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Tuesday, July 26, 2011

Grisotto

Luigi Speranza


La teoria della conversazione di Grice

[Cfr. W. Lycan, Filosofia del Linguaggio, cap. 13, pp. 234-248]

Erberto Paolo Grice (1975),

La Logica e la conversazione:

lettura di brani selezionati e tradotti in

A. Iacona e E. Paganini (a cura di),

"Filosofia del Linguaggio", pp. 224-244]

Finora ci siamo occupati esclusivamente di questioni di semantica, ovvero di questioni concernenti il significato convenzionale delle espressioni linguistiche.

Ad esempio, nell’indagare quale sia il significato dei nomi propri o delle descrizioni definite, Frege, Russell e Kripke si pongono una domanda di tipo semantico.

Più precisamente, la semantica di cui ci siamo occupati finora è una semantica che (almeno per quanto riguarda Frege e Russell) rientra a pieno titolo in quello che potremmo definire il “paradigma dominante” in filosofia del linguaggio.

Il paradigma dominante è caratterizzato dall’adesione a tre tesi fondamentali, ovvero:

1.

Il significato di un enunciato dichiarativo si identifica con le sue condizioni di verità, cioè con la specificazione delle circostanze in cui l’enunciato è vero.

Parimenti, il significato di un’espressione sub-enunciativa si identifica con il contributo che tale espressione dà alle condizioni di verità dell’enunciato.

2.

Il Principio di Composizionalità (e quindi, quello di Sostituibilità).

3.

L’antimentalismo: il significato di una qualsiasi espressione linguistica non ha nulla a che fare con enti mentali (immagini mentali, rappresentazioni ecc.).

La filosofia del linguaggio però non si è occupata, né si occupa, esclusivamente di questioni che hanno a che fare con la semantica.

Presa da sola, infatti, la semantica non riesce a rendere conto della totalità dei fenomeni linguistici e comunicativi.

In questa dispensa cercheremo allora di farci un’idea dell’ambito di pertinenza di un altro campo di studi della Filosofia del Linguaggio: la pragmatica.

A tale scopo, prenderemo in esame la Teoria della Conversazione di Erberto Paolo Grice.

1.

Significato dell’enunciato e significato del parlante: semantica e pragmatica

Abbiamo già incontrato (almeno) un caso in cui un’analisi strettamente semantica del significato di un enunciato non sembra essere sufficiente a rendere conto di tutto ciò che l’enunciato comunica. Si tratta dell’enunciato:

(1)

Era povera ma onesta

A livello vero-condizionale, (1) è equivalente alla congiunzione “Era povera e onesta”.

Sembra, però, che (1) comunichi qualcosa di più di quanto comunica la semplice congiunzione: a differenza di quest’ultima,

(1) comunica anche un’opposizione tra l’essere povera e l’essere onesta.

Possiamo riscontrare lo stesso fenomeno, o fenomeni analoghi, in concomitanza con altri tipi di connettivi logici. Consideriamo ad esempio i seguenti enunciati:

(2)

Gigi sta studiando o è al mare con gli amici

(3)

Maria si è sposata ed è rimasta incinta

(4)

Era inglese, quindi coraggioso

L’analisi vero-condizionale tratta (2) semplicemente come un enunciato vero sse almeno uno dei due disgiunti è vero.

Sembra, però, che (2) comunichi qualcosa di più di quanto comunica una semplice disgiunzione logica: chi proferisce (2) normalmente comunica all’interlocutore anche di non sapere quale dei due disgiunti è vero.

Similmente, l’analisi vero-condizionale tratta (3) semplicemente come un enunciato vero sse entrambi i congiunti sono veri.

Non dice nulla, però, sul fatto che quando sentiamo un enunciato come (3) tendiamo di norma a interpretarlo come comunicante anche un ordine temporale.

Chi proferisce (3) di norma comunica all’interlocutore anche che Maria prima si è sposata, e poi è rimasta incinta. Infine, l’analisi vero-condizionale tratta (4) come equivalente a una congiunzione, ma nel far ciò non rende conto di tutto ciò che (4) comunica: sembra infatti che chi proferisce (4) comunichi anche una relazione di consequenzialità tra l’essere inglese e l’essere coraggioso.
L’insufficienza dell’analisi semantica si fa ancora più evidente se consideriamo i seguenti enunciati (proferiti nei contesti specificati sotto):

(5)

Fa caldo qui dentro

(6)

Quella è la porta

(7)

Giulietta è il sole


Immaginate di proferire (5) in un contesto in cui sia chiaro che in realtà la stanza in cui vi trovate è gelida: immaginate, cioè, di stare facendo un proferimento ironico. (5) appare allora comunicare qualcosa di diverso da ciò che letteralmente significa.

L’analisi semantica riuscirà a rendere conto di ciò che (5) letteralmente significa (ovvero, che fa caldo qui dentro), ma da sola non riuscirà a dire nulla su ciò che (5) comunica nel contesto immaginato, ovvero che qui dentro fa molto freddo. Similmente, immaginate di proferire (6) per far capire al vostro interlocutore che volete che lasci la stanza: in questo caso, (6) comunicherà qualcosa di più di ciò che letteralmente significa, ovvero qualcosa come “Vattene”. L’analisi semantica darà conto del significato letterale di (6), ma da sola non riuscirà a dire nulla sul contenuto che (6) serve a comunicare nel contesto specificato. Infine, l’enunciato metaforico (7) è normalmente usato non per comunicare che Giulietta è una stella fissa che brucia a tot gradi centigradi ecc., ma per comunicare qualcosa come ad esempio

“Giulietta illumina le mie giornate”.

Anche in questo caso, l’analisi semantica appare insufficiente: tutto ciò che potrebbe dire riguardo a (7) è che si tratta di un enunciato vero sse Giulietta ha la proprietà di essere il sole.

Pur nelle loro rispettive specificità, gli esempi (1) – (7) sono tutti esempi che per Erberto Paolo Grice dobbiamo trattare attraverso la distinzione tra ciò che l’enunciato dice e ciò che il parlante implica (conversazionalmente o convenzionalmente: vd. più sotto) usando quel determinato enunciato in quel determinato contesto di proferimento.

Un altro modo per dire la stessa cosa è che per Grice dobbiamo distinguere tra significato dell’enunciato e significato del parlante.

Il significato dell’enunciato, ovvero ciò che l’enunciato dice, è il significato dell’enunciato che si ottiene combinando i significati dei singoli termini in base a regole sintattiche, dove il significato dei singoli termini corrisponde, per intendersi, a quello - o quelli, se il termine è ambiguo - registrati nel dizionario.

Il significato del parlante, ovvero ciò che il parlante implica (conversazionalmente o convenzionalmente) usando un certo enunciato in un certo contesto di proferimento, sarà tutto ciò che il parlante potrebbe voler dire con il suo proferimento. Ad esempio, (5) dice che fa caldo qui dentro: il significato dell’enunciato è che fa caldo qui dentro. Un parlante che usi (5) in un contesto in cui è chiaro che la temperatura si sta notevolmente abbassando starà però implicando (conversazionalmente, come vedremo) che qui dentro fa freddo: il significato del parlante sarà allora che qui dentro fa freddo.

Sulla base di queste considerazioni, possiamo allora capire un po’ meglio in cosa consista la distinzione tra semantica e pragmatica:

SEMANTICA: studio del significato degli enunciati (e delle espressioni sub-enunciative), ovvero studio di ciò che l’enunciato dice (e del contributo delle espressioni sub-enunciative a ciò che l’enunciato dice).

PRAGMATICA:

studio dell’uso degli enunciati (e delle espressioni sub-enunciative) nei vari contesti di proferimento, o più in generale nelle varie pratiche sociali quali la conversazione.

Un po’ grossolanamente, potremmo dire che a differenza di quanto accade per la semantica, per la pragmatica il contesto di proferimento gioca un ruolo fondamentale. In primo luogo, è solo considerando il contesto di proferimento che è possibile decidere se assegnare all’espressione esclusivamente il significato dell’enunciato, o se non si debba anche imputarle una significazione ulteriore, a livello del significato del parlante. In secondo luogo, è solo il contesto che permette di computare esattamente in cosa consista, nel caso in cui sia presente, il significato del parlante.

Tenendo presente la distinzione tra ciò che un enunciato dice e ciò che il parlante implica con quell’enunciato in un certo contesto (e quindi anche la distinzione tra semantica e pragmatica), vediamo un po’ più nel dettaglio come Grice analizzi i fenomeni linguistici esemplificati nel paragrafo precedente. Vediamo, cioè, in cosa consista la Teoria della Conversazione di Grice.

Alla base di tale Teoria sta la formulazione, da parte di Grice, dei principi di carattere cooperativo che reggono la conversazione.

Grice comincia col porre un principio di carattere generale, noto come Principio di Cooperazione (PCO), cui i partecipanti alla conversazione devono conformarsi, pena il fallimento della stessa.

PRINCIPIO DI COOPERAZIONE:

Conforma il tuo contributo conversazionale a quanto è richiesto, nel momento in cui avviene, dall’intento comune accettato o dalla direzione dello scambio verbale in cui sei impegnato.

Non è chiaro come esattamente si debba interpretare tale Principio (Grice stesso, almeno nel testo che stiamo leggendo, è indeciso a riguardo).

Non è chiaro, cioè, se se ne debba dare una lettura normativa o costitutiva.

Se lo interpretiamo normativamente, allora PCO risulta essere un principio cui i parlanti dovrebbero conformarsi; se lo interpretiamo costitutivamente, allora PCO diventa un principio che riguarda in primis la natura del discorso.

Uno scambio comunicativo non è davvero un discorso a meno che non ci sia cooperazione.

Grice chiarisce il contenuto di PCO suddividendolo in varie massime e sottomassime, che raggruppa sotto le quattro categorie principali della

Quantità,
Qualità,
Relazione e
Modalità.

Eccone

uno schema:

1.

QUANTITÀ:

“Cerca di essere tanto informativo quanto è richiesto”

1.1.

“Dà un contributo tanto informativo quanto richiesto”

1.2.

“Non dare un contributo più informativo di quanto richiesto”

2.

QUALITÀ:

“Cerca di dare un contributo che sia vero”

2.1.

“Non dire ciò che credi essere falso”

2.2.

“Non dire ciò per cui non hai prove adeguate”

3.

RELAZIONE:

“Sii pertinente”

4.

MODO:

“Sii perspicuo”

4.1.

“Evita l’oscurità di espressione”

4.2.

“Evita l’ambiguità”

4.3.

“Evita la prolissità”

4.4.

“Sii ordinato nell’esposizione”

Il seguire tali massime e sottomassime darà come risultato, in genere, l’essersi conformati al Principio di Cooperazione.

Cosa succede se violiamo una Massima conversazionale?

Il violare (cioè il non osservare) una massima conversazionale darà esiti diversi a seconda di quale è la massima in questione, di come la si viola, e di qual è l’atteggiamento del parlante nei confronti di PCO globalmente considerato.

Possiamo avere diversi casi:

CASO A:

La massima viene violata senza darlo a vedere, fuorviando così l’uditorio. È il caso ad esempio della menzogna: l’uditorio assume che il parlante stia seguendo il PCO, e quindi le massime, quando in realtà egli sta violando la massima della Qualità.


CASO B:

Dissociazione esplicita dal POC. Vi sono vari modi per far capire che ci si sta dissociando dal Principio di Cooperazione: si può per esempio rispondere ad una domanda con semplici non sensi, accumulando parole su parole senza alcun filo logico; oppure andandosene, o dicendo apertamente "non posso aggiungere null’altro" ecc.

CASO C:

La massima è violata solo in apparenza. Ad esempio, A dice a B: “Ho finito la benzina”. B risponde: “Dietro l’angolo c’è un distributore”. La risposta di B sembra violare la massima della Relazione, ma la violazione è solo apparente, in quanto la risposta di B è strettamente connessa

all’implicazione che il distributore è aperto, e che A potrà trovare lì la benzina che cerca.

CASO D:

Conflitto tra massime. Ci si può trovare di fronte ad un conflitto tra massime, per cui la soddisfazione di una di esse comporta la violazione di un’altra: ad esempio, il parlante potrebbe non essere in grado di soddisfare alla massima della Quantità senza violare quella della Qualità, nel qual caso si troverà a dover decidere quale delle due massime è più opportuno osservare nella situazione in cui si trova. Grice fa, a questo proposito, l’esempio dei due amici che progettano un viaggio in Francia (p. 236).

CASO E:

Il parlante si fa beffe di una massima, cioè viola clamorosamente (apertamente, platealmente) la massima in questione, dando origine ad un’implicatura conversazionale. Dato che è il caso su cui Grice si sofferma di più, vediamolo più in dettaglio nel paragrafo seguente.

Posto che non vi sia un conflitto tra massime, che il parlante non stia cercando di ingannare l’uditorio, e che, quindi, stia tenendo fede al Principio di Cooperazione, egli può violare una delle massime di modo che gli interlocutori riconoscano che lo sta facendo apertamente. Grice dice che in questo caso il parlante si fa beffe di una massima, e che nel far ciò, sfrutta tale massima: la massima è sfruttata per generare un’implicatura conversazionale. Di fronte a casi del genere, l’uditorio dovrà chiedersi che cosa il parlante abbia in realtà voluto implicare pronunciando una certa espressione che si rivela in palese contraddizione con una delle massime conversazionali. L’interpretazione che l’uditorio darà del proferimento del parlante sarà un’interpretazione che cerca di far quadrare il proferimento con la massima sfruttata.

Prendiamo, ad esempio, l’enunciato (6) riportato sopra. Se A dice a B

“Quella è la porta”,

in un contesto in cui (6) non ha nulla a che vedere con lo scambio comunicativo pregresso, A sta violando platealmente la massima della Relazione. Il ragionamento di B sarà allora il seguente. Dato che A non si sta dissociando da PCO, che A non si trova di fronte ad un conflitto tra massime, e che A sta violando la massima della Relazione in modo plateale, l’unica soluzione interpretativa del proferimento di A è che A abbia sfruttato la massima della Relazione per implicare conversazionalmente che devo andarmene. Interpretato in questo modo, il proferimento di A torna ad essere pertinente col contesto comunicativo: ciò che il parlante implica conversazionalmente con (6) appare rispettare la massima della Relazione.
Tra i tanti, Grice dà il seguente esempio di implicatura conversazionale: ad un ricevimento
elegante, A dice:

“La signora C è una vecchia ciabatta”.

Dopo un attimo di sconcerto, B risponde:

“Il tempo è stato proprio bello quest’estate, non trova?”.

B ha rifiutato apertamente di rendere il proprio intervento pertinente rispetto all’osservazione di A, violando, quindi, la massima della Relazione. Dato che la violazione è stata clamorosa, che non si ha motivo di pensare che B si stia dissociando da PCO, e che non siamo in presenza di un conflitto tra massime, B starà implicando conversazionalmente che il commento di A era del tutto fuori luogo. A livello pragmatico, il proferimento di B torna ad essere pertinente (torna a soddisfare, cioè, la massima della Relazione).

Grice colloca esplicitamente la metafora (un esempio è l’enunciato (7)), l’ironia (ad esempio, (5) proferito in una stanza gelida), e altre figure retoriche tra gli esempi di implicatura conversazionale.

Ad esempio, se qualcuno dice ad A

“Sei un fulmine”, sta dicendo qualcosa di letteralmente falso, e sta quindi violando la massima della Qualità; ma, dato che non si sta dissociando dal PCO, che non c’è un conflitto tra massime, e che la violazione della massima è palese, sta implicando conversazionalmente qualcosa, e cioè, probabilmente, che A ha delle caratteristiche simili a quelle dell’oggetto menzionato. La metafora potrebbe comunque rappresentare un caso di violazione anche di altre massime, come quella della Modalità (“Sii perspicuo”).

Nel paragrafo precedente ci siamo occupati di implicature conversazionali particolarizzate, ovvero di implicature che dipendono dallo specifico contesto d’uso di un’espressione.

Le implicature conversazionali generalizzate sono implicature che un’espressione fa sorgere in qualsiasi contesto normale essa venga usata. Ad esempio, l’enunciato:

(2)

Gigi sta studiando o è al mare con gli amici

a causa della presenza della disgiunzione “o”, implica conversazionalmente di non sapere quale dei due disgiunti è vero. Il meccanismo alla base di tale implicatura è quello del conflitto tra massime: si viola la massima della Quantità perché altrimenti si sarebbe costretti a violare la massima della Qualità (e più precisamente la sottomassima “Non dire ciò per cui non hai prove adeguate”). Si tratta di una implicatura conversazionale generalizzata perché enunciati del tipo di (2), ovvero enunciati della forma “p o q”, tendono a generarla in qualsiasi contesto normale vengano usati: a meno di indicazioni (esplicite o contestuali) in senso contrario, cioè, un proferimento di un enunciato come (2) darà origine all’implicatura conversazionale in questione. Un altro esempio di implicatura conversazionale generalizzata è il seguente:

(8) Maria ha incontrato un uomo ieri sera

Data la presenza nell’enunciato dell’espressione “un uomo”, (8) implica conversazionalmente che l’uomo che Maria ha incontrato ieri sera non è né il marito, né il compagno abituale, e nemmeno un semplice amico.

Si tratta inoltre di un’implicatura conversazionale generalizzata perché enunciati del tipo di (8), ovvero enunciati contenenti l’espressione “un X”, tendono a generarla in qualsiasi contesto normale vengano proferiti. Ciò significa che se ci sono indicazioni che vanno in senso contrario, l’implicatura viene bloccata (o, come dice Grice, cancellata): ad esempio, se dico qualcosa come “Maria ha visto un uomo ieri sera. Ma non pensare male: era il suo fidanzato” (potete facilmente immaginare un contesto conversazionale adatto), l’implicatura viene cancellata.

Accanto alle implicature conversazionali (particolarizzate o generalizzate), Grice colloca le implicature convenzionali.

Si tratta di implicature che un’espressione fa sorgere in qualsiasi contesto essa venga usata (attenzione: non in qualsiasi contesto normale, come le implicature conversazionali generalizzate; proprio in qualsiasi contesto). Il seguente è allora un esempio di implicatura convenzionale:

(1) Era povera ma onesta

A causa della presenza

della congiunzione avversativa “ma”,

(1) implica (o meglio, implicita) che

vi è una qualche incompatibilità tra l’essere poveri e l’essere onesti (ecco perché (1) risulta offensivo).

L’implicatura è inoltre convenzionale, perché si genera in tutti i contesti in cui (1) viene proferito. Stesso ragionamento con un enunciato come (4), “Era inglese, quindi coraggioso”.
La nozione di implicatura convenzionale ripropone la distinzione freghiana tra tono e Senso: come il tono, anche l’implicatura convenzionale non è parte di ciò che l’enunciato dice, cioè non ha effetti sulle condizioni di verità dell’enunciato (a livello vero-condizionale (1) va analizzato come un enunciato della forma “p e q”); allo stesso tempo, però, è parte di ciò che viene comunicato in qualsiasi contesto d’uso.

P.S.

Le implicature convenzionali rappresentano il riconoscimento, da parte di Grice, dell’impossibilità di ridurre la totalità del significato linguistico al solo binomio condizioni di verità/regole della conversazione.

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