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Thursday, March 17, 2016

CURTIUSIANA

Speranza

Curtius, Ernsto Roberto, critico e storico della letteratura (Thann, Alsazia, 1886 - Roma 1956); professore di filologia romanza all'università di Bonn, poi a Marburgo, Heidelberg e di nuovo a Bonn. Ha dedicato a D. il cap. XVII della fondamentale Europäische Literatur und lateinisches Milittelalter, Berna 1948 (19542), vari paragrafi di altri capitoli e taluni Exkursen. Altri importanti studi danteschi che, come il C. espressamente avverte, devono essere considerati preparatori: Zur Danteforschung, in " Romanische Forschungen " LVI (1942) 3-22; Teologische Poetik im italienischen Trecento, in " Zeitschrift für Romanische Philologie " LX (1940) 1-15; Dante und das lateinische Mittelalter, in " Romanische Forschungen " LVII (1943) 153-186. Nelle Remarques bibliographiques che precedono la traduzione francese della sua opera maggiore (Parigi 1956), il C. stesso aggiunge: Dante und Alanus ab Insulis, in " Romanische Forschungen " LXII (1950) 28-31. Inoltre: Neue Dante-studien, ibid. LX (1947) 2.
Le ricerche dantesche del C. s'inquadrano nella tesi generale dello studioso, secondo la quale le letterature europee devono essere considerate alla stregua di un vero e proprio sistema organico in continuità diacronica, derivante il suo carattere unitario dalla matrice mediolatina, attraverso la quale ha ricevuto le linfe vitali della latinità classica. Il caso di D., poi, assume nella teoria del C. un vero e proprio valore paradigmatico. Per il C. la conoscenza della civiltà letteraria (e non solo della produzione filosofica del Medioevo latino) giova a chiarire sotto il rispetto speculativo la posizione di D., che non s'identifica col tomismo di stretta osservanza, ma neppure con una risoluta autonomia dal pensiero dell'Aquinate, secondo la tesi di É. Gilson; a esattamente situare D. nei confronti degli autori classici a lui noti attraverso il diaframma medievale; a rendere possibile un'intelligenza non approssimativa ma compiuta ed esatta delle opere dantesche latine come delle volgari, troppo spesso interpretate e dichiarate alla luce della sola produzione coeva in italiano, in provenzale e in francese. Merito precipuo del C. è quello di avere raccolto, a sostegno della sua tesi, una ricca, preziosa e pertinente documentazione. Questa, già rilevante in ordine alla precisazione della situazione speculativa di D. e del suo angolo visuale in relazione ai classici (che comunque è tale da far escludere risolutamente l'inserimento di D. in una fase umanistica o preumanistica), diventa addirittura imponente quando il critico esplora l'esperienza letteraria mediolatina ai fini precipui dell'intelligenza dell'opera dantesca. È questo, d'altronde, l'aspetto più noto della ricerca del C., che individua e distingue in D. latinismi lessicali, morfologici, stilistici (singolarmente suggestiva l'indagine rivolta a figure quali la perifrasi, di cui il C. constata il larghissimo uso nella Commedia ai fini dell'elevazione stilistica, l'anafora, l'iperbole, l'annominatio), tematici. L'esame di questi ultimi, veri ‛ topoi ' o ‛ luoghi comuni del pensiero e dell'immaginazione ', assume, agli occhi del C., un'importanza particolare, giacché tocca il problema stesso della genesi della Commedia.
H. Herzel, riassumendo le estesissime ricerche del C. su tale argomento, fornisce un elenco, che potrebbe essere ampliato, di tali ‛ topoi '. Citeremo ad es, la Zahlenkomposition: non solo la struttura della Commedia, per il carattere sacro attribuito ai numeri uno, tre, nove, dieci, si riconduce alla tradizione medievale della composizione fondata sui numeri, ma ad essa si ricollega la stessa Beatrice, identificata già nella Vita Nuova col numero nove, la cui radice è tre, simbolo del mistero trinitario; l'uso d'indicare stagioni, mesi, giorni, ore mediante riferimenti astronomici: secondo il C., attraverso l'esperienza letteraria mediolatina (si cita Gervasio di Melkley), risalirebbe a Quintiliano; l'opportunità dell'anonimato dell'opera letteraria (con le dovute eccezioni), enunciata in Cv I II 3 e riconducibile alla tradizione retorica; l'exordium dell'opera letteraria (tipiche le invocationes della Commedia, della Monarchia, del De vulgari Eloquentia; e cfr. Ep XIII 31), pure di diretta derivazione mediolatina, così come le varie specie di metafore (riferentisi a persone, alla navigazione, al cibo, alle parti del corpo), e i personaggi paradigmatici (ad es. Amiclate [Pd XI 68], ben noto alla poesia latina del XII secolo, Traiano [Pg X 73-93], Maria giudea [XXIII 30], Taide [If XVIII 133-135], forse tutti e tre desunti dal Policraticus di Giovanni di Salisbury); anche l'uso di presentare due personaggi accoppiati, uno biblico e uno classico, si riconduce a s. Girolamo attraverso l'Ecloga Theoduli e Baudri de Bourgueil; altro ‛ topos ' le sentenze filosofiche tradizionali (ad es. Ego tanquam centrum circuli [Vn XII 4], che D. avrebbe derivato da Alano di Lilla, ma presente fra gli altri in Alessandro di Hales e Vincenzo di Beauvais), ecc.
Le relazioni di D. con la letteratura mediolatina sono dunque, per il C., di eccezionale importanza, e proprie di ogni fase e ogni parte della sua attività letteraria. Privarsi di tale mezzo di studio equivarrebbe a condannarsi a una visione limitata dell'opera dantesca. Ma il C. estende la sua ricerca anche ad altri importantissimi settori; notevole peso assume ad es. l'indagine riservata al problema del modus tractandi in D., irresolubile finché non ci si avvalga contemporaneamente e complementarmente e dei sussidi forniti dallo studio del pensiero scolastico e di quelli offerti dallo studio della retorica medievale. Il metodo del C. e i risultati dei suoi studi danteschi e in generale della sua operosità di storico delle letterature europee sono stati oggetto di critiche vivaci: è parso, ad es., che isolare sistematicamente i ‛ topoi ' comporti un sostanziale fraintendimento, sotto il rispetto storico, dell'opera d'arte, considerata alla stregua di fatto tecnico, e che l'insistenza soverchia sull'adesione di essa alla tradizione, in quanto attiene ai fatti stilistici o tecnico-letterari, impedisca l'apprezzamento della sua novità irripetibile, specie quando si tratti di arte grande e originale qual è quella dantesca. Ed è anche parso che la tesi della mediazione della letteratura latina medievale fra antichità e letterature moderne non sia nuova, ma anzi da tempo acquisita, e che la polemica del C. nei confronti della dantologia ufficiale sia il più delle volte ingiustificata. Non manca però chi, come V. Pisani, pensa che la ricerca del C., " frutto di vastissima dottrina, raggiunga perfettamente il suo scopo e ci faccia vedere come, oltre la critica impressionistica, la storia letteraria abbia il compito di disegnare l'evoluzione dello spirito attraverso la creazione e la tradizione delle forze espressive " (rec.- a Europäische Literatur..., p. 256). È certo comunque che il C. ha, con sicura dottrina e illuminata acribia, percorso genialmente una via che si è rivelata tutt'altro che infeconda, ampliando il campo della ricerca e adducendo reperti così numerosi e probanti da far considerare in ogni caso positivo il suo apporto agli studi danteschi, pur se certe enunciazioni o prese di posizione non sembrino accettabili senza opportune e doverose messe a punto.
Bibl. - V. Pisani, rec. a Europäische Literatur..., in " Paideia " V (1950) 225-264; H. Frenzel, Latinità di D. (Riassunto delle teorie dantesche di E.R.C.), in " Convivium " XXII (1954) 16-30; G. Petronio, E.R.C. o la critica del luogo comune, in " Società " XIV (1958) 781-799 (su posizioni fortemente critiche); G. Rizzo, Valore e, limiti del contributo di E.R.C. agli studi danteschi, in " Italica " XXXVII (1960) 277-286 (pure esprimente un punto di vista sostanzialmente negativo); D. Della Terza, E.R.C., in " Belfagor " XXII (1967) 166-185; E. Auerbach, rec. a Europäische Literatur..., in Gesammelte Aufsätze zur romanischen Philologie, Berna e Monaco 1967, 330-338.

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