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Tuesday, July 26, 2011

Grisotto

Luigi Speranza

I PRESUPPOSTI DELLA TEORIA DELLA COMUNICAZIONE DI GRICE: RAZIONALITÀ E RAGIONI

Ragionamento come attività

La teoria del significato e la teoria dell’implicatura conversazionale sono state costruite da Grice sull’assunto che il comportamento di chi conversa sia razionale, perché è diretto verso uno scopo, vale a dire è intenzionale.

«È mio scopo dichiarato […]

quello di vedere il discorrere

come un caso speciale di comportamento

finalizzato e, in effetti, razionale»

(Grice 1967, 1975, 2003: 231),

egli afferma nella seconda lezione di Logic and conversation.

Le teorie di Grice sul linguaggio sono parte di una teoria dell’essere razionale (rational being), una teoria che egli illustra in diversi passi delle sue opere, in particolare, in Aspects of reason, un’opera incompiuta pubblicata postuma nel 2001.

Nel primo capitolo di Aspects of reason Grice afferma di volersi impegnare in una o due indagini che potrebbero aiutare a chiarire la nozione di «razionalità» e osserva che se non sembra irragionevole pensare la ragione

Grazie a Marina Sbisà per le osservazioni e le critiche che sono state un valido aiuto per riscrivere alcune parti di questo lavoro.

"Logic and conversation" è il titolo delle William James Lectures tenute da Grice nella primavera del 1967 all’Università di Harvard.

Argomenti principali delle lezioni sono la teoria del significato come intenzione e la teoria dell’implicatura conversazionale.

Le lezioni diventano immediatamente celebri e circolano per anni in versione dattiloscritta.

Alcune parti appaiono in tempi diversi in riviste e in volumi miscellanei con una nota dell’autore che ne annuncia la pubblicazione integrale imminente.

Solo nel 1988 Grice licenzia per la stampa una raccolta di scritti, intitolata Studies in the way of words, comprendente due parti.

La prima parte è una versione rivista di Logic and conversation, la seconda parte contiene vari saggi su problemi di semantica e di metafisica scritti fra il 1946 e il 1988, alcuni dei quali già pubblicati.

La raccolta è edita dalla Harvard University Press nel 1989, un anno dopo la morte di Grice.

In quest’articolo nei riferimenti ai saggi di Grice, oltre l’anno di edizione del volume da cui è tratto il riferimento, è indicato anche l’anno della prima pubblicazione del saggio.

Aspects of reason raccoglie i testi delle John Locke Lectures tenute da Grice all’Università di Oxford nel 1979 sui quali torna a lavorare più volte sino agli ultimi anni della sua vita.

(reason) o razionalità (rationality) come la facoltà che si manifesta nel ragionamento (reasoning), ritiene una buon’idea chiarire la nozione di «razionalità» indagando cosa è il ragionamento (vedi Grice 2001: 5).

Una prima caratterizzazione del ragionamento è per Grice la seguente:

il ragionamento consiste nel concepire (e spesso accettare) nel pensiero o nel discorso un gruppo d’idee iniziali (proposizioni) insieme con una sequenza d’idee ciascuna delle quali è derivabile, per mezzo di un principio d’inferenza accettabile, dalle idee del gruppo che la precedono. (Grice 2001: 5, trad. mia)

È una definizione approssimativa che i logici formali limitano con due condizioni.

In primo luogo, i principi d’inferenza devono essere non empirici, cioè formalmente validi, e in secondo luogo, è necessario distinguere i vari modi di fare inferenze, è necessario distinguere le inferenze dimostrative dalle inferenze non-dimostrative e ordinare ogni modo d’inferenza secondo un sistema di principi propri (vedi Grice 2001: 5, 26).

La descrizione tradizionale del ragionamento data dai logici è ritenuta inadeguata da Grice perché trascura qualcosa che è d’importanza cruciale.

Essa trascura la concezione del ragionamento come un’attività (activity), come qualcosa con obiettivi e scopi (something with goals and purposes), vale a dire trascura la connessione del ragionamento con la volontà (will) (vedi Grice 2001: 16).

I logici hanno descritto il ragionare come una pura operazione del pensiero o del discorso.

Grice evidenzia, invece, che il ragionamento non è un’operazione impersonale:

applicazioni meccaniche di regole d’inferenza non possono essere chiamate «ragionamento», né possono essere chiamate «ragionamento» sequenze d’enunciati imitate a pappagallo, sebbene le stesse sequenze possano essere ragionamento in un contesto nel quale non sono imitate ma sono prodotte appositamente con uno scopo particolare (vedi Grice 2001: 16).

Il ragionamento, secondo Grice, è attività finalizzata (purposive activity) di un soggetto, attività rivolta a problemi: problemi piccoli, problemi grandi, problemi con problemi, problemi chiari, problemi confusi, problemi pratici, problemi intellettuali, ma problemi.

Scopo del ragionamento è la risoluzione di problemi.

Un mero flusso d’idee, non rivolto a qualcosa, non può essere ritenuto ragionamento anche se rispetta le regole logiche (vedi Grice 2001: 16, 27).

Sfondo alla teoria griciana del ragionamento è la teoria intenzionale dell’azione dell’essere razionale illustrata nel saggio «Meaning revisited»: punto di partenza dell’azione dell’essere razionale è un insieme di credenze relative al contesto fisico (physical situation) nel quale si trova, secondo momento è la volontà di agire verso una meta e momento finale è la realizzazione dell’agire verso la meta se non ci sono ostacoli che lo impediscono (vedi Grice 1982, 1993: 285).

L’azione è descritta da Grice come espressione di una razionalità di tipo strumentale.

Essa è un mezzo per raggiungere uno scopo.

Ed espressione di razionalità strumentale sono anche il discorrere e il ragionare come casi particolari di azione.

Grice presenta un approccio pragmatico al ragionamento, che è un approccio alternativo nel panorama degli studi logico-formali sul ragionamento prevalenti nel ventesimo secolo (vedi Walton 1990: 418).

Oggetto della riflessione di Grice è il ragionamento informale, il ragionamento che occorre nei contesti d’uso, negli argomenti della vita d’ogni giorno.

Egli riprende e approfondisce nella cornice teorica dell’agire intenzionale quella prospettiva di studio dell’uso del ragionamento negli argomenti iniziata da Aristotele nei Topici e negli Elenchi Sofistici, in seguito abbandonata dalla tradizione occidentale a favore dello studio esclusivamente logico-formale del ragionamento.

Grice non dà una definizione di ragionamento informale, ma indica le condizioni nelle quali ritiene possibile affermare che qualcuno ragiona in modo informale.

x ragiona (informalmente) da A a B proprio nel caso x pensa A e intende [intends] che, nel pensare B, egli stia pensando qualcosa che sarebbe la conclusione di un argomento formalmente valido le premesse del quale sono un’integrazione di A.

Questo differirà dal semplice pensare che c’è qualche integrazione formalmente valida di un passaggio da A a B, che non mi sono sentito propenso a considerare ragionamento. (Grice 2001: 16-17, trad. mia)

Aspetto nodale di tale descrizione delle condizioni nelle quali un soggetto svolge un ragionamento informale è il riferimento ai criteri formali di validità del ragionare.

Secondo Grice, chi svolge un ragionamento informale intende che il ragionamento si conformi a criteri formali di validità, ma ciò non significa che ogni ragionamento informale rispetti tali criteri.

Una sequenza di osservazioni concatenate è ragionamento se è ritenuta rispondere a criteri formali di validità da chi ragiona.

Ciò comporta che possono essere ritenute ragionamenti anche osservazioni svolte facendo un uso errato di principi formalmente validi, perché chi sviluppa quelle osservazioni suppone, anche se erroneamente, che esse si conformino a principi validi (vedi Grice 2001: 6-7).

La validità formale - precisa Grice - non è una caratteristica propria di ogni ragionamento informale, è piuttosto «qualcosa» che noi, come esseri che ragionano, vogliamo realizzare, vale a dire è uno stato ideale al quale tendono i nostri ragionamenti (vedi Grice 2001: 7).

L’ipotesi di carattere generale che Grice intende sostenere e che considera di gran valore sviluppare è che la differenziazione e la sistematizzazione di principi d’inferenza accettabili ci forniscono un modello o piuttosto, forse, un insieme infinito di modelli con riferimento ai quali possiamo comprendere i ragionamenti reali (una costruzione ideale alla quale i ragionamenti reali si avvicinano). (Grice 2001: 7, trad. mia) 197

È un tratto costante della riflessione di Grice indicare dei limiti ideali con riferimento ai quali valutare le situazioni reali.

Analoghe considerazioni egli fa a proposito del regresso infinito d’intenzioni nella definizione del significato del parlante, dell’uso delle parole «circolare» (circular) e «conoscenza» (knowledge) e della formulazione del Principio di Cooperazione e delle massime (vedi Grice 1982, 1993: 301-304; 1975, 2003: 232).

È un modello d’analisi che egli ritiene d’aver ereditato da Platone (vedi Grice 1982, 1993: 304).

I modelli di ragionamento ideale sono ritenuti da Grice nello stesso tempo modelli analitici, modelli esplicativi e modelli normativi.

Essi delineano la struttura delle sequenze di ragionamento, descrivono le procedure di ragionamento e danno schemi dei modi nei quali il ragionamento deve procedere (vedi Grice 2001: 8).

L’approccio di Grice al ragionamento è volto a superare quella contrapposizione tra studio formale e studio informale del ragionamento correntemente sostenuta sia da logici formali sia da logici informali, evidenziando che la considerazione del ragionamento come attività di un soggetto finalizzata alla soluzione di problemi non è indipendente dalla considerazione degli aspetti formali del ragionamento stesso.

Ciò che Grice non chiarisce è in quale misura la maggiore o minore approssimazione del ragionamento informale ai modelli formali condizioni il conseguimento dello scopo al quale il ragionamento è diretto.

L’idea che il cattivo ragionamento (bad reasoning) adopera male gli stessi principi inferenziali del buon ragionamento (good reasoning) induce Grice a sostenere che il concetto di ragionamento si potrebbe chiamare «paradigmatico per valore» (value-paradigmatic) (vedi Grice 2001: 35) o «orientato al valore» (value-oriented) (vedi Grice 1986: 83).

La nozione di «ragionamento», secondo Grice, fa riferimento all’idea di «buon ragionamento», cioè alla nozione di ragionamento formalmente valido (vedi Grice 2001: 6).

Egli osserva:

per spiegare cosa è ragionamento (e forse cosa significa il termine «ragionamento») è necessario in prima istanza specificare cosa è un buon ragionamento, e poi accordarsi che «ragionamento» si applica al buon ragionamento e anche alle sequenze che si avvicinano, a un dato grado, al buon ragionamento; l’idea di buon ragionamento è, in un certo senso, antecedente all’idea di ragionamento. (Grice 2001: 35, trad. mia)

È una caratteristica del nostro operare con i concetti orientati al valore - dice Grice - che prima abbiamo bisogno d’imparare cosa dev'essere «un buon φ» e 198
poi impariamo a quale grado d’approssimazione all’essere un buon φ un elemento x può essere considerato «un φ» (vedi Grice 1986: 83).

Secondo Grice la nozione di «valore» e i predicati ad essa connessi caratterizzano in modo peculiare l’idea di razionalità e l’idea di essere razionale (vedi Grice 1982, 1993: 299-300).

L’essere razionale è l’essere che ha la capacità di attribuire valore (vedi Grice 1986: 72).

L’atto di attribuire valore equivale all’atto di istituire il valore che è attribuito.

Grice ha un approccio costruttivista al valore.

Il valore è «istituito da noi» (insituted by us) - egli dice - e ha le caratteristiche di essere oggettivo e di avere forza motivazionale intrinseca (intrinsic motivational force) (vedi Grice 1986: 72).

Il valore è oggettivo proprio perché è istituito da esseri, le persone, che possiedono la razionalità come caratteristica essenziale.

Esse hanno valore assoluto e perciò possono attribuire valore assoluto a ciò che giudicano (vedi Baker 1991: 6-7).

È un problema di cruciale importanza per Grice specificare la gamma (range) dei concetti paradigmatici per valore (vedi Grice 2001: 35).

In generale egli ritiene che abbia valore tutto ciò che è considerato «ottimale» (optimal) in un certo ambito (vedi Grice 1982, 1993: 299; 2001: 80-88).

Egli definisce nel modo seguente il ragionamento come concetto «orientato al valore»:
considererei il ragionamento come una facoltà che consente di estendere le nostre accettazioni da un gruppo di accettazioni a un’accettazione ulteriore per mezzo dell’applicazione di forme di transizione che sono tali da assicurare la trasmissione del valore dalle premesse alla conclusione, nel caso che tale valore inerisca alle premesse. (Grice 2001: 87, trad. mia)

In tale definizione non è chiaro l’uso del termine «facoltà» (faculty) riferito al ragionamento.

Nelle prime pagine di Aspects of reason Grice definisce la ragione come la facoltà che si manifesta nel ragionamento (vedi Grice 2001: 5).

Ma se il ragionamento è ciò in cui si manifesta una facoltà, un’attitudine a fare qualcosa, non può anch’esso essere una facoltà. D’altra parte, il ragionamento è caratterizzato come un’attività in altri passi di Aspects of reason (vedi Grice 2001: 16-19, 27-28, 35).

A parte queste considerazioni, va rilevato che la definizione di ragionamento quale concetto orientato al valore precisa la definizione approssimativa di ragionamento presentata nelle prime pagine di Aspects of reason (vedi Grice 2001: 5) e riportata nel primo paragrafo di questo saggio, chiarendo sia le caratteristiche che devono avere le premesse sia le caratteristiche dei principi di inferenza accettabili.

Il ragionamento, inteso come buon ragionamento, ha come punto di partenza l’accettazione di un insieme di premesse che devono essere enunciati che hanno valore, si svolge secondo principi d’inferenza tali da assicurare la trasmissione del valore dalle premesse alla conclusione e ha come risultato l’estensione delle nostre accettazioni razionali, vale a dire l’acquisizione di conoscenze che hanno valore.

Grice fa notare che non sempre il ragionamento inizia da un insieme d’idee definite e procede derivando da esse altre idee per mezzo di un principio d’inferenza accettabile.

Anzi, il nostro ragionamento effettivo è prevalentemente entimematico,3 cioè «incompleto» (incomplete) o «non completamente esplicito» (not fully explicit) (vedi Grice 2001: 8-9).

Questa caratteristica è fonte di diversi problemi relativi al modo in cui ricostruire i ragionamenti ordinari secondo modelli d’inferenza canonici (vedi Grice 2001: 8-9).

Come esempio Grice considera il ragionamento entimematico fatto da Jill quando Jack subisce una ferita alla testa. In tale situazione Jill dice o pensa:

«Egli è un inglese, perciò è coraggioso»

(vedi Grice 2001: 9).

Il ragionamento di Jill può essere ricostruito secondo il modello sillogistico supponendo che comporti una «premessa soppressa» corrispondente alla proposizione

«Gli inglesi sono sempre coraggiosi»

e supponendo che Jill abbia in mente questa proposizione esplicitamente, se sta parlando, o subliminalmente, se sta pensando. Ma si può supporre anche che la premessa soppressa sia un’altra, potrebbe essere

«Gli inglesi sono coraggiosi»

o

«Gli inglesi di norma sono coraggiosi»

o

«Gli inglesi sono di solito coraggiosi»

o

«Gli inglesi può darsi che siano coraggiosi»,

e così via.

E si può supporre ancora che chi ragiona non impieghi alcuna premessa nascosta, ma pensi soltanto che ci sia tale premessa anche se non sa indicarla (vedi Grice 2001: 8-10).

Il tentativo di ricostruire il ragionamento incompleto secondo il modello sillogistico lascia aperto il problema della determinazione della premessa soppressa (vedi Grice 2001: 10).

L’interpretazione dell’entimema che Grice considera più plausibile è supporre che ci troviamo non di fronte a un solo argomento o ragionamento, ma di fronte a due ragionamenti, uno dei quali è reale (actual) e l’altro è non reale (non-actual) o ideale (ideal); è reale il ragionamento di Jill ed è ideale la ricostruzione del ragionamento comprendente come premessa la proposizione che è ritenuta presente in modo non esplicito nella mente di Jill.

Il primo ragionamento è informale e il secondo ragionamento è formale e spesso è anche canonico (vedi Grice 2001: 9-10). Il ragionamento reale di Jill - dice Grice - sarà

L’entimema è un ragionamento in forma sillogistica in cui è taciuta una delle premesse.

Osserva Mortara Garavelli (1989: 79):

«L’entimema, come fu definito da Aristotele, è un sillogismo le cui premesse sono “verosimili” (e non necessariamente “vere”). L’adeguamento all’uditorio, che vuole essere attratto e non annoiato, suggerì l’opportunità di abbreviare il ragionamento sillogistico omettendo una delle due premesse, di qui la definizione di entimema come sillogismo ellittico». 200


informalmente valido (informally valid) nel caso in cui c’è una ricostruzione legittima di tale ragionamento che è formalmente valida e che lo completa con premesse che sono vere e che sono proposizioni che Jill in qualche senso ha in mente o potrebbe avere in mente (vedi Grice 2001: 9-10). La proposta, però, non indica criteri per determinare la proposizione da individuare come premessa soppressa del ragionamento reale (vedi Grice 2001: 10).

Di fatto - Grice nota - quando si chiede a qualcuno di articolare esplicitamente un ragionamento, egli, in genere, non dà un resoconto di ciò che aveva in mente nel momento in cui ha prodotto quel ragionamento rendendo esplicite le premesse soppresse, piuttosto costruisce delle premesse e le presenta come se fossero quelle che ha pensato o che avrebbe dovuto pensare nel momento in cui ha prodotto il ragionamento (vedi Grice 2001: 13). Il motivo di ciò, secondo Grice, è che siamo più interessati al problema se un passo inferenziale è un passo buono da fare, piuttosto che al problema di dare un resoconto delle idee che si hanno in mente nel momento nel quale si produce un ragionamento, vale a dire siamo più interessati al problema di dare una giustificazione della conclusione raggiunta attraverso il ragionamento incompleto (vedi Grice 2001: 13; 1986: 81).

Grandy e Warner fanno notare che condizione necessaria del ragionamento è, per Grice, soltanto l’intenzione di colui che ragiona di produrre un buon ragionamento senza alcun vincolo per le premesse che possono essere un’integrazione di quelle presenti nel ragionamento reale (vedi Grandy e Warner 1986: 10).

Grice lascia aperto il problema della condizione sufficiente del ragionamento (vedi Grice 1986: 81). L’ulteriore problema che egli si pone è di spiegare perché il ragionamento reale è prevalentemente incompleto. Ed è questa una delle parti più interessanti della riflessione di Grice, in quanto dà gli strumenti per chiarire fondamentali nodi interpretativi della sua teoria della comunicazione. Nel saggio «Reply to Richards» egli sostiene di essere fortemente inclinato ad assentire a un principio che potrebbe essere chiamato

«Principio di Economia dello Sforzo Razionale»

(Principle of Economy of Rational Effort),

per il quale
dove c’è una procedura raziocinativa per arrivare razionalmente ad alcuni risultati, una procedura che, poiché è raziocinativa, comporterà un dispendio di tempo e di energia, e inoltre c’è una procedura non raziocinativa, e perciò più economica, che è probabile raggiunga per lo più gli stessi risultati della procedura raziocinativa, allora, a patto che i rischi non siano troppo alti, sarà razionale impiegare la più economica sebbene in qualche modo meno affidabile procedura non raziocinativa come un sostituto per il ragionamento. (Grice 1986: 83, trad. mia)

Il Principio asserisce la razionalità di impiegare una procedura non raziocinativa
più economica al posto di una procedura raziocinativa, se con la procedura non
raziocinativa è probabile raggiungere gli stessi risultati che possono essere raggiunti con quella raziocinativa.

L’assunzione che, secondo Grice, giustifica il Principio di Economia dello Sforzo Razionale è ritenere una caratteristica propria della ragione l’agire sugli stati prerazionali confermandoli, modificandoli o anche eliminandoli (vedi Grice 1986: 83).

Tale caratteristica comporta che
le creature razionali possono, come noi possiamo, essere allenate a modificare gli stati prerazionali significativi o il loro esercizio, così che senza effettivo ragionamento possono essere guidate da quegli stati prerazionali, in modo più o meno attendibile, ai pensieri o alle azioni che la ragione approverebbe se fosse invocata, con il risultato che le creature possono fare per lo più ciò che la ragione chiede senza che, nel caso particolare, la voce della ragione sia sentita. (Grice 1986: 83-84, trad. mia)

Anzi - sottolinea Grice - è considerata un’eccellenza possedere a un certo grado la capacità di realizzare senza ragionamento esplicito ciò che è richiesto dalla razionalità: così, per esempio, chi è capace di risolvere problemi matematici senza impegnarsi apertamente in ragionamenti matematici è più apprezzato come matematico (vedi Grice 1986: 84; 2001: 17).

Con maggiore chiarezza Grice afferma che l’abilità di produrre passaggi inferenziali che sono in accordo con gli standard di inferenza approvati non richiede che il ragionamento sia presente in modo inconsapevole o nascosto, ma dipende in qualche modo dal nostro possesso di una capacità di ragionare esplicitamente (vedi Grice 1986: 84).

Grice ritiene che la razionalità, in modo analogo al ragionamento, sia un concetto «paradigmatico per valore» (vedi Grice 2001: 36). Nella terza delle Carus Lectures, le lezioni sul valore tenute nel 1983 per l’American Philosophical Association,4 egli afferma di considerare la razionalità, in prima istanza,
una preoccupazione da parte della creatura che la possiede che le sue accettazioni e forse (più in generale) i suoi atteggiamenti che appartengono a qualche classe particolare specificabile siano ben fondati, basati su ragioni, o (andando più vicino alla nozione di valore) convalidati, una preoccupazione,

Le Carus Lectures restano inedite per diversi anni.

Sono pubblicate nel 1991 insieme ad altri scritti sul valore in una raccolta intitolata The conception of value a cura di Judith Baker. 202


cioè, da parte di colui che cerca ragioni che gli atteggiamenti, le posizioni e le accettazioni che egli (volontariamente) assume abbiano assegnate certificazioni di valore di qualche specie appropriata. (Grice 1991: 82, trad. mia)

La razionalità della creatura, tuttavia, non si riduce a questa preoccupazione, essa consiste piuttosto «nell’avere questa preoccupazione insieme con la capacità, a questo o a quel grado, di realizzarla» (Grice 1991: 82-83, trad. mia).

Emerge dalla riflessione di Grice un’immagine della razionalità quale concetto «paradigmatico per valore» che è di tipo argomentativo: la razionalità corrisponde alla preoccupazione e alla capacità dell’essere razionale di dare le ragioni delle proprie accettazioni e dei propri atteggiamenti, vale a dire di attestare il valore di quelle accettazioni e di quegli atteggiamenti.
Sbisà osserva che nella definizione della razionalità data da Grice
un ruolo importante ha il riferimento alla giustificazione. Il carattere argomentativo della razionalità coincide con la sua funzione di essere fonte di giustificazione. La relazione fra argomentazione e giustificazione […] è duplice: da una parte, la giustificazione è la pratica di citare una o più asserzioni a sostegno di una certa conclusione o decisione, il che costituisce la mossa tipica o perfino la mossa base in un argomento, dall’altra parte, un argomento è buono proprio nella misura in cui i suoi passi e le loro connessioni giustificano la conclusione. La connessione fra argomentazione e giustificazione spiega, a sua volta, perché la razionalità argomentativa è connessa al valore: la giustificazione è una questione di valore ed essere giustificato equivale ad avere valore. (Sbisà 2006: 243, trad. mia)

In Aspects of reason, l’opera appositamente dedicata alla razionalità, Grice non si preoccupa di dare una nuova definizione della razionalità ma sembra fare riferimento a quella data nelle Carus Lectures. In tale opera il suo interesse è indagare come la razionalità si manifesta nel ragionamento.

Egli evidenzia la connessione tra la concezione della razionalità come la facoltà che ci rende capaci di impegnarci nel ragionamento e la concezione della razionalità come facoltà che ci attrezza a riconoscere le ragioni e a operare con ragioni, giacché le premesse di un ragionamento sono le ragioni delle conclusioni alle quali si perviene attraverso il processo inferenziale (vedi Grice 2001: 5).

Nella riflessione di Grice il ragionamento non è solo espressione di razionalità strumentale, ma come manifestazione della capacità di dare le ragioni delle accettazioni e degli atteggiamenti è anche manifestazione di razionalità argomentativa.

In Aspects of reason la riflessione sulla razionalità è approfondita attraverso l’indagine del concetto di «ragioni».

Per chiarire cosa s’intende per «ragioni» Grice parte dalla considerazione dei nostri usi ordinari del termine e ne distingue tre tipi: «ragioni esplicative» (explanatory reasons) o «ragioni per cui» (reasons why), «ragioni giustificative» (justificatory reasons) o «ragioni per» (reasons for (to)) e «ragioni giustificative-esplicative» (justificatory-explanatory reasons) (vedi Grice 2001: 37-44).

Grice afferma che le «ragioni esplicative» o «ragioni per cui» hanno la forma paradigmatica «La (una) ragione per cui A è stata (è) che B» (The (a) reason why A was (is) that B). Esempio: «La ragione per cui il ponte è crollato è stata che le travi erano fatte di cellophane». Tali ragioni sono spiegazioni di fatti (eventi o azioni), sono fatti che spiegano altri fatti, in alcuni casi le ragioni date sono le cause di altri fatti (eventi o azioni). Le ragioni esplicative non sono relative a una persona (vedi Grice 2001: 37-38).

Per forma paradigmatica delle «ragioni giustificative» o «ragioni per» Grice indica la seguente: «Che B è stata (per X) una ragione a favore di A» (That B was (a) reason (for X) to A), dove «A» può stare per un verbo psicologico come «pensare» (think), «volere» (want), «decidere» (decide). Esempio: «Che un giorno essi erano in ritardo è stata (per X) una ragione per pensare che il ponte era crollato». Le ragioni giustificative non sono spiegazioni, ma sono giustificazioni finali o provvisorie per fare, volere, o pensare qualsiasi cosa è specificata in A. Esse possono essere relativizzate a una persona. Che B può essere per una persona una ragione per pensare o decidere A (vedi Grice 2001: 38-40).

Il terzo tipo di ragioni, denominate da Grice «giustificative-esplicative», ha la forma paradigmatica «La(e) ragione(i) di X per fare (volere, pensare) A è (sono) stata(e) che B (B)» (X’s reason(s) for A-ing was that B (to B)). Esempi: «La ragione di John per denunciare Samantha è stata che (that) lei continuava a trasformarlo in ranocchio», «La ragione di John per denunciare Samantha è stata difendere se stesso dalla metamorfosi ricorrente» (vedi Grice 2001: 40). Le ragioni «giustificative-esplicative» sono ragioni relative alle persone (vedi Grice 2001: 40-44). Esse sono ragioni esplicative o ragioni giustificative secondo il punto di vista dal quale sono considerate. Sono casi particolari di ragioni esplicative in quanto possono essere indicate come ragioni che spiegano qualcosa, ma ciò che spiegano non sono fatti bensì azioni e atteggiamenti psicologici: se la ragione di X per fare, volere o pensare A è stata B, siamo soliti dire che aver pensato B o aver voluto B spiega perché X ha fatto, voluto o pensato A (vedi Grice 2001: 41). Le ragioni del terzo tipo sono casi di ragioni giustificative quando sono presentate da colui che compie un’azione come ragioni che giustificano la propria azione: se la ragione di X per fare, pensare o volere A è B - osserva Grice - non è il fatto B a giustificare il fare, pensare o volere A da parte di X, ma è la circostanza che X ha considerato, anche se in modo momentaneo o subliminale, il fatto B come un fatto che giustifica il suo fare, pensare o volere A a giustificare il suo fare, pensare o volere A, e tale considerazione di B da parte di X richiede la presenza in X di una credenza che B è una ragione giustificativa per lui in relazione ad A (vedi Grice 2001: 41).

Le ragioni giustificative-esplicative sono chiamate da Grice anche ragioni «personali» (personal reasons) (vedi Grice 2001: 67).

Egli precisa che se qualcuno pensa che un certo insieme di considerazioni è una ragione giustificativa per fare, intendere o credere qualcosa, ed egli fa, intende o crede quella cosa perché pensa in quel modo, allora la sua ragione personale per fare, intendere o credere effettivamente quella cosa corrisponde a ciò che l’insieme delle considerazioni sopramenzionato afferma (obtains) (vedi Grice 2001: 67). Inoltre asserire che qualcuno ha fatto, inteso o creduto qualcosa per una ragione personale specifica è un caso particolare (special case) di dare una ragione esplicativa dell’azione o dell’atteggiamento psicologico della persona considerata (vedi Grice 2001: 67).

In altri termini, per Grice, la ragione personale è giustificativa quando è presentata come ragione dell’azione o dell’atteggiamento da colui che compie l’azione o assume l’atteggiamento, invece è esplicativa quando è presentata come ragione dell’azione o dell’atteggiamento di qualcuno da un’altra persona che osserva quell’azione o quell’atteggiamento.

Le concezioni di Grice della razionalità e delle ragioni costituiscono lo sfondo teorico con riferimento al quale è possibile interpretare la sua teoria della comunicazione come attività razionale (vedi Grice 1975, 2003: 231-233; 1989: 341), che ha come concetti fondamentali quelli di «significato del parlante» e di «implicatura conversazionale».

Grice definisce il significato nei termini delle intenzioni del parlante. Un parlante significa non naturalmente qualcosa con un enunciato, se e solo se proferisce l’enunciato con le intenzioni 1) di ottenere un certo effetto (effect) sull’uditorio, 2) che l’uditorio riconosca la sua intenzione di ottenere quell’effetto, e 3) che l’effetto sull’uditorio sia ottenuto attraverso il riconoscimento da parte dell’uditorio dell’intenzione del parlante di ottenerlo (vedi Grice 1957, 1993: 227-228; 1969, 1993: 138). Grice precisa che l’«effetto inteso [intended effect] deve essere qualcosa che l’uditorio possa in un certo senso controllare, o che in un qualche senso di “ragione” [reason] il riconoscimento dell’intenzione che sta dietro [il proferimento dell’enunciato] x sia per l’uditorio una ragione e non semplicemente una causa» (Grice 1957, 1993: 228) che lo induce a realizzare l’effetto inteso.

Nonostante Grice usi l’espressione «riconoscimento dell’intenzione» (recognition of the intention), l’attività di ricostruzione dell’intenzione comunicativa da parte dell’uditorio è da considerarsi piuttosto un’attività di attribuzione d’intenzioni di significato al parlante che l’uditorio realizza sulla base di ragioni che fanno riferimento all’esperienza condivisa (vedi Grice 1957, 1993: 228-229; Sbisà 2001: 187-189). Tale processo è chiamato da Grice «calcolo» (calculation) e poggia sulle capacità che ha l’uditorio di «formulare certi pensieri e di trarre certe conclusioni» (Grice 1969, 1993: 145), vale a dire sulle capacità che ha l’uditorio di fare passaggi inferenziali.

Il problema che la teoria griciana del significato pone è relativo al modo in cui considerare i processi di ricostruzione e di attribuzione delle intenzioni di significato al parlante: sono processi di ragionamento o non sono processi di ragionamento?

Nell’introduzione ad Aspects of reason Warner osserva che il potere esplicativo della teoria del significato di Grice «deriva dal vedere i parlanti come soggetti che giungono a produrre certi enunciati in base a propri ragionamenti, e gli ascoltatori come soggetti che giungono a dare risposte in base a propri ragionamenti» (Warner 2001: IX, trad. mia).

Ma quando Warner considera la ricostruzione del ragionamento dell’uditorio nella lettura di un enunciato osserva che la gente quasi mai ragiona nel modo ricostruito, la comprensione del significato dell’enunciato invece è immediata (vedi Warner 2001: X; vedi anche Grandy e Warner 1986: 12).

Perciò egli chiede: «qual è la relazione fra il ragionamento che potresti aver fatto e la tua comprensione dell’enunciato?» (Warner 2001: X, trad. mia). Tale problema è centrale nella teoria del significato di Grice.

Appare evidente che quando Grice fa riferimento ai «calcoli» e alle «ragioni» dell’uditorio non intende affermare che il processo di attribuzione d’intenzioni comunicative al parlante si svolga attraverso un ragionamento esplicito dell’uditorio, ma intende solo asserire la razionalità del processo, ossia che l’attribuzione d’intenzioni comunicative non è una risposta riflessa dell’uditorio al proferimento dell’enunciato da parte del parlante, ma è un processo che si fonda su ragioni e che può essere ricostruito attraverso un ragionamento esplicito.
Non può ritenersi fondata la posizione di Allott, secondo il quale per Grice «ricavare il significato del parlante è questione di elaborare con il ragionamento […] alcune delle intenzioni del parlante» (Allott 2005: 231, trad. mia).

Nel saggio «Reply to Richards» Grice precisa che
quell’abilità di produrre senza l’aiuto di ragionamento esplicito transizioni che si accordano con gli standards d’inferenza approvati non richiede che tale ragionamento sia presente in forma inconsapevole o nascosta. (Grice 1986: 84, trad. mia)

È evidente che Grice sostiene la possibilità di fare passaggi inferenziali senza che il ragionamento sia presente in modo inconsapevole o nascosto: la produzione di un giudizio può essere come un viaggio magico, o un viaggio su un tappeto magico che ci trasporta con velocità straordinaria su una strada che può essere attraversata con gli usuali mezzi di trasporto (il ragionamento), o un viaggio nel quale ci è offerta una lampada magica dalla quale, quando lo desideriamo, spunta un genio che senza seguire una strada ci conduce dal punto nel quale ci troviamo al punto al quale vogliamo andare (l’inferenza immediata) (vedi Grice 1986: 84).

Un altro problema relativo alla teoria griciana del significato è quello delle ragioni sulle quali si fonda l’uditorio nell’attribuire determinate intenzioni di significato al parlante che lo inducano a realizzare l’effetto inteso. Grice non precisa di quale tipo siano tali ragioni. Tuttavia, se si leggono i suoi scritti sul significato sullo sfondo delle riflessioni sulla razionalità e sulle ragioni, appare evidente che tali ragioni sono di tipo giustificativo-esplicativo. Sono ragioni giustificative perché per mezzo di esse l’uditorio giustifica la credenza che sviluppa sulle intenzioni del parlante e sono ragioni esplicative perché per mezzo di esse l’uditorio spiega perché un parlante proferisce un enunciato particolare.
Analoghi sono i problemi d’interpretazione che sorgono in relazione all’implicatura conversazionale che, secondo Grice, è quel significato suggerito al di là del significato convenzionale degli enunciati proferiti dal parlante (vedi Grice 1975, 2003: 227-228). L’implicatura conversazionale è caratterizzata da Grice nel modo seguente:

Di un uomo il quale dicendo (o facendo mostra di dire) che p abbia implicato che q, si può dire che ha implicato conversazionalmente che q, nel caso in cui 1) si abbia motivo di presumere che egli stia conformandosi alle massime conversazionali, o almeno al Principio di Cooperazione; 2) per rendere coerente con questa presunzione il fatto che egli dice o fa mostra di dire che p (o che fa l’una o l’altra cosa in quei termini) è richiesta la supposizione che egli si renda conto che, o pensi che, q; e 3) il parlante pensa (e si aspetta che l’ascoltatore pensi che lui pensa) che faccia parte della competenza dell’ascoltatore inferire, o afferrare intuitivamente, che è richiesta la supposizione indicata in 2). (Grice 1975, 2003: 234)
Grice sottolinea la razionalità dell’implicatura conversazionale mettendo in evidenza che essa è parte di un’attività razionale di comunicazione che assume la forma di una cooperazione razionale verso uno scopo (vedi Grice 1975, 2003: 228-233; 1989: 341).

Negli scambi linguistici, secondo Grice, ogni interlocutore è ritenuto fare riferimento a un Principio di Cooperazione per il quale dà alla conversazione un contributo «tale quale è richiesto, allo stadio in cui avviene, dallo scopo o orientamento accettato dello scambio linguistico» (Grice 1975,
2003: 229) in cui è impegnato.

Il Principio di Cooperazione si declina nelle massime conversazionali della Quantità, della Qualità, della Relazione e del Modo, le quali specificano la rete delle aspettative reciproche, nello scambio di informazione, tra interlocutori che si suppongono razionali: dare un contributo tanto informativo quanto è richiesto, non dire ciò che si ritiene esser falso o per cui non si hanno prove adeguate, dire cose pertinenti ed esprimersi in forma chiara, non ambigua, concisa e ordinata (vedi Grice 1975, 2003: 229-230).

Sebbene l’implicatura conversazionale sia afferrata intuitivamente (intuitively grasped) dall’uditorio, Grice afferma che la sua presenza «deve essere tale da poter essere inferita [worked out]» (Grice 1975, 2003: 234): l’intuizione deve essere sostituibile da un ragionamento (argument) (vedi Grice 1975, 2003: 234-235). Come modello generale di inferenza dell’implicatura conversazionale Grice dà il seguente:
[il parlante] ha detto che p; non c’è motivo di credere che non si stia conformando alle massime, o per lo meno al Principio di Cooperazione; egli non potrebbe farlo se non pensasse che q; sa (e sa che io so che lui sa) che io posso capire che è richiesta la supposizione che lui pensa che q; non ha fatto niente per impedirmi di pensare che q; intende farmi pensare, o almeno è disposto a lasciarmi pensare, che q; e dunque ha implicato che q. (Grice 1975, 2003: 235)

È un modello di ragionamento informale che non è uno sviluppo lineare da premesse a conclusioni, ma che contiene come premesse assunzioni, formulazioni e confronto d’ipotesi, dalle quali è ricavata una conclusione valutando i pro e i contro espressi, un modello di ragionamento analogo a quello dell’«argomento conduttivo» descritto da Govier (2005).5

Anche in relazione al processo di elaborazione dell’implicatura conversazionale si pone il problema della sua natura: deve essere considerato corrispondente al processo psicologico effettivo realizzato dall’uditorio o corrispondente piuttosto a qualche modello logico astratto che dà le ragioni per il riconoscimento dell’implicatura come conversazionale? (vedi Sbisà 2006: 238; Allott 2005: 227).

Secondo Allott, per Grice «quando uno dei partecipanti a una conversazione arriva a un’implicatura, il processo che lo ha portato all’implicatura conterebbe
5 L’argomento conduttivo ha le seguenti caratteristiche: 1) possono apparire come premesse diversi argomenti distinti, 2) le premesse non implicano logicamente la conclusione ma convergono verso la conclusione, 3) ogni singola premessa è rilevante per la conclusione, 4) nell’argomento possono apparire sia asserzioni a sostegno della conclusione sia controconsiderazioni, 5) la conclusione è raggiunta considerando il peso delle asserzioni e delle controconsiderazioni (vedi Govier 2005: cap. XII). 208
come ragionamento» (Allott 2005: 227, trad. mia): si tratterebbe di un ragionamento inconsapevole, svolto in quella che Grice chiama la «maniera veloce» (quick way), la maniera incompleta di fare passaggi inferenziali (vedi Allott 2005: 222, 227-228; Grice 2001: 17).

In realtà, Grice afferma che l’implicatura conversazionale «di fatto può essere afferrata intuitivamente» (Grice 1975, 2003: 234) e che il modello d’inferenza di un’implicatura conversazionale è da lui fornito solo come test decisivo per stabilire se nel proferimento di un enunciato sia o no presente un’implicatura conversazionale, piuttosto che un’implicatura convenzionale (vedi Grice 1975, 2003: 234-235; 1978, 1993. 79). Egli precisa che qualsivoglia indizio della presenza di un’implicatura conversazionale «deve almeno essere sostenuto da una dimostrazione del modo in cui ciò che si ritiene implicato può essere stato implicato (attraverso un’inferenza dai principi conversazionali in aggiunta ad altri dati)» (Grice 1978, 1993: 79).

Il modello d’inferenza dell’implicatura conversazionale dato da Grice, perciò, non riproduce il ragionamento effettivo svolto dall’uditorio, sia pure in forma inconsapevole, per cogliere l’implicatura, ma è una ricostruzione razionale del processo con cui l’uditorio afferra l’implicatura conversazionale. Sbisà mette in evidenza che
la calcolabilità di un’implicatura è importante non perché definisca il modo in cui l’implicatura è effettivamente pianificata e capita, ma perché garantisce la razionalità dell’implicatura, attestando che l’attribuzione di quell’implicatura al parlante che ha proferito un certo enunciato può essere sostenuta da un argomento. (Sbisà 2006: 240)

Grice ha inteso dire che il processo d’attribuzione di un’implicatura conversazionale a un parlante è un processo fondato su ragioni. Anche in tale processo le ragioni sulle quali si fonda l’uditorio sono ragioni di tipo giustificativo-esplicativo: per mezzo di esse l’uditorio giustifica la credenza che sviluppa sulle intenzioni del parlante e spiega perché il parlante proferisce un enunciato particolare.

Come mette in evidenza Warner, Grice «era impegnato a considerare le persone come agenti razionali e a considerare la capacità razionale di agire come, almeno in parte, manifestata attraverso derivazioni esplicite di giustificazioni razionali per gli atteggiamenti e per le azioni» (Warner 2001: X, trad. mia). Con le riflessioni sulla razionalità Grice ha cercato di dare una spiegazione del legame fra i ragionamenti (arguments) espliciti che possiamo costruire, ma spesso non facciamo, e gli atteggiamenti e le azioni che popolano la nostra vita di ogni giorno (vedi Warner 2001: X).


Riferimenti bibliografici

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