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Tuesday, July 26, 2011

L'ironia come implicatura conversazionale

Luigi Speranza


Ironia (gr. eironeía 'dissimulazione, finzione').

Inaugurata da Socrate come strategia maieutica (il chiedere per sapere, l'interrogare conoscendo già la risposta), studiata da Kierkegaard e da Jankélevitch, ironia è un atteggiamento verso il mondo che può diventare uno stile di vita, un modo autocontrollato e lucido della ricerca della verità.

In retorica, l'ironia è figura particolarmente sfuggente e complessa.

Il suo paradosso consiste nel fatto che per funzionare deve essere riconoscibile ma se è troppo scoperta perde di efficacia e si avvicina all'amarezza del sarcasmo.

Il discorso ironico si gioca quindi tra riconoscibilità e leggerezza.

La definizione tradizionale assimila ironia e antifrasi.

Ironia è dire il contrario di ciò che si pensa.

Ma l'ironia è piú sfumata dell'antifrasi, anche quando si tratti di un'antifrasi enunciativa o illocutoria (atto illocutorio), piú che proposizionale (proposizione).

L'ironia è anche piú sottile della litote con cui pure condivide l'area dell'understatement.

E, al di là delle apparenze — l'ironia assume volentieri le vesti della riduzione, della sottovalutazione, del farsi piccoli —, complesso è il rapporto con l'enfasi.

Decisiva per innescare il discorso ironico è la possibilità di riferimento degli interlocutori a conoscenze e a valutazioni condivise, ad assunti di base sul mondo e ad aspettative sulla situazione comunicativa attualizzata.

Questa condivisione e sintonia è condizione dell'ironia.

Chi fa ironia ha in mente una norma — da qui il moralismo o il senso di superiorità associati ad alcuni tipi di ironia — alla quale la realtà dovrebbe conformarsi. L'enunciato ironico è valutativo.

Spesso serve a mettere in luce la distanza dalla norma che il parlante implicitamente pone o, nei casi piú convenzionali e di routine, semplicemente evoca, invitando l'interlocutore a condividerla.

E questo vale sia che si intenda l'ironia soprattutto come capovolgimento antifrastico, come dire l'opposto di ciò che si pensa, come inversione di senso, sia che la si intenda, secondo recenti proposte, come citazione di un discorso proprio o altrui, come eco di un già detto.

In questo secondo caso, sottolineato da Mizzau [1984], l'ironia si basa su di una proprietà della quale tutti i discorsi sono intessuti.

Il dialogismo, la polifonia, l'interdiscorsività, che è essenzialmente la presenza in ogni enunciazione di enunciazioni altrui, in un continuo farsi e disfarsi del senso in tensione dialettica fra l'individuale e il collettivo.

Un ruolo decisivo nella comunicazione ironica hanno i segnali di ironia che si avvalgono di canali soprattutto prosodici (la cosiddetta intonazione ironica) e non verbali, mimici, cinesici, prossemici, tra loro interrelati in modi complessi.

L'ironia presuppone sempre un destinatario, un interlocutore attuale o virtuale a cui i segnali di ironia sono destinati.

Nell'autoironia emittente e destinatario coincidono.

Nelle forme piú maligne di ironia, in cui prevale l'intento derisorio, è possibile distinguere un destinatario vittima e un destinatario complice.

L'interlocutore attualizzato non è il vero destinatario ma la vittima inconsapevole dell'ironia da cui rimane esduso non essendo in grado di coglierne i segnali diretti ad un terzo personaggio, reale o immaginario: il destinatario complice.

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Nel modello conversazionale di Erberto Paolo Grice,

l'ironia deriva da una palese violazione di

una massima conversazionale che fa scattare

implicature.

L'ironia è per Grice
un'implicatura conversazionale.

Per un'analisi dell'ironia sembra comunque utile spostare l'attenzione da un'intenzionalità, sempre incerta, a un effetto di senso, una perlocuzione (atto perlocutorio), attualizzato da un interprete.

E questo anche perché, tranne che in esempi artificiali, l'ironia non è confinata in una singola frase ma risulta, in modo ora piú netto ora piú sfumato, da una sequenza interattiva, che può diventare strategia o stile.

L'analisi dell'ironia può utilmente avvalersi di integrazioni dalla psicolinguistica (come ad es. avviene in Groeben e Schede [1985]) e dall'indagine microsociologica.

In particolare, molte delle consuete caratterizzazioni dell'ironia sembrano ridistribuibili nelle categorie, di origine etnometodologica, di salvaguardia o minaccia della faccia, propria o altrui.

I due tipi principali di ironia sembrano infatti essere l'ironia autodifensiva e l'ironia aggressiva.

Ma l'analisi dell'ironia, specialmente delle sue forme piú disinteressate e ludiche, rimane compito arduo: non a torto i latini chiamavano l'ironia illusio.

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