco, che potrà vantaggiosamente figurare nella raccolta locale colla stessa, identica opportunità didattica e commemorativa.

Statua di divinità barbata, rinvenuta nel 1957 nell'area delle case popolari di Lungolinea Pio VI (dal pieghevole sul Museo Civico Pio Capponi di Terracina).

L’ennesimo rifiuto, dopo quello dei Ministero, nel luglio del ’58, e quello conseguente della Prefettura di Latina, dell’agosto successivo, ma questa volta direttamente espresso dalla Soprintendenza, con motivazioni, oltre quelle imposte dalla “norma regolamentare“, di opportunità gestionali del patrimonio archeologico “maggiore“, conformate all’attività delle altre soprintendenze italiane nei riguardi dei musei statali, chiudeva definitivamente e piuttosto amaramente la questione. Si rimarcava addirittura il favore che era stato concesso alla città nel lasciare al Museo locale “la statua di divinità barbata“, e che si sarebbe eventualmente considerata la possibilità per “la raccolta locale” di un calco dell’Antonino Pio, Tuttavia, un seguito del tutto inaspettato giunse a questo punto. Infatti, alta lettera inviata dal soprintendente Jacopi alla Direzione Generale del Ministero, in data 30 settembre 1959 (nella quale, oltre a riassumere la vicenda e ad allegare la copia della lettera inviata al commissario prefettizio di Terracina, si chiede l’autorizzazione a far eseguire il calco), così rispose il Ministero, oltre quattro mesi dopo, e cioè l’8 febbraio 1960:
Si comunica che. il Consiglio Superiore delle Antichità e Belle Arti ha preso in esame la domanda di autorizzazione ad eseguire il calco della scultura raffigurante l’imperatore Antonino Pio, rinvenuta a Terracina, da inviare a quel Museo Civico in luogo dell’originale richiesto dal Comune. Il predetto consesso, pur mostrandosi propenso alla destinazione dell’originale dell’opera al Museo Civico di Terracina, non si è dichiarato contrario all’esecuzione del calco.
La S.V. è pertanto autorizzata ad effettuare la riproduzione della scultura, con l’adozione di tutte quelle garanzie e cautele che il lavoro richiede.

In modo clamoroso, dunque, il Consiglio Superiore rovesciava quanto era stato sino ad allora affermato dalla Direzione Generale e dalla Soprintendenza competente, poiché, pur autorizzando il calco, si era espresso favorevolmente circa la restituzione al Museo Civico di Terracina del ritratto statuario originale di Antonino Pio. Sarebbe bastato, a questo punto, prendere atto della volontà manifestata dall’organismo superiore del Ministero, riesaminare l’intera questione e dare le immediate e conseguenti disposizioni. Ma questo, come vedremo subito, non avvenne, in ossequio ad un principio amministrativo sulla gestione del patrimonio storico, peraltro assai contraddittorio sul piano procedurale, che poco aveva a che fare ormai con l’evidenza delle ragioni scientifiche e culturali.
L’ultima parola sensata sulla vicenda, tuttavia, la disse il commissario prefettizio Gaetano Napoletano. Dieci mesi dopo, infatti, il 24 novembre 1960, poco prima di lasciare il suo incarico straordinario, inviò direttamente al Ministero una lettera con oggetto “Restituzione al Museo di Terracina della statua di Antonio Pio“, nella quale leggiamo;
Nel giugno del 1958 e stata rinvenuta nei territorio di questa città una statua, raffigurante Antonino Pio, che, per disposizione della competente Soprintendenza alle Antichità, è stata trasferita a Roma per essere, definitivamente sistemata nel Museo Nazionale.
Essendo stato, di recente, opportunamente riordinato questo Museo Civico, una sede che potrebbe degnamente ospitare la statua indicata, si interessa codesto On. Ministero perché si compiaccia soddisfare le aspirazioni di questa cittadinanza, che potrebbe costituire un notevole motivo di tradizione per questa città per il cui avvenire molto si confida sull’incremento delle correnti turistiche, che quest’Amministrazione con ogni mezzo stimola e incoraggia.
Lo scrivente ritiene che “pezzi” di alto valore archeologico, rinvenuti nei vari territori della Regione, non debbano andare, ad arricchire ulteriormente il Museo Nazionale, quando nella località, cui i ritrovamenti sono avvenuti, esiste un Museo che non può essere, ovviamente, destinato ad ospitare solamente materiale di scarso valore.
La tendenza a concentrare nei Musei Nazionali le opere dissepolte di più vasto richiamo non appare, oggi più giustificato, perché:
1°- I mezzi di comunicazione e di diffusione consentono l’esame e lo studio delle opere, in qualsiasi città siano esse sistemate;
2° – le opere rimangono sempre di pertinenza del pubblico demanio e sottoposte alla vigilanza degli Organi statali,
3° – L’accentramento crea una situazione di privilegio per le città sedi di Musei Nazionali,
4° – la sistemazione dì materiale archeologico, in zone diverse da quelle in cui è stato rinvenuto, è cosa innaturale in quanto allontana opere che, ricollegano il luogo del ritrovamento alle antiche memorie, consentono di ricostruire idealmente episodi storici, folcloristici, di costume e di vita associata che svaniscono nelle brume del passato;
5° – il materiale archeologico tolto dal suo “abitat” naturale se non perde di valore, per quanto riguarda gli intrinseci requisiti artistici, perde certamente di interesse in quanto vieta dì ricostruire idealmente l’ambiente originario;
6° – la situazione dei Musei Civici in zone di notevole interesse archeologico dev’essere incoraggiata soprattutto mediante l’assegnazione di materiale archeologico di notevole valore per corrispondenza a quella universalità della cultura verso la quale tendono le nuove generazioni;
7° – i piccoli centri meritano di essere valorizzati, anche sotto ti profilo archeologico, per gli indiscutibili richiami che tale settore esercita e i riflessi che si ripercuotono favorevolmente sull’economia cittadina.
Questa Amministrazione confida sulla benevole attenzione che codesto On. Ministero vorrà riservare alla presente richiesta disponendo, in aderenza alle più recenti direttive emanate in materia, per la restituzione a questo Museo Civico della statua di Antonino Pio.

Difensore più illuminato la città di Terracina e, ad un tempo, il patrimonio archeologico e storico-artistico locale non potevano trovare. In un solo documento, che costituisce un vero e proprio manifesto programmatico per una moderna gestione del patrimonio artistico decentrato, la specifica controversia insorta tra il Comune e la Soprintendenza per il possesso dell’importante statua di Antonino Pio viene sciolta dai suoi stretti connotati di conflitto di bottega e sollevata, interessando direttamente il Ministero, a problema di più vasto interesse generale. Infatti, a fronte della posizione inconcludente del Comune di Terracina nei confronti del proprio patrimonio storico, abbandonato a se stesso insieme al Museo, e della banale ed inconsistente reazione dell’allora sindaco Di Stefano, come pure rispetto all’attardata posizione, assunta dal Ministero, di stretta osservanza normativa ed amministrativa ed a quella di stampo decisamente antiquariale ed autoritaria del soprintendente Giulio Jacopi, la posizione del commissario Napoletano, nella volontà espressa come negli atti compiuti, appare, oltre che risolutamente pragmatica e positiva, di alto profilo culturale. Punto per punto egli non soltanto smonta, attraverso una stringente argomentazione logica, le ragioni di una rigidezza giuridica, amministrativa e tecnica in cui era stato costretto il problema e giustificato un comportamento anacronistico, ma pone in sostanziale pregiudizio l’attendibilità stessa di quelle ragioni e di quei comportamenti rispetto al piano più squisitamente scientifico che la questione necessariamente portava, attraverso i concetti fondamentali espressi nei punti 4° e 5°. Se, infatti, il fine ultimo dell’attività di conservazione svolta dallo Stato era ed è quello di contribuire all’incremento ed all’approfondimento della scienza storica, e dunque di predisporre le metodologie più appropriate per garantire l’efficace tutela materiale dei documenti utili al suo studio, la salvaguardia rigorosa dei reperti all’interno dei loro contesti, richiamata appunto da Gaetano Napoletano nei punti citati, diviene una condizione necessaria per il raggiungimento di quel fine superiore.
Rimossi dunque gli ostacoli principali della controversia, riguardanti l’interpretazione di principio sul vantaggio dello Stato nello svolgimento dell’azione conservativa, e raggiunta la disponibilità di un istituto museale finalmente riordinato e adeguato alla bisogna, non rimaneva che muovere, come giustamente fece il commissario Napoletano, la “benevole attenzione” del Ministero alla ”presente richiesta, disponendo, in aderenza alle più recenti direttive emanate in materia, per la restituzione a questo Museo Civico della statua di Antonino Pio“.
Ma il complessivo organismo statale di tutela era ormai da troppo tempo prigioniero del suo sclerotico apparato burocratico per rispondere ad un così aggiornato pensiero sulla gestione del patrimonio storico locale ed alla particolare richiesta di riottenimento, da parte della comunità terracinese, di un così significativo monumento della sua storia. La statua di Antonino Pio non venne più restituita alla città ed al suo Museo Civico, ne mai arrivò quel calco in gesso, giustamente rifiutato dall’Amministrazione Comunale, che era stato fatto realizzare, alcuni mesi prima, dal soprintendente Jacopi.

Antonino Pio al Museo Nazionale romano


Altri documenti sul rinvenimento della statua di Antonino Pio si trovano nell’ACS, AA.BB.AA,, IV Vers., Div. II (1952-1960), b. 40.
 Due altri documenti conservati nell’ASAL testimoniano, infine, dell’intransigenza del soprintendente Giulio Jacopi: intransigenza non soltanto contrastante con la volontà espressa dal. Consiglio Superiore delle Antichità e Belle Arti e con la conseguente richiamo del Ministero e della Direzione Generale di rivedere la questione, ma anche pregiudizievole del proficuo lavoro svolto dal commissario Gaetano Napoletano e causa ultima, insieme al disinteresse successivo del Comune di Terracina, della mancata restituzione alla città di uno dei suoi più importanti monumenti, storici. Nei primo di tali documenti, datato 14 dicembre 1960, inviato dalla Direzione Generale AA.BB.AA. del Ministero al soprintendente Jacopi, leggiamo: “Con la lettera di cui si allega copia il Comune di Terracina ha richiesto nuovamente l’assegnazione a quel Museo Civico della statua di Antonino Pio, rinvenuta in quel territorio nel 1958. Ai riguardo si fa presente che il Consiglio Superiore delle Antichità e Beile Arti, come accennato in precedenza, ebbe a rilevare che la scultura, mentre non rappresenta un arricchimento di particolare pregio per le collezioni del Museo Nazionale Romano, costituirebbe un notevole incremento per le raccolte del Museo Civico di Terracina, che in questi ultimi tempi ha dato prova di voler conservare decorosamente una parte, almeno delle scoperte della storica città. Si prega pertanto la S.V. di voler riesaminare la questione, comunicando se esiste la possibilità di aderire alla richiesta e precisando inoltre se a Terracinina sia già stato inviato il calco dell’opera“. Nel secondo documento, datato sempre 14 dicembre 1960, leggiamo, invece, la risposta del soprintendente Jacopi: “In risposta alla ministeriale. n. 13096 del 14/12/1960, mi pregio fare osservare a codesto On. Ministero che la statua di Antonino Pio rappresenta per le collezioni del Museo Nazionale Romano un arricchimento di indubbia importanza per il valore non indifferente dell’opera sul piano stilistico che su quello storico. Si tratta di una rara esemplificazione del ritratto dell’imperatore rappresentato con la figura intera; inoltre il copro e il panneggiamento sono trattati in modo veramente pregevole. Queste sono le premesse per l’assegnazione del cimelio in base alla prassi vigente, ad un grande museo ove esso può essere convenientemente inquadrato e valorizzato. Questo Ufficio ha offerto in dono al Museo Archeologico di Terracina, da vari mesi, un calco dell’opera da esporre nel Museo ai posto dell’originale. Tale calco non è stato accettato dall’Amministrazione Comunale della città che insiste per avere l’originale stesso. Inoltre, la statua è attualmente al gabinetto di restauro del Museo Nazionale Romano per lo studio del restauro del braccio recante il panneggio, sulla posizione del quale non si è giunti, ancora, ad una sicurezza scientifica soddisfacente“.

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