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Tuesday, July 12, 2011

Grisotto

Luigi Speranza

Un fatto frequentemente trascurato dai logici di impostazione
matematica è che nelle inferenze non dimostrative - nelle
inferenze in cui cioè la conclusione non è logicamente implicata
dalle premesse- interviene frequentemente un elemento di scelta,
anche se questo processo è governato da automatismi che il
soggetto stesso difficilmente è in grado di ricostruire razionalmente.

Il ragionamento induttivo è il tipo di ragionamento non
dimostrativo più studiato e prende varie forme. La forma
logicamente più semplice è quella della eduzione o instance
confirmation:

1)

Tutti i corvi osservati sono neri à il prossimo corvo è nero
Qui si può sostenere che nell’insieme formato dalla coppia {il
prossimo corvo è nero, il prossimo corvo non è nero} si trovano due
proposizioni che sono ambedue compatibili con la premessa ma
incompatibili fra loro, ragione per cui la conclusione “corretta” si
ottiene operando una scelta tra conclusioni incompatibili. Ma
supponiamo di accettare una premessa soppressa che è il principio di
Uniformità della Natura o qualcuna delle sue numerose varianti.
Questo principio, come è noto, asserisce che i fenomeni si
presentano in modo uniforme sia sull’asse spaziale che su quello
temporale (nella versione humeana: il futuro assomiglia al passato).
Stando così le cose, scegliere la conclusione “il pro ssimo corvo non
è nero” significa creare una contraddizione con l’antecedente
“Tutti i corvi osservati sono neri” congiunto con il Principio di
Uniformità della Natura. Per questo motivo accettare il principio di
Uniformità della Natura come premessa sottintesa significa
escludere automaticamente le conclusioni che sono induttivamente
scorrette.

Secondo un’autorevole scuola di pensiero (Johnson - Keynes) in
effetti ogni ragionamento induttivo non è altro che un ragionamento
deduttivo ellittico in cui la premessa maggiore - il Principio di
Uniformità della Natura o suoi equivalenti - gioca il ruolo di
antecedente sottinteso. Per amor di discussione accetteremo in ciò
che segue il punto di vista “deduttivista” sopra delineato (anche se
carico di difficoltà ben note ai filosofi) , e cioè il primato sostanziale
della logica deduttiva. Questo ci consente di evidenziare come un
elemento di scelta entri in effetti in un vasto numero di inferenze
non dimostrative diverse da quella induttiva.
Per fare un esempio, esaminiamo queste proposizioni che
conseguono da 1)
2)Tutti i corvi osservati sono neri à il prossimo corvo è nero o
grigio
3) Tutti i corvi osservati sono neri à il prossimo corvo è nero o
caricato elettricamente
Dal momento che “x è nero” implica logicamente “x è nero o A”,
dove A è una qualsivoglia proposizione, ciascuna delle proposizioni
1),2),3) è logicamente legittima e tutte e tre sono compatibili tra
loro. Ma è certo che nessuno, in una situazione conversazionale
normale, le pronuncerebbe, e soprattutto è certo che tra esse
opererebbe una scelta in base a qualche criterio di selezione più o
meno inconscio.
Questi criteri che reggono la conversazione sono stati studiati da
Grice in Logic and Conversation e codificati in due massime:
1) Make your contribution as informative as required
2) Do not make your contribution more informative as required.
Prese in congiunzione, le due massime di Grice ci dicono in sostanza
che bisogna introdurre esattamente la quantità di informazione
richiesta dal contesto conversazionale, evitando la
sovrainformatività (informazione ridondante, che può causare
equivoci e fraintendimenti) e la subinformatività (informazione
mancante).
In effetti le massime di Grice sono applicabili non solo alla
conversazione ma all’indagine scientifica stessa. In contrasto con
l’orientamento postpositivista, è plausibile richiedere che tra le
massime di comportano che guidano la ricerca compaiano le
seguenti:
(i) in assenza di conflitti cognitivi, si introduca il massimo di
informazione rilevante per le risposte a cui tende la ricerca
(ii) in caso di conflitti cognitivi, si risolva il conflitto con la minima
perdita di informazione.
Possiamo chiamare il primo criterio criterio di razionalità, il
secondo criterio di ragionevolezza. Naturalmente è difficile trattare
formalmente la grandezza informazione o contenuto informativo.
Per i nostri scopi è sufficiente osservare che
a)Se A implica logicamente B, il contenuto informativo di B è
minore o uguale a quello di A
b)Il contenuto informativo di A e B è maggiore di quello di A e di
quello di B
c)Il contenuto informativo di A o B è minore di quello di A e
quello di B.
d) Il contenuto informativo di una legge di natura è superiore a
quello di una generalizzazione vera
e) Il contenuto informativo di una generalizzazione vera è superiore
al contenuto informativo di fatti singolari.
La cosa meno ovvia è scoprire che l’applicazione delle massime
(i) e (ii) interviene in quel aprticolare tipo di ragionamento che è il
ragionamento controfattuale. Qui il conflitto cognitivo è generato
dal conflitto tra l’ipotesi controfattuale e il conteso di
presupposizioni, conflitto che impone la scelta tra due conclusioni
incompatibili. Per fare un esempio, i due seguenti controfattuali sono
ambedue logicamente corretti:
*) Se Socrate fosse un leone, avrebbe la coda
**) Se Socrate fosse un leone, sarebbe un leone senza coda
Le premesse sottintese sono “Socrate non è un leone”, “Socrate
non ha la coda”, “Tutti i leoni hanno la coda”. Ora non c’ è dubbio
che **) sia il condizionale con un conseguente “preferibile”, anzi
normalmente preferito per un automatismo inferenziale. Ma la scelta
di **) è in effetti una conseguenza del criterio di ragionevolezza .
L’enunciato **) implica che è falsa la legge “tutti i leoni hanno la
coda” salvando il fatto singolare “Socrate è senza coda”, mentre il
converso vale per *). Dunque *) comporta un sacrificio di
informazione superiore a quello di **), e scegliere **) significa
risolvere il conflitto cognitivo violando il criterio di ragionevolezza.
Se è vero - come è vero- che ogni controfattuale vero comporta
l’impiego di almeno una legge di natura come premessa sottintesa,
allora in effetti nell’ asserzione di un controfattuale vero interviene
questo elemento di scelta inconsapevole.
Possiamo definire il nesso consequenziale (rilevanza
consequenziale) come il rapporto tra un antecedente e un
conseguente scelto nel modo visto, cioè scelto nel rispetto del
criterio di ragionevolezza. Un controfattuale si può considerare vero
quando sussiste tale nesso consequenziale, e falso in caso contrario.
Ci sono esempi, come la coppia di controfattuali incompatibili
Bizet-Verdi resa popolare da Quine, in cui sembra che una scelta sia
impossibile. Trattandosi di un caso di parità ne segue che è assente
un nesso consequenziale, e quindi che i controfattuali sono
ambedue falsi.
2.Veniamo ora al ragionamento causale, che è quello che più
interessa più da vicino non solo la ricerca scientifica ma l’attività
processuale. Qui il discorso si lega strettamente a quello sviluppato
nel paragrafo precedente in quanto, secondo le vedute
epistemologiche più recenti, ogni asserto causale implica (ma non è
necessariamente implicata da) un condizionale controfattuale. Come
è chiaro, in questo modo si riabilita la c.d. formula della condicio e
la teoria della causa come conditio sine qua non.
Certo nessuno vuole sottovalutare le difficoltà che venivano
addebitate alla teoria della conditio sine qua non, principalmente i
fenomeni della sovradeterminazione e del sopravanzamento
(interruzione del nesso causale).
Alcune delle difficoltà a cui si ritiene vada incontro questa teoria
possono essere risolte con un’analisi strettamente logica dei
condizionali, in particolare osservando che nessuna regola vieta la
presenza di antecedenti “incassati” uno nell’altro. Gli asserti causali
esprimenti sovradeteminazione(esempio paradigmatico: due killers
che sparano simultaneamente due corpi mortali contro una stessa
vittima) siamo di fronte a condizionali con antecedenti iterati. P.es:
x)Se il primo killer non avesse sparato allora, se il secondo non
avesse sparato, la vittima non sarebbe morta.
In questo caso diciamo che siamo di fronte a una relazione causale
triadica, che possiamo definire di “concorrenza causale” (a è causa
concorrente insieme a b per c). Tale relazione sussiste anche se i
controfattuali semplici coinvolti possono risultare falsi.
Qui già vediamo che c’è una differenza tra causa semplice e causa
concorrente. Ci troviamo di fronte a un dato che la teoria
tradizionale aveva sfiorato ma non valutato appieno, la presenza cioè
di un numero illimitatamente ampio di nozioni causali di diversa
forza e di diverso grado di complessità. Il loro nucleo è dato dai
condizionali controfattuali, ma normalmente gli asserti causali
esprimono qualcosa di più di questo.
La teoria tradizionale veniva chiamato teoria dell’equivalenza per
il fatto che in virtù di essa ogni condizione necessaria assume il
ruolo di causa. Ma naturalmente non tutte le condizioni necessarie
sono cause allo stesso titolo, e qui si apre il problema di come
assegnare ad esse un peso. Per fare un esempio, tra gli infiniti
controfattuali veri con conseguente uguale a quello di (**) infatti si
ha
***)Se la vittima non fosse nata non sarebbe morta.
In alcuni contesti strampalati ***) potrebbe anche ricevere un
senso causale, ma non è di solito oggetto di asserzione. Essa
asserisce un nesso, che chiameremo di rilevanza causale, tra un fatto
e un altro fatto, ma manca di dire qualcosa sul rapporto tra i due
fatti in questione. Si osservi che la nascita si può considerare causa
della morte della vittima, ma non aiuta a spiegare la morte della
vittima stessa. Dunque i giudizi causali interessanti asseriscono o
negano qualcosa circa i nessi esplicativi tra causa ed effetto (in una
direzione o nell’altra). Essi trasmettono informazione esplicativa
positiva o negativa. Le relazioni causali sono dunque ponderabili in
dipendenza dell’ informazione esplicativa positiva che trasmettono.
Spiegare, intuitivamente, significa ridurre il valore di sorpresa
dell’explanandum. Nei casi migliori, significa mostrare la sua
inevitabilità rispetto all’explananans . Una conseguenza di questa
considerazione è la seguente.
Se A dà informazione esplicativa su B, tale informatività è
inversamente proporzionale al numero di fattori noti A’,A”,
A”’…che danno pure informazione esplicativa su B. Può accadere
infatti che l’evento-effetto B risulti altamente probabile, o addirittura
inevitabile, in virtù della conoscenza di A’, A” ecc.
indipendentemente dalla causa A. In tal caso il suo valore di
sorpresa in presenza di questi fattori è già molto basso, e quindi la
conoscenza supplementare di A non può ridurlo ulteriormente. Nel
caso della sovradeterminazione causale questo risulta abbastanza
evidente. Tornando al caso dei killers, per esempio, è evidente che il
grado di sorpresa dell’effetto data ciascuna delle cause
singolarmente prese è fortemente ridotto dalla conoscenza
dell’informazione di sfondo, che comprende il fatto che un altro
killer ha sparato un colpo mortale. Se A’e A” sono cause
concorrenti per C allora il ruolo esplicativo di A’ e A”
singolarmente prese è basso e la relazione causale in cui ambedue
entrano riduce l ‘importanza della relazione causale in cui si trovano.
Lo stesso vale quando A’ è una causa che anticipa o ritarda il
verificarsi di un evento C che comunque dovrebbe comunque
verificarsi per causa di qualche altro evento indipendente da A’.
Ogni nozione causale descrive una relazione causale, e
naturalmente la ricerca scientifica mira a individuare le relazioni
causali descritte da nozioni causali con alto contenuto informativo.
Dal punto di vista logico , se A C B indica che A è causalmente
rilevante per B (dove B può essere a sua volta un condizionale
controfattuale)
A C B & g
è la forma che prendono gli enunciati causali, dove g è una
enunciato aggiunto esprimente informazione esplicativa .
Una delle nozioni causali più forti è quella di causa determinante.
Supponiamo di sapere non solo che A è conditio sine qua di A per
B (rilevanza causale) ma anche che, nelle date condizioni, A rende
prevedibile B. In termini hempeliani, A è un fattore che entra nella
spiegazione di B:
ACB & (A > B) .
Una nozione causale ancora più forte sarebbe data da
ACB & (A > B) & (B > A).
Non è detto che ci sia un nome pronto per ogni relazione causale
formalmente definibile: questa potremmo chiamarla causa
univocamente determinante. Per esempio possiamo dire che il fuoco
è causa univocamente determinante del fumo (dal fuoco si inferisce
il fumo e anche viceversa). Qui ci avviciniamo alla nozione causale
più forte, quella di essere la causa (cioè , si direbbe, l’unica causa
univocamente determinante ).
Il condizionale B >A è un condizionale abduttivo, cioè asserisce
l’inferibilità della causa dall’effetto. In tal modo si asserisce che c’è
una corrispondenza biunivoca tra causa ed effetto. Una catena di
cause di questo tipo costituisce un processo completamente
deterministico. Esempi di processi causali di processi deterministici
sono i processi di sviluppo degli organismi.
3. Ciò che si scopre a questo punto che c’è un’ ambivalenza nel
concetto di informatività. In un senso, la nozione di informatività è
implicata col concetto di determinazione; in un altro senso, con il
concetto di grado di sorpresa. Come abbiamo visto, una
congiunzione è in genere più informativa dei congiunti
singolarmente presi; e il predicato “rosso e scarlatto” (che equivale
a scarlatto”) è più informativo di “rosso” per essere più
determinato di questo. Per questo motivo, una nozione causale è
più informativa quanto più esprime informazione esplicativa
positiva, e quindi quanto più ciascun anello della catena causale ha
dei vincoli con il precedente o il successivo. Come abbiamo visto,
l’ informatività esplicativa riduce il grado di sorpresa dell’
explanandum rispetto all’explanans. Nel caso dell’inferenza
abduttiva l’explanandum è la causa, non l’effetto. Ora ciò che
emerge è che le scoperte causali più interessanti sono quelle in cui
le cause individuate sono meno banali, e quindi più sorprendenti
dato l’effetto.
Facciamo l’esempio di un incidente ferroviario. Esaminiamo
due controfattuali veri
1) se il treno non fosse partito non ci sarebbe stato l’incidente (non-
C1 > non-E)
2) se il treno non avesse accelerato nell’ultima curva non ci
sarebbe stato l’incidente. (non-C2 > non-E)
Tanto l’accelerazione in curva che la partenza sono cause di E, ma
come è chiaro, la prima è molto meno interessante della seconda.
Conoscendo che il treno ha avuto un incidente, il valore di sorpresa
del fatto che ha accelerato in curva è molto più alto del fatto che si è
mosso dalla stazione. Si noti che nel caso dell’esempio mentre vale
E>C1, non vale E > C2 ,anzi vale non (E > C2).
Come abbiamo visto, il criterio di razionalità/ragionevolezza ci
impone di scegliere la conclusione maggiormente informativa o
(nel caso dei controfattuali) che conserva il massimo di
informazione. Questo stesso principio ora si può applicare anche al
problema non della scelta delle conclusioni ma della scelta da
operre entro un dominio di cause. Stiamo presupponendo
naturalmente che l’indagine si concretizzi in un insieme di domande
chiaramente formulate che una di queste sia: “Quali sono le cause
dell’evento E ?” e la riposta si può dare applicando, in forma nuova,
il principio di Grice:
“Dato un certo numero di cause accertate C1,C2,C3….Cn
dell’effetto E, si scelga quella/quelle che hanno il massimo grado di
informatività causale”
E’ interessante notare che una nozione causale molto forte
ingloberà nell’ enunciato supplementare il condizionale abduttivo E
>C. Ma in questo caso il valore di sorpresa della causa dato l’effetto
è bassissimo, ragione per cui la pregnanza causale è bassa. Siamo di
fronte a un rapporto in un certo senso paradossale tra informatività
esplicativa e informatività causale. Se una nozione causale ha
un’informatività esplicativa molto forte, è difficile che il rapporto
che descrive sia causalmente informativo. (La tensione tra la scelta
di ipotesi probabili ma poco informative e ipotesi improbabili ma
molto informative è un problema dibattuto nell'’pistemologia
popperiana e post-popperiana).
Un evento può essere inevitabile rispetto alla causa o inevitabile
rispetto all’effetto, o anche tale nelle due direzioni. Questa
inevitabilità, tipica dei processi deterministici, rende poco
interessante non la relazione causale in quanto tale ma le cause che
rietrano in esse.
3. Come abbiamo visto, i controfattuali veri presuppongono una
scelta che conserva il massimo di informatività compatibile con la
soluzione del conflitto cognitivo geenrato dall’ipotesi controfattuale.
Ciò che risulta interessante è però che dopo aver delimitato il campo
delle condizioni necessariee dobbiamo operare due altre selezioni:
1)Tra le molteplici relazioni causali individuate nell’insieme finito
di eventi conosciuti dobbiamo dare la precedenza a quelle descritte
da nozioni causali informative (con alto grado di informatività
esplicativa). Mettiamo in primo luogo le nozioni di causa
determinante, causa prossima, causa scatenante ecc. e ,
naturalmente, la nozione di “essere la causa”.
2)Tra gli eventi individuati come condizioni necessarie selezioniamo
quelli con un alto grado di pregnanza causale (con alto grado di
informatività causale).
La tensione tra 2) e 3) è di solito risolta dagli scopi che si prefigge
la ricerca. Se la ricerca mira a stabilire dei nessi causali è chiaro
che l ‘ obiettivo descritto in 1) è il più importante; ma se mira a
stabilire delle cause, è chiaro che l’obiettivo più importante è quello
esposto in 2).
I criteri di razionalità stabiliti all’inizio ci guidano anche verso
una diversa serie di considerazioni. Recentemente si è verificata una
ripresa di interesse per le teorie coerentiste della verità, sull’ onda
del trend postpositivista. In forza di questa concezione la verità di
una proposizione coincide semplicemente con la coerenza con un
insieme presupposto e accettato di credenze. Stando a questa
visione, il giudice di fronte a un insieme di dati incoerenti
(testimonianze, reports di credenza ecc.) deve semplicemente isolare
un sottoinsieme coerente di questi dati. Il compito però non è di
immediata esecuzione, in quanto i sottoinsiemi incoerenti isolabili
entro insiemi incoerenti sono normalmente diversi. Secondo Rescher
occorre fissare degli indici di “plausibilità” ai vari enunciati, ma tale
assegnazione non ha - dichiaratamente - niente di oggettivo. La
teoria dei controfattuali di Rescher è pure ispirata allo stesso criterio:
una volta fissata degli indici di plausibilità degli enunciati, si sceglie
quel sottoinsieme di premesse coerenti che massimizza il valore di
plausibilità. Tuttavia queste attribuzioni di plausibilità dipendono da
valutazioni che possono essere pragmatiche, soggettive o addirittura
arbitrarie. Viceversa, il criterio della massima informatività sopra
introdotto non è arbitrario. Un insieme incoerente di dati –come
accade nel caso dei controfattuali- il criterio di ragionevolezza dà
una guida non arbitraria per compiere una scelta delle conclusioni.
Idem per quanto riguarda le scelte delle relazioni causali e delle
cause. Naturalmente possono darsi dei casi di parità (esempio Bizet-
Verdi ) così come possono esserci diversi sottoinsiemi coerenti
con pari grado di informatività. Può quindi essere che la scelta di un
insieme a scapito di un altro alteri le imputazioni causali,
cancellando informazione essenziale al ragionamento causale. Ma i
casi di parità non sono accettabili per il criterio di ragionevolezza :
come abbiamo visto, i controfattuali prodotti nei casi di parità sono
ambedue falsi. Ma se siamo convinti che tra gli scopi distintivi dell ‘
impresa scientifica c’è l’incremento di informazione allora possiamo
sperare che l’acquisizione di nuove informazioni ci porti alla
soluzione dei casi di parità. Nel campo giudiziario, tale imperativo
si concretizza in un supplemento di indagini , e cioè con
l’acquisizione di elementi di informazione che consentano una
risoluzione non arbitraria ai casi di parità

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