Speranza
B. Bartòk - Il castello di Barbablù.
B. Bartók completò la sua unica
opera lirica nel 1911.
"Il castello di Barbablù" è basato su
un poema di Béla Balàzs, autore ungherese di una certa prominenza.
Quando ebbe terminato "Barbablù", Bartók
presentò il melodramma a una commissione di belle arti che si era riunita a Budapest nel
1911 per scegliere e finanziare la produzione della miglior opera lirica
dell'anno composta da un ungherese.
In quel tempo Bartók non era affatto quel
che si poteva dire un compositore alle prime armi.
Aveva già composto opere
stupendamente colorite come la seconda suite per orchestra, la composizione
orchestrale "Due ritratti" e una enorme raccolta di brani per pianoforte
intitolati, "Per bambini".
Ma ciò che era ancor più importante, Bartok aveva già
composto "l'Allegro barbaro" e il primo quartetto per archi, e inoltre iniziato la
raccolta e la trascrizione sistematica della musica folcloristica ungherese, attività che avrebbe occupato molta della sua attenzione.
Queste
opere gli conquistarono un piccolo cenacolo di entusiasti ma anche l'ostilità di
una notevole schiera di conservatori.
Fra questi erano compresi purtroppo anche
i membri della commissione di belle arti, i quali gli restituirono "Barbablù" col
commento lapidario che era "ineseguibile".
Ma non vi fu verso di trattenere
il musicista né il progresso del suo "Castello di Barbablù".
Nel 1918, "II castello di
Barbablù" fu messo in scena all'Opera Nazionale di Budapest.
Il successo fu immediato ma di
breve durata.
Purtroppo la prima guerra mondiale rannuvolò la scena musicale, e
poiché le idee politiche del librettista Balàzs costituivano un'eresia per il
governo ungherese, le autorità diedero l'ordine che il nome del librettista venisse
eliminato nelle successive rappresentazioni al "Barbablu".
Caratteristicamente,
Bartók rifiutò.
Nel 1918 Bartok ritirò "Barbablu" e Budapest dovette attendere ben
vent'anni prima di assistere a un'altra messa in scena del melodramma.
All'estero i progressi dell'opera sulla ribalta lirica sono stati
lenti.
Una compagnia ungherese la presentò al Maggio Musicale Fiorentino nel
1938.
Fu allestita un paio di volte in Germania, e fece una breve apparizione al
New York City Centre nel 1952—53.
La colpa di solito veniva attribuita alla
trama del melodramma, giudicata piuttosto statica e praticamente priva di azione scenica.
Kodàly, famoso collega compositore di Bartók, ha replicato a questa
critica con una vigorosa raffica.
Soltanto gli incorreggibili pedanti possono
continuare a domandarsi se questa sia 'veramente' un melodramma o no.
Che importanza
ha?
Chiamatela "sinfonia scenica" o 'dramma accompagnato da una sintonia', quel
che importa è l'impossibilità di separare la musica dal dramma, e che in questo
caso ci troviamo davanti un capolavoro, un vulcano musicale che erutta per
sessanta minuti di tragedia concentrata lasciandoci soltanto un desiderio:
quello di ascoltarlo di nuovo.
Balàzs utilizzò soltanto lo schema
essenziale della famosa favola di Carlo Perrault nella quale l'ultima moglie
di Barbablù (Giuditta) riceve le chiavi della sua casa e il permesso di aprire tutte le
porte fuorché una: la settima.
Aprendo la porta proibita Giuditta trova appese le teste mozzate
delle mogli precedenti.
All'ultimo momento accorrono i fratelli di Giuditta e la
salvano uccidendo Barbablù e ponendo un lieto fine alla macabra faccenda.
Nella
versione di Balàzs (che deve qualcosa, anche se non troppo, all'Arianna e
Barba-Bleue di Maurice Maeterlinck, musicato da Dukas) l'orrore subisce un processo di
interiorizzazione.
La figura assume un aspetto universale, diventando "Ognuno"
e "Ognuna".
Le mogli non sono state decapitate ma soffrono di un "taglio" ben
più atroce.
Detto in poche parole, la favola del diciassettesimo secolo diventa
un dramma simbolico del ventesimo.
Dopo un prologo parlato in cui "Il Menestrello" esorta il pubblico a mirare oltre
alla superficie immediata delle cose, il sipario si alza mostrando una grande
sala gotica immersa nell'oscurità.
Nelle pareti sono visibili sette porte
enormi.
All'inizio si percepisce appena il sordo brontolio del registro grave
degli archi.
Quindi un agghiacciante motivo ai tre note nei legni sembra balzare
in aria come un pipistrello.
In cima a un ripido scalone si apre una porta più
piccola dalla quale fanno ingresso Barbablù e Giuditta.
Da un breve scambio di
parole apprendiamo tutto ciò di cui abbiamo bisogno.
Giuditta ha lasciato la
propria famiglia -- E IL FIDANZATO -- per seguire l'enigmatico Duca Barbablù (di Bretagna) e
trascorrere la sua vita con lui.
Giuditta commenta sul freddo e l'oscurità che
permeano la villa.
Muovendosi a tentoni lungo il muro per trovare la strada, Guiditta
scopre che le pietre sono umide.
A questo punto appare il leitmotiv principale
dell'opera.
Non si tratta d'una melodia bensì dell'intervallo armonico
dissonante di seconda minore:
sol diesis-la
-- suonato dolcemente dai corni e
ripetuto all'ottava superiore dagli oboi.
E' il motivo del SANGUE.
Il motivo da un
inizio così poco appariscente esso è destinato a dominare progressivamente
l'intera trama musicale.
Con crescente esultanza, Giuditta giura che asciugherà
le pietre grondanti ed aprirà la villa del duca Barbablù per farvi entrare il sole
e l'aria.
L'orchestra comincia a ondeggiare e a gonfiarsi come per esprimere
simpatia.
Ma la tessitura è tutt'altro che "aperta" - gli intervalli sono
stretti, frastagliati e minacciosi.
Giuditta nota le sette porte e insiste
perché vengano aperte, battendo un pugno sulla prima.
Si ode un misterioso
sospiro sotterraneo (clarinetti, eolifono).
Il duca Barbablù le cede a malincuore la
prima chiave.
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La prima porta.
Con uno sfondo musicale formato da
un'inesorabile tremolo dei violini (si-la diesis) viene aperta la prima porta e
un varco attraverso la lunga e oscura sala.
Dietro la luce Giuditta intravede i
coltelli, gli elmi con le punte e le tenaglie roventi di una camera di tortura.
Ora si rende conto che l'umidità sulle pareti è sangue (la seconda minore
risuona nelle trombe in sordina e nei clarinetti).
Nuovamente Giuditta grida con
veemenza che devono entrare il sole e l'aria, ed ancora una volta l'orchestra
sembra assecondare ma allo stesso tempo negare il suo desiderio.
Essa strappa la
seconda chiave dalle mani del duca Barbablù.
***************************
La seconda porta.
Mentre nei
flauti si dilegua il tremolo, i legni e le trombe suonano una ritirata.
Un altro
raggio di luce esce dalla seconda porta, questa volta di un colore giallo-rosso,
rivelando un arsenale di armi incrostate di sangue (sol diesis - la nei corni).
Giuditta cammina lungo il raggio di luce, rallegrandosi perché a poco a poco
l'aria triste della villa del duca va scomparendo.
In uno stupendo arioso accompagnato
dall'arpa e da un corno solista, il duca Barbablù esprime i suoi sentimenti contrastanti
di speranza e disagio.
Reagendo all'insistenza di Giuditta (echeggiata dalla
sua linea vocale ascendente) il duca le porge le chiavi delle prossime tre porte.
Giuditta esita per un attimo davanti alla terza quindi la apre.
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La terza
porta.
Nell'atmosfera della musica subentra un cambiamento.
La sonorità si
alleggerisce e diventa delicata.
Sostenuta da un lungo accordo di tre trombe,
violoncello e tremolo di flauto, Giuditta caccia un grido di gioia: "Montagne
dorate!"
Un raggio di luce dorata irradia monete, diamanti, perle, corone reali e
velluti.
Due violini solisti aggiungono un tocco di magia alle sue esclamazioni.
Poi improvvisamente essa nota alcune macchie di sangue sui gioielli e le corone,
e il terribile motivo del SANGUE comincia a stridere, sforzando, nei flauti e
negli oboi.
Barbablù la esorta ad aprire la quarta porta.
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La quarta
porta.
Un lungo preludio orchestrale ritrae la scena che Giuditta vede davanti a
sé prima di parlare.
Mentre la luce brilla di un verde-blu, gli archi
scintillanti e un corno sembrano librarsi sempre più in alto per unirsi ai fiati
nel registro acuto, descrivendo in termini musicali un giardino fiorito.
Qui
abbiamo una anticipazione dei "suoni della terra" della musica strumentale più
tarda di Bartók, in cui verso la fine gli uccelli e gli insetti trillano e
stridono nei flauti.
Ma sui gambi delle rose, sulla terra che nutre i gigli -
ecco che è nuovamente visibile il sangue. Giuditta si avvia frettolosamente
verso la prossima porta.
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La quinta porta.
Un accordo travolgente di puro DO MAGGIORE
del tutti sostenuto da un organo in pieno, scaturisce dalla fossa
orchestrale mentre una luce abbagliante si riversa dalla quinta soglia.
Giuditta
contempla il regno di Barbablù: prati, foreste, fiumi e montagne.
Tre volte il
cataclisma sonoro in triplice forte commenta la scena mentre Barbablù canta dei
suoi domini e Giuditta esprime il proprio sgomento.
Ma le nuvole gettano
un'ombra di sangue.
Le seconde minori riappaiono elusivamente nell'armonia
stridente dei tromboni accompagnati da un tremolo d'archi.
Ora Barbablù supplica
Giuditta di non indagare oltre.
La sala è illuminata con la luce di cinque porte
aperte.
Ma essa insiste: fra loro non deve esserci alcun segreto.
La sesta porta
si schiude con un cigolio di cardini, e dall'interno esce un lamento.
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La
sesta porta.
Quando viene aperta la sesta porta, la scena si ottenebra.
Un
agghiacciante arpeggio in la minore, orchestrato con superba maestria, inizia
quasi come un brivido nella spina dorsale.
Inizia, cessa e ricomincia da capo.
Le note più alte dell'arpeggio (sol - sol diesis) formano il funesto intervallo
del motivo del SANGUE.
Giuditta scorge davanti a sé l'ampia distesa di un lago
pallido e immobile.
"Lacrime, Giuditta, lacrime, lacrime" spiega tre volte il duca
con accenti discontinui, e giura che l'ultima porta rimarrà chiusa.
Giuditta, stranamente intenerita, lo implora.
In quello che potrebbe essere
quasi un DUETTO D'AMORE Giuditta gli domanda se prima di lei vi sono state altre
donne nella sua vita.
Barbablù risponde evasivamente, con implicatura.
Giuditta si allontana dal duca
e, mentre le seconde minori si percuotono l'una sull'altra nell'orchestra,
lo accusa di aver assassinato le mogli precedenti e di aver nascosto i loro
corpi nella settima stanza.
Barbablu cede a Giuditta l'ultima chiave.
A questo punto si ode
una stupenda e tragica melodia
******************
La settima porta.
Mentre si apre la
settima porta, la quinta e la sesta si chiudono adombrando notevolmente la
scena, poiché la luce emanata dall'ultimo uscio non è che un pallido barlume di
un colore argenteo come la luna.
TRE DAME (alba -- mezzogiorno -- sera) vestite sontuosamente con abiti
regali escono dalla stanza fermandosi in silenzio davanti a Barbablù e Giuditta.
"Sono vive!" mormora Giuditta con stupore.
In un arioso di accordi sostenuti, il duca
Barbablù spiega che sono le tre mogli precedenti.
Ha incontrato la prima moglie al
rossore dell'alba, la seconda nella luce dorata del mezzogiorno, la terza nella
pallida sera.
E Giuditta l'ha incontrata in una notte stellata.
Mentre parla si
chiude la quarta porta.
Dalla soglia della terza egli prende corona, mantello e
gioielli e la adorna.
Debole e pietosa, Giuditta protesta ma viene anch'essa
imprigionata nell'intreccio del motivo del sangue, e la sua linea vocale è
interamente limitata all'intervallo della seconda minore.
Curvandosi sotto il
peso di tale eleganza vistosa, Giuditta segue le tre donne attraverso la settima
porta, che si chiude dietro a loro.
"D'ora in poi sarà notte eterna" sospira
Barbablù.
L'ultimo uscio si è chiuso, la sala ritorna nell'oscurità e la musica
con la quale era iniziata l'opera ora la porta a una conclusione.
Il
simbolismo è sempre un'arma con due lame taglienti.
Mentre da un lato può
allargare ed arricchire il significato, vi è anche il pericolo che possa
renderlo più vago e oscuro.
Ancora non si sono trovate due opinioni concordanti
sul significato del messaggio nel Castello di Barbablù.
Forse la spiegazione più
chiara e plausibile è quella di Serge Moreux (Béla Bartók, Londra, 1953).
Moreux
sostiene inoltre che Bartók abbia approvato la sua interpretazione.
Che
sarebbe la seguente:
Forse nel mondo interiore dell'uomo vi sono dei segreti
nascosti.
Ognuno di noi racchiude il meglio ed il peggio, per virtù della nostra
condizione materiale.
Soltanto la raggiante ebbrezza di un nuovo amore può
talvolta dissipare questa oscura minaccia.
Ma la nuova donna nella vita di un
uomo deve essere discreta.
Gli aspetti nascosti della personalità dell'uomo sono
proibiti a lei e, soprattutto, quelli in cui vivono gli amori del
passato.
Questi angoli nascosti - le stanze che si trovano dietro alle sette
porte - hanno una progressione logica oltre che drammatica.
Dalla crudeltà
bestiale e la sete di potere -- la camera delle torture, la Guerra -- passiamo ai
piaceri dei beni materiali e l'appagamento estetico -- l'oro e i gioielli, il
giardino -- , il dominio su un regno grande e pacifico -- i domini di Barbablù -- ,
l'amarezza della consapevolezza di sé e l'auto accusa -- il lago di lacrime -- e
finalmente la camera nella quale rimane - immortale - la memoria, anche se i
suoi oggetti non sono più raggiungibili: la camera delle mogli.
E' necessario
aggiungere soltanto che Bartók ha trovato la giusta espressione musicale per
ciascuna componente di questo ampio disegno, ma senza mai perdere di vista
l'insieme.
Alla fine rimaniamo sorpresi, non tanto dalla complessità del
Castello di Barbablù quanto dalla sua meravigliosa semplicità.
Friday, February 6, 2015
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