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Monday, October 12, 2015

TANNHÄUSER -- BOLOGNA -- 1872 -- riprendi la tua lira -- toccar la lira -- il divino Apollo tuo redentor.

Speranza

Riccardo Wagner. TANNHÄUSER; OVVERO, LA LOTTA DEI BARDI AL CASTELLO DI VARTEBURGO: OPERA ROMANTICA IN TRE ATTI. Prima, Bologna, 1872. Versione di Salvatore de C. Marchesi. 

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PERSONAGGI:

GERMANO, conte di Turingia, Germania. 
ENRICO TANNHAUSER, bardo e cavalier
VOLFRAMO D’ESCHIN BACH, bardo e cavalier.
VALTER DI VOGEL VEIDE, bardo. 
BITEROLF, bardo.
ENRICO, scrittore
REINMARE DI ZWETER, bardo.
ELISABETTA, nipote del conte di Turingia.
VENERE, dea dell'amore
pastore, paggi, conti, nobili, cavalieri e dame di Turingia, pellegrini, sirene, najadi, ninfe, e baccanti.

La scena ha luogo in Turingia, al castello Varteburgo al principio del XIII secolo.

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ATTO PRIMO
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SCENA PRIMA: LA GROTTA DI VENERE, presso Isenaco. 

********************************* La scena rappresenta la vasta Grotta di Venere, presso Isenaco, che nel fondo, piegando a dritta, si prolunga a perdita di vista. In fondo si estende un azzurro mare, nel quale si vedono delle naiadi bagnanti e sulle sponde laterali giacciono delle sirene in fantastici gruppi. Sulla linea della prima quinta a sinistra, Venere giace stesa sul suo letto, coperto di pelli di tigre, in una voluttuosa e seducente positura. A lei davanti sta Tannhàuser , il cavalier-bardo, inginocchiato, e colla testa abbandonata sul suo seno. Tutta la Grotta ornata di coralli, conchiglie, e piante marine, è illuminata da rosea luce. Il centro della scena, a metà del fondo, è occupato da un gruppo di ninfe danzanti. Su i diversi sassi e scogli sporgenti d'ambo i lati della Grotta, sono diverse coppie in atteggiamenti amorosi. Una parte di esse va a poco a poco a mescolarsi alle danze delle ninfe. Uno stuolo di baccanti esce dal fondo della scena ballando con grande eccitamento. Desso accerchia le ninfe danzanti e le spinge all'ebbrezza la più veemente. Alla danza, che diviene sempre più selvaggia, risponde come un eco dal mare, in fondo della scena, il calmo canto delle sirene.

SIRENE: Vien sulla sponda/lieta e feconda/là dove in seno/Di ardente amore/soddisfa appieno/Sue brame il core.

naht euch dem strande/naht euch dem lande/wo in den armen/gluehender liebe/selig erbarmen/still' eure triebe.


Le coppie danzanti si fermano nelle più seducenti positure ed ascoltano il canto delle sirene. Ricomincia quindi il ballo e giunge sino al più alto grado di selvatica ebbrezza. L'eccitamento baccanale essendo pervenuto al colmo, sopraggiunge immediatamente una stanchezza e sonnolenza generale. Le coppie amanti si allontanano a poco a poco dalla danza e si accampano, come giacenti in soave sopore, sopra ai sassi laterali della Grotta. Lo stuolo delle baccanti sparisce dal fondo della scena, d'onde si solleva una nebbia rosea, che diviene sempre più densa. A poco a poco questa nebbia si spande su tutta la scena ed involve i gruppi dormenti in rosee nuvole, in modo che alla fine la parte visibile della scena si riduce ad un piccolo spazio sul davanti di essa, nel quale Venere e il cavalier Tannhàuser soli restano nella prima positura. Da lungi si ode il canto delle sirene.

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SCENA II: CAMARA ALLA GROTTA DI VENERE, presso Isenaco. 

Venere e Tannhàuser. Tannhàuser rileva la testa come destandosi da un sogno. Venere lo attira a sé carezzandolo. Tannhàuser mette la mano sugli occhi, come se tentasse ritenere una visione.

VENERE: Che t'ange il cor, mio bel tesor.
TANNHÄUSER: Non più, non più, deh, ch'io mi desti alfine.
VENERE: Che t'ange il cor - mio bel tesor.
TANNHÄUSER: Nel sogno udire mi parve ancor/ciò eh' obliato avea finor/i sacri bronzi udia, l'eteree squille/ah, di', da quando mute son per me.
VENERE: Dove trascorri tu, che t'ange il sen.
TANNHÄUSER: Il tempo qui mi par/che scorra lento, eterno/e giorni e lune trascorse son/da che non vedo e stelle e il sol/non più del ciel l'aspetto sorridente/m'è dato contemplar e l'erba e i fiori/m’he apporta il nuovo aprii/e 1' usignuol non odo/che primavera annunzia/ne più 1'udrò né li vedrò mai più.
VENERE: Ah, che mai sento qual demente accusa, sei stanco già degli adorati incanti/che l'amor mio finor quivi t'offria/forse è grave al tuo cor/tessere un nume/scordasti, ingrato, quanto già soffristi/un giorno, mentre or godi in questo asilo/vate! Su, riprendi la tua lira/deh canta amor, tu v'esaltasti tanto/che della stessa Venere/t'offriva il soglio e il cor/l'amor, deh, canta, eterna/la palma ei t'offre ancor.
TANNHÄUSER (risolvendosi di un tratto, prende la lira e si mette avanti a Venere in atto d'improvvisare): 

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sia lode a te, sia lode al dolce incanto/che il tuo poter nel petto mi destò/diva del core, a te consacro il canto/le tue virtù, l'amore io cantero/ho pieno il cuor di sovrumani affetti/È colmo appieno, è pago ogni desir/gli amplessi e i baci tuoi sian benedetti/sia benedetto ognora il mio gioir/ma pur mortale ancor son io/ed il tuo amore degno è d'un dio/un dio soltanto amar ti può/io più noi posso io più noi vo'l/non sol piacere anela il core/vuol gioie miste pur di dolore/dal tuo soggiorno io vo' fuggir/lasciami, lasciami da qui partir.

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dir toene lob, die wunder sei'n gepriesen,
die deine macht mir gluecklichem erschuf,
die wonnen suess, die deiner huld entspriessen,
erheb' mein lied in lautem jubelruf,
nach freude, ach, nach herrlichem geniessen
verlangt' mein herz, es duerstete mein sinn, da, was nur goettern einstens du erwiesen,
gab deine gunst mir ster blichem dahin, doch sterblich, ach, bin ich geblieben, und uebergross ist mir dein lieben, wenn stets ein gott geniessen kann, bin ich dem wechsel untertan, nicht lust allein liegt mir am herzen,
aus freuden sehn'ich mich nach schmerzen, aus deinem Reiche muss ich fliehn, o koenigin, goettin, lass' mich ziehn.

VENERE: che ascolto mai, qual rio dolor/quel triste canto or t' ispirò/e l'estro, tuo dove ne andò/dov'è la gioia del giovin cor/in che ti offesi mio dolce amore/qual colpa fé' mertarmi il tuo rigore.
TANNHÄUSER (prende la lira e canta): 

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alle tue grazie ed al tuo amor sia lode/beato è quei, che presso star ti può/degno è d'invidia, chi l'ebbrezza gode/che sul tuo core anche il mio cor provò/alto prodigio è il tuo soave impero/più incantator del guardo tuo non v'è/non v'è paese sovra il mondo intero/a questo egual, né donna pari a te/pur io lasciare vo' questo incanto/vuo' la mia gioia mutare in pianto/la terra e il cielo vuo' riveder/e i prati cari al mio pensieri/vo' degli augelli riudire il canto/dei bronzi udir lo squillo santo/dal regno tuo degg' io fuggir/lasciami, lasciami da qui partir.

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dank deiner huld, gepriesen sei dein lieben/
beglueckt fuer immer, wer bei dir geweilt!
Ewig beneidet, wer mit warmen Trieben
in deinen Armen Götterglut geteilt!
Entzückend sind die Wunder deines Reiches,
die Zauber aller Wonnen atm' ich hier;
kein Land der weiten Erde bietet Gleiches,
was sie besitzt, scheint leicht entbehrlich dir.
Doch ich aus diesen ros'gen Düften
verlange nach des Waldes Lüften,
nach unsres Himmels klarem Blau,
nach unserm frischen Grün der Au',
nach unsrer Vöglein liebem Sange,
nach unsrer Glocken trautem Klange:
aus deinem Reiche muss ich fliehn!
O Königin!
Göttin, lass' mich ziehn!


VENERE (levandosi d'un tratto agitata): Spergiuro, e che, quai detti ascoltar deggio/sprezzar puoi tu il mio amore ed il mio seggio/pria tu li lodi e poi li vuoi fuggir/a me d' accanto non sai più gioir.
TANNHAUSER: Non maledirmi, o bella dea d'amore/ma i vezzi tuoi paventa or questo core.
VENERE: Ebben, spergiuro, vile, core ingrato/prigion ti avrò, da me non dèi partir.
TANNHÄUSER: Tanto, credilo, o cara, io non t'ho amato/quant'or che te per sempre io vo' fuggir.
VENERE (furibonda, coprendosi colle mani il volto, si allontana da Tannhàuser. Dopo una pausa si rivolge verso lo stesso sorridendo, e riprendendo una espressione seducente, comincia con voce melliflua): Vien, mio tesor/nell'antro fido/che ornò Cupido/di rose e d'or/celeste ardor/di arcani affetti/gioie e diletti/offre al tuo cor/là versando nel mio seno/Il tuo pianto, il tuo dolor/fia cangiato ili un baleno/in un estasi d'amor/odi da lungi il canto seduttore/deh, lascia ch'io ti stringa sul mio core/t'offre il mio labbro eterna voluttà/d'amor lo sguardo divampando va/del nostro imen vo' festeggiare il giorno/sia questo dì di gioie elette adorno/scaccia dal seno quel fatai terror/a goder vieni in braccio dell'amor.

SIRENE (da lontano, invisibili): Vien sulla sponda,/che amor feconda.

VENERE (attirando a sé dolcemente a Tannhàuser): Mio bene, mio tesor, vuoi tu fuggirmi.

TANNHÄUSER (agitato all'eccesso, comincia a toccar la lira con espressione di ebbrezza): 

te vo' lodar, te sola l'estro mio/d'inno immortai onori in ogni dì/sopra il tuo sen si appaga ogni desio/già dal mio cor il rio terror sparì/l'arcano ardor che mi destasti in petto/m'inonda il sen d'eterea voluttà/È piena l'alma mia d'ogni diletto/mortai felice al par di me non v'ha/ma pur tornare nel mondo io voglio/qui vile schiavo son del tuo soglio/anelo solo la libertà /il core or pace qui più non ha/di lotte e giostre io vo' gioire/dovessi pure fra lor perire/dal tuo soggiorno io vo' fuggir/lasciami, lasciami da qui partir.

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Stets soll nur dir, nur dir mein Lied ertönen,
gesungen laut sei nur dein Preis von mir!
Dein süsser Reiz ist Quelle alles Schönen,
und jedes holde Wunder stammt von dir.
Die Glut, die du mir in das Herz gegossen,
als Flamme lodre hell sie dir allein!
Ja, gegen alle Welt will unverdrossen
fortan ich nun dein kühner Streiter sein!
Doch hin muss ich zur Welt der Erden,
bei dir kann ich nur Sklave werden;
nach Freiheit doch verlangt es mich,
nach Freiheit, Freiheit, dürste ich;
zu Kampf und Streite will ich stehn,
sei's auch auf Tod und Untergehn! -
Drum muss aus deinem Reich ich fliehn!
O Königin!
Göttin, lass' mich ziehn!


VENERE (furibonda): Stolto, va pure, crudel, ten va/Renderti io voglio - la libertà, Tannhauser i2/ma il tuo desire fatai ti fia/del mondo iniquo sull'ardua via/torna e l'invidia risorgerà/e più tremenda di pria sarà/e la tua fama dilanierà/va pure in traccia d'un ben miglior/noi troverà, no, mai il tuo cor/l'orgoglio insano ceder dovrà/e il cor di me si sovverrà/e cercherai piangendo allor/i dolci incanti del mio amor.
TANNHÄUSER: Addio per sempre, o dea d'amor/scordar ti deve questo mio cor.
VENERE: Non tornerai dunque mai più/non tornerai più, va, sia maledetta/da me l'iniqua tua razza mortai/aita invan l'ingrata da me aspetta/deserto il mondo fìa dannato al mal/
deh, resta meco, mio bene ancor.
TANNHÄUSER: Spento per sempre è il nostro amor.
VENERE: Vien, se di me ti parla il cor.
TANNHÄUSER: Io spegner debbo 1' insano ardor.
VENEREL Ma se ti sprezza il mondo inter
TANNHÄUSER: Rivolgo al cielo il mio pensier.
VENERE: Non otterrai giammai perdon/salvarti solo potrà il mio amor.
TANNHÄUSER: Salvar mi può MARIA ancora (Si ode il fracasso di un tuono. Venere sparisce. Cambiamento di scena a vista).

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SCENA III.  

Tannhàuser che è rimasto immobile, si trova di un tratto nel mezzo di una ridente valle. Il cielo è azzurro, il sole risplendente. A dritta in fondo si vede il castello detto "Varteburgo" sulla metà di un monte. A traverso rimboccatura della valle a sinistra si vede il monte nomato "Horselberg" (la grotta di Venere). A dritta un sentiero conduce dalla metà dell'altura della montagna (dove si trova il castello) sino ai piedi della stessa. Sulla scena, al fianco di detto sentiero trovasi una immagine di MARIA sopra un sasso sporgente. Dall' alto a sinistra si ode il suono dei campanelli degli armenti. Sopra una altura verso il proscenio dallo stesso lato siede un pastore suonando la cornamusa.

PASTORE: Il pastor Holda un dì ne andò/scorrendo il prato ameno/di dolce suono l'aere echeggiò/torpor mi avvinse il seno/sognai di gioie eterne allor/e nel destarmi incantator/il sol splendeva intorno/l'aprii facea ritorno/or io cantare suonare io vo'/la primavera alfin tornò. (Il Pastore suona la cornamusa. Si ode da lungi il canto dei pellegrini, i quali discendono dal lato del castello Varteburgo avvicinandosi al sentiero già indicato sulla montagna, e quindi passando avanti air immagine di MARIA, salutano devotamente la stessa, e spariscono lentamente a dritta). 

PELLEGRINI: Eterno, eccelso creator/ricorre a te lo spirto anel/speranza tu del peccator/deh, volgi un guardo a noi dal ciel/pentito il core domar non può/dei falli suoi l'aspro martir/piangente a te vengo o signor/pregar io vo' voglio soffrir/umile a ROMA nel santo di/voglio implorare il tuo perdon/reato l'uomo che ognor gioì/di questo eterno eccelso don. (Il pastore, colpito dai canto dei pellegrini, cessa di suonare la cornamusa, ed ascolta con devozione. Quando i pellegrini sono giunti alla sommità, grida loro , agitando colka mano il suo berretto.)

PASTORE: Il ciel vi assista e a Roma per l'alma mia pregate.

TANNHÄUSER (cadendo in ginocchio altamente commosso): 

sia lode a te signor/la tua grazia è immensa, eterna.

(La processione dei pellegrini si allontana sempre più dalla scena ed il loro canto va quindi sempre perdendosi. Siccome in questo momento il canto dei pellegrini si sente appena, canta in ginocohio, come immerso in fervente preghiera)

Oppresso ho il seno dal grave errore
l'angoscia ahimè mi strazia il core
pietà signore del mio martir
pregare io vo vogl'io soffrir 

(Le lagrime soffocano la sua voce. Si ode da lungi ancora il canto dei pellegrini , che va sempre più perdendosi , mentre dall'estremo fondo della scena si sentono suonare le campane di una chiesa). 

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SCENA IV: 

Da un'altura a sinistra all'imboccatura di una selva escono GERMANO, conte di Turingia ed i starti in abito da caccia. Durante la scena, tutta la scorta da caccia si riunisce a poco a poco verso il proscenio.

GERMANO, CONTE DI TURINGIA: CIiì è mai colui, che sì fervente prega.
VALTER DI VOGEL VEIDE: Un peccatore.
BITEROLF: Un cavalier mi sembra.
VOLFRAMO D’ESCHIN BACH (che è corso verso Tannhàuser e l'ha riconosciuto)
Enrico.
TUTTI: Egli, come, qual stupori (Tannhàuser il quale sorpreso si alza repente, cerca reprimere la sua emozione e piega la fronte avanti GERMANO dopo aver gettato un rapido sguardo sullo stesso e sui bardi).

GERMANO, CONTE DI TURINGIA: Tornasti al fine fra color, che un giorno/fuggir volesti pien di orgoglio altero.
BITEROLF: Or di' che mai ci reca il tuo ritorno/vuoi tu la pace o pur la guerra ognor.
VALTER DI VOGEL VEIDE: Torni nemico o pur fra tei.
TUTTI (eccetto VOLFRAMO D’ESCHENBACH): Nemico.
VOLFRAMO D’ESCHIN BACH: Che, dubitar può alcuno a quell’aspetto/vieni, ah, vieni fra noi, cantor sovrano/che ognun bramava rivedere ancora.
VALTER DI VOGELVEIDE: Ben venga pure se qual fretel.
BITEROLF: Se a noi ti rende amico il ciel.
TUTTI: Ah, sì, ben venga Enrico ancor.
GERMANO, CONTE DI TURINGIA: Sii il benvenuto ancor per me/ma dove mai - fosti finor.
TANNHÄUSER: Ben lungi il piede mio ramingo andò/là dove il cor giammai pace trovò/ah no più non chiedete io noi vo' dir/mi amate ancor lasciatemi partir.
GERMANO, CONTE DI TURINGIA: Ah, no, tu ci appartieni ancor, rimani.
VALTER DI VOGELVEIDE: Partir non dèi.
BITEROLF: Noi ti terrem prigion.
TANNHÄUSER: Ah! no, non giova ornai ch'io resti/speranza in core io più non ho/che al mio dolore rimedio appresti/e solo il cielo salvar mi può.
GERMANO, conte di Turingia ed i Bardi: Restar fra noi tu devi ognora/non ti lasciamo da noi partir/or che tornato tu sei ancora/perchè vorresti da noi fuggir.

TANNHÄUSER (svincolandosi da loro): Via via di qua...

TUTTI: Tu dei restar fra noi.

VOLFRAMO D’ESCHIN BACH (andando incontro a Tannhàuser, alzando la voce)
Elisabetta il vuol.

TANNHÄUSER (vivamente e commosso di gioia): Elisabetta, li ciel clemente/quel santo nome or t'ispirò.

VOLFRAMO D’ESCHIN BACH: Non creder già che a 'scherno/io proferito 1'abbia (a GERMANO, conte di Turingia), concedi , o mio signor, eh' io nunzio sia/di sua felicità.

GERMANO, CONTE DI TURINGIA: Digli pur tu l'incanto ch'egli oprò, gl’ispiri iddio virtude ancor/ch'ei degoo sia di un tale amor.

VOLFRAMO D’ESCHIN BACH: Allor che tu coli' estro onnipossente/vincesti tutti i vati alla tenzon,/novello Apollo t'acclamò la gente/d'Elisabetta il cor ne avesti in don/e fu miracolo possente arcano/quel che tu oprasti ommo cantori/ed il tuo canto sovrumano/avvinse allora quel casto cor/m'ahimè da quando tu ne partisti/le copre il volto fatai pallor/solinga vive suoi giorni tristi/e i nostri canti disprezza ognor/deh, torna, torna, cantor sovrano/ravviva in lei la fiamma ancor/il tuo richiami potere arcano/a nuova vita - quel mesto fior.

I BARDI: Sii nostro ancora ritorna Enrico/fra noi lottare non più si decantiamo uniti e l'estro amico, fratello, ancora si desti in te.

TANNHÄUSER (fortemente commosso abbraccia VOLFRAMO D’ESCHENBACH ed i Bardi con grande effusione): Vèr lei, vèr lei, a lei volare io vo'/ah, quale incanto/io ti rivedo terra amata, o patrio suol/agli occhi miei quasi non credo/ondeggia il seno fra gioia e duoli/il cielo, il giorno sì risplendente/di dolce affetto m'inebria il cor/vèr lei mi spinge amor possente/in me rinasce l'arcano ardor.

GERMANO, conte di Turingia ed i Bardi: Fra noi ritorna Enrico ancora/ah, qual prodigio in lui si oprò/lodato sia l'eterno ognora/che la baldanza del cor domò/al sacro canto Elisabetta/potrà dischiudere di nuovo il cor/preghiamo il cielo per l' alma eletta/un inno alziamo al redentor. (Tutta la scorta della caccia si è riunita nella valle in fondo della scena. GERMANO dà un segno col suo corno da caccia; diversi corni gli rispondono da lungi. GERMANO ed i Bardi montano su i cavalli apportatigli da Varteburgo. Cala il sipario)

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ATTO SECONDO



SCENA PRIMA: La Sala d'Apollo nel Varteburgo. In fondo a traverso una terrazza con grandi colonnate si vede la corte del castello e la valle. Elisabetta entra lietamente commossa.

ELISABETTA, contessa di Turingia:  Salve d'amore recinto eletto/felice alfìn io riedo a te/a seiorre i carmi il mio diletto/a te ritorna ritorna a me/da eh' et da te partiva/deserto fosti ognor/la gioia a te fuggiva/la pace a questo cor/come a me balza il core in petto/mi par che lieto ancor sei tu/tornato è al fine l'amato oggetto/non partirà da noi mai più.

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SCENA II: VOLFRAMO D’ESCHENBACH e Tannhàuser compariscono da un lato in fondo.

VOLFRAMO D’ESCHENBACH: La vedi, a lei tranquillo appressa, va '

(Volframo resta appoggiato ad una colonna della terrazza in fondo)

ENRICO TANNHÄUSER (precipitandosi a’piedi di Elisabetta): Contessa.

ELISABETTA, contessa di Turingia: Ah, sorgi, o ciel, vanne, non deggio/quivi restar.

TANNHÄUSER: Tu il devi, ah, sì, mi lascia/a' piedi tuoi ancor.

ELISABETTA, contessa di Turingia (rivolgendosi a Tannhauser con affetto): Sorgi dal suol/no, tu non devi qui prostrarti, Enrico/quivi tu sei signor/sorgi, lo vo'l/grata ti son che a noi tornasti ancora/ma dov' eri finor.
TANNHÄUSER (rilevandosi lentamente): Molto lontano/in ben remota terra/la memoria/da ieri ad oggi abbandonato m'ha/tutto il passato dispari qual sogno/un sol pensiero in me rimane ancora/li rio timore di mai più vederti/né di levar mai più vèr te lo sguardo.
ELISABETTA, contessa di Turingia: Ma qual poter vèr noi ti trasse ancor.
TANNHÄUSER: Miracol fu, miracol sovrumano.
ELISABETTA, contessa di Turingia: Il ciel lodato sia/beata è l'alma mia/perdon perdon/quel ch'io dica ignoro/parmi sognar commossa e lieta io son/di gioia m'inondò sì gran portento/la stessa io più non son deh tu mi aita/a indovinar quel che nel seno io provo/dei vati i dolci canti/udiva io lieta ognor/ed apprezzar gl'incanti/potea dell'estro lor/ma il suon de' carmi tuoi sovrumani/a nuova vita mi ridestò/or gioia ed ora tormenti arcani/l'alma inebriata per te provò/desir novelli in cor provai/ignota fiamma s'accese in sen/quanto avea caro dimenticai/per nuove gioie ignote appien/e quando alfine da me partisti/fuggì la pace dal mio cor/gl'eletti carmi ai sensi miei/giungevan mesti e cupi ognor/a notti tristi in duol vegliate/seguivan giorni di rio dolor/Tannhauser: Atroci smanie disperate/tu mi svegliasti o Enrico, in core.
TANNHÄUSER (rapito): Lodar tu devi il dio d' amore/che l' estro santo infuse in me/pel labbro mio parlò al tuo core/e solo amore mi guida a te/lodato sia il momento l'arcano incantatore/che per sovran portento/te mi/ver spinse ancor/dio
ELISABETTA, contessa di Turingia: Di voluttà divina/il ciel sorride a me/se a te son io vicina/dolor per me non v'è.
TANNHÄUSER: L'amor, che t'ha rapita/si desta ardente in me/e sacra la mia vita/mio dolce amore a te.
VOLFRAMO D’ESCHENBACH: La speme o dio sparita/per sempre ora è per me (Tannhàuser si separa da Elisabetta, va verso VOLFRAMO D’ESCHENBACH, lo abbraccia, e si allontana quindi secolui).

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SCENA III: 

GERMANO, conte di Turingia, esce da una porta laterale. Elisabetta gli corre incontro, lo abbraccia , e cela il di lei volto sul suo petto.

GERMANO, CONTE DI TURINGIA: Sei qui tu alfine in questa sala o cara/che tu evitasti sì gran tempo lieta/assisterai tu alfine alla gran festa.
ELISABETTA, contessa di Turingia: Mio zio/o mio secondo eletto padre.
GERMANO, CONTE DI TURINGIA: Perche a me non dischiudi il core, o figlia.
ELISABETTA, contessa di Turingia: Leggi nel guardo/io favellar non so.
GERMANO, CONTE DI TURINGIA: Così restare dovrà celato/il dolce arcano per poco ancor/finché da te sarà svelato/l'incanto ch'agita il tuo bel cor/quel che nel seno t'ha destato allora/quest'oggi svelerà/dei carmi il suono ancora/ed il divino Apollo/tuo redentor sarà (Si odono squillar le trombe). Dei nobili del regno schiera eletta/accorre all'alto invito, appressa già/poiché sa ognuno eh' oggi Elisabetta/regina della festa ancor sarà.


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SCENA IV: Trombettieri, conti, cavalieri e dame riccamente vestiti, vengono introdotti dai paggi. GERMANO, conte di Turingia ed Elisabetta li salutano e li ricevono graziosamente.

TUTTI: Salute a le, recinto sacro eletto/dove le muse soggiornaro ognor/sia di Turingia sempre benedetto/il prence amato d'arti protettori.

freudig begrüssen wir die edle halle/wo Kunst und Frieden immer nur verweil/wo lange noch der Ruf erschalle/Thüringens Fürsten, Landgraf Hermann, Heil.

I cavalieri e le dame si collocano successivamente avanti ai posti indicati loro dai paggi e formanti un semi-circolo elevato di un gradino alla dritta della scena e dopoché GERMANO, conte di Turingia ed Elisabetta si sono seduti sopra il trono coperto di un baldacchino e posto dallo stesso lato sul davanti della scena, siedono tutti. Squillan le trombe. I bardi escono successivamente dal lato opposto al trono e dopo di aver salutato solennemente GERMANO, conte di Turingia, Elisabetta e gli adunati, siedono sulle seggiole preparate per loro, formanti un piccolo semi-circolo, in faccia al trono. Tannhàuser siede il primo verso il proscenio, e lolfrnmo si pone air estremità opposta.

GERMANO, CONTE DI TURINGIA (alzandosi): 

Di eletti carmi già fra queste mura/più volte, o vati voi ci rallegraste/or saggi enigmi ed or soavi canti/del nostro cor la via trovaro ognor/allor che i nostri acciari a guerra orrenda/tutti brandimmo pel germano suol/Allor che i fieri Velfi noi scacciammo/E la discordia terminò fra noi/ben grande fu in quel dì la gloria nostra/E di grazia, e di nobili costume/Di virtude, d'amore, di pura fede/campioni egregi voi foste allor/E ne otteneste - gloria ed onor/Deh! i vostri carmi echeggino oggi ancor/Poi che l'eccelso vate ritornò/Fra noi, già mesti per sua lunga assenza/ciò, che lo ricondusse a queste soglie/È per me un gran prodigio sovrumano/Svelare i vostri carmi a noi lo dònno/ond'è ch'ora domando a voi, cantor/cosa è l'amor che il mondo intero regge/chi dell'amor gli arcani/spiegare ben potrà/d'Elisabetta un degno premio avrà/che chiegga il vincitor qualsiasi dono/ei l'otterrà per ciò garante io sono/or su cantori prenda ognun la lira/e sappia ben mertar l'eccelso allor/vi sarem grati per l'alto favor 

(Suono di trombe).

Cavalieri e Dame: Viva l'amato prence ognor/dell'arti belle il protettor.

Tutti si siedono. Quattro paggi si avanzano, raccolgono in un vaso d'oro da ogni bardo il nome scritto sopra un piccolo pezzo di carta e lo presentano quindi ad Elisabetta, la quale ne tira fuori uno a sorte e lo dà ai paggi. Questi dopo aver letto il nome fra loro, si avanzano nel centro della scena solennemente e lo proclamano.
Paggi: VOLFRAMO d' Eschinbach , a te; comincia? (Tannhàuser si appoggia alla sua lira e sembra immerso in un sogno. VOLFRAMO D’ESCHENBACH si leva e si pone in positura da improvvisare). 

VOLFRAMO D’ESCHIN BACH: 

nel rimirar quest'adunanza eletta/nobile fiamma mi divampa in cor/della Germania vedo gli alti eroi/quai freschi rami d'orgogliosa quercia/e donne vedo ancor benigne e caste/serto immortale di olezzanti fior/la loro vista abbaglia il guardo mio/a tanta grazia l'estro è in me smarrito/Là vedo in ciel ridente e vaga stella/E il guardo mio si offusca ai suo splendor/raccogliesi la mente a tale incanto/ed alla prece si rivolge il cor/ma ve' là arcana fonte a me si mostra/rapito in essa specchiasi il pensieri/Celeste voluttade attinge in essa/ed il mio cor rinfranca arcan poter/ah, mai macchiar vorrei quel chiaro fonte/Col fango d'un colpevole desir/Vorrei vivere sol per adorarlo/il sangue mio versar, per lui morir/Signori, quali espressi in questi detti/Tai provo in sen d'amore i casti affetti.

CAVALIERI E DAME (applaudendo): È ver, VOLFRAMO D’ESCHENBACH, è ver/sia lode al tuo pensier.

TANNHÄUSER (il quale, verso la fine del canto di VOLFRAMO D’ESCHENBACH si era come ridestato da un sogno, alzandosi subitamente): 

Felice al pari -di te poss'io/quel puro e limpido fonte mirar/ed or qui innanzi al mondo e a dio germano què virludi io vo' lodar/ma pur vicino al fonte eletto/mondan desiro assale il cor/cocente brama avvampa il petto/vi appresso il labbro ardente allori/le gioie bevo alla sorgente/che mai non turba uman terror/con l'esso dura eternamente/l'ardente mio desire ancor/e del diletto e della brama/in esso trova ristoro ognor/udisti Volfram questo si chiama/nel mondo intero verace amor.

(Elisabetta fa un movimento per applaudire, ma siccome tutti gli astanti con seria espressione si tacciono, dessa si contiene timidamente).

VALTER (alzandosi): 

Nel fonte che Volfram ora nomava/lo spirto mio si specchia ognor/ma tu cui turpe voluttà inspirava/tu sol conosci Enrico amor/deh lascia adunque ch'io qui ti dica/la pura fonte è la virtù/La forza sua santa e pudica/or con fervore lodar dèi tu/se al margin suo le labbra posi/desio malvagio a dissetar/gl'arcani suoi per sempre ascosi/dovran quaggiù per te restar/se attinger vuoi a quella fonte amore/le labbra no, libar vi devi il core.

GLI ASTANTI (applaudendo): Valter, sia lode al canto tuo.

TANNHÄUSER (alzandosi impetuosamente): 

O Valter quello che tu dicesti/cambia l'amore in un martiri/se vuoi che l'uomo languendo resti /il mondo intero danni a perir/se lodar vuoi l'eterno onnipossente/agli astri volgi al cielo la tua mente/di tai portenti 1'alto splendor/tacendo esalta e adora ognor/ma in questa vostra umile sfera/ciò che t' inanima i sensi e il cor/e legge a cui natura intera/l'uomo mantiene soggetto ognor/e per godere creato il core/e nel godere ha vita amore.

BITEROLF (levandosi furibondo): Ebben, or contro te siam tutti/ognun qui tacque e ti ascoltò/raccogli or del tuo orgoglio i frutti/ascolta, insano io cantar vo'/allor che m'arse amore in petto/armi e coraggio ei diede a me/io l'ho difeso sempre e protetto/col sangue mio colla mia fé/pel sacro onore di donna amata/io pronto fui sempre a morir/ma teco abbietta alma dannata/non vale un solo colpo ferir.

GLI ASTANTI (applaudendo freneticamente): A Biterolf gloria ed onor.

TANNHÄUSER (levandosi con crescente furore): 

Ah, Biterolf millantator/tu, belva irata canti d'amor/compreso al certo no, non hai tu/ciò che per me diletto fu/che mai godesti tu della vita/mai fu l'amore propizio a te/e la tua gioia la più gradita/non ha alcun pregio no, per mia fé 

(Crescente agitazione fra gli astanti)

CAVALIERI (da diverse parti): Troncale i detti di quell'audace.

GERMANO, CONTE DI TURINGIA (a Biterolf, che ha messo la mano all'elsa, ed agli altri Bardi): Ripon l'acciaro a voi la pace intimo.

VOLFRAMO D’ESCHINBACH (si leva con nobile orgoglio. Alle sue prime parole tor-
nan di nuovo la pace ed il silenzio fra gli astanti): 

Oh ciel, e mie preci tu ascolta/il canto mio deh ispira tu/la schiera eletta quivi raccolta/nefandi orror non oda più/tu sol sublime amore/puoi l'estro mio destar/tu regni nel mio core/d'amor celeste al par/a me ti manda iddio/ti seguo col mio cor/tu guidi il pensier mi/là dove splendi ognor.

TANNHÄUSER (convulso all'eccesso): 

diva d'amor, te sola l'estro mio
d'inno immortai onori ai mondo ognor
la tua beltade appaga ogni desio
raccolse in te natura ogni tesor
chi con ardor ti strinse sul suo petto
che sia l'amor ei sol saper potrà
insani chi provar vuol tal diletto
andar al monte Venere dovrà.

(Sommossa ed indignazione generale)

TUTTI: Ah, forsennato, deh, lo fuggiam, al monte Venere egli albergò.

DAME: Fuggiam, fuggiam, ci desta orrori 

(Le donne si allontanano comprese da orrore. Soltanto Elisabetta la quale ha seguito con crescente timore il progresso della lotta resta pallida e tremante, tenendosi a stento appoggiata ad una colonna del baldacchino. GERMANO, conte di Turingia, tutti i Cavalieri ed i Bardi hanno lasciato i loro posti e si avanzano verso il proscenio. Tannhàuser resta air estrema sinistra ancora qualche tempo agitato e convulso).

GERMANO, conte di Turingia, Cavalieri e Bardi: Udito ha ognuno l'orrendo arcano/che a noi svelare osò l'insano/gioie infernali egli provò/al monte Venere ei soggiornò/orrendo mostro questo mio acciar/nel sangue infame io vo' bagnar/sia pur dannato a eterno duol/scacciato ei sia da questo suol 

(Tutti si slanciano coi ferri snudati contro Tannhàuser il quale prende un atteggiamento minaccioso. Elisabetta con un grido delirante di dolore si getta fra loro e fa scudo a Tannhàuser del suo petto).

ELISABETTA, contessa di Turingia: Fermi.

(Alla di lei vista si arrestano tutti come interdetti).

GERMANO, conte di Turingia, Cavalieri e Bardi: Che vedo, quel malfator/osi salvare Elisabetta.

ELISABETTA, contessa di Turingia: L'acciar colpire in pria dovrà il mio seni/ben lieve è ancor per voi la cruda offesa/colpo mortale in cor/a me vibrò il crudeli.

GERMANO, CONTE DI TURINGIA, Cavalieri e Bardi: Che ascolto o cielo/Elisabetta/sottrarre a pena che ben gli spetta/vuoi tu quel vile che ti tradì.

ELISABETTA, contessa di Turingia: Che importa a me, salvar lo vo'/la grazia a lui del ciel lasciate.

GERMANO, CONTE DI TURINGIA, Cavalieri e Bardi: Distrutto il raggio d'ogni speranza/giammai salvare ei si potrà/dal ciel dannato che più gli avanza/nel reo pensiero persisterà.

(Si slanciano tutti ancora contro Tannhàuser).  

ELISABETTA, contessa di Turingia (con accento imponente): Indietro, olà, suoi giudici non siete/barbari, riponete il crudo acciar/di vergili casta udite i detti ancor/l'arcan voler vi svelo del signori/quest'infelice che ammaliato/orrendo incantò al certo avrà/no eh' ei non muoia ancor dannato/il fallo in pria scontar dovrà/e voi, credenti voi sconoscete/del cielo l'alto eterno amor/al peccatore speme togliete/che mai vi fé' parlate ancor/mirate come un vergin flore/per lui di un colpo or appasì/chi l'adorò di santo amore/d'atroce strale al cor ferì/di lui pietà, per la sua vita implore/contrito ei volge al pentimento già/torni al suo cor la fede, arcan tesoro/iddio clemente anco il perdonerà.

(Tannhàuser passa a poco a poco dall' eccitamento e la baldanza al pentimento, e commosso profondamente dalle parole di Elisabetta, cade abbattuto in ginocchio).

TANNHÄUSER: Ahimè, perduto io sono.

GERMANO, CONTE DI TURINGIA, cavalieri e Bardi (altamente commossi): dal cielo un angelo discese a noi/dell'alto interprete divin voler/lo guarda, infame/se tu lo puoi/la tua salute è in suo poter/tu l'uccidesti, essa ti die la vita/a tutti impon di un angiolo il pregar/pel malfattor non è l'ira svanita/ma dio l'impone io deggio perdonar.

TANNHÄUSER: A mia salvezza il cielo eletto/un angiol santo or m'inviò/ma ahimè lo sguardo mio maledetto/figgere in essa non posso no/tu sommo sovran dell'universo/che m'inviasti l'angiol salvator/pietà di me che nel peccato immerso/noi riconobbi a danno mio finor.

GERMANO, CONTE DI TURINGIA (dopo una pausa): Un grave e rio delitto fu commesso/d'ipocrisia coperto un traditore/fra noi sen venne, il mostro peccatori/da noi lontan ten va, restar non dèi/va mostro questo asil dannato è già/per te, già minaccioso guarda il ciel/la mia magion, poiché ti accolse in sen/salvarti ancor puoi tu da pena eternal/dischiuso ti è il cammini menti io ti scaccio/mostrar tei vo\giovi a salvarti almen/raccolto è già - nei miei poderi/Un grande stuolo di pellegrin/uniti i pellegrini partir primieri/i pellegrini sono a noi vicin/di lievi colpe il core oppresso/non ponno pace più ritrovar/ed il perdono loro promesso/or varino a ROMA ad implorar.

GERMANO, CONTE DI TURINGIA, i Cavalieri ed i Bardi: Va pur con lor ti affretta, vèr ROMA vanne ancor/là nella polve aspetta/la tua condanna allor/implora quei che dona/i beni di lassù ma s'ei non ti perdona/non ritornar mai più.

ELISABETTA, contessa di Turingia: Vèr te, gran Dio possente/richiama il peccator/pietà del reo demente/salvar lo puoi tu ancor/er lui pregar vogl'io/fino all'estremo anel/deh la tua grazia o Dio/lo renda ancora al ciel/ben lieta t'offro o Dio/questa mia vita in don/deh tronca il viver mio/or che infelice io son.

TANNHÄUSER: Trovar non posso aita/la pace mia sparì/la speme m'è rapita/il ciel mi maledì/ma vo' soffrir pregare/straziarmi a brani il sen/fin ché potrò mertare/dal ciel perdono almen/deh appaghi il mio dolore/quell' angiol che mi amò/che vita al peccatore/e fede ridonò.

PELLEGRINI (suo canto risuonando dalla valle): 

A Roma nel solenne dì'/pel mio perdono pregar io vo'/beato l'uomo che si pentì/e che in eterno poi si salvò/A Roma, a Roma. 

(Restano tutti immobili e commossi, ascoltando il canto dei pellegrini. Tannhàuser, i cui lineamenti prendono un'espressione di speranza e di gioia, corre verso la valle gridando)

TANNHÄUSER E TUTTI: A Roma, a Roma (Cala il sipario.)

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ATTO TERZO

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SCENA PRIMA. 

Il pellegrinaggio di Tannhàuser alla valle a' piedi del castello di Varteburgo. A sinistra il monte Hòrselberg -- colla grotta di Venere -- come alla fine del primo atto. Il giorno declina. Sulla piccola rocca a dritta , Elisabetta prega devotamente ai piedi dell'immagine di Maria. Wolframo discende dall'altura a sinistra ov'è la selva. Giunto a metà della scoscesa si ferma scoprendo e contemplando Elisabetta.

VOLFRAMO D’ESCHENBACH: Ben lo supposi che pregando stava/e così ognor la vedo/allor che giù dal colle/quivi soletto a passeggiare io vengo/la morte, ahi lassai ei le versava in core/e pur prostrata con divin fervor/prega per lui e giorno e notte il cielo/o santo amore o/sovruman potere

/da ROMA attende i pellegrin l'afflitta/

l'autunno vien ben tosto torneranno/sarà fra quei che ottennero il perdono/dubbio fatale che la divora/signor deh a lei lo rendi ancora/l'acerba doglia si calmera/se perdonato ei tornerà.

(Nel ricominciare a discendere dal monte, VOLFRAMO D’ESCHENBACH ode da lungi il canto dei pellegrini, i quali si avvicinano. Ei si sofferma ancora).

ELISABETTA, contessa di Turingia (si leva ascoltando il canto dei pellegrini): È il canto loro/ah sì, tornano al fine/m'addita il mio dovere, o dio del cielo/che degnamente al men compirlo io possa.

VOLFRAMO D’ESCHENBACH (avvicinandosi lentamente al proscenio, durante il coroI pellegrini/il sacro canto è questo/che delle colpe lor la grazia addita (guardando Elisabetta) l'assisti in questo istante, o Dio clemente/da lui solo dipende or la sua vita.

(I PELLEGRINI si avvicinano a poco a poco ,quindi escono dalla dritta sul davanti della scena e si avviano nella valle verso il castello di Varteburgo, fin ché spariscono dietro le montagne del monte di Venere in fondo della scena)

TANNHAUSER:

Rivedo al fin la mia patria adorata/i prati e i fior della valle beata/iI mio bordone io poserò/il sacro voto discior potrò/contrito il core placò il rigor/del re del cielo del mio signor/il mio dolore ei console/le lodi sue cantare io vo'l/la grazia scese sul peccatore/l'eterna pace tornò al suo core/or più di morte timor non ho/l'eterno iddio lodare io vo'/alleluia per l'eternità. 


(ELISABETTA, contessa di Turingia, durante il tempo che i pellegrini passano a lei davanti cerca invano con dolorosa ansietà Tannhàuser fra loro).

ELISABETTA, contessa di Turingia (con cupo dolore): Non tornerà mai più (cade in ginocchio): o, vergin santa, deh, tu mi ascolta/A te clemente rivolgo il cor/sia la mia prece da te raccolta/e la mia vita riprendi ancor/fa che innocente io salga al ciel/della virtude col bianco vel/se mai da reo pensiero avvinto/da te il mio core si allontanò/se mai colpevole maligno istinto/desir mondano in me destò/lottai da forte con santo ardore/per soffocarlo dentro il mio core /ma se scontare debbo un delitto/deh i tristi giorni tu tronca a me/e possa allora il core afflitto/puro, o pia madre, tornare a te/la santa grazia a meritar/saprò in eterno in ciel pregar.

 (Elisabetta resta lungo tempo collo sguardo inspirato vòlto al cielo. Dell'alzarsi lentamente scopre VOLFRAMO D’ESCHENBACH il quale le si era avvicinato guardandola con profonda emozione. Allorché Volframo tenta d'indirizzarle la parola, Elisabetta con un gesto lo prega di non parlare).

VOLFRAMO D’ESCHENBACH: Elisabetta, accompagnarti io posso 

(La contessa Elisabetta con gesti lo ringrazia intenerita pel suo fedele amore. Gli dice che il suo passo è diretto verso il cielo dove una grande missione l'attende. Volframo deve lasciarla andar sola per quel sentiero e non seguirla. Elisabetta ascende lentamente la montagna di Venere dove più volte in distanza è vista dal pubblico e si dirige verso il castello di Varteburgo).

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SCENA II

VOLFRAMO D’ESCHIN BACH rimasto solo, dopo aver seguito collo sguardo addolorato lunga pezza Elisabetta si siede a sinistra della scena sopra un sasso dà di piglio alla lira e comincia a modulare sovr'essa indi canta.

RECITATIVO (A) -- less drammatic

forier di morte già il crepuscol cade                    of death the twilight falls
un nero vel tutta la valle invade                          a black veil invades the whole valley. 
e l'alma che già aspira verso il ciel                     and the soul that towards the sky
pria di partir sente di morte il gel                      feel before you leave of death the ice

--- He sees the evening star. (Change of music).

RECITATIVO (B) -- RECORDED -- in a minor key 

là splendi tu, bell'astro incantatore,                      there shine thou beautiful enchanting star
e su noi spandi il dolce tuo chiarore                   and over us expand thy sweet clarity
tu squarci il velo che avvolge l'emisfer              thou unspread the veil that covers the world
e della valle a noi mostri il sentier                        and of the valley thou showest the path.


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ARIA DI VOLFRAMO.



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MODULATION TO major key.

----lyre chords arpeggio

o tu bell’astro incantator                                                 o thou, beautiful enchanting star
che spandi pace al mondo inter                              that expands peace to the entire world
a te rivolgi il mesto cor                                                    to thee I turn my miserable heart
d'amore l'ultimo gentil pensier                                            of love the last gentle thought

co lei fra poco a te d'accanto                                                        with it soon near thee
sen volera-à qual angiol santo                                             shall fly like a little holy angel
co lei fra poco a te d'accanto
sen volerà-a qual angiol santo.


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o du mein holder abend stern
wohl gruesst'ich immer dich so gern
vom herzen das sie nie ver riet
gruesse sie wenn sie vor bei dir zieht
wenn sie ent schwebt dem tal der erden
ein sel'ger engel dort zu werden.
wenn sie ent schwebt dem tal der erden
ein sel'ger engel dort zu werden.


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deh tu la guida lassù nel cielo/beata in grembo del suo Signor/E là diviso - dall' uman velo/Troverà pace - nel puro cor/E nuova stella - ajjte d'accanto/Risplenderà - queir angiol santo!

SCENA III

È notte. Tannhàuser apparisce dal lato d'onde erano giunti i pellegrini. La sua tunica di pellegrino è lacera; il suo volto è pallido e scarno. Ei cammina barcollando, appoggiato al suo lungo bastone.

TANNHÄUSER: Udii di un'arpa il suoni/quanto era triste/non può da lei venir.
VOLFRAMO D’ESCHIN BACH: Chi sei tu/parla/pellegrin cortese.
TANNHAUSER: Chi son io/pur ti conosco ancor, Volfram sei tu/il celebre cantor.
VOLFRAMO D’ESCHIN BACH: Enrico, tu/che mai ti spinge in questi luoghi, di'/ed osi non purgato ancor del fallo/verso di noi rivolgere il tuo piede.
TANNHÄUSER: Noii t'inquietare, o mio gentil cantore/non cerco te, non cerco i tuoi compagni/ma cerco quei che mostri a me la via/la via che a me un incanto un giorno apri.
VOLFRAMO D’ESCHENBACH: E qual'è mai.
TANNHÄUSER (con espressione voluttuosa): La via che adduce a Venere.
VOLFRAMO D’ESCHENBACH: Non profanar l'orecchio mio, deh, taci/va, la rintraccia. 
TANNHÄUSER: È noto a te il cammin.
VOLFRAMO D’ESCHENBACH: Insano nell'udirti orror mi assale/dov'eri mai, non fosti a Roma, di.
TANNHÄUSER: Non la nomare.
VOLFRAMO D’ESCHENBACH: Al giubileo non fosti.
TANNHÄUSER: Non lo nomar.
VOLFRAMO D’ESCHENBACH Non v'eri adunque, di'/ten prego ancor.
TANNHÄUSER (dopo una pausa come rammentandosi con profondo dolore) Sì, fui a Roma anch'io.
VOLFRAMO D’ESCHENBACH: Ebben, deh, narra a me, misero mortale/per te pietà ben provo in seno ancor.
TANNHÄUSER (dopo aver contemplato VOLFRAMO D’ESCHENBACH con sorpresa ed emozione): VOLFRAMO D’ESCHENBACH, parla, non sei mio nemico?
VOLFRAMO D’ESCHENBACH: Noi fui giammai finché devoto fosti/ma dimmi al fine andasti a Roma.
TANNHÄUSER: Ebbene/Volfram or tutto vo' narrarti, ascolta. 

(Tannh'àuser si lascia cadere per terra sfinito a'piedi della montagna a dritta dove trovasi l'immagine di MARIA. VOLFRAMO D’ESCHENBACH gli si accosta e si dispone a sedersi al suo fianco)

Va via da me, È il luogo dove io resto/maledetto/Volfram m'odi VOLFRAMO D’ESCHENBACH (VOLFRAMO D’ESCHENBACH resta in piedi ad una certa distanza da Tannhauser). 


TANNHAUSER

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col cor contrito, come alcun giammai/


inbrunst im herzen


dei malfattor non l'ebbe

/a ROMA andai/

un angiolo del ciel del peccatore/avea domato l'orgoglio insano/umile io chiesi per lui/soltanto/la mia salvezza eternal allor/volevo tergere l'amaro pianto/ch’egli per me - versava ancor '

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Se a me d'accanto un pellegrin dolente/già pel sentier 1'abbandonavo io allor/e s'ei ne andava sul prato fiorente/scalzo io cercava e sassi e spine ognor/s'ei poi si dissetava alle sorgenti/di sete ardevo io sotto i rai del sol/ei preci al ciel drizzava ognor ferventi/fiumi di sangue al cielo offrivo io sol/quando al coperto a notte ognun posava/fra neve e ghiaccio restavo a pregar/chiudendo gli occhi ai magici portent/


scorsi l'ITALIA l'immortale suolo


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verschlossnen augs ihr wunder nicht zu schauen
durchzog ich blind Italiens holde auen


/soffrir scontar volea con rei tormenti/dell'angiol mio il pianto e l'aspro duolo.


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A Roma giunsi al fine, al sacro sito/e all'alta soglia mi prostrai pentito/il dì spuntò suonar le squille santé/quando intuonare udii celeste suono/ed un gridar che al popolo esultante/la grazia prometteva del perdono/là vidi io quei che dio ministro elesse/a lui davanti il popol si prostrò/a mille afflitti il suo perdon concesse/e mille peccatori ei consolo/io m'accusai delle mie colpe ed onte/dell'aspra voglia che mi avvinse oscena/che pace all'alma non concede ancor/ed a salvarmi dall'eterna pena/lo scongiurai con grida di dolor/e quei che tanto pregai, gridò/hai tu gustato nefando amor/che sol l'averno apprestar può/al monte Venere tu fosti ancor/sei tu in eterno dannato va.

come il bordone che tieni in mano mai fresca foglia germoglerà/così dal fuoco del rio Satàno/mai l'alma tua si salvera.


wie dieser stab in meiner hand
nie mehr sich schmueckt mit frischem gruen
kann aus der hoelle heissen brand
erloesung nimmer dir erblühn

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affranto caddi al suol svenuto allora/i sensi mi mancar mi ridestai/ma d'ombre avvolto e solo mi trovai/lontan di grazia il canto udivo ancora/e ribrezzo mi fé' quel suono allor/e quel mendace canto, ingannatori/di morte un gel mi fé' rabbrividir/d'orror compreso mi posi a fuggir/vèr lei men vo' che tanta gioia in cor/provar mi fé' fra le sue braccia ognor/a te ritorno o dea d' amore/la degl'incanti notturni in sen/presso al tuo soglio lieto il mio core/di gioia eterna fla pago almen/non più non più taci, o demente/ah deh non fare ch'io cerchi invano/pur ti trovai d'incanto un dì/or che mi danna il mondo insano/penar non farmi o dea così/chi mai chi mai osi chiamar,

(Una lieve nebbia eopre a poco a poco la scena

Ah, non ti par l'aria più dolce ahimè, perduta hai la ragion/non spiri tu vapor soave/non odi tu quei lieti canti/di cupo orrore mi trema il core/son le caròle delle ninfe amanti/a me sì, a me l'amor, le gioie ancor.

(Un roseo crepuscolo comincia a rischiarar la nebbia, a traverso di esso si scoprono confusi gruppi di ninfe danzanti).

VOLFRAMO D’ESCHENBACH: Il triste incanto ohimè l'assale/già l'ammaliò la dea del male.

TANNHÄUSER: La gioia scorre in ogni vena/l'ebbrezza il core inonda ancor/presso è d'amore la fonte amena/al monte Venere vicino io son 

(Avvolta da rosea luce apparisce Venere distesa sul suo letto). 

VENERE: Ben giungi o perfido vieni, infedel/fu teco il mondo assai crudeli/poiché pietade tu non trovasti/fra le mie braccia tu ritornasti.

TANNHÄUSER: Il mio dolore o dea tu vedi/vèrte, vèrte vo' ritornar.

VOLFRAMO D’ESCHENBACH Dea infernale lo lascia cedi/la sua ragione non offuscar.

VENERE: Presso il mio soglio vieni, ritorna/il vano orgoglio io ti perdono/di liete gioie la vita adorno/vivrai; fedele ancor ti sono.

TANNHÄUSER: Salvar, salvare non mi potei/dono all'averno i giorni miei.

VOLFRAMO D’ESCHENBACH (ritenendo Tannhàuser con forza) La mente volgi al creator/Enrico, ei puote salvarti ancor/ah vieni.

VENERE: Ah vieni.

TANNHÄUSER (a VOLFRAMO D’ESCHENBACH) Mi lascia, va.

VENERE: Per sempre mio al fin sei tu.

VOLFRAMO D’ESCHENBACH: Salvar ti puoi Enrico ancora.

TANNHÄUSER: No, no, VOLFRAMO D’ESCHENBACH, mi lascia andar.

VOLFRAMO D’ESCHENBACH: Per te già un angelo pregò qui in terra/in ciel fra poco ei pregherà/Elisabetta.

TANNHÄUSER (che si era svincolato da VOLFRAMO D’ESCHENBACH resta immobile come annientato da un colpo): Elisabetta.

(La nebbia si oscura lentamente. A traverso della stessa si scoprono lumi sull’altura del Valteburgo. Si ode a suonare lentamente una campana di morte).

UOMINI (dall'alto in fondo): Sia pace all'alma che il rio dolor/chiamava in grembo del suo signor.
VOLFRAMO D’ESCHENBACH (dopo le prime battute del coro): Per te l'eterno or pregherà/sei salvo Enrico dio l'udirà.

VENERE Ah, egli è salvo. 

(Venere sparisce, e con essa tutto l'incanto. Spunta l'alba. Il canto, partendo dal Varteburgo, si avvicina e rinforza gradatamente).

UOMINI: Ella ha deposto l'umano vel/or gode eterna pace in ciel.
VOLFRAMO D’ESCHENBACH (abbracciando teneramente Tannhàuser): Non odi tu quel suono.
TANNHÄUSER: lo l'odo.
UOMINI: L'alma innocente che dio chiamò/fra cherubini nel cielo or sta/beato 1'uomo - che dessa amò/con le sue preci lo salverà.
TANNHÄUSER (dalle braccia di VOLFRAMO D’ESCHENBACH lasciandosi cadere a terra): 

O santa Elisabetta per me prega (Tannhauser eispira).

(I pellegrini portando in processione un pastorale ornato di verdi foglie, entrano in scena dalla dritta, d'onde erano partiti al secondo atto, e mentre il sole si leva, si sperdono nella valle in fondo. Dessi sono tutti ornati di freschi rami e foglie)

PELLEGRINI: Sia gloria eterna al redentor/ei perdonava i peccatori/miracol nuovo il cielo oprò/al mondo intero ei si svelò

il pastorale del prete in mano/di fresche foglie si rivestì
con questo segno di grazia arcano/il suo perdono dio compartì/

den duerren stab in priesters hand
hat er geschmueckt mit frischem gruen
dem suender in der hoele brand
soll so erloesung neu erbluehn


lodato sia nel mondo intero/l’eterno immenso divin poter/dell'universo egli è signor/di grazia il padre, il dio d'amor/alleluia alleluia amen.

Pellegrini e cavalieri: 

Da dio la grazia ottenne il peccatore/or gode in cielo dell'eterno amore.

(I pellegrini occupano la valle ed una parte dell'altura in fondo. Dal Varteburgo si vedono pellegrini discender loro incontro. Il sole è spuntato dietro al monte di Hòrselberg e rischiara tutta la valle)


FINE



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