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Friday, July 8, 2011

Grisotto

Luigi Speranza

SIGNIFICATO DELL’ENUNCIATO E INTENZIONE DEL PARLANTE

SCOPO

Capire come analizzare la singola frase non solo
considerando gli elementi che compongono la frase
e i rapporti tra essi, ma interpretando l’enunciato in
un contesto.

LA PRAGMATICA… varie definizioni 1/3

Charles Morris: rapporto dei segni con gli interpreti. Sulla base
di tale criterio dobbiamo considerare l’atto linguistico non tanto
in relazione a ciò che viene detto, quanto alla relazione alla
partecipazione degli interpreti, parlante e ascoltatore. Essi
assumono due posizioni diverse, due ruoli diversi.

Umberto Eco:

la pragmatica è lo studio della dipendenza
essenziale della comunicazione, nel linguaggio naturale, dal
parlante e dall’ascoltatore, dal contesto linguistico e dal
contesto extra-linguistico, dalla disponibilità delle conoscenze
di fondo e dalla buona volontà dei partecipanti nell’atto
comunicativo.

LA PRAGMATICA… varie definizioni 2/3

Austin: l’atto linguistico si configura come un’operazione
pratica, che riguarda il parlante in maniera diversa
dall’ascoltatore, che partecipa anch’esso a questa operazione
pratica ma con una parte diversa rispetto a quella del parlante.
Tutti i tipi di atti linguistici vengono definiti atti illocutori.

Levinson: Teoria della comprensione della lingua che prenda
in considerazione il contesto.
ATTO LINGUISTICO 1/2
All’interno di una determinata situazione comunicativa, due
interlocutori non solo formulano frasi ben formate, ma
compiono anche dei veri e propri “atti”, che vengono chiamati
“atti linguistici” (speech acts). Gli atti linguistici sono numerosi
e di diverso genere: un’informazione, una constatazione, una
promessa, una richiesta, ecc…
ATTO LINGUISTICO 2/2
Austin individua tre tipi di atti linguistici:
1. Atto locutorio: atto di dire qualcosa. Consiste
nell’enunciazione di una frase dotata di un senso e di un
riferimento ben precisi.
2. Atto illocutorio: atto che si compie nel dire qualcosa. Ha la
funzione di “fare qualcosa”, cioè di operare un cambiamento
nello stesso soggetto che emette l’atto: un ordine, una
promessa, un’offerta, etc…
3. Atto perlocutorio : atto che si compie col dire qualcosa. Ha
la funzione di produrre dei determinati effetti sui destinatari del
discorso: spaventarli, commuoverli, etc…
VERBI PERFORMATIVI
Verbi performativi: segnalano lo svolgimento di un atto
linguistico:
Asserire, stimare, ordinare, scommettere, giurare,
dichiarare, domandare, salutare, licenziare, dimettersi,
battezzare ecc.
La loro presenza in un atto linguistico implica l’esecuzione
dell’azione che evocano.
Altre condizioni: prima persona singolare, tempo presente.
FORMA CANONICA DEL PERFORMATIVO
Prima persona singolare, verbo in forma attiva, indicativo
presente.
Esempi:
Scommetto…, battezzo..., dono..., dichiaro..., prego…
Però: vietato fumare!, i viaggiatori sono pregati di servirsi
del sottopassaggio, chiudi la porta!
sono performativi pur non rispettando la forma canonica.
Mentre: Asserisco che c’è il sole,
è in forma canonica ma non è un performativo.
LA PRAGMATICA… varie definizioni 3/3
Searle: nell’atto illocutorio distingue due elementi ugualmente
necessari per il compimento dell’atto stesso: quella parte
dell’enunciato che lui denomina “indicatore della forza
illocutiva” e la parte dell’enunciato che lui denomina “contenuto
proposizionale”.
Esempio: “Io prometto che partirò”
L’indicatore della forza illocutiva è rappresentato dal sintagma
“io prometto che”, mentre il contenuto proposizionale è
costituito dalla proposizione “io partirò”.
SEARLE
SEARLE
Secondo Searle ogni atto illocutorio deve avere anche la
caratteristica di produrre sull’ascoltatore la comprensione
dell’enunciato del parlante.
Searle ammette che la comprensione di un enunciato letterale
avviene in virtù di certe regole concernenti gli elementi della
frase enunciata, regole della lingua ugualmente conosciuta dal
parlante e dall’ascoltatore.
Il problema della comunicazione è considerato da Searle
soltanto come un problema secondario rispetto al problema
semantico che si identifica, a suo avviso, con il problema
dell’intenzionalità degli atti linguistici.
TIPI DI ATTI LINGUISTICI
Rappresentativi: impegno del parlante nei confronti della
verità della proposizione espressa (asserire, concludere, etc.).
Mondo
Parole
TIPI DI ATTI LINGUISTICI
Direttivi: il parlante tenta di indurre l’interlocutore a fare
qualcosa (interrogare, richiedere, avvertire, ordinare ecc.).
Parole
Mondo
TIPI DI ATTI LINGUISTICI
Commissivi: impegno del parlante a fare qualcosa nel futuro
(promettere, minacciare, offrire ecc.).
Parole
Mondo
TIPI DI ATTI LINGUISTICI
Dichiarativi: provocare cambiamenti immediati in uno stato di
cose istituzionale (scomunicare, licenziare, battezzare,
dichiarare guerra ecc.).
Parole
Mondo
TIPI DI ATTI LINGUISTICI
Espressivi: esprimere uno stato psicologico (ringraziare,
scusarsi, salutare, lamentarsi, congratularsi ecc.).
PRINCIPIO DI ESPRIMIBILITA’
Qualunque cosa significata può essere detta:
data qualsiasi forza illocutoria possibile, deve esistere un
verbo performativo tale da esprimerla esplicitamente.
Punto di partenza:
assunzione della distinzione tra forza illocutiva e contenuto
proposizionale
PRINCIPIO DI ESPRIMIBILITA’
Distinzione tra atto illocutorio e atto perlocutorio, tra intenzione
illocutiva e forza illocutiva superficiale.
Ciò che facciamo col dire può restare identico pur variando ciò
che facciamo nel dire.
Esempio
un relatore può chiedere silenzio al suo uditorio:
- Non verbalmente, osservando con aria severa e seccata
- Con una domanda: potete fare silenzio?
- Con una asserzione: sembra il mercato
- Con un’esortazione: facciamo silenzio!
- Con un ordine: fate silenzio!
- Con una esclamazione: che chiacchiera!
LA LINGUA
Nell’ultima opera di Searle, Foundations of illocutionary Logic,
l’autore afferma che fra le condizioni che determinano la
corretta comprensione di un’espressione vi è quella che “il
parlante deve usare la stessa lingua dell’ascoltatore”.
Non si preoccupa di spiegare che cosa significhi “usare la
stessa lingua dell’ascoltatore”, quale differenza possa esserci
fra la lingua, come strumento, e il suo uso; e neppure si
preoccupa di spiegare come e per quali meccanismi l’uso della
stessa lingua permetta ai parlanti di comunicare fra loro.
DEISSI
DEISSI
La deissi rappresenta il modo più evidente in cui la relazione
tra lingua e contesto è riflessa nella struttura delle lingue
stesse.
Non dimentichiamo che:
ogni lingua ha un repertorio di parole che cambiano referenza
secondo il contesto di enunciazione in cui vengono proferite.
DEISSI
Importanza dell’informazione deittica nell’interpretazione degli
enunciati:
• Sarò di ritorno tra un’ora (Quando è stato scritto?)
• Incontriamoci tra una settimana (Chi? Dove? Quando?)
• Puoi prendermi quello? (chi, cosa?)
• Non è che voglio che là tu non dica questo, ma che tu non
dica questo in quel momento! (dove, chi, cosa, chi, cosa,
quando?)
DEISSI
Le lingue sono designate principalmente per essere usate
nell’interazione faccia a faccia: non si può perciò prescindere
totalmente da quest’ultima per analizzarle. [Lyons]
ALCUNI CONCETTI
PER
COMPRENDERE MEGLIO…
TESI DIMOSTRATIVA
Tesi Dimostrativa: l’espressione dimostrativa acquista
un’istruzione semantica completa solo quando è associata a
un atto di indicazione, come un gesto. [Kaplan]
Esempio: “Lei è italiana”
da solo non costituisce una regola automatica tale da
individuare il referente dell’espressione, nemmeno una volta
fissato il contesto di proferimento: se infatti nel contesto di
proferimento vi sono più individui di sesso femminile,
l’espressione può identificare a pari titolo uno qualsiasi di
questi individui.
TESI INTENZIONALE
Tesi Intenzionale: anche l’atto di indicazione associato
all’occorrenza di un dimostrativo non è sempre sufficiente a
disambiguare l’espressione. L’elemento semantico cruciale per
la determinazione del riferimento sono le intenzioni del
parlante. [Kaplan]
Esempio: “Mi piace questo”
proferito indicando un cane, “questo” potrebbe riferirsi al cane
o al suo colore o al suo collare, etc.
Secondo questa tesi, l’elemento che permette di determinare
univocamente il riferimento di un dimostrativo è l’intenzione
direzionale del parlante. L’atto di indicazione ha
esclusivamente un ruolo di semplice contributo pragmatico alla
comunicazione e non alla determinazione del riferimento.
INTENZIONE REFERENZIALE
Intenzione referenziale: parte di un’intenzione comunicativa più
generale e il loro carattere distintivo è quello di essere
intenzioni riflessive: il parlante ha l’intenzione che il
destinatario identifichi un oggetto come il referente grazie al
riconoscimento di questa stessa intenzione referenziale.[Kent
Bach]
Un’intenzione referenziale è ragionevole solo se è
accompagnata da azioni appropriate a comunicare il
riferimento al destinatario.[Roberts]
UN ESEMPIO…
ESEMPIO 1/3
Paolo e Francesca sono al parco dove giocano molti cani.
Paolo vuole mostrare a Francesca il proprio cane Nikita.
Supponiamo che Paolo dica, con l’intenzione di riferirsi al
proprio cane Nikita, l’enunciato:
“Questo è il mio cane”
Un’improvvisa paralisi gli impedisce però di eseguire un
qualsiasi gesto o occhiata in direzione di Nikita.
ESEMPIO 2/3
Osservazioni:
- Paolo ha l’intenzione di indicare un cane particolare; secondo
la tesi intenzionale “questo cane” deve essere il referente
dell’espressione dimostrativa.
- Nella tesi dimostrativa, invece, la descrizione dimostrativa
“questo cane” è vuota dal momento che non c’è nessun cane
mostrato.
In questo caso, quindi, l’intenzione del parlante non svolge un
ruolo essenziale di determinazione del riferimento
dell’espressione dimostrativa.
ESEMPIO 3/3
- Dal momento che Paolo non esegue alcun gesto e non
sfrutta altro fattore contestuale, Francesca non può identificare
alcun oggetto come referente di “questo” e di conseguenza
l’intenzione referenziale è vuota.
Quando le intenzioni referenziali non vengono riconosciute
direttamente dal destinatario(non vengono lette nella mente
del parlante), esse possono essere individuate solo grazie a
fattori esterni come parole, gesti, contesto fisico e linguistico.
INFORMAZIONE CONDIVISA
Le intenzioni referenziali sono dunque limitate dalle aspettative
che il parlante può ragionevolmente intrattenere sulla capacità
del destinatario di discernere il referente in base a parole, gesti
e contesto.
Per assicurarsi che il destinatario riconosca l’intenzione
associata all’espressione dimostrativa il parlante sembra
fondarsi su tre tipi d’informazione condivisa:
• Contesto extra linguistico
• Contesto linguistico
• Conoscenze
CONTESTO EXTRA-LINGUISTICO
Il contesto extra-linguistico più immediato: l’ambiente fisico
accessibile a parlante e destinatario.
Il parlante può utilizzare con successo l’espressione “quel
cane” , senza compiere alcun gesto ostensivo, se c’è un solo
cane nel contesto di riferimento, o se c’è un solo cane in
mezzo a decine di gatti, o anche se ci sono più cani, ma un
solo cane che si renda saliente nel contesto dato.
CONTESTO LINGUISTICO
Il contesto linguistico: sia esso il resto dell’enunciato o la
conversazione precedente.
Se nella conversazione immediatamente precedente è stato
menzionato un certo cane, un uso dimostrativo successivo di
“quel cane” senza ulteriori precisazioni (e cioè non
accompagnato da gesti o occhiate), e anche in presenza di più
cani, farebbe riferimento in modo naturale al cane
precedentemente menzionato.
CONOSCENZE
Conoscenze: si assumono condivise sulla base
dell’appartenenza a una certa comunità o sotto-comunità.
Supponiamo che Paolo detesti da sempre i cani di piccola
taglia e abbia una netta preferenza per i cani da difesa, e che
Francesca sia al corrente di tale preferenza. In un caso come
questo Francesca è in grado individuare con facilità il referente
dell’espressione “questo” detta da Paolo in presenza di una
decina cani, se di questi nove sono bassotti o barboncini e uno
un mastino napoletano.
GRICE
GRICE
Grice ha dato un contributo innovativo allo studio del processo
di comunicazione analizzandolo nei termini della
manifestazione d’intenzioni da parte del parlante.
Lo sviluppo del programma porta Grice alla formulazione di
un’articolata teoria del significato, in termini d’intenzioni del
parlante, e di un’originale teoria delle implicature che possono
essere inferite dall’ascoltatore.
SIGNIFICATO DEL PARLANTE
Grice distingue tra significato naturale e significato non
naturale dei segni:
un segno ha significato naturale quando è un fatto che esso
significhi qualcosa,
mentre un segno ha significato non naturale quando per
mezzo di esso qualcuno significa qualcosa.
Centrale nell’analisi che Grice fa del significato non naturale è
la nozione di significato del parlante.
Il significato dell’enunciazione di un parlante in un contesto
particolare è, per Grice, approssimativamente equivalente a
ciò che il parlante intende comunicare.
SIGNIFICATO DEL PARLANTE
Grice formula la formulazione del significato del parlante
indicandone tre intenzioni:
è vero se e solo
se
E ha enunciato x intendendo che:
1 A manifestasse una reazione particolare r
2 A pensasse che E intende che (1)
3 A si conformasse a (1) sulla base del suo conformassi a (2).
SIGNIFICATO DEL PARLANTE
In seguito Grice propone una definizione di significato del
parlante, nella quale, in aggiunta alle tre intenzioni della prima
formulazione, introduce una clausola che impone che:
non ci debba essere alcun elemento inferenziale.
Infine, per superare le ulteriori obiezioni sollevate da Searle,
Grice integra la definizione di significato del parlante
includendo la conoscenza, sia da parte del parlante sia da
parte dell’ascoltatore, degli aspetti convenzionali del significato
che legano il proferimento degli enunciati agli effetti che il
parlante intende indurre nell’ascoltatore per mezzo di tale
proferimento.
SIGNIFICATO DEL PARLANTE
c = caratteristiche delle enunciazioni
m = modo d’associazione
(ıA) (ıc) (ır) (ım):
E ha enunciato x ad A intendendo che:
1. A pensi che x possieda c
2. A pensi che E intenda (1)
3. A pensi che c sia correlata in maniera m al tipo cui
appartiene la reazione r
4. A pensi che E intenda (3)
5. A pensi sulla base del proprio adeguamento a (1) e (3) che
E intenda che A manifesti r
6. Che A, sulla base del proprio adeguamento a (5), manifesti r
7. Che A pensi che E intenda (6).
SIGNIFICATO DEL PARLANTE
Il processo di riconoscimento delle intenzioni di significato da
parte del destinatario è considerato da Grice un processo di
calcolo delle intenzioni, ma è un calcolo che non consiste in
una semplice «decodifica» del significato del parlante, è
piuttosto un calcolo che comporta la partecipazione del
destinatario all’elaborazione del significato.
Il significato è il risultato dell’attività di entrambi i partecipanti al
processo di comunicazione.
INTENZIONI E IMPLICATURE
I nostri scambi linguistici, secondo Grice, sono, almeno in un
certo grado, «lavori in collaborazione», in cui ciascun
partecipante vi riconosce uno scopo comune o almeno un
orientamento mutuamente accettato, poiché una successione
di osservazioni prive di connessioni reciproche apparirebbe
irrazionale.
INTENZIONI E IMPLICATURE
Grice ha messo in evidenza che un parlante comunica molto
più di ciò che dice in modo esplicito, ossia genera delle
«implicature».
Le implicature sono convenzionali o conversazionali, a
seconda che siano legate al significato convenzionale delle
parole, o siano connesse con certe caratteristiche generali del
discorso.
Le caratteristiche generali del discorso sono definite da un
principio generale denominato «Principio di Cooperazione».
P. DI COOPERAZIONE E MASSIME CONVERSAZIONALI
Ogni interlocutore è ritenuto fare riferimento a un Principio di
Cooperazione per il quale dà alla conversazione un contributo.
Il principio di Cooperazione si declina in massime
conversazionali, raggruppate nelle quattro categorie della
quantità, qualità, relazione e modo, le quali specificano la rete
di aspettative reciproche, nello scambio di informazione, tra
interlocutori che si suppongono razionali.
P. DI COOPERAZIONE E MASSIME CONVERSAZIONALI
Principio e massime non sono qualcosa che, di fatto, tutti
seguono, ma qualcosa che è ragionevole che tutti seguano e
da cui non dovrebbero deviare: essi hanno un valore
normativo e non puramente descrittivo, sono indicazioni
generali di comportamento che si dovrebbero seguire per
promuovere «la razionalità conversazionale».
È ideale la comunicazione nella quale non solo il parlante
rende trasparenti tutte le sue intenzioni di significato al
destinatario, ma dà anche l’informazione richiesta, dice la
verità, è pertinente ed è perspicuo.
INTENZIONI E IMPLICATURE
Grice precisa che la presenza di un’implicatura
conversazionale deve poter essere elaborata, anche se, di
fatto, può essere afferrata intuitivamente: l’intuizione deve
essere sostituibile da un ragionamento, di cui offre un modello.
MODELLO DI RAGIONAMENTO
1. il parlante ha detto che p,
2. non c’è motivo di credere che non si stia conformando alle
massime, o per lo meno al Principio di Cooperazione,
3. non potrebbe farlo se non pensasse che q,
4. sa (e sa che io so che lui sa) che posso capire che è
richiesta la supposizione che lui pensa che q,
5. non ha fatto niente per impedirmi di pensare che q,
6. intende farmi pensare, o almeno è disposto a lasciarmi
pensare, che q,
7. dunque ha implicato che q.
GRICE: CONCLUSIONI
L’ascoltatore, dopo aver afferrato immediatamente l’implicatura
conversazionale, in genere, non formula un’unica ipotesi ma
una serie di ipotesi che portano a confermare l’intuizione
iniziale.
In tale processo fa riferimento, spesso anche se non sempre,
non solo al Principio di Cooperazione e alle massime
conversazionali, ma anche al contesto linguistico ed
extralinguistico del proferimento, al proprio bagaglio di
conoscenze e alle assunzioni che ritiene condivise con
l’interlocutore.
SITOGRAFIA
• http://www.unipe.it/teledidattica/lingue06/pragmaticaintroconsegnata2006.
pdf
• www.comunicazione.uniroma1.it/news/10.12.33_29.3.2006.ppt
• http://www.univ.trieste.it/~eserfilo/art106/antonelli106.pdf
• http://siba2.unile.it/ese/issues/273/645/Segnicomprn47-02p5.pdf
• http://www.sophia.unical.it/filosofia&linguaggio/atti/cbianchi.pdf
BIBLIOGRAFIA 1/3
• Austin, 1962, “How to do things with words”, Harvard 1955,
pp. 18, 63
• Eco, 1984, “Semiotica e filosofia del linguaggio”, Torino 1984,
pp. 68-69
• Grice, 1957, “The Philosophical Review”, pp. 66, 377-388,
Ristampato in Grice 1989, cap.14
• Grice, 1975, “Logic and conversation” in syntax and
semantics: Speech acts, a cura di P. Cole e J. L. Morgan,
Academic Press, New York 1975, pp. 227-235
• Grice, 1978, “Further notes on logic and conversation” in
syntax and semantics: Pragmatics, a cura di P. Cole,
Academic Press, New York, 1978
BIBLIOGRAFIA 2/3
• Grice, 1989, “Studies in the way of words”, Harvard
University Press, Cambridge, 1989, pp. 34, 351, 368-370
• Kaplan, 1977, “Demonstratives. An essay on the Semantics,
Logic, Metaphysics and Epistemology of Demonstratives and
Other Indexical”, in Almog et Al, 1989, pp. 481-563
• Kent Bach, 1992, “Intentions and Demonstrations”, Analysis,
1992, pp.140-146
• Levinson, 1993, “Pragmatics”, Cambridge University Press,
Cambridge 1993, pp. 125-126
• Morris, 1971, “Foundations of the Theory of Signs”, in
Writings in the General Theory of Signs, Mouton, L’Aja, 1971
BIBLIOGRAFIA 3/3
• Roberts e Lawrence, 1997, “How Demonstrations Connect
with Referential Intentions”, Australasian Journal of
Philosophy, pp.190-200
• Searle e Daniel Vanderveken, 1985, “Foundations of
illocutionary Logic”, Cambridge 1985, p.21
• Searle, 1970, “Speech Acts:An essay in the Philosophy of
language”, Cambridge University Press, Rodon 1970, p.63

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