GRAMMATICA RAGIONATA DELLA LINGUA ITALIANA -- LIVORNO -- Prello TOMMASO MASI E COMPAGNO. 18l5.
INTRODUZIONE
JJ eUe pai ù del Discorso in generale
PARTE I: del nome e del pronome
Cap. I: dei Nomi particolari e universali, ossìa propri e appellativi
Cap. II: dei sostantivi e aggettivi fisici e metafisici
Cap. III: dei generi
Cap. IV: dei numeri
Cap. V: delle declinazioni
Cap. VI: dell'articolo, e degli aggettivi che determinan il significalo de nomi universali.
Cap. VII: dei nomi alterati
Cap. VIII: dei pronomi.
PARTE II: del Verbo e del participio
Cap. I: de numeri, e delle persone de' verbi
Cap. II: dei tempi
Cap. III: dei modi
Cap. IV: dei verbi transitivi e intransitivi
Cap. V: dei verbi ausiliari "essere" e "avere"
Cap. VI: delle coniugazioni de' verbi regolari.
Cap. VII: dei verbi irregolari
Cap. VIII: dei verbi difettivi
Cap. IX: dei verbi adoperati in luogo de nomi.
Cap. X: del participio, del gerundio, e dei nomi verbali
PARTE IV: dell' avverbio, della preposizione, della Congiuuzione, e dell'interposto
Cap. I: dell'avverbio.
Cap. II: della preposizione
Cap. III: delle congiunzioni
Cap. IV: dell'interposto.
PARTE IV: della sintassi.
Cap I. Della maniera con cui le parti del Discorso si debbono accora dare fra loro.
Art. I. Del modo con cui si debbono accordare gli Aggettivi coi sostantivi^ei Verbi co loro Soggetti.
Art. II. Del modo con cui iNomi si debboa congiungere coi Verbi da cui san retti.
Cap. II. Dell ordine con cui le parti del Discorso si debbon disporre , ossia della Costruzione.
Cap. III: delle alterazioni che nelle cose precedenti per grazia e proprietà di lingua sono permesse y ossia delle Figure grammaticali.
Cap. IV: delle Voci diverse che servono ad esprimere una medesima idea, ossia de Sinonimi, e con questa occasione dei veri vantaggi di una lingua.
Cap. V: delle voci che esprimono più idee diverse
PARTE V: dell'ortografia.
Cap. I: dell' alfabeto italiano
Cap. II: dell' accento.
Cap. III: dell' apostrofo.
Cap. IV: del troncamento delle Parole.
Cap. V: dell' accrescimento delle Parole.
Cap. VI: della divisione delle Parole in fin di riga.
Cap. VII: del raddoppiamento delle Consonanti.
Cap. VIII: dei punti e delle virgole.
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A LEGGITORI
x ra la moltitudine delle Grammatiche, che intorno alla Lingua Italiana si son fin qui pubblicate, una Grammatica ragionata tuttavia attendevasi, e questa è
quella che or. Leggitori cortesi, vi si presenta.
Lo studio delle lingue, arido per se stesso e stucchevole, allora solo può divenir piacevole ad un tempo, e fecondo di utili cognizioni, quando considerata a fondo la natura , e l' indole delle lingue in generale, ed esaminato quindi attentamente il genio e l'uso di quella, che prendesi particolarmente a trattare, se ne stabiliscano fissamente i principj, se ne dediican le regole con semplicità e con chiarezza, si distingua ciò che dipende dal sol capriccio dell'uso, da ciò che nasce da'principj fondamentali, e ciò che ò uso costante e universale , da ciò che è mera bizzarria o stravaganza di qualche Scrittore particolare , si osservi l'analogia di una lingua coli' altre,si notino le loro irregolarità, si rilevino col confronto i loro pregi o difetti, e così discorrendo. Questo è quello che l'Autore della presente Grammatica si è proposto di liire. e che egli si è studiato di eseguire coli' ordine, colla chiarezza, e colla precisione maggiore. Della parte metafisica egli è debitore ai signori Lancellot e Du-Marsais, al Trattato delle Lingue italiana e latina, dato alla luce alcuni anni sono da un celebre Professore di questa R. Università 5 e alle proprie riflessioni; della parte grammaticale al Buommattei, al Cinonio, al Corticelli, al Soresi, e alla lettura diliiiente de' migliori Italiani Scrittori. Circa a quest'ultima, egli ha creduto di dover discendere a tutte le particolarità ancor più minute, che giovar possano a chi ama d' apprendere la Lingua Italiana fondatamente : e quanto alla prima, nel tempo stesso ch'egli si è studiato di analizzare esattamente tutto ciò che può maggiormente interessare la metafisica delle Lingue, ha procurato anche di farlo in modo . che nulla fosse tuttavia superiore all'intelligenza comune. Per soddisfare poi chi amasse in questa parte meditazioni ancor più prolonde, egli spera di pubblicar fra non molto alcune sue Ricerche intorno all' Istituzione delle Lingue y e la loro influenza su le umane cognizioni ^ nelle quali, stabilita l'ipotesi di due fanciulli di sesso diverso abbandonati in un'isola deserta, ei fa vedere come crescendo e moltiplicandosi, potranno questi formare a poco a poco una vera e perfetta società^ come potranno istituire una lingua, e come le loro cognizioni, di cui determina la picciolissima estensione nello stato naturale, coir istituzione de' segni articolati verranno di mano in mano accrescendosi e perfezionandosi. Voi accogliete frattanto di buon grado, Leggitori cortesi, ciò ch'egli or vi presenta, e vivete felici. 3, Fin qui r Editore di Parma del JY71. ,, L'editore della presente ristampa ha seguito fedelmente il lavoro del dotto Autore di questa Grammatica, e si è soltanto permesso di fare alcune variazioni ove o l'uso Toscano, o l'evidenza di qualche abbaglio, per lo più dello stampatore, hanno chiaramente mostrato di richiedere simili cangiamenti. Pertanto egli si lusinga di aver reso buon servìgio agli Amatori di siffatti studi, e che essi gli sapranno grado delle sue premure in ripubblicare un'Opera universalmente lodata ed apprezzata , col mezzo d' un' edizione non meno elegante, che corretta.
INTRODUZIONE: Delle parti del Discorso in generale.
Il fine di ogni nostro discorso egli è quello di manifestare ad altri i nostri pensieri.
The goal of all our discorse is to manifest to others our thoughts.
A ciò sono necessari in primo luogo i nomi ed i verbi; e queste due parti sono di necessità assoluta. Per ben comprenderlo basta osservar prima come nascano in noi r idee , e come da noi si combinino; indi ciò che è richiesto per poterle palesare ad
altrui. Io assaggio per esempio un frutto , e Io trovo amaro. Due idee si formano nella mia mente , una dell'oggetto, che è il flutto, e l'altra della qualità eh' egli ha d' essere amaro , ossia di produrre in me quella sensazione disgustosa che
i ) Ciiiiimo amarezza. Or se vorrò manifestare ad alcuno l'idea che in me si ò destata di quest'oggetto , converrà che adoperi un qualclie segno, com' è la ^diVoXa. frutto ; se vorrò esprimere l'idea della sua qualità, bisognerà che n'adoperi un altro , qual' è la parola amaro. Ma quei segni con cui si esprimono l'idee degli oggetti , con\e /rut- to , albero , terra , acqua , cielo ec. si chiamano nomi sostantivi , e quelli con cui s'esprimono l'idee delle qualità , come amaro , "dolce", "bianco", "nero" ec. si chiamano nomi aggettivi. Conciossiacliò adunque il parlare consista principalmente nel significare agli altri l'idee che abbiamo degli oggetti e delle lor qualità j ognun vede che i segni che servono ad esprimere queste idee, cioè i nomi pon nel discorso assolutamente necessarj.
Ma dopo che in me si è destata l'idea del frutto e dell' amarezza , l'esser nata l'una all'occasione dell'altra, fa che naturalmente insieme io le combini , e sapendo che il frutto è quello c!ie in me ha prodotto la sensazioae amara , dica fra
me medesimo: qjiieàto frutto è amaro , o ha la (pialità di essere amaro. Quell' atto delia nostra mente, con cui egli aiferma , o nega fra sedie una qualità convenga ad un op;getto si chiama giudicio. Ora se io vorrò esprimere con parole ad un altro questo mio giudicio, non basterà eh' io dica semplicemente //w/^o amaro , perchè con
questo risveglierò bensì l'idea del frutto e della qualità che si significa col nome amaro , ma non laro già intendere che questa qualità si trovi nel frutto di cui io parlo. Converrà adunque aggiugnervi quaich' altro segno , e dire per esem[>io /'/
frutto è amaro , e questo segno , con cui si afferma che una qualità si trova in un oggetto, è quello che chiamasi verbo.
Ogni giudicio della nostra mente espresso colle parole, si dice essere una proposizione, vale a dire tale si chiama ogni serie di parole, con cui si aftermi , o si neghi che una proprietà convenga ad un oggetto; quindi il fruito è amaro
sarà una proposizione , il frutto non è dolce sarà un'altra. E in ogni proposizione il nome dell'oggetto , in cui si afferma o si nega 1' esistenza delia tale o tal' altra qualità , si dice il soggetto , il nome della qualità che al soggetto s'attribuisce , si chiama V attributo , e il verbo si chiama
"copula"
dal latino copulare, perchè serve ad unire l'attributo col soggetto, mostrando la convenienza o disconvenienza dell'uno coH'altro. Quindi nella prima proposizione W fiuto sarà il soggetto , amaro sarà l'attributo, e il verbo è sarà la copula. Or non
essendo ogni nostro discorso che una serie più o men lunga di proposizioni , ella è manifesta la necessità e de' nomi , e de' verbi, senza di cui niuns proposizione si può formare.
Le altre parti del discorso non sono di una necessità egualmente assoluta, ma sono però di una grandissima utilità. E primieramente sovente accade di dovere in due , o più proposizioni successive parlare del medesimo oggetto. Ora il ripetere sempre lo stesso nome formerebbe una replica troppo noiosa. Usiamo adunque di sostituirvi alcuni aggettivi che ne risveglin l' idea , quali sono egli , lo stesso , il
medesimo ec. e questi dall' ufficio che fanno si chtaman pronomi; cosi in vece di dire:
"Pirro cercò di corromper Fabrizio colle ricchezze."
ma
"Fabrizio con animo forte ricusò le ricchezze",
dir clamo, ma eglio questicon animo forte /e ricusò.
2. Oltre all' idea della convenienza odisconrenienza di una qualità con un oggelto, uoi voijliaino sovente destare anche quella di una qualche relazione , che tale oggetto abbia con altri, il qual nome di relazione significa ciò che una cosa
è rispetto ad un' altra , o paragonata ad un'altra. Or questo potrebbe ben farsi alcune volte coi nomi e coi verbi soltanto; ma il discorso per lo più verrebbe lungo e intralciato di mollo , che non si potrebbe intendere agevolmente. Per esprìmere
adunque le relazioni con j)iù chiarezza e più brevità , si sono introdotte alcune voci che si chiamano preposizioni , perchè si sogliono sempre premettere ai nomi , con cui ha relazione l'oggetto del quale si parla , e sono di
"a", "da", "per", "con", ec.
Quindi dicendo:
"Pietro passeggia con Paolo."
la preposizione "con" indica tosto la relazione di compagnia che uno ha coli' altro; laddove se non si volesse far uso di ninna preposizione , converrebbe dire:
"Pietro passeggia. Gli ha un compagno. Questo compagno è Paolo."
Tutti i verbi, eccettuato il verbo essere , contengono in se , olire all' aftermazione , anche un aggettivo, che vien poi ad essere l'attributo della proposizione ; cosi amare è lo stesso che esser amante , vivere è lo stesso che esser viven" tc. Da questo viene , che per esenìpio :
"Pietro ama".
"Pietro vive"
sono due proposizioni compiute , benché sembri che non vi sia se non il soggetto ed il verbo , perchè gli attributi sono gli aggettivi amante e vivente inchiusi nei verbi medesimi. Ora dicendo:
"Pietro ama" o è amante,
"Pietro vive o è vivente",
il verbo è esprime in primo luogo l'esistenza di Pietro , in secondo luogo aliérma che a lui convengono gli attributi amante o vivente»
Ma tanto l'esistenza e i'afiermazione espresse dal verbo essere f quanto le proprietà espresse dagli attributi posson ricevere varie modificazioni. Io posso per esempio affermare con certezza o eoa dubbio che Pietro viva , e vario può essere il luogo, il tempo , il mudo , in cui egli vive o ò vivuto. Tutte queste raodilicuzioni si potrebbero indicare bastantemente colle preposizioni e coi nomi , dicendo :
"Pietro vive senza dubbio, vive in questo luogo, o in questo tempo, vive con felicità."
Ma per abbreviare il discorso e per variarlo s'adopera io vece d'una preposizione e d'un nome una sola parola che a loro equivale, e si chiama avverbio y j)ercliè serve ad esprimere una qualche modificazione del verbo , o dell'attributo che in lui si contiene, onde si dice: Pietro vive certamente y quif ora j felicemente.
Per lo stesso fine d'abbreviare il discorso e di variarlo , si usa pure spesse volte di cangiare i verbi in nomi aggettivi, come sono
"amante" e "amato",
"vedente", "veduto" ec.,
i quali perchè partecipan del nome e del verbo , si chiamano
"participi"
La loro proprietà si è quella di ridurre due , o più proposizioni in una sola. £ u quest* liso pur servono alcuni altri nomi derivati dai verbi , e che perciò si dicon verbali ^ come
"amatore", "conoscitore" ec.
Oltreché in vece dei participi
"amante", "vedente"
ec. spesso si adoprano i gerundj
"amando", "vedendo",
che fanno lo stesso ufficio, e si chiaman "gerundi", perchè hanno la terminazione del gerundio dativo dei Latini. Come sappiano questi nomi ristringere il numero
delle proposizioni, si potrà osservar di leggieri ne' seguenti versi del Petrarca: "Giunto Alcst,andro alla famosa tomba pel fero Achille , sospirando disse" ec.
Qui non abbiamo che una sola proposizione, laddove sostituendo alle voci giunto e "sospirando", i vei bi da cui derivano le pioposi^ioni sarebber tre:
"Giunse Alessandro alla famosa tomba del fero Achille.
Ivi egli sospirò e disse ec.
Che se le parole di Alessancho lossero: Perdio non Ito io pure un Omero celebraiore delle mia imprese? questa proposizione equivarrebbe anch' essa alle due : Perchè non ho io pure un Omero S2 che celebri le mie imprese ?
Se nel discorso le proposizioni fossero tutte staccale senza ninna connessione, e<^li verrebbe sovente oscurissimo e ininlpliigibiie. Pei' unire adunque le proposizioni , o riferirle le une alle altre, si sono introdotte alcune altre voci, che perciò chiamansi congiunzioni f e sono e, ma, benché, pure ec. Queste nel medesimo tempo servono ad un altr' uso grandissimo, ed è quello di risparmiare la replica di molte parole, che altrimenti necessariamente si dovrebbon ripetere.'
Cosi neir esempio anzidetto :
"ivi egli sospirò",
e disse , la congiunzione e , oltre a connettere lo due proposizioni, risparmia la ripetizione del soggetto egli e dell'avverbio ivi , che altrimenti sarebbe necessaria.
Finalmente per esprimere gli affetti dell'animo più naturalmente e con più forza, si soH giiono adoperare alcune voci , che chiamansi inierposli o interjezioni , perche s' usano d' ordinario frammezzo al discorso , benché s' adopiino spesse volte anche al principio, e sono oh ^ alii , deh ec. Queste voci equivalgon ciascuna ad un'
Intera proposizione: cosi , ahi equivale alla proposizione:
"io son dolente", o io senio dolore , ed e .prime poi la sensazion di dolore che uno ha, con incito maggiore energìa che non farebbe la proposizione medesima , accostandosi la voce ahi ad uno di quei gridi, che il dolore trae naturalmente da uno appassionato. Da questa enumerazione delle parti del discorso e dei loro usi , si vede chiaramente che oltre ai nomi ed ai verbi , le altre non sono di una
necessità assoluta , ma sono però di grandissima utilità , perchè rendono il favellare più breve, più chiaro , più ordinato , e per questo si sono intro-
dotte in tutte le lingue. Dovendo ora passare a discorrere di ciascuna di esse particolarmente , e delle regole con cui sì devono presso noi adoprare , (nell'ordinata esposizione e dichiarazione delle quali consiste la Grammatica di una lingua ) tratteremo in primo luogo del Nome e del Pronome, quindi del y er-
ba e del Participio , che sono le parti che chiamansi declinabili, perchè soggette a varj cambiamenti di desinenza ; appresso dell' Avverbio, della Preposizione^ della Congiunzione e àe\X Interpo" sto j che sono le pai ti indeclinabili; poi del mo-
do con cui queste parti insieme si debbono combinare nel discorso , vale a dire della Sintassi: e linalmenie della tuauìera di esporre un discorso corretlauDeate io iscrlito, cioè dell' Ortografia.
PARTE I: DEL NOME E DEL PRONOME.
BBiAM eia (letto che
i nomi sostantivi sono que SEGNI che esprimon gli oggetti, e i nomi aggettivi quelli che esprimono le qualità.
Or sarà bene,prima di passar oltre, accennar brevemente l'origine di questa denominazione di sostaniwo e di aggettivo.
Negli oggetti noi propriamente non vediamo e non sentiamo che le loro qualità , cioè l'estensione , la solidità , la figura , il colore ec. ma queste qualità non sussistono da se medesime. S' io prendo in mano, a cagion d'esempio, una palla d'
argento, posso ben considerare separatamente ora la sua rotondità , ora la sua bianchezza , or la durezza ec. Ma questa rotondità , questa bianchezza , questa durezza , levate via dall'argento , pos«on elle sussistere di per se stesse ? No. Come dunque sussistono nell'argento? Qual è quella cosa che neir argento le tien congiunte e le sostiene? Questo è quello che non sappiamo. Per saperlo
converrebbe conoscere V intima essenza dell' argento, saper cioè che cosa egli sia in se stesso, che cosa formi la sua intima natura ; il che probabilmente dagli uomini non si arriverà a conoscer giammai.
Ma qualunque siasi questa cosa , noi concepiamo però che nell'argento (e cosi dicasi
degli altri oggetti) vi ha qualche cosa che sta come nascosta sotto alle sue qualità , e serve loro dì vincolo, e di sostegno. Or questa cosa , qualunque siasi , è quella che da' lilosoli si chiama
"sostanza",
dal latino "substare", star sotto. Ma il nome di sostanza non è limitato ad esprimere solamente ciò che negli oggetti serve di viacolo , e di sostegno alle qualità. Egli si adopera ancor piiì generalmente per significare gli oggetti
medesimi; ed ogni cosa che sussiste di per se stessa si chiama generalmente una sostanza. Or di qui è che i nomi degli oggetti , come
"Pietro", "Paolo", "uomo", "albero sfrutto", "oro", "argento"
ec. si dicono "sostantivi".
Tali essi si chiamano, perchè esprìmenti le sostanze , cioè le cose che sussistono da se medesime. All'opposto perchè le qualità da se non sussistono , ma non sono che altrettante modilicazioni aggiunte alla sostanza degli oggetti, perciò i laro
nomi , come bianco , nero , rotondo , quadrato ec-. si appellano "aggiuntivi" o "aggettivi". Ma anche le qualità si considera n tal volta sente dagli oggetti, come se da se medesi^lessero. In tal caso anche i loro nomi diventano sostantivi , quali sono bianchezza , «e-; czza , rotondità ec. Ma di questi parleremo fr»
poco più distintamente. Or sarà d' uopo premetter prima alcune nozioni generali riguardo ai nomi, necessarie per ben intendere quel che verrà io appresso, e passar
quindi ad esporre le regole, che nell'uso di essi nella cuslra hngua si devono Oòservare.
CAP. l: Dei Nomi particolari e universali, ossia propij
e appellatisi.
J_jE prime idee che gli nomini acquistano sono tutte d'oggetti particolari. Un bambino comincia ad acquistar per esempio l'idea di suo padre , di sua madre, della nutrice ec. Vedendo poi che altri oggetti hanno le stesse proprietà , e fanno le
stesse operazioni che suo padre e sua madre , comincia a rifletter fra se a queste proprietà comuni , prescindendo dagli oggetti particolari in cui elle esistono, e allora vien lorniando l'idea universale degli uomini. L' idea adunque universale
non è altro che la cognizione delle proprietà che competono a più oggetti particolari. Ora i nomi esprimenti l' idee di questi oggetti particolari , di-
consi particolari o proprj , come sono
"Parma", "Piacenza", "Paolo", "Pietro"
ec. , e quei che esprimono l'idee universali delle clas8Ì,in cui si conten£^on gli oggetti che hanno le stesse proprietà , si chiamano universali o appellativi , quali sono
"città", "uomo", "albero", "frutto" ec.
Se noi considereremo queste classi universali , vedremo che alcune sono fra loro diverse , altre hanno della somiglianza. Le pietre per esempio sono molto differenti dagli
"uomini";
ma all'opposto i
"cavalli", i "cani" , i "pesci", gli "uccelli" ec. hanno questo di comune cogli uomini , che anch* essi si movon da se, vivono , sentono ec. Or siccome gli oggetti patticolari fra Icro simili si riducono sotto d'una medesima classe universale , cosi anche le classi che hanno della simigllania fra lero s' uniscono sotto d'un' altra classe più universale. Cosi gli uomini e le bestie , che separatamente formano due classi distinte, entrano tutti insieme nella classe che chiamasi degli
"animali".
Medesimamente gli alberi j che sono simili all' erbcj a\ fiori, alle biade , in questo che tutti prendono il nutrimento della terra , germogliano, crescono ec. si comprendono insieme con loro sotto d'una medesima classe , che dicesi dei
"vegetabili".
Questi insieme coi
"minerali",
colle pietre , e con tutte le altre cose materiali s' uniscono nella clas--e dei corpi ; i corpi e gli spiriti in quella delle soranze ; le sostanze finalmente insieme colle qualità, e con tutto ciò che dalla nostra mente si può concepire , si comprendono sotto alla classe universalissima degli enti. Or è da osservare che le classi contenute in un' altra piti universale si chiamano specie , e quella che le contiene si dice^ewere. Quindi ò ;uò esser genere rispet^ ■ ■ ^ Ito ad un'altra chjsse : cosi animale ò specie rispetto a sostanza , e genere rispetto ad uomo ; uomo , che è specie relativamente ad animale, sarà genere rispetto al-
! ■ v.irie classi degli uomini, e cosi via via, lln-( li^i s' arriva agli oggetti particolari che chiamanti iudii'iilui.
Or si potrebbe domandare per qual motivo alcuni oi;geiti particolari , oltre al nome univer- s ' ' ".; lor classo, abbian anche un nove pro-1 stinto, altri no. Gli uomini dilatti , le cità , i iiuini , oltre a questi nomi appellativi , han-
o ciascuno i loro proprj , come
"Pietro", "Paolo", "Parma", "Piacenza" , // Taro , il Po', al contrario
*■ e cosi si dica degli alberi, delle pietre ec. ) lianno bensì varj nomi secondo le loro varie specie , come mele , castagne , j)ere\ aia non ha già ciascun individuo un nome distinto.
Ciò viene dal bisogno che abbiamo nei primi di spesso nominare il tal uomo, la tal città, il tal liume j)articolare , il clie non avvien nei secondi.
Perciocché se uno ha desiderio per esempio di mangiare una pera , bisognerà bene che abbia il nome peray con cui indicare che vuole un frutto di questa specie , e non d'un' altra ; ma nel medesimo tempo , purché gli si dia una pera, che importa a
lui che sia piuttosto la tale, che la tal altra particolare ? Egli non occorre adunque che stabilisca un nome particolare per accennarla. Senzachè,
questa briga a che servirebbe, se subito dopo eh* egli avesse dato alla pera un nome proprio, ei se la mangerebbe , e le terrebbe così l'occasione di essere nominata mai più? Che se pure volesse accennarne una particolarmente, non mancan maniere di farlo , come vedremo al capo 6. di questa parte, senza che sia necessario di stabilire un nome proprio per ciascuna.
CAP. II: Dei Sostanùvi y e Aggettivi fisici e metafisici.
Tutti i nomi degli oggetti fisicamente e realmente esistenti , siano particolari , siano universali , si chiamano
"sostantivi fisici";
come similmente aggettivi fisici si chiamano i nomi delle qualità o reali , cioè che realmente esistono negli oggetti , come esteso , solido , figurato , o apparenti ^ cioè che sembrano esistere negli oggetti medesimi , come bianco , nero , caldo y freddo , quanitunque in loro non vi sia che una certa configurazione , un certo moto, una certa disposizione di parti , atte a produrre in noi quelle sensa-
zioni , a cui diam poi il nome di colore, di caldo, di freddo. Ma osservando noi varj oggetti, non possiamo a meno di fare qualche paragone fra loro , dal quale poi nascono in noi le idee delle relazioni che fra lor passano , nome che abbiamo già
<''eito nella introduzione sii^nilìcare appunto ciò :e una cosa è rispetto ad un'altra , o paragona*.«* ad uu'aliia. Or gli HogeliWx grande , piccolo ,
maggiore, eguale, minore, vicino, lontano, alto , basso , opposto, contiguo ec. con cui poscia esprimiamo queste idee relative, propriamente si chiamano aggettivi relativi ; ma si dicon anche metafisici , perchè non indicano alcuna qualità reale, nò apparente di alcun oggetto, ma unicamente una nostia maniera di concepire le
coie una rispetto all'altra. Sebbene poi, come abbiamo veduto , niuna qualità possa esistere da se fuori del suo soggetto , pure noi siamo soliti di considerarle talvolta da se medei^ime separatamente, senza aver riguardo al soggetto in cni sono. Dopo avere per esempio sovente osservato nella neve, nell'argento , nel latte, nell'avorio, nel marmo il color anco , formiamo di questo colore un' idea, con-
siderando lui solo, senza badare agli oggetti in cui l'abbiamo osservato , e a quest'idea diamo il nome di
"bianchezza".
Or quell' atto della nostra niente, col quale consideriamo una qualità sepait2 mente da se, senza badare agli oggetti in cui !d òì truova, chiamasi astrazione \ f idee che formiamo delle qualità così da se sole considerat» bi dicon idee astratte y e i nomi con cui le espri- miamo, quali sonoy^^iira, estensione, colore, durezza , calore , freddo ce. s' appellano
"sostantivi astratti" o "metafisici".
Questa astrazione medesima si fa ancora delle qualità relative, e i uom\ grandezza , piccolez- za , eguaglianza , vicinanza, lontananza gc.con cui elle & esprimono , sostantii,>i astratti o metafìsici similmente &' uppellaao.
CAPO III. Dei Generi.
JrRF.MESSE queste nozioni passiamo ora alle regole della nostra lingua riguardo all' uso dei nomi. Sono essi distinti in due generi masc.ìiilc afetn- rninile f divisione inesatta , perchè non dovrebbe competere che ai soli animali , in cui v' ha distin-
zione di sesso, e le cose inanimate -dovrebbero tutte porsi in un terzo genere diverso dai primi due, qual sarebbe il genere neutro dei (jreci e dei Latini, se in esso tutte le cose inanimate essi avessero collocato. Il genere dei nomi si scorge dalla lor terminazione , la quale perchè fosse regolare non dovrebbe essere che una sola per tutti i maschili , e un' altra sola per tutti i femminili ; ma anche que-
sta regolarità manca, si alla nostra che alle «iltre lingue. Né è maraviglia, perchè si sono tutte formate a poco a poco , ne è stato possibile che nella introduzione di nuovi vocaboli si tenesse sempre da tutti una regola fissa e costante di collocarli
nel loro genere convenevole, e di terminare tutti quei dello stesso genere a un medesimo modo. Questa il rt'i^olarità di terminazione si trova massimamente nei sostantivi ; tutta volta la desinenza in o è propria per lo più dei maschili, ec-
cettuandone
"mano",
alcuni nomi proprj derivati la maggior parte dal Greco , come
"Saffo", "Erato",
doto , Atropo , Aletta^ e alcuni nomi accorciati che s' usano di frequente in poesia, come
"Dido", "Cartago", "imago", testudo, in vece di Didone, Car-
tagine, immagine, testudine.
In a cadono per lo piìi i femminili , trattine vatj nomi proprj, come
"Andrea", JErmagora , "Anassagora" , alcuni nomi di dignità , come Pa"
ya j
"Patriarca",
alcuni nomi di professione, come
"Geometra", "Poeta", "Legista", "Moralista", e alcuni altri nomi cavati quasi tutti dal Greco, come
"dramma", "epigramma", "stemma", "diadema", "poema", "problema", e simili. e desinenze ine, in u , in t , e in tutte le vocali accentate , sono comuni all' incontro tar.to ai maschili , quanto ai femminili. Quando i nomi dalla desinenza in o passano a terminare in a , di maschili divengono femminili , come
"cavallo" e "cavalla",
"colombo" e colomba",
"passero" e "passera";
e ciò avviene ancora nelle cose inanimate, come
"nuvolo" e "nuvola" e
"briciolo" e "briciola"
Ma i nomi degli alberi e dei frutti , variaDdo di terminazione , non solo varian di genere , ma ancora di significato , perchè terminati in o sono maschili , e signilìcan l'albero; terminali in a soa femminili , ed esprimono il frutto : tali sono
"castagno" e "castagna",
"pero" e "pera",
"ciriegio" e "ciriegià" ec.
S'eccettuin "palma" e "dattero", riguardo ai quali la terminazione in « è per l'albero, e quella in o pel frutto ; come pure /ico ,
"arancio" , ce-
/iro e porno , che termman sempre in o maschile, e significan tanto l' albero come il IVulto.
I nomi all' incontro che cadono indifferentemente in a e in e , ovvero in o e in e, ovvero in o, in e e in I , ritengon sempre il medesimo j^eoe- re. Cosi
"ala" e "ale",
"arma" e "arme",
"canzona" e "canzone",
"dota" e "dote",
"froda" e "frode" e
"macina" e "macine" e
"fronda" e "fronde",
"redina" e "redine",
"scura" e "scure",
"tossa" e "tosse",
"vesta" e "veste",
son tutti femminili (s'eccettui ^re^^e che è maschile, e cadendo in a in greggia femminile). Cosi similmente
"cavaliero" e "cavaliere",
"sentiero" e "sentiere",
"consolo" e "console",
"pensiero" e "pensiere",
"scolaro" e "scolare"
"barbiero" e "barbiere e barbieri , desi rie" 70 , destriere e destrieri, rnestiero , mestiere e mestieri, son tutti maschili; ma tra questi è da notare, che
"ale", "arma", "canzona", "dota", "macine", "scura", "tossa", "barbieri" e "destrieri" son poco in uso. Vi sono dei nomi che hanno una sola terminazione, e s' adoprano in amenduei -generi , come aere , arbore , fine , fune , fonte, fronte, tra^ ve , ordine , carcere , domane , margine; ma arhore , fune , fronte e fratte s'usano ordinariamente nel femminile , e aere, ordine , domane e mar" gine nel maschile ; onde fine , fonte e carcere sono i soli che s' usino più comunemente e nell'uno, e neir altro genere.
Anche i nomi delle città, come
"Milano", "Firenze", "Napoli", s' adopran egualmente neir uno e nell'altro genere , eccetto quelle che cadono in a, le quali son sempre femminili.'
I.e lettere dell'alfabeto son pure di amenduei generi , perchè si dice egualmente
una b , una e , e un ^ , un e.
Circa agli animali ve n'hanno alcuni , il cui nome s' adopera o solamente al maschile, come
"tordo", "merlo", "fringuello", o solamente al t'emmlnile, come
"acquila", "volpe", "tortora".
Degli altri; quale ha per la femmina un nome affatto diverso dal maschio, come
"bue" e
"vacca",
quale cambia la terminazione dall'o, ine, come sopra abbiamo veduto, quale s'adopera colla medesima terminazione in ambi i generi, come
"il serpe" e "la serpe",
"il lepre" e "la lepre".
Negli aggettivi vi ha maggior regolarità , perchè la terminazione in o non appartiene che ai maschili , e in a ai femminili; quella in e e in i però anche fra loro è comune ad amendue i generi.
CAPO IV: Dei numeri,
OiccoME due i generi , cosi anche due sono i numeri nella nostra lingua. Quando si vuol accennare un oggetto solo , il suo nome si termina ad un modo , e allora egli si dice essere del
"numero singolare"
o
"del meno".
Quando si vuole significarne più d' uno, il nome si termina ad un altro,
e allora si dice essere del
"numero plurale"
o
"del più".
Le desinenze , di cui abbiamo parlato nel capo precedente , sono quelle che i nomi, secondo il loro diverso genere , hanno nel numero singolare. Nel plurale tutti i maschili finiscono sempre in /, qualunque sia la lor terminazione singolare,
e però da sonetto, poema , sermone, si fa
"sonetti", "poemi" e "sermoni", eccettaatl soltanto quei nomi che son monosillabi , o cadono in vocale accentata, che conservano ancor nel plurale la stessa desinenza , o siano maschili o femminili ; laonde si dice egualmente
"un re" e
"una città",
una
irihn , come
"molti re", "molte città" , inolie tribù.
Alle volte però si sogliono questi nomi nel singolare terminare anch'essi alla maniera degli altri, aggiungendovi una sillaba, come rege , cittaie o cittade , virtute o virtude , e allor nel plurale finiscono in /, come regi, citlati, "virtuti", o cittadi e virtudi.
Ma queste maniere son più del verso che della prosa.
\'i sono alcuni nomi maschili, che nel numero del meno cadono soltanto in o , e in quello del più . oltre la desinenza in "-i", ne hanno an- che un'ultra in a , colla quale divengono lemminiii.
Tali sono
"anelli" e "anella",
"bracci" e "braccia",
"calcagni" e "calcagna",
"carri" e "carra",
"castelli" e "castella",
"cigli" e "ciglia",
"coltelli" e "coltella",
"comandamenti" e "comandamenta",
"corni" e "corna",
"demoni" e "demonia",
"diti" e "dita",
"fili" e "fila",
"fondamenti" e "fondamenta".
"frutti" e "frutta",
fusi e far
.fa,
gesti e gesta,
ginocchi e ginocchia,
gridi e grida,
labbri e labbra,
eìn verso anche labbia,
legni e legna,
lenzuoli e lenzuola,
letti, eletta,
membri e membra,
mulini e mulina,
muri e mura,
ossi e ossa,
peccati e peccata,
quadrelli e quadrella,
risi e risa,
sacchi e sacca,
tini e tina,
vestigi e vestigia,
vestimenti e vestimenta.
Ma "coltella", "comandamenta", "demonia", "peccata", son da lasciarsi a chi ama di singolarizzare. AH' opposto
"braccia", calcagna, ciglia , dita , gesta , in significato d'imprese, ginocchia , labbra , membra , ossa , quadrella , e risa , son meglio usati , che
bracci, calcagni gq. Si trova anche />w^^^; gQf 'e , legne , osse e T-estigie ; ma i primi tre vent^ono dai singolari femminili frutta, getta, legna.
Gli antichi iisaron anche "fruttora", "campora", "pratora", e simili; ma queste parole or sono atlalto antiquate.
Vhao flBhhi.ente alcuni nomi maschili , che nel plurale cadono solamente in a ,
i.ome le centinaia , le migliaia , le miglia , le /Sloggia, le stala, le paia, le uova. 1 l'emminili che nel singolare flniscon ma, hanno il plurale in "-e", come
"musa" e "muse",
e quei che Uniscono in e T hanno in /, come
"madre" e "madri".
Si ecceiiuin retjuie , specie, superficie j J orbarle , serie e progenie , che ritengono anche in plurale la stessa terminazione per ischitare la cacofonia , o sia il cattivo snono che nascerehbe dal (lue / , se si dicesse requii , spedi ec. Quelli
poi che hanno nel singolare la doppia terminazione in a e in e , hanno anche nel plurale la doppia terminazione in 6 e in < ; onde aie e ali ,
"arme" e "armi",
"canzone" e "canzoni" , dote e doti .frode &
frodi, macine e macini, fronde e f rondi , redine
e redini, scure e scuri, tosse e tossi , veste e ve-
sti ; ma canzone , dote , frode , macigni, scure,
tosse, non sono del mii^lior uso.
Un'osservazione da farsi riguardo ai plurali sì è , che i nomi maschili terminati nel singolare in co e go , se hanno avanti a queste sillabe una consonante, nel plurale finiscono in chi e ghl , come da
"palco" > "palchi",
da "albergo" "alberghi",
trattone porco che la porci; se hanno una vocale finiscono per lo più in ci e gì , come da
"Medico" e "Teologo", "Medici" e "Teologi".
Ma ve ne sono pe-rò moki eccettuati , come
"fichi", "amichi", "fuochi"; "cuochi", "pochi", "biechi", ciechi, roghi, luoghi,
dialoghi, analogìil , ed altri) e ve ne son pure alcuni che hanno amendiie le desinenze, conìe mciuUci e mendichi, pratici e pratichi , saluati" ci e sah'atichi , domestici e domestichi , astrologi e Astrologhi.
Nei feniminili la cosa è più regolare , perchè quei che finiscono in ca e ga y
siano queste sillabe precedute da una consonante o da una vocale , hanno tutti il plurale in che e ghe, come da "monaca" e "verga", "monache" e "verghe".
Si dee osservare per ultimo, che alcuni nomi s'adoprano solamente al singolare, come fra ì sostantivi mele e mane in significato di mattina, e fra gli aggettivi niuno, veruno, ciascuno, guai" che, (a) qualunque , e simili. Altri all'opposto
non s'usano che al plurale, come nozze^ esequie, tenebre e vanni.
CAP. V: Delle Declinazioni.
'a quello che abbiam veduto nei due capi precedenti, è chiaro che le varie terminazioni dei nomi hanno due usi nella nostra lingua , cioè di risvegliare con una sola voce non solo l' idea di quell oggetto , o di quella qualità che dal nome è
significata, ma l'idea ancora del suo genero o maschile, o femminile , e della sua unità o moltiplicità.
Cosi il nome "colombo" non solo fa pensare all'oggetto che egli esprime, ma spiega
(a) DI qualche usato in plurale v'ha un esempio
Bel Boccaccio: "Addormentato in cpiaUlie verdi loschi, ma da non eeguirsL
Fa Ite I. Cap. V. 27
eziandio che si parla di un maschio , e di un scio • e colombe fa conoscere che si parla delle femnìine di questa specie , e di più d'utia.
I Greci ed i Latini valevansi delle diverse terminazioni dei nomi ancora ad un altr'uso , ed era d' esprimer con esse varie di quelle relazioni, che noi esprimiamo per via delle preposizioni.
Le desinenze variate a questo fine chìamavansi
"casi",
e i nomi che nella variazione de'loro casi terminavano al medesimo modo , dicevansi della medesima
"declinazione".
Ma nella nostra lingua, per esprimere le relazioni , mai non si varia la desinenza de' nomi ; e i casi si significan invece con alcune preposizioni , che perciò comunemente &i dicono segnacasi.
Pel nominativo e per l'accusativo s'adopera il nome semplice, ©accompagnato soltanto dall' articolo, il quale pei maschili è // o lo nel singolare, e / , li o gli nel plurale ; e pei femminili la nel singolare, e le nel plurale. Lo e gli si usano quando il nome comincia per 5 impura , cioè seguita da un'altra consonan- te , o per z o per vocale ( nel qual caso però si fa per lo pili l'elisione dell' o in /o, ed anche dell' è in gli se la vocale seguente è un 1 , non già se è diversa); onde si dice lo studioso, lo zotico, lo more o l'amore, lo innamorato o l' innamora-
lo ; e gli studiosi , gli zotici, gli innamorati o gì innamorati • e gli amori, ma non gt amori, del che recherem la ragione nell' ortografia. Il , i e li s'usano quando il nome comincia per qualunque altra consonante fuori della 5 impura e della
:: , trattone Dei ^ che vuol ^/t, onde si dice ^/r Dei , non i Dei o li Dei ; e // s'usa di rado ancora cogli altri nomi , che tutti amano d' essere accompagnati piuttosto dall' i, come/ campi, i prati, i fiori, non //campi, //prati,// fiori. (Quan- do poi ai nomi si debba dare l' articolo , e quando no, il vedremo nel capo seguente.
In vece della termioazione del genitivo si premette al nome la preposizione "di" , in vece del «lativo la preposizione a , e in vece df.'H'ablativo le preposizioni da, per , con, in ec. è ciò qualunque sia il genere e il numero del nome , ov'egli
non debba essere accompagnato dall'articolo. Quando poi ha l' articolo , questo s' unisce colle preposizioni, e se ne l'ormano "del", "dello" e "della"; "al", "allo" e "alla"; "dal", "dallo" e "dalla"; "nel", "nello" e "nella" ])el singolare ( in poesia si tollera anche /// la) e de' , dei, delli , degli e delle , a\ ai, alli , agli e alle ; da' , dai, dalli, dagli e dalle , ne , nei, nelli , negli e nelle pel plurale : ma delli , alli , dalli e nelli son da schifarsi. Per , unito all'articolo, fa pel operlo, e per la nel singolare {per il rigorosamente non può
dirsi ); e pe^o pei , o per gli e per le nel plurale ( per i è riguardato come errore , per li si trova usato da molti , ma da' migliori gli si preferisce
peopei; gli antichi usarono anche pella e pelle, ma non sono seguiti).
La preposizione con ama anch'essa d'incorporarsi coir articolo , e far "col", "collo" e "colla" nel •ingoiare, e "co'", "coi", "cogli" e "colle" nel plurale, piuttosto che andarne staccata , facendo "con lo", "con la", "con gli", e "con le"; molto meno poi con il, con i , e con li.
Ecco due esempi di due nomi di diverso genere colle loro preposizioni e senza l'articolo, e coir articolo.
Singolare,
padre --------- madre
di Padre ------ di Madre
a Padre ------- a Madre
Padre --------- Madre
da Padre ------ da Madre
Plurale.
Padri --------- Madri
dì Padri ------ di Madri
a Padri ------- a Madri
Padri --------- Madri
da Padri ------ da Madri
Singolare.
il Padre la Madre
del Padre della Madre
al Padre alla Madre
il Padre la Madre
dal Padre dalla Madre
Plurale.
i Padri le Madri
dei Padri delle Madri
ai Padri alle Madri
i Padri le Madri
dai Padri dalle Madii
Da questi esempj è manifesto che rltenendo ì nomi italiani sempre una medesima desinenza nel singolare, una medesima nel plurale, non %\ può dire ch'essi abbiano casi , e per consecuenza neppur declinazioni. Quindi in vece di uire il no7ìiinati\fo , dovrebbe dirsi il soggetto della proposizione, perchè il nome ponevasi dai Greci e dai Latini in questo caso appunto per significare il soggetto; in vece del genitivo dovrebbe dirsi il nome accompagnato dalla preposizione di ^ e co-
sì discorrendo. Tuttavolta noi ci varremo e deli' lina, e dell'altra denominaziono , secondo che per !h chiarezza e per la brevità sembrerà tornar più in acconcio.
CAP. VI. Dell'Articolo, e degli ylggettivi che dctcrmiiuiTi il significato de jSfomi universali.
XN oi abbiamo veduto nel capo i. per qnal motivo gli oggetti simili ira di loro si sian divisi in varie classi , e a ciascuna di esse si sia imposto un nome universale. Ora nel discorso noi vorremo tal volta di una o d'un'altra classe d'oggetti risvegliare semplicemente l'idea , e allora basterà soltanto pronunciarne il nome. Ma vorremo talora altresì dichiarare , che parliamo o di tutta quella
classe, odi una qualciie sua parte (e questa ora sarà determinata, ora indeterminala) , o soltanto di uno o più oggetti particolari in lei contenuti.
A questo fine non basta il pronunciare soltanto il nome della classe, ma conviene aggiugnervi qualche cosa che indichi Testensione maggiore o minore in cui vogliamo rli'ella si prenda.
I. Adunque quando si vuol comprendere tutta la classe , è necessario l'articolo , o uno degli aggettivi ogni, ognuno, ciascuno^ tutti ec. Quindi se io dirò: nel tal luogo non v'erano che uomini, ciò farà ben pensare che gli oggetti , che in quel
luogo trovavansi, erano della classe degli uomini, ma non esprimerà né quanti, né quali uomini fossero. Se diro all' incontro : V uomo deve essere ragionevole ; gli uomini devono giovarsi scambievolmente , ognuno intenderà eh' io parlo di
tutti gli uomini y e di doveri che agli uomini tutti convengono.
II. Quando si vuole accennare solamente una parte degli oggetti contenuti in una classe, cio SI piU) iure in più modi. Questi hanno tutti delle qualità o delle relazioni comuni , per cagione di cui ad una classe medesima si riducono; e tali
qualità o relazioni non li posson distinguere eli uni dagli altri ; ma ne hann' anche di quelle che convengono ad alcuni di loro solamente , e cia- scheduno di più ne ha qualcuna sua propria e particolare. ì' esser sensìbile per esemplo con-
viene a tutti gli animali , ma f esser ragionevole conviene agli uomini solamente ; quante siano poi le proprietà , e quanti i contrassegni che distinguono un uomo dall' altro, ognuno il vede rnanitéstamente. Or indicando queste qualità o relazio*
ni , noi veniamo a ristringere il signillcato d' un nome universale a quegli oggetti soltanto, a cui esse appartengono. Questo può farsi in tre maniere; 1. cogli aggettivi esprimenti tali qualità o relazioni , come dicendo corpi solidi , corpi fluidi , uomini virtuosi, uomini viziosi ; a. coli'aggiugnere al nome universale un genitivo, ossia un altro nome accompagnato dalla preposizione di , come
"monete d' oro", "monete d' argento", il qual genitivo equivale sempre ad un aggettivo , come infatti d'oro, d argento, equivalgono ad "aureo", "argenteo" ; 3. coH'aggiugnervi una delle preposizioni, chechiamansi incidenti (delle quali si parlerà nel capo 8. di questa parte più ampiamente) e che pure corrispondono ad un aggettivo ; cosi corpo che pesa, vale lo stesso, die corpo pesante. Ma dopo che coH'aggiunta di queste qualità o relazioni , io avrò ristretto il significato del nome di una classe a quella parte di oggetti solamente , a cui esse convengono , o vorrò di questa parte destare semplicemente l'idea senza deternìinarla di j)iù , e allora sopprimerò 1' articolo : cosi dicendo nei grandi affari sono necessarj
uomini d' integrità e di prudenza , non dico quanti oè quali ; o vorrò determinatamente coni- {)rendere tutta questa parte , e sarà necessario ' articolo , o qualcuno degli aggettivi sopraccennati ogni, ognuno ec. ; quindi non potrò dire uomini virtuosi devon esser pregiati , ma gli uomini virtuosi^ perchè qui bene si vede eh io parlo di tutti quegli uomini , a cui conviene il titolo di virtuosi ; o vorrò finalmente di questa parte accennare soltanto alcuni oggetti indeterminata-
mente, e potrò farlo in tre modi, cioè servendomi o dell'aggettivo fl/cu/zi, o della preposizione r^i senza l'articolo , o della preposizione medesima unita all'articolo con cui si formano, come abbiamo già fletto , le voci del, della , dei , delle ec. ;
cosi là dove diìse il Boccaccio gior. 4* nov. 4. /c- ce due galee sottili armare , e messivi ^u di valenti uomini f con essi sopra la Sardigna nandòy avrebbe potuto dire ancora messivi su dei valenti uomini , cioè alcuni valenti uomini. Si osservi
però, che del , dello , della ec. s'adoperan anciie quando al nome universale non s'aggiugne ninna qualificazione, cioè quando si vuol esprimere una parte indeterminata di tutta una classe , come veggo degli uomini , vale a dire alcuni uomini ; ma veggo di uomini non si può dire, né può mai usarsi in questo senso la preposizione di scompagnata dall' articolo , se non quando al nome universale vada unito qualche aggettivo (a). (fl) La ragione dì quest'uso è forse, che dicendo vfc;/;» degli uomini, si sottintende veggo alcuni oggetti della classe degli nomini. Or non si potrebbe già dire : vengo alcoui oggetti della classe d' uomini, perdio il no- Tir. Quando poi col nome universale di una classe si vuol iinlicare uno o più oggetti particolari in lei contenuti, o ciò si vuoi Fare indeterminatamente, e basta porvi gli aggettivi uno, qualche , qualcuno , certo , un certo, taluno o tale,
che s' usa anche tìel medesimo senso di taluno, come per esempio:
"ho veduto una persona o certa persona"
"Vorrei qualche vostro libro o qualcuno de' vostri libri"
"Vi ha taluno o tale che ari^ tepone V interesse alV onore ec.
O si vuol determinare i' oggetto particolarmente , e in questo caso se 1' oggetto è già noto a chi ascolta , o per le circostanze del discorso , o per altro checches-
siasi , basta l'articolo solo; cosi avendo parlati> pocanzi per esempio dell'Eneide di Virgilio, dirò:
"il poema è bellissimo, i versi son pieni di dignità ec;"
se poi non è noto bisogna esprimere o eoa un aggettivo, o con un genitivo , o con una preposizione incidente qualche contrassegno che lo determini, e aggiugnervi pure l'aiticolo, che sempre è necessario quando un nome universale deve essere determinato.
Dirò dunque per esempio:
"le truppe Romane", V armi di Cesare y
"i regni che ha conquistato Alessandro".
IV. Quando pelò T oggetto di cui io parlo , 8Ìa o vicino a me, o vicino a cJii m' ascolta , ancorché non sia noto per alcuna circostanza precedonme uomini è determinato in qaf-ito loogo a tutta la classe, e richiede pt r cunsegucuia Tarticulu All'opposto potè b»n dire il fioccaccio messigli su di valenti
uomini, piTilife l'aggettivo valenti rittriiine il si
"questo o cotesto libro",
"queste o coteste carte";
perciocché 1* aggettivo questo signilica sempre una cosa vicina di luogo a chi parla , e cotesto a chi ascolta.
Il primo s' adopera ancora per significare una cosa vicina di tempo, o vicina di discorso , cioè che poco prima si sia nominata.
Ma ad un tal uso non può servire il cotesto, che esprime solamente vicinanza di luogo, e vicinanza a clii ascolta. Per il che non sono da imitare coloro
che avendo per esempio nominato innanzi le orazioni di Cicerone, diranno coteste orazioni in vece di queste orazioni j poiché malgrado qualche esemplo contrario che vi potesse essere anche di buono Scrittore, si deve sempre nel «liscorso
conservare la proprietà de' vocaboli , e non confonderne il senso.
L' aggettivo "quello", siccome esprime una cosa distante e da chi parla , e da chi ascolta, e que- sta distanza può essere o maggiore, o minore, cosi per se solo non basta a determinare 1' oggetto se non si accenna col dito, o non si esprime qualche
suo contrassegno.
V. Per fissare la quantità degli oggetti si adoperano gli aggettivi numerali uno , due , tre ec. ; ma dicendo per esempio : Tjorrei due libri espri-
mo bene quanti ne voglia, ma non già qnali. Volendo dunque es[)riniere anche questo , converrà ch'io v' aggiunga o l'articolo solamente se son già
noti, o qualche altra deteimiuazione di piij nelle manieie che si son dette di sopra, se non son noti. Cile se ci basta di accennarne una q lantità inde-
terminata , ci serviamo allora degli aggettivi alcuni, certuni, e simili ; se questa è grande, diclam molti , assai , parecchi, varj , dii'crsi , se è picciola , diciamo ^oc/i/.
VI. Gli aggettivi maggiore e minore esprimono il paragone tra due c|aantità diverse, e perciò si chiamano comparaiivi.
In loro vece spesso s' adoprano gli avverbj più o meno sottintendeo^ dovi grande , come : il tale ha più o meno amore di prima pe' suoi parenti e per la patria , ia
cambio dipiù grande o men grande amore. Questi avverbj posti dinanzi agli altri aggettivi , se non hanno V articolo , esprimono il comparativo.
Ma se r hanno esprimono il superlativo, che io chiamerei
"superlativo di paragone",
come il men grande o il pili grande di tutti, che equivale al minimus o maximus omnium dei Latini, ed è diverso dal
"superlativo assoluto",
ove il paragone non ò mai espresso , e che si forma col dare all' aggettivo la terminazione in "-issimo", come "grandissimo", "picciolissimo", eccettuati alcuni pochi in "-errimo", come "acerrimo", "celeberrimo".
In tanto poi il superlativo di paragone richiede sempre l'articolo, in quanto appunto 1' oggetto , al quale egli s' aggiunge, resta da lui assolutamente e precisamente determinato fra tutti quegli altri con cui egli si paragona.
VII. Quanto agli aggettivi mio, tuo, suo, nostro ^ vostro, loro, che si chi'dmano possessivi , perchè indican sempre possesso o attinenza , egli e chiaro che uniti ai sostantivi universali ne ristringon di molto il significato.
Perciocché dicendo a cagion d' esempio vostre terre , io parlo di quelle sole che a voi appartengono.
Ma siccome cpie.ste posson esser diverse, coj»i il loro senso noo ò del tutto determinato, e a determinarlo è necessario r articolo o solo^ o con qualche qualiiicaiio- ne ancora di più , se bisogna, come lo vostre terre j ovvero le vostre terre di pianura o di collina.
Non v' hanno che i sostantivi "padre", "madre", e talvolta anche "figlio", "fratello", "sorella", "cugino", "zio", "nipote", "cognato", "avo", e "siniili", clie uniti af^li aggettivi possessivi , riliiitan l'articolo , per-
chè sono da essi determinati abbastanza. Quando però s' aggiunga loro qualche qualilloa/.ione , voglion l'aiticolo anch' essi, se questa qualilìcn/.ione
è posta ])rlma del sostantivo , come /' ottimo vo-
stro padre,
"la vostra amorosa madre".
Imperocché henter ^o ottimo vostro o vostra amorosa senza r articolo^ prima di sapere a che sostantivo si riferiscano, l'orecchio ne rimarebbe offeso, usan-
do noi senipre d'aggiugnere ai possessivi 1' ai tlcolo , quando sono accompagnati da un altro aggettivo , perchè il sostantivo seguente viene allora ad essere determinato.
Così dicendo il vostroJfel libro , io accenno lifCL-ssariamente un libro deter-
minato, e pai titolare appartenente a chi m'ascolta.
All' incontro mettendo vostro padre o vosiia madre prima, si può dopoaggiugner loro qualunque qualiilcazione , che 1' articolo non è piiì necessario ; laonde si dirà ottimamente
"vostro padre savissimo uomo",
"vostra madre piissima donna",
e simili. ISei Poeti si trovano spesse volte gli aggettivi possessivi uniti ancora cogli altii nomi senza ì' articolo , come dove dice il Petrarca :
"Mio ben non cape in intelletto umano; ma ciò nella prosa è da schivarsi, benché ve n'abrbia pur qualche esempio. Dal fin qui detto ap[)arisce,che innanzi ai no-
mi universali o appellativi si dee por sempre 1" articolo quando si hanno a prendere in nn scaso delermir^to, toltone allora che vi sia un aggettivo elle pienamente li doterinini per se stesso , come ogni j ciascuno , ciascìieduno , cadauno (che è
vo«e però da fuggirsi) , tanto , quanto , altrettanto, ninno, nessuno, nullo ( voce poetica ) , veruno ec. Si eccettui V aggettivo iiitiu , col cpialebenché i nomi UDiversali siano abbaslanisa determinati, pure amano d'aver anche l'articolo; on-
de non si può dire tutti uomini , ma convien dire tutti gli uomini. Ciò è f'jrse perchè questo aggettivo esprime uua universalità indefinita, che abbraccia ogni qualunque cosa , la quale universalità vien poi ristretta, e determinata dal sostantivo che segue. Dilalti udendo tutti noi pensiamo tosto in generale a tutte le classi degli enti. In cui universalità quest'aggettivo può esprimere. E però se alcuno pui vuol ristringere questa universalità ad una classe soltanto , come a quella degli animali , o deeli alberi o dei metalli ec. , ei vi deve aggiunger 1 articolo per indicare che essi sono quei nomi determinati, a cui il significato dell'aggettivo tutti si vuol ristretto. V'han \)e\ò tuttodì,
tuttogiorno , e pochi altri che s'adoprano senza l'
articolo , come quando dicesi : ijuel che accade
tutto giorno. Ma si osservi che il nome giorno in
questo senso è preso indeterminatamente, e 1' e-
spressione tutto giorno ò ])iuttosto un modo av-
verbiale (di cui altrove parleremo) corrisponden-
te all' avverbio continuamente , dui altro. Infatti
quando il nome giorno è preso determinatamen-
te , richiede anch' egli l' articolo , come dicendo :
il tale lia lavorato tutto il giorno.
All' incontro quando il senso di un qualche
nome universale si vuole indeterminato l'articolo
si deve ommettere.
Passando ora dai nomi universali appellativi, ai nomi particolari o proprj , egli pare che essen-
do questi per se cieteruiinatisbimi non dovrebbero
aver mai 1' articolo , e iniatti non si dice // Pietro
o il Paolo, ma Pietro e Paolo. Tuttavolta ai no-
mi di i'enmiina si dà sovente , come la Fiammetta , la Tancia ec. ; e si dà pure ai nomi di fami-
glia applicali ad una sola persona , come il Boc-
caccio, il Petrarca , il Tasso.
Ma se bene osserveremo , ciò si fa ordinariamente per dare al no-
me un non so che di maggiore determinazione
(tanto più che i nomi e cognomi medesimi con-
vengon a molti ) ; nò si userà se non parlando d'
una persona che sia nota, e in questo caso si userà
ancora coi nomi di maschio^massimamente ove sia-
no alterati ( di cui parleremo nel capo seguente ),
come il Peppino , il Mariuccio , il Carlone ; la-
onde è come se si dicesse quella Tancia, quel Pep-
pino ec. che voi ben conoscete, oche ben vi è noto.
Quando poi i nomi proprj hanno davanti un aggettivo , o un nome di dignità o di professione,
o altra cosa somigliante, allora 1' articolo è asso-
lutamente necessario ; perciò si dice il re Antio-
co , il poeta Ovidio f il grande Alessandro , il
famoso Archimede ; e la ragione sì è che i nomi
ite , Poeta ec. sono sostantivi universali , che re-
stano poscia determinati dai nomi proprj Antio-
co , Gridio ec. Essi devono adunque necessaria-
mente aver I' articolo, perciocché è come se si di-
cesse il re chiamato Antioco , il poeta chiamato
Ovidio. E lo stesso è pure quando al nome pro-
prio si premette un sem[)lice aggettivo , poiché vi
si sottintende sempre il nome universale di quella
classe, a cui il nome proprio appartiene, il qual
nome universale spesse volte anche si suole espi:-'
mere , come infatti invece di dire semplicemente
il grande Alessandro, il famoso Archimede, si di-
ce spesso il gran re o conquistatore Alessandro^
il famoso geometra Archimede.
Da questa regola ciò non ostante si sottrag-
gono alcuni nomi di titolo , come donno , messe-
re , sere , maestro , santo , jnonsignorc , donna ,
madonna , madama , suora e/rate , i quali al-
lorché stanno innanzi a im nome proprio ricusan
sempre l'articolo ; onde si dice don Alberto, mes-
ser Ciao , ser Brunetto ec. Di ciò non v' ha altra
ragione che 1' uso; perciocché intatti qual ragione
vi può mai essere eh' ei debba darsi a signore e
padre , come quando dicesi il signor tale^o il pa-
dre tale , e si debba poi negare a sere b frale ?
Al nome Papa i' articolo si dà e si toglie in-
differentemente, dicendosi al pari a cagion d'esem-
pio /?«/?« Urbano e il papa Urbano ; se non che
il mettervi l' articolo indica un certo maggior ri-
spetto in chi parla. L' Ariosto lo tolse anche a Me,
dicendo re Carlo, re Pipino ; ma da' migliori noQ
è seguito.
V hanno de' nomi proprj che indicano "og-
getti di grande estensione, come cielo, terra, aria,
mare, e tutti i nomi dìproi'incie, di città, di mon-
ti e di fiumi. Or siccome accade, ciie vogliamo di
questi ora semplicemeute risvegliare l'idea, ora
accennarne una parte indeterminata , e ora espri-
mere tutta la loro estensione » qualche loro parte
determinata ; cosi ne' primi due casi essi rifiutan
r articolo, e lo vogliono ne' secondi. Quindi uno
dirà bene indeterminatamente: non si vedeva che
cielo e mare, ma determinatamente dovrà dire il
L cielo Italico , il mar Toscano ; uè potrà dirsi , il
' tale ha scorsa Lombardia , ma sibutne la Lom-
lardia , perchè s'intende tntta queiia pruviacia.
Per altro in poesia si dice bene ed elegantemente,
per esempio : icorrer Francia , Spagna , Lama'-
gna ec. , e molti esempi ve ne sono specialmente
dell' Ariosto.
Circa ai nomi di città, di monti e di fiumi
però vi ha una specie di irregolarità, ed è che j
primi ricusano tutti costantemente l'articolo, Ino-
ri d' alcuni pochi, come /'/ Cairo e la Mirandola;
i secondi lo voglion sempre, come VAlpi, gli Ap-
pennini , i Pirenei', i ter^i fuorché quando si vo-
gliano accennare affatto indeterminatamente, co-
me cadere iti Po , il richieggono più comunemen-
te essi pure, onde si dice il Tamigi, la Senna ec.
Quindi nasce tuttavia un comodo , il quale è che
dove per una città scorra un iìume del medcsiino
nome, basta l'articolo solo a distinguer tosto \\:no
dall'altra .* cosi Parma a cagion d esempio signi-
fica la città , e la Parma il fiume.
I sostantivi metafisici, siccome quelli che noa
esprimono alcun oggetto reale, ma semplicemen-
te la maniera con cui noi concepiamo V idee delle
qualità , o delle relazioni in astratto, non dovreb-
bero avere che un significato solo e determinato.
Ciò non ostante noi sijimo soliti a favellare di que-
ste idee òome si ("a dedi oggetti reali,e le dividiamo
esse pure in tante classi , come son quelle delle
virtù, dei vi?j, delle arti, delle scienze ec. Quin-
di è che ai loro nomi eziandio ora si dà, ora si ne-
ga r articolo colie medesime regole, come se fos-
sero nomi universali.
Osserviamo jìer ultimo due onse; i. il van-
taggio che la nostra liniiua per via dell'articolo ac-
quista su la latma. Questo e stato g;a nijtato assai
bene dal Buommattei,di cui riferiremo qui In pa-
iole, ce 1 Latini dicono vinum bibere. Is'oi lo di-
« damo in tre modi con tre significati diversi ;
« ber vino , bere il vino , ber del vino. 1) primo
« modo significa semplicemente non si astenere
M dal vino; il secondo accenna ber tutto il vino, il
« terzo inferisce bere alcuna quantità di vino . . .
« Ma il latino , perchè non ha articoli , confonde
« tutti e tre questi diversi significati et. 3. Quan-
to sia irragionevole quel precetto che si trova rei
dialoghi del Bembo sopra la lingua toscana , che
quando ad un nome soiitantivo viene appresso uq
altro accompagnato dalla preposizione di, se il pri-
mo ha l'articolo, lo debba avere anche il secondo,
di maniera che si debba dir per esempio : le chio"
me delV oro , e non le chiome d' oro. lo non so
perchè il Bembo non abbia riflettuto che l' ufficio
dell' articolo è quello di determinare il significato
de'nomi,e che per conseguenza dei due nomi, noi
dobbiam porre V articolo a quello che vogliamo
determinare , e lasciarne senza quel che voijiianio
che resti indeterminato.
CAP. VII: De Nomi alterati.
V^UESTi son quelli che servono ad accrescere o
diminuire il significato de' nomi semplici. I
primi si dicono aumentativi o accrescitivi quan-
do dinolano ingrandimento, e iiniscon in o«e se
son maschili, come alberoiic, braccione, e in one
u oua se son femminili : la pi ima maniera però è
j>iìi usitata , e li converte anch'essi in maschili,
( jme da casa casone , e da porta portone , e ve
n' han pure alcuni che Doa significan ingrandi-
mento della medesima cosa, ma una cosa diffe-
rente , come da pianta , carta , piantone , carto-
ne. Si dicon poi peggìoratii'i quando signitìcan
peggioramento o malvagità , e cadono in accio
o azza , e accia o aglia , come popolazzo o po-
polaccio j e gentaccia o gentaglia in, astro e
astra , come giovinastro e gioiùnastra , e talora
s'unisce il peggiorativo coli' accrescitivo , facen-
done omaccione , ribaldonaccio , e simili. Degli
accrescitivi ve n'ha un altro pure, che però s'ado-
pera ordinariamente per vezzo, e finisce in otto e
otta , come giovinoito e giovìnotta.
Quelli che diminuiscono il significato si chia-
mano diminutivi j e s'adoperano quando per
vezzo, e quando per dispregio. Finiscono in ino
e in ina^ come fanciulli no ejanciulliiìa , in etto
e in etta , come giovinetto e giovinetta , in elio
e in ella , come contadinello e contadinella , in
uccio o uzzo, e uccia o uzza, come sonettuccio
o sonettuzzo, cosuzza o cosuccia ; e spesso si ffi
un doppio diminutivo , come cosetiina , casset^
taccia. Vi son anche alcune altre specie di di-
minutivi , come cerbiatto per piccol cervo, casi-
pola per casa piccola e cattiva , amarognolo per
alquanto amaro, verdigno per alquanto verde^
tristanzuolo per alquanto tristo.
CAP. Vili: De' Pronomi.
J. Pronomi entrali anch' essi propriamente nella
classe degli aggettivi, essendo l'iilncio loro quello
di significare l'identità di un oggetto già nomina-
to , neir atto medesimo che ne risveglian 1* idee.
Non tutti però gli aggettivi che stanno talvolta da
se, e richiaman l'idea d'un sostantivo precedente
o sottinteso, a cui si riferiscono , debbonsi anno-
verar tra i pronomi ; altrimenti se io dirò : tutti
gli uomini cercano la felicità , ma pochi la trova-
no, e non sono che i saggi e i \nt\xos\, pochi, sag'
gi e virtuosi , sarebber pronomi, e generalmente
niun aggettivo dovrebbe da questo numero esser
escluso, potendo tutti far ruflicio medesimo quan-
do che sia.
Tra i pronomi debbonsi porre quei soli che
si usano espressamente, e al solo fine di risveglia-
re l'idea d'un sostantivo già nominato senza che
alcuna nuova qualificazione v' aggiungano ; e tali
sono egli o esso , e desso ; lo stesso o il medesi"
ino ; questi o costui; chi , altri , altrui ; quegli
o colui f cotesti o cotestui, che o il quale^ e 1' «r-
ticolo quando s'adopera assoluto invece di lui,
lei , loro.
Siccome i pronomi si pongono invece dei so-
stantivi, cosi non s'accompagnano mai coi sostan-
tivi medesimi , e però non si dice egli uomo , né
questi o costui f cotesti o cotestui, quegli o colui
nomo. Ch ' se esso , stesso , medesimo e quale, si
veggon talvolta accompagnati coi sostantivi, allo-
ra sono aggettivi semplici, e non più pronomi.
Quanto ai nomi personali /o, tu, noi, voi ,
se, io non so come siano stati collocati fra i pro-
nomi , essendo essi veri sostantivi universali che
significano una o piìi persone che parlano , o che
r ascoltano , e una, o più persone da queste di-
Iverse considerate in se medesime , non già agget-
tivi che si riferiscano ad alcun nome , e ne richia-
m\n l'idea. Is^oi parleremo tuttavia anche di essi
nel presente capo, essendo questo il luogo più op*
portuno di favellarne.
11 pronome egli, e i nomi personali sono
«oggetti a molte variazioni di desinenza. Eccole
tutte per ordine.
Variazioni del pronome egli.
Sing.
Masch.
egli , ei , e'
di lui
a lui, lui, gli
lui , lo j il
da lui
Fem:
ella
di lei
a lei , lei , U
lei, la
da lei
Plur.
eglino, ei, e' elleno, elle
di loro , o loro
a loro, o loro
li , gli , loro le , loro
da loro.
Osserviamo qui in primo luogo, che lui, lei
e loro non possono mai usarsi nel c^so retto , os-
sia nel nominativo, ma negli obliqui soltanto , e
se ve n' ha qualche esempio non è da seguirsi.
Tre eccezioni si tanno; i. quando il senso del
discorso esprime tal simiglianza di due persone,
odi due cose, che l'una si prenda in iscambio
dell'altra, come è nel Boccaririo gior. 3. nov. 7.
MaravigLiossi forte Tedaldo, che alcuno in tan-
to il simigliasse, che fosse creduto lui; e come
avvien pure in quelle maniere comuni s'io fossi
fu/, 5' IO fossi lei : ma qui ogniino vede che si de-
ve supplire in lui , in lei ; e nel primo esempio si
dice lui, e non egli, perchè essendo alcuno il sog-
getto della proposizione che fosse creduto lui, met-
tendo e^li parrebbe che si riferisse ad alcuno , e
non a Tedaldo. 2. Quando il pronome è prece-
duto dal come o siccome. Tale è quell' esempio
del Boccaccio : Si vergognò di fare al monaco
quello che egli , siccome lui,a{>eva meritato ; ma
qui pure il lui è posto per evitar l'ambiguità tra
egli e monaco ; e dilatti, quando questa non v'ab-
bia , si dice egualmente siccome egli , e siccome
lui. 3. Nelle esclamazioni , come oh lui beato !
oh lui misero ! ma qui il lui è accusativo , come
lo è me beatum , me miserum ! nelle esclamazio-
ni Ialine.
Lui , lei e loro spesso s' adoprano per sem-
plici aggettivi, invece di quello o di colui ec. , e
ciò massimamente in verso, e quando sono segui-
ti dal pronome relativo che , come nel Petrarca ;
y4d or ad or a me stesso m' involo
Pur lei cercando , che fuggir dovria
Io vece di quella o colei. Lui e lei in dativo , ia
vece di a lui e a lei si possono usar qualche vol-
ta in poesia , ma ])arcameote.
Loro all'accusativo non è di un uso troppo
requente, e in suo luogo s' adopera gli o lì, e le.
Gli si usa quando segue una vocale o una s ira-
pura , come gli unì , gli sparse ; e // quando se-
gue qualunque altra consonante , come li trovò ,
li perdette. S avverta che £:/* in dativo non si può
mai usare invece del plurale a loro j ma solamcate nel significato del singolare a luì; e però gli
scrìsse , significa scrìsse a lui , non a loro.
Anche ei o e' nel plurale si trovan di rado, e
s' usano in cambio eglino o essi.
Di lui , di lei e di loro posti Fra V articolo e
il nome , come // di lui onore , il dì loro corag-
gio sono maniere da schifarsi, e si dice in cambia»
il loro coraggio o il coraggio loro , e V onor di
lui.
V'hanno alcuri esempj di ella e elle usati nei
casi obliqui, ma non sono da imitare. £//o per
egli ^e elli per eglino son maniere antiquate
Dopo il nonìì [»ronome maschile nell'accusa-
tlvo singolare dev'esser lo , e volendo pure usar
ìlj convien unirlo col non in una sola parola, di-
cendo noi come non lo veggo , o noi veggo.
Quando si parla o si scrive ad uno in terza
persona, siccome si parla alla signoria di quel ta-
le, cosi bisogna usare il pronome femminile, on-
de si deve dire, le raccomando^ o la prego, e non
gli raccomando o lo prego. Molto piìi poi si dee
fuggire 1' error volgare di dir ci offero , ci dico ,
invece di le offero , le dico.
Egli , ei , e' ed ella si pongono spesso per
puro vezzo di lingua, e si chiaman allora ripieni
o particelle espletive. I tre primi si usano in tutti
i numeri e in tutti i generi, come egli non è cosa
strana, egli vi sono molti; il quarto soltanto nel
femminile. Nello stil famigliate e nel burlesco,
invece di egli si usa anche gli, e di ella, la , co-
me gli è grande , la non è pìccola.
Esso e essa , che hanno il medesimo signifi-
cato di egli e ella, s'adoprano indifferentemente
e nel caso retto , e negli obliqui , se non che nel
retto si dice piuttosto egli e ella»
Anche questo pronome spesso si usa per pu-
ro ripieno, ma sempre colla terminazione maschi-
le , come esioLui j essolei y essoloro , sovr esso il
ponte , lungh' esso il fiume.
Desso esprime qualche cosa di più che egli
o esso, e significa egli appunto o egli stesso, co-
me lo veggo, è desso. Questo pronome non s'usa
che nel casoretto.
Variazione dei Nomi personali.
Singolare.
IO
tu
di me
di te
a me , mi
a te,
me , mi
te, ti
da me
da te
ti
di se
li-'se,
se, si
da se
SI
Plurale.
noi
voi
di noi
di voi
di se
a noi, ci, ne
a voi, vi
a se, bì
noi, ci, ne
da noi
voi, vi
da voi
se, si
da se
Io e tu non s'adoprano che nel caso retto.
Mi, tiy sij ci, ney vi , come pure i pronomi gli,
le, il, lo, la , //, si debbon por sempre innanzi al
verbo, come mi vide, lo incontrai, gli dissi, o po-
oendoU dopo, si debbono con lui unire in una
sola parola, come videmi, dissegli ec. Essi allo-
ra si chiamano affìssi , e spesso se ne appone piti
d'uno, coaie dirowelo. o dirollovi.
Quando però vi sia corrispondenza di due
o più pronomi , o nomi personali , l' atlisso non
può usarsi , ma si dee in quella vece adoperare il
nome personale, o il pronome staccato. Quindi
disse il Petrarca par. i. son. 3.
Ferir me di saetta in quello stato ,
E a voi armata non mostrar pur Varco.
I nomi personali, 7/z/, ti, si, ci, ne, vi, spesso
s'accoppiano coi [)ronomi lo, la, gli, le, /i, ma
conviene ne' primi cangiare 1'/ in e , come me lo
diede , ce li ritolse , ve le ojjro; se non che tal
volta ])er grazia di lingua il pronome si mette da-
vanti ul nome personale, come il vi darò , la vi
ho data.
II pronome gli si unisce egli pure sovente
cogli altri anzidetti, aggiungendovi un' e fram-
mezzo , e ne nascono glielo , gliela , gliele eo.
Quest' ultimo , invece di cui s' usa anche gliene ,
si trova adoperato nei buoni Autori per riguar-
do al gli in amendue i generi, cioè tanto in signi-
ficato di a lui , come di a lei', e per riguardo al
le in amendue i generi e i numeri , cioè tanto per
signillcare lo e la, come // e le. Cosi il Boccaccio
gior. 5. nov. 3. disse : Piena di stizza gliele tol*
si di mano , ed Lolla recata a voi , acciocché
voi gliele rendiate , cioè la tolsi a lei , acciocché
a lui la rendiate; e gior. 2. nov. g. Portò certi
falconi pellegrini al Soldano , e prcsentogliele ^
oioè // presentò a lui.
Oltre al proprio significato di nomi persona-
li, le voci ne , ci e vi ne han pure un altro. Il ne
corrisponde alle j)arole^/ questa o quella cosa ,
da questo o quel luogo: cosi ne vengo ora, vuol
• lire vengo ora da quel luogo ; non ne trovoy vuol
dire di questa o di quella cosa. Jl ci significa pro-
priamente in questo luogo o a questo luogo, e il
vi in quello o a quel luogo j e però rigorosamente
7ìon ci e , vuol dire qui , e non vi è , ivi ; non ci
forno, significa non torno qua ; e non vi torno ,
non torno là ; ma spesso si pongono indifferente-
mente r uno per 1' altro. Sovente pur nel discorso
servono di mere particelle espletive.
Il nome si ^ che si chiama reciproco, s'ado-
pera quando vuoisi esprimere che 1' azione signi-
hcata dal verbo rimane nel soggetto medesimo del-
la proposizione, ossia nel nome medesimo da cui
il verho è regolato. Cosi dicendo: Cafone piut-
fasto cìie cadere neUe mani di Cesare si uccise ,
sij^nifica uccise se medesimo , e volendovi dare
ancora più forza dirò ; da se stesso si uccise , ma
non già da lui stesso, e di sua propria mano, non
già colla di lui propria mano , come alcuni per
errore pur soglion dire.
(jiacchè siamo entrati a parlare del possessi-
YO suo, sarà bene accennar qui brevemente quand'
egli s'abbia ad usare, e quanrlo in sua vece si deb-
ba adoperare di lui. Egli è dunque regola gene-
rale , che quando la cosa , di cui si discorre , ap-
j'.utiene al nominativo, ossia al soggetto della pro-
])Osizione, si deve usar suo , e non di lui, onde/Z
padre de\.>e amare i suoi figli , e non / di lui figli
o i figli di lui ; se però questo soggetto è plurale,
invece di suo s'adopera loro; diremo pertanto : /
figli sono tenuti a riamare il loro padre , non il
suo padre. Quando poi la cosa spetta a tutt' altro
nome diverso dal S();^£;etto della proposizione, ri-
gorosamente dovrebbesi usar di lui, ma ove non
possa nascere ambiguità si adopera indifierentemente anche il suo , Quindi io dirò egualnnente:
amo Pietro e i suoi figli , o i figli di lui \ ma
non dirò già Paolo ama Pietro e i suoi figli, per-
chè s' intenderebbe che ami i fxgU proprj, non iii-
gU di Pietro.
1 possessivi mio , tuo , suo , nostro , vostro,
loro si pongono spesso assolutamente senza com-
pagnia di sostantivo, il quale però loro sempre si
sottintende , ed è avere o roba se sono nel singo-
lare, /7fl7e/i/i o famigliari se son nel plurale. La-
onde consumar tutto il suo, vuol dire tutto il suo
avere , rivedere i suoi , vuol dire i suoi parenti o
famigliari.
Dei Pronomi questi e costui , cotesti e cotestuiy
quegli e colui.
\^ uesti, cotesti e quegli non s' adoperan in sin-
golare se non nel caso retto. Alcuni pretendono
che non si possano usar nemmeno se non quando
ii riteriscono ad uomo , e che riferendosi ad altro
animale , o ad oggetto inanimato , si debba dire
questo , cotesto e quello; ma abbiamo ne' buoni
Autori degli esempi contrarj , come nel Dante
Inf. cant. i.
Ma non sì , che paura non mi desse
La vista che m apparve d' un leone ;
Questi parca che conerà me venesse,
E nel Boccaccio gior. 4* oov. i . Dall' una parte
mi trae Vamoreec.ye dalV altra giustissimo sde^
gno : quegli vuole c/iio ti perdoni, e questi vuo~
le che conerà a mia natura in Ce incrudelisca.
Oltreché, siccome egli s' adopera indistinramen-
te, qualunque sia l'oggetto, di cui dee risvegliare
l'idea, cosi pare che debba farsi lo stesso ancora
di questi altri pronomi ; tanto più che questo, cO'
testo e quello posti assolutamente, signlfican que-
sta , cotesta e quella cesa , come ciò signilica.essa
o tal cosa. Checché ne sia però questi ^ cotesti e
quegli , fuor di quando si riferiscono ad uomo ,
che debbonsi usare necessariamente , in altre oc-
casioni s'adopran di rado , e solo si trovan usati
qualche volta riferiti ad altro animale , o a cosa
che nel discorso faccia sembiante di animata, co-
me lo sono amore e sdegno nell'esempio dei Boc-
caccio.
Quando siansi innanzi nominate due cose, di
cui s'abbia a continuare a discorrere in appresso,
questi o questo significa l'ultima, e quegli o quel"
10 la prima, come dal medesimo esempio del Boc-
caccio apparisce.
Invece di quegli singolare, ia ?erso si dice
anche quei , come nel Dante :
E éfuale è quei che disvuol ciò che volle.]
11 Dante l' usò ancora nel caso accusativo , invece
di quello :
Che non soccorri quei che t* amò tanto ?
ma non è da imitarsi. Nel plurale quand' è prono-
me, invece di quegli i\ dice piuttosto ^ue/Zi,^uei
o qué* , e servono per tutti i casi.
Ma spesso invece di esser j)ronome, egli è un
semplice aggettivo che accompagna il suo sostan-
tivo, come quel/rutto , quelV albero. In tal caso
■> j. G I ammatìca ragionata.
se il sostantivo comincia per vocale, o per s im-
pura , o per z , nel singolare si dice quello , e nel
plurale quegli, come quello spazio, quegli anni;
se il sostantivo comincia per tutt' altra consonan-
te , nel singolare si usa quel, e nel plurale quei o
quc\ come quel frutto e quei frutti, o qué Jrut~
li : il dire quelli frutti non è di buon uso.
Anche questo e questa sovente son sempli-
ci aggettivi, invece di questa coi nomi mane , se-
ra e notte , si usa anche sta , come sta mane , sta
sera , sta notte : ma cogli altri nomi ciò non può
farsi. I Poeti in cambio usan talvolta esto, e està ,
come il Petrarca desto ingrato , e il Dante està ,
•seWa , csti tormenti.
I pronomi costui e costei^colui e colei equi-
valgono a questi e questa , quegli e quella , e ser-
jfono per tutti i casi : ma noi v abbiamo ora alle-
gata una certa idea di disprezzo, in modo che
non si debbono usare parlando di una persona a
cui s' abbia rispetto. Cotesti e cotcstui son di
rarissimo uso.
Dei Pronomi il medesimo , e lo stesso.
\J VESTI servono a determinare precisamente 1'
identità di un oggetto , e però quando sono
pronomi sempre voglion l'articolo. S'uniscono so-
vente cogli altri pronomi , come egli stesso, que-
sto medesimo; ma essi allora , come ben si vede ,
non son che semplici ai.geitivi. In vece di mede-
simo, in verso si dice anche medesmo'^ ma mede'^
mo è termine del volgo.
Farce I. Gap. VI IL 3 3
Dei Pronomi che , cui , il quale, onde, e chi,
xN EL capo sesto si è detto che per ristringere II
signitìcato di un nome, aggiunf;endovi una (|ual-
che qualificazione, in luogo d'un aggettivo o di
un genitivo, può adoperarsi una proposizione
incidente, che ad un aggettivo equivale. Queste
proposizioni si dicono incidenti, perchè cadono
in una proposizion principale , e formano una
parte di essa , come sarebbe appunto un semplice
nfi;gettivo. Cosi dicendo: Ì uomo die ini'e in ozio
. indef^no di godere i vantaggi della società , a
L.UÌ egli non fa niun bene, avremo una sola pro-
posizion principale , come se dicessimo : V uomo
ozioso è indegno di godere i vantaggi della so-
I ietà da lui niente beneficata.
Or per unire le proposizioni incidenti coi
nomi , a cui elle si riferiscono, s' adoprano i pro-
nomi che e il quale, che perciò chiamansi relati-
vi. Il primo è invariabile , e si usa al nominativo
e air accusativo di ambedue i numeri, ma sempre
senza 1' articolo , perchè unito coli' articolo signi-
lica non il quale semplicemente, ma la qual co-
sa; benché in questo senso talvolta si truova an-
che senza l'articolo , come nel Boccaccio introd.
Ij un fratello V altro abbandonavay e {die mag-
gior cosa è ) i padri e le madri i figliuoli. Quan-
Anche il che si può unire talvolta colle preposizioni, benché sia semplice relativo, come quelio di che vi dolete, quello a che avete atteso, quello in che v* occupate ; e la preposizione in , specialmente se si parla di tempo , si può ancor
tralasciare, come V anno che mv/l il Galileo, nacque il IVeivton. Oli antichi usaron anche di sopprimer eoa esso varie altre preposizioni, come il Petrarca ;
Da quel nodo sciolta, Che più bel mai non seppe ordir naturai
E il Boccaccio : Involato avrebbe con quella coscienza che un uomo offerirebbe , ove il che è usato per di cui e con cui ; ma da' migliori moderni quest'uso non è troppo seguito, il quale, quando è pronome relativo, vuu! sempre l'articolo , onde per esempio: la lettera qual vii scriveste è errore. All' opposto quando è semplice
aggettivo esprimente qualità , e correlativo di tale o altrettale , come anche quando s' adopera per esprimer dubbio , o per interrogare , non lo vuol mai ; come nel Boccaccio gior. 8. nov. 8 : assai dee bastare a ciascuno^ se quale asino dà
in parete , tal riceve , e gior. i. nov. 8 : non so
quale Jddio dentro mi stimola ed infesta ; e 11- l'arte J. Cap. Vili. 55
oalmente gior. 5. nov. 6 : impetratemi una gra^
zia da chi così mi fa stare. Jiuggieri domandò ,
ifuale? Invece di quale, aggettivo semplice, s'adopera eziandio il die , quando però non vi sia il correlativo tale , come : mira in che stato io sono ; che cosa è mai? non so che cosa ella sia : e i sostantivi stato e cosa , spesso ancor si tralasciano, come vedi a che son ridotto ; che è mai ? ìion so che sia. AH' opposto non son da seguire quei che dicono : non so cosa sia ; cosa è mai ?. lasciando il che. Alle volte questo nome è anche un puro sinonimo di cosa , come quando si dice un gran che.
Dopo tale, tanto ^ così^più, meno ec. si mette il che per correlativo , ma allora è semplice congiunzione corrispondente all' ut , o al quam,
dei Latini.
Onde , che è anche una congiunzione equivalente a laonde , oper la qual cosa, si usa pure nel senso di quale accompagnato dalle preposizioni di, da, con oper, come la cosa onde sipar» la ; il luogo onde ei viene, o onde è passato ; il laccio onde è avvinto. La preposizione da qualche volta vi si unisce , e i nomi luogo o cosa si
ommettono , come non w d'onde venga , cioè da qual luogo; non so d'onde proceda, cioè da jual cosa.
Chi , significa colui che , o coloro che. Egli pure è invariabile , e &' adopera in tutti ì generi, e in tutti i numeri . In sua yece tal volta si pone
cui , come nel Boccaccio : vedi cui do mangiare
il mio , in cambio di a chi , e altrove : macchie
apparivano a molti ^ a cui grandi e rade,e a cui
56 Grammatica ragionata.
tnìnute e spesse. Talvolta all' incontro si u-.a il
chi invece di cuìy come in quel verso ;
Tra' magna/limi pochi, a chVl ben piace:
Il chi si adopera nelle enumerazioni nel sen-
so medesimo, in cui s'adoperan qualcy tale, uno,
altri , questi e quegli , come : degli uomini cìii è
avventurato , chi misero ; quale è buono , qual è
malvagio; tale è troppo ardito , tal è troppo li-
Tiiido ; uno piange , uno ride ; altri ama , altri
odia ; questi di tutto è pago , quegli di tutto si
lagna.
Dei Pronomi altri e altrui.
Jj[ltri s'adopera nel caso retto , e significa pro-
priamente altr uoìno , come nel Boccaccio gior.
I . nov. 8 : Nò voi riè altri con ragione potrà più
dire eli' io non V abbia veduta. Ne' casi obliqui
si dice altrui , e con esso le preposizioni di e a
spesse volte si tralasciano. Altrui signillca anco-
ra le cose appartenenti ad altri, come consumare
V altrui , cioè la roba degli altri.
Vi ha anche altro che si pone talvolta asso-
lutamente, e vuol dire altra cosa, come nel Boc-
caccio gior. 7. nov. 3 : sembiante facendo di ri"
der d'' altro.
Uno, alcuno, veruno, qualcuno, ciascuno,
chiunque, chicchessia, taluno, tale, niuno, nes-
suno , si pongon anch' essi spesse fiate assoluta-
mente, sottintendendovi uomo o persona. Si os-
. servi però che niuno e nessuno, quando son po-
sti innanzi al verbo; non possono avere la negati-
Parte I. Cap. Vili. 67
va non , altrimenti la negazione si toglie , e for-
mano un senso alfermativo ; ma quando son do-
po il verbo , 1 ammettono senza cambiar di senso.
Per il che si dirà egualmente : niuno quaggiù è
pienamente felice y e non v ìia niuno quaggiù
pienamente felice ; ma non già niuno non è
quaggiìi pienamente Jelice j perchè niuno non è
equivarrebbe a lutti sono . Lo stesso si dica an-
cora dei sostantivi niente e nulla. V hanno de*
casi però in cui la particella non si può replicare
anche dopo niuno e niente , senza che tolga la
negazione, come di ciò niente non gli importa;
niuno non e' è che non si maravigli ec. ; ma ciò
non si dee fare se non con molto riguardo , e al-
lora soltanto che il senso sia per se stesso chia-r
rissimo.
Ca
58
PARTE II.
DEL VERBO E DEL PARTICIPIO.
CAPO I.
Dei Numeri , e delle Persone de' F'erbi.
JLi UFFICIO del verbo abbiam già detto esser qnol-
lo di affermare o negare l'esistenza di qualche
1)roprietà in qualche soggetto. Or siccome il ver-
)o essere è il solo , che posto da se esprima l'af-
iermazione , e accompagnato dal non là negazio-
ne, cosi egli puiéè il solo ciie propriamente deb-
basi cliiamar verbo. Agli altri in tanto si dà que-
sto nome, in quanto contengon tutti il verbo es-
sere insieme con un aggettivo, che esprime una
qualche proprietà o operazione del soggetto, e fa
j)erciò nella proposizione l'ufficio dell attributo.
Quindi è, come abbiam notato, che un solo no-
me e un solo verbo posson formare un'intera pro-
posizione , perchè io vìvo , io spiro , tanto valgo-
no , quanto io sono vivente , io sono spirante.
Ma a formare un'intera proposizione può
anche bastare il verbo solo, quando il soggetto
sia uno dei nomi personali /o, lu, noi, voi. E ciò
])erchè si nella nostra lingua, come nella più par-
te delle altre si è introdotto di dare al verbo una
diversa terminazione secondo che il soggetto del-
a proposizione, a cui il verbo si riferisce, è o la
Pane IL Cap. I. 5 9
persona che parla , che dicesi persona prima , o
quella che ascolta, che dicesi persona seconda ,
oppure una persona o una cosa diversa da amen-
due, che dicesi persona terza. E una diversa
terminazione gli si dà pure, secondo che queste
persone sono del numero singolare o del plurale.
Per la qual cosa dicendo vivo o vivi , io formerò
una proposizione compiuta, perchè quantunque
il soggetto non sia espresso , la sola terminazione
però indica bastantemente che è /o o /a ; e cosi pu-
re due proposizioni perfette saranno viviamo e
vivete^ perchè egli è chiaro che noi e voi ne so-
no i soggetti.
Di questo comodo raancan gì' Inglesi , pres-
so, cui il plurale de' verbi ha una sola desinenza
per tutte e tre le persone , la quale trattone il
presente del dimostrativo è comune ancora alla
prima e alla terza del singolare ; onde presso di
loro per distinguere le persone è necessario sem-
pre il nome personale, fuorché nella seconda del
singolare , che ha una particolare terminazione
o del verbo medesimo , o del prefisso che vi so-
glion aggiHgnere per la distinzione de'modi e de'
tempi.
Quando però il soggetto è di terza persona ,
anche presso di noi il solo verbo non basta a for-
mare una proposizione. Perciocché vive e vivono
accennan bene che il soi!;getto ò diverso da chi
parla, e da chi ascolta; e il primo accenna ancora
che egli deve essere singolare , il secondo che de-
ve esser plurale , ma non possono già dimostrare
qual sia. Pertanto fa di mestieri ch'ei vi si aggiun-
ga , toltone quando sia stato nominato poco in-:
uiiuùj o fàcilmeate si possa sottintendere.
L,
60 GraminuLÌca fa^iunuLci,
CAPO li.
Dei tempi.
lE operazioni e le pro'J)rietà che i verbi affer-
mano , o negano esistere in un soggetto , possono
in lui trovarsi presentemente , o esservi state per
lo passato , o oovervi essere in avvenire. Queste
varie determinazioni di tempo si esprimono anch'
esse col dare ai verbi diverse desinenze, cioè va-
riando, secondo il tempo che vuoisi signiQcare ,
le desinenze dei numeri e delle persone. Quindi
è che sc7Ìzo , mostra che questa operazione esiste
nella prima persona singolare nel tempo presente
scrissi, che vi è stata in un tempo di già passato,
scrii^erò , che vi debb'essere in un tempo che ha
ancora a venire.
11 tempo presente non è, né può essere che
un solo, perchè quel ch'è presente non può dirsi
che sia più o men lontano, più o men vicino di
tempo. Il passato all'incontro , e'I futuro, sicco-
me posson essere più o men lontani , o vicini ,
cosi posson anche ricevere più di una determinar
zione.
Riguardo al passato, quando l'azione si con-
sidera come già affatto compiuta , ei si chiama
passato per/etto , e questo in italiano si esprime
in due modi , comejui e sono stato. Il primo si
usa quando si parla di un tempo lontano assai , e
che non abbia più ninna concatenazione col tem-
po presente , o d' un tempo passato indetermina-
to ; quindi si chiama peijiatto indeterminato , e
può dirsi anche rimoto. Tale sarebbe se noi di-
cessimo : Roma coviinciò da piccioli principi \ i
Greci furono un tempo selvaggi. Il secondo si
rartc IL Cap. IL Cu
adopera quando si tratta di un tempo determina-
to e vicino , o che , se è lontano, si considera co-
me unito tuttavia al tempo presente, e perciò di-
cesi perfetto dcicrminato o vicino ; come ieri o
*'Sgi ì o V altro giorno ho veduto il tale; in tjue-
sto secolo le scienze si sono di molto pcrfezio-,
nate.
Ma parlandosi di uno stesso tempo, si può
libare talvolta indifferentemente e l'uno e l'altro
perfetto , secondo la maniera con cui egli si con-
cepisce. Si può dire per esempio : nel principio
dell'era cristiana sono vissuti in Roma dottis"
simi uomini j e nel principio dell'era cristiana
l'isserò in Roma dottissimi uomini , perchè nel
secondo caso io considero la distanza assoluta di
tempo che passa fra 'l principio dell'era cristiana
e l'età nostra ; laddove nel primo, malgrado la di-
stanza di diciassette secoli e più , io considero il
tempo come vicino, perchè egli forma una parte
dell'era cristiana, in cui siamo noi pure tuttavia.
Se colla mente ci trasportiamo in un tempo
assato , e consideriamo le cose che allora eraa
^, resenti , il tempo si chiama passato imperfetto o
pendente , e potrebbe chiamarsi ancora presente
ili passato. Così dicendo Archimede fu ucciso
da un soldato Romano mentre stavasi tutto ac-
lento a suoi studj , l'azione passiva di Archime-
de , sebbene già passata di molti secoli, si con-
idera come presente a quel tempo , in cui egli fu
uccise.
Quest' abito dì trasferirci col pensiero nei
tempi ancor più lontani , fa che descrivendo le
anioni d'allora, usiamo spesso il presente, come
ora avvenissero. Cosi all'immaginazione rap-
ju scontandomi il fratricidio di Caino ; potrò dire
come se ne fossi spettatore attuale: guida egli
Tnaliziosamenie in un campo l innocente fi atei'
lo , e qui sfogando la sua malnata invidia ^ fu-
rioso L'assale e l uccide.
Che se lavellundo d'un tempo passato, vo-
gliamo esprimere qualche cosa avvenuta prima d'
allora , il tempo dicesi passato più che perfetto o
trapassato f come: Temistocle fu esiliato da quel-
la patria medesim^a ch'egli avea salvata col suo
valore e colla sua avvedutezza. Espresso in que-
sto modo il trapassato dicesi imperfetto , perchè
si forma coli' imperfetto dei verbi avere o essere.
Ma quando gli si premettono gli avverbj poiché y
dopoché , allorché , quando , e simili , egli si for-
ma allora col perfetto indeterminato de'medesi-
ini verbi avere o essere^ e dicesi trapassato per-
fetto', come Temistocle dopoché ebbe salvata la
patria ne fu bandito. Questo tempo però scom-
pagnato dagli avverhj suddetti, non esprime che
il passato indeterminato o rimoto, come nel Boc-
caccio gior. 2. nov. 5. : Alzata alquanto la lan-
terna ebber veduto il cattivello di Andreuccio ,
ove è manifesto , che ebber veduto equivale a
videro.
I futuri italiani son due. Uno si chiama im-
perfetto , ed esprime semplicemente una cosa av-
venire ; l'altro si chiama perfetto , e significa una
cosa futura bensì , ma che deve esser compiuta
prima d'un' altra: cosi dicendo quando avrò or^
dinatele cose mie , verrò y il primo verbo sarà,
futuro imperfetto , il secondo imperfetto. Molte al-
tre specie di futuri si posson fare coli' unire i var j
tempi de'verbi essere o avere cogli altri verbi ,
frapponendovi le preposizioni /^er, o o, come /«
l'arie IL Cap. IL 63
son per amare , io era per amare ^ io ebbi ad
amare j aviò ad amare ec.
CAPO III.
Dei Modi.
A^i 01 slam paghi talvolta di accennare semplice-
mente con un verbo l' esistenza di qualche opera-
zione o proprietà , senza determinare il numero ,
né la persona del soggetto a cui ella conviene. Il
verbo dicesi allora di modo infinito , cioè indefi*
nito o indeterminato, e lia una sola desinenza per
tutte le persone e tutti i numeri , come amare ,
ieg-gere^ udire ec.
Ma se col dare al verbo una particolare desi-
nenza , vogliamo non solo risvegliare V idea della
proprietà o operazione da lui espressa , ma signi-
ficare eziandio il nansero e la persona del sogget-
to in cui si trova , e il tempo in cui v'è stata, o
v' è , o vi debb' essere ; il verbo si dice allora di
modo finito f cioè definito o determinato, l'ali
sono amo, amasti, amerà ec.
Il modo definito distinguesi in assoluto e re-
latino. Allorché il verbo afferma assolutamente
da se senza dipendere da oiun altro , che una tal
proprietà o operazione esiste in un tal soggetto ,
e in un tale determinato tempo, il verbo è di mo-
do assoluto , il qual modo si chiama anche dai
Grammatici dimostratilo o indicativo. Così di-
cendo io veggo Paolo, io leggo un libro, i verbi
ifeggo e leggo aftermano per se assolutamente
l'alio di vedere e di leggere, senra aver dipenden-
za da n uno, e sono perciò di modo assoluto. Ma
quanJo ii verbo si riferisce ad uà alno, e da un
64 Crammatica ragionata.
altro dipende , Il modo si chiama allor relat'wo ;
e di questi ne abbiamo due nella nostra lingua y
che sono V imperativo e il soggiuntivo . Il primo
s'adopera quando si vuole esprimere comando ,
preghiera , consiglio , avviso , esortazione di far
qualche cosa , e con una sola voce si vuol signifi-
care e il comando, e l'azione che deve farsi. Co-
sì dicendo va nel tal luogo , fa la tal cosa , si
sottintende io ti comando o ti prego ec. ; ma la
sola terminazione di va e fa equivale a questi
verbi , a cui essi non lascian per altro di riferirsi.
Che se i verbi suddetti si voglion esprimere ,
quello che lor si soggiunge , invece di esser posto
air imperativo, sì manda al soggiuntivo, e si dice
io comando , prego , consiglio , esorto , avviso ,
desidero , voglio ec. che tu faccia la tal cosa ;
ove egli è chiaro che i verbi comando , prego ec.
filfemiano assolutamente il volere o il desiderio
ch'èinme, e perciò sono di modo assoluto ; ma
il yeiho faccia non afferma già che l'operazione
si eseguisca , ma è soggiunto ai verbi precedenti
per indicare qual sia V operazione che si vuole
eseguita.
V ha nella nostra lingua un' altra specie di
soggiuntivo, che chiamasi condizionale, perchè
indica l'esistenza di un'operazione o di una pro-
prietà , colla condizione che se ne verifichi un'al-
tra ; cosi s'io potessi, farei la tal cosa , vuol dire
pongo la condizione eh' io potessi , e dico che fa-
rei la tal cosa. Spesse volte il primo soggiuntivo
esprimente la condizione si ommette , ma allora
però soltanto che facilmente vi si possa sottinten-
dere ; come vorrei esser sano, vorrei esser tran-
quillo , ove è chiaro che si sottintende se potessi,
se mi fosse permesso.
I Greci per esprimere il desiderio , davano
al verbo una particolar desinenza , e avevan per
ciò un altro modo di più, che dal suo ufficio chia-
niavasi ottativo. Ma questo modo non dee am-
mettersi né in latino né in italiano , non v'essen-
do per esso alcuna particolar terminazione. In
fatti i Latini adoperavan invece il soggiuntivo
preceduto dall' interposto utìnaìn , e noi due
soi:;giuntivi usiamo, come : piaccia al cieloy o vo'
(ilia Iddio che voi diventiate un giorno buoni
cittadini , e utili alla vostra patria , ove si sot-
tintende io desidero che piaccia al cielo ec.
Per distinguere i modi l'uno dall'altro, si dà
al verbo una desinenza diversa in tutti i suoi tem-
pi ) i suoi numeri , e le sue persone. Quindi nei verbi le varie desinenze servono a quattro usi^cioè
ad esprimere con una sola parola ; i. la persona
del soggetto ; 2. il numero del medesimo ; 3. il
modo con cui o si afferma, o si accenna solamen-
• in lui V esistenza di qualche proprietà o opera-
zione ; 4- i' tempo in cui si afferma o si accenna
rlie questa operazi(»ne o proprietà in lui esista,
< 'osi colia sola parola vivo s' indica che il sogget-
! ^ ù la prima persona singolare, si alìerma asso-
hiiamenie che in lei esiste la proprietà di vivere ,
■^ che esiste nel tempo presente.
II dimostrativo ha otto tempi;il presente omo;
il passato imperfetto amava ; due passati perfetti
amai e ho amato ; due trapassati aveva amato e
ebbi amato ; e due futuri amerò e avrò amato.
^'elle proposizioni però che esprimon dubbio , l
' ne futuri hanno un altro significato, vale a dire il
j ituro imperfetto equivale al presente, come quan-
te ore saranno adesso ? e il futuro perfetto equi-
le al passato , come credo chi eì sarà già partito.
6ó Grammatica ragionata.
L' imperativo non ha propriamente che il
tempo futuro , perchè le cose che si comandano
sono sempre da farsi ancora. Tuttavia quando
r azione si dee eseguir subito , il tempo si dice
presente , e ha una terminazione propria ; quan-
do si dee eseguir dopo un' altra , o dopo qualche
tempo che v' abbia a scorrer di mezzo, s'adopera
per lo più il futuro del dimostrativo , come va
prima nel tal luogo , dopo andrai nel tal altro ,
passerai quindi al tal altro ce.
Il soegiuntivo ne ha cinque ; il presente, che
io ami ; l imperfetto , che io amassi ; il perfetto ,
che io abbia amato; il più che perfetto , che io
avessi amato ; e il futuro, che io sia per amare ,
o che io abbia ad amare. Ma l'imperfetto si tro-
va usato qualche volta nel senso del perfetto, co-
me nel Boccaccio gior. r. nov. 7. Mangia pane j
il quale mostra che egli seco recasse ; ove recasi
se è invece di abbia recato : e qualche volta pure
egli equivale al futuro, rispetto ad un tempo pas-
sato , come ho pregato ieri V amico che venisse
oggi da me.
Il soggiuntivo condizionale ha di proprio il
presente, come se ora potessi, verrei; e l' imper-
fetto, come se avessi potuto, sarei venuto. Quan-
do poi la condizione è futura s' adopera il futuro
del dimostrativo , come 5e potrò , verrò. Ma se
trasportandoci in ud tempo passato consideriamo
le cose che eran future allora , si usa in tal caso il
condizionale presente, se il tempo è indetermina-
to , come C amico mi promise che verrebbe , e l'
imperfetto , se il tempo è determinato , come mi
promise che sarebbe venuto oggi.
L' infinito siccome è retto sempre da nn altro
Terbo^ cosi riceve tutte le determinazioni di tem-
Fané IL Cap. HI, 67
pò del verbo, da cui dipende ; e però devo andare
è presente , ho dovuto andare è passato , dovrò
andare è futuro. Ha nondimeno anch'egli un pas-
sato proprio, conie e55e//7/iJfl/o , o un futuro,
come essere per andare o avere ad andare,
CAPO IV.
Dei ycihi transitivi e intransitivi.
JL verbi si chiamano transitivi o intransitivi, se-
condo la natura dell'attributo che in lor si con-
tiene. Allorché questo esprime un' azione o una
proprietà relativa che non riman nel soggetto, ma
dal soggetto passa per cosi dire in v\n altro ogget-
to, il verbo appellasi transitivo , dal latino tran-
sire , passare. Cosi dicendo // fuoco abbrucia U
teglia i r azione di ahbrnciare non resuiuel fuo-
co , ma pa-isa nelle It-'gna : abbruciare pertanto è
un verbo tians'sti-^o , come lo sono pure amare ,
ìe°;^ere , scrivere eo. Quand-:- all' oj)posto 1' attri-
buto esprime una p.oprielà o un'azione che non
passa in alcun ogr^etto, ma modifica solamente il
soggetto medesimo, il verbo si chiama intransi"
tit'o ; cd^ì Pietro cammina , esprime bensì un'a-
zione di Pietro , ma che rimane in lui , e modifica
soltanto la sua esistenza senza passare io alcun
altro ogj^etto.
I verbi transitivi si pongon anch'essi talvolta
assolutamente senza esprimere niun oggetto , a
cui il loro significato si riferisca. Cosi ad uno che
ri' ^'6 quel che io fo, posso rìs' ^em-
pi t* io leggo o io scrivo , noi andò
che r atto in rni sono ; ma per lo più anche Tog-
08 Grammatica ragionata.
getto si esprime, come io leggo V Eneide ; e In tal
caso il soggetto della proposizione, perchè ò quel-
lo che opera, dai Grammatici si chiama agente^ e
l'oggetto a cui l'operazione è diretta, perchè vien
come a soffrire quest' operazione sopra di se , di-
cesi paziente.
Questi verbi talvolta esprimono direttamen-
te r azione del soggetto sopra 1' oggetto , e allora
si chiamano attivi ; ma talvolta la proposizione si
rovescia di modo , che essi esprimono invece la
passione per cosi dire, che l'oggetto sofì're dall'a-
zione del soggetto, e allora si chiaman passiii .
Cosi dicendo Achille uccise Ettore , il verbo è
attivo ; e dicendo Ettore fu ucciso da Achille, il
verbo è passivo .
I verbi intransitivi, come ognun vede, non
possono mai farsi passivi , perchè non esprimono
alcuna azione che cada sopra d'alcun oggetto.
Tuttavolta si usan anch'essi passivamente quan-
do si vuole accennare indeterminatamente l'esi-
stenza di qualche proprietà o azione, senza indi-
care il soggetto in cui si trova , come si va , si
viene', e qualche volta ancora quando il soggetto
è espresso, ma in una maniera indeterminata ,
carne da tutti si corre al maraviglioso-^ da pochi
si vive rettamente e saggiamente. E questi si
chiamano impersonali di voce passiva , perchè
si usan soltanto nella terza persona del singoiare.
Gli intransitivi presso i (ìrammatici si chiaman
neutri , cioè né aitivi né passivi ; e fra i neutri si
pongon ancora alcuni verbi transitivi di lor natu-
ra , ma che però dai Latini non si facevano mai
passivi , perchè il loro oggetto invece di esser po-
sto all'accusativo mettevasi al dativo, come ohe-
dire, servire, stadere alicui , o alicui rei, invece
Pane IL Cap. IV. 69
di aliquem o aliquìd. Ma presso di noi tutti i ver-
bi transitivi si possono tar passivi egualmente,
onde si dirà ottimamente : È vergogna che da
noi si studiin per tanto tempo le lingue morte o
straniere ^ e non si studii la propria : chi ha
diritto di comandare de^fe essere ubbidito ; i pa»
droni sovente sono mal ser^'iti ec.
CAPO V.
De yerbi ausiliari Essere e Avere.
X RIMA di passare alle coniugazioni de' verini ,
cioè ad esporre la maniera con cui secondo la di-
Tersità dei modi , dei tempi, dei numeri e delle
persone, varian ie lor desinenze, convien premet-
tere le notizie necessarie intorno all'uso de' verbi
essere e avere , che servono alla formazione de'
tempi passati di tutti gli altri , e chiamansi perciò
ausiliari. La lor coniugazione è irregolare , ed
eccola per disteso.
Coniugazione del Verbo Essere,
MODO DIMOSTHATIVO.
Tempo presente. Singolare. Io sono tu &e'ì,€gii è.
Plurale. iVox siamo , voi siete , essi sono.
Passato imperfetto. Sing. Era, eri, era, Plur.
Eravamo , eravate , erano .
Passato per/etto indeterminato. Sing. Fui, fosti,
lu. Plur. Fummo, fosti, furono, e in poesia
furo.
Per/etto determinato. Sing. Sono stato , sei sta-
70 Grammatica ragionata.
ilOf è stato. Plur. Siamo stati, siete stati, so-
no stati.
Trapassato imperfetto. Sing. Era, eri, era stato.
Plur. Eravamo, eravate, erano stati.
Trapassato perfetto. Sing. Poiché fui, fosti , fu
stato. Plur. Poiché fummo, foste, furono stati.
Futuro imperfetto. Sing. Sarò, sarai, sarà o fìa.
Plur. Saremo , sarete, saranno , o fieno.
Futuro perfetto. Sing. Sarò, sarai, sarà stato.
Plur. Saremo , sarete , saranno stati.
IMPERATIVO.
Presente. Sing. Sii o sia tu, sia egli. Plur. Sia-
mo noi^ siate voi, siano o sieno eglino.
Futuro, Sing. Sarai tu, sarà egli. Plur, Saremo
noiy sarete voiy saranno eglino.
SOGGIUNTIFO.
Presente. Sing. Che io sia , tu sii o sia , egli sia,
Plur. Siamo, siate, siano o sieno.
Imperfetto. Sing. Fossi, fossi, fosse. P/ar. Fos-
simo, foste, fossero.
Passato perfetto. Sing. Sia , sii , sia stato. Plur:
Siamo, siate, siano o sieno stati.
Trapassato. Sing. Fossi, fossi, fosse stato. Plur,
Fossimo, foste, fossero stati.
Futuro. Sing. Sia , sii , sia per essere. Plur. Sìa.».
DIO, siate, sieno per essere.
SOGGIUNTIVO COJfDIZlOITALE.
Presente. Sing. Fossi e sarei , fossi e saretti , fos-
se e sarebbe , o saria o fora. Plur, Fossimo
Parte IL Cap, IV. 71
« saremmo , foste e sareste , fossero e sarebbe-
ro , o sarebbono , o sarìano , o forano.
Imperfetto, Fossi e sarei ec. aggiungendovi stato.
INFINITO.
Presente. Essere. Passato, Essere stato, futu-
ro. Esser per essere o avere ad essere.
Coniugazione del verbo Avere.
DIMOSTRATIVO.
Presente. Sing. Ho, hai, ha. Plur, Abbiamo, ave-
te , hanno.
Imperfetto. Sing. Aveva , o avea, avevi, aveva o
avea. Plur, Avevamo , avevate , avevauo o
aveano.
Per/etto indeterminato. Sing. Ebbi , avesti , eb-
be. Plur. Avemmo, aveste, ebbero.
Perfetto determinato. Sing. Ho , hai, ha avuto.
Plur. abbiamo, avete, hanno avuto.
Trapassato imperfetto. Sing. Aveva, avevi, avea
a\ uto. Plur. Avevamo, avevate, aveano avuto.
Trapassato perfetto. Ebbi , avesti ec. avuto.
Futuro imperfetto. Sing. Avrò, avrai, avrà. Plur.
Avremo , avrete, avranno.
Futuro perfetto. Avrò, avrai ec. avuto.
IMPERATIVO.
Presente. Sing. Abbi tu , abbia egli. Pluf. Ab-
biamo noi , abbiate voi ^ abbiano eglino,
Fitturo. Avrai tu ; avrà egli ec.
Cvammatìca ragionata.
soggiuntivo;
Presente. Sing. Che io abbia , tu abbia o a\>h\ ,
egli abbia. Plur. JSoi abbiamo , voi abbiate ,
essi abbiano.
Imperfetto. Sing. Avessi^ avessi; avesse. Plur:
Avessimo , aveste , avessero.
Perfetto. Abbia , abbi ec. avuto.
Trapassato. Avessi , avessi , avesse ec. avuto.
Futuro. Che io abbia, tu abbi ec. ad avere o sia
per avere.
SOGGIUNTIVO CONDIZIONALE.
Presente. Sing. Avessi e avrei , avessi e avresti,
avesse e avrebbe o avria. Plur. Avessimo e
avremmo, aveste e avreste, avessero e avrebbe-
ro, n avrebbono o avriano.
Imperfetto. Avessi e avrei , avessi e avresti ec.
avuto.
INEINITO.
Presente. Avere. Passato, Aver avuto.
Futuro. Aver ad avere o essere per avere.
Le qui notate sono le sole voci che si debbaa i
usare di questi due verbi; e i^eTCxò fossimo e aveS'- •
simo o ehi imo j per fummo e avemmo, cheta
fosti o avesti , per fossi e avessi , saressimo e
avressinio , per saremmo e avremmo , sono er-
rori.
Ero e avevo nella prima persona dell' im-
perfetto, sebbene piìi regolari , perciocché distia-;
guono la prima persona dalla terza, pure dai mi-
gliori non s' usano.
. .,.c //. Cap, r. 73
Semo, sete e avemo per slamo, siete, e ab-
biamo; eramoj eri e avevi^ per eravamo, erava-
te e avevate; che io silo abbi che essi sìinoo
abbino, per sia, abbia, siano e abbiano; io saria
o avvia y per sarei, avrei; averò alerai ec. per
avrò, avrai , sono voci pur da guardarsene.
Furo fia fieno saria o/ora e sariano o sa~
rieno o forano , invece di furono, sarà, saranno,
sarebbe, sarebbero, son più del verso che della
prosa , come pure aggio ave avei , avia aggia ,
aggiate , aggiano invece di ho, ha , avevi , avea,
abbia, abbiate, abbiano. Ebben o ebbon , arò ^
areif per ebbero, avrò , avrei, sono alfettazioni.
Quanto al loro uso nella formazione de'tem-
pi passati dogli altri verbi, i transitivi qtiando seno
attivi sempre voglion V avere; quando sono pas-
sivi non solo i passati , ma tutti i loro tempi si
formano col verbo essere, e il participio passato
del verbo proprio , come sono a/nato , eri vedum
to ,fu letto ec.
1 verbi intransitivi s'accompagnano la magi;
tior parte col presente, e coU'imperfetto del ver-,
o essere come sono andato , era venuto ; n)a ve
n'hanno alcuni ciie amano in cambio la compa-:
gnia del verbo avere e sono dormire, parlare, ta^
cere, desinare, cenare , ridere , scherzare , tar-
dare, indugiare, passeggiare, navigare, ca-
valcare f e pochi altri che hanno ai passati , Ao
dormito, ho parlato , ho taciuto ec. E ve n'han
pure di quelli che richiedono ora /' essere ora l\
avere; e sono quei che talvolta si pongon soli,
talvolta sono seguiti da un nome eolla preposizio-
ne, e talora da un nome senza preposizione.
Questi nei primi due ca>i si costmiscono col ver-
' essere, come è fuggito dai ladri ; è corso per
D
74- Grammatica ragionata.
lungo tratto ; è vìssuto per lungo tempo, o sem-
plicemente è fuggito, è corso, è vissuto; nel
terzo si costruiscono coli' avere, come se fossero
verbi transitivi , e si dice ha fuggito i ladri , ha
corso lungo tratto, ha vissuto moltanni.
Quando i verbi si accompagnano coi nomi
personali mi , ti , si , ci , vi , richieggono ai loro
passati o V essere, o V avere, secondo i varj ufficj
che fanno questi nomi personali a lor cotigiunti»
Qualche volta essi esprimono i passivi , come la
verità si odia da molti, invece di dire è odiata ;
«) gli impersonali di voce passiva , come si va , si
viene , si corre ec. Qualche volta significano che
l'azione o la propiietà espressa dal verbo rimane
nel soggetto medesimo , o sopra di lui ricade ,
come afjLiggersi, rallegrarsi , che voglion dire
affliggere, rallegrare se medesimo, e Io stesso si
dica di vendicarsi , compiacersi, contristarsi
ec. , i quali verbi benché si pongano fra gli intran-
sitivi , egli è però chiaro che sono transitivi di lor
natura, e il loro oggetto o accusativo paziente è
il nome personale che gli accompagna . Qual-
che volta finalmente questi nomi personali s'ag*
giungono ai verbi semplicemente j>er ripieno , e
per grazia di lingua , e ciò si fa tanto coi transiti-
vi, quanto cogli intransitivi , come per esempio
il tale non sa quel ch'ei si dica , e faria grati
senno s^ei si tacesse.
Or nel primo e nel secondo caso i tempi pas-
sati si forman sempre col verbo essere , onde si
dice ìion si è veduto nessuno, si è parlalo molto,
mi sofi doluto, ci slam rallegrati ec. Nell'ulti-
mo caso , se il nome personale aggiunto per puro
ripieno va unito ad un verbo transitivo , questo
seguita tuttavia a formare i suoi passati col ver-
Parte IL Cop. V. 73
bo ùvere; come eì non sa quello che s' abbia del'
lo. Ma se il verbo è intransitivo , e'i si costruisce
anche in questo caso col verbo essere ; e perciò si
dirà egli avrebbe fatto meglio se si /osse ta-
ciuto.
Quanto ai verbi potere e volere , la regola è
cbe quando sono seguiti da un infinito, che soglia
costruirsi col verbo essere f vogliono essi pure
questo ausiliare, e quando da un infinito che si
costruisca coWaverej anch'essi ricbiedon l'avere ,
e perciò si dirà non son potuto andare non ho
potuto vedere. Ma V uso dei migliori dimostra
che quando non siano accompagnati dai nomi
mi, ti, si, ci, vi, si possono senza errore costruir
sempre coìVavere , onde sarà ben detto egual-
mente non ho potuto , e non son potuto andare,
non ho voluto , e non son voluto venire.
CAPO VI.
Delle Coniugazioni de Verbi regolari.
L verbi che varian nella medesima maniera le
lor desinenze secondo la variazione de' modi , de'
tempi , de'oumeri e delle persone, si dicoa essere
della medesima coniugazione. Queste si distin-
guono dalla terminazione dell'infinito, e sono tre
nella nostra lingua , in are , in ere , e in ire cor
me amare, temere, o leggere e sentire.
I Latini non avevano che queste tre medesi-
me terminazioni ; ma laddove presso di noi quei
che cadono in ere, sia egli lungo o sia breve , soti
della stessa coniugazione, presso loro formavano
due coniugazioni distinte.
76 Grammatica ragionata.
Quei verbi che in tutto seguono la lor co-
niugazione 3Ì chiamano regolari, quei che da lei
s'allontanano si dicono anomali ossia irregolari .
In altro poi non consiste la maniera di co-
niugare un verbo italiano , che nel levargli la de-
sinenza dell'infinito, e lasciando intatto il resto
della parola, sostituirvi quella che è propria d'
ogni modo , tempo , numero e persona. Porremo
qui l'esempio di quattro verbi regolari , uno del-
la prima coniugazione, due della seconda colle
due terminazioni in ere lungo , e in ere breve , e
un della terza. Questi sono amare y temere , leg-
gere e sentire , i quali debbon servire di norma
per la coniugazione di tutti gli altri verbi regolari.
Sing.
MODO DIMOSTRATIVO.
Tempo presente.
amo
temo
leggo
sento
ami
ama
Plur,
temi
teme .
legge
senti
sente
amiamo
amate
amano
temiamo
temete
temono
leggiamo
leggete
leggono
sentiamo
sentite
sentono
Sing.
amava
amavi
amava
Plur.
amavamo
amavate
amavano
Passato imperfetto.
temeva
temevi
temeva
leggeva
leggevi
leggeva
sentiva
sentivi
sentiva
temevamo leggevamo sentivamo
temevate leggevate sentivate
temevano leggevano sentivano
Parte IL Cap. VI.
11
Perfetto in
determinato
.
Sing.
amai
temei
lessi
sentii
amasti
temesti
leggesti
sentisti
amò
temè
lesse
senti
Piar.
amammo
tememmo
leggemmo
sentimmo
amaste
temeste
leggeste
sentiste
amarono
temerono
lessero
sentirono
Perfetto determinato»
Sing.
ho
i
hai
1
ha
[
PIUT.
^ amato temuto letto
sentito
abbiamo
L
avete
1
hanno
/
Trapassato imperfetto.
aveva, avevi, aveva ec. amato, temuto, letto, sentito
Trapassato perfetto.
ebbi; avesti, ebbeec. amato, temuto, letto, sentito
r
Sing:
imerò
Futuro Imperfetto^
temerò leggerò
sentirò
bmerai
temerai leggerai
sentirai
amerà
temerà leggerà
sentirà
Plur.
ameremo
temeremo leggeremo
sentiremo
amerete
temerete lei:;gerete
sentirete
ameranno t.'raeranno legg(?ranno sentiranno
78 Grammatica ragionata.
Futuro Perfetto,
Avrò, avrai, avrà ec. amato, temuto, letto, sentit»
• MODO IMPERATIVO.
Sing.
Tempo presente»
ama
ami
Plur.
temi
tema
leggi
legga
senti
senta
amiamo
temiamo
leggiamo
sentiamo
amate
temete
leggete
sentite
amino
temano
leggano
sentano
Futuro.
amerai, temerai, leggerai, sentirai; amerà, teme-
rà, leggerà, sentirà ec. come nel dimostrativo,
MODO SOGGIUNTIVO.
Sing.
jrrt
'ÌVlllC»
ami
tema
legga
senta
ami
tema
legga
senta
ami
tema
legga
senta
Plur.
amiamo
temiamo
leggiamo
sentiamo
amiate
temiate
leggiate
sentiate
amino
temano
leggano
sentano
Parte IL Cap. VL 79
Passato imperfetto,
Sing.
amassi
amassi
amasse
Piar.
amassimo temessimo leggessimo sentissimo
amaste temeste leggeste sentiste
amassero temessero leggessero «eotissero
temessi
leggessi
sentissi
temessi
leggessi
sentissi
temesse
leggesse
sentisse
Sing.
Pessato perfetto.
abbia, abbi, abbia ec. amato, temuto, letto, sentito
Trapassato:
avessi , avessi , avesse ec. amato , temuto , letto ,
sentito.
Futuro,
•ia, sii, sia ec: per amare, temere, leggere, sen-
tire , ovvero abbia , abbi abbia ad amare , te-
mere, leggere, sentire.
SOGGIUNTIVO CONDIZIONALI.'
Presente.
Quel che esprime la condizione è amassi , te-
nessi , leggessi, sentissi, come nelV imperfetto
del soggiuntivo semplice; il suo correlativo è
Sing.
amerei temerei leggerei sentirci
limeresti temeresti leggeresti semiresti
amerebbe temerebbe leggerebbe sentirebbe
8o Grammatica ragionata,
Plur.
ameremmo temeremmo leggeremmo sentiremmo
amereste tciucrcslc leggereste scutiroslc
amerebbero temerebbero leggerebbero sentirebbero
ImperfeUo.
Quel che esprime la condizione è avessi , avessi^
avesse ec. amato temuto , lotto, sentito.
Jl corrclatiifo è avrei, avresti ^ avrebbe ec.
amato, temuto, letto, sentito.
MODO INFINITO.
Presente. Amare, temere, leggere, sentire."
Passato. Aver amato, temuto, letto, sentito/
Futuro. Essere per, o aver ad amare, temere,
leggere, sentire.
Osservazioni sulle Coniugazioni de Verbi
regolari.
JLja maniera , con cui abbiamo disposto l'uno a
ilanco dell'altro i quattro verbi precedenti , fa
agevolmente distinguere in che sian essi diversi
nelle loro desinenze , e in che s'accordino.
In tutti i verbi regolari il presente del dimo-
strativo è quale da noi si è esposto.
Weir imperfetto convien notare che il dire
nella prima persona amavo, temevo ^ leggevo y
sentivo , non è di buon uso, e il dire nella secon-
da del plurale voi amavi, temevi, leggevi, sentivi
« eiTor aiauifssto. xSei tre ultimi verbi invece di
Parte IL Cap. VI. Si
temeva , leggeva, sentiva , si dice anche temea ,
le^ea , sentìa, e invece di temevano, leggeva-
no , sentivano , si dice temeano , leggeano , je/i-
tiano.
Nel perfetto indeterminato è errore il dire
nella prima del plurale amassimo^ temessimo^ o
leggessimo o lessimo, e sentissimo. I Poeti usa-
no nella terza anche amaro ^ temerò , sentirà ;
ma amarono o amorno invece di amarono^ è ma-
niera bassa e viziosa.
Quei della prima e della terza coniugazione
seguono quasi tutti esattamente anche in questo
tempo , come negli altri , i verbi esemplari ama"
re e sentire , ma quei della seconda varian mol-
tissimo. Alcuni nella prima e terza del singolare,
e nella terza del plurale , oltre alla terminazione
accennata , ne hanno un'altra in etti, ette, eitero,
come temetti , temette , temettero , credetti, cre-
dette, credettero ec. Tacere , piacere , giacere ,
nascere , nuocere, e i loro composti nelle tre an-
zidette persone fanno tacqui , piacqui, giacqui ,
nacqui, nacqui , tacque, piacque , giacque, na^
eque, nacque; tacquero, piacquero , giacquero,
7iocquero , nacquero.
J verbi che nella prima del dimostrativo pre-
sente finiscono in ggo , terminano nel prefetto in
j'./, ci^me da leggo, traggo, affliggo, struggo, lessi,
trassi afflissi strussi. Questa terminazione è co-
mune ancora a molt altri , come scrivo , scrissi ,
vivo, vissi, muovo, mossi, cnoco , cossi ; condu-
co, riduco, adduco ec. condussi, ridussi, addus-
si , imprimo, esprimo, opj)rimo , reprimo ec.
impressi , espressi , oppressi , repressi , scuoto ,
lis'nioto, percuoto, scossi, riscossi, percossi ,
cedo, coQcedo ec. cessif concessi; quantunque i
D :2
^2 Grammatica ragionata,
migliori in prosa usaa piuttosto ce^e///^ e con-i
cedetti. .
Quei che nella prima lor vece finiscono in
do preceduta da vocale, hanno il perfetto in 5/,
come da chiedo, rido, rodo, chiudo, chiesi, risi ,
rosi, chiusi. La stessa desinenza hanno pure quei
che lìniscono nella prima in endoy ondo, come da
intendo, accendo , ascondo , rispondo, intesi,
accesi, ascosi, risposi. Fondo, confondo ec. fan-
no /usi con/ usi; pongo , compongo , pósi , cotrt",
posi ; metto, prometto, ?7iisi, promisi.
I verbi che nella prima voce escono in Igo y
ngo, rgo, nel perfetto cadono in Isi, nsi, rsi, co-
me da scelgo , tolgo , valgo , scelsi , tolsi , inaisi ;
da piango , spengo , cingo , pungo, piansi, spen-
si, cinsi, punsi ; da spargo, immergo, porgo, sor-
go o surgo, sparsi , immersi porsi , sorsi o sursì-,
S'aggiungano torco, che fa torsi, ardo, arsi, mor-
do , morsi, scerno, scersi, corro, corsi , presumo
e consumo, presunsi e consunsi : anche perdo ,
presso i Poeti, qualche volta ha persi , ma è me-
glio perdei o perdetti.
In ei cadono empiere , battere , tondere ,
splendere , pascere, pendere, fondere; in e» e in
etti, preineie, vendere, rendere, ricevere, crede-
re, cedere. Conoscere fa conobbi, piovere, piov-
ici e piovei, rompere, ruppi.
Quanto ai tempi che si formano cogli ausilia-
ri e55t'/*e o avere , e i participi dogli altri verbi ,
non vi è da osservare che le varie desinenze che
questi participi aver possono , e ne parleremo nel
capo ultimo di questa parte.
Nel futuro quei della prima coniugazione
cangiano l'a di are in e, il che pur accade nel sog-
giuntivo condizionale j onde au.erò ^ e non amu-
Parte IL Cap. VL 53
rò, amerei , e non amare!. Sono però eccettuati
tutti i bi&sillabi, rome darò,faiò^ starò ec.
L' imperativo non ha di voce propria che la
seconda persona singolare nella prima coniiif;-T-
zione ; nelle altre prende in prestanza la seconda
persona e singolare , e plurale dal presente del
dimostrativo , e 1' altre persone dal presente del
soggiuntivo. Invece della seconda persona del sin-
golare, suole anche adoperarsi l'infinito, quando
però il verbo sia accompagnato dal non, come
non fare altrui quello die non vorresti che a 10
fosse fatto.
fsel presente del soggiuntivo la prima coniu-
gazione ha tutto il singolare in / , le altre \ hari
tutto in a, salvo la seconda persona che cade an-
che in i , quando non si possa confondere coil.i
seconda del presente del dimostrativo , come da
volere, sapere, potere, vogli, sappi , possi. La
terza del plurale nella prima coniugazione è sem-
pre in ino , nelle alti e in ano.
Nei so^t'inntivo condizionale invece di ame-
rebbe, temerebbe , ec. si dic-e anche anieria, te~
moria , e invece di amerebbero , temerebbero ,
ameriano o tcmeriano , amcrebbono o temerei-
bono ; ma non eia ameressimo, temeressimojeg'
/wo, invece di ameremmo, te-
li rnmo, sentiremmo.
ÌSell iniìnitu v' hao molti verbi che han dop»
t la terminazione, come togliere e torre, scioglie^
e e sciorreec. ma questi son quttsi tutti irre-
olari.
Quanto ai verbi passivi, noi abbiamo già ar-
che tutti i loro modi e i loro tempi si for-
• con quelli del verbo essere ^ aggiungendovi
1 participio passato del verbo attivo, e celle terze
fi^ Crammatica ragionata,
persone sì formati anche col verbo attivo uniti al
■$/. rSon resta da aggiungere, se non che aWcssc
/e spesso si sostituisce il verbo venire, come la
moderazione nelle cose vien praticata da pochi ^
invece di dire è praticata.
CAPO VII.
Dei Verbi irregolari.
± N quasi tutte le lingue i verbi di maggior uso e
più frequente sono irregolari, il che naturalmen-
te deriva da questo, che essi furono introdotti i
primi, e in tempo per conseguenza , che forman-
dosi una nuova lingua , bastava agli uomini di
poter convenire fra loro sopra il signilìcato di al-
cune parole per manifestarsi scambievolmente col
mezzo di esse i bisogni, e i pensieri più irnjjortan-
ti , senza che potesser badare a terminarle tutte
regolarmente ad un medesimo modo. Ciò si con-
ferma magciormente dall' osservare che lo stesso
o^ . . . ,1.
avviene ancora nei nomi , e m quelli massima-
mente che si usano pressoché di continuo , quali
sono i nomi personali, ed i pronomi. Dall'altra
parte, llncliù in una lingua non si erano introdot-
te che le parole più necessarie, essendo elleno
poche, malgrado la loro irregolarità, non pote-
vano generare confusione. Laddove quando le
lingue han comiociato ad arricchirsi, e a farsi co-
piose coila introduzióne successiva di sempre nuo-
vi vocaboli, dovettero allora gli uomini pensar ne-
cessariamente a stabilire alcune regole generali di
terminazioni uniformi per evitar la confusione
elle altrimenti doveva nascerne.
Oltre agli auòiUari essere e avere , di cui ab;;
j^anc IL Cap. VII. tf
biam già parlato, ogni coniugazione ha i suoi ver-
bi irregolari. Noi gli andremo enumerando , e ri-
feriremo quei tempi, in cui dalla coniugazione
regolare o in tutte, o in alcune delle loro voci si
allontanano.
jénomali della prima Coniugazione»
Andare. V^uesto verbo ha alcune voci proprie,
altre prese dal latino vadere. Dimostrativo.
Presente. Vado o vo , che è meiilio detto , vai ^
va, yl udiamo, andate, vanno. Futuro. Andrò,
andrai y ec. non anderò , anderai. Imperativo.
/a , vada. Andiamo , andate , vadano. Sog-
giuntivo. Presente. Che io vada , tu vadi o va-
da^ egli vada. Andiamo, andiate, vadano. Sog-
. iuntivo condizionale. Andrei , andresti ec. non
eluderei , anderesti.
Dake. Dimostrativo. Presente. Do , dai ,
'là. Dioino, date, danno. Perfetto indeterminato.
! diedi o detti, o die', tu desti, egli diede o die,
o dette. Demmo , deste , diedero o diedono , o
dierono o dettero. Imperativo. Dà. Soggiuntivo.
Presente. Dia , dii , dia. Diamo, diate, dieno,
piuttosto che diano. Imperfetto. Dessi, dessi, des-
se. Dessimo, deste, dessero ; non dassi , dasse ec.
Stare. Dimostrativo. Presente. Sio,stai,
sta. Stianto, state, stanno. Perfetto indetermina-
to. Stetti, stesti, stette. Stemmo, steste, stettero.
Imperativo. Sta. Soggiuntivo. Presente, la stia,
tu stii o stia , egli stia. Stiamo , stiate , stieno ,
jiiut tosto che stiano. ImperiVtlo. Stessi , stessi ,
..< ..AC'. Steysìmo f suste j stessero ^ qod già staaii ,
sUbse ec.
86 Grammatica ragionai m.
Fare. E' composto in parte di voci tratte
dal latinoyàcere. Dimostrativo. Presente. Fac~-
ciò ojb, che è migliore, fai^fa^ Facciavio^ fate^
fanno. Imperfetto. Faceva, e poeticamente /t'tt ,
Jacevi, faceva ec. Perdito indeieriuinato. Feci ,
facesti j fece. Facemmo^ faceste^ fecero, e all'an-
tica /t'/o«o,yèc/o/2o,/è/i«o. linpeiativo. Fa. Sog-
giuntivo. Presente. Io, tu, e^\\ faccia. Faccia-
mo, facciate, facciano. ImpeiFetto. Facessi, fa-
cesse , e in verso fesse. Facessirno , faceste , fa-
cessero. Gerundio. Facendo, Participio passato.
Fatto.
CONSUMARE. Nel perfetto indeterminato, ol-
tre alle terminazioni regolari consumai , consu-
masti ec. ha consunsi, consunse o consunsero ; e
nel Participio passato oltre a consumato ha con-
sunto, voci tratte dal latino consumere,
jinomali della seconda Coniugazione
in ere lungo.
CADERE. JL^i mostra ti vo. Presente. Cado o cag-
lio, cadi, cade. Cadiamo o caggiamo , cadete ,
cadono o caggiono. Perfetto indeterminato.
Caddi, cadesti, cadde. Cadenzino, cadeste, cad-
dero. Futuro. Cadrò o coderò , cadrai o code-
rai ec. Similmente nel Sorgiuntivo condizionale
cadrei o caderci ec. ma cadrò , cadrei ec. è me-
glio usato che caderò, caderci.
DOviìRE. Dimostrativo. Presente. Devo, deb-
bo o deggio, devi, debbi o dei, deve, debbe o dee.
Dobbiamo , dovete, devono, debbono, deggiono,
deoiio o denno. Perfetto indeterminato. Dovet-
ti ^ dovesti ec. egli è regolare. Futuro. Z?or/ti ,
Pane IL Cap. VII. 87
dovrai ec. Soi,'£^uintlvo. Presente. Io debba a
deggia , la debbi , debba o deggia , egli debba o
deggla. Dobbiamo , dobbiate , debbano o ^e^-
giaiio. Soggiuntivo condizionale. Dovrei, doi're-'
sti ec.
PARERE. Dimostrativo presente. Paio, pari,
pare. Paiamo o pariainoy parete, paiono. Per-
fetto indeterniinato. Parvi , paresti , parve. Pa"
remmo, paresi e, parvero. Futuro. Parrò, parrai^
parrà. Parremo, parrete, parranno. Soggiuntivo
presente. Io, tu, e^'xpaia. Paiamo, paiate, pa-
iano. Soggiuntivo condiiiociale. Parrei , parresti
ec. Participio passato . Paruto piuttosto che
parso.
POTERE , Dimostrativo presente . Posso ,
puoi, può opuoté, non puole. Possiamo, potete,
possoìio. Perfetto. Potei , potesti, potò. Potem-
mo, poteste, poterono , non punti , puotè, puote-
ro. futuro. Potrò , potrai ite. Soggiuntivo. Pre-
sente. Io possa, tu possi o possa, egli possa. Pos-
siamo, possiate, possano. Soggiuntivo contlizio-
ile. Potrei, potresti, potrebbe o patria, aporia,
i^oiremmo, potreste, potrebbero o poriano.
Sapere. Dimostrativo presente. So, sai, sa.
Sappiamo , sapete , sanno. Perfetto. Seppi, sa-
pesti, seppe. Sapemmo, sapeste, seppero. Futu-
ro. Saprò , saprai ec. iinj)erativo. Sappi, Sog-
giuntivo presente. Io sappia, tu sappi o sappia,
f^W sappia. Sappiamo , sappiate , sappiano .
/.ionale. Saprei, sapresti ec.
.....xostraiivo presente. Seggo, sic"
di, siede. Sediamo o saggiamo, sedete , seggono
o yt'ggiono. l^exieao. Si'dci, sedai: "^ . iun-
liv u. Pre^ente. Segga, sediamo o i -, se-
diate, seggano.
S8 Grammatica ra^ilonata.
O'
Tenere . Dimostrativo presente . Tengé ,
tieni , tiene. TengJiiamo o teniamo^ tenete, ten"
^o«o. Pertetto. Tenni y tenesti, tenne. Tenemmo,
teneste, tenneio. Futuro. Terrò , terrai ec. Sog-
giuntivo. Presente. Io tenga, tu tenghi o tenga,
egli tenga. Tenghiamo , tenghiate , tengano .
Soggiuntivo condizionale. Terrei, terresti ve.
Vedere . Dimostrativo . Presente . Vedo ,
veggo o veggio, vedi, z'ede. Vediamo o veggia-
mo, vedete, vedono, veggono o veggiono. Per-
fetto. Vidi o veddi, vedesti, vide o vedde. Ve-
demmo, vedeste, videro o veddero. Futuro. Ve-
drò, vedrai ec. Soggiuntivo. Presente, lo veda ,
veg^a o veggio, tu 2>egghi o vegga , egli veda ,
vegga o veggia. Vediamo o veggiamo , vedia-
te o veggiatc , vedano, veggano o veggiano.
Soggiuntivo condizionale. Vedrei, vedresti, ve-
drebbe ce.
V^OLFRE. Dimostrativo. Presente. Voglio o
vo , vuoi, vuole. Vogliamo , volete , vogliono.
Peri'etto. Volli, volesti, volle. Volemmo, vole-
ste, vollero. Futuro. Vorrò, vorrai ec. Impera-
tivp. Vagli tvi. Soggiuntivo. Presente, lo voglia,
tu vogli o voglia , egli voglia. Vogliamo , vo-
gliate , vogliano. Soggiuntivo condizionale.
Vorrei, vorresti, z'orrebbe ec.
In ere breve.
Bevere o Bere. Dimostrativo presente. Be-
vo o beo , bevi o bei , beve o bee. Beviamo o be-
iamo che è però affettato, bevete o beete, bevono
o beano. Imperfetto. Beveva o bevea ec. Perfet-
to. Bevetti o bevvi , bevesti o beesti , bevette o
bevve. Bevemmo o beemmo ^ beveste o beeste ,
PaiU IL Cap. FU. 89
bevettero o bevvero : bebbi , bebbe , bebbero dai
buoni non s' usano se non che in verso . Futuro.
Berò , ber ai , bara ec. Soggiuntivo. Presente. Jo
beva o bea, tu bevi o beva^ o bei o bea, egli beva
o bea. Beviamo o beiamo , beviate o beiate , ie-
fa/20 o beano. Soggiuntivo condizionale. Berei,
beresti ec.
DiHE, anticamente DicERE. Dimostrativo.
Presente. Dico, dici, dice. Diciamo , dite, dico-
710. Imperfetto. Diceva, dicevi ec. Perfetto. Dis'
si, dicesti, disse. Dicemmo, diceste, dissero. Fu-
turo. Z)/ò, /ira/ec. Iniperativo. Z)i. Soggiun-
tivo. Presente. Io dica , tu dichi o dica, egli di-
ca. Diciamo , diciate, dicano. Imperfetto. Di-
cessi, dicesse ec. Soggiuntivo condizionaIe. Di-
rei, diresti, direbbe ec. Gerundio. Dicendo. Par-
ticipio passato. Detto. Le stesse terminazioni
hanno pure i suoi composti benedire, maledire ec.
Porre, anticamente Poxere. Dimostrativo.
Presente. Pon^o , poni , pone. Poniamo o pon-
ghiamo , ponete, pongono. Imperfetto. Poneva,
ponevi ec. Perfetto. Posi, ponesti, pose. Ponem"
mo, poneste, posero. Futuro. Porrò , porrai ec.
Soggiuntivo. Presente. Io ponga , tu ponghi o
ponga, egli ponga. Ponghiamo,ponghiate, pon-
'ano. Imperfetto. Ponessi, ponesse ec. Soggiun-
,vo condizionale. Porrei, porresti ec. Gerundio.
Ponendo. Participio passato. Posto. Tutti i suoi
rompesti disporre , comporre, /rapporre ec. finir
cono allo stesso modo. ' p
Scegliere o Scerre. Dimostrativo. Presen- '<^*^^^'2:^i''
te. Scelsjo , scegli , sceglie. Scegliamo, sceglie" ^
te , Hcls:oiio. Perfetto. Scelsi , scegliesti , scelse.
Scegliemmo , sceglieste , scelsero. Soggiuntivo,"
Presente. Io scelga , tu scelghi o scelga , egli
go Grammatica ragionata»
9ce1ga. Scelghiamo, scelghìatey scelgano. Par-
ticipio passato. Scelto. Lo stesso è de' suoi com-
posti.
Sciogliere o Sciorre. Dimostrativo. Pre-
sente. Scioglio o sciolgo y sciogli, scioglie. Scio-
gliamo, scioglietej sciogliono o sciolgono. Per-
létto. Sciolsi, sciogliesti, sciolse. Sciogliemmo,
scioglieste , sciolsero. Futuro. Sciorrò, scìorrai
ec. Soggiuntivo. Presente. Io sciolga, tu sciolga,
egli sciolga. Sciogliamo o sciolghiamo^ scioglia-
te , sciolgano. Soggiuntivo condizionale. Scior-
rei, sciorresti ec. Participio passato. Sciolto. Cosi
fan pure i suoi composti disciorre, prosciorre ec.
Spegnere. Dimostrativo. Presente. Spegno,
spegni, spegne. Spenghiamo, spegnete, spengo-
no . Perfetto . Spensi j spegnesti , spense . Spe-
gnemmo, spegneste, spensero. Soggiuntivo. Pre-
sente. Io spenga, tu spenghi o spenga, egli spen-
ga. Spenghiamo, spenghiate, spengano. Partici-
pio passato, Spento.
Togliere o "1 orre co' suoi composti ha le
stesse variazioni che sciogliere o sciorre.
Addurre, condurre, produrre, ridurr»
ec. si spiegano come se l' infinito fosse adduce-
re , conducere ec. se non che nel futuro hanno
addurrò, addurrai ec, e nel condizionale addur-
rei, addurresti tc.
A
Anomali della terza Coniugazione.
PRTRE, COPRIRE cc. son regolari in tutto, se
non che nel Perfetto , oltre alle desinenze in //,
i e irono hanno anche quelle in ersi , erse e erse-
ro, come aprii e apersi j aprì e aperse , aprirono
e apersero.
Parte IL Cap. VII. gt
Morire. Dimostrativo. Presente. Muoio ^
e poeticamente anche moro, muori, muore. Mo-
riamo o muoiamo , morite , muoiono. Perfetto.
Morii, e non morsi , che è perletto di mordere.
Futuro Morrò, morrai ec. Soggiuntivo. Presen-
te. Io muoia, tu muoi o muoia, egli muoia. Mo'
riamo o muoiamo, moriate o muoiate, muoia- ,
no. Soggiuntivo condizionale. Morrei j morresti *
ec. Participio. Morto.
Salire. Dimostrativo. Presente. Salgo, sa-
li, sale. Saliamo o salghiamo, salite, salgono o
sa^liono. Soggiuntivo. Presente, lo salga o sa-
glia, tu salghi o salga, egli salga o soglia. Sai- ^
ghiamo o sagliamo, salghiate o sagliate, salga- ^
tio ò sa glia no.
Udiue prende alcune voci dall' antico odìre.
Dimostrativo. Presente. Odo, odi, ode. Udia-
mo , udite , odono. Soggiuntivo. Presente. Oda.
Udiamo, udiate, odano.
Venire. Dimostrativo. Presente. Vengo o
vegTto, vieni, viene. Veniamo, venghiamo o ve»
gniamo, venite, vengono. Perfetto. Venni, ve-
nisti, venne, e non vense. Venimmo, e non ven-
• 'mo, veniste, vennero. Futuro. Verrò , verrai
. Soggiuntivo. Presente. Jo venga, tu vangili
o venga ,gli Tenga. Venghiamo , venghiate,
vengano. So^zciunlivo condizionale. Verrei, ver»
re5// ec. (jcrundio. Venendo o vegncndo. Par-
ticipio. Presente. Vegnente. Passato. Venuto,
Uscire. Dimostrativo. Presente. Esco, esci,
esce. Usciamo, uscite, escono. Soggiuntivo. Pre-
sente. Esca, usciamo , usciate , escano. Benché
alcuni dicano «c/flmo, esci^a,esciròec. derivan-
dole dall' intìnito eicire , fuori però delie voci »o-
92 Grammatica ragionata.
pra accennate, in tutte le altre questo verbo ama
meglio di cominciare per u, che per e.
Finire. Dimostrativo. Presente. Finisco ,
finisci, finisce. Finiamo, finite., finiscono. Sog-
giuntivo. Presente. Finisca, finiamo , finiate, fi"
niscano. Al medesimo modo in questi due tempi
si spiegano ambire sfiorire , gioire, impallidire,
gradire, languire, concepire, riverire, conferire,
riferire, sparire. Ferire^o'x, inghiottire, nutrire,
offerire, profferire si piegano e alTuna, e all'altra
maniera , come fero, inghiotto , Jiutro , offero o
offro, prof fero ', e ferisco, inghiottisco, nutrisco,
offerisco e profferisco; ma nutro , e offero o of"
fro son meglio detti che nutrisco e offerisco; fe-
ao è più del verso che della prosa ; e profferisco
all'incontro è più usitato di proffero.
Apparire ha nel Dimostrativo apparisco ,
apparisci, apparisce o appare. Appariamo , ap'
parile, appariscono o appaiono; e nel Soggiun-
tivo apparisca o appaia, e appariscano o appa-
iano. Lo stesso è di comparire, trasparire e spor
rire.
CAPO Vili.
De Verbi difettii'i.
V.
ERCT difettivi si chiamano quelli che non haa
tutte le voci, siccome gli altri. Nella nostra lin-
gua ve ne son var j : noi non accenneremo se noa
quelli che vengon più ad uso.
Gire, cioè andare, ha queste voci: gite; gì'
va o già, givi, givamo , givano o giano ; gisti ,
gì o gio, gimmo, giste, girono ; girò , girai, gi"
rà, giremoj girete, giranno ; gissi, gisse , gissi-
Fané IL Cup. Vili. 93
wo, giste, gissero; girei, giresti, girelle, girem,'
ino, giresle, girellano ; gito.
Jre cioè parimente andare, ha ite, iia ,
irano , iremo, irete, iranno, ito.
RiEDi, riede, rieda, riddano sono le sole vo-i
ci del verbo antico redire cioè tornare.
Calere, cioè importare, ha cale , calepa ,
calse, calerà o corra, caglia , calesse, calerelbe
o carrelle, calato.
Arrogere, cioè aggiungere, ha arroge, ar-
rose, anogendo.
Olire , cioè tramandare odore, ha olii'a,
oliifit olivano.
Solere, cioè esser solito, ha soglio, suoli,
suole. Sogliamo, solete, sogliono. Ha tutto Tini-
perfetto soleva o solca solevi ec. ; il Soggiuntivo
presente soglia, sogli , sogliamo, sogliate , so-
gliano, e l'imperfetto solessi, solesse ec. , il Oe-
rundio solendo , e il Participio solito. Per altro
le voci di questo verbo, fuorché suole , soleva e
solea per lo più si scansano, e si suppliscono piut-
tosto coU'ausiliare essere unito al participio soli-
to, dicendosi io son solito, tu sei solito ec.
Lice o lece, cioè È lecito, è la sola voce del
Terbo licere o lecere che oca s'adopera neppure
airinfìoito.
CAPO IX.
JDe' F'erbi adoperati in luogo de* Nomi.
J.NVECE d'un sostantivo metafisico si usa spesso
un verbo infinito, che esprime quella medesima
idea astratta di qualche operazione ; proprietà o
94- Grammatica ragionata.
relazione, che dal sostantivo nietatisico sarebbe
espressa: cosi l'esser avaro è cosa sconvenevole
significa lo stesso, che l'avarizia è cosa sconve-
nevoloj e si dice egualmente. Anzi ei^li è pur na-
turale che gli nomini , innanzi d' inventare i
sostantivi metafisici , esprimessero prima le loro
idee astratte col verbo essere e .un aggettivo , o
con un verbo che li contenesse amendue, dicendo
per esempio l'esser vivo o il vivere è cosa dolce ;
l'esser sano è cosa desiderabile , e che solo dap-
poi per abbreviare il discorso e renderlo più va-
rio, abbiano inventati i sostantivi metafisici cor-
rispondenti a questi infiniti , dicendo la vita in-
vece di dire l'esser vivo o il vivere, la sanità in-
vece di dir r esser sano. Perciocché i primi nomi
ad introdursi in ogni lingtia , devono certamente
essere stati i sostantivi, e gli aggettivi iisici espri-
menti l'idee degli oggetti reali , e delle qualità o
reali , o apparenti che aveano gli uomini tutto
giorno sottocchio , e di cui avevan mestieri fre-
quentemente di favellare. In appresso per espri-
mere le qualità relative tra due o più oggetti ,
avrann'essi inventato gli aggettivi che chianian-
&i metafisici. Le idee astratte delle qualità o re-
ali, o apparenti o relative, non si formano che do-
po averle già negli oggetti osservate più volte , e
avviene assai più di rado di averne a parlare. I
segni adunque con cui si esprimono si fatte idee ,
cioè i sostantivi ar.etafisici non debbon essere sta-
ti inventati se non assai dopo. Or quando gli uo-
mini avranno avuto mestieri di significare una
qualche qualità considerata in astratto, si saran-
no serbiti frattanto degli aggettivi, e de'verbi che
già avevano, e che combinati ira loro bastano ad
esprimerle egualmente. Questo è quello difatti
rane IL Cap. IX. 9 5
che facciamo noi pure, quando ci occorra di do-
ver ikvellare d'una qualche idea astratta , e ce n'
haa molte per cui non siasi inventato ancora al«
cua sostantivo corrispondente. E di vero nella
nostra lingua vi ha ben un nome che significa l'at-
to di studiare ed è studio ; ma non ve n' ha già
nuino che esprima l'atto d' imparare, e fa d'uopo
che diciamo necessariamente / imparare. Oltre-
ciò gli inilniti insieme coi nomi , che da loro son
retti , giovan moltissimo per es{)orre alcune idee
complicate e composte, che mal si potrebbero di-
chiarare coi semplici nomi. S'io dirò per esempio;
V esser contento del proprio stato, il moderare i
desideri soi'erchiy il non lanciarsi né trasportare
ad eccessiva gioia nelle prosperità , ne abbatte-'
Te nelle disgrazie ec. formano il carattere d' un
uomo saggio , s'intenderà i'aciimente quali siano
'•• proprietà che al carattere d' un uomo saggio io
i)Uto convenire; laddove ciò mal potrebbesi
-primere coi soli nomi.
Gl'infiniti adoperali in questi casi s'accom-
pagnano colle preposizioni e colTarticùIo secondo
Il bisogno, come i nomi a cui equivalgono, e nel-
proposizioni ora fanno 1* ufhcio del soggetto ,
ira dell'oggetto relativo del verbo. Cosi dicendo
/' invidiare altrui è cosa vile e vergognosa , V
infinito invidiare sarà il so<
desidero veder nei giovani un onesta emulazio-
ne, l'infinito vedere insieme cogli altri nomi che
l'accompagnano, esprimerà l'oggetto a cui è indi-
rizzato il mio desiderio. Ma può dirsi ancora de-
sidero di vedere, e avremo allora un infinito ac-
coriipa_;nato dalla preposizione di; l'oggetto però
del vL'iljj desidero non ò più l'infinito, ma un so-
96 Grammatica ragionata.
^tantivo sottinteso, di cui questo infinito determi-
na il significato , di maniera che è lo stesso , che
se si dicesse desidero la fortuna o il piacere , o
la consolazione di vedere ne' giovani un' onesta
emulazione.
Ma non sempre il verbo, quando nella pro-
posizione fa l'ufficio dell'oggetto relativo, si met-
te all'infinito. Ei si pone anche talvolta ad un
modo definito, cioè al dimostrativo o al soggiun-
tivo, premettendovi la particella che. Cosi invece
di dire lutti concedono la 'virtù essere necessa-
ria alla felicità , si dice anche tutti concedono
clic la virtù, è necessaria alla felicità ; anzi spes-
se volte egli ricusa di esser posto all' infinito , e
vuole assolutamente un modo definito. Cosi non
può dirsi voglio te esser contento, ma deve dirsi
/voglio che tu sii contento.
Or sarebl)e qui da vedere quando si debba
egli porre all'inlinitOj e quando al dimostrativo o
al soggiuDtivo. La cosa non è si facile a definire:
noi falcai tuttavia su di ciò le osservazioni pii!i
importanti. Conviene adunque badare in primo
luogo se il verbo , che serve di oggetto relativo ,
appartenga al soggetto della propohizion principa-
le , o appai tenga ad altro nome. Dicendo per
esempio voglio andar nel tal luogo ^ il v^rbo an-
dare hpetta al soggetk) io ; e dicendo voglio che
tu vada, il verbo vada spetta al nome tu. Secon-
dariamente conviene osservare se il verbo delia
proposizion principale esprime un affetto dell ani-
mo, come mi piace, mi duole, temo , spero , ro-
glio, desidero ce. o un atto della mente, come so,
credo, conosco, dubito ec. o una sensazione, co-
me sento, pruoco ec. o un' azione che fassi col
mezzo delle parole , come ei narra, dice , prega ,
Parte IL Cap. IX. 97
esorta, consiglia, persuade, comanda, ajfernìa^
iies:a, induce, muove , raccomanda , commette ,
incarica ec. o un movimento proprio , come va,
vie/te , giugne , scende , ascende ec. o un movi-
mento latto lare ad altri, come tira j conduce,
strascina , spinge , manda , o altre cose simi-
glianti.
Quando il verbo principale esprime un affet-
to dell'animo, se il verbo soggiunto appartiene al
soggetto della proposizione, egli ama di esser po-
sto all'infinito, e trattone il verbo voglio , cogli
altri ama anche di esser accompagnato dalla pre-
posizione dì come voglio far la tal cosa , e desi-
dero , bramo , mi piace , temo , spero , godo, m*
incresce di farla taValira, sottintendendo rocca-
sione, rincontro, Vohbligo ec. di farla: se poi ap-
pai tiene ad altro nome, egli ama piuttosto di es-
ser messo ad un modo definito , e questo dev' es-
sere il soggiuntivo, perchè la proprietà o l' azione
da lui espressa non si afferma, ma si accenna sol-
tanto. Quindi si dirà voglio, desidero , godo , mi
spiace ec. che tu faccia la tale o taf altra cosa;
Se il verbo principale esprime un atto della
mente, il verbo soggiunto si può mettere sempre
all'infinito; ma se appartiene al soggetto, vuole
per ordinario la preposizione di , come egli sa ,
crede, conosce , di essere innocente, laddove quan-
do ap{)artiene ad altro nome non la vuol mai,
come io so, credo, parmi, dubito, penso , cono-
o lui esser reo: lo stesso è pure dei verbi dire ,
xarrare, sentire, provare, affermare , negare , o
simili. Che se il verbo'soggiunto vuol porsi ad un
modo definito, egli deve essere dimostrativo,
quando il verbo principale è aflermativo, e espri-
me una cognizione certa , ma all' incontro dare
93 Grammatica ragionata.
essere soggiuntivo quando il verbo è accompagna»
to dalla negazione, o significa una cognizione sol-
tanto probabile o dubbiosa. Si dirà adunque so,
conosco, vedoy comprendo che ciò a vero , e non
jo, non conosco j dubito , credo , parnii che ciò
sia falso. E la ragione n'è chiara, poiché nel pri-
mo caso r oggetto della cognizione certa si af-
ferma assolutamente ; laddove nel secondo l' og-
getto d' una cognizione o soltanto probabile , o
dubbiosa, non può che solamente accennarsi.
Coi verbi andare , venire , giu^nere , scen^
dare, ascendere^ tirare, condurre, accompagna-
re, spingere, mandare, indurre, moi'ere, sforza-
re, & con tutti quegli altri che significano qual-
che specie di movimento o reale, ©figurato, il
verbo soggiunto dee porsi all' infinito accompa-
gnato dalla preposizione a, come ei va , giugne,
lira, sforza ec. a prendere o lasciar la tal cosa.
Coi verbi raccomandare, comm.ettere, incarica-
re, comandare come pure coi verbi pregare, con-
sigliare, esortare, persuadere, e simili abbiam già
avvisato nel capo 3. che se il soggiunto si mette
ad un modo definito, egli dev'essere il soggiuntivo;
•e poi si mette all' infinito , coi primi vuol esser
preceduto dalla preposizione di , coi secondi am-
mette anche questa , ma colla preposizione a si
accompagna più volentieri.
CAPO X.
jDel Participio , del Gerundio , e dei Nomi
verbali.
«Siccome il Participio non è che un verbo tra-*
•lormaio in nome , cosi ritiene la proprietà del
Pai te II. Cap. X. ^9
verbo di significar varj tempi. I Latini avevano
tre Participi, uno pel presente , uno pel passato,
e un altro pel futuro , come amans , amatus , e
amatunis. Noi altri non abbiamo che il presente
e il passato, che sono amante, amato^ leggente ,
ietto ec, benché il Boccaccio e il Dante, per \n\\^^'<^^*^*^j^
tare i Latini, abbian voluto farne ancor dei futu-
ri , dicendo perituro e passuro. Anzi lo stesso
participio presente è pochissimo in uso , e gli si
sostituisce ordinariamente il gerundio , dicendo
per esempio : egli vedendo il pericolo se nejìig-
gìf piuttosto che vedente, il pericolo.
Il participio presente della prima coniugazio-
ne termina in ante, come amante , dichiarante ,
e il gerundio in andò, come amando, dichiaran-
do. Nelle altre coniugazioni il participio presen-
te lìnisce in ente , come vedente , leggente , sen-
tente (sebbene questo non s' usa ) , e il gerundio
in endo, come vedendo, leggendo, sentendo.
Quanto ai participio passato, quei della pri-
ma e della terza coniugazione hanno regolar-
mente la desinenza in ato e in ito , come ama-
to e sentito; fra quei della terza però si debbono
eccettuare comparire, aprire, concepire, morire^
offerire, seppellire, che hanno per participi com-
parso, aperto, conceputo o concetto , morto, of-
ferito o offerto, seppellito f o sepolto.
Q^lfiljjj lella seconda , siccome nel perfettj i,
cosi anc he nel nart i cij)io pas sato son variissimi.
1 verbi che h^i infinito m ere lungu, hanno' or-
dinariamente il participio in uto , come temere
temuto , godere goduto , eccettuatone rimanere ,
che ha rimaso o rimasto. Quei che l' hanno in
ere breve, se nella prima persona del perfetto in-
deierfiìinalo finiscono io ssi , hanno il participio
100 Grammatica ragionata.
in ttOf come lessi letto , distrussi distrutto , trassi
tratto , afflissi afflitto ; se nel perfetto cadono in
si preceduta da vocale , l'hanno in so , come rasi
raso^ assisi assiso , rosi roso , chiusi chiuso. S^ec-
cettuin chiesi che ha chiesto , posi , posto , misi
Tnesso; se cadono in Isi l'hanno in //o, come sce-
lsi scelto, tolsi tolto: s'eccettuin valse e calse, che
han valuto e caluto, Se cadono in rsi altri Thaa-
no in rso, altri in rto, come sparsi sparso, disper-
di disperso, morsi morso, e scorsi scorto, sorsi
sorto. Se cadono in nsi l'hanno in nto, come fran-
ti franto , spensi spento , finsi^«/o, giunsi giun-
to. Se in ei o in etti l'hanno in uto, come perdei,
perduto , non perso , ricevei ricevuto. V'han di
quelli che l'hanno in esso, isso, osso , usso, come
concesso (invece di cui però meglio si dice con-
ceduto) , fisso, percosso, discusso ec.
Abbiam già più volte osservato che il parti-
«Ipio passato unito col presente e coU'imperfetto
degli ausiliari essere e avere , serve a formare i
ten)pi passati de' verbi intransitivi , e transitivi at-
tivi, e unito con tutti i tempi del verbo essere a
formar tutti i tempi de'verbi passivi. Or nei ver-
bi intransitivi egli deve sempre accordarsi, quan-
do questi hanno Y essere per ausiliare, col soggetto
della proposizione, onde si dirà è giunta t ora , è
giunto il tempo: all'opposto quando hanno YavC'
re, il participio rit iene sempre la t e rminazione in
o quaUinqii&-M«-4l-^^ea £re e iTnu méto del sogget^
tó i fjuuuli si dice egualmente io ho taciuto, e
molti hanno taciuto. Nei verbi passivi deve ac-
cordarsi coi nome che riceve sopra di se l'azione,
o la relazione espressa dal verbo ; e però si dice :
Cartagine fu distrutta da Scipione; i Romani fu-
ron piiì volte sconfitti da Annibale. Nel verbi, ^^
Parte TI. Cap. X. tot ^
tlvi dovrebbe sempre accordarsi coir oggetto , a r
cui il suo signiticato si riferisce ; e perciò si do-
vrebbe dire : ho vedute molte persone, lio vedu'
la molta gente: ma si dice anche ho veduto mol-
te persone o molta gente ; e ciò forse perchè sen-.
tendo lio veduto , noi vi suppliamo colla mente il
nome iiDÌversale un oggetto , il quale oggetto
vien poi determinato qua! sia dalle parole seguear
ti molte persone o molta gente. '
I nomi verbali son varj, ehan vario significa-
to. Commendabile o commendevole , venerabile
o venerando signifìcan un oggetto degno d'esse-
re commendato o venerato ; amatore, conoscito-
re e simili significan un oggetto che ama , o che
conosce ec. Essi debboa sempre accordarsi col
sostantivo, a cui si riferiscono, come fan tutti gli
altri aggettivi; e perciò quando il sostantivo è
lernminile, si dice, invece di amatore, conoicito-
i e , amatrìce e conoscitrice»
102
PARTE m.
DILL' AVVERBIO, DELLA PREPOSIZIONI:,
ISELLA CONGIUNZIONE y E DELL'
INTERPOSTO.
CAPO I.
Deir Avverbio.
JLi UFFICIO dell' avverbio già s'è spiegato abba-
stanza nella introduzione, dove abbiam detto che
e^li serve ad esprimere qualche modificazione o
dell'affermazione, e dell' esistenza significate dal
verbo essere, o delle azioni, proprietà , e relazioni
significate dagli attributi , e ad esprimerla eoa
una sola parola, dove altrimenti necessaria sareb-
be una preposizione con uno o più nomi.
Egli accade però sovente che un avverbio si
regga modificare un semplice aggettivo, senza
che sia l'attributo della proposizione , come è dif-
ficile trovare un uomo pienamente contento^
INIa se vorremo esaminar questi casi attentamen-
te, vedremo che sempre vi si sottintende il verbo
essere y il quale t'orma una nuova proposizione
implicita , di cui sì fatti aggettivi son gli attributi.
Infatti nell' esempio arrecato non si sottintende
egli manifestamente un uomo che sia pienamente
contento?
Nella stessa maniera si può spiegare ancor 1'
asodi quegli avverbj , che si adopraao per dai
Fané 111. Cap, 1. ió3
maggiore o minor forza ad un altro avverbio. In
fatti vì\>ere poco o molto , più o meno feliceìnen-
ie, non è egli lo stesso che vivere in uno stato
poco o molto, più o meno /elìce ! E in questa
proposizione non si sottintende apertamente ii
verbo essere^ cioè in uno stato che è poco o mol-
to, pili o meno felice? Noi possiam dunque dire
generalmente che la proprietà degli avverbj è
sempre di modificare o un verbo , o un attributo,
e che qualora essi sembrano modificare un sem-
plice aggettivo, o un altro avverbio, il verbo oT
attributo vi è sottinteso.
Ciò posto, agevolmente si vede in quante
classi gli avverbi si debhan distinguere; percioc-
ché essi debbono modificare o ratfermazione, e l*
esistenza significate dal verbo essere , o le azioni ,
Proprietà, e relazioni espresse dagli attributi. Ma
ailt-rmazione , e la negazione può farsi o con
certezza, o con probabilità, o con dubbio. L'esi-
ktenza d*una operazione , proprietà o relazione,
può trovarsi in un soggetto in uno o in un altro
tempo, in uno o in un altro luogo. Le operazioni,
proprietà e relazioni medesime posson esser diver-
se, o riguardo alla quantità , o riguardo alla qua-
lità. Vi saran dunque gli avverbj ; i. di afferma'
zione e negazione assoluta ; 2. di probabilità e
di dubbio ; 3. di tempo; 4. di luogo; 5. di quanti"
tà ; 6. di qualità.
Nel numero degli avverbj sì soglion porre
comi!' .' alcune maniere , in cui è espressa
la pit rie e il nome , a cui l'avverbio deve
con una sola pqrola equivalere, come per verità y
per certOyda sennOj e simili. Queste maniere, co-
me ognun vede , non possono entrare per alena
modo nella cUste degli avverbj. Tuttavulta sic-
104 Grammatica ragionata.
come s'usano a modo d' avverbj , e 1' uso n'è fre-
quentissimo, noi riterirem queste pure, e darem
loro il nome di modi ai>verbiali. Wò ci prendere-
mo tuttavia la briga di separare i modi avverbia-
li dagli avverbj, perciocché è troppo facile il di-
stinguerli per se stessi, e avendo la maggior par-
te di essi dei veri avverbj a loro corrispondenti
nel significato, sembra più opportuno il collocar-
li l'un presso all'altro, ciascuno nel proprio luogo.
Ai>i>erbjf e Modi avverbiali.
Di AI FERMAZtONE C NEGAZIONE flSSoluta. Tra
questi si sogliono annoverare principalmente le
voci sì e Jiò ^ e i loro composti inaisi e mainò;
ma siccome esse equivalgono non ad una prepo-
sizione e ad un nome, ma alle intere proposizioni
ciò ò vero , ciò è falso , cosi appartengono alla
classe degli interposti. Le voci bene e volentieri^
quando s'adoprano per affermare , slgnifican va
bene , il farò volentieri. Sono adunque avverbj
usati con ellissi ( che è come vedremo una delle
ligure grammaticali, per cui si tralascia qualche
parte del discorso che facilmente si possa sottin-
tendere ), e in grazia dell' ellissi significan affer-
mazione, che altrimenti di lor natura sono avver-
bj puramente di qualità.
I veri avverbj, e modi avverbiali di afferma-
zione assoluta sono adunque assolutamente , cer-'
tamente, certOj per certo^ di certo , francamente ^
sicuramente, di sicuro, fieramente, per verità,
in verità, in vero. Infatti, di fatti. Appunto, per
l'appunto, propriam,ente , precisamente . Infal'
libìlmente, infallantemente, senza fallo. Indù-
bitatameute, senza dubbio , senza meno. Affé,
Farce III. Cap. I. io3
per mìa fé , in fede mia. Da senno , da buon
senno. Da galantuomo, da uomo onesto. Come
certamente ei vi fu ; e cosi assolutamente 'y e cosi
appunto ; e cosi dì/atti ; ve n' assicuro da uomo
onesto ec.
Per la negazione assoluta servono gli avver-
bj medesimi, ove il verbi sia accompagnato dal
non. Ella però ne ha inoltre alcuni suoi proprj e
particolari , e sono mica , punto , per nulla , per
niente, nulla , niente , affatto^ i quali tutti ama-
no d'esser posti dopo del verbo, e che il verbo tut-
tavia sia preceduto dal non', come ei non è mica
giunto, non l'ama punto, niente, niente affatto.
Di probabilità'. Probabilmente f naturai"
mente.
. Di DUBBIO. Forse, che equivale a può darsi j
può essere. Se mai, se a caso, se per a%>ventura ,
che esprimono una condìzion dubbiosa. Circa ,
incirca, all'incirca, intorno a, presso a, a un di
presso, presso a poco, in quel torno, quasi,
pressoché, che indican una quantità incerta.
Di tempo. Presente. Ora , adesso , presene
temente, atiualmenie. Passato. Poco fa, poc an-
zi, dianzi , or ora , testé , (che significa anche in
/questo punto ) di fresco, recentemente. Già, una
volta, anticamente. Prima , in prima , avanti ,
innanzi , anzi. Per /' addietro , per lo passato.
Futuro. Pra poco , fra non molto , in breve. Jn
avvenire, per l'avvenire, da qui innanzi, di qua
in avanti, quando che sia. Per significare la suc-
cessione d' una cosa ad un' altra , o di un tempo
ad un s\\.io. Appresso, dopo, indi, quindi, quin~
ci , poscia , poi , di poi , dappoi , d' allora o da
quell'ora, o da quel punto, in poi o in appresso.
Per significare f avvenimento di due o più cose
io6 Cìcimmatìca ragionata, \i
nel medesimo tempo. Intanto , frattanto , men-^
tre , in quel mentre , in questo , in quello , in,
questa o in quella . Per esprimere prontezza e
celerità. Subitamente, subito^ tostamente, tosto,
tantosto, prestamente, presto, ratto, di presente,
immantinente, incontanente, prontamente. Per
esprimere tardanza e lentezza. Tardi , adagio ,
a bell'agio, lentamente, pian piano , passo pas-
so, a poco a poco. Per esprimere un tempo con-
tinuato. Continuo, di continuo, continuamente ,
continuatamente . Per &if;niHcare che una cosa
dura anche al presente. Tuttora , tuttavia , an-
cora, puranco. Per significare che è durata lino
al presente. Finora , fino ad ora , in fino ad ora.
Per un tempo limitato. Finche, infincliè , fino a
tanto che. Per un tempo interrotto. Di quando
in quando, di tratto in tratto, interrottamente.
Per espriujere variazioni d'accidenti o di fatti in
diversi tempi. Ora, ora ; quando, quando ; adcS'
so, adesso. Per significare un tempo lungo. Mol»
lo, assai, Lungamente , a lungo , a dilungo. Per
un tempo breve. Poco, non guari , brevemente ,
in breve, in poco d'ora. Per significare in qualun-
que tempo. Qualora, qualvolta, ogni qual vol-
ta. Se una cosa medesima suol avvenire piià volte
in diversi tempi. Spesso, di spesso , spesse volte,
spesse fiate, sovente , soventi z'olte , soventemen-
te , più volle , assai volte , frequentemente , di
frequente. Se tutte le volte. Sempre , mai sem-
pre , sempre mai , ognora , ogni volta. Se quasi
tutte. Il pili, per lo piii^ il più delle volte, le più
volte. Se pocne. Raro , rado , di raro , di rado,
rare o rade volte. Se alcune volte soltanto, ,-llle
rolte, talvolta, talora , qualche volta , qualche
fiata. Mai vuol dire in alcun tempo , e volendo
Parte III. Cap. I. 107
r
stesso signiticato. Ma unquanco equivale all' uu"
quarn adhuc dei Latini, o m,ai ancora : e io non
so approvare quelli che l' usano per jnai sempli-
cemente. Ornai , ormai , oggìmai talvolta signi-
tìcan alla fine, e talvolta ora quasi , come egli è
tempo oggimai che 'v'x risoh'iate a tornare , cioè
alla fine, sono ormai sette mesi che l'oi man-
cate di qui , cioè sono ora quasi. Oggidì vuol
dire a questi giorni. Oggi, ieri e domani per s«
son veri sostantivi , come oggi è lunedi , domani
è martedì , e quando s'adopran come avverbj , si
sottintende loro la preposizione in. Finalmente^
alla fine , infine, ultimamente , per ultimo,
in ultimo si adoperan nelle conclusioni, e per in-
dicare il termine d'una cosa qualunque.
Di luogo. Qui, qua signitìcan in questo
luogo ; costi, costà in cotesto luogo ; lì, là, colà,
qut\'i , ivi in quel luogo. Ivi e quivi non s' ado-
peran che parlando d' un luogo j^ià nominato , e
non si possono come gli altri unire colle prepo-
sizioni ; ma incanibio di dire di ivi o di quivi ,
si dice indi e quindi. Li non s'adopera che par-
lando d'un luo^o vicino. 0/;£^e significa da quale
o dal qual luogo ; ore in quale o nei qual luogo ;
altrove in altro luogo ; altronde da altro luogo ;
ovunque in qualunque luogo ; pertutto e da per
lutto in tutti i luoghi ; su e sopra nel luogo su-
periore ; giù e sotto nel luogo inferiore; entro ,
dentro , per entro, addentro nel luogo interiore ;
fuori, Juora e di fuori o difuora nel luogo este-
riore. Avanti , davanti , innanzi , intionti ngì
luogo anteriore. Dietro nel luogo po:teriorft^
io8 Craììimaiica ragionata.
Appresso , o presso o vicino in un luogo vicino;
Lontano o lungi in un luogo lontano.
Gli altri sono : a parte , in disparte. Da un
canto, da un latOy da una parte. A fianco ^ ac-
canto , allato. Di ri inpetto, di rincontro ^ incoila
Irò, di contra, di contro. Attorno, d'attorno, in-
torno , d intorno. Addosso. Quassù , quaggiù.
Lassù , laggiù . Costassù , costaggiù . In alto o
ali alto. Al basso, abbasso o da basso. Infondo
o al fondo. Lungo o al lungo , come lungo il
Ciume, al lungo della spiaggia,
Y)i quantità' e rli numero. Tanto o cotan^
to , quanto ( invece di cui s' adoperan anche cosi
e come) ne sono i principali. Più, meno o man"
co. Molto, assai, grandemente, d assai, di gran
lunga, di molto. Troppo, so^^erchio, soverchia-
mente , senza modo , oltretnodo , senza misura,
oltre misura, smisuratamente. A/fatto, appieno,
pienamente, compiutamente, al tutto, del tutto.
Abbastanza, assai, sujficientemente. Il piii,,per
lo più , per la più parte , per la maggior parte.
Ancora , anche , eziandio , pure , pur anco. Di
più , inoltre, oltre ciò. Solo, soltanto, solamen-
te, unicamente, senza più. Almeno, almanco,
neppure, nemmeno, nernmanco, neanche. Poco,
scarsamente. Alquanto , alcun poco , qualche
poco , in parte , in qualche parte, ISulla , pun-
to ec.
Dr qualità' e di modo. Bene, meglio , be-
nissimo , ottimamente. Piuttosto , più presto ,
avanti , innanzi , anzi , prima , che s'usan tutti
nel medesimo senso, e si^nifican preferenza di
una cosa ad un' alti a. Male (che significa anche
{lifficilmente , come mal si può uscire da questo
impaccio) j malamente^ peggio ^ malissimo, pes-
Pane III. Cap. L icf
shnamente. CornCy siccome, a modo dij a foggia
di, a guisa di, a maniera di. Così, similmente^
parimente , medesimamente , egualmente , al
paro. Altrimenti o altramente , diversamente ,
differentemente . All' incontro , al contrario ,
all'opposto, per lo contrario. Volentieri, di buon
grado , di buona voglia. Mal volentieri , di
mala rioglia, a mal grado. Ad onta , a dispet-
to. A posta, a bello studio, avvertitamente , dì
proposito, espressamente. A senno, a talento, a
capriccio, a sua posta, a suo genio , a sua fan-
tasia. In balìa o alla balìa. In palese , in pub-
blico, palesemente, pubblicamente , all' aperto ,
alla scoperta. Di nascosto, di soppiatto, nasco-
stamente, celatamente.
Oltre agli avverbj qui riferiti , ve n' hanno
infiniti altri che si (ormano col dare agli aggettivi
la terminazione in mente, come dottamente, pru~
dentemente ec. e hanno anch' essi i loro compa-
rativi, che si fanno coli' aggiugnervi più o meno,
ttattine meglio e peggio , che sono comparativi
per se stessi di bene e male ; hanno i superlativi
che si torrxiano col terminarli in issimamente ,
come dottissimamente , prudentissimamente.
Alcuni hanno usato talvolta , seguendo due
avverLj terminati in mente, di troncare il primo,
dicendo chiara e distintamente, prudente e giu-
diziosamente invece di chiaramente e prudeti-
temente. Ma dai buoni Scrittori qtiest' uso non
è seguito , se non quando 1' avveibio tioncato ha
senso avverbiale da se medesimo , come prima e
jiliicipalmente, forte e vigorosamente, ove pri-
ma e forte equivalgon da se a piiuiamente %
Jurti:mente.
Ilo Grammatica ragionata.
CAPO li.
Della Preposizione»
O.
'gni relazione , siccome esprime il paragone
che si fa tra due cose, cosi contieoe due termini.
La cosa che si paragona ad un' altra si chiama il
primo termine della relazione ; la cosa con cui
si fa il paragone si chiama il secondo termine.
Cosi in questa proposizione Pietro è con Paolo ,
Pietro è il primo termine, Paolo il secondo , e la
preposizione con esprime la relazione di compa-
gnia che il primo termine ha col secondo.
Le preposizioni signiiìcan talvolta da se sole
la relazione che passa ira due cose , come la la
preposizione con nell'esempio precedente, e allo-
ra il loro senso può chiamarsi significativo ; ma
talvolta non fanno che indicare il secondo termi-
ne d'una relazione giù espressa da altre parole , e
il loro senso può dirsi allora indicaiii'o . Cosi ia
questa proposizione Pietro è simile a Paolo , la
relazione di simiglianza è espressa dall' aggettivo
sim.ile t e la preposizione a non fa che accennare
esser Paolo il secondo termine con cui Pietro ha
questa relazione.
Noi tratteremo qui delle varie relazioni che
le preposizioni possono esprimere da se medesime
eoa senso significativo, riserbandoci a parlare nel
cap. 1. della iv. Parte dei casi in cui non hanno
che il senso indicativo , e in cui la relazione è si-
gnitìcata o dall'attributo contenuto nel verbo, o
da un ai,'geltivo.
In. La preposizione in significa propriaraen*
ite la relazione di e»i»tenza ia un luo^o o io un
Parte Ili. Cap. IL iii
tempo , o ia uno stato determinato , come Gesà
Cristo è nato in Betlemme iieW anno quattro
mille dopo la creazione del inondo, mentre que^
sto era tutto in piena pace , cioè in uno stato di
piena pace. E perchè le varie passioni diversa-
mente modiiìcano lo stato dell'animo nostro, per-
ciò si dice essere in collera , in giubbilo , in af-
flizione, cioè nello stato di collera , di giubbilo,
di a frizione. Similmente perchè le vesti sono co-
inè il luogo contiguo al nostro corpo , si dice an-
cora essere in toga, in farsetto ec.
A. La preposizione fl siynitica anch' essa la
relazione di esistenza, ma in una maniera meno
determinata, sicché si comprendano anche i luo-
ghi e i tempi vicini . Laonde io sono in Parma ,
])eF esempio , vuol dire eh' io sono propriamente
dentro alle mura di Parma ; ma il tale è a Roma,
significa ch'egli si trova o dentro Jioma , o ne'
fruoi contorni . Così nel mezzo dì significa quel
momento preciso che divide il giorno in due par-
ti eguali , e a mezzo dì non determina quel mo-
mento precisamente , ma indica o quel momento
stesso , o un tempo ad esso vicino. Cosi pure es-
sere al mezzo , al sommo , ali imo voglion dire
verso il mezzo, il sommo o l'imu.
Que&ia preposizione serve ancora ad espri-
mere varie di quelle modificazioni che può avere
l'esistenza di un oggetto. Quindi si dice una nave
a vela o a remi, un oiului^io a molla o a pendo*
io, una veste a fiori o a ìis'e, all' orientale o alC
oltramontana ; e si dice pure slaie a capo c/iinOf
a mani giunte, a occhi chiusi, star bene o mala
od arnese o a danari. Ò' adopera anche qualche
volta per ispriuiere siiniglianza ; ma vi si sotlio-
ter.de l'aggettivo simile, ci-me ntllicccticcio gior.
Ila Grammatica ragionata.
^. nov. 5. Cotesti tuoi denti fatti a bischeri y
ciuè simili ai bischeri .
Tanto Va quanto X in indicano coi verbi di
moto a luogo, il termine, a cui il moto è diretto;
ma andare a casa vuol dir verso casa , e in casa
significa dentro la casa. Invece di a in alcuni casi
s'adopera da, e ciò accade principalmente quan-
do il termine, a cui il moto è diretto , è un nome
personale , un pronome , o un nome proprio, co-
me nel Boccaccio gior. 2. nov. io. : Vi menerà
da lei.
L' fl, a rincontro, qualche volta si usa in ve-
ce della prepf)SÌzione da , come nel Boccaccio
gior. a. nov. 6. : Amend uni li fece pigliare atre
suoi serifidoriy e gior. 5. nov. io. : Udendo a
molti commendare la cristiana fede ; e ciò si fa
appunto quando in una proposizione vi sono i
verbi /are , udire , l'edere seguiti da un infinito ,
die benché espresso attivamente viene a prende-
re una significazione passiva. Infatti li fece pi-
gliare è lo stesso che fece , che fosser pigliati ; e
udendo a molti commendare è lo stesso che u-
doudo essere commendata da molti.
Qualche voltai' a si adopera anche iovecft
d-'lla preposizione con , come nel Boccaccio me-
d"SÌmo : Nutricato a latte d'asina. Nel Boccac-
cio si trova pure usata invece òì per , come gior»
10. nov. 8. : JS avrebbe egli a se amata , piutto-
sto che a te ; ma questa è un' imitazione del da-
tivo , che adoperavasi dai Latini nel medesimo
scrjso , a cui ora si sostituisce comunemente la
preposizione per.
Con esprime la relazione di compagnia; e
perchè g'I stromenti, de' quali ci serviamo nelle
nustié operai;ioaI; ci sono in esse come compagai,
Parte III. Cap. IL iiS
j)erclò si dice ancora lavorar colla lima, colpen-.
nello, collo scarpello ec.
Medesimamente fare una cosa con piacere
o con dolore, con facilità, o con discolia , con
destrezza con buon garbo ec. , significa che il
piacere , il dolore ec. ci sono come compagai
neir azione.
Coi nomi personali il con si può incorporare
in una sola parola , e dire meco , teca , seco , no-
sco , vosco (benché i due ultimi sono piuttosto
del verso ) , e si può anche tuttavia replicare il
con, dicendo con meco, con teco ec.
Senza esprime la privazione di compagnia e
di stromento, e s'adopera o sola, o colla preposi-
zione di, come senza voi e senza di voi , sottin-
tendendo la compagnia di voi . S' adopera anche
in significato di oltre, come nel Boccaccio gior. 5.
nov. f). : Signor mio, senza le vostre parole j m
hanno gli effetti assai dimostrato della vostra
bcnivolenza^ Ma è chiaro che si sottintende sen-
za mentovare o annoverare le vostre parole tra
le diniostraxiuni di benivolenza , ciuò anche la-
nciando queste da parte.
Per ha VHrj significati. Esprime primiera-
mente l'esistenza di un oggetto non fissa , ma va-
riabile in un certo spazio , come essere per V Eu-
ropa, essere per l'Oceano, cioè ora in un luogo,
ora in un altro dell' Europa o dell'Oceano ; e s*
adopera anche per accennar varj luoghi, in cui
avvenga una cosa medesima, come nel Boccaccio
introduzione : Per le sparte ville e per gli cam-
pi, e per gli loro colli e per le case, di dì e di
ìiùìtc morieno.
^i^uifica la cagione che ci mnove a fare una
114 Grammatica ragionata.
eosa , e il fine per cui si fa , come tacer per ver»
gogna, lavorar per guadagno.
Dinota il niezzo di avere qualche cosa, come
egli ha ciò ottenuto per V intercessione , per V
opera, per le preghiere vostre , cioè per mezza
dell' intercessione ec.
Si dice guidar per mano , prendere per un
braccio j tirar pé'capegli, affine di indicare in che
parte sopra di un altro tali azioni si esercitino.
S'usa come il ^ro dei Latini per significare
a favore, a nome, in vece. Come io parlerò per
voi, che vuol dire tanto a favor vostro, come a
vostro nome, e in vostra vece.
Significa distribuzione, come tanto per gior-
nOj tanto per testa ec.
Significa r essere in procinto di far qualche
cosa , come sta per partire, per morire , per af-
fogare ec.
ll.spnme durazione o continuazione, come
correre per un miglio, faticare per tutto un
giorno.
Accenna il mezzo o il canto dell'origine, e
della discendenza di uno , come egli per padre
discende dalla tale famiglia, per madre dalla
tal altra.
S'adopera in vece della preposizione da^ spe-
cialmente coi passivi , come quello che per me si
può fare.
Equivale a come e a proporzione, per esem-
pio tenefper fermo, creder per vero , cioè come
fermo , come vero ; // tale per giovine e assai
prudente, o per T età sua è assai grande , cioè
a proporzione dell'esser giovine, o della sua età.
Ha forza talvolta di benché e di non ostante
•Ac, come per molto pregare o per molto che
Parte III. Cap. IL ii5
pregasse, o per molto pregar che facesse , non V
ottenne , cioè benché molto pregasse , o non
ostante che molto pregasse.
Gli si sottintende spesso amore, intercessio^
ne, opera, servigio^ timore, riguardo, come il fo
per voi, altrimenti io noi farei , cioè per amor
rostro, in grazia vostra, per vostro riguardo; per
me è cosa troppo faticosa , cioè rispetto a me ,
per riguardo a me ; pel castigo se ne trattiene ,
cioè per timor del castig»». E s'adopera nelle pre-
ghiere e ne'giuramenti per esprimer V oggetto ,
in grazia di cui la persona pregata si debba move-
re, ovvero l'oggetto che si chiama per testimonio
e mallevadore della verità di ciò che si giura.
Da significa dipendenza di una cosa da un*
altra, e s'accompagna col nome da cui la cosa di-
pende, o ne dipenda come da principio, ond' esce
e deriva , o come da cagione , ond' è prodotta.
Perciò si dice Cino da Pistoia, Rafaello da Ur^
bino , per significare che essi hanno tratto la loro
origine da Pistoia e da Urbino : perciò in tutte le
proposizioni di senso passivo, il soggetto da cui T
fazione sopra l'oggetto deriva o è prodotta , s'uni*
sce con questa preposizione, come Cartagine fuk
fabbricata da Didone , e distrutta da Scipione \
perciò finalmente tutti i verbi o transitivi , o in-
transitivi che dinotano origine o dipenden7a di
qualunque maniera, come nascere, scaturire ^
provenire ec, da questa preposizione vogliono ac-
t > tto il nome da cui viene l'origine o la di-
] ' . : ma la preposizione in questi due ultimi
casi non ha che il senso indicativo , e noi ne par-
leremo più ampiamente nel cap. i. della iv. Par-
te. CuD questo t»enso medesimo, ove sia qualche
Terbo , o qualche aggettivo che esprima separa»
ii6 ùrammatica ragionata.
zione , dissomiglianza , partenza , allontana-
mento , ella s'adopera per indicare il secondo ter-
znioe di tali relazioni , e di ciò pure traueremo
distintamente al luogo nnedesimo.
Ma con senso significativo , oltre alla dipen-
denza, questa preposizione esprinoe altresì attitU'
dine, abilità, convene^'olezza, necessità , impor-
tanza , come egli non è terreno da vitiy cioè ac-
concio alle viti, egli è uomo da ciò, cioè abile a
ciò fare, egli opera da uomo onesto , cioè come
ad uomo onesto conviene, non. era da farne taw
to scldamazzo, cioè non si dovea , non importa-
va, non era mestieri farne tanto schiamazzo. Co-
sì si dice esser da hene^ esser da poco j da inolio ,
da più, da meno^ da troppo j da nulla, da tanto,
cioè esser atto a poco, a molto ec. Nelle asserzio-
ni si dice da galantuomo, da cavaliere , da uomo
onesto, cioè sulla fede di i^alantuomo ec. Si dice
pure vi è da cena, da desinare, da dormire, cioè
quanto si richiede alla cenu, al desinare, al dor-
mire.
S'adopera parlandosi d'un numero dubbioso
nel significato di circa , come vi eran da Tenti
persone, sono da dieci giorni.
Coi nomi personali significa una o più per-
sone sole , senza altrui compagnia , come egli sta
da se. £ in questo caso vi s'aggiunge anche il
per, come egli sta da per se.
lo sono passato da casa vostra vuol dire in-
nanzi alla casa vostra, son passato da Bologna,
da Modena , vuol dire per Bologna, per Mg-;
dena.
Quelle espressioni de' Poeti dalle bionde
chiome , dagli occhi neriec. sigaifican avente le
chiome bionde, e gli occhi neri.
Parte III. Cap. IL 117
Da giovane, da vecchio significali mentre
uno è, o era giovine o vecchio.
Infra, intra , fra e tra esprimono l'esi-
stenza (li una cosa in mezzo ad una o più altre/
Quindi si dice stare fra 'l timore e la speme cioè
in mezzo a questi due affetti ; dir fra se ofra suo
cuore, cioè dentro di se, dentro al suo cuore ; in-
contrare uno ira via , cioè per la via o io mezzo
alla via, innoUrarsi fraH mare , fra' l bosco ,
fra V isola cioè dentro, o in mezzo al mare, al bo-
sco , all'isola ; v' //a uaoy/a gli altri, cioè ìq
mezzo agli altri, nel numero degli altri ; tra que-
sto e quello non so qual sia il migliore , cioè io
sto sospeso in mezzo all'una e all'altra delle due
cose, e non Sd decidere qual sia la migliore ; ver-
rò fra i tre giorni , cioè dentro allo spazio di tre
giorni. Qualche volta vi si aggiunge anche la pre-
posizione di , come fra di noi , cioè nel mezzo o
nel numero di noi.
Nelle enumerazioni ha lo stesso significato
che parte , parte , come nel Boccaccio glor. 8.
nov. 6. Ragunata adunque una buona brigata
tra di giovani Fiorentini che per la villa erano ,
e di lavoratori disse Bruno ec. , cioè parte di gio-
vani Fiorentini , e parte di lavoratori.
Di. Un nome accompagnato dalla preposi-
zione di , siccome abbiamo già detto nei capi 5. e
6. della prima Parte , equivale al genitivo dei La-
tini , e come questo serve ad esprimere qnalohe
qualificazione o determinazione di un sostantivo
universale , in quel modo che si esprimerebbe con
un aggettivo , cosi difatti tanto vale il dire la
guerra di Troia , / Consoli di Roma , il mar di
Toscana , V orazioni di Cicerone , le colonne di
marmo , come la guerra IVoiana , i consoli Ho-
UÈ Cram malica ragionata.
mani, il mar Toscano , l' orazioni Ciceronia-
ne, le colonne marmoree*
Fuori di quest' uso la preposizione di non ne
ha nessun altro , né può servir per se stessa ad
esprimere alcuna relazioo* particolare. Egli è ben
vero che molte volte si adopera ellitticamente , e
sembra corrispondere al significato di varie altre
preposizioni , come o, da , in , per , con , tra , ma
queste preposizioni sempre vi si sottintendono
insieme con un sostantivo , a cui il di si riferisce.
Infatti aver invidia di uno significa alla fortuna
di uno, partir di Parma vale dalla città di Par-
ma , esser nato del tal anno vuol dire nel corso
del tal anno , morir di tani' anni significa nell'
età di tanti anni , esser di guardia o di servigio
corrisponde a essere nello stato , o nella occupa-
zione di guardia odi servigio, esser di noia o di
piacere vuol dire esser cagione di noia o di piace-
re, lagrimar d' allegrezza è lo stesso che per ca-
gione di allegrezza -, ferir di saetta vuol dire con
un colpo di saetta. Uno, alcuno, ciascuno, ognu^
ilo, niuno , chi , quale , qualunque , il primo, il
secondo ec. di voi o di noi significa tra'l numero
di voi o di noi.
Le voci tanto, quanto, alquanto, poco,
molto, più, meno, assai, guari, troppo si pongo-
no spesse volte assolutamente, e il sostantivo, con
cui dovrebbero accordarsi , si accompagna colla
prepobizione di , ma vi si sottintende sempre un
altro sostantivo ; cosi ho tanto, quanto ec. più^
meno ec. di tempo, equivale a tanto, quanto, piii,
xneno spazio di tempo. Quando il più e meno
servono a formare i comparativi , alla preposizio-
ne di -i sottintende manifestamente a paragone
o a confronto ; onde il tale è più o men gran-
Farte III. Cap. IL 119
de dime significa a confronto o a paragone di me.^
Anche con tutti i verbi transitivi o intransi-
tivi , che diconsi reggere un genitivo dopo di
se, cioè un nome preceduto dalla preposizione a lei sempre si sottintende un sostantivo univer-
sale, come altrove vedremo.
Questa preposizione talvolta si tace , come a
casa il Medico, a porta s. Gallo , la Dio mercè,
e come abbiaui già notato nel capo ultimo della
prima Parte, usasi frequentemente innanzi ai pro-
nomi costiti, costei, costoro f colui , colei , co lo"
ro, cui e altrui.
Unita cogli aggettivi o coi sostantivi , ella
serve a formare moltissimi de'modi av verbiali, co-
me. J/ necessità , di forza , di subito , di nuovo ,
di nascosto ec. che signilìcano necessariamente,
forzatamente, subitamente, nuovamente, nasco-
stamente.
Le riferite fin qui sono le sole vere preposi-
lioni che noi abbiamo. Da alcuni Grammatici si
pongono in questo numero moltissime altre voci,
come dentro , entro ^fuora^ fuori {^ in versoyao-?
re), sopra^ su, sotto, presso, appresso, vicino, lun^
gi , lontano , discosto , rasente , lungo , verso ,
inverso , fino , in fino , sino , in sino , circa, oltre,
avanti, o davanti , innanzi , dinanzi , anzi , pri-
ma , o pria , dietro , dopo , contro , contra , giu-
sta , giusto , secondo , eccetto , salvo , fuori , in-
fuori, quanto. Ma tra queste alcune son aggetti-
vi , come vicino , lontano , discosto , eccetto, sal-
vo ; altre son avverbj , equivalendo ad una prepo-
«izione e ad un nome , come dentro , fuori , sO".
pra , sotto ec.
Essi lo chiamano avverbj quando non reg-
gono alcufvnome, e quando regjjono un nome j
120 Grammatica ros'ionata.
o'
le chiamano preposizioni . Ma i nonni non sono
mai retti da loro ; son retti sempre da una vera
E reposizione sovente espressa ,e talora sottintesa.
>itatti dentro , entro , sopra , sotto , appresso ,
presso ,vicino , verso , inverso , circa , avanti, da-
vanti , anzi, innanzi , dinanzi, dietro, dopo ,
contro , conira , sono seguiti ordinariamente dal-
le preposizioni di o a , come dentro , della o alla
casa , sopra del colle o al colle ;fii,ora , fuori ,
prima dalla preposizione di , come/uori di cittàf
prima di giorno ; lungi e lontano dalle preposi-
zioni di , da , e talvolta anche a , come lungi di
/)ui , lungi da Roma, lungi ai rumori ', fino , //j-
Jìno, sino , insino dalle preposizioni da o a se-
condo che il verbo es[)rime avvicinamento ó al-
lontanamento da qualche termine, come è giunto
/ino a Napoli; è venuto fui dalV America '^oltre
lungo, rasente , e quanto dalla preposizione a ,
come oltre a ciò , oltre a lutto il resto, quanto a
me, quanto alV ufficio mìo;e nel Boccaccio gior.
r. in fine lungo al pclaghetto ; e in Franco Sac-
chetti nov. 129. rasente a quella pentola. Se ec-
cetto e salvo non si accompagnano mai con alcu-
na preposizione, egli è perchè sono aggettivi, che
uniti coi sostantivi formano quello che dai Gram-
matici si chiama, allativo assoluto , sicché tutti
vennero , per esempio salvo o eccetto un solo è lo
stesso che eccettuato un solo ; cioè essendone ec-
cettuato un solo.
L
CAPO III.
Delle Congiunzioni.
E congiunzioni , come abbiam detto , servono
Parte III. Cap. ITI. 121
6(1 unire le proposizioni una coli' altra , ossia ad
indicare le relazioni o connessioni che queste a-
vér possono fra di loro. Or le proposizioni altre
sono assolute, altre relative. Le prime son quelle
che stanno da se nel discorso, e non dipendono
da niun altra. Elle contengono sempre un verbo di
modo assoluto o dimostrativo, come la luna non,
influisce sui vegetabili : le stelle non hanno al"
cun in/lusso su gli uomini. Le relative son quel-
le che ad un' altra proposizione si riferiscono , e
in questo numero entrano ancor le incidenti , le
quali, come abbiamo veduto nel capo ultimo del-
la prima Parte, non istan mai da se, ma sempre
sì riferiscono ad un nome, di cui esprimono qual-
che qualificazione alla maniera che fan gli agget-
tivi , e formano una parte della proposizion prin-
cipale in cui cadono.
Delle proposizioni relative alcune dipendono
da nna assoluta, e chiamare si posson col solo no-
me di dipendenti ^ altre dipendono scambievol-
mente l'una dall'altra , e si possono dire subordi-
nate. Cosi dicendo non son venuto a trovarvi y
perchè le mie brighe non me l'hanno permesso,
la prima proposizione è assoluta , la seconda di-
pendente ; n>a dicendo se le mie brighe me lo
avessero permesso , sarei venuto ben volentieri a
trovarvi y sono amendue suboi dinate, perchè di-
pendono amendue scambievolmente una dalF al-
tra, e una senza dell'altra non può far senso com-
piuto.
Quando in due opiù proposizioni succe
siano elleno assolute o dipendenti , o suborc;
o incidenti, è comune il soggetto© il verbo, o
latlributo o qualche altra parte : ciò che v'ha di
comune può tralasciarsi. Cosi in queste proposi-
F
12.2 Gramniatìca ra^ionaut.
O'
xioni : Cicerone fa filosofo , Cicerone fu, oratore,
Cicerone fu anche uno de' migliori poeti dell'età
sua , comuni sono il soggetto ed il verbo : potre-
mo dunque ibrmarne una sola proposizione , la-
sciando la ripetizione del soggetto e del verbo , e
unendo insieme i tre attributi , col dire Cicerone
fu filosofo , oratore ed anche uno de migliori
poeti deir età sua.
La congiunzione e si chiama copula t iva ^^eS'
che serve a congiungere quelle proposizioni che
fra di loro convengono , lasciando ciò che hanno
di comnne. Qualche volta però non fa l'ulHcio di
congiunzione , ma serve , principalmente ne' sensi
interrogativi , a dar maggior forza al discorso ,
come : E fino a quando vorrai tu pure , o Cali-,
lina f abusarti della nostra sofferenza?
Le voci anzi , di più, inoltre^ oltracciò, ol-
treché, parimente, similmente, medesimamente,
senzachè , altresì , anche , ancora , pure, pur an-
che , puranco , anco , eziandio , che per se sono
avverbj o modi avverbiali, si adopran anche per
esprimere aggiungimento di qualche cosa alle già
dette , e allora chiamansi congiunzioni aggiunti-
ve. Notisi che il pure in significato à' ancora non
si può mettere al principio della proposizione, ma
deve essere preceduto da qualche altra parola ,
come egli pure vi fu , non pure egli vi fu , che
signiiìcherebbe nondimeno.
ìVè, nemmeno, neppure, neanche, nemman-
co s'appellano congiunzioni negative, perchè ser-
von sempre ad unire le proposizioni negative.
Anticamente il ni si usò qualche volta anche
in significato di o o di e , come nel Petrarca
canz. 40*
Parte III. Cap. Ili, ili 3
ylnzi la voce al mio nome rischiari ,
Se gli occhi suoi tijìir dolci né cari.'
O , ovi^ero , oppure , ossia , o veramente si
chiamano disgiuntive , perchè separano le pro-
posizioni una dall' altra, dichiarando di varie cose
una sola doversi ammettere , o una sola esser ve-
ra. Perciò si adoprano quando di più cose si pro-
pone a sceglierne alcuna , come prendetevi que-
sto o quello a piacer vostro. Si usano in quelle
argomentazioni che dai Dia'ettici si chiaman di-
lemmi , come conviene o vincere o morirei ser-
vono ad esprimere i nostri dubbj su la verità del-
le cose; e la nostra irresoluzione su la loro scelta,
ma in questi casi la prima proposizione vuol esse-»
re preceduta dal 5e , e la seconda dalPo, che cor-
rispondono air utìum , an dei Latini, come non
so se ciò sia vero o falso ; non so se mi scelga
/juesto o quello. Alcune volte lascian d'essere di-
sgiuntive , e si usan anzi per esprimere che due
termini han lo stesso signitìcato , come la fìloso-
fia ossìa V amore della sapienza. In questo sen-
so r ossia è quel che s'adopera più di frequente.
Il ne si replica ordinariamente innanzi a tut-
te le voci, a cui conviene la medesima negazione,
come non vi furono nò V uno ne f altro . Il re-
plicar nel medesimo modo 1' o e l'è suol dare al
discorso un non so che di maggior forza ed ener-
gìa. Infatti conviene vincere o morire ha assai
meno di nerbo , che conviene o vincere , o mori-
re ; e il direyà egli /amoso e per pietà , e per
dottrina dà maggior vigore all'asserzione, che il
dire semplicemente Jìi egli famoso per pietà e
per dottrina . In vece dei due e , al medesimo uso
»' adoprano le altre seguenti congiunzioni ^1^ 5/;
124- Grammatica ragionata.
sì , che ; sì o così , come\ tanto, quanto ec. , co-
me sì per la sua pietà , che o come per la sua
dottrina ; 5/ per /' azioni gloriose che ìia fatto ,
sì per gli scritti dottissimi che ne ha lasciato ,
egli è meritamente celebrato da tutti.
Quando le voci che insieme debbonsi unire
son più (li due , l' e e l' o non si danno per lo più
che air ultima , quantunque il ripeterle innanzi a
tutte suol qualche volta accrescere maggior va-
ghezza al discorso. Cosi il Casa nell'orazione a
Carlo V. : Al vostro altissimo grado si com'iency
che ciò che procede da voi sia non solamente
lecito y e conceduto ed approvato ^ ma magna-
nimo insieme , e commendato ed ammirato .
Cioè , vale a dire , cioè a dire sono con-
giunzioni che s' usano quando s' hanno a dichia-
rare le cose dette , e perciò chiamansi dichia-
rative .
y^ppressoy dopOy indi^ quindi, quinci, poi ,
poscia, dipoi sono avverbj , come abbiani detto,
che indicano la successione di una cosa ad un'al-
tra , o di un tempo ad un altro , ma entrano an-
ch'essi nel numero delle congiunzioni , perchè
uniscono le proposizioni con cui si latte successio-
ni si sogliono esprimere.
Finalmente e per ultimo si adoprano quan-
do dupo l'enumerazione di varie cose bassi a ri-
ferir r ultima ; e in somma quando le cose espo-
ste precedentemente si voglion mettere in line in
un sol punto di vista, racchiudendole tutte in una
sola proposizione. Cosi dopo enumerate le delizie
di qualche luogo , potremo dire in somma pare
che la natura e Vartc garcggino nell abbellirlo.
Eccetto , salvo , trattone , toltone, fuorché,
fuori di esprimono le eccezioni , come nell'esem-
Pane III. Cap, III. i25
pio di sopra arrecato tutti v'erano , eccetto , sai'
yo^ trattone^ toltone, fuori di un solo. Se la pro-
posizione è negativa, reccezione si indica col che,
se non, o se non se, come non mancala che egli
solo, se non egli solo, se non se egli solo. Quan-
do l'eccezione si deve esporre in una proposizio-
ne distinta , le congiunzioni sono eccettochè , sal-
vochè , se non che. Per esempio egli potea chia~
inarsi felice appieno, se non che un pensiero tal-
volta lo amareggiava , ed era ec. a tutto si arre-
se , saU'Ochè , o eccettochè non volle ec.
Le congiunzioni iìn qui riferite valgono a
connettere principalmente le proposizioni assolu-
te. Quanto alle dipendenti, elle posson dipendere
da una assoluta o come ragioni , o come conse-
guenze. Imperocché alcune volte si propone in-
nanzi ciò che bassi a provare , e quindi si sog-
giungono Je ragioni ; altre volte da una proposi-
zione o evidente per se, o già abbastanza provata
si trae una conseguenza. IS'el primo caso s' ado-
prano le congiunzioni perchè , poiché ,posciachè^
imperocché, imperciocché, perciocché, perocché y
conciossiaché , conciossiacosaché , che ( sottin-
tendendovi perciò ), avvegnaché, mercechè, men-
tre , stanteché , concio fosseché', conciofossecosa-
ché, ma le due ultime or son maniere affettate :
avvegnaché si usa piuttosto in senso di quan-
tunque , e mercechè , mentre , stanteché non soa
di buon uso.
Nel secondo caso si adoprano le congiunzio-
ni dunque , adunque , il perchè , per il che, per-
chè, però, perciò, per questo , onde, laonde , per-
tanto, per la qual cosa, quindi, imperò. Ma im-
però e perché sono andate in disuso ; per il che è
più approvato, che per lo che^ e adunque anja di
126 Grammatica ragionate.
esser posto non al principio della proposizione ,
ma dopo qualche parola.
Dimanierachò , dimodoché , sicché , cosic"
che , talché , tantoché , intantoché , servono an-
ch' esse ad indicare una conseguenza che si trae
dalla proposizion precedente , ma 1' indican in
una maniera più particolare ; perciocché mostra-
no tale essere la premessa che la conseguenza ne
viene necessariamente. Ciò si scopre piìi di leg-
gieri quando Queste congiunzioni si scompongo-
no mettendo ai maniera,di modo,sìyCosì ec. nel-
la prima proposizione, e il che nella seconda, nel
f{ual caso le due proposizioni diventano subordi-
iuite , come egli é un uomo così onesto e sìncero,
d^ un cuor sì nobile e generoso , sì manieroso e
piacevole ec. che non può non essere da tutti ap'-
prezzato ed amato.
L'ufficio dalla congiunzione ma è quel di
mostrare la contrarietà che passa fra fine propo-
sizioni, come gli empj posson parere felici iah>oU
la, ma non già esserlo z^erantcnte . Queste pro-
posizioni cosi esposte sono assolute amendue ; ma
se nella prima si pone wn bene o bensì , dicendo
posson parere bensì, o posson ben parere felici ,
ina non già esserlo veramente, diventano subor-
dinate. La contrarielà dello due proposizioni ap-
parisce vie più quando nella prima si nega una
delle due cose, ponendovi il non o non già, e sì
«flerma la contraria nella seconda, come ei si
mostra riconciliato col suo nemico , non perchè
abbia deposto V odio veramente , ma perchè
aspetta V occasione di poterlo sfogare con più
sicurezza. Anche in questo caso le due proposi-
zioni sono subordinate , e tali sono puranco quan-
do il ma è correlativo di non solo : ma allora io
Parte IH. Cap. HI. 127
vece (li significare contrarietà , significa anzi ac-
crescimento alle cose precedenti, come il suo no-
me è celebre non solo in Italia y ma in tutta V
Europa.
In vece^ in luogo, in cambio esprimono an-
ch' esse contrarietà, ed hanno l' anzi per correla-
tivo, come V acquisto continuo di nuove ricchez-
ze im>ece di saziar analmente V ingorde brame
di un avaro, le accende anzi sempre più.
La contrarietà fra le cose espresse da due
proposizioni ò spesse volte apparente soltanto. Oc
. ila in tal caso suole accennarsi nella prima pro-
posizione , premettendovi le congiunzioni quan»
lunquCf sebbene, benché, comecché, aui'egna-'
chef contuttoché, ancorché , e si leva nella secon-
da colle congiunzioni pure, nondimeno , tutta^
t'ia , turtai-olta , contuttociò , ciò non ostante ,
ciò non di meno, ciò non pertar.io, ciò nulla
ostante, non pertanto, però , come sebbene paia
a prima vista la via della virtù esser aspra e di-
sastrosa, pure chi vi si incammina la trova ben
presto amena e dilettevole. Queste proposizio-
ni, come si vede, sono anch'esse amendue subor-
dinate, e la prima di loro vuol sempre il verbo al
soggiuntivo, perchè non fa che accennare la con-
trarietà che tosto deve levarsi. Quando però il
quantunque e il benché non hanno per correla-
tivi il pure, nondimeno ec. mandano il verbo
piuttosto al dimostrativo che al soggiuntivo, per-
chè esprimono allora l'esistenza di una vera con-
trarietà, come voi potreste nel tale affare rego-^
larvi in questo, o in quest'altro modo; qaan^
tunque io iemo che ad ogni modo e* non viposr.
sa riuscir bene.
Subordinate son pure le proposizioni condi-
128 Grammatica ragionatu.
zlonali quando contengono il soggiuntivo amen-
due, come se gli uomini si lasciassero trasporr
lar metto a" loro desiderj disordinati , sarebbero
più felici. Ma spesso la cosa che dee avvenire, po-
sta la condizione, s'esprime, in una maniera asso-
luta , come verrò da voi^ se potrò ; vengo , se il
mi permettete ; e in questi casi invece del sei'
adoperano eziandio le congiunzioni purché , pò-
stochè , datochè , quando , o^•e , le quali voglioa
sempre il soggiuntivo, come verrò y purché pos^
sa , quando possa, ove possa ec.
Due proposizioni subordinate esprimon tal-
volta l'elezion di una cosa in confronto di un' al-
tra , o la preferenza di una cosa ad un'altra. La
proposizione, in cui si contiene la cosa che si pre-
ferisce , ha allora le congiunzioni piuttosto , più
presto , meglio, prima , anzi , innanzi , e 1' altra
ha per correlativo il che o di quello che, e il ver-
bo all'infinito, come qualunque cosa si dece soj"'
frire, piuttosto che mai commettere un indegna
azione.
Due proposizioni subordinate altre volte
esprimono la simiglianza che passa fra due cose,
e allora la prima proposizione ha le congiunzioni
siccome, come (non già comecché , che non ha
altro significato che quel di quantunque), in quel
modo che , in quella maniera che , in quella
guisa che, e la seconda ha per correlative le con-
giunzioni così , nello stesso modo , nella stessa
maniera ec.
Siccome accenna spesse volte una proposi-
zione certa o probabile, e cosi una conseguenza
che se ne trae , e le due proposizioni contengono
allora quella specie d' argomentazione che dai
Dialettici chiamasi entimema. Per esempio j/c-
Fai te III. Cap. II f, 12^
come non v^ha oggetto più amabile dell" Auto-
re supremo del nostro essere , così sopra d' ogni
cosa egli dei'eper noi amarsi, che ridotto alla tor-
ma dialettica sarebbe: A^on v'ha oggetto più ama-
bile dell'Autore supremo del nostro essere, dun-
que egli dei>e da noi amarsi sopra ogni cosa.
Finalmente con due proposizioni distinte noi
abbiamo talvolta ad esprimere la successione di
due cose avvenute, una prima, e l'altra dopo.
Ora di queste due o vogliamo considerare prin-
cipalmente la cosa avvenuta innanzi, e le con-
giunzioni allora sono ai^antichè , prìmachè , in^
nanzichè , anziché ; o principalmente la cosa av-
venuta dopo, e le congiunzioni sono poiché, dap-
poiché, dacché, dopoché. Cosi diremo : Anniba-
le fa sempre vittorioso contro i Romani, prima-
che si abbandonasse alle delizie di Capua : An-
nibale dai Romani fu vinto, dopoché le delizie
di Capua lo snervarono. Ma queste proposizio-
ni si posson disporre eziandio in un modo contra-
rio, dicendo primachè Annibale si abbandonas-
se alle delizie di Capua , fu sempre vittorioso
contro i Romani: dopoché le delizie di Capua lo
snervarono, dai Romani fu vinto. In questo caso
nelle prime in vece di primachè si abbandonasse
può dirsi ancora prima di abbandonarsi ; nelle
seconde io ho detto dopoché lo snervarono usan-
do il perfetto indeterminato , ma è più regolare
però l'usare il trapassato perfetto, dicendo dopo-
ché T ebbero snervato, poiché indica un'azione
seguita innanzi ad un tempo di già passato e com-
piuto, qual i:fu vinto. Anche in vece di dopoché
può dirsi dopo di mettendo il verbo all'iniinito,
ma bisogna che questo sia retto da quel medesimo
nome che regge il verbo della seconda proposizio-
F a
i3o Grammatica raslonata, «j
to'
ne; e però in quest'esempio convlen cangiarlo d'
attivo in passivo, dicendo
inani fu vinto. In cambio di poiché , dappoiché ,
dacchèj dopoché si usan anche allorché^ quando
e come ; e queste vogliono costantemente il tra-,
passato perfetto, come allorché fu snen>ato dal-^
le delizie di Capua ec.
Se la successione delle due cose è stata pros-
sima r una all'altra, si adopera tostochè, subito
che, appena che^ come prima, così. Per esempio
subito che , o tostochè lo vide , corse ad abbrac-
ciarlo ; o appena lo vide , che tosto corse ad ab-'
bracciarlo , o come prima lo vide, cosi corse sU'
hito ad abbracciarlo. Appena e come prima star
possono anche senza i correlativi che e così , ò\~
cenào appena o come prima lo vide ^ corse ad
abbracciarlo.
Queste successioni spesso riguardano un tem-
po futuro. In tal caso primaché y arancichè , in-
nanzichè richiedono un soggiuntivo, dovendo
egli accennare semplicemente la cosa che dee suc-
cedere all'altra, come priaché venghiate f sarà
tutto pronto. Poiché , dopoché ec. vogliono uo
futuro perfetto, dovendo egli esprimere l'avveni-
mento tli una cosa innanzi ad un'altra , come do-
poché avrò sbrigato gli affari che ìio per le ma-
ni, verrò a passare qualche giorno con voi. To-
stochè ^ subito che, come prima ammettono e'I
futuro perfetto, e l'imperfetto, secondo che si
vuole considerare o come finita la cosa che deve
precedere , o come contemporanea. Per esempio
tostochè verrà , gli dirò quel che m'avete com-
messo j e subito die sarà giunto ve ne farò av-
visato. Appena vuole ordinariamente il futuro
Pane III. Cap. III. l3l
perfetto, come appena fu, giunto. Allorché i
quando j come , se corrispondono a dopoché ri-
chiedono il futuro perfetto , come quando avrò
fuiìlOy verrò ; se ad in quel tempo die l'imperfet-
to, accennando allora due cose che seguir debbo-
no nel medesimo tempo , come quando verrete,
troverete tutto disposto.
CAPO IV.
DelV Interposto.
VJTli interposti non sono per la più parte che
un'imitazione delle grida naturali , e quindi è che
assai più vivamente esprimono gli affetti dell'ani-
mo ^ che non farebbero le proposizioni a cui essi
equivalgono. In vece degli interposti s'adoperano
spesse volte alcuni nomi, verbi e avverbi usati el-
litticamente, che noi insieme con loro qui andre-
mo enumerando, scorrendo pei varj affetti che gli
uni e gli altri valgono a significare.
Allegrezza. OA, a cui se si unisce un nome
personale o un pronome, dee porsi all'accusativo,
come oh me avventuroso ! dh lui beato ! non giù
oh io avventuroso , oh egli beato. Viva, evviva ,
bene^ buono.
Dolore. Ah, ohj ahi, ohi, e unendovi il pri-
mo nome personale ahimé , ohimè. Invece dell'
accusativo amnietton essi eziandio il genitivo e il
dativo, come ahi meschino di me! ahi misero a
me! Quando v'han gli aggettivi beato, misero ec.
esprimenti la felicità o la sciagura, che in noi ca-
gionano l'allegrezza o'I dolore , gli interposti so-'
ventf* si ommettono, come me ini sero! felici voi!
ec. Lasso f che equivale a misero ^ si usa ancora
i32 Grammatica ragionata,
senza aggiugnervi il nome personale o il prono-^
me, come lasso! che deggio io fare? Lasso! a
die stato V iniqua fortuna lo ha ridotto! cioè las:
so me, lasso lui.
Ira e disprezzo. Doh , ho, puh, guarda y
guata i ve, oibò, via.
Minaccia. Guai, e richiede il datilo, comd
guai a te, guai a voi.
Maraviglia. Oh , doh , puh , poffare j viva.
H cielo. Dio buono.
Desiderio e preghiera. Deh, oh, oh se, co'
si, pure, come oh se potessi; pur mi fosse lecito;
cosi la fortuna mi secondasse.
Timore. Oh, oh Dio, ohimè, sta. Questo
s'adopera per esprimere l'aspettazione di qualun-
que cosa che credasi dover avvenire , ma più d'.
ordinario quando non si vorrebbe eh' ella avve-
nisse, come sta ch'ci mi coglie, sta cJiei mi gab-
ba, cioè sta a vedere.
Oltre a questi ve n'hanno alcuni, i quali non
esprimono ni un affetto, ma che si collocai! tut-
tavia fra gli interposti , perchè equivalgono anch'
essi ad un'intera proposizione. Tali son quelli.
Di affermazione e approvazione. Sì, bene,
buono, sibbene, maisì.
Dì negazione e di rimprovero. iVò, non già,
mainò, eh via, oibò.
Per chiamare. Eh, olà, oh oh.
Per far animo. Su, via, alto.
Per far tacere o star cheto. Zi , zitto , pia»
nOf cheto.
Per indicare. Ecco, eccoti.
Per interrogare. Ebbene? Coinè?, Che?^
lòS
PARTE IV.
DELLA SINTASSI.
C5e favellando non avessimo che ad accennare
separatamente quando una , e quando un' altra
delle nostre idee , basterebbe il sapere i termini
cpn cui elle si esprimono, e nulla più. Ma noi ab-
biamo bisogno altresì di fare intendere le varie
combinazioni che delle idee formiamo entro di
noi. Quindi è necessario saper ancora come ad
esprimere queste combinazioni debbansl le parole,
che sono i segni dell' idee, accordare ed ordinare
fra loro, nel che consiste la sintassi^ nome greco,
che bignifica ordine e connession di più cose.
Dopo quello adunque che abbiamo detto finora
separatamente di ogni parte del discorso , parle-
remo ora. 1. Della maniera con cui si debbono
fra loro accordare, che abbraccia e ciò che noi
chiamiam concordanza , e ciò che i Francesi di-
con regime. 2. Dell'ordine con cui si debbon di-
sporre ^ ossia della coi// u£/o/2e. 3. Delle altera-
zioni che neir una e nell' altra delle due cose pre-
c< denti sono permesse per grazia e proprietà di
lingua , cioè delle figure. 4. Delle voci diverse
che espiiuiono una medesima idea, ossia dei si'
uotììmi. 5. Delle ypciche esprimono diverse idee.
i34- Grammatica ragionata.
CAPO I.
Della maniera con cui le parti del Discorso si
debbono accordare J/a loro,
XuE parti del discorso altre sono soggette a va-
riazione di desinenza , come i nomi , i pronomi , i
verbi e i participi ; altre sono invariabili, come le
preposizioni , gli avverbj , le congiunzioni , e gli
interposti. Queste medesime variazioni altre so-
no assolute , ed altre relatii'e. Assolute fra noi
sono tutte le variazioni di desinenza nei sostanti-
vi, o significhin esse il genere, o significhin il nu-
mero, perciocché io non dico piuttosto colombo
che colomba^ o colombi o colombe^ perchè que-
sto nome si riferisca nel discorso ad altre parole ,
ma perchè voglio parlare di un oggetto solo di
questa specie, e d'un maschio.
Assolute similmente sono nei verbi le varia-
zioni che significan tempo , perchè si cangiano
non secondo le altre parole, a cui s'accompagna-
no nel discorso, ma secondo l'idea che noi abbia-
mo d' un tempo o presente, o passato, o futuro.
Air opposto relative sono negli aggettivi , e per
conseguenza anche negli articoli , nei pronomi ,
nei participi, nei nomi verbali, e nei nomi di tito-
lo , di dignità, di professione (che uniti ad un
altro sostantivo fanno anch'essi l'ufficio di agget-
tivi), le variazioni di genere e di numero, perchè
si riferiscono sempre al genere ed al numero del
lor sostantivo: relative sono nel verbi le variazio-
ni di numero e di persona, perchè sempre si rife-
riscono al soggetto della proposizione ; siccome
pure quelle dei modi relativi , perchè dipendono
sempie nel discorso da un altro yerbo.^
Fané /r. Cap. I, i3S
Or le regole della sintassi , per ciò che ri-
guarda la concordanza fra le parti del discorso ,
debbonsi aggirar sopra quelle parti che son sog-
gette a variazione di desinenza, e fermarsi unica-
mente su le variazioni relative. Vedremo adunque
in primo luogo come debbansi accordare gli agget-
tivi coi loro sostantivi, e i verbi co' loro soggetti.'
Quanto ai modi relativi dei verbi , avendo
già mostrato abbastanza il loro uso nel capo terzo
della seconda Parte e altrove , qui non faremo
che replicar questo solo, doversi adoperare il mo-
do assoluto quando si afierma assolutamente, e
senza dipendenza da niun altro verbo, l'esistenza
di qualche proprietà in qualche soggetto ; e i mo-
di relativi quando il verbo dipende da un altro o
espresso o sottinteso, e non afferma assolutamen-
te l'esistenza di una proprietà in un soggetto, ma
l'accenna soltanto.
Ma oltreciò noi abbiamo vpdnto che molti
verbi contengono un attributo relativo ad uno o
più oggetti. Or è da vedere come i nomi di que-
gli oggetti si debban congiungere coi verbi, a cui
si riferiscono, nel che consistono le regole del re-
gime che noi mostreremo in secondo luogo.
ARTICOLO I.
Del modo con cut si debbono accordare gli y4g'
gettivi coi Sostantivi, e i f^erbi co loro Soggetti,
v_>OMmciAKr>o adunque dagli aggettivi, siccome
questi o servono a richiamare 1' i«lea d'un sostan-
tivo già nominato come i pronomi , o a determi-
narla , come questo , quello ec. , o ad esprimere
i36 Grammatica ragionato
o*
qualche sua qualificazione come fan tutti gli altri
aggettivi , i participj , i nonù verbali, e i nomi di
titolo , tli dignità , di professione ; cosi debbon
sempre avere quella medesima determinazione di
genere e di numero che ha il lor sostantivo.
Quindi si dirà il re JVìno e la regina Semirami-
de; t'esercito vincitore e l'armi vincitrici ; Kr"
cole pugnò con Anteo e lo soffocò ; Ercole pu-
gnò coli' idra di Lerna e la uccise.
Quindi è pure che 1' attributo della proposi-
zione o sia egli un semplice aggettivo , o sia uà
participio, dee accordarsi sempre col soggetto ; e
perciò dilàtti nei verbi passivi, e negli intransitivi
che si costruiscon coli' essere essendo il participio
passato l'attributo della proposizione, egli sempre
col soggetto s' accorda , come abbiamo veduto.
All' opposto nei verbi transitivi , che ai lor passali
si costruiscono col verbo avere, l'attributo della
proposizione è il participio avente, e il participio
passato del verbo proprio non fa che modificare
il suo oggetto. Infatti io aveva amato Pietro è lo
stesso che io era avente Pietro amato : per que-
sto coir oggetto ei deve accordarsi, e quando ciò
non si voglia , si deve dargli la terminazione del
maschile, accordandolo col nome universale og-
getto che si-sottintende.
Molte volte in una proposizione , in cui v*
abbiano due soggetti del numero singolare, il ver-
bo e r attributo si mettono al plurale; e in tal ca-
so se dei due nomi uno è maschile, e 1' altro fem-
minile, r attributo vuol esser maschile , come un
uomo e una donna son morti , non morte ; se ì
soggetti sono plurali amendue, o un singolare e 1*.
altro plurale , 1' attributo ama tuttavia di essere
piutiosio maschile che femminile, ma conviea
Parte IV, Cap. L 1^7
procurare che il soggetto maschile sia 11 più vici-
no all' attributo , o accompagnare il nome fem-
Diiaiie colla preposizione con\ onde si dirà meglio
molte case e molti tempj rimasero incendiati ;
o molti teìnpj con molte case rimasero incen-
diati, che multi tempj e molte case rimasero in-
cendiati o incendiate.
Talvolta accade di dovere con var) sostanti-
vi di diverso genere e di diverso numero accom-
pagnare un solo aggettivo che non sia l'attributo.
Si deve dare in tal caso ad ogni sostantivo 1' arti-
colo proprio , se lo richiede; l'aggettivo si dee
mettere dopo dei sostantivi, ed accordare coll'ulr
timo di essi ; e questo vuol essere, ove si possa ,
piuttosto maschile che femminile, e plurale anzi-
ché" singoldre. Quindi non si dirà i gloriosi trìon-
Jl e vittorie , n)a 1 trionfi e le vittorie gloriose ,
o piuttosto le vittorie e i trionfi gloriosi, e repli-
cando l'aggettivo, o mettendone a ciascuno un di-
verso, si direbbe ancor meglio le gloriose vittorie
e i gloriosi trionfi, o le insigni vittorie e i glo-
riosi trionfi.
Siacomc quando a più sostantivi s'aggiunge
in fine un solo aggettivo , si suppon d' ordinario
ch'egli si riferisca a lutti quanti, cosi bisogna os-
servare che egli a tutti convenga : laonde non po-
trò dire le battaglie e le vittorie riportate per-
chè riportate non può convenire a battaglie. Fa
d'uopo adunque o aggiungere anche a battaglie
una qualificazione che sia adattata , come le bat-
taglie sostenute e le vittorie riportate, o mettere
l'aggettivo riportate innanzi al sostantivo , sicché
s'intenda che a lui solo si applica, come le batta^
glie e le riportate vittorie, o aggiugnervi dopo
qualche altro sostantivo, sicché riportale noa re-
l38 Grammatica ragionata.
&■
9tì in fine, come le battaglie le vittorie riporta-'
/e, / trionfi ec.
Quando più sostantivi, che si succetlono, so-
no del medesimo genere e del medesimo numero,
può bastare il dare l'articolo al primo soltanto;
anzi se questo ha un aggettivo che convenga an-
che agli altri, l'articolo non si dee ripetere, altri-
menti sembrerà che l'aggettivo convengaci primo
solo, o ripetendo l'articolo si deve ripeter ancor l*
aggettivo. Si dirà adunque la vostra saviezza e
prudenzOf o la vostra saviezza e la vostra prw
denza , non la vostra saviezza e la prudenza
senz'altro. Fuori di questo caso però suona me-
glio d'ordinario il ripeter l'articolo ad ogni sostan-
tivo, massimamente quando ci sia congiunto con
qualche preposizione ; e perciò si dirà meglio a«-
dò vagando per la pianura e per la collina , o
per la pianura eia collina , che per la pianura
e collina.
Le variazioni di numero e di persona nei
verbi si sono introdotte per esprimere più deter-
minatamente il soggetto in cui si trova la proprie-
tà che da loro si afferma, e nel capo primo della
seconda Parie abbiamo veduto il vantaggio che
ne deriva. Devono adunque i verbi accordarsi
sempre col soggetto della proposizione in persona
ed in numero; e se in una medesima proposizione
la proprietà affermata dal verbo conviene a più
nomi , che è quanto dire se vi sono più nomi che
servono di soggetto nella proposizione , ancorché
tutti siano singolari , il verbo suol mettersi al plu-
rale ; e se questi nomi son di diverse persone
s'accorda piuttosto colla prima che colla secon-
da , e colla seconda anziché colla terza. Perciò
quel passo di Cicerone a Terenzia si tu et Tullia
Parte IV. Cap. L 189
valetts , ego et Cicero valemus , si tradurrà 5e
/u e Tullia siete sane, io e (il figlio) Cicerone
siam sani.
I nostri antichi, imitando i Latini, ad un no-
me collettivo singolare hanno spesso unito un ver-
bo plurale, come il Boccaccio gior. 2. nov. 6: Il
popolo a furore corso alla prigione , e uccise le
guardie, lui n avevano tratto fuori. I moderni
non r usano se non con il più , la più parte , la
maggior parte, un buon numero, una gran trup-^
pa , e simili seguiti da un genitivo, come il più
o la più parte degli uomini secondano più le
passioni die la ragione.
Quando un soggetto singolare è seguito da
un altro sostantivo, che abbia la preposizione dì
compagnia, il verbo può mettersi al plurale, con-
venendo allora la proprietà da lui espressa ad
amendue, come nel Boccaccio gior. io. nov. 6:
Jl Re co' suoi compagni rimontati a cavallo al
reale ostiere se ne tornarono.
Quanto all'uso che si è introdotto nella piÙL
parte delle lingue moderne, di adoperare parlan-
do ad un solo !a seconda persona del [)!urale, o la
terza del singolare, come se si parlasse a molti , o
ad una persona diversa da quella che ascolta, ab-
biam già notato nel capo dei Pronomi , che par-
lando ad uno in terza persona , siccome si finge
di parlare alla signoria di lui, cosi il pronome de-
ve sempre essere femminile. Ora osserveremo di
pili, che nei tempi passati arche il participio deve
essere femminile , quando accordasi col soggetto
signoria ; e però si deve dire, per esempio, so che
ella si è degnata, e non degnato. Nel progresso
di un discorso, o d'una lettera diretta ad un uo-
mo, il mettere gli aggettivi a lui riferiti nel fem-
14.0 Grammatica ragionata.
minile, sembra produrre talvolta della oscurità e
della incoerenza. Quindi è che alcuni sogliono
metterli in vece al maschile: ma l'uniformità che
nel discorso dee tenersi ovunque si può, par che
richieda piuttosto di continuare col femminile tut-
tavia, e per togliere ogni incoerenza ed oscurità ,
basta aggiugnervi il sostantivo persona , dicendo
so che ella è troppo savia, o una persona troppo
savia, piuttosto che troppo savio; o volendo pur
dargli la terminazione maschile, conviene aggiu*
gnervi anche un sostantivo maschile, come uotnOf
personaggio^ od altro simile. Per questo medesi-
mo amore di uniformità non è da ninno dèi mi-
cliori imitato il Caro , che nelle sue lettere si ve-
de spesso frammischiare , il voi , e il v. s. parlan-
do alla stessa persona.
ARTICOLO II.
Del modo con cui i Nomi si debbon congiuiir
gore coi F'erhi da cui son reni.
X RIMA di tutto conviene qui ricordarsi della di-
stinzione che noi abblam fatto dei verbi in tran-
sitivi e intransitivi, chiamando transitivi quelli
che contengono un attributo relativo a qualche
oggetto, come amare, vedere, e intransitivi quel»
li, il cui attributo non fa che modificare il sogget-
to della proposizione , come vivere , correre. Or
tutti i verbi intransitivi non richieggono per se
stessi altra compagnia , che quella del soggetto e
dell'attributo, come egli vive felice , egli corre
frettoloso, nel che deve anche osservarsi che feli-
ce e. frettoloso non sono propriamente gli attri-
Parte IV, Cap. I. 141
boti, ma sono modificazioni degli attributi viverti
le e coìTcnfe , le quali modificazioni potrebbersi
esprimere invece con degli avverbj, dicendo vìue
felicemente^ corre frettolosamente.
Che se alcuni verbi intransitivi si veggon tal-
volta accompagnati da un altro nome alla manie-
ra dei transitivi , questo nome non è già retto dal
verbo, ma da una preposizione sottintesa ; cosi
invere lungo tempo significa per lungo tempo ;
•vitere una vita stentata significa in una vita
stentata ; correre lungo tratto significa per lungo
tratto.
All'opposto i verbi transitivi contenendo un
attributo relativo , possono oltre al soggetto ave-
re la compagnia di un altro sostantivo che espri-
ma l'oggetto , ossia il secondo termine della rela-
zione. Questo secondo termine in vece di essere
indicato da una preposizione, era indicato dai
Latini col dargli la terminazione dell' accusativo ,
come Achilles Hectorem interjecit , e da noi si
indica col metterlo dopo del verbo, come Achil-
le uccise Ettore.
Ma non è sempre necessario il considerare
re'verbi transitivi il significato dell'attributo come
relativo a qualche oggetto: egli si può considera-
re talvolta come un semplice aggettivo che modi-
fica il suo soggetto. Quindi è che posso dire sena'
a\x.to io amo, io leggo, io scrivo, esprimendo
semplicemente l'occupazione o l'azione in cui so-
no , senza esprimere oggetto alcuno su cui ella
cada.
Quando l'oggetto relativo è espresso, noi ab-
amo veduto che il verbo si può rovesciare d'at-
tivo in passivo. Or il sos£,'etto, da cui viene l'azio-
ne, si accompagna allora colia preposizione da ,
14^ Grammatica ragionata.
per esprimere la dipendenza che 1' azione ha da
lui, o colla preposizione ^er, af'fln dimostrare eh'
egli è la causa eillciente dell' azione , come esser
condotto da alcuno o per alcuno.
Ma anche neVerbi passivi non sempre si con-
sidera l'oggetto, sopra cui cade l'azione, o relazio-
ne espressa dall' attributo. Si considera talvolta
semplicemente l'esistenza d'una azione o relazio-
ne, come dicendo si legge, si 5criVe;e talvolta si
considera insieme il soggetto da cui viene l'azio-
ne, ma non l'oggetto sopra di cui ella va a termi-
nare, come da molti si legge o si scrive. I verbi
adoperati in questo modo si chiamano imperso-
nali di voce passiva, perchè non s'usano che nel-
la terza persona del singolare , denominazione
improjiria per altro, perchè la terza è una perso-
na come le altre. A questa maniera si possono
usare anche i verbi intransitivi, come si va, si
viene, e si può aggiugneryi anche il soggetto , co-
me nel Dante :
Per me si va nella città dolente.
Mi si permetta qui una piccola digressione
sopra nn uso particolar de' Francesi. In vece del
nostro si , per f ormare gli impersonali di voce
passiva, essi adoperano on o Von ; ma con questa
differenza che il verbo che segue all' on , presso
loro deve esser sempre di terza persona singolare,
benché egli regima dopo di se un oggetto del mag-
gior numero; laddove presso di noi quando il
verbo preceduto dal si ha un oggetto , con esso
«leve accordarsi. Quindi ove dice il signor Da
Marsais « On tombe encore dans un autre incon-
« veaientjc'est qvie L'ou regarde les sciencescom-
Parte IV. Cap. I. 143
te me aiìtant de pays différens, où V on ne fait
u voyager les enians que successivement « noi
dobbiamo tradurre : si cade ancora in un altro
inconveniente , ed è che le scienze si riguardano
come tanti paesi diversi , in cui i fanciulli non si
Jan viaggiare che successivamente.
La ragione di quest' uso presso i Francesi sì
è , che « il loro 011 (come dice il medesimo Dii
« Marsais) è una sincope della parola uomo , è
« l'uomo in generale, e in un senso indetermina-
« to , e per questo si dice egualmente on o Von
« secondo che meglio conviene all' armonia di
« ciascuna frase particolare; o piuttosto (segue
« egli ) una tal maniera di parlare è derivata da
« questo , che i nostri Padri , come si vede negli
« antichi manoscritti, dicevano un dit{uno dice),
u e pronunciavano quest'u/i all'italiana oun (cioè
a r uom cade ; /' on regarde les sciences , 1' uom
riguarda le scienze ; l'on ne fai t voyager les e/i-
fans, l'uom non fa viaggiare i fanciulli. Ad alcuni
?uesta spiegazione del signor Du Marsais parrà
orse un poco tro[)po sottile ; ma io lascio a'Fran-
cesi il deciderne.
All'opposto in italiano il j/ non fa che ac-
cennare il [)assivo, e perciò se il verbo non ha og-
getto , si mette alla terza persona del singolare ,
sottintendendovi un oggetto indeterminato ; ma
86 ha un oggetto espresso , con esso deve accor-
darsi.
Da quest' uso che fanno i Francesi dell' on ,
e dall' aver essi un'altra parola diversa per espri-
mere il nome personale di terza persona che è je,
hanno un vantaggio sopra di noi , che ù di poter
144 Crammatica ragionata.
Tare impersonali anche i verbi , che alcuni chia-
ìTiano neutri passili y come addormentarsi s'en-
(lormir , risvegliarsi se reveiller etc. Quindi vo-
lendo esprimere indeterminatamente l'addormen-
tarsi o lo svegliarsi , essi diranno on s'endort , on
se rei'ei/le ; laddove noi non potremo già dire si
si addormenta , si si sveglia . Convien che noi
prendiamo un diverso giro di frase: e quanto ai
primo potremo dire si prende sonno ; ma quanto
al secondo è necessario aggiungervi qualche cosa,
come si comincia a svegliarsi , 5* torna a sve-
gliarsi , secondo che il senso richiede : e dove di-
ce il sopraccitato signor Du Marsais ,, on rit à
,, Florence de la maniere dont un Francois pro-
,, nooce le latin on l'italien etc. Vonse moque à
,, Paris de la prononciation du Florentin ,, noi
tradurremo : si ride a Firenze della maniera con
cui un Francese pronuncia il latino o l' italiano ,
e si hefja a si motteggia a Parigi la pronuncia
del Fiorentino.
Ora tornando a noi , vi sono de* verbi tran-
sitivi , il cui attributo si riferisce a più d' un og-
getto. I verbi dare ^ concedere j promettere , pur
esempio , fan subito pensare guai cosa e a chi .
}\ j)rimo oggetto che è la cosa che si dà , abbiam
veduto che si indica senza premettervi alcuna pre-
posizione; ma il secondo che è quello a cui l'azio-
ne di dare è diretta , convien per distinguerlo che
sia indicato da qualche preposizione. A tal fine si
è scelta la preposizione a. Quindi tutti i verbi
che esprimono un'azione diretta a qualche ogget-
to possono reggere due nomi , uno esprimente
l'oggetto dell'azione, e l'altro l'oggetto a cui que-
sta è indirizzata de' quali il primo si pone senza
preposizione j e il secondo colla preposizione a^
Parte IF. Cap. L 140
che ha allora non il senso significativo, ma l' in-
dicativo soltanto.
1 verbi ascrivere e attribuire^ oltre alla cosa
che si ascrive o attribuisce , e l'oggetto a cui si
escrive o attribiìiice, possono aver anche un al-
tro nome che sii;niiìchi il modo con cui si ascrive
attribuisce , e questo pure si accompagna colla
preposizione a, come // perdonare V ingiurie non.
si deve ascrivere a vergogna e ad in/amia ad
un uomo onesto , ma a gloria e ad onore. I ver-
bi dare, lasciare , appigionare ^ vendere ^ com~
prore e pagare oltre alla cosa che si vende o sì
paga ec. , e la persona a cui si vende o si paga ,
riciiiedono qualche volta che si esprima anche il
prezzo. Or se questo è indeterminalo , si unisce
colla preposizione a , come vendere o comprare a
caro prezzo^ o a buon mercato ; se è determina-
to, coi verbi dare^ lasciare.) appigionare e com"
prare s' unisce pure colla preposizione a come
gliela lasciò, gliela diede a venti scudi, a venti
zecchini ; col verbo vendere vuole la preposizio-
ne ^er, o espres-ja o sottintesa, come vendere
una cosa per mille lire o mille lire. 11 verbo pa-
gare vuol qualche volta la preposizione con., co-
me con dicci lite è pagata abbastanza ; ma per
lo più si sopprime, come pagare una cosa dieci,
venti , trenta scudi. Egli ò \yeiò chiaro che in
questi casi le [>re[)Oftizioni sopraccennate hanno
tutte il sens'j si^nilicativo, esprimendo per se me-
«losime la relazione di condizione o di mezzo, con
ai una cosa o si vende , o si compra ec. , e che
1 ><*rò i nomi di prezzo non son retti punto dal
verbo.
I verbi che da alcuni si chiaman neutri pas-
sivi , come diirsi , applicarsi , arrendersi ., avvez"
zarsiec. , ma rlie noi abbiam già mostrato esse-
re per la più parte di lor natura transitivi , aven-
do per primo oggetto relativo il nome personale
che gli accompiigna , possono avere anch'essi un
altro oggetto a cui sia diretta la relazione espres-
sa dall'aitributo , e questo oggetto si deve anch'
egli indicare culla preposizione a , come darsi,
applica? si f arrendersi , avvezzarsi ad una cosa ,
cioè dare, applicare ec. se ad una cosa.
E perchè vi sono alcuni verbi intransitivi per
«e stessi , ma il cui attributo ha un senso relativo
di direzione a qualche oggetto , questo oggetto
pure si indica colla medesima preposizione, come
convenire, appartenere^ condiscendere , giovare ,
piacere ad alcuno.
Coi verbi servire, ubbidire, soddisfare, com-
piere, adempiere si può considerare 1' oggetto o
come quello in cui Inazione finisce, o come quello
a cui è diretta ; e perciò si dice tanto servire, ub-
bidire, soddisfare fl/cuno, come ad alcuno, com-
piere, adempiere il suo dovere, come al suo
dovere.
Ogni qualvolta adunque un verbo o transi-
tivo, o intransitivo ch'ei sia , abhia un senso rela-
tivo esprimente direzione a qualche cosa , il ter-
mine di questa direzione si indicherà sempre dal-
la preposizione a, la quale non avrà allora che il
senso indicativo, essendo la relazione già espres-
sa dal verbo, e il nome preceduto da questa pre-
posizione per conseguenza sarà retto dal verbo ,
ossia dall'attributo del verbo, non dalla preposi-
zione medesima.
Ma moiri verbi in vece di esprimere la rela-
zione di direzione a qualche cosa , esprimon all'
incontro quella di alloaianameoto o separazione,
Parte IV. Cap. I. ii^'?
e quella di origine o dipendenza da essa. Or sic-
come il termine, a cui una cosa è diretta , si indi-
ca colla preposizione a, cosi quello, da cui dipen-
de o deriva, o da cui vien tolta e divisa , si indica
colla preposizione da. Quindi un nome preceduto
da questa preposizione aver possono i verbi tran-
sitivi separare, dividere, staccare , levare ec. e
gl'intransitivi nascere , deridere , venire, discen-
dere ec.
Togliere, rubare, involare, chiedere, doman-
dare, e simili dovrebbero anch'essi aver sempre
il secondo oggetto accompagnato da questa pre-
posizione, come lo hanno difatti qualche volta ;
ma per lo più egli si unisce colla preposizione a ,
uso per altro che poco toglie alla regolarità della
lingua, non avendo si l'ima che l'altra preposizio-
ne in questi casi che il senso indicativo, ed essen-
do conseguentemente per se stesso indifferente,
che il secondo termine d'una relazione già espres-
sa da altre parole , sia accennato piuttosto coti
una che con un'altra preposizione.
Gli intransitivi nascere, venire, uscire, par-
tire, fuggire, guarire, e qualche altro invece del-
la preposizione da ammettono la preposizione di\
ria, come abbiam già avvertito, si sottintende
"mpre un nome universale retto dalla prima pre-
] 3-iz:one, del quale la seconda non i'a che indica-
re doversi ristringere il signilicato : cosi venire o
parar di lioma significa dalla città di Roma.
V'hanno moltissimi verbi transitivi che per
fte non significano che una sola azione o relazio-
ne , e perciò non reggono che un solo nome , ma
con cui tuttavia è sovente necessario esprimere il
modo , la materia, lo stromento , o il motivo per
cui , o con cui esiste l" azione o relazione da loro espressa. Ora a tal fine qualche volta si adoperati le
{)re[>Obizioni con o pcì\, di cui è proprio il signifi-
care le relazioni di materia o stromento , o moti-
vo ; conrìe accusa?- uno per delitto dì furto, punir
uno con pena dì morte ^ ornare una cosa con
fregi d oro o d'argento ec. Ma il più delle vol-
te queste preposizioni coi nomi universali, che da
loro son retti , si sopprimono, e si dice soltanto
accusare uno di furto , punir uno di morte y or-
nare d'oro o d' argento una cosa, Kgli è chiaro
però che questi genitivi non sono retti dai verbi ,
ma dai nomi universali sottintesi.
Lo stesso avviene in molti verbi intransitivi.
JVIorìr di fame per esempio, significa per cagione
di fame ; vivere di limosìne significa col mezzo
delle lìmosine. Dalle preposizioni pertanto , e dai
sostantivi sottintesi , non da verbi sono retti an-
che questi nomi.
Quanto alle altre preposizioni ///, con^ sen-
za , per y fra , tra , avendo sempre un senso signi-
ficativo , sono esse sempre che reggono i nomi a'
quali precedono , né può mai dirsi che questi sia-
no retti da alcun verbo.
Per ridurre adunque alla sua vera semplici-
tà questa parte, che da alcuni è stata avviluppata
e confusa , a segno da volere introdurre anche
nella nostra lingua una farragine d' ordini di ver-
bi attivi, passivi , neutri , neutri passivi , e che so
io, come s'è fatto nella latina (non so se per ri-
schiarare o per confondere la mente de' poveri
fanciulli), noi diremo che i soli verbi che reggan
dei nomi accompagnati da qualche preposizione
6ono: I. Quelli il cui attributo ha tm senso rela-
tivo di direzione a qualche cosa , co' quali il ter-
mine, 4 cui il senso è diretto, deve accompagoarsi
colla preposizione a. 2. Quelli il cui attributo espri-
me origine, dipendenza, allontanamento, o 5e-
parazione da qualche cosa, co'quali 1' oggetto da
cui viene l'origine , la dipendenza ec. deve essere
preceduto dalla preposizione da. Tutti gli altri
per se stessi non reggono che un oggetto senza
preposizione se son transitivi , e non richiedono
che il soggetto e 1' attributo o implicito , espresso
se sono intransitivi. E perciò quando occorra dk
dover loro aggiugnere qualche nome con qualche
preposizione, essi per se medesimi saranno sem-
pre indifferenti ad ammettere qualunque prepo-
sizione ella sia , e dovrassi riguardare soltanto al-
la relazione che si vorrà esprimere , per potere
scegliere la preposizione conveniente da premet-
tere al nome ; osservando soltanto che quando la
relazione debba esser del modo, della materia, del
mezzo, dello stromento, o del motivo per cui esi-
ste o si fa una cosa, invece d essere significata col
le preposizioni con o per ^ amerà qualche volta
piuttosto la preposizione di usata ellitticamente,
come poc'anzi abbiamo spiegato.
C A P O II.
Deir ordine con cui le parti del Discorso si deb-
bon disporre , ossia della Costruzione,
\J UANDO agli altri per via delle parole presentia-
mo le nostre idee secondo l'ordine naturale,
la costruzione si chiama 5em/^//ce, e quando vi ha
qualclie rovesciamento o perturbazione di quest'
ordine, si dice inversa . Ma non poco hnnno fra
loro conteso al nostri tempi varj iilosoli i)er f^-
sare qual debba essere quest'ordine naturale. A
me pare che il vero ordine naturale debba esser
quello di far nascere in chi ci asculta l'idee óe^M
oggetti, delle loro qualità, delle loro relazioni,
con quella medesima successione con cui le acqui-
sterebbono da se medesimi osservandoli co' pro-
prj sensi.
Or presentandosi a noi qualche oggetto, egli
è ben vero che le sue qualità sono quelle che ci
avvisano della sua presenza, non potendo noi negli
oggetti veder nò sentire che le qualità solamente.
Egli è vero per conseguenza che le idee delle qua-
lità sono le prime che si affacciano all' animo no-
stro, e che egli non può, se non dall'esame di que-
ste, conoscer l'oggetto in cui sono. Ma quest'esa-
me attuale è necessario da principio in un fan-
ciullo quando comincia ad acquistar dell' idee, e
a riporle nella sua memoria. Egli non può riporvi
V idea composta di un oggetto, se non ha prima
disaminato quali siano l'idee semplici che la com-
pongono. Molto meno vi può riporre l'idea uni-
versale di una classe d'oggetti, se non ha bene os-
servato in varj oggetti particolari quali siano le
qualità che in lor coesistono. Ma chi ha già nella
sua mente ragunatoun certo numero d'idee com-
poste e universali, chi a queste idee ha già fissata
dei nomi, chi le ha dentro di se già avute e con-
siderate piti d' una volta , quando alcuna di esse
lo avvisa della presenza di un oggetto, all'oggetto
corre subito col pensiero, né si ferma a conside-
rarne le qualità, se non dopo saper già prima eh*
egli ha presente un oggetto. E chi è difatti che
vedendo o toccando un' estensione solida e figu-
rata , si trattenga a considerare l' estensione , la
solidità; la figura, senza che abbia prima l'idea
che quel che vede o che tocca è un corpo ? E se
vedrò un albero, un cavallo , un uomo, il primo
pensiero che io formerò non sarà quello , che l*(
oggetto a me presente è un albero, un uomo, o uà
cavallo ?
Al presentarsi pertanto di un oggetto qua-
lunqne hiasi alla nostra mente , la prima idea sa
cui ella si fermasi è V idea composta dell' oggetto
medesimo. Dopo ciò si trattiene, se le aggrada,
ad analizzare dirò così questa idea, e ad esamina-
re partitamente 1' idee semplici che la coni-
}>ongono ; considera l'estensione, la figura, il co-
ore , e le altre qualità a parte a parte ,' o sopra
tutte fermandosi, o sopra alcune soltanto, secon-
do che più le piace : e dove al primo presentarsi
che queste fecero tutte insieme , occupata a pen-
sar all' oggetto che le annunziavano, ella non eb-
be di loro che un' idea confusa ; esaminandola
distintamente ne acquista un' idea chiara e di-
stinta. Si inoltra poi finalmente a paragonare l'
esistenza o le qualità dell'oggetto che esamina
cogli altri oggetti, e viene cosi acquistando l' idee
ancora delle sue relazioni.
L'ordine adunque con cui si snccedon 1'
idee neir animo nostro , quando osserviamo uà
oggetto da noi medesimi, è questo: la prima idea
che acqulstiumo è quella dell ogi^etto in comples-
so; acquistiamo appresso l' idee distinte delle sue
qualità , a cui seguono finalmente f idee delle sue
relazioni cogli altri oggetti.
Or non sarà egli questo medesimo l'ordine
più naturale , che avrà a tenere chiunque voglia
in noi lar nascere le stesse idee colle parole ? Do-
vrà egli adunque mettere in primo luogo un sos-
tantivo che esprima il soggetto principale di cui
si parla; e se questo avrà I)iso£;no di qualche qua-
lificazione elle lo determini, v' ag£,Mngnerà uno o
più aggettivi, un genitivo , una proposizione inci-
dente, secondo 1' opj)ortunità : dovrà esprimere
in appresso il nome della qualità eh' ei vuol farci
sapere trovarsi, o non trovarsi in quel soggetto, e
per indicare ch'ella vi si trova o no , dovrà frap-
f)orvi di mezzo il verbo o solo o accompagnato dal-
a negazione (a). Finalmente se la qualità signifi-
cata dall' attributo sarà relativa ad altri oggetti ,
«lovransi dopo esprimere i loro nomi e le loro qua-
lificazioni se essi ne avranno.
Quanto agli avverbj, se sono di afTermazione
o d'esistenza, il loro proprio luogo sarà dopo il
verbo essere o espresso, o contenuto in nn altro,
SH sono di quantità o di qualità, dopol' attributo.
Quando una proposizione sia dipendente o subor-
dinata, o debba essere per qualunque modo con-
giunta con un'altra , si rominrerà dalli congiun-
zione. Le preposizioni e gli articoli si j)otran sem-
pre immediatamente innanzi ai nomi che essi de-
terminano , e di cui esprimono o indicano la re-
lazione. Gli interposti non han luogo fisso : sola-
(a) Dico dovrà frapporlo di mezzo, perchè ivi dee
col locarsi ciò che «erve di anione o di legamento
ira dne cose, come è il verbo fra il soggetto e 1' at-
tributo. Oltreché mettendo il nome della qualità su-
bito appresso al soggetto, sembrar potrebbe sovente
non r attributo , ma un semplice aggettivo esprimen-
te una «jnalificazione del sostantivo. Infatti dicendo
Cesare il vincitore fu in tutte le guerre par che si par-
li di un qualche Cesare soprannouiato il vincitore,
che siasi trovato in tutte le guerre , non già che si
asserisca che Giulio Cesare la il vincitore la tutte
le guerre che f«ce.
ridente siccome esprimono gli affetti dell' animo ,
ce j>i dovran collocarsi presso a quelle parole che
indica n la cagione de' nostri affetti. Riguardo 'ai
gerundj e ai paiticipj , essendo es&i aggettivi , si
debbono cerne gli altri metter dopo de' lor so-
stantivi.
Vi ha però rispetto a questi un' osservazio-
ne da fare, ed è che spesse volte essi s' adoprano
assolutamente, e corrispondono all'ablativo asso-
luto dei Latini. Or in tal caso i participi pre-
senti si posson mettere e pi ima e dopo, massima-
mente quando sono accompagnati dai nomi per-
sonali , e dai pronomi , come me presente , e pre-
senie me ; oia i participi passati e i gerundi ama^
no di star sempre innanzi ai sostantivi, di che non
può darsi altra ragione che 1' uso, perchè difatti
i Francesi ordinaiiamenteli melton dopo, dicen-
do per esempio le iemps étant veiiu , laddove noi
diciamo essendo uenufo il tempo\ e i Latini pone-
vano tutti i lor paiticipi indifferentemente e pri-
ma e dopo , come Augusto imperante , e impe-
rante Augusto.
Questo è il modo con cui disporre si deb-
bono le parti del discorso , per far nascere nell'.
altrui mente l'idee con quel medesimo ordine^
col quale da noi s' acquistatip. Dico col quale da
noi i' acquistano, non già col quale in noi si ri-
s\i'i,liano, dopo che già acquistate le abbiamo,
poiché di questo non può fissarsi alcun ordine cer-
to. Vedendo dei fiori, per esempio , in uno si rì-
sveulierà l'idea di qualche Pittore, a cui ne abbia
veduto dipingere ; in un altro quella dei fiori, che
colla seta e colia cera arti^cio^umente si fanno ;
in un altro quella di un giaidino, in cui n'abbia
osservato di rari e angolari: in altri altre cose diversìssime. Ciò dipende dalle varie congiunzioni d'
idee che si formano nella nostra mente, al mirare
un oggetto in una o in un'altra circostanza, le qua-
li congiunzioni d'idee fanno che, risvegliandosi
una, si risveglino ancora l'altre
Ora nel primo , Y idea dei iìori presenti ris-
veglia quella del Pitture, e della proprietà ch'egli
ha di dipingerli. L' ordine adunque delle sue idee
in quell atto h fioriy Pittore^ dipingere; ma noa
è già questo 1' ordine eh' egli deve tenere per far-
le nascere in me naturalmente. S'io vedessi at-
tualmente un Pittore a dipinger dei fiori, la pri-
ma idea che nascerebbe in me sarebbe quella del
Pittore ; appresso, dell'atto in cui sta di dipingere:
quella dei Iìori in me non può nascere se non dopo
eh' io abl>ia veduto dal suo lavoro uscirne un fio-
re. L' ordine dunque è questo Pittore dipingerCf
^0/7 , e quest' ordine stesso deve tenere chi vo-
glia eccitare in me naturalmente queste idee col-
le parole dicendo , per esempio il tal Pittore di-,
pin gè fiori.
Quest' ordine però non è cosi necessario ,
che non si possa talor variarlo. La lingua latina
• anzi amava moltissimo l'uso dell' inversioni ; e ciò
perchè le diverse desinenze dei nomi presso i La-
tini facevano agevolmente distinguere le loro di-
verse relazioni, onde senza pregiudizio della chia-
rezza se ne poteva in varie maniere trasporre l'
ordine. Nelle lingue che non han casi, come la
nostra , quest' uso non può essere cosi largamente
jiermesso. E difatti se invece di dire y^ugusto vin^
se Antonio , dicessi Antonio vinse Augusto , il
senso sarebbe affatto contrario ; e se dicessi vinse
Augusto , Antonio , o Augusto Antonio vinse ,
da chi non sapesse la storia , appena si potrebbe
Parte IV. Cap. IL i55
più intendere chi sia stato né il vincitore né il
vint(v Qualora adunque cosi il soggetto , come l*
oggetto siano del medesimo numero, e il signifi-
cato del verbo possa convenire egualmente all'
unoeairaitro, la chiarezza richiede assolutamen-
te che si conservi l'ordine naturale, e si ponga il
soggetto dinanzi al verbo , l'oggetto dopo. All'op-
posto, quando i due nomi siano di diverso nume-
ro, o che il significato del verbo non possa appli-
carsi che al soggetto soltanto, si può allora nella
nostra lingua eziandio liberamente usare l' inver-
sione; onde si può dire egualmente vìnse Ales-
sandro i Persiani , e passò Cesare il Rubicone ^
come Alessandro vinse i Persiani , e Cesare
passò il Rubicone. Anzi l' inversione in tal caso
serve a levare la noia che nasce necessariamente
da una costruzione senipre uniforme.
Sopra tutto , le inversioni usar si debbono
nel parlare appassionato; perciocché uno che sia
agitato da qualche passione non può aver campo
di analizzar freddamente le sue idee , e metter
prima il soggetto, poi il verbo , indi l'attributo ec-
Egli nomina prima quello che più gli preme , e
che la casfione del suo turbamento, sia egli il sog-
getto o r o^^etto del verboso qualunque altro
termine.
Ma qualunque costruzione, s' adoperi o sem-
plice, o inversa, convien badare; i. Di non lascia-
re giammai alcun termine isolato, un aggettivo
per esempio senza sostantivo, un verbo senza sog-
getto , un soggetto o un oggetto senza verbo, una
]»roposizione inci^f nte senza nome a cui si rife-
risca, una proposizione dipendente o subordinata
**»n/:^ la sua compagna ec. , salvo solnmenteallor-
ci;" .queste cose apertamente si sottintendono, a.
Che tutte le parti del discorso siano bene e esat-
tamente accordate fra loro, secondo le regole/:he
n' abbiam dato.
Quanto alla collocazione delle parole , sicco-
me la nostra lingua ama moltissimo l'armonia, e
un' armonia non uniforme , ma variata ; cosi l'
orecchio si è quello che ne deve dirigere, in modo
j>erò che non si perda giammai di vistala chia-
rezza che importa più di tutt' altro.
L'armonia, per dirne pur qualche cosa, pri-
mieramente nasce dal sapere ben temperar le vo-
cali di suono più grave e più aperto,, che sono T
«, r e e l'o con quelle di suono più debole e più
ristretto, che sono l' i e Vu, e le consonanti di spi-
rito forte , che sono ( sempre crescendo) la m, la
/z, il /, il^, lay, la 5, il gh, il eh seguiti dall' e e
dall' /, o il ^ e il e set^uiii dall' a,o , u, la r e la z
con quelle di sj)irito tenue, che sono i\ b ,\\ d f la
/ , e i 1 ^ e e seguiti dall' e e dall' /. z. Dal sapere
ben moderare la gravità delle parole , che han
molte consonanti, colla ])iacevolezza di quelle che
ne han poche. 5. Dal l>en disporre e distribuire
gli accenti, frammischiando accortamente le pa-
role piane alle tronche, e alle sdrucciole, e le pa-
role4unghe alle corte. 4- Da variarla costruzione
acconciamente, nel che dee tenersi una via di mez-
zo fra la costante uniformila de' Francesi , e le
molle trasposizioni dei Latini, imitate spesso so-
verchiamente dal Boccaccio, e da' suoi imitatori ,
e dagli imitatori di questi.
Ma non ogni maniera di discorso richiede la
medesima armonia. In un discorso famigliare , ia
un dialogo , in una lettera , in una narrazione si
vuole un armonia piacevole , tale cioè che non si
truoyi mai cosa che intoppi o che disgusti, e che
non generi tuttavia sazietà né fastidio. In un gra-
ve ragionamento l'armonia vuol essere più sonora
e più maestosa: quindi l'uso delle trasposizioni
^li si concede un pò più largamente; e come i pen-
sieri debbon essere più snblia)i , e il parlare più
forte e più sostenuto, cosi anche le parole si vuol
che siano più eleganti e più gravi , e le figure più
spiritose e vivaci.
Ma qui continuando noi entreremmo in ciò
che ai Retori s appartiene. Finireni dunque coli'
. vvertire soltanto di ben guardarsi da tutti gli
t'«,tremi, sicché mentre si cerca il grave e il ma-
cnilìco, non si vada nell'ampolloso, e mentre si
f^rs'dera il naturale e il piacevole, non si cada nel
|id>30 e neir insipido : sopra tutto poi che e iiell'
uno , e neir altro l' amore soverchio dell'eleganza
non porti all'oscurità od alla affettazione, che sono
i difetti da doversi schivare con più attenzione, )'
wno perché il più pregiudicevole , l altro perchè
il più noioso.
CAP. III: delle alterazioni die nelle cose precedenti p&t grazia e proprie! a di lingua sotto pennessey ossia delle Figure grammaticali.
iccoME dell* altre cose suaI avvenire , che in-
ventate da principio per bisogno , si volgono po-
'-r'.\ ancora al comodo ed al piacere, cosi è avve-
I. ) l'ur delle? lii.iie. Dopo che si fu stabilito
quanto era necessario per manifestare altrui i pro-
pi j pensieri, si è voluta nel discordo ancora la bre-
vità e r eleganza. A questo line »i sono introdotte
nelle regole alcune alterazioni che si chiamar) fi-
gure ; le quali son cinque {)rincipalmente. i. L'eZ-
/m/ ossia difetto, per cui si tralascia qualche par-
te del discorso che facilmente si possa sottinten-
dere. 2. Il pleonasmo ovvero abbondanza , per
})er cui se n'aggiunge qualcuna non necessaria od
anche superflua , per dare al discorso maggior
pienezza ed ornamento. 3. La sillessi ossia con~
cezione, per cui qualche parte del discorso non si
accorda come dovrebbe coli' altre. 4- h' cnallage
o pei mutazione, per cui una parte all'altra si so-
stituisce. 5. L' iperbato o rovesciamento , per
cui si turba l'ordine loro naturale. Noi parleremo
brevemente di tutte e cinque.
Dell'Fllissi.
MOLTE delle maniere ellittiche della nostra lingua, già si sono da noi a' luoghi opportuni accennate, come è : i. 11 sopprimere nelle proposizioni che si succedono ora il soggetto , ora il verbo , or altra cosa che abbiano di comune , per esempio
egli è un Principe giusto è pio , invece di egli è
un Principe giusto, egli è un Principe pio. z. 11
sopprimere innanzi alla preposizione di il sostan-
tivo universale, come era di giorno, era di notte,
invece di era in tempo di giorno o di notte. 3. Il
sopprimere i nomi personali quando sono il sog-
getto della proposizione , come vii^o , vivete , in-
vece di io vivo, voi vivete. Ma queste ellissi sono
passate cotanto in uso, che niimo più vi pon men-
te , e si riguardano generalmente come maniere
piuttosto comuni che figurate. Alcun' altre noi
qui ce accenneremo di assai più particolare osser-
vazione.
Ellissi del sostantivo. Cader da alto , scen-^
der al basso sottintendendo luogo. Levarsi , ta-
cendo del Iciio. Esser da ìtiolto o da poco, ciò»
inerito o pregio. Durar molto, poco, troppo, cioè
tempo.
Ellissi del verbo finito . Boccaccio gior. 8.
rov. 6 : Maraviglia che se stato una volta sa"
vio, cioè maraviglia è. Via di qua, cioè va via ;
qua, cioè vieni <^\xa ; bene, cioè va bene; volen-
tieri, cioè il farò volentieri.
Ellissi del verbo infinito. Egli giunse /ì/t
là , ma più avanti non potè , o non seppe o non
volle : si supplisca andare o/are. Andare o man"
dare per una persona o per una cosa , maniera
usitatissima dui Toscani, sottintendendo /7erc/i/a-
marla o per prenderla.
Ellissi del participio. Misero ! a che son io ?.
cioè ridotto.
Ellissi della preposizione. Dar mangiare o
bere usato spesso dal Boccaccio per dare a man-
giare o a bere. La Dio mercè , ove si sottintende
per la mercè di Dio. Vi ha similmente la soppres-
sione della preposizione per quando si usa che in-
yece ài perchè , e della preposizione in quando
egli si usa in vece di in cui , come nel tempo che
egli vivea. Coi prononù costui , costei , costoro
abbiam già notato come spesso si sopprima la pre-
posizione di , e coi pronomi cui e altrui anche la
preposi/.ione a.
Ellissi dell' interposto. Misero me ! lasso
me ! beato lui ! sottintendendo oh o ahi.
Ellissi della coiigiunzione. Il r.//e quando eqjii-
vale h\V ut dei Latini spesse volte si ommette ,
specialmente dopo i verbi temere, dubitare e pa»
're , come dubitava o temeva non gli avvenisse
alcun male ; parmi non sia ancor tempo. Le con-
giunzioni pure e così si ommetton anciresse quan-
do sono correlative di quantunque e siccome ,
ove la preposizione precedente bia breve , e però
Jacilmente vi si possano sottintendere, conne//ua«-
tunque Jiisse circondato da ogni parte , se ne
fuggì ; siccome temeva di qualche mala veutw
ra , 7ion volle restare. Si sopprime non di rado
anche perciò y come il tempo minaccia, conviene
aj frettarci. L' e e V o si tacciono spessissimo, S|>e-
zialmente quando pili aggettivi si debbano unire
al medesimo sostantivo, nel qual caso la congiun-
zione no» si dà per lo più che all' ultimo , come
uel capo delle congiunzioni abbiam già detto.
Jn molti do' neutri passivi s'usa l'ellissi de'
nomi personali , come ajjondare per affondarsi .
Gìo. Villani : E più galee delle sue affondarono
in mare. Agghiacciare per agghiacciarsi. Pe-
trarca : Agghiaccio ed ardo. Aggravare per ag-
f^ravarsi, pei;giórar nella inalaitia. Boccaccio: JE
là parlato non migliorava , via quasi più forte
aggravava. Ammalare per amnialarsi. Gio. Vil-
lani : Avvenne die il detto Patriarca ammalò a
morie. Atinegare per annegarsi, (jio. Villani : Il
ijual Tiberio annegò nel fiume d'Albula.Anni'
ghittire per annighittirsi. Passavanti: A'o« lo la»
sciano annighittire. Impoverire ])er impoverirsi.
Boccaccio : Tre giovani impoveriscono. Inferma-
re per infermarsi. Boccaccio: La Reina ai Fran-
cia infermò gravemente. Prosperare per prospe-
rarsi , aver prosperità. Boccaccio: La quale egli
potea vedere sempre prosperare. Sbìgutiiie in-
vece di sbigottirsi. Boccaccio : /,c donna senza
'Sbigottir punto con voce piacevole rispose.
Del Pleonasmo. questa figura rulaconsi le particelle espletiire o i ripieni j de'quali alcuni s' ad aprano per dar maggior forza al discorso, e dlconsi d' ci'idenza , «Itri si usano per semplice ornamento. I primi sono:
Ecco. Boccaroio gior. 8. nov. 7 : Ecco io non so ora dir di no. Similmente : Ecco la cosa è riuscita tutto al contrario. Ecco io sono ora per te
ridotto a mal termine.
Bene. V andrò si bene. Or bene, che n'a\r- rerrà ? Voi sapete bene o troppo bene quello che avete a fare. Gli involò ben cento doppie. Dea
presto se ne fuggi.
Bello. Boccaccio: Per belle scritte di loro mano s'obbligarono l'uno ali r Uro. le portò cin~ quecento be fiorini duro. Chi facesse le macini beli e fatte legare in anella.
Pure. Il dirò pure. Egli è pur desso. Pur finalmente , o pur una volta V ho giunto. Deh pur fosse cosi.
Già'. Già Dio non voglia che ec. Se già non fosse che ec, in vece di cui s'adopera anche se pU' re , se mai non fosse. Rispose , non già. lì fece
non già per amore , ma per interesse. Non vi fu
giammai.
Mai. Mai sempre per sempre. Alaisl, mai- nò ^ per 4Ì, no. Vi sarei)be egli mai qui alcuno?
E' egli mai possibile ? Quando mai si trovò che
ec. ?
Mica e ponto. Boccaccio: Una ne dirò non mica d'uomo di poco ajfare. Tedaldo non è punto morto.
Tutto. Stanasi tutto timido, tutto confuso. Boccaccio: Tutto sì raccapricciò. U giovano lut-» lo solo. Tutto a pie fattosi loro incontro, riden»
do disse. Il letto con tutto ìnesser Torello fu tolto via.
Uno. Boccaccio : Se i miei argomenti frivoli già tenete y quest'uno solo ed ultimo a tutti gli altri dia suppUmento. Petrarca : il caramente accolse a se quell'uno.
Ora. Boccaccio: Or che non vai là dove sei aspettato? Deh or t' avessono essi affogato ^ come essi ti gittaron là, dove tu sei degno d' es» ser gittato.
Altrimenti. Io non so altrimenti chi egli sia. Egli noi volle fare altrimenti.
I nomi personali spesso si replican due volte. Jo il 8o bene io quel che farò. Tu il vedrai bene tu come ne sarni concio, e cosi degli altri.
Quelli che s' usan per semplice ornamento, «ono KCLi, Ei, e', ella, e per accorciamento gli, LA, come abbiala già notato nel capo ultimo del-
la prima Parte. Mi, ti, si, ci, vi, ke, o soli o uniti con la , come : io mi credo che ninno qui v' abbia. Ei se la vive assai lietamente. Non so se v'abbiate co-
nosciuto un certo tale. Tn di qua te «'andrai ben tosto, e simili. Esso con lui, lei, lorOy noi, voi, come e55o- luì, essolci, essoloro ec. Con innanzi a meco , teco , seco che già lo contengono. Il Boccaccio disse anche gior. 3. nov.
IO. con esso teco. Sì , che qualche volta si adopera invece di
anche, come il Boccaccio gior. 6. nov. 9 : Oltre queliti che egli fu ottimo Filosofo morale , sì fu egli leggìadrissimo e costumato; qualche vol- ta per certamente , come lo stesso gior. 4* nov." 8: Fogliamo che altro male non ne seguisse , sì
ne seguirebbe che mai in pace ne in riposo con lui viver potrei'^ e qualche volta per semplice ripieno, come Io stesso pure gior. 9. nov. 9. «Se ti
piace, sì ti piaccia^ se non, sì te ne sta.
Non è pure sovente un pleonasmo , specialmente cui nomi niente e niuno , e dopo il verbo temere, quando si teme che avvenga una cosa ch« non si vorrebbe ; come , cominciò a temere che il fatto non andasse a riuscir male; e nel Boc-
caccio gior. 7. nov. 9 : lo temo for'e che Lidia con consiglio e voler di lui questo non faccia per dovermi tentare.
Anche il dovermi in questo esempio è un pleonasmo , esiiendo il senso questo non faccia per tentarmi. E simili pleonasmi s' usano di frequente si col verbo dovere, come coi verbi anda» re e venire^ come nel Boccaccio: Richiese i Clierìci di là entro che ad Ahraam dovessero dar9 il battesimo, cioè dessero. Tutto il venne con"
siderando, cioè lo considerò. Gli venne trovato un buon uomo, cioè trovò, y/ me medesimo incresce andarmi tanto fra tante miserie ravvolgendo, cioè ravvolgermi. Vanno fuggendo quello che noi cerchiamo di fuggire, cioè fuggono;
Spesso però il verbo andare coneiunto al gerun-
dio d'un altro -verbo signiiìca il frequentativo;
cos'i spesso la medesima cosa gli andò dicendo
equivale a dictitavit. 1 Francesi si valgono assai opportunamen-
te dA verbo andare per significare un futuro
pr(j>sirao, come fé m en vais vnus dire camme
cela, est arrivi- ; e del verbo venire per significare «n passato prossimo , come ce que je vicns rie 'vous dire. Al secondo noi suppliamo cogli avver-
bj teste, or ora; come quel che -vìio detto or ora^
ma al primo non abbiamo espressione corrisj)un-
dente, perciocché vi dirò ora mi farò ora a dir-
vif che potrebbero usarsi in cambio, non equival-
gono appieno alye m^en vais vous dire.
Della Sillessi.
V^uESTA non è molto in uso. S'adopera tuttavia
col veibo avere y come : assai pochi vi ha che
noi veggano. Essolei , essoloro ^ esso noi, esso
voi sono pure altrettante sillessi. Nei participi
usati assolutamente si dice qualche volta trovato
una spada invece di trovata , gettato più dardi
invece di gettati; ma queste maniere si debbon
riferire piuttosto all'ellissi, sottintendendosi ate/t-
do trovato, avendo gettato.
DelV Enallage.
J_jA sostituzione di una parte dell' orazione ad
un' altra è di un uso assai più frequente, come
dell'aggettivo invece dell' avveibio. Chiaro co-;
nosco \)er chiù? amente ; ti dico aperto per aper-
taìnente ; temo /orte ^ter fortemente ; dolce par-
la' dolce ride, dolce sospira per dolcemente.
Del participio \)eT Y infinito. Boccaccio nov.
ultima : Fece venire sue lettere contraffatte da
JRomaf e fece veduto a' suoi sudditi ec. peryéce
vedere.
Dell'infinito invece del soggiuntivo. Boccac-
cio glor. 5. nov. io: Qui ha questa cena , e non
sarìa chi mangiarla invece di chi la mangiasse;
ma è da usarsi di rado.
fu(j t ut-fcuLft:, jc ,iv,i fosse uno che stava ritto
innanzi y die lo tenne per lo braccio, cioè se nor^
foise stato.
Dell' Iperbato.
J_Ja' Grarfimatici si distinguono cinque sorte d*
!}>eibato ; Y anastrofe , cioè trasposizione, che è il
porre avanti una parola che si dovrebbe por do-
]>o, come /a pur dirò invece di la dirò pure, la
nji ho data invece di ve V ho data ; la tmesi che
è il dividere una parola frapponendone qualcun
altra , come accio dunque che veggiate ec. in
vece di accioccìiè dunque ; la parentesi che è l*
interrompere una proposizione , mettendone di
meizo un' altra o per risf hiarare qualche parte
delia proposizion principale , o per avvertire al-
cuna cosa che si giudichi necessaria , o per d^aro
magoior forza al discorso , come nel Boccaccio :
lo opposi le forze mie {come Iddio sa ) quanto
potei. Le parentesi debbono es^er corte , perchè
non rompano l'ordine della proposizione princi-
j>a!''. '■ < piando la necessità pur richieda che ven-
f .' \u ^lie, si debbon ripetere le parole prece-
«! ri alla parentesi per ripii;liare il filo della prin-
tijule proposizione. Le altre due maniere d'i{>pr-
bato , che sono la sinchisi , cioè confusione di co-
8trazi<»ne , e Vaiwcoluthon , cioè inconseguenza ^
eh** è il mettere una voce isolata e senza corri-
^ )no anzi diA-tti che ligure, o proprie-
L ^ ^-io; e *i debbono però schifare^
Resta ad osservare riguardo alle figure io ge-
nere , che siccome esse a rigore sono altrettante
irregolarità , cosi debbonsi usar parcamente. Chi
ne lia un abuso soverchio oltre al cadere nella
affettazione , dee introdurre necessariamente ne*
suoi discorsi dell' oscurità e della confusione.
CAP. IV: Delìe Voci diverse che servono ad esprimere
una medesima ìdea^ ossia de Sinonimi ^ e con
questa occasione dei veri vantaggi di una
lingua.
J_iA copia de' sinonimi in una lingua può esser
utile in una parte, in quanto a chi ben la possiede
porge maggiore facilità di sciiverla, e giova alla
varietà, uno de' principali fonti dell'eleganza ; ma
è pregiudicevole per V altra in quanto la rende
più vaga emen precisa . La vera ricchezza di una
lingua consiste nell'avere abbondanza di termini
significanti diverse idee, esprimenti cioè i loro di-
versi gradi , le loro diverse collezioni , più o mea
generali , i loro rapporti scambievoli ec.
Io vorrei che formar si potessero come varj
alberi , in cui il tronco contenesse una parola si-
gnificante , un' idea complessa formata di molte
unioni d' idee semplici ; ciascuna unione d'idee
semplici avesse le sue parole corrispondenti, e
formasse le radici maggioii del tronco ; e ogni ra-
dice maggiore fosse poi divisa in varie barbe mi-
nori contenenti i nomi dell' idee semplici, dalla cui
unione risultano di mano in mano le più com-
poste.
Che se non vi fossero altre voci primitive I
6c non quelle che esprimono P idee semplici , e ^
colla composizione di queste si potessero esprime-
re r idee composte, quanto non sarebbe la lingua
ancor più comoda e più vantaggiosa ;' Quanta fa-
cilità nell'apprenderla , quanta brevità nell' e-
sprimersi , quanta precisione nel determinare le
proprie idee , e nel risvegliarle in altrui ? Quante
definizioni e dichiarazioni di termini che non sa-
rebbero più necessarie ?
Ma questo ottenere non si potrebbe che in
una lingua lormaia da filosotia bella posta , nella
quale inlìnite cose v'avrebbero ancora ad osser-
vare. Converrebbe a cagion d'esem{)io , che nei
nomi degli animali soltanto si Tacesse la distinzio-
ne de'due generi maschile e femminile, che le co-
se inanimate si ponessero tutte in un terzo gene-
re , e che i nomi di un genere stesso avessero una
stessa terminazione nel numero del meno, un' al-
tra medesima in quello del più. Quanto ai casi
non vi dovrebb' essere altra distinzione che quella
del nominativo e dell'accusativo , per distinguere
agevolmente il soggetto della proposizione dall'
oggetto relativo del verbose questa distinzione
potrebbe indicarsi con un affisso, o con un pre-
fisso costante , senza introdurre novelle varietà
di terminazioni. Nei verbi basterebbe una sola
coniugazione con un segno costante per distin-
guere i passivi dagli attivi , e dagli intransitivi , e
in questa coniugazione, oltre alù* determinazioni
di numero e di persona, io vorrei anche tutte quel-
le de' tempi e de' modi realmente diversi, de' qua-
li riguardo ai primi a noi manca il futuro prossi-
mo, che i (jreci avevano benchù ne' passivi sol-
tanto f e riguardo ai secondi l' ottativo , che essi
pure avevano , e che non lascia d' essere di qual-
che uso. Quanto alia maniera di determinare que-
ste varie modificazioni de' verbi, all' uso degl' In-
glesi di adoperare costantemente la desinenza dell'
infinito, e premettere continuamente i nomi per-
sonali per indicare i numeri e le persone , e varj
preKssi per indicare i modi e i tempi , preterirei
quello delle diverse terminazioni, si per evitare
la soverchia uniformità e ripetizione de' medesi-
mi termini , come per rendere più breve e più
chiaro il discorso. In questo io non so nemmeno
approvare il lor uso di non variare gli af!gettivi
né per generi nò per numeri ; tanto più che ser-
vendosi essi non poco delle trasposizioni , princi-
palmente nelle poesie, non si scorge sovente a pri-
ma vista a qual sostantivo un aggettivo apparten-
ga. Ps'ei pronomi però sono essi più regolari degli
altri , usandone uno costantemente pei maschi ,
un altro per le i't-inmine, e un terzo per tutte le
cose inanimate . Le n)edesime determina2'oni ili
tempo essere dovrebbero ancora ne' participi, co-
me le avevano i Greci. Gli articoli abbiam ve-
duto di quanto vantaggio siano per determinare
ii significato de' nomi ; ma l'uso ne deve esser co-
stante e regolare. Tale deve esser pure quello del-
le [)reposizioni , degli avverbj , delle c>)ngiunzio-
ni e degli interposti, per non tare che una voce
medesima abbia significati diversi, né che ve n'ab-
biano molte esprimenti una stessa idea.
Di questi vantaggi le lingue o morte, o vi-
venti che abbiamo, non godono se non in parte.
L'ebraica per esempio ha quello di trarre da po-
che radici, e semplicisiime per la maggior parte
tutta la varietà de' suoi ternjini , di poter con uà
verbo medesimo leggiermente diversificato esprimere sette sensi, come amare , esser amato%
amar grandemente , esser amato grandemente y
far amare , esser fatto amare , amar se stesso.
Oltre alle variazioni dei numeri e delle persone ,
gii Ebrei avevan nei verbi anche quella dei gene-
ri, utile spesse volte per accennare determinata-
mente il soggetto della proposizione. Ma scarseg-
giavan di tro[)po nei modi e nei tempi, non aven-
do rispetto ai primi che l'indicativo, l'imperativo
e l'infinito , e riguardo ai secondi , avendo soltan-
to il passato , il futuro e il presente, che però si
confonde col participio, e non ha distinzion di
persone. Oltre ciò nel futuro la seconda persona
maschile del singolare, eia terza femminile hanno
una medesima desinenza , come una stessa n' han
tuire la seconda e la terza femminile del plurale.
\iguardo ai nomi avevan anch'essi, oltre al singo-
lare e al plurale, il numero duale come i Greci, il
anale ò per altro di pochissima utilità; avevan
1 articolo , non avevano casi, e quanto alle desi-
nenxff de' generi « de' numeri avevan la stessa ir-
regolarità delle nostre lingue , sebbene forse mi-
nore , poiché si i maschili che i femminili avevaa
quasi tutti nel plurale una terminazione costante.
Nella lingua greca utilissima era la composi-
zione delle parole; perciocché quante idee com-
plesse per lei non si esprimevano con un sol ter-
mine/ Ci avvantaggiavan ne' verbi d' un modo e
d'un tempo veramente significanti, come poc'an-
zi abbiam detto, ed avevano tutti i tempi ne' par-
ticipi ancora. Nei nomi avevan gli articoli e i ca-
si , avevan tre generi maschile , femminile e neu-
tro ; tre numeri singolare, duale e pluriìle, i quali
numeri avevano ancora ne' verbi. Ma perchè poi
dieci declinazioni nei nomi, perché neVcrbi tren-
fasci coniugazioni , tredici degli attivi, tredici de'
passivi , e dieci de' niedj ossia comuni , verbi già
difettosissimi per se stessi , siccome quelli che
hanno con una medesima desinenza il significato
or attivo , or passivo ? Non vi dovrebbero essere
nelle lingue altre variazioni di desinenza , se non
quelle che son necessarie per esprimere più bre-
vemente e più chiaramente i diversi significati o
assoluti, o relativi d'una medesima voce. I Greci
all'opposto dopo aver già introdotto tante coniu-
gazioni de' verbi attivi e passivi , dove una sola
hastar potea , han voluto introdurre , per confon*
che i verbi che chiamano circonflessi , in cui il
passivo e '1 medio hanno una medesima desinen-
za. E ben poteano far lo stesso ancora cogli altri,
siccome han fatto i Latini, che hanno anch' essi
ii difetto de' verbi comuni e deponenti , ma alme-
no non han per essi introdotte nuove desinenze.
S' aggiunga che ne' verbi hanno un tempo inutile,
che è r aoristo secondo , avendo egli il medesimo
significato del primo, che è corrispondente per lo
più al nostro perfetto indeterminato. E l' unione
de' cinque dialetti , quanto non ha accresciuto la
moltiplicità già eccessiva delle inflessioni de'nomi
e de' verbi ? Quanti sinonimi inutili non han poi
introdotto ? Alcuni ammirano in tutto questo la
«omma abbondanza della lingua greca ; ma non
«o se le lingue che amano 1' esattezza abbiano
molto ad invidiarle questo vantaggio , come all'
incontro le debbono invidiare gli altri veri van-
taggi sovraccennati.
Quanto alla lingua latina , cominciando da*
casi che a lei sono coamni colla greca, essi certamente e per la brevità , e per la chiarezza , e per
Ja precisione non lasciano d'essere utilissinni. Si
osservi però, che trattone il geniti vro, che ha un
significato corrispondente alla nostra preposizione
<ìi , gli altri casi presso di loro non hanno alcun
senso significativo, ma T hanno indicativo soltan-
to. 11 nominativo indica il soggetto della proposi-
zione ; r accusativo T oggetto relativo del verbo ;
il dativo si accompagna sempre o con nn verbo, o
con un aggettivo per indicare semplicemente il
secondo termine delle relazioni da loro espresse ,
se non che equivale qualche volta alla preposizio-
ne prò ; l'ablativo è sempre retto da una preposi-
zione o espressa , o sottintesa : del vocativo non
parlo , che non ha una terminazione propria se
non nel singolare della seconda declinazione . L«
relazioni adunque che non sono espresse dai verbi
né dagli aggettivi , dovevansi esprimere ancor
dai Latini per via delle preposizioni ; ed è ben
chiaro che i nomi preceduti da queste, non impor-
ta che abbiano una desinenza, piuttosto che un'al-
tra. Tuttavia la distinzione almeno del nomina-
tivo e dell' accusativo era certo utilissima , come
già abbiamo notato: dell'ablativo al contrario
avrebber potuto anch'essi comodamente far sen-
za, alla maniera dei Greci, unendo le proposizio-
ni ai casi che di già avevano , senza introdurre
una nuova terminazione superflua.
Ma oltreciò quanta irregolarità e negli uni ,
e negli altri non v ha in questa parte? Per parla-
re dei Latini soltanto , perchè anch'essi stabilire
cinque declinazioni , ove una sola potea bastare ,
e poi confondere nella prima il genitivo e dativo
singolare col nominativo plurale , come mus(r
( non dico auche il Dominativo coll'abldtivo singolare , perchè voglio supporre che essendo V a fi-
unle , dell' uno breve e dell'altro lunga , il distin-
guessero abbastanza colla pronunzia); nella se-
conda il dativo coir ablativo singolare , come do-
mino ; nella terza quanto al singolare, in molti il
nominativo col genitivo, come hostisj in al-
tri il dativo coir ablativo , come na^»/; e quanto
al plurale, in tutti il nominativo coli' accusativo,
come menses ; nella quarta il nominativo e e;eni-
tivo singolare col nominativo e accusativo plura-
le , come sensus ; nella quinta il nominativo sin-
golare col nominativo e accusativo plurale , e il
genitivo singolare col dativo , come dies e dìei ;
in tutte il dativo coU'ablativo plurale, e il vocati-
vo tanto singolare come plurale col nominativo
(eccetto solo il singolare della seconda); e nei
neutri oltreciò il nominativo tanto singolare che
plurale coir accusativo ? Han voluto moltiplicare
le desinenze ove non v'ha bisogno, e han poi man-
cato di distinguere quelle che realmente dovevan
esser distinte.
Riguardo ai generi , giacché i Greci e i La-
tini avevano introdotto anche il neutro , perchè
metter poi nel maschile e nel femminile la mag-
gior parte delle cose inanimate, che al neutro do-
.vevano tutte appartenere ?
La mancanza dell'articolo è un difetto della
lingua latina, che rende in essa assai meno deter-
minato il signilìcato dei nomi , che nella ebraica ,
nella greca, e nelle lingue moderne.
Nei verbi avevano i Latini quattro coniuga-
zioni attive, e quattro passive, laddove noi ci con-
tentiamo di tre sole attive , formando tutti i pas-
sivi col verbo essere . Mancavan eglino del per-
fetto indeterminato, e del soggiuntivo condizionaie. Avevano maggior copia di verbi irregolari.'
Lascio , per non ripetere quel che ho detto di so-
pra , r irregolarità de' verbi comuni , e del depo-
nenti.
Dei participi avevano più di noi il futuro ,
ma non potevano usare nel loro neutri il passato,
dicendo ventus per esemplo, o ituSy come noi di-
ciamo venuto e andato.
Nelle preposizioni eran più regolari di noi ,
perciocché le diverse relazioni che noi siam for-
zati ad esprimere confusamente colle due pre-
posizioni da e per eran da loro distintamente si-
gnificate colle preposizioni diverse a , e.c , de ; e
per, ab , pne , prò ; la relazione di stromento era
distinta da quella di compagnia col sopprimere ,
come facevano per lo più , la preposizione cum ;
e cosi si dica d'alcune altre.
Quanto agli avverhj, alle congiunzioni e agli
interposti , presso a poco siamo eguali.
Le regole del regime erano nella lingua grf»*
ca e nella latina assai più avviluppate che non suo
cella nostra, a cagione del grand uso eh essi faceva-
no dell' ellissi ; quantunque alcuni Grammatici
son poi concorsi ad avvilupparle molto di più che
non l'erano naturalmente.
Quanto alla copia de' termini significanti , le
lingue moderne hanno tutti quelli di più che
esprimono le nuove idee dagli uomini acquistate,
a misura che le loro cognizioni colle nuove sco-
perte si sono andate accrescendo . Ma se riguar-
diamo air idee , che comuni erano ancor fra gli
antichi , la lingua greca e la latina han tuttavia
molti termini esprimentissimi , che le moderne
non hanno adottato , e a cui non ne hanno sosti-
tuito di altri corrispondenti.
Egli sarebbe desiderabile , che tutti usassero
la libertà degli Inglesi , di arricchire la propria
lingua con quello che v' ha di meglio nell' altre.
<^uaDte nuove espressioni cavare non potrebbero
gli uni dagli altri , e adattandole al genio della
propria lingua , renderla più feconda, piìi signifi-
cante , più chiara , schivando le lunghe circonlo-
cuzioni che son necessarie molte volte per rende-
re quelle medesime idee che da altri s' esprimono
con una sola parola ?
Non sono però da tollerare coloro che non
sanno introdur che sinonimi. Perchè infatti usare
un latinismo o un francesismo , ove abbiamo in
italiano già altri termini corrispondenti ? E' egli
forse si scarso il numero dei sinonimi fra di noi,
c;he sia di mestieri 1' accrescerlo di vantaggio?
Sarebbe anzi all' opposto cosa degna dell' o-
pera di un filosofo il cercar di ristringerlo. Né in-
tendo io già per questo che s' abbiano a sbandir
dall' Italia le voci che già vi sono. Basterebbe sol-
tanto esaminarle maturamente , e ben determi-
narne il significato , osservando quelle che espri-
mono un' idea più o men generale , più o men
composta, penetrando a distinguere le loro mini-
me difterenze , i loro gradi diversi , i loro diversi
usi , separando quelle che sono proprie da quelle
che son figurate , le primitive dalle derivate , la
semplici dalle composte ec.
Io non so se si potrebbe scoprire in tutti i
termini un significato diverso : so ben che moltis-
simi di que' che paion sinonimi , e che si usano
come tali comunemente , si vedrebbero aver un
senso realmente distinto ; e questa determinazio-
ne renderebbe la nostra lingua assai più precisa
cU' ella non è.
CAP. V: delle voci che esprimono più idee diverse
Oe è , a parlar rigorosamente , una superfluità pregiudicevole in una lingua l'aver più voci esprimenti una stessa , idea , egli è un difetto assai più pregiudicevole l'esprimere diverse idee con una voce medesima , specialmente quando siano idee
affatto disparate, e che non abbian tra loro ninna simiglianza o relazione. Io non so tuttavia , se da questo difetto vi sia alcuna lingua che vada esente. La nostra certo non lo è, in cui moltissime sono le voci che hanno diversi sensi. Siccome però
i sinonimi molto contribuiscono alla varietà e all' eleganza, cosi fanno ancor queste voci quando siano ben usate. Noi andremo qui enumerandone le principali, cominciando dai verbi in cui ve n' ha maggior numero.
Accattare oltre al significato di inendicare ha quello ancora ò\ prendere in prestanza. Boccaccio gior. 8. nov. 2. nel tit.: Accattato da lei un mortaio il rimanda.
Adagiare si adopera T^er fornire uno dr qualche cosa. Boccaccio gior. 2. nov. 8: Gli ebbe di tutto ciò che bisognò loro , e di piacere era, fatti adagiare.
AoGiuGNERE sì USE lovece di giugnere. Boccaccio gior. IO. nov. 3: Quando aggiugnerò io alla liberalità delle gran cose di Natan?
Amar meglio s'adopera per voler piuttosto^ Boccaccio nov. i : Jo amo molto meglio di dispiacere a (queste mie carni, che ec. Andarne la vita, andarne la testa signifi-
ca essere stabilita per un delitto la pena di morte.
Boccaccio gior. 7. nov. 8: Come fostu sì folle, che tu con/essassi quello che tu, nonjacesti giammai, andandone la vita ?
Apporre si usa per incolpar uno a torto. Boccaccio gior. 7. nov. 8; Il marito poteva' per altra cagione essere crucciato con lei , e ora ap-
porle questo per iscusa di se,
Apporsi vale indovinare, Malmantile caDt. a. ott. 75.
K venne immaginandosi , e s'appose Cli ella fosse sua moglie, ei suo marito.
Attenersi si usa per appartenere. Ambra Furt. att. 2. se. 7; IJ eredità s' attenerà a me. Per esser parente. Salviati Spina, att. i. se. 4«
Erede d uno che non t attiene quasi nulla. Per
tenersi, stare ad unacosa. Boccaccio gior. 8. nov.
IO : Attenendosene Salabaetto alla sua sempli-
ce promessione.
Avere s'adopera per riputare. Boccaccio nov. i; Gli diede la sua benedizione avendolo per santissimo uomo. Per ottenere, e procaccia-
re. Nov. ant. 64: Ebbe un cavallo , e da suoi
fanti il fece vivo scorticare. Per ritenere. Boc-
caccio gior. 2. nov, 4 * Disse alla buona femmi-
na che più di cassa non aveva bisogno, ma che
se le piacesse un sacco gli donasse , e avessesi
quella . Per intendere o sapere. Boccaccio gior.
4. nov. 9: Donna , io ho avuto da lui, che egli
non ci può essere qui domane.
Avvenirsi si usa per abbattersi. Boccaccio
gior. 9. nov. 3 : Ovunque con persona a parlar
s'aweniva. Per convenire, star bene. Guido Giu-
dice p. 271 : Oh come s' avi>enne al iavio uomo
d esser cauto ! E per avere attitudine e awe/ien-
za nelioperare. Firenzuola dial. bel. don. p. 3i8:
«Se ella va, ha grazia ec. finalmente e se le av-
viene ogni cosa maravigliosamente.
Avvisarsi per accorgersi. Franco Sacchetti
nov. 78 : Gentiluomo, avvisiti tu di nessuno che
queste cose ti faccia? Per deliberare. Boccaccio
nov. 3 : S avvisò di fargli una forza da qualche
ragion colorata. E per credere o esser di parere ,
nel qua! senso s'adopera anche avvisare o esser d'
avviso.
Condurre per indurre. Boccaccio gior. 2.
nov. 6 .* Con la maggior fatica del mondo a
prendergli, ed a mangiar la condusse.
Confortarsi per concepir fiducia. Boccac-
cio gior. 3. nov. 9 : Come costei V ebbe veduto ,
cosi incontanente si confortò di doverlo gue-
rire.
Conoscersi per intendersi , aver periziai
Boccaccio gior. 8. nov. 2 : Per quello che mi di-
ce fìolietto , che sai che si conosce cosi bene dì
questi panni sbiavati.
CoNi>ENTiRE per accordare, permettere. Boc-
caccio gior. 2. nov. 8 : Prima soffrirebbe di es-
sere squartato f che tal cosa né in se ne in altrui
consentisse.
Contendere per vietare , impedire. Gio.
Villani lib. 8. cap. 40: Contesono loro il pa^so.
Crescere \mìt accrescere. Gio. Villani lib. i.
cap. 48: E crebbono assai la città di Pisa. E per
allevare. Boccaccio gior. 2. nov. 8 : Come fi-»
gliuola cnsciura m' avete.
DoMAKDARE per interi osare e richiedere dì
alcuna persona. Boccaccio gior. 2. nov. 3: AleS"
Sandro domandò l oste là doue esso potesse dor-
mire. E gior. i. nov. i : Se ne andarono ad una
religione di frati, e domandarono alcuno santOy
o savio uomo.
Essere a una persona o a un luogo, vale ati/'
dare o arrii'are. Boccaccio gior. 5. nov. 5. 7 pa-
renti deir una parte e dell' altra /urono a lui , e
con dolci parole il pregarono.
Fare si usa per risvegliar l'idea di qualunque
verbo precedente. Boccaccio gior. 2. nov. 6: Co-
sì lei poppavano, come la madre avrehher JattOy
c\oh poppato. Trattandosi di tempo , significa il
termine di una quantità di esso determinata. Cec-
chi Stiava att. 5. se. 6; Ha tu a memoria , cho
or fan sedici anni eli e mi fu tolto ? Cosi sul far
del giorno , suljar della notte signi Rcan nel co-
niinciare del giorno o della notte. Far forza vale
importare, lioccarcio gior. 8. nov. 8; Disse il
Zeppa, egli è ora di desinare di (juesta pezza:
Spinelloccio disse , non fa forza , io ho altresì a
parlar seco d'un ?nio fatto. In questo senso s'ado-
pera anche il solo fare. Boccaccio gior. 5. nov. 4«
Che vi fa egli , perchè ella sopra quel veron si
dorma ?
Farsi si usa per innoltrarsi. Boccaccio gior.
2. nov. 4* Fattasi alquanto per lo mare. E per
affacciarsi. Boccaccio gior. 3. nov. 3: Né posso
farmi né ad uscio né a finestra. Falli con Dio ,
vale resta o vanne con Dio , modo di salutare o
di licenziare. Boccaccio gior. 7. nov. 10: MeuC"
ciò , fatti con Dio , eh' io non posso più stare
leco.
Frammettersi, inframmettersi , trammet-
lersiy intrammetleisi va^l ouo esser mediaioref e
Pane IV. Cap. V, 179
ingerirsi. Tratt. Piet : L'uomo non si frammetta
di giudicare ciò che a lui non appartiene.
Giovare si usa alla maniera latina per pia-
cere. Boccaccio gior. 5 : nov. 5: Poiché Filostra-
to ragionando, in Romagna è entrato, a me per
/juelLa similmente gioverà d'andare alquanto
spaziandomi.
Menare 5mflW7>, menar orgoglio significa
smaniare, insuperbire. Boccaccio gior. 8. nov. 2:
i\'e im'aghì sì forte , ch'egli ne menava smanie.
Carlo Dati, Prose Horent. part. i. voi. 4- oraz.
9: Desiderabile è la nobiltà, ancorché di lei so-
la alcun non debba menar orgoglio. Menar la
l'ita significa vivere.
Mettere si usa in senso iotransìtivo per
ishoccare. Gio. Villani lib. 11. cap. i : Per l'ag-
giunta di più fiumi, che di sotto a Firenze met-
tono in Arno.
Montare per importare , e s' adoperan nel
Tnetlesinrìo senso anche levare e rilevare. Gio. Vil-
lani lib. IO. cap. 86. Assalivano l'oste^ rrui poco
levava , si aveva Castruccio afforzato il campo.
Dante, Par. cant. 3o : Lxi legge naturai nulla
rileva. Boccaccio gior. 2. no?. 9: Tu diresti e io
direiy e alla /ina niente monterebbe.
Morire si usa ne'passati per uccidere. Boc-
caccio gior. 9. nov. 5 ; Ohimè I ella m'ha morto.
Mostrare si adopera con significato intran-
sitivo per sembrare o apparire. Boccaccio intro-
duzione ; JVon è perciò cosi da correre f come mo-
stra che voi vogliate fare.
Muovere ^ev andare. Petrarca canz. 5. Or
muotùy non smarrir Valtre compagne.
Partire per allontanare. Boccaccio gior.
3. noy. 9 : Egli aveva l'anello caro , né mai da
'l8o Grammatica ragionata.
se il panica. E per dividere. Petrarca : Il bel
paese che Appennia parte , // mar circonda e C
alpe. I
Penare per aver difficoltà a fare alcuna co-
sa. Boccaccio gior. 2. nov. 5 : Mentre eli io pe~
nero a uscir dell'arca , egli se n andranno pe
fatti loro.
Piccarsi per offendersi di qualche cosa.
Malmantile can. 7. ott. 69: Non ti piccar di ciò.
E per pretendere di saper bene in essa riuscire.
Salvini, Disc. i. pag. 3: Allo stesso Socrate era
fatta qualche domanda delle cose naturali e di»
vine ec. delle quali il medesimo filoso fo non si
piccava.
Porre o porsi in cuore si usano per delibe-
rare. Franco Sacchetti, Opere diverse pag. i23:
Tra loro hanno posto d' uccidermi. Boccaccio
gior. 7. nov. 5: lo mi posi in cuore di darti quel-
lo che tu andrai cercando.
Portare per esigere o richiedere. Boccaccio
gior. IO. nov. 6: Secondo che la stagione porta-
va. Portare in pace vai sopportare. Boccaccio
gior. 8. nov. 7: Portatelo in pace.
Prendere per intraprendere, o incomincia^
re. Boccaccio gior. 2. nov. 7 : Lasciatami , pre-
stamente presero a fuggire.
Recare per indurre. Boccaccio gior. 2. nov.
9: lo mi crederei in brieve spazio di tempo recar-
la a quello che io ho già del V altre recate.
Recarsi posto assolutannente, vale offender-
si. Gio. Villani lib. 6. cap. 68 : E recaronsi , che
gli Aretini avessero loro rotta la pace.
Richiamarsi s'adopera perÉ?o/er5/.Boccaccio
gior. 8. nov. 5: lo son i>enuto a ricìiiamarmi di
lui d'una valigia f la quale egli v%ha imbolata.
Pane IV. Cap. V, l8i
Ricoverare vale rifugiarsi. Boccaccio gior.
7. nov. 4' Come vide correre al pozzo, così rico-
però in casa, e serrassi dentro. S'adopera anche
per ricuperare.
RicoRDAUE si usa per nominare. Boccaccio
gior. 8. nov. 9 : Perchè ricordavate voi , o Dio
o i Santi? Vale anche an'isare o ammonire.
Rimanersi s'adopera per cessare. Boccaccio
gior. 7. nov. I. tit: Vanno ad incantare con una
orazionCy ed il picchiar si rimane.
Riposarsi vale lo stesso. Boccaccio gior. io,
nov. 3. principio : Riposandosene già il ragio~
Tiare delle donne ^ comandò il Re a Filostrato
che procedesse»
Ripigliare e riprendere valgono rimprove-»
fare. Beccacelo gior. 3. nov. 3 : y^ voi sta bene
di così /atte cose^ non che gli amici, ma gli stra-
ni ripigliare.
Ritrarre s' adopera per distorre. Petrarca
canz. 48: Da mille atti inonesti l'ho ritratto.
Ritrarre da uno vale somigliarlo. Franco Sac-
chetti , Rime pag. 18: Da quella antica ma^
dre non ritrai j ch'ai mondo dimostrò la sua po^
tema.
Rompere usato assolutamente, \dL\e far nau-
fragio. Dante , Conviv . f". ao5 : Laddove dovre-
ste riposare , per lo impeto del vento , rompete e
perdete voi medesimi.
Rubare si usa per ispogliare. Boccaccio gior.
5. nov. 4 • Molto ben sapeva la cui casa stata
fosse quella che Guidolto aveva rubata.
Sf.NTiKE s'adopera per conoscere. Petrarca
caoz. 41 : Quel che tu vali e puoi , credo che il
senta ogni gentil persona. E Boccaccio gior. 2.
nov. 9 : Yon ti sento di così grosso ingegno. E
per aver qualità. Boccaccio gior. g. nor. io. prin-
cipio : lo il qual sento dello scemo ^ anzi che no,
più vi debbo esser caro. In questo senso si usa
anche avere , come egli ha dello scemo , egli ha
del pazzo. E tenere. Boccaccio gior. 7. nov. i :
Tenendo egli del semplice. Sentire avanti vaio
saper m,o ho. Boccaccio nov. 3: Tu se' savissimo f
e nelle cose di Dio senti molto avanti.
SoPRASTARE SI usa per indugiare. Boccaccio
gior. 6. principio : Delle sette volte le sei sopra-*
stanno tre o quattro anni di più , che non deb-
bono, a maritarle.
Sostenere per comportare o permettere.
Boccaccio gior. 2. nov. 6 : Vollele jar la debita
riverenza , ma ella noi sostenne.
Sperare per aspettare. Boccaccio gior, 5.
nov. 3. Del quale sapeva che non si doveva spe^
rare altro che male.
Star bene ad alcuno vai convenire. Boc-
caccio gior. 8. nov. 4 • lo non son fanciulla^ al-
la quale questi innamoramenti stiano oggi mai
bene . Stare si usa anche per consistere, Passa-
vanti pag. 35. 7// questo sta la dignità e V ec-
cellenza della Vergine Maria sopra gli altri
Santi.
Starai vaie interteìiersi. Boccaccio gior. i.
no?. 4 • P^r ciò statti pianamente fino alla ìnia
tornata. E astenersi dal far qualche cosa. Boc-
caccio gior. 3. nov. 5 : Si è meglio fare e pen»
tere, che starsi e pentersi.
Tenere si usa per pigliare, ma solo nell'im-
perativo. Boccaccio gior. y. nov. 2: Te' ( cioè
tieni) questo lume, buon uomo. E gior. 8. nov.
I : Madonna, tenete questi denari. Vev giudica-
re. Boccaccio :rior. 3. nov. 6 ; Corrado avendo costui udito si marai>igliò , e di gran^ animo il
tenne.
Tenersi per trattenersi. Boccaccio gior. 2.
nov. 3 : Di Firenze usciti , non si tennero , sì
( cioè /ìnchè non ) furono in Ingliilterra.
Teneiv uscio y porta y entrata , e simili s'atlo-
peran per vietare. Boccaccio gior. j. nov. 5 :
E quale uscio ti fu mai in casa tua tenuto ?
Tener favella vale restar di parlare con
alcuno per isdegno. Boccaccio gior. 8. nov. a:
La Belcolore venne in iscrezio col Sere, e len»
negli farella in/ino a vendemmia.
Tener credenza vale tener segreto. Boc-
caccio gior. 3. nov. 1 : «Se io credessi che tu mi
tenessi credenza , io ti direi un pensiero che io.
he a^'uto più volte.
Toccare per commovere. Boccaccio gior.
3. nov. 8: Questo ragionamento con gran pia-
cere toccò l animo dello abate.
Togliere per prendere. Boccaccio gior. 8.
nov. a : Togli quel mortaio, e riportalo alla Bel'
colore.
Tornare per riporre. Boccaccio gior. 3.
nov. 8 : Tacitamente il tornarono nelV avello.
Tornar bene vale ciscr di utile o di piacere.
Tornare si usa anche per ridondare. Boccaccio
gior. 4> nov. 3 : Ogni vizio può in grandissima
noia tornare di colui che l'usa.
Trai»assark per morire. Boccaccio gior. 2.
nov. 7 : Il quale non istette guari che trapassò.
Trarre si trova usato per accorrere. Boc-
caccio gior. g. nov. 5 : Quasi al rumor venendo
colà trassero.
Valere per giovare. Boccaccio rov. 6. prin-
cypio : La JUgina le aveva ben sei volte iniposto silenzio , ma niente valea. E per meritare:
Boccaccio gior. a. nov. io : Cìi io ami , questo
non deve essere maraviglia ad alcuno savio , e
specialmente voi , perciocché voi il valete.
Variare s'adopera in signilìcato intransiti-
vo per essere differente. Boccaccio gior. i. nov. v5.
Quantunque in vestimenti e in onori alquanto
dall'altre vari ino.
Venire per divenire. Boccaccio. Nìnf. Fie-
sol. : E crescendo Proneo venne sì bello della
persona , che ec. E per uscirne odore. Boccac-
cio gior, 4- nov. IO : Dianz.i io imbiancai miei
veli col zolfo ec. sì die ancor ne viene . E per
riuscire. Boccaccio introduzione : Tanto più viC'
ne lor piacevole , quanto maggiore è stata del
salire^ e dello stnontare la gravezza.
Volere si usa per dovere. Boccaccio nov. i :
Questi Lombardi cani non ci si vogliono più
sostenere, cioc non ci si debbono. E esser per es-
sere. Gio. Villani lib. 13. cap. 100: Per tratta-
to de' Tarlati usciti d' Arezzo volle essere tra-
ditOy e tolto a' Fiorentini il castello di Laterino,
cioè fu per essere.
Usare !>' adopera per frequentare . Boccac-
cio gior. 3. nov. 4' Usava molto la chiesa. E
nov. 1 : A chiesa non usava giammai. S'adope-
ra anche per conversare. Boccaccio gior. 8. nov.
9 : Quanto più uso con voi, più mi parete savio.
Riguardo ai nomi, io non ne accennerò che
alcuni per non dilungarmi soverchiamente.
Bella e vecchia aggiunti a [lanra significati
grande. Boccaccio gior. 8. nov. 2 : Per bella
paura si rappattumò con lui. Pulci , Morgan,
e. 5. ott. 48 : P fece a tutti una vecchia paura.
Solenne è usato dal Boccaccio per grande, eccellente, straordinario , e da lui si aggiun-
ge a dono , concito , uomo, giuocatore, bevitore j
vino ec.
Fatto s' adopera per uomo , personaggio ,
cosa ec. Boccaccio nov. 7 : Qualche gran fatto
de\'e esser costui, che ribaldo mi pare.
Peccato per male in genere , danno , disor»
dine. Boccaccio nov. ultima : Gran peccato Ju
che a costui ben n ai^venisse.
Pezza significa spazio di tempo. Boccac-
cio gìor. 2. nov. 5 : Egli è gran pezza che a te
venuta sarei. Ed anche il tempo presente. Boc-
caccio gior. 8. nov. 8 : Egli è ora di desinare
di questa pezza.
Pezzo vale lo stesso. Boccaccio gior. 2. nof."
2 : Io mi veniva a star teco un pezzo.
Quanto alle preposizioni , agli avverbj , alle
congiunzioni e agl'interposti già abbiam dimo-
strato a' loro luoghi bastantemente i significati
diversi, io cai si sogliono adoperare.
PARTE V: DELL'ORTOGRAFIA,
CAP.I: Dell'alfabeto italiano.
L' alfabeto italiano è simmile al latino, se non che non ammette le tre lettere k, x ^ y ^ g. loro si 80stituis<^ono invece nelle parole derivate dal latino , e dal greco le tre altre e, s, i, come da AalendeVyfxemplumygyrus colende, esempio, giro.
La "x" però si conserva in alcuni pochi latinismi, come "ex professo", "ex proposito", ex abrupto , e
nel nome Xanto^ Hume notissimo ne' poemi d'O-
mero e di Virgilio , per distinguerlo da Santo.
Il "ph" similmente non si usa da noi , e s' adopera invece la f, come da "Philosophus", "filosofo".
La h non si premette che alle voci ho , haiy
ha, ìianno del dimostrativo presente di avere per
distinguerlo dall' o disgiuntivo , dall' ai preposi-
zione unita all'articolo , dall'a preposizione sem-
plice, e dal nome anno. Alcuni in vece di ho , ìia
scrivono ò, à, ma la più parte gli scrivon anzi col-
la h che coll'accento. Gli interposti a/i, a/ii, ahi"
me , oh, ohi ohimè , eh, deh, doh , uh siccome
si pronuQciano coli' aspirazione ; così richiedo-
no la h.
Ella si soggiugne pure alle lettere e e ^,
quando fan sillaba colie vocali e ed i , e debbonsL
pronunciare con un suono aspro , conne è quello
di ricchi e ricche , avendo ce , ci , gè , gì , senza
la h un suono più tenue , quale è quello di cera ,
cima f genere , giro, innanzi alle altre vocali la e
e la ^ hanno un suono aspro per se , e perciò la
h è inutile , né si scrive per esempio charità , ma
carità. Anzi quando innanzi all'a , o , u, si deb-
bon esse pronunciare con un suono tenue , con-
viene frapporvi un i quindi assai diverso è il suo-
no di veggio e veggo , braccio e bracco.
Il t innanzi all'* seguita da altra vocale, non
ha il suono della z come nelle parole latine, e per-
ciò in italiano si deve scrivere grazia^ ambizione
non gratia , ambitione. V han molte parole che
talora si scrivono indifferentemente colla z e col
e , come uffizio , benefizio , indizio , giudizio ,
spezicy delizie, e ultìcio, beneficio, indicio, giu-
dicio , specie , delicie.
I plurali de' nomi maschili che nel singolare
finiscono in /o, invece di essere scritti con due /,
sì scrivono oggidì con un /, come da gìudizio,ozio,
ufficio , giudizjy ozjj ujjicj. Tutti quei nomi , in
cui la voce si posa sull'i di /o, come Dio^ pio^ re-
stio , natio , mormorio ec. al plurale si scrivono
con due i, cioè Z)i7, pii ^ restii , natii , mormorii
ec. Quelli all' incontro in cui nel singolare 1' io si
pronuncia con un suono solo, sì pronunciano e si
scrivono nel plurale con un solo /, come da rag-
gio , occhio , figlio raggi , occhi , figli.
Alla consonante che dovrebbe piuttosto chiamarsi ye, nelle parole derivate dal latino si costituisce generalmente in italiano la g, come da
"major" > "maggiore",
da
"jacere", "giacere".
Convien ben distinguere Vu vocale dal ^f con- sonante, che meglio potrebbe chiamarsi ce. Quan- do fa suono da se egli è vocale , quando non può
far suono, se non appoggiato ad un'altra vocale,
egli è consonante, e il suono è quasi simile a quel-
lo della /e del b. Infatti col 1/ si scambia sovente,
dicendosi egualmente servare e serbare , nervo e
nerbo. Anche dalla sola maniera di pronunciarlo
5i può agevolmente distinguere quand'egli è con-
sonante, e quando è vocale. Perciocché fa vocale
si pronuncia rotondando i labbri senza batterli uà
contro l'altro; e all'opposto il v si pronuncia bat-
tendo i denti superiori sul labbro inferiore . La
parola uva ne può essere un chiaro esempio.
Dopo il ^ e ^ r u è sempre vocale , ed ha uq
suono sfuggito, come in questo^ quello , guerra,
guadagno ec. Notisi che nelle DcroXe acqua, tac-
que, nacque,nocque, giacque, piacque, acquisto j
e in tutte quelle che da esse derivano innanzi al q
si deve porre un e. L'u ha il medesimo suono
sfuggito innanzi alla vocale o quando con lei fa
dittongo , come uomo , figliuolo , cuore , buono,
scuola. Convien però osservare che 1" u non ha
luogo se non quando la voce si posa sopra cell'o
che lo segue : quindi bontà , scolare e simili non
si scrivon coli' u , battendo in queste parole la
voce su d' altra vocale. S' eccettuin nuovamente,
buonamente , suonare , giuocare , e alcune altre
poche voci , in cui 1' u si scrive tuttavia.
Innanzi a b e. p idi n si cangia in m , come
Giampiero, Giambattista. Lo stesso si fa ancora
in tiemmi per tiemni. La m all'opposto si cambia
sovente in n quando è innanzi ad un' altra n, co-
me andianne per andiamne. La n seguita dal g
Spesse volte si trasporta innanzi , come giugnere,
piagnere, vegna ec per giungere, piangere,
venga .
I nomi proprj si scrivon tutti colla prima let-
tera maiuscola, come Pietro^ Parrna^ Italia^Te»
vere ec. Ciò si fa ancora al principio di ogni pe-
riodo, e in poesia ai principio d'ogni verso.
CAP. II: Dell'accento.
JLj accento si sovrappone all' ultima vocale di
quelle parole che son di più sillabe , che finiscono
in vocale, e in cui su di questa vocale si appoggia
la voce , come pietà , bontà , perchè , però ec.
■ Nei monosillabi non si pone se non quando
contengono un dittongo, cioè due vocali pronun-
ciale unitamente, come già , ciò , può, più ec. , e
quando hanno due diversi significati , per distin-
guere i quali in uno si aggingne l' accento , nell'
altro *1 ommette. Cosi è e da verbi , di nome in
significato di giorno, e imperativo del verbo dire,
sé nome personale , sì interposto affermativo , e
avverbio in significato di cosi, là e li avverbj , ne
congiunzione negativa hanno l'accento ; e al con-
trario e e se congiunzioni , da e di preposizioni ,
si e ne nomi personali , la e // articoli non l'han-
no. Tutti gli altri monosillabi che hanno un solo
senso si scrivono senza accento, e da molti senza
accento si suole scrivere anche il se cosi quand'
è nome i)ersonale, come quando è congiunzione.
Qualche volta , l'accento si pone anche su la
penultima vocale, come in balìa per distiogue?rlo
da balia nutrice, in già verbo , per distinguerlo
da già avverbio, e in umile simile oceano ec.
Iqnando in poesia l'accento del verso si fa cadere
sulla loro penultima sillaba. Da molti però simili
accenti si sogliono ommettere.
Un uso utilissimo che si potrebbe introdurre
riguardo agli accenti , sarebbe quello di contras-
segnarne in tutte le parole sdrucciole e bisdruc-
ciole ) o intere o tronche, la vocale su cui si posa
la voce, scrivendo per esempio libero , liberano ,
lìberan , ùtile , ùtìl ec. Con questo si verrebbe a
determinare chiaramente e invariabilmente la
pronuncia di tutte le parole. Perciocché la pro-
nuncia di quelle che finiscono in vocale accenta-
ta, come pietà già è fissa dall'accento che vi si po-
ne ; quella delle sdrucciole o intere, o tronche,
come ùtile e ùtil lo sarebbe dall'accento che nuo-
vamente vi si ponesse ; e quella delle piane o in-
tere, o tronche, come amare e amar lo diverreb-
be dal non avere niun accento . Né per le sdruc-
ciole sarebbe necessario d' introdurre un accento
nuovo diverso da quello che già si usa nelle paro-
Je accentate in ultimo ; poiché l'accento presso di
noi non ha la forza che aveva presso de' Greci. Ap-
po loro l'accento significava alzamento o abbas-
samento di voce , e perciò essi ne avevano tre di-
stinti, l'acuto ('), il grave (*) e il circonflesso (');
ma presso noi egli non serve che ad accennar la
vocale su cui si deve posar la voce , e quindi uà
solo sarebbe bastante. Quest'uso riuscirebbe di
un grandissimo comodo per gli stranieri , i quali
durano molta pena ad imparare quale delle no-
stre parole si abbia a pronunciar breve,equal
lunga; d'un grandissimo comodo pei fanciulli che
cominciano a leggere, e d'un comodo non piccio-
lo anche per noi , massimamente per determi-
nare la pronuncia o breve , o lunga de'uomi prò-
prj, molti tle'miali , per la mancanza appunto di
un segno che ti distingua, restan affatto indeterr
minati. Né un tal uso , dovendosi contrassegnar
solamente le parole sdrucciole , e quelle che ter-
minan in vocale accentata , importerebbe graa
briga a chi scrive ; perciocché queste rispetto alle
piane sono in picciolissimo numero. Io mi prove»
rò di darne un esempio , scrivendo a questa ma^
niera il capo seguente.
Ma giacché siamo entrati a parlar degli usi ,
che introdur si dovrebbono nella nostra lingua
circa all'ortografia , ve n' ha un altro che sarebbe
ancora più necessario , ed è quello di distinguere
con qualche segno quando 1' o e 1' e si debbono
pronunciare aperte , e quando strette. A tal line
O si- potrebbero istituire due nuove lettere , a ca-
gion d' esempio V epsilon (1) e V omega (•) de'
Greci, come voleva il Trissino ; o basterebbe an-
che il supplirvi cogli accenti alla maniera de'Fran-
cesi. Il secondo modo sarebbe più comodo per
due riguardi ; i. perchè le lettere greche par che
non bene s' accordino con quelle ael nostro alfa-
beto ; 2. perché un accento solo ( ' ) basterebbe e
per r o e per l' e, e basterebbe anche 1' usarlo sol-
tanto quando queste vocali si debbono pronun-
ciare aperte , ommettendolo quando s' hanno a
pronuciar chiuse . In tal caso noi avremmo nella
Dostra lingua due accenti , l'uno de' quali (') ser-
virebbe a determinare le pose della voce, l'altro
(' ) a distinguere le vocali aperte dalle strette (a) ;
e la nostra ortografia non lascerebbe più nulla a
desiderare nò agli stranieri, né a noi medesimi.
(a) t\ potreLhe anclie meglio per le poie del-
la yoce usare l'accento (') che dicc»i acuto ^ e per la
CAP. III: dell'apostrofo.
J_j apòstrofo si mette quando T ùltima vocale
di una parola si elide per l' incontro d' un'altra
Farola che per vocale cominci . Neil' articolo gli
i non si può elidere , se la parola seguente non
comincia similmente per i. Quindi si scriverà be-
re gV italiani ^ gV Indiani ; ma non gC anni y
gì' editiij gf orsi, gì' uòmini, perch»^ gì' avrebbe
quel suono aspro che ha nelle parole latine ^^à-
dius , gleba , glòria , gluten.
Similmente ce, ci, ge,gi non si possono apo-
strofare se non innanzi all'è e all'/', onde lo scrìve-
re piaggiamene, dolc' amico è errore; anzi que-
ste sillabe si sogliono per lo più scrivere intere an-
che innanzi alle e all'i, come piagge erbose^ dol-
ce incontro ec.
Le vocali accentate non possono elidersi se
non nei composti di che, come perchè, benché ec.
Gli antichi usàron talvolta di elidere la pri-
ma vocale della parola seguente, incàmbio dell'
ultima della parola precedente, come invece di
all'incontro allo'ncontro.
Nelle parole che si troncano anche innanzi a
consonante ( di cui verremo ora a parlare) l'apò-
Rtroto non è necessario.
Tocali aperte l'accento (') che si chiama grave: qaan-
do poi la posa della voce cade sopra d'una vocale
aperta . per indicare e l' una e 1' altra cosa, adoperar
Bi potrebbe l'accento circonfiesso de' Francesi (").
CAPO IV: Del troncamento delle ^^^^^^',ÀjL.^^i^
_yyAyzi a voce che cominci per consonante si
posson troncare, ommettendo 1' ultima vocale, i
comi singolari che finiscono in e o in o, e che
avanti a queste vocali hanno una delle consonan-
ti liquide /, «, r non preceduta da altra consonan-
te, come fedcl servo , pieii popolo , leggier ven-
to. Ve n'han però alcuni che non si troncano, co-
me chiaro^ raro^ nero, oscuro, duro ec.
1 nomi terminati in a non si troncano mai,
ed è errore il dire, come si la da molti una sol
volta, una sol cosa incambio di una sola volta,
una sola cosa, seppure sol non si scusasse special-
mente in poesia per troncatura di solamente, sol-
tanto. S'eccettui suora di cui si fa suor, ma soia-
niente quando s' usa a modo di aggettivo , coma
€Uor Maria, suor Cecilia.
Terminati in e o in o si posson troncare, co-
me abbiam detto , quando abbiano le consonanti
liquide /, n, r, purché queste però sian semplici ,
e non precedute da altra consonante o simile, o
diversa : quindi non si dirà ingan per inganno, fer
per ferro, ladr per ladro ec. S'cccettuiu capello,
bello , quello , e alcuni altri terminati in Ilo che
bi poson troncare tuttavia, come capei biondo,
bel viso, quel campo. Anzi hello e quello innan-
zi a consonante che non sia s impura o z , amaM
piuttosto di esser troncati che interi, perciò bello
viso, quello campo ec. non sono del miglior uso.
Circa a quello abbiamo già avvertito altrove che
il stio plurale è quegli quand'è ignito da vocale,
da s impura, o da z. Or lo stesso è ancor di bello , e però si dirà begli occhi , begli spiriti j non
belli occhi y bei spiriti.
I nomi plurali regolarmente non si tronca-
iiO>15enchè ai Poeti qualche volta sia permesso io
grazia del verso. _
Nei verbi si troncano gì' infiniti , i^rTme e
terze persone plurali del presente , dell'imperfet-
to, e del futuro dimostrativo , e la terza , ma non
la prima del perfetto indeterminato , come amar,
ainiarJi , amai'affi , arnerem , amari , amavan ,
amerariy' amaroìi. Si troncan pure la prima e la
terza plurale del presente del soggiuntivo, e la ter-
za dell'imperfetto e del soggiuntivo condizionale,
come amia ffìf amin, amasser, amerebbero ame-
rebbon. In alcuni pochi si tronca anche la terza
singolare del presente dimostrativo, come suol,
wuoly duolj caly vai ec. : nel verbo essere anche
la prima, cioè san : negli altri la prima non può
^mai troncarsi, e fu rimproverato perciò nel Tasso
luel verso:
Amico f hai vinto, io ti perdon, perdona.
Tragliavverbj si troncano bene, male,fuoriy ora,
e i suoi composti allora ^ talora finora ec. V'han
delle parole in cui si tronca un'intera sillaba , co-
me vo' , me y e , ma' , qua' , be' , gran , san , ver
per voglio, meglio e mezzo, egli , mali , quali ,
belli , glande, santo e verso.
Da' Poeti antichi si trovano qualche volta
computate per una sillaba sola le due finah aioy
oia , come nel Dante:
Nello stato primaio non si rlnselva,
che dee pronunciarsi come se diceise prlmai.
Notisi di passaggio che questa terminazione
in aìo^ e non già in oro, aver debbono i nomi de-
gli artisti, come libraio ^ ferraio ec, e i due mesi
Gennaio e Febbraio. Tutti questi nomi poi ter-
minati in io y al plurale finiscono in i semplice^
come librai, ferrai ec. •
CAPO V: Dell'accrescimento delle Parole.
Vacando ad una parola che termini per consonante segue una parola cominciata per s impura, si dee alla 5 premettere un /, come con istudio, con istento. L'articolo maschile innanzi a queste parole h lo e glij come lo studio, gli stit-
aj , non // studio ne li studj come già abbkinìo
avvertito altrove. -^A^tx>-^-*'M^
Alla preposizione a , ed alle congiunzioni e,
o , sefiuendo vocale , si aggiugne ordinariamente
una fl, dicendo ady ed, od. Si dice anche ned in
vece di nè\ sur in vece di ìm; e negli antichi si tro-
va pure sed per se, chcd per che.
I Poeti alla teFea persona singolare del per-
fetto indeterminato de' verbi, che han l'infinito ia
ire, aggiungono un o, e dicono uiiio , fìnio , mo"
rio : lo stesso fan pure colle terze persone di que'
verbi terminati in ere che hanno il perfetto inde-
terminato in è come baiteo, feo , perdeo , e dico-
no Sinché fue J^erfu, die per di, e simili.
CAPO VI: Della divisione delle Parole in fin di riga.
Le parole devon sempre dividersi esattamente fra sillaba e sillaba. Quindi allorché vi hanno due
consonanti , V una dee porsi al fin della riga che
termina , l'altra al principio della seguente , ec-
cetto quando elle siano una muta, e una liquida , o
che la prima di esse sia una s , che allora amendue
s'appoggiano alla vocale seguente; e però cantra'^
sto per esempio cosi dee dividersi co/z-/rfl-5/o. Se
v'ha un dittongo non si può sciogliere, né si può
scrivere [)er esempio sci-o-gli-e-re muscio-glìc-re.
Le parole composte debbon dividersi nelle lor com-
ponenti, e però si deve scrivere mal-agevole non
ma-lagevole. Conviene ancor procurare di noa
terminare la riga con una consonante apostrofata,
perciocché questa fa sempre sillaba colla prima
vocale della parola seguente.
CAPO VII: Del raddoppiamento delle Consonanti.
X 1 ELLE parole radicali, che corte esser sogliono,
la pronuncia facilmente fa intendere dove la con-
sonante debba esser doppia, e dove semplice, y^^-
/o, per esempio, chi non conosce doversi scrivere
con due ti Non cosi facilmente da chi non abbia
appresa per tempo una buona pronuncia , si può
questo comprendere nelle parole derivate, che so-
gliono esser piìi lunghe. Tengasi però la regola
di scriverle sempre come la loro radice : quindi
siccome a//o, cosi anche attività, aticggìamento,
attualmente ec. richiederanno due t . A questa
regola tuttavia si sottraggono dubbio che ha <7zi-
bitare ; mele che dà mellijluo ; piaccio traccio,
che fuori di piaccia, taccia, piacciano e taccia-,
no han tutto il resto con un e solo.
Ps^elle parole composte la nonsonante dee
sempre raddoppiarsi quando la prima delle voci
componenti termina per vocale accentata , come
in acciocché, cosicché ec, e quand'essa è uno dei
monosillabi seguenti a, e, 1, o, da, fra, ra, co, soy
su, in, come accorrere , eccedere , irrigare , om-
viettere, dabbene, frapporre, raccorre, commette-
rCf soggiugnere, supporre, innondare', tutto que-
sto però quando la seconda delle voci componenti
cominci per consonante : che se ella comincia per
vocale, come adoperare, che è composto di ad »
vpvrare, la consonante deve esser semplice ; e ciò
s' fa pure qnando essa comincia per 5 impura, co-
uìe in ascrivere sospirare ec.
Dopo i monosillabi de , se , re y ri , tra, pre ,
prò la consonante ordinariamente con si raddop-
j;ia, come deridere , sedurre, relegare, riferire ,
tradurre, pi emettere , proporre. S'eccetluin rin-
novare, rinnestare, rinnegare, trattener e, pr offi-
l are ^provvedere colle voci che da loro derivano.
JJi fa sempre raddoppiare lay, come diffe-
rire, difficile ec, , trattine dijetto e difendere, fa
imilmente la j, come ^/iòJ//7i/7e,/5-
; / tare ec. Si noti però che quando la
seconda delle parole componenti comincia per vo-
cale, in cambio di di le si premette dis , ma con
lina s sola , come disinganno , disobbligante ec.
Di tutte le altre consonacti il monosillabo di noi ne fa mal raddopfìiare nessuna , perciò si scrive
dibattere^ dilapidare^ dirìgere ec.
Cantra e sopra vogliono anch'essi la conso-
nante raddoppiata, come contraddire, contraffa-
re^sop.-*.mmodo,sovrapporre\ olirà e oltre la vo-
glion semplice, come oltramontano ,oltratnari no y
oltremodo. Altre la raddoppia in altrettanto e in
altrettale , ma nod in altresì.
lia z mai non si raddoppia innanzi all' / se-
guita da altra vocale, trattone il nome pazzia.
La fr slmilmente deve sempre esser semplice
innanzi alle lettere ion, come ragione , cagiona-
re, prigioniere Qc. Innanzi ad io e ia qualche
volta ella è doj)pia , come in raggio e reggia so-
stantivo, e qualche volta no, come in malvagio e
regia aggettivo. Egli ò difficile il poter darne una
regola precisa. Tuttavia si osservi, che nelle pa-
role derivate dal latino, se il ^ è *(jàtituito al ^ o
all'/ deve sempre esser doppio , come da niodius,
radius, Majus, major ec. moggio raggio , Mag-
gio , maggiore. Se è posto invece del ^, della s o
del g latina, per ordinarlo è semplice , come da
palatiiun, preliunij Amhrosius, collegium , nau*
fraglunij palagio, pregio, Atnhrogio, collegio ,
naufragio. S'eccettuin legge y leggere , e po-
chi altri.
La ^ e la e innanzi ad io e ia per lo più si
raddoppiano, come abbia , gabbia, nebbia^ cac-
cia , laccio, goccia ec. Sono eccettuati òa questa
regola bacio e i suoi derivati ', audacia , Libia e
Polibio.
Egli è poi regola generale che niuna conso-
nante mai non si raddoppia quand' è preceduta
da altra consonante diversa 5 e però non si scri-
verà apparsso per esempio, ma apparso.
CAPO Vili: Dei Punti, e delle f'irgoU,
per indicare le pause del discorso, e distinguerne
J_j uso dei punti e delle virgole si è introdotto
per i
i sensi.
11 punto fermo o finale si mette alla fine di
ogni periodo. Se questo non contiene alcuna am-
mirazione né interrogazione, si adopera un punto
semplice ; se v' ha interrogazione si scrive in que-
sto modo ( ?) , se ammirazione in quest'altro ( ! ).
I due punti si pongono fra un membro e l'ai?
tro del periodo , e quando si debbono riferire le
precise parole dette da alcuno.
II punto e virgola si mette fra le parti di un
membro del periodo , ed anche fra i due membri
stessi, quando siano brevi.
La virgola serve a distinguere le proposizio-
ni una dall' altra . E perciò , siccome la congiun-
zione e si adopera per unire due proposizioni in-
sieme, tralasciando quello che in esse vi ha di co-
mune (infatti Cicerone fu filosofo ed oratore , a
cagion d'esempio, vale lo stesso , come abbiamo
veduto che Cicerone fu filosofo , Cicerone fu o-
ratore), così innanzi alla congiunzione e si pon
sempre la virgola ; il che si la pure tra un agget-
tivo e r altro aggiunti allo stesso sostantivo , an-
corché la congiunzione non vi sia , perchtN ella
sempre si sottintende. Per le ragione medesima si
pone la virgola avanti alle congiunzioni né, o, se y
ed ai relativi clic , il quale ec.
Presentemente però si è da alcuni introdotto
l'uso di ommctter la virgola innanzi alle congiun-
BÌoni e al pronome relativo, quando non fanno
clie conginngere una o più qualilicazioni ad wn
medesimo sostantivo: quindi essi scrivono Cice-
rone /u Jilosqfo ed oratore senza virgola. Ognu-
no può in questo seguir 1' uso che più gli piace , e
noi pure ci siamo serviti or dell' uno , or dell'al-
tro modo, secondo che ci è sembrato tornar più
comodo.
Le parentesi si racchiudono tra due virgole ,
o tra due semilune.
Quando bassi a riferire un lungo passo di
qualcha autore , al principio e al une si mettono
due virgole , le quali si aggiungono d' ordinario
anche al principio di ogni riga ,
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