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Sunday, July 31, 2011

Descrizione della Liguria in Rutilio Namaziano

Luigi Speranza
Bordighera

Claudio Rutilio Namaziano è poeta latino di origine gallica.

Nativo probabilmente di Tolosa, figlio di un alto funzionario imperiale, intraprese la carriera amministrativa sino a diventare praefectus urbi nel 414 d.C.

Negli anni seguenti, però, dovette lasciare Roma per tornare nella sua terra invasa dai Vandali.

Tale viaggio, compiuto per mare, a causa delle pessime condizioni della Via Aurelia e della Via Iulia Augusta, dopo il passaggio dei Visigoti, viaggio intervallato da numerosi scali, viene ripercorso nel "De reditu suo", poemetto in distici elegiaci che si interrompe al verso 68 del libro II con l'arrivo a Luni.

Recentemente sono stati scoperti dei magri frammenti riferiti alla Liguria, con la prosecuzione della traversata fino ad Albenga.

Pregevole per nitore espressivo è la raffigurazione del Mar Ligure e della Lunigiana che l'autore dipinge con tocchi leggiadri e sapienti, sebbene non privi di un certo artificio.

L'acqua tranquilla ci sorride, mentre i raggi del sole la increspano e l'onda solcata dalla nave mormora con un lieve suono.

Cominciano ad apparire le cime dell'Appennino, nella direzione in cui Teti freme respinta da un monte elevato. [...]

Siamo giunti con veloce movimento a candide mura.

Dà nome al luogo la scintillante sorella del Sole.

La pietra con i suoi massi supera i gigli ridenti e sfolgora di una lucentezza dipinta.

La terra, ricca di marmi, superba chiama a gareggiare in splendore le nevi immacolate.

I versi tratteggiano uno scenario rasserenante e radioso, in cui la prosopopea dell'acqua che sorride, la luminosità del paesaggio stridono con la triste temperie storica, motivo del viaggio.

In questo brano l'autore raffigura con maestria i luoghi in cui sorgeva l'antica Luna (evocata attraverso una preziosa perifrasi), lambita dal mare designato con l'antonomasia "Teti", mentre sullo sfondo si adergono le Alpi Apuane corrusche di marmi.

L'immagine dei gigli e quella della neve accrescono il senso di lucore quasi abbacinante dell'alata descrizione.

Più corposi i versi dedicati a Genova.

Lì, come è uso a Genova sia riposto il frumento, si ergono contro i venti di Noto forieri di pioggia sicuri granai e vigile presidia i quartieri invernali della Liguria il soldato che porta una scrofa come insegna sul lanoso scudo.

Siamo accolti nell'osteria.

La generosa padrona serve a tavola, mentre un focolare dalle fiamme flessuose è acceso sotto un gran pentolone.

L'ostessa ci offre del vino a prezzo non modico e l'orcio traboccante spande il suo liquido, emanando un gradevole profumo.

Genova è rappresentata in modo realistico con le nubi imbrifere portate dai venti del Nord e con l'interno della taverna, tiepida per il fuoco acceso, in cui l'ostessa mesce del vino dal sentore piacevole.

Il poeta non rinuncia, pur all'interno di un quadro realistico, all'elegante metafora delle fiamme flessuose.

L'ultimo lacerto ligure è dedicato alla descrizione delle mura che cingono Albenga enfaticamente paragonate a quelle di Tebe, di Atene e di Troia.

Segue uno sperticato e poco opportuno panegirico del console Costanzo, cui si deve la costruzione della cinta muraria.

Questa è la Liguria tratteggiata dall’autore latino, una Liguria naturalmente molto diversa da quella attuale, come è facile immaginare.

Fonti:

Posidonio, Strabone, Crinagora, Rutilio Namaziano,
"Ligustica itinera", Bordighera, 1994
Enciclopedia dell’antichità classica, Milano, 2005, s.v. Rutilio Namaziano

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