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Monday, December 1, 2014

L'ENEIDE DI BERLIOZ: La presa di Troia e Didone abbandonata

Speranza

I TROIANI 
Melodramma in cinque atti e nove quadri.

La Scala, Milano.

Libretto di Ettore Berlioz, tratto da Virgilio.

Musica di Ettore Berlioz

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PERSONAGGI
 

ENEA
eroe troiano, figlio di Venere e di Anchise.
...... tenore ....... MARIO DEL MONACO
Corebo
principe d’Asia, promesso sposo di Cassandra
.... baritono
Panteo
sacerdote troiano, amico di Enea
.... basso
Narbal
ministro di Didone 
.....basso
Iopa
poeta di Tiro alla corte di Didone
.... tenore
Ascanio,
fanciullo, figlio di Enea (15 anni)
.... mezzosoprano
Cassandra
profetessa troiana, figlia di Priamo ... soprano
Didone
regina di Cartagine, vedova di Sicheo principe di Tiro
... mezzosoprano
Anna, sorella di Didone
... contralto
CORIFEI
Ila, giovane marinaio frigio
.... tenore
Priamo, re di Troia ... basso
Un condottiero greco basso
L’ombra di Ettore, eroe troiano, figlio di Priamo basso
Eleno, sacerdote troiano, figlio di Priamo tenore
Due soldati troiani basso
Il dio Mercurio baritono o basso
Un sacerdote di Plutone basso
Polissena, sorella di Cassandra soprano
Ecuba, regina di Troia soprano
Andromaca, vedova di Ettore .... mima
Astianatte, suo figlio (8 anni) ... mimo
Troiani, greci, tirii e cartaginesi; ninfe, satiri, fauni e silvani, ombre invisibili.


Prima esecuzione assoluta: Parigi, Teatro Lirico, 4 novembre 1863 (Seconda parte)
Karlsruhe, 6 e 7 dicembre 1890 (Integrale)

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Prima italiana: La Scala, 1960 -- MARIO DEL MONACO.

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PARTE I:

 
LA PRESA DI TROIA

 
                                                 ---- (Virgilio, "Eneide", Canto II).

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ATTO PRIMO

Il teatro rappresenta il luogo dell’accampamento abbandonato dai Greci, sulla pianura di Troia.

A sinistra dello spettatore, a qualche distanza, la Rocca, all’interno di Troia.

A destra, il Simoenta, e su una delle sue sponde un tumulo: la tomba di Achille.

In lontananza, le cime del monte Ida.

Sul proscenio, un altare rustico.

Presso l’altare, un alto trono.

Coro del popolo troiano. Il popolo troiano si riversa festante sulla pianura. Soldati, cittadini, donne, fanciulli. Danze, vari giochi. Tre contadini suonano il flauto doppio sulla sommità della tomba d Achille.

Danze. S’alza il sipario.

CORO: Ah, ah, dopo dieci anni trascorsi nel chiuso delle nostre mura, ah, quale felicità respirare, l’aria pura dei campi, che le grida di battaglia mai più lacereranno.

 Le danze cessano. Donne e bambini, ragazzi che accorrono brandendo monconi di armi.

Alcuni gruppi, sul fondo, continuano a danzare balli popolari.

CORO: Che bottino! Una punta di lancia! Io ho trovato un elmo! E io, due giavellotti. Guardate questo scudo gigantesco! Qui dentro, un uomo potrebbe navigare sulle onde. Sfaticati, codardi questi Greci!

Un soldato: Sapete quale tenda proprio qui s’innalzava?

Coro (donne e fanciulli): No! Dillo, su...qual era?

Il soldato: Quella di Achille.

CORO (indietreggiando con terrore): Oh, dèi!

Il soldato (indicando la tomba, si allontana con un sorriso sprezzante): Non fuggite. Restate, valorosi. Achille è morto, e qui veder potete la sua tomba: guardate, eccola qui!

Il popolo si allontana repentinamente dal sepolcro. I suonatori di flauto che stavano sopra di esso fuggono spaventati)

CORO: Sì: Paride da quel mostro omicida ci liberò! Udisti del cavallo di legno? Prima di partir per l’Aulide lo costrussero i Greci. Cavallo colossale, la loro offerta a Pallade; nelle sue vaste viscere un battaglione intero conterrebbe. Le mure stanno abbattendo: a sera, lo trarremo in città. Corre voce che il Re l’ha appena esaminato. Ma dov’è? – Sulla sponda, là, dello Scamandro. Presto! Andiamo a vederlo senza indugio! Corriamo! Corriamo! Il cavallo! Il cavallo!

Escono tumultuando.

Sul finire della scena precedente, Cassandra è apparsa in mezzo ai gruppi di curiosi, percorrendo la pianura con grande agitazione.

Il suo sguardo è inquieto e turbato.

CASSANDRA: Sono scomparsi i Greci! Ma che fatal disegno nasconde questa strana, repentina partenza?Tutto rafforza questa mia cupa inquietudine! L’ombra d’Ettore vidi percorrere i nostril bastion come una sentinella notturna; il nero lampo dei suoi occhi lungi scrutava lo stretto di Sigeo. Sventura! in sua follia e in delirante ebbrezza esce dalle mura la folla, e Priamo la guida. Oh, sventurato Re! giù nella notte eternal stai dunque per discendere, ché tale è il tuo destino. Tu non mi ascolti, nulla vuoi capire (con terrore) dell’orror che m’incalza, popolo sciagurato! (scoraggiata) Corebo, ahimè, persino il mio Corebo crede che io sia pazza!...A quel nome raddoppia il mio tremore! O dèi! Corebo! Sì, egli m’ama! lo l’amo! ma non più, per me, riti nuziali, non più amore, non più canti festosi, non più soavi sogni, tenerezze amorose! Dell’orrendo destino che mi opprime subir si deve la legge implacabile (S’immerge in una tenera fantasticheria). Corebo! Partir deve, e lasciare la Troade.

Corebo si fa innanzi con vivacità.

Cassandra: È lui!

Corebo: Nel momento in cui Troia tocca il ciel con un dito, fuggi i palazzi in festa, vaghi per boschi e campi, amadriade pensosa! Di te ci si preoccupa...

Cassandra: Ah! Nascondo ai tuoi occhi l’atroce angoscia che mi empie l’anima!

Corebo: Cassandra!

Cassandra: Lasciami!

Corebo: Vieni!

Cassandra: Oh, parti, te ne supplico!

Corebo: lo, partire! Lasciarti, quando il più sacro legame.

Cassandra: È il tempo di morire, e non d’esser felici.

Corebo: Ritorna in te,mia vergine adorata! Cessa d’esser profeta: finirà il tuo timore. Leva verso la volta azzurra e pura. L’occhio della tua anima, sicura. Apri il tuo cuore, dunque, a un raggio di speranza!

CASSANDRA: Tutto, in cielo, è minaccia! Credi a mia voce, ispirata dallo stesso dio barbaro che vuol trarci in rovina. Ha ben letto il mio sguardo nel libro del destino. Vedo i malanni a schiera scatenati su noi! Piomberanno su Troia! In preda alla lor furia il popolo urlerà arrossando di sangue le nostre vie, il selciato; vergini seminude in braccio ai rapitori leveranno clamori da lacerar le nubi! Ecco: il nero avvoltoio sulla più alta torre canta un inno alla strage! Già tutto crolla, e nuota sopra un fiume di sangue, e infisso nel tuo fianco ah! è il ferro d’un greco.

Corebo sostiene per un attimo Cassandra semisvenuta.

Corebo: Povera anima infelice! Ritorna in te,mia vergine adorata, ecc.

Cassandra: La morte plana già nell’aria...ho veduto il sinistro lampo del suo freddo sguardo omicida (scoraggiata). Se tu m’ami, vai via, vai lontano, parti!... vai da tuo padre, vai a dargli il sostegno necessario ai suoi vecchi anni, a noi ormai inutile.

Corebo: Con quali occhi, se sventure su di noi tali cadessero, cara sventata, mi rivedrebbe mio padre,mentre abbandono la mia promessa sposa nell’ora del pericolo? Ma cielo e terra, obliando la guerra, proclamano il tuo errore. Questa dolcezza tiepida che dalla brezza spira e questo mar che frange con lieve urto i suoi flutti sugli scogli di Tenedo; sull’ondulata piana questi greggi quieti, questo pastor che canta gaio, e gli uccelli lieti, tutto questo proclama, sotto l’alto baldacchino del cielo, e in ogni luogo espande solo un inno di pace.
 
Cassandra: Segni ingannevoli! perfida calma! La morte plana già nell’aria, ho veduto il sinistro lampo del suo freddo sguardo omicida! Lasciaci già questa sera, ascoltami, t’imploro, nelle nostre mura, l’aurora possa non rivederti! Sto morendo d’angoscia e il mio cuore si strazia! Parti questa sera, parti questa sera!

Corebo: Lasciarti, già questa sera! Cassandra, io che t’adoro! Risparmiami, t’imploro, sì disperata pena! Vuoi dunque la mia morte? Non hai pietà, se dici: Parti questa sera, parti questa sera!

Cassandra: Se del tuo nobile amore, Corebo, degna un dì mi credesti, partirai!

Corebo: Per gli dèi del cielo e dell’Erebo, Cassandra, tu mi ascolterai! Cado in ginocchio innanzi a te, Cassandra!

Cassandra: A sì acuto dolore io soccombo! O dèi crudeli!

Corebo: Lasciarti, già questa sera, ecc.

Cassandra: Ascoltami, t’imploro, ecc. Anche tu, cieco e sordo! E tu persisti ad immolarti al tuo funesto amore?

Corebo: Io non ti lascio!

Cassandra: Lo spaventoso giorno ti vedrà combatter dunque a fianco ai miei fratelli?
 
Corebo: Io non ti lascio!

Cassandra: E dunque, sia! Eccoti la mia mano e questo casto mio bacio di sposa! (lo abbraccia) Resta! Prepara la morte gelosa il nostro letto nuziale, domani.

Corebo: Vieni! Vieni! (La trascina via, smarrita nella sua angoscia)

Entrano Ascanio guidando i fanciulli, Ecuba e le principesse, Enea alla testa dei guerrieri troiani, Priamo e i sacerdoti.

Coro: Dèi protettori della città eterna, gradite i nostri incensi; della gioia che il suo fedel popolo esterna ascoltate gli accenti! Divini autori della nostra liberazione, dio dell’Olimpo, dio degli oceani, voi, dèi che governate l’universo, gradite questi doni di nostra gratitudine.

 Danze e giochi popolari.

Andromaca entra a passi lenti, tenendo per mano Astianatte.

Entrambi sono in lutto, vestiti di bianco.

Coro: Andromaca e suo figlio! Oh, destino! Questo clamor di pubblica allegrezza (Astianatte depone un cesto di fiori ai piedi dell’altare. Andromaca s’inginocchia al suo fianco e prega per qualche istante)e questa immensa tristezza, questo lutto profondo.(Andromaca si alza in piedi e conduce Astianatte dinanzi al trono di Priamo).. questo muto dolore (Andromaca presenta il fanciullo al Re e alla Regina, poi attira Astianatte al suo seno e lo abbraccia con tenerezza e veemenza). Le spose, le madri piangono al vederli...

Priamo si alza in piedi e benedice il fanciullo.

Ecuba lo benedice a sua volta.

Il Re e la Regina riprendono posto sui loro troni.

Astianatte, intimidito, torna a rifugiarsi tra le braccia della madre.

Cresce l’emozione dolorosa di Andromaca.
 
Cassandra (passando sul fondo della scena) Ahimè! Conserva tutte le tue lacrime, vedova d’Ettore. (Sopraffatta dalle lacrime, Andromaca abbassa il suo velo) ...a prossime sventure pagherai tributo immenso di lacrime amare.

 Andromaca riprende la mano di Astianatte e si ritira, passando davanti al popolo riunito in vari gruppi.

La folla fa largo ai due.

Molte donne troiane, piangendo, nascondono il loro volto sulla spalla degli uomini che sono accanto ad esse.

Andromaca e Astianatte si allontanano a passi lenti.

Coro: Ah!

Enea (MARIO DEL MONACO) (accorrendo): Gente e soldati, o Re! Fugge la folla, qual torrente dilaga. Non la si può fermare. Un prodigio inaudito la empie di spavento. Laocoonte, intuendo qualche perfida trama nell’opera dei Greci, ha, col suo braccio intrepido, vibrato il giavellotto su quel legno, incitando il popolo indeciso e tentennante a dargli fuoco.

Allor, gonfi di rabbia, due mostruosi serpenti si avanzan verso il lido, il sacerdote assalgono, e in terribili spire lo avvinghiano, bruciandolo con l’alito infuocato: coprendolo con bava sanguinosa lo divorano innanzi ai nostri occhi.

Priamo, Panteo, Corebo, Enea, Eleno, Cassandra,Ascanio, Ecuba, il popolo: Castigo spaventoso!Misterioso orrore! A questo agghiacciante racconto, il sangue si è gelato nel mio cuore. Brivido di terrore scuote tutto il mio essere! Laocoonte! Un sacerdote, oggetto del furore degli dèi, sbranato vivo da quei mostri odiosi! Orrore!

Cassandra: Miserevole popolo!

Enea: Che la dea ci protegga. Questo nuovo periglio scongiuriamo. Fin troppo vero: ha vendicato Pallade l’orrido sacrilegio.

Priamo: Per placarla, seguite senza indugio i miei ordini.

Enea: Già su ruote disposte con bell’arte collocato è il cavallo: ciascuno lo conduca e in città verso il tempio diAtena lo introduca. Al sacro oggetto siate, voi fanciulli, corteo, donne, guerrieri, fiori spargete sulla via, e che fin dentro Troia di tromba e lira il suono accompagni i vostri canti!

Cassandra (percorrendo con frenesia la scena) Sventura!

Priamo, Ecuba, Enea, Panteo, Corebo,

Eleno: Pallade, perdona Troia!

Escono. Cassandra resta sola sul proscenio. Dopo aver fatto qualche passo per seguire la folla, rientra bruscamente)

Cassandra (con maggior frenesia): No. non vedrò quella penosa festa dove s’inebria, sperando un fulgido avvenire, questo popolo già condannato, che nulla arresta sul pendio dell’abisso.Oh, crudele memoria! O gloria della patria!...Vedere, ora, svanire la seducente immagine della felicità! Corebo! Priamo!... vano tentar d’aver coraggio; lacrime disperate inondano il mio volto!

Si ode da molto lontano il frastuono del corteo.

Cassandra (sola, sul proscenio): Dei miei sensi smarriti ... è questa un’illusione? I sacri cori d’Ilio!

Coro (lontano): O figlia amata del re degli dèi, armata d’elmo e lancia, saggia guerriera dal soave sguardo, sii favorevole ai nostri destini, rendi Ilio incrollabile: bella e nobile Pallade, proteggici!

Cassandra: Che? Già il corteo!... Lo scorgo da lontano! Il nemico si approssima, e aperta è la città. Questo popolo folle che corre alla rovina pare che abbia precorso gli ordini del suo Re.

 Si ode il brusio del corteo che si sta avvicinando.

 
Coro: Odi le nostre voci, o vergine sublime, unirsi al suon dei flauti di Dindimo nel più nobile canto La tromba frigia in armonia con la lira troiana innalzi a te questo concerto supplice!

Cassandra (sola, sul proscenio): Cresce il frastuono dei canti! Quella macchina enorme, rotolante, s’avanza!... Eccola qui!

Tutto il Coro entra in scena e va a disporsi sul fondo, a destra e a sinistra, durante il passaggio del cavallo e del corteo che lo segue.

 CORO: Ghirlanda sorridente intorno ai doni offerti in sacrificio, su, danzate, fanciulli fortunate, Seminate sui rami, la neve profumata dei mughetti fioriti in primavera. O Pallade, proteggici!

 
I canti cessano all’improvviso.

Tra le quinte si odono risuonare diversi cimbali. Il coro è agitato da movimenti in diverse direzioni; alcune donne escono dal corteo come per andare a vedere ciò che accade al di fuori della scena, e ritornano quasi subito.

Alcuni uomini del popolo: Che accade, dunque? Perché ci si allarma?

Cassandra: Giove! Si esita! E la folla si agita!

Le donne: Nel grembo del colosso si ode un rumore d’armi.

Cassandra: Si fermano...O dèi! Se...

Il coro scruta in lontananza nelle quinte, manifestando una certa inquietudine.

Gli uomini: Lieto presagio! Cantate, fanciulli!

I canti riprendono ancor più vigorosi di prima.

Tutto il Coro: Cime orgogliose della rocca di Pergamo, d’una fiamma gioiosa raggiate trionfali!

I canti si fanno sempre più tenui, finché non svaniscono in lontananza. Il Coro si accoda al corteo ed esce.

Cassandra: Fermatevi! Fermatevi! Sì, la fiamma, la scure. Esplorate le viscere del cavallo mostruoso!Laocoonte!... i Greci!... esso nasconde un’infernale insidia... la mia voce si perde!... più nessuna speranza! Voi non avete pietà, grandi dèi, per questo popolo in preda a demenza. Nobile impresa degli Onnipotenti, trarlo all’abisso chiudendogli gli occhi!

Cassandra ascolta gli ultimi suoni della marcia trionfale che si distingue ancora. I suoni cessano di colpo.

 CASSANDRA: Entrano! È fatta! Il destino tiene in pugno la preda. Sorella d’Ettore, preparati a morire sotto le rovine di Troia!

Cassandra esce. Cala il sipario.


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ATTO SECONDO

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Primo quadro: Una sala nel palazzo di Enea, a malapena rischiarata da un lume.

Rumore di combattimenti in lontananza.Enea, armato solo in parte, dorme sul suo letto.Ascanio, molto allarmato, esce da una stanza vicina. È in ascolto, e si avvicina al letto di suo padre. Poiché i rumori della città si spengono, egli non osa svegliare Enea, e ritorna indietro.

Da un angolo buio si avanza verso Enea lo spettro insanguinato di Ettore, a passi lenti e solenni. La sua barba e la sua chioma sono insozzate e scompigliate. Giunto presso Enea, resta immobile per un istante, contemplandolo e sospirando profondamente.

Da lontano, il rumore di un crollo, più forte di quelli precedenti, desta Enea di soprassalto.Dinanzi a sé egli vede Ettore; dopo un attimo d’indecisione, si leva e sedere sul letto e gli rivolge la parola.

Enea: Luce di Troia!. ..Gloria dei Troiani! Dopo tanti travagli dei tuoi concittadini, da quale sponda ignota ritorni? Quale nube sembra velare i tuoi occhi sereni? Ettore, quali pene devastano il tuo volto?

L’ombra di Ettore (la voce di Ettore dovrà farsi a poco a poco sempre più debole fino a svanire): Fuggi, figlio di Venere. Il nemico è alle mura. Dai suoi fastigi tutta Troia crolla! Un uragano di fiamme dai tempi ai palazzi sospinge foschi turbini. Fatto avremmo abbastanza per salvare la patria, senza il destino avverso.A te Pergamo affida i fanciulli e i suoi dèi. Parti, cerca l’Italia, dove, per il tuo popolo che può e vuole rinascere, dopo avere gran tempo errato sopra l’onde fondar ti sarà dato un impero potente, che sarà, in avvenire, dominator del mondo, dove la morte degli eroi ti attende.

Ettore si allontana con solennità; la sua figura si fa sempre più indistinta, mentre Enea lo segue con uno sguardo sgomento.

Entra Panteo, ferito in volto, recando le sacre immagini degli dèi di Troia.

Enea: Quale speranza c’è ancora, Panteo? Dove combattere, dove accorrere?

Panteo: La città insanguinata brucia! E il nostro giorno estremo. Priamo non è più! Usciti dal mostruoso cavallo, i Greci han massacrato i guardiani alle porte.

 Già innumerevoli coorti, affluendo da fuori, stan correndo da ogni parte per attizzare l’incendio, che illumine dei loro capi l’infame perfidia.

Altri, frattanto, occupan gli spalti.

Entra Ascanio.

Ascanio: Padre! Il palazzo di Ucalegonte crolla! Sta fondendo il suo tetto, e cade pioggia ardente!

Enea (interrompendolo) Seguici,Ascanio!

Entra Corebo, alla testa di un drappello armato.

Corebo: All’armi, grande Enea! Vieni, la rocca assediata si difende ancora!

Enea: Ad ogni costo dobbiamo raggiungerla, pronti a morire tentiamo di difenderci. La salvezza dei vinti è non avere indugi.

Forti rumori e grida lontane.

Coro: La salvezza dei vinti è non avere indugi.

Udite crollare le torri?... divampare le fiamme divoranti?

Le urla dei Greci? La loro folla aumenta.

In marcia! La disperazione dirigerà i nostril colpi.

Tutti: Pronti a morire, tentiamo di difenderci.

La salvezza dei vinti è non avere indugi.

Enea prende Ascanio per mano e lo colloca al centro di una squadra armata)

Marte! Erinni! Guidateci!

Escono tutti.

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 Secondo quadro:

Una stanza nel palazzo di Priamo. Sul fondo una galleria a colonnato il cui parapetto più elevato dà su una piazza, visibile a notevole profondità. Tra le colonne si scorge a distanza il monte Ida. L’altare di Vesta-Cibele è illuminato.

 Polissena, donne troiane, raccolte intorno all’altare. Alcune sono inginocchiate, alter sedute a terra, molte giacciono sui gradini dell’altare con la faccia premuta a terra.

Tutte nell’atteggiamento del più profondo sconforto.

 Coro delle donne troiane e Polissena: Ah! Potente Cibele, dea immortale, madre degli infelici, che sola dai soccorso ai tuoi Troiani, sii benigna ai loro sforzi disperati in questi terribili frangenti. Proteggi dall’oltraggio e dalla schiavitù le loro madri, le loro sorelle! Infrangi l’arma empia della perfidia nelle mani dei vincitori!

Entra Cassandra con la chioma sciolta.

Cassandra: Non tutti periranno. Il valoroso Enea e il suo drappello, tre volte accorso nella mischia, han liberato i nostri bravi cittadini rinchiusi nella rocca. Il tesoro di Priamo resta in mano ai Troiani.
Presto in Italia, dove il destin li chiama, innalzeranno, più potente e bella, una novella Troia. Sono in marcia per l’lda.

Coro: E Corebo?

Cassandra: È morto.

Coro: Dèi crudeli!

Cassandra: Per l’ultima volta all’altare di Vesta io m’inchino. Seguo il mio giovane sposo. Sì, questo istante conclude la mia inutile vita.

 Coro: Degna sorella d’Ettore! Profetessa che Troia tacciava di demente. Ieri, a salvarci si era ancora in tempo, quando ella preannunciava questa immense rovina!

Cassandra: Tra poco ella non sarà più.

Coro: Disperazione! Inutili rimpianti!

Cassandra: Ma voi, colombe spaurite, potrete mai adattarvi a orrenda schiavitù? Subir vorrete, voi vergini, di donne il disonore, legge brutale del vincitore?

Coro: Dobbiam bandir dal cuore ogni speranza?

Cassandra: La speranza! Infelici! In queste ardenti e balenanti tenebre voi non vedete, dunque, non udite i crudeli Mirmidoni ch’empion le nostre vie e quei che dal palazzo sorvegliano le strade?

Coro: Tutto è perduto: nulla ci salva dai violenti.

Cassandra: Nulla, voi dite? Se onore vi ravviva (indicando la galleria) per chi dunque c’è là quel precipizio spalancato dinanzi ai vostri piedi? (indicando il suo pugnale e le cinture delle donne). Per chi è questa lama, queste funi di seta, se non per voi, donne di Troia? (un piccolo gruppo ammutolisce, manifestando un profondo terrore)

Una parte del Coro, la più numerosa: Eroina d’amore e d’onore, dici il vero! Noi ti seguiremo!

Cassandra: Il giorno nascente qui non vi troverà dai Greci profanate?

La parte maggiore del Coro: No, Cassandra: giuriamo!

Cassandra: E non vi si vedrà trascinate al trionfo?

La parte maggiore del Coro: Mai! Mai! Moriremo con te!

Le donne parlano tra loro.Alcune prendono delle lire e le suonano, cantando.

 La parte maggiore del Coro: Compagne alla sua gloria, condividendo sua sorte, turbiam, con la nostra morte, dei Greci la vittoria!

Libere e pure vivevamo; in questa notte fatale libere e pure scendiamo dell’Orco alla riva infernale!

Cassandra (rivolgendosi alla parte meno numerosa del coro): Voi che tremate e rimanete mute, forse esitate?

La parte meno numerosa del Coro: Ah! tutta mi scuote il tremore!

Cassandra: E che? subirete una vile esistenza indegna di anime grandi?...

La parte meno numerosa del Coro (piangendo): Ahimè!... Così presto morire!

Cassandra (con un’esplosione d’ira): Andate! Preparate la tavola e il letto dei vostri padroni! Schiave, lontane da noi!

La parte meno numerosa del Coro: Pietà...

Cassandra e la maggior parte del Coro: Onta su voi! Scendete, andate da quei traditori, gettatevi ai loro piedi, abbracciate le loro ginocchia! (con violento tono di disprezzo) Andate a vivere! Donne di Tessaglia! Onta su voi! uscite! non siete più Troiane! (cacciano via le pavide. La parte meno numerosa del coro indietreggia in silenzio dinanzi alle altre donne, fino alle quinte, ed esce di scena.Tutte le altre ritomano al centro della scena con un’esaltazione a mano a mano crescente)

La parte maggiore del Coro: Cassandra, con te moriremo! Non ci vedranno profanate dai Greci, non saremo comparse trascinate al trionfo, no, no,mai, lo giuriamo (riprendendo in mano le lire). Compagne alla sua gloria, ecc. Aprici, nero Plutone, le porte del Tenaro! Fa’ echeggiare, Caronte, la tua fanfara funebre!

Cassandra (con la più grande esaltazione): Corebo! Ettore! Priamo! Re! padre! fratello! amante! Io vi raggiungo! Udite il loro giuramento, inferni dèi! Morite degne di gloria; condividendo mia sorte, turbate, con la vostra morte, ecc. (un condottiero greco rapidamente con la spada levata, e si arresta, stupito nel vedere le Troiane. Cassandra afferra la lira di una Troiana)

Il condottiero (durante la parte conclusiva del coro precedente): Come! La lira in mano!... di quel nobil fervor ammiro,mio malgrado, la sublime ironia! Cassandra!. .. è così bella mentre canta la morte, baccante dall’occhio azzurro che d’armonia s’inebria! (entra una parte dei Greci)

I soldati: Il tesoro! il tesoro! consegnate il tesoro! (alzano le loro spade sulle donne)

Cassandra: La vostra vil minaccia disprezziamo, mostri ebbri di sangue, banda d’immondi predoni!Non sazierete, briganti, la vostra sete d’oro! (si trafigge, e porge il pugnale a Polissena). Prendi! il dolore è nulla! (Polissena si trafigge a sua volta. Cassandra riesce ancora a stare in piedi)

Un altro drappello di Greci (entrando): Dèi nemici! Oh, rabbia!

 Coperti di sangue, nel pieno della strage.
Enea e i suoi Troiani sfuggono ai nostril colpi.
Ed or, padroni del tesoro, fuggono!...

Cassandra e le donne (Cassandra si dirige barcollando verso il fondo della scena, ma le mancano le forze prima di raggiungere la galleria. Essa si accascia sulle ginocchia. Le donne salgono sul parapetto della galleria. Altre sciolgono le cincture ed estraggono i pugnali. Tutte agitano i loro
veli e le loro sciarpe in direzione dell’Ida) A vostro scorno, eccoli già tutti in cammino verso l’Ida,
e noi la vostra furia qui sfidiamo (sollevandosi in uno sforzo supremo e tendendo le braccia verso l’Ida. Grido d’orrore dei Greci che si slanciano verso la galleria) Salva i nostri figli, Enea! Italia! Italia! (Cassandra cade morta. Le donne si precipitano già dalla galleria.Altre si strangolano o si pugnalano.

Cala il sipario.

 
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PARTE II
 
I TROIANI A CARTAGINE; ossia DIDONE ABBANDONATA


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ATTO TERZO

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Una vasta sala ornata di piante verdi nel palazzo di Didone a Cartagine. Su uno dei lati s’innalza un trono circondato da trofei dell’agricoltura, del commercio e delle arti; sull’altro
lato, nel fondo, un anfiteatro a gradini, sul quale, all’aprirsi del sipario, siede un’innumerevole
moltitudine.

Coro (di una parte del popolo cartaginese): I cieli sembrano benedire la festa di Cartagine!

Si vide mai un simile giorno dopo così orribile tempesta?
Quale dolce zefiro! il nostro sole ardente attenua la violenza dei suoi raggi; alla sua vista la pianura immense di gioia ha un soprassalto; esso procede il fulgido sorriso della natura al suo risveglio.

Entra Didone con il suo seguito. Al suo ingresso, tutto il popolo che era seduto sui gradini dell’anfiteatro si alza in piedi agitando veli di diversi colori, rami di palma, fiori. Didone va a sedersi sul suo trono, con la sorella alla destra e Narbal alla sinistra; alcuni soldati si schierano all’intorno.

Coro generale: Gloria a Didone, nostra regina amata! Regina per bellezza, grazia, genio, regina per favore degli dèi, regina per l’amore dei suoi felici sudditi!

Il popolo agita rami di palma e sparge fiori.

Didone (in piedi, dall’alto del suo trono) Abbiamo veduto concludersi appena sette anni dal giorno in cui, per render vano l’odio del tiranno assassino del mio augusto sposo, sono dovuta fuggire con voi
da Tiro alla sponda africana. Ed ecco, già Cartagine s’innalza, fioriscono i suoi campi, la sua flotta è
allestita! Già dai lidi lontani dove l’aurora si desta voi qui recate, lavoratori del mare, il grano, il vino, la lana, il ferro, e i prodotti delle arti che a noi ancora mancano. Cari figli di Tiro, tante nobili fatiche
hanno inebriato il mio cuore d’un legittimo orgoglio! Ma ora non rilassatevi, seguite la voce sublime
del dio che a nuovi sforzi ora vi chiama! Offrite ancora un esempio alla terra; già grandi in pace, divenite in Guerra un popolo d’eroi. Il feroce Iarba vuole impormi la catena di un matrimonio odioso;
vana è la sua insolenza. La mia difesa affido a voi come agli dèi.

 
Il popolo: Gloria a Didone, nostra regina amata! Pronto è di noi ciascuno a donarle la vita! Tutti, noi tutti la difenderemo. Sfidiamo di Iarba l’insolenza e il furore, respingeremo al fondo del deserto
questo selvaggio Numida!

Didone e il popolo: Cari figli di Tiro, tante nobili fatiche, ecc.

Didone: Questa lieta giornata, che nella vostra memoria dovrà restare per sempre, a coronare le opere di pace fu da me destinata. Avvicinatevi a me, costruttori, marinai, agricoltori, da mia man ricevete la giusta ricompensa dovuta alla fatica che dà la Potenza e la vita agli Stati.

I costruttori in corteo avanzano verso il trono.

Didone dona al loro capo una squadra d’argento e un’ascia. Il corteo ritorna verso il fondo della scena.

I marinai in corteo avanzano verso il trono.

Didone dona al loro capo un timone e un remo. Il corteo ritorna verso il fondo della scena.

Il corteo dei contadini, più numeroso dei due precedenti, avanza lentamente verso il trono; lo guida un vecchio vigoroso.

Didone dona al vecchio capo dei contadini un falcetto d’oro; poi, tenendo in mano una corona di fiori e di spighe, grida:

Didone:  Popolo! ogni onore per la più grande delle arti, quella che nutre gli uomini! (incorona il vecchio)

 Popolo: Evviva i contadini! noi siamo i loro figli riconoscenti; essi ci danno il pane!

 Didone (a parte): O Cerere! l’avvenir di Cartagine è sicuro!

 Coro generale: Gloria a Didone, nostra regina amata! Pronto è di noi ciascuno a donarle la vita!
A lei diamo altre prove del nostro grande amore.

 Su, contadini,marinai, formiamo un popolo di eroi! Gloria a Didone, nostra regina amata! Regina per bellezza, ecc.

Il popolo, guidato da Narbal, sfila in corteo dinanzi al trono di Didone, ed esce.

Didone: I canti gioiosi, l’aspetto di questa nobile festa, hanno infuso di nuovo la pace nel mio cuore agitato. Respiro, sorella mia; sì, la mia gioia è perfetta, io ritrovo la calma e la serenità.

Anna: Regina di un giovane impero che ogni giorno s’innalza più fiorente, adorata regina che tutto il mondo ammira, qual timore, prima, ha potuto turbarti per un istante?

Didone: Una strana tristezza, immotivata, lo sai, talvolta su me cade. Vani sono i miei sforzi di oppormi a quell languore, sento balzarmi il seno per vaga malinconia, sento il mio volto in fiamme ardere sotto le lacrime...

Anna (sorridendo): Tu vorresti amare, cara sorella mia...

Didone: No, ogni nuova passion è irrevocabilmente vietata al mio cuore.

Anna: Tu vorresti amare, cara sorella mia...

Didone: No, la vedova fedele raggelar deve l’anima e detestare l’amore.

Anna: Didone, tu sei regina, troppo giovane, troppo bella per non ubbidire a questa dolce legge. Cartagine vuole un re.

Didone (mostrando al suo dito l’anello di Sicheo): Possano maledirmi il mio popolo e gli dèi se mai io deponessi questo anello consacrato!

Anna: Un tale giuramento suscita il sorriso della bella Venere; sul loro libro sacro gli dèi rifiutano di scriverlo.

Didone (a parte): Le sue parole fan nascer nel mio seno pericolosa ebbrezza; già, nella mia debolezza,
contro una vaga speranza io mi dibatto invano.

 Anna: Le mie parole fan nascer nel suo seno sogni di tenerezza; già, nella sua debolezza, alla dolce speranza d’amare ella resiste invano.

Didone: Sicheo! Mio sposo, perdona questo istante d’involontario errore, e possa il tuo ricordo cacciar via dal mio cuore quel che lo turba e lo rende inquieto.

Anna: Didone, carissima sorella, perdona se dissolvo una troppo accarezzata illusione. Perdona se la mia voce suscita nel tuo cuore quel che lo turba e lo rende inquieto.

Entra Iopa.

Iopa: Sfuggiti a grande pena, scampati al mare in tempesta, regina, i messi di una flotta ignota implorano il favore d’esser da te ricevuti.

Didone: Mai è chiusa la porta del palazzo a supplicanti di tal sorta (a un segno della regina, Iopa esce). Errabonda sui mari non fui io anche, forse, di spiaggia in spiaggia, travolta dai vortici dell’uragano, trastullo dell’onde amare? Ahimè, dei colpi della sorte io stessa conosco la violenza
su chi di sorte è vittima.Compatir la sventura
è facile per noi. Chi conosce il dolore non potrebbe vedere altri soffrire invano.
Didone (a parte) Provo una viva, improvvisa impazienza di vederli, e in segreto temo la lor presenza.

Sale sul trono.

Entrano Enea travestito da marinaio, Panteo, Ascanio, e i capi troiani che portano doni.

Ascanio (inchinandosi dinanzi alla regina): Regina augusta, un popolo errante e infelice per qualche giorno chiede a voi asilo. Ai tuoi piedi depongo ciò che resta di sua grandezza: preziosi doni che un pio condottiero, per mia debole mano, ti offre in nome di Giove.

Didone: Di questo capo, bel fanciullo, qual è il nome, la stirpe?

Ascanio: Regina, sotto i nostri passi una traccia di sangue dai monti della Frigia ha segnato il
cammino fino al mare.Questo scettro d’lliona (porge i doni ad uno ad uno), figlia di Priamo re, d’Ecuba la corona, questo velo leggero di Elena in tessuto d’oro raggiante, bastano a rivelarti che siamo Troiani.

Didone: Troiani!

Ascanio: Enea è il nostro capo, ed io sono suo figlio.

Didone: Strano destino!

Panteo (si fa avanti): Per ubbidire al re degli dèi questo eroe sta cercando l’Italia, dove la sorte gli promette una fine gloriosa e la felicità di restituire ai suoi una patria.

Didone: Chi non ammira questo principe, amico del grande Ettore? Chi non conosce il suo nome famoso? Cartagine tutta ne suona. Ditegli che il mio porto, aperto alle sue navi, lo attende.Venga, e oblìi con voi, alla mia corte, i suoi penosi affanni.

Narbal (entrando in grande agitazione): Oso appena annunciare la tremenda notizia!

Didone: Che accade?

Narbal: Il Numida ribelle, il feroce Iarba, con innumerevoli soldati avanza verso Cartagine.

Cartaginesi (da lontano): Armi! Vogliamo armi!

Narbal: L’esercito selvaggio minacciano persino la città: ai giovani guerrieri nostri, tutti ardimento,
mancheranno le armi.

Didone: Tu, Narbal, che proponi?

Narbal: Che noi tentiamo un’impari battaglia.

Cartaginesi: Armi!Vogliamo armi!

Enea (venendo avanti, dopo aver lasciato cadere il suo travestimento da marinaio; indossa una
tunica splendente e la corazza, ma senza elmo né scudo): Regina, sono Enea!

La mia flotta, sospinta dai venti ai vostri lidi, a ben dure fatiche fu da me destinata; permetti a noi Troiani di combatter con voi!

Didone: Accetto con orgoglio una tale alleanza. Enea in armi per la mia difesa! Gli dèi si dichiarano: parteggiano per noi (a parte, ad Anna). Sorella, com’è fiero, questo figlio di dea, com’è segnato in fronte da grazia e nobiltà!

Enea: Su questa immonda orda diAfricani marciamo, genti di Troia e di Tiro, voliamo alla vittoria insieme! Come la sabbia soffiata via dal vento ricacciamo nei suoi deserti torridi il Numida sconfitto: ch’egli tremi!

Enea, Panteo, Narbal, Iopa,Ascanio, Didone, Anna, i capi troiani: È il dio Marte che qui vi/ci riunisce, è il figlio di Venere che vi/ci guida alla pugna! Sterminate/sterminiamo l’esercito nero,
e domani la fama proclami lontano l’onta e la morte di Iarba! (verso la fine di questo concertato, si recano a Enea le sue armi. Egli si pone rapidamente l’elmo sul capo, infila al suo braccio il grande
scudo e afferra i suoi giavellotti)

Enea (a Panteo vivacemente) Annuncia ai Troiani la nuova impresa cui la gloria li chiama (Panteo esce) Regina, presto dal barbaro odioso sarai liberata. Alle tue cure generose lascio mio figlio.

Didone: Del mio amore di madre per lui, non dubitare.

Enea (ad Ascanio). Vieni, abbraccia tuo padre.

L’abbraccia coprendolo tutto con le armi. Ascanio piange senza rispondere.

Da altri, fanciullo, apprenderai l’arte d’esser felice. Io t’insegnerò soltanto la virtù guerriera e il rispetto per gli dèi. Ma onora nel tuo cuore e serba nella memoria d’Ettore e d’Enea gli esempi gloriosi.

Il popolo di Cartagine accorre da ogni parte chiedendo armi. Soltanto alcuni uomini sono armati in modo regolare; gli altri hanno falci, asce, fionde. Panteo rientra in scena. All’improvviso, Ascanio si asciuga le lacrime e si lancia a fianco dei capi troiani.
Tutti: Armi! Vogliamo armi! Su questa orda immonda diAfricani marciate/marciamo, genti di Troia e di Tiro, ecc.

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ATTO QUARTO

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Primo quadro: Una foresta africana, al mattino. Sul fondo, una roccia molto alta. In basso e a sinistra
della roccia, l’apertura di una grotta. Un piccolo ruscello scorre lungo la parete della roccia e va a perdersi in un bacino naturale orlato di giunchi e di canne. Due naiadi si lasciano intravedere per un istante e subito scompaiono; poi le si vede nuotare nel bacino.

 
Caccia regale. Fanfare di trombe risuonano lontane nella foresta. Le naiadi, impaurite, si nascondono fra le canne. Si vedono passare cacciatori tirii che conducono cani al guinzaglio.

 Il giovane Ascanio, a cavallo, attraversa la scena al galoppo. Il cielo si oscura, cade la pioggia.Tempesta di crescente intensità... Presto il temporale diventa un terribile uragano: torrenti di pioggia, grandine, lampi e tuoni.

 Ripetuti appelli delle trombe intonati dai cacciatori
in mezzo al tumulto degli elementi. I
cacciatori si disperdono in tutte le direzioni;
da ultimo si vede apparire Didone in costume di Diana cacciatrice, l’arco in mano, la faretra
in spalla, ed Enea vestito in foggia semiguerriera.

L’uno e l’altra sono a piedi. Entrano nella grotta. Immediatamente le ninfe del bosco appaiono, con i capelli sciolti, sulla sommità della roccia; vanno e vengono correndo, lanciano grida e fanno gesti agitati. In mezzo al loro clamore si distingue di tanto in tanto la parola: Italia!

 Il ruscello si gonfia e diventa una scrosciante cascata. Altre cadute d’acqua si formano in
diversi punti della roccia e mischiano il loro rumore al frastuono della tempesta. Satiri e
Silvani eseguono, insieme con i Fauni, danze grottesche nell’oscurità. Il fulmine colpisce
un albero, lo spezza e lo incendia. I frammenti dell’albero cadono sulla scena. Satiri,

Fauni e Silvani spazzano via i rami infuocati, danzano tenendosi per mano, poi scompaiono
con le ninfe nelle profondità della foresta.

La tempesta si calma. Le nubi salgono più in alto, diradandosi.

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Secondo quadro

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I giardini di Didone sulla riva del mare. Il sole tramonta.

 
Anna: Di’,Narbal, che cosa ti preoccupa? Il giorno che concluse la guerra e le sue sventure
non ha forse veduto rifulgere la gloria delle nostre armi? I Tirii non son forse vincitori?

Narbal: Per noi, da questo lato, ormai nulla è causa di timore; i Numidi cacciati nei loro deserti di sabbia mai più riappariranno presso le nostre mura; e la spada terribile dell’eroe invincibile ci ha liberati di Iarba.

 
Ma Didone ora dimentica le cure cui poc’anzi ancor tendeva il suo spirito; in cacce, in feste ella trascorre i giorni; interrotti i lavori, le officine deserte, il prolungato soggiorno del Troiano a
Cartagine mi causano ansie condivise dal popolo.

 Anna: Non vedi, Narbal, che ella lo ama, quel fiero combattente, e che anche lui prova per mia sorella uguale amore?

 Narbal: Che cosa?

 Anna: Dall’ardore che li anima, quale sventura temi possa nascere? Didone non può avere un più valente sposo, Cartagine, un re più magnanimo?

Narbal: Ma il destino imperioso chiama Enea in Italia!

Anna: Una voce gli dice: Parti! Un’altra voce gli grida: Resta! L’amore è il più grande degli dèi.

Narbal: Quali disastri minacci a Cartagine, cupo avvenire? Io vedo uscire sinistri lampi dal tuo fosco nuvolo! Giove, tu, dio dell’ospitalità! Esercitando la virtù che onori abbiamo dunque, abbiamo meritato di tua collera i colpi?

Anna: Vano terrore! Cartagine trionfa! La nostra leggiadra regina ama un eroe vincitore, una catena di fiori li avvince. Tra poco saranno uniti. Questo minaccia il cupo avvenire.

 
Sul tema dell’Inno nazionale, entrano Didone, Enea, Panteo, Iopa, Ascanio.

 Didone va a sedersi con Anna su una tribuna, con Enea e Narbal accanto a lei. Danza delle Schiave
Passo delle Schiave nubiane

Schiave nubiane (sedute a terra): Ha! Ha! Amaloué midonaé faï caraïmé deï beraimbé Ha! Ha!

La regina scende dalla tribuna e va a stendersi su un divanetto basso, sì da presentare il suo profilo sinistro allo spettatore. Inizialmente, Enea resta in piedi.


Didone (languidamente): Basta, sorella mia, io non posso soffrire questa noiosa festa (a un segnale diAnna i danzatori si ritirano). Cantaci, Iopa, su una semplice e dolce melodia, il tuo poema campestre.

Iopa: All’ordine della regina ubbidisco.

Un arpista tebano viene a collocarsi a fianco di Iopa e accompagna il suo canto. La veste dell’arpista è l’abbigliamento religioso degli Egizi)

O bionda Cerere, quando ai nostri maggesi rendi il loro ornament di fresca verzura, quanti sai fare felici!

Del vecchio contadino, del giovane pastore, la riconoscenza benedice l’abbondanza che tu loro prometti. Il timido uccello, il fiducioso agnello e l’alito soave dei venti di pianura celebrano i tuoi doni. Feconda Cerere, ecc.

Didone (interrompendolo) Perdona, Iopa: neppure la tua voce, nella mia inquietudine estrema,
riesce questa sera ad attrarre il mio animo...

Enea (andando a sedersi ai piedi di Didone): Cara Didone!

Didone: Enea, ah! abbi la bontà di terminare il racconto, che avevi iniziato, del vostro lungo viaggio
e delle sventure di Troia. Narrami la sorte della bellaAndromaca.

Enea: Ahimè! in schiavitù ridotta da Pirro, implorava la morte; ma l’amore ostinato, per lei, di quel principe, riuscì infine a renderla infedele alle più care memorie. Dopo un lungo rifiuto, Pirro ella sposò.

Didone: Che! La vedova d’Ettore!

Enea: Sul trono d’Epiro è così salita.

Didone: O pudore! (a parte). Tutto cospira a vincere i miei rimorsi, e assolto è il mio cuore.

Ascanio, appoggiato sul suo arco e simile a una statua di Cupido, è in piedi a sinistra della regina; Anna, reclina, appoggia il suo gomito allo schienale del divanetto di Didone.

 Accanto ad Anna, Narbal e Iopa in piedi)

DIDONE: Andromaca che sposa l’assassino del padre, figlio dell’assassino del suo illustre sposo!

Enea: Ella ama il suo vincitore, l’assassino di suo padre, figlio dell’assassino del suo illustre sposo.

Nel frattempo, Didone ha posato il braccio sinistro sulla spalla di Ascanio, lasciando pendere la propria mano davanti al petto del fanciullo.

Ascanio, sorridendo, sfila per gioco dal dito della regina l’anello di Sicheo, che Didone gli riprende in seguito con fare distratto, e che ella dimentica sul divanetto, quando si alza in piedi)

Anna (indicando Ascanio): Vedi, Narbal, la mano leggera di questo bimbo simile a Cupido rapire dolcemente a Didone l’anello che ella venera.

Iopa e Narbal: Vedi, Narbal,/io vedo la mano leggera, ecc.

Didone (in tono sognante): Figlio dell’assassino del suo illustre sposo! ...

Enea: Didone sospira, ma fugge il rimorso, e il suo cuore è assolto! Didone sospira. Ma il suo cuore, sì, il suo cuore è assolto.

Enea: Ma bando a queste tristi memorie...

 Enea si alza in piedi.

 Notte di splendore e d’incantesimo! Vieni, cara Didone, a respirare i sospiri di questa brezza carezzevole.

 Didone si alza in piedi a sua volta.

 Didone, Enea,Ascanio,Anna, Iopa, Narbal,

 Panteo e il Coro: Tuto non è che pace e incanto intorno a noi! La notte stende il suo velo, e il mare
addormentato mormora in sogno i suoi più dolci accordi.

 Tutti i personaggi e il coro, eccettuati Enea e Didone, si ritirano a poco a poco verso il
fondo della scena, finché non scompaiono del tutto.

Chiaro di luna.

 ENEA E DIDONE: Notte d’ebbrezza e d’estasi infinita! Bionda Febe, grandi astri di sua corte,
col vostro lume magico inondateci; fiori del cielo, sorridete all’immortale amore!

Didone: In una simile notte, la fronte cinta di cìtiso, tua madre Venere seguì il bell’Anchise
nei boschetti dell’Ida.

Enea: In una simile notte, folle d’amore e di gioia, Troilo attese ai piedi delle mura di Troilo la bella Cressida.

 
Didone, Enea: Notte d’ebbrezza e d’estasi infinita! Bionda Febe, ecc.

 Enea: In una simile notte la casta Diana lasciò cadere il suo diafano velo, infine, sotto gli occhi di Endimione.

 Didone: In una simile notte il figlio di Citerea accolse freddamente la tenera ebbrezza della regina Didone!

Enea: E in quella stessa notte, ahimè, l’ingiusta regina, accusando il suo amante, ottenne da lui senza
pena il più tenero perdono.

 Didone, Enea: Notte d’ebbrezza e d’estasi infinita, ecc.

Camminano lentamente verso il fondo della scena tenendosi abbracciati, poi scompaion cantando. Nel momento in cui i due amanti, non più visibili, concludono il loro duetto dietro le quinte, Mercurio appare all’improvviso, illuminato da un raggio di luna, non lontano da una colonna tronca cui sono appese le armi di Enea. Avvicinandosi alla colonna, Mercurio batte con il suo caduceo due
colpi sullo scudo, che emette un suono lugubre e prolungato.

Mercurio (tendendo il braccio in direzione del mare, ripete con voce grave): Italia! Italia! Italia!

Scompare.

 
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ATTO QUINTO
 
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Primo quadro

Il lido del mare coperto di tende troiane. Si vedono le navi troiane nel porto. È scesa la
notte. Un giovane marinaio frigio canta dondolandosi dall’alto dell’albero di una nave.

 Due sentinelle montano la guardia dinanzi alle tende, sul fondo della scena.

 Ila: Valle sonante dove, sin dall’aurora, me ne andavo cantando, ahimè! canterà ancora fra i tuoi grandi boschi il povero Ila? Culla dolcemente sul tuo seno sublime, mare possente, il figlio di Dindimo! Fresco viluppo di rami, rifugio amato contro la diurna calura, ahimè! quando restituirai la tua ombra profumata al povero Ila? Culla dolcemente sul tuo seno sublime, mare possente, il figlio di Dindimo! Umile capanna dove di mia madre accolsi gli addii...

 
Prima sentinella: Come in sogno, sta pensando al suo paese...

 Seconda sentinella: ...che mai più rivedrà.

 Ila (la voce si affievolisce poco a poco): Ahimè! Rivedrà la tua lieta povertà il povero Ila?...
Culla dolcemente sul tuo seno sublime, mare possente, il figlio... (si addormenta)

Entrano Panteo e i capi troiani.

Panteo: Preparate tutto, finalmente si parte. Invano Enea vede disperato l’angoscia della regina. Dovere e gloria spezzeran la sua catena e forte sarà il suo cuore nel momento degli addii.

Panteo, i capi: Ogni giorno vede crescere la collera degli dèi. Segni tremendi già ci avvertono; il mare, i monti, le selve profonde gemono; le nostre armi risuonano sotto colpi invisibili; Come a Troia nella notte fatale, Ettore, il cui occhio lampeggia irato, appare in armi; lo segue un coro d’ombre;
e questi morti esacerbati la notte scorsa ancora han gridato tre volte...

 Le ombre: Italia! Italia! Italia!

 Panteo, i capi: Dèi vendicatori! è la loro voce! Troppo a lungo abbiamo sfidato il comando
del cielo; lasciam senz’altri indugi questo lido funesto! Domani! Domani! Prepariamo tutto, finalmente si parte.

 Entrano nelle tende.

I due soldati di sentinella camminano marciando, l’uno da destra a sinistra, l’altro da sinistra a destra. Di tanto in tanto si fermano, l’uno vicino all’altro, verso il centro della scena.

 Prima sentinella: Per Bacco! sono pazzi, con la loro Italia! Io non ho udito nulla di strano.

Seconda sentinella: Neppure io.

Prima sentinella: Però, la bella vita che si fa qui!

Seconda sentinella: In più d’una casa troviamo buon vino e grassa selvaggina.

Prima sentinella: Alla mia bella cartaginese so già parlar fenicio.

Seconda sentinella: La mia capisce il troiano, e mi ubbidisce senza tante storie.

Prima sentinella: La tua capisce il troiano?

Seconda sentinella: Mi ubbidisce senza tante storie. La donna, qui, non fa la difficile con lo
straniero.

Insieme: No! qui la donna non fa la difficile con lo straniero.

Prima sentinella: E vogliono che ora lasciamo questi piaceri per un lungo viaggio!

Seconda sentinella: Le delizie dell’uragano!

Prima sentinella: La fame.

Seconda sentinella: La sete.

 Prima sentinella: Una vita da cani!

Seconda sentinella: E tutti i malanni del mare!

 Prima sentinella: Maledetta pazzia!

Seconda sentinella: Tutto per questa Italia...

 Prima sentinella: ...dove dobbiamo godere i frutti delle nostre fatiche...

 Insieme: ... facendoci rompere le ossa!

 Seconda sentinella: Ancora soffrire!

 Prima sentinella: Ancora soffrire! Quel che a noi tocca è ubbidire.

Seconda sentinella: Silenzio! Vedo Enea che arriva a grandi passi.

 Le sentinelle si allontanano e scompaiono.

Enea (venendo avanti, in grande agitazione): Inutili rimpianti!... devo lasciar Cartagine! Didone lo sa... la sua paura, il suo stupore, quando lo apprese, hanno infranto il mio coraggio. Ma devo farlo... così dev’essere. No, non posso dimenticare il pallore che ha dipinto di morte il suo bel viso, il suo silenzio ostinato, i suoi occhi fissi e lucenti di una fiamma cupa. Invano le parlai di prodigi innumerevoli che il voler degli dèi mi rammentavano, invocai la grandezza della mia santa impresa,
l’avvenire di mio figlio, il destin dei Troiani, la morte trionfale promessa a me dal Fato per coronare sui campi ausonii la mia gloria. Nulla poté toccarla; senza vincere il suo silenzio, del suo sguardo ho fuggito la tremenda eloquenza. Ah! quando verrà l’istante dei supreme addii, ora d’angoscia, bagnata di lacrime, come subire il terribile aspetto di questa dolorosa indignazione? Lottar contro me stesso e contro te,Didone! Implorare perdono mentre ti strazio il cuore! Ne sarò io capace?... In un nuovo naufragio, ah! possa io perire, se lasciassi Cartagine senza più rivederti! Senza vederla? Viltà. Disprezzo dei sacri diritti dell’ospitalità! No, no, regina adorata, anima sublime e da me lacerata,
regina adorata! No, io ti voglio rivedere, stringere un’ultima volta le tue mani tremanti, le tue ginocchia inondare di lacrime brucianti, dovesse pur distruggermi tanta disperazione.

Coro d’ombre (invisibili): Enea!...

 Enea: Ancora queste voci!

 I quattro spettri velati appaiono successivamente, il primo all’ingresso delle quinte a sinistra dello spettatore, il secondo all’ingresso delle quinte a destra, gli altri due al fondo della scena. Sopra la testa di ciascuno brilla una corona di pallide fiammelle)

 Enea: Dall’oscura dimora, minaccioso messaggero, chi ti ha fatto uscire?...

 Lo spettro di Priamo (visibile): La tua debolezza e la tua gloria...

Enea: Ah! vorrei morire!

 Lo spettro di Priamo: Non più indugi!

Lo spettro di Corebo (invisibile): Neppure un giorno!

Gli spettri di Ettore e di Cassandra (invisibili): Neppure un’ora!

 Lo spettro di Priamo (togliendosi il velo dinanzi agli occhi di Enea): Io sono Priamo!... viver si deve, e partire!

 La sua corona si spegne, egli scompare.

 Enea, lanciandosi smarrito verso il lato destroy della sena, vi incontra lo spettro di Corebo)

 Lo spettro di Corebo (togliendosi il velo): Io sono Corebo! Partir si deve, e vincere!

 La sua corona si spegne, egli scompare.

 Enea, indietreggiando verso il fondo della scena, vi incontra gli altri due spettri, riconoscendoli
nel momento in cui si tolgono il velo.

Cassandra ha il braccio sinistro appoggiato sulla spalla di Ettore. Ettore è armato da capo a piedi)

Enea: Ettore! dèi dell’Erebo! Cassandra!...

 Gli spettri di Cassandra e di Ettore: Vincer si deve, ed esser fondatori!...

 Le loro corone si spengono, essi scompaiono.

Enea: Devo cedere ai vostri ordini implacabili! Ubbidisco, ubbidisco, spettri inesorabili! Sono barbaro, ingrato; voi, grandi dèi, lo comandate! Ed io distolgo gli occhi, ed immolo Didone!


Enea (passando davanti alle tende): In piedi,Troiani, destatevi, all’erta! Il vento è favorevole. il mare ci è aperto! Destatevi! Dobbiamo partire prima che si levi il sole!

I Troiani (nelle tende): All’erta!... udite, amici, la voce di Enea?...

Escono dalle tende.

 I troiani: Date ovunque il segnale della sveglia...

Enea (a un capo): Vai, corri, reca quest’ordine all’orecchio stupito di Ascanio: si alzi, presto, e venga a bordo! Prima che faccia giorno, dobbiam lasciare il porto. La mia missione, dèi immortali, sarà
compiuta! All’erta, amici! Siamo tempestivi! Tagliate gli ormeggi, è tempo! In mare! In mare! Italia! Italia!

 Coro: Ecco, fa giorno, siamo tempestivi! Tagliamo gli ormeggi, è tempo! In mare! In mare! Italia! Italia!

Enea (volgendosi verso il palazzo di Didone): Addio a te, anima mia! Degno del tuo perdono io parto, nobile Didone. L’impaziente destino mi chiama; per ottenere una morte da eroe, io ti sono infedele.

Tutti si precipitano fuori dalla scena in diverse direzioni, come per fare i preparativi della partenza.

Si vedono le navi che cominciano a mettersi in movimento. Lampi e tuoni lontani.

Entra Didone.

Didone: Errando sulle tue tracce, al rombo lontano della folgore, ti ho voluto vedere, vedo e non credo. Prepari la tua fuga?

Enea: Nel mio profondo dolore, cara Didone, risparmiami!

Didone: Tu parti? Tu parti? Senza rimorso! E che? Sdegnando lo scettro di Libia, strappandomi il cuore te ne corri in Italia!

Enea: Ho tardato fin troppo... gli ordini sovrani degli dèi...

Didone: Parte... segue la voce di destini implacabili, senza ascoltar la mia! al suo vile disdegno vuole esporre il mio duolo disumano (vede un gruppo di Troiani che sorridono osservandola) e la mia beltà di regina all’insolente riso di questi ingrati Troiani.

Enea: Didone!

Didone: Senza che alla vista di tanta dolente miseria la pietà d’una lacrima gli inumidisca il ciglio! Tu parti? No! Non Venere ti partorì, fu una repellente lupa delle selve che ti allattò!

Enea: Regina, quando a te si votò la mia anima, essa si piegò alla legge di un amore immortale, e fino all’ultimo giorno il mio cuore vivrà di questa fiamma.

Didone: Taci! Nulla ti arresta. La morte planante sulla mia testa, la mia onta, il mio amore, le nostre nozze iniziate, il mio nome, da questo dì cancellato dal libro dell’onore! Se almeno della tua fede avessi un tenero pegno, sì, d’un figlio d’Enea il fiero e dolce viso che i tratti del tuo mi rammentasse, sorridesse sul mio seno, abbandonata sarei meno.

Enea: Io t’amo, Didone; grazia! L’ordine divino non poteva non ottenere una crudele vittoria.

 (Si ode la fanfara della marcia troiana)

Didone: A questo canto di trionfo tutto irradiante Gloria ti vedo trasalire. Tu parti?

Enea: Devo partire.

Didone: Tu parti?

Enea: Sì, ma per morire ubbidendo agli dèi. Io parto e t’amo!

Didone: No, non ti tratterranno più a lungo i miei lamenti, mostro di pietà! Va’, dunque, va’! I tuoi dèi maledico e te stesso!

Esce. Gruppi di soldati troiani, occupati nei preparativi della partenza, passano e si dirigono verso le navi. I marinai gridano ancora.

Enea, i Troiani: Italia!

Arriva Ascanio condotto da un capo troiano. Enea sale su una nave.

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Secondo quadro

Una stanza nel palazzo di Didone. Sta nascendo il giorno.

Didone: Va’, imploralo, sorella mia; dalla mia anima ferita a morte è fuggito l’orgoglio.Va’! questo congedo mi uccide e vedo ch’egli si sta preparando.

Anna: Ahimè! Io sola fui colpevole incoraggiandoti a stringere nuovi nodi d’amore. Si può lottare contro gli dèi? La sua partenza è inevitabile, eppure egli ti ama.

Didone: Mi ama! no! no! il suo cuore è di ghiaccio! Ah! io conosco l’amore, e se lo stesso Giove mi vietasse d’amare, il mio dissennato amore sfiderebbe di Giove l’anatema. Ma va’, sorella mia, va’, Narbal, a supplicarlo. Che mi conceda qualche giorno soltanto.Umilmente lo imploro. Ciò che ho fatto per lui, potrà dimenticarlo? Respingerà questa supplica estrema di te, saggio Narbal, di te, sorella mia, ch’egli ama?

 Coro (in lontananza, dietro la scena): In mare, guardate! sei navi! sette! nove! dieci!

Iopa (entrando): I Troiani sono partiti!

Didone: Che cosa sento?

Iopa: Prima dell’aurora la loro flotta era già in mare; la si vede ancora!

 Didone: Dèi immortali! Parte!Armatevi,Tirii! Cartaginesi, correte, inseguite i Troiani! Chinatevi sui remi, volate sull’onde, lanciate fiamme, bruciate i loro legni! Che tutta la città... Che cosa dico?... Furor d’impotenza! Soffri tua sorte e dispera, divora il tuo dolore, sventurata! Ecco dunque la fede di quell’anima pia. Gli offrivo un trono!...Ah! allora dovevo sterminare la stirpe vagabonda di quei maledetti, e disperder sull’onde i brandelli dei loro corpi. Già allora avrei dovuto preveder la lor perfidia, dare alle fiamme la loro flotta, vendicarmi di Enea, e infine servirgli le membra di suo figlio in un raccapricciante banchetto! A me, dèi degli Inferi! L’Olimpo è inflessibile! Aiutatemi! fate che s’infiammi il mio cuore di un odio terribile per quel fuggiasco che amai! Il sacerdote di Plutone venga a svolgere il suo ufficio. Per calmare il mio tormento di passion offriamo qui, all’istante, un sacrificio alle. S’innalzi una pira. I doni di quel perfido e quelli ch’io gli feci, nella livida fiamma,
detestati ricordi, si dissolvano!...Uscite!

Narbal (ad Anna): Mi spaventa il suo sguardo: resta qui, principessa!

Didone: Anna, segui Narbal!

Anna: Mia sorella mi perdoni!

Didone: Sono regina e ordino: lasciami sola,Anna!

Anna, Narbal e Iopas escono.

Didone percorre la scena strappandosi i capelli, battendosi il petto e lanciando grida
inarticolate.

Didone: Ah!Ah! (si ferma all’improvviso) Sto per morire... nel mio immenso dolore sommersa, e morire è la mia vendetta!... Si muoia, dunque! Sì, possa egli fremere a un bagliore lontano: la fiamma della mia pira. Se resta qualcosa d’umano nella sua anima, forse egli piangerà sul mio miserando
[destino (con un ritorno di tenerezza) Lui, piangermi! Enea!... Enea! Oh! la mia anima ti segue,
incatenata al suo amore. Fatta schiava, essa lo trae con sé nella note eterna. Venere! rendimi tuo figlio!... Inutile preghiera d’un cuore che va in pezzi!...Tutta votata alla morte, Didone non altro attende ormai, se non la morte. Addio, fiera città, che un generoso sforzo in breve tempo innalzò fiorente;. Cara, dolce sorella che mi seguisti errante, addio,mio popolo, addio; addio, venerato
lido che un giorno mi accogliesti supplice e miserabile. Addio, bel cielo d’Africa, astri che ammirai
nelle notti d’ebbrezza e d’estasi infinita. Mai più vi rivedrò, la mia via è finita!...

Didone esce a passi lenti.

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Terzo quadro

Una parte dei giardini di Didone, sulla riva del mare.

Una grande pira s’innalza; vi si sale mediante gradini su ogni lato.

Sulla piattaforma della pira sono collocati un letto, una toga, un elmo, una spada con la sua bandoliera, e un busto di Enea.

Entrano i sacerdoti di Plutone in vesti funerarie; in processione, si raggruppano presso due altari su cui brillano fiamme verdognole. Poi vengono Anna, Narbal e infine Didone velata e incoronata di fronde.Durante la prima parte del coro di sacerdoti, Anna, avvicinandosi alla sorella, le scopre la chioma e le toglie il coturno dal piede sinistro.

Coro dei sacerdoti di Plutone: Dèi dell’oblio, dèi del Tènaro, al cuor ferito restituite forza e pace!
Dalle profondità del nero Tartaro uditeci, Ecate, Erebo, e tu, Caos!

Anna e NarbaI (tendendo il braccio destro in direzione del mare. Con un tono da maledizione)
Se mai avvenga che Enea approdi in Italia, possa trovarvi una fine oscura! Si allei all’umbro il popolo latino per fermare i suoi passi! (con energia maggiore) Trafitto da plebeo dardo nella mischia ardente,
rimanga abbandonato sul campo sanguinoso, per essere pastura di carnivori uccelli! Uditeci, Ecate, Erebo, e tu, Caos!

I sacerdoti,Anna, Narbal: Dèi dell’oblio, dèi del Tènaro, ecc.

Didone (parlando come in sogno): Plutone... sembra essermi propizio... in questo atroce istante... Narbal... sorella mia... tutto è finito... compiamo il pio sacrificio... sento ritornare la calma... nel mio cuore. (due sacerdoti, recanti il primo altare, avanzano da sinistra a destra; altri due, recanti il
secondo, avanzano da destra a sinistra, e incrociandosi così tutti e quattro girano intorno alla pira. Didone, con il piede sinistro nudo, i capelli sciolti, dopo aver deposto su uno degli altari una corona di fronde verdi, lo segue camminando a scatti.

Durante questa processione, Anna è inginocchiata a destra della scena e Narbal a sinistra. Tra loro due, il gran sacerdote di Plutone, in piedi, tende la forca plutonica verso la pira, tenendola con
entrambe le mani. Infine, con uno scatto di convulsa energia, Didone sale con passo
veloce i gradini della pira.

Giunta alla sommità, afferra la toga di Enea, si toglie il velo ricamato in oro che le copre il capo, e gettando l’uno e l’altra sulla pira, parla.

DIDONE: D’un infelice amor funesti doni, nella fiamma portate con voi le mie pene! (osserva le armi di Enea) Ah! (si prosterna sul letto, che abbraccia con singhiozzi convulsi. Si rialza, e prendendo in
mano la spada dice con tono profetico:)

DIDONE: La memoria di me vivrà nei secoli. Il mio popolo compirà i suoi gloriosi destini. Un giorno, sulla terra d’Africa, nascerà dalle mie ceneri un vindice glorioso. Già odo tuonare il suo nome vittorioso. Annibale!Annibale! D’orgoglio mi si empie l’anima. Non più ricordi amari. È così che si discende agli Inferi!

DIDONE estrae la spada dal fodero, si trafigge e cade sul letto.
 
Tutti: Ah! soccorso! soccorso! la regina siè trafitta!

Anna si getta sulla pira, stringe convulsamente la sorella tra le braccia, cerca di stagnare il sangue della ferita. Narbal esce, come per andare a cercare aiuto, poi rientra con la folla)

Coro (dietro la scena, e accorrendo): Qual grido! ah! intrisa del suo sangue la regina muore! È proprio vero? Giorno d’orrore!

Didone (si risolleva appoggiandosi sul gomito): Ah! (ricade)

 Anna (sulla pira): Sorella mia!

Didone si risolleva.

Didone: Ah! (alza gli occhi al cielo e ricade con un gemito)

Anna: Sono io, è tua sorella che ti chiama.

Didone (risollevandosi a metà): Ah! Destini avversi, implacabile furore. Cartagine perirà!

In un lontano nimbo di luce si vede il Campidoglio di Roma sul cui frontone brilla la parola: ROMA.
 
Dinanzi al Campidoglio sfilano delle legioni e un imperatore circondato da una corte di poeti e di artisti.
 
Durante questa apoteosi, che i Cartaginesi non vedono, si ode da lungi la marcia troiana trasmessa per tradizione ai Romani e divenuta il loro inno di trionfo.

Didone
Roma... Roma... immortale!

Didone ricade, e muore.
 
Anna cade svenuta a lato della sorella.
 
Il popolo di Cartagine, avanzando verso il proscenio e voltando le spalle alla pira, lancia la sua maledizione, primo grido di battaglia che anticipa le guerre puniche, contrastando, con il proprio furore, con la solennità della marcia trionfale.

Coro: Odio eterno alla stirpe di Enea. Una guerra accanita precipiti per sempre i nostri figli contro i suoi. Assalite dalle nostre navi, le loro navi nel mare profondo affondino e periscano! Sulla terra e sull’onde i nostri ultimi discendenti, contro di loro eternamente armati, con i loro massacri, un giorno, atterriscano il mondo.
 
**************************  FINE ********************************

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