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Tuesday, July 12, 2011

Grisotto: la pragmatica nel secondo novecento

Luigi Speranza

L’approccio pragma-dialettico all’argomentazione sviluppato da van
Eemeren e Grootendorst è parte di uno studio della comunicazione noto
anche come «analisi del discorso» (discourse analysis) (vedi van
Eemeren e Grootendorst 2004: 52).

In tale approccio l’argomentazione
non è considerata una procedura individuale di espressione di un
giudizio, ma è ritenuta un contributo a un processo di comunicazione fra
persone che si scambiano idee allo scopo di risolvere una differenza di
opinione (difference of opinion) (vedi van Eemeren e Grootendorst 2004:
55). L’argomentazione è definita
un’attività verbale, sociale e razionale indirizzata a convincere un critico
ragionevole dell’accettabilità di una posizione [standpoint] presentando
una costellazione di proposizioni che giustificano o confutano la
proposizione espressa nella posizione. (van Eemeren e Grootendorst
2004: 1, trad. mia)
L’approccio di van Eemeren e Grootendorst è dialettico perché assume a
fondamento l’ideale di razionalità della «discussione critica» ed è
88
pragmatico perché concepisce le mosse verbali nella discussione critica
come «atti linguistici» (speech acts) eseguiti nella cornice di una forma
specifica di uso del linguaggio orale o scritto in un contesto d'interazione
che ha luogo con riferimento a uno specifico retroterra storico-culturale
(vedi van Eemeren e Grootendorst 2004: 52).
Gli elementi dialettici della teoria di van Eemeren e Grootendorst sono
ispirati al razionalismo critico di Popper (1972, 1974), di Albert (1975) e
di Crawshay-Williams (1957) e alla dialettica formale di Barth e Krabbe
(1982); gli elementi pragmatici fanno riferimento alla teoria degli atti
linguistici di Austin (1962) e di Searle (1969, 1979) e alla teoria della
conversazione di Grice (1975, 1989), chiamata da van Eemeren e
Grootendorst «teoria degli scambi verbali razionali» (theory of rational
verbal exchanges) (vedi van Eemeren e Grootendorst 2004: 50-51).
Punto di partenza delle ricerche pragma-dialettiche sono quattro
«principi meta-teorici» che hanno determinate conseguenze
metodologiche per l’elaborazione di una teoria dell’argomentazione che
possa fornire una cornice adeguata per l’analisi e la valutazione dei
discorsi e dei testi argomentativi: funzionalizzazione, esternalizzazione,
socializzazione e dialettificazione. Tali principi pongono le basi per
l’integrazione tra la dimensione normativa e la dimensione descrittiva
nello studio dell’argomentazione (vedi van Eemeren e Grootendorst
1995: 131-132; 2004: 52-57; van Eemeren et al. 2007: 2-5).
Secondo il principio di funzionalizzazione l’uso argomentativo del
linguaggio è un’attività diretta a uno scopo che è la regolazione di un
disaccordo (regulation of disagreement) riguardante l’accettabilità di una
posizione. Metodologicamente il principio comporta che l’analisi di
un’argomentazione può essere data solo tenendo conto adeguatamente
del modo in cui colui che argomenta persegue questo scopo
nell’esecuzione dell’atto linguistico complesso di argomentazione (vedi
89
van Eemeren e Grootendorst 1995: 131; 2004: 53-54; van Eemeren et al.
2007: 4).
Il principio di esternalizzazione afferma che i partecipanti a una
discussione critica devono sottoporre a pubblico esame le loro posizioni.
In tal esame la sola cosa alla quale essi possono essere vincolati è ciò che
hanno detto o scritto, sia direttamente sia indirettamente. Secondo van
Eemeren e Grootendorst di primaria importanza nel processo di
risoluzione del conflitto di opinioni non sono le disposizioni psicologiche
dei partecipanti coinvolti, ma le posizioni che essi esprimono o proiettano
nei loro atti linguistici e che costituiscono i loro impegni pubblici (public
commitments). Conseguenza metodologica del principio è che deve
essere posto come obiettivo dell’analisi di un’argomentazione
l’esternalizzazione degli impegni pubblici implicati dall’esecuzione
dell’atto linguistico di argomentazione in una discussione critica (vedi
van Eemeren e Grootendorst 1995: 131; 2004: 54-55; van Eemeren et al.
2007: 3).
Per il principio di socializzazione l’argomentazione non è una
procedura individuale per ricavare privatamente una conclusione ma è
un’attività fondamentalmente sociale attraverso la quale i partecipanti
cercano di risolvere una differenza di opinione. La conseguenza
metodologica è che lo studio dell’argomentazione va collocato nel
contesto sociale in cui si svolge il processo congiunto di regolazione del
conflitto di opinioni. Tale contesto gioca un ruolo importante
nell’identificare i vari contributi dati dai partecipanti alla discussione
per la risoluzione della differenza di opinione (vedi van Eemeren e
Grootendorst 1995: 131; 2004: 55-56; van Eemeren et al. 2007: 3).
Infine, il principio di dialettificazione afferma che l’argomentazione è
appropriata per la risoluzione di una differenza di opinione solo se è
considerata parte di una discussione critica condotta seconda una
procedura che rispetta determinate norme. La conseguenza metodologica
90
è che occorre individuare un insieme di norme per il giudizio razionale
(rational judgment) che stabiliscano una procedura di discussione
ragionevole (reasonable)13 e per mezzo delle quali può essere valutato
l’uso argomentativo del linguaggio in un contesto particolare (vedi van
Eemeren e Grootendorst 1995: 132; 2004: 56-57, 132-133; van Eemeren
et al. 2007: 5).
Con riferimento ai principi meta-teorici indicati van Eemeren e
Grootendorst sviluppano una teoria pragma-dialettica
dell’argomentazione articolata in quattro parti:
a) descrivono gli stadi dialettici che possono essere distinti nel
processo di risoluzione di una differenza di opinione: confronto, apertura,
argomentazione e conclusione; parallelamente indicano i differenti tipi di
atti linguistici che possono contribuire alla risoluzione della differenza di
opinione nei diversi stadi del processo di risoluzione: assertivi,
commissivi, direttivi e dichiarativi d’uso14 (vedi van Eemeren e
Grootendorst 2004: 57-68);
13 Van Eemeren e Grootendorst usano i termini «razionale» (rational) e
«ragionevole» (reasonable) con accezioni diverse da quelle date da Grice. Per van
Eemeren e Grootendorst «razionale» indica l’uso della facoltà di ragionamento e
«ragionevole» indica l’uso corretto (sound) della facoltà di ragionamento (vedi van
Eemeren e Grootendorst 2004: 124). Per Grice, invece, «razionale» indica un
comportamento che ha la ragione come fonte di principi e «ragionevole» indica un
comportamento che segue i principi della ragione (vedi Grice 2001: 24-25). Tali
differenze di significato attribuite dai teorici della pragma-dialettica e da Grice ai
termini «razionale» e «ragionevole» comportano differenze metodologiche nelle
rispettive teorie. Mentre l’obiettivo della teoria della conversazione di Grice è
individuare i principi della ragione che sono seguiti nella comunicazione come forma di
comportamento ragionevole, Principio di Cooperazione e massime (vedi Grice 1975,
2003: 231-233), l’obiettivo della teoria pragma-dialettica di van Eemeren e
Grootendorst è individuare le norme della ragionevolezza, cioè le norme dell’uso
corretto della facoltà di ragionamento in relazione alle quali valutare l’uso
argomentativo del linguaggio (vedi van Eemeren e Grootendorst 2004: 132-133).
14 «Assertivi» sono gli atti linguistici con i quali si esprime una posizione, si
presenta un’argomentazione, si sostiene o si ritira una posizione, si dimostra un
risultato. «Commissivi» sono gli atti linguistici di accettare o di non accettare una
posizione, di accettare la sfida a difendere una posizione, di decidere di iniziare una
discussione, di accordarsi sulle premesse e sulle regole di discussione, di accettare o di
non accettare un’argomentazione. «Direttivi» sono gli atti linguistici con i quali si sfida
a difendere una posizione, si richiede un’argomentazione, si richiede un dichiarativo
d’uso. «Dichiarativi d’uso» sono gli atti linguistici di definizione, specificazione,
amplificazione e così via (vedi van Eemeren e Grootendorst 2004: 67).
91
b) formulano un gruppo di principi pragmatici di uso del linguaggio
che forniscono la base teorica per l’approccio analitico all’uso
argomentativo del linguaggio nella discussione critica: Principio di
Comunicazione e regole per la comunicazione (vedi van Eemeren e
Grootendorst 1992: 49-56; 2004: 75-80);
c) indicano quattro trasformazioni necessarie per la ricostruzione e
l’analisi di un discorso o di un testo dalla prospettiva di una discussione
critica: eliminazione, addizione, sostituzione e permuta (vedi van
Eemeren e Grootendorst 2004: 100-101);
d) formulano quindici regole per una «corretta» (sound) procedura di
discussione pragma-dialettica che specificano quali atti linguistici i
parlanti sono autorizzati o sono obbligati a compiere nei vari stadi della
discussione critica per contribuire alla risoluzione della differenza di
opinione (vedi van Eemeren e Grootendorst 2004: 135-157). Le quindici
regole costituiscono un modello teorico per esaminare e valutare il
discorso e i testi argomentativi. Per scopi pratici van Eemeren e
Grootendorst propongono un codice di condotta di «dieci
comandamenti» per interlocutori ragionevoli (ten commandments for
reasonable discussants) che partecipano a una discussione per risolvere
una differenza di opinione. I comandamenti consistono in proibizioni di
mosse verbali che ostacolano la risoluzione della differenza di opinione
(vedi van Eemeren e Grootendorst 2004: 190-196).
In questo capitolo non saranno esaminati i singoli aspetti della teoria
dell’argomentazione pragma-dialettica, ma solo quelle parti che fanno
riferimento alla teoria della conversazione di Grice, che van Eemeren e
Grootendorst preferiscono chiamare «teoria degli scambi verbali
razionali».
92
2. Il Principio di Comunicazione e le regole per la comunicazione
2.1. Van Eemeren e Grootendorst osservano che, poiché nel discorso
argomentativo gli aspetti comunicativi e gli aspetti interazionali sono
strettamente intrecciati, il miglior punto di partenza per un approccio al
discorso e ai testi argomentativi è un’integrazione della prospettiva
comunicativa di Searle e della prospettiva interazionale di Grice (vedi
van Eemeren e Grootendorst 2004: 76). A tale scopo essi riformulano il
Principio di Cooperazione di Grice come un Principio di Comunicazione
(Communication Principle), a loro avviso, più ampio comprendente i
«principi generali» (general principles) che gli utenti linguistici di
massima osservano e si aspettano che gli altri osservino nella
comunicazione e interazione verbale: il principio di chiarezza (clarity), il
principio di onestà (honesty) o sincerità (sincerity), il principio di
efficienza (efficiency) e il principio di pertinenza (relevance) (vedi van
Eemeren e Grootendorst 2004: 76; 1992: 50; van Eemeren et al. 2002:
52). Di fatto, contrariamente a ciò che dicono van Eemeren e
Grootendorst, tali principi che costituiscono il Principio di
Comunicazione non appaiono principi generali ma principi più specifici,
mentre il Principio di Comunicazione appare un principio generale.
La terminologia con la quale van Eemeren e Grootendorst si
riferiscono ai «principi» che costituiscono il Principio di Comunicazione
non è costante: nelle opere precedenti A systematic theory of
argumentation, pubblicata nel 2004, essi chiamano tali principi anche
«norme razionali» (rational standards), semplicemente «norme»
(standards), «comandamenti» (commandments) e perfino «regole»
(rules) (vedi van Eemeren e Grootendorst 1992: 50-51; van Eemeren et
al. 1996: 12; 2002: 52). Indipendentemente dalla terminologia usata da
van Eemeren e Grootendorst nelle diverse opere, in questo capitolo
93
saranno usati sempre i termini «norme» o «norme razionali» per indicare
i principi costitutivi del Principio di Comunicazione.
A differenza di Grice, che ha dato una chiara formulazione del
Principio di Cooperazione, van Eemeren e Grootendorst non danno una
formulazione esplicita del Principio di Comunicazione ma solo delle
norme che, considerate assieme, lo costituiscono. Tali norme sono
espresse attraverso gli imperativi: «Sii chiaro», «Sii onesto» o «Sii
sincero», «Sii efficiente» e «Attieniti all’argomento» (vedi van Eemeren
e Grootendorst 1992: 50; van Eemeren et al. 2002: 52). Esse - dicono van
Eemeren e Grootendorst - sono formulate «come se fossero dei
comandamenti, e tali sono per le persone che vogliono comunicare
efficacemente» (van Eemeren et al. 2002: 52, trad. mia). L’osservanza di
tali norme da parte dei partecipanti a una comunicazione assicura che la
comunicazione può perseguire il suo scopo (vedi van Eemeren et al.
1996: 12; 2002: 51-52).
È evidente la corrispondenza tra le norme del Principio di
Comunicazione e le massime conversazionali griciane. La norma di
chiarezza può essere considerata una riformulazione della massima del
Modo «Sii perspicuo», la norma di onestà o sincerità può essere
considerata una riformulazione della massima della Qualità «Tenta di
dare un contributo che sia vero», la norma di efficienza può essere
considerata una riformulazione delle massime della Quantità «Dai un
contributo tanto informativo quanto è richiesto» e «Non dare un
contributo più informativo di quanto è richiesto», la norma di pertinenza,
infine, può essere considerata una riformulazione della massima della
Relazione «Sii pertinente» (vedi Grice 1975, 2003: 229-230). Tuttavia, le
norme del Principio di Comunicazione presentano maggiore specificità
delle massime griciane e non hanno, come le massime griciane, valore
orientativo per la comprensione di enunciati ma hanno valore prescrittivo
94
l’uso del linguaggio: esse sono come dei comandamenti per le persone
che vogliono comunicare efficacemente.
Per Grice l’osservanza delle massime conversazionali e del Principio
di Cooperazione è un’assunzione che i partecipanti a uno scambio
comunicativo fanno e attribuiscono l’uno all’altro, assunzione basata
sull’aspettativa che ogni interlocutore ha un interesse a partecipare a
scambi comunicativi che siano vantaggiosi (vedi Grice 1975, 2003: 229-
233).
Van Eemeren e Grootendorst presentano il Principio di Cooperazione
griciano distinguendo che cosa esso è per il parlante e che cosa esso è per
l’ascoltatore. Essi affermano:
Grice ritiene che questo Principio […] incorpori una guida per l’azione
per i parlanti, una presunzione da parte degli ascoltatori per la quale essi
assumeranno (con dei limiti) che i parlanti agiscono in accordo con il
Principio di Cooperazione, e un’aspettativa da parte dei parlanti che gli
ascoltatori faranno questa presunzione. (van Eemeren et al. 1993: 6, trad.
mia)
In modo analogo van Eemeren e Grootendorst ritengono che l’osservanza
del Principio di Comunicazione e delle norme che lo costituiscono siano
una guida per l’azione dei parlanti e un’assunzione che gli ascoltatori
fanno circa il comportamento dei parlanti (vedi van Eemeren e
Grootendorst 1992: 50; van Eemeren et al. 1996: 12; 2002: 52). Essi
affermano:
un parlante che si conforma al Principio di Comunicazione normalmente
cerca di seguire le norme della comunicazione e un ascoltatore che
rispetta il Principio di Comunicazione normalmente assume che le norme
della comunicazione sono seguite. (van Eemeren et al. 2002: 53, trad.
mia)
95
Particolare evidenza van Eemeren e Grootendorst danno a un aspetto
chiave della comunicazione messo in luce da Grice: la possibilità che
hanno i partecipanti a uno scambio comunicativo di violare alcune norme
del Principio di Comunicazione. «In pratica, è molto comune - essi
dicono - che una o più di queste norme siano ignorate o violate» (van
Eemeren e Grootendorst 2004: 76, trad. mia). E come Grice ha messo in
evidenza che la violazione delle massime conversazionali da parte di un
parlante che ha interesse a comunicare non comporta l’abbandono del
Principio di Cooperazione (vedi Grice 1975, 2003: 233-235), in modo
analogo van Eemeren e Grootendorst mettono in evidenza che la
violazione delle norme del Principio di Comunicazione non significa
necessariamente che il Principio di Comunicazione viene completamente
abbandonato (vedi van Eemeren e Grootendorst 1992: 50; 2004: 76; van
Eemeren et al. 1996: 12; 2002: 52). Se è abbandonato completamente -
essi dicono - «la persona che lo abbandona pone se stessa, per il
momento, al di fuori della comunità della comunicazione. Ciò può
accadere, per esempio, quando qualcuno è completamente ubriaco» (van
Eemeren e Grootendorst 2004:76, nota 10, trad. mia).
La violazione di una o più di una delle massime conversazionali senza
uscire dal raggio d’azione del Principio di Cooperazione dà luogo,
secondo Grice, alla comunicazione di significati impliciti, alle
«implicature conversazionali» (vedi Grice 1975, 2003: 233-241). Van
Eemeren e Grootendorst descrivono il processo di comunicazione di
significati impliciti, ma non usano il termine «implicatura
conversazionale» per indicarlo. Essi dicono:
Violando o sembrando violare una o più norme, ma allo stesso tempo non
abbandonando interamente il Principio di Comunicazione, i parlanti
rendono chiaro all’ascoltatore che essi significano qualcosa di differente
o qualcosa in più rispetto a ciò che stanno dicendo. (van Eemeren et al.
2002: 52, trad. mia)
96
Secondo van Eemeren e Grootendorst la violazione delle norme della
comunicazione, senza abbandonare interamente il Principio di
Comunicazione, dà agli utenti linguistici l’opportunità di «essere
indiretti» (be indirect) e di riconoscere l’«essere indiretti» (indirectness)
negli altri (vedi van Eemeren et al. 2002: 52). «Essere indiretto» - essi
dicono - è una specie particolare di uso implicito del linguaggio. È un uso
implicito differente da quello fatto, per esempio, da un commesso che
dice «È 170» invece di dire «Ti informo che il prezzo di quell’abito è 170
dollari». In tal caso non c’è un tentativo di trasmettere qualcosa di
aggiuntivo. Nell’uso indiretto del linguaggio, invece, il parlante dice ciò
che intende dire in maniera indiretta piuttosto che in maniera diretta e
non solo intende trasmettere in modo indiretto più di ciò che dice
esplicitamente, ma intende anche indicare questo intento all’ascoltatore.
Così con la domanda «Sarebbe troppo disturbo portare questo pacco
all’ufficio postale?» il parlante intende non solo porre una domanda
all’ascoltatore circa il disturbo che può comportare portare un pacco
all’ufficio postale, ma intende anche chiedere indirettamente
all’ascoltatore di portare il pacco all’ufficio postale (vedi van Eemeren et
al. 2002: 51). Secondo il modello di analisi di Searle degli atti linguistici
indiretti, in tal caso il parlante esegue due atti illocutori, un atto
illocutorio indiretto consistente in una richiesta e un atto illocutorio
diretto consistente in una domanda. L’atto illocutorio indiretto, che è
l’atto primario (richiesta), è eseguito attraverso l’atto illocutorio diretto
(domanda) (vedi Searle 1978b: 253-256).
Il processo d’interpretazione del significato implicito da parte
dell’ascoltatore è descritto da van Eemeren e Grootendorst come un
processo razionale, un processo nel quale l’ascoltatore cerca una ragione
esplicativa del comportamento del parlante. Essi osservano:
97
quando sembra che una delle norme della comunicazione sia stata violata
senza che il parlante abbia abbandonato il Principio di Comunicazione
[…], l’ascoltatore caritatevole non assume immediatamente che il
parlante attraverso mancanza di chiarezza, insincerità, inefficienza o
inutilità abbia disgregato la comunicazione senza motivo. Invece,
l’ascoltatore cerca di interpretare le parole del parlante in modo tale che
la violazione manifesta acquisti un significato plausibile. […] In pratica,
la gente trova difficoltoso riconoscere una violazione ovvia delle norme
della comunicazione senza cercare immediatamente una spiegazione che
dia senso alla violazione. (van Eemeren et al. 2002 : 53-54, trad. mia)
Così se qualcuno interrompe una conversazione animata sulle esperienze
d’amore di un amico comune con l’osservazione irrilevante «Oggi è un
po’ ventoso», è probabile che gli ascoltatori interpretino l’osservazione,
per esempio, come un avvertimento che l’amico di cui si parla sta
entrando nella stanza. I parlanti, dal canto loro, possono trarre vantaggio
da questa tendenza «razionalizzante» (rationalizing tendency) da parte
degli ascoltatori e trasmettere intenzionalmente più di ciò che dicono per
mezzo di una violazione delle norme della comunicazione (vedi van
Eemeren et al. 2002: 53-54).
Per i teorici della pragma-dialettica il Principio di Comunicazione ha
un ruolo e uno statuto epistemologico simili a quelli del Principio di
Cooperazione di Grice: entrambi sono principi di comunicazione
razionale. In una nota a p. 50 dell’opera Argumentation, communication,
and fallacies van Eemeren e Grootendorst affermano:
Il Principio di Comunicazione adempie nella comunicazione un ruolo
simile a quello del Principio di Cooperazione di Grice e ha uno statuto
epistemologico simile. Concordiamo con Kasher (1982) che l’osservanza
delle norme che sono inerenti alle massime griciane deriva da un più
generale «principio di razionalizzazione» che è basato sul principio dei
mezzi efficaci [effective means]. Il principio di razionalizzazione dice che
«si deve assumere che lo scopo e le credenze [del parlante], in un
contesto di enunciazione, forniscono una completa giustificazione del suo
98
comportamento, a meno che ci siano prove del contrario» (1982: 33).
(van Eemeren e Grootendorst 1992: 50, nota 3, trad. mia; vedi van
Eemeren et al. 1996: 12, nota 16)
Van Eemeren e Grootendorst non sviluppano ulteriori riflessioni sulle
caratteristiche della razionalità del Principio di Comunicazione. Ma è
evidente dalle loro osservazioni che essi ritengono il processo di
comunicazione un processo nel quale si manifesta sia una razionalità di
tipo strumentale sia una razionalità di tipo argomentativo. Una razionalità
di tipo strumentale, perché la comunicazione è un’attività interazionale
diretta verso uno scopo; una razionalità di tipo argomentativo sia perché
l’attività dell’ascoltatore consiste nel cercare spiegazioni sensate del
comportamento del parlante sia perché lo scopo e le credenze del parlante
forniscono una giustificazione del suo comportamento, vale a dire dei
mezzi linguistici che egli usa per trasmettere un significato particolare.
A differenza di Grice, van Eemeren e Grootendorst non danno un
modello dell’inferenza dei significati impliciti da parte dell’ascoltatore,
ma presentano soltanto esempi di «essere indiretto» in relazione alla
norma del Principio di Comunicazione violata dal parlante (vedi van
Eemeren et al. 2002: 54).
Una promessa espressa in modo non chiaro o in modo vago può essere
interpretata dall’ascoltatore come un’espressione di riluttanza o anche di
rifiuto. Esempio: Gary dice: «Quando vai a riparare quel macinino da
caffè rotto?» e Mary risponde: «Prima o poi» (violazione della norma di
chiarezza).
Dicendo qualcosa di evidentemente insincero il parlante può
trasmettere in modo ironico e indirettamente l’opposto di ciò che dice
letteralmente. Esempio: «Così non hai neanche riconosciuto più il tuo exfidanzato?
Dev’essere stato lusingato!» (violazione della norma di onestà
o sincerità).
99
Usando ovvia ridondanza un membro di un comitato, che ritiene si stia
sciupando in chiacchiere il tempo riservato alla riunione, può rendere
chiaro indirettamente che egli pensa che è tempo di occuparsi del lavoro.
Esempio: «Con il presente atto apro questa riunione!» (violazione della
norma di efficienza).
Una domanda inutile può essere usata per esprimere indirettamente
lagnanza. Esempio: «Quando mai troverò la felicità?» (violazione della
norma di efficienza).
Una risposta che non si lega in modo evidente a ciò che è stato appena
detto può essere usata per comunicare che il parlante rifiuta di discutere
l’argomento. Esempio: Mary dice: «Ti va di invitare John a cena una
sera?» e Gary risponde: «Penso che guarderò se c’è una lattina di birra
nel frigo» (violazione della norma di pertinenza) (vedi van Eemeren et al.
2002: 54-55).
Van Eemeren e Grootendorst osservano che ci sono parecchie ragioni
(reasons) per le quali i parlanti possono scegliere di non dire direttamente
ciò che intendono dire: possono considerare una domanda più educata di
una richiesta diretta o di un comando, possono essere timorosi di perdere
la faccia se la loro proposta è rifiutata, possono cercare di dare all’altra
persona la maggior libertà possibile perché formi la propria opinione o
possono pensare che sia più strategico non esprimere le proprie
intenzioni troppo apertamente (vedi van Eemeren et al. 2002: 54).
Tuttavia, qualunque sia la ragione per la quale i parlanti scelgono di
essere indiretti in una situazione particolare, ciò che, secondo van
Eemeren e Grootendorst, è rilevante nel processo di comunicazione è che
il significato indiretto di ciò che i parlanti dicono «sarà compreso solo se
i parlanti garantiscono (ensure) che la loro violazione delle norme della
comunicazione sia notata e interpretata correttamente dall’ascoltatore»
(van Eemeren et al. 2002: 55, trad. mia).
100
Nell’analisi del processo di comunicazione dei significati impliciti
fatta da van Eemeren e Grootendorst appare accentuato il ruolo del
parlante: egli deve garantire che la sua violazione delle norme della
comunicazione sia notata e interpretata correttamente dall’ascoltatore.
Nell’analisi di Grice, invece, il ruolo del parlante è ridimensionato. Come
ha messo in evidenza Saul, la nozione griciana di «implicatura
conversazionale» è legata alla nozione di «informazione che il parlante
rende disponibile [makes available] all’uditorio»: dire che il parlante
intende implicare conversazionalmente qualcosa non significa che il
parlante garantisce che l’uditorio comprenderà ciò che egli intende
implicare, ma significa che il parlante rispetta le sue responsabilità
comunicative riguardo a ciò che vuole comunicare oltre ciò che dice,
ossia che rende disponibile il suo messaggio all’uditorio, il quale può
inferirlo o può non inferirlo (vedi Saul 2002: 245).
2.2. Partendo dal Principio di Comunicazione e dalle norme che lo
costituiscono van Eemeren e Grootendorst formulano cinque regole
(rules) più specifiche per l’uso del linguaggio (vedi van Eemeren e
Grootendorst 1992: 50-53; 2004: 76-79). Tali regole - essi dicono -
corrispondono strettamente alle massime griciane, ma sono formulate
come regole per l’esecuzione di atti linguistici. Ogni regola è
applicazione di una norma del Principio di Comunicazione e corrisponde
a una o a più delle «condizioni di felicità» (felicity conditions) per
l’esecuzione di un atto linguistico indicate da Searle (vedi van Eemeren e
Grootendorst 2004: 79; Searle 1976: 85-97).15
15 Sebbene van Eemeren e Grootendorst facciano riferimento alle condizioni di
buona riuscita degli atti linguistici nella formulazione data da Searle usando
l’espressione austiniana «condizioni di felicità» (vedi Austin 1987: 15-23), Searle non
usa tale espressione ma riformula le condizioni austiniane di felicità degli atti illocutori
usando l’espressione «condizioni necessarie e sufficienti» per eseguire con successo un
atto illocutorio (vedi Searle 1976: 85-103). Le condizioni searliane di felicità degli atti
illocutori sono sintetizzate da van Eemeren e Grootendorst nel modo seguente: «1.
101
Le condizioni searliane di felicità degli atti linguistici sono distinte da
van Eemeren e Grootendorst in «condizioni di identità» (identity
conditions) e «condizioni di correttezza» (correctness conditions). Sono
considerate condizioni di identità dell’atto linguistico la condizione di
contenuto proposizionale e la condizione essenziale perché sono
condizioni che devono essere soddisfatte affinché un proferimento conti
come un atto linguistico particolare e sia identificabile come tale
dall’ascoltatore. Sono considerate condizioni di correttezza per
l’esecuzione dell’atto linguistico la condizione di sincerità - che van
Eemeren e Grootendorst preferiscono chiamare «condizione di
responsabilità»16 - e la condizione preparatoria perché sono condizioni
che devono essere soddisfatte affinché un proferimento sia considerato
dall’ascoltatore come un’esecuzione appropriata (appropriate
performance) di un atto linguistico particolare (vedi van Eemeren e
Grootendorst 1992: 30-33; 2004: 79). La distinzione delle condizioni di
felicità degli atti linguistici in condizioni di identità e condizioni di
correttezza è motivata da van Eemeren e Grootendorst indicando le
differenti conseguenze che derivano dal non aderire a uno dei due gruppi
di condizioni. Se non è soddisfatta una delle condizioni di identità non
può ritenersi eseguito alcun atto linguistico riconoscibile dall’ascoltatore,
Condizione di contenuto proposizionale. Il proferimento deve esprimere contenuto
proposizionale appropriato alla sua forza. Per esempio, le promesse si devono riferire a
situazioni future, mentre le cronache di avvenimenti non si devono riferire a situazioni
future. 2. Condizione essenziale. Fare il proferimento deve «contare» come
un’espressione di un certo obiettivo in qualche insieme di intese sociali. 3. Condizione
di sincerità. Il parlante deve realmente credere, volere e intendere qualsiasi cosa
rappresentata come creduta, voluta o intesa. 4. Condizione preparatoria. Il parlante
deve avere adeguata giustificazione per il suo cercare di conseguire l’obiettivo
sottinteso e deve credere che lo stesso eseguire l’atto linguistico favorirà il
conseguimento dell’obiettivo». (van Eemeren et al., 1993: 3, trad. mia)
16 Van Eemeren e Grootendorst affermano di preferire l’espressione «condizione di
responsabilità» (responsibility condition) all’espressione «condizione di sincerità»
(sincerity condition) usata da Searle, perché intendono rendere chiaro che nella
esecuzione appropriata di un certo atto linguistico sono supposti obblighi
indipendentemente dallo stato mentale del parlante o dello scrivente (vedi van Eemeren
e Grootendorst 2004: 77, nota 12).
102
il proferimento non è riconosciuto dall’ascoltatore come esecuzione di un
atto linguistico particolare. Invece, se non è soddisfatta una delle
condizioni di correttezza viene eseguito un atto linguistico riconoscibile
dall’ascoltatore, ma la sua esecuzione non è interamente coronata da
successo, «esso - dicono van Eemeren e Grootendorst - è nei termini di
Austin, per qualche aspetto infelice [infelicitous, unhappy]»17 (vedi van
Eemeren e Grootendorst 2004: 80). Tali osservazioni, tuttavia, non
rendono chiara la posizione di van Eemeren e Grootendorst sul problema
della felicità/infelicità dell’atto linguistico; sebbene essi facciano
riferimento alle condizioni di felicità dell’atto linguistico nella
formulazione data da Searle, distinguendole in condizioni d’identità e
condizioni di correttezza, sembra poi che riducano l’opposizione
felicità/infelicità dell’atto linguistico all’opposizione correttezza/non
correttezza dell’atto, definendo «infelice» l’atto linguistico solo quando
esso non soddisfa le condizioni di correttezza che sono ritenute le
condizioni di esecuzione appropriata dell’atto. Mentre la prospettiva di
Austin e Searle comprende anche la possibilità che l’atto linguistico
infelice non conti affatto come atto eseguito, sembra che per van
Eemeren e Grootendorst l’atto linguistico infelice sia comunque un atto
linguistico eseguito, ma eseguito in modo non corretto.
Le regole per l’uso del linguaggio che van Eemeren e Grootendorst
formulano con riferimento alle condizioni searliane di felicità dell’atto
linguistico e alle norme del Principio di Comunicazione sono le seguenti:
1. Non devi [you must not] eseguire atti linguistici incomprensibili.
17 Austin distingue due tipi di infelicità degli atti illocutori: i «colpi a vuoto» e gli
«abusi». Sono colpi a vuoto gli atti pretesi ma nulli, di fatto non compiuti, che si hanno
quando la procedura cui si ha la pretesa di richiamarsi non è riconosciuta o è male
eseguita. Sono abusi gli atti ostentati ma vacui, che sono atti in ogni caso eseguiti ma
non completati o non consumati (vedi Austin 1987: 17-19, 24-42). Searle condivide la
posizione di Austin affermando che la sua nozione di «difetto» (defect) in un atto
illocutorio è strettamenta collegata a quella austiniana di «infelicità» (vedi Searle 1976:
85-86).
103
2. Non devi eseguire atti linguistici insinceri (o per i quali non puoi
accettare la responsabilità).
3. Non devi eseguire atti linguistici ridondanti.
4. Non devi eseguire atti linguistici che sono senza significato.
5. Non devi eseguire atti linguistici che non sono connessi in modo
appropriato agli atti linguistici precedenti (dello stesso parlante o
scrivente o dell’interlocutore) o alla situazione comunicativa. (van
Eemeren e Grootendorst 2004: 77, trad. mia)
La prima regola è un’applicazione della norma di chiarezza e corrisponde
alla «condizione di contenuto proposizionale» e alla «condizione
essenziale» per l’esecuzione di atti linguistici, vale a dire alle «condizioni
di identità» per l’esecuzione di atti linguistici. La regola comporta che,
per essere chiari, parlanti e scriventi devono esprimere gli atti linguistici
che vogliono eseguire in modo tale che gli ascoltatori o i lettori possano
riconoscere sia il valore comunicativo degli atti sia le proposizioni
espresse in essi. Non è necessario che un parlante o uno scrivente sia
completamente esplicito, ma gli ascoltatori o i lettori non possono essere
ostacolati dal pervenire a un’interpretazione corretta dell’atto linguistico.
Se le condizioni di identità non sono soddisfatte, il proferimento del
parlante non può essere riconosciuto dall’ascoltatore come esecuzione di
un atto linguistico particolare, è un atto incomprensibile per l’ascoltatore
(vedi van Eemeren e Grootendorst 2004: 77; 1992: 50).
La seconda regola è un’applicazione della norma di onestà o sincerità
e corrisponde alle «condizioni di responsabilità» che sono parte delle
«condizioni di correttezza» per l’esecuzione degli atti linguistici. La
norma di onestà o sincerità implica che ciascuno può essere ritenuto
responsabile di accettare gli obblighi legati all’atto linguistico che
esegue. Così, se una mamma esegue un direttivo come «Chiudi la
finestra», si deve ritenere che vuole che il figlio al quale si sta rivolgendo
esegua l’atto al quale il direttivo si riferisce (vedi van Eemeren e
Grootendorst 2004: 77; 1992: 51).
104
Le regole terza e quarta sono applicazioni della norma di efficienza e
corrispondono alle «condizioni preparatorie» che sono parte delle
«condizioni di correttezza» per l’esecuzione degli atti linguistici. Esse
somigliano anche alla «condizione di responsabilità». La norma di
efficienza implica che una corretta esecuzione di un atto linguistico non
può essere ridondante, non necessaria o senza significato. Per esempio,
addurre un’argomentazione sarebbe ridondante se il parlante o lo
scrivente suppone che l’ascoltatore o il lettore sia già convinto
dell’accettabilità della posizione difesa. Invece, addurre
un’argomentazione sarebbe senza significato se il parlante o lo scrivente
assume a priori che in nessun caso l’ascoltatore o il lettore sarà convinto
dall’argomentazione ad accettare una posizione. In entrambi i casi
l’esecuzione dell’atto linguistico di argomentazione sarebbe una perdita
di tempo e perciò sarebbe inefficiente (vedi van Eemeren e Grootendorst
2004: 78; 1992: 51).
La quinta regola è un’applicazione della norma di pertinenza. Essa
non corrisponde a nessuna delle condizioni per l’esecuzione di un singolo
atto linguistico, ma si riferisce alla relazione tra gli atti linguistici e la
situazione comunicativa. Per soddisfare la norma di pertinenza,
l’esecuzione di atti linguistici successivi agli atti del parlante o dello
scrivente o agli atti linguistici di un’altra persona dev’essere appropriata
alla situazione comunicativa. Van Eemeren e Grootendorst osservano che
è difficile dare una definizione di ciò che esattamente costituisce una
reazione o continuazione appropriata (appropriate reaction or sequel) in
una situazione comunicativa, tuttavia è possibile spiegare a che cosa si
riduce in pratica (vedi van Eemeren e Grootendorst 2004: 78). Essi
dicono:
Ogni atto linguistico è indirizzato almeno a conseguire l’effetto
comunicativo che l’ascoltatore o il lettore comprenda l’atto linguistico e
105
l’effetto interazionale che l’ascoltatore o il lettore accetti ciò cui si mira
nell’atto linguistico. Di regola, l’esecuzione di un atto linguistico che
esprime l’idea che un altro atto linguistico è compreso o accettato sarà
una reazione pertinente [relevant reaction]. (van Eemeren e Grootendorst
2004: 78, trad. mia)
Facendo riferimento alla distinzione austiniana tra illocuzione e
perlocuzione (vedi Austin 1987: 71-107), sembra che, per van Eemeren e
Grootendorst, ogni atto linguistico sia indirizzato almeno a conseguire
l’effetto illocutorio della ricezione (effetto comunicativo) e l’effetto
perlocutorio di raggiungere l’obiettivo di far sì che il ricevente si
conformi all’atto linguistico ricevuto (effetto interazionale). Ciò che van
Eemeren e Grootendorst ritengono una reazione appropriata o pertinente
in una situazione linguistica comunicativa sarà, perciò, l’esecuzione di un
atto linguistico che esprime l’idea che l’atto linguistico del parlante ha
conseguito l’effetto illocutorio della ricezione e l’effetto perlocutorio di
aver sollecitato conseguenze in virtù della sua forza.
Inoltre - precisano van Eemeren e Grootendorst - per determinare
l’appropriatezza di un atto linguistico è necessario anche avere
informazione sul contesto verbale e non-verbale e su altri aspetti della
situazione comunicativa (vedi van Eemeren e Grootendorst 2004: 78).
Le cinque regole per l’uso del linguaggio sono, secondo van Eemeren
e Grootendorst, regole che parlanti e ascoltatori normalmente osservano
nell’esecuzione di un atto linguistico: esse promuovono lo scopo che la
comunicazione si sviluppi in modo per quanto possibile scorrevole (vedi
van Eemeren e Grootendorst 1992: 50).
È un problema rilevante della teoria di van Eemeren e Grootendorst
chiarire in che senso le regole per l’uso del linguaggio «corrispondono
strettamente alle massime griciane» come essi affermano (vedi van
Eemeren e Grootendorst 2004: 79). Essi ritengono che i vantaggi
106
dell’integrazione delle massime griciane e delle condizioni di felicità
dell’atto linguistico formulate da Searle consistono nel fatto che
le regole formulate per l’uso del linguaggio sono, confrontate con le
massime griciane, più specifiche e precise. Poiché non sono limitate alle
asserzioni, le regole per l’uso del linguaggio sono anche più generali e
includenti delle massime. Il risultato più importante dell’integrazione,
tuttavia, è che diventa chiaro che le condizioni di felicità che si
riferiscono alle varie specie di atti linguistici sono di fatto specificazioni
di principi più generali di uso del linguaggio. (van Eemeren e
Grootendorst 2004: 79, trad. mia)
La corrispondenza tra regole per l’esecuzione degli atti linguistici e
massime griciane consiste nel fatto che entrambi i gruppi sono
specificazioni di principi più generali di uso del linguaggio, di principi
generali che sono razionali: sono specificazioni del Principio di
Comunicazione le regole d’esecuzione degli atti linguistici e sono
specificazioni del Principio di Cooperazione le massime griciane. Le
regole per l’uso del linguaggio rendono chiaro che le condizioni di
felicità degli atti linguistici equivalgono alle condizioni di una
comunicazione razionale: gli atti linguistici sono eseguiti con successo
solo se soddisfano le condizioni di una comunicazione razionale.
Tuttavia, a differenza delle massime griciane che sono formulazioni
che hanno valore orientativo per l’interazione comunicativa, le regole per
l’uso del linguaggio formulate da van Eemeren e Grootendorst hanno
valore prescrittivo. Esse sono proibizioni di determinati comportamenti
linguistici, la loro formulazione inizia con l’espressione «Non devi» (You
must not) (vedi van Eemeren e Grootendorst 2004: 76-77). Differenti
sono le conseguenze della violazione delle massime griciane e delle
regole per l’uso del linguaggio di van Eemeren e Grootendorst. La
conseguenza della violazione delle massime griciane è la produzione di
significati aggiuntivi a ciò che è detto letteralmente (vedi Grice 1975,
107
2003: 233-235). Invece, la conseguenza della violazione della regola
corrispondente alle condizioni di identità dell’atto linguistico è rendere
l’atto irriconoscibile per l’ascoltatore così che esso non può avere alcun
ruolo costruttivo nello scambio comunicativo, mentre la conseguenza
della violazione delle regole corrispondenti alle condizioni di correttezza
dell’atto linguistico è rendere difettosa l’esecuzione dell’atto linguistico
così che esso è per qualche aspetto «infelice» (vedi van Eemeren e
Grootendorst 2004: 79-80). Tuttavia, in quest’ultimo caso il parlante può
ancora esser ritenuto dall’ascoltatore responsabile dell’esecuzione
dell’atto linguistico ed è tenuto a dare conto dell’atto se l’ascoltatore
glielo chiede (vedi van Eemeren e Grootendorst 2004: 79-80).
Un’altra caratteristica griciana delle regole per l’uso del linguaggio è
essere ritenute anche dei mezzi dei quali si serve il teorico per
interpretare gli atti linguistici indiretti, quegli atti linguistici che,
letteralmente considerati, sembrano appartenere a una certa classe, ma
hanno lo scopo illocutorio di un’altra classe (vedi Searle 1978: 252-256;
van Eemeren e Grootendorst 1992: 49-50). Come esempio di atto
linguistico indiretto van Eemeren e Grootendorst considerano il
proferimento dell’enunciato «I tostapane di Woolworth sono i migliori»
in risposta alla richiesta di un consiglio concernente il posto migliore per
comprare un tostapane: eseguendo un atto linguistico con la funzione
comunicativa di affermazione (assertivo), il parlante esegue
indirettamente anche un atto linguistico con la funzione comunicativa di
consiglio (direttivo). L’affermazione «I tostapane di Woolworth sono i
migliori» non è una risposta appropriata alla richiesta di consiglio «Dove
posso prendere un nuovo tostapane?». Tuttavia, l’affermazione può
essere considerata come un consiglio di andare a comprare un tostapane
da Woolworth perché fornisce una ragione per la quale è possibile
raccomandare Woolworth come un posto per comprare un tostapane, e in
tal modo soddisfa una delle condizioni preparatorie per un consiglio
108
eseguito in modo corretto. Reazioni come «Grazie per il suggerimento.
Prenderò nota di ciò» mostrano che l’ascoltatore ha compreso
correttamente l’atto linguistico indiretto eseguito dal parlante (vedi van
Eemeren e Grootendorst 1992: 52-53).
Van Eemeren e Grootendorst osservano che, in pratica, l’ascoltatore è
quasi sempre perfettamente capace di stabilire, sulla base di ciò che il
parlante ha detto, quale atto linguistico indiretto è stato eseguito. Se le
cose non stessero così, non ci sarebbe motivo per eseguirlo (vedi van
Eemeren e Grootendorst 1992: 53). L’analista, invece, non ha sempre
sufficiente intuizione di tutti i fattori contestuali per comprendere a che
cosa il parlante può essere vincolato proferendo un enunciato e poter
inferire esattamente l’atto linguistico indiretto dall’atto linguistico
eseguito letteralmente (vedi van Eemeren e Grootendorst 1992: 53).
Sono le regole generali della comunicazione che parlanti e ascoltatori
normalmente osservano a fornire all’analista ragioni a supporto
dell’analisi di un atto linguistico. Tali regole rendono possibile sia
stabilire che l’interpretazione letterale dell’atto linguistico non è quella
corretta, sia indicare come può essere inferita l’interpretazione corretta.
Nel contesto indicato considerare come un’asserzione l’enunciato «I
tostapane di Woolworth sono i migliori» equivale ad ascrivere al parlante
la violazione della quinta regola, perché l’enunciato non è una reazione
appropriata alla richiesta di un consiglio. La violazione, tuttavia, può
essere rimediata interpretando l’enunciato come significante «Ti
consiglio di comprare un tostapane da Woolworth». Secondo questa
interpretazione, il parlante ha dato un consiglio, così che la violazione
della quinta regola è solo apparente (vedi van Eemeren e Grootendorst
1992: 54).
Van Eemeren e Grootendorst sostengono che in ogni caso nel quale un
enunciato è interpretato come esecuzione di un atto linguistico indiretto
deve essere possibile all’analista tanto indicare quale regola della
109
comunicazione sarebbe violata se l’atto linguistico eseguito fosse
interpretato letteralmente, quanto rendere chiaro che la violazione della
regola può essere annullata interpretando l’enunciato come esecuzione di
un atto linguistico indiretto (vedi van Eemeren e Grootendorst 1992: 54).
Essi presentano due schemi generali di inferenza differenti per gli atti
linguistici diretti e per gli atti linguistici indiretti. Tali schemi
evidenziano sia come l’interpretazione dell’atto linguistico come atto
linguistico diretto corrisponda alla supposta osservanza delle regole della
comunicazione nel contesto, sia come l’interpretazione dell’atto
linguistico come atto linguistico indiretto corrisponda alla supposta
osservanza delle regole della comunicazione nel contesto nel quale esse
sono violate dall’atto linguistico diretto collegato. Ecco gli schemi
generali di inferenza:
1.
Il parlante/scrivente P ha enunciato E.
2.
Se E è preso letteralmente, P ha eseguito l’atto linguistico 1
con la funzione comunicativa 1e il contenuto proposizionale 1.
ATTI LINGUISTICI DIRETTI ATTI LINGUISTICI INDIRETTI
3a.
Nel contesto C, l’atto linguistico 1
osserva le regole della
comunicazione.
3b.
Nel contesto C1,18 l’atto linguistico
1 è una violazione della regola di
comunicazione i.
4a.
Dunque: L’atto linguistico 1 è una
interpretazione corretta di E.
4b.
Nel contesto C1, l’atto linguistico 2
osserva la regola i e tutte le altre
regole di comunicazione.
18 Van Eemeren e Grootendorst usano il simbolo C per indicare qualsiasi contesto di
esecuzione di un atto linguistico. Ho preferito usare il simboli C e C1 per distinguere i
due diversi contesti di esecuzione dell’atto linguistico diretto e dell’atto linguistico
indiretto.
110
5.
L’atto linguistico 1, l’atto
linguistico 2 e il contesto C1
possono essere legati per mezzo
della regola i.
6.
Dunque: L’atto linguistico 2 è una
interpretazione corretta di E.
(vedi van Eemeren e Grootendorst 1992: 55)
Facendo riferimento al contesto e alle regole per l’esecuzione degli atti
linguistici, ciascuna delle quali è applicazione di una norma del Principio
di Comunicazione e corrisponde a una o a più di una delle condizioni di
felicità per l’esecuzione di un atto linguistico, van Eemeren e
Grootendorst presentano uno schema di inferenza della forza dell’atto
linguistico indiretto che è più semplice di quello presentato da Searle nel
saggio «Atti linguistici indiretti» (vedi Searle 1978b). Lo schema
inferenziale dell’atto linguistico indiretto presentato da Searle, infatti,
facendo riferimento alle condizioni di felicità per l’esecuzione dell’atto
linguistico, ai principi della conversazione cooperativa di Grice, al
bagaglio di cognizioni riguardante i fatti condiviso da parlante e
ascoltatore, oltre che alla capacità dell’ascoltatore di trarre inferenze,
richiede inferenze basate sulla considerazione contemporanea di più dati
(vedi Searle 1978b: 254, 256-257, 269), mentre lo schema inferenziale di
van Eemeren e Grootendorst richiede inferenze basate solo sulla
considerazione dell’osservanza e della violazione delle regole della
comunicazione in un contesto. Inoltre, mentre van Eemeren e
Grootendorst presentano gli schemi inferenziali dell’atto linguistico
diretto come strumenti di cui si serve l’analista per individuare l’atto
linguistico indiretto eseguito da un parlante in un contesto, Searle
presenta gli schemi di inferenza della forza dell’atto linguistico indiretto
come una ricostruzione dei passaggi necessari all’ascoltatore per far
111
derivare la forza illocutoria dell’atto linguistico primario dalla forza
illocutoria dell’atto linguistico secondario, non realizzati coscientemente
nella conversazione normale (vedi Searle 1978b: 256).
Un’ulteriore domanda sorge relativamente alla presentazione che van
Eemeren e Grootendorst fanno delle regole per l’uso del linguaggio con
riferimento agli atti linguistici indiretti: perché essi presentano tali regole
solo come strumenti di cui si serve l’analista per individuare gli atti
linguistici indiretti e non anche come le regole alle quali fanno
riferimento tacitamente parlanti e ascoltatori per eseguire e individuare
gli atti linguistici indiretti? Se esse sono «le regole di comunicazione che
parlanti e ascoltatori normalmente osservano nell’esecuzione di un atto
linguistico» (van Eemeren e Grootendorst 1992: 50, trad. mia), è evidente
che a tali regole faranno riferimento parlanti e ascoltatori anche per
eseguire e riconoscere gli atti linguistici indiretti. Sembra che
contrapponendo l’ascoltatore all’analista, van Eemeren e Grootendorst
non intendano negare che parlanti e ascoltatori facciano riferimento alle
regole per l’uso del linguaggio nell’eseguire e riconoscere gli atti
linguistici indiretti, ma, in modo analogo a quanto ha sostenuto Grice per
le implicature conversazionali (vedi Grice 1975, 2003: 234), essi
intendano, da un lato, mettere in evidenza il carattere intuitivo del
processo con cui l’ascoltatore comprende la forza dell’atto linguistico
indiretto, e, dall’altro lato, mettere in evidenza la possibilità che ha
l’analista di ricostruire in modo esplicito le ragioni che supportano
l’interpretazione di un atto linguistico come atto indiretto.
3. Il discorso argomentativo
3.1. Van Eemeren e Grootendorst affermano che
112
il discorso argomentativo deve essere studiato come un caso di
comunicazione e interazione verbale normale, e allo stesso tempo deve
essere valutato rispetto a un certo modello di ragionevolezza
[reasonableness]. (van Eemeren e Grootendorst 1992: 5, trad. mia)
Come caso particolare di comunicazione e interazione verbale,
l’argomentazione è considerata da van Eemeren e Grootendorst un atto
linguistico complesso che occorre nel contesto di una discussione critica.
La discussione critica, a sua volta, costituisce il modello di
ragionevolezza rispetto al quale valutare l’argomentazione (vedi van
Eemeren e Grootendorst 2004: 131-132).
Caratteristica dell’argomentazione come atto linguistico complesso è
essere formata da più enunciati che hanno allo stesso tempo una duplice
funzione comunicativa. Qualcuno che difende la posizione «Quella
signora farebbe meglio a non prendere lezioni di guida» dicendo «Ha già
61 anni, si spaventa facilmente e non potrà mai comprare un’auto con la
sua pensione» proferisce tre enunciati che, considerati assieme, hanno la
funzione comunicativa di argomentazione, ma ciascuno dei quali,
considerato singolarmente, ha in più un’altra funzione comunicativa: è
anche un’asserzione o un’affermazione (vedi van Eemeren e
Grootendorst 1992: 28-29). Come atto linguistico complesso
l’argomentazione, a differenza degli atti linguistici elementari quali
richiesta, promessa o affermazione, non ha una funzione comunicativa a
livello di enunciato, ma ha una funzione comunicativa a un livello
testuale più alto dell’enunciato (vedi van Eemeren e Grootendorst 1992:
29).
Van Eemeren e Grootendorst utilizzano strumenti griciani nell’analisi
del discorso argomentativo in relazione a due problemi: a) le condizioni
di correttezza (correctness conditions) per l’esecuzione dell’atto
linguistico di argomentazione e b) l’individuazione degli elementi
impliciti nell’argomentazione.
113
3.2. Le condizioni di correttezza per l’esecuzione dell’atto linguistico di
argomentazione specificano che cosa significa seguire il Principio di
Comunicazione in tale tipo di interazione verbale (vedi van Eemeren et
al. 2002: 53). Come per tutti gli altri atti linguistici, le condizioni di
correttezza per l’esecuzione dell’atto linguistico di argomentazione sono
di due tipi: condizioni preparatorie e condizioni di responsabilità. Le
condizioni preparatorie specificano che cosa il parlante deve fare allo
scopo di soddisfare la norma di efficienza riformulata nella regola n. 3
«Non eseguire atti linguistici ridondanti» e nella regola n. 4 «Non
eseguire atti linguistici senza significato». Le condizioni di
responsabilità descrivono che cosa il parlante deve credere per soddisfare
la norma di sincerità o onestà riformulata nella regola n. 2 «Non eseguire
atti linguistici insinceri (o per i quali non puoi accettare la
responsabilità)» (vedi van Eemeren et al. 2002: 53; van Eemeren e
Grootendorst 1992: 51; 2004: 77-78).
Per l’argomentazione la norma di efficienza richiede che «è parte
degli obblighi del parlante non intraprendere un tentativo ridondante o
inutile per convincere qualcuno di una posizione» (van Eemeren et al.
2002: 53). Le condizioni preparatorie per l’esecuzione dell’atto
linguistico di argomentazione stabiliscono che il parlante deve credere
che l’ascoltatore a) non abbia già accettato la posizione in discussione, b)
che accetterà le affermazioni usate nell’argomentazione e c) che
considererà l’argomentazione come una difesa o come una confutazione
accettabile della proposizione che caratterizza la posizione. Se il parlante
non soddisfa la prima condizione preparatoria, farà un’argomentazione
ridondante ossia superflua, se invece non soddisfa una delle altre due
condizioni preparatorie, farà un’argomentazione inutile, ossia non
riuscirà a convincere l’ascoltatore (vedi van Eemeren et al. 2002: 53).
114
La norma di sincerità richiede che il parlante cerchi di convincere
l’oppositore senza ingannare. Le condizioni di responsabilità per
l’esecuzione dell’atto linguistico di argomentazione stabiliscono che il
parlante creda a) che la posizione è accettabile, b) che le affermazioni
usate nell’argomentazione sono accettabili e c) che l’argomentazione è
una difesa o una confutazione della proposizione che caratterizza la
posizione (vedi van Eemeren et al. 2002: 53). Se il parlante non soddisfa
le condizioni di responsabilità ingannerà l’interlocutore.
Van Eemeren e Grootendorst affermano che se si prende sul serio il
parlante, ossia se si ritiene che il parlante si stia conformando al Principio
di Comunicazione, si deve assumere che egli soddisfi sia le condizioni
preparatorie sia le condizioni di responsabilità per l’esecuzione dell’atto
linguistico di argomentazione, cioè si deve ritenere che egli esegua
correttamente l’atto linguistico di argomentazione, a meno che non ci
siano indicazioni per il contrario (vedi van Eemeren et al. 2002: 53). Nei
casi nei quali è evidente che il parlante non si stia conformando al
Principio di Comunicazione e perciò non soddisfi o le condizioni
preparatorie o le condizioni di responsabilità per l’esecuzione dell’atto
linguistico di argomentazione, l’atto di argomentazione non sarà eseguito
correttamente, sarà o un’argomentazione superflua o un’argomentazione
inutile o un’argomentazione ingannevole.
L’utilizzazione che i teorici della pragma-dialettica fanno di strumenti
griciani, riformulati come regole per l’esecuzione degli atti linguistici,
nell’analisi delle condizioni di correttezza per l’esecuzione dell’atto
linguistico di argomentazione comporta una prospettiva di analisi che si
allontana dalla prospettiva di Grice volta a cogliere i significati impliciti
comunicati mediante la violazione dei principi della comunicazione
razionale, ma che è vicina alla prospettiva di analisi affermata da Searle
volta a individuare le condizioni di felicità per l’esecuzione degli atti
linguistici, la violazione delle quali comporta l’esecuzione di atti
115
linguistici «difettosi», cioè infelici (vedi Searle 1976: 85-86). Nella
concezione riduttiva di infelicità presentata da van Eemeren e
Grootendorst ed evidenziata nel paragrafo precedente, l’atto di
argomentazione difettoso o infelice è un atto di argomentazione
comunque eseguito, ma eseguito in modo non corretto.
3.3. Il secondo problema di analisi dell’argomentazione che van Eemeren
e Grootendorst affrontano con strumenti griciani è quello della
individuazione degli elementi non espressi. Essi osservano che nel
discorso argomentativo è molto comune che alcuni elementi, premesse o
posizioni, siano omessi, anzi, evidenziano che l’essere espliciti nella
comunicazione ordinaria è piuttosto l’eccezione che la regola (vedi van
Eemeren et al. 1996: 13). Tuttavia, gli elementi che nell’argomentazione
sono omessi intenzionalmente restano presenti in modo implicito e sono
indicati in modo indiretto (vedi van Eemeren et al. 2002: 49-50).
Nel discorso seguente, fatto dal custode di un edificio universitario, è
possibile indicare una premessa non espressa: «Non prenderei per niente
in considerazione la scelta di un lavoro differente, perché nella maggior
parte degli altri lavori non potrei portare con me il mio cane Sherry». La
premessa non espressa è «Ho bisogno di poter portare con me il mio cane
Sherry». Nel discorso seguente, invece, è possibile indicare una
posizione non espressa: «Il mondo è pieno di sofferenza. Se ci fosse Dio
non ci sarebbe tanta sofferenza». La posizione non espressa è «Dunque,
Dio non c’è» (vedi van Eemeren et al. 2002: 50).
Le «domande cruciali» alle quali, secondo van Eemeren e
Grootendorst, devono rispondere coloro che analizzano il discorso
argomentativo sono:
in quali circostanze i parlanti contraggono un impegno a un’affermazione
che non hanno proferito esplicitamente; e come significati impliciti e
116
indiretti possono essere inferiti dagli enunciati che essi hanno proferito
letteralmente? (van Eemeren et al. 1996: 13, trad. mia)
I teorici della pragma-dialettica ritengono che l’analista debba fare uso
degli strumenti della logica formale e debba tener conto dei fattori
pragmatici, vale a dire delle assunzioni19 generali e specifiche fatte dagli
interlocutori, tra le quali un utile strumento sono le quattro norme che
implementano il Principio di Comunicazione (vedi van Eemeren et al.
1996: 13).
Differenti sono i processi attraverso i quali, secondo van Eemeren e
Grootendorst, possono essere individuate le posizioni non espresse e le
premesse non espresse nell’argomentazione.
Una posizione non espressa può essere individuata ricostruendo
secondo una forma valida il ragionamento sottostante l’argomento
presentato dal parlante e formulando la conclusione che segue
logicamente. Tale inferenza alla posizione non espressa deve considerarsi
corretta perché gli ascoltatori assumono che il parlante si attenga al
Principio di Comunicazione, in particolare, che rispetti la norma di
sincerità, vale a dire che soddisfi le condizioni di responsabilità per
l’esecuzione dell’atto linguistico di argomentazione e quindi non creda
che sia invalido il ragionamento sottostante l’argomentazione nella quale
la posizione non è espressa (vedi van Eemeren et al. 2002: 56).
Di solito, osservano Van Eemeren e Grootendorst, il parlante non
esprime esplicitamente la propria posizione, perché si aspetta che
l’ascoltatore sia capace di inferirla, di immaginarla dagli argomenti
presentati. Così, per esempio, nel seguente frammento di conversazione
lo scultore intervistato interrompe l’enunciato indicando che considera i
19 Il termine usato da van van Eemeren e Grootendorst nel passo al quale faccio
riferimento è presuppositions. Poiché è evidente l’uso improprio del termine
presuppositions nel passo preso in considerazione, in linea con la posizione dei teorici
della pragma-dialettica più volte precisata (vedi anche van Eemeren et al. 1996: 12),
traduco presuppositions con «assunzioni».
117
suoi ascoltatori capaci di individuare la conclusione: «L’unico direttore
di museo buono è naturalmente quello che compra la tua opera. Se non fa
ciò, è un vero stupido. Ora il signor Bianchi non ha mai comprato una
delle mie opere, perciò …. ». Il ragionamento sottostante
quest’argomento può essere ricostruito nel modo seguente: 1. Se un
direttore di museo non compra una mia opera, allora è uno stupido. 2. Il
direttore di museo signor Bianchi non ha mai comprato una delle mie
opere. Dunque: 3. Il direttore di museo signor Bianchi è uno stupido. È
un ragionamento basato sulla forma valida modus ponens: 1. se p allora
q, 2. p, dunque 3. q (vedi Copi e Cohen 1999: 370-371). La conclusione
«Il direttore di museo signor Bianchi è un vero stupido» è ricavata da una
forma di ragionamento valido, perciò può essere considerata la posizione
non espressa (vedi van Eemeren et al. 2002: 56).
Van Eemeren e Grootendorst concludono la presentazione del
processo attraverso il quale può essere individuata una posizione non
espressa in un’argomentazione osservando che quando c’è la possibilità
di ricavare più di una conclusione dal ragionamento sottostante
l’argomentazione, l’ascoltatore dovrebbe scegliere la posizione che, alla
luce del contesto e dell’informazione di sfondo, è maggiormente in
accordo con tutte le norme della comunicazione (vedi van Eemeren et al.
2002: 57). Tuttavia, essi non presentano esempi chiarificatori, così che la
loro osservazione sulla possibilità di ricavare più conclusioni da una
forma di ragionamento deduttivamente valido non è chiara, giacché da
una forma di ragionamento deduttivamente valido può essere ricavata
solo una conclusione (vedi Copi e Cohen 1999: 391-394). Probabilmente,
pur usando il termine «conclusione», essi intendono fare riferimento alla
possibilità di ricavare più di una conseguenza dalla conclusione di un
ragionamento deduttivo sottostante un’argomentazione.
Più articolato è il processo attraverso il quale possono essere rese
esplicite le premesse non espresse in un’argomentazione. I teorici della
118
pragma-dialettica mettono in rilievo che negli argomenti che
compongono l’argomentazione ordinaria, di solito, una delle premesse è
non espressa. In alcuni casi l’identificazione degli elementi impliciti
dell’argomentazione entimematica è semplice, in altri casi, invece,
l’identificazione delle premesse non espresse può causare problemi,
generalmente perché sembrano plausibili diverse possibilità (vedi van
Eemeren et al. 1996: 14). Van Eemeren e Grootendorst ritengono che per
determinare quali sono gli impegni del parlante in relazione alle
premesse non espresse
l’analista deve eseguire non solo un’analisi logica, basata sul criterio di
validità, ma anche un’analisi pragmatica, basata sulle norme del discorso
ragionato [reasoned discourse]. Nell’analisi logica, viene fatto un
tentativo di ricostruire l’argomento in uno che ha la forma di argomento
valido; nell’analisi pragmatica, la premessa non espressa che aiuta a
rendere l’argomento logicamente valido è poi definita in modo più
preciso sulla base dell’informazione contestuale e della conoscenza di
sfondo. L’analisi logica è così strumentale al raggiungimento di una
soddisfacente analisi pragmatica. (van Eemeren et al. 1996: 14-15, trad.
mia)
Primo passo nella ricostruzione di un’argomentazione è la
determinazione del «minimo logico» (logical minimum) che rende
logicamente valido il ragionamento sottostante l’argomentazione. Passo
finale è la determinazione dell’«ottimo pragmatico» (pragmatic
optimum) che può essere considerato la premessa non espressa (vedi van
Eemeren e Grootendorst 1992: 64).
Van Eemeren e Grootendorst considerano l’esempio «Angie è una
vera donna perciò è ficcanaso». Dal punto di vista tecnico questa
argomentazione non è valida perché manca di una premessa:
l’affermazione che Angie è una vera donna non giustifica la conclusione
che Angie è ficcanaso. Tuttavia, il ragionamento sottostante può essere
reso valido se viene aggiunta un’altra affermazione che funge da
119
premessa. Il minimo logico è un’affermazione della forma «Se … allora
…» che contiene come antecedente la premessa esplicita e come
conseguente la conclusione dell’argomento esplicito: «Se Angie è una
vera donna allora è ficcanaso». L’argomento che risulta aggiungendo
questa premessa ha la forma del modus ponens, perciò è un argomento
valido: 1. Se Angie è una vera donna allora è ficcanaso. 2. Angie è una
vera donna. Dunque 3. Angie è ficcanaso (vedi van Eemeren e
Grootendorst 1992: 64).
Tuttavia, tale trasformazione del ragionamento - osservano van
Eemeren e Grootendorst - non è sufficiente per individuare la premessa
non espressa dell’argomentazione. Il minimo logico equivale a collegare
pezzi di informazione che sono già presenti, tutto quello che fa è di
affermare esplicitamente che è possibile inferire la conclusione data dalla
premessa data, ma non dà informazione nuova, è un’affermazione
ridondante. Perciò identificare il minimo logico come la premessa non
espressa significa ascrivere al parlante una violazione della norma di
efficienza (vedi van Eemeren e Grootendorst 1992: 64). Van Eemeren e
Grootendorst affermano che è necessario individuare l’ottimo
pragmatico, ossia quella premessa che rende valida l’argomentazione e
impedisce la violazione della norma di efficienza e di ogni altra norma
del Principio di Comunicazione. L’ottimo pragmatico può essere ricavato
per generalizzazione dal minimo logico. Senza ascrivere al parlante
impegni arbitrari esso equivale a «Le vere donne sono ficcanaso».
L’argomentazione ricostruita aggiungendo tale premessa è valida perché
ha la forma valida di un sillogismo categorico: 1. Le vere donne sono
ficcanaso. 2. Angie è una vera donna. Dunque 3. Angie è ficcanaso (vedi
van Eemeren e Grootendorst 1992: 64).
Van Eemeren e Grootendorst considerano un altro esempio nel quale
sembrano plausibili diverse possibilità per la scelta della premessa non
espressa: «Maggie è democratica perciò è progressista».
120
L’argomentazione non valida perché mancante di una premessa può
essere resa valida aggiungendo il minimo logico che può essere
considerato parte degli impegni del parlante sulla base di ciò che ha
detto: «Se Maggie è democratica allora è progressista». Tuttavia, tale
minimo logico non aggiunge informazione nuova, perciò non rispetta la
norma dell’efficienza. In tale esempio van Eemeren e Grootendorst
indicano le seguenti possibilità per determinare l’ottimo pragmatico: «I
democratici sono progressisti», «La gente con interessi in politica è
progressista» o «Tutte le donne sono progressiste». Tutte e tre le
affermazioni possono fungere da premesse che rendono valida
l’argomentazione. Van Eemeren e Grootendorst scelgono come ottimo
pragmatico l’affermazione «I democratici sono progressisti» osservando
che essa rende valida l’argomentazione, inoltre aggiunge informazione
nuova, quindi rispetta la norma dell’efficienza, ed è indiscutibilmente
uno degli impegni del parlante, giacché può essere inferita da ciò che il
parlante ha detto per generalizzazione dal minimo logico «Se Maggie è
democratica allora è progressista» (vedi van Eemeren e Grootendorst
1992: 65). I due teorici affermano che se non è comunicato niente di
specifico sul contesto di proferimento che dia una spiegazione diversa
degli impegni del parlante, è difficile sostenere che il parlante non creda
che «I democratici sono progressisti» senza essere colpevole di
incoerenza, di violazione della regola n. 2. Anche le affermazioni «La
gente con interessi in politica è progressista» e «Tutte le donne sono
progressiste» possono fungere da premesse che rendono valida
l’argomentazione che si sta considerando, perché forniscono elementi
nuovi e perciò rispettano la norma dell’efficienza. Tuttavia, van
Eemeren e Grootendorst osservano che con l’informazione contestuale
disponibile è dubbio che tali elementi possano essere parte degli impegni
del parlante. Se il contesto non fornisce altri indizi, gli impegni implicati
da ciascuna di queste due affermazioni non possono essere inferiti dalle
121
parole del parlante. In qualche caso il contesto potrebbe permettere
all’analista di attribuire al parlante impegni più specifici. Per esempio, a
un primo stadio della conversazione il parlante potrebbe aver detto che
considera eguale essere progressisti ed essere interessati alla politica o
anche che considera eguale essere progressiste ed essere donne. La
conclusione dell’analisi dell’argomentazione «Maggie è democratica
perciò è progressista» è che, a meno che un contesto ben definito non
indichi chiaramente in altro modo, l’affermazione «I democratici sono
progressisti» è l’unica candidata per l’ottimo pragmatico.
L’argomentazione ricostruita aggiungendo tale premessa è valida perché
ha la forma valida di un sillogismo categorico: 1. I democratici sono
progressisti. 2. Maggie è democratica. Dunque 3. Maggie è progressista
(vedi van Eemeren e Grootendorst 1992: 65-66).
Van Eemeren e Grootendorst ricostruiscono come segue lo schema di
inferenza della premessa non espressa:
1.
Il parlante/scrivente P ha proferito l’enunciato E1
in difesa della sua posizione Pos.
2.
P in tal modo ha eseguito un atto complesso
di argomentazione che è diretto a giustificare Pos.
3.
L’argomento espresso in (a) «E1 perciò Pos»
è invalido;
l’esecuzione dell’atto linguistico di argomentazione
è una violazione della regola 4 (e forse della regola 2).
4.
Aggiungere E2 all’argomento (a) dà
un argomento valido (b) «E1 e E2, perciò Pos»:
l’esecuzione degli atti linguistici E1 e E2
costituisce un’argomentazione che si conforma
a tutte le regole di comunicazione.
122
5.
Dunque:
E2 è una premessa non espressa dell’argomentazione di P.
(van Eemeren e Grootendorst 1992: 63, trad. mia)
In tale schema di inferenza non viene evidenziato il ruolo del contesto
per l’individuazione della premessa non espressa. Eppure van Eemeren e
Grootendorst affermano che
il fattore decisivo è che deve essere ragionevole attribuire al parlante la
premessa aggiunta nel contesto nel quale l’argomentazione ha luogo.
(van Eemeren e Grootendorst 1992: 64, trad. mia)
Essi usano il termine «contesto» (context) in accordo con la tradizione
retorica che include sia il contesto verbale sia quello situazionale che può
essere determinato dalle circostanze nelle quali la comunicazione ha
luogo e dalla cornice istituzionale dell’evento linguistico (vedi van
Eemeren e Grootendorst 1992: 64, nota 4).
Tuttavia, lo schema di inferenza della premessa non espressa in
un’argomentazione presentato da van Eemeren e Grootendorst non
corrisponde alle procedure inferenziali seguite per ricostruire la premessa
non espressa, ma è piuttosto lo schema di un ragionamento la cui
conclusione afferma che un enunciato può essere considerato la premessa
non espressa di un’argomentazione giacché permette di ricostruire
l’argomentazione secondo uno schema deduttivamente valido. Negli
esempi considerati l’enunciato individuato come ottimo pragmatico
funge da premessa maggiore dell’argomentazione ricostruita.
Il problema che van Eemeren e Grootendorst non chiariscono è: di che
tipo sono le procedure inferenziali cui essi fanno riferimento per
individuare l’ottimo pragmatico che può essere considerato la premessa
non espressa di un’argomentazione? I due teorici sottolineano il peso
123
rilevante che hanno le intuizioni logiche e le intuizioni pragmatiche per
l’individuazione dell’ottimo pragmatico (vedi van Eemeren e
Grootendorst 2004: 119). L’ottimo pragmatico è ricavato o per
generalizzazione dal minimo logico o per intuizione dai fattori
contestuali nei quali ha luogo l’argomentazione. E il minimo logico è
ricavato dalla premessa e dalla conclusione dell’argomentazione
incompleta considerando i due enunciati antecedente e conseguente di un
enunciato ipotetico corrispondente a «Se la premessa, allora la
conclusione».
Sembra che la procedura attraverso la quale è ricavato il minimo
logico può essere ritenuta una procedura induttiva nel senso di
«induzione» precisato da Peirce, cioè inferenza di una regola da un caso e
da un risultato (vedi Peirce 1984: §§ 2.621-2.623). Invece, la procedura
attraverso la quale è ricavato l’ottimo pragmatico può essere ritenuta una
procedura induttiva per generalizzazione quando l’ottimo pragmatico è
ricavato per generalizzazione dal minimo logico, mentre, può essere
ritenuta una procedura abduttiva quando l’ottimo pragmatico è ricavato
per intuizione dai fattori contestuali. Così se consideriamo l’enunciato
«Tutte le donne sono progressiste», candidato a fungere da ottimo
pragmatico nell’esempio precedente di argomentazione incompleta
«Maggie è democratica, perciò è progressista», è evidente che esso è
ricavato attraverso una procedura dal conseguente all’antecedente che è
una procedura di carattere abduttivo (vedi Peirce 1980: § 5.276; 1984: §§
2.621-2.623, 2.636): «Maggie è progressista», si assuma l’ipotesi che «Se
tutte le donne sono progressiste, allora Maggie è progressista», perciò
«Tutte le donne sono progressiste». In tal caso, tuttavia, van Eemeren e
Grootendorst non mettono in evidenza che l’ottimo pragmatico
individuato non è una premessa sufficiente per ricostruire in una
sequenza deduttivamente valida l’argomentazione incompleta. È
necessario esplicitare altri impegni del parlante che fungono da premesse
124
non espresse, come «Maggie è una donna», per ricostruire la catena
deduttiva completa che porta alla conclusione «Maggie è progressista».
La determinazione dell’ottimo pragmatico che può fungere da
premessa non espressa in un’argomentazione è il problema nodale
dell’analisi di van Eemeren e Grootendorst. Essi osservano
quanto lontano può andare l’analista nel «pragmatizzare» il minimo
logico? […] Egli deve stabilire se è ragionevole assumere che una pretesa
premessa non espressa appartenga realmente agli impegni del parlante.
(van Eemeren e Grootendorst 1992: 64-65, trad. mia)
Ciò che van Eemeren e Grootendorst mettono in rilievo con tali
affermazioni è che l’analista deve dare una giustificazione dell’analisi e
della ricostruzione dell’argomentazione, vale a dire deve indicare le
ragioni per le quali si può assumere che il parlante, sulla base di ciò che
ha detto, contrae un impegno a un’affermazione che non ha proferito
esplicitamente. E in tale giustificazione un ruolo decisivo è giocato sia
dalle norme del discorso razionale sia dal contesto del discorso specifico
(vedi van Eemeren et al. 1996: 14).
È evidente l’eredità di Grice in questa posizione di van Eemeren e
Grootendorst. Come già è stato messo in rilievo, per Grice l’attribuzione
al parlante, sulla base di ciò che ha detto, dell’intenzione di comunicare
qualcosa che corrisponde al contenuto di un’implicatura conversazionale
è un processo fondato su ragioni che fanno riferimento ai principi della
comunicazione razionale e al contesto di proferimento dell’enunciato
(vedi Grice 1975, 2003: 235). Il modello generale griciano dell’inferire
un’implicatura conversazionale mostra che un’implicatura
conversazionale è qualcosa tale che è ragionevole ascrivere al parlante
l’intenzione di trasmetterla (vedi Sbisà 2001: 196).
L’aspetto rilevante che van Eemeren e Grootendorst hanno ereditato
dalla teoria griciana della razionalità della comunicazione è proprio la
125
concezione dello scambio comunicativo come un processo fondato su
ragioni, ragioni per proferire determinati enunciati e ragioni per inferire
determinate informazioni.
Le differenze tra la posizione di Grice e quella dei teorici della
pragma-dialettica consistono non solo nelle differenti formulazioni dei
principi della comunicazione razionale, come già è stato mostrato, ma
anche nelle differenti concezioni dell’obiettivo della ricostruzione degli
impliciti e della struttura dello schema di inferenza degli impliciti.
Per Grice l’obiettivo della ricostruzione degli impliciti è individuare le
intenzioni che possono essere attribuite al parlante in un contesto dato,
mentre per i teorici della pragma-dialettica l’obiettivo della ricostruzione
degli impliciti è esternalizzare gli impegni del parlante in un contesto
definito che non solo rendono valido il ragionamento sottostante
l’argomentazione ma aggiungono anche qualcosa all’argomentazione
esplicita.
Mentre lo schema di derivazione delle implicature conversazionali
utilizzato da Grice è di tipo conduttivo, gli schemi cui fanno riferimento
van Eemeren e Grootendorst per esternalizzare gli impegni impliciti del
parlante in un’argomentazione sono di tipo induttivo o abduttivo e hanno
l’obiettivo di individuare un ottimo pragmatico che possa fungere da
premessa che rende deduttivamente valida la ricostruzione di
un’argomentazione. Per i teorici della pragma-dialettica l’uso della logica
formale è strumentale al raggiungimento di una soddisfacente analisi
pragmatica.
4. Il modello ideale di discussione critica e le fallacie
4.1. Un ulteriore sviluppo, da parte di van Eemeren e Grootendorst, della
teoria della comunicazione razionale è costituito dalla formulazione di un
126
repertorio di quindici regole che definiscono un modello ideale di
discussione critica, che è il tipo d’interazione razionale nel quale sono
eseguiti gli atti linguistici di argomentazione.
Van Eemeren e Grootendorst affermano che
una discussione critica può essere descritta come uno scambio di
posizioni nel quale le parti coinvolte in una differenza di opinione
cercano di determinare in modo sistematico se la posizione o le posizioni
in discussione siano difendibili alla luce di dubbio critico o di obiezioni.
(van Eemeren e Grootendorst 2004: 52, trad. mia)
Il repertorio delle quindici regole formulato da van Eemeren e
Grootendorst costituisce un modello ideale di discussione critica che
garantisce la ragionevolezza (reasonableness) della procedura di
discussione (vedi van Eemeren e Grootendorst 2004: 132), ossia «l’uso
corretto [sound] della facoltà di ragionamento» nella procedura di
discussione (van Eemeren e Grootendorst 2004: 124, trad. mia). La
procedura che è in accordo con le regole è ragionevole (reasonable) sia
perché crea la possibilità di risolvere le differenze di opinione, ossia è
valida per il problema (problem valid), sia perché è una procedura
accettabile intersoggettivamente, ossia è valida convenzionalmente
(conventionally valid) (vedi van Eemeren e Grootendorst 2004: 132).
Secondo van Eemeren e Grootendorst la base della validità della
procedura di discussione critica, sia con riferimento al problema sia in
senso convenzionale, sta nell’efficacia delle sue regole in relazione allo
scopo di risolvere una differenza di opinione (vedi van Eemeren e
Grootendorst 2004: 187). Poiché le regole della discussione critica sono
efficaci per risolvere una differenza di opinione devono essere seguite da
coloro che discutono allo scopo di risolvere una differenza di opinione e
devono essere accettabili da chiunque prende in considerazione questo
scopo (vedi van Eemeren e Grootendorst 2004: 187-188).
127
Le regole della discussione critica sono formulate da van Eemeren e
Grootendorst con riferimento alle norme della razionalità comunicativa e
indicano gli atti linguistici che i parlanti sono autorizzati o sono obbligati
a eseguire nei vari stadi della discussione critica (vedi van Eemeren e
Grootendorst 2004: 56, 135-137). Per scopi pratici esse sono riformulate
in «un codice di condotta per interlocutori ragionevoli» (a code of
conduct for reasonable discussants) consistente in dieci richieste-base,
dette i «dieci comandamenti» (ten commandments), le quali sono soltanto
proibizioni di mosse argomentative che in un’interazione comunicativa
ostacolerebbero la risoluzione della differenza di opinione (vedi van
Eemeren e Grootendorst 2004: 190). Nella formulazione non tecnica le
regole sono:
1. Gli interlocutori non impediscano l’uno all’altro di esporre posizioni o
di mettere in dubbio posizioni. […]
2. Gli interlocutori che presentano una posizione non rifiutino di
difendere questa posizione se a loro è chiesto di difenderla. […]
3. Gli attacchi a una posizione non si riferiscano a una posizione che non
è stata realmente presentata dall’altra parte. […]
4. Le posizioni non siano difese da non-argomentazioni o da
argomentazioni che non sono rilevanti per la posizione. […]
5. Gli interlocutori non attribuiscano falsamente all’altra parte una
premessa non espressa, né disconoscano la responsabilità per le loro
premesse non espresse. […]
6. Gli interlocutori non presentino falsamente qualcosa come un punto di
partenza accettato, né neghino falsamente che qualcosa è un punto di
partenza accettato. […]
7. Il ragionamento che in un’argomentazione è presentato come
formalmente conclusivo non sia invalido in senso logico. […]
8. Le posizioni non siano considerate difese in modo conclusivo da
un’argomentazione che non è presentata come basata su un ragionamento
formalmente conclusivo se la difesa non avviene per mezzo di schemi di
argomento appropriati che sono applicati correttamente [correctly]. […]
9. Le difese inconclusive di posizioni non conducano a mantenere queste
posizioni, e le difese conclusive di posizioni non conducano a mantenere
espressioni di dubbio concernenti queste posizioni. […]
10. Gli interlocutori non usino formulazioni che sono insufficientemente
chiare o confusamente ambigue, e non fraintendano deliberatamente le
128
formulazioni dell’altra parte. […] (van Eemeren e Grootendorst 2004:
190-196, trad. mia; vedi van Eemeren et al. 2002: 182-183)
Van Eemeren e Grootendorst affermano che la proposta del modello di
discussione critica non va considerata un’utopia irraggiungibile (vedi van
Eemeren e Grootendorst 2004: 188). La sua funzione è differente:
indicando le regole per condurre una discussione critica il modello
fornisce a coloro che vogliono adempiere il ruolo di «interlocutori
ragionevoli» una serie di linee-guida ben definite che, in larga misura,
possono essere considerate identiche a norme che si vorrebbero vedere
osservate in qualsiasi caso (vedi van Eemeren e Grootendorst 2004: 188).
Le regole per la discussione critica hanno sia una funzione etica sia
una funzione normativa. Esse costituiscono la struttura fondamentale di
un’«etica dell’argomentazione» e un modello normativo alla luce del
quale è possibile valutare se e quanto una sequenza argomentativa si
allontana dal percorso che condurrebbe alla risoluzione della differenza
di opinione (vedi van Eemeren e Grootendorst 2004: 135).
4.2. Ogni violazione delle regole della discussione critica costituisce un
atto linguistico che può rendere più difficile o persino può impedire la
risoluzione di una disputa. Ogni violazione delle regole della discussione
critica è per van Eemeren e Grootendorst una fallacia (fallacy) (vedi van
Eemeren e Grootendorst 2004: 162).
Il modello della discussione critica regolata permette una rilettura del
concetto di «fallacia» in chiave pragmatica: le fallacie non sono più
considerate errori logici come nella trattazione logica standard, ma sono
ritenute «mosse inadeguate» eseguite da chi partecipa a uno scambio
argomentativo (deficient moves in argumentative discourse) (vedi van
Eemeren 2001: 135; van Eemeren e Grootendorst 2004: 158). Mentre i
logici formali considerano la validità di un argomento in relazione alla
129
sua struttura logica e indipendentemente da ogni proferimento concreto, i
teorici della pragma-dialettica considerano la validità di un argomento in
relazione all’esecuzione dell’atto linguistico di argomentazione.
Van Eemeren e Grootendorst mettono in evidenza che la definizione
logico-centrica di fallacia come «argomento che sembra valido ma che di
fatto è invalido» (van Eemeren e Grootendorst 2004: 160, trad. mia) è
fonte di numerosi problemi. La maggior parte delle fallacie è
incompatibile con tale definizione o perché la fallacia non è un
argomento, come nella domanda composta,20 o perché l’argomento
considerato una fallacia non è invalido secondo l’interpretazione della
logica formale, come nel ragionamento circolare,21 o perché l’esser
fallace non è dovuto all’invalidità di un argomento ma è connesso con
l’inaccettabilità di una premessa non espressa, come negli argomenti ad
verecundiam,22 ad populum23 e ad hominem.24 In questi ultimi casi
l’essere fallace è relativo al contenuto e non alla forma dell’argomento
(vedi van Eemeren e Grootendorst 2004: 158-161).
La prospettiva della pragma-dialettica permette di sviluppare una
teoria delle fallacie che dà una definizione unitaria di fallacia come
«violazione di una delle regole della procedura di discussione per
20 La fallacia della domanda composta consiste nel porre una domanda che nasconde
una seconda domanda ma pretendendo un’unica risposta. Esempio: «Hai rinunciato alla
tua cattiva condotta?» (vedi Boniolo e Vidali 2002: 104).
21 La fallacia del ragionamento circolare è un argomento che include tra le
presupposizioni la conclusione stessa, la quale spesso è una riformulazione delle
premesse in forma leggermente diversa. Esempio: «Sono sincero, perciò dico la verità»
(vedi Boniolo e Vidali 2002: 112). L’argomento «A, dunque A» è un argomento di
forma valida nella logica formale (vedi van Eemeren e Grootendorst 2004: 176).
22 L’argumentum ad verecundiam consiste nel far ricorso a un parere autorevole a
sostegno di una tesi, invocando un’autorità non riconosciuta da entrambe le parti o la
cui autorevolezza riguarda un ambito diverso da quello della discussione (vedi Boniolo
e Vidali 2002: 114).
23 L’argumentum ad populum consiste nel sostenere la verità o la falsità di un
enunciato facendo appello al sentimento popolare (vedi Boniolo e Vidali 2002: 115).
24 L’argumentum ad hominem o ad personam consiste nel demolire un’asserzione
attaccando colui che l’ha formulata invece di fare un’analisi razionale dell’asserzione
stessa (vedi Boniolo e Vidali 2002: 115-116).
130
condurre una discussione critica» (van Eemeren e Grootendorst 2004:
175, trad. mia) e permette un’analisi sistematica e una riclassificazione
delle fallacie in relazione al tipo di regola infranta e alla posizione di
protagonista o di antagonista di chi commette l’infrazione. Quest’analisi
consente di classificare tutte le fallacie note alla tradizione e di indicarne
anche alcune nuove (vedi van Eemeren e Grootendorst 2004: 162-180;
van Eemeren et al. 2002: 183-186).
Secondo questa prospettiva, le fallacie non sono «errori assoluti» che
possono essere attribuiti agli interlocutori da un analista che penetra
l’«essenza» della ragionevolezza, ma sono mosse non costruttive o anche
distruttive in un discorso o testo argomentativo, perché sono violazioni di
un sistema definito di regole per la risoluzione delle differenze di
opinione che è accettato dagli interlocutori. Una fallacia è tale solo in
relazione a un modello normativo di discussione critica e solo per gli
interlocutori che accettano tale modello (vedi van Eemeren e
Grootendorst 2004: 175).
Ecco alcuni esempi dell’approccio pragma-dialettico alle fallacie. La
regola n. 1, che proibisce a ogni interlocutore di impedire all’avversario
di esporre le proprie posizioni o di criticare le posizioni altrui, può essere
violata sia dal protagonista sia dall’antagonista. Un interlocutore può
violare la regola o dichiarando sacrosante le proprie posizioni o
escludendo dalla discussione alcune posizioni o ancora negando all’altro
interlocutore il diritto di presentare posizioni e di criticare le posizioni
altrui. Queste violazioni possono essere realizzate facendo pressione
sull’avversario con minacce di sanzioni o facendo leva sui suoi
sentimenti o anche discreditando le sue competenze, la sua equità, la sua
integrità e la sua credibilità. Nel primo caso si dà luogo alla fallacia
dell’argumentum ad baculum, nel secondo caso si dà luogo alla fallacia
dell’argumentum ad misericordiam e nel terzo caso si dà luogo a fallacie
del tipo argumentum ad hominem (vedi van Eemeren e Grootendorst
131
1995: 137). Usando il modello di analisi della discussione critica, la
fallacia della domanda composta e la fallacia del ragionamento circolare
appaiono violazioni della regola n. 6 che proibisce agli interlocutori di
presentare falsamente qualcosa come un punto di partenza accettato.
Nella fallacia della domanda composta il protagonista fa un uso
ingannevole di presupposizioni nel porre una domanda, nella fallacia del
ragionamento circolare il protagonista usa una premessa che equivale
alla posizione che vuole difendere (vedi van Eemeren e Grootendorst
1995: 138).
Un altro aspetto rilevante dell’analisi pragma-dialettica delle fallacie è
la focalizzazione del ruolo dell’implicito nella loro produzione. Van
Eemeren e Grootendorst affermano che
l’essere implicito [implicitness] può giocare un ruolo importante in
diverse fallacie. L’essere implicito può avere rapporto con la forza
comunicativa di una posizione (argumentum ad baculum e argumentum
ad hominem), con il contenuto (ragionamento circolare e ragionamento
invalido) o con entrambi (fallacia dell’uomo di paglia25 e argumentum ad
ignorantiam26). Alcune volte, l’essere implicito è un fenomeno
accessorio (argumentum ad baculum); alcune volte è una condizione
importante (uomo di paglia) o anche una condizione necessaria
(distorcere una premessa inespressa) per la produzione di una fallacia.
(van Eemeren e Grootendorst 2004: 182, trad. mia)
Tuttavia, secondo i teorici della pragma-dialettica, il ruolo che l’essere
implicito gioca nella produzione delle fallacie non comporta per coloro
che vogliono intraprendere una discussione critica l’obbligo di esprimersi
sempre esplicitamente. Essi ritengono che
25 La fallacia dell’uomo di paglia consiste nell’attaccare un soggetto diverso o più
debole di quello che si dovrebbe attaccare (vedi Boniolo e Vidali 2002: 106).
26 L’argumentum ad ignorantiam consiste nell’asserire che finché una cosa non è
stata dimostrata falsa è vera o che finché una cosa non è stata dimostrata vera è falsa
(vedi Boniolo e Vidali 2002: 104).
132
gli interlocutori sono responsabili congiuntamente del conseguimento
della comprensione reciproca. Conseguire questa comprensione non
significa nella maggior parte dei casi che il parlante o lo scrivente deve
essere completamente esplicito. Né significa che è sufficiente essere
chiaro: gli interlocutori devono anche cercare di comprendere gli atti
linguistici degli altri tanto bene quanto possono. (van Eemeren e
Grootendorst 2004: 183, trad. mia)
Secondo la regola n. 10, agli interlocutori è vietato soltanto di usare
formulazioni che sono insufficientemente chiare o confusamente
ambigue e di fraintendere deliberatamente le formulazioni dell’altra parte
(vedi van Eemeren e Grootendorst 2004: 196). Sono requisiti questi che
seguono dal Principio di Comunicazione che si applica a tutte le forme
della comunicazione ordinaria (vedi van Eemeren e Grootendorst 2004:
183).
Van Eemeren e Grootendorst osservano che «è del tutto normale che
cose di ogni specie restino implicite nel linguaggio ordinario o che le
intenzioni siano trasmesse indirettamente» (van Eemeren e Grootendorst
2004: 183, trad. mia). Essi sottolineano il ruolo della conoscenza di
sfondo nel rendere facile accertare che cosa è inteso (is intended) dal
parlante o - meglio - può essere considerato inteso dal parlante in
relazione a un contesto e a una situazione particolari (vedi van Eemeren e
Grootendorst 2004: 183).
Da notare che, sebbene van Eemeren e Grootendorst abbiano
affermato che nella prospettiva pragma-dialettica siano di primaria
importanza non le disposizioni psicologiche del parlante ma le posizioni
che egli esprime o proietta nei suoi atti linguistici e che costituiscono i
suoi impegni pubblici (public commitments) (vedi van Eemeren e
Grootendorst 2004: 54-55), qui essi parlano di «intenzioni» (intentions)
del parlante. È un problema se si deve ritenere che ci sia una
contraddizione nella riflessione dei teorici della pragma-dialettica
relativamente alla considerazione delle disposizioni psicologiche del
133
parlante, oppure se si deve intendere che ciò che essi chiamano
l’«esternalizzazione degli impegni pubblici del parlante» equivalga
all’attribuzione di determinate intenzioni al parlante.
Van Eemeren e Grootendorst affermano che se il parlante,
generalmente facendo affidamento sulla conoscenza di sfondo, riesce a
trasmettere le sue intenzioni, si deve ritenere che le formulazioni che egli
usa sono abbastanza chiare per l’ascoltatore. Tuttavia, il parlante può
anche sbagliarsi sull’uso della conoscenza di sfondo, così come
l’ascoltatore può fare la connessione sbagliata fra il contesto o la
situazione e le parole del parlante e quindi può fraintendere il parlante
(vedi van Eemeren e Grootendorst 2004: 183).
Una delle conseguenze dell’uso del linguaggio per comunicare
impliciti in un discorso argomentativo è, secondo van Eemeren e
Grootendorst, che l’identificazione di una possibile fallacia, di solito, ha
carattere condizionale, ossia è una «questione di interpretazione» (vedi
van Eemeren e Grootendorst 2004: 184). Un parlante accusato di una
fallacia può sempre negare di aver violato una regola di discussione, può
dire che l’interpretazione che è stata data di ciò che lui ha detto non
corrisponde alla sua intenzione. Questo comporta che un interlocutore
deve dare una giustificazione delle interpretazioni che fornisce delle
mosse argomentative del parlante, egli - dicono van Eemeren e
Grootendorst - può sostenere la presenza di una fallacia solo se la sua
interpretazione è «solidamente giustificata», ossia se egli mostra a che
cosa il parlante può essere ritenuto vincolato in un contesto e in una
situazione particolari (vedi van Eemeren e Grootendorst 2004: 184).
Secondo la prospettiva della teoria pragma-dialettica il processo di
identificazione di una fallacia è un processo razionale di interpretazione
di un significato implicito nel quale l’ascoltatore può giustificare la sua
interpretazione del comportamento del parlante sia con riferimento alle
norme del Principio di Comunicazione, sia con riferimento al codice di
134
condotta per interlocutori ragionevoli. Il riferimento alle norme del
Principio di Comunicazione consente di identificare gli impegni del
parlante in base a ciò che ha detto, il riferimento al codice di condotta per
interlocutori ragionevoli consente di valutare la correttezza del
comportamento del parlante nella situazione discorsiva particolare.
5. Considerazioni conclusive
La teoria pragma-dialettica dell’argomentazione riesce a fornire
strumenti nuovi per l’analisi e per la valutazione della ragionevolezza dei
testi argomentativi. Il problema che essa pone è perché ricondurre ogni
tipo di argomentazione ordinaria all’unico modello di razionalità della
discussione critica. È un problema di non secondaria importanza, giacché
gli usi ordinari dell’argomentazione non hanno luogo solo nei contesti
dialettici, ma anche nei contesti retorici, nei quali l’obiettivo
dell’argomentazione non è la risoluzione di una differenza di opinione
ma la persuasione dell’uditorio.
Il problema è stato colto dai teorici della pragma-dialettica, i quali
negli ultimi anni lavorano a integrare considerazioni retoriche nel quadro
di riferimento dell’analisi pragma-dialettica dell’argomentazione (vedi
van Eemeren e Houtlosser 1999; 2005; van Eemeren 2007).27 Essi
affermano:
a ogni stadio del processo di risoluzione [di una differenza di opinione] si
può presumere che le parti si attengano all’obiettivo dialettico dello
stadio pertinente, senza tuttavia rinunciare a cercare il risultato retorico
ottimale a quel punto della discussione. (van Eemeren e Houtlosser 2005:
130-131)
27 Tale lavoro è sviluppato da van Eemeren e dal suo collaboratore Houtlosser.
Grootendorst è scomparso nel 2000.
135
L’equilibrio fra l’obiettivo dialettico di risolvere una differenza di
opinione e l’obiettivo retorico di fare accettare la propria posizione è
raggiunto - dicono van Eemeren e Houtlosser - attraverso l’«operare
strategico» (strategic maneuvering),28 un operare attraverso il quale
ciascuna delle parti seleziona il materiale che le è più conveniente a un
certo stadio della discussione, adotta la prospettiva più gradita al
pubblico e sceglie i mezzi di presentazione più efficaci, senza
abbandonare le regole della discussione critica (vedi van Eemeren e
Houtlosser 2002: 142; 2005: 131-132; van Eemeren 2007: 378).
Tuttavia, il tentativo di perseguire l’equilibrio tra l’obiettivo dialettico
e l’obiettivo retorico nella risoluzione di una differenza di opinione non è
esente da contraddizioni: quando una parte usa una procedura strategica
tale che il suo impegno a uno scambio ragionevole di mosse
argomentative è sopraffatto dall’obiettivo di persuadere l’antagonista si
ha un «deragliamento» (derailment) dell’operare strategico che è
condannabile per essere fallace (vedi van Eemeren e Houtlosser 2002:
142). In tale prospettiva le fallacie sono considerate «deragliamenti
dell’operare strategico» (derailments of strategic maneuvering) (vedi van
Eemeren e Houtlosser 2002: 142), deragliamenti dal perseguimento
dell’obiettivo della risoluzione ragionevole di una differenza di opinione.
Il problema che questa prospettiva pone è quello di individuare i
criteri per identificare le fallacie come deragliamenti dell’operare
strategico, criteri che, secondo van Eemeren e Houtlosser, consentano di
decidere a ogni stadio della discussione in quale punto esatto un certo
operare viola una regola di discussione (vedi van Eemeren e Houtlosser
2005: 132). La risoluzione del problema richiede una descrizione chiara
28 A. de Lachenal traduce l’espressione strategic maneuvering «mossa strategica»
(vedi van Eemeren e Houtlosser 2005: 112). Mi sembra preferibile la traduzione
«operare strategico» perché l’espressione maneuvering è un gerundio e perciò indica
un’attività.
136
dello scopo e della forma dei vari tipi di operare strategico ai diversi stadi
della discussione critica. È la ricerca nella quale sono impegnati
attualmente van Eemeren e Houtlosser (vedi van Eemeren e Houtlosser
2005: 132; van Eemeren 2007: 378-379).
Di fatto, il tentativo di integrare spunti provenienti dalla retorica nella
cornice pragma-dialettica della discussione critica non sembra essere
un’alternativa allo studio dell’argomentazione secondo il modello di
razionalità della discussione critica: l’obiettivo retorico
dell’argomentazione è considerato subordinato all’obiettivo della
risoluzione di una differenza di opinione in una discussione critica. La
razionalità dell’uso retorico dell’argomentazione non è valutata in
rapporto al raggiungimento dell’obiettivo della persuasione di un
pubblico a condividere una posizione, ma in rapporto all’obiettivo della
risoluzione di una differenza di opinione in una discussione critica. La
discussione critica costituisce, così, per i teorici della pragma-dialettica
l’unico ideale di razionalità per ogni uso dell’argomentazione

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