La Sinossi di “Giasone Medea in Corinto” è così:
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NUMERO 1
INTRODUZIONE I
ATTO I,
SCENA I
PRINCIPESSA CREUSA, damigelle
a) «Perché temi? A te l’amante», ottonari abbx, cddx, effx, gxgx
b) «Se mio si serba», quinari abbx, cdedfx, gdhdix I,2 PRINCIPESSA CREUSA, Damigelle, Creonte, Evandro, corinzi
c) «A te di lieto evento», ottonari abbxax, csdcsdexex, csfcsfgxhx
d) «Ah, splenda propizio», senari abcsbdx «Ah, mia PRINCIPESSA CREUSA», sciolti
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NUMERO 2:
MARCIA, CORO E CAVATINA DI GIASONE
Fosti grande – Di gloria all’invito I,3 PRINCIPESSA CREUSA, damigelle, Creonte, Evandro, corinzi, GIASONE, guerrieri, Tideo a) «Fosti grande allor che apristi», ottonari abbx, abbx GI. «Sire! … CREO. Giason!… CREU. Mia gioia!…GI. Ogni timore», sciolti «M’imponesti in sulla Tauride», ottonari asbbx, asccx, as «Fra l’ire di Marte», senari abbx, cddx, fxfxfx «Vieni, o figlia, compito», sciolti.
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N. 3 SCENA E DUETTO DI GIASONE E MEDEA, Amico, la mia sorte – Cedi al destin, Medea I,4 GIASONE , Tideo «Amico, la mia sorte», sciolti I,5 GIASONE , Medea «Fuggir mi vuoi, barbaro? A me soltanto», sciolti a) «Cedi al destin, Medea», settenari abbx, cddx, effx, ghhx, ghhx
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N.4 ARIA DI EGEO, Oh sventurato! O misero I,6 Egeo, indi Tideo «Oh sventurato! Oh misero», settenari a) asbbxasx «M’inganno! Oh cielo!, Egeo! D’Atene il Re», sciolti a) «Il mio destin ti leggo», settenari abccddexfx b) «La mia mente delirante» abbx «Avvampo d’ira; e questo infame nodo», sciolti
N. 5 FINALE PRIMO, Dolce figliuol d’Urania) I,6 Sacerdoti, donzelle a) «Dolce figliuol d’Urania», settenari asbasbccx, asdasdccx, aseaseccx I,18 Sacerdoti, donzelle, PRINCIPESSA CREUSA, Creonte, GIASONE , Medea, Egeo b) «Cara Figlia, prence amato», ottonari abbx, cddx, effx, ghhx, illx, illx, illx, mnnx d) «Al rito infame o perfidi», settenari asbasbasxcx e) «Mira, infido in quale stato», ottonari abbx, abbx, abbx f) «Dunque ricusi e vuoi», settenari abcbx g) «Conducete alle navi costei», decasillabi ababxcx, ababx, ababx
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N.6 CORO E ARIA DI ISMENE, Amiche cingete - Chi viene Ismene II,1 Grandi di Corinto, donzelle. II,2 detti, Ismene a) «Amiche cingete», senari ababccdx, dedeffgx ”b) «Chi viene? … Ismene», quinari abccdeeff ”c) «Medea crudel, terribile», settenari asbbxasx
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N.7 SCENA E DUETTO DI MEDEA E PRINCIPESSA CREUSA, Sembra che il ciel secondi – M’abbraccia, amica tenera II,3 Creonte, Tideo, PRINCIPESSA CREUSA «Padre per pochi istanti», sciolti II,4 PRINCIPESSA CREUSA, indi Medea «Sembra che alfin secondi», sciolti «M’abbraccia, amica tenera», settenari asbbx, asccx, asddx, asbbx II,5 PRINCIPESSA CREUSA, Medea, ed Ismene con i figli di Medea «Ma chi vien? Chi s’appressa», sciolti
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N. 8 SCENA E ARIA DI GIASONE , Grazie, numi d’amore – Amor per te penai II,6 GIASONE «Grazie, numi d’amore. È alfin compito», sciolti a) «Amor per te penai», settenari abax II,7 GIASONE , coro b) «Accorrete, oh tradimento», ottonari abbx c) «O noi sventurate», senari ababccddxex d) «Dove sono? Chi mi desta?», ottonari abbx e) «Lasciatemi, o barbari», senari asbasbx, cdedfx
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N.9 SCENA E ARIA DI MEDEA, Ismene, o cara Ismene – Miseri pargoletti,? II,8 Medea, Ismene, figli, voci da dentro. «Ismene, o cara Ismene», sciolti b) «Miseri pargoletti», settenari ababcx, dededxdx d) «Degg’io svenarli?», senari ababccdx, esxbccx II,9 Ismene sola. «Quale orror mi comprende! Appena io posso», sciolti
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N. 15 FINALE SECONDO, Era tua sposa II,10 GIASONE con seguito, Creonte con seguito. a) «Era tua sposa. Ah, svena», settenari axasxasbbx II,11 GIASONE , Creonte b) «Ah signor, qual mai ti trovo», ottonari abbx II,12 Coro, GIASONE , Creonte, Tideo, Evandro «Gran periglio vi minaccia», ottonari cdcdeexfx II,13 Coro, GIASONE , Creonte, Tideo, Evandro, Egeo, Medea c) «Dov’è Medea? Guardatevi», settenari asbbx, asxcx, asddx, aseasefxasx d) «Resta. Asilo ti nieghi la terra», decasillabi abbx, abbx, abbx, abbx e) «Mira, non hai consorte», settenari abbx, csxcsx.
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Più radicali le trasformazioni operate da Cammarano, per l’intonazione di Mercadante, partendo dal libretto della prima napoletana del 1813.
Il nuovo libretto organizza la vicenda in tre atti e aumenta notevolmente le scene ad effetto e gli intrighi secondari con taglio quasi romanzesco.
Cammarano cambia la figura del rivale di GIASONE.
Ad Egeo sostituisce Timante e disinnesca così la memoria del personaggio di Corneille.
Può gestire allora TIMANTE con più libertà di Romani, abbandona la scena di prigione d’origine pascaliana, e inserisce un duello con GIASONE che porta alla morte del rivale.
Ai delitti di Medea affianca, dunque, un GIASONE valoroso e vittorioso in battaglia, ma il dramma risulta più dispersivo e, tutto sommato, anche qui la presenza di Timante-Egeo diventa accessoria, nemmeno giustificata dall’esigenza di trovare una sistemazione per Medea dopo i delitti perpetrati a Corinto.
L’opera risulta un medaglione di quadri di grandi dimensioni, giustapposti senza reali collegamenti tra loro: Medea e Timante nemmeno si incontrano, se non nel Finale I, e neppure ci si sofferma sul rapporto GIASONE -PRINCIPESSA CREUSA, affrontato di passaggio nella scena del trionfo. Gli unici duetti sono ridotti al canonico incontro tra Medea e GIASONE , e allo scontro tra GIASONE e Timante. Per il resto: a Medea sono conservati, sebbene profondamente variati, tutti i numeri del primo libretto di Romani con le scene di gelosia, sortilegio e infanticidio; a PRINCIPESSA CREUSA le due arie d’ansie amorose; Creonte resta privo di ruolo musicalmente significativo. Più dell’adattamento per Prospero Selli, quello di Cammarano è, però, interessante per come sono riorganizzati i numeri chiusi di Romani; si trovano spostamenti significativi di blocchi diversi da un numero all’altro e fusione di numeri originari così da creare unità musicali di grandi dimensioni che raggruppano più scene. Valga per tutti l’esempio dell’ultima aria di Medea ‘Tutta di pianto e d’ululati eccheggia – Chi m’arresta? Il braccio mio’ che dà suono all’infanticidio. Al suo termine Cammarano assimila l’irrompere dei Corinzi e di GIASONE (l’evento che nell’originale costituiva il finale II) e consente a Mercadante di chiudere l’opera con il numero principale della prima donna: si confermano così le indagini di Marco Beghelli che ha studiato lo slittamento del rondò-finale II in un’unica macro unità conclusiva definibile gran scena332. ‘Chi m’arresta? Il braccio mio’ non condivide la struttura formale delle grandi scene rossiniane e donizettiane, ma il fatto che assorba nell’aria della prima donna il finale II ci conferma che quella era già nel libretto romaniano il punto in cui «si consuma la tragedia, conducendo al proscenio un’eroina psicologicamente prostrata, sulle note di un lungo e articolato recitativo, spossandola definitivamente durante uno struggente Adagio cantabile, dilatando a dismisura il Tempo di mezzo per convogliarvi gli ultimi e decisivi eventi della vicenda, proiettando infine la Stretta conclusiva verso la catastrofe (esecuzione capitale, morte per sfinimento, suicidio), cui assistono impotenti i pochi protagonisti dell’opera ancora in vita»333. La Sinossi di “Medea in Corinto” adattata da Salvatore Cammarano per Mercadante (Napoli, 1851) es cosi: N. 1 PRELUDIO INTRODUZIONE E CORO I,1 PRINCIPESSA CREUSA, ancelle a) «Perché temi? A te l’amante», ottonari abbx, cddx N.2 SCENA E CAVATINA DI PRINCIPESSA CREUSA I,1 PRINCIPESSA CREUSA, ancelle «Dolci amiche, rapirmi», sciolti a) «Della celeste Venere», settenari asbasbcdasdexasx I,2 PRINCIPESSA CREUSA, Damigelle, Creonte, Evandro, corinzi b) «Apportator di giubilo», settenari asbasbascdcexex c) «Dea possente degl’amori», ottonari abbx, accx, cxcx N. 3 SCENA, MARCIA, CORO E CAVATINA DI GIASONE , Odi le trombe! Ah giunge alfine! E giunge – Fosti grande allor che apristi I,2 PRINCIPESSA CREUSA, Damigelle, Creonte, Evandro, corinzi I,3 GIASONE , guerrieri, PRINCIPESSA CREUSA, Creonte, nacelle «Odi le trombe! Ah giunge alfine! E giunge», sciolti a) «Fosti grande allor che apristi», ottonari abbx, cddx b) «Ah! sì, Creonte, sorgono», settenari asbasbasccx, asccx, asccx, asdasd, aseaseasx, asfasfasx N.4 SCENA E CAVATINA DI MEDEA, Fia ver? Giason ritorna – Presagio inesplicabile I,4 Medea I,5 Ismene e detta «Fia ver? Giason ritorna», sciolti a) «Presagio inesplicabile», settenari asbasbasccxasx b) «ME. Ebben? IS. Lo attendi, giungere», settenari asbasbasxasx, asccx, asddxdx N.5 SCENA E DUETTO DI GIASONE E MEDEA, Eccolo! … va… L’estrema volta è questa – Crudel da te respingermi I,6 GIASONE e Medea «ME. Eccolo! … va… GI. L’estrema volta è questa», sciolti a) «Crudel da te respingermi», settenari asbasbcdcdasx, aseasefgfgasx, ashashasxasx b) «Non vedi alzarsi, donna, fra noi», quinari doppi ababcxcx, dedefxfx 332 M. Beghelli ne accenna in Tre slittamenti semantici: cavatina, romanza, rondò cit. e ne ha ampliato le considerazioni in Che cos’è una Gran Scena?, relazione letta al Secondo Colloquio di Musicologia del «Saggiatore Musicale» (Bologna, 20-22 novembre 1998). 333 M. Beghelli, Tre slittamenti semantici: cavatina, romanza, rondò cit. N.6 CORO E CAVATINA DI TIMANTE, Muti, obbedienti, immobili – Fra vita e morteOndeggio! Esplorator nella cittade – Qual diva celeste crudel ti adora
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NUMERO 1
INTRODUZIONE I
ATTO I,
SCENA I
PRINCIPESSA CREUSA, damigelle
a) «Perché temi? A te l’amante», ottonari abbx, cddx, effx, gxgx
b) «Se mio si serba», quinari abbx, cdedfx, gdhdix I,2 PRINCIPESSA CREUSA, Damigelle, Creonte, Evandro, corinzi
c) «A te di lieto evento», ottonari abbxax, csdcsdexex, csfcsfgxhx
d) «Ah, splenda propizio», senari abcsbdx «Ah, mia PRINCIPESSA CREUSA», sciolti
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NUMERO 2:
MARCIA, CORO E CAVATINA DI GIASONE
Fosti grande – Di gloria all’invito I,3 PRINCIPESSA CREUSA, damigelle, Creonte, Evandro, corinzi, GIASONE, guerrieri, Tideo a) «Fosti grande allor che apristi», ottonari abbx, abbx GI. «Sire! … CREO. Giason!… CREU. Mia gioia!…GI. Ogni timore», sciolti «M’imponesti in sulla Tauride», ottonari asbbx, asccx, as «Fra l’ire di Marte», senari abbx, cddx, fxfxfx «Vieni, o figlia, compito», sciolti.
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N. 3 SCENA E DUETTO DI GIASONE E MEDEA, Amico, la mia sorte – Cedi al destin, Medea I,4 GIASONE , Tideo «Amico, la mia sorte», sciolti I,5 GIASONE , Medea «Fuggir mi vuoi, barbaro? A me soltanto», sciolti a) «Cedi al destin, Medea», settenari abbx, cddx, effx, ghhx, ghhx
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N.4 ARIA DI EGEO, Oh sventurato! O misero I,6 Egeo, indi Tideo «Oh sventurato! Oh misero», settenari a) asbbxasx «M’inganno! Oh cielo!, Egeo! D’Atene il Re», sciolti a) «Il mio destin ti leggo», settenari abccddexfx b) «La mia mente delirante» abbx «Avvampo d’ira; e questo infame nodo», sciolti
N. 5 FINALE PRIMO, Dolce figliuol d’Urania) I,6 Sacerdoti, donzelle a) «Dolce figliuol d’Urania», settenari asbasbccx, asdasdccx, aseaseccx I,18 Sacerdoti, donzelle, PRINCIPESSA CREUSA, Creonte, GIASONE , Medea, Egeo b) «Cara Figlia, prence amato», ottonari abbx, cddx, effx, ghhx, illx, illx, illx, mnnx d) «Al rito infame o perfidi», settenari asbasbasxcx e) «Mira, infido in quale stato», ottonari abbx, abbx, abbx f) «Dunque ricusi e vuoi», settenari abcbx g) «Conducete alle navi costei», decasillabi ababxcx, ababx, ababx
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N.6 CORO E ARIA DI ISMENE, Amiche cingete - Chi viene Ismene II,1 Grandi di Corinto, donzelle. II,2 detti, Ismene a) «Amiche cingete», senari ababccdx, dedeffgx ”b) «Chi viene? … Ismene», quinari abccdeeff ”c) «Medea crudel, terribile», settenari asbbxasx
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N.7 SCENA E DUETTO DI MEDEA E PRINCIPESSA CREUSA, Sembra che il ciel secondi – M’abbraccia, amica tenera II,3 Creonte, Tideo, PRINCIPESSA CREUSA «Padre per pochi istanti», sciolti II,4 PRINCIPESSA CREUSA, indi Medea «Sembra che alfin secondi», sciolti «M’abbraccia, amica tenera», settenari asbbx, asccx, asddx, asbbx II,5 PRINCIPESSA CREUSA, Medea, ed Ismene con i figli di Medea «Ma chi vien? Chi s’appressa», sciolti
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N. 8 SCENA E ARIA DI GIASONE , Grazie, numi d’amore – Amor per te penai II,6 GIASONE «Grazie, numi d’amore. È alfin compito», sciolti a) «Amor per te penai», settenari abax II,7 GIASONE , coro b) «Accorrete, oh tradimento», ottonari abbx c) «O noi sventurate», senari ababccddxex d) «Dove sono? Chi mi desta?», ottonari abbx e) «Lasciatemi, o barbari», senari asbasbx, cdedfx
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N.9 SCENA E ARIA DI MEDEA, Ismene, o cara Ismene – Miseri pargoletti,? II,8 Medea, Ismene, figli, voci da dentro. «Ismene, o cara Ismene», sciolti b) «Miseri pargoletti», settenari ababcx, dededxdx d) «Degg’io svenarli?», senari ababccdx, esxbccx II,9 Ismene sola. «Quale orror mi comprende! Appena io posso», sciolti
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N. 15 FINALE SECONDO, Era tua sposa II,10 GIASONE con seguito, Creonte con seguito. a) «Era tua sposa. Ah, svena», settenari axasxasbbx II,11 GIASONE , Creonte b) «Ah signor, qual mai ti trovo», ottonari abbx II,12 Coro, GIASONE , Creonte, Tideo, Evandro «Gran periglio vi minaccia», ottonari cdcdeexfx II,13 Coro, GIASONE , Creonte, Tideo, Evandro, Egeo, Medea c) «Dov’è Medea? Guardatevi», settenari asbbx, asxcx, asddx, aseasefxasx d) «Resta. Asilo ti nieghi la terra», decasillabi abbx, abbx, abbx, abbx e) «Mira, non hai consorte», settenari abbx, csxcsx.
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Più radicali le trasformazioni operate da Cammarano, per l’intonazione di Mercadante, partendo dal libretto della prima napoletana del 1813.
Il nuovo libretto organizza la vicenda in tre atti e aumenta notevolmente le scene ad effetto e gli intrighi secondari con taglio quasi romanzesco.
Cammarano cambia la figura del rivale di GIASONE.
Ad Egeo sostituisce Timante e disinnesca così la memoria del personaggio di Corneille.
Può gestire allora TIMANTE con più libertà di Romani, abbandona la scena di prigione d’origine pascaliana, e inserisce un duello con GIASONE che porta alla morte del rivale.
Ai delitti di Medea affianca, dunque, un GIASONE valoroso e vittorioso in battaglia, ma il dramma risulta più dispersivo e, tutto sommato, anche qui la presenza di Timante-Egeo diventa accessoria, nemmeno giustificata dall’esigenza di trovare una sistemazione per Medea dopo i delitti perpetrati a Corinto.
L’opera risulta un medaglione di quadri di grandi dimensioni, giustapposti senza reali collegamenti tra loro: Medea e Timante nemmeno si incontrano, se non nel Finale I, e neppure ci si sofferma sul rapporto GIASONE -PRINCIPESSA CREUSA, affrontato di passaggio nella scena del trionfo. Gli unici duetti sono ridotti al canonico incontro tra Medea e GIASONE , e allo scontro tra GIASONE e Timante. Per il resto: a Medea sono conservati, sebbene profondamente variati, tutti i numeri del primo libretto di Romani con le scene di gelosia, sortilegio e infanticidio; a PRINCIPESSA CREUSA le due arie d’ansie amorose; Creonte resta privo di ruolo musicalmente significativo. Più dell’adattamento per Prospero Selli, quello di Cammarano è, però, interessante per come sono riorganizzati i numeri chiusi di Romani; si trovano spostamenti significativi di blocchi diversi da un numero all’altro e fusione di numeri originari così da creare unità musicali di grandi dimensioni che raggruppano più scene. Valga per tutti l’esempio dell’ultima aria di Medea ‘Tutta di pianto e d’ululati eccheggia – Chi m’arresta? Il braccio mio’ che dà suono all’infanticidio. Al suo termine Cammarano assimila l’irrompere dei Corinzi e di GIASONE (l’evento che nell’originale costituiva il finale II) e consente a Mercadante di chiudere l’opera con il numero principale della prima donna: si confermano così le indagini di Marco Beghelli che ha studiato lo slittamento del rondò-finale II in un’unica macro unità conclusiva definibile gran scena332. ‘Chi m’arresta? Il braccio mio’ non condivide la struttura formale delle grandi scene rossiniane e donizettiane, ma il fatto che assorba nell’aria della prima donna il finale II ci conferma che quella era già nel libretto romaniano il punto in cui «si consuma la tragedia, conducendo al proscenio un’eroina psicologicamente prostrata, sulle note di un lungo e articolato recitativo, spossandola definitivamente durante uno struggente Adagio cantabile, dilatando a dismisura il Tempo di mezzo per convogliarvi gli ultimi e decisivi eventi della vicenda, proiettando infine la Stretta conclusiva verso la catastrofe (esecuzione capitale, morte per sfinimento, suicidio), cui assistono impotenti i pochi protagonisti dell’opera ancora in vita»333. La Sinossi di “Medea in Corinto” adattata da Salvatore Cammarano per Mercadante (Napoli, 1851) es cosi: N. 1 PRELUDIO INTRODUZIONE E CORO I,1 PRINCIPESSA CREUSA, ancelle a) «Perché temi? A te l’amante», ottonari abbx, cddx N.2 SCENA E CAVATINA DI PRINCIPESSA CREUSA I,1 PRINCIPESSA CREUSA, ancelle «Dolci amiche, rapirmi», sciolti a) «Della celeste Venere», settenari asbasbcdasdexasx I,2 PRINCIPESSA CREUSA, Damigelle, Creonte, Evandro, corinzi b) «Apportator di giubilo», settenari asbasbascdcexex c) «Dea possente degl’amori», ottonari abbx, accx, cxcx N. 3 SCENA, MARCIA, CORO E CAVATINA DI GIASONE , Odi le trombe! Ah giunge alfine! E giunge – Fosti grande allor che apristi I,2 PRINCIPESSA CREUSA, Damigelle, Creonte, Evandro, corinzi I,3 GIASONE , guerrieri, PRINCIPESSA CREUSA, Creonte, nacelle «Odi le trombe! Ah giunge alfine! E giunge», sciolti a) «Fosti grande allor che apristi», ottonari abbx, cddx b) «Ah! sì, Creonte, sorgono», settenari asbasbasccx, asccx, asccx, asdasd, aseaseasx, asfasfasx N.4 SCENA E CAVATINA DI MEDEA, Fia ver? Giason ritorna – Presagio inesplicabile I,4 Medea I,5 Ismene e detta «Fia ver? Giason ritorna», sciolti a) «Presagio inesplicabile», settenari asbasbasccxasx b) «ME. Ebben? IS. Lo attendi, giungere», settenari asbasbasxasx, asccx, asddxdx N.5 SCENA E DUETTO DI GIASONE E MEDEA, Eccolo! … va… L’estrema volta è questa – Crudel da te respingermi I,6 GIASONE e Medea «ME. Eccolo! … va… GI. L’estrema volta è questa», sciolti a) «Crudel da te respingermi», settenari asbasbcdcdasx, aseasefgfgasx, ashashasxasx b) «Non vedi alzarsi, donna, fra noi», quinari doppi ababcxcx, dedefxfx 332 M. Beghelli ne accenna in Tre slittamenti semantici: cavatina, romanza, rondò cit. e ne ha ampliato le considerazioni in Che cos’è una Gran Scena?, relazione letta al Secondo Colloquio di Musicologia del «Saggiatore Musicale» (Bologna, 20-22 novembre 1998). 333 M. Beghelli, Tre slittamenti semantici: cavatina, romanza, rondò cit. N.6 CORO E CAVATINA DI TIMANTE, Muti, obbedienti, immobili – Fra vita e morteOndeggio! Esplorator nella cittade – Qual diva celeste crudel ti adora
II,1 Timante circondato da folta
schiera di seguaci II,2 Stenelo e detti «Muti, obbedienti, immobili», settenari
asxasx «Fra vita e morteOndeggio! Esplorator nella cittade», sciolti a)
«Qual diva celeste crudel ti adorai»¸senari doppi aabxbx b) «ST. Prence,
ah! Prence … TI. Infausta nuova», ottonari ababcxcx c) «All’empie nozze,
o perfidi», settenari asbasx, asbasxasx N.7 FINALE I, Dolce
figliuol d’Urania II,3 Sacerdoti, donzelle II,4 detti, Creonte, GIASONE , PRINCIPESSA
CREUSA, Medea, Timante «Dolce figliuol d’Urania», settenari asbasbccx, asdasdccx,
aseaseccx «A te, figlia, de’ prenci», sciolti a) «A se manco a te
di fede», ottonari abbx, abbx, abbxax, «Scendi, Imene: in
più bel giorno», ottonari abbx «Al rito infame, o perfidi», settenari asbasbasxcx
b) «Mira, infido in quale stato», ottonari abbx, abbx, abbx
c) «ME. Ricusi dunque? TI. Compiere», settenari asbasbascdcexfx d)
«All’armi, all’armi! … Fera contesa», quinari doppi axax, bxbx, cxcx,
dxdx N.8 SCENA E DUETTO DI TIMANTE E GIASONE , Vieni seguirci è
forza! Ed ove trarmi – Volca te solo vittima III,1 Timante, carco di
ceppi e fra guerrieri corinzi III,2 GIASONE e detti «CO. Vieni seguirci è forza!
Ti. Ed ove trarmi», sciolti a) «Volca te solo vittima», settenari asbasbascascasx,
asdasdascascasx, aseaseasfasfgxgx, b) «Scorrer nel petto,
ed ardere», settenari asbbx, asccx N.9 SCENA E SCONGIURO DI
MEDEA, Dove mi guidi – Già vi sento, si scuote la terra III,3
Medea, Ismene, poi Medea e coro sotterraneo «Dove mi guidi? E
quale», sciolti a) «Antica notte, Tartaro profondo», endecasillabi ababcc
c) «Già vi sento: si scuote la terra», decasillabi abbxax d) «Questo
cinto a voi consegno», ottonari abx4abx4 e) «Il Tosco spargetevi»,
senari asbasbccasxdx N. 10 SCENA E POLACCA DI PRINCIPESSA CREUSA, Ti
calma … del tuo sposo – Al seno cingetemi III,4 PRINCIPESSA CREUSA,
ancelle, poi Creonte III,5 Ismene e detti «Ti calma … del tuo sposo», sciolti
a) «Al seno cingetemi», senari asbasbccasx, asdasdeeasx N. 11
SCENA E ARIA DI GIASONE , Se benigno chi puote – Pe’ suoi falli
abborrita è cotanto III,6 GIASONE , Ismene, due fanciulli III,7 Corinzi,
poi ancelle e detto «Se benigno chi puote», sciolti a) «Pe’ suoi falli abborrita
è cotanto», decasillabi ababcxcx b) «CR. Cielo … aita! CO. Oh colpo
atroce!», ottonari ababcdcdefefgxgx c) «Sul mostro abbominato»,
settenari ababx, cddx N. 12 SCENA E ARIA FINALE DI MEDEA, Tutta
di pianto e d’ululati eccheggia – Chi m’arresta? Il braccio mio
III,8 Medea con i figli III,9 Ismene e detti III,10 Ismene, poi Creonte, GIASONE
e corinzi III,11 Medea e detti «Tutta di
pianto e d’ululati eccheggia», sciolti a) «Chi m’arresta? Il braccio mio»,
ottonari ababccdxdx b) «ME. Qual mai tumulto! … IS. Ah salvati»,
settenari asbasbascascasdasd c) «Empio al colmo d’ogni orrore», ottonari
abbx, accx, dxdx d) «GI. L’uscio atterrate … CR. Pera
colei», quinari doppi axax C’e mobilita formale. Nella musica della
Medea di Mayr, Romani forni a Mayr un libretto ben congegniato, ricco di situazioni
contrastate, di azioni e colpi di scena d’effetto. Alle tipologie emotive settecentesche
(il pianto dell’amante respinto (Egeo), il vocalizzo di trionfo dell’eroe
vittorioso (GIASONE ), i patemi della principessa in ambasce (PRINCIPESSA
CREUSA)) ha aggiunto situazioni nuove o comunque non ancora consolidate da una
prassi tradizionale. Scene da “mille e contrarii affetti” tormentati, il
sorgere graduale della passione, il frenetico movimento negli scontri armati in
scena erano situazioni da tempo accolte nell’opera in musica, ma solo da pochi
anni concepite anche come situazioni capaci di articolare strutture musicali. L’ampiezza
dello spettro espressivo disposto da Romani è evidente nei tre duetti
sopravvissuti agli anonimi ritocchi napoletani del 1813: duo dialogato e contrastato,
quindi dinamico, il confronto tra Medea e GIASONE ; duo d’amore sereno e
statico il dialogo di reciproca conferma tra GIASONE e PRINCIPESSA CREUSA; duo di affetti eterogenei
ma concorrenti quello tra Medea e Egeo che si preparano alla commune vendetta. In
“Giasone e Medea in Corinto”, Romani fa interagire tradizioni diverse,
orizzonti d’attesa alternativi ma contemporanei: e questo, non essendo ancora
intervenuta la standardizzazione delle forme operata da Rossini, richiedeva al
compositore una notevole. Cfr. Daniela Tortora, Drammaturgia del Rossini
serio. Le opere della maturità da «Tancredi» a «Semiramide», Roma,
Torre d’Orfeo, che affronta il problema nella librettistica d’epoca rossiniana
e appena precedente; Tortora osserva «l’essenzialità richiesta nella condotta
drammaturgica di un libretto, la necessità di puntare su situazioni agili e su
frequenti colpi di scena. La librettistica italiana del primo Ottocento risente
a suo modo della crisi più generale patita dai generi letterari destinati al
teatro e diffusasi già a partire dalla seconda metà del Settecento, allorché il
razionalismo illuministico aveva minato al fondo l’ideologia sottesa al modello
aristotelico. Sui problemi drammaturgici posti dai duetti cfr. Carlo Gervasoni,
La scuola della musica in 3 parti divisa, Piacenza, Orcesi, che
riecheggia questioni già poste in ambito francese, e di cui rende conto
Elizabeth Bartlett, Étienne Nicolas Méhul and Opera During the French Revolution,
Consulate and Empire: A Source, Archival and Stylistic Study, Ph.D.
University of Chicago, nella discussione sul duo dialogué; si tratta di
duetti in cui il testo è solitamente diviso in due sezioni: nella prima si dà
voce al contrasto tra forti passioni contrapposte, mentre nella seconda, a
due, i personaggi pervengono ad un accordo espresso con testo identico o
analogo per entrambi. Il duo dialogué è dunque almeno potenzialmente una
forma dinamica: di solito vien collocato in situazioni aperte, raramente a fine
atto, sebbene ve ne siano esempi in Gluck. Questo genere di duetto si ritrova,
in Italia, all’epoca di Cimarosa: medesima bipartizione lento/veloce con
qualche ripetizione, spesso variata, nella sezione A, e particolarmente verso
la fine. La sezione d’insieme è generalmente diversificazione strutturale. Le
imprevedibili morfologie adottate da Mayr corrispondono dunque ai diversi piani
espressivi del libretto (affettivo/narrativo, azione interiore/azione esteriore)
che Romani aveva derivato dalle varie fonti letterarie e spettacolari
utilizzate – tragedia, opera, melologo, ballo. Come dimostrano le frequenti
oscillazioni formali che si riscontrano nelle sue opere, la ricerca di Mayr
sulle forme musicali e sull’articolazione del “numero” non è progressiva336,
non intende risolvere problemi tecnici compositivi e definire nuove strutture valide
in ogni situazione drammatica; quand’anche nella sua produzione compaiano forme
o sezioni, come le cabalette o i tempi di mezzo dinamici, che sarebbero poi
diventati usuali negli anni venti, esse non configurano mai acquisizioni
definitive ma soluzioni fungibili entro un’ampia tavolozza formale337. Accanto
ad un asse evolutivo ‘arcaico’ vs ‘alla moda’ va considerato insomma in
quegl’anni anche un asse retorico che adottava modelli formali diversi in base
a specifiche considerazioni drammatiche, cerimoniali, convenzionali. Nonostante
i tentativi che Scott Balthazar ha operato sull’intero corpus operistico
mayriano, infatti, le partiture di Mayr non consentono di individuare un tratto
omogeneo: il più semplice dal punto di vista armonico, limitata prevalentemente
ad accordi di tonica e dominante ed intessuta di terze e seste parallele. Sebbene,
per esempio, la forma tripartita cantabile - tempo di mezzo - cabaletta alla
Rossini si trovi già in Adelaide (1799), Zamorì (1804), Gli
americani (1806), Tamerlano (1813), essa non è un tratto
costante dell’operismo di Mayr. Nemmeno compare nella Rosa bianca e la rosa
rossa (1813), dove pure si trovano tre arie in più movimenti: qui
d’altronde la varietà è tale che le anche arie bipartite non sono
suddivise nei movimenti lento-veloce. Sulla questione cfr. Charles Brauner,
Vincenzo Bellini and the Aesthetics of Opera Seria in the First Third of the
Nineteenth Century, Ph.D. Yale University, 1972, e Scott L.
Balthazar, Mayr and the Development of the Two-Movement Aria, in Giovanni
Simone Mayr: l’opera teatrale e la musica sacra, atti del convegno
internazionale di studi (Bergamo, 16-18 novembre 1995), a cura di
Francesco Bellotto, Bergamo, Comune di Bergamo, Assessorato allo
Spettacolo, Esemplare è per esempio il caso dell’Ercole in Lidia,
rappresentato a Vienna nel 1803, che Leopold M. Kantner, «Ercole in Lidia»
di Giovanni Simone Mayr e la sua tradizione in Vienna, in Giovanni
Simone Mayr. L’opera teatrale e la musica sacra intende come deciso passo
innovativo nella produzione dell’opera seria di Mayr, mentre probabilmente va
inteso come occasionale adesione ai gusti più francesizzanti (i.e. cosmopoliti,
ma non necessariamente ‘progressisti’) di quella corte: il «ridimensionamento
dell’elemento virtuosistico, di bravour», l’abbondanza del recitativo
accompagnato, il ruolo del coro, la strumentazione con largo uso di ottoni e
arpa, gli elementi marziali, e lo «stile bombastico, grandioso, alla Grand’opéra»
non sembrano, infatti, neppure questi, conquiste definitive di Mayr ma opzioni
stilistiche tra tante da usare all’occorrenza (e magari anche prima del 1803). Un
procedimento analogo a quello descritto da Marco Emanuele, L’ultima «Didone».
Il Metastasio nell’Ottocento, in «Musica e Storia», VI/2, e da
Emanuele Senici, Mayr e il Metastasio: un contesto per Demetrio,
in Giovanni Simone Mayr: l’opera teatrale e la musica sacra cit. Oltre
a Scott L. Balthazar, Mayr and the Development of the Two-Movement Aria cit.,
si vedano anche i suoi Mayr, Rossini and the Development of the Opera seria
Duet: Some Preliminary Conclusions, in I vicini di Mozart, I:
Il teatro musicale tra Sette e Ottocento, a cura di D. Bryant, Firenze,
Olschki, Mayr, Rossini, and the Development of the Early Concertato Finale,
in «Journal of the Royal Musical Association», CXVI. Questi studi rendono conto
della varietà delle forme utilizzate ma, poiché trattano grandi numeri,
trascurano inevitabilmente la funzionalità di ciascuna, e non sono sempre
utilizzabili con efficacia nell’analisi di una singola opera. In Medea in
Corinto, per esempio, Balthazar individua quattro arie composte in un colore
orchestrale e il carattere melodico sono estremamente diversificati, così come
lo sono la struttura fraseologica e la morfologia, spesso descrivibile tanto
nei termini della tradizione settecentesca quanto sulla base di modelli poi codificati
nelle opere serie di Rossini. La libertà con cui Mayr accosta forme diverse
discende dall’ambiguità intrinseca che sottende ogni singolo numero, a livello
sia macroformale, sia fraseologico: la melodia è costruita per brevi incisi,
volta a volta variati, citati, ripresi nel profilo melodico o in quello ritmico
o in entrambi; è concepita come tessuto di frasi distintamente articolate,
varie nella configurazione ritmica ma armoniosamente disposte in una regolare
scansione metrica340; in ogni caso, a salvaguardia del principio ancora
roussoviano dell’unità della melodia, accostate secondo un principio di varietà
più che di contrasto. Divengono quindi centrali I problemi della costruzione
del periodo musicale, del fraseggio, dell’interpunzione melodica341. La melodia
di Mayr si organizza come un discorso, con periodi e clausole, ma questa
grammatica è articolata in una prosodia regolata da una sorta di arte retorica
che distingue caso per caso il rilievo che le convenzioni teatrali o l’economia
narrative attribuiscono al singolo numero lirico: dagli incisi sconnessi e
irregolari delle situazioni drammatiche più incalzanti e tese, come quella
dell’aria di sortilegio di Medea ‘Antica notte’ alle frequentissime melodie
progressive costruite su barform di 2 + 2+ x battute342 come
accade nell’esordio del rondò di Medea ‘Ah che tento’, qui movimento, due arie
a tre o più movimenti, nessuna in forma di rondò, per un totale di sei arie.
Quelle a più movimenti non sarebbero in “solita forma” ma avrebbero movimenti
iniziali in forma AB (1) o ABC… (1) e conclusivi in forma durchkomponiert (1)
o a cabaletta (1). Le altre sarebbero durchkomponiert (2) o in ABA’C,
una variante della compound binary form di cui parla Mary McClymonds
nella voce ‘Aria. 2. 18th Century’ del New Grove Dictionnary of Music and
Musicians. Non è tuttavia chiaro a quali arie si riferisca Balthazar, visto
che in Medea in Corinto si trovano almeno sette arie solistiche, pur
senza contare la cavatina ‘Sommi dèi’, soppressa a Napoli e Milano, e l’introduzione
che, sebbene preveda l’intervento di diversi personaggi secondari, è dedicata
con netta prevalenza a PRINCIPESSA CREUSA. Da questo punto di vista la musica
di Mayr sembra corrispondere alle riflessioni sulla melodia dei teorici
italiani a cavaliere del secolo. Cfr. Francesco Galeazzi, Elementi teorico-pratici
di musica con un saggio sopra l’arte di suonare il violino, Roma,
1790-91: Galeazzi pensa a periodi divisi in clausole (porzioni di melodia
compresa tra due cadenze del basso), e ‘sensi’ (più o meno le frasi di senso
compiuto). Ogni livello è separato da una cadenza melodica: 1) occulta (non
esiste nel discorso verbale: in musica si trova quando il basso scandisce una
vera cadenza che la melodia non recepisce); 2) minore, tra le clausole (effetto
di virgola: il basso fondamentale compie una vera cadenza che tuttavia non è
espressa dal basso continuo e neppure appare dalla melodia); 3) maggiore, tra i
sensi, con effetto punto e virgola o due punti (è una cadenza che chiude il
senso, per lo più plagale, mentre il basso fondamentale passa dall’armonia
della quarta a quella della fondamentale; 4) finale tra i periodi (effetto
punto fermo). Sensi e periodi si compongono per lo più di battute pari: conviene
ripetere clausole quando sono di battute dispari, in modo da pareggiare il
conto. Al proposito cfr. Virgilio Bernardoni, La teoria della melodia vocale
nella trattatistica italiana (1790-1870), in «Acta musicologica», LXII, e
Renato Di Benedetto, Lineamenti di una teoria della melodia nella
trattatistica italiana fra il 1790 e il 1830, in «Analecta Musicologica»,
XXI, 1982: Colloquium Die stilistische Entwicklung der Italienischen Musik
zwischen 1770 und 1830 und ihre Beziehungen zum Norden, Roma. Cfr.
Renato Di Benedetto, Lineamenti di una teoria della melodia cit., p.
421. Adotto qui per semplicità la terminologia proposta da Giorgio Pagannone, Aspetti
della melodia verdiana. Periodo e Barform a confronto, in «Studi verdiani»,
XII, 1997, pp. 48-66), a periodi bilanciati antecedente/conseguente, ciascuno
costruito da semifrasi di 4 battute come nell’apertura dell’aria di
prigione di Egeo (n. 10, es. 2), a strutture che già preconizzano le
future lyric forms343 come il tema della prima cavatina di Medea ‘Sommi
dèi’ (n. 3, es. 3) 344. In tutti i casi, ciò che chiarisce il senso di una
melodia è la dimensione tonale345: è questa che la articola in preludio, motivo
principale «su cui tutta la composizione aggirar si dee», eventuali elementi da
esso derivati, modulazioni, cadenza, coda346. L’articolazione fraseologica può
essere molto irregolare; anche il rapporto tra parti iniziali, parti modulanti e
“periodi di cadenza”347 può essere organizzato in forme imprevedibili così da
spostare il materiale tematico, e con esso il punto focale del brano, verso
l’inizio, al centro o perfino verso la fine, a ridosso della sezione
cadenzale348: è il caso della scena del sortilegio, qui generale cfr. tuttavia
Carl Dahlhaus, Satz und periode. Zur Theorie der musikalischen Syntax,
in «Zeitschrift für Musiktheorie», IX/2, Phrase et période: contribute à une
théorie de la syntaxe musicale, in «Analyse musicale», XIII, ottobre
Lorenzo Bianconi, «Confusi e stupidi». Di uno stupefacente (e banalissimo)
dispositivo metrico, in Gioacchino Rossini, 1792-1992. Il testo e la
scena. Convegno internazionale di studi, Pesaro, 1992, a cura di Paolo
Fabbri, Pesaro, Fondazione Rossini, e, pur nel diverso ambito di indagine,
William E. Caplin, Classical Form. A Theory of Formal Function for the
Instrumental Music of Haydn, Mozart, and Beethoven, New York, Oxford
University Press, 1998. Sulla lyric form cfr. Joseph Kerman, Lyric
Form and Flexibility in “Simon Boccanegra”, in «Studi verdiani», I,
Friedrich Lippmann, Vincenzo Bellini und die italienische “Opera
seria” seiner Zeit: Studien über Libretto, Arienform und Melodik,
Köln-Wien, Böhlau, 1969, ed. it. riv. in Maria Rosaria Adamo e Friedrich
Lippmann, Vincenzo Bellini, Torino, ERI. Più recenti sono Steven
Huebner, Lyric Form in “Ottocento” Opera, in «Journal of the Royal
Musical Association», CXVII, e Giorgio Pagannone, Mobilità strutturale della
‘lyric form’. Sintassi verbale e sintassi musicale nel melodramma italiano del
primo Ottocento, in «Analisi», VII/20. La mobilità della lyric form,
intesa come ambito di possibilità strutturali, è esaminata, per anni successivi
a Medea in Corinto, da Giorgio Pagannone, Mobilità strutturale della
‘lyric form’ cit. 345 Sulla verifica degli ambiti tonali per la descrizione
formale della sintassi musicale di questi anni insistono, naturalmente, tutti
gli articoli sopra citati, ma vi si fonda interamente William E. Caplin, Classical
Form cit. Già Galeazzi aveva chiara coscienza del rapporto che intercorre
tra melodia e armonia, tanto da proporre la definizione di ‘melodia’ nella
sezione del trattato dedicata all’armonia, e da discutere di cadenze in quella
dedicata alla melodia. La melodia, d’altra parte, per lui non è solo l’aria o
il motive principale, ma la condotta stessa, il processo con cui l’aria è
costruita nella sua totalità e nelle sue singole parti: è insomma sinonimo di
composizione e prefigura l’idea di strutture melodiche ampie come la lyric
form. Come i teorici tedeschi, infatti, egli non parla in termini di
contrasti melodici ma di contrasti armonici, così che la parte centrale della
melodia, che noi, muovendo da basi melodiche, chiameremmo ‘sviluppo’, è
definita da lui, su basi armoniche, ‘modulazione’. La sezione sulla melodia
diventa allora una teoria della forma. Cfr. Francesco Galeazzi, Elementi
teorico-pratici di musica con un saggio sopra l’arte di suonare il
violino cit., p. 426, ma su tutto questo cfr. Renato Di Benedetto, Lineamenti
di una teoria della melodia. Sono indicative della percezione funzionale
coeva delle varie sezioni della melodia le 7 parti individuate da Francesco
Galeazzi: 1. preludio; 2. motivo principale; 3. secondo motivo; 4. Uscita di
tono; 5. passo caratteristico o passo di mezzo; 6. periodo di cadenza; 7. coda.
348 Sempre da Galeazzi si ricava non solo che la condotta della composizione è
«preponderante sull’invenzione motivica ma anche che sull’unità della struttura
agisce un doppio ordinamento. Ad un primo livello vi è la successione dei
periodi ciascuno dei quali ripresenta un proprio motivo e svolge una funzione
essenziale per la definizione complessiva della forma. Ma l’organizzazione
ritmica interna a ciascun periodo, la distinzione di un periodo dall’altro e la
concatenazione dei medesimi in un discorso unitario, spettano al livello
armonico. È l’armonia con vari ordini di cadenze e con la modulazione da un
tono all’altro a fornire la struttura portante della melodia secondo un
progetto che discussa poco oltre; in molti casi, inoltre, perfino le code
vocalizzate e non tematiche possono assumere esplicita funzione
drammatico-assertiva349, soprattutto quando hanno estensioni largamente
superiori alla sezione tematica o quando s’incaricano di presentare parti di
testo rilevanti dal punto di vista narrativo e drammatico350: arie siffatte
sono forme accentate verso la fine, analoghe ai finali che Balthazar definisce
«end-accented»351 perché dotati di una stretta più estesa rispetto al concertato
intermedio. L’esame della prima aria di GIASONE , ‘Di gloria all’invito’ mostra
con chiarezza l’ambiguità delle strutture musicali. L’aria intona tre quartine
di senari; è statica, perché nulla viene a turbare il trionfo dell’eroe; nella
tradizione delle arie cerimoniali e belliche è in Re maggiore con trombe,
timpani e banda militare (in orchestra, e non sul palco). Segue ad un ampio
coro cerimoniale prevalentemente omoritmico, e si libra come vera affermazione
di potenza, diremmo quasi di erotico esibizionismo: il primo distico è intonato
come stentorea apostrofe vocalizzata, plateale e acuta, in una frase di ben
sette battute rivolta al sovrano, ma in realtà al pubblico che deve riconoscere
subito lo status e la dignità sociale del personaggio. Il periodo iniziale
è estremamente ambivalente. Le prime sette battute variano il tema della
seconda strofa del coro, che non tornerà più nel corso dell’aria; le altre
presentano invece una regolarità metrica nell’accompagnamento orchestrale prima
assente353, ed sono costruite su un andamento armonico e melodico nuovo, che si
rivelerà di lì a poco analogo a quello che intona le alter trova conferma in
tutta la trattatistica settecentesca»: così Virgilio Bernardoni, La teoria
della melodia vocale nella trattatistica italiana (1790-1870). Su
questo vale partire da G. Pagannone, Mobilità strutturale della ‘lyric form’
cit., e id., Tra “cadenze felicità felicità felicità” e “melodie
lunghe lunghe lunghe”, in «Il Saggiatore musicale», IV. Vista la varietà
con cui si presentano le forme di Mayr, intendo qui per ‘coda’ una sezione che
rispetta, oltre al primo, almeno un altro dei tre requisiti individuati da
Robert Anthony Moreen, Integration of Test Forms and Musical Forms in
Verdi’s Early Operas, PhD., Princeton University, 1975, p. 163: a)
suspension of tonal movement: successive cadences are on the final tonic of the
piece; b) suspension of text exposition: the text of a coda is entirely
repetition; c) the important characters in the number sing together ad equals.
La definizione di coda data da Pietro Lichtenthal nel suo Dizionario e
Bibliografia della musica, Milano, Fontana, 1836 consente d’altronde
quest’uso del termine più retorico, che formale: «Coda, s. f. Nome che
si dà al periodo aggiunto a quello che potrebbe terminare un pezzo di musica,
ma senza finirlo in modo così completo e brioso». Scott L. Balthazar, Mayr,
Rossini, and the Development of the Early Concertato Finale. È sufficiente
d’altronde dar senso allegorico al sostantivo astratto nel primo verso per scioglierne
le implicazioni erotiche. Sulle valenze erotiche del canto lirico cfr. il
quadro di riflessioni e studi che tracciano Marco Beghelli, Erotismo canoro,
e Davide Daolmi - Emanuele Senici, «L’omosessualità è un modo di cantare». I
contributi “queer” all’indagine sull’opera in musica, entrambi in «Il
Saggiatore musicale», VII. Cfr. la distinzione tra melodie “aperte” e “chiuse”
in Friedrich Lippmann, Per un’esegesi dello stile rossiniano, in
«Nuova rivista musicale italiana», II, oltre al quartine dell’aria. Sembra
quindi costruito con una sezione introduttiva di cerniera tra coro d’apertura e
solista e inizio dell’aria vera e propria introdotta dalle tre battute
d’orchestra (bb. 8-10). Da quel momento infatti il coro e GIASONE si alternano. GIASONE, già rivòltosi a CREONTE
in questa prima quartina, prosegue nelle due successive per rendere omaggio a
CREUSA, e salutare poi il popolo tutto; ogni volta il coro acclama le sue
dichiarazioni. Entro ogni frase o ‘strofa’ l’impianto tonale è assolutamente
stabile, idoneo a garantire la coerenza della struttura sotto le imprevedibili
fogge che assumono le varianti del canto solistico di NOZZARI, vero completamento
e prolungamento del compositore. Dopo la
plateale apertura delle prime sette battute, ‘Di gloria all’invito’ è infatti costruita
in un crescendo di sontuosità secondo moduli virtuosistici che potremmo
definire a strofe variate. La seconda e la terza ripresa di GIASONE hanno
andamento sufficientemente analogo alle bb. 11 e seguenti della prima per
essere riconosciute, appunto, come riprese, sebbene si costruiscano su un
fraseggio sintatticamente più coerente e regolare: la quartina rivolta
all’amata, è articolata in nove battute (per la ripetizione di un emistichio
nel finale) ma seguita poi da sei battute di coda; l’ultima quartina è cantata
in altre nove battute (sempre per la ripetizione di un inciso verso il finale)
prima che il coro s’aggiunga al solista in un’ampia coda finale di ben 26
battute. Le regolari e brevi introduzioni orchestrali ad ogni ripresa di GIASONE
, i refrains del coro, la costanza del metro poetico, tutto in senari, e
del metro musicale lasciano percepire una struttura strofica molto netta, non
inficiata nemmeno dall’improvviso scarto tonale alla dominante su cui è omogeneamente
intonata la seconda quartina di GIASONE , con relativo ‘applauso’ del coro. CORO
INTRODUTTIVO, RE MAGGIORE: Fosti grande allor che apristi mari ignoti a
ignote genti; grande allor che i tauri ardenti il tuo braccio al suol prostrò,
ma più grande allor che pace col tuo sangue acquista un regno, quando al trono
fai sostegno, che rovina minacciò. PRELUDIO, RE MAGGIORE. GIASONE Di gloria all’invito -- commento di
Saverio Lamacchia, “Solita forma” del duetto o del numero? L’aria in quattro
tempi nel melodramma del primo Ottocento, in «Il Saggiatore
musicale», VI. Anche l’articolazione armonica contribuisce a questa ambiguità:
l’antecedente apre in tonica e chiude in dominante così da consentire al conseguente
di ripartire in tonica. Ma le tre battute orchestrali intermedie provvedono a
completare la cadenza avviata dall’antecedente e ad aprirne un’altra per
lanciare il conseguente. Renato Di Benedetto, Poetiche e polemiche, in Storia
dell’opera italiana, VI, utilizza queste parole per definire il ruolo del
cantante nell’opera italiana ed affrancarlo da una tradizione critica e
storiografica che a lungo l’ha dipinto come strumento passivo, competitore od usurpatore
del ruolo creativo dell’autore. Se le sue osservazioni valgono sempre nel caso
dell’opera italiana, tanto più sono adeguate al caso di un cast d’eccezione
come fu quello composto da Colbran, Nozzari e García per le recite di Medea
in Corinto. Sulla questione cfr. anche Daniela Tortora, Drammaturgia del
Rossini serio cit., a Creonte fra l’armi volai; SEZIONE A, RE
MAGGIORE “per te s’io pugnai, tel dica il tuo cor”. CORINTI Di gloria il sentiero tu calchi
primiero; per te degni eroi soccombe il valor. SEZIONE A', LA MAGGIORE GIASONE
Spronavami all’ire (a PRINCIPESSA
CREUSA) l’amato tuo nome; m’accrebbe l’ardire Imene ed Amor. CORINTI Di
gloria, etc. SEZIONE A'', RE MAGGIORE. GIASONE: “Se amante e
guerriero (ai suoi seguaci) combatto con voi, è vano per noi nemico
furor. CORINTI: Per te degli eroi soccombe il valor.” Oltre alla struttura a
strofe variate, tuttavia, in quest’aria si possono individuare i segmenti che diverranno
canonici pochi anni dopo nella cosiddetta solita forma: una semplice
esasperazione delle differenze di fraseggio, di agogica, di accompagnamento, di
contenuto testuale, della strofa intermedia avrebbe consentito a Mayr di
foggiare la cavatina di GIASONE sul
modello dell’aria quadripartita. Rossini dovette interpretarla in questa
prospettiva, se effettivamente l’assunse a modello dell’esordio eroico per le
opere destinate a Nozzari. Ma Mayr stesso decise di esplicitare questa lettura quando
la ritocca per le rappresentazioni al Carcano del 1829: inserì un vero e
proprio cantabile come riflessione nostalgica a parte dell’eroe sulla
consorte ripudiata. A quest’epoca, tuttavia, l’idea di adottare esplicitamente
la struttura dell’aria quadripartita è consona ad una nuova concezione
drammaturgica dell’eroe, il quale da stentoreo esibizionista viene riconvertito
a soggetto portatore di emozioni più complesse e sfumate: le strofe funzionali
al virtuosismo del solista vengono così riconcepite come momenti affettivi
diversi cui dar voce nelle strutture della “solita forma” in quattro tempi, e
il passaggio da una passione all’altra viene giustificato da mozioni interiori
dell’animo di GIASONE. La partitura di “Giasone
e Medea in Corinto” mostra molto spesso ambiguità formali, soprattutto là
dove rappresenta situazioni o affetti concitati e movimentati senza per questo
rinnegare I riferimenti stilistici della tradizione belcantistica e virtuosistica.
Il tentativo di soddisfare. Sulle arie quadripartite cfr. Saverio Lamacchia, “Solita
forma” del duetto o del numero?. Una lettura di ‘Di gloria all’invito’ come
modello delle arie quadripartite si trova in Saverio Lamacchia, “Solita
forma” del duetto o del numero? cit. Lamacchia cerca in Mayr riscontri
dell’uso rossinano di tempo d’attacco in arie solistiche anziché in duetti:
legge quindi in questa chiave ciò che io qui ho inteso invece far risalire a
tradizioni virtuosistiche precedenti. entrambe queste esigenze estetiche e
drammatiche, teoricamente e storicamente divergenti, spinge Mayr a proporre
soluzioni formali talvolta paradossali, come i frequenti accenni a placide
riprese tematiche, che suonano come se fossero del tutto indifferenti alle
catastrofi luttuose nel frattempo avvenute nelle sezioni dinamiche del numero. Se
ne veda un caso nel numero che avvia lo scioglimento del dramma, l’aria di
GIASONE, “Amor, per te penai”. Romani
aveva concepito un testo molto articolato che, come abbiamo visto nel precedente, attacca come regolare aria
metastasiana col da capo, ma poi prosegue con una successione di metri
diversi, adeguati alla concitazione del momento: a) «Amor, per te penai»,
settenari – abax -- b) «Accorrete, oh tradimento», ottonari – abbx
-- c) «O noi sventurate», senari ababccddxex -- d) «Dove sono? Chi mi
desta?», ottonari – abbx -- e) «Lasciatemi, o barbari», senari -- asbasbx,
cdedfx. Mayr accoglie il suggerimento iniziale di Romani e intona la
prima quartina con una melodia di fattura mozartiana, stabilmente
incardinata nella tonalità d’impianto, Sib. Sebbene incisi introduttivi e
ripetizioni interne variino con vezzi belcantistici la regolarità delle
frasi, le due coppie di versi della prima quartina sono fondamentalmente
intonate su frasi simmetriche di 4 + 4 battute. L’intera quartina è poi
ripetuta su una seconda frase con incipit analogo alla precedente: la
simmetria fraseologica è qui sbilanciata dal una lunga adenza di 10
battute che dilata il secondo membro. L’andamento complessivo di questa prima
sezione si può schematizzare così359: Moderato. Introduzione
orchestrale. La strutturazione è tipica
dell’aria virtuosistica con asimmetrie variate incardinate su una regolare
struttura metrica, richiami tematici ma non vere ripetizioni del dettato melodico,
sostanziale stabilità armonica. Quanto Mayr sia ancora attratto dalle arie
solistiche dal segno degli anni ’80 è sottolineato da Scott L.
Balthazar, Mayr and the Development of the Two-Movement Aria. Con corona
e pause, le prime due battute scorporano l’invocazione ‘Amor’ dal primo verso e
danno loro una funzione introduttiva che indico qui tra parentesi quadre. La
melodia vera e propria inizia da b. 3 con i settenari organizzati a due a due
su regolari frasi simmetriche di (2+2) + (2+2) battute ciascuna, armonicamente
bilanciata nell’usuale giro armonico I-VV-I. In questo e negli schemi che
seguiranno nel corso del , i pedici indicano i numeri di battute, gli apici i
versi cantati, 0 indica eventuale testo ripetuto. A b. 49 irrompe il coro «di
dentro» in Sol minore. Le successive, irregolari, lasse di ottonari e senari
sono poi intonate in una lunga sezione armonicamente instabile che tocca le
tonalità di Do min., Sol min., Mib magg., Re magg., Fa magg. prima di tornare a
Sib. Ogni verso del coro della quartina di ottonari è cantato in quattro
battute, mentre il distico di GIASONE ne
impiega sei per concludersi così che la quadratura della frase musicale richiede
una ripresa dei primi versi del coro per completarsi in otto battute. [Moderato]
4 bb (coro, 1 verso, Sol minore) + 4 bb (coro, 1 verso, Sol minore) + 6 bb
(GIASONE , 2 versi, Do minore) + 2 bb (ripresa del coro, 1 verso, Sol minore) Rispetto
alla consuetudine361 che vorrebbe intonati due versi ogni quattro battute, quelli
del coro eccedono ciascuno di due battute perché l’orchestra ripete incisi
melodici tra gli emistichi e dilata la successione delle esclamazioni;
la frase di GIASONE è invece ampliata da
una sorta di progressione. L’effetto globale è di grande movimento e si contrappone
alla sostanziale stabilità delle prime battute dell’aria. Lo stesso avviene nel
trattamento musicale della lassa di senari che segue, cantata dal coro
che esce in scena e dialoga direttamente con GIASONE . Mayr ritocca l’assetto metrico:
aggiunge un verso a GIASONE e alcuni
emistichi al coro362, così da rendere meno meccanica l’alternanza tra i due
interlocutori: 4 bb (coro – GIASONE , 1 verso ciascuno, Mib), 4 bb (coro – GIASONE
, 1 verso ciascuno, Mib), 4 bb (coro, 2 versi, Mib), 4 bb (GIASONE – coro, 1 verso ciascuno, Mib), 6 bb. (coro, 2
versi, con espansione dovuta a due bb. di progressione, modulante), 2 + 4 bb. (emistichio
di GIASONE – un verso e mezzo del coro:
le due battute di GIASONE funzionano
come sospensione che ritarda l’avvio del conseguente della frase precedente,
modulante a Reb). Nella successiva quartina di ottonari continua il dialogo tra
il principe e il popolo: la forma non chiude ancora, anzi resta a lungo sospesa
tra Reb e Fa prima di cadenzare a Sib alla fine del primo distico. Solo da qui,
b. 113, tornato finalmente alla tonalità d’impianto, Mayr espande la melodia
in periodi ampi e compiuti per i quali i due versi restanti della quartina non
sono sufficienti e vengono perciò entrambi ripetuti: cantati inizialmente nelle
canoniche Quattro battute, vengono replicati con progressione in altre otto (es.
9). Questa melodia di 4 + 8 battute è anticipata da una frase d’orchestra di
quattro battute, analoga per timbre all’introduzione dell’aria: un richiamo
che, assieme alla somiglianza del materiale tematico con la prima sezione, al
ritorno dell’armonia iniziale e al netto cambiamento dell’accompagnamento
orchestrale – già in primo piano a garantire compattezza metrica e -- È questa
una consuetudine già studiata per il repertorio rossiniano e post rossiniano
nelle strutture melodiche definite lyric forms. Anche in Medea in
Corinto, tuttavia, è il rapporto più frequente. Questi ritocchi sono
recepiti nel libretto romano tratto direttamente dalla partitura. fraseologica,
passa ora in secondo piano e si riduce a sostegno del canto del tenore – configurano
questa parte come un accenno di ripresa. Ormai stabilizzata la tonalità d’impianto,
la lassa di senari che segue da b. 130 non porta novità di rilievo dal punto di
vista armonico e suonerebbe dunque come coda cadenzante e vocalizzata. A
prescindere dal diverso statuto della seconda sezione, sostanzialmente caratterizzata
come musica di scena, senza frasi o periodi coerentemente organizzati, quest’aria
potrebbe essere schematizzata come un’aria tripartita con coda (ABA' + coda) giacché
il percorso tonale, i richiami timbrici e tematici distinguono nettamente l’intonazione
dei versi centrali del coro. Ma può essere anche intesa come un’aria che in un unico
movimento incorpora diverse sezioni (ABA'C)363: se si prescinde dalle
articolazioni armoniche e si osserva la fisionomia ritmica delle parti, infatti,
la coda cadenzante sugli ultimi senari ha un profilo ritmico incalzante che,
seppure non confermato dal cambio di agogica, è però evidenziato (e
incoraggiato) dal movimento sincopato dell’orchestra. Riassumendo abbiamo: SEZIONE
A, SI BEMOLLE MAGGIORE: “Amor per te penai; per te più non sospiro; la pace
al cor donai: per te respiro – amor.” SEZIONE B, SOL MINORE – MI BEMOLLE
MAGGIORE – RE BEMOLLE MAGGIORE – FA MAGGIORE. CORO Accorrete…. Oh
tradimento!… Oh perfidia! Oh don funesto! GIASONE Giusti dèi! Qual grido è questo! Quale
in sen mi desta orror! SCENA 13 Donzelle, Corinti, GIASONE CORO O noi sventurate!… O regno dolente… GIASONE
Che avvenne? Parlate CORO PRINCIPESSA
CREUSA innocente… GIASONE Ohimè la
consorte… CORO In braccio di morte. La veste fatale… TUTTI Veleno mortale… in
sen le portò. GIASONE Io moro. s'abbandona;
il coro lo circonda e lo sostiene. TUTTI Infelice! Il cor gli mancò. GIASONE
dopo alquanta pausa Dove sono?
chi mi desta? Sole, ancor per risplendi. Scott L. Balthazar, Mayr, Rossini
and the Development of the Opera seria Duet: Some Preliminary
Conclusions osserva che già Cimarosa nei suoi duetti «incorporates into a two-tempo,
slow-fast, design» le quattro sezioni della futura “solita forma”. Strutture
analoghe, ancora nei duetti, sono evidenziate da Charles Brauner, Vincenzo
Bellini and the Aesthetics of Opera Seria in the First Third of the Nineteenth
Century cit., che osserva come molti duetti di Mayr sono quadripartiti nel
libretto ma tripartiti nella musica (veloce, lento, veloce) perché uniscono il
dialogo intermedio con il movimento veloce finale; altri inglobano, invece, tutte
e quattro le sezioni in un unico movimento. SEZIONE A', SI BEMOLLE MAGGIORE:
“Cara sposa! Oh dio! M’attendi: sul tuo petto io morirò in atto di partire. Lasciatemi,
o barbari… seguirla vogl’io… CORINTI No: vivi la vendica… GIASONE
Atroce, il cor mio vendetta farà.
CODA O C, SI BEMOLLE: Ohimé! più non spero in vita riposo. Ho tutto
perduto, non sono più sposo, Orrendo sul ciglio un velo mi sta. Parte
seguito da’ Corinti e dalle donzelle. Questa ampia aria di GIASONE riesce così a coordinare l’incalzante
movimento in scena con l’impianto di tradizione virtuosistica. Da una parte, la
sezione B dà forma all’intervento del coro, che repentinamente interrompe lo
sfogo amoroso di GIASONE e annuncia,
anche agli spettatori, l’avvio della catastrofe. La ripresa tonale (A'), un po’
paradossale a quel punto, si giustifica come conferma dell’iniziale proposito
di GIASONE d’unirsi alla sposa, seppure oramai nella morte; la sezione
cadenzante finale accompagna l’uscita di scena dell’eroe, che s’avvia alla
vendetta. D’altra parte a dar forma ad una simile successione di eventi e
sentimenti sono ancora i moduli tradizionali della variazione virtuosistica con
frasi bilanciate, rese poi asimmetriche da ripetizioni interne e progressioni
su materiale tematico analogo sempre ma mai identico. Tutto il numero oscilla
di continuo tra semplici frasi tematiche ed ampie espansioni variate. La
ridotta differenza strutturale tra frasi tematiche e frasi cadenzali, ambo
costruite su incisi omogenei e accostati secondo principii di varietà più che
di contrasto364, consente a Mayr di rendere autonoma anche la sezione
cadenzante finale che, coi modi armonici e vocali della coda intona testo nuovo
e non si limita alla ripetizione insistita di frammenti poetici già ascoltati
nelle sezioni tematiche. L’ambiguità tra code e sezioni finali del numero
lirico assume dimensioni ancor più macroscopiche nell’aria di sortilegio di Medea
(n. 8), dove viene data sensibile concretezza al carattere esorbitante della
protagonista. L’aria è letteralmente informe, sebbene l’articolazione metrica
fornita da Romani avrebbe consentito a Mayr una suddivisione quadripartita; di
questo suggerimento Mayr accoglie solo una sorta di tempo d’attacco, in -- Lo
osserva anche Philip Gossett nell’introduzione all’edizione facsimile dello
spartito Carli sopra citata. Mayr made effort to modernize his score by attempting
to create longer lyrical periods in the Rossinian manner. Corrigge così il suo
stile basato su “a succession of shorter fragments. In lyrical scenes this
technique is rarely moving, but in highly dramatic scenes the succession of
shorter phrases can be striking in its immediacy and emotional power. Re
minore, nella prima sezione di endecasillabi misurati. Dall’Allegro giusto,
invece, inizia una sezione in Re maggiore senza cesure. Le due lasse di
decasillabi e ottonari sono intonate in un unico movimento con strutture
irregolari di battute (4 + 5 + 4 + 6 + …) o, più spesso, con frammenti melodici
ed esclamazioni che non coagulano in vere frasi musicali e vagano entro un
campo tonale molto ampio: Si min., Mi magg., Fa magg., Sib magg., La magg., La
min., Fa magg., Re magg., Sol min., per cadenzare infine in Re minore all’avvio
dell’ultima lassa di senari. Predominano fin qui spezzoni e lacerti di motivi
continuamente citati, ripresi e variati sul sostegno regolare e uniforme dell’orchestra:
solo il tappeto di figure dell’orchestra ostinate conferisce una certa corenza
metrica al numero. L’effetto frenetico, mobile, irregolare dell’incantesimo
celebrato in scena è garantito, ma lo spettatore ne è stordito e disorientato,
mancandgliu l’appiglio d’una qualsiasi frase compiuta da tenere a mente. Solo
alla novantanovesima battuta, appena prima di toccare finalmente la tonalità
d’impianto, Medea avvia una melodia coerente che dispiega in 16 battute gli
otto senari finali dell’aria (es. 11): sono tutti intonati a coppie, in frasi
di Quattro battute che compongono un periodo ad incisi paralleli apparentemente
regolare. Il material melodico, infatti, è analogo nei primi tre membri e
leggermente differenziato nell’ultimo, secondo uno schema a4 a'4 a''2+2 b4. Dal
punto di vista armonico, tuttavia, gli incisi ripresi e variati cambiano
sostanzialmente significato perché le 16 battute compiono un percorso instabile
con modulazioni appena accennate e mai definitivamente stabilizzate: la prima frase
è aperta in levare ancora in Sol minore ma modula subito a Re minore, la
seconda resta sospesa nell’area della sottodominante, la terza è invece
accentuatamente modulante, la quarta infine conferma la tonalità di Re minore.
Considerando il percorso armonico, il periodo può essere così strutturato: a:
Sol min. (I)-II-Re min. I-V-I a': IV- I-IV-I b: Mib, Re magg., Sol min., La
magg., a'': Re min. V-I-V-I La tonalità d’impianto del numero è dunque
definitivamente ristabilita solo alla fine del periodo tematico; a quel punto
si rende però necessaria una lunga coda di 38 battute, su testo ripetuto e con
interventi del coro delle furie, per affermarla definitivamente e chiudere l’aria
in un quadro tonale conchiuso. Il numero è insomma sbilanciato ad arte verso il
finale. TEMPO D’ATTACCO, RE MINORE. MEDEA: “Antica notte, Tartaro profondo, Ecate
spaventosa, ombre dolenti, o furie, voi che del perduto mondo siete alle porte,
armate di serpenti, a me venite dagli stigii chiostri per questo foco, e per i
patti nostri… S’ode rumor sotterraneo, indizio della presenza delle ombre.
ALLEGRO GIUSTO, SEZIONE MODULANTE DA RE MAGGIORE. “Già vi sento; si scuote la
terra, già di Cerbero ascolto i latrati, odo il rombo di vanni agitati, voi
venite ombre pallide a me. OMBRE: Penetrò la tua voce sotterra: Acheronte
varcammo per te Medea spiega la veste e la depone appiè dell’ara. MEDEA
Questa spoglia vi consegno; sia strumento di vendetta. VOCI Lo
sarà. MEDEA Mora lei, per cui l’indegno mio consorte mi rigetta.
VOCI Morirà. SEZIONE TEMATICA, RE MINORE MEDEA Del tosco
spargetela de’ serpi d’Aletto, di quelle che rodono l’invidia
e il sospetto; le bagni l’istesso veleno di Nesso e mora
com’Ercole sull’Eta morì. CODA VOCI Riposa contenta: Fia
spenta così. Determinare l’architettura di queste arie esclusivamente in
base al percorso tonale non coglie sempre la funzionalità drammatica del
numero lirico: il percorso armonico dell’aria di Medea, per esempio, si
chiarisce soltanto alla fine, ma anche in entrambe le arie di GIASONE sopra esaminate la tripartizione suggerita dal
percorso armonico non spiega né gli scarti ritmici di ‘Amor, per te penai’,
né il valore erotico del carattere di GIASONE in ‘Di gloria all’invito’. L’articolazione armonica
non spiegherebbe nemmeno l’ambiguità formale delle code365, un altro tratto
peculiare della scrittura di Mayr che rende difficilmente applicabili le
consute distinzione tra corpo dell’aria e appendice retorica conclusiva.
In ‘Amor, per te penai’, l’abbiamo visto, alla lunga sezione cadenzante
conclusiva è affidato nuovo testo verbale, in ‘Antica notte’ essa
costituisce la vera chiusura armonica dell’aria; della cavatina ‘Di
gloria all’invito’ la coda, assieme alla prima frase dalla melodia aperta,
è la sezione che più s’imprime nella memoria dell’ascoltatore, ben più delle
strofe centrali: l’esordio e il commiato non contengono frasi tematiche -- Anche
Scott L. Balthazar, Mayr and the Development of the Two-Movement Aria osserva
la frequente ambiguità tra coda e parti tematiche e considera come, tra le
diverse fogge delle sezioni conclusive dei numeri solistici di Mayr, se ne
trovino spesso che «develop the coda as a fullfledged melody -- rilevanti ma
sono quelle di maggior effetto in un’aria che intende esprimere principalmente
fasto scenico più che moti d’affetto. Spesso, dunque, lungi dall’aver solo
valore d’amplificazione della cadenza, la coda è il vero fulcro dell’aria, quanto,
e talvolta più, della parte tematica stessa: soprattutto laddove, come in ‘Di gloria
all’invito’ e nell’aria del sortilegio di Medea, ciò che conta esprimere non è la
sostanza affettiva della vicenda ma un evento scenico rilevante nell’economica drammatica.
A differenza di ciò che accadrà con la generazione di Bellini e Donizetti, la
coda acquisisce maggior peso nei numeri d’azione che in quelli static ed
affettivi. Questi numeri «end-accented» hanno infatti grande efficacia
propulsiva: l’esibizione di abilità vocale che li conclude non liquida
materiale precedente, come fanno di solito le code delle forme strumentali, ma ne
introduce di nuovo – talvolta tematico, talvolta poetico, raramente di entrambi
i generi – che assicura interesse fino alla conclusione del numero. Quest’inclinazione,
questo traino del finale si verifica sia in arie in unica sezione che
sviluppano ampiamente la coda, sia in alcune sezioni finali di numeri a più
movimenti. Sono i casi per esempio che chiudono con strette con doppia enunciazione
del tema, una forma che Mayr inserì probabilmente già nell’Adelaide del 1800
nella foggia che diverrà canonica con Rossini e nota come cabaletta. A partire
da quell’opera, in ogni caso, la gran parte delle partiture drammatiche di Mayr
comprende almeno un numero concluso da una vivace melodia che compare due volte
alla tonica, entrambe le volte introdotta dall’orchestra (o da una transizione
in cui l’orchestra stessa domina, talvolta assieme al coro), a cui segue infine
una coda367. In Medea in Corinto un trattamento cabalettistico di questo
genere si trova nell’ultima sezione di ‘Sommi dèi’ (n. 3), la cavatina con cui
Medea si presenta in scena a Napoli nel 1813 e a Bergamo nel 1821. Quando la
poesia passa dai settenari ai rapidi quinari, l’aria ha già totalizzato 80
battute: la -- Marco Beghelli affronta
in diversi saggi la questione terminologica della cabaletta in termini più
rigorosi di quelli che mi sono qui consentiti: con riferimento ad epoche in cui
la struttura della stretta era già largamente codificata, osserva che la cabaletta
– nell’aria come nel duetto, nell’introduzione come nel finale – era «più
propriamente una parte della Stretta ottocentesca – composta per lo più
di cabaletta - ponte - cabaletta - coda – e precisamente il suo motivo
tematico, giunto col tempo a identificare l’intera Stretta in seguito ad
una facile sineddoche: la parte per il tutto. Navigando a cavallo di secolo,
risulterebbe del resto difficile tracciare una linea di demarcazione temporale
plausibile per un uso distinto dei due termini, storicamente avallato»: Marco
Beghelli, Tre slittamenti semantici: cavatina, romanza, rondò cit.
Al proposito cfr. anche Marco Beghelli, Sulle tracce del baritono,
in Tra le note. Studi di lessicologia musicale, a cura di Fiamma
Nicolodi e Paolo Trovato, Fiesole, Cadmo, 1996, Alle origini della cabaletta,
in “L’aere è fosco, il ciel s’imbruna”. Arti e musica a Venezia dalla
fine della Repubblica al Congresso di Vienna, a cura di Francesco Passadore
e Franco Rossi, Venezia, Fondazione Levi. Cfr. Scott L. Balthazar, Mayr and
the Development of the Two-Movement Aria cit., tonalità d’impianto (Mi
maggiore) è confermata da una frase dal profilo ritmico molto netto, che in 13
battute intona la prima sestina e termina alla dominante Si maggiore (es. 12).
Un ponte armonicamente sospeso tra tonica e dominante maggiore (bb. 94-104)
intona i primi due versi e mezzo della seconda sestina e introduce la ripresa
della cabaletta (da b. 106), nuovamente in tonica ma limitata alle prime due
frasi, la seconda delle quali modificata per evitare la modulazione a Si
maggiore. Su questa ripresa, Medea termina il canto degli ultimi tre versi e
mezzo della lassa di quinari, e imprime con chiarezza nella memoria negli
ascoltatori il profilo del tema, prima che attacchi la coda finale. La sezione
può essere schematizzata in questa maniera a4 2(Mi) - a4 2 (Mi) – b5 2 (Si)c2+2
2(Mi) – d66 1 (Si-Mi)a4 2(Mi) – a'4 2 (Mi)coda21 0 (Mi). Questo trattamento
della sezione conclusiva del numero in Mayr non divenne mai la formula
predominante e restò una possibilità fra tante: altri movimenti conclusivi
possono prevedere due enunciazioni del tema principale, ma spesso la seconda
volta lo sottopongono a variazioni oppure organizzano melodie pienamente
sviluppate sullle armonie cadenzanti della coda. La stretta è quindi concepita
come pratica combinatoria di elementi melodici e ritmici dal profilo netto e
deciso e non come movimento strutturato: emergerebbe insomma dall’arrangiamento
di formule presenti prima di Mayr, e largamente in Mozart; le arie di Mayr si confermerebbero,
dal canto loro, come strutture che si sovrappongono a vecchie tradizioni, e
completano l’erosione dell’aria in un solo movimento per promuovere al contempo
disegni più espansivi basati sul rondò e su altre forme relazionate368.
Frequenti sono per esempio i movimenti in cui una versione del disegno della
cabaletta è preceduto da un’instabile sezione declamatoria condotta
dall’orchestra in ‘stile parlante’, talvolta mentre uno dei solisti dialoga con
un pertichino o col coro369. Di questo genere è l’ampia aria con arpa
concertante per PRINCIPESSA CREUSA, ‘Caro albergo’ (n. 7), ad apertura del
secondo atto. È 368 Cfr. Scott L. Balthazar, Mayr and the Development of the
Two-Movement Aria. Sulle forme d’aria utilizzate prima di Mayr e
frequentate da Mozart, cfr. anche il capitale James Webster, The Analysis of
Mozart’s Arias, in Mozart Studies, a cura di Cliff Eisen, Oxford,
Clarendon Press, 1991. L’origine della cabaletta è dichiarata nella voce
relativa del Dizionario e Bibliografia della musica di Pietro
Lichentathal: non soltanto nell’affermazione che per cabaletta si debba intendere
il «pensieretto musicale melodico, o sia cantilena semplice atta a blandire
l’orecchio» ma anche per l’ironia e il distacco con cui si rende conto della
struttura standard assunta dalla stretta «ora, essendo la musica tutta
rivolta alla sensualità e al diletto». In breve, la musica di apertura della
stretta sembra a vari gradi un tempo di mezzo. Questi movimenti che combinano
tratti del tempo di mezzo e della cabaletta compaiono già nell’aria di Faone (II)
della Saffo, nel rondò del Calipso del Telemaco: su tutto ciò
cfr. Scott L. Balthazar, Mayr and the Development of the Two-Movement
Aria che osserva ancora come «the principal components of Mayr’s closing
movements were commonplace in Mozart’s closing movements by 1791: the opening
transition … an orchestral introduction for the main theme … two presentation,
of the main theme are separated by a transition … finally … a coda». Il tempo
di mezzo e la cabaletta sembrano dunque essere originati da un singolo
movimento, la cui iniziale transizione diede origine al tempo di mezzo. l’unica
vera aria affidata all’altra prima donna e deve quindi essere di ampie
proporzioni370; dal punto di vista drammatico si giustifica con l’esigenza di
caratterizzare l’innocenza virginale della principessa ed evidenziare così il
primo delitto di Medea371: le tre sezioni dell’aria sono tutte costruite su
incisi, variamente ripresi e variati, in modo che l’ultima sezione comprenda
anche un richiamo alla melodia di cabaletta; tale richiamo è però assolutamente
irregolare perché in minore (il tema è esposto da b. 52, qui all’inizio
dell’es. 12; la ‘ripresa’ in minore da b. 75) e seguito da un ritorno alla
tonalità di impianto da b. 97, nella frase precedente la coda. Nell’insieme lo
schema può essere tracciato come segue, se si tiene conto che la struttura base
delle frasi è sempre di 4 battute, ma che ad ogni occorrenza codette, one more
time e zeppe vocalizzate amplificano e rendono irregolare la sucessione delle
frasi. Suddivido la sezione finale C in periodi e solo per essa mostro, in lettere
greche, l’articolazione interna ad ogni singolo periodo: la ripresa del tema in
b (''') è in minore, mentre la tonalità
d’impianto è affermata solo nel terzo periodo '. Andantino
grazioso Andantino non troppo: coda coro
coda. La ripresa variata del tema di cabaletta dell’aria di PRINCIPESSA CREUSA
si giustifica dal punto di vista teatrale perché è integrata in un numero dal
carattere prettamente belcantistico, interamente concepito su micro-variazioni
che illustrano con icastica 370 L’ampiezza di quest’aria fa eccezione alla
consuetudine che, secondo Daniela Tortora, chiedeva che dopo la cesura del
Finale I la ripresa dell’azione fosse piana e dimessa. Cfr. Daniela Tortora, Drammaturgia
del Rossini serio. Tortora, tuttavia, precisa anche che oltre a questo criterio
generale, non ha individuato alcuna forma standardizzata per dar principio
all’atto II, nulla che possa assomigliare alla successione coro-cavatina del numero
introduttivo al prim’atto. 371 Nei rifacimenti di Bergamo e Milano, l’aria
venne sostituta da ‘Compi l’opra’, una regolare aria tripartita, separata dal
coro introduttivo da 9 versi sciolti: Andante in Si bemolle, 3/4; Allegro moderato,
Mi bemolle, 4/4; Allegretto, Si bemolle, 2/4 con la consueta ripresa della
cabaletta. efficacia l’innocenza della principessa372; dal punto di vista
drammatico è altrettanto giustificata d’altronde anche la cabaletta quasi
‘regolare’ di ‘Sommi dèi’, prima esaminata: essa conclude infatti un numero che
si era aperto con periodi musicali ampi, lavorati e ambiziosi. Alla scena del
dialogo tra Medea e i Corinti, cui la presenza del coro conferisce rilievo
inconsueto, Mayr aveva fatto seguire un’aria che in un unico movimento
incorporava quelle stesse diverse sezioni che l’aria rossiniana in “solita
forma” distinguerà poi con chiarezza. In questo progetto d’elevata ampiezza
formale, il cantabile in Mi maggiore che intona la prima sestina di ottonari è
interamente organizzato su frasi bilanciate e articolate in modo da costruire
un ampio periodo di 16 battute (più 4 di codetta, cfr. es. 3). Poiché i sei versi
di Romani non erano sufficienti a colmare un periodo di tale ampiezza, Mayr ripete
nell’ultima frase versi tratti dalle frasi precedenti: a42(Mi) - a'42(Mi) -
b42(fa) - a''40(Mi) - codetta40 Le frasi del canto sono armonicamente instabili
e asimmetriche, con andamenti analoghi a quelli osservati nella seconda aria di
GIASONE e simili alle melodie “aperte”
dei futuri tempi di mezzo: la periodicità e la quadratura della frase è però
assicurata dalle figure d’orchestra e del violino solista. Come in tutte le
arie di maggior ‘peso’ drammatico, Mayr prevede infatti la presenza di uno
strumento concertante in gara virtuosistica col cantante, col quale
interloquisce con brevi incisi canonici: assieme all’elaborata costruzione delle
frasi, anche queste tecniche imitative contribuiscono a rendere l’aria più
dotta e quindi più solenne. In questo modo, un unico movimento riesce ad
articolare gli affetti contrastati
con cui Medea reagisce al decreto
d’esilio avallato da GIASONE – dalla
rabbia espressa nella prima sezione, al pentimento per la vendetta invocata
contro il consorte nella seconda, alla preghiera ad Amore perché le restituisca
lo sposo nella terza; ma il rilievo formale attribuito a quest’aria è anche
connesso alla circostanza che qui Medea si presenta per la prima volta al
pubblico. Non è questo un caso isolato: in Medea in Corinto la scelta
delle forme sembra spesso avvenire anche con -- Un espediente cui, molti anni
dopo, e quindi con ben maggior efficacia, ricorrerà anche Verdi
nell’intonazione fiorita delle arie di Gilda di Rigoletto. 373 Sono rare
le presenze del coro con funzione dialogica, e non lirica né cerimoniale, nel
bel mezzo di un passo in versi sciolti del solista. funzione retorica. Questo
criterio predomina nell’ultima grande aria. Il rondo della prima donna nel
second’atto, “Ah che tento”, dove Medea decide di uccidere i figli. La scena
rappresenta beninteso il climax del dramma e, l’abbiamo visto, la recente
tradizione del mito di Giasone e Medea l’aveva imposta come momento di
introspezione affettiva, vero banco di prova delle migliori attrici. Per darle
il dovuto rilievo, Mayr concepisce una struttura a Quattro sezioni e prevede
uno strumento concertante (corno inglese o violini, secondo le versioni).
L’analisi dettagliata dell’aria dimostra quanti parametri vengano messi in
gioco per ottenere l’adeguato effetto drammatico ed espressivo. Un tempo
d’attacco di 37 battute, in La maggiore, intona la prima quartina di ottonari:
qui non si ascolta una sola frase che non sia variamente amplificata con riprese
testuali e armoniche o interrotta da pause (es. 13). I primi due versi sono così
cantati su una frase sghemba di 3 + 5 battute che amplifica con pause e ripetizioni
una struttura essenziale di 4 (1 + 1 + 2) battute: l’asimetria della prima frase
è ripetuta nella seconda, più instabile dal punto di vista armonico e comunque incentrata
sulla dominante; questa volta i due versi sono cantati in sole sei battute (2 +
ripetizione di 2 + 2); entrambi vengono ribaditi in una lunga codetta di 12
battute ampiamente vocalizzata. Siccome l’intonazione delle due frasi è divisa
in due membri paralleli – o perché concepita come accostamento di due emistichi
simmetrici (Ah che tento / o figli miei) o per ripetizione testuale del
medesimo verso (quello sol versar vogl’io / quello sol versar vogl’io) – il
baricentro è collocato nella seconda semifrase, così che l’intero periodo
procede per accumulo e ‘spinge’ naturalmente in avanti il discorso musicale e
gli eventi di cui esso è espressione. Tonalmente instabile, questa sezione si
conclude con un coro omoritmico in Mi maggiore, dalle frasi -- Sul termine
“rondò” cfr. il già citato Marco Beghelli, Tre slittamenti semantici:
cavatina, romanza, rondò.. L’uso estensivo del termine spiega tra
l’altro perché, a dispetto della struttura musicale, l’unica edizione
dell’opera, la «partizione» Carli, intesti questo numero Rondò chanté par
M.me Pasta nella Medea. Musica di S. Mayer. Sul valore retorico delle
arie in 4 tempi, cfr. Saverio Lamacchia, “Solita forma” del duetto o del
numero? cit. Scott L. Balthazar, Mayr and the Development of the
Two-Movement Aria sostiene che in Mayr, salvo un’aria negli Sciti e
due negli Americani, non ci sarebbero esempi di arie costruite su
cantabile - tempo di mezzo - cabaletta. 376 Sul valore propulsivo di strutture
così concepite, cfr. Giorgio Pagannone, Aspetti della melodia
verdiana. Periodo e Barform a confronto cit. Pagannone prende a prestito il
termine barform per definire queste strutture caratterizzate dalla
ripetizione iniziale di un inciso melodico; William E. Caplin, Classical
Form cit. preferisce invece definirle sentence, e le studia in
contrapposizione al period strutturato su frasi bilanciate
antecedente/conseguente. La difficoltà di rendere in italiano la differenza di
questi termini tra loro e rispetto a phrase, che sarebbe una delle parti
costitutive della sentence come del period mi spinge a non
adottare le definizioni di Caplin, nonostante la loro chiarezza ed efficacia. quadrate
e simmetriche: solo dopo di esso, da b. 48, Medea intona gli ultimi versi della
lassa di ottonari in una sezione in La minore costruita su materiale tematico analogo
al precedente, ma articolata finalmente su una frase simmetrica di otto battute
con lunga coda di altre 15. a1,5+1,5+52, b2+2+22, coda120coro62a'4+42,, coda150
I, V, V, V, i I Il passaggio a La minore precede il cantabile in modo da
costruire gradualmente la svolta affettiva verso accenti di tenerezza da parte
della madre prima infuriata. Anticipare, inoltre, rispetto al libretto,
l’intervento del coro che da dentro dà la caccia a Medea, e collocarlo prima
che finisca la strofa in ottonari, consente a Mayr di segmentare l’aria solo in
forza del movimento affettivo della primadonna, che non risulta così
sollecitato da eventi esterni: proprio come richiedeva l’estetica teatrale
tardo settecentesca. Il cantabile è annunciato da una melodia del corno
inglese, che concerterà con la voce per tutta la sezione, così da conferire
giusto sbalzo all’ultimo gesto d’affetto materno di Medea. ‘Miseri pargoletti’
è un Andantino grazioso in Fa maggiore non suddisivo in sezioni ma composto di
tre frasi (da bb. 13, 23, 34) costruite fondamentalmente su successioni di
quattro battute che ripetizioni interne e pause dilatano ancora una volta in
modi imprevedibili a 9 + 9 + 8 con codetta finale377. La terza frase riprende,
però, il materiale tematico della prima, così che si può individuare una
strutturazione del periodo su frasi a b a'. a2 + 2 (+2) + 32 b4 + 3 +22 a'2+2
(+1)+32 coda80 I-V-I i-v-i I-V-I Un’improvvisa modulazione a Re minore segnala
l’altrettanto improvviso risorgere della furia di Medea: la madre si riscuote
dall’ultimo momento di tenerezza e scaccia con orrore i figli. Questa sezione è
in «Agitato» più per il piglio ritmico della musica che non per la frantumazione
del tessuto metrico, tutto -- La predilezione di Mayr per movimenti che
consistono di singole melodie costruite con gruppi di tre frasi è indicata da
Scott L. Balthazar, Mayr and the Development of the Two-Movement Aria
-- sommato costruito invece regolarmente su due frasi di 4 + 4 battute;
dopo un ulteriore, ma breve, frase del coro ‘da dentro’ essa conduce infine all’ultima
sezione in La maggiore. Qui cinque frasi bilanciate, a4 a'4 b4 b4 c4 +11 (rispettivamente
da bb. 28, 34, 38, 42, 46), precedono una lunga sezione cadenzale di una
trentina di battute, cui si aggiunge anche il coro, che, a mo’ di una coda invita
la prima donna a sfoggiare tutte le sue potenzialità vocali. Il centro d’interesse
vocale e drammatico è decisamente spostato su quest’ultima sezione: delle cinque
frasi iniziali, infatti, le prime (a-a') hanno carattere introduttivo, perché
basate su figurazioni di note ribattute, le altre due (b-b'), vera sostanza motivica
della sezione, sono una ripetizione speculare ciascuna dell’altra, l’ultima è
invece costruita su un breve inciso d’una battuta, ripetuto 3 volte di seguito
e una quarta volta dopo una lunga zeppa vocalizzata. Se si ignorasse
l’importanza retorica e vocale della coda, una sezione di ben 65 battute
finirebbe dunque per reggersi su un motivetto di sole 4 battute. Anche
quest’aria conferma come la scrittura di Mayr si regga sull’equilibrio di due
variabili principali: sostanza melodica ampia e organizzata su temi pregnanti (lyric
form della cavatina introduttiva di Medea) e/o articolazione formale di
ampio respiro, che spesso annulla quasi la sostanza tematica. Spesso Mayr
organizza allora le melodie in barform e sposta sulla sezione cadenzale
virtuosistica l’interesse drammatico dell’aria. Lo si vede bene anche nelle due
semplici arie di Egeo, delle quali basti per ora esemplificare la prima, ‘Io ti
lasciai piangendo’, in Do maggiore (n. 5): il testo è cantato in 28 battute di
semplici frasi quadrate, vocalmente piane, mentre il maggior interesse vocale,
armonico e melodico ricade sulle 18 battute di coda. a 2+2 + b 2+2 + codetta 3 a
2+2 + codetta3 + b 2+2 codetta 2 a 2+2 + coda18. L’idea avanza da Balthazar che
Mayr sperimenti molte e diverse forme, mini decisamente le antiche convenzioni
senza però stabilirne di nuove, presume una ricerca formale che probabilmente a
Mayr era indifferente. Egli cercava -- Scott
L. Balthazar, Mayr and the Development of the Two-Movement Aria -- piuttosto
di conciliare l’equilibrio dell’aria settecentesca con la nuova estetica, che dall’opera
esigeva movimento e animazione gestuale risolta in forme musicali. Le sezioni delle
arie che programmaticamente rinunciano ad architetture formali coerenti, o
quelle che a periodi ampi e ben articolati preferiscono movimenti irregolari,
note ribattute e modulazioni imprevedibili, come la seconda sezione della
seconda aria di GIASONE e il primo
centinaio di battute dell’aria di sortilegio di Medea, danno voce alle
situazioni che, nella tradizione di Medea, discendevano a Romani e Mayr dal
melologo e dalla musica di scena. La forma e la complessità delle sezioni in
cui si articolano sono dunque conseguenza dell’azione drammatica ed affettiva
oltre che della gestione del tempo teatrale riflessivo o lirico o monumentale. L’ampio
spettro formale collegato alle mutevoli funzioni drammatiche svolte da ciascuna
aria caratterizza anche i duetti. Dei tre sopravvissuti ai tagli operati a
Napoli, solo il diverbio tra Medea e GIASONE (n. 4) era un topos consolidato nella
drammaturgia del mito di Corinto. Nell’opera di Mayr costituisce il culmine
emotivo del primo atto, così come il primo finale ne costituisce il culmine drammatico
e narrativo. Mayr lo elabora in quattro parti con tempo d’attacco (Moderato, Si
bemolle), cantabile (Largo, Mi bemolle), tempo di mezzo (Moderato, Si bemolle)
e stretta (Moderato, Si bemolle), nella forma che di lì a poco sarebbe
diventuta canonica. Ma non è tanto la strutturazione quadripartita a segnalare
l’importanza drammatica del numero: come già abbiamo visto nelle arie, infatti,
a dar rilievo a un numero contribuiva spesso soprattutto l’ampiezza della
campata melodica. In questo caso le prime due quartine, rispettivamente di GIASONE
e Medea, sono intonate in ampie sezioni
di 33 e 38 battute, ciascuna a sua volta suddivisa in due periodi di frasi essenzialmente
di 3 + 3 battute, ma che, amplificati i primi da ripetizioni e code, e i secondi
da codette conclusive, diventano rispettivamente di 5 + 8 e 3 + 14. Entrambe le
sezioni sono caratterizzate dalla ripetizione del primo inciso, così che un
analogo incipit della terza quartina crea l’attesa di una terza strofa
e, quindi, la sorpresa per la violazione della norma appena impostata: nella
terza strofa infatti i due sposi si suddividono i distici della quartina così
da aumentare il ritmo dello scontro. La contrazione del tempo che ne consegue,
e quindi, per lo spettatore, l’effetto di tensione e rabbia incalzante,
prosegue anche dopo il cantabile, nella seconda sezione dialogica: il tempo d’attacco,
Moderato in Ab, assegna prima due versi ciascuno, poi uno alternativamente a GIASONE
e a Medea; le diverse durate dei periodi
sono ben calcolate da Mayr in vista dell’effetto scenico: più lenti quelli di
Medea in lacrime, più rapidi e regolari quelli di GIASONE irremovibile (13 e 5 379 Sulla strutturazione
del melologo e sulla sua centralità nella drammaturgia di Medea in Italia tra
fine Sette e inizio Ottocento, mi sono diffuso nel precedente. Sui rapporti tra melologhi,
musiche per azioni drammatiche e opera, cfr. Adrea Chegai, L’esilio di
Metastasio. Forme e riforme dello spettacolo d’opera fra Sette e
Ottocento cit., cap. IV (Il ballo per l’opera: analogie, contrasti,
interscambi) e V (Spettacoli mezzani e nuove convenienze. Metastasio
dopo Metastasio). battute per i due rispettivi distici della prima
quartina, 5 e 2 bb. per il primo distico della strofa seguente). Tale
irregolarità fraseologica dei movimenti cinetici, calcolata sull’effetto drammatico
e sulla mimesi delle reciproche situazioni sceniche – talvolta con veri effetti
madrigalistici come le pause che spezzano le parole e il lungo vocalizzo di
Medea sulle parole «versa pianto» –, non si riscontra nei movimenti statici,
dove gli a parte consentono a Mayr di sovrapporre le voci e creare l’effetto
mediante la varietà degli incastri e delle imitazioni canoniche più che con
l’irregolarità dei periodi, tutti infatti regolarmente costruiti su 4 + 4
battute381. Il “gran duetto” di GIASONE e Medea, com’è spesso chiamato nelle fonti, è
l’unico duetto quadripartito, ben calibrato sull’alternanza cinetico/statico
della “solita forma”, esattamente come il rondò di Medea alla fine del secondo
atto. Come nel rondò, l’accelerazione metrica dell’ultima sezione non dà voce a
una fase riflessiva, ma al concitato precipitare delle tensioni espresse nel
corso del numero. In entrambi i casi, la ‘stasi’ di questa sezione sta dunque
nell’interruzione della fase di ascolto e dialogo, nel sovrapporsi delle voci
(o nel sopraggiungere del delirio, nel caso dell’aria solista), non nella
sospensione temporale del tableau o nella mancanza di azione in scena,
che invece si suppone frenetica. Gli altri duetti sono organizzati in forme più
ridotte, adeguate a situazioni in cui I personaggi non si trovano in acceso
scontro emotivo ma piuttosto confermano il reciproco rapporto: GIASONE e PRINCIPESSA CREUSA come amanti, Medea e Egeo
come alleati; sono numeri che non è improprio definire ‘duettino’, come spesso
avviene almeno per il primo dei due. Nel primo duettino, GIASONE e PRINCIPESSA CREUSA cantano nella forma già
cara a Cimarosa: un andante per le prime due strofe parallele e un allegretto a
due foggiato su una delle varianti della cabaletta con doppia enunciazione del
tema -- L’altro sarebbe stato il dialogo tra Medea e Creonte inizialmente
previsto da Mayr e Romani: al proposito cfr. il
primo. Anche Charles Brauner, Vincenzo Bellini and the Aesthetics of
Opera Seria in the First Third of the Nineteenth Century cit.,
osserva che sebbene Mayr abbia utilizzato duetti in Quattro movimenti già in Ginevra
di Scozia (1801) e in Telemaco (1797), tende generalmente a
differenziare gli interlocutori; invece di adottare la pratica, comune in
Rossini, di affidare ai personaggi quasi lo stesso materiale, riecheggia invece
i primi metodi (descritti da Gervasoni e ascoltati talvolta nei duetti mozartiani)
di scrivere temi correlati ma contrastanti che danno voce a diverse posizioni
emotive. L’idea è condivisa da Scott L. Balthazar, Mayr, Rossini and the
Development of the Opera seria Duet: Some Preliminary Conclusions che
propone alcuni esempi mozartiani di questo genere. ‘Duettino’ è un duetto con
testo identico, non dialogico: almeno così il termine è usato da Mozart e dagli
autori a lui contemporanei, cfr. Sergio Durante, Mozart and the Idea of
«Vera Opera»: A Study of «La Clemenza di Tito», PhD Harvard
University. La spiccata melodia di cabaletta non apre la seconda sezione, ma
viene enunciata solo da b. 26; la sua ripetizione (bb. 54 ss.) non implica la
ripresa dell’intero periodo né dell’intera prima sezione. Nelle prime 25
battute, dopo una breve introduzione d’orchestra, vengono cantati i primi quattro
versi dell’ultima sestina dell’aria, così che alla cabaletta non restano da
intonare che i due versi conclusivi: i primi quattro sono poi utilizzati anche
per la transizione tra le due riprese della cabaletta. Sebbene questa
strutturazione inglobi sia il futuro tempo di mezzo sia la stretta, Scott L. Balthazar,
Mayr, Rossini and the Development of the Opera seria Duet la considera a
tutti gli effetti una cabaletta: «Mayr set the final reflective stanza a due
as a cabaletta and provided the full Nel secondo, ‘Se ’l sangue e la vita’,
sebbene non siano ugualmente esposti conflitti sostanziali, la forma è più
complessa. Un unico movimento Moderato è diviso in due sezioni: la prima, A, in
Do maggiore (bb. 1-56), è costruita su frasi parallele tra Medea ed Egeo e si
conclude su Sol maggiore, inteso come dominante della tonalità di impianto, la seconda,
B (bb. 57- 144) conclude la cadenza in Do maggiore modula a La bemolle per poi chiudere
nella tonalità d’impianto. In questa seconda sezione il testo è unico per
entrambi I personaggi, così che Medea e Egeo possano unire immediatamente le
voci con andamenti ora omoritmici, ora imitativi. Mentre la prima sezione ha
struttura aperta, la seconda è costruita in una forma ternaria A-B-A'-coda.
Come abbiamo visto per le arie di GIASONE , anche in questo caso il numero
consente diverse interpretazioni formali: 1) lo si può intendere come duetto
bipartito, A B, con B costruito a mo’ di stretta, con due riprese della
cabaletta separate da un ponte. Certo, la stretta non avrebbe ripresa testuale,
ma, come abbiamo visto anche nella cavatina di Medea ‘Sommi dèi’ e nell’aria di
PRINCIPESSA CREUSA, questo non è un dato molto significativo, vista la natura
‘componibile’ che in quest’epoca hanno la stretta e la cabaletta. Rispetto alla
forma a due sezioni esemplificata dal duetto di PRINCIPESSA CREUSA e GIASONE ,
si confermerebbe l’idea di una sorta di ‘tempo di mezzo’ dialogico che precede
l’esposizione della cabaletta, sebbene manchi della prima sezione, ugualmente
dialogica. 2) Non è neppure peregrina, quindi, l’idea di considerare la sezione
B un tempo tripartito BCB'-coda, aperto da una sezione A introduttiva.
L’improvvisa modulazione a La bemolle (bb. 82-83, es. 14) introdurrebbe la
sezione C, simile ad un cantabile il cui testo, in un a parte, canta
l’amore non ancora estinto ma solo ricacciato ‘nel seno’. Le diverse chiavi in
cui è possibile leggere questo numero confermano ancora una volta che le scelte
formali di Mayr hanno tendenzialmente sempre valore drammatico e non sono né
adeguamento a stereotipi e convenzioni consolidate, né sperimentazioni
gratuite. Il senso della struttura di questo duetto, infatti, si chiarisce solo
se si considera la collocazione drammatica. Sebbene sia formalmente un numero a
sé stante, preceduto da una scena in versi sciolti, esso conclude un’unità più
ampia: la scena nel carcere di Egeo. Diverse considerazioni confermano che
l’aria di Egeo ‘I dolci contenti’ e il duetto ‘Se ’l sangue la vita’ furono
concepiti come polarità musicali d’un’unica scena: reprise of the principal
theme that later became standard». È un tipo di duetto descritto anche da Friedrich
Lippmann, Vincenzo Bellini und die italienische Opera Seria seiner Zeit. Lippmann
lo ritrova già in Cimarosa negli anni ’80 del Settecento ed osserva come via
via sia venuto ad assomigliare sempre più al duetto ottocentesco: comprende
tutti e quattro i movimenti sia nel testo sia nella musica, sebbene le
incorpori in uno schema lento/veloce binario. La prima sezione presenta proposizioni
parallele e un primo passaggio di riflessione simultanea; la seconda, un
passaggio lirico cantato a due con ripetizione a mo’ di cabaletta del tema principale.
L’organizzazione in due movimenti di un testo originariamente composto in
quattro sezioni ha il vantaggio di sottolineare le fasi di interazione e
riflessione del dramma, di articolare le divisioni interne.. 1) l’aria del
tenore sta alla dominante della tonalità d’impianto del duetto; anche quando
dovette essere abbassata, come accadde probabilmente a Bergamo e alla Scala, la
si trasportò alla sottodominante così da conservare un percepibile rapporto
tonale col duetto; 2) l’aria è in semplice forma ternaria, con ricapitolazione
semplificata e breve coda: in questa forma suona piuttosto come cavatina introduttiva
ad un numero drammatico e musicale di maggior rilievo. A sua volta il duetto di
complotto da solo avrebbe reso troppo dinamica e propulsiva la scena di
prigione e violato una tradizione che voleva qui l’espansione del dolore
patetico. Il duetto sembra allora bilanciare, con l’estensione della veloce
sezione finale, il lamento di Egeo nell’aria che lo precede384; 3) secondo la
tipologia delineata da Daniela Tortora, ancora all’epoca rossiniana le scene di
prigione includevano spesso un numero variabile di pezzi (da uno a tre); I personaggi
cantavano forme complesse articolate in più sezioni, con ampi inserti di recitativi
drammatici e a volte con soluzioni tonali inusuali385; 4) ‘I dolci contenti’ è
l’unica aria in tempo cantabile per la quale non è mai stato previsto un rapido
movimento conclusive. Neanche a Bergamo e Milano, dove pure all’aria di Egeo
del prim’atto fu aggiunta la cabaletta ‘Ma se mi lacera’386; 5) a Londra,
Napoli 1826, Milano 1829, quando s’era ormai affermata la sostituzione del
duetto ‘Se ’l sangue la vita’ con quello in Si bemolle tratto da Adelasia e
Aleramo ‘Ah d’un’alma generosa’ operata da Giuditta Pasta, l’aria di
Egeo fu soppressa: il nuovo duetto, tripartito, presentava chiaramente dopo la
sezione a strofe parallele un ripiego lirico nel cantabile ‘Andante grazioso’ e
un’ampia sezione virtuosistica nella stretta ‘Allegro con brio’ col che poteva
ben colmare da solo la scena di prigione. L’articolazione più complessa di
quest’ultimo si spiega col fatto che in origine esso era stato concepito come
duetto oppositivo per dar voce ad un alterco tra nemici; 6) nemmeno i versi
sciolti tra l’aria e il duetto impediscono a rigore d’intendere I due numeri
come parti d’una sola unità drammatica388: la convenzione di suddividere -- La
funzione retorica della stretta è ben dichiarata da Pietro Lichtenthal, Dizionario
e bibliografia della musica cit. quando osserva come essa sia «una
specie di perorazione, una parte essenziale del discorso musicale» nei pezzi
più impegnati dell’opera (cfr. Daniela Tortora, Drammaturgia del Rossini
serio Daniela Tortora, Drammaturgia del Rossini serio. La scena del
carcere di Egeo rispetta altri parametri della convenzione studiata da Tortora:
avvia lo scioglimento ed è quindi vicino al blocco di scene relative alla
catastrofe; è luogo oscuro ed orroroso rappresentato dalla musica con
ritornelli, preludi e introduzioni strumentali che amplificano il disagio del
personaggio. Non rispondono alla consuetudine dell’epoca rossinana, invece,
l’assenza del coro e il fatto che il recluso non sia il protagonista femminile
(ma anche in Elisabetta il recluso è uno dei due primi tenori). Le due
strofe di senari aggiunte a Bergamo sono intonate la prima come tempo di mezzo,
la seconda come vera e propria stretta di stampo rossiniano, in due sezioni
a-a’ separate da una transizione che riprende parzialmente il testo poetico
della prima strofa. 387 Su questa forma di duetto cfr. Scott L. Balthazar, Mayr,
Rossini and the Development of the Opera seria Duet: Some Preliminary
Conclusions cit., p. 391. 388 Daniela Tortora, Drammaturgia del Rossini
serio osserva che adottando il «concetto di “unità scenica” … è possibile
in alcuni casi ricomporre all’interno di un unico organismo, situazioni
scenico-musicali differenti con questo espediente metrico non doveva essere ancora
totalmente consolidato, come dimostra il terzo movimento del duetto ‘Giura, che
I passi miei’ del Telemaco (1797) del medesimo Mayr389. Posta in questi
termini, la scena di prigione avrebbe una prima sezione patetica nell’aria di
Egeo, e una seconda sezione nel duetto suddiviso tra parte dialogica e stretta:
sarebbe dunque sostanziamente analoga alla scena d’amore tra GIASONE e PRINCIPESSA CREUSA. Si presentano allora
situazioni formali e sceniche molto sfumate. Se quello tra GIASONE e PRINCIPESSA CREUSA è un duetto lirico, utile
a formalizzarposizioni drammatiche già affermate nel precedente recitativo, il
duetto di Medea e GIASONE è più
integrato nello sviluppo del dramma, espone, intensifica e ridirige il conflitto,
e ne genera di nuovi: da questo punto di vista, è un prototipo dei duetti dei
decenni successivi. Il duetto di Medea ed Egeo ‘Se ’l sangue la vita’, infine,
è l’esempio di un caso intermedio390, un tipo di duetto descritto da Carlo
Gervasoni e Alexandre Choron nel primo decennio del secolo: una forma in due
sezioni, la prima di dialogo, che spesso prende la forma di proposizioni
parallele (nella medesima tonalità o in tonalità differenti), la seconda che
comprende canto simultaneo in terze e seste o almeno uno scambio più serrato
tra i cantanti391. Anche dopo aver sperimentato in Telemaco e Ginevra
di Scozia392 le forme che saranno poi standardizzate da Rossini, insomma,
Mayr continuò a scrivere duetti in svariate fogge393. dotato di propria
continuità di senso drammatico, ciò che formalmente in partitura appare
segmentato e inserito in numeri distinti». Tortora stessa trae, comunque,
l’idea di “unità scenica” da David Rosen, How Verdi operas begin: An
introduction to the Introduzioni, in Tornando a Stiffelio. Popolarità,
rifacimenti, messinscena, effettismo e altre “cure” nella drammaturgia del
Verdi romantico, a cura di G. Morelli, Firenze, Olschki, Charles Brauner, Vincenzo
Bellini and the Aesthetics of Opera seria in the First Third of the Nineteenth
Century Cfr. Scott L. Balthazar, Evolving Conventions in Italian Serious
Opera: Scene Structure in the Works of Rossini, Bellini, Donizetti, and
Verdi, 1810-1850, University of Pennsylvania, 1985. 391 «… Imperocché rade
volte succede che la situazione dei due attori sia perfettamente d’accordo onde
debbano essi esprimere i loro sentimenti in egual modo. Quindi costumasi
d’ordinario un canto alternativo, per far intendere le due parti separatamente,
non meno che per dare a ciascheduna la propria espressione. Accade finalmente
nella conclusione del duetto teatrale di dover riunire due sentimenti unanimi,
o il vivo e rapido abbattimento di due sentimenti opposti. In questi casi le
diverse commozioni dell’animo agitato scorrono da ambe le parti in una sola volta,
né lasciano luogo al dialogo. Di qui nasce poi la necessità di rinvenire un
canto che sia suscettibile d’un progresso per terze o per seste, e disporlo
siffattamente, che da una parte si possa sentire il pieno suo effetto, senza
smarrire dall’altra il sentimento» (Carlo Gervasoni, La scuola della musica
in 3 parti divisa citato da Scott L. Balthazar, Mayr, Rossini and the
Development of the Opera seria Duet: Some Preliminary Conclusions cit., p.
395). 392 Cfr. Charles Brauner, Vincenzo Bellini and the Aesthetics
of Opera seria in the First Third of the Nineteenth Century cit., p. 220.
Secondo Scott L. Balthazar, Mayr, Rossini, and the Development of the Early
Concertato Finale però, è ancor più flagrante la somiglianza con le
strutture rossiniane del duetto di Zamorano e Idalide ‘Ah, per chi serbai
finora’, negli Americani, atto I (1806). Ritengo quindi
tutto sommato superfluo chiedersi, come fa Scott L. Balthazar, Mayr, Rossini
and the Development of the Opera seria Duet: Some Preliminary Conclusions come
si sia passati dalla forma bipartita descritta da Gervasoni a quella quadripartita
in “solita forma”, visto che entrambe svolgevano compiti e ruoli drammatici
diversi. Semmai si può osservare come nell’Ottocento più avanzato i duetti
s’incarichino di esprimere una conflittualità più accesa e -- Dopo la
soppressione del duetto tra Medea e il sovrano Creonte operata a Napoli, la crisi
coniugale tra Medea e GIASONE assume
dimensione pubblica solo nei finali394: solo in essi gli omicidi perpetrati da
Medea conservano valore mitico universale, senza ridursi al dramma intimistico
che la vicenda avrebbe invece assunto a metà Ottocento395. I due finali sono
allora veri e propri drammi conchiusi, vere piccole commedie in se stesse,
secondo I criteri che guidavano le composizioni poetiche di Lorenzo da Ponte. L’esigenza
di costruire nel primo atto un adeguato pendant pubblico al dramma di gelosia
di Medea spinse Mayr e Romani a elaborare una situazione drammatica solenne, nella
quale rapidi gesti sacrileghi avessero forza iconoclasta: l’abbattimento
dell’altare, la profanazione dei soldati nel tempio, l’arresto della famiglia
reale e la fuga del popolo si susseguono in un crescendo di colpi di scena. Le
esigenze della tradizione testuale di Medea, insomma, si sovrappongono alle
convenzioni praticate al San Carlo dopo il Pirro di Paisiello e le
rovesciano: così, mentre nel Finale di quest’ultimo, uno dei primi in più movimenti,
prevalgono largamente le sezioni riflessive su quelle dinamiche397, in Medea
in Corinto il dramma pubblico si consuma quasi senza introspezione.
Il Finale del Pirro è tripartito, a sezione centrale contrastante per
tempo e metro. Nessuna sezione è tonalmente chiusa ma l’unità tonale è
assicurata a livello macroformale complessivo. Dal punto di vista narrativo
presenta una sola peripezia (il tentativo di omicidio di Pirro e la falsa
accusa a Polissena), risolta in non più di 5 delle 370 battute. Nella Medea
in Corinto Mayr sceglie altre formule, diverse anche da quelle da lui
stesso praticate fin dal 1800398, quando il Finale complesso era già diventato
un tratto costante nelle sue opere serie – da quando cioè aveva cominciato a
collaborare preferibilmente con librettisti della generazione successive acquistino
di conseguenza via via maggior peso drammatico, tanto da rendere prevalente e
poi esclusivo il modello in “solita forma”. 394 Al proposito cfr. Marco
Emanuele, L’ultima stagione italiana. Le forme dell’opera seria di Rossini
da Napoli a Venezia, Torino, Passigli. Ma già Carlo Ritorni, Gli ammaestramenti
alla composizione d’ogni poema e d’ogni opera appartenente alla musica,
Milano, Fontana, 1841 osservava l’utilità del coro, quindi del finale, per dare
all’opera seria un tono epico: cfr. Daniela Tortora, Drammaturgia del
Rossini serio. Anche l’unica reazione all’omicidio della principessa PRINCIPESSA
CREUSA, in Medea in Corinto, è affidata al lamento, privato, di GIASONE nell’aria ‘Amor, per te penai’. Alle riletture
intimistiche nelle Medee ottocentesche accenno nel precedente, in particolare nei casi, come
Grillparzer e Lamartine, che prevedono la scena di intimità e confidenza tra PRINCIPESSA
CREUSA e Medea. 396 Cfr. Sergio Durante, Mozart and the Idea of «Vera
Opera»: A Study of «La Clemenza di Tito» cit., p. 262. 397 Cfr.
Sergio Durante, Mozart and the Idea of «Vera Opera»: A Study of «La Clemenza
di Tito». Tutte le 33 opere serie di Mayr presentano concertati finali
come parte integrante della struttura: possono avere le sezioni combinate in un
unico movimento, o altre sezioni interpolate tra esse: cfr. Scott L. Balthazar,
Mayr, Rossini, and the Development of the Early Concertato Finale a
quella di Sografi e Gonella399. Nelle sue opere successive a Saffo (1794),
di solito i finali sono: 1) divisi in fasi separate di movimento e stasi, ciascuno
fornito di una sezione di interazione di assoli paralleli o di dialogo e
un’altra introspettiva, di solito cantata simultaneamente quando vi partecipi
più di un personaggio; 2) i contrasti nello stile compositivo tendono a
rinforzare queste opposizioni: le intonazioni dei testi interattivi adottano
tecniche declamatorie, “parlanti”, mentre quelle dei testi contemplativi sono spesso
più liriche, secondo il principio che Platoff; 3) come nei duetti e nei finali
comici (e diversamente dalla tarda pratica di Rossini) Mayr sviluppa
normalmente la sezione conclusiva riflessiva (la stretta) invece di quella
intermedia (concertato): così che, anche qui, a livello macroformale le
strutture musicali sono accentate verso la fine. Di questi tratti generali, i due
finali di Medea in Corinto conservano sostanzialmente solo l’ultimo:
prevedono infatti una grande espansione delle strette conclusive, che danno suono
e voce al fuggi fuggi generale; il primo è conseguente all’apparire dei soldati
di Egeo e allo scontro tra essi e la famiglia reale di Corinto, il secondo alla
confessione dell’infanticidio da parte di Medea. Gli atti chiudono così con
sezioni dinamiche ed incalzanti, e non lirico-riflessive. I numeri conclusivi
d’altronde sono interamente concepiti come episodi d’azione. Il primo prevede un
concertato molto breve a cui si arriva progressivamente, dopo due strofe di
coro cerimoniale d’apertura e una sezione dialogica. Mayr concepisce questa
sezione non solo come avvicinamento al cantabile, ma come vera e propria unità
drammaticomusicale
costruita con strofe
parallele analogamente intonate, circolari dal punto di vista tonale
(Do-Sol-Do) e dal punto di vista tematico: nella terza strofa la conclusione
della melodia di PRINCIPESSA CREUSA riprende il tema d’apertura cantato ad esordio
della prima di Creonte (es. 15). Chiuse in questo circolo armonico e tematico
le tre strofe della famiglia reale di Corinto – GIASONE è già stato accolto tra i suoi membri –, resta
effettivamente a parte la quarta strofa, cantata a due da Medea ed Egeo:
è eccentrica sia dal punto di vista tematico, perché non ha alcuna parentela
con quanto precede, sia armonico, perché collocata in altro ambito tonale (Do
minore-La bemolle), sia metrico, perché costruita su frasi di 5 + 5 battute
invece che di 3 o 4 come nelle prime tre strofe di ottonari. La ripresa del
coro cerimoniale d’apertura, prevista dal libretto, è scritta per esteso in partitura;
nel prosieguo delle strofe di ottonari tra le prime parti, prescritto a
cinque da Romani dopo il refrain del coro, Mayr riprende la modalità
strofica: ignora insomma la 399 Prima del 1800 a Milano si preferivano Finali
complessi mentre a Venezia no (e infatti la Lodoiska milanese complica
un finale originariamente semplice). Dopo quell’anno, invece il Finale complesso
si era affermato anche nella città lagunare. Tre dei librettisti di Mayr, Foppa
Sografi Gonella, si erano affermati ben prima che Mayr cominciasse a comporre e
non avevano dimostrato alcun interesse per questa forma. Sografi lo usa solo
due volte su 17 libretti (le due opere per Milano strutturazione del libretto
e, anziché far cantare il giuramento di fede nuziale dagli sposi uniti, lo fa
ripetere a turno testualmente, sia dal punto di vista poetico che musicale,
prima da GIASONE , con controcanto a parte di Medea, poi da PRINCIPESSA
CREUSA e Creonte, a terze paralle, con controcanto a parte di Egeo; solo
dopo che sono state così cantate le tre strofe previste da Romani, il reciproco
giuramento è solennizato da una lunga sezione di 25 battute a cinque strutturata
a frasi ripetute aabbcc400, che per stabilità armonica e povertà tematica suona
come coda conclusiva della sezione. La ripresa del coro iniziale,
questa volta non testuale e cantata in Sol maggiore, dovrebbe concludere
la cerimonia se non fosse interrotta dall’intervento di Medea che rovescia
l’altare e terrorizza il popolo: a Medea basta una frase di otto battute per
commettere il delitto e tre frasi in costante contrazione metrica, per
cantare i sei versi di minaccia (es. 16). Come si vede in queste semplici
battute, nei finali di Mayr prevale una logica di tipo additivo che tende di
volta in volta ad esaurire il contenuto delle singole situazioni giustapposte e
a consumarne la carica drammatica senza spingere in avanti, anticipandola, l’azione.
Questo vale sia per la costruzione di singole frasi sia per le principali
sezioni formali: grazie alle tecniche imitative, esse sono spesso costruite per
somma di pochi incise tematici principali. Il Concertato che segue questo ampio
e variegato tempo d’attacco, per esempio, è diviso in due sezioni, la prima
costruita sull’esposizione di un periodo di 4 + 9 battute; la seconda, invece,
su una melodia di 11 battute complessive, trattata con procedimenti imitativi
che combinano incisi tratti dalle due frasi della prima sezione (es. 17). Sebbene
il codice formale del Finale rossiniano sembri già delineato, soprattutto per la
polarità tonale impostata sul Do maggiore prevalente e il La bemolle del
concertato, fra I pilastri principali della struttura tutte le sezioni hanno un
assetto ben diverso da quello che si affermerà pochi anni dopo: il processo di
accumulo di materiale messo in opera da Mayr privilegia di gran lunga il tempo
d’attacco e la stretta, almeno per dimensioni complessive. Come si vede dallo
schema, le molte sezioni in cui è articolato il tempo d’attacco necessitavano
di un adeguato contrappeso a ridosso della fine dell’atto per chiudere il sipario
in una situazione drammatica aperta e togliere l’illusione di stabilità imposta
dalla cerimonia nuziale401: precedenti al 1800). Su tutto questo cfr. Scott L.
Balthazar, Mayr Rossini, and the Development of the Early Concertato
Finale -- Charles Brauner osserva giustamente come questo non sia uno
schema usuale per le sezioni lente: in effetti l’intera sezione a 5 non
è la sezione concertata del finale, ma solo l’amplificazione solenne del reciproco
giuramento di GIASONE e PRINCIPESSA
CREUSA: Brauner definisce questa costruzione strofica con coda
«cumulative strophic ensemble» (Charles Brauner, Vincenzo Bellini and the
Aesthetics of Opera Seria in the First Third of the Nineteenth Century. Daniela
Tortora, Drammaturgia del Rossini serio osserva che nella partitura della
Donna del Lago non c’è una musica che accompagni il movimento del coro
previsto dalla Coro Larghetto (Fa). C tagliato. TEMPO D’ATTACCO
Moderato Do-Sol-do-Lab, C Coro Larghetto Fa, C tagliato Andante,
Si bemolle ¾ Coro/Medea Allegro vivace Sol, C Medea/Coro, Allegro
vivace, Mi bemolle, C CONCERTATO Andante, La bemolle, C TEMPO
DI MEZZO [Andante, La bemolle-Do, C] STRETTA Allegro
vivace, Do, C Il concertato è ridotto a poco più di una frase tematica
sviluppata con scrittura contrappuntistica e senza forma coerente. Un rapidissimo
tempo di mezzo modula e in 10 battute torna dal La bemolle del
concertato al Do maggiore. La stretta conclude, infine, in una
settantina di battute in Allegro vivace il Finale I: come il cantabile,
anch’essa è costruita su un lungo fugato, senza articolazioni o riprese
interne, elaborato su una semplice frase di dieci battute. Mentre i
personaggi principali si alternano e ripetono nella massima irregolarità
frammenti di questa frase iniziale, il coro insiste con regolari interventi
omoritmici di due/quattro battute, dall’armonia molto regolare: garantisce così
coerenza formale alla sezione ed evita che la pagina musicale si frantumi
in effetti sonori dispersivi. Il procedimento lo si trovava già nella GIASONE
E MEDEA di Cherubini e lo si ritroverà
ancora nella Zelmira di Rossini, sempre con effetto descrittivo del
disperdersi della folla402. Il Finale I di Medea in Corinto dimostra
come l’articolazione in quattro sezioni fosse stato l’approdo del
vecchio duetto bipartite tardosettecentesco, dopo che erano state acquisite
le articolazioni in più movimenti elaborate nell’opera comica: come nel duetto
descritto da Choron e Gervasoni, I pilastri principali del numero sono
infatti una serie di strofe parallele dei protagonisti e una seconda
sezione a ritmo incalzante e fugata dove tutti gli attori presenti in scena
cantano simultaneamente403. La funzione tutto sommato accessoria in cui Mayr
relega il concertato e il tempo di mezzo è evidente anche nel Finale II
dove le due sezioni intermedie sono del tutto assenti. TEMPO D’ATTACCO didascalia
del libretto alla fine dell’atto I; in Medea in Corinto, invece, sebbene
la musica termini con le ultime battute del coro, senza coda orchestrale, il
coro stesso è in grado di reggere e scandire tutti I frenetici movimenti
previsti dalla didascalia scenica di Romani. 402 Cfr. Marco Emanuele, L’ultima
stagione italiana. Le forme dell’opera seria di Rossini da Napoli a
Venezia. Ma l’idea del fugato come descrizione di una folla che si disperde
si trovava già nelle Storie bibliche di Johann Kuhnau o nei mottetti
concertati secenteschi. 403 Sull’analogia dei movimenti di apertura e chiusura
dei numeri in più sezioni con gli originari movimenti bipartiti, cfr. anche
Scott L. Balthazar, Mayr and the Development of the Two- Movement
Aria. Allegro agitato, Do minore, C [Allegro agitato], Do maggiore-Mi
bemolle-, C STRETTA Allegro vivace Re minore 6/8 Certo, le dimensioni più
ridotte di questo numero rispetto al precedente si giustificano col fatto che
la vera conclusione dell’opera è collocata, come spesso avviene, subito prima
della scena finale, nel Rondò della prima donna404; il Finale II, conferma però
che le 112 battute di fugato conclusivo servono a controbilanciare la lunga
serie di strofe parallele (141 battute) che contraddistingue, qui come nel
Finale I, il tempo d’attacco. Tanto questo è definito, dal punto di vista
tematico e dal punto di vista drammatico, tanto l’altro è indefinito e
tematicamente inconsistente: i Finali sono insomma veri drammi nel dramma,
che definiscono e sviluppano situazioni diverse dei personaggi per poi
liquidare le tensioni accumulate. Esistono due tipi di introduzioni: uno basato
sull’uso del coro cui si aggiunge un personaggio comprimario e se ne forma un
completo pezzo, sebbene secondario ne’ suoi esecutori; l’altro, l’introduzione
squisita che nell’includere uno o più personaggi principali diviene un composto
quadro musicale che nella gradazione delle parti tien il carattere della grande
scena. Le indicazioni proposte da Ritorni sulla natura, sulla struttura e sulla
funzione del numero introduttivo nell’opera in musica del primo Ottocento non
calzano nel caso di Giasone e Medea in Corinto405. In essa Romani aveva
chiaramente ricalcato modelli francesi tratti dal libretto che Hoffman stese
per Cherubini406, eccentrici rispetto alle consuetudini italiane. Come
dimostrato nell’analisi del libretto, infatti, in entrambe le Medee l’esordio
prevede la principessa in ambasce d’amore accudita e consolata dal coro di
damigelle che provano a rassicurarla sulla sua felice sorte. L’introduzione si
configura insomma come dialogo tra coro e comprimaria, ed evita quindi sia le
forme della «proemiale cerimonia» destinata a 404 Daniela Tortora, Drammaturgia
del Rossini serio. Tortora osserva che, «qualunque sia l’esito del dramma,
lieto o tragico … esso richiede comunque un momento forte, carico dal punto di
vista drammatico, che funga da raccordo, da ‘riduttore’ tra tutto ciò che è
accaduto prima (mi riferisco alle altre parti dello scioglimento) e ciò che
costituisce l’ultimo gesto, perlopiù squisitamente musicale, dell’intera
vicenda». È un fatto di enorme importanza nell’economia della materia
drammatica all’interno dell’ultimo atto e dell’opera tutta: il momento
cruciale, fondante dell’intera unità non coincide con l’ultimo numero, o
meglio, con la parte terminale dell’ultimo numero, ma si situa al di qua delle
battute conclusive della partitura. In altre parole il baricentro dell’atto non
è spostato, come nel caso della prima unità, verso il numero conclusivo, … ma
lo precede seppure di pochissimo, o semmai ne costituisce la parte
iniziale». 405 Ritorni, Ammestramenti; sulla questione cfr. Daniela
Tortora, Drammaturgia del Rossini serio che dà alcune indicazioni
sul numero introduttivo. 406 Romani rispetta invece perfettamente le
convenzioni sui numeri che seguono l’introduzione: «Dopo l’introduzione bisogna
pensare alle così dette sortite de’ primari personaggi, le quali sogliono dar
luogo ordinariamente a tre cavatine,precedute da breve recitativo, e più spesso
ex abrupto …. Qualche volta [ed è il nostro caso] si concerta un duetto
fra due primi, avantiché esca il terzo personaggio colla cavatina» (Carlo
Ritorni, Ammaestramenti), ma cfr. Daniela Tortora, Drammaturgia del
Rossini serio ritardare l’avvento dell’azione vera a propria, con il
conseguente fasto musicale e ricchezza scenica, sia quelle del «modesto
principio» invocato per «far pianamente narrare di che si tratta»407. Il
trattamento del segmento introduttivo nell’opera rossiniana avrebbe previsto, accanto
al contenuto parzialmente espositivo, l’inclusione di frammenti d’azione o lo svolgimento
di intere sequenze dinamiche, che avrebbero sovvertito sostanzialmente l’equazione
tardo settecentesca dell’introduzione come situazione statica408. Ma la tradizione
testuale di Giasone e Medea in Corinto consentiva d’accostare un
comprimario al coro e di avviare così l’opera con un numero musicale complesso,
su un nodo affettivo cruciale, senza impegnare necessariamente la prima donna o
il primo uomo. Mayr e Romani articolano allora il numero in quattro sezioni e
prevedono che PRINCIPESSA CREUSA s’aggiunga all’ultima delle tre strofe del
coro, così da fare del brano corale una sorta di tempo d’attacco. Cavano poi
un’aria per PRINCIPESSA CREUSA, i cui due movimenti lento/veloce sono separati
da un lungo tempo di mezzo dialogico. Coro e poi PRINCIPESSA CREUSA (Moderato,
Fa maggiore) I (Allegretto, Fa maggiore) TEMPO DI MEZZO
(Moderato, Si bemolle) STRETTA (Allegretto con moto, Fa maggiore) Parrebbe
una aria in “solita forma” regolare, ma è difficile indentificare un cantabile nel
primo movimento successivo al coro, vista l’indicazione ‘Allegretto’ e il ritmo
propulsivo che lo caratterizza; difficile anche riconoscere nella sezione
conclusiva una vera stretta, visto che si presenta piuttosto strofica col tema
cantato in apertura da PRINCIPESSA CREUSA, immediatamente ripetuto da Creonte
(es. 18) e amplificato poi da una lunga coda. La suddivisione in due parti
dell’aria e l’ampia espansione del dialogo a strofe parallele del tempo di
mezzo sono però chiaramente delineate e conciliano ottimamente esigenze espressive
(l’ansia di PRINCIPESSA CREUSA), retoriche (frizzante apertura dello spettacolo
e adeguato contraltare alle note tragiche dell’overture prevalentemente
composta in Re minore), informative (dialoghi che spiegano la situazione del
mito dalla quale muove lo spettacolo)409. 407 Carlo Ritorni, Ammaestramenti.
Diverrà così uno degli ambiti privilegiati per la creazione di un momento
forte, capace di dare avvio all’azione drammatica se non altro in termini di
contrapposizione affettiva; frequente sarà anche l’inclusione di un personaggio
che dissente, il cui sentimento non risulti omologato al clima festoso e/o
funesto dello scenario circostante: cfr. Daniela Tortora, Drammaturgia del
Rossini serio cit., Sulle introduzioni settecenesche, sebbene in altri
àmbiti stilistici, cfr. Stefan Kunze, Per una descrizione tipologica
della «introduzione» nell’opera buffa del Settecento e particolarmente nei drammi
giocosi di Carlo Goldoni e Baldassare Galuppi, in Galuppiana 1985. Studi
e Ricerche. Atti del Convegno internazionale (Venezia, 28-30 ottore
1985), a cura di Maria Teresa Muraro e Franco Rossi, Firenze, Olschki, 409
Philip Gossett, Gioachino Rossini and the Conventions of Composition, in
«Acta Musicologica», XLII, sosteneva che l’introduzione rossiniana ha una
struttura ternaria, con sezione d’apertura riservata al coro e includente uno
dei personaggi comprimari, un Per il resto sono qui presenti altri criteri
convenzionali delle introduzioni rossiniane: l’introduzione è tonalmente coesa;
non compare la protagonista, così che il numero introduttivo resta al di qua
dell’azione vera e propria; il coro, sebbene femminile e non maschile come
vorrà l’uso successivo all’affermazione dello standard rossiniano410, è presente
e resta in scena anche durante il recitativo successivo all’introduzione411. Quanta
attrazione abbia esercitato il modello rossiniano perfino sui più autorevoli maestri
della generazione appena precedente, è evidente dalla regolarizzazione che l’introduzione
di Medea in Corinto subì nell’allestimento scaligero del 1823, poi
adottata anche in quello al Carcano del 1829. La stretta originaria rimase
intatta, ma venne circoscritta da una nuova cabaletta, con tanto di ripresa.
Nei teatri milanesi l’Allegretto con moto cominciò infatti con una nuova
melodia di Creonte, ‘Vederti felice d’un prode consorte’, che in 22 battute
cantò una nuova lassa di otto versi, prima che PRINCIPESSA CREUSA potesse intonare
il suo ‘Ah!, splenda propizio’. La vecchia stretta divenne una lunga
transizione al termine della quale Creonte ripeté la cabaletta iniziale prima
che tutti si siano uniti a lui nella coda conclusiva del numero. È
evidente che in questo modo la voce di Creonte assunse maggior rilievo
nell’economia dell’introduzione: fu d’altronde una conseguenza del nuovo
assetto del numero, inteso a concedere più spazio alla voce di basso,
trascurata nelle prime rappresentazioni napoletane. Anche il tempo di mezzo,
infatti, venne sostituito: un Allegro dell’intero coro introdusse una cavata di
Creonte (Maestoso). In 26 battute di melodia aperta il sovrano cantò i sei
versi che annunciano alla principessa la vittoria di GIASONE e il favore paterno alle sue nozze con l’eroe.
movimento lento (cantabile) per la presentazione di un personaggio principale,
cui fa seguito una cabaletta (terza sezione) con aggiunta di coro e di altri
eventuali personaggi presenti in scena. Secondo Daniela Tortora, Drammaturgia
del Rossini serio cit., già nell’opera rossiniana vi erano però trope eccezioni
a questo modello per poterlo considerare standard. L’assenza di vere e
proprie cabalette e la sostanziale sostituzione del cantabile con un numero
propulsivo in ritmo ternario confermerebbero che almeno nel 1813 la convenzione
di cui parla Gossett era ancora assai poco consolidata. 410 Anche questo spiega
perché il Teatro della Società di Bergamo nel 1821 ritoccò le introduzioni per
trasformare il coro da femminile a maschile. 411 Rispetto allo standard rossiniano
ricostruito da Daniela Tortora, Drammaturgia del Rossini serio cit.,
nell’introduzione di Medea in Corinto mancano anche cavatine tenorili. Le
Opere serie allestite al San Carlo di Napoli tra l’arrivo di Giuseppe Bonaparte
e la caduta di Murat412 [1806]-1807 sono: Artemisia di Marcello
Marchesini e Domenico Cimarosa, Il trionfo di Tomiri di Filippo
Cammarano e Gaetano Andreozzi, Elisa di Gaetano Rossi e J. Simon Mayr,
Climene di C. De Palma – Giuseppe Farinelli, 1807-1808, Aristodemo
di Gaetano Rossi e Stefano Pavesi, Orazi e Curiazi di Antonio Simone
Sografi e Domenico Cimarosa, Penelope di Giuseppe Maria Diodati e
Domenico Cimarosa, I Pittagorici di Vincenzo Monti e Giovanni Paisiello,
Edipo a Colono di Nicolas François Guillard (tr. G. Schmidt) e Antonio
Sacchini, Trajano in Dacia di Michelangelo Prunetti e Giuseppe Niccolini,
1808-1809, Argete di ? e Francesco Gnecco, Giulietta e Romeo di
Giuseppe Foppa e, Nicola Zingarelli, Giulio Sabino di Gabriele Rossetti
e Giovanni Battista De Luca, La clemenza di Tito del Metastasio e
Wolfgang A. Mozart, Aristodemo di Gaetano Rossi e Stefano Pavesi, 1809-1810,
Annibale in Capua (missing line) Bajazet di Piovene e Giovanni
Battista De Luca, Cesare in Egitto di Giovanni Schmidt e Giacomo Tritto,
1810-1811, Marco Albinio in Siria di ? e Giacomo Tritto, Adelasia e
Aleramo di Foppa e J. Simon Mayr, Odoardo e Cristina di Giovanni
Schmidt e Stefano Pavesi, La conquista del Messico di Luigi Romanelli e
Ercole Paganini, 1811-1812, La Vestale di De Jouy-Schmidt e Gaetano
Spontini, Pirro di Giovanni De Gamerra e Giovanni Paisiello, Il salto
di Leucade di Mosca e Schmidt, 1812-1813, Ifigenia in Aulide di
Gluck e Du Roullet-Schmidt, I Manlii di Giovanni Schmidt e Giuseppe
Niccolini, Ecuba di Giovanni Schmidt e Nicola Manfroce, Zaira di
? e Vincenzo Federici, Gaulo ed Oitona di Leopoldo Fidanza e Pietro
Generali, Nefte di Andrea Leone Tottola e Valentino Fioravanti, I
riti d’Efeso di Gaetano Rossi e Giuseppe Farinelli, 1813-1814, Marco
Curzio di Giovanni Schmidt e Luigi Capotorti, I Manlii di Giovanni
Schmidt e Giuseppe Nicolini. L’elenco è tratto da Elvidio Surian, Organizzazione,
gestione, politica, teatrale e repertori operistici a Napoli e in Italia,
1800-1820 cit., e dalla cronologia del San Carlo in Il Teatro di San
Carlo, cit., I riti d’Efeso di Gaetano Rossi e Giuseppe Farinelli,
La Vestale di de Jouy-Schmidt e Gaspare Spontini “Giasone e Medea in
Corinto” di Felice Romani e J. Simon Mayr, I baccanali di Roma di
Andrea Leone Tottola e Giuseppe Niccolini, Partenope di Antonio Maria
Ricci e Giuseppe Farinelli, Donna Caritea di Paolo Pola e Giuseppe
Farinelli, 1814-1815, “Giasone e Medea in Corinto” di Felice Romani e J.
Simon Mayr I Manlii di Giovanni Schmidt e Giuseppe Nicolini, La
Vestale di de Jouy-Schmidt e Gaspare Spontini, Donna Caritea di Paolo
Pola e Giuseppe Farinelli, Ginevra di Scozia Gaetano Rossi e J. Simon
Mayr, Alonso e Cora di P. Antonio Bernardoni e J. Simon Mayr, Sargino
di Giuseppe Foppa e Ferdinando Paër La morte di Semiramide di ? e
Sebastiano Nasolini. La Ricostruzione dello schema dell’opera precedente ai
tagli napoletani del 1813 e cosi. Nei faldoni dell’archivio Mayr conservati
alla Biblioteca civica di Bergamo si trovano diversi fogli sciolti con
recitativi previsti nell’opera Medea in Corinto, che tuttavia non
vennero compresi né nel libretto né nelle partiture manoscritte. Un primo
documento413 indica il progetto di un trio tra GIASONE , Creonte ed
Egeo; il testo del recitativo precedente venne parzialmente accolto nelle scene
edite sì, ma per brevità non cantate, del libretto napoletano del 1813 (I,12): Dopo
la sortita di Egeo. Subito. CREONTE Principe, tutto è pronto in pochi
istanti con vincolo d’amore a me stretto sarai. GIASONE La man di sposo a PRINCIPESSA CREUSA porgendo
oggi son io doppiamente felice perché padre, o signor, dirti mi lice. CREONTE A
Medea favellasti? Il suo decreto come ascoltò? GIASONE Come ascoltar lo puote colpevol donna, che sdegnati
i numi ai rimorsi fan serva. Ella mi accusa de’ suoi delitti e degli affanni
suoi. Ma perché mai tu vuoi di lei parlando funestarmi, o sire, questo felice
dì? CREONTE Di lei si taccia: nulla mi cal purché a partir sia presta. A PRINCIPESSA
CREUSA or n’andiam, sieguimi. EGEO T’arresta. Segue scena e terzetto di GIASONE
, Egeo, e Creonte, numeri del terzetto 18, 19, 20. GIASONE ,
Creonte. “CREONTE Principe, tutto è pronto. In poch’istanti, “ con vincolo
d’amore, “ a me stretto sarai. “GIASONE La man di sposo “ a PRINCIPESSA CREUSA
porgendo, oggi son io “ doppiamente felice; “ perché padre, o signor, dirti mi
lice. “CREONTE A Medea favellasti? Il suo decreto “ come sentì? “GIASONE Vedila... (oh dio!) s’avanza. [Segue
terzetto di Medea, GIASONE e Creonte e
quartetto degli stessi con Egeo, anch’esso non cantato] Al terzetto,
il cui testo è ora perduto, sarebbe dovuta seguire un’altra scena tra Egeo e
Medea, forse con duetto conclusivo: Dopo il terzetto EGEO Oh mio furor,
né ad impedir tal nozze avrò poter? In faccia a tutti i greci soffrirò tanto
oltraggio? A chi mi volgerò? MEDEA Al tuo coraggio. Siegui i miei passi. Onta
comune abbiamo, comune avrem vendetta. EGEO E tu chi sei che dei torti miei osi
a parte venir? MEDEA Medea son io. Ti basti il nome mio. Vieni, raduna i tuoi
seguaci; all’abborrite nozze non invitati andremo. EGEO Teco son io. Piena
vendetta avremo414. 413 Nell’Archivio Mayr conservato dalla Biblioteca civica
di Bergamo si trovano 5 faldoni di carte relative a Medea in Corinto: 319-322,
381. Questi recitativi stanno nel faldone 322: d’ora in avanti indicherò le
carte bergamasche con l’abbreviazione «Bergamo, numero faldone/numero documento
al suo interno». In questo caso Bergamo, 322/6. 414 Bergamo, 322/19. Sempre a Bergamo
si trova anche una lunga scena di recitativo415 che doveva preludere ad un
duetto tra Medea e Creonte: i versi del recitativo sono in parte disciolti nella
scena antecedente il duetto di PRINCIPESSA CREUSA e GIASONE nel second’atto (II,6-7). Dopo l’aria di
Egeo TIDEO Signor, come imponesti pronto è il naviglio che da questi lidi
tragga lunge Medea. CREONTE Vanne, e l’iniqua alla partenza affretta. TIDEO
Ella i tuoi cenni prevenire sembra: non fu vista mai così tranquilla e al suo destin
sommessa: io temo in lei fin la sua calma istessa. GIASONE Sì, parta all'istante: infine che spira l’aura
di questo ciel io non ho pace. CREONTE Io d’imeneo la face un’altra volta
estinta mirar temo, e comparir funesta l’empia dell’ara al piè. ISMENE Signor,
Medea invia … MEDEA (!), PRINCIPESSA CREUSA, GIASONE Medea che chiede? ISMENE Pria di spiegar le
vele brama ottener al suo fallir perdono ed alla sposa in dono la preziosa
invia veste regale che da Colco recò. Né a voi chiede del dono suo mercede, fuor
che per pochi istanti al re parlar. CREONTE No, non mi venga innanti. La
perfida si tenga tutti i suoi doni. ISMENE Di pentita donna puoi tu sdegnar le
preci? PRINCIPESSA CREUSA Ah, cedi, o padre, non t’irritare; purché a noi
s’involi, questo accordar ti piaccia lieve ad essa favor. CREONTE Ebben si
faccia. Venga Medea; se te il suo dono alletta. teco, o figlia, rimanga. Ambi
frattanto al domestico altar mi precedete: pronti al felice imene, raggiungerovvi
in breve. Ite, ella viene. Segue Scenetta e duetto di Medea e Creonte. [Dopo
l’aria di Egeo] CREONTE Amico, a te soltanto obbligo io porto della
salvezza di PRINCIPESSA CREUSA. Egeo forse a noi la rapìa, se il tuo soccorso a
tempo non giungea. Dimmi: vedesti cotanta audacia mai? L’empia Medea capace io
non credea di sì feroce esempio, in faccia a’ numi, innanzi all’ara, al tempio.
TIDEO: Tradita donna e che non osa mai? CREONTE: Finché tra noi rimane, ogni altro
eccesso macchinar potria. TIDEO: Dì: la vedesti più? CREONTE: Più non la vidi. L’empia
non osi comparirmi innanti. SCENA 7: PRINCIPESSA CREUSA, Creonte, Tideo PRINCIPESSA
CREUSA: Padre, per poch’istanti, pria di partir, chiede Medea, placata, i suoi
figli veder. CREONTE: Lo chiede invano. PRINCIPESSA CREUSA Ah! de’ misfatti
suoi pentita appieno, misera!, implora pace e il tuo perdono. Di così lieve
dono m’offre in mercede la gemmata vesta che di Colco recò. CREONTE Tutti si
tenga la perfida i suoi doni. PRINCIPESSA CREUSA Ah! no; se m’ami, t’arrendi al
suo pregar: recale i figli, e le accorda il perdon che a te richiede, la spoglia
accetta, che donar concede. Dopo alquanta pausa. CREONTE Ebben, lo vuoi:
si faccia. appaga il tuo desio. Sappia Medea ch’io le perdono. Addio. Parte
con Tideo [segue scenetta e duetto di PRINCIPESSA CREUSA e GIASONE ].
Previsti dopo l’aria di Egeo del second’atto, questo recitativo e il seguente
duetto tra Medea e Creonte dovevano interporsi fra la seconda aria di Egeo e il
duetto Medea/Egeo: non è inverosimile, visto che anche nel primo atto la
successione originaria dovette essere aria di Egeo, terzetto Egeo/Creonte/GIASONE
e, (probabilmente) duetto Medea/Egeo. Un ultimo recitativo conservato a Bergamo
(NOTA 416) potrebbe d’altronde confermarlo: si tratta di poche battute di
Ismene, dove la confidente esprime l’ansia e il dubbio di essere diventata complice
inconsapevole della vendetta di Medea, un’idea che sarà di lì a poco ripresa da
Della Valle. Bergamo, 322/17. Bergamo, 322/9.ISMENE Dove corre? E qual nel suo
sembiante gioia traspar feroce, or che perduta ogni speranza è in lei e gli
odiati imenei compiuti sono? Qual mistero fatal cela il suo dono? O ciel! Me
stessa avria forse ministra eletta di terribil vendetta? Mel predice
quest’improvviso e nuovo turbamento crudele che in petto io provo. Segue
scena e aria di GIASONE. Questo recitativo sembra seguire una precedente
sortita di Medea furiosa. Poiché deve necessariamente seguire il duetto tra
Medea e Creonte, visto che dal recitativo precedente a questo risulta che la
vendetta non è ancora stata consumata, e poiché deve invece precedere la
drammatica aria con coro di GIASONE in
cui si rende noto che la vendetta ha già avuto effetto, si deve presumere che
tra quei due numeri Medea abbia avuto modo di esprimere adeguatamente il suo
furore. Non può averlo fatto con Creonte
stesso, con il quale per logica drammatica e per tradizione testuale deve certamente
essere stata remissive. Potrebbe averlo
fatto da sola, ma si dovrebbe allora contemplare una sua quarta aria solistica
– oltre alla cavatina nel prim’atto, alla scena dello scongiuro e al rondo ‘Ah!
che tento’ del secondo –, tre delle quali, inoltre, collocate nel
second’atto. Resta da presumere che
abbia avuto modo di incontrare nuovamente Egeo e di esprimere col complice la
propria furia. Proviamo a ricostruire lo schema originario dell’opera in questo
modo e indichiamo con carattere grassetto i numeri soppressi: 1) Introduzione 2)
Coro e cavatina di GIASONE 3) Coro e
cavatina di Medea 4) Duetto Medea - GIASONE (musico) 5) Aria di Egeo 6) Terzetto
di Creonte, GIASONE ed Egeo 7) Duetto Egeo - Medea 8) Finale I 9) Introduzione II 10) Aria dello
scongiuro di Medea 11) Duetto GIASONE e PRINCIPESSA
CREUSA 12) Aria di Egeo 13) Duetto di Creonte e Medea 14) Duetto Egeo -
Medea 15) Rondò di Medea 16) Finale II. In
tutti i testi che ho esaminato e di cui rendo conto nel dedicato al libretto, nel secondo incontro
con Creonte Medea ha già deciso di ricorrere alla vendetta e dà fondo a tutte
le sue doti dissimulatrici per tranquillizzare il sovrano e assicurarsi il
successo del delitto. L’appendice non comprende le recensioni successive al
1823 che videro protagonist Giuditta Pasta. Il numero dei testi sarebbe eccessivamente
cospicuo e gran parte di essi si posson leggere nelle biografie della cantante
citate nelle note al . «Il Monitore delle due Sicilie», 30.11.1813419. MEDEA
IN CORINTO, melodramma tragico di G. F: Romani, rappresentato nel Real Teatro
di San Carlo; musica del Maestro Mayer. Un felice successo ha ottenuto
questa magistrale composizione del Signor Mayer, e creder dobbiamo che sarebbe
stato più grande e compiuto se la Signora Colebrand (“Medea”) si fosse trovata
perfettamente guarita da un’ostinata infreddatura, che da alcuni giorni innanzi
aveale sensibilmente indebolita la voce. Uno degli argomenti più irrepugnabili,
che la composizione è degna della fama cui meritatamente gode il compositore, è
che i pezzi musicali sono molti, alcuni di essi si succedono senza intervallo di
recitativo e che ciò non stanca né annoia gli uditori. Così di fatto deve andar
la bisogna, non già quando il maestro per musicare un dramma420 va a frugare o
ne’ suoi o negli altrui vecchi scartabelli, per appiccicare ad un’aria, o ad un
duetto tale o tale altro pezzo di musica, che spesso è un abito di militare
posto in dosso ad un vecchio e grave magistrato, ma quando il maestro ha un
ricco fondo d’immaginazione, di discernimento, e di mezzi somministrati
dall’arte onde i pezzi sono legittimi ed originali, e perciò si mostrano tutti con
una certa fisionomia di famiglia, e con quella necessaria varietà di tratti, e
di sembianza che la natura del sentimento e la qualità delle parole richiedono.
Tutti adunque i pezzi di melodia sono in generale belli e dilettevoli, ma i
bellissimi sono al parer nostro i due finali degli atti, e le due scene di
Medea dell’atto secondo. Le diverse passioni di questa crudelissima e feroce
donna sono espresse con acconce frasi di musica e con maestrevoli passaggi che
dispongono l’animo ora alla compassione ora l’orrore. Forse, come abbiamo
osservato, non hanno prodotto tutto il loro effetto per lo stato di voce, in
cui si trova la Signora Colbrand, ma s’egli avviene, come deve naturalmente
avvenire, e come di buon cuore le auguriamo, che ella ricuperi i suoi schietti armonici
suoni, allora certamente assai meglio rileveranno gli scelti modi musici e la
loro giudiziosa combinazione immaginata dal Signor Mayer, poiché la Colbrand
oltre la felice esecuzione della musica riesce ad accompagnarla e ad avvivarla
col dignitoso portamento della persona e con naturale, analoga gesticolazione. Quanto
è da dolersi che oggidì il gusto, non già quello di pochi ed intelligenti amatori
dell’arte ma dell’universale, sia così guasto e corrotto, che si ami più
l’armonia degli strumenti, che la melodia del canto? Aver dimostrata in questa,
come in altre sue opere che egli conosce i vantaggi ed i ripieghi che posson
trarsi dai suoni della lingua italiana per una perfetta melodia. Ora perché
adunque si abbandona anch’egli alla corrente della moda col lusso
dell’istrumentazione negl’intervalli preparatorj, e perché talvolta affoga
anch’egli la melodia del canto con la fragorosa armonia dell’orchestra, che lo accompagna?
Forse non si va dietro le tracce degli antichi compositori italiani nell’economia
degli accompagnamenti, perché al mancar di questi insigni maestri, sono ancora
mancati i cantanti, e fra questi spezialmente quei che appellavansi
propriamente musici? Se così è, noi ripeteremo a proposito della Medea
di Mayer ciò che il sagace marchese Caracciolo scriveva al D’Alembert sull’Orfeo
di Gluck. Potrebbe darsi che questo sistema di musica teatrale
sia il limite di una buona musica d’opera, perché gl’italiani hanno
degenerato, e dovendosi sempre più cuoprire e sostener le voci debbonsi per
conseguenza far regnare gl’istrumenti sopra esse. 419 Cambierà poi titolo in
«Giornale delle due Sicilie», e sotto tale titolo è schedato alla Biblioteca
Nazionale di Napoli, sotto l’indicazione B Prov. Per. 179. 420 «La voce
musicare è registrata nel Vocabolario della Crusca per cantare in musica, ma il
Machiavelli l’ha usata ancora per mettere in musica; ecco le sue parole. “Noi
abbiamo fato cinque canzoni nuove … e si sono musicate per cantarle tra gli
atti” ecc. Neppure il diligentissimo Alberti ha notato questa voce nel suo gran
Dizionario» (nota originale). Nel Duetto del Primo Atto, nel Finale, ed altri
Pezzi Cantabili Del Secondo si sono pure distinti il signor Nozzari e la
Signora Pontiggia – questi per la maestria del canto e l’arte di ben condurlo,
e questa per il non comune pregio di una distinta e Chiara sillabazione, per
una voce grata ed estesa, e le fondate speranze che ella dà di riuscire una delle
migliori cantanti d’Italia, spezialmente se ella si studia di formarsi ad una
azione più disinvolta ed espressiva. Diciamo qualche cosa del libretto. Quanto
allo stile non differisce dagli altri di simil genere, ma nella seconda parte
nelle espressioni di Medea vi è qualcosa di bene immaginato per la proprietà del
personaggio e per suggerire buoni e varj modi musicali all’avveduto maestro.
Non si sa per altro perché l’autore abbia introdotto quella parte parassita
d’Egeo, che potendo fare un’azione da se stessa distrae gli animi dalla
principale azione. Il Signor Garzia l’eseguisce benissimo, ma nessuno potrà
figurarsi che il padre di Teseo si ponesse in attitudini sì ricercate e
leggiadre e cantasse mollemente. Questo eroe arriva a Corinto con una forte
armata, e nessuno de’ Corinti se n’è accorto, onde in tal guisa può agevolmente
disturbare le nozze di GIASONE con PRINCIPESSA
CREUSA. Ma queste ed alter considerazioni sono superflue, ed inutili. La musica
è originale e di buon genere. Lo spettacolo è magnifico e ben decorato secondo
il consueto, ed è suscettivo di maggior effetto in proporzione che la Signora
Colbrand riacquisterà la sua voce. 15 dicembre 1813, p. 3 Real Teatro di San
Carlo. Medea in Corinto – La Colonia Quanto più si ascolta con
attenzione questa musica del maestro Mayer, tante più sono le bellezze
intellettuali di composizione che gl’intelligenti vanno scuoprendo, ne’ diversi
pezzi, già da noi un’altra volta notati, come pezzi d’effetto sia per le frasi
felici e veramente conformi all’idea delle cose, come per la loro originalità
per la loro varietà e per la dottrina musicale che traluce da per tutto. La
composizione potrebbe dirsi del buon genere gluckiano di quel genere cioè che i
profondi conoscitori e gli apprezzatori della musica antica, appellavano il
migliore e il più conveniente avuto riguardo ai continui cangiamenti a cui
vanno soggette tutte le cose umane. Invano sperano coloro che furono dotati
dalla natura di felice e ben costrutto orecchio d’uscire dal teatro
canterellando e ripetendo qualche aria o qualche duetto: i passaggi, le frasi e
la loro costruzione sono sì varj e sì difficili che la memoria ed il gusto più
squisito non giunge mai ad afferrarli con sufficiente precisione. Vi sono
certamente due specie di musica, una cioè che occupa lo spirito e la mente, e
l’altra che muove ed agita il cuore. La prima sembra regnare nell’opera del
Signor Mayer, ma non debbe dirsi affatto priva della seconda, come per esempio
nel duetto del secondo atto fra GIASONE e PRINCIPESSA CREUSA e sopra tutto nella scena
di Medea co’ figli. A noi pare che le magistrali moderne composizioni per rispetto
al genere musicale stiano a quelle dei Sacchini, dei Pergolesi, dei Paisiello
come per rispetto alle teatrali rappresentazioni di dolci e facili drammi del
Metastasio alle studiate e severe tragedie dell’Alfieri. Ed è ben vero che
queste nel loro genere sono ottime, o si accostano all’ottimo, ma vi ha molto
da dubitare che il passaggio da un genere all’altro nelle composizioni musicali
abbia migliorato l’altre ed i suoi effetti, come nelle drammatiche . Le
bellezze d’invenzione ne’ modi musicali, nel primo genere, sono, a parer
nostro, sensibili nella scena V dell’atto II, nella quale Medea evoca le ombre
infernali, per ammaliare la veste destinata in funesto dono alla rivale. Non
crederemo quasi che possa farsi una musica più esprimente il soggetto, né più
analoga alle parole della maga, ed alla qualità del coro che risponde, e non
solo questo coro, che per se stesso è bene immaginato, ma ancora li altri sono
stati lavorati con tant’ arte che fa sentire una certa melodia ed impedisce le
ordinarie stonature dei Coristi. Noi finiremo questo breve articolo con
l’osservare una cattiva conseguenza che nasce dal troppo numero di pezzi cantabili
che sogliono introdursi nelle opere moderne, ed è che quando si succedono
senza interruzione una sera dopo l’altra i cantanti si trovano spossati di voce
e di forze; il che diminuisce d’assai l’azione e l’effetto del canto. Nell’antico
sistema non si avevano tanti pezzi concertati, tante arie, e tanti duetti,
terzetti ecc. né il canto era così complicato e difficile onde potersi mettere
in iscena un’opera per tre o quattro sere consecutive senza alcuno
inconveniente. Noi crediamo di dover ascrivere a questa causa il sensibile
indebolimento di alcune voci nella rappresentazione della scorsa sera di
domenica, poiché la stessa opera della Medea era stata ancora cantata nella
sera precedente del sabato… «Giornaletto teatrale ragionato», LXXVII, Milano,
I. R. Teatro alla Scala. Medea – Musica di Mayr. A primo aspetto si
direbbe che il più odioso carattere e l’evento più orribile sono suggetti
esclusi dalla tragedia medesima, semprecché non sia quella che rappresentasi dinanzi
ai figli del Tamigi, tanto più accetta quant’è più truce. Cionnondimeno i
francesi ne han quattro e perfino tre drammi in musica (Autori delle quattro
tragedie sono Jean de la Peruse, Binet, Corneille e Longepierre -- autori dei
drammi Tommaso Corneille, l’abate Pellegrin, ed Hofman; la musica di
quest’ultimo è lavoro di Cherubini. [Nota a pie’ di pagina originale])
-- La maga Medea trinciando a brani il fratello, per agevolare all’amante il
conquisto del Vello d’oro; facendo triturare le membra d’un vecchio
padre da credule figliuole, che fidano di restituirlo per tal’opera in
giovinezza; o trasvolata nella reggia di Creonte per pugnalare i nati dal seno
di lei, dopo avere indossato a PRINCIPESSA CREUSA una veste non meno fatale del
sanbenito; la maga Medea non parve a’ poeti d’Italia argomento di scena,
e meno ancora da melodramma, prima che un valoroso compositore persuaso con Beaumarchais
«che quanto è buono da dire, può esser buono da cantare» , le avesse prestato
il sostegno di una musica sapientissima, e Mayr riuscì nell’impresa. -- Del
resto, prescindendo dall’atrocità del suggetto, poiché quel di Medea combina
eloquenza di affettuosi sentimenti, di esacerbate passioni, la reppresentanza
di misterj magici, e una ceremonia nuziale, ha tutto ciò che serba l’impronta
d’un carattere grandioso e di contrasti che favoreggiano il riparto e il
colorito d’una splendida composizione. -- Infatti questa musica di Mayr è si
pregevole che si risguarda come uno di que’ lampi di luce che balenò allorquando
il vero gusto cominciava a trovarsi alle prese col falso, e mantiene il suo splendore
anche fra gli odierni trionfi di questo, essendo che la forza drammatica vi si combina
colle dolcezze del canto, e sovente in modo originale. -- Questo dramma fu
nello scorso gennaio cantato dagl’italiani in Parigi , e que’ fogli ne
parlarono con lode e senza passioni. Uno, fra gli altri, definì la musica da
perfetto intelligente, né sapremo in miglior modo annunziare, a questo
proposito, l’opinion nostra, che facendone interpreti le sue stesse parole. --
La sinfonia di Medea è gradevole; ma senza carattere deciso e senza unità. L’introduzione
e il principio dell’allegro annunzierebbero bastevolmente bene il
suggetto, se la gravità dei motivi, l’agitazione anzi la veemenza dello
strumentale, rispondessero quinci a questo principio. Il maestro non mantiene
ciò che parea promettere. Odonsi a solo istromenti da fiato nel mezzo
della sinfonia scritta in re minore. Dopo il gran riposo in fa, Mayr
modula in toni troppo lontani dal punto dond’è partito. Il ripiglio del motive
principale non è felice per esser troppo rapida la transizione; e pare che il
maestro non si tragga con bastevol destrezza dal passo difficile ov’erasi
volontariamente inoltrato. Questa sinfonia sarebbe più da opera semiseria che
da opera tragica. Nell’introduzione è assai bello il coro; la cavatina di GIASONE
non è di effetto sicura; ma Medea
appare, e la musica s’ingigantisce come il personaggio che inspira. Se il
duetto con GIASONE avesse un più vivace
andamento sarebbe inattaccabile. La scena della nuzial ceremonia è magnifica.
Il cantico religioso seguito dall’invocazione cantata da PRINCIPESSA CREUSA, da
GIASONE e da Creonte, e a cui s’uniscono
le minacce di Medea e di Egeo, un coro generale, ed una perorazione splendida,
calda ed attraente compongono questo pezzo che piacerà mai sempre ad ogni amatore,
e che gli intelligenti, oltre a ciò, terranno mai sempre in gran conto. Nella
scena in cui Medea apparisce coi proprj figli, Mayr fu maggior di se stesso. Il
corno inglese mesce I suoi lugubri suoni agli accenti d’un dolore acerbissimo e
concentrato, che nello scoppiare dovea riuscir sì funesto. -- Se il finale
dell’atto primo è veramente grandioso, quel del secondo è pregiudicato in parte
dalle combinazioni calcolate per l’effetto materiale; il tuono, il balenare, il
fragore de’ fuochi artificiali impediscono all’uditore il giudicar del merito
di questa parte della composizione. Per altro l’occhio segue Medea negli spazj dell’aria
ed è abbagliato dalla luce; i tromboni vanno a gara col tuono nel fragore, l’orchestra
mena uno strepito d’inferno, i coristi van modulando a gola aperta, il
sipario cala, e il pubblico è soddisfatto. Tanti pregi riuniti in una composizione,
già nota in Italia e fuori, per i ripetuti felici successi che ottenne e
annoverata fra le poche moderne che possono per molti conti server di
esemplare, giustificano la scelta che se ne fece tra noi, onde produrla come
terzo spettacolo nella corrente stagione; essendo il più delle volte assai
miglior consiglio l’aver ricorso a spettacoli già esperimentati, che
avventurare i diletti del pubblico ai rischi d’una novità. Aggiungasi a ciò che
la Medea di Mayr da lunghissimo tempo non erasi udita in Milano; e che
in Parigi, ove dopo una guerra a morte al genere musicale dominante sì seducente
ad un tempo e sì contrario ai principj della grande scuola, i partiti si
composero, aggiudicando un’effimera corona a quest’ultimo, la Medea risvegliò
l’antico amore dell’arte, e ottenne l’onor del trionfo, in cui ebbe singolar
parte il canto e l’azione della Pasta nostra concittadina, non che degli altri
suoi valenti compagni. -- Questo saggio poteva confermare nel proponimento di
rimettere sulle nostre scene una composizione sì distinta; e quantunque l’esito
nella totalità non sembra aver corrisposto all’idea che se n’era concepita,
cionnondimeno non è da dire, che siasi conosciuto il merito di Mayr. – Altronde
se l’importanza di tante parti principali ch’entrano nel dramma, non sembra
proporzionata ai mezzi di alcuni degli attuali cantanti, non è da dire che la
signora Belloc non vesta il carattere di feroce consorte e di madre atroce con
quella forza che si addice a sì difficile personaggio; e non combini i più
disperati contrasti con un artificio di mosse e di modulazioni, che non è sì
facile per chi non abbia quelle doti ch’ella possiede, quell’uso della scena
che la distingue e quello zelo con che si adopera mai sempre nel disimpegno delle
sue parti. -- Se quella di Lablache, quantunque primaria in diritto, non fosse
pel fatto secondaria, e se la bella voce di lui si combinasse in maggior numero
di pezzi colla voce della prima donna, la musica dal lato dell’esecuzione
acquisterebbe in forza e in effetto. Cionnodimeno nessuno potrà negare che il
finale dell’atto primo singolarmente, e la grande scena di Medea, l’uno dalla
totalità degli attori, l’altro dalla signora Belloc, non traggano quella luce,
la quale è bastevole a giustificare anche al presente il posto assegnato alla composizione
di Mayr. Carteggi relativi all’allestimento di Medea in Corinto promosso
dalla Accademia Filarmonica Romana Sessione del Consiglio de’ 3
Agosto 1824 Il Sig.r Presidente ha comunicato l’atto del Congresso di Musica
tenuto il due corrente in cui propone al Consiglio per il Saggio Pubblico di
Settembre prossimo il Tancredi di Rossini, e la Medea di Maïr. Il
Consiglio ha scelto questo a pieni voti, ed ha raccomandato al Sig. Presidente,
che nel parteciparlo al Congresso, lo faccia ricredere delle false
supposizioni, che si leggono nell’atto suddetto. Sig.r Direttore della Musica,
4 agosto 1824. Si è letto nella sessione del Consiglio di jeri l’atto del
Congresso di Musica del giorno antecedente e rimesso in copia dall’Archivista
del Segretario. Il Consiglio, sapendo di non aver fatto alcun atto per proporre
al Congresso l’esecuzione della Medea di Maïr, né di aver asserito che
questo spartito non fosse in Roma reperibile, è rimasto sorpreso come il
Congresso abbia potuto supporlo. Ha gradito però che ad onta di questa
intelligenza, siasi il Congresso deciso a presentargli la detta musica e ne ha
decretato l’esecuzione per il venturo settembre a precedenza dell’altro
proposto spartito. Ha ordinato il Consiglio in proposito de’ destinati
Esecutori che siano subito interpellati, quindi avvenendo che qualcuno
chiedesse di esser dispensato, né darà immediatamente avviso a V. S. ill.ma o al
Sig. Direttore dell’Orchestra, secondo che trattisi di Cantanti o suonatori. Si
è avvertito che il Sig. Viviani, dovendo sostenere la parte di Egeo, non
potrebbe supplire per il Sig. Moroni in quella di GIASONE ! Forse però sarà incorso
errore nella copia dell’atto. Mancando inoltre gli esecutori de’ parti di Tideo
e Ismene, su questi due articoli la prego trasmettermi i suoi riscontri.
Passando alla proposta delle due musiche per novembre . 7 Agosto 1824. Eccellenza,
Incaricato dal Congresso di Musica del carteggio circa l’affare della Medea,
mi faccio lecito presentarle alcune mie riflessioni che la prego di partecipare
al Consiglio. Non mi sembra che il Congresso abbia a torto supposto che il
Consiglio volesse arrogarsi alcuno de’ suoi diritti. Quali sono questi lo
scegliere le opere da eseguirsi, ordinare le copie, distribuire le parti. Non
sembra che possa esservi altro oggetto nell’acquisto di una opera fuori che la
volontà di eseguirla, dunque il Consiglio nell’acquistare, anzi nell’ordinare
la copia della Medea, ha scelto Medea per una delle opere da
eseguirsi in qualche epoca dall’Accademia Filarmonica, diritto che sarà del
Congresso finché esisteranno i Statuti dell’Accademia. Non basta: ne ha
ordinata la copia delle parti. A quale oggetto questa ordinazione se non per la
pronta esecuzione dello spartito la quale appartiene solo al Congresso di
stabilire? Di più il Consiglio ha offerte ad alcuno degli Accademici le parti
da sostenersi: non si propone una parte in un opera senza la certezza della di
lei esecuzione, e come ottenere quella certezza senza un decreto del Congresso?
Poteva però dopo tali passi il Consiglio essere certo che il Congresso di
musica, nemico delle questioni, per un riguardo al Consiglio, ed all’impegno da
esso contratto con i soci destinati all’esecuzione delle principali parti e per
un giusto riflesso d’economia, primo sostegno dell’Accademia, avrebbe scelto
l’opera già copiata e di cui già sapeva essersi destinate le parti. Poteva è vero
il Congresso escluderla valendosi de’ suoi dritti ma questo non sarebbe stato
un cooperare al bene dell’Accademia scopo cui dovrebbe principalmente tendere
ogni Socio. Spero che questi riflessi giustificati da fatti, se non da scritti,
faranno comparire non vana la supposizione del Congresso che desidera peraltro
impor fine ad una tal questione, e mantenere col Consiglio la più grande
intelligenza. La parte di Evandro, può essere unita a quella di Tideo non
essendo che due confidenti che non s’incontrano a cantare insieme. Per quella
d’Ismene, si potria interpellare alcuna delle coriste essendo parte di nessuna
entità e perciò da non accettarsi facilmente. Il supplemento a GIASONE credo anch’io che sia equivoco da destinato a Viviani,
lo potrebbe far Compagnoni [?]. Niuna difficoltà circa il Sig. Avv. Cecconi,
tanto più se canta, o ha cantato il tenore, Sono etc. Domenico Capraia Sessione
del Consiglio del 13 agosto 1824 Letto dal Segretario il Biglietto scritto dal
Presidente al Direttore della Musica coerentemente all’art. 3 della precedente Sessione,
e la risposta di esso Direttore, il Consiglio sebbene non soddisfatto del
contenuto di questo ha deciso di non farsi replica, ma che si sia conservato
con inserirsi una Nota di osservazione secondo la mente spiegata.
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