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Wednesday, July 4, 2012

Guida alla Scultura Italiana: dall'A alla Z (OTTOCENTO)

Speranza

Dopo l'influenza determinante di Antonio Canova e degli scultori neoclassici, alcuni artisti tentarono di rinnovare il gusto accademico imperante cercando la bellezza non più nei modelli classici, ma nella natura, e sottolineando la spiritualità interiore più che la perfezione esteriore della forma.

Caposcuola in questo senso fu Lorenzo BARTOLINI (1777-1850), il quale, come direttore dell'Accademia di Carrara e poi docente presso quella di Firenze, introdusse nell'insegnamento la copia da modelli viventi anzichè da calchi di statue antiche.

 Questa ricerca di verità trovò la sua migliore espressione nella tomba al conte Neipperg (Steccata di Parma) e nel monumento Demidoff (Firenze), mentre in altre opere, anch'esse celeberrime, come la Carità educatrice (Firenze, palazzo Pitti) e la Fiducia in Dio (Milano, Museo Poldi Pezzoli), un certo gusto patetico e sentimentale non basta a riscattare l'impostazione essenzialmente accademica. All'esempio di Bartolini si ispirarono Luigi Pampaloni (1791-1847), Pietro Magni (1817-1877) e Pietro Tenerani (1787-1869), ai quali l'abilità tecnica non impedì di cadere in un accademismo ancora neoclassico.

Colui che veramente raccolse l'eredità di Bartolini fu Giovanni Dupré (1817-1882), maestro indiscusso dell'ambiente toscano, studioso della scultura del Rinascimento, le cui opere (Caino, Abele morente, entrambe alla Galleria d'arte moderna di Firenze; Pietà, Siena, Cimitero della misericordia) non raggiunsero mai una vera sintesi per eccesso di minuzia descrittiva e di finitezza nei particolari. Un tono appena più commosso contraddistingue la perfezione accademica della Saffo abbandonata (Roma, Galleria d'arte moderna).
      
Nell'ambito della scultura romantica sono da ricordare Tito Sarrocchi (1824-1900), Pio Fedi (1816-1892) e Carlo Marocchetti (1805-1867): questi, attivo anche in Francia e autore di numerosi monumenti celebrativi, diede il suo capolavoro nell'Emanuele Filiberto a Torino, che è la più insigne statua equestre dell'Ottocento italiano. Rispetto alla retorica declamatoria di tanti monumenti ottocenteschi, questo si distingue per equilibrio compositivo e compostezza formale. Notevoli anche i numerosi busti-ritratto di illustri personaggi, nonostante l'eccesso di verismo nella resa dei particolari.
Poco più che abili mestieranti furono altri scultori di gusto romantico, ancora legati a forme neoclassiche, come Vincenzo Luccardi (1811-1876), Girolamo Masini (1840-1885), autore del famoso monumento a Cola di Rienzo (Roma) animato da una certa foga romantico-verista, e i lombardi Alessandro Pattinati (1801-1872), Antonio Tantardini (1829-1879) e Giovanni Strazza (1818-1875). Di ben altro livello fu l'opera del ticinese Vincenzo Vela (1820-1891), di gusto romantico ma anche realista, ottimo nei ritratti di ritmo misurato e di sobria espressività, autore del celebre Napoleone morente (1866; castello di Versailles) che ebbe grandissima popolarità e fama internazionale. Anche nelle opere a contenuto sociale, dallo Spartaco 1874; Ligornetto, Museo Vela) alle Vittime del lavoro (1883; Roma, Galleria nazionale d'arte moderna), Vela evitò la retorica compiacenza su questi temi ottenendo cospicui valori artistici per contenutezza di espressione e sicurezza di modellato. Diverso è invece il caricato verismo dell'opera di Achille D'Orsi (1845-1929), che oscilla dalla tematica sociale del Proximus tuus (Roma, Galleria nazionale d'arte moderna) alle scenette di genere sul tipo dei Parassiti (Firenze, Galleria d'arte moderna).
Nello stesso ambiente napoletano in cui operava D'Orsi - tralasciando artisti minori quali Stanislao Lista (1824-1908), e Raffaello Belliazzi (1835-1917) - si inserisce l'opera di Vincenzo Gemito (1852-1929), una delle poche figure di statura europea della scultura ottocentesca italiana. La sua vena pittoresca e felicemente espressiva si manifestò nelle figure che popolavano la minuta realtà napoletana, come l'Acquaiolo (Roma, Galleria nazionale d'arte moderna), il Pescatore (Firenze, Bargello) e il Malatiello (Napoli, Museo di San Martino), trattate con bozzettistica spontaneità, seppure talvolta intaccate da effetti facili e descrittivi. Cosicché, nonostante l'impeccabile mestiere e il gusto sicuro delle sue realizzazioni, tra cui ottimi i ritratti, l'opera di Gemito resta confinata in un ambiente e in un ambito culturale provinciali.
D'altra parte non trascende il limite della cultura provinciale neppure l'opera di Adriano Cecioni (1836-1886), critico e polemista legato al gruppo dei macchiaioli, e unico scultore tra quegli artisti; le sue opere più note: il Bambino con il gallo (Firenze, Galleria d'arte moderna) e La madre (Roma, Galleria nazionale d'arte moderna), pur nella sicurezza del modellato e nel piglio spontaneo, non riescono a superare il carattere bozzettistico e di genere. Seguirono lo stile e le idee di Cecioni Augusto Passaglia (1837-1918), Augusto Rivalta (1835/37-1925) e Giovanni Focardi (1842-1903), tutti attivi in Toscana.
Pur ristretto nell'ambito regionale lombardo il movimento letterario e artistico della scapigliatura tentò di scuotere polemicamente l'ambiente accademico dell' epoca sia nel campo della poesia e del teatro sia in quello delle arti figurative. Al movimento appartennero alcuni scultori, tra cui emerge Giuseppe Grandi (1843-1891), artista espertissimo e di sicuro mestiere, che diede la sua opera più complessa e più celebre nel monumento alle Cinque Giornate a Milano, anche se sono forse più apprezzabili i bozzetti e le sculture di piccole dimensioni e i suoi sapienti ritratti. Le caratteristiche più significative della sua arte - l'audace modellazione, gli effetti di luce simili a quelli ottenuti dai pittori scapigliati che provocano lo sfaldarsi dei piani nell 'atmosfera, l'espressività del gesto - si rintracciano nel piccolo bronzo del Maresciallo Ney (Milano, Galleria d' arte moderna), opera veramente unica nella tradizione scultorea dell'Ottocento italiano. A Grandi si può riallacciare l'attività di artisti lombardi quali Ernesto Bazzaro (1859-1937), Paolo Troubetzkoy (1866-1938), noto per una serie cospicua di bronzetti e ritratti, e Leonardo Bistolfi (1859-1933).
L'artista che raccolse veramente le migliori suggestioni di Grandi, portando la scultura italiana a livello europeo, fu Medardo Rosso (1858-1928), formatosi in Lombardia ma attivo anche in Francia, dove si recò nel 1884 venendo a contatto con l'ambiente impressionista. Già prima dell'esperienza francese la cultura lombarda aveva dato a Medardo Rosso i presupposti della sua originale visione artistica. A contatto con l'opera degli scapigliati, egli elaborò nel mezzo scultoreo un gusto analogo per gli effetti luminosi e le vibrazioni atmosferiche che dissolvono la forma plastica, riuscendo a ottenere nella scultura effetti che sembravano propri e raggiungibili solamente nella pittura. In questo senso l'esperienza dell'impressionismo fu determinante per lui. Come egli stesso ebbe a dire « quello che importa in arte è far dimenticare la materia », e infatti questo scopo è raggiunto nelle sue opere spesso modellate in cera, una materia così tenera e traslucida che si presta a fermare anche l'impressione più fuggevole - Bimbo malato (Milano, Galleria d'arte moderna), Ecce puer (Venezia, Galleria internazionale d'arte moderna), Conversazione in giardino, Donna che ride (Roma, Galleria nazionale d'arte moderna) - ma anche nei bronzi trattati in maniera da annullare ogni impressione di peso e di consistenza volumetrica, come il Bersagliere con la morosa (Roma, Galleria nazionale d'arte moderna) e il Bookmaker (Milano, Galleria d'arte moderna).
Trascurabili in ogni senso, ma incombenti per notorietà e per la loro produzione sfacciatamente retorica nei monumenti celebrativi del secondo Ottocento, furono Giulio Monteverde (1837-1917), autore del monumento a Vincenzo Bellini a Catania, Ettore Ferrari (1845-1929), Ernesto Biondi (1855-1917), Francesco Jerace (1854-1937), Mario Rutelli (1859-1943), Raffaello Romanelli (1856-1928), Cesare Zocchi (1875-1922), autore del monumento a Dante Alighieri che si trova a Trento, Davide Calandra (1856-1915), Alfonso Balzico (1825-1901), e quell'Enrico Chiaradia (1851-1892), autore del mastodontico monumento equestre di Vittorio Emanuele al Vittoriano di Roma, simbolo del gusto e della retorica patriottarda dell'epoca.

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