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Monday, September 15, 2025

Grice e Rivetta

 GRAMMATICA 

rivoluzionaria e ragionata 


DELLA LINGUA ITALIANA 


e di orientamento 
per lo studio delle lingue straniere 


di 
Pietro Silvio, Rivetta 
(TODDI) 


con lIO grafici dell'Autore e 16 tavole fuori testo 


DE CARLO 1947 


PROPRIETÀ LETTERARIA 
DELLA CASA EDITRICE DE CARLO 


L’Autore e l’Editore si riservano ogni diritto 
per tutto ciò che, in questo volume, è nuovo 
ed originale. 


Copyright by De Carlo S. R. L. 
Roma 1947 


STAMPATO E RILEGATO NELLO STABILIMENTO 
DELLA CASA EDITRICE DE CARLO 


AVVERTENZA 


Nella trascrizione dei vocaboli stranieri sono stati 

) adottati alcuni ripieghi tipografici: così, ad esempio, 
\ per il rumeno e il turco l's con la sediglia è stato so- 
* stituito con il digramma « sh » (0 eccezionalmente con 
‘ «s,»), ed il rumeno t con la sediglia è rappresentato 
. con il digramma «ts» o «tz»; nell'espressione grà- 
| fica « a0 » (svedese, giavanese, siamese), il circoletto 
“ deve intendersi sovrapposto all’a; parimenti, nelle for- 
me «C'», «g'», «n’», ecc. l'apostrofo ha valore di 
accento sovrapposto alla consonante; nelle voci porto- 
© ghesi, l'accento circonflesso sta talora a rappresentare 
la til di nasalizzazione (£ ). 
Per le lingue indiane, americane, africane e vcea- 
niche son stati seguiti i sistemi più comunemente dif- 
fusi nelle rispettive grammatiche. Il cinese è reso con 
grafia italiana, e va quindi letto a modo nostro: gli 
esponenti numerici indicano il « tono » delle varie sil- 
labe. Per il giapponese si è adottato il « sistema R6maji 
Hepburn », usando l'accento circonflesso come segno 
di vocale lunga. Il sistema Nipponsiki (Nipponshiki) 
a, più razionale, ma il R6maji è più diffuso e più sem- 
Oplice, poi che le vocali van sempre lette all'italiana, 
“sia isolate che nei dittonghi, e le consonanti sempre 
all'inglese. Analoga è la trascrizione del coreano, o0s- 
servando però che la vocale «i» dopo a, u ed o equi- 
< vale allo Umlaut tedesco: quindi kai= ki, uihata = 
linata, yoi = yÒ. 


x 


pos, 


2 


— 


de 


‘>! Il lettore intelligente correggerà gli errori di stam- 
«pa, dovuti alle circostanze eccezionali: il « reperto- 
? rio » in fondo al volume potrà servire per il controllo 


ortografico. 


td 


INDICE 


I - « Essere» . 
II - L’energia verbale 
III - Numero e armonia aa 
IV - Non «filiazione » ma « evoluzione » 
V - Le cellule del discorso 
VI - I « modi» dell’energia verbale 
VII - La localizzazione nel tempo 


VIII - Psicologia, fisiologia e anatomia 
del verbo i Rel 


IX - L’androceo e il gineceo dei sostan- 
tivi sw > è 


X - Il plurale è a i corte 

XI - I tipici surrogati dei sostantivi 
XII - I pronomi integrali 
XIII - Parole-catena e parole X 
XIV - Il pronome-specchio e il Sig. N. Ne 
XV - Le voci determinanti 
XVI - Le voci descrittive 


XVII - Le parole sulle terre, sui mari e 


nei cieli é 
XVIII - Dai luoghi alle persone e viceversa 


XIX - I termometri delle azioni e delle 
qualità ; 5 e 


XX - Gli eredi della declinazione. 
XXI - Le voci connettive 
XXII - Le voci appassionate 
INTERMEZZO 
| XXIII - Quando si è « di scena » 
" XXIV - Il discorso personale 


REPERTORIO degli argomenti 
delle persone e dei vocaboli 


ln 


“Essere,, 


(1) 


1. — Iddio è. 

Soltanto Iddio è. 

Il verbo « essere », nel suo significato com- 
pleto, assoluto e senza limitazione nel tempo o 
nello spazio o nel modo, può usarsi solamente 
se riferito a Dio. 

L’« essere » è indefinibile, perché è il più semplice 
e generale di tutti i concetti. « Non si può tentare di 
definire l’essere senza cadere in un assurdo, giacché 
non si può definire una parola senza cominciare con 
questa: « è... », sia espressa, sia sottintesa. Quindi per 
definire l’essere bisogna dire che è, e così adoperare 
nella definizione la parola da definire », (Pascal). 


2. — Dell’« essere » abbiamo diretta intui - 
zione: ed essa è fondamentale: l’oggetto del- 
l'intelletto è ciò che è: (objecius infellectus esi 
enis). | 

Dalla fondamentale affermazione: « esistono enti, 
ed enti diversi fra loro » si giunge alle più alte vette 
del pensiero speculativo, pur in aderenza perfetta con 
l'obiettiva realtà. 

Il nostro intelletto non può non dare il suo spon- 
taneo assenso all’evidenza oggettiva del reale c dei 
primi principî in esso impliciti. di 

La philosophia perennis (aristotelico-tomi- 
sta) è la scienza dell'essere. 


3. — La grammalica perennis è parte del- 
la filosofia, in quanto è un settore della cono- 
scenza e della normativa saggezza. 


cala 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


e ‘essere ? ATL 
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Solamente Iddio « È » (È n) 


4.— La grammatica è l'insieme del- 
le norme e leggi che regolano il valore e il 
nesso dei suoni articolati onde esprimere con 
precisione e correttezza per mezzo di essi (a 
voce o con simboli grafici che li rappresenti- 


x 


Roio RI 


SOLTANTO IDDIO « È » 


no) (1) le limitazioni dell’essere, in corrispon- 
denza con l’obiettiva realtà esistente e pen- 
sata (2). e 


* * * 


5. — Iddio è « Colui-che-è »: in Lui si iden- 
lificano soggetto e predicato verbale: in Lui 
non dobbiamo infatti distinguere l’« agente » 
dall’« azione », poi che Egli è « atto puro », e 
la Sua « essenza » non è distinta dal Suo « es. 
sere ». li 

Di Lui soltanto si può affermare che « è ». 

Ed Egli soltanto poteva dare di Se stes- 
so la adeguata definizione: « Ego sum qui 
sum » (3). 


(1) Nelle lingue la cui scrittura rappresenta più 
o meno regolarmente i suoni dei vocaboli. La gram- 
matica assume aspetto diverso per quelle lingue la 
cui scrittura è « ideografica », ossia con segni che sim- 
boleggiano direttamente l’idea, indipendentemente (più 
o meno) dalla loro manifestaziofie orale. 

(2) Il pensiero formulato è anch’esso una obietti- 
va realtà: ed è possibile « pensare ed esaminare il pen- 
sato », come ente a sé: è una realtà psico-fisica, in 
quanto nessun pensiero umano è possibile senza l’in- 
tervento dello strumento fisiologico dell’intelletto, os- 
sia il cervello, nelle cui cellule corticali il fatto del 
pensiero produce variazioni biochimiche specifiche, 
connesse con quel che si pensa. Da ciò non deve de- 
dursi che il pensiero possa considerarsi una « secre- 
zione del cervello »: al contrario, le cellule cerebrocor-. 
ticali sono tipicamente modificate dall’attività spiri- 
tuale, pur essendovi sempre tra spirito e corpo un 
nesso di interdipendenza. Cfr. Toddi, Geometria della 
realtà e inesistenza della morte, Roma, De Carlo, 1946, 
pag. 71, 276, 357, ecc. 

(3) Esodo, III, 14. — Il testo ebraico « dice lette- 


ralmente: « Disse Dio a Mosè: — Sono colui che [è] 
«Io sono ». -- Ed aggiunse: — Così dirai ai figli di 
Israele: « Io sono » m'ha inviato a voi — ». È da no- 


tare che in ebraico «Io sono » è regolarmente la pri- 
ma persona singolare del verbo « essere », cioè Ehyeh, 
la quale è qui usata perché Dio parla di se stesso. 
Quando invece l’uomo parla di Dio lo chiama con 
la terza persona singolare dello stesso verbo, « Egli è » 
cioè Yahveh (Jahvé) ». La Sacra Bibbia. Introduz. e 
note di G. Ricciotti, Firenze, Salani, 1939, vol. I, 


NE rr 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


6. — In qualsiasi altro caso il verbo essere 
ha un significato non assoluto ma limitato, e 
perciò è sempre accompagnato da elementi i 
quali esprimono tale limitazione. 


7. — La più semplice limitazione 

temporale può aversi: 

a) dando al verbo essere il significato di 
« cominciare ad esistere », es.: « Sia la luce, @ 
la luce fu ». (Genesi, I, 3); 

b) dando al verbo essere il significato di 
« cessare di esistere », es.: « Ei fu». (Manzo- 
ni, Il 5 Maggio); 

c) riunendo nel verbo essere le due limi- 
tazioni a) e D), es.: « Il misero orgoglio d’un 
tempo che fu ». (G. Capponi) (1). 


pag. 163. — Ignoriamo come gli Ebrei intendessero 
realmente pronunziato il nome di Dic -— che era del 
resto «ineffabile » ossia innominabile per rispetto — 
giacché i testi non indicano le vocali: le quattro con- 
sonanti che io compongono (J.H.V.H) implicano, 
comunque, l’idea dell’« essere ». — Non certo nella 
mente del compilatore dell’Esodo poteva spontanea- 
mente o per elucubrazione filosofica sbocciare una de- 
finizione tanto perfetta: assai più tardi i Presocratici, 
in Grecia, cominciarono a porsi il problema dell’« es- 
sere » e della realtà, problema che tuttora assilla le 
menti più acute e più allenate alle profonde specula- 
zioni filosofiche: e nessuna di queste menti e di quelle 
future saprebbe escogitare una sì grandiosa, sem- 
plice e precisa definizione. Non è ciò prova luminosa, 
atta a dimostrare l’« ispirazione » diretta dei sacri te- 
sti? — « Supernaturali ipse (Iddio) virtute, ita eos (gli 
agiografi) ad scribendum excitavit et movit, ita scri- 
bentibus adstitit, ut ea omnia eaque sola quae ipse 
iuberet, ut recte mente conciperent et fideliter conscri- 
bere vellent et apte infallibili veritate exprimerent; 
secus non ipse esset auctor Sacrae Scripturae univer- 
sae ». Leone XIII, Enciclica Providentissimus Deus, 
1893, Enchir. B. n. 110. 

{1) Vanno sotto il nome di Gino Capponi, sia nei 
manoscritti come nelle stampe, i Commentari dell’ac- 
quisto di Pisa, anno 1406; ma par che piuttosto ne 
fosse autore il figliolo Neri Capponi. Cfr. L. A. Mu- 
ratori, Rerum Italicarum Scriptores, tomo XVIII, 
pag. 1110. : 


said 


RETTA E SEGMENTI DI « ESSERE » 


Acconciamente il valore del verbo essere può 
esprimersi con una retta, la quale è infinita nei due 
sensi, per il significato integrale di essere: (« Iddio 
è »): possono raffigurarsi con semirette i casi a) e bd): 
il primo è limitato dal punto o momento iniziale (A): 
«la luce fu» equivale a «la luce [da allora] fu»: nel 
secondo caso (b) la semiretta è determinata dal punto 
terminale (B): « Ei fu» equivale a « Ei fu [fino a quel 


RETTA:» 
“Dio è” 


1000000 0000005: 


I .. “e la luce fu” 


YTYT 


SEMIRETTE 
i 


SEGMENTO: I 
Pili tempo che fu” 


(8 7) 
momento] ». In tanto però è esprimibile con una semi- 
retta, in quanto non si tien conto che l’esistenza di 
Napoleone ebbe un inizio: giacché in tal caso l’«es- 
sere » sarebbe rappresentato da un segmento, quale è 
appunto nel caso c), in cui l’« essere » è limitato da 
A e da B. 

8. — La limitazione temporale, delimitante 
il valore del verbo essere nel suo significato 
di esistenza (o accadere), può essere espressa 
o implicita. 

La limitazione è espressa quando altri ele- 


RETE, rr 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


menti indicano il principio, la fine, o entrambi 

. 1 limiti dell’esistenza. Nel verso 

| « Dinanzi a me non fr cose create » 
(Inferno, III, 7) 

il complemento « dinanzi a me », ossia « pri- 

ma di me», è chiaro confine temporale. Nel 

Verso 

« Nacqui sub Julio, ancor che fosse tardi » 

(Inferno, I, 69) 

l'indicazione « tardi », connessa a «sub Ju- 

lio », localizza nel tempo il « momento » (seg- ‘ 

mento di « essere » nel senso di « avvenire ») 

della nascita di Virgilio (1). 

La limitazione è implicita allorché il sog- 
| getto stesso ha valore temporaneo, istantaneo 
o di durata, Es.: « È primavera » — « Sono tre 
mesi che... » — « Sono le 4 e 40...» — « Sa- 
ranno le tre meno un quarto ». 

« Era già l'ora che volge il disìo 
ai naviganii... » 
(Purgat., VIII, 1). 

9. — La limitazione temporale può man-. 
care quando il verbo essere sia accompagnato 
da una negazione, poi che in tal caso la sua 
durata si riduce a. zero. Es.: « Non c'è modo 
di... »; 

« Né creator né creatura mai — 
cominciò el — figliol, fu senza amore... » 
(Ariosto, Orl. Fur., XXXV, 23). 

10. — È evidente l’affinità di « essere », nel 
senso di esistere (in tempo e luogo limitati) e 
quello in cui essere ha significato di accadere, 
avvenire, in quanto esiste la realtà dell’even- 
to, es.: « Che è? » (2) — « Che è sfalo? » — 


(1) Nato nel 70 av. Cr., Virgilio era appena ven- 
tiseienne quando Cesare fu assassinato (44 av. Cr.), e 
forse il Poeta non era ancora venuto a Roma. 

(2) La corrispondente espressione dialettale roma- 
nesca va scritta « Ched è? » e non « Che d’è? ». — Ce- 
sare Pascarella scrive: 

«— E mo ched’è laggiù fra li cancelli? » 
(« Er fattaccio », III, 9) . 
ma l’apostrofo è abusivo, poi che nessuna vocale è 


RE pai 


FUNZIONE DEL VERBO «ESSERE » 


«Quel che è stato è stato ». 
« Gli domandai che della donna fusse » 
(Ariosto, Orl. Fur., XXIV, 23) 


11. — Il verbo essere può avere una limi- 
tazione spaziale. 

Anche questa limitazione — come la tem- 
porale — può essere espressa o implicita, es.: 
« Chi è? » (ossia « Chi è qui? ») — « Sono io! » 
(id.) —_ « Quel ore è lî» — «Le chiavi del 
Mediterraneo sorto nel Mar Rosso » (Pasqua- 
le Stanislao Maneini) (1). 

Può aversi anche una localizzazione spa- 
ziale metaforica: « Im vino veritas (sottinteso 
« est »): « Nel vino è la verità ». 


12. — In tutti i casi sin qui elencati, il ver- 
bo essere ha significato autonomo, ed equivale 
ad esistere o stare oppure ad accadere, avve- 
nire, senza altra limitazione che quella tem- 
porale o spaziale. 

In tutti gli altri casi il verbo essere ha la 
îunzione di 


aîfermare o negare un'identità: 


constatare o negare una qualità nel sog- 
getto; | 


constatare o negare nel soggetto uno sta- 
to prodotto dall'azione compiuta di un verbo; 


constatare o negare nel soggetto uno sta- 
to prodotto dall’azione in atto di un altro verbo. 


La grammatica tradizionale confonde le due pri- 
me funzioni, ben diverse fra loro, riunendole in una 
sola, cui vien dato la impudica ed impropria denomi- 


stata elisa: ched è il latino quid (italiano « che »). La 
consonante d è rarissima come finale, ma l’abbiamo 
nella parola sud. Andava invece apostrofato il « mo' », 
tronco per « modo ». (= « ora, adesso »). — Come il 
« Ched è?» romanesco va graficamente trattato quello 
napoletano, pronunziato quasi « Cher è? »._ 

(1) Seduta parlamentare del 27 gennaio 1885. 


ria 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


DI 


«| nazione di « copula » (1). Se la proposizione è nega- 
tiva, la grammatica burocratica parla — con patolo- 
gica contraddizione in termini — di « copula disgiun- 
tiva!» (2). : i . 


13. — Ben distinte tra loro sono le due pri- 
me funzioni (es.: « Questo fiore è una rosa 
canina » — « Questo fiore è bianco »). 

Quando afferma o nega una identità tra il 
soggetto e un altro termine, il verbo essere si 
basa su uno dei principî fondamentali del no- 
stro pensiero, quale è appunto il principio di 
identità, affermando (o negando) la « me- 


EGUAGLIANZA 


a+b=c 


Ù Ù 
---q90c00d- <--- 


IDENTITÀ 


I due valori di « essere » (8 13) 


desimezza » della cosa. Allorché diciamo che 
« L’ipotenusa è il lato opposto all’angolo retto 
di un triangolo rettangolo » non constatiamo 
una proprietà o qualità del soggetto, ma defi- 


(1) « Per la inriverenza che ebbono al sacramento 
matrimoniale, di copularsi prima che avessono la di- 
spensagione. » F. Guicciardini, Storia d’Italia, 12 edi- 
zione, Firenze, Torrentino, 1561, vol. XV, pag. 749. 

(2) « Disgiuntivi si dicono quei nessi che servono 
di copula negativa di un predicato a un subbietto ». 
(Tommaseo). 


ii 


EGUAGLIANZA E IDENTITÀ 


niamo con altre parole la stessa cosa espres- 
sa dal sostantivo (o altro vocabolo o insieme. di 
vocaboli in funzione di sostantivo). 

Allorché, invece, si afferma che « Il qua- 
drato costruito sull’ipotenusa è uguale alla 
somma dei quadrati costruiti sui cateti » (Teo- 
rema di Pitagora), si afferma un’eguaglianza, 
ossia una delle proprietà del quadrato stesso, 
il quale ron è la somma dei quadrati costruiti 
sui cateti: questi son due quadrati diversi da 
esso (1). 

Nei primo caso infatti il predicato deve essere un: 
sostantivo (o vocabolo o insieme di vocaboli in fun- 
zione sostantivale), appunto perché non si può affer- 
mare l’identità di due cose diverse, mentre nel secondo 
caso il predicato ha carattere aggettivale, attributivo, 
predicativo; esprime un connotato, una DIODRIEIA, una 
qualifica. 


Nel verso dantesco | 
« Or se’ tu quel Virgilio e quella fonte... » 
(Inferno, I, 78) 


il verbo essere esprime un'identità, che è raî- 
forzata dal « quel » e « quella »; e fonfe e Vir- 
gilio sono la stessa cosa che tu. . 


—————————_—_—_—_. 


(1) Né deve trarci in inganno l’uso pratico del se- 
gno matematico dell’uguaglianza (=), adoperato cor- 
rentemente per le due diverse funzioni, ossia anche 
per esprimere l’identità: riferendosi alle figure qui ri- 
prodotte, il segno « = » ha ben diverso valore nelle 
‘due affermazioni: 

AB = ipotenusa 
atb=c 

Nella prima il segno significa « è », nella seconda 
significa « equivale a », « è uguale a». 

Nel simbolismo della « logica matematica », esco- 
gitata da Leibniz per « assoggettare gli enti logici ad 
un calcolo simile a quello algebrico » e perfezionata 
da varî filosofi e matematici e specialmente dal no- 
stro Peano, il segno e (iniziale del greco esti, « è ») 
significa « è », «è un... » — Cfr. C. Burali-Forti, Logica 
matematica, Milano, Hoepli, 1919, pag. 3, 299 e segg. 


RI 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


14. — Più ristretta funzione ha quindi il 
verbo essere, ossia quella di affermazione (0 
negazione) parziale, quando non stabilisce 
un'identità ma predica un accidente, ec.: 


« E li parenti miei furon lombardi, 
e mantovani... » 
(Inferno, I, 68-69) 
Non è sempre facile distinguere se il verbo essere 
abbia l’una o l’altra funzione; ma la difficoltà di di- 
stinguerle — in taluni. casi — non implica che esse 
siano identiche e neppure analoghe: Nel verso 


«Qual che tu sii, od ombra od omo certo » 
(Inferno, I, 66) 


quale è la funzione di essere (sii)? La mancanza di 
articolo lascia propendere per la interpretazione at- 
tributiva, qualificatrice. 


15. — L'esame in profondità di simili casi 
è utilissimo, addestrandoci alla comprensione 
dei processi logico-linguistici e psicologico- 
linguistici. 

Attraverso questi meccanismi si rivela la 
peculiare forma mentis di un popolo e, anche, 
di un individuo. 

Un errore di sintassi o di morfologia può 
equivalere, come sintomo rivelatore, ad una 
dislalia cui corrisponde una anomalia — sia 
pur lievissima — fisiopsichica (1). 


———— <+_—————€@6»@m6_ 


(1) « In realtà non si è mai tanto idioti da non 
aver nulla da dire. Se un idiota non parla si è perché 
ha un ostacolo nella formazione dei simboli motori 
della parola, nella ioro evocazione e nella loro esecu- 
zione. Chi pensa, sia pure con immagini ottiche e tat- 
tili-muscolari, deve esprimere il suo pensiero. Se l’i- 
diota afasico non parla, si è che manca della perce- 
zione dei rapporti fra le cose ce i segni, ha un difetto 
specifico di esprimere in simboli verbali le rappresen- 
tazioni e i sentimenti che possiede e le sensazioni che 
prova. Lo sviluppo del pensiero logico e quello del lin- 
guaggio sono paralleli ». G. Bilancioni, La voce parlata 
e cantata, normale e patologica, Roma, Pozzi, 1923, 
pag. 421. 


ROVERE (EE 


NON « AUSILIARE » MA PRINCIPE 


* >» %* 


16. — Inesattamente si dà al verbo essere 
la qualifica di «verbo ausiliare», Il 
verbo essere è verbo principe, non servo ma 
signore. Il verbo essere vive sempre di vita 
propria, anche quando ha la funzione di affer- 
mare (o negare) uno speciale stato del sogget- 
to, derivante dall’azione di un altro verbo. 

Non esistono, anzi, altri verbi se non in 
quanto contengono, come principio attivo e vi- 
tale, il verbo essere. 

Postulare che il verbo essere sia « ausi- 
liare » nel discorso è come affermare che l’a- 
nima è l’ausiliare del corpo. 


17. — Ogni voce verbale è scindibile nei 
due elementi logici ed espressivi che la com- 
pongono: cioè appunto nel verbo « essere » 
elemento indispensabile per l’azione, e nell’e- 
lemento specifico che determina il tipo di 
azione. Na 


18. — Se l’azione si esaurisce interamente 
nel soggetto stesso ed ha il suo risultato com- 
pleto, (e perciò l’azione stessa è terminata) il 
verbo, detto comunemente intransiti- 
vo, si scinde nei suoi due elementi, Il verbo 
perde infatti le sue caratteristiche « verbali » 
di « persona », (prima, seconda, terza), di di- 
namismo sotto i varî aspetti (« modo »), ed as- 
sume quelle tipiche dell’aggettivo (genere: ma- 
schile, femminile). Rimane integro invece il 
verbo essere, per affermare o negare il risul- 
tato statico di questo processo dinamico. Nel. 
la proposizione « Io sono venuto » il verbo es- 
sere ha piena vitalità: afferma, nel soggetto, il 
risultato della compiuta azione intransitiva di 
venire. Nella proposizione « Questo fiore è 
sbocciato » il verbo essere afferma nel fiore 
le condizioni derivanti dalla compiuta azione 
intransitiva di sbocciare. 


RSS, i REC 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


In alcune lingue, più o meno sintetiche, questa 
separazione o scioglimento — che potremmo chiamare 
logolitico per la sua analogia con il processo elettro- 
litico — non avviene: il latino veni cquivale al no- 
stro « passato remoto » ed al nostro « passato pros- 


A) Analogo al processo di e- 
lettrolisi è quello per cui l’italia- 
no scinde il latino VENI nei 
due elementi dei quali. consta. 

B) L’ideogramma cinese del- 

l’azione terminata: l'antico segno del « bimbo » (a), 

stilizzato dal pennello nella forma moderna (b), ha 

perduto le braccia (c) pormanco così l’ideogramma 
lia03, (8 the, 


simo »; in questo secondo caso l’italiano lo scinde in 
« sono venuto », ossia sono (esisto) nelle condizioni 
risultanti dalla completa esecuzione dell’azione intran- 
sitiva « venire » (1). 


(1) Nelle lingue interamente analitiche, come ie 
« isolanti », nelle quali ogni idea, anche accessoria, co- 
stituisce un elemento a sé, questa compiutezza del- 
l’azione ha una sua speciale espressione fònica, e, 
nella scrittura, un simbolo specifico. L’ideogramma ci- 


12 — 


Ms 


RISULTATI DELL’ANALISI 


‘ 19. — Non dissimile è ia funzione del ver- 
bo essere nelle forme passive. Qui l’azione 
verbale è compiuta da persona diversa dal sog- 
getto, e può perciò coesistere nello siesso 
tempo. 

L’intera Îlessione passiva latina (« epistu- 
la scribitur ») è scomparsa, per lasciare il po- 
sto alla cosiddetta «îorma passiva» ita- 
liana: « la lettera è scritta » da « littera (= epi- 
slula) scripta esi ». Anche qui il verbo essere 
ha tutta la sua vitalità, né può essere « passi- 
VO »: tipico passivo, nella forma e nel signifi- 
cato, è il participio passato del verbo tra n - 
sitivo, il quale ha perso ogni connotato 
verbale di persona (1°, 2°, 3°), per assumere 
quello aggettivale del genere (maschile, îem- 
minile). + poi che il risultato dell’azione non 
è nella persona o cosa che la compiono, ma 
nel soggetto paziente di tale azione « ransi- 
tiva », più esatto sarebbe chiamare « participio 
passivo » quello che si accompagna con ii 
verbo essere ad indicare tale stato, e che uî- 
ficialmente è detto « participio passato ». 


20. — Questa distinzione e questa deno- 
minazione presenia due vantaggi: chiarisce il 
diverso uso e significato dei due « participî » 
passaio e passivo (l'uno è proprio il rovescio 
della medaglia dell’altro: in « ho letto il libro », 


nese per tale idea è stato ricavato dal segno espri- 
mente « bimbo, fanciullo »: questo era raffigurato da 
un neonato con le gambe riunite nelle fasce e le brac- 
cia aperte (in azione): rendendo invisibili ie braccia, 
fuse cioè con il corpo (perché non più in azione) 
l'ideogramma così semplificato esprime la compiutez- 
za e il termine dell’azione espressa dall’ideogram- 
ma specifico. li segno si pronuncia lido3, o lao? o 
la, a seconda della maggiore o minore energia affer- 
mativa di tale compiutezza. — In molte lingue l’indi- 
cativo passato (perfetto) serve anche da participio 
passato: il suffisso d, tipico del passato e participio 
passato dell’inglese, è la contrazione di did, passato 
di to do. 


= 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


il participio /etto è attivo e passato; in « il libro 
è lefto da me », il participio /elfo è passivo e 
presente) e inoltre elimina il ridicolo contro- 
senso — al quale legittimamente si ribellano 
i nevizî di grammatica — per il quale il « sog- 
getto » di un « verbo passivo » resta « sogget- 
to » sebbene l’azione espressa dal verbo sia 
compiuta da altri. 

Ad un fanciullo che aspira a conoscere, 
dalla grammatica, l'aderenza delle parole con 
il pensiero e con i sentimenti, riesce ben dif- 
ficile intendere che nella proposizione « Pie- 
tro è picchiato da Paolo », Pietro è il sogget- 
to del verbo « picchiare », sia pure in forma 
passiva. Assai più facile sarà spiegare a quel- 
l’anima semplice — ed anche agli adulti — 
che Pietro è, ossia esiste, ma nelle condizio- 
ni di « picchiato »: al vocabolo corrisponde la 
realtà obiettiva, il corpo fisico contuso: dolo- 
rosa limitazione dell’essere. Ma se Pietro non 
fosse, non potrebbe essere in tale condizione. 

I mirabili versi foscoliani 

« Ahi, sugli estinti 
Non sorge fiore ove non sia d’umane 
Lodi onorato e d’amoroso pianto » 
(Sepolcri, 88-89) 


hanno vera vita e bellezza — nell’accento e 
nel significato — solamente se « fiore » sia 
considerato soggetto di « sia », e questo come 
vero verbo « essere », non «ausiliare », ma 
completato anzi, predicativamente, dal « parti- 
cipio passivo ». 

21. — Non v'è ragione legittima per cui, 
avendo la lingua italiana scisso alcune voci 
verbali latine nei loro componenti, questa scis- 
sione, rispondente ad una forma di pensiero e 
di sentimentò, sia negata da un formalismo 
nominalistico che continua a considerare 
lempi composti quelli che sono proprio 
1] risultato di una scomposizione. 


— 14 — 


. 


IL SOLO VERBO INDISPENSABILE 


22. — Resta invece incorporalo nel voca- 
bolo specifico, per formare il « verbo in azio- 
ne », il verbo essere, onde conferire a quello 
vitalità e diretia efficacia, allorché l’azione va 
più immediatamente espressa. Ideologicamen- 
te, però, anche queste forme risultanti sono 
sempre scindibili nel verbo essere, indispen- 
sabile, e nel participio presente: es.: 
«Quel fiore olezza » = « Quel fiore è olez- 
zanie ». 

23. — Ogni voce verbale esprime dunque 
l’idea dell’esistenza reale o intellettuale © 
l’idea di una determinata modificazione unita 
all'esistenza. 

« Essere », pur limitato e modificato, e pur 
morfologicamente incorporato nelle voci ver- 
bali, rimane sempre l'elemento essenziale del. 
l’azione o dello stato espressi da esse. 

Essere è il solo verbo indispensabile (1), 
persino nel limitato, come l’°« Essere » assolu- 
to è l’unico « necessario » in senso assolu- 


to (2). 


(1) « On pourrait se passer de tous les verbes, 
excepté de celui-là seul qui, dans chaque langue, est 
destiné à exprimer l’idée de l’existence ou réelle ou 
intellectuelle ». N. Landais, Grammaire générale des 
grammaires francaises, Paris, Didier 1845, pag. 315. 

(2) « Tutte e singole le cose dell’universo si muo- 
vono perché sono mosse, causano perché sono causate, 
esistono -perché c’è chi le fa esistere, hanno varî gra- 
di di perfezione perché li ricevono, tendono al fine 
perché vi sono dirette. Ma non è possibile procedere 
all'infinito nella serie delle cose che ricevono il moto, 
la causalità efficiente, l’esistenza, la perfezione, la ten- 
denza finalistica; bisogna arrivare .ad un essere che 
tutto dà e nulla riceve. 

. Se vogliamo spiegare dunque il moto, la causa- 
lità efficiente, l’esistenza, la perfezione e l’ordine del- 
l'universo, al di là dei motori mossi, delle cause cau- 
sate, degli esseri contingenti, partecipanti la perfezio- 
ne e diretti al fine, bisogna collocare un motore im- 
mobile, una causa non causata, un essere assolutamen- 
te necessario, un essere sommo, una suprema intelli- 
genza ordinatrice, Dio ». P. Zacchi, Dio, 32 ediz., Ro- 
ma, Ferrari, 1944, vol. II, pag. 59. 


l'i 


“L'energia verbhale 


. 


3 (II). 


24. — Il verbo è la parte vitale del lin- 
guaggio, | | 

Ogni espressione del pensiero a mezzo 
della parola, se non sia una semplice interie- 
zione, si impernia sul verbo. 

Il verbo è la parola fondamentale ed essen- 
ziale del discorso. | 

Il verbo è la parola per eccellenza (1). 


25. — Tutti gli altri elementi del discorso 
servono a limitare e precisare il fenomeno 
espresso dal verbo. i 

26. — Talora il verbo può rimanere foni- 
camente (e quindi graficamente anche) ine- 
spresso: ma ciò non significa che esso manchi 
interamente nella proposizione, la quale è 
espressione del pensiero: e, nel pensiero, il 
verbo è sempre presente ed agente. 

Allorché, ammirativamente, esclamiamo « Bello! », 
intendiamo dire: « È bello! »; quando invochiamo 
« Aiuto! », questo solo vocabolo non avrebbe nessuna 


(1) La parola, in latino, è verbum: traduce il Lo- 
gos greco che, psicologicamente, è il termine della 
cognizione intellettiva, ossia idea, concetto, « parola 
della mente ». Teologicamente, il Verbo è la seconda 
persona della SS. Trinità, che procede dal Padre per 
via di intellezione e di vera generazione spirituale. 
S. Giovanni ne afferma l’eternità, la personalità, la 
natura divina e la potenza creativa: « /n principio erat . 
Verbum... Omnia per ipsum facta sunt, et sine ipso 
factum est nihil, quod factuni est; in ipso vita erat... » 
Joh., I, 1-4. 


—upa 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


efficacia, se l’appello non significasse: « Datemi ailito! 
Prestatemi aiuto! »; — « Silenzio! » non produrrebbe 
l’effetto voluto, se non fosse detto ed inteso nel si- 
gnificato completo di « Fate silenzio! »: persino i car- 
telli nelle vetrine dei negozi sottintendono altrettanti 
verbi quanti sono i «concetti» numerici o di altro 
genere cui si accenna sinteticamente nei cartelli stessi. 


[INGRESSO 
| LIBERO 
| [OGGI FORTI RIBASSI 


Persino i cartelli nelle vetrine dei negoziî... 


27. — Nella comune grammatica tradizio- 
nale, il verbo e gli altri elementi si chiamano 
parti del discorso. Possiamo accetta- 
re questa denominazione, pur generica ed im- 
perietta, ma dobbiamo dividere le « parti del 
discorso » in tre distinte categorie: a 

a) il verbo, o parte vitale ed energe- 
tica del discorso; | 


18 


LE PARTI DEL DISCORSO 


b) il nome o parte sostantiva del di- 
SCOrso; | | 
c) le parti accessorie del di- 
scorso. o | 
‘28. — Gli uomini sono arbitri di usare i 
vocaboli a loro piacimento, ma le parole han- 
no speciali proprietà, indipendentemente dalla 


pnl; | 
È 
Pri 


d_P 


stav 


Sad. 
ESTR 


.. sottintendono altrettanti verbi... (8 26) 


volontà di chi le adopera: e perciò esistono 
leggi grammaticali precise (1). 


(1) Taluno ha negato la grammatica normativa, 
asserendo che la grammatica si impari « leggendo, leg- 
gendo, leggendo, e intanto parlando, parlando par- 
lando: come per capire appunto le regole del nuoto, 
bisogna buttarsi in acqua, e restarvi un pezzo, e muo- 
vervisi, e nuotare; e si sa che si impara a patto che 


— 19 —.. 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


29. — Il verbo può esistere anche isolato, 
ed esprimere un fenomeno generale, senza 
soggetto e senza complementi. 

I verbi esprimenti fenomeni meteorologici 
sono esempi del verbo isolato e senza limita- 
zione: piove, iuora, grandina, nevica, lam- 


peggia... 


È artificio di grammatisti voler trovare un « sog- 
getto sottinteso di 32 persona » in questi verbi (detti 
| peraltro « impersonali »!), che sono la più evidente ma- 
nifestazione dell’energia verbale non limitata nei ri- 
guardi di un «soggetto » (1). 

La lingua italiana, logica e geniale insieme, non 
esprime il soggetto di questi verbi laddove altre lin- 
gue hanno la necessità formalista di dar loro un sog- 
getto grammaticalmente convenzionale (2). 


30. — Con ciò non si intende affermare 
che l’energia verbale possa stare a sé, senza 
una subsiantia: commetteremmo lo stesso er- 
rore nel quale si dibattono i fisici moderni, i 


un po’ d’acqua da principio si beva ». (G. Gentile, La 
nuova grammatica italiana, in « Leonardo » sett. 1934, 
pag. 382). Se così fosse, i migliori nuotatori sareb- 
bero coloro che tanto energicamente si sono immersi, 
inesperti, nell'acqua e tanto hanno bevuto, da affo- 
gare. 

Esistono invece saggissime « regole del nuoto », 
alle quali non è estraneo il « principio di Archimede » 
e sulle quali premono inderogabili leggi cinematiche e 
fisiologiche. Così esistono norme e leggi grammaticali. 

(1) Le limitazioni, determinate dai complementi, 
sono di altra natura, e sempre « impersonali ». Anche 
quando diciamo semplicemente « Piove! », l’afferma- 
zione non è illimitata, ma ben definita nel tempo e 
nello spazio. 

(2) Il latino plui: (senza soggetto) diventa il pleut, 
ossia « egli piove, esso piove » in francese. Ciò è do- 
vuto alla forma mentis nordica, che si rivela nelle 
forme similari dell’inglese (it rains) del tedesco (es 
regnet), dello svedese (det regnar). Omettono invece 
l’artificioso pronome lo spagnolo (//ueve), il portoghe- 
.se (chove), il rumeno (ploua), che non hanno subìto 
tale influenza. 


IO 


NU 


CHI PIOVE? 


quali, affermano che «tutto è vibrazione », 
confondono « energia » e « materia », impo- 
nendoci di riuscire a concepire che « tutto 
vibri », ma che quel « tutto » è la vibrazione 
stessa. Logicamente ci chiediamo « che cosa 
vibri » (1). Parimenti siamo autorizzati a chie- 
derci «che cosa piova, nevichi, grandini, ecc.». 
E la risposta ci viene spontanea: « L’acqua, la 
neve, la grandine! ». 

I Latini dicevano « plui! aqua »: la « so- 
stanza » (e quindi il « sostantivo » o « sogget- 
to ») è per noi implicito nello stesso verbo 
meteorologico (2) facendo ideologicamente 
corpo con esso. 

31. — Questa logica interpretazione ci Îa 
comprendere perché, con il « participio pas- 
sato » di questi verbi si debba usare il verbo 
essere e non mai avere. Si usa sempre essere 
con il « participio passivo »; si usa essere nel- 
le iorme riflessive, anche per i verbi che ri- 
chiedono normalmente avere (« egli ha lava- 
to », ma « egli si è lavato »): a maggior ragio» 
ne si deve usar essere per questi verbi, nei 
quali non si tratta di un’azione, ma di un Îfe- 
nomeno che si esaurisce in sé, di un « avve- 
nimento » che accade: perciò dire e scrivere 
« ha piovuto », « ha nevicato », « ha spiovuto », 


(1) « Supponiamo che taluno chieda se il cammi- 
nare, l’esser sano, lo star seduto, e qualsiasi altra co- 
sa di tal genere siano ciascuno un essere o un non- 
essere. Nessuna di tali cose esiste per” natura da sé, 
né può esser separata dalla sostanza: sarà un essere 
ciò che cammina, ciò che sta seduto, ciò che è sano»... 
Aristotele Metaphys., VII, 1. 

(2) In italiano, « piove » significa «l’acqua cade 
dal cielo », 0, più scientificamente « avviene una pre- 
cipitazione atmosferica allo stato liquido ». Il giap- 
ponese usa un verbo unico (furu) per le varie preci- 
pitazioni, ed ha quindi necessità di specificare se ciò 
che «cade» (furu) sia «pioggia» (ame), «neve » 
(yuki), « grandine » (arare), facendo di questi voca- 
boli il soggetto del verbo: ame ga furu, yuki ga furu, 
arare ga furu... 


Ri), pr 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


ecc. è altrettanto erroneo quanto lo sarebbe 
il dire o scrivere « Na accaduto », « ha avve- 
nuto », « ha capitato »: 

« Questi giorni è piovuto soavemente » (1). 


32. — Usati in senso traslato, questi verbi 
meteorologici cessano di Îar parte di una spe- 
ciale categoria, possono avere un soggetto, e 
anche forme del plurale, non essendo più « im- 
personali »: 


« Vedi ben quanta in lei dolcezza piove » 
(Petrarca. San. 140) 


«... astrologhi eccelsi d’ogni parie 
Piovono a dire delle stelle il corso ». 
(F. Sacchetti, Rim. 46) 
x * * 


33. — Il verbo «denota esistenza asso- 
luta o modificata » (Tommaseo); esprime po- 
sitivamente o negativamente ciò che è av- 
venuto, avviene o ha probabilità di avvenire. 

34. — Il verbo è tanto più autonomo e ge- 
nerale quanto meno è accompagnato da altre 
« parti del discorso », le quali diminuiscono la 
sua ampiezza: l’area di significato nel verbo 
è in ragione inversa degli elementi determi- 
nanti: nelle proposizioni. seguenti, qui date 
come esempi, è sempre più precisa, ma sem- 
pre più ristretta la zona verbale, ossia 
quella in cui si svolge il fenomeno verbale, 
nel tempo, nello spazio, nel modo: 

« piove »; 

« stamane piove »;. 

« stamane a Roma piove »; 

« stamane a Roma piove a calinelle ». 


35. — Nella gran maggioranza dei casi, 
l'avvenimento espresso dal verbo non è è gene- 


(1) A. M. Salvini, Prose toscane, recitate nell’ Ac- 
cademia della Crusca, vol. II, Firenze, Manni, 1735, 
p. 308. 


DI i 


hi 
n’ 


AREA DELL'AZIONE VERBALE 


rale, ma si limita ad uno o più individui, ad 
una o più cose. 

Persone, animali o cose cui è limitato il 
fenomeno espresso dal verbo costituiscono il 
soggetto, es.: «urna fanciulla cania», 
— «Hulti quegli uccellini fuggirono » — «il 
treno parte »; — «lo giorno se n’andava » 
(Inf., Il, 1); — « Venga il Regno duo... ». 


_. 


“ 


L'area dell’azione verbale è inversamente proporzio- 
nale al numero. degli elementi che la determinano. 


(8 34) 


36. — Il soggetto è un nome (so- 
stantivo) o una parola che ne fa le veci, o un 
insieme di parole in funzione di sostantivo. 


37. — L’avvenimento espresso dal verbo 
può esser limitato non soltanto dal « sogget- 
lo », ossia non esaurirsi in esso, ma comple- 
tarsi su un altro elemento; es.: «il soldato 
canta uno slornello ». 


Mo, pre 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


L'elemento della proposizione sul quale si 
compie l’azione (transitiva) espressa 


dal verbo è il complemento ogget- 
to (1). 
38. — Anche il complemento oggelto è 


sempre un « nome » (« sostantivo ») o una pa- 
rola (o insieme di parole) che ne fa le veci. 


| 39. — Il «verbo» è l’elemento vitale ed 
energico della proposizione. 

40. — Sel' energia verbale rimane nel sog- 
getto, il verbo è intransitivo. 

41. — Nei verbi transitivi, inve 
ce, avviene la scarica dell'energia verbale (a- 
zione istantanea) o il Îlusso dell’ energia ver- 
bale (azione continua) (2). 

È forse audace, ma chiarificatore il parallelo tra 
energia verbale ed energia elettrica: considerando il 
fenomeno linguistico del verbo affine a quello fisico 
dell’elettricità, comprenderemo come soltanto alcuni 
vocaboli siano « buoni conduttori » dell’energia verba- 
le: questi sono i nomi («sostantivi »). 


«42. — Soltanto i « nomi» (0 vocaboli o 
gruppi di vocaboli che ne assumano le pro- 
prietà iîunzionali) possono compiere o ricevere 
l’azione espressa dal verbo, es.: l'uomo pen- 
sa; — il leone insegue la gazzella; — la goc- 
cia scava la pietra; — la notte porta consiglio. 
43. — Oltre il « soggetto » e il « comple- 
mento oggetto », altri « sostantivi » possono 
limitare indirettamente l’azione espressa dal 
verbo, ec.: la fortuna addice agli audaci. 


(1) Penetrando nella natura intima dei vocaboli, 
comprenderemo che i « sostantivi neutri » (nelle lin- 
gue che posseggono tale genere) non sono tali sola- 
mente perché né maschili né femminili, ma perché 
presentano una certa inerzia rispetto all’energia 
verbale, e perciò non assumono forme diverse per il 
nominativo (soggetto) e per l’accusativo (c. oggetto). 

(2) In inglese questa continuità è espressa dalla 
scissione del verbo in «essere » e la tipica forma in 
ing « Vado a Londra », / am going to London. 


ca DA a 


INTEGRITÀ DEI SOSTANTIVI 
* * * 


44. — Anche aggregandosi Îra loro e con 
altri vocaboli, e qualunque sia la loro funzione 
nella proposizione, i « sostantivi » (appunto 
perché tali) non perdono mai le loro qualità e 
. proprietà intrinseche. Quando diciamo « ur 
martello di ferro », il martello resta martello 


. verbo : — — verbo 
intransitivo transitivo 


Solamente i « sostantivi » e î vocaboli (o_insieme di 
vocaboli) « sostantivati » sono « buoni conduttori » del- 
l'energia verbale. (8.41) 


e il ferro resta ferro, sia dal punto di vista 
grammaticale che da quello fisico e ideologico; 
«il ferro del martello » è un’espressione di- | 
versa, nella quale però i due « sostantivi » con- 
servano integri i connotati, le proprietà- e le 
caratteristiche. i 

Nelle due formule « un uomo alto » e « un 
monte alto », la parola alto ha un significato 
in funzione del sostantivo al quale si riferisce. 


Nella proposizione « La casa di Cristoforo Co- 


DI 


lombo è tutta coperta di edera», i sostantivi (casa, 


n. ESSI 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


Cristoforo Colombo, edera) non sono influenzati dal- 
le altre parole con le quali si trovano in connessione: 
queste possono variare, senza alterare.\la forma, la so- 
stanza e il valore dei « sostantivi »; il verbo «è» af- 
ferma l’esîstenza di quella casa in quelle condizioni, 
e perciò dà vita alla proposizione; l’aggettivo « tutta » 
ha un significato non totale, ma determinato csatta- 
mente dalla dimensione del « sostantivo » al quale si 
riferisce, ed ‘assume anche la forma del femminile, 
modificandosi cioè a causa di esso; e lo stesso dicasi 
di coperta. Parimenti, non l’articolo la determina il 
« genere femminile » delia casa, ma viceversa: e la 
preposizione di ha due funzioni diverse nei due di- 
versi casi: di specificazione («di C. Colombo ») e 
strumentale (« di edera »). 


45. — Il discorso è l’esposizione dei feno- 
meni verbali che si svolgono nei sostantivi, 
sui sostanlivi e tra i sostantivi. 


* * %* 


46. — Questa introduzione apparentemen- 
te prolissa serve a dare un concetto unitario 
della grammatica, collocando al legittimo po- 
sto il verbo, elemento attivo, ed il so- 
stantiivo, elemento «sostanziale ». 


47. — Tutte le alire parti del di- 
scorso vanno considerate in rapporto con 
il verbo e con i sostantivi: esse infatti posso- 
no essere: 


4) elementi che fanno-le veci del nome, 
assumendone perciò le caratteristiche e pro- 
prietà; e sono: 

a) il pronome; 
b) l'aggettivo oil verbo sostan- 
tivati; 

B) elementi che determinano o qualificano 
il nome; e cioò: 

c)l’articolo; 
d)lVaggettivo; 


cla 


LA GRAMMATICA, PRIMA ‘ARTE 


C) elementi che qualificano 6) modificano 

l'azione del verbo; e cioè: 
e) avverbio; 

D) elementi che esprimono speciali rap- 
porti tra più sostantivi c più verbi, o tra so- 
stantivi e verbi, (o eventualmente tra più ag-o 
gettivi e più avverbî); € 10è: 

Î) la congiunzione; 
g)la preposizione; 

E) elementi che esprimono l’intervento 
passionale di chi parla; e cioè: 

h) linteriezione. 
* * * 


48. — Comesi vede, anche in una visione 
grammaticale nuova e antiburocratica SÌ pos- 
sono conservare le denominazioni tradiziona- 
li, purché queste non formino un’arida ter- 
minologia da museo, ma concorrano a dare 
una limpida interpretazione della « rappresen- 
tazione: linguistica ».. | 

Affinché questa « rappresentazione » (nella quale 
il verbo è l’azione, i sostantivi sono gli attori e le al- 
tre parole gli accessorî del costume e della messin- 
scena) sia opera d’arte, è necessario che essa sia ar- 
monicamente costruita, secondo precise norme che 
la grammatica deve insegnare. 


« Arte prima » Îu detta la grammatica da 
Dante, il quale, tra gli spiriti beati della se- 
conda ghirlanda del cielo quarto, collocò l’au- 
tore dell’/rs Grammatica — codice secolare 
per ben parlare e ben scrivere — 

« quel Donato 
che alla primarie degnò porre mano ». 
(Paradiso, XII, 137-138) 

Pose Elio Donato grammatico Îra i sapien- 
ti, in compagnia dei teologi, poi che la parola 
è dono di Dio. 

E ogni sgrammaticalura è quasi una be- 
stemmia. 


Re, x VE 


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LI 


Numero e armonia 


(III) 


49. — L'esame dei fenomeni linguistici 
con i medesimi criterî e metodi che si impie- 
gano nella speculazione delle scienze esatte 
e per la tecnica ci permette di riscontrare in- 
sospettate analogie, convincendoci sempre più 
che tutto è coerente nell'Universo (1) e che 
a questa generale armonia debbono intonarsi 
— e normalmente si intonano — anche le ma- 
nifestazioni umane, 

Le norme e leggi grammaticali, che rego- 
lano la formulazione del pensiero in parole, 
son norme e leggi di armonia: armonia dei 
vocaboli tra loro, e armonia tra i vocaboli e la 
realtà, obiettiva e pensata (2). 


50. — La presente grammatica è è « rivolu- 
zionaria » non nel senso che essa voglia de- 
molire l’edificio costruito nei secoli: al con- 
trario, intende liberarla dalle artificiose super- 
strutture, dalle occlusioni abusive (e dalle 
aperture non meno arbitrarie), ed anche dalle 
numerose « scritte murali » che ne alterano la 
simmetria e l’estetica, mentre ostacolano l’o- 
rientamento, la comprensione logica, l’inter- 
pretazione naturale, intralciando.non poco l’u-. 
so pratico. 


(1) È detto uni-versum perché riconosciuto unita- 
riamente e armonicamente rivolto (versum) un unico 
fine. Fsso è « governato da Dio con una perpetua ra- 
gione » (« O qui perpetua mundum ratione gubernas », 
Boezio, De Consolatione Philosophiae, III, m. 3.). 

(2) Vedi 8 4. 


Ree0,, | E 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


E sembrerà più « rivoluzionaria » proprio 
iì ove intende semplificare l’in:erpreiazione dei 
fenomeni linguistici, rendere le definizioni 
aderenti alla realtà, snellire le regole, dimo- 
strandone l’armonica derivazione dall’indole 
della lingua e dal buon senso comune (1). 


51. — Molto ha nociuto e nuoce alla pu- 
rezza e dignità della lingua italiana l’illegitti- 
ma identificazione di essa con il dialetto 
toscano (2). È una vecchia pretesa, che 
| Dante Alighieri — cui non si negherà la com- 
petenza come autore italiano e come Îiorenti- 
no — qualificò « insania » (3). 


(1) « Colla riflessione si formano le idee di rela- 
zione, si raggruppano le idee (sintesi), o si dividono 
(analisi). E quando io adopero la riflessione per ana- 
lizzare un’idea, e separare ciò che è comune in essa 
da ciò che è proprio, allora formo quella operazione 
che si chiama astrazione... L’astrazione si deve divi- 
dere dall’universalizzazione; e l’averla confusa fu cau- 
sa di molti errori. Coll’astrazione si toglie via qua!- 
che cosa alla cognizione (p. es. le note proprie); col- 
l’universalizzazione, si aggiunge, si amplifica, in una 
parola si universalizza: sottrarre e aggiungere sono pa- 
role contrarie ». A. Rosmini, Nuovo saggio sull’origi- 
ne delle idee, Sez. II, p. II, c. IIl, a. 2-3. | 

(2) « La lingua italiana è, con certi contempera- 
menti e mescolanze, il dialetto fiorentino, venuto a 
prevalere per virtù propria, per opportunità geografi- 
che e storiche, per l’eccellenza degli scrittori che eb- 
bero a servirsene, fra tutte le parlate della nostra 
nazione ». Pio Rajna. cit, in F. .Fiamini, Compendio 
della Storia della Letteratura Italiana, Livorno, Giu- 
sti, 1905, pag. 1. 

(3) « Post hoc veniamus ad Tuscos, qui, propter 
amentiam suam infroniti, titulum sibi vulgaris illu- 
stris arrogare videntur; et hoc non solum plebea de- 
mertat intentio, sed famosos quamplures viros hoc 
tenuisse comperimus ». Dante, De Vulgari Eloquentia, 
I, c. XIII, 1. — E il Trissino efficacemente traduce: 
« Vegniamo a li Toscani, i quali per la loro pazzia in- 
sensati, pare che arrogantemente s'attribuiscano il ti- 
tolo del Volgare Illustre; et in questo non solamente 
la opinione dei plebei impazzisce, ma ritruovo molti 
uomini famosi averia avuta ». (Ediz. « Opere », in Ve- 
rona, Vallarsi, 1729, pag. 161). 


— I 


LINGUA NAZIONALE E DIALETTO 


Il « risciacquare in Arno » è uno dei peggiori la- 
vaggi cui possa esser sottoposto il nostro idioma, il 
quale, al contrario, va mondato di qualsiasi impurità 
regionale, specialmente quando questa sia in contrasto 
con i caratteri fondamentali e tipici della lingua 
nazionale. 

52. — È vocabolo non nazionale, 
ossia non italiano, quello che non sia inteso e 
« sentito » (1) ed usato dalie classi colte di 
qualunque regione d’Italia: è locuzione non 
nazionale, ossia non è locuzione «ita- 
liana », quella che non sia intesa, « sentita » e 


(1) Nel più moderni sistemi di insegnamento delle 
lingue estere è ritenuto importantissimo elemento il 
feeling, ossia appunto il « sentimento » che ogni vo- 
cabolo desta in noi; esso ci stimola direttamente ver- 
so l’« immagine » o l’« idea »: e ci dà anche l'esatta 
«sfumatura » di significato: così, ad esempio, il vo- 
cabolo inglese fair, riferito aggettivamente al « tem- 
po » (clima, stato atmosferico), significa « bello », ma 
da esso irradia anche un feeling di luminosità. Quan- 
do, per intendere un vocabolo, dobbiamo ricorrere 
alla « traduzione » di esso, perdiamo questo feeling e 
quindi non «sentiamo » il vocabolo. Allorché, fuori 
di Toscana, si usi un vocabolo o un’espressione regio- 
nale, chi ascolta ricorrerà ad una mentale traduzione, 
e non avrà quindi la possibilità di « sentire » diretta- 
mente il vocabolo o l’espressione «che non apparten- 
gono alla sua lingua ». 

Due secoli prima che la moderna linguistica po- 
nesse così in rilievo questo elemento psicologico del 
linguaggio, un coltissimo e geniale prete italiano, pro- 
fessore di greco ed ebraico nell’Università di Padova, 
lo identificava e gli conferiva la dovuta importanza: 
«I termini oltre il senso diretto ne hanno spesso un 
altro accessorio di favore o disfavore, di approvazio- 
ne o di biasimo; questo secondo senso è ora intrin- 
seco, ed ora estraneo... Ma l’estraneo può abolirsi o 
quando il vocabolo passa da una nazione all’altra, o 
anche nella nazione stessa col progresso del tempo; 
e talora uno scrittore riabilita l’onor di un termine, 
usandolo con desterità e collocandolo acconciamente. 
Il senso accessorio è quello che distingue fra loro voci 
sinonime, e la conoscenza di questo doppio senso è 
una parte essenziale del gusto ». Melchior Cesarotti, 
(1730-1808), Saggio sulla filosofia delle lingue, P. I, 


XIII, 1. 


SUR 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


usata dalle classi colte di qualunque regione 
d’Italia. 

53. — È buon loscano, eccellente Îiorenti- 
no ed è armonico dialettalmente con Piazza 
della Signoria e S. Frediano, dire: « Noi si 
era in ire» o «Ci si vede al tocco! »; ma è 
pessimo italiano: e perciò non è «italiano ». 

È non meno improprio e scorretto che di- 
re: « Erimo in ire » o « Se vedemno all'una », 
romanescamente (1). 


I due «toscanismi » si allontanano infatti dalla 
buona lingua assai più di quel che se ne allontanino 
i due «romanismi », pur volgarissimi, in quanto lo 
« scarto » dei due primi non è di natura morfologica 
{come «erimo » e «se vedemo ») (2) ma sintattica, 
ossia incide proprio nella struttura e nella forma 
mentis dell’idioma. 

« Noi si era in tre » è errato in sede della lo gica 
linguistica italiana. Poi che noi è il soggetto 
della proposizione, il verbo deve avere anche formal- 


(1) Insistendo sull’affermazione che «il Vulgare 
che noi cerchiamo sia altro che quello che hanno i 
popoli di Toscana » (Dante, loc. cit. trad. Trissino), il 
Poeta sostiene che, altrimenti, anche le altre parlate 
regionali avrebbero il medesimo diritto. (ibid.). 

(2) Il romanesco «erimo » si allontana dall’ita- 
liano « eravamo » non molto più di quel che se ne al- 
lontani il dantesco « eram »: 

« Già eram desti, e l’ora s’appressava » 
(Inf., XXXIII, 43); 

e nel romanesco « se» permane integro il latino se, 
anche quando esso si attenua nel «si » italiano. 

_ «Quanto ai modi di dire genuinamente romani, 
essi — secondo noi — oltre il privilegio di essere na- 
ti sulle rive del Tevere, autentica espressione del sen- 
timento del popolo, conservano in maniera efficacis- 
sima il ricordo vivo e perenne di antiche costumanze, 
d'avvenimenti e persino di personaggi, il tutto sapien- 
temente velato dalla nebbia o levigato dall’uso...». 
P. Romano & E. Ponti, Modi di dire popolari romani, 
Roma, Ars, 1944, pag. 6. — Non poche di tali espres- 
sioni hanno emigrato in altre regioni, e parecchie si 
sono affermate nazionalmente, appartenendo quindi 
‘oramai alla « lingua ». 


Ra. e 


LOGICA LINGUISTICA 


“Noisi era in tre” = 


3 campanelli 


suona 


o nana 0° 


aoroppononosooso® 
Peo no 


L’analogia elettrotecnica dimostra l'errore di un to- 
scanismo 


“Noi st-erea- in, tre” 
eravamo 


ll verbo esprime l'energia vitale rispetto a tutto il 
soggetto (8 53) 


«ada 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


mente l’estensione che ciò che esso esprime ha nella 
realtà: deve perciò essere espresso in forma plurale. 
L’espressione fiorentina è mal congegnata quanto lo 
sarebbe un impianto elettrico nel quale non vi fossero 
tante connessioni di circuito quante sono le lampade, 
i campanelli o altri congegni che debbono essere in 
funzione; e l’intrusione del pronome indeterminato 
« st» — del quale sarebbe difficile determinare la na- 
tura. e il significato — non fa che accrescere la con- 
fusione (1). 


Lo stesso dicasi della proposizione: « Ci si 
vede al iocco », nel senso di « Ci rivedremo 
all'una » (2). 

È esatto e corretto dire « Qui ci si vede be- 
ne », nel senso generico — e perciò con un 
« SÌ » generico — di « Qui le condizioni di vi- 
sibilità sono buone ». 


È esatto e corretto dire « Qui ci si vede » nel senso di 
« Qui qualcuno ci può vedere », « Qui noi siamo vi- 
sibili »: il « soggetto » è generico, indeterminato: la 
«zona di azione » del verbo è correttamente determi- 


(1) « È chiaro che la differenza tra la lingua vol- 
gare (sermo rusticus) e la lingua dotta (sermo nobilis) 
non si limita al lessico, ma si estende alla morfologia 
e, ancor più, alla sintassi. Quanto alla morfologia, la 
persona dotta, dopo averne ricavate le leggi con lo 
studio della lingua viva, si conforma strettamente; 
né può dirsi, per questo, che il suo linguaggio non sia 
naturale ». D. Tondi, La lingua greca del Salento, No- 
ci, Cressati, 1935, pag. 12. 

(2) Qualche grammatica sente persino il bisogno 
di chiarire che «il tocco» significa «un'ora dopo 
mezzogiorno; non il mezzogiorno, come s'intende in 
alcuni dialetti» (Morandi & Cappuccini, 8 357). E i 
vocabolari non son neppure concordi nell’accettare 
(Tommaseo, Palazzi) o escludere (Petrocchi, Zinga- 
relli) che «il tocco» possa dirsi anche della prima 
ora dopo la mezzanotte. 

L’indicazione oraria «il tocco» è «regionale » 
quanto lo sono le espressioni partenopee «le due me- 
no un terzo » (i ddoie manco ’nu terzo = le 1 e 40), 
«le nove e un terzo » (= le 9 e 20). Il « terzo » d’ora 
non è una misura oraria « nazionale ». 


E, 


I SINTOMI DELLA COERENZA 


nata pronominalmente dal «si»; e il chiaro comple- 
mento oggetto » è « noi », rappresentato dal pronome 
« ci », e il verbo è legittimamente al singolare. 


È esatto e corretto dire « LÌ ci si vede be- 
ne » nel senso generico di « Lì le condizioni 
di visibilità sono buone ». 


Perciò il pronoine generico «si» è qui legitti- 
mamente usato; e il « ci » non è pronome, ma avver- 
bio di luogo (= « Lì ci sono buone condizioni di vi- 
sibilità »). 

È esatto e corretto dire: « Cosfì ci si vede », 
nel senso di « Costì qualcuno ci vede, o può 
scorgerci », « Costì noi siamo visibili ». 


Anche qui il «soggetto » è generico, indetermi- 
nato: la. «zona» dell’azione verbale è indicata pro- 
nominalmente dal «si »: e il chiaro complemento og- 
getto è «noi», rappresentato da ci, che qui è pro- 
nome (1). 


In queste proposizioni tutto è armonico, 
equilibrato: la logica linguistica è 
ben disciplinata e disciplinante. 

54. — « Ficcordo » o « concordanza » im- 
plicano armonia: nel campo logico sono il sin- 
tomo della coerenza. 

Per coerenza, il verbo concorda con il 
« soggetto », poi che esprime l’azione di que- 
sto, limitatamente cioè ad esso. © 

‘Dev’essere perciò in forma plurale, quan- 
do il soggetto è plurale, e singolare quando il 
soggetto è singolare. 

55. — Può essere espresso in forma sin- 
golare il verbo che sia retto da più soggetti, 
1 quali però vengano considerati come un 


(1) È scorretto, artificioso e lezioso dire: « C'è 
delle persone che non la pensano così». E si arzigo- 


. gola che si tratta di un verbo «impersonale »! Ma 


quelle « persone » ci sono, e sono appunto il « sog- 
getto ». 


«sie 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


complesso unico, formando cioè una sola idea 
(singolare). Nell’efficace distico dantesco 


« Grandine grossa, e acqua tinta e Neve 
per l’aer lenebroso si riversa » 
(Inferno, VI, 10-11) 


il verbo è in forma singolare, poi che l’infer- 
nale precipitazione atmosferica del 3° cerchio 
è considerata globalmente come un tutto uni- 
co, come appare anche dai versi precedenti: 


« lo sono al terzo cerchio della picva 
eierna, maledetta, jredda e greve » 


(ibid., 7-8) 


A quesla pioggia (« piova »), unica, pur se 
composta, corrisponde un « soggetto » consi- 
derato singolare, pur se formalmente plurale, 
e appunto ciò rende i versi danteschi più 
espressivi e aderenti alla realtà. 


Analogo, pur nel significato inverso, perché ne- 
gativo, è il fenomeno meteorologico-linguistico nel 59 
girone del Purgatorio: 


« Per che non pioggia, non grando, non neve, 
non rugiada, non brina più su cade... » 
(Purg., XXI, 46-47) 


Il «soggetto » formale è composto di ben cin- 
que sostantivi, ed è quindi plurale, ma v'è una nega- 
tività totale che li fonde, in perfetta corrispondenza 
con la purezza atmosferica: e perciò il verbo sta in 
forma singolare. 


56. — Al contrario, il verbo può avere for- 
ma di plurale allorché il soggetto ha signifi- 
cato collettivo o numerico plurale. 

Anche in questo caso, la « realtà » si im- 
pone, es.: « Una immensa turba di persone lo 
seguivano »; « La metà dei deputati diedero 
volo favorevole ». 

In questa concordanza al sen- 
so, il soggetto pensato è quello (plurale) de- 


— (0 


LA MISURA È IL NUMERO 


gli elementi costituenti il soggetto espresso in 
forma singolare (collettivo). 

Tale concordanza col pensiero trova espressione 
anche nella disposizione e persino nella diversa ac- 
centuazione della parola: infatti il verbo al plurale 
sarebbe meno armonicamente usato allorché il nome 
collettivo (singolare) sia posto in evidenza: in ogni 
caso, alle due diverse formuiazioni (verbo al singo- 
lare e verbo al plurale) corrispondono due diverse in- 
tenzioni nel pensiero di chi parla: dicendo « Dei depu- 
tati, la metà diede voto favorevole », si considera 
questa metà del corpo parlamentare come un tutto 
unico, mentre dicendo « La metà dei deputati diedero 
voto favorevole », si considerano i deputati singolar- 
mente votanti. 

Singolarmente considerate dal Poeta sono lc ani- 
me componenti la « schiera » dei Sodomiti: 


« Quando incontrammo d’anime una schiera 

che venìan lungo l’argine, 2 ciascuna 

ci riguardava come suol da sera 

guardar l’un «altro sotto nuova luna ». 
(Inferno, XV, 16-19) 


E, pur nel particolare minuto, la prova della gran- 
de armonia, della « misura e del numero », che reggono 
tutta la mirabile struttura della Comedia (1). 


(1) La misura e il numero regolano il Creato: 
«patet quod rerum diversitas exigit quod non sint 
omnia aequalia, sed sit ordo in rebus et gradus». 
S. Tommaso, Summa contra Gentiles, Lib. III, c. 
XCVII. — Il vero credente spontaneamente e fervi- 
damente si intona a questa universale armonia: l’arti- 
sta credente vi si ispira, sì che essa si riflette nelia 
struttura dell’opera d’arte. « L’alta fantasia di Dante 
costringeva se medesima in una rigida disciplina, al 
« fren dell’arte » (Purg. XXXIII, 141): e può esser cu- 
rioso notare che dei 14.233 versi onde il poema è com- 
posto, 4.720 costituiscono la I cantica, 4.755 la II, 
4.758 la III; e delle 99.542 parole, 33.444 la I, 33.379 
la II, 32.719 la III. Ciascuna cantica si chiude poi 
con la parola stelle ». M. Scherillo, Le origini e lo 
svolgimento della letteratura italiana: Vol. I: Le Ori- 
gini: Dante, Petrarca, Boccaccio, Milano, Hoepli, 1919, 
pag. 142. 


a È 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


* * 
57. — La sintassi — ossia l’ordinata 
disposizione delle parole nel discorso, ed il 
coerente nesso tra esse — è regolata dal pen- 


siero, e non viceversa. 

La sintassi ha le sue norme e regole, in 
quanto queste son conseguenti a quelle del 
pensiero razionale e affettivo, 

L’armonia e la coerenza grammaticali e 
sintattiche non vanno cercate soltanto nella 
forma, ma, entro e dietro il fenomeno lingui- 
stico, va sempre indagato quello logico e psi- 
cologico. 

Così molte apparenti contraddizioni e stra- 
nezze linguistiche vengono chiarite, e rientra- 
no anch'esse disciplinatamente nella genera- 
le armonia. 


58. — Un'analisi superficiale può farci ap- 
parire discordanti l’articolo e il sostantivo hel- 
la comune espressione: « fe ore una » (o sem- 
plicemente « le una »). Tali espressioni (ana- 
loghe a « lire una » « chilogrammi uno ») de- 
rivano dalla preesistenza di un modulo men- 
tale, corrispondente a quei materiali moduli 
nei ‘quali bisogna riempire i « bianchi », e che 
hanno una dicitura fissa: 


peso: chilogrammi... 
prezzo: lire... 


(asta a8s11) 


Sullo spazio bianco di questo modulo 
mentale applichiamo (quasi scriviamo men- 
talmente) il valore numerico specilico, la- 
sciando al plurale la formula fissa preesisten- 
te: e diciamo perciò «chilogrammi uno », 
« lire una e ceniesimi 50 », « ore una », « le 


(1) In questi moduli l’indicazione metrica è al plu- 
rale, poi che la probabilità che il numero da scrivere 
nello spazio bianco sia superiore ad 1 è assai mag- 
giore che non il caso contrario. 


Aa 


L’ARITMETICA È UN’OPINIONE? 


ore una » (1), e anche semplicemente «/e 
una ». Il verbo, coerentemente, assume la for- 
ma del plurale, accordandosi con il modulo 
fisso: « Sararmo le ore una ». 


Sarà bene, però, evitare queste forme, che sanno 
troppo di orario ferroviario e di ragioneria: il sostan- 
tivo metrico, preposto in tal modo al numerale, serve 
ad esprimere una precisione pedante: « lire cento » 
son proprio esattamente 100 lire, mentre « cento lire » 
può anche avere un valore approssimativo (2). 


59. — Paradossale regola può apparire 
quella che prescrive il verbo al singolare quan- 
do il soggetto sia « più d’uno », es.: « Più d'uno 
la pensa così ». 

« Più d’uno » è evidentemente plurale, sia 
nell'espressione che nella numerica realtà. 
‘L’aritmetica è dunque un’opinione? 

Possiamo però chiederci, appunto con matema- 
tica pedanteria, in che punto della progressione arit- 
metica incominci il « plurale ». Evidentemente, poi 
che non possediamo il « duale » (3), il plurale inco- 
mincia con il numero 2. L’èspressione « più d’uno » 
è però matematicamente e psicologicamente diversa 
da « almeno due »: v’è uno stato d’animo e un’indeter- 
minatezza per cui, pur oltrepassando l’« uno », non 
specifichiamo oltre.  L’espressione « più d’uno », ha 


(1) « Ore una » significa piuttosto « un’ora di tem- 
po », mentre «le ore una» ha valore indicativo del 
momento. I due significati son ben diversi: nel primo 
caso si indica un « segmento » di tempo, nel secondo 
un « punto » nel tempo: ed infatti alcune lingue han- 
no due vocaboli ben diversi (es.: Stunde e Uhr in te- 
desco). i 

(2) A dimostrare come non tutti i popoli la pen 
sino allo stesso modo, e quindi differentemente si 
esprimano, è interessante notare che in russo, ad esem- 
pio, il significato è approssimativo quando il sostan- 
tivo metrico precede il numero: rubljéi sorok è « cir- 
ca cento rubli », mentre sorok rubljéi ha valore più 
preciso. 

(3) Dall’antico ‘indo-europeo, il duale, conservato 
nel greco in Omero, scomparve nel latino. 


sii Bois 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


quindi un valore simile a quello che in matematica st 
chiama «asintotico » (1): tende cioè al «2», ma non 
lo raggiunge (2). 

Inoltre, la presenza del chiaro ed alquanto enfa- 
tico « uno » — sul quale infatti cade l'accento prin- 
cipale e significativo dell’espressione — acutizza nel- 
l’espressione stessa il carattere e ii « sentimento » (3) 
di unicità, ossia del « singolare », concorrendo a farci 
prescegliere appunto la forma singolare del 
verbo. 


60. — Altrettanto singolare, ma proprio 
in senso contrario, appare la regola che im- 
pone la forma del plurale per il verbo retto 
da due sostantivi singolari disgiunti però in 
modo che, nella realtà, uno solo sia il vero e 
proprio soggetto: si dovrebbe dire « O Tizio 0 
Caio sposerà Sempronia », poi che uno solo 
dei due convolerà a nozze con lei, ma si dice 
correntemente e correttamente « O Tizio 0 
Caio sposeranno Sempronia »; e, in ogni ca- 


(1) Non si confonda l’asìntote, termine matema- 
tico, che esprime la «tendenza » geometrica di una 
curva verso una retta senza mai raggiungerla (e la 
corrispondente «tendenza » aritmetica o algebrica), 
con l’asìrndeto, che è l’omissione di congiunzioni nelle 
enumerazioni: 

« di que, di là, di su, di giù li mena » 
(Inf., V, 43). 

(2) Il numero 1,9 è assai vicino al 2; e ancor più 
lo è il numero 1,99; l’approssimazione cresce aggiun- 
gendo ancora i 9/10 dell’unità dell’ultimo ordine espres- 
so; ma anche 1,999999999... non è 2, né pur proseguen- 
do in infinitum, si potrà raggiunger mai il 2. Tra i due 
valori vi sarà sempre non soltanto una differenza, ma 
un « salto ». Gli stessi Leibniz e Newton sentirono che 
qualcosa di insidioso si annidava - - matematicamente 
c filosoficamente -— nell’arduo probiema, ma non riu- 
scirono a capire con chiarezza di che si trattasse: e 
ciò condusse — e conduce — non pochi matematici e 
filosofi ad « una idea erronea, che per molto tempo ha 
gettato un’ombra assai oscura sulle basi de! calcoio 


infinitesimale ». F. Waisman, /ntroduzione a! pensiero 
matematico, Trad. ital., 22 ediz., Torino, Einaudi, 1941, 
pag. 206. 


(3) Vedi 8 52 a pag. 28, nota. 


SERI. IS 


nd 


PSICOLOGIA E GRAMMATICA 


so, non si può dire altrimenii che « O Caio 
o io sposeremo Semprottia » con il verbo al 
plurale, sebbene il vero soggetto sia singola- 
re, e Sempronia non possa esser bigama, il 
che è appunto escluso anche formalmente 
dalla disgiuntiva « 0 ». 


8 qposerd . D sposerò 


“’Sposeremi 


N 


(0 


empronia 


Un plurale (« sposeremo ») che non implica bigamìa... 


(8 60) 


Il caso è interessante: ed è grammaticalmente e 
psicologicamente complesso. 

È evidente che «o Tizio sposerà... 0 Caio spose- 
rà...»: ma entrambi hanno questa « possibilità », e 
ciò è espresso appunto ‘dalla forma plurale, determi- 
nando con essa l’« area verbale », la quale comprende 
l’azione di entrambi i soggetti. Abbiamo, grammati- 
calmente una somma dei due singolari, e cioè: 


sposerà -- sposerà = sposeranrio. 


61. — È evidente che, in casi simili, la 
forma plurale del verbo è obbligatoria allor- 


sla 


la) 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


ché, usando quella singolare, non si avrebbe 
la concordanza di « persona » con il soggetto: 
bisognerebbe poter dire: 


sposerà 5 
«0 Caio o io sposerò Sempronia », 


ciò che non è possibile: onde la necessità del 
plurale, comprensivo delle due forme. 

62. — Il problema non si pone neppure al. 
lorquando la congiunzione « 0 » (o altra equi- 
valente) non ha funzione separativa ( dilferen- 
ziativa) ma dichiarativa (1) poi che in tal caso 
Il soggetto è non soltanto singolare, ma uni- 
co: si dirà perciò: « La miosotide o occhi della” 
Madonna o non-ti-scordar-di-me o falco cele- 
ste è una borraginea » (2), poi che si tratta di 
un unico soggetto, di un’unica pianta, della 
stessa cosa. Le altre « denominazioni », do- 
po la prima, non hanno neppure un loro arti- 
colo, appunto perché sono in pura funzione 
dichiarativa. 

Si dirà invece: « Lo strofanto o la digitale 
curano l' arilmìa cardìaca» (3), pur se uno 


(1) Nel testo di questo paragrafo la proposizione 
« La congiunzione « o », o altra equivalente non hanno 
funzione separativa» è un altro esempio della appa- 
rente discordanza tra il verbo (forma. plurale) e _.il 
soggetto (sostanzialmente singolare), in quanto una 
particella separativa esclude l’uso dell’altra equiva- 
lente. 

(2) Abusivamente taluno dice « il miosotide »: il 
sostantivo è di genere femminile: etimologicamente si- 
gnifica « orecchio di topo », ma poi che la nozione di 
‘tale significato non si presenta con il nome, esso ci 
appare assai più poetico. Si noti anche come un'intera 
proposizione può « sostantivarsi »>: non-ti-scordar-di- 
me è un «sostantivo ». a 

(3) La corretta pronunzia «strofànto » è ora ri- 
spettata soltanto da alcuni vecchi medici e dagli inse- 
gnanti di botanica e di farmacologia. Le « classi gio- 
vani» e men legate alla tradizione dicono « stròfan- 
to », sì che probabilmente tale forma finirà per imporsi. 
Già i Latini dicevano che « Graeca per Ausoniae fines 
sine lege vagantur », non intendendo però che.i voca- 
boli greci potessero esser pronunziati a capriccio: 


so Ala 
® 


PENSIERO E REALTA 


dei due medicamenti esclude l’altro, nel sog- 
getto grammaticale e nell’uso, 


63. — Il numero, nel significato gram- 
maticale, esprime la singolarità o la pluralità 
del sostantivo: perciò con esso deve concor- 
dare, in forma plurale o singolare, ogni voca- 
bolo che esprime l’azione o lo stato o la qua- 
lità o quantità del sostantivo, disciplinando il 
pensiero in armonia con la realtà. 


« È nel vero colui che pensa esser diviso ciò che 
è diviso, e composto ciò che è composto; e nel falso 


invece chi la pensi altrimenti che le cose non sia- 
no» (1). 


l'accento era regolato o sull’accento greco o sulla 
« quantità » della penultima sillaba: il vocabolo pote- 
va esser quindi pronunziato o « alla greca » o «alla 
latina ». Così « stròfanto » è ‘pronunzia « alla greca », 
e « strofànto » alla romana. 

(1) Aristotele, Metaphys, VI, 29. 


Ma 


66 ® « “ a 
Non filiazione,, ma “evoluzione, 
RI RI A rin 


(Iv) 


64. — La lingua italiana non deriva dalla 


latina, ma è la stessa lingua latina, in un gra- 


do ulteriore della sua evoluzione. 


\ 


— Una delle più antiche frasi in latino arcai- 
co che ci siano rimaste (« MANIOS MED VHE- 
VHAKED NUMASIOI ») (1) differisce dal latino 
classico (« MANIUS ME FECIT NUMASIO ») 
assai più di Quel che il latino classico differisca dal- 


italiano («MANIO MI FECE per NUMA- 
SIO ») (2). 


Se chiamiamo « latino arcaico », cioè latino nella 
Prima fase del suo sviluppo, quello di cui abbiamo 
campioni i quali tanto si allontanano dalla lingua di 
Cicerone, di Cesare, di Virgilio e degli altri classi- 
©!, non meno legittimamente possiamo considerare 
“latino » l'idioma in cui Dante, Petrarca, Boccaccio 


- 


_— 
nel li È l'iscrizione su una fibula d’oro, LAI 
la sal Lin una tomba di Palestrina e conservata nel- 
« Mu i XL del Museo Preistorico ed Etnografico (già 
So Kircheriano »), a Roma. i 
cn f sla Volta, grande è la differenza che inter- 
doc parle Prime frasi italiane che si trovano nei 
TMiRti del Medio Evo, a cominciare dai secoli VII 
dere deb Italiano di Dante. p. es.: (anno 759). « Red- 
960): « S “ uno soldo bono expendibile » — e 
fini ke I dC ko (= «so come ») kelle terre por kelle 
Sedette ») € Monstrai trenta anni le possette (= « pos- 


"te Sancte Marie». — Cfr. E. Monaci, 
'estoma>j, è A ; ch ; Ì ttà di 
Castello, 18gocaliana dei primi secoli, 3 voll., Ci 


— 45 — 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


e gli altri grandi classici italiani composero 
i loro capolavori, e che è, strutturalmente e sostan- 
zialmente, anche la lingua italiana dioggi (1). 


ua B11814AM TMT ap 


MANIOS MED VHEVHAKED NVMASIOI 
MANIVS ME FECIT NVMASIO 


A . fece 
Maniîo mi hé fatt 5 per Numasto 


Lat. arcaico * Lat. classico :: Lat. classico * Italiano 
In alto: l’antichissima fibula romana (6 64) 


65. — Tra le lingue dette neolatine, 
l'italiana non è, quindi, la « discendente » di- 
retta del latino, ma la continuazione di esso. 


Le altre lingue neolatine si diversifica- 
rono dal latino, ossia ne derivarono e ne sono quindi 
la filiazione, per le stesse cause che, in Italia, deter- 
minarono a formazione dei dialetti (1). 


Pa 


(1) Un dialetto assurge all'importanza e fun- 
zione di lingua allorché sia « portato alla scrittura 
e sia diventato mezzo di espressione di una colletti- 
vità per i suoi bisogni letterarî, politici, amministra- 
tivi... ». P. Savj-Lopez, Le origini neolatine, Milano, 
Hoepli, 1920, pag. 166. — Per i dialetti italiani è inte- 
ressante constatare « come le linee degli antichi domi- 
nii linguistici ed etnografici preromani corrispondano 
fedelmente ai confini dialettali moderni ». F. L. Pullè, 
Le origini dell’Italia contemporanea, Bologna, Monti, 
1911, pag. 36. — Analogamente, le linee che delimi- 


4 46 


FORZA FONICA E FORZA ANALITICA 


66. — AI di sopra di tuiti i dialetti italiani 
si è formata la « lingua italiana », ossia si è 
sviluppato in latino moderno il latino 
parlato (1). 


67. — Due fattori hanno principalmente 
concorso a trasformare il latino tanto che esso 
divenisse il moderno italiano, il quale è so- 
stanzialmente quello che Dante Alighieri usò 
e fissò nella Divina Comedia. Questi due fat- 
tori agirono come due vere e. proprie forze de- 
formanti (2): possiamo perciò denominarle 
lorza Îîònica, tendente alla vocalizzazio- 
ne e, al tempo stesso, alla eliminazione dei 
contrasti consonantici e delle consonanti Îi- 
nali; e forza analitica, tendenteascin- 
dere le forme sintetiche nei loro elementi ideo- 
logici. 

68. — Con la declinazione il latino 
dava a ciascun «caso » del sostantivo, degli 
aggettivi e dei pronomi una particolare desi- 


= 


tano i territorî delle varie lingue neolatine (spagnolo, 
portoghese; francese, ladino, rumeno) coincidono con 
quelle etnografiche dei popoli spagnolo, lusitano, gal- 
lo-celtico, daco-danubiano: se la lingua latina è con- 
siderata « madre » di questi idiomi, la « paternità » va” 
attribuita a ciascuno di detti popoli: e quindi il pro- 
cesso è di « filiazione », e non di « evoluzione » come 
nell'italiano. Anche i nostri dialetti derivano dal la- 
tino per « filiazione »: non l’italiano. — Cfr. Toddi, 
Giro d'Italia in cerca della buona lingua, Milano, 
Hoepli, 1941. 

(1) « Il lessico neolatino non è formato soltant 
dal latino volgare, ma anche dal latino letterario, il 
quale con l’altissimo prestigio della cultura poneva il 
suo suggello sull’unità idiomatica già creata dalla con- 
quista romana: e ancora una volta potremo ripetere 
che le lingue neolatine continuano veramente non il 
latino volgare ma tutto il latino». P. Savj-Lopez, 
op. cit., pag. 155. 

(2) Usiamo il verbo « deformare » non nel senso 
di « render deforme » o «guastare la forma», ma 
semplicemente in quello di « alterare la forma, modi- 
ficarla ». 


cad 


forza 
fonica 

x forza 

analitica 


quei che 
il latino 
perse 


irta 


PALI 
cCaresrosgIT o rene vente 0a Rie 


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x 


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) 


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db 
5) 
S 


dro 


Sul latino, rappresentato dal quadrato ABDC, hanno 
agito le due forze ® e a, sì che, come in un paral- 
lelogramma di fisiche forze, la risultante ha solleci- 
tato tutto il quadrato a deformarsi, in modo che il 
punto p passasse in p’. Il lettore immagini il quadra- 
to formato da un filo di ferro, e facilmente lo vedrà 
assumere la forma del rombo AB'D’C della figura II, 
in cui il punto p è passato in p’, e tutta l’area si è de- 
formata, non coincidendo più con quella che il qua- 
«drato occupava: ha abbandonato alcune zone (AC°CA, 
ossia a, e AB’ BA ossia b), e queste rappresentano ciò 
che, del latino, è andato perduto, sia nella pronun- 
zia (a) che nel lessico (b): ma la superficic dell’italia- 
no si è estesa oltre l’area del latino, ed ha coperto 
nuove zone, sia nei suoni (C°D’°DC’ ossia a’) che nel 
lessico (B'D’'DB’ ossia b’) Oramai le due figure deb- 
bono apparire chiare al lettore. (8 67) 


BE, gs 


. 40.000 DISPOSIZIONI DIVERSE 


nenza, la quale ne esprimeva la funzione 
sintattica: era quindi possibile riconoscere la 
îunzione stessa indipendentemente dal posto 
occupato dal vocabolo, e senza necessità di 
speciali « preposizioni » che la indicassero (1). 


I due versi con i quali, dopo i nove introduttivi, 
ka inizio il racconto nella 22 favola di Fedro, si com- 
pongono di 10 parole: 


« Ranae vagantes liberis paludibus 
clamore magno regem petiere a Jove ». 


Comunque vengano disposte tali parole, il signi- 
ficato della proposizione rimarrebbe inalterato e per- 
fettamente comprensibile (2). 

Ciò è possibile appunto in virtù delle tipiche de- 
sinenze dei « casì ». | 


69. —- L’abolizione delle terminazioni tipi- 
che avrebbe reso impossibile il riconoscere la. 
« funzione » dei vocaboli declinabili, e impli- 
cava perciò la necessità di indicare (con la 


(i) Il latino, però, non è «sintetico » al punto da 
eliminare totalmente le preposizioni, le quali esiste- 
rono sin dai primordi di tale lingua. Ne è esempio il 
« complemento d’agente » a Jove. Il latino arcaico ave- 
va il « caso locativo », esistente nel sanscrito, rimasto 
poi soltanto per alcuni vocaboli. Ed è sintomatico 
che, a misura che si risale nel tempo, la paleolingui- 
stica ci mostra lingue sempre più complesse e com- 
plicate, fenomeno che non depone certo a favore della 
teoria secondo la quale la parola sarebbe un’invenzio- 
ne umana. 

(2) Soltanto l’espressione «a Jove » è inscindibi- 
le, e l’ablativo magno non dev’esser collocato in mo- 
do da poter esser ritenuto riferito a Jove: ogni altra 
disposizione è teoricamente possibile, e i due versi 
significherebbero sempre: « Le rane scorazzanti per le 
libere paludi chiesero con gran strepito un re da 
Giove ». Il fecondissimo e geniale sacerdote matema- 
tico Giacomo Ozanam (1640-1717) calcolò che 8 chie- 
rici possono disporsi in 40.320 modi diversi! (J. Oza- 
nam, Récréations mathématiques et physiques, Paris, 
1694). Altrettante disposizioni, e più, potrebbero quin- 
Ai prendere le 10 parole dei due versi di Fedro. 


RAR, (> pete 


PORTOGHESE: . 
peixe 


FRANCESE: 
poisson 


RUMENO 


peste 


Sat ar bere E 0 0 TE 0 e 5 


atum 
PORTOGH, 


thon 
- FRANC. 


ton 
RUMENO 


Dal latino all'italiano. — Se la cosa rappresentata 
subisse le medesime trasformazioni che il voca- 
bolo che l’esprime, il pesce o tonno sagomato nel 
quadrato del «latino» si modificherebbe prendendo 
la forma sagomata nel rombo dell’« italiano ». Si con- 
stata che la modificazione è coerente e proiettivamen- 
te regolare, appunto perché il latino è « evoluzione » 
dell'italiano (1). Ciò non avviene per le altre lingue, 
dette neo-latine: ‘elementi estranei al latino concor- 
rono a. determinare un fenomeno non di « evoluzione » 
ma di « filiazione », nel quale cioè la lingua latina rap- 
presenta uno dei genitori. (8 69) 


(1) Delle differenti forme che, nei successivi stadî 
evolutivi, i vocaboli hanno assunto prima di consoli- 
darsi in quella attuale, abbiamo innumerevoli docu- 


600 


‘IL TRAMONTO DELLE DECLINAZIONI. 


posizione più o meno fissa dei vocaboli nella 
rase e con l’uso di altri vocaboli specifici) in 
quali rapporti sintattici stessero le parole fra 
loro. Ciò corrispondeva, del resto, alla tenden- 
za analitica che si andava sempre più affer- 
mando nell’indole della lingua latina. 

Le due « forze » modilicatrici svolgevano, 
così, un’azione concomitante e interdipenden- 
te, in quanto la semplificazione fònica delle 
finali determinava la necessità della scissione 
analitica, e questa, a sua volta, rendeva inuti- 
li le terminazioni tipiche — o « desinenze » — 
dei casi. | 

70. — Né tale duplice ed armonico pro- 
cesso si ridusse alle sole « declinazioni »: an- 
che i « gradi di paragone » degli aggeltivi e le 
« coniugazioni » dei verbi subirono lo stesso 
destino. Comparativo e superlativo ed alcune 
voci verbali assunsero forma analitica, scin- 
dendosi negli elementi ideologici, ossia nelle 
« parole » corrispondenti alle singole idee 
componenti. 


menti nei testi delle lingue più diverse. E assistiamo 
anche a fenomeni evolutivi linguistici che si svolgono 
sotto i nostri occhi, nel corso di una sola generazio- 
ne in periodi ancor più brevi, e possiamo ricono- 
scere le cause che determinano tale « evoluzione », 
perfettamente identificandole. Il principio evoluzio- 
nistico geologico del Lyell può esser accettabile, 
poi che gli strati terrestri sono la concreta documen- 
tazione dei successivi stadî. Ma si può legittimamente 
rimaner saldamente aderenti alla teoria della « fissità 
della specie » sostenuta dal buon vecchio Linneo nel 
campo biologico e respingere le teorie trasformiste di 
Lamark e di Darwin quando queste si presentano tan- 
to sprovviste di « pezze d’appoggio » documentarie, e 
pretendono imporci una degradante concezione della 
nostra origine presentandoci soltanto qualche isolato 
resto di osso, miserrima documentazione che pretende 
esser « probante » di un fenomeno quantitativamente 
grandioso: l’evoluzione del genere umano attraverso 
i millenni! Anche da questo punto di vista lo studio 
dei fenomeni linguistici è profondamente istruttivo ed 
ammonitore. 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


71. — La « parola» italiana non ha dun- 
que la medesima «area di significato » che 
quella latina, allorché questa sia sottoponibile 
a « Îlessione ». 

Tipico delle « lingue flcssive » — alle quali con- 
tinua ad appartenere la nostra pur nella sua sempli- 
ficazione analitica — non è soltanto il fatto che al- 
cune « parti del discorso » assumono forme diverse 
per le varie funzioni, ma anche ii fatto che tali vo- 
caboli non possono usarsi che in tali forme « flesse ». 
Ed a ciò corrisponde una non meno tipica forma 
mentis, quindi con un diverso sviluppo logico-lingui- 
stico. 


72. — In greco, in latino — come in san- 
scrito e nelle altre lingue « Îlessive » — la pa- 
rola « idea » non poteva essere espressa — e 
quindi « pensata » nel pensiero discorsivo — 
se non in « nominativo » o « genitivo », 0 « da- 
livo », ecc., al singolare o al plurale. Finche în 
italiano, noi dobbiamo dire o « idea » o « idee ». 

Tipico delle lingue non flessive («isolanti ») è 
invece la possibilità di esprimere (e quindi di pensa- 
re anche nella connessione discorsiva) l’idea pura da 
ogni specificazione sintattica o grammaticale (1). 


(1) E perciò è più appropriata la denominazione 
di « lingue isolanti » che quella di « iingue monosilla- 
biche », in quanto la loro monosillabicità è un conno- 
tato puramente fònico teorico, limitato alla lingua 
scritta (oggi incomprensibile senza l’ausilio compen- 
satore della speciale grafia). Nella espressione orale, 
tali lingue, (quali il cinese, il siamese) uniscono più 
sillabe (generalmente due) per costituire quelle unità 
fònico-ideologiche che i moderni grammatici cinesi 
chiamano ming?-tsz? (letteralm. « espressioni denomi- 
nanti ») ossia « vocaboli ». Cfr. H .S. Aldrich, Hua yù 
hsiù chih: practical Chinese, Peiping, Vetch, 1934, 
pag. 51. — Tipico invece è che in tali lingue ogni ele- 
mento ideologico semplice costituisca un’entità lin- 
guistica a sé, inalterata e « isolata ». — Le lingue a g- 
glutinanti rappresentano lo siadio intermedio fra. 
le « flessive » e le «isolanti »: posseggono « desinen- 
ze », ma queste conservano una relativa autonomia, e 
si attaccano semplicemente (si « agglutinano ») al vo- 


69 La 


_- MENTALITÀ ED ESPRESSIONE 


* * 


.73. — La conoscenza di una lingua non soltanto 
nei suoi aspetti morfologici superficiali. ma in pro- 
fondità, e lo studio razionale e ragionato della sin- 
tassi permettono di comprendere la mentalità del po- 
polo che in quella lingua ha la sua coerente espres- 
sione. 


Utilissimo è perciò io studio ragionato 
della grammatica italiana, come preparazione 
indispensabile per ben imparare le lingue este- 
re e per comprendere la peculiare indole di 
ciascuna di esse. 

Le lingue flessive sono coerente espressione di 
quei popoli che, come i Mediterranei in genere e par- 
ticolarmente i Latini, hanno per caratteristica fonda- 
mentale della loro forma mentis la determinatezza e 
la precisione, e la innata tendenza a conoscere la real- 
tà per via sperimentale, analitica e razionale. Gli 
Asiatici invece, e particolarmente gli Estremo-Orien- 
tali, e specialissimamente i Giapponesi, son portati 
per natura e per tradizionale allenamento alla com- 
prensione intuitiva e sintetica. Non è facile, per noi, 
concepire che si possa pensare all’idea « mano » senza 
associarla ad una mano concreta, e noi determiniamo 
—- anche mentalmente — se si tratta di una o più 
mani, e la pensiamo ò le pensiamo in riposo o in azio- 
ne, oppure, ma successivamente, nei due diversi stati. 
Perciò, al diverso numero e alla diversa condizione 
corrispondono « voci » diverse o in diversa funzione: 
il sostantivo « mano » non può essere espresso che al 
singolare oppure al plurale ed avere funzione di sog- 
getto, o di complemento oggetto, o di strumentale, ecc. 
Ad un Giapponese, invece, il vocabolo « mano » (l’idea 
«mano »), rappresentato da un «ideogramma », desta 
l’idea astratta di « mano», aderente più al sim- 
bolo che alla realtà, mentre, al tempo stesso, egli ha 
la rappresentazione intima della mano concreta, né 


cabolo senza alterarlo (« fletterlo »). Cfr. T. Hamit, 
Méthode directe et combinée pour l’étude de la langue 
rurque, Instanbul, Imp. Hamit Bey, 1933, pag. 1} e 


segg. 


-—— 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


singolare né plurale, e simultaneamente egli può f- 
gurarsela (o piuttosto intuirla) in riposo ed in moto, 
mentre, sempre sinteticamente, l’ideogramma gli rap- 
presenta tutte insieme le differenti pronunce che l’i- 
deogramma può assumere (1). 

Così l’idea «idea» può esser considerata nell’a- 
strazione più completa, pur aderendo, simultanea- 
mente, a tutto ciò che possa avere comunque una 
struttura ideologica. Negli esercizî religioso-psicologici 
della sètta buddhistica Zen (2), la « meditazione » o 
« concentrazione » ha un carattere tutto speciale, che 
questi due nostri vocaboli non riescono a rendere (3), 
e che sarebbe difficile definire con parole nostre. Ma 
colui il quale abbia veramente compreso la struttura 
della lingua giapponese avrà fatto un gran passo per 
intendere che cosa sia lo Zen, e come in esso possa 
esser la chiave di tutta la psicologia giapponese, per- 
meando ogni manifestazione spirituale e pratica, fami- 
liare e sociale, sentimentale c razionale. 


Non sembrino Îuor di luogo, in una gram- 
imatica italiana (che però è « ragionata ») que- 
ste note su una lingua ed un popolo così di- 
stanti da noi: servono a determinare un estre- 
mo dell’ampia gamma nella quale possono 
classificarsi le lingue in considerazione della 


(1) Ogni « ideogramma », normalmente, ha alme- 
no due pronunzie diverse in giapponese, quando non 
ne ha parecchie: il segno « mano » si può leggere te, 
specialmente se isolato, oppure, nei composti, te, shu, 
zu; l’ideogramma « idea » è letto Kangae e ké. Su que- 
sta almeno duplice lettura e le sue ragioni, cfr. P. S. 
Rivetta, Nihongo no tebiki: avviamento facile alla d:f- 
ficile lingua giapponese parlata e scritta, Milano, Hoe- 
pli, 1943. 

(2) Questi esercizî sono molto praticati non sol- 
tanto dai sacerdoti e novizi, ma anche dai laici. E vi 
sono altre pratiche frequenti. le quali hanno sostan- 
zialmente lo stesso fine di allenamento dello spirito 
all'equilibrio. Tra queste, la celebre « cerimonia del 
tè ». Cfr. P. S. Rivetta, // Paese dell'eroica felicità: 
usi e costumi giapponesi, Milano, Hoenli, 1941; p. 141 
e segg. 

(3) Come non è facile definire la dhyana indiana, 
dalla quale essa deriva. 


DR, 


LA GAMMA DELLE MENTALITÀ 


«mentalità » che a ciascuna di esse è con- 


nessa (1). 
* * %* 


74. — Denominiamo « parola » in senso 
generico l’espressione orale, ossia Îònica 
e articolata, del pensiero, o anche la 
forma del dire. 

Nella «selva oscura », Virgilio dice a Dante: 


« Si ho ben la tua parola intesa » 
(Inf., II, 43) 
ossia: « Se io ho ben capito quel che tu hai detto » 
(« ciò che tu intendi dire »). Più genericamente ancora 
va interpretata la « parola » allorché Virgilio inter- 
rompe il suo dire nell’Antipurgatorio: 


« E com'egli ebbe sua parola detta » 
(Purg., IV, 97) 
ossia « appena egli ebbe finito di parlare ». 

Equivale invece a «favella », cioè «facoltà di 
parlare » allorché Buonconte da Montefeltro dice al 
Poeta: 

« Quivi perdei la vista e la parola» (2) 
(ibid., 100). 

(1) In questa gamma, ad esempio, la lingua in- 
glese occupa un posto diverso da quello che si sup- 
porrebbe, ossia a notevole distanza dalla nostra lin- 
gua. Il vocabolo hand, ad esempio, non evoca in un 
Anglosassone soltanto l’idea di « mano », ma anche 
quella delle sue possibili attività (verbo to hand, ecc.). 
Il fatto che, in inglese, quasi ogni sostantivo di ori- 
gine sassone possa aver anche funzione verbale fa sì 
che lo «stimolo ideologico » del vocabolo sia diverso 
che nelle nostre lingue. Più raro è tale abbinamento 
per i sostantivi di derivazione latina, specialmente se 
polisillabi: sicché un Inglese « sente » in modo diverso 
un vocabolo sassone e un vocabolo latino, pur se ne 
ignora la diversa provenienza. 

(2) Alcuni dantisti sostengono che la proposizio- 
ne (e perciò il senso) non terminano con la fine di 
questo verso dantesco, e leggono, con diversa. inter- 
punzione: 

e Quivi perdci la vista, e la parola 

nel nome di Maria finii... ». 
ossia « conclusi il mio dire pronunziando il nome di 
Maria ». 


ua 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


Parimente diciamo che taluno «ha /a parola 
facile », o che « la parola ha tradito il suo pensiero ». 


75. — Oltre questi significati generici — 
e perciò senza pretesa di precisione — la pa- 
rola « parola » ne ha anche uno specifico, e 
serve ad indicare l'insieme dei îonèmi che 
esprimono un'idea. 

In tal senso la parola è l'elemento co- 
stitutivo del discorso, equivalente appunto a 
ciò che l'elemento è nella chimica e ciò 
che la cellulaè nella fisiologia. 

76. — Nei suci significa:i generici, la « pa- 
rola » è semplice facoltà di esprimersi e l'e- 
spressione nel suo insieme: nel secondo sen- 
so, specifico, ha valore determinan'!e l’unità 
fondamentale del discorso. 


In questo secondo senso, « parola » ha significato 
affine a « vocabolo » (1). 

Il vocabolario di una lingua è-la raccolta 
delle « parole » (o « vocaboli ») in uso in quella lin- 
gua (2). 


(1) Il francese usa parole nel senso generico, e 
mot nel senso di « vocabolo »: « C'est pour faire usa- 
ge de la parole que le mot est établi... On a le don de 
la parole et la science des mots. « Abbé Girard, Les 
vrais principes de la langue francaise ou de la parole 
reduite en méthode, cit. in N. Landais, Grammaire gé- 
nérale des grammaires francaises, 5. éd., Paris 1845, 
pag. 83. 

(2) In inglese, vocabulary ha un significato ancor 
più specifico: significa il particolare « repertorio di 
‘ vocaboli » di una branca scientifica o che siano noti 
ad una determinata persona. « My English vocabulary 
is very poor » significa « Il mio repertorio di vocaboli 
inglesi è molta povero». ossia « Non conosco molti 
vocaboli inglesi ». Questo è uro dei numerosi esempî 
i quali dimostrano che il significato di un « vocabolo » 
può variare da lingua a lingua, pur quando l’aspetto 
resti assai simile: e ciò può facilmente trarre in in- 
ganno lo studioso. Cfr. in proposito, l'eccellente vo.u- 
me di C. Rossetti, Tranelli dell'inglese, S. ediz., Fi- 
renze, Le lingue estere, 1943; e H. Veslot & J. Ban- 
chet, Les traquenards de la version anglaise, Paris, 
Hachette, 1929. 


— 56 — 


LA PAROLA E LE PAROLE 


77. — La « parola» (in senso generico: 
«facoltà di parlare ») è dono divino (1); è. 
universale e generale nel genere umano; le 
« parole » (cioè i vocaboli) hanno invece. 
aspetto Îònico, uso e valore diverso presso i 
diversi popoli (2). 


i (1) « Formati che ebbe il Signore Dio daila terra. 
tutti i volatili del cielo, li condusse ad Adamo, acciò 
vedesse come chiamarli; il nome infatti col quale Ada- 
mo ‘chiamò ogni essere vivente, è il suo vero nome. E 
Adamo chiamò coi loro nomi tutti gli animali, e tutti 
i volatili del cielo, e tutte le bestie della terra ». Ge- 
nesi, II, 19-20, traduz. G. Ricciotti. 

(2) Non vi è quindi un nesso universale per cui a 
determinati suoni articolati corrispondano determinate 
idee definite. Vocaboli di lingue diverse possono coin- 
cidere fra loro per suono, e significar cose del tutto. 
diverse nelle rispettive lingue: così troviamo, ad esem- 
pio, non poche parole che si direbbero italiane ver la 
loro pronunzia, ma che hanno tutt’altro valore signi- 
ficativo in lingue prossime e lontane: è noto che bur- 
ro, per gli Spagnoli, significa « somaro », bisofio (pro- 
nunziato « bisogno ») equivale al nostro vocabolo « re- 
cluta »; facultativo è il « medico »; amo, che per noi 
è voce del verbo amare. significa « padrone » in spa- 
gnolo ed è negazione in coreano; in giavanese topi 
è «cappello » .e mitra è « amico »; per gli Albanesi, 
gas vuol dir « gioia » e urì è « fame », mentre per gli 
Arabi le urì son le note fanciulle semprevergini del 
paradiso coranico; panna è la «signorina » polacca; 
affàr significa « onesto » in amarico; in russo, pagoda 
è il « tempo » (stato atmosferico), e scirocco vuol dir 
«largamente »; /argo vuol dir «lungo » per gli Spa- 
gnoli. Il monosillabo tu, che per noi è pronome, vale 
« due » in coreano ed in inglese (two): tocco è « uno » 
in galla, salassa è «trenta ».in tigré, sfo è «cento » 
nelle lingue slave, mentre otto, in giapponese, signifi- 
ca « marito ». Nel linguaggio telefonico ed in usi si- 
milari, gli Anglosassoni usano oggi il semplice suono 
o per indicare lo «zero » (es.: 307 = three-oh-seven), 
mentre lo stesso suono rappresenta il « cinque » (dal 
cinese ww) in sinico-coreano. Per noi, la sillaba « su » 
esprime l’idea di «sopra» (preposizione e avverbio): 
in francese significa « sotto » (sous, preposizione), e 
anche « soldo » (sowu) e « satollo » (sot), ed in cinese 
vuol dire « informare », ed in basco « fuoco »; e giù, 
in giapponese, vuol dir « dieci »... 


sit 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


78. — Nel suo formarsi, ogni « parola » 
esprimente un'idea ha dovuto necessaria» 
mente stabilire anzitutto un nesso ed un con- 
îronto con altre nozioni conosciute già: par- 
‘ tire da queste, per individuare, definire e de- 
nominare l’idea da esprimere: ha eseguito 
quasi quelvoperazione di tiro, con cui, stando 


‘| Dopo aver descritto una « parabola », una « parabola » 
è una « parola... » (8/78) i 


. 


in un punto, si mira e si colpisce un altro 
punto: perciò, nella sua formazione, ogni 
« parola » ha descritto una traiettoria o « pa- 
rabola », proprio come quella di un proietti- 
le (1) che, emesso dal punto di partenza (si- 
gnificato originario o etimologico), va a col- 
pire con precisione l’« idea » da Fopnimicre 
(significato reale e d’uso). 

Ed è « parabola » anche nel senso di « racconto 
allegorico », poi che si serve di allusi oni ad a!tro per 
individuare e definire l’idea. 


(1) L’uso corrente confonde « parabola » e « traiet- 
toria », sebbene, geometricamente, sian due curve ben 
diverse. 


_ 58 — 


\4 


NJ 


L'EQUILIBRATO ED EQUILIBRANTE REALISMO 


L'etimologia è branca linguistica interes- 
sante e divertente, poi che ci rivela insospettate ori- 
gini delle parole e insospettate « parabole » che esse 
hanno percorso per arrivare al significato attuale. 

Così, ad esempio, l’etimologia ci rivela che da 
parabola è venuto parola. 


79. — Dopo aver compiuto — in tempo 


più o meno lungo e con vicende varie — la 
sua traiettoria o parabola, ia « parola » si fis- 
sa a rappresentare l’idea specifica, salvo a 
mutar valore col procedere del tempo e attra- 
verso nuove’ vicende, in connessione con 
un'evoluzione ideologica e come riflesso di 
un’obiettiva realtà (1). 


80. — Il processo evolutivo delle lingue 
neolatine, e specialmente quello della lingua 
italiana, si svolge in armonia con il progresso 
scientifico-filosofico, ossia con criterio analo- 
go ad esso. 


Alcuni popoli hanno una mentalità prevalente- 
mente intuitiva, talora in contrasto con la « raziona- 
lità »: la mentalità greco-latina-italiana ha una strut- 
tura sillogistica sintetizzante ‘ed analitica: essa ha 
maturato quell’equilibrato realismo che, da Socrate a 
Platone, da Aristotele alla mirabile sintesi scolastica 


(1). Dal verbo sophizo, « render sapiente » che lo 
formò, il vocabolo «sofista » qualificò in origine il 
dotto argomentatore, onesto addestratore degli altri 
sul cammino della saggezza; ma il prezzolato cavillar 
dei « sofisti » alterò il valore del vocabolo, applicato 
perciò poi a indicar una trista genìa di pseudo-filosofi. 
Parimenti l’ingiusto dominio esercitato con violenza 
fece sì che il vocabolo « tiranno », originariamente si- 
gnificante « Signore, Principe, Sovrano », acquistasse 
il truce valore che ha oggi. AI contrario, il vocabolo 
« martire », che in greco era semplicemente « testimo- 
ne» (martyr), si circonfuse di gloriosa aureola, per 
l’eroica condotta di coloro che soffrirono tormenti e 
morte per « testimoniare » come vera la dottrina pro- 
fessata. Le « parole » costituiscono, così, anche l’inde- 
lebile registro del bene e ‘del male, rispondendo armo- 
nicamente ad un fine generale di giustizia. 


12 004 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


medievale (S. Tommaso), e attraverso i filosofi vera- 
mente italici -— e non importatori di nebbie nordiche 
— sospinge sul cammino assolato e mediterraneo del- 
la limpida conoscenza, il nostro intelletto al fine di 
porlo in armonia (e quindi aderenza, adaequatio) con 
l’obiettiva realtà (1). 

Questa armonia tra lo spirito e la realtà costitui- 
sce la « verità ». 


81. — Pure la grammatica, fissan- 
do le « norme » razionali del discorso, e disci- 
plinandolo affinché risponda ai suoi fini, è 
tecnica (ossia « arte ») e « scienza »: e, come 
tale, è anche branca della « saggezza ». 


(1) «In processu generationis humanae semper 
crevit  notitia veritatis». Duns Scoto, (1265-1308), 
Theoremata. 


= 60 


\ 


Le cellule del discors 


(V) 


82. — Ogni discorso è formato di « pa- 


role ». 
Nel parlare, però, nessuna sensibile sepa- 
razione Îònica isola una parola dall’altra. 
Possiamo, in casi speciali — ossia per valoriz- 
zare con l’espressione le varie idee — distaccare con 
pause una parola dall’altra, e dire, ad esempio: 
« È questa la quarta volta che....». 
o nelle esitazioni, es.: n 


« Insomma... non... vorrei... » 


È un artificio, o il risultato di incertezza, timore, 
ecc.; e le medesime cause possono produrre una pro- 
nunzia eccezionale, nella quale persino le sillabe sono 
articolate ben distinte una dall’altra: 


« As-so-lu-ta-men-te no! » 


Ma nemmeno in questi casi eccezionali è possi- 


bile sciogliere quei legami fònici che servono di sal- 
datura acustica tra due o più parole; p. es.: 


« L'ho av-ver-ti-to per l'ul-ti-ma  vol-ta ». 


83. — Questa fusione Îònica avviene in 
tutte le lingue. Nessuna di esse è pronunzia- 
ta parola per parola separatamente (1). 


(1) Oitre la « pausa », si può avere una separazio- 
ne ancor più violenta (pur se assai più breve) tra i 
suoni del discorso: l’« occlusiva laringea », ossia la 
completa chiusura della rima delle corde vocali. I Te- 
‘deschi, allorché pronunziano l'italiano, non dicono 
«ioavevoancoravuto » (io avevo ancora avuto »), ma 
«io*avevo*ancora*avuto », ponendo questa occlusione 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


Ad esempio, la proposizione francese « Zls y ont 


DI 


retrouvé leurs bons amis d'’il y a trois ans», che è 
composta di ben tredici « parole », viene pronunziata 
correntemente in tre gruppi fònici: ilziòn riruvé loer- 
bonzamì diliatruazàn. 


Una delle maggiori difficoltà per chi oda 
parlare una lingua a lui poco nota, è appunto 
il riuscire a identificare i confini Îra parola € 
parola. 


Se poi egli sia assolutamente digiuno di quella 
lingua anche l’analisi più minuta non gli permetterà 
di stabilire dove. nella successione dei suoni ch’egli 
ode, cadano tali punti separativi (1). 


84. —— La divisione del discorso in « paro- 
le » è mentale e logica. Ed è tanto importante 
da influenzare persino la struttura Îòbnica del- 
la « parola», la quale si afferma anche così 
come entità a sé. 


Nelle lingue regolate dalla legge dell'armonia 
vocalica, l’unità della « parola » come entità a 


laringea nei punti qui indicati con asterischi; ma, in 
tedesco, tale frattura fònica si può avere anche nel 
corpo della parola: ad es.: « das Amtsalter », « V’an- 
zianità », si pronunzia « das*amts*alter »; -— in « beer- 
ben », « ereditare », vi è fra i due e un distacco (« be* 
erben » — che manca invece in « Beere », « bacca, aci- 
no ». — È ben strano che nessun manuale per l’inse- 
gnamento del tedesco esponga questa importantissima 
caratteristica della pronunzia tedesca. È un appunto 
(il solo) che si può fare anche a U. C. Ferrero, Ele- 
menti di fonetica della lingua tedesca, Modena, S. T. 
mod., 1937. — Assai utilmente si potrà consultare: G. 
Panconcelli-Calzia, Experimentelle Phonetik, Berlin u. 
Leipzig, Géòschen, 1921, pag. 101 e segg. 

(1) Pur nelle lingue che hanno l’accento in posto 
fisso (sempre sulla prima sillaba della parola, come in 
ungherese o in finnico; oppure sempre sull’ultima, co- 
me in francese) tale connotato non è sufficiente guida 
alla separazione acustica, poi che si attenua nelle pa- 
role secondarie ed è invece accompagnato da accenti 
secondarî nelle parole lunghe. — Cfr. F. Beyer und 
P. Passy, Elementarbuch des Gesprochenen Franzéò- 
sisch. Gòthen, Schultze, 1905, pag. 59 e segg. 


ea HIER 


L'UNITÀ DELLA « PAROLA » 


sé è sentita a tal punto che, in una stessa « parola » 
si trovano normalmente o soltanto «vocali basse » 
(posteriori, velari), o soltanto « vocali alte » (anteriori, 
palatali) (1). | 


etkergettem. 1) 


A macskal az asztal alòl: 


(D tupakanpolito oni tall kielletty 


vocali 
alte 
\ (anteriori) 
P Ì 
. (2) 1 ra 
I (8) ù (y) 
vocail | - N 
basse a lingua € (a) 
(posteriori). 


Esempi di « armonia vocalica »: 1) ungherese: « Ho 

scacciato il gatto di sotto la tavola »; 2) finlandese: 

« Vietato fumare »; 3) turco: «Per un innamorato, 
Bagdad non è lontana» (proverbio). (8 84) 


L’equivoco interpretativo per il quale il 
dialetto romanesco dice « un apis » credendo 
che lapis sia « l’apis », e per il quale abbiamo 
in italiano « la matita », formatasi da « l’ama- 


(1) La pronunzia popolare turca trasforma perciò 
l'italiano brillante in pIrlanta, modificando in / e a (vo- 
cali « basse ») i due nostri i, che sarebbero in contra- 
sto con l’a accentata, la quale dà fisonomia fònica alla 
parola. Parimenti, dal francese congrès il turco po- 
polare forma congrà. — Il nome di Karagoòz, il 
noto protagonista del cosiddetto «teatro delle om- 
bre », contrasta apparentemente con l’armonia voca- 
lica, avendo vocali delle due specie: esso prova in- 
vece che, in turco, Kara-g6z è considerato composto 
da due parole: e infatti significa « Occhio (géòz) nero 
(kara) ». 


ii 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


lita » (1), conferma tale sensibilità che il po- 
polo ha della « parola », i cui confini vengono 
così stabiliti: in modo erroneo dapprima, per 
diventare definitivi. 


85. — Anche la lingua italiana ha leggi 
fòniche particolari per l’inizio e la fine delle 
« parole », pur se queste, nel discorso, sono 
pronunziate legate le une alle altre, riunite in 
gruppi di respiro (2). 


Le leggi e norme delia buona pronunzia 
e della corretta scrittura formeranno un vo- 
lume a parte. Qui sono però indispensabili questi cen- 
ni fonetici per definire il valore e, anche grammati- 
calmente, la funzione della « parola ». 


86. — Molti popoli, nello scrivere, non usano la 
separazione tra parola e parola, rappresentando così, 


———— __——r—r—r—r——_——— 6 


(1) Per ematite (haematites), ossia « sanguigna », 
che designò una pietra da disegnare color sangue. — 
Viceversa il francese chiama l’ugola «la luette », per 
aver creduto parola unica « l’uette » (da uvulette), cui 
premette perciò un secondo articolo. Una successiva 
interpretazione popolare (a Parigi e nell’Est della 
Francia) ha poi fatto sì che «/a luette» apparisse 
« l’aluette », e, per attrazione paronimica, anche l’ugo- 
la è divenuta «l’'alouette ». Sicché questa popolare 
« rondine » (alouette) inesplicatamente annidatasi in 
fondo alla bocca, non è che un chicco d’uva (uvulet- 
ta), proprio come la nostra « ugola (per uvula). 

(2) Abbiamo delle vere e proprie idiosincra- 
sìe foòniche iniziali di parola: pur possedendo l’arti- 
colo maschile plurale gli, sempre prevocalico o pre- 
cedente gruppi consonantici complessi (s impura, z 
[cioè is o ds], ps, gn, x [cioè Ks]), non abbiamo nes- 
suna parola incipiente per tale suono: eppure dicia- 
mo, con raggruppamento fònico, « gl’ingegni, « gl’In- 
diani », ecc. — Nessuna. parola, in basca, comincia 
per r; e chi si chiami Ramòn diventa Erramon in 
Biscaglia o Guipuzcoa. Cfr. B. De Arrigarai, Euskal- 
Irakaspidea: Gramàtica del Euskera, San Sebastiàn, 
S. Ignacio (1935), pag. 11. — Men buono, per lo studio 
del basco, il Método pràctico del Euskera, di M. de 
Inchaurrondo, Pamplona, Aramendia, 1928; povera co- 
sa è il volumetto La lingua basca, di E. Portal, Mi- 
lano, 1926. 


ina 


Ri mi mint + nontiinet Aziz oceania delemic ver asciariolmso mr ue ini iii siii derit iii ri DL e ii rr phi ai iii demi Rem tn ir entire im 


I d 


i de 


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e le altre «part 


verbo 


Il 


RR RENTTRI 


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tititrofe;tit 


TS 13 PIPE IRIZ,ZIA PIT 
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POILIticRaziot sat 


È | 
NARA AE VIII ADISONI ANDSION DI PON, 


a A GAARA 


SIATIZIA IRE A Ln II 


« Il tocco» è espressione regionale ... ($ 53). 


In alto: Piazza della Funicolare, a Capri, 


In basso: Firenze e l’Arno, da Palazzo Vecchio con il profilo della campana 
«la Martinella >, 


ii di 


agito © sg 
+ . 


ae 


PAROLA E GRAFIA 


graficamente, la sola pronunzia, indipendentemente 
cioè dalle idee connesse con i suoni. 

Anche in sanscrito la scrittura era «seguitata » 
(kramapàtha): L’India ha dato un grande contributo 
alla grammatica e alla logica grammaticale (1), ma 
anche ora l’isolamento « parola per parola» (pada- 
pàtha) è più o meno commisto con la grafia « conte- 
sta » (2). | 


87. — In italiano, l'isolamento grafico del- 
le parole si affermò quando la lingua era già 
solidamente costituita, Di | 

Oggi non ci è facile leggere un testo nel 
quale le sillabe siano graficamente riunite co- 
me esse sono oralmente emesse: abbiamo bi- 
sogno di vederle raggruppate non come esse 
lo sono nella nostra voce, ma come lo so- 
no nel nostro pensiero. | 


= 


88. — Tale fenomeno è sintomatico, poi 
che rivela la forte tendenza analitica che è 
peculiare nell’indole della lingua italiana. 

Nel succedersi delle generazioni, ‘ossia nel suo 


sviluppo, il genio della lingua ha compiuto costante- 
mente un lavoro di indagine analitica. Come i fisio- 


logi hanno ricercato nella struttura dei tessuti orga- 


(1) Preziosa fonte filologica è l’antichissima gram- 
matica indiana, che raggiunse la vetta nell’Astadhiaii 
(« Le otto sezioni [grammaticali] »), trattato compren- 
dente circa quattromila regole, compilato da Pànini, 
vissuto, secondo alcuni, nel V secolo av. Cr. e che, con 
Vararuci Katiàiana e Patafijali, forma la triade dei 
grandi grammatici indiani. Secondo Pànini, la gram- 
matica ha sì grande importanza, che la conoscenza 
profonda di essa può bastare per raggiungere la sal- 
vazione. Il grande filologo danese Otto Jespersen non 
esita a proclamare l’opera di Panini « la più completa 
grammatica esistente per qualsiasi lingua, viva © 
morta ». 

(2) In essa vale come criteria di separazione l’in- 
terpunzione oppure il non collegamento tra vocale fi- 
nale e la seguente. 


tu 


e Mg rate” SERE det n ent ani SITE RT MV dt Sen no VENERE "POI. RT n Sese © Nd Sharing ii aeneon dai 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


micati (1) l'elemento unitario fondamentale, così l'ita- 
liano ha cercato di isolare l’unità biologica del lin- 


guaggio. 


89. — Chiamiamo testo l'insieme dei 
vocaboli che sono organicamente disposti a 
formare un discorso (il « testo » scritto è la 
rappresentazione con segni del « discorso » 
orale): e « testo » significa « tessuto » 0). In 
anatomia chiamasi «tessuto » il complesso 
di cellule che formano i varî organi del corpo. 

Il microscopio ha permesso la scoperta 
« cellula » (3). Quel che nel tessuto vegetale 
e animale è la « cellula », nel tessuto lingui- 
stico è la « parola ». 

L’isolamento della « parola » rappresenta 
quindi un progresso, in quanto attesta una più 
intima conoscenza, una più approîondita 
ana lisi del processo psicologico-lingui- 
stico (4). 


(1) È un brutto neologismo: « organicato » è in 
uso da alcuni scienziati per definire quei composti e 
aggregati che non sono solamente « organici », ma di 
struttura coordinata ad un fine unitario. 

(2) Textus, donde textum, è il participio passato 
(e participio passivo) di texere, e perciò « tessuto ». 

(3) Per il fisico inglese Roberto Hooke, che nel 
1667 diede il nome alle « cellule », queste non posse- 
devano una propria individualità: erano semplici « ca- 
vità » in una massa fondamentale: « il primo natura- 
lista che ha messo in vera luce la struttura cellulare 
nei vegetali è stato il nostro Marcelio Malpighi 
(1675) », R. Galati Mosella, / più significativi trovati 
della citologia, Milano, Sonzogno, 1919, pag. 15. 

. (4) « Dai fenomeni linguistici noi potremo trarre 
delle conclusioni sui caratteri generali del pensiero... 
Le forme diverse del pensiero, nel loro incessante mu- 
tamento, reagiscono sul linguaggio, mentre questo in- 
fluisce dal canto suo sul carattere del pensiero: noi 
non possiamo ammettere che i pensieri dei nostri an- 
tenati remoti, si siano svolti nelle stesse forme no- 
stre; anzi, tali mutamenti avvengono sicuramente, sia 
pur in minor grado, in periodi molto più brevi». G. 
Wundt, Vòlkerpsychologie, trad. ital. (« La psicologia 
dei popoli »), Torino, Bocca, 1929, pag. 44. 


Ù 


Po — ESA 


LA CELLULA DEL DISCORSO 


90. — La « parola », appunto come la cel- 
lula, è la più piccola entità significativa del 
discorso. Non si può quindi scinderla senza 
pregiudicarne la funzione, ossia il significato. 

91. — Nel processo analitico, allorquando 
il nostro pensiero riconosce che un vocabolo, 
pur costituendo una entità semplice, contiene 
potenzialmente due idee, avviene un fenome- 
no simile a quello della cariocinesi nelle cel- 
lule: la formazione di un doppio nucleo (due 
idee) determina la formazione di due cellule 
distinte. | 

Per questa tendenza analitica la 
lingua italiana — ossia la lingua latina in ul- 
teriore sviluppo — ha trasformato in due o 
più parole quasi tutte le forme « declinate » 
e parecchie forme «coniugate», nonché i 
« comparativi » ed i « superlativi relativi ». 

92. — Dopo tali premesse — che appari- 
ranno persino prolisse — dobbiamo conclu- 
dere la lapalissiana verità grammaticale che 
sono separate quelle parole che non son più 
unite: dobbiamo rispettare cioè — nelle de- 


finizioni e nelle regole. — ciò che il genio 
della lingua ha voluto distinguere. 
* * %* 


93. — Impropria e contraria all’indole del- 
la lingua italiana è definire e considerare 
« tempi composti » del verbo, ossia ciascuno 
dei raggruppamenti di due o tre « parole», 
come unica « voce » del verbo esprimente l’a- 
zione compiuta (passata o passiva). 

Il latino veni, nel suo significato di « passato 
prossimo », si è scisso nell’italiano « è venuto ». Con- 
siderarlo ancora « voce » del verbo venire è altrettan- 
to errone» quanto lo ‘sarebbe il rappresentarlo grafi- 
camente in una parola sola: « evvenuto » (1). 


(1) Nel volume di ortografia ed ortoepìa sarà ade- 
guatamente esaminato l'importante fenomeno del rad- 


ld 


L0 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


94. — Nella denominazione « tempo com- 
posto » si può anche intravvedere la preoccu- 
pazione di definire un fenomeno il quale non 
può apparire curioso e contraddittorio se si 
consideri « è venuto » come voce del verbo 
verire. 


Allorché diciamo che « Caio è venuto », noi af- 
fermiamo anzitutto che Caio «è»: lo affermiamo 
presente, sia in senso cronologico che locale: sicché 
la voce « è » è proprio il presente indicativo del verbo 
.« essere ». Ma affermiamo anche che egli è nelle con- 
dizioni derivanti in lui dall’aver compiuto l’azione 
di « venire »: e ciò è espresso dal participio passato 
del verbo « venire »: venuto. 

Sicché «Caio è venuto» significa chiaramente 
quel che significa e cioè che 
| Caio è venuto 
e ciò è espresso in tre «parole », manifestando uno 
pensiero formato da tre idee: 

Caio è venuto 


95. — Impropria è anche la denominazio- 
ne di « passato prossimo », appunto perchè il 
verbo « essere » al presente (« è venuto, sono 
venuti ») indica che si tratta di un presen- 
te: il participio, o attributo, è « passato »: ma 
il verbo è presente. 

E trova, così, la sua logica giustificazione 
la regola sull’uso di tale forma: 


96. — Si adopera il cosiddetto « passato 
prossimo » (ossia il presente del verbo essere 
con il participio passato come attributo): 

a) quando perdura la conseguenza o 
‘ effetto indicato dal participio passato, es.: 
« Questa lettera è arrivata ire giorni fa », os- 


doppiamento consonantico iniziale nella buona pro- 
nunzia dell’italiano, ed in quali casi esso avvenga: per 
ora ci basti constatare che « è venuto » non si pronun- 
zia come « eventuale », e che la durata dell’r non è la 
stessa in «a Roma» e in «aroma ». 


RETE; QUeBE 


IL PRESENTE E IL PASSATO 


sia « è » qui presente, nella condizione deter- 
minata dall’essere « arrivata »; 

Si potrà dire « La lettera arrivò due gior- 
ni fa», intendendo che ogni effetto è oramai 
cessato. 

b) quando il periodo di tempo espresso 
non è ancora terminato: « L’anno (oppure il 
mese, il giorno, il secolo, ecc.) è cominciato 
bene! », intendendo questo anno (0 mese, gior- 
no, secolo) che ancora dura; ma si dirà co- 
minciò se tali periodi sono « passati ». 

C) in eccezione al comma precedente, 
quando l’evento (o lo stato) è incluso nelle 
24 ore in corso. Nel pomeriggio, bisognereb- 
be dire « Stamane piovve », poi che non è più 
« stamane »; ma si dice « Stamane è piovuto », 
poi che l’evento è così vicino da esser consi- 
derato incluso nel « presente » (1). 

97. — Questa regola conferma che il pen- 
siero espresso è di vero e proprio « presen- 
te » (2). 

In molte regioni d’Italia l'influenza dialettale 
spinge ad usare il cosiddetto « passato prossimo » an- 
che fuori dei limiti prescritti dalla regola del $ 96. 
AI contrario, i Siciliani usano spesso il « passato re- 
moto » anche per eventi inclusi in tali limiti tempo- 
rali, sicché essi dicon persino, in italiano (ma non 
corretto italiano): « Proprio adesso venne » (3). 


(1) « Il presente è la porzione di tempo che ab- 
biamo la sensazione di occupare... Ma ogni evento che 
noi percepiamo come presente, per il fatto stesso che 
lo percepiamo è già avvenuto, ossia è passato ». P. S. 
Rivetta, Geometria della realtà e inesistenza della 
morte, Roma, De Carlo, 1946, tomo I, pagg. 33-38. 

(2) Dice infatti la grammatica tradizionale che il 
passato prossimo indica anche «azioni e fatti 
compiuti da così poco tempo, che paiono presenti ». 
Morandi & Cappuccini, cp. cit., pag. 203, 8 586. — Se 
« paiono » presenti, è logico che siano anche espressi 
come tali. 

(3) È la letterale traduzione del siciliano: « Pro- 
priu ora vinni ». 


Perna, gp 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


98. — La distinzione del « tempo » in con- 
siderazione dell’« effetto » perdurante in se- 
guito all’azione è di grande importanza nello 
studio delle lingue siraniere (1). 


99. — Applicando questo criterio separa- 
tivo e dando a ciascuna « parola » l’autono- 
mia grammaticale che le compete, si rispetta 
grammaticalmente l’indole della lingua, men- 
tre al tempo stesso si semplificano gli artifi- 
ciosi paradigmi, tormento dei giovani e imba- 
razzo degli adulti. 

Tutti i cosiddetti «tempi composti» vengono 
scissi legittimamente nei loro componenti, sicché. i 
tradizionali « specchietti » delle coniugazioni vengono 
già, con ciò, ridotti del 50%. 


(1) I grammatici inglesi rimasero incerti nelle de- 
finizioni dei « tempi composti » (compound tenses), 
dividendoli anche in « first double compound », « se- 
cond double compound », « third double compound » e 
« triple compound » (cfr. J. Priestley, The Rudiments 
of English Grammar, London, Rivington, 1772, pag. 24 
e segg.), finché non venne adottata una più moderna 
terminologia per tali « tempi »: il « passato prossimo » 
è chiamato « tempo presente perfetto » (present per- 
fect tense), ed è giustamente considerato « presente », 
differenziato dal semplice « presente » e dal « pre- 
sente continuo » (present continuous tense: es.: « He 
is writing ». « Egli scrive (= sta scrivendo) ». Crf. G. 
Brackenbury, Studies in English Idiom, London, Mac- 
millan, 1925, pag. 32 e segg., e A. Reed & B. Kellogg, 
Graded Lessons in English, New York, Maynard, 1906, 
pag. 206 e segg. — I grammatcii svedesi considerano 
sia il «presens» (es.: han skrifver, « egli scrive ») 
che il «perfektum» (es.: han har skrifvit, « egli 
ha scritto ») come «tempo attuue, di oggi» (nàrva- 
rande tid). Cfr. A. Sundén,Svensk Spraoklira i sam- 
mandrag, 10de uppì., Stockholm, Deckman, 1890, 
pag. 90, 8 114. 


RE | RE 


I ‘“modi,, dell'energia verbale 


(VI) 


100. — Il riconoscimento formale (ossia 
la coerente formulazione in definizioni e nor- 
me grammaticali) di quel che sostanzialmente 
è avvenuto ed avviene nei fenomeni linguisti- 
ci italiani, e perciò la interpretazione rivo - 
luzionaria di essi conducono alla logica 
abolizione di tutto ciò che è artifizio burocra- 
tico (1). 

101. —- La nuova grammatica ha il triplice pro- 
gramma di: 

a) armonizzare; 
b) semplificare; 
c) chiarire. 


Possiamo considerare b) e e) come logica 
conseguenza da a). 


(1) Formati ibridamente con il francese dureau, 
« ufficio », e il greco Kratos, « potere », i neologismi 
« burocrate », « burocrazia », « burocraticamente », nel 
significato peggiore esprimono la supremazia del cri- 
terio pedante e formalistico nella pubblica ammini- 
strazione, sì che la realtà scompare dietro la « prati- 
ca» da « emarginare » e da «evadere »: ciò che im- 
porta non è il provvedimento sensato da prendere, ma 
il « protocollare », 1’« archiviare » la pratica stessa. 
Nella sua acuta filosofia e con le volute ssrammati- 
cature, Oronzo E. Marginati (Luigi Locatelli) ha eter- 
nato, come tipica, quella « pratica » « che era un cu- 
rato il quale diceva che si non aripparavano l3 chiesa, 
ci cascava in testa e accusì ci si mettesse una pezza 
per via gerarchica »; e la complessa procedura fu tale 
che «un mese dopo cascò la chiesa acciaccando il 
curato; il capodufficio fu mandato sul posto indove 
lo fecero cavaliere per il contegno curaggioso... » 
L. Locatelli, Come ti erudisco il pupo, 37° migliaio, 
ediz. « Il Travaso » Bologna, Cappelli, (s. d.), pag. 
27-28. 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


Hausa le definizioni e le regole gram- 
maticali all’obiettiva realtà (ispirarsi cioè an- 
che nella scienza e nella tecnica grammaticali 
ai criterî di sano realismo su cui poggia sem- 
pre più stabilmente da millenni la nostra 
philosophia perennis) significa sta- 
bilire un'armonia (I). 

Tutto ciò che, non avendo il suo corrispet- 
tivo nella obiettiva realtà, è superiluo, impe- 
disce l'equilibrio, e va perciò eliminato (2). 

Tale eliminazione del superfluo giova alla 

chiarezza delle definizioni e delle norme gram- 
maticali (3). 

102. — Come già constatato ($ 19), le voci 

verbali della forma passiva latina si 


(1) Intenzionalmente usiamo il verbo adeguare. 
con allusione alla tomistica adaequatio, chiave di vol- 
ta della «conoscenza ». — «Les choses matérielles 
sont sensibles en acte, mais ne sont intelligibles qu’en 
puissance, et tout le procès de la connaissance humai- 
ne consiste à les amener progressivement, d’abord à 
l’intelligibilité -en acte (dans la species intelligibilis 
impressa), puis à l’état d’intellection en acte (dans 
le verbe mental et l’opération intellective). J. Mari- 
tain, Les degrés du savoir, Paris, Desclée, 1932, pag. 
226. — «Et quoniam tripliciter potest aliquis per 
sermonem, quem habet apud se, interpretari, ut scili- 
cet vel notum faciat mentis suae conceptum, vel ut 
amplius moveat ad credendum, vel ut moveat ad amo- 
rem vel odium; ideo sermocinalis sive rationalis phi- 
losophia triplicatur, scilicet: in gremmaticam, logicam 
et rhetoricam; quarum prima est ad exprimendum, 
secunda ad docendum, tertia ad movendum. Prima re- 
spicit raticnem ut apprehensivam, secunda ut indica- 
tivam, tertia ut motivam ». S. Bonaventura, De reduc- 
tione artium ad theologiam, T. V, pag. 308. 

(2) Applicando il criterio filosofico-economico 
lella « ragion sufficiente ». Cfr. Enriques, /! principio 
di ragion sufficiente nella costruzione scientifica, in 
« Riv. di Scienza », 1909. 

(3) « Definitio sit brevis. Sobria enim brevitas per- 
spicuitati maxime inservit. Adde quod brevis defini- 
tio facilius retinetur... ». « In definitione nihil redun- 
det, nihil deficiat ». V. Remer S. I.,, Summa philoso- 
phiae scholasticae: I: Logica minor, Romae, Univers. 
Gregor. pas. 49. 


PER: (FRI 


« PASSA TO » E « PASSIVO » 


sono scisse: ognuna di esse è stata sostituita, 
in italiano, da più « parole », ossia dalle cor- 
‘rispondenti voci del verbo essere completate 
con il « participio passivo ». 

Nel verbo essere è espressa l’idea verba- 
le; nel « participio passivo » l’idea passiva, | 
distintamente. 

Il« participio passivo » ha i connotati e le. 
proprietà intrinseche grammaticali dell’ a g- 
gettivo, e le funzioni sintattiche dell’ a t - 
tributo. Sebbene prodotto morfologica- 
mente dal verbo, esso, una volta formato, 
esorbita dall'ambito verbale: è un’altra par- 
te del discorso (vedi 8 47 B, d), e come 


tale va considerato (1). 
103. — Viene così interamente abolita, nella gram- 


matica italiana, la coniugazione passiva, poi che non 
esiste nella linguistica realtà. 

104. — Morfologicamente, il participio pas-. 
sivo coincide con il participio passato: 
(8 9), poi che entrambi esptimono il risultato di 
un’azione compiuta: se il verbo è intransiti- 
vo, il nostro pensiero non la può considerare « com-- 
piuta » se non in quanto è semplicemente « passata »; 
se invece il verbo è transitivo, l’azione è com- 
piuta per quel tanto di essa che si è trasferito nella 
persona, nell’animale o cosa che risulta affetta da ta- 
le passaggio: questa « passività » è espressa dal par- 
ticipio passivo. 

105. — Poi che il soggetto che è così af- 
fetto acquista la qualità derivantene, il verbo essere 
esprime tale stato (2). 

106. — Le funzioni del « participio passivo » son: 
ben distinte da quelle del « participio passato ». 


(1) « Asinus non differt ab equo per solam for- 
mam, sed per materiam aliam specificam ». Bacone, 
Opus tertium, ediz. Bewer, pag. 126. 

(2) Il tedesco esprime il passivo usando il « par- 
ticipio passivo » retto dal verbo werden: es.: der Brief 
wird geschrieben, « la lettera è scritta »: l’idea di pas- 
sato è espressa o nel verbo werden oppure con il par- 
ticipio passato di questo: es.: der Brief wurde geschrie-- 


RR sE 


. 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


La prova che esse non si confondono è fornita dal 


‘fatto che il «participio passivo » ha significato pre- 


PRESENTE | 
‘Caio 


PASSATO PRESENTE | PASSATO 


“Caio A 
ha ai i COTSO. 


e eni to” 


“| (venire) 


(essere) 


PRESENTE | PASSATO 


“Caio 
ha portato 


sons e00eo 
‘ 


“la valigia 


IPRESENTE > 
PASSATO — stata 


Ogni « parola » conserva la sua autonomia pur quando 
collabora intimamente con altre... (8 106). 


ben, « la lettera era scritta »; das Brief ist geschrieben 
worden «la lettera è stata scritta » (letteralm.: « è di- 
venuta scritta »). Cfr. O. Basler, Grammatik der deut- 
-schen Sprache; eine Anleitung zum Verstindnis des 


 Aufbaus unserer Muttersprache, Leipzig, Bibliogr. 


‘ Inst., 1935. — Affine a questo « divenire » (« di-veni- 
re ») è il nostro verbo venire in sostituzione di essere: 
es.: « la lettera viene scritta ». 


A 


DARE E AVERE 


sente: per esprimere anche l’idea di passato, bisogna 
aggiungere il « participio passato » del verbo essere: 
es.: « il pacco è portato » (azione presente, poi che il 
participio è soltanto « passivo »); «il pacco è stato 
portato » (azione passata [« stato », participio « pas- 
sato » di essere] passiva [« portato »]). 

* * * 


107. — Si comprende così anche perché, mentre 
il «participio passivo » richiede il verbo essere per 
esprimere l’esistenza di tale qualità (passività) nel 
soggetto, il « participio passato » dei verbi transi- 
tivi attivi richiede il verbo avere, poi che in 
tal caso il soggetto agisce. 

108. — Il verbo avere non significa soltanto « pos- 
sedere ». Infatti lo si adopera non soltanto nel senso 
di « essere possessore », ma anche come opposto di 
dare: nell’espressione « dare e avere» c’è un’antitesi 
di direzione: î 
> PIA, 
dare avere 


AI nostro concetto di « avere » corrispon- 
dono, in alcune lingue, espressioni che, pur se 
coerenti con una jorma mentis diversa, gio- 
vano ad illuminarci: | 

all'italiano « egli ha molti amici » corri- 
sponde il latino « ei sunt multi amici »: le due 
formule, pur dicendo la stessa cosa, stanno Îra 
loro in posizione antitetica di direzione: 


italiano: « egli he molti amici »; 


latino: « a lui s o no molti amici ». 
È proprio un rapporto analogo a quello di 
« dare e avere ». 
Molte lingue ricorrono a locuzioni del tipo 
della latina per indicare l’apparlenenza e il 
possesso (1). 


(1) L’arabo non possiede un verbo « avere »: « io 
avevo » si traduce «c’era presso di me» (kén ’andi). 
—- Nel cinese yu? si fondono le due idee di «essere » 
(« esservi ») e di « avere », ben distinte peraltro dalle 
idee di «essere» («esistere »: scih4) ed «esser in 
qualche posto » (tsai4). 


99 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


Anche il tipico verbo inglese fo gef ci illu- 
stra eccellentemente tale rapporto. È un verbo 
‘sui generis (1), il quale ha. apparentemente 
funzioni ed usi varissimi: ma l’idea che è con- 
nessa con questo verbo, in ogni sua accezio- 
ne, è unica: è sempre cioè allusiva ad un ac- 
quisto fisico, fisiologico o morale (2): molte 
volte questo « procacciarsi », od « ot!enere », 
nell’idea corrispondente italiana è incorpora- 
ta nel verbo: fo gef married, « sposarsi »; 10 
get old, «invecchiare »: passare cioè nello ‘ 
stato di « sposato » 0 di « vecchio ». 

Allorché, in italiano, diciamo « aver fame >», « aver 
rabbia », o « aver voglia », si tratta di un « possedere » 
uno stato fisiologico o psichico, ossia quasi essere in 
possesso di un’azione. Ì 

Analogo è il feeling (vedi ìa nota al 8 52) allorché 
diciamo « ha corso» o « ha portato ». 

109. — E poi che il verbo avere, come ogni altro 
verbo, contiene il verbo essere (egli ha=egli è avente 
(8 21-23), il signicato logico che ha ispirato le locu- 0 
zioni attive formate con avere + « participio passa- 
to » è «essere nelle condizioni di chi ha compiuto 
l’azione espressa dal participio passato ». 


La costruzione habeo + « part. passato » 
appare già, e non infrequente, in Cicerone (3). 


119. — L’autentico verbo, in queste lo- 
cuzioni, è il verbo avere, che non va quindi 
considerato come ausiliare, poi che è, 


(1) « It gives to the English language a middle 
voice, or a power of verbal expression which is nei- 
ther active nor passive ». J. Earle, Philology of English 
Tongue, 1871. 

(2) es. « Get me some paper », « Procuratemi del- 
la carta »; — fo get evidence, « ottenere la prova »; 
— to get talked over, « far parlare di sé»; — e per- 
sino to get run over, « essere ‘investito da un veicolo » 
(quasi ottenere un investimento »!). 

(3) «Habeo scriptum », «rationes cognitas har 
beo », — Cfr. P. Thielman, « Habere » mit dem Part. 
Perf. Pass., in « Archiv fiir lateinische Lexikographie 
und Grammatik », Leipzig, II, 372, pag. 415. 


PA, E 


ENERGIA LIBERA O DIPENDENTE 


- al contrario, la « parola » energetica della pro- 


posizione. 
111. — Ogni autentica voce verbale 


è dunque formata da una sola « parola », espri- 


mente autonomamente un’idea: lo stato o l’a- 
zione. | 
* * %* 

112. — L'azione espressa dal verbo può 
essere indicata come certa: tale forma è quel- 
la del modo indicativo: «Caio vie- 
ne », « Caio è venulo ».. I 

« ella giunse e levò ambe le paline » 

(Purg., VIII, 10) 
« Leva in roseo fulgor la cattedrale 
Le mille guglie bianche e i santi d'oro ». 
(G. Carducci, Sole e amore) 

113. — Può essere congiunta, come ipo- 
tesi (per mezzo della « congiunzione » se) ad 
altra azione, o dipendente da altra azione per 
altro nesso (espresso da altra « congiunzio- 
ne »): tale forma è quella del modo con- 
giuntivo»: es.: 

- « Che l’ubidir, se già fosse, m'è tardi » 
(Inf., II, 80); 


« Come d’un stizzo verde ch’arso sia 
dall’un de’ Capi... ». (Inf., XIII, 40) 


114. — Il congiuntivo può esser 
usato anche indipendentemen'e, con valore 
esortativo o imperativo: sulla porta dell’infer- 
nal città di Dite, i diavoli dicono a Virgilio: 

« Vien tu solo, e quei sen vada, 
che sì ardito intrò per questo regno. 
Sol si ritorni per la folle s'rada: 
pruovi, se sa...» (Inf., VIII, 89-92) 

115. — L'azione espressa dal verbo può esser 
subordinata ad una condizione: tale forma è quella 
del modo condizionale: 

«Se a ciascun l’interno affanno 
si leggesse in fronte scritto, 


Sl a 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


quanti mai, che invidia fanno, 
ci farebbero pietà. 
(Metastasio, Giuseppe riconosciuto, I). 


116. — La condizione non sempre è espli- 
citamente enunciata, e talora è una condizio» 
ne generica: es.: « Dovrebbero esser già le 
dieci ». — « Sarebbe mollo meglio non occu- 
parserne ». 

117. — Poi che il « modo condizionale » 
serve ad esprimere non un avvenimento cer- 
to, ma più o meno probabile, in quanto dipen- 
dente dal verificarsi o no della condizione, lo 
stile giornalistico l’usa spesso (e più spesso 
ancora ne abusa) per segnalare la non cer- 
tezza di un evento: « Gli scioperanti accette- 
rebbero il lodo arbitrale ». 

Tali forme sono frequenti specialmente 
nei titoli. Talora la forma interrogativa inten- 
de diminuire la responsabilità di colui che se- 
gnala la « probabilità »: « La nota diplomatica 
sarebbe gia partita? ». 

Queste forme non nuocciono soltanto al bello 
stile, ma anche al prestigio giornalistico (1) 


118. — Nell’uso di manuali per lo studio 
delle lingue straniere, si faccia attenzione al 
significato che spesso si dà alla definizione 
di « modo condizionale »: spesso infatti si de- 
finisce tale non quello con cui si esprime l’a- 
zione subordinata ad una condizione, ma quel- 
la che esprime la condizione stessa (2). 


(1) Tali titoli in forma condizionale interrogativa 
spingono il lettore del giornale a commentare: « E io 
si chiede a me, che ho comperato il giornale per sa- 
perlo! ». 

(2) Tali denominazioni, che rischiano di porre lo 
studioso su falsa strada, son frequenti specialmente 
nelle grammatichec per lingue orientali. Cfr., ad esem- 
pio: C. A. Bell, Grammar of Colloquial Tibetan, 22 
edit., Calcutta, Bengal S.B.D., 1919, pag. 58, 8 15 e 
segg. — e l’eccellente Grammatica teorico-pratica del- 
la lingua araba, di L. Veccia Vaglieri, Roma, Ist. p. 
l'Oriente, 1938, vol. I, pag. 128, 8 262 e segg. 


sara 


REI Pi 


I DUE DIVERSI «SE» 


Lo studioso di lingue straniere porrà per- 
cid molta attenzione, distinguendo la prò - 
tasi, ossia la proposizione che, nel periodo 
ipotetico esprime la condizione, dall’ a pò - 
dosi, che esprime l’azione condizionata. 

119. — La distinzione tra pròtasi e apòdosi è 
importante sia per il corretto uso del condizio- 
nale in italiano che per il coordinamento sintattico. 
nelle lingue straniere. 


Le norme per l’uso del condizionale non 
sono altrettanto rispettate dai dialetti quanto 
lo sono dalla buona lingua nazionale: l’impie- 
go dialettale del congiuntivo invece del con- 
dizionale e viceversa si infiltra talora nella 


lingua, specialmente allorché il periodo sia 


alquanto complesso, rendendo più difficile 
l'orientamento logico di chi parla o scrive. 

I nostri dialetti meridionali sono stati par- 
ticolarmente influenzati, in ciò, dallo spa- 
gnolo (1). 

120. — Soltanto l’azione condizionata 
(apòdosi) può essere espressa con il condiziona- 
le, in buon italiano: non mai l’azione condizio- 
nante: è perciò crrato dire: «se egli vorrebbe... ». 


121. — Si noti però che la congiunzione se 
può nascondere un tranello: essa non ha sem- 
pre il significato ipotetico, ossia non sempre 
serve ad introdurre la premessa (pròtasi) di 
un periodo condizionale: può avere valore du- 
bitativo o disgiuntivo. 

Si potrà dire correttamente: « Non si sa se 
egli accetterebbe tali condizioni », poi che qui 
non si tratta di un'ipotesi, ma appunto di 
un dubbio (2). 


(1) Ad es.: « Si hubiera venido, lo hubiera dicho » 
(o anche, indifferentemente, « lo habrìa dicho »), « Se 
fosse venuto, lo avrebbe detto ». 

(2) In tal caso, infatti, la lingua tedesca usa due ‘ 
congiunzioni diverse per i due diversi casi: « Se do- 
mani è tempo bello (pròtasi dell’ipotesi) andremo a 


sso 


DESCa colma :tAl iran o c0ce lisca te ren bna ttt ire Die ONTO 


| GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


Scorretto è, invece, dire: « Se egli accelte- 
i rebbe, tulti ne ‘sarebbero contenti », poi che in 
questo caso la congiunzione se ha valore ipo- 

tetico e serve ad introdurre la pròtasi: 
bisogna perciò dire: « Se egli accellasse... ». 
È corretto, nella seconda proposizione, l’uso 
! del condizionale (« sarebbero contenti ») poi 
che costituisce l’apòdosi. 


I 

! 122. — In italiano, la pròtasi può indiffe- 

| rentemente precedere o seguire l’apòdosi: es.: 

I « Se egli ci avesse penscto, (pròtasi), lo avrebbe fatto 
(apòdosi) », oppure « Lo avrebbe fatto, ce si avesse 
pensato ». Però sentiamo che nella’ prima di queste 
due costruzioni la condizione è espressa con mag- 
gior energia che non nella seconda: ed anche l’into- 
nazione nelle due costruzioni differisce: la pròta- 
si ha maggior rilievo fònico nella prima, mentre 
si attenua in tono decrescente nella seconda. 


Diisseldorf »: « Wenn morgen schònes Wetter ist, fah- 
ren wir nach Diisseldorf » — «Se dbmani sia tempo 
bello [o no] (quindi dubbio e non ipotesi) non lo si 
può sapere »: « Ob morgen schònes Wetter ist, das kann 
man nicht wissen ». — Cfr. R. Mohr, La lingua tede- 
sca per gli Italiani: metodo graduale ad uso delle scuo- 
le e delle persone colte, Roma, Signorelli, 1938, parte 
IV, pag. 232 e segg. — In inglese, il se del primo ca-. 
so è reso con if (condizionale); nel secondo caso (du- 
bitativo), si può usare if o whether. -— Le lingue neo- 
latine hanno riunito nel se (spagn., portogh., franc. si, 
rumeno s,i) il si ipotetico latino e le varie particelle 
dubitative: « Rogavit consul adfuissentne ludis necne »: 
« Il console chiese se essi erano intervenuti ai giochi 
o no »; « Nesciunt an pro filia eam habeat, an pro an- 
cilla », « Non sanno se egli la tenga come una figliola 
o come una serva ». — Cfr. in proposito l’ottima espo- 
sizione in W. Ripman, A Handbook of the Latin Lan- 
guage, being a Dictionary, classified Vocabulary, and 

. Grammar, London and Toronto, Dent, 1930, pag. 776 
e segg.; la riduzione in italiano di questo manuale sa- 
rebbe preziosa per i nostri studenti, giovando a ben 
inquadrare le loro idee. Purtroppo continuano ad es- 
ser diffusi i manuali più o meno calcati su modelli te- 
deschi, filiazioni naturali o artificiose della nefasta 
grammatica di Ferdinando Schultz. 


— 80 — 


«mu 


Forma mentis ed espressione linguistica... ($ 73). 


Catecumeni della setta Zen, in meditazione. 
In alto: L'’ottantenne abate buddhista Sugawara Vestovò 
della «setta della meditazione » (Zen-sh{). 


hd ll LIPTPERA Edo RA LITTA LIETTA LITAPTERI LL LI IITOtenei 


delhcsi x . _ = 7 


Treo agi Troooerergg IT \FTTTRe:ITT ET 
PIETER te be LAI LIT TO LILITIETAARO bha 1 CIO tte 


— asa pay _ —#—Pr _—__—_—razt 


L’ «infinito» è immobile sul quadrante del tempo: le «voci ver- 
bali» sono lie mobili sfere ($ 158). 


DA 


sLa pensée» di A. RODIN (Parigi: Musée du Luxembourg), 


I TRE SOLI « MODI » DEL VERBO 


La nostra elasticità mentale permette an- 
che di insinuare la pròtasi come inciso nella 
proposizione esprimen'e l’apòdosi: 

«Tanto m'agrada il luo comandamento 


che l'ubidir, se già fosse, m'è fardi ». 
(Inf., II, 79-80). 


- Simile libertà non esiste în alcune lingue, 
o per lo meno non è alirettanto ampia: e an- 
che questo fenomeno è interessante, permet- 
tendo di intendere l’indole dei varî linguaggi, 
corrispondente alla forma mentis dei rispeiti- 
vi popoli (1). 

123. — Allorché il discorso è puramente narra- 
tivo ossia obiettivamente espositivo senza cioè im- 
plicare l’espressione imperativa (2) di chi par- 
la o scrive, il verbo non può manifestarsi che in uno 
di questi tre modi: indicativo, congiun- 
tivo, condizionale. 


Le altre « voci» sono erroneamente o per 
le meno impropriamente considerate apparte- 
nenti al verbo. Possono derivarne morfologi- 


(1) Soltanto la posizione determinava la coordi- 
nazione della proposizione secondaria alla principale 
nella lingua egiziana antica. Cfr. G. Farina, Grainma- 
tica della lingua ‘egiziana antica in caratteri gerogli- 
fici. Milano, Hoepli 1910, pag. 104-105. — Anche in 
giapponese moderno la pròtasi deve normalmente pre- 
cedere l’apòdosi. (Le costruzioni ipotetiche giappone- 
si sono magistralmente esposte, con lodevole limpidi- 
tà, nella Grammatica della lingua giapponese di O. & 
E. E. Vaccari, T6ky6, Vaccari, 1942, pagg. 353 e segg. 
500, 504; e, per la lingua parlata — e purtroppo sen- 
za gli ideogrammi — in Balet, Grammaire Japonaise, 
langue parlée, Paris, Leroux, 1925, pag. 245 e segg. — 
La Grarimatica giapponese della lingua parlata di G. 
Scalise, [Milano, 1942] condensa in 20 righe (15 alla 
pag. 156 e S alle pag. 209-210) le regole, neppur chiare 
ed esatte, delle proposizioni ipotetiche giapponesi). 

(2) L’intervento attivo o « presenza scenica » di 
chi parla o scrive provoca nel discorso tali mutamenti 
che tutto il problema sarà trattato unitariamente in 
altra parte della « grammatica rivoluzionaria », costi- 
tuendone uno dei connotati fondamentali. 


== 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


camente, ma hanno le so taihi e le funzioni 
di aggettivi (participî), oppure di av - 
verbî (gerundio), oppure di sostantivi 
(infinito). 


Ogni ragionamento procede per «giudizi », che le 
«proposizioni » esprimono con « parole ». 
Le « aree di significato » dei tre termini del sillogismo. 
(È interessante ed istruttivo confrontare l’ergo della 
dialettica classica con l’erg che, nella moderna fisica, 
è l’unità di misura dell’« enERGia » nel sistema metri- 
co C.G.S. (centimetro-grammo-secondo): 1 chilogram- 
metro = 9,8 107 erg. Il nome di tale unità proviene 
anch'esso dal greco ergon, « lavoro, efficacia », come . 
lo scolastico ergo con il quale si esprime conclusiva- 
mente il risultato del « lavoro » logico, dell'energia dia- 
lettica, e la convincente efficacia del limpido ragiona- 
mento sillogistico aristotelico. (8 125) 


—-82— 


—_- TT 
N] 


n 


i i 


ii IL VERO VERBO 


124. — Il verbo è davvero verbo allorché ne 
ha le caratteristiche e le funzioni: allorché esprime 
l'azione in atto, e allorché, per tale proprietà vitale, 
può dar vita alla proposizione. 

Soltanto il verbo che venga espresso in uno di 
questi tre modi (1) rivela l’azione del soggetto, la defi- 
nisce e limita, e perciò, con il soggetto stesso e con 
gli eventuali accessorî o complementi, forma 
una proposizione (2). 


——— T_T ——— 


(1) Sempre, non considerando per ora l’impera- 
tivo, per le ragioni di cui nella nota precedente. 

(2) Una proposizione è, secondo la defini- 
zione tradizionale, « un giudizio espresso con parole »: 
il nostro ragionamento procede per « proposizioni »; 
e « proposizioni » sono i due « giudizî » dai quali, nel 
sillogismo, si deduce la « conclusione », che è anch’es- 
sa un «giudizio » e quindi, grammaticalmente, una 
« proposizione »: « Ratiocinium sive syllogismus ex 
duobus iudiciis tertium concludit, quatenus instituta 
comparatione duarum idearum cum tertia, illarum aut 
identitatem aut diversitatem statuit ». J. Donat, S. J., 
Logica et Introductio in Philosophiam christianam, 
Oeniponte (Innsbruck), 1935, c® III, art. 1, 216, 


10893 — 


Ul 
1) 


La localizzazione nel tempo 


(VID) 


125. — Caratteristica proprietà del verbo è 
quella di esprimere un’azione o uno stato localizzati 


nel tempo. 


Anche con altri mezzi viene indicata la lo- 
calizzazione nel tempo, con maggiore o mi» 
nore precisione: « alle due meno dieci », «.nel 
1492 », « dopo il suo arrivo », « în primavera », 
« ieri >, « sempre », « spesso », « di quando. in 
quando », « mai »... Ma tutte queste espressio- 
ni, anche quando conslino di una sola parola, 
sono semplici indicazioni temporali, senza si- 
gnificare un’azione o uno stato: sono fuori 
della parola che esprime l’azione o lo stato. 
Nel verbo, invece, la stessa « parola » espri- 
me l’azione o lo stato e li localizza nel tempo: 


camminò nana i se 
camminava mmina camminera 

aspeltò : 
aspettava aspetta aspetterà 

piovve > . 1 
pioveva piove pioverà 


126. — Può apparire contrastante con l’in- 
dole analitica della lingua italiana il fatto che 
essa abbia conservato la coniugaz ione 
latina, ossia la flessione dei verbi, mentre ha 
abolito la declinazione ossia la Îlessio- 
ne dei nomi, dei pronomi e degli aggettivi, ri- 
solvendo i « casi » in costrutti composti di più 
parole. 


— 85 — 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA - 


Tale contraddizione — che sarebbe a sca- 
pito dell'armonia unitaria della nostra lingua 
— non v'è: la coniugazione ha tuttora 
un legittimo nome, rispondente alla sua Îun- 
zione, pur se l'etimologia stessa ci dice che 
.non si tratta di un fenomeno analitico 
ma proprio del contrario. | 


— PO) — 


A) Due elementi concorrono nella « coniugazione» dei ‘ 
verbi... —— B) Due cellule ideologiche, una significante 
l’azione o lo stato e l’altra localizzante nel tempo, si 
congiungono per formare un'unica «idea» (azione o 


stato localizzati nel tempo) e quindi una. « parola », 


coniugata in determinata forma, così come due cellule 
si « coniugano » a formarne una sola (ad es. nella nocti-. 


duca miliaris, protozoo rappresentato nella figura). 


(8 126) 


« Coniugare » (da con-jugare, « accoppia- 


re sotto lo stesso giogo (jugum)»), significa 
« Congiungere », e « coniugi» o « coniugati » 


sonoi due sposi congiunti in matrimonio, allo 


— 86— 


NOBILTÀ DEL VERBO 


scopo di generare prole (1). Nella « coniuga- 
zione » del verbo l’idea dell’azione specifica o 
dello stato specifico si congiunge con quella 
della localizzazione nel tempo: ma queste due 
idee, rappresentabili con due «cellule » lin- 
guistiche, ossia due « parole », si congiungo- 
no appunto per formare un'idea unica: l’azio- 
ne o lo stato localizzati nel tempo. Infatti, al- 
lorché diciamo « camminava », o « mangio », 
o «corre», o « starà», a ciascuna di queste 
« parole » non corrispondono, nel nostro pen- 
siero, due idee, ma una sola: e perciò unica 
è la parola, pur se generata da due elementi, 
appunto come, biologicamente, da due cellule 
che si coniugano si sviluppa una nuova 
spora o un nuovo germe. 

127. — Il verbo è mirabile anche per tale 
sua intrinseca proprietà, che ci fa comprendere il suo 
valore funzionale e, insieme, il suo alto significato 
simbolico (2). 


Abbiamo così una conferma della necessi- 
tà di considerare autentiche « voci verbali » 
soltanto quelle che, in una sola parola, espri- 
mono l’azione o lo stato in atto nel tem- 
po (3). 

Considerare «voci verbali » i cosiddetti « tempi 
composti » e le «voci passive », ossia pensare e de- 


(1) « Matrimonium ab eo dicitur, quod foemina 
idcirco maxime nubere debet, ut mater fiat... Coniu- 
gium quoque a coniungendo appellatur, quod legitima 
mulier cum viro quasi in jugo adstringatur ». Catechi- 
smus ex decreto SS. Concilii Tridentini ad Parochos, 
Patavii, Gregoriana, 1930, p. II, c. VIII, 2, pag. 284. 

(2) Cfr. l’evangelico: « Et erunt duo in carne una. 
Itaque non sunt duo, sed una caro. Quod Deus coniun- 
xit homo non separet ». Matth., IX, 5-6. 

(3) Teologicamente, il Verbo è l’'Idea che Iddio 
genera di se stesso ab aeterno: e perciò il Verbo è 
nell’eternità: «in principio erat Verbum » Joh., I, 1; 
— incarnandosi, il Verbo passa dall’eternità nel tem- 
po, nel mondo fenomenico: « et. Verbum caro fac- 
tum est, et habitavit in nobis; et vidimus gloriam 
eius » ibid., I, 14. 


TER og 


‘GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


finire come scindibili in due o più parole un verbo 
(voce verbale) è altrettanto contrario all’indole della 
lingua italiana, quanto lo sarebbe il considerare fa- 
cilmente solubile il vincolo matrimoniale (1). ‘ 


128. — È verbo ogni parola la quale esprima 
di per sé l’azione o lo stato localizzati nel tempo. 


129. — Perciò non è « verbo » l’infini- 
to, in quanto non localizza nel tempo, ap- 
punto perché ha il cara:tere di « infinito » os- 
sia, meglio, di un indefinito. 

Infatti l’« infinito » equivale spesso ad un 
« sostantivo »: « il mangiare » =" « la nutrizio- 
ne » ‘0 «il cibo »; ed è di fatto un « sostanti- 
| VO», potendo avere l’arlicolo, attributi aggetti- 

vi, lunzienare da soggetto, oggetto, comple- 
mento: | 


«Un bel morir lutta la vila onora » 
(Petrarca, Canzoniere, I, Canz. 20) 


In questo verso, «un bel morir » potreb- 
be, se il metro lo permettesse, esser sos!ituito 
da « una bella merte »: viceversa, nel verso 


«la morte è fin d'una prigione oscura » 
(Petrarca, Trionfi, III, 2) 


il soggetto «la morte » può esser sostituito 
con il soggetto « lil] morire »: la morte e il 
morire sono entrambi sosi!antivi; come tali 
funzionano gramma'icalmente e sin'atticamen- 
te, ed entrambi significano « cessazione della 
vita », mentre nessuno dei due significa «la 
vita cessa, o cesserà, 0 Cessò », 

L'infinito, come« parte del discorso » 
non è verbo. 


130. — A causa della sua provenienza ver- 
bale, l’infinito conserva, pur essendo sostan- 
tivo, la proprietà di poter reggere, come suo 
complemento, un al'ro sostantivo, e cioè ave- 
re un « complemento oggetto » (v. 8 37) e non 


(1) Peggio, anzi, negandone il carattere di « uni- 
tà » che ne è essenziale. 


—_ 288—- 


L’ACCUSATIVO CON L'INFINITO 


| soltanto i complementi che possono accompa- 
gnare i sostantivi di altra origine: 
« sì che possibil sia l'andare in suso; 


ché perder fempo a chi più sa più spiace ». 
(Purg., III, 77-78). 


Nel primo di questi due versi l'infinito (so- 
stantivo) andare può essere sostituito da cam- 
mino, marcia, percorso, o altro che non siano 
di diretta origine verbale, poi che il suo com- 
plemento («im suso») non è « complemento 
oggetto », mentre nel secondo verso l’infinito 
perdere, pur essendo sostantivo ed avendo un 
suo articolo, non potrebbe esser sostituito da 
un sostantivo non verbale (ad es. « la perdi- 
fa»), giacché regge un « complemento ogget- 
to »: la sostituzione obbligherebbe a sostitui- 
re questo complemento oggetto con un com- 
plemento indiretto («la perdila di tempo », 
complemento di specilicazione). 

L’attento esame di tali meccanismi è assai 
utile per comprendere la maggiore o minore 
vitalità dei vocaboli, ossia quanto permanga 
e funzioni in essi dell’ energia verbale, e so- 
prattutto sviluppa la facoltà di sentire il tem- 
peramento delle varie lingue. 

131. — La comprensione di tale meccanismo ci 
è di valido aiuto anche per intendere, ad esempio, la 
natura della tipica costruzione latina dell’« infinito 
con l’accusativo », sia come soggetto che comc com- 
plemento oggetto: « vider pueros studere », « Vede i 
ragazzi studiare »: pueros studere forma un tutto uni- 
co, in quanto le due idee compongono un solo « com- 
piemento oggetto »: il caso accusativo dipende però. 
dal fatto che studere, non essendo un vero verbo 
non può avere il soggetto in « nominativo », poi che 
ciò è caratteristico dei soli verbi in funzione ver- 
bale, ossia effettivamente in azione. Nella proposizio- 
ne « Necesse est Deum mundum regere » possiamo 
chiaramente constatare simile fenomeno: infatti la 
proposizione Deus regit mundum, ha un soggetto in 
nominativo (Deus) ed un complemento oggetto in ac- 


ice Qi 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


cusativo (mundum) poi che l’energia verbale passa 
effettivamente dall’uno all’altro, e ciò è espresso con 
un verbo in atto (regit): allorché questa azione 
vien portata fuori della determinazione temporale e 
diventa perciò indefinita (infinito) perdendo quindi il 
suo carattere energetico verbale in atto, anche i due 
« conduttori » di tale energia cessano di avere la loro 
funzione specifica (v. $ 41): anche il « nominativo » 
deve quindi attenuarsi ed assume perciò la forma di 
« accusativo »: la non distinzione morfologica tra no- 
minativo e accusativo è una caratteristica del « neu- 
tro » (v. 8 239). Tutta l’espressione « Deum mundum 
regere » è « neutra » non solo come « genere » (1), ma 
anche riguardo all’energia verbale. 


132. — Il costrutto latino di un infinito con il 
soggetto all’accusativo, usato allo scopo di esprimere 
l’azione avulsa dal tempo, è passato anche in italiano 
per conferire veemenza ammirativa o di sdegno o di 
altro sentimento alla frase. « Patrem repudiare fi- 
lium! », « Un padre ripudiare il figlio! ». 

È ovvio che, in questo caso, l’infinito con- 


. serva energia sufficiente per animare una vera e pro- 


pria proposizione. 


133. — Non dobbiamo considerare « ver- 
bo » il gerundio, il quale non localizza 
di per sé nel tempo l’azione o lo stato: tale 
localizzazione è determinata dal tempo del 
verbo cui il gerundio avverbialmente 
si appone: es.: « sfa scrivendo », « stava scri- 
vendo », « starà scrivendo »j 


« Qual è colui che suo dannaggio sogna, 


che sognando desidera sognare ». 
(Inf., XXX, 136-137) 


in cui « sognando » equivale a « nel sogno ». 


(1) Questa minor capacità dei neutri in fun- 
zione di soggetto, rispetto agli altri due generi, è con- 
fermata dal fenomeno per cui, in alcune lingue, il 
soggetto neutro plurale può avere il verbo al singo- 
lare: es. il greco « panta rhei», « tutto fluisce »: let- 
teralm.: «tutte le cose (panta neut. plur.) scorre 
(rhei, singol.) ». 


59) 


IL PRESENTE È PRESENTE 


134. — Come l’infinito, anche il gerun- 
dio conserva dell’energia verbale tracce sul- 
licienti per reggere un « complemento ogget- 
to»: es.: « Perdonando ie offese si merita 
maggior lode che vendicandosi » (1). 

135. — Parimenti non è «verbo » il partici- 
pio presente, il quale è «presente» soltanto 
quando è retto dal verbo essere in tempo presente. 

136. — Il participio passato edil par- 
ticipio passivo esprimono l’azione compiuta o 
subìta, ma la localizzazione nel tempo è affidata 
esclusivamente al verbo essere o al verbo avere (o al 
verbo venire con valore di « divenire », v. 8 105) che 
li reggono. Perciò non vanno considerati come 


verbo... 
ù* * d* 


‘137. — La voce verbale che localizza l’a- 
zione o lo stato nel momento in cui si parla 
o scrive, o presenta l’azione o lo stato come 
così localizzati, è in tempo presente; 
es.: « egli corre », « le stelle splendono »; « il 
Po ha molti affluenti », « Romolo è il fonda- 
lore di Roma ». 
| — 138. — Le voci verbali è e sono (verbo 

essere), ha ed hanno (verbo avere), viene e 
vengorto (verbo verire con valore di diveni- 
re) sono in tempo presente ed espri- 
mono perciò lo stato presente anche quando 
sono accompagnate da participio passato o da 
participio passivo. 

Non esiste perciò in italiano una forma 
verbale di passato prossimo e non 
esiste una forma passiva dei verbi. Esi- 
stevano in latino: la lingua le ha abolite; an- 
che la grammatica deve coerentemente rite- 
nerle scomparse. 

Per il passato prossimo avrem- 
mo la curiosa equazione. 


presente + [partic.] passato = passato 


(1) In latino: « Zniurias ferendo maiorem laudem 
quam ulciscendo meretur ». | 


= 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


e, per le forme passive, la non meno curiosa 
equazione: 

presente + [partic.] passato = presente, 
ossia 


be 


atb=b e atb=a 

equazioni ‘che non possono sussistere se non 
dando ad a (nella prima) e a b (nella seconda) 
il valore zero. | 

139. — Rarissimamente il « presente » esprime 
un’azione istantanea: « sono le 10, 3° e 26” »: un’azio- 
ne ha sempre una certa durata, ed uno stato ha ne- 
cessariamente una durata: es.: « la bomba esplode » (1), 
« l’uccello vola », « il Po nasce dal Monviso e si getta 
nell'Adriatico ». 


La continuità e durata dell’azione sono in- 
 dicate: ao 

a) dalla natura e significato del verbo 
stesso: « il fiore sboccia », «la palla rimbal- 
za », « Calo accende una sigaretia »... 


b) dalla estensione di significato tempo- 
rale che è implicita nel soggetto, nel comple- 
mento oggetto: « Je giornate si accorciano », 
«la Controriforma occupa la seconda metà 
del XVI secolo e la prima metà del XVII ». 


c) da un avverbio, o da un complemento 
di tempo: « è sempre qui », « viene di quando 
in quando »,.« mon lo si vede mai »... 

° d) dalla connessione con altra espres- 
sione che implichi continuità o durata: « fin- 
chè c’è vita c'è speranza ». 

149. — Normalmente, una voce verbale in 
tempo presente considera l’azione o lo 
stato specialmente nella sua stabilità, e spesso 
afferma appunto il perdurare dell’azione o del- 
lo stato: | 

« la bufera infernal, che'mai non resta, 

mena li spirli con la sua ruina... ». 

(Inf., V, 31-32) 


(1) Persino la bomba atomica esplode con un pro- 
cesso di reazione «a catena ». 


TAG 31 EOOO 


CON UNO O PIU’ FOTOGRAFI 
141. — Sono generalmente espresse in tempo pre- 
sente le verità generali e permanenti, le definizioni, 
le leggi fisiche, i dogmi, i teoremi, ecc.: « due quan- 
tità uguali a una terza sono uguali fra loro »; « ogni 
2. ha diritto al voto », « l'articolo si usa 
quando... 


142. — Il costrutto sta + gerundio (plura- 
le: stanno + gerundio) si adopera in italiano 


99 


‘‘vengono 


°° opuauaa duunzs ‘*,, 


Un pezzo di film ci chiarisce la differenza tra « ven- 
gono » e «stanno venendo » (8 142) 


allorquando si vuol porre in evidenza la con- 
tinuità dell’azione: «i ire amici vengono » e 
«i tre amici stanno venendo » esprimono lo 
stesso evento, ma la seconda formula dà mag- 
gior risalto all'estensione dell'a azione che essi 
« stanno compiendo ». 


_ BC 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


Con un paragone ispirato dalla cinemato- 
grafia, potremmo dire che « vengono » è la 
rappresentazione dell’azione in un solo Îoto- 
gramma, mentre « stanno venendo » rappre- 
senta la medesima azione, ma in più foto- 
grammi, 

Tale costrutto è molto usato in inglese (1). 

Alcuni autori chiamano « permansivo » 
quel tempo che, nelle lingue semitiche, non ha 
significato temporale specifico, e può quindi 
applicarsi ad eventi presenti, passati o Îu- 
{uri (2). 

* * %* 

143. — La voce verbale che localizza l’a- 
zione o lo stato in momento precedente a quel. 
lo in cui si parla o scrive è in tempo pas - 
sato. 


144. — La lingua italiana usa una iorma 
verbale speciale per esprimere l’azione pas- 
sata non completa, interamente concomitante 
con altra o ancora PEBGUTOIIE mentre un’altra 
abbia inizio: 


« Lo giorno se n’andava, e l'aer bruno 
toglieva gli animai che sono in terra 


dalle fatiche loro... 
(Inf., II, 1-3). 


(1) La tipica forma in -ing è molto abbondante 
in inglese giacché anche il «nome verbale » (verbal 
noun) termina oggi in tal modo, avendo alterato, per 
mimetismo, la terminazione sassone in -ung: soltanto 
un’acuta analisi può oggi distinguere la diversa fun- 
zione di building nelle due proposizioni: « Forty and 
six years was this temple in building » (« Questo tem- 
pio è stato in costruzione per 46 anni », « Ci son vo- 
luti 46 anni per costruire questo tempio ») e « He is 
engaged in building a sky-scraper » (« È impegnato a 
costruire un grattacielo »). — Cfr. J.M.D. Meiklejohn, 
The English Language: its Grammar, History and Li- 
terature, London, 1887, pag. 82. 

(2) In assiro, marush=<«è ammalato » o «era 
ammalato ». Cfr. G. Boson, Assiriotogia, Milano, Hoe- 
pli, 1918, pag. 38. 


SL 04 


| 


L'AZIONE INCOMPIUTA 


Tale tempo si chiama imperfetto, 
appunto perché non esprime il completo per- 
fezionamento dell’azione. 

145. — Non è necessario che l’altra azio- 
ne, totalmente o parzialmente coincidente nel 
tempo, sia esplicitamente indicata. L’imper- 
fetto è spesso usato come Îondale scenico 
dinanzi al quale il resto del discorso si svol- 
ge: es.: « era una bella giornata di primave- 
ra...»: « Scendeva dalla soglia di uno di que- 
gli usci e veriiva verso il convoglio una don- 
na, il cui aspetto annunziava una bellezza... » 
(1 Promessi Sposi cap. XXXIV). 

146. — Con maggior evidenza ancora si 
può esprimere l’estensione dell’azione passa- 
ta e la sua incompiutezza in coincidenza (to- 
tale o parziale) con altra, usando il costrutto 
formato con sfava (plurale stavano) ed ii ge- 
rundio: la correlazione temporanea, in simili 
costrutti, è spesso espressa con congiunzioni 
quali « mentre » (preposta all’azione imperîet- 
ta), « quando » (preposta all’azione totalmente 
o parzialmente coincidente nel tempo). 

147. — Anche per tali costrutti vale quan- 
to affermato nel 8 138: la « voce verbale » è 
soltanto quella « parola» che iocalizza nel 
tempo l’azione o lo stato, esprimendola in atto. 

È puro artificio grammatical-burocratico 
voler considerare « voce verbale » il costrutto 
chiamato tradizionalmente « trapassato pros- 
simo »: complica lo studio, disorienta lo stu- 
dioso e non corrisponde a verità. Nella propo- 
sizione « ella era uscila » il verbo (« voce ver- 
bale ») è soltanto la « parola » era con cui si 
esprime come perdurante nel passato lo stato 
del soggetto, e la « parola » uscita qualifica 
aggettivamente tale stato: uscifa ha Îunzione 
di « attributo »: ha terminazione femminile, 
appunto perché « aggettivo »: può essere so- 
stituita da un altro aggettivo, (ed es. « ella era 
assente »), senza spostare il valore di era nel 


sigg 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


tempo; può esser persino rimpiazzata con un 
avverbio (« ella era fuori ») (1): ed era rimane 


‘mentre 


ANRITTZZZZZ ZEBRA VR N» 


i scriveva iquella lettera, 


dd @@@@$è}).YNNTCC___TCc 
AAA A NY VITARA ARA 
. 


‘sorridevaì stranamente.” 


ARRAAAAEZZIACRRE CANE, 


s 


MUONRNRN* 


“A è stava \ancora scrivendo, 


vee S SS STESO 


quando \sopraggiunse B” 


aa 


“ella f era \ già vestita, 


Nanna! 


quando ‘giunsero le amiche.” 


MN VARAAAREAN: N 


“ella i era già uscita, 
quando Ègiunsero le amiche ” 
L’imperfetto è un passato non concluso, on 


« perfetto », e che totalmente o parzialmente coincide 
temporalmente con un'altro. (8 147) 


(1) Infatti in inglese fluido si tradurrebbe « she 
was out», non soltanto nel significato di «ella era 
fuori », ma anche in quello di «ella era uscita ». Pa- 
rimenti « è uscita» si traduce «she is out», poi che 
è è presente. — Anche la traduzione in tedesco è chia- 
rificante: « ella è uscita »: « sie ist ausgegangen », con 
ist in tempo presente: se fosse «voce verbale » ossia . 
« passato prossimo », la logica linguistica dovrebbe 
portare a dire « sie ist gegangen aus », trattandosi di 
« verbo separabile »: ciò non avviene appunto perché 
ausgegangen non è nemmeno in tedesco « voce ver- 
bale », ma participio, e regolato quindi dalle norme 
morfologiche 'e sintattiche degli aggettivi. Ma anche la 
burocrazia grammaticale tedesca ha accettato l’artifi- 
ciosa classifica complicante, delizia dei grammatisti 
di tutti i paesi europei e tormento di tutti gli scolari 
di tutti i paesi europei. Le lingue vanno sempre più 
semplificandosi e razionalizzandosi: je grammatiche 
ufficiali seguono la direzione opposta. Perciò è oppor- 


iO 


L'AZIONE PERFETTA 


imperfetto, perché una « parola » non 
può essere che quello che è: l'espressione di 
una « idea ». 


148. — La denominazione di imperiîet. 
to dato a questo tempo, richiede che si deno- 
mini perietto quel tempo del verbo in cui 
l'azione è espressa come compiutamente pas- 
sata: 

«Nel pensiero di Dio 
poi simmerse; la croce 
strinse, e con fÎioca voce 
pregò », 
(G. B. Maccari, Nuove Joao 


149. — Scompaiono dalla grammatica le 
denominazioni di « passaio prossimo » e « pas- 
sato remoto », ed a maggîor ragione quelle di 
« trapassato prossimo » e «trapassato re- 
moto ». 

Il passato è espresso in due forme sol- 
tanto, quella che esprime l’azione incompiuta 
(imperiîetto) e quella che l’esprime com. 
piuta interamente (perîfetio). 


150. — Non tutie le lingue hanno questa 
distinzione (1). | 


tuna una «rivoluzione » che le renda snelle e in ar- 
monia col progresso linguistico teorico e pratico. La 
vera grammatica non deve essere una catena al piede, 
ma una provvidenziale bussola. 

(1) Il tedesco «er antwortete », l’olandese « hij 
antwoordde », \inglese «he answered» significano 
tanto « egli rispondeva » che «egli rispose ». — L’in- 
glese usa però il perfetto di essere con il participio 
continuativo in -ing, quando vuol porre in evidenza 
la non compiutezza dell’azione: he was answering, 
« rispondeva », « stava rispondendo »; he was going to 
London, :-« andava a Londra », « stava andando ‘a Lon- 
dra ». — In ungherese sono oramai inus!tate, nel lin- 
guaggio comune, le forme antiche dell’imperfetto in -a- 
ed -è-, e quelle formate aggiungendo vala («era ») 
alle forme del presente. All’imperfetto e al perfetto ita- 
liani corrisponde il perfetto magiaro. — Cfr. E. 
Vàrady, Grammatica della lingua ungherese, Roma, 
Edit. Roma. 1931, pag. 103, 8 148-149. 


"OTRS 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


151. — Il passato non ha valore sol- 
tanto perché è anteriore al momento in cui si 
parla o scrive, ma anche perché l’azione, non 
essendo « presente », assume i caratteri di mi- 
nore realtà attuale. Questa considerazione 
aiuta a comprendere perché il passato indica- 
tivo possa in alcune lingue essere usato là 
ove noi usiamo il congiuntivo (1): e persino 
come la semplice forma del passato possa, in 
altre, assumere addirittura il valore ipote- 
tico (2). 


* * %* 


152. — Le voci verbali che localizzano l’azione 
o lo stato in un momento successivo a quello in cui 
si parla o scrive sono.in tempo futuro. 

Noi non abbiamo però, in italiano, un vero e pro- 
prio futuro, come l’aveva il latino, ossia specifica- 
mente ed esclusivamente riservato ad esprimere even- 
ti a venire. 


Più che la localizzazione nel tempo suc- 
cessivo al presente, il nostro cosiddetto Î u - 
tur'o esprime l'incertezza dell’azione o dello 
stato: è piuttosto un dubitativo in fun- 
zione talvolta di futuro e talvolta di presente. 
Allorché alla mia domanda « Dov'è la mia pi- 
pa? » mi si risponde «Sarà sul tavolo », la 
voce verbale sarà non esprime uno stato Îu- 
turo, ma afferma che la pipa « probabilmente 
è sul tavolo ». 

Con la domanda « Che età avrà quella bel- 
la signora? » non si chiede quanti anni avrà 
in avvenire, ma quale LOSS essere oggi, al- 


(1) Es.: in francese: « Sil était là, il parlerait ». 
« Se egli fosse (letteralm. « era ») lì, parlerebbe ». 

(2) Con l’inversione del verbo e del soggetto, l’in- 
glese esprime l’ipotesi per mezzo del passato, omet- 
tendo persino la congiunzione if: es.: « Had he been 
there...» « Se egli fosse stato lì »: letteralm. « [se] era . 
egli stato lì». Analogamente può fare il tedesco: 


« Hcitte ich dieses gestern gewusst (invece di: wenn 


ich...), « se l'avessi saputo ieri ». 


mr 


NON FUTURO, MA PROBABILE 


l’incirca, l’età di lei. Tale interrogazione at- 
tende infatti una risposta meno precisa di 
quel che, invece, si esige con la domanda 
« Che età ha quella bella signora? ». Non ha 
valore di futuro, ma di « presente probabile », 
il ripetuto saranno che la musica di Verdi 
ha reso famoso: 


« Saranno i disinganni, 
le veglie, le astinenze. 
saran le penitenze 
che il capo gli turbar ». 
(La forza del Destino) 

153. — Morfologicamente, il nostro cosiddetto 
futuro non deriva dal latino: le forme uamabit, 
amabunt,- monebit, monebunt, audiet, audient, ecc. 
sono scomparse. 


Sembra che il futuro in -bit, -bunt della 
I e II coniugazione fosse praticamente in uso 
soltanto in Roma e dintorni (1): somigliava 
troppo all’imperietto; e quello in -(i)et, -(i)ent 
(III e IV coniugazione) si confondeva troppo 
con il congiuntivo. 

Per maggior chiarezza, e anche perché il 
significato si andava man mano modificando, 
l’italiano sostituì il futuro latino con la forma 
infinito-ha (plurale: infinito-hanno) così ama- 
bo fu sostituito da amare-ho=amerò; ad ama- 
bunt si sostituì amare-hanno = ameranno. 


154. — Una forma diretta per il futuro è 
scomparsa in quasi tutte le lingue europee: 
quelle non latine ricorrono a forme periîra- 
stiche (2). | 


(1) Cfr. P. Thielman, « Habere » mit dem Infini- 
tiv und die Entstehung des romanischen Futurums, in 
« Archiv. fiir lateinische Lexikograpliie und Gramma- 
tik », Leipzig, II, 48, pag. 158 e 161. 

(2) A forme perifrastiche ricorrono tutte le lin- 
gue teutoniche e le slave. Il francese usa il verbo 
aller infinito per esprimere l’azione futura molto pros- 
sima: « Zl va venir sous peu». « Verrà fra poco ». Il 
finlandese manca di futuro e lo sostituisce con il pre- 


= 909 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


Potrebbe dedursi, da tale fenomeno, che 
l’intero continente europeo ha mutato opinio- 
ne in merito agli eventi futuri. 


155. — La tendenza a ripudiare le Îorme 
future si rivela più evidentemente ancora nei 
dialetti: rarissimamente il romanesco dice 
« Domani annerà a Frascati»: sostituirà il 
futuro con il presente (« Domani va a Frasca- 
ti ») (1), se l’evento è espresso come certo, 
mentre userà un costrutto diverso a seconda 
che l’evento sia considerato come necessario, 
voluto, desiderato: « domani ha da annà a 
Frascati », « domani vo’ annà a Frascati » (2). 

L’esame di queste perifrasi dialettali è as- 
sai utile per intendere il « pensiero » che de- 
termina, ad esempio, l’uso di wil/ e shall per 
esprimere in inglese eventi Îuturi (3). 

156. — Valgono, naturalmente, anche per 
il futuro le osservazioni fatte in merito ai 
« tempi composti ». 

Scompare dalla grammatica la comica de- 
nominazione di « futuro passato ». 


sente. (Cfr. A. Himilainen, Finnisch, Berlin, Langen- 
scheidt, (s. d.), pag. 29) — Hanno invece un vero e 
proprio futuro, con una tipica desinenza in -s, il li- 
tuano e il lettone. (Cfr. M. Aschmies,Litauisch, Berlin, 
Lingenscheidt, (s. d.) pag. 35; -— e W. Litten, Lettisch, 
Berlin, Langenscheidt, (s. d.) pag. 35). 

(1) Il presente per il futuro si trovo già in Cice- 
rone: « Cum volueris ire, imus tecum », — e, in S. 
Agostino, il venire habet prepara già il nostro « verrà » 
(= venire-ha): cfr. A. Regnier, De la latinité des ser- 
mons de Saint Augustin, 1886, pag. 128. 

(2) L’idea di volontà interviene anche in rumeno 
per la formazione di entrambe le forme perifrastiche 
. di futuro (viitorul I e viitorul II) ottenute con va 
« vuole », e vor, « vogliono », e l'infinito. 

(3) L’inglese usa will e shall per costrutti che 
spesso possiamo tradurre con il nostro futuro; ma 
non raramente il will può esprimere semplicemente 
consuetudine, evento ovvio, senza alcuna idea di fu- 
turo: ad es.: « Boys will be boys» non significa «I 
ragazzi saranno ragazzi », ma « Che volete farci? I 
ragazzi sono ragazzi! ». 


— 100 — 


PER OGNI PAROLA UN'IDEA 


Allorché diciamo: « La letiera sarà arri- 
vaia mezz'ora fa», esprimiamo un presente 
dubitativo con le conseguenze di un’azione 
passata. Ma il vero verbo è sarà, con il 
valore di « probabilmente è ». 

E, infatti, la lettera è (con una ceria pro- 
babilità) nel luogo di arrivo. 

| Ila realtà corrispondono le « parole »,. 
ciascuna connessa con una «idea ». 


— 101 — 


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Ne 


Psicologia, fisiologia e anatomia del verho 


(VII) 


157. — L'idea di un’azione o di uno stato loca- 
lizzati nel tempo è diversa dall’idea della stessa azio- 
ne o dello stesso stato pensati senza tale localizza- 
zione. 


Perciò, come già detto, l’infinito ha carat- 
tere non di « voce verbale », ma di sostantivo: 
le « idee » e le « parole » camminare, mangia- 
re, sedere non includono una determinazione 
temporale né di momento né di estensione, 
appunto come passeggiata, cibo, sedia son 
vocaboli indipendenti da nozioni temporali. Il 
camminare, il mangiare, il sedere di ieri non 
differiscono, così espressi, né per forma né 
come pensiero, dal camminare, dal mangiare, 
dal sedere di oggi o di domani o di qualsiasi 
altro « tempo » espresso o pensato, appunto 
come passeggiata, cibo, sedia restano inva- 
riati, sia nella forma che nel pensiero, pur se 
altri elementi della proposizione o del periodo 
(« complementi di tempo») localizzano nel 
passato, nel presente o nel Îîuturo la cosa 
espressa da questi « sostantivi ». | 

Allorché diciamo: » // dipingere a tempera 
precedette la pittura a encausto: i primi pit- 
tori a encausto appaiono in Grecia soltanio 
nel 1 secolo ed avranno nelle opere di Apelle 
la loro più alta manifestazione», le idee 


. espresse dai « sostantivi » dipingere, pittura, 


pittori, opere, Apelle non sono di per se stes- 
se localizzate nel tempo; ma altre parole, nel 
periodo, fan sì che le cose e persone espresse 
da tali sostantivi siano mentalmente colloca- 


— 103 — 


SUL QUADRANTE DEL TEMPO 


te in ordine temporale, rispettivamente in 
passato, presente e Îuturo (po- 
nendo il I secolo come «presente »: « presente 
storico »). Invece la determinazione temporale 
poirà essere contenuta nella medesima parola 
che esprima contemporaneamen!e l’azione di 
dipingere, usando tre « voci verbali ». « Si di- 
pinse (o dipingeva) a iempera prima che si 
dipingesse a erncauslo: nel ] secolo si dipin- 
ge già in tal modo, ed Apelle dipingerà pit- 
ture che... » 


158. — Le « voci verbali » sono le mobili sfere 
sul quadrante del tempo, mentre l’« infinito » è inciso 
— immobile — sul quadrante stesso. 


Nell’« infinito » l’azione o lo stato non son 
pensati in atto; però l'infinito ne suggerisce 
la possibilità. 

Si comprende, così, come alcune lingue 
possano trasformare in « verbi » molti « so- 
stantivi », semplicemente ponendoli in moto, 
esattamente come si pone in azione un mo- 
tore che, quando è fermo, è « un motore » (so- 
stantivo) il quale ha possibilità di essere qual- 
cosa che « si muove » (verbo) (1). 


(1) Nella lingua inglese, la particella fo (espri- 
mente « moto a luogo ») somiglia proprio alla mano-: 
vella di messa in marcia di un motore d’auto: se la 
si premette infatti ad un vocabolo che di per sé è un 
sostantivo, lo si trasforma in «infinito », pronto cioè 
a divenire « verbo ». Ciò è frequentissimo soprattutto 
per vocaboli di origine sassone, perché congenitamen- 
te più rispondenti all’indole della lingua anglosasso- 
ne. Così, ad esempio, hand è la « mano », ma to hand 
è « porgere », da cui he hands, «egli porge»; they 
hand, « essi porgono »; — persino man, « uomo », può 
divenire to man, « fornire degli uomini necessarî » 
(una barca da mettere in mare, un argano da far 
funzionare, una fortezza da presidiare, ecc.): il no- 
stro comando marinaro « Arma la lancia!» è in in- 
glese « Man the barge! ». — E la lingua inglese, a sua 
volta, ci aiuta ad intendere la natura delle scritture 
ideografiche che, nello stesso segno, condensano spes- 
so l’idea verbale in potenza ostanayo, infinito) e in 
atto (verbo). 


— 104 — 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


159. — Quando l’azione sia pensata in atto, 
l’idea rispettiva sembra « flettersi »: conserva il suo 
significato, ma par quasi curvarsi in direzione di- 
versa. i 

In questo senso, meglio ancora che in 
quello morfologico, si possono chiamare 
îlessive quelle lingue che, nella strultura 
della parola, esprimono tale modificazione, 

La coniugazione, infatti, si ottiene - 
non alterando o « curvando » (« Îlettendo ») la 


Satàru sh,8$, in hsieh? 
A B__ € 


Le scritture ideografiche condensano nel segno l’idea 
verbale in potenza e in atto: l’ideogramma « scrive- 
re », in cuneiforme (A), geroglifico (B) e cinese (C). 


(8 159) 


parola, ma aggiungendo al tema espressivo: 
speciali terminazioni, le quali possono Incor- 
porarsi più o meno con esso (1). 

La vera e propria flessione è quindi piut- 
tosto ideologica che formale. 


Avviene, in questo « Îlettersi », un | fenome- 
no assai simile a quello per cui un raggio lu- 


TT Le modificazioni interne deîla parola sono più 
rare che le aggiunte in fine di essa. Tipicamente fles- 
si anche formalmente sono i cosiddetti « verbi forti », 
i quali però, appunto perciò, son considerati irrego- 
lari: ad es.: presente: fa, fanno; passato: fece, fecero; 
spagnolo: hace, hacen, e hizo, hicieron; portogh.: pres. 
faz. fazem; pass.: féz, fizeram; franc.: il fait, ils font; 
il fit, ils firent; tutti dal latino facit, faciunt; feci fe- 
cerunt. — Il fenomeno avviene anche in lingue flessi- 
ve non neo-latine: es.: tedesco: er tuf, « egli fa», pas- 
sato: er tat, imperf. cong. tùte. 


— 105 — 


UNIVERSALE ARMONIA 


minoso si « piega » passando da un mezzo di 
una certa densità ad un altro di densità di- 
versa: ad esempio dall'aria all'acqua. L’idea 
connessa con il: verbo, immergendosi nel 
«tempo », devia, proprio come un’asta im- 
mersa ‘nell acqua appare piegata: e possiamo. 
considerare anche che il diverso angolo sia 
dovuto alla diversa densità dei tre «tempi »: 
passato, presente e futuro (1). 


160. — Queste analogie servono non solo a chia- 
rire il fenomeno, ma anche a confermare che, in ogni 


TR 
AMEN 


févorto = fiat (1) 


uit 
N uu 


S_ Sl” — 


ZITTI) 


sro 


dol LL Li: 


MTEMLOTOUMÉVWG 
| =fideliter (2) 


omm ma ni na a diem 


La più diffusa parola del 
mondo, che i Settanta tra- 
dussero « così sia» (1) e 
che per Aquila significò 
« fedelmente » (2) $ 160) 
La virtù arcana della. parola. 


La formula magico-reli- 
giosa di sci sillabe, da un 
talismano lamaista. 


campo, ogni evento si svolge naturalmente secondo 
. leggi armoniche, simmetriche, e tutte in funzione di 
un’unica finalità. 


© 


(1) Questo « gomito » o angolo dell’idea potrebbe 
| essere anche studiato ispirandoci proprio al « princi- 
pio di Fermat » del « minimo percorso »: e per esso 


— 106 — 


* 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


Vi sono, pur nelle parole, nessi più intimi 
di quelli che una superficiale osservazione ri- 
velano (1). 

161. — Le accurate indagini dei filologi dànno 
spiegazioni del meccanismo fònico dei fenomeni lin- 
guistici: meno chiariti sono quelli psicologici che li 
determinano (2): del tutto sconosciute rimangono le 
cause intime per cui le lingue si modificano secon- 
do determinate tendenze. E tanto più rimangono im- 
perscrutabili tali ragioni, quanto più le si voglian ri- 
cercare in puri fattori materiali di clima e di razza. 


viene a formarsi una vera e propria immagine « vir- 
tuale » di un evento che è « proiezione » dal punto di 
vista dal quale esaminiamo eventi passati, presenti o 
futuri. L’affermazione platonica che « Iddio geometriz- 
za» è vera in ogni fenomeno: pure in quelli del no- 
stro pensiero. 

(1) L’inglese spelling, ossia la « compitazione » 
(enunciare lettera per lettera un vocabolo) è la forma 
continuativa di to spell, che primieramente significò 
— e tuttora significa — «incantare, ammaliare », poi 
che spell è anche il « potere magico delle parole ». — 
Non soltanto le superstizioni di quasi tutti i popoli 
attribuiscono virtù arcane alle parole, ma pur le più 
alte religioni considerano le parole non soltanto come 
espressioni di idee, ma anche come veicolo di ener- 
gie spirituali e superiori. Tutto il mondo buddhista ha 
iede illimitata nella potenza magico-religiosa della 
«preghiera in sei sillabe» («OM MA-NI PA-DME 
IUM »). -- La parola più diffusa che esista sulla ter- 
ra, perché passata integralmente o quasi nella grande 
maggioranza delle lingue e tradotta in tutte, cioè l’e- 
braica invocazione amen, ha tale efficacia intrinseca 
che il Chatechismus Romanus si conclude con una 
'unga trattazione (P. IV, cap. XVII, art. 1-6) per il- 
iustrare « quis usus et fructus sit huius particulae », 
«quomodo dictio », e « quanta bona » da essa emani- 
no. Ed amen è voce verbale ed avverbiale, insieme: 
. 1 Settanta la tradussero con ghénoito (= fiat) (Ps. XL, 
14); nel testo di Aquila è resa con pepistuménos 
(= fideliter): « ma poco importa che sia tradotta nel- 
l'uno o nell’altro modo, purché comprendiamo che 
abbia quella forza che abbiamo detto » (« Parvi re- 
fert, hoc an illo modo sit redditum, modo habere in- 
telligamus eam vim, quam diximus » (Catech. Rom.). 

(2) Cfr. A. Stoppani, La santità del linguaggio, 
Discorso all'Accademia della Crusca, 25, IX, 1883. 


== 0a 


IL SEGRETO D'UN COMUNE ISTINTO 


L’uso — che getermina la scelta dei vo- 
caboli e delle forme — « non è ciecamente ar- 
bitrario, ma vien guidato da certe norme di 
natura sapientissime, che sono l’umana ra- 
gione stessa, o, per dir meglio, rampollano da 
quell’istinto messo in noi da una ragione più 
alta, cioè dalla sapienza divina » (1). 

162. — Per quali ragioni la « coniugazione » » la- 
tina si semplificò ed armonizzò in quella italiana, co- 
me rispondendo ad un piano prestabilito, se la tra- 
sformazione fu opera inconscia del popolo italiano? 


163. — Le quattro coniugazioni del latino si ri- 
dussero a tre, secondo la vocale tematica; e possia- 
mo conservare la tradizionale divisione: 


1 CONIUGAZIONE: 

verbi ai quali corrisponde l’infinito in -are; 
II CONIUGAZIONE: 

verbi ai quali corrisponde l’infinito in -ere; 


III CONIUGAZIONE: 
verbi ai quali corrisponde l’infinito in -ire. 
164. — Ci limiteremo per ora all’esame delle 
sole forme verbali di quella che, nella grammatica 
tradizionale, è chiamata « voce di 32 persona (singo- 
lare e plurale). 


Questa separazione della cosiddetta « 3? 
persona » dalle altre è ispirata ad un criterio 
che è fondamentale nella « grammatica rivo- 
luzionaria » e ne costituisce forse la caratte» 
ristica più importante. Essa afferma infatti 
che il discorso obiettivo, cioè semplicemente 
espositivo degli eventi senza implicare né di- 


(1) I. Amilcarelli, Della lingua e dello stile italia- 
no, Napoli, Leitenitz, 1870, vol. I, pag. 25. — E nella 
sua profonda trattazione — pur ignorata o quasi non 
ostante il grande valore dei due grossi volumi — 
l’autore aggiunge che tale istinto «in nessuna cosa 
meglio si manifesta, che nel fatto delle lingue; dove 
non sarebbe possibile niuno general consenso della 
nazione, se non fosse che tutti parlano, secondo lor 
natura, come son mossi per la ragione segreta di un 
comune istinto ». /d. ibid., loc. cit. 


— 108 — 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


rettamente né indirettamente l’azione di chi 
parla o scrive, ha caratteri differenziali che 
lo diversificano fortemente dal discorso il qua- 
le esplicitamente o implicitamente involva la 
« presenza in scena » del soggetto parlante o 
scrivente: tale partecipazione influenza i con- 
cetti, altera le forme ed i cosî!rutti in modo co- 
sÌ profondo da richiedere legittimamente una 


trattazione a sé. 


Molti fenomeni interessanti e significativi non 
vengono chiariti dalla grammatica tradizionale: non 
vengono anzi neppure segnalati. Essi passano inav- 
vertiti giacché l’arbitraria burocratica catalogazione. 
delle voci verbali in paradigmi artificiosi allontana 
proprio quelle voci che dovrebbero essere avvicinate 
e viceversa, sì che le somiglianze e le simmetrie scom- 
paiono, come scompaiono i significativi contrasti. 


165. — L’elencazione delle « voci verbali » 
secondo la tradizionale cantilena «io ho, iu 
hai, egli ha, noi abbiamo, voi avete, essi han- 
no » è quanto di più innaturale vi possa esse- 
re nell’esposizione dell'attività verbale: nes- 
sun fatto linguistico o psicologico giustifica 
tale ordinamento, mentre non pochi legitti- 
memente vi si oppongono. 

Nella recitazione stessa del tradizionale ri- 
tornello o canzoncina grammalicale (coniuga- 
zione) avvertiamo facilmente l’aritmìa e la 
dissonanza della 1° e 2° persona plurale: spes- 
so non soltanto la forma, ma persino la radi- 
ce stessa è diversa: eppure ciò non ha arre- 
stato la burocratica manìa dei grammatisti, sì 
che la filastrocca scolastica continua imper- 
turbabilmente a suonare (0, meglio, a « disso- 
nare »): 


io dissi io ruppi io vado 
tu dicesti © tu rompesti tu vai 
egli disse egli ruppe egli va 


noi dicemmo noi rompemmo noi andiamo 
voi diceste voi rompeste voi andate 
essi dissero essi ruppero essi vanno. 


— 109 — 


DOPO DIECI SECOLI... 


Da più che un millennio tale concatena- 
mento è stato spezzato nella realtà obiettiva 
linguistica: la tiritera « dixi, dixisti, dixit, di- 
ximus, dixistis, dixerunt » oppure « vado, va- 
dis, vadit, vadimus, vaditis, vaduni » poteva 
ancora trovare qualche giustificazione nella 
scuola dell'antica Roma. Ma poi che l’indole 
del linguaggio, per ragioni che vedremo, ha 
rotto formalmente e sostanzialmente questo 
concatenamento, riconoscendolo non confor- 
me alla nuova mentalità linguistica che modi- 
ficava parole e idee, ed ha persino attinto ad 
altre radici verbali alcune voci, proprio per 
separarle con maggiore evidenza dalle altre, 
sarà ben giunto il momento (dopo 10 secoli) di 
porre la grammatica in armonia con la realtà. . 

166. — La « grammatica rivoluzionaria » aboli- 
sce la denominazione di «33 persona »: sicché non 
saremo più costretti ad affermare ridicolmente che 
sono « voci verbali di 32 persona » quelle contenute 
nelle proposizioni: « sul tetto il gatto miagola » (il 
gatto potrà esser considerato « persona » in una fa- 
vola di Fedro, non quando zoologicamente miagola 
sul tetto), « il sole tramonta alle ore 6 e 40 » (il sole, 
astro e non Febo); «il peggior passo è quello del- 
l’uscio » (il soggetto proverbiale è il «passo » e non 
la persona passante), « chiodo scaccia chiodo » (sen- 
za allusione né materiale né allegorica all’individuo 
che lo pianta), « /a somma degli angoli di un trian- 
golo equivale sempre a due retti » (proprio indipen- 
dentemente da qualunque « persona » che constati o 
meno tale verità geometrica), « il biglietto costa lire 
100 » (e nessuna delle persone collegate direttamente 
o indirettamente con le operazioni di compra o ven- 
dita del biglietto ha rapporti grammaticali con il ver- 
bo «costare »), « piove, Governo ladro!» (né il Go- 
verno, né altra « 33 persona » sono soggetto del verbo 
« piovere »)... (1). 


(1) Pur nell’Inferno dantesco era necessario un 
minimo di apparenza umana perché le anime dei dan- 


— 110 — 


ni 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


‘167. — Sarà facile constatare come l’abo- 
lizione dei paradigmi artificiosi e la netta di- 
stinzione tra « discorso obiettivo » e « discor- 
so con intervento personale » chiariscono i 
fenomeni linguistici e psicologici e pongono 
in evidenza le significative analogie delle vo- 
ci verbali. | 

* dd %* 

168. — I verbi regolari tendono a conser- 
vare la vocale tematica; il presente è 
espresso con tale terminazione, l’imper- 
îetto con l'aggiunta di -va. 

Il plurale si forma con la voce del singo-. 
lare cui si aggiunge -i10. 


PRESENTE: 

singol.: am-a - cred-e vest-e 
plur.:  am-a-n0  cred-o-no vest-0=J10 
IMPERFETTO: 


singol.: am-a-va —cred-e-va — vest-i-va 
plur.:  am-a-va-no cred-e-va-rto vest-i-va-m0 


nati sembrassero « persone »: 
..@ ponevam le piante 
sopra lor vanità che par persona. 
(Inf., VI, 35-36) 

Per « persona » noi intendiamo un essere umano 
completo, anima e corpo, indissolubili in un « compo- 
sto » indistruttibile » (« quoniam Deus creavit homi- 
nem inexterminabilem », Sap. II, 23). Su questo punto 
è esplicito il parere di S. Tommaso: « Ego sum Deus 
Abraham et Deus Isaac et Deus Jacob » quia non est 
Deus mortuorum, sed viventium » [Matth. XXII, 31- 
32]. Sed constat quod quando verba illa dicebantur,. 
Abraham, Isaac et Jacob non vivebant... Anima Abra- 
hae non est, proprie loquendo, ipse Abraham, sed 
pars eius: et sic de aliis. Unde wita animae Abrahae 
non sufficeret ad hoc quod Abraham sit vivens, vel 
quod Deus Abraham sit Deus viventis: sed exigitur. 
vita totius conjuncti, scilicet animae et corporis ». 
(Summa Theol. Suppl. Qu. 75, art. 1). La religione cri- 
stiana è rassicurante in quanto garantisce la totale 
resurrezione dell’uomo, anima e corpo, cioè nella sua 
unica possibile « personalità », integralmente. Cfr. in 
proposito Toddi, Geometria della realtà e inesistenza 
della morte, Roma, De Carlo, 1947. 


— lil — 


RIVOLUZIONE COSTRUTTIVA 


(Come si vede, la «grammatica rivoluzionaria » 
sistematizza la coniugazione e permette di stabilire 
delle « regole ». Sicché è «rivoluzionaria » nel senso 
costruttivo). 


Il singolare del presente dovrebbe termi- 
nare in -i nella terza coniugazione, conser- 
vando la vocale tematica: Îa invece in -e, co- 
me la seconda, perché già nel latino classico 
vi era qualche confusione tra la lI e la III co- 
niugazione (1). Inoltre, la tipica sensibilità 
acustica della lingua italiana attribuisce a que- 
sta vocale, particolarmente acuta (2), un valo- 
re espressivo proporzionale alla sua vivacità, 
e questa sarebbe eccessiva per la semplice for- 
ma indicativa presente. 

Nel plurale del presente le forme in -ono 
della II e III coniugazione son dovute all’in- 
îluenza della terminazione lalina -uni, sempre 
per la confusione delle due coniugazioni. È 
regolare invece la terminazione -a-no della I 
coniugazione, poi che già il lalino aveva net- 
tamente -ani. 

Si osservi che il suono consonantico fina- 
le # del latino (-ant, -uni) si è sostituito con la. 
vocale 0, perché l'italiano non ama i suoni 
consonantici in fine di parola (3). 


(1) Tale confusione è frequente nei nostri dialet- 
ti. — Nello spagnolo, tuiti i verbi della III latina pas- 
sarono alla II. 

(2) Vedi 8 208. 

(3) La determinazione -ono è sostituita da -eno 
in parecchi dialetti italiani: romanesco crédeno, na- 
poletano védeno (pronunzia quasi vérene) — In aitri, 
invece, il plurale non differisce dal singolare: in abruz- — 
‘zese, cande significa « canta » e «cantano », candéve 
è «cantava» e «cantavano ». Identico fenomeno è 
avvenuto in francese, giacché il chante e ils chantent, 
il chantait e ils chantaient non differiscono che nella 
grafia. Lo spagnolo e il portoghese riducono rispetti- 
vamente a -n e -m (che però è semplice nasalizzazio- 
ne) tali finali: spagn. canta, cantan; cantaba, canta- 
ban; portogh.: canta, cantam; cantava, cantavam. Il 
rumeno si comporta in modo diverso nel presente e 


“= 


VIVACITA CONCLUSIVA 


169. — Il perfetto si forma accenian- 
do la vocale tematica: questa, nel singolare 
della I coniugazione, si muta in -ò; ritorna 
però integra nel plurale. 

Il plurale si forma aggiungendo -ro-no al singo- 
lare, ossia lo stesso suffisso -no che per il presente 
e l’imperfetto, interponendo la sillaba -ro-. Sicché: 


PERFETTO: 
singol.: am-ò cred-é fin-i 
plur.:  am-à-ro-no cred-é-ro-no Îin-i-ro-n0 

Si ottengono così delle forme « sdruccio- 
le », per conservare alla sillaba accentata la 
sua espressiva vivacità fònica. | 

170. — Si chiaman legittimamente « paro- 
le tronche » in italiano quelle che terminano 
con vocale accentata, non soltanto perché 
molte di esse sono appunto risultanti da un 
«troncamento » (ciftà per ciltade, virtù per 
viriude), ma anche perché la voce non si pro- 
lunga sulla vocale stessa, come nelle « silla- 
be aperte » (1) delle parole « piane » (accen- 
tate sulla penultima): è « troncata ». 


nell’imperfetto: il latino audit diventa aude, mentre il 
plurale audiunt diventa aud; nell’imperfetto, audiebat 
diventa auzià e audiebant dà auziau. — L'italiano se- 
gue invece una linea costante, coerente a criterî più 
semplici e più armonici. — (Cfr. G. Savini, La gram- 
matica e il lessico del dialetto teramano, Torino, Loe- 
scher, 1881, pag. 63 e segg.). 

(1) Nella sillaba che termini in consonante, que- 
sta blocca la possibilità di prolungare la vocale stes- 
sa, e perciò la sillaba è « chiusa »: se, invece, la silla- 
ba termina in vocale, questa ha libertà di espandersi 
senza ostacolo, e perciò la sillaba si dice «aperta ». 
In italiano le vocali accentate in sillaba aperta sono 
lunghe e più basse, in sillaba chiusa sono brevi e più 
acute. Cfr. fato (pron. fato) e fatto. — Tale distin- 
zione è importante anche nella studio delle lingue 
straniere. Alcune lingue non hanno che sillabe aperte. 
Questo connotato avvicina moltissimo la lingua giap- 
ponese alle lingue del Pacifico: nella scrittura fonica 
indigena, nella pronunzia e nella metrica, nessuna 
consonante si appoggia sulla vocale precedente: o è 


— 113 — 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


Per ora ci basti notare che la « percussio- 
ne » che ne risulta si conserva nei vocaboli 
derivati « chiudendo la sillaba » (ad esempio 
raddoppiando la consonante seguente, sì che 
metà di questo doppio suono consonatico ap- 
partenga alla sillaba precedente) oppure con 
un espediente « sdrucciolo ». 

Per mantenere la vivacità Îònica alla vo- 
cale « tronca » che caratterizza il perfetto si è 
adottato, nel plurale, un suffisso bissillabo non 
accentato, formando il vocabolo sdrucciolo. 

Così si spiega la sillaba -r0-, conservata 
dal latino -runi (-averuni, -ueruni, ecc.). 

171. — Nella II coniugazione oltre la forma © 
credé usiamo anche la forma credette per il singola- 
re, e credettero per il plurale. 

Qui il -f finale latino non è stato elimina- 
to, né mutato in vocale: si è aggiunta una vo- 
cale: per conservare però all’-é tematica la 
sua vivacità si è « chiusa » la sillaba, raddop- 
piando la consonante: cre-dét-te. 

Il plurale fa credettero e non credetterono, 
poi che era superfluo ricorrere all’espediente 
del suffisso sdrucciolo, quando la « chiusura » 
della sillaba era già assicurata da -{l-. 

172. — Il futuro non ha terminazioni 
proprie, essendo il risultato dell’infinito + ho 
e, al plurale, dell’infinito+ hanno (vedi 8 153): 


FUTURO: 


singol.: amer-à creder-à finir-à 
plur.:  amer-à-nroo creder-à-nno finir-à-nrt0 


seguita da vocale o fa sillaba a sé. Nello stornello 
di Sazanami: 


kiku momiiji « crisantemi e acero 
Nippon-jti no di tutto il Giappone 
haregi kana son l’abito di gala ». 


il secondo verso non è un quinario come gli altri due, 
ma un settenario (Ni-p-po-n ju-u no), come prescrive 
la metrica di tale genere poetico. (kaiku). Cfr. Sh. 
Matsuoka, Go-san-shichi-chò (« Sul ritmo di 5, 3, 7 sil- 
labe »), in « Bungaku », Téky6, 1933, I, 6. 


114. 


REGOLARITÀ DI FORME 


La vocale tematica della I coniugazione si 
attenua in €, per iniluenza della Il coniuga» 
zione. 

Il raddoppiamento dell’n nel plurale è do- 
vuto alla derivazione da hanno, il quale se- 
gue la norina della « vocale tronca » (ossia 
« percossa » con vivacità: lo stesso fenomeno 
si ha nella formazione del plurale di altri ver- 
bi monosillabi: fa, fanno; dà, dànno, sa, san- 


no) (1). 2 


* * %* 


173. — L'italiano affida alla vocale -a il 
còmpito di esprimere il congiuntivo, 
differenziando così questo modo dall’ indicati» 
vo. Poi che la differenziazione, così ottenuta, 
non avverrebbe nella I coniugazione giacché 
l’a c'è già nell’indicativo (perché è nel tema), 
si ha, per la I coniugazione la desinenza «i. . 

nu plurale si ha regolarmente con l’aggiunta 
di -no al singolare, come nell’indicativo pre- 
sente. Sicché si ha: 


CONGIUNTIVO PRESENTE: 


singol.: am-i cred-a vest-a 
plur.: am-i-N0 cred-a-No vest-a-N0 


(1) In armonia con questa norma, la forma dia- 
lettale ponno come plurale di po (= può) è più rego- 
lare che possono, e la si trova anche in lingua: usato 
da Dante («il monte — per che i Pisan veder Lucca 
non ponno », /nf., XXXIII, 29-30; e Par., XXVIII, 
101), è frequente ancora in Torquato Tasso: 

« Vansene gli altri e dan le membra al sonno; 

Ma i suoi pensieri in lui dormir non ponno ». 

Gerus. Lib., X, 78). 
(Cfr. anche VIII, 57; VII, 122; X, 16 e 44, ecc.). La 
forma possono è ottenuta aggiungendo la desinenza 
-no al singolare della cosiddetta 12 persona posso, 
come tengono da tengo e non da tiene. Si noti che 
anche il plurale del presente indicativo del verbo 
essere è ottenuto in modo analogo: sono (plurale) 
non è formato da è ma dalla cosiddetta 12 per- 
sona, con la quale anzi viene a coincidere (sum e«=io. 
sono », sunt= « essi SONO »). 


— 115 — 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


174. — Nel congiuntivo passato resta 
invariata, ed è anzi « percossa » fonicamente la vo- 
cale tematica: il latino fornisce l’elemento consonan- 
tico adatto, poi che la sibilante s è, delle consonanti, 
la più penetrante ed espressiva (1), atta perciò ad in- 
dicare il passato o perfetto del congiuntivo, 
così come la vocale «tronca» (fonicamente percos- 
sa) lo esprime nell’indicativo: le tre coniugazioni han- 
no un’unica desinenza -sse. 

Il plurale si forma con l’aggiunta di -ro: è inu- 
tile aggiungere più sillabe, ossia entrambe cuelle del 
perfetto indicativo (-ro-no), poi che il vocabolo 
così formato ha già entrambi i requisiti ciascuno dei 
quali è sufficiente a mantenere « percossa » la vocale: 
è in sillaba chiusa (a causa del doppio s) ed è in 
struttura « sdrucciola ». Abbiamo perciò: 


CONGIUNTIVO PERFETTO: 
singol.: am-à-sse cred-é-sse — Îin-i-sse 
plur.: am-à-sse-ro cred-é-sse-ro Îin-ì-sse-ro 


Le forme sfesse e desse sono irregolari, e 
probabilmente scelte per evitare equivoci con 
slesse nel significato di « medesime » e d'esse. 
Da queste si formano regolarmente i plurali 


slessero e dessero. 
* * * 


175. — Il condizionale italiano non 
si formò dal latino (2) ma combinando l’infi- 


(1) Pronunziata isolata, la consonante ‘s « può 
raggiungere valori compresi tra 9000 e 10000 oscilla- 
zioni al secondo »». A. Gemelli e G. Pastori, L'analisi 
elettroacustica del linguaggio, Milano, Università Cat- 
tol. Sacro Cuore, Scienze Biologiche, 1934, vol. I, 
pag. 143. — Per chiamare qualcuno, per imporre si- 
lenzio, usiamo questa consonante: « (p)sss! », « Sss! ». 
Qualsiasi altra sarebbe inefficace: la labiodentale f ha 
una frequenza assai più bassa: non più di 5500 oscil- 
lazioni, e, generalmente, intorno alle 4000. — «La 
chiusura del velo palatino è la più forte, nell’emissia- 
ne della sibilante s». G. Panconcelli-Calzia, Experi- 
mentelle Phonetik, Berlin, de Gruyter, 1921, pag. 109. 

(2) Né dal condizionale latino si formarono i con- 
dizionali delle altre lingue « neolatine ». Si ricordi pe- 


— 116 


_ 2% 


SIMMETRIA DELLE FORME 


nito con il perfetto del verbo « essere >: da 
amare-ebbe si iormò amerebbe; da credere- 
ebbe si ottenne crederebbe: ed i plurali si for- 
mano con il plurale ebbero: sicché: 


CONDIZIONALE: . 


singol.:amer-ebbe creder-ebbe vestir-ebbe 
plur.: amer-ebbero creder-ebbero vestir-ebbero 


Si osservi, nella I coniugazione, la mede- 
sima attenuazione della vocale tematica che 
nel futuro (amerebbe invece di amarebbe); ve- 
di $ 169). 


* * * 


176. — Così semplificata, la coniugazione 
del verbo (nel discorso obiettivo o narrativo) si ridu- 
ce a 7 voci per il singolare ed altrettante per il plu- 
rale. 

Semplificata ed esposta in tal modo, la 
coniugazione del verbo italiano pone in 
evidenza la simmetria delle forme, connotato 
tipico della nostra lingua. 

Non sappiamo come gli antichi Romani 
pronunziassero la loro lingua: nel latino cer- 
tamente esisteva, oltre l’accento tònico, un 
«tono musicale» (1): tale differenza di in- 


rò quanto già osservato nel 8 118: lo spagnolo ha 
amara (plur. amaran), « se] amasse (amassero) », di 
diretta derivazione latina (amaret, amarent): la gram- 
matica spagnola non ha una denominazione del « con- 
dizionale »: definisce modo subjuntivo e modo poten- 
cial i due modi, spesso intercambiabili fra loro. Cfr. 
Diccionario de la lengua espafiola dell’Accademia, Ma- 
drid, 1925, pag. 819. — Il rumeno ha forme speciali. 
‘ del verbo «avere » (a aveà) che si combinano con 
l’infinito, senza fondersi però con esso, ma, anzi, pre- 
cedendolo: ar studià, « studierebbe » e « studierebbe- 
ro »; e persino ar aveà « avrebbe » o « avrebbero ». 

(1) Cfr. E. Weil & L. Benloew. Théorie générale 
de l’accentuation latine, Paris, Durand, 1855. — Il 
« tono » ha fondamentale importanza anche in connes- 
sione con il significato, nelle lingue che hanno tale 
caratteristica: i Cinesi « stentano a comprendere gli 
stranieri che in nessun modo tengono conto dei toni 


— 117 — 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


flessione determinò la peculiare prosodìa, la 
quale non corrisponde affatto alla interpreta- 
zione fònica che se ne dà nelle scuole (1). Ci- 
cerone afferma che persino nel comune di- 
scorso vi è « come un canto sommesso » (2). 

Il latino era dunque una lingua che po- 
iremmo dire «cantata » (3), la quale, man 
mano, venne perdendo il suo carattere melo- 
dico, ‘avviandosi verso la forma del recitati- 
VO (4). Questo mutamento richiedeva basi Îfò- 
niche diverse, menire conferiva la possibilità 
di un diverso nesso tra « suono » e « signifi- 
cato ». Tale nuova « armonia » rivela il genio 


e pronunziano il cinese con un monotono retto 
tono (cosa sconosciuta in Cina) o con una cantile- 
na simile a quella delal lingua materna ». F. Bortone, 
Sillabario Cinese, Zi-ka-wei, 1935 vol. I, pag. 100; — 
Nel presente volume, le parole cinesi citate sono ac- 
compagnate da un esponente numerico, il quale indi- 
ca appunto il « tono » di ciascuna sillaba. Cfr. D. Jo- 
nes & K. T. Woo, A Cantonese Reader, London, Uni- 


versity Press, [1912], che è eccellente, ma riguarda il 


cantonese e non la «lingua mandarinica » (kwuan!- 
huà4). Per il pechinese, ottimo è il corso del Lingua- 
phone (in due volumi e 16 dischi doppi) di J. P. Bru- 
ce, E. D. Edwards & C. C. Shu. 

(1) È assurdo pensare che i Romani pronunzias- 
sero i loro versi con un’accentuazione tònica diversa 
che nel. discorso, € che spezzettassero le frasi in 
« piedi »: 


òde- | -runt pec-|-càre bo-|-ni vir-|-tùtis a- e -mòre 


(F. Schultz, Grammatica latina, 172 ed., Tonno; Chian- 
tore, (s. d.), pag. 299.. 


(2) « Est autem in dicendo quidam cantus obscu- 
rior », De Orat., XVII. 

(3) Sappiamo da Dionigi di Alicarnasso che gli 
oratori latini arrivavano a fare anche l'intervallo di 
quinta, ascendente e discedente. (De compositione ver- 
borum, c. XI). 

(4) « La melodia gregori'ana nella sua linea archi- 
tettonica è calcata sugli accenti grammaticali del te- 
sto liturgico. Il che vuol dire che le sommità melodi- 
che coincidono in generale cogli accenti tonici delle 
parole ». P. Ferretti, Trattato delle forme musicali del 
Canto Gregoriano, Roma, Pont. Ist. di Musica Sacra, 
1934, vol. I, pag. 16. 


— 1130tme 


MUSICALITÀ DECLAMATA 


musicale italiano, nella lingua che è espres- 
sione artistica del popolo che la parla, se- 
guendo istintivamente alcune norme di equi- 
librio sonoro che soltanto uno studio acuto rie- 
sce a riconoscere, e soltanto in parte. 
Accadde, nella parlata italiana, un feno- 
meno di insieme, del quale un episodio mu- 
sico-teatrale può servirci di esempio come ca- 
so singolo. Il libretto della Cavalleria Rusti- 
cana, nel primo testo compilato da G. Targio- 
ni Tozzetti, si concludeva con due quinarî: 


Hanno ammazzato 
compare Macca! 


Essi erano destinati ad essere musicati: in 
una melodia tutto l’effetto estetico sarebbe 
stato affidato alle note musicali: volendone Îa- 
re un « declamato », Mascagni comprese che 
bisognava mutare il suono della parola finale, 
che avrebbe compromesso V’eîficacia: la mu- 
sica avrebbe dato un tragico acuto; il « recita- 
tivo» doveva dare un « aculo vocalico » per 
avere il massimo dell’espressione. I due qui- 
narî divennero per ciò un endecasillabo, e il 
cognome Macca Îu sostituito col nome Turid- 
du (con un i tra due u), formando l’efficacis- 
simo finale: 


Hanno ammazzato compare Turiddu! 


« Tutta la parlata italiana segue sempre 
questo procedimento musicale » (1). 


—_— ———==2=p=Hkk11_1À_ 


(1) M. Campana, La musicalità della lingua ita- 
liana, Roma, Augustea, 1934, pag. 45-47. 


— 129 — 


L'androceo e il gineceo dei sostantivi 


(IX) 


177. — Tutte le parole che, isolate, posso- 
no essere soggetto o complemento oggetto di 
un verbo sono no mi, ossia sostantivi, 
oppure sono altre parti del discorso che fanno 
le veci o le funzioni di sostantivo (vedi $ 41). 

178. -- Anche un insieme di parole, può esser: 
soggetto o complemento oggetto id un verbo. 


In tal caso, l’intero costrutio ha, sintatti- 
camente, le funzioni di sostantivo: 


| « è duro calle 
lo scendere e ’l salir per l'altrui scale 
(Par., XVII, 59-60). 

Tutto l’endecasillabo. « Jo scendere e ’| sa- 
lir per l’allrui scale» serve da soggetto alla 
voce verbale è: può considerarsi come un’u- 
nica espressione algebrica incluse Îra paren- 
tesi e che quindi può esser globalmente ele- 
vata a potenza, moltiplicata per un numero, 
sottoposta a segno di «radice», servire da 
« nominalore » 0 « denominatore », ecc. Ha 
funzioni di sostantivo, ma è composto di più 
parole: quindi non è un nome o sostan- 
tivo. 

179. — Nella lingua italiana ogni nome deve 
appartenere ad uno dei due generi grammaticali: 
maschile o femminile. 


Nella sua evoluzione, il latino moderno 
(ossia l’italiano) ha eliminato il genere 
neutro, che esisteva nel latino classico e 


— 121 — 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


nelle lingue precedenti, e che persiste in altre 
lingue (1). 

180. — I nomi o sostantivi SONO « maschi- 
li» o «femminili» per ragioni prevalente 
mente etimologiche e fòniche, ma anche per 
altre cause che non è facile indagare. 

Possiamo adottare la denominazione di gene - 
re maschile e femminile, insistendo però 
soprattutto sul primo vocabolo di tale denominazio- 
ne, ossia sulla parola genere, e non attribuendo 
troppo il valore distintivo di sesso alla qualifica « ma- 
schile » o « femminile » (2). 


Sono, ad esempio, grammaticalmente 
« femminili » la sentinella e la spia, pur se in- 
dicanti un uomo; son « femminili » l'aquila e 
la friglia, anche se si tratti del maschio di tali 
animali. 

Sono ripartiti nei due generi anche i nomi 
che esprimono oggetti o idee che non posso- 
no avere un sesso nella realtà: il fosso è ma- 
schile, mentre la fossa è femminile; il /egro 
non è, fisicamente, diverso dalla legna; gran 
parte delle malattie hanno un nome femmini- 
le (scialica, idropisia, scarlatlina, influenza), 
mentre sono maschili il tifo, il carbonchio, lo 
scorbuto, ecc.; il Coraggio è maschile e l’au- 
dacia è femminile; maschile è lo spavento e 
femminile è la paura. 


(1) Tracce del neutro rimangono nelle lingue neo- 
latine: lo spagnolo /o bueno, lo malo differiscono da 
el bueno, el malo; esprimono, appunto con valore neu- 
tro, ciò che è «buono» o «cattivo » in senso gene- 
rale e astratto, o « qualunque cosa » buona o cattiva: 
e l’articolo /o (distinto da el) serve appunto a speci- 
. ficare tale genere. Parimenti si hanno in porto- 
ghese i pronomi neutri isfo, « questo », isso, « code- 
sto », e aquilo, « quello », distinti dai maschili éste, 
ésse aquele. Anche in italiano sentiamo un valore 
neutro nel pronome ciò e altri simili. 

(2) La lingua inglese usa il vocabolo gender nella 
sola accezione di « genere grammaticale ». Si consi- 
deri che il nostro vocabolo genere, pur essendo con- 
nesso con generare, significa semplicemente « specie », 


— 122 — 


GENERE E DESINENZA 


. 181. — Né la sola desinenza in -0 o in -a basta. 
a giustificare l’attribuzione all'uno o all’altro genere: 
l'asma e il colera sono maschili. Inoltre, la massima 
irregolarità presentano i nomi in -e, terminazione va- 
levole per entrambi i generi. 


Non v’è regola nemmeno per i nomi di ani- 
mali: il formichiere, il camaleonte, ecc. sono 
sempre maschili, mentre la vo/pe, la cimice, 
la pulce, l’anojele, ecc. sono femminili anche 
se indicano il maschio di tali animali. Oggi si 
può liberamente dire «il figre » e «la figre », 
« il [lepre » e la lepre ». 

Più restii ancora ad una catalogazione ge- 
nerale sono i sostantivi in -e al quali non cor- . 
risponde un «sesso» fisico in ciò che essi 
rappresentano; il mofore è maschile, mentre 
l'automobile e la juricolare sono femminili (1); 
il bafltaglione è maschile, mentre la divisione 
è femminile, Sono maschili i nomi dei mesi 
(aprile, settembre, ottobre) ed è femminile 
l’esfate (2); son maschili i nomi "degli alberi 
(abete, elce), ma è femminile la querce (3); 
son maschili il rame e l’oltone, ma è femmi- 
nile la pirife; maschile è il diamanie e femmi- 
nile è l’orice. 


« categoria », senza implicare l’idea di « generazione » 
e tanto meno quella di « sesso ». 

(1) S’intende « una vettura automobile » e « una 
ferrovia funicolare »: il francese ha un funicolaire, al 
maschile, come ellissi di un chemin de fer funiculaire: 
lo spagnolo preferisce conservare l’espressione intera: 
un ferrocarril funicular. 

(2) Le altre tre stagioni hanno la terminazione 
in -a ed -0. 

(3) Querce (plur. querci) invece di quercia (plur. 
querce) è usato frequentemente in Toscana, ed in 
poesia o nello stile elevato. Però Dante e Petrarca usa- 
no quercia: 

« La carne dei mortali è tanto blanda, 

che giù non basta buon cominciamento 

dal nascer della quercia al far la ghianda ». 

(Par., XXII, 85-87) 

« Spenti son i miei lauri, or querce ed olmi » 

(Petrarca, Rime, II, Son. 83) 


— 123 — 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


Sono prevalentemente femminili i nomi 
astratti uscenti in -e, e specialmente i nume- 
rosissimi in -ione: questione, ragione, addi- 
zione, interpolazione. Maschili, invece, sono i 
nomi in -ore, anche se astratti: dolore, calore, 
valore, colore, sapore, ecc. (1). 

182. — Complesse e interdipendenti sono le ra- 
gioni per le quali un sostantivo può aver mutato ge- 
nere grammaticale dal latino divenendo italiano o 
BEIPANCS in una lingua neolatina. 

* x x 


Comunque, il popolo non ha seguìto un 
semplice capriccio, ma ha ubbidito ad un istin- 
to, poi che unanime è stato il consenso nel- 
l'assegnare al maschile piuttosto che al fem- 
minile o viceversa un sostantivo che era del- 
l’altro genere, oppure nel determinare a quale 
dei due generi dovesse essere assegnato un 
« neutro » (2). 

Le cause van forse ricercate in fattori che . 
non è facile identificare a distanza di tempo, 
e che forse erano anche difficilmente identifi- 
cabili nel momento in cui essi agivano (3). 


(1) I corrispondenti nomi astratti francesi in -eur 
sono invece femminili: /a douleur, la chaleur, la va- 
leur, la couleur, la saveur. Son però maschili honneur, 
déshonneur, bonheur, malheur: mentre è femminile 
la fleur « il fiore »: e, in spagnolo, son femminili la. flor, 
« il fiore », Za labor, « il lavoro » (donnesco o dei cam- 
pi). In portoghese sono femminili a flòr, «il fiore », 
a còr, «il colore », a dér, «il dolore »; «l’onore » è 
a honra, con terminazione femminile. 

(2) Si dice che i «vocaboli seguono l’uso », ma 
« l’uso può in verità definirsi: viva e certissima espres- 
sione delle naturali proprietà della lingua e dell’indole 
del popolo che la parla ». I. Amicarelli, op. cit., vol. I, 
pag. 25. 

(3) « Gli antichi, conoscendo più intimamente i 
valori dei vocaboli, doveano spesso gustare un’occulta 
allusione, ove noi non ne scorgiamo pur l’ombra... 
Così veggiamo che Eschine chiama spauracchi e mo- 
stri alcune frasi di Demostene, che a noi sembrano vi- 
vaci ed energiche ». M. Cesarotti, Saggio sulla filoso- 
fia delle lingue, P. II, XIV, 2. 


cu fia 


MUTAMENTI DI GENERE 


Il sostantivo basso-latino amuletum, neu- 
tro, divenne in italiano e in spagnolo un amu-  - 
leto, ed in portoghese um amuleto, ossia al 


AMVLE ETVMO 


ein i Wmulett 
di “een amulet 
can amulet : 


un i pniuleto. fo ‘une amulette I 
‘um amuleto. | {0 amuletà <> 
| - MASCHILE: - — “NEUTRO” Valtr > FEMMINILE: IE 


Quale sa ha trasformato l'amuletum (neutro) în 
maschile o femminile? Amuleto scozzese del XV s;e- 
colo: reca incise, come parole magiche: « Consumma- 
tum » ed i nomi dei tre Re Magi: Gaspare, Melchior- 

re e Baldassarre. 


- 


maschile, come gran parte dei neutri in -um 
(ablativo i in -0-, Inizialmente fu maschile an- 
che in francese (1): poi divenne femminile — 
une amulelte — com'è femminile i in rumeno. 


(1) Appare nel 1558 in Pontus de Tyard; è ma- 
schile in Tabourot, femminile in d’Aubigné. 


— 125 — 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


Una causa ha dovuto ben esservi per produr- 
re questo mutamento (1). 


ù* * %* 


183. — Constatiamo anzitutto che l’assegnazio- 
ne al genere è determinato assai spesso dalla vo- 
cale finale del sostantivo, o, più esattamente, che vi 
è una stretta relazione tra vocale finale e genere 
grammaticale. 


Talora è stata modificata la vocale finale, 
proprio in armonia con il genere: meridies era 
già maschile in latino, ma con aspetto fem- 
minile, poi che femminili eran tutti i sostanti- 
vi in -es della V declinazione (2). L'italiano 
ne ha fatto meriggio, con uscita in -0. 


184, — Tipica terminazione maschile è la 
robusta vocale o. | 

Sono infatti maschili in italiano i sostantivi uscen- 
ti in -0. 

Fanno eccezione: 


a) la mano, per diretta eredità dal lati- 
no (3); 


(1) Tatuno ritiene che ciò sia dovuto alla finale, 
-ette, presa per suffisso femminile. (A. Dauzat, Dic- 
tionnaire étymologique de la langue francaise, Paris, 
Larousse, 1938; pag. 33). Ciò è possibile, ma il fran- 
cese ha un squelette, « uno scheletro », al maschile. 

(2) Il lat. meridies è sempre maschile, sebbene 
composto da dies, che talvolta è femminile al singo- 
lare, allorché esprime tempo o termine: praestituta 
die, « nel giorno prestabilito »: ha assunto la termi- 
nazione in -a, ma è maschile, in spagnolo e in porto- 
‘ghese (el dìa, o dia). 

(3) Già in latino manus è uno dei pochissimi ‘no- 
mi della IV declinazione (nominat. e genit. in -us, 
abiat. in -w) che sono femminili: il femminile acus ha 
dato il maschile ago all’italiano, e il maschile ac al 
rumeno (acul, « l’ago », un ac, « un ago », ma femmi- 
nile al plurale: ace, « aghi », acele, « gli aghi »), men- 
tre il diminutivo femminile acucula è divenuto aguja 
in spagnolo, agulha in portoghese e aiguille (< ago » e 
anche « scambio ferroviario ») in francese. Femminile 
era porticus in latina, e si è mascolinizzato in « por- 
tico », mentre arcus, che era maschile sia al singolare 


— 126 — 


ECHI MITOLOGICI 


b) l'eco, al singolare (« un'eco », con l’a- 

postroîo), per un riguardo alla ninfa di que- 
sto nome. 

| Il plurale, però è maschile: gli echi, poi 
che la mitologia non registra che una sola 
Eco (1); 

c) la virago e l’imago, che stanno latina- 
mente per viragine e imagine (o immagine): 


.« Avrem Camilla 


La gran volsca virago... » 
(A. Caro, Eneide, XI, 695) 


« Vedi le triste che lasciaron l’ago, 
la spuola e °l juso, e jecersi ’ndovine: 


fecer malie con erbe e con imago ». 
(Inf., XX, 121-123) 


« Astolfo, poi ch'ebbe cacciato il mago, 
Levò di su la soglia il grave sasso, 


E vi ritrovò sotto alcuna imago... » 
(Ariosto, Orl. Fur., XXII, 23) 


d) la spicanardo o spiganardo, secondo 
alcuni pedanti. Ma la graîfìa più corretta è Spi- 


che al plurale, ha dato al rumeno arc, che è maschile 
al singolare (arcul, « l’arco ») e femminile al plurale 
(arce, « archi », arcele, « gli archi »). Femminile era 
Idus, rimastoci soltanto nella forma plurale, mascoli- 
nizzandosi: « gl’Idi di marzo ». 

(1) Soltanto la lingua italiana estende cavallere- 
scamente anche al nome comune eco la femminilità 
della ninfa: è maschile in francese, (un écho), in spa- 
gnolo e portoghese (el eco, o echo) e in rumeno (ecou, 
« eco », ecoul, «l’eco »), ed è neutro in tedesco (das 
Echo). La mitologia greco-romana non è, nel nostro 
ricordo, svanita come presso altri popoli neolatini: 
l’esclamazione popolare « per Bacco! » documenta quo- 
tidianamente quanto sia rimasto di romanissimo nel 
nostro sentimento. Soltanto la malafede politica ga- 
reggiante con l’ignoranza può spingere un italiano (!) 
ad affermare che «tra Roma antica e noi c’è rottura . 
storica, etnica e morale » e che «noi non abbiamo 
niente a che fare con gli antichi Romani, di cui con- 
serviamo i ruderi per motivi unicamente topografici ». 
G. de Ruggiero nel discorso inaugurale dell’Istituto di 
Studî Romani (! 1944-45. (Cfr. « Avanti! », anno 
XL VIII, n. 168, 19 dic. 1944). | 


— 127 — 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


.canardi, anche al singolare: e, in ogni caso il 
genere femminile è determinato dalla parola 
“spica; | 

e) alcuni sostantivi moderni, abbrevia- 
zioni di parole femminili nella forma intera, 
come aulo per automobile, joio per fotografia, 
torpedo per torpedine, autoblindo per auto- 
blindata, ecc. 


Î) La dinarno e la radio. 


La prima può considerarsi come abbrevia- 
zione di « macchina dinamoelettrica »; la ra- 
dio è femminile per distinguersi dal radio, me- 
tallo oppure osso dell’avambraccio (1). Tale 
distinzione fa sì che si chiami « una radio » 
anche un apparecchio di radiotelefonia: e si 
dice infatti persino « una radiotrasmittente », 
« una radioricevente ». 


185. — Vengono spontaneamente a polarizzarsi 
nel genere maschile i sostantivi importati dal- 
le lingue straniere, i quali terminino in -0, anche se 
non esprimano un essere maschio puro se, nella lin- 
gua d'origine, non siano di tal genere. 


Si dice perciò non soltanto « il mikado » (2) 
e il gaucho, ma anche « un igloo » (3) « un ki- 


(1) In un primo tempo si adottò radium per il 
metallo: e tale è il nome di esso nelle altre lingue. AI 
contrario, il « quanto » della fisica moderna (interpre- 
tazioni e formule di Einstein e di Planck) tende ad 
esser sostituito con il latino quantum. Meglio che 
« quanto di azione », che si presta all’equivoco, si di- 
rà perciò « quantum di azione », ecc. Così è talvolta 
opportuno, per chiarezza, sostituire « massimo » e « mi- 
nimo » con maximum e minimum ogni volta che si 
esiga una scientifica precisazione. 

(2) I Giapponesi non usano la parola antiquata 
mikado più di quel che noi adoperiamo Rege per Re, 
o Prence per Principe. Usano Tennò (« Celeste Sovra- 
no »), che ora è vocabolo in uso anche in italiano. 

(3) In eschimese idg/o (da cui abbiamo preso igloo 
per esprimere la « capanna fatta di blocchi di ghiac- 
cio) è la forma tematica della parola che significa 
«casa » e che può prendere una ottantina di suffissi 
diversi, modificatori dell’idea. L’eschimese è un esem- 


— 128 — 


LA VOCALE PIU’ FEMMINILE 


mono » (o chimono), « un kRakemono » (1), « il 
macao » (gioco), anche se questi vocaboli non 
sono di genere maschile nelle lingue dalle 
quali li abbiam presi. 

* * * 


186. — Sentiamo come tipicamente Îîem- 
minile la riposante vocale -a. 

Sono prevalentemente femminili, in italia- 
no, i sostantivi uscenti in -a. 

Fanno eccezione: | 

a) la massima parte dei sostantivi in -a 
i quali indicano persona di sesso maschile: 
es.: il papa, il poeta, l'artista, l'autista, il boia, 
l’ulema, il paria, lo scriba, il pediatra, l’au- 
riga, il pilota, il radiogoniomeirista, il fa- 
scista, il nazista, l’antinazifascista ed altri nu- 
merosissimi sostantivi di tal tipo, di vecchio e 
nuovo conio: giornalista, linguista, idealista, 
opporiunisia, legittimista, barisia, arrivista, 
camionettista... 

Eccezione a questa eccezione sono quei 
sostantivi in -a i quali, pur riferendosi ad in- 
dividuo maschio, coincidono con il sostantivo 
che indica la loro professione: si dice perciò, 
al femminile, «la guardia» (colui che fa la 
guardia), « la spia » (che fa la spia) (2), « la 


pio di lingua « polisintetica »: igdlo è « casa », igdlors- 
suaq « grande casa », igdlulorpoq (igdlu-lorpog) « casa- 
ch’egli-costruisce »; igdlorssualiorpog (igdlo-rssua-lior- 
poqg) « grande-casa-che-egli-costruisce ». 1 

(1) Il suono, spesso simile all’italiano, di molti 
vocaboli giapponesi, non deve lasciar supporre che 
questa lingua abbia i generi grammaticali: diciamo 
« una katana » (« spada »): ma il Giapponese non vede 
nel vocabolo un genere diverso che in kimono, « ve- 
stito », o kakemono (pannello decorativo). Non ha 
« genere » neppure kodomo (« ragazzo » o « ragazza », 
» figlio » o « figlia », come il francese enfant: un en- 
fant, une enfant, o il russo celavièk, « uomo o donna », 
« essere umano »). 

(2) Il familiare « far la spia» non significa sol- 
tanto « agire da spione » ma anche «dar notizia se- 


— 129 — 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


guida » (che serve di guida), mentre «il ca- 
merala » non fa «la camerata », o «il Sren 
Lama » non fanno «la grande lama » (1), ed 

« il caricaturisia » non Îa «la caricaturista » 
ma la « caricatura », e perciò son tutti sostan- 
tivi maschili. 


L’uso lezioso toscaneggiante di dire «il 
guardia » (per guardaboschi ) è altrettanto ri- 
provevole quanto ‘quello partenopeo di dire 
«il guardio ». Questo, anzi, è più coerente, 
poi che mascolinizza la terminazione! 


Sono anche femminili birba e recluta (2). 


b) parecchi nomi di cosa o astratti, 
uscenti in -/a e in -ma e derivati dal greco, co- 
me poema, telegramma, cablogramma, feore- 
ma, pianeta, dilemma, dramma (3), ecc. È 
rò femminile fisima, che non deriva affatto. dal 
greco physema (4); 

c) alcuni nomi esotici di animali o di 


greta e delatoria », coincidendo con il significato che 
ebbe anche in lingua: dal gotico spànan (affine al lat. 
specio: ad-spicio, con-spicio) « esplorazione », tale fu 
il primo suo valore: 
«Il re cercar fe di Lucina bella, 
Né sin l’altrieri aver ne poté spia ». 
(Ariosto, Orl. Fur., XVII, 66) 

(1) In tibetano [b]la-ma significa « prete », ‘e la 
traduzione letterale di Dalai-lama è « Sacerdote-Ocea- 
no », ossia il più grande fra tutti. 

2) Entrambe le pronunzie « rècluta » e « reclùta » 
sono giustificabili, per l’incontro muta-liquida (come 
« rùbrica » e «rubrica »): più corretto sarebbe « re- 
clùta », per la derivazione dal francese recrue, ma più 
diffuso è « rècluta ». 

(3) Dramma è maschil: come componimento tea- 
trale (dal neutro greco drama) e può scriversi anche 
drama (plur. drammi e, più raramente drami), mentre 
è femminile come nome di monéta (dal greco drach- 
me, femminile): plur. dramme. | 

(4) Forse da sofisma: anche in tal caso vi sareb- 
be mutamento di genere, poi che sophisma, in greco, 
è neutro. 


— 130 — 


« NULLA » 


cose: gorilla, puma, lama (1), pigiama, ben- 
gala (2). 

È regolarmente femminile froika (0 froica), 
che è femminile anche in russo (3). 


d) il vaglia, nel significato astratto (« uo- 
mo di gran vaglia », « scrittore di vaglia »), e 
in quello bancario o postale; 


e) il sostantivo nulla, che alcuni gram- 
matici definiscono arbitrariamente avverbio ed 
altri pronome. Di quale nome fa le veci il 
nulla? (4). 


N 


(1) Più esatto, parlando del ruminante sud-ame- 
ricano, è scrivere Îlama e pronunziare « gliama », alla 
spagnola: il vocabolo non ha nulla di comune con il 
verbo /lamar, « chiamare », provenendo dalla lingua 
indigena chiciua (quichua). 

(2) L’inglese coloniale pyjamas, o pajamas, plu- 
rale, passato poi nella lingua e quindi anche negli altri 
idiomi europei, è originariamente il persiano paejama, 
che letteralmente significa « indumento (jama) per le 
gambe (pae), e indica i pantaloni portati dai Musul- 
mani di entrambi i sessi. — Il nome bengala, dato ai 
colorati fuochi di artificio, proviene da quello della 
provincia indiana Bengala (in inglese Berngal, pronun- 
zia « bengdl »): si chiamarono « Bengal lights» (luci 
del Bengala) i segnali pirotecnici usati nelle campa- 
gne inglesi in India, donde il nome. I bengala a sco- 
po festivo son chiamati dagli Inglesi « candele roma- 
ne» (Roman candles) probabilmente in riconosci- 
mento della superiorità dell’arte italiana, specialmente 
meridionale, nella fabbricazione di essi. 

(3) Il russo froika non è il nome di un veicolo, 
ma dell’attacco di tre cavalli, come per noi « pari- 
glia » è l’attacco di due: perciò è ridicolo dire o scri- 
vere « viaggiarono molte verste nella veloce troika »: 
per voler dar troppo il « colore locale », lo si dipinge 
con strafalcione italo-russo. 

(4) L'italiano nulla viene dal latino nulla res, 
«nessuna cosa »: lo spagnolo e il portoghese nada 
stanno per res nata, «cosa accaduta », e richiedono 
perciò il verbo negativo (no es nada, ndo é nada), e la 
negazione è sottintesa quando vengano usati isolati. 
Per la stessa ragione vuole il negativo il francese (ce 
n’est rien, « non è nulla »), giacché rien è il lat. rem, 
accusativo di res, « cosa ». Contiene invece la negati- 
va il rumeno nimic, « niente », dal lat. ne mica « nem- 


— 131 — 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


Con l’occidentale nulla possiamo associa- 
re, grammaticalmente, il buddhico rirvéna (1). 


* * * 


187. — Solamente le vocali -a ed -0, come finali 
di sostantivi, rivelano una polarizzazione preferen- 
ziale di questi rispettivamente verso il genere fem- 
minile e verso il genere maschile. 

Per i sostantivi uscenti in altra vocale, predomi- 
na piuttosto, come fattore determinante la scelta, il 
significato. 


188. — Tra gli uscenti in -e son maschili quelli 
indicanti persone di sesso mascolino, come pontefice, 
primate, fante, esule, ecc., ed i numerosi nomi di pro- 
fessionisti e artisti in -ere ed -ore: ragioniere, aviere, 
spedizioniere, parrucchiere, cerimoniere, gondoliere, 
ecc.; imperatore, genitore, tutore, pretore, ecc. 


Analogamente, esprimendo la caratteristi- 
ca e la funzione, sono maschili i nomi in -ere 
e -ore di animali, meccanismi, strumenti e og- 
getti a scopo determinato: frampoliere, formi- 
chiere; roditore, — candeliere, paniere, carnie- 
re; motore. carburatore, silenziaiore, compres- 
sore, ventilatore; e persino gli astratti mate- 
matici o fisici divisore, faflore, denominatore, 
vettore, i quali hanno anch'essi una funzione 
specifica ed operante. 

189. — Gli altri nomi in -e son più difficilmen- 
te catalogabili secondo norme generali (vedi 8 181). 

190. — Preferenza per il genere maschile mo- 
strano i nomi uscenti in -i, ma non son numerosi: es.: 
brindisi tranvai, beri-beri, harakiri (2): ma son fem- 


meno una briciola ». — L'inglese nothing è « nessuna 
cosa » (no thing). — Il tedesco nichts e l'olandese niets 
son le rispettive negazioni (nicht. niet) sostantivate e 
di genere neutro. 

(1) Da ni-vana=<« non essere », con un r eufo- 
nico interpolato. 

(2) Diffusa e persino registrata da qualche dizio- 
nario rispettabile, è l’errata forma di karakiri, che in 
giapponese non significa nulla: harakiri è «taglio (Ki- 


— 132 — 


| TRE PAROLE DA CORREGGERE 


| rate mah fràja | 


o nel significato... (8 190) 


ri) del ventre (lara) >»: ma i Giapponesi usano più 
correntemente seppuku, che ha Io stesso significato, e 
che si scrive quindi con i medesimi ideogrammi, ma 
invertiti (sep = setsu = kiri, e puku==fuku  hara). 
— Il beri-beri deve il suo nome al singalese beri, « de- 
bolezza », essendo questa una delle consequenze di 
tale polineurite epidemica, diffusa in Estremo Orien- 
te, e dovuta all’alimentazione quasi esclusiva di riso 
brillato (avitaminosi). 


— 133 — 


Cd 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 
minili quelli di origine greca: es.: metropoli, crisi, 
stasi, ipotesi, sintesi, analisi, crisi, dieresi; tisi, clo- 
rosi, elefantiasi, ipodermoclisi; ed in gran DErte so- . 
no astratti. : 


sciah sLò scacco. 
mata -\o matto 


Na 


DE Di, 


. CÀ 


Ne 


Ì: Zeliose FRANC. 


! ica et 1 su. "” " 
\ a noi 

Ca 

i " Nrpa & a _Ò 


 S_Ò 
i MA XMATBI 


Lo «scacco matto » ‘non implica idea di follìa... 
(8 191) 


Nestia sostantivo italiano termina in -U non ac- 
centata. 

191. — Per il loro carattere fòrlico forte, sono 
‘ di genere maschile i sostantivi uscenti in vocale ac- 
centata: esempî: 


in -à: sofà, baccalà, podestà, scià (1), pascia, 


DIAGIIZ, 


UL, i 


(1) È il persiano sciah, da cui abbiamo avuto an- 
che gli scacchi: e l’espressione « scacco matto » ‘non 
ha nulla di folle, ma è il persiano sciah mate, « il Re 


/ i 134 ta 


I SOSTANTIVI TRONCHI 


gagà, ragià, maharagià (1), baccarà; —. 
in -è: caffè, tè, canapè, viceré, corsè, lacchè, 
gilè (2); 
in -ì: giurì, colibrì, lunedì, mariedì, mezzodì, 
cadì, ecc.; 


in -ò: falò, pagherò (« un pagherò »), oblò (3); 
in -ù: fisciù, caucciù, bambù. 


Fanno eccezione i nomi, quasi tutti astrat- 
ti) in -tà e -iù, che terminavaon in -fade (-tale) 
e -lude (- -tute), come città, verità, castità, ca- 
rità, virtù ,gioventù. Nell’Italia meridionale è 
frequente la forma està per estate. 


Per analoga ragione è femminile mercè 
(da mercede): 


« lo son ]atta da Dio, sua mercè, tale 
che la vosira miseria non mi tange » 
Unf., II, 91-92) 


È oramai introdotto nell’uso corrente il no- 


me della musmé, che è anch’esso femmini- 


le (4). 
— 192. — Sono maschili tutti i nomi terminanti in 
consonante: bar, bazar, radar, harem, nord, sud, est, 


è sorpreso ». Ciò spiega perché tale espressione abbia 
suoni simili anche in altre lingue: è lo stesso « matto » 
che si usa per distinguere il colore non brillante. 

(1) Non rajah e maharajah, con grafìa inglese, 
che spinge anche ad erronea pronunzia: l’indiano ra- 
gia significa « Re » (lat. rex, ablat. rege), e maharagia 
«gran Re». 

(2) Oramai corset e gilet hanno assunto forma na- 
zionale e l’uso li ha messi abbondantemente in circo- 
lazione. 

(3) I puristi ammoniscono che oblò non è buon 
italiano, e che si dovrebbe dire « occhio » o « portel- 
lino »: ma ogni cameriere di bordo riderebbe del pas- 
seggero il quale gli ordinasse di « chiudere l’occhio » 
o di « pulir bene il portellino ». 

(4) AI vocabolo nipponico musmé si è dato arbi-' 
trariamente un significato più o meno piccante, men- 
tre, nel paese di origine, vale « fanciulla » o « figlio- 
la »: la più borghese delle mamme giapponese dirà 
che ha futari no musmé, ossia « due figlie », come di- 
rà che ha sannin no muskò, ossia « tre figli maschi ». 


— 135 — 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


ovest, referendum, autobus, film, urang-utang, bùme- 
rang. 


193. — Sono maschili le note musicali, indipen- 
dentemente dalla loro terminazione: fa, la, re, mi, si, 
do, sol. 


194. — Analogamente possiamo adottare un cri- 
terio il quale disciplini l’incertezza che regna il me- 
rito alle lettere dell’alfabeto: si dice « una emme» o 
«un emme »? Allorché si voglia esprimere il « suo- 
no », sarà meglio considerar « maschile » qualsiasi 
lettera: ad es. «l’erre siciliano », « il c schiacciato », 
«un d raddoppiato ». 

Considerate come segno grafico, lianno fisonomia 
femminile le lettere il cui nome termina in -a, mentre 
sono da considerarsi maschili tutte le altre, ed in 
special modo quelle che hanno una terminazione ti- 
picamente maschile: « un’acca maiuscola », «la dop- 
pia zeta»; ma «un ipsilon maiuscolo ». L’uso ha fis- 
sato, con espressioni correnti, il genere di alcune let- 
tere: si dice infatti: « mettere i puntini sugli i», « un 
trave a doppio T:, «il doppio v », «l’i lungo ». 

Nel linguaggio matematico, si può dire 
«un x» e « una x ». Nel primo caso si inten- 
de piuttosto il segno grafico; nel secondo si 
allude all’« incognita ». 

195. — Sono maschili tutte le lettere greche, che 
nella lingua originale son tutte di genere neutro. 


Il rapporto fra diametro e circonîerenza si 
chiama « p greco », o « pi-greco », per distin- 
guerlo dal « pi » italiano, che ha lo stesso no- 
‘me (1). I 

196. — Si considerano maschili tutti i vocaboli 
e i gruppi di vocaboli «sostantivati »: «il perché », 


(1) Perciò è inutile la specificazione di « greco » 
nelle altre lingue, nelle quali il « p» nazionale ha un 
nome differente dal «pi» dell’alfabeto greco: in fran- 
cese basterà dire pi, poi che la lettera francece è pé; 
parimenti in tedesco a « das Pi »; in inglese la lettera 
latina è pe (pronunzia « pi »), mentre il @ è pi (pro- 
nunzia « pài »). 


— 136 — 


PIU’ CHE IL LETTERARIO INCHIOSTRO 


DI 


«il dolce far niente », «è vietato transitare sui pra- 
ti», «sono arrivati quando l’ite missa est era già 
passato », « al fre per otto si può sostituire un sei per 
quattro ». 


197. — Le speciali denominazioni, marche di 
fabbrica, tipo di merce, ecc. seguono il genere della 
parola che esprime la cosa: si dice perciò: « un Cin- 
zano » (intendendo vermut), « un bicchiere di buon 
Chianti » (vino); «una millecento » (vettura), « una 
diciotto-ventiquattro » (macchina o lastra o positiva 
fotografica); « una tre-cilindri » (vettura); « un Savoia- 
Marchetti» (aeroplano); «una tre-alberi» (nave); 
«una fuori-serie » (vettura), «un delizioso Lacrima 
Christi» (vino), «dell’autentico Vedova Clicquot » 
(vino sciampagna), « un elegantissimo tre-quarti » (ve- 
stito, mantello). | o 


198. — Il genere di un sostantivo può mutare 
con il tempo e per speciali eventi: nessuno dice più, 
oggi, «il Genesi », parlando del 1° libro della Bibbia. 
Dopo ia Grande Guerra, il nome fronte si è militar- 
mente mascolinizzato: « Colpito alla fronte, cadde 
sul fronte della IV Armata ». 

Né i puristi possono cancellare ciò che è stato: 
scritto assai: più indelebilmente che con letterario in- 


chiostro. 


— 137 — 


Il plurale è a onde corte 


(X) 


199, — Invece che maschile e femmi- 
nile, meglio si chiamerebbero solare e luna- 
re i due « generi » grammaticali, e quindi anche « so- 
lari » e «lunari» i sostantivi appartenenti all’uno © 
all’altro. 

Come già detto, (8 180), le due denomina- 
zioni « maschile » e « femminile » in uso nel- 
la terminologia grammaticale non significano 
infatti che l'appartenenza all'uno o all’altro 
« genere » sia necessariamente connesso con 
il sesso della persona, dell'animale o della co- 
sa che il sostantivo esprime. Un banco, un 
orologio, un capello o un locomotore, non 
hanno nulla di mascolino che li distinguano 
da una sedia, una clessidra, una barba ed una 
locomotiva: quei sostantivi son definiti « ma- 
schili » perché, grammaticalmente, seguono le 
regole vigenti per la classe di sostantivi alla 
quale, insieme con numerosissimi altri di tut- 
l'altra specie, normalmente appartengono i so- 
stantivi che significano individui maschi (u0- 
mo, leone, gallo) o considerati come tali (ser- 
pente, verme, granchio); invece la sedia, la 
clessidra, la barba e la locomotiva si compor- 
tano, grammaticalmente, come la donna, la 
leonessa, la gallina (e la faraniola, la lumaca, 
l’ameba). 

200. — Neppure le antiche e moderne nozioni 
di anatomia, fisiologia e genetica hanno determinato 
in modo decisivo l’attribuzione dei sostantivi all’uno 
o all’altro « genere » in considerazione della funzione 
e dei caratteri dell’uno o dell’altro « sesso ». 


— 139 — 


7 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


È maschile il seme (lat. semen, neut.), ve- 
getale o animale che esso sia (1), ma non in 


"i restate, 


“So i : Ù 
Arcane connessioni collegano î fenomeni umani — e 
quindi anche quelli linguistici — con i moti astrali... 
A) tavola astrologica medioevale di corrispondenze ed l 
influenze dello Zodiaco sulle parti del corpo umano. 
B) e C) «epatta» e é lettera domenicale » servono a 
stabilire le « feste mobili» cattoliche in connessioni 
con i periodi solari e lunari. — D) tracce di « raggi 
| cosmici» nella « camera di Wilson », alcuni dei quali 
curvati o deviati da un campo magnetico. (8 200) 
4 
(1) Gli antichissimi riconoscevano un semen an- 
che nella materia prima dei minerali (Lucrezio). 


— 40 


CONNESSIONI ARCANE 


quanto sia fecondatore, poi che è maschile 
anche l’uovo (lat. ovum, neut.), e lo è anche 
l’ovulo, mentre è femminile la cellula (1). At- 
tribuire all’etimologia fonetica le ragioni del- 
l'attribuzione all’uno o all’altro « genere » non 
îa che spostare il problema nel tempo, senza 
con ciò risolverlo. Probabilmente più vicine al 
vero erano quelle interpretazioni fisiologiche 
che stabilivano arcane connessioni tra i Îe- 
nomeni umani e quelli astrali (2). 


(1) Biologicamente, l’uovo, come l’ovulo è una 
cellula. 

(2) Tali connessioni vengono oggi definite strava- 
ganze « astrologiche » e ridicolizzate come « supersti- 
ziose »: ma «oggi non si ha più alcuna idea di quel 
che l’astrologia antica poteva essere, e persino coloro 
che han cercato di ricostruirla son giunti solo a vere 
contraffazioni, sia per voler fare di essa l’equivaiente 
di una scienza sperimentale moderna, poggiante sulla 
statistica e il calcolo delle probabilità, e quindi infor-° 
mata da un punto di vista che in nessun modo può 
esser quello dell'antichità e del Medioevo; sia per dar- 
si esclusivamente ad un teutativo di restaurazione di - 
un’« arte divinatoria », la quale fu solo la deviazione 
di una astrologia già prossima alla sua scomparsa, da 
considerarsi al massimo come una sua applicazione 
assai inferiore e ben poco degna di considerazione, 
come si può ancora constatare nelle civiltà orientali ». 
R. Guénon, La crisi nel mondo moderno, traduz. ital. 
I. Evola, Milano, 1937, pag. 108. — Il superbo di- 
sprezzo ostentato dalla «scienza» moderna verso la 
sconosciuta o misconosciuta antica saggezza non im- 
pedisce che si facciano oggi tentativi serî — o almeno 
qualificati tali — per distillare i dogmi e le norme di 
un’« astroterapia ». Non si negano, ma anzi si inda- 
gano i nessi tra macchie solari, raggi cosmici e feno- 
meni biologici, ma si ritiene inutile e « superstizioso » 
riconoscere ragioni profonde nel meccanismo del « ca- 
lendario ecclesiastico », reputando non degni di atten- 
zicne gli « arcani » motivi (arcani per la nostra igno- 
ranza) per i quali ia religione cattolica -- pur nemica 
dichiarata di ogni superstizione — continui a fissare 
le più importanti manifestazioni del culto, ossia le 
« feste mobili », con criterî astronomici, ossia « astro- 
logici» (nel senso non deformato del vocabolo). — 
Cfr. Clavius, Romani Calendarii a Gregorio XIII P. 
M. restituti Explicatio, Romae, 1603; — L. Ciccolini, 
Formole analitiche nel calcolo della Pasqua, Roma, 


gl 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


201. — Il latino considerava grammaticalmente 
femminili gli alberi, e ciò poteva apparir logico, in 
quanto la pianta può esser considerata la madre dei 
frutti, che in latino erano di genere neutro (1). In 
italiano, invece, i nomi degli alberi divennero ma- 
maschili, e femminili, in generale, quelli dei frutti: 
il ciliegio dà le ciliegie; si chiamano castagno l’albe- 
ro e il legno, castagna il frutto: così « il noce» e «la 
noce ». 


. I grammatici tradizionalisti strepitano a 
torto contro il nome arancio, verso il quale. 
sembra propendere la simpatia del popolo, 
specialmente nell’Italia centro-meridionale, Si 
può dire « ha mangiato un arancio », senza ti- 
more che si intenda « un albero di arancio », 
poi che si dice « ha mangiato un portogallo e 
un mandarino » (2). 

E non son frutta mascolinissime (gram- 
maticalmente) il fico, il cedro, il pistacchio, il 
limone, l'ananasso? La tendenza maschile 
ha forse la sua giustificazione nel colore ru- 
. bicondo, che ha polarizzato quel frutto verso 
il «genere solare », come il pomodoro.. 

Il latino arbor (îemm.) è divenuto albero, 
che è maschile. Forma antiquata è àrbore, che 
è maschile o femminile, a seconda del « sen- 
timento » con cui lo si usi: « Portano le galee 


1817; — Elementi del Computo Ecclesiastico, nel « Ca- 
lendario del R. Osservatorio e Museo Astronomico ‘di 
Roma », 1943, n. s., vol. XIX, pag. 29 e segg. 

(1) Il «pero» era pirus (femm.) e la «pera» 
pirum (neut.); così malus, « il melo », e malum, «la 
mela » « il pomo ». 

(2) Il francese distingue une mandarine (il frutto) 
da un mandarin (dignitario cinese). Quest’ultima deno- 
minazione non viene dal cinese (i Cinesi dicono kuan! 
o kuan!-fu3), ma dal portoghese mandarim « colui che 
comanda » (mandar= « comandare »); ed in porto- 
ghese il frutto è mandarino. Dal Portogallo (Portus 
Cale) vennero a noi i portogalli. 


1490 


RAGIONI CHE IGNORIAMO 


ordinariamente due arbori, quello di maestro 
e quello di trinchetto » (1); ma 

« di fiori onoraia arbore amica — 

le ceneri di molli ombre consoli... » 

(Foscolo, Sepolcri, 39-40) 
202. — Non ragioni botaniche o considerazioni 

del rapporto di maternità e di figliolanza, e nemmeno 
la termînazione in -us hanno determinato la masco- 
linizzazione degli alberi e la femminilizzazione dei 
frutti (2). Verisimilmente intervennero ragioni di al- 
tra natura (3). 

Furon probabilmente le medesime ragioni. 
. per cui mar ed aèr, entrambi neutri in latino, 
divennero «il mare» (masch.) e «l'aria» 
femm.). Così la terra (lat. terra, femm.) assor- 
bì anche #ellus (femm. non ostante la termi- 
nazione in -us); il latino ignis (« fuoco ») iu 
abbandonato, e venne adottato }ocus, che era. 
piuttosto il « focolare » e specialmente « il bra- 
ciere acceso per il sacrificio ». 

L’assegnamento all’uno o all’altro genere andreb- 
be ricercato piuttosto in ragioni « arcane», in un: 


(1) Pant. Nav., 47. 

(2) Mascolinizzandosi, populus (femmin.; genit. 
populus) divenne «il pioppo». — La facile confu- 
sione con populus (masch.; genit. populi), « popolo » 
fece sì che a Roma si chiami Piazza del Popolo quel- 
la che dovrebbe essere « Piazza del Pioppo», così 
chiamata per un pioppo stregato, creduto sede dello 
spirito di Nerone, e che fu abbattuto da Pasquale II 
nel 1099 per erigervi una cappella, più tardi ingrandi- 
ta nella chiesa di S. Maria del Popolo. — Cfr. T. 
Ashby, The Piazza del Popolo, Rome, nella « Town- 
planning Review », dic. 1924, XI, pag. 73 e segg. — 
Î VE i Piazza del Popolo, Roma, Palombi, 
1946]. 

(3) Ignoriamo i criterî in base ai quali i varî al- 
beri fossero consacrati a questa o quella divinità: il 
cipresso a Plutone, la quercia a Giove, l’alloro ad 
Apollo: si decorava con corona di quercia chi aves- 
se salvato la vita ad un cittadino romano; di alloro 
si cingevano il capo i flamines in determinate feste; 
con rami di alloro si decoravano i ritratti dei geni- 
tori e degli avi defunti. 


n agi 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


‘tempo nel quale l'istinto popolare manifestava an- 
‘cora più potentemente la sua « sensibilità collettiva », 
la quale è qualcosa di assai diverso dalla somma del- 
le sensibilità individuali (1). 


Nel periodo in cui la lingua italiana anda- 
va formandosi, agivano sulla sua formazione 
influenze tipiche, che del resto caratterizza- 
no tutte le manifestazioni ed attività di tale 
periodo. 

Nel suo «Cantico delle Creature», S. 
Francesco poteva lodare il Signore nel nome 
di « frate ventu » e « frate focu », per « sora 
acqua » e per « sora nostra matre terra »: que- 
sta « mascolinità » e « femminilità » hanno un 
vero e proprio carattere cosmico. Siamo pro- 
prio nel periodo in cui il più alto fervore mi- 
stico e, insieme, il più rigoroso ragionamento 
collaborano ad intendere e sentire le grandi 
leggi armoniche che reggono il Creato ed han- 
no il loro riflesso nello spirto umano (2). 


(1) «Les représentations appelées collectives... 
sont communes aux membres d’un groupe social don- 
né; elles se transmettent de génération en génération; 
elles s’imposent aux individus et elles éveillent chez 
‘eux, selon les cas, des sentiments de respect, de crain- 
te, d’adoration, etc. Elles ne dépendent pas de l’in- 
dividu pour existér, mais parce qu’elles se présentent 
avec des caractères dont on ne peut rendre raison par 
la seule considération des individus comme tels. C’est 
ainsi qu’une: langue, bien qu’elle n’existe, à propre- 
ment parler, que dans l’esprit des individus qui la. 
parlent, n’en est pas moins une réalité sociale indu- 
bitable, fondée sur un ensemble de représentations 
collectives. Car elle s’impose à chacun de ces indivi- 
dus, elle lui préexiste et elle lui survit ». L. Lévy- 
Biiihl, Les fonctions mentales dans les sociétés infé- 
rieures, Paris, Alcan, 1910, Introd. 

(2) San Francesco muote nel 1226, ossia nell’an- 
no stesso in cui nasce S. Tommaso d’Aquino; e que- 
sto colosso della filosofia muore (1274) nove anni pri- 
ma della nascita (1265) dell’autore della Divina Co- 
media, tutta permeata di tomismo, (e non soltanto 
nella sua concezione filosofica e religiosa, nia anche 
in quella estetica e sentimentale). In questo periodo si 
forma e consolida la lingua italiana. 


iL VI 


I DUE GENERI: SOLARE E LUNARE 


203. — Le denominazioni «genere solare» 
“e «genere Iunare» si intonano alla concezione 
‘ sacra, ed hanno bellezza di poesia. 


Queste due nuove denominazioni, proposte 
dalla grammatica rivoluzionaria, non appari- 
rarino più stravaganti di quel che sia l’analo» 
ga ripartizione delle consonanti arabe in « lu- 
nari » e «solari» (1). | | si 


ò fitog 


O 


SOL 


SECITIO 


| i Do 

1. &ile ODI cosesa NV 

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n SEE, tutte le cose ge9, po 
ARA 19 CLCELCÌ 
stiro 159 | coecao 
ses ant rv! OSO 
id LI 
so oee0O | veosese. 


|. Tutte le cose e tutti i fenomeni son dipendenti da un 
.| «dualismo » affermato dai più diversi sistemi cosmo- 


gonici e filosofici. (8 203) 


. (1) Le consonanti arabe si ripartiscono in «so- 
lari» e «lunari» non perché abbiano diretta connes- 
sione con i due astri, ma perché posseggono o non . 


_— 145 — 


.- Io 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


{ 


204. — I «generi» grammaticali sono impor- 
tanti perché rivelano, anche nel campo linguistico, 
quel « dualismo » che, da Platone in poi, è servito di 
base a quasi tutti i sistemi filosofici più solidi e per- 
manenti. 


Nella cosmogonia cinese, tutte le cose esi- 
sienti (Warn+-wu*, le « diecimila cose », le « in- 
numerevoli cose») e quindi tutti i fenomeni 
dipendono dall’azione dei « due principî: yang? 
e yin', attivo e passivo, energia e materia, lu- 
ce ed ombra, ecc.: e questi trovano un riflesso 
nel po e mo tibetano, nello J0h e in nipponi- 


ci (1). 


205. — Con questi criterî. un nesso può esser 
ricercato, con reciproca influenza, tra suono e « ge- 
nere », intendendo però questo non nel senso di « ses- 
so» ma in quello di ampia ripartizione dualista, nel- 
la quale rientra (ma non tutta occupandola) anche la 
distinzione dei sessi (2). 


posseggono quella « energia assimilatrice » che agi- 
sce nell’iniziale del vocabolo «sole » a contatto con 
la liquida (/îm) dell’articolo (al+sciams= assciams), 
energia che l’iniziale del vocabolo «luna» non pos- 
siede (alt qgàmar resta inalterato). 

(1) La terminologia moderna cinese e giapponese 
si serve di questi due nomi per formare anche i vo- 
caboli speciali di elettrotecnica (« positivo » e « nega- 
tivo »). Tutta la medicina «classica » cinese — che 
è ora in pieno rifiorire in tutto l’Estremo Est — si basa 
sullo yang? e lo yin!. Importantissimi sono gli studî 
che si fanno in Giappone, a scopo scientifico e tera- 
peutico. N. Sakurazawa estende il valore dello yang? 
e dello yin! anche nel campo delle vibrazioni lumi- 
‘nose: il dr. T. Nakayama in quello della biochimica. 
— Cfr. T. Nakayama, Acupuncture et médecine chi- 
noises vérifites au Japon, in « Hippocrate », Paris, 
« déc. 1933, I, 5, pag. 1109 e segg. — Utilmente gli 
studî vanno estendendosi nel campo dell’acidità e al- 
calinità fisiologiche, con una originale e chiarificante 
interpretazione estremo-orientale del « pH ». 

(2) Il latino sexus significa propriamente « divi- 
sione », « ripartizione », per la sua affinità con « sec- 
LIO ». 


— 146 — 


Ut, III 


« -A », TIPICAMENTE FEMMINILE 


* * %* 


206. — La natura « melodica » della pronunzia 
latina faceva sì che la vocale finale avesse valore so- 
prattutto per la sua « quantità », ossia per il « tono » 
con cui veniva detta (1). 

Già però la finale -a si afferma in latino come 
caratteristica femminile, ossia « lunare » (2). 

_In italiano, avendo maggior valore il timbro 
della vocale, (cioè indipendentemente dal « tono ») la 


finale -a è ancor più tipicamente femminile (vedi 


8 186). 

La vocale a è la più pura e più semplice; 
è pronunziata con gli organi Îonatorî nello 
stesso atteggiamento che essi hanno nella po- 
sizione di riposo: per pronunciarla, basta aprir 
la bocca ed emetter la « voce », senza alterare 
la forma delle labbra né collocare in modo 
speciale la lingua (3). 

Per tale sua «inerzia »», ben le si addi- 
rebbe la qualifica di « lunare ». 


Ben differente è invece l’articolazione della vo- 
cale o, che nella sensibilità acustica italiana si affer- 
ma come finale tipicamente « maschile », ossia « so- 
lare ». 


. (1) La voce, cioè, si alzava o si abbassava: « Na- 
tura vero prosodiae in eo est quod aut sursum est 
aut deorsum: nam in vocis altitudine omnino specta- 
tur ». Schoell, De accentu linguae latinae veterum 
grammaticorum testimonia, Leipzig, 1902, pag. 75. 

(2) Maschili in -a son in latino parecchi nomi co- 
muni e proprî di individui maschi, nomi di popoli e 
di fiumi, parecchi dei quali assumono terminazione 
maschile in italiano, oppure femminilizzano il signi- 
ficato: agricola, l’« agricoltore »j scriba, lo « scriva- 
no »; conviva, il « convitato », l’« invitato »; Persa, il 
« Persiano »; — il fiume Mosa, che è maschile in la- 
tino, diventa «la Mosa»; il maschile Sequana diven. 
ta «la Senna», ecc. — Cfr. A. Dauzat, Les noms des 
Lieux, origine et évolution, Paris, Delagrave, 1932, 
pag. 197-198. 

(3) Più diffusamente questi argomenti verranno 
trattati nel volume di fonetica, pronunzia e grafìa. 


— 147 — 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


Le labbra assumono infatti il massimo del- 
l'arrotondamento, la lingua arretra verso il 
palato molle (velo palatino: vedi fig. a pag. 
63): il suono è grave. 

207. — Questa « polarizzazione » della vocale fi- 
nale verso i due generi persiste, ma in modo diverso, 
nelle varie lingue neolatine. 


Son terminazioni tipiche rispettivamente 
« maschile » e « femminile » le finali -0 ed -a 
in spagnolo e portoghese; in francese, l’-0 si 
perde e l’-a si attenua in un suono torbido (e 
muta): in rumeno si ha il fenomeno misto dei 
due: 


latino ital. spagnolo franc. rumeno 
portogh. 


portus porto puerto pori pori 
poria poria puerta porie poarta 


* * * 


208. — l’indole musicale della lingua italiana, 
e quindi l’istinto collettivo del popolo a risolvere 
« vocalicamente » i problemi grammaticali, appaiono 
evidenti nel genialissimo e scientificamente razionale 
espediente per formare il plurale. 

Il plurale dei sostantivi italiani è espresso dalla 
finale vocale -i. 


La pluralità degli oggetti rappresentati in 
parole troverebbe la sua più semplice espres- 
sione ripetendo tante volte il sostantivo quan- 
ti sono gli oggetti che si intende esprimere: 
così libro significherebbe « il libro » 0 « un li- 
bro », librolibro «due libri », librolibrolibro 
« tre libri », e così di seguito (1). Ma tale si- 


(1) Alcune lingue hanno il plurale per raddop- 
piamento, ma soltanto in casi speciali e si tratta piut- 
tosto di un «plurale generale »: così, ad esempio, il 
cinese kuo? « paese », forma kuo!-kuo?, « tutti i paesi », 
«i varî paesi »; nello stesso senso il giapponese for- 
ma kuni-guni da kuni, « paese »: e toki-doki, « spesso, 
di quando in quando », da toki, «tempo, volta »; 


— 148 — 


2A A F‘FZ[(‘1ZI 


«-1», VOCALE DEL PLURALE 


stema non sarebbe fonicamente economico (1). 
Genialmente, l'italiano — istintivamente — 
invece che aumentare i in tal modo il vocabolo, 
aumentò al massimo il numero delle vibrazio- 
‘ni della vocale finale scegliendo appunio quel- 
la a « frequenza » più alta, ossia la vocale -i. 


La vocale -i è tipica desinenza del plurale ita- 
liano perché è il suono più acuto, ossia a ciclo più 
alto. 


209. — Il latino aveva due terminazioni 
tipiche per il plurale: in -i ed in -s, ossia vo- 
calico e consonantico: nella grande concorde 
evoluzione, l'italiano ha portato alla desinen- 
za -i anche quei sostantivi che, in latino, ave- 
vano la terminazione plurale in -S: così lupus, 
plur. lupi rimase lupi, ma anche piscs, plur. 
pisces divenne pesci. 


Lo spagnolo e il portoghese seguirono le 
via consonantica, unificando nell’uscita in -S 
tutti i plurali: anche quelli che in latino usci- 
pe in -i: spagnolo /obo, « lupo », /obos, « lu- 

ì »; pez, « pesce», peces, « pesci »; portog. 
lobo, lobos; peixe, peixes. 


tokoro-dokoro «varî posti», da tokoro, «luogo »; 
nichi-nichi, «ogni giorno », da nichi, «giorno». Il 
giavanese anche: ad es.: dongèng «racconto », don- 
géng-dongèng « racconti d’ogni sorta »; woh « frutto », 
woh-woh, « varie specie di frutta »; e persino con pa- 
role straniere: /ampu, « lampada », lampu-lampu, « lam- 
pade d’ogni specie ». Si pensi anche al valore di plu- 
ralità continuativa che è nel nostro «eccetera ecce- 
tera »: e nel continuativo onomatopeico della locu- 
zione familiare francese «et patati et patata» allu- 
sivo ad un discorso interminabile. -— Cfr. Toddi, Gui: 
da alla lingua francese viva parlata e scritta, Milano, 
Ceschina, 1936, pag. 418 — e L. E. Kastner & J. Marks, 
A Glossary of Colloquial and Popular French, Lon- 
don, Dent, 1930, pag. 279. 

(1) La parola è « un simbolo dell’idea » e il sim- 
bolo «exprime simplement d’une manière économi- 
que un acte que l’on juge trop grave pour l’accomplir 
en réalité ». P. Janet, L’intelligence avant le langage, 
Paris, Flammarion, 1936, pag. 97. 


— 149 — 


LADEN POT ARR ER RAT SATTA NA TAR e anta ara 


ARAN APCRAA TRAVIANZE BI AA RAS ANO 


ve e afro eni ae i e rei iau 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


:210. — Il suono «s» (0 meglio «rumore ») è 
tra le consonanti ciò che il suono «i» è tra le vocali. 
(vedi nota al 8 174) (1): 


211. — Alla regola generale della formazione 
del plurale con la desinenza in -i sembrano far ecce- 
zione i sostantivi femminiti in -a, i quali hanno il 
plurale in -e. | 

L’eccezione è apparente, poi che questa -e non 
è che la risultante di a+i. 


La desinenza -i esprime il plurale. Per indicare più 
cose, si usa la vocale che ha più vibrazioni. (8 206) 


(1) In portoghese l’s finale si pronunzia « SC » 
(come nell’italiano « scìa »): anche così palatizzata la 
sibilante è efficace e penetrante, e la si usa per im- 
porre silenzio. 


— +150 = 


L’« A» NON FEMINEO 


Il suono vocalico e è prodotto dagli orga- 
ni fonatorî in posizione intermedia fra quella 
necessaria per emettere il suono a e quella 
che serve per produrre il suono i. Nell’alîa- 
beto sànscrito — che è disposto con criterî Îfo- 
netici — tale suono non è considerato vocale 
semplice ma « dittongo »: e il suono vocalico 
lungo ad esso corrispondente è al. 


Ha $i Su Hr dll 
Has: dar 
de Fai) Flo =au) 

Vai cai) Il au eau) 


In sanscrito, la: vocale e è un dittongo (=a + i) 


(8 211) 


semplici 


idittonghi 


212. — Non formano il plurale in -e, ma in -i, 
ossia perdono l’-a del singolare, quei sostantivi nei 
quali tale suono -a non esprime la femminilità (0 
« lunarità ») del vocabolo. 

Questa è la ragione per la quale i « maschili » in 
-a hanno il plurale in -i: artista (masch.), pliur. arti- 
sti; ma artista (femm.), plur. artiste. 


* * %* 


213. — Rimangono inalterati al plurale i sostan- 
tivi — maschili o femminili che essi siano — i quali 
già hanno -i come vocale finale al singolare: perciò 
si dice e scrive «i brindisi, le tesi, le sublimi estasì ». 


214. — Rimangono inalterati al plurale i sostan- 
tivi femminili in -ie provenienti dalla IV declinazio- 
ne latina, come serie, specie, canizie, superficie (lat. 
series, species, canities, superficies). | 


— 151 — 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


Quest'ultimo fa però anche, e oggi lo si 
preferisce, superfici. 

Il sostantivo moglie fa mogli, giacché deriva da 
mulier. 


‘ 215, — I] due i che risulterebbero dalla modifi- 
cazione della vocale finale in -i dopo un -i- preceden- 
te si unificano: perciò abbiamo mogli e non moglii, 
superfici e non superficii; così anche nei maschili 
figlio fa figli; occhio fa occhi. 

216. — A maggior ragione scompare il segno -i- 
quando, al singolare. serve soltanto ad indicare il 
suono schiacciato (palatale) del c o g precedente: per- 
ciò: sorcio, sorci; orologio, orologi. 


217. — Però l-i- va conservato: 


a) quando sia accentato: leggio, leggîi; 

b) quando l’ometterlo potrebbe generare equi- 
voci: principio, principii; (per non confonder con 
prìncipi, da principe). 

La grafla -ii non è economica: oggi vien. 
sostituita con -î. L’uso dell’î lungo (principj) 
è antiquato: in un testo moderno o in un gior- 
nale fa l’effetto anacronistico di una biga in 
una stazione ferroviaria. ; 

Si può usare la grafia -î anche per espri- 
mere una maggior accuratezza di pronunzia, 
allorché appunto il suono della parola impli- 
ca un prolungamento, poi che l’-i finale è pre- 
‘ceduto da un -i- tematico: es.: Umversità degli 
Studî. E talora è bene mantenere distinti i due 
i: es.: «i carmi dei Salli». 

218. — Nei nomi femminili scompare l’-i- che 
sia puro segno grafico indicante la palatizzazione del 
_c o del g precedente: guancia fa guance; frangia fa 
frange; spiaggia fa spiagge. 

Si conserva però l’-i- quando abbia l’accento: 
magìa fa magìe; farmacia, farmacie. | 


. La si conserva anche in provincia (provin- 
cie) per reminiscenza dell’amministrazione 


— 152 — 


« PATER FAMILIAS » 


romana (1); in reggie (da reggia) per non 
confondere con la voce verbale « egli regge). 

Si conserva l’-i- anche in tutti quei nomi femmi- 
nili nei quali esso sia preceduto da vocale: acacia, 
acacie; socia, socie; camicia, camicie (2); valigia, va- 
ligie; guarentigia, guarentigie; minugia, minugie. 

219. — Assai perplessi sono i grammatici per i 
plurali dei sostantivi maschili in -co e -go, non aven- 
do sinora potuto escogitare una norma direttiva, atta 
a stabilire quando il plurale debba essere in -chi e 
-ghi e quando in -ci e -gi. 


Tutte quelle finora formulate contemplano 
tante eccezioni da perdere il valore di «re- 
gola ». 

Unica guida sarà. un buon dizionario, il quale av- 
vertirà ad es., che cuoco, fuoco, fungo, valico, chi- 
rurgo, ecc. fanno cuochi, fuochi, funghi, valichi, chi- 
rurghi, mentre porco, amico, traffico, medico, antro- 
pofago fanno porci, amici, traffici, medici, antropo- 
fagi. Mago fa maghi (però «i Re Magi»). 


Piccola consolazione è sapere che tutti i 
nomi in -òlogo (di derivazione greca e indi- 
cante scienziato specializzato) fanno in -gi: 
feologi, filologi, otorinolaringologi... 

220. — Importanti sono i due plurali anomali 
uomini, da uomo, e dèi da Dio. 


(1) Alcune forme antiquate restano appunto per 
affermare una tradizione: il latino pater familias man- 
‘tenne la forma arcaica perché essa fosse simbolica 
custode della tradizionale autorità paterna e della 
santità familiare: questa forza sentimentale ed espres- 
siva dell’eccezione non fu capita dai profanatori della 
grammatica latina: (Schultz e seguaci) i quali si limi- 
tarono ad elencare le eccezioni, con burocratica in- 
sensibilità al grandioso fenomeno. — La forza socia- 
le della nazione inglese ha la sua espressione lingui- 
stica nel fatto che «l’inglese si scrive come all’epoca 
Tudor e si pronunzia come all’epoca vittoriana »: co- 
sì due potenti epoche si perpetuano nel linguaggio e 
nella grafìa. 

(2) Invece camice fa camici, e la distinzione è 
utile per due vocaboli di significato affine ma distinto. 


— 153 — 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


Però morologo fa monologhi, perché non 
si tratta della persona. E così dialogo. 


Come spiegazione non basta il riferirsi al 
latino homo e homines, poi che i sostantivi 
italiani, normalmente, non si son formati dal 
nominativo ma dall’accusativo o dall’ablativo: 
da leone(m) e non da leo si è avuto il /eone, 
da ordine(m) e non da ordo l'ordine. Ma, nel 
mistico e possente Medio-Evo, calunniato 
quanto misconosciuto (1), l'aderenza della vi- 
ta con la fede ed il culto rendeva vivo il voca- 
bolo evangelico homo. Considerare questo sin- 
golare « irregolare », senza motivarlo è tra- 
scurare un fenomeno significativo, espressio- 
ne intensa di un’epoca (rivedi nota al $ 216): 
è come visitare una città e volerne intendere 
la storia medievale senza neppur sbirciare la 
cattedrale. 


Analoga spiegazione va data del plurale 
« irregolare » dèi, sebbene qui il fenomeno sia 
inverso: deus divenne « dio », come meus di- 
venne mio (2); ma il sentimento religioso eb- 
be il suo riflesso sulla lingua: il Dio della 


————— 


(1) « Nel 1179 Alessandro III prescrisse che ogni 
chiesa cattedrale avesse un maestro, «il quale istruis- 
se gratuitamente i chierici e gli scolari poveri nella 
grammatica e nelle arti »; particolarmente per le chie- 
se metropolitane prescrisse che il grammatico fosse 
distinto dal teologo e che questi tenesse lezione an- 
che per j laici. Forse in quest’ultimo ordinamento si 
deve cercare la causa dell’eminente cultura teologica 
di uomini laici che tutto seppero il profondo sentire 
cristiano che tanta luce irradiò sui genii italiani del- 
l’ultimo Medioevo, e fu poesia inarrivabile in Dante, 
fu arte sublime in Arnolfo di Cambio, in Giotto, in 
Nicola Pisano: era l'armonia del divino e dell’umano, 
che risplendeva nei genii in cui tutto era luce, e che 
il cosiddetto oscuro Medioevo possedette ben più che 
il secolo dei lumi ». G. B. Nigris, Zl Medioevo, Mila- 
no, Vita e Pensiero, 1933, pag. 49. 

(2) Vedi D’Ovidio-Meyer Liibke, Grammatica sto- 
rica della lingua e dei dialetti italiani. Milano, Hoe- 
pli, 1919, pag. 60. 


== 


° 


V'È UN SOLO DIO 


nuova fede non poteva avere «plurale: dii sa- 
rebbe suonato eresia: e perciò Îu detto dèi, 
alla latina, come si disse e sì dice dea, alla 
latina, lasciando pagani i due vocaboli, poi 
che pagane eran le idee espresse. Infatti Si 


può e si deve anzi dire Dii soltanto in senso 


negativo, allorché si afierma che « le tre Per- 
sone della SS. Trinità non sono tre Dii, ma 
un solo Dio». Solamente in tale accezione 
(negativa), si può avere il plurale grammati- 


cale e concettuale di Dio: il plurale dèi è tut- 


l'altra cosa: lo sì scrive infatti con la minu- 
scola, e sentiamo che, parlando di una singo- 
la divinità pagana, è ‘preferibile dire « Giove, 
sommo tra gli dèi », anziché « Giove, sommo 
dio dell’antichità ». È più chiaro, più ‘ortodos- 
so e più consono alle ragioni che hanno deter- 
minato la distinzione tra Dio e dèi, distillando 
istintivamente nella differenza formale un in- 
tero brano di Summa Theologica e di fede (1). 


In questo periodo formidabilmente signiîi-, 


cativo e plasmante per noi Italiani, si è for- 
mato, con materiale linguistico pagano (mea 
domina), il nostro Madonna, mentre il senti- 
mento e il fervore d'arte traducevano le fede 
in capolavori tali che il vocabolo si irradiò, e 
permane gloriosamente italianissimo, in tutti 
gli idiomi civili. 

221. — Maschili al singolare, hanno il plurale 
, femminile i due sostantivi uovo e miglio, con la de- 
sinenza -a: uova, miglia. 


(1) La dottrina dei rapporti tra ragione e fede ha 
la più chiara formulazione in S. Tommaso: «il fer- 
vore mistico di cui è pervaso il suo spirito non gli 
impedisce di mantenere ‘al ragionamento un assoluto 
rigore: logico, e l’uso dell’argomentazione sillogistica, 
esente da ogni vano formalismo, e spesso addolcita da 
esempi e allegorie, aggiunge vigoria e precisione alla 
dimostrazione. L’equilibrio della mente di S. Tomma- 
so si manifesta in ogni aspetto della sua sintesi ». 
L. Stefanini, // pensiero antico e medioevale, Tori- 
no, S.E.I., 1940, pag. 185. 


— 155 — 


III NI OLII I PARI PARO RIE ICI PEARSON E Ca IERIOT, SEE 


I sparitazana 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


La desinenza -a del neutro plurale (ovum, 
plur. ova; — millum e mille, plur. milia) ha 
prodotto questa îemminilizzazione. L’eteroge- 
neità del plurale crea dei con!rosensi appa- 
renti nell’uso: si deve infatti dire: « delle due 
uova fresche, egli ne ha mangiato uno solo », 
e « molte miglia delle quali il primo è stato 
percorso... ». 


222. — Parecchi nomi in -o, maschili al singo- 
lare, hanno al plurale, oltre la forma regolare, un’al- 
tra forma femminile in -a, generalmente con signi- 
ficato lievemente o fortemente diverso (1). 


Così fempo ha il plurale fempi, e anche 
fempora, nel significato esclusivo, però, dei 
quattro giorni di digiuno prescritti dalla Chie- 
sa all’inizio di ciascuna stagione (2): «le 
Quattro Tempora ». 


Parimenti: 


membro, plur. membri; ma son «le 
membra » quelle del corpo; 


(1) La grammatica rumena considera neutru ogni 
sostantivo che sia « de un gen la singular si de alt gen 
la plural»: es.: vin, « vino », vinuri, « vini», vinurile, 
« i vini »; amor, amori, amorile; bal (« ballo »), baluri, 
balurile; amestec (« miscuglio »), amestecuri, ameste- 
curile; ecc. 

(2) Le Quattro Tempora ebbero inizialmente ca- 
rattere eucaristico per ringraziare Iddio dei frutti del- 
la terra e fargliene quasi sacrificio per mezzo del di- 
giuno. Nelle ricorrenze e feste cattoliche «tutto fu 
così ben disposto e alle singole circostanze adattato, 
cerimonie, parole, canto e ogni altra esteriorità, da 
far penetrare profondamente nell’animo i misteri e le 
verità, o i fatti celebrati, e da muoverlo ad affetti ed 
azioni corrispondenti. Se i fedeli fossero ben istruiti 
in proposito e celebrassero le feste con lo spirito vo- 
luto dalla Chiesa nell’istituirle, si otterrebbe una rin- 
novazione e un accrescimento notevole di fede, di 
pietà e di istruzione religiosa, e, per conseguenza, l’in- 
tera vita dei Cristiani ne uscirebbe rinvigorita e mi- 
gliorata ». Catechismo di Pio X, Append. II. 


— 156 — 


DA «LE OSSA » A «LE PECCATA » 


muro, plur. muri, ma son mura quelle di 
una città, di una fortezza, o anche di una ca- 
sa, se considerate nel loro i insieme; 

osso, plur. ossî, ma son «le ossa » quelle 
del corpo, se considerate nel loro insieme, o 
di un membro, oppure quelle di grandi ani- 
mali. 


. Perciò si dirà:' 
« i due membri di un'equazione », « il co- 


mitato si compone di sette membri effettivi », 
ma « quel bimbo ha le membra gracilissime »; 


ca « è vieato scrivere sui muri »; ma «fra le 


mura di un convento »; 


« O patria mia, vedo le mura e gli archi... » 
(G. Leopardi, All’Italia, 1) 


« mangiar la polpa e lasciar gli ossi », ma « le 
ossa del cranio »; — « è proprio lui in carne e 
Ossa », 
«un Sasso 
che distingua le mie dalle injinite 
ossa che in terra e in mar semina Morle ». 
(U. Foscolo, I Sepolcri, 14-15) 


Un buon vocabolario dà gli opportuni av- 
vertimenti per l’uso corretto, e indica quelle 
locuzioni nelle quali il plurale regolare non è 
ammesso: sarebbe infatti ridicolo sostituire 
con i plurali regolari maschili quelli femmi- 
nilizzati in -a delle locuzioni seguenti: 


« leccarsi le dita »; 

« avere il lalte alle ginocchia »; 
«Jar saltar le cervella »; 

« roba da far cascar le braccia »; 
« gli Ja le corna »; 

« volger le terga »; 


poeticamente, in Dante: 


«E quel conoscitor delle peccata » 
(Inf., V, 9) 


AIAR rr ani 


IT TI dI TON NOTIFICA 


rn grI Zona; 4 


RR e PILATO LOTITO IERI ONION 3» Maga 


ISIN PARI NEMENTORI RINT 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


223. — Non hanno forma differente per il plu- 
rale, ossia non mutano nei due numeri tutti quei 
sostantivi la cui vocale finale non è passihile di mu- 
tamento: e cioè: 


a) i sostantivi uscenti in vocale tronca; 


Il troncamento implica la perdita di una 
sillaba, nella quale avveniva il mutamento: 
virtù è abbreviazione sia di virtute che di vir- 
tuti; città può significar citfade o ciltadi; an- 
che il monosillabo Re è abbreviazione di Rege 
odi Regi. 

I sostantivi a vocale « tronca » perché per- 
cossa tonicamente non possono alterare que- 
sta tipica vocale (1): si ha perciò « gli scià », 
«i caffè », «i falò », « gli gnu» (2). 


b) i sostantivi in consonante; 


- È erroneo dire e scrivere «i filmi », poi 
che non si dice o scrive « gli haremi », «i ba- 
zari » o «i trami »; ma è non meno erroneo, 
oltre che antinazionale, scrivere «i films», 
« gli sporfs », con una desinenza plurale che 
non è italiana e non è pronunziata. 


c) le parole sostantivate ossia che han- 
no solo « funzione » di sostantivo, ma non ne 
‘hanno acquistato la natura e le proprietà: 


Si deve perciò dire «i quando e i come »; 
« | distinguo »; «1 bravo! »: «1 bene! »j «I 
bis ». 


(1) La lingua inglese, per la quale la vocale fina- 
le non dittongata è rara, la isola graficamente nel 
piurale: e ciò spiega perché il plurale di potato, do- 
mino, negro sia potatoes, dominoes, negroes, mentre 
fanno regolarmente boy, day, key, bee (boys, keys, 
bees). La vocale in fine di parola ha in inglese valore 
tonale simile alla nostra accentata. 

(2) Il nome di questa antilope africana, derivato 
dalla lingua ottentota, va pronunziato cen il g duro 
(ghnu) e non con il suono gn come in « sogno ». Abu- - 
sivamente gli Inglesi lo pronunziano « niù ». 


— 158 — 


PROPRIETA TIPICHE DEI VOCABOLI 


A questa categoria appartengono i tre so- 
stantivi vaglia, boia e domino (1). 

d) i cognomi e i nomi proprî usati come 
tali, ad indicare individui di una stessa fami- 
glia o di uguali qualità fisiche o morali: 

Si dirà perciò: « i Bentivoglio », «i Colon- 
na», «i Savoia »s — «Î Pietro e i Paolo », 
« sono altrettanti San Tommaso », « due veri 
Quasimodo », « fre autentici Barabba ». 

L’uso è incerto sui due plurali possibili: 
« due ottimi ciceroni » o « due ottimi cicero- 
ne ». È evidente che, trattandosi di persone che 
servon da guida nelle visite dei musei o delle 
città, si dirà «due ciceroni », come si dice 
« due automedonti » (2); mentre di due orato- 
ri, valenti quanto Cicerone si dirà « due Cice- 
rone », lasciando questo nome al singolare e 
scrivendolo-con l’iniziale maiuscola. 

e) a maggior ragione sono invariabili i cogno- 
mi e nomi di scrittori ed artisti quando significano 
le loro opere: «alcuni magnifici Carpaccio », « due 
Tasso in elzeviro e tre Ariosto in-folio ». 


I nomi delle gentes e delle familiae latine 
‘hanno però il plurale regolare: «i Giulil », 
(quelli della gens Julia), «i Claudii » (della 
gens Claudia). 


(1) Il nome vaglia è propriamente voce del ver- 
bo valere, ossia valga (="« abbia il valore di lire... »). 
Sconosciuta è l’etimologia del sostantivo boia, e quin. 
di ignota è la causa della sua invariabilità grammati- 
cale. — Il gioco del domino deve il suo nome al rin- 
graziamento che i giocatori (originariamente i mona- 
ci che lo avevano inventato) pronunziavano alla fine 
della partita: « Laus Domino! ». È dunque un dativo 
e non un nominativo. Ciò prova come i vocaboli con- 
servino delle proprietà tipiche, all’insaputa di coloro 
che li adoperano. — (E il gioco prova pure che si 
può servire il Signore ed onorarlo anche con il gio- 
co, specialmente in una religione che prescrive di 
« servire Domino in laetitia »). 

(2) Come il cicerone deve il suo nome al celebre 
Marco Tullio, così l’automedonte perpetua quello del 
guidatore del cocchio di Achille. 


— 159 — 


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GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


f) i sostantivi — in massima parte neologismi 
. tecnici — che han forma abbreviata o sintetica (vedi 
8 184-e e 197): es.: «le foto», « due Cinzano », « po- 
tenti dinamo », « alcune moto », «tre o quattro mi- 
tra»; i 

g) i nomi delle lettere dell’alfabeto italiano o 
di quello greco, anche se bissillabi o trissillabi: « le 
acca », (o « gli acca, vedi 8 194), «due enne», « gli 
omega » (1); | 


Quelli di una sola sillaba sono invariabili 
anche perché rientrano nella categoria a), ter- 
minando in vocale necessariamente accentata 
perché unica. 

Per la stessa ragione è inutile elencare a 
parte, come invariabili, le note musicali: «i 
ja», «ire»,«i sol» (uscente in consonante). 

h) i nomi composti, dei quali la seconda parte 
sia un sostantivo diretto dalla prima parte del com- 
posto stesso. 


Generalmente questo secondo elemento del 
composto è già un sostantivo in forma plura- 
le: « il portasigarette », «i portasigarette »; il 
guardacoste, un mangiapreti, un serrafili, un 
cavatappi, un caccialorpediniere, un lanciasi- 
luri, un acchiappanuvole, un fagliacarie, un 
copialettere, ecc., tutti invariabili al plurale. 
Alcuni però hanno il secondo elemento al sin- 
golare, ma ciò, generalmente, non impedisce 
l’'invariabilità: il reggipetto, i reggipetto; il pa- 
rabrezza, i parabrezza; il portalampada, i por- 
falampada; e così sono invariabili lo stringi- 


(1) È corretto pronunziare « òmega » e non « omè- 
ga », poi che si scrive come parola unica (in greco è 
«o méga», ossia «o grande »), seguendo la norma la- 
tina della « quantità » della vocale (l’e è breve) e non 
quella dell’accento greco; altrimenti bisognerebbe dire: 
anche « omicròn » (in greco «o mikròn», ossia «0 
piccolo ») e «ipsilòn », (in greco «y psilòn», ossia 
« y spelato, nudo, semplice », perché non dittongato), 
ed « epsilòn ». — Cfr. L. Macinai e L. Bianchi, Gram- 
matica greca, Roma, Lux, 1900, pag. 39 e segg. 


— 160 — 


7 
HEI 
IAA 


17 
6; 


4 
4; 


TE 


di ji 6; 


LA LOGICA DEI COMPOSTI 


naso, l’abbassalingua (strum. med. ), il para- 
pioggia (1). 

‘224. — Non tutti i composti di deine ca- 
tegoria seguono però la regola: si dice «i parafan- 
ghi», «i ficcanasi », «i guardaportoni », «i lavama- 
ni», ecc.; plurali di i ficcanaso, guardapor- 
tone, ecc. 


Questi sostantivi hanno un plurale norma- 
le, perché hanno perduto oramai il loro carat- 
tere di composto. 

225. — Con troppa disinvoltura alcuni gramma- 
tici hanno affermato *che «il plurale di queste parole 
composte non è sempre sicuro » (2). 


Al contrario, l'esame di questi vocaboli e 
dei rispettivi plurali è interessante e persino 
divertente, poi che dimostra con quanto acu- 
me logico ed istintivo equilibrio la lingua sap- 
pia distinguere ed armonizzare. 


(1) I superpuristi hanno in orrore questo voca- 
bolo: bisognerebbe usare « ombrellino » per il para- 
sole e « ombrello » per il paracqua. (C. Meano, Com- 
mentario Dizionario italiano della Moda, Torino, En- 
te Naz. della Moda, 1936, pag. 267). Il Fornaciari 
trova giustamente ridicolo che si. chiami ombrello lo 
strumento che non serve a far ombra ma si usa 
proprio quando non v'è il sole, e piove: il Fanfani, in 
testa alla falange dei puristi, sostiene che ombrello 
non deriva da ombra, ma da imber, « pioggia ». Sta 
a dimostrare il contrario l’inglese umbrella preso dal- 
l'antico francese umbelle, nel quale i Francesi stessi 
inserirono nuovamente l'r nel XVI sec. (1588, Mon- 
taigne): e il latino umbratilis corrobora tale deriva- 
zione lampante. Ma il Fanfani adduce di « aver sen- 
tito gattigliare un Senese con un Fiorentino a pro- 
posito di questa voce ». Sarà più saggio e italiano, 
ossia non regionalistico ma nazionale, non seguire i 
dettami di coloro che usano il verbo « gattigliare » 
come moneta a corso.legale: e diremo parapioggia, 
limpido vocabolo sostantivo italiano nella forma e 
nel buonsenso. Ché, se ombrello viene da imber, « piog- 
gia », sarebbe improprio usarlo come parasole! — Ma 
la lingua cammina e si perfeziona, anche se i « puri- 
sti» si affannano a mettere i bastoni o gli ombrelli 
fra le ruote! 

(2) A. Panzini, Gwida alla Grammatîca italiana, 
con un prontuario delle incertezze, Firenze, Bempo- 
rad, 1933, pag. 26. 

— 161 — 


Il 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


La forma assunta nel plurale pone in evi- 
denza il processo mentale e linguistico attra- 
verso il quale il vocabolo composto si è for- 
mato. La figura di una mezzaluna rappresen- 
ta la metà di una luna: al plurale avremo al- . 
trettanie metà quante sono le mezze-lune raî- 
ligurate: perciò si dice e scrive mezze-lune: 
e così mezzenolli, mezzelinte, ecc. 

Tipici sono i nomi composti con capo-: 
la seconda parte può infatti esser connessa 
alla prima in modo diverso: se il secondo ele- 
mento è un sostantivo o aggettivo con valore 
attributivo, entrambi gli elementi prendono il 
suffisso del plurale: un capocuoco è un capo 
che è cuoco; al plurale saranno altrettanti ca- 
pi che sono cuochi: quindi capicuochi; il capo- 
saldo è un capo ossia un punto che è ben sta- 
bile cioè saldo: al plurale avremo altrettanti 
capi i quali dovranno esser tutti saldi al loro 
posto: e quindi capisaldi. Ma un capostazione 
è capo ossia dirigente della stazione: al plura- 
le avremo tanti capi, ma il numero delle sta- 
zioni non varia per ciascuno di essi, e posse- 
no esser persino parecchi capisiazione della 
imedesima stazione. 

Il composto caporione ofire un bell'esem- 
pio dell’armonia tra forma del plurale e signi- 
licato: se il caporione è inteso come capo di 
un rione, il plurale sarà capirione; ma se in- 
vece si intende non nel senso storico e signi- 
fica colui che sia capo di una combriccola di 
bricconi o burloni, perde il caraitere di com- 
posto, l'etimologia passa in secondo piano, 0 
mi. svanisce, ed il plurale è caporio- 
ni (1 


(1) Anche una sottile differenza di pronunzia di- 
stingue i due significati: come «capo di un rione» 
il vocabolo diventa di 5 sillabe (caporione), mentre 
nel significato traslato è di 4 sillabe, senza insistenza 
fònica sull’-i-. E la stessa sfumatura di pronunzia è, 
più accentuata ancora, nel plurale: capirione, capo- 
riont. 


— 162 — 


UNA BUONA GUIDA 


Molti vocaboli hanno perduto appunto la 
loro fisonomia di « composti »: perciò sostan- 
tivi come falsariga, madreperla, melarancio, 
biancospino, cartapecora sono oramai consi- 
derali come semplici, ed hanno quindi il plu- 
rale normale. 

La sensibilità linguistica è buona guida: 
essa, ad esempio, ci îa percepire la differenza 
che v'è tra due plurali possibili del nome 
pomodoro: si può dire pomidoro e pomodori: 
nella seconda forma il vocabolo è considerato 
semplice, ed esprime l’idea nel suo insieme: 
Invece pomidoro è più lezioso ed insiste sul 
valore dei componenti: « pomi d’oro ». V’è poi 
una terza forma di plurale, più popolare, più 
SImpatica e più pittoresca: pomidori. 


— 163 — 


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I tipici surrogati dei sostantivi 


(X1) 


226. — Un sostantivo, il quale sia già noto a 
chi legge od ascolta, in modo cioè che non vi sia 
possibilità di equivoco, può essere sostituito da un 
surrogato. Questa sostituzione ha un triplice scopo: 


a) economizzare fonèmi; | 
b) evitare ripetizioni esteticamente nocive; 
c) porre in rilievo speciali rapporti. 

227. — Il vocabolo che serve da surrogato di un 
nome si chiama «pronome, poi che sostituisce il 
nome ». da SÈ 

Secondo la ufficiale definizione della gramma- 
tica tradizionale, il pronome è quella parte del di- 
scorso che fa le veci del nome (1). 


228. — Non è dunque « pronome » un vocabolo 
al posto del quale non si possa collocare il nome del 
quale esso fa le veci. 


Nel periodo testé enunciato, le due espres- 
sioni « del quale » e «esso» possono esser 
sostituite da « del pronome » e « il pronome ». 

Nella figura qui annessa, la prima propo- 
sizione contiene tre sostantivi (San Martino, 
un povero ed il mantello): nelle proposizioni 
successive, raggruppate sotto i numeri 2 e 3, 


- (1) Il latino pro (dall’umbro pru, sanscrito pra) 
aveva il significato fondamentale di « avanti »: da que- 
sto si svilupparono i due significati di « difesa, van- 
taggio, favore » (pro-fitto, proteggere, « pro patria », 
« far buon pro ») e di « sostituzione, scambio » (pro- 
sindaco, pro-cura); in questo secondo senso esso en- 
tra a far parte del vocabolo « pro-nome ». 


— 165 — 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


la ripetizione di tali sostantivi non avviene, 
poi che essi sono sostituiti da surrogati, o 
« pronomi »: questi, alla lor volta, possono 
esser sostituiti dai sostantivi che ciascuno di 
essi rappresenta, e ciò senza alterare né la 
forma né il significato delle proposizioni. 


‘S.Martino 


€ nni 
- senza un povero 


“IS 


i copertose-. 

i me, se ne va, 

il dopo aver: 

fp lo rin- 

val. ii graziato 
td È "0 n } ì “Sid on tutto il 
egli are sino le N0I e 


® 6 


et pla oznanini 


Il complesso gioco dei pronomi... (Le due figure son 
ricavate da un manoscritto miniato del XII secolo) 


Nella prima proposizione (contrassegnata 
con il n. 1) era indispensabile usare nomi (so- 
stantivi), per indicare di quali persone ed 0g- 
getti si intendeva parlare: erano necessarî vo- 
caboli con significato specifico: e questa è 
proprietà essenziale dei « nomi ». Se non si 
«nomina » la cosa, non si può « conoscere »' 


— 166 — 


. 


VALORE « ALGEBRICO » DEI PRONOMI 


di che o di chi si parli o scriva (1). Nelle pro- 
posizioni seguenti basta, invece, quel tanto di 
allusione che permetta l’identificazione: da ciò 
l'espediente genialissimo dei « pro-nomi », vo- 
caboli con significato generale, il quale diven- 
ta specilico a causa della loro collocazione 
formale e quindi ideologica. 

229. — I « pronomi » sono, nel dis@orso, ciò che 
le lettere sono nel linguaggio algebrico. 

L'equazione 

atb=c— b 

non ha nessun signilicato quantitativo, poi 
che ciascuna delle ire lettere che in essa ap- 
paiono può avere qualsiasi valore (2). Infatti 
l'equazione stessa risponde perfettamente al- 
l’interpretazione aritmetica. 

(I) 0,00005 + 0,00001 = 0,00007 — 0,00001, 
ma. è anche altrettanto vero che essa corri- 
sponde non meno esattamenie alla interpreta- 
zione aritmetica 

_dD 1.235.336 + 6.444 = 1.248.224 — 6.444, 


(1) IH sanscrito naman (donde il greco ò-noma, 
dorico onyma; gotico namò, tedesco name, slavo [n]i- 
me; — lat. nomen, ital. nome) sta per [g]jnaman, don- 
de il lat. co-g-no-scere, come ben appare dai compo- 
sti co-gnomen, co-gnitio, ecc. 

(2) Le lingue isolanti, alcune agglutinanti, e, fra 
le europee, l'inglese, ci mostrano come alcuni prono- 
mi possano presentare una tendenza a ridursi e scom- 
parire, seguendo cioè un processo evolutivo di sem- 
plificazione. Cfr. J.M.D. Meiklejohn, The English lan- 
guage; its Grammar, History, and Literature; Lon- 
don, Blackwood, 1887, pag. 23. — Vedi anche 8 271. 
— La ricerca di una «paleolingua » rudimentale e 
senza pronomi sarebbe altrettanto infruttuosa quanto 
lo è stato l’affannosa e vana ricerca di un « paleopo- 
polo » o popolo primitivo senza Dio. (I due problemi 
hanno una connessione più intima di quanto possa 
apparire a prima vista). — «L'esplorazione storico- 
culturale ha constatato che, prima di ogni mitologia 
astrale e al di sopra di essa, si trova la figura del- 
l’Essere Supremo ». G. Schmidt, Manuale di Storia 
comparata delle religioni, 33 ediz., Brescia, Morcellia- 
na, 1943, pag. 131 (con ricchissima bibliografia). 


— 167 — 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


. In unequazione, il. simbolo (lettera) può 
esser sostituito dal suo valore numerico, sen- - 
za mutare il significato (valore) dell’intera 
espressione. Non possiamo però scambiare il 
valore che una lettera ha in un’equazione (ad 
es.: nella (I)) o serie di equazioni connesse, 


S.Martino 0000 I 
gua, incontra —. 
> un povero | 

(Senza po gue D: Ti iL 

mantello; __| QUegli 3 
É \; è | prende È 
me, Se ne va, 
dopo aver- 
“o rin- 
graziato 

g contutto il 

“Suo cuore. 


ha bad. ba 

Gi a: DI di. 
epli SI toglie ca 
S il suo nie ta-?h; 


9 glia la metà, eglieladà. | 


I 


I pronomi sono i simboli algebrici nel discorso 
(8 229) 


con quello che possa avere in un’alira equa- 

zione (ad es.: nella (II)) o serie di equazioni 

connesse. 

| Cosìil valore (significato) di tutti i « pro- 

nomi » contenuti nella figura della pag. 166 e 
, Il loro complicato gioco nelle proposizioni 


— 168 — 


UNIVERSALITÀ DEL PRONOME 


nelle quali compaiono sono dipendenti dalla 
premessa: in virtù di questa 
a= San Martino; 
(III) b= il povero; 
C = il mantello. 

Se la premessa fosse stata: 

« Giorgio incontra un amico senza cappel- 
lo », le proposizioni successive avrebbero po- 
tuto esser composte con i medesimi pronomi 
che nella figura in esame, ma i! valore di essi 
sarebbe ben diverso, poi che, per la premessa, 

a = Giorgio; 
(IV) b= l’amico; 
c = il cappello. 

Il pronome questi può dunque significa- 
re S. Martino, Giorgio o qualunque altro per- 
sonaggio; il pronome gli può significare « al 
povero, all'amico, all'individuo N. N. »; il pro- 
nome /o può sostituire il mantello, il cappello 
o qualsiasi allro oggetto, come le lettere alge- 
briche a, b, c possono rappresentare qualsiasi 
numero; ma non è possibile ad un pronome 
usato nelle proposizioni del gruppo (IV) il 
valore (significato) che essi hanno nelle pro- 
posizioni del gruppo (III) o viceversa. 

230. — In questa universalità e, insieme, nella 
possibilità del significato specifico è la geniale carat- 
teristica dei pronomi. | 


E, poi che i pronomi sono, tra le parti del 
discorso, ira le più antiche, e complicatissimi 
nella forma, nella connessione ideologica e 
nell'uso, e presenti nelle lingue considerate 
« più primitive » (1) essi stanno formidabil- 


(1) «Il Lévy-Bruhl non ha mai definito in modo 
esatto che cosa intenda per primitivo... L’autore pone 
tutti i primitivi allo stesso livello in modo così con- 
fuso da ricordare per questo i classici dell’evoluzio- 
nismo ». R. Boccassino, La religione dei primitivi, in 
« Storia delle religioni » di P. Tacchi Venturi, Torino, 
UTET, 1939, pag. 53. 


— 169 — 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


mente a documentare (con una imponente 
massa di esempî probanti, in ogni tempo € 
paese) che il linguaggio non può esser opera 
di « evoluzione » nel senso che esso sia stato 
congegnato dall’animale (pitecantropo, antro- 
poide o altro fantasma scomparso senza trac- 
ce) il quale decise un bel giorno di trasîor- 
marsi in uomo ragionevole, artista, creatore, 
forse per l’arcana virtù magica di coloro che, 
nei secoli del razionalismo, avrebbero trasmes- 
so a ritroso nel tempo l’energia miracolosa (1). 

231. — Il mirabile e logico criterio di economia 
e del « massimo rendimento », il quale regola tutto 
il Creato e i suoi fenomeni (2) irova nell’uso dei pro - 
nomi una sua interessantissima manifestazione. Il 
ripetere un sostantivo, ossia usare la medesima quan- 
tità di suoni (e perciò di energia muscolare) per espri- 
mere idee che, per esser state già espresse, non han- 
no più il medesimo rilievo che ebbero nella prima 
emissione (allorché cioè si presentavano come nuove 
all’ascoltatore) sarebbe stato in contrasto con tale 
principio, poi che sarebbe bastato un minimum di 
suoni per riconoscerle. 

Anche il fenomeno dei pronomi trascende il puro 
fatto grammaticale, concorrendo a convincerci che 


(1) Non è raro che i programmatici negatori del- 
la fede obblighino i loro « fedeli » a credere in feno- 
meni miracolistici assai più « eccezionali » di quelli 
che essi per partito preso combattono. E la scienza 
« arcipositiva » moderna non ha portato forse al mi- 
steriosissimo dogma irrazionale della « materia-ener- 
gia? ». Cfr. L. de Broglie, Materia e luce, Milano, 
Bompiani, 1940. 

(2) Un massimo scienziato ed artista tipicamente 
italiano, Leonardo da Vinci, formula e ripete questo 
fondamentale criterio: «// principio di causalità si 
identifica col principio di finalità e col principio di 
ragion sufficiente, senza residui... ” Ogni azione na- 
turale è fatta per la via brevissima” — ” Nessuna 
azione naturale si può abbreviare” — ” O mirabile e 
stupenda necessità, tu costringi colla tua legge tutti gli 
effetti per brevissima via a partecipare alle lor cause, 
Questi son li miracoli!” ». F. Orestano, Leonardo da 
Vinci, Roma, Optima, 1919, pag. 83-86. 


— 170 — 


PRONOMI « SCIENTIFICI » 


mon è troppo esagerata l’affermazione per cui «la 
grammatica è parte di metafisica la più sublime » (1). 


* * %* 


232. — Brevi e sintetici, i pronomi possono an- 
‘che sostituire tutto un insieme di vocaboli, sostanti- 
vando tutto il loro complesso è ponendosi quindi al 
posto di tale sostantivo ideologico. 


Così, ad esempio, dopo aver riferito tutta 
intera la celebre Prima Catilinaria pronunzia- 
ta da Cicerone nella storica seduta senatoriale 
dell'’8 novembre 6 av. Cr., possiamo aggiun- 
gere: « Cicerone, detio ciò, sollevò le braccia, 
€... ». La semplice sillaba ciò, pronome, rap- 
presenta, globalmente sosiantivale (e con la 
sostituzione del « pronome » al «nome» o 
« sostantivo » ideologico), tutte le parole e idee 
dell'intera orazione. ‘’ 

Anche per questo caso vale il paragone al- 
gebrico: complicatissima, ad esempio, è, nel- 
la moderna fisica, la formula quantistica di 
Planck riassumente la legge dell’intensità di 
radiazione lungo lo spettro del corpo nero: 


E, =2hcX—5 i 


e ben complicato sarebbe il riferirla tutta in- 
tera ogni volta che ad essa si allude. Sempli- 
ce e pratico, data l'equazione, è servirsi del 
solo simbolo E; , intendendo con esso la for- 
mula completa. Sicché E, è proprio un « pro- 
nome » scientifico (2). 


(1) P. Giordani, Opere, Milano, Botroni & Scotti, 
1854-65, in 14 voll., vol. I, pag. 323. 

(2) Parimenti, in chimica il simbolo Cy può es- 
ser considerato un « pronome » dello stesso tipo, in 
quanto rappresnta un « gruppo di atomi » (il cui « no- 
me » è CN): il gruppo, costituito da un atomo di car- 
bonio ed uno di idrogeno, funziona infatti precisa- 
mente come un atomo di un metalloide monovalente. 


— 171 — 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


* * %* 


233. — Tipici connotati e proprietà di prono- 

mi e solamente di pronomi hanno quelli che la gram- 

matica tradizionale chiama «pronomi dimostrati- 
vi» (1). i | 


234. — Questi pronomi tipici, ossia veri 
e proprî pronomi, si usano infatti per rappresentare 
individui, animali o cose di cui si sia già parlato o si 
stia per parlare e ne sostituiscono il nome, senz'altro: 
riferimento o rapporto. È 


235. — Sono «pronomi tipici» (o « dimostrati-. 
Vi», O « indicativi »): 


egli, quegli, colui, questi, costui per il maschile 
ella, quella, colei, questa, costei per il femminile 
ESSO) cd pae 0000 sei per il neutro 


I « maschili » (o « solari ») si usano per indicare: 
le persone o. gli animali umanizzati (ad es., nelle fa- 
vole). Chiamiamo «neutri» i due pronomi esso e 
ciò (2) in quanto, pur avendo aspetto maschile (giac- 
ché l’italiano manca di genere neutro formale), cor- 
rispondono ad un’« idea» che non è né maschile né 
femminile. 


Tali pronomi si usano infatti per surroga» 
re anche un complesso di vocaboli presi glo- 
balmente (vedi 8 232). 


236. — I pronomi questi (questa) e costui (co- 
stei) fanno le veci di nomi che, nel periodo, sono più 


. (1) La grammatica tradizionale considera a parte: 
egli, ella, esso, definendoli « pronomi personali », in- 
sieme con io e tu. La grammatica rivoluzionaria nega 
persino l’esistenza di « pronomi. personali », non ri- 
scontrando in essi nessuno dei connotati e nessuna 
delle proprietà dei « pronomi », (vedi $ 480). 

‘ (2) Potrebbero venir inseriti qui anche i pronomi 
neutri quello e questo, ma essi sono propriamente 
aggettivi dimostrativi sostantivati. Lo sono anche le 
forme quella e questa, ma la loro « pronominalizza- 
zione » è più forte, appunto per il carattere di « ge- 
nere », 


— 172 — 


DECLINAZIONE PRONOMINALE 


prossimi, mentre colui (e colei) sostituiscono nomi più 
lontani (I). 


Prescindiamo qui dal valore che gli stessi 
vocaboli hanno nel discorso nel quale inter- 
viene come attore colui che parla o scrive 
(vedi 8 480 e segg.). 


237. — In tutti questi pronomi tipici si 
conservano abbondantemente le tracce della « decli- 
nazione », pur se le forme si siano allontanate da 
quelle latine, e sia stato persino spostato il valore 
delle desinenze dei casi (2).. 


Abbiamo infatti: 
Singolare: 


genitivo: ne (per i tre generi); 


dativo: masch.: gli; — femm.: le; 
accusativo: masch.: lui, lo; — femm.: lei, la; 
neut.: /o. . 


(1) In alcune lingue tale vicinanza o lontananza 
è espressa con speciale evidenza: il francese, ad esem- 
pio, usa l’enclitica -ci nel primo caso e l’enclitica -là 
per il secondo: celui-ci, celui-là; celle-ci, celle-là; ed 
usa cela («ciò ») riferendosi a cose già dette, mentre 
ceci si riferisce a cose che seguiranno: « Après avoir 
dit cela, il lui dit encore ceci», « Dopo avergli detto 
tutto ciò, gli disse ancora questo [che segue] ». — 
L’inglese ha vocaboli specializzati per riferirsi alle 
persone in connessione con l’ordine in cui sono state 
già indicate: «Jack and John are in the garden; the 
former is reading, the latter is singing», « Gianni e 
Giovanni sono in giardino: il primo legge e il secon- 
do canta ». (Si noti che Jack è diminutivo di John ed 
equivale a « Giovannino », « Giannetto » e non a « Gia- 
comino! »). 

(2) L'italiano loro, valevole per tutti i casi, si è 
formato sul genitivo illorum, sebbene il genitivo non 
sia normalmente sfruttato per la derivazione in ita- 
liano, essendo un caso che non è retto da alcuna pre- 
posizione, e la tendenza analitica scindeva perciò il 
genitivo in « de + ablativo ». 


sla 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA. 


Plurale: 
nominativo: masch.: eglino (1), essi; 


femm.: elleno (2), elle, esse 
genitivo: loro; ne 
dativo: loro; (e le forme del nominat.) 
accusativo: masch.: loro, lis | e le forme del 
femm.: loro, le J nominativo 


Si hanno anche, per i casi diretti, i plurali: quelli, 
quei, (ant. queglino); questi; coloro; costoro; per il 
maschile; — quelle; queste; costoro; coloro per il 
femminile. 


238. — I pronomi riservati alle persone non van- 
no usati riferendosi ad animali e tanto meno per 
sostituire nomi di oggetti. , 


Perciò si dirà correttamente: « gli mette il 
cappello », poi che gli significa « a lui » (per- 
sona); e « le mette la cultia », poi che /e= a 
lei: ma sarebbe improprio dire « gli mette il 
coperchio », trattandosi di un oggetto (= ad 
esso) (3). 


(1) Forma antiquata: «E alla madre narrò lo 
°’nganno, il quale ella ed eglino da Gisippo ricevuto 
avevano », Boccaccio, Decam., g. 10. 

(2) Forma antiquata: « E elleno conoscono me », 
Fioretti di S. Francesco, ediz. Firenze, Tartini, 1718, 
pag. 60. 

(3) Questa distinzione tra esseri animati e oggetti 
è importante, e si rivela ancora più evidente in alcune 
lingue: il francese, ad esempio, pone precise limita- 
zioni all’uso di pronomi riservati alle persone: è abu- 
siva, è vero, l’espressione « on en parle » (nel senso di 
« si parla di lui »), frequente nel linguaggio fluido: ma 
anche, nella conversazione più familiare, alla doman- 
da «Parlera-t-il de Jean? » nessuno risponderebbe: 
« Certainement il en parlera », si dirà: « Il parlera de 
lui ». Viceversa, anche parlando di un animale, è cor- 
retto dire: « Ce chien mord, n’en approchez pas », ap- 
punto perché l’animale non è persona. Parlando di 
nersone si dirà « Elle leur a répondu », « Ha risposto 
loro », ma, parlando di lettere, si dovrà dire: « Elle y 
a répondu », «Ha risposto ad esse» (letteralmente: 
« vi ha risposto »: e perciò si dirà, di un recipiente 
(oggetto) « il faudra y remettre un couvercle ». — Cfr. 


— 174 — 


ANIMATO E INANIMATO 


239. — Importante è constatare un’altra parti- 
colarità dei pronomi tipici: che, cioè, essi for- 
mano il plurale assumendo le desinenze caratteristi- 
‘che del plurale dei verbi (8 168-169): 


eglino corrono; costoro dissero; coloro amerebbero; 


Queste forme, nelle quali è implicita un’i- 
dea di energia, non sono mai connesse con 
l’idea neutra, la quale rimane limitata al sin- 
golare (1). 

Si può affermare che l’italiano, nella sua 
struttura e nella sua mentalità linguistica, ha 
soltanto in questa occasione il concetto e l’e- 
spressione di « genere neutro ». Non bisogna 
infatti confondere il « neutro » grammaticale 
con il concetto di « oggetto inanimato ». Que- 
sta coincidenza, invece, esiste in alcune lin- 
gue (2). I 

240. — Significativa è anche, in questi « prono- 
mi tipici» la desinenza in -i del nominativo singola- 
re (vedi 8 208), sintomo della loro vitalità. 


— 


P. Martinon, Comment on parle le francais, Paris, 
Larousse, 1927, pag. 291. — Questi esempî ci chiari- 
scono il processo mentale in relazione con l’espressio- 
ne linguistica. — Non per imitare una lingua straniera, 
ma per porre l’espressione in- buona lingua nazionale 
più aderente al pensiero, diremo perciò: « mettercì (o: 
mettervi) un coperchio ». 

(1) Vedi nota al 8 180. 

(2) L'inglese, salvo specrali eccezioni, usa il pro- 
nome neutro if, «esso », per tutto ciò che non sia 
persona. — I Giapponesi, i quali pur conferiscono una 
sensibilità e persino un’« anima » anche alle cose (cfr. 
I. Yamazaki, La concezione giapponese della Natura, 
in « Yamato », 1942, a. II, XII, pag. 296), usano due 
diversi verbi «essere », uno per gli oggetti e l’altro: 
per gli esseri animati (persone o animali): hon ga ari- 
masu, « c'è un libro »; neko ga ori-masu, « c’è un gat- 
to ». — L’inerzia del neutro è messa in evidenza dal- 
l’uso del russo TO, dimostrativo neutro, che, aggiun- 
to encliticamente ad un pronome o avverbio indeter- 
minato, ne esaspera l’indeterminatezza: ktò-to, « qual- 
cuno, non so chi », gdjé-to, « in qualche posto, non so 
dove »; kudà-to, id. (moto a luogo). 


i 


Le 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


Questa terminazione, espressione di vita- 


lità, si trova anche nel nominativo dei femmi- 


nili (costei, colei); il pronome ella esce in -a 
per la sua origine aggettivale (lat. illa): ma 


hon ga arì-masu 


ì 


(9 
"po 


- 
pri 
Cedesi 
Pai 
pri ceti 
- 


i! 


A) esseri animati e cose: in giapponese, il verbo « es- 


sere» non è il medesimo per un soggetto animato e 

per un soggetto non vivente (neko ga ori-masu, « c’è 

un gatto »; hon ga ari-masu, « c’è un libro ») — B) lV’i- 

nerzia del neutro: il neutro russo «-TO » unito encli- 

ticamente ad un vocabolo, ne accresce l'indetermina- 
tezza, (vedi nota al $ 239). 


l'uso, appunto per questo, tende a sostituirlo 
con lei (uscente in -i) anche nel nominativo. 

| 241. -—— I pronomi lui e lei sono propriamente 
due accusativi: l’uso però tende a dar loro anche il 


valore di nominativo, e ciò a causa della loro inten- 
sità tonale. 


— 176 — 


(4%) 

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pronome monosillabo sost 


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SEUI È Hi FEAR He sisi ERA, 
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A 
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FORME E TONALITÀ 


DI 


Non soltanto è lecito, ma è obbligatorio adope- 
rare queste forme, tonalmente. più forti: 

a) quando, per inversione: (ossia per la prece- 
denza del verbo), l'intonazione richiede maggiore in- 
tensità tonale sul soggetto così posposto; 

b) nelle opposizioni concettuali ad altre per- 
sone; 

c) quando siano isolate, sottintendendo il verbo. 


Perciò sarà erroneo dire «lui arriva con 
l'elettrotreno delle 5 »; si dovrà dire « egli ar- 
riva... »; — ma si dirà benissimo « con l’elet- 
irotreno delle 5 arriva lui, e con il seguente 
arriva lei ». — Alla domanda: « Chi è stato? » 
non si può rispondere « È sfafo egli! », ma si 
dovrà dire « È sfato lui! », 0 anche semplice» 
mente « Lui! ». 

Per le stesse ragioni si dice « Poveretto 
‘ lui! », « Felice lei! » (1). 

242. — Al contrario, allorquando, per il minor 
rilievo che il pensiero dà all’idea espressa dal prono- 
me, anche l’intensità tonale è minore, l’accusativo di 
tali pronomi tipici assume una forma «atònica »: lo, 
la, li, le. | 

Queste forme atòniche precedono il verbo, pro- 
“cliticamente (il /o ed il /a potendosi anche ridurre 
alla sola consonante: «I°» apostrofata); oppure lo 
seguono encliticamente, sì che, nella scrittura, si fon- 
de in unica parola con esso: « /o vede, l’abbraccia; li 
ammira; credevalo; lodanli »; 


«io l’odiai sì, che non potea vedella » 
(Ariosto, Orl. Fur., XLIII, 45) 


In questo verso, vedella sta per vederla, 
con un’assimilazione che è frequente in molti 
dialetti. 


(1) Rivelatore del nesso che lega il « sentimento » 
con il «caso » grammaticale è il latino, il quale pone 
in accusativo il nome della persona o cosa che desta 
il sentimento espresso esclamativamente: infatti, do- 
po 0 si può usare non solo il vocativo ma anche (ed 
è più efficace) l’accusativo: « O stultum hominem! » 

=« Ma che imbecille! »). 


— 177 — 


13 


| GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


Il raddoppiamento della consonante si ha 
invece normalmente quando tali pronomi se- 
guono una voce verbale « tronca », per la già 
nota legge fonetica (vedi $ 172): « farallo, ve- 
stilli » (= « lo farà, li vestì »). 

Anche altre forme pronominali (dativi gli, le; ge- 
nitivo ne) diventano atoniche e si aggiungono encli- 
ticamente al verbo. 


Non si può raddoppiare la consonante ini- 


ziale di gli, perché di natura composta (=1+ D | 


e già quindi equivalente ad una doppia (1): 
perciò si ha vedranne = ne vedrà; mostrolle 
= le mostrò; udillo = lo iudì; ma diragli = 
gli dirà; lanciògli = gli lanciò (2). 
« e ’I grifon mosse il benedetto carco 
sì che, però, nulla penna crollonne ». 
(Purg., XXXII, 26-27) 

Gli atonici possono anche unirsi Îra lo- 
ro: in tal caso il pronome gli assume eufo- 
nicamente la forma glie: e si ottengono così i 
gruppi: glielo, glieli, gliene, ecc., che si pos- 
sono scrivere anche staccati: glie /o, glie li, 
glie ne, ecc. 

243. — Il complicato gioco dei pronomi e, spes- 
so, l’intricato intreccio ideologico che essi determi- 
nano nelle proposizioni che li contengono richie- 


(1) L'articolazione italiana del suono gli si può 
insegnare facilmente agli stranieri, addestrandoli fa- 
cendoli pronunziare sempre più rapidamente « fil-li-jo, 
fil-1jo », « filljo, figlio ». 

(2) Questo vocabolo, così congegnato, non è trop- 
po bello, ma può servire, ad esempio, nello stile fa- 
ceto: è bene scriverlo con l’accento (/anciògli) per non 
confonderlo con il presente in 12 persona (/ànciogli). 
In greco — sia antico che moderno — il fatto che 
più enclitiche possano seguirsi (ciascuna inviando il 
proprio accento sulla precedente) non impedisce che 
esse si scrivano staccate: es.: dòs moi to, (« damme- 
lo »: pron. mod. « dhos-mi-to »); an tis pote éipe («x se 
alcun dicesse »: pron. « an-tìs-pote ìpi »). Cfr. C. Ca- 
pos, Nouvelle grammaire grecque (gr. moderno), Hei- 
delberg, Groos, 1908, pag. 11 e segg. 


— 178 — 


Ma 


. — — ur ————» & 


“o —= Faa Lera 


IL SIGNIFICATO INTUIBILE 


dono la massima attenzione è cura nel loro uso, af- 
finché questi ottimi strumenti di semplicità, eleganza: 
e chiarezza non si risolvano invece in coefficienti di 
oscurità e confusione: sarà bene che il «nome» che 
ogni pronome sostituisce non sia troppo lontano da 
questo nel periodare; la « concordanza » serve appun- 
to a determinare una maggior chiarezza: un nome 
maschile o femminile, singolare o plurale deve avere 
come suo «surrogato » un pronome dello stesso ge- 
nere e numero. 


Non è raro, nel parlare familiare, l’uso er- 
tia del dativo maschile gli per il femmini- 
e le. 

Talora può essere imbarazzante stabilire 
quale sia il nome che il pronome rimpiazza. 
Vi sono dei casi in cui, ad esempio, il pro- 
nome la sta invece di un nome femminile che 
non è espresso perché tale nome non esiste 
nella lingua italiana: è vano arzigogolare di 
grammatisti il voler trovare ad ogni costo il 
«nome » che il « pronome » la sostituisce nel» 
le espressioni: 

« Chi la dura la vince ». 
« Chi la fa, l’aspetta ».. 

« Me la pagherà! ». 
«L'ha fatta grossa! ». 


Ma sappiamo benissimo che cosa si inten- 
da: il «sentimento » ci rivela intuitivamente 
Il vero significato, che qualunque « nome » 
preciso attenuerebbe. 

, E si ha anche il plurale le, con analogo 
significato; efficace perché indefinibile: 


« Ma le pensa proprio tultel ». 


— 179 — 


ta 


I pronomi integrali 


(XII) 


244. — Mentre i « pronomi tipici » hanno la li- 
mitata funzione di sostituire il nome, e possono quin- 
di esser sostituiti alla lor volta con il nome che essi 
rimpiazzano, poi che non aggiungono alcun altro ele- 
mento all’idea espressa dal nome stesso, vi sono altri 
pronomi i quali non hanno puramente e semplicemen- 
te questa funzione di sostituzione, poi che contengo- 
no qualche altro elemento. 


Ricollocando al posto di essi il nome del 
quale sono « pro-nomi », è infatti necessario 
aggiungere ancora qualche vocabolo, che cor- 
risponde appunto a tale elemento inte - 
grante il significato del nome. 


Allorché diciamo « uno è venulo », « cia- 
scuno la pensa a suo modo », « nessuno è lì », 
«Checché se ne dica », usiamo, come prima 
parola in ciascuna di queste proposizioni un 
pronome,. che sostituisce il nome di 
persona o cosa, ma che non potrebbe esser 
sostituito semplicemente con il nome che es- 
so rimpiazza, dovendovisi aggiungere — per 
mantenere inalterati il significato e il rappor- 
to ideologico — qualche altro elemento inte- 
grante il nome stesso: « un uomo è venu- 
to », « ciascun individuo la pensa a suo mo- 
do », « nessun uomo è lì », « qualunque cosa 
se ne dica ». A Paolo e Francesca Dante dice: 


« venite a noi parlar, s'altri no! niega! » 
(Inf., V, 81) 


ss 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


con una proposizione ipotetica, nella quale il 
pronome altri sostituisce « persona, Individuo, 
essere », ma non senz’alira indicazione: ed è 
infatti una riverente ed eîlicace espressione. 
che significa « Iddio ». 


245. — Come si vede, l’aggettivo specificante che 
va aggiunto al nome perché questo abbia un signifi- 
cato equivalente a quello del pronome, coincide spes- 
| so per forma, e sempre per significato, con il prono- 
‘me stesso. 


Nella grammatica tradizionale questi pro- 
nomi sono chiamati « indefiniti ». Tale deno- 
minazione è vaga ed inesatta. 


Nella grammatica « rivoluzionaria >» essi assumono 
il nome di pronomi integranti o inte- 
grali. a 

246. — Definizione' di tali pronomi può dunque 
essere la seguente: 

« Chiamasi pronome integrale quella par- 
te del discorso che, sostituendo un nome (e perciò 
« pro-nome »), aggiunge all’idea espressa da questo 
l’elemento-limite nel quale essa va intesa » (1). 


(1) Intenzionalmente usiamo l’espressione mate- 
matica di «elemento-limite », appunto per stabilire 
un’analogia con il signicato che la qualifica di « inte- 
grale » ha nel calcolo differenziale: l’area (di signi- 
ficato) del pronome è data appunto da tale concetto 
di limite che il pronome integrale pone all’idea espres- 
sa dal semplice nome: la definizione corrente di « pro- 
nomi indefiniti » potrebbe esser accettata con la ri- 
serva di dare ad essa un valore matematicamente as- 
sai complesso («integrale indefinito » della funzione 
della variabile per la: quale s’intende il valore del 
pronome stesso), e ciò non gioverebbe alla chiarezza. 
— È interessante notare come i grammatici, nel de- 
finire « indefiniti » (ossia «illimitati » nel significato) 
questi pronomi, abbiano commesso un errore assai 
simile a «quello che per molto tempo ha gettato 
un’ombra oscura sulle basi del calcolo infinitesimale » 
(« il cosiddetto rapporto differenziale non è affatto un 
rapporto, ma è semplicemente il limite di una succes- 
sione di termini, che sono dei rapporti ») F. Waisman, 
Introduzione al pensiero matematico, Trad. ital., 22 
ediz., Torino, Einaudi, 1941, pag. 205. — Al lettore 


2a 182 — 


usi gie lr PRE INIE Siia rai I a rie RO 


« TUTTO » NON HA PLURALE 


247. — Il «limite» che determina l’ampiezza 
massima dell’« area di significato » di questi pronomi 
può essere anche 0 (infinito = indefinito), ma, nel- 
la grande maggioranza dei casi, il contesto pone 


un limite più o meno ristretto: sicché questi prono- 


mi sono quasi sempre «relativamente indefiniti ». 


Allorché diciamo: « Chiunque avrebbe agi- 
to come lui », il pronome esprime qualsiasi 
persona, senza limitazione. Parimenti nel pro- 
verbio « Ognuno per sé, e Iddio per tuffi ». 

248. — Va qui notato che il pronome tutti è ap- 
punto il plurale di ognuno, ciascuno, come appare 


— evidente dal proverbio or ora citato (1). 


Che, per forma, esso sembri il plurale di 
lutto non deve indurre nel facile errore. Il 
pronome tutto (con valore neutro = lat. omnia, 
« tutte le cose ») non può avere plurale, poi 
che già ha l’estensione massima. 

249. — Generalmente, però, vi è una limitazio- 
ne, normalmente espressa con una proposizione rela- 


« letterato » queste « divagazioni » matematiche sem- 
breranno fuori luogo: auspicabile è invece il giorno 
in cui un intelligente Ministro dell’Istruzione Pubbli- 
ca comprenderà quale funzione chiarificante e coordi- 
natrice potrà avere sui giovani avviati nel cammino 
delle belle lettere lo studio del calcolo infinitesimale, 
della geometria analitica, e di tutti quegli affascinanti 
settori matematico-filosofici esclusi oggi dai program- 
mi della Scuola Media. — Legga il lettore «lettera- 
to » il delizioso volume dell’Ing. G. Bessière, ZI calcolo 
differenziale ed integrale reso facile ed attraente, Mi- 
lano, Hoepli, 1930, e scoprirà insospettati panorami, 
grandiosi ed inspiratori. E ricordi che Dante aveva 
una vasta cultura scientifica, e che Wolfango Goethe 
avrebbe avuto miglior successo nei suoi studî sulla 
teoria della luce e dei colori, se una maggior cono- 
scenza delle matematiche l’avesse controllato nel suo 
« dirizzone » anti-newtoniano. — Cfr. W. Goethe, Zur 
Farbenlehre, Tiibingen, Gotta, 1810. 

(1) Tale affermazione vale anche per le altre lin- 
gue: cfr. il francese « Chacun pour soi, Dieu pour 
tous »; spagn.: « cada uno para sì. y Dios para todos »; 
ted. « Ein jeder fir sich, und Gott fiir alle »; ingl.: 
« Every man for himself, and God for us al/». 


e 183 — 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


tiva: (vedi 8 266): parlando del proprio amore, dice 
il Petrarca: 


« e proval ben chiunque 
E infin a qui, che d'amor parli o scriva». 
(In morte di Mad. Laura, s. XLI, 10-11) 


limitando, nel secondo verso, l’estensione del prono- 
me chiunque 


| “chiunque o: chiunque 
contravvenga...” 
| ° { violazione 

della legge 


So 
°° a 
(d(0 ES 


I. Nella proposizione « La legge è uguale per tutti >, 
il pronome è illimitato. — II. Nelle disposizioni di 
legge la zona del pronome chiunque è « infinita» ma 
non «illimitata» (è limitata dall'angolo). (8 249) 


Per giuridica coerenza ha valore limitato 


il chiunque contenuto nelle disposizioni di leg- 
ge: «Chiunque contravvenga alle presenti 


LIMITI DELL'AREA PRONOMINALE 


norme sarà punito... ecc. »: è evidente che la 
pena non è comminata a chiunque nel senso 
generale, ma limitatamente a coloro che vio- 
lino la legge emanata. 

Tale limitazione può essere rappresentata geome- 
tricamente con un angolo, il quale ha un’area infi- 
nita ma non illimitata. 


Un angolo di 360 gradi esprime ottima- 
mente il valore di questi pronomi, allorché 
nessuna determinazione precedente o succes- 
siva interviene a limitarne l'ampiezza di si- 
gnificato: tale, ad esempio, è il valore di ognu- 
no nel detto: « Ognuno ha il suo ramicello [di 
follia] (1) e il valore di tutti nella massima: 
« LA LEGGE È UGUALE PER TUTTI » (2). 


* * * 


250. — Analoghe limitazioni hanno i pronomi 
negativi, in quanto sono gli stessi pronomi che i 
precedenti, i quali hanno attratto e incorporato la ne- 
gazione che, propriamente, si riferisce all’azione o 
allo stato espressi dal verbo. 

« Nessuno è venuto » significa infatti che ognu- 
no si è astenuto da tale azione (venire), ossia « ognu- 


(1) Franc.: « Chacun a sa marotte »; spagn.: « To- 
dos somos locos, [los unos y los otros] »; ted.: « Jeder 
hat seine Schelle »; ingl.: « Everyone has his hobby ». 

(2) Anche tutti, perchè plurale di ognuno, ciascu- 


no, ecc., e il singolare tutto con valore neutro posso-. . 


no avere limitazioni: la limitazione numerica è espres- 
sa in italiano con una forma speciale, ossia interpo- 
nendo la congiunzione e tra tutti e il numero « tutti 
e cinque », « tutti e due »: non si tratta in realtà del- 
la congiunzione, ma di una trasformazione della pre- 
posizione a, come è rivelato da antichi esempî: 
« Mettiamo caso ch’un venga a sonare 
- *N un campanile ove cinque ne siano, 
E tutte a cinque (campane) le voglia adoprare 
(A. Firenzuola, Rime burl., I, 289). 
Tale forma idiomatica italiana non va trasportata 
nella traduzione in lingue straniere: in francese si dirà 
«tous les trois». Notare anche la forma idiomatica 
inglese all of them, « tutti loro » (letteralm.: « tutti di 
loro », come noi diciamo « due di loro »). 


se 185 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


no non è venuto »: da cui si è avuto, appunto con 
tale spostamento della negazione, « né-uno è venuto »: 
«niuno è venuto » (1). 

È così posto in evidenza il trucco del noto 
falso sillogismo dei sofisti, i quali pretende- 


ognuno non è venuto 


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o 
‘0, 


cotipa 
uno è venuto 
niuno è venuto 


La negazione negante il verbo è passata nel pronome... 


(8 250) 


vano di dimostrare che «ogni gatto ha tre 
code », ponendo «nessun gatto» come un 
gatto realmente esistente (2). 


(1) Le forme neuno e neuna si trovano ancor nei 
trecentisti: « Neuna ebbe mai gli dèi sì favorevoli » 
(Boccaccio, Fiammetta, V). 

(2) Il noto sofisma era: 

« Nessun gatto ha due code; 
ma ogni gatto ha una coda di più che nessun gatto; 
quindi ogni gatto ha tre code ». 

Questo falso sillogismo non potrebbe neppure es- 
ser formulato in quelle lingue nelle quali non esisto- 
no pronomi e aggettivi negativi: « Nessun gatto ha 
due code » deve tradursi in giapponese « A qualsiasi 


— 186 


LA DOPPIA NEGAZIONE 


251. — Niuno (e niuna), nessuno (e ressuna) 
sono i pronomi negativi di ognuno, ciascuno. Poi che 
escludono persino il singolo individuo, a maggior ra- 
gione implicano l’esclusione di più persone. 

Perciò non hanno plurale. 


252. — Si osserverà che l’idea connessa a 
questi pronomi ha sempre un contenuto di 
pluralità: la forma « singolare » è dovuta al 
fatto che queste « più persone » son conside- 
rate uti singulae (ciascuno, ognuno) mentre il 
plurale (futli) le considera uti universae: si 
tratta sempre dello stesso contenuto se di- 
ciamo: | 

« Ciascurto è padrone in casa propria, ma 
nessuno è padrone in casa altrui ». 

« Tutti son padroni in casa propria, ma, 
nessuno è padrone in casa altrui ». 

253. — Il negativo di tutto è nulla o niente. Es.: 
« Chi tutto - vuole, nulla stringe » (1). 


254. — Come il pronome tutto non ha plurale, 
così non lo ha il suo negativo nulla (e niente). 


255. — In italiano non vige rigorosamente la nor- 
ma per la quale due negazioni affermano, ossia non è 
rispettato il criterio matematico per cui 
—(—a)= ta 


LI 


Si dice infatti « Non è venuto nessuno »: le due 


gatto, due code non sono » (Nan no neko ni mo, fu- 
tatsu no o ga nai), oppure « Gatti di due code non 
ve ne sono » (Futatsu no o no neko ga nai; — futatsu 
no o wo motte iru neko ga nai). — Il sofisma poggia 
appunto sul fatto che la seconda premessa sembra af- 
fermativa, (« nessun gatto ha due code ») mentre è ne- 
gativa («nessun gatto » equivalendo a « [ciasc]un 
gatto non... »): ed interviene perciò, a dimostrare la 
falsità del ragionamento, la sana regola tradizionale 
del sillogismo: « Utraque si praemissa neget, nihil inde 
sequetur ». Non poche argomentazioni delle varie fi- 
losofie postcartesiane son gatti con tre code! 

(1) O «Chi troppo vuole, nulla stringe» — cfr. 
il ted.: « Der alles will haben, soll nichts haben ». 


— 187 — 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


negative dànno anzi maggior forza negativa alla pro- 
posizione (1). 

Tale duplicazione non è però ammessa allorché 
il pronome negativo precede il verbo: si dovrà dire 
quindi: « nessuno è venuto ». 


La negazione può essere espressa anche 
con altro vocabolo negativo: si dirà perciò 
« Senza che l’abbia visto nessuno », ma si do- 
vrà dire « Senza che alcuno l’abbia visto ». 


I pedanti obbietteranno che la doppia ne- 
gazione è sempre da evitare: ma le lingue — 
e non l’italiano soltanto — camminano pro- 
prio verso l’uso sempre più invadente di tale 
raddovpiamento: i « veto » contrarî a tali cor- 
renti « non otterranno nulla », « non serviran- 


(1) La doppia negazione appare anche in spagno- 
lo ed in portoghese: « No falta nada », « Nao falta 
nada », (« Non manca nulla »). Il rumeno può usarla 
anche quando il pronome negativo preceda il verbo: 
« Nimeni nu l’a vazut » (« Nessuno l’ha visto », lette- 
ralm.: « Nessuno non l’ha veduto »). — L'’equivalente 
francese « Personne ne l’a vu non contiene propria- 
mente una doppia negazione, poi che personne (lat. 
persona) non ha intrinseco valore negativo, e va quin- 
di sempre accompagnato da negazione. Questa può 
esser inespressa: alla domanda « Qui l’a vu? » si può 
rispondere semplicemente « Personne!» intendendo 
però «... ne l'a vu ». — La doppia negazione è da evi- 
tare nelle lingue nordiche (ed in altre): si dirà per- 
ciò in inglese « Nobody saw him »; in tedesco « Nie- 
mand hat ihn gesehen ». — Il cockney {dialetto-gergo 
di Londra) e lo slang (= franc. argot) americano in- 
frangono con grande frequenza il divieto della dop- 
pia negazione: nello East End londinese si può udire 
« You don't know nobody » per « You don't know any- 
body » 0 « You know nobody »; e nei quartieri an- 
che non popolari di New York non appare troppo 
«scandaloso dire: « He had never seen nothing like 
that » (« Egli non aveva visto non mai nulla di si- 
mile »). — Cfr. R. Kron & R. J. Russell, Slang and 
Colloquial English, Ettlingen, Bielefie!ds, 1929, pag. 34. 
— W. Matthews, Cockney Past and Present: a Short 
History of the Dialect of London, London, Routledge, 
1933 — e C. Rossetti, Lingua Americana, Firenze; Lin- 
gue Estere, 1944, pag. 147. 


— 188 — 


“ranno, alcunché », 


PRONOMI QUANTITATIVI 


no a nienie», «non convificeranno nessu- 
no » (1). i 


* * * 


» 


256. — Pronomi integrali quantitativi so- 
no troppo, poco, molto, tanto, quanto, ecc., che al- 
cuni grammatici definiscono impropriamente sostan- 
tivi: quando non siano avverbi (vedi 8 405) o agget- 
tivi (vedi 8 384) o chiaramente sostantivati (vedi 
8 177), essi sono veri e proprî pronomi: possono es- 
sere collocati, grammaticalmente e ideologicamente, 
nella gamma pronominale che ha per estremi niente 
e tutto (ossia da zero alla totalità). 


“non lascia altrui passar i 
do 


Lal L, 


t 
LI 
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d \ h n° 
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IN ì "i 1) se 

So N Pa 

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“- . Sei, o 


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VIZZAS ni eg 
14 n , 


in A, « altri » = « chiunque » (tutti) fuorché la lupa »; 


in B, « altri» = « chiunque (tutti) fuorché gli uni ». 


(8 257) 


(1) Si dovrebbe dire, correttamente: « Non otte- 


«Non serviranno ad alcunché » 
« Non convinceranno alcuno ».. 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


* *_* 


257. — Limitazione di natura del tutto speciale 
è quella che fa sì che l’« area di significato » del pro- 
nome altri sia illimitata, con esclusione però di una 
«zona di significato » determinata da altri elementi, 
estranei al pronome stesso. 


Nel I Canto della Divina Commedia, la lupa 
«non lascia altrui passar per la sua via » 


(Inf., I, 95) 


. Il pronome altrui (= altri) si riferisce al 
chiunque, ad eccezione della lupa stessa. Pa- 
rimenti, nell'espressione « gli uni e gli altri », 
il significato di aliri non ha altra limitazione 
che quella di escludere « gli uni ». 

258. — Il pronome dltri richiede quindi neces- 
sariamente un’esplicita dichiarazione correlativa, la 
quale permetta di conoscere chiaramente la « zona di 
significato » che è esclusa (1). | 


259. — Il pronome dltri ha la privilegiata desi- 
nenza in -i (caratteristica dei « pronomi tipici » (vedi 
8 240); vale per i due numeri (singolare e plurale). 
Al singolare, però, si usa solo riferendosi a persone. 


260. — Come corrispettivo con valore neutro si 
ha il pronome altro: es.: « altro è dire e altro è fare ». 
Il valore neutro e generico di tale pronome è evi- 
‘dente in numerose espressioni tipiche della nostra 


(1) Inorridirebbe il lettore non simpatizzante con 
le matematiche se qui-si affermasse utile ed interes- 
sante lo studio di questo fenomeno con criterî « to- 
pologici », ossia riscontrando analogie con i postulati 
della nuova scienza (la topologia), che può ben defi- 
nirsi «la geometria senza forme e senza dimensioni ». 
Anche l’analysis situs è invece meno astrusa e meno 
lontana dalle pratiche applicazioni (grammaticali com-. 
prese) di quel che ne possa pensare il profano, atter- 
rito dall’aspetto esteriore. Lo studioso di buona vo- 
. lontà potrà consultare utilmente il bello studio rias- 
suntivo di K. Menger, Bericht iiber die Dimensions 
theorie, nello «Jahresbericht der Deutschen Mathe- 
matiker-Vereinigung », 1926, vol. XXXV, fasc. 5-8, 
pag. 113 essegg. 


— 190 — 


IL COSTRUTTO RECIPROCO 


lingua: « fra l’altro », « senz'altro », «tutt'altro» (1), 
«ci vuol altro!», «non fosse altro», «...e tant’al- 
tro... ». 


261. — Il pronome altri, al singolare, non è mai 
preceduto da articolo: questo si può usare con la for- 
ma altro, poi che è l’aggettivo sostantivato. Si dirà 
perciò « Un altro non agirebbe così », ma « Altri agi- 
rebbe altrimenti ». 


Sia altri che altro derivano etimologica- 
mente dal latino alfer, il quale però aveva il 
significato ristretto di « uno dei due » o « l’al- 
tro dei due »: es.: Audialur et altera pars (2). 
L'italiano vi ha incorporato anche il significa- 


to di alius « altro » (fra più). 


La distinzione se si tratti di « altro » fra 
due oppure di « altro » fra più di due è molto 
importante in alcune lingue (3). 

262. — Sebbene tale distinzione si sia perduta in 
italiano, abbiamo però il pronome entrambi (femm. 
entrambe) che riunisce «l’uno e l’altro »: 


« Colei Sofronia, Olindo egli s’appella, 
D’una cittade entrambi e d'una fede ». 
(Tasso, Gerus. Lib., II, 16) 


263. — Con questi stessi pronomi si forma l’ori- 
ginale costrutto reciproco «l’un l’altro », che va 


(1) Tale risposta è frequente, contro la domanda: 
« Vi dispiace? » o « Vi disturba? » o altra simile. 

(2) «Si ascolti anche l’altra delle due parti », 
« Bisogna udire anche l’altra compana ». I latini dice- 
vano altera ripa per « la sponda opposta »: talora alter 
equivaleva persino al numerale ordinale « secondo »: 
anno trecentesimo altero, « nell’anno 302 ». 

(3) L’inglese ha either, « uno o l’altro (di due) »: 
es.: either of them can go, « uno o l’altro dei due può 
andare ». — Ed ha anche il negativo neither: es.: nei- 
ther of them knows, « nessuno (dei due) sa ». Nel lin- 
guaggio corrente si usa, pur se abusivamente, anche 
il verbo al plurale: neither of them know, « nessuno 
dei due sa» (letteralmente «sanno », come noi di- 
ciamo « entrambi sanno »). Tale abuso non è troppo 
deprecato nemmeno dal Dizionario di Oxford. Cfr. 
The Concise Oxford Dictionary of Current English, 
3rd edit., Oxford, 1934, pag. 759. 


— 191 — 


” dea 
dbm or - 


Tizio | 
| = saluta —> _ 


Cai 
== saluta=3 
Tizio: 


si salutano 

l al tro 
Menjehen follen| 
cinander helfen 


[ 


They are spoaki ng 
fo each other 


CETTE 
icnsicà 


A) Nel costrutto reciproco, i pronomi « l'uno » e l’al- 

tro » sono bi-valenti... — B) (tedesco) « Glì uomini deb- 

bono aiutarsi l'un l altro ». Formato con due pronomi, 

einander è un avverbio. — O) (inglese) « si parlan l'uno 

all'altro » (letteralm.: « al ciascun-altro »); each other 

è un costrutto globale, preceduto da preposizione. 
(8 263) 


— 192 — 


« UN, UNO » HA TRE VALORI DIVERSI 


considerato in funzione unica, poi che il significato 
risultante è diverso da quello dei due componenti: 
infatti la proposizione « Tizio e Caio si salutano l’un 
* l’altro » non significa soltanto che Tizio saluta Caio, 
ma che anche Caio saluta Tizio: sicché «l'uno» fa 
le veci di entrambi i nomi, e la stessa funzione ha 
« l’altro » 


Perciò questo idiotismo italiano non va 
tradotto letteralmente nelle varie lingue: ma 
soltanto in quelle che ammettono tale ampli- 
ficazione (1). 

264. — Il pronome uno non va confuso con il 
mumerale né con l’articolo: soltanto come pronome 
può avere plurale: « gli uni ». 


Parlando del numero uno ripetuto più vol- 
te, sarà più corretto e più chiaro dire «gli 
uno ». È inesatto grammaticalmente e poco 
chiaro l'esempio addotto dal Tommaseo: 
« Scrivete cinque uni e ditemi che numero 
fanno » (2). Più correttamente, più moderna- 
mente e più elegantemente si dirà: « cinque, 
UNO », 0, a maggior chiarezza « cinque volte 
ciîra 1 » (3). 


(1) Per esprimere tale reciprocità, il greco si ser- 
vì del tema di dllos, « altro » ripetuto (allo-allo) e ne 
formò alléloin, « l’un l’altro », il quale, naturalmente, 
manca di singolare (e manca anche del nominativo): 
è in forma di duale o di plurale. — Il tedesco ha 
einander, che, pur formato con ein (« uno ») e ander 
(< altro »), è avverbio (= « reciprocamente »). — L’in- 
glese ha in each other (letteralm.: « ciascun l’altro ») 
un costrutto unico, che va préceduto dalla preposi- 
zione che noi, invece, inseriamo fra i due pronomi: 
«They are speaking to each other », « Essi si parlano 
l’un l’altro », «parlano l’uno all’altro » (letteralm.: 
« Essi parlano a Vun-l’altro »). 

(2) N. Tommaseo, Dizionario della Lingua Italia- 
na, ediz. UTET, Torino, 1929, vol. VI, pag. 340. 

(3) È vero che si dice « tre zeri », ma tale voca- 
bolo è di uso assai più frequente, ha aspetto fònico 
diverso, ed il plurale non ammette equivoci. — Il fran- 
cese non apostrofa l’articolo le né fa la liaison fònica 
dinanzi a un quando questo ha valore di numero e 


— 193 — 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


265. — Il « gioco dei pronomi», ossia la loro 
complessa funzione, ha molta importanza ideologica, 
grammaticale e stilistica. 

Chi apprenda una lingua straniera troverà gran 
giovamento osservando l’uso dei pronomi come rive- 
latore dell’indole della lingua stessa. 


Così considerati, gli appariranno più lim- 
pidi alcuni fenomeni, quali ad esempio, quello 
dello « stato costrutto » dei nomi érabi cui en- 
cliticamente venga aggiunto il pronome suî- 
fisso (1). 

Molti fenomeni linguistici appaiono strani 
se li consideriamo senza indagare il processo 
ideologico che li determina, o se prendiamo 
come unico punto di vista quello della nostra 
lingua nazionale. 

Le frequenti esplorazioni nelle lingue este- 
re vicine e lontane servono, viceversa, a me- 


non di.articolo: dice l'un et l’autre », ma «le un qui 
précède la virgule... »: pronunzia «c'est un fait! » 
(« c’et-t-un fait »), «è un fatto », «è così»; ma dice 
senza liaison: ce un est inal écrit, « questo uno è scrit- 
to male ». 

(1) L’arabo Kitéb diventa kitàbuhu, «il libro d> 
lui », e Kitàbuka «il libro di lei », che han significato 
determinato. Per « un libro di lui (o di lei) bisogna 
ricorrere ad una perifrasi: « un libro [appartenente] a 
lui (o a lei). Con due punti di vista di lingue diverse 
intendiamo il doppio fenomeno: le forme italiane en- 
clitiche -gli e -le (diedegli= diede +. gli; chiesele = 
chiese + le) ci fan comprendere come un suffisso pro- 
nominale possa esser aggiunto, in altra lingua, ad un 
nome come noi lo aggiungiamo ad un verbo (kirabuhu 
= kitàb + u + hu; hu=«-gli»; — kitàbuka= kitàb 
+ u-+t-hà; hà = «-le »); ed il significato determinato 
ci appare più chiaro, quando pensiamo che il france- 
se « son livre », l’ingiese « his (o her) book », lo spa- 
gnolo « su libro » significano « il suo libro » (determi- 
nato), e che anche in queste lingue è necessaria une 
perifrasi per esprimere «un libro di lui (o di lei)»: 
«un livre à lui (à elle) », o « un de ses livres »; « one 
of his books»; o un’inversione come neilo spagnolo 
«un libro suyo ». 


— 194 — 


IDIOTISMI 


glio renderci conto delle peculiarità idiomati- 
che del nostro idioma (1) la cui natura e la 
cui importanza ci sîuggono, poi che non pre- 
stiamo ad esse maggior attenzione che alle 
altre locuzioni, comuni a parecchie lingue: e 
rischiamo, così, di tradurre alla lettera o qua- 
si, in lingue straniere ciò che, in queste non 
ha alcun significato. 


(1) In inglese, idiom, « idioma », è correntemente 
usato nel significato di «idiotismo, modo di dire » 
La lingua inglese è formata prevalentemente di « modi 
di dire ». Per quelli tradizionali, e per riferimenti sto- 
rico-letterarî vi è il grosso (1440 pag.) Dictionary of 
Phrase and Fable, di E. C. Brewer, 105° migliaio, Lon- 
don, Cassell, 1897; — moderno ed agile è il volumet- 
to di J. M. Dixon, English Idioms, London, Nelson 
s. d.;: — abbondante di « idiomatic notes » il manuale 
pratico di M. M. Mason, English as spoken and writ- 
ten to-day, London, Nutt, 1910. 


— 195 — 


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Parole - catena e parole X 


O 


(XI) 


266. — Alcuni pronomi hanno non soltanto la 
funzione di sostituire un nome, ma anche quella di 
indicare chiaramente il rapporto che intercorre fra 
questo nome sostituito e lo stesso nome contenuto in 
un’altra proposizione. 

Essi segnalano dunque la ripetizione della mede- 
sima «idea sostantivale » in due proposizioni diverse. 

Nelle due proposizioni « L'uomo che giun- 
ge è un amico », il soggetto fisico della prima 
(« L'uomo è un amico ») è un certo uomo; e il 
soggetto della seconda (« che giunge ») è an- 
che un certo uomo, rappresentato dal pronome 
che, il quale però ha anche l’ufficio di indicare 
che si tratta del medesimo uomo. Per espri- 
mere tale nesso non basterebbe dire « L'uomo 
è venuto; l'uomo è un amico »: bisogna ag- 
giungere l'indicazione specifica di relazione 
(identità) contenuta nel pronome relativo: 

« L'uomo è venuto; 
quell'uomo è un amico ». 

267. — Il pronome relativo più usato in italiano 
è il pronome che, agilissimo, perché, invariato (in- 
declinabile), può riferirsi a persona, animale o cosa, 
di qualunque genere e di qualunque numero, in fun- 
zione di soggetto, di complemento oggetto, e, oggi 
più raramente, anche per i casi obliqui (1). 


(1) Nel verso del Petrarca 
« Ed io son un di quei che ”l pianger giova », 
(In vita di Mad. Laura, c. III, 5) 
il pronome che può esser inteso come dativo, sebbene 


— 197 — 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


268. — Non v'è altra parola italiana che sia 
usata con tanta frequenza, quanto la parola « che » (1). 


Diciamo « la parola che », poi che tale mo- 
nosillabo può essere anche congiunzione (ve- 
di $ 444) la quale è però pur essa derivata dal 
«pronome, sia nella sua Tunzione connettiva tra 
proposizione e proposizione, sia in quella con- 
sequenziale o comparativa, e persino quando, 
scritta con l’accento (ché) equivale a perché, 
poi che (poiché; vedi $ 448). 

269. — Il nome, espresso in altra proposizione, 
ed al quale il che si riferisce, costituisce l’ante- 


il Leopardi ed altri lo intendessero come accusativo, 
alla latina (« Quem iuvat luctus »). — Il Boccaccio 
scrisse persino: « Che rusignuolo è questo, a che (= 
al cui canto) ella vuol dormire? » (Decamer., g. VIII, 
n. 3). Nel detto proverbiale « Paese che vai, usanza 
che trovi» il primo « che » equivale a « nel quale ». 


(1) Nel 1° canto della Divina Commedia il mono- 
sillabo che ricorre ben 55 volte in 45 terzine. Nell’ul- 
timo canto appare 59 volte in 48 terzine, con la mate- 
matica precisa proporzione: 

55 145 1:59: 48 

Il fenomeno è tale da stupirci come altri consi- 
mili nell’opera del Poeta, il quale certamente non 
contò i « che » man mano che li usava nei suoi versi. 
Né contò i versi di ciascuna cantica: e pure 4.720 
compongono la I cantica, 4.755 la seconda; 4.758 la 
terza; e persino le parole (99.542 in tutto) son distri- 
buite con eguale regolarità: 33.444 nell’Znferno, 33.379 
nel Purgatorio; 33.719 nel Paradiso. Ed ancor più stu- 
pefacente è la constatazione che persino la frequen- 
za del «che» secondo le diverse funzioni di prono- 
me, congiunzione connettiva, congiunzione comparati- 
va o consequenziale e causativa (che= perché, poi 
che) ha una proporzione rigorosamente costante nel- 
la 12 e nell’ultima cantica, e quindi verisimilmente 
anche nell’altra. Infatti abbiamo: 


Inferno, Canto I: 28+12+11t4=55 
Paradiso, =» XXXIII: 29+13+14+3= 59 


Dal che possiamo inferire che il monosillabo che 
sia ripetuto circa 5.700 volte nelle 4.744 terzine della 
Divina Commedia. 


— 193 — 


ae ri. > 


META 


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Tetide «6 a: saro 


LA PAROLA PIÙ FREQUENTE 


“- 


cedente, del quale il «relativo » che è apppunto. 
il conseguente; ad es.: 
« Chi guarda pur con l’occhio che non vede ». . 
sO (Purg., XV, 134) 
(occhio = antecedente; che = conseguente). 


PASTE 
SII ZASE , 
CANI] 
gli (1) y, LA > RO 
IE 
f) J 


La 14 Cantica della Divina Commedia contiene 55 volte 
la parola «che »... Verisimilmente questa è ripetuta 
5.700 volte nelle 4.744 terzine del poema, Xilografia 
in un’edizione veneziana (ed. Matheo de Codecha) del 
1493. (8 268) ‘ 


270. — L’antecedente può anch’esso es- 
ser costituito da un pronome: | 
«Questo misero modo 
‘tengon l’anime triste di coloro 
che visser sanza infamia e sanza lodo ». 
(Inf., III, 34-36). 


— 199 — 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


271. — La proposizione « antecedente » può es- 
sere — e assai spesso lo è — spezzata dalla « conse- 
guente », la quale viene così ad insinuarsi in essa co- 
me «inciso »: 

« Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende, 
prese costui... ». de 
(Inf., V, 100-101). . 
« Amor prese costui» è la proposizione antecedente: 
« ch'al cor gentil ratto s'apprende » è la conseguente. 


La proposizione «relativa », cioè conte- 
nente il pronome «relativo », ha infatti fun- 
zione globale di attribuito specifico nei riguar- 
di del sostantivo specificato. 

Il considerare come attributive (ossia con 
il valore globale di « aggettivo ») le proposi- 
zioni relative faciliterà la comprensione del 
loro comportamento sintatiico in parecchie lin- 
gue siraniere (1). 

Parecchie iingue collocano la proposizio- 
ne relativa in modo che essa sia evidentemen- 
te in funzione aggettivale rispetto al ncme che 
essa qualifica (2). 


(1) Quando l’antecedente è indeterminato, quella 
che per noi è una «proposizicne relativa » perde il 
pronome « che » passando in arabo, ed i grammatici 
arabi la considerano un « qualificativo » del nome. Co- 
sì « Vidi una donna che aveva con sé un bimbo » si 
traduce: « Vidi una donna con lei un bimbo », (« ra’aya- 
tu ’mrahat(an) ma'aha tifl(un) >»), in cui con-lei-un- 
bimbo è il qualificativo di una donna. — Qualcosa di 
assai simile avviene nell’inglese corrente, appunto con 
la soppressione del pronome relativo quando sia .in 
accusativo o in caso obliquo: « Ha visto il bimbo che 
la donna portava» si traduce infatti: « Ha visto il 
bimbo la donna portava» (« He saw the child the 
woman was carrying »), in cui /a-donna-portava può 
utilmente esser considerato « qualificativo » di « bim- 
bo ». Ed infatti noi possiamo trasformare le due pro- 
posizioni in una sola, con un procedimento che ci 
chiarisce il fenomeno: « Vide il bimbo portato dalla 
donna ». I 

(2) Due lingue lontanissime, quali l’amarico ed il 
giapponese traducono infatti in modo del tutto paral- 
lelo l’espressione italiana «l’uomo che venne ieri»: 


— 200 — 


IL SINTETICO PRONOME «CHE » 


272. — Il sintetico pronome che può esser sem- 
pre sostituito dalle formule equivalenti il quale, la 
quale, i quali, le quali. i 


‘ Queste, accordandosi chiaramente, per ge- 
nere e numero, con il nome o pronome che ne 
sono l’antecedente, servono ad elimi- 
nare la eventuale possibilità di equivoco, quan. 
do cioè l’uso del che potrebbe generarlo. 

Dante, dopo aver parlato « dell’alma Roma 
e di suo impero » (antecedenti), aggiunge la 
proposizione relativa: 

«la quale e ’I quale, a voler dir lo vero, 

Îùr stabiliti per lo loco santo 

u’ siede il successor del maggior Piero ». 

(Inf., II, 22-24). 
chiarificando nettamente in tal modo un rap- 
porto che il semplice « che » non avrebbe po- 
tuto esprimere: /a quale si riferisce a Roma e 
il quale all'impero. 

273. —— Il pronome che (1) ha conservato traccia 
di declinazione: dal dativo latino (cui) e conglobando 
in esso anche le funzioni del genitivo (cuius) nonché 
quelle dei plurali, si è formato il pronome italiano cuì, 
che vale per tutti i casi tranne il nominatvo: 
« Molti son gli animali a cvi s'ammoglia » 
(Inf., I, 100). 
« Parea ciascuna rubinetto in cui 
raggio di sole paresse sì acceso... » 
Parad., XIX, 4-5) 


in entrambe le lingue essa diventa «i/ che-venne-ieri 
uomo » (amarico: «tfeulante yamaettàu saeaù »: in 
giapponese: « kinò kita hito». — Etnicamente, geo- 
graficamente e per struttura lontanissimo da entram- 
be le lingue è il basco, che pur ricorre ad espediente 
analogo, poi che manca di pronomi relativi: tale rap- 
porto viene espresso con la lettera n posposta al ver- 
bo, e la nostra proposizione relativa diventa un at- 
tributo dell’« antecedente »: eldu diran gizonak, « gli 
uomini che son giunti », letteralmente: «i giunger-che- 
sono uomini ». 0 

(1) Il nostro che deriva dall’accusativo maschile 
latino quem. 


— 201 — 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


‘ossia ciascun’anima sembrava un piccolo rubino (1), 
nel quale brillasse vivido un raggio di sole. 


274. — Poi che il pronome cui può significare 
tanto «il quale » quanto «al quale », nel caso dativo 
lo si può usare con o senza la preposizione «a »: si 
può dire egualmente « la persona a cui faceva cenni » 
o « la persona cui faceva cenni ». Questa seconda for- 
ma è migliore. Nel genitivo, invece, la preposizione 
« di » è obbligatoria, tranne però quando l’espressio- 
ne genitiva venga a trovarsi fra l’articolo ed il nome: 
Beatrice dice a Virgilio: - 


«O anima cortese mantovana, 
di cui la fama ancor nel mondo dura, 
e durerà quanto ’| mondo lontana » 
(Inf., II, 58-60) 
poi che l’articolo segue l’espressione « di cui ». Non 
avrebbe potuto dirgli « /a di cui fama »: séltanto «la 
cui fama » era ed è la forma corretta. 


Ciò è dovuto alla permanenza, nel prono- 
me cui, anche del valore che aveva l’aggetti- 
VO latino cuius, cuia, cuium (2). 


‘ok k 


275. — Gravissimo torto è fatto dalla gramma- 
tica tradizionale al pronome chi, classificandolo con 
gli altri « relativi », misconoscendo così le sue parti- 


(1) Il nome francese robinet, dato alla chiavetta 
terminale di un tubo, appare solo nel XV secolo: fu 
preso da Robin, soprannome fiabesco e familiare del 
montone, poi che i « rubinetti » raffiguravano spesso 
una testa di tale animale. Soltanto in tempi recenti 
il vocabolo è passato in italiano, ed è ancora ripreso 
«come « gallicismo » dai puristi. Si trasformò in rubi- 
netto per influenza del rubino, il cui nome è dovuto 
al basso latino rubinus, lat. classico rubeus, « FOSSO >. 

(2) Lo spagnolo dice: « E! padre à cuyos nifios he 
visto », « Il padre i cui figlioli ho veduto » (lat.: « Pa- 
ter cuius pueros vidi »). — Il francese direbbe: « Le 
père dont j'ai vu les enfants », usando un relativo di 
tutt'altra origine, poi che. dont si è formato da de 
. unde, come il nostro donde, il quale ha conservato il 
valore di provenienza da luogo (e PERCIO anche conse- 
guenza da premesse). 


— 202 — 


IL PRONOME BIVALENTE 


colari proprietà e funzioni, che nettamente lo diver- 
sificano dagli altri. 

Nel latino qui (1) e nell'italiano chi è condensato 
al massimo il valore « relativo ». 


I « suoni di relazione », ossia quelle paro- 
le o parti di esse che non esprimono idee spe- 
cifiche ma i rapporti ira esse (pronomi, arti- 
coli, preposizioni, congiunzioni, prefissi, suî- 
fissi) hanno ciascuno una propria struttura 
intima, che è interessante studiare, poi che 
essa presenta delle « linee di fcrza e di resi- 
stenza » proprio come un corpo materiale (2). 
Pur se non possiamo ancora — poi che è un 
vasto còmpito a venire — riconoscere e trac- 
ciare queste linee con un procedimento ana- 
logo all’esame fotcelastico della più moderna 
Scienza delle Costruzioni (3), dobbiamo per 
lo meno intuire tale mirabile insieme di linee 
di forza, e sentirle, sì che più evidenti ci ap- 
paiano le « proprietà » tipiche di tali « gruppi 
di suoni », e ci sia più agevole servircene in 
armonia con la loro naturale funzione. Un 
aviatore non può esser buon pilota se egli non 
conosca la struttura ed il funzionamento del 
velivolo, e non ne senia il meccanismo in 
azione. 

I pronomi che, cui, il quale, ecc. necessitano di 
un «antecedente »: essi si limitano ad indicare una 


(1) Dalla stessa radice (sanscr. Kos, ka, Kod: lat. 
qui[s], quae, quod {[quid]) si son formati anche qualis, 
quantum; e dall’analogo hwa gotico il sassone AWA, 
donde l’inglese who, what, which, where, when etc. 

(2) « Les signes dont la langue est composée ne 
sont pas des abstractions mais des objets réels ». F. 
de Saussure, Cours de linguistique générale, Paris, 
Payot, 1931, pag. 144. 

(3) Due valorosi tecnici, il prof. Danusso e l'ing. 
Oberti, banno compiuto nel laboratorio di Meccanica 
del Politecnico di Milano studî e ricerche di fotoela- 
sticità, che non sono affatto inferiori a quelli dello 
U. S. Bureau of Standards di Washington o del Na- 
tional Physical Laboratory di Teddington (Inghilterra). 


Da 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


relazione con tale irecsnenie: ma appartengono in- 
teramente alla proposizione relativa. Il pronome 
« chi », invece, non necessita di antecedente, poi che 
lo contiene: è un pronome bi-valente, il quale equi- 
vale a due pronomi, uno dei quali appartiene alla 
proposizione antecedente, e l’altro alla relativa. 


« Chi m'ama, mi segua » è formato da due 
proposizioni, poi che vi sono due verbi: il pro- 
nome « Chi » è soggetto di entrambi: equivale 
infatti a « colui che mi ama mi segua », poten- 
dosi cioè scindere nei due soggetti. 

E possibile anche l’operazione inversa, 0s- 
sia fondere « colui che » in « Chi »: 

«Qual è colui che sommniando vede » 
(Parad., XXXIII, 58) 
può esser ridolto in « Qual è chi vede so- 
gnando ». 

276. — Il pronome chi, indeclinabile, si usa uni- 
camente per le persone, e vale soltanto per il singo- 
lare (1): può avere perciò come equivalenti « colui il 
, quale », « colei la quale ». 


* * * 


277. — È interessante constatare che, in tutte le 
lingue europee (2) e nella gran maggioranza delle al- 
tre, i pronomi relativi coincidono con gli interro- 
gativi: la tipica intonazione (3) sembra trasfor- 
marne interamente il valore e la funzione. 


(1) Queste esclusioni non valgono per tutte le lin- 
gue; in ungherese, ad esempio, si usa aki (che ha il 
plurale akik) per le. persone: aki szeret, kbvet, « chi 
mi ama, mi segue »; e ami (plur. amik) per le cose in- 
definite: amire vàrtam, megérkezett, « ciò che atten- 
devo è avvenuto »; — amely (plur. amelyek) s’usa per 
cose definite. — In arabo, man, « chi, colui che», e 
mà, «ciò che» possono rappresentare, pur restando 
aio anche un caso obliquo: « Allah[u] Khalig{u] 
mà fî ’l-’alam[i] », « Allah è il creatore di ciò che è 
nell'universo ». o 

(2) Tranne il basco, che non ha pronomi rela- 
tivi. 

(3) L’intonazione interrogativa non è però ugual- 
mente modulata in tutte le lingue. Si può anzi affer- 


— 204 — 


LE « INCOGNITE » 


In realtà si tratta proprio dei medesimi 
pronomi, e la funzione è analoga. L’interroga- 


‘a il 
“un povero | 


4 
mantello ?_2 


sm i ra un 
inconi chi 


\é Senza, n, 
) mantello <, 


N 
NS 


Î\ / 
v )) gpr-a SE 

DE” —>—-=55 
il VAT 


I pronomi interrogativì sono, nel discorso, i simboli 
algebrici delle incognite’ (8 277) 


mare che essa varia, in misura minore o maggiore, 
in tutte le lingue, e persino in molti dialetti. Il tono 
interrogativo napoletano e siciliano differiscono non 
poco da quello romano, veneto o genovese. 


— 205 — 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


zione contiene infatti implicitamente una re- 
lazione con la risposta attesa, altrimenti sa- 
rebbe inutile rivolgerla. La risposta costitui- 
sce l’« antecedente virtuale » del pronome in- 
terrogativo. 

« Colui che giunge è un amico » è un’aî- 
fermazione; « Chi è colui che giunge? » è una 
interrogativa equivalente a « Colui che giun- 


ge è chi? », ossia « Colui che giunge è X », 


in cui X è l’incognita (1). 

I pronomi interrogativi corrispondono 
infatti a quel che le incognite (x, y, z) sono nella no- 
tazione algebrica. 


(1) In alcune lingue la struttura della proposi- 
zione interrogativa (pronominale o non) non differi- 
sce dalla positiva: la positiva « Quell’uomo è un ami- 
co » (cinese: « na4-ko sgén? scîh4 p'éng?-yu»; giappo- 
nese: « Ano hito wa hòyi desu ») diventa interroga- 
tiva con la semplice aggiunta di mo in cinese e ka in 
giapponese; e la domanda « Chi è quell’uomo?» si! 
traduce sostituendo «chi?» ad «amico », senza Va- 
riare l’ordine delle parole: « Na4-ko sgén? scîh4 sciùl? » 
(senza neppure il tono interrogativo). e « Ano hito We 
dare desu» (con una intonazione assai diversa dalla 
nostra interrogativa). 


— 206 — 


Il pronome - specchio e il Sig. N. N. 


(XIV) 


278. — Del tutto a parte va considerato il pro- 
nome riflessivo, poi che esso « fa le veci» di 
un nome, ma vi aggiunge l’idea di « rapporto con se 
stesso ». 

Questo rapporto, evidentemente, differisce da 
qualsiasi altro. 

Nella proposizione « Giorgio si lava », os- 
sia « Giorgio lava sé » si può ancora scorge- 
re un’analogia con « Giorgio lava un altro », 
e si può sostituire il pronome sé (sì) con il 
nome che questo sostituisce: « Giorgio lava 
Giorgio ». L'espressione non è economica né 
elegante, ma il significato è comprensibile. 
Evidentemente, però, allorché diciamo « Gior- 
gio si sveglia », l’azione espressa è ben diver- 
sa da quella che Giorgio compie per destare 
un’altra persona: sarebbe perciò assurdo ri- 
solverla sostituendo « Giorgio » al pronome: 
« Giorgio sveglia Giorgio », 

Le lingue sono ricorse (1) ad espedienti varî per 
esprimere questo singolare rapporto. 

In geroglifico, il gruppo simbolico che lo 
indica significa « corpo » (h°); l’ideografia ci- 
nese adottò il segno che indica anch'esso il 
« Corpo » (ÎsZ') e che anticamente raffigurava 
il naso, sintesi dell'intera persona (2), oppure 

(1) Vedi 8 32. 

(2) Nell’embriologia cinese il naso è il punto di 
partenza dello sviluppo fetale. Cfr. G. D. Wilder & 


G. H. Ingram, Analysis of Chinese Characters, Pei- 
ping, College of Chinese Studies, 1934, pag. 40, n. 104. 


200 


| GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA . 


una linea curvata in modo da simboleggiare 
le volute dell’aria espirata (chi*) (1). L’amari- 
co, come altre lingue semitiche e cuscitiche, 


ie — 


| Muta bnuxKHero Kax camoro cea CA) i 


HMUero cede » TaK cede 


‘‘così così” 


(BENE) 


Un campionario di « riflessivi »: A) « Ama il prossimo 
come te stesso » (russo) — 2) il tipico riflessivo sjebjà 
(russo) — C) il gruppo geroglifico per « corpo » — D) 
ideogrammi cinesi della personalità: (a) forma antica. 
— E) «Egli andò da sé » (amarico) (8 278) 


(1) Ossia « il potere emesso da una persona, la sua 
| azione », ibid., pag. 68, n. 101. 


— 208 — 


IL RAPPORTO CON SE STESSO 


non è riuscito a formare, un pronome riîlessi- 


| vo, ed usa perciò il pronome personale seguì- 


to da « testa », « mano », « bocca » € l’agget- 
tivo possessivo (1). 


Il più eîficace dei pronomi riflessivi è il 
russo s/ebjà, il quale vale per tutte le perso- 
ne (2). 

279. — L'esame delle varie forme adottate è in- 
teressante ed utile per intendere — più intuitivamente 
che per precisa analisi — la natura di questo parti- 
colare « rapporto con se stesso », il quale può essere 
più o meno «intenso », in quanto l’azione espressa 
dal verbo è connessa più o meno intimamente con la 
personalità e l’attività psicologica del soggetto. 


Esiste in fatti una « gradazione » nelle di- 
verse azioni riflessive espresse nelle propo- 
sizioni seguenti: 


« Tizio si veste », « Tizio si peltina », « Ti. 
zio si nutre », ossia compie queste azioni in 
modo analogo a quello con cui vestirebbe, pet- 
tinerebbe, nutrirebbe un ‘altra persona; 


« Tizio si reca a...», « Tizio si accovaccia » 
ossia compie azioni che sono anche musco- 
larmente diverse da quelle che dovrebbe com- 
piere per recare altri in qualche luogo, o per 
farlo accovacciare; 


‘ «Tizio si imbatte », ossia compie un’azio- 


(1) « Egli andò da sé» si traduce in amarico: 
« Essu rasùn hiedù », cioè « Egli la sua testa (ras= 
« capo ») andò ». 

(2) « Ama il prossimo come te stesso » si tradu- 
ce in russo « Ljubì blishnevo kak samavò sijebjà »: 
letteralmente: « come sé stesso », ma quel sé è rife- 
rito alla seconda persona. — Il valore di tale prono- 
me riflessivo è sensibile, più che spiegabile, nelle due 
tipiche espressioni correnti nicevò sjebje » (letteralm.: 
« niente a sé stesso »} e tdk sjebije (« così a sé stesso ») 
che significano entrambe « così così »; la prima però 
vale « piuttosto bene che male » e la seconda « piutto- 
sto male che bene ». 


— 209 — 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


ne che, in italiano, non può essere espressa 
se non in forma riflessiva (1); 

« Tizio si sveglia», « Tizio si ricorda», 
« Tizio si adira », ossia passa in stati d’animo 


e di intelletto che non possono essere che per-o 


sonalissimi. 

280. — Il pronome riflessivo italiano ha 
due forme: sé e si. 

La prima è più forte, nell’accento e nell’espres- 
sione. Per tale accento tonale, e per distinguersi dal 
monosillabo omofono se, che è congiunzione ipoteti- 
ca, il sé riflessivo reca anche graficamente l’accento 
(acuto, poi che il suono è chiuso). 


È invalso l'uso di omettere tale i al- 
lorché il sé sia seguito da « stesso » 0 « me- 
desimo ». Non è esalto affermare Da tale 
omissione sia del tutto ingiustificata (2). L’ap- 


(1) Si pensi però sempre se vi siano anche altre 
espressioni equivalenti, in forma non riflessiva, pri- 
ma di tradurre in lingua straniera. Ii nostro incon- 
trarsi con equivale infatti a « incontrare »: e in ingle- 
se sarà to meet, e, per incontri fortuiti, ‘o meet with, 
to come across. Anche qui è importante il feeling del 
vocabolo (vedi 8 52 e 108). 

(2) «Non c’è ragione di creare questa doppia 
ortografia ». Morandi & Cappuccini, op. cit., pag. 117, 
8 379. — Ma è anche inesatto affermare che «in que- 
sto congiungimento con stesso o medesimo l'accento è 
inutile perché non si può confondere con se, parti- 
cella condizionale ». (A. Panzini, Guida alla gramina- 
tîca italiana, Firenze, Bemporad, 1933, pag. 31). L’ac- 
cento grafico sui monosillabi che lo hanno rimane 
obbligatorio anche quando non vi sia possibilità di 
equivoci: (es.: « Di qua, di là, di giù, di su li mena». 


Inf., V, 43; — « del bel paese là dove ’l sì sona» "= 
Inf., XXXIII, 80). L’accento gràfico si conserva poi 
che rimane il rilievo tonale. — Contravvengono a 


questa istintiva norma grafico-musicale della lingua 
nostra gli innovatori che hanno voluto rimpiazzare 
con un accento l’% nelle due voci verbali ha e hanno 
(à, ànno), che, infatti, non hanno un rilievo nell’into- 
nazione. La tradizione aveva istintivamente conser- 
vato l’A: l'accento è una «stonatura », è uno stimolo 
ad una «stecca ». E son riconoscibili, nell’artificiosa 


— 210 — 


inizino ‘n —— 


L’AGENTE INDETERMINATO 


parente anomalia corrisponde invece al fatto 
ionico, poi che in tale posizione il sé perde 
il suo accento tonale, appoggiandosi procliti- 
camente sul vocabolo seguente (« stesso », 
« medesimo »): l'accento va però conservato 
anche graficamente quando l'intonazione po- 
ne fonicamente in rilievo tale monosillabo, per 
ragioni metriche o per intensità di espressio- 
ne: nella palude infernale del V cerchio il 
dannato Filippo Argenti compie un’iraconda 
« azione riflessiva », e l'accento del verso cor- 
risponde a quello gràfico: 

« e °] fiorentino spirito bizzarro 

in sé medesmo si volgea co’ denti »; 

(Inf., VIII, 62-63). 

281. — La forma atona si, enclitica o procli- 
tica, si usa specialmente ad immediato contatto con il 
verbo: se enclitica, si aggiunge ad esso formando una 
sola parola, e raddoppia l’iniziale se segue una voca- 
le « percossa » fonicamente «tronca» (8 170): 


« Asperges me » sì dolcemente udissi». 
(Purg., XXXI, 98) 
Con il si riflessivo si esprime anche un soggetto 
generico dell’azione verbale: 


« Vuolsi così colà dove si puote 
ciò che si vuole... » 
(Inf., XII, 95-96 e V, 23-24) 
282. — Per tale indeterminatezza dell’agente, il 
si può dare al verbo il valore passivo. « Egli si lava 
così» è riflessivo, ma « Questa stoffa si lava così» 
equivale a « Questa stoffa è lavata (o « viene lavata 2), 
così », implicando anche, spesso, un’idea di necessità, 
opportunità o consuetudine » (1): es.: «Si comincia 


grafìa le forme composte, quali hassi, hallo, hollo? 
Si dovrà dunque scrivere dssi, dllo, òllo? Sono voci in 
disuso, ma possono adoperarsi a scopi faceti o iro- 
nici. Hanvi cogitato (anzi, «ànvi cogitato ») gli in- 
novatori? 7, 

(1) La stessa idea è spesso connessa con il pro- 
nome indeterminato francese on: « Comme on fait son 


x 


— 211 — 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


così, e non si sa dove si va a finire »; « Come si dice 
in latino...? »; Per andare alla stazione si volta a si- 
nistra ». 


* * %* 


283. — Fuori serie, poi che non è un pro- 
nome ma un sostantivo, va considerato un cu- 
rioso vocabolo italiano, il quale ha una certa 
affinità con i pronomi, in quanto fa le veci di 
un altro nome, anzi di qualsiasi nome che non 
venga prontamente alla memoria o che si 
ignori. È il nome coso, da evitare per quanto 
possibile, ma talora indispensabile: «Che è 
quel coso? ». 


Lo strano vocabolo è stato formato stra- 
namente, ossia mascolinizzando il nome cosa, 
poi che si tratta infatti di una cosa, ma non 
definibile (1). 


284. — E, finalmente, possiamo chiudere 
il reparto pronominale con quelli che potreb- 
bero a buon diritto chiamarsi pronomi 
propri, poi che fanno le ‘veci di autentici 
nomi proprî: i nomi Tizio, Caio e Sempronio, 
venuti in italiano dalla giurisprudenza latina, 


lit on se couche» (=<« Ciascuno è artefice del pro- 
prio destino »). Deriva da homme e l’etimologia spie- 
ga anche la persistenza dell’articolo in alcuni casi 
(l’on= l'homme). Analoga etimologia ha il pronome 
indeterminato tedesco man (da Mann, « uomo »): 
«Wie man sich bettet so schlift man» (proverbio 
corrispondente a quello francese). — « Ci si abitua a 
tutto » diventa « On se fait à tout» in francese e 
« Man gewòhnt sich an Alles» in tedesco. L’inglese 
usa il generico « one », « uno »: « One gets accustomed 
to everything ». 

(1) Con procedimento analogo, il francese ha for- 
mato il suo coso mascolinizzando in machin il sostan- 
tivo femminile machine; gli Inglesi usano un come-si- 
chiama: what-s-his-name o how-do-you-call-it; gli Ame- 
ricani preferiscono il whatyoumaycallit, e, nel lin- 
guaggio molto familiare, persino whazzit, abbrevia- 
zione di what-is-it. ; 


— 212, 


| «PRONOMI PROPRI» E NOME UNIVERSALE 


FULANO |puian 
zl also 


Tizio, Caio e Sempronio possono esser chiamati « pro- 

nomi proprî ». Il nome coso è, tra i sostantivi, ciò che 

il joker e la matta sono nelle carte da gioco e nei ta- 
rocchi: vale qualunque altro nome... (8 284) 


— 213 — 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


equivalgono ai simboli algebrici delle quanti» 
tà indeterminate: rn, n... (1). 

: Analegamenle usiamo «il Tal de’ Tali», 
« il sig. N. N. ». 


(1) Nello stile forense inglese l’ipotetico attore è 
chiamato John Doe; lo spagnolo ha per « pronomi 
proprî » Fulano (dall’arabo fulan « un certo »), Zutano 
(da citano, per il lat. scitus, «noto »), e Mengano 
(dall’arabo man kana, «chicchessia »; il portoghese 
usa Fulano, Beltrano e Sicrano. 


— 214 — 


Le voci determinanti 


(XV) 


235. — L'idea espressa da un nome può essere 
modificata, specificata, completata con parole che ne 
limitino la « quantità », determinandola con maggior 
o minor precisione, oppure che ne indichino una « pro- 
prietà » o « qualità ». 

La parte del discorso che ha tale funzione modi- 
ficatrice del sostantivo è l'aggettivo. 

286. — Gli aggettivi si dividono in due grandi 
categorie: 

quelli che modificano il nome esprimendo — sia 
numericamente che con altra determinazione — la 
« quantità » della cosa espressa, e sono gli aggettivi 
determinativi; 

quelli che modificano il nome esprimendo una 
« qualità » o « proprietà » della cosa espressa, c sono 
gli aggettivi qualificativi, che più efficacemen- 
te potrebbero chiamarsi descrittivi. 


287. — I primi (« determinativi ») hanno 
buon diritto ad una precedenza che la gram- 
matica tradizionale nega loro (1), mentre tale 
precedenza esiste nella realtà obiettiva del 


(1) Cfr. qualsiasi grammatica tradizionale. Una 
di queste, dopo aver enunciato che l’aggettivo « chia- 
masi qualificativo nel primo caso, indicativo nel se- 
condo », consacrando così la tradizionale illegittima 
precedenza del qualificativo, cita esempî manzoniani, 
nei quali « un indicativo ne determina un altro o dice 
la quantità del qualificativo » (perciò logicamente pre- 
cedendolo). — Trabalza e Allodoli, La Grammatica 
degli Italiani, Firenze, Le Monnier, 1934, pag. 94. 


— 215 — 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


pensiero e del linguaggio. Infatti, prima di 
sapere come sia una cosa (qualificandola), 
dobbiamo conoscere di che cosa si tratti (de- 
terminandola tra più dello stesso nome). 
Nel pensiero e nell'espressione, gli agget- 
tivi determinativi precedono quelli descrittivi: 


altrio--_—T___ 
curiosi e lepidi — 


+ 


Nel pensiero e nell’espressione gli aggettivi determi- 
nativi hanno la precedenza sui qualificativi (*). . 


(8. 287) 


— 


(*) La xilografia è riprodotta dal Terentius, ediz. 
Joh. Griininger, Stasburgo, 1496. “ 


— 216 — 


UNA LEGITTIMA PRECEDENZA 


es.: « Quei suoi due altri curiosi e lepidi per- 
sonaggi ». (1). 

288. — Molti aggettivi determinativi coincidono, 
per forma e per significato, con i pronomi: si distin- 
guono da questi perché sono accompagnati dal nome: 
allorché diciamo: « Alcuni libri sono interessanti ed 
alcuni no », usiamo due volte il vocabolo « alcuni », 
la prima come aggettivo determinativo (perché ac- 
compagnato dal nome) e.la seconda come pronome 
(comprendente cioè anche l’idea del nome). 


289. — Da notare l’aferesi del latino ista 
nell'italiano « sta- » che appare nei composti 
stasera, stamane, stanotte (2). Non si com- 
prende perché i puristi debbano criticare il 
comunissimo e fluido sfavolia. 

“Dallo stesso aggettivo pronominale iste, 
ista, istud si è formato lV’articolo sardo su 
(— « il, lo »), sd (= « la ») (3). 

290. — Il più usitato aggettivo determina- 
tivo è l'articolo il, nelle sue varie forme, tutte 
derivate dal latino ille, illa, illud. 


n 


(1) Poi che si tratta di precedenza logica, essa è 
rispettata da tutte le lingue con la coerente prece- 
denza nell’espressione: « ces jolies fleurs », « quelques 
vieux livres »; « these beautiful flowers », « some old 
books »; così fin nel lontano Estremo Est: cinese: cé4- 
ko haoi-k'an4s-ti hua! », « hsieh!-pén chìu4-ti sciù? »; 
giappon.: « kono kirei-na hana », « ikura-ka-no furui 
hon ». Eppure «il pensiero orientale si svolge più 
ampiamente nel campo intuitivo che in quello logico » 
(P. S. Rivetta, Nihongo no tebiki, cit., pag. 77), e «si, 
comme l'Europe le pense, la philosophie est en son 
fond une théorie de la connaissance, on pourrait dire 
que notre philosophie est absolument étrangère à V’es- 
prit japonais ». G. Bonneau, Bibliographie de la lit- 
térature japonaise contemporaine, Tòkyò, Mitsukoshi, 
1938, pag. XXXIV. 

(2) Non più in uso è la forma « esto, esta »: 

« Tutta esta gente che piangendo canta », 
(Purg., XXIII, 64). . 

(3) O forse dal latino ipse, ipsa, ipsum. — Dal la- 
tino volgare ecce-iste è venuto il francese ce, cet 
(femm. ceste dell’XI sec.). — Cfr. G. Rydberg, Zur 
Geschichte der franzòsischen —, 1896, II, pag. 274. 


— 217 — 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


291. — Determinativi sono anche gli aggettivi 
possessivi; quando non sono accompagnati dal 
nome cui si riferiscono ne fanno anche le veci, dive- 
«nendo così pronomi possessivi. 


Essi sono variabili e si accordano in gene- 
re e numero con il nome cui si riferiscono: 
però altrui serve, invariato, per entrambi i ge- 
neri ed entrambi i numeri: « fo pane altrui », 
« l'altrui sposa », «î diritti altrui ». 

Si potrebbe ‘considerare altrui come un 
persistente genitivo di altri (1); ma in tal caso 
si dovrebbe considerare genitivo anche /o0- 
ro (2), ch'è pur esso invariato per i due gene- 
ri e per i due numeri: «/a loro vanità », «i 
Jatti loro ». 

292. — I pronomi possessivi possono esser con- 
siderati aggettivi possessivi sostantivati, o, viceversa, 
gli aggettivi possessivi possono considerarsi pronomi 
‘che hanno assunto la funzione aggettiva. 


Spesso ciò che appare « derivazione » non 
è che formazione parallela. In parecchie lin- 
gue i pronomi possessivi differiscono formal- 
mente dai corrispondenti aggettivi possessivi. 
È perciò assai importante distinguere ideolo- 
gicamente le due categorie, affinché la coinci- 
«denza formale del vocabolo italiano non indu- 
ca a facile errore nelle lingue estere. 

293. — È anche importante distinguere il 
genere e numero della cosa posseduta dal ge- 
nere e numero del possessore. Così, ad esem- 
pio, mentre l’italiano Îa concordare l'aggettivo 
con il nome cui si riferisce (cosa posseduta), 
l'inglese, -avendo tutti gli aggettivi invariabi- 
li (3) (e quindi anche i possessivi), usa agget- 


(1) Dal lat. alterius, genit. di alter, come lui da 
illins, genit. di ille. — Cfr.C. H. Grandgent, /ntrodu- 
zione allo studio del latino volgare, trad. ital., Milano, 
Hoepli, 1914, pag. 214, 8 395. 

(2) Da illorum, genit. plur. di ille (vedi $ 240). 

(3) Gli aggettivi inglesi restano invariati persi- 
no quando sono sostantivati: « The old suffer more 
from the cold than the young », «I vecchi (senza suf- 


— 218 — 


CONCORDANZE 


tivi possessivi diversi a seconda che il pos- 
sessore sia maschile, femminile o neutro; noi 
diciamo « sua moglie » e « suo marito », per- 
ché moglie è femminile e marito è maschile: 
l'inglese dice « his wife » e «her husband », 
tenendo conto del genere del coniuge (« mo- 
lie di lui », « marito di lei »): ed il possessivo 
11s allude ad un possessore neutro. Alcune 
lingue tengon conto di entrambe le distinzio- 
ni, ossia nei riguardi del possessore e della 
cosa posseduta (1). 
294. — La concordanza degli aggettivi con il so- 
santivo cui si riferiscono si ispira ad un criterio mu- 
sicale e ideologico insieme (2). 


fisso del plurale) soffrono il freddo più che i giovani 
(id.) ». Le rare eccezioni, come the Ancients, « gli an- 
tichi », the goods, «ie merci» (letteralm. «i buoni » 
per «i beni») son dovute probabilmente a formazio- 
ni dirette; — Cfr. G. Brackenbury, Studies in English 
Idiom, London, Macmillan, 1925, pag. 133. 

(1) Il francese «ses enfants» può avere quattro 
significati diversi, ossia «i figli» o «le figlie» di lui 
o di lei: dicendo, in olandese, « zijne pantoffels », si 
capisce invece immediatamente che non può trattarsi 
che delle pantofole di lui (zijn è possessivo per pos- 
sessore maschio; laar se invece chi possiede è una 
donna). Lo stesso avviene in tedesco, nelle lingue 
scandinave, ecc. 

(2) Per quei popoli che non hanno tale concor- 
‘danza nella loro lingua, è grave difficoltà uniformarsi 
a tale criterio allorché parlano una lingua straniera, 
appunto perché essa richiede connessioni mentali al- 
le quali non sono allenati. Viceversa a noi è difficile, 
parlando una lingua ideologicamente lontana dalla 
nostra, abituarci ad escludere dalle nostre frasi voca- 
boli che possono essere adoperati soltanto dall’uno o 
dall’altro sesso. Persino per esprimere l’avversativo 
«ma» o «però» una donna giapponese non userà 
shikashi o shikashîì nagara, poi che tali forme sono 
riservate ai soli uomini: ella dovrà usare ga :o kere- 
domo, leciti ad entrambi i sessi. Un uomo giapponese 
potrà dire « Kodomo ga aru shikashi musume ga ari- 
masen », « ho prole, ma non ho figlie femmine » (let- 
teralm.: « ragazzi (senza distinzione di sesso) vi sono, 
però ragazze (musume, pronunzia musmé, vedi 8 193, 
nota) non ve ne sono »): la stessa frase, in bocca ad 
una donna stonerebbe, a causa del « però » maschile 


— 219 — 


SRI DTT ONE Liv 


bo 
t'trerenosisi.] 
Mi EA 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


* * * 


295. — Dopo questi aggettivi determinativi, per- 
ché collocati dopo di essi nell’ordine mentale e nel- 
l’espressione linguistica, vengono i determinativi arit- 
metici ossia i numerali, i quali indicano la quan- 
tità della cosa espressa. 


296. — Sono aggettivi numerali cardinali 
quelli che indicano il numero puro e semplice, ossia 
di quante unità simili fra loro si compone la cosa 
espressa dal nome: es.: «il gioco dei quattro canto- 
ni», «i Cento giorni», «millecinquecentottantotto 
lire ». 


« Nella profonda e chiara sussistenza 

dell'alto lume parvermi tre giri 

di tre colori e d’una contenenza ». 
(Parad., XXXIII, 115-117) 


297. — Gli aggettivi numerali cardinali so- 
no invariabili, tranne l’uno. 


In latino erano declinabili, oltre unus, una, 
unum, anche duo, duae, duo e tres, ires, tria 
nelle unità semplici; le centinaia (ducenti, du- 
centae, ducenta, ecc... nongenti, nongentae, 
nongenta, «900 ») (1). 

Nelle lingue neolatine vigono regole varie, 
alle quali si deve fare attenzione (2). 


(shikashi), quanto se ella dicesse « jo Sono dale di 
soli maschi ». 

(1) Il latino mille non è un aggettivo ma un 
sostantivo cardinale, ed ha come plurale millia; 
indeclinabile al singolare (mille equites, cum mille 
equitibus), si declina al plurale (duo milia equitum, 
ossia « due migliaia di cavalieri »; cum duobus mili- 
bus equitum, «con 2.000 cavalieri »). 

(2) In francese ad esempio, vingt e cent assumono - 
forma di plurale nei multipli, purché non siano segui- 
ti da altri numeri: quatre-vingts soldats, « 80 soldati», 
ma quatre-vingt-dix soldats, « 90 soldati »; « deux cents 
francs, ma deux cent cinquante-huit francs ». — Lo 
spagnolo dice cuatrocientos hombres, « 400 uomini » e 
quinientas mujeres, « 500 donne », e parimenti il por- 
‘toghese: quatrocentos homens, quinhentas mulheres. 
— Variabili in rumeno sono un e doi, ed hanno forme 
di plurale nei composti le centinaia (o suta= 100; 


— 220 — 


MENTALITÀ ARITMETICA 


È anche interessante osservare e compren- 
dere il « regime » richiesto dai numerali nelle 
varie lingue, talora con costrutti che sembra- 
no molto strani, ma che hanno la loro radice 
nella « mentalità linguistico-aritmetica », tra- 
smessa atavicamente e persistente pur attra- 
verso i mutamenti lessicali (1). 


patru sute= 400) e le migliaia (o mie= 1000; cinci 
mii = 5000). 

(1) Un intero volume potrebbe scriversi sulia lin- . 
guistica aritmetica: l’idea numerica ha le più varie 
influenze sintattiche: l'arabo ha regole diverse riguar- 
danti il genere il numero e il caso del sostantivo, a 
seconda che esso sia determinato da numeri diversi: . 
i numeri dal 3 al 10 richiedono il plurale del nome, 
quelli dall’11 al 99 esigono l’accusativo singolare; cen- 
to, mille e miliardo vogliono il caso obliquo singolare; 
con il milione si può usare-il singolare o il plurale. — 
In russo i numeri sino al 4 incluso richiedono il ge- 
nitivo singolare, persino se sono terminali di numeri 
anche grossissimi: il genitivo plurale si usa invece per 
tutti i numeri dal S in su: e vi son regole speciali a 
seconda che si tratti di esseri animati o cose inani- 
mate. — In parecchie lingue d’Asia, il numerale espri- 
me l’idea numerica astratta, la quale non può quindi 
normalmente collegarsi con un nome che non abbia 
carattere metrico: si deve perciò ricorrere all’interpo- 
sizione di « numerali ausiliari » che servano di colle- 
gamento ideologico: questo criterio ha influenzato an- 
‘ che la sintassi :del pidgin-English, ossia del bizzarro 
linguaggio confezionato nell’Estremo Est costiero con 
materiale linguistico prevalentemente inglese misto a 
voci cinesi, il tutto deformato e servito con sintassi 
cinese: così « You catchee one piecee wifey? » signi- 
fica « Siete voi sposato? » (letteralmente: « Voi preso 
‘un pezzo moglie? »). Una canzonetta che nel 1938 era 
popolare a Scianghai — e forse lo è ancora — dice, 
fra l’altro: 

« Only some piecee word you have, 
One piecee word in ole Chinee 
You talkee-talkee «um to me ». 

« Soltanto poche parole tu conosci ma una (let- 
teralm. « un pezzo ») in Cinese, — dimmela, dimme- 
la! ». — Nella lingua cimci della Colombia Britannica, 
il nome stesso dei numeri varia a seconda della na- 
tura e forma degli oggetti numerati: così il numero 8 
è guandalt, ma per le persone si usa yuktleadal, per 
i canotti yuktaltk, per gli oggetti lunghi ek tlaedskan; 
il numero 10 diventa anch' esso rispettivamente gy'ap, 
kpal, gy'apsk, kpéetskan... 


— 221 — 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


298. — L’aggettivo determinativo numerale uno, 
femmin. una, assumendo valore indeterminato, ha for- 
mato l’articolo indeterminato, il quale è 
pur sempre un «aggettivo determinativo ». Nella sua 
funzione di articolo si è semplificato in un, rimanen- 
do nella forma intera sol dinanzi a gruppo consonan- 
tico di pronunzia complicata {(«s impura », Cioè se- 
guita da consonante, z, gn, ps, x): esempî: un uomo, 
un animale, un oggetto, uno straniero, uno zero, uno 
gnomo, uno psicologo (anche un psicologo), uno xilo- 
fonista. 


Dinanzi alla semivocale ] si può usare la 
forma intera o quella monosillabica: uno jo- 
duro o un jeduro. La prima è preferibile, per 
chiarezza iònica e per eufemìa. 


299. — Che. si tratti di vero aggettivo, anche in 
tale funzione di « articolo » è provato dal fatto che 
esso può sostantivarsi e prendere, come gli altri ag- 
gettivi  determinativi, le funzioni e proprietà di « pro- 
nome »: « un pilastro è caduto e uno è rimasto în 
piedi ». 


309. — Tutti gli aggettivi numerali, quando non 
signo accompagnati dal nome, si sostantivano: diven- 
tano cioè veri e propri « nomi ». 


Se:così non fosse, l’aritmetica sarebbe una 
scienza che usa a ggettivi come materiale di 
studio e di operazioni quantitative! Son veri 
sostantivi i numeri nelle proposizioni: 
« due e due fanno quattro », « la radice quadra- 
ta di nove è tre », « 121 è un numero primo », 
« la regola del tre. fu chiamala la” prima re- 
gola” » (1). 

391. — La struttura dei numeri è tra i sintomi 
più caratteristici i quali rivelino la tipica forma men- 
tale del popolo che se ne serve. In essa la tradizione 


(1) « Prima est regula proportionum, quam nunc 
corrupte vocant De Tri», De Numeris Libri Duo, 
authore Johanne Noviomago, esposti e illustrati da 
G. Frizzo, Verona, Dricker, 1901, pag. 110. 


— 222 — 


FRANCESE si DI 


quatre-vingt-di na 
x th 10. ; pr 99 


| GALLESE 
w arpedwar ugain a deg 
dar PA Mast: %10° | 


I DANESE i 
ni og halvfemsmdstyve È 
9 È 4 PrO Ne | 
=9+(--120])+(5x20) = 


=9%(- 29).100—= | 
=9+100-f0=99 | 


A) Le vere «cifre arabe» differiscono non poco da 

quelle cui noi diamo tale nome. — B) La numerazio- 

me a base decimale è dovuta al fatto che abbiamo dieci 

dita (*). — C-F) I quattro più complicati « 99 » europei. 
| ($ 301) 


(*) Da una incisione in legno del Perpetuale delle 
Feste mobili, & Lunario, di Serafino de Campora 
« Maestro d’abbaco », Roma, ed. Blado, 1553. 


— 223 — 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


conserva elementi remotissimi resistenti alle forze in- 
terne ed esterne modificatrici delle lingue (1). 


302, — Gli aggettivi determinativi ordinali 
precisano il posto in una serie in relazione con il nu- 
mero dei posti che precedono: « quattordicesima fila, 
quinta sedia », « quarto piano, sesta finestra » sono in- 
dicazioni che tengon conto dei posti precedenti, indi- 
cando in relazione a quelli quello occupato, nel tem- 


po, nello spazio o in un ordine mentale, dalla cosa 
così determinata 


Assai spesso il numero « cardinale » vie- 
ne usato per esprimere un’idea « ordinale »: 
ad es.: « Questo è il paragrafo 302 ». È facile 
distinguere i due valori, poi che in questo ca- 
so, qualunque sia il numero espresso, il signi- 
ficato è singolare. Nell’esempio citato, infatti, 
non si tratta di 302 paragrafi, ma del paragra- 
fo che occupa il 302° posto nella serie, 


Parimenti allorché diciamo « sono le tre », 
non affermiamo l’esistenza di tre ore di 60 mi- 
nuti ciascuna (2), ma indichiamo w'ora, anzi, 
il punto cronologico in cui ha termine la terza 


(1) Il francese, pur avendo tutta la sua numera- 
zione formata con vocaboli tratti dal latino, ha con- 
servato la base vigesimale, e perciò il « 70 » è reso con 
« 60 + 10 » (soixante-dix), l'« 80 » con « 4X20 » (quatre- 
vingts), sì che il «99» francese è espresso con una 
formula complicatissima: «4XX20+10+9» (quatre. 
vingt-dix-neuf). — Gili Yoruba della Nigeria non pos- 
sono nemmeno pensare ad un numerc senza concre- 
tizzare l’idea quantitativa in quel certo numero di 
cauri, poi che tali conchiglie servono loro come stru- 
menti di calcolo, e che distribuiscono in gruppi co- 
stanti: perciò; ad esempio, il numero 47 è, per essi, 
« cinque mucchietti di cauri meno tre ». — Cfr. Mann, 
On the numeral system ‘of the Yoruba nation, in 
« J.A.I., XVI, pag. 61. 

(2) Il tedesco distingue l’« ora » come durata (spa- 
zio di tempo di 60 minuti) che è Stunde, dall’« ora » 
come punto nel corso del tempo, che è «Uhr»: per- 
ciò drei Stunde significa « tre ore [di tempo] », mentre 
drei Uhr significa «le ore tre, le tre ». 


— 224 — 


POPOLI ED ORE 


A 139 Nere Stunde 
Co x/)l 
VOTA HORA EST f 
- Sa ésht ora? asa I 
| — Hur mycket dir klochan 2 SVED. 
= Hvor mange Klokken er? yogv 
— Wiieviel Ubr ites? teo 
_ Saat kag dîr? TURCO 
— Hany 6ra van? UNGHER, 


— Ktéra godzina? POL. 
-— KoaKo e YacbTb? = Bule. 
- Ce orà este? RUM. 
— Que horas so? 1 PORT. 
— jQué hora es?  SPAGN. 


Ti épo elvat; GRECO 
— Quelle heure est-il? FR. 


— Koropni uac? RUSSO 
— Koja je ura? CROATO 


—Cik pulkstens? __1eTt. 


{? INCL. 
SERBO 
LT. 


_ What time Li 
n Koje je 1002: 
_ Kas laikas ti 
- Hoe laat ist?” ivano! 
— Ob kolikih je? SU. 


Non in tutte le lingue si chiede allo stesso modo « che 
ora è? ». (8 302) 


— 225 — 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


ora dopo mezzogiorno o dopo mezzanotte (1). 
Allorché i Francesi dicono Louis Quinze (che 
taluno traduce pur in italiano « Luigi Quin- 
dici » per mantenere il sapore gallico) non si 
tratta di 15 Luigi, ma del 15° dei Luigi (Luigi 
XV), mentre « quinze louis » sono davvero 
15 monete di un luigi l’una (2). 

La distinzione è importante, poi che la tra- 
duzione varia, in parecchie lingue, a seconda 
che si tratti di cardinali veri e proprî o 
di cardinali in funzione di ordinali. 

Allorché il portinaio fornisce l’indicazione 
« Il signor Tale abita al 3° piano, interno 15, 
scala C », si tratta dell’uscio che è il 15° della 
serie della scala C, e persino questa indica- 
zione ha valore ordinale, poi che « C » signi- 
fica « terza » (cioè dopo la scala A » e la « sca- 
la B ») (3). ° 


(1) La domanda stessa « che ora è? » si può pre- 
sentare ideologicamente e linguisticamente diversa: in 
alcune lilingue si chiede, alla latina, « Quanta ora sia? ». 
(A, nella figura annessa): in altre (B), come nella no- 
stra, che ora sia; in altre ancora (C) che tempo sia; 
e vi sono infine lingue (D) con espressioni ancora. più 
tipiche, come l’olandese che chiede quanto tardi sia, 
o lo sloveno, la cui domanda è:. « Circa quanto è?». 

(2) Per convenzione, i numeri ordinali si scrivo- 
no con la numerazione romana, mentre le cifre arabe 
(dette arabe, ma provenienti dall'India) indicano i nu- 
meri cardinali: queste perciò, per esprimere gli ordi- 
nali, vanno completate con l’esponente che indica la 
desinenza: « 10° » = decimo »; « 4? edizione » = « quar- 
ta edizione »: non si scriverà « IVa edizione » né « se- 
colo XIX9 », o « Capitolo XXV° ». — Cfr.. S. Landi, 
Tipografia, vol. I, Guida per chi stampa e per chi fa 
stampare; vol. JI, Lezioni di composizione, Milano, 
Hoepli, 1914-1917, II, pag. 120. ° 

(3) Così, in qualunque elencazione, le lettere a), 
b), c), .. hanno valore numerale ordinativo. Quando 
« contiamo » gli oggetti, il procedimento è di carattere 
« ordinale »: la stessa idea numerica si basa sul princi- 
pio fondamentale che da un numero (ordinale) qual- 
siasi si può sempre passare ad un successivo, ma gli 
oggetti già contati, presi nella loro totalità costitui- 
scono un numero globale, nel quale ogni traccia della 


— 226 — 


I « DENOMINATORI » SON « NOMI » 


303. — Gli aggettivi ordinali, sostantivan- 
dosi, servono anche come « denominatori frazionarî »: 
sono veri e proprî nomi (1) i quali indicano il nume- 
ro delle parti in cui è stata divisa l’unità: « un quindi- 
cesimo » significa il 15° frammento dell’unità che, con- 
seguentemente, è considerata divisa in 15 parti. 


Non bisogna però credere che questa coin- 
cidenza del denominatore Îirazionario con il 
numerale ordinale sia comune a tutte le lin- 
gue: molte di esse distinguono nettamente le 
due espressioni, usando termini diversi (2). 


successione ordinale scompare, ogni unità equivalendo 
interamente a tutte le altre. Di qui il concetto di nu- 
mero cardinale, senza il quale le matematiche non 
sarebbero possibili. Cfr. T. Dantzig, Le Nombre, lan- 
gage de la Science, Paris, Payot, 1931, pag. 14, 17 e 
segg. 

(1) Per eseguire un’addizione di frazioni, bisogna 
ridurle tutte allo stesso « denominatore », in modo cicè 
che siano tutte cose identiche, ed abbiano perciò lo 
stesso «nome », Nell’espressione «50 centesimi fdi 
lira] » il denominatore « centesimi » è un nome, come 
è « soldi » nell’espressione equivalente « 10 soldi ». — 
Cfr. Toddi, I numeri, questi simpaticoni, Milano, Hoe- 
pli, 33 ediz., 1945, pag. 119. 

(2) Anche in italiano, del resto, gli ordinali 
quali ventesimoterzo invece di ventitreesimo, decimo- 
sesto invece di sedicesimo, ecc. non possono usarsi 
come denominatori frazionarî. -- In portoghese, al- 
cuni denominatori coincidono con gli ordinali, ma la 
maggior parte ne differisce: così undécimo o décimo 
primeiro ha significato ordinale, mentre 1/11 si dice un 
onze avo; però centésimo vale nei duc sensi, poi che 
centavo si dice solo della moneta brasiliana. — In spa- 
gnolo la terminazione -avo si fonde con il nuraero: 
1/25 = «un veinticincoavo; 1/100 è un centésimo o un 
centavo, ma si chiama un céntimo la centesima parte 
di una peseta, di un franco, ecc. — Al nostro « cente- 
simo » corrispondono tre diversi vocaboli inglesi: hun- 
dreth come ordinale o frazionario, centime per la cen- 
tesima parte di lira o franco, cent per la centesima 
parte di dollaro. — Il rumeno ha i frazionarî (0 cin- 
cime = 1/5; o zecime = 1/10; o sutine=1/100) ben 
distinti dagli ordinali (a/ cincilea= «il 50»; al zece- 
lea = « il 10° »; al sutalea = (il 100°); Aritmeticamente 
chiarissime sono le espressioni cui molte lingue ricor- 
rono: « di n parti, tot unità » (molte delle lingue asia- 


— 227 — 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


Anche in italiano il denominatore di 1/2 
non è espresso con secondo, ma con metà (1). 


| 
304. — Il medesimo significato può avere | 
anche mezzo, che si adopera però prevalente- | 
mente in funzione di aggettivo: è quindi coe- 
rente accordarlo con il nome, anche quando 


° 


MBNTI 


tiga- tenga 


°, 
(RS 


t 


9 


. Di 


Tedeschi e Giavanesi, pur così lontani tra loro, espri- 
mono allo stesso modo il numero misto « 2 e mezzo ». 


(8 303) | i 
i Ù 
| 


‘tiche, alcune africane, ecc.). — È curioso che lingue 
lontanissime usino speciali espressioni analoghe: così 
- «2 e 1/2» si enuncia in giavanese tiga-téngah, «la 
terza metà », esattamente come il tedesco dritthalb. — 

Cfr. H. Bohatta, Praktische Grammatik der Javanischen 
Sprache, Wien-Pest, Hartleben, s.d.,-pag. 51. 

(1) Un tempo, «secondo» ebbe anche il signifi- 
cato frazionario: « Si divide [lo intero] in due parti 
fra loro uguali; e ciascuna di dette parti si chiama © 
la metà o un secondo dello intero ». Opere di Orazio 
Fineo, divise in cinque parti: Aritmetica, Geometria, 
Cosmografia e Oriuoli, Venezia, Franceschi, 1587, p. 26.. 


e ta; 


— 228 — 


DERIVATI NUMERICI 


sia posposto: « mezza libbra », « due ore e 
mezza » (1). 

Più correttamente che «due mezzi fanno 
un intero », si dirà « due metà fanno un in- 
tero ». 

Con riferimento all’evangelico « ef eruni 
duo in carne una », «la mia metà » ha il si- 
gnificato di « mia moglie » (2). 

305. — Il femminile dell'aggettivo ordinale vie- 
ne sostantivato, sottintendendo « potenza » per indi- 
care quante volte un numero (« base ») va moltipli- 
cato per se stesso: «2°» si legge infatti « due alla 
° quinta ». 


Si possono anche, allo stesso modo, indi- 
care le « posizioni » ginnastiche o della scher- 
ma: « In prima! », « In seconda! » (3). 

Primo e secondo (con i plurali primi e se- 
condi) esprimono i « minuti » risultanti dalla 
« prima » o successiva (« seconda ») divisio- 
ne dell’ora in 60 parti (4). 

306. — Innumerevoli sono, nelle varie lingue, i 
derivati numerici, a scopi pratici o scientifici (5). 


(1) Dissentiamo da coloro che vorrebbero si di- 
cesse: « due mele e mezzo », sostenendo che mezzo è 
indeclinabile se posposto al nome. (Cfr. F. Palazzi, 
Grammatica italiana moderna, Messina, Principato, 
1939, pag. 99). — E perché? 

(2) Cavallerescamente l’inglese dice «my Better 
half », «la mia metà migliore ». 

(3) Cfr. J. Gelli, Ginnastica da camera, -da scuola 
compensativa e militare, 3% ed., Milano, Hoepli, 1921, 
pag. 63; — J. Gelli, Scherma italiana, 38 ed., Milano, 
Hoepli, 1917, pag. 98 e segg. 

(4) I sottomultipli sono denominati non numeri- 
camente, sino al « sigma » che è la millesima parte del 
minuto secondo. 

(5) Abbiamo così gli ordinali sostantivati otfavo 
e sedicesimo per i fascicoli stampati, donde le deno- 
minazioni di in-8° e in-/6° indicanti il formato risul- 
tante dal numero di piegature del foglio, Cfr. i! magni- 
fico grosso volume (1116 pag.) di Gianolio Dalmazzo, 
Il libro e l’arte della stampa, Torino, R. Scuola Ti- 
pografica, 1926, pag. 395. — Dai distributivi son deri- 


— 229 — 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


307. — In alcune lingue e per alcune parole av- 
vengono i casi inversi: voci non numerali acquistano 
significato aritmetico più o meno preciso. 


Così, ad esempio, in italiano una grossa 
significa « 264 », ossia « dodici dozzine » (1). 


308. — La totalità non numerica, ma « di massa » 
è espressa con il determinativo tutto, (femminile fut- 
ta), che non può avere plurale (8 248). 

I plurali tutti e tutte esprimono il totale numeri- 
co: debbono quindi essere considerati come plurali di 
ogni, che è invariabile, e che si usa soltanto per il 
singolare. 


Allorché diciamo « fulta la parete è imbrat- 
tala » esprimiamo una realtà oggettiva che è 
assai diversa da quella che è espressa nella 


vate la dozzîna, la cinquina, Ya sestina poetica, e la 
terzina (dall’ordinale l’ottava postica e musicale). 
Il croato ha forme speciali per indicare la capa- 
cità di un recipiente: dvojka, trojka, cetvorka, ecc. 
servono a denominare botti da 2, 3, 4, ecc. misure; e 
gli stessi nomi si usano per lle carte da gioco; — dvizak 
(femmin. dvizica o dviska) è un animale ovino di 2 
anni, trec'ak (femmin. trec’akinja) un equino e. bovi- 
no di 3 anni; cetvrtak di 4, e così di seguito. — Il 
bulgaro può formare un solo vocabolo per indicare 
l’« età di 5 anni », o il « 150° anniversario ». Cfr. G. Nu- 
rigian, Grammatica Bulgara, Milano, Hoepli, 1930, 
pag. 65. 

(1) L’inglese score, che propriamente significa « in- 
taglio, intaccatura », passò a significare « còmputo » 
(perché si teneva conto del bestiame e dei giorni con 
intaccature su bastoni o asticelle), e quindi indicò — 
come indica — il « numero dei punti » (persino quelli 
delle partite a carte si chiamano oggi così), e fu poi 
fissato il valore: 1 score= una ventina; lalf a score 
= 10. — Nella lingua dei Cunama dell’Etiopia rara- 
mente si usa sceb bàre, che è il vero nome per «20 »: 
più comune è l’espressione koélla, ossia «un uomo 
completo (con tutte le dita delle mani e dei piedi)»; e, 
per «40», si dice koé bare, « due uomini ». — Tutte 
le numerazioni decimali, che prevalgono in ogni con- 
tinente, derivano dal fatto che abbiamo dieci dita; e_ 
quella vigesimale, persistente in basco, in francese, in 
“ix in norvegese, dal ,totale delle ditai (mani e 
piedi 


— 230 — 


VOCABOLI E REALTA 


proposizione « tulte le pareti sono imbrattate »: 
la somma (plurale) non può variare il valore 
degli addendi (singolare). La prova inversa 
‘l'abbiamo esaminando la proposizione « quei 


PIA. _r Nidi Vota 
a DI Gera ii ere, 
=” n TIRÒ ha 
cdi MOIO < 8 x Sc 

Oi Ve R e) t 


La parete A è « tutta imbrattata »: le pareti B non le 

sono, poi che sono semplicemente imbrattate; ma, poi 

che « ciascuna di esse » è îmbrattata, esse sono « tutte 

imbrattate ».. — Tutti (tutte) è il plurale di « ogni ». 
(ognuno, ciascuno). (8 208) 


vecchi sono tutti presbili »: non diremo certo 
che è il plurale di « que/ vecchio è tutto pre- 
sbite »! È esatto invece, nella realtà e nel pen- 
siero, che il singolare debba essere « Ognuno 
(= ogni uno) di quei vecchi è presblle ». 

309. — Il numero indeterminato è espresso da 
qualche, che vale per i due generi ed.ha come plurale 
corrispondente alcuni, alcune: « Qualche casa è anco- 
ra in piedi» = « Alcune case sono ancora in piedi ». 


Nell’esaminare il valore dei vocaboli, non 
la loro forma deve esser considerata, quanto 
la realtà che essi esprimono. Un grande e ge- 
niale pedagogo, Giovanni Amos Romensky, 
detto Comenius, poco noto e pochissimo se- 


— 231 — 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


guìto nei suoi saggi precetti pedagogici, si la- 
mentava perché « le scuole insegnano a fare 
un discorso prima che a conoscer le cose » (1). 


Pi 


————&  ——» 


(1) Comenius, Didactica Magna, Amsterdam, 1657, 
c. XVI, f. 1, 8 15.-— Ed aggiunge, in merito allo studio 
delle lingue, che «si fanno le cose fuori tempo, giac- 
ché non si comincia con la lettura di qualche autore 
o con qualche dizionario illustrato a dovere, ma con 
la grammatica, benché gli autori (come anche i dizio- 
narî) forniscano la materia del discorso, e la gram- 
matica aggiunga soltanto la forma, ossia le leggi per 
formare, ordinare e collesare i vocaboli ». (ibid. 8 16). 
— Nato nel 1592 in Moravia, Comenius morì nel 1671 
in Amsterdam. La Didactica Magna, composta dap- 
prima in lingua ceka, (1628-1632) fu da lui stesso tra- 
dotta in latino. Buona è la traduzione italiana di V. 
Gualtieri, ediz. Sandron, Palermo, 1935. 


é 


— 232 — 


Le voci descrittive 


(XVI 


310. — Ricchissima è la categoria degli aggettivi 
che esprimono una proprietà o qualità del soggetto, e. 
son perciò «descrittivi» o qualificativi. 


Otto efficacissimi aggeltivi esprimono « re- 
gola e .qualità » terribilmente costanti dei fe- 
nomeni meteorologici infernali del III cerchio: 


«.. terzo cerchio, della piova, 
etlerna (1), maladetta, fredda e greve; 
regola e qualità mai non l’è nova. 
Grandine grossa e acqua tinta (2) e neve 
per l’aer fertebroso $i riversa... ». 

(Inf., VI, 4-10). 


(1) Dante scrive «etterno », pur se il latino è 
aeternus; ma questo è contrazione di aeviternus, ossia 
una «durata » (aevum) che è «tripla» ((ernum) di 
qualsiasi altra. 

(2) Il latino tingere significò originariamente « ba- 
gnare »: ora tincta lacrimis sono, in Ovidio, « le guan- 
ce bagnate di lagrime »; dalla tunica sanguine tincta 
(Cic.) è semplice il passaggio al significato di « tin- 
gere » nel senso italiano. Per analogo fenomeno, l’ag- 
gettivo spagnolo colorado si specializzò a significare 

“« rosso ». Tale è il significato ne? nomi geografici Colo- 
rado e Rio Colorado, che son quindi parenti lingui- 
stici del « Mar Rosso ». — Nel dialetto cubano «el 
colorado » è la « scarlattina ». — Ed è anche interes- 
sante constatare che nell’espressione latina «/oca lu- 
mine tingere » (che si trova in Lucrezio, grande osser- 
vatore e interprete dei fenomeni naturali) nel signifi- 
cato di «illuminare », è adombrata intuitivamente la 
più moderna teoria delle radiazioni luminose, il colore 
non essendo una qualità intrinseca dei corpi, ma ri- 
sultante soltanto da uri «bagno di luce ». — E, nel- 


— 233 — 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


311. — La qualità può essere espressa semplice- 
mente come aggregata al nome, ossia attribuita ad 
esso, ed in tale funzione attributiva l'aggettivo 
qualificativo ha un valore ornamentale (1), che è molto 
importante ai fini dell’efficacia e dell’eleganza lette- 
raria. 


Il] gusto e il senso di misura debbono gui- 
dare lo scrittore e il parlatore nella scelta e 


l’ultimo canto della Divina Commedia, la meraviglio- 
sa descrizione della Trinità come cerchi luminosi dei 
quali « un dall’altro — parea riflesso come iri da iri » 
non precorre forse la moderna analisi ottica basata 
tutta sulle divesse « lunghezze d’onda? ». La sensazio- 
ne coloristica è espressa assai più efficacemente in 
Dante che in Omero; cfr. W. E. Gladstone, Der Far- 
bensinn mit besonderer Bericksichtigung der Farben- 
kenntniss des Homer, Breslau, 1878. -— Nella lingua 
degli Zulù l’aggettivo /ullaza esprime tanto il verde 
che l’azzurro, e lo stesso fa la lingua dei negri Sotho 
con l’aggettivo talà: rosso e giallo son confusi dai 
Bongo in un’unica parola (kKamaheke), e lo stesso fan- 
no gli Abaka con il loro aggettivo sukim. — Cfr. Kir- 
chhoff, Zur Frage liber den Farbensinn der Naturvòl- 
ker, nella « Deutsche Revue », 1881, III. — « Il genere 
di vita, l’attenzione, la formazione delle idee astratte, 
che è l’espressione dello sviluppo psichico, influiscono 
sullo viluppo del linguaggio... Perciò prima si avran- 
no i vocaboli per indicare le cose più necessarie e più 
impressionanti; ed ecco quindi prima parole appro- 
priate per esprimere il rosso, poi quelle per esprimere 
l'azzurro ». G. Ovio, La scienza dei colori: visione dei 
colori, Milano, Hoepli, 1927, pag. 273. 

__ (1) « Attribuire » significa « assegnare »: e perciò 
l'attributo è la semplice citazione della qualità 
| espressa, assegnata al nome cui si riferisce; « predi- 
care », invece, significa «annunziare pubblicamente 
una verità », e perciò il predicato afferma (per 
mezzo del verbo «essere» ad altro) una qualità del 
soggetto: nella quartina del.Tasso 

« Così all’egro fanciul porgiamo aspersi 
di soave licor gli orli del vaso: 
succhi amari, ingannato, intanto ei beve, 
e dall'inganno suo vita riceve ». 

(Gerus. Liber., I, 3). 

gli aggettivi egro, aspersi, soave, amari, ingannato, suo 
sono aggettivi usati come «attributi ». Essi sono in- 
vece « predicati » nelle proposizioni: «il fanciullo è 
egro (malato) », « gli orli del vaso sono aspersi », « il 


ESTENSIONE DELL’AGGETTIVO 


nell’uso di tali aggettivi: la penuria di aggetti- 
vi rende scarno il discorso, la soverchia ab- 
bondanza lo rende tronfio; l’impiego di agget- 
tivi sproporzionati per eccesso o per difetto 
significativo nuocciono alla sua ellicacia. Il 
linguaggio dei resoconti sportivi è un pietoso 
esempio di esagerazioni aggettivali (1). 

312. — L'aggettivo « qualificativo » aderisce com- 
pletamente al nome, sì che la sua estensione-è limitata 
da questo: in «un foglio bianco » l’idea qualitativa di 
bianco @oincide, per estensione, con il foglio che essa 
qualifica: la loro estensione serve a definire la quan- 
tità delle cose che essi determinano. 

Mentre la « qualità » è aderente alla cosa, la de- 
terminazione quantitativa le viene da un rapporto con 
l'esterno. 


Allorché diciamo «quel gaio uccellino », 
« due fogli sovrapposti », « la luna crescente », 
«un muro dipinto », i determinativi quel, due, 
la, un sono indicazioni dirette verso le cose, 
mentre i qualilicativi gaio, sovrapposti, cre- 
scenie, dipinto esprimono qualità inerenti nel- 
le cose stesse. 


licore è soave », « il succo sembra amaro », e nel pro- 
verbio : 
«Chi tì lusinga più di quel che suole 
o t'ha ingannato, od ingannar ti vuole ». 

(Anche i « participî » aspersi e ingannato sono 
aggettivi: vedi 8 313). 

(1) Esageratamente laudativa è l’ode leopardiana 
« Acun vincitore nel pallone » (« magnanimo campion » 
— «te fiemendo appella — ai fatti illustri il popolar 
favore »... — « oggi la patria cara — gli antichi esempi 
a rinnovar prepara »); a meno che (l’ipotesi è audace) 
il Leopardi non abbia voluto, invece, fare dell’« iro- 
nia » o addirittura del sarcasmo. — Cfr. S. Tissi, L’iro- 
nia leopardiana, (Saggio critico-filosofico), Firenze, 
Vallecchi, 1920. — Del resto, abitualmente « Leopardi 
produce l’effetto contrario a quello che si propone... 
La profonda tristezza con la quale Leopardi spiega 
la vita, non ti ci fa acquietare, e desideri e cerchi il 
conforto di un’altra spiegazione ». F. de Sanctis, Scho- 
penhauer e Leopardi, in « Saggi critici », Milano, 1914, 
vo.l I, pag. 269. 


oggi 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


313. — Questa constatazione ci conferma: 
a) che gli «articoli» sono veri «aggettivi de-. 
terminativi » (o « indeterminativi »). 


Infatti nessuna differenza di regime e di 
funzione li diversifica da questi. Sono, come 
questi, preceduti dal determinativo futfo, che 
ha significato generale (« tutto il mondo », 


. ed fapposti, NEL 


L'aggettivo determinativo indica dall'esterno; l’agget- 
tivo qualificativo aderìsce al nome e coincide con esso 
per estensione... (8 312) 


« tutti i giorni », « tutte le volte », come direm- 
mo « fulto quesito mondo », « lutte quelle vol- 
te »), mentre sono seguiti dai determinativi di 
significato più ristretto (« l’aliro mondo », « le 
| poche volte »). Si comporta, insomma, esatta- 
mente come gli altri « determinativi ». 


- 


— 236 — 


I PARTICIPÎ SONO AGGETTIVI 


Tranne in italiano, una determinazione 
possessiva esclude l'articolo, esattamente co- 
me esclude gli altri determinativi (1). 

b) che i « participî » (presente, passato e passi- 
vo) sono veri e proprî aggettivi qualificativi; 

La qualità o proprietà da essi espressa è quella 
risultante dallo star compiendo un’azione, (« part. 
| pres. »), di averla compiuta (« part. passato ») o di 
averla subìta (« part. passivo »). 


L’aggeltivo crescente indica appunto la 
qualità o proprietà di chi cresce; e dipinto è 
la conseguenza dell’aver subìto l’azione del 
dipingere: tra rosso e colorato non v'è che 
differenza di tinta, il primo essendo di signi- 
ficato generale: ma ciò che è rosso è fisica- 
men!e e grammaticalmente colorato, e ciò che 
è coloraio è fisicamente e grammaticalmente 
rosso, o giallo, o verde, o di altro colore. 

I participî hanno anche la proprietà di po- 
ter essere « sostantivati », come gli altri ag- 
geltivi: es.: « i presenti », « il passato ». In ogni 
cerchio infernale, Dante trova 


«novi tormenti e novi tormentiali ». 
(Inf., VI, 4). 


(1) Noi diciamo «il mio orologio », laddove le al- 
tre lingue escludono questa doppia determinazione: 
spagn. mi reloj, franc. ma montre, ingl. my watch, ted. 
mein Uhr, ecc. — Il portoghese usa l’articolo: o meu 
relogio, e lo stesso fa il rumeno: ceasornicul meu, in 
cui ceasornicul= ceasornic (« orologio ») + ul (arti- 
colo). — In italiano escludono l’articolo i nomi di gra- 
di di stretta parentela preceduti dal possessivo: « suo 
padre », ma « il padre suo »; così « sua cugina », « vo- 
stro zio», ecc. Lo esigono, invece, quando siano ac- 
compagnati da aggettivo: « il suo caro nipote» o da 
un prefisso (che equivale ad un aggettivo) « il vostro 
pronipote », « il tuo bisnonno ». La regola non è sem- 
plice. — Il romeno ha locuzioni simili ad alcune no- 
stre dialettali: « tua madre » si dice mama-ta e (tran- 
ne il raddoppiamento dell’m) si pronunzia, anche co- 
me intonazione, proprio come il napoletano mammeta; 
e « tua sorella » è sord-ta. 


— 237 — 


- 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


* * 3% 


314. — Gli aggettivi concordano in genere e nu- 
mero con il nome al quale si riferiscono. 

Essi ed i pronomi son ie uniche parti del discorso 
che hanno tale concordanza (1): gli aggettivi 
perché, nella realtà obiettiva, aderiscono completa- 
mente alla cosa che determinano o qualificano, e i 
pronomi perché fanno le veci del nome stesso. 


315. — Questa concordanza linguistica è in per- 
fetta coerenza con la nostra mediterranea forma men- 
tis, la quale trova la naturale espressione nel più so- 
lido sistema filosofico che abbia durato e duri nei 
‘tempi: la philosophia perennis: anche l’indole della. 
lingua italiana si è plasmata in armonia con questo 
criterio fondamentale di adaequatio tra lo spirito e il 
mondo esterno, tra il pensiero e l’obiettiva realtà, ot- 
tenendone un insieme coerente, unitariamente armo- 
nico (2). 


Tale concordanza si ritrova in tutte le lin- 
gue neolatine. L' aggettivo è invece invariabile 
in inglese; ha regole di concordanza molto 
complesse in tedesco, le terminazioni varian- 


(1) Cfr. 8 294. — Il verbo russo ha, nell’indica- 
tivo passato, tre forme diverse, per i tre generi: on 
byl, « egli fu, o era »; anà bylà, « ella fu o era »; anò 
bylo, « esso fu o era ». — Il polacco distingue anche 
negli altri tempi e modi: così, ad esempio, « sarebbe- 
ro » è byliby per soggetto maschile e di persona, byly- 
by per gli altri casi. Analogamente fa il ceko. — Le 
lingue semitiche hanno una forma verbale speciale per 
il femminile nella 22 e 34 persona, ma non distinguono 
il genere nella 1a. 

(2) Sin da giovane il nostro Rosmini « disegnava 
il saper umano in grandi alberi diramantisi con ordine 
bello di un’unica vita, e si addestrava a comporre 
quelle tavole meravigliose nelle quali le idee madri 
si veggono via via generare altre idee, e propagarsi 
giù giù la feconda famiglia, distintane la legittima di- 
scendenza e cognazione e affinità; onde l’astratto ren- 
desi quasi palpabile, e le sottili gradazioni del vero si 
colorano d’intellettuale bellezza ». N. Tommaseo, I! 
ritratto dì Antonio Rosmini, 1855, c. XIV. 


— 238 — 


é 


LA GRAN MURAGLIA 


do e spostandosi (1). Il fenomeno rivela, come 
altri similari — linguistici e non linguistici — 
la mancanza di un criterio fondamentale uni- 
co, in corrispondenza con il temperamento del 


popolo (2). 

A Ginevra, il monumento della Riforma ha l’a- 
spetto di una muraglia: e lo è: una muraglia che se- 
para due mentalità, la mediterranea e la nordica: due 
diverse visioni e interpretazioni del mondo, con tutte 
le conseguenze filosofiche, religiose, morali e so- 
ciali (3). 


(1) In un costrutto, la desinenza dell’articolo de- 
terminativo deve apparire in ogni caso una volta, o. 
nell'articolo, o in altra parola determinativa, o nell’az- 
gettivo: noi diciamo « in questa lunga strada » e « que- 
sta strada è lunga », mentre il tedesco dice «in dieser 
langen Strasse » e « diese Strasse ist lang ». 

(2) Il tedesco ha la possibilità di formare parolo- 
ni composti, riunendo in un solo vocabolo chilome- 
trico molte idee interdipendenti mentre pci scinde in 
due parti un concetto unico, con i verbi « separabili »: 
il « distretto di reclutamento di Corpo d’Armata » è 
Korpsaushebungsbezirk, la « capacità dei carbonili di 
una nave » è Kohlenfassungsvermògen, mentre « accet- 
tare » deve, in alcuni casi, spezzarsi in due vocaboli 
ossia in due idee: « Ha accettato il dono ringraziando » 
« Er nahm dieses Geschenk mit Dank entegegen », ma 
resta riunito, con interpolazione di un prefisso in « Er 
hat dafiir kein Geld entgegengenommen » (« Non ha 
accettato denaro per questo »). Eppure è lo stesso idio-. 
ma che è capace di espressioni monosillabiche ed ef- 
ficaci: « Sag ’mal, wer steht denn dort? », « Dì un po”: 
chi c’è lì? ». (Nella Germania settentrionale è frequen- 
tissimo l’uso di mal per einmal). 

(3) « Davanti al problema dell'Universo le attitu- 
dini che il pensiero umano può assumere si riducono 
in sostanza a due: o si ammette insieme a quella del 
soggetto la realtà del mondo esterno, o si afferma che 
lo spirito costruisce la natura. Si è realisti nel primo. 
caso, e nel secondo idealisti... L’idealista domanda, 
con una contraddizione male dissimulata, di salvare i 
fenomeni o le apparenze, il realista vuole ancora 
qualcosa di più ». A. Garbasso, La tradizione del pen- 
siero toscano, in « Scienza e poesia », Firenze, Le Mon- 
nier, 1934, pag. 245-246. — Per «idealismo » si inten- 
de qui il noto nordico indirizzo filosofico, che l’acca- 
demico F. Severi proponeva giustamente di chiamare 


— 239 — 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


doo 


316. — Il fatto che l'aggettivo qualificativo espri- 
ma una qualità non impedisce che esso, esprimendola, 
possa implicare una determinazione. 


Allorché un regolamento prescrive che 
« ogni conducente di veicoli deve far aiten- 
zione ai cartelli indicatori », l’aggettivo indi- 
catori è qualificativo, ma, al tempo stesso, di- 
stingue quei cartelli dagli altri (ai-quali il con- 
ducente non deve fare attenzione), e cioè li 
determina: ma questa sua funzione non altera 
sostanzialmente ii carattere qualificativo del- 
l'aggettivo e la sua aderenza al nome. 

317. — Le lingue neolatine esprimono. questa spe- 
ciale funzione, armonizzando forma e pensiero, e pen- 
siero ed obbiettiva realtà. | 


Nella quasi totalità delle altre lingue l’ag- 
gettivo precede in ogni caso il nome cui esso 
si riferisce (1): le lingue neolatine, invece, 


piuttosto « ideismo ». — Opera di disorientamento han © 
fatto e fanno tutti coloro che, in terra nostra, sono 
coscienti o incoscienti apostoli di tali teorie contrarie 
alla nostra tradizione e all’indole della nostra stirpe, 
ed in netto dissidio con la nostra fede. 

(1) Il tedesco pone prima del nome anche gli ag- 
gettivi o participî modificati da altri vocaboli: « Die 
Quadratur ist die Flichenbestimmung einer von krum- 
men Linien begrenzten Figur » « La quadratura è la 
determinazione della superficie di una figura limitata 
da linee curve » letteralm.: « da una da linee curve 
limitata figura »; — « Die Biihnensprache soll eine edle 
und darum sehr rein gesprochene Sprache sein » (« La 
lingua teatrale deve essere una lingua nobile e quindi 
pronunziata molto pura» letteralm.: «una nobile e 
molto puramente pronunziata lingua ». — Infatti la 
Biihnensprache è presa come modello per buona for- 
ma e corretta pronunzia del tedesco). — Cfr. anche 
8 271..— L'inglese invece colloca dopo il sostantivo 
l'aggettivo che abbia complementi: « A building 40 me- 
ters high», « Un edificio alto 40 metri»; nonché gli 
aggettivi comincianti con il prefisso « a- », come dii... 
« simile », asleep, « addormentato », ufloat, « galleg- 
giante », alone, « solo », ecc.; o pone dopo il sostan- 
tivo l’aggettivo cui voglia dare più efficacia: « in times 
long past », « in tempi molto remoti ». 


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sii 


« Cartello indicatore » (A) qualifica e determina insie- 
me, escludendo gli altri cartelli (B) (*) (8 316) 


(*) L’illustrazione A è tolta dal volume « Circu- 
lez!, texte officîel du Code da la Route, illustré de 50 
dessins humoristiques de Pacquérieux », Paris, Denoel, 
1930. — Se il burocratico Codice della Strada può 
esser volgarizzato lietamente, non v’è ragione per cui 
anche la grammatica non possa avere la sua nota gaia. 


— 241 — 
16 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


pongono prima del nome l’aggettivo che abbia 
pura funzione decorativa, mentre lo pongono 
dopo il nome allorché abbia una funzione de- 
terminativa: nella proposizione « Egli scorse 
la bionda fanciulla » l'aggettivo è preposto al 
nome avendo soltanto un valore decorativo, 
mentre « Egli scorse la fanciulla bionda » si- 
gnifica che si tratta di quella, identificabile per 
aver la qualità di bionda, e non di altra fan- 
ciulla; perciò l’aggettivo è posposto al no- 
me (1). 

318. — Tale diversa disposizione è dovuta ad una 
norma di armonia: posposto al nome, l’aggettivo ri- 
ceve un rilievo fònico maggiore, cadendo su di esso 
l'accento ritmico della proposizione. 


Questa norma musicale Îîa sì che, ad 
esempio, l'aggettivo possessivo posposto al 
nome sia più intenso affettivamente; tale po- 
sposizione è abituale nelle esclamazioni, nel- 
le invocazioni: diciamo, perciò: « Padre no- 
stro, che sei nei cieli... » (2). 

319. — Il collocamento dell’aggettivo prima o 
dopo del sostantivo produce non soltanto una diversa 
intensità espressiva, ma talora anche una differenza di 
significato. Così, ad esempio, un brav’uomo non è la 
stessa cosa che un uomo bravo; allorché diciamo «i 
primi due » intendiamo «il 1° e il 2° d: una serie», 


—— ——_ ————=@& 


(1) La posposizione al nome può aversi anche nel 
caso di aggettivo ornamentale, ma è di rigore per gli 
aggettivi che implicano una determinazione. 

(2) Il francese non ha questa possibilità espressi- 
va dei possessivi posposti. Si pensi all’efficacia dell’i- 
taliano « patria mia!» portogh. « patria minha! », 
ecc. — Il rumeno può non soltanto posporre al no- 
me l’aggettivo, ma rinforzarlo anche con l’« articolo 
improprio » (articolul impropriu): si può tradurre 
« [il] cavallo bianco », calul! alb, e calul cel alb (lette- 
ralm.: «il cavallo quello bianco »); « rozele cele fru- 
moase ate Mariei », «le belle rose di Maria», («le 
rose quelle belle quelle di Maria »). 


DAI 


INUTILI CATEGORIE SPECIALI 


mentre quando diciamo «i due primi» intendiamo il 
1° di una serie e il 1° di un’altra (1). 

320. — L'aggettivo preposto anche all’articolo as- 
sume un valore ancora più intenso esprimendo la qua- 
lità come stato sopravvenuto: perciò « Ho trovato il 
bicchiere rotto » non ha lo stesso significato che « Ho 
trovato rotto il bicchiere ». 


Particolare attenzione va fatta per parec- 
chi aggettivi Îrancesi, i quali assumono un 
diverso significato a seconda che precedano 
o seguano il nome: così un galani homme è 
« un galantuomo », mentre un homme galani 
è « un uomo galante »; un petit homme è « un 
uomo piccolo (basso) », mentre uri homme pe- 
tit è piuttosto «un uomo meschino (moral- 
mente) »; la dernière année » è « l’ultimo an- 
no » (di una serie, di un corso), mentre l’an- 
née dernière è «l’anno scorso » (e lo stesso 
vale per altri nomi che indicano periodi di 
tempo: siècle, saison, mois, semaine, jour, 
ecc.). 

* * % 

321. — Alcuni aggettivi esprimono una qualità 
in modo assoluto ed hanno perciò valore fisso: tali 
sono, ad esempio, quelli significanti un massimo, qua- 
li eterno, infinito, immortale, sublime, massimo, mi- 
nimo, ottimo, pessimo. Questi non possono essere mo- 
dificati da avverbî o con complementi che ne attenui- 
no o ne accrescano il valore. 


Come si vede, non è necessario costituire 
una categoria speciale per collocarvi i sel 


(1) Avviene una sostantivizzazione (o, per lo me- 
no, una «semisostantivizzazione ») dell'uno o dell’al- 
tro aggettivo: nel primo caso si tratta dei due (sost.), 
che sono primi (agg.), mentre nel secondo si tratta dei 
due (agg.) primi (sost.). Ma tale sostantivizzazione non 
vè quando il sostantivo sia espresso: «i due primi 
posti », «i primi due posti »; ma, così dicendo, la dif- 
ferenza è meno chiara, appunto perché non intervie- 
ne la sostantivizzazione indicatrice. 


0 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


« superlativi » che ci rimangono dal latino (1). 
Essi hanno perduto tale significato « rela- 
tivo » (2). 


Non modificabili sono anche gli aggettivi che si- 
gnificano qualità o proprietà fisiche, geometriche, fi- 
losofiche che non ammettono graduazioni, quali, ad 
esempio, sferico, circolare, rettangolare, sinusoide, in- 
solubile, monovalente (e bivalente, ecc.) primo (nel 
senso matematico di indivisibile per altro numero che 
se stesso e l’unità), immanente, impossibile, impro- 
crastinabile, assurdo (3). | 


322. — Il valore del significato della grande 
maggioranza degli aggettivi —ossia di tutti quelli che 
non esprimono una qualità o proprietà assoluta — 
può essere modificato o con avverbî o con speciali 
suffissi. 

Di una cosa si può dire che essa è buona, abba- 
stanza buona, non molto buona, piuttosto buona, ve- 
ramente buona (4); di una persona potremo afferma- 


(1) Le grammatiche elencano come tali: massimo, 
minimo, sommo, infimo, ottimo, pessimo, qualificando- 
li come « superlativi » di grande, piccolo, alto, basso, 
buono, cattivo. 

(2) Il latino « pessimus omnium poeta » significa- 
va « il peggiore di tutti i poeti », in summa Sacra Via 
«in capo alla Via Sacra »; minimus cibus, « la più pic- 
cola quantità di cibo ». 

(3) Si dice « Questo è ancora più assurdo », « Non 
è poi tanto improcrastinabile », ecc., ma sono espres- 
sioni improprie, o che nella forma di « graduazione » 
esprimono una negazione, giacché una ‘cosa o è assur- 
da o non lo è, o è rinviabile, impossibile, ecc., o non 
lo è. 

(4) In italiano, a differenza del latino, ottimo non 
è, morfologicamente — e nemmeno ideologicamente 
— il « superlativo » di buono, se non ‘in quanto espri- 
me un «limite ». Assai interessante sarebbe qui un 
paragone linguistico-matematico, applicando cioè al 
«grado di significato » degli aggettivi quello stesso 
criterio per cui, nel calcolo differenziale, per risol- 
vere qualsiasi problema di « massimo e di minimo » 
si deve calcolare il coefficiente angolare della tangen- 


— 244 — 


I « GRADI DI PARAGONE » 


re che è onesta, quasi onesta, assolutamente onesta, 
onestissima; del suò aspetto fisico diremo che è gras- 
sa, troppo grassa, grassottella, grassoccia, grassissima. 


323. — La grammatica rivoluzionaria non nega 
che esistano dei « gradi » negli aggettivi, nel senso che 
la « qualità » possa essere espressa appunto in « gra- 
do » diverso: nega però che vi siano, nelle lingue neo- 
latine, i « gradi di paragone » degli aggettivi come vi ‘ 
erano in latino, e come vi sono in altre lingue. 


Con ciò la grammatica rivoluzionaria chie- 
de soltanto che si riconosca formalmente ciò 
che è avvenuto nella linguistica realtà. L’ita- 
liano, oramai da un millennio, ha scisso il - 
comparativo e il superlativo latino nei suoi 
componenti, distinguendo nettamente, ossia 
in due idee e perciò in due vocaboli, ciò che 
era morfologicamente e ideologicamente uni- 
to nel « comparativo » e nel « superlativo » del 
latino. È doveroso che la grammatica prenda 
atto di questa oramai millenaria scissione (1). 

324. — Il « grado», ossia l’« intensità » dell’ag- 
gettivo qualificativo è espresso, in italiano, da uno o 
più vocaboli che modificano l’aggettivo stesso. Il si- 
gnificato di quest’altro vocabolo o di questi altri vo- 
caboli è chiaro, e non v'è quindi nessun bisogno di 
complicare nella grammatica ciò che venne semplifi- 


te ad una curva. La curva più primitiva è la retta, la 
cui equazione è del tipo 
y=a xt. 

La dblivata di y rispetto ad x è a = tg A; essa è 
una costante in contrapposizione ad x che è una va- 
riabile. Si potrebbe così arrivare a tracciare la « cur- 
va » della « funzione (esponenziale) » dei valori di un 
aggettivo. Il lettore che, amante di ricerche ed eserci- 
tazioni matematiche, voglia dilettarsi con lo studio di 
tali analogie, leggerà utilmente le acute osservazioni 
di un geniale matematico inglese sulle « curve espo- 
nenziali »: L. Hogben, La matematica nella storia e 
nella vita, trad. ital, Milano, Hoepli, 1940, vol. II, 
pag. 588 e segg. 

(1) I primi documenti scritti dell’italiano risalgo- 
no all'VIII e IX secolo: nel XX secolo è tempo di 
aggiornare la grammatica. 


— 245 — 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


cato nella realtà linguistica, in coerenza con il pen- 
siero, analiticamente (1). 


L’avverbio « più » significa «in quantità 
maggiore »: può esprimere una quantità nume- 
rica superiore all'unità: « Se una o più per- 
sone... », « Questo problema ammette più so- 
luzioni ». 


325. — In questa funzione, l’avverbio diventa 
vero e proprio aggettivo determinativo, e può anche 
essere sostantivato: 


« Che i più tirano i meno, è verità, 

posto che sia, nei più, senno e virtù; 

ma i meno, caro mio, tirano i più, 

se i più trattiene inerzia o asinità » 
(G. Giusti) 


326. — È notevole che, in italiano, l’espres- 
sione « più d’uno », che ha chiaro valore di 
plurale, richieda il verbo al singolare: « Più 
d'uno la pensa diversamente ». — Vedi, in 
proposito, il 8 59 (2). 

327. — Può anche, sempre in funzione determi- 
lativa, indicare una maggior quantità della cosa 
espressa dal nome: « Più gente entra e più danaro si 
incassa ». 


328. — È invece avverbio allorché, premesso ad 
un aggettivo qualificativo, lo modifica sì che venga 
espressa una maggior quantità della qualità signifi- 
cata dall’aggettivo: 

«Né contro il sonno credo che vi sia 
mezzo più pronto, antidoto migliore ». 
(G. Guadagnoli. Zl tabacco). 


(1) Vedi 8 67. 

(2) Anche l’analoga espressione inglese richiede il 
verbo al singolare: Many a scholar maintains that... 
« Più di un erudito sostiene che... » (Si ricordi che 
scholar ha comunemente il valore di « dotto, erudito, 
competente in una branca del sapere ». — Cfr. C. Ros- 
setti, Z tranelli dell’Inglese, 58 ediz., Firenze, Le lingue 
Estere, 1943, pag. 423). 


— 246 — 


IL «SECONDO TERMINE » 


In questo caso equivale all’avverbio « mag- 
giormente », che lo può sostituire, sebbene sia 
meno agile. 

329. — Anche gli aggettivi ‘possessivi possono 
essere rinforzati con avverbî di intensità: « Questa 
casa oramai è più mia che sua ». | 

In tal caso, però, l’aggettivo possessivo acquista 
il carattere e la funzione di qualificativo, inversamen- 
te cioè a quel che accade talvolta per gli aggettivi 
qualificativi (8 316). 

330. — La grammatica tradizionale pone in par- 
ticolare evidenza, come « comparativi speciali », 6. ag- 
gettivi rimastici dai « comparativi » latini (1). 

Non v’è ragione alcuna per cui tali aggettivi me- 
ritino di essere considerati a parte: miaggiore di..., 
migliore di..., inferiore a..., ecc. sono costrutti che, for- 
malmente e ideologicamente, hanno gli stessi conno- 
tati che molti altri consimili: eguale a.., connesso 
con..., diverso da..., valevole per... ossia di aggettivi 
che esprimono una qualità, ma in connessione con un 
elemento estraneo all’aggettivo stesso, limitandone il 
significato in relazione a tale elemento. 

La matematica, la quale usa il simbolo « + » per 
indicare la voce «più», e ha simboli per indicare 
« maggiore di... », « minore di... », abbonda di costrut- 
ti linguistici i quali provano che tali espressioni van- 
no considerate tutte come appartenenti alla stessa ca- 
tegoria, sia ideologicamente che formalmente. Ed an- 
che gli aggettivi che formano tali costrutti non ap- 
partengono a categorie diverse. 


Se la grammatica tradizionale dedica una 
speciale trattazione al « secondo termine di 
paragone », essa dovrebbe coerentemente oc- 
cuparsi nella stessa misura e con lo stesso 
criterio del « secondo termine di somiglian- 
za », del « secondo termine di derivazione », 
del « secondo termine di diversità », ecc. ecc. 


(1) Cioè gli aggettivi: maggiore, minore, superiore, 
inferiore, migliore, peggiore; e corrispondono ai co- 
siddetti « superlativi » del 8 321. 


DIR 


GRAMMATICA ‘DELLA LINGUA ITALIANA 


331. — La grammatica rivoluzionaria definisce 
con la denominazione di « complemento di paragone » 
l'elemento che determina il valore quantitativo o in- 
tensivo espresso dall’aggettivo modificato dall’avver- 
bio più, dall’avverbio meno, dall’avverbio tanto (altret- 
tanto). | 


e 


= lenticoa ... 
= uguale a ... 
i maggiore di... 
minore di ... 

non uguale a ... 
non maggiore di ... 
non minore di... 

x moltiplicato per... 
: + diviso per... f 
| parallelo a... 
+ non parallelo 
I fattoriale di 


AMA V 


a 060 


A) La matematica usa molti. simboli equivalenti ad 
aggettivi qualificativi implicanti un rapporto, una con- 
nessione, un complemento. — B) L'aggettivo « duro.» 
ha. qualsiasi valore della « scala del Mohs » ed anche 

oltre... (88 330-331) 


— 248 — 


ANALISI E BUROCRAZIA 


L'analisi logica, esaminando la 
proposizione « II topazio è meno duro del co- 
rindone e più duro del quarzo », afiermerà che 
gli avverbî più e meno modificano l’aggettivo. 
qualificativo duro per esprimere che la durez- 
za non va intesa in senso assoluto, ma rela- 
tivo: questa relatività espressa dall’avverbio 
richiede l’altro elemento di confronto o rap- 
porto, ‘che è appunto il « complemento di pa- 
ragone » (1). 

(Come si vede, per la grammatica rivoluzionaria 
l’analisi logica non va confinata burocratica- 
mente in un compartimento stagno accuratamente 
separato da quello dell'analisi grammatica- 
le: è necessario — se vogliamo comprendere i fe- 
‘ nomeni linguistici — che la morfologia sia trat- 
tata sempre in considerazione della sintassi: la 
causa finale concorre a determinare la forma dei vo- 
caboli. Non basta l’anatomia a darci ragione della 
struttura di un organo: l’istologia è scienza incompleta 
se non ci dice il perché finale, ossia la relazione tra 
struttura e funzione. Purtroppo il «respice finem » 
non serve di bussola alla scienza « moderna » che si 
proclama obiettiva e che invece prescinde proprio 
dalla fondamentale obiettiva realtà: che, cioè, l’intero. 


(1) La durezza, ad esempio, è una proprietà che 
ha, come la maggioranza delle altre, un valore rela- 
tivo: di due minerali è più duro quello che riesce a 
scalfire l’altro: su questa constatazione era basata 
l’antica « scala di durezza » del Werner, che suddivi- 
de i minerali in teneri (scalfiti dall’unghia), semiduri 
(scalfiti dall’acciaio) e duri (non scalfiti dall’acciaio). 
Oggi si usa prevalentemente la «scala del Mohs», 
formata di dieci termini dei quali ognuno scalfisce 
il precedente: 1) talco; 2) gesso; 3) calcite; 4) fluo- 
rite; 5) corindone; 6) apatite; 7) ortoclasio; 8) quar- 
zo; 9) topazio; 10) diamante. — L’aggettivo duro può 
avere tutti i valori della scala, ed un altro elemento, 
espresso o sottinteso, ne precisa l’intensità, con mag- 
giore o minore precisione. 


e 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


Creato con tutti i suoi fenomeni è mirabilmente coor- 
dinato in un disegno e ad un fine) (1). 
* * %* 

332. — Anche quando non siano modificati da 
altri vocaboli o con speciali terminazioni, gran parte 
degli aggettivi qualificativi, esprimendo una qualità 
passibile di gradazione, hanno un significato non as- 
soluto ma relativo. Così il valore degli aggettivi bian- 
co, rosso e verde non è nell’uso comune rigorosamen- 
te cuello determinato dalla lunghezza d’onda » (4) del- 
le fisiche vibrazioni luminose: infatti, allorché dicia- 
mo «la bandiera bianca, rossa e verde » intendiamo 
colori ben diversi da quelli che i medesimi aggettivi 
esprimono allorché descrivendo l’aspetto di una per- 
sona diciamo che ella è «bianca per la paura» o 
« rossa per la vergogna » o « verde per l’invidia ». 


Parimenti aggettivi quali grosso (o gran- 
de) e piccolo, largo e stretto, lungo e corto, al- 
to e basso, caldo e freddo, pesante e leggero, 
forte e debole non hanno mai un valore metri- 
co assoluto: un piccolo elefante è sempre enor- 
memente più grande che un grosso calabro- 
ne: si può benissimo « percorrere a lunghi 
passi un breve percorso » e ciò non significa 
che il passo abbia una dimensione lineare 
maggiore che l’intero percorso. 

333. — Una maggiore precisazione metrica, ma 
sempre relativa, viene espressa modificando l’agget- 
tivo con avverbî, oppure con speciali suffissi. 


334. — L'aggettivo qualificativo, modificato da 
un suffisso, acquista così un valore «accrescitivo », 


(1) La scienza moderna è in crisi per le stesse ra- 
gioni per cui tutta l’umanità è in crisi: ma «crisi si- 
gnifica richiamo a non ismarrire il senso di equilibrio 
nella valutazione delle cose, a non perdere di vista il 
trascendente fra il groviglio dei sensibili, a seguire 
senza preconcetti le esigenze e le eventuali conclusio- 
ni della ragione nella ricerca delle supreme finalità 
del mondo e della vita ». L. G. B. Nigris, Crisi nella 
Scienza, Milano, Vita e Pensiero, 1939, pag. 3. 


— 250 — 


A AO LT A SAETTA e PL ei 


NON « SUPERLATIVO », MA «INTENSIVO » 


« diminutivo », « peggiorativo », « comparativo », « vez- 
zeggiativo », ecc. 


Tra questi suflissi modificanli l’intensità 
va annoverato il suffisso -issimo, che è il più 
forte, ma che non implica necessariamente un 
grado superlativo assoluto: infatti possiamo 
dire: « questo cibo è salatissimo, ma quello di 
ieri era ancora più salato ». 

Talmente fluttuante è il valore di ciascuno 
di questi sulfissi, implicando anche sîumature 
di significato che esorbitano dalla specifica 
qualità espressa dall’aggettivo, che l’uso di 
essi è difficilissima per uno straniero: rosso, 
rossiccio, rossastro, rossissimo esprimono di- 
versità di intensità ma anche diversità di to- 
no cromatico; potremo dire grigiasiro, grigio- 
finto, ma non diremo mai grigissimo; abbia- 
mo grasso, grassotto, grassottello, grassoccio, 
grassone (usato piuttosto sostantivato) e gras- 
sissimo, ma non abbiamo grassastro (1). 

Nel III Congresso Internazionale dei Linguisti 
(Roma, 22 settembre 1933) il prof. Viggo Bréòndal del- 
l'Università di Copenhagen deplorò che le grammati- 
che delle lingue neolatine continuassero a parlare di 
un « superlativo », mentre si tratta di un « intensivo »: 
questo calco grammaticale sul sistema latino è stato 
condannato da molto tempo dal buon metodo lingui- 
stico (2). ° 


(1) Nella terminologia tipografica, grassetto è il 
nome di un carattere più marcato: e parimenti il ne- 
retto. Impiegando suffissi diversi, e con l’eventuale 
aggiunta di prefissi, la nomenclatura chimica ha po- 
tuto formare aggettivi e aggettivi sostantivati espri- 
menti la maggiore o minore ossidazione di un acido e 
del sale derivato: si hanno così, ad esempio: 

Hz S 04, acido solforico, H=? S 03 acido solfo- 
roso, K Cl 04 perclorato di potassio, K. CI O2 clorito 
di potassio; 

e si hanno anche un ossido manganoso-manga- 
nico, un ossido ferroso-ferrico, ecc. 

(2) « Le roman a perdu le superlatif en tant que 
superlatif (car ottimo en italien ne veut pas dire «le 


— 251 — 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


335, — Non dunque « superlativo », ma inten- 
sivo: e l’intensivo è per l’aggettivo ciò che l’ac- 
crescitivo è per il nome: grossissimo sta a gros- 
so come palazzone sta a palazzo. Parecchi dei suffis- 
si accrescitivi o diminutivi o vezzeggiativi degli agget- 
tivi coincidono con quelli dei sostantivi (1). 


336. — Questa chiarificazione e semplificazione 
grammaticale italiana giova anche per lo studio del- 
le lingue straniere: si eviterà di confondere i cosid- 
detti « comparativo >» e « superlativo » italiani, che non 
esistono, con tali gradi in quelle lingue che li hanno, 
come il latino, e le lingue europee derivate dal go- 
tico. 


Il cosiddetto comparativo, specificato con 
l'articolo, serve in italiano a formare il cosid- 


meilleur »; comme les formes en -issimo, c’est un in- 
tensif). Il est vrai que dans les grammaires on trouve 
toujours le système complet: bon, meilleur, le meilleur; 
bien, mieux, le mieun Mais ce n’est ià qu’un simple 
calque sur le latin, condanné depuis longtemps par la 
bonne méthode linguistique ». V. Bròndal, Structure et 
variabilité des systèmes morphologiques, Rome, 1933 
(negli Atti del Congresso e in «Scientia », 1, VIII, 
1935, vol. LVIII, n. CCLXXX-8). 

(1) Nel linguaggio faceto si aggiunge la desinen- 
za -issimo ad alcuni sostantivi, ottenendo vocaboli di 
indubbia efficacia, quali salutissimi (« saluti cordialis- 
simi »), banchettissimo. Oramai di uso corrente è il 
veglionissimo, che finirà certamente per passare nel 
linguaggio autorizzato. Abbiamo già il generalissimo. 
—- L’intensivo direttissimo, sostantivato a scopi ferro- 
viarî, ha funzioni analoghe a quelle che l’accrescitivo 
torpedone ha nell’automobilismo turistico. — Il lin- 
guaggio giudiziario ha ufficialmente adottato la for- 
mula « giudicare per direttissima », ed abbiamo «la 
direttissima Roma-Napoli ». — Non vi sono regole per 
decidere quali desinenze debbano esser usate per al- 
terare il significato degli aggettivi e dei sostantivi: vi 
sono simpatie e incompatibilità ideologiche e formali: 
abbiamo graziosetto, giallino, belloccio con tipiche 
.sfumature di significato: intelligentino ha sapore iro- 
nico, saputello esprime eccelttentemente la presuntuo- 
sità di chi vuol aver l’aria di tutto sapere (il linguag- 
gio faceto ha costruito, in tal senso, anche « sapone », 
come comico equivalente di « sapientone »). 


DI 


ATTENZIONE AI GRADI! 


detto « superlativo »: bello, più bello, il più 
bello. L'articolo determinativo è dunque rite- 
nuto caratteristico del « superlativo » (1). Pro- 
prio questa « ricetta grammaticale » può esse- 
re pessima consigliera per la traduzione in 
lingue siraniere o classiche. Nel verso del Pe- 
trarca 
« Veggio ’1 meglio ed al peggior m'’appiglio » 
(In vita di Mad. Laura, c. XVII) 


l’ariicolo che precede meglio e peggiore indu- 
ce a delinire « superlalivi » i due aggettivi so- 
stantivati: e, al contrario, essi corrispondono 
a due « comparativi » (comparativi veri e pro- 


prî) latini: il verso del Petrarca è infatti imi- 
tato dal latino: 


..« Video meliora proboque: 
Deteriora sequor ». 
(Ovidio, Metamorph., VII, 20-21) 


337. — Per ben tradurre in quelle lingue 
che hanno le forme « comparative » e « super- 
lative », bisogna prescindere daila « forma » 
italiana, ed esaminare se l’aggettivo modificato 
esprima una qualità in misura superiore ri- 
spetto ad altra cosa o altra qualità o altro tem- 
po, ecc., nel qual caso si tradurrà con il « com- 
parativo », o se si tratta, invece, di un « pri- 


(1) Infatti il francese ripete l'articolo allorché 
l'aggettivo modificato dal plus (o un aggettivo che ne 
contenga l’idea intensiva) è posposto al nome: l’ami 
le plus cher, «l’amico più caro » (e non «l’amico il 
più caro», che è riprovevolissimo gallicismo); /es 
meilleurs livres possible, oppure les livres les meil- 
leurs possible. Ma l’articolo può invece mancare quan- 
do si tratti di un partitivo: ce que j'ai vu de plus in- 
téressant; ce que nous avons mangé de meilleur. — Il 
confronto fra lingua e lingua giova a comprendere la 
vera natura, ossia l’autentico «grado » di questi in- 
tensivi. -—— Un intero gruppo di parole può valere da 
« intensificatore »: così ad esempio, la locuzione fa- 
miliare francese on ne peut plus in frasi a significato 
« superlativo »: es.: il est on ne peut plus aimabile. 


— 253 — 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


mato » in tale qualità, nel qual caso è eviden- 
te che la traduzione deve far ricorso al super- 
lalivo. 

Si spiega così, ad esempio, perché ad una 
nostra forma « intensiva » possa corrisponde- 
re in inglese tanto un comparativo quanto un 
superlativo: allorché noi diciamo «il più ca- 
ro », «il più a buon mercato », « il più ulile », 
« il più comodo », non facciamo differenza al- 
cuna per il caso che si tratti di due oggetti o 
di più: ciò prova che si tratta di un « inten- 
sivo », e che soltanto il « complemento di pa- 
ragone » stabilisce il valore dell’avverbio 
« più »: l'inglese, invece, che possiede i « gra- 
di » degli aggettivi e degli avverbî, dirà ‘he 
dearer, the cheaper, the more useful, the more 
comfortable (« comparativo ») se si tratti di 
uno dei due oggetti, essendo evidente il « pa- 
ragone » con l’altro, mentre dovrà dire the 
dearest, the cheapest, the most useful, the most 
comjortable, se gli oggetti sono ire o più, poi 
che si tratta di un primato (« superlativo »): 
non si possono paragonare tre cose come non 
vi può essere un « superlativo » in un « para- 
gone » di due cose (1). 

338. — Noi siamo spontaneamente portati ad 
esagerare il grado della qualità affermata, appunto per 
dar maggior rilievo alla qualità stessa: diciamo « pal- 
lido come un cencio », sebbene nessun pallore epi- 
dermico possa arrivare mai al bianco assoluto, « rat- 
to come il fulmine », non intendendo certo la velocità 
di 300.000 km. a secondo. È la ragione stessa per la 
quale, sulla deposizione obiettiva dei nostri sensi, la 


(1) Nella forma mentis anglosassone, questa di- 
stinzione è fondamentale e si riflette anche in altre 
espressioni: noi diciamo «le classi ricche », ma nella 
mente inglese è spontaneo il paragone con l’altra ca- 
tegoria sociale, e l’espressione è perciò « the richer 
classes» («comparativo »), cui sono opposte «the 
poorer classes ». Invece «l’allievo più diligente della. 
classe » sarà « the most industrious boy in the form ». 


o) I 


LA TENDENZA A ESAGERARE 


tendenza amplificatrice ci porta alle «illusioni otti- 
che ». Diciamo «È un secolo che l’aspetto », «È ro- 
ba da morire». Psicologicamente interessanti sono 
perciò i modi con cui le varie lingue esprimono più 
o meno esageratamente l’« intensità » aggettivale, con 
avverbî e terminazioni. 


A 


un secolo che aspetto!” 


(un secolo=20 minuti) 


(NIITIITITITT) 
0000000000000 


Vi sono delle esagerazoni linguistiche dovute a cau- 
se fisio-psichiche analoghe a quelle che creano alcune 
« illusioni » ottiche... A) Nei « cerchi di Delboeuf » il 
cerchio interno della figura di sinistra sembra più 
grande di quello esterno della figura di destra, cui in- 
vece corrisponde per diametro e circonferenza. — B) 
Nei «punti di Ponzo», la linea verticale a sinistra 
sembra più corta di quella di destra, ed invece è del- 
la stessa lunghezza. (8 338) 


Le Précieuses si servivano abbondantemente di 
avverbî quali terriblement, furieusement, formidable- 


— 255 — 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


ment (1). Nell’inglese moderno si dice awfully. good, 
(letteralm. « spaventosamente buono ») tremendously- 
glad (« terribilmente contento »). Invece mancano di 
terminazioni accrescitive, vezzeggiative o peggiora- 
tive. 


Noi abbiamo parole, paroline, parolone e. 
parolacce. 


(1) E vennero chiamati Zncroyables coloro che 
esagerarono nell’affettato modo di vestire, di parlare 
e di gestire. Il nomignolo venne dal loro intercalare 
« C'est incroyable!» che essi usavano frequentemente. 
e senza pronunziare la lettera r: « C’est incoyable, ma 
paole d’honneu! ». — Cfr. Toddi, Guida per la lingua 


francese viva parlata e scritta, Milano, Ceschina, 1936, 
pag. 313. 


— 256 — 


Le parole sulle terre, sui mari e nei cieli 


(VII) 


339. — Come congruo supplemento alla tratta- 
zione dei nomi e degli aggettivi, la grammatica rivo- 
luzionaria ossia aggiornata con i tempi, dà largo svi- 
luppo alle regole concernenti i vocaboli codificati in 
un volume diffusissimo e che, pure, non è un testo 
letteratio: è un volume sui generis, ricchissimo di 
nomi, alquanto ornato di aggettivi, con alcune pre- 
posizioni, rare congiunzioni, ma assolutamente man- 
cante di verbi, di avverbî, e tanto più di interiezioni: 
l’atlante (1). 


CSI . 


(1) « Ah! moglie mia! » è il nome geografico col- 
lettivo dato alle quindici province orientali e setten- 
trionali dello Honshà, a ricordo dell’accorata escla- 
mazione che, dall’alto dello Usvi, il grande guerriero 
nipponico del III secolo (ufficialmente del II) Yamato- 
takeru pronunziò ricordando l’eroico sacrificio della 
consorte Ototachibana-hime, immolatasi nella sotto- 
stante baia per salvarlo: dalla sua esclamazione (« A 
tsuma wa ya! ») venne all’intera regione il nome di 
Azuma, che non è più, però, un’interiezione. — Cfr. 
P. S. Rivetta, Storia del Giappone secondo le fonti in- 
digene, Roma, Ausonia, 1920, pag. 26; e Japan-Hand- 
buch, Nachschlagewerk der Japankunde, Berlin,-Japa- 
ninstitut, 1941, pag. 654. — Si dice che da un’ammira- 
tiva frase di Napoleone (« Mais quel beau lieu! ») de- 
rivi il nome di Beaulieu sulla Costa Azzurra. — Il 
nome del Capo Guardafui, ossia « Guarda e fuggi! », 
fu dato dai navigatori italiani all’imponente promon- 
torio orientale africano detto dagli Arabi Ras Assir, 
dall’aspetto di leone accovacciato, perché a chi venga 
da sud o da est, le nebbie frequenti fanno confondere 
con esso il Falso Capo Guardafui, provocando un pe- 
ricoloso dirottamento. —- Ma tutte queste interiezioni 
hanno soltanto valore etimologico, e non conferiscono 


— 257 — 
17 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


L’atlante è un libro senza testo: non ap- 
partiene alla lelteratura: ne è però ausilio pre- 
zioso, non soltanto ai fini geografici, ma an- 
che a quelli direttamente grammaticali relativi 
alla toponomastica (1). | 


340. — Allorché, nell’atlante, un nome geografi- 
co appare accompagnato dall’articolo, questo va con- 
siderato come facente parte integrale del nome stes- 
so: non potrà esserne quindi mai separato, come non 
potrebbe esser separata la prima sillaba di un qual- 
siasi altro nome geografico. 

Perciò si deve sempre dire La Spezia, L'Aquila 
La Valletta, anche nei casi indiretti, potendosi però, 
in tal caso, aver anche la fusione con la preposizione 
(vedi 8 422). Si dirà perciò « La Spezia è capoluogo di 
provincia », « È partito per l'Aquila», « Ha ricevuto 
lettere dalla Valletta? ». 

Lo stesso dicasi per tutti gli altri nomi geogra- 
fici articolati, sia di luoghi italiani sia di luoghi stra- 
nieri: alcuni di questi nomi hanno una forma italia- 
nizzata, altri rimangono nella loro forma originaria. 


Abbiamo, in Italia, anche La Consuma, La 
Futa, Il Furlo, La Gaiola, ecc. Italianizzati so- 


ai nomi geografici derivati la qualifica di « esclama- 
zioni ». — Anche l’espressione « Zch bringe es dir! » 
- («Io porto ciò a te!» ossia « Alla tua salute! ») ha 
generato il nostro « brindisi » (non il nome della città, 
che è il latino Brundisium), che non va però. qualifi- 
cato « interiezione ». 

(1) Dall’italiano gazzetta, « giornale » (così chia- 
mata perché originariamente ogni numero costava una 
gazzetta, moneta veneziana del valore di 2 soldi cir- 
ca), gli Inglesi hanno formato gazetteer, che, dal signi- 
ficato originario di « gazzettiere » ossia « scrittore per 
gazzette » passò a quello attuale di « dizionario geo- 
grafico », in quanto questo fornisce le utili nozioni sui 
luoghi. Un gazetteer non manca mai nella redazione 
dei giornali, né negli uffici pubblici e privati: esso in- 
dica anche, generalmente, la corretta pronunzia dei 
nomi elencati. 


— 258 — 


ni ARR 


L'ARTICOLO GEOGRAFICO 


no ll Pireo (1), La Canea (2), L’Aja (3), L’A- 
vana (4), Il Cairo (5), mentre restano nella 
forma originaria spagnola La Asunciòn del 
Venezuela, La Paz per tre ciità importanti di 
America (in Argentina, Bolivia e California), 
La Union (in Spagna, Cile e Salvador), La 
Plata presso Buenos Aires (6), La Corufia e 
El Ferrol in Galizia; in portoghese O Porto 
(scritto anche Oporto, non distaccando l’arti- 
colo O = «il »); in francese Le Bourget, pres- 
so Parigi, che ha dato il nome anche all’aero- 
porto, Le Mesnil le Roi, ecc.; in olandese De 
Kaapsche Hoop nel Transvaal, ecc. 

341. — Importante è l’esame di questi articoli, 
poi che la loro presenza potrebbe indurre in errori 


(1) Dal greco Tò Péiraion, che i nostri vecchi na- 
vigatori chiamavano « Porto Leone ». 

(2) In greco è semplicemnte Kanià: l'articolo fu 
dato dai Veneziani, quando, nel 1252, fondarono la 
città sulle rovine dell’antica Cidonia. 

(3) Dall’olandese ’s Hag (tedesco Den Haag, in- 
glese The Hague, francese La Haye), abbreviazione di 
*s Gravenhage, « Il Parco dei Conti »), poi che la città 
si sviluppò, nel XIII secolo, intorno ad un castello 
nobiliare. 

(4) In spagnolo La Habana, dal nome popolare 
dato ad una statua che è sulla torre di guardia del 
Castillo della Real Fuerza. Un detto cubano si burla 
di coloro che «hanno visto L’Avana senza vedere 
l’Avana ». — Sulle numerose curiosità locali, cfr. il 
vecchio, ma sempre interessante lavoro di J. M. de la 
Terre, Lo que fuimos y lo que somos, o la Habana 
antigua y moderna, La Habana, 1857. 

(5) In arabo e/-Kahireh, «la Vittoriosa »; gli Egi- 
ziani la chiamano abitualmente il Masr, « la Capitale ». 
Gli Arabi premettono l’articolo anche a nomi di altre 
città: Nazaret diventa in-Ndasre, Alessandria d’Egitto 
il-Iskandarîje. i 

(6) È la capitale della provincia di Buenos Aires, 
questa città essendo la capitale nazionale. In spagno- 
lo, plata significa « argento » ed è femminile: il nome 
Rio de la Plata venne dato al gigantesco fiume da Se- 
bastiano Caboto per i numerosi oggetti d’argento tolti 
agli indigeni rivieraschi. Più a sud di La Plata è Mar 
del Plata: in questo nome, Plata è maschile giacché 
si allude al «territorio » circostante. 


— 259 — 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


di concordanza, sia in italiano che nelle lin- 
gue straniere. 


E potrebbe sospingere verso l'errore pro- 
prio coloro che, conoscendo una lingua stra- 


 AQVISGRANV, VM 


SN Su ii TENEIORAARNA Lol 


SANCTE AGATH/E FAN vm 
ì YStì 


“N 
BO» 


se? 


Le alterazioni subìte dai nomi geografici sono spesso 
assai profonde... (8 341) 


niera, ‘sentirebbero maggiormente l'impulso 
ad accordare verbo e aggettivi con il numero 
e il genere indicati dall'articolo. 

Questo articolo, più o meno incorporato 
anche formalmente con il nome (1), ha puro 


(1) Le alterazioni dei nomi geografici sono spesso 
ancora più profonde che quelle delle parole comuni, 
con singolari mutilazioni e, insieme, singolarissime 
persistenze. Non ci stupiremo che il latino Aquisgra- 


— 260 — 


‘ PLURALI APPARENTI 


valore etimologico, e quasi sempre è il resi- 
duo di un’abbreviazione (1). Così la città di 
Los Angeles ha un nome che va interpretato 
« città dedicata a Nuestra Sefiora la Reina de 
los Angeles » (2), e la bella capitale della 
Gran Canaria si chiama Las Palmas a causa 
della lussureggiante vegetazione, sì che essa 
è «la città delle palme » (3). Tutti questi no- 
mi e altri simili vanno quindi considerati sin- 
golari femminili, indipendentemente dalla loro 
apparenza: si dirà quindi: « Las Palmas è 
collegata con il suo porto di La Paz con una 
tranvia' elettrica di 6 chilometri ». 


342. — Questo criterio vale anche per quei 
nomi che, pur senza articolo, hanno forma 


num sia divenuto Ais (= Aquis) nella Chanson de Ro- 
land, poi che 
« Carles serat ad Ais a sa capele » 
(Chans. de Rol., 52) 

da questa cappella carolingia si è avuto il nome mo- 
derno francese di Aquisgrana Aix-la-Chapelle, mentre 
per i Tedeschi essa è Aachen, con un allontanamento, 
dall’originale, non maggiore di quello che, ad esempio, 
vi sia tra l’originario greco archìatros e il moderno 
tedesco Arzt, « medico » (in ceko è Cachy, che si pro- 
nunzia Tsdhi). — Si pensi che forum Livii si è sin- 
tetizzato in Forlì, e che delle sei sillabe di Sanctae 
Agathae Fanum: non ne sopravvivono che due in San- 
thià, ma è rimasta nella grafìa lA, pur eccezionalis- 


sima in tale posizione. — Cfr. P. Nigra, Notizie stori- 
che intorno al borgo di Santhià, Vercelli, Guglielmoni, 
1876, vol. I, pag. 134. — L’A etimologico eccezional- 


mente permanente nella grafìa si trova anche in Thie- 
ne, Rho; nell’estrema Calabria montana sono i due 
paeselli di Chorìîo e Roghudi. 

(1) E si trova anche in forma di preposizione arti- 
colata, come ad esempio nel nome di Desvres (nel 
Pas-de-Calais), che va pronunziato « dèvr ». 

(2) Così fu battezzato il 2 agosto 1769, ricorrenza 

festiva della Madonna degli Angeli, il villaggio che 
gli indigeni chiamavano Yang-ma. 
; (3) La vegetazione tropicale fa ancor più impres- 
sione a chi abbia lasciato, come ultimo porto, un pae- 
se a vegetazione temperata. Perciò, ai provenienti dal- 
l’Europa il connotato appariva più tipico e suggeriva 
la denominazione geografica. 


SIA 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


evidente di plurale, come, ad esempio, Buertos 
Aires. Sarebbe ridicolo e inesatto considerare 
tal nome un plurale maschile! (1). Si tratta 
anche qui di un’espressione sintetica: in ori- 
gine (1536) il nome della città era Puerto 
de Nuestra Seniora Santa Maria del Buen 
Hire (2). 


343. — Ben diverso era il pensiero dei Latini al- 
lorché essi parlavano o scrivevano di Syracusae, Vol- 
sinii, Pompeii, Corioli, Veii, Athenae. Questi nomi 
erano veri e proprî plurali, poi che l’idea connessa 
era di conglomerati di rioni, o, meglio, città minori 
riunite a formare quella che aveva, così, significato 
collettivo. 


Si hanno perciò i genitivi plurali Syracu- 
sarum, Volsiniorum, Veiorum, ecc. Si diceva: 
« Athenae omnium artium inventrices jue- 
rutti », letteralm.: « Atene furono le inventrici 
di tutte le arti»; « Corioli diruti suni » (« furo- 
no distrutti »); e persino « Syracusas nomina 
urbs habet », ossia « La città ha i nomi di Si- 
racuse », ciò che, del resto, corrispondeva alla 
realtà toponomastica, poi che Syracusae era 
il nome-somma (quindi plurale) dei cinque 
Regio; dei quartieri, considerati altrettante cit- 
tà (3). 


In italiano tutti i nomi di città o paesi, antichi o 
moderni, sono singolari, anche se han forma e signi- 
ficato plurale nella lingua originaria. 


(1) In spagnolo, aire (come il francese air) è ma- 
schile; si dice el aire per ragioni eufoniche, come in 
francese si dice son air. 

(2) Dal titolo di una compagnia mercantile di Si- 
viglia; è leggenda che il nome sia stato suggerito dal- 
l'italiano Leonardo Gribeo, facente parte della spedi- 
zione di Pedro de Mendoza, e che avrebbe voluto ri- 
cordare un santuario cagliaritano, Santa Maria della 
Buon’Aria. — Cfr. V. F. Lòpez, Historia de la Repù- 
. blica Argentina, in 10 voll., 1883-93. 

(3) Ortygia, Achradine, Tyche, Epipole e Neapolis. 


— 262 — 


IL SAPORE LOCALE 


In rumeno hanno forma di plurale parec- 
chi nomi di città, a cominciare dalla capitale 
che è Bucuresti (1), genitivo Bucurestilor, ap- 
punto in forma di plurale: non per questo, 
però, esige al plyrale i verbi ed aggettivi (2). 

È singolare persino Budapest, che pur è formato, 
nella realtà e nel nome, dall’unione di Buda e di Pest: 
diremo perciò: « Buda e Pest formano” Budapest, la 
quale è... ». 


344, —- Esigono invece regolare concordanza 
completa — in genere e numero — i nomi plurali, 
maschili o femminili, che indicano quartieri, rioni, lo- 
calità, passeggiate e simili, e richiedono l’articolo ve- 
ro e proprio (ossia non soltanto etimologico): così « i 
Parioli», «i Prati», «le Capannelle» a Roma, «le 
Cascine », «i Colli » a Firenze, « le Procuratìe » a Ve- 
nezia, «i Bastioni », «i Viali » ecc. in parecchie città. 


A Roma si dice indifferentemente « abita 
ai Prati » e « abita in Prati ». Questa seconda 
forma ha maggior sapore locale (3). I 


(1) La mancanza, tra le matrici della linotype, del 
carattere adatto impedisce di porre la sediglia sotto la 
lettera s (che dovrebbe averla come il € francese): pa- 
rimenti non è rappresentato esattamente il t con la 
sediglia, sostituito per approssimazione con ts, per 
renderne il suono. (La trascrizione sc per l’s con se- 
diglia altererebbe troppo l’aspetto grafico). Per le stes- 
se ragioni viene omesso il segno sulle vocali brevi. 

(2) Si dice quindi, al singolare « Bucuresti a fos! 
de multe ori ocupat de armate streine », « Bucarest è 
stata molte volte occupata da eserciti stranieri », Pari- 
menti: « Galatsi (plur.) se pomeneste (sing.) po vremea 
lui Alexandru cel Bun », « Galatz è ricordata sin dal 
tempo di Alessandro il Buono ». 

(3) Essa ha quindi una tinta dialettale. Il « Ro- 
mano de Roma » (v. pag. 127), anche quando parla ita- 
liano, omette l’articolo dinanzi ad alcuni nomi di rio- 
ni: dice «l’Esquilino », «la Regola », ma «si trova in 
Borgo » o « a Borgo », « abita in Panico »: 

« ... annamo dritti p’er Biscione, 
Piazza S. Carlo, traversamo Ghetto... » 
(Pascarella, La serenata, II, 7-8) 


(esattamente come un Londinese direbbe «we cross 


— 263 — 


PI 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


345, — Come regola generale, prendono l’arti- 
colo tutti i nomi geografici, tranne quelli di città, pae- 
si e isole minori: sicché si dirà: « È venuto da Creta, 
passando per lo Stretto di Messina, avvistando lo 
Stromboli, sostando a Salerno e a Capri ed è sbar- 
cato al Molo Beverello a Napoli, tra il Vomero e il 
Vesuvio ». 


Per le stesse ragioni geografico-sentimen- 
tali (1) per cui si dice « a Trastereve », si usa 
dire senza articolo « a Posillipo »; ed è consa- 
crato sulle ali del canto che «a Marechiaro 
c'è una finestra » (2). 

Si può affermare che una imprecazione 


Piccadilly >»). È tipica la locuzione romanesca « passà 
ponte » (senza articolo) nel senso di « prendere una de- 
cisione irrevocabile » (cfr. P. Romano & E. Ponti, Mo- 
di di dire popolari romani. Roma, A.R.S., 1944, pag. 7). 
Si intende il ponte per eccellenza, ossia il Ponte S. An- 
gelo. « Per gli Ebrei di Roma, « ponte » riferito al 
ghetto è sempre il ponte Quattro Capi, mentre « Pon- 
tc » riferito alla città è, come per tutti i Romani, il 
ponte S. Angelo ». C. del Monte, Nuovi sonetti giu- 
daico-romaneschi, con note esplicative, Roma, Cremo- 
nese, 1932, pag. 120. — È il ponte cui allude Dante 
nell'VIII Cerchio: 


« Come i Roman, per l’esercito molto, 
l’anno del giubileo, su per lo ponte : 
hanno a passar la gente nodo colto, 
che dall'un lato tutti hanno la fronte 
verso "l castello e vanno a Santo Pietro; 
dall'altra sponda vanno verso il monte... ».. 
(Inf., XVIII, 28-33). 
Anche in puro italiano, non si usa premetter l’ar- 
ticolo a Trastevere, considerandolo quasi un nome di 
paese a sé: «tutto il popolo di Trastevere, ottimo 
sangue romano, da questa sede che sta fra il Gianicolo 
e Ripa Grande... ». G. d'Annunzio, cit. in L. Huetter, 
Trastevere, in Roma nei suoi rioni, Roma, Palombi, 
1936, pag. 336. 
(1) Vedi 8 52 e 108. ù 
(2) « Marechiaro » non ha l’etimologia che sem- 
brerebbe ovvia, ma deriva da Mare planum, « Mare 
tranquillo ». 


ne D64 ca 


CON O SENZA ARTICOLO 


dantesca abbia definitivamente fissato l’arti- 
colo ai nomi di due isole minori del Tirreno: 


« Movasi la Capraia e la Gorgona, 

e jaccian siepe ad Arno sulla joce, 

sì ch’elli anneghi in te ogni persona! ». 

. (Inf., XXXIII, 82-84) (1). 

346. — Le regioni e le grandi isole, così come i 
nomi degli Stati, possono avere e non avere l’arti- 
colo: e v’è una lieve differenza di significato. Si può 
dire indifferentemente: « in Sicilia » o « nella Sicilia » 
«in Spagna» o «nella Spagna »; si preferisce omet- 
terlo allorché si tratta di moto a luogo, mentre è di 
rigore quando si esprime la provenienza. Si dirà quin- 
di: « È partito dalla Turchia per recarsi in Svizzera » 
(meglio che « nella Svizzera »). 


347. — Non è facile codificare i casi in cui 
si usi l'articolo o no dinanzi a nomi di Stati, 
grandi isole nazioni e regioni: generalmente, 
come si è visto, l’articolo è adoperato. Potrà 
apparire strano che le grandi isole extra-euro- 
pee (ed anche Maiorca e Minorca, Creta, Ci- 
pro nel Mediterraneo) vengano trattate come 
piccole isole, ossia escludano l’articolo: « a 
Giava », « da Sumatra », « oltre Luzon », e che 
invece sia sempre obbligatorio l'articolo per 
«il Madagascar ». 

Questa varietà di uso o meno dell’articolo 
è uno scoglio spesso insidioso allorché ci si 
esprime nelle lingue straniere. 

Fortunatamente, parecchie di esse hanno 
regole tassative ed unificatrici. Ad esempio, 
non v'è pericolo di errare in tedesco, poi che 
nomi di città, paesi e isole non vogliono mai 
l'articolo (2). 


(1) In questa terzina, invece, l'Arno non ha arti- 
colo. Si dice, per reminiscenza manzoniana, « risciac- 
quare in Arno ». A Roma è comune l’espressione « a 
Tevere » e anche « a fiume » intendendo appunto il Te- 
vere. 

(2) « Sein Onkel wohnt in Schanghai », « Suo zio 
abita a Scianghai »; « Kennen Sie Ungarn? », « Cono- 


— 265 — 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


348. — La violazione delle norme grammaticali 
‘e sintattiche implicanti localizzazioni geografiche pos- 
sono non soltanto generare errori, ma anche dar luo- 
go ad equivoci. Chi parla o scrive usa vocaboli e co- 
strutti che esprimano l’idea che egli ha già: nell’in- 
terlocutore o lettore quel vocabolo o costrutto può 
suggerire invece un’altra idea, la cui espressione coin- 
‘cide con il vocabolo e con il costrutto udito o letto. 


Chi dica, ad esempio, che « Tizio è certis- 
simamente a Capri » può non sospettare che 
la sua proposizione possa avere due signifi- 
cati diversi: uno più vasto, affermante che Ti- 
zio è « nell'isola di Capri », l’altro, più ristret- 
to, limitato cioè al « paese di Capri? ». Nel pri- 
mo caso, Tizio potrebbe anche essere ad Ana- 
capri, o al Salto di Tiberio, o nella Grotta Az- 
zurra o sulla vetta del Monte Solaro, mentre 
nel secondo non deve essersi allontanato trop- 
po dalla tipica piazzetta intorno alla quale si 
addensa il paese di « Capri »: la Punta Tra- 
gara e la Via Krupp son già « fuori Capri » in 
tal senso, mentre sono «in Capri » nel primo 
significalo. 

L’ungherese usa suffissi diversi (corri- 
spondenti a nostre preposizioni, dato il carat- 
tere agglutinante della lingua) a seconda che 


scete l’Ungheria? »; però si dice «Sie gehen in die 
Schweiz und in die Tiirkei ». — Parco di articoli è 
anche l’inglese, che ne fa uso solo eccezionalmente 
«dinanzi ai nomi geografici: « These islands belong to 
Spain », « Queste isole appartengono alla Spagna »; 
« Does he like South America? », « Gli piace l'America, 
Meridionale? ». — Inoltre l’inglese considera nomi geo- 
. grafici — o per lo meno li assimila ad essi — anche 
il Cielo, il Paradiso, il Purgatorio, l’Inferno, l’Elisio e 
il Tartaro (Heaven, Paradise, Purgatory. Hell, Elysium, 
Tartarus), poi che li usa sempre senza articolo. — 
Semplificatore è anche lo spagnolo, omettendo l’arti- 
‘colo: ir a Parìs, a Francia, a Espafia; — salir para 
América (« partire per l’America »), volver de Cata- 
lufia (« ritornare dalla Catalogna »), « la capa se lleva 
mucho en Espafia» (« Nella Spagna si porta molto il 
mantello »). 


— 266 — 


LOCALIZZAZIONE AMPIA O RISTRETTA 


il nome cui si aggiungono debba intendersi 
come significante una città oppure la provin- 
cia: così, ad esempio, Szalmàron (= Szaf- 


——_—_—» 


“Tizio rrtogTt è s ri 1 
i a C pri. 
ALTO DI mimi E 9% 
erat SE ATI ION MONTE SOLARO 
- SPARE INDI SS =<CAPR ti o TTORE ly ==aezIe. 
NR: VI ll FEAVIVATA 7 ® 
TSRM EAU CAI 
d; pesa, 


TORRETESA 
NIUOSED? 4 
- ARINA GRANDE <A: 
sa ia 


o se 
nata 


È o a = 
PE 
ep pu re i 


“Tizio è certamente pi 


@UGAL 
VA 


ci 
hi 
cf 


A) « Essere a Capri» può avere due significati diver- 
si. — B) In magiaro, due differenti suffissi specificano 
la localizzazîione ampia o ristretta. (6 348) 


 màr+on) significa «in Szatmàr (città)», 
: mentre Szalmàrban (= Szatmar + ban) vuol 
‘dire « nella provincia di Szatmàr »; Csongràd- 


— 267 — 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


. 


ròl significa « dalla città di Csongràd », men- 
tre Csorigràdbò! vuol dire « dalla provincia di 
Csongràd » (1). 


‘ 349. — L'articolo è obbligatorio ogni volta che 
il nome geografico sia accompagnato da un aggettivo, 
sia attributivo che facente parte del nome stesso: si 
dirà quindi « /a vecchia Castiglia » o « la Vecchia Ca- 


hia Castiglia 


) 


IOBBIIA Les 
È) è 
csi) hY 
So AI 


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9 


DA Di 


Tri 
rr 


a 


Graficamente la maiuscola e. oralmente, una lievissi- 
‘ ma differenza di pronunzia determinano un diverso 
| significato, (8 349) 


(1) Nello stesso senso i suffissi locativi -én (-on, 
-6n), -ròl, -ròl, -ra, -re si diversificano dai suffissi -ben, 
-bol, -bòl, -ba, -be. — La localizzazione ha una grande. 
importanza come connotato psicologico-linguistico. 
Proprio presso alcuni popoli non troppo amanti della 
precisione espressiva, si trovano costrutti che manca-. 


— 268 — 


« A » FEMMINILE E «A » MASCHILE 


stiglia » (1), « il Grande Belt e il Piccolo Belt », « l'I- 
talia Settentrionale », «la Venezia Giulia», anche 
quando l’aggettivo sia sostituito da un prefisso o da 
un genitivo di specificazione: perciò si dirà: « È stato 
in America ma non so se nel Sud-America o nell’Ame- 
rica del Nord ». 


350. — Da quest’ultimo esempio si vede che le 
regioni, anche se di genere femminile, sono trattate 
come maschili allorché son precedute dal nome (che 


LI 


è maschile) di un punto cardinale: «il .Nord-Ame- 
rica» (2). 

351. — Imbarazzante è la determinazione del 
genere per le nazioni e regioni il cui nome termina 
in -a: in America vi sono, allineanti lungo la costa 
atlantica ma alternantisi come « genere » grammati- 
cale, « Za Guiana, il Venezuela, la Colombia, il Pana- 
. ma, la Costa-Rica e il Nicaragua », tutti nomi uscenti 
in -a e fonicamente non molto diversi fra loro. In 


no alle nostre lingue: con il semplice suffisso -mo ag- 
giunto al verbo, la lingua kinyamwesi esprime che 
l’azione si svolge completamente nel luogo indicato: 
numba iyi tukulalamo «dormiamo in questa casa » 
(letteralm.: «la ecco-casa [in cui] dormiamo dentro 
[e non mai fuori] ». Allorché l’esquimese dice «io » 
intende sempre «io che sono qui», poi che uvanga 
è composto di uva+nga (= « iot qui »): Del resto, il 
francese, « moi qui vous parle » non dice forse qual- 
cosa di assai simile? 

(1) Le due espressioni hanno significato diverso, 
e si differenziano non soltanto graficamente, ma anche, 
sia pur leggermente, nella pronunzia; nel primo caso, 
infatti, l'articolo determinativo e l’aggettivo qualifica- 
tivo si uniscono in un solo gruppo fònico (« lavecchia 
Castigla ») intendendo così tutta la Castiglia, sempli- 
cemente qualificata come « vecchia »; nel secondo ca- 
so, invece « Vecchia » fa gruppo fònico con Castiglia, 
costituente con essa un’unità toponomastica («la Vec- 
chiacastiglia »). La differenza fònica è lievissima, ma 
avvertibile perché intenzionale e perciò particolarmen- 
te espressiva. 

(2) Sebbene jug significhi « sud » in serbo, Jugo- 
slavia è femminile, poiché si considera espressione 
globale: il punto cardinale si è incorporato con il nome 
etnico-geografico. — Cfr. U. Vukicevic’, /Istorija Srba, 
Hrvata i Slovenaca, Beograd, 1921. 


— 269 — 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


Africa « la Rhodesia » è fra « il Beciuana » e « il Tan- 
ganyika »; in Asia «il Bengala » confina con «la Bir- 
mania » e fa parte dell’« India Britannica ». 

Come orientarsi per distinguere i due generi, poi 
che è noto che non si può dire «/a Nicaragua » né 


« il Birmania? ». 


FANFA_RA 


x 
“G 
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)) 


. 


*oe0000d8*0,° 
Ò 
e? 00, 0 


Ud 
dd 


‘ cz 


Si alternano, maschili (M) e femminili (F), nomi di 
nazioni, pur tutti uscenti in a-. (8 351) 


Proprio il nostro «senso di latinità » ci è di gui- 
da nel determinare quali di questi nomi in -a siano 
indubbiamente femminili e quali invece richiedano 
aggettivi ed articoli maschili. 

Per i nomi europei non v'è dubbio possibile, poi 
che essi sono stati appunto modellati alla latina, dalla 
Bulgaria all’Irlanda, dalla Lapponia all’ Andalusia; 
dalla Galizia alla Croazia e alla Siberia. 

Molti di questi nomi derivano dai nomi dei po- 


— 270 — 


LA GUIDA DELLA LATINITÀ 


poli, e sono femminili, significando la regione: così 
la Francia è la regione dei Franchi, l’Andalusia la. 
regione dei Vandali, l'Arabia la regione degli Ara- 
bi (1). 

Son perciò femminili anche quei nomi extraeuro- 
pei nei quali appunto si è « femminilizzato » alla lati- 
na il nome di un popolo, o una qualità, o che siano 
derivati da un nome proprio di persona. 


Così l’Oceania deve il suo nome all’Ocea- 
no, la Polinesia alle « molte isole », la Micro- 
nesia alle « piccole isole », l'Australia al fat- 
to di essere nell’emisfero Australe. 

Come da Amerigo Vespucci e da Cristo- 
foro Colombo ebbero il loro nome l’ America 
e la Colombia o Columbia, così da Simon Bo- 
livar prese nome la Bolivia, da Cecil Rhodes 
la Rhodesia. 

Non hanno invece questo carattere di de- 
rivazione alla latina tutti quei nomi che sono 
la più o meno esatta trascrizione di denomi- 
nazioni indigene: perciò, pur se terminanti in 
-a, non sono femminili: così abbiamo « îl Tan- 
ganyika », «l'Uganda» (=<«/o Uganda»), 
« l’Angola » («lo Angola ») (2), «il Benga- 
la » (3), ecc. 


(1) Gravitano nella sfera storica e culturale « euro- 
pea » i paesi circummediterranei, appartenenti anch’es- 
si al mondo latino e che alla civiltà latina diedero 
un largo contributo: l’Europa in tanto è « civile », in 
quanto è « Mediterrania ». Da oltre i confini dell’Im- 
pero Romano, vennero a noi piuttosto i coefficienti ne- 
gativi, nella cultura e nella morale: dai Vandali a 
Kent, da Attila a Nietsche, dagli Sciti a Lenin. 

(2) In lingua suabili, nyika significa « bosco, bo- 
scaglia » e Tanga è una località costiera. Uganda è 
erroneamente invece del bantù Buganda, sì che ora si 
vuole ripristinare la forma corretta. — È curiosa la 
formazione del nome dell’Angòla, che è originaria- 
mente il nome indigeno « Ngola », cui i Portoghesi 
premisero l’articolo femminile « A Ngola »: fondendosi, 
formò un tutto maschile. 

(3) Dal regno di Banga o Vanga. La lingua che 
chiamiamo « bengali » è localmente chiamata Bangga- 
bhasa. 


LI 


— 271 — 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


Sumatra e Giava debbono la loro femmi- 
nilità al fatto di essere grandi isole; Formosa 
è nome europeo (1). 

352. — Nessuna incertezza è possibile per i nomi 
«di regioni o nazioni che abbiano altra desinenza, vo- 
calica o consonantica che essa sia: quindi «il Cana- 


dà », «il Cile», «il Messico », «lo Honduras », « il 


Marocco », « il Nepal», ecc. 


353. — Sono femminili plurali e richiedono sem- 
pre l’articolo i nomi collettivi di isole, qualunque sia 
da loro etimologia e la loro terminazione: « le Ebridi », 
« le Canarie », «Je Ryl-kyà », « le Kurili », « le Antil- 
le », «le Hawaii »», «le Salomone », ecc. E 
Sono ‘invece maschili i nomi collettivi di scogli: 
«i Faraglioni », «i Galli», «i Fratelli ». 

356. — Non si dovrebbe dir mai «/e isole Fàr 
Oer », poi che Oer, in danese, significa « isole » (2). 

Parimenti, poi che non si dice «il monte Monvi- 
s0 », « il monte Monte Bianco », non si dovrebbe pre- 
mettere il nome comune monte a quei nomi che già 
contengono tale vocabolo: ma, per attenersi scrupolo- 
samente a questa regola, bisognerebbe aver conoscen- 
ze linguistiche vaste quanto è vasto il mondo con i 
suoi numerosissimi idiomi (3). 


(1) Così chiamata da Spagnoli e Portoghesi: in 
"Cinese è T’ai? uàn!. Ceduta con il Trattato di Shimo- 
noseki (1895) ai Giapponesi, è da questi chiamata 
Tai-wan. 

(2) È il plurale di « 6 », «isola »: in islandese ey, 
plùrale eyjer. 

(3) Chi volesse meticolosamente applicare questa 
regola, teoricamente giusta, dovrebbe assicurarsi, pri- 
ma di premettere o no la qualifica di « monte », se il 
nome orografico straniero contenga o no berg o ge- 
birge in tedesco; monte, cerro, pefia, pefion in spagno- 
lo; planina o vrh in slavo; gora in russo, bulgaro, croa- 
to; ben, beinn, fell in celtico; kaln in lettone; mdggi 
in estone; iz o urr in samoiedo; mdki, tjùrro, tunturi 
in finlandese; aivi, péîé in lappone; fell, fjell, fjall, fjoll 
in islandese; berg o fjéll in svedese; bjerg o fiell in da- 
nese, hegy in magiaro, hori in sloveno; gora o brdo in 
jugosalvo; munte, muntele, muntsii, varful in romeno; 
‘oros in greco; malj in albanese; dagh in turco. E ciò 


— 272 — 


IL « MONTE NON-DUE » 


adi idee dl de 
A 2 rali 
è 
. -| è 


Né chi lo contempli da lontano, né chi lo ascenda 

chiama il « Monte senza pari» con il deformato no- 

me di « Fusciyvama» — In alto a destra: Etichetta 

dell’« Albergo Fuji», in vista del sacro Monte, pres- 

so il Lago di Hakone. — A sinistra: Bollo che, culla 

vetta, viene apposto sul libretto turistico di chi ab- 
bia compiuto l’ascensione. —($ 356) 


Desa 
18 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


Si potranno, però, evitare almeno gli erro- 
ri più grossolani. Così, ad esempio, dicendo 
« il Monte Fusciyama » si riesce a riunire tre 
improprietà in tre parole: infatti, yama signi- 
fica « monte », in giapponese: tale vocabolo 
non è mai collegato direttamente con Fusci, 
e, finalmente, non bisogna dire Fusci ma Fu- 


gi (1). 

357. — Sono maschili tutti i nomi di monti e col- 
li, qualunque sia la loro terminazione: il Cervino, il 
Gran Sasso, l’Altissimo, il Monte Rosa (2), l’Everest, 
l'Olimpo, il Ruwenzori, il Monte Bianco, il Campido- 
glio, il Viminale, l'Esquilino. 


soltanta,per le denominazioni orografiche europee; chè, 
fuori d’Europa,dovrebbe considerare anche gebal arabo 
con le sue varie forme dialettali, kuh in persiano; 
kanda in singalese-tamilo; tagh in turki; gangri in ti- 
betano: doi, pou, kao in siamese; pnom in cambogia- 
no; goenoeng o gunong in malese; alin o ola in mon- 
golo; sciàn in cinese; san o yama o take in giappo- 
nese; senza contare le lingue africane, dal berbero 
tamgut al somalo bur e all’afrikaans klip. Qualche 
nome sud-americano contiene l’indio puna, che anche 
significa « monte ». Non è- possibile tener presente tut- 
to ciò; però, di quando in quando, assumono speciale 
importanza allcuni nomi, collegati ad eventi importanti, 
ed in tal caso, data la frequenza con cui essi ricorro- 
no nel discorso, è bene tener conto di questa buona 
norma, controllando l’etimologia. 

(1) Solamente con la -pronunzia Fuji (trascrizione 

all'inglese, corrente oramai in tutto l’Est per indicare 
la lettura « Fùgi ») è giustificato il bisenso con il quale 
i Giapponesi esaltano il monte veneratissimo, simbo:o 
della terra nipponica: essi dicono che Fuji è il « Mon- 
te Non-due » (Fu-ji), ossia «senza pari ». Con il me- 
desimo ideogramma si esprime graficamente sia il vo- 
cabolo san che il vocabolo yama, poi che entrambi si- 
gnificano « monte » e corrispondono quindi alla stessa 
« idea » (vedi nota al $ 73), e tale ideogramma si leg- 
ge san allorché è direttamente unito al nome: Fuji-san 
= «il Fuji-monte », e si legge yama sol quando ne è 
distaccato: Fuji no yama, «il monte del Fuji ». 
Ì (2) Il nome non è collegato etimologicamente con 
il colore, ma va congiunto con l’antico alto tedesco [h] 
rosa, « ghiaccio, cristallo »: dalla stessa radice indoeu- 
ropea proviene il nostro « crosta ». 


L09294 — 


NON « RISCIACQUARE IN ARNO! » 


Pochissimi fanno eccezione: la Majeila, la Jung- 
frau (1). 

358. — Le catene di monti hanno generalmente 
forma plurale e possono essere maschili o femminili: 
così abbiamo i Pirenei, i Vosgi, i Sudeti, i Carpazi, gli 
Urali, gli Appennini, ecc.; e le Alpi, le Ande, le Ce- 
venne, le Madonìe, le Montagne Rocciose. 

Alcune catene, però, hanno nome singolare, ma- 
schile o femminile: son maschili /o Himalaya (2), il 
Caucaso, il Pindo, l'Atlante, ecc.; femminili la Sier- 
ra Morena, la Sierra Nevada, la Sierra de Grados in 
Spagna, la Sierra Madre nel Messico ed altre nell’A- 
merica del Sud, la Cordigliera (delle Ande). 


359. — Come regola generale, si può affermare 
che sono maschili i nomi dei fiumi: il Tevere, il Rc- 
no, il Rodano, il Tamigi, il Nilo. 

Francesca da Rimini nacque in terra ravennate, 

«su la marina dove ’i Po discende 
per aver pace co’ seguaci Sui ». 
(Inf., V, 97-98). 

Di questi « seguaci » ossia affluenti, non 
pochi son di genere femminile: la Dora Baltea, 
la Dora Riparia, la Bormida, ecc. 

Nei Promessi Sposi, l’Adda è femminile: 
« Ftenzo, ora che l’Adda era, si può dir, pas- 
salta, gli dava fastidio di non saper di certo se 
lì essa fosse confine... » (cap. XVII) (3). 


(1) Propriamente la Maiella o Majella è piuttosto 
un gruppo, la cui zona culminale è costituita dalle 
cime del Monte Amaro (m. 2795), e dei monti Tre 
Portoni (m. 2663), Acquaviva (m. 2737) e Pesco Fal- 
cone (m. 2646); ma nella considerazione popolare e 
nella letteratura è trattata come vero e proprio « mon- 
te ». Lo stesso può dirsi del Gran Sasso, che già i Ro- 
mani chiamarono Fiscellus Mons. -— La Jungfrau è 
femminile anche nei significato: «la Vergine ». 

(2) L'articolo non va apostrofato, trovandosi di- 
nanzi alla più consonantica delle consonanti, ossia l’h 
aspirata, formata dalla semplice emissione di fiato con 
gli organi fonatorî in posizione neutra e senza inter- 
vento delle corde vocali. 

(3) Questo brano del Manzoni rivela quanto sia 
stato nocivo «risciacquare in Arno» il suo lavoro: 


i Da 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


In latino eran maschili, salvo pochissime 
eccezioni, tutti i nomi di fiumi, ed uscivano in 
-us molti nomi che si son poi feniminilizzati: 
la Sava, con il suo affluente la Drava, erano 
Savus e Dravus, la Drina era Drinus, la Ma- 
recchia Ariminus. Ma eran maschili anche 
quelli uscenti in -a, come Sequana, (« la Sen- 
na »), Mosa, Mosella, Duria (« la Dora »), ecc. 

Non corrisponde a verità l'affermazione che in 
italiano siano femminili tutti quelli uscenti in -a. Lo 
sono soltanto quelli che, già femminili nella lingua 
originaria, hanno assunto una fisonomia italiana che 
conferma tale genere: così /a Loire è divenuta la Loira, 
la Seine è la Senna, la Garonne è la Garonna, ecc. 
Son femminili la Sava, la Drava, la Duna; ma son 
maschili il Volga, il Lena, l’Oka, sebbene siano fem- 
minili in russo (I); e maschili anche son altri fiumi 
extra-europei, appunto perché lontani da una conce- 


« Renzo, gli dava fastidio » per « a Renzo dava fasti- 
dio » è una vera e propria doppia sgrammaticatura dia- 
lettale. — Nel VI capitolo, questo buon contadino 
brianzolo chiede a Tonio: « M'hai tu inteso? », inter- 
ragazione che si associa con la tipica intonazione fio- 
rentina; e questo buon brianzolo è riconosciuto tale, 
perché « questa sua qualità (di contadino brianzolo) 
si manifestava da sé nelle parole, nella pronunzia, ne- 
gli atti », mentre, dalle parole citate e dalla pronunzia 
connessa con esse, avrebbero dovuto crederlo toscano. 
Tra i ben 1556 appunti critici che un acre volume 
(M. Rigillo, Gnomologia dei « Promessi Sposi», Parte 
prima, Piacenza, Porta, 1929) muove al Manzoni, pa- 
recchi sono pienamente giustificati. Il romanzo «ci 
avrebbe guadagnato ad essere, cioè a rimanere in quel- 
la sincerità di forma in cui era stato concepito ». (Ibid. 
introduz., V). La 2 edizione, risciacquata in Arno, 
è molto meno italiana che la prima. 

(1) Un divertente scioglilingua (skorogovorka, 
pronunzia: « skaragavorka ») russo dice: 

— Eta riekà scirokà (pronunzia «scyrakà ») kak 
Okà (pron. « akà »). i 

— Kak? Kak Okà? 

— Tak! Kak Okà! 


ossia « Questo fiume (femm.) è largo («larga ») come. 


l’Okà! — Come? Come l’Okà? — Sì, come l’Okà ». 


È — 276 — 


VM‘. _ 


__—11112k2z___mm_ _r————__ 


I GRANDI FIUMI 


zione fonica latina della vocale -a intesa come desi- 
nenza femminile: si dirà quindi «i/ Brahmaputra », 
« lo Yarra Yarra» (che attraversa Melbourne), «il 
Sumidagawa » (che è «il Tevere di T6ky6 »), « il Loan- 
gua » (affluente dello Zambesi), « il Tana » (nel Kenia) 
e « il Giuba » (nella Somalia). 

Son maschili tutti i nomi di fiumi uscenti in altra 
vocale o in consonante. 

Per i nomi uscenti in -e vi poteva esser qualche 
dubbio in passato: prima della Guerra Europea, non 
pochi dicevano e scrivevano « la Piave »: il maschile 
è stato definitivamente sancito nella Leggenda del 
Piave: 

« Il Piave mormorava 

calmo e placido al passaggio... » 

« Il Piave mormorò: 

” Non passa lo straniero!” » (1). . 


* * * 


360. — Per ragioni analoghe a quelle esposte nel 
8 356, si può dire «il Fiume Giallo », traduzione di 
Hoang?-ho?, ma non «il fiume Hoang-ho », poi che 
ho? significa « fiume »: uguale significato ha chiang! 
Yang-tze-kiang (2): sicché si dovrà dire o « lo Yang- 
tze-kiang » o «il fiume Yang-tze ». 


Tra le peculiarità linguistiche fluviali va 
notato il diverso collocamento del vocabolo 


river, « fiume » nell’inglese d'Inghilterra € 
nell’inglese d'America: l’inglese dice « Lon- 
don is on the river Thames >», « Londra è sul 
fiume Tamigi », preponendo river a Thames, 


(1) Versi e musica di E. A. Mario (pseudonimo di 
Giovanni Ermete Gaeta) — Cfr. C. Caravaglios, / 
canti delle Trincee, Roma, 1930 pag. 249. 

(2) Pronunzia quasi « Iànnz-dsz-ciànn! ». È detto 
anche, dagli Europei, « il Fiume Azzurro » (« le Fleuve 
Bleu », « the Blue River »), che non è però traduzione 
del nome cinese, di incerta etimologia, poi che l’ideo- 
gramma yang? significa « sollevare, estendere, lodare » 
e tze (tsz3) può avere numerosi significati. In cinese 
è chiamato anche C’iang?-chiang!, « Fiume Lungo ». 


— 277 — 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


mentre l'americano dice che « the Hudson ri- 
ver empties into New York bay », «il fiume 
Hudson si getta nella baia di New York », po- 
sponendo river a Hudson. 

361. — Ugualmente improprie, per ripetizione, 
dovrebbero esser considerate le espressioni « il deser- 


Non dovrebbe esser lecito dire «il deserto del Saha- 
ra» e « il deserto di Gobi... ». (8 361) 


to del Sahara » e « il deserto di Gobi », poi che Saha- 
ra in arabo e gobi in mongolo significano « deser- 
to » (1). 


(1) Propriamente sahéra è il plurale di sahrà, « de- 
serto ». — Al mongo'o gobi corrisponde il cinese Scia!- 
mo, « Mare di sabbia, deserto », con cui ‘esso viene 


denominato. Del tutto ingiustificata è la forma, che . 


pur si trova persino in qualche atlante e qualche ma- 
nuale di geografia « Deserto dei Gobi »! — Non v'è, 
purtroppo, una buona grammatica per lo studio del 
mongolo, né del manciù: assai sommario (50 pagine in 
tutto, sebbene di gran formato e molto dense) è il ma- 
nuale di P. G. von Méllendorff, A Manchu Grammar, 
with analysed texts Shanghai, Presbyt. Miss. Press, 
1893. — Mirabile per accuratezza, ampiezza e in ma- 


— 278 — 


I NOMI IN CIELO 


* * * 


363. — Anche l’astronomia ha le sue norme gram- 
maticali, disciplinanti le denominazioni dei corpi ce- 
lesti. 

Poi che i pianeti hanno i nomi delle antiche divi- 
nità, il loro genere coincide con il sesso: è di genere 
femminile Venere, mentre son maschili tutti gli altri: 
Mercurio, Marte, Giove, Saturno, Nettuno, Urano, Plu- 
tone, che vanno sempre espressi senza articolo, come 
i nomi delle divinità corrispondenti. 

La stessa norma regola i nomi dei pianetini e dei 
satelliti: son quindi femminili i pianetini Pallade, Giu- 
none, Vesta; è maschile Eros; dei satelliti galileiani (1) 
di Giove, è maschile Ganimede, son femminili gli al- 


LI 


tri: Zo, Europa, Callisto (2). Dei satelliti di Urano è 
femminile Titania, son maschili gli altri tre: Ariel, 
Umbriel, Oberon (3), sempre senza articoli. 


gnifica edizione con tavole a colori fuori testo è il 
Méko-go daijiten, (« gran dizionario della lingua mon- 
gola ») compilato a cura del Ministero giapponese del- 
la Guerra: 2 voll., Tòkyé. 1932. i 

(1) Chiamati così, perché scoperti da Galileo: so- 
no molto più grandi che i non galileiani: Ganimede 
è 5 volte più grande che la Luna. 

(2) Comicissimo strafalcione è l’uso dell'articolo 
e di aggettivi maschili per Callisto la ninfa che, amata 
da Giove, fu da lui portata in cielo, e collocata dal- 
l'antica astronomia nel Carro. Dopo Galileo ha mutato 
sede, ma non sesso. 

(3) Questi nomi non son presi dalla mitologia gre- 
co-romana, ma dalle fiabe nordiche, popolando così il 
cielo anche delle belle fantasie di origine carolingia. 
Oberon, re delle Fate, appare nei Racconti di Canter- 
bury di Chaucer e nel Sogno di una notte di mezza 
estate di Shakespeare. Ed è interessante ricordare che 
il nome del gaio nano è incasellato nel cielo per ra- 
gioni che sono anche letterarie: il grande astronomo 
tedesco Federico Guglielmo Herschell, dopo aver sco- 
perto Urano nel 1776, scopriva i satelliti, dei quali il 
quarto nel 1787. Era già popolare quell’opera che 
giustamente è considerata la gemma tra tutti i. poemi 
di Cristoforo Martino Wieland, il poema eroico-roman- 
tico Oberon, compiuto nel 1780. Lo Herschell dimo- 
strò anch'egli il suo entusiasmo: ed ebbero, così, ono- 
ri celesti, nella terminologia astronomica, i personag- 


— 279 — 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


364. — Regime speciale hanno il Sole, la Terra 
e la Luna, che richiedono sempre l’articolo, e debbo- 
no esser scritti con la maiuscola allorché son congsi- 
derati dal punto di vista astronomico. 


Si scriverà perciò « la terra » quando tale 
nome esprima l'elemento in opposizione al 
mare e al cielo, o sia considerata come mate- 
ria; in tal caso può mancare di articolo, si di- 
ce e si scrive « chiaro di luna », « in cielo, in 
terra e in mare e în ogni luogo », « asciugarsi 
al sole ». Sono nomi comuni, e possono aver 
anche il plurale: 

« Solto due negri e sottilissimi archi 
son duo negri occhi, anzi duo chiari soli ». 
(Orlando Fur., VII, 12); 


e nel proverbio popolare meteorologico: « A 
la luna settembrina sette lune se le inchina ». 
Ma vogliono lo stesso regime che gli altri 
pianeti e satelliti, allorquando sono usati con 
analogo significato: « La disfanza dalla Terra 
alla Luna e quella dal Sole a Mercurio... ». 


Allorché consideriamo la Terra astronomicamen- 
te, essa diventa un corpo celeste come tutti gli altri: 
ci poniamo quasi al di fuori di essa: anche gramma- 
ticalmente essa si comporta perciò come gli altri. Non 
deve sottrarsi alla legge delle maiuscole, più di quello 
che, nella obiettiva realtà, possa sottrarsi alla Legge 
di Bode (1). 


gi del capolavoro letterario, che sarà ammirato « fin- 
tanto che la poesia resterà poesia, l’oro oro e il cri- 
stallo cristallo » (« Solange Poesie Poesie, Gold Gold 
und Krystall Krystall bleibt, wird das Gedicht als Mei- 
sterwerk poetischer Kunst geliebt und bewundert wer- 
den » Goethe). 

(1) Per la Legge di Bode, così chiamata dal suo 
scopritore J. E. Bode, le distanze dei pianeti dal Sole 
possono essere rappresentate aggiungendo 4 a ciascun 
termine della serie: 0, 3, 6, 12, 24, 48, 96, 192, 384, 
ossia 4 per Mercurio, 7 per Venere, 10 per la Terra, 
16 per Marte, 28 per i pianetini, 52 per Giove, 100 per 
Saturno, 196 per Urano e 388 per Nettuno. 


0280 — 


OLIMPO E ASTRONOMIA 


Se, a differenza degli altri pianeti e satelliti, la 
Luna e la Terra richiedono l’articolo, come lo richie- 
de il Sole a differenza delle altre stelle, ciò dipende 
da un’altra regola, che lo prescrive appunto quando 
il nome dell’astro è anche nome comunè. 


365. — Vi è anzi perfetta correlazione tra 
la maiuscola e l’articolo, nella loro funzione, 
che è analoga. La maiuscola indica grafica- 
mente che quello è un nome proprio, ossia 
appartenente individualmente a quel corpo ce- 
leste (1). Fonicamente non v'è rischio di con- 
fusione, poi che quel nome non si usa che; per 
quel significato proprio. Quando invece il so- 
stantivo può esser anche nome comune, biso- 
gna determinare che si tratta di quella tra le 
cose possibili (in quanto tutte espresse dal 
nome stesso): « fa Terra » significa « illa n 
ra»; «la Luna» è « illa luna », «il Sole », 

« ille SOL ». 


366. — Prendono l'articolo tutti quei nomi di 
astri i quali coincidono con un nome comune: si dice 
perciò «il Cane », «il Centauro », « la Giraffa », « la 
‘Vergine », e tanto più quando il nome sia composto 
con un aggettivo o con una determinazione: «/a Stel- 
la Polare », « l'Orsa Maggiore », «la Croce del Sud », 
« la Chioma di Berenice », ecc. 

Come i gruppi di isole, prendono l’articolo le co- 
stellazioni che hanno nome plurale: «i Gemelli », «i 
Pesci », « Le Cefeidi », ecc. 


Si faccia ben attenzione nell’esprimere in 
lingue straniere questi nomi astronomici, poi 
che spesso la COLIGIASIZA tra nome comune e 


- (1) La maiuscola denota la singolarità o indivi- 
dualità. È strano che proprio un eccellente volume di 
volgarizzazione di astronomia (B. Berro, L’astronomia 
per tutti, Torino, S.E.I. 1935) degradi i nomi di tutti 
gli astri, umiliandoli con la minuscola. Nei cieli e nel- 
l’atlante astronomico, Giove e gli altri luminari hanno 
lo stesso diritto alla maiuscola che hanno Giove e gli 
altri dèi nel pantheon e nell’Olimpo: son tutti nomi 
| proprî. 


— 281 — 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


nome siderale non v'è, in questa o quella lin- 
gua. Così, ad esempio, la coincidenza della 
Bilancia..(o Libra) con la comune bilancia, v'è 
anche in Îrancese (la Balancea) e in inglese 
(the Balance), ma il Cancro ha un nome ben 
distinto: fe Cancer e ihe Cancer: come sem- 
plice animale è rispettivamente écrevisse e 
crab. Sarebbe un grosso « granchio » collo- 
carli tra i segni dello Zodiaco. Parimenti i Ge- 
melli sono in francese /es Gémeaux, distinti 
dai jumeaux (« gemelli »); l'inglese ha The 
Twins, che coincide con fwins, ma ha, ad 
esclusivo significato astronomico, The Ge- 
mini. 

Variano, nelle varie lingue, le denomina- 
zioni dell'Orsa Maggiore e dell'Orsa Mino- 
re (1). NOR 

La fantasia dei popoli ha arricchito il firmamento 
con leggende e con nomi che poi la scienza ha san- 
zionato, continuando nella stessa via per le denomina- 
zioni nuove: l’astronomo si è sentito artista e non ha 
voluto tradire l’anima popolare, che interpreta con 
miti il ritmo degli astri: i cieli son costellati di lette- 
ratura e le letterature brillano di tutte le stelle, crean- 
do così una nuova armonia tra due armonie. 


(1) L’Orsa Maggiore resta « Maggiore » in spagno- 
lo (Osa Mayor), ma diventa semplicemente « Grande » 
in francese (Grande Ourse) e in romeno (Ursa mare); 
è « grande Orso » in parecchie lingue (ingl. Great Bear; 
oland. Graote Beer; ted. Grosser Bir; sved. Stora Bjòr- 
nen): in ceko è « Orsa siderale » (Souvezdì Medvéda). 
Come noi la chiamiamo anche « Gran Carro », i Fran- 
cesi la chiamano « Chariot de David », i Romeni «il 
Carro con i buoi » (Caru! cu boi.») ricordando i sep- 
tem triones, i sette buoi aranti, da cui il « settentrio- 
ne ». Per gli Inglesi è «il Carro di Carlo » (Charles’s 
Wain) trasformando Arturo in Carlomagno; e per gli 
Americani è the Dipper, ossia un uccello tuffatore. 
Più uniformi sono le denominazioni dell’Orsa Minore, 
che, tranne in spagnolo (Osa Menor), è semplicemente 
« Orsa Piccola » (franc. Petite Ourse, romen): Ursa 
mica), o « Orso Piccolo » (ted. Kleiner Bàr, ingl. Little 
Bear, oland. Kleine Beer, sved. Lilla Bjòrnen). 


— 282 — 


Bici lane "PR la ina biso: Lager 


; 


LE DUE ORSE 


La realtà dei fenomeni non riconosce burocratici 
compartimenti stagni: e nemmeno la realtà viva ed 
umana riconosce frontiere tra arte, scienza, lettera- 
tura, filosofia, fede. ia 


L’Orsa Maggiore e. l'’Orsa Minore. hanno nomi varî 
nelle varie lingue... (8 366) 


Appartengono all’astronomia a alla prosodia clas- 
sica i due esametri latini che elencano mnemonica- 
mente i dodici segni ‘dello Zodiaco? 


—-,283, 


SASSI trio 
alt dep più A 


—— DB | 


Il firmamento è co- 


stellato di miti... 
A) La costellazione 
di Andromeda, se- 
condo l’astronomo 
Abd-er-Rhaman al- 
Sàfi, da un mano- 
scritto arabo del X 
. secolo. — B) Due 
esametri mnemo- 
tecnici peri 12 
segni dello Zodia- 
co. — C) Ogni an- 
no l’Estremo Orien- 
te commemora l’in- 
contro del pastore 
(Altair) e della tes- 


PII1SOA MW 
GUNTARIESTAURUS:GEMINI CANCER: LEOMIRGI: 


9 


PIAN 
DPI 


1 = KS E, 
QUA RO 
STIVA NL 

ee Te 


sitrice (Vega) separati dal fiume celeste (la Via Lat- 


(8 366) 


sii CI SE Yamazaki, Tanabata-matsuri, la Festa 
ella stella Vega, in « Yamato, mensile gia 
Roma-Novara, 1941, I, VII, pag. siii 


- 


| 
[SI IIMBTOR8 RAC 
| 


«...««iiii..iIEÉiIECLL.Errt1rt11/<€€€ 


IL PIÙ ASTRONOMO DEI POETI 


N 

La Divina Commedia reca, nel primo canto, la da- 
ta d'inizio del gran viaggio, con preciso riferimento 
astronomico e biblico: il più astronomo dei poeti cen- 
densa con rigorosa esattezza nell’armonia di tre ende- 
casillabi l’indicazione rigorosa: « prime ore antimeri- 
diane dell’8 aprile 1300, con il Sole nella costellazione 
dell’Ariete, come nel giorno iniziale della Creazione »: 


« e ’l sol montava in su ‘con quelle stelle 
ch’eran con lui quando l’amor divino 
mosse da prima quelle cose belle ». 

° (Inf., I, 38-40) 


— 285 — 


Dai luoghi alle persone e viceversa 


(XVID. 


367. — Dai nomi di luoghi si formano gli ag- 
gettivi qualificativi geografici. 

Questa derivazione è, in italiano, assai varia, poi 
che essa non è ottenuta con suffissi costanti (1). 

— Predominano i suffissi -ese e -ano, in sostituzio- 
ne della finale del nome esprimente città, paesi, re- 
gioni, fiumi, laghi, monti, ecc.: abbiamo, così, da Pie- 
monte, piemontese; da Bologna, bolognese; da Capri, 
caprese; da Tivoli, tivolese; da Albano e da Albania, 
albanese (2), ecc.; e da Africa abbiamo africano, da 
Australia, australiano; da Orvieto, Orvietano; da Fra- 
scati, frascatano, ecc. 

368. — Il suffisso -ese si può adoperare per for- 
mare l’aggettivo da tutti quei nomi geografici che con- 
servano la loro fisonomia esotica: così da New York 
si ha newyorkese o newyorchese (3); da Queensland, 


(1) Molto più semplice è la derivazione in tede- 
sco e nelle altre lingue nordiche, prevalendo il suffisso 
-ische, con o senza un’n eufonica: così da Italien si ha 
italienisch, da Amerika amerikanisch. Si formano in 
-er gli aggettivi sostantivati per indicare gli indigeni: 
c si hanno, così, ein /taliener, ein Amerikaner. Si han- 
no però anche formazioni diverse, quali der Deutsche 
« il Tedesco », der Franzose, der Grieche, der Chine- 
se, ecc. Sicché anche in tedesco non vi è regola fissa. 
Più varie ancora sono però le lingue neolatine. 

(2) Ed albanese è anche l’aggettivo formato da 
Albany, nome di più città dell'America Settentrionale. 

(3) La prima forma è preferibile: non v'è infatti 
nessuna ragione di italianizzare il k in ch, quando si 
conserva il w nella prima parte del vocabolo. La forma 
nuovaiorchese è pedante, poi che pochi son coloro che 
dicono oggi Nuova Iorca per New York. 


287, Gi 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


queenslandese; da Tananarivo, tananarivese; da Can- 
ton, cantonese; da Pechino, pechinese; da Nanchino, 
nanchinese (1); dal Canton Ticino, ticinese (2); da Mal- 
ta, maltese (3), ecc. 


369. — Oltre i due suffissi, alquanto frequenti, 
-ino ed -ense, ve ne sono altri ancora, alcuni dei quali 
derivati, con alterazioni più o meno gravi, da desi- 
nenze antiche o locali; così abbiamo perugino da Pe- 
rugia, sorrentino da Sorrento, spezzino da La Spe- 
zia (4); estense da Este, parmense da Parma (5), ecc.; 
ed abbiamo anche comasco da Como, casalasco da 
Casale (Casalmonferrato) bergamasco da Bergamo, va- 
resotto da Varese, brianzolo dalla Brianza, cipriota da 
Cipro, smirniota da Smirne, chioggiotto da Chioggia, 


(1) Nella lieve italianizzazione, scompare il g 
finale di Peking (Pei3-ching!, « Capitale del Nord »), 
Nanking (Nan?-king!, « Capitale del Sud »), che però 
non è sensibile nella pronuncia cinese: sta solo ad in- 
dicare il valore dell’n nasale velare sonorizzato (come 
nell’inglese thing, ring). . 

(2) Italianissimo è il Canton Ticino, e il fatto di 
esser politicamente fuori dei confini d’Italia non impe- 
disce che lo si debba considerare linguisticamente e 
letterariamente una delle migliori regioni nostre. 

(3) L’artificiosa promozione del dialetto maltese 
al rango di lingua non fa che provare maggiormente, 
con le sue mostruosità, il fatto che la lingua di Malta 
è l’italiano. — Cfr. Toddi, Jl Centauro maltese, ovvero 
mostruosità linguistiche nell'Isola dei Cavalieri, Mila- 
no, Ceschina, 1940. | 

(4) Mentre il nome della città si scrive con una 
sola zeta, l'aggettivo ne ha due. In realtà tale conso- 
nante è, fonicamente, sempre doppia, equivalendo a fs 
(e a dz se sonora): infatti nessuna differenza di pro- 
nunzia di essa vi è nel nome della Spezia e nell’agget- 
tivo. Il cognome dei due scrittori veneziani Carlo e 
Gaspare Gozzi non si pronunzia diversamente da quel- 
lo di Manlio Gozi, scrittore sanmarinese. 

(5) Dei due aggettivi, parmense e parmigiano, il 
primo è di rango più elevato, latinizzante, e perciò si 
dice « codice parmense », mentre il secondo è più cor- 
rente, e si dice quindi «formaggio parmigiano » o, 
sostantivando l’aggettivo «il parmigiano ». Il pittore 
cinquecente»co Francesco Mazzola è detto «il Parmi- 
giano » (e non «il Parmense »), perché quello fu l'ag- 
gettivo usato dai contemporanei. 


=D 


FINE I I I I, e, ‘-’Ò iii 


Tiosoiratoat_a i... 


Troesoetoiotiaiai 


pia tit A ILMITIA 


L'articolo nei nomi geografici... ($ 


Il Cairo (Cittadella) — La Turbie (Torre di Augusto) — La alletta (Porta 
Reale 


‘i 
3 
4 
: 
È 
è 
E 


Considerarstacttren nni inn i rr 


CITTÀ E ABITANTI 


palermitano da Palermo, cagliaritano da Cagliari, an- 
| conetano da Ancona. > i 


| 370. — La desinenza in -itano dovrebbe 
essere di rigore per tutti gli aggettivi derivan- 


bizantino | 
| costantinopoli fano 


I stambulino 
Byzantium | 
KovatavtivoonoÀ:c 


sic Tmy Téiv - Istanbul | 


suearo: Iapnrpaa® 
è pusso: Hapbrpaa 
croato. Carigrad 

ceco: Carihrad 


‘amarico: PALTIMIS 
(Questentinèya) 


La città dai molti nomi... (Le iniziali contrassegnate 
con asterisco vanno pronunziate «ts». — Per i Ro- 
mani, Tsarigrad è una città della Bessarabia). (8 370) 


— 289 — 


= Gi A _TT O La 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


ti da nomi composti con -poli, come Costan-. 


tinopoli, Adrianopoli, Monopoli (cosiantinopo- 
litano (1), adrianopolitario, monopolitano, co- 
me, dal nome comune metropoli si ha metro- 
politano) (2). 

Da Tripoli si è formato però l'aggettivo 
ftripolino, riferentesi alla città, mentre fripoli- 
tano significa « della Tripolitania » (3). 

371. — Con questi suffissi, gli aggettivi qualifi- 
cativi geografici si formano spesso non dal nome at- 
tuale della località, ma da quello antico, creandosi 
così degli allontanamenti tra i due vocaboli: ad esem- 
pio, l'aggettivo corrispondente a /vrea è eporediese 
(dal lat. Eporedia), per Gubbio abbiamo eugubino, per 
Mondovì monregalese, per Frosinone frusenate, per 
Tivoli tiburtino. | 

Tali aggettivi geografici eterogenei abbon- 
dano, ad esempio, in francese: per Forntaine- 
bleau si ha fontainibléen e bellefontain; per 
Saint-Julien si ha saini-juniaud; per Saini- 
Valéry-en-Caux si ha valéricain; per Saint- 
Paul-Chéteaux, tricastin o tricastinois; da Li- 


(1) Tre diversi aggettivi geografici derivano dai 
tre nomi topograficamente coincidenti, poi che la pri- 
mitiva Bisanzio (Byzàantion), ingrandita da Costantino 
e promossa al rango di « Nuova Roma » (Néa Roma) 
fu detta Costantinopoli: perciò nei paesi slavi essa 
ha tuttora il nome di Tsarigrad, « Città dei Cesari», 
o anche « Città degli Zar » per la vecchia aspirazione 
russa a possederla. I Greci la chiamano tuttora, cor- 
rentemente, Polis, «la Città »: e dalla locuzione greca 
« eis ten polin » (pronunzia « istimbòlin ») « alla città » 
(moto a luogo) è derivato il nome turco di /stanbul, 
unico ammesso oggi ufficialmente. Le lettere indiriz- 
zate con il nome corrente in Europa sono respinte, 
essendo Costantinopoli « sconosciuta al portalettere ». 

(2) Il femminile sostantivato «la metropolitana » 
significa già, in italiano, « ferrovia sotterranea urba- 
na », per imitazione del Métropolitain (maschile, che è 
sottinteso chemin de fer) parigino, abbreviato corren- 
temente in Metro. 

(3) Tale distinzione non v'è, ad esempio, in fran- 
cese: fripolitain significa tanto « tripolitano » che « tri- 
polino ». 


— 290 — 


rn 


ABITANTI, POPOLI E GENTI 


moges si ha limougeaud e limousin, donde il 
nome del veicolo limousine, ecc. Aitenzione 
anche agli aggettivi geografici francesi per - 
paesi esteri: « londinese » è loridonien; « ber- 
linese » berlinois; « lisbonese » lisbonninj; « ci- 
nese » chinois; « andaluso » andalou, femm. 
andalouse, ecc. 

Anche lo spagnolo abbonda di anomalie di 
tal genere: ad es., per Valladolid si ha valliso- 
letano o valisoletano (dall'antico nome Vali- 
soletum); per Madrid, madrilefio; per Càdiz 
(Cadice), gaditano (dal lat. Gades); da Gibral- 
tar ,Gibilterra), jibraltarefio; per Sevilla (Si- 
viglia), sevillano e hispalense; per Santiago 
de Compostela si ha santiagués, per Santiago 
de Cuba, sanliaguero; per Santiago del Este- 
ro, sanfiaguefio, e per Santiago del Chile, san- 
fiaguino; ecc. (1). 

Anche noi abbiamo distinzioni di tal genere, poi 
che usiamo reggiano ‘come aggettivo derivante da 
Reggio Emilia, e reggino da Reggio Calabria; da Mo- 
naco di Baviera formiamo monachese mentre da Mo- 
naco (Principato) formiamo monegasco. 

372. — Alcuni aggettivi geografici non sono de- 
rivati dal nome, ma viceversa: Grecia deriva da gre- 
co (mentre ellenico deriva da Ellade), Turchia da tur- 
co, Serbia da serbo, ecc. 

Si faccia attenzione, nelle varie lingue, a 
questa « direzione » derivativa che non è ugua- 
le, pur per gli stessi nomi e aggettivi geogra- 
fici: per noi, persiano è derivato da Persia: lo 
spagnolo, invece ha, come aggettivo, persa, 
(per entrambi i generi). 


(1) Si tenga presente che lo spagnolo altera non 
poco anche parecchi nomi di città e regioni straniere, 
e, di conseguenza, anche gli aggettivi derivati: perciò, 
ad esempio, sueco è « svedese » (da Suecia, « Svezia »), 
mentre suizo è «svizzero» (da Suiza « Svizzera »); 
« tedesco » è alemàn (Alemania, « Germania »); « dane- 
se », danés e dinamarqués (Dinamarca); « cinese » chi- 
no (vedi 8 376). Anche il portoghese presenta, pur se 
in misura minore, peculiarità analoghe. 


— 291 — 


x 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


373. — In italiano, tutti questi aggettivi geogra- 
fici, sostantivandosi, assumono la doppia funzione di 
esprimere sia l’indigeno del luogo (1), sia la lingua ivi 
parlata: « gli Spagnoli parlan spagnolo ». 


374. — È stata abbandonata una buona vecchia 
‘ regola, la quale prescriveva che l’aggettivo gcografico 
sostantivato dovesse scriversi con la maiuscola allor- 
ché indica gli abitanti del luogo, mentre la minuscola 
basta per la lingua (2); nel primo caso, infatti, si 
tratta di vero e proprio nome proprio, mentre nel se- 
condo la sostantivizzazione è meno completa, sottin- 
tendendosi la parola «idioma »: « il francese dei Ca- 
nadesi è più antiquato che il francese dei Parigini », 
«un Americano che parli il tipico americano no: è 
compreso da un Inglese o da un Australiano, sebbene 
egli parli inglese ». Si scriverà quindi anche: « Quel 
signore è polacco », ma « Quel signore è un Polacco ». 


Viene, così, rispettata una buona norma 
grammaticale, e se ne avvantaggia la chia- 
rezza. | 


In merito alla grafìa, la quale, nel caso 
specifico, rispecchia anche la pronunzia, è Îre- 
quente l’erronea inversione delle due conso- 
nanti z/ nell’aggettivo e nome azieco: i due 


(1) I romanzi di avventura lasciano nei ragazzi 
una impressione la quale permane anche nell’età adul- 
ta: quella, cioè, che indigeno implichi più o meno l’idea 
di « uomo di colore »; e si ha, perciò, una certa rilut- 
tanza ad ammettere che noi siamo indigeni d’Italia. 
Ha il medesimo significato che native in inglese, natu- 
ral in spagnolo (equivalenti al nostro « nativo »). 

(2) « Obbligatoria l’iniziale maiuscola », Morandi 
e Cappuccini, op. cit., pag. 99, 8 308. — Gli Italiani 
sono i soli che, possedendo le maiuscole, non ne fac- 
ciano uso per la dignità del loro nome nazionale. L’in- 
glese (lingua) usa la maiuscola per qualsiasi derivato 
da nome geografico, sostantivo o aggettivo che esso 
sia, tranne i casi che il vocabolo abbia nettamente as- 
sunto un altro valore; come china per « porcellana », 
turkey per «tacchino », ecc. — Il francese segue la 
buona regola della maiuscola per il nome del popolo 
e la minuscola per l’aggettivo e per la lingua. 


— 292 — 


: ihhd. AL 


UNA MINUSCOLA UMILIANTE 


suoni appartengono etimologicamente a due 
parole, riunite a formare un composto (1). 

375. — Pochissimi sono gli aggettivi (sostanti- 
vati o non) i quali non abbiano la doppia funzione di 
riferirsi sia agli indigeni che all’idioma: così, ad esem- 
pio, siriaco, ebraico si usano prevalentemente per in- 
dicare la lingua, la letteratura, lo stile, mentre per le 
altre accezioni si adoperano siriano, ebreo. 


Parecchie lingue distinguono nettamente 
l’una dall’altra funzione, o come norma gene- 
rale o per casi specifici. Il tedesco, ad esem- 
pio, usa la stessa forma che per l’aggettivo per 
indicare la lingua: die deutsche Sprache, « la 
lingua tedesca», Sprechen Sie Deutsch? 
« Parlate tedesco? », ma non per il popolo: ein 
Deutscher, « un Tedesco » (2). 

Il primato di semplicità, nella formazione 
dei derivati geografici spetta alle lingue ag- 
glutinanti: in ungherese basta aggiungere -i 
al nome: così da Budapesi si ha budapesiti, 
« budapestino »; da Becs (pronunzia « bécc' »,) 
« Vienna », si ha becsi, « viennese »; da Ròma, 


(1) Gli Aztechi si distinguono dai Coroteghi e da- 
gli Zapotechi. Un grande contributo per lo studio del- 
la civiltà di questi popoli e delle loro lingue è stato 
dato dall’italiano B. Giacalone: Gli Aztechi, Genova, 
Bozzi, 1934. — Dello stesso autore, / Maia, Genova, 
Bozzi, 1935, ricco anche di documentazione fotogra- 
fica. 

(2) L’inglese differenzia per significato — e quindi 
anche nell’uso — tre aggettivi e sostantivi: Arab, si- 
gnifica «un Arabo o appartenente ad un Arabo », 
Arabian « dell'Arabia », e Arabic si riferisce solo alla 
lingua, alla letteratura, alla scrittura: si dirà perciò: 
an Arab girl, « una fanciulla araba », Arab fatalism, 
Arabian tradition, Arabian philosophy, ecc., ma the 
Arabian Gulf, « il Golfo d’Arabia », the Arabian fau- 
na and flora, mentre si dirà an Arabic word, « una pa- 
rola araba », Arabic literature, the Arabic numerals. 
Eccezionalmente, la « gomma arabica» è gum arabic 
(con la minuscola), poi che preso direttamente dalla 
terminologia farmaceutica. Crf. H. W. Fowler, Mo- 
dern English Usage, Oxford, Clarendon Press, 1927, 
(utilissimo anche per i costrutti sintattici). 


— 293 — 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


ròmai; da Euròpa, euròpai. In finlandese si ha 
il suffisso -lainen (o -léinen per l'armonia vo- 
calica, vedi 8 49 e 84), e quindi da Saksa, 
« Germania », si ha saksalainen; da Ruoisi, 
« Svezia », ruoisalainen; da Ranska, « Fran- 
cia », ranskalainen; da Rooma, « Roma », roo- 


malainen. Il giapponese aggiunge -jin per in- 


dicare il popolo, e -go per indicare la lingua: 
° Nipponjin è «il Giapponese » 0 «i Giappone- 
si», Nippongo «il giapponese » (lingua); Ifa- 
riajin, «PItaliano » e « gli Italiani », ltariago 
« l'italiano », ecc. i 


= N PZ = rd 
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ALUGATTEZIITAA 


fol 


\ 
))) 


YI 


= Pre ant e 


Non è lecito ignorare alcune nuove denominazioni 
asiatiche, oggi ufficiali... ma neppure è lecito usare 
| peri cinesi un vocabolo a significato canino... (8 376) 


376. — Poi che i traffici hanno avvicinato i po- 
poli e persino le guerre hanno avvicinato le lingue, la 
grammatica e il vocabolario debbono aggiornarsi al- 
meno quanto una: collezione di francobolli affinché 
questa non sia più istruttiva che il testo scolastico. 


Non è più lecito, oggi, usare i vocaboli China e 


— 294 — 


A Ai 


BISOGNA AGGIORNARSI! 


chinese, senza aver l’aria di esser rimasti ai tempi 
in cui il treno era «la vaporiera » (1). 


Non è lecito oggi ignorare che la Persia ha 
ripreso l’antico nome di /ran (donde iranico) 
e che il Siam è oramai ufficialmente la Thai- 
landia (in siamese Thai, o 7’ai) fornendoci 
quindi ‘hai come aggettivo che sostituisce 
« siamese »; né che l'aggettivo e sostantivo 
corrispondenti al Manciukuo è manciù o man- 
cese. 

377. — Un tempo era sufficiente conosce- 
re che gli abitanti di Londra, Parigi, Madrid 
sono rispettivamente Londinesi, Parigini, Ma- 
drileri. Oggi sono acclimatate da noi voci an- 
cora straniere, ma di uso comune, quali cock- 
ney e parigot (2), che avranno prima o poi 
una traduzione italiana. "o 


(1) Cina e cinese son più aderenti all’uso inter- 
nazionale, ed anche più esatti etimologicamente, poi 
che il nome occidentale deriva da quello della dina- 
stia degli Ts'ing (pronunzia «c’'ing!=«i Puri»). In 
cinese, la Cina è Ciùngi-kuo pronunzia quasi « giùn- 
nguo »), « il Paese di Mezzo ». — Per i nomi composti 
si deve usare soltanto la forma latinizzata, e perciò 
si dirà, correttamente, sinico-giapponese, e non cino: 
giapponese, giacché non si può dire spagno-portoghese 
o inglese-egiziano, dovendosi usare le forme latinizza- 
te: ispano-portoghese, anglo-egiziano. Dicendo o scri- 
vendo « il conflitto cino-giapponese » si intende un con- 
flitto tra i cani e i Giapponesi! ; 

(2) Al Romano de Roma, ossia il nato a Roma 
da genitori romani, corrisponde il cockney, che do- 
vrebbe essere, per definizione tradizionale, soltanto chi 
sia « nato entro [la zona in cui si ode] il suono delle 
campane [della chiesa] di Bow », nel Cheapside (« born 
within the sound of the Bow Bells»), ma si dice di 
chiunque si sia interamente acclimatato alla metro- 
poli. — Un Parigot non è semplicemente un Parisien, 
ma chi abbia in sé, esasperati, i connotati spirituali e 
spiritosi derivanti dal vivere a Panam, Pantruche, Pan- 
tin, tutti soprannomi di « Parigi » in argot parigino. 
Persino un moderno Giapponese è tutto orgoglioso al- 
lorché si riconosca in lui un autentico Yedokko, ossia 
un vero « Tochiese di T6ky6 » (Yedo o Edo è l’antico 
nome della città, usato sinché essa divenne, nel 1868, 
la capitale). - 


a — 295 —. 


, A 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


Poteva ancora esser scusabile chi, un se- 
colo fa, avesse scritto di « una bella creola » 
credendola congenitamente di pelle color caî- 
fellatte, ritenendola cioè di sangue misto: oggi 


MEestiz 
meticcio, half-breed 


DO 


00098 dà 34 | 
Hindoo or x 
x Mohammedan | 

i 


DOO 
BO 


n 
BO 
@ 
O) 
DE 
vI®,C 


« Meticcio » e « mulatto » non rappresentano tutta la 
i gamma degli ibridi... (8 377) 


— 296 — 


’ 


LINGUA IN CORSO E LINGUA FUORI CORSO 


gli Italiani dell’America del Sud son troppo 
vicini a noi, e quindi partecipi della nostra let- 
teratura, perché a questa sia ancora permesso ‘ 
un simile errore. E alla distinzione tra metic- 
cio e mulatto si aggiungeranno ben presto an- 
che le altre distinzioni terminologiche nella 
gamma degli ibridi (1). 


378. — Accanto alla lingua libresca, spesso as- 
sai lontana dalla vita e dalla realtà tanto da costituire 
un idioma a sé, vive la lingua vera ed agile, che sarà 
la lingua letteraria di domani e che è, intanto, l’au- 
tentica « lingua parlata ». 


Nell’apprendere le lingue straniere, biso- 
gnerà quindi attenersì alla vera lingua che è 
in circolazione (2), spesso assai diversa da 
quella propinata dai manuali ad uso scola- 
stico. 

Non ci si reca in un paese straniero portando 
seco, come scorta finanziaria, delle monete fuori cor- 
so. Il repertorio di vocaboli e di frasi deve essere 
composto di « valuta corrente » (3). 


(1) Giuseppina, moglie di Napoleone, era intera- 
mente di razza bianca, e «creola» sol perché nata 
alla Martinica. Soltanto il luogo di nascita distingue 
i « creoli », nati cioè nel Sud-America da genitori euro- 
pei, dai direttamente immigrati. Si formarono i voca- 
boli mestizo, ossia « mescolato » e mulato (da « mulo ») 
per indicare rispettivamente il nato di sangue misto 
bianco-indio (americano di razza indigena) o bianco- 
negro, e da tali voci abbiamo meticcio e mulatto. Lo 
spagnolo d’America ha anche distinzioni terminologi- 
che speciali per il negro-indio (che è zambo) e lo 
indio-zambo, che è chino. Nello spagnolo di Cuba, 
chino indica l’incrocio negro-mulatto. — La lingua in- 
glese coloniale usa half-caste per il sangue-misto bian- 
co-indiano (dell’India: con sangue hindù o maomet- 
tano), mentre usa half- breed per il mestizo (chiamato 
pure in tal modo). 

(2) I Tedeschi chiamano Umgangssprache questa 
« lingua circolante », con opportuno avvicinamento an- 
che alle Umgangsformen, che sono le « buone manie- 
re », ossia le forme contemporanee della socevolezza. 

(3) Per un Inglese, vocabulary non è il « vocabo- 
lario » — per il quale si usa dictionary — ma piuttosto 


— 297 — 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


379. — Molte espressioni classiche conservano 
integro il loro valore: l'Olimpo è ancora il soggiorno 
degli dèi, pur se essi siano, ad esempio, i « divi» e le 
« dive » di Hollywood; e Scilla e Cariddi hanno an- 
cora la loro piena efficacia simbolica, ma esse sono 
anche il nome di due modernissime navi-traghetto che 
trasportano da una sponda all’altra dello stretto i va- 
goni-letto dei grandi espressi europei. 


Il linguaggio figurato continua, non meno 
che nel passato, ad avere il suo pieno vigore: 
la metafora, la metonimia, la sl- 
neddoche, l’antonomasiasono « tra- 
slati » o « tropi » che hanno funzione non di- 
versa di quella che avessero nelle lingue clas- 
siche o nelle opere letterarie italiane del ‘300 o 
del Rinascimento: ma possiamo trovare « un 
Ercole » sostituito con « un Carnera » e Apol- 
lo rimpiazzato metaforicamente da Caruso. 

Alcuni nomi proprî, divenuti comuni, son 
passati a noi dall’antichità: Marco Tullio Ci- 
cerone ha dato il vocabolo cicerone a molte 
lingue europee; e abbiamo il nome di Vespa- 
siano utilizzato a fini non imperiali (1). La 
terminologia tecnica è ricca di voci, special- 
mente metriche, che furono nomi proprî: voli 
(da Alessandro Volta), watt, Ohin, Joule, ecc., 
e da cognomi si son formati verbi e parole 
composte come galvanizzare (dal nostro Gal- 
vani) e marconigramma, marconiterapia. 


il « repertorio » di veci. Dal dictionary bisogna intel- 
ligentemente estrarre il proprio vocabulary, a fini pra- 
tici, ossia selezionato con .criterî utilitarî. 

(1) Si dice che al figliolo Tito il quale trovava 
non dignitosa una tassa imposta sui gabinetti di de- 
cenza, Vespasiano mostrasse il denaro ricavatone e, 
fiutatolo dicesse « Non olet! » (« Non ha cattivo odo- 
re! »). Da questo episodio (cfr. Svetonio, Vita Vespa- 
siani, c. XXIII) sarebbe nato il vocabolo vespasiano. 
— In Francia, e specialmente a Parigi si chiama pou- 
belle il secchio delle immondizie domestiche, perché, 
nel 1883, ne fu imposto l’uso da M. Poubelle, pre- 
fetto della Senna. i 


— 298 — 


ITINERARI COMPLICATI 


L’itinerario linguistico è spesso comples- 
so e con variazioni insospettate; (1) un ame- 


j Via Gaetana 


Palazzo Caetantr 


Per itinerario complicato, il nome della nutrice di 
Enea è giunto ad una vîa di Roma... (8 379) 


(1) Dal nome della nutrice di Enea, Caieta, ven- 
ne il nome alla città di Gaeta, ov’ella fu sepolta. Da 
Gaeta si ha il nome proprio Gaetano e da Gaeta è 
originaria la famiglia dei Caetani che diede alla Chie- 
sa due papi, dei quali uno fu Bonifacio VIII, il gran 
nemico di Dante, che pur aggiunse una terza corona 
alla tiara. Sicché la via Gaetana, a Roma, è «la stra- 
da che prende il nome dal palazzo della famiglia che 


— 299 — 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


ricano è anche un aperitivo; a Parigi un furin 
è un vermut, e un martini (dal nome del fab- 
bricante italiano) ha oggi valore internazio- 
nale. Nella nebbia del passato scompare l Eli- 
cona, mentre altri nomi geografici assumono 
un significato iraslato: il Viminale, per il « Mi- 
nistero dell'Interno », Palazzo Chigi per il 
« Ministero degli Affari Esteri», Downing 
Street per il Foreign Office britannico, Scof- 
land Yard per la «Questura Centrale» di 
Londra, ecc. ecc. 

380. — Intanto si accreditano anche, in italia- 
no, vocaboli esotici che son divulgati per via lette- 
raria, artistica, cinematografica, turistica, politica, co- 
me pampa, steppa, giungla, puszta, cafion, e, in qual- 
che scrittore di viaggi in oriente, si trova già, grafica- 
mente italianizzato in ricsciò il nome della vetturetta 
a trazione animale che è diffusissima in Estremo 
Oriente ed in Africa meridionale: il rickshaw (1). 


I vocaboli migrano e si affermano, e mu- 
tano significato e assumono nuova importan- 
za, sospinti da eventi grandiosi o da piccoli 
fatti banali: la rivoluzione russa ha immesso 
in tante lingue le voci « sovietico », « bolsce- 
vismo », ecc., mentre la semplice confezione 
dei fiammiferi in « bustine » ha reso necessa- 


prese il cognome dalla città denominata dalla balia 
di Enea ». Il processo etimologico è alquanto com- 
plesso, pur trascurando l’origine del nome di Caieta, 
nutrice di Enea, dovuto a voce greca che significa 
Montagna Spaccata. (Per strana coincidenza, la Mon- 
tagna Spaccata è proprio sotto il promontorio di 
Gaeta). ° 

(1) Il fin-riki-sha, ossia «vettura (sha) a forza 
(rikî) di uomo (jin) », fu inventata in Giappone nel 
1869 da Yasuke Izumi, Késuke Takayama e T$@chiré 
Suzuki e prestissimo si diffuse in tutta l’Asia orien- 
tale e sulle coste sud-orientali africane, mentre il suo 
nome si trasformava, in inglese coloniale, in rickshaw. 
Ai tre inventori Tòky6 eresse un monumento, nel 
parco del monastero buddhico di Zenk6-ji. Cfr. H.S.K. 
ae We Japanese, Miyanoshita, 1936, vol. II, 
pag. 77. 


— 300 — 


ir —— ".——— | | TT. — — ccm |. (E. pn 


2 iù. forma senza et ra, nz PP tile 


LE IMPORTAZIONI RECENTISSIME 


ria l’estensione di questo vocabolo ad una nuo- 
va accezione (1). 


A PC$CP 
Poccniickan COLManucTUNECHaa: 


PenepaTMBHaA, 
Cosetckaa PecnyOnnka 


COBETCKHI, 
sovietico 

00m1eBH3M, 

bolscevismo 


o 
CI W0O (Ad) | 


A) La rivoluzione russa ha diffuso alcuni vocaboli... 
(in alto: la denominazione ufficiale della « Repubblica 
Socialista Federale Sovietica Russa ») — B) ... la con- 
fezione dei fiammiferi in « bustine » ha creato una 
nuova necessità espressiva... — C) La « bomba atomi- 
ca » ha fatto assurgere a grande importanza un voca- 
bolo modesto... (I, II e III: Fasi di formazione di un 
atollo) (8 380) 


(1) L’inglese dice «un libro di fiammiferi », «a 
book of matches. — In italiano si va affermando il 


— 301 — 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


Dalla lingua delle isole maldive era passa. 
to come semplice termine tecnico geografico 
nelle lingue europee il nome dell'atollo: ed ec- 
colo assurgere oggi a grande importanza, as- 
sociato ben tragicamenie alla più gigantesca 
viltà scientifica e sociale, associata domani a 
chi sa quale significato metaforico, 
E tanto più facile sarà la metafora ironica, 
in quanto proprio quella « scienza » che si è 
dimostrata così acuta nell'indagine dei segreti 
intra-atomici per ricavarne il più formidabile 
mezzo di distruzione, non è ancora riuscita a 
spiegare perché e come la Natura abbia dato 
ai minuscoli polipi zoofiti il còmpito di essere 
meravigliosi ingegneri, e costruire quei gran- 
diosi cerchi coralliferi, anelli di bellezza ver- 
deggiante sulle acque dei Mari del Sud (1). È 
gli animaletti assolvono la loro missione nel- 
l'universale armonia, assai meglio di quel che 
l’uomo, a Bikini e altrove, assolva la propria. 


vocabolo « stecca » per significare un pacco o scatola 
contenente venti pacchetti di sigarette, secondo la 
confezione americana ed inglese. 

(1) Cfr. W. M. Davis, The Coral Reef Problem, 
1929 (con abbondante bibliografia, che dà un quadro 
delle varie ipotesi). Cfr. anche J. S. Gardiner, Maldi- 
vo nel « Geographic Journal », 1902, XIX, pag. 277- 


P. Sp pre 


Betti i N pe I go 7 nen nei 


i n | 


I termometri delle azioni e delle qualità 


(XIX) 


381. — La funzione che l’aggettivo ha rispetto 
al nome, determinandolo o qualificandolo, è compiu- 
ta rispetto al verbo e all’aggettivo da un’altra « parte 
del discorso ». 

L’avverbio è quella parte del discorso che 
determina o qualifica un verbo o un aggettivo. 


382. — Si chiama «avverbio » dal latino 
ad verbum, intendendo però questo vocabolo 
non soltanto nel significato di « verbo », ma 
anche in quello più generico di « parola ». In- 
fatti, oltre il verbo, l’avverbio può determina- 
re o qualificare un aggettivo, un sostantivo in 
funzione aggettivale e persino un altro av- 
verbio. 


Esempî: 


« Molto egli oprò col senno e con la mano; 

Moltò soffrì nel glorioso acquisto; 

E invan l'Inferno a lui s'oppose, e invano 

S’armò d’ Asia e di Libia il popol misto... » 
(Tasso, Gerusal. Liber. I, 1). 


in cui l’avverbio molto determina i verbi « o- 
prare » e « soffrire », mentre l’avverbio invano 
qualifica i verbi « opporsi » e « armarsi »; 


« E largamente a’ duo campioni il campo 
volo riman fra l'uno e l’altro campo » 
(ibid., VII, 83) 


— 303 — 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


AL 


in cui l’avverbio largamenie qualifica È in 
una certa misura anche determina) l’aggetti- 
vo « voto » (1). 


« /1llor sen ritornàr le squadre pie 
per le dianzi da lor calcale vie ». 
(Ibid., XI, 15) 


in cui l’avverbio dianzi qualifica il participio 
passivo (aggettivo) « calcate ». 


Nelle espressioni « molto prima », « poco 
dopo », « assai presto », « incredibilmente tar- 
di », « ‘assolutamente no », ecc., un avverbio 
ne modifica un altro, Nell’ espressione « ancor 
fanciullo », l’avverbio modifica un sostantivo 
che ha significato qualificativo ossia senso più 
aggettivale che sostantivo. 


383. — In considerazione della loro funzione, gli 
avverbî possono quindi, non diversamente dagli ag- 
gettivi, dividersi in avverbi determinativi 
e avverbî qualificativi. I primi esprimono 
la « quantità » o «intensità » o servono a localizzare 
nel tempo o nello spazio; i secondi si riferiscono alla 
« qualità », al « modo ». 


Questa distinzione permette di compren- 
dere perché, logicamente, i primi (determina- 
tivi) siano prevalentemente adoperati per mo- 
dificare un aggettivo o un altro avverbio, men- 
tre i secondi si usano prevalentemente per 
modificare il significato di un verbo. « Sicco- 
me questi luoghi sono alquanto (avv. deter- 
minat.) pericolosi ed è già molto (id.) buio, 
sarà opportuno procedere cautamente (avv. 
qualificat.) ». 


384. — A tal punto l’avverbio può consi- 
derarsi « l'aggettivo del verbo », che in non po- 


(1) La ripetizione, in rima, del medesimo voca- 
bolo, non è contraria alle buone norme stilistiche, al- 
lorché esso — come qui il nome « campo » — sia in- 
teso in due accezioni diverse. 


22304 


TE - a Pigilihatl.otototolaeiate A. Li: Lio nina re ARSA, MY DI PE pan mi _ a oaprrr[__ = = ne = — - - etna 
: -- - - et iii a crnt 


—- Voti io ___9[9[r@s‘@îpu@@cu’ ti si, cerci iii lA let zare tt 
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impari: = irta 


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e * Col (3 
SII > 
+ #0 or 


Da) 


Terre italianissine... ($ 


In alto: La stazione di Lugano, 
In basso: La « Piazza Reale», a Gozo (Malta), quando si chiamava ancora 


così, e non era scomparsa l'insegna del «Caffé Nazionale 


2 \ 
e SSR 
Lasa 
RE 
È 


ea 


AVVERBIO E VERBO 


che lingue lo stesso vocabolo, inalterato, può 
îunzionare da aggettivo o da avverbio (1). 
Tale coincidenza è frequente specialmente 
quando il legame ideologico tra verbo e av- 
verbio è intimo, come, ad esempio, allorché 
l’avverbio contiene le idee di colore, sapore, 
suono e simili, e il verbo esprime la loro ma- 
nifestazione. Un Francese dice « Ca sent bon » 
e «ca sent mauvais » (letteralmente « odora 
buono », « odora cattivo ») per « emette buon 
odore », «emette cattivo odore », e che noi 
possiamo esprimere rispettivamente con un 
‘unico verbo (« odora », « puzza »), appunto per 
l’intima connessione tra le due idee, verbale e. 
avverbiale. Un Inglese dice « This music 
sounds delighiful » usando l'aggettivo piutto- 
sto che l’avverbio (delightfully), ossia, let- 
teralm.: « Questo musica risuona deliziosa- 
[mente] » (2). | 5 
385. — L’aderenza ideologica dell’avverbio 
con il verbo che esso qualifica è tale che, assai 
spesso, 


a) un verbo specifico può, per significa- 


(1) Il tedesco dice: « Diese Milch schmeckt nicht 
gut, sie schmeckt sauer », « Questo latte non ha buon 
sapore (letteralm. « non sa buono »), sa d’acido («sa 
‘acido ») », usando avverbialmente gut e sauer, che han- 
no invece funzione di aggettivi (predicat.) nelle due 
proposizioni: « Diese Milch ist nicht gut, sie ist sauer .» 
« Questo latte non è buono: è acido ». 

(2) E parimenti dirà: « A rose by any other name 
would smiell as sweet »; letteralm.: « Una rosa sotto 
qualunque altro nome odorerebbe altrettanto dolce », 
laddove noi diremmo, in vero italiano fluido: « Co- 
munque la si chiami (« Qual che sia il nome che le si 
dia »), una rosa avrà sempre odore soave ». Questi 
esempî dimostrano come la «traduzione » diretta dal- 
1a propria lingua non sia la miglior via per arrivare a 
rendersi padroni di una lingua straniera. Dalla frase 
italiana bisogna passare al pensiero non formulato in 
parole: svilupparlo quindi secondo la forma mentis 
che è tipica del popolo che si serve spontaneamente 
di quella lingua. 


— 305 — 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


to, equivalere ad un verbo di significato più 
generico, accompagnato da un avverbio qua-. 
lificativo o da un insieme di più parole con 
valore avverbiale: ad esempio, divorare = 


mangiare avidamente; urlare = gridare molto 


forte; Ì 
b) (reciprocamente) un verbo modifica- 
to da un avverbio qualificativo può avere, 


Pa; 
k out 


Molta importanza ha la possibilità analitica e sinte- 
tica...’ (8 385) 


to wal 


come equivalente per significato, un verbo 
specifico nel quale si fondano le due idee: ad 
es.: imitare scimmiescamente = scimmiol- 
lare. | 

È molto importante tener presente questa 
possibilità analitica e sintetica, giacché le va- 


— 306 |— 


ANALISI E SINTESI AVVERBIALE 


rie lingue si comportano molto diversamente 
in casi obiettivamente analoghi: noi diciamo, 
ad esempio, « uscire a piedi »: la traduzione 
letterale sarebbe ridicola e incomprensibile i in 
parecchie lingue (1). Essa può ridursi, astraen= 
‘do dalla nostra mentalità linguistica, al verbo 
« uscire » accompagnato da un avverbio che 
qualifichi specificamente il modo dell’azione: 
« uscire pedestremente ». L'inglese scinde il 
verbo « uscire » in « andar fuori », mentre in- 
‘corpora con « andare » l’idea di « pedestremen- 
mente » («a piedi ») e fluidamente dice. « fo 
walk out » (letteralm.:« passeggiare fuori ») (2) 

Vi sono lingue nelle quali il processo di 
analisi e sintesi è talmente diverso dal nostro, 
che la traduzione nell’uno o nell’altro senso 
richiede il cambiamento strutturale dell’intera 
frase, poi che la connessione ideologica è diî- 
ferente. 

Alcune lingue africane sono singolarmente 
povere di avverbî, ma ciò non implica che i 
popoli che le parlano siano nella impossibi- 
lità di esprimere le idee corrispondenti ai no- 
stri avverbi: essi incorporano nel verbo quel- 
l’idea che, nelle lingue nostre, è espressa se- 
paratamente con un avverbio o con una locu- 
zione avverbiale: in lingua duala, per esem- 
pio, il verbo pumane significa, « venire 0 agi- 


(1) Ancor più comica sarebbe la traduzione lette- 
rale di altri idiotismi, quale, ad es., « far quattro pas- 
si »: il francese può dire « faire deux pas »: in altre 
lingue, però, si intenderebbe rigorosamente « percor- 
rere circa m. 1,40 ». In fluido inglese si dirà « To have 
a stroll», «To take a stroll ». 

._ (2) I due procedimenti, analitico e sintetico, de- 
terminano, alternandosi, le due differenti forme dei 
verbi « separabili » tedeschi: (chiarendone, così, il fe- 
nomeno, il quale rimane però pur sempie una « ano- 
malia »): « Auf die Strasse muss man achtgeben », « Per 
la strada bisogna far attenzione » (achigeben=acht + 
geben, « agire attentamente »),, ma « Geben Sie acht! », 

« Fate attenzione! » (« geben... acht » = achtgeben). 


— 307 — 


è. 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


re presto o troppo presto »; indea, « venire 0 
agire tardi o troppo tardi »; /ortdo, « fare vo- 
lentieri » (1). 

Pur a chi non intenda dedicarsi allo studio di 
queste lingue così lontane dalle nostre, è utile l’esa- 
me di queste differenze; per rendersi conto che ogni 
lingua ha la sua mentalità, e per affrancarsi da quella 
visione burocratica grammaticale nazionale, la quale 
è spesso il più grave impedimento per penetrare nello 
spirito di un idioma straniero, qualunque esso sia. 


vo * 


386. — Poi che l’avverbio ha la funzione di «li- 
mitare » il significato del verbo e dell’aggettivo (2), 
tale limitazione può raggiungere il massimo, ossia far 
sì che l’azione verbale o la quantità o qualità espres- 
se dall’aggettivo siano ridotte a zero. Questo «mas- 
simo » è espresso dagli avverbî negativi, i 
quali sono quindi da considerarsi collocati ad un 
estremo della gamma degli « avverbî determinativi »: 


« Questo fiore non è una rosa canina »; « Questo 
fiore non è bianco », « Questo fiore non è sbocciato », 


DI 


« Questo fiore non olezza » (3); « Caio non è venuto », 
« Caio non ha corso », ecc. (4). 


387. — Le espressioni negative costitui- 
scono uno dei connotati più caratteristici delle 
lingue, le quali possono distribuirsi in gruppi 


(1) La lingua giapponese esprime con una sem- 
plice terminazione verbale l’azione che avvenga alter- 
nativamente con un’altra, o che si interrompa per ri- 
prendere: « un po’ piove e un po’ no» si rende con 
questa tipica forma: ame ga futtari yandari shimasu, 
ossia «la pioggia compie [l’azione di] piovere-un-po’ 
e di cessare-un-po’ ». Parimenti « Qualche volta leggo 
il giornale, e qualche volta non lo leggo » diventa, in 
giapponese « Compio [l’azione alternativa di] leggere- 
un-po’ e non-leggere-un-po’ »: « shinbun wo vyondari 
yomanakattari itashimasu ». 

(2) Cfr. 8 4 e segg. e 8 246 e segg. 

(3) Cfr. figura a pag. 2. 

(4) Cfr. figura a pag. 74. 


— 308 — 


IL POSTO DELLA NEGAZIONE 


ii E A O ZIA 


- "353 RITMI 
= 35, j —__r__ rr | E 


è una signorina | 


ella non è una signorina | 


eg 


IMUONN!. 


12) = | 
PESA TIT 7 e È 
i 0]o-san de wa i 

SGGANMEANGZIAZIZE 


nar | 
CMMMAM GU SSMDLLA4À 


Con il « modulo » italiano alla mano, possiamo con- 
sfatare gli spostamenti della negazione e del verbo 
nelle varie lingue... (8 387) 


— 309 — 


mo a  P 9A -@ 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


graduati, a seconda della maggiore o minore 
aderenza formale della negazione con il verbo. 

.La lingua italiana occupa un posto intermedio, 
poi che la negazione è espressa con un avverbio a sé, 
separato dal verbo. e precedendolo per determinarne 
la non-azione. 


Il tedesco, invece, pospone la negazione 
al verbo: oppure sposta la negazione su un al- 
tro vocabolo determinante il soggetto, l’ogget- 
to, un complemento: er kommt heute nichi, 
« egli oggi non viene » (letteralm.: « egli oggi 
viene non »); « Ist das ein Friulein? — Nein, 
das ist kein Fraulein, sondern eine Frau », 
« È una signorina? » — No, non è una signo- 
rina (letteralm.: «è nessuna signorina NI è 
una signora ». 


1l francese esprime la negazione con due 
voci, una preposta e l’altra posposta al verbo: 
il ne vieni pas arjourd'hui, — elle n’est pas 
une demoiselle: elle est une dame. 

Ad un estremo della graduazione può esser 
collocato l'inglese , il quale non coniuga il 
verbo del quale si nega l’azione: esso rimane 
quiescente, nella forma inerte dell’infinito, 
mentre un altro verbo significa il « non ese- 
guirsi » dell’azione: al positivo « egli scrive » 
(he writes) non corrisponde, in inglese, un ne- 
gativo «egli non scrive», ma l’espressione 
« he does riot write » ossia « egli non esegue 
[l’azione di] scrivere » (1). 

All’estremo opposto van collocate quelle 
lingue che, come il. giapponese, conglobano la 
negazione con il verbo, possedendo cioè una 
‘coniugazione negativa, con forme proprie, di- 


(1) Per analoga ragione rimane quiescente il verbo 


inglese anche nelle forme interrogative (does he wri-. 


te?, « esegue egli [l’azione di] scrivere? » ossia « scri- 
ve? »), ipotetiche (he would write, he should write, 
« compirebbe [l’azione di] scrivere », ossia « scrivereb- 
be »), future (he will write, he shall write). 


Slo 


fi 


LINGUA E LOGICA 


stinte dalle positive: Rakimasu, «scrive »; 
«kakimasen « non scrive » (1). I 


Altre lingue, infine, hanno entrambe le 
possibilità, come, ad esempio, il coreano (2). 

Nello studio di una lingua straniera qua- 
lunque essa sia, si tenga sempre conto di que- 
ste differenze strutturali, sempre collegan- 
dole con il contenuto ideologico. Non è possi- 
bile, ad esempio, intendere la sintassi araba 
delle proposizioni negative esaminandole se- 
condo la nostra « analisi logica »: è una logi- 
ca linguistica diversa, ma non perciò meno 
« logica »: (3). Per un Russo è perfettamente 


.(1) Il « verbo garbato » -masu, obbligatorio nella 
conversazione cortese, si comporta come tutti gli altri, 
ed in esso passa la negazione: omettendolo, la nega- 
zione passa direttamente nella forma verbale sempli- 
ce: kaku, « scrive » (o anche « scrivo, scrivi, scrivono, 
scrivete... »), kakanai «non scrive ». Propriamente il 
suffisso agglutinato -nai ha valore di aggettivo ver- 
bale, esprimente la non esistenza, e di esso può for- 
miarsi anche l’avverbio, corrispondente al nostro gerun- 
dia negativo: kakanakute « non scrivendo », Il nai può 
usarsi anche attribuitivamente, implicando il verbo. 
Frase usitatissima nipponica di rassegnazione o di im- 
posizione, nel senso di « Non c’è nulla da fare », « Bi- 
sogna accettare le cose come sono », «O mangiare 
questa minestra... ecc.» è shikata ga nai (letteralm.: 
« modo d’agire non V'è »). | 

(2) Se non vi fosse il coreano, il giapponese sa- 
rebbe per noi, Occidentali, la lingua più complicata: ma 
il coreano detiene il primato, contenendo tutte le diffi- 
coltà del giapponese (anche grafiche) più parecchie 
sue peculiari. La negazione, ad esempio, può esser 
espressa in un paio di dozzine di modi diversi, a se- 
conda dei casi. Cfr. A. Eckardt, Koreanische Konver- 
sations-Grammatik, Heidelberg, Groos, 1923, lezione 
148, pag. 121-131. 

(3) «In modo particolare bisogna tener presente 
che i termini grammaticali nostri e arabi non sempre 
collimano, se si abbia un Arabo come insegnante. Di- 
versi infatti sono i principî di analisi logica donde si 
muove nei due sistemi grammaticali ». — L. Veccia 
Vaglieri, Grammatica teorico-pratica della lingua ara- 
ba, Roma, Ist. p. l'Oriente, 1938, vol. I, pag. 59: e la 


— 311 — 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


«logico » che un verbo negativo, ossia espri- 
mente un’azione che non si compie, non ab- 
bia un vero e proprio soggetto né un vero e 
proprio complemento oggetto: coerentemente, 
in questo caso, non Îa uso del nominativo per 
il soggetto né dell’accusativo per il comple- 
mento oggetto, ma adopera il genitivo: « il pa- 
dre non è a casa »: olsà met doma (letteralm.: 
« del padre [si dice chel non è a casa »: ossia 
si parla di lui, ma non è lui il soggetto vero e 
proprio); « egli non dà il bicchiere »: on nié 
daiòt staRana (se egli « non dà », non v’è com- 
pliemento oggetto, poi che non "dà nulla: ma 
poiché questa negazione è limitata, in quanto 
egli può dare altra cosa, il genilivo specifica 
il rapporto negativo: « egli non dà [e ciò è 
detto] del bicchiere »). 


* * %* 


388. — L’avverbio negativo può essere usato an- 
che isolatamente, ossia come negazione sintetica, 
equivalendo ad un’intera proposizione: in tal caso as- 
sume una forma speciale, la quale è anche tonica- 
mente più energica. 

Per forma e per tono, il nostro no si distingue 
perciò dal non: questo accompagna sempre il verbo o 
aggettivo che esso modifica, mentre il no serve come 
pura e semplice negazione generale, prevalentemente 
in risposta ad una domanda. 

Può usarsi perciò anche quando, essendo omesso 
il verbo o l’aggettivo modificato dalla negazione, que- 
sta ha funzione sintetica: « Voglia o no, dovrà farlo », 


chiarissima arabista aggiunge: « Non possiamo trattare 
la materia secondo le idee degli Arabi, perché turbe- 
remmo la sicura conoscenza di quei principi gramma- 
ticali che spesso, con molta fatica, professori di ita- 
liano e latino sono riusciti a inculcare nelle loro men- 
ti quali verità assiomatiche » (ibid.). Ma appunto que- 
sta « assiomaticità » impedisce non di rado la com- 
prensione di fenomeni linguistici che ne esorbitano, 
perché derivanti da altra forma mentis. 


— 312 — 


IL «NO » 


‘mentre si dovrà dire «Voglia o non voglia, dovrà 
farlo » (1). 


389. — Il nostro no equivale a « mort è co- 
SÌ ». 

Contrario ad esso è l’avverbio sì, avverbio 
sintetico, equivalente anch’esso ad una intera 
proposizione: « è così ». 

Il latino non aveva un vero e proprio sì: 
la risposta affermativa si esprimeva ripeten- 
do il verbo principale della domanda. — Dor- 

mitne adhuc? (« Dorme ancora? ») — Dormit. 
(« Dorme » = « Sì »). Oppure si usava ila 
« COSÌ », abbreviazione di ila est. «è così »: 
tale forma rimase diffusa, specialmente nello 
stile curiale, anche quando il linguaggio cor- 
rente adoperava già il sì, derivato da «sic 
est », « è COSÌ » (2). 

Ne fa menzione Dante, nella sua invettiva 
contro la corruzione invadente a Lucca, ove. 


« del no, per li danar, vi si fa ita » 
(Inf., XXI, 42) (3). 


La negazione isolata era espressa con lo 
stesso espediente (ripetendo cioè al negativo 
il verbo principale della domanda) o con mom 
ita, minime, rinforzato in minime vero, mini- 
me hercle vero, ossia con un costrutto affer- 


(1) Anche il francese ha due forme diverse per la 
negazione isolata (non) e per quella modificante il 
verbo o l’aggettivo (ne... pas). Nelle altre lingue neo- 
latine, invece, le due forme coincidono: no in spagno- 
lo, ndo in portoghese, nu in romeno, mentre il tedesco. 
le distingue (nein e nicht) e parimenti il russo (niet e 
mie): in altre lingue la distinzione non è assoluta (l’o- 
landese ha neen e niet, ma può usare questo per quello; 
e parimenti lo svedese con nei ed ej, icke, ecc.). 

(2) « La frase dové esser popolare: valgano questi 
due esempî di Simone Serdini: « E non si può dir non 
quando si dice ita »; e « e non vale dir no al suo dir 
ita ». Scartazzini, Comm. Div. Comm., Milano, Hoe- 
pli, 1929, pag. 169. 

(3) Facile era anche la falsificazione grafica, tra- 
sformando no in ita. 


— 313 — 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA. 


mante che « [non è così eanichiel in minima 
parte » (1). 

Anche il mon (dal quale abbiamo ricavato 
il no) si è formato in modo analogo, derivan- 
«do da un arcaico noenum (= ne-oenum = ne- 
unum) « neanche uno ». 


n Ah #È 
A 3 # x 
pu' 


fel wu met 


Espedienti curiosi per ottenere ideogrammi negativi... 


(8 339) 


& 


Con diversi espedienti i popoli sono arri- 
vati ad esprimere la negazione, giacché ciò è 
‘meno semplice di quel che potrebbe sembrare 
.a primo esame: poi che ogni vocabolo implica 


(1) Ponendo così il germe di costrutti esprimenti 
la negazione del tutto sin nella sua minima parte: 
-« non.. . punto », ne... pas, («nemmeno un passo »), 
.«« non... Mica » (ossia «nemmeno una mollica »): e il 
milanese « miga » del XIII secolo (Bonvesin da Riva), 
divenuto il « minga » del milanese d’oggi. Cfr. L. Pa- 
‘via, Nuovi studî sulla parlata milanese, Bergamo, 1928, 
‘pag.. 217 e 286. — Stesso significato ha il bolognese 
« brisa » (=<« briciola »). — Cfr. G. Gréòber, Vulgdrla 
teinische Substrate romanischer Woòrter, nell’« Archiv. 
fiir lateinische oa und Grammatik », V, 25, 
234, 453, e VI, 117, 377. 


— 314 — 


IL TONO DA SIGNIFICATO 


un riferimento ad altra idea (1), a quale idea 
o insieme di idee ci si può riferire per espri- 
mere ciò che non è? Le scritture ideografiche 
ci mostrano quali diversi espedienti son stati 
trovati per ottenere gli ideogrammi negati- 
vi (2). 

390. — Nel linguaggio parlato, grande im- 
portanza ha l’intonazione (3), poi che essa può 
attenuare e persino capovolgere il valore del 
vocabolo negativo o affermativo. Esiste infat- 


‘ti un « tono » di incredulità e di sfida, per cui 


il no assume il significato di « ma è incredi- 
bile! », il che è ben diverso dalla negazione . 
pura e semplice: ed il sì, pronunciato in « to- 
no » ironico, acquista il valore dubitativo e 
prevalentemente negativo. 

Alcune lingue hanno speciali forme per i 
diversi « no » e per i diversi « sì » (4). 


(1) Cfr. 8 78. 

(2) Il segno geroglifico (an) rappresentava due 
braccia aperte separatesi appunto per esprimere il di- 
niego. Originariamente l’ideogramma cinese pu‘ raffi- 
gurava un uccello che tenti inutilmente di raggiungere 
gli strati superiori dell’atmosfera; il segno fei! era 
composto da due parti opposte fra loro; l’ideogram- 
ma wu: mostrava una foresta entro la quale si sia 
inoltrato un carro dileguandosi tra gli alberi; ‘e final- 
mente il carattere mei? constava di « acqua » (rappre- 
sentata dalla corrente e da alcune gocce, e oggi sti- 
lizzata e sintetizzata dalle «tre gocce »), di un « vor- 
tice » (in alto a destra) e di una « mano », intendendo, 
così, che «la mano cerca inutilmente di acciuffare 
qualcosa che, nell'acqua, sfugge alla vista e alla pre- 
sa a causa del movimento vorticoso del liquido ». 

(3) Vedi 8 277. 

(4) In amarico, ad esempio, auò(n) è la risposta 
affermativa ad una interrogazione; escì esprime il con- 
senso o la rispettosa prontezza ad eseguire un ordi- 
ne; egcuò ha il senso di «sì, davvero! »; degh neu 
equivale a «sì, va bene »; m’-n cheffà significa «sì: 
non c’è nulla in contrario », « non c'è nulla di male » 
ed è quindi concessivo, mentre ihuonàl è dubitativo; 
e finalmente aiè è dubitativo-interrogativo (« Ah sì? »). 
Per la negazione, aidèllem è la pura negazione obiet- 
tiva (« non è così »); embì è un «no» di rifiuto scor- 


ce Isa 


me si vede, 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


* ** 


391. — Generalmente, con la negazione pura e 
semplice si intende escludere l’azione espressa con il 
‘verbo sottinteso: e questo verbo è il medesimo della 


cui non 
ja nein 
Za. HET 
vai, parata = oùyi, dx. 


APT uom ALLNI° 
+ esci aidèliem 


Fieccnd embi h 2A 


. ; "7 | 
nu Me) 


— m’-n cheffa iellèm“(\7° 
LIFE Aihuondi vid AT 
Afaiè ALFA 9° 


aiccia-l-m 


L’amarico ha forme speciali per i diversi « sì » e « no » 


($ 390) 


domanda cui si risponde o che sia stato precedente- 
mente espresso. 


Es.: «— Piove? — No» (= non piove). 


tese, e lo è anche asciafferègn; iellèìm constata che 
«non vi è », mentre aiduòli-m significa che «non è »: 
e finalmente aiccià-l-m nega persino la possibilità. Co- 
a tutti questi diversi vocaboli corrispon- 
dono altrettante nostre diverse « intonazioni ». 


— 316 — 


22 e A a n 


« SÌ » E « NO » DIPENDENTI 


L’affermazione pura e semplice attesta il verifi- 
carsi dell’azione o dello stato espressi dal suddetto 
verbo. 

Es.: « — Piove? — Sì» (= piove). 


In italiano, e nella IMA GGIoranza delle lin- 
gue, il no e il sì hanno tale valore, indipen- 
dentemente dalla forma in cui sia stata rivol- 
ta la domanda, ossia tanto se la premessa sia 
in forma positiva che in forma negativa. 

Es.: « É venuto il sig. Tal de’ Tali? », op- 
pure « [Nori è venuto il sig. Tal de’ Tali? ». Le 
risposte « Sì » e « No » affermano o negano 
rispettivamente che egli sia venuto, senza te- 
ner conto se la domanda sia stata rivolta nella 
prima o nella seconda forma, ossia in forma 
positiva o negativa. In qualche lingua, inve- 
ce, vi è un nesso di significato tra la forma 
della domanda e la risposta, in quanto questa 
conferma o nega l'affermazione o la negazio- 
ne contenute nella domanda (1). 


Anche in lingue meno lontane dalle no- 
stre possiamo trovare una connessione di tal 
genere, pur se non così rigorosa. Il îrancese, 
ad esempio, oltre l’affermazione oui, ha anche 
l'affermazione si (rinforzata eventualmente in 
« mais si » e « si fait ») che serve ad affermare 


(1) In giapponese, ad esempio, alla domanda « So- 
regashi San ga kimashita ka> (« È venuto il sig. Tal 
de’ Tali? » forma positiva) si risponde come in italia- 
on: « Sì: è venuto » (Hai: kimashita), o « No: non è 
venuto ». (Zie: kimasen-deshita »): ma alla domanda 
espressa in forma negativa (« Non è venuto il sig. T. 
d. T.? »: Soregashi San ga kimasen-deshita ka ») biso- 
gna rispondere con criterio inverso che il nostro, poi 
che il «sì» significherebbe che non è venuto, ossia 
che le cose stanno proprio come sono espresse nella 
domanda, mentre il no, negando la negazione della 
domanda, afferma la; venuta del sig. T. d. T. — E ciò 
dipende anche dal fatto che la « domanda » nipponica 
ha, nel tono e nell’intenzione, un minor grado interro- 
gativo che la nostra: è piuttosto dubitativa che inter- 
rogativa. — Cfr. nota al 8 277. 


= 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


in contraddizione ad una domanda rivolta in 
forma negativa (1). 

392. — Gli avverbî sintetici sì e no si usano an- 
che, in italiano, per esprimere l’intermittenza o alter- 
nanza dell’azione o dello stato, in espressioni come 
«un giorno sì e uno no», « una finestra sì e una 
no », ecc. i 


Anche questi idiotismi non possono veni- 
re trasportati letteralmente nelle lingue stra- 
niere: in tedesco, ad esempio, « un giorno sì 
e uno no » è einen Tag um den andern, oppu- 
re alle zwei Tage: quest’ultimo costrutto cor- 
risponde al Îrancese fous les deux jours, lad- 
dove in inglese si dice every other day (lette 
ralm. « ogni altro giorno ») (2). 


Non è buon italiano dire « ogni secondo giorno », 
pur se questa espressione sia frequente, specialmente 
nella Venezia Giulia. 


393. — Particolare attenzione va posta sul non 
pleonastico, il quale, non avendo valore nega- 
tivo, non può esser sempre trasportato in altre lingue. 


Nel suo primo colloquio con Virgilio, Bea- 
trice dice: 
« e temo ch’ei non sia già sì smarrito, 
ch'io mi sia tardi al soccorso levala » 
(Inf., II, 64-65). 


ma ciò che ella teme è che Dante sia già sl 
smarrito. 


Abbiamo qui, in italiano, una reminiscenza 
del tipico costrutto latino dei verba timendi, i 


(1) « N’est-il pas venu? — Mais si! » (= « Mais si 
qu'il est venu! »). — Da quest’ultimo tipo di risposta 
derivano quelle, così frequenti nel discorso familiare: 
« Que cui; que non »; « Que si, oh! que si! », con tipi- 
cissime intonazioni. 

(2) o anche every alternate day, every second day, 
every two days. Così every other boy significa « uno 
scolaro su due ». 


— 318 — 


«NO » = « SÌ » 


quali spesso rendono perplessi gli studenti 
classici (1). | 
394. — Anormale può apparire anche il fatto 
che in talune espressioni, la presenza o la mancanza 
della negazione non influiscono sul significato, il qua- 
le, invece, dovrebbe essere inverso nei due casî: noi 
diciamo indifferentemente: 
a) « Bisogna camminare finché non si arrivi al 
binario del tram »; i 


Talora la negazione e l'affermazione dicono la stes- 
sa cosa... (8 394) 


(1) Ottima è la ricetta pratica data dall’eccellente 
Dizionarietto della sintassi latina di E. Levi, (Firenze, 
Barbèra, 1933): « Occorre osselvare che timere etimo- 
logicamente e sintatticamente risponde al nostro « sgo- 
mentarsi », « sperar poco », « disperare », assai meglio 
che al nostro « temere ». «Ciò premesso: a me p. es. 
la pioggia farebbe comodo, ma ho scarsa speranza che 
piova: in italiano dico: « Temo che non piova »; in 
latino: « Timeo uf pluat ». Invece: la pioggia mi dan- 
neggerebbe, e io dico: « Temo (ho paura) che piova ». 
In latino: « Timeo ne pluat » (pag. 411). 


— 319 — 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


B) « Bisogna camminare finché non si arrivi al 
binario del tram». 

Riferendosi però alla realtà obiettiva, constate- 
remo che le due espressioni, apparentemente contra- 
rie, esprimono il medesimo punto di riferimento, con- 
siderato però da due punti di vista diversi. 


Infatti, seguendo la prescrizione ©, si deve 
camminare sino al punto (p) in cui si incro- 
cia il binario: si percorre cioè tutto il segmento 
in ciascun punto del quale mon si arriva 
al binario del tram, se non nel punto finale 


P (1). 


395, — Nella gamma degli avverbî deter- 
minativi (8 383 e 386), la «limitazione » che essi 
| determinano può aver differenti gradi: esprimono in- 
fatti una misura crescente di quantità o intensità gli 
avverbî nulla, niente, poco, alquanto, abbastanza, as- 
sai, molto, troppo: 


* * %* 


«e quando l'ali juro aperte assai... » 
(Inf., XXXIV, 72) 
« era una fraude pur troppo evidente » 
. (Ariosto, Orl. Fur., V, 26). 


396. — Propriamente, nulla e niente hanno più 
il carattere sostantivale e pronominale che avverbia- 
le: talora si usano come avverbî, specialmente il se- 
condo, nel linguaggio corrente: « Ecco una cosa nien- 
affatto piacevole ». 


397. — L’avverbio affatto non ha valore negati- 
vo, ma esattamente il contrario, poi che significa 
«completamente »: sicché l’espressione « É affatto 
dello stesso parere » significa che la persona di cui si 
tratta condivide interamente l’opinione accennata. Si 


(1) È una ragione analoga a quella per cui un 
avvenimento che duri fino alla mezzanotte del 31 di- 
cembre 1946 ha termine alle ore 0 (zero) del 1° gen- 
naio 1947. — Negli orarî ferroviarî, la mezzanotte è 
indicata come «ore 24» per i treni in arrivo e come 
«ore 0» per i treni in partenza: pur trattandosi dello 
stesso punto nel tempo. 


— 320 — 


4 =. 


fa 


AVVERBÌ CORRELATIVI 


DI 


dirà, per il significato negativo, « Egli non è affatto 
dello stesso parere ». 


398. — Gli avverbî correlativi di quantità 
@€ di intensità determinano in correlazione con altra - 
quantità o intensità (tanto..., altrettanto..., COSÌ..., ecc.) 
e richiedono perciò, espresso o sottinicso, il « termi- 
ne » con il quale essi stabiliscono la connessione: 


«Tanto gentile e tanto onesta pare 
la donna mia quando ella altrui saluta, 
che... 3 
(Dante, Vita Nova, XXVI) 

399. — A questa categoria appartengono gli av- 
verbî più e meno, per mezzo dei quali la lingua ita- 
liana ha sostituito i « gradi di paragone » del latino, 
che ora non esistono più, morfologicamente (vedi 8 
321 e segg.). 

400. — Sono avverbi determinativi temporali 
quelli che localizzano nel tempo l’azione o lo stato, 
oppure ne determinano la durata, la frequenza, ecc., 
come ora, .allora, ancora, prima, poi, quindi, presto, 
tardi, ieri, oggi, domani, alquanto, spesso, sovente, 
ecc.: 

« Da ch’ebber ragionato insieme alquanto... » 

(Inf., IV, 97). 

401. — Sono avverbî determinativi tempora- 
li correlativi quelli che indicano tale localizza- 
zione o durata in riferimento ad altro termine espres- 
so o sottinteso: tali sono quando, allorquando, allor- 
ché, appena: 

Le forme allorché, allorquando equivalgono ad al- 
lora che, allora quando: 


« Allor che fulminato e morto giacque 
il mio sperar... ». 
(Petrarca, Canz., IV, 3) 

402. — Sono avverbî determinativi locativi 
quelli che localizzano nello spazio: qui, là, costà, co- 
stì, colà, sopra, sotto, avanti, dietro (antiq. retro): 

« Allor si mosse, ed io gli tenni retro». 
(Inf., I, 136). 


— 321 — 


z2I 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


403. — Sono avverbî determinativi locativi 
correlativi quelli che esprimono una localizza- 
zione in correlazione ad altra indicazione espressa o 
sottintesa: donde, dove, ove, e vi, ci, ivi: 

« Quivi sospiri, . pianti ed alti guai 
risonavan per l’aer sanza stelle... » 
(Inf., III, 22-23) 

404. — L'italiano non distingue lo « stato in luo- 
go » dal « moto a luogo »: «il luogo dove si è, e il 
luogo dove si va». 


Questa distinzione è importante nella gran 
maggioranza delle lingue. 

Alcune lingue riuniscono nel medesimo 
avverbio le due funzioni temporali e locative: 
ad es., il francese dice non soltanto /e pays 
où il éfait, («il paese dove egli era »), ma an- 
che le momeni où il l'a renconiré, « il momen- 
to in cui (letteralm. « dove ») l'ha incontrato ». 


* >» 3 


405. — Abbsidanti stia è la categoria degli av- 
verbî qualificativi, perché, oltre quelli che 
banno una forma speciale, se ne possono formare da 
tutti gii aggettivi qualificativi con la semplice aggiun- 
ta del suffisso -mente. 


Con l’ablativo menie qualificato da un ag- 
gettivo, il latino cominciò a denotare uno stato 
d’animo: forfi mente, obstinala mente, jocunda 
mente, dubia mente (1). Nei testamenti diven- 
ne comune la formula sana mente, finché l’uso 
si estese, con significato più generale, gene- 
rando così i numerosissimi avverbî di manie- 
ra nelle DRBHE neolabne (2). 


(1) Apuleio, I, 6; V, 23. 

(2) Cfr. H. Goelzer, Etude lexicographique et 
grammaticale sur la latinité de Saint Jérome, 1884, 
pag. 428. — Questa formazione degli avverbî in -mente 
non è comune in rumeno. Cfr. W. Meyer-Liibke, Die 
lateinische Sprache in den romanischen Ltindern, in 
«Grundriss der romanischen Philologie, 1904, vol. I, 
pag. 487. 


— 322 — 


UN FALSO PRIMATO 


Lo spagnolo e il portoghese hanno la ca- 
ratteristica di poter Îar servire un’unica desi- 
nenza per più avverbi: Ciceròn escribiò clara, 
concisa y elegantemente »; « O senhor Dou- 
tor jalou (« parlò ») simples e humildamenie ». 

Il francese, da comme, « come», ha for- 
mato l’avverbio commeni (= « comemente »). 

— 406. — Gli avverbî in -mente si formano con 
‘ l’aggettivo femminile in -a, se l’aggettivo ha tale for- 
ma, altrimenti togliendo la vocale finale -e; a meno 
che essa non sia preceduta da due consonanti o da c: 
perciò da caro si ha caramente; da facile, facilmente; 
da triste, tristemente; da pari si ha parimente; da 
semplice, semplicemente; da feroce, ferocemente. 


407. — Tutti gli avverbî possono sostantivarsi: 


« Ma quella ond’'io aspetto il come e ’l quando 

del mio tacer... ». 
(Par., XXI, 46-47) 

408. — Gran parte di essi possono assumere la 
forma intensiva, peggiorativa, diminutiva; ad es. 
spesso, spessissimo; — bene, benino, benone, benissi- 
mo; — male, maluccio, malaccio, malissimo. 

Per gli avverbî in -mente le desinenze intensive 
ed eventualmente le altre (più rare) si pongono all’ag- 
gettivo formante, prima dell’aggiunta della desinenza 
verbale: da facile avremo perciò facilmente, ma faci- 
lissimamente. 


409. — Possono anche esser rinforzati 
con prefissi, come ad esempio nel bellissi- 
simo avverbio italianissimo ed ingiustamente 
detronizzato, il quale forma da solo un solen- 
ne Ra supermagnificentissimamen- 
fe (1). 


‘ (1) « Precipitevolissimevolmente » è un ridicolo av- 
verbio artificioso il quale ha usurpato il titolo di cam- 
pione di lunghezza tra i vocaboli italiani. Il legittimo 
avverbio in -mente formato con il non frequente ag- 
gettivo precipitevole reso « superlativo » (intensivo) è 
precipitevolissimamente. Per farne un endecasillabo, 
vi si è insinuata un’arbitraria metrica « zeppa », ossia 


— 323 — 


Tee RR TEOR O 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 
* * * 


410. — Abbiam visto per quale processo logico 
(8 277) i pronomi relativi assumano funzione 
interrogativa. Il medesimo fenomeno si verifica per le 
stesse ragioni, in alcuni avverbî correlativi: 
essi possono, infatti, esprimere una correlazione (re- 
lazione) con un elemento incognito e che si desidera 
conoscere. 

Tale incognita (x, y, z del simbolismo alge- 
brico) può riguardare il tempo, il luogo, la quantità o 
intensità, il modo: ed abbiamo perciò i quattro tipici 
avverbî interrogativi: .quando?, dove?, 
quanto?, come? (1). 


411. — Il parallelismo diviene evidente, se tali 
avverbî vengano analizzati risolvendoli ideologica- 
mente negli elementi costitutivi: 


un secondo -vol- in aggiunta a quello che già conte- 
neva. L’avverbio « supermagnificentissimamente » ende- 
casillabo solidamente costrutto, sonoro, prosodicamen- 
te ben accentato, armonico tra forma e significato, 
presenta anche un certificato di prim’ordine: quello 
di Dante Alighieri che, nel De Vulgari Eloquîo, lo po- 
ne fra gli « ornativa polysyllaba, quae mixta cum pexis 
pulchram faciunt harmoniam compaginis». (Lib. II, 
c. VII). — Cfr. Toddi, Il processo al « precipitevolissi- 
mevolmente », in « Sapere », Milano, 15 febbr. 1940, 
n. 123, pag. 86. | 

(1) Il confronto con le «categorie » aristoteliche 
ci dimostra quanto intimo sia il nesso tra gramma- 
tica e filosofia, non soltanto per la «logica» inter- 
pretazione dei fenomeni linguistici, ma per la loro 
aderenza all’essenza stessa delle cose e degli eventi, 
passando quindi dalla /ogica alla ontologia e alla 
stessa metafisica. « Aristoteles decem suprema gene- 
ra distinguit; quibus omnia entia creata, exsistentia 
et possibilia, substantias et substantiarum determina- 
tiones subsumit... Categoriae a praedscabilibus diffe- 
runt quia non exhibent diversos modos logicos prae- 
 dicandi, sed diversitates essendi sive discrimina et 
, classes rerum. Ideo non tam ad logicam, quam potius 
ad ontologiam pertinent ». J. Donat, Logica et intro- 


a philosophiam christianam, Innsbruck, 1935, 
pag. 75. 


994 


- Ù 
#7 "EN e # 


. IL PERCHÉ DEL « PERCHÉ » 


Infatti: 

{ (positivo) = nel tempo mel quale... 
« quando > (interrog.) = in quale tempo? 
{(positivo) = nel luogo nel quale... 
\(interrog.) = in quale luogo? 


412. — Una apparente analogia induce 
molti grammatici a considerare avverbio an- 
che il vocabolo perché, sia nella sua Îunzione 
esplicativa (causale) che in quella interroga- 
tiva. 

Il vocabolo perché non ha, invece, le ca- 
ratteristiche avverbiali, né ‘morfologicamente 
né ideologicamente: esso si scinde infatti in 
per-che = « per ciò che » ed è quindi, morîo- 
logicamente, una congiunzione (vedi 
8 448). Inoltre, esso non modifica un aggetti- 
vo né il solo, verbo ma regge tutt’intera la pro- 
posizione (1). 

413. — La confusione fra avverbio e pre- 
posizione va anche evitata. Molti avverbî 
coincidono formalmente con preposizioni. 

La distinzione però è assai Îacile, giacché 
l’avverbio non può mai aderire direttamente 
ad un nome. Così, ad esempio, sopra e sotto 
sono avverbî quando non reggano un sostan- 
tivo: 

« 4 tutti altri sapori esto è di sopra» 

(Purg., XXVIII, 133) 

« E io sentì chiavar l’uscio di sotto » 

| (Inf., XXXIII, 46) 

Sono invece preposizioni quando reggano 
un sostantivo: (o pronome): 

. «Così vidi adunar la bella scola 

di quel signor dell’altissimo canto 


| che sovra li altri com’aquila vola » 
(Inf., IV, 94-96) 


« dove » 


(1) L’intera proposizione è sottintesa, retta ap- 
punto dal perché, quando questo vocabolo è usato 
isclato, come interrogazione. 


1, — 325— 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


«... Una nave piccioletta 
venir per l’acqua verso noi in quella, 
sotto ’1 governo d'un sol galeolo ». 
(Inf., VIII, 15-17) 
« Ed adombrando il ciel par che s'anneri 
Sotto un immenso nuvolo di strali ». 
(Tasso, Gerus. Lib., XVIII, 68) 
invece, il vocabolo prima, è sempre avver- 
bio, poi che non regge mai direttamente un 
sostantivo: si dirà « prima di...» e la « prepo- 
sizione» di serve ad esprimere la « correla- 
zione » tra l’avverbio e il termine correlativo. 
Questo di, infatti, va tradotto coerentemente 
alla sua îfunzione « comparativa » (1), e ciò 
dimostra: 

a) che si tratta anche qui di un « para- 
gone »; * 
b) che il nesso non è diretto, e che quin- 
di il vocabolo prima è avverbio, necessitando 
appunto di una preposizione per collegarsi con 
un'idea sostantiva. 

414. — Facile è anche la confusione tra avver- 
bio e aggettivo allorché i due coincidono per 
forma. 

L’avverbio è invariabile, l’aggettivo invece con- 
corda in genere e numero con il nome che esso de- 
termina o qualifica. 

« Troppo mia morle |jOra acerba e rea, 

Se innanzi a me vedessi morir lei ». 

(Ariosto, Orl. Fur., VI, 10) 
(l’avverbio modifica gli aggettivi femminili 
acerba e rea, ed è invariabile) 

« Qui vidi gente più ch'alirove troppa » 

(Inf., VII, 25) 
(l'aggettivo troppo concorda con il nome gen- 
ie, che esso qualifica). 


(1) Si intende perché questo di non vada tradot- 
to con un genitivo ma con un comparativo quam in 
latino; e perché in inglese si dica before than (com- 
parat.) e non before of. Però before può essere an- 
che preposizione, e perciò può reggere direttamente 
un nome o pronome: before him « prima di lui ». 


— 326 — & 


IL GERUNDIO È UN AVVERBIO 


* * > 


415. — La grammatica rivoluzionaria non esita 
a classificare tra gli avverbî tutti i gerundî: 
«questi si formano dai verbi mediante ii suffisso inva- 
riabile -ando, -endo, come la massima parte degli av- 
verbî qualificativi si formano dagli aggettivi per mez- 
zo del suffisso -mente: ed anche il significato è ana- 
logo, esprimendo il « modo » in cui viene compiuta 
l’azione espressa dal verbo principale, che il gerundio 
(avverbic) modifica. 

«Su per la viva luce passeggiando 

menava io gli occhi per li gradi, 

mo’ su, mo’ giù e mo’ recirculando » 
(Inf., XXXI, 46-48). 

(I due avverbî in rima modificano il verbo 
menare. L’ultimo verso della terzina è, ad 
esclusione della congiunzione e, composto 
interamente di avverbî: il triplice mo' è av- 
verbio temporale (== « ora »);j Su e giù sono 
avverhî locaiivi, e recirculando è anch'esso un 
avverbio (di modo), che Saluvale a « circolar- 
mente ». | 

416. — Ogni avverbio può venir risolto in un so- 
stantivo retto dall’acconcia proposizione ed eventual- 
mente determinato o qualificato da un aggettivo: qui 
=. in questo luogo; così = in. questo modo (1); pre- 
sto=in modo veloce (oppure di buon mattino, ecc.); 
abbondantemente = con abbondanza; sempre == in ogni 
tempo; mai= qualche volta (2); ecc. Anche il gerun- 


DI 


(1) Chiarita e chiarificante è perciò l’espressione 
inglese this way (« [in] questo modo ») nel senso di 
« COSÌ ». 

(2) Propriamente « mai » significa « qualche vo!- 
ta» e richiede quindi la negazione per aver signi- 
ficato iù 

.Né lagrime sì belle 
Di sì besli occhi uscir mai vide il sole ». 
(Petrarca, Son. 107). 

E il significato positivo è evidente in espressioni 
quali « Se mai egli capitasse da queste parti...» e 
simili. Ciò non impedisce, però, che mai, pur senza 
la negazione esplicita, la sottintenda, come, ad esem- 
pio, nel proverbio « Meglio tardi che mai ». 


— 327 — 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


dio può risolversi analiticamente in un sostantivo ret- 
to da preposizione o in un infinito (che è sostantivo: 
vedi $ 129 e segg.) retto da preposizione: nella ter- 
zina dantesca, il gerundio passeggiando =a passeg- 
gio, nel passeggiare; e recirculando = con movimento 
circolare. 


Nella notissima poesiola « La vispa Tere- 
sa » si susseguono parecchi gerundî: 


« A lei supplicando 

l’ajflitta gridò: 

« Vivendo, volando, 

che male ti jo? 

Tu, sì, mi jai male, 

stringendomi l’ale... » 
essi possono esser tutti risolti nel modo sud- 
detto: supplicando = con tono supplichevole 
(supplichevolmente); vivendo = con la Imia 
vita; volando = con il Imio] voto, con il [mio] 
volare; stringendo = con la [tua] stretta, con 
il tuo] stringere. 


417. — Il fatto che il gerundio possa 
‘ avere un complemento oggetto o altro com- 
plemento non attenua la sua qualità di avver- 
bio, come ($ 131) l'infinito non perde il suo 
carattere di sostantivo pur se regga un com- 
plemento oggetto o altro complemento. 
« .. Seggendo in piuma 
in fama non si vien, né sotto coltre » . 
(Inf., XXIV, 46-47) 

(Il gerundio — ossia avverbio — seggeri- 
do esprime il « modo » (la posizione) nella 
quale non si viene in fama; e in piuma speci- 
fica tale posizione avverbialmente espres- 


sa) (1). 


(1) Il dialetto veneziano esprime con una locu- 
zione avverbiale (« star in sentòn del leto ») la posi- 
zione di chi stia assiso nel letto, ma a gambe diste- 
se: l’equivalente italiano dovrebbe essere «stare a 
bioscia » (Cfr. P. Contarini, Vocabolario portatile del 
dialetto veneziano, 3% ediz., Venezia 1888, pag. 156), 


— 328 — 


GLI « AVVERBI-RUMORE » 


* * %* 


418. — Tra gli avverbî vanno classificati ‘quei 
tipici ed insieme eccezionali vocaboli che riproduco- 
no direttamente dei suoni o rumori, ossia le onom a 
topeiche. 


Le onomatopeiche sono senza dubbio di. 
natura speciale per quel che riguarda la loro 
etimologia, ma la loro funzione ha nettamente 
carattere avverbiale. 

Esse costituiscono l’accompagnamerito so- 
noro (1) dell’azione, e perciò qualificano il 
baglio con funzione più o meno ornamenta- 
le (2). 


ma non si può considerare appartenente alla lingua 
viva una espressione incomprensibile al 96% delle 
persone colte. — ‘Abbiamo in italiano avverbî che 
esprimono speciali posizioni del corpo: bocconi, gi- 
nocchioni, carponi, tutti con la stessa desinenza, espri- 
mendo la direzione della bocca, dei ginocchi, del car- 
po (della mano) verso terra. Per « carponi » il dialetto 
lugudorese ha le espressioni avverbiali imbàttula, ad 
s'imbàtula, che valgon forse « gattescamente » (battu 
= « gatto »). Cfr. V. Martelli, Vocabolario lugudo- 
rese-campidanese, Cagliari, Il Nuraghe, 1930, p. I, 
pag. 76; p. II, pag. 179. — Soltanto con gerundî pos- . 
sono .rendersi in italiano parecchie espressioni av- 
verbiali còrse, quali a salticchiéra, « saltellando »; a 
frauléra, «scagliando »; a lampéra, «lanciando (0 
lanciandosi) precipitosamente »; nei quali -era è una 
« desinenza usata a formare modi avverbiali indi- 
canti la maniera esagerata e frequente di fare una 
cosa» P. T. Alfonsi, // dialetto còrso nella parlata 
Balanina Livorno, Giusti, 1932, pag. 58. — Morfolo- 
gicamente simile ai nostri avverbî in -oni è il còrso 
camminoni-camminoni, « a passo svelto ». 

(1) Il coreano, ossia la lingua che più abbonda di 
voci onomatopeiche, le considera appunto come ele- 
menti musicali decorativi. Le enciclopedie coreane 
antiche (fino cioè alla fine del ’700) trattano queste 
voci sotto il titolo « Musica »: è vero che conside- 
rano « musica » anche molti altri fenomeni che noi 
classifichiamo come « fonetici ». Comunque, anche in 
“coreano, queste voci onomatopeiche sono veri e pro- 
prî avverbî (pusa). 

(2) Cfr. 8 311) 


“"t>a 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


Son perciò veri e proprî avverbî, tranne 


nel caso che siano sostantivate, dovendo allo- 


ra considerarsi nomi non diversi dagli aliri: 
il ghiaccio dell’infernal lago Cocìto, anche 
percosso da una gigantesca rupe cadente su 
di esso, 
« non avrìa pur dall’orlo fatto cricch. 
(Inf., XXXII, 30) 

« i cricch » equivale a « far rumore » con 
li differenza che il nome « rumore » è sosti- 
tuito da un avverbio sostantivato, meglio spe- 
cificante il rumore, perché « onomatopeico ». 
Così diciamo «il tic-iac dell'orologio », «il 
prolungato dritin di un campanello », ecc. (1). 
Ma allorché, generalmente come inciso ossia 
îra due virgole, la voce onomatopeica inter- 
viene per esprimere il « modo » in cui il fe- 
nomeno espresso dal verbo si svolge, evi- 
dentemente si tratta di un vero e proprio 
avverbio: « e gli uccellini, cip-cip, cip-cip, ac- 
correvano giocondi »: l’onomatopeica cip-cip 
equivale ad un gerundio (« cingueltando ») os- 
sia ad un avverbio (2). 

419. — Le onomatopeiche non mancano in al- 
cuna lingua, sebbene alcune ne siano poverissime. 


(1) La presenza dell’articolo conferma la qualità 
di sostantivo. In alcune lingue, in tali casi, si può an- 
che formare il plurale: es. « on entendait bien claîre- 
ment les deux ronrons du chat et de la bouilloire », 
« si udivano chiaramente i due ronron del gatto e del 
bricco ». 

(2) Nelle lingue che più abbondantemente e tipi- 
camente ne fanno uso, molte di queste onomatopei- 
che assumono un suffisso avverbiale: ad es. in corea- 
no il suffisso -taîta o -hata, che è tipico dell’avver- 
bio: così da gororòk-gororòk, « chicchirichì », si ha 


‘gororòk-gororòk-hata  (letteralm.: « chicchirichimen- 


te »). Egualmente può fare il giapponese, anche ric- 
chissimo di onomatopeiche, usando i suffissi -niî e -to: 
ad es.: kisha ga poppo-to kemuri wo haite... « il tre- 
no, sbuffando (letteralm. « vomitando fumo poppo- 
mente ») »; taiko ga dondon-ri natte iru, «un tambu- 


ro rulla con il suo rataplan» ({letteralm. « don-don- 
mente »). 


— 330 — 


PAESE CHE VAI, GALLO CHE TROVI 


È molto interessante osservare che i medesimi 
suoni o rumori non sono ugualmente interpretati e 
resi fonicamente nelle diverse lingue, persino quelli 
che a noi sembrano evidentemente corrispondenti alla 
nostra riproduzione fonetica. 


Per noi è evidente che l’abbaiar canino non 
possa meglio esprimersi che con « bù-bù », 
menire il vocabolo infantile francese iouiou 
deriva dall’interpretazione dell’abbaiamento 
(tou-tou) (1), e l'inglese ha bow-wow (2) ed il 
giapponese lo esprime nientemeno che con 
ghin-ghin. 

Il chicchirichì del gallo ha tante interpre- 
tazioni onomatopeiche diverse quante sono le 
lingue che lo riproducono. 

Vi sono rumori i quali non hanno, acusti- 
camente, alcuna Îfisonomia che ne Îfaciliti la 
trascrizione i in vocali e consonanti, sicché l’o- 
nomatopeica è puramente arbitraria. A noi 
sembra naturalissimo esprimere con pafapun- 
fete e con palatrac i rumori di una caduta e di 
un crollo, mentre per un Anglosassone l’ono- 
matopeica bang! è impiegata per gli usi più 
diversi, spesso equivalendo al nostro pum! o 
bum! 

Per noi il campanello ha l’indiscutile suo- 
no di flin o tino, se elettrico, di drin, laddove 
per un Tedesco esso suona R/ingling. 

420. — È anche molto interessante constatare 
che le lingue non hanno soltanto delle vere e pro- 
prie onomatopeiche, ma anche delle pseu- 
do-onomatopeiche, se così vogliamo chiama- 
re quelle voci che riproducono suoni e rumori non esi- 
stenti: hanno cioè un carattere evidentemuente musi- 
cale, esprimendo un suono immaginario: il suono cioè 
che sarebbe prodotto da un’azione, se questa produ- 
cesse un suono. 


(1) Il vocabolo appare anche letterariamente nel 
XVII secolo (Cyrano de Bergerac). 
(2) Pronunzia « bàu-uàu »). 


--,331 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


La più tipica ed eificace di queste voci è 
zip-zag, esistente in tutte le lingue europee. In 
italiano è un sostantivo, dal quale però si for- 
ma la locuzionne avverbiale «a zig-zag »: 


SOT 
E dukup: ou ju pi 


ur! eL0 


"i & g catia P) 
cock-a- doodle-doo! 


Biba 


B 34K3aKaMH 


A) Il canto del gallo per noi è « chicchiricchì » (1) € 
quasi lo stesso è in ceko (2), in tedesco (3), in spagno- 
lo (4: pronunzia kikirikì), ma diverso è in francese 
(5), in portoghese (6), in rumeno (7), in russo (8: pro- 
nunzia kukuriekù, poi che la lettera p è un r e y un 
u), in giapponese (9: pron. kokekokkéo), in coreano 
(10: pron. gororok-gororok), in mongolo (11: pron. 
gogou), in tibetano (12), e, per gli Anglosassoni (13) 
è cock-a-doodle-doo. — B) « Zigzag » é un sostantivo, 
come das Zickzack tedesco: e, in russo, lo si usa in 
«caso strumentale » (zigzakami). (68 418-420) 


— 332 — 


LE « PARA-ONOMATOPEICHE » 


« camminare a zi ig-zag », « ‘un tracciato a. zig- 
zag» (1). 

A tale categoria appartengono anche altre 
voci, alcune delle quali evidentissimamente 
avverbiali, es.: « procedere lemme-lemme » (2) 


421. — 1Il corretto uso delle onomatopeiche ha 
importanza non minore di quello degli altri vocaboli: 


(1) In inglese, zigzag può essere sostantivo (a zig- 
zag, some zigzags), avverbio (to run zigzag), verbo 
(fo zigzag, zigzagging): in tedesco è sostantivo de- 
clinabile (der Zickzack, des Zickzacks; plur. die Zick- 
zacke) o avverbio (zickzack laufen); il russo ha lo 
strumentale zigzakami, con funzione -avverbiale. 

(2) In questa categoria di pseudo-onomatopeiche 
Oo « para-onomatopeiche », o « onomatopeiche metafo- 
riche » appare ancora più evidente il temperamento 
artistico del popolo, poi che l’interpretazione musicale 
di ciò che non ha suono lascia libero corso alla fan- 
tasia. Ad un italiano non sembra naturale che. pop 
possa esprimere efficacemente una partenza improv- 
visa: e ad un Inglese, invece, è naturalissima l’espres- 
sione « he went off with a pop», «se ne andò via 
con un pop », cioè « di colpo » (il pop sarebbe appun- 
to il « rumore » immaginario di questo «colpo »); ed 
un Francese dice: « Crack! le voilà parti! ». Le due 
lingue estremo-orientali onomatopeiche per eccellen- 
za ci offrono gli esempi più curiosi: il coreano usa 
l’avverbio onomatopeico napsin-napsin-hata (hata = 
« -mente ») per esprimere ciò che si fa gingillandosi, 
scherzevolmente; al nostro « delicatamente, tenera- 
mente » corrispondono gli avverbî onomatopeici mal- 
làng-mallàng-hata, mullong-mullong-hata, mulsin-mul- 
sin-hata, nalsin-nalsin-hata; « nostalgicamente » è ghi- 
rùk-ghirùk-hata; « velocemente » gallòk-gallok (che cor- 
risponde al cinese k’udis-k'uàis, k'uài4-K'uài4-ti); « len- 
tamente » kKamàn-kaman (cinese man4-man4, man4-man4- 
ti). Per un Giapponese il sapore acre « fa hiri-hiri » 
(Giri-hiri suru); la carta sottile dà una sensazione 
« pera-pera », e « parlare fluidamente giapponese » si 
dice « Nihongo wo pera-pera-ni hanasu > (letteralm.: 
« Parlare giapponese pera-pera-mente »); altri curiosi 
esempî sono: O-jiisan mada pin-pin shite iru « il non- 
no agisce ancora pin-pin », cioè «e arzillo » kodomo 
wa pata-pata arukimasu, « qual bimbo cammina pata- 
pata », cioè «a passettini » (cfr. l’inglese « the child 
walks pit-a-pat »): persino per gli alberi cresciuti ra- 
pidamente si può usare un’onomatopeica efficace: ano. 
matsu no ki wa zun-zun sodachimashita, letteralm.: 


— 333 — 7 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


anzi, poi che esse rappresentano un elemento espres- 
siva e musicale insieme, ogni erroneo uso, nel parlare 
una lingua straniera, equivale ad una ridicola stona- 
tura (1). 


« quell’albero di pino è cresciuto proprio zun-zun »; € 
possiamo confrontare il giapponese « osoroshisa de 
ashi ga wana-wana furuela» (« per lo spavento le 
gambe tremavano [facendo] wana-wana ») con il no- 
stro «le gambe fanno lippe-lappe »: ed alla stessa 
categoria appartiene la curiosa espressione familiare 
«le gambe fànno Giacomo-Giacomo ». Anche l’ita- 
liano ha dunque le sue « giapponeserie » avverbiali 


onomatopeiche. 


(1) Vi è poi un effetto onomatopeico ottenuto con 
il raggruppamento di più vocaboli consonanti o asso- 
nanti producenti nel loro insieme un voluto effetto so- 
noro rappresentativo. Tipico e bellissimo esempio è 
il famoso esametro vergiliano descrivente con mira- 
bile efficacia il rumore del galoppo del cavallo: 

« Quadrupedante putrem sonitu quatit ungula 
campum » cui corrisponde il daharòth dahardth del 
testo ebraico dei Giudici (V, 22). 


de pen 


(Gli eredi della declinazione I 
(XX) 


422. — Speciale sviluppo hanno avuto le 
preposizioni nella trasformazione del 
latino in italiano. 

_ Ad esse infatti è stata affidata quella fun- 
zione connettiva che, nel' latino, si impernia- 
va sulla deélinazione (1). 


| Bvratooe / 


« Declinare » è « assumere una inclinazione »... Esem- 
pî di «casi» in greco (A), tedesco (B), serbo (C). 
(8 422) 


(1) Vedi 8 68. 


— 335 — 


À E: 
IUYATNO \ see 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


« Declinare » è, etimologicamente, assumere una 
maggiore pendenza, « inclinare »: implica cioè una no- 
zione angolare (1). 

L’azione del verbo transitivo passa direttamente 
(ossia nel senso che potremmo rappresentare geome- 
‘tricamente come « verticali ») sulla cosa che è « ogget- 
to» di tale azione, ed il sostantivo (o vocabolo so- 
stantivato) che lo esprime è appunto il « complemen- 
to oggetto » o «caso diretto »: l’accusativo del latino 
e delle altre lingue che hanno una declinazione. 

Allorché diciamo: « Chi lava la testa all’asino per- 
de il ranno e il sapone », abbiamo, la chiara nozione 
che l’« oggetto » che si lava è la festa e ciò che si per- 
de sono il ranno e il sapone, mentre l’asino, pur in- 
teressato nella faccenda, non ‘è direttamente (ossia 
tutt'intero) l'oggetto "del primo verbo: è connesso con 
l’azione di esso in un senso che possiamo appunto 
considerare « angolare » (2). 


(1) Nel linguaggio nautico si chiama « declina- 
zione » appunto l’angolo che l’ago magnetico fa con 
il meridiano geografico. Questa coincidenza dei due 
vocaboli, grammaticale e nautico o astronomico, non 
deve però indurre a confonderli in altre lingue: in 


inglese, ad esempio, essi, pur coincidendo per etimo-: 


logia, sono distinti: è declination (o anche variation) 
quella magnetica o astronomica, mentre è declension 
quella morfologica grammaticale. Molti termini gram- 
maticali sono, in inglese, distinti da quelli comuni: 
così il « genere» è gender (in scienze naturali è ge- 
nus), il « tempo » è tense e non time; per « far l’ana- 
lisi grammaticale », l’ingiese ha un verbo speciale, fo 
parse; e per « compitare lettera per lettera» il verbo 
to spell (cfr. la nota al 8 160): « How do you spell 
your name? ». « Come si scrive. il vostro nome? », 
(2) Il latino esprime in accusativo (caso diretto) 
ed in dativo (caso obliquo) i due diversi rapporti. — 
Il proverbio latino non coincide, per vocaboli, con 
quello italiano, ma mantiene i medesimi rapporti 
grammaticali, poi che dice: « Zrngrato benefaciens per- 
dit oleum et operam », « Chi fa bene ad un ingrato 
(dativo) ‘spreca olio e fatica (accusativo). — Lo stesso 
concetto non è però espresso con il medesimo « an- 
golo » nelle varie lingue (cfr. 8 434), potendo ciascuna 
usare un diverso caso obliquo: il proverbio francese, 
ad esempio, dice: « A laver la tète d’un dàine, on perd 


— 336 — 


L’OBLIQUITA DEI CASI 


423. — Questa nozione « angolare » (ossia 
di « declinazione ») è espressa appunto con le 
- preposizioni, le quali pongono i nomi in « caso 
obliquo », aîfinché essi possano assumere la 
iunzione di « complemento indiretto ». 
Nel latino — come in tutte le lingue che conser. 
vano la declinazione — tale còmpito era affidato alle 
desinenze. 


Per quanto ricca di desinenze potesse essere Q 
possa essere una lingua, le « possibilità » angolari so- 
no limitate: il latino aveva sei casi (1), il greco cin- 
que (2), il tedesco ne ha quattro (3), le lingue slave 
sei o sette (4), però, con frequenti coincidenze morfo- 
logiche fra caso e caso. 


son savon », e lo spagnolo « Lavar cabeza de asno, 
perdimiento de jabòn »: il proverbio tedesco lava l’asi- 
no tutt’intero: « Wer den Esel mit Seife wdscht, hat 
schlechten Lohn davon ». 

(1) Senza calcolare il « locativo », che nel latino 
classico ha lasciato solo poche tracce isolate: domi, 
«in casa»; ruri, « nella villa »; humi, « per terra, in 
terra »; e nei nomi di luogo. Il domi (e anche domo) 
di Cicerone diventa in domo in Seneca. — Cfr. C. H. 
Grandgent, op. cit., pag. 57, 8 86. 

(2) Nel greco classico rimangono tracce degli altri 
casi, cioè dell’ablativo, dei locativo e dello strumen- 
taie. Cfr. L. Macinai e L. Biacchi, Grammatica greca, 
22 ediz., Roma, Lux, 1900, pag. 47, $ 19-bis. — Il 
greco moderno conserva il dativo soltanto nella lingua 
scritta: la lingua parlata lo sostituisce con l’accusa- 
tivo preceduto dalla proposizione eis (pronuncia is). 
—: Cfr. C. Capos, Nouvelle grammaire grecque, Hei- 
delberg, Groos, 1908, pag. 20; e Palumbo, Grammatica 
del greco volgare, Heidelberg, Groos, 1907. 

(3) Lo stesso numero di casi, cioè, che aveva il 
gotico: nominativo, genitivo, dativo e accusativo: il 
vocativo non aveva forma propria: si usava — come 
si usa in tedesco — il nominativo, ma, in alcuni casi, 
l’accusativo. — Cfr. 8 241. — Cfr. S. Friedmann, Lin- 
gua gotica, con speciale riguardo al tedesco, inglese, 
latino e greco, Milano, Hoepli, 1896, pag. 14. i 

(4) Il russo non ha l’ablativo, ma lo «strumen- 
tale » (tvarìtelnyi padièsg’) esprimente, senza prepo- 
sizione, lo strumento, il mezzo dell’azione, ed il « pre- 
posizionale » (prédlosg'nyi padièsg’), che è sempre ret- 


— 337 — 


Tese dgo as 


ASA E TL ni dn rl|L1111_—_—__—_—_—1—_—__———— _—_mr——_—_——90Ò0ooIÒT 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


‘I «casi» son dunque insufficienti ad esprimere 


tutta la grande varietà dei complementi. Perciò anche. 


le lingue con nomi a flessione (declinazione) necessi- 
tano di preposizioni, destinate ad ovviare a 
tale deficienza espressiva. | | 

Persino quelle lingue che hanno un grandissimo 


numero di casi necessitano di preposizioni (o postpo-. 


sizioni). Il primato per dovizia di «casi» spetta a 
due lingue agglutinanti: il finlandese con i suoi 15 
casi (1) ed il birmano con 17 (2); ma neppure tanta 
ricchezza morfologica. impedisce a queste due lingue 
di dover ricorrere a costrutti preposizionali. 


424. — Le preposizioni sono così. 


chiamate perché si « prepongono » al nome, a 
differenza delle desinenze che erano aggiun- 
te ad esso nella declinazione. 


425. — In origine, la preposizione non era 
che un avverbio, esprimendo appunto una mo- 
dificazione ‘dell’azione verbale. Anche nella 
sua funzione attuale essa, pur reggendo un 


to da preposizione. — Cfr. R. Gutmann-Polledro & A. 
Polledro, Grammatica russa teorico-pratica, 3% ediz., 
Torino, Lattes, 1933, pag. 19. — Il serbo e il croato 
hanno anche il «locativo », il quale esige però an- 


ch’esso la preposizione. — Cfr. B. Guyon, Grammatica 
teorico-pratica della lingua serba, Milano, Hoepli, 
1919, pag. 45 e segg. — G. Androvic’, Grammatica 


della lingua croata, 4% ediz., Milano, Hoepli, 1942, 
pag. 53 e segg. 

(1) Nominativo, genitivo, accusativo, partitivo, in- 
struttivo, comitativo, privativo, essivo, traslativo, ines- 
sivo, elativo, illativo, adesivo, ablativo, allativo, senza 
tener conto di un «prolativo » di alcuni sostantivi 
come meri, « mare » (meritse, « per via di mare »), maa, 


« terra » (maitse, « per via di terra »). — Cfr. A. Hà- 
màlainen, Finnisch, Berlin, Langenscheidt, 1917, p. 22 
e segg. 


(2) Nominativo, nominativo specifico, nominativo 
enfatico, oggettivo, oggettivo specifico, possessivo, da- 
tivo, dativo finale, causativo, strumentale, connettivo, 
locativo, locativo specifico, ablativo, ablativo nomi- 
nativo, vocativo, espletivo. — Cfr. A. Judson, A Gram- 
mar of the Burmese Language, Rangoon, Phinney, 
1888, pag. 17 e segg. 


— 338 — 


NATURA DELLA PROPOSIZIONE 


sostantivo, è ideologicamente connessa con il 
verbo, che ne resta modilicato. 

Allorché diciamo « passarono sotto il ponte» e 
« passarono sopra il pontc», percepiamo benissimo 
che non soltanto il ponte è affetto dalla nozione pre- 
posizionale, ma anche l’azione del passare ha una mo- 
dificazione (1). 


426. — Il valore « avverbiale » viene con- 
servato e reso ancora più evidente allorché le 
stesse parole che servono come « preposizio- 
ni » si combinano con un verbo, generando un 
verbo composto. 

È evidentissimo che in verbi quali comporre, sot- 
tostare, percorrere, trasferire, addurre, circondare, 
ecc., i varî prefissi (« con- », «sotto- », « per- », lat. 
trans-, « ad- », lat. circum-) non potrebbero aver fun- 
zione più tipicamente « avverbiale », cioè modificatri- 
ce del verbo, poi che formalmente si incorporano ad 
esso, formando quindi anche nel pensiero un’idea 
unica con il verbo stesso. 

La natura avverbiale della preposizione af- 
fiora nuovamente, allorché essa viene a trovarsi priva 


(1) Infatti il gesto eventuale che accompagni tali 
espressioni non allude soltanto al ponte, ma anche 
allo specilale modo di-passare. — Il gesto, spontaneo 
ed atavico in ciascun popolo, è commento, interpre- 
tazione e complemento del linguaggio orale, quando 
non ne è addirittura un surrogato. Verbo ed avverbio 
si unificano nell’interpretazione mimica. Presso molti 
popoli, ad esempio gli Halkomelen della Columbia 
Britannica, « un terzo almeno dei significati delle loro 
parole o delle loro frasi è intimamente legato ai gesti. 
Se un Coroado vuol dire «io andrò nel bosco » egli 
dice « andare nel bosco » e con un movimento della 
bocca indica la direzione che vuol prendere ». Ed al- 
tri numerosi esempî son elencati da L. Lévy-Bruh], 
Les fonctions mentales dans les sociétés inférieures, 
Paris, Alcan, 1910, pag. 182 e segg. — « Nell’Africa 
occidentale non si può parlare nelle tenebre, essendo 
invisibili-i gesti» A. H. Kingsley, Travels in West 
Africa, London, 1897, pag. 439, — e «la determina- 
zione del verbo è stabilita dal gesto che l’accompa- 
. gna » J. L. Wilson, cit. dal DEE Primitive Culture, 
vol. I, pag. 149. 


— 339 — 


Fe a. 


I usnesntiotnt 


-29T YFre pois *» d. 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


del sostantivo cui si riferisce. Perciò il francese può 
dire « /ls prirent son manteau et s'en allèrent avec », 
« Presero il suo cappotto e se lo portarono via »: in 
cui « andarsene-con » forma un’idea unica. E analoga 
struttura (sintattica e quindi ideologica) è ancor più 
frequente in inglese: the man she was speaking with, 
« l’individuo con il quale ella parlava » (letteralmente: 
« l’individuo [che] ella parlava-con »); the book he is 
looking for, «il libro che egli sta cercando » (dlette- 
ralm. « il libro [che] egli guarda-per »). Considerando 
la « preposizione » aggregata al verbo, e perciò in fun- 
zione avverbiale, queste strutture ci divengono chiare, 
e ne è quindi facilitato l’uso. 

427. — Queste premesse sorio indispensa- 
bili perché, chiarendo la natura e le funzioni 
della preposizione, servono a spiegar- 
ci anche altri fenomeni che ci apparirebbero 
illogici se non addirittura paradossali. 

Così, ad esempio, può sembrar curioso che, 
nel distinguere lo « stato in luogo » dal « mo- 
to a luogo », le lingue fornite di declinazione 
pongano in caso diverso non il nome espri- 
mente la cosa che sta ferma o si muove, ma 
il nome esprimente il luogo, le cui condizioni 


reali non mutano. 
Si dice in latino Caius Romae habitat, « Caio abi- 


ta a Roma», e Caius Romam venit, « Caio è venuto 
a Roma », ponendo in genitivo-locativo oppure in ac- 
cusativo proprio Roma, che resta immutata, mentre 
non varia Caio, nel quale è la differenza reale di sta- 
to o di moto. Parimenti, in altre linguc, l’espressione 
« nella scatola » assume una forma grammaticale di- 
versa, a seconda che l’oggetto vi stia o vi sia posto, 
sebbene la scatola non muti affatto nella realtà. 
L’apparente stranezza ha invece la sua lo- 
gica spiegazione allorché si consideri che di- 
cendo in der Schachiel o v Raròpku o v iàsc’cik 
(moto a luogo) invece che in der Schachtel o 
v Raròpkie o v iàsc’cikie (stato in luogo) non 
si intende che il recipiente subisca una modi- 
ficazione, ma che sia diverso il rapporto di 
esso con il verbo: tale diverso rapporto è 


co #40 = 


I TRE STADI LOCATIVI 


mn capsa n ‘capsàm 


in der Shaohtel in Sie Shadtel 
B kopoòke _ B Kopo0xy 
B AIMMKe B SHIHK 


mn the box into the box 


nella scatola 

| en la caja —. | 
STATO nacara MOTO 
IN LUOGO dans la boîte AA LUOGO 
Tre stadî grammaticali: I) Il mota influenza morfo- 


logicamente il luogo; II) Il moto influenza la prepo- 
sizione; III) Il moto non influenza né l'una né l'altra 


(8 427) 
— 341(=, 


affini: e EST 


£ Ye koh «a. 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


espresso dalla desinenza, la quale è un com- 
pletamento dell’idea preposizionale: 0, più 
esattamente, la preposizione ha la funzione di 
completare ‘specificamente l’idea che la sola 
desinenza del « caso» non è sufficiente ad 
esprimere (1). 

428. — L'uso del « caso » completato da 
una preposizione rappresenta uno stadio in- 
termedio tra l’espressione sintetica e l’anali- 
tica. 

Più vicino all’espressione analitica è il co- 
strutto di quelle lingue nelle quali la difîe- 
renza tra « stato in luogo » e « moto a luogo » 
è resa con differenti preposizionui (2). 

Completamente analitiche son le lingue 
neolatine, avendo abolito ogni differenza an- 
che nelle preposizioni: queste hanno il sem- 
plice significato locativo: se si tratti di 
« stato » e « moto » sono di pertinenza espres- 
siva del verbo. 

429. — Come si vede, l’esame di differenti 
lingue serve ad illuminarci sulla evoluzione 
della mentalità linguistica. Con questi con- 
ironti constatiamo inolire la grande coerenza 
della lingua italiana con il criterio fondamen- 
tale prevalentemente analitico che ne regola 
le espressioni. 


(1) Si noti anche l’analogia per cui ila preposi- 
zione in non è necessaria, in latino, dinanzi a quegli 
stessi nomi (città e piccole isole) che nelle lingue 
neolatine non prendono l’articolo (vedi 8 345-347). Essi 
necessitano di una minor determinazione, poi che la 


localizzazione è già espressa con sufficiente 


precisione. 

._ (2) Intermedio tra i due stadî (I e II) ossia con 
le caratteristiche di entrambi è il costrutto locativo 
greco classico, in cui lo «stato in luogo » è espresso 
da en con il dativo, ed il « moto a luogo » con eis e 
l’accusativo. Il greco moderno segue ie norme classi- 
che nella lingua scritta, mentre nello stile parlato non 
fa distinzione, usando sempre eis (pronunzia is) o es, 
o 5 o sé con l’accusativo, sia per lo Stato che per il 
moto: « eis tèn pòlin», «in città, nella città, alla 
città » (cfr. 8 370). 


— 342 — 


Lama 1 e lAbiuian e cera | amm — ——_————_—ointe n, 


TRE DIVERSI « DOVE» 
less 
430. — Il medesimo criterio ha indotto la 
nostra lingua ad abolire la differenza morîfo- 
logica degli avverbî locativi, non di- 
stinguendosi in essi lo « stato in luogo » dal 
«« moto a luogo » né dal « moto da luogo » (1). 


hol? )honnan 


going to? î coming from? 

La localizzazione può essere statica o implicare mo- 
to... (8 430) - 

Gli studenti di latino non debbono stupirsi se l’in- 


segnante considera gravissimo errore l’uso di ubi per 
quo e viceversa (2). 


(1) Questi -paragrafi son collocati qui, appunto per 
la loro analogia con le preposizioni locative. Queste 
rispondono alle domande dei pronomi locativi inter- 
rogativi. 

(2) È nota ed istruttiva la barzelletta, utilmente 
ripetuta ad ogni novizio di studî latini. All’allievo che 
chiedeva: « Ubi vadis, magister? », l’insegnante rispon- 
de: « Ad reperiendum quo! » (« A ritrovare il quo! »). 


i 7. 


? 4 dI di hd 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


Pur nelle lingue più lontane, questa differenza, se 
esiste, va rispettata rigorosamente. 

Per un Ungherese o per un Giapponese, esatta- 
mente come per un Tedesco, i tre avverbî interroga- 
tivi locativi rappresentano tre domande ben diverse, 
in due delle quali essi riconoscono una vera e propria 
« freccia di direzione » esprimente il « moto a luogo» 
o la « provenienza ». 

L’inglese ha un solo «dove» iniziale, ma esso è 
completato con una preposizione (propriamente av- 
verbio; vedi 8 428): il to della domanda per il « moto 
a luogo » è il medesimo che trasforma la preposizio- 
ne in (stato in luogo} in into (moto a luogo) (1). 

Nelle lingue che hanno tale differenza, lo 
scambio dei diversi avverbî è errore grave, 
poi che essi corrispondono a tre differenti idee: 

quo? = [stando] dove? 
ubi? = [andando] dove? 
unde? = [venendo] da dove? 

È perciò un controsenso dire «ubi vadis? », poi 
che equivarrebbe a « vai stando dove? », oppure « quo 
es? » che significherebbe «stai fermo movendo verso 
dove? ». 

La lingua italiana ha escluso dall’avverbio loca- 
tivo ogni idea di stato o di moto, e perciò il nostro 
«dove» ha sostituito tre diversi avverbî latini. In 
tanto li ha sostituiti però, non in quanto il « dove » 
equivalga ad essi, ma perché, in coerenza con il gene- 
rale criterio analitico, ha scisso dall’avverbio ed ha 
affidato al solo verbo ogni còmpito espressivo delle 
idee di «stato » o di « moto ». 


(1) Ed è il medesimo fo, implicante idea di « mes- 
sa in moto », che l’inglese prepone all’infinito. (Cfr. 
8 150 a pag. 97). L’aderenza del to con l’infinito è 
anzi così intima che l’inserzione di un avverbio o lo- 
cuzione avverbiale tra i due equivale a «spaccare 
l’infinito » (to split an infinitive), e ciò è condannato 
dai puristi come « norma abusiva dello stile scadente » 
(«a shibboleth of second-rate style ». J. F. Genung, 
The working principles of Rhetoric, Boston, Ginn, 
1900, pag. 230. — Cfr. anche la divertente trattazio- 
ne in H. W. Fowler, A Dictionary of Modern English 
Usage, Oxford, Clarendon Press, 1927, pag. 558-561). 


Id 


_. ni AE ho - 7 dr 


I VARI UFFICI DEL «DI » 


* * %* 


431. — Il limitato numero di « casi » con- 
tro la grande varietà di complementi possibili 
rendeva necessario l’uso di un medesimo caso 
per complementi diversi, accompagnandolo 0 


non con preposizioni. 
Il genitivo latino, ad esempio, non è mai accom- 


pagnato da preposizione: sua funzione caratteristica è 
quella di esprimere il « complemento di specificazio- 
ne »: ma anche tale complemento può avere significati 
ben differenti: il « genitivo » che è in flumen Italiae 
non è del medesimo significato di quello che è in am- 
phora aquae: nel primo caso si specifica che il fiume 
è «d’Italia » (genitivo) in quanto è «in Italia », men- 
tre nel secondo l’anfora è «di acqua» (genitivo) in 
quanto è piena di acqua, ossia è proprio l’acqua che 
è nell’anfora e non l’anfora nell’acqua (1). 

Persino in casi in cui il « complemerto di speci- 
ficazione » sembra grammaticalmente identico, una 
certa differenza è osservabile. Allorché diciamo «la 
casa di Dante », la preposizione « di» non esprime 
il medesimo rapporto con Dante che allorquando di- 
ciamo «il poema di Dante » o «il ritratto di Dante »: 
la casa appartenne a Dante, il poema fu scritto da 
Dante, il ritratto raffigura Dante: i tre « rapporti » son 
‘ben diversi. Ed esiste persino una differenza di rap- 
porto con Dante allorché diciamo «la casa di Dante » 
oppure «la tomba di Dante »: in quella era Dante 
vivo, in questa giacciono i resti di Dante. 

432. — Oltre i suddetti complementi, la preposi- 
zione « di» può servire ad esprimerne parecchi altri, 
i quali possono non coincidere affatto con il genitivo 
latino o di altre lingue, né la nostra preposizione va 
sempre resa con le equivalenti preposizioni in altre 
lingue (inglese of, tedesco von, francese, spagnolo e 
portoghese de, ecc.). 


(1) Tra i numerosi manuali di avviamento allo 
studio latino ve ne sono di eccellenti: particolare se- 
gnalazione merita, per chiarezza, quello — pur rigo- 
rosamente tradizionalista — di Q. Ficari, /anua: analisi 
logica e prime letture latine, Roma, Sormani, 1938, 
con un nitido « Quadro sinottico dell’uso dei casi». 


— 345 — 


murzvpr Suri fici ire US 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


Può trattarsi, ad esempio, di un complemento di 
origine, natura, patria, provenienza: pesce d’acqua 
dolce ,Dionigi d' Alicarnasso; vien di lontano, porcella- 
ne di Sèvres, nuovo di zecca, fresco di bucato. 


« di quella nobil patria natìo » 
(Inf., X, 26). 

Può esprimere misura: un foro di 4 millimetri, 
una pistola di calibro 8, una tensione di 20.000 vol- 
ta (1), ecc. l 

Può indicare il soggetto, l'argomento: si parlava 
molto di lui, un libro di grammatica, che c’è di nuo- 
\o?; oppure di maniera: di corsa, di trotto, di sfug- 
gita, dì traverso, di fretta (meglio in fretta). 

Può anche esprimere complemento di agente o 
causa: 

«semo perduti, e sol di ‘tanto offesi, 
che sanza speme vivemo in disìo ». 
(Inf., IV, 40-41). 
E la serie è ben lungi dall’esser completa. . 


433. — Non meno ricca di significati diversi è 
la preposizione da, che ha anch’essa numerosissime 
accezioni differenti, come appare dalla vignetta ac- 
clusa, nella quale pur non son compresi molti altri 
usi: es. un motore da 8 cavalli-vapore, chi fa da sé fa 
. per tre, l’aspettiamo da tre ore, questa porta si apre 
da dentro, di là dal confine, ecc. 

Percepiamo benissimo che tutti questi da esprimo- 
no relazioni differenti. 


434. — Praticissima e facile regola per ri- 
conoscere di quale complemento si tratti, os- 
sia come debba esser espressa la preposizione 
passando ad altra lingua, è quella di sostituire 
la preposizione stessa con un costrutto che 
dica esattamente la stessa cosa. 

Allorché, ad esempio; diciamo la città di Firenze, 
sentiamo che il rapporto con Firenze non è il mede- 


. . (D Oppure di 20.000 volt, adottando il vocabolo 
internazionale; ma non volts, con una desinenza eso- 


tica per un vocabolo tanto gloriosamente italiano! 
(cfr. 8 223). i 


n pra 


* POLIEDRISMO PREPOSIZIONALE 


simo che allorché diciamo una veduta di Firenze o i 
palazzi di Firenze. In questo secondo caso la prepo- 
sizione di ha il suo vero valore di « specificazione », 
mentre la città di Firenze significa la città che ha no- 
me Firenze; e così, diventa evidente che in latino si 
debba usare non il genitivo ma il « nominativo ». 


una donna dai capelli ne- 
ri guarda dalla finestra 


CARTE DROGHERIA il pacco 
DAPARATI] | @z--1.datole 


i stag 7 / \) 
va dal droghiere ma esce dal 
| droghiere 
non lontano a 
dal droghiere i 


Una medesima preposizione può aver significati ben 
differenti esprimendo rapporti diversi... (8 433) 


Non facile è il corretto uso delle preposi» 
zioni nelle lingue straniere, e spesso proprio 
in quelle che maggiormente sembrano avvi- 
cinarsi alla nostra, poi che più agevole è l'er- 
rore di trasportare 1 In esse quel tipo di « con- 
nessione » che ci appare naturale e logico e 
che, invece, è tipico della nostra lingua, e che 


0 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


quindi può essere — e assai spesso lo è — 
ben diverso in un altro idioma (1). 

Analisi e riflessione ci riveleranno, ad esempio, 
che « andare in bicicletta » non significa essere nel 
veicolo come quando si va «în treno » o « in barca » 
o «in aeroplano », e ci sarà agevole comprendere e 
ricordare perché il francese dica, invece, « aller à bi- 
ciclette », come dice « aller è cheval », poi che la po- 
sizione è la stessa. Allorché diciamo « parlare col 
raso », la preposizione con esprime un rapporto ben 
diverso di quel che essa esprime allorché diciamo 
« parlare con un amico »: ed il francese dice infatti 
« parler du nez », il tedesco « durch die Nose spre- 
chen ». | 


435. — Per analogia con la matematica, 
possiamo applicare il criterio della « scompo- 
sizione in fattori primi ». Se il significato della 
preposizione non è scomponibile in altre idee, 
la preposizione ha il suo pieno valore, appun- 
to come un numero non scomponibile in fatto- 
ri primi è un numero « primo », cioè inscin- 
dibile (2). 

436. — Buona guida è anche il « sentimen- 
to » (cÎr.8 52 e 8 108), specialmente in quelle 
espressioni che hanno appunto un contenuto 
affettivo. 

Il «dativo etico » esprimeva appunto, in latino, 
questo rapporto che è parzialmente « finale », mentre 
esprime anche interesse, affetto, piacere o dispiacere: 
tale « dativo » — per indicare il quale la qualifica di 


© (1) « Toute collectivité humaine identifie ou as- 
simile les idées d’une manière particulière et caracté- 
ristique. Les peuples divers voient les choses et les 
faits sous des angles différents et sont diversement 
impressionnés; chaque nation persoit les étres et les 
mouvements d’une facon qui lui est propre ». I. Ep- 
stein, La pensée et la polyglossie, Paris, Payot, 1910, 
pag. 100. 

. (2) Per la comprensione razionale dei numeri pri- 
mi, cfr. Toddi, / numeri, questi simpaticoni, 32 ediz., 
Milano, Hoepli, 1945, pag. 60 e segg. 


— 348 — 


VE EE (IRE SE BE 


sa 


. IL DATIVO ETICO 


etico è ben appropriata — è conservato in italiano: 
id vobis bene est, «ciò va bene per voi», questo vi 
sta bene!» (anche nel senso ironico): « quid mihi 
Caius agit? « Che diamine mi sta combinando Caio? ». 


437. — La comprensione di questo fattore 
sentimentale in una preposizione giova non 


di Firenze 

dildi 3131 

2}? 4j 1 
| . 


ni 


Analizzare le preposizioni con il criterio della scom- 

posizione in fattori primi... (Firenze, in una xilogra- 

fia di Michele Wohlgemuth e Guglielmo Pleydenwurff 

nel Liber Chronicarum di Sebaldo Schedel, . 1493). 
| i ‘ (8 435) 


soltanto a renderne la natura e l’efficacia al- 
lorché si voglia esprimere la medesima cosa 
in una lingua straniera, ma l’analisi psicolo- 
gica e linguistica di tali espressioni ci rivela 
connotati interessanti sulla mentalità dei po- 
poli e persino sulla loro visione della realtà. 


‘949 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


- 


Sol chi si ponga da un punto di vista del creden- 
te potrà infatti intendere tutta l’efficacia espressiva 
della comune invocazione italiana « Fatelo per le ani- 
me sante del Purgatorio! »: la preposizione ha ap- 
punto un contenuto etico-religioso (1): e si intenderà 
anche il valore, che non è aridamente grammaticale, 
dei numerosi per che sono nel Cantico delle Creature 


. di S. Francesco: 


« Laudatu sii, mì Signore, per frate ventu 
et per aere, et nubilu, et serenu, et onne tempu... » 


(1) Il sostantivo inglese sake è tipicamente espres- 
sivo di questo valore affettivo adombrato in un voca- 
bolo. Originariamente affine al tedesco Sache, « cosa», 
ha acquistato un significato prevalentemente etico, 
proprio come il latino causa, da: cui il nostro « cosa», 
ha anche dato «causa» nel senso di procedimento 
giudiziario nel quale sia in gioco l'interesse‘ mate- 
riale e morale delle parti. (Cfr. E. Weekley, The Ro- 
mance of Words, London, Murray, 1925, pag. 2). — 
Le espressioni « for charity's sake! », « for Goodness 
sake! », « for charity's sake! » (« per l'amor di Dio! »), 
« for mercy's sake », « for pity's sake! » (« per pietà! »), 
« for old sake’s sake!» («in nome dei tempi passa- 
ti! ») illuminano questo feeling, che si ritrova in name- 
sake che non esprime soltanto « omonimia »: se ad 
un bimbo è imposto il nome di Jàmes in onore del 
nonno, il rapporto di esser namesake, ossia « omoni- 
mo » non è soltanto onomastico ma anche. affettivo. 
— Parimente non si può intendere la vera differenza 
intima tra le due postposizioni locative giapponesi ni 
e de (equivalenti grammaticalmente alla nostra pre- 
posizione «in») se non si prende come chiave la 
mono no aware, ossia quel sentimento di tenerezza e 
sintonia che armonizza in un tutto affettivo esseri 
umani e cose, e per la quale anche l’ambiente « par- 
tecipa » all’azione umana. Si comprende così perché il 
Giapponese usi ni come semplice indicazione di « stato 
in luogo » senza azione, mentre usa de (strumentale) 
allorché vi si compia un’azione, qualunque essa sia. 
poi che anche il luogo è « strumentalmente » connes- 
so con essa. Es.: niwa ni wa kodomo ga orimasu, « nel 
giardino c’è un bimbo »; niwa de wa kodomo ga aso- 
bimasu, « nel giardino un bimbo gioca ». 


-— 350 — 


fé 


Le voci connettive 


(XX1) 


438. — I concetti, espressi in « pro- 
posizioni » (vedi $ 125), sono connessi fra lo- 
ro (1). | | 

Alla concatenazione mentale corrisponde 
la concatenazione dell’espressione linguisti- 
ca (2). 

Tale concatenazione è talora evidente di 
per sé, ed il nesso tra i concetti non necessita 
di speciale indicazione con parole specifiche: 
è sottintesa nella pausa, breve o lunga, che 
intercorre tra le proposizioni di un periodo e 
tra i periodi del discorso. 


Anche nel discorso in cui «si salta di palo in 


(1) Secondo R. Avenarius il concetto rappre- 
senta un risparmio di energia, permettendo di abbrac- 
ciare con il minimo sforzo un gran numero di oggetti, 
e ciò risponde al criterio che lo Avenarius pone a 
base della conoscenza, per cui — per il principio d’i- 
nerzia e del minimo consumo di forza — l’anima non 
adopera in una percezione più forza di quella che 
| sia necessaria. — Cfr. A. Avenarius, Kritik der reinen 
Erfahrung, 1888-1890. — Vedi oltre, $ 452. 

(2) Secondo un felice paragone di J. Piaget, «il 
linguaggio fa uso costante di spago », poi che le con- 
giunzioni e le preposizioni son lo spago del linguag- 
gio, per tener unite le idee. I bimbi che non sanno an- 
cora far uso di tali parole di collegamento « sont des 
enfants qui ne savent pas faire de paquets ». J. Pia- 
get, La pensée symbolique et la pensée de l’enfant, 
in «Archives de Psychologie », Genève, 1923, V, 
pag. 302. 


— 351 — 


———_ Py VEO dd a.t. 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


frasca » vi è una connessione, per associazione 
di idee (I). 


Ad esprimere la connessione tra le propo- 
sizioni serve una speciale « parte del discor- 
so » e cioè la congiunzione. 


439. - La congiunzione compie, ri- 
spetto alle proposizioni, la stessa funzione che 
la preposizione compierispetto ai nomi 
ed altre parole. 

In alcune lingue molte congiunzioni coincidono 
con le preposizioni (2). 

La correlazione tra congiunzione e preposizione 
è dimostrata dal fatto che una preposizione può so- 
stituirsi ad una congiunzione allorché un verbo di mo- 
do finito sia mutato in un sostantivo (infinito, cfr. 
8 129 e segg.): es. « Siccome egli ha scritto, si è final- 
mente saputo dov'è » —« Dal suo scrivere (o « dal 
. l'aver egli scritto ») si è finalmente saputo dov'è ». 


440. — Le congiunzioni sono così 
chiamate perché « congiungono » le proposi- 


(1) Allorché questa associazione ha calatteri tali 
da poter apparire stravagante all’interlocutore, sen- 
tiamo il bisogno di segnalargli l’inattesa ed apparen- 
temente illogica deviazione. A tale scopo è destinata 
la formula « a proposito », la quale — contrariamente 
al significato letterale — serve generalmente ad in- 
trodurre concetti i quali non presentano una connes- 
sione con i concetti ai quali fan seguito. Pur se non 
v'è connsssione «logica », v'è però pur sempre una 
connessione « ideologica », -costituita appunto dall’as- 
sociazione di idee. E ciò dimostra ancora quanto 
complesso e interessante sia lo studio del nesso tra 
formule linguistiche e pensiero. 

(2) Il giapponese Kara, ad esempio, è una « post- 
posizione » che vale la preposizione «da» (prove- 
nienza, causa) se regge un nome, mentre vale una 
congiunzione (causale) se regge un verbo: sono tega- 
mi kara, « dalla sua lettera », Kaita kara, « poich8 
[egli] ha scritto »: con la postposizione concretiva no 
si può sostantivare tutta una proposizione, la quale 
diventa così un nome e può esser retta da postposi- 
zioni (= preposizioni): sono tegami wo kaita no de, 
«per (de, postposiz. strumentale) il fatto di (no) 
aver scritto la lettera ». 


ni: 850) 


tn 


Scilla e Cariddi non fanno più paura... ($ 378). 


n TREZIN x SA 


YSIAVNAL®S> ANDÒ CONCITA POR 
NOCEREPOLTAROioa 


... diversi valori della preposizione « di» ($ 431). 


La casa di Dante (a Firenze) — La tomba di Dante (a Ravenna)— Il poema 
di Dante (tavola di D. pA MIcHELINO, in S. Maria del Fiore). 


RANGO DELLE PROPOSIZIONI 


zioni: queste possono essere dello stesso ran- 
go o di rango diverso. Nel primo caso le con- 
giunzioni sono coordinanti o coordi- 
native, nelsecondo sono subordina n- 
tio subordinative. 


« Lo giorno se n’andava, e l’aer bruno 
loglieva gli animai che sono in terra 
dalle fatiche loro; e io sol urto 
m ’apparecchiava... 

(Inf., II, 1-4). 


Le tre proposizioni (1) esprimono tre eventi che 


«sono sul medesimo piano: sono l’esposizione di tre 


fatti che avvengono parallelamente, espressi senza 
nesso di interdipendenza: ia congiunzione e, indican- 
te tale « coordinazione » è una congiunzione Ccoor- 
dinativa. 

Allorché, invece, diciamo: « Se non ‘è vera, è ben 
trovata », la prima proposizione non è sullo stesso 
piano che quella principale: esprime una condizione, 
ossia quasi un retroscena, un «secondo piano »; ap- 
partiene insomma ad un altro rango. Vi è un nesso 
di dipendenza, e tale nesso è espresso appunto dalla 
congiunzione ipotetica se, che è congiunzione subo T- 
dinativa. 


441. — Le preposizioni possono ripartirsi 
in tante specie quante sono le relazioni di 
coordinazione e di subordinazione che esse 
esprimono. 


442. — Tra le congiunzioni coordinative le 
più importanti e Îrequenti sono: 
le congiunzioni copulative, le qua- 
li si limitano ad esprimere una pura e sem- 
plice unione di due proposizioni, affermativa- 
emnte o negalivamente: tali sono €, ariche 
(positive); né, neanche, neppure, nemmeno 
(negative); 


(1) Non tenendo conto dell’inciso «che sono in 
terra ». 


» — 353 — 
23 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


Specialmente quelle negative possono usarsi cor- 
relativamente: ed in tal caso si noti che in alcune lin- 
gue hanno forma diversa pur quando noi useremmo 
la ripetizione del né: p. es.: « Non mangerete di esso, 
né lo toccherete » diventa, in inglese: « Ye shall not 
eat of it, neither shall ye touch it » (Genesi, III, 3). 


le congiunzioni disgiunitive, le 
quali stabiliscono un’alternativa, in modo che 
una delle due proposizioni escluda l’altra: tali 
sono e, ovvero, oppure, ossia; 
Valgono anche per queste le osservazioni prece- 
denti: p. es. «O entrate o uscite! » diventa, in ingle- 
se: « Either come in or go out! ». 


le congiunzioni avversative, le 
quali esprimono un’opposizione; tali sono ma, 
anzi, tultavia, peraltro, pure, però: « Il mini- 
stro si ricordi che non i {itoli illustrano gli 
uomini, ma gli uomini i titoli » (Machiavelli, 
Pensieri, XIV, 26); 
le congiunzioni dimostrative o 
dichiarative, le quali introducono una 
diversa esposizione dei medesimi conceiti (1): 
tali sono le congiunzioni cioè, ossia, infatti. 
443. — Tra le congiunzioni subordinative 
le più importanti e frequenti sono: 
le congiunzioni temporali, di con- 
temporaneità, precedenza, durata, successio- 
ne, ecc.: tali sono quando, allorché, come, ap- 
perta, ecc.: 
«. Quel giusto 
figliuol d’ Anchise, che venne da Troia, 
quando il superbo Ilion ju combusto » (2) 
(Inf., 1, 73-75) 


(1) Alcune grammatiche denominano « dichiara- 
tive » le congiunzioni integranti (vedi 8 444). 

(2) Secondo taluno deve leggersi invece: « poi 
che ’l superbo Ilion fu combusto »; ma anche « poi 
che » è un costrutto congiuntivo temporale. (Cfr. $ 447). 


— 354 — 


CONGIUNZIONI INTEGRANTI 


le congiunzioni condizio nali, e- 
sprimenti un'ipotesi o condizione: tali sono 
se, qualora, purché, 

Con la congiunzione condizionale se coincide la 
congiunzione dubitativa se, la quale esprime una con- 
nessione ben diversa: « Se la domanda sarà presen- 
tata in ritardo, non si sa se essa sarà accettata » (il 
primo se è condizionale, il secondo è dubitativo). Di 
tale differenza bisogna tener conto esprimendosi in 
quelle lingue che hanno voci distinte per i due diver- 
si casi. (Cfr. $ 113). 


le congiunzioni causali (perché, poi. 
ché, giacché), finali (affinché, acciocché, 
perché), concessive (quantunque, seb- 
bene, ancorché), ecc. 

le congiunzioni integranti. 

444, — Si può dare il nome di inte- 
granti a quelle congiunzioni che hanno il 
còmpito di conglobare in un tutto unitario la 
proposizione che esse reggono, sì che essa 
possa servire da soggetto, oggetto o comple- 
mento circostanziale al verbo della proposi- 
zione cui è subordinata. 


La più usitata di tali congiunzioni è che: 
« E par che sia una cosa venuta 


di cielo in terra a miracol mostrare » 
(Vita Nova, XXVI) 


Tutta la proposizione che segue la congiunzione 
che è, in questi versi, il soggetto del verbo pare. Pa- 
rimente accade nei versi: I 


«Non è ver che sia la morte 

il peggior di tutti i mali» 

(Metastasio, Adriano in Siria, a. III, sc. 62) 
nei quali tutto ciò che segue la congiunzione che 


serve da soggetto alla proposizione principale « non 
è ver ». : 


« Gioco che l'hanno in tasca come noiî » 
(G. Giusti, Sant'Ambrogio, v. 93) 


— 355 = 


ia /S/SS(‘\),\(\‘\‘\‘\‘————#|E e e grzEE A AAIENSINIE 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


« l'hanno in tasca » (=«l'hanno in uggia », cioè « non 


lo possono soffrire ») è il complemento oggetto di 
gioco (= « scommetto »). 


445. — Questa congiunzione che può es- 
ser chiamata anche determinativa, in 


° quanto ha Îunzione affine a quella dell’ artico- 


lo determinativo: è quasi un articolo determi- 
nativo preposto a tutta la proposizione che es- 
sa unifica obiettivamente. 

Infatti, in latino, tutta la proposizione soggettiva 
o obiettiva si sostantiva nel tipico costrutto del sog- 
getto in accusativo con il verbo all’infinito: « Deum 
esse certum est», « È cosa certa che Dio esiste», 
« Aristoteles censet omnia moveri », « Aristotele cre- 
de che tutto si muova ». 


446. — Il che determinativo non va conîu- 
so con il che consecutivo (vedi 8 267), 
il quale è sempre preceduto da un antecedente 
con il quale è in correlazione: 


« Il freddo è tal che i bajfi stala!titificanomi- 
[SI » (1) 
(A. Boito) 


447. — Funzione intermedia Îra la deter- 
minativa e la consecutiva ha il che quando 
concorre a formare i costrutti congiuntivi, os- 
sia accoppiamenti di parole con valore di con- 
giunzione: fosfo che, appena che, non osianie 
che, ecc. 


Talvolta forma un vocabolo unico, fon- 
dendosi con l’antecedente: poiché, giacché, al- 
lorché, ecc. equivalgono a poi che, già che, 
allor che: e si usano, infatti, in entrambe le 


(1) Questo vocabolo è un arguto campione della 
possibilità che la lingua italiana ha di collocare l’ac- 
cento lontano dalla fine quanto ne dista la sillaba più 
significativa: abbiamo in esso una parola sestisdruc- 
ciola, la quale, pur avendo nove sillabe, conta metri- 
camente per quattro sillabe, poi che le cinque sillabe 
che seguon l’accento contan per una sola. 


— 356 — 


« PERCHE » 


forme, Così son nate anche alire congiunzio- 
fi, quali acciocché, fuorché; benché, finché, 
ecc., tutte risolvibili nei loro componenti. 


448. — Analoga formazione ha avuto la 
congiunzione causale e finale perché. 


449. — Il perché interrogativo è, invece, 
un avverbio, edilche in esso contenuto 
non è la congiunzione che ma il pronome che 
con significato neutro, equivalente a « che co- 
sa» (1). 

La distinzione tra il perché della doman- 
da e il perché della risposta — che esiste nel- 
la gran maggioranza delle lingue — v'è anche 
in italiano, ed a questa differenza ideologica (2) 
corrisponde anche una differenza di pronun- 
zia, coerentemente con il significato. 


Allorché la bella fiamma della curiosità ci fa 
esprimere il desiderio di conoscere la causa o il fine 
delle cose noi chiediamo « per che » (3) ed il che è 
sostanziale (pronome sintetizzante l’incognita -che vo-. 
gliamo conoscere) e perciò espresso anche fonicamen- 
te con energia, mentre nella risposta il che del perché 
è puramente congiuntivo del per con ciò che segue, e 
vien perciò pronunziato con minor energia. 

Ciò avviene anche nelle interrogative indirette, 
nelle quali il perché, appunto perché interrogativo, 


(1) Cfr. 8 268. 

(2) Caratteristica della domanda è contenere l’e- 
spressione dell’incognita (la x matematica, che era ori- 
ginariamente chiamata res), oppure di porre il dubbio 
interrogativo su un dilemma (dubbio ha la stessa ra- 
dice di due, come il tedesco Zweifel deriva da zwei). 
—- Il cinese ha particelle interrogative diverse, a se- 
conda che la risposta si possa esprimere con un sem- 
plice «sì» o «no», oppure se richieda indicazioni 
più specifiche. ° 

(3) L’interrogativo latino cur (formatosi da quoi+ 
rei, cuirei, poi cuire, cuir, cur) è stato scisso nell’ita- 
liano perché = per+t che, in coerenza con il criterio 
analitico informante l’evoluzione del nostro idioma 
(cfr. 8 67). 


- 


_ 357 — 


GRAMMATICA PELLA LINGUA IS H0N 


conserva la sua importanza. In due versi consecutivi 
danteschi abbiamo i due perché: 


« Ma. perché poi‘ ti basti pur la vista, 
intendi come e perché son costretti » 
7 (nf., XI, 20-21). 


See TED. 
warum? \i\ weil 
INGL. ARABO INGL. 
why? Ri Fa... 
sen 2 rm 
OTUerO? ur sy to 
CUR. 
perche 


erche . 
PEG 


MT 


6. 
La bella fiamma del « perché? ». (8 449) 
| cciQsgica È 


OR ‘2 - _ Fi ti 


GIUDIZI ARTICOLATI FRA LORO 


Il primo perché è congiunzione finale, equivale 
ad affinché ed ha perciò l’ultima sillaba (congiun- 
zione) fonicamente tanto debole che la parola diven- 
ta quasi piana; il secondo perché, invece, è avverbio 
con contenuto di derivazione interrogativa: in esso il 
che ha carattere pronominale, (equivale a «che cosa, 
quale ragione ») ed è perciò fonicamente percossa da 
nitido accento, conservando pur nell’intonazione un 
che di interrogativo. 


450. — Tale distinzione è molto importan- 
te, non soltanto ad intendere con chiarezza ciò 
che diciamo, ma anche per la traduzione in 
altre lingue. 

Infatti il secondo perché della citazione dantesca 
va reso con il perché dell’interrogazione — diretta o 
indiretta — nelle lingue che hanno tale distinzione 
formale (1). 


451. — Normalmente, la congiunzione uni- 
sce due proposizioni: essa può anche unire, 
formalmente, due parti della stessa proposi- 
zione: si tratta, in tal caso di una proposizio- 
ne composta, nella quale ciascuna delle 
parti equivale ad una proposizione intera: « È 
arrivato, ma troppo tardi » equivale a « È arri- 
valo, ma è arrivato troppo tardi ». 


452. — «La congiunzione è propria delle 
lingue arrivate ad un notevole grado di svi- 
luppo. Difatti, ciascuna delle. altre parti del 
discorso non esprime altro che un elemento 
del giudizio. La congiunzione invece, che uni- 
sce e articola tra loro i diversi giudizi, e di più 


(1) E queste lingue, alla lor volta, ci rivelano in 
modo evidente la differenza ideologica fra i due per- 
ché: il rumeno ha: pentru ce, in cui ce è pronome, e 
pentru ca, in cui ca è congiunzione; il francese ha 
pourquoi (= pour+quoi) e parce que; il russo ha tre 
interrogativi diversi (« perché? », «a quale scopo? » e 
« per qual ragione ») formati con diversi casi del pro- 
nome neutro c’to, mentre il perché di risposta ha, ben 
distinta, la congiunzione (indeclinabile) c’fo. 


Re 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


ne esprime esattamente le diverse relazioni, 
rende possibile la manifestazione di tutta una 
ordinata serie di giudizî, ossia di tutl’intero un 


ragionamento » (1). 


(1) Morandi & Cappuccini, op. cit., pag. 230, 
8 683. — Cfr. anche la nota al $ 436. 


— 360 — 


Le voci appassionate 


(XXIII) 


453. — Onomatopeiche degli stati d’animo 
— intendendo l’« onomatopeica » (0 « parao- 
nomatopeica ») nel senso chiarito dal $ 418 — 
possono considerarsi le interiezioni o 
esclamazioni, in quanto sono la diret- 
ta interpretazione e manifestazione Îfònica dei 
sentimenti e delle passioni. 


454. — Nella loro forma più genuina, esse 
sono l’espressione sonora di uno stato d’ani- 
mo, senza collegamento con radici linguisti- 
che significative (1). 


455. — Le interiezioni possono ripartirsi 
quindi in tante specie quante sono le diverse 
passioni e i varî sentimenti e stati d’animo. 

456. — Il valore delle interiezioni non di- 
pende tanto dall’articolazione, ossia 
dai particolari fonèmi che la costituiscono, 
quanto dalla intonazione. 

Il medesimo monosillabo o polisillabo può acqui- 
stare significati diversissimi, a seconda. deli « tono » 
con il quale è pronunziato. Così, ad esempio, l’interie- 
zione ah! può essere di stupore, di ammirazione, di 
dolore, di contrarietà, di ammonimento severo o bo- 
nario, di incredulità, ecc. 

L’interiezione «A! può esprimere la sorpresa, lo 


(1) Le radici significative, anzi, hanno un’origine 
onomatopeica o « paraonomatopeica », associata cioè 
ad uno stato d’animo. 


— 361.— 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


spavento, l’intolleranza, l’acquiescenza o approvazio- 
ne completa (nel senso di «altro che! ma certo! >»), 
diversificandosi soltanto per il «tono ». 

La grafìa non registra tali differenze tonali, e 
neppure la diversa durata della vocale che il « tono » 
altera, prolungandola più o meno e modulandola su 
note diverse (1). - 

Persino quella tipica interiezione che è costituita 
da un suono emesso a bocca chiusa e prodotto cioè 
dalla semplice vibrazione delle corde vocali (2), può 
significare « sì » nel senso più completo, oppure un 
« sì » con riserva, mentre può essere interrogativo, du- 
bitativo, ecc. 


457. — Anche nel campo delle interiezioni 
le lingue si diversificano, ciascuna interpre- 
tando fonicamente sentimenti e stati d'animo 
secondo il proprio temperamento e lo speciale 
senso acustico, mentre altri coefficienti pos- 


(1) Lo ah! di meraviglia può essere breve e senza 
variazione di nota musicale, oppure prolungarsi con 
modulazione decrescente (daaal’), mente lo ah! di. 
disapprovazione e di rimprovero ha un crescendo di 
intensità (aaaàh!). . 

(2) Questo suono viene reso graficamente, spe- 
cialmente dagli Anglosassoni, con « hm! » 0 « hum! », 
e ne è stato derivato il verbo to hum (olandese hom- 
melen) il quale significa appunto emettere tale suono 
a bocca chiusa, o il prodursi di esso: « my head hums » 
(letteralmente: « la mia testa fa hm ») equivale al no- 
stro « ho un ronzìo nel capo », o, meglio che un ron- 
zio, appunto quel suono confuso che la grafia « hm! » 
o « hum!» vuol esprimere. Il verbo to hum si trova 
anche in Shakespeare: 


« The cloudy messenger turns me his back, 
and hums... ». 


Nelle antiche assemblee sassoni l’approvazione si 
esprimeva con tale suono e la disapprovazione con 
suoni sibilanti. — Il « doppiaggio » cinematografico, 
dovendo usare per la «riduzione » in italiano suoni 
la cui articolazione corrisponda all’atteggiamento del- 
le labbra nell'immagine proiettata, conserva general- 


mente tale suono, cooperando alla sua diffusione nel 
nostro linguaggio. 


— 362 — 


«° 


DIFFUSIONE DELLE INTERIEZIONI 


sono intervenire ad influenzare la formazione 
e l'evoluzione delle espressioni interiettive. 

Esempio tipico dei risultato di tali influenze è 
l’interiezione telefonica « allò » che ha oramai una 
diffusione quasi universale (1). Per tramite sportivo 
sì è invece diffuso lo urràh! (hurrah!), originariamen- 
te scandinavo. Insieme con i numerosi vocaboli arti- 
stici e musicali che, in ogni lingua, documentano il 
prestigio dell’arte e delle melodie italiche, ha emi- 
grato negli idiomi. più diversi il nostro aggettivo « bra- 
vo », diventato interiezione: conserva più o meno il 
suono italiano, (2) ma, appunto come interiezione ri- 
mane invariabile pur nelle lingua che hanno la « con- 
cordanza »: il francese esclama « Bravo! » pur per ap- 
provare una cantante. 


* * * 


458. — A differenza delle onomatopeiche, 
che sono veri e proprî avverbî e quindi più o 
meno collegate con il verbo espresso o sottin- 
teso (cîr. $ 418), le interiezioni hanno caratte- 
re più autonomo e possono stare anche a sé, 
in quanto non sono l’espressione di un’idea, 
o, per lo meno, in esse il « sentimento » preva- 
le sul concetto. 


459. — L’interiezione ha tanto mag- 
giormente il carattere esclamativo quan. 
to minore è il significato lessicale che 
essa contiene. | 

Lo ahi! di dolore, ad esempio, può esser consi- 
derato una reazione fisiopsichica ad uno stimolo do- 
lorifico: come tale, esso è ai margini tra il linguaggio 


(1) I Giapponesi, che pur hanno sì vastamente 
adottato la terminologia inglese (specialmente nella 
forma americana) e chiamano erebétà (= elevator) 
l'ascensore e birudingu (= building) ogni grosso edi- 
ficio moderno, rispondono al telefono con il nazio- 
nale moshi moshi. 

(2) Poi che in greco moderno il f si pronunzia 
« Vv », la trascrizione mprabo serve appunto a con- 
servare all’interiezione il suo valore. fònico italiano. 


— 363 — 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


razionale e la pura espressione animale; questa rea- 
zione fònica, però, si distingue dal semplice « grido » 
di dolore, che non è articolato. Appunto perciò 
ha caratteri linguistici, e l’interiezione è « par- 
te del discorso ». 


460. — L’interiezione può essere in diver- 
so grado connessa sintatticamente — e quin- 
di anche ideologicamente — con gli altri Voca- 
boli della proposizione o del periodo di cui 
a parte. 

« Ahi! su gli estinti 
Non sorge fiore ove non sia d’umane 
Lodi onorato o d’amoroso pianto ». 
(U. Foscolo, Dei Sepolcri, 88-90) 


Qui lo ahi! iniziale serve di introduzione interiet- 
tiva all’intero periodo. 
Invece, nei versi danteschi 


« Ahi quanto a dir qual era è cosa dura 
questa selva selvaggia... » 
(Inf., I, 4-5) 


lo ahi serve a intensificare passionalmente il valore 
determinativo di « quanto », e parimente nei versi man- 
zoniani : 
«oh! quante volte, al tacito 
morir di un giorno inerte... » 
. (Il Cinque Maggio, 72-73) 


l’interiezione iniziale oc’! aderisce al determinativo 
« quante ». 


La più o meno intima connessione influenza an- 
che la pronunzia, sia nell’intonazione che nella pausa 
fra l'intonazione stessa e le altre parole che sono o 
non sono ideologicamente collegate con essa. 


461. — Si può avere persino il fenomeno 
della interiezione che si fonde con un voca- 
bolo significativo: così, ad esempio, l’escla- 
mazione di dolore ahi! forma composti — 
esclamativi anch'essi — quali ahimé! ahilui!, 
o, in spagnolo, ay de mi! 

Il rumeno ha, similmente, vai de mine! 


— 364 — 


ee TT 


— ia ON 


DESINENZE INTERIETTIVE 


In latino una interiezione può reggere un caso, 
sicché la si può considerare una preposizione 
passionale: ad es. heu me miserum! (Cicerì.); 
heu stirpem invisam! (Verg.). — Cfr. 8 241). — In 
turco alcune interiezioni, quali aferin, vay, yaz k, reg- 
gono il dativo: aferin sana, « bravo tu!» (ietteralm : 
| «bravo a tel»), vay sana, « disgrazia a tel», yazik 
sine, « mal per voi! ». 

Interessantissimo, e tipico, è il fenomeno morfo- 
logico della lingua coreana, la quale possiede veri e 
proprî « suffissi interiettivi » (1). . 

Il fenomeno, del resto, è meno peregrino di quel 
che possa sembrare, giacché il caso vocativo del gre- 
co, del latino e di altre lingue è appunto un «caso », 
nel quale la desinenza ha valore interiettivo: 

« Eheu fugaces, Postume, Postume, 
_labuntur anni... » (2). 
(Orazio, Odi, II, 14, 1-2) 

La desinenza -e del vocativo è affine all’interie- 
zione eheu, ma intimamente collegata con il nome, 
per « declinarlo » (cfr. 8 422). 


462. — Dalle interiezioni autonome deri- 
. vano quelle che, per la maggiore aderenza ad' 


(1) Ed essi sono anche molto numerosi, ciascuno 
significando uno speciale sentimento o stato d’animo 
(cfr. 8 440). Così, ad esempio, il suffisso -rokòn (-iro- 
kòn dopo una consonante) esprime la meraviglia e si 
affigge al sostantivo: es.: tjohun ahai-rokòn, « ma che 
bravo ragazzo!» (letteralm.: «bravo  oh-che-ragaz- 
zo! »); — il suffisso -tjukedta aggiunto al tema ver- 
bale gli conferisce il senso interiettivo di eccesso: 
es.: usoso-tjukedta! «c'è da morir dal ridere!» (let- 
teralmente: « rider-oh-che-non-se-ne-può-più! »); pun- 
hai-tjukedta! «c'è di che far uscir dai gangheri! ». 
Persino nel linguaggio infantile abbondano tali desi- 
nenze, alcune delie quali esclusive nella parlata dei 
bimbi: ad es. il suffisso -ne (pronunziato quasi -nai 
per l’enfasi interiettiva) che implica gioia e meravi- 
glia e che si aggiunge al tema verbale: ajko tjoha! 
apotji osi-ne! «che gioia! viene papà!» (letteralm.: 
« Come bello! Il babbo venir-oh-che-gioia! »). 

(2) « Ohimé, o Postumo, veloci fuggono gli anni! ». 


— 365 — 


at 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


un vocabolo, assumono funzioni avver- 
biali o preposizionali. 

‘ Così, ad esempio, dall’interiezione oh! deriva lo 0 
interiettivo (preposizionale) che si premette ad un 
nome, ad un aggettivo o ad altro vocabolo. 

È utile la distinzione grafica, per la quale si scri- 
ve « 0h! » nel primo caso e semplicemente «o» nel 
secondo: ma è opportuno scrivere « oh» anche nel 
secondo, qualora possa sorgere dubbio se si tratti 
del prefisso preposizionale interiettivo o della congiun- 
zione disgiuntiva «o » (1): 


(1) « Oh! che dolci accoglienze caste e pie! » 
(Petrarca, /n morte di Mad. Laura, son. LXXI) 
(II) «O passi sparsi, o pensier vaghi e pronti, 
o tenace memoria, o fero ardore, 
o possente desire, o debil core, 
o occhi miei, occhi non già, ma fonti; 
o fronde, onor delle famose fronti, 
o sola insegna al gemino valore; 
o faticosa vita, o dolce errore, 
che mi fate ir cercando piagge e monti; 
o bel viso, ov Amor insieme pose 
gli spronì e ’l fren, ond’è mi punge e volve 
com’a lui piace, e calcitrar non vale; 
o anime gentili ed amorose, 
s'alcuna ha ’! mondo; e voi nude ombre e polve; 
deh! restate a veder qual è ’! mio male. 
(Petrarca, /In vita dî Mad. Laura, son. CX) (2) 


(1) L'inglese ha la pratica regola per la quale si 
deve scrivere oh quando sia seguìto da segno di in- 
terpunzione, che appunto isola l’interiezione (« Oh, 
what a lie! », « Oh! che bugia! »; « OA! how do you 
know that? », « Toh! E come lo sai? ») mentre si scri- 
ve senz’h allorché ‘è direttamenie legato alla parola 
seguente: 

«O Rome! my country! city of the soul! » 

(Byron, Childe Harold's Pilgrimage) 

(2) Questo sonetto dettene il primato interiettivo 
con i suoî 13 o. Giacomo Leopardi commenta: « È da 
sapere che O in questo Sonetto sta in due guise: do- 
dici sono che stanno in forza di dolore ed uno, cioè 
l’ultimo, in forza di chiamata ». 


— 366 — 


bn ani I 


n De 


INTERPUNZIONE E INTONAZIONE 


(111) (Congiunzione): 


« Lassare "1 velo o per sole o per ombra, 
Donna, non vi vid'io.. 
“n ballata 1). 


463. — "de nella pronunzia, nettamen- 
te si distinguono l’« 0h!» e «0» interiettivi 
dalla congiunzione « 0», poi che questa pro- 
voca il raddoppiamento della consonante ini- 
ziale della parola seguente, se consonante v'è 
(Vedi 8 172 e 242). 


ΰ facile controllarlo rileggendo il sonetto del 
Petrarca e constatando che «o pensier» non si pro- 
“ nunzia come «coperare », né «o dolce» come « odo- 
re », ma V'è una maggiore « implosione » nell’emissio- 
ne del suono consonantica che segue l’o iniziale. 


464. — Anche quando nessuna desinenza 
o altro fonèma stia ad indicare il sentimento 
che accompagna la parola, esso può essere 
espresso dall'intonazione. 


Il punto esclamativo non ha il 
carattere di « segno ortografico di inter - 
punzione» come gli altri, i quali indica- 
no una « pausa » più o meno lunga o una se- 
parazione Îra più idee o concetti: il « punto 
esclamativo » segnala l'intonazione (1). 


Raggiunto finalmente il mare, i diecimila greci di 
Senofonte prorompono nel celebre grido: « Thàlatta! 
T'hàlatta! ». Il vocabolo « mare » fu da essi arti- 
colato come nel comune discorso, ma nella into- 
nazione fu espresso tutto il giubilo dinanzi allo 
spettacolo del Ponte Eussino, promessa di ritorno in 
patria. 


(1) « C'est le plus ou lc moins de liaison entre les 
idées voisines qui doit seul régler le degré de force . 
de la ponctuation ». O. C. V. Boiste, Traité de la 
ponctuation, 1829. — Non a tale criterio si ispirano i 
due segni grafici che indicano l'interrogazione e l’e- 
sclamazione. Apparso per la prima volta nel famoso 


— 367 — 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


465. — Un vocabolo, un costrutto o un’in- 
tera proposizione possono assumere un valo- 
re diverso da quello letterale o addirittura op- 
posto ad esso, se l’intonazione sia ironica 0 
sarcastica: « Ma bertone! benone! »; — « Ah! 
Sì, sì! È proprio il fior fiore dei galantuo- 
mini! ». 0 

Nell’VIII cerchio della 53 bolgia, Dante afferma, 
per bocca d’uno dei diavoli arroncigliatori, che a 
Lucca I 

«ogn'uom v’è barattier, fuor che Bonturo » 

° (Inf., XXI, 41) 


intendendo appunto al contrario che nel senso lette- 
rale, che proprio Bonturo Dati fosse il peggiore tra 
i barattieri (1). i 


466. — Illimitato è quindi il numero delle 
interiezioni possibili in ogni lingua, poi che 


Salterio di Schoeffer (1459), il punto interrogativo fu 
formato con la prima e l’ultima lettera del vocabolo 
latino quaestio, sottoposte l'una all'altra, ad indicare 
appunto l’intonazione di domanda: ed il punto 
esclamativo è costituito dall’interiezione latina /o, 
scritta verticalmente. — Nella scrittura armena non 
esiste un « punto interrogativo » né un « punto escla- 
mativo »; si usano due « accenti », i quali contrasse- 


“ gnano quella vocale che ha tipico rilievo nelle doman- dl 
de e nelle esclamazioni. Si ha così la possibilità di se- 
gnalare graficamente quale vocabolo serve di fulcro ‘ 
alla domanda, il cui significato può esser diverso a 
seconda che, pur non variando i vocaboli, questa o 
quella parola sia interrogativamente accentata. 

(1) Cfr. Minutoli, Dante e il suo secolo, pag. 212. 


— 368 — 


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PAESE CHE VAI... 


qualsiasi vocabolo o costrutto può assumere 
valore esclamativo. 


Esistono, però, tipiche interiezioni e carat- 
teristici costrutti interiettivi per ciascun po- 
polo, e persino peculiari interiezioni regionali 
o ancor più ristrettamente limitate ad un de- 
terminato paese. i 

Una interiezione può esser quindi sufficiente a 
rivelare la nazionalità ed anche il più preciso terri- 
torio di origine di colui che parla: uno « hombre! » 
o un «caramba! » rivelano uno spagnolo, « pécaire! » 
un provenzale e, con una tipica intonazione, persino 


un Tarasconese (1): lo « heusch! » è caratteristico de- 


gli Olandesi, e l’interiezione « bre! » pur priva di si- 


‘gnificato, è sufficiente a far riconoscere un Serbo. 


467. — Alcuni dei vocaboli usati interiet- 
tivamente conservano la forma ed il signifi- 
cato originario, mentre altri hanno subìto mo- 
dificazioni più o meno profonde. 

Il « good-bye » inglese è « God by you! », il no- 
stro «ciao! » è la corruzione di « schiavo » (2); il fre- 
quentissimo « spasìbo » russo è usato anche dal co- 
munista ateo (o proclamantesi ufficialmente tale) seb- 
bene sia ancora evidentemente la trasformazione di 
« spasì Bog », « Iddio! ti salvi! » (3); e, al contrario, 
il più cattolico degli Spagnoli o il più religioso dei 
Portoghesi esclameranno rispettivamente « ojalà! » e 


(1) Cfr. il capitolo « Tarascona senza Tartarino » 
in Toddi, /l viaggio di nozze di Re Alboino, Viaggia- 
tori e interviste fuori tempo, Milano, Ceschina, 1941, 
pag. 165 e segg. 

(2) Ha il significato di «sono ai vostri servigi »: 
più evidente è la derivazione nella forma «s'’ciao », 
dialettalmente frequente nell’Italia Settentrionale. 

(3) L’originario « spasì Bog! » è tuttora usato dai 
mendicanti russi, i quali sono grandi recitatori di 
« Versi spirituali » (duhovnie stihì) ossia compianti re- 
ligiosi. Un’interessantissima raccolta di tali « com- 
piaintes » e di canti di accattoni in generale è stata 
fatta da P. A. Bezsonov (1828-1898), con il titolo Ka- 
Ijèki Pierehòsgie, « gli storpi erranti », 1861. 


— 369-— 
24 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


« oxalà! » non ostante la derivazione musulmana delle 
due interiezioni (1). 


cuacnoo 


‘Il bolscevico ateo dice «spasìbo », ringraziando nel 
nome di Dio, ed ìl cattolico iberico esclama invocan- 
‘do Allah... (8 467) 


(1 Derivano entrambe da «in 5cia Allah >, 0 « u 
scia’llah », o — secondo l’Academia Espafiola — da 
«na scia Allah », « voglia Iddio! ». 


— 370 — 


STORIA E INTERIEZIONI 


468. — Nelle espressioni interiettive si ri- 
flettono usi e costumi, sì che alcune di esse 
sono veri cimelî linguistici, ricchi di carattere 
e di interesse, | 

Ne tenga conto lo studioso di lingue estere, poi 
che una di tali interiezioni, acconciamente usata, può 
arricchire di «colore locale » il discorso, e giovare 
anche per la buona intesa con l'interlocutore, quanto 
— se non più — una dotta citazione poetica o storica. 

L’avvertimento arabo zalraka, « attenzione » è, 
letteralmente «il tuo dorso!», con allusione al peri- 
colo che minaccia da tergo: ed è infatti il grido dei 
vetturini, come lo sportivo « pista! » è la richiesta di 
« via libera » degli sciatori. 

Di uso comune in portoghese è « agua vai! » che 


sarebbe espressione misteriosa senza la opportuna 


chiarificazione (1), ed altrettanto Jo sarebbero i co- 
strutti interiettivi lusitani, tipici e frequenti: «ò da 
guardia! aqui del Rei! » (2). 


(1) Quando le città erano sprovviste di fognatura, 
e tubi di spurgo — come tuttora nei piccoli agglomera- 
ti non ancora modernizzati igienicamente — alla man- 
canza di tali impianti si rimediava (e si rimedia) lan- 
ciando dalla finestra l’acqua immonda facendo prece- 
dere la non piacevole cateratta dal grido ammonitore 
per il passante « agua vai! ». Di qui, oltre l’interiezio- 
ne, anche l’espressione « sem dizer agua vai », che va- 
le « senza preavviso », specialmente per cosa spiace- 
vole, con al!usione etimologica alla non gradita doc- 
cia. Esattamente identico, per significato e per eti- 
mologia, è il costrutto interiettivo partenopeo » «’a 
sotto!» (=«da sotto! »), il quale è persino accom- 
pagnato da una mimica coerente al senso originario, 
con accenno cioè all’atteggiamento di chi sia brusca- 
mente irrorato dall’alto. 

(2) In queste espressioni è il ricordo dei tempi in 
cui, in caso di pericolo, si invocava l’intervento delle 
« guardie del Re»: son contrazioni di « acuda aqui 
a gente del Rei! ». — E si noti anche che, pur oggi, 
il vocabolo Rei, quando significhi un sovrano porto- 
ghese, è accompagnato dall’articolo in forma antica 
(el Rei, o El-Rei, invece che o rei), con intenzione 
onorifica. Cfr. anche il 8 218 — Cfr. J. Leite de Va- 
sconcellos, Licéòes de philologia portuguesa, 33 ediz., 
Lisboa, 1926, pag. 365. 


— 371 — 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


469. — Lo studioso di lingue straniere dovrà pre- 
stare molta attenzione anche alle interiezioni, alla 
loro forma grafica, all’intonazione tipica nell’espres- 
sione orale, al gesto che le accompagna. Osserverà 
anche, prendendone buona nota, in quali circostanze 
ed in quale ambiente esse vengano usate, per evitare 
figure ridicole o inconvenienti ancora più gravi. 

Il Serbo che, esprimendosi in italiano, isasse la 
nazionale interiezione kuku per significare il dolore 
non otterrebbe che un effetto di ilarità. 

Per interiezione negativa, in molte lingue si usa 
un fonema ottenuto con il distacco rapido della lin- 
gua dagli alveoli degli incisivi superiori: presso altri 
popoli tale fonèma è scorretto, perché usato soltanto 
per richiamo verso gli animali domestici, come noi 
usiamo, per chiamare il gatto, un fonèma che corri- 
sponde al suono di un bacio ripetuta (1). 

Persino rivolgendosi agli animali i diversi popolî 
usano interiezioni diverse: in russo si usa Kys-Kys per 
chiamare il gatto, mentre in portoghese si usa bizbîz. 
In Spagna si adopera « tus! » per chiamare i cani, ed 
in Portogallo « tiztiz! » (2). 


(1) Questo fonèma può esser trascritto con « p* », 
intendendosi convenzionalmente l’asterisco come indi- 
cazione della «inspirazione » invece che della nor- 
male « espirazione »: infatti il rumore del bacio viene 
articolato esattamente come ‘il suono consonantico 
« p», ma l’aria viene « aspirata » invece che emessa. 
Parimenti potrà indicarsi ‘con « uì* », la tipica pro- 
nunzia dello «cui» francese, che è interiettivo an- 
ch’esso e che si usa per far intendere all’interlocutore 
che si è attenti a ciò che egli dice e se ne intende il 
senso. E qui, per affinità ideologica e in connessione 
con la intonazione, può esser menzionata la 
locuzione « plaît-il? », che serve a chiedere la ripeti- 
zione di ciò che non si è ben inteso. Nello stesso sen- 
so l’inglese usa «/ beg your pardon! » (pronunziato 
spesso contratto in «'beg ’pardon »), con intonazione 
ben diversa di quella che la stessa espressione ha al- 
lorché si chiede scusa per disturbo che si arreca. Lo 
stesso dicasi del tedesco «bitte! », nei due usi ana- 
loghi. 

(2) Allorché i Giapponesi udirono i primi Anglo- 
sassoni dir «come!» per chiamare i loro cani, cre- 


TSE 3 p E 


“Re —.  K —,,jìi 


PARLANDO AGLI ANIMALI 


Il richiamo tpru è dai Russi riservato ai cavalli, 
come l’albanese pri! Ma in albanese, per i muli, si 
adopera mus! 


470. — li iniefizione può dunque avere 
anche un significato ambientale, non meno 
importante che quello diretto. 


Se, per pregare taluno di spostarsi, gli si dica 
« poggia! », ossia si usi un .-comando che ha il signi- 
| ficato di « farsi da parte », ma che si usa dirigendosi 
a quadrupedi, l’invito non è certo amabile: può es- 
sere offensivo o scherzoso. | 

La locuzione francese, che è anche letteraria, 
« n’entendre ni à hue (oppure à huhau) ni à dia » si- 
gnifica « non sentir ragioni », ma deriva dai due gridi 
dei carrettieri per ‘far voltare il cavallo a destra o a 
sinistra (1). | 


° 


* * %* 


471. — Grandissima importanza ha anche 
il rango delle interiezioni, ossia il livello 
di maggiore o minor cortesia che esse impli- 
cano. 


dettero che questo fosse il nome dell’animale, e per- 
ciò ne formarono il sostantivo kame, che significò e 
significa tuttora «cane di razza straniera ». 

(1) A queste interiezioni corrispondono quelle in 
altre lingue: l’inglese gee, (o anche gee-ho, gee-up, 
gee-hup, geewoo) comanda al quadrupede di voltare 
a destra, mentre haw è il comando contrario. Ed è in- 
teressante notare che le due interiezioni ippiche han- 
no esattamente il valore inverso negli Stati Uniti e 
nel Canadà: ciò deriva dal fatto che, mentre il con- 
tadino britannico cammina a destra del carro, quello 
americano usa camminare a sinistra, ed i due gridi 
di comando esortano l’animale a piegare in direzione 
del padrone o ad allontanarsi da lui. È ancora una 
prova dello stretto nesso tra usi locali e peculiarità 
‘linguistiche. — Il linguaggio agreste tedesco ha hott 
e hii (=<«a destra» e «a sinistra»): e la combina- 
zione dei due comandi ha generato Hottehii e Hotto, 
che nel linguaggio infantile significa « cavallo » (equi- 
valente cioè al nostro infantile « tettè »). Dal solo gee 
si è invece formato il « tettè » pei bimbi anglosassoni, 
che è gee-gee (pronunzia gigîi). 


— 373 — 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


L’interiezione « pss!» (scritta anche « psst ») ser- 
ve di richiamo, ma non è corretto usarla per attirar 
l’attenzione di persona di riguardo. Lo stesso dicasi 
dello « ehi! » dello « ohi! ». 

È esclamazione di richiamo anche il turco bana 
bak, ma, poi che lo si usa soltanto dirigendosi ad un 
facchino, ben s’intende quale significato esso possa 
assumere se rivolto a persona di altro rango sociale. 
Gentile ed affettuoso è invece il richiamo catalano 
noy!, ma, poi che lo si adopera normalmente soltanto 
dirigendosi ad un bimbo, il significato divienc ironico 
o scherzoso se tale interiezione è usata verso un 
adulto. 


472. — Pur quelle interiezioni che non si 
rivolgono direttamente all’interlocutore hanno 
un loro rango, nel senso che, pur riferen- 
dosi ad eventi che non lo riguardano ed espri- 
mendo lo stato d’animo e il sentimento di chi 
parla, hanno connotati espressivi che ne de- 
terminano lo stile. 

Così, ad esempio, l’interiezione diamine! è più raf- 
finata che diavolo!, della quale è un surrogato: acci- 
denti! non è esclamazione del linguaggio garbato, spe- 
cialmente se usata avverbialmente come rafforzativo 
di altro vocabolo (« Non so dove accidenti si sia fic- 
cato! »). 


473. — La maniîfestazione violenta dei pro- 
prî sentimenti non è mai indizio di buona edu- 
cazione: tale criterio regola l'uso delle interie- 
zioni, poi che su base etica va posta Ve- 
spressione linguistica, pur là dove essa non 
è riconoscibile alla superficiale analisi. 


474. — Il maggiore o minore riguardo ver- 
so la persona alla quale ci rivolgiamo non è 
espresso soltanto dal significato letterale dei 
vocaboli, ma appunto dal loro rango e dal 
sentimento che è adombrato in essi. 

Sono dunque espressioni di stato d’animo 
non soltanto le interiezioni ma tutte 
quelle espressioni le quali, oltre il significato 


— 374 — 


- , —— = 5 —— P—————6€—_—T—_—_— \R%ccii -—i r—————————  ;|I+++o o wm. fo 


LINGUE ASCENDENTI E DISCENDENTI 


diretto, implicano un « sentimento di rispetto » 
verso la persona alla quale si parla. 

In alcune lingue tale criterio genera addirittura 
due linguaggi diversi, che possono chiamarsi rispetti- 
vamente « ascendente » o « discendente »: il giavanese 
ha due stili, il kra°-ma°, che si usa rivolgendosi a su- 
periori, e lo ngoko, che si usa rivolgendosi ad infe- 
riori: fra pari grado si usa uno stile misto, che è 
detto ma?dya?. Non soltanto i costrutti, ma anche i 
più elementari vocaboli differiscono nei due stili (1). 


Le lingue dell’Estremo Oriente hanno, in 
questo campo, regole complicatissime, le qua- 
li sono non meno importanti che quelle mor- 
fologiche e sintattiche. 

Per la corretta e naturale applicazione di esse 
è indispensabile porsi dal punto di vista dell’indige- 
no, e sentire come lui. 

In giapponese, in cinese, in coreano, in siamese 
esistono verbi e costrutti « ascendenti » e « discen- 
denti », prefissi « onorifici » ed «auto-umilianti » (2). 


(1) Persino la numerazione varia nei due stili: 
i primi cinque numeri, ad esempio, sono rispettiva- 
mente: . | 
kra°mao: 1: satunggil 9. kalih 3. tiga° |. sa-kawan 
ngoko : °° sa-wiji, siji”’ ro ‘ telu ° pat 

Sy gangsal 
lima 

Vi è poi anche un Kra°ma0-hinggil o « linguaggio 
ascendente superiore » che si usa verso coloro più 
altolocati che i semplici superiori diretti: il « rango » 
è chiamato hinggil-lan in kra°ma°, e duwur-ran in 
ngoko: coloro che sono «in rango superiore » si chia- 
mano pa-nginggil in kra°nia° e panduwur in ngoko. 
Una « domanda » sarà pi-takèn se ascendente e pi- 
takon se discendente; e la «risposta» sarà jawab se 
data da un superiore, e wangsul-lan se da un inferio- 
re. Persino la stessa isola di Giava è Jawi in kra°oma 
e Ja°wa° in ngoko, ed il Giavanese è rispettivamente 
tiyang-Jawi e wong-Ja?°wa°. 

(2) Ciò complica e semplifica al tempo stesso: ad 
esempio, la nostra domanda « Volete favorirmi il Vo- 
stro riverito nome? » è totalmente espressa nelle due 
sillabe cinesi kuei4hsing4, poi che hsing4 significa « co- 
gnome », e nella sillaba precedente (onorifica) si con- 
densa l’espressione del massimo riguardo. 


— 3755 — 


a 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


Il più tipico esempio, in quanto più si allontana dalle 
nostre concezioni linguistiche, ossia dalla nostra for- 
ma mentis in connessione con il linguaggio, è quello 
del tibetano, in cui persino il corpo umano ha una 
doppia terminologia anatomica, una corrente, e l’al- 
tra di formale etichetta: e tali « pezzi anatomici di 
cortesia » servono a formulare speciali costrutti lin- 
guistici esprimenti rispetto ed ossequio (1). 

475. — Alla nostra intonazione, che 
è diretta manifestazione dello stato d’animo, 
può corrispondere una diversa intonazione 
nelle lingue straniere, in quanto parte di tale 
funzione espressiva è devoluta alla forma 
stessa del vocabolo, implicante un significato 
passionale. 

Diversa infatti è l'intonazione in quelle 
lingue nelle quali la varietà « tonale » ha an- 
che qualche alira funzione. | | 

Anche in questo settore, la lingua italiana, 
in coerenza con il criterio analitico al quale si 
ispira, ha distinto il «tono » dal puro conte- 
nuto lessicale semantico dei vocaboli (2). 


(1) Così, ad esempio, la comune « chiave » è di-mi, 
ma «la Vostra chiave » diventa «la chiave connessa 
con l’onoratissima mano » (chhan-di); « aver sete » è 
kha-kom-pa, ma se si tratta di persona di riguardo, 
essa sarà letteralmente « venerata-bocca-sete » (sh'’e- 
kyem-pa); ed il « fazzoletto » (nap’-chhi, « panno da 
naso ») è « panno da pregevol naso» (sh’ang-chhi); 
« mostrare », che nel linguaggio corrente è tem-pa, 
diventa chem-pe-sh'u-wa, ossia «chieder che l’augu- 
sto occhio intervenga ». Vi sono delle espressioni che 
sono riservate alle azioni dei soli lama: soltanto di 
essi, allorché muoiono, si può dire che ku-sh-ing-la 
phep'-pa, o, ancora più onorificamente, sh'ing-la chhip'- 
gyu nang-wa, ossia « si son degnati di recarsi in cielo ». 

(2) Nelle lingue che hanno i « toni », il medesimo 
fonèma, pronunziato in tono diverso è un altro voca- 
bolo. (Cfr. nota al $ 176). — « La parola contiene in se 
stessa il pedem (quantità de’ tempi), il rhythmum (os- 
sia la relazione dell’arsi e della tesi), e il modum 
(ossia la chiave del tono). ... Le parole dei latino e 
del greco antico non sono più pronunziate corretta- 
mente dai volghi di quelle due nazioni, ‘quindi non fa 
meraviglia se, corrottasi la -pronunzia della parola, 


— 376 — 


ZA II 70 Pe » + 


I 
| 


LE VOCI INCIVILI 


476. — Inîimo rango, non soltanto tra le 
interiezioni, ma tra tutti i vocaboli, occupano . 
le bestem mie, le quali sono anche rive- 
latrici del grado di inciviltà di un popolo e dei 
singoli individui che ne fanno uso (1). I 

Storicamente, la diffusione della bestemmia è re- 
lativamente recente (2). 


Dal punto di vista linguistico e logico, « la 
bestemmia è l’espressione impotente dello sta- 
to anormale di un individuo... Diceva il P, Se- 
gneri: «O ci credete o non ci credete: nel 
primo caso non vi è maggiore empietà che in- 
sultare il proprio creatore, nel secondo caso 
non vi è maggiore imbecillità che prenderse- 
la col nulla » (3). 


non furono più distinti-gli organismi ritmici... Rileg- 
gete il latino ed il greco secondo l’accento tonico 
delle parole, siabilito dalla ragione quantitativa, e 
non dagli immaginati accenti srammaticali, voi ve- 
drete tosto riapparire l’uniformità dei principio rit- 
mico delle parole, voi le vedrete, come i rettangoli 
delle mura tebane al suono della lira di Orfeo, al- 
zarsi e collocarsi di per se stesse nella classica crea- 
zione poetica greca e latina, come nella non meno 
splendida della poesia italiana ». S. Becchetti, Ritmica 
oraziana, 28 ediz., Taranto, Martucci, 1898, pag. V-VI. 

(1) Giustamente afferma un grande sanscritista 
che «quanto più bassa è la condizione morale del- 
l'individuo, quanto più ruînosa la china che egli batte 
del disonore e del vizio, tanto più acre, intenso, effi- 
cace, frequente è il turpiloquio di lui ». A. Ballini, La 
parola, conferenza, Padova, Teatro Garibaldi, 12, II, 
1922, e Torino, Teatro Regio 14, V, 1923. 

(2) « La bestemmia nel Medio-Evo fu linguaggio 
di eretici e di apostati, ma non divenne mai popolare. 
Il nostro popolo, la magnifica plebe italiana, che fa- 
ticosamente assurgeva verso l’altezza dei liberi comu- 
ni, ebbe sempre in orrore la bestemmia ». « Nella fe- 
tida corrente di depravazione morale che sgorga dal 
Manicheismo, la bestemmia serpeggia e si moltiplica ». 
G. Chiot, La bestemmia attraverso i secoli, in G. Cà- 
prez, Bestemmia e turpiloquio, Bologna, Cappelli, 
1923, pag.. 22 e 20. 

(3) G. Spagnolo, cit. in G. Càprez, op. cit, 
pag. 194. Il volume contiene, oltre interessanti mono- 
grafie, 461 giudizî e massime di personalità sulla be- 
stemmia. 


— 377 — 


Intermezzo 


ll dualismo, inelutiabilmente conse- 
guente da ogni sana speculazione, e quindi 
saldissima base per ogni forma di filosojfare — 
speculativo o normativo — irova la sua con- 
ferma e la sua pratica applicazione anche nel- 
la grammatica, sia per la spiegazione dei fe- 
nomeni linguistici che per la formulazione 
delle norme disciplinanti l’uso della parola. 

Il dualismo è fondamento della phi - 
losophia perennis, ponendo come 
certa la realtà obiettiva, che « è », ed « è » in- 
dipendeniemente e distinta da colui che la 
pensi. iu 

| Nel cartesiano « cogito, ergo sum », l’equi- 
voco sul valore rell’ergo è stato causa dell’er- 
rore }ondamentale, dal quale sono scaturiti 
lutti gli altri, sino alle esireme degenerazioni 
dialettiche, psicologiche e morali dell’« idei- 
smo » hegheliaro (1) con tutte le sue filiazio- 
ni, sino alle recentissime, nelle quali van ri- 
cercafe le cause profonde dell'immane trage- 
dia mondiale, 


(1) In una sua conferenza su «L'infinito e la 
mente umana » (Roma, Associazione per il progresso 
degli studî morali e religiosi, 9 maggio 1946) l’Acca- 
demico prof. Francesco Severi giustamente proponeva 
che si chiami «ideista », meglio che « idealista », l’in- 
dirizzo filosofico per cui l’idea è considerata princi- 
pio dell’essere: sarà quindi «ideismo critico » quello 
di Kant; «ideismo trascendentale » quello di Fichte, 
Schelling, Hegel; «ideismo volontaristico » quello di 


Lai 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


Come i più efficaci slogans della pubblici- 
là commerciale (1), il « Cogito, ergo sum » è 
luttora sbandierato da non pochi quale vessil- 
lo della riscossa filcsofica, mentre è il fitto 
velario oscurante l’obiettiva realtà. 

Descaries (2) ju arlefice e vittima dell’e- 
quivoco dialettico (3): non pochi errori gram- 
matîicali somigliano al suo, ché dovuti anch’es- 
si ad un burocratico equivoco verbale (4). 

La grammatica « rivoluzionaria » lo è so- 
prattutto in quanto vuol liberare quest'arte e 
scienza dalle artificiose strutture: vuol ricon- 
durla alla sua naturale funzione di scienza 
interpretatrice della realtà linguistica, e, quin- 
di, alla sua funzione di arte normativa, jormu- 


Schopenhauer; « ideismo assoluto » quello di Gentile, 
non molto diverso sostanzialmente dall’« ideismo » di 
Benedetto Croce: tutte deviazioni « donec paulatim 
scepticismus et cogitandi dissolutio oritur, quam hoc 
tempore observamus », J. Donat, Summa Philosophiae 
Christianae: I: Logica, Innsbruck, Rauch, 1935, pag. 25. 

(1) « A dir le mie virtù basta un sorriso », « Chi 
beve birra campa cent’anni », ecc. hanno oggi non 
minore importanza linguistica che « Datemi un punto 
di appoggio e vi solleverò il mondo », « Suonate pure 
le vostre trombe e noi suoneremo le nostre campane ». 

(2) Grandissimo merito ebbe Renato Descartes 
(Cartesio) nel campo delle matematiche, ed.al suo ge- 
nio è dovuta la geometria analitica: nella sua ricerca 
dei « metodi generali » è la caratteristica di tutta la 
matematica moderna. Ma la sua impostazione filoso- 
fica fu la prima causa del grande sbandamento del 
quale tuttora tragicamente soffriamo. 

(3) Nel « Cogito, ergo sum », la semplicistica iîn- 
terpretazione gioca sull’equivoco: « Penso, quindi esi- 
sto »: ma non esisto, invece, in quanto penso: al con- 
trario, impossibile mi sarebbe pensare, come qualsiasi 
altra attività, se non esistessi: il mio pensare è « pro- 
va », non «causa » del fatto che, anzitutto, io « so- 
no »: « Cogito, ergo sum» doveva essere interpretato 
sanamente (scolasticamente): « Penso, quindi è certo 
. che io esisto [altrimenti non potrei pensare] ». 

(4) Cfr., ad esempio, il 8 308, in cui si segnala 
come il «vocabolo », formalisticamente considerato, 
assuma un’interpretazione contrastante con la obietti- 
va realtà. 


— 380 — 


AERE PERENNIUS 


lalrice delle regole per il corretio uso del lin- 
guaggio. 

Nel qualificaria grammatica peren. 
nis, l'auiore è ben lungi dall’osar ripetere 
l'oraziano « exegi monumentum aere peren- 
nius! ». A/ contrario, egli fa sua la formula di 
Ez-Zaggiàg Abu Isciaq Ibrahim ben Sali (1). 
La presente grammatica è qualificata « pe» 
rennis» soloin quanto essa si ispira a quel- 
le norme fondamentali che fanno appunio del- 
la filosofia aristotelico-tomislica un « monu- 
mentum aere perennius ». 


* * 


Il limpido dualismo iomisticò ci conduce a 
riconoscere come cerio che ogni jenomeno 
« è » (2), cioè esiste in sé, indipendeniemente 
cioè dal fatto che « io » lo pensi o no. Persino 
il faito stesso che «io penso » è indipenden- 
fe dal jatto che « io pensi che stia pensando » 
(3). Esiste una obiettiva realtà dei fatti e fe- 


(1) Allievo del grande grammatico El-Mobarrad 
Mohammed ben Yezid el-Azdi (l’autore del celebre 
trattato Kamil), il filologo Eì-Zaggiàg’, professore a 
Damasco e a Tiberiade, ove morì ottantenne nel 949, 
scrisse il Kitab el-Giumal (« Libro delle frasi », opera 
grammaticale) alla Mecca: dopo aver terminato cia- 
scun capitolo compiva setîe giri intorno alla Ka’ba, 
come fanno i pellegrini, e chiedeva ad Allah perdono 
per gli errori che il capitolo potesse contenere. 

(2) Il tomismo è stato giustamente definito «la 
filosofia dell’essere ». — «Per S. Tommaso l'essere 
non è qualche cosa di oscuro, di misterioso, di incom- 
prensibile, ma, al contrario, è ciò che la nostra intel- 
ligenza coglie meglio e subito, in ogni cosa.... La scien- 
za dell’essere si applica ad ogni forma del sapere, si 
estende a tutti gli esseri e domina quindi tutte le 
. scienze». E. Bianchi, Tommaso d'Aquino: la dottrina 


. dell’anima e la teoria della conoscenza, Firenze, Val- 


lecchi, 1937, pag. 14-15. 

(3) Se infatti fosse vero il principio -‘hegheliano, la 
« realtà » sarebbe soltanto l’idea, ossia in tanto « real- 
tà » in quanto «io penso di pensare ». Ma anche que- 
sta dovrebbe esser realtà solo in quanto io Îa pensi, 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


nomeni (1), delle azioni proprie o altrui, indi- * 
pendentemente dal jalto che essa sia consia- 
lata ed espressa con parole. 


* * * 


Da questa prima fondamentale nozione si 
può passare alla seconda: che, cioè, l’esposi- 
zione dei jenomeni per mezzo della parola 
può esser semplicemente obiettiva: esporre 
cioè il fenomeno in sé, senza riferimento alla 
persona parlante. I concetti espressi son pur 
sempre « personali », in quanto generati e jor- 
mulati nella mente di chi parla, e da lu 
espressi con parole: ma la persona parlante 
non interviene come elemento del discorso: 
non è « attore » nel fenomeno espresso dalle 
parole. 


Questa forma, prevalente in bilta la pro- 
duzione letteraria e nel quotidiano linguaggio 
orale, è quel che si chiama comunemente — 
ed ufficialmente nella grammatica iradizio- 
nale — il « discorso in 3° persona ». 

Si chiama invece « discorso in 1° perso- 
ria » quello nel quale colui che parla o scrive 
è « allore» nell'azione: può agire (soggetto 
del verbo), oppure essere il personaggio su 
cui cade l’azione alirui (complemento oggetto 
del verbo), oppure esser semplicemente « di 
scena » (trovarsi in « caso obliquo » o in altra 


ossia in quanto «io pensi che penso di pensare »: è 
così in infinitum, con un comico risultato che è la 
miglior dimostrazione della sua fallacia. 

(1) Oltre gli eventi e le azioni, anche lo «stato» 
è un fenomeno. Del resto, il « divenire » è sempre e 
dovunque, nel « tempo ». Per tale importante nozione, 
e per la distinzione tra ciò che è fenomenico, tempo- 
rale, transeunte, e ciò che è permanente, immutabile 
ed eterno, cfr. Toddi, Geometria della realtà e ine- 
sistenza della morte, Roma, De Carlo, 1947, tomo I. 
pag. 105 e segg. 


— 352 — Mn 
ed by \aO0QLC 
©) 


I DUE DISCORSI 


connessione complementare con i concetii e- 
spressi) (1). 

I due discorsi sono di tipo talmente diver- 
si, con proprietà e caralteristiche che netta- 
mente li distinguono uno dall’aliro, sì che è lo- 
gico, e anche praticamente utile, separarli nei- 
famente nella grammatica, così come essi s0- 
no distinti nella linguistica realtà. 

Ù* * 


I capitoli seguenti, conclusivi della « gram-. 
malica rivoluzionaria », Iraltano appunto di 
lali differenze fra i due tipi di discorso, a se- 
conda cioè che colui che parla o scrive sia 
«in scena » o « fuori del palcoscenico ».. 

Non esiste un « discorso in 2° persona », 
in quanto l’uso di quesia deriva dal fatto che 
chi parla o scrive esprime in 2° persona ciò 
che si riferisce all’azione della persona alla 
quale egli parla o scrive. È dunque pur sem- 
pre «discorso in 1° persona»: chi parla 0 
scrive è « di scena ». Lo stile letterario nel 
quale il lettore si rivolge al lettore può esser 
considerato anch'esso «discorso scenico », 
nel quale l'« attore » (attore) parli dal prosce- 
nio, rivolgendosi al pubblico invece che agli 
altri ‘attori. 


* * 


Questo « intermezzo » era necessario, non 
soltanto per introdurre l'innovazione (distin- 
zione Îra i due tipi di discorso), ma anche per 
creare pure materialmente un distacco tra le 
due traitazioni. 


(1) Basta, ad esempio, che una proposizione con- 
tenga un aggettivo possessivo di 18 persona (« mio, 
miei, mia, mie ») od un riferimento locativo che im- 
plichi una relazione con chi parli o scriva (« qui. co- 
sì... »), perché la «18 persona» sia necessariamente 
coinvolta grammaticalmente e ideologicamente, ossia 
« sia di scena ». — (Cfr. 8 492 e segg.). 


— 383 — 


Quando si è “di scena,, 


(XXIII) 


477. — Perché possa esservi un discorso 
è necessario, evidentemente: 


a) che vi sia una persona la quale parli; 
b) che ella abbia qualcosa da dire. 


Il « soggetto » parlante non è però neces- 
sariamente il « soggetto » della proposizione: 
può essere, anzi, del tutto estraneo alla pro- 
posizione, ed all’intero discorso. 

— Ailorché M. Porcio Catone, nelie sedute senato- 
riali, affermava: « Carthago est delenda », il soggetto 
grammaticale — e quindi anche ideologico — della 
proposizione era Cartagine, pur geograficamente lon- 
tana: Catone era presente in Senato, ma non nella 
proposizione, che pur egli stesso pronunziava. La sua 
proposizione, pur esprimendo un pensiero di lui, lo 
esponeva come indipendente da chi lo aveva pensato 
e formulato: chiunque altro avrebbe potuto dirla in 
sua vece, e in nulla la proposizione avrebbe mutato, 
né formalmente né ideologicamente. 

« Allorquando, invece, egli diceva: « Ceterum cen- 
seo Carthaginem esse delendam », « Del resto io cre- 
do doversi distruggere Cartagine », egli entrava in 
scena, diveniva attore nell’azione linguistica, « sogget- 
to » grammaticale del verbo: personaggio, insomma, 
nella proposizione. 

Nessun altro avrebbe potuto pronunziare in sua 
vece quelle stesse parole, poi che censeo (« io credo »), 
detta da altri, avrebbe significato un’altra cosa, ossia 
che non Catone, ma un altro era di quell’opinione. 


== 9gfinca. 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


478. — In latino si chiamò originariamente 
persona la maschera teatrale, così detta 
perché destinata ad amplificare e far risonare 
(per-sonare) la voce dell’attore: poi indicò il 
« personaggio »: dramafis personae erano ap- 
punto i « personaggi del dramma » (1). Possia- 
mo perciò riferirci a questo stadio etimologico 
del vocabolo e chiamare persona quella 
parte del discorso che esprime il « personag- 
gio » intervenente come attore nella scena ver- 
bale. | 

È esatta l’espressione « parlare in 12 persona», 
poi che la « 12- persona » è, evidentemente, quella che 
parla o scrive (vedi 8 477). 

Chiameremo dunque semplicemente « 13 persona » 
il vocabolo «io », e gli altri « casi » dello stesso voca- 
bolo: 

io è soggetto di 12 persona; 

me e mi sono oggetto o casi obliqui di 12 per- 
sona, a seconda che corrispondano ad un accusativo o 
a un dativo latino (vedi $ 422 e 498). 


(1) E, poi che ogni personaggio teatrale ha una 
sua individualità con peculiari connotati fisici e di 
azione, persona acquistò il significato. attuale, impli- 
cando l’idea di « personalità ». Esattamente inverso è 
stato il cammino semantico del vocabolo inglese cha- 
racter, che significa non soltanto «carattere » ma, 
| esprimendo l’insieme dei connotati morali ed il tem- 
peramento di un individuo, assunse anche il signifi- 
cato di « personaggio » teatrale o letterario: Shake- 
spearian characters sono « personaggi shakespearia- 
ni»; — e character può significare anche « reputazio- 
ne, buona reputazione », e quindi persino il « certi- 
ficato » che ne fa fede; the character of an employee, 
the character of a servant possono significare non sol- 
tanto il «carattere » di un impiegato o di un dome- 
stico, ma anche l’« attestato » del suo buon carattere, 
il «certificato di benservito ». — Peculiare della lin- 
gua inglese è la facilità con cui essa dilata l’« area di 
significato » di un vocabolo, esprimendo con esso idee 
che, in altre lingue, sono espresse con « derivati » dal 
vocabolo. (Cfr. 8 71). 


— 386 — 


( 


i 
} 
I 


NON « PRONOMI » MA « PERSONE » 


- 479. — Contraria alla natura, alle proprie- 
tà ed alla funzione di fali vocaboli è la deno- 
minazione di « pronomi » data a tali vocaboli. 

Il pronome Îa le veci del nome, e può per- 
ciò esser sostituito dal nome che esso rimpiaz- 
za, senza che la sostituzione alteri la forma o 
il significato della frase (1). Nome e pronome 
debbono cioè equivalersi ideologicamente e 
funzionalmente (2). 

Nei 88 229 e 277 è stato abbondantemente illustra- 
to, anche figurativamente, l’ufficio dei « pronomi », 
ponendo in evidenza che essi equivalgono a simboli 
algebrici: sostituiscono i nomi, e la sostituzione non 
provoca alterazione alcuna né nel nesso logico, né 
nella forma, né nel significato della frase. Soltanto i 
vocaboli che rispondono a tali requisiti possono essere 
definiti « pronomi »: arbitraria ed erronea è l’inclusio- 
ne tra essi dei cosiddetti « pronomi personali ». 


(1) Appunto perciò nei cap. XI e XII si è abbon- 

dantemente insistito sulla chiara definizione dei carat- 
teri e delle proprietà dei « pronomi ». 
(2) Pronomi e nomi debbono essere in quel rap- 
porto che nel linguaggio giuridico è definito « fungi- 
bilità », ossia la totale possibilità di surrogarsi a vi- 
cenda: ogni moneta o banconota è « fungibile » con 
altra del medesimo valore. I cosiddetti « pronomi per- 
sonali di 12 e 22 persona» hanno come loro caratte- 
ristica fondamentalmente tipica proprio la « non fun- 
gibilità » con il nome della persona che essi rappre- 
sentano. «Io sono Tizio », ha un significato, espri- 
me un concetto, ha una ragione di esser detto: «io » 
rappresenta la persona di Tizio, ma non fa le veci del 
suo nome, e non è perciò sostituibile con esso: « Tizio 
è Tizio » significa tutt'altra cosa: è un’ovvia ed inu- 
tile constatazione, del tutto diversa dall’affermazione 
« io sono Tizio ». — La grammatica deve « rettamente 
definire », estendendo nel proprio campo il principio 
giuridico del suum unicuique tribuere: «la ragione 
umana serve a sentenziare quello che spetta e quello 
che non spetta ai soggetti di essa » (Taparelli-d’Aze- 
glio, Saggio teorico di diritto naturale appoggiato sul 
fatto, 48 ediz., vol. II, c. IT, art. 3). La grammatica ha 
affinità quindi con la morale e con il diritto. Le regole 
grammaticali costituiscono la « giurisprudenza del di- 
SCOTSO ». 


— 387 — 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


480. — Appunto perché sono « personali », 
ossia « personaggi » (dramafis personae) in 
azione diretta sulla scena, agiscono (o parte- 
cipano passivamente all’azione o sono indi- 
rettamente ad essa collegati) ben diversamen- 


1 


incontro. 

A un povero _| 
rcntello; _| Quegli 3) 
y|laprende e, 
a copertose- 
\ / ne, sene va, 
| dopo aver. 

mi Tin: 
graziato 
con tutto i 


o mitolgo, _. suo cuore. 
RE il MIO, ne tal "2 
2 glio la metà, eglie lado. 


San Martino entra in scena « in 1° persona »: La per- 
sona «io» è insostituibile con il nome; non è « pro- 
nome », e provoca anzi il mutamento dei verbi e dei 
possessivi che ad essa si riferiscono, mentre i « pro- 
nomi » che la indicano debbono divenire anch'essi « 1® 
persona ». Restano inalterati i pronomi, i possessivi ed 
i verbi che si riferiscono al « povero » ed al mantello, 
espressi da « nomi» e dai « pronomi» che ne fanno 
le veci. (8 480) 


te che allorquando, invece, rimangono assen- 
ti dalla scena verbale, la quale si svolge inte- 
ra obiettivamente, perché esposta in pura Îor- 
ma narrativa,senza tale intervento pe r- 
sonale. 


—s 386 Ss 
Digitized by O OLIC 
1008 le 


«IO » È INSOSTITUIBILE 


L'evento che serve di esempio nei 88 229 e 277 per 
illustrare l’uso dei pronomi e la loro funzione è 2Spo- 
sto in modo assai differente se esso sia espresso « in 
1a persona » da S. Martino: 

»_.«Ilo incontro un mendicante e... ». 

(Osservare attentamente la vignetta e ia dicitura). 

Forma e contenuto ideologico son mutati, pur 
esprimendo lo stesso evento: i pronomi non son più 
sostituibili con i nomi, gli aggettivi possessivi espri- ‘ 
mono in modo ben diverso i rapporti di appartenen- 
za: i verbi hanno mutato desinenza. Non è possibile 
sostituire con i nomi i vocaboli « io », « mi » senza al- 
terare tutta la realtà linguistica e scenica. 

Di tutti questi fenomeni sostanziali e for- 
mali la grammatica tradizionale non tiene con- 
to, definendo « pronomi » proprio quei voca- 
boli che, generando così profonda trasforma- 
zione, conferiscono un personalissimo 
carattere al discorso, che diventa « personale, 
drammatico, scenico... ». 

481. — Queste elementari considerazioni e 
constatazioni inducono la « grammatica rivo- 
luzionaria » a proclamare che «io» è non 
« pronome » ma « persona » (appunto « 1° per- 
sona »). 

482. — Unici « pronomi personali » sono 
quelli che, altrettanto impropriamente, son det- 
ti « pronomi di 3° persona ». 

Poi che sono « pronomi », ossia sostitui- 
scono i nomi, e tutti i nomi esprimono le idee 
sostantive «in 3° persona» la definizione 
« pronome di 3° persona » è altrettanto impro- 
pria quanto lo sarebbe la definizione di « no- 
me di 3? persona »: 

Come esistono nomi di persona, animale 
o cosa. fungibilmente con essi esistono « pro- 
nomi di persona » (pronomi personali), « pro- 
nomi di animale », « pronomi di cosa », a se- 
conda: del « nome » del quale fanno le veci. 

Così, ad esempio, quegli, questi, egli, son 
« pronomi di persona » (maschile); colei, ella 


— 389 — 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


son « pronomi di persona » (femminile); esso 
è « pronome di cosa » (1). 


San Martino .. © 
incontra 


mantel 


la prendoe, 
copertome- 
ne,me ne VI, 


cd 
3 


graziato 
con tutto il 
mio cuore. 


me la dà. 


li si toglie i 
eg , BI suo, ne ta: 
2 glia la metà, e 


Il provero entra in scena in «© persona »: La persona 
« io » (« me ») è insostituibile con il nome; non è « pro- 
nome », e provoca anzi il mutamento dei verbi e dei 
possessivi che ad essa si riferiscono, mentre i « pro- 
nomi » che la indicano debbono divenire anch’essi « 12 
‘persona ». Restano invece inalterati i pronomi, i pos- 
sessivi ed i verbi che si riferiscono a San Martino ed 
al mantello, espressi da « nomi » e da « pronomi » che 
i ne fanno le veci. (8 482) 


(1) L'appartenenza al genere maschile o femmini- 
le non implica che il pronome sia perciò « personale »: 
parlando anche di cosa, essa è espressa con pronome 
femminile (cfr. $ 235). — L’inglese, che pur considera 
neutri tutti gli oggetti, usa il pronome she ir alcuni 
casi. Una corazzata, che è oggetto, è chiamata man-of- 
war (« uomo di guerra »): ma di. essa si dice, ad esem- 
pio, che « she is in the harbour », « essa (pronome fem- 
minile) è nel porto ». i 0 


— 390 — 


me senza e er | 
io 3 


sii | ‘Li i » fe 22 C___._ _..° ‘‘P.00666460’’«—»a. di 


i ro ieri 


«TU» È INSOSTITUIBILE 


483. — Non meno radicale è il mutamen- 
to, nell'intera struttura morfologica e ideologi- 
ca, pur quando la persona interviene non co- 
me « soggetto » ma come « complemento og- 
getto » dell’azione verbale. 


il mio, ne 
2 taglio la metà, e te lado. 


San Martino è in scena in « 19 persona», e il « pove- 
ro » è in scena in 29 persona: Le persone «io » e « tu» 
(« te ») sono, insostituibili con i nomi: non sono « pro- 
nomi »: provocano, anzi, il mutamento dei verbi e dei 
possessivi che ad esse si riferiscono, mentre i « pro- 
‘ nomi » che le indicano debbono divenire anch'essi, ri- 
spettivamente, « 132» e «22 persona ». Restano inalte- 
tello, espresso da un nome e da « pronomi » che ne 
rati ) pronomi e i possessivi che si riferiscono al man- 
fanno le veci. (8 482). 


Nell’esempio citato, il mendicante, rimanendo 
« complemento oggetto », ma intervenendo «in 12 per- 
sona », ossia come attore della'scena linguistica, pro- 
vocherà mutamenti analoghi a quelli già citati: 
«San Martino incontra me e, vedendomi... ». 


— 391 — 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


483. — Il bimbo, allorché incomincia a far uso 
della parola, non ha ancora una chiara idea della per- 
sonalità. Egli vi arriva lentamente, per gradi, con un 
laborioso processo mentale di analisi. Egli ode pai- 
lare di sé, e comincia ad intendere che egli è « Pieri- 


1) 


tu 


e ch: Pb 
eo Ea santz: yo 


incontri 


aa 
pit 


Lo 
la prendoe, 
copertome- 
ne,mene vo, 
dopo aver: 
ti rin: 
graziato 
con tutto il 
mio cuore. 


il tuo, ne ta- = 
2 gli la metà, e mela dèi. 
e _—_______—-- 


San Martino è in scena in « 29 persona » ed il povero 
è in scena in « 1° persona ». Le persone « io » (« me ») 
e «tu» sono insostituibili con i nomi: non sono « pro- 
nomi »; provocano, anzi, il mutamento deil verbi e dei 
possessivi che ad esse si riferiscono, mentre i « pro- 
nomi » che le indicano debbono divenire anch'essi, ri- 
spettivamente, « 18 persona » e « 22 persona ». Restano 
inalterati i pronomi), i possessivi ed i verbi che si rife- 
riscono al mantello, espresso da un nome e da « pro- 
nomi » che ne fanno le veci. (8 482) 


no» o « Giorgio »: perciò, nelle sue prime espressioni, 
usa questi «nomi» per indicare se stesso, come usa 
altri «nomi» per indicare persone ed oggetti del 
mondo esterno: « Pierino vuole il pane », « Giorgio è 
stato bravo », 


— 392 — 
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=_= =-——— |” — "E" ———— E. 


x A na 


LA PERSONALITÀ 


Poi che ode il pronome «lui », anche riferito a 
sé, usa pur questo per indicare se stesso: « Lui vuole 
il pane », « Lui è stato buono »: usa il pronome, come 
sostituto del nome: fin qui, nella evoluzione mentale- 
linguistica, non vi è differenza né formale né ideolo- 
gica nel discorso: il pronome fa le veci del nome (1). 

Solo più tardi, con lo sviluppo dell’intelligenza e 
la maggior comprensione del mondo esterno, ed il più 
preciso coordinamento tra parola (ossia pensiero) e 
realtà (2), egli arriverà a comprendere il valore gram- 
maticale della persona, ed importantissimo mo- 
mento per ia sua personalità sarà quello in cui 
egli dirà: « Zo voglio il pane », « Zo sono stato bravo ». 
Ha abolito il nome, ha sorpassato il pronome: ha. mu- 
tato stile cioè forma mentis: è divenuto persona, 
grammaticalmente e mentalmente. 

Ha la completa coscienza di se stesso, e perciò 
sa esprimerla. 

L’uso della ragione l'ha portato a questa grande 
conquista (3). 


(1) Cioè «lui» non equivale ad io: equivale a 
« Pierino » o « Giorgio ». — Alla treenne Gianna, la 
mamma chiede: « Gianna, vorresti andare alla spiag- 
gia? ». La piccina intende già che la risposta deve 
contenere un’affermazione della propria personalità: 
ma la forma condizionale del verbo, nuova per lei, 
le rende difficile la trasformazione in « 18 persona »: 
e perciò, dopo uno sforzo anglitico-sintetico, rispon- 
de: « Sì, mammina, ci andresto volentieri ». L'episodio 
chiarisce il valore delle desinenze personali, mentre: 
pone in evidenza, appunto con esse, la distinzione tra 
discorso obiettivo e discorso con intervento personale. 

(2) « La raison humaine est bàtie sur le langage: 
elle n’est au fond qu’une manière de parler, d’assem- 
bler les. mots les uns avec les autres ». P. Janet, L’in- 
telligence avant le langage, Paris, Flammarion, 1936, 
pag. 253. 

(3) « La razza umana, presa in massa, concorda 
largamente, a proposito di ciò di cui può aver notizia 
e a cui può dare un nome... V’ha tuttavia un caso del 
tutto straordinario in cui non si trovano due persone 
che facciano la stessa scelta. Ognuno di noi divide 
l’Universo intero in due metà, e per ognuno di noi 
quasi tutti gli interessi si riferiscono all’una o all’al- 
tra di queste due metà; soltanto che ognuno disegna 


-— 393 — 


hifi lrn 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


Quando però siederà sui banchi scolastici, la gram- 
matica burocratica non terrà conto di tutto ciò; la 
grandiosa realtà scomparirà, negata da una visione 
artificiosa, ed egli dovrà apprendere che io è « pro- 
nome », cioè « fa le veci del nome», ed equivale per- 
ciò a « Pierino » o a « Giorgio ». 


Poi che la grammatica ha il diritto e il do- 
vere di formulare regole che rispecchino la 
realtà obiettiva e linguistica, sarà « rivoluzio- 
nario » nel senso costruttivo il denominare 
« persone » e non « pronomi » quei vocaboli 
insostituibili (io, tu...) la cui presenza nel di- 
scorso esprime l’azione scenica linguistica, 
corrispondente alla realtà esposta, e che ri- 
chiede perciò forme speciali in ogni vocabolo 
che si riferiscono alla persona stessa. 

Còmpito della grammatica, è quello di ren- 
der chiari i fenomeni linguistici, razionalmen- 
te qualificandoli, e non complicarli, o, peggio 
ancora, deîormarli. 

* * * 

484. — L’erronea interpretazione e quali- 
fica, e la tendenza a burocratizzare con in- 
controllato formalismo hanno prodotto altri | 
errori e false qualifiche. 

Per burocralica simmetria si è voluto for- 
zare la « persona » negli schemi morfologici | 
degli altri pronomi; e si è affermato che « i0 » 
ha per suo plurale « noi ». 

È possibile il plurale di me stesso? 


bi 


Basta che io dica che tutti chiamiame le due metà con 
gli stessi nomi, cioè me e non me, rispettivamente, 
perché si veda a colpo d’occhio ciò che intendo. Ognu- 
no di noi dicotomizza il Cosmos in un punto diffe- 
rente ». G. Tarozzi, Compendio dei principî di psico- 
logia di W. James, Milano, S.E.L., 1911, pag. 113. — 
Di questa divisione dell’universo in due parti, essen- 
ziale per il nostro pensiero, non tien conto la gram- 
matica formalistica tradizionale. 


la linea di divisione fra esse in un punto differente. | 


— 394 — 


SINGOLARITÀ DELL’« IO » 


485. — Caratteristico dell’« io » è la sua 
« individualità », e quindi « singolarità ». 

La qualifica di «.noi » come plurale di « io » assu- 
me addirittura un carattere patologico (1). 

È esatto affermare che egli, esso, colui, colei, 
essa, ecc. siano « pronomi » (di persona e di cosa) e 
che abbiamo per loro « plurali » rispettivi eglino, essi, 
coloro, esse, ecc., poi che ciascun egli o ciascun es- 
so, ecc. si trova nel medesimo rapporto ideologico con 
il soggetto parlante, mentre vi è un solo «io» possi- 
bile, ed è lo stesso soggetto parlante (2). 


(1) Non sembri esagerata tale affermazione. « Les 
obsédés ne peuvent se débarasser d’une opposition 
qui tiraille leur esprit en deux sens différents et qu’ils 
traduisent souvent en disant qu'il y a plusieurs per- 
sonnes en eux ». P. Janet, op. cit., pag. 58. — La con- 
vinzione del maniaco, il quale si immagini di essere 
un altro, troverebbe piena conferma in questa defini- 
zione della grammatica tradizionale. Il « plurale » è il 
totale di.una somma, la quale può aversi soltanto con 
addendìî omogenei: la grammatica tradizionale affer- 
ma cioè che, come 


individuo -+ individuo + individuo... = individui 
così » 
io + io + io... = noi 


in cui tutti gli «io» si equivalgono. Sicché Tizio, il 
quale affermi di essere Cristoforo Colombo o Napo- 
leone trova sua piena giustificazione in questo plurale 
« noi », poi che la grammatica lo autorizza ad affer- 
mare che 


io (Tizio) + colui (Colombo) + colui Napoleone = noi, 


LI 


e, poi che noi è « plurale di io, ossia 

noi = io + io + io, 
io e colui si equivalgono; e perciò Tizio = Colombo 
= Napoleone. — «Lo studio fisio-psicologico della 
pazzia illumina quello filosofico sulla condotta della 
ragion sana ». B. Cassinelli, Storia della pazzia, Mila- 
no, Corbaccio, 1936, pag. 15. 

(2) Questa assoluta individualità e quindi singo- 
darità dell’« io » non vien meno neppure quando pa- 
recchie persone dicano in coro «noi», giacché per 
ciascuno dei parlanti tale vocabolo significa « to e co- 
loro che sono con me». L'unico caso di vero « plu- 
rale » della persona «io » si ha nel pluralis majestatis, 


— 395 — 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


La morfologia è in perfetto accordo con l’idea 
espressa, poi che tutti questi plurali sono formati dal 
singolare: conservano lo stesso tema (significativo 
dell’idea stessa), cui si aggiunge un suffisso (signifi- 
cante l’idea di pluralità). Questo suffisso è, in italia- 
no, il medesimo che serve ad esprimere il « plurale » 
nelle forme verbali (1). 

Ù 
| 


Abbiamo infatti, al singolare: 
egli canta; — colui corse 
e, al plurale: 
| eglino cantano; — coloro corsero, 
con un parellelismo assai sintomatico. 


486. — Che questi suffissi derivino, eti- 
mologicamente da suffissi latini diversi non 
diminuisce l’importanza del fenomeno, né ne 
altera il valore sintomatico. L'italiano è il la- 
tino trasformato con criterî generali e co- 
stanti: questi criterî hanno determinato la scel- 
ta e le modificazioni dei suffissi (2). 

487. — Nelle lingue neolatine, come in tut- 
te le altre europee, e nella quasi totalità delle 
extraeuropee (3), il « noi » non ha alcun lega- 


tà IO “ 


cioè nel « noi » usato dal Sommo Pontefice e dai So- 
vrani: è un autentico « plurale », ma soltanto formal. 
mente, rimanendo singolare l’idea espressa. 

(1) Per « forme verbali » si intendono quelle che 
la grammatica tradizionale chiama « voci di 32 perso- 
na» e che la grammatica rivoluzionaria non ha biso- 
gno di qualificare in tal modo, poi che esse rappre- 
sentano la forma normale o semplice (narrativa, obiet- 
tiva) del verbo, ossia senza intervento scenico della 
persona. 

(2) Troviamo applicato qui lo stesso criterio per 
il quale in italiano vengono condotti al plurale in -i 
anche quei nomi ed aggettivi i quali hanno in latino 
il plurale in -s. (Cfr..8 208). 

(3) Pur in quelie lingue nelle quali il « noi » sem- 
bra formato dal singolare « io », il fenomeno va com- 
preso intendendo il vero significato dei vocaboli. ]l 
cinese wo3-mén, « noi », si forma da wo03, « io », aggiun- 
gendo l’ideogramma mén?, il quale implica l’idea di 
« pluralità », ma non nel nostro senso di « suffisso plu- 
rale ». Graficamente esso è costituito infatti dal sim- 
bolo dell’uomo (o dell’azione umana) e dalla figura- 


— 396 — vi i 
vigiizsd y Google 


| 


JJ‘tl/ GIG: SI 


« NOI » NON È IL PLURALE DI «IO » 


ir” | PRONOMI | 
itaLno { ord si o pt 
bn (o Se ii 
olii Fid dueic n 
| sorico Ivi Tui Veis" SIR 
TEDESCO e i ihr er, n 
| sassone { - la Po è ded 
| inerese Ile eg hey 
SERBO | E ip pi | 
RUSSO Ca | moti); ta 
mi e | n 
| tonno f& n pre di 


Nella linguistica realtà, nessuna affinità etimologica o) 
morfologica lega «noi» con «io», né «voi» con 
«tu ». (8 487). 


zione dei «due battenti di un uscio », i quali non 
sono uguali ma simmetrici. Ed è sintomatico chse tale 
« plurale simmetrico » si usi appunto per quelli che la 
grammatica tradizionale chiama « pronomi personali ». 


— 397 — 


‘GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 
me etimologico con « io »: non è mai formato 
| 


À 
| 


secondo lo schema 
« 10 » + sulîfisso plurale. 


Se i popoli han distinto nettamente, sia 


nell’idea (radice, tema del vocabolo), sia nel- 


l’espressione (forma del vocabolo) il singolare 
dal plurale, lo « io » dal « noi », ciò documenta 
nel modo più assoluto e completo che si trat- 
ta di due cose ben diverse. 

La grammatica non ha alcun giusto titolo 
per unire ciò che è nettamente distinto nella 


obiettiva linguistica realtà. 
Nel V canto dell’Inferno, Francesca da Riminì 


dice a Dante: 
« Noi leggiavamo un giorno per diletto 
di Lancialotto come amor lo strinse ». 
(Inf., V, 127-128) 

Il vocabolo lo è vero e proprio « pronome »: fa 
le veci di Lancillotto, e infatti questo « nome» può 
esser sostituito al pronome senza alterare né la for- 
ma né il significato del periodo: ma « noi » non è né 
« pronome » né « plurale di (0 »: come plurale di « io », 
ossia di colei che paria in 18 persona, dovrebbe esser 
il plurale di « Francesca »! Il «noi» non può esser 
sostituito da nessun altro vocabolo senza alterare la 
forma e il significato del periodo. Qualsiasi nome so- 
stituito ad esso provocherebbe addirittura il passaggio 
del periodo intero dal « discorso diretto » al discorso 
obiettivo, narrativo: Francesca e Paolo non sarebbero 
più gli attori parlanti: si parlerebbe di loro: la 12 per- 


Sicché anche il plurale cinese non fa che confermare 
la diversità di questo plurale sui generis dagli altri 
plurali veri e proprî. — Anche il « noi» giapponese 
(boku-ra, ware-ra, watakushi-domo) si forma da «io» 
(boku, ware, watakushi) ma i suffissi -ra e -domo 
esprimono piuttosto una «categoria» che una « plu- 
ralità »: sicché questi « noi » hanno il valore di « per- 
sone come me ». (L’ideogramma è il medesimo che si 
usa per significare « classe » persino nel sigrificato 
ferroviario: sicché il giapponese considera il « noi» 


“come comprensivo di « coloro che sono nella stessa 
classe con me »), 


— 398 — 


ey Google 


« NOI » NON HA SINGOLARE . 


sona perderebbe proprio questo suo connotato essen- 
ziale. 


488. — Il plurale « noi » non ha singolare. 

È un vocabolo a significato collettivo: e- 
sprime più persone (e perciò è plurale), 
nelle quali è compresa la f° persona. 

Non è, quindi, un « plurale di 1° persona » 
ma un « plurale con 1? persona » (1). 

Questo plurale sui generis è meno eccezionale di 
quanto potrebbe sembrare. Esso .presenta infatti una 
certa analogia con quei nomi che hanno soltanto la 
forma plurale; alcuni di questi si riferiscono ad og- 
getti materiali simmetrici come le forbici, le manette, 
i calzoni, le nari: altri esprimono collettivamente l’in- 
sieme di più cose concrete o astratte le quali presen- 
tano una certa eterogeneità pur costituendo nella lo- 
ro somma qualcosa di unitario: tali sono, ad esempio, 
le sartie, le regaglie, le fattezze, le moine, le nozze, 
le esequie, gli sponsali. Nessun grammatico o mari- 
naio sosterrebbe che sartie sia il plurale d: draglia, o 
di strallo o di paterazzo, sebbene ciascuna di queste 
corde (2) sia compresa nel vocabolo sartie; né gram- 
matico o massaia asserirebbero che regaglie sia il plu- 
rale di cresta, bargiglio o fegato o di qualsiasi altra 
parte del pollo che costituiscono ideologicamente tale 
nome plurale. Parimenti le nozze e gli sponsali impli- 
cano necessariamente la benedizione nuziale, ma non 
ne sono il plurale: ché, anzi, non può aversi più di 
una benedizione nuziale in tutte le cerimonie che 


(1) Infatti noi può significare « io + tu», «io + 
voi », «io + colui», «io + tu + colui », « io +-colo- 
ro », ecc. ossia « io +chiunque altro che non sia io ». 
— Allorché taluno dice «noi Italianî » non intende 
« 44 milioni di io », ma «io + tutti i miei connaziona- 
li »: basta, cioè, che nell’idea collettiva espressa dal 
vocabolo sia contenuta quella della 7/35 persona, la 
quale non può essere che una sola. 

(2) Le draglie sono tese tra il-trinchetto e il bom- 
presso per farvi scorrere i fiocchi; gli stralli o stragli 
sostengono gli alberi delle navi dalla parte di prora; 
i paterazzi frenano lateralmente le parti medie degli 
alberi. | 


— 399 — 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


complessivamente sono espresse dal vocabolo plura- 
le, nozze o sponsali. Analogo è il rapporto del plu- 
rale noi con il singolare io, in quanto zoi non è il 
« plurale » di io, sebbene necessariamente io conten- 
ga (1). 


* * %* 


489. — Le medesime considerazioni sono, 
nella loro quasi totalità, estensibili anche alla 
«2° p<ersona». . 


La « 2° persona » presuppone però neces- 
sariamente l'intervento in scena della 1. Si 
può dire «tu» solo dirigendosi direttamente 
alla persona, la quale è «2° » appunto 
perché la « 1° » è parlante, ossia interviene 
direttamente nell’azione linguistica (2). 


L'analisi di due terzine dantesche, nel notissimo 
episodio della Antenora ci permette di ben osservare 
la radicale differenza tra persone e «pronomi». 

«Io non so chi tu se’, né per che modo 
venuto se’ qua giù; ma fiorentino 

mi sembri veramente quand’io t’odo. 

Tu dei saper ch'i fui conte Ugolino, 

e questi è l'arcivescovo Ruggieri: 

or ti dirò perch’i son tal vicino ». 

(Inf., XXXIII, 8-15) 


(1) Il « plurale» grammaticale equivafe a quel 
che, in aritmetica, è una «somma », la quale presup- 
pone più addendi omogenei; a, meglio ancora un 
« multiplo », che è la somma di più addendi uguali 
tra loro. Questa identità, o, per lo meno, omogeneità 
(ossia identità deil caratteri essenziali sc non quanti. 
tativi) è indispensabile affinché sia possibile un’addi- 
zione. Più frazioni non possono addizionarsi se non 
siano ridotte allo stesso denominatore, ossia ad una 
medesima denominazione. 1l plurale « noi » corrispon- 
de ad un «numero misto »: potrebbe chiamarsi per- 
sona mista:è infatti misto di « io » e di « non-io ». 

(2) La persona «alla quale si parla » è detta in 
tedesco die angeredete Person, usando il participio 
passivo del verbo anreden, «rivolgersi parlando» 
(« parlare [reden] a [an]}); ugual valore ha l’espressio- 
ne inglese ihe person spoken to (letteralmente: «la 


=. 400 — 


——————_—___hknmTeoeet" ’w@"r—_——_——————_—_—»_TrT, .yry—_-> -<---————— —1}_____———_—_—_—_—_ > —————————r  *——_____—_—_———m@—@m@1@——@—@—@—@—@—@—@—È@È@—————————————nÈk21k1kh2kì41kt1kx.c== “e Ì)Îa gt ===“. e = 


SOLO LA 32 PERSONA HA PRONOMI 


I vocaboli chi, questi, e i (== gii) dell’ultimo ver- 
so sono pronomi. Il primo è pronoine interrogativo: 
equivale a « quale uomo » (cfr. 8 275) ed esprime l’in- 
cognita (nel significato algebrico); questi fa le veci di 
« l’uomo che è qui » ed è pronome dimostrativo, sosti- 
tuendo un nome, con l’agsgiunta di una determina- 
zione, ed i’ (= gli) significa « a lui » ed è perciò pro- 
nome personale (i). ossia « all'uomo già nominato » o 
«arcivescovo Ruggieri ». 

Le sostituzioni dei «nomi» ai «pronomi» che 
i ne fanno le veci è possibile, senza che ciò provochi 
alterazione alcuna né nel significato né nella struttura 
linguistica delle due terzine (2) Analoga sostituzione 
‘ non è invece possibile per i vocaboli io (ed i’ del 40 
verso), fu, mi e ti. Ad essi, infatti, non corrispondono, 
nella realtà linguistica obiettiva, due semplici indivi- 
dui, ossia il conte Ugolino e Dante, ma due « per- 
sonaggi in azione linguistica », che sono il conte Ugo- 
lino e Dante; e sia la forma che le idee che i voca- 
boli esprimono stabiliscono che il Conte Ugolino è la 
« 12 persona» e Dante la « 22 persona ». 

Il valore di « io » è quindi « il-Conte-Ugolino-che- 
sta-parlando »; e quello di « iu » è « Dante-cui-il-Con- 
te-U golino-parla ». Anzi, neppure sostituendo con tali 
complesse formule i due vocaboli si avrebbe la legit- 
tima e totale sostituzione con equivalenza completa, 
poi che il significato completo di «io » è « io-Conte- 
U golino-che-pario », e il significato di « tu» è « Dante- 
i cui-parlo-in-seconda-persona ». Nei vocaboli usati per 
. « far le veci» dei due da sostituire bisognerebbe ne- 
. cessariamente includere questo elemento persona- 


—— 


; persona parlata-a », cioè « alia quale si parla »). Que- 
«ste formule pongono in maggior evidenza il carattere 
«diretto del rapporto tra 1? e 22 persona. 

; (1) Non « pronome di 38 persona », poi che sol- 
«tanto la 38 persona può esser rappresentata da un 
“« pronome »: i vocaboli indicanti la « 13» e la «22» 
“non fan le veci di esse, ma direttamente le csprimono: 
“@ perciò son persone, nel senso già chiarito. 

| (2) Prescindendo, naturalmente dall’alterazione 
“metrica e prosodica, dipendente soltanto dalla misura 
: diversa dei vocaboli scambiati. 


sad 


_ mC _—_mm——_—_eeeRaI Ti. 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


le che ne costituisce il fondamentale connotato lin- 
guistico e ideologico. Essi sono perciò insostituibili. 


490. — Il vocabolo « voi » può essere in 
alcuni casi il plurale di «tu». Rivolgendosi 
direttamente a più persone, esse son tutte e- 
gualmente « 2? persona »; sicché abbiamo, per 
la loro omogeneità, la possibilità di conside 
rare 

lu+t1+ iu... = voi. 


Ma il « voi » può significare anche « fu ed 
aliri » e può anche significare « voi ed altri »: 
lu + colui = voi 
fu + tu + colui = voi. 


Sicché anche « voi » va definito « plurale 
con 2* persona », 


491. — Tali formule useremo anche per 
definire grammaticalmente le voci del verbo 
relative all’azione compiuta dalla 1° o dalla 2? 
persona, o alla quale partecipino la 1° o la 2? 
persona. 

Si dirà. perciò che scrivo è voce singolare (indi- 
cativo presente) del verbo scrivere, in 18 persona; 
scrivemmo è «voce (indicativa passata) del verbo 
scrivere, plurale con 12 persona »; scrivereste è « vo- 
ce (condizionale presente) del verbo scrivere, plurale 
con 22 persona); ecc. 


L’innovazione potrà apparire stramba e 
disorientante, ma un po’ di riflessione la ‘rive- 
lerà utile, chiarificatrice, giovando a porre în 
Ta la grammatica con la linguistica 
realtà 


— 402 — 


Il discorso personale. 


(XXIV) 


492. — Il discorso personaliz- 
zato o«discorso diretto » costituisce un tipo 
di discorso del tutto speciale, poi che le per-. 
sone lo influenzano con le proprietà e ca- 
ratteristiche che sono loro esclusive. 


Il discorso « personalizzato » viene anche grafica-| 
mente distinto, ponendosi tra « virgolette » (1): 

« Noi veggiam, come quei ch’ha mala luce, 

ele cose » disse «che ne son lontano ». 

(Inf., X, 100-101). 

Ciò non impedisce che esso possa essere normal- 
mente commisto con il discorso espositivo o 
obiettivo anche nell’interno delle virgolette stes- 
se (2). | 


493. — La persona, quando divenga 
soggetto del verbo, influenza la forma verbale. 


(1) Chiamate « virgolette » (« inverted commas » 
in inglese, « comillas » in spagnolo, ecc.) per la loro 
forma grafica, esse sono funzionalmente «segni di 
citazione » (« quotation marks » in inglese, Anfùhrungs- 
striche in tedesco, citationstecken o anfòringstecken 
in svedese, ecc.). Attribuitane l’invenzione ad un im- 
pressore Guillaume o Guillemet che le avrebbe adot- 
tate per primo nel 1546, i Francesi le chiamano guille- 
mets, donde anche il rumeno ghilemele. Più ampia- 
mente ne tratterà il volume sull’ortografia e pronunzia. 

(2) Nei due versi danteschi le proposizioni « ch'ha 
mala luce » è «che son lontano », entrambe relative, 
hanno la medesima forma e lo stesso contenuto ideo- 
logico che avrebbero in un contesto narrativo, 
poi che sono appunto « narrative ». 


— 403 — 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


Perciò il verbo assume desinenze diverse al- 
lorché non sia semplice esposizione dell’azio- 
ne o dello stato, ma implichi (e perciò espri- 
ma) la presenza attiva’ della 1° o della 2° per- 
sona. 


494. — La grammatica rivoluzionaria abo- 
lisce quindi i paradigmi tradizionali delle co- 
niugazioni, qualificandoli anzi artificiosa e bu. 
rocratica elencazione nella quale vengono ar- 
bitrariamente abbinati fenomeni linguistici che 
sono invece nettamente separati nella obietti- 
va realtà. 

Esiste una sola forma verbale narrativa (0 
espositiva o obiettiva), la une ha il suo rego- 
lare plurale: 


l’uomo cammina; gli uomini camminano; 
la bimba cantò la bella canzone; 
le bimbe caniarono le belle canzoni. 


Esistono poi le due diverse forme deter- 
minate dal fatto che il soggetto è o contiene 
la 1* o la 2° persona: 


io cammino; tu cammini; 
io canto; tu canii. 


Esistono anche forme verbali plurali, le 
quali non sono però « plurali di 1° o di 2° per- 
sona », ma, parallelamente a quanto si è detto 
per i plurali roi e voi (che ne sono il sogget- 
to), « plurali con 1° o con 2° persona ». 

Che esse non siano da considerarsi « plu- 
rali » delle forme singolari è convalidato dal 
fatto che, anche morfologicamente, esse non 
hanno alcuna connessione con. quelle: 

îo cammino, noi camminiamo; 
tu canti, voi cantate. 


495. — Sintomatico è invece il fatto che il 
« plurale con 1° persona » contenga sempre 
nella desinenza il fonèma significante la 1° 
persona: questo fonèma è m, richiamante lo 
stesso suono consonantico che è in me, mi: 


— 404 — 


PLURALI CON 12 E 22 PERSONA 


noi camminiamo; noi cantammo; noi 
vorremmo; se noi fossimo. 


Parimente, il « plurale con 2? persona » 
contiene sempre, nella desinenza, il suono f, 
richiamante lo stesso suono consonantico che 
è in fe, ti: 

voi camminate; voi canfaste; voi vorre- 
sie; se voi foste. 


Questa coincidenza non è fortuita, ma. rivelatrice 
e sostanziale. Si è conservata, dal sanscrito (1), in gre- 
co ed in latino e si è mantenuta in italiano, confer- 
mando anche in questo settore la grande coerenza che 
la nostra lingua costantemente mantiene fra suono e 
significato. Il fenomeno è invece molto attenuato nelle 
altre lingue neolatine. Il caratteristico suono conso- 
nantico m si conserva nella forma « plurale con 1 
persona » nella desinenza -mos dello spagnolo e del 
portoghese, e nelle desinenze -[a]m, -[e]m, (i)m del 
rumeno, mentre il t della forma verbale « plurale con 
28 persona » è divenuto -s nelle due lingue iberiche, 
conservandosi nella desinenza rumena -tsi (scritta -ti 
con la sediglia sotto il t). Il francese ha unificato tutte 
le forme verbali, poi che alla differenza grafica non cor- 
risponde una diversa pronunzia: je marche, tu marches, 
il marche e ils marchent si pronunziano tutti allo stes- 
so modo: ma anche in francese è sintomatico che i 
due piurali personali abbiano una forma diver- 
sa: nous marchons, in cui la nasalizzazione è appun- 
to una corruzione dell’m; e vous marchez, in cui -ez 
= -ets. 

Delle altre lingue indoeuropee (2), il gotico distin- 


(1) Le desinenza personali plur. con 18 pers. 
-ama[h], -ima e plur. con 22 pers. -tha, -[i]ta richiama- 
no rispettivamente il mà (accusat.) e me (gen., dat.) 
della 13 persona edil tvà (accus) c fe (gen., dat.) 
della 22, 

(2) «La plupart des langues actuellement em- 
ployées en Europe sont des transformations d’une 
méme langue, dite indo-européenne, dont la période 
d’unité est préhistorique, et dont les élémenits compo- 
sants ont depuis longtemps fortement divergés. L’unité 


— 405 — 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


gueva le due forme plurali « personali » (1): tale dif- 
ferenza si è perduta nel tedesco. Plurale unico (perso- 
nale e narrativo) aveva il sassone e quindi unico è 
anche in inglese. Le desinenze -em, -im (plur. con la 
pers.) e -ete, -ite (plur. con 2? pers.) conservano in 
russo le caratteristiche foniche personali. 


496. — Esclusivo del discorso perso- 
nale è la forma « imperativa » del verbo, in 
quanto essa presuppone necessariamente la 
presenza attiva di colui che comanda o im- 
plora. 

Tale presenza essendo indispensabile, 
l’imperativo esprime questa sua parte- 
cipazione diretta esprimendo non soltanto l’a- 


zione della 22 persona, ma anche lV’ele-. 


mento volitivo della 1?. 


L’imperativo, pur indicando l’azione della 22 per- 
sona, contiene anche un elemento interiettivo della 
1® persona: onde il suo carattere esclamativo, 
il quale tende a contrarre la forma verbale (2). Per- 
ciò, in quasi tutte le lingue, l’imperativo assume la 
forma più semplice, riducendosi spesso al puro tema 
verbale. 


du groupe n'est plus sensible aujourd’hui au premier 
coup d’oeil. Il n’en subsiste d’appréciable qu’une va- 
gue ressemblance générale de structure ». A. Meillet, 
Les langues dans l'Europe nouvelle, Paris, Payot, 1918, 
pag. 15. 

(1) Le desinenze -am del presente, -um del pre- 
terito, ed -aima, -eima dell’ottativo per il plur. con 1? 
pers., e le corrispondenti -ith, uth, e -aith, eith per il 
plur. con 28 pers. richiamano il mik, meina, mis (ac- 
cus. gen. dat.) della 13 persona, ed il thuk, thei- 
na, thus della 22. 

(2) Il fenomeno è analogo a quello per cui, inte- 
riettivamente ossia nel vocativo, molte forme dialet- 
tali dei nomi proprî siano tronche sulla sillaba accen- 
tata: il romanesco dice: « Ah Michè! » per « Michele! », 
e persino « Ah Giù"! » per « Giulio! » e « Ah Ro!» 
per « Romolo! »: parimenti il napoletano: « Neh, Gen- 


nà’! » (Gennaro), «’onna Carmè’!» (« donna Car- 
mela! »). 


MO 


a 
al 


L’IMPERATIVO TIPICO 


I 


E forma tipica imperativa è soltanto quella per 
da 22 persona, ossia del comando diretto (1). 

Coerentemente, minor vigore ha, nei riguardi del- 
l’azione espressa dal verbo, l'imperativo negativo: il 
comando o la preghiera possono esser assai forti pur 
nella negazione, ma più sulla negazione che sul ver- 
bo è il carattere imperativo. E si spiega perciò 
perché, in tal caso, l'italiano usi la formula « Non + 
infinito» (« Non fare!», « Non dire!», negativi di 
« Fa! » e « Di! »), ed anche altre lingue usino forme 
che si allontanano dall’imperativo positivo (2). 

L’imperativo in 38 persona, non essendo rivolto 
direttamente, ha minor energia interiettiva, e perciò 
non è espresso con forme tipiche, adottando quelle 
di altri « modi »: dica, vadano. 


497.—La persona può essere « com- 
plemento oggetto » o « complemento indiret- 
to ». In tal caso, poi che essa non compie l’a- 
zione espressa dal verbo, questo rimane in 
forma normale (narrativa o obiettiva): però la 
« persona » è presente in scena, rappresentata 
rispettivamente dalle forme me, mi; te, fi. 

Le forme me, te conservano il valore di accusa- 
tivo che avevano in latino quando seguono il verbo e 
sono poste in rilievo con l’accento. Perciò vanno 
‘ scritte separate da esso. Deiivano dall’ablativo quan- 
do dipendono da preposizione. Le forme mi e ti, deri- 
vanti dai dativi latini mihi e tibi conservano il loro 
valore quando precedono il verbo. In posizione diver- 
sa, i valori si invertono. Per ragioni eufoniche, i dati- 


(1) Lo spagnolo ha forme speciali anche per l’im- 
perativo plurale: comed!, « mangiate! », diverso da 
« vosotros coméis » « voi mangiate » (indicativo); e il 
portoghese ugualmente: « tirai », « tirate! », diverso da 
tirais (indicativo). 

(2) Latino ne facias! (0, meglio ancora, ne fece- 
ris), «non fare! »; noli me tangere! « non mi tocca- 
re! ». Alcune lingue hanno però la forma negativa 
formata con la negazione della positiva: ne fais pas!, 
«non fare! », ne me touchez pas! »; tedesco: vergiss 
mein nicht! « non ti scordar di me! ». 


* 


— 407 — 


dacia ai 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


vi mi e ti diventano me e te quando siano seguiti da 
pronomi, appoggiandosi procliticamente su essi. E lo 
stesso dicasi per i plurali ce, ci, e ve, vi: 
«Non vi mettete in pelago, ché, forse, 
perdendo me, rimarreste smarriti ». 
(Par., II, 5-6). 
\ « Per me si va nella città dolente » 
(Inf., I, 1). 
«lo son Beatrice che ti faccio andare » 
(Inf., I, 70). 

Queste regole rendono spesso perplesso lo stra- 
niero che parli italiano, come dubbioso può esser lT'I- 
taliano allorché voglia esprimere in una lingua estera 
questi rapporti pronominali connessi con quelli per- 
sonali (1). 


Interessante è notare che, mentre le altre 
parti del discorso (nomi, aggettivi, pronomi) 
non hanno più, in italiano, le « declinazioni », 
le persone costituiscono l’unica parte del 
discorso che le abbia conservate. È ancora 
una prova che esse si diversificano dagli al- 
tri vocaboli (2). 

È un altra caratteristica peculiare del d:- 
scorso personale. 


498. — Le persone influenzano, natu- 
ralmente, anche gli aggettivi possessivi, i qua- 
li variano per indicare rispettivamente l’appar- 
tenenza alla 1° o alla 2° persona: 

«Quando sarò dinanzi al Signor mio, 
di te mi loderò sovente a lui ». 
(Inj., II, 73-74) 

499. — Le persone influenzano anche 
gli aggettivi determinativi, in quanto la pre- 
senza del soggetto parlante sulla scena rende 
possibile la « localizzazione » con riferimento 


ni n 


(1) Il francese dice « donne-le moi » laddove l’'i- 
taliano dispone diversamente la « persona » e il « pro- 
nome »: « dàmmelo ». 

(2) Le forme lo e gli della cosiddetta « 32 perso- 
na » son dovute alla influenza delle persone. 


— 408 — 


LOCALIZZAZIONE E CORTESIA 


alla persona stessa: quesito, codesio e quello 
esprimono appunto una localizzazione con 
riferimento alla 1° persona: questo indica la 
vicinanza ad essa; codesto la vicinanza alia 
2° persona (la quale implica la presenza della 
1°) e quello la distanza da entrambe (1). Lo 
stesso dicasi per gli avverbîì analoghi: qui, 
così, lì. 

590. — E, finalmente, la « presenza in sce- 
na » determina speciali formule per esprimere 
i diversi gradi di cortesia, ossia il maggiore 0 
minor riguardo con cui il discorso è diretto 
alla 2° persona. | 

Alcune lingue usano anche per la 18 persona vo- 
caboli diversi, indicanti la posizione morale e di eti- 
chetta di essa rispetto all’interlocutore (2). 

Per la 22 persona, l’italiano genuino usa il « Voi »,. 
che solo in tal caso è «plurale » (ma solo formal- 
mente) di 22 persona, ossia di «tu ». 

Esso è infatti un «tu» ampliato (pluralizzato) 
per un atto di riguardo, magnificando la persona cui 
si parla. L’aggettivo che ad esso si riferisce resta al 
singolare, documentando che si tratta di un plura!e 
improprio, perché fittizio. 


(1) In alcune lingue la localizzazione rispetto a. 
colui che parla influenza anche l’espressione fònica, 
sì che la maggiore distanza è indicata con un raffor- 
zamento interiettivo: in kinyamwesi essa è indicata in- 
fatti con una maggiore intensità di accento sulla sil- 
laba finale: « quell’albero » (non molto lontano)» è 
mti gwen-ugo, e « quell’albero [là giù] » è anche mti 
gwen-ugò, ma pronunziato con la vocale finale pro- 
lungata e più intensa. 

(2) In giapponese, ad esempio, l’uso di boku o 
watakushi per la 12 persona implica che si dà rispet- 
tivamente del « tu » (omae, kimi) o del « Lei » (anata) 
alla persona cui si parla. Il coreano, oltre il normale 
na, può servirsi di altri numerosi « io », connessi per-- 
sino con la diversa credenza religiosa: umile prono- 
me cristiano di i? persona è sintja, e ancor più umile 
è tjOiin, mentre sosung viene usato soltanto dai bud- 
dhisti. Il tibetano può usare non soltanto nga o nga- 
rang, ma anche un «io» più umile, ossia da e, nello 
stile epistolare, thren. 


— 409 — 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA = 


Il « Lei », relativamente recente e di importazione. 
spagnola, è anch’esso fittizio, ma presenta caratteri di 
maggior anomalia. Il « Lei» di cortesia sta a rappre- 
sentare la « Signoria » della persona alla quale si par- 
la: questa non è più considerata come presente in sce- 
na, ma collocata fuori di essa: si parla ad essa o di 
essa considerandola un’astrazione estranea al « discor- 
so personale ». 


st | RIiGlì $ 


Vo ifiansscnÒ ITA 


Li z:eenò 


Il discorso a carambola... Il « dare del Lei » è un biz- 
zarro espediente di cortesia con il quale alla « perso- 
na » si sostituisce la sua « Signorìa », la quale, collo- 
‘cata artificiosamente « fuori scena », può esser perciò 
sostituita a sua volta con un pronome. (8 500). 


Questa finzione è artificiosa, e, poi che il prono- 
me è femminile anche se rappresentante una persona 
fisicamente Mascnlle, può dar luogo a curiosi equi 
voci. 


—'dld 


ae 


L’ITALIANISSIMO « VOI » 


La coerenza e la chiarezza hanno perciò oppor- 
tunamente consigliato il ritorno all’italianissimo 
« Voi » (1). 

Nessun fanatico del «Lei» oserebbe mai sosti- 
tuirlo al « Voi» nel linguaggio solenne o nelle pre- 
ghiere. 


*o Ro >* 


I 500 paragrafi che precedono non preten- 
dono di contenere fulte le norme per un lim- 
pido e corretto discorso, ma appena le fonda- 
mentali e di orientamento. Non è esagerato aî- 
fermare che 5.000 paragrafi con altrettante 
«regole» sarebbero ancora insulficienti, pur 
se ogni fenomeno morfologico, sintattico e di 
connessione Îra pensiero ed espressione fosse 
formulabile con una regola, 

Un periodo, una proposizione, una parola, 
o anche una semplice intonazione sono il ri- 
sultato di più « regole » o « leggi », che diffe- 
rentemente confluiscono e — jogicamente — 
con differenti effetti. 

Vi è una ragione per cui noi diciamo « sa- 
le e tabacchi » e non mai «tabacchi e sale »: 
a noi è spontaneo dire« bianco e nero », « cani 
e gatti », ecc., mentre per un Anglosassone 
quest ordine è del tutto « anormale », poi che 
egli pensa e dice « black and while » (« nero 


(1) Il « Voi» non altera la direzione della parola, 
mentre il « Lei» si dirige fuori scena, convenzional- 
mente, appunto per evitare quel « discorso diretto » 
che, nella realtà, pone i due interlocutori nella stessa 
scena linguistica. — La campagna contro il « Lei » e 
per il ripristino del « Voi» fu iniziata dall’autore nel 
1928 (cfr. La Tribuna, 31 ott. e 10 nov., Giornale d'I- 
talia, 16 dicembre). Ripresa da Bruno Cicognani un 
decennio più tardi, fu inconsultamente trasformata in 
provvedimento autoritario. Altrettanto inconsultamen- 
te, la questione filologica divenne anche più tardi 0g- 
getto di polemiche a base politica. Per la chiarezza 
letteraria del problema, cfr. Toddi, Perché il « Lei » 
non è italiano, in «Sapere », Milano, 15, V, 1939: 
N. 105, pag. 350 e segg. 


n Uli 


GRAMMATICA DELLA LINGUA ITALIANA 


e bianco ») e « cats and dogs» (« gatti e ca- 
ni »). Più che una ragione, vi è tutto un insie- 
me di ragioni. 

Ma anche là ove sarebbe complessa l’ana- 
lisi dei fattori storici, psicologici, fisiologici, 
climatici che determinano il particolare feno- 

meno linguistico, ciò che soprattutto importa 
è la constatazione della diversità di. espres- 
sione in quanto rivela una diversità di pen- 
siero. 

E, in ciascuna lingua, l’espressione è chia- 
ra e corretta allorché rende esattamente il pen- 
siero: ed è sintomo che il pensiero stesso si è 
ben coordinato in « idee »: un ‘espressione lin- 
guistica torbida o inesatta — cioè comunque 
« scorretta — rivela una mal congegnata con- 
nessione di idee, non corrispondente cioè ad 
una disciplinata realtà. 

Coerenza e chiarezza sono i due connotati 
fondamentali del nostro idioma, il quale è non 
soltanto armonioso nel senso musicale, ma an- 
che armonico, nel significato più essenziale, 
ponendo in armonia l’espressione del pensie- 
ro con l’obiettiva realtà, ossia ciò che real- 
mente « è », 


FINE 


Liza 


REPERTORIO 


degli argomenti, delle persone 
e dei vocaboli (*) 


a, caratterist. del femm,, 
206. 

— (—a)=+a, pag. 187. 

a, prep. 348. 

a-, pref. ingl., pag. 240!. 

-a, femm., persiste nel 
plur., 212. 

-a, nei nomi geogr., 351, 
259. | 
Aachen, ted., p. 260, fig. 

abbassalinguu, 223. 
abbastanza, 395. 
a, b, c, - A, B, C, valore 
ordinale, 302. 
Abd-er-Rhaman, pag. 184. 
abete, 181. 
abitanti (nomi di), 
373. 
ac, rum., pag. 1263. 
acacia, 218. 
accento latino, 206. 
accento in lingue stranie- 
re, pag. 621, 
accentuazione latina, 176. 
accidenti!, 472. 
acciocché, 443, 447. 
accrescitivi, 334. 
accusativo, 422 - nelle e- 
sclamaz., 241; - nei pro- 
nomi, 237. 
Achrad°ne, pag. 262, n. 3. 
achtgeben, ted., pag. 3072. 
« adaequatio », pag. 72, n. 
adal, mald., pag. 301, 302. 
Adamo, pas. 57, n. 1. 


3723, 


aér, lat., 202. 

aferin, turc., 461. 

affar, amar., pag. 572. 

affatto, 397. 

affinché, 443. ‘ 

afloat, ingl., pag. 241!. 

aggettivo: cap. XV, - 
37 - funz. da avverbio, 
384- - agg. e avverbio, 
414 - concordanza, 314 
- gradi, 321 e segg. - po- 
sizione, 319 - uso e sti- 
le, 311 - con valore as- 
soluto, 321. 

aggett. composti geograf., 
pag. 2951. 


è aggett. determin., cap. XV 


aggett. geograf., 367 e 
segg. 

aggett. determinat. locat., 

‘ 499. 

aggett. numer., 295 e segg. 

aggett. possessivi, 291, 498 
- rinforz. da avverbio, 
329. 

aggett. qual:ficat., 286, 300 
e segg. - in funzione de- 
termin., 316 - in funz. 
attribut, 311. 

aggett. qualificat. geogr., 
367 e segg. 

aggett. qualificat. nei no- 
mi geograf., 350. 

aggett. sostantivati. 37, 
300. 


(*) I numeri, se non preceduti da « pag. » (=« pa- 
gina »), rimandano ai paragrafi. Gli esponenti riman- 


dano alle note. 


— 413 — 


REPERTORIO 


ago, pag. 1263. 

agricola, pag. 1442, 

agua vai!, port. pag. 371!. 

aguja, spagn., pag. 126!. 

ah!, 456, pag. 362, n. 1. 

iah!, 456, pag. 362!. 

ahi!, 459, 460, 461. 

ahimé!, 461. 

ahilui!, 461. 

aicc.a-l-m, amar., pag. 316, 

aidèllem, amar., pag. 314, 

aiè, amar., pag. 3154. 

aìguille, franc., pag. 1263. 

air, franc., pag. 262!. 

aire, spagn., pag. 2621. 

aiuto!, 26. 

aivi, lapp., pag. 2723. 

Aix, franc., pag. 260. 

ajédrez, spagn., pag. 134, 
fig. 

aki, ungh., pag. 2041. 

albanese, 367. 

albanese (lingua) vedi lin- 
gua albanese. 

alberi (nomi di), 181. - in 
lat., 201. 

albero, 201. 

alcunché, pag. 1891. 

‘ alcuno, pag. 1891. 

Aldrich H. S., pag. 521. 

alemàn, spagn., 372. 

algebra, simbol., 232, 239. 

alike, ingl., pag. 240!. 

all, ingl., pag. 185°. 

Allah, pag. 370!. 

alle, ted., pag. 1831. 

alléloin, gr., pag. 192, fig.; 
pag. 1931. 

allora, 400. 

allorché, 401, 443, 447. 

allorquando, 401. 

alone, pag. 204!. 


alouette, franc., pag. 64!. | 


Alpi, 358. 

alquanto, 395, 400. 

Altair, pag. 284. 

alter, lat., pag. 1912. 

alternanza, 392. 

Altissimo, 257. 

altrettanto, 398. 

altri, altrui, 257, 258, 291; 
pag. 189, fig. 


‘amulette, franc., 


alto, pag. 244!. 

ame, giapp., pag. 212. 

ameba, 199. 

amely, ungher., pag. 204!. 

amen, ebr., pag. 106, 161, 

« americano », 379. 

ami, ungher., pag. 204, n. 

Amilcarelli I., pag. 1081; 
pag. 1242. 

amo, spagn., pag. 572. 

amtsalter, ted., pag. 62. 

amuleto, 182. 

182. 

an, egiz., pag. 3152. 

analisi e sintesi, 385. 

analisi grammatiicale, 331. 

analisi logica, 331, 431. 

analogie, 160. 

ananasso, 201. 

analysis situs, pag. 1901. 

anata, giapp., pag. 4001. 

anconetano, 369. 

ancorché, 442, 

andalou, franc., 371. 

Andalusia, 351. 

Ande, 358. 

-ando, 415. 

Andromeda, pag. 284. 

Androvic’ G., pag. 336, n. 

anfòringsticken, svedese, 
pag. 4031. 

anfiihrungsstriche, 
pag. 4031. 

anglo-, pag. 3951. 

Angola, 351. 

anima, delle cose, p. 175:. 


ted., 


‘anima + corpo = perso- 


na, pag. ill, n. 
animali, masch. e femm., 

181. i 
-ano;, suff. aggett., 367. 
anofele, pag. 123. 
anreden, ted., pag. 4002. 
antecedente, nelle relati- 

ve, 269 e seggio 
Antille, 353. 
antînazifascista, pag. 129. 
antonomasia, 379. 
anybody, ingl., pag. 1881. 
apis, romanesco, pag. 63. 
apodosi, 118, 119, 120. 
Apollo, pag. 143, n. 3. 


— 414 — 


wr-m<W W È 'ÀÈÉÉÈhrhqJÎq UPE€©’_'wwo_——uE::[[|k<;iI:-(:(:(::Ii5 


REPERTORIO 


appena, 401, 443, 

Appennini, 358. 

Apuleio, pag. 322. 

Aquisgrana, pag. 261!. 
pag. 260, fig. 

Arab, Arabian, 
ingl., pag. 2931. 

aqui del Rei!, port., 468. 

Arabia, 351.0 | 

arancia, arancio, 201. 

arare, giapp., pag. 212. 

arc, rum., pag. 127, n. 

arbor, lat., 201. 

_archiatros, gr., pag. 260, 
fig. 

Archimede, pas. 20, n. 

area di significato, 71, 478, 

argot, pag. 2952. 

aria, 202. 

Ariel, 363. 

Ariminus, 359. 

Ariosto, pagg. 6, 7, 127, 
130, 177, 280, 320, 326. 

ari-masu, giapp., p. 1752; 
pag. 176, fig. 

Aristotele, pag. 21!; pag. 
431; pag. 59, 82, 3241; 
pag. 356. 

armonia. universale, 49. 

armonia vocalica, 84. 

Arnolfo di Cambio, pag. 
1541. 

arrivista, 186. 

articolazione e intonazio- 
ne, 441. 

arte e interiezione, 442. 

articolo,37-èaggett. 
determinat., 290, 313 - 
nei nomi astronom., 365 
- nei nomi geograf., 340, 
345 e segg. - coi nomi 
di parentela, 313 n. - 
nei nomi di quartieri, 
rioni, ecc., 344 - artic. 
e numerale, 298 - art. 
sostantivato, 299. 

articolo apparente, 84. 

articolo doppio, pag. 64, 
n. 

articolo etimologico, 341. 

artista, 212. 

as’, lit., pag. 397. 


Arabic, 


asciafferègn, amar., pag. 
316. 

«asco, suff. aggett., 369. 

asindoto, pag. 401, 

asintote, pag. 40!. 

asleep, ingl., pag. 2401. 

assai, 295. 

associazione d’idee, 438. 

assurdo, 321. 

astri (nomi di), 366. 

astrologia, pag. 140-141. 

astronomia (nomi), 363 e 
segg. 

aten, ar., pag. 50. 

Atene, 343, 

Athenae, lat., 343, 

atlante, 339. 

Atlante, 353. 

atollo, pag. 301 fig. 

attributo, pag. 234. 

atum, port., pag. 50. 

atùn, spagn., pag. 50. 

arzt, ted., pag. 260 fig. 


‘ auò(n) amar., pag. 3154. 


autista, pag. 129. 

auto, 184. 

autoblindo, 184. 

autobus, 192. 

automobile, 181. 

avanti, 402. 

Avenarius R., pag. 3511. 

avere, 108, 109 - forma il 
futuro, 153 - manca in 
arabo, pag. 751, 

aviere, 188.0 

avo, port., pag. 2272. 

avverbio, p. 37; cap. 
XIX; 381 e segg. - av- 
verbio e aggettivo, 414 
- aggettivo del verbo, 
381, 384 - incorporato 
nel verbo, 385 - etimol., 
382 - avverbio e prepo- 
siz., 413 - vale sost. + 
preposiz. 416 - avv. + 
verbo = verbo specifico 
385. 

avverbî affermativi, 389. 

avverbî correlativi, 398, 
410. 

avverbî determinativi, 383 
e segg. 


» 


— 415,4 


REPERTORIO 


avverbî interrogat., 449. 
avverbî locat., 
430 e segg.; 499. 
avverbî in -mente, 406. 
avverbî negat., 386 e segg. 
- negat. sintet., 388. 
avverbî onomatopeici, 418 


e segg. 
avverbî qualificat., 383, 
405 e segg. 
avverbî sostantivati, 407. 
avverbî temporali, 400, 


401. \ 
jay de mi! spagn., 461. 
azione alternata, 385. 


azione verbale angolare, 
422. 
azione verbale dir., 422. 


Aztechi, pag. 293!. 
azteco, 374. 
Azuma, pag. 257!. 


baccalà, 191. 

baccarà, 191. 

bacio, 469. 

Bacone, pag. 73!. 
Balance, franc., ingl., 366. 
Ballini A., pag. 3771. 
bambù, 191. 

bana bak!, turc., 471. 


banchettissimo, pag. 252!. 


banggabhasa, beng., pag. 
LDIAEE 

bar, 192. 

Barabba, 223 d). 

barista, 186. 

base etica delle 
zioni, 458. 

Basler O., pag. 74. 

basso, pag. 244. 

battaglione, 121. 

bazar, 192, 223. 

Beaulicu, pag. 257!. 

because, ingl., pag. 358 fig. 

Becchetti S., pag. 377. 

Beciuana, 351. 

becsi, ungher., 375. 

bee, ingl., pag. 1581. 

beer, ted., pag. 62. 

beerben, pag. 62. 

beinn, celt., pag. 2723. 

Bell C. A., pag. 782. 


interie- 


402, 403, 


bellefontain, franc., 371. 

Beltrano, port., pag. 214!. 

ben, celt., pag. 2723. 

benché, 447. 

Bengala, 351; bengala, p. 
131. 

Benloew L., pag. 1164. 

berg, ted., pag. 2723. 

bergamasco, 369. 

beri-beri, 190. 

berlinois, franc., 371. 

Berro B., pag. 281!. 

bestemmia, 461. 

Bessière G. pag. 183. 

Beyer F., pag. 62!. 

Bezsonov P. A., pag. 3693. 

Biacchi L., pag. 1601; pag. 
3372. 

Bibbia, pagg. /l, 3, 575, 
10717 CIVITAS 

bien, franc., pag. 252. 

Bilancia, astron., 366. 

Bilancioni G., pag. 10!., 

birba, 186. 

birudingu, giapp., p. 363!. 

bitte!, ted., pag. 372. 

bizbiz, port., 469. 

bjerg, dan., pag. 27235. 

blanco, spagn., pag. 296, 
297. 

bocconi, pag. 329. 

Boccaccio, pagg. 45, 174!, 
1861, 

Boezio, pag. 20!. 

Bohatta H., pag. 228. 

boia, 186, 223. 

Boito A., pag. 356. 

Boiste O. C. V., pag. 367!. 

boku, giapp., pag. 398: 
pag. 4092. 

boku-ra, giapp., pag. 398. 

Bolivar S., pag. 271. 

Bolivia, 351. 

bolscevismo, 380. 

bomba atomica, pag. 91!, 
pag. 300-301. 

bon, franc., pag. 252. 

bonheur, pag. 124. 

Bonifacio VIII, pag. 2991. 

Bonvesin da Riva, pag. 
3ZI4I, 

book, ingl., pag. 301. 


ì rvmò0_ù_—òwo WWW ‘él0@q1#10@e’ MMM) Size 


REPERTORIO 


Bormida, 359. 

Bortone F., pag. 118. 

bow-wow, ingl., 419. 

boy, ingl., pag. 158. 

Brackenbury G., pag. 701. 

Brahmaputra, 359. 

bravo!, tranc., 457. 

brdo, jugosl., pag. 2723. 

bre, serb., 466. 

Brewer E. C., pag. 1951, 

brianzolo, 369. 

Brindisi, pag. 258; brindi- 
si, pag. 258, 213. 

brisa, bologn., pag. 3145. 

Bròndal V., pag. 252. 

Bruce E. D., pag. 118. 

Bucarest, 343. 

Budapest, 343; budapesti, 
ungher., 375. 

Buenos Aires, 342. 

« Biihnensprache », 
pag. 240!. 

building, ingl, pag. 363!. 

Bulgaria, 351. 

bùmerang, 192. 

buono, pag. 244!. 

bureau, franc., pag. 71!. 

° burocrazia, pag. 71! - bu- 
rocrazia grammaticale, 
100, 147. 

burro, spagn., pag. 572. 

bustina, 380. 

byl, bylà, bylo, russ., pag. 

“2381. 

byliby, bylyby, pol., pag. 
2381, 


ted., 


cablogramma, 186. 

Caboto, pag. 2596. 

cacciatorpediniere, p. 160. 

Càchy, boem., pag. 260. 

cada uno, spagn., p. 183. 

cadì, 191. 

Càdiz, spagn., 371. 

caffè, 191, 223. 

cagliaritano, 369. 

Caio, 284. 

calcolo differenziale, pag. 
2444, 

calcolo integrale, p. 183. 

Callisto, astron., 363. 

camaleonte, 181. 


camerata, 186. 

camice, pag. 1532. 
camicia, 218. 
camionettista, 186. 
Campana M., pag. 1191, 
Campidoglio, 357. 
Canadà, 352. 

canapé, 191. 

candel:ere, 188. 

Cane, astron,. 366. 
canizie, 214. 

cafion, spagn., 380. 

canto gregoriano, p. 1184. 
Canton Ticino, pag. 288. 
cantonese, 368. 
Capannelle, 344. 
caporione, 225. 


Capos M., pag. 1782; pag. 


3372. 
capostazione, 225. 
Capponi Gino, pag. 4. 
Capraia, 345. 
Caprez G., pag. 3772. 
Capri, pag. 266, 267; par. 
367. 
icaramba!, spagn. 466. 
caratteristiche nazionali 
nelle esclamazioni, 451. 
carburatore, 188. 
Carducci G., pag. 77. 
caricaturista, 186. 
Caridd?, 379. 
carità, 191. 
Carnera, 379. 
carniere, 188. 
Caro A., pag. 127. 
Carpazi, 358. 
Cartesio, pag. 380. 
Carul cu boi, rum., pag. 
2821. 
Caruso, 379. 
casalasco, 369. 
Cascine, 344. 
casi, in latino 21 - abbon- 
danza di casi, 423. 
caso ablativo, 423. 
caso adesivo, pag. 3381, 
caso allativo, pag. 3381. 
caso comitativo, p. 3381. 
caso connettivo, p. 3382. 
caso dativo etico, 426. 
caso diretto, 422, 478, 498. 


«dla 


27 


REPERTORIO 


caso elativo, pag. 338!. 
caso espletivo, pag. 3382. 
caso essivo, pag. 3381. 
caso genitivo, 431.0 
caso illativo, pag. 3381. 
caso inessivo, pag. 3381. 


caso istruttivo, pag. 3381. 


caso locativo, 423, p. 3371. 
caso obliquo, 422, 478, 

498. | 
caso partitivo, pag. 3381. 
caso possessivo, p. 3382, 
caso preposizionale, 423. 
caso privativo, pag. 3381. 
caso prolativo, pag. 338!. 
caso strumentale, 423. 
caso traslativo, pag. 3381. 
caso vocativo, 423. 
Cassinelli B., pag. 3951. 
Castiglia, pag. 268. 
castità, 191. 

Cataluîia, pag. 266. 
categorie aristoteliche, p. 
3241, | 
catene di monti (nomi), 

258. 
Catone M. P., pag. 385. 
358. 
cattivo, pag. 244!, 
Caucaso, 358. 
caucciù, 191. 


causa, lat., pag. 350!. 
ce, ci, pron., 498. 
cedro, 201. 


Cefeidi, astron.. 366. 

celaviek (celoviek), 
pag. 123!. 

celle-ci, celle-là, franc., p. 
1731. 

cellula, 200, pag« 663. 

celui-ci, celui-là, franc., p. 
1731. 

cent, ingl., pag. 2272. 

Centauro, astron., 366. 

centavo, spagn., pag. 2272. 

centime, ingl., franc., pag. 
2272. 

céntimo, spagn., pag. 2272. 

centesimo, pag. 2271. 

« 3 di Delboeuf », D. 

cerimoniere, 188. 


russ., 


cerro, spagn., pag. 2723. 

Cervino, 357. . 

Cesare, pag. 45. 

Cesarotti Melcn., pag. 31!; 
pag. 1243. 

cetvorka, croat., 

Cevenne, 358. 

chacun, franc., pag. 1831; 
‘pag. 1851. 

chaleur, franc., pag. 124. 

character, ingl., pag. 3861. 

Chariot de David, franc. 
pag. 2821. 

Charle’s Wain, ingl., pag. 
2821. 

Chaucer, pag. 2793. 

che, congiunz., 268, 444, 
446; consecut., 447; de- 
terminat. 446. 

che, pron., 267 e segg. 

checkmate, ingl., pag. 134 
fig. 

chem-pe-sh’u-wa, tibet. p. 
3761. 

ched è?, roman., pag. 10!. 

chess,.ingl., pag. 134, fig. 

chi, pron. bivalente, 275. 

Chianti, 197. 

chicchirichì, 419. 

chimica, pag. 171. 

chimono, 185. 


pag. 230. 


. China, 376. 


china, ingl., pag. 292. 

chino, spagn., pag. 2911; 
pag. 296-297. 

chinois, franc., 371. 

chioggiotto, 369. 

Chioma di Berenice, 366. 

Chiot G., pag. 3772. 

chiunque, 247. 

Chorìo, pag. 261. 

chove, port., pag. 202. 

ci pron., 403, 498, p. 175. 

-ci, franc., pag. 1731. 

-cia, gia, (plur. dei nomi 
in), 218. 

C’iang?-chiangi, 2771. 

ciào, 467. 

ciascuno, 252. 

Cicerone, pagg. 45, 1007, 
118, 159, 171, 298, 337. 

cicerone, 279. 


— 418 — 


dee RI LIZIEoRAI 


Rita AAA DL ILILIIITIT TTI i i 


REPERTORIO 


Cicognani B., pag. 411*. 

Cile, 352. 

Cina, 376. 

cincilea, rum., pag. 2272. 

cincime, rum., pag. 2272. 

cinese, 376. 

cino-, 376; pag. 2951. 

cinquina, pag. 230. 

Cinzano, 197, 223. 

cioè 442. 

ciò, 235. 

cipriota, 369. 

circolare, 321. 

città (nome di), 343, 427. 

città, 191, 223. 

citationstecken, sved., p. 
4031, 

civiltà e linguaggio, 461. 

civiltà latina, pag. 271!. 

-C0, -g0, (plur. dei nomi 
in), 219. 

« cockney », pag. 2952 - 
doppia negazione in, p. 
1881. 


cocoroco, rum., pag. 332. 

codesto, 499. 

cognomi (plur. dei), 223. 

colà, 402. 

colei, 235, 236, 482. 

colibrì, 191. 

colli (nomi dei), 357. 

Colombia, 351. 

Colombo Cristoforo, pag. 
271. 

colorado, spagn., p. 2331. 

colore, 181. 

colori (parole indicanti i), 
pagg. 233-2342. 

coloro, 237. 

colui, 235, 236, 490. 

comasco, 369. 

come 443 - come? 410. 

come!, ingl., pag. 3722. 

Comenio, pag. 231. 

comillas, spagn., p. 4031. 


comparativo 70 - compa- 


rativi spec., 330. 
complementi, 125. 


complemento di agente, 
432. 

complemento di causa, 
432. 


complemento di denomi- 
nazione, 434. 


. complemento di misura, 
432. — 

complemento di natura, 
432. 


complemento oggetto, 37, 
38, 422. 


complemento di origine, 
432. 
complemento di prove- 


nienza, 432. 
complemento di specifica- 
zione, 431. 
« compound tenses », ingl., 
pag. 701. 
Computo Ecclesiastico, p. 
141-142. | 
concatenazione mentale e 
concatenaz. verb., 438. 
concetto, 438. 
concordanza, 54 - di ag- 
gett. 314 - criterio mu- 
sicale 294 - concord. e 
forma mentis, 315 - c. 
dei pronomi, 243. 
condizione - non sempre 
espressa: 116. 
congiunzione, 37; 
438 e segg. 
congiunzioni 
442. 
congiunzioni causali, 443, 
448. 
congiunzioni 
443. 
congiunzioni condizionali, 
443 
congiunzioni consecutive, 
446. 
congiunzioni coordinative, 
440, 442. 
congiunzioni 
442. 
congiunzioni determinati- 
ve. 445. 
congiunzioni dichiarative, 
62, 442 


avversative, 


concessive, 


copulative, 


congiunzioni dimostrative, 
442. 

congiunzioni disgiuntive, 
442. 


— 419 — 


REPERTORIO 


congiunzioni disgiuntive, 
442, 447. 


congiunzioni finali, 443, 
448. 
‘congiunzioni integranti, 
«443, 444, 445. 
congiunzione nei nomi 
geograf., 339. 
congiunzioni ipotetiche, 
113, 121. 


congiunzioni subordinati- 
ve, 440, 443. 

congiunzioni 
443. 

| congrà, turc., pag. 631. 

congrès, franc., pag. 601. 

coniugare, pag. 86. 


temporali, 


coniugazione, 91 - 


non in antitesi con l’in- 
dole analitica, 126; I, II, 
III coniug.; 163. 

coniugazione semplificata, 
494. 

coniugazione passiva (non 
esiste in italiano), 138. 

consonante iniziale, 298. 

consonante (nomi in), 192. 

conviva, pag. 1472. 

Constantinoupolis, gr., p. 
289 fig. 

Contarini P., pag. 328!. 

coordinazione, 441. 

coquerico!, franc., p. 332. 

« copula » pag. 12. 

còr, port., pag. 124. 

Cordigliera, 358. 

Corioli, 343. 

Coroteghi, pag. 2931. 

correlazione tra domanda 
e risposta, 391. 

corsè, 191. 

corset, franc., pag. 1352. 

Cortesia e interiezioni, 458 
e segg.. 

cosa, pag. 3501, 

così, 398, 416. 

costà, 402. 

coso, 283. 


Costantinopoli, pag. 289. . 


Costa Rica, 351. 
costei, 235, 236. 


costellazioni (nomi delle), 
366. 
costoro, 237. © 


‘costrutti congiuntivi, 447. 


costrutti esclamativi, 450. 

costrutti interiettivi, 453. 

costui, 235, 236. 

couleur, franc., pag. 1241. 

crab, ingl., 366. 

crack, franc., pag. 3332. 

creolo, 377. 

Creta, 347. 

crisi, 190. 

crisi della scienza, pag. 
2501. 

criterio analitico e into- 
nazione, 460. 

criterio econom., p. 3511. 

criterio fondament., 315. 

Croazia, 351. 

Croce Benedetto, pag. 380. 

Croce del Sud, 366. 

c’to, russ., pag. 3591. 

cucurigu, rum., p. 332. 

cui, 273, 274. 

cui, lat., 273. 

cuius, lat., 273. 


cur, lat., pag. 3573. 


curve esponenziali, 
2444. 

cuyo, spagn., pag. 2022. 

« Cy », pag. 1712. 


pag. 


da, pag. 347; par. 433. 
da, tibet., pag. 4092. 
dagh, tur., pag. 2723. 
Dalai Lama, pag. 130. 
danés, spagn., pag. 291. 
D'Annunzio G., pag. 264. 
Dante Alighieri, pagg. 6, 
9, 10, 23, 27, 30, 321, 36, 
37, 40, 45, 47, 55, 77, 81, 
90, 92, 110, 111, 121, 
1233, 127, 135, 144: 
1541, 157, 181, 183, 190, 
198, 199, 200, 201, 202, 
204, 210, 211, 2331, 237, 
253, 265, 275, 285, 313, 
321, 318, 320, 323, 324, 
325, 326, 328, 330, 345, 
346, 353, 355, 358, 364, 
398, 400, 403, 408. 


— 420 — 


e ||" €/}]) —- — 


REPERTORIO 


Dantzig T., pag. 227. 
dare, pag.. 75. 
dare-avere, 108. 
dativo, nci pronomi, 237. 
D’Aubigné, pag. 1251, 
Dauzat A., pag. 1261; pag. 
1472. 
Davis W. M., pag. 3021. 
D'Azeglio Massimo, pag. 
3872. 
de, spagn.., port., 432. 
de, giapp., pag. 350!. 
De Arrigarai B., pag. 642. 
declension, ingl., p. 3351. 
declination, ingl., p. 3361. 
declinazione, 422. 
declinazione latina, 68 - 
scomparsa in italiano, 
91. 
declinazione delle « perso- 
ne », 497. 
declinazione pronominale, 
237, 273. 
declinazione e coniugazio- 
ne, differenza, 126. 
definizione, pag. 723 - è al 
presente, 141 - suoi re- 
quisiti, 101. 
degh neu, amar., p. 3154. 
De Kaapsche Hoop, olan- 
dese, 340. 
Demostene, pag. 1243. 
den Haag, pag. 2593. 
denominatore, 188. 
denominatori, 302. 
derivati numerici, 306. 
dernier, franc., 320. 
De Ruggiero G., p. 127!. 
De Sanctis F., pag. 2351. 
De Saussure F., pag. 2032. 
Descartes, vedi Cartesio. 
deserto, 361. 
deshonnheur, franc., pag. 
1241. 
desinenza e genere, 183. 
Desvres, pag. 2611. 
« derivata », pag. 245. 
determinatezza delle lin- 
gue flessive, 73. 
deutsch, Deutscher, ted.. 
375. i 
di, prep., 431, 432. 


dia, franc., 470. 

dia, port.; dia, spagn., p. 
1262. 

dialetti arabi, (nomi geo- 

_ gr.) pag. 274. 

dialetti italiani, pag. 461. 

dialetto, 155 - d. e lingua, 
pag. 46! - vocat. 496. 

dialetto abruzzese, p. 113. 

dialetto bolognese, p. 314! 

dialeto brianzolo, p. 276. 

dialetto cantonese, p. 118. 

dialetto còrso, pag. 329. 

dialetto fiorentino, p. 276. 

dialetto genovese, p. 205. 

dialetto lugudorese, pag. 
329. 

dialetto maltese, p. 2883. 

dialetto milanese, p. 3141. 

dialetto napoletano, p. 7, 
342, 113, 205, 4062. 

dialetto romanesco, p. 53, 
155, 62, 113, 264, 205, 
4062. 

dialetto sardo, 289, p. 205. 

dialetto siciliano, p. 205. 

dialetto toscano, 51. 

dialetto veneziano, p. 205, 
pag. 328. 

diamante, 181. 

diamine!, 472. 

diavolo!, 472. | 

dicotomia dell’Universo, 
pag. 3933. 

dictionary, ingl., p. 2972. 

did, ingl., pag. 13. 

dieresi, 190. 

dies, lat., pag. 1262. 

dietro, 402. 

dilemma, 186. 

di-mi, tibet., pag. 376!. 

diminutivi, 334. 

dinamarqués, Dinamarca, 
spagn., pag. 291! 

dinamo, 186, 223. 

Dio, 1, 6, 220 - popoli sen- 
za D., pag. 1672. 

Dionigi D’Alicarnasso, p. 
1183. 

Dipper, ingl., pag. 282. 

direttissima, direttissimo, 
pag. 252!. 


“i 


REPERTORIO 


discorso narrativo e 
discorso personale, 480 
e segg. 

discorso obiettivo, 164. 

discorso in 3* persona, p. 


379 e segg. 
discorso personalizzato, 
492. 


dita e numerazione, pag. 
2301. 


divinità (antiche, genere, 


363. 
divisione, 181. 
divisore, 188. 
Dixon J. M., pag. 195!. 
[10] do, ingl., 387; pag. 13. 
do; nota mus., 193. 
doko, giapp,. pag. 343, fig. 
dogmi, espressi al presen- 
te, 141. 
domanda, correlaz. con la 
risposta, 391. 
domani, 400. 
domi, lat., pag. 337! 
domino, 223. 
domo, lat., pag. 337!. 
-domo, giapp., pag. 398. 
Donat J., p. 324:; p. 380. 
donde, 403, pag. 2022. 
dongèng,dongéng-dongèng 
giav., pag. 149. 
donna, 199. 
dont, franc., pag. 2022. - 
doppia negazione, 255. 
dòr, port., pag. 124!. 
Dora Baltea, D. Riparia, 
259. 
douleur, franc., pag. 124!. 
dove, 403; dove?, 410. 
D’Ovidio, pag. 1542. 
Downing Street, 379. 
dozzina, pag. 230. 
dramma, 186. 
Drava, 359. 
Drina, 359. 
dritthalb, ted., pag. 228. 
duale, 59. 
dubbio, pag. 3572. 
dubitativo (futuro), 155. 
Duna, 359. 
Duns Scato, pag. 601. 
durata dell’azione, 139. 


. einander, ted., pag. 


durata dell’imperf., 145. 
durata del presente, 139. 
durata dello stato, 139. 
durezza, pag. 249. 

dvizak, croat., pag. 230. 
dvojka, croat., pag. 230. 
duwur-ran, giav., p. 375!. 


e=ati, 211. 
-e (nomi in), 181 - nomi 
dei fiumi in -e, 359. 


each other, ingl., p. 192, 


- 193. 

Earie J., pag. 76!. 

ebraico, ebreo, 375. 

Ebridi, 353. 

eccuò, amar., pag. 3154. 

échec, pag. 134, fig. 

echo, port., écho, franc., 
pag. 127!. 

Eckardt A., pag. 3112. 

echo, 184-b. 

economia di energia, pag. 
3511. 

economia nel linguaggio, 
pag. 149!. 

economia in Natura, 231. 

economia, proprietà dei 
pronomi, 226. 

ecou, rum., pag. 127! 


écrevisse, franc., 366. 


Edo = Yedo, pag. 295°. 

Edwards E. D., pag. 118. 

egli, 235, 482. 

eglino, 237. 

ehi!, 471. 

192, 
1931. 

einmal, ted., pag. 2392. 

Finstein A., pag 1281. 

eis, gr. mod., pag. 342. 

either, ingl., pag. 1913. 

ej, sved., pag. 313!. 

elce, pag. 123. 

elefantiasi, 190. 

elevator, ingl., pag. 363!. 

Elicona, 379. 

Elio Donato, pag. 27 

el-Kahireh, ar., pag. 2595. 

ella, 235, 482. 

elle, 237. 

ellenico, 372. 


i MOD 


REPERTORIO 


ellenò, 237. 
El-Mobarrad, pag. 3811. 
el-Rei, port., pag. 3712. 
Elysium, pag. 266. 
ematite, pag. 641. 

embì, amar., pag. 3154. 
en, franc., pag. 1743. 
enclitiche greche, 242. 
enclitici. (pronomi), 242. 
-endo, pag. 415. 

energia nei neutri, 239. 
energia verbale, 40, 41. 
enfant, franc., pag. 1291, 
-ense, 368, 369. 
entrambi, 262. 

epatta, pag. 140, fig. 
Epipole, pag. 2623. 
eporediese, 371. 

Epstein J., pag. 348!, 
equazioni, 229. -. 


equivoco cartesiano, pag. 


380. 

er, ted., pag. 397. 

erebéta, giapp., p. 363!. 

erg, pag. 82. 

ergo, gr., pag. 82. 

Eros, astron,. 363. 

esagerazione, 338. 

Eschine, pag. 1243. 

escì, amar., pag. 3154. 

-ese, 367, 368. 

esortazioni ippiche, 455. 

espressioni negative, 386 e 
segg. 

Esquilino, 357. 

esse, pron. 27. 

essere, 1, 21, 23, 25 - fun- 
zione del verbo e., 12 - 
= «accadere », 10 - li- 
mitaz. spaziale, 11 - li- 
mitaz. temporale, 7, 8, 
9 - nei verbi riflessi, 32 
“. con partic. passivo, 
105. 

essi, 237. 

esso, 235. 

est, 192. 

estasi, 213. 

està, 191. 

estate, 181, 191. 

estense, 369. 

esule, 133. 


eterno, 321.‘ 

etimolozia delle 
zioni, 452. 

eugubino, 371. 

«eur, franc., pag. 124. 

Furopa, 363. 

europai, ungher., 375. 

Everest, 357. 

every, everyone, ingl. pag. 
1831. 

evoluzione, pag. 51. 

evoluzione delle espres- 
sioni interiettive, 442. 

evoluzione della persona- 
lità, 483. 

ey, isuand., pag. 2722. 

Ez-Zaggiàg’, pag. 381. 


interie- 


fa, nota mus., 193, 223. 

facultativo, spagn., p. 572. 

fair, ingl., pag. 311, 

falò, 191, 223. 

Fanfani, pag. 161. 

Fir Oer, 356. 

Faraglioni, 353. 

Farina G., pag. 81!. 

farmacia, 218. 

fante, 188. 

fascista, 186. 

fattore, 188. 

fattore etico relig., 437. 

fattore psicologico, 161. 

fattore sentimentale, vedi 
feeling. 

fattori primi (scomposiz.), 
435. 


Fedro, pagg. 49, 110. 

feeling, 52, 436; pag. 3501. 

fe, cin., pag. 3152. 

fell, celt., isl., pag. 2723. 

fenomeni umani e astrali, 
200. 

Ferretti P., pag. 1184. 

Ferrero: V. C., pag. 62. 

fiat, lat., pag. 106. 

fico, 201. 

figlio, 215. 

film, 192 223. 

filosofia dell’essere, pag. 
381. 

Fineo O., pag. 2281, 

Firenzuola A,. pag. 1852. 


SI, IA 


REPERTORIO 


fisciù, 191. 

fisima, pag. 130. 

fiumi (nomi di), 359. 

Flamini F., pag. 302. 

flessione dell’idea, 159. 

fleur, franc., pag. 124!. 

flor, spagn., pag. 124!. 

flòr, port., pag. 124’. 

flusso dell’energia verba- 
le, 41. 

fiall; island., p. 2723. 

ficill, sved., p. 2723. 

fiell, dan., island., pag. 
2723. 

fjoll, island., p. 2723. 

focus, lat., 202. 

fontainibléen, franc., 371. 

forma mentis linguistica, 
73 - sviluppo, 483. 

forma mentis e cortesia, 
459, 

forma passiva, 102. 

forma verbale narrativa, 
494. 

forma verbale personale, 
494. 

formazione 
203. 

former, ingl., pag. 1731. 

formichiere, 181, 188. 

Formosa, 351. 

Fornaciari, pag. 161!. 

forza analitica, 67. 

forza fònica, 67. 

Foscolo Ugo, pagg. 14, 
143, 157, 364, 

foto, 184, 223. 

Fowler H. W., pag. 2933; 
pag. 3441. 

Francia, 351. 

frangia, 218. 

Fratelli, 356. 

frazioni, 303. 

fronte, 198. 

Frosinone, 371. 

frusenate, 371. 

frutti, 201. 

Fuji no yama, Fujisan, 
pag. 273, 274. 

Fulano, spagn., port., pag. 
214, 


dell’italano, 


fungibilità dei pronomi, 
479. 
funiculaire, franc., pag. 
123:. 


funicolare, 181. 

funzione sintattica, 68. 

funzioni mentali colletti- 
ve, pag. 144!. 

fuoco, 202. 

fuorché, 447. 

fuori-serie, 197. 

furu, giapp., pag. 212. 

Fusciyama, vedi Fuji. 

fusione fònica, 83. 


gaditano, spagn., 371. 

Gaeta, pag. 299. 

gagà, 191. 

galant, 320. 

Galizia. 351. 

Galli, 353. 

gallòk-gallok, corean., p. 
3333. 

galvanizzare, 379. 

gangsal, giov., pag. 375!. 

Ganimede, astron., 363. 

Garbasso A., pag. 2383. 

Garonna, 359. 

gas, alban., pag. 572. 

gaucho, 185. 

gazetteer, pag. 2581, 

gdjé-to, russ., pag. 1752. 

gebirge, ted., pag. 2723. 

gee, gee-gee, gee-up, gee- 
wo, ingl., pag. 3731. 

Gelli J., pag. 2291-2. 

Gémeaux, franc., 366. 

Gemelli, astron., 366. 

Gemelli A., pag. 116!. 

Gemini, ingl., 366. 

Gender, ingl., pag. 1222. 

generalissimo, pag. 2521. 

genere, 180, 199 - nei 
nomi geogr., cap. XVII 
masch. e femm., 199 - 
neut. 179, 235, 239, 260 
- del possessore, 293. 

genere lunare, 199 e segg. 

genere solare, 199 e segg. 

Genesi, 198. 

genitivo, ne’ pron., 237. 

genitore, 188. 


— 424 — 


Google 
O 


dè 


REPERTORIO 


Gentile G., pag. 20, 380. 

Genung J. F., pag. 3441. 

geometria, pag. 107. 

geometria cartesiana, pag. 
3802. 

geroglifico, negaz., 390. 

gerundio, 133, 134, 
415 e segg. 

gesto, 426. 

[to] get, ingl., pag. 76. 

ghilemele, rum., p. 4031, 

ghnu, ottent., pag. 1581, 

-gia, plur. dei nomi in, 
218. 

Giacalone B., pag. 393! 

giacché, 443, 447. 

Giava, 351. 

gilè, 191. 

gilet, franc., pag. 1352. 

Giordani P., pag. 171. 

giornalista, pag. 129. 

Giotto, pag. 1541. 

Giove, pagg. 1433, 155, 
363. 

gioventù, 191. 

Giraffa, astron., 366. 

Girard A., pag. 56. 

gif. giapp., vedi ji. 

Giuba, 359. 

giudizio espresso con pa- 
role, 125. 

giungla, 380. 

giurì, 191. 

Giusti G., pagg. 246, 355. 

gli 237, 238. 242, 243. 

gliela, glieli, glielo, gliene. 
242. 

Gladstone W. E., pag. 234. 

gnu, 223. 

‘-g0, plurale dei nomi in, 
219. 


Gobi, 361. 

Goelzer H., pag. 3222. 

Goethe W., pagg. 183, 289. 

gogou, mong.. pag. 332. 

gondoliere, 188. 

good-bvye, ingl., 467. 

gora, russ., bulg., croat., 
jugosl., pag. 2723. 

Gorgona, 345. 

gorilla, 186-c. 


gororòk-gororòk, corean., 
pag. 3301. 

Gozi Manlio, pag. 2884. 

Gozzi Carlo e Gaspare, 
pag. 2884. 

gradi di paragone, 
321 e segg. 

grado superlativo, 321. 

grafia e tono, 441. 

grammatica, 4, 81, 
101, 231. 

grammatica araba, pag. 

3113. | 

grammatica indiana, 86. 

grammatica latina, 121. 

grammatica normativa, p. 
191, 

grammatica perennis, 3. 

grande, pag. 244!, 

Grande Belt, 349. 

Grande Ourse, franc., pag. 
2821. 

Gran Lama, 130. 

Gran Sasso, 357. 

Great Bear, ingl., p. 2821. 

greco, 372. 

Gribeo L., pag. 2622. 

Gròber G., pag. 3141. 

Groote Beer, oland., pag. 
2821. 

Grosser Br, ted., p. 2821. 

grosso, 332. 

gruppi di respiro, 85. 

gruppo di vocab. sostan- 
tivato, 232. | 

Guadagnoli G., pag. 246. 

guancia, 218. 

guardia, 186. 

Gubbio, 371. 

Guénon R., pag. 1411. 

Guicciardini, pag. 31, 

guida, 186. 

Guiana, 351. 

guillemets, franc., p. 4031. 

Gutmann-Polledro R., p. 
338. 


_h etimolog, pag. 261. 


hai, giapp., pag. 317!. 
half, ingl., pag. 2292? 


half-breed, ingl., pag. 296, 


297. 


“405 a 


REPERTORIO 


Himilainen A., pag. 100,  -i, sui. plur., 208. 


3381. -i, nei pronomi, 240, 259. 
Hamit I., pag. 53. icke, sved., pag. 313!. 
hand, ingl., pagg. 55, 1041, idealismo e realismo, 315. 
hara, giapp., pag. 133. idealista, 186. 
harakiri, giapp., pagg. 132, ideismo, pag. 379!. 

133. ideografia pag. 140!. 
harem, 192, 233. ideogrammi, 73; pag. 54! - 
-hata, corean., pag. 3302. - negazione, 390. 

haw, ingl., pag. 373! identità, 13. 

Hawaii, 353. idiom, ingl., pag. 1951. 
he, ingl., sass., pag. 397. idioma e idiotismi, 265 - 
Heaven, ingl., pag. 266. traduzione, 385. 

Hegel, pagg. 3791, 3813. idiosincrasie fòniche, pag. 
hegy, ungher., pag. 2723. 642, 

helios, gr., pag. 145, fig. Idus, lat., pag. 127. 

Hell, ingl., pag. 266. iellèm, amar., pag. 316. 
her, ingl., pag. 194!. ieri, 400. 

Herschell F. G., p. 2793. if, ingl, pag. 982. 

heu!, lat., 461. igdlo, eschim., pag. 128. 
heusch!, oland., 466. igloo, eschim., 185. 

hie, sass., 397. ignis, lat., 202. 
hinggil-lan, giav., p. 375!. hr, ted., pag. 397. 
Himalaya, 358.. ihuonàl, amar., pag. 3154. 
his, ingl., pag. 1941. ile, giapp., pag. 317!. 
hispalense, spagn., 371. dk, got., pag. 397. 

hm!, pag. 3622. il Cairo, 340. 

Hogben L., pag. 245. © il Furlo, 340. 

homo, lat., 220. illusioni ottiche. 338. 
Honduras, 352. i il-Masr, pag. 2595. 
honneur, franc., p. 124!. il Pireo, 340. 

honra, spagn, pag. 124! imago, lat., pag. 127. 
Hooke R., pag. 663. imbàttula. cors., pag. 329. 
hori, siov., pag. 2723. imber, lat., pag. 1611. 
hott!, ted., pag. 373!. immanente, 321. 

hottehii, ted., pag. 3731. immortale, 321. 

hotto, ted., pag. 373t. _ imperativo, 496. 
Hoang?-ho?, 360. imperatore, 188. 

ihombre!, spagn., 466. impossibile, 321. 
.how-do-yo-call-it, ingl., p. in, ital., lat., ingl., ted, 

2121. pag. 341. 
hsieh3, cin., pag. 105. . in, giapp., 204. 
hsing4, cin., pag. 3752. Inchaurrondo M.. p. 642. 
hii, ted., pag. 3731. inciso relativo, 271. 
Hudson, pag. 278. incognita (nel « perché »), 
hue, franc., 470. 449. 
hum. pag. 3622. Incroyables, pas. 2561. 
hundreth, ingl., pag. 2272. indea, duala, pag. 308. 
hwa, got., pag. 203!. India, 351. 

. indigeno, pag. 2921. 

I, ingl., pag. 397. indio, spagn., p. 296. 297. 
1, segno grafico, 215 indo-europeo, pag. 393. 
— 426 — 


o" " "PT T——— —|-|,,,,;MiIOiIO 


REPERTORIO 


. individualità dell’« io », 
485. 
inerzia del neutro, p. 24!; 
pag. 90!. 


infatti, 442. 

inferiore, pag. 247!. 

infimo, pag. 244. 

infinito, 321. 

infinito, nonè verbo, 
129 e segg. - idea non 
localizzata, 157 - immo- 
bile, 158 - idea, verbale 
in potenza, 158. 

infinito con l’accusativo, 
:131. 

infinito esclamativo, 132. 

«ing, ingl., pag. 243; pag. 
94!; pag. 971. 

Ingram G. H., pag. 2072. 

in-Nasre, pag. 2593. 

«ino, 369, 371. 

in-8°, pag. 2295 | 

in scia Allah, ar., p. 3701. 

inspirazione, 455. 

in-16°, pag. 2295. 

insolubile, 321. 


intensità degli aggettivi, 
324. 

intensivo, 335. 

intensivo degli avverbi, 


408. 
interiezione, 37, 438 
e segg., cap. XXI - nei 
nomi geogr., 339. 
interiezione telefon., 442. 
interpunzione, 449. 
intonazione, 390. 
intonazione interrogat., p. 
2043, 
intonazione ironica, 450. 
into, ingl., pag. 341. 
intuizione dell’essere, 2. 
inversione e tonalità, 241. 
inverted commas, p. 4031. 
Io, astron., 363. 
io, 478 e segg., 481 e segg., 
pag. 172! - non ha plu- 
rale, 484. 
-ione (nomi in), 124. 
-iota, suff., 369. 
ipodermoclisi, 190. 
ipotesi, 190. 


- 
hd 


Iran, iranico, 376. 


Irlanda, 351. 
-irokon, corean., p. 3651. 


- ironia, 450. 


-isch, ted., pag. 287. 

isole (nomi di), 427. 

isole maggiori, 346. 

isole m.nori, 345. 

isole (nomi collett.), 353. 

ispano-, pag. 295!. 

«issimo, 334, 

Istanbul, pag. 289. 

istinto, mentalità colletti- 
va, pag. 144!. 

it., ingl., pag. 175:. 

ita, 389. 

«itano, 370. 

Itariago, giapp., 375. 

Itariajin, giapp., 375. 

Îvi, 403. 


ja, ted., pag. 316. 

ja, serb, russ., pag« 397. 

Jack, ingl., pag. 173". 

James W., pag. 394. 

Janet P., pag. 393!; pag. 
149, 

Ja°wa°o, giav., pag. 375!. 

jawab, giav., pag. 375!. 

Jawi, giav., pag. 375". 

jaque-mate, spagn., p. 134 
fig. 

je, lit., pag. 397. 

jieder, ted., pag. 1831. 

Jespersen O., pag. 65. 

jibraltareîto, spagn., 371. 


jin-riki-sha, giapp., pag. 
3001. 

jis, lit., pag. 397. 

Jones D., pag. 118. 

joule, 379. 

jù, giapp., pag. 575. 

Judson A., pag. 338:. 


Jugoslavia. pag. 269. 
Julia (gens), pag. 159. 
jumeaux, franc., 366. 
Jungfrau, 357. 

jus, lit., pag. 397. 


k, pag. 287. 
ka, giapp., pag. 206!. 
ka, sanscr., pag. pag. 203!. 


— 427 


REPERTORIO 


kakemono, giapp., p. 129. 
kalih, giav., pag. 3751. 
kaln, lett., pag. 2723. 
kamaheke, sotho, p. 234. 
kamàan-kaman, corean., p. 
333. 
kame, giapp., pag. 373. 
Kant E., pag. 271!; pag. 
3791. 
kara, giapp., pag. 3522. 
Karagòz, pag. 63!. 
karakiri (errato), p. 132- 
133. 
Kastner L. E., pag. 149. 
katana, giapp., pag. 129!. 
Kellogg B., pag. 70!. 
key, ingl., pag. 1581. 
Kha-kom-pa, tibet., 
3761. 
kikeriki, ted., pag. 332. 
kikiriki, ceko, pag. 282. 
kimi, giapp., pag. 4092. 
kimono, giapp., pag. 128. 
Kingsley A. H., pag. 3391. 
kiri, giapp., pag. 133. 
Kitab-el-Giumal, p. 3811. 
kleine Beer, oland., pag. 
2821, 
kleiner Bùr, ted., p. 2821. 
kod, sanscr., pag. 2031. 
kodomo, giapp., pag. 129. 
koébare, cunama, p. 2301. 
koélla, cunama, pag. 2301. 
kokekokkéò, giapp., p. 332. 


Komensky G. A., p. 231. 


kos, sanscr., pag: 203!. 
kra°ma°, giav., 474. 


kraomao-hinggil, giav. p. 


3751, 
kramapàtha, ind., pag. 65. 
Kroan R., pag. 1881. 
kt6-to, russ., pag. 
176. 
176. 
kR’uais-k'uai4-ti, cin., pag. 
3332. 
kuant, kuan!-fu?, cin. pag. 
1422. 


1752, 


kudd-to, russ., pag. 1752, 


176. 
kuéi4, cin, pag. 3752. 
kueis-hsing4, cin., p. 3752. 


pag. 


kuku, serb., 469. 
kukuriekti, russ., pag. 332. 


kuni, kuni-guni, giapp., p- 
I 


148 

kuo?, kuo?-kuo, cin., pag. 
1481 

Kurili, 358. 


- ku-sh-ing-la-phep”-pa, tib., 


pag. 376!. 
kys-kys, russ., 469. 


fa, pron., 237, 242, 243. 

—, nota mus., 193. 

là, avv., 402. 

La Asunciòn, 340. 

labor, spagn., pag. 142!. 

lacchè, 191. 

La Canea, 340. 

La Consuma, 340. 

La Corutta, 340. 

Lacrima Christi, 197. 

La Futa, 340. 

La Caiola, 340. 

La Habana, pag. 2594. 

La Haye, pag. 2593. 

L’Aja, 340. 

lama, [b}lama, tibet., pag. 
pag. 130. 

Lamarck, G. B., pag. 51. 

lampu, lampu-lampu, giav., 
pag. 149. 

Landais N., pag. 151; pag. 
561, 

Landi S., pag. 2262. 

lao3, cin., pag. 13. 

La Paz, 340, 341. 

lapis, 84. 

La Plata, 340. 

Lapponia, 351. 

L'Aquila, 340. 

largo, spagn., pag. 572. 

Las Palmas, 341. 

La Spezia, 340, 369. 

latinità nei nomi geogr. 
351. 

latter, ingl., pag. 173!. 

La Uniòn, 340. 

le, pron., 237, 242, 243. 

Le Bourget, 340. 

legame ideologico. 384. 

legge di Bode, 364. 

leggi fisiche, 141. 


= 


e veÌ7:55;CC0om 


REPERTORIO 


. leggi grammaticali, 28. 

leggio, 217. 

. Iegittimista, 186. 

lei, 237, 240, 241. 

Lei, 410, 500. 

Leibniz G. W. von, pag. 
91, pag. 402. 

Leite de Vasconcellos J., 
pag. 3712. 

lemnie lemme, 420. 

Le Mesnil le Roi, 340. 

Lena, 359. 

Lenin, pag. 271!. 

leo, lat., 220. 

Leonardo da Vinci, pag. 
1701, | 

Leone XIII, pag. 4. 

Leopardi G., pagg. 
2351, 3662. 

lessico neolatino, pag. 471. 

lettere dell’alfab., ge- 
nere, 194 - invariabile, 
223. 

lettere greche, 195. 

lettere a b c, 302. 

Levi E., pag. 319, 

Lévy-Bruhl L., pagg. 1681, 
3391, 

li, pron., 242. 

lîao3, cin., pag. 13. 

Libra, astron., 366. 

Lilla Bjòrnen, sved., pag. 
2821. 
lima, ar., pag. 358, fig. 

— limitazione avverb., 386, 
395. 

limitazione temporale, 7. 

limite nei pronomi, 246 e 
segg. 

limone, 201. 

limougeaud, franc., 371. 

limousin, limousine, franc. 
371. 

linee di forza, 275. 

lingua abaka, 310. 

lingua afrikaans, p. 2723. 

lingua albanese, pag. 572 
- ora, 302 - nomi geogr., 
356. 

lingua amarica, pag. 572 - 
affermaz., 390 - prop. 
relat., 390, pag. 371". 


157, 


lingua angola, pag. 271!. 
, lingua araba, pag. 571 - 

«avere» pag. 75! - in- 
teriez., 453 - ipotet. p. 
782 - nomi geogr., 361, 
356 - pron. enclit., pag. 
194! - pron. relat., pag. 
204! - prop. relat., pag. 
2001, 

lingua assira, pag. 105 - 
permans., pag. 942. 

lingua bantù, 351. 

lingua basca, pag. 57! - a- 
crof., pag. 64 - nume- 
raz., 307 - relat., 271, 
271. 

lingua bengali, pag. 2713. 

. lingua berbera, nomi geo- 

gr., pag. 2723. 

lingua birmana, 423, 

lingua bongo, pag. 2331 

lingua bulgara, nomi geo- 
gr., pag. 2723 - numer. 
spec., 306 - ore, p. 225. 

lingua cambogiana, nomi 
geogr., pag. 2723. 


‘ lingua catalana, interiez., 


456. 

lingua ceka, nomi astron., 
366. 

lingua celtica, pag. 2723. 

lingua cimci, 297. 

lingua cinese, pagg. 12, 
57! - « avere », pag. 75! 
- cortesia 459 - inter- 
rog., 277 - negaz., 390 - 
piur., 208 - nomi geo- 
gr., 351, 356, 360 - toni, 
176. 

lingua coreana, pagg. 571, 
3112 - cortesia, 459 - 
desin. interiett., 446 - 
negaz., 387 - onomato- 
peiche, 418. 

lingua croata, casi, 423 - 
nomi geogr., pag. 272! - 
numerali spec., 306. 

lingua cunama, numerali, 
307. 

lingua danese, 301 - nomi 
geogr., pag. 272!. 


— 429 — 


REPERTORIO 


lingua ebraica, onomato- 
pe.che, 421. 

lingua egizia, ideogram- 
mi, 390 - negaz., 390 - 
sintassi, 122. 

lingua esquimese, p. 1283 
- locat., 348 - pron. 18 
pers., 348. 

lingua estone, nomi geo- 
gr., pag. 2723. 

lingua finlandese, accento, 
pag. 62! - casi, 423 - fu- 
turo, 154 - nomi geogr., 
pag. 2723 - nomi di po- 
poli, 375. 

lingua francese, 29 - ac- 
cento, pag. 62! - aggett., 
320, 384 - ‘agg. possess., 
pag. 2422 - agg. geogr., 
371 - aller+infin., 154 - 
alternanza, 392 - artic. 
340 - avverbî in -ment., 
405 - complem. indir., 
422 - doppia negaz., 255 
- genere dei possess., 
293 - gradi di parag., 
336 - imperat. negat., 
496 - interiez., 442 - lo- 
cat. e tempor., 404 - 
masch. e femm., 207 - 
negaz., 387, 389 - nomi 
astronom., 366 - nomi 
in eur., 181 - nomi geo- 
gr., 340 - numerali, 297 
- num. ordin., 302 - nu- 
meraz. vigesimale, pag. 
224! - onomatop., 418 - 
ore, pag. 225 - passato 
ipotet. 151 - persone 
verbali, 495 - plur. ge- 
ner., 208 - possess., 265 
-  preposiz. posposta, 
426 - pronomi, 236, 238 
- risposta, 391 - si con- 
diz., 121 - si affermat,, 
391 - verbo plur. e sing., 
166. 

lingua galla, pag. 57!. 

lingua gallese, numeraz., 
307. 

lingua giapponese, p. 212, 
571, 1282 - azione alter- 


nat., 385 - congiunz. e 
postposiz., 429 - inte- 
. riez. telefon., 442 - in- 
terrogaz., 277 - -masu, 
387 - mentalità, 287 - 
sillaba, 168 - ipotetiche, 
122 - nomi geogr., pag. 
2723, 375 - nomi di lin- 
gue, 375 - nomi di po- 
poli, 375 - onomatop, 
pag. 330 - relative, 271 
- risposte, 391 - senti- 
mento, 437 - sesso di 
chi parla o scrive, 294 . 
sintassi, 287 - strumen- 
tale, 439 - verbo negat,, 
250, 387. 
lingua giavanese, p. 57! - 
cortesia, 459 - denomi- 
nat. fraz., 305 - plur. 
gener., 208. 
lingua gotica, casi, pag. 
3373 - plur. verbi, 495. 
lingua greca, casi, 72, 423 
- enclitiche, 242 - nomi 
in -i, 190 - nomi geogr, 
pag. 2723 - pron. recipr,, 
263 - neutro, 131. 
lingua greca moderna, in- 
teriez., 442 - ore p. 225 
- Jocat., 423, 428. 
lingua india, 342, p. 2723. 
lingua inglese, pag. 13 - 
| carattere, 73 - aggett. e 
avverbio, 384 - aggett. 
invariato, 293, 316 - ag- 
gett. possess., 313 - al- 
ternanza, 392 - area di 
significato, 478 - con- 
giunz., 442 - fo do, 387 
feeling, 52, 437 - forma 
continua, 41 - genere 
neut., 482 - gradi di pa- 
rag., 337 - genere del 
possessore, 293 - imperf. 
e perf., 150 - interiez. 
441, 453 - interrogat. 
337 - ipotetiche, 387 - 
locat., 430 - negaz., 387 
- nomi astron., 366 - no 
mi geogr., 347, 375,361 > 
nomi ultraterreni, 347 - 


a 430: 


REPERTORIO 


onomatop,. 419 - ore, 
pag. 225 - 28 persona, 
489 - possess., 265 - pre- 
cedenza aggettivi, 287 - 
preposiz. e avverbî, 413, 
426 - processo analitico 
e sintetico, 385 - pron. 
recipr., 262 - pron. re- 
lat., 229, 271 - raggrup- 
pam. ideologico, 385 - 
termini grammat., 422 - 
vocale finale, 223 - pas- 
sato ipotet. 151 - su- 
perlat., 321 - tempi com- 
posti, 98. 

lingua islandese, p. 2723. 

lingua italiana, 51 - non 
deriva dal lat., 64 - pri- 
mi documenti, 323, 

lingua. kinyamwezi), suffis- 
so locativo verbale, 348 
- locativi, 499. 

lingua lappone, nomi geo- 
gr., pag. 2723. 

lingua latina, sintetismo, 
68 - accusat. 267, 422 - 
accusat. interiett., 446 - 
affermaz., 389 - avverbî 
in -mente, 405 - avver- 
bî locat., 430 - casi, 72, 
423 - casa genit., 431 - 
dativo, 422 - dativo eti- 
co, 436 - declinaz., 423 
- esclamaz. 241 - futu- 
ro, 153 - fut. perifrast., 
155 - habeo+t-part. pass., 
109 - imperat. negat., 
496 - infinito accusat., 
131 - infin. esclamativo, 
132 - interiez., 446 - in- 
terrogat. 449 - masch. 
in -a, 206 - moto a lun- 
go. 427 - negaz., 389 - 
nomi di fiumi, 359 - no- 
mi di luogo, 342 - neu- 
tro, 182 - nomi in -us 
(IV), 184 - numer., 297 
- onomatop., 421 - ore, 
302 - plur. in -i, in -s, 
209 - plur. nei nomi geo- 
gr., 343 - quam compa- 
rat:, 413 - religione, 220 


- stato in luogo, 427 - 
tradizione, 218 - verba 
timendi, 393 - vocativo, 
446. 

lingua latina arcaica, 64. 

lingua lettone - futuro, 
154 - nomi geogr., pag. 
2723 - ore, pag. 225. 

lingua lituana, futuro, 154 
- ore, pag. 225. 

lingua malayalim., 380. 


. lingua maldiva, 380. 


lingua malese - nomi geo- 
gf... pag. 2723. 


lingua manciù, 361. 


lingua mandarina, p. 118. 

lingua mong., nomi geo- 
gr., 361, pag. 2723 - ono- 
matop.. pag. 332. 

lingua nazionale, 52. 

lingua norvegese - nume- 
raz., 307 - ore, pag. 225. 

lingua olandese, articolo, 
340 - genere del posses- 
sore, 293 - imperf. e 
perf., 150 - negaz., 389 
- nomi astron., 366 - 
nomi geogr., 340 - ore, 
pag. 225. 

lingua ottentotta, p. 1582, 

lingua parlata, 378. 

lingua pechinese, p. 118. 

lingua persiana, nomi geo- 
gr., pag. 2723. 

lingua pidgin-English, 297 

lingua polacca, pag. 57! - 
ore, pag. 225. 

lingua portoghese, p. 20? 
- pag. 188! - aggett. pos- 
sess., 313, 318 - articolo 
nei nomi geogr., 340 - 
avverbî in -mente, 405 - 
denominat. fraz.. 303 - 
interiez., 452, 453 - no- 
mi geogr., 340 - masch. 
e femm., 207 - negaz. 
389 - numerali, 297 - 
ore, pag. 225 - si ipotet., 
121 - genere grammat., 
181 - imperat., 496 - 
neutro, 179 - plur. pers., 
495 - verbi forti, 159 - 


i @l-ea 


REPERTORIO 


verbo plur. e sing., 166. 

lingua rumena, pag. 202 - 
agg. possess., 313, 318 - 
avverbio interrog., 450 
- cong. causale, 450 - 
futuro perifrast., 155 - 
condizionale, 175 - de- 
nominat. fraz., 303 - 
doppia negaz., 255 - 
masch. e femm., 207 - 
negaz., 389 - nomi a- 
stron., 366 - nomi geo- 
gr., pag. 2723 - numer., 
297 - ore, pag. 225 - plu- 
rale eterogeneo, 221 - 
plur. geogr., 343 - plur. 
pers., 495 - verbo piur. 
e sing., 156 - trascriz., 
343 - vocali brevi, 340. 

lingua russa, pag. 392, p. 
57! - casì, 423 - con- 
cord. del verbo, 315 - 
congiunz. causale, 450 - 
interiez., 452 - interro- 
gaz., 450 - moto a luo- 
go, 427 - negaz., 387, 
389 - nomi geogr., 359, 
pag. 2723 - numer., 297 
onomatop., 420 - ore, 
pag. 225 - scioglilin- 
gua, 359 - sogg. e og- 
getto con negat., 387 - 
stato in luogo, 427 - To, 
240 - verbi, 495, 

lingua samoieda, p. 2723. 

lingua sanscrita, casi, 72 - 
desin. verb., 495 - scrit- 
tura, 86. 

lingua sassone, 142. 

lingua serba, casi, 423 - 
interiez., 454 - nomi 
geogr., 350, 356 - ore, 
pag. 225. 

lingua siamese, cortesia, 
459 - nomi geogr., pag. 
2723. à 

lingua singalese, pag. 133 
- nomi geogr., p. 2723. 

lingua slovena, ore, pag. 
225. 

lingua somala, nomi geo- 
PILEnaAo2723; 


lingua sotho, colori, pag. 


234. 

lingua spagnola, pag. 202, 
pag. 57! - artic. nei no- 
mi geogr., 340 - avver- 
bî in -mente, 405 - com- 
plem. indir., 422 - con- 
dizion., 119 - denomi- 
nat. fraz. 303 - doppia 
negaz., 255 - imperat,, 
496 - masch. e femm,, 
207 - neutro, 179 - no- 
mi astron., 360 - nomi 
geogr., 340, 347, 356 - 
aggett. geogr., 371, 372 
- interiez., 452 - modo 
potenziale, 175 - negaz., 
389 - numerali, 297 - 
ore, pag. 225 - plurale 
pers., 495 - possess., 265 
verbi forti, 159 - verbi 
di III e II con., pag. 
1123. 

lingua svedese, pag. 202 - 
negaz., 389 - nomi a- 
stron., 366 - nomi geo- 
gr., 356 - ore, pag. 225 
- passato pross., 98. 

lingua suahili, nomi geo- 
gr., 351. 

lingua tamil, nomi geogr., 
pag. 2723. 

lingua tedesca, pag. 202 - 
agg. geogr., 367 - agget- 
tivi, 316 - in funz. di 
avverbio, 384 - alter- 
nanza, 392 - artic. nei 
nomi geogr., 340 - casi, 
423 - complem., 422 - 
concordanza, 315 - de- 
nominat. fraz., 303 - im- 
perat. negat., 496 - im- 
perf. e perf., 950 - mo- 
to a luogo, 427 - negaz., 
387, 389 - nomi astron., 
366 - nomi geogr., 340, 
347, 356 - onomatop., 
419, 420 - part. pass, 
147 - passato ipot., 151 
- 22 pers., 489 - proces- 
so analitico e sintetico, 
385 - pronunzia, p. 61! 


ky = 


«Go 0g le 


Eee ‘’_,.KL0M0 


REPERTORIO 


- stato in luogo, 427 - 
Umgangssprache, 378 - 
verbi forti, 159 - verbi 
separabili, 385 - wer- 
den+pass., 105 - wenn 
e ob, 121. 

lingua tibet., ipotet., 118 
- nomi geogr., p. 2723 - 
onomatop., pag. 332. 

lingua turca, pag. 52! - 
armonia vocalica, p. 63 
- interiez., 446, 456 - 
nomi geogr., pag. 2723 
- ore, pag. 225. 

lingua umbra, pru, 227. 

lingua ungherese, -accen- 
to, pag. 62! - antico im- 
perf., 150 - locat., 430 - 
nomi geogr., pag. 2723, 
275 - nomi di popoli, 
375 - ore, pag. 225 - 
pron. relat., 276 - suffis- 
si locat., 348. 

lingua yoruba, numeraz., 
pag. 2241, 

linguaggio e civiltà, 461. 

linguaggio femminile, p. 
- 2192. 

linguaggio infantile, 483. 

linguaggio nautico, 422. 

lingue africane, 385. 

lingue agglutinanti, p. 52! 
- casi, 423. 

lingue flessive, 71, 72, 73, 


- fless. delle idee, 159. 


lingue indiane, 191. 

lingue indoeuropee, pag. 
4052, 

lingue isolanti, 72. | 

lingue neolat., 65 e segg. 
- avverbî in -mente, 405 
- se, lat. si, 121 - con- 
cordanza, 315 - condi- 
zioni, 175 - gradi di pa- 
rag., 334 - negaz., 389 - 
numerali, 297 - e realtà, 
316 - plur. person., 487, 
495 - tracce di neutro, 
179. 

lingue nordiche, doppia 
negaz., 256. 


lingue orientali, numerali, 
297. 

lingue del Pacifico, sillabe 
aperte, pag. 113:, 

lingue polisintetiche, pag. 
1283 > 

lingue povere di avverbî, 
385. 

lingue primitive, 230.0 

lingue semitiche, tempo 
permansivo, 142 - con- 
cordanza del verbo, 315 

lingue sintetiche, 18. 

lingue slave, pag. 571 - 
casi, 423 - futuro peri- 
frast., 154 - nomi geo- 
gr., pag. 2723. 

lingue teutoniche, futuro 
perifrast., 154. 

linguista, 186. 

Linneo, pag. 51. 

lisbonnin, franc., 371. 

Little Bear, ingl., p. 282. 

liturgia, s'gnificato, 222 

llama, 186. 

Ilueve, spagn., pag. 202. 

lo, pron., 237, 242. 

lo, artic. spagn., p. 1221. 

Loangua, 359. 

lobo, spagn., port., 209. 

localizzazione nel tempo, 
125 e segg. 

Locatelli L., pag. 711. 

locomotiva, 199. 

locomotore, 199; 

logica e teologia, p. 721. 

logica linguistica, p. 961, 

logica orientale, p. 2171. 

Loira, 359. 

londinese, 371, 377. 


londo, duala, p. 308. 


londonien, franc., 371. 

lontananza dalla 12 per- 
sona, 499. 

loro, pron. 237, pag. 173! 
agg. possess., 291. 


«Los Angeles, 341. 


Lucrezio, pag. 233!. 

luette, franc., pag. 641. 
luhlaza, zulù, pag. 234!. 
lui, pron., 237, 241, 483. 


“da 


REPERTORIO 


luna, pag. 145 - Luna, 363, 
364. 

lunedì, 191. 

lunghezza d’onda, p. 234. 

lupus, lat., 209. 

Luzòn, 347. 

Lvyeil, pag. SI. 


ma, 451. 

maa, finl., pag. 331!. 

Maccari G B., pag. 97!. 

Machiavelli N., pag. 354. 

machin, franc., pag. 2121. 

Macinai L. 'pagg., 161!, 
2372. 

Madagascar, 347. 

Madonie 358. 

Madonna, pag. 155. 

madrilerio, spagn., 37. 

ma°?dya?, giavan., 474. 

miiggi, eston., pag. 2723. 


maggiore di..., 330, pag. 


248, fig. 
magia, 218. 
Mago, 219. 
maharagiah, pagg. 133, 
135.1 
mai, 416. 
Maiorca, 347. 
maitse, finl., pag. 3381. 
maiuscole nei nomi di po- 
poli, 374. 
Majella, 357. 
miki, finl., pag. 2723. 
mal, ted., ag. 2382. 
malattie, genere, 180, 181. 
malheur, franc., pag. 124!. 
mallàng - mallang - hatu, 
giavan., pag. 3332. 
Malpighi M., pag. 663. 
Malta, pag. 288. 
maltese, 368. 
malum, lat., pag. 142!., 
malus, lat., pag. 1421. 
mama-ta, rum., pag. 237!. 
man, ingl., pag. 104!. 
man, ted., pag. 212. 
man, ar., pag. 204,1. 
mandarin, mandarine, fr., 
pag. 1422. 
mandarino, 201. 
mancese, 376. 


Mancini P. S., pag. 7. 

manciù, Manciukuò, 376. 

man4-man4, cin., p. 3332. 

mano, 184. 

manus., lat., pag. 1263. 

many a..., ingl., pag. 2463. 

Manzoni A., pagg. 4, 95, 
275, 364. 

mar, lat., 202. 

marconigramma, 379. 

marconiterapia, 379. 

mare, 202. 

Mar del Plata, pag. 2596. 

Marechiaro, 345. 

Mario E. A., 359. 

Maritain J., pag. 72!. 


Marocco, 352. 


Marte, 363. 

martedì, 191. 

Martinon P., pag. 175. 
martyr, gr., pag. 591. 
marush, assir., pag. 942. 


_ massimo, 321, pag. 2441. 


massimo rendimento in 
Natura, 231. 

mat, franc., sved., p. 134. 

mata, pers., pag. 134. 

matita, pag. 63. 

Matthiae G., pag. 1432. 

Matthews W., pag. 1881. 

maximum, pag. 128!. 

me, 422, 478, 498. 

Meano C., pag. 161. 

medicina cinese, p. 146!. 

Medio-Evo, pp. 1411, 1541. 

Mediterrania, pag. 2712. 

[to] meet, ingl., pag. 210!. 

mei?, cin., pag. 3152. 

Meiklejohn J. M. D., pag. 
941, 

meilleur, franc., pag. 252. 

membro, 222. 

méen?, cin., pag. 3963 

meno, 399. 

mentalità collettiva, pas. 
1441, 

mentalità greco-latina, 80. 

mentalità linguistica, 429. 


. mentalità e numeraz., 301. 


mentalità orientale, pas. 
2171. 
mentalità tedesca, 315. 


— 434 — 


î i ERE 


1 O MEI iii, è » °° 


REPERTORIO 


-mente, 405. 

mentre, 146. 

mercé, 191. i 

meri, finì., pag. 3381. 

meridies, lat., pag. 1262. 

mes, lit., pag. 397. 

Messico, 352. 

mestizo, pagg. 296, 297. 

metà, 303. 

metafora, 379. 

Metastasio P., pagg. 78, 
355. 

meticcio, pagg. 296, 297. 

metonimia, 379. 

métro, franc., pag. 290. 

metropoli, 370, pag. 134. 

métropolitain, franc., pag. 
290. 

Meyer-Liibke W., p. 3222. 

mezzaluna, pag. 162. 

mezzo, -a, 304. 

mezzodì, 191. 

mi, 422, 478, 498. 

mi, nota music., 193. 

Micronesia, 351. 

mieux, pag. 252. 

miglio, 221. 

migliore, pag. 247. 

migrazione di vocab., 380. 

mihi, lat., 497. 

mikado, 185. 

milita, lat., 221. 

miliuni, lat., 221. 

mille, ital., lat., 221. 

millecento, 197. 

minga, milan., pag. 3141. 


ming?-tsz?, cin., pag. 52!. 


minime, lat., 389. 

minimo, 321. 

minimum, pag. 128. 

minimus, lat., pag. 2442. 

minore di..., 330, pag. 248. 

Minorca, 347. 

mitologia e astronomia, 
pag. 282. 

mitra, 223 f). 

mitra, giavan, pag. 572. 

-mme, finl., pag. 397. 

m’n cheffà, amar., p. 3154. 

mo, cin., pag. 206!. 

mo, tibet., pag. 145, 146. 

-mo, kinyamwesi, p. 269. 


modi del verbo, cap. VI, 
123. 

modo condizionale, 115, 
116, 175 - in lingue stra- 
niere, 117 - anom., 120. 

modo congiunt., 113 - pas- 
sato, 174; pres., 173 - 
esortat., 114. 

modo imperativo, 123. 

modo indicativo, 112. 

modo potenziale, pag. 117. 

moglie, 214, 215. 

molto, 395. 

monachese, 371. 

Monaci E., pag. 452. 

Monaco, 371. 

Mondovì, 371. 

monegasco, 371. 

mono no aware, giapp., p. 
3501, 


‘ monologo, 220. 


monosillabismo, pag. 521. 
monovalente, 321. 
monregalese, 371. 


Montaigne, pag. 1611. 


Montagne Rocciose, 358. 

monte, spagn., pag. 2723. 

Monte Bianco, 356, 357. 

Monte Rosa, 357. 

monti (nomi di), 357 e 
segg. 

Morandi & Cappuccini, p. 

. 2102. 

Mosa, 359, 

Mosella, 359. 

moshi moshi, giapp., pag. 
3631. 

mot, franc., pag. S6!. 

moto a luogo, 404, 427, 
428, 430 e segg. 

moto da luogo, 428. 

motore, 181, 188. 

mulato, spagn., pagg. 296, 
297. î 

mulatto, 377. 

mulier, lat., 215. 

mullong-mullong-hata, co- 
rean., pag. 3332. 

mulsin-mulsin-hata, 
pag. 3332. 

munte, rum., pag. 2723. 

muntele, tum., pag. 2723. 


COr., 


—. Uh 


REPERTORIO 


Muratori L.A., pag. 4!. 

muro, 222. 

musica e onomatopeiche, 
421. 

musicalità dell’ital., 
pag. 119. 

mus[u]ko, giapp., pag. 135. 

musmeé, giapp., 191. 

mY, russ., pag. 397. 


208, 


nada, spagn., port., pagg. 
131, 1881. 

“nai, giapp., pag. 311!. 

Nakayama T., pag. 1463. 

-nakute, giapp., pag. 311!. 

naman, sanscr., pag. 166!. 

name, ted., pag. 1673. 

namesake, ingl., pag. 3501. 

namò, got., pag. 1661. 

nanchinese, 368. 

Nan?-kingî, pag. 2881. 

nao, port., pag. 313!. 

nap'-chhi, tibet., p. 3761. 

napsin-napsin-hata, cor., 
pag. 3332. 

na scia Allah, pag. 3701. 

native, ingl., pag. 292!. 

nazioni (nomi di), 346 e 
segg. 

nazista, 186. 

ne, 237. 

né, 442. 

“ne, corean., pag. 365!. 

né... né..., 442. 

ne... pas, franc., pag. 313!. 

neanche, 442. 

Neapolis, pag. 2623. 

neen, oland., pag. 313!. 

negazione, 386 e ss. 

nei, sved., pag. 313!. 

neither, ingl., pag. 1913. 

nemmeno, 442. 

Nepal, 352. 

neppure, 442. 

Nerone, pag. 1432. 

nessuno, 250, 252, 255. 

Nettuno, astron., 363. 

neutro, 131. 

Newton I., pas. 402. 

New York, 367. 

nga, tibet., pag. 4091, 

ngarang, tibet., pag. 4092. 


RA 


rc—oqqMmMPm°P—_——_ 


ngoko, giavan., 474. 

-ni, finland., pag. 397. 

ni, giapp., pag. 3501. 

Nicaragua, 351. 

nichi, nichi-nichi, giapp. 
pag. 149. 

nicht, ted., pag. 3131. 

nichts, ted., pag. 132. 

niente, 254, 395, 396. 

nie, russ., pag. 313!. 

niet, oland., russ., p. 313!. 

niets, oland., pag. 132. 

Nigra P., pag. 261. 

Nigris G. P., pag. p. 154!, 
2501. 

Nietsche F., pag. 271!. 

Nihongo, giapp., 375. 

Nihonjin, giapp., 375. 

Nilo, 359. 

nimic, rum., pag. 131. 

Nippongo, giapp., 375. 

Nipponjin, 375. 

nirvana, pag. 132. 

niuno, 251, pag. 186. 

-nne, finl., pag. 397. 

no, 388 e segg. 

no, spagn., pag. 3131. 

-no, suff. verb. plur., 168, 
169 - suff. pron. plur, 
239, 485. 

nobody, ingl., pag. 188. 

noi, 487 e segg. 

nome, 228. 

nomen, lat., pag. 1661. 

nomenclatura chim., 334. 

nomi, 177- buoni con- 

. duttori, 41 - di fiumi in 
-a, 359 - geograf. in -a, 
351 e segg. - astron. 365 
e segg. - di città, 343, 
345, 427 - di colli 357 - 
di costellazioni, 366, - 
di fiumi, 359 - geogr., 
cap. XVII - di isole, 
343, 345, 353 e segg. - 
di lingue, 372 - di loca- 
lità, 344 - di monti, 357 
e segg. - di paesi, 343 - 
di parentela, 313 - di 
pianeti, 363 -di popoli, 
351 - proprî divenuti 
comuni, 379 - di quar- 


Google 
| Ò° 


REPERTORIO 


tieri, 344 - di regioni, 
345 e segg. - di rioni, 
344 - di scogli, 353 - di 
Stati, 346. 

nomi in -a, 186. 

nomi in -e, 187. 

nomi in -i, 190. 

nomi in -o, 191. 

nomi composti, 223. 

nomi invariab., 213. 

nomi proprî, 233. 

nomi topografici, 379. 

non, no, 388 e segg. - 
pleon., 393, 394. 

non, franc., pag. 3131. 

non ita, lat., 389. 

note musicali, 193, 223. 

nothing, pagg. 1881, 132. 

nord, 192. 

Nord America, 349. 

noy, catal., 471. 

-nsa, finland,, pag. 397. 

nu, rum., pag. 313!, 

nulla, pag. 131, 253, 254, 


395, 396. 
numerali ausil., 297. 
numerali cardinali, 295, 
297, 301. 


numerali ordinali, 302. 
numerali speciali, 307. 
numerazione e tradizione, 
300. 
. numerazione giavn., 459. 
numerazione romana, 302. 
numeri arabi, 302. 
numero indetermin., 309. 
numero singol. e plur., 63, 
342. 
numeri primi, 435. 
Nurigian G., pag. 230. 
nyika, suabili, pag. 2712. 


O, vacat., 462, 463. 

o, congiunz., pag. 42!. 

o, numerico, ingl., p. 572. 

o, numerico, corean., pag. 
572. 

ò, dan., pag. 272. 

Oberon, astron., 363. 

oblò, 191. 

occhio, 215. 

occlusiva laringea, p. 61!. 


Oceania, 351. 

oggi, 400. 

ognuno, 248, 249, pag. 184. 

oh!, 460, 462, 463. 

ohi!, 471. 

ohm, 379. 

iojalà!, spagn., 467. 

-olo, 369. 

-ologo (nomi in), 219. 

Okà, 359. 

Olimpo, 357, 379. 

ombrello, pag. 1615. 

Om.mani padme hum, p. 
1071. 

on, franc., pag. 211!. 

on, russ., serb., pag. 397. 

one, ingl., pag. 212. i 

oni, russ., serb., pag. 397. 


‘onice, 181. 


“ono, suff. piur., pag. 112. 

onomatopeiche, 418 
e segg. 

onze avo, port., pag. 2222. 

opportunista, 186. 

oppure, 442. 

ora, 302. 

ora, avv., 400. 

Orazio, pag. 365. 

ordine nel Creato, p. 37!.. 

ore una, 58. 

ori-masu, giapp., p. 1753. 

orologio, 216. 

oros, gr., pag. 2723. 

Orsa Maggiore, 366. 

Orsa Minore, 366. 

ortografia, 85. 

Ortygia, pag. 2623. 

Osa Mayor, pag. 282!. 

Osa Menor, pag. 2821. 

ossia, 442. 

osso, 222. 

“ota, 369. 

otorinolaringologo, 219. 

ottava, pag. 230. 

ottavo, pag. 2295. 

ottimo, 321, pagg. 244), 
2512. 

otto, giapp., pag. 572. 

-otto, 369. 

ottone, 181. 

oui, franc., pag. 372!. 

out, ingl., pag. 307. 


— 437—- 


. REPERTORIO 


oxala, port., 467. 
Ozanam G., pag. 492. 
ove, 403. 

ovest, 192. 

Ovidio, pag. 253. 
ovulo, pag. 1411. 
ovum, lat., 200, 221. 
ovvero, 442. 


TT 195. 

pùii, lapp., pag. 2723. 

padapàtha, ind., pag. 65. 

paesi (nomi), 343. 

pagherò, 191. 

Palazzo Chigi, 379. 

paleolingua, pag. 1672. 

palermitano, 369. 

Pallade, astron., 363. 

pampa, 380. 

Panam, franc., pag. 2952. 

Panama, 351. 

panduwur, giav., p. 3751. 

pa-nginggil, giavan., pag. 
37531, 


paniere, 188. 

Pantruche, franc., p. 2952. 

Panzini A., pagg. l6l!, 
2102. 

papa, 186. 

paradigmi superflui, 167. 

Paradise, ing!., pag. 266. 

parafango, 224. 

parallelo a.., pag. 248, fig. 

paraonomatopeiche, 438, 
439. 

parce que, franc., p. 358, 


g. 

parentela (nomi di), pag. 
2371. 

paria, 186. 

parigino., parigot, 371. 

« Parioli », 344. 

parmense, parmig., 369. 

parola, 74, 75, 78, 82 
e segg., 208. 

parole sdrucciole, 168. 

parole sostantivate, 197. 

parole tronche, 170. 

parrucchiere, 188. 

[to] parse, ingl., pag. 3351. 

parti del discorso, 
27, 34, 37. 


. personaggi 
«480. 


. Pesci, 


participio, 313 - part. 
passato e p. passivo 19, 
20, 102, 106, 136 - p. 
presente, 22, 135. 
Pascarella C., pag. 2633. 
pascià, 191. 
passato prossimo, 
95, 96, 137, 149. 
passato remoto, 149 
passioni e interiezioni, 438 
e segg. 
passivo (lat.), 102. 
pat, giavan., pag. 375!. 
pata-pata, giapp., p. 333?. 
patati-patata, franc., pag. 
149. 
patatrac!, 419. 
pater familias, pag. 153:. 
pausa e intonazione, 449. 
Pavia L., pag. 314!. 
pechinese, 368. 
eggiorativi, 334. 
peggiore, pag. 247!. 
Pei3-ping!, pag. 2881. 
peixe, port., pag. 50. 
pefia, pefion, spagn., pag. 
2723. 
pentruca, pentruce, rum., 


pag. 358, fig. 

per, 437. 

pera- pera, giapp., pag. 
3332. 


perché, 412, 443, 447, 449, 
450. 

perfetto, 148. 

persa, spagn., 372. 

Persia, 372, 376. 

persiano, 372. 

persone, 166 - 32 pers., 
164, 480. 

del discorso, 


personne, franc., 
perugino, 369. 
astron., 366. 
pessimo, 321, pag. 244!. 
pessimus, lat., pag. 244!. 
pes,te, rum., pag. 50. 
petit, franc., 320. 
Petite Ourse, pag. 2821. 
Petrarca F., pp. 123, 184, 
197, 366, 321, 3272, 367. 


p.-1881. 


= dia 


morso — 


| 7 im 


REPERTORIO 


Pez, spagn., 209, pag. 50. 

pH, pag. 146!. 

« philosophia perennis », 2 
101, 315, 379. 

pianeta, 186. 

pianet; (nomi dei), 363. 

physema, gr., 130. 

Piaget J., pag. 3512. 

Piave, 359. 

pi, franc., ingl., ted., 195. 

Piazza del Popolo, pag. 
1432. 

pidgin-English, pag. 221!. 

Pindo, 358. 

pin-pin, giapp., pag. 3332. 

piccolo, 332, pag. 244!. 

Piccolo Belt, 349.0 

pigiama, pag. 1312. 

piove, pag. 212. 

Pirenei, 358. 

pirlanta, turc., pag. 63!. 

pirite, 181. 

pirum, pirus, lat., p. 142!. 

piscis, lat., 209. 

piscis, lat., 209. 

« pista! », 468. 

pistacchio, 201. 

pi-takèn, giavan., p. 375!. 

pitecantropo, 230. 

più, 324, 337, 326, 399 - 
più d’uno, 59, 326. 

plaît-îl, franc., page 372!. 

Planck, pag. 171. 

planina, slav., pag. 2723. 

plata, spagn., pag. 259°. 

pleut (il), franc., pag. 202. 

PleydenwurtF G., pag. 349. 

ploua, rum., pag. 202. 

pluit, lat., 30. 

plurale, 59, 485 - dei 
pron., 239 - eterogeneo, 
221 - p. generale, 208 - 
pl. in i-, 208 - in -î, 217 
pl. invariab., 223 - pl. 
con 1? pers., 485 e segg., 
495 - pl. con 2a pers,, 
489, 495 - pl. dei verbi, 
168, 169, 239, 494. 

pluralis majestatis, pag. 
3952. 

plus, franc., pag. 2531. 

Plutone, astron., 363. 


po, tibet., pag. 145, 146. 

Po, 359. 

poarta, rum., 207. 

poco, 395. 

podestà, 191. 

poema, 186. 

poesia e astronomia, 366. 

poeta, 186. 

poi, 400. 

poiché, 443, 447. 

poisson, franc., pag. 50. 

-poli, 370. 

Polinesìa, 351. 

Polledro A., pag. 388. 

pomodoro, 201, pag. 163. 

Pompeii, 343. 

pontefice, 188. 

Pop, ingl., pag. 3332. 

popoli (nomi di), 351. 

popoli primitivi, 230. 

populus. lat., pag. 1432. 

porqué, porque, spagn., 
pag. 358, fig. | 

port, franc., rum., 207. 

porta, ital., lat., 207. 

portasigarette, 223. 

porte, franc., 207. 

porto, 207. 

portogallo, 201. 

portus, lat., 207; 

posizione dell’aggett., 319. 

posizione dei vocaboli, 69. 

posizione del corpo, pag. 

3281. 

potato, ingl., pag. 1581. 

potenza, aritm., 306. 

poubelle, franc., p. 298!. 

pourquoi, franc., pag. 358, 
fig. | 

« Prati », 344. 

precedenza degli aggetti- 
vi, 287. 

Précieuses, 338. 

precipitevolissimevolmen- 
te, pag. 323!. 

predicato, pag. 234!. 

prefissi intensivi, 409. 

preposizione, 37, 68, 
413, 439. 

preposizioni 
446. 


interiettive, 


= 9 


REPERTORIO 


preposizioni articol., 340, 
348. 

«present continuous », in- 
gl., pag. 701, 

« present perfect tense », 
ingl., pag. 70!. 

presente, pag. 69!, 

presto, 400, 416. 

pretore, 188. 

prima, 400, 413. 

primate, 188. 

primo, 305, p. 2421, (ma- 
tem., 322 - i primi due, 
319. 

prìncipe, principio, 217. 

principî grammatic., 387. 

principio economico, 208. 

principio del min. sforzo, 
438. 

principio di Fermat, 159. 

pro, lat., pag. 1651. 

processo analit., 91, 385. 


processo logico-linguisti- 
COMLDI 
processo psicologico-lin- 


guistico, 15. 
processo sintetico, 385. 
pronome, 47 227 - an- 
tichissimo, 230. 
pronomi atonici, 241. 
pronomi di cosa, 482. 
pronomi di cortesia, 500. 
pronomi dimostrativi, 233. 
pronomi enclitici, 242. 
pronomi indefiniti, 245. 
pronomi integrali, 244 e 
segg. 
pronomi interrogat., 277. 
pronomi negat., 250 e ss. 
pronomi neutri, 235. 
pronomi personali, 233. 
pronomi di persona, 238, 
479, 482. 
pronomi proclitici, 242. 
pronomi quantitativi 256. 
pronomi reciproci, 263. 
pronomi relativi, 266. 
pronomi tipici, cap. XI, 
226 e segg. 
pronomi di vicinanza e 
lontananza, 236. 
DEIMOTTSIDTEZII A ENI 


pronunzia brianzola, 359, 

pronunzia fiorentina, 359. 

pronunzia latina, 206. 

pronunzia latina del gre- 
co, pag. 423. 

pronunzia tedesca, p. 61!. 

proposizione, 125 - 
prop. relat., 271. 

prosodia latina, 176. 

pròtasi, 118, 119, 120, 122. 

provincia, 218. 

psicologia linguistica, 437. 

pss!, pssst!, 471. 

pu4, cin., pag. 3152. 

puerta, puerto, spagn. 
207. 

pulce, 181. 

puma, 131. 

pumane, duala, pag. 307. 

punti cardinali nei nomi 
geografici, 350. 

« punti di Ponzo », p. 255. 

punto esclamativo, 449, 

punto interrogativo, 449, 

purché, 443. 

Purgatory, ingl., pag. 266. 

puszta, 380. 

pyjama(s), ingl., p. 1372. 

qamar, ar., pag. 145, 146. 

quae, lat., pag. 200!. 

quale, 275. 

qualora, 443. 

quando, 146, 401, 443. 

quando?, 410. 

quanto?, 410. 

quantum, lat., pag. 1281, 

quantunque, 443, 

quartieri (noms di), 343, 

queenslandese, 368. 

quegli, 235, 482. 

quella, 235. 

quelli, 237. 

quello, 499, 

quem, lat., pag. 201!. 

querce, pag. 1233. 

questa, 235, 236. 

questi, 235, 236, 482. 

questo, 499. 

qui, 402, 416. 

qui(s), lat., pag. 2031. 

quid, lat., pag. 203!. 


SC GAURE 


<JOOCQqoo@o "————@‘lI'‘IIII:SIEGER:'R'IGÉ50 


TL TT gu _"————_ 


REPERTORIO 


quindi, 400. 


quiqueriqui, spagn., pag. 


332. 
quo, lat., pag. 343, 344. 
quod, lat., pag. 2031. 
quotation marks, ingl., 
4031. 


r, iniziale, pag. 642. 

“ra, giapp, pag. 398. 

radar, 192. 

raddoppiamento conson. 
iniziale, 172, 448, 172, 
242. 

radici (origine onomato- 

‘  peica), 439. 

radio, 184 f.). 

radiogoniometrista, 186. 

raggi cosmici, pag. 140 fig. 

ragia[h], pag. 1351. 

ragionamento e congiun- 
zioni, 452. 

ragione e fede, pag. 154- 
155. 


ragione e linguaggio, 483. 


ragioniere, 188. 

ragion sufficiente, p. 722, 

rains (it), ingl, pag. 202. 

Rajna P., pag. 302. 

rango delle interiezioni, 
456, 457. 

Ranska, finl., 375. 

ranskalainen, finl., 375. 

ras, amar., pag. 208, 209. 

Ras Assir, pag. 257. 

Re, 223. 

re, pag. 1351. 

re, nota mus., 193. 

realtà e grammatica, 101. 

realtà linguist., 491, pag. 
383. 

recluta, 184. 

Reed A., pag. 70'. 

referendum, 192. 

Rege, 223. 

reggia, 218. 

reggiano, reggino, 371. 


Reggio Cal., Reggio Em,, 
371. i 

regioni (nomi di), 346 e 
segg 


regnar (det), sved., p. 202. 


regnet (es), ted., p. 202. 

Rei, port., pag. 3712. 

religione e linguaggio, 220. 

Remer V., pag. 723. 

Reno, 359. 

res, lat., pag. 3572. 

retorica e teologia, p. 721. 

rettangolare, 321. 

Rho, pag. 261. 

Rhodes C., pag. 271. 

Rhodesia, 351. 

ricsciò, 380. 

rickshaw, ingl., 380. 

rien, franc., pag. 1314. 

rima, pag. 3041, 

Rio Colorado, pag. 233. 

Rio de la Plata, pag. 2599. 

« risciacquare in Arno », 
pagg. 31, 2753. 

risparmio di energia, pag. 
3511, 

river, ingl., 360. 

Rivetta P. S., pag. 2571. 

ro, giavan., pag. 3751. . 

‘ro, sufl., 485. 

robinet, franc., pag. 202!. 

roditore, 188. 

Roghudi, pag. 261. 

-rokòn, corean., pag. 3651. 

ròmai, ungher., 375. 

romanità dell’italiano, p. 
127. 

« Romano de Roma », p. 
2952, 

“rono, suff., 169. 

ron-ron, franc., pag. 330!. 

Rooma, finl., 375. 

roomalainen, finl., 375 

Rosmini A., pagg. 301, 
3382 

Rossetti C., pp. 562, 1881, 
246. 

Ruotsi, finl., 375. 

Russell R. J., pag. 1881. 

Ruwenzorì, 357. 

Ryi-kyiî, 353. 


s, vibrazioni, pag. 116! - 
rumeno, pag. 263! - im- 
pura, 298 - suff. plur., 
223, 210. 

Sacchetti F., pag. 22. 


DIO. ge 


REPERTORIO 


sache, ted., pag. 356. 

s,ah, pag. 134. 

Sahara, 361. 

saint-juniaud, franc., 371. 

Saint-Valéry-en-Caux, 371 

sa-kawan, giavan., pag. 
3751. 

sake, ingl., pag. 350!. 

Saksa, finl., 375. - 

saksalainen, finl., 375. 

salassà, tigré, pag. 572. 

Salii, 217. 

Salomone, is., 350. 

salutissimi, pag. 252!. 

Salvini A. M,, pag. 221. 

S. Bonaventura, pag. 72!. 

S. Agostino, pag 100!. 

S. Francesco, 144, p. 1742. 
pag. 350. 

Santhià, pag. 260. 

Santiago, 371. 


santiaguefio, spagn., 371. 


santiaguero. spagn., 371. 
santiaguifio, spagn. 371. 


S. Tommaso, pagg. 371 


721, 111, 144, 155, 381. 
sarcasmo, 450. 
sataru, ass.-babil., p. 105. 
satelliti (nome dei), 363. 
satunggil, giavan., pag. 
3751, 
Saturno, astron., 363. 


saveur, franc., pag. 1241. 


Savini G., pag. 112. 


Savj-Lopez P., pagg. 463, 


471, 
Savoia, pag. 159. 
Savoia-Marchetti, 197. 
sa-wiji, giavan., pag. 374!. 
scacco matto, pag. 134. 
scala di durezza, p. 249!. 
scala del Mohs, pag. 249!. 
scala del Werner, p. 2491. 
scarica dell’energia verb., 
4l. 
sceb bàre, cunama, pag. 
2301. 
sehachmatt, ted., pag. 134, 
schack, sved., pag. 134. 
Schelling, pag. 3791. 
Scmidt G., pag. 1672. 
Schopenhauer, pag. 380. 


Schultz F., pp. 1181, 153. 

sciah, pers., pag. 134!. 

sciams, ar., pag. 145. 

s’ciao, 467. 

scienza moderna, p. 170. 

Scilla, 739. 

score, ingl., pag. 230!. 

Scotland Yard, 379. 

scriba, pag. 1472. 

scogli (nomi di), 353. 

scrittura ideografica, pag. 
31, 

scrittura di lingue stra- 
niere, 86. 

scrittura sanscrita, 86. 

sé, pron, 280. 

sé, prep., 440, 443. 

sé, stesso, 280. 

sebbene, 443. 

secondo, 303. 

sedicesimo, pag. 2295. 

Segneri, pag. 377. 

Seine, 359. 

selene, pag. 145, 146. 

seme, 200. 

semien, lat., 199. 

Sempronio, 284. 

Senna, 359. 

sentimento ed espressio- 
ne, 316 - sent nelle pre- 
posizioni, 436 - e inte- 
riezioni, 438 e segg. 

sentòn, venez., pag. 3281. 

seppuku=harakiri, p. 133. 

Seguana, 359, pag. 1472. 

serie, 214. 

sesso, pag. 1462 

sestina, pag. 230. 

shall, ingl., pp. 1003 301". 

133,359.ag Ac.agzbzbzbzb 

sh'ang-chhi, tibet., pag. 
3763. 

sh’e-kyem-pa, tibet., pag. 
376! 

she, ingl., pag. 3901, - 


-should, ingl., pag. 310!. 


Shu C. C., pag. 118. 
si, pron., 280. 
sì, 389 e segg. 
si (nota music.), 193. 
si, franc., pag. 3181. 


-si, finl., pag. 397. 


= 443 a 


REPERTORIO 


Siberia, 351. 

sich, ted., pag. 397. 

Sicrano, pag. 214!. 

sie, ted., pag. 397. 

sierra, spagn., 358. 

signa, pag. 2291. 

significato lessicale, 443. 

significato dei pron., 229. 

siji, giavan., pag. 3751, 

sik, got., pag. 397. 

silenziatore, 188. 

sillaba aperta, 170. 

sillaba chiusa, 170. 

simboli algebrici, 229. 

sineddoche, 379. 

sinico-, pag. 2951. 

sintassi, 57. 

sintesi e analisi, 385. 

sintja, corean., pag. 4092. 

sinusoide, 321. 

Siracusa, 343. 

siriaco siriano, 375. 

sjebjà, russ., pag. 208, 209. 

skorogovorka, russ., pag. 
2761. | 

slang americano, p. 1881. 

smirniota, 369. 

Socrate, pag. 59. 

Sofà, 191. 

sofista, pag. 59!. 

soggetto, 35, 36. 

‘ soggetto collettivo, 57. 

soggetto parlante o scri- 
vente, 477. 

soggetto personale, 493. 

soggetto della proposiz., 
477. 

soggetto sing. e plur., 55. 

soggetto sing. disgiuntivo, 
60 


soggetto di verbo passivo, 
20. 

soggetto in 12 pers., 477. 

sol, lat., pag. 145. 

sol, nota music., pag. 160, 
193. 

sole, 364. 

solforico, solforoso, pag. 
2511. 

sommo, pag. 244!, 

sopra, 402. 

sono, pag. 1151. 


sora-ta, pag. 237!. 
sorcio, 216. 
sostantivo, 30, 44, 45. 
sostantivi astratti, 181. 
sostanza, pag. 21!. 
sosung, corean., p. 4092. 
sotto, 402. 

sou, franc., pag. 572. 
soll, franc., pag. 572. 
sous, franc., pag. 572. 
sovente, 400. 

sovietico, 380. 

Spagnolo G., pag. 377!. 
spasìbo, russ., 467. 
\specie, 214. 

[to] spell, pag. 335!. 


° spelling, pag. 107[ 


spesso, 400. 

spezzino, 369. 

spia, 186. 

spiaggia, 218. 

spicanardo, spiganurdo, p. 
184. 

sport, 223. 

sport e interiezioni, 442. 

squelette, franc., p. 126!. 

stagioni, 181. 

stare--gerundio, pag. 93. 

stasi, 190. 

stati (nomi di), 346 e ss. 

stato d’animo e interiez., 
438 e segg. 

stato in luogo, 404, 427, 
428 430 e segg. 

Stella Polare, 366. 

steppa, 380. 

stile giornalistico, 117. 

sto, slavo, pag. 572. 

Stoppani A., pag. 1072. 

Stora BjOrnen, pag. 2821. 

strofànto, pag. 422. 

su, basco, pag. 572. 

sublime, 321. 

subordinazione, 441. 

sud, 192. 

Sud-America, 349. 

Sudeti, 358. 

suffisso locat., 348. 

sukim, akaba, pag. 234. 

sueco, Suecia, spagn. 372. 

suizo, Suiza, spagn., 372. 

Sumatra, 347, 351. 


— 44%= 


REPERTORIO — 


Sumidagawa, 359. 
summus, lat., pag. 2442. 
Sundén A., pag. 70! 
Syracusae, lat., 343. 


t, rum., pag. 263!. 


Tacchi - Venturi P., pag. 
1691. 
T'ai, 376. 


T'aiz-uàn!, pag. 272!. 

Tai-wan, pag. 2721. 

-taita, corean., pag. 3302. 

Takayama K., pag. 3U0!. 

tàk sjebje, russ., pag. 208, 
209. 

talà, sotho, pag. 234. 

Tamigi, 277, 359. 

Tana, 359. 

tananarivese, 368. 

Tanganytka, 351. 

tanto, 398. 

tardi, 400. 

Targioni-Tozzetti G., pag. 

-tari, giapp., pag. 308!. 

Tarozzi G., pag. 394. 

Tasso T., pagg. 191, 234, 
303, 304, 326. 

te, 497, 498. 

te, 191. 

telefono (interiez.), 442. 

telegramma, 186. 

tellus, lat., 202. 

telu, giavan., pag. 3751. 

tem-pa, tibet., pag. 376!. 

tempi composti, 21, 93, 
94, 127, 129. 

tempo, 222. 

tempo futuro, 152 e segg., 
1728 | 

tempo imperfetto, 144 e 
segg., 168. 

tempo passato, 143 e segg. 

tempo passato ipotet., 151 

tempo perfetto, 167, 169. 

tempo permansivo, 142. 

tempo presente, 137 e ss., 
141, 168. 

tempora, 222. 

Tennò, pag. 1282. 

tense, ingl., pag. 3351... 

teologia e grammat., 220. 

teorema, 186. 


teoremi, 14l. 

terminazione dei casi la- 
tini, 69. 

terminologia araba, pag. 
3113. 

terminologia chimica, pag. 
2511, 

terminologia tipograf., p. 
2513. 

terra, it., lat., 202. 

Terra, astron., 364. 

terzina, pag. 230. 

LESTIRZI Oa 

testo, 89. 

« tettè », pag. 3735. 

Tevere, 359, pag. 2651. 

textum, lat., pag. 662. 

Thai, Thailandia, pag. 876 

Thames, 360. 

The Hague, pag. 2593. 

they, ingl., pag. 397. 

Thielman P., pag. 99!. 

Thiene, pag. 261. 

thon, franc., pag. 50. 

thou, ingl., pag. 397. 

thren, tibet., pag. 4092. 

thu, got., sass., pag. 397. 

thunnus, lat., pag. 50. 

thygater, gr. pag. 335. 

te, pron, 498. 

ti, 497. 

ti, serb., pag. 397. 

tibi, lat., 497. 

tiburtino, 371. 

ticinese, 378. i 

tiga°,:giavan., pag. 375!. 

tiga-tenga, giavan., p. 228. 

tigre, 181. 

time, ingl., pag. 3351. 

timere, lat, pag. 3191. 

tingere, lat., pag. 233!. 

tisi, 190. 

Tissi S., pag. 235!. 

Titania, astron., 363. 

Tivoli, 371. 

tiyang-Jawi, giavan., pag. 
3751, 

Tizio, 284. 

tiz-tiz!, port. 469. 

tjirro, finl., pag. 2723. 

tjoiin, corean., pag. 409! 

to, ingl., pag. 3441. 


—- 444 — 


igtizs1oy Google 


REPERTORIO 


to, russ., pag. 175, 176. 

tocco, tokko, galla, pag. 
572.0 

tochter, ted., pag. 335. 

Toddi, pagg. 149 227, 256, 
288, 324, 348, 369, 382, 
411. 

tomismo, pag. 379 e segg. 

Tommaseo N., pagg. 82, 
22, 60, 1922, 2382. 

toki, toki-doki, giapp., p. 
1481, 

TOkyò, pagg. 277, 2952 

tokoro, tokoro-dokoro, 
giapp., pag. 149. 

ton, rum., pag. 50. 

tonno, pag..50. z 

tonalità dei pronomi, 241. 

toni, pag. 117!. 

tono e significato, 460. 

tono interrogativo, 277. 

“topi, giavan., pag. 572. 

topologia, pag. 190!. 

torpedo, 184. 

toscanismi, 53. 

totalità numerica, 308. 

toutou, franc., 419. 

tradizione, pag. 153! - e 
numerazione, 301. 

trampoliere, 188. 

tranvai, 190. 

trapassato prossimo, 147. 

Trastevere, pag. 264. 

tre-alberi, 197. 

trec'ak, croat., pag. 230. 

tre-cilindri, 197. 

tre-quarti, 197. 

tricastain, tricastinois, fr., 
371. 

tripolino, tripolitano, 370. 

Trissino G.-G., pag. 303. 

troika, pag. 131. 

trojka, croat., pag. 230. 

troppo, 395. 

tunturî, finl., pag. 2723. 

tsai4, cin., pag. 75. 

Tsarigrad, pag. 289. 

Ts'ing, cin., pag. 2951. 

tsz4, cin., pagg. 207, 208. 

tu, pag. 1721. 

tu, lit., pag. 397. 

fu, corean., pag. 572. 


turin, franc., 379. 
turkey, ingl., pag. 292!. 
tus!, spagn., 469. 
tutore, 188. 

tutto, 248, 249, 308. 
Twins, ingl., 366, 

two, ingl., pag. 572. 

ty, russ., pag. 397. 
Tyche, pag. 2623. 


ubi, lat., pag. 343, 344. 

Uganda, 351. 

ugo, ugò, kinyamw., pag. 
4091, : 


ugola, pag. 641. 

uguaglianza apparente, p. 
131, 

uguale a..., pag. 248 fig. 

uh!, 456. 

uhr, ted., pag. 39!. 

ulema, 186. 

Umbriel, astron., 363. 

umgangssprache, p. 2972. 

uno, 264. 

unde, lat., pagg. 2022, 344. 

universum, pag. 29!. 

uomo, 220. 

uovo, 200, 221. 

Urali, 258. 

urang-utang, 192. 


. Urano, astron., 363. 


urì, alban., arab., pag. 571. 
urr, somaiedo, pag. 2723. 
urrah!, 457. | 
Ursa Mare, rum., p. 282!. 
Ursa Mica, rum., p. 2821. 
u scia Allah!, pag. 3701. 
uso, 161, 182. 

uvanga, eschim., pag. 269. 


Vaccari O. & E.E., pag. 
811. 
vaglia, 186 a). 
vai de mine!, rum., 461. 
valéricain, franc., 371. 
valeur, franc., pag. 124!. 
valisoletano, spagn., 371. 
Valladolid, 371. 
valore relativo delle affer- 
N 
maz. e negaz., 391. 
valore dei vocaboli, 309. 


— 445=- 


REPERTORIO 


valore metrico d. aggett., 
332, 333. 

Vangelo, pagg. 171, 872, 
111. 

vaporiera, 376. 

Varady E., pag. 97!. 

varesotto, 369. 

varful, rum., pag. 2723. 

vay, turc., 461. 

ve, 498. 

Vecchia Castiglia, p. 268, 
26%. 

Veccia, Vaglieri L., pagg. 
782, 3113. 

Vega, pag. 284. 

veglionissimo, pag. 252!. 

Veii, 343. 

Venere, astron., 363. 

Venezia Giulia, 349. 

Venezuela, 351. 

venire, aus. passivo, 105, 
pag. 74 - divenire, 105, 
136, 137. 

ventilatore, 188. 

« verbal noun », ingl., pag. 
94. 

« verba timendi », lat., 393 

verbi, in geogr., 339. 

verbi ausiliari, 16. 

verbi composti, 426. 

verbi forti, 159. 

verbi meteorologici, 29, 31 

verbi transitivi, 107. 

Verbo, teol., pagg. 171, 
873. 

verbo, 22, 24, 111, 123, 
127, 385 - localizzaz. nel 
tempo, 125. 

verbo intransitivo, 40. 

verbo singol. e plur., 55. 

verbo sostantivato, 37. 

verbo transitivo, 17, 37, 


verbum, lat., pag. 171. 
Vergine, astron., 366. 
verità, 191. 

vermut, 197. 
vespasiano, 379. 
Vespucci A., pag. 271. 
Veslot H., pag. 562. 
Vesta, astron., 363. 
vettore, 188. 


vezzeggiativo, 334. 

vi, 403, 498, pag. 175. 
vi, serbo, pag. 397. 
via Gaetana, pag. 299. 
Via Lattea, pag. 284. 


vicinanza e lontananza, 
236, 499. 

« viitorul I» e « II » rum.,, 
pag. 1002. 


Viminale, 357, 379. 

virago, 184. 

Virgilio, pagg. 6, 45. 

virgolette, 492, pag. 403. 

virtù, 191, 223. 

virtù magica della parola, 
pag. 107! 

vocabolario, 76, 309. 

vocabulary, ingl., pp. 56), 
2972. 

vocale accentata, 191. 

vocale aperta, 170. 

vocale chiusa, 170. 

vocale finale, 183. 

vocali alte, 84. 

vocali anteriori, 84. 

vocali basse, 84. 

vocali palatali, 84. 

vocali posteriori, 84. 

vocali velari,, 84. 

vocativo, 237, 496. 

voce verbale, 111. 

voi, 490 - voi e Lei, pag. 
411. 

Volga, 359. 

volontà; 155. 

Volsinii, 343. 

volt, 379 - volt, volta, 432. 

Volta A., 298. 

von, ted., 432. 

Vosgi, 358. 

vrh, slav., pag. 2723. 

vy, russ., pag. 397. 


Waisman F., pag. 182!. 


wana-wana, giapp., pag. 
334. 
Wangsul-lan, giav., pag. 
3751, 


wan4-wu4, cin., p. 145-146. 
ware-ra, giapp. pag. 398. 
warum, ted., pag. 358. 


— 446 — 


REPERTORIO 


watakushi, giapp., 


409. 


pas. 


watakushi - domo, giapp. 


pag. 398. 
we, sass., ingl., pag. 397. 
Weerley E., pag. 350. 
weil, ted., pag. 358. 
Weil E., pag. 1161. 
werden, ted., pag. 732. 
what, ingl., pag. 2031. 
what's-his-name, p. 212. 


whatyoumaycallit, p. 212. 


whazzit, pag. 2121. 
when, ingl., pag. 203!. 


where, ingl., pagg. 2031, 


343. 
who, ingl., pag. 203!. 
why, ingl., pag. 358 fig. 


Wieland C. M., pag. 2793. 
Wilder G. D., pag. 2072. 
will, ingl., 155, pag. 1003, 


pag. 3101. 
Wilson J. L., pag. 3391. 
wir, ted., pag. 397. 
wit, got., pag. 397. 


woh, woh-woh, giavan., p. 


149. 
woì, cin., pag. 3963. 


Wohlgemuth M., pag. 349. 


wo3-men, cin., pag. 3963. 


wong - Ja°wa° giavan., p. 


3751. 
Woo K. T., pag. 118. 
would, ingl., pag. 3101. 


wu}, cin., pagg. 572, 3152. 


Wundt G., pag. 664. 


x, 194. 
xadrez, port., pag. 134. 


Y, franc., pag. 1743. 

Yahveh, pag. 33. 

yama, giapp., pag. 274!. 

Yamazaki I., pagg. 175?, 
284. 

Yamaguchi H. S. K., pag. 
3001. 

Yarra-yarra, 359. 

yang?, cin., pag. 145, 146. 

yang e vin!, cin., 204. 

Yang-ma, pag. 2612. 

Yang-tze-kiang, 360. 

yazik, turc., 461. 

Yedo, pag. 2952. 

yedokko, giapp., p. 2952. 

yin! cin., pagg. 145, 146.. 

Yò, giapp., 204. 

yu3, cin., pag. 75!. 

yuki, giapp., pag. 212. 


Zacchi P., pag. 152. 
zahraka!, ar., 468. 

zambo, pag. 296, 297. 
Zapotechi, pag. 2931. 
zecelea, rum., pag. 2272. 
zecime, rum, pag. 2272. 
zen, e lingua giapp., 73. 
zickzack, ted., pag. 332. 
zigzag, pag. 332. 

Zodiaco, 366, pg. 140, 283. 
zona verbale, 34. 
zun-zun, giapp., pag. 3332. 
Zutano, spagn., pag. 2141. 
zweifel, ted., pag. 3572. 


== dia 


FINITO DI STAMPARE 
il 21 Aprile 1947 
nello stabilimento della 
CASA EDITRICE DE CARLO 
in Roma 


i % n Se a cn i n e i N n nn a 


rafPalilià_——" posta da 

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