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Thursday, July 7, 2011

Speroni, "Dialogo delle lingue" (ottobre 1530, Padova)

Luigi Speranza

Pubblicato per la prima volta insieme con altri Dialoghi di Speroni, a cura di Daniele Barbaro (Venezia, Figliuoli di Aldo, 1542, cc. 105v-131r), il

"Dialogo delle lingue"

è conservato in redazione autografa nei manoscritti speroniani della Biblioteca Capitolare di Padova.

Ma l'edizione nelle "Opere" a cura di N. Delle Laste e M. Forcellini (Venezia: D. Occhi, 1740, I: 166-201) si attiene alla prima edizione.

Il testo Delle Laste'Forcellini è stato seguito da Mario Pozzi in Trattatisti del Cinquecento. Milano'Napoli: Ricciardi, 1978: 585-635, edizione di riferimento anche per le ricche note illustrative, e in

"Discussioni linguistiche del Cinquecento"
Torino: UTET, 1988: 277-335.

Il dialogo ritrae una discussione che si immagina avvenuta a Padova nell'ottobre 1530 tra

i. Pietro Bembo
ii. Lazzaro Bonamico

e due personaggi anonimi qualificati con gli appellativi di

iii. Castigilione -- Cortigiano
iv. Lascaris -- e di Scolare,

in occasione del conferimento della cattedra di eloquenza greca e latina al Bonamico.

La discussione si apre con l'elogio che Bembo fa delle due lingue antiche

«più perfette e più care»

per sostenere poi la possibilità del volgare di elevarsi a pari dignità attraverso un'imitazione attenta dei due autori più prestigiosi,

Petrarca
Boccaccio,

ai quali bisogna rivolgersi con la medesima dedizione con cui gli umanisti si applicano ai testi greci e latini.

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Bonamico contrappone le tesi consuete

degli umanisti sulla purezza delle lingue

antiche (latino) rispetto al volgare

(italiano) nato dalla corruzione

del latino dovuta all'influenza delle

lingue barbariche e alla

decadenza dell'Impero romano.

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Bembo risponde che anche il latino ha avuto origini modeste e si è perfezionato grazie all'opera degli scrittori.

Sono le tesi delle Prose della volgar lingua, ma Speroni accentua l'elemento evoluzionistico estraneo alla concezione letteraria e idealizzata di lingua d'arte che propugna il Bembo storico.

Per Bonamico il italiano volgare può essere utilizzato per ragioni di praticità e di comunicazione, ma va lasciato da parte per fini artistici in quanto idioma imperfetto e ostico.

Castiglione (il Cortigiano) interviene a questo punto prendendo le distanze, con un tono di anticonformismo spigliato, sia da Bonamico che da Bembo.

Del primo mette l'accento sul

paradosso di considerare più

grave la decadenza della cultura e della

lingua classica piuttosto che

*************************
la perdita della libertà.
*************************

Rispetto al secondo sostiene le ragioni della lingua d'uso nei confronti della stilizzazione estetica e sostiene le ragioni di un volgare parlato da un ceto sovraregionale che mal sopporta il purismo arcaizzante fiorentino di Bembo e le tendenze ad una grammaticalizzazione della lingua.

La disputa tra i due interlocutori principali resta a questo punto ingiudicata, quando interviene lo Scolare che, mediante un espediente consueto impiegato per dilatare la scena dialogica in senso diacronico, riporta una conversazione avvenuta tempo prima tra Pietro Pomponazzi e Giano Lascaris.

Quest'ultimo vi appare difensore non tanto di una tesi purista, quanto della prospettiva umanistica per cui

res
("cose")

e

verba
("parole")

sono realtà complementari e indissociabili e le parole sono veicoli indispensabili per arrivare alla cose, nel rispetto però del dato filologico e del culto dello stile che vieta la proficua comunione tra le culture e finisce per sostenere una divisione dei differenti domini dello scibile («diverse lingue son atte a

SIGNIFICARE DIVERSI CONCETTI"

-- Griceian point.

Tale concezione aristocratica ed elitaria trova una smentita nelle tesi di Pomponazzi, che, da un punto di vista filosofico, propugna l'autonomia del

concetto

rispetto alla

forma

espressiva e rivendica la possibilità di trasferire in volgare i contenuti filosofici, se questo può condurre alla cognizione della verità.

Il dialogo di secondo grado si interrompe senza che Lascaris abbia modo di replicare e anche nel dialogo principale Bembo, Bonamico e il Cortigiano ribadiscono in maniera cordiale e rispettosa le reciproche posizioni, mentre lo Scolaro tace.

In questo silenzio è da vedere l'adesione dello Speroni alle tesi perettiane, che offrono una soluzione confacente al problema della lingua intellettuale, mentre insoluto all'interno del dialogo resta il problema della lingua d'arte che viene riproposta da Bembo nella battuta conclusiva, tesa a ribadire le ragioni estetiche del primato fiorentino, cui il dialogo non dà in effetti una risposta adeguata.

La fortuna del Dialogo è legata al dibattito sulla lingua, che è parte rilevante della cultura letteraria italiana del Cinquecento.

Fuori d'Italia è da segnalare soprattutto l'utilizzazione che ne fece Joachim Du Bellay nella sua Defense et illustration de la langue française("Difesa e celebrazione della lingua francese") a sostegno dell'autonomia e della dignità del volgare francese rispetto al latino.

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