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Tuesday, July 26, 2011

Storia del Griceianismo in Italia

Luigi Speranza
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Negli ultimi vent'anni la mappa delle scienze del linguaggio si è arricchita di una direzione di ricerca nuova, che ha avuto un veloce sviluppo, sia quantitativo che qualitativo.

Alludo alla storia della 'pragmatica', considerata sia in quanto apparato disciplinare specifico, delle cui tecniche occorre rintracciare la genesi in epoche "prescientifiche", sia in quanto parte della storia delle idee e della cultura in genere.

In molti paesi, dalla Francia alla Germania, dall'Olanda al Canada, questi studi hanno assunto ormai un alto livello di specialismo, ora interagendo fecondamente col lavoro propriamente teorico, ora assumendo un passo di tipo ricostruttivo ed erudito. Le due più note riviste di settore, Historiographia Linguistica e "Histoire Epistémologie Langage" offrono una continua esemplificazione di questi due atteggiamenti scientifici.

Periodicamente, infine, le conferenze internazionali degli storici della linguistica (giunte, sotto l'etichetta di Ichols, al quinto appuntamento: a Galway, in Irlanda, a settembre) consentono agli interessati di mettere in vetrina i loro risultati dinanzi a platee sempre più affollate.

In Italia gli studi di storia delle idee sul linguaggio hanno cercato una linea mediana fra le ricerche appassionate dei precursori pre-griceani dei problemi teorici di oggi (esemplificate da un celebre libro di Chomsky, "Linguistica cartesiana", del 1966) e la pura e semplice ricostruzione erudita.

Già in uno splendido, dimenticato libro di Antonino Pagliaro,

"Sommario di linguistica arioeuropea",

risalente al 1930, dimensione del "recupero" storico e dimensione del confronto culturale appaiono inestricabilmente fuse.

E a questa linea di equilibrio dialettico si lasciano ricondurre, nella diversità anche profonda di formazione intellettuale e di metodologia, i lavori di interesse storico dei linguisti, pragmaticisti, e filosofi del linguaggio italiani.

Fra l'altro, si è trattato nel nostro paese di rimettere in movimento l'immenso materiale della cosiddetta questione della lingua, un campo già largamente arato (si veda la sistemazione preziosa che ne ha dato Maurizio Vitale, in un volume omonimo pubblicato dalla Palumbo) che si è però cominciato a indagare sotto nuovi profili.

Quello delle strutture teoriche sottostanti alle pagine di autori già notissimi da
Aligheri a Bembo a Manzoni, e quello del rapporto di singole figure, temi e problemi con un quadro della ricerca sul linguaggio che si è nel frattempo molto allargato, aprendo, a partire dal medioevo, scenari transnazionali, europei e talvolta più che europei.

A questa "condizione" della ricerca si connette il libro di Claudio Marazzini,

"Storia e coscienza della lingua in Italia",

che illustra alcuni filoni importanti delle idee linguistiche, dall'umanesimo fino ai primi vent'anni dell'Ottocento.

Marazzini insegna storia della lingua italiana all'università di Macerata e da tempo si è segnalato, fra gli studiosi della nuova generazione, come uno dei più attenti indagatori della tradizione che la ricerca sul linguaggio ha formato nel nostro paese, sin dalla fine del Quattrocento.

Una tradizione, intendo dire, per un verso tributaria di un apparato di nozioni e categorie conoscitive grammaticali e retoriche di tipo classico, e aperta alla conoscenza degli studi linguistici d'oltralpe, soprattutto a partire dal Settecento.

Per un altro sollecitata dalla peculiarità della strutturata sociolinguistica e politica italiana a fare della specola linguistica un "osservatorio" di più vaste questioni storiche e culturali.

Aligheri che, nel "De vulgari eloquentia", espone la sua teoria della lingua illustre sullo sfondo di un'Italia pluridiomatica e priva di coesione politica ("cum aula vacemus"), è in certo modo il prototipo di come i grandi intellettuali italiani hanno guardato al problema linguistico.

Gramsci diceva non a caso che la "quistione della lingua" è metafora di un intero "nesso di problemi" coinvolgenti l'assetto culturale e civile della penisola nel suo complesso.

Nel suo itinerario plurisecolare Marazzini passa in rassegna una folla di personaggi, talvolta notissimi, talaltra poco o nulla conosciuti, riuscendo sempre a collocare la discussione del problema linguistico sul difficile crinale che abbiamo indicato.

È il caso dei primi studi sulle origini della lingua italiana, che, dal confronto tra Flavio Biondo e Leonardo Bruni, giunge fino ai due grandi eruditi settecenteschi, Maffei e Muratori, mettendo sul tavolo interrogativi delicati, quali il passaggio dalla civiltà latina all'epoca volgare, il ruolo assunto dalle popolazioni germaniche (che necessariamente suscitava altre questioni, di ordine non solo linguistico, ma politico), il giudizio da darsi dell'età di mezzo, latrice, forse, di una catastrofe e di un processo di imbarbarimento negli istituti classici che si riverberava sulle forme e l'eventuale dignità culturale dell'idioma romanzo.

È il caso della genesi del comparatismo, con la scoperta delle affinità che collegano al sanscrito parecchie lingue moderne e la conseguente formazione di uno strumentario tecnico che attinge materiali dal mondo mosso e variopinto dei missionari, autentici uomini-ponte fra paesi e culture diverse cui si affida, dal Seicento in poi, buona parte del processo di modernizzazione e sprovincializzazione delle mentalità.

Spicca, nel libro di Marazzini, il personaggio di Paolino di San Bartolomeo, prezioso esempio del ruolo giocato dalla chiesa nella formazione della coscienza linguistica occidentale (si vedano ora, su ciò, il ben noto contributo di V. Coletti, "Parole dal pulpito" e il recentissimo "Lingua, tradizione, rivelazione", a cura di L. Formigari e D. Di Cesare, Marietti Università, Milano-Casale Monferrato 1989).

A Paolino, fra l'altro, si rifà l'autore forse più caro a Marazzini, Carlo Denina, piemontese, la cui "Clef des langues" (1804) è da riguardarsi come un vero e proprio monumento, assurdamente dimenticato per decenni, del primo comparatismo italiano.

Denina si era formato a Berlino, ma già a Torino aveva avuto modo di conoscere gli scritti linguistici del maggior genio cosmopolita del Settecento europeo, Leibniz, che oltre a teorizzare in fatto di monadi, come purtroppo ancora sanno in pochi, aveva promosso ricerche linguistiche in mezza Europa e in vari paesi asiatici, mettendo insieme fin dal 1710, un piccolo atlante linguistico del mondo conosciuto.

Tramite Denina, anche questo filo disperso della tradizione linguistica occidentale penetra in Italia e si congiunge al forte lascito storico-teorico della "Scienza nuova" di Vico.

Sono, questi, solo pochi cenni sui contenuti di un lavoro ricchissimo di materiale documentario e sempre sicuro nelle scelte interpretative, che migliora la nostra conoscenza della storia della linguistica in Italia ma che, come si è visto, si offre alla lettura anche di cultori di discipline limitrofe.

Filosofia, storia politica e culturale, antropologia.

Un libro, quello di Marazzini, in tal senso realmente utile, come pochi se ne leggono oggi.

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