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Tuesday, July 12, 2011

Grisotto

Luigi Speranza

--- Was Grice joking when he said, "be polite!" in conversation is hardly a triggerer of 'implicature'. He was not! But Italians find that somewhat hard to swallow. At least some of them.

"Cortesia" e gentilezza d’animo e garbatezza di modi sono le qualità che, in tutti i dizionari dell’italiano contemporaneo, caratterizzano la CORTESIA nella sua duplice valenza di atteggiamento mentale e comportamento sociale.

Con queste due qualità, di cui il primo Vocabolario della Crusca (1612) sottolineava piuttosto la prima, riconducendola ai valori della latinità

Cortesia:

“disposizion d' animo a far benificio, e grazia, sanza alcun proprio comodo, e 'l benificio, e la grazia stessa. Lat. humanitas, benignitas, liberalitas, beneficium”,
il concetto entra nell’uso contemporaneo per il tramite dell’ideale cortigiano e cavalleresco in cui si riuniscono l’aspirazione verso una moralità superiore e l’aspirazione alla bellezza e all’eleganza.

Così recitano alla voce “cortesia”, ad esempio, i dizionari De Mauro, e Zingarelli:

“raffinatezza di modi e nobiltà di sentimenti, caratterizzati dal valore, dalla lealtà e dalla munificenza, che nella concezione cavalleresca medievale erano il requisito di chi viveva a corte (De Mauro 2000)

“Insieme delle qualità di raffinatezza, generosità e nobiltà d’animo considerate tipiche delle corti medievali e rinascimentali …Gentilezza, affabilità di modi” (Zingarelli 2010)

Il campo semantico della cortesia, riconducibile dunque all’intersezione tra i due mondi del comportamento rispettoso e sensibile e dei sentimenti empatici ed emotivi, entra in prosodia semantica con i sinonimi parziali:

bontà,

educazione,

grazia,

garbo,

gentilezza,

affabilità,

amabilità,

buonagrazia,

buone maniere,

civiltà,

compitezza,

cordialità,

finezza,

garbatezza,

urbanità.

E si contrappone a
maleducazione, beceraggine, cafonaggine, impertinenza, inciviltà, insolenza, malacreanza, malagrazia, rustichezza, ruvidezza, scortesia, sgarbataggine, sgarbatezza, sgarberia, villania inurbanità. (De Mauro, Dizionario dei sinonimi e contrari).

All’interno di questa caratterizzazione generale, il concetto di “ cortesia linguistica” seleziona e mette a fuoco gli aspetti verbali attraverso i quali la cortesia si manifesta nell’interazione comunicativa.

Intesa come disposizione dell’animo e atteggiamento morale, la cortesia è celebrata fin dall’antichità nelle culture orientali per i suoi aspetti rituali e cerimoniali e per le sue virtù civiche di strumento e fondamento della stabilità e dell’equilibrio sociale.

Nella tradizione occidentale, il concetto comportamentale di cortesia deve alla cultura medievale e rinascimentale italiana e romanza la sua elaborazione più raffinata.

La relazione etimologica tra “corte” e “cortesia”, e i suoi rapporti con le altre qualità del comportamento cortigiano, sono ben presenti a Dante:

“Cortesia e onestade è tutt’uno: e però che nelle Corti anticamente le vertudi e li belli costumi s’usavano, sì come oggi s’usa lo contrario, si tolse questo vocabolo dalle corti, e fu tanto a dire cortesia quanto uso di corte “ (Convivio).

I versi del Purgatorio che collocano semanticamente la cortesia nella sfera dei sentimenti amorosi e cavallereschi

“le donne e’cavalier, li affanni e li agi/che ne’nvogliava amore e cortesia” (Purgatorio XIV,109-110),

richiamando alla mente il celebre esordio ariostesco

“Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori/le cortesie, l’audaci imprese io canto” (Orlando Furioso I, 1-2),

stabiliscono un paradigma d’uso del termine che pervade tutta la cultura umanistica e rinascimentale. Se nelle Rime del Petrarca la cortesia è associata all’onestà

“ov’alberga onestate et cortesia” (Rerum vulgarium fragmenta 37, 111),

“Cortesia in bando et onestate in fondo./Dogliom’io sol, né sol ho da dolerme”(ib. 338, 5-6),

in Boiardo essa si congiunge a gentilezza e amore

“Perché uno omo gentil e innamorato/non puote a cortesia giamai fallire (Orlando Innamorato I, XVI, 43)

“Valor, beltade e forza e cortesia /Ardire e senno in sé coniunti avia (ib. XLIII,198, 6-8),
e per Boccaccio

“Cortesia par che consista negli atti civili, cioè nel vivere insieme liberalmente e lietamente, e fare onore a tutti secondo la possibilità” (Esposizioni sopra la Comedia di Dante, 16, 64-68).

Analoghe coloriture appaiono in tutta la tradizione poetica cinquecentesca:
“quivi le cortesie fiorivan, quivi / i bei costumi e l’opere gentili”(Orlando furioso, XXXVII, 45, 5-6);
“Valor e cortesia si dipartiro / nel tuo partir, e’l mondo infermo giacque” (Bembo, Rime 142, 87-88).
2

Nella trattatistica rinascimentale, tre testi principali celebrano la cortesia tra le virtù fondamentali del perfetto uomo di corte:

"Il Cortegiano", di Baldassarre Castiglioni (1528),

il

"Galateo "di Monsignor Giovanni Della Casa (1554) e

"la Civil conversazione"

di Stefano Guazzo (1574).

Nel "Galateo", il concetto di cortesia si colloca in una rete di corrispondenze che esaltano virtù dell’anima quali la liberalità, la bontà, l’onestà:

“E di tanto sua cortesia e liberalità verso di me ringratiatelo sanza fine” (IV),

similmente, nella

"Civil conversazione":

“non sanno che la bontà
e la cortesia non repugnano
punto all'onestà, ma
sono più tosto sue dolci compagne” (II);

nel "Cortegiano" paiono invece prevalere associazioni con le doti di prudenza e discrezione tese a valorizzarne l’aspetto di virtù sociale.

Nella dedica dell’opera di Castiglione , la cortesia è attribuita a Giuliano de’ Medici e a Ottaviano Fregoso:

“il duca Iuliano de' Medici, la cui bontà e nobil cortesia meritava più lungamente dal mondo esser goduta”, "Morto è il signor Ottavian Fregoso, omo a’ nostri tempi rarissimo, magnanimo, religioso, pien di bontà, d’ingegno, prudenzia e cortesia e veramente amico d’onore e di virtù"; anche il ritratto di Isabella di Castiglia viene celebrato dal Magnifico con analoghi attributi: "non è stato a’ tempi nostri al mondo più chiaro esempio di vera bontà, di grandezza d’animo, di prudenza, di religione, d’onestà, di cortesia, di liberalità, in somma d’ogni virtù, che la regina Isabella" (III, 35).

Torquato Tasso dedica alla cortesia un dialogo,

"Il Beltramo, overo de la cortesia",

nel quale, ragionando sulla domanda se “ è la cortesia ingiusta o l'ingiustizia cortese”, si discute della natura intrinseca della cortesia come virtù di corte.
Nel sistema rinascimentale, dunque, la cortesia partecipa delle qualità delle virtù sociali e morali, rinviando ad una raffinatezza di modi che si ammanta nel conversare di grazia, piacevolezza e sprezzatura, ma che può sconfinare nella fredda formalità del decoro e nella vuota convenzionalità delle consuetudini sociali: ciò riassume iconicamente l’Iconologia di Cesare Ripa, in cui la cortesia è rappresentata come “donna vestita d’oro, coronata a guisa di regina, e che sparge collane, danari e gioie. La cortesia è virtù che serra spesso gli occhi ne demeriti altrui, per non serrar il passo alla propria benignità ( 147).

Nei secoli successivi, il valore etico della cortesia si perde, sfumando in estetica del comportamento sociale, talvolta salottiero ma più in generale legato ai ceti colti o elevati, mentre si delineano e in parte si cristallizzano forme di cortesia linguistica come scelte specifiche di stile, registro, canale e mezzo di comunicazione. In tempi recenti, il rapido sviluppo della comunicazione elettronica sta aprendo nuove prospettive di indagine sia della cortesia comportamentale sia delle formule linguistiche di cortesia: vale la pena segnalare la nascita della “netiquette”, parola che deriva dalla sincresi del vocabolo inglese net (rete) e del francese étiquette (buona educazione), ad indicare la disciplina (nuovamente etica) che regola il comportamento degli utenti di Internet nell’uso di e-mails, blogs, forums, newsletters, e newsgroups.

In tutte le società sono presenti modi, comportamenti, espressioni che tendono a minimizzare i rischi dell’interazione comunicativa e a mantenere l’armonia e l’ordine sociale. In questo senso, la cortesia si presenta come proprietà universale connessa alla necessità di risolvere la tensione tra l’impulso biologico ad affermare l’istinto individualistico e l’esigenza sociale di convivenza sociale. Essa si manifesta tuttavia all’osservazione in strutture linguistiche e non linguistiche ( prossemiche, comportamentali) che assumono forme specifiche e peculiari in epoche e società diverse. Ciò giustifica e motiva la ricerca di principi generali che sottostanno alla molteplice varietà delle norme e delle convenzioni in cui la cortesia si traduce. In linguistica, tale ricerca segue attualmente due orientamenti principali: da un lato, una visione universalistica di impianto pragmatico-filosofico pone il concetto di “faccia” a fondamento delle strategie in cui si realizza la cortesia nelle varie culture; dall’altro, una prospettiva relativistica propone una concezione dinamica della cortesia cogliendo nella diversità delle norme e delle realizzazioni culturali una diversa concettualizzazione della cortesia stessa.

La prima tradizione di ricerca, anticipata dagli studi di R. Lakoff 1973, e Leech 1983, è espressa nella sua forma più compiuta da Brown e Levinson 1987.

Il denominatore comune ai tre studi è rappresentato dal “principio di cooperazione” formulato da Erberto Paolo Grice all’interno di una filosofia della conversazione che presuppone nel parlante e nell’ascoltatore una volontà di collaborare e una razionalità di fondo in grado di guidare l’interpretazione contestuale degli enunciati secondo una logica di quantità, qualità, modo e relazione (cf. Bertuccelli Papi 1993).

These are later lectures. Grice had studied the phenomenon for a more restricted audience (Oxford, 1964) in his "Logic and conversation" lectures -- in the Bancroft library, where he discusses

candour
desiderata

self-interest, or rather conversational self-interest
vis a vis
conversational benevolence

conversational principle of candour and clarity,
and so on.

---- vide Speranza -- Join the Grice Club.

---

A tale principio, che controlla il contenuto informativo della conversazione, la Lakoff affianca tre regole di cortesia che consentono ai partecipanti di gestire gli aspetti sociali dell’interazione nel rispetto dei diversi ruoli e al di là dell’efficienza comunicativa.

Le tre regole sono:

1. Non ti imporre

2. Offri delle alternative

3. Metti il destinatario a suo agio.

Leech 1983 inserisce invece lo studio della cortesia nell’ambito della retorica interpersonale, cui riconduce anche il principio di cooperazione e il principio di ironia, e condensa in sei concetti le norme del comportamento cortese: tatto, generosità, approvazione, modestia, accordo, empatia.

Nel modello di Brown e Levinson l’eredità “razionalistica” di Erberto Paolo Grice si somma ad un altro importante contributo teorico di importazione sociologica (Goffman 1967; Berruto 1995): il concetto di “faccia”, ovvero l’immagine che ogni individuo ha di sé e che mette in gioco nell’interazione sociale investendola di valori emotivi e dell’ aspettativa di un riconoscimento reciproco da parte dei membri della comunità.

Contrariamente a quanto avviene nella maggior parte degli studi antropologici, il rispetto della faccia non è però, in questo modello, descritto in termini di norme e valori condivisi.

Piuttosto, la faccia si configura qui come bisogno primario e desiderio ad un tempo a) di non subire imposizioni o limitazioni della propria indipendenza e libertà di parola e azione; b) di sentirsi apprezzati e approvati dai membri della comunità di appartenenza.

Il possesso di queste due proprietà essenziali - la razionalità, intesa come modo di ragionare in termini di mezzi per raggiungere scopi, e la faccia, come rappresentazione mentale del sé, in assoluto e in rapporto all’altro - rende ragione della capacità dell’individuo di mettere in atto e interpretare le strategie di cortesia come tattiche finalizzate a minimizzare l’impatto potenzialmente offensivo o aggressivo di alcuni atti comunicativi.

Atti come ordini, richieste, minacce e avvertimenti, limitando la libertà dell’interlocutore, sono infatti evidenti minacce al profilo negativo della sua faccia; accuse, critiche, insulti e lamentele rappresentano invece minacce al suo profilo positivo. Espressioni che rassicurano l’interlocutore circa le intenzioni del parlante di non recare fastidio o invadere il suo territorio, quali “Non vorrei disturbare” o “Se mi è permesso disturbarLa” contribuiscono a minimizzare minacce del primo tipo, così come espressioni di solidarietà, riconoscimento e rispetto, quali “Lei che è un esperto” o “Sei d’accordo anche tu sul fatto che” servono a ridurre i rischi del secondo tipo.

Il grado di minaccia potenzialmente recato da un enunciato è direttamente correlato a tre parametri fondamentali: la distanza sociale tra gli interlocutori, le relazioni di potere, e il valore di imposizione attribuito all’espressione linguistica all’interno di una certa cultura.
Il parlante, concepito come agente razionale che nell’interazione mette in gioco la propria faccia, parteciperà dunque allo scambio comunicativo selezionando strategie fondate su una valutazione dei rischi che la faccia può correre sulla base di tali parametri. Le strategie di cui può disporre per raggiungere i propri obiettivi sono le seguenti:
a) esprimersi direttamente assumendo interamente su di sé la responsabilità delle proprie intenzioni e formulare il messaggio in maniera esplicita e non ambigua; oppure
5
b) ricorrere a modalità indirette, allusioni, domande retoriche, metafore, ironia ecc., attraverso le quali si pone come solo parzialmente responsabile del significato comunicato.
Se il parlante decide di esprimersi in maniera diretta, e il rischio per la faccia è avvertito come irrilevante, ovvero le circostanze sono tali ( per motivi di urgenza o di efficienza ) da relegarlo in secondo piano, o ancora la distanza sociale tra gli interlocutori è incontrovertibile, allora la formulazione del messaggio può avvenire senza interventi sensibili al potenziale di minaccia dell’enunciato, cioè in modo chiaro, conciso, diretto (ad esempio, con un imperativo per le richieste); se invece il rischio per la faccia emerge come fattore condizionante nell’interazione, allora possono essere messe in atto strategie manipolative del messaggio volte a minimizzarne la portata. Tali strategie saranno di due tipi:
1. orientate a minimizzare l’impatto potenzialmente negativo sul profilo positivo della faccia dell’interlocutore – cioè l’istinto di appartenenza o il bisogno di socializzazione (cortesia empatica o a polarità positiva); esse tenderanno pertanto a creare l’impressione di ridurre al minimo le distanze sociali e a non sottolineare le eventuali asimmetrie di potere;

2. orientate al soddisfacimento del bisogno di indipendenza, libertà dalle imposizioni e autodeterminazione dell’interlocutore ( cortesia difensiva o a polarità negativa).

Le strategie di questa natura sono in genere di tipo elusivo e tendono a rassicurare l’interlocutore che questi suoi bisogni di base sono riconosciuti e rispettati. Gli atti potenzialmente in grado di minacciare l’istinto di indipendenza sono pertanto tipicamente formulati con espressioni di scusa, manifestazioni di deferenza, forme passive o impersonali, e in genere contengono modalità linguistiche che indicano assenza di intenzioni coercitive.

Sono esempi di strategie improntate a cortesia empatica: complimenti ed espressioni di ammirazione

(“Come invidio i tuoi fiori”);

espressioni di simpatia e approvazione (“Mi è piaciuta molto la tua relazione, sai?”); espressioni che stuzzicano l’ interesse (“Veramente non sai niente di quello che sta accadendo?”); espressioni che sottolineano l’ appartenenza al gruppo (“Mi rivolgo a te come amico e socio”); l’uso di gerghi tecnici, di ellissi che presuppongono conoscenze reciprocamente condivise, o l‘uso di ipocoristici che denotano familiarità o intimità; espressioni che limitano il rischio di possibili disaccordi (“Potremmo forse dire”); espressioni che sfumano il disaccordo o cercano una via intermedia di accordo (“E’ lontano? Beh, sì, diciamo che ci vuole un pochino a raggiungerlo”); espressioni che cercano di stabilire un terreno comune (“So che anche tu, come me, ami la musica classica”); espressioni che attenuano l’opinione personale ( “Non so, in un certo senso mi pare giusto”); valutazioni iperboliche ( straordinario, meraviglioso); uso di inclusivi ( allora, ce lo mangiamo questo gelato?), e ancora espressioni scherzose, offerte di aiuto, formule di solidarietà.
Le strategie messe in atto per difendersi dal rischio di essere percepiti come invadenti o irrispettosi (cortesia difensiva) sono tra le più elaborate e le più altamente convenzionalizzate nel galateo linguistico e comportamentale: mirate al cuore stesso del rispetto, riconoscono le distanza sociali tra gli interlocutori, sfruttando tutti gli strumenti della deferenza e dell’espressione obliqua per sottolineare l’assenza di intenzioni impositive che potrebbero danneggiare l’immagine, il ruolo o il potere dell’interlocutore. Sono tipiche espressioni di cortesia difensiva la formulazione indiretta degli atti linguistici (“Non trovo il mio orologio”; “Dove avrò messo l’orologio?”; “Nessuno ha visto il mio orologio?”); le forme in cui si traduce la consapevolezza che non è data per scontata né la possibilità di richiedere qualcosa all’interlocutore né la volontà dell’interlocutore di fare qualcosa (“Mi scusi se La disturbo”; “ Potrei chiederLe?”; “Non so se posso permettermi”;” Forse non dovrei chiederLe”; “ Le sarebbe possibile?”); e in genere tutte quelle espressioni che consentono di negoziare il significato lasciando all’interlocutore la libertà di decidere, tra cui avverbiali dubitativi (“Forse dovresti dirglielo”), domande retoriche (“ Perché non dirglielo?”), impersonali (“Sarebbe forse meglio dirglielo”), passivi e verbi di opinione (“Penso”, “credo”, “suppongo”, “immagino”) che mitigano la forza dell’enunciato allontanando il pericolo di aggressività .
Se nel loro complesso queste strategie possono presumersi universali (ma numerosi studiosi, soprattutto di culture non occidentali, hanno contestato la tesi universalistica del modello di Brown e Levinson 1987, attirando l’attenzione sull’esistenza di culture nelle quali, a differenza di quelle anglosassoni, la cortesia non è costruita in termini strategici e volitivi bensì normativi e linguisticamente vincolati: cf. ), la loro codifica è indubbiamente soggetta alle costrizioni imposte dai sistemi linguistici. In generale, le scelte formali di cortesia investono tutti i livelli dell’organizzazione linguistica, dalla articolazione dei suoni alla morfologia, al lessico ( eufemismi come “il servizio lascia un po’ desiderare”, litoti come “i non vedenti”, formule come “per favore/piacere/cortesia” e gamme di sinonimi appartenenti ai registri più alti), fino alle più elaborate costruzioni sintattiche. L’italiano, lingua che uno stereotipo vuole più “diretta” e “cordiale” rispetto all’inglese, presenta alcune aree di elaborazione formale della cortesia che sono più sviluppate /articolate che in altre lingue europee. Tra queste, la deissi personale, i tempi e i modi verbali, e il sistema degli alterati.

Gli strumenti linguistici della cortesia --- in italiano

I pronomi di cortesia:

Tu -- Lei -- Voi -- Loro

Dal punto di vista formale, l’italiano contemporaneo dispone di quattro forme pronominali di allocuzione reverenziale (per varianti regionali, cf. Niculescu 1966, Rohlfs 1968; sulla deissi personale cf.Renzi 1993, Scaglia 2003).

Nella lingua scritta, standard, ufficiale, e nell’interazione orale meno formale, la scelta possibile sembra tuttavia limitata al

"tu"

e al

"Lei",

mentre il

"Voi",

riferito ad un singolo, appare sempre più relegato ad usi marcati per arcaismo e regionalismo (è più diffuso nelle regioni meridionali) o a calchi arcaicizzanti in traduzioni dal francese o dall’inglese, dove non è tuttavia sempre facile sostituirlo con "Lei".

Analogamente, appare ormai in regresso il "Loro", decisamente formale e antiquato.

L’uso del "Voi", sconosciuto nei primi secoli dell’Impero a Roma, dove si usava la seconda persona singolare per rivolgersi ad un’altra persona di qualsiasi estrazione sociale

(Ave Caesare, morituri te salutant; cf. anche Ferri 2009) viene introdotto come forma allocutiva per personalità di rango elevato solo a partire dal III secolo.

La nascita del vos è da porsi “in stretta relazione con il nos maiestatico, ben testimoniato già nel latino classico e ancora oggi impiegato negli atti ufficiali di papi e monarchi” (Belardinelli 2007).

Dante usa il "voi" con i personaggi cui tributa il massimo rispetto (ad esempio, a Farinata, che gli si rivolge inizialmente col Tu, risponde col Voi, e a Cacciaguida prima dà fraternamente il Tu e poi, riconosciutolo, passa al Voi).

Petrarca usa sia il "tu" che il "voi" nel rivolgersi agli amici, mentre nel Decamerone l’uso del "tu" segnala un rapporto da superiore ad inferiore ovvero di amicizia, intimità e consanguineità, e il voi è usato dai sottoposti per rivolgersi ai superiori e tra persone di pari grado appartenenti ai ceti elevati.

A partire dal XVII secolo, si diffonde nell’Italia settentrionale e centrale l’uso del pronome di terza persona singolare "ella" e "lei" riferito a Vostra Eccellenza e Vostra Signoria, con le corrispondenti forme atone la e le e il plurale Loro (Lor Signorie).

Per capire l’affermarsi del Lei occorre dunque partire dalle locuzioni reverenziali del tipo Tua o Vostra Signoria, Magnificenza e simili, seguite da pronomi allocutivi parassitari dei richiami anaforici di terza singolare, del tipo essa, quella, questa, codesta e lei.

“ Quest’ultimo, osserva Belardinelli 2007, “ dapprima nei casi preceduti da preposizione (così in una lettera di Lorenzo il Magnifico, del 1465) e solo più tardi come soggetto (un esempio è in una lettera dell’umanista Pontano, del 1476).

In questi primi esempi, quindi, il lei appare ancora in bilico fra l’essere un semplice richiamo (pronome anaforico) alla formula di cortesia presente a capo lettera e il divenire una nuova forma allocutiva di cortesia a sé stante.

Lentamente nel Cinquecento e nel Seicento, ma soprattutto nel Settecento la forma Ella/Lei conquista definitivamente terreno e si affianca, come possibile scelta alternativa al voi, con un valore intermedio tra la forma estesa Vostra Signoria e il più comune voi.”

Ma il comportamento grammaticale delle forme di ossequio resta incerto a lungo.

Le raccolte epistolari del quattro-cinquecento documentano la frequente confusione tra il Lei e il Voi che si stabilizza con l’affermazione del Lei a scapito del Voi quando prevale l’abitudine di dare del Signore a tutti, come deprecato da Ariosto nella satira indirizzata al fratello Galasso (1519), in cui condanna la vile adulazion che ha messo la signoria fin nel bordello.

Accanto all’uso “innaturale” del Lei, anche l’uso del Voi cerimonioso è stigmatizzato dal Verri nella sua polemica sul Caffè:

“Gli antichi Italiani, ne’ tempi ne’ quali da Roma si spedivano i decreti all’Inghilterra ed alla Siria, parlandosi l’un l’altro usavano la seconda persona singolare, [...]."

"Né altro modo di conversare era in que’ tempi conosciuto in Italia."

"Credevasi allora che iprecetti dell’urbanità non fossero giammai violati dalla natura delle cose, e perciò per disegnar la persona alla quale si parlava dicevasi Tu."

"Noi, che grazie al Cielo abbiamo degli oggetti che ci occupano assai più vasti di quelli che non avevano gli antichi Italiani, noi, che per conseguenza siamo uomini d’una importanza altrettanto maggiore, non soffriamo che ci venga dato del Tu; e la ragione si è perché ciascuno di noi vale almeno per due, onde in tutta confidenza ci vien dato del Voi, anzi, malcontenti di valere per un paio, esigiamo con ogni ragione che nessuno ardisca d’indirizzare il discorso né supponendoci uno né supponendoci più d’uno, ma bensì che si parli alla nostra Signoria".

------------------ (Pietro Verri, Il Caffè , 1765).

L’abolizione del Lei a favore del Voi è uno dei “tre poderosi cazzotti nello stomaco della borghesia italiana” sferrati dal regime fascista nel suo sedicesimo anno in nome della purezza anche linguistica dell’italianità.

Nel nome di tale battaglia furono riscritte intere opere cancellando il Lei “servile e straniero” a vantaggio del Voi di tradizione romana.

Dopo il fascismo, la terza persona ricompare tuttavia con tutta la sua forza ma portandosi dietro, non risolti, i problemi grammaticali di concordanza di genere (“Lei, Signor Ministro, è arrivata/o col treno?”)

Ancora nell’ambito degli usi pronominali, sono strategie di cortesia empatica l’uso dei plurali al posto dei singolari, tra cui il noi inclusivo, che cancella le distanze e introduce una sfumatura di coinvolgimento affettivo (“Signor Ambasciatore, cosa possiamo rispondere al nostro ascoltatore che ci chiede notizie dei suoi familiari?”), il plurale di modestia, il tu fittizio o impersonale (“Sai, quando ti trovi in una situazione così, non è facile decidere cosa fare”).

In quanto implica di norma l’idea di un qualche condizionamento reale o ipotetico, implicito o esplicito, il condizionale si rivela uno strumento prezioso per l’espressione di quelle “penombre e luci smorzate” che invitano alla cortesia in contesti nei quali l’indicativo “diffonderebbe una piena luce solare” (Serianni 1988: 401). L’uso del condizionale in interazioni del tipo “Cosa posso offrirti? Prenderei un tè, grazie” è facilmente interpretabile come apodosi ellittica di protasi quali “ Se non ti disturbo/ Se per te va bene/Se non ti dispiace), evocabili anche in contesti come “E’ un po’ tardi. Io andrei” (se non ti dispiace), mentre la funzione attenuatrice è ben visibile nel condizionale di modestia “Secondo te chi ha ragione? Direi che ha ragione lui” e la consapevolezza della credibilità personale come valore che può essere minacciato dal riferire notizie non verificabili è attestata dai condizionali epistemici : “La crisi economica mostrerebbe segnali di ripresa (dicono gli esperti)”; “Domani dovrebbe piovere ( per quanto ne so)”.
Il congiuntivo esortativo è indicatore di cortesia nei contesti in cui svolge la funzione di mitigare l’imperativo, e ciò non solo nelle formule burocratiche “Voglia gradire, Signor Segretario, i sensi della mia più alta considerazione” ma anche in comuni richieste ed ordini quali “Rimanga ancora un po’” o “Dica: cosa desidera?” “Si accomodi” (per un uso dell’indicativo detto di cortesia, in espressioni come “ Adesso vai di là e la preghi di scusarti”, cf. Leone 1976).

Tra i tempi verbali, sono forme di cortesia l’imperfetto “attenuativo” (Bertinetto 1991), il cui uso appare dettato da ragioni di evidente asimmetria dei ruoli sociali, come nel caso dei contesti commerciali: (“Desiderava?”), ovvero da ragioni di pudore che inducono il parlante a minimizzare l’urgenza di una determinata richiesta (“Senti, volevo dirti…”)., o ancora motivato da una percezione dell’indicativo volitivo come forma impositiva (“Volevo/Voglio una cartuccia per la stampante”), e il futuro attenuativo (Bertinetto 1991) “Vi confesserò “, “Vi dirò”, “Non vi nasconderò”. Come nel caso degli imperfetti, siamo di fronte ad una forma di ““metafora temporale” nella quale l’evento viene idealmente dislocato nel futuro, come a voler frapporre una distanza psicologica fra il momento dell’enunciazione e il momento dell’avvenimento e ciò per attenuare l’impatto di una realtà che può essere giudicata spiacevole, oppure per accrescere la sorpresa” (ib.:116). Analoghe considerazioni valgono per il futuro epistemico “Suppongo che avrai fame”. “Vieni, accomodati, sarai stanco.”
Anche l’uso del presente storico può rappresentare un avvicinamento empatico, contribuendo ad accrescere l’interesse e il coinvolgimento dell’interlocutore. Ne è un esempio “Stavo andando a casa e chi ti vedo?”.

La ricca morfologia degli alterati consente una vasta gamma di modulazioni non solo semantiche (denotative) ma anche pragmatiche del significato di nomi, verbi e aggettivi che, spaziando dall’affettività alla ludicità, introducono nell’interazione dimensioni valutative sensibili alla logica della cortesia. I diminutivi, ad esempio, possono servire a mitigare gli effetti potenzialmente aggressivi o negativi di un enunciato (“Sei un po’ dimagritina?”; “ La tua tesi mi pare un po’ debolina”; “Fa freddino qui dentro”). Dal punto di vista morfopragmatico, l’uso del diminutivo può corrispondere ad una strategia di cortesia a polarità sia positiva che negativa, come nel caso del diminutivum modestum (“Credo di aver fatto qualche errorino”; “Daresti un’occhiatina al mio lavoro?”) o del diminutivum puerile, cioè l’uso fictum o reale del linguaggio del bambino sia come alleggerimento della responsabilità di un atto linguistico sia come evocazione di valori affettivi quali la tenerezza, la piacevolezza, l’innocenza o la familiarità ( “Il mio povero computerino si è rotto”; “Posso ricordarti di fare quella telefonatina?”;” Sei arrivato un po’ prestino”). Analogamente, l’uso di accrescitivi (“Mi faresti un piacerone?”; “Una bella dormitona e passa tutto, vedrai”), vezzeggiativi (“Gianna è un po’ rotondetta”) o ipocoristici (Marcellina, Peppinuccio) consente l’instaurarsi di una relazione ludica, di coinvolgimento emotivo o di familiarità che riduce psicologicamente la distanza tra parlante ed interlocutore favorendo la cortesia positiva (Dressler- Merlini Barbaresi 1992).

BIBLIOGRAFIA

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Belardinelli, Paolo (2007)
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Bertinetto, PierMarco (1991)
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