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Thursday, July 18, 2024

GRICE E VIANO: LA RAGIONE CONVERSAZIONALE E L'IMPLICATURA CONVERSAZIONALE DEL VA' PENSIERO -- IL CARATTERE DELLA FILOSOFIA ITALIANA -- FILOSOFIA ITALIANA -- LUIGI SPERANZA, PEL GRUPPO DI GIOCO DI H. P. GRICE, THE SWIMMING-POOL LIBRARY

 

Grice e Viano: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del va’ pensiero – il carattere della filosofia italiana – filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Aosta). Esential Italian philosopher. Filosofo italiano. Si laurea in filosofia a Torino sotto ABBAGNANO. Insegna a Milano e Cagliari. Fa ritorno, in qualità di ordinario fuori ruolo di storia della filosofia, a Torino. Fa parte del Comitato Nazionale per la bio-etica, ed è stato membro del direttivo della “Rivista di filosofia” e socio nazionale dell'accademia delle scienze di Torino.  Insignito del premio Feltrinelli per la storia dela filosofia. Di formazione illuminista, V. si occupa di storia della filosofia antica. -- è autore di importanti studi su Aristotele (“La logica di Aristotele” (Torino, Taylor) e l’empirismo (“Dal razionalismo all'illuminismo” (Einaudi, Torino); “Il pensiero politico” (Laterza, Roma). Nel campo dell'etica, oltre a studi storici -- “L'etica” (Mondatori, Milano), “Teorie etiche” (Boringhieri, Torino) -- si dedica a promuovere la costruzione di una bio-etica e a denunciare la timidezza dei laici di fronte alle ingerenze del cristianesimo.  Da Mistretta, direttore editoriale della Laterza di Roma, gli fu affidata, la direzione di una “Storia della filosofia.” Altre saggi: “La selva delle somiglianze: il filosofo e il medico” (Torino, Einaudi); “Va' pensiero: il carattere della filosofia italiana” (Torino, Einaud); “Filosofia italiana nel dopo-guerra” (Bologna, Mulino); “Etica pubblica” (Roma/Bari, Laterza); “Le città filosofiche: per una geografia della cultura filosofica italiana” (Bologna, Il Mulino); “Le imposture degl’antichi e i miracoli dei moderni” (Torino, Einaudi); “Laici in ginocchio” (Roma/Bari, Laterza); “Stagioni filosofiche: la filosofia del Novecento fra Torino e l'Italia” (Bologna, Mulino); “La scintilla di Caino: storia della coscienza e dei suoi usi” (Torino, Boringhieri). Profilo biografico sull’accademia delle scienze. Mori, Torino ricorda V., su Torino. Cerimonia nell'accademia nazionale dei lincei, su presidenza della repubblica, Roma. Treccani Enciclopedie,  Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Registrazioni su Radio Radicale, Radio Radicale.  Biografia e testi sull'Enciclopedia multimediale RAI delle scienze filosofiche Rassegna stampa sul Sito Italiano per la Filosofia Recensione di "Le città filosofiche" su Recensioni Filosofiche. Il lizio. Il punto di vista da cui intendiamo prendere le mosse e che ci pare adatto a permettere un proficuo studio della logica del LIZIO – tanto celelbrato a Roma -- può essere sufficientemente precisato se messo in rapporto con la tradizione storiografica concernente questo argomento. Le non molte pagine che compongono l’ “Organon” hanno suscitato interessi per secoli intieri dal tempo dei commenti romani fino ai rinnovati studi aristotelici del '500, attraverso gli studi medioevali, e fino alla logica classica dell'800. Ma una vera e propria indagine storiografica volta non a sviluppare una tecnica logica i cui principi si considerassero posti da Aristotele, bensì a comprendere il significato delle dottrine dello Stagirita e nei rapporti con gli atteggiamenti di pensiero dei suoi contemporanei e nei rapporti con gli interessi dello Stagirita stesso, sorse solo all'inizio del secolo scorso e tramontò abbastanza rapidamente: tanto che da cinquant'anni a questa parte poche e non molto significative sono le opere dedicate alla logica aristotelica.  Le ragioni di ciò si possono forse trovare nella impostazione che nella filosofia contemporanea viene data al problema logico. Infatti, nell'800 da un lato la critica kantiana presenta un' interpretazione della scienza classica servendosi proprio delle categorie della logica tradizionale come categorie proprie dell'intelletto umano, categorie di cui si serve ancora la logica hegeliana che pretende addirittura di assurgere a logica di tutta la realtà; d'altra parte il positivismo, soprattutto in Inghilterra, tenta di elaborare una logica empirica servendosi degli schemi che la logica tradizionale aveva mutuato da Aristotele; e la stessa logica formale ottocentesca finisce con il favorire lo studio di quello che i suoi cultori conside ravano come il fondatore della loro disciplina. Invece nel 'goo l'ideali-smo neo-hegeliano abbandona l' esigenza panlogistica, almeno quale si configura nello Hegel, preferendo parlare di una Coscienza assoluta più che di un'Idea che si svolga secondo una necessità logica, scoprendo perciò negli schemi cui ancora la Wissenschaft der Logik si era attenuta contraddizioni insanabili, come il Bradley, o vedendo nella logica che si attiene agli schemi aristotelici una indebita infiltrazione di schemi verbali irrigiditi nel campo del pensiero puro, come CROCE, o l' irrigidirsi del pensiero pensante nell'astratto pensiero pensato, come GENTILE. D'altra parte anche la logica della scienza tentava di liberarsi degli schemi tradizionali diventati incapaci di intendere i metodi nuovi di cui l' indagine scientifica si serviva o avvicinandosi sempre di più alla tecnica della ma-  tematica, con la logistica, o configurandosi come rigorosa analisi sintat-tica del linguaggio o servendosi delle nuove categorie che il pragmatismo offriva per l'interpretazione della scienza. In questo orizzonte gli studi sulla logica aristotelica non trovavano terreno propizio per germogliare.  Infatti gli interpreti idealisti, tra i quali il più significativo è forse CALOGERO, accettavano ben volentieri la qualificazione della logica aristotelica come logica formale, come solidificazione astratta ed artificiosa dell'opera vivente del pensiero e perciò tentavano di mostrare come essa non fosse essenziale per la comprensione del vero pensiero aristotelico in quanto costituisce un' intrusione del dianoetico nella noesi, cioè nell'atto di pensiero puro che determina i suoi contenuti immediatamente e senza ricorrere allo schema verbale del giudizio, come dimostrerebbe nel modo più lampante il libro della Metaphysica ed il frequente affiorare di questa esigenza anche nelle pagine dell'Organon, additate con molto acume e con molta perizia nella succitata opera del CALOGERO. La logistica, per bocca del Russell, prendeva un netto atteggiamento polemico nei riguardi della logica aristotelica vedendo in essa un insieme di schemi verbali non rispondenti però ad un'autentica tecnica logica, perché inficiati dal presupposto sostanzialistico, di carattere metafisico, che, riducendo tutte le enunciazioni a proposizioni della forma soggetto-predicato, preclude ogni considerazione delle relazioni. Tuttavia proprio nell'ambito della logistica doveva sorgere un altro atteggiamento verso la logica ari-stotelica, meno polemico, rappresentato soprattutto dallo Scholz, dal Becker e dal Bochénski. Comune a questi interpreti è il presupposto che la logica di Aristotele sia logica formale, cioè volta ad elaborare schemi linguistici aventi rapporti noti ed indipendenti dal valore dato alle incognite che in essi possono comparire. In questo modo, pur accettando l'osservazione del Russell che la logica aristotelica non va accettata così com'è perché deve essere integrata e sviluppata soprattutto con l'aggiunta della logica delle relazioni, essi non polemizzano più contro di essa, ma anzi la considerano come il precedente storico della logica formale contemporanea che si presenta appunto come un progresso rispetto a quella. Di conseguenza questi interpreti non mettono in problema le dottrine aristoteliche e l'impostazione da esse data al problema della logica; ma anzi accettano che quella dello Stagirita sia la vera impostazione del problema logico, la soluzione del quale consiste nello sviluppo diretto delle dottrine dell'Organon. Infatti secondo lo Scholz Aristotele avrebbe formulato un'as-siomatica che permetteva alla scienza del suo tempo di organizzarsi come un sistema di proposizioni necessariamente connesse; su questa base, da un lato, il Becker ha intrapreso una trascrizione in simboli della dottrina aristotelica della possibilità senza dare ragione delle diverse interpretazioni che di questa categoria lo Stagirita veniva dando, mentre dall'altro il Bochénski ha svolto un esame particolareggiato dell'assio-matica di cui parlava lo Scholz e della dottrina linguistica da questa pre-supposta, senza però vedere i rapporti tra questa e quella. Contro questo rapporto di derivazione diretta della logica formale contemporanea da quella aristotelica protestava il Veatch facendo però uso di argomenti non molto persuasivi. Fuori della logistica, frattanto, le difficoltà sorgenti dal tentativo di interpretare la scienza contemporanea con la logica aristotelica venivano messe in luce dal Reiser in alcuni articoli assai superficiali e disordinati, ma contenenti alcune buone osservazioni, e soprattutto dal Dewey che, con un atteggiamento ben più equilibrato, notava come la logica aristotelica presupponesse l'ontologia della sostanza alla quale era legata. Ma, facendo occasionalmente queste osservazioni in un'opera teorica, egli lasciava aperto proprio il problema di trovare i modi precisi di questo rapporto tra ontologia e logica e di determinare come l'ontologia si modelli attraverso la logica.  Dall'esame delle interpretazioni surriferite si possono trarre alcune importanti considerazioni che permettono subito di orientarsi di fronte alla logica aristotelica. Infatti lo studio della logica propria della scienza contemporanea ci fa subito avvertiti che ad essa 101 sono più applicabili gli schemi dell'Organon distruggendo così la pretesa di vedere in esso le tavole eterne, sebbene magari ancora incomplete, su cui sono segnate le leggi del pensiero umano e scoprendo le quali Aristotele avrebbe fatto l'uomo razionale, dopo che Dio lo aveva fatto semplice creatura a due gambe, come disse il Locke. Ciò posto, risulta impossibile giustificare storicamente la logica aristotelica vedendo in essa la scoperta del procedimento del pensiero in quanto tale, che è in fondo l'interpretazione del Barthélemy Saint-Hilaire, o anche solo dell’intelletto che sarà poi superato dialetticamente dalla Ragione, come sostiene lo Hegel. Ma allora il problema della logica aristotelica si presenta in tutta la sua gravità. Infatti essa non potrà più essere giustificata come insieme di regole che reggano il corso del pensiero stesso in quanto tale, ma bisognerà esaminare l'effettivo valore che essa ha per noi, i problemi che essa ci pone, gli eventuali mezzi per risolverli che essa ci offre. Ma queste sono prospettive di ricerca che ci si offrono solo in quanto alla logica aristotelica non si attribuisca una validità metastorica e si riconosca in essa un insieme di dottrine storicamente condizionate che storicamente vanno studiate. Da ciò consegue che la logica di Aristotele non potrà essere studiata come logica in quanto tale, ma dovrà essere studiata come logica aristotelica: cioè svolgere una ricerca su di essa vorrà dire giustificare il suo posto nell'insieme delle opere aristoteliche, mettere in luce quali problemi il suo autore si proponeva di risolvere e quali riusciva a risolvere con essa. Perciò le interpretazioni idealistiche e lo-  gistiche, che sopra abbiamo esaminato, non conducono a fondo l'interpretazione storica della logica aristotelica in quanto lasciano sussistere dei termini - logica formale, schema verbale - il cui significato non viene determinato nel corso dell'indagine stessa, ma presupposto ad essa. È vero che la logica di Aristotele è costruita di schemi verbali; ma l'osservare che quegli schemi verbali sono troppo limitati o che essi oggi non servono più e rimproverare ad essi di soffocare la vera vita del pensiero non serve a comprendere storicamente il pensiero dello Stagirita; piuttosto giova vedere che cosa potesse significare per Aristotele stesso « schema verbale», quale uso di esso egli giustificasse, di quali dimensioni tenesse conto e quali eliminasse per costruire proprio quella nozione.  Ed altrettanto dicasi per la qualificazione della sua logica come logica formale: in un certo senso questa attribuzione può essere sostenuta in quanto almeno gli Analytica priora si occupano di pure forme verbali in cui i termini sono rappresentati con lettere che prescindono da ogni eventuale contenuto. Ma il problema che subito si presenta è quello di determinare che significato abbia per Aristotele la « forma» e l'aggettivo « verbale» che ad essa viene attribuito. Perciò la comprensione storica della logica aristotelica ha come sua condizione la connessione delle dottrine logiche con le altre dottrine filosofiche dello Stagirita: a questo modo la logica non verrà considerata come la scienza del pensiero in quanto tale, ma come la logica resa possibile da una ben determinata posizione filosofica, presupponente una ben determinata metafisica, mentre, d'altra parte, sarà aperta la via a considerare con quali mezzi logico-lin-guistici sia stato possibile costruire quella metafisica.  La connessione delle dottrine logiche con quelle metafisiche nell' interpretazione di Aristotele non è nuova e, anzi, costituisce il tema dominante di alcuni studi assai celebri. Essa è riscontrabile nelle opere appartenenti alla storiografia francese di ispirazione spiritualistica facente capo al Ravaisson, all' Hamelin ed al Bergson. Carattere comune di questi studi è la presupposizione di una certa interpretazione della metafisica aristotelica, nella quale si cerca un posto per la logica o partendo dalla quale si discutono questioni pertinenti propriamente alla logica. E anche l'interpretazione della metafisica è caratterizzabile in modo assai tipico: essa infatti viene spiegata con schemi in prevalenza neoplatonici in base ai quali si vuole vedere teorizzata l'opera di un universale che darebbe vita agli individuali senza tuttavia risolversi totalmente in essi, lasciando così sussistere quelle aporie che. secondo questi interpreti, sarebbero riscontrabili nel xoprouós delle idec platoniche. Di conseguenza le interpretazioni della logica appartenenti a questa corrente, comc quelle dello Chevalier, dell'Aslan, del Badareu, del Robin, di S. Mansion rivelano un unico schema nel quale la logica appare come la dottrina dell'universale puro ed assolutamente necessario che lascia fuori di sé il particolare esistente, nel quale la nocessità si attenua fino a diventare soltanto il per lo più: anche qui cioè spunta la difficoltà della metafisica per cui da un lato l'universale è il solo oggetto veramente conoscibile, dall'altro il particolare è il solo oggetto veramente esistente. A questa interpretazione si potrebbe obbiettare che lascia insoluto proprio il problema della logica come logica, ossia come ricerca sulla possibilità di un discorso rigoroso, in quanto in questi studi non si vede come lo stesso discorso rigoroso, per potersi costituire come tale, richieda per Aristotele una certa metafisica. Del resto è assai significativo che questi interpreti si siano cimentati ben poco con gli Analytica priora esponendone semmai la dottrina, ma accettando implicitamente la tesi che in essi è svolta una trattazione di logica formale. Lo stesso Chevalier, che più degli altri si addentra nell'analisi di questo trattato, dichiara che esso rappresenta un tentativo di costruire una logica formale -- tentativo fallito perché il sillogismo richiede come fondamento una necessità reale che è concepibile solo se le premesse sono immediatamente intuibili, perché in caso contrario la pura necessità logica diventerebbe una mera necessità ipotetica. Ma la difficoltà sta proprio qui, cioè nell'assunzione che il sillogismo sia un mero mezzo di svolgere cocrente-mente un'ipotesi, il cui unico contatto con la realta consista in un' intui-zione intellettuale.  Ben più significativo è il modo in cui il Prantl tenta di connettere la logica con la metafisica nella sua Geschichte der Logik im Abendlande. Il fondamento della mediazione logica è un Realprincip immanente alle cose stesse e costituente l'equivalente ontologico delle categorie linguistiche di cui fa uso la logica. Il merito del Prantl consiste appunto nel tentare di definire per quel che gli è possibile il principio ontologico con categorie logiche, mettendo in luce la stretta connessione che per Aristotele sussiste tra questi due aspetti. Senonché anche qui non si vede poi come non solo il Realprincip sia definibile con categorie logiche, ma come le stesse categorie logiche determinino il Realprincip costituendosi pro-prio come categorie logiche. Mentre il Prantl pone al centro della inter-pretazione il concetto che è definibile contemporaneamente con catego-rie ontologiche e con categorie logiche, il Trendelenburg preferisce par-tire dalla considerazione del giudizio nel quale prendono senso lc cate-gorie che deriverebbero dalle varie parti del discorso distinte dalla gram-matica. Da questa interpretazione prendeva l'avvio una lunga discus-sione sulla dottrina delle categorie aristoteliche condotta dal Bonitz, dall'Apelt, dal Gercke, dal Witte, dal Geyser, dal Gillespie, dal von Fritz, nel corso della quale si tenta di penetrare sei-pre meglio i precedenti academici della dottrina aristotelica e si abban-dona anche l'analogia con le categorie kantiane che in un primo tempo erano state il termine del confronto che tutte le trattazioni si sentivano in dovere di fare impedendosi cosi la comprensione del significato propria-mente aristotelico di quella dottrina. Ma il motivo della centralità del giudizio nella logica aristotelica veniva ripreso ed ampliato dal Maier che intitolava un'amplissima opera sulla logica aristotelica Die Syllogi-stik des Aristoteles, mostrando appunto di voler imperniare tutte le sue indagini sul sillogismo considerato come la base di tutte le dottrine del-l'Organon. Il Maier rifiuta nettamente l'interpretazione formalistica della logica aristotelica sostenendo che per lo Stagirita giudizio e sillogismo hanno sempre un valore logico ed un valore ontologico. Ma poi distingue il significato ontologico da quello metafisico considerando l'intrusione del metafisico nella logica come un passaggio indebito compiuto in più punti dallo stesso Aristotele. Di conseguenza la logica, anziché essere interpretata in connessione con le dottrine metafisiche di Aristotele, viene disgiunta da esse ed irrigidita in una struttura formale che a quelle è estranea: perciò solo apparentemente il Maier respinge l'interpretazione formale della logica aristotelica, in quanto la sua interpretazione si distingue da quella formalistica solo perché non riconosce valore meramente linguistico agli schemi logici, ma li trasporta nel reale stesso pur senza alterare la loro natura. Appunto perciò l'interprete non è poi in grado di mettere in luce la connessione di quegli schemi con le altre dottrine filosofiche dello Stagirita, dalle quali, anzi, pretende di prescindere. Il Maier mette iu luce una esigenza che si fa veramente valere nell'indagine sull' Organon - cioè il bisogno di precisare il valore ontologico degli schemi logici —, ma non è in grado di soddi-sfarla, in quanto la distinzione dell'ontologia dalla mctafisica non regge, almeno nell'ambito delle dottrine aristoteliche, perché 1°) per Aristotele la metafisica si configura appunto come ontologia, in quanto pretende di essere la teoria dell'essere in quanto tale; 2°) l'eliminazione della metafisica dalla pura ontologia costituita dalle dottrine dell'Organon ha costretto il Maier ad espungere idealmente dalla logica aristotelica sviluppi non irrilevanti.  Poiché abbiamo visto che l'autentica comprensione storica delle dottrine logiche dello Stagirita ha come condizione la loro connessione con le dottrine metafisiche, ci pare di poter affermare che gli interpreti che si sono messi su questa via e che sopra abbiamo citato, non hanno realizzato appieno il loro proposito in quanto non hanno del tutto realizzato proprio quella condizione. Infatti o, come il Maier, hanno irrigidito la logica in una struttura che ha impedito ogni suo ulteriore collegamento  son le errin pietarite oraco, i Pro e su pisto mone nageione,  poi la logica si sarebbe dovuta adeguare. Per stabilire un più stretto legame tra logica e metafisica aristoteliche bisogna esaminare la logica con l'intento di cercarvi gli strumenti con cui Aristotele ha potuto costruire la metafisica: cioè non si deve studiare la logica presupponendo la meta-fisica, ma considerando la metafisica come punto di arrivo della logica.  Ciò tuttavia non implica che la logica si svolga senza presupposti metafisici; ché anzi le dottrine logiche si vengono precisando via via con il precisarsi delle dottrine metafisiche e presuppongono posizioni metafisiche dalle quali sono indisgiungibili. La metafisica, perciò, si costituisce come punto di arrivo della logica non perché sia separata da questa, ma perché queste stesse categoric della metafisica si configurano in modo tale da determinare anche gli strumenti con cui esse sono usabili; d'altra parte dallo studio della logica si vedrà appunto come l'uso di certi determinati strumenti logici, l'impostazione della ricerca su certe determinate dimensioni e l'eliminazione di altre, porti all'elaborazione di una certa determinata metafisica che, a sua volta, giustifica quegli strumenti ed è il loro presupposto. A questo modo è possibile trarre dallo studio della logica l'orizzonte categoriale della metafisica, vale a dire l'unità delle dottrine metafisiche stabilite in base all'uso degli strumenti ad esse ap-propriati. Solo dalla indagine delle effettive categorie di cui Aristotele fa uso e del loro modo di operare potrà così emergere l'unità della filosofia aristotelica.  Ma per far ciò non sarà più possibile considerare la logica aristotelica come dottrina del procedere naturale dell'intelligenza o dottrina della conoscenza in generale, ma bisognerà fare concreto rifcrimento al modo preciso in cui Aristotele pensò che l'intelligenza lavorasse, cioè alla sua concezione della scienza. Infatti la stretta connessione della logica con la metafisica, nel modo che sopra abbiamo illustrato, diventa la stretta connessione della logica con la scienza, in quanto la metafisica di Aristotele si presenta appunto come una scienza che ha la medesima struttura delle altre scienze. Perciò dire che l'oggetto della logica aristotelica è il discorso comune, come fa il Kapp, non è interamente vero, in quanto il discorso comune può si costituire il punto di partenza ed il materiale delle considerazioni di Aristotele il cui oggetto, però, è la costruzione di un discorso scientifico fondato sul reale. Perciò se da un lato la metafisica esige la logica come quella che può determinare gli strumenti con cui le categorie metafisiche sono usabili, d'altra parte la logica tende alla metafisica come quella che, dando un fondamento nell' essere alle categorie logiche, legittima l'uso degli strumenti che quelle presuppongono. Ed appunto perciò la logica non sarà, come la tradizione con il nome di organon ha tramandato e come lo Zeller interpreta, uno strumento essa stessa, anche se mette in luce gli strumenti con cui certe categorie possono essere usate: essa, infatti, è una struttura che è necessaria all'essere perché possa esserci un discorso che lo enunci e al discorso per potersi costituire come discorso, anche sbagliato. Perciò presentandosi come logica della scienza quella di Aristotele non si configura come inetodologia, in quanto quest'ultima è possibile solo là dove non si presupponga l'esistenza di una struttura dell'essere già costituita e gli strumenti per conoscere la quale sono stabiliti una volta per tutte e stanno originariamente nelle nostre mani. Di conseguenza l'unico precetto metodologico che dalla logica aristotelica deriva è quello di non falsare gli strumenti che possediamo e di riconoscere l'essere in quello che veramente è. Ma tutto ciò potrà veramente venire alla luce solo attraverso lo studio dei fondamenti linguistici della logica aristotelica: infatti per Aristotele, come per Eraclito, la ragione è essenzialmente lóyos, discorso, cioè capacità di cogliere e di indicare con parole l'essenza stessa dell'essere. Il linguaggio, perciò, è lo strumento essenziale con il quale le categorie aristoteliche hanno da essere usate; e la posizione che ad esso Aristotele conferisce e le possibilità che ad esso apre costituiscono i fondamenti di tutta la costruzione logica e metafisica dello Stagirita. Del resto questo lato dell'indagine risponde pienamente agli interessi cui la filosofia odierna dedica la sua attenzione. Infatti, mentre da un lato la logica e la metodologia delle scienze dedicano sempre maggiore cura all'esame delle scienze in quanto fanno uso di certi determinati linguaggi e alle possibilità e ai limiti di questi linguaggi, dall'altro la considerazione dell'elemento linguistico della ricerca filosofica ha assai contribuito ad aumentare la cautela critica di quest'ultima e l'interesse per l'indagine sulle sue reali possibilità. Dalla tendenza volta a limitare la filosofia ad un'attività critica sull'uso delle parole ad altre più propense a dare ad essa un più vasto significato, le correnti più significative della filosofia con-temporanca si rendono conto dell'importanza che ha la determinazione del tipo di discorso che la filosofia deve adottare e delle possibilità che ne può trarre; e nella stessa tecnica dell'indagine filosofia l'analisi linguistica dei termini è praticata con sempre maggior frequenza nel tentativo di eliminare quelle parole o quei significati la cui determinazione non è possibile fare con mezzi il cui comportamento sia noto e, in qualche modo, controllabile. Il linguaggio cioè non è un insieme di segni assolutamente trasparenti, capaci di riprodurre fedelmente il puro pensiero o l'essere senza nulla pregiudicare di quella ricerca che nelle parole troverebbe solo la sede adatta alle sue conclusioni, ma interviene attivamente nella ricerca rischiando di deviarla su direzioni del tutto illusorie. Questo problema è particolarmente importante per la filosofia aristotelica che pretende di rintracciare, proprio avvalendosi del discorso, una struttura dell'essere universalmente valida e che nella logica si preoccupa di mettere in luce la posizione che il linguaggio ha come mezzo per enunciare quella strut-tura. Dalla soluzione data al problema del linguaggio come mezzo per enunciare l'essere dipende la configurazione della logica come struttura necessaria e non come disciplina possibile del discorso; nel senso che i mezzi semantici di cui il discorso è costituito sono sempre adatti a mettere capo ad un insieme in cui le categorie dell'essere sono adeguatamente aggravata dal fatto che sull'autenticità di due opere del corpus logicum si sono sollevati dubbi. È nostro preciso intento trattare questo problema nella misura richiesta dall'indagine che intendiamo condurre ed esclusivamente in vista di essa. Ora, del trattato delle Categoriae ci siamo serviti solo in quanto conteneva dottrine del tutto confermate da altri scritti di sicura attribuzione, mentre più largo uso abbiamo fatto del De interpretatione. Contro le difficoltà di natura oggettiva sollevate fin dall'antichità contro il trattatello ha svolto considerazioni probanti il Maier. Quanto a noi ce ne siamo serviti per studiare dottrine che trovano sicuro riscontro negli Analytica priora (qualità e quantità dei giudizi e dottrina della modalità), salvo differenze trascurabili per il punto di vista da cui ci siamo collocati (p. es. la comparsa dei giudizi individuali non considerati dagli Analytica). La dottrina della convenzionalità non trova invece riscontro letterale in altri testi aristotelici; senonché si può osservare: 1°) la nozione di inópavas come avíleois di arópiois e xatápaois compare anche negli Analytica posteriora e la costituzione di un discorso apofantico presuppone appunto l'eliminazione del problema della semanticità, che è proprio il senso in cui abbiamo interpretato la nozione aristotelica di convenzionalità del linguaggio; 2°) la dottrina del giudizio in tutte le sue enunciazioni presuppone la convenzionalità nel senso sopra specificato; 3") la Poetica che parairasa passi del “De interpretatione” eliminando la tesi della convenzionalità è stato dimostrato dal Maier essere un'in-terpolazione tendenziosa. Perciò mentre mancano criteri oggettivi sicuri capaci di sostenere la tesi dell' inautenticità, neppure l'esito dell'esame condotto sulla concordanza dottrinale può indurrc a pronunciare l'atetesi del De interpretatione, o almeno delle parti che ci interessano.  Assai più difficile si presenta la questione della collocazione cronologica degli scritti logici. Essa fu affrontata dapprima dal Brandis che sostenne la precedenza dei Topica rispetto alle altre opere aristote-liche, tesi ripresa e completata dal Maier che ritenne di poter dividere i Topica in parti che non presuppongono la conoscenza del sillogismo e parti che la presuppongono. Altre a ciò il Maier ritenne di poter considerare il De interpreta-tiene posteriore agli Analytica, dando così un piano completo della successione delle opere logiche aristoteliche, dai più accettato e confer-mato recentemente, con uno studio sui rinvii reciproci delle singole opere, dal Tielscher. Mentre la considerazione dei libri B e H (nei ca-pitoli sopra citati) come le parti più antiche dell' Organon sembra del tutto pacifica, maggiori riserve si potrebbero sollevare di fronte alla col-locazione nello stesso periodo dei libri che eseguono un progetto tracciato all' inizio del A, sì da costituire un corpo ab-bastanza unitario nel quale si trova un rinvio ben netto alla dottrina della dimostrazione di Analytica posteriora. Se questo indizio nonè affatto sufficiente per posticipare i libri in questione, esso rivela tuttavia il tentativo di trovare, attraverso un' interpolazione, un inserimento della dialettica dei Topica nella sillogistica degli Analytica. Quanto alla posticipazione del “De interpretatione”, le ragioni più importanti addotte dal Maier - la mancanza di citazioni in altri scritti e la giustificazione del cap. go come polemica contro Diodoro Crono - non sono del tutto probanti.  L'opera iniziata dal Maier portava innanzi il Solmsen che, partendo dagli studi del Jäger, suo maestro, dava un ordinamento del tutto nuovo al corpus logicum accettando quasi integralmente le tesi del Maier per i Topica ma facendo precedere gli Analytica posteriora ai priora; ordinamento che, accettato dallo Stocks, veniva criticato con consi-derazioni ragionevoli del Ross. D'altra parte il Gohlke, prendendo in esame le dottrine della quantità e della modalità dei giudizi tentava di individuare strati diversi di composizione delle opere dell' Organon; ten-tativo parzialmente condotto anche dal Becker. In realtà nessuno di questi tentativi ha dato finora un ordine cronologico fornito di un grado apprezzabile di probabilità e stabilito su basi puramente oggettive, cioè tale da non implicare un' interpretazione filosofica della logica aristotelica.  Vista l'estrema difficoltà di stabilire un ordine cronologico filologi-camente fondato in maniera soddisfacente, abbiamo preferito rinunciare all'ordine cronologico (che sarebbe stato ben malsicuro), pur tenendo conto, dove ciò ci è parso indispensabile, dei nessi di priorità che ci sono sembrati indiscutibili. Ma, d'altra parte, abbiamo cercato di non irrigidire le dottrine di Aristotele in un sistema che non fosse il sistema stesso di Aristotele, tentando piuttosto di mettere in luce l'orizzonte in cui tutte quelle dottrine si impostano e sforzandoci di non impacciare le loro movenze pur cercando la loro unità: unità consistente appunto nel problema di rintracciare una struttura linguistica universalmente necessaria. Se essa precisa i suoi tratti con particolare evidenza nel De interpretatione e negli Analytica priora, tuttavia sta già alla base della dottrina del giudizio e del ragionamento rintracciabile nei Topica e costituisce uno dei tratti tipici dell'aristotelismo; quell'aristotelismo che è già riscontrabile nel platonisino del Aristotele dell’Accademia e non del Lizio! Viano. Keywords: la filosofia romana, il neo-tradizionalismo. Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft MS – Luigi Speranza, “Grice e Viano: il neo-tradizionalismo” – “Viano e la filosofia romana” -- The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.

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