Grice e Mastrofini: l’implicatura conversazionale e l’implicatura
verbale di Romolo – filosofia italiana – Luigi Speranza pel Gruppo di Gioco di
H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Monte Compatri). Filosofo italiano.
Grice: “I like Mastrofini; for one, he found how old Roman evolves into
what we may call new Roman, or Italian!” – Grice: “And of course as a
philosopher, he focused on the philosophical terminology – it takes a
PHILOSOPHER to translate a philosophical text!” – Grice: “What I like about
Mastrofini” is that he mostly kept with the cognates. La Crusca adores him!” Noto soprattutto per il volume
“Le discussioni sull'usura” in cui sostenne che non è reato far fruttare il
danaro e che né la Sacra Scrittura, né i Vangeli, né la tradizione
ecclesiastica vietavano di ottenere un giusto interesse per danaro dato a
prestito. Questo diede luogo a molte discussioni ma anche apprezzamenti
lusinghieri da economisti dell'epoca e dall'opinione pubblica. In precedenza aveva scritto un'opera di
economia finanziaria, il Piano per riparare la moneta erosa relativa
all'inflazione nello Stato Pontificio, opera largamente utilizzata per la
riforma finanziaria dello Stato, intrapresa da Pio VII. L'edificio del Collegio
Romano ove insegna. Insegna a Frascatii.
Nel pieno della crisi della Repubblica Romana, si trasfere a Roma dove venne
nominato professore di eloquenza presso il Collegio Romano.Torna a a Frascati. Si
trasfere definitivamente a Roma dove assume la carica di consultore della
"Nuova Congregazione cardinalizia per gli affari totius orbis". Produce le traduzioni dei capolavori di Floro,
“Sulle cose romane,” e di Ampelio, “Sulle cose memorabili del mondo e degli
imperi.” Traduce “Le Antichità romane” di Dionigi. Pubblica “Teoria e
prospetto; ossia, dipinto critico dei verbi italiani coniugati, specialmente
degli anomali o mal noti nelle cadenze,” opera che porta un grande contributo
allo studio dell'italiano, utilizzata dall'Accademia della Crusca nella
revisione del dizionario della lingua italiana. Pubblica “Della maniera di
misurare le lesioni enormi nei contratti e uno studio sulla patria potestà e
filiazione, che ha larga eco nei circoli giuridici romani, essendo allora in
corso una causa di riconoscimento di paternità per successione tra i Torlonia e
i Cesarini. Piazza di Monte Citorio. Nell'edificio
dove abita e muore, in piazza di Monte Citorio il Comune di Roma appose una
lapide con il seguente ricordo: Abita in questa casa -- filosofo assai più
grande che celebrato fissa le incerte leggi dei verbi investiga felicemente con
l’uso della ragione i misteri della scienza divina S.P.Q.R.» “Dissertazione
filosofica” (Roma); “Piano per riparare la moneta erosa” (Roma); “Ritratti
poetici, storici, critici dei personaggi più famosi nell'antico e nuovo
Testamento” (Floro); “Sulle cose romane” (Roma, Ampelio); “Sulle cose
memorabili del mondo e degli imperi” (Roma); Dionigi di Alicarnasso “Le
Antichità romane”, Roma, “Dizionario dei verbi italiani” (Roma); “Metaphisica
sublimior de Deo triun et uno,” Roma, Appiano “Storia delle guerre civili dei Romani",
Roma, Arriano “La Storia”, Roma, ristampata da Sonzongo con il titolo “Delle
cose d'Italia” “Le usure,” Roma, “Amplissimi frutti da raccogliere sul
calendario gregoriano,” Roma, “L'anima umana e i suoi stati,” Roma, “Teorica dei nomi,” Roma, “Teorica e
prospetto de' verbi italiani conjgeniti,” Roma. Dizionario Biografico degli
Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Dizionario biografico
degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Il primo fondatore di Roma,
e dell'impero e ROMOLO, generato da MARTE, e da Rea Silvia. Tanto nella sua gravidanza
confessa di sèquesta sacerdotessa: nè la fama ne dubita quando poco appresso il
fanciullo gettato con Remo suo fratello nella corrente per ancenno di Amulio, non
potè soffocarsi. Imperoc chè il padre Tevere ritira dal lido le acque ed una
lupa, lasciati i suoi parti, e seguendo il suono de'vagiti, inboccò li sue
mamelle a' fanciulli, presentando in se stessa una madre. Cosi trovatili un
regio pastore presso di un'arbore, e portatili in casa (2 gli educa. Di que'
giorni Alba, opera di Giulo, e capitale nel Lazio chè avea quegli dispregiata
Lavinia, città del suo padre Amulio. Sopra ttutto sembra inc satto l'intervallo
da Augusto fino a Trajano Eglilo crededi anni duecento ; laddove è di anni cento
due a!l'incircd. Ma forse vi è sbaglio nel testo e dee leggersi cento in lungo
di duecento (1) Rea Silvia figliuola di Numitore presedeva al sacerdo zio di Vesta
Quindi è dettaSacerdotessa. Nel testo in casam: questa voce può sign'ficare
capan Tuttavia par verisimile che l'abituro di un regio pastore fosse alquanto
migliore di una capanna. L'espressione italiana comprende ogni abitazione fosse
capanna o no . av. Cr av. R. 26. na ENEA dopo finita la guerra con Turno
foudo la città cui chiamò Lavinia dal nome della moglie . Ascanio , ossia
Giulo, peròdi luifigliuolo dopolamortediEneafabbricò A!. ba Lunga la quale tu
capitale del regno per trecento anni Ani. dik . 3.av. Cr. essi
viregnava, avendonecacciato il germane suo Numitore, dalla cui figlia Romolo
era n..to . Adunque co stui nel primi bollore degli anni caccia Imulio suo zio
dal principato, el'avoloviri pone. In tanto egli amante del fiume e de’monti, vicino
a'quali era stato educato, meditava lemura di una nuovacitt). Ma l'unoe l'altro
essendo gemelli; p acque loro consultare gl'ld dj , qual de’due le fondasse e
vi dominasse . Per tanto REMO andossene al monte Aventino, el altro al Palatino.
Colui pel primo vide VI avoitoj: posteriormente videne l'altro, ma XII: e vincitore
negli augurji nal Area fin quì fatto un'ABOZZO di citta, piuttosto che una città;
mancandole gli abitanti. Ma siccome riina neale vicino un bosco;eg!
2feceunasilo; edisubia tovisi adund moltitudine prodigiosa di uomini, Latini, e
Toscani pastori , eGo ancotras marini, sia de ' Frigj venuti con ENEA, sia degl’Arcadi
con Evantro. Cosi quasida varii eleinenti, ne trasse un corpo solo; ed e per
lui creato IL POPOLO ROMANO. Vi quel popolo di uomini e cosa di una sola
generazione. Si chiesero dunque de’matrimoni da'confinanti; e sccome non si
otteneano, sono con la forza espugnati. Imperocchè finti de 'giuochi equestri, le
vergini accorse per lo spets 747. incirca. Finalinente ROMOLO inalza Roma che diverrebbeca.
C o . za una città pieno di speranza, che guerriera diverrebbe; tanto
ripromettendogli quegli uccelli, consueti a 7 LIBio sangue e prede. Sembra che
in difesa della puova cit tá basterebbe un vallo; se non che deridendo Remo le
angustie di questo, anzi condannandole con saltarle, e trucidato; è dubbio se
per comando del fratello; ma certo ei ne fu la prima delle vittime; e CONSACrA
COL SANGUE SUO e fortificazioni della nuova città . Av. Cr. R.2 so 52 7> ro
dell'Italia e del mondo , PRIMO 13 (+) Spoglie opine eran quelle
che un comandante toglie all'imperadore o supremo comandante nemico uccidendolo
di sua mano. Queste sono così rare; che se ne contano appena tre. Le prime le
riporta Romolo contro di Acrone. Le seconde Cornelio Cosso contro di Tolunnio.
E le terza Marco Marcello su Viridomaro. Giove poi e detto Feretrie o perchè a
lui ferebantur si portavano le spoglie opime, o perchè ferisce col fulmine; o
perchè nell'acquistare le spoglie opime un capitano ferisce l'altro con la
spada. E questo un bel mantenere le promesse e intendere di dare alla donzella
gli scudi perchè gli scudi le vibravano opprimendola . Questo metodo di
mantenere le promesse , ras somiglia a quello usato dalla fanciulla per
consegnare una porta creduta da Floro senza inganno o cone noi abbiamo tradotto
, senza malizia, perchè non chiedeva danaro , ma gli scudi o li braccialetti.
Potrà inai persuadere questa ragione? La vergine, che quisi addita, secondo
Valerio Massimo e figliuola di Spur.Tarpejo il quale a tempi di Romolo presede
alla fortezza: c coleiera uscita per prenderc acqua pe’santi riti,
tacolo, furon preda, e cagione immediata di guerre. Furono I Vejentire spinti e
fugati: la città di Cenina fu presae diroccata: inoltre lo stesso monarca ne riporta
con le sue mani a Giove Feretrio le spoglie ooiine del re. Ma le nostre porte
furon date a Sabini per una donzella; nè già con malizia: ma chiesto avendone
la fanciulla in ricompensa ciocchè essi portavano alle sinistre, gli scudi
forse o li braccialetti; coloro e per man tenere a leila promessa e per
vendicarsene la oppressero congli scudi. Ricevuti in tal modo fra le mura i
nemici ne sorse nel foro medesim »un'atroce battaglia; tanto che ROMOLO prega
Giove che arrestasse la fuga vi tuperosa de’ suoi. Quindi ha origine il tempio
, e Giove Statore . Finalmente le donzelle in lacere chiome s'intrammisero ad essi
che infierivano. Così fu la pace riordinata, e stabilita l'alleanza con Fazio.
Donde ne.diR. Cr. bandonati i lor domicilj, sen passarono alla nuova città,
consociando co'nuovi generi loro gli aviti beni perdote. Accresciute in poco
tempo le forze da il sapientissimo re quest: forma alla Repubblica. E la
gioventù divisa in tribà con cavalli ed armi perchè sorgesse nelle subire
guerre: fosse il consiglio su pubblici affari ne’ seniori, i quali si chiamano pari
arringando dinanzi la città presso la palude della capra, e di repente levato
di vista. Alcuni pensano che i senatori lo trucidassero per la ferocia
dell'indole di lui. Dopo la morte di ROMOLO il trono resta privo di sovrano per
un'anno, comandando in tanto a vicenda i senatori di cinque in cinque giorni. Quello
spazio e chiamato interregno. Il magistrato a forma d'interregno ha luogo
ancora ne'se. coli posteriori quando I consoli occupati in lontane azioni non
potevano intervenire ai coinızj;o quando erano costretti a depor. 14
LIBRO dir. seguitò, cioc chèè portentoso a dire, che inemiciab 7.av. Cr. diR.
38. l'autorità, ma per la eta S.nuto. Ordinate in tal modo le cose, egli SI
CONDO Tav. 37 av 713 so non che la tempesta e l'oscurarsi del sole
presentaroncincid le imnagini con e di una santa operazione: alla nuale poco
appresso diè credito GIULIO Proculo coll'offermare; che ROMOLO si era a lui
dato a vedere Cr 743. informa più augusta della consueta; e che imponeva che
per Dio se lo prendessero. Piacere a Numi che egli sichiami Virinoin sul cielo.
Con tal mezo Roma conquisterebbe le genti. E' natura del Verbo di esprimere l'afermazione
e la negazione. E siccome Essere e non essere esprimono appunto per se stessi
l'affermazione e la negazione; ne seguita che il verbo Essere preso nudamente,
o preceduto dalla particella “non”, è verbo per natura e per eccellenza.
Comunemente la voce essere è nota col nome di verbo sostantivo, perchè esprime
l'esistere, o L’ESSERE di sostanza. Le qualità che si affermano o negano
possono aversi distinte o no, dall'affermazione,o negazione. Nel primo caso l'affermazione
o negazione si addita col verbo essere, come si è detto. Ma nel secondo caso
risulta un nuovo ordine di verbi più composti; appunto per chè in essi è
riunita l'affermazione o negazione colle qualità che si affermano o negano:
tali sono amare, godere, odiare, piangere et cetera, che significano essere
nell'amore, nel gaudio, tra l'odio, o tra 'l pianto. Questo secondo genere di
verbi ha servito incredibilmente a variare e fecondare il discorso, in somma
alla dolcezza dell’eloquenza, e della Poesia. Chi afferma e nega, o afferma e
nega dise stesso, che si chi a ma persona prima, o di altri a cui parla, che si
chiama persona seconda, o di soggetto a cui non si parla, e si chiama persona
terza. Per altro queste persone possono essere una, o più, cioè possono
riguardarsi in singolare, duale, o plurale. E 'naturale che tanto nella nostra
quanto nella più parte delle lingue s'introducesse l'uso di finire il verbo
diversamente secondo la diversità delle persone,e del numero. E quindi abbiamo
amo ami ama amiamo amate amano. E potendo il discorso riguardare cose presenti,
cose cominciate e non finite, cose passate, più che passate, e future; fubene varia.
Anzi siccome le proprietà si affermano o negano assolutamente, o sotto certi
rapporti e condizioni. Cosi li verbi divennero parole terminate diversamente
secondo la persona, il numero, i tempi, e i modi di affermazioni e negazioni
assolute o relative. S. 1. re il verbo secondo la persona, il numero, e i
tempi. a I 6. Questi modisono cinque: Indicativo, Imperativo,
Ottativo, Congiuntivo, ed Infinito. L'indicativo dimostra assolutamente che una
cosa è, fu, sara; e perd vien detto ancora assoluto e dimostrativo. Cosi Pietro
ama amò amerà. le scienze, forme tutte dell'Indicativo, dichiarano che Pietro
amo, ama, ed amerà, assolutamente. L'Imperativo esprime comando, preghiera, avviso,
consiglio, esortazione di far qualche cosa, e con una sola voce si vuol
esprimere il comando, preghiera et cetera, e l'azion e che deve farsi. Tale
sarebbe ama tu, amerai til, ameremo noi et cetera. Per tanto si esprime
l'azione ed il modo col quale si fa, cioè per comando, preghiera et cetera;
laddove nell'Indicativo mancano questi rapporti. L'Ottativo esprime desiderio
di fare una cosa, giusta i varii tempi; e per questo è detto ancora
desiderativo, e tale sarebbe, “O se amassi, io amerei, O avessi amato, lo
avreiamato et cetera. Il congiuntivo è così detto perché si adopera quando si
vuo le congiungere il discorso con altre cose precedenti, e perd siegue le
particole sebbene, quantunque, conciossiacosache et cetera. Tále è quel di PETRARCA
Italia mia, benchè il parlar sia indarno & c. E talequel di BOCCACCIO. .6.7.n.2.
per l'amore di Dio, come chè il fatto sia et cetera. Tra i Greci l'Ottativo ha
le sue desinenze tutte diverse dal congiuntivo: ma nella lingua latina e nella
nostra L’OTTATIVO ADOPERA LE STESSE VOCI DEL CONGIUNTIVO, se ben si rifletta. Il
verbo si dice di modo finito o determinato finchè si concepisce indicativo, imperativo,
ottativo, congiuntivo. Ma talvolta esprime indeterminatamente qualche proprietà
senz'additare ne persona, nè numero, come amare, leggere, et cetera, ed allora
si chiama di modo infinito cioè indefinito ossia non determinato. La varia
desinenza di un verbo secondo le persone, il numero, i tempi, ed i modi si
chiama conjugazione. Ed i verbi si dicono di una conjugazione medesima o
diversa, secondo che rassomigliano o no nel complesso di queste desinenze. E
siccome queste si diversificano secondo la diversità dell'infinito; e
l'infinito puo terminare in -are, in -ere -- lungo e breve --, ed in -ire; cosi
III sono le conjugazioni della nostra lingua. Tutti gl’infiniti terminati in -are
si dicono della prima conjugazione come amare, balzare, danzare. Tutti quelli
terminati in -ere sichiamano della seconda, o l'infinito sia lungo o breve,
come temère,cadère, giacère, et cetera, e come credere, discendere, volgere, ecc..
I latini di queste due desinenze ne faceano II CONGIUGAZIONI diverse, come
docère e legere. Nè mancato è pur tra gl'Italiani chi abbia concepite diverse
le conjugazioni secondo l'infinito lungo o breve. Ma siccome, tolta la
pronunzia lunga e breve dell' infinito, non vi sono altri di vari, parlando
regolarmente; e siccome la pronunzia concerne il modo di significarlo in voce, non
la forma del verbo; così piùra gionevoli sono quelli che rinniscono in una
conjugazione gl'infiniti in -ere, lunghi o brevi. Spettano alla terza tutti i
verbi terminati in -ire, come sentire, uscire ecc. Chi si propone per
iscopo di presentare il prospetto de'verbi italiani dee porre sott'occhio le
varie desinenze di essi giusta i modi, I tempi, il numero, e le persone nelle
varie conjugazioni. E cið ė propriamente che noi cercheremo di eseguire. Per
vedere però più da presso il suggetto, anzi fin dalle origini, ed in tutta
l'ampiezza sua, divideremo quesť opera in due parti. La prima e tutta di Teoria
e di Prospetto generale; ed esporremo in essa come le conjugazioni latine sian si
trasformate e si trasformino nelle presenti d'Italia; la dipendenza comune de' nostri
verbi dall'infinito, e per ogni conjugazione il prospetto di qualche verbo che
serve di norma in tutti i simili e regolari -- come del verbo “amare” per la
prima, de'verbi “temere” e “credere” per la seconda, e de’ 'verbi “sentire” ed “aborrire”
per la terza. Anteporremo per altro a tutti il verbo “essere” come principio di
ogni verbo, e quindi il verbo “avere” che prossimo gli succede, esprimendo la
sostanza, che passa ad ottenere in generale delle proprietà. E ciò tanto più
dee farsi; che senza questi due verbi, però detti “ausiliari”, non possono
formarsi le tre conjugazioni divisate degl’altri verbi. Dato cosi principio e
norma al prospetto di tutti i verbi regolari, verremo alla seconda parte ed
esporremo ad uno ad uno per ordine alfabetico i principali tra' verbi anomali
cioè quelli che in qualche tempo escono dalla legge consueta, ed i quali
servono spesso di regola per altri anomali non dissimili. Il prospetto e
distinto in quattro colonne. Nella prima si avranno le voci corrette, nella
seconda le antiche, nella terza le poetiche, e nella quarta le non ben certe, gl'IDIOTISMI
e gl’errori. Si avverta che non tutte le antiche sono affatto dismesse, anzi
talvolta usate a tempo adornano la scrittura: come pur le poetiche non tutte
sono così della poesia che non servano talora alla prosa. Il che si conoscerà dalle
note. GLI ERRORI SON SEMPRE ERRORI. Gl'idiotismi poi sono voci usate nel
parlare e nello scrivere familiare, non però nelle belle scritture, sebbene
talvolta vi scorrano per incuria e per arbitrio degli scrittori che le decidon
per buone, o vogliono nobilitarle con la fama già da essi acquistata. Per
compimento dell'opera spesso porremo in fine del prospetto il participio ed il
gerundio. Il primo é propriamente un nome tratto dal verbo. Dicesi participio
perchè partecipa del nome e del verbo: e come nome si declina, e come tratto
dal verbo esprime un qual che significato di questo. Tali sarebbono “amante” ed
“amato”. Tra’Latini si aveano participii presenti, passati, e future: “amans”,
“amatus” “amatVRVS” (cf. IMPLICATVRVM). Presso
noi, non si hanno che li presenti, e li passati che sono “amante”, “amato,” temente,
temuto. Tra’nostri antichi furono ideati anche i futuri come fatturo, perituro
ecc, ma non ebbero buon successo, nè più vi si pensa. Il participio passato e
descritto per lo più nella formazione de' tempi PIU CHE passati: laddove il
participio presente si troverà nel fine de' prospetti. Un tal participio può
essere messo informa di aggiunto e di attributo come se io dicessi: la virtù
possente, e la virtù a2 3 . Il participio si riguarda anzi come
adjettivo, che qual participio. Per chè sia participio con ogni proprietà, dee,
quando si risolva, significare come i participj latini: come se dicesi canto
possente a diletta re: schiere seguenti le altre ecc. E ciò rileva conoscere
perchè non di raro si anno gl’esempj anzi di adjettivi che di participi , e noi
pur he useremo in mancanza di participi, tali per ogni rispetto. Gerundio tra
noi e tra' latini è una voce tratta dal verbo, la qual significa le affezioni
di questo, ma la quale non si declina come il nome, nel che differisce dal
participio: come amando, credenádo, temendo, sentendo. Da'quali esempj risulta che
il Gerundio delle prime conjugazioni finisce in -ando e delle altre in -endo.
L'uso di tali gerundi è frequentissimo nell'italiano in luogo ancora
de'participj presenti. Ma veniamo all'argomento, Come le congiugazioni latine
siansi trasformate e si trasformina nelle conjugazioni presenti d'Italia. TUTTE
LE VOCALI LATINE, FINALI DI PAROLE INTERE, NE SEGUITE DA CONSONANTI, SI
CONSERVANO. Così, in AMO ed AMARE, si conserva l'O di amo, e l'E di amare. Tutte
le consonanti finali si tralasciano o mutano. Le consonanti sono M, S, T, NT, ST.
Nel caso di NT si cambia il T in O, e però non si lascia che il T amant amano, amarunt
amarono: ma talvolta tutto l'NT si muta in RO : amassent amassero: sebbe ne in
questo e simili casi può sempre rimanere la regola di mutare il solo T in o
dicendosi ancora “amassono”. Vedi il prospetto di amare.Tutti gli “U” finali seguiti
da M o da S si cambiano in 0: POSSVM > POSSO. amamus amiamo: ma se gli U sono
seguiti da NT si cambiano in o nei presenti e nei passati, ma nei futuri in AN.
Così da legunt si trae leggono, e da amabunt ameranno. Tutti gli A ovvero gli E
precedenti immediatamente l'S finale SI MUTANO IN “I”: amas > ami; times
temi: e cosi da timeas abbiamo tu temi, e da legas tu legghi. Il che basta a
conservare la regola, ma ora si dice anche “tu tema”, e “tu legga”. Tutti gli
E, ogl'I precedent gli A, oppure gli O finali, si lasciano affatto. Timea temo,
timeam icma. Sentio sento: sentiam io senta, 4 è possente: il fuoco
bruciante, e il fuoco è bruciante: ma in tal caso NOZIONI ARCHEOLOGICHE. Non dee sperar di comprendere il trattato che
qui soggiungo se non chi conosce per le gli altri ne differiscano la lettura.
sue regole l'idioma Latino e l'Italiano: 3. non si $. Tutti gl'I precedenti gli
S finali in singolare si conservano assumendo nel futuro un A precedente: legis
leggi: a ma bisamerai, ed in plurale si mutano in E: legitis leggele. Tutti gl'I
seguiti dal solo T finale subiscono un cambiamento secondo i tempi. Ne'presenti
si cambiano in E, e ne’ futuri in A accentatolegiilegge, creditcrede: amabit ameră,
timebio temerà. Per i preteriti perfetti ne diremo più innanzi. Tutti i B
avantil'afinalene gl'imperfettisi cambiano in “V” consonante, ed avanti l'O, l'I,o
l'U finale del futuro, li B. caratteristichi della conjugazione del tempo si
cambiano in R. Quindi si trae amerò da “amabo”, ma da belabo si forma belerò
senza mutarne il primo B; perchè questo è proprio del verbo, e non della
formazione del futuro. Queste regole sono ordinarie. Vediamolo. LATINO amatis
est amamo reg. 3. e 2, ora amianio sono sono Ed eccone la maniera. Dalle regole
3. e 2. è chiaro che la prima persona debba essere so e l'ultima sono. Ora dee
sapersi che appunto tra gl’antichi si trova non poche volte “so” per “sono” in
prima persona. B. Jacop. Poes. Spirit. Venez. 1617. lib. 4. cant. 28. stanz. 12. sei amamus es еè sumus somo
este credit & c. ama reg. 2 credi reg. 2. amas sentit & c. Amo reg.i.
Vedo reg.4. vedi reg. 4. vede reg. 2. senti reg.2: Amo amat amant amano reg.
Dicasi altrettanto di Video vides videt & c. credo ITALIANO ami reg. 4. e
2. 3. Applichiamo queste regole al presente del verbo sostantivo : Sum amate
reg. 5. e 2, sente reg.6. credis credo So e finalmente Sono i 5 se, estis semo
siamo sunt sete siete sentio sentis crede reg. 6. sento reg. 4. lo so nulla: ho
peccalo: Mi exalto quantoposso. e cant. 3. st. 2. del lib, stes. A
pinger laer so dato. E GIUSTO de Conti nella bella mano pag. 39. La seconda
persona es fu trasposta e non altro, facendo prece dere l'S. Quindi gl’antichi
dicevano comunissimamente se anche senz'apostrofo per seconda persona: come
Petrarca, Boccacci, Albertano, ed altri: ALBERTAN. ediz. di Fir. cap.23. Selegaloa moglie? non domandare di
scioglierti. Se sciolto da moglie? non domandar di legarti. E più sotto: e sìselenulo
di tanto amarla moglie. PETRARC. canz. 26. v. 77. ediz. Comminiana Spirto
beato, quale 6 Se, quando altrui fai tale? e altrove più e più volte. Il Decamerone
secondo la ediz.1718. col la data di Asterdam ne è pieno. Senza questa origine
che facono scerecheseper seconda persona è voce interae non accorciata, non
s'intenderebbe, perchè gl’antichi spesso non l'apostrofassero. Tutta via per distinguerla
a prima vista da se pronome, e condizionale, convenne in qualche modo
contrassegnarla, e si fece uso dell'apostrofo: e servendo questo a notare le
voci scorciate; si riguardo se persona seconda, come scorciata, quando non era:
e perchè tutte le seconde persone singolari presenti dell'indicativo terminano
in I Reg. 4.e seguendo le leggi generali, tal persona nel verbo sostantivo avrebbe
dovuto essere un I. Così poco a poco si ricongiunse se ed i in sei, ed ora si
crede questa la voce intera di tal persona. E cid supposto quando si scrive se
per indicarla, si apostrofa, quasi fosse uno scorcio di Signor non è giovato
Mostrarmi cortesia: Tanto so slato ingrato ! e altrove spessissimo. E GUIDO
Guinzelli Rime antic. appresso la bel la mano ediz. di Firenz. 1715. Come io so
avvolto nel Lenace visco; e se ne hanno esempj ancora nelle lettere di S. CATERINA,
in Fr. Gi.ROLAMO da Siena nel1. Tom. delle delizie degli eruditi Toscani, ed in
altri: vedi vocab. di S.CATER. alla voce essere: ma so trovasi parimente
persona del verbo sapere, nata da sapio > sapo > sao > so: ovvero da
scio regola 5. scosso so: la prima derivazione è di Menagio: a m e piacerebbe la
seconda. Ma torniamo all'intento: siccomeso era voce ancora del verbo sapere, e
SICCOME IL SAPER VERO E DI TANTO POSTERIORE ALL’ESSERE. Così per togliere ogni
equivoco, si volle piuttosto ridurre il “so” del verbo essere in sono, che
lasciarlo indistinto col “so” del verbo sapere. Chi dunque considera che il primo
verbo italiano “essere” ha la voce “sono” per esprimere la prima singolare e la
terza plurale, sappia che questo è stato UN MALE DI ORIGINE, voglio dire è
provenuto dalla FIGLIOLANZA della Italiana dalla lingua latina, in forza delle
leggi universali, che per tanta combinazione di circostanze cooperarono a trasmutare
l'una nell'altra . s e i : nè chi procede con tal veduta può
riprendersi: ma in origine non vi era bisogno, e più che apostrofarsi, avrebbe
dovuto accentarsi. sero eepere.ALBERTAN. Giud. cap. 51. Dal savio uomo eeda
temere lo nimico. Or cid fecesi per distinguere e del verbo, dalla congiunzione
e, come pure dal pronome ei solito ad apostofrarsi, e dalla congiunzione e
seguita dall'articolo plurale ili quali due e iriunitisi rende anopere: ma col tempo,
la varietà dell'apostrofe e dell'accento pote contrassegnare e diversificare abbastanza
l’e del verbo dagli e di altro valore: vedi esseren.Trovasi ancora fra gl’antichi
este per è ma rarissime volte: vedi Gradidi S. GIROLAM. ediz. Fir.1729. in fine
alla voce este; finchè prevalsero le regole generali anzidette. Da “sumus”
uscirebbe sumo o somo, e non semo. Ma siccome tutte le prime persone plurali
dell'indicativo presente nelle seconde conjugazioni presero la desinenza in “-emo,”
come avemo, tememo, ecc.,così da “sumus” e tratto semo. Ovvero siccome tutte le
persone prime plurali ora pe'rincontri della forma loro anno rapporto con la seconda
persona singolare tanto che sono un composto di questa con qualche a g giunta,
come “amiamo” da ami ed amo, temiamo da temi ed amo & c;e siccome tal
seconda singolare era se nel presente indicativo di essere, quindi ne uscisemo e
poisiamo. Chi conosce gl’antichi sa quanto è familiare l'uso di “semo”. Ne
allego un esempio dalla vita nuova di ALIGHIERI: Per chè semo noi venuti a
queste donne? E Fra Jacop. lib. 1. sat, 5. Uomo pensa di che semo. Di che
fummo, et a che gimo. Vedi il prospetto del verbo Essere In forza delle regole
generali, la seconda plurale sarebbe “estes”. Ma trasponendo l'savanti l'E come
nel singolare per uniformità maggiore con “sono”, “sei”, “siamo”. Sen'ebbe
sele, e questa appunto è la voce degl’antichi: si consulti il verbo essere not.
5. FINALMENTE SI AGGGIUNSE UN “I” PER DOLCEZZA (“se” > “sei”) o per
distinguere tal voce da alcuni sostantivi e sen ebbe siete, che ora è la voce
più propria di questa persona. Apparisce dunque per quali gradi e per quali
mutamenti siasi formato il presente come ora si usa del verbo essere, La terza
persona si esprime con la voce “e”, che appunto RISPONDE all’ “EST” latino, lasciatene
le consonanti SECONDO LA REGOLA 2. ma gl’antichi, prima che la lingua si
modellasse in tutto, non di raro dis 7 Preferiti Imperfetti Amabam amabas
amabat amabamus amabatis amabant Amaya reg.2.7. amavireg.2.4.7. amava reg.2.7.
amavamo reg.7.3. 2. amavate reg.7.5.2. amayano reg.7. 2. Temeva
&c. legebam leggeva e e da sentiebam lasciatone l’I che è quel di sentio
reg. 4. si ha sen leva com e era nelle origini prime, nelle quali, tutto
risentiva di conjugazione seconda tra gl'italiani ne' verbi provenienti DALLA
QUARTA DE’LATINI. Non è raro che “senteva” si oda anche ora tra' CONTADINI PIU
CORROTI CHE SONO GLI ULTIMI A CORREGGERSI. E finalmente fu detto sentiya
sentivi & c.lasciando l'E per l'I. Per queste regole e questi progressi
apparisce che la prima persona dell'imperfetto doveva terminare in A amava
temeva legge va sentiva. Al presente i filosofi ed i gramatici si meravigliano,
per chè la prima e terza persona singolare combinino, e perchè la prima non
siasi terminata in O. Ma la meraviglia cessa, se riflettasi che al cambiarsi
del latino nell'italiano, si prendevano di netto I vocaboli antichi, nè si
aveano di mira che certe regole, come le indicate di sopra, per contornarli di
nuovo. E siccome tutte le prime singolari degli imperfetti levatane la
terminazione latina in M ; restavano amaba legeba ec; cosi mutato il “B” in “V”
non poté farsi a meno d'incorrere nel lo scoglio anzidetto. Molto più che in
que'tempi non faceasi poco, se le parole non sapevano di latino. Veduto come
siasi introdotto l'equivoco, ora tocca ai filosofi di emendarlo. Ttanto più che
non siamo poi scarsissimi di esempii antichi pe'quali si compionoin o le
persone prime singolari dell'inperfetto: de'quali mi piace allegarne qui alcuni
riserbandone altri ailor verbi nel prospetto. Petrar. Vit. De Pontef. Ed Imperadori:
VITA DI CALIGOLA, lo PREGAVO ogni giorno che Tiberio morissi. Così pure
leggiamo in Fr. Jacop. 1. 4.can. 38. La cagion del mal FUGGIVO. Cavalc. Epist. di
S. Girol. ad Eusloch. cap. 3. ediz. Rom.. E vedendomi io venir meno quasi ogni
rimedio ed esser privato di ogni ajuto, GITTAVOMI a' piedi di Cristo &c....
iratoame medesimo erigido, solomi mettevo per li diserti, e dove io trovavo più
oscure e aspre e profonde valli, e aspri monti o scogli pungenti o luoghi più
aspri e spinosi; ivi mi ponevo in orazione. Pulci. Morg. c. 3. 62. lo mi posavo
in queste selve strane. Da Timebam così pure si ebbe C. XI. 83. Tal ch'io
pensavo d'aver acquistato. 8 ec.16.44 Per Dio, cugin, ch'i'sognavo al presente,
Che un gran lion mi veniva assalire. Onď io gridavo, echiamavo altra gente E
però E con Frusberta il volevo ferire. e altrove più volte. Letter. San. CATER.
di Sien. ediz. di Aldo pag. 14. a tergo. Dicevo: Signor mio io ti priego &
c. e pag. 20. vi aggiunsi anzi che io volevo in voi la perfezione della carità pag. 92. desideravo divedervi: anzi
tal voce desideravo si legge molte volte inquelle lettere. Vita B. COLOMBIN. ediz.
di Roma pag.9. lo gode voé voi non mi lascia testare, e pag. 96. ad irviilveroio
andavo a posarmi; pag.167. 0 figliuoli, e fratelli miei io non meritavo di es
ser padre di tanta buona gente; pag. 174. E questa la compagnia che io dal e speravo,
e pag. 299. Pensavo che quanto è maggiore la soggezione e l'unità ; tanto si
vien piuttosto ad aver libertà : Vedi ero n.6. verbo essere:e n. 6. avere. Eram
Erant Erate reg. 5. e 2. e quindi Eravate avevano reg. 7. 2. Imperocchè ben è
facilissimo concepire, che se cambiavasi in questo tempo in V il B precedente
l'A finale, potevasi cambiare in V parimente anche l'altro B: anzi parea troppo
ragionevole, perchè non si notasse tanto di variodi usi in parole medesime, e si
familiari. E' poi noto, che tutto il verbo “avere” si scrivea ne’ principi, e
si scrisse a n cor dopo per lunghissimo tempo con l’ “H”” precedente: ed ora
per un progresso, non saprei quanto considerato, si tralascia ancora nelle vo
ci, che forse ne abbisognano. Ma giova esaminare ancora come siansi
trasformati gl'imperfetti de'verbi ausiliari: Eccolo 9. Si possono da tutto ciò
comprendere le cause de'cambiamenti prodotti nel presente di habco: seguiamoli
via via, che'non sarà inutile la ricerca Lasciato l'E di habeo reg. 4, e le
altre consonanti, e cambiatele giusta le altre regole, risulta 9 Era reg. 2.
Eramo ed erale presentano Erano reg. 2. le voci come si traevano dal latino in ottima
forma. Ma il va inserito eramus ed eratis Eras Era reg. 2. in eravamo, ed
eravate negli altri verbi, mentre in suppongono il B cambiato in V, come dunque
di vainera questa consonante. Tale aggiunta affatto manca la origine, nè fu,
che una intrusione vamo ed eravate è contro per di altri verbi, che usciva ,
nato dal sentire le voci consimili isbaglio amayate &c. Il peggio no in
quel modo, come amavamo, non dandosi quell'aggiunta fu che si anche alle voci
era tolse la uniformità tiranno delle lingue, autorizza erano & c. Non dimeno
l'uso, quel , più che le semplicie naturali vamoederavale essere, n. 6. Ma
diciamo si trovino pur queste. Vedi que risultasse. Eccone la maniera fetto di
avere, è come Haveva 8. Habebam habebas Habeva habevi era eramo erate, quantun
dell'imper Aveva reg.7. 2. habebamus aveva reg. 7. 2. habebat habeva habevamo
habevate habevano haveva havevamo avevamo reg.7.3.2. avevate reg. 7. 5. 2.
habebatis habebant havevate havevano Erat Eramus Eratis Eri reg. 4. e 2. Eramo
reg.3. e 2.e quindi Eravamo havevi avevireg.7. 4. 2. b abbemo
abbiamo &c. Forseil B fu raddoppiato per compensare la perdita dell'E nell’
“habeo.” Sia comunque, abbosi legge ancora in ALIGHIER, Infer. 25. E quanto io
l'ABBO ingrado mentre io viva: E negl iAMMAESTRAMENTI degl’antichi certamente
abbo provato; e più sotto: ripenso la seraa quello che iolo di abbo detto.E
nelle Vite de’ SS.PP.e diz. Man.Fir, 1731., nella VITA DI GIOSAFATTE ediz. Rom.,
e nelle Noyelle antiche Fir, 1572 l'uso di “ABBO” è comune . Abbi è rimaso nel
Congiuntivo. E 'poi noto, che gl’antichi usavano la seconda singolare presente
dell'Indicativo ancora nel Congiuntivo, come resta tuttora in molti verbi, Così
ami serve in tutti due i tempi alle due seconde persone singolari,e cosi temi
può servire ancora, sebbene ora vi siano dei divarj. Sopravvanza nell'uso
comune abbiamo; e siccome gl’antichi finivano le voci per tali persone in eino,
cosi non vi è dubbio che ne'principj si dicesse “ABBEMO,” quantunque negli
scritti forse non si trovi, per la rapidità di altri cambiamenti succeduti.
Certamente l'uso di scambiare tutti i B nell'imperfetto di “HABERE,” di buon
pra scorse in alcune, o in tutte le voci del presente, e si trasse da Habo Avo
habi ave avemo avete habono avono ave resta tuttora tra’ poeti, e fu non meno
della prosa. Vedi questa voce nel prospetto di avere. Avemo é comunissima tra
gli’antichi. Avete rimane per ogni scrittura. Le altre tre voci presto furono
cambiate: perchè siccome l'V consonante ha un suono come di vi, o di un i
sibiloso; così specialmente se l'V sia doppio, l'avo, oppure avvo per abbo, fe
sentire nella pronunzia questo i quasi doppio.E quindi è che il B. JACOPONE
lib. 1. satir. 9. scrive Nè ferma fede per esempio ch'AJA; Franc. BARBERINI
edizion. Roman. pag.189. Non veggio ancor chi contento AJA il core. E Francesco
SACCHBTTI disse ajolo per lo ajo, cioè per lohu. S'insinud tal cambiamento
nella seconda persona avi, é mutato l'V in I, se ne habet abbi 1 habemus
habe habemo habete abbe avi da Habeo Abbo habes Ch'io n'ajo una si dura e più
sotto: ajo portato in core & c , ed altrove più volte: anzi usa “AJA” per
abbia:lib.1.sat. 12.3. 10 Illuminato mostromi fore, E ch'AJA umilitate nel
core. ALIGHIERI, Parad,17. fece huii, e col tempo hai. E questa è
la causa, per la quale ora ci troviamo con “hai”, seconda persona del presente
dell'Indicativo, senza che volgarmente se ne intenda la origine. Può notarsi
però che in forza della provenienza di hai l’i finale è risultato da un doppio
i; e quindi seguendo le origini, avrebbe dovuto scriversi “haj”: e ciò sa rebbe
stato opportunissimo pe' giorni nostri, ne'quali vuolsi lasciare anche l'h
precedente. Imperciocchè chiarissimamente si distinguerebbe che “aj” è del
verbo, senza pericolo alcuno che si confondesse con l'articolo plurale “ai.” La
mutazione del doppio B in V ed in I doppio o lungo, al meno quanto al suono,
porto l'altro cambiamento in aggio, aggi, aggiamo, aggia, aggiano: essendonoto
che l'J lungo si cambia spessissimo in tal modo:e questa è la causa parimente, per
cui si dice veg go veggiamo & c. Imperciocchè nelle prime origini si disse
ancora vejo vej veje per vedo vedivede: si consulti il prospetto di vedere.
Quindi 'Imperador Feder. Rim. ant. 114. Rispondimi Signor ch'altro non chiejo.
Da crejo è propriamente quello scorcio, che pur si usd tra'poeti di cre' per “credo”,
quasi crejo fosse cre io. Vedi il prospetto di credere. Ant. Pucci nel suo
Centiloquio can. XI. terz. 27. scrive: Gli comandò che giù sedesse al piano.
L'ultimo verso assai dimostra, che sie fu detto per siedi: E siccome in ALIGHIERI
Inf. 27.53. si trovasi e'per siede; parchiaro che ambedue de rivino da sejo.
Allego un esempio di “trajamo”: BOCCACCIO: g.8. n.5. lo voglio che noi gli TRAJAMO
quelle brache del tutto: da ciò ben apparisce la origine di traggiamo &c.
12. Ridotto havi ad hai; dovea sembrare che fosse di netto stato levato l'V
consonante , quando erasi inviscerato nell'j: e cið comparendo, era facile di
lasciarlo pure nella terza persona have, e formar ne hae come si trova in Fr.
Jacop., in Guid. Giud., in ALBERTANO, Di voi,chiaritaspera. Rim .Allac.
408 Ciulo dal Camo Cose da non parlare. anzi avverto, che tra gl’antichi si
trova ancora crejo, chiejo, sejo, trajamo, donde sono creggio, chieggio, seggo,
lraggiamo &c,enon dalla mutazione del D in G come si tiene, forse meno propriamente
dai Grammatici. Cosi Fr. Jac. lib. 5. c.3.12. secondo che io crejo: e nelleno
te vi si legge: crejo,creggio,credo, e lib. 5. can.25. 12. II E vejo li
sembjanti Quando ci passo e vejoti. F. Jac. lib. sat. 3.9. la sera il vei
seccato. lib. 6. can. 45. 4. Che vee con vista acuda disse l'anziano: Sie giù a
pena di cento fiorini: E volendo pagare a mano a mano, E l'anziano a pena di
dugento b2 12 e generalmente negl’antichi. Cost Albertan. al càp.
12. L'avar7 sempre ha e le mani di stesepertorre. ..ivi l'avaronon haesicura
vita. I Grammatici han creduto che quell 'E sia stato sopraggiunto all'ha per
genio della lingua, che non amava finire le parole in accento. Ma questo sarebbevero,
quando la parola originale della terza persona fosseha, ciòche è falso; essendo
questa habet, habe, have. Hae dun que non èche have, toltone ”v per simiglianza
di quanto era accaduto in hai, ed in hajo. 13. A questo proposito avverte, che
non di raro fra gl’antichi si legge dae, fae, slae per dà, fa, sta, come
leggesi trae, e come hne per ha. Anche gli E di dae, fae,stae, si credono
aggiunti per la ragione medesima: ma egli è FALSO UGUALMENTE; perchè dai ruderi antichi della lingua può
concludersi ta esistenza degl'infiniti, daire, faire, staire, come esiste
traire. Ora da quegl' infiniti daire & c. sorge naturalissimamente dae, fae,
stae, cometrae, che ancorc irimane da trai re:vedi S. III. di questa Prima
Parte sotto il titolo Dipendenza delle conjugazioni italiane dall'infinito, n.2.E
quindi pure sono le voci dai, fai, stai, come trai, che altronde sono
inesplicabili. A dichiarare quanto dico sappiasi, che Fr. Jacop. lib.6.c.10.st.
20.scrive A chi gli dice villania & c. Fra duo ladri allo staia. e lib. 4.
c. 1o. E che al povero dala. elib.6.c.43.5. Ch'egli è il daenteeti il ricevitore:
e lib.7. c.9. II. Staendo in quest'altura dello mare: Vita S.Maria Mad. É
cosistaendola poverettasì per l'amore che gid ave v a con celto di Gesù Cristo,
si per la doglia ; cominciò a piangere. Parimente in Fr. Guitt. si legge più volte
faite alla pag. 36, e faie alla pag.54. E nel TESORETTO: ponelemente al beneche
faite per usaggio: e Franc. BARBERINO pag. 17. Faesselei di quel pregio degnare.
Nei GRADI di S. Girolamo alla voce Fa il e nell'indice si dichiara, chel’idi faiteè
un aggiunto,e non più:ma faie, faesse, e le voci slaca, daia &c. ne'verbi
simili palesano il contrario: e Traire si legge in Fr. Guit. lett.2. pag.9, ma
traers spiega ugualmente la origine di trae, come fae sorgerebbe ancora da
faere, del quale fece uso Franc. BARBERINO nel verso allegato. Per tanto gli E
di dae, fae, stae NON SONO AGGIUNTI, come si pensa, MA SONO NATURALI; ed ora
non si è cessato diaggiungerli, ma sono stati tolti. Tornando alle voci hai ed
hae, siccome in queste era perito \'u consonante; così poco a poco si tento,ma
non riusci, di farlo pe rire nelle vociavemo, avete: e non è infrequente di
udire aemo, aele; e nel futuro dell'Indicativo, e negl'imperfetti dell'Ottativo
trovasi scritto arò, arai, arei, aresti' &c.come vedremo. Non prevalendo
pero quel tentativo, siri serbarono le voci avemo, avete, e talvolta aviamo,
aviate, aggiamo, aggiate. Essendosi creduto, che l’E di hae fosse ag giunto;
presto fu stabilita ha per terza persona; talchè le prime tre fossero ho, hai, ha.
La terza plurale divenne harno; perchè dall’ “habent” sifece haveno, haeno,
hano, hanno,ed esistono ancora'esempi di dano, fano & c. per danno e fanno,
voci similissime nella origine, com me è chiaro: vedi S. III. 12. 15. Ma
passiamo ad esaminare come dai perfetti de'verbi latini si traessero quelli
presenti d'Italia. Potrà ciò conoscersi ne'verbi comuni ad ambe le lingue, ma
terminati secondo i metodi di ciascuna: E noi su questi rifletteremo. I Latini
sincopizzavano il perfetto in più voci, togliendone il VI, o il Ve. Per avere
dai perfetti latini l’italiano corrispondente, silasciil VI, o Ve in tutte
lepersone per quanto si può senza contradire alle regole generali del s. I.
Quindi nel la persona prima singolare dee lasciarsi il solo V, non potendosi
togliere l'I finale, secondo la regola prima. Si noti, che la terza singolare
risulterebbe simile ad alcuna voce del presente, e quindi nelle origini si
accentava: ma ora se la voce finisce in A, si muta in O accentato. La prima
plurale sarebbe amamo come nel presente, e quin di I'M si è raddoppiato. Del
resto in Gio. VILLANI nella edizione fatta procurare da Remigio Fiorentino in
Venezia si vede gran quan tità di persone prime plurali dei perfetti, scritte
con un semplice M : come tememo per tememmo. Altrettanto si osserva in Fazzo
degli Uber ti, nel Cavaliere Jacopo SALVIATI Tom . 18. Delizie degli eruditi
Toscani, nella Cronica del Pitti, ed in altr’antichi; indizio che per tali vie
si passava dal latino all'italiano in questo tempo. Anzi Celso CITTAD I ninelle
sue Origini della Toscana favella osserva al cap. 6. che i Sanesi in tali
persone non davano asentire che un M , quasi pronunziando facemo, dicemo
&c, ed egli con pari ortografia scrisse tali voci. Ma Girolamo Gigli nel
suo Vocabolario di S. Caterina noto alla lettera M , che a'suoi tempi (vuol
dire un secolo dopo il Cittadini) quell'uso era perduto. Serbate dunque anche
le regole generali del n. primo, avre di Ama(v)i ama (viisti ama(vit)
ama(vi)mus ama(vi)stis ama (verunt Amai amasti amd amamo amammo amaste amarono.
Dai Latini si disse ancora amávere: toltone il ve, si ebbe Vita Lano amare, e
perché non si confondesse con l'Infinito, si muto l'E i n o, e si ebbe amaro
per altra terza persona plurale. I Grammatici han ereduto che amaro sia
precisamente una sincope di amarono, toltone il no. Á me però sembra che amaro
sia voce intera in sestessa, e provenuta altronde, come ho dichiarato. E questa
è la ragione, per cui amaro può troncarsi ancora, e dirsi amàr per amaro,
laddove le troncature delle troncature non sono consuete, almeno nella lingua,
come ora si trova. 13 mo 17. II P. Bartoli nella sua Ortografia riguarda
come un incanto che le terze plurali del Perfetto indicativo scorciate tre
volte s e m 14 pre significhino lo stesso con quadrupla desinenza: amarono,
amaron, amaro, amàr. Ma l'incanto, se ben si consideri, non è che un caro
abbaglio di un animo, che al veder primo si appaga, stanco delle molestie di
riflettere. Imperocchè da amarono sitragge amaron, e qui cesserebbe la
troncatura: ma perchè levato anche l'N ci troviamo da amaron in amaro,
desinenza ancor buona; si è creduto, che tal bontà risulti in forza di uno
scorcio: laddove amaro già era legittima desinenza in se stessa: e perchè tale,
ammettevasi; non perchè nata da amaron, levatone l'N. A parlar dunque
propriamente si hanno due desinenze, amaro, ed amarono, ed ognuna ammette uno
scorcio, ama rono porgendo amaron, ed amaro la voce amar, col vago incidente,
che se da amaron si spicca l'N finale; ci troviamo alla desinenza seconda, la
quale è amaro. E siccome amaro è desinenza intera in se stessa; di qui nasce che
gli scrittori del buon secolo, ed alcuni ancora del cinquecento, come il
DAVANZATI ne fecero tanto uso: laddove le altre sincopi amar ed amaron sono
assai più rare, spacialmente in prosa. Anzi si noti, che nelle NOVELLE 'ANTICHE
la desinenza in aro è quasi la comune, laddove l'altra in arono vi è scarsa, e
meno pregiata. Ma proseguiamo l'esame de perfetti: e prima nella terza conjugazione.
Audi(vi audi(ve)runt Audii audisti audi audimmo audirono udiste udiro. proviene
udiro dall'audivere, come amaro dall'amavere. E'poi noto, che nelle origini
della lingua si disse in italiano anche “audire” finchè l' “au” si chiuse in “o”,
cone nelle voci aurum, tesaurus,dalle quali si trasse “oro”, “tesoro” &c, e
se n’ebbe udii, udisti &c.Vedi questo verbo nel prospetto. Debui debuimus
debuerunt Devei , . Pertanto abbiamo da dové doveste udisti audi(vi)t udi
audi(vi)mus udimm o audi(vi)stis. Riguardo alle seconde conjugazioni, avanti
l'I finale vi è l'U vocale, e non consonante, quindi regolarmente parlando
tutto l'UI o l'UE si muta in E semplice, avvertendo, che l'1 finale nella prima
persona dee conservarsi secondo i canoni generali debuisti Dovei deve, audiro
devemmo, deveste, deverono, audi(vi)sti audi(vere) debuit debuistis debuere
doverono dovero. audiste devesti, dovesti devero, Siccomel'U fu cambiato in
E(dovei) gravato di accento, quindi nella terza persona non potea non dirsi se
non dovè seguendo le regole ge Udii udirono dovemmo nerali, o “dovèt”,
trascurando la regola sulle consonanti finali; e da que. sto nacque che per
istrascico di pronunzia fu detto ancora dovette, come dalla voce Giudit
PETRARC. Trionf. fam . c. 2. v. 119. Non fia Guidit la vedovellaardita, si è fatto
Giuditta, e come da Josafat, DANTE Infer. 10.v. 8.Quando da Josafat qui
torneranno, si è prodotto Giosafalte comunemente. Fattosi dovei, dovė, o davèt,
fecesi quindi per coerenza doveltero e dovelti: e cosi questi preteriti ebbero
doppia desinenza: e si disse temci e temetti, teme e temette, temerono e
temettero. E' poi tanto vero, che questa è la origine di temetti, tèmel te
& c, che siccome lo stesso argomento vale per le terze conjugazioni; così
talvolta si scontra ancor questa desinenza applicata alle medesime. Ond'è che
trovasi fuggi, fuggi & c; e nelle Vire de SS.PP. ediz. Man.tom.1.pag.20. fuggitte,e
nella pag.125 salitlepersa li: una nolle, essendo questi ito, alla casa di una
vergine Cristiana o per rubare, o per altromalfare, salitte con certi ingegni
il tetto della casa. Anzi questa ragione è sì certa che spessissimo le
desinenze in ilte come salitle & c. furono modellate affatto a norma delle
altre in elle, cioè di temelle,credette & c. Quindi è che nel medesimo tom.
1. delle Vit.deSS.PP. se in alcuni esemplarisi legge fuggitte, in altri, sihafuggelte:
allapag. 101 ediz. citat. Vi è fuggetti per fuggii: nella 62, uscite per uscì,
nella 71 irrigi delle per irrigidi, nella 73 finette per fini, ed Pucci versificatore
famoso del trecento nel suo Centiloquio al can. 2. st. 69 ha sentelle per
senti; ed Oito impe rador che ciò sentette, e così altre se ne veggono in altre
pagine ed opere. Simile terminazione non potevaaver luogo nella prima
conjugazione, perchè l'amavit, secondol'uso di cavarne il volgare, cessadove è il
secondo a, dicendosi amo ,e non cessanell'I con farsentire un amavit: il che
direttamente gli avrebbe causato la uniformità, che'mai non ottenne: ora la
desinenza in illi ed etti & c.è del tutto abolita per le terze
conjugazioni: rimane ancora la cadenza in etti e dette, &c. per le seconde
conjugazioni; ma forse, almeno in più verbi,è men cara che nelle origini della
lingua, come potrà rilevarsi dal prospetto de' verbi, che soggiungeremo. E
giacchè consideriamo il rapporto fra le desinenze delle terze persone de’ preteriti
dell'indicativo, piacemi dilatare ancor più la serie delle riflessioni, picciole
sì, ma pur necessarie per chi brami co noscere intimamente la lingua, e suoi
movimenti. Ho detto di sopra, che dall'amavit, debuit, audivit si tragge amò, dove,
udi, abolendoin tutto, quel vit finale: ma questa è piuttostola regola, che ora
predo, mina. Del resto quando la lingua pendeva incerta sul fissare le sue
desinenze, talvolta tentò rendere queste, tutte simili alla cadenza del. la
prima conjugazione, e tal altra a quella della seconda. E certo quell'amavit
ebbe talorauna desinenza come amao: di che produco un esempio luminoso di FR. Jacop.
lib. 2.can. 2. Quando che in prima l'uomo peccdo Si guastò l'ordin lullo
dell'amore: E questa è la causa, per la quale ora diciamo “amarono”,
lassaro no, e non “amorono”, lassorono & c. vuol dire questa è la causa,
per la quale la sillaba antipenultima è un a, e non un o. Tutte le terze
plurali nascono nel preterito con aggiungere alla terza singolare un rono, o un
semplice ro, ne'perfettianomali, o simili aglianoma li. Così diciamo sentirono,
temèrono, crederono, sparsero, videro & c. Pardunque la original terza
persona quella de'contadini “amà,” “lassà”, & c. e quindi sen ebbe amarono, lassarono,
e non amorono, las sorono &c.desinenza che leggesi in molti antichi: Così
nelle Vite de’ Pontefici di PETRARCA visileggeandorono,
seccorono, e simili ordinariamente. Venturi traduttore di Dionigi di
Alicarnasso è pie no di tali cadenze. Forse a dire amarono, lassarono &c.vi
contribui pur LA DOLCEZZA per non avere insieme tre o finali amorono, lasso
rono & c. Nel modo poi che il vit era supplito da un o nella prima
conjugazione; lo fi pure nelle seconde e nelle terze: e quindi sono le voci
temeo, credeo, poteo, aprio, finio, udio, e simili, tanto frequenti ne gli
Scrittori. Ora queste desinenze, per le prime conjugazioni sono spente in
tutto: ma nelle altre conjugazioni rimangono tuttavia per li poeti, e l'uso
moderato può riuscire utile non meno che dilettevole. Chi non bene conosce le primizie
della lingua, meravigliasi che imo di poteo, lemeo, udio &c. fossero
comunissimi. I Grammatici dissero che l'o finale SI AGGUNSE PER LICENZA POETICA.
Ma cið non ispiega perchè voci di questo conio abbiansi frequentissime
ne'vecchi prosatori, come nelle Storie dei Villani, nel Davanzati, ed in altri.
Dir finalmente che l’o si accresceva per non finire in accento, era un luogo
comune, un parlar di abitudine, e nulla più. Si doveva avvertire, che quest'ori
ceveasi da tutte le conjugazioni nelle terze persone singolari de'pre 16
Nell'amor proprio tanto l'abbracciao ; Che n'antepose se al creatore. E la
Giustizia tanto s'indignao; Che la spogliò di tutto suo onore: Ciascheduna
virtù l'abbandonao, Gli fu il demonio dato possessore: Nel tom. 12 degli Scrittor.
Ital. Del MURATORI trovasi inserita la Memoria di Messer Lodovico di Buon Conto
Monaldesti su la coronazione del Petrarca: costui, che lavidediperse, cosìscrive:Poi
comparve lo Sena tore in mezzo a muti (molti)cittadini, e portao allo capo soio
(suo) na corona di lauro,ese assettao alla sedia, e poi s'inginocchiaoallo
senatore & c. Si vede in questi esempi, che si accento l a preceden te il
vit,e questo vit fu supplito con un o.Più volteho notato, che presso alcuni
contadini appunto ne'dintorni di Roma dicesi difforme mente amà
,lassà,&c.per amò, lasciò come ora è laregola: Tocca al filologo accorto di
rintracciarne le provenienze:esse non sono che per lo scorcio naturale,che si
faceva della lingua parlata sotto questo cie lo da'nostri antenati.
teriti , e la uniformità medesima avrebbe fatto conoscere , che era un
supplemento del vil, risecato dalle voci latinecorrispondenti , o pure una
proprietàdi cadenza;e con cið sarebbesi dichiarato perchégliAn tichiusassero
temeo, udio,e simili,promiscuamente in ogni scrittura,
senzascrupolodiriprensioni. E'poitantomanifestochequell'O non si aggiungeva per
non finire in accento , che nel Dittamondo si tro va unito anche alle prime
persone della terza conjugazione, leggen dovisi nel 3 lib. cap. 15 udio per
udii : 22. Tornando al nostro principio , apparisce dal fin qui detto che
sitento chiudere in tutte le conjugazioni con desinenza simile allaprima:ma
perchè l'uso non eraancora ben fissoe comune, si tento per eguale maniera
terminare tutte le terze singolari d e' prete ritiinE,comein E finisce la terza
singolare nella seconda conjugazione. Quindi è che troviamo amoe, teme, finie, e
similicon tan ta abbondanza di esempj. Faz. Dittam. lib. 4 cap. 20 23. La chiusa
delle terze persone tutteinO,ovverotutteinE,de riyava dallevoci corrispondenti
latine, finite tutte in un modoamavil, timuit,audivit.Era difficile abbandonare
ogni somiglianza nell'italiano,с 17 Passato poi Suasina , io udio &
c. e cap. 16 Secondo ch'io udio , e'l nome prese e cosi nel lib. 4 cap. 4 vi si
legge sentiu per io sentii, e nella Vin LadiGiosaf.pag.31 uno essemplo tidico chel'udio
direa uno molto savio uomo : e pag. 34 lo ritornerò nella mia casa onde io
uscio. Novell.ANTIC. Firenz.1572 novel. 20 lo poi che mi partio,abbo avuto
moglie efigliuoli. Etic.di Arist. compend. da Ser BRUNET.ediz. Lion. pag. 100 quando
io udio le loro parole, non mido lea &c. Gli o dunque di udio ,finio ,
lemeo & c. in terza persona, non sono licenze di poeti,non aggiunteper
iscansare gliaccenti,ma regole o modi di terminazione, e risultati di una
lingua , che in altra si trasmutava,come or ora meglio dichiareremo. Che amoe
si;che'lsipuò dir percerto. e cap. 20. Che rifutoe l'onor di tanta manna . Vit.
de S S . P P. inciampo e in una pietra,
e fece alcuno strepito: pag.10 con molte lagrime cantoe salmi, e pag.6 ľani
male si levoe a corsa, e fuggie:pag. 43 per la sele l'uno morie,e pag. 47 udie
una voce che gli disse & c.'Or questa uniformità fa vede re,come dianzi ho
pur detto,una proprietà di cadenza nelle terze persone singolari del preterito
in su le origini della lingua, e quin di è che se ne abbiatanta copia ancora
ne'prosatori;e tanto èlun gi che l'E si aggiungesse perevitare l'accento,che ci
è facile tro yare temè,ma non temee; se non forse per la rima.Cosl Dante dis
sePurg.3212 senza la vista al quanto essermife e permife,voce interain
sestessa,come vedremo nella seconda parte al num.6 del verbo Fare .
dopo che le altre persone omologhe del preterito si erano concordate
nella desinenza.Così tutte le prime escono in I,amai, temei,udii, tutte le seconde
in sti, amasti,temesti,udisti:e tuttelepluralihan pari concordia di finale. Or
come poteasi tralasciare quesť armonia nelle sole terze del singolare? Questa è
la origine vera degli O e degli E che si aggiungevano, e non le sognate fra le
minuzie di una grammatica, che inaridisce. Col progressodel tempo sivolle
trascurare quellaparitàdicadenza, e le voci sichiuseroin 0, in E, inI,ac
centandole finalmente, sebbene quelle chiuse in O si trovino spesso tra gli
Antichi senz'accento comeinFazio degli UBERTI, e nelle NoVELLE ANTICHE.Ed
oranoi,lucidiesseridi unsecolointelligente, go diamo su la idea dolcissima di
una lingua perfezionata. Ma i gravis simiAntichi,colle mire ch'essi
aveano,questi Antichi io dico, risor gendo,ne sarebbero in tutto persuasi? E cid su le terze persone singolari de'preteriti:
ora torniamo al verbo temere o dovere, dalle considerazioni del quale siamo qui
per venuti. Si noti che doverono e temerono ammettono le tre solite scor
ciature Lemeron, temero,temer,come amaron, amaro, amàr,perchè da lemeron ci
troviamo all'altra desinenza intera temèro prodotta da ti muere,come dovèro dadebuere:
laddovedovellerononsopportacheuna scorciatura appena,potendosi faredovetter, ma
non proceder più oltre; perchè le nuove scorciature non ci fanno casualmente
trovare in altra desinenza compiuta in se stessa.Tanto è vero quelloche
siadditonel 3. 17. E'certo che ne'perfetti delle seconde conjugazioni
italianeso no le irregolarità più grandi: ma non ho veduto che altri notasse in
esse un incontro curioso: cioè la irregolarità non concerne mai se non la prima
persona singolare,e le dueterze singolare e plurale,mentre tutte le altre
persone si trovan sempre comela regola chiederebbe. Cosi nel preterito rompere
abbiamo ruppi, ruppe, ruppero anomale; e le altrevocisono
rompesti,rompemmo,rompeste,come vorrebbe la indo le di un perfetto italiano
regolare rompei , rompè & c. Tal cosa è so vente osservata e confermata con
esempj nel prospetto. E m m i più vol. te nato il prurito d'indovinare onde sia
talearcano di lingua. A me ne sembra la origine dall'avere le terze persone
plurali una seconda desinenza derivatadal latino,per esempio rupere
ond'èruppero,enon daruperunton d'èrupperono, oromperonoBo'i reg.2, chepursitro
ya negli Antichi: vedi ilprospetto di questo verbo. Romperono ha l'ac cento,che
riposa in su l’E: e quindila terza singolare non può es. sereche rompe, e la prima
rompei; laddo veruppero hal'accento nell'U, restandobrevelaE.Quindi
perleggedicorrispondenzalaterzasin golaredee tenere l'accento anch'essa nella
vocale precedente, e non nella finale; altrettanto dee succedere nella prima
singolare: e per ciddeemancarel'E diEInella desinenza, giacchèl'E diEIintutte
le conjugazioni seconde è gravato di accento; efinalmentedee cavar seneruppi, ruppe,ruppero.
Ma rompesti, rompeste,rompemmo non pos. 18 già 26. Ma diciamo
qualchecosa de'perfetti de'verbiausiliari.Nascono fuit fusti fosti C2
sono non avere l'accento sull'E in forza dellaformazione loro,essen do in esse
la E seguitata dalla doppia consonante S T , M M . Quindi non possono non esser
tali come romperono , quantunque poco o nulla usate, come avviene in molti se
provenissero da rompei, rompe, verbi irregolari. E per cið l'anomalia
de'preteriti non può concer nere se non la prima singolare , e le due terze
persone singolare e plurale de'perfetti. Questo discorso vale eziandio ne'verbi
ano mali di terza conjugazione ; dicendo dell'I quanto si è detto dell'E.
Potremo da ciðtantomeglio persuadersi, cheamaro, temero,&c. sono desinenze
piene in se stesse , e non sincopi di amarono merono & c. fuisti Fui da Fui
fuistis fuerunt fuere fummo fuste foste furono 19 fuimus furo Questo tempo
somiglia in tutto al preterito debui o timui della se conda conjugazione
latina,alla quale appartiene ilverbo esse,o pure essere secondo che leggesi in
Plauto. Pure esso nelle persone non ha subito la legge di mutare l'UI:ma ciò
non è stato senza una ragio ne: Imperocchè dando luogo a tal mutazione,
sarebbe risultato fei, fe sti,fe & c, e questo è il preterito appunto del
verbo fare: purtroppo si osservano tra gli Antichi talvolta le voci del
preterito del verbo sostantivo piegate in quelle del verbo fare: Cosi Fazio
degli UBERTI nelsuo Ditcam.1.4c.8 dissefoperfu. Per il diluvio chefositene
broso:Filip.Vil,nelprologo allesueStorie:con lo stile che aluifo possibile:e
Faz. Nel Ditlam. lib.3 cap.22 infinescrivefonno perfurono,e Fr.Guitt.let.12, scrivefoe
per fu:e Fra Jacop.1.2 can.172 scrive fom per fummo.Per nonconfondere dunque
una cosa con lealtre,non doveasi praticarela legge anzidetta: nei tempi
debui,debuisti periva in. tuttele persone l'UI,eccetto l'Ifinalenellaprima
perfareil cambiamen toindicato. Infuisti, fuimus &c. sièritenuto l'U, edèperitol'I:edin
fuerunt è peritol'E. Si noti cheil fuit dagli Antichi si rendeva,e nesonopienii
libri, perfue. Igrammaticihancreduto l'Edifue come una giunta per non terminare
quell'E non è che la E nella quale dovea mutarsi l'UI, supplita in questo luogo
per dare alla terza singolare del perfetto la desinenza in E,comune a tutte le
persone simili di altri verbi di questa con jugazione, dicendosi lemè, iemelte,
crede, ruppe & c. Tanto siam dunque lontani che l'e di fue siasi una
giunta, che anzi era lettera distinti va della persona, ed una conseguenza
dellamutazione, che aveasi a faredelUI in E, come più si poteva. E quando sparì
quell'E, sitol fue fu in accento la semplicefu:mą serealmente,non
si cesso di aggiungerla.Ed ora ci rimane il sem plice fu, voce cheesce affatto
da ogni regola di terminazione. da Habui E le voci avesti, aveste, avemmo sono
comunissime: delle altre avei, avè, averono, se pur furono in uso, non ho
presente nemmeno un esempio; e solamente mi ricordo che in Fr. Jacop.si legge
avi per ebbi, ed avvero per ebbero. Di buon ora s'introdusse la irregolarità,
la qua le concerne, come ho detto, la sola prima singolare, e le due terze
singolare e plurale, e si fece ebbi, ebbe, ebbero; presa la occasione c o m e
s'intende pel S. 17 dal habuere: perché se ne dovea cavare ha . bero,con
lapenultima breve,donde ne seguitava habe per terza sin golare, ed habi per
prima; e somigliando queste due voci ad altre dell'antico presente abbo, abb i
& c, non potè non cambiarsi l’A in E , condirsiebi,ebe,ebero,ebbi,ebbe
ebbero.IPoetitalvoltaco me PETRARCA Trionfo Fam.cap. : ora investighiamo, come
da’pre teriti più che perfetti latini ne derivassero gl'italiani, che tanto sem
brano differenti. E certamente i Latini esprimevano col tempo la qua lità che
si affermava, ossia la cosa che siera fatta: e tali erano a m a
yeram,fueram,habueram.Ma negliitaliani sidecomposero gliattri buti, e si disse
io aveva amato,io aveva avuto,io era stato.Possiamo però conoscere che
tra'Latini medesimi si aveano i semi di simili riso. luzioni. Cosi Cic. nel 15
Fam . 20 disse , quantum ex tuis litteris h a beo cognitum per cognovi:od in
Verr.7 63 hodie sic homines ha bent persuasum: cosìnel 4 Ac. comprehensum animo
habere atque perceptum; ed altrove assai volte. Pertanto nel passare
da'preteriti più che perfetti latini agliitaliani,nonsifeceche ampliareciocchè
giàsi usavadai Latinimedesimi. Abbiamopiù voltenotato,che 20 per la rima
scrivo. no ebe con un b solo:qualche Antico ciò praticava quasi per abitu dine,
come può vedersi nel Dittamondo di Fazio degli UBERTI l'uso finalmente ha
stabilito ebbi , ebbe : ma ,ebbero:vociche varianonel principio e nel fine come
appunto i preteriti greci. 28.Ma bastisu'preteritisemplici avesti ayè avemmo
aveste averono avero. 27.Seguendo le leggi descritte dovea nascere ancora
Habuisti Habuit Habuimus Habuistis Habuerunt Habuere I Ayei v.92, li che
incominciano ad imparare il latino quel lo scordano, facilmente ,o che per
disusoin parte esprimono le azioni trapassate col verbo habe re,e col
participiopassato latino. va linguagl'Italiani erano Or siccome nelle
originidella in rispetto della lingua latina nuo punto chi principia ad apprenderla
come ap , o chi per disuso l'ha quasi di menticata; così l'analogia
e la voglia di esprimersi inqualche modo gl'indusseade comporre,edireioavevaamato,io
avevaavuto. &c; lasciando in amalus ed habitus gli S finali, e mutando gli
U in 0 secondoleleggidelş ireg:2e3, dalle qualiappuntorisultaamalo ed ayuto con
i cambiamenti suggeriti appresso dall'uso. 29. Quanto al verbo essere:il più
che perfetto latino è fu -eram , fu-eras,fu-erat&c:t alivocisonocompostedi
eram,eras,erat,e fuo fuit: quasi dicasi io erafu:tu eri fu &c.Seguendo
pertanto l'indole del tempo aveasi ad indicare tal nozione che spontanea si
presenta: cioè dovevasi indicare che questo era spettante alfueram; non era
indeterminato,e pendente come chiamano i Grammaticil'imperfetto, ma era
piuttosto di un tempo definito e certo. E'noto che i Latini appuntocon la voce
status, stata, statum upita al giorno o tempo accennavano i giorni e tempi
definiti. Cic. Offic.37 status diessit cum hoste:o come Plinio disse stato tempore.
Quindiin tempo che la lingua degenerava o si decomponeva si disse io era
stato,cioè in tempogiàfisso, giàpassato,e non pendente:tueristalo,cioèintempo
fisso & c, egli era stato, &c. La voce stato fu dunque come una giunta
o segno di cosa passata, e non altro:ed in seguito si aggiunse a tutti
itempi,che lo richiedevano nel verbo essere.I Grammatici han creduto, che stato
sia il participio del verbo stare applicato al verbo essere. M a non dee
presumersi che la formazione del verbo stare pre ceda quella di essere, che èil
primo de’verbi,e verbo per essenza: edaggiungo che sto,stas tra'Latini,da'quali
derivava in gran parte la lingua,se non è privo diparticipio, certamente ne
somministrava un uso ben raro, come può intendersi, consultando il Forcellini
sul verbo sto sta.Per taliriflessièda concepire,cheilverbo esserenon abbia
participio se non quello dedotto da stalus, stala & c. usato in principio
come segno e non più, di cose precedenti e consumate. 30. E da ciò nacque, che
a poco a poco si tentò creare un par ticipio proprio di essere,facendosi
essuto,issulo, o suto. Quindi AlBERTAN. Giud.cap.44pag.100
ediz.Fir.1610maggioronoreglisareb be essuto s'egli se ne fosse rimaso. Amm AESTRAM
. degli Antic.pag.93 Nella Grecia la Filosofia non sarebbe stata in tanto onore
s'ellanon fosse essuta invigorita per contenzione. Collaz. Ab. Isac. pag. 59 E
se l'uomo avesseconosciuto lasua infermilate nelprincipio e avessela veduta ;
non sarebbe essuto negligente. Questo participio pareva il più naturale: pur si
disse anche issuto; ma più di raro: AMMAESTRAM.de gli Antic. pag. 303 la nuora
il seguente di che è issuta menata, di. manda &c.Ma più di tutti fu in uso
ilparticipio sutopiùanalogo a sono,sei &c,e molti nesonogliesempj in
Boccaccio,nelle Croniche diLionardo MORELLI, nelMorgante del Pulci, nell'ARIOSTO,
ed in altri: ne allego un solo tratto da' FIORETTI di S. Francesco cap. 38 a.me
si è suto rivelato che tu & c. A fronte di tali sforzi non irragionevoli
lavocestato, laquale nonera che unsegno,divenneilparticipio legittimo,
esclusone ogni altro, 21 Ed eccone gli esempj. Fra JACOP. Poes,
Spirit. lib.1satir.i averanno reg.2, 3,7 perchè se nell'habebo si cambiavano i
due B in Vrisultava havevo e quindi havevi,haveva &c.come
nell'imperfetto:nonvolendosi dun que ritenere il secondo B, fu necessità
cambiarlo in altra consonante, e fu questa la R , e se n'ebbe averò, averai,
averà & c. in forza delle regole generali citate: mapresto
sitolseanchel'Eintermedio,esi fece Ayrd Avremo ayrai 22 Sempre serai in
tenebria Ditlamon.lib.icap,25 eris erit erimus eritis erunt avrete ayrà avranno
serai sera seremo Serete seranno. LATINO habebis AveròS.Ireg.7 31. Venendo ai
futuri dirò prima come derivassero quelli de’ver bi ausiliari. Nel verbo essere
è il futuro Ben serai crudo se gli occhi non bagni. FBA Guit, let. 3_pag. 13,e
anche sera di molti. Dittamon. 1.2 c.31 L'ITALIANO nelle origini Sero Le cose
quivi ne seran più conte. Novell,ANTIC,99 seranno queste le novelle che io porterò.
Chileg. gegli Antichi trova questeésimili vocinon infrequenti.Manifesta mente
dunque derivano dalle latine con la giunta di un S in prin cipio per
uniformarle con sono, sei, siamo & c. Del resto eris,erit, giusta le
regole, danno erai, erà,S. 1, e quindi serai, serà. Presso al cuni popoli ancora
si ode ladesinenza serimo, serile, che presto fu ridotta in seremo, serețe
& c. Al presente si trova cangiato anche il pri mo
E,dicendosisarò,sarai.Questo cambiamento è1'usuale,ma non forse il migliore,
secondo le regole. Vedi il verbo essere n. 13. Quanto al futuro di avere era il
habebit averaiS.Ireg.5,e7 averemo reg.2, 3 habebitis LATINO Ero Habebo
habebimus avera S. i reg 6, 7 averete reg. 2,5, 7 habebunt L'ITALIANO
e talvolta a simiglianza delle mutazioni occorse nel presente si tolse
anche l'V,esen'ebbe Aremo arai arete arà E stabilita una volta la cadenza
de'futuri ne’primi verbiessereed avere inserò, sarò, arò per
continuadiscendenza dallatino;qualmeravi. glia che siestendesseposcia ai futuri
di ogni verbo, esi dicesse amar),amerò,temerò&c. 32. Può nondimeno
assegnarsi altra origine dei nostri futuri, sem-" plice al paro che
universale. Nel nascere della lingua si scrisse raggioper amarò,faraggio per farò
come leggonel B.Jacop. lib.2c.15, elio faraggio questa convenenza: edice raggio
per dirò come lostesso autore scriye lib. 2.c. 25 or m 'udite in cortesia Però
crudele, villano, e nemico Sarabbo, amor,sempre ver te se vale &c. In
alcuni villaggi d'intorno a Roma si ode anch'oggi la desinenza in ajo, come
farajo, amerajo & c. A ben riflettervi tali voci non senoncheamar-aggio, dicer-aggio,far-aggio
&c:vuoldire aggioa fare,aggio a dire,aggio adamare:formole intutto del
futuro:per chè colui,il quale ha afare, non ha fatto, nè fa, ma riserbasia
fare: cioè dichiara l'azione sua come futura. E perché in luogo di aggio si
disse ancora ajo; quindi è che si hanno pur le cadenze amerajo ,
farajo&c.Ma siccome in progresso abbo, aggio, ajo degenerarono nelle più
semplici ho, hai, ha, avemo, ayete, e per sincope aemo, aele, han no;cosìda
ultimosifeceaver-ho, aver-hai,aver-ha, enelpluraleaver emo, averele, lasciato
l'a del dittongo in aemo, ed aete, e finalmente aver-hanno:ed eposto l'hozioso nel
mezzo di tali composizioni,sieb be aver-o,aver-ai&c.Ma perchèho, ha,come
monosillabe han suono tutto raccolto in esse,e grave come per accento; quindi è
che poco a poco simise ancorl'accentonelleprimee terzesingolari,dicendo si
averò, averà & c. Pari è la origine di serò, serai, serà & c.voci del
futuro del verbo sostantivo, quali usarono da principio per sarò, sarai, sarà
& c. Risultavano dall'infinito essere,troncatene le due prime let
tereES,come insono, sei &c, tanto che se ne avessesere,equindi
aranno, come si scorge ne'libri degli Antichi: Così Lell. 5 tra quelle del B.
GIOVANNI delle Celle: solo tanto l'arò a immutare, e nella letter. XI a Guido,
arai Dio teco, e più sotto, dove arai a stare in eterno , e lett. 13, che mai
non arannofine. FR. JACOP. lib. 2. cant. 3 pianto harete é dolore: tali yoci si
hanno pure ne' GRADI di S. Girolamo nell'Eneida di Annibal Ca'Ro , e nel
Cavalca, e comunissimamente nell'Orlando del BERNI. Diceraggiovi via via.
FraGuit. ediz.Rom.1745lett,3 lamoremioparteraggio,elett.16 folle acquisto far
mi guarderaggio: e tal volta ne'scuri principj della lingua s'incontra la
desinenzain abbo,farabbo,amerabbo & c.per il futuro. GUITTON. d'Arez.Son.
ame 23 Ard sono ser-ho, ser-lai, ser-ha, ser-emo, ser-ete,
ser-hanno:e finalmente sarò, sa rai,sarà&c.Siapplichi lateoria dichiarata ancheagli
altriverbi, ed avremo amar-ò,amar-ai,amar-à,amar-emo,amar-ele,amai-anno,
comesidisse originalmente: le Letteredi $.Caterina di Siena ediz. di Aldo son
piene di questa desinenza,ed ilVarchi,egregio maestro di lingua, ne fa uso ben
grande nelle opere sue.Ora l'A precedente l'R fina. lesicambia inE,non
sapreiperqual vezzoirragionevole(vediama re nel futuro del prospetto:) e siè
prodotto amer-ò,amer-ai,amer-à, amer-emo &c. Dicasi cid proporzionatamente
di temerò,temer-ai,sentir-ò,sentir-ai & c. 33. Si noti, che la terza
singolare del presente di avere era have, hae, ha. Spesso inluogodiadoperarehanelcomporre
ilfuturo,fu adoperata la voce hae,con dire aver-lae, aver-ae, amer-hae , amer
-ae , far-hae,far-ae. Questadesinenzaè frequentissimain alcuniantichi
Scrittori. I nostri Grammatici han creduto che l'Ediaverae,farae &c. fosse
un aggiunta, per genio della lingua, che non soffriva di termi nareinaccento:ma
essa non èchelaE dihave,hae; etantoèlun gichefosseun'aggiunta,che
anzidicendosiora averà,amerà,non già si è cessato di aggiungerla,ma si è tolta
propriamente laE spet tante all'have,hae.Siapplichi quanto ho detto alla
desinenzaameroe per amerò lemeroe,per temerò & c. E'difficile trovar parola
italiana terminata in anno,la quale si scorci,eccetto le terze persone hanno, danno,
fanno, stanno,vanno , formate tutte a simiglianza di hanno. Quindi le terze
plurali avran no, ameranno &c.non si dovrebbero troncare;ma perchèson
esseun composto di aver-hanno,amar-hanno;cosi queste voci non han po tuto
perdere lo scorciamento particolare di hanno, e degli altri dan no, fanno &
c. foggiati a simiglianza di esso, come si vedrà nel trat tare partitamente
de'verbi.Anzi aggiungo,che hanno, fanno, slan no &c.intanto si scorciano
perchè nelle origini si diceva fano,stano, e così forse hano:voci idonee tutte
agli scorci,restando han, fan, dan:e siccome pur queste sirinvengono mozzando
hanno,fanno&c, perciò sono ricevute. Chi volesse notomizzare più
sottilmente questa materia, potrebbe trovare forse le tracce del futuro del presente
nel futuro del congiuntivo. Cosi lasciato da amavero, celavero &c. ilve per
simiglianza di quan to si pratico nel fissare la derivazione dei preteriti, si
avrebbe ed accentandoli celaro 24 54. Riguardando a tal seconda
spiegazione,i nostri futuri non sa rebbero quei de'Latini trasmutati:ma solo
deriverebbero quanto ne derivano gl'infiniti de'verbi,ed il presente del verbo
ave re, che ne sono gli elementi componenti. dal latino da Ama(ve)ro cela(ve)ro
amaro & c. 55. Quanto agl'imperativi ognun vede che l'amato, il timelo, il
legito, el'auditode'Latini,altrononèche l'amatu,temitu,leggi Amaro
lu,odi lu degl'Italiani. Le altre voci italiane sono pur le latine tra
dotte:ma perchè questesono lestessedei presenti,partedelcongiuntivo, eparte
dell'indicativo,overo del futuro dell'indicativo; cosìnon bi sogna se non
investigare come que'tempi si diramino dal latino,cioc chè si è fatto, e si
farà tuttavia. 36. Eccomi pertanto ad esaminare il congiuntivo de'Latini,dal
quale hanno origine tutte le voci del nostro ottativo e congiuntivo. Ames Amet
Amemus Ametis Ament Nelle voci amemus, ametis l’E si volge in IA, perchè nel
tradurle si riguardanotalivocicomedipendenti dalla seconda singolare conlagiun
t a d i a m o o diate, ami - amo , ami -a l e . Del resto sebbene l ’ E finale avanti
la S dovea mutarsi in I; e la E di amem o di amet dovea secondo leregole
conservarsi; pure ne'principj non erano questi limiti abbastanza riconosciuti:
e diceasi promiscuamente io ame,tu ame, que gliame:desinenza era questa
originale, perchè meno distante dalla latina, taciutene le consonanti in fine,
e resta tuttavia tra’ Poeti, spe cialmente per la rima: nondimeno si crede che
questa sia termina zione di licenza , e non primitiva e spontanea. Tale è
ilprogresso delle cose,c h e dimentichiamo gli usi più naturali, sostituendone
altri men proprj ,che poscia il tempo caratterizza come legittimi!Vedi amare
num. 14. Nelle altre conjugazioni, lasciate o mutate le consonanti finali se
condo le regole S. 1 , e lasciato l'E, o l'I precedente l’A finale, S. I
reg.4,risulta dal LATINO Timeas Timeat Timeamus Timeatis Timeant Tema Temi, e
poi tema Tema Temiamo Temiate Creda d 25 1 Timeam ITALIANO Ame,ed ora ami
L'ITALIANO LATINO Amem Credam Temano Credi, e poi creda Creda Crediamo Crediate
Credano Credas Credat Credamus Credatis Credant Ami Reg. 4 e 2 Ame,ed ora ami
Amiamo Amiate Amino. E ne verbi ausiliari. Nel qual mutamento
l'EdiHabeam & c.èdivenuta per eccezione o dolcez. za un I, ed ilB siè
raddoppiato, osservate ancora le regole generali. Quanto alsim, sis, sit, simus,
sitis, sint, siccome il verbo essereè di seconda conjugazione, e tutte le
seconde conjugazioni anno il presente del congiuntivo terminato in A nel
singolare, almeno nella prima e terza persona; quindiè che si fece iosia, tusia,o
sii,quegli sia, noi siamo, siate, siano. 37. Ma perchè nelle origini della
lingua non era ben decisa la terminazione, con cui chiudere levocidel presente
nel congiunti vo, si tento talvolta, o si dubito modificarle in tutte le
conjugazioni, come nella prima. E siccome la prima era terminata in io ame
ovvero 38. Così pure essendosi terminata la prima conjugazione in I nel
presente del congiuntivo,siterminarono talvoltain Ipurlevoci delle altre: e si
trova abbi per abbia, giunghi per giunga, vadi per vada &c,in terzapersona:
Lett.S. Cat.pag.31. Deh!nonsirendi più il cuor nostro ambiguo,cieco, e
negligente.E quindi è che tra'Cin quecentisti generalmente le terze plurali
abbiano,temano,leggano fu Abbia Habeam 26 tu ame Ilabeas Habeat Habeamus
Habeatis Habeant Abbi ed abbia Abbia Abbiamo Abbiate Abbiano io ami quegli ame
quindi èche si quegli ami; trovano anche i verbi di altreconjugazioni figurati.
Così AB. Isac. Collaz. cap.2. cosi con scrive,abbie preziosa operazione: e cap.
12 abbie paura della superbia, ed ALBERTANO Giudice l'uno de Scrittori più
antichi assegnato all' anno 1260 in circa, scrive vece diabbia al principio del
cap. in 6 tu abbie: e si dice abbie cari tade e fa ciò che tu vuoi, e cap.9 dci
render lo beneficio all'amico con usura se puoi:e se no; abbie spesso lo
beneficio a te dato memoria: e cosi nel cap. 3 usa in pieper diche per dichi,
enel 5 in finesap sappi: e nel cap. 9 sie per sia. Sie largo di dar mangiare
Tuoi conti ecari amici,e nel alli cap• 38 de'tuoi beni e dello stato che Dio
l'ha dato ţi stie contento.Tali formole parrebbono a chi non guarda alle
origini, tutte licenziose, laddove ri naturali,quando erano modi primitivi e la
lingua pendeva ancora indecisa circa la desinen za.Ora eccettosie efie,le quali
pur vogliono gran parsimonia piùnon siuserebbono talivoci. Vediesserenot.17,
avverto che tali voci abbie Del resto io non all'imperativo ,sie&c.spettano
al congiuntivo come . tu amirono abbino , temino , leggh i n o & c ., che
poi l'uso ragionevolmente 27 ha ri pudiate, perchè rimanesse un divario tra le
cadenze , onde riconoscer ne le conjugazioni. ec.1491. Are ( avrebbe) quelcolpo
gillatigiù mille. E qual sare'colei che nol facessi? In questo esempio il primo
sare sta per sarei, e l'altro per sarebbe . Eguali manieresiscontranoancora,ma
più rare assai,nell'Orlanda del BERNI:così nel c.5.16 39. Quanto all'imperfetto amarem ,amares,amaret;
taciutene le consonanti finali risultava amare , voce non distinta
dall'infinito: si aggiunse per cið un I finale, e si fece amerei:e siccome il
per fetto dell'indicativo termina in I, dicendosi amai, temei, sentii, e da
questa si ebbe per seconda persona amasti, temesli, sentisti; cosi fu con
progresso consimile terminata la seconda di questo tempo, dicen dosiameresti, temeresti,
sentirestiaggiunto un TI ad amares,timeres, sentires,il quale in origine non
era che un lu, e perciò trovasi tal volta ameres-tu, vederes-tu per amaresti,
vederesti &c.Cosi PASSAVAN ti nel suoSpecchio di Penitenza pag.107. Avrestuoffeso
intaleolal cosa?&c.Laterzaamaret,gittatoilT,divenneamare nuovamente, e per
distinguerla si fece amerie,ovvero ameria per essere ne' prin cipii non ben
precisa la vocale distintiva da aggiungersi. Quindi in FRA Jacop.lib.4
cantic.30 silegge fariemiconsumare,permifaria consumare;e nellib.5can.27 si ha
vorrielo perlo vorria,eDan.Par. 29: 49 usa giungeriesi per sigiungeria. Nel
Morgante del Pulci s’in contra un uso speciale, ma certo molto analogo a
dimostrare la ori gine di questa persona.Egli più volte in vece di modificare
diver samente la voce, o desinenza amare, aggiunge un apostrofe ,e scrive
amere',sare',potre'perameria,saria,potria.Vedi c.12,13,c.13, 13 e 38. E son qui
per provarquelchel'hodetto. 'Amaremus diede ameremo mutatol'us in mo secondo le
regole generali: ma perchè ameremo è pur del futuro , si aggiunse un'M ,
facendosiameremmo:amaretisdiedeamereste,come da amarespro viene ameresti; o
come da amasti proviene amaste. amerieno da amerie; ovvero mutato il T di
amarent in secondo le regole,siccomerisultaamereno;cosi coll'inserirviun'I,sen'ebbe
amerieno. Amerie, ovvero ameria, ecostamerienosonodunque desi nenze originali:e
questa è laragione, per cui ne' Prosatori antichi, come ne'Poeti, si trova
tante volte la cadenza inieno,amarieno,te merieno,farieno: la quale ora è
mutata in iano , ameriano , temeria AO & c.da ameria, cemeria, che prevalse
sopra di amerie, temerie E disse sare'io, ch'era pursaggia, Che a cosi degno
amante non piacessi, Purchè mai tempo e luogo accaggia; Ancormi dare il
cord'uscirne nello, ipo d2 chissimo usate fin da principio.I
Poeti,sovrani conoscitoridella dol cezza degl'idiomi, ritengono tuttora,
usandola amplissimamente ,la terminazione in ia ed iano. I Prosatori l'hanno
quasi dismessa: nè io credo che ciò seguisse con piena ragione: giacchè si
allontanarono davoci, le quali presentano laoriginelorodallalingualatina che ne
era lamadre:e potevano variare con ogni dolcezza il discorso. Inluogo di
ameria,ameriano sottentraronole altre amerebbe,ame rebbero, ovvero amerebbono.
Queste voci a somiglianza di quelle del futuro sono composte ancor esse, ma
dall'infinito e dalle terze del perfetto diavere, amar-ebbe, amar-ebbero,ovvero
amar-ebbono.Può no tarsilamarciaincostantedegli uomini:mentre sonostatiesclusi
tantiB dagl'imperfetti, e dai futuri,qui ne sono stati riprodotti con usura: la
desinenza è divenuta più lunga, e talvolta quasi indistinta, essen dovi alcune
terze. Resta a dire qualche cosa intorno la desinenza amassi, temes
si&c.laqualeesprimeilpresentedell'ottativo,e l'imperfetto del congiuntivo.
E 'manisesto che questo tempo è tratto dalle voci sincopizzate del più ch perfetto de’ latini nel CONGIUNTIVO, tolto n
e il v i come nel perfetto dell'indicativo, e serbate leregole generiche delle
vocali finali, lasciato l'M , e mutata l'E in I & c. Amassi Amasse Amassimo
Amaste Amasseno . del perfetto, che somigliano, come crebbe, increbbe, bebbe,
ecc. E poco vedo cosa abbia a fare ebbe e debbero, vocidel perfetto, convocidel
soggiuntivo, lequalihannodell'imperfet persone to, cioè che resta da fare. Possono
osservarsi al verbo amare , dove trattasi della desinenza in ia , ed iano,
altre incongruenze. Ma l’uso ha già prevaluto, e chi parla dee parlare
conl'uso. Tale appunto sorse la terza plurale: ed ancora n e restano degli
esempj Fra Guit. let.I pag.8 se'reiabitasseno,elett.2ev'entrassenoalcore.
PETRAR. son. 154 che andassen sempre lei sola cantando&c.Ma posteriormente
di “amasseno” si fa “amassono”, ed ora dicesi “amassero’ co munissimamente. Si
noti che la seconda plurale amaste involge una mancanza di lingua: perchè non
più vi resta il ssi o sse, caratteristi co di questo tempo, e perché amaste è
voce plurale ancora nel perfetto dell'INDICATIVO. Ed è certo un difetto con una
voce stessa esprimere tempi, emodi tanto differenti. Forse è natodaciòchetalvolta
s'in contra voi avessi per voi aveste, come in Antonio Pucci Centiloquio
cant.69 terz.58. Se voi in qua non m'avessi menato. Anzi ho notato che
MACCHIAVELLI tanto conoscitore della sua lin Amassi nel suo 28 Ama (vi)ssem Ama
(vi)sses Ama (vi)sset Ama (vi)ssemus Ama (vi)ssetis Ama (vi)ssent
Ma primach'iosentissetalruina&c. FRA JACOP.lib.6 c. 18. 28. 42. E
siccome questo tempo nell'italiano esprime il presente dell'OTTATIVO, e
l'imperfetto del congiuntivo, i quali non E cosìnella Gerus. 8.24. : "Quel
partissi addita azione già fatta. 29 gua , spesso in tal tempo usa la
seconda singolare per la plurale con premettervi il pronome.Cosi nell'Arle
della guerra ediz. Cosmopoli Far este voi differenza di qual arte voi li scegliessi,
e pag.63 iodcsiderereichevoivenissiaqualcheesempio,pag.233.so lovorrei che
voimi solvessiquesti dubbj,e 236 vorrei chemi dices si&c.Un tale scriveresidirebbeartifiziosoonegli
gente?Glieru diti decideranno se forse era meno male così scrivere. Certo se
replichiamo nel singolare io amassi, tu amassi,perchè non farlo nel plurale?
Amassetesarebbestata,parmi,lavoce idoneae conseguente:ma sealtri la dicesse ora
, sarebbe uno sgraziato, un imperito . Tanta è la prepon deranza degl’abusi, resi
venerandi per vecchiezza. L'origine di questo tempo è similissima in tutti gli
altri verbi.Così da timuissem è temessi, da legissem è leggessi, da audivissem
udissi, &c.e nezliausiliaridafuissemfossi,dahabuissem avessi,mu tato al
solito il B in V , e ľ U I in É come in “timuissem” , timui ecc. e tutti
soggiacciono all'inconveniente anzidetto.Del resto ne'principj della lingua
pendette incerto alcun poco se avesse a farsi amassio amasse di amassem , e
così sentissi o sentisse di sensissem. Quindi Fazio nel Dittam. lib. 1 loro
discordano, ma PROVIENE DAL LATINO, che era un più che passato. Così le di lui
voci medesime scorrono a significare cose passate non senza un pocodi
confusione:ma egliè male di origine, esivuol condonare:peress.SEGNERI
Predic.358.10Visovviend'altroreo,che mai tollerasse una o più tragica o più tirannica
forma di tribunale? E'chiaro che quel collerasse esprime cosa passata:tale è
pur quello nelle Vit. De'SS.PP. tom.1pag.83.E allora conosceretechefuil meglio
per m e ch' io m i partissi molto fra D'amarli e di servir, quant'io potesse.
BARBER ch'io gli mandasse a quello. Giosafat ed io non sarei savio se io tale
cosa manifestasse. Novell. ANTIC.37 s'iovolesse dire una mia novella&c.Nel
primo tom.delle Delizie degli Erudili Toscani pag. CL.sinotanoaltriesempj disi
mili desinenze. E se piaciuto pur fosse là sopra ch'iovi morissi, il meritai
coll'opra. Quanto agli altri tempi amaverim , amavero & c. sono decom posti
negl'italiani,che io abbia amato, o io avrò amato & c. Sicchè non vi resta
presso a poco da osservare, se non quanto si disse in torno di habueram, fueram
ecc DIPENDENZA delle conjugazioni italiane dall'infinito, e loro somiglianza
generalissima. Conjugare i verbi italiani non èchevariarediversamentel'in
finito,secondoimodi,itempi,lepersone,inumeri,come altrove si è detto. Or
volendo conoscere queste variazioni e somiglianza loro generale, si avverta. Ogni
infinito termina in “-RE”: “amare”, “lemere”, “credere”, “sentire”; e quasi
tutte le variazioni succedono appunto in questo RE finale:solamente talvolta
subisce de cambiamenti anche la vocale precedenteilRE.Cos)per avere I participj
presenti, il “-RE” si muta in “-NTE” nelle prime e seconde conjugazioni: “amante”,
“credente” &c.E nelle terze tutto l'IRE, per ess. di sent-ire si muta in
ente, sentente; ovveroilREsimuta inENTE;obedi-re,obedi-ente.Per avereil par
ticipio passato,aparlar generalmente, basta nella prima e terza con jugazione mutare
il “-RE” in “-TO”: “ama-re” > “ama-to” ,senti-re,senti-lo.nelle
altreconjugazionisicambiatuttol'EREinUTO lem-ere,tem-ulo, cred-ere, cred-uto.
2. Quanto ai tempi per avere il presente singolare si lascia il RE
dell'infinito, e lavocale precedente il “-RE” simuta in “-O” per le prime persone,
e dove bisogna in Iperleseconde;ma perle ter ze persone, tolto ilRE, I'lsicambiainE
nelleterzeconiugazioni: nelle altre non bisogna variazione ulteriore. Ama-re
teme-re Crede-re a m a teme crede senti ne’plurali il “-RE” dell'infinito si muta
in “-MO”, “-TE”, e “-NO”, per le prime seconde,e terze persone. Ama-mo Teme-mo
Crede-mo ama-te teme-te crede-te senti-te a m a -n o teme-no crede-no
Senti-mo 30 E cosi trovansi presso gli Antichi terminate le prime e terze
plurali. E per dare qui un qual ch'esempio su le terze plurali, CASTIGLIONE nel
suo perfetto cortigiano usa commoveno, rivesteno, discerneno, occorreno,
cadeno, moveno, serveno, ed altre moltissime. Nell’archisihagiaceno,
soggiaceno,ed altre. Ma ora l'uso porta che anche le vocali precedenti il “-RE”
hanno subito de'cambiamenti, dicendosi tutte le prime persone amiamo, temiamo, crediamo,
sentiamo:enelleultimedue conjugazioni terminandosi le terze persone plurali in
ono , temono , cre sente -n o 1 S. III. 1. amo temo credo sento ami temi credi
Senti-re sente. Quanto ai verbi della terza conjugazione, ne’’ qualivi è la
doppia cadenzacome abborroeabborrisco (vediquestoverboinfine della prima parte
) sappiasi che la cadenza in isco esce di regola nei pre senti dell'indicativo,
imperativo,e congiuntivo. Tutto il divario è che in questi presenti le persone,
prima, seconda, e terza singolare, si formano come prima secondo le regole, e
che poi alla vocale fi nale si antepone la sillaba ISC in ognuna di queste
solamente, on de si abbia: la terza plurale si trae dalla prima così mutata, aggiuntole
il “-N O”, segno della pluralità ne'verbi. “Abborrisco-no.” Ossia all'infinito
abborri re, tolto il R E si congiunge sco, sci, sce, scono , abborri-sco ,
abbor ri-sci, abborri-sce,abborri-scono. 4. Il Re dell'infinito si muta in VA
VI VA pel singolare a m a -re teme-re crede-re senti-re ama-va teme-va crede-va
sentiva Ne plurali alla prima, o terza di ciascun singolare si aggiungono le
distintive dette di sopra MO,TE,NO. amaya-mo temeva-mo sentiva-mo amava -te
temeva-te credeva-te credeva-no sentiva.no Perfetti dell'indicativo per la terza
persona l'ultimo “A” di “amasi” muta in “-O” accentato. Nelle altre
conjugazioni si accentuano la E o l'I; masiaggiunge MMO 31 dono,sentono
&c, come se aggiungasi ilNO alle prime persone, temo, temono,credo,credono,sento,sentono,laddove
essendole terze plurali un multiplo di terza e non di prima persona singolare, non
dove asiaggiungere il NO, segnodipluralità,senonallaterza sin golare, come
dicesi ama, amano, e non amono. amava-no temeya -no STE 1) sentiva -te ama-vi
ama -va t e m e -vi teme-ya “senti-va” credevi sentivi Imperfetti
dell'Indicativo 2 ) personeplurali, RONO 3 crede-va credeva -m o abborr (isco
abborr(isc)i abborr(isc)e 5.ToltoilRe
dell'infinitosiaggiungeIperlaprima,eSTIper laseconda persona: per le
senti-sti senti ama-mmo teme-mmo crede-mmo senti. mmo amo teme crede
ama-ste teme.ste crede-ste a m a -rono teme-rono 6.Ma nelle seconde
conjugazioni,come in temere e credere, ol tre la legge universale,il RE
dell'infinito spesso si muta per le pri m e in singolari in T T I; per le terze
singolari in T T E , e per le terze plurali in TTERO ovvero in TTONO dicendosi
Temei temetti Credei credetti Temė Futuri dell'Indicativo 7. Il solo E finale
dell'infinito si muta, o cresce in O accentato 1 ) A I nelle amar-o temer-6
sentire amar-ete creder-emo sentir-emo Presenti dell'Ottativo IIRE si muta in “senti-ste”
crede-rono senti-rono creder-o 33 ama-re tem e - re cred e -r e ama-sti
teme-sti crede-sti amar-emo temer-emo temer-ete creder -ete sentir-ete
amar-anno temer-anno I SSI SSI SSIMO SSE . STE SSERO SSONO sentir-à senti i
amar-ai temer-ai creder-ai sentir-ó amar-a temer-à creder-à sentir-ai ama-i
teme-i crede-i amar-e temer-e creder-e Credé Temerono temettero temettono
Crederono credettero credettono 2 ) del singolare A accentato 3 EMO ETE nelle2)
delplur. ANNO 3) temette credette Si noti che ora si volge in E anche l'ultimo
A di amare , almeno dagli Scrittori, non senza equivoco. Vedi amare nel
prospetto not. 9. crederanno sentiranno sentire ama-re teme-re crede-re a
m a -sse teme-sse crede-sse crede-ssimo ama-ste teme-ste senti-ssi
serti-ssimocic. BBERO solamente nella prima conjugazione si è preso il COSTUME
– forse NON RAGIONEVOLE – di cambiare 1A precedenteilRE dell'infinitoinE.
sentire sentire-i credere-sti credere -bbe credere-mmo sentire-mmo credere-ste
sentire -ste credere-bbero sentire-bbero credere-bbono sentire-bbono Si noti
che le aggiunte che qui si fanno per le due prime per sone singolari eplurali
sonole stesse dei perfettie che quelle che si fanno per le terze sono , direi ,
le terze del perfetto di avere, ebbe, ebbero,ciocchè facilita di molto la
formazione di questo tempo, presente del congiuntivo AMO ATE credere credere -i
sentire-sti sentire-bbe ama-ssi a m a -ssi teme-ssi teme-ssi crede-ssi
crede-ssi senti-re senti-ssi ama-ssimo teme-ssimo Amare Io ami Imperfetto
dell'Ottativo Conjugazione 1." Si toglie il RE dell'infinito, e la vocale precedente
il “-RE” si muta in I, e nel plurale si aggiunge 3 1 sentisse credeste, amassero
amassono temessero temessono credessero credessono 33 I alla 1) S T I 2 ) del
singolare BBE 3) MMO I) STE 2)delplurale amare amere-i amere-sti amere-bbe
amere-m m o “amere-ste” amere-bbero amere -bbono 9. L'infinito resta immutabile
e si aggiungono Tu ami Colui ami Ami-amo Ami-ate Ami-no temere temere -i
temere-sti temere -bbe temere-m m o temere-ste temere -bbero temerebbono NO 2
person . La vocale precedente il -re dell'infinito si muta in “a” in
tutto il singolare, e nella terza plurale. Il resto è come nella prima :anzilla
seconda singolare può terminare come nella prima conjugazione; i che sarà
considerato ne verbi rispettivi. Credere Creda Creda o Credi Creda Crediamo
Crediate Credano. Queste sono le variazioni. Gl’altri tempi composti risultano
da alcuno de' tempi già esposti, presi da'verbi essere ed avere, e dal
participio passato del verbo particolare, il quale si usa; e però non occorrono
nuovi cambiamenti nell'infinito. Quindi si dovranno cercare nel prospetto.
Intanto si potranno raccogliere alcune regole, e sono: Tutte le prime persone singolari
dell'indicativo eccetto il perfetto e l'imperfetto finiscono in 0. Tutte le seconde
in I in ogni tempo. Tutte le prime plurali in ogni tempo e modo in “-mo”, e le
seconde in “-te”, e le terzein “-no” o “-ro” in alcuni tempi. Ma in tutte le prime
plurali dei presenti di ogni modo, degl'imperfetti, e futuri dell'indicativola Mè
semplice: amiamo, amassimo, amavamo, ameremo, temiamo, temessimo, temevamo, temeremo,
&c. Ma ne'perfetti dell'indicativo e negl'imperfetti dell'ottativo la “m” è
doppia: “amammo”, ameremmo, temeremmo, crederemmo, &c., e cosi le seconde
plurali in que stid u e tempi ed anche nel presente dell'ottativo anno la “s”
avanti ilTe finale dicendo siamásle amereste &c.!,le altre anno il semplice
“-te.” Parimente, questi tre tempi possono finire in “-no” ed in “-ro” nelle
terze plurali: amaro, amarono, amerebbero amerebbono, amas, amaranno, amarino. Gli.
•BIBLIOTECA- LVCCHESI -PALLI- BIBLIOTECA LUCCHESI • PALLI III.» SALA Scaffale.
Pluteo. N.» CATENA. h Digitized by Google Digitized by Gopgle COLLANA DEGLI
ANTICHI STORICI GRECI VOLGARIZZATI. Digitized by Google Digitized by Google
Dìgitized by Google Digit zec! ov \Vo3^ LE ANTICHITÀ ROMANE I DI DIONIGI
D’ALIGARNASSO VOLGARIZZATE DALL’ AB. MARCO MASTROFINI già’ frofessore di
matematica e di filosofia NEL SEMINARIO DI FRASCATI MtmOKX KOrJMMKTt USCOKTIUTÀ
COI TM3T0 BAh TKÀBVTTOBt TOMO PRIMO MILANO DALLA TIPOGRAFIA De’ FRATELLI
SONZOCMO 1823. Digitized by Googic Dìgitized by Google Digitized by Google I
MARCO MASTROFINl AI LETTORI NOTIZIE su DIONIGI DI ALICARNASSO. I. Dionigi^ di
Alessandro fu di Alicarnasso , reggia un tempo della Caria , della quale pur
furono Eraclito il poeta ed Erodoto di gr^ca istoria padre come Petrarca lo
intitola nel terzo de' capitoli sul trionfo della Fama. E difficile determinare
V anno , non che il giorno della sua nascita. Fozio nella sua Biblioteca (cod.
^4) dice che egli precedette Dione Cassio , ed Appiano Alessandrino, espositori
aneli essi di Storie Romane. Errico Dodwello che meditò gra- vemente quelt
argomento non seppe ristringersi ad altra particolarità , se non a questa , che
Dionigi debbo essere nato fra t anno (i"G e ^oo di Roma calcolali alla
maniera di V airone. DIOyiGI , toma ^ ‘ ■ , X Digilized by Google / 2 I(.
Dionigi sentiva in sè la nobiltà del cor suo] c si mosse verso la capitale del
mondo, e venne a Roma nelt anno F^arroniano ja5 , cioè finita la guerra interna
di Augusto contro di Antonio ; domd è che egli non vi giunse prima dell' anno
suo venticinque- simo. Fi si trattenne 22 anni: vi compose le opere critiche ,
e vi apprese intanto diligentemente C idioma del popolo vincitore su la mira di
leggerne gli antichi monumenti nazionali, e di scriverne infine con greco stile
una stona per uso de’ Greci suoi che troppo la ignoravano. Egli riusci nell
intento , e la scrisse, e la divulgò nell anno Fcu roniano y47 sotto il nome di
Antichità Romane come l ebreo Giuseppe Jion molto dipoi , forse ad imitazione
di lui , e certo con più proprietà, pubblicò sotto il titolo di Antichità
Giudai- che la storia del popolo ebreo , la quale era insieme la storia della origine
stessa del mondo. III. Par che Dionigi delineasse la storia col di- segno
stesso con cui Firgilio cantava la Eneida: vuol dire l uno e l altro spargevano
fiori appiè de’ trion- fatori non senza il lusinghevole desiderio di guada-
gnarne la grazia : non leggera conquista per uomini inermi , autorevoli solo
per sillabe , per parole, e per periodi ! 'Dionigi fece sapere a’ suoi che il
popolo del Campidoglio non era poi barbaro ; anzi che era pur esso greco di
origine, e che assai conosceva leggi e costumi ; e ciò perchè riuscisse il
comando romano , se non pregevole , certo men duro nella Grecia d’ Asia e di
Europa , paesi che una volta orati patria e tempio di fortezza e di libertà.
Digilized by Google 3 IV. Egli distese il suo scrino in venti liLri ; ma non
sopravanzano che i primi dieci e parte dell’ un- decimo; tutto il resto perì
per la ingiuria de' tempi. Per quanto ci racconta Fozio (i) che aveala letta
per intero, scorre ane la narrazione dagli Aborigeni e dalla venuta di Enea
nella Italia fino alla guerra de’ lio- mani con Pirro , monarca degli Epiroti ;
perchè ivi appunto comincia la storia Romana deli altro greco scriuor
precedente , Polibio da Megalopoli. Quest or- dine di storie si consideri
diligentemente ; perchè da indi apparisce che Dionigi dee precedere c non se-
guire Polibio, come parve al primo che dispose la Col- lana Greca , e come
trovo fatto pur questa volta irre- parabilmente su Cantico disegno (a). Siccome
un estero per la novità che v incontra , può notare ì. costumi varj de' popoli
meglio che il nazionale che cresce e invecchia con essi ; così questi due Greci
conversando co’ Romani seppero distinguervi e descriver più cose che i Romani
stessi non han descritto e trasmesso con la successione de’ tempi ai tardi
nipoti. Or ciò dovea tanto più seguitarne quanto che scrivean quelli pel greco
il quale non avrebbe gustata nè intesa la loro narrazione se non esponevano
minatamente le cose notissime tra Romani. E quindi è che Polibio delincò su la
milizia romana quello che non si legge in niuno de’ romani scrittori medesimi:
e Dionigi toccò tante picciole circostanze che meglio dichiarano le ori- ,gmi,
il complesso, ed il termine degli eventi: cioc- (i) Bihiiotre. cod. 8f>. ( 1
) Ediz. romana di Vinccoio Pojryiuli delT anno Digilìzed by Google che ne ha
rendalo , e ne renderà sempre , preziosis- simo quanto sopravanza delle storie
di lui. V. Livio rimpelto a Dionigi è come il compendio rimpello all' opera
estesa ; tanto che il primo racco- glie in tre libri ciocché l’altro dilata in
undici. Nè io saprei dolermi su tanta espansione quando le cose vi fossero
state moltiplicale in proporzione. Ma per dirne ciocché io ne penso, e dare
intanto il paragone degli
autori fin qui da me volgarizzati che
sono Sallustio, Quinto Curzio , Lucio Floro , e Dionigi ; mi è sem- pre parato
che in Sallustio non capano i sentimenti dentro le parole , che in Curzio si
pareggino compiu- tamente gli uni alle altre, che in Floro le parole su- perino
alquanto i sentimenti, e che in Dionigi fincd- mente- ( siami cosi lecito di
esprimermi) le sentenze galleggino affatto tra le parole. Sallustio é come il
fior vivo, che di sé promette gran cose , ma stretto in parte ancora dalla sua buccia
: Curzio è il fior copioso , odoralo , aperto graziosamente al sole che 10
vagheggia ; Floro è il fior vago , ma tutto spam- panato con molte le f
rendette e poco t odore; e Dio- nigi finalmente è il fiore delle ampie e libere
frondi 11 quale sot^ di sé nasconde il picciolo guscio che ravvolgevalo , e par
sorgere pomposo e vario tra le aure che lo investono , ma troppo , se lo
stringi , è minore delle belle apparenze. Dionigi era un greco dell jfsia, e fa
sentire in sé la prolissità propria di quella vastissima parte del globo. Le
parlate in lui sono lunghissime , e per ordinario non ripetono se non ciò che
presentano le storiche narrazioni ; lad- Digilized by Google ■ 5 doue in ,Tilo
Livio sono lampi e folgori, sentenze e risultati. V ultimo lascia a pensare ,
il primo li lascia senza pensieri prima che finisca di parlare ; nelV uno senti
il capitano ed il console , nell altro lo storico «d il declamatore : quegli è
pieno di entusiasmo e di fuoco su gt interessi della sua nazione , /’ altro vi
si spazia sopra come il panegirista che loda non per affetto , ma in vista di
ricompense , o per moda. Forse tanta loquacità non piacque nemmeno tra' suoi
nazionali; e Dionigi voglioso di essere letto , s’indusse a ristringere in un
compendio di cinque libri quanto avea steso in venti. Fozio nella sua
Biblioteca [cod. ^4) parla eziandio di un tale compendio ; e lo dice più utile
per questo , che non contiene se non le cose necessarie alla storia. Egli
paragona Dionigi in quel nuovo scritto ad un re che giudica e tiene intanto in
mano lo scettro; e sentenzia ma con la precisione e col tuono di chi comanda
(i). Vr. Quanto allo stile i giudizj ne sono difformi : vi è chi lo chiama
scrittor soave , scrittore elegante ; e non vi è dubbio che e"li abbia de'
bei tratti, dei pellegrini concetti , e gravissimi documenti. Nondimeno vi è
chi dice risolutamente che Dionigi rimpetlo a Senofonte è come il duro e
licenzioso jépulejo rim- pclto alle maniere delicate e spontanee di Livio. Dio-
nigi fa pur troppo conoscervi che egli non era nativo deir Attica. Fra le sue
formole ne occorrono alcune (i) La prcsealc versione fu stampala in Roma l’anno
i8ia. Dopo quest’ anno il Compendio fu creduto rilrovato in Milano. Se ne
patterà nel tomo quarlo là dove sono i fiammcnli. Digitized by Google G nuove ,
Ialine (T indole , o certo non abbastanza monde da solecismo ; tantoché vi si
violano le regole prò- poste da esso medesimo nelle opere sue critiche per gli
storici e per gli oratori. Ad ogni modo Dionigi é come la miniera ampia di oro
, e come V archivio ricco di monumenti preziosi in mezzo di altri che sono anzi
un ingombro ; dond è che un tale scrittore , come ho toccato dianzi , sarà caro
finché saran care le storie. Ora diciamo qualche cosa delle versioni del nostro
Autore. VII. Lapo lìira^o fiorentino il primo diede una versione latina di
Dionigi. Questa fu pubblicata la prima volta in Trevigi Hanno i48o, e poi di
nuovo in Basilea nel i53a. Il Glareano ebbe cura di tal seconda edizione e la
purificò da sei mila errori co- ni egli dice. Boberto Stefano vedendo
pubblicato Dio- nigi nella lingua non sua, trasse il greco originalo dalla
Biblioteca dei re di Francia, e lo mise in luce l’anno ì5^(i. Il Gelenio
divulgò colle stampe in Ba- silea [ anno iS/fg una nuova versione latina de’
dieci primi libri. Silburgio rettificò con critica squisitezza le tante lezioni
non sane che ci aveano nel greco dello Stefano , e nel latino del Gelenio , e
congiunse i due testi e li stampò V anno i586 in Francfort. In questa edizione
vi é la traduzione dell’ undecimo libro fattu da Silburgio medesimo , li
frammenti ricorielti delle Legazioni già pubblicale da Fulvio Ursino , ed un
libro di annotazioni in fine. Mentre apparecchia- vasi o compivasi da Silburgio
questa edizione ; Emilio Porto diede su t originale dello Stefano una nuova
Dìgilized by Googlc 7 traduzione latina delle antichità con amplissime an-
notazioni, imprimendo anche il libro delle legazioni con la trina
interpretazione dì Stefano, di Sitburgio e di Porto. JSel 1704 si ebbe la
vaghissima edizione fatta in Oxford la quale comprende il testo greco di
Dionigi colla versione di Porto , emendata dove nera il bisogno , e le
legazioni secondo la impressione fat- tane da falesie riunite a quelle già
pubblicate da Ursino. Si cominciò finalmente nel 1774» ^ ^i com- piè nel 1777
lO' edizione riputata la più corretta di Lipsia colle note varie di Errico
Stefano , di Silbur- gio , di Porto , di Casaubono , di Fulvio Ursino , e di
Giangiacomo Peiscke. Vili. Francesco Venturi fiorentino ci diede nel 1545 colle
stampe venete la prima versione italiana delle sole antichità di Dionigi. In
quell'epoca il testo greco non era nè stampato nè rettificato , e quindi avendo
egli lavorato su di ^un manoscritto, frequen- tissime sono le aberrazioni dcd
vero senso. Aggiungasi che lo stile è contorto , implicato , nè sempre
regolare: in somma risente tutte le imperfezioni del primo tra- duttore latino
Lapo Birago : nè questi potè sempre capire il senso del testo , ma dove ciò non
potè fu contento di volgarizzare le parole greche , appunto come significavano
, una per una. Il signor Desiderj nel continuare in Roma V anno 1 794 la
edizion sua della Collana Greca ideava, parmi , riprodurre la ver- sione stessa
del Venturi; ed il primo periodo di questa è del V snturi in gran parte ; ma
fatto accorto che grande ne era la oscurità, e poca la naturalezza. \
.Dìgitized by Google 8 continuò a pubblicare non il resto del Venturi, ma una
traduzione di traduzione; t'uol dire , diede alla Italia un Dionigi tradotto ,
forse non sempre ade- guatamente , e certo non sempre con purità di stile ,
sopra la traduzione francese , e non sid greco origi- nale. Al primo leggere il
Dionigi del Desiderj mi parve ravvisarvi una fisionomia anzi francese che gre-
ca. Adunque paragonai la versione framese del padre Francesco la Jai Gesuita
con la produzione del De- siderj a luogo a luogo , e fui convinto che era ciò
veramente che io sospettava. Questa immagine éT im- magine , questa eco di eco
che scolora le fattezze , e deprime sempre più la energia dell originale ,
questa stampa non greca , non francese, e forse non italia- na , non dee
numerarsi tra le versioni , degna almeno di un tal nome ; tanto più che quella
versione fraru- cese essa stessa non lascia gustare la vena ampia , continua ,
maestosa del greco originale , ma presenta la inquietudine, lo scintillamento ,
e come la spezi satura consueta delle parli. IX. Che io sappia niun altro ha
poi volgarizzalo tra noi Dionigi. La mia versione è diretta su la edi- zione di
quest' autore intrapresa in Lipsia nel i Chi vuol ragione di ciascuna delle mie
interpretazioni dee consultare il testo greco , la versione latina , le note in
piè di pagina, ed in fine de’ tomi. Spesso a fissare i sensi ho consideralo
anche la versione fran- cese , supplitami dalla Biblioteca del Collegio Romano
nella nuova mia dolcissima dimora in quel luogo nel- l’ anno 1 8 1 1 , la quale
mi concedè calma profondis- Digilized by Google 9 sima da compiervi quasi per
intero la traduzione che ora presento. Sarebbemi piaciuto ugualmente di con- sultale
la traduzione inglese di Eduard Spelman im- pressa in Londra t anno 1759; ma
per quanto la ricercassi tra le Biblioteche , tra i libraj e tra gli amatori di
libri , non mi venne fatto di rinvenirla in Roma. Aveva io già presso che
terminato questo mio travaglio quando mi ju significalo che in Francia si
pubblica una nuova versione di Dionigi: ho il piacere che l'Italia he veda
contemporaneamente un altra sua, lavorata quasi tutta in Roma , ove lo storico
di Ali-, carnasso stendevano già t originale. Roma i8ia , 10 Febbrajo. Digitized by Google Digilized
by Google PROEMIO. 1 1 I. UANTU^■QUE
alieno io ne sia , pur sono astretlo ad una prefazione , com’ usa nelle storie
, e sopra di mfe ; non già per diffondermi nelle lodi mie proprie , che so
quanto , udite , dispiacciano , o nelle accuse di altri scrittori , come fecero
Teopompo ed Anassilao gli sto- rici, ne’ prologhi loro ; ma solo per dichiarare
le cagioni per le quali mi diedi a .quest’opera , e per dire de’ mezzi , onde
io seppi ciocché son per iscrivere. E certamente chi risolve lasciare a’
posteri monumenti d’ ingegno , i quali , come i corpi , non vengano meno per
anni , e molto più chi scrive le istorie, nelle quali, tutti conce- piamo che
siavi la verità, principio del sapere e della prudenza ; costui dee per mio
sentimento , scegliere argomenti vaghi e magnifici , come bene fruttuosi a chi
legge ; e poi dee preparare le materie opportune al subjelto con assai
previdenza e lavoro. Imperocché chi ponesi a trattare di cose vili, abominate ,
indegne delle cure di una storia , sia che brami rendersi chiaro , ed
acquistare comunque una fama , sia che voglia manife- stare la idoneità sua
nell’ arte del dire , non sarà mai da’ posteri né invidiato per la fama sua ,
né per 1’ arte encomialo ; lasciando a chi leggelo da sospettare che egli
amasse nel vivere le maniere appunto che descrisse ; per essere gli scritti la
immagine de’ cuori , come da tutti si giudica. Colui ^ poi che ottimo sceglie
l’argo- mento; ma ne scrive scioperatamente, e come per caso , Digilized by
Google I 2 ■ PROEMIO. seguendo i ronoorl del volgo, nemmen’ esso ne ottiene lo-
de niuna ; imperocché si spregiano , se negligenti sle- no e confuse le storie
delle città famose e de’ principi. Or pensando Io per uno storico esser questi
I canoni sommi ed inviolabili, ed avendone tenuto cura gelosa ; non volli nè
trasandare il discorso su di essi , nè com- partirlo altrove , che nel proemio.
II. £ che io scelsi argomento, bello, grandioso, uti-' lissimo; non bisognano,
credo, molte parole a con- vincerne chi non affatto Ignora la storia comune.
Im- perocché se alcuno recando 41 pensiero su’ governi an- tichissimi delle
città e delle genti e contemplandoli , parte a parte , o nel paragone dell’ uno
coll’ altro , vo- glia saperne qual di esse fondasse principato più grande, o
che più splendesse per azioni belle , in guerra ed in pace; vedrà che la
signoria di Roma sorpassò di gran lunga quante prima di lei se ne additano ,
non solo jper grandezza d’impero e per luce d’imprese, cui niuno mai lodò' quanto
basta , ma per la durazione ancora del tempo che abbraccia , 6no al presente.
Fu pur antica la signoria degli Assirj , e ne chiama fino ai secoli fa- volosi
; ma non comandò che su picciola parte dell’Asia. Abbattè la monarchia de’ Medi
quella degli Assiri , e crebbe a potenza maggiore sì , non però molto diutur-
na , cadendo alla quarta successione. I Persiani fiacca* t ono il Medo , e
dominarono infine quasi per tutto nel* r Asia ; ben si gettarono poi su gli
Europei , ma noti molto vi profittarono , e tennero poco più che dugen- t’ anqi
II comando. Il Macedone , vinti li Persiani , su- però colla sua tutte le
dominazioni che precederono : Digilized by Google PROEMIO. l3 Don però fiorì
lungo tempo , comiuciaiido a declinare alla morte appunto di Alessandro :
imperocché smem- brato da’ successori il potere in molti principi , sosten-
nesi la monarchia fino alla terza o quarta generazione ; ma resa debole per sé
stessa, fu distrutta finalmente dai Romani : nou tenne poi mai servi tutti i
mari e le ter* re : che non vinse in Africa se non l’ Egitto , il quale non è
vasto , nè sottomise tutta l’Europa ; ma nel set- tentrione di questa si estese
alla Tracia , e nell’ occaso fino all’ Adriatico. III. Pertanto i più famosi
degl’ imperj che precede- rono , giunti , come sappiam dalla storia , a tanta
forza e grandezza , rovinarono. Con essi non sono poi da pa- ragonare le Greche
potenze le quali nè spiegarono mai si ampia la signoria , nè lo splendore si
diuturno. Gii Ateniesi quando più poterono in mare , ne dominaro- no per anni
sessantotto la spiaggia , e non tutta , ma quella solamente tra l’ Eusino ed il
mar di Pamfilìa. E gli Spartani impadronitisi del Peloponneso e del resto della
Grecia stesero fino alla Macedonia le leggi; ma non prevalsero che per quarant’
anni (i) nemmeno in- teri, e trovarono ne’Tebani chi li depresse. Ma la Re-
pubblica romana signoreggia tutta la terra , non già la (i) testa uri o?ici in
TpmiccfTx: cioè nemmeuo iuteri treo- t’aimi. Isacco Casaubono vi saslilui
rinrxfxi'oyTX cioè quaranta. Pur questa emenda fu tolta, nè so perchè :
concedendosi comune- mente che gli Spartani dopo vinti gli .Ateniesi al fìuinc
Egio furono gli arbitri più che 33 anni. Ciò stando non può dirsi nel testo
m-m- meno interi treni’ anni , ma usando un numero rotondo , dovremo leggere
quaranta come il Casaubono. l4 PROEMIO, deserta , ma quanta ne è 1’ abitata :
signoreggia tutto il mare non solo nai
mente Oenotro diciassette generazioni avanti che a Troja si combattesse. E
questa è l’epoca nella quale mandarono i Greci nella Italia una colonia.
Oenotro poi si levò di Grecia ; perché non pago della sua parte : giacché nati
essendo a Licaone ventidue figli; aveasi l’Ai^ cidia a dividere in altrettanti.
Per tale cagione lasciando OcDOiro il Peloponneso, passò con fiotta gié
preparata il mar Ionio, e passavalo teco Peucezio l’uno de' fratelli di lui.
Navigavano con essi molti della sua gente , po^ pelosissima , come si dice ,
nelle origini ; e quanti altri de’ Greci non aveano terreno ^he loro bastasse.
Peucezio pigliò sede in sul promontorio Japigio , appunto ove prima sbarcò
nella Italia , cacciando chi v’ era , e da lui furono Pcucezj chiamati quanti
abitarono que’ luoghi. Oenotro guidando seco il più dell’ esercito , venne ad
altro seno più occidentale d’Italia, Ausonio allora chia- mato dagli Ausonj,
che la spiaggia nc popolavano. Ma quando i Tirreni diventarono i padroni de'
mari prese il nome che tien di presente. IV. E trovando la regione bonissima da
pascolarvi o da ararvi , ma deserta in moltissimi tratti , anzi con poco popolo
ov’ era abitata j dìé la caccia a’ barbari in tina parte della medesima , e
fondò citt.ì non grandi Digilized by Google a4 DELLE antichità’ ROMANE si, ma
frequenti in sui mouli ; com’era stile antichissi> mo , di situarsi. Così tutta
la regione fu detta Oenotria, essendone amplissimo lo spazio occupalo ; ed
Oeuotr) pure si dissero gli uomini tutti a’quali comandava , mu- tando nome per
la terza volta ; mentre Ezei si chiama- vano dominandoli Ezeo , e poi subito
Licaonj quando al governo succedè Ligaone. Menati però nella Italia da Oenotro
, Oenotrj si nominarono per un tempo : nel che Sofocle il tragico mi è
testimonio net suo Tripto- Icmo : perciocché vi s’ inU'oduce la madre degli Dei
che dimostra a Triptolcmo quanto spazio debba trascorrere per seminare i semi
eh’ ella dati gli aveva. Or ella ,
mentovato prima l’ oriente d’Italia dal
promontorio J.i- pigio 6uo allo stretto Siciliano, e poscia additata la Si-
cilia che sta dirimpetto; volgasi tosto alla Italia occi- dentale , e numera i
popoli più grandi della spiaggia , cominciando dagli Oenotrj: ma bastino le
sole cose da lei dette ne’ jambj , percl)è dice : Questo é do tergo ; a destra
siegue tutto La Oenotrìa , il mar Tirreno , e la Liguria. Antioco di Siracusa ,
scrittore antichissimo , annoverando i primi ad abitare la Italia e le parli occupale
da ognu- no , afferma che gli Oenotri in questo precederono ogni altro di cui
s’abbia ricordo, dicendo: jéntioco il fi- gliuolo di Zenofanle compilò su la
Italia queste cose, le più credibili e più manifeste ira vecchi monumenti', la
terra che ora Italia dimandasi la ebbero antkhism simamente gli Oenotri : poi
discorre in qual modo la governassero , e come Italo un tempo divenisse re loro
Digitized by Google LIBRO I. 35 cd Itali ue fossero oomioati : e poi Morgili
per essere a Morgite venato quel principato. E siccome stando Sicolo per ospite
presso Morgite , e tentando appro- priarsene la signoria , ne divise le genti ;
conclude : cosi gli Oenotri divennero e Sicoli e Morgiti ed Italiani. V. Ora
dichiareremo quanta fosse la gente degli Oenotri allegando per testimonio nn
altro vecchissimo autore, io dico Ferecide, non secondo a niuno degK Ateniesi
che trattasse delie genealogie. Egli fa su quelli che dominaron 1’ Arcadia
questo discorso: nacque Li- caoue da Pelasgo e Dejanira e sposò Cillene , una
ninfa dell» Najadi dalla quale ebbe nome il monte Cillene: poi divisando i
generati da questi e quai luoghi cia- scuno abitasse , fa menzione di Oenotro ,
e di Peucezio dicendo : Oenotro , donde Oenolrj son detti gli abi- tatori
Italia ; e Peucezio onde sono i Peucezj lungo il golfo Ionio. Tali sono le cose
dette da’ vècchj poeti e mitologi sul popolarsi d’Italia, e su la origine degli
Oenotri. In forza di che, se greca veramente è la stirpe degli Aborigeni , come
disse Catone , e Sempronio e molti altri ; io penso che provenisse da questi
Oenotrj : perocché trovo e Pelasgbi e Cretesi , e quanti altri abi- taron l’
Italia , venuti in tempi di poi : nè so vedere spedizione più antica di questa
, che si recasse dalla Qrecia alle parti occidentali di Europa. Giudico poi che
gli Oenotri occupassero molti luoghi d’Italia, o deserti, o poco popolati, e
parte smembrati ancora dalle terre degli Umbri , e che Aborigeni si chiamassero
per le abitazioni, come gli antichi le amavano, prese ne’ monti: cosi pur v’
ebbero in Atene que’ della spiaggia e dd Digilized by Google a6 DELLE
Antichità’ romane monti. Che ie alcuni per indole non ricevono di subito senza
prove quanto si afferma su cose antiche , nem- men subito decidano esser questi
, o Liguri ovvero Um- bri , o tali altri de’ barbari : ma sospendendo finché
apprendano le cose che restano , giudichino poi da tutte qual ne sia la più
verìsimile. VI. Delie città che furono degli Aborigeni , poche ora ne
sopravanzano : perocché premute la maggior parte dalle guerre , o da altri mali
che straziano , fini- rono in solitudini. E secoudo che Terrenzio Varrone
scrisse nelle anlichilà , ve ne erano nell’ agro Reatino non lungi dagli
Appennini ; e le meno disgiunte da Roma , ne disiavano per lo viaggio di un
giorno. Di esse io ridirò le più celebri secondo la storia di lui. Palazio è l’
una , lontana venticinque stadj da Rieti , cittade abitata da’ Romani fino a
miei giorni , presso la strada Quinzia. Siede Trebula a sessanta stadj pur da
Rieti , su dolce collina : e da Trebula con pari inter- vallo disgiungesi
Vesbola dicontro a’ monti CerauBj: lad- dove quaranta stadj ne è lungi Soana ,
città famosa con antichissimo tempio di Marte. Discostavasi Mifula da Soana per
trenta stadj , e se ne additano ancora le ror vine, e le vestigia de’ muri. A
quaranta stadj da Mifula elevavasi Orvinio, città, quanto altra mai, chiara e
grande in que’ luoghi : e segno ancora ne sono i fondamenti delle mura di lei
come le tombe di antica struttura , e li recinti pe’ cimiterj comuni su’ monti
altissimi : e là pure vedessi nella sommità di lei 1’ antico tempio di Minerva
: lungi dieci miglia da Rieti , procedendo per la strada Giulia , là presso il
monte Corito v’ era Car- arbari , e soprattutto ai Sicoli , loro conGnanti. E
sa le prime pochi bravi , quasi giovani sacri mandati da genitori in traccia
de’ bisogni della vita , nscirono se- guendo un primitivo costume , che pur
vedo seguito da molti de’ Barbari e de’ Greci. Imperocché quante volte le città
moltiplicavano tanto in popolo che non più bastassero ad esse i proprj viveri ;
quante volte fa terra danneggiata dalle mutazioni del cielo rendea meno
dell’usato; e quante volte altro caso non dissimile buono o rio le necessitava
a minorarsi di gente ; consacrando allora agl’ Idd^ d’anno in anno una serie di
discendeuti Digitized by Google libro I. 2g gii armavano , e li congedavano. E
con fausti augurii gli accompagnavano se giusta le patrie leggi sacrificando,
rendevano grazie ai cieli per la generazione copiosa , o per le vittorie tra
Tarmi : laddove se pregavano i Numi irati a rimovere da loro i mali che
tolleravano ; li di- mettevano pure slmilmente , ma rattristandosi , e chie-
dendo die loro si perdonasse. E quei sen partivano quasi non più avendo una
patria, se pure altra non sen facevano che li raccogliesse o per amicizia , o
combat- tendo , e vincendo ; ed il Nume al quale i congedati eran sacri parca
per lo più cooperare con essi , ed al- zarne sopra la espettazione le colonie.
Su tale consue- tudine gli Aborigeni , floridi allora in popolazione , e schivi
, perchè noi credeano il meno de* mali , di ucci- dete alcuno de’ posteri ,
consacravano agl’ Iddii d’ anno io anno le generazioni, e via via dimetteano
gli allievi, già grandi fatti , dalla patria. Uscitine questi non desi- sterono
di far contro i Sicoli , e derubarli. Ma non si tosto conquistarono alcuna
delle contrade inimiche ; di- venutine ornai più sicuri ancora gli altri
Aborigeni i quali bisognavano di terreno , insorsero parte a parte su’
confinanti : e fondarono alcune città , e quelle , abi- tate ancor di presente
, degli Antemnati , de’ Tellenesi , e de’ Ficolesi presso i monti Cornicli
nominati , e dei Tiburtini finalmente , tra’ quali evvi un luogo della città
che pure a dì nostri si chiama Siciliano. Nè furono ad altro vicino più molesti
che incontro de’ Sicoli. Sorse da tali contrasti guerra con tutte le genti ;
talché mai non fu per addietro la più grande in Italia, e v’ infierì lungo
tempo. Digilìzed by Google 3o DELLE AXTICIIITA’ ROMANE IX. Dopo questo alcuni
de’ Pelasgbi che abitavano la regione ora detta Tessaglia costretti di
trasmigrarne , divenuei'o gli ospiti degli Aborigeni ; ed i compagni di arme,
contro de’SicoIi. Gli accolsero gli Aborigeni forse {icr la speranza , io penso
, di un utile , ma più per la comunanza di origine: perocché son pure i
Pelasgbi un greco lignaggio , antichissimo del Peloponneso : quan» tunque
sciaurati per molte cose e principalmente per la vita errante , nè mai stabile
in sede ninna. E certo , come molli affermano su di essi, abitarono su le prime
la città che ora chiamasi Argo di Acaja ; traendo il nome di Pelasgbi da
Pelasgo , loro sovrano , generato da Giove e da Niobe la figlia di F oroneo ,
quando il Dio si congiunse la prima volta con donna mortale , come è ndle
favole. Poi nella sesta generazione lasciato il Peloponneso, passarono nella
Emonia che ora Tessa* glia si nomina ; e duci furono del passaggio Acheo e F
tio , e Pelasgo , figli di Larissa e di Nettuno. Giunti nella Emonia ne
cacciarono i barbari che 1’ abitavano , e la divisero in tre regioni
cognominandole da’ condot* tieri , F liotide , Acaja , e Pelasgiote. Fissi colà
da cin- que generazioni , lungamente vi prosperavano , profit- tando pur de’
campi migliori della Tessaglia: ma intorno la sesta generazione ne furono
espulsi da Cureti , e da Lelegi che ora sono gli Eioli ed i Locri, e da più
altri che abitavano intorno del Parnasso , guidando i nemici Dencalione il
figlio di Prometeo e di Glimene nata dall’ Oceano. ' X. Dispersi nella fuga ,
altri vennero io Creta , altri ottennero alcune deile Cicladi. Alcuni abitarono
la re* Digitized by Google LIBRO I. 3 1 gione intorno di Olimpo e di Ossa, ora
detta Estiotidc: ed altri furon portati nella Beozia, nella Focide e nella
Eiubea : alcuni tragittandosi in Asia occuparono molte delle spiagge deli’
Ellesponto e molte delle isole dirim> petto , e quella che ora Lesbo si
chiama , mescolatisi alla colonia che prima andavaci dalla Grecia sotto gU
auspizj di Macaro Gglio di Criaso. La maggior parte però dirigeudosi entro
terra a’ loro parenti i quali al- bergavano in Dodona , ed a' quali , come
sacri , niuno facea guerra , abitarono quivi alcun tempo : ma poiché si
avvidero che eran di aggravio, non bastando la terra a nutrire tutti in comune,
se ne involarono, mossi dal- r oracolo che ordinava loro di navigare in verso
la Ita- lia , allora chiamata Saturnia. E fatto apparecchio in copia di navi,
passarono il mar Jonio, procurando giun- gere in parti presso la Italia. Ma pel
vento di mezzo- giorno , e per la imperizia de’ luoghi , portati più oltre capitarono
ad una delle bocche del Pò chiamata Spi” itelo e quivi lasciarono le navi, e la
turba meno idonea ai travagli con un presidio , per avervi una ritirata , se i
disegni non riuscivano. Or questi rimanendo in quella regione circondarono di
muro il campo dell’ esercito , cd introdussero colle navi copia di vettovaglie.
E poi che videro succedere loro le cose come voleano , fab- bricarono una città
coLnome appunto della- bocca del fiume. Quindi prosperando più che tutti su le
spiagge dell’ Jonio , e prevalendo lungo tempo sulle onde , por- tarono quant’
altri mai, decime vistosissime in Delfo alla Divinità , de’ beni tratti dal
mare. Da ultimo però ve- nendo amplissima guerra su loro da’ barbari intorno ,
' Digitized by Google 32 DELLE Antichità' romase losciarono la città , donde
anche i barbari furono dopo nn tempo cacciati da’ Romani. Cosi mancarono i Pela
minandola da Larissa , metropoli loro nel Peloponneso. Delle altre città ne
resta pure alcuna fino a miei giorni, quantunque variati spesso gli abitatori:
ma Larissa è di- strutta già (la gran tempo : nè presenta dell’ antica esi-
stenza altro segno più manifesto che il nome , e nem- meno questo è noto a
moltissimi. Era non lontana dal foro chiamato Popilio. Finalmente possederono ,
toglien- doli a Sicoli , molti altri luoghi entro terra , o lungo la spiaggia.
XIII. I Sicoli ornai non più valevoli a resistere ai Pelasghi ed agli
Aborigeni, riunendo i figli e le mogli e quanto aveano di moneta in oro ed
argento, si leva- rono in tutto da quella terra. Ripiegatisi a’ monti verso del
mezzogiorno , e trascorsa tutta l’ Italia inferiore , siccome dovunque erano
discacciati , apparecchiarono in fine delle barche nello stretto , e notandovi
il flusso e (piando era fausto , passarono dalla Italia in su l’ isola vicina.
Allora i Sicani , Spagnuoli di origine , la poue- devano , nè da gran tempo vi
erano stati ammessi, cer- cando uno scampo dai Liguri; e già per essi era detta
Sicania l’isola un tempo chiamata Trinacria^ per la fi- gura sua di triangolo.
Non molti erano in questa gran- d’isola gli abitatori; ma la più gran parte
vedeasi ancora deserta. Giunti i Sicoli ad essa , ne abitarono su le prime i
luoghi occidentali , e mano a mano più altri , talché l’isola ne fu detta
Sicilia. Cosi la gente de’ Sicoli abbandonò la Italia ', tre generazioni , come
Ellanico di Lesbo scrive , prima delle cose trojane , correndo in Digilìzed by
Google 36 DELLE Antichità’ romane Argo r anno vigesimo sesto del sacerdozio di
Alcione. Perciocché stabilisce due passaggi fatti dalla Italia nella Sicilia il
primo degli Elimei cacciati dagli Oenotri , e l’altro dopo cinque anni degli
Ausoni, che fuggivano i Japigi. Dice che re di questi fu Sicolo , donde ebbero
il nome gli uomini e 1’ isola. Filisto però di Siracusa scrisse che 1’ anno di
quella discesa fu 1’ otuntesimo in- nanzi la guerra trojana: e che non Sicoli,
non Ausonj, non Elimei , ma Liguri furono gli uomini trasportati dalla Italia ,
conducendoli Sicolo , figliuolo di Italo , e che dalla signoria di quello
furono Sicoli nominati. La- sciavano i Liguri le patrie terre , astrettivi
dagli Umbri e da’ Pelasghi. Antioco di Siracusa non distingue il tempo del
tragitto; ma Sicoli dichiara quelli che tra- gittarono, premuti dagli Oenotrj e
dagli Umbri, piglia- tosi nel trasmigrare Sicolo per condottiero. Tucidide
scrive che Sicoli furono i profughi , e Opici quelli che li fugavano , per
altro molti anni dopo la guerra di Troja. E queste sono le cose che affermansi
da uomini riguardevoli intorno de’ Sicoli , passati dalla Italia nella Sicilia.
XIV. Impadronitisi i Pelasghi di una regione ampia e bella , ne ebbero pur le
città ; poi fondandone altre ancor essi , crebbero presto e molto in forze , in
ric- chezze , ed altri beni ; non però ne goderono lungo tempo. Ma sembrando
floridi troppo per ogni parte fu- rono sbattuti dall’ ira de’ celesti , e quali
ne perirono per divine calamità , quali pe’ barbari confinanti : e la parte più
grande ne fu dispersa tra’ barbari , o nuova- mente Ira’ Greci , e lungo ne
sarebbe il discorso se per Digitized by Coogle tninuto seguissi un tal fatto.
Pochi ne sopravanzaronc nella Italia per cura degli Aborigeni. Parve alle città
che la origine prima di un tale struggersi di famiglie fosse la siccità che
intristiva la terra, talché non restava frutto alcuno Gno al maturarsi negli
arbori; ma innanzi tempo cadevano 5 nè i semi che sbucciavano in germi,
vegetavano Gnchè le spighe floride si empiessero nei tempi naturali , nè
bastavano i pascoli alle greggio. Non più le fonti eran atte a toglier la sete
, guaste , impic- ciolite o spente dagli estivi calori. Consentivano con ciò le
vicende delle bestie e delle donne nel generare : e quale sconciavasi in aborti
, e quale dava Agli , morenti nel parto , o fatali nell’ utero ancora alle
madri. Se scampavano 1 pericoli del parto , mutili , o storpi , o manchevoli
per altro disagio , non eran’ utili , onde si allevassero. L’ altra moltitudine
poi , specialmente la più vegeta era colta da mali, e da morti frequenti più
del- r usato. E consultando l’ oracolo per quale violazione di genj o di Nomi
questo patissero , e per quali pratiche mai fosse da sperare una calma in tanti
orrori, udirono ciò essere perchè esauditi ne’ loro desiderj , non aveano
penduto quanto promisero ; ma dovevano ancora agli Dei cose preziosissime. Imperocché
li Pelasghi l’idotti a penuria di ogni cosa nelle loro terre , si votarono a
Giove , ad Apollo , ed ai Cabiri (i) di santiGcare ad essi le decime di ogni
prodotto. Appagati nella pre- ghiera presero ed offerirono agli Dei parte delle
messi e de' frutti , quasi votati si fossero per questo soltanto. (i) Forte
Castore e Polluce. E certo che erano Dei di Sanietracia. Digilized by Google 38
DELLE Antichità’ romane Mii'silo di Le$bo scrive ciò quasi con le parole
medesi- me , toltone , che egli chiama Tirreni e non Pelasghi quegli uomini ,
di che dirò più sotto le cause. XV. Ascoltato 1’ oracolo non sapevano
interpretarlo. Fra dubbj loro un più vecchio, raccogliendone i sensi, disse che
erravano affatto , se credevano che gli Dei li punissero a torto : volere il
diritto ed il giusto , che si desse loro la primizia di tutto : nondimeno
aspettavano ancora parte della generazione degli uomini , cosa più che tutte ad
essi accettissima: se avessero questa, l’ora- colo sarebbe adempito. Parve ad
altri che costui parlasse rettamente ; ad altri che tendesse delle insidie. E
pro- ponendo un tale che s’ interrogasse il Dio se gradiva che si facessero per
lui le decime , ancora degli uomini ; inandarono i sacri vati per questo , e
rispose che si fa- cessero. Quand’ecco sedizione fra loro sul modo di de-
cimarsi : e prima surse a vicenda tra’ capi della città ; poi l’altra
moltitudine prese i suoi magistrati io sospetto: nè già sollevavansi con regola
alcuna, ma come per en- tusiasmo e per divino furore. Cosi molte case furono
abbandonate, trasmigrandosi parte di essi, nè sostenendo gli attenenti di
essere abbandonati dai loro carissimi , e restarsene tra i più crudi nemici.
Primi questi levandosi dall’ Italia errarono per la Grecia, e molto tra’
barbari: quindi ancor altri incorsero ne’ mali medesimi , conti- nuandosi ogni
anno la decima. Nè i magistrati la so- spendevano , ma sceglievano le primizie
de’ giovani più robusti pe’Numi, quantunque nel proposito di soddisfare agli
Dei , temessero i moti di chiusciva a sorte per vittima. Erano ancora non pochi
espulsi dagli avversar) Digilìzed by Googl LIBRO I. 3^ per nimiclzia , lutto
che sotto specie di oneste cagioni. Laonde spessissime furono la partenze ; e
la gente Pe- lasga errò dispersa in più terre. XVI. Erano i Pelasghi , vivendo
in mezzo a genti bellicose tra cure e pericoli , divenuti assai buoni nelle
armi , e più ancora nella nautica per avere coabitato co’ Tirreni. La necessiti
che ne’ stenti della vita ispira coraggio, fu loro maestra e direttrice in
tutti i cimenti. Perciò non difUcilmente dovunque ne andavano vince- vano.
Erano chiamati ad un tempo Pelasghi e Tirreni dagli altri uomini si pel nome
delia regione donde par* ti vano , come in memoria della origine antica. Ora io
dico ciò perchè alcuno udendoli chiamati Pelasghi e Tirreni da’ poeti e dagli
storici , non meraviglisi come abbiano ambedue le denominazioni. Tucidide in
Atte di Tracia fa menzione di loro e delle città che vi era* no , abitate da
uomini bilingui : e questo è il dir suo su’ Pelasghi. Ivi sono de Calcidesi ,
ma i più sono Pelasghi , cioè que’ Tirreni che abilarono un tempo Lemno ed
Atene. E Sofocle nel dramma suo dell’ I- naco fa questi versi detti dal coro :
Inaco genitor, figlio de' fonti Bel padre Oceano, assai splendendo , reggi Le
terre d’ Argo e di Giunone i colli E i Tirreni Pelasghi. Quindi il nome
de’Tirreni risuonava in que’ tempi nella Grecia : e tutta la Italia occidentale
lo assunse ancora per sé , lasciando i nomi speciali de’ suoi popoli. Oc- corse
già pari vicenda nella Grecia e nella regione ora Digilized by Google 4° DELLE
ANTICinTA’ KOMA!SE detta Peloponneso: giacché dagli Achei, che eran Tuno de*
popoli che v’ abitavano, fu detta Acaja tutta la Pe« nisola ov’ erano gli
Arcadj , c li Jonj , ed altre nazioni non poche. XVII. L' epoca nella quale
cominciarono i Pelasghi a decadere fu quasi nella seconda generazione innanzi
la guerra di Troja, e durarono, direi, dopo ancora di questa 6nchè si ridussero
ad un gruppo di gente. E , salvo la città di Crotone , famosa nell’ Umbria , e
tale altra, se pur v’ ebbe, data loro ad abitare dagli Abori- geni , perirono
tutte le rimanenti de’ Pelasghi. Crotone serbò lungo tempo l’antica sua forma,
ora non è molto, ha mutato nome ed abitatori , e divenuta colonia ro- mana, si
chiama Cortona (i). Varj poi furono c molti che occuparono le sedi abbandonate
da’ Pelasghi secondo che ciascuno vi confinava ; ma le migliori e le più si
rimasero pe’ Tirreni. Quanto ai Tirreni v’ è chi li dice naturali d’ Italia e
chi forestieri. E quei che li stimano propri della regione , affermano che si
diè loro quel nome per gli edifizj sicuri , che essi i primi di quanti vi
erano, si fabbricarono : imperocché le abitazioni con muri e con tetto son
tirseis chiamate dai Tirreni come da’ Greci. Cosi pensano imposto loro quel
nome per accidente come nell’ Asia ai MosinIcI dalle mosine che sono le case di
legno abitate da essi , altissime in for- ma di torri. XVIII. Ma quelli che
favoleggiano che i Tiireni sono stranieri , additano un tale, detto Tirreno,
che fa (i) Ssronito altri Cotorni'n ■ Digilized by Google LIBRO I. 4 1 duce
della colonia , e dal quale ebbe nome la nazione. Dicono che originario fosse
di Lidia , chiamata già Meonia; e che da indi antichissimamente si
trasmigrasse; e che egli fosse il quinto dopo di Giove. Imperocché narrano che
da Giove e dalla terra nacque Mani , il primo a regnare in que’ luoghi : che da
questo e da Calliroe. figlia dell’ Oceano nascesse Coti ; che da Coti sposatosi
con Alle , figlia di Tulio , uomo paesano , germinassero due figli Adie ed Ati
: che da Ati e da Callitea figliuola di Coreo sorgessero Lido e Tirreno : e che
Lido rimastosi in que’ luoghi succedesse al regno paterno , e Lidia lo
denominasse dal suo nome ; ma che Tirreno fattosi duce di una colonia occupò
gran parte d’Italia, Tirreni chiamando il luogo, e quanti lo seguitarono.
Erodoto però dice che Tirreno nacque da Ati figlio di Manco , e che P andarsene
de’ Meonj nel- r Italia non fu volontario. Imperciocché narra che re- gnando
Ati si mise la penuria tra Meonj : che gli uo- mini ritenuti dall’ amore della
regione si argomentarono in più modi a vincer quel male , taluni di colla
parsi- monia , e tal altri con 1’ astinenza : ma che prorogan- dosi la sciagura
, tutto il popolo diviso in due , decise per le sorti chi dovesse di là
trasmigrarsi , e chi rima- nere y e che perciò 1’ un figlio di Ati si stette ,
parten- dosi r altro : la moltitudine che pendeva da Lido trasse colle sorti il
suo meglio , e si stette ; ma 1’ altra pi- gliando quanto le si dovea per le
sorti in danaro , na- vigò verso r occidente d’ Italia , e postasi dove erano
gli Umbri , vi fondò città che duravano ancora al suo tempo. Digitized by
Google 42 «ELLE Antichità’ bomane XIX. Ben so che altri non pochi scrissero ,
ap- punto come io scrissi , della origine de’ Tirreni ; ma che altri ne variano
il fondatore ed il tempo. Imperoc- ché dissero alcuni che Tirreno era figlio di
Ercole e di Onfale Lidia : che venuto questo in Italia , espuke i Pelasghi
dalle loro città , non però da tutte , ma da qnelle poste di là del Tevere su
le parti boreali. Altri però ci fan vedere in Tirreno un figliuolo di Telefo
venuto in Italia dopo la rovina di Troja. Zanto lidio perito quant’ altri mai
delle storie antiche , e creduto nelle patrie non inferiore a niuno, nè mentova
in parte alcuna de’ suoi scritti un tirreno signore de’ Lidj , nè conosce
passaggio alcuno de’Meonj nella Italia, nè parla mai de’ Tirreni come di Lipia
colonia, sebbene parlasse di cose ancora bassissime. Dice che Ati generò Lido e
Toribo , che dividendosi il regno paterno si rimasero ambedue nell’ Asia , c
che diedero il nome loro a’ po- poli su’ quali comandavano. Imperocché scrive:
da Lido si fecero i Lidj , e da Toriho i Toribi 5 poco d’ am- bedue differisce
l’ idioma , e gii uni , come li Jonj e li Doriesi , usano a vicenda le parole
degli altri : Ellanico di Lesbo dice che i Tirreni chiamati già Pelasghi as-
sunsero il nome che or hanno , quando abitarono la Italia ; imperocché nel suo
Foronide (i) scrive , da Pelasgo re loro , e da Menippe figliuola di Peneo
nacque Fraslore , da questo surse Amintore , che diede Teutamide , e da
Teutamide ebbesi Nanas j regnando il quale i Pelasghi , profughi dalla Grecia
(1) Opaieolo di Ellaaieo; ne fa meniione Ateneo nel lib. 9. Digitized by Coogl(
LIBRO I. 4^ lasciarono le navi dove il fiume Spineto esce nel mare Ionio (i),
ed invasero entro terra la città di Crotone; e di là movendosi fondarono quella
che Tirrenia ora si chiama. Mirsilo sponendo come Ellauico le altre co- se ,
dice tuttavia che i Tirreni quando erravano profu- ghi dalla patria , furono
detti Pelasghi per certa somi- glianza loro con le cicogne, pelarghi chiamate;
giacché passavano in truppa per le terre de’ Greci e de’ barbari: aggiunge che
essi alzarono il muro detto Pelargico in- torno la rocca di Atene. XX. A me
però sembra che s’ ingannino quanti si persuasero che i Tirreni e i Pelasghi
non sieno che una gente ; perciocché non è meraviglia che alcuni ab- bian
talvolta il nome di altri , mentre in pari vicenda incorsero ancora altri
popoli greci o barbari come i Trojani ed i F rigi , perchè prossimi di regione.
Eppure molti fanno di questi due popoli Un solo, quasi distinti di nomi, non di
lignaggio. I popoli poi d’Italia, nom« meno che quei d’altri luoghi , furono
confusi ne’ nomi. E v’ ebbe un tempo quando Latini , Umbri , Ausoni , e molti
altri si chiamavano Tirreni da’ Greci ; riuscendo ogni ricerca di questi men
chiara per la lontananza di que’ popoli : anzi molti degli scrittori pigliarono
Roma ancora per città de’ Tirreni. Io dunque penso che que- ste genti mutassero
il nome , variandosi fino il vivere : non penso però che una fosse la origine
di ambedue , per molte cagioni , e più per le voci loro non simili , (i) Qui si
estende il nome di ionio all’interno dell’ Adriatico. Spesso gli storici antichi
cosi praticarono contro 1’ uso de’ geografi che distinguono 1’ uno dall’ altro
mare. Digilized by Google 44 BELLE A^TICHITA’ ROMANE ma diversissime.
Imperciocché nè li Crotoniati (i) come scrive Erodoto , nè li Piaciani ne’
proprj luoghi parlan la lingua dei circonvicini ; ma una ne parlano tutta lor
propria; donde è manifesto che serbano i caratteri del- r idioma che aveano
quando in que’ luoghi si traslata- rono. Meraviglisi poscia chi può che li
Crotonlati somi- glino nell’ idioma al Piaciani , popoli ne’ lidi dell’ Elle-
sponto , nè somiglino intanto a’ vicini Tirreni. Erano que’ primi ambedue
Pelasghl ne’ principj loro : e se la unità di origine prendesi per causa della
uniformità nei linguaggi ; dunque la differenza di origine è pur causa del
divario di essi ; non dando un principio medesimo contrarj gli effetti.
Certamente , se avvenga , ben è ra- gionevole quello , cioè che uomini di una
gente mede- sima domiciliatisi lontani fra loro non conservino i ca- ratteri
de’ proprj idiomi per lo conversar col vicini; ma che poi negl’idiomi non
somiglino popoli di una origine istessa , e d’ istesse contrade, ciò non è
ragionevole per ninna maniera. XXI. Seguendo tali indizj convincomi che
differi- scono i Pelasghi dai Tirreni ; nè credo i Tireeni un tralcio de’ Lidj
; perocché nè parlano la lingua mede- sima , nè può dirsi che se non la parlano
, ritengono almeno alcuni vestigi della teiTa materna , nè tengono per IdJj
que’ che da’ Lidj si tengono ; nè li somigliano per leggi o per abitudini , ma
in ciò dai Lidj si diver- sificano più , che da’ Pelasghi. Pertanto sembrano
più verisimili quelli , che dicono un tal popolo , naturale ( I ) Cortoncsi .
Digilized by Google LIBRO I. 4^ della contrada , non venutovi altronde :
pérciocchè si rinviene antico in tutto ; nè simile ad altri nel parlare , o nel
vivere : e niente ripugna che avesse un tal nome da’Greci o per le abitazioni
fortissime (i) o per l’uomo ancora che li dominava. Ma i Romani con altri nomi
li chiamano Etruschi dalla Etruria , regione dove un tempo abitarono : ed ora
li dicono Toschi men pro- priamente , avendoli come i Greci , nominali prima
con più verità Tioscovi per lo magistero nelle cerimonie del culto divino,
nelle quali sorpassano lutti, Que’ po- poli inoltre distinguono sè stessi dal
nome di Rasenna r uno già de’ loro comandanti. Sarà poi dichiarato in altro
libro quali città fossero abitate dai Tirreni e con / quali forme di governo ,
quanta fosse di tutti insieme la potenza , e quali , se pur degne ne ebbero di
ricor- danza , le azioni ne fossero , e le vicende. 1 Pelasghi che non perirono
, nè si disgiunsero per fare colonie , si rimasero, pochi di molti, con gli
Aborigeni , sotto le leggi de’ luoghi ne’ quali si lasciavano , e ne’ quali col
volger degli anui i posteri loro fondarono Roma. E tali sono le novelle intorno
de’ Pelasghi. XXII. Dopo non molto tempo , nell’ anno , al più , sessantesimo
come narrano i Romani , prima della guerra trojana , capitò ne’ luoghi medesimi
un’ altra spedizione di Greci la quale abbandonava il Pallanteo , città del- r
Arcadia. Il duce erane Evandro , figlio di Mercurio , e di una ninfa ,
abitatrice di Arcadia. I Greci la ten- gono per ispirata da’ Numi , e la
chiamano Temide ; (i) Tirseis delle di *opa J xvii. Digitized by Google 46
DELLE Antichità’ romane ma Carmeiita è delta nella patria lingua da’ romani che
scrissero le antichità di Roma: perocché la ninfa avrebbesi a dir propriamente
Tespi-ode con greca pa- rola : ma le odi chiamansi carmi da’ Romani , e quindi
è Carmenta : si consente poi che tal donna presa dallo spirito divino
presagisse , cantandole , le cose avvenire ai popoli. Non venne quella
spedizione di comun senti- mento; ma nata sedizione del popolo, la parte
inferiore, di voler suo si spatriò. Dominava di que’ tempi su gli Aborigeni
Fauno, un discendente come dicono di Marte, uomo di azione e di prudenza , e
riverito da’ Romani con sagrifìzj e con inni come un genio del loco. Ricevè'
costui con assai benevolenza gli Arcadi che erano po- chi , e diede loro della
sua terra , quanta ne vollero ; ed essi , come Temide gli avea , vaticinando ,
ammae- strati , presero un colle poco lontano dal Tevere , il quale ora è nel
mezzo di Roma , e tanto vi fabbrica- rono , che bastasse alle genti venute con
le due navi dalla Grecia. Era questo il principio segnato dai. destini per
formare col volger degli anni una città , non pareg- giala mai da greca o
barbara città per grandezza di abitazioni, di comando, e di ogni bene, e
certamente memorabile soprattutto finché dureranno i mortali. Pal- lanteo
chiamarono quel fabbricato come la metropoli loro in Arcadia: ora Palagio è
detto da’ Romani per la confusione che inducono i tempi ; e ciò diede a molti
la occasione di stolte etimologie. XXIIl. Dicono molti , e tra questi Polibio
di Me- galopoli , che quel nome viene da Pallante, un giovi- netto ivi morto ,
nato da Ercole e da Cauna la 6glia Digitized by Google LIBRO I. 4? di Evandro:
perchè facendogli questo avolo materno in quel colle un sepolcro , chiamò '
Pallanteo , quel luogo dal giovinetto. Io nè mirai in Roma la tomba di Fal-
lante , nè conobbi che vi si praticassero funebri onori , nè potei conoscere
nulla di slmile : quantunque la fami- glia di lui non sia dimenticata , nè
priva del culto col quale i semidei sono venerali dagli uomini. Perocché vidi
che i Romani faceano gelosamente ogni anno pub- blici sacriGzj ad Evandro e a
Carmenta, come agli altri genj ed eroi : e vidi gli altari dedicali a Carmenta
appiè del Campidoglio presso la porta carmentale , e quelli dedicali ad Evandro
appiè dell’ altro colle detto Aven- tino , non lungi dalla porta trigemina ; nè
vidi intanto cosa ninna di queste latta inverso Fallante. Gli Arcadi i quali
coabitavano appiè del colle, eressero pure altri monumenti nelle forme della
patria , e santi riti v’ isti- tuirono ; ma per ispirazione di Temide, innanzi
lutti a Pane Liceo , Nume il più antico e più riverito tra quelli di Arcadia ,
in sito idoneo , che i Romani chiamano Lupercale , e noi diremmo Liceo. Ora
empiuto essen- dosi di abitazioni il suolo intorno ; non è facile rintrac-
ciarne la natura del luogo. Era questo , come dicono , appiè del colle, una
spelonca, vetusta , grande, coperta da una querce, ramosa qual bosco : profonde
bulicavano le fonti abbasso delle pietre ; e lo spazio appresso ai dirupi era
opaco per arbori , altissime e folte. Qui col- locando un altare a quel Nume
compierono il patrio sagriGzio , che i Romani , non mutando cosa alcuna delle
antiche allora fatte, ripetono ancora di presente dopo il solstizio d’ inverno
nel mese di febbrajo. La Digitized by Google 48 DELLE Antichità’ romane maniera
del sagrìGzio sarà detta più innanzi. Ergendo poi su le cime del colle un
tempio alla Vittoria, stabi- lirono in questo ancora annui sagriGzj che i
Romani tributano ancora. XXIV. Gli Arcadi favoleggiano che questa sia figlia di
Fallante generata da Licaone : e Minerva , fece , che ricevesse da’ mortali gli
onori che le si rendono ; impe- rocché fu essa educata colla Dea , giacché la
Dea nata appena fu consegnata da Giove a Fallante, e presso lui fu nudrita
finché ascese alle stelle. Fondaronoancora
un tempio a Cerere ed il sagrifizio, che
faceano le donne ma non usate al vino , com' era la pratica de' Greci : nel che
1’ andare del tempo non ha cagionato muta- zioni , fino a miei giorni. E
Nettuno Ippio ebbe pure il suo tempio e le feste , dette Ippocratie da’ Greci ,
ma ConsucUi da' Romani: e Roma in esse libera per uso dal travaglio cavalli e
muli, e ne incorona le teste di fiori. Consecraronu similmente altri tempj ,
altri al- tari, altri simulacri, costituendo purificazioni e sacri- fici , ritenuti
ancora ne’ modi medesimi. Né già sarei meravigliato se alcune di queste cose
neglette , come antiche troppo , non avessero più ricordanza tra’ po- steri :
nondimeno le consuetudini presenti danno ancora assai da congetturare su’ riti
arcadici d’ allora , de’ quali diremo altrove più pienamente. Dicesi che gli
Arcadi recassero i primi nella Italia 1’ uso delle lettere greche, note ad essi
da poco , e la musica della lira , della ti- bia e del trigono , non sonandosi
ivi altri armonici stromenti che le sampogne de’ pastori : e dicesi che vi
introducessero le leggi , vi raddolcissero le maniere del Digilized by Googk
LIBRO I. 49 vivere , 6ere in gran parte , e che vi diflondessero le arti , e le
istruzioni , ed altre utili cose in gran nume* ro« onde assai ne furono
rispettati dagli ospiti. Questa greca moltitudine , seuouda dopo i Pelasghi ,
giunta nella Italia ebbe comune 1’ abitazione con gli Aborigeni in uno de’
bonissimi luoghi di Roma. XXV. Pochi anni dopo degli Arcadi vennero nella
Italia altri Greci, guidati da Ercole il quale avea do- mato la Spagna , e le
parti , fiu dove il sole tramonta. Alcuni di loro , implorato da Ercole il
congedo dalla milizia , si fermarono in questi luoghi ; e trovando un colle
opportuno , lontano al più tre sladj dal Pallanteo, vi si accasarono : chiamalo
alloca Saturnio , o Crònio come i greci direbbono , ora si chiama Capitolino.
Erano quei che rimasero per la più parte del Pelopon- neso , io dico i F
enueati , e gli Epei della EUide , di- samorati di viaggiare in verso la patria,
perchè deva- stata nella guerra con Ercole. Mescolavansi ad essi al- cuni de’
Trojani &tti prigionieri quando Èrcole prese già Troja , regnandovi
Laomedonte. E pormi che in quei luogo si annidassero ancora tutti di
quell’esercito , quanti o stanchi dalla fatica , o dal rigirarsi ottennero
levarsi dalla milizia. Alcuni , come ho detto , stimano antico il nome del
colle ; tanto che gli Epei gli si affezionarono nommeno in memoria del colle ,
Gronio chiamato nella Elide in su le terre di Pisa lungo le rive dell’ Alfeo.
Gii Elicsi riputando quel poggio loro sacro a Saturno vi si adunano in fìssi
tempi, e l’onorano con sacriGzj e con altro colto. Nondimeno Eusseno , ed altri
mitologi VIOlfJGT , tomo I. i Digilized by Google
5o nr.LLE Antichità’ romane Italiani
pensano che i Pisani per la simiglianza del Cro- mo loro dessero il nome anche
all’ altro : che gli Epei con Ercole erigessero a Saturno l’ altare che trovasi
alle falde del colle presso la via che mena dal Foro al Campidoglio : e che
essi istituissero il sagriCzio che i Romani v’ immolano ancora con greche
cerimonie. Ma io , paragonando , trovo » che prima della venuta di Ercole nella
Italia quel luogo era sacro a Saturno , e Saturnio chiamavasi da’ terrazzani :
e che tutta 1’ altra regione, che ora dimandasi Italia, era dedicata ancor essa
a quel Nume, e Saturnia nominavasi dagli abitanti, come trovasi detto nelle
risposte date dalle sibille o da altri Iddii. Eid in molti luoghi di questa
sonovi de’tempj alzati a quel Nume , ed alcune città da lui si denomi- nano ,
come allora tutta la Italia: e portano ancora il nome del Dio molti luoghi,
singolarmente i monti e le rupi. XXVL Col volger degli anni fu detta Italia per
un uom potentissimo , Italo nominato. Antioco di Siracusa lo dipinge per uomo
destro e filosofo , il quale convin- cendo molti popoli col dire e molti colla
forza, ridusse in poter suo quanto v’ è tra ’l golfo Napitino (i) e quello di
Scilla : e quel tratto fu il primo che Italia da Italo si dicesse. Dopo ciò
scrive che divenuto più forte, fece che molti altri gli ubbidissero; perocché
mise il cuore su’confinanti , e ne prese molte città: e scrive finalmente eh’
egli era Qenotro di nazione. Ella- (l) Cluverio in tini. Aniiq. I. IV crede die
deliba Irgf’ersi La- me/in* in Tece di IVrpitino. Filoguno k di parere die
Lamet città di Lucania desse nome a questo golfo. Digitized by Google MBRO J.
!) I iiko di Lesbo narra die Ercole coiiJucevasi i bovi di Gerione alia volta
di Argo , ma che essendo già nell' I- talia il tenero figlio di una vacca
spiccossegli dall’ ar- mento , e profugo vi errò da per tutto ; finché solcalo
il mare interpostp giunse nella Sicilia : che cercando Ercole quell’ animale ,
e chiedendo ovunque capitava , se alcuno lo avesse veduto de’ paesani , siccome
poco intendevano il greco , e da’ segni lo chiamavano come aneli’ oggi si
chiama nella patria lingua vitello ; cosi Vilalia chiamò tutta la regione da
questo percorsa. Non è poi meraviglia che uu tal nome si tramutasse com' è di
presente ; mentre tanti greci nomi eziandio subirono pari vicende. Ma , sia che
prendesse quel no- me , come dice Antioco, dal condottiero, il che forse è più
probabile , sia ebe dal vitello come pensa Ella- nico ; raccogliesi da ambedue
che lo prese intorno ai tempi di Ercole , o poco prima ; essendo chiamala iu-
nanzi Esperia ed Ausonia dai Greci , e Saturnia da [laesani , come di sopra fu
detto. XXVII. Coutasi ancora tra qne’ popoli la novella ebe innanzi al
principato di Giove ivi Saturno regnasse: e che tra loro più che altrove si
avesse quella vita sì famosa , beata per tutti i beni , quanti le stagioni ne
apportano. Ma se alcuno risecando ciocch’è di favoloso nel discorso , vaglia
Intenderne la bontà di quella gioite , dalla quale il genere umano , sorto di
recente dalla terra , come è vecchia fama , o d’ altronde , ne raccolse
vantaggi moitissiini , e giocondissimi ; non tro- verà [>cr tal fine suolo
pili acconcio di questo. Iiiipe- rocciiè se paragonisi una terra con altra di
eguale gran- 5-2 DELLE Antichità’ romane àezza , T Italia pei* mio giudizio è
la migliore neU' Eu- ropa, e dovunque. Non ignoro clie io sembrerò dir cose
incredibili a molti, i quali risguardano l’Egitto, la Li- bia , e Babilonia , e
quante altre vi sono beate contrade: ma io non pongo la ricchezza della terra
in una specie sola di prodotti , nè invidierei di abitare dove pingui sono le
campagne , nè vi si scorge altro bene se non tenuissimo: ma quella regione
chiamo la migliore la ^ale sia bastantissima a sé Stessa, e che meno abbisogni
deir altrui. Sono poi persuaso che la Italia paragonata con altra qualunque,
appunto sia la terra datrice di ogni frutto , e di ogni utile* XXVIII. E
certamente, se comprende campagne fe- lici e molte , non perchè madre è di
messi , è men propizia per gli arbori : e se vale assai per ogni genere di
alberi, non perchè tale, è poco ubertosa^ nel semi- narvi: o s’ è bonissima per
ambedue questi usi, non per questo è men propria pe’ bestiami : nè perchè varia
si dimostri ne’ prodotti e ne’ pascoli è disamena poi se vi si abita. Ma direi
che di ogni agio soprabbonda e di ogni diletto. E qual terra mai frumentaria
vince le terre dette della Campania, bagnate dalle acque non de’fiumi, ma del
cielo f Io vi contemplai campagne che davano tre raccolte nudrendo dopo i semi
del verno , quelli per la state , e dopo gli estivi , gli altri in 6ne per 1'
autunno. Quale coltivazione supera in olio quella dei Messapj , de’ Daunj , de’
Sabini e di altri? Qual mai suolo con vigne sorp rende più che il Tirreno,
l’Albano e il Falerno 7 il quale ama così le viti, che ne porge col tnen di
lavoro amplissimi frutti e bonissimi. Ma Digilìzed by Google LIBRO I. oltre le
terre che si lavorano, ivi molte pur se ue tro- vano, riservate per le capre e
per le pecore ; ma più mirabili ancora sono quelle da pascervi le mandre dei
cavalli e de’ bovi: imperocché soprabbondandovi l’erba palustre c dei prati , e
riuscendovi fresca e rugiadosa nelle parti che si coltivano , dan pascoli senza
limite in tutta l’estate , e mantengono in fiore gli armenti. Qual dolce
spettacolo ivi sono le selve per balze , per valli , per colli non culti , e di
qnale e quanto niateriale per le navi e per altre operazioni ì Nè già cosa
alcuna di queste è dilTìcile ad ottenerla , nè rimota dall’uso degli ^ uomic» :
ma tutte sono pianissime, e tutte facili a tras- mettersi per la moltitudine
de’ fiumi , i quali scorrono tutta la regione : e li quali con utile vi
agevolano i tra- sporti e le permute dei prodotti della terra. Vi si tro- vano
ancora in più luoghi delie acque calde , propriis- sime a’ bagni , e bonissime
per le cure di mali diu- turni. E metalli vi sono d‘ ogni genere , e cacce
d’ani- mali in copia , e mari fecondissimi , come pure altre cose moltissime ;
e più utili e più meravigliose. Benis- simo soprattutto ne è 1’ aere per la
dolce sua temperie secondo le stagioni, e poco opponesi con calori o freddi
eccessivi al formarsi de’ fratti , ed al vivere degli animali. XXIX. Non è
dunque da meravigliarsi che gli an- tichi prendessero quella terra per sacra a
Crono , o Saturno; concependo che questo Dio vi fornisse , e sa- ziasse i
mortali d’ogni bene. Ma sia che chiamisi Crono come da’ Greci, sia che Saturno
(i) come da’Romaui; (i) Stefano r fiasaubono credono ebr qui fosse nel testo
K«^ac Digilìzed by Google ìy!^ dkt.i.t; Antichità’ koma^e •omprenJeitilo
ciascuno di essi la natura tutta delle cose ; tu lo nomina come più vuoi.
Nemmeno è da meravigliarsi cbe contemplando in quella ogni abbon- danza e
delizia , commoventissime cose , ne credessero ogni luogo più acconcio , degno
degli Dei , com' era de’ mortali ; e li monti e le selve si ascrivessero a
Pane, i prati e floridi luoghi alle ninfe , e le rive e le isole ai geuj marini
, ed ogni altra parte ad un genio o a un Dio , come più couvenivagli. È fama
che gli antichi im- molassero a Crono umane vittime , come in Cartagine , ^
mentre esistè , come tra’ Celti , e come in mezzo di altri occidentali ; e che
Ercole volendo precludere U barbarie di quel sacrificio, innalzasse l’ altare
nel colle Saturnio, e facesse che vittime pure vi si ardessero con puro fuoco.
E perchè que' popoli non sen corucciassero quasi spregiasse i patrj sacrifizj,
è fama die gli ammo- nisse a placare l’ira di quel Nume; e piuttosto che gli
uomini gettare nel Tevere legati nelle mani e ne’piedi , a gettarvi i simulacri
loro , vestiti appunto com’ essi. Egli serbava una immagine degli antichi
costumi , per- chè si sterpasse alfine, quanta superstizione, ' restava an-
cora ne’ cuori. Conservavano i Romani tal pratica ancor ucl mio tempo ,
rlnovandola poco appresso all’equinozio di primavera nel mese di maggio nelle
idi che chia- mano, le quali vogliono che ricorrano il giorno aj>- punto ,
cbe è il ipezzo del mese della luna (i). In questo il che «linde > «azieti ,
e bcDÌssiraa corrisponde alla pa- rola Ialina di Saturno i e perh di sopra
abbiamo usala il verbo sa- ziata. Crono poi non h che il tempo ; cd il tempo
lutto prepara , a di tallo ioruiicc ^li iiooiini col suo corso. (i) 1 fiamapi
«Inp» \nraa regolavano l’anuo sul corsa delia Urna, * Digilized by Google LIBBO
I. DD i ponteGci , vale a dire i primi tra’ sacerdoti , come le vérgini ,
custodi del fuoco inestinguibile , i pretori , e gli altri che esser possono
all’ opera santa , dopo avere com- piuti secondo la legge il sagriGzio ,
gettano del ponte sublicio nel Tevere, trenta simulacri in forma umana Argei
(i) nominati. Ma de’ sagriGzj e delle altre divine cerimonie^di Roma ,
nazionali o greche di maniere , diremo in altro libro ; richiedendo ora il
subjetto che più riposatamente seguitiamo Ercole nella sua venuta in Italia, nè
trasandiamo cosa da lui fattavi, degna di lode. ! XXX. E su questo Dio diconsi
delle cose , quali più vere e quali più favolose : e cosi stanno le favolose.
Ercole , oltre gli altri travagli , comandato da Eurisleo di condurgli da Eritea
li bon di Gerione in Argo , tornando dalla impresa in sua casa , venne in molte
parti d’ Italia e della terra degli Aborigeni, prossima ai Pallanteo. E
trovandovi copioso e buon pascolo , vi addusse i bovi, ed egli, quasi stanco
dalle fatiche, die* desi al sonno. Intanto un ladro paesano, Caco di nome,
capitò tra’ bovi , pascolanti senza custòde , e se ne in-' vaghi. Ben conobbe
che Ercole si riposava ; ma vide che> nè puteali tutti involare occultamente
, nè facile ne sarebbe la impresa. Quindi ne ascose pochi solamente ed il
principio della nuora luna era principio insieme del nnoT» mete. Di qui nasce
che faceano combinare te idi di maggia c«l plenilunio o col mezzo del mese
lunare. (i) Queste figure erauo di giuoco: si chiamavano Argei, qnsai rappreseiilasscro
tanti Argivi che si slarmioavann come nemici degli Arcadi. * 56 DELLE
Antichità’ eomane nell’ antro vicino , dov’ egli vivea , traendoveli via via
retrogradi per la coda , perché vedendovisi le pedate contrarie all’ ingresso ,
potesse render vano ogni argo- mento sa di essi. Ma levatosi Ercole poco
appresso , e numerati i suoi bovi ; come vide che ne mancavano , dubitò su le
prime, ove fossero andati , e li cercò mano a a mano come erranti da’pascoli.
Nè raggiungendoli ancora ; venne alla spelonca sebbene sconsigliatovi dalle
pedate , niente meno pensando , quanto che ivi ne ritroverebbe il covile.
Standone Caco dinanzi l’entrata, e richie- stone , dicendo non averle vedute ,
nè volere che ivi più si cercassero ; anzi convocando clamorosamente i vicini ,
quasi patisse violenza dal forestiero ; Ercole , dubbioso in prima come
istrigarsela , prende in fine a ' dirigere all’ antro ancor gli altri bovi. Ma
non sì tosto quegli da entro sentirono la nota voce e 1’ odore , la- sciarono
verso gli altri di fnora un muggito , e fu quel muggito r accusatore del furto.
Caco, vedutosi reo ma- nifestamente , ricone alla forza convocando tutti i suoi
compastori. Ecco Alcide investirlo colla clava , ed ucci- derlo e sprigionarne
i suoi bovi: poi vedendo, com’era la spelonca un refugio opportuno pe’
rubatori, la dirupò. Quindi, parificatosi con Tonde del fiume dalla strage,
inalzò presso quel luogo a Giove ritrovatore un altare , ora visibile in Roma
nella porta trigemina ; sacrifican- dovi un vitello al Nume onde ringraziarlo
su’ bovi ricu-, perati. Roma porge ancora quel sacrificio, tutto con greci riti
, come Ercole lo istituì. XXXI. Gli Aborigeni e quegli Arcadi che abitavano il
Pallanteo come seppero della morte di Caco , c mira- Digilized by Google LIBRO
I. 57 rono Èrcole , nemici già del primo per le rapine, siu> pirano all’
aspetto del secondo , credendo non so che divino in lui per la grande avventura
sua nella vittoria. I poveri tra loro spiccando ramnscelli di alloro , copioso
in que’luoghi , ne coronarono Ercole e sè stessi ; ed accorrendo i loro
monarchi lo invitarono ad ospizio. Come poi dal dir suo ne conobbero il nome ,
il lignag- gio , e le imprese ; prolferivano a lui per benevolenza il i-egno e
sé stessi. Ed Evandro che anticamente udito avea da Temide stessa, volere il
destino che Erctde, il figlio di Giove e di Alcmena, cambiasse per la virtù la
natura mortale colla immortale , appena ravvisò chi egli fosse, ansioso di
prevenire tutti e di rendersi propizio l’eroe con gli onori de’ Numi, alzò di repente
con assai cura un alure , sacrificandogli dove l' oracolo avea già significato,
un giovenco, intatto ancora di giogo, e supplicandolo a ricevere da lui le
primizie di un culto. Meravigliatosi Ercole delle accoglienze , tenne il popolo
a convito, immolando parte de* bovi , e separando per ciò le decime delle altre
prede : poi donò a quei re che assai Io bramavano , molte delle terre de’
Liguri ^ e di altri confinanti , cacciando da esse alquanti ribaldi. Dicesi
ancora che egli fe’ la ricerca , giacché i primi de’ paesani lo tenevano per
un’ Iddio , che gli perpe- tuassero quegli onori , sagrificandogli ciascun anno
un giovenco non domo, e santificandone l’azione con gre- che cerimonie : e
dicesi che insegnasse queste a due famiglie le più riguardevoli perchè vittime
in tutto ac- cette gli si offerissero: essere poi quelle de’Potizj e dei Pinarj
, le famiglie allora istruite del greco rito , e le Digitized by Google .^8
DETXK antichità’ ROMANE loro generaziout aver lungo tempo continuata la cam de’
sagriiìzj , come v’ erano da colui depuute : talché i Potizj erano i capi nella
santa operazione , ed aveano le primizie al bruciarsi delle vittime; laddove i
Pinarj non ammetteansi a parte delle viscere , e teneano sem- pre i secondi
onori nelle cose comuni ad ambedue. E cagione a questi della onorificenza
minore fu la tardanza loro nel presentarsi; giacché comandati di venire sul far
del mattino , giunsero essendo già consumate le viscere. Ora r incarico del
santo ministero non è più de’ posteri loro: ma di servi comperali dal pubblico.
Dirò poi nel suo luogo le cause per le quali il costume fu varialo , e le
significazioni del Dio quando i santi ministri si permutarono (i). L’ara ov’
Ercole offerì le sue decime, chiamasi Massima da’ Romani , e trovasi presso al
foro detto boario , veneratissima , quanto altra mai , da’ pae- sani :
imperocché su questa fa patti e giuramenti chiun- que vuole stabilità negli
accordi ; e su questa si offrono spesso ancora le decime a compimento de’ voti.
Nondi- meno un tale altare nelle fattezze è minore della sua gloria. Vi ha de’
tempj di questo Nume altrove ancora in più luoghi d’ Italia ; e gli'altari ne
sono per le città e per le strade: e diffìcilmente trovcrebbesi una popo-
lazione che non lo adorasse. E questo ci tramandan le favole intorno di Ercole.
(i) Il testo ove DioDÌp spiegava tali cose è perito. Potrà veder- seue ciocché
ne scrive Livio oel libro nouo. Egli dice occorsa la mutaiioDc quando Appio
Claudio esercitava le funxinni di censore. Allora in un anno perirono dei
Potizj trenta tnaschj abili a rinovaro le famiglie , a cosi la stirpe virile
corse al suo termine. Digitized by Google
T.IBRO I, f)C) XXXIL Ma il più vero è
quest’ altro : e molti die scrissero le imprese di lui , cosi nella storia lo
delinca- rono. Ercole divenuto potentissimo in arme tra tutti dei suo tempo, e
postosi con esercito numeroso scorse tutta la terra cinta dall’ Oceano ,
levando , se ce ne aveano , qualunque tirannide, grave e molesta ai sudditi, e
qua- lunque impero di città contumelioso e nocevole agli altri vicini colla
condotta dura e colle uccisioni ingiuste degli ospiti , e stabilendo monarchi
onesti , governi savj , c costumi socievoli ed umani. Scorse ancora tra’ Greci
e tra’barbari, neirinterno de’ mari e delle terre, in mezzo popoli infidi ,
intrattabili : fondò città .su luoghi deserti, diresse fiumi che inondavano i
campi, aprì vie su monti impraticabili , e mille cose fece onde i mari tutti e
le terre si comunicassero ogni vantaggio. Giunse finalmente in Italia ma non
già solo , nè con mandre di bovi ; perocché non è questa regione in senti«‘o
per chi viene dalle Spagne in Argo , nè conseguito ci avrebbe tanti onori per
causa di un passaggio. Egli vi giungea dalle Spagne conquistate, ma con
esercito amplissimo per sot- toporsela , e dominarvi. Se non che fu costretto a
con- sumarvi gran tempo, e perchè lontana era la sua fiotta, stanti le
bnrrasche ree dell’ inverno , e perchè le genti d’ Italia , non tutte spontanee
gli si abbassavano. E per non dire di altri barbari , i Liguri , popolo
numeroso e guerriero, posto ne’ passi delle Alpi, tentarono d’impe- dirgli
colle arme 1’ ingresso nella Italia , e là s’ ebbero i Greci battaglia
fierissima , esaurendovi tutti gli strali. Eschilo , poeta antichissimo ,
menziona questa battaglia Digilized by Google 6o DELLE ANTICHITÀ ROMANE nel suo
Prometeo disciolto (i). Ivi inducesi Prometeo (he presagisce ad Ercole non che
le altre vicende , quelle che gli sovrastavano nella spedizione contro di
Gerione , e nella guerra co’ Liguri , certamente non fo- cile : e questi ne
sono li versi : À fronte là de" Liguri starai. Imperterrita gente : onta e
rammarco Non ti fa guerreggiarli , e per destino , Pugnanda , ti vedrai mancar
gli strali. XXXIII. Ma poiché , vincendo , s’ impadronì di quei passi ; alcuni
, specialmente se greci di origine , o non valevoli a resistere , sottomisero
volontai^' le loro città ; ma i più vi furono astretti con le arme e con gli
as- sedj. Quanto ai vinti in battaglia, dicesi che Caco, quel si noto per le
favole de’ Romani , barbaro principe di barbara gente , gli si opponesse perchè
dominava luoghi assai forti , il che lo rendeva molesto ancora ai vicini.
Costui poiché seppe che Ercole si accampava ne’ piani contigui apparecchiatosi
all’ uso de’ ladroni , appari con subita scorreria su 1' esercito di lui che
dormiva , e ne involò le prede , quante ne erano senza guardia. i Ma rinchiuso
poscia per assedio da’ Greci che ne espugnavano le fortezze , finalmente anch’
egli soggiacque , e nel mezzo de’ suoi baluardi. 1 suoi castelli furono
rovesciati; ed i compagni di Ercole , Evandro con gli Arcadi , . c Fauno con
gli Aborigeni suoi pigliarono ciascuno per (i) Eboliìlo sdisse il suo Proiueleo
ignìfera, il suo Promeleo legato, ed il Prometeo seioUo. Strabono nel lib. i ,
Ateneo nel 14 liarlarono dell’ ultimo. Il secondo ci resta ancora. Digilized by
Google LIBRO I.' 6l 9Ò parte delle terre del vinto. Ma ben può taluno im-
magnare che i Greci rimasti in quella regione furono gli Epei , e gli Arcadi
originar) della città di Feneo , e li Trojani, lasciativi a presidiarla.
Perocché tra le arti imperiali di Ercole fu pur quella nommeno sorprendente che
le altre , di sospingere tra le sue milizie uomini divelti a forza dalle città
conquistate , e di metterli al- fine , se animosi combattessero , ad abitare le
terre in- vase , arricchendoli dell’ altrui. Per tali cagioni , e non per II
viaggio che niente area di rispettabile , il nome e la fama di Ercole divenne
grandissima nell’ Italia. XXXIV. Aggiungono alcuni, che ne’ luoghi ora abi-
tati ^a’Komani egli vi lasciasse due suoi figliuoli gen^ retigli da due donne.
Pallente era 1’ uno natogli da Launa (i) la figlia di Evandro: Latino è
l’altro, natogli da una donzella boreale. Egli la conduceva seco dataci dal
padre in ostaggio , e custodivaia finché candida si maritasse ; navigando però
verso 1’ Italia ne fu vinto dall’ amore , e la fecondò. Ma essendo egli ornai
per tornarsene in Argo concedè che si restasse sposa di F anno , re degli
Aborigeni ; e per tale cagione molti tengono Latino per figlio di Fauno , e non
di Elrcole. Narrano che PaUante morisse nel fiore primo degli anni: ma che
Latino , adulto fatto , succedesse al comando degli Aborigeni : e che venuto
lui meno senza stirpe virile , il regno , per la battaglia co’Rutòli confinanti
, restasse al figlio di Anchise , vale a dire ad Enea, che (i) Quesu nel S
Zini, precedeatemente è chiamata Canna, ed ora « chiama Launa. Forse non k che
la tanto nota Lavinia detta da Greci Launa, Labina, Laiinia , o Laouinia.
Digitized by Google 63 DEixE Antichità- homane iliveuae suo genero'; ma queste
cose accaddero in altro tempo. XXXV. Ercole , ordinate come volea , le cose tutte
d’Italia, e giuntagli la flotta, salva dalle Spagne, ofTerl con sagrifizio agl’
Iddii le dècime delle sue prede, e là , dove alloggiavasi la milizia navale ,
eresse una piccola città , dandole il nome di sè stesso (i) , la quale ora
albergaci Romani, e giace tra Pompeiano e tra Napoli con porto sicurissimo per
ogni tempo. Cosi divenuto tra gl’ Italiani simile ad un Dio per gloria , per
emu> lazione , per onori , fece vela per la Sicilia. Gli uomini lasciali
custodi ed abitatori dell’ Italia , là , d’ intorno al colle di Saturno , si
ressero un tempo da sè stessi : ma non molto dopo compartendo i proprj costumi,
le leggi, i santi riti agii Aborigeni , come già fecero gli Arcadi, e prima i
Pelasgbi , divennero coudttadini degli Abo- rigeni , talché sembrarono in (ine
una gente medesima. E questo sia dettò su la spedizione di Ercole nella Ita-
lia , e su quei del Peloponneso che vi restarono. Nella seconda generazione
dopo la partenza di Ercole , nel- r anno cinquautesimoquinto al più regnava su
gli Abo- rigeni ornai da trentacinque anni Latino il Aglio di Fauno il
discendente di quel magnanimo. XXXVI. In quel tempo i Trojani fuggendo con Enea
da Ilio già debellata approdarono a Laurento , .spiaggia degli Aborigeni in sul
mare Tirreno non lon- tano dalle bocche del Tevere. Ed avendo da’ paesani'uu
luogo per abitarvi, c quanto chiedevano, alzarono poco (i) (^uMia citi à di
Ercole, si crede dorè ora è la torre del Grt-cu nel gulfe di . Digilized by
Google LIBRO I. 63 lungi dal mare in un colie uqa città cui chiamarono Lavinia.
Ma da indi ’ a non molto , cedendo 1’ antico nome , ebbero quello di Latini dal
re di que’ luoghi ; e levandosi da Lavinia insieme co’ terrazzani fondarono una
città più grande, Alba denominata. Donde uscendo di tempo io tempo fabbricarono
molte e molte delle città de’vecchj Latini, abitate in grandissima parte ancor
di presente. Sedici generazioni 'dopo la presa di Troja spedirono- una colonia
nel Pallanteo , e nella Saturnia , dove già fabbricato avcano i Pelopounesj e
gli Arcadi , e dove erano pur le reliquie di essi, e fecero che vi ^ abitasse.
Allora cinto di mura il Pallanteo prese la prima volta la forma di una città.
Allora ebbe il nome di Ro- ma dal duce della colonia , io dico da Romolo ,
dicias- settesimo tra’ posteri di Enea. Ma , perciocché gli scrit- tori , parte
ignorano, e parte ricordano variamente quanto è della venuta di Enea nella
Italia , non io vo' trattarne come di fuga , ma prendendo ciò dalle storie ,
almeno più accreditate de’ Greci e de’ Romani. Ora tali sono le cose narrate su
quell’ argomento. XXXVII. Espugnato ilio da’ Greci .sia per l’ inganno del
cavallo di legno , come è presso di Omero , sia pel tradimento degli Aulcnoridi
, o per altra maniera , perirono in città la popolazione , e gli alleati ,
sorpresi ancora nelle camere loro ; sembrando che la sciagura gii assalisse ,
non guardandosene , tra la notte. Enea e con esso i Trojani venuti da Dardano c
da Olrinio a soccorrere gl’lliesi , c quanti altri conobbero in tempo la
sciagura, che era preso il basso della città, fuggendo a luoghi più forti di
Pergamo occuparono il castello , Digilized by Coogle 64 DELLE Antichità’ romane
difeso da proprj muri, ove, come ia saldissima parte, erano le sante cose di
Troja , e danaro in copia , in- sieme col fior dell’ esercito. Standosi colà
respingevano chi tentava di espugnarveli; ma per la perizia ne’ sot- terranei
vi riceveano chi vi si riparava dalia città già pigliata. Così più furono
quelli che ne scamparono, che non quelli che caddero prigionieri. Con tal
metodo Enea conseguì che l' impeto col quale i nemici ovunque infuriavano, non
comprendesse in un tempo ogni cosa. Poi calcolando nelle sue probabilità
l’avvenire , siccome era impossibile conservare la città , perdutane già la più
gran parte , si rivolse al partito di cedere le mura ai nemici, e di salvare
almeno le persone , e le sante cose della patria , e quanto potea trasportarsi
di danaro. Così deliberato , comandò che fanciulli , e donne, e vecchj , e
quanti abbisognavano di pausa nel fuggire , s’ incam- minassero intanto verso
le cime dell’ Ida ; mentre ~gli Achei tra T ardore di espugnar la fortezza non
curereb- bero d’insegnire la moltitudine che levavasi dalla città: destinò
parte di milizie in guardia di ehi si avviava perchè la fuga riuscisse più
certa , e nello stato presente men dura; avvertendoli insieme che occupassero i
luoghi più forti dell’ Ida. Intanto ( col resto dell’ esercito , ed era il più
rilevante ) egli persistendo su le mura , te- neavi dis’ ratti i nemici che le
attaccavano , e rendeva meno disagiato lo scampo ai suoi , che sfilavano : se
non che salendo poi Neptolemo co’ suoi la fortezza , e convocandovi d’ ogn’
intorno i Greci perchè lo ajutas- sero; Enea finalmente si ritirò. Spalancate
le porte , Digitized by Googl LlhRO T. 6 !) deuominate perla fuga di tanti (i),
anch’egli uscì per esse , ma in ordine di batiaglia tra quelli che gli re-
stavano , portando su di ottime bighe il genitore , i pa- trj Dei , la sua
donna , i figli , e quante v’ erano per- sone , o suppellettili più riguardevoli.
XXXVIII. Intanto gli Achei, presa di for/.a la città , spaziandosi intorno la
preda , lasciavano ai fuggitivi grande comodità di salvarsi. Enea raggiungeva
via via gli altri suoi, finché raccoltisi tutti in un corpo, occu- parono i
luoghi più forti deir Ida. Sopravvennero ivi ancora quelli che abitavano in
Cardano ; perocché ve- dendo lanciarsi da Ilio fiamme copiose fuor dell' usato
, abbandonarono tra la notte insieme la loro città , leva- tine gli altri , i
quali partirono prima coti Elimo ed Egesto , avendosi apparecchiate delle navi.
Poi vi giunse tutto il popolo della città di Ofrinio , e vi giunsero dalle
altre città Trojane quanti aveansi cara la libertà , sicché in poco tempo la
milizia vi divenne grandissima. Ora questi', fuggiti con Enea dal cader
prigionieri , tenen- dosi in quei luoghi sperarono di rendersi dopo non molto
alle patrie , appena i Greui via navigherebbero : ma i Greci sottomettendo
Troja e le adjacenze , e de- vastandone le fortezze , apparecchiavansi a porre
sotto giogo ì rifuggiti ancora ne’ monti. E mandando questi gli araldi perchè
desistessero , nè li necessitassero alla guerra , si venne per le suppliche a
trattative , e tali ne furono gli accordi. Enea e li suoi recandosi tjuanlQ (i)
ni/Asf ^vyciéits , porle de' fu(;giiÌTÌ. s DIOAIGI t l. 66 DELLE Antichità’
romane aveano salvalo nella fuga partissero in dato tempo dalla Traode , e
consegnassero le fortezze : i Greci in apposito ovunque dominavano in mare ed
in ter- ra , vi procurassero la sicurezza à Trojani che viag~ giovano a norma
de’ patti. Enea consentendo a lai leggi, anzi bonissime riputandole per le
circostanze ; manda Ascaiiio il più grande de’ figli con banda di milizie per
10 più frigie , alla terra detta Dascilite ove ora è il lago uiscanio, perchè
invitatovi da’ paesani a prendervi 11 comando. Ascanio andò , e vi stette ; ma
non molto : perocché giugneudogli dalla Grecia Scamandrio e gli altri Ettoridi
, rilasciativi da Necptolemo , egli guidan- doli ne’ regni paterni , si rimise
in Troja. E tanto è quello che si narra di Ascanio. Enea però com’ ebbe pronta
la flotta , vj assunse gli altri figli , il padre , le cose auguste de’ Numi ,
e navigò su 1’ Ellesponto alla penisola vicina, chiamata Pallene, la quale
giace dirim* petto di Europia (i). Ivi un popolo ci avea , di Traci si , detto
Cruseo , ma bellicoso e fidissimo tra quanti erano gli alleati de’ Trojani
nella guerra. XXXIX. Tale è il racconto il più verisimile fatto da Ellanico ,
scrittore antichissimo , intorno la fuga di Enea 1 (i) Nel teilo si legge: ZufUTns
Europa: ciocebè ha prodotto degli equivoci: la vera lezione deve essere cioè di
Europia la quale h regione della Macedonia che prende nn tal nome dal fiume
Europo. Pailene talvolta è detta ancora città di Tracia, per- chè li Traci vi
comandarono. Del resto essa è pib distante che la Tracia a quelli che navigano
dall’ Asia per 1’ Ellesponto. E Dionigi Den propriamente 1’ ha chiamala
vicinissima per questi, essendo tale pinitesto la Tracia. Digitized by Gopgle
là dove tratta delle cose Trojane. Se ne hanno ancora degli altri e non simili
in altre leggende , ma non si , come io penso , persuasivi. Decidane chi gli
ode , come più vuole. Sofocle il tragico nel suo dramma su Lao« coonte ,
esseudo già Troja in sul termine , rappresenta Enea che va con le sue robe in
sull’ Ida , seguendo i voleri del padre Anchise , pieno dei ricordi di Venere,
e mirando la distruzione ornai della patria ne’ freschi portenti avvenuti su’
figli di Laomedonte. E tali souo i versi di lui ma pronunziati da altra persona
: £cco il fgliuol di tenere alle porte ; In dorso ha il padre, a cui di [bisso
pende Cerulea veste dalle spalle , tocche Dalla folgore un tempo ; intorno
intorno Gli fin turba i domestici , e le schiere Non si grande però , come tu
pensi , De‘ Frigi , amanti d’ aver sede altrove. Menecrate di Zante fa saperci
che Enea mise la patria nelle mani de’ Greci , tradendola per l’odio suo contro
di Alessandro , e che gli Achei per tal merito gli con* cederono che salvasse
la sua casa (i). Egli comincia la sua storia dalla sepoltura di Achille in tal
modo. Erano gli Achei liete afflizione , sembrando a sè stessi co- me privi del
capo della milizia. Nondimeno ergendo- gli una tomba guerreggiavano di tutta
lena ; finché Ti'P]a fu presa per tradimento di Enea. Quest’ uomo, perche spregiato
da Alessando , ed escluso dagli onori (i) Piccolo dooo aozi nullo: raentte Enea
aveva luLio questo, c più ancora, sema il iradìmento: yorrei dire che Meuecraie
non è savio , uel tulio aluaeuo de’iUCt;outì , e quindi cUc poco stm» da
aiifudarsi. \ Digitized by Google 68 DELLE Antichità’ romane sacerdolali ,
rovesciò la reggia di Priamo , e divenne per tali opere come uno de' Greci.
Altri però narrano eh’ Enea di quel tempo si trovava dove ferme si stava- no le
inavi trojane, ed altri che nella Frigia , spedi- tovi da Priamo con soldatesca
pe’ bisogni della guerra ; anzi evvi pure chi; assai piò favoleggia su la
partenza di Enea : ma ne senta ognuno come vien persuaso. XL. Le vicende di lui
dopo la partenza mettono più incertezza ancora in molti; perciocché taluni gui-
dandolo in Tracia dicono che ivi compiesse la vita ; e tra questi sono Cefalone
Gergitio, ed Egesippo il quale scrìsse intorno Pelleiie , antichi entrambi e
rispettabili. Altri ripigliandolo dalla Tracia lo sieguono 6no all’ Ar- cadia ;
e dicono che abitasse in Orcomeno di Arcadia , e nel luogo , che , sebbene
entro terra , cangiossi in isola , per le paludi e pel fiume , che le colonie
che ora chiamansi Cafie sursero per Enea e pe’ compagni , ma Gamie nominandosi
allora da Capi trojano. Sono questi racconti di varj e di Aristo che scrisse le
cose degli Arcadi. Novelleggiasi ancora eh’ Enea capitasse veramente in que’
luoghi , non però che in essi moris- se , ma nell’ Italia : e ciò da molti
attestali , come da Agatillo , Arcade poeta , nelle elegie scrivendo : Feline
in Arcadia e generò nell’ isola Con le due donne Antèmone e Codone , ■ Due
,/iglie ; e scorse nell' Italia , e quivi Del gran Romolo suo padre divenne. La
venuta di Enea e de’ Trojani nella Italia la sosten- gono tutti i Romani ; e
monumento ne sono le pratiche Digilìzed by Google LIBRO I. 69 nelle feste e ne’
sagi'ifizj , i libri sibillini , gli oracoli Pitici , e ben altre cose , le
quali niuno trascurerà , quasi aggiunte per ornamento. In Grecia ne restano
tuttora molti indizj notissimi , come il porto nel quale approdarono , ed i
luoghi ne’ quali si . trattennero , non essendo il mare navigabile. Siccome
dunque sono tanti , io ne farò come posso menzione , ma breve. Primiera- mente
dunque vennero in Tracia approdando alla pe- nisola detta Pailene , tenuta ,
come indicai , da’ barbari chiamati Crusei , e v’ ebbero ospizio sicuro.
Passando ivi r inverno edificarono in un promontorio un tempio a Venere , e
fondarono la città di Enea , dove lascia* rono quanti non poteano pe’ disagi
più navigare , o quanti voleano rimanere , vivendovisi come nella patria.
Questa durò fino al regno de’ successori di. Alessapdro , ma nel regno poi di
Cassandro fu distrutta, quando sorse Tes.salonica : e gli Eneati e molti altri
passarono alla nuova città. , ; XLI. Salpando da Pailene vennero i Trojani a
Deio , ove Anio signoreggiava. E , finché - Deio fu popolata r e (lorida ,
molti erano gl’ indizj della venuta di • Enea , e de’ compagni nell’ isola.
Dalla quale navigando a Cite- rà (1) aUra isola incontro del Peloponneso ’ vi
edifica- rono un tempio a Venere. Da Citerà tornandosi al mare e trovando morto
non lungi varono i Trojani con Eleno. Ottenuto l’ oracolo sulla nuova loro
sede, offersero al Dio cose trojane , e tra queste crateri di bronzo , de’ quali
alcuni manifestano ancora con iscrizioni antichissime gli oblatori : e quindi
si ricondussero camminando quattro giorni alle navi. Intendesi la venuta de’
Trojani a Butrinlo da un colle ove accamparono , che ancora chiamasi Troja. Da
Bu> trinto sospinti lido lido Gno al porto detto, dopo un tal fatto, di
uincitise ed ora chiamato con nome men chia* ro (a), eressero ancor ivi un
tempio di Venere : e pas- sarono il mar Ionio avendo per guida della
navigazione molli , che volontari li seguitavano , e li quali menava- no con sé
Patrone da Turi con la sua genie ; ma li più di questi , giunta l’ armata nell’
Italia , tornaronsi alle patrie : rimasero però nella flotta Patrone ed
alquanti de’ suoi mossi a far causa con Enea , nel cercar nuove sedi ; quantunque
alcuni dicano che il domicilio mettes- sero in Alunzio di Sicilia. In memoria
di tal beneGzio col volger del tempo i Romani donarono agli Acarnani Leucade ed
Auaitorio , togliendole ai Corintii ; e per- misero ad essi che lo bramavano ,
di rimettere ne’ pro- (i) Regia dirimpetto a Corfb dalla qnale è lontana 13
miglia. (a) Il Casaubono crede questo porto quello che da Tolomeo h chiamato
Onchesmo, e da Strabone Oochismo ; il quale incontra- Tasi dopo Butriuto e
Cassiope ( ora Januia ); crede che in principio si chiamasse di Anchise , poi
di Anchesmo , o d^i Anchismo , e quindi men chiaramente , di Onchesmo , o di
Oncbismo. Digilìzed by Google 7^ nm.LE antichità’ romane prj averi gli Oniadi ,
e di godere in comune con gli Etoli il frutto delle isole Ecliioadi. Calarono i
compagni di Enea , ma non tutti in un luogo a terra ; approdan- do coi più
delle navi al capo japigio , detto allora dei SalenUni ; e con le altre al lido
, prossimo a quello cliiamato di Minerva nel quale Enea stesso sbarcò. Era
questo sito ancora un promontorio ma con porto estivo denominato di Venere ,
appunto dopo quel giorno. Poi navigarono , quasi col piè sulla terra , fino
allo stretto di Sicilia , lasciando, ovunque andavano, de’ monumenti, e tra
questi là nel tempio di Giunone, la caraffa me* fallica , la quale con
antichissimo scritto manifesta 4I nome di Enea che porgevala in dono alla Diva.
XLIII. Fattisi ornai vicini, eccoli nella Sicilia final- mente a Drepano , dir
non saprei , se portativi per di- segno di sbarcare, o se per le burrasche de’
venti, con- suete in quel mare. Qui s’imbatterono coi compagni di Elimo e di
Egesto fuggiti prima di loro da Troja. Fa- voriti questi da’ venti propizj e
dalla sorte, nè gi'avati di molte bagaglio , erano in poco tempo approdati in
Sicilia , e fabbricato aveano intorno al fiume Crimiso in una terra che i
Sicani aveano amorevolmente ad essi ceduta , per essere Egeste nodrito già
nella Sicilia e congiunto col sangue di loro per questo Caso. Uno dei maggiori
suoi , famoso trojano , cadde nell’ ira di Lao- medonte , e quel re pigliandolo
, certo per una incol- pazione , lo uccise , uccidendo nemmeno tutta la stirpe
virile di lui perchè alfine non • sen vendicasse ; ma le vergini figlie giudicò
bensì cosa non degna lo ucciderle, ma uon sicura nemmeno a permettersi che si
accasassero Digilized by Google LIBRO I. 73 eoa Trujani. Pertanto le diede a
mercadanti con ordine che lontanissime le portassero. Or queste rimovendosi
navigò con esse un cospicno garzone, il quale preso già dall’amore di una maritollasi
, e trassela nella Sicilia; e là dimorandosi nacque di loro il fanciullo Egesle
nomi- nato. Apprese i costumi e la lingua del loco : infine morendogli i
genitori , e dominando Priamo in Troja , brigossi per lo ritorno. E militò pur
egli contro gli Achei ; ma prendendosi ornai la città, navigò di nuovo per la
Sicilia , fuggendo con Elimo su tre navi , usate già da Achille quando
saccheggiava la Troade , e poi da esso abbandonale perché portn bello ^ o buono, ma nel co- dice
Valicano ai La porto cattivo: il che varia la àeuicuta . Digilized by Google
LIBRO I. 7 5 quali finge Nettuno che presagisca la grandezza avvenire «li Enea
, come de’ posteri , con tali maniere : Ifo , non i dubbio ; la virtù di Enea
/leggerà li Troiani , e re^ranli Be’ figli i fgli, e chi verrà da loro.
G^ncependo da ciò , che Omero conosciuto avesse che questi regnavano nella
Frigia ; inventarono qnel ritorno di Enea, quasi fosse impossibile che abitando
nella Italia dominassero genti trojaue. Eppure ben poteano coman- dare a Trojani
già diretti nei viaggio e stabilitisi altrove: vi saranno forse altre cause per
le quali diasi a vedere r inganno. XLY. Che se alcuni sien turbati da questo :
che la tomba di Enea si dica e si additi in più luoghi , non potendo in più
luoghi esser lui tumulato ; riflettano es- ser tal dubbio comune su molti
uomini , specialmente su gli insigni per sorte , e vivuti sotto cielo ognor va-
rio : e sappiano che una è 1’ urna che accoglie i loro cadaveri, ma molti tra
le nazioni li monumenti per gra- titudine sul bene che vi operarono,
massimamente se tra quelle esistano stirpe o città che da essi provengano , o
se lungo vi fecero ed amorevol soggiorno. Or tali ap- punto conosciamo che
furono i casi che del nostro eroe si novelleggiano. Costui dopo aver operato che
Ilio nel- r esser preso non fosse totalmente distrutto , dopo aver operato che
gli alleati si ritirassero salvi in Bebricia che chiamano; lasciò sovrano della
Frigia 'Ascanio suo figlio, eresse in Pailene una città col nome di sé medesimo
, maritò la figlia nell’ Arcadia, e fissò parte de’suoi nella Sicilia : e
sembrando che segnalato avesse la sua dimora Digitized by Googlc 76 DELLE
Antichità’ romane in più altre parti , beneficandovi ; ne acquistò la bene-
vola propensione per la quale gli eroi quando cessano la vita dell' uomo si
onorano , e con pompa di monu- menti in più luoghi. £ veramente quali altre
cause mai potrebbe alcuno ideare de’ monumenti di lui nell’ Italia ? Ma di ciò
sarà detto nuovamente secondo che le materie de’ subjetti si dorran rischiarare.
XLVI. Che poi l’armata trojana non veleggiasse verso parti più remote di
Europa, ne furono cagione gli ora- coli , i quali prendéano compimento appunto
in quei luoghi, e la divinità che tante volte avea rivelato, cioc- ché si
volesse. Laonde approdati a Laurento alzarono le tende in sul lido. Ma
stentandovi su le prime per la sete , perchè il luogo mancava di acque ; ecco
vedonsi , ( dico ciò che ne udii tra’ paesani ) prorompere dalla terra
spontanei rampolli di acque dolci , dalle quali fu tutto abbeverato 1’ esercito
, ed irriguo ne divenne quel campo , scorrendo co’ rivoli loro dalle sorgenti
fino a gettarsi nel mare. Ora però non si le acque abbondano che ne trascorrano
, ma scarsissime , si restano in un cavo luogo , credute da’ paesani sacre al
sole : e presso queste si additano due altari, trojani monumenti, rivolto r nno
all’oriente l’altro all’occaso, ove favoleggiano che Enea facesse il primo
sagrifizio in ringraziamento al Nume per le fonti che scaturirono. Poi sedutisi
in terra per desinarvi , posero i cibi secondo molti su degli strati di appio
come su le tavole ; ma secondo altri , per mondezza maggiore , li posero su
focacce di farina : se non che finitisi i cibi apparecchiati , prima 1’ urto ,
indi r altro mangiava già 1’ appio o le focacce sottoposte ; Digitized by
Google LIBRO I. 77 quando com’ è fama , uno de’ Ggli , o certo della tenda
slessa di Enea disse : oh ! Gn le tavole ci divoriamo. Destossi all’ udir ciò
fra tutti un entusiasmo , uno stre- pito , come allora si compiessero i primi
oracoli che riceverono : essendo già fatto ad essi un presagio , in Dodona
secondo alcuni , o come altri dicono in En- tra (i) nelle vicinanze dell’Ida
ove sta la Sibilla, fatidica ninfa di que’luoghi. Questa annunziò loro che
navigas- sero verso /’ occidente , finché giungevano in luogo , dove sarebbero
mangiale le mense : e che prendesse- ro , quando vedeano ciò verificaio, per
guida un qua- drupede, e dove stanco del viaggio sdrajavasi, ivi fon- dassero
una città. Ricordevoli di quest’oracolo, chi per comando di Enea portava
custoditi com’ erano i simu- lacri de’ Numi dalle uavi a luogo destinalo , e
chi pre- parava basi ed altari per essi. Le donne accompagna- vano le sante
cose con ululati e con danze. InGne es- sendo già tutto pronto pei sacriGzio ,
i compagni di Enea stavano coronati intorno l’ altare. XLVII. E già questi
facevano de’ voti , quando la porca già pronta pel sagriGzio ,gravida nè
lontana dal parto , dibattendosi tra le mani de’ sacri ministri che la
tenevano, fuggissene in parti più remote del mare. Enea concependo esser questa
il quadrupede di cui 1’ oracolo signiGcò che sarebbe loro di guida le tiene
dietro , non (i) Vi ebbero pià Lrilre ; I’ una in Beoiia l’altra in Tessaglia;
(jui si parla della terza nella Jooia tra Llazomcns c Teon. Ma questa Krilra
non era poi cosi vicina dell’ Ida : il che fa vedere che il testo non è puro
abbastanza : seppure la idea di vicinanza non è qui relativa a distanze beo
grandi. Digitized by Google legni e cose
di rustico apparecchio su le quali appariva che dolentissimo ne sarebbe chi ne
era privato. In quel tempo Latino re guerreggiava co’ Rutoli , suoi vicini , ma
con poca pro- sperità nelle battaglie. In tale suo stato gli annunziano ,
esagerando le imprese di Enea : che un esercito di fo- restieri gli devastava
tutto il litlorale: che se non davasi presto a riutuzzarlo, avrebbe poi
manifestamente guerra più aspra con essi , che non co’ vicini. Temè Latino a
tal nuova , e ben tosto , sospesa la guerra presente , mosse con esercito
poderoso contro a’ Trojani. Ma ve- deudoli armali alla greca , intrepidi , in
buon ordine , aspettare il cimento , si arrestò , difGdando di poterli
sottomettere in un colpo , come avea già speralo nel moversi contro di essi. Ed
accampatosi in un colle pensò che dovevaiuuanzi tutto ricrear le milizie dalla
So DELLE antichità’ ROMANE molta fatica , sostenuta nel lungo e coutinuo
travaglio. Adunque ivi riposò quella notte; ma disegnò di lanciarsi al fare del
giorno sul nemico. Fra tali risoluzioni un genio del loco venne a lui tra ’l
sonno , e gl’ impose di ammettere i Greci che venivano a grande utilità di
Latino , e bene comune degli Aborìgeni. Parimenti i Dei patrii, svelandosi tra
la notte ad Enea, suggerivano che inducesse Latino a concedergli spontaneamente
una sede nel luogo che bramava, e rendersi i Greci alleati, e non competitori
nelle arme. Tal sogno contenne l’uno e r altro dal cominciar la battaglia. E
non si tosto fu giorno, elle milizie mossero in campo; ecco gli araldi venire
da ambe le parti ai capitani per chiedere un vi- cendevole parlamento; e si
tenne.* XLIX. Latino il primo querelatosi della guerra im- provisa e non
intimata , chiedeva ad Enea che dicesse chi fosse , e con quale disegno
invadeva e derubava que’ luoghi , non avendone mai ricevuto alcun danno , e non
ignorando che gli assaliti rispingono gli autori della guerra. E laddove tutto
esibivasi a lui se moderate ne erano le dimande, e potea rinvenire tutto nella
cor- tesia degli abitanti ; egli violando la giustizia comune degli uomini ,
voile impudentemente anzi che da ono- rato , arrogarsi ogni cosa colla forza.
Enea rispose : Noi siamo Trojani di lignaggio , e veniamo da una città non
ignota affatto tra Greci. Essi espugnandola con gueira di dieci anni ce la
tolsero ; ed ora vaga- bondi ci rigiriamo , sema città , senza regione , ove
prendere sede finalmente. Siamo qui venuti seguendo i voleri de' Numi ;
annunziandoci gli oracoli che que-_ Digitized by Gopglc LIBRO I. 8 I »ta è la
tota terra che ci lascia come requie da tanti errori, Abbiam preso dalle wstre
terre quanto ri era bisogno ; Noi provvedevamo anzi alla nostra infelicità che
al decoro, lutto che non volessimo far cosa meno di questa, come novizj in tai
luoghi. Ma ne daremo copiose e buone ricompense. Vi offeriamo i nostri corpi, le
nostre anime, costumati ahbaslanza ai tra- vagli. Comunque usar ne vogliale ;
noi custodiremo come inviolabili le vostre tene , noi ci lanceremo ad
acquistarvi quelle de' nemici. Noi vi supplichiamo che non ascriviate ad odio
le cose operate; non avendole noi fatte per ingiuriarvi ma dalla necessità
violentati; e ciò che non è volontario è pur degno di scusa. E se ora ce ne
scusiamo , se ne imploriamo voi sten- dendovi le mani supplichevoli; già non si
conviene che ci destiniate alcun male, Altrimente invocheremo gli Dei,
invocheremo gli Genj di queste terre perchè ci condonino quanto abbiamo fatto o
necessitati faremo. Noi tenteremo respingervi la guerra se ce la incomin-
ciate ; chè non è questa la prima nè la
massima di quante ne abbiamo sostenute. Latino ciò udendo sog- giunse : Io sono
propenso inverso di tutti i Greci e mi struggono il cuore i mali necessarj
degli uomini. E pregerei moltissimo di salvarvi se poteste mai far- mi chiaro
che qua venite bisognosi di una sede, per aver parte nelle nostre terre e su
quanto vi sarà dato per amicizia , non per involarmi colle armi il coman- do.
Se questo dir vostro è vero ; se ne dia , chiedo , la vostra fede e se ne
riceva la nostra : e saranno queste le mallevadrici pure de' patii. Dtomet , Hmt r. s Digitized
by Gopgle 8 3 DELLE A;VTICHITA.’ ROMANE
L. Enea encomiò quel parlare ; e si giurarono tali patti tra i due popoli :
Darebbero gli Aboiigeiti ai Trojani quanta terra volessero in qualunque parte
del colle , dentro il giro di cinque miglia da questo. Li Trojani entrerebbero
a parte della guerra che gli Abo- rigeni aveano tra le mani, e militerebbero
con essi in qualunque altra li chiamerebbero. Farebbero in co- mune ambedue col
senno e colla mano t utile vicen- devole. Stabiliti tali patti , e confermatili
con gli ostaggi, combatterono insieme contro le città dei Rutoli : e sog-
giogando in brevissimo tempo ogni cosa , presentaronsi ad ultimare la trojana
città non compiuta , e tutti con un ardore vi fabbricavano. Enea le diè nome di
Lavi- nia , come dicono i romani scrittori , dalla figlia di Latino, chiamata
anch’ essa Lavinia; e secondo alcuni de' greci mitologi dalla figlia di Anio re
tra Deliesi , Lavinia nominata ugualmente : perchè morendo questa nel primo
costruirsi degli edifizj, e datale sepoltura ap- punto nello spazio dove Enea
fabbricava (i), la città ne era il monumento. Dicesi che navigasse co’ Trojani
conceduta dal padre alle istanze di Enea , come donna di senno e di profezie. È
fama che i Trojani nel fab- bricare Lavinia ne avessero questi segni. Accesosi
jl fuoco da sè stesso in una valle, narrano che un lupo vi traesse colla bocca
e gittassevi aride materie ; e che (i) si spiega per infermarsi, travagliarsi, quasi
Dionigi dica che la donna fu sepolta dove infermava ; ma tal voce significa
ancora fabbricare e rende il senso pib acconcio e concorde. Altronde non è
facile che uno seppeliscasi nel luogo appunto o aiansa. o tenda dove si ammala.
Digitized by Gopgle LIBKO I. 83 no’ aquila volaado , Vi eccitasse le (ìamtue
col battere delb ale ; ma che una volpe in contrario si desse ad estinguerle
colla coda , bagnatala iu un Hume : e die ora vincendo chi accendeva ed ora chi
ammorzava, al> fine , prevalessero le due ale , partendosi la volpe senza
che nulla più vi potesse: che Enea da quello spettacolo conchiudessc , come la
colonia diverrebbe magniCca , meravigliosa , celeberrima ; darebbe il crescere
di essa invidia ed affanno ai vicini ; ma ne vincerebbe ogni ostacolo ,
ricevendo dagl’ Idùii fortuna più potente del- l’odio de’ mortali in
combatterla. Questi sono i portenti famosi , nati colla città : e per memoria
se ne custodi- scono ancora da tempo antichissimo in mezzo al foro di Lavinia
le immagini metalliche di quegli animali. LI. Poiché fu compiuta la città de’
Trojani entrò desiderio in tutti di giovarsi a vicenda ; e primi ne die- dero r
esempio i monarchi accomunando pe’ matriinonj il grado de* paesani e de’
forestieri , e sposando Latino la sua figlia Lavinia ad Enea. Quindi presi
ancor gli altri da brama eguale, dandosi in breve a gara 1’ uno all’al- tro
leggi , costumi , sacrifici , congiungendosi in città di cure e di consorzio ,
e divenendone tutti un corpo e chiamandosene Latini dal re degli Aborigeni ,
osser- varono con tal fermezza gli accordi , che uiun tempo mai più li divise.
.Tali sono le genti che vennero e si congiunsero, e dalle quali è la stirpe de’
Romani, pri- ma che si fondasse la città che otn gli alberga. Erano i primi gli
Aborigeni , i quali cacciarono dalle proprie .sedi i Sicoli 4 greci
antichissimi del Peloponneso , di quelli , io credo , spatriatisi con Eouotro
dalle terre ora Digilized by Coogle 84 DELLE Antichità’ romane dette di Arcadia
. erano secondi ì Pelasghi , usciti dal>' r Emonia , ora chiamata Tessaglia
: ed erano terzi quei che vennero con Evandro nell’ Italia dalla città del Pal-
lanteo. Si ebbero dopo questi gli Epei ed i Feneati del Peloponneso , militari
di Ercole , a quali si mescolava- no alquanti Trojani; e gli ultimi furono i
Trojani scam- pati con Enea da Ilio , da Cardano e da altre loro città. LII.
Che poi li Trojani ancora fossero Greci, prin- cipalmente di orìgine , usciti
un tempo dal Peloponneso fu già detto da molti , ed io pure lo dirò brevemente:
e cosi stà quel racconto. Atlante divenuto primo re dell* Arcadia che ora
chiamano, abitava intorno al monte detto Taumasio. Sette erano le figlie di
questo ora tras- ferite , dicesi , nel cielo col nome di Plejadi. Giove
sposandosi 1’ una di esse vi generò Giasone e Cardano: Glasoue si tenne celibe,
ma Cardano sposò Crise la fi- glia di Palante, e gli nacquero Ideo e Cimante, i
quali due regnarono nell’Arcadia, succedendo al trono di Atlante. Poscia
avvenendo il gran diluvio in Arcadia ; i campi ne divennero paludosi , nò più
coltivabili per lungo tempo. Gli uomini ridottisi ad abitare nei monti , e con
scarsi viveri, consentendo ad una voce che le terre intorno non erano più
bastanti a nutrirli , si divi- sero in due. Rimastisi gli uni nell’Arcadia
crearono so- vrano Cimante il figlio di Cardano > gli arltri partirono su
gran flotta dal Peloponneso ; e direttisi in verso di Europia giunsero al golfo
detto di Me lane , recandosi ad un* isola della Tracia , non saprei se abitata
allora o deserta , cui chiamarono Samo Tracia con nome com- posto dal duce e
dal luogo , per essere questo nella Digilized by Google usno I. 85 Tracia , e
Samone 1’ altro , figlio di Mercurio e di Re- ne , ninfa Gillenide. Ma non a
lungo vi dimorarono ; cbé non era ivi una facile cosa la vita , avendosi a lot«
tare con terre ingrate e mare disastroso. Adunque la- sciando un gruppo di loro
nell’ isola, li più se ne mos- sero nuovamente inverso dell’ Asia sotto gli
Auspicj di Bardano ; perocché Giasone era morto fulminato nell’ i- sola per
avervi appetito il concubito con Cerere. Ve- nuti al mare chiamato Ellesponto ,
e sbarcatine , abita- rono la terra detta poi di Frigia. Ideo con la parte da
lui retta della milizia di Bardano , abitò ne’ monti che • Idei si appellano da
lui , ne’ quali ergendo un tempio alla madre degl’ Iddii v’ istituì misteri e
sacrifici , du- revoli ancora in tutta la Frigia: e Bardano nella Troa- de che
dicono , fondandovi la città coi nome di sé me- desimo , e ricevendone delle
campagne da Teucro re , dal quale Teucria fu nominata la terra. Molti, tra’
quali Faiiodimo che scrisse delle antichità dell’ Attica , nar- rano che Teucro
ancora passasse dall’ Attica nell’ Asia , e regnasse in sul popolo di Zipeta ;
allegando su ciò molti argomenti. Quivi dominando egli campagna am- pia p buona
, ma non molto popolata , desiderò di ve- dere Bardano , e li Greci con esso
venuti , si per avergli alleati nelle guerre co’ barbari , sì perchè la sua
terra non giacesse deserta. LIU. Ora porta il subjetto eh’ espongasi da quali
Enea discendesse : ed io ciò laro ; ma brevemente. Bardano morendogli Crise la
figlia dL Fallante dalla quale avea due fanciulli , si sposò òon Batia la
figlia di Teucro. Di lei nacqn^li Elrittooio, creduto tra’ mortali felidssif
Digitized by Gopglc 86 dt:lle antichità’ eomane mo per la*cloppia eredità della
signoria paterna , come deli’ altra fondata dall’avo materno. Da Erittonio e de
Callii’oe figlia di Scamandro nacque Troe dal quale ebbe nome la nazione. Da
Troe e da Acalide fisiia di O Euniida sorse Assaraco : e da questo e da
Glitodora figlia di Laomedonte ebbes! Capi. Poi questo e la ninfa, Kaide
chiamata, generarono Anchise: e di Anchise e di Venere è figlio Enea. Cosi avrò
dichiarato che i Tro- iani siano Greci di origine. LIV. Su 1’ epoca della
fondazione di Lavinia scrivesi variamente : a me sembrano piò verisimiii quelli
che r assegnano all’ anno secondo dopo la partenza da Troja. Imperocché Ilio fu
preso nel fine della primavera , il giorno diciassettesimo prima del solstizio
estivo , mancan- dovi otto giorni a compiersi il mese Targhilione secon- do la
cronologia di Atene: e dopo il solstizio rimaneanci venti giorni a terminare
quel giro di anno. Pertanto nei trentasette giorni decorsi dopo quella presa io
stimo che gli Achei provvedessero su le cose della città , che rice- vessero le
ambascerie di quelli che erano usciti , e giu- rassero dei patti con essi.
Nell’ anno seguente e primo dopo la espugnazione , i Trojani salpando da quella
terra circa l’ equinozio autunnale passarono 1’ Ellesponto: e portati nella
Tracia ivi dimorarono quell’ inverno, rac^ cogliendo gli altri che giungevano
ancora dalla fuga, e preparando la navigazione. Levandosi dalla Tracia in sul
fare biella primavera tragittarono fino alla Sicilia dove riparatisi spirò
intanto quell’ anno : ivi spesero il secondo inverno fabbricando città con gli
Elimi. Ma divenuto il pela^ navigabile fecero vela dall’ isola , e Digitized by
GoogieLIBRO I. 87 valicando il mare Tirreno vennero finalmente sul mezzo della
estate a Laurento , spiaggia marittima degli Abo- rigeni , e presavi terra , vi
fabbricarono Lavinia mentre compievano 1’ anno secondo dopo la invasione di
Troja. Per tali detti sarà chiaro quanto io su ciò concepisco. LV. Enea
fornendo la nuova città di tempj e di altri edifizj i più de’ quali
persistevano ancora a’ miei giorni, alfine nell' anno seguente , terzo della
sua emigrazione , regnò ma su’ Trojani solamente. Morendo però Latino nel
quarto , ebbe anche il regno di questo si per 1’ af- finità sua con esso, di
cui Lavinia era la erede, si per essere lui già duce degli eserciti nella
guerra coi vicini. Imperocché li Rutoli si erano di bel nuovo ri- bellati da
Latino scegliendosi per capitano Turno un disertore di Latino , e cugino di
Amata , regia moglie di lui. Questo giovine alle nozze di Lavinia comccia- tosi
dell’ affine suo che tenesse anzi cura degli esteri che de’ parenti , e
sospinto da Amata e da altri , andò cM>lle milizie delle quali era capo , e
si congiunse coi Rutoli. E mossasi per tali richiami la guerra perirono in battaglia
vivissima Latino e Turno e molli altri ; trionfandone Enea. Da quell’ epoca
ebbe questi lo scet- tro del suocero , e regnò dopo la morte di lui tre anni
ancora ; ma nel quarto morì combattendo : perocché gli uscirono contro dalle
loro città tutti in arme li Rutoli e Mezenzio re de’ Tirreni che per le sue
regioni te- meva , conturbato al vedere che la greca poteuza via via si
ampliava. Si dié la battaglia , ma fortissima non lungi da Lavinia;
soccombendone molti da ambe le parti, finché la notte sopravvenendo , divise
gli eserciti. Enea ^ Digitized by Coogle 88 PEi.T.E Antichità’ romane più non
apparve ; e chi lo disse trasferito Ira’ Numi , chi perito nel fiume , presso
cui fu la pugna. I Latini gli eressero un tempietto iscrivendolo : del Padre e
Dio del loco il quale regge il corso del Jiume Numicio. Pur vi è chi dice
edificato il tempio da Enea per An* chise , morto P anno avanti tal guerra. L’
edifizio è non grande : ma tiene arbori ordinatamente intorno degne da vedersi.
LVI. Passando Enea da questa vita , al più I’ anno settimo dopo la presa di
Troja , assunse il comando su’ Latini Eurileone , quegli che . nella fuga
intitolavasi Ascanio. Erano allora i Trojan! chiusi tra le mora , e la forza
nemica ognora più spaventava ; nè bastavano i Latini a soccorrere gli assediati
a Lavinia. Ascanio dun» que il primo chiese pace e condizioni onorate ai ne»
mici : ma non giovando la inchiesta , fu costretto ren» dersi pienamente , e
finire la guerra come il vincitore ne giudicasse. Ma siccome il monarca de’
Tirreni oltre le tante cose intollerabili comandava come agli schiavi che si
recasse ogni anno ai Tirreni quanto vino pro- ducerasi dalla campagna latina ;
cosi per la ìndegnissi» ma condizione Ascanio prima , e dopo lui li Trojani
dichiararono co’ decreti loro sacro' a Giove ogni frutto della vite. E
confortandosi gli uni gli altri ad impren- dere da valentuomini , e chiamando i
Numi a parte dei loro pericoli , si mossero di città ma tra notte non chiara
per luna. E sopravvenendo improvvisamente, presero in un subito il campo nemico
il più vicino alla città , ri- putato antemurale ancora delle altre milizie ,
perchè te- nuto su luogo forte e difeso dal fiore de’ giovani tir- Digitized by
Google LIBRO I. 89 reni , comandati da Lauso , figlio di Mezenzio, Intanto che
questo luogo espugnavasi le soldatesche attendate nei piani vedendo la luce
insolita , ed ascoltando le voci degli oppressi fuggirono ai monti. Ivi sorse
fra loro paura e strepito grande qual suole tra schiere mosse di notte , che
apprendano già già di essere assalite , ma nè ordinate uè provvedute
abbastanza. I Latini all’ opposito poiché vinsero per assalto quel presidio , e
conobbero lo scompiglio deir altra milizia , le furon sopra incal- zando e
trucidando : e questa non potea nemmeno sa- pere i suoi mali; non che pensasse
ricorrere alla forza. Quindi confusi , incerti che fare chi s’ avvia tra
.dirupi e ne soccombe , chi tra luoghi cavi ma senza esito , ed è preso. Li più
non distinguendosi tra loro si trattaro- no ira le tenebre a vicenda come uemicì
; e ben fu la sciagi>ra micidialissima. Mezenzio occupato un colle con pochi
, poiché vi seppe la morte del figlio, quanto eset- cito gli fosse perito , ed
in quai luoghi ora si fosse iin tempo in cui fu costrutta la città , signora al
presente delle cose. Ma quali ne fossero i fondatori , con quali vicende
recassero la colonia , o le fondassero la città , molti già lo narrarono ,
discordandone alcuni in più casi. Io sceglierò da' monumenti le cose più
persuade- voli ; te quali sqn queste. LXYIl. Dopo che Amulio usurpò colla forza
la reggia di Alba eliminando dagli onori paterni Numitore il fra- tello. più
grande , scorse ad altre infamie col molto abuso dei diritti, macchinando
all’ultimo distruggere la stirpe di Numitore per timore di subirne la vendetta
, e per desideri^ di perpetuarsene il principato. E macchinando ciò da gran
tempo , notò primieramente dove recavasi alla caccia Egeste il figlio già
pubescente di Numitore, e, fattegli delle insidie nel meno visibile di
que’luoghi , lo uccisse appunto che inseguiva le fiere , dando opera che si
dicesse poi , che il giovine fu vittima de’ladroni. Ma tal voce artificiosa uon
potè soffocare la verità che Digilized by Coogle 102 DKi.LE Antichità’ honianf.
lacevasi; perocché molli ebbero cuore di palesarla , con pericolo ancora. Ben
conobbe Nunillore il successo ; ma tollerando con saviezza bonissima fìnse non
conoscerlo per differirne i risentimenti a tempo meno pericoloso. Amulio
tenendo la vicenda per occulta , fece ancora , che la figlia di IVumitore detta
Rea secondo alcuni , e poscia Ilia quando fu matura per le nozze , si dedicasse
al sacerdozio di Vesta perchè andando subito a marito noti partorisse un
vindice della sua gente. Dee iren- l’anni, e nommeuo rimanersi candida da cose
maritali lina donzella messa alla cura del fuoco inestinguibile, o per altro
religioso ministero serbato per legge alle sue pari. Compieva Amulio tutto ciò
co’ bei nomi di onorare c distinguere il parentado : perchè non avevane egli
introdotto la legge : anzi essendo già praticata non astringeva il fratello,
sicché la prima volta esso tra’ no- bili si valettse di quelli onori. E
pregiavasi tra g]i Al- bani che le donzelle più nobili ministrassero a*\^esia.
Ben vedea Numitorc che il fratello non facea Ciò per amore del meglio: tuttavia
non espresse l’ira* sua, ma tacque profondamente ancora su questa ingiuria per
.non esserne malmenato dal popolo. LXYIII. Dopo quattro anni Ilia recatasi al
bosco sacro di Marte ad attingervi limpide acque pc’ sacriGzj vi fu violentala
da uno, dicono, de’ giovani innamorato della donzella : o da Amulio non si per
amori che per in- ganni , tutto in arme , e travisatosi quanto poteva , onde
essere terribilissimo a vedere. Molli però novelleggiano che fu in persona il
Nume del loco, acconciando a tal fatto varie circostanze divine , e che il sole
se ne ascose. Digitized by Coogle LIBRO I. I()3 e le tenebre si spnrsero in
cielo. Essersi ,la immagine di quel Dio presentata augusta più che la umana per
la mole e per la bellezza. Aggiungono che colui che aveala violata ( e da ciò
conchiudono che fosse un Id- dio) dicesse alla fanciulla che si consolasse, non
si afflig- gesse per la vicenda* essere a lei fatte le cose de’ma- trimonj
dall’ unirsele del genio del loco : ne partorirebbe due figli y potentissimi in
arme. Narrano che, ciò di- cendo , nna nuvola lo circondasse , e che spiccatosi
di terra , si elevasse per 1’ aere. Non è poi questo il luogo, ma bastino i
detti de’ filosofi , per discutere la sentenza da aversi su queste cose, cioè
se debbano dispregiarsi come opere umane imputate agli Dei, la natura de’quali
felice nè corruttibile non subisce niente d’ indegno ; o se debbano riceversene
le narrazioni , perchè 1’ universo è un composto di tutte le sostanze , tra le
quali haccene pure una intermedia tra la umana e divina , che ora mescendosi
agli uomini , ora ai Numi , genera la stirpe degli eroi. La donzella dopo la
violenza si diè per in- ferma : consigliatavi dalla madre per la sicurezza di
lei , come per la riverenza de’ Numi : nè più andava alle sante cose ,' ma se
dovea porgervi l’ opera sua , supplivano le vergini , compagne nel ministero.
LXIX. Amulio , sia che mosso dalla coscienza , sia che da’ concetti del
verisimile, spiava attentissimo le ca* gioni per le quali tcneasi tanto tempo
lontana da’ riti divini. E mandò de’ medici su’ quali fidava moltissimo : ma
pretestando le donne non essere un tal male da presentarsi ai maschj , mise la
moglie sua per guardia della fanciulla. Ma non si tosto colei gli accusò la in-
Digilized by Google io4 DELLE Antichità’ romane
(loie del male , conghietlurando da
indizj muliebri , ignoti alle altre ; egli fe’ custodire co’ soldati la
donzella: perchè il parto , ornai prossimo , non si occultasse. £ chiamando a
collocjuio il fratello , disse la violazione recondita , dolendosi che i
genitori vi stessero a parte con la fanciulla, e comandò che non tacessero,
anzi pub- blicassero il fatto. Asseriva Numitore eh’ egli udiva cosa
incredibile: ma che egli era innocente in tutto, e chie- dea tempo per chiarire
la verità. £d ottenutolo a stento, poiché seppe dalla moglie la cosa come erale
narrata in principio dalla fanciulla , gli riferì la violenza fatta dal Nume, e
le cose dette su’ due gemelli, e dimandò che si prestasse fede a tanto , se da
quel parto nasceane la ]>role cora’ era presagita dal Nume. Non essendo
ornai lontano il parto ; egli non sarebbene deluso lungamente : intanto esibiva
donne in custodia della figlia, nè ricu- savasi a prova ninna. Acconsentivano
quanti erano in parlamento: Amiilio però diceva che non aveaci punto di buono
in que’ detti , e diedesi per ogni guisa a pci^ dere la lànciulla. Intanto
presentansi gl’ incaricati per invi- gilare su quel parto , e narrano aver lei
dato in luce due maschi. Insistè Numitore ben tosto in dimostrare che a'veaci.
r opera del Nume, e richiedÈva che oltraggio non si facesse alla vergine
incolpabile. Amulio nondimeno concepiva che ci avesse della cabala umana anche
nel parto mer desimo , con essersi procurato 1’ uno de’ fanciulli da al- tra
donua , ignorandolo o cooperandovi le custodi ; e molto su ciò fu disputato.
Come i consiglieri videro che il re piegavasi ad ira inesorabile ,
sentenziarono an- eh’ essi , com’ egli volea ; che si applicasse la legge , la
Digitized by Coc^le LIBRO I. I o5 quale ordina che uccidasi , battuta con verghe
, la ver* gine profanata nel corpo, e gettisi ciò che è nato da lei ndla
corrente del fiume. Ora però le leggi per le sacre cose prescrivono che tali
donne seppelliscansi vive. LXX. Fin qui la più parte degli scrittori narrano le
cose medesime o con picciolo divario , altri seguendo più la favola , ed altri
la verisimiglianza. Ben però discordano su ciò che vi rimane ; dicendo altri
che la condannata fu tolta immantinente di mezzo , ed altri che serbata in
carcere oscura fe’ nascere nel volgo la idea della oc- culta morte di lei.
Scrivono che Amulio a ciò s’indu- cesse vinto dalla figlia supplichevole che
chiedevagli in dono la cugina ; già nudrite insieme , e pari di età vo- leansi
il bene di sorelle. Amulio che non avea se non quella figlia , gliela concedette
; nè più compiè la morte di Ilia , ma tennela rinchiusa, nè visibile; finché fu
li- berata col morir del medesimo. Cosi le antiche scritture discordano intorno
di Ilia , ma tutte presentano un ap- parenza di vero ; e perciò ne ho fatta
menzione. Chi legge intenderà da sè stesso quale sia più credibile. Quanto ai
figli d’Ilia cosi scrive Fabio detto il Pit- tore , cui seguirono Lucio Cincio
, Porcio Catone, Cal- purnio Pisone, e la più degli storici. « Alcuni de’ mini-
stri prendendo per comando di Amulio i fanciulli, posti in un cestello, ve li
U'asportavano per gettarli nel fiu- me , lontano quasi cento venti stadii dalla
città. Ma co- me vi si approssimarono e videro che il Tevere per le pioggie
incessanti usciva dall’ alveo suo naturale in su i campi , discesero dalle cime
del Pallanteo fino alle acque più vicine ; uè polendo avanzarsi più oltre , de-
Digitized by Google ìoG DF.LLK Antichità’ homane posero il cestello appunto ove
il fiume toccava , inon- dando le falde del monte. Ondeggiò quello alcun tem-
po ] ma poi ritirandosi la fiumana dalle parti più ester> ne , il vasello
percosse in un sasso , e deviatone , tra- volse i fanciulli ^ che vagendo in
sol fango si dimena- vano. Quando apparendo una lupa , fresca di parto» e
gonfie le mammelle di latte ne porse i capi alle te- nere bocche de’ medesimi ,
tergendoli via via colla lingua dal loto onde erano intrisi. Frattanto
sopravvengono dei pastori che guidavano le greggi ai pascoli ; potendosi già
per que’ luoghi camminare. Al vedere 1’ uno di essi come la bestia carezzava
que’ pargoletti , restossi estati- co per lo spavento e per la incredibilità
dello spettacolo. Quindi ( perciocché non era col solo dire creduto ) an-
dando, e raccogliendo quanti potea de’ vicini pastori, li con* duce a mirare il
portento. Approssimatisi questi, e vedendo come la bestia molcea que’
pargoletti, e come i pargoletti usavano colla bestia quasi colla madre ,
parvero a sé st«si presenti a celeste meraviglia : ma congregatisi e proce-
duti ancora più oltre tentarono col tuonare delle grida impaurire la lupa. E
questa non incrudita affatto dal giungere degli uomini , ma quasi domestica
fosse, riti- randosi passo passo da’ fanciulli, si levò ( mutoli restan- done )
dalla vista de’ pastori , essendovi non lungi un luogo sacro , opaco per selva
profonda , ove le fonti sgorgavano da pietre cave. Dicesi che quello fosse il
bosco di Pane ; ed un allare’per lui vi sorgeva. In que- sto venne la fiera e
si ascose. Ora il bosco non è più: ma ben additasi 1’ antro dal quale scorrevano
le acque , in vicinanza del Pallanteo , lungo la via che mena al- } Digitaed by
Coogie LIBRO I. 107 r Ippodromo ( 1 ) : scorgesi ivi prossimo un tempietto ov’
è j come effigie del fatto , una lupa che offre a due fànciullini le poppe ;
metallico e di antico lavoro è quel monumento. Era questo luogo , com’ è fama ,
sacro per gli Ai'^ cadi che vi si accasarono con Evandro. Allontanatasi la
fiera , i pastori presero i fanciulletti provvedendo che si allevassero appunto
, come se volessero gli Dèi che si conservassero. Era tra questi un placido
uomo , il capo de’ regj pastori , F austolo nominato , il quale trovavasi in
città per alcun suo bisogno , nel tempo che lo stu- pro vi si riprendeva ed il
parto d' Ilia.' Dopo ciò men- tre erano que’ teneri putti portati al fiume ,
egli nel tornare ài Pallanteo , tenne per incontro divino la stra- da medesima
di quelli che li portavano. E non dando vista di sapere principio alcuno del
fatto , dimandò per sè que’ miserelli , e presili con voto comune , e recan-
doseli , venne alla moglie. E trovatala che avea parto- rito , e dolente , che
il parto erale morto, la racconsolò, e le diede que’ fanciulli da sostituirsi ;
contandole dalle origini la vicenda che li riguardava. Poi crescendo, chia- mò
r uno di essi Romolo e Remo 1’ altro. Fatti adulti / non somigliavano per la
bellezza dell’ aspetto e della prudenza a pastore niuno di gregge immonde o di
bo- vi , ma chiunque numerati li avrebbe tra’ regj figli , specialmente tra
quelli creduti di generazione divina , come in Roma cantano ancora nelle patrie
canzoni. Era la vita loro fra’ pastori , e col travaglio la sostenevano, (i)
Cirro oTc -garrpgiavasi col corso Je’ cavalli. Digitized by Coogle io8 DELLE
Antichità’ bomane fissando per lo più su’ monti e legni e canne in guisa che
dessero in un tempo alloggio e tetto. Ed ancora nel lato che dal Pallanteo
piegasi verso l’ Ippodromo V sopravanza 1’ uno di questi abituri , detto di
Romolo > cui guardano come sacro , ma nulla vi aggiungono on-, de renderlo
più venerando. Che se parte alcuna ne vi6a meno per anni o tempeste , la
suppliscono , riparando- la , quanto possono con simiglianza. Giunti a’
diciotto anni ebbero dispute su de’ pascoli co’ pastori di Numi- tore i quali
tenevano i loro bovili sull’ Aventino , colle situato rimpetto del Pallanteo.
Ricbiamavansi spesso gli uni su gli altri, che pascessero i campi non proprj ,
o soli si tenessero i campi comuni , o per cose altrettali, se ne avvenivano.
Davansi per tali dissidj colpfdi mani e di armi ; e ricevendone da’ giovani assai
li servi di Numitore , e perdendovi alcuni di loro, ed essendone esclusi a
forza dalle campagne, cosi macchinarono. Dis- posero in valle occulta le
insidie su’ giovani , e concor- dato con quei che le disponevano il tempo di
eseguirle , gli altri intanto andarono in folla alle roandre de’ me- desimi.
Romolo di quel tempo crasi co’ paesani più ri- guardevoii recato alla città
detta Genina per farvi a no^ me della comune i patrj sacrifizj. Avvedutosi Remo
della incursione volò per la difesa , prendendo in un subito le armi , e li
pochi venuti a lui per unirsegli dal vil- laggio. Non aspettarono quelli , ma
fuggirono per tirar- seli dietro , dove rivolgendosi a proposito gli
assalissero. Ignaro della trama , seguitandoli Remo lungamente , si ingolfò nel
luogo delle insidie ; e le insidie proruppero e li fuggitivi si rivolsero ; e
circondando lui co’ seguaci Digitized by Googl LIBRO I. 1 09 e tempestando co’
sassi , gli arrestarono, com’ era il co- mando de’ loro padroni che volevano
vivi que’ giovani nelle mani. Cosi 'fu Remo condotto prigioniero. » LXXl. Ma
Elio Tuberone uomo grave , e ben cauto nel tessere le istorie scrìve : che
avendo que’ di Numi- tore preveduto che i due garzoncelli erano per ofTerire a
Pane ne’ lupercali 1’ arcade sagriGzio come era isti- tuito da Evandro , tesero
gli agguati pel tempo appunto del santo ministero , quando bisognava che I
giovani , abitanti il Pallanteo, correswro dopo le oblazioni nudi per la terra
, e velati solo nel sesso con le pelli recenti delle vittime. Era questo un tal
rito patrio di espiazio^ ne , praticato ancora di presente. Standosi nel più
an- gusto de’ sentieri i nemici a tempo per le insidie su quei facitori di
sante cose , ecco venirsene ad essi la prima banda con Remo , seguitando più
tarda 1’ altra con Romolo per essersi la gente loro divisa in tre masse, e
distanze. Non aspettando quelli il giungere degli al- tri , dato un grido,
uscirono in folla sa’ primi, e cir- condatili , gl’ investirono > chi con
dardi e chi con sassi o con altro , comunque gli era alle mani. Sbalorditi
questi dall’ inaspettato assalto , e mal sapendo che fare , inermi contro gli
armati , furono assai facilmente arre- stati. Con tal modo, o con quello
tramandatoci da Fa- bio , divenuto Remo il prigioniero de’ nemici , fu tratto in
Alba. Romolo, al conoscere le ingiurie sul fratello, pensò dover subito
tenergli dietro col Bore de’ suoi pa- stori , quasi a ricuperarselo ancora tra
via : ma ne fu distolto da Faustolo che vedea la insania del disegno. Era F
austolo ancora tenuto come padre , avendo sem- Digilized by Google 1 1 o DELLE
Antichità’ romane pre occultato ai due garzoacelli i loro primi tempi , perchè
non si mettessero di slancio a’ pericoli , prima della robustezza degli anni.
Allora peiTò vinto dalla ne- cessità rivela , solo a solo , a Romolo ogni cosa.
E Ro- molo in udire tutta la sciagura che areali involti 6n dalla nascita,
impietosito per la madre venne in grande ansietà verso di Nnmitore. E molto
consultandosi con Faustolo conchiuse che doveva allora contenersi da ogni impeto
; sorgere poi con apparato più grande di forze a redimere la sua famiglia dalle
ingiustizie di Amulio , e subire fin 1’ ultimo rischio in vista de’ grandi
risul- tati , operando col padre della madre , quanto egli nc risolvesse.
LXXII. Stabilito ciò per lo m^lio , Romolo convo- cando i paesani , e
pregandoli a recarsi di subito in
Alba , non però tutti io folla , nè ad
una porta perchè non si eccitasse in città sospetto di loro , c a tenersi nel
foro , pronti per eseguire , s’ incamminò per il pri- mo verso di quella.
Intanto quei che menavano Remo presentatolo ai regj tribunali , ve lo
accusavano delle in- giurie, quante ne aveano da lui ricevute, e vi addita-
.vano le ferite dei loro protestando che abbandonerebbero tutte le manche , se
non erano vendicati. Amulio vo- lendo fare cosa grata alla moltitudine accorsa
, come a Numitore, forse presente ad incolparlo per altri (i), volen- do la
tranquillità del paese, e stimando insieme sospetta la baldanza del giovane ,
imperterrito in sue parole ; lo ( i) Secondo Dionigi , Numitorc ignaro della
condiziona di lìcmti, lo accusava a nome de’ suoi clienti. Digitized by'Googli
LIBRO I. Ili .condannò con rendere Numitore 1’ arbitro del castigo , e con dire
che chi fa ree cose , non dee rintuzzarsene da altri quanto da chi le ha
sostenute. Intanto che Re- mo era condotto con le mani addietro legate, ed
erane vilipeso da’ pastori (i) che sei conducevano Numitore postoglisi appresso
ne ammirava la bellezza delle forme che aveano molto del regio , e ne
contemplava la no- biltà de’ sentimenti , che egli conservava in mezzo an- cora
a terribili cose , non volgendosi a far compassione nè importunando , come
tutti fanno in simili casi , ma procedendo con silenzio maestoso al suo
termine. Giunto in sua casa , Numitore fece che gli altri si ritirassero , ed
egli , solo con solo , chiese a Remo chi fosse , e da quali parenti ; non
potendo lui , : ootal giovine , essere da ignobile stirpe. E soggiungendo Remo
quanto ne sapea dal suo nutritore. , come dopo la nascita era stato esposto
bambino nella selva col germano , gemello di lui , come raccolto da’ pastori
fosse poi stato allevato ; colui , sospesone alcun tempo , alfine , sia che in
ciò vedesse vole sospettando che egli
non pensasse come parlava , cosi rispose : I giovani , come è loro mestieri ,
vanno pasturando de' bovi pe' monti. Io men veniva in no- me di essi cdla madre
per dichiararle come stieno i loro fatti. Ma udendo come tu fai guardare questa
donna , io dirigevami a supplicare la figlia tua perché a lei m' introducesse.
E questo cestello , io recavalo meco per certificare i miei detti. Ora poiché
tur sei fermo di ricondurre qua li garzoncelli , ne esulto ; e manda con me chi
vuoi , che io dimostreroUi , perchè loro si annunzino gli ordini tuoi. Cosi
dunque diceva per allontanare la morte de’ giovani , e sperando egli insieme
fuggire da quelli che sei menavano , quando sa- rebbe ne’ monti. Amulio
immantinente invia con esso i più fidi tra’ suoi militari , ordinando però
segretamente che afferrino , e gli rechino quelli che il pastore dimo-
strerebbe. Intanto deliberò chiamare il fratello e farlo custodire , ma senza
catene finché 1’ affare presente se gli acconciasse. Lo chiamò dunque ma in
vista ben di altre cose. Mosso l’ araldo speditogli , dalla benevolenza e dalia
compassione de’ mali di lui che pericolava non tacque i disegni di Amulio a Numitore
: e questo ma- nifestando a’ giovani l’ infortunio che pendeva su loro , e
confortandoli a farla da valentuomini , -andò alla reg» già tra le arme di
clienti , di amici , e di non pochi servi fedeli ; e lasciato il mercato pel
qual erano venuti in città , vi andarono ancora co’ pugnali sotto degli abiti i
contadini, gente robustissima. £ forzando tutti con impeto comune l’ ingressa ,
non presidiato da molli , Digitized by Google LIBRO I. I l5 bea tosto uccisero
Amulio , e presero poi la fortezza. Cosi Fabio ne racconta su ciò. ' LXXV.
Altri però giudicando non convenirsi punto di favoloso alla storia dicono
inverisimile che la proje> zione de’ fanciulli non seguisse com’ era
ordinata ; e di- cono che l’amorevolezza della lupa che porge le- mam- melle ai
fanciulli è piena di comiche incoerenze. Rac- contano invece che Nnmitore al
conoscere la gravidanza d’ Uia , ne tramutasse poi nel parto i figliuoletti ,
sup- plendovene altri nati di fresco ; e dandoli in fine ai cu- stodi della
parturieute , perchè al re li recassero. Sia che la fedeltà di questi fosse
comperata con oro , sia che la sostituzione fosse compiuta per mezzo di fem-
mine ; ad ogni modo Amulio prese ed uccise gli spurj; laddove i figli d’ llia
cari più che ogni cosa a Numito- re , furono da lui salvati, e consegnati a
Faustolo. As- seriscono che un tal F austolo era un Arcade , originato da’
compagni di Evandro , alloggiato in sul Pallanteo colla cura degli armenti di
Amulio ; e che condiscen- desse di allevare i figli di Numitore , indottovi da
Fau- stino (i) , fratello sno , presidente de’ bestiami di ]Vn- mitore i quali
pascolavano per 1’ Aventino : essere stata la nudrice , la esibitrice delle
poppe sue , non la lupa , ma com’^ verisimile la moglie di Faustino detta Lau-
renza , e Lupa con soprannome da quei del Pallanteo perchè prostituiva il suo
corpo. Certamente era questo (i) Questo nome si legge Tariaroenle. Plutarco io
Rumalo Io chiama PUiacino. Altri Io ha chiamalo Fausto: perchè tra Faustolo e
Fausto siavi somiglianza come tra Romolo e Remo : ed altri con molla con-
fusione lo chiama Faustolo come il fratello. V Digilized by Google 1 1 6 DELLE
Antichità’ romane il greco aatico ^ soprannome per le femmine le quali si
vendono ne’ riti di amore , e le quali ora con più gen- til nome, amiche si
appellano. E «quindi alcuni che ciò non sapevano ne tesserono la fàvola della
Lupa , cosi chiamandosi quella bestia tra’ Latini. Aggiungono che i fanciulli
slattati appena , filrono dagli aj loro man- dati a Gabio città non lontana dal
Pallanteo perchè vi prendessero greca istruzione ; e che nudriti colà presso
gli ospiti di Faustolo Gno alla pubertà furono ammae- strati nelle lettere ,
nel canto , e nell’ uso greco delle armi ; che rivenendo poscia ai padri loro
putativi bri- garonsi co’ pastori di Numitore intorno de' pascoli co- muni , e
li percossero , e gli allontanarono colle greg- gie : essere tali cose state
fatte col volere di Numitore perché si avesse un principio di ridami, ed una
causa onde la turba de’ pastori in città si recasse : che dopo dò Numitore fe’
lamentanze contro di Amulio , quasi per grave danno e ruberie de’ pastori di
lui ; diman- dando che se egli non avead parte, gli desse nelle mani il porcajo
, reo delia lite , e li Ggli di quello : che Amulio a rimuovere da sè quella .
incolpazione , ordinasse a tutti gli accusati , ed a quanti si dicevano essere
stati presenti al successo di comparire in giudizio per Numi- tore : che
insieme concorrendo molti altri sul pretesto di quella causa, Numitore dicesse
a’ nipoti quanta, scia- gura gli avea perseguitali : e dimostrando^ lui che
quella, se altra mai ve ne fu , quella appunto era 1’ ora della vendetta ,
iramautiuenle volarono colla turba de’ pastori all’ assalto. E queste sono le
memorie su la origine e su la educaziouc de’ fondatori di Roma. "iqitized
by Google LIBtlO I. 1 1 7 ' LXXVI. Ecco poi le cose avvenute nella fondazione:
ciò clic mi resta anche a scrivere, ed ora mi vi accin- go. Poiché Numitore col
morirsi di Amulio riebbe il principato ; spese breve tempo a riordinare su le
anti- che maniere la città , già premuta colla tirannide , e ben tosto
fabbricandone un’ altra , meditava di crearvi anche un regno pe’ figli.
Pareagli bello , essendosi il po- polo suo troppo moltiplicato , levarne
totalmente la parte almeno già sua contraria , per non più sospet- tarne. E
comunicatosi co’ figli , ed essendone questi di- lettati ; diè loro , perchè vi
regnassero , le terre dove erano stali allevati , e la parte del popolo
divenuta a lui sospetta , e disposta ancora per fare innovazioni , e quanti
voleano spontaneamente mutar sede. Ci avca tra questi , come per una città che
si mova , molti della plebe , e buon numero de’ più potenti , anzi pure dei
Trojani reputati più nobili , de’ quali esistevano ancora a’ miei giorni ,
almeno cinquanta famiglie. Diede a’ gio- vani danaro , arme , frumento ,
schiavi , bestie pe’ tras- porti , è quanto ricercasi per la fondazione di una
cit- tà. Poiché questi ebbero cavato da Alba il popolo loro, aggregarono ad
esso quanti rimaneano nel Pallanteo e nella Saturnia , e ne divisero tutta la
massa in due parti. Sembrava loro che ciò desterebbe dell’ ardore nella gara di
compiere più speditamente un lavoro ; quando fu causa del pessimo de’ mali ,
cioè di una sedizione. Im- perocché celebrando le due parli il suo capo ,
ciascuna lo inalzava come il più idoneo al comando di tutti: al-tronde li due
capi non più avendo una mente e non quella di fratelli , ma di soprastanti 1’
uno su 1’ altro , Digitized by Coogle 1 1 8 DELLE Antichità’ romane ornai non
curavano 1’ eguaglianza , e moltissimo ambi'^ hivano. Celatasi fin qui ,
proruppe finalmente la loro ambizione per questo incontro. Non piaceva
ugualmente a ciascun d'essi il luogo per fabbricarvi la città : vdleala Romolo
sul Pallanteo per più cause , e per la prospe- rità del luogo , essendovi stati
salvati e nudriti : ma sembrava a Remo da edificarsi nella sponda che ora da
lui lìomoria si addi manda (i). Ben erane il luogo ac- concio per una città ,
su di un colle non lontano dal Tevere , in distanza di circa trenta stadj da
Roma. Da tal gara appalesaronsi ben tosto le voglie di soprastarsi; apparendo
assai chiaro che qual, di essi prevaleva sul- r altro dominerebbe ancora su
tutti. LXXVII. Passato intanto alcun tempo, nè sceman. dosi punto il dissidio ,
parve ad ambedue da rimetter- sene all’ avo materno , e si recarono in Alba. E
colui suggerì che lasciassero giudicare agli Dei , quale di loro due desse nome
e comandi alia colonia. E predestinan* do ad essi il giorno , ordinò che si
trovasserò di buon mattino separatamente ciascuno nel luogo ove 'bramava porre
la sede : e che sagrificandovi prima secondo le usanze agl’ Iddii vi
osservassero gli uccelli propizj : e qudlo di loro due per cui sarebbero gli
uccelli più fausti , quello comandasse la colonia. •! giovani lodato il
consiglio partirono , e trovaronsi poi nel giorno deci- sivo , appunto come
avevano convenuto. Prendeva Ro- molo gli augurj sui Pallanteo dove ujeditava
fissare la (i) Pesto con altri colloca Komeria nelle cime dell’ Arentino : ma
Dionigi sembra collocarla più lontana. Sarebbero mai state due que- ste Romnrie
, o Remurie t Digitized by Googic LIBRO I. II9 colonia : ma Remo nel colle
contiguo , detto Aventino, o Romoria , come altri raccontano. Erano con essi le
guardie , perchè non permettessero che alcuno de’ due dicesse altre cose che le
vedute. Postisi ambedue nei luoghi convenienti ; Romolo dopo un poco , per
ansia, -e per invidia del fratello , e più che per invidia , per impulso forse
di un qualche Nume , innanzi di avere osservato alcun segno , quasi il primo
avesse veduto lo augurio lieto , spedi messaggeri al fratello, perchè a lui ne
'venisse prontamente. Ma non accellerandosi questi , perchè vergognosi di
portare un inganno p intanto sei avvoltoi , volandogli a destra , apparirono a
Remo. Era costui lietissimo delia veduta , ma dopo non molto gli inviati da
Romolo , movendolo , sei menarono al Pallaa" teo. Dove giunti , Remo
chiedeva da Romolo , quali uccelli avesse veduto : e dubitando Romolo come
rispon- dere ; ecco dodici avvoltoi , propizj col volo gli si mo- strarono.
Inanimato al vederli disse, addiundoii a Re- mo: che cerchi tu s pel tempio , e
per gli usi del comune. Tale era la partizione fatta da Romolo ne’ terreni e
negli uo* mini diretta alla massima eguaglianza comune. Vili. Ora dirò della
partizione degli uomini per con- cedere privilegi ed onori secondo la dignità
di ciascu- no. Scevrò gli uomini cospicui per nascita, o lodati per virtù , o
comodi secondo quel tempo per danaro , pur- ché avessero prole , dagl’ ignobili
, dagli abietti e dai bisognosi. E plebei nominò quelli di sorte deteriore ,
che il greco appellerebbe dimolici ; ma intitolò padri quei di fortuna migliore
sia che per la età maggioreg- giassero su gli altri , sia perchè avessero figli
, sia per la chiarezza della prosapia, sia per tutte queste cagioni ; pigliando
, come può congetturarsi , 1’ esempio dalla repubblica degli Ateniesi , quale
esisteva in quel tem- po. Imperocché questi chiamavano Eupatridi principal-
mente o patrizj li più distinti per nascita , e più potenti per danaro , a’
quali afQdavasi la cura della repubblica : e chiamavano agrici , o rustici gli
altri che di niente
eran arbitri sul comune: ma col volger
degli anni fu- rono ancor essi elevati agli onori. Per tali cagioni di- cono
gli scrittori più credibili delle cose romane che Padri fossero nominati que’
valentuomini , e patrizj i squadre de* cavalieri erano divise in decurie come i
chiaro da Var- rooe e da Polibio. Digitized by Googl LIBRO li. i35 loro
discendenti. Ma coloro che guardano 1’ affare con occhio d’ invidia , e
malignano su le origini vili di Ror ma , non dicono che i patrizj avessero
questo nome per tali cagioni , ma perchè soli potevano additare gli autori
della loro generazione ; quasi gli altri non fossero che vagabondi, o senza
liberi padri. E davano per sicuro argomento di ciò , che quando piaceva al re
di convo> care i patrizj , gli araldi gl’ intimavano pel nome loro e per
quello ancora de’ padri ; laddove pochi banditori invitavano alle adunanze i
plebei rinfusamente col buc- cinare de’ corni da bove : ma nè la intimazione
per mezzo di araldi è buon segno degl’ ingenui natali , nè il snon della buccina
è simbolo della ignobilità de’plebei: ma la prima recavasi per onorificenza ;
spandevasi l’altro per compendio ; non riuscendo invitare in poco tempo a nome
tutta la moltitudine. IX. Poiché Romolo segregò li più degni dai men ri-
guardevoli , ordinò per leggi le incombenze degli uni e degli altri. Adunque
stabili che i patrizj intenti con esso alle cure pubbliche fossero i sacerdoti
, i magistrati , i giudici , ma che li plebei , liberi da tali sollecitudini
per la imperizia e per la penuria , lavorassero le terre , al- levassero i
bestiami , ed esercitassero le arti mercenarie, perchè non sorgesse fra loro
sedizione, come in altre città , quando gli uomini di grado spregiano gli igno-
bili , o quando i vili c poveri invidiano la preminenza degli altri. Affidò ,
qual deposito , a’ patrizj i plebei , concedendo a ciascuno di questi di
eleggersi liberamente tra quelli un patrono. Greca antica consuetudine era
questa ritenuta lungamente da’ Tessali , e dagli Ateniesi Digilized by Coogle
i36 DELLE Antichità’ ro3Iane quando ancora conoscevano il meglio : ma poi
declina** rono al peggio, ed insolentirono su’ clienti; comandando loro cose
non degne di uomini ingenui, minacciandoli di battiture se non ubbidivano, ed
abusandoli con altre maniere , quasi schiavi comperati- Gli Ateniesi chiama-
vano Thitas pe’ servigi che rendevano , i Clienti , ed i Tessali li chiamavano
Ponesti (i) vituperandone fin col nome stesso la condizione. Ma Romolo fregiò
con nome conveniente , chiamandola patronato , la garanzia de’ bi- sognosi e
degl’ infimi : e date all’ uno ed all’ altro utili cure , ne rendè la
congiunzione benevola veramente e cittadina. X. Le obbligazioni stabilite da
lui sul patronato e conservatesi lungo tempo tra’ Romani erano queste: do-
veano i patrizj informare i clienti della legge che igno- ravano , doveano
prender cura di loro ugualmente, fos- sero o no presenti , e far su di essi
come i padri su’ figli, quanto alla roba , ed ai contratti su la medesima ; mo-
vendo liti pe’ clienti se altri ne era danneggialo , su contratti , e subendola
, se altri la moveano. E per dir molto in poco , doveano proctware. ad essi
tutta la ti'an- quillità della quale abbisognavano nelle cose domestiche e
nelle pubbliche. I clienti a vicenda se i patroni scar- seggiavano di beni
doveano coadiuvarli , maritandosene le figlie : doveano riscattarli da’ nemici
se alcuno di essi (i) Diouigi qui paragona i clienii Romani, i TMti drgli
Ateniesi ed i Penesti dei Tessali : ma i Thili erano almeno liberi , e servi-
vano per la miseria o pe' debiti. 1 Penesù dei Tessali erano un in- termedio
tra gli schiavi e gli uomini liberi. Non era cosi de’ c.ieuti Romani. Questi
non di raro parteggiavano o superavano la fortuna dc'pauoui. Digitized by
Google LIBRO ir. 187 o de’ figli rtmaDeva prigioniero : pagare del proprio per
loro non a titolo di prestito , ma di gratitudine le liù perdute , e le
pubbliche multe tassate in moneta : e con- correre quasi ne spettassero alle
famiglie , nelle spese di essi per le magistrature , per gli onori , e per le
altre pubbliche dimostrazioni. Quanto ad ambedue poi non
era lecito o giusto pe’ clienti o patroni
che gli uni ac- cusassero gli altri ; che si dessero testimonianze e voti
contrari ; o si lasciassero cercare gli uni per nemici degli altri. E se alcuno
era convinto di aver fatto l’opposito, soggiaceva alle leggi di tradigione
promulgate da Ro- molo : ed era per chiunque santa cosa lo ucciderlo , come
vittima a Dite ; costumando i Romani di consa- grare agl’Iddj , spezialmente
infernali , le persone alle quali volevano impunemente dare la morte, come fece
allora anche Romolo. Adunque perseverarono per molto tempo tramandandosi da
figlio Jn figlio le congiunzioni dei patroni e dei clienti, senza che niente
differissero dai ligami strettissimi di parentela. Ed era gran lode per uomini
d’ inclita stirpe aver clienti in più numero , cu- stodendo i patrocini
lasciati loro dagli antenati , ed acquistandone altri ancora colla propria
virtù. E mera- vigliosa era la gara di ambedue per non lasciarsi vin- cere gli
uni dagli altri nella benevolenza ; proferendosi li clienti a far quanto
potevano verso de’ patroni ; nè volendo i patrizi dar loro molestia con
riceverne da- nari in dono. Così era tra loro il vivere condito con ogni
diletto ; e . la virtù non la sorte era la misura della felicità. XI. Non
solamente poi vivea sotto l’ ombra de’ patrizi i38 DELLE Antichità’ romane la
plebe di Roma; ma quella delle colonie di lei, quella delle città confederate
ed amiche , e quella ancora delie conquistate colle armi tenevasi per custode e
protettore qual più voleva de' Romani. E più volte il senato ri- mettendo ai
protettori le controversie di città e di na- zioni confermò le sentenze date da
essi. Anzi era tanta la concordia de’ Romani cominciando dall’ ora che Ro- molo
ne fondava i costumi , che mai per secento venti anni tumultuarono con stragi e
sangue, sebbene nasces* sero intorno del comune molte e gravi dispute tra la
plebe e li magistrati , come nascono in tutte le città , picciole o popolose :
ma illuminandosi , e persuadendosi a vicenda , e parte concedendo , parte
ottenendo racche- tavano le interne dissensioni. Dacché però Cajo Gracco,
divenuto tribuno , sconvolse 1’ armonia della città , non cessano dal
sopraffarsi colle stragi e con gli esilj ; nè risparmiano misfatto per
vincersi. Ma per dir tanti mali avrem poi luogo più acconcio. XII. Ordinate
tali cose , ben tosto Romolo deliberò di creare i consiglieri co’ quali
dividere le pubbliche cure , e trascelse cento de’ patrizj cosi facendone la
se- parazione. Prima nominò fra tutti il più idoneo , a cui si afBdasse lo stato
, quando egli coll’ esercito uscireb- bene dai confini. Quindi prescrisse a
ciascuna tribù di scegliersi tre uomini , savissimi per età come insigni per
nascita. Fissati questi nove impose ancora che ciascuna delle curie eleggesse
tre li più opportuni fra li patrizj. Infine unendo ai primi nove dichiarati
dalle tribù li novanta determinati col voto delle curie , e facendo pre-
sidente di tutti quell’unico prescelto da lui ; compiè la Digitized by Google
LIBRO II. 1 39 serie di cento consiglieri. Potrebbe il consesso di «pesti
signiBcare tra’ Greci un senato , e con tal nome chia- masi appunto tra’
Romani. Nè io saprei deGnire se un tal nome se lo acquistasse per la età senile
, o per la virtù dei membri che vi furono incorporati. Certo so- lcano gli
antichi dir seniori i più maturi negli anni e nelle opere. Quanti ebbero luogo
in senato furono chia- mati e si chiamano ancora Padri Coscritti. Greca
isti-tuzione era questa : perocché quanti regnavano , sia pei^ chè succeduti a’
diritti paterni , sia perchè nominati capi dalla moltitudine, aveano un
consiglio di ottimi uomini, come attestalo Omero , e poeti antichissimi : nè le
mo- narchie primitive de’ principi erano, come ora , assolute, e Gsse agli
arbitrj di un solo. XIII. Ordinato il consiglio de’ cento seniori, vedendo che
egli avea bisogno di una gioventù regolata da usarla in guardia del corpo suo ,
come per incumbenze di af- fari pressanti , unì trecento i più robusti delle
più in- signi famiglie. Le curie nominarono ciascuna dieci di questi giovani
come aveano nominato li senatori ; ed egli tenea sempre con sè tali uomini. E
tutti , panti erano stabiliti in quella schiera , aveano il nome di Ce- leri ,
come dai più si scrive , per la speditezza ne’ loro servizj ; chiamandosi
Celeri dai Romani gli uomini pronti e spedili nell’ operare. Ma Valerio Anziate
dice che lo derivarono dal duce loro , Celere nominato. Era un tal duce
riguardevolissimo nel suo grado ; ed a lui ubbidi- vano tre centurioni , ed a’
centurioni altri capitani mi- nori. Questi lo accompagnavano per la città colle
aste, pronù ai suoi cenni: ma nel campo erano propugnatori Digitized by Gopgle
i4o DELLE Antichità’ romane e custodi : e spesso dirigevano a buon fine ia
battaglia,- primi a cominciarla , ed ultimi a levarsene. Combatte- vano, dove
il luogo consenti vaio , a. cavallo; ma appiè, dove era aspro , nè proprio da
cavalcarvi. Sembrami cbe un tal uso lo derivasse da’Lacedemoni coll’intendere
die tra quelli vegliavano alla custodia dei re, e li pro- teggevano nelle
guerre giovani generosissimi, buoni per militare a cavallo ed appiede. XIV.
Composte in tal modo le cose , comparti gli onori ed i poteri cbe volevano in
ciascuno ; presceglien- done tali primizie pe’ monarchi. Volle dunque cbe
avesse il -re primieramente la presidenza de’ templi e de’ sagri- fizj , e che
tutte per lui si compiessero le sante cose in verso de’ Numi : cbe fosse il
custode delle leggi e dei patrj costumi: che avesse cura dei diritti
provenienti dalla natura o dai patti : che esso giudicasse delle in- giustizie
capitali ; ma rimettesse il giudizio su le altre ai senatori , e provvedesse
che niente si peccasse ne’ tri- bunali: cannasse il Senato, convocasse il
popolo, e pri- mo vi dicesse il parer suo , ma seguitasse quello dei più. Tali
sono le prerogative che egli riservò pe’ mo- narchi, oltre quella di un comando
indipendente nelle guerre. Al consesso poi de’ senatori attribuì questi onori,
e questa autorità : cioè , che esaminassero le cose che il re proporrebbe , e
ne votassero , ma vi prevalesse la sentenza dei più. Trasse quest’ uso ancora
da' Lacede- moni : perciocché li re de’ Lacedemoni non si pre- ponderavano da
fare a lor modo , ma l’ autorità su-t prema terminavasi nel senato. Lasciò da
ultimo al popolo il potere di eleggere i magistrali , di appro- » Digitized by
Goc^le LIBRO II, l4l Tare le leggi e discutere intorno la guerra quando al re
ne paresse, non però deOnitivamcnte se contrario tosse il senato. Il popolo
dava i sufTragj non tutto in un corpo , ma convocato per curie ; e riferivasi
poscia al senato ciocché le più sentenziavano. Ora cangiata è la consuetudine ;
imperocché non è il senato che ratifica le sentenze del popolo ; ma il popolo è
1’ arbitro delle sentenze, del senato. Io lascio , che chi vuole esamini quale
di queste due consuetudini sia la migliore. Con tali scompartimenti le cose
civili prendeano marcia savia e regolata , e le militari altresì la prendeano
docile e pronta. Imperocché quando fosse piaciuto al re di muo- ver l’ esercito
, non aveansi a creare i tribuni dalle tri- bù , nè li centurioni dalle
centurie , nè li maestri dai cavalieri ; nè restava àd alcuno di essere
coscritto , o scelto , o di ricevere il posto che gli conveniva. Ma il re
intimava i tribuni , e li tribuni i centurioni. All’ av- viso di questi
ciascuno dei decurioni cavava i soldati , subordinati a sé stesso. Così per un
solo comando la milizia, secondo che era chiamata , in parte o del tutto,
presentavasi colle arme al luogo destinato. Xy. Romolo abilitando la città
pienamente per la pace e per la guerra con tali istituzioni , la rendè con esse
grande e popolosa : obbligò primieramente gli abi- tanti ad allevare tutta la
prole virile, e le primogenite delle femmine , con ordine che non uccidessero
niun in- fante più recente di tre anni , se pure non era storpio, o mostruoso
fin dalia nascita. Tali sconci bambini non proibì che via si esponessero , se
presentatigli a cinque uomini dei più vicini , vi consentissero. E per chi vio-
Digitized by Google i43 delle Antichità’ romane lasse questa legge stabili fra
le altre pene la con6sca di una metà delle loro sostanze. Considerando poi che
molle delle città d’ Italia erano miseramente premute dalla tirannide di uno o
di pochi; procurò di ricevere e di tirare a sè li tanti che ^ne fuggivano ,
purché fos- sero liberi , senza esaminarne i pregiudizi , o la sorte , e tutto
per ampliare la potenza romana , e diminuire quella de’ vicini. Adunque fe’ ciò
cogliendone una bella occa- sione su le apparenze di onorare gl’ Iddi!.
Fondatovi un tempio , non saprei deci ferace a quale de’ Numi , o dei genj ,
dichiarò come asilo per chi ricorrevaci il luogo tra ’l Campidoglio e la
fortezza, ora detto nell’ idioma de’ Romani il basso tra le due selve , e
nominato allora cosi , per essere quinci e quindi coperto dalle ombre delle
piante amplissime delle terre contigue ai due colli. Inoltre per la riverenza
de’ Numi, promise a chi rifug- givasi al santo luogo che non ci avrebbe
molestie dai nemici , anzi , che se voleva albergare presso di lui ,
parteciperebbe ai diritti sociali , ed alle terre che leve- rebbe altrui
guerreggiando. Pertanto vi si affollavano d’ ogn’ intorno uomini che fuggivano
i mali domestici ; nè altrove poi si trasferivano allettati dai colloquj , e
dalle cortesi maniere di lui. XVI. La terza istituzione di Romolo , degna soprat-
tutto che i Greci la osservassero , e certo la migliore , come io penso di
tutte , la quale fu principio della li- bertà stabile de’ Romani , nè poco
contribuì per la for- mazione dell’ impero , la terza istituzione fu di non uc-
cidere tutta la pubertà delie città debellate , nè di ri- durre queste come
terre da pascervi , ma di mandare \ Digitized by Googl LIBRO li: 1 43 in esse
chi se ne avesse in parte i campi , e di ren- derle , quando erano vinte ,
colonie de’ Romani, e tal- volta ancora di ammetterle ai diritti stessi di
Roma. Introducendo queste e simili pratiche fe' grande la co- lonia sua di
picciola , come la cosa stessa dichiaralo. Imperocché quelli che fondarono Roma
con esso, erano non più che tremila fanti nè meno che trecento cava- lieri ; laddove
quando egli spari dagli uomini vi lasciò quarantaseimila fanti , e poco meno
che mille cavalieri. Ma se egli basò tali regole , le custodirono poscia i re
die gli succederono , e dopo i re li magistrali che pi- gliavano di anno in
anno il comando, aggiungendone altre per modo , che il popolo romano trovasi
non in- feriore a niuno tra quanti sembrano i più numerosi. XVII. Ora
paragonando con questi i Greci costumi , non so come lodare le pratiche de’
Lacedemoni , dei Tebani , e degli Ateniesi che tanto pregiano sé stessi per
sapere. Essi gelosi troppo dell’ incorrotto loro li- gnaggio, non comunicarono
se non a pochi i diritti della propria repubblica , per non dire che taluni
ripu- diavano anche gli ospiti. Da tale arroganza però non solo non raccolsero
alcun bene, ma gravissimamente ne scapitarono. Cosi gli Spartani battuti nella
pugna di Leut- tra con perdervi mille settecento de’ suoi : non solo non
poterono mai più rilevarsi da quel danno , ma deposero turpemente il comando :
e cosi li Tebani , e gli Ate- niesi per la sola sconfitta riportata in Cberonea
furono in un tempo spogliati da’ Macedoni e della preminenza su la Grecia , e
della libertà. Ma Roma , brigata in guerre gravissime nella Spagna e nella
Italia , brigata a i44 DELLE Antichità’ romane ricuperare la Sicilia e la
Sardegna che le si erano ribel-' late , quando ardevano tutte in arme contro
lei la Grecia e la Macedonia, quando Cartagine eie varasi novamente a
disputarle il comando , quando l’ Italia , non che essere quasi tutta in rivolta,
trae vale addosso la guerra detta di Annibaie ; Roma in mezzo a tanti pericoli
, quasi contemporanei , non solo non si abbattè ; ma ne rac- colse forze
maggiori che dianzi , proporzionandosi fino per contrapporle a tutti i mali. Ne
consegui già questo per favore di sorte propizia come alcuni sospettano ;
mentre per conto della sorte sarebbe andata in rovina con la sola sciagura di
Canne ^ quando di sei mila suoi cavalieri ne rimasero appena trecentosettanta ,
e di ot- tanta mila soldati ne scamparono pochi più che tre mila. XVIII. Ora
queste e le cose che io son per aggiun- gerne fanno che io prenda meraviglia su
Romolo. Im- perocché avendo concepito che le cause dello stato flo- rido di una
città sono quelle che tutti decantano , ma pochi seguitano, cioè primieramente
la carità verso gli Iddii, colla quale tutte le cose degli uomini si risolvono
in bene , e secondariamente la temperanza e la giustizia, per la quale men si
offendono e più concordano fra loro , nè misurano la felicità co’ sozzi
piaceri, ma colla rettitudine , e finalmente la fortezza nel combattere , la
quale rende utili a chi le possiede anche le altre virtù ; ciò, dico, avendo
Romolo concepito, non pensò che tali perfezioni provenissero per sè stesse, ma
conobbe che le leggi provvide , e la bella emulazione nel disci- plinarsi,
formano appunto una città pia, prudente, giu- sta, bellicosa. Adunque molto in
ciò vigilando , comin- 1 Digitized by Googlf - L 1 BI \0 II. 145 ciò dal cullo
de’ genj e de’ Numi : e seguendo le leggi migliori de’ Greci mise in pregio le
sanie cose , io dico i templi , gli altari , le statue , le immagini , i
simboli , le forze, i doni co’ quali gli Dei ci beneGcano, e le feste
convenevoli per ogni genio o Nume; e li sacriGzj coi quali gradiscono essere
venerati dagli uomini , e le ces- sazioni dalle arme, e li concorsi, e li
riposi dalle fati- che , e quanto si addita di simile. Ripudiò le favole che
sen divulgano , sparse di bestemmie e di accuse contro di loro , giudicandole
ree , dannevoH , obbrobriose , in- degne di un uomo dabbene non che de’ Numi ;
e ri- dusse gli uomini a dire e sentire magniGcamente su’Nu^ mi , non a
gravarli di cure aliene da una natura beata. XIX. Già non si ode tra’ Romani nè
Gelo castrato da' Agli , nè Crono che stermina i figli per timore di essere da
loro assalito , nè Giove che scioglie il regno di Crono, e rinchiude il suo
genitore nella prigione del Tartaro. Non le guerre vi si odono , non le ferite,
e le catene e le servitù degli Dei presso gli uomini : non feste vi si usano
atre e dolorose per gli cluiaii e per il lituo di femmine che piangono gli Dei
levati loro , come in Grecia il ratto si piange di Proserpina, e le avventure
di Bacco , e cose altrettali. E quantun- que ornai li costumi vi si corrompano
, niuno ravvisa colà nè uomini invasali da’ Numi , nè furie di coribanti, nè
baccanali , nè misteri iuelfjbili , nè veglie notturne di femmine e raaschj nei
templi , nè osservanze consi- mili , ma ravvisa tutto praticarvisi e dirvisi
verso gli Dei con tanta pietà con quanta non si pratica o dice BIONICI, tomo I.
IO Digitized by Google l46 DELLE ANTICHITÀ.’ ROMANE tra’ Greci o tra’ Barbari.
Eid io vi ho soprattutto ammi- rato, che sebbene sieno venute a Roma tante
migllaja di esteri necessitati a venerare ciascuno i suoi Dii coi riti delle
patrie loro ; pure mai questa , come pur troppo succedette ad altre città , non
venne in desiderio di ri- ceverne pubblicamente il culto peregrino : e seper le
risposte degli oracoli introdusse talvolta sante cose come quelle della madre
Idea , le onorò co’ riti suoi propri! , escludendone quanto ci avea di
superstizione e di favola. Quindi i pretori ogni anno apprestano alla diva Idea
sagrifizj e giuochi secondo le leggi romane : ma un fri- gio , ed una donna ,
fHgia ancor essa , le immolano il sacriGzio. Questi la recano in giro per la
città que- stuando per la dea come è loro costume, fregiati di immaginette ne’
petti , movendo il passo , e percotendo i timpani intanto che altri gli
accompagnano col suono delle tibie , e cantano gl’ inni della gran madre : ma
ninuo de’ Romani nativi ornato con veste di vario co- lore va per la città
questuando o sonando di tibia , o venerando con frigie adorazioni la diva (i) ;
e tutto è secondo le leggi ed il voto del senato. Tanto è cauta la città su gli
usi forestieri interno de’ Numi ; e tanto ne ripudia le osservanze vane nè
decorose ! (i) Questo (ratto su la madre Idea non è ben chiaro. Sembra che il
culto de lei fosse ricerulo ed eseguito in una parte solamente colle leggi
romane. Quei riti che non erano ricevati non poteano esercitarsi dai Romani.
Dei resto Dionigi forse afferma senza verità che gli Dei forestieri adottati in
Roma non si veneravano co' riti ancora de' forestieri . Arnob. lib. a e Valerio
Massimo lib. primo possono dimostrare il contrario. 4 Digilized by Coogle LIBRO
II. 147 XX. Nè credasi che io non sappia che alcune delle favole greche sono
utili agli uomini. Certamente talune dimostrano allegoricamente le opere della
natura : e ta- lune furono simboleggiate per confortarci ne’mali; altre levano
i 'turbamenti ed i terrori dell’ animo , e lo pur- gano dalle opinioni non sane
, ed altre ancora per altro buon termine furono immaginate. Ma quantunque io
nommeno che gli altri , conosca tali cose , pure vi sono assai cauto , ed
ammetto piuttosto la teologia de’ Roma- ni; considerando che tenui sono i beni
derivati dalle favole greche e che non possono far utile se non a pochi , a
quelli cioè che investigano le cagioni per le quali furono inventate. Ora ben
rari possiedono questa fìloso6a ; ma la moltitudine ignorante suole rivolgere
al peggio i discorsi che se ne fanno , e patirne 1’ una o l’altra miseria ,
cioè di spregiare gl’ Iddii come implicati in 'tanto malfare, o di non
contenersi m.ii più da in- giustizie e da vituperi , vedendo die sono questi
gli esercizi de’ Numi. XXI. Ma lascisi ciò da contemplare a quelli che que« sta
parte sola si appropriano di filosofia. Quanto al go- verno istituito da Romolo
io reputo degne della storia queste cose ancora : e primieramente il numero
delle persone che egli deputò per le cure religiose. Certo niuno potrebbe
additare in altra nuova città stabilitovi fin da’, principi .tanto sacerdozio e
tanto ministero dei Numi. Per non dire de’ sacerdoti gentilizi, furono sotto il
regno di lui creafi sessanta 'sacerdoti che fornissero le pubbli- che divine
funzioni delle curie e delle tribù. Nè io qui ridico non le cose che descrisse
nelle sue antichità t Digitized by Coogie i48 DELLE Antichità’ romane Terrenzio
Varrone , peritissimo tra quanti Borirono ai suoi tempi. Poi siccome altri per
lo più fanno ineonsi- deratamente , e malamente la scelta de’ sacri ministri ;
siccome altri ne mettono a prezzo le dignità per la voce de’ banditori; e
siccome altri infine le compartono a sorte; egli non volle che fossero il
premio dell’argento, o della sorte , ma decretò che si nominassero da ' ogni
curia due uomini , maggiori di cinquanta anni -, pteemi- nenti di lignaggio ,
insigni pe’ meriti , agiati abbastanza di averi , nè difettosi in parte della
persona. E comandò che questi avessero quegli onori non a tempo ma du- rante la
vita , e che essendo per la età già liberi dalle cure militari , lo fossero per
legge dalle politiche. XXII. E siccome alcuni sagrifizj si aveano a fare dalle
femmine , ed altri da’ giovani , aventi tuttavia pa- dre e madre ; cosi perchè
questi ancora degnamente si amministrassero , ordinò che le donne de’ sacerdoti
fos- sero le compagne de’ mariti ancora nel sacerdozio ; che esse compiessero
le sante cose che le leggi della patria non permettevano agli uomini, ed i figli
loro prestassero il servigio, proprio de’ giovani: Che se non avevano prole
scegliessero dalle altre case nella curia loro i più graziosi tra’ fanciulli e
fanciulle, perchè ministrassero, quelli fino alla pubertà , queste finché erano
pure senza le nozze (i). Io credo che Romolo derivasse questé pra- tiche ancora
da’ Greci ; mentre ciò che ne’ Greci sacri- (i) Qnesii fanciulli cosi eleni
anche dalle altrui case erano chia- mati Camillì e Camille. Plutarco nella vita
di Numa accenna elio cosi chiamavansi que’giovinelti che ministravano «1
sacerdote di Giove, • Digitized by Google LIBRO II. 1 49 ficj forniscono quelle
che Canifore si domandano , lo compiono tra’ Romani quelle che Camille (i) son
dette, cinte di ghirlande la testa , come da’ Greci la testa in- ghirlandasi
delle statue di Diana Efesina. E quanto èse- guivano un tempo fra’ Tirreni e
prima già fra’ Pelasghi i Cadolj nelle adorazioni dei Cnreti e degli Dei
Grandi, lo ministravano nel modo medesimo ai sacerdoti i garzon* celli nominati
Camilli tra’ Romani. Prescrisse inoltre che intervenisse da ciascuna tribù ne’
sagriGzj un indovino , che noi chiameremmo Jeroscopo , ed i Romani chia- mano
aruspice , serbando in qualche tenue parte la de- nominazione primitiva ; e
statuì , che li sacerdoti ed i ministri loro fossero tutti nominati dalle
curie, ma con- fermati da quelli che interpretavano i voleri de’ Numi colla
divinazione. XX [II. Ordinate tali cose intorno al servigio divino , divise
ancora , secondo che era per cosi dire opportuno , alle curie le sante cose,
destinando a ciascuna i Numi ed i genj che in perpetuo adorerebbe ; e tassò per
le sante cose le spese che aveansi a supplire dal pubblico. Celebravano coi
sacerdoti le curie i sagriGzj a loro as- segna ti. facendo per le feste il
convito nelle case delle curie.' Perocché vi era in ciascuna curia un cenacolo
, ed insieme vi era un’ edifizio comune , consacrato per tutte ; -.come i
Pritanei tra’ Greci. Que’ cenacoli , quegli edifizj, curie si, chiamavano , e
si chiamano, come le partizioni stesse del popolo (a). E tale istituzione sem-
. (j) La voce Camille manca nel tetto : ma par troppo coerente colla totalità
del senso, Canifore vai quanto portatrici de' canestri. (a) Varroiie
uellil>. 4 della lingua latina diceche gli edirizj ciita- Digitized by
Coogle l!)0 DELLE ANTICHITÀ.’ ROMANE brami che Romolo se l’ avesse dalla
disciplina che fio- riva allora tra’ Lacedemoni ne’ riti sociali. Licurgo avea
ciò , fluttua quella fra le tempeste ; e che però debbe un uomo savio di stato
, legislatore o sovrano che sia dar leggi che rendano i privati prudenti e
giusti nei vivere; Ma qon tutti mi sembra che vedessero egxial- mente còn quali
industrie e leggi si rendessero tali , e sembrami che alcuni assai , per non
dire interamente , mancassero, nelle parti essenziali e primarie della legi-
.slazione.; come subito ne’sposalizj e nel convivere colle femmine , donde un
legislatore dee cominciare , come ne cominciò la natura l’ ordine armonioso di
noi tutti. Imperciocché taluni pigliando esempio dalle bestie vol- lero i
congiungimenti del maschio colla femmina pro- miscui e liberi , quasi fossero
cosi per liberare la vita Digitized by Google i52 delle Antichità’ homane dalle
furie amorose, e preservarla dalie gelosie che uc> cidono , e rimoverla dai
tanti mali che per causa delie femmine invadono le intere città , non che le
famiglie. Altri esclusero dalla città tali silvestri e ferali eoocu» bili
accordando un uomo per una donna : in custodia però delle nozze , e della
moderazione delle mogli , non tentarono più o meno far leggi , ma se ne asten-
nero; quasi impossibile fosse il contrario. Aluri nè la- sciarono, come taluni
de' barbari, le cose amorose senza leggi , nè le mogli senza premunirle come i
Lacedenào- ni, ma vi promulgarono molte e castissime regole. E vi furono pur
quelli che fondarono un magistrato che invigilasse intorno la purità femminile
: ma non bastarono tali provvidenze alla cura. Fu quel magistrato languido più
del dovere , nè potè ridurre a pudicizia chi mal ci avea contemperata la
natura. XXV. Ma Romolo non dando azione all’uomo contro donna se adulterava , o
se abbandonavagli la casa ; nè dandola alla femmina che accusava l’uomo di pes-
sima amministrazione o d’ ingiusto ripudio ; non for- mando leggi sul ricevere
e sul restituirsi della dote , nè definendo altra cosa qualunque , consimili a
queste; ne stabilì solamente una , migliore assai ( come il fatto dichiarò)
delle altre, colla quale fe’ le donne' savie e pudiche e di ogni onoralo
contegno. E la legge fu: che la femmina maritala la quale secondo le sacre
leggi recavasi alt uomo , divenisse partecipe de’ beni e delle sacre cose di
lui. Gli antichi chiamavano con formola romana nozze sacre e legittime la
confarrea- zioiie per l’uso conume del farro .che . noi Zea chia- Digitized by
Coogle LIBRO II. I 53 nilamo. E come noi Greci tenendo l’orzo per antichis-
simo diam principio con esso a’ sagrifìzj ; ed que- sto. cliiamiamo: cosi li
Romani giudicando cibo primi- tivo e pregevolissimo il farro; incomincian col
farro , quante volte una vittima si abbruci. E ul rito persiste, nè si compensò
con altre squisite primizie. L’ essere le donne fatte partecipi con gli uomini
di un cibo il più sacro e primitivo, e della sorte di essi , qualunque fosse,
aveva un nome dalla comunanza del farro , e ciò por- tava un ligame
indissolubile di appropriazione, e niente polca disfare quel matrimonio. Questa
legge necessitava le mogli eome prive d' altro rifugio a vivere co’ modi di chi
aveasele maritate, e faceva agli uomini tenere le donne come cose proprie nè separabili.
Quindi una moglie pudica e docile in tutto al marito, era appunto come r.uorao
, l’ arbitra della casa. Morendo 1' uomo , ne era la erede , come la figlia del
padre : se moriva senza figli e senza testamento , essa era la padrona di ogqi
cosa lasciata da lui , ma se avea de’ figli essa era coerede di parte eguali
con questi. Che se colei pec- cava , avealo giudice della delinquenza , cd
arbitro della grandezza della .pena : se non che li parenti ancora in- sieme
coir uomo la giudicavano fra le altre reità , se avea contaminato il suo corpo
, o se bevuto del vino , mancanza certo nel parere de’ Greci tenuissima. Ambe-
due queste colpe, come le estreme delle colpe femminili, ordinò Romolo che si
-castigassero : la contaminazione qual priimipio d’ insania , e la briachezza
qual principio della contaminazione. E lungo tempo seguirono ambe- due queste
colpe ad avere odio implacabile tra’Romani. Digitized by Google i54 DELLE
Antichità’ RoarANE Ora che buona fosse questa legge su le donne; lo at> testa
la esistenza lunga di essa ; consentendosi che per dnquecento venti anni non si
sciolse in Roma niun matrimonio. Solamente narrasi, che sotto il consolato di
Marco Pomponio , e di Cajo Papinio , nella olimpiade centesima trentesima
settima Spurio Garvilio , uomo non ignobile , il primo lasciasse la moglie ,
costretto In- nanzi però dai censori di giurare , che la donna sua non abitava
in sua casa per generare con esso. Certa- mente la sua donna era sterile: ma
egli per quest’ o- pera, quantunque la necessità ve lo' inducesse , ne ‘in-
corse r odio perpetuo del popolo. • XXVI. Tali sono le leggi egregie di Romolo
colle quali rendè le donne piu disposte inverso de’ -mariti. Assai più gravi e
più convenienti di queste e molto diverse dalle nostre sono le leggi sul
rispetto e su la corrispondenza de’ 6gli , perchè onorino I genitori col dire e
col fare quanto comandano. Coloro che ordina- rono i governi de’ Greci,
istituirono che i' figli rima- nessero un tempo , troppo breve , sotto la
potestà dei loro padri: vuol dire istituirono alcuni che vi restassero tre anni
dopo la pubertà ; altri , fin che erano celibi ; ed altri finché non erano
scritti nelle curie pubbliche: e questo a norma della legislazione appresa da
Soloné, da Pittaco, da Caronda, uomini di sapienza riconosciuta. Preordinarono
ancora delle pene ; ma non gravi su'figli indocili , permettendo ai padri di
espellerli e diseredarli e non altro. Ma le pene miti uon bastano a correggere
la precipitanza e la caparbietà de’ gióvani , nè a ren- derli nel bene attenti
di trascurati. Dond’ è che assai Digitized by Coogle LIBRO II. l55 vlluperii si
commettono da’ Ogli contro de’ padri nella Grecia. Ma il legislatore di Roma
diede a’ padri sul • figlio per tutta la vita autorità compiuta di escluderlo ,
di batterlo , di vincolarlo a’ lavori campestri, e di ucci- derlo ancora se
cosi volessero , quantunque il figlio già trattasse le cose pubbliche , già
sedesse tra’ magistrati supremi , e già si avesse gli applausi per lo zelo suo
verso del popolo. In forza di questa legge uomini rag- guardevoli concionando
da’ rostri su cose contrarie al ' senato', e care al popolo e divenuti perciò
famosi, fu- ròno di là staccati e rapiti altrove da’ padri , perchè su- bissero
la pena che iie voleano ; e traendoseli per lo foro , ninno potea liberarli non
il console , non il tri- buno , e non la plebe da essi adulata , sebbene questa
*■ valutasse tutti men che sé stessa in potere. Ometto di dire quanto i padri
uccidessero de’ valentuomini , spin- tisi per virtù e per ardore a far magnanime
imprese ma diverse da quelle prescritte dai padri , come abbia- mo di Mallio
Torquato e di altri, de’ qnali diremo a suo tempo. XXYII. Né il legislatore di
Roma ristrinse a questo soltanto i padri; ma permise loro anche di vendere i
figli , niente attendendo che altri vinto dalla sua tene- rezza riprendesse la
concessione come dura e gravosa. SopratUttto, chi fu allevato colle maniere
molli de’Greci riguarderà come a(Cerbo e tirannico, che lasciasse i pa- dri
utilizzare su’ figli eoi venderli fino a tre volte , dando licenza più grande
a’ padri sn’ figli che non a’ padroni su gli schiavi. -.Perocché il servo
venduto una volta se riacquista poi la libertà rimane in seguito padrone di
Digitized by Google 1 56 DELLE Antichità’ komane sè : ma il figlio venduto dal
padre se diviene libero ri-' cade di nuovo sotto il padre: e quantunque
rivenduto e liberatosi per la seconda volta; pur trovavasi ancora servo del
padre come in principio ; ma dopo la terza vendita più non era del padre.
Osservavano da principio i re questa legge stimandola rilevantissima, scritta o
non scritta che fosse , ciocché non posso decidere. Disciolta poi la monarchia
, quando piacque ai Romani che si affiggessero nel foro, manifeste ad ogni
cittadino., tutte le leggi e le consuetudini patrie e quelle ricevute di fuori
, perchè il diritto comune non finisse col potere de’ magistrati ; i Decemviri
che erano incaricati dal ' po- polo di compilarle, e distenderle , scrissero
ancora questa legge colle altre: e trovasi nella quarta delle dodici ta- vole,
che chiamano, che essi esposero nel .fòro. Che * poi li decemviri , eletti
trecento t^nni appresso per la ordinazione delle leggi, non diedero essi i
primi questa legge ai Romani , ma che ricevutala come antica molto, non osarono
toglierla, lo deduciamo da molle fonti ,- e principalmente dai decreti di Numa
tra’quali era scritto; Se un padre conceda al figlio di prender moglie la quale
secondo le leggi sia partecipe delle cose sacre e de' beni , questo padre non
avrà fin dt. allora più facoltà di vendere il figlio. Or ciò non avrebbe., cosi
scritto, se per le leggi antecedenti non era permesso af padri di vendere i
figli. Ma basti su 'ciò : frattanto vo- glio dcllneare come in compendio la .
bella istituzione colla quale Romolo ordinò la vita de’ privati. XXVIII.
Vedendo che le adunanze politiche, ove i più sono indocili , non si riJucouo
con magistero di Digitized by Coogle LIBRO II. iSj parole a vivere
temperantemente , a preferire il giusto all’ utile , a dumr la fatica , nè
riputare cosa alcuna più onorata del retto procedere ; ma che piuttosto si
dirigono ad ogni virtù colle consuetudini buone ; e vedendo che quelli ohe si
disciplinano anzi di forza che spontanea- mente, ben presto, se niente
impediscali, ritornano ai geiij loro; non concedette che ai servi ed a’
forestieri di esercitare le arti sedentarie , illiberali , fautrici dei turpi
desideri , come quelle che guastano e profanano i corpi e le anime di chi vi si
applica. E lungo tempo rimasero queste ingloriose tra’ Romani, e ninno che nativo
fosse di que’ luoghi , vi rivolse le industrie sue. Lasciò solamente per gl’
ingenui le due cure della cam> pagna e delle armi ; perocché vide che con
tali maniere di vivere gli uomini signoreggiano il ventre , e meno languiscono
tra gli estri amorosi, nè sieguono quella voglia di arricchire che dissocia i
cittadini a vicenda , ma quella che trae 1’ utile dalle terre o da’ nemici. Ri-
putando imperfette , anzi litigiose queste vite se disgiunte, non ordinò già
che una parte si desse ai lavori del campi , e 1’ altra andasse e derubasse i
nemici come la legge disponeva tra’ Lacedemoni; ma prescrisse in co- mune li
rustici e li militari travagli. Se godea pace, ; costumavali a star tutti
intenti per le campagne , salvo il giorno ( ed erari da lui destinato ogni nono
giorno ) • in cui faceano mercato ; perchè allora amava che accor- rendo iu
città vi commerciassero. Ma se prorompeva la guerra , addestravali a farla , e
non cedere gli uni agli altri nel faticarvi o lucrarvi; pèrocchè divideva tra
loro ugualmente, quanto involava al nemico, campi, schiavi, danari , e
xciidcali con ciò volenterosi ad imprendere. Digitized by Coogle i58 DELLE
Antichità’ romane XXIX. Spediva , non prolungava i giudizj su le of- fese
scambievoli ; c quando giudicavale da sé medesimo e quando per mezzo di altri:
e proporzionava ai delitti le pene. Considerando che la paura più* che tutto
re- spinge gli uomini dalle scelleraggini , coordinò più cose per incuterla,
come un tribunale, ove sedea giudicando , nel più visibile luogo del foro ,
imponentissimo l’ appa- rato de’ soldati , trecento di numero , che lo
seguivano , e le verghe e le scuri portate da dodici uomini li quali nel foro
stesso batteano chi avea colpe degne di batti- ture , o nella' pubblica luce lo
decapitavano, se altri ne avesse più grandi. Tale fu l’ ordine del governo in-
dotto da Romolo , e da queste cose ben si può con- ghietturare su le altre.
XXX. Quanto alle altre opere civili o beUiche di un tal uomo , queste ne furono
tramandate , degne che si intessano ad una storia. Siccome i popoli
circonvicini a Roma erano molti, e grandi, e bellicosi , nè punto amici di essa
; deliberò conciliarseli co’ matrimoni , mezzo gii>* dicato dagli antichi
saldissimo di procacciar le amicizie. Considerando però che tali genti non si
unirebbero spontaneamente con loro, nuovi di colonia, impotenti per danaro , e
privi d’ ogni gloria di belle operazioni , e che altronde cederebbero
violentati , se oltraggiosa non fosse la violenza; risolvè, (ciocché avea
NumitOre l’avo suo materno già suggerito) di faré, ed in copia, i 'ma- trimòni
col ratto delle vergini. Cosi risoluto , fe’ Voti al Dio guidatore dei disegni
reconditi , che se la prova gli riusciva appunto come la ideava, gli
tributereUie ogni anno e feste e sagrifizj. Quindi riferito il .disegno in
Digitized by Coog[e LIBRO li. 1 5() senato , e comprovatovi , propose di
celebrare giuochi solenni a Nettuno , e ne sparse la nuova per le città vicine
; invitando chiunque al concorso ed ai giuochi , che giuochi sarebbero
moltiplici di cavalli e di uomini. iVenuii forestieri in copia alla festa
insieme colle mogli e co’ figli , e compiti già li sagriCzj a Nettuno e li
giuo- chi, infine nell’ ultimo giorno quando era per dimettere la moltitudine
fe’ intendere ai giovini che al dare di un segno certo, tutti involassero
quante a loro ne capita- vano , le vergine accorse agli spettacoli , le
custodissero però quella notte inviolate , ed a lui le recassero nel pros- simo
giorno. Compartitisi i giovani in truppe non si tosto videro elevato il segno
convenuto ; si volsero a far preda di vergini. Sorgene un tumulto un damore de’
forestieri che maggiore ne sospettavano il male. Condottegli nel prossimo
giorno le vergini , Romolo consolavale disani- mate , con dire che tendea quel
ratto a maritarle non a vilipenderle. £ dichiarando che Greco , e primitivo , e
nobilissimo era il modo tenuto da lui tra tutti i modi co’ quali si procurano
le nozze alle femmine ; invitavale ad amare gli uomini che la sorte ad essi
offeriva. Dopo ciò numerando le donzelle e trovandole secenlo ottan- talrè ;
scelse bentosto altrettanti de’ suoi non maritati , e con essi congiunsele.
Egli legandole colle nozze se- condo il rito della patria , rendeale partecipi
dell’ acqua stessa , e del foco ; e quel rito mantienesi ancora. XXXI. Alquanti
scrivono che avvenne un tal fatto nell’ anno primo del regno di Romolo : Gneo
Gellio lo assegna nell’ anno terzo , e ciò pare più verisimile. Im- perocché
non è- probabile che il capo di una città ua- Digitized by Google iGo DELLE
Antichità’ romane scente si accingesse a tal opera prima clic ne avesse
costituito il governo. Altri stimano cagione di quel ra- pimento la scarsità
delle femmine , altri l'impulso a far guerra; ed altri più persuasivi, a’ quali
io m’attengo, la necessità di aver amicizia cogli abitanti vicini. Ripe- tevano
i Romani anche al mio tempo la festa allora consacrata da Romolo chiamandola
Consuali (t). In essa un altare sotterraneo, scalzato intorno intorno di
terra,, posto vicino al circo massimo , onorasi con sagriOzj , e primizie che
bruciansi. Evvi corsa di cavalli sciolti , o congiunti ai carri. Conso chiamasi
da’ Romani il Nu- me a cui tributano questi onori : e taluni con greca
interpretazione dicono che sia Nettuno , scotitore della terra , e che si
venera appunto in altari sotterranei , perchè questo Dio possiede la terra : ma
io ne so’ pure altra origine perchè udii che la festa era celebrata per Nettuno
, e per Nettuno li s giuochi equestri; ma che r altare sotterraneo era stato
consecrato infine ad un genio ineffabile , guidatore e custode de’ segreti
disegni. E certamente Nettuno in niun luogo tiene altari invi- sibili
inalzatigli da’ Greci o da’ barbai'i. Pure è difficile a diffinire come stiasi
la verità. XXXII. Come la fama del rapimento delle vergini e gli eventi de’
giuochi si sparsero per le città vicine; altre si corucciaron su 1’ opera , ed
altre invesugando 1’ af- fetto ed il fine ond’era avvenuta, la sopporlavanu in
(i) I giuochi isliluili da Romolo nel ratto delle Sabine furono chia- mali
Consuali perchè fatti in onore del Dio Conso. Appresso furono detti Circensi
quando Tarquinio Prisco fece il circo massimo. Sem- bra che la prima volta
fossero celebrali nel campo Marso. Digitized by'Google LIBRO II. l6l pace. In
fine però ne proruppero delle guerre , alcune sicuriiniente ben facili ; ma
grave e disastrosa fu cjuella co’ Sabini. Felice fu l’esito di tutte, come
prima che si cominciassero ne aveano presagito gli oracoli, i quali
significavano che grandi ne sarebbero i travagli , ed i pericoli , ina lietissimo
il fine. Le città che prime si misero a tal guerra furono Genina, ed Ànlemna ,
e Crustumero , in apparenza pel ratto delle vergini e jicr vendicarsene ; ma la
cagione vera che ve le spingeva era la fondazione , era il créscere di Roma
divenuta grande in poco tempo , e la voglia di non trascurare che più si
estendesse quel male , comune a tutti i vi- cini. Ben tosto dunque spedendo
ambasciatori ai Sa- bini gl’ invitarono perchè fossero i capi nella guerra ,
essi che erano i più polenti di arme e di danaro , de- gni di comandare ai
vicini , nè oltraggiali menu degli altri; essendo le vergini rapite per la
maggior parte Sabine. XXXIII. Ma poiché niente profittavano , pere he gli
ambasciadori di Romolo contrariavano, ed appiacevoli- vano con parole e con
opere quella gente ; stanche al- fine di perdere più tempo coi Sabini i quali
esitavano c rimettevano ognora a tempo più rinioto il consiglio di guerra ,
destinarono fra loro di combattere esse i Romani; pensando che avrebbono
suificieiiza in sè stesse di forza , se univansi tutte tre , per invadere una
città sola , nè grande. Così dunque si coiicerlarouo ; ma non si espedirono già
per concentrarsi tutti in un esercito ; insorgendo innanzi gli altri i Ceuiuesl
, pi'imarj già nel PÌ0HI6J , tamo I. 1 1 Digitized by Google iGa DELLE
Antichità’ romane volere la guerra. Ora avendo questi mossa l’ armata , e
devastando il campo contiguo , Romolo usci colle sue truppe : e piombando
repentinamente su' nemici che non seu guardavano ; ben presto ne espugnò gli
alloggia- menti , che appena erano formati. Poi gettatosi appressa quelli i
quali si rifuggivano nella città , dove non crasi udita ancora la sciagura dei
suoi , non trovandovi nè guardate le mura , nè chiuse le porle ; la invase a
pri- mo impeto, ed uccise, combattendo, e spogliò colle sue mani delle arme il
re di essa venutogli incontro con forz^ poderosa, XXXIV. Cosi prendendo e*
comandando la città che gli consegnasse le armi , e togliendosene per ostaggio
, que’ gioviui che più volle; marciò contro gli Antemnati. Rendutosj colla
subita incursione padrone delle milizie di questi , sbandate ancora a far preda
, come crasi pa- drone renduto delle precedenti , e trattati i vinti nella
maniera medesima; ricondusse a casa l'esercito, recando le spoglie degli
oppressi in battaglia, e le pripiizie delle prede ai Numi i quali onorò con
assai sagriSzj. Andava-, massimo della pompa egli stesso in veste di porpora ,
e coronato di alloro le tempie, ma su di una qua- driga (i) per serbare la
dignità di monarca. Seguivano (i) Plutarco scrive c>;e Dipoigi uon dice bene
quando afferma che Romolo veniva su di un carro. FwyueAer it vac piia-tt
Aisrue-rur. Tito Livio scrive che Roipolo spo- lia ducis hostiunt cacti
tuspensa , fabrieato ad id apté ferculo , ge- rent , i/t capholium asce/idit.
Il Casaubono pensa che Dionigi per la non piena peiizia delia lingua latiua
interpretasse quel ferculum di ^vio, dal quale derivava tali racconti, per
cocchio;' quando eia Digitized by Google LIBRO ir. ' i63 le milizie de’ fanti e
de’ cavalieri, ornate secondo i loro gradi , magnifìcando gl’ Iddii colle
patrie canzoni , ed il capitano con gli slanci di versi improvvisi. Quelli
della citii recatisi loro incontro colie mogli e co’ figli, e schie- rai isi
quinci e quindi per le vie si congraiulavano con essi per la vittoria, e davano
ogni altro segno di ami- ^ cizia. Entrata la truppa in città trovò crateri
spumanti di vino e mense colme di ogni varieià di cibi appiè delle case più
riguardev.oli pei’chè a piacere vi sì saziasse. Cosi andava con trofei e sagrifizj
la pompa della vit- toria istituita la prima volta da Koniolo , e chiamata dai
Romani trionfo : ma ora, trascendendo ogni antica sem- plicità , spiegasi
magnifica e clamorosa come in tragico rito , anzi per gala di ricchezze che in
prova di virtù. Dopo la pompa e dopo i sagrificj Romolo edificò su le cime del
cimpidoglio un tempio a Giove detto Fé-, retilo da’ Romani : Non era grande il
sàiito edificio ; apparendone ancora i primi vestigi, e vedendosene! iati
maggiori meno lunghi oi dal vero chi voglia questo (jiove Feretrio a cui Romolo
offerse le anni , chiamarlo il Dio che tiene i trofei , o che porge come altri
dicono , le spo- glie de’ nemici , o il Dio preeminente , perché supera ed
abbraccia tutta intorno la natura ed il movimento degli Esseri. piutlo.s(o come
iuterprela Plulaico ciocché ni direbbe trnfeo. Lo stesso Plutarco ìoscgiia che
Lucio Taripiaio Piiscu fu il (irinio che tiiuufasse sul cairu. Digitized by
Google i64 DELLE Antichità’ romane XXXV. Poiché Romolo ebbe tributalo agl’
Iddìi le primizie ed i sagrifìzj di ringraziamento , deliberò, pri- ma di far
al irò , col senato, com’erano da trattarsi le città debellate ; ed esso il
primo ne dichiarò la sentenza che ottima riputava. E piaciuta questa come la
più si- cura e la più luminosa a quanti erano in quel consesso, ed encomiatone
pe’ vantaggi che a Roma ne risultavano non pur di presente , ma in ogni
avvenire; comandò che venissero a lui le donne di Cenina e di Antemna cadute
prigioniere con altre. Riunitesi sconsolaté^, e pro- stratesi , e piangendo
esse la sorte della patria; accennò che frenassero i pianti e tacessero e poi
disse: hen do- vrebbero i vostri padri , i vostri fratelli , e le intere vostre
città subire ogni male , perchè scelsero anzi che r amicizia la guerra , e
guerra non necessaria nè one- sta. Nondimeno abbiamo noi deliberato di essere
cle- menti con essi per molle cagioni, e perchè appren- diamo la vendetta de'
Numi , pronta contro i superbi, e perchè temiamo la indignazione degli uomini,
e perchè giudichiamo essere la compassione compenso non lieve de' mali comuni ,
noi che già la dimanda- vamo dagt altri : e finalmente perchè pensiamo che ciò
non sarà caro e grazioso poco per voi , congiunte finquì co' vostri mariti
senza che possano querelar- sene. Condoniamo questo delitto , nè togliamo a’
vo- stri cittadini non la libertà , non i poderi , non altro bene qualunque.
Lasciamo noi dunque ( nè già se ne avranno a pentire) lasciamo libera a tutti
la scelta di rimanere in patria se il vogliono , o di traslatar- sene. Ala perchè
niente pià faccia abberrare le vostre * ìtized by Google LIBRO II. 1 65 città,
perchè niente più trovisi in esse che possa ri- dividerle dcdla nostra
amicizia’, rìputianio espedientis- simo e saluberrimo per la concordia e
sicurezza di ambedue se le rendiamo colonie di Roma , e se da Roma vi mandiamo
abitanti che bastino. Àndcde : statevi di buon animo : moltiplicatevi nelt
ossequio e nella benevolenza de’ vostri mariti; tra’l dolce senti- mento che
liberi per voi sono i vostri figli , liberi i vostri fratelli, libere le patrie
vostre finalmente. Ti-i- pudiando in udir questo le donne e lagrimando viva^
niente di gioja partirono dal Foro. Romolo mandò in ciascuna città trecento
uomini e le città cederono ad essi , dividendolo a sorte , il terzo de’ loro
terreni. In opposito menò in Roma quanti Antemnati e Ce- ninesi vollero
trasferirvisi , e raeuovveli colle mogli e co’ figli mentre ritenevano in que’
luoghi i campi ad essi toccati , e portavano seco il danaro che possede- vano.
Li descrisse il re ben tosto nelle curie e nelle tribù ; nè furono men di tre
mila : tanto che ne’ cata-^ loghi romani si numerarono allora la prima volta
sei mila fanti. Genina ed Antemna città non ignobili avean greco lignaggio :
imperocché tolte ai Sicoli caddero in potere degli Aborigeni , i quali erano
una parte degli Oeijoirj , venuti già dall’ Arcadia , come nel primo li- bro fu
detto, ma ora finita la guerra divennero colonie romane. XXXVI. Romolo dopo ciò
condusse Tesercito incon- tro de’ Crustumerini , apparecchiati meglio che i
primi : e vintili, quautiinque stati fortissimi (i), nella battaglia (i) Qui
Dionigi è contrario a Livio il qnale scrive:' Poi t’in- Digitlzed by Coogie i66
DKLLE Antichità’ romane \ in campo e su’ muri, non volle che patissero più
oltre; ma fece della città , come delie altre una colonia ro- mana. Era
Cruslumero colonia degli Albani speditavi mollo tempo innanzi di Roma.
Divulgando la fama in molte città la fortezza militare del capitano e la cle-
menza in verso de’ vinti; si congiunsero ad esso ancora non pochi valentuomini
; i quali con tutte le famiglie a lui trasferendosi, gli recarono forze non
dispregevoll. Ed uno de’ colli di Roma ancora chiamasi Celio , da Celio che uno
fu di que’capi venuti dalla Etruria. Anzi a lui si diedero Intere città,
cominciando dalla città dei Medullini , le quali divennero colonie romane. I
Sabini al veder ciò se ne conturbarono, accusandosi a vicenda che non avessero
messo iiu argine alla monarchia dei Romani in sul nascere, o che si avessero a
brigare con lei fatta già grande. Nondimeno parve ad essi che fosse da
correggere il primo errore collo spedire un esercito rispettabile. E riunitisi
a congresso In Curi la più co- spicua e la più imponente delle loro città , vi
decisero co’ loro voti la guerra ; creaudone generalissimo Tito Tazio re dei
Cureli. Deliberato ciò ripatiiaronsl e pre- pararono i Sabini la guerra per
marciate In su la nuova stagione con esercito poderoso contra Roma. XXXVIL
Intanto Romolo si apparecchiò fortlsslma- mente onde jìsosplugere uomini fiorentissimi
in arme. Elevando le mura del Palatino e torrioni più alti di camminò contro
de* Crustomenesi g i quali portavano la guerra z ftia qui ci ebbe men di
contrasto perchè già gli animi erano abbaia tuli per le sconfitte degli altri»
Digitized by Googlc LIBRO II. 1 67 esse perché dentro vi si stessè con
sicurezza , e circon- dando con fossi e irincere 1’ Avventino , ed il Campi-
doglio che ora chiamano, colli ambedue dirimpetto dei primo, e presidiandone
l’uno e l’altro con salda guar- nigione; ordinò che nella notte vi si
riparassero e greg- gio e villani. Munì similmente con fossi e palizzate , e
guardie ogni altro luogo opportuno per la loro sal- vezza. Intanto Lucumone ,
divenuto amico suo non molto di prima , Lucumone uomo operoso ed insigne nelle
arme , venne a lui con buon sussidiodi Toscani da Vetulonia ; e vennero pure da
Albano in copia , ( e mandavagli 1’ avo materno ) combattitori . commis- sari,
arteBci di militari stromenti. Diè loro frumento ed arme e quanto facea di
mestieri, e largamente ne diede per ogni vicenda. Poiché furono apparecchiati
ambedue per r impresa , i Sabini al sorgere della primavera , ornai sul pnnto
di cavar le milizie , deliberarono di spedire , e spedirono prima a’ nemici un
ambasceria la quale esigesse le donne e la soddisfazione della rapinà di esse ;
perchè se ’l giusto non ottenevano , apparisse che spinti dalla necessità
davano alle arme. Romolo pregò in opposito che si permettesse alle donne rima-
nersene con quelli a’ quali si erano maritate giacché re- stie non ci
convivevano: che se abbisognavano di altra cosa, volessero da lui riceverla
come da un amico, non lo investissero colla guerra. I Sabini non contentati in
alcuna dimanda menarono in campo venticinque mila pedoni e quasi mille cavalli.
Non molto differiva dalla milizia sabina la romana ; numerosa di ventimila
fanti , e di ottocenfp cavalieri , ed accampatasi divisa in due Digitized by
Googte l68 DELLE antichità’ EOMANE parli dinanzi la città , teneva con una
parte il colle Esquilino sotto gli auspicj di Romolo, e con l’altra il
Quirinale ( che allora non avea questo nome ) , e Lu- cumone il Tin'eiio erane
il capitano. XXXV IH. Al conoscere tali disposizioni Tazio re dei Sabini
levandosi di notte , traversò coll’ esercito la campagna , non già per danneggiarla
, ina per mettersi prima del nascer del sole in sul campo tra ’l Quirinale ed
il Campidoglio. Ma vedendo che tutto era custodito dalle guardie vigili de’
nemici, e che non ci avea luogo sicuro per lui , cadde in gravi dubitazioni
senza rinve- nire intanto come avea da usare quel tempo. Fra tante dubitazioni
sorsegli una prosperità non pensata ; essen- dogli consegnato un de’ luoghi
fortissimi con questo successo. Rigirandosi appiè del colle Capitolino i Sabini
per esplorare se ci avea parte niuua , donde potesse espugnarsi con sorpresa ,
o di forza ; videli dall’ alto Tarpeja , una vergine cosi nominata , figlia del
valente uomo al quale era la cura hdata di que’ luoghi : s’ in- vaghì la
donzella , come scrive Fabio e Ciucio , dei braccialetti che que’ Sabini s’
aveano intorno la sinistra , e s’ invaghì degli anelli. Brillavano allora di
oro i Sa- bini, molli nommen che i Tirreni nel vivere. Ma Lucio pisone il
censore narra che la fanciulla ciò fece sul bel desiderio di esporre ai
cittadini i nemici , nudi delle arme colle quali si difendevano. Ben può da
quel che siegue raccogliersi qual sia di queste due cose la più verisimile.
Mandando fuora una serva per una tal por- ticina che niun si avvide che fosse
aperta, fe’ richiedere il monarca Sabino che venisse a lei senza compagni per
Digitized by Googie . LIBRO II. 169 nn colloquio ; ed essa parlerebbegli di
cosa grande e necessaria. Accettò Tazio l’ invito su la speranza di un
tradimento , e recatosi al luogo additatogli , e venutavi ( che ben lo potè )
la donzella , disse che il padre suo quella notte si era allontanato per un tal
bisogno dalla fortezza , e che le chiavi delle portò erano presso di lei :
consegnerebbele se a lei venissero quella notte , e se in premio della consegna
le si dessero quelle fulgide cose che ì Sabini portavano tutti nella sinistra.
Piacque a Tazio 11 partito, e contraccambiatasi ambedue la pro- messa con
giuramento di non illudersi ne’ patti ; la ver- gine distinse la parte per la
quale avrebbero a venire a quel fortissimo luogo , e distinse 1’ ora della
notte in che meno s' invigila ; e poi ritornossene , nè quelli che eran dentro
ne seppero. XXXIX. Concordano Gn qui ma non già nel resto gli storici romani.
Pisone il censorino del quale abbiam detto di sopra scrive che Tarpeja spedì
quella notte un messaggiero che signiGcasse a Romolo gli accordi fatti tra i
Sabini e tra lei ; e come ella esigerebbe le arme difensive di essi ,
deludendoli coll’ ambiguità de’ trattati : egli dunque mandasse altra milizia
nella fortezza , e vi sorprenderebbe i nemici col capitano spogliati di arme.
Aggiunge però che il messaggero fuggendosi presso il re de’ Sabini gii
accusasse i disegni di Tarpeja. Ma nè F abio nè Cincio dicono che ciò avvenisse
, e sostengono che la donzella mantenesse i patti del tradimento. Dopo ciò
continuano tutti la storia con slmiglianza. Imper- ciocché narrano che
avvicinatosi il re dei Sabini col Gor dell’ esercito colei per adempiere le
promesse aprisse Digitized by Google j ']0 DELLE Antichità’ romane a’ nemici la
piccola porla concordata , e che destate le guardie del luogo le stimolasse a
scampare sollecita- mente per tragitti ignoti ai Sabini che ornai possedeano la
fortezza. Narrano inoltre che i Sabini al fuggire di quelli, trovatene le porte
aperte, occupassero la fortezza abbandonata ; e che la donna avendo prestato i
servigi pattuiti , ne chiedesse il premio secondo i giuramenti. XL. Dopo ciò
scrive Pisene che essendo i Sabini pronti di dare l’oro di che riluceano
ne’bracci sinistri; Tarpeja la donzella ue pretendesse non i fregi ma gli scudi
: che Tazio andasse in collera per l’inganno, ma pur si guardasse dal violare i
trattati : che era a lui sembrato perciò che si dessero alla vergine le arme
ri- chieste ma per modo , che ricevutele non potesse va- lersene : che ben
tosto dunque , comandando di essere imitato dagli altri , lanciasse lo scudo
con quanta avea forza contro Tarpeja : la quale investita d’ ogn’ intorno e
sopraffatta da tanti colpi e si gravi succumbè sotto delia tempesta. Ma Fabio
ascrive a’ Sabini la frodolenza su’ trattati. Perocché dovendo secondo i patti
dare a Tarpeja le auree cose che dimandava , rattristatine per la grandezza di
esse , scagliarono su lei le arme colle quali si difendevano , quasi scagliar
le medesime fosse un darle come aveano promesso quanto giurarono. Se non che
sembra che i fatti consecutivi rendano più ve- risimile il giudizio ultimo di
Pisone. Certamente fu la giovine, dove cadde, onorata di tomba , e la tomba sta
nel più augusto de’ sette colli , e Roma ivi le replica ogni anno sacre
libagioni. Io dico ciocché scrive Pisone. Cioè se ella fosse morta tradendo la
sua patria non Digilized by Google LIBRO II. I 7 I avrebbe ottenuto niuno di
questi due onori nè da quelli che ne erano traditi , nè da quelli che ne furono
gli uccisori : anzi se avanzo mai v’ era del tuo cadavere sarebbe stato poi
disotterralo e gittato per atternre i posteri , e respingerli da simili
operazioni. XLI. Tazio e li Sabini impadronitisi di quella for- tezza , e
pigliato senza disagi il più degli appareccbj de* Romani , facevano ornai la
guerra da luogo sicuro. Cosi tenendosi dunque ambedue le armate dirimpetto a
piccola distanza fra di loro , molti erano in molte occasioni li tentativi e
gli attacchi senza grandi risultati di danno o di utile per ninna delle parti.
Due furono
le battaglie più rilevanti date con tutte
le milizie , schierate 1’ una contro l’ altra; e grande ne fu la strage
vicendevole. Ma tirandosi in lungo , ambedue li re con- corsero nel sentimento
di venire a decisiva giornata. E recatisi nello spazio intermedio ai due
accampamenti i capitani migliori nelle armi ed i soldati già sperimentati in
mille cimenti fecero memorabili prove dando e ri- battendo gli assalti , e
traendosene e rimettendovisi ugualmente. Coloro i quali contemplavano da luogo
munito la equilibrata battaglia, e che d’ora in ora pie- gava dall’ una o dall’
altra parte , incitando , ed accla- mando incoraggivano chi vi si distingueva ;
o con pre- ghiere e pianti richiamavano chi vacillava o lasciavasi ornai
sopraffare , perchè vile sempre non rimanesse. Dond’ è che gli uni e gli altri
erano necessitati a so- stenere travagli , maggiori delle forze . Cosi tenuta
avendo la battaglia nel giorno con sorte eguale ; alfine essendo già notte si
ravviarono lieti ai proprj alloggia- menti. Digitized by Google 172 DELLE
Antichità’ romane XLH. Ne’ di seguenti dando sepoltura ai morti rista- bilirono
i feriti , e procurarono insieme altre forze. Poiché parve loro di farsi
nuovamente alle mani , tor- nati jiel luogo medesimo vi combatterono fino alla
notte. Prevalsero i Romani in ambe le ale; reggendone Romolo stesso la destra ,
e Lucumone il tirreno la si- nistra. Ma restando dubbia ancora nei centro la
sorte delle armi ; Mezio , cognominato il Curzio, uomo me- raviglioso per le
forze del corpo , magnanimo nelle arme , e chiaro soprattutto perchè noa
turbavasi a pe- ricoli o terrori , impedì la disfatta totale de’ Sabini e portò
di nuovo contro de’ vincitori le schiere che sor- vanzavano. Costui messo a
dirigere 1’ armata del centro avea già vinto i nemici che gli stavano a fronte.
Vo- lendo poi ripristinare lo stato delle ale sabine ornai sbattute , e presso
a dar volta , esortandovi la sua mi- lizia si mise ad inseguire i nemici che
fuggivano sban- dati da lui, cacciandoli fino alle porte, cosicché Romolo fu costretto
a lasciare imperfetta la sua vittoria , e ri- volgersi ad accorrere contro la
parte de’ nemici che era vincitrice. Cosi quel corpo de’Sabini il quale
pericolava si riebbe j allontanaudosegli Romolo colla sua gente : e tutto il
nembo si raccolse inverso di Curzio e de’ suoi che erano già vittoriosi, e
questi tenendo fronte per un tempo ai Romani combatterono luminosamente. Ma poi
rovesciandosi troppi su loro ; piegarono e rìpararousi negli alloggiamenti ,
assai contribuendo Curzio alio scampo col ritirarli grado a grado , non col
fargli in- seguire in disordine. Egli flesso arrestavasi in arme , e. facea
fi'onte a Romolo che lo investiva. E grande e Digilized by Google LIBRO II. 1^3
bella a vedere fu la gara de’ capitani che si attaccavano. Alfine essendo già
Cur/io ferito, già esausto di sangue, riucnlava poco a poco , quando eccogli
addietro una palude profonda ; difficile da girarla intorno , perchè cinta da’
nemici , e dilficilissima da traversarla per lo fango che ammassavasene alle
sponde , e per le acque , che altissime vi erano in mezzo. Inoltratosi dunque
vi si lanciò con tutte le arme. E Romolo sul pensiero che colui quanto prima
perirebbe nella palude non poten- dovisi perseguitare pel fango e per le molte
acque ; si rivolse contro degli altri. Ma Curzio dopo molti e lun> ghi
stenti emerse finalmente còlle arme dalla palude , e fu portato a’proprj
alloggiamenti. Rimanea la palude nel mezzo quasi del foro romano , e lago
chiamasi di Curzio dalia vicenda ; ma ora è tutta ricoperta dalla terra. XLIII.
Romolo inseguendo gli altri avvicinasi al Cam- pidoglio. Spaziava nella
speranza di rivendicarselo : ma travagliato da molte ferite, e più da un colpo
di pietra lanciatogli dall’alto nelle tempia fu preso ornai semivivo da’
compagni , e riportato dentro le mura. Sbigottirono i Romani più non vedendo il
capitano, e dicdesi l’ala destra alla fuga. Sostenevasi ancora la sinistra
diretta da Lucumone , uomo chiarissimo nelle arme , e segnalatosi per molte e
belle imprese in tal guerra. Ma nemmeno questa più resse alfine ; quando
colpito in un fianco
da'Sabini cadde pur Lucumone rifinito di
forze. Allora la fuga fu universale. I Sabini imbaldanziti gl’ incalza- vano
verso le mura: se non che giungendo alle porte pe furono respinti , sboccandone
contro loro i giovani Digitized by Google i'^4 DELLE Antichità’ romane a’ quali
aveva il re dato in guardia le mura. Ed a(Yrct- taiidosi quanto potè per
soccorrerli Romolo stesso, ria- vutosi già dalla percossa ; la sorte assai ne
variò della battaglia. Imperocché li fuggitivi mirando iuaspettata- ineute il sovrano
, risorti dalla paura , si riordinarono , uè più s’ indugiarono a volar su’
nemici. Questi che aveano finora pressato i Romani e concluso non esservi
schermo , che impedisse di prendere la loro città culla forza ; non si tosto
videro il cambiamento inopinato e* repentino , pensarono come scampare sè
stessi. Il ritorno al campo era precipitoso per essi , inseguiti dall' alto , e
per istrada profonda. Quindi grande fu la strage loro in questa ritirala. Cosi
pugnato avendo quel gioruo da pari a pari , ma involgendosi ambedue tra casi
inaspet- tati ; alfine ornai tramontando il sole , si divisero. XLIV. Ne’ di
seguenti consultarono i Sabini se aves- sono a ricondurre in patria l’esercito
devastando intanto il più che poteano le campagne nemiche , o se di là ne
chiamassero un altro , ivi trattenendosi cd insistendo fiuchè dessero buon fine
alla guerra. Ben era misera cosa per essi partire, donde mauifeslcrebbcsi la
infamia che niente aveano conseguilo; ed era misera cosa noni- meno il
rimanersi non riuscendo loro disegno alcuno come speravano. Concepivano poi,
che venire a trattali co’ nemici, unica maniera conveniente a levarsi di gueiv
ra , gioverebbe anzi a’ Romani che a loro. Tuttavia uon meno , anzi assai più
che i Sabini , erano i Romani caduti in gran dubbio intorno le cose da fare.
Imperoc- ché nè volevano rendere nè riteuere le donne ; riputando la prima cosa
un seguito di uua [lerdila mauilcsta , cd Digitized by Google LIBBO n. 175 un
preludio di aversi nccessariamenle a sottomeltere an- che ad altri coaiaudi :
ma 1’ altra cosa presentava molli e gravi mali , distrutte le patrie campagne ,
e la gio> ventò più florida trucidata. Se faceansi a trattar coi Sabini ,
parca loro che questi non ser berebbero alcuna misura , per molte cagioni e
principalmente perchè i superbi insolentiscono non condiscendono col nemico che
volgesi agli ossequj. XLV. Mentre ambedue cosi cogitabondi , e così di-
sanimati dal cominciare o battaglie o discorsi di ricon- ciliazione
dispergevano il tempo ; le mogli de’ Romani , quelle che erano sabine di
origine, quelle per le quali ardeva la guerra , congregatesi ed abboccatesi fra
loro in un luogo medesimo risolverono d’ intramettersi con ambi per la pace.
Dava tal partito alle altre Ersilia , non ignobile di legnaggio tra’ Sabini. Di
lei dicono che rapita già come vergine con altre donzelle , ora fosse maritala.
lN|a più verisimile è chi scrive che ella si fosse rimasa spontaneamente colla
unigenita sua , 1’ una delle derubate. Riunitesi a tal sentimento andarono le
donne in Senato , ed ottenutovi di parlare , ve lo diffusero , chiedendo di
uscir per un colloquio co’ loro parenti. Annunziavano che aveano molte e belle
speranze di fiduiTe unanimi le due genti e stringerle di amicizia. Come udirono
ciò quelli i quali consultavano col mo- narca assai ne furono dilettati ,
riputando che questo fosse r unico spediente in tanto inviluppo di cose.
Adunque si decretò che quante Sabine avean Agli tante lasciando questi co’
mariti , avessero la potestà di an- darne oralrici ai lor nazionali: che quelle
però le quali Digitized by Google l'jS DELLE Antichità’ romane eran madri di
più 6gli ne recassero con sè la parte che più volcano , e trattassero la
riconciliazione de’ po- poli. Uscirono dopo ciò tra lugubri vesti , e talune
coi teneri Ggliuoletti. Giunte al campo sabino mossero col piangere e col
prostrarsi appiè di chiunque iucontravale tanta compassione , che ninno de’
riguardanti potea rat- tenere le lagrime. E Tannatosi per esse il fior del Se-
nato, e comandate dal re che dicessero le cagioni della venuta; Ersilia,
autrice e guida della S])edizioue, feceiie una lunga e patetica sposizione ,
implorando che do- nassero pace a’ mariti appunto in grazia di esse per le
quali dicevano intimata la guerra. Si adunassero i prin- cipi loro; ed essi, veduto
1’ utile puliblico, discutessero le condizioni ,per le quali cessassero le
discordie. XLVI. Ciò detto caddero prostese co’ teneri figli ap- piè del
sovrano e vi si tennero, finché quelli che erano presenti non le rilevarono da
terra con promettere che farebbono quanto era onesto e possibile. Fattele
uscire dal Senato , e consultando fra loro , si decisero per la pace. E prima
si fece la tregua : poi riunendosi i re , si concordò su la pace ancora. E tali
ne furono le convenzioni che sen giurarono. Sarebbero ambedue re dei Romani
Romolo e Tazio con eguali poteri ed onori. La città serbando il nome del suo
fondatore chiamerebbesi Roma , e romano ogni suo cittadino come per l’addietiv-
Ma tutti insieme si chiameiiano generalmente Quiriti desuntone il nome dalla
patria di Tazio. Si domicilierebbero que’ Sabini che voleano, in Roma , ma
comunicandosi le sante cose , c pren- dondo luogo nello tribù c nelle curie.
Giurate questo Digilized by Coogle LIBRO II. 177 cose , ed eretti gli altari
ove far 1’ alleanza , in mezzo quasi della Via 1 Sacra, si mesoolarono insieme.
Poi rao* cogliendo ogni duce li suoi , tornarono alle proprie magioni. Si
rimasero in Roma Tazio il monarca e con esso tre de’ più , riguardevoli Valerio
Voleso , Tallo , soprannominalo il Tiranno , ed in fine Mezio Curzio , quegli
che : avea colle armi trapassato la palude , e vi ebbero gli onori che i
discendenti loro pur vi godcronow Anzi con questi si rimasero amici ,
consanguinei , e clienti , non minori di numero agli altri di Roma. XLVIL Mentre
ordinavano queste cose parve ai so» vrani di raddoppiare il numero de’ patrizj
per essersi la popolazione moltissimo arnpbata. Adunque segnando in X catalogo
colle famiglie più nobili tanti cittadini novelli , quanti erano i primi ,
chiamarono patrizj ancor’ essi. Poi trascelli cento di «questi col voto delle
curie gli connumerarono ai senatori antichi. E su ciò concordano presso a poco
tutti gli scrittori delle cose romane : dif- ferisce taluno sul: numero de’
sopraggiunti : dicendo che non cento cui cinquanta furono gl’ inseriti al
Senato. Non consentono però gli storici romani su F onore che i re concederono
alle donne perchè gli aveano rioou» dotti aUa pace. Perocché scrivono alquanti
che diedero ad esse distintivo grande e moltiplice non pure i prin- dpi, ma le
curie : le quali essendo trenta , come già dissi , presero nome ognuna da
queste , giacché trenta furono ancora le oratrici. Ma Terrenzio Varrone si di»
scosta da questi in tal capo, aflermando che i nomi erano stati imposti -alle
curie anteriormente da Romolo, DJOMtGI . tomo X. 1: py ; i-j8 DELLE Antichità’
romane quando divise la prima volta il suo popolo: c die quei nomi furono
desumi da’ capi di esse , o dalle antiche lor patrie. Aggiunge che le femmine
andate amba- sciadrici non furono trenta ma cinqueceutotrentatrè : dond’ è che
noti sia verisimile che il re concedesse ad alcune poche di esse quell’onore,
escludendone le altre. A me nè tali son parute queste cose da non farne pa-
rola , nè tali da scriverne dtra il bisogno. XLVIII. Ora l’ordine stesso della
narrazione dimanda che io dica quali e donde fossero i Cureti alla città de’
quali apparteneva Tazio , e quei eh’ eran seco. Noi cosi ne sappiamo. Nel tempo
che gli Aborigeni posse- deano 1’ agro Reatino una vergine nobilissima natia di
que’ luoghi entrò , per danzarvi , il tempio di Enialio. Enialio lo chiamano
Quirino i Sabini , ed , ammae- strati da essi , i Romani , senza che sappiano
dire più oltre s' egli sia Marte , o tal altro , eguale a Marte in onore. £ li
primi pensano che 1’ uno e 1’ altro nome dicasi del Nume arbitro delle guerre ;
ma gli altri che sia quel doppio nome non di uno, ma di due Dei bel* licosi. La
vergine danzando già nel tempio fu dallo spirito investita del Nume; e lasciale
le danze si ritirò ne’ penetrali santi di lui , dove , come a tutti sembra ,
fecondatane , diede un fanciullo , che Modio fu detto , ed ebbe soprannome di
Fabidio (i). Or questi, adulto (i) Vi è chi pensa che il Modio Fabidio sia il
Afe £>iuj Fidius de’ fìoinaui , forinola colla quale riguardavaisi il Nume
tutelare della fede, o pure Ercole figlio di Giove. Se ciò lesse, Diouigi
avrebbe malameuie iuierpiaato quella formula Romana di giura- mento. D^itized
by Googli LIBRO II. 179 feuo nella persona, ebbe forma non umana, ma divina, e
combattè con preemiuenza di tutti i valentuomini. Preso poi dal desiderio di
abitare una città che avesse la origine da lui, congregando gente io copia da
luoghi d’intorno, eresse in tempo assai breve quella che Curi addimandasi ,
denominandola , come narrano alcuni , dal Nume , dal quale è &ma che egli
fosse generato , e come altri asseriscono dall’ asta , poiché Curi chiamasi 1*
asta in. Sabina. Cosi scrive Terrenzio Yarrone. XLIX. Ma Zenodoto Troizinio uno
scrittore del- l’Umbria, narra che le genti di essa furono prima abi- tatrici
de’ campi detti Rèalini : che espulse da’ Pelasghi se ne vennero alla terra
dove ora soggiornano , e dove mutato nome coi luoghi , si chiamarono Sabini per
Umbri. Porzio Catone dice imposto tal nOme ai Sabini da un Nume di que’ luoghi
Stoino ( 1 ) Sanco , e che Sanco per alcuni vai quanto Dio Fidio, Dice che fii
domicilio primitivo di essi un villaggio nominato Te- strina presso la città di
Amiterna ; che movendosi da questo inondarono i Sabini 1’ Agro ReatioQ abitato
al- (1) Silio nel libro ottavo scrive. Ibant et laeti pars tanctum voce
canehanl, Auetorem genlis , pars laudes ore ferebant , Sahe , Uuis , qui de
patrio cognomine primus . Dixisli poputos magna ditione Sabinos. Forse dunque
nel testo di Dionigi dee leggersi Sabo e non Sabino. Festo e Yarrone additano
che Sanco tra’ Sabini siguifìca Ercole. Ora Plutarco nel suo Noma e Servio nel
libro 8 dell’ Eneide de- rivano i Sabiui dagli Spartani, e gli Spartani da
Ercole. Quindi quel Sabo Sanco non sarebbe che Ercole ; tanto più che Sanco '«redesi
il me Diut Fiditu, c questa par furatola per additare Ercole. Digitized by
Google i8o DELLE Antichità’ romane lora dagli Aborigeni , e da Pelasghi : e che
ne otten- nero colla forza delle armi Colina la loro città più cospicua : che
spedendo dal contado Reatino delle co- lonie fondarono altre città non poche ,
ove , senza cin- gerle di mura , si viveano ; e tra queste la città che Curi fu
nominata : che occuparono campagne lontano circa dugento ottanta stadj dall’
AdrìaUco , e dugento quaranta dal mare Tirreno: e dice che stendeasi la lun-
ghezza di quelle poco meno che mille stadj. Secondo le storie paesane intorno
de’ Sabini abitavano con essi già dei Lacedemoni quando Licurgo tutore di
Eunomo, nipote suo , . dava a Sparta le leggi : e questo perchè impazientiti
alcuni dalia dura legislazione di lui , stac- caùsi da’ compagni abbandonarono
affatto la città ; e corso ampio tratto di mare , e desiderosi ornai di pren-
dere terra dovunque, si legarono per voto cogl’Iddii di abitare quella appunto ove
imprima giungerebbero. Ve- nuti nell’ Italia ai campi detti Pomentini
nominarono , dal mare che aveali portati , Feronia il luogo dove prima
approdarono , e vi eressero un tempio alia Diva Feronia alla quale aveano fatto
i lor voti ; e la quale mutatane una lettera ora Faronia si chiama. Alcuni da
indi rimovendosi ne andarono a dimorar tra’ Sabini : e però spartane sono molte
delle loro istituzioni , spartani principalmente gli amori per la guerra ; la
parsimonia e la durezza nelle opere tutte della vita. Ma ciò basti su la
origine de’ Sabini. L. Ben tosto Romolo e Tazio ampliarono la città
congiungendole altri due colli , 1’ uno chiamato Quiri- nale , e Celio r altro.
E ponendo separatamente le case Digiti^ed by Cooglc LIBRO II. 1 8 1 viveasi
ognuno nelle sedi sue. Avessi Rouiolo il monte Palatino ed il Celio , monte
contiguo col primo. ^azÌo avevasi il Campidoglio , occupato già ne’ principi da
esso , ed il Quirinale. Recisa la selva la quale spande- vasi appiè del
Campidoglio , e ricoperta in gran parte di terra la palude , la quale per la
concavità dei sito rooltiplicavasi dalle acque scese da’ monti , fecero ivi il
foro, dei quale servonsi ancora i Romani. E là tenendo le adunanze,
consultavano nel tempio di Vulcano, cbe quasi al foro sovrasta. Inalzarono i
tem^q , e consacra- rono gli altari ai Numi , a’ quali gli aveano promessi co’
voti nelle battaglie. Romolo ne eresse uno a Giove Statore presso la porta òe
Muggiti la quale mena dalla via sacra al Palatino , perché quel Nume esaudendo
i voti di Romolo fe’ cbe l’ esercito suo già fuggitivo si arrestasse,, e si
volgesse a fronte dei nimico. Tazio ne eresse al Sole , alla Luna , a Crono , a
Rea , ' come pure a Vesta, a Vulcano, a Diana, ad Eniàlio ed altri difScili a
nominarsi con greca parola. Mise in tutte le Curie le mense per Giunone
Quirizia (i) le quali esi- stono ancora. Dominarono cinque anni insieme senza
dissidio, e compierono in quel tempo con impresa co- mune la spedizione contro
de’ Camerini. Impercioccbè questi mandando delle masnade assai danneggiavano
loro il paese : e tuttoché chiamativi non erano mai comparsi a darne ragione.
Adunque schieratisi a fronte di essi , e vintili in campo , e poi nell’ assalto
delle mura , gli astrinsero a cedere le arme e la terza parte della re- (i)
Secondo Pesto vuol dire Giunone coW atta, vedi $ 4^ prc- oedenle. • Digitized
by Google iSa PFLLE Antichità’ romane gione. Continuando nondimeno i Camerini
ad Infestarla riuscirono nel terzo giorno I re coll’ armata e li fuga- , rono ,
e ne divisero ogni cosa ai proprii soldati , con- cedendo solamente che quelli
, se volevano , si domici- liassero in Roma. Quattromila quasi ve ii’ ebbero ,
e lì compartirono tra le curie. E Camaria , sorta già tanto tempo prima di Roma
, Camaria già domicìiio famoso degli Aborigeni , e poscia di un ramo di Albani
, fu ridotta colonia de’ Romani. • LL Tornò, nei sesto anno il comando a Romolo
so- damente , morendo Tazio per le insidie de’ primarj tra Laurenlini tesegli
per questa cagione. Scorsi gli amici di Tazio a far preda nel territorio de’
Laurenlini ne aveano rapito danari in copia , e menato via de’ be- stiami t
uccidendo o ferendo chiunque presentavasi a rivendicarseli. Spedita quindi
dagli offesi una legazione a reclamar la giustizia , Romolo sentenziò che gli
o^ fensori le si consegnassero. Tazio però sollecito degli amici , non istimava
bene che si desse alcun cittadino perchè si portasse in giudizio tra forestieri
e nemici. Laonde intimò che quanti si richiamavano della ingiuria venissero e
discutesserla ne’trihunali di Roma. Cosi non trovando giustizia partirono
indispettiti gli ambasciadori. Ma datisi per isdegno alcuni Sabini a seguitarli
gli assalirono , che dormivano tra le tende lungo la via sorpresivi dalla notte
: e spogliatili di ogni cosa , ne scannarono quanti giaceansi ancora ne’ letti.
Si ricon- dussero alia loro città quauti si avvidero a tempo dei- r insidie e
fuggirono. Dopo ciò venendo ambasciadori da Laurento e da molte città si
dolsero su’ diritti vio- lati, ed intimarono la guerra, se non erano compensati.
LITtP.O IT. l83 LII. Sembrava a Romolo , com’ era , terribile 1’ ol- traggio
d(^li ambasdadori e degno di una subita espia- zione , es:;endosi profanata una
legge santa. E vedendo che Tazio tcneane picciolo conto , egli senza più indu-
gio presi e legati i complici, li diede agli ambasciadori \ ortato a Roma ebbe
magnifica se- poltura , e la città gii rinnova ogni anno pubblici sa- grifizj.
LUI, Romolo trovandosi un’ altra volta solo nel prin- cipato purificò la
infamia commessa contro gli amba- sciatori pubblicandone privi dell’ ncque e
del fuoco gli Digitized by Google i84 DELLE Antichità’ romane autori , faggitt
già tutti da Roma al primo udire la morte di Tazio. In opposito essendogli
conseguati da Laurento ero la vittoria per saviezza del capitano, il quale
occupato di notte un monte non molto lontano da’ nemici teneavi in agguato il
fiore de’cavalieri , e dei fanti , giuntigli ultimamente da Roma. Tornati in
campo ambedue per combattervi come prima , non si tosto diè Romolo il segno
convenuto a quelli del monte , corsero schiamazzando dalle insidie alle spalle
de' Vejentani : e piombando essi , freschi ancora su uomini stanchi , non
durarono lunga fatica a travolgerli. Pochi ne morirono in campo ; ma molti piò
nellt; acque del Tevere , il qual fiume scorre presso Fidene, lanciativisi per
iscampare nuotandovi. Perocché parte per le ferite e la stanchezza non resse a
compiere il transito , e parte per la impe- rizia del nuoto e la confusione
dell’ animo in vista dei pericoli soccombè tra’ vortici non preveduti. Se i
Vejen- tani avessero ponderato seco stessi , quanto furono scon- sigliati la
prima volta , e se avessero dall’ora in poi cei^ cato la calma , non sarebbero
incorsi in disastri , più gravi ancora. Ma sjierando di riaversi de’ mali
passati , e pensando che vincerebbero di leggeri , se uscissero con apparato
maggiore ; bentosto arrolate milizie in copia dalla città loro , e procuratene
presso de’ nazionali secondo i trattati di amicizia , marciarono per la seconda
volta con- tro de’ Romani. Si combattè di nuovo ferocemente presso piiuii. iiy
Ci( •• LIBBO II. ' 187 Fidene ; e di nuovo i Bonnani vi superarono i Yejenti, e
ve ne uccisero, e più ancora ve ne imprigionarono. F 11 invasa la loro
trincierà piena di danari , di arme, di S( biavi: furono prese le barche
lluviali cariche di vetto- vaglia copiosa e con queste per lo fiume trasportati
in Roma li prigionieri. Fu questo il terao trionfo di Romo- lo ma più brillante
assai de’precedcnti. Venne dopo non molto un' ambasceria de’ Vejenli per
chetare la guerra e chiedere perdono de’ mancamenti , e Romolo ne se- condò le
istanze imponendo : che cedessero i terreni contigui al Tevere nominati
Setlepagi : che non si ac- costassero alle saline presso le bocche del Jiume :
e che dessero cinquanta ostaggi in pegno , che non fa- rebbero innovamenti. Si
rimisero i Vejeiiti alle leggi: e Romolo fece tregua con essi per cento anni ,
e ne scolpi su più colonne le condizioni. Rilasciò senza com- penso i
prigionieri vogliosi di andarsene ; ma rendè cit- tadini di Roma quanti
pregiarono di rimanersene, ed erano più numerosi degli altri , e li comparti
fra le cu- rie , e diè loro in sorte le campagne di qua del Tevere. . LVI.
Quest» furono le guerre di Romolo degne di stima e di ricordanza : e parmi ,
che se egli non sotto- mise ancora altri popoli vicini , ne fosse cagione la
fine prematura di lui , quando era florido ancora per le armi. Di questa fine
varj e molli ne sono i racconti. Coloro .che più ne favoleggiano dicono , che
intanto che arin- gava le milizie , abbujatosi l’ aere sereno , e fattasi pro-
cella terrìbile , Romolo diventasse invisibile , e che Marte il suo genitore in
alto se lo rapisse. Ma chi scrive cose più vcrisimili dice che da’ suoi
cittadini fu morto ; e Digitized by Google i88 DELLE Antichità’ romane dice
elle gliene fu cagione 1’ aver egli restituito senza il voto del popolo ,
contro la consuetudine , gli osti^gi presi gii da' Vedenti ; il non serbare la
eguaglianza tra i cittadini antichi e novelli , ponendo i primi in altis- simo
onore, e trascurando gli ultimi: e Gnalmente Tin- crudelire nelle pene dei
delitti , e lo insuperbire. Impe- rocché sentenziando , solo , da sé comandò
che fossero precipitati dalla rupe non pochi nè ignobili uomini, in- colpati di
essere scorsi a predare i vicini. Ma soprat- tutto ,ne fu cagione , 1’ essersi
ornai renduto pesante , e dispotico f e tiranno , anzi che principe. Per questo
, narrano, che i patrizj, congiuratisi, ne decisero la mor- te, e la eseguirono
nel Senato ; e che divisone in brani il cadavere , perclté non se ne sapesse ,
uscirono occul- tandone sotto le vesti ognuno la parte sua , che pdi
seppellirono , onde renderle invisibili. Altri però nar- rano che egli
aringando fosse tolto di mezzo da’ citta- dini nuovi di Roma ; e che m
lanciassero ad ucciderlo quando appunto abbuiatosi il cielo, crasi il popolo
di- leguato , ed egli rimasto senza guardia : e però dicono che un tal giorno
tien nome da quel dissiparsi di po- polo , chiamandosi tuttavia fuga della
moltitudine. Sem- bra che gli eventi ordinati da’ Numi sui concepimento e sul
termine di quest’ uomo diano non piccola occasione a coloro che fanno de’
mortali un Iddio , e che ne spin- gono al cielo le anime più segnalate.
Perocché nella .compressione della madre di lui sia per uno Dio , sia per un
nomo , affermano che il soie si ecclissasse , e che tenebre , totali come nella
notte , coprissero la terra; e che il simile avvenisse por nella morte. Romolo
il fun- Digitized by Google LIBRO II.' 189 datore di Roma , il primo , assunto
da lei perchè la do- mioasse, cosi narrasi che finisse. E tutlodiè nella età di
cioquanlactnque anni , e già monarca da trentasette non lasciò rampolli di sua
generazione. Novello in tutto del- r impero de’ popoli , se lo ebbe nell’ anno
suo diciotte- simo come unanimi lo ripetono gli storici di queste cose. LVII.
Nell’anno seguente non si fece alcun re dei Ro- mani : ma vigilava su la comune
un magistrato detto interré, costituito in questa maniera (1). I Patrìzj
ascritti da Romolo in Senato , dugento , come dissi , di numero si divisero io
decadi. Poi traendo le sorti diedero la reggenza sovrana a que’ dieci che primi
erano favoriti dalle sorti ; non già che i dieci reggessero tutti in un tempo ,
ma successivamente ciascuno cinque giorni, nei quali avea con sé li fasci , e
gli altri simboli del regio comando. Il primo cedeva il comando ai secondo,
que- sti al terzo e cosi fino all’ ultimo. Decorso lo spazio dei cinquanta
giorni, fisso . pe’ dieci , primi nel comandare, succedea la decade seconda al
governo , e poi le altre via via. Finalmente piacque al popolo di abolire
questi decemvirati , essendo ornai stanco da tanto trasmutarsi di comandanti ,
varj nella natura e ne’ genj. Allora dun- que i Senatori convocando l’ adunanza
del popolo per tribù e per curie renderono ad esso il potere di discutere la
forma del governo , cioè se volevano un re ; o se an- nui magistrati. Ed il
po[K>lo non decise già esso , ma fece che scegliessero i Senatori , pronto
di attemperarsi (i) Ciò fu nell’anno 713 avanti Cristo : secondo Catone nell’
an- no 38 e secondo Varrone nel 4 ° di Roma. Digitized by Google 190 DÈLLE
Antichità’ romane all’ ordìae che approverebbei'o. Parve a tutti di fondare la
regia domiuasione ; ma non tutti concordavano tra i quali si avesse ad eleggere
il futuro monarca : e chi pen- sava che tra vecchi e chi volea che tra’ novi
Senatori ossia tra gli aggiunti di poi , à dovesse trascegliere il
|>er8onaggio che regnerebbe su Roma. LYIII. Procedendo la disputa, si
convenne finalmente su questi due punti : che i Senatori antichi scegliessero
il monarca non però del ceto loro , ma qualunque altro ue giudicassero idoneo;
o che farebbono ciò li Senatori novelli. Presero essi la scelta i Senatori più
antichi , e molto consultandone stabilirono ; di non dare , giacché essi ne
erano esclusi , il principato a niuno degli emuli, ma di creare monarca un
personaggio cercato ed intro> dotto di fuori, nè aderente ad alcuno de’ due
> princi- palmente perchè semi non ci avessero di discordie. Ciò deliberato
, destinarono co’ voti loro , il figlio del chia- rissimo nomo, Pompilio Pomone
, Sabino di lignaggio , Numa di nome , e per età prudentissimo , come non mollo
lontano dall’ anno quarantesimo. Regia ne em la dignità dell’ aspetto ; e
grandissima la riputazione per la sapienza non pur tra’ Cureti ma tra popoli
intorno. Pertanto riuniti in questa sentenza aduna- rono il popolo ; e fattosi
in mezzo l’ uno di loro , in- terré di que’ giorni , disse : che piaceva a
tutti i Se- natori di fondare un regio governo : e che egli inca- ricalo di
trascegliere chi lo assumesse trasceglieva in Numa Pompilio il monarca di Roma.
Dopo ciò de- putando dei Patrizj ; gli spedi perchè invitaswro il va- lentuomo
alla Reggia. E fu questo nell’ anno terzo della Digitized by Google gemati da
Romolo per non essere stati con'esso in guerra niuna , non godevano terre , nè
utile alcuno. Questi senza case , e vaganti per la miseria , erano di neces-
siti nemid ai più ricchi, e vogliosi di mutamenti. Fra tali agitamenti
fluttuava Roma quando Numa ne prese le redini , e su le prime ricreò la classe
de* poveri , compartendo loro porzione delle campagne possedute da Romolo , ed
un tal poco ancora de’ terreni dei pubbln co. Non togliendo quanto godeano, ai
patrizj fondatori di ‘Roma , e concedendo ai patrizj più recenti altri onori, ne
chetò le discordie. Proporzionata come uno stromento tutta la moltitudine all’
oggetto unico del pubblicò bene; ed ampliato il giro della città con
inchiudervi II Quiri- . naie, colle non ancora cinto di mura , si rivolse ad
al- tre istituzioni. E concependo che grande e beata diver- rebbe la città che
se ne adorna ; procurava queste due cose : la pietà primieramente , insegnando
agli uomini , che gl’ Iddi! sono i datori e li custodi di ogni bene alla
mortale natura ; e poi la giustizia, dimostrando che per essa i beni dispensati
da’ Numi arrecano delizioso godi- mento a chi li possiede. ' LXni. Non reputo
però che slan tutte da scrivere le leggi e le pratiche per le quali consegui 1’
uno e l’altro intento e con tanta amplitudine; perchè temo la pro- lissità de’
racconti , uè la vedo necessaria ad una storia pe’GrecI. Solo ne dirò
sommariamente le cose principai lissime , idonee a dimostrare la mente di un
tanto uoimo, cominciando dalle disposizioni di lui sul culto divino. Lasciò nel
pieno vigore lé consuetudini e le leggi die Digitized by Google 196 DELLE
antichità’ ROMANE trovò fondate da Romolo , credendole benissimo istitoite: ne
supplì quante ne erano state da lui pretermesse ; e diè sacri luoghi a’ Numi ,
non adorati ancora , c fece al- tari e tempj , e compartì feste per ognnnp , e
ministri per le sante cose. Finalmente ne ordinò colle leggi la illibatezza, le
espiazioni , le suppliche e tante altre ono- ri Gcenze e tanto culto ; quanto
non mai ne ebbe non- barbara gente, nè Greca, nemmeno delle più famose un tempo
per la pietà. Comandò che Romolo ancora , di- venuto più che uomo , s’
intitolasse Quirino , e si ono- rasse con templi e con annui sacrifizj.
Perocché non sa- pendosi ancora come Romolo fosse sparito, se per di- vina
provvidenza , o se per Iraude umana ; venne in mezzo del F oro un tal Giulio ,
un agricoltore della stirpe di Ascanio , uomo incolpabile di costumi , nè
capace di mentire per utile alcuno. Ora costui disse che tornan- dosi di
campagna vide Romolo che partivasi di città colle arme ; e che fattoglisi più
da vicino gl’ intimava : O Giulio va , riferisci in mio nome ai Romani ; che il
Genio che ni ebbe in sorte per custodirmi quando io nacqui ; questo, ora che io
compiei la mortale car- riera , mi solleva tra Numi , e che io sorto Quirino, ^
LXIV. Noma stese in iscritto tutte le ordinazioni su le cose divine ,
dividendole in otto classi, quante erano quelle de’ sacerdoti. Diè l’ incarico
primo delle funzioni religiose ai trenta Curioni de’ quali io diceva che coinr
pieano i sacrifizj comuni delle curie : diè 1’ altro si Ste- fanofori detti da’
Greci , e Flamini dai Romani , cosi nominati dai portare delle berrette e delle
bende ( 1 ) le (i) Nel usto PUot e stemma. 0 ptimo era una specie di berretta
Digitized by Google LIBRO n. 197 quali portano ancora , e le quali Flama si
chiamano : diede il terzo ai capitani dei Celeri , soldati come addi- tai, che
combàttono a piedi e a cavallo in guardia dei monarchi; e certo que’ capitani
ancora fornivano divini ordinati esercizj : diede il quarto a quelli che
interpe- trano i segni mandati dal cielo , e dichiarano se con- ceróOno private
o pubbliche cose. I Romani chiamangli Auguri dall’ indole dei precetti dell’
arte loro , e noi OionopoU li chiameremmo, uomini scenziati in ogni di-
vinazione de’ segni del cielo , dell’ aere , e della terra. Il quinto alle
vergini , custodi del fuoco sacro, appellate Vestali fra loro dal nome della
Diva a cui servono. Noma il primo fondò il tempio di Vesta , e misevi delle
vergini che ministrassero nel culto di lei. Su che rileva che io dica alcune
poche còse le più necessarie ; diman- dandole il sobjetto ; perocché degna ne è
la ricerca , e degna pur si stima da’ romani scrittori in questo luo 30 a DELLE
ANTICHITÀ ROMANE consola di una tomba , non 1’ esequie , non altro rito niuno
legittimo. Molti sono gl’ indiz) di mancanza nel santo ministero, e
principalmente lo spegnersi del fuoco: accidente che i Romani temono più di
tutti i mali, pi- gliandolo , e sia qualunque Torigine di esso , come pre-
sagio della rovina ultima di Roma. E molto ossequiando e placandolo; di nuovo
riconducono il fuoco nel tem- pio. Ma di ciò sarà detto a suo luogo. >
LXVIIL Ben è degna che raccontisi l’assistenza ma- nifestata delia Dea per le
vergini indegnamente accusate. Credesi questa da Romani , quantunque
ioconcepibile , e molto gli scrittori ne ragionarono. Quei che vansene a ma-
niera degli Atei filosofando, se filosofare dee dirsi mai que- sto , ripudiano
tutte le assistenze de’ Numi avvenute tra Greci e tra Barbari , e molto ne
deridono i racconti , ascrivendole a ghiattanza nmana, quasi niuno de’ celesti
prenda cura delle cose de* mortali. Ma quelli che non levano agl’ Iddi! questa
cura , e li giudicano propiz) ai buoni, e malafifetU a’malvagj, venendosene con
istorie moltissime , non prendono per impossibili tali divine manifestazioni.
Narrasi dunque che smorzandosi un tempo il fuoco per poco avvedimento di
Emilia, che allora ne era la guardiana , perocché ne avea trasmessa la cura ad
una compagna novella , e di fresco ammaestrata ; Borsene in città turbamento
ben grande , e si cercò dai pontefici se violazione ci avesse nel ministero
santo del fuoco. Allora, dicono, che Emilia, la incolpabile Emi- lia, non
sapendo che farsi nell’evento stendesse io pre- senza de’ sacerdoti e delle vergini
le mani in su l’altare e dicesse: o Vesta, o tu Dea, custode di Roma, se
Digitized by Google LIBRO II. 2o5 io santamente , e debitamente compiei le
sacre tue cerimonie ornai da treni anni , se pura l anima mia, se immacolate ti
si presentarono le membra di questo mio corpo , deh ! tu soccorrimi , nè volere
trascurare^ che la tua sacerdotessa miserandamente si muoja. Ma se io pur
commisi alcuna cosa men pia , deh ! che nelle pene mie la pena si dissipi di
Roma. Ciò detto è fama che spiccando il lembo dalla veste di lino onde era
coperta lo gittasse in so 1’ altare : e che dopo la preghiera , essendo la
cenere già fredda , e già senza favilla ninna, brillasse di.su per quel lembo
una damma copiosa , talché più non abbisognò la città né di puri'* ficaztoni ,
né di fuoco novello. LXIX. Più meraviglioso ancora e più somigliante ad una
favola è ciò che io sono per dire. Narrano che un tale accusasse Tuzìa 1’ una
delle vergini ma «>n alle» gazioni non vere di congetture e di testimonj ;
non polendo affermare che fosse per lei venuto meno il ìkoco : e che la vergine
comandata rispondere dicesse che smentirebbe co’ fatti le calunnie : che ciò
detto in- vocata la Dea perché le fosse guida nelle sue vie, s’in? camminasse
verso del Tevere concedendolo i pontefici, seguita dalla moltitudine: che
giunta in riva del fiume, si ponesse a cimento impossibile, ora passato in pro-
verbio : cioè, che prendesse acqua con un vaglio vuoto e ve la recasse fino al
Foro, quivi ai piedi spargendola de* pontefici. E narrano che dopo ciò 1’
accusatore di lei , per quante ne fossero le ricerche , né vivo più nè morto si
ritrovasse. Ma quantunque dell’ intramettersi della Dea potrei soggiungere più
cose ; reputo che ba- stino le dette finora. 2o4 delle Antichità’ romane LXX.
La sesta parte delie istituzioni religiose fa quella intorno àe Salii che
chiamansi In Roma. Numa stesso li nominò scegliendo dodici decentissimi giovani
patiizj. Stansi le sacre loro cose nel palazzo ; ed essi ne sono chiamati
Palatini. Ma gli Agonali , de’ quali serbansi le sacre cose nel poggio Collina
, questi co- gnominati Salj Collini , furono istituiti dopo Noma da Ostilio re
pel voto fatto da lui nella guerra co’ Sabini. Del resto i Salii tutti sono
danzatori e lodatori dei Numi delle arme. Tornano le loro solennità arca i
tempi delle nostre Panalenee nel mese detto di marzo : si celebrano a pubbliche
spese per piò giorni , ed in questi guidano per la città cori di saltatori al
Foro, al Campidoglio , ed altri luoghi speciali , o comuni. Va- riopinte ne
brillano le toniche traversate con cinture di rame ; ed affibbiate sono le
trahee loro che chiamano, luminose di porpora intorno. Sono le trahee in Roma
pregiatissime, e proprie del luogo. Torreggiano loro sul capo tiare (i) alte
con forma di cono, apici dette fra loro , ma cirbasie tra’ Greci. Ognuno è
cinto di spada; stringe colla destra mano un’asta o verga, o cosa con- simile ;
e colla sinistra uno scudo romboidale , stretto ne’ lati , quale è quello de’
Traci , e quale , dicesi che in Grecia lo portino quelli che vi celebrano le
'sacre cose dei Curetl. I Salj , per quanto io conosco , sareb- bero con greca
Interpetrazione I Cureli , denominati (i) Nel testo sono detti piUi, ma le
cirbasie erano specie di tiare secondo Esicbio la lesione dello scudo
romboidale è del codice V a- ticano e par la migliore. Digitized by Google
LIBRO II. 2o5 cosi tra noi dalla età giovanile (i) ; ma tra’ Romani hanno quel
nome dal moversi faticoso : perocché spio carsi e battere co’ piè la terra tra
lor si chiama salire. Per questa ragione medesima quanti altri noi chiame-
remmo dallo spiccarsi e battere con tal modo , essi gli chiamano salitorì con
voce originata dai Salj (a). Che poi dirittamente io do questi nomi, può chi
vuole, concluderlo dalle cose che fanno. Movonsi colle arme regolatamente al
suono delle tibie , ora insieme , ora a vicenda , e danzando intuonano patrie
canzoni. Ora se dee con antichi monumenti procedersi, i Gureti furono primi che
insegnarono a danzare armati tripudiando e battendo con le spade gli scudi : nè
bisogna che io ri- peta ciocché ha la fàvola su loro , essendo noto poco
meno che a mtti. LXXI. Ben molti sono gli
scudi che portano i Salj , 0 che i loro ministri portano sospesi in su
de’bastoni: ma tra questi uno ce ne ha che dicesi caduto dal cielo. È fama che
fosse nella reggia ritrovato di Numa , non avendovelo recato ninno , anzi
neppur conoscendosene la forma nella Italia. Argomentarono da tali due segni 1
Romani che fosse quell’ arme celeste di origine. E volendo, Numa che lo scudo
si onorasse , e recasse nei dì solenni per la città da’ giovani cospicuissimi ,
e ri- scotesse annui sagrifizj ; e temendo che i nemici in oc* (i) Quasi aiaao
Ktft$ gioTaoi , ma forte ebbero cuti nome ^wi rnt cioè dalla tontora : perchè
erano tosi nella parte an- teriore del capo. (a) Si saltava anche prima de’
Salj, però la voce salùores che pre- cede non è pptieriote al nome de’ Salj.
Digilized by Google ao6 DELLE antichità’ ROMANE culto lo ÌDsidiassero e
rapisserio; dicono che fabbricasse molti scudi uniformi a quello caduto dal
cielo , accin- gendosi Mamorìo artefice a questo , che f arme divina per la
somiglianza egualissima con altre umane non più potesse contrassegnarsi e
riconoscersi da chiunque vi macchinasse un inganno. Ebbe quel rito de* Cureti
ac- coglienza e pregio tra’ Romani , come io lo deduco da più seghi , e
principalmente dai spettacoli nel circo e nei teatri. Ne’ quali spettacoli
giovinetti già puberi , ac- conci d’ abito con cimiero , con spada , e con
scudo , moTonsi come con le leggi di un ritmo armonioso; e £u- tlioni chiamansi
i duci della pompa , dalla invenzione fattane , sembra , nella Lidia. Questi
sono , a me pare , immagine de’ Salj ; perocché non fanno appunto come i Salj
cosa ninna in foggia de’ Cureti sia negl’ inni sia ne’ salti; e prendonsi da
ogni condizione; laddove i Salj deggiono esser liberi e naturali del luogo , e
ricchi di padre e di madre. Ma perché mai rigirarmi più a lungd su queste cose
? LXXIL Fu la settima parte delle leggi sacre indiritta a dar ordine a’Feciali
che chiamano. Questi con greca significazione giudici si direbbono della pace :
scelgonsi tra le più illustri famiglie , e restansi per tutta la vita ht santo
ministero. Numa anch’egli dava la prima volu ai Romani tal ceto venerando. Io
non so definire sé egli ne derivasse l’esempio dagli Equicoli, come alcuni
pensano , o se, come Gelilo scrive , da Ardea : bastami dir solamente che
innanzi Numa non erano Feciali tra i Romani. Numa quando era per dar guerra a’
Fidenati, perchè aveano fatto scorsa e ruberia nel territorìu'dt ■ Digilized by
Google LIBRO n. 107 lui ; Numa gl’ ioslitul , perchè vedessero se voleano
pa> ciGcarsegli senza le arme, come vinti dalia necessità poi fecero. E
poiché non ci ha nella Grecia tribunale di Feciali; giudico necessario di
adombrare quante e quali De sieno le incombenze; perchè coloro che ignorano la
pietà che i Romani coltivano , non si meraviglino che tutte ad ottimo fine
riuscissero le guerre loro : certa- mente imprendeano queste con prìncipj e
cagioni one- stissime, dond’è che aveano propizj gl’ Iddi! ne’ pericoli. Non è
già fiicile , per la moltitudine , comprendere le cure tutte de’ Feciali. A
delinearle però con tocco lieve son tali : debbono cioè provvedere ' che i
Romani non movano guerre ingiuste a ninna città confederata ; che cominciando
taluna a rompere i trattati verso loro , vadano ambasciatori , e ne dimandino
il giusto prima con parole , poi v’ intimin la guerra , se non ubbidi- scono.
Similmente se mai confederati alcuni dicendosi offesi da’ Romani chiedano de’
compensi , debbono i Feciali riconoscere, se quelli han sofferto contro dei
patti; e se par loro che lamentinsi con diritto fan pren- dere e consegnare i
colpevoli ai danneggiati. Giudicano su gli oltraggi degli ambasciadori , e
vegliano per la Osservanza fedele dei trattati : fan le paci o le annulla- no ,
se fatte sieno contro le leggi sacre : decidono ed espiano , quante sono , le
violazioni fatte de’ giuramenti e delie alleanze' da’ capitani : ma di ciò dirò
ne’ suoi Inoghi. Quanto ali’ andarsen’ essi come araldi per esigere
soddisfazione da città che sembrino offenditrici , ne ho conosciuto (peste cose
, non indegne ancor esse che si risappiano, per la molta cura che involgono
della giu-Digitized by Googie ao8 DELLE ANTICHITÀ.’ BOMANE." sUzia e della
pietà. Uno de’ Feciali eletti a voti dagli altri , cinto degli abiti e delle
insegne sacre perchè fra tutti distingnasi, vassene alla città rea: ai primo
toc- carne i conGni , attesta Giove ed altri dumi che egli' viene perchè Roma
sia compensata : poi giurando che, dirigesi alla città colpevole, ed invocando
s’ei mentisce, maledizioni terribili contro sè stesso e contro Roma , slanciasi
olure i conGni. Quindi protestandosi ancora col primo che gli s’ imbatte ,
rustico o cittadino che sia , C; ripetendo l’ esecrazioni medesime, continua di
andare iu città ; ma prima di entrarvi protestatosi nel modo ine>. desimo
col portinajo e con qual’ altro nelle porte gli capita il primo, s’inoltra sino
al Foro; ove giunto parlamenta co’ magistrati ; aggiungendo tratto .tratto giur
ramenti , ed imprecazioni. Se danno soddisfazione con- segnandogli li colpevoli
, egli menali seco e vassene , amico già , dagli amici. Che se dimandano tempo
per consultarsi , ripresentasi dopo dieci giorni , e pazienta Gno alla terza
dimanda. Decorsi trenta di se la città non siegue il dover suo , egli invocati
i Numi celesti e grinfemali se ne parte, questo solo dicendo, che Roma
deciderebbe , tra la sua calma , su loro. Poi recatosi cogli altri Feciali in
Senato , dichiaravi come tutto fu compiuto secondo le leggi sacre, quanto
convenivasi : e che se vogliono risolversi per la guerra niente vi si oppone
dal canto degl’ Iddii. Senza tali pratiche nè il popolo , nè il Senato può
conchiudere col voto suo j la guerra. Questo è quanto abbiamo risaputo su’
Feciali. LXXIIL Nelle ordinazioni di Numa intorno le,, cose divine v’ ebbe in ultimo
la classe la . quale ottennero .• Digitieed by Cooglc LIBRO II. ^ 209 quanti
aveano in Roma sacerdozio ed autorità superiore. Questi con patria voce si
chiamano pontefici dal rifarsi di un ponte di legno che è uno degl’ incarichi
loro ; s son gli arbitri di cose grandissime. Imperocché giudi- cano tutte le
cause sacre de' privati , de’ magistrati e de’ ministri de’ Numi : fissano le
cose religiose non scritte nè solite ; scegliendo le leggi , e le consuetudini
che stimano più acconcie : esaminano tutti i magistrati o tutti i sacerdoti a’
quali è fidata la cura de’sagrificj e ' della venerazione de’ Numi: provvedono
che i loro mi- nistri e cooperatori non violino punto le sacre leggi :
espongono ed interpetrano il culto de’ Numi e de’ Genj a’ privati che lo
ignorano; e se colgono alcuno, disub- bidiente agli ordini loro, lo puniscono
secondo i delitti: ma essi non soggiacciono nè a giudizio nè a multe , non
rendendo ragione nè al Senato nè al popolo. Non travierà poi dal vero chiunque
vuole chiamare tali sa- cerdoti o dottori , o dispensatori , o custodi , oppure
interpetri delle sante cose. Mancando ad alcuno di loro la vita gli viene
sostituito un altro , il più idoneo ripu* .tato tra’ cittadini ; nè già il
popolo sceglielo ; ma essi medesimi : 1’ eletto però piglia il sacerdozio ,
quando propizj gli siano gli augurj. E tali sono , oltre alcune più piccole ,
le leggi più grandi e cospicue di Numa sulla pietà, compartite secondo i rami
varj del culto , per le quali Roma ne divenne più religiosa. LXXIV. Moltissime
poi sono le leggi che guidano r uomo a vita frugale e temperata , e che
ingenerano r amore della giustizia' la quale custodisce in città la DIONIGI ,
tomo I. ■; Digilized by Google 310 DELLE ANTICHITÀ.’ ROMANE coacordia : altre
però di queste sono scritte , ed altre non scritte ma passate pel lungo
esercizio in abitudini. E lungo sarebbe a dire di tutte ; ma basterà dire di
due più degne di ricordanza , e cbe sono argomento delle altre. La legge su’
confini da’ poderi fu causa che oguuno si contentasse de’ proprj ; non gli
altrui deside- rasse. Imperocché comandando a ciascuno di marcare intorno i
proprj poderi , e di porvi de’ sassi per ter- mini , dichiarò sagri que’ sassi
a Giove Terminatore , e volle che tutti periodicamente ogni anno recatisi in
sul luogo vi facessero sopra de’sagrifizj, e stabili parimente una festa in
onore degli Dei termini. I Romani chia- mano la festa Terminali , da que’ sassi
o termòni, che essi con simiglianza al nostro idioma, chiamano termini ^ mutata
una lettera soia. E se alcuno involava o traspo- neva que’ termini fu per legge
sacro agl’ Iddii ; talché potesse , chiunque volevalo , uccidere qual sacrilego
im- punemente , e senza macchia di colpa. Nè stabili tal diritto su’ poderi de’
privati solamente , ma su quelli del pubblico eziandio , circondandoli di
con&ni ; perchè gii Dei termini tenessero distinte le terre comuni dalie
in- dividuali , e quelle de’ Romani dalle altre de’ convicini. Praticano i
Romani pur ne’ miei tempi un tal rito , al- meno per apparenza , come
ricordatore de’ tempi : pe- rocché riguardano i termini come Numi , e
sagrificano ad essi focacce di fior di farina , ed altre primizie di frutti , e
non già cose animate ; essendo profanità ri- putata insanguinarne le pietre. E
bisogna che rispettino la cagione medesima per la quale fecero d’ogni termine
un Dio , contenti de’ poderi proprj , non arrogandosi Digilìzed by Google LIBRO
II. gli altrui colla forza , o coll’ inganno. Ora però con- trassegnano i
propri ma a propagare la giustizia e la
moderazione ; e con questi tenne il comune di Roma ordinato più ancora di una
famiglia. LXXYI. Con quello poi che ora io sono per dire egli fe’ Roma
sollecita procnratrice delle cose necessarie e delle dilettevoli. Considerando
il valentuomo che una città istituita per amar la giustizia e serbare la tempe-
ranza non dovea penuriare delle cose necessarie ; divise tutta la campagna in
porzioni chiamate pagi, assegnando per ciascuna un capo che la visitasse e
curasse. Questi recandovisi di tempo in tempo , e notandovi i buoni o tristi
cultori , ne riferivano poscia al sovrano ; ed il sovrano ricompensava i buoni
con lodi e con altre gen- tili maniere ; e svergognava i tristi o mullavali ,
onde accenderli a cultura migliore. Quelli dunque che sciolti dalle core della
guerra o della città sen vivevano in ampio ozio , pagandone col vitupero o
colle multe la pena , diventavano tutti operosi in lor bene , e riputa- vano la
ricchezza della terra che è la più giusta di tutte, essere ancora più dolce
della militare, che incerta fluttua ognora. Segui da ciò che Numa fu amato dai
sudditi , emulato da' vicini , e celebrato da’ posteri. Per opera di lui nè
sedizione interna disunì la città , nè guerra esterna la distolse dalla
disciplina sua bonissima e mirabilissima. E tanto i circonvicini furono alieni
da Digitized by Google LIBRO II. 2i3 prendere la calma inerme de’ Romani come
occasione d’ invaderli; che se prorompea guerra alcuna tra quelli, assumevano i
Romani per mediatori; e deliberavano di spegnere le inimicizie su le condizioni
date da Numa. Pertanto io non prenderei vergogna di collocare questo uomo tra’
più famosi per sorte beata. Nato di regia stirpe ebbe regia presenza, e si
esercitò nelle discipline non già di lettere vane, ma in quelle donde apprese
la pietà verso i Numi , e la pratica di altre virtù. Giovine fu riputato degno
di prendere il comando di Roma : ed invitatovi a prenderlo per la bella fama
delle sue virtù , regnò per tutta la vita su popolo docilissimo. Complesso com'
era di persona ^ nè danneggiatone mai dalla sorte , giunse a lunghissima età.
Finalmente con- sumato dalla vecchiaja venne meno a sé stesso con morte
placidissima. Quel medesimo genio di felicità che gli era toccato da principio
, quello sempre lo accom- pagnò finch’ egli non fu tolto dall’ aspetto de’
mortali. Visse più di ottant’anni , regnandone quaranlatrè. Di lui restarono ,
come i più scrivono , quattro figli , ed una figlia , de’ quali conservasi
ancora la discendenza : ma Gellio scrive che egli non lasciò che una figlia ,
dalla quale nacque Anco Marzo , terzo re di Roma dopo lui. Tutta la città si
abbandonò , lui morendo al dolore ; facendogli nobilissima sepoltura. Egli
riposa nel Gianicolo di là dal Tevere. E tali sono le (jose che ‘ abbiamo
risapute su Numa. . ■ Digilized by Google DELLE ai4 ANTICHITÀ ROMANE D I
DIONIGI ALICARNASSEO LIBRO TERZO. I. IVEancatO Numa Pompilio, i Senatori
arbitri nuo- vamente de’ pubblici affari deliberarono di conservare il governo
medesimo: nè già il popolo era di altro avviso. Adunque deputarono un numero
certo de’ Seniori i quali comandassero intanto nell’ interregno. Da questi ,
approvandolo tutto il popolo , fu nominato re Tulio , Ostilio , di cui la
origine fu , come siegue. Un tale , Ostilio di nome , uomo nobile e facoltoso
di Medullia , città fondata dagli Albani , presa a condizioni da Ro- molo e
venduta colonia romana , trasportatosi , per do- miciliarvisi , a Roma , vi
tolse in moglie una sabina , la figlia appunto di quella Ersilia , la quale ,
ardendo la guerra co’ Sabini , consigliò le sue nazionali di ao- Digitized by
Google DELLE Antichità’ romane libro in. 2 i 5 darne oralrici ai padri loro su
de’ mariti , e la quale sembra la cagion principale che i due popoli si rac-
chetassero. Compagno costui di Romolo in più guerre, e segnalatovisi per opere
grandi ; moti finalmente , la- sciando un unico figlio, nel combattere co’
Sabini, e fu sepolto dai re (i) nella parte più insigne del Foro , onorato di
una iscrizione , che la virtù ne ricordava. Cresciuto 1’ unigenito suo , e
legatosi con nobile matri- monio, ne ebbe un figliuolo; e Tulio Ostilio fu
questi, uomo elBcace. Dichiarato monarca dal voto , dato se- condo le leggi dal
popolo; i Numi ne approvarono con augurj propizi la scelta. Quando egli prese
il comando, volgea r anno secondo della olimpiade vigesima settima nella quale
Euriboto ateniese vinse nello stadio essendo arconte Leostrato (a). E nello
stringere appena lo sceu tro si affezionò la classe de’ mercenari e de’ poveri
con questa liberalissima azione. Aveansi i re predecessori eletto ampio e bel
territorio , colle rendite del quale fornivano i templi di sagrifiz) , e le
regie case di ab- bondanza moltiplice. Romolo avealo tolto a’ primi pos-
sessori colla legge delle armi : e morendosi lui senza figli , aveaselo goduto
Numa che gli succedette nel re^ gno. Laonde non era allora quel podere del
popolo ; ma perpetuamente dei re. Tulio nondimeno concedè che si compartisse
tra’ Romani privi in tutto di campa- gna; dicendo essere a lui sufficienti le
sostanze paterne per le cose de’ Numi , e della regia famiglia. Sollevò (i)
Romolo e Tazio. ( 3 ) Anni di Roma 84 secondo Varrone , 8 a secondo Catone ,
avanti Cristo 670. Digilized by Google 2i6 delle Antichità’ homane Goa questa
beneGcenza li cittadini bisognosi ; tanto che non più stentassero in servigio
degli altri. E perché ninno fosse privo di alloggio aggiunse a Roma il monte
Celio chiamato. Ivi quanti non aveano magione se la fabbricarono, pigliatovi
sito che bastasse : ed egli stesso la sua residenza vi collocò. E tali sono le
operazioni urbane di quest' uomo degne di ricordanza. II. Ma delle militari
molte se ne raccontano , ed io mi accingo a parlarne , cominciando dalla gueiTa
di lui con gli Albani. Gluvilio , un Albano , allora magi- strato supremo , fu
cagione che i dne popoli consan- guinei si scindessero , e separassero. Punto
da invidia , e mal più la invidia potendo rattemperare su la pro- sperità de’
Romani, come superbo e maligno per indole, risolvè d’ implicare i due popoli in
guerra vicendevole. Non sapendo però come volgere gli Albani a commet- tergli
che portasse 1’ esercito contro Roma ; altronde non avendone alcuna causa
giusta e necessaria; macchinò' questa o simile trama. Concitò, promessane la
impunità, li più poveri e li più baldanzosi degli Albani a far preda su’ campi romani:
dond’ è che seguendo un gua- dagno senza pericolo molti che tra ’l pericolo
ancora seguito r avrebbero , empierono le terre vicine di assalti e di
latrocinj. E ciò fece con disegno non alieno, come r evento stesso lo dimostrò.
Perciocché prevedea che i Romani non sofierendo le rapine correrebbono all’
armi , che egli potrebbe accusarli al suo popolo come primi a romper la guerra
: e prevedea che moltissimi Albanesi invidiosi delia prosperità della colonia ,
riceverebbero C6n piacere le accuse , e farebbero la guerra contro di Digitized
by Google LIBRO III. 2I senti se fosse da accettarsi il partito. A16ne ,
ascoltatine i roti , tornò nel consesso e disse: A noi non sembra o Tulio che
abbiamo a lasciare solitaria la nostra pa- tria , deserti i templi paterni,
vuote le case degli an- tenati, e desolata infine quella sede che i nostri
padri tennero quasi per cinquecento anni; tanto più che nè guerra ce ne
bandisce , nè flagello niuno del cielo. Non però ci dispiace che formisi un
Senato , e che una sia la città che domini, sut altra ancora. Scrivasi questo
se così vi pare , tra le condizioni , e levisi ogni seme di guerra. Concordi 6n
qui , difTerivano poi sa la città che prenderebbe il comando. E molti furono i
discorsi quinci e quindi tenuti, giustificando ognuno che dorea la propria
città signoreggiare su l’ altra. L’ Al- bano insisteva su questo diritto : Noi
o Tulio siam da- gni di comandare anche al resto d Italia, perchè una Digilized
by Google LIBRO III. 229 gente siamo di Grecia, e la più potente che qui in»
torno si alloggi. Crediamo giusto di precedere i La- tini almeno , se non altri
, nè già senza cagione; ma per la legge comune data dalla natura a tutti gli
uomi- ni , che 1 padri comandino ai figli : crediamo che ci si convenga il
Comando su la vostra città, piucchè su le altre , che pur sono nostre colonie ,
delle quali non possiamo finora dolerci. Noi abbiamo inviato la colo- nia nella
vostra ; nè già da tanto tempo che siane per t antichità svanito ogni legame di
sangue ; ma indietro da tre generazioni. Quando la natura avrà capovolte le
leggi umane facendo che i giovani mag- gioreggino su veechj , e li posteri su
gli antenati; al- lora , e non prima , noi sottoporremo la nostra città madre
perchè sia governata dalla colonia. Questo è ìuno de' titoli della nostra
superiorità, nè questo mai ce- deremo spontaneamente. Il secondo è tale. Voi lo
pren- dete , detto non come per calunnia o doglianza , ma per sola necessità.
Il popolo di Alba mantienesi an- cora qual era sotto de' fondatori : nè può alcuno
ad- ditarvi altro ramo di uomini , se non Greci o Latini, partecipi della
nostra repubblica: ma voi avete con- traffatto la sì gran purità della vostra
cittadinanza in- trinsicandovi Tirreni e Sabini , ed altri barbari molti,
erranti e senza patrj lari. Tanto che poco soprawanzavi di quell ingenuo
lignaggio che da noi vi si diramava, ed è questo, come un solo, tra i
moltissimi, rice- vuti dt altronde. Se noi vi cediamo il comando; il ». non
ingenuo comanderà su l ingenuo , il barbaro al Greco , i estero al patriota. Nè
già potreste voi dire Digitized by Google 2.10 DELLE Antichità’ romane che non
permettete a peregrini di amministrare il co- mune , e che voi , naturali del
luogo , voi presiedete e regnate : voi creale re forestieri , e senatori in
gran parte di altri popoli. Dite: v'inducete a ciò di vostro
volere? Ma chi mai di voler suo f chi se
più sia va- leni uomo abbandonasi cd governo dei meno riguarde- voli ? E se
apparisce , che voi siete a ciò sospinti da necessità , ben sarebbe grande tj
pravità , grande la manìa nostra se volontarj a tanto c inchinassimo. Da ultimo
così dico ; in Alba niuna parte ancora si è smossa della repubblica : corre già
, da che vi si abita la decima ottava generazione ; e V ordine ancora vi si
mantiene , e le abitudini primitive. Ma la vostra città senza buorì ordine e senza
bel complesso , come nuo- va , e sorta da più genti , assai bisogna di tempo e
di vicende , perchè inferma e scissa , com’ ella è , sì articoli e calmisi.
Tutti poi concederanno che deono le cose ordinate antistare alle disordinate ,
le cose note alle ignote , e le sane alle inferme. Voi dunque chie- dendoci in
contrario ; non bene adoperate. XI. A Fuffezio che cosi ragionava sottentrando
Tul.> lo rispose , o Fuffezio , o uomini di Alba noi li ab- biamo uguali con
voi li diritti della natura e del me- rito de* progenitori ; perocché vantiamo
ambedue la origine da capi medesimi. Quindi niuno è di noi da meno , o da più
dell’altro. Noi non istimiamo nè vero nè giusto che debbano le città madri ,
quasi per legge indispensabile della natura, dominare su le colonie. E molte
sono le nazioni dove le città madri servono, non comandano alle colonie.
Massimo , luminosissimo Digitized by Google LIBRO III. aSi esempio del
proposito mio si è Sporta , elevatasi a comandare non pur gli altri Greci: ma
fino i Do- riesi da’ quali discendeva. Sebbene e che giova dir su gli altri?
Voi stessi , voi padri della colonia che fece tlioma , voi non siete che un
tralcio de’ Laviniesi. Quindi se diritto è della natura che le città madri
regnino su le colonie, non saranno con precedenza i Laviniesi li legislatori
de’ nostri popoli ? E ciò sia detto sul primo de’ vostri titoli sì bello nelle
appa- renze. Siccome tu poscia o Fuffezio ti davi a contrapporre r una all’
altra città, quali sono, dicendo che il puro lignaggio di Alba rimanesi tale
ancora; laddove il nostro si è degenerato col tanto soprajfondervi de' fo-
restieri , e che non sono degni i non ingenui di co- mandare agli ingenui , nè
i forestieri agl’ interni ; vedi, quanto anche in ciò ti sei deviato. Tanto è
lungi che noi vogliamo vergognarci di rendere la patria no- stra comune a chi
vuole; che anzi ,, di ciò moltissimo ci gloriamo : nè già siamo noi gli autori
di tale isti- tuzione : ma ce ne diede Atene l’esempio , Atene tra Greci
famosissima per questo, almeno in parte se non in tutto. E questa pratica è
sorgente a noi di molti beni non che ci dia rimprovero e pentimento , quasi per
essa, mancassimo. Tra noi comanda e prov- vede , e tali altri onori si gode chi
di essi è degno non chi tiene il molto oro , nè chi può la serie ad- ditare
degli avi sempre nazionali : perciocché non po- niamo in altro la nobiltà che
nella virtù. ; l'altra mol- titudine non è che il corpo della città il quale
som- Digilized by Google a3i DKLLE antichità’ romane ministra potenza e forza a
savissimi consiglieri. Con tale benevolenza si è la nostra città fatta grande
di piccola , e formidabile d' ignobile tra’ popoli intorno, ed è cominciata tra
noi la forma di signoria , che tu o Fuffezio condanni , e che niuna ornai de’
latini può disputarci'; perocché sta la potenza delle città nella forza delle
armi ^ e la forza delle armi nella moltitudine delle persone. Ma le città
piccole , e spo- polate , e però deboli non comandano le altre , anzi nemmeno
sé stesse. Jo generalmente stabilisco che uno debbe esaltare il proprio governo
e riprovare quello degli altri, quando può dimostrare che la sua città col
metodo che le ascrive , diviene glande e felice, e che le altre se ne decadono
e sconciansi appunto col non seguirlo. Ora così vanno le cose; la vostra città
già nel fior della gloria , già ricca di molti beni , si è ridotta ad uno
scarso abitato ; e noi movendoci da piccioli principi abbiamo tra non molto
tempo ingran- dito Roma più d’ ogni altra città vicina, e colle isti- tuzioni
che tu ne biasimi. Le. nostre sedizioni, poiché di queste ancora tu ne in-
colpi o Fuffezio, nontendono alla depressione o rovina, ma sibbene alla
salvezza ed incremento del comune. I giovani vi contendono co’ schiari , i
nuovi con gli an- tichi cittadini chi più debba operare il pubblico bene. E per
dir tutto in breve , spettano alla città che dee comandare le due qualità ,
forza nel guerreggiare , e saviezza nel risolvere; e queste tra noi sono ambe-
due. Né ce ne fa testimonianza un millantarsene vano, ma il fatto che supera ogni
dire. Imperocché non era Digitized by Google LIBKO ni. 233 possibile che la
nostra città nella terza generazione appena dopo la origine, fosse già divenuta
sì grande e' potente , se non abbondavano in lei senno e valore. Argomentano la
nostra potenza le tante città. Ialine le quali sebbene da voi fondate , pure
voi dispregiane do , si concederono a noi per essere comandate anzi da Roma che
da Alba. E questo perchè potevamo noi prosperare gii amici e por già gl’
inimici ; ma non potfiono gli Albani altrettanto. Ben altre cose e for- tissime
o Fuff&sio potrei rispondere ai diritti che ne presentasti. Ma considerando
che vano è il disten- dersi , perciocché il dir breve vale quanto il prolisso
con voi che siete i competitori , ed i giudici; cesso tT insistere. Aggiungo
soltanto , e finisco, che io penso che tunica maniera , bonissima per togliere
le nostre controversie, della quale si valsero greci e barbari ne’ dissidj di
principato edi territorj sia questa , cioè che gli uni e gli altri veniamo a
battaglia con una parte solamente dell’esercito, vincolando la sorte della
guerra alla vita di pochissimi , e concediamo che la città che co’ suoi
guenneri vince i guerrieri delt emu- la , quella domini ancora. Ben è giusto
che ove le parole non vogliono , i brandi decidano. XII. Tali furono le dispute
di que’ due principi su la preminenza delle città : ma il seguito delle dispute
non fu se non quello suggerito dal Romano. Imperocché quelli di Alba e di Roma
presenti al colloquio cercando ^ un sollecito fine alla guerra ; deliberarono
di risolver la lite colle armi. G)ncluso ciò, si ebbe controversia intorno ai
numero de combattenti; non sentendone ambedue li ca- Digilized by Google a34
DELLE Antichità’ bomane pilani in un modo. Imperocché Tulio voleva che si de-
cidesse la gara col menomo delle persone , contrappo- nendo per combattere uno
de’ più riguardevoli Àlbahi ad altro simile de’ Romani : ed egli stesso era
pronto a spendersi per la patria, invitando TAlbano ad emularlo. Diceva che era
pur bello che quelii che prendono il comando delle schiere , prendano pur la
tenzone pel comando e pel principato o vincano de’’ valent' uomini, o vinti ne
siano. E qui ricordava quanti capitani e quanti re cimentarono la vita loro per
lo comune , tenendo essi a vii cosa di partecipare al più degli onori , ed al
men della guerra. L’ Albano credea ben detto che do- vessero le due città
rischiarsi con pochi: discordava però su la battaglia di un solo contro di un
solo. Esponeva che bello, anzi pur necessario è il combattimento da solo a solo
intorno la sovranità pe’ capi degli eserciti quando fondano la propria potenza;
ma che stolido anzi vituperoso è ne’ suoi pericoli quando ne disputano due
città sia che sperimentino sorte propizia sia che malva- gia. Adunque
consigliava che tre valent’ uomini dell’una e tre deU’allra città pugnassero in
vista di tutti gli Al- bani e Romani ; essendo questo numero , come avente
principio , mezzo e fine , propriissimo alla total decisione della
controversia. Ciò stabilito per voto de’ Romani e degli Albani il congresso fu
sciolto ; e ciascuno ritornò nei proprj 'alloggiamenti. XIII. Poi convocando i
capitani ciascuno le loro mi- lizie a parlamento , riferirono la disputa
vicendevole , e le condizioni ricevute per la soluzion della guerra. Ap-
provarono vivamente gli eserciti i patti di ambedue li Digitized by Coogle
LIBRO III. 235 capitani ; e gara meravigliosa di onore comprese centu- rioni e
soldati ; desiderando moltissimi di riportare la palma di quel combattimento ,
e studiandovisi non pur con parole , ma profTerendovisi con preludj di bell'
ar- dore ; tantoché si rendette malagevole ai duci il giudi- ziosu quelli che
erano i più idonei. Se alcuno vi era nobile per luce di origine , o forte per
gagliardia di corpo , o cospicuo pe’ fatti di arme , o segnalato co- munque per
eventi ed ardire, insisteva che mettessero lui primo fra i U'e. Ma tali fiamme
di emulazione che più e più si dilatavano in ambedue gli eserciti le ri- presse
il capitano di Alba col riflettere che la provvi- denza celeste antivedendo già
da tanto tempo la tenzone che sarebbe tra le due città , ne avea preordinato
che quelli che vi si cimenterebbero fossero non ignobili di lignaggio , buoni
in guerra , belli a vedere , nè simili a molti pe’ casi della nascita rara,
meravigliosa , impen- sata. Sicinio un di Alba avea nel tempo medesimo ma-
ritato due figlie gemelle , 1’ una ad Orazio Romano, e r altra a Curazio (i) un
Albano di popolo. Ingravida- rono ancora ambedue queste donne in un tempo , ed
ambedue diedero nel primo parto prole virile , e trige- mina. I genitori
pigliandone buon augurio per sé , per le famiglie, e per le patrie allevarono e
perfezionarono tutti que’ gemelli. Iddio , come io dicea da principio , diè
loro beltade, robustezza, magnanimità; talché non cedeauo a niuno de’ben
avventurati per indole. A questi (i) Mei testo Corazio. Sigonìo crede che vada
bene e che in Tito Livio si debba leggere Curazio , com' egli ha trovato in un
mano- scritto e non Cariazio come comnnementesi legge. Digitized by Google 2 36
DELLE antichità’ EOMANE deliberò FufTezio di appropiare la battaglia sa la pre-
minenza de’ popoli. Quindi invitando vid un colloquio il re di Roma gli disse:
XIV. Un Dio , sembrcuni o Tulio che provvedendo le nostre città, dia loro segni
manifesti di benevo- lenza in p ià cose; come su la tenzone imminente. Cer- to
ben dee parere in tutto opera divina e meravigliosa che si rinvengano per
combatterci uomini non inferiori a niuno di prosapia , buoni nelle armi , belli
a ve- dere j originati da un padre , nati da una madre sola, e venuti', ciò che
è pià singolare, in ungiamo stesso alla luce ; e tali sono gli Orazj fra voi ,
tali fra noi li Curazj. Che dunque non abbracciamo una tale provvidenza divina
, e non assumiamo ambedue per questa gara di sovranità que trigemini ?
Bisplendono tn essi ancora le doti sublimi, quante altre mai ne brameremmo in
chi fosse per uscire al paragone delle armi; ed essi pià che tutti gli Albani e
Romani han pure il bene che essendo fratelli non abbandoneranno, pericolano , i
compagni nella impresa. Cesserà su- bitamente rimpetto a loro la emulazione
difficile a calmarsi per altra maniera in altri giovani , de' quali tnolti tra
voi penso che di virtà competerebbero , come Ji'a gli Albani competono. Noi
persuaderemo questi di leggeri , se additeremo loro come la bontà Divina ba
prevenuto le sollecitudini umane , dandoci con. egualità chi decida con le armi
le contese della pa- tria. Nè già crederanno di essere superati dalla virtit
dè' fratelli trigemini; ma da certa prosperità di na- tura ed opportunità di
fortezza eguale in essi per competere. Digitized by Googl LIBRO III. 287 XV.
Cosi disse Fuffezio , e comune ne fa I’ appro- vazione , quantunque presenti vi
fossero i più bravi di Alba e di Roma. Soprappensò Tulio un poco , e se- guì :
Ben sembra o Fuffezio che abbi tu saviamente concepito. Imperocché meravigliosa
è la sorte che ha dato in questa generazione ad ambedue le città prole tanto
simile; quanta altra volta mai non vi s’incontrò. Mi sembra però che non abbi
tu considerato che as- sai rattristeremo i giovani se chiediamo che fra loro
dontendano. Imperocché la madre degli Orazj nostri è sorella della madre de'
vostri Curazj : e questi cre- sciuti giovanetti nel seno di tali due donne si
carez- zano ed amansi come fratelli. Bada che non sia forse, indegna cosa dare
le armi e sospingere gli uni alla morte degli altri, questi, congiunti per
fratellanza e per educazione. Il sangue se vi si astringono , il san- gue di
cui si lordano ritornerà su noi che ve li astrin- giamo. Replicò F ufTezio ; iVbn
ignoro o Tulio , il pa- rentado de’ giovani ; nè io già , se li ricusano , sono
per violentare i cugini alla battaglia. Ma non sì tosto
mi venne in pensiero di mandare dal canto
mio li Curazj di Alba io gli investigai se porrebbonsi vo- lentieri al cimento.
E ricevendo essi il dir mio con enfasi incredibile e meravigliosa, io fui
deliberato allora di svelare e proporre quel mio sentimento. Sug- geriscoti che
anche tu facci altrettanto chiamando quei tuoi trigemini, ed esplorandone i
cuori. Che se vor- ranno anch’ essi esponersi per la patria , tu ne ac- cetta
la benevolenza : ma se ricusano , tu per niun modo non isforzarvegli. Io di loro
presagiscoti cioc- Digitized by Google 238 DELLE antichità’ ROMANE c/l’ è degli
altri miei. Se come abbiamo ascoltato ( giac~ chè venuta è fino a noi la fama
della loro virtà ) sa~ migliano i pochi bennati, e se bellicosi ancor sono per
indole ; abbracceranno prontissimi , e senza che niuno ve li necessiti , di
combattere per la patria. XVI. Accolse Tulio il suggerimento : e conchiusa una
tregua di dieci giorni per consultarsi, e tentare 1’ animo degli Orazj, e
risponderne ; si ricondusse a Roma. Deli- beratosi ne’ primi sei giorni co’
migliori , e vedutili per lo più propensi agl’ inviti di Fufiezio; chiamò li
fratelli trigemini , e disse : Fu/fezio o uomini Orazj , abboc- catosi meco
nell' ultimo congresso nel campo , mi annunziò , che crasi fatto per la provvidenza
degli Iddii , che si cimenterebbero per V una e per V altra città tre bravi ,
de quali invano ne cercheremmo altri più. valorosi, o più idonei, cioè li
Curazj per Alba, e voi pe'Jìomani. Ciò conoscendo , mi disse, che aveva egli
primo investigato , se que vostri cugini si espor- rebbero volontari per la
patria : e trovatili che ar- dentissimi correrebbono ad ogn impresa,
inanimatone mi propose V evento , invitandomi perchè io vedessi di voi
parimente , se voleste offerirvi per la patria , e rispondere in campo ai
Curazj , o se lasciaste ad altri tanta emulazione. Ben io mi argomentava che
voi per lo valore dell’ animo, e per la possanza delle mani , doti in voi non
occulte , spontanei più che tutti, vi rischiereste per trionfare : ma temendo
che la con- sanguinità vostra co’ tre gemelli di Alba non fosse un impedimento
al vostro ardore , chiesi tempo a ri- solvermene , e feci tregua con lui di
dieci giorni. Re- Digitized by Googl LIBRO III. 289 stituitomi in Roma adunai
li senatori, e proposi l’qf- fare sicché ne discutessero. Parve al più, di loro
che se voi spontanei vi mettereste alla impresa, bella e degna di voi , impresa
che io già voleva , solo io per tutti combatterla ; allora ve n esaltassi e v
ac-^ cettasi. Ma se voi, restii contro al sangue de vostri, e non già
confessandovi pusillanimi, dimandereste al- tri fuori della vostra famiglia ;
allora , parve loro , che io non dovessi farvene la menoma violenza. Così
pronunziava il Senato : nè già ne avrà egli ramma- rico se voi riguarderete la impresa
come grave: ma non picciola è la gratitudine che dovravvene , se voi pre-
gierete la patria più de’ parenti. Or su ponderate col bene vostro , ciocché
siate per farvi. XVII. Udendo i giovani questo ; si ritirarono , e con-
ferirono brevemente. Tornatisi quindi a rispondere cosi disse il maggiore fra
loro : Se noi fossimo liberi; se fossimo gli arbitri unici delle nostre
risoluzioni; e tu ci avessi o Tulio incaricato di consultarci su la pu- gna
contro i nostri cugini: già ti avremmo risposto de' nostri voleri. Ma perocché
vive il nostro genitore senza cui niente vorremo dire nè fare ; preghiamoti che
ci concedi alcuna requie a risponderti , finché ce ne intendiamo con esso.
Encomiando Tulio la pietà loro , e volendo che cosi appunto facessero ; partirono
in verso dei padre. Dichiaratogli l' invito di F uffezio, il colloquio di Tulio
con essi , e la risposta vendutagli ; alfine insisterono perchè dicesse
ciocch'egli ne sentisse. E colui sottenlrando disse : Pietosamente o figli ado-
peraste riserbandovi al padre , nè risolvendovi senza a4o DELLE Antichità’
romane lui. Ma ò tempo ornai che voi pure vi manifestiate idonei a tali
consigli : concepite già venuto il fine dei miei giorni; palesatemi ciocché
scegliereste di fare , deliberandovi tra voi sema del padre : Allora cosi
rispose il maggiore: Noi o padre assumeremmo a noi di combattere per la
preminenza di Roma, e ci por- remmo alle vicende che a Dio si piacessero;
bramosi anzi di morire che di vivere indegni di te e degli oìv- tenatì. Il
ligame del sangue co’ nostri cugini non lo avremo noi sciolto i primi; ma come
sciolto già dalla sorte , placidi lo mireremo : perocché se i Corcai; sti- mano
la parentela men che il benfare ; nemmeno agli Orca] parrà quella più.
onorevole della virtiu Come il padre conobbe i loro sentimenti , divenutone
lietissi- mo, e sollevando le mani al cielo , parve che rendesse copiose grazie
agl’Iddii, perchè gli avessero dato figli onesti e generosi. Quindi prendendoli
uno per uno , e dando loro soavissimi amplessi e baci di amore , voi vi avete,
disse, magnanimi figli , anche il mio voto. An- • date j rispondete a Tulio i
pietosi e belli sentimenti. Allora giojosi quelli per le ammonizioni paterne si
di- visero, e corsi al monarca accettarono la battaglia. E colui convocato il
Senato , e mollo encomiativi i gio- vani spedisce messaggeri alPAIbano per
dichiarargli che i Romani sieguono ,il suo volere , e pongono gli Oraz) per
combattere sul principato. XVIII. Ora dimandando il subbletlo che rappresentisi
diligentemente la forma della battaglia , nè scorrasi di volo su’ casi che la
seguirono, simili a quelli di una tragedia , tenterò di pareggiare , quanto io
posso , coi Digilized by Google LIBHO III. 34 I detti ogni cosa. Venuto il
tempo di compiere le con- disioni , uscirono tutte in campo le milizie romane ,
e dopo le milizie , fatte prima suppliche ai Numi , usci- rono i giovani. Essi
ne andavano compagni del re , mentre il popolo per tutta la città gli acclamava
, e spargeva loro de’ fiori sui capo. Erano già uscite an- ch’esse le schiere
albane. Collocatesi le une in vicinanza delle altre destinarono per teatro
dell’ azione il campo che separa i confini di Alba e di Roma ove già s’ al-
loggiavano entrambi gli eserciti. Quivi sagrificando giu- rarono anzi tutto
Romani ed Albani su le vittime che ardevano di essere contenti della sorte la
quale per r una e per l’altra città risulterebbe dal combattere dei cugini, e
di osservare santamente i patti senza mescervi inganno , essi nè i posteri.
Compiuti tali sacri riti in verso de’ Numi si avanzarono in arme dal proprio
campo , spettatori gli uni e gli altri della battaglia ; la- sciando , tre
stadj o quattro di spazio intermedio pei combattitori. Prescntaronsi indi a non
molto il capitano di Alba ed il re di Roma conducendo quello i Curazj, e questo
gli Orazj , armati splendidissimameute , e con apparato quale il prendono ,
uomini destinati alla morte. Giunti gli uni vicino agli altri consegnarono le
loro spade agli scudieri ; e corsero e si abbracciarono, pian- gendo
vicendevolmente , e chiamandosi co’ più teneri nomi; talché datbi tutti intorno
alagrimare, accusavano la grande inumanità loro , e de’ capitani , perché po-
tendo definire la lite con altri , l’ aveano ridotta al sangue de’ parenti ed
ai contaminarsene delle famiglie. DIOHIGI , Uno X. „ '*» Digitized by Google
242 DELLE Antichità’ romane Staccatisi CDalmente i giovani dagli amplessi ,
ripigliale dagli scudieri le spade , e già ritiratisi quanti s’ aveano intorno
, si contrapposero secondo la statura , e si av- ventarono. . XIX. Stavansi Gn
qui le milizie placide e senza cla- mori : ma poi da ambedue proruppero grida
frequenti , esortazioni scambievoli per chi avea da combattere e voti e
rammarichi , e continui suoni di voce , varj se- condo r ondeggiare vario della
mischia , quali per le cose fatte e vedute dall’ una e dall’ altra parte , e
quali per le cose future o pronosticale : ma più dalle imma- ginazioni ne
derivavano che dai successi ; perocché la visione fatta in tanta distanza non
era ben chiara ; e passionandosi tutù pe’loro combattenti, prendeano come
avvenuto quanto ideavano. E gli assalti incessanù , le ritirate degli emuli , e
li passaggi rapidi , e li rivolgi- menù (i) degli uni in su i luoghi degli
altri levavano ai riguardanù la forza del distinguere. Durò tal vicenda gran
tempo; perocché gli uni e gli altri aveano pari le forze del corpo , pari la
generosità degli animi , e bo- nlssime le armi che li circondavano; nè
rimaneano loro membra alcune indifese ; tanto che feritivi , subito ne
morissero. In tale stato molti Romani e molti Albani in mezzo all’ansia di
vincere e nel commovei'si pe’loro atleti , s’ inGammavano , elGgiandosi appunto
con gli affetti di quelli , quasi volessero anzi star nel conflitto , che
rimirarlo. AlGne il maggiore degli Albani serratosi col Romano che stavagli a
fronte , e dando e ricevendo (1) Cioè il voiiat della taccia, molalo luogo.
Digitized by Google LIBRO III. 243 colpi su’ colpi ; immerse non so come la
spada nel> r anguinaja dell’ emulo. Questi ingrevilo già da altre ferite ai
riceverne l’ ultima e mortale , cadde , rilascian* dosi nelle membra , e spirò.
Alzarono a tal vista gli spettatori tutti le grida ; gli Albani come già
vineitori , e li Romani quasi già vinti ; concependo i due loro fàcilissimi da
essere conquisi dai tre degli Albani. Frat' tanto il Romano che era per
soccorrere il caduto com> pagno y vedendo quanto l’Albano rabbellivasi ai
fausto evento , si spiccò come un lampo su lui , e menando e riportando ferite
in copia , alfine gli cacciò la spada nella gola e lo uccise. Ricambiatisi in
poco d’ ora i successi de’ combattenu , e le affezioni degli spettatori ,
elevandosi i Romani dal primo abbassamento , e per^ dendo gli Albani la
esultazione ; un’ altra volta ancora la sorte spirò contraria ai Romani, e ne
umiliò le spe concio ; por zoppicandone , ed appoggiandosi via via su lo scudo
, reggeva ancora , e si ritirava presso del fra- tello rimastogli , che starasi
alle prese col Romano. Re- stava a questo F uno de' contrarj a fronte ,
venendogli r altro da tergo. Allora temendo che avendola a fare con due che da
due lati lo investivano , sarcbbenc fa- Digitized by Google 244 DELLE
ANTICHITÀ.’ EOMANE cilmente rlnthiuso : e trovandosi invulnei^to ancona ; pensò
di separare i nemici e combatterne . 1’ uno dopo r altro. Concepì che avrebbeli
facilmente disgiunti se facesse vista di fuggire; non potendo ambedue segui*
tarlo , giacché vedeane l’ uno infermo del piede. Cosi deliberato fuggi con
quanto avea di velocità , nè gli vennero meno le speranze. L’ albano che non
avea piaga mortale , tennegli immantinente appresso; ma l’ invalido a camminare
si rimase più addietro che non dovea. Qui gli Albani confortavano i suoi :
riprendevano i Romani il proprio guerriero : anzi cantavano quelli e si magui-
fìcavano , come sul termine glorioso della impresa ; ma s addoloravano gli
altri come non più potesse la for- tuna rasserenarsi verso di loro. Quando ecco
il Roma- no, coltone il punto, si rivoltò rapidissimo ; e prima che r Albano
potesse guardarsene , gli diè colla spada in un braccio , e spiccoglielo nel
gomito. Fattagli . ca- dere la mano e colla mano la spada gli sopraggiunse un
colpo , e con questo la morte. Quindi si lanciò su r ultimo albano e lui già
derelitto , già semivivo scannò. Poi spogliati i cadaveri de’ cugini , corse in
città ; volendo esso il primo dare al padre la nuova della vittoria. XXL
Portavano però i destini che essendo mortale anch’ egli non avesse prospera
ogni cosa ; ma sentisse i morsi ancora della invidiosa fortuna. Lo avea questa
iu pochi momenti venduto grande di picciolo, e sollevato a chiarezza
inaspettata e mirabile, e questa appunto nel medesimo giorno lo gittò dentro
amara sciagura, spin- gendolo ad uccidere la sorella. Come egli fu vicino alle
porte di Roma , videvi moltitudine immensa che fuori Digilized by Googl LIBRO
III.- 245 se, ne versava, e vide accorsa con essa ancor la sorella.^ Tnrbato ài
primo vederla perchè essa, donzella ornai nubile, ave^ lasciato la custodia
materna, e si fosse esposta in mezzo di turba incognita ; ne formava pen- sieri
funesti: ma si rivolse alfine ad altri più miti e be« nevoli , quasi ella
cedendo al muliebre genio avesse ne*, gletto il decoro per desiderio dì
salutare primieramente il fratello salvo , e d’ intenderne i fatti virtuosi
degli' e- stinti. Colei però s’era ardila di mettersi alla insòlita via non'
per desiderio del fratello ma vinta dall’ amore di uno de’cugini , col quale
aveale il padre fuo concordate le. nozze. Celavano colei l’ ineffabile afletto
; ma poiché seppe da un tal dell’ esercito gli eventi della giornata ; non più
lo contenne : ma lasciati i domestici lari corse come furiosa alle porle di
Roma, nemmeno volgendosi alla nutrice che la seguiva , e la richiamava. Uscita
dalla città come vide il fratello festevole colle ghiriande trion- fali dntegli
dalle regie mani , e gli amici che portavano le spoglie degli estinti , e tra
le spoglie ancora 1’ am- manto vario , che essa avea colla madre tessuto e màh-
dato in pegno delle nozze allo sposo, giacché usano gli sposi futuri tra’Latini
abbigliarsi di ammanto vario; come vide il caro suo dono macchiato di sangue ;
si lacerò le vesti , si battè con ambe le mani il petto; ululò , richiamò l’
amato cugino ; tanto che grande stupore ne invase quanti in quel luogo si
stavano. £ pianto il destino dello sposo folgorò col fisso sguardo sul fratello
, e gridò: Tu esulti o sozzissimo uomo su la occisione decagoni, e tu ,
scellerato , tu privasti con ciò dello sposo la mi- sera sorella tua. Nè pietà
senti de’ trafitti parenti che Digilized by Google 2 46 DELLE Antichità’ romane
pure chiamavi fratelli tuoi; ma f innebrj di gioja quasi per buonissima impresa
y e vai fra tanti mali coronato. E qual cuore è mai il tuo ? forse di una fera
? ■■ anzi , colui replicò , di un cittadino che ama la patria ; di uno che
punisce chi le vuol male , siasi egli un estraneo o siasi un domestico. E tra
questi colloco te pure , te' che vedendo i beni grandissimi , e i grandissimi
mali in un tempo awemUici, la vit- toria della patria che io qui ti presento ,
e la morte de tuoi fratelli ; già non esulti o malvada pe’ beni comuni della
'patria , nè ti addolori pe’ domestici in- fortuni > spregiati i fratelli ,
non sospiri che lo sposo ; e profani te stessa non fra le tenebre ; ma nel
pubblico aspetto di tutti. A me la mia virtù, rimproveri , a me le mie corone !
O non vergine , non ‘sorella, e non degna degli avi! Poiché dun- que non piangi
i fratelli ma lo sposo ; poiché tieni il corpo co’ vivi , ma V anima colf
estinto ; va , ten corri a lui che richiami, nè più. disonorare il geni- ' tare
, e i fratelli. Cosi dicendo , più non serbò misura nell’ odio della scellerata
; ma le immerse con quanto area d* ira la spada ne’Ganchi; ed uccisala
andossene al padre. I costumi e gli animi de’ Romani erano allora cosi pieni
dell’odio del male, e cosi fermi in questo; che se alcuno li voglia paragonare
co’ nostri , dirà che erano aspri e duri, nè diversi molto da quei delle fiere.
Il padre udita la spaventevole uccisione non -solo non se ne corrucciò ; ma la
tenne come debita e decorosa ; perciocché nè permise che fosse portata nella
sua casa ; nè procurò che la seppellissero nelle tombe degli avi ; Digitized by
Google LIBRO III. 247 nè clic fosse con esequie e fregi, c conianque coTunebri
riti onorata. Ma coloro che passavano dove giacevasi uc> mettono che
uccidasi alcuno impunemente, e riferendo gli esempi dati dagl’iddi! su le,
città che non vendicano gli scellerati. Faceva il padre le difese del giovine,
ed incolpava la Gglia ; pretestando eh’ ella non ebbe morte, ma castigo : che
niuno era nella domestica sciagura giu- dice più acconcio di lui come genitore
di ambedue. Mol- tiplicandosi da arabe le parti i discorsi, assai fu per-
plesso il monarca come avesse a terminare il giudizio. Eigli per non portare la
colpa, e la maledizione nella magione sua da quella dell’ autore di esse credea
bene che non si assolvesse chi dichiaravasi reo del sangue della sorella ,
sparso prima di ogni condanna, e per ca- gioni per le quali vietano le leggi
che uccidasi : non ammettea però che si avesse ad immolare come un omi> cida
chi avea scelto di cimentarsi per la patria e tanta signoria le avea
procacciato , mentre nou tenealo per colpevole il padre stesso a cui la natura
e la legge danntT ' i primi diritti di risentimento per la figlia. Incerto come
decidersi , tenne da ultimo per lo meglio rimetterne al popolo la sentenza. Il
popolo Romano divenuto allora la prima volta giudice di un omicida si attenne
alle de-^ siinazioni del padre , ed assolvette il suo liberatore dalla morte.
Pure non istimava il re che' bastasse a chi volea mantenere la pietà verso i
Numi tal giudizio venduto dagli uomini: ma chiamati i pontefici commise loro
.che placassero i Geni! e gl’ Iddi! , e mondassero il giovine colle espiazioni
le quali purificano da morti involontarie. Digitized by Coogle LIBRO III. a 49
E quelli eressero due altari, l’uno a Giunone, Dea difenditrice delle sorelle ,
e 1’ altro ad uno Dio , chia- mato (i) Genio da’ nazionali , col nome appunto
de’cu- gini Curazj uccisi dal giovane. E facendo su questi de’ sagrifìzj , ed
usando nondimeno altre espiazioni, da ul- timo passarono 1’ Orazio sotto il
giogo. Costumano i Ro- mani , quando diventano gli arbitri di nemici che ab-
bassano le armi , di piantare due aste diritte , acconcian- done una terza
supina su di esse ; e poi di passarvi sotto li prigionieri, e dimetterli alfine
liberi verso le patrie loro. E questo è ciò che chiamasi giogo. Coloro che
lustra- rono J1 giovane si valsero di tal ultimo rito nel puri- ficarlo. I
Romani tutti stimano sacro il luogo della città dove fu praticata la cerimonia.
Rimane questo nell’ an- gusta via che mena giù dalle Carene coloro che ven-
gono all’angusta via Cipria. Ivi sorgono altari allora edi- ficati , e su gli
altari stendesi 1’ asta supina confitta ai due muri contrapposti: pende questa
sul capo di quelli che ne escono , e chiamasi nel parlar de’ Romani asta o
legno della sorella. Questo luogo onorato con annui sagrifizj ricorda in Roma
ancora la sciagura del giovane: ma ricorda il valor suo tra la battaglia la
colonna an- golare che è principio del portico secondo nel Foro dalla quale
pendevano già le spoglie de’trigemini Albani. Le armi vennero meno per gli anni
; ma la colonna ser- bane ancora la denominazione chiamandosi pilastro Ora-
zio. Che anzi evvi in Roma una legge nata da tal fatto , (i) Genio Curazia: fu
così detto perchè destinato a placare le ombre de' Coratj . Ed Orazio meritava
appunto di essere espiato dal sangue della sorella e de’ cugini. Digitized by
Google aSo DELLE Antichità’ romane ed osservatavi pur nel mio tempo , a
riverenza e gloria de’ giovani immortali, la quale ordina che nascendo dei
tiigemini si dispensino per essi a pubbliche spese i vi* veri Gno alla pubertà.
Tal Gne ebbe la serie delle cose degli Oraz] iniessuta d’ inaspettate e
meravigliose vi- cende. XXIII. Indugiatosi il re de’ Romani per un anno onde
apparecchiare quanto era d’uopo alla guerra; inGne de- liberò di avanzar coll’
esercito contro Fidene. Preodea le cagioni di guerra da questo , che invitau i
ciuadioi di essa a giustiGcarsi circa le insidie ordite su gli Al- bani e
Romani non aveano ubbidito , anzi dando in un subito alle armi e chiudendo le
porte e congregando le schiere ausiliarie de’ Yejenti , erai^si manifestamente
ri- bellati. Aggiungevasi , che andati gli oratori per inten* dervi le ragioni
della rivolta, i Fidenati non altro ri- sposero , se non che non aveano essi
cosa alcuna co- mune co’ Romani Gn dalla morte di Romolo al quale si erano ,
giurando , congiunti di amicizia. Su tali ca- gioni armò le sye milizie , e fe’
richiedere le conJede- rate , delle quali Mezio F uffezio recava da Alba le più
numerose in apparato bellissimo ; tantoché superava ogni altra forza amica.
Tulio commendò Mezio, come detet^ minato a prendere seco lui la guerra
ardentissimamente, in ogni miglior modo ; e Io rendè consapevole di tutti i
disegni. Ma quest’ uomo incolpato già da’ suoi come rio capitano di guerra ,
anzi calunniato di tradimento ; questo dopo che si era tenuto per tre anni
sotto 1’ au- torità suprema di Tulio , alGne sdegnando un princi- pato schiavo
dell’ altrui principato , e di essere diretto Digitized by Google LIBRO III.
s5l pimtosto che dirigere; macchinò cosa non degna. Im- perocché mandati
messaggeri segreti a’ nemici de’ Ro- mani , irresoluti anewa per la ribellione
, gl’ infiammò ^ , che non piò dubitassero ; promettendo che in mezzo della
battaglia investirebbe egli stesso i Romani. E tali cose macchinando e facendo
; potè rimanersene occulto. Tulio apparecchiate le milizie sue e quelle de’
com-i pagni le portò su’ nemici, e valicato il fiume Aniene si pose non lungi
da Fidene : ma scoprendo innanzi di questa io ordinanza un gran numero di
Fidenati e loro compagni si tenne in calma tutto quel giorno: nel se- guente
convocando 1’ albano F nlfezio , ed altri de’ piò intimi amici ponderò con essi
com’era da praticare la guerra ; e poiché parve loro che fosse da combattere
spe> ditamente, senza indugiarvisi ; egli preaccennando i po- sti e r ordine
che ognuno prenderebbe , e destinando per la zuffa il prossimo giorno , congedò
l’ adunanza. Quindi FufFezio che ancora tenevasi occulto con molti degli amici
sul tradimento che meditava , fatti a sé ve- nire i più cmpicui tra’ suoi
centurioni e tribuni disse: XXIV. Tribuni , centurioni , io sono per comuni-
carvi grandi , inaspettate cose , che vi tacqui finora. Vi raccomando se non
volete distruggermi che voi pure le taciate : anzi che miei cooperatori vi
siate , se utili a compiersi vi parranno. Il tempo angusto non consente che io
distesamente vi parli di ogni cosa; e ristringomi alle primarie. Io per tutto V
intervallo che fummo subordinati a' Romani fino a questo giorno ; io m’ ebbi
una vita piena di vergogna e di ramma- rico j eppure fui onorato dal monoica
loro della ma- aSa DÈtLE Antichità*' ROMANE gisàratitra 'suprema , oggimaì da
tre anni, è lo sarò' nemmeno per sempre se il voglio. Ma perciocché mi parca t
estremo de* vituperj che io' solo mi fossi felice' nella sciagura comune ; e
vedeva intanto io bene che eravamo stati spogliati della sovranità contro tutti
i diritti sacri dell’ uomo ; cosi mi diedi a considerare come potessimo
ricuperarla , ma senza rischiarvi gran fatto. E discorrendola io meco
moltissimo ti-ovai una via sola facile nè pericolosa che guiderebbe all’ in-
tento , cioè che sorgesse loro una guerra da confinanti. Imperocché prevedeva
io che i Romani avrebbono a chiamare le truppe ausiliarie , e le nostre
massima- mente , e prevedeva dopo ciò che non avrei gran bi- sogno di
persuadervi che più. bello , e più giusto è combattere per la nostra libertà ,
che per istahilire' r impero de’ Romani. Spinto da tali pensieri produssi a’
Romani la guerra de’ sudditi loro Fidenati e Ve- jenti risolvendoli alle arme
con esibire che io pren- derei parte con essi. Fin qui si rimase occulta a’ Ro-
mani la pratica ; ed io provvidi intanto per me la occasione di assalirli. Ora
considerate quanto sia questo opportuno. Primieramente , grande in una ri-
bellione manifesta , sarebbe il pericolo o di avventu- rare ogni cosa mentre
siamo sprovveduti per la fret- ta , e contiamo unicamente su ciò che potrebbero
le nostre forze ; o di essere sorpresi da essi già pronti mentre ci
apparecchiamo e ci procuriamo dagli altri un ajuto. Noi però così non
manifestandoci non cor-- reremo nè V uno nè V altro disastro ,• e ne avremo
raccolto almen questo bene. Secondariamente noi non. Digitized by Google LIBRO
III. a53ci daremo a percuotere la grande , la bellicosissima potenza e fortuna
degli emuli con le violente manie- re, ma si bene colle artijiziose e scaltre,
con le quali si prendono finalmente le cose trascendenti , e meno facili a
battersi colla forza ; nè già saremo a far questo i primi , o li soli. Inoltre
siccome le nostre milizie mal potrebbero schierarsi in campo a fronte di quelle
de’ Romani e degli alleati ; così abbiamo congiunto a noi le forze sì grandi ,
come vedete, dei Veìenti e de Fidenati. Anzi si è da me provveduto che le
ardite schiere di questi ne diano con effetto il soccorso che ne ho cercato.
Imperocché già non sarà J.a pugna nelle nostre campagne; ma battendosi i
Fidenati per le proprie , difenderanno in esse an~ coro le nostre. E quello che
riesce dolcissimo agli uomini , quello che di raro occorse ne’ tempi andati ;
questo ancora per voi si combina : noi giovati dai nostri alleati sembreremo di
avere ad essi giovato, E se r affare si termina a piacer nostro, come par ve-
risimile; i Fejenti e li Fidenati che avranno liberato noi da un durissimo
giogo , essi noi ringrazieranno quasi col favor nostro ottengano un pari
benefizio. .Questi sono i successi che da me con gran diligenza procurati mi
sembrano bastare ad ispirarvi confiden- za, e viva prontezza ad insorgere. Ora
udite in qual modo io voglia por mano alla impresa. Tulio mi ha destinato appiè
del monte ; perchè io vi governi luna delle ale. Ma quando sa- remo per
attaccarci co’ nemici ; io non attendendo allora tale destinazione ; mi
ritirerò poco a poco sul Digitized by Google2 54 DELLE antichità’ ROMÀNE monte.
Voi seguitemi allora ordincUamente. Giunto alle cime ed in salvo , udite come
io continuerò. Quando vedrò le cose che qui dico riuscirmi come io le disegno ;
quando vedrò infiammati di corono i nemici perchè noi cooperiamo con essi,
umiliati e spaventati come traditi i Romani ; e come è verisi- mile, già più.
intenti a pensare la fuga che le difese; allora io starò su loro : ed io coprirò
de’ loro cada- veri il campo ; perocché scendendo dcdC altura destra a basso ,
mi gitterò su di essi sbigottiti e dispersi con esercito pieno di beW ardore e
di ordine. 'Rile- vantissima è nelle guerre la fama sparsa di un tra- dimento
anche falso degli alleati, o del giung.'re di altri nemici ; e sappiamo che
grandi eserciti furono totalmente da tali vane apprensioni rovinati, più che da
altri spaventosissimi casi. Il nostro adoperare però già non sarà fama vana ,
nè arcano spauri- mento ; ma cosa più che tutte terribile a vedersi e provarsi.
Ma ( dicansi pur le cose consuete a pre- sentarsi contro la espettazione ,
giacché la vita ne involge molte, nè verisimili ) se gli eventi riusciranno
contro i disegni ; anch’ io farò cose ben altre da quelle che in mente io
ravvolgevami. Allora io piom- berò co’ Romani su nemici ; co’ Romani
raccoglierò la vittoria , simulando di aver prese le alture per cingere gt
inimici. Ben avran fede i miei detti con- cordandosi le opere colle finzioni :
tanto che noi non comunicheremo cogP infortuni di niuno , e solo par-
teciperemo lo belle vicende dell’ uno o delC altro. Io tali cose ho deliberato
: e tali cose eseguirò col fa- Digitized by Googl LIBBO 111. 255 vorB degV
Iddii come bonissime non solo per gli AU boni ma per tutti i Latini. Bisogna
che voi guardiaie prima che tutto il silenzio : poi, che serbiate il buon
ordine, che vi prestiate immantinente ai comandi, che guerrieri vi siate pieni
di bell’ ardore , e che tali rendiate pur quelli che vi ubbidiscono ; considerando
che il combattere nostro per la libertà non somiglia al combattervi degli
altri, consueti ad essere coman- dati , e lasciati da loro padri in tale
condizione. Noi liberi siamo naU dai liberi : anzi i nostri avi ci han
tramandato il comando su vicini ; serbarono questa forma per cinquecento anni ;
nè di questa si trove*- ranno per noi spogliati li posteri. Nè tema chi vuole
far questo , quasi rompa i trattati , e violi i giura- menti fatti sopra di
essi: pensi piuttosto che egli i
diritti ripristina rotti e violati da'
Romani : nè già i tenui diritti ma quelli che la natura ci ha dato degli uomini
, quelli che la legge ha fondato comune ai Greci ed ai Barbari , vuol dire che
i padri coman- dino j i padri dian leggi ai figli , e le città madri alle
colonie. Questi sacri diritti che mai saranno cancellati dalla natura degli
uomini , questi noi vo- lendo che siano perpetuati , nè frangiamo alleanza
fàuna, nè genj nè Dii ci si potran corrucciate quasi non sante cose facciamo ,
se mal pià comportiamo servire cì nostri discendenti. Cnloro però che li hanno
conculcato i primi , e che con opera indegna han ten- tato di far prevalere la
umana alla le^e divina ; coloro , corn è giusto , e non già noi , s' avranno a
fronte V ira de’ Numi , c su di essi non su noi soi't Digitized by Google 256
DELLE Antichità’ romane gerà la vendetta degli uomini. Pertanto se queste vi
sembrano le cose migliori / eseguiamole , e chiamia^ movi protettori gl’ Iddii.
Ma se alcuno sente in con- trario e sente o t una o t altra delle due cose ;
vuol dire o che più, non debba ricuperarsi t antica dignità della patria ; o
che debbasi aspettare un tempo pià acconcio del presente ^ e differire; costui'
non esiti, a dire i suoi pareri; e quello sarà fatto che a tuui sembri il
migliore. XXV. Alfìae lodato nel dir suo dagli astanti, e pro- mettendosi
questi a far tutto ; esso ne obbligò ciascuno
col giuramento, e dimise radunanza. Nel
prossimo giorno all’ uscire appunto del sole , uscirono da’ proprj allog-
giamenti le milizie de’ Fidenati e degli alleati, e si schie- rarono per la
battaglia: vennero nemmeno di fronte i Romani , e si ordinarono. Tulio stesso e
i Romani si opponeano coll’ala sinistra ai Vejenti i quali formavano la destra
nel corpo loro. Nell’ ala destra dei Romani si stava Mezio Fuffezio e gli
Albani presso del monte in- contra de’ Fidenati. Rendutisi ornai vicino gli uni
degli altri , gli Albani prima di essere a tiro si staccarono dal resto dell’
esercito , ascendendo ordinatamentè sul monte: I Fidenati ciò vedendo e
cerziorandosi della realtà del tradimento promesso dagli Albani si portarono
più bal- danzosi contro de’ Romani. L’ala destra de’ Romani , es- sendosene
tolti gli alleati , erane ornai rotta e molto in pericolo. Combattea però
bravissimamente 1’ ala sinistra e Tulio con essa in mezzo di scelti cavalieri.
Quan- d’ ecco un cavaliere affrettandosi verso quelli i quali pugnavano presso
del monarca, o Tulio, disse, la na- Digilized by Googl LiBno ni. a57 stra ala
destra è sul perdersi : gli jilbani , abban- donatala , ascendono il monte , ed
i Fidenali che li teneano schierati dinanzi, ora preponderando a fronte ilelt
ala tanto indebolita j già la circondano. I Ro- mani ciò ndcmlu , e vedendo T
accelerarsi degli Albani in sul monte; temerono di essere avviluppali da'
nemici, taulu che non aveano cuore nè di combattere , nè di restare in quel
luogo. Or qui , dicesi , che Tulio niente commosso all* aspetto di un male si
grave e tanto ina- spettato facesse uso dell’ avvedutezza : e che salvasse con
questa 1* esercito ornai nel pericolo manifesto di essere circondato; c
disfacesse e terminasse tutto il bene degli inimici. ltn[>erocchè non si
tosto il messaggero ebbe det- to; egli a gran voce sicché i nemici, la
udissero, o Bo- mani , esclamò , li nemici son vinti. Gli Albani sul mio
comando hanno occupato come vedete il monte prossimo a noi per piombare alle
spalle de' nimici. Mirale ! gli abbiamo pin e al nostro buon punto gli
impiegabili awersaij. Noi siamo loro dirimpetto , e gli Albani alle spalle :
pià non possono aveutzare , ISO retiocedei e. Dall' uno de' lati rinserrali il
fiume , dall’ altro il monte : ci daran pure le pene meritate. Andate :
avventatevi intrepidamente su loro. XXVI. Cosi esclamando ne andava tra le
milizie. E ben presto i Fidenati furono presi dalla paura che quel tra>
dimenio, si rivolgesse fìnalmente su loro per frodolenza del capo degli Albani
: perchè nè lo vedeano schierarsi contro i Romani , nè fulminarsi contro di
essi come avea già promesso. Altronde avea quel parlare iniiammati di VIOSIGI ,
P>m» l. ir Digitized by Google 258 DELLE Antichità’ romane ardire e
riempiuti di confidenza i Romani. Adunque scop« piando in un grido e
ristrettisi lanciarousi all’ inimico. Piegarono allora , e fuggirono i Fidenati
in disordine alla loro città. Il re de’ Romani rilasciando la cavalleria su
questi atterriti e turbati li perseguitò qualche tempo; ma vedutili poi sbandati,
senza animo di raccogliersi e senza forza , permise che fuggissero ; e si
rivolse con- tro r altra parte de’ nemici ancora ordinata. Ivi era bat- taglia
viva tra’fanti; e più viva ancora tra’ cavalieri. Im- perocché li Yejenti quivi
schierati non che sbigottirsi e dar volta , resistevano all’ impeto de’ cavalli
romani. Alfine vedendo che l’ ala loro sinistra era battuta, e che- l’esercito
de’Fidenati e degli alleati fuggiva tutto precipitosa- mente, anch’cssi per
timore di non essere colti in mezzo da’ nemici che tornavano da inseguire gli
altri, diedero volta, e si scomposero e tentarono di salvarsi a traverso del
fiume. I più robusti , e men carichi di ferite , nè impotenti a nuotare
passarono senza le armi il fiume e scamparono: ma quanti non aveano l’uno o
l’altro di que’ requisiti , affondavano tra’ vortici ; essendo il Te- vere
presso Fidene rapido e tortuoso. Tulio intanto impose a parte de’ cavalieri di
uccidere i nemici che . accorrevano al fiume , ed egli conducendo il resto del-
r esercito assali gli accampamenti de’ Vejenti e gl’ in- vase. E tali sono le
operazioni che diedero, a’ Romani salute inaspettata. XXVII. Quando il re
d’Alba vide manifestamente vit- toriose le milizie di Tulio ; egli per dare a
vedere che faceala da alleato , calando dal monte le sue , le menò contro
de’Fideuuti che fuggivano ; e molli in tale stalo Digitized by Google• LÌBnQ
III. ... a!xg ne uccise. Tulio vedendo il suo fare , ed esecrando la nuova sua
tradigione , dissimulò di presente , finché lo avesse nelle mani : ansi diè
vista di lodare tra* molli come l>onissima l’ andata di lui su pel monte : e
spc- una banda di cavalieri lo richiese che desse ultimi contrassegni di zelo,
incaricandolo , che cercasse con diligenza , e trucidasse que’ Fidenati che non
po- tendo ripararsi tra le mura , vagavano dispersi intorno • in tanto numero
per la campagna. Colui quasi avesse, già conseguila Tana delle due cose che
sperava, e quasi, fosse accetto veramente a T ullo , ne fu dilettato ; e ca-
valcando gran tempo per que’ campi fe’ strazio, de’ prò-, fughi i quali
sopraggiungeva. E già tramontato il sole, condusse i suoi squadroni da tale
persecuzione al campo Romano , c vi festeggiò con gli altri la notte. Tulio
di-, inoratosi nell’ accam|)amento de’ Vejenti fino alla prima vigilia vi
esplorava da’ prigionieri più riguarderoli quali fossero mai stati li capi
della rivolta. Come poi seppe che ci avea tra congiurati anche 1’ Albano Mezio
Fuf- fezio, gli parve che i fatti di lui concordassero colle in- dicazioni de’
prigionieri. Adunque montato in sella si ri-, condusse cavalcando in città fra
lo stuolo dc’suoi più fidi. E prima della mezza notte convocando dalle case
loro i Senatori ; disse del tradimento degli Albani , dandone |)er teàlimonj li
prigionieri ; e narrò gli artcGzj co’ quali egli avea deluso i nemici e li
Fideuali. E poiché la guerra avea fine bonissimo ; invitò loro a discutere come
si avessero a punire i traditori, perchè Alba si rendesse |>iù savia per 1’
avvciiire. Parve a tulli giusto anzi ne- cessario che si ['Unissero quanti si
erano messi ad ojteia Digilìzed by Google 200 DELLE antichità’ ROMANE tanto
«cellerata. Si ondeggiò però molto intorno la ma-' oiera facile e sicura della
esecuzione. Sembrava loro im> possibile che tanti cospicui Albani si potessero
involare con morte tenebrosa e nascosta. Che se tentassero arre- starli e
punirli palesemente , torneasi che quel popolo, piuttosto che ciò non curare ,
volasse alle armi. Non voleano poi combattere in nn tempo co’ Fidenati/ coi
Tirreni , e con gli Albani loro consocj.- Ora non espe- dendosi essi ; diè
Tulio in6ne uu suo parere cui tutti en- comiarono. Io ne dirò dopo un poco.
XXVIII. Siccome non era Fidene distante da Roma se non cinque miglia ; ' cosi
egli eccitando con tutto r ardore il cavallo si restituì negli alloggiamenti :
e pri- ma che il giorno brillasse’ laminoso , chiamando Marco Orazio il
superstite de’ trigemini , e dandogli li fanti e li cavalieri piò scelti ,
ordinò che marciasse con questi ad Alba , che vi s’ introducesse in sembianza
di amico ; che , quando ne avesse in sua balia gli abitatori rovinasse da’
fondamenti la città, non risparmiando edifizio alcuno privato o pubblico, se
non i tempj: non vi uccidesse però nè vi oltraggiasse uomo ninno, ma
consentisse che ognuno s’avesse le sue cose. Spedito questo egli aduna tribuni
e centurioni , palesa ad essi il decreto del senato , e forma di loro la
guardia del corpo suo. Si presentò dopo non molto 1’ Albano in gaudio per la
vittoria co* mune , e per congratularsene con Tulio t e Tulio ser- bando
tuttavia li segreti suoi , Io encomiava , confessa- valo degno di gran doni, ed
invitavalo a scrivere i nomi de’ valentuomini che si erano più distinti nel
combat- tere e portarglieli perchè tutti partecipassero ai beni Digilized by
Google LIBRO III. 261 della villoria. Inondatone costui dal jnacere diè su di
una tavoletu in iscritto i nomi de’ suoi più fedeli, de’ quali si era valuto
ne’ disegni reconditi. Allora il re di Roma invita a radunarsi lutti , senza le
arme , e radunatisi ; fece che il duce degli Albani, come li centurioni e tri-
buni si collocassero presso di lui , e che gli altri Al- bani ordinatamente si
compartissero ; ponendo dopo lo- ro il resto degli alleati e dietro tuui infine
circolai-- mente i Romani , tra’ quali ce ne avea de’ magnanimi , co’ brandi
sotto degli abiti Quando poi gli sembrò di avere a suo bell’ agio i nemici ;
sorgendo cosi ragionò : XXIX. Romani , amici , compagni di arme , fi- nalmente
abbiamo col favore degl' Iddìi portala la vendetta su Fidene e su quanti partigiani
di lei , fu- rono arditi investirci con guerra manifesta. Seguirà da questo t
una delle due , vale a dire che quanti ci molestavano si cheteranno ; o ne
daranno pene tanto più spaventose. Ora venule già le prime nostre im- prese a
buon termine , é tempo iche puniamo quei guerrieri che avendosi il nome di
amici nostri , ed assunti a questa guerra da noi perchè facessero con- tro (i
nemici comuni , abbandonarono la loro fedeltà verso noi , si strinsero con
patti segreti a nemici , e macchinarono la universale nostra rovina. Ben sono
essi peggiori de' nemici manifesti , e perciò degni di pena più grande.
Imperocché facile cosa è deludere le insidiose lor trame , e ribattere si
possono se ci assaliscono come nemici : ma né riesce di leggeri cautelai si da
amici che la fan da nemici, né si pos- sono risospingere se ci prevengano. Ora
tali sono i Digitized by Google 262 DELLE antichità’ ROMANE guerrieri che Alba
ci manda\>n : ingannevoli alleali ! eppure non danneggiati , ma beneficati
grandemente , e in tante cose da noi. Noi , ramo già della lor gente , non
toglievamo punto della lor signoria , ma 'la nostra forza , la nostra potenza
fondavamo qol domare i nostri nemici. Premunendo di mura la no- stra patria
contro genti amplissime e bellicosissime abbiamo prodotto ad essi un alta
sicurezza in fra le guerre de’ Tirreni e de’ Sabini : tantoché serbandosi la
nostra città prosperamente , dovean essi rallegrar- sene principalmente ; e
decadendo questa non dovean meno rattristarsene che per la propria città. Essi però
si ostinarono ad invidiare non solamente il nostro ben • esseio , ma il proprio
ancora nel nostro : e da ultimo non potendosi più Iodio nascondere, ci hanno
premeditato la guerra. Ma perciocché vedeano noi benissimo acconci a
ripeivoterli , non essendo essi valevoli contro di noi , c invitarono a
trattati ed ami- cizia , e richiesero che la lite sul principato si deci- desse
con la tenzone di tre combattenti. Acoetlammo t invito e vincemmo ; e ci fu la
loro città sottomessa. Or , dite : che abbiamo noi fatto dopo questo ? Po-
tendo noi ricevere gli ostaggi da Alba, polendo met- tervi guarnigiotìe , e
qual’ uccidervi , qual cacciarne de’ principali a por dissidio tra t uno e t
altro po- polo; potendo cambiarvi in favor nostro la forma del governo ,
smembrarne il territorio , prescrivervi de’ tri- buti , e torlo infine le arme
ciocché era facilissimo , ed avrebbe tanto più noi convalidato ; polendo noi
tutte queste cose ; non abbiamo pur voluto farvene Digilized by Googl i ' LIBBO
in. 263 nemmeno una, mossi anzi dalla pietà versò loro, che dalla sicurezza del
nostro principato. E preferendo cioccK era il decoio all’ utile abbiamo
conceduto che si godesse ogni suo bene. Permettevamo che Mezio Fujfezio, che
essi avevano elevato à primi gradi come il più degno , vi amministrasse ancora
la repubblica. Ed essi ( ascoltate qual .contraccambio ce ne rende- rono quando
più bisognavamo dell’ amicizia , e delle armi loro ) ! si convennero in segreto
col nemico co- mune di assalirci insieme tra la battàglia ; e quando t inimico
e noi eravamo già già sul combattere ; essi lasciando il posto della ordinanza
, corsero a’ monti vicini onde preoccuparne le alture più forti. E se la cosa
andava loro a seconda , niente avrebbe impedito che noi tutti perissimo
'circondati dagli amici e dai nemici ; e che tulli i combattimenti da noi
sostenuti per la signoria della nostra città , tutti in un giorno ,
■svanissero. Ma poiché tal disegno riuscì vano primie- ramente per disposizione
benefica degV Iddìi da quali ripeto quanto io fo mai di buono e di bello , e
poi per t avvedimento mio che non poco valse a scorag- gir t inimico ed
accendere i nostri, essendo stato mio stratagemma il dire che gli Albani ^
ordine' mio preoccupavano il monte per cingere t inimico ; poiché t affare si
terminò coll utile nostro ; noi non sarenp- mo , quali essere ci conviene , se
non punissimo i traditori ; quelli io dico i quali, doveano se non per altro ,
almeno pe' ligami di parentado serbare gli ac- cordi ed i giuramenti , fattici
di recente , e li quali non temendo gl Jddii che fecero testimonj de’ loro
Digilized by Google a64 DELLE Antichità’ bomane trattati , non riverendo la
giustizia stessa , non la ri- provazione degli uomini, non calcolando la
grandezza del pericolo se il tradimento sconciavasi, tentarono in miseranda
maniera di perdere noi progenie , noi be- nefattori loro , essi nostri
fondatori , e congiurali con gt implacabili nostri nemici. XXX. Dicendo lui
queste cose prorompeano gli Albani in gemiti, e preghiere d’ogni modo.
ÀHermavail popolo non aver lui saputo niente dei disegni di Me- zio :
simulavano' i capitani non aver conosciuta la mao chinazione, se non che nel
darsi della battaglia, quando più non era in poter loro d’ impedire , o non
fare i comandi. Riferivano altri il lor fatto alla insuperabile necessità di
congiunzione e di parentado ; quando il re, fatto silenzio disse: niente,.
Albani, niente ignoro, di quanto allegate per iscusannivi. E penso che il più
di voi noi sapesse quel tradimento, perchè dove molti sono i consapevoli , non
si tacciono , neppur brevissi- mo tempo le cose : penso che de’ tribuni e de’
centu- rioni la parte minore fosse la complice ; ma che la più grande non era
che aggirata , e ridotta a passi non volontari . Che se niente di ciò fosse
vero ; se voi tutti Albani , quanti qui siete , e quanti si rima- sero in Alba,
vi aveste in cuore di danneggiarci, nè già da ora, ma da tempo antichissimo ;
pur s avrebbe il liomano nella sua parentela una ben forte cagione a
pazientarne le ingiurie. Perchè però non più vi aduniate a consulte ingiuriose
contro noi , non più violentati , non più sedotti vi troviate da’ capi della
vostra città ; ito abbiamo pure sebbene unico , questo Digitized by Google
LIBRO III. a 65 rimedio : vale a dire che divenendo tutti cittadini di una città
riguardiamo - questa sola per patria , e par- tecipiamo ciascuno ai beni e mali
di tei, coma essa ne incorre. Finché saranno come ora discordi i pa- reri ,
finché disputeremo su la preminenza; non sor- gerà mai stabile pace fra noi ;
principalmente se gli uni i primi siano per insidiare gli altri con vista di
dominare vincendo , o di essere come parenti impuniti se perdono. Imperocché
quelli die sono assalili ten- teranno riscuotersi coll estremo de' mali , nè
fuggi- ranno modo alcuno onde nuocere gli tdtri quali ne- mici, come ora
addivenne. Pertanto sappiate: avendo io nella scorsa notte adunalo il SeruUo ,
i Romani per bocca sua emanavano, ed io firmava il decreto che la vostra città
fosse disfalla , nè si permettesse che vi restasse in piedi edifizio niuno
privato nè pubblico alf infuori de' templi : che quelli che vi abi- tano
ritenendo ogni bene , non ispogUali di schiavi , non di bestiami, non di oro
pongano da ora innanzi la sede in Roma: che gli Albani poi, che non hanno campo
alcuno se lo abbiano , purché non sia de' po- deri sacri co’ quali si
procacciano i sagrifizj : che io provveda i luoghi della città dove le
abitazioni si fondino degli emigrati , e supplisca a chiunque di voi più ne
ahbisogna , i mezzi onde tompierle : che tutta la vostra moltitudine prenda la
forma del nostro po- .polo ; comportasi in, curie e tribù; abbia parte nel
Senato e nelle magistrature più insigni, e si ascrivano alle famiglie patrizie
le famiglie de'Giulj, de' Servi Ij, Digilized by Googk 2 66 DELLE ANTICHltA’
ROMANE de Geranj , de Metelj , de’ Corazj , de’ Quintìlj (i) , e de’ Cluvilj ;
che finalmente Alezio e quanti delibe- rarono con esso il tradimento , se ne
abbiano le pe- ne , e noi le stabiliremo queste , giudici sedendo di ogni causa
; mentre a ninno dee negarsi giustizia e difesa. XXXI. Intanto che Tulio cosi
diceva i poveri tra gli Albani gradendo di essere fatti abitatori di Roma, e di
parteciparne le campagne , lo acclamavano a gran voce.
All’ opposito i più cospicui per grado o
più agiati per sorte si affliggeano che avessero ad abbandonare la pro- pria
città , e le case paterne , e vivere per 1’ avvenire in terra altrui; nè più
sapean che dire in tanto orribile necessità. Poiché Tulio ebbe investigato i
pareri della moltitudine , impose a Mezio , che allegasse , volendo , le sue
giustiBcazioni r e costui non sapendo che repli- care alle accuse ed alle
testimonianze t disse che il Se- nato di Alba avealo segretamente incaricato di
far ciò quando usci per guerreggiare; e pregava gli Albani ai quali avea
tentato di racquistare il comando , che lo soccorressero , nè guardassero con
indifferenza la patria che rovinava , e tanti cittadini degnissimi che erano
strascinati al supplizio. E già nasceane tumulto nella moltitudine , e volavano
alcuni ad afferrare le armi ; quando i Romani che circondavano l’adunanza
sguaina- rouo , datone il segno , le spade : ed essendone tutti aiierriti ;
sorse Tulio un'altra volta e disse: Albani, non qui vi è dato d' insorgere, nè
di trawiarvi: giac‘ (i) Lrsino , e Patino de Famil. Romanor. leggono Quinzf.
Digilized by Coogle LIBRO III. ’ ^6'J cJtè tulli, se ariìiste commovervi,
sareste trucidali da questi : ( E cosi dicendo additava le spade de’ suoi ).
Prendete ciocché vi si dona , diventale fin da oggi Romani. È per voi necessità
, domicitiaivi in Roma , o non avere più patria sulla terra. Marco Orazio andò
sulC ordine mio fin dalC aurora per abbattere la vostra città dai fondamenti ,
e condurne in Roma gli abitanti. Ora sapendo che ornai questo è fatto , non
vogliate correre alla morte; ubbidite. Metio Fuffezio, quesf occulto nostro
insidiatore , che nemmen ora te- me d’ invitare alle armi i turbolenti e li
sediziosi'; questo ne darà le pene , degne del perfido cuore e scellerato.
Sbigottì ciò udeudo la parie irritata degli adunali , come vinta da
insuperabile necessità. Fremea Fufiezio per l’ opposi to , e vociferava , ma
solo , e re- clamava r alleanza , egli che era accusato di averla tra- dita ,
nè perdea la baldanza , anche in mezzo de’ mali ; quando i littoii per comando
di Tulio afferrandolo gli squarciano in dosso le vesti e lo caricano di
battiture. Poi quando parve che ornai quel supplizio bastasse ^ avvicinando due
carri , legarono con lunghe redini le braccia di lui nell’ uno di questi , e li
piedi nell’ altro. Allora spingendo gli aurighi quinci e quindi i due carri ;
egli strascinato e tirato in parti contrarie , fu subitamente ridotto in brani.
Tale fu il termine mise- rando e vergognoso di Mezio. Infine io stesso re mise
un tribunale per gli amici e complici di lui nel tradi- mendo ; punendoli ,
come li scopriva rei , colla morte >, a norma delle leggi su’ disertori e
su’ traditori. XXXII. Intanto che si laccano tali cose, Marco Ora-
Digilized by Google 268 DELLE AUTICHITa’
ROMANE zio spedilo innanzi con scelta milizia a distruggere Alba compiè’ ben
tosto la marcia , e se ne impadroni ; tro- vandovi le porte non chiuse , nè
difese le mura. Poi convocando la moltitudine le palesò quanto era acca- duto
nella battaglia , e quanto il Senato di Roma ne decretava. Contrariavano
quelli, e dimandavano tempo almeno per ispedire degli ambasciadori. Ma costui
senza indugio spianò case , muri ; e tutti in somma i privati e pubblici ediGzj
; scortandone con assai diligenza a Ro- ma gli abitatori , che menavano e
portavano ogni loro bene con sé. Tulio ritornato dal campo gli comparti ira le
curie e tribù romane , li coadjuvò per fabbricare ne’ luoghi , che sceglievano
in Roma , le case : dispensò porzione sufGciente de’ terreni del pubblico fra i
loro meroenarj , e sen cattivò con altre amorevolezze la mol- titudine. Ma la
città di Alba già fondata da Ascanio nato da Enea figlio di Anchise , e da
Creusa figlia di Priamo , quella che per quattrocento ottanlasette anni dalla
sua fondazione era tanto cresciuta di popolo, di ricchezze , di ogni ben essere
, quella che aveva pro- pagato trenta colonie in trenta città del Lazio e che
era sempre stata la capitale della nazione , quella alfine vit- tima ^i) dell’
ultima delle sue colonie giace squallida an- cora e desolata. Prese requie
nell’ inverno il re Tulio ; ma nel sorgere della primavera cavò nuovamente l’
eser- cito contro Fidene. Non era venuto a’ Fidenati, nè lo pretendeano ,
pubblico soccorso ninno dalle città confe- derate : solamente da più luoghi
erano venuti de’ mer- (i) Anni di Roma 88 secoodo Catone; 90 secondo Varane , e
G 6 f aTanli Cristo. )ilized by Google LIBRO III. 369 cenar} ; e contando su
questi osarono un’ altra volta esporsi in campo. Schierativisi , uccisero molti
de’ nemi- ci; ma poi furono rispinti di nuovo tra le mura. Come però Tulio
cingendo la città di argini e fosse la ridusse alle ultime angustie ; vinti
dalla necessità , si renderono a discrezione. Divenuto costui padrone della
città vi uccise nemmeno gli autori della ribellione. Lasciò gli altri a sé
stessi ; concedendo ebe godessero i lor beni : e restituendo ad essi la forma
che aveano di reggenza , congedò 1’ armata. Restituitosi a Roma onorò gl’ Iddii
con la pompa trionfale e co’ sagrilìzj promessi , e fu questa la seconda volta
che trionfò. XXXIII. Si eccitò dopo questa a’ Romani la guerra de’ Sabini ; e
tale ne fu la cagione. Onorasi da’ Latini e Sabini in comune il tempio,
sacrosanto più che ogni altro , della Dea nominata Feronia , che taluni con
greca interpetrazione chiamano la portatrice de’ fiori ^ 0 r amica dei serti ,
o Proserpina. Essendosene an- nunziate le feste , erano dalle eittà d’ intorno
venuti molti per supplicare , e sagrificare alla Dea , e molti , mercadanti ,
artefici , agricoltori per guadagnare nel concorso ; ivi tenendosi fiera
famosissima più che in altri luoghi d’ Italia. Recavansi per avventura a questa
luogo alquanti non ignobili tra’ Romani , quando alcuni Sabini concertatisi ,
li circondarono e derubarono. E 1 quantunque si spedissero de’ messaggeri , non
voleano su questo i Sabini rendere la giustizia : ma riteneansi 1 danari e le
persone degli arrestali ; imperocché dole- vansi anch’ essi de’ Romani che
avessero dato ricetto ai fuggitivi de’ Sabini , costituendo il sacro asilo ,
come si Digilized by Google 2'jo DELLE Antichità’ . ROMANE dicliiarò nel primo
libro. InSammanciosi da tali queri> monie alla guerra uscirono con
moltissime schiere in campo aperto. Fecesi ordinata battaglia , e pari splen-
deavi il coraggio de’ combattenti ; tanto che separatine dalla notte lasciarono
la vittoria indecisa. Ke’ giórni ap- ]>res$o considerando ambedue la
mohitudiue degli estinti c de' feriti , ricusarono ogni altro cimento ; ed
abban- donando gli accampamenti , si ritirarono. Ma tenutisi iu cylma per
quell’ anno uscirousi di nuovo a fronte con. forze più formidabili. Si appiccò
la zuffa presso di Erelo lontana centoquaranta sladj da Roma , c molti vi
soccombeano da ambe le parli. E pendendo questa zuffa ancora lungo tempo
sospesa , Tulio elevò le mani al cielo, votandosi che se vinceva in quel giorno
i Sabini istituirebbe delle feste a Saturno ed a Rea con pubblica s])esa.
Celebrano ogni anno i Romani tali feste dopo che barino riportato tutti i
frutti della terra. Egli facea voto insieme che raddoppierebbe il numero de’
Salj. Derivano questi da nobile prosapia ,, e ne’ debiti tempi si cingono di
arme , e saltano accordando al suono delle tibie i salti , e cantando patrie
canzoni , come ho spiegalo nel bbro primo. A quel volo si mise tanto ar* dorè
ne’ Romani che questi pressando , come freschi soldati, gli stanchi, ne ruppero
le schiere in sul man- care del giorno , e ridussero gli stessi capitani a dar
principio alla fuga. E seguendo essi li fuggitivi ai pro- pri irincieramcnli ,
ne raggiunsero la maggior parte vi- cino alle fosse. Tuttavia nemmeno dopo ciò
retrocede- rono : ma rimanendosi ivi nella notte imminente , e respingendo i
uciuici che pugnavano da entro il vallo , Digitized by Google LIBBO III. 271
invasero alRne gli accampamenti. Trasportaronsi dopo ciò quanta preda voleano
dalle campagne sabine : e sic- come niuno più presenlavasi a combatterli , si
ricon> dussero in casa. Fece il re per questa battaglia il terzo trionfo.
Quindi per le molle ambascerie de’ nemici de- pose le armi , avendone da essi
li suoi disertori , e li soldati suoi caduti prigionieri ne’ pascoli; ed
esigendone la multa decretata contro loro dal Senato di Roma il quale avea
calcolato in argento r danni ricevuti da’ ne- mici negli armenti, nelle bestie
da giogo, e nelle altre cose tolte ai coltivatori dei cttmpi di lei. XXXIV.
Fransi cosi scioiii dalla guerra i Sabini : e scrittine su colonnette i
trattali, gli aveauo collocati nei tempj. Ma suscitatasi per le cagioni che tra
poco dire- mo , la guerra di Roma con le città latine , congiurate fra loro ,
guerra che non parea da essere ultimata nè con prestezza nè con facilità ; li
Sabini afferrarono di Lenissima voglia tale occasione , e dimenticarono quasi
non fatti , i giuramenti e i trattati. E reputando esser questo il buon punto
da rivendicare anche il multiplo del danaro sborsato a’ Romani ; uscirono su le
prime , in pochi , ed occulti a predarne le campagne vicine. E succedendo in
principio il disegno secondo il desiderio, perchè non accorreva milizia ninna
in difesa de’ colti- vatori ; si adunarono in gran numero e palesemente : e
spregiato l’ inimico macchinarono di recarsi fino su Ro- ma. Adunque
congregarono le soldatesche da ogni loro città, brigando di congiungersi co’Laiini.
Ma non venne lor fallo di ottenere nè amicizia uè lega ninna con quella gente.
Imperocché Tulio veduti i loro peusieri , Digitized by Google 273 DELLE
Antichità’ romane fe tregua colle città latine , e deliberò di volgere le*
annate contro di essi. Egli aveva in arme il doppio di allora , quando mosse
alla presa di Alba , ed aveà rac* colto il più che potea di sussidj dagli
alleati. Già 1’ e— sorcito de’ Sabini crasi concentrato. Quindi avvicinatisi-
entrambi alla selva della dei malfaUori (i) si accam-t parono a picciola
distanza fra loro. Nei giorno appresso investendosi , combatterono , ma con
dubbia sorte gran tempo ; finché violentati al far della sera i Saliini dalla ’
cavalleria romana piegarono ; e molta ne fu nella ' fuga ' la uccisione; spogliarono
i vincitori i cadaveri de’ iie-> mici ; invasero quanto ci avea di danaro
negli alloggia- menti ; e conducendosi dalle campagne il fiore delie prede ,
tornaronsi a casa. Tal fine ebbe pe' Romani la guerra Sabina nel regno di
Tulio. ' XXXV. Erano le città Latine divenute allora per la prima volta
discordi da Roma , perchè essendo distnitta Alba , ricusavano fidare il comando
di sé stesse ai Ro- mani che ne erano i distruttori. Tulio, volgendo l’anno
quindicesimo dalla caduta di Alba avea spedito amba- seladori alle città
filiali , o suddite di questa le quali eran trenta, per chiedere che
ubbidissero ai Romani, pa- droni di ogni cosa degli Albani , e con ciò dell’
imperio ancora - su’ Latini. DIcea che due sono i titoli pe’ quali gli uomini
diventano gli arbitri di altrui : la libera de- dizione e la necessaria : e che
i Romani se gli aveano ' tutti due per dominare le città già ligie degli Albani
: [tercliè i primi avevano vinto i secondi dichiaratisi loro (1) Livio la
chiama tj-lva malUiom.Digitized by Goftgl LIBRO III. 2*; 3 nemici , e fra le
arme , ed aveano poscia accomunato Roma ad essi che aveano perduto la patria.
Ora da ciò seguitava che gli Albani o vinti o volontarj cedeano ai Romani
l’imperio de’sndditi loro. Non risposero le città Latine una per una agli
oratori : ma congregatesi pei deputati a Ferentino decisero co’ voti loro d^
non sotto- mettersi a’ Romani ; e crearono immantinente due capi- tani arbitri
della guerra e della pace , 1’ uno Anco Pu- blicio della città di Cori , e 1’
altro Spurio Vecilio di Lavinia. Si fece per queste cagioni guerra tra* Romani
e tra’ popoli di una gente medesima : continuò cinque anni ma quasi civilmente
secondo 1’ antica temperanza. Imperocché venendo le intere milizie degli uni a
batta- glia ordinata con le intere milizie degli altri , mai non si fece gran
danno , nè piena occisione ; nè mai ninna loro città vinta in guerra ,
soggiacque alla distruzione , alla schiavitù , o ad altre insanabili
disavventure. Ma gettandoti gli uni ne’ territori degli altri ne’ tempi della
raccolta pascolavano e predavano e ritiravansi in casa , e cambiavansi lì
prigionieri. Tulio solamente cinse di as- sedio Medullia città latina, divenuta
come fu detto nel libro antecedente fin da’ tempi di Romolo colonia dei Romani
, ed ora congiuratasi co’ suoi nazionali , e con ciò la ridusse a non più
tentare innovamenti. Non oo- corse a ninna delle due parti alcun altro de’ mali
con- sueti nella guerra perché le guerre de’ Romani di quei giorni eran subite,
e per la subitezza non iochiudevano tanto rancore. , ; XXXVI. Cosi adoperava
nel suo principato Tulio PlONIGl , tomo I, tS Digilized by Google 2^4 BELLE
AjX'ìICHITa’ HOMAME Osiiiio, r uuo de’ pochi uomini degni di lode per l’ar>
dire felice tra le arme , e per la saviezza ne’ pericoli ; c più che per tali
due cause, per ciò che egli non era precipitoso a far gueire, ma postovi si,
non mirava che a silperare in tutto i nemici. Dopo uu regno di trenta due anni
mori per l’ incendio della sua casa , e con lui pur morirono nel fuoco medesimo
la moglie , i figli , i domestici. Vi è chi dice che la casa di lui fu messa in
fiamme dai fulmine ; essendoglisi irritato il Nume per alcuna sua non curanza
di sante cose , perchè si erano sotto lui tralasciati dei sagrifizj della
patria , introdu- cendovisi in parte gli altrui. Ma i più raccontano che fu
quel disastro per insidia degli uomini ; ascrivendolo a Marzio , re ,
successore di lui : perocché Marzio sde* guavasi , dicono , che egli nato di
regio lignaggio dalia figlia di Numa Pompilio vivesse tra’ privati : e vedendo
già grande la prole di Tulio , altamente ne sospettas’a , che' se costui periva
, passasse il regno a’ figli di lui. Fra tali concetti insidiava da gran tempo
la regia vita. £d essendogli molti Romani, fautori per dargli lo scet- tro , e
Tulio essendogli amico , ed era creduto fidissi- mo; spiava la occasione di
sorprenderlo. Era Tulio per fare in sua casa un sagrilizio al quale non volea
pre- senti che i suoi più congiunti; ma divenuto per avven- tura quei giorno
ferale per tenebre , per pioggia , per nembi , le guardie aveano lasciato
deserti gii atrj della reggia. Parendo questo il buon punto s’introdusse Mar-
zio e i compagni co’ brandi sotto degli abiti : uccisero il monarca , i figli e
quanti vi erano : vi appiccarono il fuoco in più bande e poi divulgarono la
novella del Digilized by Google LIBRO III. 2-j5 fuoco. Ma io non ricevo la
novella , perocché , nè vera la credo, nè verìsimile : e piuttosto m’ appìglio
'alla prima opinione , e penso che quest’ uomo per ira degli Iddìi corresse tal
sorte. Imperocché non è facile che la congiura , operandola molti , si resusse
occulta : nè il capo di essa era sicuro che egli sarebbe proclamato monarca da’
Romani dopo la morte di Tulio Ostilio: e quando fosse tutto stato sicuro per
lui dal canto degli «omini , non potessi confidare che somiglierebbero i divini
agli umani pensieri. Bisognava dopo il voto delle tribù che propizj gli augurj
comprovassero il regno per lui. Qual genio o qual Nume avrebbe mai sopportato
ebe un uomo cosi lordo di delitti e di sangue si acco> stasse agli altari
suoi per compiervi de’sagrifizj, o altre pie cerimonie ? Per tali cagioni io
riferisco quell’ evento agl’ Iddìi , non alle trame degli uomini. Tuttavia ne
giudichi ognuno come più vuole. XXXVII. Dopo la morte di Tulio Ostilio fu
creato secondo i patrj costumi l’ interré dal Senato ; e l’ in- terré dichiarò
sovrano della città Marzio , che Anco denominavasi. E Marzio , dopo confermati
i decreti del Senato dal popolo , dopo renduti agli Iddii quanto a loro si
conveniva, e compiuta a norma delle leggi ogni cosa, assunse il comando nell’
anno secondo della ohm- \ piade 35 .* nella quale vinse Sfero spartano , nel
tempo che Damasìa esercitava in Atene l’annuo magistrato (i). Ora osservando
questo re la trascuraggìne delle pratiche religiose istituite da Noma , avolo
suo materno , esser- ti ) Anni 114 secondo Catone, e 116 secondo Varroae dalla
foa- dasione di Ruma e 638 aTanti Cristo. Digilìzed by Googl 2 '] 6 DELLE
Arrt-ICHÌTA’ ROMANE vando die il più de’ Romani erano divenuti guèrrieri è
dediti a vili guadagni , nè più si volgeano come prima ai lavori della terra;
chiamati tutti a parlaménto, esortò che ripigliassero il culto degl’ Iddii come
a’ tempi di Numa ; dimostrando che per tali negligenze delle sante cose erano
venuti in città morbi e pestilenze ed alu'i Hagelli che ne aveano desolata
parte non picciola : e che lo stesso re Tulio perchè non vegliavane quanto
doveva alla custodia, travagliato per molti anni da tutti i generi de’ mali ,
nè più essendo padrone della stia mente , ma decadutagli questa come il corpo ,
incone in catastrofi miserande egli nemmeno che la sua stirpe." E lodando
a’ Romani la pubblica forma indotta da Nu- ma come egregia e savia , e
generatrice di abbondanza quotidiana per giustissime cause ; raccomandò che la
ravvivassero e volgessero l’ opera loro , a coltivare le terre , ad allevare i
bestiami , e ad altri lavori , liberi dalle ingiustizie della violenza e della
rapina , e spre- giassero in fine le utilità che nascono dalla guerra. Con questi
e simili detti risvegliava iu tutti il dolce trasporto per la calma , aliena
dalle armi , e per la in- dustria sapiente. Convocando poi li pontefici , e
pren- dendone le leggi delineate da Numa intorno le cose divine , le scrisse ed
esposele in su tavolette nel Foro a chiunque volesse vederle. Ora quelle
tavolette vennero meno: perocché non usavano ancora le colonne di me- tallo ;
ma scriveansi in tavole di querce le leggi del fero e de’ templi. Dopo la
cacciala dei re furono H- prodolte in pubblico dal pontefice Cajo Papirio, il
quale avea la cura suprema delle cose divine. Rendendo il suo Digitized by
Google LIBBO III. 277 splendore ai ministeri negletti de’ sacerdoti , e
rendendo ai lavori suoi la turba oziosa ; encomiò gli utili agricol- tori, e ne
biasimò gl’improvidi, come cittadini non veri. XXXVIII. Lusingavasi al favore
di tali istituzioni di vivere sempre libero da guerre e disastri come 1’ avo
materno : tuttavia non ebbe pari ai desiderj la sorte ; ma in onta del cuor suo
fu necessitato alle arme , e ravvolto in tutta la vita fra turbolenze e
pericoli. Im> perocché nel primo ascendere al comando appena diede calma
allo stato , i Latini ve Io dispregiarono : e pen- sandolo per codardia non
idoneo alla guetra; tutti man- darono entro i confini di lui bande di rubatori
, che ' assai danneggiarono molti Romani. E spedendo il so- vrano degli
arobasciadori a chiedere compensagioni pei Romani secondo i trattati, finsero
ignorare in lutto quei latrocini , non die fossero con pubblica autorità con-
certati. Diceano pertanto non dovere di cosa alcuna ri- sponderne a’Romani;
tanto più che i trattati erano con Tulio e non co’ presenti; e Tulio mancato,
erano periti con esso gli accordi. Necessitato da tali pretesti e cavil-
lazioni de’ Latini Marzio portò conti'O loro l’ esercito. Postosi all’ assedio
della città di Politorio , la prese a condizioni prima che i soccorsi le
giugnessero de’ Latini. Non infierì già cogli abitanti , ma portossegli tutti a
Roma co’ beni che avean seco, aggregandogli alle tribù. XXXIX. Ma siccome i
Latini mandarono nell’ anno seguente nuovi abitanti a Politorio , e ne
coltivavano i campi , così Marzio pigliando I’ eserdto lo ricondusse contro di
loro. Uscirono dalle mura i Latini e combat- terono; ma egli li vinse, e prese
la città per la seconda Digitized by Google 2^5 DELLE Antichità’ romane volta.
E peixìhè più non fosse un richiamo de’ nemici . nè più lavorassero i campi di
lei , ne abbattè le mura , ne incendiò gli edi6zj, e parli. Recaronsi nell’anno
ap- presso i Latini a Mednllia ov’ erano de’ coloni romani , e dandole d’
ogn’iniomo l’assalto la espugnarono. Maiv 'zio andato di quel tempo contro la
città di Tillene e divenuto vincitore in campo , c poi su le mura , la
sottomise. Non tolse a’ prigionieri nulla di quanto aveano: ma li trasse in
Roma ove. diè loro de’ luoghi perchè vi edi6cassero le abitazioni. Soggiacque
Medullia per tre anni ai Latini , ma nel quarto la riconquistò con molle e
grandi battaglie. Espugnò dopo non molto Fidene(i), città presa tre anni
addietro per condizioni ; e ne 4ra- sferl tutto il popolo a Roma ; e non
danneggiando la città più oltre , parve che si diportasse anzi con man»
sneludine che con' prudenza. Imperocché li Latini vi supplirono nuovi abitanti;
e sen tennero e sen goderono il tet^ritorio ; tanto che fu Marzio costretto di
accorrervi per la seconda volta; e divenutone per la seconda volta padrone a
grande fatica ; ne abbandonò le case alle fiamme , e ne devastò le mura. XL.
Occorsero dopo ciò due battaglie tra’ Latini e Romani. Durò la prima lungo
tempo : e gli uni sem- brandovi eguali agli altri , si distaccarono , e
ritiraronsi a’ proprj alloggiamenti. Nella seconda i Romani vinsero i Latini e
gl’ incalzarono fino alle trinciere. Dopo ciò più non vi ebbe fra loro
battaglia ordinata : ma conti- nue furono le scorrerie degli uni su le terre
vicine degli (i) Vi i ehi legga Ficolara per Fidrue. E verameaie più sotto si
parla della ribtIlioBe di Fideue. Digilized by Google . LIBRO III. 279 altri ;
> econtinua le scaramucce tra cavalieri e fanti che volteggiavano; ma per lo
più colla meglio de’ Romani i quali teneano in campo aperto appiè di castelli
oppor- tuni un armata sotto gli ordini di Tarquinio Toscano. Ribellaronsi
intanto que’ di Fidene da’ Romani , nè già' dichiarando guerra manifesta ; ma
danneggiandone a poco a poco con occulte incursioni le campagne. Marzio' però
presentandosi loro con esercito ben fornito innanzi che si apparecchiassero
alla guerra si accampò d’appresso alia città. Fingeano i magistrati non supere
per quali affronti i Romani fossero venuti contro di loro : e di-- chiarando il
re che veniva per aver soddisfazione dei latrocinj e danni fatti da essi nella
sua terra ; si escu- sarono che niente era stato con pubblica autorità , e
chiesero tempo per esaminare e discernere i complici delle ingiustizie.
Procrastinavano intanto , non adempie- vano gli obblighi loro , adunando in
segreto de’ sussidj , e travagliando all’ apparecchio delle arme. XLI. Marzio
conosciutine i disegni scavò de' cunicoli dal suo campo fino alla città : e
compiutone il lavoro suscitò le schiere, conducendole con molte scale e mac^
chine e stromenti proprj per gli assalti, alle mura, non' però dove riuscivano
sotto queste le vie sotterranee, ma in tutt’ altra parte. Accorsi in folla i
Fidenati dove era- r assalto, bravamente lo rispingevano, quando ì Romani
incaricatine , dato 1’ ultimo traforo ai cunicoli , sboc- carono dentro la
città; e trucidando chiunque capitava, spalancarono le porte agli assalitori.
Soccomberono nella presa della città molti de’ Fidenati; Marzio impose agli
altri che cedessero le armi : poi fattili per la voce dei Digilized by Google
aSo DET.LE Antichità’ romane banditori congregare in luogo certo , ne battè con
Ter- ghe e ne uccise alcuni pochi , autori della ribellione ; e concedè che i
soldati saccheggiassero le case di tatti. ÀlSne lasciato quivi un presidio
marciò coll’ esercito contro de’ Sabini. Nemmeno questi eransi tenuti ai patti
conchiusi con Tulio ; ma gettandosi nelle terre de' Ro>
mani ne aveano devastato le più vicine.
Marzio , cono» sciato dagli esploratori e dai disertori il tempo acconcio ad
investirli , andò con i suoi iànti , e mentre i Sabini spargeansi a predar le
campagne prese di assalto le loro trincierò , fornite di pochi difensori ;
ordinando intanto che Tarquiuio piombasse con la cavalleria su i nemici che
divisi rubavano. Al vedere la cavalleria ro- mana verso loro lasciarono i
Sabini la preda e quanto seco portavano o conducevano di proficuo , e fuggirono
agli alloggiamenti. Ma non sì tosto mirarono questi hr potere de’ fanti ;
dubitarono dove rivolgersi , finché si sparsero per le selve e per le montagne.
Perseguitati pelò da* soldati leggeri e da' cavalieri , ne scamparono pochi,
soccombendone la parte più numerosa. Spedirono dopo ciò nuovi ambasciadori a
Roma ed ottennero l’a- micizia che voleano. Imperocché la guerra , permanente
ancora, co’ Latini rendea necessaria la tregua o la pace con gli altri nemici.
Xl.II. Intorno al quarto anno dopo questa guerra Marzio il re de’ Romani andò
colle sue milizie e col più che potè delle ausiliarie contro de’ Vejenti , e
de- vastò gran parte della loro campagna; imperocché questi si erano i primi
gettati nell’ anno precedente sul terri- torio romano; e molto vi
saccheggiarono, e vi uccisero. Digitized by Googlt I.IBRO III. 281 Ben
uscirono sperità , grandi oltre il dire
, su le prime si diedero in pochi a scorrerne e derubarne le campagne : poi
lusin- gati dal guadagno misero palesemente in piede un eser- cito ; e le
desolarono. Ma non riuscì loro di portarsi via que’ guadagni , nè di partire
impuniti. Imperocché venuto provvidamente il re de’ Romani , e posto il stio
presso al campo de’nemici, gli astrinse a fare giornata. Sorse dunque battaglia
terribile , e molti perirono da ambe le parti : nondimeno per la sperienza , e
per la tolleranza de’ travagli , antica fra loro , prevalsero finale mente di
gran lunga i Romani , e fecero ampia ucci- sione, seguitando immantinente i
Sabini che disordinati e disgiunti riparavansi agli alloggiamenti. Poscia inva-
dendo pur questi pieni di ogni ricchezza, e ricuperando i prigionieri usurpati
da’ Sabini quando predavano ; sen tornarono in patria. Tali si dicono le gesta
guerriere di questo re , credute degne di ricordanza , e di stima da’ Romani :
sono poi le politiche , quelle che mi ac- cingo a narrare. XLIV. Primieramente
aggiunse alla città non piccìola parte rinchiudendo fra le mura 1’ Aventino. E
questo un colle alto leggermente, con perimetro di circa stadj diciotto : r
occupavano allora piante di ogni genere e più che tutto lauri bellissimi ,
dond’ è che una parte di esso chiamasi laureto da’ Romani : ora è tutto ingom-
brato di case , e tra’ molti edi6zj , il tempio sorgevi di Diana. Dividevalo
valle angusta e profonda dal colle della città ^ chiamato Palatino , dove fu
Roma nel na- LIBRO III. a83 «cer suo collocata : ma ne’ tempi appresso l’
intervallo tra* due colli fu riempiuto di terra : ora vedendo che un tal colle
sarebbe un luogo forte per un* armata ne- mica se nini si avvicinasse, lo
circondò di mura e fossi, e inisevi ad abitare le genti trasportate da Telline
, da Poiilorio , e da altre città soggiogate. Celebrasi tale istituzione del re
come utile e bella , perchè Roma ne divenne più ampia , e meno espugnabile per
quanti nemici mai le soprastassero. XLY. Migliore del regolamento anzidetto è
1’ altro che la rendè più felice nel vivere, e la mise ad im- prese più
generose. Imperocché scendendo il fiume Te- vere dai monti Appennini , passando
appiè di Roma, e scaricandosi attraverso de’ lidi del mare Tirreno , dirotti e
senza porti , rende alla città picciolo bene , e certo non memorabile , perchè
dove si scarica non evvi un emporio il quale riceva e cambj a’ mercadanti le
merci portatevi dal mare, e giù colla corrente stessa del fiume. Altronde
essendo il Tevere navigabile fin dalle origini con barche fluviali mezzane , e
dal mare fino a Roma co’ legni grossi da trasporto ; egli deliberò di fare ivi
un luogo da ricever le navi , servendosi della imboc- catura come di porto ; tanto
più che ivi il fiume si spande amplissimo , e formavi gran seni appunto come
ne’ siti de’ porti migliori. E , ciò che porge più mera- viglia , il Tevere non
è traversato nella sua foce da cu- muli di arene , come altri gran fiumi , nè
dilagasi in stagni o paludi , nè consumasi con altre maniere prima che giintga
nel mare : ma sempre navigabile si scarica per una sola bocca naturale,
separando a forza le acque Digitized by Google 284 DKLLE Antichità’ romane
marine , quantun(]ue ivi spiri un vento occidentaie grande e malagevole.
Adunque le navi lunghe per quanto grandi, e quelle da carico, capaci ancora di
tre mila misure , si avanzano per la bocca del medesimo e giungono a Roma ,
sospintevi con remi e funi : ma le navi maggiori fermate colle ancore presso la
imboc- catura si vuotano su barche fluviali, che succedono ai trasporU. Tra lo
spazio cui cingono il mare ed il Gume con forma di cubito , il re fece erigere
una città chia- mandola Ostia , o come noi diremmo , porta dall’ uso che presta
, rendendo con ciò Roma mediterranea e marittima , talché godesse i beni ancora
d’ oltremare. XLYI. Inoltre cinse dì muro il Gianicolo che è un colle alto di
là dal Tevere , e posevi guarnigione che bastasse per difendere chi navigava in
sul Game ; im- perocché li Tirreni tenendo lutto il tratto di là dal Gume
infestavano e derubavano i mercadanti. E dicesi che egli soprapponesse al
Tevere il ponte Sublicìo , il quale dee per legge esser tutto di legno , senza
rame nè ferro , ed il quale , perchè sacro lo estimano , con- servasi ancora. E
se parte alcuna ne pericola, i ponteGci la curano , compiendo insieme patrj
sagriGzj mentre riparasi. Operate nel suo principato tali cose degne di storia.
Marzio dopo un regno di ventiquattro anni moti, lasciando Roma non poco
migliore di quello che aves- sela ricevuta , e lasciando due Ggli 1’ uno
fanciullo an- cora, r altro di più anni, e già nubile. XLVII. Dopo la morte di
Marzio , il popolo rimise al Senato la scelta del governo che più bramava ; ed
il Senato Gssò di litenerne la forma consueta. Adunque Digitized by Google
LIBRO III. a85 furono gl’ interré dichiarati ; e questi riunirono pe’ coi^ mizj
la moltitudine , e scelsero Lucio Tarquiuìo per monarca (i). E confermando i
segni divinf la elezióne della moltitudine ; egli assunse il regno nella olim-
piade nella quale Cleonida tebano vinse nello sta- dio, mentre era arconte in
Atene il figliuolo di Enioco. Ora , secondo che io ne trovo negli scritti di
que’ luo- ghi, dirò di quali parenti, e di qual patria fosse questo Tarquinio ,
per quali cagioni venisse in Roma , e per quali arti giugnesse al comando. Un
tale di Corinto , ( Demarato ne era il nome ) della stirpe de’ Bacchiadi ,
risolutosi di commerciare navigò per la Italia con nave propria e proprie
merci. Vendutele nelle città tirrene allora le più prosperose d’ Italia , e
fattovi assai guada- gno , non volle più rigirarsi per altri porti ; ma tenne
continuamente lo stesso mare , portando le greche cose ai Tirreni , e le
tirrene ai Greci ; donde ricchissimo né divenne. Nata però sedizione in Corinto
, e postasi la tirannide di Cipselo attorno de’ Bacchiadi , egli ricco uomo , e
del grado degli ottimati , più non credendo sicuri col tiranno i suoi 'giorni ,
raccolse quanto potea di sue robe , e fece vela per sempre da Corinto. E perchè
stante il commercio continuato egli aveva amici molti Tirreni, anche
riguardevoli; specialmente in Tar> quinia , città, grande allora e felice,
quivi si domiciliò,' prendendovi una nobile donna per moglie. Da questa
nacquero a lui due figli, chiamandone con tirreni nomi Aronle 1’ uno , e 1’
alu'O Lucumone. Diè loro greca é (i) Anni di Roma l3S secondo Catone, i^o
secondo Varrone, e 6i4 acanti Cristo. Digilized by Google a86 DELLE A?)TICHITA’
romane tirreoa istituzione, e adulti fatti , li cougìaute per ma- trimonio
colle più insigni famiglie. XLVIIL Mori non molto dopo il primogenito suo, non
avendosi ancora di lui prole distinta (i). Da indi a po- chi giorni si mori per
l’ ambascia Demaralo ancb’ esso destinando erede di ogni sua cosa Lucumone il
Aglio superstite. Investito questi de’ beni paterni , che erano assai grandi,
desiderò di essere nom pubblico, di ma- neggiare il comune, e Ggurare co’ primi
della città. Ma respinto in ogni parte da’ paesani , e non aggregato non dico
a’ primarj ma nemmen co’ mediocri , mai sopportò quel dispregio. E sentendo
come Roma accogliea con beneplacito i forestieri , e facevali cittadini , e gli
onorava secondo i lor gradi ; risolvette di trasferirvisi. E raccolte per ogni
modo le cose sue menò seco moglie, amici , e domestici quanti ne vollero ; e
molti vollero con lui trasmigrarsi. Giunto al colle chiamato Gìanicolo , che è
quello donde Roma presentasi in prima a chi .vien di Toscana , un aquila
calatasi di repente , gli ghermisce il pileo che tieu sul capo , e sollevatasi
, roteandosi a volo, si occolu al Aae nell’ allo delK aere : poi d’ improvviso
rimise in capo a Lucumone il suo pileo come eravi quando sei portava. Riuscì
tal segno inaspettato e me- raviglioso a tutti: e Tanaqaila (che tale ne era il
nome) la' moglie di Lucumone , sperimentata assai nell’ arte pa- tema degli
auguri > menatolo in disparte . lo abbracciò colmandolo di belle speranze ,
come se dalla condizione de’ privati a quella gingnerebbe dei re. Desse dunque
(i) Latoiò la moglie graeiJa : e da essa aacrjua poscia Arunlc dopo la morie di
Demaralo. Vedi § 5o. Digilized by Google LIBRO III. opera , moitranJosene degno
, di ricererc il comando dai
Romani spontaneamente. XLIX. Lieto
Lucumone de’ successi , ornai presso alle porte , supplicò gl’ Iddi! che
verificassero gli augurj ; supplicò che gli dessero un* ingresso felice , e si
mise dentro la città. Quindi venuto a colloquio con Marzio il regnante indicò
primieramente chi egli fosse, poi co> ni’ egli era deliberato domiciliarsi
in Roma ; che avea perciò portate seco le paterne sostanze, delle quali pos*
sedendone piucché un privato , esibivale fin d’ allora in servigio de' Romani e
del re. Lo accoke questi di buon grado , ascrivendo lui co’ Tirreni compagni in
una curia e tribò. Cosi fabbricò Lucumone in città la sua casa , avutone in
sorte il sito che bastasse , e ricevutane pure' una parte di campagna. Ciò
fatto , e divenuto del nu-> mero de’ cittadini , osservando come ogni Romano
ha un nome comune , ed inoltre uno patronimico e gentilizio , e volendo in ciò
conformarsi , assunse , per suo nome comune quello di Lucio in luogo di
Lucumone , e pel gentilizio quello di Tarquinio dalla città dove ebbe i natali
e la educazione. In breve divenne 1’ amico del sovrano , donandogli ciocché si
avvedea che più gli bisognava , e porgendogli danari , quanti ne erano di
mestieri per la guerra. Combattitore benissimo a piede e a cavallo contavasi
per sapientissimo quante volte bi« sognassero opportuni consigli. Nè già col
divenire caro al monarca aveasi perduto la benevolenza de’ Romani , ma si
vincolò molti de’ patrizj co’ beneficj , e tentò di affezionarsi la plebe col
chiamarla , e salutarla , e con- versarla piacevolmente , e col porgerle danari
ed altre significazioni di amore. Digilized by Google a88 DEtLE Antichità’
roma:he L. Tale era Tarqulnio , e per tali cagioni vivendo Marzio divenne il
più cospicuo de’ Romani ; e morendo questo fu da tutti proclamato degno del
trono. Salitovi fece guerra in principio con gli Apiolani , popolo non ignobile
del Lazio. Imperocché gli Apiolani, come tatti del Lazio , credendosi colla
mone di Marzio sciolti dai trattati di concordia devastavano le campagne romane
pasturandovi , e saccheggiandovi. Di che volendo Tar- quinio farli pentiti usci
con grande armata , e disfece quanto era il meglio del territorio di quelli.
Ben so- pravvenne gran soccorso per gli Apiolani da’ popoli vi- cini del Lazio
: ma egli attaccò due volte battaglia con essi , e vintala due volte , si
ristrinse all’ assedio della città, spingendovi a mano a mano delle schiere 6n
alle mura. In opposito dovendo quelli della città combattere pochi di numero e
senza intermissione contro i molti e freschi , soccomberono alfine. Presa la
città di forza , i più degli Apiolani morirono con le arme in pugno : e se
taluni le cederono , furono venduti colle altre prede. Furono le donne e i
fanciulli condotti schiavi da’ Ro- mani : fu la città lasciata al saccheggio ,
e dopo il sac- cheggio alle fiamme. Il re dopo' questo , e dopo rove- sciate le
mura da’fondamenti ricondusse in casa le milizie; rivolgendole poi contro la
città de'Crustumerini: colonia anch’ essa de* Latini , la quale erasi ceduta
a’Romani nel tempo di Romolo : ma cominciava di nuovo a tenersela co’ Latini ,
dacché Tarquinio prese il comando. Nè già bisognarono a questo assedj e
travagli per umiliarsela. Imperocché li Crustumerini vedendo la moltitudine ve-
nuta contro loro, la debolezza propria, e la niuna aita Digilized by Google
LIBRO III. 389 de’ Latini verso di essi , aprirono le porte ; ed uscitine i più
anziani e più riveriti consegnarono a lui la citld , supplicandolo che usa^e
moderazione e clemenza. Ben fu l’ evento propizio ai desiderj: perciocché andato
quel inotutrca in città non vi uccise ninno, ma banditine per sempre alcuni
pociù , amatori della ribellione , concedè che gli altri ritenessero i beni
loro , e partecipassero come) prima alla cittadinanza romana. Ma perchè più non
si rimovessero , lasciò de’ Romani con essi. LI. Egual sorte incontrarono i
Nomentani datisi a pari consigli. Imperocché spedendo bande di ladroni ne’
campi de’ Romani si costituirono aperti loro nemici ; coutidaudu nella
confederazione de’Latini. Ma giuguendo Tarquinio su loro, e tardando il
soccorso latino, e non b.isiando essi contro tanti nemici, uscirono 'di città
coi simboli di pace, e si renderono. Gli abitanti di Collazia 111 archi narono
far battaglia co’Romani ed emersero dalle mura di essa : ma superati in tutti
gli attacchi e molto danneggiatine ; furono costi-etti rifuggirsi tra le mura ,
e spedirono alle città de’ Latini per chiederne truppe compagne. Ma
indugiandosi questi, e presentando i ne terre, ninno resistendovi, e messo il
campo dinanzi la città , ne invitava gli abitanti a far pace. Ma ricusando
questi , e confidando su le fortibcaziooi dei ricinti , e concependo che
-verrebbero per loro schiere confederate d’ogn’ intorno, il re ne circondò con
truppe le mura , e le assalì. Resisterono lungo tempo i Corni- colani
combattendo virilmente , e coprendo di ferite gli assalitori , ma stanchi pei
dalla continuità de’ travagli , e piò stanchi eziandio dalla discordia, perchè
non erano più unanimi fra loro volendo altri la resa , ed altri la difesa della
città Gno agli estremi ; furono alGne espu- gnati. Li più generosi di loro
perirono fra le arme nella presa della città : gli altri , salvatisi come
ignobili , fu- rono venduti schiavi insieme co' fanciulli, e colle donne, la
città fu prima abbandonata al saccheggio , e quindi alle Gamme. Dicchè
malcontenti i Latini deliberarono con voto comune di uscire io campo contro a’
Romani: e fatto grande apparecchio di forze , si gettarono su le terre più
buone di essi , e v’ invasero assai prigionieri, e vi divennero signori di
amplissime prede. Volò Tar> quinio contr essi coll’ esercito spedito e
pronto : nè po* tendo raggiungerli , portò su le terre loro simili cala- mità.
Cosi per le vicendevoli incursioni ne’ campi vicini. Digitized by GoogU LIBRO
III. 2()r molle lerano le perdite e gli acquisti di ambedue. Ven- nesi con
tutte le forze a battaglia ordinata presso Fi^ deoc; e molti ne perirono da
ambe le parti; ma vin- cendo inCne i Romani , costrinsero i Latini a lasciare
il campo , e fuggirsene tra la notte alle loro città. LH. Dopo quel comlntti
mento marciò Tarquinio colle milizie schierate alle città de’ Latini esibendo
ad essi la pace. E queste non avendo né riunite le forze' comuni, nè ben
confidando su’ proprj apparècchj , accettarono
batteano questi nell’ ala destra ed aveano già fugato gli emuli che eran
con essi alle mani , ma l’ inaspettato presentarsi di lui li sorprese e
sconvolse. Intanto la fanteria romana riavutasi dalla paura piombò su’ nemici.
Allora grande fu la strage de’ Tirreni, e piena la rotta dell’ala destra.
Tarquinio dato avviso ai duci della fau> teria di tenergli appresso in buon
ordine, e passo passo, spinse di tutta lena i cavalli in su gli alloggiamenti
ne* mici; e gl’ invase a prìm’ impeto, prevenendo quelli che vi si riparavano
dalla fuga. Imperocché quelli che ne erano in guardia non avendo prima saputa
la sciagura che invalse su i loro , né potuto distinguere per la ra- pidità del
corso quali cavalli venivano , lasciarono che entrassero. Invasi gli
alloggiamenti de’ Latini , quelli che dalla fuga vi accorrevano come ad asilo ,
vi erano sor- presi ed uccisi da’ cavalieri che lo aveano preoccupato :
Digilized by Google 394 DELLE Antichità’ bomane e se altri si fossero
affrettati di là verso il piano s’ im- battevano' colla fanteria romana , e ne
perivano : li più di loro spintisi e concnlcatisi a vicenda soccomberono con
ignobile e miserabile fino intra i valli , e li fossi. Dond’ è che quanti vi
sopravanzavano non avendo via ninna di salvezza erano costretti di rendersi ai
vincitori. Tarquinio impadronitosi di persone , e robe in copia vendè le prime
, e concedè le seconde in premio ai soldati. LV. F allo ciò si diresse alla
città de’ Latini onde prendere combattendo quelle che a lui non si davano : non
però vi fu bisogno di assalti : ma si rivolsero tutte alle umiliazioni ed alle
preghiere ; e mandando oratori a nome del comune supplicarono che desse fine
alla gtierra co’ patti che gli piacevano , e si renderono. 11 re divenutoi cosi
l’arbitro delle città fu moderatissimo e mitissimo verso di tutte : perocché
non uccise , non bandì , nè multò niuno de’ Latini. Lasciò che godessero -le
terre loro , e conservassero le leggi delia patria : ma comandò che rendessero
ai Romani i disertori ed i pri- gionieri senza prezzo ninno: che restituissero
ai padroni i servi, quanti presi ne aveano nel fare le prede , agli agricoltori
il danaro quanto ne aveano derubato ; e compensassero tutti gli altri danni o
guasti , se causati ne aveano nelle scorrerie. Fatto ciò dichiarò che sareb--
bero gli amici e li confederati de' Romani se pronti sarebbero in tutto ai loro
comandi. A tal fine venne la guerra de’ Romani co’ Latini ; e cosi Tarquinio
vinse e trionfò. LVl. L’ anno appresso prendendo 1’ esercito , lo con-
Digilized by Google LIBRO III. 3^5 dusse contro i Sabini , avvedatisi già molto
innanzi dei disegni e de’ preparamenti suoi contro di loro. Non aspettarono
questi che la guerra passasse in sul proprio territorio ; ma premunitisi di
forze sufilcienti si avanza- rono tutti ad un luogo. Fattasi ne’ confini battaglia
fino a sera non vinsero né gli uni uè gli altri , anzi molto ne furono
afiaticati. Quindi ne’ giorni appresso nè il duce Sabino nè il re dei Romani
cavarono le milizie dagli accampamenti: ma via via trasmutandoli , senza
danneggiare le terre , si ricondussero in casa ; ambedue coi disegno di
piombare nella primavera con armata più grande 1’ uno nel territorio dell’
altro. Poiché furono ambedue preparali , primi si mossero i Sabini fiancheg-
giati da sussidio sufficiente di Tirreni , e collocarousi presso Fidene, dove
l’ Aniene concorre col Tevere. Fecero questi due campi, l’uno dirimpetto, e
come in continuazione dell’altro; avendoci tra tutti due 1’ alveo delle
correnti riunite , e sull’ alveo un ponte di legno congegnato di picciole
barche , il quale rendea spedito il transito dall’ uno all’ altro campo , anzi
rendeali di due uno solo. Tarquinio uditane la irruzione aach’ egli cavò le sue
genti , e si trincerò presso 1’ Aniene , al- quanto più sopra di loro in una
munita collina. Erano venuti ambedue con tutto l’ardore a tal guerra ^ por non
vi ebbe ninna battaglia ordinata , non grande nè picciola. Imperocché Tarquinio
con iscaltrezza di capi- tano prevenne ed isconciò tutte le opere de’ Sabini ,
e ne distrusse l’ uno e l’ altro campo. Lo stratagemma fa questo. LVII.
Preparate e riempiute piociole barche fluviali Digitized by Google àg6 DELLE
Antichità’ romane di legna aride e di zolfo e di |>cce *ul fiame presso al
quale esso accampava , e poi colto uii vento propizio , ordinò che nella vigilia
mattuliiia si desse fuoco a qnei combustibili e si lasciassero le navi a
seconda della Cor- rente. Queste scorrendo iu breve tempo la distanza in-
termedia percossero il ponte, e vi comunicarono ' in più luoghi r incendio.
Accorsi per ajuto i Sabini a tanta fiamma improvvisa , e datisi a far tutto ,
quanto giovasse ad estinguerla , ecco intanto gingnere su l’alba Tarquinio
coU’eseixito in ordinanza; ed investire l’nno de’ campi , deserto di guardie,
andate in gran parte contro del fuoco. Pochi dunque sorsero a resistervi ;
talché senza fatica gl’ invase. Mei tempo di tale opera- zione altre milizie
romane sopravvenendo espugnarono anche il campo Sabino posto di là dal fiume:
premesse da Tarquinio nella prima vigilia erano su piccioli na- vigli valicate
da sponda a spanda , laddove fattosi di due fiumi uno solo, rimarrebbero
invisibili nel passaggio. Appena poi videro il ponte iu fiamme piombarono ( che
tale ne era l’ accordo ) in sul campo dei Sabini : ove quanti ne erano o
combattendo caddero appiè dei Romani, o gittatisi a nuoto nella 'confluenza de’
fiumi nè resistendone all’ impeto , si affondaron tra’ vortici : peri nou
picciola .parte ancora per liberarne il ponte , tra le fiamme. Tarquinio, preso
l’uno, e l’altro cam- po , diede a’ soldati . le robe che vi erano percltè se
le compartissero , ma ' condusse in Roma e guardò ’ con molta diligenza li
prigionieri ; ben molti in tutto, Sabini e Tirreni. LYIII. Sentirono a tale
sciagura i Sabini la propria Digitized by Google LIBRO III. . 397 debolezza , e
mandando gli ambasciadorì concbiusero, 00 ’ Romani una tregua di sei anni. I
Tirreni mal sop-, porundo che fossero tante volte vinti , e che Tarquinio j»er
quante istanze ne facevano, non s rendesse i loro prigionieri , anzi li
ritenesse come ostaggi ; decretarono di spingere tulle generalmente le città
Tirrene in guerra contro de’ Romani e di non più riguardarla come al- leata ,
se taluna se ne ricusava. Cosi deliberati cavarono in campo le milizie , e
tragittato il Tevere si trincie- rarono presso Fidene. E prima s’ impadronirono
di questa con frodoienza , per esservi sedizione tra’ citta- dini: poi fatti
prigionieri in buon numero, e condottesi via via gran prede dal territorio
romano ^ tornarono in patria. Fidene sembrava loro una piazza bonissima d'ar*
me in tal guerra; e vi lasciarono guernigioue quanta ne bastasse. Ma Tarquinio
mettendo per la stagione se- guente in arme tutti i Romani , e congregando il
più che poteva di alleali marciò sui giugnere della prima- vera contro i nemici
prima che riunitisi dalle varie città venissero su lui come 1’ anno d’ innanzi.
Dividendo in due parti tu'.ia 1’ armata , egli stesso ne andò colla mi- lizia
romana contro le città de’ Tirreni : e fidate le truppe ausiliarie , per lo più
latine , ad Egerio il suo consanguineo , gl’ ingiunse di marciare conU'O
Fidene. E queste piene di disprezzo per l’ inimico , accampatesi in luogo non
ben sicuro presso delia città ; non fiirono per poco tutte disfatte. Imperocché
le guardie di Fideue procuratosi un rinforzo occulto dai Tirreni , e spiatone
il tempo opportuno , fecero una sortita ed invasero il campo nemico non bene
difeso , e grande fu la strage Digitized by Google apS DELLE antichità’ ROMANE
di qaein che erano usciti per foragghtre. la opposito la milizia romana sotto
gli ordini di Tarquinio , mano- metteva e depredava le terre di Vejo , e
traevane molti vantaggi. Ben si riunirono poi grandi snssidj da tutte le cittA
de'Tirreni in sostegno di Vejo : ma Tarqnioio diede ad essi battaglia,
restandone non dnbbiamente vincitore. Poi scorrendo a bell’ agio il paese
nemico lo devastò : Cnalmente lattivi molti prigionieri , e presevi assai cose
come in terre felici , essendo ornai per finire la state , si ricondusse in
casa. LIX. Straziati i Vejenti da quella battaglia non usci- vano più di città
, ma dentro vi si teneano , mirando intanto sterminarsi le loro campagne :
Perocché Tarquinio uscito per la terza volta , privavali per il terzo anno dei
prodotti delle loro campagne , desolandole in gran parte : e non avendo poi
come più danneggiarli condusse 1’ eser- cito alla città di Cere, sigilla
chiamavasi la città quando i Pelasghi ne erano gli abitanti , ma soggiacendo
poscia ai Tirreni fu Cere nominata. Era questa felice e popolata quanto altra
mai fra’ Tirreni. Quindi ne uscì valido esercito a combattere per le proprie
campagne , e molti vi straziò de’ nemici ; ma perdendovi più ancora de' suoi ,
rifug- gissene alla città- Rimasti i Romani padroni di una terra la quale
somministrava tutto in abbondanza vi si trattenero molti giorni ; finché venuto
il tempo di ritirarsene me- narono con sé quanta preda potevano , e si
ridussero in casa. Riuscitegli come desiderava le operazioni su Vejo ,
Tarquinio ricavò l’esercito contro i nemici di Fidene per cacciameli , con
ansia di punire quei che aveano la ci ttà consegnata a’ Tirreni. Vi fu
batttaglia tra’Romani Digitized by Google LÌBRO III. 299 tf tra le ihilizie
ascile da Fidene , e' poi darò contrasto nell’ assalto delle 'mura. Fu la città
pigliata di forza, e tatti li prigionieri Tirreni legati e custoditi. Dei
Fidenaii giudicati autori della rivolta quale ne fu battuto pub- blieatnente e
poi decapitato , e quale bandito per sem- pre. I Romani lasciativi per
abitatori e custodi della città misero a sorte e se ne appropriarono i beui. ■
LX. Occorse l’ ultima battaglia fra Romani e Tir- rani' presso di Ereto nella
Sabina. Imperocché lì Tirreni erano venuti attraverso di questa incontro al
Romano persuasi dai potenti di que' luoghi che i Sabini militereb- bero insieme
con essi. E certamente già era spirata la tregua sessennale conchiusa da questi
con Tarquinio , e molti ardevano dal desiderio di emendare le antiche dis-
fatte, essendo già cresciuta nelle città gioventù numerosa. Non pelò succedette
ciò come ideavano : perchè ben to- sto si presentò l’esercito Romano, nè potè
farsi che ab cuna delle città mandasse un soccorso ai Tirreni ; e solo vi si
congiunsero alquanti volontari , e pochi reclutali a gran soldo. Fu questa
guerra la più grande di quante ne sorsero infra loro ; ed i Romani ne crebbero
mera- vigliosamente , riportandovi una segnalata vittoria , ed il Senato ed il
popolo decretarono a Tarquinio il trionfo, lu opposito lo spirito ue decadde
ne’ Tirreni ; perchè avendo spedito da ogni loro città tutte le milizie , non
riebbero salvi, se non pochi di tanti; gii altri o perirono tra la battaglia ,
o fuggiti in luoghi non idonei per Io scampo , si arresero. Colpiti da tanta
sciagura i primarj delle città la fecero da savj ; perchè prendendo Tarquinio
una nuova spedizione su loro , essi riunitisi a consiglio Digitized by Google
3oo DELLE Antichità' romane deliberarono trattare della pace ; e mandarono da
ogni città plenipotensiarj anziani e riipettabili per conciliti- derla (i).
LXI. Teneano questi al re che gli udiva ragionamenti, induttivi a misericordia
e moderazione , e ricordavano il parentado di lui colla lor gente; quando
Tarquinio disse che volea sapere unicamente , se disputavano ancora intorno ai
diritti e venivano per fare la pace con certe riserve ; o se confessavausi
vinti , e rendevano a lui le proprie città. E rispondendo questi che le
rendevano , e che desideravano la pace comunque loro si concedesse , egli
dilettatone disse : ascoltale con quali condizioni sono per dare la pace , e
quali benefizj vi dispenso con essa. Non io rn ho già nelt animo di uccidere ,
o bandire , o multare alcuno de' Tirreni. Lascio Ifs vostre città senza
guarnigioni , senza tributi : lascio che vivano arbilre di sè stesse , e colla
forma primi- Uva di governo. Ma per tante cose che io concedo a voi giudico che
questa sola da voi mi si dia , cioè che io m'abbia la direzione suprema che pur
ni avrei delle vostre città quand anche voi noi voleste , finché io sono il
vincitore. Piacemi aver questo da voi sporta taneamerUe anziché di mai animo.
Andate, riferitene alle vostre città, lo vi prometto sospendere le armi ,
finché torniate. LXII. Ricevute queste risposte andarono di volo gli
ambasciadori; e dopo pochi giorni ritornarono portando non già parole nude, ma
i fregi stessi del comando coi (i) Anni di Roma i 65 «ecoado Caioae, 177
secondo Varrone , 587 avanli Cristo. Digilized by Google LIBRO III. ' 3oi qnali
adornano i proprj monarchi , la areano seguali di giogo e di esecrasione. Ma se
acquistano in guerra una vittoria ; se il irj di ogni città : e prima che 1’ armata
de’ Romani venisse nelle terre loro , essi menarono la propria nelle campagne
di quelli. Come il re Tarquinio udì che t Sabiui aveano passato 1’ Aniene e che
devastavano per tutto intorno de’ loro accampamenti , prese : i giovani ro nani
più spediti e piombò di tutta fretta su’ nemici sparsi a predare. Ed uccisine
molli , e ritolta loro la Digitized by Google LIBRO III. 3o3 preda che si
recavano , mise il campo suo presso del loro. Passati cosi pochi giorni ,
finché gli era di città venuto il resto delle milizie, e le truppe ausiliarie
dagli alleali , presentò la battaglia. LXV. Vedendo i Sabini i Romani venuti
con ardore per combattere, cavarono la propria armata ancor essi, non inferiori
nè di numero , nè di valore. Investitisi combatterono con tntto 1’ aadire fin
eh’ ebbero a fare coi soli schierati di fronte : ma poi fatti accorti che mar-
ciava loro alle spalle un altro esercito ordinato e ben fornito; abbandonarono
le bandiere e dieronsi alla fuga. Era di Romani 1’ esercito che apparve alle
spalle , fanti lutti e cavalieri scelti , disposti insidiosamente da Tar-
quinio tra la notte in luoghi opportuni. Spaventali i Sabini da questi nomini
inaspettati che li raggiungevano non fecero più ninna bella azione ; ma quasi
colti dagli inganni de’ nemici , ornai sotto il nembo di danno irre- parabile ,
tentarono chi d’ una e chi d’ altra via salvare sè stessi. Allora appunto però
soggiacquero a strage grandissima inseguiti e rinchiusi d’ ogn intorno dalla
cavalleria de’ Romani ; tanto che pochi in lutto si ri- pararono nelle città
vicine : gli altri , quanti non cad- dero combattendo , rimasero prigionieri.
Imperocché que« gli lasciati negli alloggiamenti nè ardivano respingere r
assalto de’ nemici , nè uscire in battaglia : ma cosier- pati dal male impensato
renderono senza combattere sè stessi e quel posto. Le città de’ Sabini vinte
come dai stratagemmi e dagl’ inganni non dalia virtù dei nemici , si accinsero
a mandare ben tosto milizie più copiose , e capitano piu sperimentato,
Tarqajuio vedendo il loro Digitized by Google 3o4 DELLE Antichità’ romane
dise^o , guidò soliecitameotc l’ esercito , e passò 1’ A- nieue prima che
quelli si potessero tutti riuuire. A tal nuova il duce Saltino andò prestissimo
quanto polea colla nuova armata e mise il suo presso al campo ro- mano su di un
colle erto e dirotto : non giudicava però ben fatto dar battaglia se prima a
lui non giungevano le altre milizie de’ Sabini. Solamente spedendo • delle
bande de’ cavalieri , e postando delle coorti nelle balze e nelle selve contro
quelli che uscivano a foraggiare , impedì che i Romani infestassero colle
scorrerìe la campagna. LXV. Per tal sua condotta di guerra molte erano le
scaramucce, ma di pochi fanti e cavalli , e niuna la battaglia universale.
Adunque temporeggiandosi , e sde- gnandosi Tarquinio dell’ indugio , risolvè di
andare col- r esercito alle trinciere de’ nemici , e più volte ne fece
l’assalto: ma vedendo che non era farìle espugnarli per la fortezza del luogo ,
destinò di abbatterli colla penu- ria. E stabilendo delle guardie su tutte le
vie che me- navano’ al colle , nè permettendo che i nemici andassero a far
legna , e recassero foraggi pe’ cavalli , o prendes- sero altro che facea di
mestieri dalla regione; li ridusse a gravi disagi. Tanto che furono costretti ,
cogliendo uoa notte burrascosa per vento e pioggia, lasciare vergogno* samenle
quel luogo; abbandonandovi giumenti e tende, e feriti , ed ogni apparecchio
militare. I Romani cono*; seiutane al nuovo giorno la partenza , e lattisi
padroni del campo senza contbattete vi predarono tende, e giu- menti ed ogni
cosa , e conducendosi i prigionieri si rav- viarono a Roma. Continuò questa
guerra cinque anai , Digitized by Google LIBRO III. 3o5 c gli uni (levasUnJo le
campagne degli altri; .diedero via via delle battaglie piu o men grandi , vinte
di raro da’ Sabini , e spessissimo da’ Romani : i ma nell’ ultimo cimento ebbe
interamente il suo termine. Imperocché li Sabini non già di aumo in mano come
dianzi ma quanti per la età ' lo poteano , erano tutti in uh tempo stesso
marciati alla, guerra. In opposito i Romani tutti, raccolte le forze aosiliarìe
latine , tirrene , ed in genere degli alleati erano venuti a fronlè del nemico.
11 duce Sabino dividendo le milizie ne avea fatto due campi : aveale il re dei
Romani compartite in tre corpi in tre campi non molto lontani fra loro , ed
egli comandava i Romani; dato ad Aruntc figliuolo del suo fratello il governo
de’ Tirreni , e quel de’ Latini e degli altri ad un valentuomo per consiglio e
per arme , ma forestiero e privo della patria. Servio era il nome di lui, e
Tullio quello della sua stirpe : e fu quegli appunto cui dopo Tarquinio , morto
senza prole virile , i Romani inalza- rono ai trono per amore del suo ben lare
tra le arme e nell’ uso della repubblica. Io sporrò ma nel suo luogo la
prosapia , la educazione , le avventure di quest’ uo- mo , c come gl’ Iddii per
lui si manifestassero. LXYII. Allora dunque , poiché gli uni e gli altri vi *
furono apparecchiati , diedero la battaglia. Avevano i Romani l' ala sinistra ,
i Tirreni la destra standosi i Latini schierati nel centro. Durò vivissima
tutto il giorno la battaglia finché viuserla di gran lunga i Romani. Uccisero
molti de’ nemici segnalatisi nell’azione; e più ancora ne presero prigionieri
tra la fuga. Espugnatone INTONICI y t *»n> T, >0 Digitized by Google 3o6
DELLE Antichità’ bomane l’uao e r altro accampamento ne ammassarono ricchezze
in copia , e signoreggiarono senza timore Hitla la cam- pagna: e messala a
ferro e fuoco, e distruttivi gli al- loggiamenti sen tornarono a casa ornai
tramontando la estate. Tarquinio a questa vittoria trionfò per la terza volta
nel suo principato. E preparando nelf anno se- guente r esercito nuovamente per
condurlo contro le. città de’ Sabini , non più concepirono questi nulla di magnanimò
e di grande , ma deliberaronsi tutti per la pace prima di mettere a pericolo sè
stessi dei giogo, e le patrie della rovina. Pertanto vennero da ogni città li
Sabini principali a Tarquinio uscito con tutta 1' ar- mata , e cederongli le
terre loro supplicandolo di miti condizioni : e colui propensissimo ricevendo ,
perchè senza pericolo , il sottomettersi di quella gente , fe’ tregua e pace ed
amicizia co’ modi appunto co’ quali aveala in- nanzi fatta co’ Tirreni, e rendè
loro pur senza prezzo li prigionieri (i). LXVIII. Tali sono le imprese militari
di Tarquinio: le urbane e pacifiche son come sieguono; che già non voglio
passarle senza ricordo. Giunto appena ai comando desiderando , come aveano
fatto i re predecessori , di conciliarsi la plebe , se la conciliò con questa
benefi- cenza. Scelti fra tutto il popolo cento nomini a’ quali il pubblico
grido accordava virtù guerriere , o civil sa- pienza , li nominò patrizj
aggregandoli a’ senatori : i quali essendo fin’ allora dugento ampliaronsi al
numero di trecento fra’ Romani. Poi , quattro essendo le vergini (i) Ad. di
Boom 171 secoudo Catone, 173 secondo Varronc, e. 58 i avanti Cristo. Digitized
by Googlf LIBRO III. 3o7 custodi del fuoco inestinguibile egli ve ne
sopraggiunse altre due: imperocché cresciuti i pubblici sagrifizj ai quali
doveano intervenire le vergini Vestali ; non parve che quattro più ne
bastassero. Seguirono la istituzion di Tarquinio ancor gli altri principi , e
sei pur ne’ miei tempi si additano le vergini ministre di Vesta. Ed egli sembra
il primo, che guidato dalla ragione, o forse; dalle insinuazioni de’ sogni come
pensano alcuni , ideò li castighi co’ quali i sacerdoti puniscono quelle che la
verginità non conservano : e gl’interpreti delle sante coso dicono che que’
castighi si rinvennero dopo la morte di lui ne’ libri delle Sibille. Certo ne’
giorni suoi fu ravvi- sato che Pinaria Vergine , la figliuola di Pubblio , an-
(lavasi con membra non pure ai sacri ministeri. Ho poi già dichiaralo nel libro
innanzi qual sia di tali castighi la forma. Egli abbellì circondando di
officine di arte- fici , c di altri apparecchi il Foro ove si arringa e si
giudica , e compionsi altre pubbliche cose : egli il primo deliberò di
costruire con gran pietre lavorate a misura i muri della città, già vili e
grossolani: ed egli prese a cavar la cloaca o canali sotterranei pe’ quali
tutto , quanto scola dalle strade , vasseiie a scaricare nel Te- vere :
meraviglioso è questo edifizio , e maggior di ogni dire. Io tengo in Roma per
tre magnificentissime cose, c donde la potenza rilevisi dell’ impero ; gli
acquedotti, i lastricati delle strade , e le cloache ; non già che io ne
rifletta la utilità della quale dirò ne’suoi luoghi, ma si bene 1’ amplissima
spesa. E ben può questa argomen- tarla taluno da un fatto solo del quale io nc
fo mal- levadore Cajo Aquilio. Scrive costui che non più scor- Digitized by
Google 3o8 DKIXE anticfiita’ romane rendo , perchè negligentale , le cloache ,
i censori le diedero a spurgare e racconciarle per mille talenti. LXIX. F e pur
Tarquiuio il circo massimo tra ’l colle Aventino e tra’l Palatino costruendovi
il primo intorno intorno sedili coperti. Certamente il popolo per addietro
starasi in piede agli spettacoli in cima a’ palchi , fon- dati su cavalletti di
legno. Compartì similmente il luogo in trenta spazj assegnandone uno per ogni
curia , per^ chè ciascuna sedesse e mirasse dal posto che le si do- veva. Anche
questo edifìzio sarebbe col volger degli anni numerato tra le meraviglie
bellissime della città. Perocché stcndesi il circo per lungo tre stadj e mezzo
, spandendosi quattro jugeri per largo. Cinge i due lati maggiori ed uno de’
minori una fossa profonda e larga dieci piedi per raccogliere le acque , e dopo
la fossa i portici sorgono con tre piani. I portici terreni han di pietra e
poco elevati i sedili come ne’ teatri ; ma di le- gno sono ne’ portici più
alti. Concorrono i due lati maggiori ad un tutto e congiungonsi fra di loro per
via del minore che formato in guisa di luna li termina: cosicché risulta da tre
ordini un sol porticato amGtea- trale di otto stadj capace di cento
cinquantamila persone. L’altro de’ lati minori che restasi aperto contiene !e
mosse donde i cavalli si rilasciano, spalancandosi tutte in un tempo , ad un
suono. • F uori dell’ amfìteatro evvi pure altro portico ma di un piano solo,
il quale in sè contiene le òfTGcine c sopra le officine le abitazioni. In
ognuna delle officine sonovi 'ingressi e scale per chi viene agli spettacoli ;
e con ciò' nOri siegue confusione tra tante migliaja che vanno e tornano. Digitized
by Google LIBRO IH. V . 3o9 LXX. Si accluse il re similineatc a iàbbricare il
tempio di Giove , di Glaaoue, di Minerva per adem> plere il voto da lui
fatto a quegl’ Iddìi nell’ ultima guerra co’ Sabini. Ma siccome il colle
destinato per la santa magione abbisognava di radili travagli , perché non era
questo agevole da salirlo nè eguale , ma scosceso e tutto ' acuto in su la
cima; eg^i ponendo intorno intorno altri ripari, e tra’ ripari e la cima assai
terra lo rendè piana ed acconcio! pel tempio. Non però s’ebbe il tempo di
metterne le fondamenta, Tnon essendo egli vissuto che quattro anni dopo il fin
della guerra. Molti anui ap> presso , Tarquinio terzo re dopo lui, quegli
che fu espulso dal trono , ne gitlò le fondamenta , facendo gran parte del
sacro edilìzio : ma noi compiè nemmen' egli, e solo ebbe il tempio il suo
termine sotto gli annui magisirati da’ consoli dell’ anno terzo. Ben’ è
convenevole che le cose ricordinsi accadute prima della erezione di questo,
come pur le ricordano quanti scrìssero la storia di quei luoghi. Deliberatosi
Tarquinio a far qnel tempio impose primieramente agli auguri, convocandoli, che
spiassero co’ divini riti quale in città ne fosse il loco più accon* do e più
caro a que’Numi. E riferendo esser questo il colle che sovrasta al Foro, colle
detto Tarpeo di quei giorni , ed ora del Campidoglio , comandò che replicati i
riti santi additassero in qual parte principalmente del Campidoglio aveansene a
porre le fondamenta. Non era ciò cosi fàcile a definirsi ; perchè sorgendo io
sul colie a riverenza de’ genj , e de’ Numi altari in gran nume* ro ; doveasi
trasportare questi , e lasciar libera l’ area pel tempio novello degl’ altri
Iddìi. Parve agli auguri di DIOUIGI, tomo IDigilized by Google 3 IO 15ELLE
antichità’ ROMANE fare le divinazioni loro so di ogni altare , e poi moverlo se
il proprio Nome Io concedeva. Consentirono alquanti genj e Numi che i loro
altari fossero altrove portati : ma il Dio Termine è la dea Gioventù per quanto
gli auguri pregassero e ripregassero non gli udirono ; nè condiscesoro a cedere
il luogo. Adunque furono gli altari loro inchiusi nel tempio che destinavasi:
ed ora r uno resta nel vestibolo, e l’altro nel sacro ricinto stesso di Minerva
presso al simulacro di lei. Presagi- rono da ciò gl’ indovini che ninna età mai
nè li ter- mini moverebbe né il florido stato di Roma : ciocché si é già
verificato fino a’ di miei per ventiquattro ge- nerazioni. LXXI. Nevio
chiamavasi per nome proprio, ed Azio col nome della prosapia il più insigne
degli auguri , che trasferì quegli altari, definì il tempio di Giove, ed altre
celesti cose ridisse per la sua divinazione al po- polo. Si consente che
carissimo egli fosse agl’ Iddii fi:a tutti del santo suo ministero , e che
conseguito avesse riputazione grandissima per le prove da lui date incre-
dibili e trascendenti nell’arte sua divinatoria. Io ne ri- corderò solamente
una la quale mi fu meravigliosissima infra tutte , dicendo innanzi per quale
incontro di casi, e per quali divine occasioni venne in tanta chiarezza che fe’
tutti li coetanei comparir dispregevoli. Povero fu il padre di lui , cultore d’
ignobile campicello. Nevio il suo figliuoletto porgeagli l’opera sua , quanta
per la .età ne poteva, e guidava de’ porci, e pascevali. Caduto una volta nel
sonno, nè più rinvenendo al riscuotersi alcuni di quegli animali , ne pianse
per timore de’ paterni ca- Digitized by Google LIBRO III. 3ll stighl. Ma poJ
venendo al tempietto sacro agli eroi nel suo campicello, pregò che a lui
concedessero di trovare le perdute cose ; egli prometteva loro se ciò concedes-
sero il grappolo più grande del suo poderetto. Trovò indi a poco gli animali, e
volea recare i promessi doni agli eroi: ma 'grande era 1’ ambiguità sua nel
decidere il maggiore ira’ grappoli. Adunque conturbatone suppli- cava gl’ Iddii
che volessero col mezzo palesargli degli uccelli ciò che cercava. Or qui per
divino favore gli venne in mente di dividere la vigna in parte destra e
sinistra , e notare gli auspicj che in ognuna occoire»- sero. Apparsi in una
delle parti gli uccelli com’esso ve li bramava , suddivise pur questa in due
considerando gli uccelli che vi capitassero. Determinandosi con tale
distinzione di luoghi, e venendo da ultimo alla vite in- dicala dagli uccelli:
ebbe un tal grappo incredibile nella sua forma. Egli recavalo appiè delle
immagini sante degli eroi , quando il padre lo vide. E meravigliato questi di
una tal mole del frutto , e domandando d’ onde se lo avesse : il figlio narrò
dalle origini tutto il successo. Concependo colui , ciocch’ era , che fossero
questi na- turali preludi della divinazione nel figlio , lo condusse in città,
e lo sottomise a’ maestri delie lettere. E poiché fu nelle comuni discipline
istrutto quanto bastava , af- fidollo all’ augure più dotto fra’ Tirreni perchè
Io eru- disse nel suo sapere. Nevio che avea naturali lumi per la divinazione ,
aggiungendovi pur gli altri de’ Tirreni ; superò di gran lunga quanti erano
intesi agli anspicj. Quindi nelle consultazioni sul pubblico tutti gli auguri
della città v’ invitavano lui quantunque non fosse del Digitized by Google 3i2
delle Antichità’ romane ceto loro , per la reltitudiae sua nel pronosticare ,
ti« cosa mai vaticinavano , se non ' approvata da lui. LXXIL Ora volendo
Tarquinio creare tre nove cen- turie (i) di cavalieri da lui scelti , ed
intitolarle dal nome suo e degli amici , questo Nevio il solo magna- nimamente
gli resisti , non permettendo che alcuna si alterasse delle istituzioni di
Romolo. Disgustato per la proibizione il sovrano , e sdegnato con Nevio diedesi
a vilipenderne 1’ arte come di nn vano nè veridico parla- tore. Con tale
intendimento chiamò Nevio nel suo tri- bunale essendovi moltissimi presenti del
Foro.. Egli avea già divisato con qnei che lo circondavano i modi onde
convincere l’aagure di menzogna: e lacendosegli questo dinanzi lo accolse con
degnevoli salutazioni : ed ora , disse , o Nevio è il tempo di mostrare il
potere del- f arie tua divinatoria. Siccome io macchino di pormi ad una gran
cosa ; vorrei per f arte tua risapere se possa riuscirmi. Or va : consultane
co' riti tuoi , o toma il più presto per dirmene : io qui su questa sede ti
aspetto. Esegui l’ augure i comandi , e dopo non molto tornò dicendo che
propizj erano gli auspicj, e fattibile £ intento di lui. Diè Tarquinio in un
riso a tali voci, e cavando dal seno una cote ed un rasojo gli disse: ora ben
apparisce o Nevio che tu mi deludi, deluso che se’ manifestamente dagl Iddii ,
dacché ar- disci anrutnziarmi possibili , le impossibili cose : per- (i) Nel
testo ^vXmt tribù : ma i chiaro che parlandosi di cava- lieri non debba
pensarsi a tribù : Forse vi ò qualche sbaglio. Gli altri storici in questo
luogo chiamano centurie quelle che Dionigi chiama tribù. Digitized by Google
LlBnO III. ciocché io meditava se potessi col rasojo fendere que- sta cote per
mezzo : ridevano tutti d’ intorno , e Nevio niente commosso dalla beffa e dallo
strepito : ferisci , disse, o Tarquinio animosamente come ideavi la cote:
perciocché ne sarà divisa , e se no ; mi ti offero ad ogni pena. Sorpreso il re
della confidenza dell’augure mena il rasojo su la cote , e l’ acume del ferro
ne pe- netra r interno e dividela, incidendo anche in parte la mano che la
teneva. Esclamarono per la novità quanti contemplavano la incredil.'ile e
meravigliosissima cosa. Tarquinio vergognatosi del cimento dato a quell’ arte ,
c voglioso di emendare la indecenza de’ vilipendj ^ pri- mieramente cessò da
que’ suoi tentativi su 1’ ampliar le centurie ; poi risoluto di onorare Nevio
come il più caro di tutti i mortali ai celesti, obbligosselo con pegni vari e
copiosi di benevolenza ; e perchè la memoria se ne perpetuasse tra’ posteri
collocò la statua di lui , fab- bricala in rame , nel Foro : e questa , più
picciola di nn uomo mezzano , e velata il capo , esisteva pur nel mio tempo
dinanzi la curia , da presso del fico sacro. Dicesi che poco lungi del fico sia
la cote sepolta ed il rasojo sotto di un’ ara sotterranea ; e quel luogo chia-
masi il pozzo da’ Romani. Tali sono i ricordi che si hanno su questo indovino.
LXXIII. Tarquinio ornai chetavasi dalla guerra, vec- chio già di ottanta anni ;
quando mori tra gl’ inganni de’ figli di Anco Marzio. Aveano questi macchinato
fin da principio di balzarlo dal trono , e più volte vi si erano adoperali su
la speranza che, balzatone lui , di- verrebbe di loro come trono un tempo del
padre , e Digilìzed by Google 3i4 DELLE Antichità’ eomane die (li leggieri ad
essi darebbonlo i cittadini. Delusi via via dalla speranza gli ordirono alfine
insidie insuperabili che gii Dei non permisero che restassero impninite. Io
narrerò la forma delle insidie. Quel Nevio del quale io dissi che erasi opposto
al re che volea di meno far più le centurie , questi (piando più per le arti
sue Boriva , quando potea sopra tutti i Romani come augure nobi- lissimo ,
allora sia per invidia degli emuli , sia per in- sidie de’ nemici , sia per
altra sciagura , spari di subito da’ mortali ; nè alcuno potè de’ congiunti
indovinare il destino di lui , nè più trovarne il cadavere. Addolora- tone il
popolo , e mal sopportando il suo danno , e molto sospettando di molti; i figli
di Marzio ne ristrin- sero su Tarquinio l’ accasa. E non potendo allegare ar-
gomenti e non segni della calunnia ; insisterono su queste due ombre di
ragione. Era la prima , che volea Tarcpiinio far molti e gravi attentati contro
le pubbliche norme ; e che però si era tolto d’ intorno chi sarebbe •per
contrapporsegli come per l’addietro : la seconda era poi, perchè succeduto
tanto infortunio non aveane fatta niuna ricerca , ma trasandavalo in tutto : nè
avrebbe mai cosi praticato chi non era tra’ complici. E fattosi col dispensare
de’ loro beni , gran seguito di patrizj e di plebei diedero gravissima accusa a
Tarquinio , e sti- molarono il popolo a non trascurare un tanto scellerato che
stendea le mani su le sante cose , e la regia auto- rità contaminava ; molto
più che egli non era un ro- mano , ma un estero , anzi uno senza patria. Tali
cose dicendo nel Foro uomini ; autorevoli nè infacondi ; con- citarono molti
plebei perchè lo rispingessero se venivaci. DigitizóJ by Google LIBRO III. 3l5
come impuro da quel luogo. Ora cosi fecero , perchè nè poleano combattere la
verità nè persuadere al popolo che dal trono il cacciassero. Se non che
dissipando lui con difesa validissima le incolpaeioni , e Tullio il genero suo
, potentissimo tra la moltitudine , risvegliando verso lui la tenerezza de*
Romani ; furono quelli avuti per calunniatori e scellerati, e carichi di
vergogna partirono dal Foro. LXXIV. Sconciati in tal tentativo , ma tuttavia
per> donati per opera degli amici , perchè Tarquinio conte- nevasi a fronte
di tanta perfidia in vista de’benefizj pa gravidasse , e ne partorisse poi
Tullio. Certamente non par la novella affatto credibile : pur la rende
inverisi- mile meno un tal altro segno divino inopinato e mera- viglioso intorno
di quest’ uomo. Imperocché sedendosi un' tempo egli di mezzodì nella regia
camera , e presovi dal sonno ; una fiamma gli usci balenando dal capo. Videro
questa la madre di esso e la regia consorte , che per la camera passeggiavano ,
e quanti erano presenti alle donne : e luminosa gli si tenne intorno intorno
del capo finché accorsa la madre riscosselo. Allora insieme c ciansi nemmeno le
picciolo ingiustizie , e solleverai li poveri co’ benefizj , e co’ doni ; e
quando ne parrà tempo , (diora diremo che Tarquìnio è morto ; allora gli daremo
pubblica sepoltura. O Tullio ! tu nudrilo , tu educalo , tu renduto partecipe
da noi di tanti beni quanti ne derivano i figli da padri e deUle madri, tu
congiunto alla nostra figliuola , tu se mai divieni , o Tullio, re de’ Romani ,
è giusto che almeno in riguardo mio la quale tanto in ciò ti coadjuvai ,
presenti la benevolenza di un padre verso questi teneri fanciuU letti : e che
quando siano già grandi , quando già bastanti a regnare , tu renda (diora al
primogenito la corona di Roma. V. Così dicendo diede' 1’ uno e 1’ altro
fanciullo in braccio alia 6glia ed a! genero : e risvegliò tenera com- passione
verso di ambedue ; poi quando ne fu tempo , uscita di camera impose ai
domestici che assistessero , come richiedeasi , per la cura , e convocassero i
me- dici. Lasciala passare la notte , siccome nel giorno ap- presso accorse
gran turba alia reggia ; ella si fe’ vedere alle finestre che rispondono alla
via dinanzi dell* atrio : e su le prime scoperse quelli che aveano congiurata
la Dìgitized by Google 12 DELLE ANTICHITÀ* ROMANE morte del sovrano , e quindi
presentò tra le catene i sicai'j mandati per compierla : e quando vide il
popolo in pianto per la sciagura , quando videlo fremere contro de’ malvagi ;
alfine gli disse , che pur non era la perfida trama riuscita , e che potuto non
avevano trucidare Tar* quinio. Confortavansi tutti all’ annunzio ; quando ella
mostra in Tullio il personaggio eletto dal re, finché guariscasi , per curare
le private sue cose , e le pubbli- che. Adunque andossene il popolo , lieto
come se il re non avesse niente patito di terribile, e gran tempo si rimase con
questo concetto. Tullio cinto da’ regj littori marciò con valida schiera al
Foro, e fece pe’ banditori intimare che venissero i Marzj al giudizio. E
siccome questi non ascoltarono ; ne proclamò 1’ esilio perpetuo , ne confiscò
li beni ; e cosi tenne sicuro lo scettro di Tarquinio. VI. Ma sospendendo
alquanto la narrazione , vo’ dir le cause per le quali io nè con Fabio consento
nè con quanti scrivono che i fanciulletti lasciati da Tarquinio eran suoi figli
; perchè se altri si avviene in quei scritti non creda che io improvvisi quando
non figli li chiamo, ma nipoti. Essi divulgarono ciò su que’ garzoncelli , ma
per' negligenza ; niente considerando gli assurdi eie im cuni Storici Romani
levarli con altri assurdi, e dissero che non era già madre de’ fanciulli
Tanaquilla ma Ge- gania , una donna , di cui nulla additarono le istorie. Ma in
tal caso riesce improprio il matrimonio di Tar> quinio nella età quasi di
ottanta anni, e certo inverisi- mile riesce in quella età la generazione di
figli. Nè già egli era mancante di prole ; tanto che ne languisse pei desiderio
: ma egli avea due figliuole e queste già ma- ritate. In forza di tali assurdi e
di tali impossibilità dico che que’ fanciulli non eran figli ma nipoti di
Tacqui- nio ; nel che sieguo Lucio Pisene, uomo savio, e funi- i co che ciò
scriva ne’ suoi annali. Ma forse eran questi , nipoti a Tarquinio per nascita ,
e figli per adozione , e forse fu questa la origine dell’ abbaglio di tutti gli
Sto- rici delle cose Romane. Or dopo un tal prologo egli è tempo di ripigliare
la narrazione. Vili. Poiché Tullio prese le redini del ^ornando , e dileguata
la fazione de’ Marzj , giudicò di averselo con- solidato ; fe’ con magnifica
pompa trasportare Tarquinio, come spirato alfine per le ferite ; condeoorandolo
di un cospicuo monumento e di altri onori : e tutore essendo de’ regi fanciulli
; e curò e guardò fin d’ allora le pri- vale loro cosce le pubbliche (i). Non
andavano tai fatti a grado de’ patrizj , ma doleansi e sdegnavansi , mal sof-
fiando eh’ egli a sé stabilisse il regio potere senza le (i) Addì, di Roma sec.
Catone, 179 scc. Varrooe : e 577 avanti Cristo. Dìgitized by Google i6 DELLE* Antichità'
romane forme prescritte dalle leggi. E riunendosi più volte i più potenti ,
trattavano fra loro de’ mezzi onde abbattere TiU legittimo governo. Ora parve
ad essi , come fossero la prima volta adunati , per tenere il Senato , da
Tallio di violentarlo a lasciare i littori e le altre insegne del comando ; e
fatto ciò di nominare gl’ interré da’ quali si scegliesse regolarmente chi
dominasse. Tallio , risa- puto il disegno , si diede a favorire il popolo , c
soc- correrne i poveri , sperando coll’ opera sua di ritenere r impero. £
chiamata la moltitudine a concinne , pre- sentò dinanzi la ringhiera i
fanciulli ; e poi disse : IX. Molle cause o cittadini ihi astrinsero a prender
cura di questi teneri garzoncelli. Perciocché Tarquinio l m>olo loro accolse
e curò me privo di padre e di patria, nè fecemi punto meno che a un figlio; ma
diedemi la sua Jìgliuola in isposa, e mi amò finché visse , e mi onorò sempre ,
come sapete , quasi fossi da lui generato : e poiché fu colto dalle insidie
egli affidatami in caso di morte la cura de' fanciullettì. Ora e chi mi
stimerebbe pietoso verso gl Iddf , chi giusto verso gli uomini , se io
trascurassi e tradissi questi oifani a quali tanto io sono debitore? Ma nè io
tradirò la mia fede, né darò per quanto è da me, 1 ultimo abbandono , a
fanciulli già derelitti. Ben è giusto che ricordiate voi li benefizj che l
avolo suo dispensava su voi quando a voi subordinava tante città Latine emide
del vostro principato, quando vi umiliava i Tirreni i pià potenti tra tutti i
vicini, e quando neces^ sitava al vostro giogo i Sabini ; procurandovi ognuna
di tali cose in mezzo a grandi pericoli. Speltavasi a Digitized by Google LIBBO
IV. 17 voi per tanta sua beneficenza di essere grati a lui finché visse, e di
esserlo dopo la morte in verso dei posteri -suoi, e non già di seppellire coi
cadaveri dei benefattóri la memoria ancora delle opere. Pensatevi dunque tutti
eletti custodi de’ fanciulli , reusicurate per essi il regnò che t avo ad essi
lasciava. Già non tanto bene- risentiranno essi dalle cure di me che son uno,
quanto ‘dal soccorso, comune di voi tutti. Io mi vedo necessitato a dir questo
; sentendo che > alcurù com- movonsi contro loro , e vogliono dare ad altri
il co» mandò. Io vi. supplico o Romani, che memori ancora siate de' combattimenti
che .io feci pel vostro princù» pato , i quali np pochi sono nè piccoli. Ma ben
sa^ pendolo voi , non occorre che altro io vi dica , se non che rivolgiafe su
questi fanciulli gli obblighi che me ne avete. Imperocché non io per me
fabbrico il prir^ cipato : nè se io mel cercassi , ne era già meno degno degli
altri; piacemi solamente amministrare il comune in sussidio della stirpe di
Tarquinio. Io vi raccomando che non vogliate ahbtmdonare a sé stessi questi
farin ciuUi ora che il regno ne pericola : sarebbero anche espulsi da Poma , sé
fauste riuscissero le prime mosse ai nemici. Ma non debbo io più dilungarmi su
ciò , mentre sapete voi quello che dee farsi , anzi siete per fare quanto
conviene. . Ora udite il bene , che io a voi apparecchio , e pel qua- le qui vi
adunai. Quanti a debiti saziacele nè potete levarvene per la indigenza,, tutti
sarete da me soccorsi come cittadini, e come già tanto affaticati, in servigio
della patria; pert;hè voi che avete fondata la libertà DIOntGl, //. • Digitized
by Google i8 DELLE Antichità’ romane di lei , la vostra non perdiate : io
porgerò del mio da- naro onde i debiti estinguiate. Inoltre quanti torranno ad
imprestilo io non più soffrirò che sieno imprigio- nati per debito : ma porrò
per legge che niuno dia de' prestiti assicurandoli su la persona di uomini li-
beri, mentre io penso che basti agli Usuraj di riva- lersi su bèni de'
contraenti. E perchè da 'ora in poi sosteniate più di leggeri il tributo
pubblico , pel quale i poveri sono gravati, e ridotti a far debito ; coman-
derò che si registrino tutti i beni , e che ciascuno dia secondo l' aver suo ,
come odo che si pratica rtelle città più grandi e meglio ordinate ; mentre
ancK. io credo più giusto e più vantaggioso al Comune che chi più possiede più
paghi, e meno chi meno, Piacemi inoltre che il terreno pubblico f quello che
avete cors- quislato colle Urrtse > non sia come ora de* più impu- denti ,
nè che per compera ve lo abbiate , nè indarno: ma che quelli se lo abbiano
infra voi che privi sono di terre : perchè voi liberi essendo non serviate , nè
coltiviate le campagne altrui , ma le pròprie ; imperoc- ché già non allignano
generosi pensièri' ov’è disagio del vitto quotidiano. Soprattutto ho deliberalo
render pari e fàcile il governo per tutti , e dàce a tutti eguale azione contro
chiunque; perciocché sono alcuni venuti in tanta baldanza che oltraggiano il
popolo, nè. liberi stimano i poveri fra voi. Ora perchè i più grandi nem- meno
che gl’ infimi esigano' e Soffrano il giusto;, io farò leggi proibitive della
violenza, e lonservOtrici dei diritti lomuni: nè mai lascciò di provvedere a
questa libera procedura di lutti conlto tutti. Digilized by Google LIBRO IV. X.
Sorsero , lui cosi dicendo , grandi elogj tra la moloi gli esuli , e di ceden’i
ai figli di Marzio , a quelH che vi lumno ucciso Tarquinio, quel re si buono, e
sì amico di Roma , a quelli che macchiatisi in tanta scelleraggine , non osando
risponderne in giudizio, si tolsero a voi colla fuga , a quelli in fine a quaU
avete voi t acqua interdetta ed il fuoco. E se ben tosto non vòlavane a me t
avviso, tali patrizj eccitando una forza straniera, avrebbero di bel nuovo
introdotto nel cuor della notte i fuorusciti in Roma. Ben vedete voi quan-
tunque io le taccia , le seguile , come i Marzj favoriti da' patrizj sarebbonsi
impadroniti senza fatica di tutto, atsalendo primieramente me che il custode
sono della regia prole , me che t autore fui del giudizio contro di loro , e
spegnendo finalmente i regj fanciulli, e tutti I consanguinei , e tutti gli
amici , quanti ve ne resta- no , di Tarquinio. Misere le nostri ritogli , le
nostre madri , le nostre figlie , e misere le femmine tra noi! le avrebbero
que' ribaldi ( tanta lumno di brutale e di tirannico ! ) terwie in' conto di
schiave. Ora se tanto o popolani piace a voi pure , che qua si riammettano,
anzi che re si proclamino i parricidi , e che i figli se rie scaccino de’
vostri benefattori , e dal trotto .« tol- gano che V avo ad essi lasciava ; se
tanto , dico , a voi piace ; io mi cheto su destini. Ma deh ! per gli Iddj ,
deh / pe’ genj tutti , quanti le mortali cose ri- guardano ( e noi colle nostre
donne , noi co’ nostri figli supplichiamo voi pe’ tanti benefizj ancora che Tar
quinio su voi spondeo perpetuamente , e pe’ tanti, eh’ io stesso vi procurava )
, deh ! coruredeteci questo dono ; manifestateci i vostri voleri una volta. Se
voi Digitized by Coogle a a DELLE antichità’ romane credete altri più degni di
noi di tale onore ; questi fanciulli f e tutto il parentado di Tarquinio,
partiran- Ho, abbandoneranno la vostra città. Io poi ben altri più generosi
consigli ho per me ! Ahbcatanza vissi alla virtù , abbastanza alla gloria :
mancatami la vostra be^ nevolenza , quella che io pregiava più che tutti i
beni, già non voglio io vivere indecorosamente presso di ab- tri. Prendete i
vostri fasci , dateli , se così piacevi , ai patrizj. Io mel vedrò , -nè mi
oppongo. XII. Cosi dicendo , e già standosi in atto di ritirarsi sorse un
clamor vivo per tatto , nn pregare , an pian- gere , perchè restasse , e governasse
nè temesse. Allora alcuni, sparsi ad arte qua e là pel Foro, gridarono che si
creasse re , che si convocassero le curie , e sen chie- dessero i voti. Così
preordinato T evento; ben tosto il popolo tutto vi propendè. Tallio ciò vedendo
non tra- scurava la occasione: ma professandosi ad essi obbliga- tissimo che
memori fossero de’ benefizj , e prometten- done più ancora se re lo creasseró ;
prescrisse il gionu> de’ comizj ; ordinando che v’intervenissero lutti dalla
cam- pagna. Accorso il popolo ; egli chiamando una per una le curie consegnava
ad esse i lor voti. E giudicato da tutte le curie degno del trono ; vi ascese.
: nè curò del Senato che non volle come solea ratificare la scelta del popolo.
Cosi re divenuto fondò molte altre istituzioni, e fece grande e memorabile
guerra co’ Tirreni. Io dirò prima delle istituzioni. XIII. Appena strinse lo
scettro comparti tra’ merce- narj Romani le terre del comune : poi fe’
comprovare le leggi su i contralti e su le ingiustizie dalle curie , Digitized
by Googl , LIBRO IV. 2 3 estese ^illora a cinquanta , quantunque non sia ora
ciò da ricordare. Aggiunse a Ronia il Viminale , e l’Esqui- lino due colli ,
cosi nominati , capaci T uno e 1’ altro di nna città liguardevole,
dispensandoli parte a parte ai Romani privi di case , perché ivi se le
fabbricassero ; anzi egli stesso ivi ediCcò la sua nel sito più idoneo delle
Elsquilie, Fu questo 1’ uhimo re che ampliò il cir- cuito, della città ,
congiungendo ai cinque gli altri due colli, dopo avere presi gli aiigurj e
compiute le usate pie cerimonie inverso gl' Iddj. Non poi la citti mise mai più
da largo le sue mura ; non avendolo, come dicono , permesso i destini : ma
tutti intorno i sobborghi che pur sono molti e grandi, si resuno so>perti,
non chiusi da mura, ed espostissimi, se nemico mai sopravvengavi. Che se alcuno
mirando a questi , voglia la grandezza racco-r glierne di Roma ; egli errerà
certamente : perocché noo avrà nino certo seguo , dal quale discernere fin dove
la città si oontinua o dove si termina. Cosi bene que’ sob- borghi al
fabbricato inleroo si congiungono , che pre- sentano a chi li contempla la
immagine come di una città che stendesi all’ iii6nito. Ma se taluno prendendo
regola dalle mura , certamente malagevoli a distinguersi per le molte case
fabbricatevi intorno , ma che pur sevv bano via via de’ vestigj dell' aulica
loro struttura voglia risaperne il circuito in ristretto dei circuito di Alene;
vedrà che il ricinto di Roma non molto eccede quello di Atene. Ma quanto alla
grandezza e bellezza che Rpma presenta a miei giorni ; avremo appresso luogo
più ac- concio a discorrerne. XIV. Poiché Tullio comprese entro un giro solo di
Digitized by Google a 4 DELLE antichità’ ROMANE oiura i sette coili ; divise la
città in quattro parti ; - de-' nominandole da que’ colli , 1’ una Palatina ^
l’ altra Sii- burrana , la terza Collina , e 1* ultima Esquilina. Cosi distese
a quattro le tribù che erau tre sole. Intimò poi che chiunque abitava 1’ una
delle quattro parti , quasi paesano di quella nè portasse in altra il suo
domicìlio , nè in altra desse il nome suo pe' cataloglù militari , nè il
tributo per le spese della guerra : in somma che noi^ rendesse in altra i
servigi che doveansi pel comune; nè più ordinò le milizie secondo le tre tribù
disposte come prima per genti ( i ) ma secondo le quattro da lui create e
compartite ne’varj luoghi ; destinando per ciascuna un capo qual sarebbe un
tribuno o prefetto , il quale dor vesse conoscere il domicilio di ognuno.
Quindi ordinò che in ogni quadrivio si facessero da’ vicini picciole sa- cre
cappelle agli Dei lari custodi della contrada , isti- tuendo per legge che ogni
anno si onorassero di aa- grifizj , e che ciascuna famiglia porgesse loro le
obbla-- zioni sue : comandò che assistessero e ministrassero à chi facea tal sagri6zio
non gl’ ingenui ma i sèrvi ; di- lettandosi quegl’ Idd) del ministero di
questi. Continuano i Romani pur nel mio tempo pochi giorni dopo de’Sa* tumali
tal festa , veneranda in tutto e magniBca , e detta compitale da’ quadrivi che
compiti da .loro si chiamano. (i) Romolo fece ire tribù eecondo te diverse
genti : erano la tribù , la prima Ramnentù dei Romani posti ad abitare nel
Pala- tino , la seconda TatUnsU da Tasio , ebbe il monte Capitolluq , e la
tersa dei Luceri a luco o dal bosco dato per asilo i era degli stranieri che
aveano ivi cercato nn rifugio. Col progresso del tempo siccome la gente
aggregala a Roma superara il popolo primitiro ; COSI Tullio fece una nuova
divisione di tribù. Digitìzed by Coogle LIBRO IV. a 5 Serbano nel* sagrifìzio
1’ anticx) rito, placaodo gl* Iddj Lari con intrametlervi i servi , a’ quali
tolgono in quei giorni quanto tien forma di servile; perchè riconfortati da
tali dolci maniere ove è misto del grande e dell’ono* , riGco sì affezionino
più vivamente ai padroni e men sen> tano il peso della loro condizione. XV;
Inoltre , come Fabio scrive , divise tntla la cam- pagna io ventisei parti ,
chiamandole tribù parimente : e congiunte queste alle quattro urbane se ne
ebbero trenta inAutte : ma Yenonio dice che se ne ebbero tren- tuna : laddove
Catone ben più autorevole di essi (,) af- ferma che le tribù ne’ tempi di
Tullio furon tutte, non però distinguene il numero. Tullio dunque secondo gli
atupizj divisa la campagna in tante parti, quante mai furono , apparecchiò su
luoghi montuosi e fortissimi de- gli asih\ chiamandoli pagos con greco nome o
castelii, onde renderne salvi i coloni. Imperocché .quivi tutti si rifuggivano
ndle irruzioni de’ nemici , e quivi spessis- simo pernottavano. Ci aveano in
questi de’ presidi inca- ricati di conoscere i nomi de’ coloni, conti*ihnenti a
quel borgo , e li poderi su quali viveano. E se mai portava il bisogno di
convocare que’ contadini per le arme , o di esigere da ciascuno le lasse ;
questi li congregavano, o ne raccoglievano le somme. £ perchè la moltitudine
non fosse difGcile a trovarsi , ma facile a descriversi e palese; fece erigere
degli altari ai Numi contemplatori e custodi del luogo , perché quella ogni
anno vi si riu- nisse e ve gli onorasse con pubblici sacri Gzj , istituendo (i)
Di Fabio • di Venonio. Digitìzed by Coogl a6 DELLE Antichità’ bomane 9 tal (ine
la festa soleanissima delta dei viUagi (i)."^Anzi intorno a tali sagrifizj
scrisse leggi che i Romani ser* bano ancora. Per tal sagriSzio , per tal
celebrità volle cbe contribuissero tulli una data moneta, altra però gli uomini
, altra le donne , ed alu'a gl’ impuberi : talché numerandosi queste dai,
presidi delle sante cose rileva- vasi il totale degl’ individui secondo il
sesso e la . 6tà. E volendo , come scrive Lucio Pisone nel primo degli annali ,
conoscere quanti erano domiciliati in Roma, quanti vi nasceano o vi morivano ,
o toccavano * la età virile; stabili qual moneta dovessero i parenti vergare
per ognun che nasceva nell’ erario di Eileitia , detta dai Romani Giunone Lucifera
, o in quello che chiamano di Venere Libitina , là nel bosco , per ognun che
mo- riva , o in quello della Dea Gioventù per ognuno che alla virile età
perveniva. Da queste monete intendeasi ogni anno quanti erano in tutto , e
quanti aveano ido- neità militare. Ciò fatto diede ordine, che i Romani. re-
gistrassero, apprezzandoli inargento, i lor beni, e giu- rando di apprezzarli
come dee 1’ uomo candido e buo- no t e che insieme dichiarassero quanta era la
età loro, quali i padri loro , le mogli, ed i figli ; aggiungendovi dove in
città soggiornassero, o in quale de’ villaggi d^Ho campagna ; e chi non
&cea pari stima era in pena spo- gliato de’ beni , flagellato e Venduto.
Dorò questa legge lungo tempo tra Romani. XVI. Cosi prese da tutti 'le stime, e
rilevatone il nu- mero di essi , e la grandezza de’ beni loro introdusse (l)
Ciut Paganaliu. Digitized by GooglLIBRO IV. 07 una instituzione savissima che
fu poi larga fonte di beat a’ Romani , come il fatto stesso Io dimostrò. La
islit»* zione fu di segregare dal resto del popolo quei che aveano sostanze più
grandi non però minori di cento mine , e di ordinarli in ottanta centurie (1) ,
le quali , armandosi , portassero scudo argolico , elmo di bronzo, corazza ,
stivali , asta e spada. Poi separandole tutte in due parti formò quaranta
centurie di giovani per le spe> dizioni in campo aperto , e quaranta de’ più
adulti , le quali in città si restassero per custodirla quando le altre
uscivano per la guerra. E questa era la milizia , prima di ordine ; per altro i
giovani aveano sempre il primo luogo onde proteggere tutta l’armata. Dal
residuo quindi del popolo segiegò quelli ancora che aveano meno di cento mine
non però più scarse di settantacinque, compar» lendoli in venti centurie che
portassero arme , simili a quelle de’ primi , toltane la corazza e dato ad essi
lo scudo lungo in luogo dell’ argolico (u). E dividendo quelli di oltre
quarantacinque anni dagli altri che aveano età militare formò dieci centurie di
giovani, le quali an- (1) Nel Cesto Xt^gn: questa roce k ambigua: può
sigaificare cen- turia , manipolo , coorte. Il traduttore latino la interpreta
per cen- turia : e questa pare la nozioue piti acconcia : ma deve riflettersi
che cengia: vai quanto compagnia di cento , laddove in questo luogo non significa
cento esattamente ; ansi ne] paragrafo iS di questo libro significa ben altro
che cento. (a) Tra i Latini ci ebbe io Cfypeut e lo tculuni. Il primo era detto
«cevrir da’* Greci , ed il secondo Bv/i»f i il primo era più breve e sièrico,
l’altro piò lungo. La nostra lingua, come di un popolo che più non usa quelle
armi non ba forse parole ben disliute o note pet indicare la doppia forma.
Targa , Rotella o Broccbiero può forse dirsi il C/fpeus , e scudo è voce
generica di ogni sorta di quelle armi. Digitìzed by Google a8 DELis Antichità’
romane dassero in guerra per la patria , « dieci di anziani che in gtiardia
rimanessero delie mura. Era questa la mili- zia , seconda di ordine , e prendea
luogo dopo de' primi nella battaglia. Una terza ne fece di quelli che aveano
meno di settantacinque mine non però sotto le cinquanta; ma ne minorò T
armatura non solo delle corazze come alla seconda; ma de’ stivali ancora.
Descrisse pur questi in venti centurie dividendoli parimente secondo 1’ età ,
talché se ne avessero dieci de’ più gióvani, e dieci de’ più maturi. Era il
luogo loro nelle battaglie appunto do- po quelli che seguivano i primi. XVII.
Trasse un quart’ ordine di soldati da quelli che avean meno di cinquanta , e
non meno mai di ven- ticinque mine; disponendolo in venti centurie , dieci dei
floridi , dieci de’ provetti per anni , come avea fletto co- gli altri ; e
dando loro per arme scudi , aste , e spade , e r ultimo posto nelle battaglie.
Reclutò la quinta mi- lizia da quelli che avean meno di venticinque mine , non
però meno di dodici e . mezzo , acconciandola k- condo gii anni di ognuno in
trenta centurie , quindici de’ più avanzati , e quindici de’ più giovani. Diè
loro strali e Sonde , ma luogo fuori deli’ esercito , Uiesso in battaglia.
Comandò che quattro centurie allatto inermi accompagnassero tutte le altre :
cioè due di annajuoli , di falegnami , e di altri per altro militare lavoro, e
due di sonatori di trombe e timpani e di altri stromenti pe’ bellici segni. Ma
gli arteflci seguitavano la miUzia dà second’ ordine : e distinti anch* essi
per età , quali se . guitavano le bande de’ giovani , e quali degli anziani.
I^addove i sonatori di trombe e di timpani lenean die- tro alla miUzia quarta
di ordine ; distribuiti anch’ eglino Digitized by Coogl LIBRO IV. 39 in giovani
e vecchi. Erano li centurioni tmcelti fra' tutti li più insigni nelle arme; e
reggea' ciascuno la sua cen- turia docilissima ai cenni. XYlll. Tale era il
metodo onde avessi la soldatesca legionaria e leggera. Scelse poi la cavallerìa
dai più facoltosi , e più cospicui di lignaggio , e formatene di- ciotto
centurie le dié compagne alle prime ottanta cen- turie de’ legionarj. Erano pur
di queste diciolto , chia- rissimi lì centnrioni. Finalmente ridusse ad una
centu- ria gli altri tutti , ben più numerosi de’ primi che aveano men che
dodici mine e mezzo , e gli escluse dalla mi- lizia e li rese immuni da ogni
tributo. Cosi risuitaron sei ordini che i Romani dicono classi denominandoli
con greca parola : imperocché quello che noi signifi- chiamo colla voce
imperativa colei ( chiama ) lo signifi- can essi coll’altra cala (>) ed
anticamente caleseis pro- nunziavano in vece di classi. Comprendeano queste
classi cento novanutrè centurie. Formavano la prima Bovantotto centurie
compresevi quelle de' cavalieri : ven- tidue cogli artefici la seconda : venti
la terza : di nuovo ventidue co’ sonatori di trombe e di timpani la quarta ;
trenta la quinta : ed era dopo queste una centuria uuica la classe de’ poveri
(a). (i) Calo catas tt» antico veibo latino por chiamare j donde pur cbbesi la
noce Calerule. (a) Classe prima. - 9S -- seconda aa — ' tersa. ao — quarta aa —
quinta 3 o - — sesta 1 193 Digitized by Cooglf 3o DELLE Antichità’ romane XIX.
Introdotto un tale sistema , iatimava i soldati per la guerra secondo le
centurie , e li tributi secondo li beni. Quante volte a lui bisognassero dieci
o venti- mila soldati ; avendo distinta la moltitndine in cento novantatrè
centurie, imponea ebe desse ognuna la sua parte. Calcolando, le spese da farsi
pe’ frumenti e per gli bisogni di guerra ; egli stesso le compartiva secondo
gli averi di ognuna tra le centurie , ordinate in cento no- vantatrè. Seguitò
da questo ebe i possidenti piò grandi essendo minori di numero ma divisi io più
centurie fossero sensa requie astretti a più guet're , e vi contri- buissero
danaro più ohe altri : laddove i possidenti mez- xani e piccioli quantunque più
numerosi, ridotti in meno centurie , non combatteano che alternativamente e di
raro , né pagavano se non leggeri tributi ; e quelli che non possedeano quanto
rìchiedevasi , erano intatti da ogni molestia. Nè ciò facea senza causa ; ma
persuaso che gli averi sono per 1* uomo il premio della guerra , . e ohe
ciascuno travaglia per difenderseli ; riputò giusta cosa , ohe chi pericola su
più beni , più ancora al pe- ricolo si opponga colla robba e colla persona :
che men di molestia risenta in ambedue chi men perderebbe: e finalmente che chi
non teme per cosa ninna non sia nemmeno in cosa alcuna aggravato , immune da’
tributi perchè bisognoso , e libero dalla guerra perchè libero da’ tributi.
Imperocché li soldati Romani militavano al- lora , ciascuno a spese sue non lo
stipendio riceveano dal pubblico ; nè pensava altronde che avesse a contri-
buire chi non aveane i mezzi e stentava il vitto quoti- diano : nè che colui
che non contribuiva militasse a spese altrui qual mercenario. , Digitized by
Coogl LIBRO IV. 3 1 XX. G)sl rivolse Ai più ticchi tatto il carico de’ pe«
ricoli e delle spese : vedendo però che sen disgustavano^ nè raddolcì per altro
modo il mal contento , e ne rat* temperò lo sdegno , concedendo ad ewi tal
prerogativa per cui gli arbitri sarebbero del pubblico esclusine i poveri. Nè
comprese il popolo di ciò che facessi le con* srguenze. Era la prerogativa ne’
comitj , ove dai popolo risolveansi. le cose le più gravi. Ho già detto di
sopra come il popolo secondò le antiche l^gi era 1’ arbitro di tre cose
grandissime e necessarissime : cioè di eieg> gere i suoi capi in città e nel
campo , di ammettere o di abrogare le leggi , e di conchiudere la guerra o la
pace.' E tali cose discuteva , e decidevate il popolo per curie ,
parrggiandovisi il voto del grande a quello del picciolo possidente. ^ E
siccome pochi , come avviene , erano i facoltosi ; ma più assai li poveri; cosi
preva» leano questi ne’ comlej. Tullio ciò vedendo trasferì nei ricchi la
prepotenza de’ voti. Imperocché quando pare» vagli di' far creare i Magistrati
o discutere le leggi , o Conchiudere la guerra teneva i comizj non più per ci^
rie , ma secondo le centurie anzidette. E prima chia» mava a dare il Suo volo
le centurie di maggior possi» densa le quali èrano ottanta di fanti e diciotto
di ca- valieri. Or' queste più numerose che le altre di Un tre (i) quando
fossero unanimi , superavano le altre ; e la di» scussione avea fine. Che se
non si univano queste in uu parere ; invitava allora le ventidue scritte nel
se* coud’ ordine*., £ se i voti sciudcvansi ancora ; soprac» (i) Erauo
noTanioUo, e le altre tutte novauUoinijue. Digitized by Google 3 2 DELLB
Antichità’ romane cbianuva le centarie di terz’ ordine : iodi quelle del
quarto, e cosi via via, finché novantasette centurie si trovassera consentanee
(i). Che se ciò non ottenessi nep- pure colla quinta, chiamata , ma le cento
novantadue centurie si contrapponeano con parti eguali.; invitava allora 1’
ultima centuria che era de’ bisognosi , e però libera dai tributi e dalla
milizia. E qualunque fosse la parte alla quale accostavasi questa centuria ;
quella pre- ponderava. Ma ciò era ben raro a succedere , per non dire impossibile
; mentre il più delle discussioni termi** navasi col chiamar de’ primi ordini
senza procedere al quarto. Doud’ è che l’ invito de’ quinti e degli ultimi
superduo riusciva. XXI. Istituendo tal sistema e tal prerogativa inverso de’
ricchi , Tullio deluse , come ho detto i poveri ; né sei conobbero , e furono
esclusi dalle cariche. Immagi- navano questi che essendo richiesti un per uno a
dare il suo voto, ciascuno nella sua centuria, avessero egual parte nel tutto :
ma s’ ingannavano : perchè uno era il voto della intera centuria , e qual
centuria conteuea . men cittadini e quale più i^sai ; e perchè prime vota- vano
le centurie più ricche, più numerose per serie, quantunque con men cittadini.
Aggiungi che un solo era il voto de’ bisognosi , quantunque fossero i molti ;
ed aggiungi che ultimi si chiamavano. Per tal metodo i ric- chi , quatunque
assai soggiacessero a spese , né avessero mai requie da’ perìcoli della guerra
, men sentivano il (i) Erano le centurie senza l’ultima 193. numero la cui metà
è 96. Affinchè dunque vi , fusse preponderanza doveva un parlilo nascere almeno
da 97 e I' alito da 96 ocniutia. * ... uigitized by Coogle LIBRO IV. 33 peso ;
perchè erano gli ariìitri divenuti di gravissime cose , ed aveano tolto agli
altri tutto il potere. Altronde i poveri se non aveano che la minima parte
nelle pab- bliche cure sei comportavano placidi e ebeti, perchè li- beri dai
tributi e dalla guerra. Dond* è che que’ mede- simi i quali consigliavano
ciocché era da fare ; quegli appunto se ne mettevano ai pericoli ed alle opere.
Durò tal sistema per molte età tra’ Romani. Ma ne’ tempi miei fu variato, e
renduto più popolare per forza di grandi necessità , non perché le centurie
fossero disciotte ; ma perchè non più serbavasi 1* antica diligenza nel chia-
marle; come io stesso, presente più volte ai comizj, ho veduto.: ma non è
questo il tempo conveniente a parlar di ciò. XXII. Tullio data cosi regola al
censo , comandò che tutti i cittadini andassero colie armi al campo più grande
dinanzi Roma : e là , messi in squadre i cavalieri , or- dinati li fanti in
battaglia , e ridotti i soldati leggeri , ciascuno nelle proprie centurie ; li
espiò con un toro , un ariete ed un capro. Egli fatte condurre prima tre volte
le vittime intorno dell’ esercito le sagri Beò poscia a Marte, Nome sovrano di
quel luogo. Anche a miei giorni vengono i Romani purificati con egual cerimo-
nia , che essi chiamano lustro , dopo &tto il censo , da que’ che n’
esercitano' il magistrato santissimo. Come ri- levasi da’ libri de’ censori ,
il , catalogo de’ Romani che si registrarono ascese allora ad ottantaqnattro
mila set- tecento. Prese questo re non picciola provvidenza per ampliare le
classi del popolo, ideandone de' mezzi sfng- DIOKIGI , tomo II. S Digitized by
Google 34 DELLE ANTICHITÀ.’ ROMANE giti a suol predecessori. Imperocché
provvidero questi a far moltitudine ricevendo i forestieri e consociandoseli
senza divario di natali o di sorte. Ma Tullio concedè che entrassero a parte
della repubblica pur gli schiavi Fenduti liberi , se mai non volevano
ripatriare. Àdon« que permettendo che registrassero le loro sostanze iu- sieme
con gii altri uomini ingenui gli ascrive fra le tribù urbane che erano quattro
fra le quali ritrovasi aa« cora la discendenza dai liberti , e fece che vi godessero
quanto gli altri vi godeano di diritti. XXIII. Disgustandosi di questo e mal
sopportandolo i Patrizj ; egli convocatane la moltitudine disse : cho
meravigUctvasi primieramente de' malcontenti se credei vano che t uomo libero
differisse dal servo per natura piuttosto che per la , sorte : e
secondariamente se mv~ stiravano gli uomini degni di onori non dai costumi né
dalle maniere , ma dalla prosperità, vedendo quanto caduca , e quanto mutabile
sia la prosperità , mentre TÙuno , nemmeno de’ più felici, può dire quanto
tempo gli durerà. Considerassero quante città barbare e gre^ che erano di serve
divenute libere , e di libere serve. E qui condannava la grande loro
incongruenza mentre rendevano liberi uomini degni di esserlo, e poscia ad essi
invidiavano la cittadinanza : e consigliavali piuttosto a non liberarli, se
malvagi li riputavano: ma -se ripa* tavanli buoni, non li vilipendessero
quantunque fore- stieri. Dicea , che ben era informe nè savia cosa che essi
ammettessero alla loro cittadinanza tutti i forestieri, senza distinguerne la
sorte , o por mente , se erano servi divenuii liberi ; e poi tenessero come
indegni di tal gra- Digitized by Googl LIBRO IV. 35 eia ^elli stessi che erano
da loro liberati : e dicea , che essi i quali credeano più saperne che gli
altri non ve- deano poi le cose presenti , elementari , e piane anche ai più
inetti': cioè che assai penserebbero i padroni anon rendere liberi cosi di
leggeri i servi se poi do- veano accomunarseli alle cose più grandi fra gli
uomi- ni : e che i 'servi assai più si studierebbero di far Fatile de’ padroni
, se capivano che resi liberi sarebbero an- cora cittadini di una città grande
e beata ; e che am- bedue questi beni Se gli avrebbero appunto dai padroni. Da
ultimo fattosi a ragionare su F utile pubblico ricor- dava a chi io sapeva , ed
a chi noi sapeva insegnava , che una città che aspiri al comando , una città
che pre* pansi alle grandi cose, non dee niun bene cercare quanto F aumentò del
popolo , onde aver forze contro tutte le guerre , e non distruggere Ferario con
assoldare gli estra- nei , perciò dicendo che i primi re concedevano a fo-
restieri la cittadinanza. Che se ora adottavano la sua legge; aggiungeva che
per loro via via crescerebbe una gioventù numerosa , nè sarebbero mai scarsi di
soldati ; anzi che ne avrebbero abbastanza quantunque fossero astretti far
guerra contro di tutti. Vi sarebbero ancora oltre le pubbliche, altra utilità
non poche pe’ ricchi se lasciavano che gli schiavi renduti liberi avesser parte
nelle adunanze ; mentre ne sarebbero in queste nel mag- giore bisogno favoriti
co’ voti o con altre decenze , e la* scerebbero ne’ discendenti di essi
altrettanti clienti ai posteri loro. Consentirono a tal dire i patrizj che si
am> mettesse un tal uso in repubblica: e vi persevera anco- ra, custodito
come una delle leggi sacre ed inviolabili. Digitized by Google 36 DELLE
Antichità’ romane XXIV. E poiché son venuto a tal parie di narrawo— ue ; parmi
necessario adombrare i costami de’ Romani in que’ tempi sopra gli schiavi ; perchè
niuno riprenda nè il re che tentò volgere in cittadini gli schiavi già li- beri
, né quei che la legge ne ammisero , quasi abbiano incautamente abolito
istituzioni bellissime. Ottenevano i Romani dei schiavi per giustissime guise:'
imperocché gli aveano o comperandoli dal pubblico che metteali qual preda all’
incanto, o concedendo un capitano che si appropriassero i presi in gnerra
insieme con altre cosej o redimendoli da altri che gli aveano . con eguali mar-
niere acquistati. Mé Tallio che lo introdusse, nè gli altri che lo riceverono e
serbarono; tennero come vituperoso e nocivo al pubblico il costume pel quale si
ridonasse la libertà e la patria da chi possedeali come schiavi, a quegli
uomini che spogliati in guerra di patria e di li- bertà si erano utili
dimostrati verso i primi che gii aveano soggiogati, o verso altri che gii
avevano comperati dai primi. Ricuperavano moltissimi la libertà gratuitamente
in vista deir onesto e bel procedere loro : e questo ■ era il più onoridco
mezzo onde riaversi : pochi ne sborsa- vano un prezzo, accozzato con legittime
e caste fatiche. Non è però così di presente , ma sono le cose in tanta
confusione , e cosi belle virtù de’ Romani sono invilite e bruttate; che
chiunque trae danaro da crassazionl^ da sfasci, da prostituzioni o per altre
ree guise , costui con tal prezzo redimesi , e diviene un Romano. Otten- gono
altri un tal dono dai loro padroni , divenutine i complici degli avvelenamenti
, delle uccisioni , e. delle in- giustizie contro la : repubblica e contro gl’
Iddj : tal altri Digitized by Goo e de’ Veietiti, -già prime ad insorgere, e
colpevoli di aver mosso le altre alla guerra co’ Romani , queste in pena le
multa della campagna, coi divise in sorte tra gli ammessi di fresco alla
cittadinanza di Roma. Compiate tali cose in guerra ' ed in pace, e fondati due
tempj l’uno nel Foro boario, e l’altro in riva del Tevere alla Fortuna
sembratagli propizia tutti i suoi giorni , e da lui chiamata Kirile come
chiamasi ancora (i) ; alGne provetto assai per età, nè lontano ornai dal suo
termine, morì tra le insidie dei genero suo e della Gglia. Io dirò di queste
insidie ma ripigliandone il GIo alquanto da lungi. . XXVIIL Avea Tullio due
Gglie , nategli da Tarqui- nia , sposata a lui dal re Tarquinio medesimo.
Divenute nubili le donzelle, cugine dal canto materno a’ nipoti di Tarquinio ,
diedele appunto a questi per mogli , la più grande al più grande , e la minore
al minore ; cosi pa- rendogli che meglio converrebbobo a chi le prendeva ; (i)
Tullio fondò piò che due tempj. Fiutar, in quest. Rom. 74 * Ma la fortuna ViriU
fu coosccrata da Anco e non da Serrio secondo lo stesso Plutarco De Fortuna
Roman, Digitized by Google LIBRO IV. 43 se non che per la diflbrmità de’
costami si trovò ì’ua genero e l’ altro accoppiato col sao contrario. Lucio il
maggiore , baldanzoso , caparbio , tiranno per indole , ebbesi la fanciulla ,
savia ^ mansueta , piena di amore paterno: laddove Arunle il più tenero, mite
molto per genio e tutto affabile , se ne ebbe la iniqua, e tutta ardire, e
tutta odio contro del padre. Ora seguiva che movendosi ognuno a seconda del
genio suo venivane ripiegato in contrae rio dalla sua donna. Ardea lo
scellerato dal desiderio di balzare il suocero dalla reggia : ma intanto che a
tale disegno applicavasi, erane dai voti contrariato e dal pianto della
consorte. In opposito il mite sposo , fermo in cuor suo che non aveasi ad
offender il suocero ma che do* veasi aspettare che la natura ne consumasse la
vita , ni tollerando che il fratello commettesse quella ingiustizia, era spinto
in contrario dalia ribalda sua compagna , che lo istigava e garrivalo ,
rimproverandolo come vile. E poiché niente poteano nè le suppliche della savia
donna che insinuava il suo meglio al non giusto suo sposo , nè le istigazioni
della malvagia che provocava ai delitti Taomo suo, che non era temperato a
commetterne; ma ciascuno seguiva l’indole sua tenendo per molesta la compagna
perchè non avea desiderj uniformi ; la prima ne piangeva , ma comportava
l’acerbo suo caso , quando l’altra fremevane audacissima, e cercava come
togliersi dal sno camerata. Or qui levatasi di mente la scellerata,
considerando quanto bene a lei si confarebbe il marito della sua germana , sei
fa eh iamare , quasi per abboc* carsegli di necessarie cose. XXIX. E poiché fu
venuto; ordinando che si riti* Digitized by Googlf 44 DELLE Antichità’ romane
tasserò quanti eran seco per discorrere sola con solo» Or su, disse, o
Tarquinio posso io liberamente e senza pericolo ridire quanto medito pel bene
di am- bedue ? Lo celerai tu quanto sei per udire ? o vai meglio che io taccia
, nè palesi V arcano' consiglio ?, £d invitandola Tarquinio à dire, e
certificandola coi giuramenti, qualunque ne volesse, cbe-taóerebbe i di- scorsi
; ella non più contenuta dalla verecondia >neO‘ amici che abbondano , ed
altre comodità copiose e grandi per imprendere. Che più, dunque t’ indugj ? u4
spetti forse il tempo che per sé stesso venga e ti dia la corona senza che pur
te ne brighi ? Quando ? dopo la morte di Tullio ? Jippunto la fortuna riguarda
gl’ indugj degl’ uomini , appunto la natura pon fine alle vite secondo la pro-
porzione degli anni ! Anzi oscuro , incomprensibile è f esito delle cose
mortali. Sebbene , io lo dirò pur francamente , quandi anche tu me ne chiami
temera- ria , una a me sembra , una la causa per la quale niente commoveti ,
non l’ amor degli onori non della gloria. Hai tu donna mal conforme a tuoi
modi; e questa li lusinga , e t’ incanta , £ ammollisce : e da questa rendalo
men che uomo diverrai finalmente un ignoto. Così pure quel marito eh’ è meco,
tutto paura, e senza nulla di virile , quegli ha depresso me ch’era nata alle
grandi cose , quegli ha fatto il fiore lan- guir di bellezza che mi avvivava.
Se portava il de- stino che tu prendessi me per moglie ed io te per marito ,
già non saremmo tanto tempo vivati nella ignobilità de’ privati. Che dunque non
emendiamo le colpe della sorte ? che non trasmutiamo il matrimo- nio ? che non
togli tu dalla vita cotesta tua donna ? Io sì che apparecchio per quel mio
marito /’ egual Digitized by Google 46 DELLE Antichità’ romane trattamento. E
quando , spenti questi ^ ci sarem con- jugcUi y allora consulteremo con
'sicurezza sul resto , liberi già dagli ostacoli che ci conturbavano. Che so
altri per cUtre cause teme la ingiustizia ; già non è da riprendersi chi tutto
ardisce per dominate. XXX. Mentre Tullia cosi diceva, ne ascoltava Tai>
quinio con diletto i disegni : e dando immantinente e ricevendo i pegni di
fede, e le primizie dell’ empie noz- ze , si ritirò. Non andò guari tempo ; .e
perirono p^ eguale sventura la primogenita di Tullio, ed il minor de’ Tarquinj.
E qui sono astretto a far parola di nuovo di Fabio, e riprenderne la negligenza
nell’esame dei tempi. Imperocché fattosi alla morte di Arante non. pecca per
questo capo solo come io dinanzi dicea, che deaeri- velo per figlio di
Tarqninio ; ma per l’ altro ancora che narra , che mortosi Arunte fu sepolto
dalla madre Ta- naquilla , la quale non potea di que’ tempi più vivere.
Conciossiachè giù di sopra fu dimostrato che costei nu- merava settantacinque
anni , quando mori Tarquinio. Ora aggiungi a questi altri quarant’ anni ,
giacché sap- piam dagli annali che Arunte mancò nell’ anno quaran- tesimo del
regno di Tullio; e saran gli anni di Tana- quilla cento quindici. Tanto
picciola nelle storie di que^ st’ uomo é la cura intorno la ricerca del vero !
Dopo ciò Tarquinio senza indugio riprese in Tullia una mo- glie , ricevendo lei
da lei stessa , e senza che la madre approvasse , o consolidasse il padre
quelle nozze. E come que’ due impurissimi , come que’ due micidiali si con-
giunsero , tentarono di cacciare se noi cedea di buon grado, Tullio dal trono:
e teneano perciò delle con- Digilized by Google LIBRO IV. • venticole , e
raunavano que’ senatori che aveano cuore alieno da lui e dalie forme di un
governo’ popolare, e comperavano i più bisognosi della città quei che non Bveau
cura ninna della giustizia , facendo intanto tutto senza nasconderlo. Tullio
vedendo ciò , ne fu contur» baio , e temette di essere sorpreso da qualche
infortu- nio. Nè dovrebbesi meno se dovesse far guerra alla figlia ed ai genero
, e pigliarne vendetta come di nemiri. Adunque invitò molte volte Tarquinio a
discorso in mezzo degli amici ; ora redarguendolo, ora ammonendolo ed ora
esortandolo a non far contra lui mancamento. Poiché però costui non lo
attendeva , e pretestava che direbbe in Senato i suoi diritti; egli stesso
adunando il Senato , incominciò : Tarquinio o senatori ( e ben mi è ciò
manifesto ) Tarquinio tien dei congressi; Tar~ quinio m insidia lo scettro. Io
da lui voglio , pre- senti voi, risapere, qual privata ingiuria ha da me
sostenuta , o qual vede che io ne ho fatta sul pub- blico per insidiarmi.
Rispondi Tarquinio, non '{infin- gere , di che avresti tu mai per incolparmene?
È que- sto il Senato , ove di essere udito desideravi. XXXI. E Tarquinio
replicò : Breve o Tullio sarà il dir mio , ma giusto ; e però voleva io
profferirlo tra questi. Tarquinio V avolo mio possedè la reggia di Roma , e
molti e grandi travagli sostenne per essa. £ lui morto , io , gli debbo
succedere secondo le leggi comuni de’ Greci e de Barbari. E convenivasi , come
si conviene a quei che succedono agli avi , che io ne ereditassi non pur le
monete , ma la reggia : e tu mi davi le une, come lasciate da esso, e mi
toglievi la Digitized by Google 48 DELLE Antichità’ romÀn¥ reggia , e già da
tempo la tieni , senza averla mai ricevuta a norma delle leggi : perocché nè
gl’ interré vi ti scelsero , nè i senatori mai per te davano il voto , nè
assunto vi eri dacomizj legittimi come l’avo mio e come tutti i re precedenti.
Tu andavi al trono,- e comperando e subornando per ogni modo una turba di
vagabondi e di miseri, una turba rovinata nella stima per le accuse e pe’
debiti , una turba infine niente sollecita del pubblico bene : e così andandovi
nemmeno dicevi di stabilirlo per te , ma davi' le viste di custodirlo per noi
orfani e pargoletti: e dichiaravi, udendolo tutti , che quando saremmo già
adulti , lo renderesti a me che sono il pià grande. Se dunque volevi tu far la
giustizia, quando mi consegnavi la casa , quando il danaro dell’ avo ; dovevi
tu conse- gnarmene nommeno la reggia seguendo V esempio dei tutori onorati e
dabbene, i quali ponendosi alla cura de’ regi figli, orfani de loro padi’i,
rendono ad essi appena son grandi puntualmente e santamente la si- gnoria degli
antenati. Che se ancora non io semhra- vati idoneo a pensieri convenienti , ìiè
bastante pei giovani anni a città si popolosa , dovevi almeno re- stituirmene
il governo quando io giunsi ai treni anni che son gli anni vegeti del corpo e
della mente , e ne’ quali tu mi davi la tua figlia in isposa. Avevi pur tu
questa età quando prendevi la cura della no- stra casa e del regno. XXXII. Ti
sarebbe , cosi facendo , accaduto di esserne detto pietoso e giusto , di essere
il partecipe de’ miei consigli, il partecipe degli onori, e di udir- .
Digitized by Google LIBRO IV. 49 miti chiamar padre , e benefattore « e
salvatore ; e con ogni bel nome , quanti ne sono destinati dagli uomini per le
assioni le pià preziose ; nè io già da quaran- taquattr anni sarei privo del
regno , io non informe di corpo , io non disadatto di mente. E ciò stando y osi
pur dimandarmi quale aggravio io ne senta, sicché io labbia per inimico, e te
ne accusi? Anzi dX, Tullio , dì per qual causa non mi stimi tu degno degli
onori delt avo ; dì , qual ne trovi , qual ten ^ngi buon ti- tolo di tal mia
privazione ? Non pensi forse che io sia germe puro di quella stirpe, ma
intrusovi e spu- rio ? Come dunque tu curavi un estraneo da quella famiglia ? o
come , quando ei crebbe , gliene rendevi la casa ? O pensi che io non lontano
molto dai cin- quant’ anni > io pur siegua ad essere un orfano ? un incapace
ed moneti del pubblico ? Lascia dunque gli schemi di domande invereconde; cessa
una volta di esser malvagio. Che se hai giuste cose a rispondere io, son pronto
di rimetterle a questi giudici , de’ quali tu non potresti ih città rinvenirne
altri migliori. Ma se di qua levandoti ricorri tu , come sempre solevi , a
quella tua ligia moltitudine ; già non sarà che io mel soffra. Io qui sono
appeaecchiato disputare sul giusto ; ma lo sono ugualmente per eseguirmelo , se
non mi- ascolti. XXXIII. Al tacere di lai ripigliando Tullio il discorso, così
disse : Quanto è vero o senatori che dee t uomo aspettarsi ogtd caso pià impensato
nè crederne as- surdo rduno, se fn questo Tarquinia sta per levarmi DIONlGt,
tomo tZ. ' Digitized by Googlc 5o DELLE Antichità’ homank dal pritKÌpato :
questo Tqrquinio , else io prendea , che io salvava fanciulletto da’ nemici che
lo insidia- vano , che io educava e crésceva , e cresciuto, ' com- piaceami di
avermelo a genero, ed erede infine di tutto se io patissi umana vicenda. Ma
poiché tutto mi riesce in contrario , e che ne sono ami accusato come ingiusto
; serberommi a piangere la mia sorte , rispondendo ora su miei diritti a fronte
di lui. O Tar- quinio , io presi la cura di voi lasciati fanciullini : nè già
di voler mio , ma costrettovi dalle brighe , la presi. Imperocché si dicea che
quelli ette aveano ma- nifestamente ucciso I avolo vostro onde riprendersi il
tròno , avrebbero occultamente insidiato • anche tutto il parentado : e quanti
a voi per sangue si riferi- scono , tutti confessano , che se quelli restavan
gli arbitri del comando , non avrebbero pur seme la- sciato della stirpe de’
Tarquinj. Non ci avea curar tore , non tutore ninno di voi se non una donna ,
la madre del vostro padre , . bisognosa ancor essa di alr tri curatori per la
cadente età siui. Rimanevate vm solo a me corifidati , custode unico dell
orbitade vo- stra , a me che ora chiami un estraneo , un che niente a voi si
appartiene. Jn tali turbolenze ponendomi al comando io punii gli uccisori' deU’
avolo vostro', e ’ voi crebbi allo stato di uomini , nè avendomi prole virile ,
io vi eleggea ^perchè à me succedeste. E que- sto o Tarquinio il discarico
della mia ‘cura; nè già potresti in parte alcuna imputarmene di menzogna, .
XXXIV. Ma quanto al regno , poiché di questo mi accusi, odi come io me ìo
abbia^ e le Cause per le quali Digitized by Google LIBRO IV. 5l 10 non a voi lo
ceda , nè ad altri. Quando io presi 11 governo , avvedutomi che mi si tramavano
delle insidie , volea nelle mani riporlo del popolo. E chia- mando tutti a
concioAe , io già faceami a cedere il comando per cambiare con una vita di
calma e senza pericoli^ la vita del comcmdare , la quale è piena di invidia ,■
e sparsa pià di amarezze che di piaceri. Non comportarono i Romani che io tanto
eseguissi , nè vollero alcun altro sul Comune , e me ritennero , ed a me
diedero col consenso de’ voti , il régno , quel possesso loro, o Tarquinia , e
non vostro. Così pure l'Oveano già dato all’ avolo vostro tuttoché forestiero,
e niente congiunto col re precedente ; sebbene Anco Marzio lasciava de’ figli
maschi e floridi per anni ^ e non de’ nipoti , e piccioli , come Tarquinio voi
la- sciò. Se legge è comune di tutti, che chi eredita le sostanze e i danari
dei rei che cessano , debba in- sieme r,iceverne il regno , dunque non fu
Tarquinio l’ avolo vostro che al morire di Anco ottenne là co- tona , ma il
figlio primogenito di questo. Ma il po- polo di Roma chiama al comando t uomo
degno di averlo, e non il successore del p’adre. Imperciocché giudica che le
sostanze sieno di chi le possiede, ma che il regno sia di quelli che il diedero
; giudica con- venirsi che ottengano quelle gli eredi per sangue o per
testamento se i padroni sén muojono , e che tomi l’ altro a chi ’l diede se
vien meno chi preselo a reg- gere •; se non forse hai tu da contrappormi che I
avolo tuo ricevette il regno con tal condizione che non po- tesse pià tortegli,
e che lo tramandasse a voi suoi 5a DELLE antichità’ homane discendenti; sicché
non fosse pià t arbitro esso po- polo, di conferirlo a m«, levandolo a voi. Ma
se hai tu punto di simile, che noi produci? Ma non gli hai tu questi patti. Che
se io non ebbi il regno per buona via come dici , non- eletto dagf interré ,
noti portato dai senatori agli cffari, né compiendo il re- sto a norma dette
leggi; questi dunque, .questi ho 10 vilipesi e non te : e questi e non tu ,
saria giusto che V autorità men finissero. Ma nè io violai questi, né cdtro
chiunque. Jl tempo tn é buon testimonio’, che 11 potere mi fu dato
legittimamente, e che legittima^ mente mel tengo. Imperocché già ne volge I
armo quarantesimo e niun Romano pensò mai che io com- mettessi , avendolo , una
ingiustizia ; e non il po- polo, non il Senato mai si mosse a spogliarmene.
XXXV. Ma lascisi pur tutto ità : diasi pur luogo alle tue ragioni. Se io te
privava di un deposito del- t avo , se io mi ascrissi il tuo regno contro .
tutti i diritti degli uomini, convenivasi che tu a quelli ne andassi che mel
diedero : che con quelli ti ramari- cassi e garrissi che io mi tenga te cose
non 'mie ; è che essi mi si obbligarono col dispensarmi t. altrui: e se tu il
vero dicevi; di teneri gli [avresti persiut- si. Che se tu non certificavi ciò
co- tuoi parlari ; e tuttavia pensavi , indebita cosa che io regnassi, e che tu
sei pià acconcio al maneggio del pubblico ; potevi almeno , fatta ricerca
diligente de miei errori , e nu- merate le belle tue gesta , riclamartene
giuridicamente la precedenza. Ma tu non hai fatta, nè luna nè F al- tra cosa; e
dopo tanto tempo , finalmente , quasi ria- Digitized by Google LIBRO rv. 53
vendati da lunga ebbrietà , vieni per accusarmene » e nemmen ora dove si dee.
Canciossiachè, già non con- viene che queste cose qui dichi ( e voi non ve ne
sde- gnate o Padri., mentre io cosi parlo non perchè vi si tolga questa causa ,
ma per dichiararvi li costui vanilotfuj ) , ma conveniva che preaccennandomi
tu. che aduneresti il popolo a conciane là mi accusassi. Ora ciocché hai tu
schivato , lo supplirò io questo per te :• convocherò il popolo , lo Jarò
giudice delle Mense che òuoi : lascerò che decida di nuovo , qual sia pià
idoneo di nói per comandare ; e quello che là desti- nasi, quello adempirò. Ma
basti il fin qui detto a risponderti : perciocché toma allo stesso dir poche o
molte ra^ni eon emoli che non le apprezzano , men-, tre questi per indole
nemmen soffrono ciocché li per-, suada ad essere umani. ^XXXYl. Ben io mi
meravigliava o senatóri che sdeuni di voi (se ve ne sono ) volendo depor me ,
co- spirassero con costui. F^olentieri udirei da loro per qual mia ingiustizia
mi fan guerra, o da quale mio trattò inaspriti. Sanno essi forse che assai nel
mio principato , perirono senza essere uditi, assai furono spogliati, di patria
, assai delle sostanze, o con altro sciagure affitti ? o non avendo a ridire su
me niun tirànnico modo di questi , sono essi forse conseqtevoli delle, mogli
lóro da ma disonorate ; delle prof ansate loro verini figlie, o di tal altra
mia incontinenza su ingenue persone ? Egli è giusto se in me sorto tali eplpe ,
che io sia , nonuì del regno privato , che della vita. O può .dire alcuno che
un superbo io sono , un Digilized by Coogle 54 DELIE Antichità’ bomane esoso per
la mia durezza, un-iiHollerabile per la mia caparbietà nel governare ? Qual mai
dei re predeces- ■ sori fu così moderato , così umano nel suo potere ,« o qual
fu con tutti come me , quasi un tenero patire co’ figli? Io quel potere che voi
mi deste, voi custodi di ciò che avete dagli avi ricevuto io non lo volli
questo nemmen per intero : ma creai leggi, ( e voi le approvaste queste leggi)
su cose principalissime ,• e le intimai perchè tutti esigeste e rendeste
cots-esse i diritti , ed io stesso il primo mi vi sottoposi , docile come un
privato agli ordini , che io dava per nitri. Che più : non io mi tenni giudice
di tutte le ingiusti-‘ zie ; ma commisi che voi stessi giudicaste delle pri-,
vate} ciocché ninno uvea fatto dei re precedenti. ^Laon* de , non vedesi in me
colpa sicché altri me ne con- trarino. O turbano voi forse i benefizf miei
verso del popolo ? Ma non sarebbe così pensare un offendeivi ! se già tante
volte con voi me ne giustificai. Se non- ché niente bisognano discorsi tali :
se a voi pare che- questo Tarquinio , preso il govermo, sia per ammii-
nistrarvelo anche meglio : io non invidio a . Roma .il suo miglior principe.
Restituendo il comandò al po-^ polo che mel diede, e tornandomi tra privati ,
farò che vedasi chiaramente che io sapea tanto, ben' «io» minare , ' quanto io
posso dignitosamente servire^ . 55 ascese in tribuna , e tennevi un patetico e
Inngo ragio- namento óve numerò le gesta militari eh’ egli iece men- tre viveva
Tarquinio e dopo , e .ricordò mano a mano le istitnaioni donde sembrava il
Cornane prosperato di, molte ; e grandi utilità. E venendogli dal dir di ogni
fatto -amplissime lodi, e desiderando ornai tutti sapere perchè li ridicesse ,
palesò finalmente come Tarquinio accusa- • vaio di' egli tenesse a torto un
regno che a lui si do- veva : e come apaigeva che l’avolo gli avea nel morire
lasciato con le ricchezze anche, il regno , e che non po-, teva il popolo
concedere ciocché suo non era. E qui -^Vegliatosi in tutti clamore , ed.
indignazione , egli inti- mando silenzio, piega vali, che non impazientissero
nè tumultuassero a quel dire : ma chiamassero Tarquimo , e se. forse aveva
giuste cose da esporre le conoscessero: e se lo trovassero offeso, e se. piò
idoneo a reggere , gli affidassero pure il comando di Roma : egli se ne al-
lontanerebbe , e renderebbelo ad essi da’ quali lo .ebbe. Cosi lui dicendo e
movendosi già per,i iscendere dalla ' tribiina , , proruppe da tutti un grido ,
un gemito , un pregar vivo ebe non cederne ad alui.il comando. E ci avea por
chi esclamava elve si avesse a tempestare Tar- qninio : e colui , vista in
fremito la moltitudine, temendo che non gli desser di mano ; foggiasene cogli
amici in casa. Allora tripudiando tutto il popolo ricondusse tra gli applausi e
le acclamazioai Tullio alla reggia. ■ X^XVllL Tarquinio, veuutogK meno, quel
tentativo, fremè dal rancore, che il Senato non gli dess^ alcnn aiuto, quàndo
egli fidava su questo principalmente; e teuniesi per alcun* tempo in casa non
conversandolo che Digitized by Coogle 56 DELLE Antichità’ romane gli amici.
Quando la donna sua gli si fece a dire elle più non dovea star mollemente a
bada , ma ebe dovea^ lasciate le parole , Tenire ai fatti, e primieramente cer-
car pace per mezzo degli amici da Tnib'o , perché co- lui credendoselo
riconciliato, meno il guardasse. E pa- rendogli eh’ ella ben consigliasse ,
finse di esser pentito, e più volle per .mezzo degli amici Orò caldamente Tul-
lio affinchè lo perdonasse ; né difficilmente ve lo indusse, essendo
placabilissimo per indole, ed alieno da nna guerra inestinguibile colla figlia
e col genero. Ma venutogli po- scia il buon ponto , essendo il popolo sparso
ne’ campi per la raccolta , egli usci cìnto di amici co’pngnali sotto ' d^li
abiti: dati i fasci ad alcuni de’ servi, e* presa per se regia veste ed altri
simboli del comando , si recò net F oro ; e standosi dinanzi la Curia , intimò
che il ban- ditore convocasse il Senato. E siccome ci aveanO già pel Foro
appostatàmente molti de’Patrizj consapevoli ed isti- gatori del delitto ;
allora si concentrarono. Intanto corso alcuno in casa di Tullio lo informa come
Tarquinio' ersi uscito con regie vesti , e chiamava i Padri a consiglio.
Stupitosi Tullio dell’ ardimento andò tra piccfolo seguito con più velocità che
saviezza: e giunto nella Curia) e vedutolo in sul trono , e con gli altri
distintivi reali , chi , disse , chi , scelleratissimo uomo , ti concedè que-
sti onori? e colui, /ìi, replicò, l’ardire tuo; fu la tua inverecondia o J\dlio
; perocché non essendo tu libero , ma servo nato da serva « e posseduto qual
pri- gioniero dalT avolo mio, ti arrogasti il comando di Roma. Tullio , ciò
udendo , inaspritone , à biqciò fnor di proposito su lui , come per isbalzaflo
dal trono. Vide Digitized by Google tlBKO IV. 5'J TaitjaÌDio ciò con diletto ^
e sorgendo dalla regia sede afferra e trasportasi Ini vecchio , che grida , ed
invoca i suoi. Giunto fuori della Curia egli florido e forte, le* vaio in alto
> e trabalzalo giù per le scale che mettono al luogo de* contizj. Alzatosi
appena dalla caduta il vec- chio , cóme vide intorno , pieno tutto de*
partigiaui di Tarquioio , e deserto e vuoto de* cari suoi , partesene malconcio
e mesto con pochi che lo sostengono , e ri- coóducoDO , mentre riga intanto la
via di sangue. XXXIX. Narransi dopo ciò le opere dell’ empia e barbara figlia,
tremende ad udirsi, come portentose nè credibili a farsi. Costei sentendo che
il padre era ito in Senato vogliosissima di conoscerne la fine , venne in sul
cocchio nel Foro : e conosciutavela , e veduto Tarqui- nio in su le scale della
Curia , essa la prima a gran voce lo salutò monarcA , supplicando gF Iddii ,
che il regno di hii riuscisse propizio a Roma. E salutandolo monarca altri
ancora de’ cooperatori suoi , • lo trasse in disparte e di^se: Le prime cose o
Tarquinia te hai Ut faUe come àoveansL Ma finché vive TuUio non potrpi renderli
stabile il regno. Egli se abbia picciolo tempo di questo giorno ; ecciterattene
incontro il po- polo ; e tu sai’ quanto il popolo tutto è per lui. Su dunque'
prima ih* ei torni in casa , manda chi lo uo cida ; te ne libera. Ciò detto , e
sedutasi di nuovo in sul cocchio ,. parti. Tarquinio convinto che la iniquis-
sima donna ben consigliava , spediscegli contro alquanti de’ suoi ■ co* brandi
: e quelli trascorrendo rapidissima- ménte la via raggiunsero Tullio pressò la
casa , e lo uccisero. Abbandonato palpitavane ancora il cadavere 58 DELLE
antichità’ BOMANE per la strage recente ; quando la figlia sopraggiunge : ma
stretta essendo la via donde avessi à passare le mule a tal vista si
spaventarono : e 1’ auriga stesso .che le guidava mosso da compassione si fermò
e si volse a colei. La quale dimandandogli perchè mai non pro- cedesse : Non
vedi , disse , o Tullia , che qui giace U morto tuo padre , nè vi è transito
fuorché, sul cada-* vere suo ? E sdegnatasene quella , e levatosi lo scAbello
da’ piedi e lanciatoglielo disse : ’E non le guidi o stolto in sul morto ? E
colni gemendo anzi per la compas- sione elle per la percossa spinse
forzosamente le mole so del cadavere: E la via chiamata Olbia (i) per ad- dietro,
fu dopo il tragico e barfiAro caso, detta nélF i— dioma de* Romani scellerata.
' ‘ XL. Tale fii il termine di Tullio dopo quaranta- quattro anni di regno.
Dicono che qnest’nomo il primo alterasse ì patrii costnmi e le leggi .ricevendo
il prin- cipato non' dal Senato insieme, e dal popolo come tatti i re
precedenti ma dal popolo . sedo , guadagnane dosene la classe > indige nte
con' distribnzione e'donii, ^ altri sedncimentL E cosi sta la'veritè;
perciocché' nei •> *- (l) OAjStar >0 greco saU fiUce , firtunaUn sareiiba
il teina che la vìa ftlice fortunata fu delta scelterata pel delitto. Alcuni
leggono »va-fi»s io luogo di tXfittf, certamente, secondo che scrive Var— rime
nel lib. ^ , de lingua laiina, i Sabini quando tinnirono ai Ro- mani ,
chiamarono Cipria la contrada di Roma nella quale si allog- giarono come per
buono angario, perché Cjrprwn tra’ SaiNui tigni— Scava il bene. E secondo ciò
la contrada, detta Cipria o. buona dni Sabiui pel buon augurio, sarebbe appunto
quella ghe fu. poi della scrllerata per la empietà commessavi. Ma Varrone
.scrive che questa contrade cran prossime , e non già le. medesime. Digitized
by Google LIBRO IV. prifni tempi quando un re moriva , il popolo dava al corpo
del Senato la podestà di stabilire la forma che pià volessero di governo, ed il
Senato nominava gl’in- terré, e gl’ interré sceglievano per sovrano 1’ uom più
pregevole sia de’ cittadini , sia de’ nazionali, sia de’ fo- restieri : e se il
Senato ’ne approvava la scelta, se il po- polo co^ voti suoi r aotorizzava , se
gli anspizj la con- fermavano, còlui prendeva il comando. Che se mancava alcuna
di queste condizioni, ne; nominavano nn 'secon- do ; e poi un terzo, se
avveniva che il secondo non avesse propiziò quanto era d’ uopo dal cielo e
dagli' notami. Ma Tullio, come innanzi fu detto, assumendo in ■principiò il
carattere di regio tutore , e poi guada- gnandosi il popolo con gli amorevoli
modi', fu -re no- minata solamente da quello* Poi • diportandosi come uo- mo
temperato e clemente fe' colle opere successive ta- cere le accuse*, che non
avesse* adempita ogni cosa a norma delle Ipggi ; lasciando a > molti il
'sospetto , che se non era presto > levata; avrebbe' ridotto- lo Stato- a
forma di una repubblica. E (|nesta é la cagion princi- pale. per «ui dicesi che
alenai de’ palrizj lo insidiassero^ Pionr potendo con altro modo hnirne il
comando , ini- sero -TarqUinie alla impresa e gli cooperarono il regno^ per
voglia di deprimere -il •'popolo fornài troppo potente pel ' governo tura un giorno ; nella prossima notte spirò.
S’ ignorava però da molti la maniera del termine suo. Diceano al- cuni eh' ella
stessa aveasi data da sé la morte , an- teponendola al vivere. Altri però
diceano che era stata uccisa dalla figlia e dal genero come troppo ad- dolorata
e benevola inverso lo sposo. Per queste ca- gioni il corpo di Tullio fii privo
di regj funerali , e di magnifico monumento : conseguì però coUe opere sue
memoria perenne in tutti, i tempi. Anzi quanto iegU | fosse caro agl’ Iddìi
lo., fece eziandio palése nu se- gno celeste : dond’ è che alcuni tennero
ancora per vera la opinione incredibile e fiivolosa intorno la nascita sua come
dianzi fa detto. Appiccatosi il fuoco id tempio delia fortuna , che egli area
già fabbricato, mentre tutto era preda delle fiamme ne rimase intatta solamente
la statua di lui in legno dorato. . Il tempio e quanto .è' nel tempio
rifabbricati dopo l’ incendip sul modo antico presentano le traccie di un’ arte
recente: ma la statua , antica com* era nelle fattezz^. vi riscuote ancora il
qulto dai Romani. E ciò è quanto abbiamo ricevuto sopra Tullio.» . , XLI. Dopo
di lui prese la siguoria di Roma Laicìo Digitìzed by Coogle LIBRO IV. . 6l
Tar^illnio non gi^ fecondo le log^ ma colle armi nel- r anno quarto dell*
olimpiade sessantesima prima nella quale vinse nello stadio Agatarco , essendo
arconte di Atene Tericleo (i). Cosmi spigando la popolar mol- titudine ,
spregiando i patria] da’ quali era stato con- dotto al trono, e confondendo e
sconciando ogni co- stume- e legge e disciplina colla quale i re precedenti
ave'ano dato forma a Roma; rivolse il governo in nna manifesta tirannide. E
primieramente mise intorno a sé guardie di bravi , naaionali ed esteri , con
spade e lan* ce, i quali vegliando di notte negli atrj della reggia , é
scortandolo di giorno, ovnnqne ne andasse, lo scber»
missero appieno dalle insidie.' Inoltre
non usciva nè di continuo , né con periodo certo , ma di raro , e quando non
aspettavasi. Deliberava su le cose comuni molto in sua casa , e poco nel F oro
, in mezzo a’ parenti più stretti cbe lo guardavano. Non concedette che alcuno
di quei che il volevano si presentasse a Ini se noi chiamava : e
presentatoglisi , non era giè con esso , compiacevole e mite , ma grave ed
aspro ' come un ti- ranno, e terrìbile ansi che gioviale a vedere. Definiva le
controversie su’ contratti in conformità de’ costumi suoi , non delle leggi e
del dritto. Per le quali cagioni i Romani lo denominaron superbo , ciocché
nell’idioma nostro vuoi dire soperchiatore contrassegnando l’ avo col
soprannome di Prisco, o come noi diremo antico per nascita, giacché quello
aveva i nomi appunto del giovine. (i) NelP annp »e di Roma secondo Catone, a»
seconde Vat- reus , e &3a avanti Cristo. Digitized by Cooglf 6a DELLE
antichità’ ROMANE ' XLI. Qaaado poi concepì di aver già consolidato il suo regno
, concertandosene co’ più ribaldi de’ suoi ami> d, avviluppò tra accuse
capitali i piò cospicui de’ cit- tadini ; e primieramente i contrari suoi ,
quei che già non^voleano che Tullio si levasse dal trono , e quindi altri li
quali immaginavaseli malcontenti del cambia- mento , o li quali abbondassero di
riccbezae. Coloro che in giudizio li riducevano, gli accusavano l’un dopo
l’altro con delitti falsi, e con quello specialmente che tendevano insidie al
re che ne era il giudice. Ed egli quali ne condannava alla morte , e quali all’
esilio: e confiscati i beni degU uccisi o banditi , dispensavane alcun poco tra
gli accusatori , serbandone la piò gran parte per sè. Pertanto molli de’primar}
vedendo le ca> gioni per le quali erano insidiati, lasciarono , prima di
essere complicati in delitti, Roma tutta al Uranno. Vi furono pure alcuni
sorpresi ed oppressi di furto da lui nelle case o ne’ campi : uomini ben degni
di riguardo , ma non piò sen trovarono nemmeno i cadaveri. Di- Btrutla così la
maggior parte del Senato con su*agi e con esilii perpetui la supplì con
chiamare agli onori di quei che mancavano i propri amici: nè però concedette
loro di fare o dire se non quanto egli avesse prescritto. Tanto che li senatori
già scelti da Tullio , e superstiti ancora nel Senato , e contrarj fin’allora
al popolo sul concetto che la mutazione tornerebbe in lor bene per le promesse
avutene da Tarquinio ingannevoli e tradi- uici , vedendo infine che non aveano
piò parte nelle pubbliche cose, anzi che aveano' come il popcdo per* dula la
libertà ne sospiravano : ma temendo un avve- Digilized by Google .LIBRO IV. 63
nire ancor più tetribile , nè potendo impedire «pianto faceagi , chctaronsi
necessariamente a’ mali presenti. XLllI. Or vedendo il popolo dò , pensava che
stesse lor bene , e godea sul «Hintraccambio , quasi là tt> rannida foste
per essere 'grave a quelli soltanto e non pericolosa per lui ; quando non molto
dopo ne vennero i mali ancora più su di esso : imperocché Tarquinio annullò
tutte le leggi di Tallio per le quali il popolo rendeva ed esigeva il giusto
con diritti eguali senza es> seme come prima sovverchiato da’ patria) ne’
contratti : né lasciò pur le tavole dove erano scritte , ma fattele levare dal
Foro le distrusse. Poi tolse i daz) , propoiv zionevoli ai registri delle
sostanze , tassandoli novamente sul modo antico. E se mai bisognavano a lui
denari, Contribuivane il più ' povero quanto il più ricco. Or tale regolamento
esaurì subito colla prima imposizione gran parte dei popolo; essendo astretti a
pagare dieci dramme a testa. Intimò 'che non più si facessero quei concor» ,
quanti sen facevano per villaggi, per curie', o per vicinati , a Roma , o nella
campagna in occasione di feste o sagri6zj comuni , perchè riuneudovisi molti
non vi macchinassero occultamente fra loro di abbattere il principato. Ci
aveano qua e là disseminati , ignoti osservatori e spie dei detti e de’ fatti ,
e questi intra punto contro il governo scandagliavano gli animi: e se
scoprivano alcuno esasperato da’ mali introdotti lo in- (xilpavano presso del
tiranno: ed aspre» irreparabili ne erano le pene , se restava convinto. >
XLIY. Né gli bastò di abusate m tal modo' del po- 64 DELLE ANTIC&ITa’
ROMANE polo : ma raccogliendo dal meazo di esso quanti ci area 6di e proprj per
la gnerra , astrinse gli altri a lavorare in città, riputando che i re
moltinimo pericolano, ae i più scellerati e poveri stieno oziosi. E desiderando
vi- vamente che si ultimassero nel suo regno le opere la- sciate imperfètte
dall’ avo suo, che si continuassero; fino al fiume le cloache cominciate da
quello e si circondasse di portici coperti il Circo Massimo il quale -non
aveane che le gradinate; si applicarono a questo lavoro; e ne i ottennero parco
frumento i poveri , altri tagliandone i materiali, altri guidando i carri che
li trasportavano, ed altri portando su le spalle i pesi. Chi scavava sotterra-
nei canali e largure : chi facea volte in essi ; e chi sn. Tarquinio perché
aveasi scelto Mamilio per genero e non lui , fece uda lunga accusa di Tarquinio
nmne- randone le op^re di orgoglio e di soperchieria , come il nou essere
venuto in consiglio, dove eran già tutti, e dove gli aveva esso • stesso
invitati. Difendealo Ma- roilio , imputando l’ indugio a cause urgenti^ime, e
chie- dea che diiferissero ; e differirono il consiglio al prossi- mo giorno ,
indotti dai suo parlare i Latini. (t) Livio nel lib. i dice che era della
Aiceia : Tur /mi Herdo- »iui ai Arida. Forte la gran vicinanta di Coriolo e
dell'.tfr(cM Ccce prender l’nna per l’altro. Coriolo era fra i terrìtorj Amiate,
Ardcatinp , ed Aricino , tal monte Giov». toJOttlQI tomo Jl. % Digitized by
Google 66 DELLE antichità’ ROMANE XLYI. Giunto nel giorno appresso Tarquinio ,
e con- gregato il consiglio , e toccato di volo l’ ittjiagio suo ^ fecesi a
discorrere della preminenea che a lui cecnpe-* teva come posseduta già dall’avo
per la forza delle armi; e presentò gli accordi delle città fatti ctm quello.
Lungo fu il suo ragionamento intorno dei diritti -e def patti; e grandi le
premesse di beneficare le città se amiche gli si tenessero , e provocavale
infine a far guerra con esso ai Sabini. Come dié fine al dir suo. Turno
recatosi in- nanzi accusava la tardanza di lui, nè permetteva che li compagni
gli cedessero il principato, perchè nè dovuto a lui per giustizia , nè possibile
a darsegli con utile dei Latini. E molto ragionò su l’nna e su l’altra cosa
dicendo che i patti che avean segnati ccfll’avo suo quando gli ac- cordarono la
sovranità finirono colla sua morte, per non essere scritto in quelli che il
dono esienderebbesi anche ai posteri suoi. E qui dimostrava eh' egli chè
pretendeva succedere ai diritti dell’avo, era il più ingiusto, e mal- vagio '
de’ mortali : e ne allegava le opere da lui latte per aversi il comando di
Roma. Adunque scorrende^ i tremendi e molti suoi delitti , conchiuse infine che
egli non tenea legittimamente nemmeno Roma, non aven- dola come i re precedenti
ricevuta da’sudditi spontanei.; Egli t lui presa , disse , colla violenza e '
colle armi: & fondatavi la tirannide , uccide , esilia, confisca , e tò-
glievi fin la libertà di parlare, non che quella del vi~ vere. Ben sarebbe
grande la stoltezza, grande la in- giuria inverso gli Iddj ripwmetlersi mai
tratti umani e benevoli da un empio e da uno scellerato , e cre- dere che chi
non ha perdonato nemmeno agi intimi Digilized by Googl LIBRO IV. 67 ruoi j
nemmeno al suo sangue , risparmi poi gli altri. Esorlavali dunqne giacché noa
eransi ancora sottoposti al giogo , a combatto^ per non sottoporvisi. Da ciò
che pativano gli altri di terribile argomentassero ciocché sa* rdibero essi per
sopportare. XLVII. Vaiatosi Turno di questo discorso, ed assai commossine i
più; Tarqainio dimandò per difendersene il giorno seguente , e lo ebbe. E
sciolto appena il con- siglio ; convocati i suoi più intimi , esaminò con essi
ciocch’ era utile a farsi. £ quali suggerivano le ruposte di apologia , quali
ragionavano fra loro de’ mezzi onde era da blandirsi la moltitudine. Soggiunse
Tarquinio che niente di ciò bisognava, e disse il parer suo di le* vare
l’accusatore , anziché di purgarsi dalle accuse. E lo« datone da tutti e
concertatosi con essi; pigliò tali vie
per l’intento, quali non sarebbero cadute
in mente di uomo che macchina o si difende. Imperciocché cercati U servi più
rei che menavano i giumenti o curavano le robbe di Turno , e corrottili con
argento , gl’ indusse a prendere da sé stesso nella notte assai spade e
portarle nell’ ospizio del padrone e nasconderle , e lasciargliele tra le
bagaglio. Poi nel giorno appresso , riunitosi il consiglio, e venutovi : Breve
è , disse , topologia su le mie colpe , e giudice ne stabilisco t accusatore
mede^ simo. Questo Turno , o compagni , giudice stabilito delle reitadi che ora
mi ascrive , questo da tutte as- solveami già, quando chiese in isposa la mia
figlia. Ma poiché ne fu rigettato , com' era ben giusto ( im- perocché qual
savio mai rispinto avrebbe Mamilio, un si nobile , un sì potente Latino , e
prescelto avrebbe Digitized by Google 68 DELLE antichità’ ROMANE per genero
costui, che mal può delincar la sua stirpe, fino al trisavolo ? ) poiché ne fu
rigettato, indispetti- tone mi assalisce colle accuse. Doveva , se per tale mi
conoscea qual mi accusa, non desiderarmi per suo- cero : o se mi tenea per
onesto quando mi chiese ‘la figlia, non doveami ora come un ribaldo accusare. E
ciò basti su mei perciocché non si debbe ora più discutere se buono o malvagio
io mi sia , quando voi, o compagni , voi correte il più grave de’pericoli. E.
su me potete aruor dopo chiarirvi : ben ora dee colla sal- vezza vostra la
libertà provvedersi della patria. 1 pri- marj delle città , quei che ne
maneggiano il pubblico, tutti sono insidiati da questo bel capo-popolo, il
quale apparecchiasi , uccidendo i più cospicui, torsi il regno del Lazio. E
questo , questo é il fine che qua lo menava. Né già io parlo immaginando , ma
di pienis- sima scienza , datami nella notte andata da uno dei complici della
congiura. E se voi vorrete meco alt ospi- zio di costui venire, io ven darò
documento infallibile del dir mio, le armi che vi occxdla. XLVIII. Or lui cosi
parlando sciamarono tutti, e chie> sero , temendo per sè , che certificasse
il fatto , . non gK illudesse. E Torno, come lui che non avea preveduto le
insidie, disse che volentieri ricevea la inquisizione, e chiamò li primarj per
compierla , aggiungendo che se- guirebbe l’una delle due, o che egli morirebbe
se il trovassero con apparecchio di altre arme che pel viag- gio , o che le
pene sue subirebbe chi lo calunniava. Cosi piacque ; ed andarono e trovarono
nelf albergo cU liti tra le bagaglie le spade na$costevi da’ servi. ÀUora
Digitìzed by Coogle LIBRO lY. 69 Dòn lasciando nemmen che parlasse gillarono
Turno in UDS voragine , e coprendolo , vivo ancora , di terra lo aterminaron
sul fatto. Ed encomiando nell’adunanza Tar> quinio come benefattore comune
delle città, perchè ne àvea salvalo gli ottimati , lo crearono capo della
nazione co’ diritti appunto co’ quali ne aveano già creato Tarqui« nio r avolo
suo , e poi Tullio. Scrissero in su colonne que’ patti , e datosene il
giuramento per la osservanza , si congedarono. XLIX. Tarquinio divenuto capo
de’ Latini spedì mes- saggeri alle città degli Eroici e de’ Yolsci invitandoli
a far seco amicizia ed alleanza. Ma de’ Volaci due sole cittadi Echetra, ed
Anzio secondarono l’ invito ; laddove gli Eroici si decisero tutti per 1’
alleanza. Ora curando Tarquinio che gli accordi colle città si conservassero in
ogni volger di tempo ; deliberò fissare un tempio co- mune ai Romani , ai
Latini , agli Eroici ed ai Volaci confederatisi, perchè riunendosi ogni anno al
luogo de- stinato vi mercantassero , e banchettassero , partecipando
de’sagrifizj medesimi. Ed ascolundone tutti con piacere la idea , scelse quanto
era possibile in mezzo de’ popoli per luogo della riunione il monte sublime ,
il quale so- vrasta alla città di Alba : e dichiarò per legge che in questo
fbsser le fiere, in questo fosse triegua di tutti in verso di tutti , e conviti
si facessero e sacrifizi co- muni a Giove detto Laziale , prescrivendo quanta
parte dovesse ogni città contribuire per essi , e quanta rice- verne.
QuaranUsette furono le città compartecipi delle feste e de’ sacrifizj ; e tali
sagrifizj e tali feste le conti* nuano ancoc di presente i Romani che Laiine le
chia* Digilìzed by Coogle 'jo DELLE Antichità’ homane maoo. I^e città compagne
nel sagrificare portano agnelli^' o cacio , o latte , o tal’ altra oblazione in
fratti e fari- ne. Immolandosi però da tutte un sol toro, ciascuna prendeane
per sè la parte stabilitale. Il sagnfizio è per tutti , ma presiedono al rito
santo i Romani. ^ L. Poi cb’ ebbe rassodato il regno con tali confedera- zioni
; risolvè di porure Tarmata contro i Sabini. E re- clutando de’ Romani quei che
men sospettava che fareb- bonsi liberi se otteuevau le armi, e conginngendo con
essi truppe alleate, più numerose ancora delle* sue , de- vastò le campagne
Sabine : e vintivi quei che vennero con esso a battaglia ; menò l’esercito
contro de’ Pomen- tini. Abitavano questi la città di Sessa e pareano i più
felici de’ conBnanti, anzi per la felicità molesti e gravi a tutti. Avendo egli
già reclamato ad essi per alquante rapine e prede , e richiestili che dessero
de’ compensi , non aveano dato che orgogliose risposte: e quindi po- stisi in
arme aspettavano pronti la guerra. Adunque ve- nuto con essi in sul conBne alle
mani , ed uccisine molti ; ne respinse e rinchiuse gli altri fra le mura : e
poiché non più ne riuscivano , accampatosi dirimpetto , li circondò di fossa e
vallo , investendo la città con as- salti continui. Resisterono quei che
v’erano dentro, du-
rando assai tempo fra stenti luttuosi. Ma
poi venendo ad essi meno ogni mezzo , infiacchendo ne’ corpi , e non ricevendo
soccorsi , nè requie mai , anzi travagliando di e notte ; furono sopraffatti
dalia forza. Impadronitosi della città trucidò quanti vi stavan colle amie:
lasciò che i soldati rapissero donne , fanciulli , quanti sop- portavano di
cader prigionieri , e moltitudine non facile Digilized by Google LIBRO IV. 7 I
a calcolarsi di servi : e concedè' che invadessero e si portassero qnant’ altro
veniva loro ' alle mani sia nella città , sia per la campagna : ma 1’ oro e
l’argento, quanto se ne trovò , lo fe’ tutto rammassare in un luogo , e de-
cimatolo per la fondazione del tempio , ne divise il re- sto fra le milizie.
Tanta poi ne fu la somma che ogni soldato rioevè cinque mine di argento e la
decima per gr iddj non fu minore di quattrocento talenti di ar' gento. LI.
Ancora egli stavasi a Sessa quando gli giunse un messaggio , eh' era uscita la
gioventù horentissiroa dei Sabini: che gettatasi in dne corpi nelle terre de’
Ro- mani devastavano le campagne , l’ uno tenendosi presso di Ereto , e 1’
altro presso di Fidene : e che se una forza non le si opponesse, ben tosto
tutto soccombe- rebbe. G>m’ ebbe ciò udito lasciò picciola parte dell’eser-
cito in Sessa con ordine che vi guardasse le prede e bagaglie : e prendendo con
sé il resto della milizia , spedita e leggera , e marciando contro quei che
erano accampati presso di Ereto, si trincerò su le alture a pic- ciolo
intervallo da essi. Decisero i due Sabini dar la bat- taglia in sul mattino; e
spedirono perchè venisse l’eser- cito ancor di Fidene. Ma scuoprl Tarquinio il
disegno per essere stato preso chi portava le lettere dagli uni agli altri. Per
tal successo ei si valse di questo accorgi- mento. Divise r esercito in due
parti , e ne mandò l’ una fra la notte di nascosto de’ nemici su la via che
viene da Fidene , e schierando l’ altra in sul brillare del gior- no , la menò
dagli alloggiamenti alla battaglia. Corag- giosi gli uscirono incontro i Sabini
non vedendo gran Digitized by Google 7 a DELLE Antichità’ romane serie de'
nemici , e credendo non altro mancare aliare mata di Fidene , se non di
gingnere. Coti venutisi que-> sti a fronte combatterono , e la pugna pendè
gran tempo dubbiosa, quando li soldati spediti nella notte da Tar— quinio
ripiegarono la marcia , e correvano a tergo dei Sabini. Sbalordirono questi al
vederli , e ravvisarli dalle insegne e dalle armi , e gettando le proprie»
tentarono di salvarsi : ma il tentativo rìnsd difHcilissimo , essendo essi
circondati da’ nemici e rinchiusi dalia* cavalleria dei Romani postata d' ogn
intorno. Pertanto pdchi ne scam- parono e tra duri casi : i più ne perirono , o
cederono. Quelli eh’ erano lasciad agli alloggiamenti non li sosten- nero ; e
quel luogo di sicurezza fu invaso al primo as- salto. Furono qui prese le robbe
de’Sabini, e qui molti de* prigionieri , e qui le robbe de’ Romani quante ne
erano intatte, e tutto fìi salvato per chi le aveva perdute; LIL Riuscito il
primo saggio a Tarquinio secondo il cuor suo , prese 1’ esercito, e ne andò
contro i Sabini accampati giù in Fidene, a’ quali non era ancor nota la
disfatta dei loro. Usciti questi dagli steccati erano per avventura tra via: ma
non si tosto furono più da vicino e videro le teste de’loro capitani confitte
alle aste ( che ve le aveano i Romani confitte ed ostentavanle per ispa-
ventare i nemici); conoscendo com’era l’altro lor campo distrutto , più non
tentarono nulla di generoso , ma ri- voltisi alle suppliche ed alle umiliazioni
si resero. Cosi devastati miseramente , e vituperosamente nell’ uno e nell’
altro esercito , e ridotti i Sabini a speranze tenuis- sime , anzi timorosi che
fossero le loro città pigliate di assalto ; spedirono ambasciadori per la
pace., profieren- Digili2ed by Googl • LIBRO IV. 73 dosi per sudditi e
tributar). Pertauto lasciò la guerra, e ricevute appunto «>a tali coudizioni
le loro città , si ri- condusse a Sessa ; e ritiratene le milizie lasciatevi ,
e le prede ed ogni bagaglio , tornossene a Roma coll’ eser- cito carico di
ricchezze. Poscia fe’ molte incursioni su le terre de’ Yolsci, quando con tutte
le forze, e quando con parte , ne ottenne gran prede. Ma riuscitegli per lo più
le cose a voler suo ; gli si eccitò una guerra coi con&nanti* ben lunga pel
tempo , giacché durò sette anni continui , e ben grande pe’ casi inaspettati e
terribili. Ora io dirò brevemente le cagioni per le quali nacque, e qual ne fu
1’ esito , essendo stata terminata per in- ganni e per stratagemmi non
preveduti. LUI. Una città , Latina di gente , e colonia già degli Albani,
lontana cento stadj da Roma ( Gabio ne era il nome) sorgeva in su la via che
mena a Palestrina. Città popolosa allora e grande qnant’ altre , ora non tutta
si abita , ma solo presso la strada per uso degli alloggi. E ben può
raccoglierne la grandezza e la ma- gnificenza , chi mira le rovine in più
luoghi delle case ed il giro delle, mora , che in gran parte esistono an- cora.
Eransi qua concentrati alquanti involatisi da Sessa, quando fu presa da
Tarquinio , e molti fhggiti da Ro- ma. Or questi supplicavano e pressavano quei
di Gabio a prendere vendetta di loro , promettendo gran doni se ai beni proprj
tornassero ; e dimostrando possibile e fa- cile la distruzione del tiranno.
Adunque ve gl’indossero sul riflesso che in Roma a ciò coopererebbero , e che
lì Volsci erano ad altrettanto animati; giacché mandate aveano delle
ambascerie, bisognosi anch’essi di ajutO’ Digitized by Coogle 74 DELLE
Antichità’ romane
per imprendere la guerra contro di
Tarquinio. Si fe^ cero dopo questo irruzioni con eserciti poderósi , fi
scorrerie su 1’ altrui territorio e battaglie , com’ è Veri»» simile, ora di
pochi con pochi, ora di tutti contro di tutti: e quando i Gal^, respinti fino
alle porte i Ro- mani, ed uccidendone diedero intrepidamente il guasto ai lor
campi ; e quando i Romani incalzando i Gabj e rinchiudendoli nella loro città ,
• sen portavano schiavi , e preda copiosa. . • . • . LIV. Or ciò facendosi di
continuo, fu l’una e l’altra parte costretta a cinger di mura, e presidiare i
luoghi forti delle proprie terre in ricovero de’ contadini. Di là prorompevano
su’ predatori , e scendendo folti , stra- ziavano , se ne vedeano , i piccoli
corpi staccati dal resto dell’ esercito , o li disordinati per poca apprensìon
de’ nimici , come accade nei pascere. Similmente te- mendo r una parte gli
assalti improvvisi dell’ altra fu costretta a munire dì fosse e di muri le
città facili a scalarsi ed a prendersi. Adoperavasi in ciò principal- mente
Tarquinio : e rassicurò con molte fortificazioni il tratto intorno la porta la
quale menava a Gabio , sca- vandovi fosse più larghe , elevandone più alte le
mura , e coronandole di torri più spesse : imperocché la città sembrava in tal
canto men solida , quando era nel resto dei suo circuito sicura abbastanza, nè
facile da inva- derla. Se non che si fece in ambedue le città penuria di ogni
vettovaglia , e costernazione gravissima per l’av- venire , essendo le campagne
diserte per le incursioni incessanti de’ nemici , né più somministrando de’
frutti come accade a’ popoli avvolti in guerre diuturne. 11 di- Digitized by
Google LIBRO IV. 7 5 sagio però’ stringeva i Romani più che i Gabj ; tanto che
U poveri infra quelli, angustiatine più che gli al- tri , giudicavano essere da
venire a trattati, e far pace comunque coi Gabj , se la volessero. LV. Or
dolendoti Tarquinio altamente de* successi , e non sofierendo di' deporre
obbrobriosamente le armi^ nè polendo altronde resistere più inmmzi ; volgevasi
a tutte le prove , a tutti gl’ inganni. Quando il figlio più grande ( Sesto ne
era il nome (i) ) scoperse al padre un suo disegno. Egli parea mettersi ad
impresa audace quanto pericolosa ; pur non essendo impossibile , con-
cedettegli il padre che operasse di voler suo. Sesto dun- que ‘fintosi in
discordia col padre per voglia di por fine alla guerra : ne fu battuto colle
verghe nei F oro , e con altri modi oltraggiato ; tanto che se ne sparse in-
torno la fama. E su le prime inviò come profughi i suoi più fidi perchè
dicessero occultamente ai Gabj che egli deliberava far guerra al padre , e che
ne anderebbe tra loro se gli desser parola di proteggerlo come gli altri
refugiaii Romani , senza renderlo ai padre per isperanza di finir col suo danno
le proprie nimicizie. Udirono con diletto quei di Gabio il discorso , e con-
cordandosi di non offenderlo , egli venne , e con lui molti compagni e clienti
come fuggitivi; e per meglio (i) Tito Lirio dà questo nome e' questa impresa al
figlio minore : ma il disparere col padre e l’ incarico assunto pare più
yerisimile in chi area più diritto di succedere ad un regno . direnuLo assolu-
to, e tale era il figlio maggiore. Pertanto il racconto di Uiouigi sembra più
naturale, qualunque fosse il nome del finto rilielle. Vedi S 65 di questo
'libro. Digitìzed by Google 'jG . BTìLLE Antichità’ romane accreditare la
ribellione sua dal padre portò seco molto di argento e di oro. Dopo ciò sotto
velo di fuggir lar tirannide molti a lui confluirono ; tanto che ornai glie n’
era intorno un corpo ben forte. Concepivano quei di Gabio che avrebbono grande
incremento dal giu- gnere di tanti ad essi , e lusingavansi che tra non molto
.avrebbono suddita Roma, illusi ancor più dalle opere di quel ribelle , il
quale scorrendo di continuo la cam* pagna , raccoglievane prede ubertose. Ed il
padre ap- punto, risapendo prima in quai luoghi il figlio verreb- be , ubertose
glie le apprestava , e senza guardia se noa di scelti cittadini che egli v’
inviava come a lui sospetti per farli distruggere. Su tali significazioni molti
creden- dolo amico fido , e buon capitano , e molti arrenden- dosi all' oro suo
; lo inalzarono al comando supremo delle milizie. LVI. Sesto divenuto per frodi
e per illusioni T ar- bitrò di un tanto potere spedi , senza che i Gabj se ne
avvedessero , un tale de’ servi suoi per dichiarare al pa- dre r autorità che
avea preso , e per udirne ciocch’era da fare. Tarquinio volendo che il servo
non intendesse ciocché ordinava al figlio di fare , venne ( e conducea seco il
messo ) al giardino , congiunto al regio palagio. Aveaci là de’ papaveri nati
spontaneamente , già pieni di frutto , e maturi per la raccolta. Or tra que’
papa- veri aggirandosi e dando co’ bastoni in su le tòste de’ più alti ,
abbattevali. Congedò ciò fatto il messaggiCro niente rispondendogli ,
quantunque interrogato ne fosse più volte. Egli imitava per quanto a me sembra
la prudenza di Trasibulo Milesio. Imperocché chiesto da Periandro, Digilized by
Google LIBRO IV. 77 allora tiranno di Corinto , per via di un messaggiero , con
quali modi possederebbe più saldamente il coman- do, non rispose pur sillaba ,
ma fatto cenno all’ inviato die lo seguitasse, il. condusse in un campo di
biade, ed ivi percosse le spiche più eminenti , le atterrò ; signiBcaudo che.
cosi dovea pur egli troncare , e di- smettere i -primi delle città. Or facendo
Tarquinio al- lora somigliantemente. Sesto ne intese le mire, e co- me
ordinavagli di por giù li più insigni di Gabio. E convocò la moltitudine , e le
tenne un lungo ragiona- mento su questo, ehe egli ricorso cogli amici alla, lor
buona fede , rischiava ornai di esser preso da alcuni, e dato al padre: ma che
era pronto a deporre il co^ mando, an^i che Lucerebbe la città prima di cadere
in tanto infortunio ; e qui lagrimava e deplorava la sorte sua , come quelli
che di cuore si dolgouo su’mali estremi. , Lyil. Irritatane la moltitudine, e
ricercando sollecita quali mai fossero per , tradirlo , esso nomina Antisiio
Petrone, il personaggio più distinto di Gabio. Egli erane il più insigne divenuto
pe* molti belli suoi rego- lamenti in pace, e pe’ molti capitanati in campo
eser- citati. Reclamando intanto quest’ uomo , ed offerendosi come Hbero da’
rimorsi ad ogni esame , disse 1’ altro che volea che se ne investigasse la
casa: e che vi manderebbe perciò degli amici: egli intanto aspet- tasse TtelP
adunanza finché ritornassero. Imperocché già era Sesto riuscito a corrompere
con argento alquanti servi di lui perché prendessero e ponessero in sua casa
lettere contrassegnate co’ sigilli paterni, e macchinate in Digiiìzed by Google
--8 DELLE Antichità’ romane rovina di Pelrone. Or come gl’ inviali alla
indagine (che non aveala Pelrone contradetla ma concednla) vi rinvennero le
carie occulutevi, tornarono recando al- l’adunanza molte lettere indicatrici ,
e quella scritta ad
Anlistio; e dicendo Sesto che vi
riconosceva il sigillo del padre la sciolse; e la diede allo scriba perchè la
recitasse. Scriveasi in questa che gli consegnasse il fi- glio , vivo
principalmente ; o se ciò non poteasi , almeno glie ne mandasse la testa recisa.
Diceva, che darebbe ad esso ed d complici , oltre le taglie promesse già pri-
ma , la cittadinanza di Roma : che gli ascriverebbe tutti frd patrizj ^ ed
aggiungerebbe case e poderi e doni, grandi e copiosi. Arsero dallo sdegno i
Gibinj ; dialordtva Antistio dalla sciagura impensata , mancando-* gli fin la
voce: ma quelli co’ sassi lo tempestano e lo uccidono ; lasciando a Sesto la
cura di far la ricerca e la vendetta su gli altri, compartecipi in ciò di
Petrone. E Sesto fidando le porte agli amici suoi perchè gl’ in- colpali non s’
involassero mandò per le mise- più illa- stri , e vi uccise molli de’
valentuomini. LVIIL Intanto che ciò faceasi ed era in Gahio tuiv- bolenza pe’
sì gran mali ; Tarquinio avvertitone per lettere vi marciò coll’ esercito , e
giunto prima della mezza notte ed apertegli le porte da ■ uomini posti ad arte
per questo , ed entratele ; s’ impadronì senza stento della città. Come il male
fu ravvisato , deploravano tutti sè stessi , e le stragi , e la schiavitù che
patirebbono, e temeano insieme gli orrori , quanti ne vengono su por poli
sorpresi da’ tiranni. Quando pur li trattasse mitis- simameute ; immaginavansi
la perdita della libertà , e Digitized by Googic > LIBRO IV. 79 de’ beni , e
cose altrettali. Pure Tarquinio sebbene scel- lerato, sebbene implacabile in
punir gl’ inimici non fe’ ntilla di ciò che aspettavano e temevano ; nè uccise
, nè liandl , nè disonorò , nè multò persona ninna di Ga- bio. Ma convocando la
moltitudine, e prendendo regie maniere in luogo delle tiranniche sue , disse
che re- stituiva la propria città ; che concedeva ad essa i lor beni; e che
donava inoltre a tutti cittadinanza quale appunto r avevano i Romani : non già
che ciò facesse per benevolenza inverso de’ Gabj ; ma per consolidare a sè con
essi .la signoria su’ Romani; pensando che di- verrebbe presidio stabi^imo per
sè e pe’ figli la fe- deltà di un popolo che fuori di ogni speranza era sal-
vo, e ricuperava tutti i suoi beni. E perchè non più temessero per 1’ avvenire
nè dubitassero se stabili sareb- .bero. tali parole ; scrisse le condizioni
colle quali sareb- bero* amici,' e le giurò subito nell’ adunanza , e poi
toccando gli altari e le vittime. Monumento di quest’al- leanza esiste in Roma
nel tempio di Giove Fidio, chia- mato Sango da’.Ròmani , uno scudo circondato
colla pelle del bue sagrlGcato allora appunto per compierne il giuramento , su
la quale scritte ne sono con antichi caratteri le condizioni. Ciò fatto , e
dichiarato Sesto re di Gabio, ritirò le milizie; e tal fine ebbe la guerra con
quella città. LIX. Dopo ciò Tarquinio dando requie al popolo dalle cose
militari e dalle battaglie; si mise alla ere- zione de’ templi, desideroso di
compiere i voti dell’avo. Erasi questi nell’ ultima guerra co’ Sabini votato a
Gio- ve , a Giunone , a Minerva di fondare ad essi de’ tem- Digitized by Google
8o DELLE ASTICHITA’ ROMANE pii se vincesse. E già , come fu detto nel libro
prece» dente , avea con grandi ripari e con terra|)ieni accori» data l’altura
ove destinava di erigerli; ma non potè' poi compierne la impresa. Deliberatosi
Tarcpilnio di ultimarla colle decime delle spoglie raccolte in Sessa posevi a
lavorare tutti gli artefici. Or qui narrasi che. accadesse un meraviglioso
portento sotterra , doè che scavandosi per le fondamenta , e che già molto
essendo gli scavi profondati , si rinvenisse la testa di un uomo ucciso come di
recente, con faccia simile a quella dei vivi , stillandone ancora dalla ferita
un sangue tepido e fresco. In vista di tale prodigioi^arquinio comandò gli
opera) che sospendessero lo scavo : e convocando gli indovini della patria
dimandò che mai dir volesse quel segno. Ma non rispondendone , anzi dando' essi
la scienza di tali cose ai Tirreni , ricercò da loro e seppe qual fosse fra’
Tirreni l’ interprete più famoso de’ por» tenti ; ed a questo inviò messaggieri
i più pregievoli cittadini. LX. Giunti i valentuomini alia casa dell’ augure ,
si le loro incontra un giovinetto a cui dissero di essere ambasciatori di Roma
, vogliosi di consultare il vate , e pregavano che a lui li presentasse. Il
giovine allora : Colui, disse, che ricercate, è mio padre: egli è di presente
occupato : ma presto a lui passerete. Ora intanto che lo aspettate , ditemi
perchè mai ne venite. Così voi se mai per imperizia foste per ishagliar la
dimanda; istruiti da me non errerete. E le giuste interrogazioni non sono già
la minima cosa nell arte de’ vaticini . Or piacque a coloro di secondarlo, e
sve- Digitized by Googlc LIBRO IV. 8l Urono a lui quel portento. Ckime il
giovine gli ebbe ndiù , sopraslando breve tempo , ascoltate , disse o Bo-
ntani. Il mio padre ve lo interpreterà tal prodigio , e senza menzogne ; che
certo ad un vMe non si con- vengono. Ma perchè neppur voi erriate , nè mentiate
su le cose che direte o risponderete ; apprendete da me questo > che assai
rileva che vel sappiate. Quando esposta gli avrete la meraviglia ; ei
soggiungendo di non intendere appieno ciò che vi dite , descriverà colla verga
quanto un picciolo tratto di terra , e poi vi dirà : seco la svrs tarsìa qvzsta
nè la partx CMS GUARDA l' ORISNTS , quSSTA CBS L OCCASO: QUS- STA È LA PARTS
SOREALS , QUSSTA LA OPPOSTA. Ed indicandole intanto colla verga vi chiederà da
qual
canto fu tiltvenuta la testa. Or che vi
esorto io che rispondiate ? appunto che non concediate che fosse trovata in
alcuna delle parti eh' egli addita colla ver^ ga , e ve ri interroga , ma che
in Eotna tra voi fu veduta su la rupe Tarpea. Se tali risposte serberete; se
punto col dir suo non ve ne allontanate; allora egli ravvisando che il fato non
può cangiarsi, vi sve- lerà , non vi occulterà quel prodigio che volete , che
interpetri. LXL Ammaestrali in tal modo i legati , «piando il vate ne ebbe comodità
, venne un tale che a lui li con- dusse , e parlarono del portento. Ora lui
sofisticando , e descrivendo in terra circonferenze e linee rette, e facendo in
ogni quadrante interrogazioni sul trovamento, non si turbarono punto di mente i
legali , ma tennero DIONIGI , lem» II. 6 8 2 DELLE Antichità’ bomane la ridata
, come aveala suggerita il 6glio dell’ indo- Tino, nominando sempre Roma e la
rupe Tarpea , e pregando l’interprete che non travolgesse il segno, ma ne
dicesse a proposito , e schiettissimamente. Cosi non potendo il vate nè
illudere gli oratori , nè imbrogliarè r augurio , soggiunse ; Andate ,
annunziate o Romàni a vostri concittadini , portare il destino che il luògo
dove avete il teschio trovato sia capitale di tutta l’I- talia. Dall’ ora in poi
capitolino fu detto il luogo del travamento; capi chiamando i Romani le teste.
Tai>i quinio udendo ciò da’ legati rimise gli opera] su'lavori; e molto fece
del tempio, ma noi compiè, cadendo 'in breve dal regno. Roma alfine lo
perfezionò nel terzo consolato. Fu basato il tempio su di una altura la quale
aveva un circuito di otto plettri , ed ogni lato di esso apprassimavasi ai
dugento piedi col picciolo divario nem- meno di quindici piedi interi tra la
lunghezza e la la- titudine. Perciocché il tempio riedificato dopo l’incendio
a’ tempi de’ nostri padri su’ fondamenti medesimi diffe- risce dall’ antico per
la sola preziosità della materia. Dalla parte della facciata che guarda il
mezzogiorno circondalo un ordine triplice . di colonne : ma doppio solamente è
quell’ordine nei lati. Tre sono’ in uno i templi , e paralleli , e divisi da
mura comuni. Sacro è quello di mezzo a Giove , e quindi è l’ altro . di Giu-
none , e quinci di Minerva : ed un solo tetto , di un comignolo solo li ricopra
(i). . (i) Questo tempio terminara a Iriargolo : la cima del. triangolo in
tutto il tetto ossia il colmo del letto è ciò che cbiamasi comì- gnolo. Uno de’
nostri lempj a tre narate sotto un tetto comune può foeilitare t’ intelligenza
di questo luogo. Digilized by Googk LIBRO IV. 83 LXIL Dicesi che nel regno di
Tarquinio occorresse ai Romani un’ altra propizia e meravigliosa avventura sia
per dono di un nume sia di un genio , la quale salvò la città non per poco
tempo ma finché visse, più volte, da gravi mali. Una donna , nè già nazionale ,
venne al tiranno , vogliosa di vendergli nove libri di oracoli Si- bilini : ma
ricusando Tarquinio comperarli al prezzo cei> catogli ; colei partita ne
spiccò tre libri e li arse. Ri- porundo dopo alquanto i libri superstiti gli
ofierl sul prezzo medesimo. Riputatane stolta , e derisane perchè di minori
volumi n’esigea la somma appunto che non aveane potuto ricevere quando erano
più; si ritirò nuo- vamente e bruciò metà dello scritto che rimaneva. Tornò
quindi co’ tre libri ancor salvi, e chiese l’oro di prima. Attonito Tarquinio
su i disegni della donna fece cercar gl’ indovini , e narrò 1’ evento, e
dimandò ciò ch’era da fare. Or questi conoscendo da alquanti segni che ripu-
diavasi un bene mandato dal cielo , e dichiarando che grande era la sciagura
che non avesse comperato tutti i volumi ; comandò che si numerasse alla donna
il valor dimandato, e che gli astanti prendesser gli oracoli. La donna che avea
dato que’ libri , inculcò che si custodis- sero con diligenza , e sparve dagli
uomini. Tarquinio creando tra’ cittadini i duumviri o due riguardevoli per-i
aonaggi , e subordinando ad essi due ministri pubblici ; diè loro la’cura de’
libri : ma poi cucitolo io una otre bovina gettò nel mare Marco Acilio 1’ uno
de’ due ri- gnardevoli perchè parea sfregiare la buona fede , ed era accusato
di pai-ricidio da uno de’pubblici ministri. Dopo la cacciata dei re , fattasi
la repubblica a sostenere gli Digitized by Googl 84 DELLE Antichità’ romane
Oracoli , nominò custodi loro, durante la vita, personaggi chiarissimi, liberi
da ogni militare e civile incomben 2 a , consociando ad essi ancor altri
pubblici uomini , senza i quali non poteano i primi consultare que’scritti. A
dirla in breve , i Romani non guardano ninna cosa con tanto zelo non i poderi
sacri , non i tempj , quanto le rispo- ste divine delle Sibille. Yalgonsi di
queste i Romani quando il Senato sta per votare in tempo di civil sedi- zione ,
o di grave infortunio in guerra , o di portenti e grandi visioni , malagevoli
ad intendersi , come avven- ne più volte. Fino alla guerra chiamata Marsica gli
ora- coli posti in un’ ama marmorea ne’ sotterranei del tem- pio di Giove
Capitolino furono custoditi dai decemviri. Ma braciandosi poi questo dopo 1’
olimpiade centesima settantesima terza sia per insidie , come pensano alcuni ,
sia per caso ; arsero colle votive cose del nume, anche i libri. C gli oracoli
che ora si hanno , furono.' portati in Roma da più luoghi , quali dalle città
d’ Italia, quali da Eritra dell’Asia, speditivi per decreto del Senato Com-
missarj a trascriverli , e quali da altre città , trascrittivi da' privati. Ma
sen trovano confusi co’ Sibillini anche aluri , come convincesi da que’ che
acrostici si diman- dano. Io qui dico ciocché Terrenzio Varrone ha scritto
nelle sue teologiche trattazioui. LXIII. Avea Tarquinio operate queste cose in
guerra ed in pace ; avea fondate due colonie , l’uja Cioè Segni, per caso ,
perché svernando ivi i suoi soldati aveansi il campo come una città ridotto ; e
la seconda Circea-per disegno , perché ponessi nella campagna Pomentina , la
più grande intorno del Lazio, e contigua col mare, in Digitized by Google LIBRO
IV. 85 bel sito , alto discretamente , che sporge quasi penisola nel mare
Tirreno ; ed abitato già com’ è fama da Circe la figlia del Sole : avea dato
qnesle due colonie a due figli suoi che ne erano i fondatori, Circea ad Anmte,
e Segni a Tito. Ma quando in niun modo temea del suo principato ; allora per la
ingiuria fatta ad una donna da Sesto il suo primogenito , fu cacciato dai
principato e da Roma. Àveano gl’ Iddj dato il segno della calamità futura della
sua famiglia con molti augurj de’ quali qu^ sto, fu l’ultimo. Venute nella
primavera delle aquile in un luogo adjacente alla reggia fecero il nido su di
un’alta palma : mentre però teneano i figli ancor senza penne, volandovi in
folla degli avoltoi disfecero il nido: ed uc« cisane la prole, e bezzicando e
ferendo co’rostri e colle ali , respinsero dalla palma le aquile che tomavan
dal pascolo. Vide Tarquinio l’augurio, e vegliava per istor- name se poteva il
destino: ma non potè superarne la forza ; e perdette il regno , congiurando su
lui li pa» trizj , e cooperandovi il popolo. Io tenterò dichiarar bre- vemente
gli autori della congiura ; e come si fecero ad eseguirla. LXIV. Guerreggiava
Tarquinio colla città di Ardea sul pretesto che ricettava i fuggitivi da Roma,
e mac- chinava di rimetterli in patria : ma in realtà perchè ne aspirava le
ricchezze come di una delle città più felici d’ Italia. Ribbattendolo però gli
Ardeatini generosamente, e prolungandosi l’assedio loro; stanchi quei del campo
per la diuturnità della guerra e quei di Roma impotenti a più contribuirvi; si
disposero a ribellarglisi , appena ve ne fosse un principio. Intanto Sesto il
primogenito Digilized by Googl 86 DELLE Antichità’ bomanb de’ figli di
Tarquiaio spedito dal padre nella cittì chiamata Collazia per compiervi talune
incombenze militari si al- loggiò presso il congiunto suo Lucio Tarquinio detto
Collatino. Fabio delinea quest’uomo come figlio di Ege- rio, del quale ho sopra
dichiarato ch’era figlio dei fra- tello di Tarquinio l’antico , re de’Romani.
Da lui messo al governo di Collazia ne fu chiamato Collatino, la- sciandone la
denominazione anche a’ posteri suoi. Io sono persuaso che questi era nipote ad
Egerio se avea la eti conforme ai figli di Tarquinio , come Fabio ha scritto e
molti con esso ; e la cronologia conferma tal mio concetto. In que’ giorni
Collatino era nel campo. Adunque la moglie di esso, una Romana, figlia di Lu
crezia riposava , e colla spada in mano vi penetrò, non sentito nemmeno da
quelli che prossimi alla porta dor- mivano della camera. LXV. F attesi al letto
, e svegliatasi la donna col giu- gnere delle insidie , e chiedendo chi fosse ,
colui svela il nome ; e comanda che taccia e resti nella camera , minacciando
lei della vita, se tentava fuggire, o gri- dare. Cosi, sbalorditala, propose
alla donna di scegliere .qual più le piacesse o lieta vita , o morte infame,
ó'e Digilized by Google LIBRO IV. 87 t’ induci , disse , a compiacermi , io te
farò mia spo~ sa y e tu regnenù meco , ora s.u la città che mio par- dre mi
assegna, e dopo la morie del padre sii Ro- 'mani , sii, Latini, sii Tirreni e
su quanti egli domi- na. Io, tu lo sai, primogenito de' suoi figli, io sarò t
erede del regno , come à ben giusto. E quali beni inondano i re, de' quali'
tutti sarai tu meco possedi- trice ; che giova che io qui ti additi, se tu ne
sei pe- ritissima? Che se tenti resistermi per salvare la tua pudicizia ,
ucciderò te prima , poi scannando un dei servi porrovene a lato i cadaveri , e
dirò che sorpresa avendoti in obbrobrio col servo, io vi punii tutti due per
vendicare la ingiuria del mio congiunto ; tanto che turpe , ignominiosa sarà la
tua fine, nè la morta Uia spoglia saià di sepolcro onorata nè di altre funebri
cerimonie. Ora siccome assai minacciava , insisteva, giu> rava a^ ogni suo
detto ; Lucrezia sbigottita di una morte infame venne nella necessità di cedere
agli arbiirj amo- rosi di lui. LXVI. Fattosi giorno; costui sazio della voglia
scel- lerata e Ainesta , tornossene al campo : Lucrezia però corucciata per
l’evento ascese quanto potè frettolosa in sul carro , e venne a Roma , cinta di
lugubri vesti , ed occultandovi sotto il pugnale; non salutando , salutata,
negl’ incontri , né rispondendo a chi voleva intendere de’ suoi mali , tutta
cogitabonda , e mesta , e lagrimosa. Giunta a casa dal padre '( e ci aveano
alquanti parenti ) ella prostratasi e stregasi ai ginocchi del padre vi sin-
ghiozzò , ma senza parole : e sollevandola e stimolandola il padre a dire
ciocché solTerto avesse: Padre, disse, ecco Digiiized by Google 88 DELLB
antichità’ ROMANE la supplichevole tuai se tremenda , se insanabile è tonta
mia, padre la vendica: non trascurare Ut figlia tua, in- corsa in mali più
gravi della morte. Stupitosi il padre, e con esso par gli altri , eccitavala a
dire chi offesa 1’ a- vesse , e di qual modo. E colei ripigliava: Le udirai le
mie ingiurie ; ma hrevissimamenle o padre: e solo or tu mi concedi questa
grazia che prima te ne chie- do. Convoca gli amici , e i parenti che puoi ,
perché da me la odano, da me, non da altri la calamità che io patii. Quando
tavrai conosciuta la terribile, la ver-, gognosa necessità ch’io sostenni; tu
deciderai con essi la vendetta che dei per me fare e per te. Ma deh / non indugiarmi
tu lungamente. LXYIL Corsi all’ invito sollecito 'e premurosissimo i più
riguardevoli nella casa com’ ella dimandava , narrò loro , pigliandolo dalle
origini , tutto l’ evento. E qui abbracciandosi ai padre , e molto lui
supplicando, e gli astanti e gl’Iddj, eli patri! lari che solleciti la
scioglie»* sero dalla vita ; trasse il pugnale che celava sotto le ve* sti e,
portandosene una piaga sui petto , 6no al cuore se lo internò. Clamore intanto
e gemiti e femmineo tu- multo turbando tutta la casa ^ il padre avviatosene al
corpo la circondava , la richiamava, la curava quasi po- tesse redimerla dalia
ferita : ma colei tra le sue braccia palpitando e spirando Gai. Parve il caso
agli astanti si terribile e si miserando che una fu la voce di tutti che era
mille volte meglio morire per la libertà che patire ingiurie siffatte dai
tiranni. Era tra questi Publio Vale- rio , discendente da uno de’ Sabini venuti
con Tazio a Roma , uomo intraprendente e destro. Costai fu da loro Digilized by
Goo^!!. J?tonu7t J' AlìcamaJ-j-,/ 'J'.JT. Digitized by Coogle LIBRO IV. 89
spedito in campo perchè narrasse al marito di Lucrezia r evento , e perchè
ribellassero , uniti , le milizie dal ti- ranno. Uscito appena dalle porte
eccogli per avventura incontro Collatino il quale veniva dall* armata a Roma
ignaro de’ mali che straziavano la sua casa ; e Lucio Giu- nio soprannominato
Bnilò cioè stolido se tal nome ne interpetri con greche maniere. E poiché li
Romani ad- ditano quest’ultimo come principalissimo nell’ abolir la tirannide;
porta il pregio che preaccennisi brevemente chi , di qual sangue egli fosse , e
come sortisse un tal nome . niente a lui consentaneo. LXVIIL Di costui fu padre
Marco Giunio , prove- niente da uno di que’ che menarono con Enea la co- lonia
, e distintissimo per la sua virtù tra’ Romani : fu la madre Tarquinia , figlia
di Tarquinio 1’ antico. Egli ricevè la educazione , e tutta la coltura
nazionale , nè la indole sua contrariavasi a niun de’ bei pregi. Dappoiché
Tarquinio ebbe ucciso Tullio levò segretamente di mezzo con molti uomini probi
anche il padre di lui non già pe’ delitti , ma per la ingordigia d’ invaderne
le ric- chezze ereditate da pingue , antico patrimonio di fami- glia : levò
similmente con esso il figlio primogenito di lui nel quale appariva non so che
di generoso , e che sofferto non avrebbe invendicata la morte del padre. Bruto
giovinetto ancora , -e privo in tutto del soccorso de’ parenti si rivolse al
mezzo savissimo di fingersi , stolido divenuto. Dall’ ora in poi , finché non
gli sem- brò di averne il buon tempo , ritenne le apparenze dello stolido ; e
se n’ ebbe il soprannome , ma si liberò con questo dalle ire del tiranno ,
mentre tanti egregj uomini ne soccombetrano. Digitized by Googic po DELLE
Antichità’ romane LXIX. Tarquinio trascurandone la demenza apparente e non vera
, spogliatolo di tutti i beni paterni , e da- togli un tal poco pel vitto
quotidiano, lo custodi presso di sé, come garzoncello orfano , e bisognoso di
chi lo qurasse , e concedè che oo’ figli suoi conversasse ; nè già per onorarlo
qual congiunto suo , come fingea tra’ pa- renti , ma perchè desse da ridere a’
propj figli, dicendo costui le mille frivole cose , e facendone le simili agli
stolidi veramente. Anzi quando mandò li due figli Àronte e Tito per interrogare
1' oracolo di Delfo su la peste ( giacché nel regno suo proruppe una peste
insolita su le vergini e su i fanciulli che in copia ne perivano , e più
terribile ancora e men curabile su le gravide , che morte cadeano col proprio
feto in su le vie ) quando io dico mandò questi per conoscere dal nume le cause
del male e lo scampo, allora congiunse ancor lui co’ figli che gliel chiedeano
perchè avessero intanto chi beffare e deridere. Giunti all’oracolo i giovani ed
ascoltatolo su la causa ond’ erano inviati porsero sacri doni al nu- me, e
lungamente risero di Bruto che avea consecrato ad Apollo una bacchetta di legno
; ma colui trapanatala
tutta come una fistola aveaci offerto ,
senza che ninno ne sapesse , una verga di oro. Poi consultando essi il nume chi
mai , portavano i destini, che divenisse re di Roma ;-^rispose che il primo che
bacerehhe la madre. E non intendendo i giovani la mente dell’ oracolo concor-
darono di baciare insieme la madre onde regnare in co- mune. Bruto però
penetrato ciocché 1’ oracolo volea significare , non si tosto discese nell’
Italia , prostratosi , Digilized by Google LIBRO IV. 91 ne baciò la terra ,
giudicando questa la madre di tutti. £ tali SODO i fatti precedenti di
quest’uomo (1). LXX. Come Bruto udi da Valerio i successi di Lo» eresia e la
storia della morte di lei sollevando le mani al cielo disse: O Giove, o Dei
tutti, quanti vegliate su la vita de’ mortali , è dunque giunto finalmente il
tempo per aspettare il quale io contrafeci finora me stesso ? Fuole dunque il
destino che Roma sia da me liberata e per me dalla insojfribil tirannide ? E
ciò dicendo vassene sollecito in casa insieme con Collatino e Valerio. Entrata
la quale, appena Collatino videvi Lucrezia stesa nel .mezzo, col padre allato,
scoppiando in copi ge« miti la slringea , la baciava, la chiamava , e fra tanta
sciagura uscito di mente tenea colla estinta il discorso, quasi fosse ancor
viva. Or essendo lui tutto in pianto, e con esso il padre a vicenda, e tutta
rimbombando la casa di lamenti e di gemiti; Bruto, rimirandoli disse: O
Lucrezio , o Collatino, o voi tutti , parenti di que^ sta donna, beri avrete
altra volta il tempo di piangerla. Ora ( e ciò deesi alla ingiuria presente )
pensiamo ^ come vendicarla. Egli sembrava dir giusto : adunque se* dendo soli
fra sè , sgombrata immantinente ogni turba dimestica , esaminarono ciò ch’era
da fare. Bruto comin- ciando il primo a dire sopra sestesso che la sua demenza
non fu vera , qual parve a molti , ma simulata ; e sve- laudo le cause per le
quali diedesi a fingerla , e giu- dicatone savbsimo infra tutti ; alfine ,
allegatene molte , ed acconcio ragioni , animò tutti al parer suo di cac- (t) Plinio
sul fine del libro XV. scrive che Bruto baciò la terra di Delia , a non dall*
Italia. Digitized by Google Q2 DELLE ANTICHITÀ* ROMANE dare Tarquinio e li
figli da Roma. E vedmili ornai tatti consentanei, disse Che non era pià tempo
di parole e promesse, ma di opere; e che egli imprenderebbela il primo se cosa
alcuna fosse da imprendere. Ciò di- cendo , e stringendo il pugnale con cui la
donna fini sestessa , e venuto al cadavere di lei , che giaceva an- cora
spettacolo compassionevole a tutti , giurò su Marte, e su gli altri Dei Che
farebbe tutto , quanto potea , per abbattere la tirannide di Tarquinio , che
non pià si riconcilierebbe co' lii'anni , nè permetterebbe che altri si
riconciliasse con essi: ma terrebbe per nimico, chiunque non volesse fare altrettanto
; e perseguite-^ rebbe fino alla morte la tirannide e li partigiani di essa.
Che se mancava a quel giuramento , imprecava per sè e pe’ figli un termine
della vita , quale il ter- mine fu della donna. LXXI. Ciò detto invitò pur gli
altri a simile giura- mento : e quelli, niente esitandone, levaronsi, e dandosi
a mano a mano il pfignale giurarono , ed investigarono poi qual fosse la
maniera di dar principio all’ impresa. Bruto cosi consigliò : Primieramente
poniam le guardie alle porte , perchè Tarquinio non penetri niente di ciò che
in Roma si dice o si opera contro la tirannide , innanzi che noi siamo ben
preparati. Quindi portando il cadavere della donna , lordo comi è di sangue ,
nel Foro, ed esponendovelo, chiamiamovi a parlemento il popolo. E quando
siavisi congregalo, quando ne vedremo già piena ( adunanza; allora Lucrezio e
Collatino pre- sentandosi narrino H orribile caso , e deplorino la loro
sciagura ; poi qualunque altro facciasi innanzi ed oc- Digilized by Google
LIBRO IV. f)3 ousi la ^tirannide , e provochi li cittadini a liberarsene. Oh!
come avran caro di veder noi patrizj insorgere i primi perla libertà. Stanchi
del Tiranno , e de’ molti e terribili mali che ne han sofferto , non
abbisognano die St un primo impulso appena. Quando vedremo la moltitudine in
furia per togliere la monarchia ; far- remo c^ risolva co' voti, che Tarquinio
non dee più regnare su Roma , e solleciti ne spediremo il decreto in campo all'
esercita- Ivi quando coloro che han tarmi conosceranno che tutta si è la città
ribellata da Tar- quinio , infiammeransi per la libertà della patria , in-
sensibili a tutti i doni del tiranno , essi che non più reggono agli affronti
de' f gli , e degli adulatori del perfido. Or avendo lui cosi detto soggiunse
Valerio: Tu mi sembri o Giunio che abbi giustamente parlato su le altre cose ;
ma quanto ai comizj vorrei da te sor pere chi li potrà convocare
legittimamente, e chi dare alle curie i voti; essendo questo offizio de'
magistrati, e niun di noi trovandosi magistrato. Ripigliando allora Giunio : o
Valerio, io, gridò, sono tale; imperocché sono il tribuno de Celeri , e per
legge mi è dato d inti- mare quando voglio le adunanze. Tarquinio dava tal
massimo incoi ico , a me come stolido , e che appresa non ne avrei la potenza ,
o che se appresa V avessi , non saprei prevalermene. Ma io mi son quegli che il
primo arringherò contro del tiranno. LXXII. Detto ciò lo applaudivano tutti
come lui che prendeva le mosse da principio legittimo e buono ; e lo pressavano
a dirne anche il seguito ; ed egli disse : E poiché ci piace far questo ,
vediamo ancora qual ma- Digitized by Google J)4 delle antichità* romane
gistrato , e da chi mai crealo, debba reggerci dopo Ut espulsione dei re : anzi
vediamo qual Jorma daremo allo Stato f liberi dalla tirannide ; imperciocché
prima ài accingersi ad opera siffatta vai meglio di avere de» liberata ogni
cosa , anzi che se ne lasci alcuna non discussa , né premeditata. Ora dica
ciascuri di voi su tali cose ciocché ne pensa. Dopo ciò si tennero molti
discorsi e da molti. Chi numerando i gran beni fatti da tutti i re precedenti ,
amava che si riordinasse la regia dominazione; e chi ricordando le tiranniche
ingiustizie di altri e di Tarquinio finalmente su’ proprj cittadini , non
voleva il Comune sotto di un solo , ma che piuttosto arbitro se ne dichiarasse
il Senato come in molte delle greche città : varj però non anteponeano nè 1’
uno né r altro , ma consigliavano che si fondasse un governo popolare , conne
in Atene , esponendo le ingiurie , le . avanìe de’ pochi ^ e le sedizioni de’
miseri contro de’ po- tenti, e dichiarando che in città libera il comando più
sicuro e più degno è quello delle leggi , eguali per tutti. LXXIII, Ma
sembrando a tutti malagevole ed arduo il giudizio su la scelta pe’ mali che
sieguono da ogni governo ; alfine Bruto , ripigliando disse : O Lucrezio, o
Collatino , o voi tutti , quanti qui siete , uomini buoni , e JigU ancora di
buoni-, io quanto a me non penso che noi dobbiam di presente dar nuova forma
allo Stato. Troppo é picciolo il tempo a cui siamo ri- dotti, perché ci sia
facile staBilirvela armoniosa ; lu- brico altronde , e pericoloso , é tentar di
cambiarvela, quantunque benissimo su di essa avessimo risoluto. Digilized by
Google LIBRO IV. ’ 95 X)uando ci saremo levati dallà tirannide , allora po-
trem finalmente , consultandoci con più agio e più feria , trascegliere il
governo migliore a fronte de' menò buoni j seppur avvene uno migliore di guei'^
che 7?o- molo e Numa e gli altri re successivi stabilirono e ci
"lasciarono , donde la città ne crebbe e ne prosperò , signora fin qui di
più popoli. Solamente vi esorto che si emendino , e che provvedasi ora che più
non v ab- biano i mali terribili solili prorompere dalle monar- chie , pe’
quali si mutano in tirannidi crude , e pe' quali tutti le abborrono. Ma quali
son queste provvidenze ? Primieramente giacché molti attendono ai nomi , è
secondo i nomi vanno al male o fuggono t utile ; e siccome è succeduto che ora
molto attendasi a quello di monarchia; vi consiglio che il nome cangiate del
governo , fe che da ora in poi quelli che vi comandano non più re li chiamiate
, non più monarchi, ma con appellazione più discreta ed umana : poi , che non
più rendiate un sol uomo arbitro di ogni cosa , ma fidiate a due la potenza dei
re, come odo che i Lacedemoni fanno da molte generazioni, e che perciò ne hanno
più di tutti i Greci leggi buone, e stato felice. Diviso il comando in due , e
l’ uno potendo appunto quanto F altro ; meno acconci saranno a violarci , e
meno ad opprimerci: anzi da tale egualità dee seguirne princi- palmente la
verecondia, il ritegno vicendevole dell’uno per F altro , sicché noti si
sfrenino , ed una viva gara per la fama della giustizia. LXXIV. E poiché molti
sono li regii distintivi , io giudico che y impiccioliscano o tolgano quelli
che àd- Digilized by Google 96 DELLE Antichità’ romane dolorano a rimirarli o
sdegnano il popolo , io dico gli scettri , dico le corone di oro ^ e le clamidi
eli oro intessute e di porpora, se non forse si asswnono ne' giorni festivi e
ne’ trionfali per magnificare g/i Jddj ; mentre usate di raro non offendono. In
oppo- sito penso che si conservi a questi uomini la sedir curule ove siedono
rendendo ragione , e la veste can- dida cinta intorno di porpora , e li dodici
fasci che il venir loro precedano. Oltracciò perchè quelli che prendono il
comando non molto ne abusino, io penso utilissima e principalissima cosa , che
non lascinsì comandare tutta la vita. Imperciocché riesce a tutd grave un
comando ind^nito , uft comando che non pià dia di sè ragione ; e di qua vien la
tirannide. Ma si limiti come tra gli Ateniesi f autorità del co- mando ad un
anno. Quel- comandare a vicenda e quell' essere comandato , quel deporre il
pMere prima che il pensar vi si guasti , preoccupa le indoli vane, nè lascia che
vi / inebbrino. Se .così stabiliamo , go- deremo i beni che sono il frutto di
una regia domi- nazione , e schiveremo i mali che né conseguitano. E perchè il
nome regio , consueto già tra' nostri avi , ed introdotto in questa città co t
gli augurj propizj degl Jddj che lo favorivano , ti custodisca , almeno per
tale riguardo ; si faccia continuamente , a vita , ed onorisi un re del Culto ^
un che libero dalle cure militari in questo solo si occupi e non in altro, cioè
che abbia , quasi re ne fosse , l’ arbitrio sovrano de’ sacrifizj. LXXV. Ora
udite come fia ciascuna di queste cose. Digiiized by Google libro IV. 97 ’ Io ,
poiché dalle leggi mi si concede , io raccoglierò, come diceva, l’adunanza del
popolo, e riesporrò la mia mente di bandire Tarquinia colla moglie e coi figli
da Roma e suo territorio , escludendoneli per sempre essi e la lor discendenza.
Quando avran ciò stabilito co’ voti , io dichiarando allora il governo che
pensiamo fondare, eleggerò V interré, il qual nomini quelli che prendano le redini
della repubblica. Quindi io deporrò la prefettura dei Celeri; e V interré da me
creato , proporrà gl’ idonei all’ annua preminenza , rimettendoli al voto de’
cittadini : e se il pià delle centurie ne tien buona la proposta , se propizj
gli oracoli la favoriscono , assumano i fasci e le insegne del potere sovrano ,
e provvedano che libera abitiamo la patria , nè pià li Tarquinj vi ritornino.
Imperoc- ché questi , abbiatelo per certo , se non invigiliamo su loro ,
tenteranno colla persuasiva , colla forza , coll’ inganno , per ogni via
finalmente , rimettersi nell impero. Queste sono le somme , le principalis-
sime cose, che io dir posso e raccomandar di pre- sente. Quelli poi che avranno
il comando devono , come io giudico , esaminare una per una , le cose particolari,
giacché troppe, nè facili a discutersi pie- namente ; e noi siamo stretti dal
tempo: anzi'deono, come usavano i re ponderarle col corpo del Senato , non
concludendone alcuna senza noi ; e quando siano approvate dal Senato ,
rapportarle , come f accasi tra i nostri maggiori , al popolo non levandogli
niun diritto di quanti s’ avea nel principio. Così le sue magistrature saranno
sicurissime e bellissime. DIOSIGI, tomo ir, - Digilized by Google DELLE
antichità’ ROMÀNE LXXVI. Proferendo Giunio Bruto tal suo parere tutti lo
commendanino ; e datisi ben tosto a consultare, de- cisero che si nominasse
interré Spurio Lucrezio il padre di colei che uccise sestessa: e che da lui si
scegliessero per avere il potere dei re Lucio Giunio Bruto , e Lu- cio Tarqninio
Collatino. Stabiliscono che tali sopra- stanti nell’ idioma loro si chiamassero
Consoli , vnol dire consiglieri o capi del ronsiglio , interpetrando in greco
tal nome , giacché i Romani ciocché noi simbou- las diremmo chiaman consiglio.
Coi volgere però del tempo i consoli furono per l’ ampiezza del potere chia-
mati Ypati dalia Grecia , comandando essi a tutti e t^ neodo.il più sublime de*
gradi; e chiamandosi da’ nostri antichi Ipaton quanto sopralzasi, e
maggioreggia. Dopo tali consulte e tali istituzioni supplicarono co’ voti gli
Iddj che fossero propizj ad essi .intenti ad opera si giu non colla sepoltura a
norma delle leggi : e Tarquinia la donna di que- sto ch’egli dovea venerare
qual . madre , come sorella del padre, Tarquinia già tanto .sollecita in suo
bene, % egli la strangolava , sì, questa misera , innanzi che prendesse il
lutto , e che rendesse in su la tomba al marito gli ultimi onori. Così
contraccambiava quelli da quali fa salvo , da quali fu nudrito , ed. a quali
avrebbe pur succeduto sol che avesse un poco aspet- tato finché venisse loro
naturalmente^ la morte. . t LXXX. Ma perchè più, su questo riprendolo , quan-
do , oltre i delitti contro de’ consan^inei e de’ suo- ceri , ho pur da
accusarne le tante prevaricazioni contro la patria , e contro noi tutti , se
prevarica- zioni son queste , e non sovversioni e rovine di ogni costume e di
ogni legge. E per comiiKiare subito ^dal regno , come lo prese egli questo ?
forse come i re precedenti? ma quando mai? molto nè egli lontano. Imperocché quei
tutti furono da voi portati al trono secondo i patrj costumi e le leggi , prima
col decreto del ' Senato che è il capo di ogni pubblica delibera- zione , poi
degl’ interré scelti ed incaricati dal Senato Digilized by Google 102 DELLE
Antichità’ romane per nominare il pià idoneo al comando f e co’ voti dati ne'
comizj dal popolo , da cui , la legge vuole , che si ratifichi ogni cosa più
rilevante , e finalmente cogli augurj f colle vittime , e con altri segni
propizj senza i quali niente giovano i maneggi e le previ- denze degli uomini.
Or dite , qual di voi mai vide una parte almeno fatta di ciò quando Tarquinio
prese il comando ? qual vide decreto preliminare del Senato? quale scelta degl’
interré? quali suffiragj del popolo ? per non dire dov è tutto questo ?
quantun- que se egli voleva il regno lecitamente , non dovea parte ninna
pretermettersi di quanto chiedesi dalle leggi. Certo se alcuno può
dimostrarmene fatta pur una di queste cose , più non vo’ che si brontoli su le
altre che si tralasciarono. Come dunque egli si spinse al trono ? colle arme ,
come i tiranni , colla violenza , colla congiura degli scellerati, noi
riprovan- dolo , e dolendocene, E fattosi re , comunque ciò fosse , la
sosteneva egli V autoràà tua regalmente ? Emulava i suoi predecessori i quali
co’ detti e co’ fatti costanti così ressero, che lasciarono a’ posteri la città
più felice e più grande che presa non V avessero ? Chi , se pure è sano di
mente , chi potrà mai dir ciò , vedendo quanto miseramente e scelleratamente
siamo stati da lui malmenati ? LXXXI. Tacio le sciagure di noi senatori, le
quali, pur un nemico , udendole , ne piangerebbe , e come siam pochi rimasi di
molti , come rendati abbietti di granài , e come venuti a disagio e stento ,
cadendo dai tanti e sì ampj beni. Que’ grati j que’ potenti , Digitized by
Google LIBRO IV. Io3 que cospicui uomini , po' quali questa nostra città era un
tempo magnifica , quelli perirono , o fuggono la patria. E le vostre cose y o
popolo , come stan esse ? Non ha tolto . a voi le leggi ? non i concorsi soliti
per le feste e pe’ sacrifizj ? Non ha fatto ces- sare i comkj , i suffragj , e
le adunanze tutte su le pubbliche cose? Ridotti siete, quali schiavi comperati,
ai vilipendi di tagliare , di portare pietre ed arbori , di logorarvi tra gli
antri e i baratri senza requie mai, neppur tenuissima dai mali. Or quando avran
fine mai tali strazj ? fino a quando li starem soppor- tando ? Quando la patria
libertà vendicheremo ? .. . Al morir del tiranno ? Appunto ! Dite ci sarà
allora pià facile ? E perchè non piuttosto assai meno ? se per un Tarquinio ne
avrem tre molto pià scellerati? Se chi di privato è divenuto monarca, se chi
tardi ha cominciato a nuocere, ha percorsa tutta la mal- vagità de’ tiranni ,
quali , pensate , esser debbono i discendenti da lui , scellerati di stirpe ,
scellerati di educazione , che mai non poterono vedere nè appren- dere in città
misure politiche di moderazione ? E per- chè non per congetture , ma
intimamente conosciate la perversità loro , e quai cani latratori alleva contro
voi la tirannide di Tarquinio ; specchiatevi in un a- zione sola del
primogenito. LXXXII. E questa la figlia di Spurio Lucrezio , lasciato prffetto
in Roma dal Tiranno nelP andare alla guerra , e moglie insieme di Tarquinio
Colla- Uno , del consanguineo de’ tiranni che pur tanto ha da loro sopportato.
Or questa per serbarsi pudica. Digitized by Google io4 DELLE Antichità’ romane
e tutta agli amori del suo marito , come fanno le virtuose , avendo Sesto qual
parente preso ospizio appo lei , mentre Collatino era lungi nelt armata , non
potè schivare nella passata notte le onte. sfre- nate della tirannide; ma
violentata come una schù^va sostenne ciocché libera donna non dee. Pertanto
esa- cerbatane , e presa la ingiuria per insoffribile , dopo che ebbe narrato
al padre e a congiunti le vicende ree che la desolarono , dopo che ebbe pregato
e scon- giurato che la vendicassero per tanti mali; alfine traendo il pugnale
che celava nel seno , profondos- selo, e vedendola il padre j o Romani, nelle
viscere. O tu certo mirabile , o tu di encomj degnissima per la nobile '
risoluzione ! t’ involasti, moristi non reg- gendo agli obbrobri del tiranno ,
e ■■ ricusasti le dol- cezze tutte del vivere perchè simile calamità non ti
avvenisse. Avrai tu dunque o Lucrezia nella tua fem- minil condizione K avuto
il. cuore de’ valentuomini , e noi , uomini - nati , noi saremo in viltà men
che le femmine ? Tu perchè predata a forza del fiore im- macolato della tua
pudicizia , avrai tu reputato la morte pià dolce e pià beata della vita; e noi
non avrem pur nell’ animo , che Tarquinio non da una notte , ma già da
venticinque anni ci opprime , e ci ha colla libertà levato gli agi tutti del
vivere ? No ; pià non dobbiamo , o Romani , noi vivere avvolgen- doci in tanti
pericoli , noi che discendenti siamo di que bravi , che vollero fondare i
diritti fin per gli altri, e lanciaronsi a tanti .pericoli per la sovranità e
la gloria : ma V una delle due si dee scegliere o LIBRO IV. Io5 libera vita, o
morte onorata. È pur venuto il tempo che bramavamo ; perchè lungi è il tiranno
dalla città, e perchè duci sono della impresa i patrizj , e perchè se con animo
pronto ci facciamo ad imprendere , non abbisogniamo di cosa niuna non di uomini
, non di danari , non di arme , non di capitani , non di altro apparecchio
militare ; essendone Roma pienissima. Siaci pure una volta vergognà che noi che
cerchiamo signoreggiare i Volsci , i Sabini , ed altri moltissimi^ noi stiamo •
ad altri servendo , e che mentre tante guerre imprendiamo per in^andire Tarquinio
, niuna per la nostra liberuì ne facciamo. LXXXIII. Ma di quali incora^menti ci
varrem per la impresa , di quai leghe ? È questo che rima- nenti a dire.
Primieramente c incoraggiremo su la speranza negl’ Iddj de’ quali Tarquinio
viola le sante cose , i templi , gli altari , libando e sacrificando con mani
lorde di sangue, e di ogni scelleraggine contró de cittadini; appresso c
incoraggiremo su la speranza che abbiam su noi stessi che nè pochi siamo , nè
inesperti di gierra ; e finalmente sul rinforzo di que- gli alleati i quali non
ardiranno far novità se noi non ve 'gV invitiamo ; ma se vedono che noi il
valor nostro raccendiamo , lietissimi ci si uniran per com- battere ; nemico
essendo della tirannide chiunque vuole esser libero. Che se alcuno di voi teme
quei cittadini che in campo si porran con Tarquinio per militare con esso
contro noi ;• non bene teme costui. Anche ad essi è grave la tirannide , ed
ingènito in tutti è V amore della libertà : ed ogni occasione di Digitized by
Google I06 DELLE ANTICHITÀ.’ ROMANE mutamento basta a chi è misero
necessariamente. Che se voi li chiamerete col voto vostro a soccorrer la pa-
tria , non timore li riterrà co’ tiranni , non grazia , e non cosa ninna la
quale sforzi o persuada , a mal fare. E se in alcuni si è per la ria natura , e
la trista educazione abbarbicato V amor dei tiranni ; ri- durremo ancor essi ,
che molti non sono , con insu- perabile necessità sicché utili ci divengano i
malevoli ; perciocché teniamo in città quali ostaggi i loro figli , le mogli ,
i parenti , pegni carissimi che ognuno pre- gia più che la vita. Or se noi
prometteremo di ren- dere questi , se decreteremo per essi la impunità quando
distacchinsi dal tìrannno ; di leggeri li per- suaderemo. Cosicché fatevi cuore
o Romani , concepite belle speranze per V avvenire , uscite per una guerra,
certo la più gloriosa di quante mai ne imprendeste. Si , palrj Dei , propizj
curatori di questa terra , sì Genj , tutelari già de nostri padri, sì, città
caris- sima infra tutte ai Celesti nella quale nascemmo e cresciamo , sì noi vi
difenderemo co’ pensieri, colle parole , colle opere , colla vita ; pronti a
tutto sof- frire , quanto la fortuna porti ed il fato. Presagi- scorni che alla
impresa buona seguirà fine bonissinto. Possano quanti confidano , quanti
decidonsi come noi, voi salvare ed essere da voi salvati parimente ! LXXXIY.
Mentre Bruto aringava , faceansi ad ogni suo detto acclamazioni dal popolo in
signiBcazione , che esso appunto cosi voleva, e comandava. Ed i più sen- tendo
quel parlare maraviglioso ed inaspettato lagrima- vano per tenerezza.
Inondavano passioni varie nè punto Digilized by Google LIBRO IV. 1 07 amSi ogni
petto: e dove il rancore, dove la gioja trion- favano , là pe’ mali già
sostenuti , qua pe’ beni che si aspettavano. Dove era audacia , dove timidità ,
quella che incitava a non curar sicurezsa contro i subjetti , odiati perchè
intenti a far male ; e T altra che oppo» neasi agl’ impeti delia prima , perchè
vedea non facile la rovina della tirannide. Ma non sì tosto colui cessò dal
parlare ; tutti , quasi con una bocca , ad una voce esclamarono, che
guidassegli alle arme. E Bruto dilet- tatone , sì , disse , ma quando prima
avrete udito , e confermata co’ voti vostri i decreti del Senato. E noi
decretiamo CHS i TAsqvatj s tutta la consangvu HIT a' loro svogano ROMA E
QUANTO È Ds' ROMAICI : CBS NIUNO FOSSA DIRE O BRIGARE SUL RITORNO DEI tiranni;
e se contravviene; si" uccida. Or se volete che un tal parere si adotti ;
compartitevi in curie , e datene i voti. Questo incominci per voi li diritti
della' vostra libertà. Disse ; e cosi fu hitto : e poiché tutte le Curie ebbero
decretato 1’ esilio del ti- ranno ; Bruto fattosi innanzi , ripigliò : Giacché
avete voi ratificato quanto deesi , le prime cose ; ascoltate U resto che abbiam
deliberata su lo Stata. Esami- nando noi qual magistrata esser dee V arbitro
del comando , ci è piaciuto , non già di rinnovare il co- mando di un solo , ma
di creare ogm anno due capi
con regio potere , che voi stessi
eleggerete ne’ comizj, votandovi per centurie. Or se volete anche ciò ; da-
tene il voto. Il popolo lodò questo ugualmente; nè vi fu pur un voto contrario.
Quindi ripresentatosi Bruto , nominò Spurio Lucrezio per interré , perchè
secondo le Digitized by Coogle io8 DELLE Antichità’ romane patrie leggi
prendesse cura de’comisj. Costui sciogliendo ' r adunanza , ordinò che tutti
subito si recassero in arme al campo , dove solcano tenere i comizj. Recativisi
; scelse due Bruto e Gollatino che facessero quanto fa- cevano i re. Ed il
'popolo chiamato per centurie con» fermò la magistratura a que’ due. Tali sono
le cose ai» lora fatte in città. LXXXV. Tarqninio come udì da messaggeri
sottrat» tisi per avventura da Roma prima che le porte se ne chiudessero , che
Bruto (perché narravano questo solo) fattosi capo-popolo , aringava i cittadini
, e suscitavali a rendersi liberi , parti senza dirne le cause , prendendo se^o
i figli , ed altri più fidi , e correndo a briglie sciolte onde prevenire la
ribellione. Ma trovando chiuse le porte , e piene le mura di arme , tornossene
, quanto potè , veloce nel campo affligendosi e lagrimando : se non che già le
sue cose erano qui pure in iscompigUo. Imperocché li consoli antivedendo la
sollecita venuta di lui verso Roma aveano per altra via spedito all’armata,
invitandola a togliersi dal tiranno , ed annunziandole i decreti di quei della
città. Or Tito Erminio e Marco Orazio lasciati dal tiranno nel campo prendendo
quelle lettere le recitarono nell’ adunanza : e dimandando via via per centurie
ciò che era da fare , e piaciuto a tutti che si ratificassero le deliberazioni
della città ; più non riceverono Tarquinio che tornavasi a loro. E caduto pur
da questa speranza fuggisseue con pochi alla città di Gabio f della quale ,
come ho detto di sopra , avea creato monarca , Sesto il suo primogenito. Esso
già ca- nuto per anni avea tenuto per cinque lustri il comando. Digilized by
Google LIBRO IV, 1 09 Erminio ed Orazio , concbiusa una tregua di quindici anni
cogli ÀrdeatinI , ricondussero in patria le milizie. Per tali cause e da tali
uomini fu tolta in Roma la regia dominazione, conservatavisi per dugcnto
quaranla- quattr’ anni dalla sua fondazione , e divenuta in fine tirannide
sotto 1’ ultimo re. Digitized by Google Ilo DELLE ANTICHITÀ ROMANE O I DIONIGI
ALICARNASSEO LIBRO QUINTO. I. OloMSERVATASl in Roma la regia dominazione per
dugento quarantaquatlr anni e cangiatavisi poscia in ti- rannide sotto r ultimo
re fa per le cagioni anzidette abolita da tali uomini (i) sul principio della
olimpiade sessagesima ottava , nella quale Iscomaco da Crotone vinse allo
stadio , mentre Isagora esercitava in Atene r aunuo magistrato. Ed istituitasi
la signoria de’ pochi , mancando quattro mesi al compiersi di quell’anno , as-
sunsero i primi il comando supremo , Lucio Giunio Bruto e Lucio Tarquioio
Collatino col nome di consoli, (i) Anni 345 fecondo Catone e i 47 'ecjndo
Varrone dalla fonda- ilone di Roìna , e So; avanli Cristo. Digitized by Google
DELLE Antichità’ bomane libro v. ih cosi chiamandosi da* Romani, come già
dissi, nel patrio idioma i capi del Senato. Poi congiungendo questi a sè gli
altri che numerosi tornavano dal campo in città dopo conchiosa la tregua con
gli Àrdeatini ; e pochi giorni appresso la espulsione del Tiranno convocando il
popolo a parlamento , e ragionando copiosamente su la concor* dia ; fecero di
bel nuovo decretare co’ voti , come già quelli che erano in Roma lo avevano
decretato , bando perpetuo ai Tarquinj. Dopo ciò puri6cando la città , fattone
sacrifizio ; essi i primi , stando intorno le vitti- me , giurarono , e
ccndussero pur gli altri a giurare , che mai più dal bando richiamerebbero il
re Tarquinio, nè la prole di lui , nè i figli de’ figli : anzi che non più
iarebbono re ninno in Roma , nè tollererebbono chi far cel volesse. Cosi
giurarono su’ Tarquinj , su* figli, e su la prosapia loro. E , couciossiachè
pareano i re , stati autori di molti e gran beni inverso del pubblico, deli-
beratisi a conservare il nome almeno di tal signoria , finché Roma durava,
comandarono ai pontefici ed agli auguri di eleggere il più idoneo tra’seniori,
perchè tolto da tutte le cure , se non dalle religiose , presedesse in sul
culto, e Me si chiamasse non delle politiche, non delle militari , . ma delle
sante cose. Per tanto fu delle sante cose nominato re per il primo Manio
Papirio , uomo patrizio e dedito alla dolce calma (i). II. Stabilito ciò ,
temendo , io credo , che non si ge- nerasse negli altri sui nuovo governo la
idea non vera, che in luogo di uno dominavano due re la città mentre Secondo
Feslo il primo re tacriJieuUu , fa Sicinnio Beliulo , ed in cfò discorda da
Dionigi e da Livio. II2 DELLE Antichità’ romane r uno e 1’ altro de’ consoli
avca come un tempo i re le dodici scuri ; deliberarono preoccupar tal concetto,
e sce- mare la invidia del comando, e fecero cbe l’uno de’con- soli portasse
dodici scuri , e F altro dodici littori colle verghe coronate solamente (i)
come narrano alcuni: tal- ché le scuri le assumesse e recasse ora l’uno ora F
altro vi- cendevolmente per un mese intiero. Animarono con que- sto F umile
plebe a conservar quel governo ; e con simili cose non poche. Imperocché
rinnovarono tutte le leggi scritte da Tullio su’ contratti ; le quali si tenean
per umane e popolari , e Tarquinio aveale tutte soppresse : e comandarono che
si facessero come a’ tempi di Tullio, i sagriGzj che in città si faceaiio o
nella campagna , riu- iiendovisi que’ di Roma e de’ villaggi. Concederono che
il popolo si radunasse per le cose più rilevanti , e desse il voto , e
ripigliasse a voler suo gli usi primitivi. Pia- ceano tali cose alla
moltitudine ravvivatasi dal servir lungo a libertà non aspettata. Nondimeno ci
ebbero al- quanti i quali desiderosi de’ mali della tirannide per de- menza o
per avarizia congiurarono di tradire la patria e richiamarvi i Tarquinj ,
trucidandone i consoli : ed io dirò quali ne fossero i capi, e come im
provvedutamente scoperti , mentre credeansi occulti a- tutti, ma riassumerò le
cose alquanto più addietro. III. Caduto Tarquinio dal trono , si tenne per un
tempo, non lungo, in Gabio, raccogliendo quanti a (i) Il lesto non è ben fìsso
: e fotse dee leggersi verghe curve o grosse nella lesta. Il codice Valicano
avendola voce xafvtat e noa xtfà/tttt favorisce la idea di verghe grosse in
testa. Silburgio pro- pende per le verghe ricurve iu cima . Digilized by Googl
LIBRO V. I 1 3 lui ne venivano amici della tirannide pià che delia li- bertà ,
e confortandovisi in su le speranze de’ Latini , quasi potessero questi
ricondurlo alla reggia. Ma poscia che le città non io ascoltavano nè voleano
per lui fare una guerra ai Romani ; disperandone alfìne il soccorso fuggissene
a Tarquinj città Tirrena , donde era la ma- terna origine sua. E cattivandosi
que’ cittadini co’ doni , e prodotto da essi in piena adunanza , rinnovò 1’
antica congiunzione con loro, e commemorò li benefizj deU r aiuolo suo con
tutte le città Tirrene , e gli accordi che avean fatto con lui. Poi si lamentò
con tutti della sciagura che avealo preso , e come travolto in un sol giorno da
lietissima condizione , ora profugo con tre 6gli e bisognoso fin del necessario
, era costretto ricór- rere a popoli , un tempo, sudditi suoi. Scorrendo su
tali cose pateticamente e con molte lagrime, indusse il* popolo a spedire il
primo a Roma uomini che portas» sero parole di pace per lui , quasi i potenti
ivi fossero per favorirlo, ed ajutarlo* al ritorno. Nominati quelli eh’ egli
volle per ambasciadori , ed istruitili delie cose che erano da dire e da fare
gli spedi con alquanto di oro e con lettere de’ fuorusciti con esso dirette con
preghiere agli amici e domestici loro. IV. Venuti questi a Roma dissero hi
Senato : che chiedea Tarquinia la franchigia di venire con pochi prima in
Senato, e poi, quando ciò fossegli conce-- duto dal Senato , nell adunanza del
popolo per darvi conto delle opere sue fin dai principj del regno , falline
giudici tutti i Romani , se alcuno mai lo ac - DIONIGI , tomo II. S Digitized
by Google 1 1 4 DELLE Antichità’ romane cusasse. Che se appien si giustifica,
se persuade che egli non ha colpe degne dell esilio ; allora se gUel concedano
, regnerà novamente con que' limiti che gli prescriveranno : se poi
decreteranno di non voler più. come per l’ addietro la sovranità dei re , ma di
fon-^ darne un altra qualunque , egli uniformandovisi al pari degli altri
reslerassene colla sua famiglia in Ro- ma, sua patria, libero almeno della vita
degli erranti, e de' profughi. E ciò detto supplicavano il Senato pei comuni
diritti che vogliono che niun si condanni senza discolpe e giudizj , a
concedere una difesa della quale essi giudicherebbero. Che se ciò non volevano
a lui concedere , fossero compiacevoli almeno in vista della città la quale s'
intrametteva. Compiacendola , tutto- ché senza discapito loro , assai
onorerebbero la città che ciò conseguiva. Uomini essendo , non si elevassero
sopra la sorte degli uomini: nè serbassero immortali sdegni in cuori mortali :
ma in grazia degt inter- cessori si sforzassero anche contro lor voglia di
usare mansuetudine ; considerando eh' egli è da savio con- donare le inimicizie
per le amicizie ; ma da stello e da barbaro volgere in nemici gli amici. V.
Aveano ciò detto , quando Bruto sorgendo re- plicò : Sul ritorno de' Tarquinj
in Roma cessate o Tirreni di più ragionarne. Imperciocché già si è qui J volato
irreparabilmente per l'esilio loro: ed abbiamo tutti ^giurato agC Iddj di non
restituire i tiranni, e di non tollerare che altri ce li restituisse. Ma se
chie- deste con altra moderazione a cui nè le leggi nè li giuramenti si oppongono',
manifestatevi. Or qui fai- Digitized by Google LIBRO V. 1 I 5 tùi innanzi gli
ambasciadoi’i soggiunsero : Terminale ci sono contro la espettazione le prime
dimandet am- basciadori per uno che si raccomanda , per uno che vuole dare a
voi conto di sè stesso , abbiamo chiesto qual grazia ciocch’ era diritto per
lutti : nè potemmo ottenerlo. Ora poiché ve n è parato così ; non più vi
presseremo sul tornar de' Tarquinj. J\oi facciamo istanza per un altro diritto
di cui la patria c incari- cava , e su cui non legge , non giuramento impedi-
scavi, cioè che rendiate al monarca i beni clm [ avolo suo possedeva senza
toglierli a voi nè di forza nè in occulto , ma portati qui avendoli , come
ereditati dal padre. A lui basterà , se lo ricupera, il suo, per vi- vere altrove
Jelicemente, senza vostra molestia. Riti- raroDsi ciò detto gli ambasciadorì.
Bruto T uno de’ con- soli suggeriva che si ritenesser que' beni in compenso
delle ingiustizie sì gravi e sì numerose dei tiranni contra del pubblico , e
per util di Stato : perchè non si dessero ad essi de mezzi co’ quali far guerra
; preammonendo, che nè si affezionerebbero ad essi i Tarquinj col riavere i lor
beni nè sosterrebbero una vita privata , ma porterebbero su Romani le arme di
altri popoli , e tenterebbero di tornare colla forza al comando. Collatino però
consigliava il contrario , di- cendo che non gli averi , ma le persone dei
tiranni noceano la città. Pertanto scongiuravali a guardarsi prima dalC
incorrere nella rea fama di avere espulso i Tarquinj per invaderne i beni , e
poi dal porgere ad essi cosi spogliandoli , giusta occasione di guerra : dicea
che non era chiaro , che ricuperando i beni si Digitized by Google 1 1 6 DELLE
Antichità’ romane accingerebbe^ ancora ad una guerra con essi , lad- dove era
ben manifesto , che non ricuperandoli f rion si cheterebbero. VI. Cosi dicendo
i consoli ; e molti sentendola col- r uno e coir altro ; il Senato dubitò come
avesse a ri- solvere. E ripigliandone per più giorni l’ esame , e pa- rendogli
che Bruto consigliasse il più utile , ma Colla- tino il più giusto ; in ultimo
deliberò che giudice ne fosse il popolo. Or qui dette essendo più
cosedairnno> e dall’ altro de’ consoli , e venendo alBne le curie , che eran
trenta di numero , ai voli , preponderarono le une alle altre con si piccini
divario che quelle le quali in- timavano che si rendessero i beni superarono di
uà sol voto le altre le quali voleano che si ritenessero. I Tirreni avuta la
risposta dai consoli : e molto lodando' la città che anteponesse all’ utile il
giusto ; spedirono a Tarquinio perchè mandasse chi ricevesse i beni di lui ;
frattanto essi resiavansi a Roma sul titolo del trasporto de’ mobili, o di dar
sesto a ciò che non potessi menar via j nè carreggiare : ma in realtà spiando e
brigandovi, come il tiranno aveali incaricali. Perocché ricapitarono' le
lettere de’ profughi agli attinenti loro ; pigliandone le altre di replica. E
conversando , e studiando le affe- zioni di molti , se ne trovavano alcuni
facili ad essere guadagnati per la poca fermezza , per la inopia , o pel
desiderio di 'empiersi nella tirannide, davansi a subor- narli coir oro e con
ampliarne le belle speranze. Vi sarebbero secondo le apparenze in città si
grande e si popolata, alquanti non degl’ infimi solo ma de’riguar- devoli i
quali anteporrebbono il governo men buono al Digilized by Google LIBRO V. I 1 7
migliore 'y or furono tra questi i due Giunj Tito e Ti> berio , figli di
Bruto il console , puberi appena, e con essi i due Geli] (i) Marco e Manio
fratelli della moglie di Bruto , idonei a’ pubblici affari : Lucio e Marco
Aquìlio, figli ambedue della sorella di Collatino, altro consolo , e conformi
di anni al figli di Bruto , presso a’ quali , non più vivendo il lor padre ,
per lo più si adunavano e ctmcertavano sul ritorno de’ tiranni. VII. Tra le
molte cose , per le quali a me sembra che Roma giugnesse per la provvidenza
de’nnmi a stato si prospero , non sono le infime quelle che avvennero allora.
Imperocché si mise in que’ sciaurati tanta de- .menza , e tanta cecità , che
osarono fino scrivere al tiranno di propria mano lettere che indicavano il nu-
mero copioso de’ congiurati ed il tempo nel quale as- salirebbero r uno e r
altro console , lusingati dalle epi- stole del perfido ad essi per le quali
volea sapere i .compensi che avrebbe a dare, tornando in trono , al Romani.
Ebbero i consoli queste lettere per tale in- contro. Eransi i prlmarj de’
complici riuniti in casa, degli Aquilj nati dalla sorella di Collatino ,
invitativi come a sante cose e sagrifizj. Dopo il convito ordi- nando che quei
che lo aveano ministrato uscissero e si • tenessero nell’ anticamera;
confabulavano infra loro su • la rintegrazione del tiranno , e segnavano
ciascuno , i .mezzi che glien parevano di mano propria in lettere che gli
Aquilj doveano far giungere ai messaggeri Tir- reni, e questi a Tarquinio.
Intanto uno schiavo (Vin- (i) Sigonio ne* scogtj LÌTiani pone Vitel^ in luogo
di Gellj se- guendo le antoriià di Livio e di Plnisrco. Digitized by Google I 1
8 DELLE antichità’ BOMANE dicio ne era il nome ) della città di Genina , il
quale fervito gli avea di bevanda, sospettando dalla remoaione de’ servi che
coloro macchinassero qualche scelleraggine, si stette solo fuori della porta ,
ed applicatovisi in una fessura ben lucida , ne udì li discorsi , e ne vide le
lettere che vi si scrivevan da ognuno. Quindi a notte avanzala uscendo come in
servigio de’ padroni , non ardi di andare ai consoli sol timore che volessero
per r amor de’ congiunti che il fatto si occultasse , e ' levas~ sero di mezzo
chi porgea la dinunzia : ma recatosi a Pubblio Valerio l’ uno de’ quattro ,
primarj nel tor la tirannide y congiunsero a vicenda la destra , e giuratagli
da lui sicurezza , gli svelò quanto odi , e quanto vide. Colui , saputo il
fatto , si presentò • senza indugio su r alba in casa degli Aquilj con valida
schiera di clienti e di amici , e penetrandone senza «>ntesa le porte co- me
per tutt’aliro affare , s’impadronl delle lettere men- tre pur v’ eran que’
giovani , i quali menò seoo innanzi de’ consoli. Vili. Ora essendo io per dire
le sublimi , e meravi- gliose gesta di Bruto di che tanto i Romani si magni-
ficano , temo che sembrino austere troppo nè credibili ai Greci , giacché tutti
sogliono per natura giudicare le cose che di altri si dicono dalle proprie, e
secondo queste aversele per credibili o non credibili. Nondimeno io le dirò.
Non si tosto fu giorno, sedutosi Bruto in tribunale , ed esaminando le lettere
de' congiurati , ap- pena scopri quelle de’ figli distinguendole dai sigilli ,
e dopo rotti i sigilli , dai caratteri; ordinò primieramente •he lo scriba
leggessene 1’ una e l’ altra , sicché tutti le Digilized by Googl LIBRO V. I 19
udissero, e quindi che i Ggli dicessero su ciò se vo- leano. Niuno de’ due
ardiva rivolgersi impudentemente a negarle per sue, ma quasi avessero già
condannato sè stessi, piangevano. Egli soprastando breve tempo sorse ; ed
intimalo silenzio , ed aspettando tutti qual ne sarebbe la flne , disse , che
condannavali a morte. Or qui alzarono tutti la voce , alienissimi , che avesse
un tal uomo a punire sè stesso colla morte loro, e voleano condonare al padre
la vita de’ figli. Ma egli non com- portando nè le voci nè i pianti comandò a’
satelliti che di là rimovessero i giovani che lagrimavano e supplica- vano e
co’ nomi più teneri lo chiamavano. Riusciva spettacolo meraviglioso a tutti che
un tal uomo niente piegato si fosse nè per le preghiere de’ cittadini , nè per
la commi aerazione inverso de’ figli : assai però parve più portentosa 1'
austerità di lui circa il supplizio. Imperoc- ché nè permise che si uccidessero
i figli allontanati dal cospetto del popolo , nè egli , almeno per fuggirne la
terribile vista , si ritirò dal Foro finché non furono pu- niti : nè condiscese
pure , che subissero , non disonorati co’ flagelli almeno , la morte destinata.
Ma custodendo tutte le consuetudini , e tutte le leggi quante ve n’ ha su’
malfattori , egli stesso nel Foro tra la pubblica vista presente a tutto ,
fattili prima straziar colle verghe ; concedette alfine che con le scurì si
decapitassero. Sor- prendente soprattutto , inconcepibile era in quest’ uomo la
immobilità degli sguardi senza indizio nemmeno di compassione. Tanto che
piangendo tutti , egli solo fu visto non piangere sul destino de’ figli: nè
sospirò per sè stesso , nè per la solitudine la quale facevasi nella Digilizec)
by Google 120 DELLE Antichità’ ROMANE sua casa , nè diè segno in tutto di
debolezza: ma senza lagrime , senza lamenti , e come inalterabile , portò ma-
gnanimamente la sua sciagura. Tanto era forte di ani- mo , tanto costante in
compiere le risoluzioni , e tanto superiore agli affetti che turbano la ragione
! IX. Uccisi i &gli fe’ chiamare immantinente gli Aqui- Ij , 6gli della
sorella dell’ altro console , presso a’ quali teneansi i congressi de’
congiurati. E comandando alle scriba che ne leggesse l’ epistole sicché tutti
le udis- sero ; intimò ad essi che sen difendessero. Ma i giovani venuti
dinanzi al tribunale, sia che ammoniti ne fossero dagli amici , sia che di per
sè lo risolvessero , si gitta- rono a piedi dello zio per essere da lui
salvati. Ma co- mandando Bruto ai littori che li svellessero , e li traes- sero
se non voleano giustificarsi alla morte ; Collatino sopraggiunse a questi , che
sospendessero alquanto fin- ché abboccavasi col collega , e pigliatolo da solo
a solo orò lungamente pe’ garzoncelli ; parte escusandoli che fossero caduti in
tale stoltezza per inesperienza e per compagnie triste di amici , e parte
eccitandolo a con- donare la vita di parenti , dimandandolo in grazia lui che
non d’altro mai più lo vesserebbe , e parte facendo riflettere che turberebbesi
il popolo tutto se davausi ad uccidere chiunque sembrato fosse tenersela co’
fuoru- sciti perchè ritornassero ; imperocché dicea eh’ eran molti , e parecchi
non ignobili di lignaggio. Ma non venendogli di persuaderlo; ne chiese almeno
pena più mite che non la morte, dicendo: mal convenirsi che i complici si
avesser la morte , mentre il tiranno non so- stenea che l’ esilio. E perciocché
Bruto ripugnava da ■ Digilized by Google LIBRO V. I 2 I pene più mi», nè voleva
(ciocché chiedeva da ultimo il suo collega ) nemmeno differire il giudizio de’
colpe- voli , e minacciava , e giurava di darli tutti appunto iu quel giorno
alla morte ; Coliatino sdegnatosi in fine che niente ottenea ; soggiunse : io ,
pari tuo , to scamperò que' giovini se tu se tanto intrattabile e duro : E
Bruto indispettitone , no , disse, Coliatino ; non potrai finché 10 vivo far
salvi i traditori della patria : anzi tu pure darai tra non molto le pene che
meritL X. Ciò detto, e messa una guardia su’ giovani chiamò 11 popolo a
parlamento : e riempiutosi il Foro, perchè il supplizio de’ figli suoi , già si
era in città divulgato , egli facendosi in mezzo , cinto da’ più cospicui de’
se- natori disse : lo vorrei o Cittadini , che Collatino , questo mio compagno
, fosse concorde con me su tutto, ed odiasse e combattesse i tiranni non pur
colla voce, ma colle opere. Ora poiché lo trovo manifestamente contrario e
congiunto in tutto a' Tarquinj di sangue, di voglie , e di brighe onde
riconciliarceli , anzi col-- [ utile suo che del comune ; io sono risoluto di
op~ pormegli perché non compia le ree sue macchinazioni, e perciò vi ho qua
convocati. Io dirò primieramente in qitanto pericolo sia la città ; poi come t
uno e t altro di noi siasi diportato. Biunitisi alquanti in casa degli Aquila
nati dalla sorella di Collatino , e tra questi ambedue li miei figli e li
fratelli della mia moglie , ed altri non ignobili ; stabilirono , e congiit-
rarono la mia morte , e di restituirvi in Tarquinio il monarca. E già erano per
mandare ei fuorusciti /efr- tere contrassegnate da loro caratteri e sigilli. Ma
si Digitized by Google 122 DELLE ANTICHITÀ* BOMANE fe ciò , la Dio mercede , a
noi manifesto , indican- docelo questo uomo , che è un servo degli jiquilj , di
quelli presso i quali si adunarono e scrissero nella notte precedente le
lettere ; e noi , le abbiamo noi , queste lettere. Io già ne punii Tito e
Tiberio miei figli : e niente , non leggi , non giuramenti , furono da me
violati per la clemenza di un padre. Ma Col- latino mi ritoglica dalle mani gli
Aquilj con dire che non soffrirebbe che partecipassero la sorte de' miei figli
, se partecipato ne aveano i disegni. Ma se co- storo non soggiacìono a pena ,
nemmen dunque vi dovran soggiacere non i fratelli della mia moglie , non quanti
sono , i traditori della patria. E qual di- ritto più grande avrò io contro
questi, se risparmiatisi quelli ? Dite , qual contrassegno c mai questo , di
amici della patria , o del tiranno , di conferma del giuramento che avete voi
tutti prestato noi preceden- dovi , o di sconvolgimento e di perfidia ? Se egli
ri- manevasi occulto , pur sarebbe in preda alle fune e sotto la vendetta degli
Dei che spergiurava. Ora poi- ché vi si è palesalo a voi si spetta , a voi di
punirlo. Vi persuadea costui pochi giorni addietro che rende- ste i suoi beni
al tiranno , non perchè la città se gli avesse per usarne in guerra contro i
nemici , ma per- chè li nemici gli avessero per usarne contro la città. Ed ora
si arroga di esentare dalle pene i congiurati a restituirvi i tiranni , in
favore come è chiaro di questi , perchè se mai tornano , sia di forza , sia per
tradimento egli in vista di tanti servigj ne ottengcL come amico , quanto
dimanda. Ed io che non ho per- Digilized by Googl LIBRO V. ia3 donato a’ figli
miei , io dovrò, o Collatino, te rispar- miare , che sei con noi di presenza ,
ma coll’ animo tra’ nemici ? E tu che salvi i traditori della patria , tu me
che per essa travagiiomi , ucciderai ? Or potrà farsi ? Eh ! che lontani siamo
di molto. E perchè non possi nulla di simile , ti levo dal consolato e
cornandoti che in altra città ti conduciti. E voi o citi- iadini voi chiamerò
ben tosto per centurie , e presi i voti, deciderete se dobbiam così fare.
Intanto , (e vivissimamente avvertitelo ) voi l' una delle due mi dovete ,
escludere Collatino , o Bruto. XI. Or lui cosi dicendo ; Gollatino esclamando
ed angustiandosi , cbiamavalo di cosa in cosa calunniatore e traditore degli
amici : e purgandosi dalle incolpazioni contro di lui , pregava intanto pe’
fìgii della sorella: ma perciocché non permettea che si dispensassero i voti
contro di lui ; inferocivane il popolo , levandosi a re- more in ogni suo dire.
Ora essendo cosi inferocito nè soffrendo discolpe , nè volendo preghiere ma
solo che si dispensassero i voti ; ed interponendosene il suocero Spurio
Lucrezio , uom pregiatissimo , per timore che Collatino non perdesse
ignominiosa mente ad un tempo il magistrato e la patria , chiese da ambi i
consoli fa- coltà di parlare. Ed ottenutala , esso il primo , come dicono gli
storici Romani , giacché non v* era ancor r uso che un privato aringasse il
comune ; diedesi pub- blicarrtente a pregare 1’ uno e 1’ altro de’ consoli ,
Col- latino perché non si ostinasse e non ritenesse il comando a mal cuore de’
cittadini , che spontanei gliel diedero ; ma se pareva a que’ che gliel diedero
di ripeterlo , vo- Digitized by Google 124 delle antichità’ romane lontanamente
lo restituisse , e levasse co’ fatti , non coi detti le accuse contro di lui :
prendesse le sue cobbe e si recasse ad abiure altrove, dovunque voleva, Gnchè
10 Stato non era in salvo ; cosi porUndo 1’ utile pub- blico : riflettesse come
in altre ingiustizie gli uomini se ne sdegnano , quando sono commesse : ma che
sospet- undosi di tradimenti stimano anzi saviezza temerne in- vano e
guardarsene', che trascurarli e lasciarsene rovi- nare. Persuadeva poi Bruto ,
che non cacciasse dalla città con vergogna e con vitupero quel magistrato
com> pagno col quale avea preso le risoluzioni più belle {>ér la patria :
ma che desse a lui , s’ avea cuore di lasciare 11 suo grado e di trasmigrarsi ,
tutto 1’ agio a raccor le sue robbe , e gli aggiungesse a nome del popolo un
dono come pegno di consolazione nelle sue calamità. XII. Cosi consigliando quel
valentuomo , inUnto che il popolo ne lodava i discorsi , Collatlno depose la
sua dignità , contristato che per la pietà de’ parenti era astretto a lasciare
e senza demeriti la patria. All’ oppo- sito encomiavalo Bruto perchè risolveva
il migliore per la sua Roma e per sè , e pregavalo a non. disamorarsi nè verso
di lui , nè della patria : trasportando al- trove la sede , considerasse ancor
sua , la patria che lasciava , nè si meschiasse a’ nemici contro lei non colle
parole , non colle opere. Considerasse in somma questo transito suo qual
pellegrinalo , non qual bando, o fuga: tenesse il corpo presso quei .che lo
ricevevano , ma V affetto suo , lo . tenesse questo , presso quei che lo
mandavano. Or, cosi avendo am- monito quest’ uomo persuase il popolo a
regalarlo di Digilized by Google LIBRO V.’ laS venti talenti , con aggiungerne
egli cinque del suo. Ca» duto Tarquinio Cotlaiino in tale disgrazia si ritirò a
Lavinia , antica madre de’> Latini dove carico di anni mori. Bmto non
sopportando di essere solo al comando, per non dare sospetto , che levato
avesse il compagno dalia patria per fervisi re , chiamò bentosto il popolo al
campo dove usava eleggere i sovrani- e gli altri magi» strali , e creò per
collega nel consolato Pubblio Yale» rio , uno dei discendenti , come sopra fu
detto , dai Sabini , uom degno di ammirazione e di lode per le molle suo doli ,
e principalmente per la sobria sua vita. Egli trovando in sé stesso una luce
naturale di filosofia , la fece brillare in più affari , come poco ap» presso
diremo. XIII. Unanimi questi in tutto, immantinente diedero a morte , quanti
erano , i congiurati al ritorno de’ fuom» sciti , e dichiararono libero e
cittadino il servo . che aveali denunziali , colmandolo di oro. Poi fecero tre
bellissimi ed utilissimi regolamenti , che la città con- temperarono a pensare
tutta di un modo , sminuendo il favor pe' nemici. Il primo spediente fu di
scegliere i migliori della plebe e di crearli patrizj , onde compier con essi
un Senato di trecento. Appresso esposero al pubblico le suppellettili del
tiranno , concedendo che ognuno se ne avesse , quanto toglievano ; e comparti-
rono i terreni di esso a chi non aveane , riservandone unicamente il campo tra
’l fiume e tra la città , dedi- cato già dal voto degli antenati a Marte , come
prato benissimo pe’ cavalli e per gli esercizj de’ giovani in arme. Tarquinio
però , sebbene prima di lui fosse già Digitized by Google ia 6 DELLE
ajitichita’ romane sacro a qnel nume , aveaselo appropiato , e sem inavaci : di
che è sommo argomento la risoluzione allora presa da’ consoli sul ricollo che
sen ebbe. Imperocché sebbene avessero conceduto al popolo di prendere e
portarsi quanto era del tiranno , non però consentirono che al- cuno si
arrogasse il grano germogliatovi , sia che fosse nelle spighe , sia che nell’
aja , sia che già lavorato ; ma decretarono che si gettasse nel fiume come
esecraa* do , né degno che se lo avessero in casa. £ di tal giuo sopravvanza
ancora , monumento famoso , la isoletta sa- cra ad Esculapio , bagnata intorno
dal fiume , prodotta, dicono , dagli ammassi delle paglie corrotte , e dai
fango che vi si appiccò nel correr delie acque. Rispetto a quelli che eransi
fuggiti a Tarquinio accordarono ad essi generale perdono , e ritorno
sicurissimo in patria fra venti giorni , intimando a chi venuto non fosse in
quel termiue , 1’ esilio perpetuo e la confisca de’ beni. Or tali provvedimenti
impegnarono ad ogni cimento quei che godeano le robe , quante mai fossero del
ti- ranno, sul timore che non venisse ior meno l’utile che ne aveano; come
impegnarono a favorire non più la tirannide ma la patria , que’ lutti che per
le gesta loro sotto dei despoti , eransi esiliati da sé stessi , per timore di
non pagarne le pene. XIV.- Ciò fallo , si diedero co* pensieri alia guerra te-
nendo intanto 1’ esercito in campo presso di Roma sotto le insegne e li
capitani per addestrarvelo ; perchè aveano udito che i fuornscili
apparecchiavano centra loro ua armata dalle città dell’ Etruria , e che quelle
de’ Tar- quinj e de’ Vejenii , potentissime ambedue, cooperavano Digilized by
Google LIBRO V. 127 manifettamente al ritorno di essi , mentre gli amici loro
adunavano dalle altre de’ stipendiati e de’ volontarj. Ma non si tosto seppero
che l’ inimico moveasi , delibera- rono di farsegli incontra ; e passando prima
di esso il fiume , s' inoltrarono e si accamparono vicino ai Tirreni nel prato
Giunio , presso la selva sacra ai genj di Ora- to (i). Trovaronsi ambedue le
milizie quasi pari di nu- mero con ardore eguale per combattere. £ su le prime,
surse , appena si videro , picciola mischia tra’ cavalieri , innanzi che le
fanterie prendessero campo. Cosi gli uni sperimentarono gli altri , e non
vincitori e non vinti si ritirarono ciascuno al corpo de’ suoi. Quindi messa la
fanteria nel centro , e la cavalleria nelle ale si mossero da ambe le parti
coll' ordine stesso fanti e cavalli gli uni contro degli altri. Conducea l’ala
destra Valerio il console , contrapponendosi a’ Yejeuti : Bruto reggea la
sinistra avendo a fronte la n^ilizia de’ Tarquiniesi co- mandata da’ figli del
tiranno. XV. Erano già già per venire alle mani quando ' avanzandosi dalle fila
de’ Tarquiniesi 1’ uno de’ figli del tiranno , ( Aruute ne era il nome) il più
vago di aspet- to , e più magnanimo de’ fratelli, e spinto il cavallo verso i
Romani in parte, dove tutti ne intendesser la voce, coperse d’ ingiuria il duce
Romano , chiamandolo fe- rino , selvaggio , lordo del sangue de’ figli ,
imbelle e vile , e lo sfidò per tutti a combattere solo. E colui non (i) Cosi
nel Codice V.iticano. Alcuni peto leggono jirslo in luogo di Orato , perchè
secondo Tilo Livio e Valerio Massimo jfrtia si idiiamava la selva. Digitized by
Google 128 DELLE Antichità’ romane più bastando alle ingiurie , spronò dal suo
posto il ca- vallo senz' attendere gli amici che nel distoglievano , correndo
fortissimamente alla morte che eragli apparec- chiata dai fati. Rapiti ambedue
da pari ardore , intenti a ciò che era da fare non a ciò che ne patirebbono ,
avventano impetuosamente i cavalli uno a fronte dell’al- tro , e vibransi colle
aste colpi vicendevoli , non repa— rabili cogli scudi , nè con gli usberghi ,
immergendone la punta chi nelle coste , e chi nelle viscere. Urtatisi per la
foga del corso i cavalli nel petto , eievaronsi su pie’ di dietro , e girandosi
colla cervice rovesciarono i cavalieri. Cosi caduti giaceansi versando sangue
in copia dalle ferite , e lottando colla morte. Come le milizie videro caduti i
duci loro , spiccaronsi tra clamori e stre- pito , e sorsene battaglia , quant’
altre mai ferocissima , di fanti e di cavalieri ; con sorte non dissimile.
Impe- rocché li Romani dell’ ala destra comandati da Valerio console vinsero li
Vejenti , ed incalzandoli 6no agli alloggiamenti , copersero il campo di
stragi. Per l’ op— posito i Tirreni dell’ ala destra guidata da Tito e da Sesto
figli del tiranno misero in volta i Romani dell’ala sinistra , e corsi presso
alle loro trincierò usarono per- fino tentare se poteano in quell’ impeto primo
espu- gnarle. Ma contrastati e feriti assai da quei che v’ erano dentro , si
ripiegarono. Àveanci di guardia i Triarj , cosi detti , veterani peritissimi di
guerra pel lungo eser- cizio, e soliti riservarsi pe’ cimenti più gravi ,
quando ogn’ altra speranza vien meno. XVI. E fattosi già il sole presso l’
occaso , tornarono gli uni e gli altri a’ proprj alloggiamenti non ti lieti
Digilized by Google LIBRO V. I 29 per la viuoria , che doleati per la
moltitudine de’ per- duti compagni. E se doveasi far nuova battaglia non
credeano bastarvi quanti erano intatti fra loro ; essendo i più feriti : se non
che più grande era I’ abbattimento, e la diffidenza ne’ Romani per la morte del
comandante; in guisa che venne a molti in pensiero che fosse il loro migliore
di abbandonare prima del di le trìnciere. Ma intanto che cosi pensavano e
dicevano usci circa la prima vigilia dal bosco presso al quale accampavano una
voce , sia del genio tutelare del bosco medesimo , sia di Fauno che chiamano ,
la quale rimbombò su l’uno e l’altro esercito, sensibilissima a tutù. A Fauno
ascriveano i Romani i panici timori , e tutte le visioni che varie ne’ luoghi
varj presentansi spaventosamente ai mortali : e di questo Dio dicono che sian
opera le chia* mate fatte dal cielo , le quali tanto perturbano chi le ascolta.
Animava questa voce i Romani a bene operare quasi avessero vinto , significando
come era morto uno di più tra’ nemici : e dicono che levatosi a tal voce
Valerio ne andasse nel cuor della notte agli alloggia- menti de’ Tirreni, e che
uccidendoveli per la più parte, o fugandoneli s’ impadronisse del campo. XVII.
Tal fu l’esito di questa battaglia. Nel giorno appresso i Romani spogliarono i
cadaveri de’ nemici ; • seppelliti quelli de’ suoi , partirono. I migliori de’
cava- lieri , presolo con molta onorificenza e con lagnme , riportavano a Roma
il corpo di Bruto in mezzo ai fregi della propria virtù. Mossero all’ incontro
di essi il Se- nato che avea decretato che si portasse il duce con pompa
trionfale , ed il popolo che ricevè l’ esercito con BIOaiGl , torneai. 9
Digilized by Google i3o DELLE Antichità’ romane crateri colmi di vino e con
mense. Giunti nella città ; il console ne trionfò come i re soleano , quando
solen- nizzavano i sagriBzj e le pompe pe’ trofei ; ed offerse a’ numi le
spoglie , e fe' di quei giorno una festa , convitando i più riguardevoli de* cittadini.
Pigliata nel giorno appresso lugubre veste , ed esposto il cadavere di Bruto su
magnidco letto in splendido ornamento nel F oro , vi convocò la moltitudine , e
salito in palco , ve ne recitò 1’ elogio funebre. Io non so ben discemere se
Valerio il primo introdusse in Roma quel costume , o se dai re io desunse : ben
so che ti*a* Romani antichis- sima é la istituzione degli elogi nella morte de’
valentuo- mini ; e so da’ pubblici documenti di poeti antichi , e di storici
famosissimi che non i Greci i primi la fon- darono. Imperocché le vecchie
storie danno a conoscere che ci aveano in morte di uomini insigni , combatti-
menti equestri e ginnici , come Achille ne fe’ su Pa- troclo , e come Ercole ,
prima ancora , su Pelope : ma che gli encomj se ne recitassero , ninno lo
scrive se non i tragici di Atene , i quali adulando la propria città ,
favoleggiarono che avesse ciò luogo nei sepolti da Teseo. Laddove tardi
istituirono gli Ateniesi per legge le funebri laudazioni ; sia che le
incominciassero su quelli che morirono per la patria ad Artemisio , a Sa-
lamina , a Platea , sia che su quelli i quali caddero a .Maratona. E la impresa
di Maratona , se in quella sì cominciarono gli elogj pe’ defonti , è più tarda
della morte di Bruto per sedici anni. Che se alcuno, lasciando d’ investigare
quali stabilissero prima i lugubri encomi , voglia esaminare presso chi sia la
legge meglio ordi- Digilized by Google LIBRO V. 1 3 I nata ; la troverà tanto
più savia tra questi che tra quelli, quanto che gli Ateniesi introdussero i
pubblici elogi mortuali , pe’ defunti in battaglia , quasi estimassero la bontà
del solo termine glorioso della vita , sebbene al> tronde indegnissima :
laddove i Komani destinarono tal6 onore non al soli estinti nel combattere , ma
a tutti gli uomini , insigni per sublimi consigli , o per belle operazioni ,
sia che in città , sia che in guerra avessero comandato, ovunque morissero ,
giudicando che debbansi i valentuomini celebrare non per la sola morte luminosa
, ma per tutte le virtù della vita. XVIIl. Così morì Giuoio Bruto, colui che
schiantò
la tirannia , che primo fu console
dichiarato , che tardi rendutosi illustre 6orl sì , piccini tempo , ma
fortissimo parve fra tutti. Non lasciò prole non di maschi non di femmine ,
come scrivono gli storici i quali esaminarono le cose de’ Romani , ancor le più
chiare : di che ne allegano molti argomenti ; e questo infra gli altri non
facile a vincersi , che egli era dell’ ordine de’ patrizj ; laddove quei che si
dicono originati da lui li Giunj e li Bruti eran tutti plebei, perocché
conseguivano le ca- riche degli edili e de’ tribuni , che son quelle che per
legge a’ plebei si permettono , e non il consolato , cui niun conseguiva
fuorché li Patrizj. E quando questa di- gnità si concedette ancora a’ plebei
coloro non la otten- nero se non tardi. Ma lasciamo che discutano ciò quelli a’
quali si appartiene conoscerlo più chiaramente. XIX. Dopo la morte di Bruto ,
Valerio il collega suo , divenne sospetto al popolo quasi cercasse lo scet- tro
; primieramente perchè tenea solo il comando , do- Digitized by Google l3a
DELLE ANTICHITÀ* ROMANE vendo far subito eleggersi un compagno , come quando
Bruto ripudiò Gollatino ; e poi perchè aveasi fabbricato la casa in sito
invidiato , preso nella parte alta e dirotta del colle , il quale chiamasi
Yelio e domina il Foro. Convinto però da' suoi come ciò dispiaceva al popolo ,
pre&sse il giorno pe’ comizj e fe’ darsi un compagno in Spurio Lucrezio. E
morendo costui dopo pochi giorni della sua magistratura , sostituì Marc' Orazio
; e trasferì r abitazione sua dalle cime alle radici del colle , perchè i
Jtomani , come ei disse concionando , potessero tem- pestarlo co* sassi date
alto se trovavano eh* ei facesse ingiustizia. E volendo rendere il popolo più
certo della sua libertà levò le scuri dai fàsci , dando ai consoli sue* cessivi
il costume , durevole pur ne’ miei giorni , di usare le scuri quando escono di
città , ma di non por- tare nell’ interno di essa che i fasci soli. Fondò leggi
piene di amicizia e di sollievo inverso del popolo; proi- bendo con una
manifestamente che niun de’ Romani andasse alle magistrature se dal popolo non
le prendeva; con pena di morte a chi contravvenisse , e licenza a tutti di
ucciderlo. Con altra legge si decretava : Se un magistrato Romano voglia
uccidere, o battere, o mul- tare alcuno in danari; possa f uomo privato appel-
larne al popolo senza che intanto niente ne soffra dal magistrato finché il
popolo ne sentenzii. Or sic- come onoravasi con tali regolamenti il popolo ;
cosi ne diedero al console il nome di poplicola , che in greco appunto significa
curatore del popolò. E tali sono le cose fatte in quell’ anno dai consoli.
Digilized by Google LIBRO V. l33 XX. Nell* anno seguente (i) fu di nuovo creato
con> sole Valerio , e con esso Lucrezio : ma non si fece nulla di memorabile
se non il censo de’ beni , e la tas* sazion dei tributi per la guerra secondo
le istituzioni di Tullio re : cose tutte sospese nel regno di Tarquinio , e
rinovate da essi la prima volta. Trovaronsi in Roma idonei alle arme cento
trenta mila : e fu spedito un esercito per guardia a Sincerio (z) , luogo di
frontiera contro i Latini e gli Ernie! da’ quali si aspettava la guerra. XXL
Creali consoli (3) Valerio detto Poplicola per la terza volta e Marc’ Orazio
con esso per la seconda, 'Laro , re di Chiusi nell’ Etrurìa , quegli che
Porsena si cognominava , promise ai Tarquinj ricorsi a lui , 1’ una di queste
due cose , o di riconciliarli co’ Romani pel ritorno , e la ricuperazion del
comando o che ripiglie» rebbe e renderebbe ad essi i beni de’ quali erano stati
spogliati. Imperocché spediti 1’ anno precedente amba>> sciadori a Roma ,
i quali portavano preghiere miste a minacce , non aveaci ottenuto nè la
riconciliazione , nè il ritorno de’ Tarquinj; pretestando il Senato le impre-
cazioni e li giuramenti fatti contro di questi, nè aveaiie riavuto i beni ,
negando restituirli coloro che se gli aveano divisi , e godevanli. E non
contentato in niuna delle domande , e chiamandosene vilipeso e conculcato , (i)
a46 secondo Catone e a4S secondo Varrone dalla fondazione di Roma , e 5o6 STanti
Cristo. (a) Nel Codice Vaticano sì legge Tiiionirio. (3) a47 sec. Ceti e a4g
see. Var. dalla fondazione di Boma , e 5o5 avanti Cristo. Digitized by Google
i34 DELLE Antichità’ romane arrogante altronde , e briaco per 1’ ampiezza delle
sue ricchezze e dominio , credette avere cagioni assai per abbattere la
signoria de’ Romani , come già per addie- tro desiderava , ed intimò loro la
guerra. A lui si con* giunse Ottavio Mnmilio il genero di Tarquinio sul di-
segnò di mostrare tutto 1' ardore suo per la guerra. Egli si mosse dalla città
del Tuscolo e menò seco i Carne - rifai , e gli Antemnati , lignaggio latino ,
alienali già pa- lesemente da’ Romani , e molti volontarj suoi fautori , delle
altre genti Latine le quali ricusavansi ad una guerra manifesta contro di una
città confederata , e tanto po- derosa. XXII. Saputo ciò li consoli romani
ordinarono a’tml- tivatori di portare masserìzie , bestiami , e schiavi ai
monti vicini , fabbricandovi -ne’ luoghi forti de’ castelli , opportuni a
difendere chi vi si riparava. Quindi pre- munirono con più potenti maniere e
con guarnigioni il Gianicolo , alto colle , cosi chiamato , nelle vicinanze di
Roma di là dal Tevere, e provvidero con ogni diligenza perchè non divenisse un
baluardo pe’ nemici contro la città, e vi depositarono gli apparecchi per la
guerra. Quanto alle cose interne della città le disposero , ancor più
propiziamente verso del popolo , diffondendo assai beneficenze su’ poveri ,
perchè questi non si ripiegas- sero in verso de’ tiranni , nè tradissero per 1’
utile proprio , il comune ; imperocché decretarono che fos- sero immani da’
tributi pubblici , quanti al tempo dei te ne pagavano , nè soggiacessero a
spese di milizia e guerra , giudicandoli assai contribuirvi se la persona
esponevano per la patria. Collocarono nel campo dinanzi Digitizccj^ LIBRO V.
l35 Roma la milizia preparata ed esercitata già da gran tempo. Giunto il re
Porsena coll’ esercito espugnò di assalto il Gianicolo , spaventandovi i Romani
che lo presidiavano, e sostituendovi guarnigione tirrena. Quindi marciò verso
la città quasi avesse a prenderla senza fa* tica. Ma fattosi ornai prossimo al
ponte , e visti accam- pati i Romani nella riva a lui più vicina del fiume - si
apparecchiò per combattere , in guisa da sopraffarli col numero, e spinse assai
spregiantemente innanzi la mi- lizia. Reggeano l’ ala sinistra Tito e Sesto
figli di Tar- quinio , tenendo sotto gli ordini loro i fuorusciti da Roma , il
fiore della gente di Gabio , e stranieri , e mercenari non pochi. Mamilio il
genero di Tarqninio comandava la destra ov’ erano i Latini ribellatisi da’ Ro-
mani: finalmente il re Porsena avea la fanteria schierata nel centro. Ma Spurio
Largio , e Tito Erminio teneano l’ala destra de’ Romani contro ai Tarquinj:
Marco Va* lerio, fratello del console Poplicola, e Tito Lucrezio il console
dell’ anno precedente stavano colla sinistra a fronte di Mamilio e de’ Latini.
Moveano tutti due i consoli il corpo fra le due ale. XXIII. Fattasi alle mani
combattè virilmente l’una e l’altra milizia con lunga resistenza; superando i
Romani per esperienza e fortezza i Tirreni e i Latini ; ma po- tendo questi
assai più de’ primi col numero. Alfine ca- dendone quinci e quindi in gran
copia s’ intimorirono prima i Romani dell’ aia sinistra in vedere i loro duci Valerio
e Lucrezio feriti , e portati fuori della batta- glia ; e poi , quando mirarono
in piega i loro compa- gni, sbigoltironai aneli’ essi, quei dell’ala destra
sebbene Digilized by Google i36 DELLE Antichità’ bomane ornai vincitori delle
schiere de’ Tarqainj. E fuggendosi tutti alla città , |>recipitosi , in
folla , su per un ponte solo ; piombavAno intanto su loro ferocissimi gl’
inimici : e poco mancato sarebbevi che Roma priva di mura dalla banda del fiume
, fosse espugnata , se i vincitori investita 1’ avessero misti co’ fuggitivi.
Se non che so- stennero r inimico , e salvarono tutto 1’ esercito tre uo- mini
, due seniori , Spurio Largio , e Tito Erminio , appunto i duci dell’ ala
destra , e Publio Orazio , un giovine, il più beilo, il più valoroso de’
mortali Coclite detto dallo strazio degli occhi , per essergliene stato di*
velto uno in battaglia. Era questi figlio dei fratello di Marc’ Orazio console
, e traeva la origine sua generosa da Marco Orazio 1' uno de’ trigemiai che
vinse già li tre Albani ,. quando le città guerreggiando per la pre- minenza .
accordaronsi a non cimentarsi con tutte le forze , ma con soli tre uomini ,
come fu dichiarato nei libri antecedenti. Questi soli fattisi alla lesta del
ponte disputarono gran tempo il passo al nimico , fermi sul posto medesimo , in
mezzo a nembo di strali e tra ’l fulminar delle spade , finché tutta l’armata
ripassò di qua dal fiume. XXIV. Come però videro in salvo i suoi , Erminio e
Largio , laceri già nell’ armatura pe’ colpi incessanti , si ritirarono a grado
a grado. Orazio però , sebbene dalla città lo richiamassero i cittadini ed il
console , e tentassero per ogni via di salvare un tal uomo ai pa- renti e alla
patria , Orazio solo non ubbidì , ma nel posto suo si rimase come dianzi ,
raccomandando ad Erminio di dire in suo nome ai consoli che tagliassero
Digilized by Google LIBRO V. 1 37 verso la città, quanto prima potevano il
ponte. Era di quel tempo il ponte uno solo e di legno , con tavole congiunte
per sè stesse e non per ferrei grappi , quale custodiscesi tuttavia dai Romani
: raccomandò nemmeno che quando avessero sconnesso il più del ponte , quando
picciola parte resterebbe a disfarne , a lui lo dichiaras- sero con certi segni
, o con sonora voce. Lasciassero a lui poi la cura del resto. Cosi ricordando a
que’due si tenne in snl ponte, e parte col ferir della spada, parte col dar
dello scudo, ne respinse , quanti investendolo , vi si avventavano. E già
quelli che perseguitavano il romano non ardivano più venire alle mani con esso
, come preso da furore e fermo di morire *, molto più che non era facile andar
fino a lui , che aveva a destra e a sinistra il fiume , e dinanzi un monte di
cadaveri e di armi : ma tenendosegli discosti Io bersagliavano in folla con
lance, e dardi, e sassi quali empirebbon la mano ; o coi brandi e coi scudi
degli estinti , se non aveano i primi stromenti. Resistea colui colle armi loro
medesime : tirando su la moltitudine ; sempre , com’ è verisimile, colpiva
alcuno. E già percosso , già carico egli era di ferite in più parti del corpo ,
già un colpo portatogli direttamente per la coscia alla testa del fe- more , lo
addolorava e difficoltava nel caminare; quando, udendo gridarsegli addietro
essere il ponte nella sua più gran parte disciolto, si gettò di un salto colle
arme nel fiume. E valicatolo a stento, perchè divenuto rapido e molto vorticoso
per le travi che già sostenevano il pon* te , e che ora abbattute rompevano il
corso delle acque, fecesi a terra finalmente senza avere in quel tragitto
perduta niuna delle armi. Digitized by Google i38 DEixK Antichità’ romane XXV.
Tale azione produsse a lui gloria immortale : e li Romani coronandolo lo
portarono immantinente per la città com’ nno degli eroi tra’ cantici
trion&li. RU versavasi la urbana moltitudine, finché le era permesso, per
desiderio di vederlo , almeno nell’ ultimo presentar- sele; sembrandole che tra
non molto morirebbe per le ferite. Scampò tuttavia da morte; ed il popolo mise
nella parte più cospicua del Foro la statua metallica di lui com’ era fra le
armi ; e diedegli del terreno pub- blico quanto ne potrebbe in un giorno un
pajo di buovi arare d’ intorno ; e senza contare i pubblici doni , ogni uomo o
donna , i quali erano insieme più che trecento mila, gli recarono ciascuno il
vitto di nn giorno men- tre era fra tutti terribile la peuorta. Orazio
dimostrala in tal tempo tanu virtù parve più che tutti i Romani invidiabile. C
quantunque, divenuto perchè zoppo, inu- tile ad altr’ incarichi nou potesse in
vista di tale scia- gura conseguire nè il consolato, nè altre militari presi-
denze ; nondimeno per le gesta meravigliose fatte da lui, vedendolo tutti ì
Romani, in quella battaglia, me- rita di esserne encomiato quanto mai lo fosse
ciascuno de’ più famosi per la fortezza. Cajo Muzio , sopranno- minato Cordo ,
sceso da chiari antenati , anch’ egli si mise ad una nobilissima impresa. Io ne
dirò tra poco dopo esposti i mali che allora ingombravano Roma. XXYI. Dopo
quella battaglia il re dei Tirreni col- locatosi nel monte vicino, dal quale
avea discacciato il presidio romano , dominava tutta la campagna di là dal
Tevere. Li figli di Tarquinio , e Mamilio il genero di lui tragittando le
milizie loro picciole barche aU Digitized by Googl LIBRO V. ' i3y r altra riva
per cui vasai a Roma , accampamsi in luogo ben forte. Donde slauciandosi davano
ilguasto alle terre , ed agli alloggi pe’ bestiami , e piomavano su’ bestiami
stessi che uscivano dai sicuri luo^i per pascere. Ora essendo tutto 1* aperto
in balìa el iie» mico, nè più di qua, nè più sopra il fiume reandoai in città
le merci se non scarsissime; vi riuscì be tosto carestia gravissima ;
consumandovi tante raigliaja Iprov- vigioni già fattevi , che non erano
copiose. Allea gli schiavi, abbandonandoli ogni giorno, in buon nttiero,
disertavano dai padroni , e li più malvagi del ppolo trasferivansi alle parti
del tiranno. In vista di ciò arve ai consoli di supplicare i Latini i quali
riverivano' le> gami del sangue , e sembravano fidi ancora , che ian>
dassero come prima potean de’ rinforzi : e di spjire ambasciadori a Cuma nella
Campania, ed alle itià Fomentine per ottenerne dei grani. Non sovvenneri ad
essi i Latini ; come quelli che non credevano giusti far guerra con Tarquinio
nè co’ Romani , avendo con m- bedue vincolo di amicizia : ma Erminio e Largio pe-
diti commissari pel trasporto de’ frumenti, avendo trin- cate da’ campi
Pomentini più barche di ogni vettva- glia , le introdussero in una notte senza
luna dal tare EU pel fiume, in occulto de’ nemici. Ma venuta mno ben tosto pur
questa provvigione, e ridottisi gli uoainì ai disagi di prima ; Porsena
chiarito dai disertori cime , que’ eh’ eran dentro vi penuriavano , mandò arabi
ad essi intimando che ricevessero Tarquinio se veleno li- berarsi dalla guerra
e dalla fame. XXVII. Non comportarono i Romani il coaando , Digitized by Coogle
i4o DELLE Antichità’ romane risola piuttosto di subirne ogni male. Ma
prevedendo > Musi' che l’una delle due ne seguirebbe, o che vinti dal bogno
non terrebbono gran tempo la parola , o che aendola ne perirebbono
sgraziatissimamente; pregò li coioli che gli adunassero il Senato , come
volesse proprgli grandi e rilevantissime cose : e radunatosegli , disse Io
medito o senatori una impresa, donde il popo nostro s’involi da’ mali presenti.
Ardita molto ella ì questa , ma facile , io penso , da compierla. Beri ,
riuscendomi , poco , ower nulla io spero su la mie vita. Ora essendo io per
espormi a tali pericoli, anaaiovi da speranze sublimi, non ho voluto che ,
voitutti lo ignoraste ; perchè se mi accada di mancar la trova , io sitine celebrato
almeno per V azione bel- lis.ma , e me ne abbia gloria eterna in luogo del capo
mortale. Già non era sicuro palesar quanto mcchino al popolo , perchè niuno
spinto dall util suo ne riferisse à nemici, quando è ciò da nascondersi cote
arcano indicibile. Pertanto a voi primi e soli ma- niestolo, i quali , ne
confido, lo tacerete: gli altri da vo r udiranno a suo tempo. La impresa che io
medito è mesta : Fintomi disertore , andrommene al campo Treno. Se non mi
ciedono e muojo , voi non avrete peduto che un cittadino : laddove se mi riesce
intro- dumi in quel campo ; io vi prometto di uccidervi il sue re. Caduto
Porsena , sarà per voi finita la guerra. Io pronto sono ad ogni sorte ,
qualunque gli Dei me ne òstinino : e tenendo voi per consapevoli e tesli- monj
miei presso del popolo , e pigliando il genio buoni della patria per guida ,
portomi^ e vado. Digitized by Google LIBRO V. 1 4 1 XXVni. Encomiatone dai
senatori presenti , ed avuti gli augurj propizj per la impresa , passa il
Tevere : e giunto agli alloggiamenti de’ Tirreni , ne penetra come nno di essi
le porte , deludendone le guardie : perchè non portava arme visibili , e perchè
parlava alla tir> rena , come eravi fanciullo stato istruito dalla sua na-
trice tirrena. Approssimatosi al Foro ed alla tecda del principe vedevi un uomo
cospicuo per grandezza e complessione di membra seduto in veste di porpora nel
tribunale in mezzo a molti che armati lo circondavano. Or pensò , ma indarno ,
che costui fosse Porsena, non avendo altra volta mai veduto il re de’ Tirreni :
ma egli non era che il regio scriba il quale sedea nel tri- bunale e numerava i
soldati , e registravano i paga- menti. Inoltrasi a tal vista tra la
moltitudine fino allo scriba, e salito, senza esserne impedito perchè inerme,
snl tribunale , cava il pugnale che celava sotto l’abito , e daglielo in capo.
Ucciso con un colpo lo scriba, egli è preso immantinente e portato al re già
consapevole della strage. Il quale vedutolo appena , Ah scelleralis- simo !
esclama, pagherai ben presto le pene che me- ritasti. Dì , chi sei ? donde
vieni ? e su qual confi- denza osasti un tanto attentato ? Destinavi la sola
morte delio scriba, o la mia parimente ? quali com- pagni hai tu della
perfidia? Non celarmelo, o li tor- menti vi ti forzeranno. XXIX. E Muzio non
presentando pur un segno di paura non col variar del colore , non colla
fissezza dei pensieri, nè con altre affezioni solite in chi dee punirsi (li
morte gli rispose : lo sono un Romano: venni qual Digitized by Google i/ja
DELLE Antichità’ romane diserlom ed tuo campo , nè già per causa vile , ma per
liberare la patria dalla guerra, lo voleva uccidere te , qu$nUmque io non
ignorava che o riuscissi o fai' lèssi tujl colpo io ne dovrei morire : io
destinava con' secrard alta patria la vita , e lasciarle pel corpo che essa
àveami dato , una gloria sempiterna. Errai : e causa ifelT errore furono la
porpora , lo scanno , e le altre irfsegne del comando. Uccisi chi non voleva !
. . lo scriba tuo per te stesso. Pertanto io non ricuso la morte thè io
decretava a me medesimo nell accingermi a rfuesta impresa. Che se tu giuri per
gli Dei di ri- sparmiarmi li tormenti e gli ohbrobrj ; io prometto che ti
svelerò cose , gravissime per la tua salvezza. Cosi Muzio diceva per deluderlo.
E colui come attonito, e temendo pericoli non veri da molti , glie lo giurò.
Muzio allora ideato un inganno del quale non potea convincersi : disse : O re ,
trecento Romani tutti a ma pari di età , tutti patrizj di condizione , abbiamo
mac' chinata di ucciderli , dandocene vicendevoli giuramenti. Pavé, a noi
quando ci consultavamo su le maniere insìiiarli , che non tutti insieme ci
ponessimo a questa impresa , ma ciascuno da sà , tacendo perfno ai compagni ,
quando , dove , come , e con quale oc- casione £ investirebbe , acciocché
facile ci fosse di occulterei. Cosi macchinando , ci demmo le sorti , ed io me
la ebbi il primo per cominciare la impresa. Istruito tu dunque che tanti
valentuomini hanno sete egiude di gloria, e che forse alcuno la sazierà con
successo più fausto del mio ; deh ! considera se possi more mai guardia
abbastanza che ti d fenda. Digilized by Googl LIBKO V. 143 XXX. Il re ciò
udendo comanda al «atelliti che in- calenino costui , se lo menino , e lo
custodiscano diii> gentissimamente : egli poi convocando i più amici , e facendo
che Arunte il figlio suo gli sedesse da presso , ragionò con essi le maniere da
far vane le insidie : ma suggerendone gli altri picciole cose ; non pareano co-
gliere il punto : quando il figlio suo propose un consi- glio , superiore all’
età ; perciocché volea che non si pensasse a guardie onde precludere i mali, ma
piuttosto a far quello per cui le guardie non bisognassero. E maravigliandosi
tutti del suo consiglio , e desiderando sapere come lo eseguirebbe ; col farci
, ei disse , amici i nemici , e col pregiare o padre, la salvezza tua più che
il ritorno degli esuli. Soggiunse il re: cìut egli ben diceva, ma essere da
consultare come consdignità si pacificassero. Sarebbe gran vitupero , se egli
che uvea superato in battaglia , e tenea ristretti i Romani fra le mura si
ritirava , senza compiere quanto avea pro- messo ai Tarquinj , quasi vinto dai
vinti , e quasi fuggisse chi non ardiva nemmeno uscire dalle porte. Facea
conoscere che l’unico mezzo da togliere le ni- niicizie sarebbe , se gli avversar)
mandassero ambasciadori per trattare gli accordi. XXXI. Cosi disse in quel
giorno agli astanti ed al figlio: tuttavia pochi giorni dipoi fu necessitato
egli il primo a fare proposizioni di pace per questa cagione. Sbandatisi
intorno i suoi militari , e datisi a predar di continuo quei che recavano in
città le merci; i consoli Romani se ne misero in buon luogo alle insidie , e
molti ue uccisero , e più ancora ne imprigionarono. Di Digitìzed by Coogle i44
DELLE Antichità’ romane ohè nuioontenti i Tirreni ne facean crocchio e sussurro
iocolpaodo il monarca e i duci suoi sul tanto prolun-' garsi della guerra , e
sfogandosi in desiderj di rendersi alle lor case. Or vedendo come tutti
gradirebbero ma* nilestamente la pace spedi per trattarla i più intimi suoi.
Scrissero alcuni che fu con essi spedito anche Muzio sul giuramento di tornare
poscia al monarca: ma vo* glion altri che fosse piuttosto custodito come
ostaggio nel campo fino alla pace : il che forse è più verisimile.' Questi poi
furono gli ordini che il re diede a’ commise sarj ; non dicessero parola sul
ritorno de Tarquinj ; ma ne raddomandassero i beni , principalmente gli
ereditar] dal canto di Tarquinio P antico , già posse- duti da essi
bitoncunenle : e se ciò ricusatasi; dessero almeno , quant’ era possibile , i
compensi delle case , de' bestiami , de' campi ,» delle raccolte , come purea
loro espediente , col danaro del pubblico , o de' pos- sessori , ed
usufruttuarj atlucdi de' beni. E ciò quanto ad essi. Chiedessero poi > per
lui che deponea le inimi- cizie li sette pagi , cosi detti , antico luogo dell'
Etru- ria , invaso da Romani nella guerra e tolto aproprie-
larj , e finalmente chiedessero de'
giovani delle famiglie più insigni , per ostaggio , che i Romaai si terrebbono
amici costanti de' Tirreni. > XXXII. Venuti i deputati a Roma , il Senato
per in* sinuazione di Poplicoia console si risolvè di accordarne tutte le
dimande in vista della penuria che alHigeva il popolo e . la classe de* poveri
; onde accettissima sarebbe loro una pace , giusta nelle condizioni. Il popolo
ratificò tutti gli articoli del decreto del Senato; non soffri però Digitized
by LIBRO V. 145 die si vendessero i beni , o si desse a’ Tarquinj dana- ro ,
privato nè pubblico , e volle che si mandassero am- basciatori a Porsena perchè
si contentasse degli ostaggi e della regione che dimandava. Quanto ai beni egli
giudice fosse tra’ Romani e tra Tarquinio , udisse 1’ una e r altra parte , e
ne sentenziasse non per favore nè per nimicizia. Partirono i Tirreni con questa
risposta , e con essi gli ambasciadori del popolo i quali condu- ceano per
ostaggi venti giovani delle famiglie più illu- stri , avendo i primi dato i
consoli Marco Orazio il 6gl lo, e Publio Valerio la figlia, idonea già per le
nozze. Pervenuti questi nel campo , il re dilettatone , e molto- lodati i
Romani, conchiuse una tregua per un numero certo di giorni, e prese a giudicare
la causa. Baltristaronsi però li Tarquinj , caduti dalle speranze più
lusinghiere , che avrebbegli quel monarca ricondotti sui trono ; e per
necessità dovéttero acconciarsi alle circostanze, e prendere clocch’era lor
conceduto. Giunti da Roma al tempo ordinato i più anziani de’ senatori e gii
oratori della eausa ; il re sedutosi cogli amici nel tribunale, ed assunto
anche il figlio per giudice ; intimò che parlassero. XXXIII. Trattavasi ancora
la causa , quando un tale annunziò che gli ostaggi s’ eran fuggiti. Perciocché
le donzelle tra' questi , avuta come la chiedeano , la facoltà di andare e di
bagnarsi nel fiume , andatevi , dissero agli uomini che alquanto se ne
discQstassero , finché la- vate e rivestite si fossero, sicché non le vedessero
nude. Or questi cosi facendo ; quelle gitlatesi a nuoto ripara- ronsi a Roma ,
eccitatevi da Clelia che le precedeva. A DIONIGT, tomo II, io i46 DELLE
Antichità’. ROMANE ul nuova Tarqutnto assai rimproverava li Romani di iperginro
e di mala fede , e provocava il sovrano per- chè più non gli adisse , come
divenuto il giuoco dei loro tradimenti. Esciisavasi il console , dicendo queir
opera , tutta delle donzelle , senza voler del Senato: e che pre- sto
dimostrerebbe che niente era per inganno. Persua- sone il re concedè che
andasse e rimeuasse come prò- mettea le fanciulle. Andò Valerio appunto con tal
fine: Dia Tarquinio e il genero macchinarono in onta di ogni diritto un opera
infanóissima, e spedirono in su la strada una banda di cavalieri per
sorprendere le fanciulle ri- condotte , il console , e quanti tornavano al
campo , e ritenersene le persone pe’ beni tolti da’ Romani a’ Tar- qninj ,
senz’ aspettare il fine del giudizio. Ma non per- misero gl’ IJdj che
succedesse loro secondo il disegno : perché mentre gl’ insidiatori uscivano dal
.campo Latino per sopraffarsi a que’ che venivano , il console romano era già
passato innanzi colle fanciulle : e già era alle porte degli alloggiamenti
Tirreni quando fu sopraggiunte da’ persecutori. Si fe’ qui mischia fra loro, ma
ben pre- sto fu nota a’ Tirreni , e ne corsero frettolosissimi in ajuto il
figlio del re con de’ cavalieri , e la schiera dei fanti che stava di guardia
innanzi del campo. XXXIV. Sdegnatosi di ciò Porsena convocò li Tir- reni > e
narrò come essendo egli fatto giudice da’ Ro- mani di quello ond’ erano
accusati da Tarquinio ; gli espulsi , e bene a ■ diritto , da loro , aveano
tentato di violare, le persone sacre degli ambasciadori e degli ostag- gi , in
tempo di tregua , e prima che si decidesse la causa. Dond’ è che i Tirreni
assolvettero su di ogni Digilized by Google LIBRO V. 147 richiamo i Romani , e
togliendosi all* amicizia di Ma- nilio e di Tarquinio , intimarono loro cb’
entro il pros* rimo giorno si ritirassero. Così lì Tarquinj » pieni in
principio di belle speranze per 1’ ajuto de* Tirreni, o di essere di nuovo i
tiranni di Roma, o di ricuperare*! loro beni , perderono 1* uno e 1* altro per
la offesa degli ostaggi e degli ambasciatori , e partirono con infamia , e con
odio dai campo. Il re poi de* Tirreni facendosi condurre gli ostaggi dinanzi
dei tribunale gli rendette al console , dicendogli che pregiava la fedeltà de'
Ro- mani più di ogni ostaggio. R lodando Clelia , che avea persuaso le compagne
di passare a nuoto il fiume, come ne* suoi pensieri maggiore del sesso e della
età , e feli* citando Roma perchè allevava non pure de* valentuo* mini ma delle
eroine , regalò la donzella di un cavallo generoso , e magniCcamente bardato.
Sciolta radunanza fe’ cogli ambasciatori de* Romani gli accordi e li giura-
menti di pace e di amicizia , e li onorò come ospiti , e restituì senza prezzo,
perchè li recassero in dono alla loro città , tutti li prigionieri , che eran
pur molti : or- dinò che rimanessero com* erano i padiglioni suoi, fatti non
come per breve durata su le terre altrui , ma fre- giati , quasi una città, con
private e pubbliche spese; quantunque i Tirreni dopo avervi alloggiato ,
usassero di. t noti serbarli. E fu
questo , se in danaro si .calcola , non picciolo dono pe* Romani , come lo di*
chiarò la vendita fattane da* questori dopo la partenza del re. Tal fu la fine
della guerra de’ Tirreni e di Laro Porsena la quale avea ridotto i Romani a
tanti Digitized by Googlc i48 DELLE Antichità’ romane XXXV. Dopo la partenza
de’ Tirreni adunatosi il Senato Romano decretò che si mandasse a Porsena.il
trono di avorio, lo scettro, il diadema e la veste trion- fale colla quale i re
si adornavano: e che Muzio , espo* stosi alla morte per la patria, e cagione
principalissima del termine della guerra , si premiasse a spese del pub- blico
,> come già Orazio che resistè sul ponte, con tanto terreno; di là dal
Tevere, quanto poteane in un giorno solcare intorno coll’ aratro : e questo è
il terreno che pur nel mio tempo si chiama il prato di Muzio. Cosi fu decretato
su gli uomini. Quanto a Clelia concede- rono che una statua di metallo se le
innalzasse , ed i , padri 'delle donzelle glie la innalzarono nella via sacra,'
dove mette al Foro : tifa noi non più ve l’ abbiamo tro- vata ; e dicesi che
mancò per un incendio delle case d’intorno (i). Fu quest’anno compiuto il
tempio di Giove Capitolino, dei quale partitamente abbiamo scritto nel libro
antecedente. E Marco Orazio console lo con- sacrò , e lo intitolò prima che
potesse tornare Valerio il compagno , uscito per avventura dalla città coll’
esercito , per difenderne la campagna : perocché Mamilio speden- dovi a far
preda, assai vi danneggiava li coltivatori éhe vi si erano di fresco
l'icondótti , lasciate le fortezze. -E questo è ne’ fasti dèi terzo consolato.
‘ XXXVI. Spurio Largio e Tito Erniinio consoli del- l’anno' quarto (2) io
compierono senza guerra. Morì nel 1 • ; I • ■ • • (i| Plutarco sclibenè
poslèriore a Dionigi dice che la statua di Clelia esisteva aucora su la via
sacra là donde vasai isf e-asAttrter in palatiwn. Casaub. (3) Ad. 348 secondo
Catone, e aSo secondo Vatrone dalla fuuda- sioue di Roma , e 5o4 avanti Cristo.
Digiirzed by Google LIBRO V. 149 loro consolato Aruote il 6glio di Porsena re
de' Tirreni» Assediava già da due anni , la città della Riccia , per- ché
conchiusa appena 1’ alleanza co’ Romani , prese dal padre metà dell’ esercito ,
e marciò contro quella città per sottoporsela , e dominarvi. Ma essendo ornai
per espugnarla , sopravvennero a questa de’soccorsi da Anzio, . dal Tuscolo , e
da Cuma della Campania. Egli schierò le milizie sue' minori contro le più
numerose: ma dopo respinti , dopo incalzati gli altri 6no alla città , peri
finalmente , vinto egli stesso dai CumanI condotti dalr r Aristodemo , che
Malaco si chiamava. Fuggi, non sostennesi a tale caduta 1’ armata di lui. Molti
ne ^ soc- comberono incalzati da’ Cumaui ; ■ ma più ancot^ : sban- dati ;
ridotti senz' arme , nè più Idonei per le ferite a. fuga più lunga ,
ripararonsi nel territorio non lontano di Roma. Se li menarono i Romani dalle
.campagne' in citté^ nelle proprie case, portandovene i più malconci a
cavallo., o su carri, o su cocchi: e ciascuno a proprie spese li nudrirono, e
curarono, e ristorarongll con sol-, lecitudine molto affettuosa. Di talché
molti di loro le- gati da tanta benevolenza desiderarono non di tornarsene in
patria , ma di rimanersi fra tali benefattori ; ed il Senato assegnò loro
perclié vi si fabbricasser le case , la valle tra ’l Palanteo , ed il
Campidoglio, lunga presso a quattro stadj. Chiamasi questa anch’ oggi nell’
idioma de' Romani la contrada Tirrena ; e vi si passa venendo dal Foro al circo
massimo. E per tali cortesi maniere ebbero dal re di quella gente dono non
lieve , e che assai li dilettava , la campagna di là dal fiume , ce- duta già
da essi quando ne ottenner la pace. Cori iSó DELLE antichità’ ROMANE trìbuUroao
agl’ Iddj li sagnfiz) magoìBci che aveano già promesso co’ voti se ricuperavano
mai li sette pagi. XXXVn. Correa nell’ anno quinto dopo la espulsione dei re la
Olimpiade sessantesima nona , nella quale Iscomaco Crotoniate vinse allo
stadio, Acestoride fa 1* arconte di Atene per la seconda volta , e furono con-
soli Romani Marco Yalerìo , fratello di Valerio Popli- cola, e Publio Postumio
, detto Tuberto (i). Arse nel loro consolato un’ altra guerra co’ vicini , la
quale co- minciò colle prede , e procedette a numerose e grandi battaglie :
finché cessò da indi a quattro consolati , dopo essersi nel tempo intermedio
sempre stato fra le arme. Imperocché alcuni Sabini considerando Roma indebolita
per gl’ incontri suoi co’ Tirreni , quasi non dovesse mai più ricuperare
l’antica dignità, ne assalirono , affin di predarli , e certo molto ne
danneggiarono , li coltiva- tori , i quali calavano di bel nuovo dai luoghi
forti alla campagna. I Romani prima di prendere le armi spedi* rono
ambasciadori a chiedere conto e soddisfazione, tal> ché non più molestassero
chi lavorava i terreni. Ma non ricevendone che orgogliose risposte , intimarono
ad essi la guerra. Valerio il console il piimo con truppe eque- stri e con
fiore di milizie leggere scorse tu que’ ruba- tori de’ campi , e grande fu la
uccisione de' sorpresi nri pascoli , sbandati , com’ è verisimile , nè provvidi
del venir de’ nemici. E spedendo i Sabini contr’essi un (i) An. a49 ài Rom.
ucondo Caioae, e aSi secondo Varronr, e &o3 «vanii Criaio, Digitized by
Google LiBno V. 1 5 1 esercito sotto un duce perito di guerra , i Romani usci*
rono di bel nuovo con tutte le forze , dirette da ambi li consoli. Postumio
mise il campo nelle alture prossime a Roma , pei'cbi uon vi si facesse una
subita irruzione da’ fuorusciti. Ma Valerio marciò di fronte al nemico iu riva
all’ Aniene , fiume che nella città di Tivoli casca da rupe altissima , e poi
corre , dividendoli fra loro , i campi de’ Romani e de’ Sabini , finché vago in
vista e dolce a beverne , scende nel Tevere. XXXVUl. Erano i Sabini dall’ altra
parte del fiume non lungi dalla corrente su di un colle non molto forte, e che
poco a poco degrada. In principio gli uni rispet- tando gli altri esitavano a passare
il fiume e farsi alle mani. Ma poi non per calcolo e previdenza di beni, ma
rapiti dfiir ira e dall’ ardor di combattere , furono alle prese. Imperocché
venuti ad abbeverare i cavalli e far acqua , inoltraronsi molto entro il fiume
, vmile allon nel suo corso , perché non accresciuto dalle acque in* vernali :
e siccome bagnavali appena , poco più su delle ginocchia ; lo trapassarono.
Attaccatisi in su le prime pochi con pochi , ecco accorrere altri a difenderli
, ognuno dai proprj alloggiamenti , e via via sopraggiun- gerne di rinforzo ,
come questi o quelli erano superati. E quando i Romani respingevano i Sabini
dal fiume, e quando i Sabini ne toglievano l’uso ai Romani. E molti uccisi e
feritivi, ed eccitativisi tutti a combat- tere , come avviene nelle scaramucce
fortuite , sorse ar- dore eguale di passare il fiume ne’ duci stessi degli
eserciti. E primo passandolo il console Romano e con esso r armata sua , '
piombò su li Sabini. Non eransi Digitized by Google i5a DELLE Antichità’ romane
questi ancora nè bene armati , uè schierati ; pure non esitarono ad accettar la
battaglia , inanimiti molto è spregianti , perchè non arcano a farla nè con
ambi li consoli , nè con tutte le milizie Romane , e slanciatisi , combatterono
con furia di baldanza e di odj. ' XXXIX. Ardea rivissi ma la battaglia ; ma se
1’ ala destra , or’ era Postnmio il console, superava gli avversar] ed
avanzavasi ; la sinistra ‘era travagliata e respinta al fiume. Or saputo ciò 1’
altro console usci coll’ esercito suo : marciava egli pian piano colla fanteria
, ma fe’ precedere in fretta colla cavalleria Spurio Largio Se- niore , e
console dell’ anno precedente. Andato costui di tutta briglia passò facilmente
il fiume , che non era guardato da alcuno , e giratosi attorno l ala destra dei
toemici pigliò di fianco la cavalleria de’ Sabini., Or qui sorse battaglia
diuturna e grave di cavalleria con caval- leria. Frattanto avvicinatosi anche
Postumio co’ suoi fanti a queU’ ala ed investitala , molti ne uccise , e molti
ne disordinò : di modo che se non sopravveniva la notte, i Sabini avviluppati
da’ Romani che già prevalevano, sa- rebbero stati del tutto disfatti : ma le
ombre occultarono qùei'che fuggivano dalla battaglia come inermi e radi, e
salvi si ricondussero alle lor case. Impadronironsi i consoli senza combattervi
de’ loro alloggiamenti, abban- donati dalle guardie al veder quella fuga : ed
occupa- tevi molte suppellettili, e datele in preda all’esercito, *lo
rimenarono in patria. Cosi riavutasi Roma , allora la prima volta , da’ inali
suoi co’ Tirreni , senti lo spirito antico , ardi come prima arrogarsi 1’
impero su’ vicini , decretò pe’ due 'consoli insieme un trionfo , e di più
DigilÌ2B., by Googk' LIBRO V. 1 53 che si desse a Valerio che era I’udo di
questi, un sito nella parte- più distinta del Pallanteo , dove gli si fon-
dasse una casa a spese del pubblico. Questa è la casa innanzi alla quale sta il
toro di bronzo , e questa tra tutti i privati e pubblici ediCzj è la sola che
ha le porte che aperte si girano in fuori (i). XL. Presero dopo questi il
consolato Publio Valerio Poplicola per la quarta volta , e Tito Lucrezio, di
bel nuovo collega suo (a). Quest’ anno le città Sabine, te- nuto un congresso
comune, decretarono far guerra ai Romani , quasi fosse finita 1’ alleanza loro
, per essere caduto dal trono. Tarquinio a cui 1’ aveano giurata. Aveale
indotte a ciò ,1’ uno de’ figli di Tarquinio, Sesto di nome , il quale coll’
onorare e supplicarne i citta- dini primari di ognuna , metteva in tutte un
animo per la guerra : anzi aveva a sé guadagnate, e consociate a queste pur le
due città Camcria e Fidene , ribellatele da’ Romani. In contraccambio le città
lo elessero gene- ralissimo loro con facoltà di reclutare milizia da ognuna,
come quelle che aveano perduta la prima battaglia per la insufficienza delle
forze , e del capitano. Ed in ciò si adoperavano questi : ma la fortuna volendo
contrap- pcsare i beni al mali di Roma , le diede in luogo degli alleati che le
si eranp tolti , un rinforzo , quale non 1(■) Tra i Greci era grande onarificenia
aver le porte che ai apria- aero au.la pubblica strada; e questa servitù della
pubblica strada coiopcravasi a gran presso: come è chiaro da ciò che si legge
d’I- ficrate presso di Aristotele negli Economici. (a|)'An. di Bom. aSo secondo
Catone, e aSa secondo Varrone, e 5oa av. Cristo.’* Digitized by Google i54
DELLE Antichità’ romane imperava dal canto de’ nemici. Tito Claudio , un
Sid>mo domiciliato a Regillu , nobile e denaroso , fuggissene in seno di lei
menando con sé gran parentado , ed amici e clienti in copia , i quali
spatriavano con le famiglie ; tanto che tra, questi ce ne avea cinque mila
buoni per le arme. E questa dicesi la cagion cbe lo spinse a tra» sferire in
Roma la sede. I primar) delle città più cospi- cue alienatisi da lui -lo aveano
incolpato di poca affe- zione verso il pubblico bene , citandolo qual traditore
; come r unico che mal soffriva la guerra , e che avea ripugnato in consiglio a
quei che voleano sciolta 1’ al- leanza , nè permise che i suoi cittadini
AtiGcassero il decreto degli altri. Or temendo egli un giudizio , ove le non
sue città sentenzierebbero della sua sorte , rac- colse le sue robe , e gli
amici , e si congiunse ai Ro- mani , non senza picciolo sbilancio degli affari
; talché parve a tutti la cagion principale dell’ esito propizio della guerra.
Per tanto il Senato ed il popolo lo ascris- sero tra’ patrizj , lasciandogli in
città quanto sito volle per fabbricarvi ; e gli donarono i terreni pubblici tra
Fidene e Picenza perchè li • compartisse co’ suoi com- pagni , da’ quali
risultò poi la tribù Claudia che ancora tiene quel nome. XLL Apparecchiatasi
appuntp l’ una e 1’ altra parte, li Sabini i primi cavarono le milizie e fecero
due ac- campamenti , r uno all’ aere aperto non lungi da F ide- ne, r altro in
Fidene a difesa del popolo , come in ri- fugio dell’ esercito esterno in caso
di sciagura. I consoli Romani al sapere la venuta de’ Sabini contra loro ,•
usci- rono anch’ essi con floride scltiere , e presero campo , Digitized by
Google LIBRO V. l55 separati T ano dall' altro , Valerio a fronte degli allog»
' giatnenti sabini all’ aere aperto , e Lncreaio poco più di sopra , in un*
altura donde potea vedere l’ armata com- . pagna. Era disegno de’ Romani di
venire quanto prima a giornata per decidere subitamente , e visibilmente la
guerra. Ma' il capitano Sabino temendo di attaccare in pieno giorno la baldanza
e la robustezza romana, sem- pre ferma , contro ai casi anche più duri ,
deliberò di investirla di notte. Quindi facendo preparare quanto era necessari
a riempire le fosse , e trascendere il vailo , quando ebbe pronto tutto, voleva
tor seco il 6or deU
r esercito , ed assalire nel primo sonno
le trincee de’Ro* mani. Su tal disegno avea fatto intendere all’ armata di
Fidene che quando si avvedessero del giunger suo ve- nissero anch’ essi dalla
città , ma con armi leggere : ed avea posto in luoghi opportuni gli agguati con
ordine, che se andavano dei rinforzi a Valerio dall’altro campo, uscissero loro
alle spalle e gli assaltassero fra strepito di voci e di arme. Sesto con tale
risoluzione, istruitine e trovativi pronti li centurioni , non aspettava che la
opporiobità. Ma un suo disertore venuto al campo ro- mano disse di quella trama
al console. Giunsero non molto dopo i cavalieri con dei Sabini che usciti a far
legna furono presi. Interrogati questi separatamente c/te mai preparasse il lor
capo , risposero , che scale e ponti : ma che dove , o quando fosse per
valersene , non lo sapeano. Valerio ciò udendo spedi Marco al- r altra armata
per divisare a Lucrezio che vi comandava r animo dei nemici , e come si
dovessero questi assalire. Poi chiamando egli stesso tribuni e centurioni,
dicendo Digilized by Google 1 56 DELLE Antichità’ romane quanto avea raccolto
dal disertore , e da’ prigionieri ; confortandoli ad esser magnanimi , e
credere cb’ era giunto alfine il tempo sospirato onde prendere' su’ ne» mici una
luminosa vendetta ; prescrisse ciocché doves- sero fare , diede i segni , e
rinviò ciascuno alla sua schiera., XLII. Non era ancora la notte a mezzo ,
quando il duce Sabino fatti levare i soldati , ne condusse il fiore al campo
romano , imponendo, a tutti che , taciti, avan- zassero senza strepito di arme
; perchè i nemici non si avvedessero di loro prima che fossero giunti. Or come
i primi a procedere furono vicini al campo, nè videro ivi lume di fuochi , nè
voci vi udirono di sentinelle , assai riprendeano di stoltezza i Romani , quasi
tralasciata ogni gtiardia , se la dormissero : c già riempiute le fosse in gran
parte , le passavano senza ostacolo alcuno. I Romani però si teneano , non
veduti si per le tenebre, ma schierati nello spazio tra i valli e le fosse, e
quando chi le passava era loro alle mani, uccidevanlo. Rimase alcun tempo
occulta la rovina di chi precedeva a quei, che seguivano. Ma non si tosto quei
eh' erano vicini alle iosse videro col chiarore della luna che nasceva, i
mucchi incontro de’ cadaveri de’ compagni , e le schiere valide de’ nemici che
resistevano; gettarono le armi, e fuggirono. Allora alzato i Romani un
altissimo- grido , perchè quel grido era segno all’ altra armata, corsero in
folla su loro. Lucrezio a quei clamori, spediti su- bito 1 cavalieri per
ispiare se ci aveàno insidie nemi- che , si mosse indi a poco egli stesso col
fiore della fanteria. Imbattutisi i cavalieri con gli usciti da FideneDigilized
by Coogle LIBRO V. iB'J
per insidiare , li fugarono: ma la
fanteria perseguitava) ed uccidevali , : ornai disordinati e sena’ arme ,
quelli che erano venuti ad assalire il campo romano^ Morirono in teli
òombaltimenti circa tredici mila tra Sabini ed al* leali, rimanendone prigionieri!
quattro mila dugento: ed il campo loro fu preso nel giorno medesimo. la stoltezza , e chia- mandoli degni di morte
quanti ve ne erano , giacché nè erano grati pe’ beneGzj , nè faceano senno pe’
mali ; ne batterono alla vista del pubblico culle verghe, e poi vi uccisero i
più cospicui per nobiltà. Quanto agli altri lasciarono che albergassero come
prima , ponendo a coa- bitare con. essi la guarnigione che era decretata dal
Se- nato , e dandole parte de' terreni tolti a quelli. Dopo ciò ritirarono le
truppe dalle teiTe nemiche ,■> e trionfa- «• rono secondo il decreto del
Senato. E tali furono le geste di , questo consolalo. • . XLIV. Creato consolo
Publio Postumio Tuberto per1 58 DELLE Antichità’ romane la seconda volta , e
con esso Menenio Agrippa Lana- to (i) , fecesi ma con piu schiere la tersa
Irmzione dei Sabini prima che i Romani se n avvedessero, e pro> cedette 6n
presso le mura di Roma, Risultarono da questa molte uccisioni non solo di
agricoltori romani , colti repentinamente da nembo che non aspettavtno prima di
ricoverarsi ne’ castelli vicini , ma di quelli eziandio che in città
dimoravano. Imperocché Postumio il console riputando insopportabile quella
ingiuria; uscì di tutta fretta , con truppe comunque per soccorrere i suoi ,
pih animoso in vero che savio. I Sabini , visto con quanto dispregio ,
disordinati , e sbandati si avan- zassero verso loro , e latto disegno di
ampliarne ancor più la negligenza , partirono con marcia più che ordir naria ,
quasi fuggissero addietro , finché giunsero ad una selva profonda ove il resto
celavasi delle loro milizie. Or qui voltando faccia contrastettero a chi
gl'inseguiva; ^ come pure gli occultati nel bosco ne uscirono , vocife- rando.
Ed essendo essi in buon ordine e molti , pro- stesero gli altri che combattevano
disordinati , sbandati , ansanti per lo viaggio ; e rinchiusero in una pendice
deserta quanti ne fuggirono , con preoccupare le vie che menavano a Roma. E
perocché già la luce era mancata ; posero le arme presso di quésti
invigilandoli tutta la notte , sicché taciti non s’ involassero. Saputosi in
città r informnio , vi fu gran turbamento , e concorso * ai muri, e. timor
comune, che i nemici trasportati, dal successo propizio , si presentassero in
quella notte a (i) An. di Rom. aSi secoado CaioDe, a53 secondo Varrone, e Sol
av. Crino. Digitized by Coogle LIBRO V. 1 5g Roma: e là com piange vans! i
morti; qua »i commise- ravano li sopra vanzatt , come quelli che 'se nop erano
immaniineote soccorsi , caderebbero prigionieri per la penuria. Passatasi con
tanto mal' in cuore senza sonno la notte, Menenio , nato il giorno , armò li
più floridi per anni , e li guidò ben forniti e con ordine a liberare gli
assediali nel monte. I Sabini al vedere che ti avan> cavano non li
aspettarono ; e tolto il campo si ritira- rono , pensando che bastassero loro i
vantaggi presenti: e senza indugiarsi gran tempo , tornarono festeggiando alle
patrie , ricchi di bestiami , di schiavi , di danari. XLV. Rattristati i Romani
dal danno , e credendolo causato da Postumio il console ; deliberarono di
mar> ciane sollecitamente con tutte le forze contro la Sabina, desiderosi di
rifarsi della perdita inaspettata ' e turpe j molto più che assaissimo gli
aveva esulcerati 1’ amba- sceria recente e contumeliosa e superba colla quale i
nemici , come già vincitori , e prenditori senza contrasto di Roma se non erano
ubbiditi , comandav.vno che ren- dessero ai Tarqninj la patria, cedessero ai
vincitori r imperio , e stabilissero il goverho e le leggi , come sarebbero
ordinate da questi. Aveano i Romani replicato a tali messaggi , che
annunziassero alle loro comuni che i Romani comandavano ai Sabini , di deporre
le armi, di sottomettere le loro città , di ubbidire ,come per addietro , e ciò
fatto di venir supplichevoli per iscusarsi dalle ingiustizie e da’ mali onde
gli aveano vio-
lati nelle incursioni passate , se
voleano pace ed amici- zia : ma se ricusa vansi a tanto, aspettassero tra non
molto la guerra su le loro città. Cosi comandando e Digilized by Google i6o
DELLE Antichità’ romane comandati a vicenda, quando ebbero tutto in pronto ;
uscirono per la guerra. Conducevano i Sabini il -fiore de’ giovani di ogni
città con arme bellissime : e li Ro- mani tutta la milizia urbana e le
guarnigioni , conce- pendo che i domestici e li schiavi , e quanti superavano ^
la età militare, bastassero in difesa di Roma e dei ca- stelli della campagna.
Cosi concentrati si accamparono ambedue con breve intervallo fra loro non lungi
da Ereto , città de’ Sabini. XLVI. Come gli uni sepper degli altri o per con~
gettura dall’ampiezza degli alloggiamenti, o per ciò che ne udivano da’
prigionieri ; si eccitò ne’ Sabini confi* denza e disprezzo inverso la
scarsezza degl' inimici ; ma timore ne’ Romani per la moltitudine di essi. Pur
fe- pero cuo^e , e pigliarono qualche speranza su la vittoria pe’ segni mandati
loro dal cielo, e per 1’ ultima visione , quando erano 'per ischierarsi , che
fu questa : Su le punte dei lanciotti (sono queste le armi che i Romani
scagliano nel farsi alle mani; bastoni grossi che ti em- pion le mani , e
lunghi , con ferrei spuntoni nell’ uno e nell’ altro estremo , diritti , nè
minori di tre piedi , tanto che le armi , compresovi il ferro , somigliano ad
aste mezzane ) su le ferree ponte di . questi lanciotti , piantati tra
padiglioni , brillarono delle fiamme ; talché per tutto il campo fu luce
continua come di accesi fa- nali , gran tempo delia notte. Ora come gli auguri
- di- chiaravano ( nè già era difficile intenderlo ) , concepirono che gli Dei
con tal visione annunziassero loro una sol- lecita e luminosa vittoria : imperocché
tutto cede al fuoco , nè cosa vi è che per esso non consumisi. E _ Digitized by
Google LIBRO V. l6l percfac le fiamme brillarono su le armi loro; uscirono con
assai fiducia dalle trinciere , e nell’ estero di tale fi* ducia , attaccatisi
combatterono , sebbene di tanto mi- nori , co' Sabini. La sperienza eh’ era in
essi col vivo amor dei travagli , elevava li a spregiare ogni pericolo.
Postumio il primo ebe guidava 1’ ala sinistra , inteso a riparare la passata
disfalla urtò 1’ ala destra de’ nemici , non curando la vita per la vittoria :
e come chi rapito è da furore , e fermo per ogni via di morire, si lanciò nel
mezzo di essi. Allora i soldati i quali erano nell’ al* tr’ ala con Menenio
ornai stanchi , ornai cacciati di po* sto , al conoscere che que’ di Postumio
prevalevano su gli emoli , rimbaldanzirono e turbinaronsi su gli avver- sar]
loro. Cosi piegò 1’ una e 1’ altr’ ala de' Sabini , e diedesi pienamente alla
fuga. E dopo la perdita delle ale nemmeno quelli che erano ordinati nel centro
per* sislerono , ma forzati dalla cavalleria Romana che gli assaliva si misero
in volta. Tutti al proprio alloggia- mento si riparavano , ma i Romani seguendo
e inve- stendo , ne invasero 1’ uno e 1’ altro. C se l’esercito ne* mico non fu
totalmente distrutto , ne fu cagione la notte ed il luogo della sconfitta , che
era nella Sabina. Impe- rocché per la perizia de’ siti chi fuggiva salvavasi in
casa più facilmente di quello che lo potesse , per la imperizia sua ,
sorprendere chi 1’ inseguiva. XLYII. Nel prossimo giorno i consoli , bruciati i
ca- daveri dei loro , e raccolte le spoglie , e tra queste le armi abbandonate
dai vivi nel fuggire, e trasportando seco non pochi fatti prigionieri, c le
robe invase' (non compresevi quelle tolte da’ soldati ) colla pubblica ven-
VlONlOT , iomo II, ii Digitized by Coogle i6a DKLLE Antichità’ romane dita
delle quali cose ogaaao riebbe i prestiti , contri'* baiti per la spedizione ;
tornarono con una luminosa vittoria nella patria. Quindi per decreto del Senato
Tubo e r altro ne trionfarono ; Menenio col trionfo primario sedendo su regio
carro, Postumio col secondario, e men grandioso , che chiamano della ovazione ,
altera'- tone il nome che era greco, sicché più non distin- guesi (i).
Conciossiaché per quanto io ne concepisco o ne trovo in molli degli storici
Romani questo trionfo chiamavasi nelle origini Evezione da ciò che vi si pra-
ticava : ed il Senato , come Licinio racconta , ora per la prima volta ne ideò
la pompa. Differisce quest’ onor secondario dall’ altro, primieramente perchè
chi sei gode, entra la dttà colle schiere a piedi e non sul carro come in
quello: e poi , perchè non porta come l’altro la toga contraddistinta pe’
ricami varj e per l’oro ; nè la corona pur di oro; ma la toga candida
contornata di porpora, la quale è l’ abito nazionale de’ comandanti e de’ con-
soli , e la corona di alloro (a) : e se tien le altre cose ; in questo cede al
primo trionfante , che noU va collo sceturo. Postumio poi , sebbene più che
altri segnalato (i) OTaxione tu detta originalmente evatio ; qnindi % !a voce
di Virgilio I. 6. Ea. Evantes orgia circum ducehat Phrygias. Questo ovari era
dal greco tva^nt il qnale esprimeva le accismasioni fotte con dire s«s lasserò
Tarquinio , Mamilio , gli Aricini , e cbiunqae davasi per accusatore di quella
, iìuchè uditili tutti , seu- tenziarono essere stata l’alleanza rotta dai
Romani; e fecero intendere a Valerio che col suo tempo discute- rebbero come
aveano a vendicarsi di loro che aveano i diritti calpestati del sangue. In
mezzo a tali vicende congiurarono molti servi d’ invadere i luoghi riguarde-
voli di Roma , e d’ incendiarla in più parti. Se non che datone indizio da’
complici , ne furono ben tosto chiuse le porte dai consoli , e preoccupati i
siti forti dai ca- valieri. Allora quaiiU erano denunziati partecipi della
congiura presi immantinente tra i domestici , o portati dalla campagna ,
perirono tutti , battuti , tormentati , crociGssi. E tali sono le cose operate
in quel con- solato. LII. Sotlentrati a tal dignità Servio ^ Sulpizio Came- rino
, e Manio Tullio Longo (i), alcuni di Fidene con* vooando de’ soldati dal
popolo de’ Tarquiniesi occupa- rono il castello di essa , e parte uccidendo ,
parte esi* liando quelli che si opponevano , ribellarono di nuovo Fidene ai
Romani. Venutivi degli ambasciadori da Ro- ma, erano per malmenarli come
nemici: ma contenutine da’ seniori , gii esclusero dalla città senza udir nè
ri- spondere. Il Senato quando seppe tali cose' non voleva ancor far guerra co’
Latini , perchè aveva udito che non a tutti piaceano le risoluzioni del
congresso , che i po- ti) An. di Roma 354 secondo Catone, aS 6 secondo Varrone,
a 498 STtnli Cristo. Digitized by Google LIBRO V. 1 69 poli ia ogni città vi si
ricusavano , e perchè certo di- ceansi più quelli che voleano mantenere 1’ alleanza
, che gli altri i quali sciogliere la voleano. Pertanto decretò che Manio un
de’ consoli marciasse con armata poderosa contro Fidene: e questi, depredatane
impunissimamente la campagna senza che niuno gli si opponesse , ne andò coir
esercito fin sotto le mura , e provvide che non più vettovaglie vi s’
introducessero , nè armi , nè soccorso niuno. Ridottisi i Fidenati a guardare
le mura , spedi- rono alle città de’ Latini per implorarne solleciti ajuti.
Convocarono i capi di quelle un congresso comune di tutte : e datavi di bel
nuovo facoltà di parlare ai Tar- quinj come agli altri che venivano dagli
assediati, invi- tarono i consiglieri , cominciando da’ seniori e più co-
spicui , a djcbiarare il lor voto , e come aveasi a far guerra ai Romani. Dicendovisi
molte cose , e prima su la guerra se dovesse ratificarsi , i più torbidi fra i
con- siglieri insistevano perchè si riconducesse Tarquìnio al trono , e sì
volasse in soccorso di Fidene. Essi miravano con questo ad ottenere cariche di
comando militare , e mescersi ai grandi affari ; e quelli vi miravano soprat-
tutto , i quali cercavano in patria preminenza , e tiran- nide , lusingati che
avrebbero ad essi ciò procacciato i Tarquinj se ricuperavano il regno. Ma i più
agiati e miti ( ed eran questi i più accreditati nel popolo ) chie- deano che
si stesse ai patti , non si corresse ciecamente alle armi. Respinti quei che
brigavansi per la guerra dai consiglieri di pace , persuasero all’ adunanza che
mandasse almeno oratori a Roma perchè la pregassero, ed esortassero a ricevere
i Tarquinj e gli altri fuoruscili Digilized by Google l'jo DELLE Antichità’
romane senza pena e senza memoria d’ Ingiurie : giurasse que» ' sto , e si
governasse poi di suo modo. Ritirasse però r armata da Fidene ; non potendo essi
guardare con Indifferenza che i parenti ed amici loro si spogliassero della
patria.' Ma se ricusasse far 1’ una e l’altra di que- ste cose , le s’
intimasse , che deciderebbonsi per la guerra. Non ignoravano costoro che Roma
non pieghe* rebbesi nè all’ una nè all’ altra dimanda : ma cercavano pretesti
decorosi onde romperla , sperando Intanto di rendersi col tempo e colla buona
grazia benevoli i loro contrarj. Concluso questo , fissarono un anno , ai Ro-
mani per deliberarsi , come a sè per apparecchiarsi : e nominati gli
ambasciadori come parve ai Tarquinj; sciol* sero r adunanza. LUI. Separatisi i
Latini , ognuno per la sua patria , Mamilio e Tarquinlo vedendo che i popoli
propende- vano alla pacej deposero le speranze che aveano su loro come istabili
in tutto. E cangialo consiglio si rivolsero a mettere in Roma stessa una guerra
interna , nè pre- veduta , svegliandovi sedizione tra’ ricchi e tra’ poveri.
Imperocché già disunita vi si era , nè più riguardava al ben pubblico una gran
parte del popolo, quella princi- palmente dei bisognosi e degli oppressi dai
debiti; e ciò appunto per 'gli usura) che non usavano moderazione ne’ crediti ,
ma fin carceravano e malmenavano i debi- tori come schiavi comperati. Su tale
notizia spedì Tar- quinio a Roma Insieme co’ messaggeri latini persone non
sospette con oro. Intramettendosi questi co’ poveri e coi baldanzosi , e parte
dando , e parte promettendo se ivi il re sen tornasse; aveano subornato
moltissimi. Àdun- Digitized by Google LIBRO V. l 'y I que fecesi contro i3e’
potenti una congtnra de’ poveri ingenui , e de’ servi màlvagi , i quali
stimolati dal desi- derio di esser liberi , e disamoratisi de’ padroni perchè
aveano punito nell’ anno antecedente i loro conservi , gl’ insidiavano. Ed
essendo malcreduti e sospetti , come se venutone il tempo essi pure gli
assalirebbero ; con piacere si diedero a chi gl’ invitava. Il disegno poi della
congiura era tale. Doveano i capi di essa occupare in una notte senza luna i
luoghi eminenti e forti della città ; gli altri poi come intenderebbero dai
gridi che gitteriano , aver loro già preso que’ siti opportuni , do- veano
uccidere tra ’l sonno i proprj padroni , saccheg- giare le case doviziose, e
spalancare ai tiranni le porte. LIV. Ma la providenaa celeste la quale in ogni
tempo ha salvato , e salva tuttavia Roma y fe’ traspirare i di- segni al
consolo Sulpizio. À lui ne diedero indizio due già propensi a Tarquinio, anzi
principalissimi nella con> giura , Publio e Marco fratelli , della città di
Laurento necessitati da impulso divino. Imperocché si presenta- rono loro tra’l
sonno visioni spaventevoli, minacciandolt
di pena gravissima , se non si chetavano
e toglievansi dall’ impresa. E già parca loro che i rei genj gl’ incal-
sassero, li battessero, e sterpassero loro gli occhi, col- mandoli di altri
mali terribili. Dond’ è che spaventati e tremanti destaronsi , nè più poterono
pel turbamento aver calma nel sonno. E su le prime per togliei'si ai genj rei
che li conculcavano , tentarono i sagrifizj di propiziazione co’ quali si
allontanano i mali. Non traen> done però niun frutto , si rivolsero alla
divinazione : e celando lì disegni, perchè non eran da dirsi, cercarono 172
DELLE Antichità’ romane solamente d’intendere se tempo fosse da compiere cioc'
chè volevano. Ma rispondendo l’oracolo eh’ essi teneano via di delitto e di
perdizione , e che se non mntavan proposito, ne perirebbero infamissimamente;
investiti dal timore che altri non li prevenisse nel portare in luce l’arcano,
lo indicarono essi medesimi al consolo che in città si trovava. Costui lodatili
, con promessa grande ancora di beneficarli se il dir loro a’ fatti
corrispondesse; li ritenne ambedue presso di sè y tacendone con chiun- que.
Allora introdotti in Senato i deputali latini , tenuti a bada fino a quel
giorno per la risposta, disse di con- certo co' padri : amici , compagni ,
andate , riferite al comun dei Latini che il popolo di Roma non condi- scese
prima il ritorno al tiranno su le istanze dei Tdrguiniesi , nè punto appresso
vi si commosse irt forza di tutti i Tirreni che ciò domandavano, e gui- dati da
Porsena ci portavano la pià orribile delle guerre; ma che seppe vedere i suoi
campi manomessi, ed arsivi li casolari , e perfino ridursi a difendere le sole
sue mura per esser libero , e non comandato a fare ciò che non vuole. Dite ,
che meravigliati ci sia^ mo che sapendo voi ciò , siale venuti a comandarci che
ricevessimo il tiranno, e ci levassimo dall assedio di Fidene , con intimarci
la guerra se ricusassimo. Cessino di opporci ornai più tali pretesti, fiacchi,
im- persuasibili, di nimicitia. Nondimeno se vogliono per questo scindersi
dalla nostra alleanza e far guerra , più non s’ indugino. LV. Data tale
risposta agli ambasciadori , ed accom- pagnatili per significazione di onore
fuori della città , Digitized by Googl LIBRO V. 173 poi disse in Senato delia
occulta cospirazione ciocché aveane appreso dai delatori : ed avutane autorità
piena d’ investigare L complici , e trovarli , e punirli , non tenne già mezzi
orgogliosi e tirannici , come un altro ridotto a tale necessità gli avrebbe
tenuti, ma si rivolse a mezzi ragionati , salutevoli , e convenienti al governo
d' allora. Imperocché non deliberò che i satelliti snoi svellessero per le case
i cittadini dall’ amplesso delle mogli , de’ figli , e de’ padri , e li
traessero a morte ; considerando quanta pietà ne sarebbe tra gli attinenti nel
distacco de’ cari lor pegni , e temendo che alcuni , disperatisi , corressero
alle arme , e si necessitassero ai male a costo di sangue civile. Non deliberò
che si eri- gessero de’uribunali contro di essi; riflettendo come tutti
negherebbero , e come non avrebbero i giudici argo- menti incontrastabili e
saldi , ma semplici denunzie , e colle quali , se credeansi , dovrebbero
sentwaziare la morte de’ cittadini. Ma per sorprendere i novatori ideò tal
metodo , per cui li capi si adunassero prima spon- taneamente in un luogo , e
quindi arrestati vi fossero per argomenti indubitabili , che non lasciavano
mezzo a discolpe : ideò che fosse questo luogo di unione non una solitudine , o
ritiro , dove pochi osservassero , e convincessero; ma il Foro, talché scoperti
alla presenza di tutti ne fossero in proporzione puniti , nè sorgesse in città
turbamento nè sollevazione degli altri , come suole ne’ castigi de’ congiurati
, massimamente in tempi pericolosi. LVI. Forse un altro, quasi poco sia bisogno
di pre- cisione in tai cose, penserà che basti dir sommarianieute Digilized by
Google 174 delle Antichità’ homane che arrestò tutti i complici de’ maneggi
secreti , e gli uccise; ma io riputando degna che ricordisi la maniera onde
furono presi, ho risoluto non tralasciarla; percioc- ché giudico che non basti
all’ utile di chi legge le storie conoscere il termine solo de' fatti, (piando
brama piut- tosto ognuno che gli si espongane le cagioni , le guise delle
operaxioni , i pensieri di chi praticavate, e come i Numi li favorissero ; nè
gli si taciano le conseguenze che per natura vi si congiungono. Molto più ch’io
vedo essere tali cognizioni necessarie agli uomini di Stato , perchè abbiano
d^lì esempj co’ (piali dirigersi ne’ varj casi. Or questa fu la maniera ideata
dal console per l’arresto de’ congiurati. Chiamati i più validi de’ senatori
ordinò che al segno convenuto occupassero in città con seguito di amici e di
parenti i luoghi forti ne’ (piali per avventura abitavano : istruì poi li
cavalieri a tenersi ar- mati nelL' case più acconcie intorno del Foro, e com-
piere ciocché sarebbe lor comandato. E perchè nella presa de’ cittadini i loro
fautori non si elevassero , nè ci avessero interne stragi nel tumulto, scrisse
al console che assediava Fideoe , perché al far della notte mar- ciasse col
fior dell’ esercito alla volta di Roma , e lo accampasse nelle alture intorno
de’ muri. LVII. Ciò preparato; impose ai delatori che venissero circa la mezza
notte nei Foro ai capi de’ congiurati con i compagni loro più fidi come a
ricevervi 1’ ordine , il posto, ed il segno, in somma come per udirvi ciascuno
ciocché avrebbe egli a fare. Or ciò appunto si fece. E poiché tutti questi si
furono accolli nel Foro; imman- tinente al darsene di un segno arcano per essi,
i luoghi Digitized by Googl LIBRO V. 175 foni farooo pieni di uomini , armatisi
per la patria ; e r intorno del F oro fu guardato da’ cavalieri , sen.ia che
via vi lasciassero per chi volea ritirarsene. Intanto Manio r altro console si
presentò coll’ armata in campo Marzo. Nato appena il giorno i consoli , cinti
da uomini di arme , recaronsi ai tribunali , e fecero che i banditori ~
invitassero pe’ quadrivi il popolo a parlamento. Concorsa la moltitudine , le
rivelano il maneggio sul ritorno del tiranno, e le presentano i delatori. Quindi
concedendo che si difendesse chiunque volea per ambigua 1’ accusa, nè
volgendosi pur uno a respingerla ; passarono dal Foro in Senato per chiedervene
la sentenza dai padri: e presa e scrittavela ; tornati al popolo gliela
pubblica- rono, e tale ne era il tenore. Si desse ai due denun- ziatori la
cittadinanza , e dieci mila dramme di ar- gento a testa, e venti jugeri de’
terreni del pubblico ^ e se così ne paresse al popolo si prendessero i com-
plici della congiura , e si uccidessero. E ratificando il popolo quel decreto,
ordinarono che uscissero dal Foro quanti vi erano per 1’ adunanza : e chiamati
i littori colle arme , intimarono che dessero morte a tutti li congiurati : e
quelli , circondandoli ; appunto ov’ eran già chiusi , trucidarono li
colpevoli. Uccisi questi , non che ammettere le incolpazioni su degli altri
partecipi , ne assolvettero qualunque era salvo ancora dal suppli- zio ; e ciò
per togliere ogni turbolenza da Roma. Cosi finirono quei che aveano macchinata
la congiura. Ap- presso il Senato ordinò che tutti si purificassero per essere
stati ridotti a sentenziare la morte de’ conci ttadini : nè concedersi loro
d’intervenire alle sante cose ed ai Digitized by Googlc 1^6 DELLE Antichità’
romane sagrifizj , prima di esserne rendati mondi e tersi colle espiazioni
consuete. E poiché da quei che dirigono le cose divine , a norma delle leggi
della patria fu com- piuto quanto ricercavasi per sanliGcarli , decretò che ia
rendimento di grazie si facessero sagriGcj e giuochi agonali per tre giorni. In
questi giuochi sacri e deno- minati di Roma Mauio Tullio 1’ uno de’ consoli
caduto tra la pompa dal carro sacro nei circo , ne mori da indi a tre giorni :
e perchè poco rimaneva dell’ an- no , Sulpizio tenne in questo tempo il
consolato senza collega. LVIII. Furono designati consoli per l’anno seguente
Publio Veturio , e Publio Ebuzio Elva (i). E di questi Ebuzio fu incaricato
delle cose politiche le quali sem- bravano abbisognare di cure non tenui,
perchè i poveri non facesservi mutamento. Veturio poi menando seco metà dell!
esercito , devastò le campagne de’ Fidenati senza che ninno gli ostasse : e
postosi all’ assedio della città, davate assalti continui. Ma non potendola
espu- gnare con questi , la cinse di vallo intorno e di fosse per sottometterla
colla fame. E già ne eran gli abitanti nelle angustie , quando venne un
soccorso di Latini spedito da Sesto Tarquinio, e grano, ed arme, ed altre cose
utili per ia guerra. Cosi ringagliarditi osarono uscire dalla città con forze
non piccole , e mettersi in campo aperto. Allora non più giovò pe’ Romani la
cir« convallazione ; ma parve che vi bisognasse una battaglia. Diedesi questa
vicino alla città ; pendendone qualche (i) Ad. di Roma aS5 secondo Catone , 357
secondo Varrone , s 4 o 7 av. Cristo. Digitized by Google LIBRO V. l'jj tempo
dopo l’ esito incerto. Infine , quantunque più co- piosi di numero ,
sopraiTatti i Fidenati dalla fermezza Romana ne’ travagli , acquistata col
molto esercizio, fu> rono ridotti alla foga. Non fu la strage loro copiosa ,
per essersi tra non molt^ ritornati in città mentre gli altri respingevano
dalle mura chi gl’ incalzava. Dissipa- tesi dopo ciò le truppe ausiliarie sen
partirono senza avere punto giovato gli assediati ; e la città ricadde ne’ mali
e nella penuria di prima. Intanto Sesto Tar- quinio marciò con un armata Latina
sopra di Segni do- minata da’ Romani come per occuparla a prira’ impeto^ Ma
resistendogli da entro generosissimamente , tentò di stringerli ad abbandonarla
almeno per la fame. Se non che spesovi gran tempo senza opera niuna degna di
ri- cordanza , e giunte vettovaglie e rinforzi dal canto ? dei consoli ; ne
perde la speranza ; e ritirandone 1’ armata , ne sciolse l' assedio. > •
LIX. Nell’ anno seguente i Romani elessero consoli Tito Largio Flavo e Quinto
delio Sicolo. delio , dolce per indole e popolare , fu messo dal Senato con
metà dell’ armata su le cose politiche per vegliare contro dei novatori: Largio
ordinate milizie e stromenti da impren- der gli assedj , parti per la guerra
co’ Fidenati (i); E spossatili colla diuturnità dell’ assedio , e col disagio
di ogni cosa , desolavali ognora più , minando i muri , ei^ gendo terrapieni ,
avvicinando macchine, nè lasciando di e notte di stringerli , tanto che sen
prometteva in breve il t. I i (i) All. >li Roma lS6 secondo Catone, aSR
eecondo Varroue , • /Jg6 avanti Cristo. ■' \ DIOJflCT, tomó,ll. Il ' Digitized
by Google 178 PELLE antichità’ BOMANE di espugnarli. Né le città Latine, su le
quali contando ì Fidenati trovavansi in guerra , potevano ornai più sal- varli.
Imperocché niuna città bastava sola da sé per li- berarli dall' assedio: nè le
forze comuni di tutte si erano riunite ancora : ma li capi del|e città Latine
a’ frequenti messaggi de’ Fidenati rispondeano sempre di un modo , cioè che
presto giungerebbe loro il soccorso: non però mai nino fatto moveasi pronto su
le promesse , né le speranze scintillavano più in là delie parole. Nondimeno i
Fidenati non diffidavano in tutto de’ Latini: ma per- sistevano su la
espettazione di essi affronte di tutti i mali , sopialtutto della fame , la
quale facea senza com- battere strazio grande degli uomini. Spedirono , è vero,
alfine come stanchi da’ mali a chiedere al console tregua di un numero certo di
giorni per deliberare intanto su la pace co’ Romani , e sui modi onde riordinarla.
In realtà però ciò non cbiedeano per deliberare , ma per fornirsi di compagni
di arme, come alcuni diser- tati di fresco da essi indicarono , giaoché nella
notte innanzi aveano spedito i cittadini loro più cospicui , e più validi tra’
Latini , perchè iu forma di oratori sup- pbcassero quel popolo. LX. Largio ,
ciò saputo , ingiunse agli ora tori che deponessero le armi e spalancassero le
porte, e poi fa- vellasser di tregua : iu altro modo non pace , non armi-
stizio , non moderazione , non umanità presumessero dai Romani. Frattanto
provvide che gli ambasciadori deputati ai Latini . non rientrassero in città ;
preoccupando con guardie rigorosissime le vie che vi conducevario. Tal che
diffidatisi gli assediati di un ajuto qualunque degli Digitized by Coogle LIBRO
V. l’jf) alleali si videro astretti a pregar veramente l’iaimico. B riunitisi ,
conohiusero di soiTrire la pace , comunque il vincitore la desse. Altronde il
console ( tanto i costumi de’ capitani di que’ tempi respiravano 1’ amor della
pa> tria , e tanto erano lontani dalle maniere tiranniche che pochi san
fuggire de’ capitani presenti , invaniti dal C 0 i mando I ) il console sebbene
prendesse la città niente vi permutò di voler suo : ma fattala deporre le armi
, e presidiatala , conducendosi a Roma e convocando il 3^ nato , lasciò che
esso ne deliberasse. Lieti i Padri del rispetto del valentuomo verso loro
dichiararono che i più nobili dj Fidene secondo che il console li giudi» -
casse capi della ribellione , si battessero colle verghe , e ei decapitassero :
su gli altri poi disponesse egli stesso come glien parrebbe. Largio divenuto 1’
arbitro di tutti sparse in vista del pubblico il sangue, e confiscò li beni di
alcuni pochi accusati dal partito contrarlo; ma con- cedè che gli altri ritenessero
la patria e le robe loro , e solamente ne dimezzò le campagne , poi dispensate
a sorte tra’ Romani lasciati in guardia della fortezza. Alfine dopo ciò
ricondusse in casa 1’ esercito. LXI. Risaputasi fra’ Latini la espugnazione di
Fidene, ogni città ne fu sospesa e tremante , e mal soddisfatta de' capi suoi ;
come tradito avessero li confederati. C fattosi consiglio in Ferentino, quei
che persuadevano la guerra , assai vi accusarono gli altri che la dissuadevano.
Erano de’ primi Tarqulnìo , e Mamilio il genero di lui e li capi tra gli
Aricini. Rapiti dal dir loro, quanti erano i Latini, vollero generalmente la
guerra contro de' Ro- mani , e diedero scambievole giuramento , che tiiuua l8o
DELLE ANTICHITÀ^ ROMAIfE città tradirebbe il comune , nè farebbe pace sema il
consenso delie altre decretando : che qualunque non os-> servasse i patti
decadesse dalla lega alla esecrazione e nimicizia di tutti. Sottoscrissero e
giurarono questi patti i deputati degli Àrdeati , degli Aricini , dei Boiaiani
, dei Bubentani , dei Coresi , dei Corventani , dei Gabj , dei Lavrentini , de'
Laviniesi , dei Labiniani , de' Labi- cani , de' Nomentani , de' Moreani , de'
Prenestini , de' Pedani , dei Querquetulani , de' Satricesi , de' Scap- tini ,
de’ Sezzesi , de' Teliini, de' Tiburtini , de'. Tu- scolani , de' Tolerini ,
de' Trienni , de' Veliterni (i). Doveansi scegliere tra gl’ idonei alle armi ,
tanti in ogni città quanti ne parrebbono ad Ottavio Mamilio e Sesto ^ Tarquinio
, i quali erano generalissimi nominati. E per giustifìcare ancor più li titoli
della guerra spedirono a Roma da ogni città li personaggi più insigni come ora-
tori. Venuti questi in Senato dissero : che quei della Riccia si richiamavan di
Roma , perchè ■ qucuido i Tir- reni mossero contro loro la guerra , essa non
solo die a’ primi libero il passo per le sue terre , ma li coadjuvò su quanto
era d' uopo , ricoverandoli mentre poi ne fuggivano e salvandoli tutti , inermi
e feriti : eppure non ignorava che quelli portavano guerra al corpo tutto della
nazione : e che se avessero domalo (i) Dioaigi nel namerare questi popoli
siegue l’ordine dell’ alfa- beto latino e non del greco : del resto numera
popoli quando nn tal Bruto nel lib. VI. di quest' opera § 74 dice ebe furono
trenta i popoli latini concorsi a tal guerra. Dovrebbero dunque additarsene
altri sei. Nel codice Vaticano si numerano ancora i Tolerini che noi abbiamo
ugualmente allegali nel testo. La nomenclatura per quanto aia stata emendala
non par libera ancora da ogni storpiatura. Digitized by Google LIBRO V. ' i8r
la Riccia; niente pià gli avrebbe impediti , sicché non soggiogassero le altre
città. Pertanto annunziavano che se Roma voleva darne conto a quei della Riccia
nel tribunale comune de’ Latini , e rimettervisi al giu- dizio di tutti, non
avrebbon essi cagioni di guerra. Ma se tenendosi all alterigia sua consueta
ricusava affatto condiscendere sul giusto e su V onesto inverso de’ confederati
; minacciavano che i Latini tutti la moverebbero con tutte le forze la guerra.
LXn. A tale invito il Senato alieno di fare cogli Ari* cini una causa dov’ essi
giudicherebbero , e dove preve- deva che i nemici non sentenzierebbero di
questo sola* mente , ma vi aggiungerebbero ordinazioni ancora più gravi ,
decise che accettava la guerra. Argomentava dal valore e dalla sperienza de’
suoi tra le arme che Roma non incorrerebbe in danno ninno: apprendendo però la
moltitudine de’ nemici , sollecitò più volte con ambascia* tori le città vicine
per confederarsele ; se non che spe* divano i Latini ancora nelle stesse città
legazioni che accusassero a lungo Roma , e la contrariassero. Gli Err nici
adunati a consiglio di stato diedero all’ una e al- r altra ambasceria risposte
sospette nè salutevoli , dicendo che per ora non si vincolavano con alcuno; ma
voleano posatamente discutere qual de’ popoli seguisse causa più giusta , e
prendeansi per discuterne un anno. I Rutoli in contrario promisero senza arcano
mandare soccorsi ai Latini : ma dissero che se Roma volea deporre le ini-
micizie , essi mansuefar ebbono i Latini , e ne concilie- rebbono gli accordi.
Risposero i Volaci che si stupivano della impudenza de’ Romani ; perciocché
sapendo essi Digilized by Goo« DELLE antichità’ ROMANK quante volle gli
avessero offzzl conTenlftnti a «pcgnere ^elfa tnrblo ratiBcò; dando t principj
certi di una tirannide a norma : LXXI.
Quindi i capi del Senato si fecero a conside- rare lungamente e providamente il
personaggio che avreb- be a comandare. Paiea loro che vi fosse necessità di un
nomo espedito negli affari , più che perito nell’ arme, e savio , e temperato ,
sicché poi non > delirasse per l’am- piezza del comando; insorama di uno il
quale oltre le belle doti , quante ai buoni comandanti si convengono , sapesse
presieder con fortezza, nè cedere mollemente alle istanze. Di un uomo tale
appunto abbisognavasi allora. .Videro concorrere doti siffatte quante seu
chiedeano in Tito Largio, uno de’ consoli ; laddove delio il colle- ga, uomo
altronde buonissimo, non era nè attivo, nè bellicoso , nè imponente , nè temuto
, ma edite troppo in punire chi non ubbidiva. Nondimeno il Senato pren- dea
.verecondia di levare a que^o un’autorità che aveva secondo le leggi, e di
concentrare .nell’ altro il potere di ambedue , anzi un poter più che. regio.
.Teniea per qualche maniera che delio riflettendovi, non si gravasse della
rimozione sua , come disonorato dai Padri ; e cam- Digilized by Google LIBRO V.
’ ' 193 hiale le maniere del vivere , si ponesse alla testa del popolo , c
turbasse dal fondo la repubblica. Esitando tutti , e gran tempo , per la verecondia
di proporre ciocché ideavano, un seniore, venerabilissimo tra gli uo- mini
consolari , diede un tal suo parere , per cui fu salvo l'onore di ambedue li
consoli, scegliendo essi ap- punto il personaggio più acconcio al comando.
Diceva : Poiché il Senato ha risoluto , ed il popolo ha ratifi- cato che il
poter del comando si affidi ad un solo , restano ai Padri due cure non picciole
: chi debba sottentrare ad una autorità pari alia monarchia , e chi possa
legittimamente nomiruuvelo. Or egli suggeriva che l’uno de’ consoli sia per
cessione, sia per sorte', eleggesse il romano più idoneo , a far 1’ utile e il
bene della patria: giacché trovandosi allora in città magistrati sacrosanti ,
non vi abbisognavano gl’ interré come nella monarchia , per eleggere di accordo
chi succedesse al comando. ' i LXXII. Applaudivano tutti al partito , quando
leva- tosi un altro disse : Ali sembra o Padri che debbasi alia sentenza
aggiungere: che reggendo di presente la repubblica, due valentuomini, de’ quali
non trovereste i migliori , V uno 'debba dare la nomina , e l’ altro riceverla
, talché scelgati essi fra loro il più idoneo ; e C uno e i altro se ne abbia
onore e soddisfazione uguale, quello perchè sceglie nel collega il più degno, c
questa perchè scelto sen trova : dolcissime e bonis- sime cose ambedue. Ben
vedo che sebbene io non avessi ciò aggiunto ; pure avrebbono i consoli così
DWaiGI , toma II. il Digitized by Google IQ4 DELLE Antichità’ romane praticalo
; egli è meglio^ nondimeno che il facciano eziandio col vostro volere. Parve a
tutti ciò detto a proposito , e niuno più notandovi altra cosa , ne decre-
tarono. I consoli ricevuto il potere di eleggere fra loro il più idoneo al
comando , fecero una mirabilissima cosa , e ben varia dalle affezioni dell’
uomo. A vicenda
r uno dicea 1’ altro , e non sè , degno
del comando : così passarono tutto quel giorno , encomiando l’ un l’altro, e
insistendo ciascuno per non comandare: tanto che gli astanti in Senato ne
furono in grandi perples- sità. Sciolto il Senato , i parenti più prossimi di
cia- scuno , e li Padri più venerabili recatisi a Largio assai lo stimolarono
£no a notte avanzata , dichlaraùdogli come il Senato poneva in esso ogni
speranza , e di- cendo che le sue ritrosie volgevansi in pubblico danno: egli
tuttavia ricusava , ora supplicando , ed ora contra- dicendo. Adunatosi nel
prossimo giorno il Senato , mentre colui ripugnava, nè levavasi ancora dal suo
pa- rere su le istanze comuni , Clelio sorge , e lo nomina , come gl’interré
solevano nominare, e lascia il consolato. LXXIII. Fu questi il primo che, solo,
fu reso àr- bitro in Roma della guerra , della pace , d’ ogni affare, col nome
di Dittatore (i) sia per la podestà di ordi- nare e dettare leggi su’ diritti e
sul bene degli altri , come glien pareva e piaceva , chiamandosi da’ Romani
Editti gli ordini e prescrizioni sul giusto e su l’ ingiu- sto : sia per essere
allora un tal. uomo detto e dichia- rato da un solo e non dal popolo secondo i
riti della (i) Ad. di Roma aS6 socondo Catone, a58 secondo Varrone , • ar.
Cristo. . Digitized by Google LIBRO V. 195 patria , perché comandasse.
Guardaronsi dal dare al magistrato di una città libera un nome esecrabile e
grave per rispetto di quelli che ubbidivano , sicché in odio del titolo non si
conturbassero , e per rispetto di chi prendeva il comando , sicché nè fosse
costui offeso dagli altri senza saperlo, uè gli offendesse egli co’ modi
consueti nel grande potere. E certo il nome di dittatore non bene l’ ampiezza
ne significa del potere ; non es- sendo la dittatura che un Dispotismo
elettivo. Sembra che i Romani ne traessero pur da’ Greci la istituzione.
Imperocché gli Esimneti che chiamavansi antichissima- mente tra loro erano,
come dichiara Teofrasto nel libro intorno del regno , despoti elettivi. Li
creavano le città non per tempO' indefinito o perpetuo , ma nella circo- stanza
, e fin quando sembrava che giovassero loro , come li Mitilenei già scelsero
Pittaco contro gli esuli , compagni di Alceo poeta. LXXIV. Tennero questo
metodo I primi che aveano appreso per esperienza ciò che giovava. Imperocché
nelle origini era ogni greca città sovraneggiata , non però dispoticamente come
tra’ barbari , ma secondo le leggi e le patrie consuetudini : ed un re si avea
tanto più per potente quanto era più giusto , e più fido alle leggi , e men
schivo de’ patrii costumi : ciocché s’ in- tende per Omero il quaì nomina i
sovrani, vindici del diritto , e de/f onesto (i). Tennesi lungo tempo la si-
gnoria dei re come quella de’ Lacedemoni sotto fisse (i) Mèi testo: intarrtXnt
, e SiftttTttrtXuf. cioè che si rer- uuio sul giusto e su C onesto . Digilized
by Google ig6 DELLE Antichità’ romané costituzioni. Ma cominciando poi taluni
di questi a tra- scendere gli usati poteri , poco concedendo alle leggi e molto
ai genj loro ; ne furono i popoli in tutto disgu- stati , e rovesciarono 1’
autorità de’ monarchi , e le loro maniere : e stabilendo leggi e creando
magistrati , as- sunsero questi come custodi delle città. Ma perciocché non
bastavano nè a proteggere il giusto le leggi poste da essi , nè a coadjuvare le
leggi li magistrati o li co- missarj che avean cura di queste ; e percioccliè
il tempo col volger suo mena tanta varietade ; furono astretti a fare
stabilimenti non ottimi si , ma certo i più consen- tanei alle vicende che li
sorprendevano o di sciagure abborrite , o di smoderate prosperità. Per le '
quali con- fondendosi ' lo stato della città, e bisognandovi un pronto riparo
ed un arbitro immediato , furono necessitati a rialzare l’autorità dei monarchi
e dei re, velandone coi nomi la esistenza. Cosi li Tessali denominarono Tettar'
~ chi questi arbitri, e gli Spartani li chiamarono Armosti per timore d’
intitolarli tiranni o monarchi : aggiungi . che teneano per cosa scellerata
rinovare poteri abattuti tra giuramenti ed esecrazioni su 1’ oracolo de’ numi.
Quindi , come ho detto , a me sembra che i Romani
prendessero da' Greci l’esempio: Licinio
però crede che i Romani ideassero un dittatore a norma degli Albani ; scrivendo
cbe questi, venuta meno la regia discendenza dopo la morte di Numitore e di
Amulio , eleggessero annui presidenti col potere appunto dei re, ma con ti-
tolo di dittatori. Io non ho voluto esaminare onde Ro- ma derivasse il nome, ma
sibbene onde pigliasse la idea dell’ autorità che in tal nome si ' addita. Se
uon che Digilized by Googl LIBRO V. I97 forsb non è pregio dell' opera che scrivasi
di ciò più luDgameate. LXXy. Ora dirò brevemente ciocché Largio il primo
dittatore facesse , e con quale apparato decorasse la sua dignità ;
persuadendomi che siano più utili ai lettori le materie appunto che porgono in
copia esempj splendidi ed opportuni pe’ legislatori, e capi de’ popoli, in
somma per quanti vogliono governare e maneggiare il pubblico» Imperciocché non
io prendo a descrivere le istituzioni > e li modi di una città vite e
negletta , né li consigli e le pratiche di uomini ignobili e di niuna
espettazione, sicché lo studio mio su tenui e volgari cose paja ad altri
frivolezza e molestia : ma di una città legislatrice di tutti, e di capitani
che la sollevarono a tanto potere; cose tutte che se un amante della sapienza
giunga a non ignorare ; ne sarà per politico ravvisato. Investito Largio appena
del suo potere dichiarò maestro de’ ca- valieri Spurio Cassio , già console
nella olimpiade 70.* Osservavasi tal costume da’ Romani fino a’ miei giorni , e
ninno mai , scelto per dittatore , ne tenne la dignità senza maestro de’
cavalieri. Quindi a rilevare la potenza di una tal dignità, per imporre
piuttosto che per osar- ne , ordinò che i littori marciassero per la città con
fasci e scuri secondo il costume ivi proprio de’ re , tra- lasciato poscia da’
consoli , e primieramente da Valerio Poplicola per diminuire la odiosità del
comando. Spa- ventati con questo ed* altri segni di regia dominazione i
turbolenti eà i novatori , comandò a lutti i Romani di adempiere la migliore
delle leggi .di Servio Tullio , sovrano popolarissimo , cioè di assegnare per
tribù li Digilized by Goog! 198 DELLE Antichità’ . ROMANE loro beni, li nomi
delle mogli e de’ figli , e la età loro e de’figli. Terminato in breve il
registro per la severità de’ castighi , perdendosi da’ contravventori i beni e
la cittadinanza ; si rinvennero cento cinquanta mila sette- cento e più Romani
adulti. Poi separando gli uomini di età militare dai provetti , e riducendoli
in centurie ; li divise tutti , fanti e cavalieri in quattro parti : e ri-
tenutane una , che era la migliore , per sé , fece che delio già suo collega
nel consolato se ne eleggesse un altra qualunque tra le rimanenti : che Spurio
Cassio il prefetto de’ cavalieri avesse la terza , e Spurio Largio il fratello
la quarta ; la quale fu comandata trattenersi e presidiare insieme co’ vecchi
la città. LXXVI. Egli poi , com’ ebbe pronto quanto biso- gnava per la guerra,
menò le milizie in campo aperto; appostando tre armate ne’luoghi appunto donde
sospet- tava che i Latini uscirebbono. E considerando esser proprio de’ savj
capitani fortificare le sue cose come debilitare quelle del nemico , e
terminare le guerre senza battaglie e stenti, o certo col minimo danno delle
milizie ; anzi considerando che sciauratissime e luttuo- sissime più che tutte
sono le guerre tra’ popoli amici e congiunti ; concludeva che si aveau queste a
finire con tratti di clemenza piuttosto, che di rigore. Adunque spedendo
occultamente persone non sospette ai più ri- guardevoli de’ Latini, li persuase
a rendere la pace alle loro città: e spedendo insieme apertamente ambasciadori
ad ogni città , come alla rappresentanfa generale di tutte; ottenne senza
difficoltà che non tutti avessero più l’antico ardore per la guerra;
alienandoli principalmente Digitized by Googl LIBRO V. 199 cogli ossequiosi
modi e co’ benedzj dai duci loro. In opposilo Mamilio e Sesto , che aveano da’
Latini rice« TUto il generai comando , riunite nel Tnscolo le forze , si
apparecchiavano come per piombare su Roma ; se non che spesero su ciò gran tempo
o che aspettassero le città le quali tardavano , o che non buoni apparis- sero
loro gli auguri santi. Intanto alcuni di loro spic- catisi dall' esercito
devastavano la campagna romana. Largio , risaputolo , spedi delio su loro col
fiore dei cavalieri e de’ soldati leggieri : e costui , presentatosi
inaspettatamente , gli assalì , e ne uccise , imprigionan- done la più gran
parte. Largio curatine li feriti, e gua- dagnatiseli con altre amorevolezze li
rinviò senza offesa o prezzo al Tuscolo ; mandando riguardevolissimi ro- mani
ton essi per ambasciadori. Or questi operarono che si sciogliesse l' armata
latina , e si facesse tra le città la tregua di un anno. LXXVII. Largio, ciò
fatto, ricondusse l’ armata dalla campagna: e designando i consoli depose prima
che ne spirasse il tempo la dittatura senz’ avere ucciso , o ban- dito , o
ridotto comunque a gravi mali un romano. Cominciato T invidiabile esempio da un
tal uomo si mantenne in quanti ottennero poi quella dignità fino alla terza
generazione prima della mia. Imperocché la storia fino a quest’ epoca non
presenta ninno il quale non esercitasse quella dignità moderatamente e qual
cit- tadino , quantunque Roma fosse astretta più volte a sospendere le
magistrature ordinarie, e concentrare tutto nelle mani di un solo. E non
sarebbe gran meraviglia se personaggi ottimi della patria pigliando la
dittatura Digilized by Google 200 OKLLE Antichità’ romane solamente nelle
guerre cogli esteri si fossero tenuti in- corrotti nella grandezza del potere:
ma pigliandola nelle sedizioni interne, grandi e molte, per togliere I sospetti
di regni e tirannidi rinascenti , o per altra sciagura , lutti , quanti la
ottennero , conservaron sestessi iqinia- colati , e simili al primo dei
dittatori. Tanto che tutti unanimemente conclusero che la dittatura era 1’
unico rimedio contro de’ mali intrattabili , e 1’ ultima speranza dii salute
quando sparse sono le altre speranze . dalla procella. Quattrocento anni però
dopo la dittatura di Tito Largioj a memoria de’ Padri nostri parve tal carica
biasimevole ed esecranda per Lucio Cornelio Siila che primo ne abusò ,
vendicativo e 6ero : talché li Romani allora sentirono a prova , ciocché aveano
prima igno- rato , che la signoria de' dittatori non era se,, notk liran* nide
: imperocché costui ordinò un* Senato di uomini comunque , infìacchi 1’
autorità del tribunato , devastò città intere , distrusse e creò regni , ed
altre cose fece e disfece dispoticamente, le quali lungo sarebbe a rac-
contare. Oltre i cittadini uccisi in battaglia , ne trucidò nemmeno di quaranta
mila , datisi a lui prigionieri , dopo averne prima tormentati alcuni. !Non è
questo il tempo di discutere se egli fe’ ciò necessitato o per utile del comune
: solamente ho voluto dimostrare che ne divenne abominato c spaventevole il
nome di dittatore: ciocché pur succede ad altre cose ammirale e disputate dagli
uomini, non che alle sole dominazioni: perciocché tulle le cose appariscono
belle e giovevoli se bene si .adoperino , come danncvoli c turpi se mal si
dirigano ; di (he ne è causa la natura che in lutti i beni ha Digitized by
Googl DELLE antichità’ BOMANE LIBBO V. 201 sparso i germi dei male ; se noa die
di tali cose di- remo altrove più propriamente. L’ anno prossimo a questo nella
olimpiade 'j i ^ nella quale vinse allo stadio Tisicrate Croloniatej- essendo
Ipparco F arconte di Ale* ne , presero il consolato Aulo Sempronio Atratino e
Marco Minucio. Digilized by Googic 202 DELLE ANTICHITÀ ROMANE D I DIONIGI
ALICARNASSEO LIBRO SESTO. I. Li anno prossimo a questo nella olimpiade 71.*
nella quale vinse allo stadio Tisicrate Crotoniate essendo Ipparco arconte di
Atene , presero il consolato Aulo Sempronio Atralino e Marco Minucio (i), ma
niente vi operarono degno di ricordanza , nè in città nè fra le armi :
perciocché la tregua co’ Latini dava loro placida calma cogli esteri , e la
legge decretata dal Senato di sospendere la esazione dei prestiti , finché la
guerra imminente avesse buon termine , avea sopito le som- fi) Àn. di Roma aS7
secondo Catone, 259 secondo Vairone, • 4 recchi per la guerra. Il complesso de’
Romani era vo-*
lentei'oso e propensissimo a combattere ;
ma il più dei Latini eravi disanimato e forzato : dominando per le città uomini
quasi tutti corrotti dai doni e dalle prò» messe di Tarquinio , e di Mamilio ,
rimossi dalle cure pubbliche quanti favorivano il popolo e ripudiàvan la
guerra. Cosi non più dandosi a chi la volea la facoltà (li discorrere , si
ridussero i più corucciati a lasciare in copia la patria , e fuggirsene in
Roma. Nè quelli che dominavano ve gl’ impedivano , ma teneansi obbligatis- simi
ai competitori , dell’ esilio spontaneo. Li riceveano i Romani e compartivano
tra le milizie interne, e me- scbiavano alle coorti urbane quanti ne venivano
con mogli e figli , ma spedivano gli altri a' castelli intorno e per le colonie
, sopravvegliando intanto che non fa- cessero' mutamenti. E consentendo tutti
che bisognavaci novamente un arbitro assoluto il qual potesse ordinare a suo
modo ogni cosa , fu nominato dittatore Aulo Poslumio il console più giovine da
Virginio il collega : e costui , come già 1’ altro dittatore scelse per suo
maestro de’ cavalieri Tito Ebuzio Elva , e registrati in poco tempo tutti i
Romani già puberi , ordinò la mi- lizia in quattro parti , reggendone egli 1’
una , dandone a reggere la seconda a Virginio il compagno nel con- solato , la
terza ad Ebuzio il maestro de’ cavalieri , c (i) An. di Roma aSS secoado
Catone, aCo secondo Varrone, • 4e essi agevole- rebbero ossea più le cose loro.
Se non che mentre de- liberavano ancora giunse coll’ armata sua da Roma Tito
iVirgiuio r altro console , marciato improvvisamente nella notte dinanzi : e
prese anch’ egli campo in altra altura assai forte. Di modo che i Latini
rimasero intracchiusi , nè più idonei ad un assalto , avendo a sinistra il con-
sole e a destra il dittatore. Adunque tanto più sen con- turbarono tra quelli i
capitani i quali non voleano se non partiti sicuri , e temerono che tardando si
ridu- cessero a consumare le loro provvigioni , le quali non erano molle.
Postumio notando quanta fosse la impe- rizia loro nel comandare spedi Tito
Ebuzio maestro dei cavalieri col nerbo de’ cavalli e de’ soldati leggeri ad
.occupare un monte rilevantissimo in su la via , per la quale recavansi i
viveri dalle loro terre ai Latini. Andò questa milizia espedita con la
cavalleria , e condotta di Digilized by Google LIBRO VI. 207 notte tra selve
non frequentate ; prese il monte prima che i nemici se ne avvedessero. V. I
capitani nenuci osservando invasi anche i posti forti che erano loro alle
spalle , nè più avendo spe- ranze buone sul trasporto indubitato de’ viveri da’
paesi loro , deliberarono respingere i Romani dal monte prima che vi si
assicurassero ancora cogli steccati. Adunque Sesto r un d’ essi presa la
cavalleria vi si lanciò con impeto ; quasi la cavalleria Romana non si tenesse
a ribatterlo : ma tenendosi questa bravissimamente contro gli assalitori ,
Sesto durò qualche tempo ora dando voi* ta , ora tornandole a fronte. Ma
perciocché quel luogo riusciva opportunissimo a chi ne avea le alture , e co-
stava assai travagli e ferite a chi vi si recava dabbasso ; e perciocché
giungeva ai Romani un soccorso di milizia legionaria mandata appresso da
Postumio ; egli ritirò , non potendo altro fare, la cavalleria negli
alloggiamenti. I Romani impadronitisi appieno del luogo , si misero a
fortificarlo pubblicamente. Dopo ciò parve a Sesto e Mamilio ndn essere più da
indugiare gran tempo , ma doversi decidere la sorte con una pronta battaglia :
e parve allora anche al dittatore di esporvisi, quantunque avesse ne’ principi
ideato di dar fine alla guerra senza combattere , sperando giungere a ciò ,
specialmente per la imperizia de’ capitani. Imperciocché da’ cavalieri cu-
stodi delle strade furono sorpresi de’ messaggeri che an- davano dai Yolsci a’
Latini con lettere di avviso che , indi a tre giorni al più , verrebbe milizia
copiosa di rinforzo da loro , come altra dagli Eroici. Or ciò ri- dusse i duci
Romani a venire , sebbene contro il pro- Digitized by Coogle ■n 208 DELLE
Antichità’ romane posilo , a pronta giornata. Datosi da ambe le parti il segno
della battaglia ; si avanzarono gli uni e gli altri al campo intermedio , e
cosi vi ordinarono le armate. Sesto Tarquinio ebbe a reggere 1’ ala sinistra
de’ Latini, ed Ottavio Mamilio la destra. Tito 1’ altro figliuolo di Tarquinio
comandava il centro óve erano i disertori e fuorusciti Romani. La cavalleria
divisa in tre parti fu dispensata alle ale ed al centro. In opposito Tito
Ebuzio ebbe 1’ ala sinistra de’ Romani contro di Ottavio Mami- lio , e Tito
Virginio il console si contrappose colla de* stra a Sesto Tarquinio; Empiva de’
genj suoi Postumio stesso il dittatore 1’ armata di mezzo , e moveala contro
Tito Tarquinio ^ e gli esuli da Roma j i quali eran con lui. Il complesso delle
milizie venute a combattere erano ventiquattro mila fanti e tre mila cavalieri
nella parte Romana , e quaranu niila fanti , e tre mila cavalieri nella Latina.
VI. Quando erano per andare a combattere i capitani Latini , aringando ognuno i
suoi , diedero mille ecci- tamenti di coraggio , e ricordarono lungamente cioc-
ché bisogna al soldato. Dall' altra parte il Romano ve- dendo cbe i suoi
temeano come quelli che cimentavansi con gente assai più numerosa , e volendoli
sollevare da quella paura , fe’ radunarli , e poi tra corona di sena- tori ,
onorabili per anni e per credito , cosi concionò : Gli Dei cogli aitgurj ,
colle viltime , con ogni segno divinatorio promettono alla nosti'a patria Li
libertà , ed una propizia vittoria; contraccambiandoci della pietà verso loro ,
e della giustizia esercitata da noi verso gli altri in tutta la vita : per lo
contrario , inì- Digitized by Google LIBRO VI. ' » 209 mici sono , come deano ,
de' nostri nemici , perchè tante volte e tanto da noi beneficali , essi parenti
, essi amici nostri ', essi legatisi a noi di giuramento per avere appunto gli
amici stessi ^ i nemici , ora spregiato ogni vincolo , ci movono una guerra
ingiusta non per decidere qual di noi si abbia la preminenza e il comando ,
ciocché sarebbe il meno de mali ; ma in favor dei timnni , e per fare la patria
nostra che è libera', schiava ai Tarquinj. Ora intendendo voi o centurioni e
soldati , che militano con voi gli Dei , quelli stessi che hanno sempre difesa
Roma , si con^ viene che rnagnanimi vi dimostriate in questa bat- taglia :
molto più che ben sapete che gli Dei fa- voriscono i bravi combaltitori ,
quelli che quanto è da loro fan tutto per vincere , e non quelli che fig- gono
i 'pericoli, md quelli che li sostengono per sal- vare' sè stessfi Inoltie a
voi sono apparecchiati dalla sorte altri mezzi non pochi per la vittoria , e
tre so- prattutto manifèstissimi. Vn. Il primo è la fedeltà scambievole ,
requisito principaliss'tmo in chi disegna vincere l’ inimico ; im- p^ciocchè
non' dee già cominciar • questo giorno a rendervi amici fidi e costanti; ma la
patria ha da tanto tempo preparato' a voi tutti un tal bene. V oi allevati in
urta terra, educati di una maniera sagri- ficate agl’ Iddj su di altari
medesimi : . e voi avete fin qui partecipato i tanti beni e sperimentato in-
sieme i tanti mali, i quali rinforzano, anzi rendono indissolubili, le amicizie
fra gli uomini , quante volte DIONJGt. tomo II. i . *4 Digitized by Google a I
o DELLE Antichità’ domane presentasi loro un cimento comune su gravissime cose.
In secondo luogo , se voi soggiacerete .ai nemici , già non sarà che alcuni di
voi restino immuni , altri su- biscano r estrema degl' infortunj ; ma tutti,
sì, tutti perderete la gloria vostra , f impero , ' la libertà j noit più
padroni delle mogli , non più de' figli , non più _ •' delle sostanze, non più
altro bene vostro qualunque. ^ E li vostri capi, li vostri pubblici magistrati
‘ miseran- damente moriranno tra flagelli e tormenti. Se già non offesi da voi
punto nè poco , fecero a voi tutti ogni maniera cT ingiurie ; e che mai potete
aspeltarvene ora se vincano , nella memoria che hanno de’ mali ; che gli avete
ridotti fuori della patria , che gli avete spogliati de’ beni , nè consentile
che tornino alle case , paterne ? L’ ultimo de’ mezzi indicàtir, nè minore de-
gli altri se rettamente sen giudichi,, è che noi troviamo le cose tra’ nemici
men prospere che non pensavamo. E certo vedete voi da voi stessi che tolto gli
Anziati, niuno è qui per soccorrerli nella guerra. Noi conce- pivamo che
verrebbero per essi tutti i Eolsci ; e Sa- bini ed Ernici in copia , e mille
altre vane paure ci i fingevamo. Erano questi tutti sogni de’ Latini , imma- I
ginati su promesse vane , su speranze senza base. Quindi altri nel meglio ne
abbandona la causa, spre- giando r euUorità de’ sì belli capitani:, altri li
terranno ^ anzi a bada che li soccorreranno , temporeggiandoli con lusinghe ; e
quelli che or si apparecchiano , come tardi per la battaglia , inutili
diverranno. ■ I Vili. Che se alcuni di voi pensano che giusto sia I ciocché io
dico , eppur temono . la quantità de' nemici, j Digitized by ' LIBRO VI. a I I
■ €onoscanò per una breve iilruzione, o piuttosto ricordo, che essi temono non
temibili cose. E prima conside\ tino che il pià di' loro è stato forzato alle
arme con- tro di ìtoi , come ce lo ha con tante opere e detti mànìfestato ; e
che gli spontanei , quelli che di lor pia- cere combattono pe’ tiranni sono ben
pochi , e piut- tosto una parte insensibile rimpetto di voi. Appresso
considerino che le guerre guidale a buon successo non la superiorità' nel
numero , ma nella fortezza. E lun- ghissima opera sarebbe ricordar quanti
eserciti di bar- bari, quanti di Greci, tuttoché preminenti di numero, siano
stati disfatti da piccioli corpi e quasi non cre- dibili a dir. Ma tralascio
gli esempj altrui : dite ^ quante guerre non avete voi ben guerreggiato con ar-
mata minore della presente, e contro apparecchi assai pià potenti di questi ?
Dite ; voi fin qui teiribili agli altri che avete combattuti e vinti, siete ora
voi dispre- geiSbli a questi Latini, ai Folsci loro alleati, perchè non vi han
essi mai sperimentato Jra le arme ? Sa- pete pure voi tutti quante volte i
nostri padri gli hanno in campo superati ambedue. E vi par verisimile che la
condizione da’ vinti sia dopo tante perdite migliore, e peggiore sia quella de'
vincitori dopo tanti bellis- simi fatti ? E chi ,' se abbia mente , chi mai
dirà questo ? Anzi ben io mi 'stupirei se alcuno di voi paventasse questa turba
ove si pochi sono li bravi, e spregiasse la milizia nostra si forte e si
numerosa ; che nè pai' numerosa nè pià forte mai ne abbiamo finora schierato in
battaglia. IX. Che pià : deve , o cittadini ì esservi impulso Digilized by
Google i\-> DELLE Antichità’ bomane grandissimo a non temere , nè ricusare i
pericoli t ej- sere come vedete qui pronti ai pericoli, e correre con voi la
sorte stessa delle arme i primarj de’ senatori , quelli che la età o la legge
gli esenta dalla milizia. Che^sl; che egli sarebbe vituperoso che -uomini nel
fior degli anni temessero i pericoli quando i provetti gli affrontano, Avran
cuore i vecchi di ricevere per la patria la morte se dare non là possono ai
nemici; e voi li sì . vegeti , voi che ben potete • f una e l’ altra
cosa , o salvarvi e vincere senza danno ,
o certo ma- gnanimamente operare , e soffrire , voi non vorrete nè cimentare la
sorte , nè la Jama .procacciarvi de’ va- lorosi F No , ciò di vói non è degno ,
o Homani , ai quali sopravvanzan tante mirabilissime gesta degli an- tenati ,
le quali niuno loderebbe mai quanto basta : e se voi vincerete questa guerra, i
vostri posteri an- cora si gioveranno di tante vostre gloriosissime im- prese.
Ma perchè nè sia senza frutto chi si delibera K alle grandi azioni ; nè si
trovi col danno chi ne teme i rischj oltra il debito , udite prima d
incorrerla, Indite qual sarà la sorte dell’ uno e delt altro. Chiun- que ìlei
combattere imprende belle e magnanime gesta ne sarà da chi ’l vede encomiato ;
ed io, quando di- spenserò li premj che .ciascuno' -dee raccoglierne. se- condo
il costume della patria j quando. darò insorte le, terre pubbliche , io costui
ne appagherv, sicché pià di nulla abbisogni. Al contrario chiunque nel cuor suo
vile, offensivo de’ numi , si deciderà per la fuga , costui si troverà per me
colla morte che fogge ; chè ben è meglio per esso e per altri che un tale
citta- Digilized by Google LIBRO VI. 2 I 3 dina perisca : e così perendo , non
che attere i fune- bri onori eia tomba ^ si resterà, non emulato' nè pianto ,
in abbandono agli uccelli e alle fiere. Con ioli previdenze , andate :
combattete alacremente ; e V abbiate per guida alle grandi azioni la speranza
buona , chè dato a questo cimento un termine gene- roso , come tutti
desideriamo , avrete ottenuto amplis- simi beni, avrete liberato voi dal timor
dei tiranni , avrete , come doyeasi , corrisposto alla patria , che chiedea la
gratitudine vostra per avervi generati e nudriti , avrete operato eh» i teneri
vostri figli , le vostre mogli non sqffrano oltraggio da nemici, e che ì vecchi
vostri genitori vivano in calma il picciolo avanzo di vita. Felici voi d quali
riservasi tornare da questa guerra col trionfo, mentre li figli vostri' ve ne
aspettano , e le spose , e li genitori. Quanto sa- rete celebrati , quanto '
invidiati pel coraggio di dare voi stessi per là patria ! Tutti deano morire
valen- tuomini o no] ma il moribe con dignità' e CON GLORIA NON È PROPRIO CHE
DE' VALENTUOlilNI- X. Ancora egli continuava tali detti magnanimi ; quando ecco
spargersi nell’ esercito un ardore divino , e tutti ad una voce gridare :
ardisci , e guidaci. E qui Postuniio encomiando la loro prontezza; e votandosi
agl’ Iddj , se avea buon successo nella guerra , di fare grandi e sontupsi
sagrilìzj , e ^lendidissimi giuochi da rinnovarsi in. Roma ogn’ anno rilasciò
le milizie perchè si oi'dimssero. Quindi come i duci diedero il segno e le,
trombe l’invito a ^mbattere; lanciaronsij gridando, quinci c quindi prima i
soldati leggeri e li oavalietà , e
Digilized by Google 2 1 4 DEiXE
Antichità.’ homane poi le lej^ioni le quali aveano schierameotd ed armi
consimili. Fecesi di tutti una mischia vivissima , ^dottasi tutta al dar delle
mani. Tennesi questa lungo tempo contraria alla espcttazione di ambedue,
sperando gli Ubj e gli altri che non avrebbero nemmeno a combattere , ma che a
prim’ impeto forarebbero , ed intimorirebbero rinunieo; i Latini alhdati alla
cavalleria loro numerosa quasi i’ urto ne fosse irreparabile alla cavalleria
Romana; e li Romani aU’andarne audaci c spregianti ai perìcoli , quasi cosi
avessero a soprailare l’ inimico. Non ostanti tali primitivi concetti degli uni
su gli altri , vedeano tutti seguire il contrario. Quindi considerando che il
mezzo di salvarsi e di vincere era la propria fortezza non la paura de’ nemici
; militarono bravlssimamente anche so- pra le forze ; e varie ne furono le
vicende e le sorti. XI. Primieramente li Romani del centro dov’ era il fiore
de* cavalli con Postumio dittatore, e'dove combat- teva egli stesso tra’ primi
, cacciano di posto i loro com- pettitori dopo ferito con uno strale in una
spalla , cd inabilitato a valersene , Tito l’ uno de’ figli di Tarqur- nio ;
sebbene Licinio c Gellio senza esaminare le cose verisimili e possibili,
suppongano esser questo che mili- tando a cavallo restò ferito lo stesso re
Tarquinio, uomo più che nonagenario (i). Caduto Tito , le sue milizie (i)
.\nofaa Tito Lhrio i di - questo parere, quantunque avesse considerata la
difficoltà degli anni : ^li scrìve in Postumiwn prima inacìesuos aiihortantem
i/utruentemtfua , Tarquinius super but quam- quam jam alate et viribus crai
graiùar equnm infestas admitil. Nà SODO mancsti altri re che in quella ^
fornivano tutti gl' incarichi del regno o còmbattevano. Massiuissa fu I’ uno di.questi,
cd .àntea re degli 'Setti mori combattendo, vecchio pi4 (he di novant’anni
Digilized by Google MBBO VI. 2 I 5 tennero fronte alcun tempo , e sollecite ne
raccolsero vivo il corpo , non però fecero altro più di generoso , ma
rinculavano incalzate via via da’ Romani , 6nchè soccorse da Sesto l’ altro
6glio di Tarquinio co’ fuoru- sciti Romani , e da truppa scelta di cavalieri si
arresta- fono , e tornarono su l’ inimico. Cosi ripigliato Corano combattevano
questi nuovamente. Intanto negli altri coi> pi (i) segnalandosi più che
tutti i duci Ebuzio e Ma- milio , fugando ovunque volgeansi chi resisteva , e
rior* dinando i loro se scompigliavans! ; vennero a disfida in fra loro :
lanciatisi 1’ uno su l’ altro portaronsi colpi gra- vissimi , ma non mortali ,
Ebuzio spingendo 1’ asta per la corazza al petto di Mamilio , c Mamilio
traforando il braccio destro di Ebuzio: tanto che ne caddero ambedue da
cavallo. XII. Portali amedue fuori della battaglia Marco Va* lerio che era un’
altra volta luogotenente anzi il più vecchio, prese le veci di Ebuzio maestro
de’ cavalieri : ma contrastando colla sua la cavalleria nemica , e contenen*
dola per breve tempo , infine fu violentato e respinto assai lungi ; perocché
gèinsero in ajuto al nemico i fuorusciti Romani a cavallo , o di milizia
leggera: e Maiadìo stesso riavutosi dalla percossa era tornato in campo con
caval- eon Filippo Macedooe. E Luciioo scrive che Tarqptinio superbo più che
nonagenario viveva robustissimo in Coma. Forse Licinio e Gellio non son dà
riprendere. Dee poi notarsi, che Tarquinio; anche secondo Dionigi , visse più
di novani’anni. Vedi § ai di questo libro. ' (i) Cioù Mamilio nell’ ala destra
de’ Latini ed Ebutio nella si- nistra de’ Romani , percbù già stavano appunto
in queste aie ; uù Diouigi lia (inora dello che avessero cambiato posto.
Digitized by Googlc 2i6 delle Antichità.’ romane lerla numerosa e col nerbo de’
soldati espeditì ; anai in questa pugna cadde trafìtto da un’ asta Io stesso
luogo- tenente Valerio (i) quegli che il primo avea trionfato de’ Sabini , e
rialzato lo spirito di Roma infìacchito pei danni ricevuti da’ Tirreni : e con
lui pur caddero altri molti nobili e valorosi Romani. Sorse sul caduto corpo di
esso una lotta vivissima facendosi scudo allo zio li due Publio e Marco , fìgli
di Poplicola. Or questi con- segnandolo intatto colle armi sue , mentre
respirava an- cora , ai scudieri perchè Io riportassero agli alloggia- menti;
lanciarono sestessi in mezzo al nemico spinti dall’onta ricevuta e dall’ardore
dell’ animo : ma piom- bando d’ ogn’ intorno i fuoruscili su loro , alfine
carico r uno e r altro di ferite mori (a). Dopo tale infortunio r armala Romana
fu cacciala di posto , ed assai mal- menata dalla sinistra fino al centro. Il
dittatore al co- noscere che i suoi fuggivano , ben tosto si staccò per
soccorrerli con i cavalieri che aveva d’ intorno : e dato ordine a Tito Erminio
di andare coll’ ala della caval- (i) Intende il Valerio fratello di Valerio
l’oplicola: però il pri- mo Valerio è detto tio de’ fìgli di -Poplicola. Il
Valerio del i- gotliti , li menò contro 1’ armata di IMamilio , ed egli stesso
avventandosi addosso di lui die era il più grande e più gagliardo di quanti gli
erano a fronte, lo uccise; ma fattosene a spogliare il cadavere, egli ancora vi
soc- combò trafitto .dal brando di un tale in un lato.* Sesto Tarquinio, duce
dell’ala sinistra Latina, resistendo tut- tavia tra tanti mali , avea cacciata
di posto 1’ ala destra de’ Romani : come però vide Postumio venire su lui col
uei'bo de’ cavalieri , disperatosi corse in mezzo a’ nemici. E qui circondato
da’ fanti e da’ cavalieri ed investito , quasi una fiera d’ ogu’ intorno , mori
, ma non senza averne anche egli stesi molti di quelli che lo investi- vano.
Caduti i duci , pienissima fu la fuga de’ Latini , e la presa de’ loro
alloggiamenti , abbandonati pur dalle , guardie. Dicchè i Romani se n’ebbero
molti e belli van- taggi. Gravissima fu la perdita de’ Latini , tanto che
moltissimo ne decaddero : e la strage fu tanta , quanta mai più per addietro ;
imperocché di quaranta mila fanti e tre mila cavalli , come ho detto di sopra ,
nemmeno dieci mila tornarono salvi alle case. XIII. È fama che in questa
battaglia si rendesser vi- _sibili al dittatore, ed al seguito suo due
cavalieri adorni del Gore primo di giovinezza , grandi e belli assai più 2i8
delle antichità.’ romane che la condizione non sostiene dell’ uomo ; e che po-
nendosi alla testa della cavalleria romana , peKotessero colle aste i Latini
che le si avventavano , o' li sospin- gessero a rapidissima fuga. E fama è
similmente che dopo la fuga de’ Latini , e la presa de’ loro alloggia- menti,
presso al crepuscolo vespertino, appunto quando la zuffa ebbe fine, si dessero
a vedere in abito militare nel F oro romano due giovani altissimi , e
vaghissimi ', spirando in volto ancora 1’ ardore della battaglia , dalla quale
venivano , e reggendo cavalli , molli di sudore. Dicesi che smontati l’ uno e
1’ altro da’ cavalli, lavavansi nell’onda, la quale sorgendo presso il tempio
di Vesta forma una lacuna , picciola si , ni» profonda : ma che fattisi molli
intorno di loro , e chiedendone se punto recassero di nuovo dall’ esercito ,
rilevarono ad e»i Ciocch’era della battaglia, e come 1’ aveano guadagnata: e
che partiti poscia dal Foro non più furono veduti da alcuno , tuttoché seu
facesse ricerca grandissima dal comandante lasciato in Roma« Come però nel
giorno appresso riceverono i capi della città lettere dal ditta- tore , e
conobbero 1’ assistenza dei due numi , e tutti i successi della battaglia ;
giudicarono che i .due perso- naggi apparsi fossero , com’ era verisimile , gl’
Iddii stessi , e conchiusero che erano le immagini di Polluce e di Castore.
Attestano la comparigione inaspettata e meravigliosa di questi Numi , molti
segni ancora, come il tempio fondalo a Castore e Polluce nel Foro , ap- punto
dove comparvero j e la fonte vicina , chiamati c creduta sacra finora , e li
sagrifizj magnifici che il po- polo ne celebra ogni aqno per mezzo de’ a fare nè 1’ una nè l’ altra di queste due
cose: che. era bensì, da giovine iL trasporto d’ allora per combattere ; ma che
assai più biasimevole sarebbe' il fuggirsene a casa : e che qualunque de’ due
parliti 'Digilized by Google LIBRO VI. 321 seguissero , andrebbe a genio de’
nemici. Era il parere di questi , cbe di presenta 'si triucierassero e
preparas- sero quanto bisognava per la battaglia , e clic intanto spedissero ai
Volaci per chiedere che inviassero nuove
forze onde pareggiare quelle de’ Romani ,
o che richia- massero le altre già’inviate. La sentenza però sembrata più
persuasiva e ratificata da’ capi fu di mandare al campo romano alcuni
osservatori col nome di amba- sciadori onde preservarli , li quali ,
complimentandolo , dicessero al capitano, che il comune de' Volsci man- davali
per ajuto de'Bomani: si doleano però che giunti tardi per la battaglia non
troverebbero uemmen grati- tudine di tanto amore, vedendo come l’aveano già
vinta a grande lor sorte , anche senza degli alleati. Con tali dolci maniere
illudendo , c dandosi per amici , andas- sero , spiassero , conoscessero la
moltitudine de’ nemici, le arme , gli appareccbj , i disegni. Conosciuto ciò ,
discuterebbesi qual fosse il migliore, lo aspettare nuove truppe , o menare le
presenti all’ assalto. XVI. Poiché si riunirono tutti in questa sentenza, ne
andarono gli oratori eletti da essi al dittatore : e poiché recati nell’
adunanza vi esposero gl’ insidiosi loro discorsi ; Postumio soprastando alcun tempo,
alfine ri- spose: Voi siete o Volsci venuti qua con rei consigli sotto belle
parole,: nemici nelle opere , volete presso noi la stima di amici. Voi foste
inviati dal vostro comune ai Latini per combatterci. Ora. non essendo voi
giunti a tempo per • la bat&iglia ; anzi vedendo questi già vinti, cercale
deluderci con dirne cose con- trarie a quelle che eravate per Jdré. Ma nè
sincera Digitized by Google 22 2 DELLE ANTICHITÀ’ ' ROMANE è r amicìzia del
parlare che assiunete in vista del tempo presente , nè sincero il titolo della
vostra le- gazione ; ma pieno è di malizia e d’ inganno. Non voi veniste
sensibili pe nostri beni , ma per investi- gare qual sia lo stato tra' noi di
debolezza 'e di forza. Messaggeri ne' detti , voi non siete che esplo- ratori
nè fatti. E negando questi, ogni cosa , soggiunse che presto li convincerebbe.
E qui produsse le lettere dei Volsci intercettate da lui prima delia battaglia,
e chi le portava ai duci dei Latini , nelle quali prometteano mandare a questi
un soccorso. Riconosciute le lettere , e palesato dai prigionieri il comando
che aveano ; arse la moltitudine di manometter que’ Volsci , quali spie
sorprese nel delitto. Non però volle Postumio che essi, nomini probi , si
diportassero come i malvagi ; dicendo esser meglio serbare permesso a quelli a’, quali solcasi , che
die^fes^ i loro pareti ; Tito Largio, il primo de’ dittatoti create già per
l’anno antecèdente (i) consigliò che ■usassero'*^ la sorte sobbria- mente.
Diceva ' essere encomio grahdissimo per una città come per un uomo se rion
lasciandosi corrom- pere dalle prosperità , le sostiene con regola e con
dignità : odiarsi tutte le prosperità , quelle principal- mente per le quali
possono ingiuriarsi , e gravarsi i (i) Vuol dire tre anni addietro: come fu
notalo da Silburgio.-Digilized by Google LIBRO VI. ’ 2 2^ miseri e li
sottomessi. iVon confidassero su la sorte , essi che àveano sperimentato tante
volte ne’ beni, e ne' mali proprj , quanto fosse mal ferma e mutabile: nè
Kiducessero i nemici 'alla necessità di pericolo estremo per la qualè ipesso
gli uomini s’ innalzano , e combattono sopra le forze. Temessero , se prèn-
deano pene irreparabili e dure su chi avea mancato, di provocarsene f ira
comune di ogni popolo sul quale aspiravano di comandare ; imperocché decaduti
dalle maniere consuete colle quali eransi rendati chiari di oscuri parrèbbono
aver fatto ' della sovranità una ti- rannide, nqn lìn governo éd un patrocinio.
Dieea che mezzana non irremisibile è la colpa , se città già li- bere ,• anzi
usate al comando, nOn sanno dall’ antico grado discendere. Se quei che anelano
il meglio , siano sé falliscono il colpo , vendicati immedicabil- mente ^
niente ipipedirà, che gli uomini, generati tutti con intimo amore della libertà
si distravano gli uni cogli altri. ^AggiuDgefra che assai piti nobile , assai
piti fenho è il principato^ che amministrasi tenendo i sudditi colld
beneficenza ' non co’ supplizf : perciocché dà quella' nasce la benevolenza , e
dà questi il ti- more ■> e ciocché si teme , ^^si odia vivàmente per ne-
cessità di natura. Da ultimo pregayali a pigliar per esempio le opere
bellissime pqr le quali gli antenati loro'tajfto erano encomiati'^ ' e qui
ridiceva com' èssi aveano niàgnificatò" Bonia ^à piccola , non diroccando
le città prese',' nè Spopolandole nè spegnendovi al- meno gli adulti , ma
riducendqle colonie di Bofna , Dionigi:’ tomo II.' ^ ' , J , • (S • aa6 DELLE
antichità’ romane e concedendo la cittàdLinanza a tutti i yinti che in Jtoina
vollero domiciliarsi. Tilo Largib mirava col dir sao principalmente a questo ,
che si riqovasse co’ Latini l’alleanza, com’ eravi staU,'nè più ingiuria dcun%
di qualunque città si ricordasse. '' XX. Servio Sulpizio punto non contradisse
intorno la pace e la rinovazione dell’ alleanza. Siccome di oomini che aveano
tr^viatot E costui pigliandone -vesti e cibi per r esercita, ^e . scegliendone
trecento .. ostaggi, dalle famiglie più cospicue , _ parti come ^ avesse
dissipata la guerra. Non però fu, questo un dissolver!^ 'ma .piuttosto LIBRO
VI. a33 un dlHerirla , e dar causa di apparecclij ad essi, preoc- cupati dal
giungere loro inaspettato. Ritiratosi l'esercito romano, si accinsero i Volaci
di bel nuovo alla guerra, e munirono e meglio presidiarono le città , ed ogni
luogo acconcio da rifuggirvisi. Si consociarono con essi per l'impresa i
Sabini, e gli Ernie! svelatamente ; ma segretamente molti altri ancora. I
Latini, essendo venuti ad essi a,mbasciadori per chiederne 1’ alleanza , li
lega- rono e menarono a Roma. Fu sensibile il Senato alla / costanza della lor
fede , e più ancora alla prontezza colla quale > solcano spontaneamente per
esso cimentarsi, e combattere, ^^iudi restituì loro gratuitamente, cioc- ché
pur vedea di’ essi desideravano , ma vergognavansi dimandare, intorno atbeimila
fatti prigionieri nelle guerre eoa essi : e perchè il dono, prendesse una forma
degna de’ parenti , -li rivestì tutti con abiti proprj di uomini liberi. Del
resto fece intendere che non abbisognavasi di sòccorso latino , dicendo che
bastavano a Roma le proprie forze . per vendicarsi de’ ribelli. E cosi risposto
- ai Latini'^ decretò la guerra contro de’Volsci. XXVI. Ancorò il 'Senato
sedeva nella Curia, ancora considerava quali milizie destinasse a marciare ;
quando fu visto nel Foro un uomo che antichissimo di anni , sordido ne’
vestimenti , e ha^'buto ^ capelluto ., gridava ed invocava soccorso dagli
uomini, Accorsa la moltitu- dine Intorno; égli postosi in luogo donde fosse
visibile disse: Io. generato libero y dopo. 'èssere finché n era la ptà.,
marciato in tutte le spedizioni , dopo averi' sostenuto vent’ otto battaglie ^
e riportato pià volte ,i premj militari.,' alfine quando sopravvennero i tempi
Digilized by Coogle 2 34 DELLE Antichità’, romane che strinsero Jìonm alle
ultime angustie fui necessi- tato a prendere wi prestilo per supplire al
tributo che mi si chiedeva: perchè il mio campicetlo' era desolato da’ nemici ,
e le' rendite urbane tutte. per la penuria de’ viveri mi si consumavano. Cosi
non avendo come più redimere il debito , fui condotto dal pre- statore con due
miei figliuoli a servire. Comandan- domi poi quel padrone non facili cose io
contraddis- si ; e ne fui con moltissimi talpi battuto^ E così di- cendo
squarciò la lurida veste ; ,e mostrò pieno il petto di ferite, e grondanti le
spalle di sangue. E. qui ulu- lando , e piangendone la moltitudine .?■' ^1
Serrato si di- sciolse : e tutta la città fu percorsa da’ poveri che. de-
ploravano la infelice lor swte , ^ cliiedeano soccorso da’ vicini. Uscirono
allora dalle Case (i) tutti quelli che erari servi pe’ debiti, «abbuffati le
chiome, e la maggior parte colle catene alle mani,,' e co’ ceppi nei piedi,
senza che alcuno osasse reprimerli: e so altri osava pur toccarli, erane
manomesso co’ dU'ittL della, forza. Tanta rabbia in quel punto invase il'
popolo ! Nè molto dopo il popolo fu pieno di uomini che fuggivano la forza di
chi signoreggiavali.. Appio a, come .autore non ignoto de’ mali , temette
coutfa di sè le ffe della moltitudine , e s’involò, fuggendo, dal-Foro. Ma
Servilio deposta la veste contornata di porpora , e gettatosi lagrimando ap-
pie di ciascuno ; a stento li persnase a contenersi per quel giorno, e tornar;
nel seguente, mentre il Serrato ■ provvederebbe iij qualche modo su loto. Cosi
dipendo , Ds’ creditori Digitized by Googic LIBRO ‘VI. • a35 e comandando al
banditore di proclamare , die ninno de’ creditori potesse trar seco pe’ debiti
alcun cittadino , finché il Senato su ciò deliberasse , e che tutti gli astanti
'ne andassero ove più /deano senza timore ; chetò la turbolenza. XXViL
Partirono allora dal Foro: ma nel prossimo giorno vi' si riunì non solo la
moltitudine della città , ma r altra ancora de’ campi vicini; tanto che sull’
alba già .il Foro ne ribolliva. Adunatosi il Senato per discu» te re ciocché
era da fare , Appio chiamava il compagno adulatore del popolo e capo' della
insolenza de’ poveri : e Servilio rimproverava lui come austero , caparbio , e
fabbro de’ mali che pativano: nè ci avea niun fine alla disputa; Intanto latini
cavalieri spronando vivissimamente i cavalli si apprésentarono al Foro ,
annunziando essere già usciti 1 nemici con -.esèrcito poderoso , e già sovra-
staìre alle cime -de’ monti loro. Cosi dissero questi : e li cavalieri , e
quanti avéano ricchezze e gloria ereditaria , armaronsi in fretta, come.su.
pericolo estremo; laddove i poveri ;• sjngolarmenle gravati da’ debiti, nè
toccavan armi, né -soccorrevano in alcun* modo a’ pubblici biso- gni: anzi
gioivano , ed accoglievano con desiderio la guerra esterna , come quella che
redimerebbe loro dai mali presenti. E se altri, gli' esortava a respingere gli
inimici , mòstràvanò a lui le catene é. li ceppi , e lo confondevano
addinrtandando , se Cosse mai degno com- battere per difendersi tanto
benefizio. Anzi taluni osa- rono perfino dire., esser meglio servire ai -Volsci
, che soffrire i vilipendj de’ patrizj. Infine., era tutta la città ripiena di
ululàti ; di tumulti , e di ogni lutto di fem- ' mine. > 236 DELLE
antichità’ ROMANE XXVIII. A tale spettacolo i senatori pregarono ii console
Servilio, come più autorevole presso del popolo, a soccorrer la patria. E
costui convocandolo al Foro , dimostrò la urgenza del tempo presente , e coiùe
non ammettesse discordie civili : pregava e supplicava che piombassero unanimi
tutti sul nemico , non che tol- lerassero che rovinasse la patria , ov’ èrano
le divi- nità paterne, e le tombe. degli antenati, cose prezio- sissime tutte
presso i mortali. Sentissero verecondia pe genitori incapaci a difendersi per
la vecchiezza ; e pietà delle donne che bentosto sarebbero astretti a subire gravi
ed inesplicabili affronti : ioprattiitto commiscrassero che teneri figliuoletti
, cèrto non edu- cati a tale speranza , avessero a finir tra' le ingiio'ie e i
vilipendj spietati. Quando tutti al paio concordi, tutti al paro infiammati ,
avessero tolto il rischio presente; allora discutessero comèra da ordinare un
governo eguale, comune, salutevole a tulli, e 'tale, che nè i poveri
insidiassero ''agli averi , del. ricco ,, nè il ricco i poveri ne conculcasse ^
cose tutte in società dannosissime. Allora discutessero con quale pubblica
discrezione fosse da provvèdere ai poveri, con quale agli altri li quali dopo -
dati i prestiti per soccorrere, ora ne erano ingiuriati : nè dalla sola Roma si
le- verebbe la fede do contralti, bene principalissimo tra gli uopiini e
cuslóde dell' armouia nel corpo delle città. Dette queste e slmili cose , quali
convenivano al tempo , da ultimo provò com’ era la benevolenza sua stala sempre
costante verso del popolo^ e.pregò'che in contragcamblo , almeno di questa , si
unissero per la UBRO VI. ■ 237 spedizione j essendo a' lui data
^'.amministrazione della guerra, e quella di Ron^a alt compagno. Protestava che
la sorte avÉvd così destinate a Ipro le. parti : che il Senato tn>evalo\
assicurato di cpncedere quanto egli prometteva al popolò ■; ,.'e- che egli
aveva assicurato il Senato cìie\ il .pòpolo non tradirebbe la patria ai nemici.
‘ V- ' ''I XXIX.' Ciò detto ido^ose al banditore dì pubblicare che hiunof
poiessé- arrogarsi le case di quelli che rnilitassètó. oon lui. ccfntro.^i Vblshi
, nè venderle , nè impegnarle^ nè. rendet .sérVQ' pe' contratti alcuno della
stirpe di èostbro, np impedire : veruno a guerreggiare : perwtessero pei^'
Sècjondò^ i patti le 'azioni de’ pre^ stamri.'coutre'qaellijche -noli,
prendeano le armi. Co- me i pòveri ódirono tiòj. decisero, e lanciaronsi tutti
, pienirdi ardore aUa guerra'; vchi stimolato dalla ape- rto» dì, guadàgnare ;
cbi ..dalla benevolenza pel capi- tano,,^ et gVan'.-p.firte' per. levarsi da
‘Appio e dai vilipendi; ^ersQ q^^rv lllnrra et » ! màli : finché , vinsero no-
Ro- fecero che lungo tempo si 'oppo’neàiercr ai sopravvenendo’ ài
^Rqmani'laVlèro cavalleria vamente 'i, Sabini r ’e fatta'assai' strage ,
ttfrnaroho a Ro- ma conducendo seéo'in’’cópia li prigidhl«n.''ETmpnb^oi
cei/cati e messi nella 'carcere feSabln^éhefècaùsi a. Roina sul titolo, di
veder gli ^spettàcoli , dóveariq’ se^rido Tac- cordo all’ avvicinàrsi*'aéi
lóro, prebccuparne ^ T luoghi piu forti :* e li sagnfizj ihterrbttK per' (a
guerra fiiroho per DigiiiiOd by Googk LIBRO VI. 24 I decreto del Senato
raddoppiati ; talché oc fu ^oju e riposo nel popolo. XXXII. Ancora
festeggiavano 1 quand’ ecco ambascia- dori dagli Arunci , popolo che occupava i
più be’ luo- ghi della Campania. Presentatisi questi in Senato diman- davano' il
territorio tolto dai Romani ai Volsci Eccetrani e dispensato agli nomini
mandativi per guardia della nazione : dimandavano insieme che tal guardia si
richia- masse; altrimenti verrebbero quanto prima gli Arunci su’ Romani, e
vendicherebbero tutti i mali che aveano causato ai loco vicini. Replicarono a
ciò li Romani. Ambasciadori , annunziate agli Arunci che noi Tlo- mani teniamo
per ^uslo che altri lasci a’ posteri suoi ciocché ha conquistato per valore su
nemici : che la guerra degli Arunci non la temiamo ; giacché non è questa per
noi nè la prima nè la più terribile : che noi costumiamo combattere con chi
vuóle per t impero e pel bene ; e se la cosa riducasi ora all arme , in-
trepidamente all arme verremo. Dopo ciò movendosi gli Arunci con esercito poderoso,
e li Romani con quello che aveano sotto gli ordini di Servilio ; si scon-
trarono presso la Riccia città lontana centoventi stadj (1) da Roma.
Accamparonsi ambedue su di alture forti , e poco distanti fra loro: e poiché vi
ebbero trincierati gli alloggiamenti , scesero al piano per combattere. At .
XXXIX. Avendo Appio cosi detto , ed acclamando- velo strepitosamente i giovani
, quasi egli desse il ben della patria ; Servilio ed altri seniori sorsero per
con- traddirlo : furono però sopraffatti da* giovani che erano venuti preparati
ed insistevano con forza grande; tan- toché prevalse inGne la sentenza di
Appio. Dopo ciò li consoli , sebbene i più volessero Appio per dittatore , come
l’unico da por freno alle sedizioni, pure lo esclu- sero di concerto , ed
elessero Marco .Valerio frateDo di Pubblio già primo console , uomo anriano e
popolaris- simo di credito , persuasi che a lui basterebbe la terri- bilità
della sua carica; e che si abbisognasse più che tutto di un uomo placido ,
perchè non si ^cessero delle innovazioni (i). ^ XL. Valerio investito della sua
dignità, e scelto per maestro de’ cavalieri Quinto Servilio fratello d>
Servi- lio , collega di Appio pel consolato ; ordinò che il po^ polo si
radunasse a parlamento. E raduna tovisi albra la prima volta ed in gran
moltitudine , da che guidato all’ armata erasi poi scisso manifestamente al
dimettersi di Servilio dai magistrato ; Valerio ascese in ringhiera e (i)
Qursto Valeria nel § 13 delMibro presente si dice ucciso in baiiaali* ; ed ora
si desorWe colile diitaiore. Vedi la nota al S 11 ciiaia. Digitized by Google
LIBRO VI. 249 disse : Sappiamo o cittadini che sempre di vostro buon grado
hanno a voi comandato alcuni della stirpe dei p^alerj , da' quali liberati
dalla dura tirannide , non foste mai rigettati nelle' oneste domande^ nè
temeste violenza ; affidandovi a quelli che sembravano e sono popolarissimi
infra tutti. Pertanto non io qui parlo y quasi voi abbisognate di essere
illuminati che noi convalideremo al popolo la libertà la quale gli ab- biamo da
principio vendicato : io parlo per ammo- nirvi solo brevemente affinchè siate
pur certi che vi manterremo quanto promettiamo. Non ammette che vi deludiamo V
età nostra venuta alla perfezione ^e men sostiene che vi ri^riamo , il grado
supremo che ab- biamo , e finalmente dMbianm pur vivere V avanzo dei nostri
giorni tra voi per iscontarvela se parremo di avervi abusati. Io tralascio però
queste cose giac- ché non abbisognano di molto discorso tra voi che le
conoscete. Ma ciò che avendo voi sopportato dagli altri, pormi che dobbiate
ragionevolmente temerlo da tutti, nel vedere che sempre il console che
v’invitava contro i nemici , prometteavi dal innato, senza man- tenervele mai ,
le cose , per voi necessarie ; questo io vi convincerò che non dovete di me
sospettarlo , principalmente per tali due argomenti : prima perchè a deludervi
in tal modo' mai sarebbesi il Senato abu- sato di me che amantissimo sono del
popolo, aven- done altri più. acconci : e poi perchè non mi avrebbe mai
condecorato della dittatura per la quale io posso concedervi anche senza di lui
ciocché il vostro meglio mi sembra. Digitized by Googli !ì5o delle Antichità’
romane XLI. Non crediate che io dia mano al Senato per ingannarvi f nè che io
consultando con esso vinsidii. E se voi così giudicate ; fate ciocché pià
volete di me, come del più, scellerato tra’ mortali. Ma liberate, datemi
udienza , da tale sospetto gli animi vostri : ripiegate la collera dagli amici
su vostri nemici che vengono per levarvi la patria , e per fare voi schiavi di
liberi , sollecitandosi a premervi con tutti i mali y riputati gravissimi dagli
uomini. Già non lontani si dicono dalle nostre campagne. Sorgete , accingetevi
, mostrate loro che la milizia Romana in discordia , tissai pià vale della loro
, tutta unanime. Se presi noi tutti da un ardore , piomberemo su loro ; o non
ci aspetteranno , o prenderanno le pene degne del^ r audacia loro. Considerate
che i nemici che a voi portano la guerra sono i Fblsci, sono i Sabini, quelli
che tante volte avete combattuti e vinti: e che non ora han fatto pià grande il
corpo nè pià generoso di prima il cuore ; ma che ben altro se lo hanno ;
tuttoché ci disprezzino per le patrie gare. Quando avrete punito V inimico , io
vi prometto che il Senato darà buon fine alle vostre contese pe’ debiti, ed
alle oneste dimando secondo la virtù che mostrerete nella guerra. Intanto
libere siano le sostanze , libere le persone , libera la fama de’ cittadini
Romani dalle azioni de’ prestiti , e di ogni altro contratto. Per quelli poi
che combatterai!, con impegno bellissima corona fia la patria ridiriaata ,
luminosa la gloria tra com- pagni , e pari la nostra ricompensa a vivificar le
fa- miglie , c magnificarne cogli onori la stirpe. Siavi Digitized by Coogle
LIBRO VL aSi esempio , ve n’ esorto , V ardor nùo verso de' pericoli : io
stesso come imo combatterò de’ pià robusti tra voi. XLII. Udì tali detti ,
coDsoIandosi il popolo , e come quello che non più sarebbe deluso, promise di
arrokrsi per la guerra; e sen fecero dieci corpi militari, ciascuno di
quattromila uomini (i). Prese ogni console tre di questi corpi con quanta
cavalleria gli fu compartita. Il dittatore prese gli altri quattro col resto
de’ cavalli. Ed apparecchiatisi ben tosto, marciarono a gran fretta Tito
Velurio contro gli Equi, Aulo Verginio contro i Vol- aci, ed il dotatore
Valerio contro de’ Sabini; rimanendo a guardia della città Tito Largio co’ più
vecchi , e con piccolo corpo di giovani. La guerra co' Volsci ebbe prontissima
risoluzione : imperocché necessitati a com- battere , pensando gli antichi mali
, e come aveano mi- lizia più numerosa , piombarono i primi , anzi pronti che
savj , su’ Romani , appena si videro accampati , gli uni dirimpetto degli
altri. Attaccatasi vivissima la batta- glia , fecero molte magnanime cose ; ma
scontramdone ancor più terribili, fuggirono finalmente. Il loro campo fu preso
, e Velletri loro città principale fu ridotta per assedio. Lo spirito poi de’
Sabini fu invilito ancor esso in brevissimo tempo , essendosi 1’ una e 1’ altra
parte deliberata a campale battaglia. Dopo ciò la campagna fu saccheggiata , e
presi alcuni villaggi , ove i soldati acquistarono schiavi e roba in copia. Gli
Equi all’udire la fine de’ compagni , riflettendo la propria debolezza (i) An.
iti Roma a 6 o secondo Catone, 363 secondo Varrone, a Ì93 av. Cristo. ' >
Digitized by Google aSa DELLE ANTICHITÀ.’ ROMANE si misero su luoghi forti ; e
ritirandosi alia meglio per le cime di monti e balze presero tempo e mantennero
alcun poco la guerra. 'Non però poterono ricondurre illeso r esercito , perchè
sopravvenendo i Romani ardi- tissimamente su pe’ dirupi ; ne espugnarono a
forza il campo. Dond’ è che fuggirono dalle terre de’ Latini , e le città si
ridiedero colla facilità , colla quale erano^ già state prese al giungere del nemico.
Alcune però furono espugnate , non cedendone le guarnigioni ostinate il
comando. - XLIII. Riuscitagli la guerra secondo il disegno , Va* lerio trionfò
, com’ era 1’ uso, per la vittori^ e congedò la milizia , quantunque non
paressene al Senato tempo ancora, afBnchè i poveri non esigessero le promesse.
Quindi a diminuire la sedizione in Roma , scelse al- quanti di questi, e li
mandò nelle terre acquistate colle arme 'e tolte ai Volsci , perchè le
possedessero , e le presidiassero. Ciò fatto chiese ai Padri che avendo avuto
il popolo tanto pronto a combattere , gli osservassero le promesse. Non però
davano questi udienza , ma si op- ponevano come dianzi all’ intento,; perchè li
giovani e più violenti e più numerosi tra loro , fatto partito , brigavano ancora
in contrario, e chiamavano con alta voce la prosapia di-^ lui adulatrice del
popolo , e con- duci trice alle ree leggi, tanto care ai Valer] su le adu-
nanze e su’ tribunali; 'malignando che aveano con queste annientato tutto il
potere de’ patrizj (i). Esacerbatone (i) Allude alla legfi^ falla da Valerio 1’
aano 347 di Roma se- condo Catone , colla quale davasi ad un privato il diritto
di ap- pellare al popolo dai magistrali che lo aveano condannalo. Vedi 1. 5, S
«9- Digitized by Google LIBRO VI. 2 53 molto Valerio , e dolutosi come se
calunniato a torto patisse pel popolo , compianse il vicino fin d’ essi cbe
cosi consigliavano : e com’ è verìsimile nel suo caso , presagendo loro pi&
cose , altre per passione , altre per intendimento maggiore degli altri,
s’involò dalla Curia, « convocato il popolo disse : Cittadini , dovendovi io
piena riconoscenza per la prontezza colla quale mi vi deste per In guerra ; e
più. per la virtù la quale dimostraste in combattere ; io molto mi adoperai
perchè foste voi ricompensati con ogni modo , princi- palmente col non essere
delusi nelle promesse che io vi feci a nome de’ Padri , quando fui scelto con-
siglierò ed arbitro di ambe le partì, onde ridurvi al- lora scissi, a
concordia. Nondimeno ora sono impe- dito di soddisfarvi da uomini che non
mirano il bene della 'comune ma solo il proprio, almen di presente. Questi
prevalendo di numero prevagliono con una potenza che ad essi la gioventù
concede più che la perizia degli affari.' Ed io , sono vecchio come -.vedete e
vecchi pur sono i miei compagni buoni solo nel consigliare, ed invalidi per
eseguire, e la provvidenza su la repubblica sembra ridotta propriamente a que-
sto , che r una parte pregiudichi V altra. Io sembro al Senato un vostro
fautore, e voi mi accusate come benevolo troppo verso del Senato. > XLIV. 5e
il popolo innanzi carezzato da me fosse venuto meno alle promesse del Senato ,
sarebbe la giustif razione mia, che voi. siete i mancatori, e non io. Ora però
non mantenendosi i patti dal Senato , mi è necessario dichiarare che è senza
mia parte Digitized by Google a54 DELLE Antichità’ romane quanto patite , e che
io medesimo sono come voi , anzi più, di voi, circonvenuto e deluso. Imperocché
. non solo io sono offeso con ingiuria a tutti comune, ma in ispecie con quante
mormorazioni di me vanno facendo. Di me si mormora che io per far f utile de’
privati dispensai senza il voto del Senato a’ poveri Va voi le spoglie prese
nella guerra ; che io rendei del popolo ciocché era di tutti , e che per
impedire che il Senato vi malmenasse , licenziai , ripugnandovi lui, la milizia
che dovea tenersi ancora nelle terre nemiche fra le marce, e i Vavagli. Mi si
rimprovera la spedizion de’ coloni nella regione de’ V^olsci , per- chè ho io
comportilo una terra ampia e buona a po- veri Va voi , piuttosto che donarla a
pcUrizj ed a ca- valieri. Soprattutto mi si provoca indignazione moltis- sima
perchè io nel fare la leva ho assunto più che quattrocento do’ vostri tra
cavalieri ; don^ è che ricchi ne son divenuti. Se ciò mi avveniva quando
fiorivano gli anni , ben avrei insegnato co’ fatti a’ nemici , qual uomo
avessero vilipeso. Ora essendo io più che set- tuagenario , invalido a
provedere fino a me stesso , e reggendo che non più la vostra sedizione può da
me racchetarsi ; rinunzio la' dittatura : e chi vuole , io gliel concedo ,
faccia di me come giudica , se crederi comunque da me danneggiato, XLY.
Intenerirousi tutti a que’ detti e gli fecero se* gulto quando parti dal Foro.
Ma questo appunto esa- sperò contro lui li senatori: e ben tosto ebbe tali con-
seguenze. I poreri non più celatamente nè di notte , come per addietro, ma
pubblicisshnamente riunÌTansi,c Digitized by Google LIBRO VI. 2 55 trattavano
di scindersi da’ patrizj. Il Senato , disegnando impedirneli , diede ordine ai
consoli di non dimetter r esercito. Certamente eran questi arbitri ancora delle
reclute , come sacre pe’ ligami de’ giuramenti militari. £ per questi vincoli
ninno attentavasi di abbondonaroe le insegne ; tanto la riverenza potea de’
giuramenti ! Alle^ gavasi per titolo della ritenzione , che gli Equi e li Sa^
bini eransi convenuti per la guerra contro de’ Romani. Ora essendo i consoli
usciti colle schiere , ed essendosi accampati non lontani 1' uno dall’ altro ,
i soldati radu* naronsi tutti in un luogo colle arme , e per istigazione di un
tal Sicinio Belluto se ne ribellarono ; appropian- dosi le insegne , cose tra’
Romani onoratissime e sante , come simulacri di Numi (i). E creatisi nuovi
centurioni, ed un capo in Sicinio Belluto; occuparono non lontano da Roma
presso 1’ Aniene un monte che sacro si chia- ma 6n da queir epoca. Pregando ,
sospirando , prornet- tendo , li richiamavano i consoli ed i centurioni ; ma
Sicinio replicò: Qual fare è il vostro o Patrizj che ora vogliate richiamare
quelli che avete espulso dalla patria , e che di liberi gli avete schiavi
rendati ? Con qual credito mai ci assicurerete le promesse, le quali siete
rimproverati di aver tante volte tradito? Piutto- sto , poiché volete in città
, soli , aver tutto ; andate ; abbialevelo : non vi angustiate pe' bisognosi, e
pe mi- seri. Per noi sarà buona ogni terra; e qualunque ne terremo per patria ,
solchè vi si abbia la libertà. XLVI. Annunziatesi tali cose in Roma , tutto vi
fu (i) .\n. dì Roma a 6 o tccoudo Catone, 263 secóndo Varrone, e 49 ^ «T.
Cristo. Digitized by Google 2 56 DELLE Antichità’ romane romore e pianto: e là
correva il popolo, intento a la> sciar la città , qua li patrizj cbe voleano
alienameli , colla forza ancora , se ricusavano. Soprattutto eravi cla-
more e pianto alle porte ; ed ingiurie vi
si facevano , come tra’ nemici , con parole e con opere , niun più riverendo nè
la età , nè l’ amicizia , nè la gloiia della virtù. Non potendo però, come
scarsi , i soldati di guar- dia destinativi dal Senato custodire le uscite, le
abban- donarono , sopraffatti dalla moltitudine. Allora versando- sene fuora
gran popolo ; parca lo spettacolo , còme la città fosse presa. Gemeano, si
rimproveravano quelli che ' restavano , vedendo che desolavasi. Dopo ciò si
fecero molte consultazioni ; si accusarono gli autori delia sepa- razione; ed
intanto correano li nemici , depredando la campagna , 6no a Roma. Li fuorusciti
presero i viveri necessarj drile terre intorno , nè punto più le danneg-
giarono. Tenendosi in campo aperto accoglievano quanti venivano da Roma , o da’
castelli intorno ; tanto che ne divennero numerosi ; perciocché vi concorrevano
, non solamente quelli che voleano levarsi dai debiti , dai giu- dizj, e da
altri; angustie imminenti, ma tutti eziandio gl’ inBngardi , gli oziosi , i
malcontenti ; quelli che in malfar si emulavano, che Invidiavano l’ altrui ben
essere, o che per altri mali , e cause comunque , discordavano dal governo.
XLVII. Adunque si eccitò ne’ patrizj turbazione , ed angustia grande , e paura
, come se li fuorusciti e li ne- mici stranieri fossero per venire quanto prima
contro di Roma. Poi , quasi tutti ad un segno , prendendo coi loro clienti le
armi , altri corsero alle strade donde pen- Digilized by Google rrBRo VI. 257
savano clie giungessero gl’ inimici , altri ai castelli per difenderne i posti
forti , ed altri ai campi innanzi la città per trincerarvisi , e quei che per
la vecchiaja non poterono iàr nulla di ciò, furono distribuiti per le mura.
Come però seppero che i fuoruscili nè si univano coi nemici , nè saccheggiavano
la campagna , né faceano al- tro danno considerabile , respirarono dalla paura
; e mu- tato pensiero , esaminarono come si riconciliassero. Sug- gerirono i
capi del Senato mezzi di ogni genere , di- versi per lo più fra loro; ma li più
anziani suggerirono i più discreti , e più convenienti ai tempi ; facendo ri-
flettere che il popolo twn ti era separalo da loro per malizia , ma in forza de
proprj mali , o delle pro- messe non mantenutegli , e che auca così risoluto V
u- tile suo piuttosto tra la collera che tra la calma della ragione , vizio
consueto nella ignoranza. Aggiungevano che i più di questi conoscevano di avere
mal delibe- rato , e cercavano emendarsene , se il buon punto ne avessero iiche
già ne' ei^an le opere come di chi si pente ; e che volentieri tornerebbero
nella patria se potessero, augumrvisi un avvenire felice , dando loro il Senato
perdono , e pace decorosa. In mezzo a tali consigli supplicavano che essi che
erano i gratuli non sentisser la ira più che i minori’, nè differissero stolti
a riconciliarsi allora .quando fossero necessitati a far senno , e curare il
male più piccolo col più grande , vuol dire , quando' avessero a tedere le
armi, e le per- sone , e togliersi da sè stessi la libertà : cose tutte quasi
impossibili a farsi. Usassero moderazione , prò- \ DlOtilGIp tomo II, ' • 17 C
""izHcj by Google 258 DELLE Antichità,’ romane ponessero i primi gC
ulili consigli, e la riunione , av- vertendo che se era proprio de' patriiù]
comandare e dirigerò ; era propria ancora de' buoni C amicizia e la pace.
Mostravano che la dignità del Senato non mi- norasi quando provede alla
sicuiozza col sopportare pazientemente le perdite necessarie ; ma quando op-
ponesi tanto ostinatamente alla sorte che la repub- blica ne rovini : gli
stolli trascurare la sicurezza per amor del decoro : ben essere da ceivare
ambedue queste cose : ma dove sia da cedere V una o C altra, doversi la
salvezza riputare più necessaria. Era l’intento «li tali consiglieri che si
mandasse a fuorusciti per trattar della pace non altrimente che se la colpa
loro non fosse insanabile. s XLVIIL Piacque cosi appunto al Senato ; e scelti
per- sonaggi accontissimi , li diresse a quelli che erano in campo con ordine
d’ intenderne i bisogni e le condi- ' zioni colle quali volessero in cittlt
ritornare ; perciocché se fossero discrete e fattibili, jl Senato non le
rigette- rebbe : intanto se depenessero le arme , e tornassero in Roma ,
promettea loro perdono e dimenticanza perpe* tua di tutto il passato : come
belle ed ntili le ricom- pense a chi servisse valoroso , ed affrontasse
ardente- mente i pericoli per la patria. Recarono gli oratori e comunicarono
tali voleri al campo , aggiungendovi cose consentanee. Non accettarono' i
fuorusciti l’ invito : anzi rimproverarono a’ patrizi T orgoglio , la dnrezza ,
le si- mulazioni loro perchè fingevano ignorare i bisogni del popolo, e quelli
pe’ quali si era separato. Ci assolvono, diceauo, da ogni pena per la
ribellione , come fossero Digitized by Google LIBRO VI. 259 i padroni, essi che
abbisognano dell’ ajulo nostro. Quando giunga su loro , e sarà tra non molto ,
con tutte le forze il nemico ; non potranno alzare nem- men lo sguardo contr
esso , e pur ci voglion far cre- dere che non sia bene loro t esser difesi ; ma
felicità di chi si unisce a difenderli. Aggiunsero a tal dire che se vedevano
già le angustie di Roma ; comprendereb-* bero poi meglio con quali nemici
avessero a guerreg- giare : e qui minacciarono molto e veementemente. Non
contraddissero a ciò, ma partirono, e dichiararono i legati a’ patrizj le
risposte dei segregati: e Roma, uditele, se ne turbò ; e temette più che per
addietro. Il Senato non sapendo come espedirsi o diffenrc , si disciolse , dopo
avere più giorni ascoltate le infamazioni e le ac> cose vicendevoli de’ suoi
capi fra loro. Il popolo rimasto in Roma per benevolenza verso de’ patrizj , o
per de- siderio della ..patria più non somigliava sestesso; dile- guandosene
gran parte nascostamente o in pubblico > nè sembrandone il resto affatto più
stabile. Fra tali vi- cende i consoli , avendo poco più tempo per coman- dare ,
fissarono il giorno pe’ comizj. XLXIX. Venuto il tempo nel quale aveansi a
riunire nel campo Marzo e scegliere i proprj magistrati; ninno ambiva , nè
sostenea di esser consolo. Adunque nella Olimpiade setlantesÌDa seconda nella
quale Tisicrate da Crotone vinse allo stadio, essendo arconte in Atene Diogneto
; il popolo rielesse al consolato due vecchi consoli Postumio Gominio e 'Spurio
Cassio, uomini cari alla moltitudine ed ar grandi , da' quali già domati i
Sabini aveano lasciato di competere dell’ impero con Digitized by Google a6o
DELLE Antichità’ romane Roma. Or questi riassumendo il loro grado alle calende
di settembre, vale a dire prima del tempo consueto ai consoli precedenti ,
convocarono innanzi tutto il Senato per deliberarvi sul ritorno del popolo (i).
CbieslO' il’ parere di tutti ; invitarono a dire Menenio Agrippa , uomo allora
venerabile per età, credulo più che gliaU tri insigne in prudenza , e lodato
principlmente' per loi
scelta de’ suoi regolamenti, perchè
teneasi^al mezzo non fomentando 1’ arroganza de’ nobili , nè lasciando che i|
popolo operasse tutto a suo modo. Or questi esortando il Senato alla
riconciliazione , disse r Se quanti qui siamo o Padri Coscritti fossimo tutti
di un animo; e se niuno si opponesse a far pace col popolo , comtm- que la
facessimo , per giuste o per ingiuste condizùy- ^ ni ; e se questo fosse
proposto unicamente d diseu^ tere ; dichiarerei , con poche parole dà che ne
penso. Ma perciocché alcuni giudicano che sia dà ponderare ancora se forse
riesca più utile far guerra a fuoru- sciti ; non credo che io possa in ^ poco-
insinuare dà che dee farsi: ma sento il bisogno tt istruir ampia- mente su la
pace quanti tra voi ne discordano. Im- perocché questi conducono a cose
contraddittorie ; spa- ventano voi , che già ne temete , su mdli da nulla o
lievi a curarsi, e trascurano gl' immedicabili e gravi. Certamente cosi
propongono perchè non decidono del- r utile colla ragione , ma col furore e
coll’ impelo. E come si direbbe che essi provvedono le cose proficue, o
fattibili almeno , quando stimano che Roma , una (i) A^oi di Roma a6t «ceoodo
Catóne, o63 secondo Varrone,e 4{)t arami Critu». Digitized by Coogle LIBRO VI.
a6i città si grande , ed arbitra di tante genti ^ e già in~ yidiata e molestata
da’ vicini , possa ritenerle e difen- derle facilmente senza il suo popolo , o
che possa in luogo del suo sì scellerato introdurre altro popolo che per lei
combatta del principato ; che con lei sia di buon accordo su la repubblica , e
sempre moderato in pace ed in guerra ? Eppure non altro potrebbono dirvi quei
che tentano dissuadervi dalla pace. L. Ma qual sia la più stolta di queste
cose, vorrei che voi stessi lo decideste dalle opere. Considerate , che alienatisi
da voi li più poveri perchè abusaste della loro infelicità senza modestia e
senza politica , e che recatisi appena fuori della città senza farvi o macchi-
narvi altro mede , col solo intento di averne una pace non ingloriosa , molti
de’ vostri nemici abbracciarono con trasporto questa occasione come dono della
sorte, e riedzan lo spirito , e credono venuto per loro fitud- mente il tempo
felice da battere il vostro impero, di Equi , i Eolsci , i Sabini , gli Etnici
, questi che mai si alienano eìal farci la guerra , esatperali ora dalle
sconfitte recenti, già devastano le nostre campagne. Que’ Campani , que Tirreni
die vacillavano nella no- stra soggezione ora parte fi abbandonano matdf està-
mente , parte in occulto • vi si preparano. E gli stessi LeUirti , quantunque
nostri congiunti, a me non sem- ■hran procedere di buona fede, costanti neW
amicizia; ma odo che guasti sono in gran numero per amore di un cambiamento ,
che tanto gli uomini alletta. Noi die abbiamo fin qui portato in campo aperto
la guerra su gli altri; noi ci stiamo or qui dentro , difensori Digilized by
Google aGa DELLE antichità’ romane delle mur^; lasciando senza seminarli i
nostri terreni, anzi 1 vedendovi saccheggiali i villaggi , via levale le predo
, e fuggirsene di per sestessi gli schiavi , senza che abbiamo rimedj a tanti
mali. Non pertanto noi ' tutto soffriamo , perchè speriamo ancora che il popolo
ci si riconcilj , ben sapendo che da noi dipende il togliere- con un solo
decreto la sedizione. LT, Ma se pessimo è lo stato nostro in campagna;, non è
meno funesto e terribile dentro le mura. Noi ' non ci siamo .apparecchiati già
da gran tempo , come per un assedio , nè bastiamo di numero contro tanti
nemici. La nostra gente è poca, nè da guerra, e ple- bea, per gran parte, merce
nar f , clienti, artefici, cu- stodi tton affatto saldi dello stato turbato
degli Otti- mali : e le continue loro diserzioni verso de’ fuorusciti ce li
hanno rendati tutti sospetti. Soprattutto essendo le nostre campagne dominate
da nemici, ed impossi- bilitato il trasporto de’ viveri ; abbiamo a temer di
una fame : e quando a tal disagio saremo; tanto più ci spaventerà la guerra ,
la quale senza questo ancora non concede mai calma allo spirito. Quello poi che
supera tutti i mali è vedere le donne dei segregati, vedere i teneri figli , i
padri cadenti , che sqqallidi e miserandi si rigiran pel Foro e per le vie ,
che pian- gono e supplicano e stringono a ciascuno la destra e i ginocchi, e
deplorano la solitudine loro presente e più ancor la futura, spettacolo in véro
desolante ed insopportabile ! Niuno è si barbaro che non s inte- nerisca a
mirarlo , e non si appassioni sul destino de- gli uomini. Che se abbiamo a
diffidar su plebei ; do- Digitized by Google LIMIO VI. 263 {fremo rimoverne gt
individui, altri come inutili nel- r assedio , ed altri come amici non saldi.
Or se questi rimovansi , quid forza rimane in guardia di Roma ? o da quale
soccorso animati ardiremo star contro dei mali ? V unico nostro rifugio , P
unica nostra buona speranza è la gioventù patrizia : ma poca come vedete ella è
questa , nè bastante a darci i grandiosi disegni. Che dunque impazzano , quei
che propongon la guer^ ra , o perchè mai ci deludono , e non consigliano piut~
tosto di cedere fin da ora senz ar^ustie , e senza sangue Roma ai nemici ? '
LII. Ma forse io ciò dicendo son cieco , e predico per terribili , cose che non
son da temere. Roma non corre altro rischio che di un cambiamento , cosa certo
non difficile ; potendovisi facilissimamente introdurre mercenarj e ' clienti
in copia da ogni gente e luogo, posi van divulgando molli de* contrarj al
popolo, uo- mini , viva . Dio y non dispregievolì. A tanta stoltezza vengono
alcuni ; che non propongono già consigli sa- lutevoli , ma desideri impossibili
I Ora io volentieri dimanderei questi uomini quode tempo mai ne si, dia per far
tali cose , essendone tanto vicini i nemici : qtude condiscendenza alt indugio
o al ritardo del giu- gnere degli alleali in mezzo à mali che non tempo-
reggiano , nè aspettano ? Qual uomo , o qual Dio mai vi terrà sicuri , o
congreghem da ogni luogo in gran calma , e qui ci porterà de’ sussidj ?.
Inoltre e quali tuoi saran. ' quelli che lasceranno la patria per venir- sene a
noi ? Quelli forse che haruus case e Dii Lari € viveri ed onori tra proprj
cittadini per la nobiltà Digitized by Coog[e 264 DELLE Antichità’ romane degli
antenati, o quelli che per la gloria risplendono de' pnoprj meriti ? E chi mai
sosterrebbe di abhem- donare i proprj commodi, e partecipare vergognosa^ mente
i mali altrui ? Eppure a noi si verrebbe non per dividere con noi la pace e le
delizie, ma la guerra e i pericoli, e questi incerti, se a bene riescano !
Convocheremo forse una -turba, qual fu quella riget- tata da noi, plebea e
senza lari? Ben è chiaro che pe' disagi suoi , io dico pe’ debiti , per le
penalità , c per cause altrettali prenderà volentierissima . dovunque una sede
: ma sebbene questa plebe sia utile , c ( per concederle questo ancora )
sebbene sia moderata ; tuttavia ci riuscirà generalmente , assai, meno 'buona
della nostra , perchè non è rutta tra
nci, nè come noi disciplinata , e perchè ignora i nostri costumi, le no- stre
leggi , e le nostre maniere. celebrasi
la vostra clemenza , il quale nè manda a
noi per conciliarcisi esso che à C offensore , nè porge risposte umane e
socievoli a quelli che noi stessi gli abbiamo inviati : ma s’ inal- bera e
minaccia , nè lascia conoscere quello che vo- glia. Udite voi dunque ciò che iò
consiglio che^ fac- ciasi. lo nè penso il popolo irreconciliabile a noi > nè
> ohe mai farà quanto mincucip, ; dióchà mi sono buon argomento le opere sue
che a’ detti non somi- gliano. -Dond’ è che io lo credo assai piò che ■ noi
sollecito di pacificarsi. Certamente noi abitiamo una patria onoratissima , e
teniamo irt poter nostro le so- stanze di lui, le case, i genitori, a tutte le
cose pià preziose : ed egli si trova senza patria , senza ma- gioni , senza i
pegni suoi più, cari , e senta V abbon- danza ancora del .^vivere quotidiano.
Che se alcuno mi chieda perchè mai fra tanti patimenti egli nè ac- cetti gl
inviti nostri , nè mandi a noi per istanza niuna , rispondo s ciò essere
manifestamente , perchè Digitized by Google 2G8 delle antichità’ romane fin
(jid mn intese dal Senato che parole senza ve- derne poi le opere o di
benevolenza o di modera- zione ; e perchè crede di essere stato molte volte in-
gannato da noi che promettevamo di provvedere su lui, senza avervi mai
provveduto. Non ci spedisce am- basciadori perchè son qui tanti che ce» lo
accusano , e perchè teme non ottenere ciò che dimanda : e forse così gli
suggerisce un ambizione non bene conside- rata; nè già è meraviglia. Imperocché
son pure tra noi non pochi , difficili , contenziosi , i quali colle brighe
loro non vogliono che cedasi punto ai cóntrarf , e cercano per ogni via di
sopraffarli senza mai con- discendere essi i primi , finché loro non
sottomettasi chi vuole essere beneficato. Or ciò considerando io penso che
debbansi spedire al popolo ambàsciadori , principalmente di stia confidenza : e
consiglio che questi ambasciadori siano plenipotenziarj , perchè le- vino la
sedizione coi patti che essi terranno per giu- sti , senza rimettersene al
Senato. Questo popolo che ora vi pare sì spregiante e grave , questo darà loro
utlienza , al vedere che voi cercate veramente la con- cordia , e ridurrassi a
condizioni più mitij senza chie- derne alcuna vituperosa , o non fattibile.
Imperocché tutti, e specialmente i plebei, ne’ dissidj s' irf urtano con chi su
loro insolentisce ; ma si ammansano con chi li blandisce. LVII. Cosi disse Menenio;
e levossene in Senato gran romore , parlandovi ciascnno alia sua volta. I
fautori del popolo esortaVansi a vicenda a dar tutta la mano per- chè
rlpatriasse, avendo per capo di questo consiglio il Digillzed by Cuogle MERO
VI. 269 pii riguardevole de* patrizj. Per Topposìto quegli ottimati die
cercavano che nulla si alterasse de’ costumi della patria mal sapeàno ciò che
avessero a fare , nò voleano condiscendere; nè poteano ostinarsi. Nondimeno
uomini integerrimi né caldi per l' uno o 1’ altro partito voleano la pace ,
intenti a questo di non essere assediati tra le mura. Or qui fattosi da tutti
silenzio il più anziano dei 'ìonsoli encomiò Menenio della sua generosità ,
stimo» landò anche gli altri a somigliarlo nella cura della re- pubblica , a
dir francamente ciocché ne sentissero , e compiere senza strepitò ciocché sen
decidesse: indi nel modo stesso cercandolo dei suo parere , chiamò per nome
Manio Valerio, nomo infra tutti gli ottimati ca- rissimo ài popolo, e fratello
all’uno di quelli che aveano liberato Roiòa dai tiranni. LVIII. Costui levatosi
in piede ricordò ai Padri i suoi provvedimenti , e come avendo egli presagito
più volte i terribili casi avvenire , ne tennero pochissimo conto : poscia
esortò li contrari discutere ornai su la moderazione , ma solo a vedere (
giacché non aveano permesso che si estirpasse quando era ancor piccola ) di
racchetare ora , comunque , il pià presto , la sedizione , perchè , trascurata
, non proce- desse pià oltre , e non divenisse incurabile f o presso che incurabile
, e sorgente di mali senta fine. Di- chiarò che le dimande del popolo non
sarebbero come per r avanti; e pronosticò che non si accorderebbe colle
condizioni di prima insistendo per la sola re- missione dei debiti , ma che
vorrebbe forse un qual- che difensore , onde tenersi illeso nell' avvenire :
af- Digilized by Google a'jo DELLE Antichità’ romane fermava che dopo
introdotta la dittatHra era venuta- meno la le^e tutelare della Uhtrià la quale
non per^ metteva a’ patrizj di uccidere alcun cittadino non giu- dicato , nè di
cederlo giudicato reo nelle mani de’ loro- contradditori , e la quale concedeva
a chi volea V ap- pelto f di portare le cause al popolo da’ patrizj f tanto che
quello si eseguisse che il popolo ne decidesse^ Poco mancarvi che non fosse
statà tolta al popolo tutta la potenza esercitela già da esso ne' tempi ad*
dietro , quando non potè ottenere dal Senato per le imprese rmlitari il trionfo
a Pubblio Servilio Prisco, uomo infra tutti degnissimo di quest’ onore.
Pertanto- ben essere verisimile che il popolo cosi ojfeso sconfortisi nè abbia
se non triste speranze della sua sicurezzaj Non il console , non il dittatore
aver potuto soccorrerà il popolo , quantunque il volessero,; .anzi averne par-
tecipale le incurie e V avvilimento , perchè studia» vansi provvedere su lui.
Essersi poi cospirati per im» pedirli non uomini autorevolissimi fra li patrizj
, ma uomini oltraggiosi , avari , . acerrimi ne’ rei guadagni,
« quali , pe’ grandi prestiti a grandi
usure , aveano ridotto schiavi ì pià de’ cittadini ; dicea che questi facendo
loro leggi dure , orgogliose . aveano alienata tutta la plebe da patrizj ; e
che datosi per capo Ap- pio Claudio , odiatore della plebe , e propizio ai po-
chi y rimescolavano tulli gli affari di Roma. E se la parte savia del Senato
non si contrapponesse , la repubblica pericolerebbe di essere schiava o
distrutta. Da ultimo dichiarò ben fatto valersi del parer di Me- nenio , e
chiese che si spedisse al popolo qiumto Digitized by Google LIBRO VI. 271
prima: procurassero i deputati quanto volessero la calma della sedizione : ma
se il popolo non accet- tava le dimando loro , essi quelle accettassero del
LIX. Sorse , invitato , dopo lai Appio Claudio , uomo contrario al popolo, e
grande estimatore di sestesso, nè senza cagione. Perocché nel vivere suo
quotidiano era moderato e santo , nobile nella scelta de' provvedimenti, e tale
da conservare la dignità de’ patrizj. Costui pren« dendo occasione dell’ aringa
di Valerio , disse : Certa- mente sarebbe Valerio men riprensibile se palesava
unicamente il suo parere , senza condannare quello de’ contrarj ; giacché non
avrebbe nemmen egli ascoU tato i suoi vizj. Siccome però non fu pago di dar
consigli onde renderci schiavi ai cittadini pili vili, ma sferzò pure i suoi
contrarj , cimentando anche me ; così vedomi necessitato assai di rispondere ,
e di respingere primieramente le calunnie a me fatte. Son io rimproverato di
una condotta nè' sociale , nè decorosa , quasi io cerchi per ogni via far
danari , quasi spogli molti de’ poveri della libertà, e quasi da me sia
derivata in gran parte la separazione del popolo. Ben vi è facile però di
conoscere che niente di ciò è vero , niente probabile. Or su , dimmi , o
Valerio , quali sono quelli che ho io ridotti servi pei debiti , quali i
cittadini che ora tengo nella carcere ? (filale dei fuorusciti si è privato
della patria per la durezza e per V avarizia mia ? Certo non potrai tu dirlo.
.Anzi tanto è lungi che alcuno sia da me ri- ilotto servo pe’ debiti che. io
sparsi tra molti V aver Digitized by Gopglc 2^2 DELLE ANTICHITÀ’ ROMANE mio ,
nè mi rendei schiavo , nè disonorai niuno di quei che mi hanno defraudato : ma
tutù ne son U- beri, e tutti me ne ringraziano , e stansi nel numero degli
anici e de clienti miei pià familiari. Nè ciò dico per incolpare chi non opera
come me, nè per ingiuriare chi ha faUo cose concedute dalle leggi; nta solo per
levas'e da me le calunnie. LX. In ciò poi che mi accusa della durezza e del
patrocinio mio sui scellerati, chiamandomi odUpopolo ed oligarca perchè
favorisco il comando de’ pochi , in ciò son io da riprendere quanto voi che
avete ricu- sato , come pià riguardevoU , di soggiacere ai men degni , e di
lasciarvi togliere il comando dei vo- stri antenati da una democrazia , pessimo
infra tutti i governi. Nè già perchè egli soprannomina oli- garchia il comando
de’ pochi dovrà questo disciogliersi per le beffe del nome. E pià giustamente e
propria- mente possiamo noi riprendere lui come un adulatore del popolo , ed un
ambizioso di tiranneggiare. Per- ciocché niuno ignora che la tirannide nasce
dalle adu- lazioni della plebe : e che la via speditissima a ren- dere le città
schiave è quella che mena al comando col mezzo de’ cittadini peggiori. Or egli
ha fin qui carezzato costoro , nè tuttavia cessa di carezzarli. Ben vedete che
questi abietti , questi miseri , non avreb- bero . mai ardito d’ insolentire in
tal modo se non fossero stati eccitati' da questo sì riguardevole e bello amatore
della patria , come se l’ tali trattare,
Abhiam per ostaggi le loro mogli, i loro padri, e tutto il parentado , dei
quali non potremmo ckiedtrne altri migliori dd\Numi, Questi , li collocheremo •
nói, questi al cospetto dei loro congiunti , minacciando , se tentano assafirti
, di uc- ciderli con estremi supplizj: ina, credetemi, dove ciò sappiano , voi
li riceverete inermi', supffikhevoli, pian- genti , pronti ad ogni pena.
Terribili sono tali neces- sità , e frangono , ed annientano ogni baldanza.
LXIII. E questi sonod riflessi -^pd quali non dob- biamo la guerra temere degli
esuli. Le mirtacce poi di altri popoli rum ora Ut prima volta si trovarono
fnire in paroUf; ma 'per ^addietro ancora ci si sco- prirono sempre rtùnori
delt apparenza quante volte i popoli fecero di noi paragone. M quelli che
tengono per insufficienti le intime nostre forze, e però temono appunto la
guerra , quelli non bene le han calcolate. Ai citrini da noi separati, se il
vogliamo , possiamo contrapporre scegliendoli e liberandoli , il ' fiore de’
servi Digitized by Google LIBUO VI. 277 Certamente vai meglio donare a questi
la libertà , che lasciarsi torre da quelli il comando : tanto più che stati
essendo questi tante volte presenti ne’ nostri campi hanno sperienza che basta
di guerra. Per com- battere poi cogli esteri usciremo ' noi stessi pieni di
ardore e meneremo con noi tutti i clienti, e tutto il resto del popolo : e
perchè sia questo ' cspedito a ci- menti , rilasceremp ciascuno privatamente ,
e non max per legge , ad esso i suoi debiti. Se dobbiamo in vista de’ tempi
cedere in parte e temperarci; non dee mai farsi questo con cittadini che ci s'
inimicano , ma cogli amici , perché sappiasi che noi concediamo grar zie,
eomthossi e non violentali’, che se queste non bastino, se bisognino altre
fòrze , f arem venirne dai presidii e dalle colonie: e quanta sia- la
moltitudine loro , è facile raccoglierlo dalC ultimo censo. 1 .Ro- mani atti
(die arme son cento trenta mila, e di questi appena la settima tparte è fuggita
' da noi ( 1 ). Non commentoro qui le' trenta città de’ Latini , le quali come
voitre alleate ^ combatteranno di bonissima vo- glia per voi, sol che
decretiate di ammetterle alla vostra cittadinanza che > sempre .vi hanno
domandata. LXlV..Ora vi aggiungo' (.e finisco ) quello che ri- leva fra le arme
assaissimo , e che voi non avete av- vertito , o certo niun dice de’ Padri. Chi
cerca il buon esito delle guerre, di niente ha tanto bisogno, quanto di egregi
capitani. Or di questi la nostra città soprob- (1) Questo ceuso non par quello
fatto da T. Largio primo dituiorr, ma l’altro fissato da Sigouio oell’ anno sGu
di Roma, ov« dice eba furono numerati più che centodieci mila ciuaUini.
Digitized by Google i'jS DELLE ANTICHITÀ.’ BOMANE benda , ma scarsissime ne
sono quelle de' nemici. Lè grandi milizie se ricevano duci mal atti alle arme,
si svergognano , e rovinano di per sestesse con danno tanto maggiore, quanto
sono più numerose: ma i buoni condottieri presto rendono grandi anche picciole
ar- mate. Di qua seguita che fiiìchà avrem uomirU buoni al comando, mai avremo
penuria di quelli che fac» cianci comandare. Or ciò considerati^ , e ricordando
voi le imprese di Roma ; certo mai non porrete de- creti meschini , vili ,
indegni. Che dunque , se alcuno tnel chiede , ( e già forse bramate da gran
tempo sa- perlo ) che dunque io propongo che facciasi ? Io pro-> pongo che
nè spediscansi ambaseiadori d fuorusciti ^ nè sen decida arti , finché raccolto
il voto de’ se- natori SI dedicassero ai voleri dei più. Se violato 1’ uno LIBRO
VI. 379 e r altro di questi cousigli, faceano di lor voglia la pace ;
protestavano che noi permetterebbero , ma vi si opporrebbono di tutto lor
animo, colle parole finché dovevasi , o colle arme in ultimo se bisognava. Era
que> sto partito J1 più forte , aderendovi quasi tutta la gio« ventù
palriaia. In opposito piegavano al partito di Me-s uenio e di Valerio tutù
quelli che aveano cara la pace, p cbe torneano soprattutto per 1’ età loro,
considerando quanti siano .nelle città li mali delle guerre civili. Mossi però
dai clamori e dai tumulto dei giovani , adombrati dall’ ambizione loro , e
dall’ arroganza contro de’ consoli , e timorosi che indi a poco si venisse alle
mani se nou cedevano; si volsero in ultimo a piangere, e supplii care ,
piangendo , i conirarj. LXVL Sopitosi coi tempo lo strepito, e tornato il
silenzio , i consoli abboccatisi fra loro, cosi conchiusero. Noi vorremmQ
primieramente o Padri Coscritti , che voi tutti foste unanimi d intelligenza e
di volere in^ torno la salvezza del comune : se no , che i più gio^ vani almeno
cedessero , non ripugnassero d seniori , considerando , che ancK essi giunti
alT età di questi avran pari onori dai discendenti. Ora siccome vediamo voi
caduti in una discordia , rovinosissima fra i mali umani , e sorgere qui mollo
f arroganza de’ giovani ; e siccome poco ornai soprawanza del giorno, nè pos-
sono aver fine le discussioni ; ritiratevi dal SeruUo : tornerete in cUtra
adunanza più placidi e con sentenze migliori. Che se qui persevera l’ amore
delle contese, non più ci varremo de' giovani por giudici , né per consiglieri
su ' quello che giova : ma precluderemo il Digitized by Google aSo DELLE
Antichità’ romane disordine con una legge ; determinando la età che aver dee
chi consiglia. Quanto a’ seniori se non si uniscono ne' sentimenti ; torneremo
a dar loro la pa- rola , e ne risolveremo le dispute per una via spedi- tissima
, la quale è meglio che voi udiate e conosciate precedentemente. Voi sapete che
noi abbiamo fin dalla fondazione di Roma , che il Senato è t arbitro, è vero ,
di ogni cosa , ma non di creare- i magistrati, rum di fare le leggi , rum di
portare ■ o cesseue la guerra ; le quali tre cose il popolo le difinisce in
"ul- timo col suo voto. E siccome ora non consultiamo che su la guerra e
la pace ; cosi debbe il popolo, li- berissittur ne' suoi voti ratificare
indispensabilmente i vostri decreti. Quando voi dunque avrete dichiarato i
vostri pareri , ru>i scguerulo questa legge , inviteremo la moltitudine al
Foro , perchè ne sentenza. Così le' contese avran fine ; mentre ciò che la
pluralità dei voti destinavi , quello abhracceremo. Senza dubbio son degni di
quest’ onore quelli che si tennero finora he- naffetti alla patria , io dico i
compartecipi de' nostri beni e de mali. LXVII. Sciolsero, ciò detto, radunania.
Fecera nei giorni appresso annunziare a tutti de’ villaggi e della campagna che
si presentassero, e similmente al Senato che si riunisse nel di stabilito ; e
qnaudo videro la città riempita di popola, e gli animi de’ patrizj mossi dalle
preghiere fatte tra le lagrime , e tra’ lamenti de’ vecchi genitori , e de’
teneri '6gli de’ profughi , recaronsi nel tempo destinato sul finir della notte
al Foro , angusto a tutta ia moltitudine. Venuti al tempio di Vulcano Googk
LIBRO VI. 281 donde solcano aringar l' adunanza , lodarono primiera- mente Il
popolo dello zelo e della prontezza nell* accor- rere in tanta frequenza:
quindi lo esortarono che aspet- tasse in calma la risoluzione del Senato;
animando in- tanto gli attenenti de' profughi a buone speranze, come quelli che
riarrebbero tra non molto i loro pegni dol- cissimi. Dopo ciò passando in
Senato vi tennero benigni e modesti ragionamenti , ed invitarono ancor gli
altri a proporre consigli vantaggiosi , ed umani. Chiamarono innanzi tutti
Menenio , il quale alzatosi in piede rivenne ai suggerimenti di prima
stimolando il Senato alla pace : e riproponendo che si deputassero ai segregati
bentosto de’ personaggi , arbitri di concordare. LXVin. Invitati poi secondo 1’
età sorsero a mano a mano gli uomini consolari: parve a tutti questi che fosse
da seguire il parer di Menenio ; finché toccò ad Appio di favellare. Or questi
sorgendo t'eggo , disse , o Padri Coscritti che piace ai consoli e poco meno
che a tutti di rimpatriare- il popolo colle condizioni eh’ ei vuole: che fra
tutti i contrarj della pace or io rimangomi solo , esposto aie odio di quello ,
e niente utile a voi. Ala non per questo rimovomi dalle mie prime deli-
berazioni : nè ripudio da me stesso ciò che intendo su la repubblica. Quanto
piò. restomi derelitto da quelli i quali come me ne sentivano ; tanto piò col
volger degli anni ne sarò pregiato tra voi , sarò in vita coronato di gloria ,
e morto sarò benedetto dalla ricordanza de posteri. Sia pure o Giove Capitolino
, o Dei presidenti della nostra città , o eroi e genj , e quanti in guardia
avete il suolo Romano, sia pur Diomcj, urna IT. i** a8a . DKLLE antichità’
romane hello ed utile a tutti il ritorno de fuorusciti , e de- lusa resti la
espettazione eh’ io ni' avea su 1’ avvenire. Ma se pe’ consigli presenti dee
venire (e fia ciò pa- lese tra non molto ) alcun disastro su Roma , deh !
rettyicateli voi prestamente , e fate la nostra salvezza. Deh ! siate benevoli
e propizj a me che non avendo mai voluto dir le piacevoli per le utili cose ,
non tradirò nemmen’’ ora il comune per la mia sicurezza. Io così volgomi a
pregare gV Iddj ; perchè non abbiso- gnano più, parole. Ripeto la sentenza di
prima : as- solvasi IL POPOLO RIMASTO IN CITTa’ DAI DEBITI ; MA COMBATTANSI CON
TUTTO L ARDORE I FUORUSCITI TINCBÈ STARANNO SU LE ARMI. LXIX. E ciò detto Gnl.
Poiché le sentenze de’ seniori concordaronsi con quella di Menenio , e poiché
venne il discorso ai giovani ; standosi tutti in espettazione , sorse Spurio
Nauzio , un rampollo della prosapia nobi- liasima originata da quel Mauzio
compagno di Enea nel guidar la colonia, e sacerdote di Minerva m'bana, il quale
nel trasmigrare aveane portato seco il divin simu- lacro , dato poi
successivamente in custodia a’ suoi di- scendenti (i). Ora Nauzio che parea per
le sue belle doti più nobile ancora di tutti i giovani , nè lontano mollo dall’
ottenere la dignità consolare , cominciò la difesa comune di questi : diceva
che quando nel Senato (i) Anche Virginio fa meniioue di questo Nauxio , che
egli chia- ma Pfautt , nel libro 5. Tum senior PfaMes , unum Triionia Paìlas , Quaeitt
docuit , muUaqus insignem reddidit arte , Haec responsa datai. Digitized by Google LIBRO VI. 283 precedente avetmo
pronunziato in contrco'io de' padri non fu già per amore di contendere o
insuperbire con essi, ma solo mancando , se aveano pur mancato, per
inesperienza di anni : e qui soggiunse che fareb- bero fede di ciò col variar
sentimento : che lascia- vano a loro come più savj decidere co’ voti il ben del
comune : essi non contrarierebbono , ma secon' darebbero i seniori. E
dichiarando Io stesso ancor gli alni giovani , toltine pochi , legati di
parentado con Appio ; i consoli ne lodarono la verecondia ; ed esorta» tili ad
essere sempre tali ne' maneggi ' pubblici , elessero tra’ seniori piÀ cospicui
dieci deputati , uomini consolari tutti, fuori che uno. Furono gli eletti,
Manio Valerio, Tito Largio , Agrippa Menenio figlinolo di Gajo , Publio
Servilio figliq di Publio, Postutnio Tuberto figlio di Quinto, Tito.Ebuzio
Flavio figlio di Tito, Servio Sul» picio Camerino figliuolo di Publio, Aulo
Postumio Albo prima alle tose loro quei
che le aveano lasciate. LXX. Presi tali ordini, partirono i deputati nel giorno
(1^ Nel testo si omeltoDO Maoio Valerio , Tito Largio , e si no- lano altre
maacaaxe in questo luogo. Noi alitiamo seguita la lesione di Porlo . Digitized
by Coogle a 84 DELLE Antichità’ romane medesimo. Precedè la fama il giunger
loro, divulgando nel campo tutte le cose fatte in città : dond’ è che la-
sciando tutti le fortificazioni uscirono immantinente in- contro a’ deputati
che erano in via. Aveaci nel campo un uomo turbolento affatto \ e sedizioso,
acuto a preve- der da lontano ciocché avverrebbe, nè insufficiente , come
parlator lusinghiero , a dirne quanto ne pensava. Chiamavasi questi Lucio
Giunio col nome appunto di lui che tolse i tiranni : e voglioso di assumerne il
nome per intero , facessi intitolare Bruto ancora. Rideano i più su la cura
vana di esso^ e Bruto il chiamavano quando pungere lo volevano. Or questi mise
in cuore a Sicinio , duce dell’ esercito , che il bene del popolo non istava
nel rendersi troppo facilmente , sicché men degno ne fosse il ritorno per le
umili condizioni ; ma nel re- sistere lungamente , simulando come in tvia
tragedia. E profferendosi egli a Sicinio di parlare in favore del po- polo , e
suggerendogli altre cose che erano da fare o dire , lo persuase. Dopo ciò
Sicinio , convocato il po- polo , impose a’ legati che dicessero le cagioni per
le quali venivano. LXXL Recatosi in mezzo Manio Valerio come il più provetto e
popolare , e contestatagli dalla moltitudine la sua benevolenza con grida e
saluti amichevoli , alfine , fatto silenzio, disse: Niente, o popolo proibisce
che vi riconduciate alle vostre case , niente che vi paci- fichiate co’ Patrizi
. Il Settato ha per voi decretato' un ritorno utile e decoroso j e di non pià
ricordare o vendicare il fatto finora. E noi che vedeva propen- sissimi per voi
, come da voi rispettati , ha qui de- Digitized by Coogle LIBRO VI. 285 putato
con poteri assoluti di concordare : affinchc noi non opinando nè congetturando
su vostri desiderj , ma udendo da voi stessi con quali condizioni chie- dete
riconciliarvici , ve le accordassimo se moderate , se non impossibili , nè
impedite da indecenza insa- nabile , sene’ aspettare il voto de’ Padri , e
senza in- tristire V affare colle dilazioni , e colla invidia dei contrari (i).
Avendo il complesso de’ Padri così per voi decretato ; ricevetene il dono lieti
, pronti , e benevoli s pregiandone degnamente una sorte sì bella , e rin-
graziando vivamente gV Iddj che Roma , la domina- trice di tanti popoli , che
il Senato , regolatore di tutto il bene che è in essa , mentre V usanza della
patria non permette che cedasi ad alcuno , cedano alle istanze vostre solamente
, nè pretendano come i più. grandi su’ men grandi discutere minutamente quanto
conviene ad ambedue , ma primi essi vi spe- discano per . la pace : che non
piglìasser con ira le risposte imperiose da voi fatte ai primi ambascia- dori ,
ma pazientassero alt orgoglio e fierezza di una ostinazione giovanile , come il
buon padre sul figlio non savio : che volessero indirizzarvi una seconda
ambasceria , diminuire i loro diritti', e rimettervisi dove la moderazione il
consente. Giunti a tanta felicità non esitate a dime ciocché bisognavi, e non
esorbitate o cittadini : lasciate le sedizioni : tornatevi giubilando alla
terra che vi ha generati e nudriti : (i) Allude ai scDatorì che arrebbono
perorato in contrario nei Senato. Digitized by Googlc 286 DELLE Antichità’
romane Già non le deste voi li trofei e le ricompense pià belle , riducendola
quanto è da voi solitaria, o come un campo da pascolarvi. Se trascurate questa
oc- casione , forse ne richiamerete pià volte la somi- gliante. LXXII.
Taciotosi Valerio fècest innanzi Sicinio , e I disse , che chi ben consulta non
riguarda V utile da una banda sola , ma lo contempla nel suo rovescio ancora ,
principalmente in affare di tanta importanza. Pertanto comandò che chi volea
rispondesse a ciò , deponendo ogni verecondia e timore. Non permettere la
natura delle cose che essi benché ridotti a tante angustie cedessero per paura
o per vergogna : E qui, fatto silenzio , e gli uni riguardando su gli altri , e
cer- cando chi perorasse pel comune; ninno si presentò. Ma replicando Sia aio
altre volte l’ istanza venne alfine in mezzo secondo gii accordi quel Ludo
Ginnio desideroso di essere cognominato Bruto : ed avuto a far dò grandi
significazioni dalla moltitudine , tenne questo ragiona- mento : Il timore che
avevate de’ Patrizj o compagni è scolpito ancora per quanto vedo , e triorfa
negli animi vostri. Abbattuti da questo timore esitate far qui , udendovi tutti
, i discorsi che usavate tra voi. Forse ciascuno confida che il vicino suo
aringherà sul comune , e che piuttosto incorrerà tra’ perìcoli ogni altro e non
egli : ami che egli tenendosi in sal- vo , goderà senza perìcoli parte del bene
che possa mai nascere dall ardire degli altri : ma stolto è que- sto concetto.
Imperocché se tutti aspettiamo la stessa cosa , la codardia di ciascuno sarà nocevole
a tutti; Digiti^ed by Coogle I.IBBO VI. 287 c dove ognuno figurasi la sua
sicurezza; ivi insieme con tutti rovinerà la comune. Ma se non avete ap- preso
finora che per le arme ci togliemmo la paura, e per le arme avete consolidata
la vostra libertà ; conoscetelo ora almeno , ed i Patrizj , essi stessi ve 10
insegnino. Questi orgogliosi, questi durissimi uo~ mini , non vengono come
prima comandando e mi- nacciando , ma supplicandoci , ed esortandoci a tor-
nare alle nostre case : e già cominciano a trattarci come liberi veramente. Che
dunque or più vi anne- ghittite e tacetq ? Che non la Jote da liberi uomini ? c
se avete già scosso il freno : che non dite qui ora pubblicamente ciocchò avete
sopportato da loro ? O miseri ! e quali patimenti temete ? se io stesso v in-
vito a parlar francamente ? Io dunque , io stesso mi rischierò di dire
liberamente per voi ciocché è ffusto, senza niente occultare. E poiché Valerio
dice che niente proibisce che vi rendiale alle case vostre conceden- dovisi dal
Senato il ritorno , ed essendosi decretato di non perseguitarvi ; io risponderò
a lui cose nem- meno vere che necessarie a dire. LXXIII. Oltre i motivi ben
grandi e varj , tre ne sono o Valerio fortissimi e chiarissimi che c impe-
discono di rimetterci a voi deponendo le armi. Il primo è che venite a noi per
esortarci come traviati; e Radicate beneficenza vostra accordarci il ritorno :
11 secondo è che invitando noi a pacificarvici , niente dichiarate le
condizioni compiacevoli o giuste su le quali possiamo ciò fare : è poi ! ultimo
che niente di quanto ci promettete sarà per essere stabile , giac- Digitized by
Gopgle 288 DELLE ANTICHITÀ.’ ROMANE chè avete continuato a rigirarci e
deluderci tante volte. Discorrerò di ciascuna di queste cose , incominciando
dai diritti ; giacché sempre dai diritti si vuol comin- ciare sia che trattinsi
le cose private, sia che le pub- bliche. Noi dunque se ve ne abbiamo mai fatte
, noi non chiediamo nè impunità nè dimenticanza delle in- giurie. E non yorremo
piò. rio starci a parte della vostra città , ma dandoci in balia della sorte e
dei genj che ci guidino , ci fermeremo là dove .porta il destino. Ma se per
colpa vostra noi siamo ridotti alla condizione in cui ci troviamo ; e percpè
non confes- sate che voi li quali foste gli oltraggiatori , voi abbi- sognate
anzi di perdono e di dimenticanza ? Come dite di accordarci voi questa ; quando
avreste a di- mandarcela ? Come così vi magnificate quasi voi cal- miate lo
sdegno verso di noi , quando dovreste cer- care che noi verso di voi lo placassimo
? Cosi con- fondete la natura della verità , così la dignità dei diritti
pervertite ! Che poi non siate voi gli offesi ma offensori; che voi beneficati
tante volte e tanto dal popolo per fondare la libertà e V impero, lo abbiate
non bene contraccambiato ; uditelo , e convincetevene. Io non parlerò se non di
cose che voi sapete , e se alcuna mai sarà falsa ; reclamate per gli Dei ve ne
prego , non che stiate a bada pazientando. LXXIV. Il nostro governo primitivo
fu monarchico, e lo abbiamo conservato per sette generazioni. In tutti que’
principati il popolo non fu mai conculcato dai re , specialmente dagli ultimi.
Anzi lascio di dire che derivò da quel dominio molti e segnalati vantaggi;
Digitile by Gopgle ■ LIBRO VI. a8g impemcchè per obbligarlo a sestessi e
console porgeva al popolo, noi non più memori verso di voi dei mali antichi,
noi pieni di lusinghiere speranze per f avvenire , ci dedicammo tutti a voi
stessi; e dissipate in poco tempo tutte le guerre , tornammo con seguito folto
di schiavi e di prede bellissime. E voi, ne avete voi dato ricompense giuste ,
o degne de’ pericoli ? ma quando mai ? troppo lungi ne siamo. Anzi ne avete
tradito le promesse che imponevate al console di farci a nome del co- mune. E
quest’ uomo bonissimo , del quale abusavate per deluderci , lo avete . questo
privato del trionfo , quando degnissimo ne era più che tutti i mortali. Nò
LIBRO VI. 293 già per altra cagione così ancor lo spregiaste , se \ non perchè
vi dimandava che adempiste le pro- messe , e perchè sdegnato mostravasi che ci
bef- faste. LXXVII. Ultimamente ( vi aggiungo questo solo intorno al diritto ,
e finisco ) quando gli Equi , i 5a- bini , i Volsci insorsero di comun voto , e
concitarono ancor gli altri, non foste ridotti, voi venerabili e gravi , a ricorrere
a noi negletti e vili , colmandoci di promesse per iscamparvela ? e non volendo
parer d’ ingannarci come altre volte , trovaste per coprir la impostura questo
Mania Falerio , uomo amantissimo della plebe. E noi credendogli come a uomo dal
quale non saremnw traditi perchè dittatore , ed ami- cissimo nostro f ci
consociammo novamente a voi per questa guerra , e vincemmo i nemici con ‘
battaglie non poche , nè pieciole , nè ignobili Ridotta la guerra a bellissimo
fine prima ancora delle sperante comuni, tanto foste alieni da renderne grazie
, e ben copiose al popolo , else cercavate ritenerlo anche senza voglia, sotto
le insegne e fra V armi , per trasandar le pro- messe , come trasandarle
destinavate fin dal princi- pio. E non tollerando il valentuomo la beffa, nè la
infamia delV opera , e riportando in città le bandiere, e rilasciando tistti
per le proprie case ; voi , presone motivo onde non far la giustizia ,
ingiuriaste lui , nè serbaste a noi veruna delle convenzioni con tre abusi
gravissimi , perchè profanaste la maestà del Senato, annientaste il credito di
un tal uomo , e rendeste inutile cC vostri benefattori il merito delle fatiche.
Omj Digitized by Google 294 DELLE A.NTICHITA’ ROMANE potendo noi dir queste e
simili cose non poche , non abbiamo o Patrizj voluto piegarci (die umiliazioni
ed alle preghiere, nè accettare come i rei di gravissime colpe , il ritorno su
la obblivion del passato. Seb- bene , essendoci noi qui riuniti per concordare
; non dobbiamo ora investigare pià sottilmente queste cose, ma vociamo
trascurarle e dimenticarle , • e tener- cele. LXXVIII. Che non dite voi dunque
palesemente a qual fine siete qui deputati, e qual cosa venite per chiederne ?
Su quali speranze volete in città ricon- durci ? Qual sorte abbiamo a prendere
per guida del nostro ritorno ? Qual giubilo , quale benevolenza ci aspetta ?
Fin qui non abbiamo punto ascoltate esibi- zioni umane e benefiche , non onori
, non magistra- ture , non sollevamento dalla indigenza, nè altre cose
qualunque , sebbcn tenuissime. Quantunque non dovea già dùcisi ciocché siete
per fare , ma ciò che fate , perchè sperimentandovi subito benevoli nelle opere
vostre , vi argomentiamo ancor tali per l’ avvenire. Ma io penso che voi
risponderete a ciò , che voi siete qui plenipotenziari , e che qualunque^ cosa
ci persua- deremo a vicenda, sarà stabilita. Or_ sia ciò vero; e ne sieguano
conformi gli effetti ; niente vi contraddico. Bramo però sapere le cose che da
loro ci si faranno dopo queste. Vale a dùe , quemdo avremo noi detto su quali condizioni
vogliamo il ritorno ; e quando ci saran concedute ; chi ci sarà di esse -
mallevadore ? Su quale sicurezza deporremo le armi , e metteremo le nostre
persone di bel nuovo nelle lor mtmi ? Su Digitized by Google LIBRO VI. 290
quella forse dei decreti che si faran dal Senato , non essendovene ancora ? Ma
qual cosa mai impedirà che annullino questi con altri decreti , quando così
paja ad Appio e ad altri che pensan com’ egli ? Con^ teremo forse su la dignità
dei deputati che ne por- gono in pegno la fede loro ? Ma prima ancora ci han
deluso colla interposizione di tali uomini. Riposeremo forse ne trattati fatti
innanzi agV Iddj , e confermati da loro co' giuraménti? Ma io temo di ogni fede
umana consimile , vedendola da quei che comandano vilipesa. E so , nè già ora
per la prima volta , che i trattati forzosi tra chi brama esser libero e chi
vuol dominare han vigore soltanto finché la necessità così porta. Or quale è
queir amicizia e quella fede nella quale siamo costretti ad ossequiarci contro
voglia , insidiando t uno il tempo dell' altro ? Allora inces- santi i sospetti
e le calunnie; allora le invidie e gli od] ed ogni maniera di mali: allora la
gara di preoc- cuparsi a distruggere V emolo ; riuscendo ogn indugio a mal
termine. LXXIX. Non vi è , come tutti sanno , guerra più. trista della civile :
questa i vinti fa miseri, ed in- giusti li vincitori : e li 'vinti han dagli
amici i lor mali, i vincitori agli amici li causano. Or voi dun- que o Patrizi
vogliate chiamar noi a pari cir- costanze , a pari bisogno non desiderabile ; e
noi o plebei non ci rendiamo loro mai più: ma come la sorte ci ha divisi , così
teniamoci in calma. Abbian pur essi tutta Roma , senza noi se la godano , e ne
raccolgano soli ogni bene , essi che han ridotto fuor Digitized by Google agO
DELLE a?«ticihta’ romane della patria noi miseri, noi disonorati plebei. E noi
andiamocene pure dove gt Iddj ei guidano , conside- rando che non la nostra ma
t altrui città lasciamo. Niuno di noi qui lascia non campagne proprie , non
abitazioni paterne , non sacerdozi , non ‘ magistrature comuni come in sua
patria per t esercizio delle quali siavi ritenuto pur contro voglia ; anzi
nemmeno la- sciammo qui per noi la libertà, quella che ci ave- vamo colle arme
e con tanti travagli acquistata. Im- perocché parte i nemici , parte la miseria
quotidiana, parte V alterigia degli usurieri ci han guasto e con- sunto e tolto
ogni cosa : tanto che noi- miseri eravamo ridotti a coltivare le terre di
questi zappando , pian- tando , arando , pasturando , divenuti conservi degli
schiavi loro da noi presi colle arme; e chi di noi portavamo catene alle mani ,
chi ne piedi , chi nella cervice finalmente , come fere intrattabili. E qui non
ricordo le ferite , gli avvilimenti , le battiture , le fa- tiche da notte a
notte (i) , ed ogni altra sevizia , e non le ingiurie , e non C orgoglio che ne
abbiam so- stenuto. Liberati , la Dio mercè , da tanti e sì gran nudi ,
fuggiamo ben contenti quanto possiamo e sap- piamo , e prendiamo per. duci
della fuga la sorte e gl’ Jddj li quali veglian per noi, considerando come
patria nostra la libertà , e la virtù còme nostrà ric- chezza. Ogni popolo nè,
ammetterà, sì perchè non molesti, come perchè utili a chi ne riceve. LXXX. E ci
siano in ciò' di esenqtio molti Greci, (i) Dal tempo prima dell’alba fiuo a
aera. Digitized by Coogl LIBKO VI. 297 e molti barbari , e principalmente gli
antenati tii quelli e di noi. Gli antenati nostri passando con Enea dal£ Asia
nelC Europa fondaronsi nel Lazio una patria : e poi spiccandosi da Alba sotto
gli au» spicj di Romolo che guidava la colonia , pigliarono sede ne' luoghi
appunto abbandonati da noi. Abbiamo
noi forze non già poco maggiori che essi,
ma tripli- cate, e celione molto più giusta di trasmigrare. Quelli partivan da
Ilio perseguitati da nemici, e noi di quà dagli amici : e ben è più misera cosa
essere espulsi dai domestici , che dagli estranei. Quei che a Romolo si
ligaroho per compagni trascurarono la patria per cercare terre migliori : ma
noi lasciamo un vivere senza città , un vivere senza case paterne quando re-
chiamo la colonia : e certo la rechiamo non odiosa agl Idàj , non molesta agli
uomini , nè gravosa a terra niuna ; non rei' del sangue e della strage de’ cit-
tadini che ci han discacciati , non rei del ferro o del fuoco messo ai campi
che abbandoniamo, nè di altro monumento qualunque fondatovi di eterna
inimicizia; come spinti da necessità sconsigliata rei se ne fanno i popoli
traditi nett aUeanza. Noi chiamati in testi- monio i genj e gl' Iddj che
guidano con giustizia le cose mortali, e lasciandQ'che essi prendano per noi la
vendetta , abbiamo chiesto unicamente di riavere i nostri teneri figli, i
(secchi Padri, che in città si ri- masero , e le mogli in fine , se alcune pur
vogliono dividere con noi la nostra sorte. Contenti di ricevere questo, non
altro dimandiamo da Roma, E voi tanto ■ DIOKICI , tomo ZI. , ' kj * Digitized
by Google 298 DELLE antichità’ ROMANE impolitici f tanto insocievoli verso de'
miseri , vivete felici, e come più desiderate. LXXXI. Appeaa Bruto ebbe ciò ''
detto si tacque. Parve agli astanti tutto vero quanto disse intorno ai diritti
, e quanto per accusare la superbia de’ senatori , principalmente quando
dichiarò che la semplicità dei patti era tutta piena d’ intrico e d’inganni: ma
quando infine delineò gli alTronti che aveaoo patito dagli usucierì, e ciascuno
ricordò li suoi mali ; niup v* ebbe sì fermo di animo , che non si desse a
piangere , e lamentare i danni comuni. Nè impietosirono già sol essi, ma fino
gl’ inviati dal Senato. Non poteano que’ seniori conte- nere le lagrime ,
pensando la calamità per la separazione de' citudini : e rimasero gran tempo tra
1’ afflizione , e tra ’l pianto senza sapere ornai che più dire. Cessali gli
alti gemiti , e tornato il silenzio nell’ adunanza , proce- cedelte per farvi
le difese Tito Largio autorevole sopra tutti i citudini per anni , e per
dignità , come lui che due volte console , e già rivestito della ditutura ,
avea con esercitarla bene più che gli altri , renduu venera- bile, e sanu una
carica altronde odiata. £ datgsi a par- lare sopra i diritti , e ulvolta
incolpando gli usuraj per- chè aveano operate cose durg , e disumàne ; talalira
rimproverando i poveri come non giusti nel' chiedere che si rimettessero ad
essi i debiti per forza anzi che per grazia, e nell’ esacerbarsi col Senato
piuttosto che con quelli che impedivano che si'ccmcedesse loro alcuna cosa
anche moderaU; e dippiù tentando mostrare cl^e pic- ciola era la parte del .
popolo, .ingiuriosa suo mal grado, e necessiuta a dimandate per la igopia
gravissima la Digitiz'ed by Google LIBRO VI. 299 condonaeione dei debiti , ma
più grande assai la parte la quale esigeva ciò perche viveasi scorretta ,
insolente , voluttuosa , e preparata a supplire co’ furti alle sue pas- sioni ,
talché ' doveansi ben distinguere i poveri dai ri- baldi, quelli che erano da
compatire da quelli che erano da odiare ; ed aggiungendo in (ine discorsi
consimili , veri si ma non grati generalmente; non soddisfece tutta la udienza.
Dond’ è che sorsene strepito grande di voce, altri sdegnandosi . quasi
rincrudisse loro gli affanni , ed altri confessando che dicea pur troppo il
vero. Ma per- ciocché gli ultimi erano assai minori di numero , scom- parivano
tra la moltitudine degli altri , e prevaleano soprattutto i clamori degli
adirati. LXXXII. À queste cose ne aggiugnea Largio poche altre su la partenza e
precipitanza loro , quando ripi- gliando la parola Sicinio il capo del popolo
ne riaccese assai più lo sdegno con dire : che ben poleano da un tal parlare,
comprendere quali onori e quali ringra- ziamenti ne avrebbero , se tornassero
nella patria. Se quelli che slansi nel colmo de’ pericoli , ed abbiso- gnano
del braccio del popolo , e per questo a lui vengono , non san trovare nemmen
ora discorsi mo- derati ed umani; qual animo dee credersi che avranno quando
siano .le cose riuscite loro secondo il disegno, e quando chi offendono ora
colle parole , sia sotto- messo loto ancora nelle opere ? Da quali insolenze
mai si conterranno ? da qual; flagelli , o da quali tiranniche sevizie ? Se a
voi dà il cuore , ei dicea , di servire tutta la vita incatenati , battuti ,
straziati col ferro , col fuoco , colla fame , con ogni guisa di maU; Digitized
by Google 3oo delle antichità’ romane su , non perdete tempo , gettate le armi
, seguitateli. Ma se V è pure in voi desiderio di libertà ; non pa- zientate
ornai più. Ambasciadori ! o dite su quali corti- dizioni ci richiamate ; o
partite daW adunanza ; per- chè non lasceremo più che vi parliate. LXXXIII. E
qui tacendosi lui , tutti gli astanti ne strepitarono , acclamandolo , perchè
area detto a propo- sito. Restituitasi quindi la calma Menenio 'Agrippa il quale
areva interloquito in Senato sul popolo , e pro- posto e fatto principalmente
che gli s’ inviasse un’ am- basceria plenipotenziaria , fe’ cenno di volere
aneli’ egli discorrere. Riuscì la richiesta gratissima ; e parea come r augurio
che udirebbe nsi allora Analmente condizioni giuste , e salutevoli ad ambe le
parti. E subito escla- marono tutti a gran voce , che parlasse. Poi si chetaro-
no , e si profondamente , quasi fessevi solitudine. Parve
uu tal uomo , com’ era verisimile , assai
persuasivo nei suoi discorsi, e tutto confacevole ai voleri della udienza: è'
fama però che in ultimo proponesse una tal favola sul gusto delle Esopiane
espressivissima delle circostanze, e che con questa principalmente li
guadagnasse. Dond’ è che la favola fu creduta degna di ricordanza , e rap-
portasi io tutte le storie antiche. L’, aringa di lui fu questa : Popolo , noi
veniamo dal Senato a voi , non per difendere lui , nè per accusarne voi: nè già
pormi che il tempo ciò chieda , nè che ciò sia prosperevole per la sorte della
.repubbUca. Ma noi veniamo con tutto f ardore e V efficacia per 'levar le
discordie , e rimettere la > repubblica nel 'buon ordine primitivo^
rivestiti per ciò fare di^ un potere assoluto. Pertanto^ Digitized by Google
LIBRO VI. 3oi non pensiamo che ,sian ora da esaminare i diritti > come fece
con orazione lunghissima questo Giunio ; pensiamo piuttosto che debbansi con
gli amorevoli modi ricongiunger gli spiriti. Qual fede sia poi per garantire le
nostre convenzioni , ve lo esporremo , appunto come ne cibiamo deliberato.
Considerando noi else le sedizioni si curario in ogni città col to« gliere i
semi delle discordie , abbiamo giudicato ne» cessarlo di conoscere e spegnere
le cause produttrici della divisione. Or trovando noi che le esazioni dure de’
presuli sono la origine de’ mali presenti ; così le correggiamo. Decretiamo che
quanti soggiacciono a debiti , nè possono estinguerli , ne siano del tutto as-
soluti. Decretiamo Uberi tutti , quanti son detenuti per aver differite le
paghe oltre i tempi legittimi , e de- cretiamo liberi infine quanti furono in
mano conse- gnati dei creditori per sentenze speciali di giudici^ annullando
noi queste totalmente. Cosi ripariamo ai contralti precedenti tenuti come causa
della sedizione: ma quanto a centratti avvenire facciasi come ne or- dinerà la
legge che sarà costituita da voi, da tutto il popolo , dal Senato. Dite , non
erano queste le cose che vi alienas>ano da’ Patrizf ? Non giudicavate voi che
sareste conienti , e che altro di più non brame- reste , se le impetravate Oggi
vi si concedono ; an- date , tornatevi' gittiilando alla patria. LXXXIV. I riti
poi- che convalideranno ed assicu- reranno questi trattati saran quelli appunto
delle leggi, usati nel depórsi delle inimicizie. Il Senato appro- verà pur egli
questi trattati ^ e darà loro forza di Digilized by Google 3o2 delle Antichità’
romane leggi quando scritti gli avremo. Anzi schiviamoli qui noi come ne piace
; ed il Senato vi sarà sottomesso. E che questi si rimarranno indelebili ; che
il Senato non potrà mai sopraggiungervi nulla in contrario , noi qui deputati ,
noi li primi ne facciam garanzia sul corpo , e vita , e stirpe nostra , e con
noi pure ve ne fan garanzìa li senatori che firmeranno il decreto. Imperocché
mai , ripugnandovi noi si decreterà cosa niuna contro del popolo ; giacché noi
-siamo li primi del Senato , e noi li primi a dichiarare i nostri pa- reri’.
ven farà da ultimo garanzia la fede comune atutti i Greci, e a tutti i Barbari,
quella che niun tempo mai potrà cancellare , quella che con giura- menti , e
libagióni rende i Numi vindici degli accordi, e su la quale chetaronsi tante, e
non picciole nimi- cizie de’ privati , e tante guerre di repubblica con re-
pubblica. Or questa fede ricevetela ancora voi ; sia che vogliate permettere a
noi, pochi si , ma capi del Senato , di giurarvi a nome di questo ,^sia che vo-
gliate che tutti i Padri sottoscrivano *e giurino con rito santo di serbarvene
i patti inviolati. E tu, o Bruto , non incolpare il pegno delle destre , non le
libagioni, non la fede data invocandone i Numi, né togliere tali espedienti
bellissinii degli uomini: e voi non vogliate tollerare che costui ricordi le
promesse tradite dai scellerati e dai tiranni , da quali tanto è lontana la
virtà de’ Romani. LXXXV. Or lasciate, che io soggiunga (e terminò) una cosa non
ignorata i fiè controversa da rtiun dei/ mortali. Ma quale è mai questa? Essa
importa >'t utit Digitized by Google LIBRO VI. 3o3 colmine , . e saU/a le
parti f una colt altra : essa è r unica e sola che ci raccolse già tutti in un
corpo , e che mai farà separarci. Abbisogna , nè mai cesserà di abbisognare la
moltitudine imperita di sas>j che la dirigano ; come un complesso di savj
idonei a dirigere abbisogna di chi lascisi governare. Nè ciò per imma-
ginazioni sappiamo , ma per esperienza. Che dunque ci riduciàmo a tremare
brigandoci gli uni con gli al- tri ; o che ci logoriamo in triste ^parole ;
essendoci facilissimo tornare alt utile nostro ? Che dunque non ci espandiamo ,
ed abbracciamo , e voliamo (dia pa- tria , aUe antiche delizie , agli oggetti
di tanti dolcis- simi e soavissimi nostri desiderj ? A che cercare im-
possibili assicw'ozioni? A che fidanze malfide^ come in guerra nemici
fierissimi che in tutto sospettano il peggio ? A noi, o plebei , a noi membri
del Senato, basta la sola vostra parola , clte non sarete se tornate iniqui con
noi: e perchè ? perchè sappiamo il vostro buon allevamento , la istituzione
legittima , e le altre virtù che avete in guerra ed in pace dimostrate. E se i
contratti oggi ottengono a nome del comune una riforma , così dimandando la
fedeltà , così la speranza , degli uni verso degli altri ; teniam certo ancora
che siano per corrispondere in voi le altre buone doti : e niente da voi cerchi
(uno ^i giuramenti, niente gli ostag- gi , nè altro pegno qualunque di
sicurezza ; nè però mai contrarieremo le vostre dimande. Ma ciò basti su la
fedeltà intorno • la quale Bruto c incolpava. Che se in voi resta aricora
alcuna, invidia non degna , che vi àccita a pensar' pravanten^s del Senato •,
io dùò pur. Digitized by Goc^Ie 3o4 DELLE AHTICHITA.’ ROMANE di questa : e voi
attenti , in calma , ascoltatemi o plebei. 1 ' LXXXVI* Somiglia ad un corpo
umano una repub- blica : perciocché l uno e t cdtra risultano da più par- ti ;
nè ciascuna delle parti in essi ha forze eguali , né porge un uso medesimo.
Adunque se le membra del corpo umano ricevessero tutte , come il senso , la
voce , e poi nascesse discordia fra loro congiurandosi tutte le altre ad una ad
una contro del ventre, e, li piè si dolessero che il corpo intero poggia- su
loro , le mani che solo esse traltan le arti , procacciano il ne- cessario ,
combattono co’ nemici, e pongono molti t^ri beni in comune-, gli omeri perchè
p'orVan essi ogni peso , la bocca perchè parla , la testa percitè vede , perchè
ode, e perchè comprende tutti i sensi onde il complesso vive del corpo ; e se
quindi dicessero , or tu buon ventre fai tu niuna di queste cose ? quale
riconoscenza, qual utile tu ci rendi? Anzi tanto sei lon- tano dal cooperare e
dal compiere con nei alcun utile comune ; che ne impedisci e conturbi, e quel
che è più intollerabile , ci necessiti a servirti , e portarti di ogn intorno
quanto ti sazj negli appetiti tuoi. Orsù; chè non ci rendiamo noi liberi, nè
cessiamo dalle cure che .in grazia di lui sosteniamo ? Se così piacesse loro ,
se nhtna parte più fornisse le proprie funzioni-, or potrebbe il corpo a lungo
'sussisterne ? Anzi in pochi dì consumerebbesi dsdla fame , pessimo fra tutti i
mali ; e niuno può dirne il contrario. Or concepite pure altrettanto di una
repubblica. Compiono questa molti generi di persone niente, infra li>r
,sornigUanti'; Digitized by Google LIBRO VI. 3o5 e ciaicùno le porge un uso
proprio di lui t come le nsembra lo porgono al corpo. Chi coltiva i campi f chi
pe' campi combatte co' nemici : chi ne reca assai beni tr^Jicando pe' mari ; e
chi travaglia in su le arti necessarie. Se ciascun genere di queste persone-
insorga contro il Senato , che è l’ ordine degli otti- mali , e dica ; qual
cosa , o Senato , tu ci fai di be- ne ? e per qual causa, non avendone tu
alcuna; vuoi, comandare su- gii altri? Non ci terremo una volta da questa
tirànnide tua ? nè vivremo indipendenti ? Se con tali pensieri si levasse
ognuno dalle usate incombente ; cosa impedirà che una tale sconcia re- pubblica
miseramente- perisca per la fame, per la guerra , per ogni male ? Istruiti
dunque , o voi del popolo , che come ne' corpi nosU'i il ventre accusata a
torto da molti, nudrito nudrisce, conservato con- serva ; e quasi uim dispensa
universale , porge ad ogmino il' suo bene , e la sussistenza in un tutto ; così
nelle repubbliche il Senato che matteria il co- mune e provvede a ciascuno V
utile suo , tutto salva e custodisce e dUrige ; cessate di lanciar contro lui
voci ccUunniose , quasi per lui siate fuori della pa- tria , e ne andiate
raminghi e mendici. Il Senato non volle mai questo, nè farawelo : anzi vi
chiama, evi supplica, e vi stende le mani, e vi spalanca le porte, e
raccoglievi. ' ■ . LXXXVII. Intanto che Menpnìo concionava, sorgeano ad ora ad
ora voci varie e molte da^i astanti. Ma pai> chè sul fine del suo
ragionatiteoto si diede a comma» veri! , e 'deplorare le disgrazie e la sorte
immiucnle su DlOUtai, lomo II. a* Digilized by Google 3o6 DELLE Antichità’
romane di ambedue , su quelli rimasi in città e su gli altri che ne erano
usciti ; si misero tutti a piangere , ed unanimi ad una voce gridarono che li
riconducesse alla patria , né più s’ indugiasse. E poco mancò che partissero tutti
a furia dall’ adunanza ; rimettendo ogni cosa ai deputati senea brigarsi più
oltre della sicurezza. Se non che Bruto facendosi innanzi ritardò l’ impeto
loro , dicendo : che erano pur buone per quei del popolo le promesse del Senato
, e chiedendo che grazie appieno gli si ren- dessero per le cose a loro
concedute. Aggiungeva an- cora di temere per l’ avvenire che uomini una volta
oppressivi, si dessero, venutone il tempo, a ricor- dare , e punire le cose
operate dal popolo. Jtimanervi una sicurezza sola per quelli che temono questo
dagli Ottimati , cioè quella di rendere indubitato che , se vogliono , non
posson piii offenderli. Finché sta in essi il poter danneggiare , non mancheran
de mal- vagi che il vogliano. Pertanto se il popolo ottenga tal sicurezza ^
-non altro resteragli da chiedere. Ripi- gliando Menenio , ed invitandolo a
dire qual sicurezza pensava che al popolo bisognasse , concedeteci , disse ,
che noi ci scegliamo ogni anno dall' ordine nostro alcuni magistrati i quali
non siano ad altro autoriz- zati che a proteggere gli oltraggiati , e gli
oppressi nel popolo , nè lascino che alcimo sia defraudato de' suoi diritti.
Alle^ cose accordateci aggiungete in grazia ancor questa , ve ne preghiamo , ve
ne suppli- chiamo , se la pace esser dee non in parole , ma in fatti. •
LXXXYllI. 11 popolo udendo un tal dire lo accom- Digitized by Googl LIBRO
VI.807 pagnò con grandi e lunghe acclamazioni , raccomaiidau* dosi ai deputati
che gli concedessero anche questo. I deputati ritirandosi daU’adunanza, e conferendo
alquanto in fra loro , vi ritornarono dopo jion molto. Taciutisi tutti ,
Menenio fattosi iunanzi disse : La dimanda è grande e piena o plebei di enormi
sospetti. A noi viene timore ed ansietà che non abbinasi a fare due città di
una sola. Quanto è da noi , nemmeno in ciò vi ci opporremo , or voi
compiaceteci (tende anche (Que- sto al ben vostro ) date a tre deputati che
tornino in Aonuif e narrino al . Senato la richiesta. Non ci arr roghiamo noi
di risolverne > quantunque abbiamo da esso U potere di concordare come ne
piace , arbitri in tutto di prafnettere.. Siccome il caso che ci occorre è
inaspettato e nuovo ; così ce ne riportiamo ai Pa- dri , quasi in esso V
autorità ci si limiti. Ci persua- diamo, pelò ‘ che essi ne sentiran come noi.
Frattanto io qui resto >, e con me parte dei deputati. Valerio e gli altri
onderanno. Stabilito ciò gl’ incaricati d’ infor- mare il - Senato spronarono i
cavalli alia volta di Roma. Proponendo i consoli in Senato la richiesta;
Valerio opinò che si concedesse. Appio , nimico Gn da princi- pio di ogni,
accordo , contraddisse anche allora chiaris- simameute , esclamando e rilevando
, chiamatine in te- stimonio i Numi , i germi dei mali che impiantavano alla
repubblica. Non però convinse la pluralità , desi- derosa, come ho detto, di
.spegnere la discordia. Adun- que il Senato autorizzò con suo decreto lè
promesse dei deputati ai popolo , come pure che gii accordas- sero la sicurezza
che dimandava. Fatto ciò tornando il Digitized by Google 3o8 , OEtLE antichità’
ROMANE giorno ap|>resso i deputati nei vi eapoM0a4.";^HH Ieri del
Senato. Quindi esortando ' Menenio- U'^poii^lD d’inviare alquanti a’ quali il
Senato desse la Sull' ftdé ;
fu spedito Lucio Giuùo Bruto, del qnale
abbiÀtt'i^no di sopra , e Marco Decio , e Spurio Icilio con esso. Andò metà dei
deputati compagna di Bruto in Roma. Agrippa , pregatone , si rimase nel campo ,
per istender la legge a norma delia quale il popolo creerebbe i suoi
magistrati. ' ' ' , ' LXXXIX. Nel di seguente Bruto rìlortiò già fatti i patti
col Senato per mezzo de’ Feciali , che cfaia> mano. Divisosi allora il
popolo in Fratrie , * come ah tri qui nominerebbe quelle che essi dipono Curie
, dichiarò suoi, magistrati dell’ anno Lucùr Gìnnio Bruto, « Cajo Sicinio
Belluto, 6 no a > quel di loro capi, e con essi ancora Ca}o e Publio Licinio
ì e Cap Icilio Ru- ga (i). Assunsero questi cinque- i primi' la^ potestà tribu-
nizia , quattro giorni avanti le idi di ’decembre {%) , CO 7 me pur nel mio
tempo si pratica. Firttterle ’eiéEÌoni'parve a’ deputati del Senato, adempito
l’ intento della loro mis- sione. Ma Bruto , convocata l’ adunanza ' del
popolò, con- sigliò che dichiarassero i suoi magistrati Santi ed: invìo- (1)
Lìtio, Dionigi, ed altri storirn antichi non ben si accordano sn la nomina di
questi magistrati. Livio dice che i due i primi no- minati furono Cajo Licinio,
e L. Alhiud . e che questi poi si scef- aero tre colleglli tra quali fiv
Sicinio V autore delia seditìone. -Ma^ Dionigi pone per primi Lucio. _Giunio
Bru^o , e C. Sicinio Bellirto : a quindi C. e Fuhiio Liciuro , e C. Icilio
Ruga. (3) Anni di Roma 361 secondo Catene , s63 aeeondo Varrona , a 491 avanti
Cristo. \ - Diiiilizc:. GcOglf LIBRO V|. 3o9 labili slabilenilone la sicurezza
colle leggi e co’giiiramenti. Piacque ciò a tutti , e si fece su lui e su
collcghi la legge : che niuno forzaste un tribuno ) come un altro qualunque a
far mai cantra sua voglia ; ni lo bat- tette , ni lo uccidesse , né ordinasse
ad altri di bal- te rio , o di ucciderlo. Che te alcuno a dà contravvenga anche
in parte ; itane reo capitale ; se ne diano a Cerere -i beni : e chiunque lo
uccide , abbiasi coma puro dalla strage. E perchè non si potesse mai più far
cessare questa legge , ma restasse immobile iu ogni ar« venire ^ si stabili che
ì Romani giurassero tutti co’ riti santi dì osservarla ' essi , ed i posteri
loro perpetuamente.E si aggiunse ai giuramenti la preghiera , che gli Dei
superni , ed inferni fossero propizj a' chiunque favoriva la legge , ma
contrarj a quanti la violavano, come coo- taminati di delitto gravissimo. Da
indi sorse ne’ Romani il-cosWme che persevera pur ne’ miei giorni, di riguai^
dare le persone de’ tribuni come sacrosante. XC. Concordato dò, fecero un
aitare su le dme della montagna ovo s’^erano accampati, e lo denomina» rono
nell’ idioma, loro , l’altare di Giove la cito su la fiducia di respingere i
nemici che si avan* zavano ; ma costretti bruttamente a fuggire^ prima di dare
alcuna nobile prova , nemmen fecero punto di ger nevoso combattendo poi su le
mura. Adunque i Ro> mani in un sol gioruo s’ impadronirono sehzà tere dei
lor territorio , e , ne presero a forza la citti , nè con molto travaglio. Il
comandante Romano concedè ' . .. 'V (t) Vuoi' (lire Edile. Era qacsto vócaboìo
proprio d«’ RoroasK' (Jgitized by Googli LIBRO VI. 3 I I che le miline si
approp lasserò le robe invase; e presi» diala la città , ne andò col resto
deli’ esercito contro l'altra città de’ Volsci , chiamata Polusca, non molto
lontana da Longola. Nè osando alcuno di uscirgli in- contro , percorse
facilissimamente U campagna , e ne investi le maia. E datisi i soldati , chi a
spezzare le porte, chi a scalare le mura ed ascenderle; Polusca anch’essa fu
presa nel giorno medesimo. Il console scel- , tivi alcuni pochi, autori della
ribellione, li fe’ morire : e multati gli, altri in danari, e spogliatili delle
arme; gli astrinse a dipendere in avvenire dai Romani. XCII. Lasciato anche in
guardia di Digitized by Google 3aa Delle
antichità’ romane ni. Volgendo la olimpiade sessantesima quarta , in-' tanto
che Milziade 'era arconte di Atene, i Tirreni dei contorni del golfo Jonio ,
cacciati poscia di là dai Galli, e gli Umbri con essi , e li Dauuj , ed altri
barbari in copia tentarono distruggere Cuma , Greca città tra gli Opici fondata
dagli Eretrj e da’ Calcidesi (i) , senz’ al- tra vera cagione, se non che ne
odiavano la prosperità. Imperocché Cuma famosissima di quei tempi in tutta r
Italia per la ricchezza , per la potenza , e per molti altri beni , avea le
terre le più fruttuose della Campa- nia , con porti utilissimi presso al
Miseno. Invidiandone i barbari il si gran bene, le mossero incontro con di-
ciotto mila cavalli e con cinquecento mila fanti (a), e non meno. Accampatisi
questi non lungi dalla città surse un portento meraviglioso, quale non
ricordasi accaduto mai nè tra’ Greci dovunque, nè tra’ barbari. I fiumi che
scorreano presso gli alloggiamenti ( Volturno no- minavasi 1’ uno , e l' altro
il Ciani (3) ) lasciando lo (i) Gli Eretrj ed i Calcidesi erano popoli dell’
Eukea o Ne^o* ponte. Elrelrìa era distante venti miglia da Calcide. Vi erano
dus altre Eretrie. Vedi tom. i , la not. al S 4^» parla della prima. (a) Par
troppo torrente contro di una città : forse vi à d>aglio nei numeri . (3) Vi
sono altri lìami di pari nome. Questo à quello additato da Virgilio 1. a,
Georg. , Vicina Veitvo Ora jugo ,el vaeutt Ctanius non aeqmt acervis. Antonio
Boudrand: (vedi novum Lexicon Geographic.) chiama que- sto fiume Agno ; e dice
che passa presso di Acerra , di Aversa e Mintomo. Forse il Ciani h quello
stesso fiume che ora chiamasi JPatria nelle catte geografiche. Digilized by
Googlf MBKO VII. 32.3
scendere lor natarale » si ripiegarono ,
rifluendo gran tempo dall’ imboccatura alle fonti. Vista la meraviglia , fecero
core i Cnmani di piombare su’ barbari , come se i Numi fossero per deprimere
l’altezza di quelli , e per sublimare loro che depressi ornai ne pareano.
Pertanto dividendo in tre corpi la gente militare , con uno guaiw darono la
città , con altro le navi , e coi terzo , «:hie- ratoio avanti le mura ,
aspettarono l’ inimico che inoU travasi. Seicento erano i cavalli Cumani, e
quattro mila cinquecento i fanti : pure si pochi di numero tennero fronte a
tante migliaja I IV. Ck>me i barbari seppero che eransi appareo:hiati per
combattere , dato un grido , coi*sero in barbara for> ma , disordinati e
misti , cavalli e fanfl , appunto per annientarli tutti in un colpo. Il luogo,
dove innanzi la città si affrontarono, era una valle angusta , rinchiusa da
lagune , e da’ monti , propizia al valor de’ Cumani , ma nemica alla fdUa de’
barbari. Dond’ è che, travolgendosi e calcandosi questi , gli uni gli altri in
più luoghi , e principalmente su pel fango intorno la palude , si di- strussero
in gran parte fra loro , senza pur venire aUe mani colia Greca milizia di Cuma
: e quell’ esercito ap- piedi si numeroso , e disfatto , e sbaragliato da
sestesso, fini qua e là fuggitivo , senz’ avere operato nulla di generoso. Li
cavalieri però si avventarono , e molto tra- vagliarono i Greci : ma non
potendo circondar l’ inimico per r angustia del loco , e temendo i destini che
com- batteano per Cuma colle piogge, co’ tuoni, co’ fulmini , si diedero anch’
essi alla fuga. In questa battaglia i ca- valieri Cumani militarono tutti
luminosamente, ricono- Digiiized by Google 3a4 delle Antichità’ bomane sciutine
quindi come autori della vittoria. Si distinse so»' pra tutti Aristodemo
cTiiamato Màlaco ; imperocché solo opponendosi , uccise il capitano nemico , e
molti valo- rosi. Finita la guerra porgeansi sagriGzj di ringrazia- mento ai
numi , e davasi magnifica sepoltura agli estinti in battaglia : ma quando si
ebbe a decidere a chi si dovesse la corona , come al più forte ; assai se ne
di- sputò. Li giudici più ingenui , e con essi anche il po- polo , voleano che
ad Aristodemo si concedesse ; ma i più potenti , e con loro tutto il Senato ,
ad Ippo'me- donte , duce de’ cavalieri. Di que’ tempi era in Guma il governo
degli ottimati , nè molto il popolo vi potea : ma natavi sedizione appunto per
tal controversia , i se- niori temendo che tanta ambizione finisse colle armi e
colle stragi , persuasero ambedue li partiti di dar "pari onore all' uno e
all’ altro di que’ valorosi. Da quell’ ora divenne Aristodemo Malaco il
protettore del popolo : e poiché ‘si avea procacciato una persuasiva nei
discorsi di Stato , commovea con questa la moltitudine , allet- tando lei con
stabilimenti gradevoli , beneficando coll’aver suo molti ' de' poveri , e
rimproverando i potenti che si appropiavano ciocché era del comune. Dond’ é che
ne divenne ai primi degli ottimati molesto e terribile. , V. Venti anni dopo la
battaglia co’ barbari vennero ambasciadori dalla Riccia co’ simboli di pace al
Cumani per supplicare che li soccorressero nella guerra contro i Tirreni.
Imperocché Porsena re di questi dopo la pace con Roma dando metà dell’ esercito
, come esposi ne’li- bri antecedenti, ad Arunte suo figlio, lo aveva inviato,
voglioso che n’era, ad acquistarsi un dominio : e costui Digilized by Google
LIBRO VII. 3a5 di quel tempo appunto assediava gli Arieini rifugiatisi tra le
;nura , sulla idea di prenderne tra non molto la città colla fame. A tale ambasceria
li primi degli otti- mati odiando Aristodemo e temendo che non causasse alcun
male al governo ; concepirono di avere il buon punto di levarsel d’ intorno con
delicate maniere.v Per- suadendo il popolo a spedire due mila per soccorso de-
gli Aricini , e nominandone capitano Aristodemo come il più insigne nelle armi,
fecero poi tal maneggio , nde iusingarsi che colui perirebbe o per le battaglie
co’ ne- mici , o per le fortune di mare. Imperocché resi dal Senato arbitri di
scegliere quei che dovrebbero andare di rinforzo , non v’ inchiusero alcuno de’
più famosi e più riguardevoli ; ma reclutando i più poveri e più scel- lerati
.da’ quali aveano sospettato sempre delle sommosse, ordinarono con questi l’
armata , e riducendo in mare dieci navi antiche , pessime a correr le acque , e
dan- done il comando a Cumani poverissimi , ve la soprap- posero , con
minacciare di morte chiunque ne disertasse. VI. Aristodemo , dicendo unicamente
che non igno- rava le mire degli avversar) che in apparenza Io man- davano per soccorrere
, ma in realtà per farlo soccom- bere ; assunse il comando dell’ esercito. E
facendo ben tosto vela co’ deputati Aricini , e superando a stento e con
pericolo il tratto interposte, di mare , approdò sui lidi più prossimi dell’
Aricia. E lasciata guarnigione sufBciente alle navi , e fatto nella prima notte
il cam- mino il quale vi restava , che certo non era lungo , si presentò su 1’
alba inaspettato agli Aricini. Accampatosi presso di loro , e persuasi gli
assediati di uscire all’ a- Digitized by Google 3a6 DELLE Antichità’ romane
perto sfidò ben tosto i Tirreni a battaglia. Schieratisi ed attaccatisi , gli
Aricini resisterono piòciolo' teinpo , e piegarono e rifuggironsi in folla tra
le mura. Aristodemo però coi pochi scelti Gumani che avea d’ intorno , so~
Bienne tutto il forte della battaglia , ed uccisone di sua Diano il duce , mise
in fuga i Tirreni , riportandone una vittoria nobilissima. Ciò fatto , e
magnificato dagli Aricini con doni copiosi rinavigò speditamente verso Cuma
peressere egli stesso nunzio della vittoria. Teneano dietro a lui molte barche
Aricine colle spoglie e coi schiavi presi ai Tirreni. Avvicinatosi a Cuma e
messe a proda le navi , concionò tra 1’ armata. E molto accusando i capi della
città , e molto encomiando quelli che si erano se- gnalati nella battaglia, e
dispensando argento e parteci» pando a ciascuno i doni degli Aricini; pregò che
di tali beneficenze si ricordassero , quando sbarcherebbero nella patria , e lo
fiancheggiassero se mai gli ottimati gli creavan pericolo. Confessandosi tutti
obbligatissimi per la salvezza insperata che aveano da lui ricevuta , come
perchè tornavano colle mani non vuote in fami- glia ; e protestando che
darebbero a' nemici anzi sestessi che lui ; Aristodemo , rirtgrazionneli , e
sciolse 1’ adu- nanza. Quindi chiamandone al suo padiglione i più ma* liziosi e
prodi , e guadagnandoli tutti co' doni , co' bei discorsi, e colle spc>anze
lusinghiere, li fé* pronti a mutare il governo che vi era. VII. Presi questi
per ministri e per combattitori , istruitili parte a parte su ciò che avessero
a fare , e messi in libertà gli schiavi che conduceva per obbligarsi .
Digitized by Google LIBRO VII. 327 ancor essi, viaggiò piò oltre colle navi
coronate (i) 6no ai porti di Cuma. I padri e le madri de’militari , tutto il
parentado, i Ogli insieme e le mogli, venutili ad in- contrare mentre
scendevano a terra , lagrimavano , gli abbracciavano ,. li baciavano , li
chiamavano con teneris- simi nomi. Tutto il resto della moltitudine urbana
rice- vette fra tripudj ed acclamazioni il capitano , accompa- gnandolo fino
alla casa. Di che dolenti i capi della cittò, quelli principalmente che gli
aveano affidato 1’ armata e ne aveano con altri modi tramato la rovina, facean
tristi colloqui su T avvenire. Aristodemo lasciati decor- rere alquanti giorni
onde rendere agi’ Iddj li suoi voti ^ e ricevute intanto le sue navi da carico
rimaste indietro, alfine venutone il tempo , disse voler esporre in Senato le
cose operate nella guerra e mostrargli le prede ripor- tatene. Riunitisi in
numero i primarj , ed i magistrati nel Senato, egli fattosi innanzi prese a
dire e narrare tutte le cose operate nella battaglia : quando gli uomini
apparecchiati da lui per 1* impresa , accorsi in folla nel Senato co' pugnali
sotto gli ‘ abiti , vi uccisero tutti gli ottimati. Si diedero allora a fuggire
e correre , chi alle proprie case, chi fuori delia città, quanti erano al Foro,
eccetto i complici del disegno , i qnali avevano occupato la fortezza , il
porto , ed ogni luogo monito delia città. Nella notte seguente sprigionando
quanti vi erano ( e molti ve ne erano ) dalle pubbliche carceri , destinati
alla morte, ed armandoli con altri suoi amici, tra* quali (t) In segno della
-riltoria riportala. G>si ae’trionfì ai coronavano ancora li fasci.
Digitized by Google 3a8 DELLE antichità’ romane erano gli Schiavi Tirreni , ne
fece un corpo di guardia per la sua persona. Fatto giorno, convocato il popolo
a parlamento , ed accusativi a lungo gli uccisi , disse che erano stati
meritamente % puniti ; avendo per tante volte insidiata a lui la vita : ma che
, quanto agli altri .cittadini , egli darebbe loro la libertà , la eguaglianza
.dei diritti , ed altri beni copiosi Vili. Ciò dicendo , ed elevando tutto il
popolo a speranze meravigliose , stabili due regolamenti , pessimi tra tutti i
regolamenti ^ ed iniziativi di ogni tirannide , io dico la nuova division delle
terre e la remissione dei debiti. Figli promettea provvedere su l’una e l’altra
cosa, purché fosse eletto comandante assoluto , finché il comune fosse in
salvo, e v’ordinassero uno stato popolare. Con piacere ud) la plebe e tutti i
peggiori che avrebbonsi a ghermire i beni degli altri: ed egli, avutone un
potere indipen- dente , aggiunse un nuovo decreto col quale deludendo ancor
essi , alfine tolse a tutti la libertà. Imperocché fingendo temere torbidi e
sedizioni de’ nobili contro dei .plebei per le assoluzioni dai debiti e per le
divisioni nuove de’ terreni , disse che a precludere una guerra ed un eccidio
civile , trovava un solo rimedio, cioè che
, tutti prima di ridursi a tal male ,
recassero dalle loro case le arme , e le consacrassero agl’ Iddj per averle nel
bisogno pronte contro i nemici esterni se ne venivano , e non contro sestessi:
pertanto esser bonissima cosa che stessero quelle presso de' Numi. Persuasi di
tanto i Cu> mani ; egli nel giorno stesso ebbe le armi di tutti , e negli
altri appresso fe’ cercare le case di • ognuno , \ic- cldendovi molti buoni ,
sul pretesto che non avessero Digitized by Coogle LIBRO VII. 3‘29 portate ai Numi
tutte le armi. Dopo ciò fortificò la ti- rannide sua con tre generi di guardie
: il primo fu di que’ vilissimi e reissimi cittadini co’ quali tolse 1’ auto-
rità degli ottimati : il secondo fu de’ servi indegnissimi renduti liberi da
esso perchè aveano trucidati i loro pa> droni : ed il terzo furono i
militari assoldati da’ barbari più inumani. Erano questi nommen di due mila , e
va- lidissimi più che gli altri nelle arme. Tolse le immagini degli uccisi da
ogni luogo sacro e profano supplendovi in vece loro le sue. Le case , i campi ,
ogni avere di questi lo donò tutto ai complici suoi nel preparargli la corona ,
riservando per sè l’ oro e 1’ argento , e quanto altro è base della tirannide.
Ma li doni più numerosi e più grandi li profuse tra gli assassini dei loro
padroni ; i quali chiesero perfino in moglie le donne e le figlie de’ padroni
medesimi. IX. Quantunque però niente avesse in principio cu- rata la stirpe
virile degli uccisi , alfine si accinse a ster- minarla tutta in un giorno ,
sia che per un qualche oracolo , sia che per computi verisimili concludesse che
perpetuava con questa a sestesso uno spavento non pic- colo. Ma perciocché
vivamente nel distoglievano quelli (i) presso a’, quali dimoravano i figli e le
madri , egli vo-lando concedere loro* un tal dono, gli assolvè, sebbene contro
sua voglia , dalla morte. Per cautelarsi però da loro sicché congiurandosi non
.insorgessero contro il suo regno ; comandò che uscissero tutti dalla città chi
verso r uno e chi verso l’ altro luogo : e vivessero per le (i) I Saidliti del
tiraoDu alli quali egli stesso le area mariiate. Digitized by Google 33o DELLE
Antichità’ romane campagne senza istruzione e coltura , propria di liberi
giovinetti , con pascer le greggi o con altri campestri esercizi , minacciando
di morte chiunque di loro in città fosse preso. Cosi quelli , abbandonati I
patri > so- steneansi come schiavi per le campagne, servendo agli uccisori
medesimi de’ padri loro. E perchè niente) pi& ci avesse di virile o di
generoso prese ad effeminare colle Istituzioni sue tutta la gioventù Cumana ,
toglien- dole I ginnasi e gli esercizi militai , e variandone le maniere già
consuete del vivere. Volle che I giovani come le donzelle nudrisser la chioma ,
e bionda la ri- ducessero e ricciasserla , e ricciata di reti lievi la cii^
condassero ; e portassero toghe talari e ricamate , e clamidi sottili e molli ,
vivendosi all’ ombra. Donne , educatrici loro , li accompagnavano, recando
parasoli e ventagli ai spettacoli di suono e danza e simiglianti musiche
dissolutezze: ed esse li lavavano , esse porta- vano ai bagni i pettini , e gli
alabastri con gli unguenti, e gli specchj. Con tal modo ammorbidiva i giovani
fino ai venti anni, concedendo allora che passasser tra gli uomini. Ma egli che
avea cosi vituperato e danneggiato i Cumani , egli che non avea risparmiato
loro nè im- pudenze , nè sevizie , egli alfine già vecchio , quando si credea
sicuro nella tirannide , Sterminato con tutti, i suoi , ne pagò le giustissime
pene ai Numi ed agli uo- mini. X. I prodi che insorgendo liberarono la patria
dalla tirannia di lui furono i figli de’ cittadini uccisi : quelli che egli
avea risoluto in principio di trucidare tutti in nn giorno, ma che poi
risparmiò, come ho detto, vinto Digilìzed by Google LIBRO VII. 33 1 dalle
istanze de’ satelliti suoi , maritati da lui colle ma- dri loro, comandando che
abitassero per le campagne. Pochi anni appresso viaggiando egli pel contado e
ve- dendoli già adulti e molti e floridi ; temè che non n congiurassero ed
assalisserlo : e macchinò di prevenirli ed ucciderli tutti prima che niuno se
ne avvedesse. Adunque consultandosene • cogli amici , deliberava con essi le
maniere sollecite e piane ma occultamente, onde spegnerli. Sepperlo que’
giovinetti per indizio forse di alcuno che ne era consapevole, e, forse mossi
da con» getture probabili , fuggironsi ai monti , dando di piglio ai fèrri
degli agricoltori. Corsero ben presto in ajuto loro i fuorusciti Cumani
rifugiati in Capua , tra’ quali erano i più cospicui , e seguiti in gran parte
dagli ospiti loro Campani , i figli d’ Ippomedonte , di quello che nella guerra
Tirrena avea comandato la cavalleria. Essi armati recavano a’ compagni le armi
con una truppa non picciola di amici e di mercenarj della Campania. Alfine
riunitisi scorrevano e turbavano predando i campi nemici , ritoglievano gli
schiavi dai padroni , ed ogni altro qualunque dalle carceri , e gli armavano ,
e quanto , non poteano trasportare o menar seco lo davano alle fiamme , o alla
mòrte. Ansio dubitava il tiranno come avesse a combatterli , perchè nè sapeasi
quando impren» derebbero , nè teneansi fermi sempre in luoghi mede- simi , ma
regolavano le loro incursioni o colla notte fino all’ aurora , o col giorno
fino alla notte. Avendo più volte spedito milizie ma' indarno a guardia delle
cani» pagne , a lui ne venne un tale degli esuli malconcio di battiture ,
spedito ad arte da essi quasi un disertore. Digitized by Google 33a DELLE
antichità’ romane Costui chiedendo la impunità promise al tiranno di guidare 1’
armata che manderebbe con lui , nel luogo appunto ove quelli sarebbero nella
notte imminente. In- dotto il tiranno a credergli perchè non chiedea verun
premio , e porgea sestesso in ostaggio , spedi li suoi duci più fidi , seguiti
da molli cavalieri e da’ mercenari , con ordine di conduire a lui , legati
almeno , i più , se non tutti quegli esuli. Il disertore eh’ erasi a ciò posto
menò tutta la notte 1’ armata a disagi gravissimi per vie non trite e per
boschi , in parti le più lontane dalla città. XL Come i ribelli e l profughi posti
per le insidie intorno all’ Averno , monte vicino alla città , conobbero
pe’segnali dati dagli esploratori che l’armata del tiranno era uscita,
mandarono circa sessanta i più arditi di loro che cinti da irte pelli portavano
fi)sci di sarmehti. Or que- sti nell’ ora , quando accendonsi i lumi , chi per
l’ una e chi per 1’ altra parte entrarono, quasi opera) , la città senza essere
conosciuti; ed entrali cavarono da’ sarmenti le spade che vi occultavano , e si
raccolsero tulli ad un luogo. Donde marciando in schiera alle porte che me-
nano all’Averuo, ne uccisero i custodi che dormivano, e spalancatele , v’
introdussero tutti i loro che v’ eran già prossimi, nè per tanto il fatto ^
ravvisa vasi ancora. Scontravasi per sorte in quella notte una pubblica festa,
ond’ è che tutti oziavano per tutto in città tra le be-
vande ed altri diletti. Or ciò diè loro
gran sicurezza di trascorrere tutte le vie che guidavano alla casa del ti-
ranno : e nemineu qui trovando nelle entrate molti , nè .vigilanti , ve gli
uccisero senza stento , oppressi dal sonno • Digitized by Google LIBRO VII. 333
o dai vino : ed internatisi in folla trucidarono nell’ abi- tazione , quasi una
greggia, tutti gli altri, ornai pei vino non più arbitri de’ corpi nè degli
animi loro. Or qni preso Aristodemo , i figli , e tutti i parenti , e battutili
gran parte della notte , e torturatili , e devastatili con ogni male , gli
uccisero finalmente. Cosi sterminando dalle radici quella stirpe di tiranni
fino a non lasciarvi non fanciulli , non donne , non consanguineo ninno ; e
rintracciati tutta la notte tutti li cooperatori a fondar la tirannide ;
andarono , nato il giorno , nel F oro , e con* Tocatovi il popolo , e depostevi
le arme , renderono la patria a scstessa. XII. Or questo Aristodemo nel
quartodecimo anno della sua tirannide in Cuma , questo vulcano gii esuli
compagni di Tarquinio cbe giudicasse tra loro e la pa- tria. Ripugnarono alcun
tempo i deputati de’ Romani , come quelli cbe nè erano a tal fine venuti, nè
avevano dal Senato i poteri per difendere ivi Roma. Non pro- fittando però
niente , anzi vedendo quel despota pro- pendere in contrario per le brighe , e
per le istanze degli esuli ; chiesero un tempo per le difese , e deposi- tarono
una somma per garanzia di eseguirle essi stessi. Ma poi nel correre di questo
tempo, quando niuno più vegliava su loro , fuggirono , ritenendosi il tiranno
gli schiavi , li giumenti , e li danari che aveano portalo per comperare de’
viveri. Tali furono gl’ incontri di queste legazioni , e così riuscì loro di
tornarsene in patria seb- bene senza l’ intento. Ma la legazione spedita
neU’Etru- ria comperatovi miglio e farro lo trasportò su barche fluviali a Roma
, e Roma ne fu nudrita sebbene per Digitized by Google 334 bELLE Antichità’
romane poco ; fiocbè consumatili , ricadde ne’ disagi medesimi. Non erari
genere di alimenti a cui non si rivolgesse. Dond’è che non pochi tra la
scarsezza, e la inconve- ' nienza de’ cibi non soliti , s’ avean male nella
persona , o diventavano a tutto impotenti , non soccorsi nella pcv- vertà. Come
ciò seppero i Yolsci domati di fresco, s’ isti- garono con vicendevoli occulti
messaggi a riprender le armi , quasi fosse impossibile che i Eomaui
resistessero bersagliali dalla guerra e dalla fame. Ma i numi propiz) che
vegliavano perchè non rimanessero in preda a’ ne- mici , ne dimostrarono allora
più chiaramente la prote- zione. Di repente si mise tra^Volsci una tal
pestilenza, quanta non leggesi mai stata in Greche o barbare terre,
disfacendoli promiscuamente di ogni età, di ogni fortu- na , di ogni
temperamento , validi o invalidi. Mostrò soprattutto gli eccessi del, male
Yelletri, città insigne, de’ Yolsci, e grande allora e popolosa. La peste
appena ne rispailniò la decima parte , investendovi e consu- mandovene le
altre. Ond’ è che i superstiti a tanto in- fortunio , mandati ambasciadori , e
dichiarata a' Romani la loro solitudine , sottomisero fa città. E siccome
aveano prima ricevuto de’ coloni da essi ; ne chiedeano di pre- sente ancor
altri. XIII. Impietoùrono, sapendoli , ai loro mali i Ro- mani ; nè pensarono
che si avessero a premere come nemici fra tanta sciagura , dacché pagavano agl’
Iddj le pene per ciò che voleano fare su Roma. Piacque loro , di riammetter
Yelletri, e spedirvi numero non picciolo di coloni presagendone sommi vantaggi.
Parea che il posto , se presidiavasi acconciamente , sarebbe ostacolo Digitized
by Google LIBRO VII. 335 grande e ritardo a chiunqae si voleva rimescolare e
sommoversi. E concepivasi che la penuria di Roma non poco si scemerebbe se una
parte notabile di popolo al- trove si trasferisse. Inducevali soprattutto a
spedire una colonia la sedizione che vi si riproduceva , non essen- dovi ancora
sopita in tutto la prima. Imperocché il po- polo discordava un altra volta come
per addietro , e ne odiava i Patrizj : e molta era 1’ amarezza dei discorsi co'
quali accusavano la poca cura, e la scioperatezza di essi perchè non aveano a
tempo preveduta nè riparata la penuria futura , dicendo alcuni perfino che ad
arte aveano procurato la caresua per astio e desiderio di af- fliggerne il
popolo in memoria della ribellione. Per tali riguardi sollecitissima fu la
spedizione della colonia , de* slinativi dal Senato tre condottieri. Da
principio udiva il popolo con diletto che trarrebbonsi a sorte i coloni, perchè
sarebbe cosi levato dalla fame , e perchè vive- rebbe in terra felice : ma
poiché rifletté che la peste ge* aeratasi nella città che gli avrebbe a
ricevere aveva di- strutto i suoi cittadini , e temè che in tal modo ancora
maltratterebbe i coloni, variò poco a poco di sentimento. Tantoché non molò ,
anzi meno assai che il Senato ne permetteva , esibironsi per la colonia : e
questi bentosto ne furon pentiti come sconsigliati, e scansavano di usci- re.
Da tale vincolo erano trattenuti questi e quanti al- tri non più si
acconciavano ad andare. Ma dertretato avendo il Senato che la colonia si
ricavasse dal com- plesso di tutti i Romani secondo le sorti , e stabilendo
dure ed irreparabili pene per chi ricusava ; alfine fu per tale necessità
condotto il numero conveniente in iVelle- Digitized by Googl 336 DELLE
antichità’ ROMANE tri. Noo raoUi giorni appresso un’ altra colonia fu tra>
sferita in Norba, città non ignobile dei Latini -(i). XrV. Non però segui da
ciò ninna delle cose con~ gbietturate da’ patrizj secondo la speranza di
spegnere- le discordie. Imperocché la plebe rimasta intrisi più an- cora,
vociferando con assai clamore contro de’ padri nelle adunanze prima di pochi ,
indi di molti , per la fame divenuta gravissima; e concorrendo al Foro vol-
geasi lamentosa ai tribuni suoi perchè 1’ aiutassero. Or tenendo questi
adunanza , fattosi innanzi Spurio Icilio allora capo di essi perorò lungamente
contro de’ padri aumentandone quanto potè la malvolenza. Egli istigò pur altri
a dire pubblicamente ciocché sentivano , e prin- cipalmente Siccinio e Bruto
allora edili , invitandoveli a nome, appunto come capi già del popolo nella
prima sedizione , ed inventori , anzi magistrati la prima volta della podestà
tribunizia. Presentatisi dissero anch’essi, udendoli il popolo
vogliosissimamente , malignissime cose già da molto tempo premeditate , come se
la carestia fosse procurata per malizia de’ ricchi , perchè il popolo- avea
loro malgrado , ricuperata colla sedizione la libertà. Dissero che i ricchi non
aveano pur la miaima parte del disagio dei poveri : molta essere la loro non curanza
de’ mali , perchè aveano cibi occulti e danari onde com- perarli se
introducevansi , laddove i plebei mancavano di ognuna di queste due cose:
protestarono che mandare i coloni a’ luoghi contagiosi , era un avviarli a
rovina visibile e funestissima, aggravando quanto più poteana (i) A tempo di
Plinio era nn ammasso di rovine. Restava circa sei miglia lontana da Segni a-
measogiomo. Digitìzed by Coogle LIBRO VII. 337 con parole il male. Chiedeano
qual sarebbe il fine a tante sciagure , e richiamavano loro in memoria gli
an> tichi Hagelli , ond’ erano stati malmenati da’ ricchi ; ag> giungendo
ancora iinpuuissimamenie cose consimili. Da ultimo Bruto la Gni minacciando ,
dicendo cioè , che se secondavano , egli necessiterebbe quanto prima a spe- gner
r incendio quelli stessi che eccitato Taveano. E così r adunanza fu sciolta.
XV. Intimoriti i consoli su tali innovazioni , e solle- citi che le adulazioni
di Bruto verso del popolo iiou terminassero in grandi sciagure , intimarono nel
prossi- mo giorno il Senato. Ivi si fecero discorsi molti e varj da essi , come
dagli altri seniori. Pensavano alcuni che si dovesse blaudire i plebei con ogni
dolcezza di parole e promessa di opere , e renderne i capi più moderali con
esporre lo stato delle cose , e convocarli e consul- tare insieme il bene
comune : io opposito altri consiglia- vano che non cedessero , uè si
abbassassero verso del popolo : essere la moltitudine, imperita , e caparbia :
in- solente , incredibile 1’ ardore dei capi che 1’ adulano : facessero piuttosto
costare che non ci avea ne’ patrizj colpa ninna , c promettessero ovviare ,
quanto potè vasi , al male. Redarguissero e miuacciassero di pene conde- gne i
sommovitori dei [K>polo , se nou si chetavano. .\p- pio era il primo in tal
sentimento , e prevalse in mezzo alle grandi opposizioni de’ padri. Tanto che
il popolo turbalo all’ udirne tanto da lungi i clamori accorse alla curia , e
tutta la città fu sospesa nella espeltazione. Dopo ciò li consoli usciti
adunarono il popolo , restandovi breve DlOXlGi t Zumo 21.Digitized by Google
338 DELLE ANTICHITÀ.’ ROMANE parte del giorno , e tentarono di esporgli i
voleri del Senato. Contraddissero i tribuni , nè già fu vicendevole nè ordinato
il colloquio. Gridavano, interrompevansi ; tanto che non era facile agli
astanti distinguere i loro pensieri , e ciò che volessero. XVI. Diceano i
consoli cb’essi come di autorità pre- mineute doveano comandare in tutto alla
città ; laddove i tribuni replicavano che i consoli avean dritto in Se- nato ,
ma su le adunanze del popolo i tribuni : questi aver tutto il potere su quanto
si dee discutere e sen- tenziare da’ voti del popolo. Prendea parte ,
vociferava per essi la moltitudine , pronta ad assalire se bisognava, chiunque
ostasse loro. Altronde i patrizj acclamavano , e davan animo ai consoli ,
circondandoli. Vivissima era la contesa per non cedere gli uni agli altri ;
quasi allora appunto si cedessero i diritti una volta per sempre. Già il sole
era per tramontare , e tuttavia concorrea dalle case nuovo popolo al Foro: e se
la notte non li tron- cava, forse i dissidj* finivano a colpi , ancora di
pietre. Bruto perchè ciò non seguisse , fecesi innanzi , e chiese ai consoli di
parlare ; promettendo di sedare il tumulto. Concederono questi che parlasse ,
parendo loro che si deferisse ai consoli mentre quel capipopolo ciò chiedeva da
essi , presenti i trihuui. Fatto silenzio , Bruto senza dir altro interrogò li
consoli di tal modo: Ki ricordale voi che lasciando noi le divisioni, ci
accordavate per^ diritto che quando i tribuni adunassero sotto qualun- que fine
il popolo , i patrizj nè intervenissero all’ a- dunanza , nè la turbassero ? Ce
ne ricordiamo , disse Geganio. E Bruto ripigliò : qual male aveste voi dun-
Digitized by Google LIBRO VII. 'qué da noi che c impedite , nè permettete che i
tri- buni dicano ciocché vogliono? E Geganio rispose: per- chè non voi , ma noi
consoli avevamo chiamato il popolo a parlamento. Se fosse stalo invitalo da
voi, non V impediremmo ; anzi nemmeno curiosi ci brighe- remmo in ciò che si
tratta : ora essendo da noi con- vocalo , non v' impediamo che Jdvelliale ; ma
che noi ne siamo impediti , ciò non è giusto. Allora Bruto , abbiamo vinto ,
disse, o popolo: concedesi a noi dagli awersarj q> anlo chiedes’amo : ora
desistete , chetatevi, ritiratevi : domani promettevi dichiarare quanta forza V
abbiale. E voi tribuni cedete ad essi di presente nel Foro : non sempre già qui
cederete qiumdo ab- biate compreso ( e presto lo comprenderete , io pro- metto
chiarirvene ) il potere del vostro magislialo. Abbasserete cotanta loro
preminenza : e se troverete che io V abbia deluso , fate ciocché vi piace di
me. XVII. E uiuno più contraddicendo, ritiravausi tutti dall’ adunanza : non
però gli uni e gli altri con pari divisaniento. Credeano i poveri che avesse
Bruto ideato qualche nobile impresa , e che non indarno la promet' lesse : ma i
patrizj trascuravano la leggerezza di lui , pensando che T audacia delle
promesse non andasse più in lò delle parole; non essendo conceduta dal Senato
ai tribuni altra autorità che di proteggere il popolo , se non facevasi ad esso
ragione. Non però la cosa parca spregevole a tutti , specialmente ai seniori ,
ma che do- vesse attendersi che la manìa di un tal uomo non ge- nerasse mali
insanabili. Bruto la notte appresso svelato il parer suo fra i tribuni , e
raccolta una massa non tenue Digitized by Google 34 o DELLE Antichità’ romane
di popolo , ne andò di conserva nel Foro : e prima clie si facesse di chiaro,
occupato il tempio di Vulcano donde eglino soleano concionare , invitarono il
popolo a parlamento. Empiutosi il Foro di un concorso, quale mai più V* era
stato , presentasi Icilio il tribuno, e par- lavi luughissimamente contro
de’padri. Egli commemora quanto han latto in danno del popolo , e come nel
giorno addietro aveano impedito lui fin di parlare con- tro i poteri ancora
della sua dignità. E qui disse : e di che altro tarem più padroni se noi siam
di parlare ? Come potremo soccorrere voi se ojffesi , quando ci si toglie la
libertà di adunarvi ? Son le parole i preludj delle operazioni : nè ignorasi
che quelli che non pos- sono dir ciocché pensano , nemmen possono far cioc- ché
vogliono. Pertanto o ripigliatevi, disse, la potestà che ci deste , se non
volete mantenercela inviolabile; o proibite con legge che alcuno più ci si opponga.
A tal dire provocavalo il popolo che egli stendesse la leg- ge : e siccome
teneala già scritta , la lesse. £ , dispen- sati i voti , fe’ che il popolo
immantinente ne decidesse ; parendogli non esser questo un affare da esitarne ,
o differirlo , perchè non avesse altri inciampi dai consoli. La legge era
questa : Concionando un tribuno al po- polo , niuno aringhi in contrario , nè
interrompalo : e se alcwio contravvenga , dia mallevadori ai tribuni di pagare
, chiamatone in giudizio , la multa che gl im- porranno : e non dandoli, egli
sia punito di morte, li beni di lui sien sacri , e tutte le controversie su
tali multe spettino al popolo. I tribuni confermata coi voli la legge dimisero
1’ adunanza : ed il popolo si ri-
Digitized by Gcjogl LIBRO VII, 341 tì rò
, tatto di bu on anirno , e pieno di riconoscenza per Bruto , come per 1’
autore della legge. XVIII. Dopo ciò li tribuni ripugnavano ai consoli molto , e
su molte cose : nè il popolo ratificava i de- creti del Senato , nè il Senato
approvava decisione niuna della plebe. Cosi teneansi contrapposti e sospetti.
Non però r odio loro , come avviene in simili turbolenze , procedette a danni
irreparabili. Imperoccbè nè i poveri investirono mai le case de’ ricchi ove concepivano
che troverebhon de’ cibi riservali ; nè mai si lanciarono su pa- lesi merci per
involarle : ma pazienti comperavano a gran costo il poco , e sostcneansi di
radici e di erbe se pe- nuriavan di argento. Nè mai li ricchi per dominare soli
nella città violentarono colla forza propria, o de’ clienti, (eh’ era pur
molta) la classe indigente, esiliandone o trucidandone ; ma conduceansi come
padri savissimi in- verso de’ figli , con cuore sempre benevolo e premuroso tra
le lor delinquenze. Or tale essendo lo stato di Roma, le città vicine
invitavano qual più volealo de’ Romani tt traslatarsi nel seno di esse ,
allettandoli con dar loro la cittadinanza , ed altre propizie speranze : ma le
une in- vitavano mosse dai bei genj per benevolenza e pietà nei mali altrui ,
le altre (ed eran le più !) per invidia della prosperità passata della
repubblica. E furono ben molli
quei che partirono con tutte le famiglie,
e posero al- trove il soggiorno : ma taluni di questi , riordinato lo stato ,
ripatrìarono , e tal’ altri mai più. XIX. Or ciò vedendo i consoli parve loro ,
per voler del Senato, che avesse a farsi una iscrizione di soldati, e porre in
campo un esercito. Prendeano occasione spe- Digilized by Google 342 DELLE
antichità’ ROMANE ciosa a tanto dall’ essere la campagna tante volte dan-
neggiata dalle scorrerie , e saccheggi de’ nemici ; calco- lando ancora i beni
che nascerebbero dall’ inviare un esercito di là da’ confìni : mentre quei che
restavano avrebbero , come diminuiti , le vettovaglie in più copia: e gli altri
colle arme vivrebbero io siti più abbondanti a spese dell’ inimico , e la
sedizion tacerebbe , almen quanto si tenesse in piedi l’armata. Tanto più poi
sem- brava che resùiuirebbcsi la calma tra patrizj e plebei , quanto che
dovrebbei'o militare insieme , e partecipare i beni e i mali a fronte de’
pericoli. Non però la mol- titudine ubbidiva , nè si presentava spontanea ,
come al- tre volte , per essere iscritta. Non vollero i consoli foi^ zare
secondo le leggi i renitenti : ma alcuni patrizj s’iscris- sero volontarj co'
loro clienti , congiungendosi ad essi che uscivano , anche picciola parte di
popolo per mili- tare. Era duce di quest’ esercito quel Caio Marcio , il quale
espugnò la città de’ Coriolani , e riportò la co-
rona dei forti nella pugna cogli Anziati.
Or vedendo lui per capitano , i più de’ plebei che aveano piglialo le anni vi
si confermarono , altri per benevolenza , altri per la speranza di esserne
diretti a buon fine. Imperocché famosissimo egli era quest’ uomo , e gran- tal
esercito fino ad Anzio ; impadronendosi di schiavi ^ e di bestiami in copia ,
senza dirne il mollo grano che era ne’ campi ; tornandone indi a non molto
ricchissimo fatto di viveri : tanto che quei che s’ eran rimasti, eran mesti e
dolenti verso de’ tribuni, pe’ quali sembravano privi di un tanto bene : cosi
Geganio e Miuucio consoli Digitized by Google LIBRO VII. 343 di queir anno
trovatisi in tempeste varie e grandi , e più volte in pericolo di rovinar la
cilli, non operarono nulla con troppa efficacia : pur salvarono la repubblica
più savj che prosperi nell* uso delle circostanze. XX. Marco Minucio Augurino,
ed Aulo Sempronio Atraiino eletti consoli dopo loro , presero per la se- conda
volta quel grado (i). Non imperiti nell’arme, e nel dire , empierono con assai
provvidenza la città di grano e di ogni maniera di viveri , come si
ristringesse all’ abbondanza la concordia del popolo. Non però po- terono
ottenere 1' uno e 1’ altro bene ; ma venne colla sazietà pur l’orgoglio in
quelli eh’ eran saziati. E quando meno pareva , allora fu su Roma il pericolo
maggiore che mai per addietro. I commìssarj spediti pe’ grani , comperatone
negli emporj entro terra o sul mare , lo aveano già trasportato a' pubblici
serbato)'. Quand’ ecco i negozianti pure di viveri ne condussero d’ ogn’
intorno in Roma : e Roma comperando a pubbliche spese i lor carichi , li
custodiva. Vennero i primi i commissarj spe- diti in Sicilia , Geganio e
Valerio con piene assai bar- che ; portavano in esse cinquanta mila moggia
siciliane di grano , metà procacciato a lievissimo costo , e metà regalato e
mandato a spese sue dal tiranno. Nunziatosi in città 1’ arrivo delle navi
portatrici de’ grani siciliani ; discussero i patrizj longamente come avesse a
dispor- sene. I più moderati e popolari fra loro , considerata la pubblica
calamità , consigliavano che il grano donato dal re si donasse ancora a tutti
del popolo , e che 1’ altro (i) Anni iti Roma 263 seconda Catone , 265 secondo
Varone , e 469 avanti Cristo. Digitìzed by Google 344 tìet.le Antichità’
hotmane comperato coll’ erario , si vendesse loro a picciol mer- cato ,
ricordando clie per tali beneficenze principalmente si ammansano gli onimi de’
poveri verso de’ ricchi. Per r opposito i più arroganti fra loro , ed amici del
co- mando dei pochi , sentenziavano che aveasi con tutto r ardore e l’ ingegno
a deprimere il popolo, ed eccita- vano a non fargliene se non carissima la
vendita , per- chè la necessità li rendesse per innanzi più savj e più conformi
alle leggi. XXL Fra questi amici del comando de’ pochi era pur quel Marcio ,
chiamato Coriolano , uè già dicea come gli altri in occulto e con riguardo i
proprj sentimenti , ma di proposito , e con ardore , sicché molti del popolo lo
udirono. Avea costui non che le cause comuni con- tro del popolo, motivi
privati e recenti onde parer di odiarlo meritamente. Cercando esso ne’ comizj
ultimi il consolato , il popolo se. gli oppose, ad onta de’ padri che lo
sostenevano , nè permise che lo conseguisse ; per- chè sospettava che un tal
uomo colla chiarezza ed ar- dire suo prendesse ad abbattere il tribunato ; e
tanto più ne temea che vedeva che tutti i patrizj aderivansi a lui , come a
niun altro mai per addietro. Inbammato costui dalla ingiuria , e macchinando
riordinar la repubblica su le antiche maniere , adoperavasi , come ho detto ,
pale- semente , incitandovi pur gli altri, aU’annientamento del popolo. Lui
cingeva un seguito di molti nobili e ric- chissimi giovani , e per lui stavano
molti clienti , pro- speratine già nella guerra. Esaltato da questi , andavano
fastoso, e minaccievole , e fra tutti chiarissimo; non però ne ebbe termine
fortunato. Adunatosi pe’ casi pre-; Digitized by Google LIBT \0 VII. 345 senti
il Senato e proponendo , com’ è costume , il pro- prio parere prima li seniori
, tra quali non molti con* trariarono manifestamente la plebe ; alfine
ridottasi la disputa ai giovani , egli chiese da’ consoli il poter dire ciocché
voleva : e tra ’l favor grande , e la grande atten- zione di tutti cosi contro
del popolo ragionò. XXII. Che U popolo non siasi ribellato per neces- sitA e
per disagi , ma sollevalo dalla rea speranza di abbattere il comando de' pochi
, e farsi egli stesso l’ arbitro del comune ; credo ornai che lo abbiate o
padri compreso voi tutti , considerando la inconten- tabilità sua nel
pacificarcisi. Non era il solo disegno suo di violare la fede de' contratti, e
di abolire le leggi che la garantivano , senza passare più oltre. Esso per
levare il magistrato de' consoli , ne fondava un altro nuovo , c lo rendeva
sacrosanto ed immune per legge, ed ora, e voi non vel conoscete, lo ha con un
ple- biscito recente immedesimato al poter dei tiranni. E per certo , quando gC
incaricati di un tal magistrato col pretestare i bei titoli di proteggci'e i
plebei mal- menati opereranno con esso e disporranno come a lor piace , quando
niuno , non uomo privato , non pub- blico , potrà impedirne gli abusi per timor
della legge la qual toglie anche il dire non che il fare , minac- ciando la
morte a chi pur lascia fuggirsi una libera voce in contrario ; dite , e qual
altro nome dee met- tere allora chi ha senno a tal magistrato se non quello di
ciò che è veramente , e che voi tutti confesserete , quello cioè di una
tirannide ? Siasi un solo che tiran- tt^ggia , siasi il popolo tutto , e qual
divario ? quando Digitized by Google 346 DELLE Antichità’ romane uno appunto è
l’operar di ambedue? Era ottimissima cosa non lasciare mai che il seme s’
introducesse di un simil potere y e soffrir prima tutto, come il valo-
rosissimo jéppio voleva, antivedendone da lauto tempo le ree conseguenze. Ma
giacché ciò non si fece , ora almeno sradichiamolo , gettiamolo dalla città
mentre è debole ancora, e facile da superarlo. Certo voi non siete , o padri
coscritti , nè i primi , nè i soli a’ quali tocchi ciò fare ; quando molti già
tante volte deviando dalle buone risoluzioni su di affari gravissimi ; e rav-
voltisi in necessità sconsigliate , tentarono estinguere il mal già cresciuto ,
se impedito nel nascere non lo avcano. E quantunque la penitenza di chi lardi
fa senno sia da meno della previdenza ; tuttavia sott’ al- tro rispetto
apparisce non inferiore , rmnullando V er- rar già commesso coll’ impedir che
si termini. XXIII. Se alcuni di voi han per gravi le opera- zioni del popolo ,
se pensano doversi lui prevenire sicché più non esorbiti, ma vien loro la
verecondia di parere i primi a rompere i patti e li giuramenti; sap- piano ,
che se fan ciò, saranno incolpabili innanzi gl’ Iddj , e compiran la giustizia
col? utile proprio ; giacché non eomincian essi /’ oltraggio ma lo respin- gono
, non tolgon essi i patti , ma chi prima li tolse puniscono. E grandissimo
argomento siavi che non voi cominciate a rompere i patti, non voi l’alleanza,
ma il popolo il quale non più soffre le leggi colle quali ottenne il ritorno.
Non chiese già egli i tribuni per danneggiare il Senato ; ma per non essere
dan- neggiato. Eppure or ne usa non per ciò che lo dee^ Digitized by Google
LIBnO VII. 347 nè per ciò che fu crealo , ma per turbare e confon- dere lo
stalo della repubblica. Ben vi ricorda dell ul- tima adunanza , e delle cose
dettevi dot tribuni , e quanta euroganza e quale disordine vi dimostrassero. Ed
ora , niente più savj , quanto fasto non menano al vedere , che tutta la forza
della città sta ne’ voti , e ne’ voti ci vincon essi , tanto maggiori di numero
? Se dunque han essi incomincialo a frangere i patti e le leggi; che dobbiamo
noi fare se non rispinger la ingiuria p se non ripigliarci giustamente ciocché
ingiu- stamente ci han tolto ? e frena' tante lor pretensioni ognora più
grandi? e ringraziare gl Iddj che non han permesso che essi coll acquisto del
primo potere di- venissero savj per t avvenire ; ma gli han ridotti a tal
vituperio e briga per la quale voi di necessità tentaste ri- cuperare il
perduto, e custodir ciocché resta, come si dee? XXIV. Se volete riavervi; non
altra occasione mai fia così buona, quanto la presente. Ora la più parte di
essi è vinta dalla fame , e /’ altra non potrà resi- stere lungamente per l
indigenza , se abbia i viveri scarsi e cari. Li più rei , quelli non mai
propensi al comando de’ pochi , ridurransi a lasciarci, ma gli altri più miti
diverranno ancora più docili , nè mai più vi turberanno. Custodite dunque , non
iscemate di prezzo i viveri, e fate che vendansi il più caro che mai. Voi ne
avete oneste occasioni, e pretesti lodevoli nella ingratitudine di un popolo
che mormora , quasi ab- biate voi prodotta la carestia , nata dalla ribellione
loro , e dal guasto che diedero alle campagne, levan- done e trasportandone
ciocché vollero come da terre Digitized by Google 348 niìLLE antichità’ romane
nemiclie , e nelle spese dell’ erario per la spedizione de’ commissarj in cerca
di viveri , e nelle tante altre ingiurie , onde foste oltraggiali. Conoscansi
fin da ora quali sono i mali co’ quali ci afliggeranno , se non facciamo tutto
a piacere del popolo, come i capi loro dicono per atterrirci. Se vi lasciate
fuggir di mano questa occasione ; ne sospirerete le mille volte una simile. E
se il popolo sappia una volta che voi mac- chinavate di abbattere tanta sua
forza , ma ne desi-, steste ; tanto più vi si renderà gravoso , tenendovi nei
vostri voleri come nemici, e come impotenti ne’vostri timori. XXV. Si divisero
a tal dire di Marcio i pareri , e molto si romoreggiò nel Senato. Imperocché quelli
che da principio contrariavan la plebe , e ne ammisero mal- grado loro la pace
, tra quali erano i giovani , quasi tutti , e li più ricchi e più riguardevoli
de’ seniori ; esasperandosi della impudenza di essa , encomiavan que- st’ uomo
come generoso , come amico della patria , e che parlava il ben del comune. Ma
quelli che propen- deano , come prima , verso del popolo , nè stimavano le
ricchezze oltre il dovere , nè credevano cosa alcuna necessaria quanto la pace,
eransi corucciati a tal dire, non che vi aderissero. Volevano che si vincessero
i po- veri colle dolci , non colla violenza : essere la dolcezza una cosa non
solo conveniente ma necessaria ; prin- cipalmente per la benevolenza verso de’
eittadini : e chiamavano que’suoi consigli non libertà di detti, e di opere ;
ma delirj : nondimeno questo partito , come pic- ciolo e debole , era
sopraffatto dall’ altro più forte. Oi! Digitized by Google LIBRO VII. 349 dò
vedendo i tribuni ( eran questi presenti , invitati in Sonato da’ consoli )
gridarono e fremerono , chiamando Marcio peste e rovina della città ; come lui
cbe usciva in discorsi si rei contro del popolo. E se i patrizj non lo
frenavano coll’ esilio o con la morte , mentre svegliava in Roma una guerra
civile , essi , diceano , che lo pu- nirebbero. Or qui nato un tumulto ancora
più vivo pei discorsi dei tribuni , principalmente dal cauto dei gio- vani cbe
mal sopportavano quelle minacce ; Marcio ani- matone parlò più veemente ancora
e più risoluto. Io , diceva, io se voi non la finite di far qui turbolenza, e
di sommovere i poveri; io da ora innanzi mi farò can- tra voi non colle parole
, ma colle opere. XXYI. Or qui riscaldatosi più ancora il Senato, i tri- buni
vedendo che più erano quelli che volevano richia- mare , che serbare i poteri conceduti
alla plebe , fug- girono dal Senato gridando , e protestando gl’ Iddj , vin non
fate voi parer vere le calunnie che di voi si spar^ gono ? e che savj sono pel
pubblico , quanti consi- gliano che non pià crescer si lasci questa vostra po-
tenza violatrice delle leggi ? A me così par certa- mente. Afa se vorrete far
cose , contrarie a quelle delle quali vi accusano , moderatevi , ve ne
consiglio : ricevete a cor placido , e non con ira , i discorsi dai quali siete
investiti. F’oi se così fate, ne parrete uo- mini dabbene , e coloro che vi
odiano , ne saran/w pentiti. XXXII^ Avendovi cojè noi fatto ragione amplis-
sima come pensiamo , non siate , ve n esortiamo , indegni di voi. Folendovi noi
implacidire non esa- sperare ; miti , umane furono le opere colle quali vi
abbiamo trottato : io dico , per tacere le antiche , quelle fattevi di recente
pel vostro ritorno. Certa- mente sarebbe pur giusto che voi vi ricordaste di
queste ; mentre noi vorremmo dimenticarcene. Tuttavia la necessità ci stringe a
ricordarvele per chiedervi in contraccambio di tanti e grandi benefizj che noi
già concedevamo alle istanze vostre , che nè si uccida , nè bandiscasi Un uomo
amantissimo della patria , e nobilissimo infra tutti nella guerra. Non poca
sarebbe la perdita , voi lo vedete , se Roma fosse privata di tanta virtà. Egli
è giusto che mitighiate lo sdegno verso lui , risgiiardando almeno quanti ne
salvò di voi nella guerra , e ripetendone le belle sue gesta , non
perseguitandone lé vane parole. Niente vi hanno i detti nociuto di lui, ma
moltissimo i fatti vi gio- Digitized by Google 356 DELLE Antichità’ r ROMANE
varvno. ' Che se pur siete inflessibili in suo riguarda, donatelo almeno a noi,
donatelo al Senato che vel chiede : rendete una volta la stabile calma, e la
sua unità primitiva alla patria. E se voi non vi piegherete alle nostre
persuasive ; riflettete che neppur noi ce- deremo alle vostre violenze. Così il
popolo messone a prova o sarà cagione a tutti di amicizia sincera e di beni
maggiori; o nuovo principio di una guerra civile , e di gravissimi mali.
XXXIII. I tribaoi , avendo Minuzio cosi perorato , consideratane la moderazion
del dire , e come la plebe mossa dalia dolcezza delle sue promesse , ne furono
sdegnati e dolenti , e soprattutti Cajo Sicinio Belluto , quegli che avea
suscitato i poveri a ribellarsi da’ patrizj ed erane stato nominato capitano ,
6nchè fìiron su Tar- mi. Nemicissimo degli ottimati, era perciò stato portato a
grande chiarezza da’ cittadini. Ora creato per la se- conda volta tribuno
giudicava che a ninno giovasse men che a lui che la città fosse appieno
concorde, e ripigliasse la forma antica. Imperocché vedeva che se governavano
gli ottimati, egli nato e cresciuto ignobile , senza luce alcuna d’ imprese in
pace o in guerra , non avrebbe più gli onori , nè la influenza medesima ; anzi
che correrebbe pericoli estremi , come sommovitore dei popolo , ed autore di
tanti suoi mali. Fissato adunque ciocché avrebbe a dire e fare , e
consultatosene co’ tri- buni compagni , poiché li ebbe unanimi , sorse , e la-
mentata brevemente la disgrazia del popolo, lodò li consoli perchè degnati si
fossero di rendere ragione ai plebei , senza spregiarne la loro bassezza : e
d'sse che Digitìzed by Google LIBRO VII. rìngraziava i patrizj ancora , perchè
nasceva finaluaente in' essi la cura della salate de' poveri ; e che molto più
egli ciò contesterebbe 'a nome di tutti i colleghi, quando darebbero pur le
operc> simili ai hitti. XXXIV. Cosi proemiando , e parendone anzi sedato, e
propenso alla pace , si volse a Marcio presente ai con- soli V e disse i E tu o
valentuomo niente ti difendi coi tuoi cittadini su quanto hai detto in Senato ?
Chè
non supplichi piuttosto , e ne plachi lo
sdegno , sic*’ chò miti sieno nel sentenziartene ? Già non 'vorrei che tu
negassi un tale tuo fallo , avendolo tarili ve* ; nè che , tu Marcio , tu pià
altero in cor tuo che un privato , ti volgessi ad invereconde difese. Sarà
parato non indegno ai consoli ed ai patrizj di aringare essi in tuo bene , nè
parrà per te degno che tu lo facci su te stesso? Or ■cosi parlava -costui ; ben
conoscendo che quel generoso non soffrirebbe mai di essere T accusator di
sestesso , e chiedere come col- pevole la esenzion della pena , nè mai contro
l’ indole sua ricorrerebbe alle umiliazioni ed alle suppliche: ma che o
ricuserebbe fare ogni difesa ; o facendola coll’ in- nato ardimento suo ,
niente tempererebbe nè il popolo , nè il dire. E cosi fu ; perchè taciutisi , e
presi i plebei, quasi tutti , da bel desiderio di liberarlo , purché- egli ne
&vorisse la occasione , manifestò tanta insolenza e dispregio per essi ;
che nè , presentatosi, negò le parole da lui dette in Senato , nè come
pentitone , si diede ad impietosirli e placarli: ma fin sul principio non li
volle, come privi di autorità competente per giudici di cosa ninna , pronto per
altro a sottomettersi , com* era la Digitized by Google 358 DELLE antichità’
ROMANE legge , al tribunolc de’ consoli , se alcuno volesse ac> cusarvelo ,
e cbiederoe soddisfazione pe’deui, o per le, opere. Diceva eh’ egli era, colà
venuto , giacché vel chia- marono , parte per riprendere le loro prevaricazioni
, e la incoutentabiUlà j manifeslala aemprepiù nella separa- zione y e dopo il
riiomo ; e parte per consigliarli, per fiammata , soffiandovi , 1’ ira del
popolo , concluse l’ao cosa , che il tribunato ne sentenziava la morte , per r
oltraggio fìtto agli edili , che egli percosse e respinse, mentre per ordin suo
lo arrestavano il di precedente: non finire che su chi gC incarica, gli
oltraggi de’ mi- nistri, E così dicendo ordinò che portassero Marcio al*
l’altura che sovrasta sul Foro. È questa un dirupo ro> vinoso e vasto donde
solcano precipitare i rei condan* nati alla morte. Corsero gli edili per
prenderlo: ma dato un altissimo strido , si levarono conira loro in folla i
patrizj , e quindi contro de’ patrizj il popolo : e molto era in arabe le parti
il disordine , molto lo in* giuriarsi. Io spingersi, Tassalirsi. Se non che gli
autori di un tanto moto furouo rattenuti e necessitati a mo- derarsi dai
consoli i quali , cacciatisi in mezzo, coman* darono ai littori di rimover la
turba. Tanta era allora negli uomini la riverenza per quel magistrato, e tanto
il pregio deir autorità suprema ! Intanto Sicinio non piò saldo , ma perturbato
, e timoroso di ridurre i partiti a respingere forza con forza , non volendo
lasciare , nè potendo continuare la impresa una volta tentata , era
pensierosissimo su >ciò che fosse da fare. XXX VL Or lui vedendo in tanti
dubbj Lucio Gin* nio Bruto , quel capipopolo che ideò le condizioni della
concordia , uomo acuto specialmente in trovare , ove mancano, gli espedienti,
venne, e solo con solo, sug- gerì che non si ostinasse in una disputa ardente ,
Digitized by Google 3Go DELLE Antichità’ romane nè legittima : mirasse tutti i
patrizj irritati , e tutti pronti alle armi se vi fossero invitati dai consoli
, ma dubbiosa la parte migliore del popolo , nè ben animata a permettere senza
previo giudizio la morte dell' uomo più. insigne di Roma : cedesse per allora ,
egli così consigliava; badasse a non combattere i consoli per non eccitare mali
manieri : piuttosto in- dicesse a un tal uomo , fissandone un tempo qua- lunque
, di perorar la sua causa , i cittadini votas- sero per tribù su lui: e ciò sen
facesse che la plu- ralità de’ voti dichiarerebbe. Non competere che ai tiranni
la violenza che ora minacciavasi , facendosi il tribuno accusatore in un tempo
e giudice ed arbi- tro della pena : ma in una repubblica doversi agli accusati
le difese come voglion le leggi , ed il gastigo secondo il voto dei più.
Cedette Sicioio a tale consi- glio non trovandone altri migliori , e fattosi
innanzi disse : Foi vedete o plebei V entusiasmo de’ patrizj per la violenza e
le stragi : vedete come tengon voi tutti da meno che un solo caparbio che
oltra^a una intera repubblica. Non conviene che noi li somigliamo e corriamo
alla nostra rovina, cominciando o respin- gendo una guerra. Ma perciocché alcuni
di loto al- legano , come onorevol pretesto , la legge la qual non permette che
uccidasi un cittadino ' senza previo giu- dizio , ed allegandola ci tolgono d
infliger le pene ; diasi pur luogo alla legge ; quantunque ne’ nostri di- sagi
abbiamo noi mai sofferto nè cose giuste , nè secondo le leggi da essi.
Dimostriamoci anzi probi colle clementi maniere , che del numero de’ vostri of-
Digitized by Google Linno VII. 36 1 Jénsori colla violenza. Ritiratevi ;
aspettate , nè già sarà molto , il tempo avvenire. Noi preparando in^ tanto le
cose che importano , fisseremo a codest’ uomo un tempo perchè si difenda , e
non eseguiremo se non la vostra sentenza. Quando v' avrete in mano i suffragi
secondo la legge , votatene allora la pena che merita. E ciò basti su questo
proposito : Che poi giustissima facciasi la compra e la distribuzione dèi grani
, noi vi provvederemo , se questi (\) ed il Se- nato non vi provvedono. E ciò
detto disciolse i' adu- nanza. XXXVII. Dopo questo evento i consoli convocando
il Senato considerarono posatamente come dar fine alla discordia presente.
Sembrò loro primieramente che do- vessero cattivarsi il popolo con vendergli i
viveri a pic- ciolo e fàcil mercato , e poi persuadere i lor capi a che- tarsi
in grazia dei Senato , nè astringere più Marcio al giudizio , e temporeggiare
in fine lunghissimamente , se non lasciassero persuadersi , finché l’ ira del
popolo si diminnissc. Ciò decretato portarono e proclamarono al popolo tra
pubblici applausi l’ editto su i viveri cosi concepito che : sarebbero i prezzi
de' generi necessari al vitto quotidiano , tenuissimi come innanzi la sedi-
zione. Poi col molto insistere presso de’ tribuni ebbero per Marcio dilazion
quanta vollero, se non piena asso- luzione. Anzi essi stessi gli procacciarono
altro indugio , valendosi di questa occasione. Gli anziati , spedita una banda
di pirati , aveano predato non lu ngi dal lido , (i) I CoDsvii.Digitized by
Google 36a DELLE antichità’ romane mentre tornavano in casa , le navi e i
deputati del re di Sicilia , che aveano recalo i grani in dono ai Ro- mani , e
volgendone ogni cosa come di nemici ad olile , ne teneano in carcere le
persone. I consoli , ciò saputo , spedirono agli Anziati : ma non potendone per
ambasciadori ottener la giustizia , decisero marciare colle armi su loro.
Adunque fatto il ruolo di tutti gl’ie- gli ninna delle cose ordinate dalle
leggi su de’ giudizj. Pareva ai consoli , deliberatisi col Senato, che non
fosse da permettere che il popolo s’ impadronisse di un tanto potere. Or si diè
loro un titolo giusto e legittimo d’im- pedirneli ; e credeano, usandolo, di
renderne vani lutti i disegni ; tanto che invitarono a colloquio tutti i capi
Digitized by Google LIBRO VII. 363 del popolo. Congregitisi cou quanti erauo
gli opportuni per essi , Minucio disse : Tribuni , ci è piaciuto decre- tare
che bandiscasi la sedizione da Jloma con tutte le forze , nè più nudrasi
contesa ninna col popqlo ; vedendo voi principalmente che tornavate dalla vio-
lenza alla giustizia ed alla ragione. Or noi lodando voi di questo proposito ,
abbiamo reputato che il Se- nato , come è patria usanza, vi precedesse co’ suoi
decreti. E potete contestare voi stessi che dalP ora che i nosU'i avi fondarono
Roma , il Senato che la ebbe , ritenne sempre questa precedenza : e che il popolo
senza la previa risoluzione idi lui mai nò giu- dicò , nè votò non solo in
questi tempi, ma nemmeno in quelli dei re. Tanto che li re non rimettevano al
popolo , se non le cose decise in Senato , e così le confermavano. Non vogliate
dunque levarci questo di- ritto , nè abolire tal bella istituzione primitiva.
Preanv- monile il Senato, se avete il bisogtto di cose mode- rate e giuste , e
quello che il Senato ne avrà giudi- cato , quello notificate al popolo , e ne
decida. XXXIX. Cosi discorrendola i consoli , Sicinio mal sopportavali , nò
volea render aibitro di cosa ninna il Senato. Ma gli altri , eguali a lui di
potere , seguendo i suggerimenti di Lucio (i) consentirono che si facesse
questo previo decreto. Imperoccbé ancor essi avevano (i)- Lucio Bruto: forte
come pensa il Ccleoio , dee leggersi Decia in luogo di Imcìo, .Certamente in
questi affari elibe parte anche De- ciò nominato prima e poi da Dionigi: vedi
I. fi, § 8S. Bruto aveva, tt vero il pronome di Lucio ; Ma Dion'gi nou lo ha
mai contratte* guato ancora col solo pronome. 'Digitized by Google 364 r)ELLr*
antichità’ romane falla ( nè i consoli la esclusero ) la istanza ragionevole ;
Che il Senato desse la parola anche ai tribuni, che sono i procuratori del
popolo , come agli altri che volevano aringare favorendo, o contrariando; e che
infine , dopo udite le discussioni di tutti , -allóra cia- scun padre porgesse
il suo voto , premesso il giura- mento legittimo , come ne’ giudizj , e
dichiarasse cioc- ché gli paresse il giusto e V utile della repubblica : e
quello si tenesse per valido che i più. preferissero. Concedendo i tribuni che
si decretasse come i consoli dimandavano ; si divisero. Raccoltisi nel giorno
appresso i padri in Senato , i consoli vi esposero le convenzioni: e quindi
chiamando i tribuni gl’ invitarono a dire le cause per le quali venivano. £ qui
fattosi innanzi Lu- cio , colui che avea condisceso che si facesse il previo
decreto , disse : XL. Potete ravvisare o padri ciocché sia per suc- cedere ,
vuol dire che noi saremo accusati appresso il popolo dell’ essere qui venuti, e
che V accusatore sarà quel nostro collega , per quel previo decreto che V
abbiam conceduto. Pensava costui che -non doves- simo noi chiedere da voi
quello che ci attribuiscon le leggi , nè prendere per benefizio quanto avevamo
per diritto. Chiamali in giudizio correremo in rischio non tenue , che
condannati , abbiamo a soffrire bruttissi- mamente come chi diserta , e
tradisce. Ma quantun- que ciò sapessimo ; noi siamo qui venuti , superiori a
noi stessi j confidando su la rettitudine della cau- sa , e mirando ai
giuramenti secondo i quali voi do- ' 'vete dirigere le vostre sentenze. Noi
tenui siamo , e Digitized by Coogle LIBRO VII. 365 disacconci pià assai che non
conviene , a parlar di tali cose, che piccole certamente non sono. Porgeteci
non pertanto udienza y e se queste vi parranno giuste ed utili , e vi a^iungo ,
necessarie ancora pel conw ne , vogliate spontaneamente concedercele. > XLI.
Primieramente dirò sul diritto. Quando o se- natori cacciaste i monarchi avendo
noi compagni nel- r opera, e fondaste il governo nel quale ora siamo, ed il
quale noi non riproviamo , voi vedendo i plebei aggravati ne’ giudizj se mai li
facevano ( e molti scn facevano ) co’ patrizj , emanaste per suggerimento di
Publio Valerio consolo una le^e per la quale per- mettevasi a tutti i plebei
sowerchiati da quelli di ap- pellare al popolo : e per niun altra, quanto per
que- sta legge , procacciaste la concordia di Soma , e re- spingeste i re che
vi tornavano in seno. Jn forza di questa l^ge citiamo codesto Caio Marcio
dinanzi al popolo , e gli prescriviamo che risponda su cose nelle quali tutti
ci diciamo da lui sowerchiati ed offesi. Nè su questo abbisognavi previo
decreto del Senato. Imperocché voi siete gli arbitri di deliberare i primi, ed
il popolo di confermare co’ voti quello su cui le le^i non pollano ; ma dove ci
han le leggi , sono immobili , e debbono osservarsi , quantunque niente ora voi
, perchè si osservino , decretaste. Già non dirà ninno che in caso di aggravio ne’
giudizj un privato appelli validamente al popolo , nè valida- mente v’
appellino i tribuni. E forti per tale conces- sion della legge , veniamo qui ,
non senza pericolo , ad esser sotto voi giudici. Pel diritto della natura ,
Digitized by Google 366 DELLE ANTICHITÀ.’ ROMANE diritto che non è scritto , nè
introdotto come le altra leggi , noi vogliamo che il popolo non sia nè da pià
nè da meno di voi : mentre con questo diritto ha con voi sostenute molte e
grandissime guerre, e mostrato ardore vivissimo per compierle , contribuendo
non poco perchè Roma le desse , non ricevesse da alwi le leggi. Or voi farete
che noi non siamo da meno che voi se frenerete col terror di un giudizio chiun-
que attenta contro le nostre persone e la
libertà. Pen- siamo che i magistrati , le precedenze , gli onori deb- bansi
compartire ai primi e pià virtuosi tra voi : ma pensiamo pure ben giusto che
essendo tutti sotto un governo , tutti dobbiamo ugualmente e senza riserva o
non essere offesi ^ o riceverne pari soddisfazione. Come dunque a voi
concediamo que’ gradi sublimi e luminosi, così non vogliamo esser privi dei
diritti eguali e comuni. Ma sebbene potrebbero aggiungersi le mille cose ,
bastino le dette fin qui sul diritto. XLII. Or quanto sian utili queste cose,
quanto il popolo le apprezzi se faccianst , lasciate che io bre- vemente ve lo
esponga. Su dunque : se alcuno vi di- mandi qual pensiate il pià grande de’
mali, quale la cagioH pià pìonta della roiàna delle città ; non di~ reste che
sia questa la dissensione? certo che sì. Or chi è si stolido , chi sì fatto a
rovescio , chi ■ sì ne“ mico della eguaglianza , il qual non veda, che se
concedasi al popola di giudicare le cause che gli spettano , avrem la concordia
; ma se gli si neghi , leverete a noi per fino la libertà ( chè la libertà si
toglie , a chi le leggi si tolgono e li giudizj ), e ci Digitized by Googk
LIBRO VII. 367 ridurrete ad insorgere nuovamente , e combattervi ? Certo che
nelle città dalle quali si escludono i giu- dizj e le leggi , la discordia
soUentra e la guerra. Chi non si è trovato in guerre civili non è meraviglia
che per la inesperienza non senta ribrezzo de mah antecedenti , nò precluda i
futuri. Ma quelli , che caduti come voi tra pericoli estremi , felicemente se
ne liberarono , sgombrando i mali come permetlevasi dalle circostanze ; quelli
, io dico , se vi ricadono , qual mai scusa aver possono sufficiente e decorosa
? Chi non condannerebbe la stoltezza e delirio vostro grandissimo ,
considerando che voi li quali per non avere la plebe discorde vi piegaste , non
ha gìiari t a tante concessioni , forse non tutte convenevoli ed utili , ora
vogliate in discordia tornarvela , tutto che non siate offesi negli averi ,
nelf onore , o in altre pubbliche cose , e solo per favorir chi la odia ? Se
non che voi ciò non farete se savj. Con piacere io V interrogherei quali
concetti erano i vostri quando ci concedevate il ritorno colle condizioni che
chietle- vamo. Ne apprendevate voi forse ragionando un be- ne ? o fu necessità
che vi ridusse a cedere ? Se ne apprendevate il bene di Roma , e perchè ora non
vi ci attenete ? se fu necessità , se impossibilità di es- sere diversamente ,
or che vi dolete del fatto ? Biso- gnava , se pur tanto potevate , non cedere
forse da principio ; ma ceduto avendo una volta , non dovete più
rimproverarvene. XLIIL A me sembra o padri che voi seguiste il vostro migliore
nel paci/icarvici : ma se fu necessità Digitized by Cooglc 368 DELLE ANTICHTTa’
ROMANE di scendere a condizioni; ella è pure necessità man- tenercele. Voi gV
Iddj chiamaste vindici degli accor- di , imprecando molte e terribili pene a
chiunque li violava di voi o de nipoti in perpetuo. Ora io non Pedo perchè
dobbiamo tediare pih a lungo voi che tanto bene il sapete , con dire che giuste
ed utili sono le nostre dimande , e molta la necessità che vi astringe a
corrisponderle , se memori siete de Mura- menti. Voi capite , o piuttosto (
giacché io non dico cosa che voi non sappiate ) voi tenete presente che rileva
per noi non poco il non desistere dalla impresa per violenza o per inganno, e
che un fortissimo sti- molo ci ha qui condotti , offesi gravemente , e pià che
gravemente , da quest’ uomo. Date dunque su quanto ho detto il vostro voto ,
ma, dandolo , consi- derate qual sarebbe il vostro animo verso quel ple- beo ,
se alcuno pur ve ne fosse , il quale tentasse dire o fare centra voi nelle
adunanze , ciò che qui codesto Marcio ha pur tentato di dire. XLIV. Le
convenzioni della pace sacrosante al Senato , quelle che munite più -che con
vincoli ada- mantini j ninno di voi , per averle giureUe , nè de’ vo- stri
discendenti può sciogliere , finché Roma fia Ro- ma ; quelle ha il primo
codesto Marcio tentato di rovesciarle , non essendo nemmen quattro anni che si
conclusero , e tentato ha di rovesciarle non col silen- zio , non da
oscurissimo luogo , ma qui , pubblicissi- mamente , al cospetto di voi tutti',
sentenziando, che non dovea più lasciarsi , ma ritogliersi a noi la po- destà
tribunizia, che è la primaria ed unica difesa Digitized by Googl LIBRO VII. 369
della libertà , e col mezzo della quale potemmo ri^ congiungersi. Nè qui C
ardinsento finì del suo dire , ina vi consigliava a ritorcela ; divulgando come
una ingiuria la libertà dei poveri , e tirannide nominando r uguaglianza.
Risovvengavi ( era questa la più infame delle istanze sue ) com’ egli disse
allora , che era pur venuto il tempo di ricordar tutte le ingiurie del po- polo
nella prima discordia , e come esortava quindi a mantenere la stessa penuria di
viveri , giacché il popolo , logoro dai disagf diuturni si ridurrebbe a cedere
in tutto ai patrizj. Non resisterebbero i poveri gran tempo comperando a
carissimo prezzo cibi scar-^ sissimi ma parte se ne andrebbero lasciando la
cUtà, e parte rimanendovi, perirebbero infelicissimamerUe, E così delirava ,
così era in ira ogF Iddj ciò persua~ dandovi; che non discerneva che oltre i
tanti mali co* quali travagliavasi per annientare i trattati del Se- nato ,
quando avrebbe ridotto i poveri i quali eran pur tanti , alle angustie de*
viveri , questi poveri ap- punto farebbonsi addosso agli autori delle angustie,
non più tenendoli per amici. Tanto che se voi pur
delirando approvavate il suo parere; non
restava più mezzo : ma ne andava la rovina intera del popolo , o de* patrizj.
Imperocché non ci saremmo già dati quasi schiavi a spatriare o morire : ma
chiamando i genj ed i numi in testimonio de' mòli che soffriva- mo ; avremmo
riempiute , ben lo intendete , le piazze, e le vie di ukdergogne ; sin che tu
abbi un altra difesa qua^ Itlnque; scendi da quel tuo enlusiatmo orgoglioso e
tirannico , toma , o sciaurato , ai concetti del popolo : renditi simile agli
altri', prendi come chi ha peccato e raccomandasi , un abito dismesso ,
addolorcvole * conforme ai disastri , e cerca il tuo scampo ; umilian- doti,
non insolentendo dinanzi gli oltraggiali da te. Sianti esempio di bella
moderazione^ le opere , le quali se tu avessi ùnitalo , non saresti ora ripreso
dai tuoi cittadini , io dico, quelle di tanti buoni , quanti qui ne vedi,
segnalati per tante virtù militari e ci- vili, quante non sarebbe facile
nemmeno in grati tempo pen.orrere. Li quali quantunque grandi e ris- spettabili
; niente mai fecero di duro , niente di or^ goglioso contro noi si tenui e
bassi , e primi intromiì- sero discorsi di pace , primi la pace offerirono ,
quando la sorte ci avea separati, e concedcron la pace non su le condizioni che
essi riputavan migliori, ma su quelle che noi chiedevamo ; dandosi infine
premura grandissima di levcu'e i disgusti recenti su la dispenstt de' grani per
la quale noi gli accusavamo. XLVI. Ma tralasciando le altre cose , quali ptc*-
ghiere non fecero per te , nel tuo superno acceca- mento , presso tutti , e
presso ciascuno del popolo per involarti alla pena? Appresso i consoli ed il
Settato, i> quali invigilano su questa , tanto grande città , cre- deron
bene che al giudizio ti sottomettessi del pò- polo , nè tu o Marcio a bene lo
tieni ? Questi tutti non han per un biasimo il pregare per tuo scampo il popolo
, e tu per biasimo tei prenderai? JVè ciò li Digllized by Google 372 DELLE
ANTICHITÀ* ROMANE bastava , o magnanimo ; ma quasi fatta una belV o» pera , ne
vai con fronte altera e magmfìcandoti , e niente adoperandoti a mansuefarli?
per non dire che insulti , che rimproveri , che minacci la plebe. E pre-
tendendo lui quanto niuno di voi ; non vi sdegnerete , o Padri , a tanto
orgoglio ? Se voi tutti risolveste di accingervi ad una guerra per esso ; egli
dovrebbe amarvene , e tenersi tutto pronto per voi, non accet- tar però mai un
tal bene privato col danno comune, ma sottomettersi alle difese , alla sentenza
, a tutte infine le pene , se bisognasse. Questo- sarebbe l’ ob- bligo di un
vero cittadino , di uno che vuole il bene colle opere , non colle parole. Ma le
violenze pre- senti qual ne additano mai C indole sua , quale la inclinazione ?
quella appunto di violare i giuramenti ,
di tradire la fede, di rescinder gli
accordi, di far guerra al popolo , di oltraggiare le persone dei ma- gistrati ,
di non sottometter la propria per niuna mai di queste cause , e di girarsela
franchissimamente, non come un eguale di tanti cittadini, ma come uno che niun
teme , e di niuno abbisogna , immunissimo in tutto da tribunali e discolpe. Or
non è questo un vi- vere alla tirannica? certo che jì / Eppure a conforto di
quest’ uomo spargono aure lievi e suoni dolci, al- cuni tra voi che pieni di odio
implacabile verso del popolo non san vedere che questo male si termina anzi
contro de’ nobili che degl’ ignobili , e credonsi affatto sicuri, sol che
deprimano il partito che è loro contrario per natura. Ma non così sta il vero ,
ingan- nati che siete. Prendete a maestra la esperienza che Digitized by Google
LIBRO VII, 373 Marcio stesso vi somministra , prendetene il corso dei tempi:
illuminatevi per gli esempj stranieri insieme e domestici.^ e ravvisale , che
la tirannia la qual nu- dtesi contro i plebei , contro tutta la città si
alimene ta: e che la tirannia che ora contea noi s’ incornine eia ,
fortificatasi , contea tutti ruggirà. XLVII. Ragionate queste cose da Oecio , e
supplite da’ triboni compagni quelle che mancar vi sembravano , quando il
Senato nè dovè sentenziare , levaronsi i primi in piedi i seniori tra gii
uomini consolari , inviati se- condo r ordjne consueto dai consoli , e quindi
via via gli altri men riguardevoli per queste qualità : seguirono ultimi i
giovani , ma non disser parola ; perocché ci avea di que’ giorni ancora tra’
Romani la verecondia , che niun giovane si arrogava saperne più degli anziani.
Pertanto accostaronsi essi alle sentenze de’consolarì. Erasi preordinato che i
senatori presenti giurassero prima , come ne’ tribunali , e poi dessero il
voto. Appio Clau- dio il patrizio , come ho detto , più acerbo col popolo, e
che mai non aveva approvato che si concordasse con esso, mal soffriva che ora
si facesse un pari decreto, e disse : XLVIII. Avi'ei veramente voluto , e più
voltf ne ho supplicato i numi , essermi sbagliato io circa il sentimento su la
pace col popolo , vede a dire che il ritorno de’ fi frusciti non era nè giusto
, nè decoroso , nè utile; tanto che quante volte sen prese a trattare^ tante io
primo ed ultimo mi vi opposi , anche abbona donalo da tutti. Anzi avrei voluto
o padri , che voi li quali per le speranze concepute del meglio , cora-^
Digilized by Google 3-y4 delle Antichità.* boriane (UscendesCe ed popolo sul
giusto e su t ingiusto , He compariste ora più savi di me. Hiuscitevi però le
cose, non come io desiderava , anche pregando_ne i numi , ma come io prevedeva
, e cangialevisi le beneficente in vilipendio ed odio ; io lascerò , come
estraneo a ciò che dee farsi , di riprendervi e di contristarvi in vano per le
vostre mancanze , quantunque sarebbe pur facile , ed è pur questo f uso dei
più. Dirò piut- tosto ciò che può rettificare le cose passate , quelle almeno
che non sono in tutto insanabili, e renderci più savj circa le presenti.
Quantunque non ignoro , che dicendo io liberamente i miei sentimenti , parrò
farneticare e sagrifìearmi , ad alcuni di voi , li quali considerino quanto sia
disastroso il parlar francamente, e riflettano la calamità di Mcuxio, il quale
non per altra cagione ora corre perìcolo della vita. Ma io non penso che la
cura della propria salvezza sia da pre- giarsi più che il pubblico bene. Già
questa mia per- sona è tutta pe’ vostri pericoli , tutta pe' cimenti della
patria ; tanto che gl’ incontrerò generosissimamenle , come piace agl’ Iddj ,
con tutti voi , o con pochi ^ e solo ancora , se bisogna. Nè finché io vivo ,
mai mi terrà la paura dal dire quello che io penso. XLIX. E primieramente io
voglio elte vi persua- diate una volta senza eccezioni che il popolo è ma-
laffetto , e nemico al governo presente f e che qua- lunque cosa gli avete ,
coma deboli , corueduta , £ avete spesa vanissimamente , e vi è stala cagione
di vilipen- dio , quasi conceduta £ abbiate per forza , non a ra- gion veduta ,
c per beneplacito. Considerate come il Digitized by Google LIBRO VII. 3^5
popolo si appartò da voi , pigliando le armi , e come ardi mostrarvìsi
palesissimamente per inimico , non o^eso da voi realmente , ma fingendosi
offeso : per- chè non polca corrispondere a suoi creditori, e di- cendo , che se
decreten ate la remissione dei debiti, e la condonazione delle colpe commesse
per la sedi- zione , non desidererebbe più oltre. 1 più di voi, non però tutti
, sedotti da vani consiglieri ( cosi /atto mai non lo avessero ! ) deliberarono
di anntdUire le leggi, mallevadrici della fede pubblica , nè più ricordane , nè
perseguitare l’ esorbitanze passate. Egli però non si tenne già contento di
questa concessione , pel solo bisogno della quale diceva di essersi ribellato ;
ma ben tosto pretese altra prerogativa più grande, e meno legittima : io dico
quella di eleggersi ogni anno dal- t ordin suo i tribuni , pretestando il
troppo nostro potere, peichè fossero scudo e rf i^io d poveri oltrag- giati ed
oppressi, ma in realtà tendendo insidie alio stato delta repubblica , e
volendola ridurre democra- tica. Adunque vi persuasero questi consiglieri a la-
sciare che entrasse in repubblica il tr ibunato ; come in fatti vi entrò per
isciagura comune , e princìfxd- mente in onta del Senato , mentre io , se bene
ve ne ricorda , tanto ne schiamazzava , protestando ai numi ed agli uomini ,
che introdurreste tra voi una guerra interna ed implacabile , e presagendovi
tutti i mali, quanti ve ne avvengono.
L. E questo buon popolo che vi ha egli
fatto dopo che gli avole conceduto il tribunato? Non ha già va- luta’o
degnamente tanto dono , anzi nemmeno da voi Digilized by Coogle DELLE
Antichità.’ romane 10 prese con prudenza , e con verecondia , come so glie lo
abbiate accordato , premuti e costernali dalle forze di lui. Ha detto che
aveasi a rendere sacro , inviolabile, sicuro pe giuramenti , ed ha pretesa un
autorità migliore che rwn quella da voi destinata pei consoli. E voi avete
tollerato ancor questo, e là tra le vittime giuravate la roidna di voi e de’
vostri di-- scendenti. E dopo questo ancora che vi ha fatto egli mai questo
popolo ? In luogo di riconoscervene ,
dolora per le altrui sciagure, e sa compatire gli uomini costituiti in
dignità, se la sorte loro travolgasi. Tuttavia diresse a Marcio la maggior
parte del discorso mista di ammonimenti , di esortazioni , e di preghiere che
face- vano violenza. E giacché egli era la causa . della discor- danza del
popolo dal Senato , e calunniavasi come ti- rannica la esuberanza delle sue
maniere, e temeasi che per lui si desse principio alle sedizioni e ai mali gra-
vissimi, quanti ne sorgono dalle guerre civili; pregavalo a non verificare , o
non confermare almeno le incolpa- zioni e le paure con quel suo nou gradito
contegno : assumesse un abito più umiliato : sottomettesse la sua persona per
dar conto a quelli che chiamavausi oltrag- giati da lui : si presentasse alle
difese contro di un ac- cusa ingiusta si , ma che in giudizio appunto si annul-
lerebbe. Sarebbe un tal fare più sicuro per la salvezza, più splendido per la
fama che desiderava , e più con- sentaneo colie opere antecedenti. Dichiarava
che se ostinavasi anziché raddolcirsi , e se riduceva , persua- dendoli , i
padri a subire ogni pericolo per òsso , mi- sera sarebbe per loro se vinti la
perdita, ma turpissima se vincitori , la vittoria. E qui tutto davasi al pianto
, riepilogando i mali gravi e non dubbj che straziano nelle discordie le città.
LY. Tali cose esponendo con molte lagrime non Digilized by Coogl LIBBO VII. 385
artificiose 'e noa finte , ina vere , egli venerabillstima per anni e per
meriti , come videne commosso tutto il Senato , cosi con più confidenza seguitò
, dicendo : Se alcuno di voi conturbasi , o padri , pensando che in- troducesi
un tristo costume nel concedere al popolo di votar su patrizj , e che non
produrrà niun bene f autorità de' tribuni che tanto si fortifica , sappiate che
voi siete errici , e v ideate il contrario di quel che conviene Imperocché se
mai vi sarà metodo sa- lutare , metodo per cui non si tolga né la libertà nè le
forze a Romec, e per cui le si conservi in perpetuo la concordia ; senza dubbio
il metodo principalissimo sarà quello che assumasi anche il popolo al goverrto,
talché non sìa questo nè pretta oligarchia , nè demo- crazia, ma un tal misto
di tutti. E questa la forma che più che tutte ne giovi ; perchè ciascuna delle
al- tre , applicata sola , com* è per sestessa , scorre faci- lissimamente alle
insolenze ed alle ingiustizie; laddove quando una forma si abbia ben
contemperata da tutte , allora se una parte commovesi ed esce dal- r orditi suo
, vien contenuta sempre dall altra, che è savia, e tiensi al dovere. La
monarchia divenuta dura^ superba , tirannica , suole abbattersi da pochi
valenti uomini : la oligarchia , qual voi t avete al presente , se troppo s'
innalza per le ricchezze e per le ade- renze, nè più tien conto della giustizia
e della virtùf si annienta da un popolo savio : un popolo savio e che vive
secondo le leggi , se poi volgesi ai disordini ed alle ingiustizie; è
sopraffatto dalle arme, e rimesso piomat , tamo II. ' . j5 Digìtized by Google
386 DELLE antichità’ ROMANE in dovere dal pià forte. Voi trovaste, o padri,
rimedj efficaci perchè il potere di un solo non si mutasse i n tirannide. Voi
scegliendo in luogo di un solo due capi della repubblica , e dando loro il
comando non per un tempo illimitato, ma per un anno; destinaste oltracciò per
invigilarli i trecento patrizf, i più anziani e più grandi , da' quali è
composto il Senato. Ma voi , per quanto si vede , non avete fin qui messo per
voi niun che vi osservi , e tenga in dovere. CeT’~ tornente io finora non temei
che vi corrompeste ancor voi tra t abbondanza , e la grandezza dei beni, per--
chè non è molto che avete liberato Roma da una vecchia tirannide ; nè aveste
mai comodo di scapric- ciarvi e cC insolentire per le guerre continue e lunghe.
Ma riflettendo io ciocché può succedere dopo voi , e quante mutazioni suol
produrre la diuturnità dei tempi ; temo che i potenti del Senato si rimescolino,
e riducano per occulte vie finalmente il governo in tirannide. LVI. Ma se
comunicherete il comando col popolo, non sorgerà quindi alcun male. E se altri
( giacché tutto dee prevedersi da chi consulta su la repubblica) se altri tenti
elevarsi più de’ colleghi e del Senato , procacciandosi un seguito di uomini
pronti a congiu- rare e ad offendere ; costui citato dai tribuni al po- polo,
per quanto egli sia grande e magnifico, renderà conto ai negletti ed ai poveri
: e trovatosi reo , ne subirà le pene che merita. Ma perchè il popolo con tal
potere non insolentisca nemmen esso , nè guidato da capi rei s’ inalberi contro
de' buoni, tiranneggiando Digitized by Google •• ^ LIBRO VII. 38 ^ ( che nasce
tmcìie nel popolo la tirannide ) ; lo invi- gilerà , nè pennellerà che ne abusi
un uomo distin- tissimo per saviezza. Un dittatore eletto da voi con potere
assoluto, inappellabile , separerà dalla città la parte infetta di popolo, nè
lascerà che la sana se ne corrompa. Egli , riordinati i costumi e le preclare
maniere del vivere, nominati i magistrali, che giudica savissimi per la cura
del pubblico , ed eseguili tali cose in sei mesi , rientri di bel nuovo nella
classe de’ privati , conservando per sè t onore , e non più. Pertanto
considercutdo vqì questo , e giudicando bo- nissima tal forma di repubblica ,
non vogliate da ciò che chiede escludere il popolo. Ala come avete attri- buito
al popolo che scelga ogni anno i magistrali che regolino , che ratifichi o
annulli le leggi , e decida della guerra e della pace, cose tutte
rilevantissime e principali tra quante in uno stato sen facciano ; nè avete di
niuna di esse lasciato cubitro indipendente il Senato ; cosi chiamale anche il
popolo a parte dei giudizj , massimamente se alcuno sia accusato di of- fendere
la stessa repubblica, eccitando sedizioni, pre- parando la tirannide,
convenendosi co’ nemici di tra- dirci, e macchinando mali consimili. Imperocché
quanto più renderete terribile agl indocili ed ai superbi la trasgression delle
leggi , e le innovazioni di Stato , mostrando intenti su loro più occhi e più
guardie ; tanto più la repubblica starà nel suo fiore. LVII, Dette queste e
cose consimili , tacque. Con- vennero nel parere medesimo gli altri senatori
sorti dopo lui , eccettuatine pochi. E standosene ornai per Digitized by Google
388 DELLE Antichità’ romane formare il
decreto ; chiese Marcio la parola e disse : Quale, o padri coscritti , io sia
stato verso la repub^ blica , come io sia venuto in tanto pericolo per la
benevolenza mia verso di voi , e come ora io ne sia da voi contraccambiato
fuori della mia espettazione , voi tutti il vedete , e meglio lo intenderete
ancora dopo dato un fine alle mie cose. Ed oh ! se come la sentenza di Valerio
prevale ; così vi giovasse , ed io mi sbagliassi nelle mie congetture sul
futuro. Al- meno però perchè voi che siete per emanare il de- creto ,
conosciate le cause p^r le quali mi consegniate al popolo , nè io ignori su che
sarà combattuto nel- t adunanza di esso ; intimale ai tribuni che dicano alla
presenza vostra la ingiustizia su la quale mi ac- cuseranno , e qual titolo
diasi a questo giudizio. LVin. Egli cosi diceva , perchè congetturava che a*
vrebbe a difendersi appunto pe’ discorsi fatti in Senato, e perchè voleva che i
tribuni convenissero che su que» sto appunto verserebbe l’azione. Ma i tribuni
consulta- tisi lo accusarono che brigato avesse la tirannide, e su. questa
accusa chiedevano che venisse a difendersi. (Schivi di restringere 1’ accusa ad
una sola causa , e questa nè valida nè cara ai Senato ; riserbavansi il potere
di ac- cusarlo su quanto volevano > pensando che resterebbe così Marcio
spogliato di tutto il soccorso del Senato ).
Marcio dunque replicò: se io debbo essere
giudicato su questa calunnia , mi sottometto ed giudizio del popolo , nò mi
oppongo che ne stenda il Senato 'il decreto. Piaceva al più de’ padri che su
ciò si rigi- rasse l’accusa e per due fini: perchè da indi in poi Digitized by
Google LIBRO VII. 38q non più sarebbe un senatore incolpato per dire cioc>
chè pensava nelle consultazioni ; e perché di leggieri quel valentuomo se ne
purgherebbe, sobbriissimo altron« de , ed irreprensibile nella vita. F u dunque
, secoudo ciò , steso il decreto pel giudizio : e dato a Marcio tem* po per
preparar le difese da indi al terzo mercato. Te- nevasi allora , e tuttavia si
tiene da’ Romani il mercato in ogni nono giorno. In questi adunandosi i plebei
dalle campagne in città ; vi cambiavan le merci, e vi discu- tevano le liti
private : e ricevendo i voti ; sentenziavano su le cause pubbliche , riservate
loro dalle leggi , o dal Senato. Negli otto giorni intermedj a’ mercati
viveansi nelle campagne , essendone i più di loro lavoratori e poveri. I
tribuni preso il decreto, e recatisi al Foro, v’adunàrono il popolo : e
lodatovi con ampj encomj il Senato , e lettavene la sentenza ; intimarono il
giorno nel quale si finirebbe quella causa ; raccomandando a tutti d’
intervenire , perchè discuterebbono importantis- sime cose. LIX. Divulgato ciò
; vivissime furono le cure e i ma* neggi de’ plebei e de’ patrizj ; di quelli
come per punire un arrogante , e di questi perchè non restasse all’ arbi- trio
de’ loro avversar] il difensore del comando de’ po- chi. Pareva ad ambi che si
mettessero in quella causa a pericolo i diritti tutti della vita e della
libertà. Giunto il terzo mercato , si ridusse dalle campagne in città tanta
moltitudine , quanta mai più per addietro , occu- pando infino dall’ alba il
Foro. I tribuni la invitarono a riunirsi per tribù , separando con funi il sito
dove ciascuna si alluogherebbe. L’ adunanza su quest’ uomo Digilized by Google
3go DELLE Antichità’ komane fu la prima la quale votasse per tribù ( i ) ,
sebbene as- sai si opponessero i palrizj perchè ciò si facesse ; chie- dendo
che si tenessero, com’era l’uso della patria, i comizj per centurie. Imperocché
ne’ primi ten>pi se il popolo dovea votare su di una causa qualunque rimes-
sagli dal Senato ; i consoli adunavano i comizj per cen- turie, compiendo prima
i sagrifìzj legittimi , che in parte si compiono ancora. Il popolo ordinato
come nei tempi di guerra sotto i centurioni e le insegne , adu- navasi nel
campo di Marte posto innanzi della città. Quivi non prendevano e davano tatti
insieme il lor voto ; ma ciascuno nella propria centuria , secondo che eran
chiamate dai consoli. Ed essendo le centurie cento novanta tre , e dividendosi
queste in sci classi , chiama- vasi innanzi tutte , e dava il suo voto la prima
classe , la quale formata dei più riguardevoli per sostanze , e primi negli
ordini militari , comprendeva diciotto cen- turie equestri , ed ottanta
appiedi. Appressò votava 1’ al- tra classe la quale men comoda per sostanze ,
seconda nell’ ordine della battaglia , e men cospicua de' primi per armatura ,
formava venti centurie; aggiuntene ancor due di artefici , i quali apprestano
legni e ierro , ed ogni altra macchina militare. Costituivano i chiamati nella
terza classe venti centurie , inferiori tutte nell’ onore , nell’ ordine della
battaglia , e nelle armi , non simili a quelle de’ precedenti. Gli altri
chiamati appresso , rispet- tabili anche meno in pregio di sostanze e di armi ,
ma più sicuri di posto nella battaglia , divideausi ugualmente (i) Anni di Roma
a63 secoado Catone, aR5 secondo Varrone , a 4^ ae- Cristo. Digitized by Google
LIBRO VII- 391 ia venti centurie ; alle quali se ne univano altre due y di
suonatori di corni e di trombe. Qiiamavasi per quIn-i>. 4 t S'So j ù tratta
la materia medesima. I soldati che qui si dicoDo immuni dai cataloghi militari,
erano certameule liberi dalle coscrizioni: peral- tro potevano militare se
volevano. (a) Nella prima classe ci aveano ottanta centnrie appiedi a diciotto
a cavallo, ìu lutto novanlollo vedi loco citato. Le altre classi in tutto
costituivano novantacinque centurie : perchè la seconda classe com- prendeva
venlidua centurie: la terza venti: la quarta di nuovo ven* lidne : e la quinta
trenta; risultaudo la sesta da una sola. Digitized by Google 3q2 delle antichità’
romane bio da ricorrere al voto fioale de’ poveri. Era questo il refìigio
estreirio , se mai le cento novantadue centu- rie scindeansi in parti eguali ;
e ne preponderava la parte alla quale quell’ ultimo voto si volgeva. Chiedeano
i difensori di Marcio che si adunassero i comizj ordinati secondo gli averi,
immaginandosi forse che il valentuomo sarebbe liberato dalle novantotto
centurie' della prima classe quando le chiamavano, o dalie altre almeno della
seconda o della terza. Ma sospettando eziandio ciò li tribuni , conclusero che
si avesse a riunire il popolo per tribù , e così renderlo giudice della contesa
; perchè nè i poveri ci avessero men potere dei ricchi , nè i soldati leggeri
men di quelli di grave armatura , nè la molti- tudine , differita per 1’ ultima
chiamata , fosse impedita a dare egnal voto. Divenuti tutti pari nell’ onore .
e nel voto , avrebbero ad una sola chiamata dato i loro suf- fragi tribù. Or
pareano i tribuni più giusti che gli altri , col pensare che il giudizio del
popolo fosse ve- ramente del popolo , non della parte fautrice degli ot- timati
; e che su le offese di tutti , tutti dovessero sen- tenziare. LX. Conceduto
ciò con stento da’ patrizj , essendosi ornai per disputare la causa , Minucio
1’ altro de' con- soli ascese il primo in ringhiera , e disse quanto eragli
stato commesso dal Senato. E prima ricordò tutte le be- neficenze , quante il
popolo ne avea ricevute da’ patri- zi : e poi chiese in contraccambio di queste
, eh’ eran pur tante, che il popob concedesse una grazia, neces- saria ad essi
che la domandavano , pel pubblico bene : quindi lodò la concordia e la pace e
rilevò di quanti Digitized by Google LIBKO VII. 39.3 beni Sten causa I’ una e T
altra nelle citUi: condannò le sedizioni e le guerre intestine; e mostrò, che
ne erano stale distrutte le città con gli abitanti , anzi le • intere nazioni :
raccomandò che secondando l’ira non isceglies* sero il peggio per lo migliore:
che provredessero il fu- turo con saviezza , non si valessero in consultazioni
gra» vissime dèi consiglio de* cittadini più tristi , ma di quelli che tenean
per bonissimi , da’ quali sapeano «sere stata tanto giovata in guerra ed in
pace la patria , e de’ quali non era giusto che diffidassero, quasi avessero
già mu- tato > natura. Era 1’ intento di tanti discorsi , che non dessero
niun voto contro di Marcio , ma in vista prin- dpal mente di essi assolvessero
quel valentuomo ; ricoi> dandosi quale egli era stato per la repubblica,
quante guerre avea portato a buon termine per. la libertà e per r impèro di
Roma , e come non farebbero cosa nè pia; nè giusta, nè degna di . loro, se
ingrati alle opere segna- late di lui ne punissero le vane parole. Esservi
bellis- sima la opportunità di dimetterlo ; giacché egli presen* tava la sua
pmeona ai nemici , per subirne in pace il giudizio che di lùi formerebbero. E
se non che ricon- ciliarsegli , persistevano duri , implacabili con esso , al-
meno giacché il Senato trecento i: più insigni della città, facevasi a
supplioudì , s’ impietosissero e mansuefacessero, ciò considerando ; nè per
punire un nemico ributtassero le {««ghiere di tanti amici , ma in grazia di
tanti va- lealuomini condonassero la pena di un solo. Dette que- ste consimili
cose , aggiunse in ultimo , che se assol- vesserò dopo dati i voti un tal uomo
, parrebbouo ril.i- aciarlo per non esser stato un ofTeusore del popolo : ma
Digitized by Google 394 DELLE Antichità’ bomane se proibivano di prosegniroe il
giudieio , mostrerebbero di donarlo a tanti che per lui supplicavano. LXI. E
qui taciutosi Minucio, fecesi innanzi Sicinio il tribuno, e disse: che. uè egli
tradirebbe la libertà del popolo , nè permetterebbe di buon grado che altri la
tradissero. Pertanto se i patiizj sottomettevano realmente un tal uomo al
giudizio del pòpolo , iàrebbe che su lui si votasse, nè punto da ciò i si
scosterebbe. ^ E; qui su- bentrando Minucio replicava : Poiché- siete o tribuni
fermi in tutto eli dare il voto su quest’uomo; almeno non lo accusale di altro
che della offesa imputatagli. K poiché lo dinunziaste reo di ambita tirannide
di* chiarate e convincete, ciò con gli argomenti t ma' non vogliate .nè
ricordare nè accusare le parole , le quali 10 incolpavate, di^ carer . detto in
Senato.^ Imperocché 11 Senato lo dichiarava immune da que'sta colpa j e
sentenziò phe al popolo si. presentasse '..per le cause convenute. E qui lesse
la seuteoBa. E pò ,bn gli altri più potati de’ tfibutii. .. . i. , . . LXII.
Ma- non eà' tosto' tocoù atMarciu-di perórare , combaciando da capo , numttò
quante spedizioni mili- tari avea sostenuto dalla prima età sua>per.^ blica
, quante corone trionfali avea' riportate da saoi cc.^^ mandanti , quanti erano
i nemici presi da lui prigionie- ri , quanti li Cittadini salvati nelle
battaglie. E ad ogni dir suo mostrava i premj dati al suo valore, e ne prof*
Digitized by Google I LIBRO VII. 395 feriva io testimonio I capitani , e ne
chiamava a nome i cittadini liberati. E questi si presentavano sospirando e
supplicando i cittadini a non uccidere , nè distruggere come nemico chi era la
causa della loro salvezza ; chie- dendo la vita di un solo per quella di tanti
, ed esi- bendo in luogo di lui sestessi , perchè come più vo- leano ne
disponessero. Erano i più di loro del popolo » anzi al popolo utilissimi. E
preso il popolo da verecon- dia all’ aspetto ed alle lagrime di tanti ne
impietosi , e ne pianse. Quando Marcio squarciandosi 1’ abito , mo- strò pieno
il petto , piene le altre membra di cicatrici , e dimandò se credeano poter
esser le opere di un uomo stesso salvare il popolo in guerra dà nemici, e saU
alo opprimerlo nella pace : e se chi fonda una rannlde , caccia dalla città una
porle del popolo, dal (filale principalmente la tirannide si alimenta e cor-
rohora. E lui parlando ancora , tutti i più mansueti , e più umani del popolo
esclamavano, che si rilasciasse: e vergognavansi che stesse fio dal principio
in giudizio per simil cagione un uomo che avea tante volte spre- giata la
propria salvezza per quella di tutti. Ma tutti i più invidiosi , tutti i più
malevoli ai buoni , e più pronti alle sedizioni , soffrivano di mai in cuore di
avere a li- berare un tal uomo : tuttavia non sapeano che più fare, non
apparendo in esso indizj nè di tirannide , nè di ambizion di tirannide , e su
ciò dovessi giudicare. LXIII. Or ciò vedendo quel Decio che avea ragio- nato in
Senato , e procurato che si stendesse il decreto per la causa , levatosi in
piede fece silenzio e disse : Poiché , o popolo , i patrizj hanno assoluto
Marcio Digitized by Google 396 DELLE Antichità’ romane dalle parole dette in
Senato , e da fatti violenti e superbi che le seguirono: nè vi hanno lasciato
mezzi onde accusarlo ; udite , non le parole , no , ma la egregia cosa che
questo valentuomo vi apparecchiava ; uditene £ orgoglio , la sovverchieria , e
conoscete qual vostra legge , egli privatissimo uomo , violasse. Koi tutti
sapete che quante spoglie nemiche ci riesce di acquistar col valore , tutte per
legge son del comune, e che niuno, nemmeno lo stesso capitano , non che un
privato , ne è £ arbitro ; sapete che il questore le prende , le vende , e ,
fattone danaro , lo versa nel pubblico erario. Or questa legge che niuno da
cheRoma è Roma non solo non ha mai violato , ma nemmeno ha ripreso come non
buona ; questa già firmala , invalsa , questa ha £ unico Marcio con- culcata,
appropriando le prede che erano del comune, £ anno scaduto , e non prima.
Imperocché essendo noi scorsi su le terre degli Anziati , e pigliato aven- dovi
prigionieri , e bestiami , e frumenti , ed altro in copia ; egli non depositò
già tutto' nelle mani del questore: e nemmeno, alienandolo, ne mise il prezzo
nel£ erario : ma divise in dono agli amici suoi per cattivarseli, tutta la
preda ; or questo io dico eh’ egli è argomento certissimo di tirannide. E come
no ? Costui beneficava col tesoro pubblico li suoi adulatori, li custodi della
sua persona , li cooperatori della ti- rannide. E vi affermo che questo fu come
un abro- gare manifestamente la legge. Or su, facciasi pure innanzi Marcio , e
dimostri £ una o £ altra delle due; omelie egli non compartì le belliche prede
a’ suoi % Digitized by Google LIBBO VII. %7 amici ; o che se bene ciò fece ,
non ruppe la legge. Ma egli non potrà dire ninna di queste due cose. Imperocché
voi sapete ( una e V altra , la legge e t opera : Nè mai potrete coll
assolverlo , dar vista di conoscere i diritti ed i giuramenti. Lascia o Marcio
le corone ed i premj , lascia le ferite ed ogni osten- tazione , e rispondi a
questo , su che li concedo ornai che tu parli. LXiy. Cagionò tale accusa grande
mutazione; e li più dolci, e più premurosi per I’ assoluzione di questo uomo si
rallentaron ciò udendo. E li più perfidi , quali erano i più della plebe ,
deliberati allatto di perderlo , vi si ostinarono ancor più , per una occasione
si gran- de , e si- manifesta. EU’ era ben vera la distribuzion della preda ,
non era però fatta per mal genio , nè in vista di una tirannide , come Decio
calunniava, ma solo con fine benissimo , con quello cioè di riparare ai mali
della repubblica : perchè essendo allora il popolo di- scorde ed alienato
da’patrizj , i nemici dispregiandoli, ne scorrevano e ne predavano di continuo
le campagne. E quante volle parve al Senato di spedire una forza che li
reprimesse , ninno usciva del popolo , anzi giubbilava contemplando i casi d’
intorno , nè le forze dei patrizj ba- stavano a contrapporsi. Or ciò vedendo
Marcio promise ai consoli, se lo creavano capitano, di portar su' nemici un’ar-
mata spontanea, e di pigliarne ben tosto vendetta. Ottenuto Marcio il potere ,
congregò li clienti, gli amici , e quanti voleano partecipare le sue fortune ,
e la sua gloria nelle armi. E quando parvegli che si fosse raccolta milizia
suf- ficiente ; la menò su’ nemici che niente ne prevedeano. Digitized by
Google 3 gS DELLE Antichità’ romane Scorso in region doviziosissima , ed
arbitro divenuto di amplissima preda , permise alle sue milizie che tutta se la
dividessero , afUnchè li compagni dell’ impresa , rac- coltone il frutto ,
andassero pronti anche agli altri ci- menti : e quelli , che impigrivano in
casa, considerando da quanti beni , a’ quali poteano partecipare , gli allon-
tanasse la sedizione; divenissero più savj per le spedi- zioni seguenti. Tale
era su ciò la idea del valentuomo. Ma la turba invida e tenebrosa ,
considerandone con malvolere le operazioni, credette vedere in esse un pre-
dominio , nna largizione tirannica. Dond’ è che il Foro si riempié di clamori e
di tumulto : nè più Marcio , nè il consolo , nè alcun altro sapeano che
rispondere , riu- scendo la incolpazione inaspettata ed improvvisa. Poi- ché
dunque ninno più faceane le difese; i tribuni di- spensarono alle tribù li
suffragi , proponendo per pena del delitto Y' esilio perpetuo , io credo perchè
temevano, che se proponevano la morte, non sarebbevi stato con- dannato. Dato
da tutti il voto , e numeratili , non vi fu gran divario. Imperocché essendo
allora ventuna le tribù le quali ottennero il voto , nove si decisero per la
li- berazione di Marcio , tanto che se altre due vi si ag- giungevano , sarebbe
stato , còme ordina la legge , libe- rato per la uguaglianza (i). (i) Se le
trìbCk erano at , e nove si dichiararono per Marcio: dunque dodici lo
condannarono; e però ire o non due altre trilnt ci Toleano per uguagliare i
Voli della condanna e dell’ assoluzione. Forse Dionigi Tuoi dire che se la
tribù condaunaTauo cd undici assolvevano, l’efHcacia de’ voli era la stessa in
guisa, che per uu voto di più non cnndannavasi il reo, ma si rilasciava. Se ciò
è, nel lesto non vi è discordia , ma la voce dovrà tradursi I Digitized by
Google LIBBO VII./ 3q9 I LXV. Fu questa la prima oitasione di un patrizio al
popolo per esserne giudicato : e d’ allora in poi fu stabilito il costume che i
tribuni chiamano chi lor piace de’ cittadini a subire il giudizio del popolo. £
dopo tal fatto ancora assai il popolo si elevò , decadendo nom- tneno il potere
de’ pochi , perché ne furono ridotti ad ammettere > plebei nel Senato , a
concedere che aspi- rassero agli onori , a non vietare che prendessero i sa-
cerdozi , e a dividere con essi per forza e loro malgra- do , o per provvidenza
e saviezza , i tanti bei pregi , un tempo proprj solo de’ patrizj , come ne’
luoghi op- portuni diremo. Del resto l’ uso di citare i cittadini pri- mai'j al
giudizio della moltitudine può somministrare ma- teria ben ampia di discorso a
chi vuol biasimarlo o lo- darlo ; perciocché molli uomini probi ed egregj ne
so- stennero cose non degne della loro virtù , fatti inglòrio- sameute uccidere
e malvagiamente pe’ tribuni : e per r opposito ne pagarono pnre la debita pena
molti uomini aiToganti e tirannici , astretti a dar conto del vivere e
procedere loro. Quando dunque vi si faceano con cor buono le discussioni , e vi
si reprimevano le esorbitanze dei graudi , quella sembrava mirabilissima cosa,
ed erano da tulli lodata : ma quando a torto il merito vi si pro- strava de’ valentuomini
egregj nel governo del comune ; sembrava orribilissima , e gli autori se he
accusavano non per la uguaglianza de' voti come abbiamo (allo ma per la effi-
cacia de’ voti. Sappiasi in fioe che talono de’ critici afferma che le tribù
allora erano 3i, e non 3i ; ma il Sigonio de civiiate Rom. G. 3, ed Onofrio
Vanvlno al c. 8 , sostengono che erano realmente Tcntuna. Digitized by Google
4oo .DELLE Antichità’ romane della coDsnetudtne. Esaminarono , evvero , più
volte i Romani se la dovessero annullare , o custodire come r aveano ricevuta
dagli antenati ; ma non diedero mai fine all’ esame. E se pur io debbo dirne
ciocché ne pen- so, a me ne sembra la istituzione, se per sé si consi- deri ,
vantaggiosa , anzi necessariissima a Roma ; esservi però più o mcn bene
riuscita , secondo il carattere dei tribuni. Imperocché se scontravansi savj ,
giusti , e sol- leciti del pubblico , più che del proprio lor bene , e se chi
offendeva la patria ne era , come dovea , castigato; in tal caso un timor vivo
frenava ancor gli altri dai fare altrettanto. E 1’ uomo buono , 1’ uomo
avvanzatosi eoo cuore puro ai maneggi pubblici né subiva pene vergo- gnose , né
gìudizj , alieni dal procedere suo. Ma quando aveansi il poter tribunizio
nomini scellerati , intempe- ranti , avari , succedeane tutto l’opposito.
Tantoché non dovessi rettificar come erronea la consuetudine , ma curar
piuttosto come si avesser tribuni probi ed onesti, senza che tanta autorità
temerariamente si conferisse. LXVI. Tali furono le cagioni , e tale il termine
della prima sedizione de* Romani dopo la espulsione dei re. Io ne parlai
lungamente , perché ninno si meravigli come i patrizj permisero che il popolo
si attribuisse tanto po- tere , nè succedessero intanto come in alure città ,
gli eccidj e le fughe degli ottimati.' Ciascuno brama cono- scere delle
insolite cose la cagione ; proporzionandosene a questa la credibilità. Dond’è
che io conclusi che non sarei stato creduto in gran parte o in tutto , se io
di- ceva nudamente , e senza allegarne le cause* , che i pa- trizj aveano
ceduto ai plebei la primazia ; e che po- Digitized by Google LIBRO VII. 4® *
lendo dominare come nei comando dei pochi, aveano fenduto il popolo arbitro di
affari gravissimi: e cosi concludendo ; volli esprimerle tutte. E poiché ira loro
non si violentarono e necessitarono colle armi, ma coo- cordaronsi colla
persuasiva , giudicai portare il pregio dell’ opera , che si esponessero
soprattutto i discorsi te- nuti allor dai primari ciascun dei partiti. E ben io
mi stupirei che taluni pensassero doversi i falli della guerra descrivere
minutissimamente , e taivoha consu- massero tante parole intorno di una sola
battaglia di- cendo la natura de’ luoghi , la proprietà delle armi , la forma
delle ordinanae , le ammonizioni del capitano , e tatti i motivi , quanti
coadiuvarono la vittoria ; nè poi credessero che narrando i movimenti, e le
sedizioni ci- vili sen dovessero insieme riferire i discorsi pe* quali si
operarono impensate e maravigliosissime imprese. Certa-' mente se nel governo
de’ Romani vi fu portento degno di encomi, e della emulazione di tutti, fu
questo a parer mio , famosissimo più che i tanti , che pur vi fu- rono
stupendissimi , vuol dire che i plebei spregiando i patrizi non si avventa sser
su loro, uccidendone in co- pia i più insigni , ed usurpandone i beni , e che
quelli che esercitavan le cariche non conquidessero di per sestessi o co’
soccorsi di fuori tutto il popolo , rimanen- dosene poi liberi da paure in
città ; ma che a guisa di fratelli co’ fratelli , e di figli co' padri in una
savia fa- miglia , la discorresser fra loro su’ diritti comuni , e finis- sero
le controversie col dialogo e colia persuasione, senza permettersi gli nni
contro degli altri azione alcuna inir DtOSttGl, tomo //• iG Digitized by Googic
4o2 delle Antichità’ romane qua ed insanabile , come nelle loro sedizioni ne
fecero i Corciresi , come gli Argivi , i Milesj , e la Sicilia in- tera , e
tant’aliri. E jier queste cause io volli anzi esten- derne che ristringerne la
narrazione ; e ciascuno ne pensi come glien pare. . LXYII. Avuto allora il
giudizio un tal esito , il po- polo si parti con una vana ghiattauza;
concependo aver tolto il comando dei pochi. Altronde i patrizj ne an- davano
umiliati e mesti , ed incolpavano Valerio per suggerimento del quale avevano
rimessa al popolo la sentenza. E quelli che riconducevano Marcio , impieto-
siti , ne sospiravano e ne lagrimavano : non però ve- deasi Marcio né piangere
, nè lamentare la sorte sua , nè dire o fare cosa qualunque , non degna de’
sublimi suoi genj : anzi dimostrò più ancora la generosità e for- tezza deir
animo suo , quando giunto in casa ridevi la moglie e la madre che aveansi
squarciata la veste , e pesto il petto , e gridavano , come sogliono in simili
casi, donne separate dai loro più cari per 1’ esilio , o per la morte : niente
invili tra le lagrime , niente tra’ clamori delle donne. Ma dato loro un
amplesso , le animava a tollerar virilmente la disgrazia , raccomandando ad
esse i suoi figli. Grande era 1’ uno di dieci anni , ma sosteneano l’ altro
colle braccia ancora. E senza dare al- tri pegni della sua benevolenza , e
senza tor seco cioc- ché bisognavagli per 1’ esilio , usci sollecitamente dalle
porte , non indicando a ninno , dove si trasferiva. , LXVII. Venuto pochi
giorni appresso il tempo de’co- mizj , furono dal popolo scelti consoli Quinto
Sulpicio Camerino e Spurio Largio Flayo per la seconda vol- Digitized by Google
LIBRO VII. 4^3 ta (i). Turbarono quest’anno la città molti segni di ce- lesti
terrori. Imperocché apparvero a molti visioni inso- lite , e voci si udirono
senza niun che parlasse ; le ge- nerazioni degli uomini e delle bestie assai
scostandosi dal naturale tendevano al mostruoso ed all’ incredibile: e si
udivano m più luoghi risonare gli oracoli , e donne da divino furor sorprese
annunziavano alla città lamen- tevoli e terribili sorti. Si aggiunse a tanto un
tal contagio nella- moltitudine. Fece questo assai strage di bestiame , ma non
molta fu la mortalità degli uomini , non esten- dendosi il morbo più in là che
a far dei malati. E chi diceva succedere l’ infortunio per disegno de’ numi i
quali si vendicavano dell’essere espulso dalla patria il migliore de’ cittadini
; e chi dicea che gli eventi non erano opera divina , ma fortuiti , come tutte
le vicende degli uomi- ni. Poi si presentò , portatovi in una lettiga , un
infer- mo , chiamato Tito Latino di nome , vecchissimo d’anni, fornito a
sufficienza di beni , e che avea per lo più vi- vuto nella campagna,
lavorandola colie sue mani. Co- stui venuto in Senato rivelò che avea tra il
sonno ve- duto Giove Capitolino che standogli a fronte, ua , disse ; fa
intendere d tuoi cittadini che nelT ultima pompa che mi celebrarono, non mi
diedero un buon capo per la danza. Pertanto mi ripetano , e compiano un altra
festa di nuovo , non avendo io accett ata la pri- ma. Dicea costui che
risvegliatosi non faeea verun caso delia visione , ma teneala come una delle
comuni ed il- lusorie. Quando ecco infine gli si presentò nel sonno (i) Anni di
Roma a64 secondo Catone, *66 secondo Varrone, e 48iS av. Cristo. Digilized by
Googlc 4o4 DELLE antichità’ ROMANE la immagiue stessa , e bieca e sdegnata ,
che non avesse annunziato i comandi al Senato , e minacciandolo , se non gli
annunziava immantinente che apprenderebbe con grave suo danno a non trascurare
gt IddJ. Que- sta seconda visione, egli disse , che la riguardò come la prima ,
vergognandosi di assumer rincarico , egli vec- chio e lavoratore , di portare
al Senato i sogni suoi , pieni di augnrio e di terrore , perchè non vi fosse
de- riso. Or pochi giorni appresso il vago e giovine suo figlio , senza
malattia , e senza niuna causa sensibile fu rapito da morte improvvisa. E ben
tosto il simulacro stesso del nome apparendogli nel sonno gli dichiarò che egli
area già colla perdita del figlio subita la pena della sua trascuraggine , e
del dispregio delle celesti voci , ma che ben tosto ne subirebbe ancor altre.
Udendo tali cose disse che contentissimo ne accettava Uannun- tio , Se avesse a
morirsi , non più curando la vita: che non gli diede il nume però questa pena ,
ma che gl'in- ternò per tutto il corpo dolori acutissimi ed insoffri-^ bili ,
non potendone movere parte alcuna senza tor- mento estremo. E che allora infine
comunicato ^evento agli amici , venivane per consiglio loro al Senato. Pa- t^a
, ciò dicendo , che poco a poco si riavesse dal do- lore. Alfine compiuto il
discorso , usci di lettiga , ed in- vocato il nume , ne andò per la città
libero e sano in sua casa. LXIX. Il Senato ne fu spaventato ed attonito (i) ,
(i) Questo fatto è riportato aoclie da Livio. Cicerone Io allega nel lib. I de
Dininalione. Quanto è facile sognare con chi sogna l Ma il Senato avea bisoguo
d’ illudere un popolo superstiiiuso , e ne secoudò li delirj . Per tali vie la
verità si confonde , e si allouuna! Digitizr- )y UoOgU LIBRO VII. nè sapeva
inf]ovinare ciocché il nume signifìcasse , e qual fosse nella festa antecedente
il duce, de’ salti che buono a lui non paresse. Àlfìne un tale , memore del- r
evento , lo disse ; e tutti se gli accordarono. Qr fu r evento cosi : Un Romano
non ignobile consegnando un suo schiavo agli altri conservi perchè lo menassero
alla morte , ordinò per renderne più romorosa la pena, che lo traessero ,
flagellandolo , pel Foro , e per tutti , quanti erano , i luoghi più insigni
della città. Precedè costui la festa che la città avea prescritto che si
facesse in quei tempi a tal nume. Coloro che lo spingevano al supplizio
slargandogli e legandogli ambedue le mani ad un legno, postogli dietro il petto
e diretto per le spalle fino agli estremi delle braccia , lo seguivano , e lo
bat- tevano nudo co’ flagelli. Stretto costui da tale necessità gridava e con
sconce voci , quali il dolore gliele sug- geriva, e tra salti indecenti, per le
battiture. Or questo giudicarono tutti che fosse il saltatore non buono indi-
cato dai nume. LXX. E giacché sono a tal parte d’ istoria penso non dover
tralasciare i riti che nella festa si tengono dai Romani: non perchè più bella
ne sia la narrazione per giunte teatrali e per fioriti discorsi , ma perchè sia
più credibile il proposito rilevantissimo , vuol dire , che greche furono le
colonie fondatrici di Roma , e venute da famosissimi luoghi , e non barbare e
non prive di case , come alcuni hanno esposto. Imperocché nel fine del primo
libro, tessuto da me su la origine sua , pro- misi convalidarla con mille forti
argomenti di leggi, di costumi , d' industrie che vi persistono ancora , quali
si Digitized by Googlc 4o6 DELLE AWTICHITA’ ROMANE ricevette dagli avi ; nè
giudico che basti a chi scrive le storie antiche de’ luoghi delioearle come
degne di fede perchè tali si odono da’ paesani , ma per l’ opposito giudico che
a renderle credibili abbisognino queste di altri documenti invincibili , quali
'sono principalissima* mente le cerimonie , ed il cullo usato in ognr città
verso i numi e i genj patrj. Certamente li Greci e li barbari custodiscono
queste gelosamente per lunghissimo tempo frenati dalla riverenza de’ numi
vendicatori. E ciò fanno i barbari soprattutto per molte cagioni da non essere
qni ricordate. E ninno ha mai persuaso a dimenticare o corrómpere alcuna delle
divine cose gii Egizj , i Lìbj , li Celti j gli Sciti , gl’ Indi # e general-
mente tutti i barbari , seppure caduti sotto il comando di altri non furono
necessitati ancora di volgersi ai riti loro. Roma però non fu mai ridotta a tal
sorte , anzi essa diede agli altri le leggi perpetuamente. Se traeva da’
barbari l’origin sua, dovette pur da’barbari derivare s le istituzioni
nazionali, per le quali g[iunse a tanta for- tuna : e quindi dovette astringere
tutti i sudditi a ve- nerare gl' Iddj con le forme Romane come niigliori. Se
dunque i Romani eran barbari , niente poteva ritardare che barbara si rendesse
tutta la Grecia che ornai da sette generazioni ne porta il giogo. LXXI. Alcuno
forse crederà che bastino per segno non piccolo delle pratiche antiche, quelle
che ancor vi si usano. Ma perchè altri noi prenda come insufhciente per la
opinione non giusta , che i Romani quando vinser la Grecia , con piacere ne
assunsero i costumi come migliori , ripudiando i proprj ; ho deliberato aiv _ 4
Digilized by GooglcLIBRO VII. .407 gomentar dal tempo quando essi non ci
dominavano ancora , nè avevano olire mare 1’ impero , valendomi deir autorità
di Quinto Fabio senza che altra me ne bisogni. Imperocché antichissimo tra
quanti scrissero le cose ror.. .u. , ce le accredita -non solo perciò che ne ha
udito , ma perciò che ne ha veduto ancora. Il Se- nato , come ho detto di sopra
, aveva decretato quella lesta , per adempiere il voto fattone da Aulo Postumio
dittatore , quando fu per combattere le cittàribellatesi de’Latini, che
tentavano rimettere Tarquinio sul trono: ed aveva decretato che si applicassero
ogni anno pt*r li sagriGcj e pe’ giuochi cinquecento mine di argento ; e
puntualmente ve le applicarono fino alla guerra con i Cartaginesi. In questi
sacri giorni si faceano molte cose conformi alle greche usanze circa il
concorso , 1’ acco- glienza de’ forestieri , e le immunità, cose tutte > ben
difficili a descriversi. Le cose poi , che concernono la pompa , i sagrifizj ,
ed i certami, erano come sieguono, e ben da queste si possono argomentare ,
quali fossero ancora , le tante cbe sen taciono. LXXII. Prima cbe si desse
principio ai giuochi , le persone che aveano il potere più graude, avviavano
dal Campidoglio la pompa, conducendola pel Foro al Circo Massimo : e nella
pompa eran primi i lor figli prossimi alla pubertà : ma que’ garzoncelli che
poteano per 1’ età far parte della pompa ne andavano a cavallo se fossero di
equestre famiglia , o a piedi , se a piedi dovessero mili^'U'e; e .quali nc
andavano ad ale e caterve, e quali a corpi ed ordinanze maggiori come per
essere istruiti: e ciò ptrcliò fosse visibile ai forestieri la gioventù Ro-
Digitized by Google 4o8 DELLE Antichità’ romane mana che era per giungere alla
età militare , e quanto ne fosse il numero^ e quanta la bellezza. Venivano ap-
presso loro i guidatori di quadrighe , di bighe, ed altri che pompeggiavano su
cavalli non aggiogati. Seguivano quindi i combattitori di certami leggeri o
gravi; e nudi si vedevano, se non quanto velavano le parti del sesso. E tal
costume conservasi ancor tra' Romani come nei prìncipi aveasi pure tra’ Greci ,
finché tra’ Greci vi fu tolto dai Spartani: Perchè il primo che prese a nudarsi
il corpo e nudo corse ne’ giuochi Olimpici nella olim- piade decimaquinta fu
Acanto di Lacedemonia; laddove innanzi lui vergognavansi i Gi'eci di avere
tolto nudo il corpo ne’ spettacoli , come certifica Omero scrittore
antichissimo e degnissimo più che tutti di fede, il quale introduce gli eroi cinti
da una zona. Quindi descrìvendo il certame di Ajace e di Ulisse ne’ funebri
onori di Pa- troclo disse : Sceser cimi di zona ambi alla pugna. E ciò dichiara
ancor più nell’ Odissea , narrando il pu- gilato di Irò e di Ulisse in tal modo
: SI disse ; e tulli encomiaro Ulisse , E di una zona circondàndo i lombi , Gli
ampi e voghi suoi femori scopria , ' E nude Sen vedean le vaste spalle , , Nudo
il petto t e le braccia. Ed introducendo quel misero che non volea combattere,
ma ne temea ; scrive : Cosi diceano : ad Irò il cor si scosse .• . Cinserlo i
proci di una zona , e tutto Tremante lo sospinsero alla pugna. Digitized by
Google LIBRO VII. 409 Tal costume primitivo de’ Gred serbato fino ali’ ultimo
tempo dai Romani dimostra che questi non lo appresero ultimamente da noi , anzi
che non lo mutaron col • tempo , come abbiamo noi fatto. Teneau dietro agli
atleti , cori di saltatori divisi in tre bande : erano i primi adulti , imberbi
gli altri , e giovani gli ultimi ; venivano quindi sonatori che davan fiato a
tibie di an- tica forma , e picciole , come costumasi ancora , e cita- redi che
toccavan col plettro lire eburnee di sette corde, ed altre ancora di più ,
barbiti nominati. DI questi era mancato l’uso ne’ miei tempi tra’ Greci
quantunque fosse lor proprio : ma tra’ Romani conservasi In tutti i sagri- fizj
'di antico rito. Erano 1’ apparato de’ saltatori pur- puree toniche , cinte con
metalliche fasce , e spade che ne pendeano , ed aste anzi corte che giuste :
vedeasi negli altri uomini elmo di bronzo con cimieri vaghi , e pcnnacchj che P
adornavano. Era di ogni coro il duce un uomo il qual dava agli altri la forma
del ballo ; rappresentando moti marziali e vivi , con ritmo per lo più
proceleusmatico ( 1 ). Era greca antichissima pratica anche quella di saltare
colle armi e Pirrica si chiamava, sia che Minerva cominciasse la prima dopo la
disfatta de’ Titani a danzare e saltare colle arme tra cantici trionfali per la
vittoria ; sia che prima ancora fosse il (i) Proceleusmatico cbiamaTasi no piè
metrico di quattro sillabe brevi : e quiudi si diceauo fttrfi i versi che
conteueano que' piedi. Forse furono cosi detti perché soleano pre- mettersi,
caulandoli , r»7r rttXtvrfitiTt vuol dire alle esortazioni o comandi. Quindi il
ritmo proceleusmatico ne’ balli dovrebbe avere allusione a tali piedi o versi ,
ed esortazioni. Digitized by Google 4lÒ DELLE ANTICHITÀ* ROMANE rito Introdotto
da’ Cureti , quando educando Giova vo- leano carezzarlo col suono delle arme, e
con lièti moti e cadenze , come la favola narra. Omero più volte , e
principalmente nella foiDiazione dello' scudo che dice * donato da Vulcano ad
Achille, mostra l’ antichità • di questo rito, e la nascita sua tra’ Greci.
Imperocché rap- presentando in esso due città , l' una ornata di pace bella, e
l’ altra straziata dalla guerra, delinea, com’era naturale, la felicità di
quella con feste, con matrimonj, e conviti , e dice : Faeton la danza i (Rovani
, e frattanto Vdiati il suon di tibie , e cetre ; e tutte , Meravigliando ai
limitar di casa , Stavan le donne. E di nuovo elogiando con vago ornamento
nello scudo un altro coro di giovani e di vergini Cretesi dice : Aveaci
espresso V inclito Vulcano Un vario coro somigliante a quello . Che Dedalo
formò per Arianna , Che in si bei ricci avea la chioma attorta : Qui giovinetti
e ver^nelle vaghe. Tenendosi per man , facean lor dama. Ed esponendo 1’
ornamento di questo coro per dichia- rare che i giovani saltavano colle arme ,
scrive ' E quelle 'avean vaghe ghirlande, e questi Aurate spade a cinti
argentei appese. E parlando dei duci del salto loro , di quelli che da- vano
agli altri le prime mosse , dice : . Il popolo prendea dolce diletto Intorno al
coro; e due de' saltatori Clan cantando e danzando a tutti in mezzo , Digitized
by Google • LIBRO VII. 4 * * Nè solo potrem yedere la somiglianza co’ greci
riti da qnf*sie danze marziali ed ordinale , usate da' Romani ne’sagrifìcj e
nelle pompe, ma dalle danze ancora sati* ricFie e derisorie. Dopo i cori armati
vedeansi in mostra cori imitatori de’ satiri , non dissimili dalla greca Sicin-
ne (i). L’abito in chi Vappresentava un Sileno erano ispide vesti , chiamale da
alcuni Cortee (2) ; e manti con ogni varietà di fiori: in quelli poi che
somigliavano un satiro erano perizomi e pelli caprine, e sui capo criniere irte
di lioni , e cose altrettali. Or questi beffa- vano e contraffaceano serj moti
, spargendovi del ridi- colo : e gli andamenti de’ trionfi assai palesano che
era antico e proprio de’ Romani il motteggio e la satira. Imperocché
permettevasi u quelli che segui van la pompa lanciar beffe e giambi so gli
uomini più riguardevoli , c fino su’ comandanti ; siccome un tempo in Alene
era^ permesso che nè lanciasser quelli che sul carro se^i- tavau la pompa , e
che ora cantan versi improvvisi. Eid io ne’ funerali di personaggi cospicui ,
specialmente se già fortunati , vidi tra le altre pompe cori in forma di satiri
che precedevano il feretro, e saltavano come nella Sicinne. Che poi il gioco e
la danza alla guisa de’ satiri non fu ritrovamento de’ Liguri nè degli Umbri nè
di altri barbari , abitanti dell’ Italia , ma de’ Greci ; temo di sembrare
molesto , volendo a lungo convincere una cosa della quale già si conviene. Dopo
questi cori pas- A (1) Vossio scrive più cose intorno a qeeslo genere di
saltasione nel I. a c. 19. lusiiiul. Poei. (a) Cortee proviene questa voce da
^cfTts r:hc siguitica Jìeno, er- ba CC. ’ » Digitized by Googlc 4i2 delle
Antichità’ roma??e savano molti sonatori di tìbie e di cetere : e poi quelli
che portavano profumi di aromi e d’ Incensi , e quelli che portavano lavori
meravigliosi di oro e di argento sia de’templi, sia del comune. Venivano In
ukimo della pompa recati su le spalle di nomini I simulacri divini foggiati
come quelli de’ Greci quanto alla forma , agli , abiti , al simboli ed al doni,
secondo che que’ numi es-‘ sendooe stati I trovatori , gli aveano , ciascuno. ,
donati ai mortali , nè solo v’ erano I simulacri di Giove , di Giunone , di
Minerva , di Nettuno , e degli altri che li Greci contano tra I dodici numi
(i); ma di altri più antichi da’ quali la favola origina i dodici ; io dico i
simulacri di Saturno , di Rea , di Temide , di Làlona , delle Parche, di
Miiemosine , in somma di lotti, quanti hao templi , ed are fra i Greci , come
quelli de’ numi che favoleggiansi nati dopo che Giove ottenne l’impero, vuol
dire quelli di Proserpina , di Lucina, delle Ninfe, delle Muse, delle Ore,
delle Grazie, di Bacco, e quelli de’ semidei, l’ anime de' quali spogliate de.l
corporeo frale diceansi andate in cielo, e goilervi onori simili ai divini, cioè
quelli di Ercole , di Esculapio, di Castore e Poi* luce , di Elena , di Pane ,
e di altri mille. Se dunque i fondatori di Roma eran barbari, e se v’istituiron
tal festa; com’era possibile mai che adorassero tutti I numi e genj della
Grecia , negligentando I propr) ? Almeno mi si dimostri un altra gente non
greca, la quale avesse (i) Erodoto narra nel libro seconda che: i Greci
derivarono que- sti dodici Numi dagli Egiij. L’interprete di Apollonio scrive
die questi erano : Giove , Apollo , Mercurio , Nettuno , Marte, Vulcano,
Giunone, Diana, Pallade, Cerere, Venere, e Vesta. Digilized by Coogle LIBRO
VII.' 4*3 tali sante cose come nazionali ; ed allora si condanni la mia
dimostrazione come non buona. Terminata la pompa facean sagri Gzio i consoli e
que’ sacerdoti a’ quali spet- tavasi, e la forma del santo rito era quale
appunto tra noi. Lavatesi le mani , lustrate le vittime con acqua pura , sparsi
i frutti di Cerere sul capo di esse , e poi fatti de’ voti, comandavano infine
ai loro ministri d’ im- molarle. E quale di questi mentre la vittima era in
piede ancora ne percotea le tempia colla mazza , e quale nel cadere la
trafiggeva colle coltella. E poi scor- ticandola c squartandola prendean le
primiziedi cia- scuno de’ visceri e di ogni membro : e sparsele con fa- rina di
fiiTo , le portavano ne’ bacini a quelli che sa- grilìcavano : e questi
soprappostele all’ altare , le arde-^ vano, e spruzzavano intanto di vino. E
poi facile in- tendere dalle poesie di Omero essersi ciascuna di queste cose
fatta secondo le leggi istituite da’ Greci pe’sagrifizj: perciocché descrive
gli eroi che si lavan le mani ed usano farina di farro con sale dicendo : E
lavaron le mani, e sparser farro : E che ne tagliano i capelli e li gittano al
foco in quei detti : Ma cominciando il santo rito getta 1 capelli sul foco ; E
li descrive che colpiscono colle mazze in fronte le vittime , e che cadute le
immolano come fa nel sagri- fizio di Emeo. Percotela , di quercia alzando un
tronco , Cui rapido poi lascia ; e lascia insieme Lo spirito la vittima , e qui
gli altri Miseria in inani , e ne arrostino . . . Digitized by Google 4l4 delle
antichità’ romane E descriveli che pigliano le primizie delle viscere , e di
altri membri , e le infarinano , e le bruciano su gli altari: come fa nel sagri
fì ciò medesimo. E da ogni parie le primìzie piglia Be’ membri tutù, e crudi
ancor li copre Di grasso , e di farina ; e dagli al foco . Ora io so per averlo
veduto , che i Romani osservano ancora tali riti ne' loro sagrificj : e su
questo argomento, anche solo , mi rendei certo, clie i fondatori di Roma non
furono barbari , ma grecivenuti da tutte le parti. Ben può essere che alcuni
baiiiari somiglino in pane ai Greci nelle istituzioni de’ sagriliz) , e delle
feste ; ma che in tutto somiglino loro , ciò non è verisimile. LXXIll. Mi resta
ora di dir brevemente de’ giuochi che faceano dopo la pompa. Era prima la corsa
delie quadrighe , delle bighe , e dei cavalli sciolti, come nei giuochi
Olimpiaci e Pitiaci de’ Greci in antico , e fiu di presente. Ne’ certami equestri
si conservano ancora tra’ Romani due istituzioni antiche , come furono fon-
date in principio , quella cioè de’ carri a tre cavalli , la quale ora in
Grecia è cessata ; sebben vi fosse an- ticbissima e già ne’ tempi eroici ;
introducendo Omero de’ Greci che ne usarono nelle battaglie. Imperocché essendo
due cavalli congiunti come nelle bighe un terzo accompagnavali contenuto e
tratto colle redini , e chia- mato parioron appunto dall’ esser più libero ; e
non come gli altri in biga. L’ altra cosa di cui restano an- cor le vesiigie
ne’ riti aniichi di alcune poche città di Grecia è la corsa di quelli che
anduvau su’ Carri ; pe- Digitized by Googlc LIBRO VII. roccliè finite le gare a
cavallo , smontati dal carro quelli clt e sedere presso
del focolare in
silensio era un aulichissioia
maniera di supplicare.
Addita anche ciò
Tucidide nel t libro, discorrendo
di Temistocle: e si
vede un tal
rito piò chiaramente io
Plutarco nella vita di
Coriolano, appunto iu
questo luogo. Digilized by Googlc LIBRO
Vili. 7 le calamità
che lo (lageilavaDO , e lo ìnchinaTano
a ri- correre perfino ai nemici , pregavalo ad
avere idee miti e benevole verso
chi rivolgevasi a lui , non
a tenerlo , mentre davaglisi nelle
mani , come avvemrio , nè a mostrar
la sua forza
contro gl' infelici
e depressi , e ri* flettere
piuttosto quanto istabili
fossero le sorti
degli uomini. £ ciò puoi ,
disse , apprendere principidmente da me , che
già potentissimo fra
tutti in città
grandis- sima, ora
derelitto, infelice , bandito
, senza patria, debbo correr
la sorte che
vuoi tu destinarmi.
Io , se tu amico me
ne rendi , io ti
prometto far tanto
bene ai Volsci , quanto male
ad essi cagionai , mentre ne era
nemico. Ala se
prevedi tuU' altro
di me , siegui r ira tua , dammi
in sulC atto
la morte , immolando colle stesse
tue mani il
supplichevole tuo , presso a’ tuoi
focolari. IL Or lui
cosi dicendo , Tulio
gli stese la
destra , e sollevandolo , animavaio
a confidare ; perocché non
sof^ frirebbe cose indegne
della sua virtù
: professavasi in- sieme
obbligatissimo che avesse
ricorso a lui, per
essere questa non picciola
significazione di onore
: promise che renderebbegli amici
tutti i Volsci , cominciando dalla patria
sua , nè mentite
ne furono le
parole. Dopo non molto
tempo deliberandone da
solo a solo, Marcio e Tulio, conchiuscro
di movere la
guerra, Tulio, con- centrando tutte le
forze de' Volsci, voleva
marciare im- mantinente su Roma,
mentre era agitata
ancora dalla sedizione , e
sotto consoli imbelli.
Marcio in opposito pensava che
vi abbisognasse prima
un titolo onesto
e giusto di guerra
; dicendo che gl’
Iddj mcschiavansi a Digiiized
by Google 8 DELLE antichità’
ROMANE tulle le cose ,
e panico Urmenle a quelle
della guerra quanto sono
più rilevanti , ed oscure
nell’ esito. Aveaci allora
tra’ Volsci e tra' Romani sospension
d’arme, e tregua ed
amicizia , conchiusa poco innanzi
per due anni. Se
tnovi , disse , inconsideratamente
e precipito- samente la guerra ,
tu sarai
colpevole di aver
rotti gli accordi, nè
te ne avrai
propizj gVIddj ; ma
se aspetti che i Eomani
ciò facciano ; si
giudicherà che tu ri-
sospingali, e protegga la confederazione che
violano. Ben ho io
con assai provvidenza
trovato come ciò
fac- ciasi , e come essi i primi
volgansi alle arme , e noi siam giudicati
et imprendere una
guerra giusta e san- ta. Bisogna che
per maneggio nostro
essi i primi of- fendano il giusto
: e tale è questo maneggio
che io finora ho
celato profondamente ,
aspettandone il tem- po , e che ora
di necessità , sollecitissimo , ti svelo
, procurandone tu la
esecuzione. Debbono i Romani far
sagrifizj e giuochi assai
sontuosi e magnifici, e molti
accorreranno di fuori
agli spettacoli. Attendi
la occasione, ed accorri
tu pure a tanto
apparato , dando opera
insieme, che vi
accorra , il più che
per te si
possa de’ Volsci. Come
tu sia in
città , fa che alcuno
degli intimi tuoi vadane
ai consoli , e dica loro
secretissi- mamente , che i
Volsci tra la
notte assaliranno Ro- ma , e che perciò
vengono in tanta
moltitudine. Tu ben sai
quanto apprezzeranno la
nuova : vi cacceran senza indugio
da Roma , e vi
porgeranno un titolo giusto
di risentimento. HI. Esultò
Tulio meravigliosamente , ciò
udendo : e differito il
tempo d’ imprendere ; diedesi
ad apparec- Digitized by
Google I LIBRO Vili. g chiare
la gnerra. Approssimatisi poi
gli spettacoli, ed essendo
già consoli Giulio
e' Pinario ; am>rsevi
da tutte le città
la gioventà più
florida dei Yolsei , come
Tulio bramava. La maggior
parte non avendo
ricetto ndle case e pre»o
degli ospiti , presero alloggio
in sacri e pubblici
luoghi; e quando giravansi
per le strade,
ne andavano a crocchi e moltitudini
: tantoché già su
loro in città si
faceauo discorsi e sospetti
non buoni. In
que- sto mezzo venne ai
consoli un delatore
apparecchiato da Tulio ,
come avea Marcio
suggerito : e quasi avesse a svelare a'
nemici una pratirà
arcana in danno
degli amici suoi , strinse ’i
consoli a giurare di
salvar lui , né mai
dire ad alcuno
de’ Yolsei chi avesse
ciò pale- sato, e poi dinuneiò
gli assalti mentiti.
Parve ai con- soli vero il racconto
, e ben tosto invitati
i senatori ad uno ad uno
, si congregarono. Presentatovi
il delatore , ed avutene
le eguali promesse , replicò la
dinunzia me- desima. Coloro a’
quali parea già
cosa piena di
sospetto che venuta fosse
agii spettacoli tanta
gioventù di una sola
nazione nemica , assai più
ne temerono , aggiun-
gendovisi ora una
dinunzia della quale
ignoravano la frodolenza. Parve
a tutti che si
cacciasser di città
quei forestieri prima che il di
tramontasse con bando
di morte a chi non
ubbidisse; e che li
consoli invigilas- sero
sicché tranquilla ne
fosse la uscita , e senza offese. lY.
Decretato ciò dal
Senato , altri scorrendo
le strade intimavano ai
Yolsei di partire
immantinente tutti per la
porta detta Capena
, ed altri con i
consoli li scor- tavano , mentre partivano.
Or qui più
che altrove si conobbe
quanta mai fosse , e quanta vigorosa
quella I Digitized by Google IO
DELLE AJ^TICHITA’ ROMANE moltiiadine ; uscendo
In un tempo
tutu per una
porU. Usci sollecitissimo Tulio
prima che tutti , e prese non lungi
da Roma un
tal posto , dove
raccogliere gli altri che
seguitavano. E quando tutti
furono giunti , convo>
catane l' adunanza , assai v’
incolpò li Romani
, dichia> rando grave ed
indicibile 1’ affronto
de* Volsci , unici ad essere
espulsi fra tanti
forestieri : ed eccitandoli
tulli perchè ciascuno lo
raccontasse in sua
patria , e vi trat- tassero
le maniere di
vendicarsene e reprimere per
l’av- venire tanta insolenza ne’
Romani. Cosi dicendo
ed in- fiammandoli , dolenti già
per 1’ oltraggio , sciolse 1’ u-
dienza. Ricondottisi in
patria , ridissero ciascuno ai compagni
la ingiuria , esaggerandola , unto che ne fu- rono tutti esacerbali
, nè poleano rattemperarne
lo sde- gno. E spedendo una
città all’ altra
degli ambasciadori ,
chiesero un congresso
generale , per concordarvisi in- torno la
guerra. Succedeva tutto
ciò per briga
di Tulio principalmente. Cosi
li magistrati di
tutte le città , e moltitudine grande
ancora di altri
adunaronsi nella città di
Eccetra , ripuUU la
più acconcia per
congregarvisi. Dettevi assai cose
dai capi di
ogni città , si dispensa- rono i voli finalmente , e prevalse il
partito di mover la
guerra , avendo primi
i Romani conculcato gli
ac- cordi. Y. E qui proponendo
i magistrati varj che si discu- tesse la maniera
di fare la
guerra, presentatosi Tulio consigliò che
si chiamasse Marcio , e da
lui si udissero i metodi di
abbattere la potenza
Romana ; giacché ninno più
di lui conoscea
da qual lato
questa fosse inferma , e da quale
vigorosa. Il consiglio
piacque e tutti cscla- Digilized by
Google LIBRO Vili. I I tnarono
che si chiamasse
immantinente il valentuomo. Marcio ottenuta
l’ occasion che volea
, presentatosi mesto e
piangente (i) soprastette
alcun tempo e poi
disse: Se 10 vedessi
che tutti pensaste
ad un modo
su la mia disgrazia , giudicherei non
essere necessario difender- mene. Ma considerando
che Ira indoli
tante e varie ev- vene
forse alcuna che
forma concetti né
veri nè degni sopra
di me , quasi
il popolo m'
abbia per cagioni
so- lide e giuste espulso di
patria ; debbo innanzi
tutto dir qui tra
voi circa il
mio esigilo. E voi
che ben sapete P infortunio
che io m’
ho da' nemici , e come indegnamente io
sia perseguitalo dalla
sorte, voi, mentre qui
lo espongo, contenetevi,
prego, nè vogliate desiderare d intendere
ciocché dee farsi , prima
che ne abbiate compreso
chi sia che
i^i consiglia. Breve
ne sarà il discorso
quantunque pigliato dalle
origini. Era 11 governo
Romano da principio
un tal misto
del co- mando di un
solo e dei pochi
; fnchè Tarquinio , r ultimo
de' monarchi , tentò volgerlo
tutto in tiran- nide. Adunque i capi
nel comando de’
pochi insorgen- done , lo espulsero
: e subentrando essi al
maneggio del pubblico , basai
orto una reggenza
più savia per confessione di
tutti , e più buona. Ma
da ora in
die- tro non più che
Ire o quattf anni , i più
miseri , e li più oziosi de'
cittadini , dandosi capi scelerati,
ne co- perser d ingiurie
; tentando infine di
abbattere l' au- lì] Queste lagrime
forse le TÌile
più Io storico
che Marcio. It contegno
Ji >{uesto valoroso
era stalo hen
altro coi tribuni
e col popolo «li Roma
come apparisce dal
libro antecclcnte j e 'come
può coucloJersi dal $ del
presente. Digitized by Google 12
DELLE Antichità’ romane /oriUÌ
de pochi. I capi
del Senato ne
incollerirono tutti , e
cercarono come reprimere
la insolenza de'
ri- voltosi. Di mezzo a c/uegli
ottimati udppio C uno
dei seniori , degnissimo di lode
per tanti titoli , ed
io V uno de’ giovani , parlammo sempre
liberissimamente non per combattere
il popolo , ma
perchè sospetta ci era
la prepotenza de'
ribaldi; non per
rendere schiavo niuno , ma per
garantire a tutti la
libertà , come ai migliori
il comando sul
pubblico. VI. Or ciò
vedendo que’ tristissimi
capipopolo vol- lero in priruipio
tor di mezzo
noi franchissimi oppo- sitori : e gittarono le
mani , non già su
tutti due in un
tempo perchè il
fatto non fosse
grave troppo ed esoso , ma
su me primieramente
che era il più
gio- vane , e men dijfcile da
opprimere. Cosi tentarono
di perdere me prima
senz' (uUorità di
giudizio , e poi mi chiesero dal
Senato per la
morte. Ala venuti
lor meno ambedue que
tentativi ; mi citarono
ad un giu- dizio ( ed essi
aveano ad esserne
i giudici ) per in- colpazioni
di bramala tirannide
; nè videro che
rùun tiranno tenendosela co’
pochi combatte il
popolo , e che piuttosto
egli col popolo
conquide il partito
più valido nella città.
Un giudizio mi
destinarono non per centurie
, com’ era C uso
della patria, ma
un giu- dizio come tutti
consentono , iniquissimo ,
e, la
prima e f unica volta , su me
praticato , un giudizio
dove i merccnarj , li
vagabondi , e quanti
insidiano gli averi altrui , preponderavano su'
boni che voleano
salvi i diritti ed
il pubblico. E tante
erano in me
le ragioni per non
esserne condannato , che
sottomesso ai giu- Digitized by
Google LIBRO Vili. 1.3 ditj di
una turba , odiatrice
in gran parte
de' buoni , e però mia nemica^
non fui sopraffatto
che per due voti:
sebbene i tribuni divulgassero
che assai sareb- bero disonorali nel
loro comando , e patirebbono da me
l estremo de mali
se io fossi
assoluto , ed insi^ stessero intanto
contro me con
tutto F ardore e la sollecitudine nella
causa. Così malmenato
damici cit^ ladini , reputai che
più non sarebbe
vita la mia ,
se non prendessi di
loro vendetta. Quindi
sebbene il potessi, ricusai
vivere senza cure,
o tra’ parenti nelle città de’
Latini , o nelle colonie fondale
di recente dà miei
maggiori : e tra voi mi ricorsi
, che io ben sapeva
essere tanto -offesi da’
Romani e nemicissimi loro ,
per farne con
voi quanto -potessi
le vendette colle parole,
se le parole
vi bisognavano ; o colle opere, se
le opere. Intanto
io vi rendo
amplissime grazie ; perchè mi
avete voi ricevuto
, e perchè mi date tali
significazioni di onore , niente ricordando , nò contando i mali
che un tempo
voi rtemici miei,
avete da me sostenuto
fra le arme. VU.
Or dite , e qual genio
sarei io mai
se spo- gliato da uomini
per me beneficati , della riputazione e degli onori
quali tra miei
mi si competevano,
e privato della patria , della famiglia , degli amici , dei numi patemi , delle tombe
avite e di ogni
altro bene; se ritrovate
tra voi tutte
queste cose per
le quali già in
grazia ài essi v
infestai colia guerra
; ora terribile non mi
dimostrassi con quelli
che nemici mi
furono in luogo di
cittadini, e propizio agli
altri che amici mi
si rerìdono di
nemici ? Io sicuramente
non terrei Digilized by
Googli4 nF.LLE Antichità’
romanf nemmeno per uomo
chiunque nè ax>esse
nitnicizia per chicli fa
guerra, nè benevolenza
per chi lo
ha salitilo :■non
iilitno mia patria
una città che
mi ha ripntliato, ma quella , dove
sehben forestiero divengovi
cittadino : nè già
reputo amica la
terra ove sono
oltraggiato , ma quella ove
trovo la sicurezza.
E se Dio ne
porga il favor suo ,
e voi pronta , com’
è giusto , C opera vo- stra ;
seguiranno , spero , grandi
e subiti cambiamenti, foi ben
sapete che i Romani
cimentatisi con tanti nemici
non han temuto
niun più che
voi ; e che niente cercati più
attenti quanto indebolire
Ya vostra nazione. E pigliandole colle
arme , e devUmdovele colle spe- ranze di
amicizia , ritengonsi le vostre
città per que- sto, appunto , perchè unendovi
tutti in un
corpo non portiate su
loro la guerra.
Se voi dunque
a vicenda persevererete
procurando il contrario
; e se avrete co- me ora , tutti un
animo per la
guerra ; Jacìlmente
abbcUterete la loro
potenza. Vili. E poiché ricercale
il parer mio
sul modo di entrate
in campo e dirigervi,
sia per attestato
della esperienza mia , sia della
vostra benevolenza , sia per [ uno
e { altro ; io dirò
tutto , e senza velo. Primie- ramente vi esorto
a vedere che vi
abbiate una causa religiosa e giusta
di guerra. E come
religiosa, come giusta , come utile
insieme ve l’ abbiate
( in udite. Pic- ciolo , sterile , aveano da
principio i Romani il lor
territorio , ma vasto , e buono
è quel che vi
aggiun- seio , togliendolo a’
vicini ; e se ciascuno dei
derubati tipela il suo,
tiiutia città diverrà
quanto Roma pic- ciola , debole , bisognosa.
Or io penso
che voi doi- Digitized by
Google LIBRO Vili. 1 5 Hate
i primi cominciare. Spedite
ambasciadori che richiedano le
vostre città , quante ne
tengono , e che intimino
loro di abbandonare , quanto han
fabbricato per le vostre
campagne , e li premano
a rendervi , quanto si hanno
di vostro appropriato
colle armi: nè vogliate
prima che vi
rispondano , romper la guerra. Cosi
facendo otterrete V una
o t altra delle cose
che più bramate. Vuol
dire , o ricupererete le cose
vostre, senza pericoli e spese
; o rinvenuto avrete il
titolo onesto e giusto di
prender le arme :
giacché tutti confesseran per
bellissima la condotta
di non chieder r altrui , ma il
proprio; e di combattere
in fine se non
ottengasi. Or su , qual
cosa pensate , faranno i Eomani
a tali vostre proposte
? che renderanno forse le
vosUe regioni ? ma
qual cosa impedirebbe
più mai che lasciasser
tutto t altrui? se verrebbero
poi gli Equi e gli
Albani , se i Tirreni
e tanti altri a ripe- tere ognun le
sue terre. O pensate
che riterranno le vostre
cose , nè vorranno affatto
la giustizia ? Così appunto io ne penso.
Voi dunque protestandovi , i primi , offesi da
loro; e volgervi per
sola necessità alla guerra
; avrete compagni , quanti spogliati
de’ beni hanno fin qui
disperalo ricuperarli altrimenti , che per le
arme. Bellissima è poi
la occasione, e di
cui non avrete mai
più la simile
per andar su
Bomani , preparata fuori di
ogni speranza dalla
sorte propizia agli offesi;
perciocché li Romani,
discordi e sospetti fra loro a
vicenda, nemmeno luin
capi idonei per la
guerra. E questo è quanto
io poteva suggerire
e rac- comandar con parole agli
amici, detto lutto
con cuor Digitized by
Google l6 DELLE ANTICUITa’
ROMANE sincero e benevolo : quanto
poi si dovrà
provvedere e compier colle
opere, lasciate che i
duci deli armata lo
curino. RispeUo a me
son per voi , comunque di me
disponiate; e mi sforzerò
di non riuscirvi
U pm ignobile sia de’
soldati sia de’
centurioni , sia de'
ca- pitani. Spendetemi dove pià
vi son uUle ,
e tenetevi cerio, che io,
che già contro
voi guerreggiando, tanto vi
ho danneggiato; ora,
per voi combattendo altret- tanto vi gioverò. IX.
Marcio cosi disse
, e U Volsci , menlre parlata
ancora , davan segno di
gradirne i discorsi : ma
poi che ucque , miti a gran
voce allesUrono che
benissimo consigliava ; e
senza concedere che
altri più disputasse, ratificarono il
parer suo. Quindi
stesone il decreto,
e scelti immantinente i personaggi
più riguardevoli di
ogni cillA , gl’ inviarono
ambasciadori a Roma : dichiararono Marcio membro
de’ consigli in ogni
città, e lo auumz- zarono
a conseguire in ciascuna
le magistrature e gli onori
più grandi che
vi erano. Per
altro anche innanzi le
risposte de’ Romani , si
diedero agli apparecchi
di guerra. E quanti erano
ancora disaaimali per
le perdite nelle battaglie
antecedenti , tutù si rincorarono
quasi fossero per abbattere
la potenza Romana.
Gli oratori spediti a Roma , presentali al
Senato , dissero , che sa- rebbe
a’ FoLsci carissimo
cessare le controversie
coi Romani , e viverne da
ora innanzi alleati
ed amici senz artifici
ed inganni : e dichiarano che
stabile sarà questa fede e
quest' amicizia , se riabbiano
le terre e le
città che furono
tolta loro da’
Romani : laddove in altro
modo nò pace
mai vi sarà , né
amicizia coslan- Digilized by
Google LIBRO Vili. 1-j te
; giacché V offeso è naturalmente in
guerra perpe- tua colf offensore.
Cliiecleaao pertanto di non essere colla
esclusione delle giuste
dimcuide necessitati alla guerra. X. Detto
dò , fecero i padri ritirar
gli oratori , e consullaron fra
loro. E cónchiusa la
risposta ^ li riobia> maroQO in
Senato , e dissero :
Conosciamo o Fólsci che voi
non f amicizia cercate
; ma pretesti splendidi di
guerra : perocché ben
vedete che mai
vi saran concedute le
dimande , per le quali
venite , indegne , inammissibili.
Se voi date
ci aveste da
voi stessi e pentitine'
poi ci raddomandaste
le vostre terre
; non sareste affatto oltraggiati , non riavendole.
Ora però voi oltraggiate
noi , pretendendo ciocché è degli
altri: giacché non eravate
voi gli arbitri
delle terre , se
la légge delle armi
ve le toglieva.
^ noi teniam per giustissimo quanto
possediamo . per le vittorie
: nè primi noi abbiamo
fondata questa legge
, nè la cre- diamo degli uomini
, anziché degli Dei. E
se i Greci, se i barbari
tutti se ne
valgono ; noi non
tlaremo già in ciò
segrà di debolezza , nè renderemo
punto delle nostre conquiste.
Imperocché ben sarebbe
vituperosis- sima cosa
lasciarsi per timore
e per stoltezza rito- gliere ciò che
per senno e per
nuignanimità si pos- siede. Noi nè a
combattere vi necessitiamo , se non volete
; nè se volete , ve
ne ritiriamo. La
rispingere- mo , se ce la
incominciate , la guerra. Riportate
ai Folsci queste risposte,
e dite, che se
pigliano essi i primi le
arme , noi gli ultimi
lo deporremo, Diomai , tomo ut. *
Digitized by Coogle l8
DELLE Antichità’ romane XI.
Prese qpeste risposle
Je riferirono gli
tmibascia* dori al Comune
de* Volaci. E convocato
di bel nuovo U Consiglio, si
concbiuse in fine
d’ intimare a nome di tutta
la nazione la
guerra ai Romani.
Quindi scelsero Tulio e Marcio
con assoluto potere
capitani di tutta
1’ ar- mata, e decretarono che
si ascrivesser milizie
, si con- tribuisser danari,
c si facessero altri
apparecchi, quanti ne vedean
necessarj per la
impresa. 'E già essendo
per isciogliersi l’ adunanza ; Mar*.io
levatosi in piè
disse e Bonissimo è quanto
si è qui decretato
dal vostro Co- mune ; e facciasi pur
tutto a suo tempo.
Intanto però che qui
scrivonsi le milizie , e preparansi le
altre cose che dimandano
cura e tempo ; io e
Tulio ci
porremo in su r opera..
Seguite noi, quanti
volete , saccheg- giando le campagne
nemiche , partecipare a gran prede. Io
vi prometto , se
il del ne
ajuta , molti e grandi
vantaggi. Li Romani
non sonasi ancora
apparecchiati, vedendo che noi
non abbiamo riunito
le forze; sicché potremo senza
paura scorrere a nostro
bell agio tutte le
loro campagne,^ XII. Accettato
da’ Volsci anche questo
partito, j duci uscirono immantinente , e prima che
in Roma se- ne
sapesse , con molta soldatesca
volontaria. Tulio si
gettò con parte di
essa nel territorio
latino per impedire
i soccorsi che di
là ne andrebbero
al nemici , e Marcio guidò le
altre aUe campagne
di Roma. 11
male giunse improvviso a quelli
che vi erano
; e . caddero in poter de' nemici molti
ingenui Romani e molti
schiavi; e bovi e giumenti’,
ed altro bestiame
non poco. Quanto era
derelitto di grano
, di ferramenti , o di altro
onde Digilized by Google V LIBRO Vili.
1 9 la terra cohirasi , tutto fu
predato , o disfatto. Dii uU
timo recando 'fino
il fuoco , lo
gettarono i Volscl pe’ca» sali
; tanto che quelli
che ne furono
spogliati , non po3 secondo
Varrone c 486 aranii
Cristo. Digitized by Coogle LIBRO
Vili. 3 3 perocché ne
andarono ai Volsci
appena si ebbe
la guep. ra , e concordarono , e giurarono T alleanza.
Or questi spedirono a Marcio
la milizia più
numerosa e più riso- lutai.
Dato da questi
un principio , molti
altri ancora favorivano occultamente
i Volsci ; mandando loro
dei sussidi non però
per decreto o pubblica
approvazione. E se taluno de’
loro voleva a quelli
coogiungersi', 've gl’ incitavano
, non che gl’
impedissero. Dond’ è che
i Volsci accozzarono in breve tempo
tanta milizia, quanta mai
più per addietro , nemmen quando
le loro città
più 6orìvano. Marcio che ne era
il duce la
gittò di bel
nuovo su le campagne
di Roma ; e tenendovisi molti
giorni , devastò quanto
crasi lasciato nella
prima incursione. Non prése
però questa volta
prigionieri molti ingenui
uo- mini , giacché, raccolte le
cose più pregévoli,
«ransl questi ritirati^ in
Roma o ne’ castelli più
vicini , e me- glio fortiGcalj.
Ma depredò il
bestiame che non
arcano potpto ridurre altrove , e gli uomini
che lo pasturavano, come il
grano tenuto ancora
nelle aje ed
altri prodotti che raccoglie vanSi o che erano
già pe’ grana). Cosi
de- rubata 6' guastata ogni
cosa , non osando alcuno
di conlrapporglisi, riportò nuovamente
in patria 1’
esercito , carico di
grandi acquisti, e quindi
lento in sua
marcia. XVII. I Volsci veduto'!’ ampio guadagno,
e convin- tisi dell’
abbattimento de’ Romani , che
predatori già delle robbe
altrui , miravano ora
devastarsi impunemente le proprie;
ne imbaldanzirono soprammodo,
e conce- pirono pur la speranza
di dominare , quasi
fosse per loro facilissima
e vicinissima cosa annientare
il potere degli avversar].
Adunque facaano agl’
Iddj sacriBzj di Digitized
by Google a 4 DELLE Antichità’
romane nngrauamento , oraavapo i
templi ed i pubblici
fori di spoglie che
dedicavano. E tutti iu
feste, in sollazzi, ammiravano e celebravano
Marcio , qual uomo ipsignit- ■ aimo fra
gli altri nella
guerra , e qual duce cui
ntun pareggiava non Romano,
non Greco, non
barbaro cajii- tano. .
Soprattutto lo felicitavano
della sua prosperità
; vedendo che quanto
intraprendeva , riuscivagji tutto
speditissimamenle , secondo i disegni. Tanto
che ninn v’era di età militare
il qual, volesse non
esser con lui; ma
spiccavansi, e venivano da
tutte le città
per aver parte nelle
sue gesta . Il duce , corroborato ]’
ardore dei Volici , e
depresso il coor
de’ nemici , e ridottolo ad irrisolutezza indegna
de’ valentuomini , marciò coll’
e- sereito contro le
città che alleate
di essi teneansi
ajncora fedeli:. ed avendo ben
tosto apparecchiato quanto
ricer- cavasi per gli
assedj , piombò su’
Tolerini , gente del , Lazio.
I Tolerini , preparatisi
molto prima per la gueiv ra , e portalo in
dllà , quanto^ bisognavacl
della cam- pagna , ne scontraron
l’ assalto. Ben resisterono
alcup tempo , combattendo e ferendo
ip copia i nemici,
dalle mura , ma risospinti
è travagliati poi fino a
sera dai feombolierì , le
abbandonarono in gran
parte. Marcio , compreso ciò , diede
ordine ad altri
che applicasser le scalchila
parte derelitta del
ricinto: ed egli
ne àndò col fior
de’ bravi alle
porte ; sebbene infestato
cogli strali dalle torri
: e là ^^zzali *i
serragli , il primo si mise
in città: ma
perciocché si era disposta alle
porte una schiera folla
e poderosa di nemici;
questi lo rice- verono virilmente ; disputandogli lungo
tempo intrepidi r intento ,
finché perdutine molti , dieder volta , e sban- Digitized by
Google LIBRO Vili. 2 5 duiì
fuj^ronsi jier le
vie. Gl* insegoi
Marno , acciden- (Ione
c|uanli ne sopraggiangeva ; se
'gettate le anni
non volgeansi alle preghiera.
lolanto gli asc^i
per le scale impadronironsi delle
mura. Cosi la
città fu presa , e Mar- cio separò dalle
prede quanto era
donativo pe' numi , o decorazione per
le città de’
Yolsci , abbandonando il re- a’
soldati, Aveanci nell’acquisto
uomini , danari , grani; tanto
cUe non riuKl
facil cosa a vincitori
tor via tutto in
un giorno. Adunque
menandoselo , o trasportandolo successivamente di
per seslessi , assalto
, prese ad investirne
in gran parte le
mura. I Bolani , aspettatane 1’ ora conveniente , spa- lancano le mura ;
e sboccandone in numero , a schiera, e con ordine
; si avventano su
quelli che stavano
a fronte: ed uccisone molti , e più
antera feritine , e ridotti gli altri
a turpissima fuga , cioulraron le
mura. Marcio , che non
era presente al
sito dell’ inforinnio
, conosciuta la fuga de
Volsci accorse di
tutta fretta con
pochi : e raccogliendo quei che
vagavan dispersi , li ticongiun^
e rìaoimò : poi
riordinatili, e- dimostrato ciocch’ era
da fare; comandò loro
di attaccar la
città verso le
porte appunto. Ricor- sero i Bedani a’
tentativi medesimi ,
emergendo in gran mollitudine dalie
porte. Non gli
aspettarono i Volsci, ma ripiegandosi
fuggirono giù pel
declivio come il
duce avea già suggerito.
Non videro i Bolani
l’ inganno , e 26 DELLE Antichità’
romane tnoltissime li seguitarono
: quando slontanatisi già
dalle mura ; Marcio che
avea seco il
fiore de’ giovani , diede su loro :
e qui molta ne
fu la uccisione
; fuggissero o resistessero. Seguitando
poi li respinti
fino alle porte , li prevenne; internandovisi a 'forza,
prima che si
richiu- dessero. Impadronito^si
il duce appeua
delle porte ; ecco giugnere altra
moltitudine di Volaci.
Li Bolani abban- donate le mura , rìpararonsi nelle
case. Divenuto in tal
modo r arbitro anche
di questa città , concedette a’
sol- dati di farne schiavi
gli uomini , e di porne
a sacco le robe. E trasportatane , come altre
volte , successivamen- te, a
grand’ agio , tutta
la preda , abbandonò
la città finalmente alle
fiamme. XIX. Pigliando quindi
1’ esercite , ne andò
su’ Labi- càni. Eran
questi, come altri , 'Colonia già
degli Albani, ma popolo
allora ancb’ esso
dei Latini. Or
egli per at- terrirli fin denti*o
le mura , sparse , giuntovi appena
, su’Joro campi il
fuoco, principalmente in
quelli donde era .per
essere più visibile.
Ma i Labicani , avendo ben fortificate le
mora nè sbigottirono
p?r 1’ arrivo
di lui , nè diedero
segno alcuno di
debolezza : ma si
opposero e pugnarono
generosamente; trabalzandoli piùjvolte
fin da sopra le
mura. Non però
resisterono ' con successo;
combattendo pochi contro
di molli , e senza requie
mai, nemmen picciolissima i giacché 'frequenti erano
intorno la città gli
assalti successivi de’
Volsci ; ritirandosene via via
gli stanchi , e cimentandosi altri
l'ecpnti. Adunque data per
un intero giorno
battaglia, nè fattasi
pausa «emmen su la
notte-, furono dalla
stanchezza astretti a lasciare
in fine le
mura. Marcio, espugnatele,
ne rendè é Digitized by
Google Lir.RO vili. 27 schiavi
li cittadini , e dté
tutto in preda
a’ soldati. Di là
trasferendo 1’ esèrcito
io ordinanza contro
la città' de’
Pe- dani , Latina anch’ essa
di popolo , la
pigliò di forza , giuntovi appena.
E trattatala come le'
altre già prese
, levandone in su
1’ alba le
truppe , le menò
béntotfto sa Corbione. Ma
nell' approssirharvisi gli
abitanti 1’ apersero, ed
uscirongli incontro , presentando
simboli di pace , e la
' resa loro senza
combattcrè. Ed egli , encomiatili come savj
nel provvedere a séslessi , comandò che
gli portas- sero grano ed
argento , come l’ esercito ne
bisognava ; e ricevuto tutto
secondo i comandi , marciò co*
snoi con- tro Coriolo. Gederonò
gli abitanti pur
questa senza re- sistenza ; ma perciocché
con pienissima propensione
sup- plirono viveri, danari, e quanto
Kn chiese , nè
ritirò 1* armata ; come
su territorio àmico.
E per fermo ; egli procurava! con
ogni sollecitudine che
quelli che si
ren- devano non subissero i mali
causati dalla guerra
; ma riacquistassero,
intatte le loro
terre , e li bestiami , e gli
schiavi che aveano
lasciati ne’ loro
poderi : nè permet- teva che le
truppe alloggiassero belle
città di essi ;
per- chè non fossevi danno
di furti o prede , ma
le accam- pava presso' le
mura. XX. Di 'qua mosse
l’esercito verso Bovilla
(1) città cospicua allora
è contata tra le
primarie de’ Ladini, che (1)
Nel lesto dice
Boia: ma forse
dee leggersi Bovilta
\ percbl;' Co- riolgoo già era
stato ai Toleriai , a Bota , a Labico , a Pedo,
a Cor- bipne , ed a Coriolo.
-Potrebbe dubiigrsi se
sia scritto Bovilla
nel $180 nel presente
di questo libro
: Si descrivono tulle
due come so r alture
; parlandovisi di declivj
; e Boriila eia nella
via Appia in piano
, secondo Cloretio.
Digitized by Googie a8
DELLE Antichità’ romane erair
pochissime. Nod Io
accolsero già quei
che v’ erano dentro,' confidati
nelle fortificazioni 'assai vàlide,
e nel numero dei difensori.
Adunque egli eccitando
le trupper a combattere generosanaente , e proponendo amplissimi premj . a’ primi che
ne salisser le
mura; si accinse
all’as^ salto. Or qui
vivissima sava ; n^i
perchè , spalancate le
porte ne uscirono in furia
ed in copia , e ne
incalzarono' abbasso quanti
ne erano a fronte. Assai
perirono di Voisci
in quella sorti- ta , e diuturna fu
la zuffa sopra
le mura ; sicché
mai più speravano d’ invaderle.
Ma il duce
supplendo nuovi soldati non
fe’ conoscere la perdita
degli altri: e raccese l’ardore dei
vacillanti; portandosi egli ‘stesso
alla parte di esercito
che pericolava : Nè
spiravano coraggio i delti soli , ma i fatti
ancora 'di lui :
corse a tutti I pericoli , nè lasciò
tebtativo , finché non si
preser le mura.
Iril- padronitosi poi della
città, messa parte
dei vinti a 61
di spada per. le
leggi dei forti , e parte rendulala
schiava , ricotadusse f
esercito. E^Ii rimenavalo
dopo una segnalala vittoria c^'co
di spoglie bellissime,
e ricco de’ tanti
da- nari , ivi presi , quanti in
ninna delle città
coqquistate. XXL Dopo ciò
tutta la regione
percorsa 'Era in po*
ter sùo , nè più
gli resisteva ninna
'città se non
Lavinia, la -prima delle città
fondate da’ Trojani approdati
con Enea nell’ Italia , dalla quale
dm vano i Romani
come di sopra fu
dichiarato. Gli abitanti
pensavano dover pri- ma incontrare ogni
male, che 'mancar
di fede ai
discen- denti loro. Adunque vi
ebbero attacchi terribili
su le mura, e battaglie
veementi per le
forltficazioiu:^non però
Digitized by Google LIBJIO
vni. 39 sì espugnarono
a prini* impeto ; ma
parve abbisògnarvt assedio , e
tempo. Postosene Marcio
all’ assedio cinse intorno
la dtià di
vailo e fossa , e guardò le
strade , perché non
le si recassero
esterni soccorsi e viveri.
I Romani udita la
rovina delle città
vinte , compresa la
necessità delle Fendutesi
a Marcio , pressati da’ messaggi quoiidiaid delle
altre , fedeli ancora , che
imploravano ajulo,,
spaventati insieme dalla
circonvallazione che tira- vasi
intorno Lavinia , e convinti che
se cadea questo iurte
> la guerra verrebbe
addirittura su loro , crederono uno solo
il rimedio a tanti
mali , decretare il ritorno
di Marcio. Tutto il
popolo, gridava questo
, e li tribuni voleano lare . una
legge per annullarne
la condanna : ma^ li
patrizj si opposero,
ricusando che si ' annullassé al- cuna sentenza enianàta.
E petuo. Che dunque
impedisce che rivenghi
alla dolce, alla carissima
vista de' tuoi pià
congiunti, e ricuperi t
amatissima patria , e comandi, come
ti si conviene, a chi comanda,
e sii duce de' duci,
e ne lasci C am- plissima gloria a'
tuoi figli e nipoti
? E che tali e tante
promesse avran prontissimo
effetto, noi, quanti qui
vedi , noi tutti ne
siamo i mallevadori. Finché
nè stai di fronte
col campo e colla
guerra , non parve al Senato
nè al popolo
far su te
decisione ninna di clemenza
e di moderazione ; ma
se ti levi
dalle ar- me , avrai , né tardi , e noi
lo porteremo , il decreto del
tuo ritorno. XXVI. Tali
sono i beni se
alla patria ti
riconcilii: ma se ti
ostini , se t odio non
deponi verso noi ;
dure e molte ne
saranno le conseguenze
: ed io due le
pià manifeste te
ne addito ; vuol
dire : la prima che
avresti il barbaro
amore di un'ardua
anzi im- possibile cosa , di abbattere
cioè la potenza
di Ro- ma , e colle arme
de' Volsci : C altra
che quando pure tu ben ^ indirizzi
e riesca alf intento
, ne sa- rai creduto il
pià sciaurato de'
mortali. E perchè io così
congetturi su te ;
lo ascolta o Marcio , nè
t’ ina- cerbare sul
franco mio dire.
E prima ne intendi
la impossibilità. Molta è in
Roma , e tu U> sai,
la gio- ventìi paesana
: e se le si
tolga ( e torrassele per la
necessità presente in
tal guerra ) la
sedizione , rac- chetando il
timore comune tutti
i dissidj , non pià li V jIscì
, ma niuna gente
d’ Italia ci abbatterrà.
Molte Digitized by Google LIBRO
Vili. 35 sono le
milizie de* Latirù , molte quelle
degli alleati, coloni di
Roma , le quali aspettati
che in breve
giun- gano per soccorrerci. 1 capitani , come te , seniori
o giovani , tand sono di
moltitudine , quanti in tutte
lo altre città non
sono. Ma t ajuto
pià grande di
tutti, quello che non ei ha
mai deluso ne’ grandi
accidenti, e che pili vale
di tutte le
forze degli uomini,
è la beneifolenza de’ numi , per
la quale teniamo
questa città già da
otto generazioni non
pur libera, ma fe-
lice , ed arbitra di
tante nazioni, JVon
pareggiarci ai Pedani , ai
Tollerim , agli altri
popoletti , de’ quali
sormontasti le cittadelle.
Anche un altro
duce minore di te , e con
esercita minore che
questa tuo , violen- tato avrebbe tali
fiacche e poco presidiate
munizioni. Ma considera la
grandezza della nostra
città , la luce sua
per tante imprese
guerriere , e C ajuto di- vino
pel quale , già picchia , tanto s’
inff-andì : nè concepire che
si diversifichi codesta
tua forza colla quale
vieni a tanta cimenta
: anzi ricordati che un
esercita meni di
Folsci e di Equi
che noi stessi
ab- biam vinta in
tanto battaglie in
quante osarono di affrontarci : Talché
ben vedi che
porti a combattere i men forti
contro i pià valorosi,
e chi sempre per- dette contro vincitori
costanti, E quand’ anche
fosse il contrario ; pur
sarebbe da meravigliare
, che tu perita di
guerra non sappi , che
ne' pericoli non è
pari r artlire in
ehi difende i suoi
beni , ed in chi cerca
gli altrui ; che
questi se non
vincono , niente vi scapitano; ma
niente agli altri
pià resta, se
perdono- E questa
principalmente è la causa
che le grandi Digitized by
Google 36 DELLE ANTICniTA’
ROMANE armate svaniscono contro
le piccole, e le
migliori . contro le men
buone. Chè può
la terribile necessità , ponno i pericoli
estremi spirare' corono
anche ad indoli che
non ne abbiano.
E quanto alC arduità deb r impresa
potrei dire piò
cose , ma bastino queste. XXVII. Mi
resta a fare un
solo discorso, cui se
accompagnerai colla ragione
non colf ira , vedrai
che esso è giusto , e ti verrà
pentimento del procedere tuo
: ma quat è mai
questo discorso ? Gli
Dei non concessero a niuno
che nasce mortale
solida scienza delt avvenire
: nè troverai da
tutti i secoli alcuno
cui tutto riuscisse propizio
senza mai contrarietà
della sorte. Perciò li
piò awanzati in
prudenza , quale il vivere lungo
e la molta esperienza
la recano , deano prima di
accingersi ad una
impresa considerarne il termine,
non solo se
riesca come pur
lo vorrebbono, ma nel
caso ancora che
devii dai disegni:
e ciò deano i comandanti principalmente delle
‘ guerre , a' quali , quanto piò
essi dispongono gravissimi
affari, tanto piò tutti
ascrivon la origine
de' buoni o tristi
suc- cessi ; tal che se
vedono esser niuno , o ristretto e piccolo
il danno dell'
azione se la
sbagliano , allora la
intraprendono , ma se
vario e grande lo
vedono , la tralasciano. Or
fa tu similmente
; prevedi avanti di operare
ciocché sia per
incontrarti , se manchi , o
se tutto
non ti viene
a seconda nella guerra.
Tu sa- rai colpevole presso
gli ospiti tuoi
di aver tentato
im- prese , grandi piò che
eseguibili. Concepisci ( nè
già lasceremo impuniti quelli
che han preso
ad offen- derci ) che r esercito
nostro vengavi novamente
^ e Digitized by Google LIBRO
Vili. 37 devasti le loro
campagne : non potrai
evitare , 0 di essere
obbrobriosamente trucidato da
quelli a’ quali sei
causa di mali
sì grandi , o da noi
che ora vieni per
uccidere e per soggiogare.
Forse essi stessi
in- nanzi di patirne alcun
male , tentando far
pace con noi dovran
consegnarti alla patria
che ti punisca
: e già Greci e barbari
assai, ridotti a pari
vicende , dm'ettero ciò
sopportare. Or ti
pajono queste picciolo cose
, non degne a discorrerle , o tali che
debbansi trascurare , o non
piuttosto mali estremi
a patirsi ^ fra tutti
i mali? XXVni. Ma via; n
abbi tu
pure il buon
termine; e qual frutto allora
ne avrai così
desiderabile , così meraviglioso
? qual mai gloria
ne avrai ? Deh
! con- sidera questo ancora. Ti
succederà primieramente di esser
privo degli obbietti
che piò, ami , e piò
ti ap- partengono ; io dico
della madre alla
quale porgi amara la
ricompensa di averti
generato e nudrito, e de'
tanti travagli che
sostenne per te :
dico della sa- via consorte la
qual vedova e solitaria
sta desideran- doti , e
deplorando dì e notte
il tuo esilio
: e final- mente de' due tuoi
figli a quali aspettavasi , come ai posteri
di egregj progenitori , che ne
percepissero pieni di fama
buona gli onori
se la patria
fosse fe- lice. Di questi
tutti sarai costretto
a vedere le dolo- rose e sfortunate catastrofi , se ardirai
sospingere fino alle mura
la guerra ; giacché
a ninno de' tuoi
perdo- neranno gli altri che
temono pe' ctai
loro , e che pa- tiscono
disastri eguali da
te. Concitati dalla
propria calamità doranti terribilmente
e spietatamente a bal-
Digilized by Google 38
DELLE Antichità’ bomane terli,
ad ingiuriarli, e far
loro ogni specie
di vili- pendj : e di
ciò non questi
che il fanno
ma tu ne sei
r autore , che ve gli
astringi. Tali i frutti
sono che gusterai , se ti
giunge V intento. Or
su contempla la lode
che te ne
avrai , la emulazione, gli
onori, cose tutte desiderevoli
a buoni: Z’ uccisore
sarai nominato della madre , C uccisore de'
figli , il traditore della consorte y la
rovina della patria.
£ ninno buono , niun
giusto vorrà , dovunque
tu capiti, partecipare
ai tuoi sagrifizj , alle tue
libagiorU , al tuo consorzio
: nè sarai caro a
quelli nemmeno per la benevolenza de’ quali
ciò fai : ma
godendo dascun d'essi
il frutto della tua
empietà , detesteranno la
ostinazion del tuo cuore.
Lascio di dire
come senza /’
odio che avrai
fin da piò miti , ti
sarà intorno la
invidia [non piccola degli
eguali , il sospetto degl’
inferiori , e per queste due
emise , le insidie
, c ta/ui altri infortunj , quanti è verisimile che
sopravvengano ad un
uomo, privo di amici
in terra di estranei. Lascio
di dire le
furie che ispiransi da’
numi e da’ genj
negli empj e ne’
faci- norosi, dalle quali, straziati
ne’ corpi e nelC
anima, vivono sciaurata la
vita , aspettandone misera
ancora la fine. Tali
cose considerando o Marcio
' correggiti ; e cessa d’ inseguir
la tua patria.
Riguardando la sorte come
autrice de’ mali
che hai da
noi tollerato , ■ o fatto a noi
, toma felicissimo a'
tuoi , ricevi gli empiessi
carissimi della tua
madre , le amorevolezze soavissime della
tua sposa , ed i baci
dolcissimi dei • tuoi figli
: almen simili
cose di sè.
Ma qual altro
può gloriarsi o centurione , o
comandante d aver presa come
io la città
de’ Coriolani (i)f O
qual altro in un
giorno stesso ruppe
f annetta nemica come
io ruppi quella degli
.daziati, che veniva
per soccorrere gli assediati
7 Lascio di ricordare
che dopo tesi
pegni di tnrtà potendo
io prendere in
copia dalle prede
oro , argettto , schiavi, giumenti,
gceggie , e terre vaste, e feconde
, non volli : ma
intento a serbarmi principal- mente senza invidia,
pigliai per me
solamente dalle prede un
cavallo militare , e da
prigionieri t ospite mio ,
ponendo tutto il
resto ad util
comune. Dite : era
io per tanto
degno di premj
o di pene ? Dovea subire la
legge da’ vilissimi
cittadini , o darla io lo- ro ? O non mi
espulse il popolo
pcf questo , ma per- (i)
La lode h,
perebt Coriolano prese
con pochi la
città, sema essere ni
ooniaodanle, nà tribuno,
a' qMii sarebbe alato
unto piti facile invaderla
colle milisie dipendenti.
Vedi lib. Ti , § ga. Digilized by
Google LIBRO Vili. 4 1 chè
io era nel
retto della vita,
un intemperante , un
suntuoso, un senza
leggi? Ma chi
potrà dimostrarmi un solo,
pe* miei piacer
non legittimi esule
dalla pa^ trio, spogliato
dalla libertà, privato
degli averi, o ridotto
ad altra sciagura
qualunque ? se nemmeno
i nemici mai di
tali cose m’
incolparono o calunniaro- no,
contestando anzi tutti
come irreprensibile la
vita mia quotidiana? La
scelta, dirà taluno,
abbonila de tuoi governamenti
ti procacciò questo
male ; Ut polendo eleggere
il meglio ti
appigliavi al peggiore
: e dicesti e facesti tutto
perchè in patria
cadesse il comando degli
Ottimati, e s' impadronisse del
comune la moltitudine imperita , e scellerata, O Minucio
! Ben io mi
adoperava in contrario
, e provvedeva che il Senato,
maneggiasse in perpetuo
il comune , e re- stasse la patria
forma di governo.
Per tali belli
sta- bilimenti , creduti sì pregievoli
da’ nostri antenati , io me n ebbi
dalla patria la
si fausta e beata
ricom- pensa , cacciatone
non solo dal
popolo , o Minucio , ma molto
innanzi pur dal
Senato , il quale,
quando io mi opposi
a' tribuni che m
incolpavano di tiran- nide, mi animò
da principio con
vane speranze, quasi osso
fosse per operare
la mia sicurezza
, ma poi te- mendo de’
plebei mi si
distolse , e mi cedette
a’ ne- mici. O Minucio ! tu
eri console quando
faceveui il previo decreto
pel giudizio, e quando
Falerio, cita tanto ne
fu lodato , esortava
col dir suo , che
io fossi al popolo
consegnato. Ed io
temendo dal Se- nato un
decreto che mi
consegnasse ; condiscesi , e
OlOXtQl f toma ///.
S* Digilized by Google 4 2 DELLE Antichità’
romane promisi di andare
f e presentarmi io stesso
in giudizio. XXXI. Ma
dP Minucio , rispondi : parvi
al po- polo solo , o pure al
Senato ancora io
parvi degno di castigo
per lo buon
inaneggio e condotta mia
pub- blica ? Se così edlora
a tutti ne parve
; e tutti mi scacciavate; egli è
chiaro che quanti
così deliberavate, odiavate allora
la giustizia, nò
restava in Roma
al- cun luogo che sostenesse
il bene. Che
se il Senato
, violentato , si rendette
al popolo , e quella
fu /’ o- pera
della necessità non
del cuore ; confessate
che siete il gioco
degli scellerati, nè
resta al Senato
podestà niuna su qurmto
mai scelga, E ciò
stando , mi chie- derete che io
men venga ad
una città dove i
buoni son vittima dei
ribaldi? Troppo di
stolidità mi con- dannate ! Or su:
diamo che io
persuadami, e che deposta ,
come chiedete , la
guerra , ne andiamo
; qual sarà dopo
ciò f animo mio ?
quale la
vita ? Sebbene eletto
il partito piò
sicuro e meno pericolo- so t cercando io
poi li magistrati,
gli onori, ed al-
tro che io credo
competermi , soffrirò di
adulare la turba che
li dispensa? vilissimo
diventerei di magna- nimo , e niente più V
antica virtù mi
gioverebbe. O restando ne’
miei costumi , e serbando le
istituzioni mie del viver
civile mi opporrò
a quelli che diverse ne
sieguono ? Or non è
manifesto che il
popolo di nuovo mi
combatterebbe , che a nuove
pene mi cite- rebbe, cominciando l'accusa
da questo, che
io rido- nato da esso
alla patria , pure
ai piaceri di
lui non mi conformo
? Certo non dee
dirsi cdtrimente. E qui sorgerà
tal altro insolente
tribuno che simile
agl'Icilj Digilized by Google LIBUO
Vili. 43 ed ai
Decj m incolpi di
scindere i cittadini fra
lorOf d insidiare il popolo , di
tradire la patria
a' nemici , di tentare
, come Decio me
ne imputava , la tiran- nide, o taC altra
ingiustizia , come ad
esso ne paja; giacché
non mancano a chi
ti odia i pretesti.
Pro» durransi dopo queste
, nè già tardi , le
imputazioni ancora su le
cose da me
fatte in tal guerra, che io
percossi la vostra
regione, che rapii
prede, che espu- gnai città, che
di quelli che
le difendevano parte
ne uccisi, e parte a’
nemici li consegnai.
E se gli accu- satori allegheran tali
cause ; che dirò
io per ispedir- mene
? o con quale soccorso
sosterrommi ? XXXIL Non è
dunque chiaro o.
Minucio che belle v'
avete , ma pur finte
le parole , e che un
bel velo date ad
un impuro disegno
? Non a me concedete
il ritorno ; ma vittima
al popolo me
portate ; e forse ( giacché buone
idee su voi
non mi vengono
) vi siete concertali a ciò
fare , seppure ciò non
voleste, senza prevedere ( e vi
si accordi ) i mali
che ne avrei
da soffrire. Or che
varrebbemi la vostra
ignoranza ? che la
vostra stoltezza ? se
non potreste , anche
vo- lendo , niente impedire , necessitati
di concedere an- che questa colle
altre cose alla
plebe. Se non
che non piti bisognan
parole a mostrare che
questa, che io chiamo
via prontissima di
rovina : niente , sebben voi
la chiamate ritorno , gioverammi per
la salvezza. Che poi (
giacche m' invitavi
a riguardare ancor que- sto ) niente o Minucio
mi giovi per
la buona fama , niente
per P onore , niente per
la pietade , anzi
che io opererei turpissimamente ed
empiiss imamente se a Digitized
by Googie 44 DELLE
Antichità’, romane voi mi
rendessi; ascoltalo dalla
mia parte. Io
mili- tai già contro questi
Folsci , e molto nel militare
li danneggiai ; procacciando alla
patria impero , forza
, chiarezza. Non convenivasi
thè io fossi
onorato dai beneficati , ed abborrito
dagli offesi ? jdppunto
; se a ragion si operava.
Ma la sorte
perverti tutto , e rivolse ciocché
t uno e C altro mi
doveano in con- trario. Voi per
le cose onde
io era a questi
nemico , mi spogliaste di
tutto il mio, e
, quasi ciò fosse
nul- la , mi bandiste : laddove , questi che
avean tanto infortunio da me
, mi raccolsero questi
nelle proprie città povero
, abbietto , senta casa e senza
patria- Nè bastando loro
questo splendido , questo
genero- sissimo tratto ; mi han
conceduto cittadinanza , ma-
gistrature y onori , quanti ven sono
piti grandi in
tutte le loro città.
Ma lasciamo questo
: ora mi han
fatto comandante assoluto delV
esercito posto oltra
iete a chiedere , e non
4^ me , la pace o
la tregua. Tuttavìa non vi do
questa risposta : ma
venerando gl’ Jddj patenti , rispettando le
tombe avite , commi- serando la terra
ove nacqui , le femmine , i fanciulli non degni
che su di
essi ricadano le
colpe de’ geni- tori e degli altri
; e j nommen che per
questo o Mi- nucio , in grazia
di voi che
foste qua deputati
dalla città ; vi rispondo , che se i
Romani rendono ai
fol- sci le terre
tolte loro , e le
città che ne
tengono , ri- chiamandone i
proprj coloni; se
fanno pace con
essi « comunanza perpetua di
diritti , come co’ Latini , e giuramenti ed
esecrazioni contro de’
violatori de’ patti; io
do fine alla
guerra. Annunziate primieramente
ad essi questo , poi , come avete
presso me perorato
, aringate presso loro
sul giusto : e quanto
è bella cosa che ognun
s’ abbia il suo , e vivasi in
pace : quanto pregevole
che niun tema
nè i nemici , nè i tempi
: e come è biasimevole che
chi ritiene l’
altrui si esponga senza
necessità alla guerra
con pericolo delle cose
anche proprie. Dimostrale
loro che non eguali
sono i premj vincendo
o perdendo per chi
ap- petisce r altrui : e se vi
piace aggiungete , che
quelli che han voluto
prendere le città
degli oltraggixti , se
infine poi non
prevalgono , perdono pur la
terra , e la città loro ,
e vedono malmenate obbrobriosamente le mogli,
portati i figli agli
affronti, e li padri
lorOj fatti schiavi di
liberi , nelC estrema
vecchiezza ; Per- suadete
insieme il Senato
che dovrà tanti
mali alla stoltezza sua
non a Marcio. Terocchè
potendo fcàre il 48
DELLE Antichità’ romane giusto
; potendo non incorrer
ne’ mali ; corrono
agli ultimi rischi ,
aspirando sentpre alC
altrui. Questa è la
risposta; nè potreste
altra averne dame:
andate, ponderate ciocché a fare
v abbiate : io vi
do trenta giorni per
decidervi. In questo
tempo ritiro o Minw- ciò
in riguardo tuo e
degli altri t esercito
da questi campi, che
asscù se vi
rinuuiesse, ne sarebbero
dan- neggiati, Al ventesimo giorno
mi ci aspettate
a pi- gliarne la risposta.
XXXVI. Ciò detto
sorse , e sciolse 1’
adunanza : e nella notte
seguente presso 1’
ultima vigilia levò
l' eser- cito , e lo
condusse OMilro le
altre città Latine , sia
ebe realmente fosse persuaso
che di là
verrebbono de’ sussid) a’
Romani , come 1’ ambasciadore
avea detto , sia che egli
ne spargesse la
voce per non
sembrare d* interrom- per la guerra
in grazia de’
nemici. E piombando sopra Longola , ed impadronitosene senza
fatica , e fattovi come
nelle altre, dei
schiavi , e delle prede; venne
alla città de’ Satrìcani.
Presala , e tenutovisi pitxiolo
tempo , ordinò che parte
dell’ esercito recasse
le spoglie raccolte da
ambedue queste città
in Eccetra , ed egli
marciando coir altra parte
venne a Ceda (i),
che chiamano. Otte* nutala
, e derubatala -, si
gittò nel teiritono
de’ Polu« scani (1).
Non valsero nemmen
questi a resistere ; ed espugnatili , si avanzò
verso le altre
città : prese di as-
(i) Questa Toce è
aiqbigaa. Lirio nooiioa
Tiebbia ; ed altri
ia questo luogo di
Oiooigi vorrebbe por
Silia Seste : ma
questa par troppo lootaaa
pel viaggio di
Marcio. (ij Lapo parve
leggere Ttuelarù. Digitized by
Googlc LIBRO Vili. 49 salto
gli Albieti ed i
MugiUaui (i) ; e ricevette
a patti i Corani. Divenuto in
trenta giorni padrone
di sette citti ; si
rivolse a Roma con
più milizie che
prima : e fermandosene lontano
poco più che
trenta stadj , si ac- campò presso la
via Tuscoiana. Intanto
che prendeva ed univa
a sé le città
de’ Latini , parve ai
Romani , con- sultale lungamente
le proposte di lai , di
non far cosa indegna
della repubblica. Pertanto
, se i Yolsci partis- sero dal territorio
loro , degli alleati e de’
sudditi , e lasciasser la guerra
e spedissero ambasciadori per
trattare la pace ; il
Senato decidesse allora
e ne riferisse al po-
polo le condizioni : non
decidesse però mai
nulla di umauo su
loro , finché stavano con
ostili maniere su le
campagne di Roma e
degli alleati. Couciossiachè
li Ro- mani (Muervarono sempre
altamente di non
far mai nulla pe*
comandi , nè pel terror
de’ nemici ; ma
di compia- cere, e
contentare gli avversar]
pacificatisi, e rendutisi,
nelle dimande se
fosser discrete. E Roma
ha mantenuto tale sublimità
di carattere in
molti e grandi pericoli , nelle guerre
co* cittadini e cogli
esteri , e tuttavia lo mantiene. XXXyiI. Deliberate
tali cose , il Senato
scelse am- )>asciadori altri
dieci tra’ consolari , perchè dimandassero a Marcio che
non desse ordini
duri nè indegni
di Ro- (i) Silbnrgio
sospetta ebe io
luogo di Albiètì
debba leggersi La- hitiiati
ciot Laviniaui di
Lauinio , la presa del
quale era stata
tra- lasciata , come si t veduto
di sopra. Il
cognome di Lucio
l'apirio Mugillaoo prova che
vi ebbe una
città Multila di
nome , donde tono i MugiUani. montai . ama Ili. t
Digitized by Google 5o
DELLE Antichità’ romane ma , ma deponessc
le nimicizie , ritirasse le
truppe dal territorio , e cercasse
di trattare con modi persuasivi
e conciliativi , se voleva che
gli accordi tra
due popoli fossero permanenti
ed eterni ; giacché
gli accordi sia privati , sia pubblici , conceduti per
la necessità e pei tempi,
finiscono appunto co’ tempi
e colla necessità. Or questi , eletti ambasciadori , non si
tosto . udirono l’ ar- rivo
di Marcio , andatine a lui , dissero assai
cose atte a guadagnarlo ,
badando di non
offendere co' discorsi
la maestà della repubblica.
Marcio però non
rispose altro se non
che consigliavali ( e questa
era 1’ unica
tregua che dava ) a tornar
fra tre giorni
con deliberazioni mi- gliori. E volendo essi
replicare ; non lo
permise : ma impose che
partissero immantinente dal
campo. E mi- nacciando che li
tratterebbe come spie
se non ubbidi- vano ; quelli ammutoliti
partirono incontanente. I sena- tori quantunque udite
le risposte ostinate
e le minacce di Marcio , pnre
non decretarono di
portare 1’ esercito di
là dai confini , sia
che ne temessero
, come raccolto in gran
parte di fresco
, la inesperienza , sia
che 1’ ab- battimento temessero dei
consoli , poco intraprendenti per sestessi
, e giudicassero pericoloso il
cimento ; sia che i segni
celesti interdicessero loro
quella uscita per mezzo
degli uccelli , degli oracoli
Sibillini , o di altra visione
: cose che non
sapeano gli uomini
di allora , come
i presenti , trascendere. Adunque
deliberarono di guardare la
città con vigilantissima cura,
e di respingere dalle fortificazioni gli
aggressori. XXXYIII. Ciò fatto
e preparato ; nè tuttavia
dispe- rando di piegar Marcio
, se lo pressassero
con deputa- Digilized by
Coogl LIBRO Vili. 5i zione
più augusta e più
grande , decretarono che pon- tefici ed auguri,
e quanti arcano sacri
onori e ministeri nelle pubbliche
divine cose ( e molti
sono fra loro e
sacerdoti e santi ministri , e questi i più
cospicui pel sangue paterno,
o pel merito proprio)
andassero in copia co’ simboli delle
divinità riverite e festeggiate
in Roma, e cinti di
sacre vesti , al campo
nemico , e vi replicas- sero
gli stessi discorsi.
Giunti questi , e dettovi quanto aveano
dal Senato , Marcio non
rispose nemmeno ad essi
per ciò che
chiedevano; ma consigliò
che partendo adempissero gli
ordini se volevan
la pace; o la
guerra in città si
aspettassero : del resto
intimò che non
più ritornassero a lui per
far parlamento. Caduti
ancora di questo tentativo , e deposta ogni
speranza di pace , si apparecchiavano i Romani
per 1’ assedio
; , collocando i giovani più
vigorosi alle fosse
ed alle porte
, e li ve- terani già licenziati
ma pur buoni
ancor per le
armi , alle murai XXXIX. Le
mogli loro , quasi approssimatasi già la
tempesta , lasciato il decoro
col quale si
tenevano in casa , correano ai
templi piangendo ed
abbracciandosi a’ simulacri de’ numi. Ed
ogni sacra magione
, special- mente quella di
Giove in Campidoglio,
risonava di ie* minei
ululati e di suppliche
: in questa una
matrona preminente per lignaggio
e per dignità trovandosi
allora nei meglio degli
anni , attissima a provveder
ciocché deesi (Valeria ne era il
nome) sorella di
quel Popli- cola il
quale aveali già
liberati dai tiranni',
eccitata da istinto divino , si
fermò nel grado
più alto del
tempio , convocate le
donne compagne , primieramente le
con- Digitized by Coogle 52
DELLE AlfTICHITA* ROMANE solò
ed animò a non
smarrini ne’ mali , poi
diede a vedere che
restavaci una speranza
di scampo, riposta in
loro nniramente , se faceano
quanto era d'uopo.
Al- lora r una di esse
ripigliò : Con quale
opera nostra mai potremo
noi donne salvcwe
la patria , non sa- pendo
più fare ciò
gli uomini ? E qual
forza ah- hiam noi,
deboli, sciaurate F E Valeria, non
le arme, disse , abbisognano , non le
mani ; dispensandoci da ciò
la natura, ma
le arnorevolezze e la
persuasiva. Or qui , fàltusi
clamore , e pregandola tutte
a svelarlo se pur ci
avea rimedio alcuno , disse : In
questo lutto , in questo
disordine di vestimenti
prendete compagne anche altre
donne, e menando con
voi li vostri
figli, ne andiamo in
casa di Veturia
la madre di
Marcio. E ponendo i nostri figli
dinanzi le ginocchia
di essa, e lagrimando ; scongiuriamola che impietosita
di noi non colpevoli
di male ninno,
e della patria ridotta
in pericolo estremo , vada al
campo nemico ; e vi
meni i suoi nipoti, la
madre loro e noi
tutte, le quali
la seguiremo co' nostri
figlioletti : e che interceditrice presso del
figlio, lo dimandi,
lo supplichi a non
fare la calamità della
patria. Lei piangendo
e rimovendo- lo; nascerà forse alcuna
compassione o mite pensiero in
quesF uomo , che già non
ha si duro
ed impene- trabile il cuore
da respingere fin la madre
che ab- braccigli le giruscchia. XL. Poiché
le astanti ne
approvarono il dire;
ella supplicando i numi di
dare persuasiva e grazia
alle istanze, loro pari)
dal tempio. La
seguitarono le altre
; e prese dopo ciò per
comp-igne alti’e donne
, ne andarono in Digitized
by Google LIBRO Vili.
53 fòlla alla casa
della madre di
Marcio. Volannia la mo»
glie di
Marcio seduta presso
la suocera si
meravigliò nel vederle , e disse
: E che possiamo noi
farvi , o donne , cito in tanta
moltitudine venite ad una casa di
sciagura e di aflizione?
E Valeria soggiunse: i?t- doUe
a pericoli estremi noi,
con questi fanciullelli , veniamo a te
supplichevoli, o Feturia, per
implorare^ tonico e solo ajulo,
e primieramente che abbi
pietà della patria non
mai fin qui
stata in man
de' nemici, eicchè non
vegli soffrire che
ora la libertà
le si tolga dai
Folsci; seppur conquistando
la patria la
rispar~ mieranno, non la
struggeranno dai Jondamenti.
Dipoi per noi preghiamo
e per questi miseri
fgU, sicché non veniamo
tra gli strazj
degf inimici, noi
niente ree de mali
accaduti. Se un
cuor ti resta
in parte al- meno, clemente ed
umano; deh! tu
ne compassiona, o F fluria , tu donna , e tu
partecipe de' diritti
sacri , inviolati delle donne
(i): prendi teco
Folunnia, que- sta ottima donna,
e con essa i suoi
figli, prendi coi figli
nostri pur noi
supplichevoli a un tempo
e ma- gnanime , e vieni al tuo
figlio , persuadi , insisti , ni dar
fine alle suppliche
, finché pe' tanti
benefizj tuoi non ottieni
da lui che
si rappacifichi co’
suoi citta- dini, e rendasi alla
patria che lo
ridomanda'. Ut, ben 10
sai, trionferai di
lui, che pietoso,
certo te non dispregierà prostrata
a’ suoi piedi.
E tu riconducendo 11 figlio
tuo alta patria,
ne avrai, corni
è giusto, splendore
sempiterno , perchè C avrai
liberala da tale ())
Meli’ uso della
Religione comune. Digitized by
Coogle 54 DELLE Antichità’
romana rischio e terrore: e sarai
cagione a noi di
essere oHo~ rate presso
degli uomini ; perchè
avremo sciolta la guerra
che non potè
da essi dissiparsi.
Parremo cojI le discendenti
veramente delle femmine
che mediatrici terminarono la
guerra di Romolo
co’ Sabini ; e conm giunsero duci e
nazioni, e grande renderono
di pie— dola la
città (i). Magnìfica
sarà t impresa, o Fetu- ria , d' aver seco
riportato il figlio
, d’aver liberata la patria
> salvate le sue
concittadine ; e di lasciare
ai posteri suoi luce
indelebile di virtù.
Dacci, o Fetum ria , con cuore
spontaneo e vivido questa
grazia ; vieni , ti
accelera ; poiché grande , imminente il pe-
ricolo non ammette più
indugio , o consiglio. XLI.
Giù detto , tutta
in pianto , si
tacque. E pian- gendo pur esse,
e pregando vivamente le
compagne; iVeturia, vinta dalle
lagrime, dopo breve
silenzio, disse: Foi seguite
, o Falena , leggera e fiacca speranza
; promettendovi un ajulo
da noi ; donne
infelici. Ben abbiamo tenerezza
per la patria , e volontà di
saL'ore I cittadini,
qualunque mai siano;
ma la potenza
e la efficacia ne mancano
per compiere ciocché
vogliamo. Marcio , o F ileria ,
ne rifugge da
che il popolo
fe’ di lui r amara
condanna , ed odia
tutta la casa
in- sieme colla patria. E ciò
diciamo , sapendolo da Mar- cio stesso', non da altri;
perocché quando soggiaciuto alla condanna
venne in casa
in mezzo agli
amici , trovando noi addolorate
, abbattute , co’ figli
suoi su le ginocchia , e che piangevamo
, corri era giusto , e (i) Vedi
1. a, $ 4^ »
espone disicsantenle tale
storia. Digitized by Coogle LIBRO
Vili. 55 deploravamo la
sorte che ci
soprastava nel perderlo
; egli fermatosi alquanto
da noi lontano,
insensibile come una pietra,
e co’ sguardi fissi,
partesi, disse ^ Marcio
da voi, o madre, o Volunnia
donna bonissima, cacciato
dai suoi cittadini perchè
prode, perchè amico
della repubblica, e perchè subito
ha tanti travagli
per la patria.
Voi so- stenete , come si
conviene a femmine virtuose , tanta calamità , non
facendo mai nulla
d’ indegno , mai nulla di vile:
consolandovi in questi
fanciulli sulla mia
priva- zione , educateli
degni di noi ,
e della stirpe. Gli
Dei concedano ad essi , uomini
divenuti , sorte più buona
; ma virtù non
minore. Addio. Io
vado , e lascio questa città che
più non cape
gli onesti uomini.
Addio numi tutelari, e tu
Vesta, paterna divinità,
e voi quanti siete Dei
di questo luogo.
Appena ciò disse , noi
misere , noi dal
dolore impedite, scoppiando
in gemiti, e per^ cotendoci il
petto portai'amo a lui,
per riceverli an~ cara , gli amplessi
estremi : ed io
menava meco il maggiore
de’ figli , e la madre
avevasi in braccio
il minore. Quando egli,
ritirandosi e rispingendoci, disse: Da
ora innanzi Marcio
non più sarà
tuo figlio , o ma- dre,
togliendoti la patria
in esso il
sostenitore della tua cadente
età , nè più
sarà da questo
giorno il tuo
spo- so, o Volunnia: ma sii
pur felice, un
altro cercan- dotene più di
me fortunato : nè
più sarà padre
vostro o figli carissimi: ma
orfani e solitarj presso
queste cre- scete fino agli
anni virili. Ciò
detto , nè soggiungendo altro, nè
comandando, e non significando
nemmeno ove andasse , uscì di
casa , o donne , solo , senza
servi , in disagio , senza
portare seco delC
aver suo Digitized by
Coogle 56 ■ DELLE Antichità’
homase neppure il vitto
di un giorno.
E già volge t anno quarto
eh’ egli fuggì
dalla patria, e riguarda
noi tutto come straniere , niente scrivendo
, niente mandandoci a dire, e niente
volendo di noi
risapere. Or presso un
cuore si duro , si
impenetrabile , o Troieria , qual
forza avranno le preghiere di
noi alle quali
non dava, partendo £ ultima
volta , non un amplesso , non un bacio , non significazione niuna
dì affetto ? XLIL
Che se tuttavia
domandate voi questo , e vo- lete in tutto
vederne wniliate ; concepite
, che io e Volunnia
a lui ci presentiamo
co’ figli. Quali
discorsi io madre , dirìgo la
prima , quali preghiere porgo
al mio figlio ? Dite
, ammaestratemi. Chiederò che
per^ doni a suoi cittadini
da quali ( e senza
che offesi gli Oi’esse
) fu privato della
patria F Chiederò che
inte- neriscasi o compassioni
la plebe, che
su lui non
seppe intenerirsi , tré
compassionarlo? Che abbandoni
e tra- disca quelli che esule
lo hanno raccolto , i quali seb- bene malmenati già
un tempo da
lui tanto e sì
fe- ralmente , pur non £ odio
gli mostrarono di
nemici , ma la benevolenza
di amici e di
congiunti ? E con qual cuore
pregherei io mai
questo mio figlio
che amasse chi lo
sterminava, ed oltraggiasse
chi lo sal- vava ? Non sono
questi i discorsi di
una madre savia al
suo figlio , non
di una moglie
al marito : nè
voi ci astringete , o donne ,
che imploriamo da
lui cose non giuste
presso degli uomini,
nè pietose presso
gli Iddii: piuttosto lasciate
noi misere nella
umiliamone ove siamo per
la sorte , senza
che noi pure
svergfs- gniamo piu ancora
noi stesse. Digitized by
Googlc LIBRO Vili. 5? XLIII. Taciutasi
lei, surse un
tanto lamentarsi di femmine,
e tale un pianto
ne riinbotnbò, che
udendo- sene i • clamori per gran
parte della cUlà , si
empierono di popolo le
vie d’ intorno la
casa. Poi rinovando
Va- leria più lunghe e più
commoventi preghiere , le altre donne , com’ erano
congiunte di amicizia
o di sangue con r una
o l’ altra di loro , supplicavano ancora
in atto di stringerne
le ginocchia. Tantoché
non più re«- stendo
per l’ afflizione fra
tanto piangere e supplicare; cedette infine
Vetutla , e promise di
andarne oratrice per la
patria co' figli
e colla moglie di
Marcio , 'e^ con quante cittadine
voleano. Racconsolatesi allora
vivaiùeuté, ed invocati i numi
a favorire le loro
speranze , parti- rono dàlia casa , e nunziarono ai
consoli il fatto.
E questi, lodandone là
buona volontà, convocarono
ed interrogarono i padri ,
se fosse
da concedere che le
femmine ^uscissero. Or
molto, e da molti
se ue disputò; tanto che
giunti a sera dubitavano
ancora ciocché fosse da
fare. Dicevano molti
non essere piccolo
cimento per- mettere che le
donne andassero co’
figli al campo
dei nemici; imperocché se
questi, spregiando le
leggi sacre degli ambasciadori
e de’ supplichevoli ,
volessero che le femmine
non più 'rìtornassero , prenderebbono Roma senza
combattere. Pertanto consigliavano
che si lascias- sero andare a Marcio
solamente le donne
che a lui si appartenevano insieme
cu’ figli. Altri
però giudicavano che non
si concedesse che
andassero nemmeno rpieste; anzi
esortavano di custodirle
gelosamente , e di consi- derai le come
ostaggi sicuiissimi, perchè
la città nou
su- ■ DJOXJGI , IB«o III. f '
Digilized by Coogle 58
DEfXE Antichità’ roisaane buse
grave disastro. Per l’
opposito altri proponevano che si
accordasse a quante donne
volevano , di uscire
, perchè^ le donne
congiunte a Marcio , fornissero
con ' più dignità
la mediazion per
la patria. Dicevano
che non succederebbe ad
esse niente di
sinistro; giacché ne sarebbero
mallevadori primieramente i numi
col favore santo de’
quali si moveàno
ad intercedere ; e poscia
il duce stesso al
quale ne andavano , come uomo
puro ed inviolato in
sua vita da
ogni ingiusto ed
empio at- tentato. Vinse finalmente
il partito che
accordava alle dònne di
andare, e còn decoro
amplissimo di ambedue; del
Senato come savio , perchè vide
ciocché era a farsi il
migliore , senza punto turbarsi
al grande perìcolo
; e di Marcio finalmente
per la sua
pietà, perché fh
confi- dato, che niènte oliraggerebbe
tal parte imbelle,
espostasi a lui quantunque egli
fosse nemico. Steso
il decreto , e recausi l consoli
al Foro, e raccoltovi
il popolo, essendo già
notte , vi palesarouò il
voler del Senato
, e preor- dinarono , che
tutti al nuovo
giorno accorresserò alle porte
per accompagnarvi le
donne che uscireld)ero.
Busi frattanto, diceano, che
curerebbero quanto era
d'uopo. ,XLIV. Era ornai
l’alba vicina;, quando
le donne por- tando i figli loro , andarono colle
faci , e presa in sua casa
Vcinrìa , la condussero
alle porte. I consoli
idle- sUte mule da
tiro, e carri , ed altri
trasporti moltissi- mi, ve le
acconciarono, e seguironle per, lungo
tratto: le accommiatavano intanto
i senatori ed altri
in buon numero con
auguri, con preghiere,
con eocomj , ren- dendone
cosi più
dignitoso il viaggio.
Come si potè dal
campo distinguere , che donne , lontane ancora , si Digilized by
Google LiBBO vm. 5g àvanzavano
, Marcio spedi de’
cavalieri per apprendere che fosse
quella moltitudine , e perehé dalla
catti ne veoisse. E risapendo
da loro che
venivano le donne Romane
oo* 6gli , e che innanzi
-di tutte era
la madre di lui, e
la moglie co’
figli suoi; stupì
da principio che femmine
potessero aver cuore
di avanzarsi co’
Ggli senza guardie al
campo nemico , e darsi a vederè
ad uomini insoliti , lasciata la
verecondia conveniente * a matrone ingenue e pudiche , e la paura
del pericolo nel
quale incorrerebbero , se
questi volgendosi airutile
più che al giusto
, volessero acquistarle , . e
giovarsene. Ma poscia- cbè
furono vicine , deliberò di
uscire* dal campo
con alquanti ' verso la
madre , comandando ai littori
che quapdo le fossero
dappresso deponessero le
scuri , e le abbassassero i
fasci. Usavano i Romani
questo rito quando i magistrati minori
s’ incontravano co’
maggiori ; ed il rito
persevera ancora. Osservò
Marcio allora tal
pratica, e rimosse tutti i segnali
dell’ autorità sua ;
quasi egli dovesse presentarsi
ad una autorità
maggiore : tanta fa la
riverenza , tanta' la sollecitudine
sua per la
pietà verso la madre.' XLV.
Fattisi ornai vicini
, si avanzò la prima per riceverlo
la madre , ahi ! quanto
miseranda , squallida vestunenti
, e logora gli occhi
dal piatito. Come
la vide , Marcio , duro , imperturbabile
fin’ allóra contro tutti
gli assalti , non più
valse a persistere nel
propo- sito suo: ma vinto
dagli affetti del
cuore umano corse, la
strinse , la baciò , la chiamò
con tenerissimi nomi:
e molto lagrimandone , e
curandone ; la sostenne,
mentre venuta meno abbandonavasi
a terra. Soddisfiitta la
tene- 6o PELLE Antichità’
romanè rezza sna verso
la madre , ricevendo la
donna sna che sea
veniva co’ figli
disse ^ Fornisti o Koluimia
gli of- fizj di
ottima donna , >
uh’endoli presso la
mia geni- trice: ed io
godo come su
dono dolcissimo infia tutti,
che non t qhbandonasli nella
sua solitudine. Dopo ciò
chiamato a sé 1’
uno e l’altro de’
figli , e ca- rezzatili come si
conveniva ; si rivolse
noVamente alla madre, invitandola
a dire per qual
fine veniva: ed
ella soggiunse che il
direbbe , udendola tutti ; giacché
non chiederebbe se non
giustissime cose. Lo
esortava dunque che sedesse
nel luogo appunto
dal quale solea
far giu- stizia a’ suoi
militari. Con piacere
udì Marcio la
propo- sta , pen hé varrebbesi
di assai più
regioni per rispon- dere alle istanze
.di essa , e darebbe
dv opportunissimo luogo fra
la turba la
risposta (i). Adunque
recatosi al tribunal militare
fe* da indi
rimovere e calarne al
pian- teiTeno la sedia
, giudicando non dover
lui tenersi p’ù alto
che la madre , nè
còn maestà niuna
contro di lei. Poi
fatti sedere presso
di sé li
più cospicui de’
capitani e dei centurioni , e
lasciando che intervenissero quanti volevano ; significò
alla madre che
incominciasse (a). XLYI. Veluria
, poste innanzi del
tribunale la donna di
Marcio co’ figli
e le altre più
ragguardevoli tra le Romane , ' pHmieramente rivolti
gli occhi alla
terra , pianse lungamente , p mosse tenera
compassione negli astanti : poi
raccogliendo sé stessa
disse : Le donne
, o (i) Perché sarebbe
siala risposta pubblica;
udendolo cbi Tclcea
; e perché cjuel luogo
stesso, di dignità
e di comando aerebbé
ricor- dalo «Ila madre le
ubbligaiionf Che egli
arcTa co' Votaci. (a)
Anni di Roma
a06 sccoodu Calorie,
a63 secondo Varoue, e 4^
arami Criaio. ^ Digitized
by Coogle • ' ' LIBRO VITI.
6l ‘Marcio figlio, considerando
gC info rtunj che
su di esse piomberebbero
se la città
divenisse de nemici , diffidatesi di
ogn altro soccorso
, poiché tu davi
le sì dure, le
jì ostinate risposte
agU uomini che
chiedeano un fine alla
guerra ; queste donne
, o Marcio ^co’ /?- glioletti ,
in questo lugubre
apparato ricorsero a me tuà
madre , ed a V olunnia tua
sposa per supplicarci 'a non
permettere che avessero
tanto male ‘da
te, più che da
ogn altro , esse cfie
non ci aveano
offeso punto nè pocO',
e che grande ci
aveano dimostrata la benevolenza
nella nostra sorte
felice, e viva nom- meno
la compassione quando
ne dec'ademmo. Noi
ben possiamo testificarti che
dalf ora che
tu lasciavi la patria , daW ora
che noi restavamo
derelitte nella so- litudine , e nel nulla
, esse di continuo
ci visitarono , ci consoletrono
, e piansero al pianto
nostro. Memori di tanto
io e questa tua
donna , coabilatHce mia ,
non abbiamo già
ripudiato le loro
preghiere , ma preso abbiam cuore
di cercarti ; e pregarti
, corno ci atìdimandavano , per
la patria. XLVII. E lei
parlan(h> ancord , Marcio
ripigliava : rnadre ! se'
tu venuta per
un impossibile , venendomi a chiedere , che io
Iralisca quelli che
mi hanno ri- cettato a quelli che mi bandivano , quelli che
mi do- navann i beni,
più grandi fra
gli uomini a quelli
che tutto il mio
rn involavano. Io
pigliando questo cofnan- do,
dos a malle\'adori i genj
ed i numi,, che
non avrei tiadito gU
ospiti miei, nè
finita la guerra
se cosi non fosse
piaciuto a tutti i Volsci.
Pertanto adorando gt Iddìi
su quali giurai,
riverendò gli uomini
a quali Digilized by Google 6a
DELLE Antichità’ romane vincolai la mia fede,
guerreggieiò fino alla
decisione co' Romani. Se
renderanno mì f^olsci
le terre che"
ne possiedono colla forza
; e se amici se
ne fwanno , accomunando
ad essi tutto , come
co' Latini ; deporrò ' le armi :
altrimente mai contro
di essi le
deporrò / Voi dunque
andatene., o donne, riferite
ai vostri un tal
dire , e persuadeteli a non
pretendere ingiusta- mente [
altrui, ma contentarsi
del prpprio , quando altri lascia
che lo abbiano.
Non aspettino che
si ri- tolga loro colla
guerra , quanto colla
guerra usurpa- rono ai. Volsci;
perocché li vincitori
non saranno già paghi
di ricuperate i lor
beni, ma vorranno
quelli ancora de’, vinti.
Se ritenendosi, e difendendo
ostina- tamente ciocché lor uon
si spetta, vanno
incontro m pericoli, accusino
sestessi, e non Marcio,
e non altri de' mali
che piomberanno su
loro. E tu -daW
altra parte', o madre , io figlio
tuo le ne
prego , non mi sollecitare a cose
non degne, nè
giuste; nè, unendoti d miei e tuoi
malevolissimi , volete
credere a te con- trarj
quelli che ■'ti
sono per natura
amicissimi : ma standoti ,
coni è ragìc^nevole , presso me , vegli
riguar- dare per patria quella
che io riguardo',
e possedere per' casa quella
che io possiedo,
e godere con me gli
onori miei , e la mia
riputazióne , presi per parenti , per
amici e nemici tuoi,,
quelli appunto cK
io pren- dami. Bandisci, o misera , f afiìanno sostenuto
finora per la mia
fuga, e pesfa in
tale tua forma
.di aflig- germi. Gli altri
beni , o madre , più belli
della spe- ranza, più grandi
del desiderio mi
son dati da
mimi, e dagli ùomini. L’affanno
che io prendea
su te, non Digitized
by Coogl LIBRO Vili.
63 contraccambiandoti col nudrirli
ne' senili tuoi
giorni, diffuso per le
mie viscere, amareggiava
e levava la mia vita
da ogni bene.
Se meco ti
rimani, se parte- cipe ti fai
di ogni mia
cosa; più non
mi mancherà alcuno -tra L mortali. XLVIII. E qui
taciutosi lui , Veturia
sopraslando breve tempo &nchè
, cessassero le lodi
cbe molte e grandi gli
si fecero da’ circostanti, soggiunse:
Non io. Marcio figlio
, ti voglio il
traditore de' Volsci , che
ricevitori tuoi nelC esìlio
, ti onorarono in
iMtte guise , e ti affidarono il
comando di ses tessi
; nè voglio che.
tu da te solo
finisca senza il
voto comune, la
guerra contro i patti e i giuramenti, chè
facevi loro, quando prendevi armata
: nè temere che
la madre tua
siasi di tanta malvagità
riempiuta ; ‘ che inviti
C unigenito e carissimo
figlio a cose vituperose
e non giuste: ma cJtiedo
che tu levi
col pubblico voto
la guerra , ridu^ cendo i V ytsci
a temperanza , e ponendo tra le due
genti pace ì>ella
e decorosa. E ciò sarà
fatto , se al presente
movi t armata e la
ritiri, e fai tregua
per un anno ; perocché
spedendo e ricevendo in
questo tempo ambasciadori ,
procaccerai pace stabile
, e vera amicizia. Tu ben
-sai che f Romani
, se il disonore , o la impossibilità
non lo vieta
; faranno vinti dalle persuasive ogni cpsa : laddove
violentali , come ora vuoi tu
violentarli , non concederanno
mai cosa pic- ciola
o grande , come puoi tu
conviruertene da tanti esempj
, ed ultimamente dalle
cose concedute ai La-
tini che deposeco le
ormL 1 Volsci, dirai,
sono assai ' più
pertinaci, come avviene
ai gran fortunati.
Ma se Digitized by
Google J 64 PELLE ANTICHITÀ.’
ROMANE ricordi loro che
ogni pace vai
più della guerra:
e che più stabile è quella
che si fa
per amicizia la
quale rende i cuori propizj
, che non, f altra
la quila per necessità
si riceve: esser
proprio de’ sa>’i moderare
la sorte, quando stimano
averla; non però
mai ft^ cosa indegna
nelle vicende infelici
e meste ; se dirai
loro gli altri documenti
quanti sen trovano
( notissimi a voi che il
pubblico maneggiate ) per indurre
a dolcezza a mansuetudine ; scenderanno
dalt eUterigia ove
sono , e concederanno che
facci quanto credi
a loro giove- vole, Ma se
resister^anno , se non
ammetteranno il dir tuo ,
sollevati dalle belle
Jbrluna provenute da te
e dal tuo comandare , cqme siati
quéste immutabili ; rendi
loro palesemente co
lesto tuo capitanato
, nè il traditore sii
di chi te
lo afJidcR>a , nè
il combattitore de’ congiuntissimi tuoi ;
cose , T una e t altra
inde- gnissimo. Queste soao , o
Marcio figlio , le cose
che io vengo a supplicarti
che sian fatte
da te , non
im- possibili come tu dici,
ma pure da
ogni '' rimorso di
ingiustizia , e di malvagità
. XLIX. Tu temi
'( sono questi
i titoli che vai
ma- gn'ficanio col discorso
) tu temi d’
incorrere sé fai quanto
consiglioU, la taccia
rea come d’ ingrato
versa i tuoi benefaUori , i quali ti
accolser nimico , e ti a nmisero a tutti
i-loro beni , quali se
gli hanno co^ loro
che nacquero cittadini.
Ma dì j non
hai tu len- dulo
toro il molliplice
e bel contraccambio ? non
hai suj'ferato i benefizj loro
colt amplitudine immensa dei tuoi?
Costoro che leneano
pel sommo e pel
più ama- bil de
beni viversi liberi
usila patria ; gli
hai tu ri- Digitized
by Google LIBRO Vili.
65 dutU (fuesti non
solo arbitri stabilmente
di sestessi , ma tali
infine da bilanciare
, se tornasse lor
megliò, di abbattere la
potenza de' Romani, o di
partecipare, ugualmente alla repubblica
che Roma ha
fondato. Lascio' di dire
con quante spoglie
abbi ornalo le
loro città per la
guerra, e con quanta
ricchezza premiato quelli che
vi militav vedo che^
gU orgogliosi che quei
che' spregiano le
preghiere -de supplichevoli, cor- rono all
ira de' numi
ed alia sciagura
finalmente. Certo gl' Jddii
• istituirono e ne dierono
tale costume ,- essi
i pruni ptrdanano s e fqcili
si rappaciane';, e molti
si. placarono già pe’
voti j e' pe'
sagrifizj verso di uomini,
lontani per grandi
reità da loro".
Quando o A/arcio tu tioti
vagli che. l’
irà de’ celesti
sia mor-^ tale , ma immortale
quella , degli 'uoniini
; • forai con rettitudine f e con
dignità tua o della
patria , se ne condoni gli
errori , essa già correggendosene , e pla- candotisi , e
rendendoti quanto prima
ti levava. LI. Che
se implacabile ti
rimani , rendimi questo deposito, questo
benefizio y i quali niun altro
può ri- peterti i e pe’ quùli
hai tu non
le minime , ma*
le auiplissinte è
pregiatissime doti ,' onde tutto ottenesti,, rendimi il
corpo tuò e l’ànima.
Derivate le hai
que- ste da ma; ; nè
luogo o tempo , nè
beneficenze , nè • grazie
di Fblsci o di
altri mai tanto
' eccederanno e saliran fino^
ai cieli ;.
che tu possi»
csmcellar la natu- ra, ,nò
pù't udirne i diritti.
Mio sarai pur
tu semproj e sempre il
bene del vivere
a me dovrai per- la
pri- ma, e 'farai senza scusartend
quanto ti additnando- Ciò prescrive
la natura ai
viventi che sentono
e che 68 DELLE a:»tichita’
romane ragionano { >e di
ciò confidata puf
io , ti supplico
o Marcio figlio a non
portaré guerra alla
patria;, o qui sto
per oppormiti se
le fai violenza.
O me tua madre che
mi ti oppongo
sagrijicherai prjma di tua
mano alle furie , e cosi darai
principio alla guerra; o,
se temi la
infamia di matricida,
cedi o figlio alla madrfi
tua ; dammi , flie
il puoi , questa grazia.
Se questa leg^e che
niun tempo ha
mai tolto, mi assiste,
mi protegge > non
è giusto o Marcio che
io sola sia da
te priva degli
onori che essà
mi concede. Ma
Ics- sciando questa legge
, ricordati la tanta
e gran sc^ie de'miei benefizj.
Io prendendo a curar
te fanciulletto, orfano del
padre tuo védova me
ne rimasi , e gli stenti tutti
soffersi onde allevasi,
madre tua non solo , ma
padre in ur[
tempo , educatore é sorella dimoetrandomiti , ed
ogni altra spficie
. di teneri .og- getti. Divenuto tu
grande, potendo io
liberarmi dalle • cure , nutritandomi ad
•altri , e darmi nuovi figli
e nuove speranze sostenitrici
della vecchiezza; non
volli, hià restài ne'
tuoi lari 'domestici , contenta della
vita medésima, e
ristringendo a 'te sólo
ogni mia conso- lazione, ogni bene.
Di questi ine. ne
privasti- tu, parte di
voler tuo , parte senza
volerlo , rendendomi infe- licissima tra le
madri. ^ qual tempo,
da che toccasti l' età •virile , qual tempo
io pissr mai
sene’ agitazioni e terrori? e quando
ebbi, mai l' anintà
tranquilla so- ' pra di te , vedendo
che acciimolavi guerra
a guerra , che passavi
da battaglia a battaglia,
e ricevevi ferite su ferite
? . . Lll. E quando ti
desti alla repubblica
cd al ma- Digilized
by Google ’ - Lifino vm. 69
ncggìo de' pubblici
affari , gustai forse io
tua madre diletto alcuno
? Eh ! Che ne
divenni allora più
mi- sera , mirandoti in mezzo
alla civil sedizione.
Impe- rocché le uìe provvidenze
pér le quali
più sembravi valere , e per le
quali sostenendo i patrizj , spiravi indignazione contro
del popolo , queste mi
spaventa- vano tutta , considerando
, per quanto tenui
motivi tramutasi la sorte
degli uomini: e sapendo
dai tanti casi uditi
che qualche ira,
divina traversa i valentuo- mini , e la invidia
umana li perseguita.
E_ così non fossi
stata , come io '
m' era
troppo vera indovina degli eventi!
fa civile, invidia t' assalì,
ti sopraf/kee, ti sifclse
dalla patria,. Il
refto della vita
mia, se vita può
dirsi da che
partendoti ' mi lasciasti
co' figli tui , passò
tra questa desolazione.,
Va questo apparato
di lutto. Per tutto
questo io che
molèsta mai non
ti fui, nè ti
sarò finché vivo ,
ti prego
che vagli serenarti una
volta co' tuoi cittadini
f' c finir C Ira acerbissima che nudri
contro la paù'kt.
E con ciò di
cosa io ti prego
non buona per
me solq, ma
per ambedue. Per le
Se tea persuadi
, nè scorri ad
azioni non degne
; perchè avrai C anima
immacolata e libera da
ogn’ ira, da ogni^
terrore di furie
persecutrici , e p6r me poi ,
perchè la fama
che men yetrà
, mentre vivo, dai cittadini, e dalle
cittadine. Tenderà beati
i miei .gior- ni f e quella che
mi sarà dispensata
come io presa- gisco , dopo^ morte
, renderà sempiterno il
mio nome. E se 'dopo
morte riceve alcun
luogo le anime
sciolte da corpi; riOn
riceverà già la
mia quel sotterràneo rp tenebroso ove
dicono che i detnoni
soggiornano ; nq 1 Digitized by
Google 'JO DELLE antichità’
EOMANE il ampo che
chianìdn di Lete;
ma C etere sublime
e puro, ove dicono
che albergano con
prospera e beata sorte i JigUifoli
de’ numi. JB’ià
divulgando anima min la
pietà e le grazie
onde m’hai riverita,
ten chie- derà per sempre
dagt Iddii la
degna- ricompensa. LUI. Ma
se dispregi la
madre tua , se
inonorata la' rimandi n
per me fortunata nò
per le, la
quale hai salvato
la patria, e perduto insieme il
pietoso ed amantissimo
tuo figliuolo. Cosi detto , si ritirò
ne' siioi padiglioni
; comandando che lo seguitassero la
inoglie; la madre
-,, i fi^i : é vi
si. tenne tutto il
resto dei giorno , eonsultaudo , con esse
ciocché era da fare.
Enrono le risoluzioni
: che nè il
Senato proponetse al popolo
, nè il popolo
decretasse nulla del suo
ritorno , prima che
.si persuadesse aWolsci r amicizia e la
cessaziofs della guèrra.
Egli leverebbe e ritirerebbe /'
esercito , marciando cofne tu
terre di amici: Dato
conto del suo
capitanato, e dimostratina - i beni;
pregherebbe quelli. che glie
lo aveano càtfi» flato,
a’ volersi ricongiungere
per giuste condizioni
ai nemici ,. ed incarieore
lui pefchè vi
fosse ne patti
t o- fpùtà , senza niuna
fmdolenza. Che - se
protervi pei successi filici
non aecettósser la. pace;
egli si spoglie* rebì>e del
comando. In. tal
caso o non sosterrebbero essi di
^leggete un altro
per ^mancanza di
buoni capi* ioni ; o cimentandosi di
'affidare le forze
ad un altro qualunque, imparerebbero
a grande lor danno,
ciocchi era V utile a Jare.
Tali sono le
deliberazioni ira loro Digitized by
Google 72 DIELLE, antichità’
DOMANE tenute, e
riconosciute per eque e
giuste, e capaci presso tutti
di buona faina,
oggetto principalissimo delle
cure del valenluomo. Ben
erano essi agitati
da- un timido
sospetto che la turba
irragionevole speraozala di
debellar riiiinii* co, delusane,
alfìne infuriasse; e setiz’amihctter discorso trucidasse come
traditore' quel suo capitarlo;
tuttavia deli- berarono
d’inedutrere non pur
questo ma ogn^allro
più tetro pericolo, e serbare
vh-tuosameule la fede.
E poiché il giorno piegava
a sera; datesi vicendevoli
signiflcaziout di affetto ,
uscirono da' padiglioni , e quindi le
donne tornarono a Rema. Esitose
Marcio agli astanti
le cause che lo
inducevano a scioglier là
,guerra , e pregò lun- gamente t sòldan che'gb'el
condqnassero , e che tornati
in patria , ricordevoli
de’ suoi beneQzj ,.
non'' permettes- sero essi compagni
suoi , che subisse alcun
reo tratta- mento dagli altri.
Ej ragionate altre
cose , tutte persua- sive ,
t:omandò che iaces^erq
le b^gagHe , oude partire la
notte 'seguentPi LVi Coinè
seppero dalla fama
,' percorsa alle, donne, die Icvavasi
il pericolo loro , uscirono lietissimi
i Ro- mani dalia dtlà per
incohlcarle; dicendo e fàcendo
ora a cori, ora ad
uno ad uno, salutazioni e' cantici
e tri- pudj , quali gli latino
e li dicono quelli
che' da rischio terribile passano
» prosperità non pensata.
Si menò poi Ja
notte tutta' In
feste e conviti : nel
giórno appresso il Senato
adunato da consoli
su Marcio dichiarò
che si differisse in
tempo più acconcio
a risolver gli onori
da farseglt : ma. che
per lo zelo
ditnostrato sì desse
alle donne nc’ pubblici antichi
registri un elogio
che ne'por- tasse eterna
la memoria , tra’
posteri , ed un donativo
, Digitized by Google / LIBRO Vili,
, -)3 qual sarebbe il
pti\ car ed ' ' i Romani
-colende ; giorno appunto
che disciolse la 1 “ ^ , (i) Cotiolano
si approssioiò.due volte
a Roma j 'la prima
volU ai accampò preaso
le fosse delle
Cluvìlie.-io distaosa di
ciitipie mi- glia, e la seconda
io luogo anche
piò vicino a Roma,
iiitburgio scrive, che io
questo secondò luogo
appunlo fu eretto
il tempio delta Fortiuia Mulirhrc.
A questa sci\tei]sa sembra
corritpondero ricchezze ,
noh ricéVò con dispiacere la
iùtérro* zvon della guerra , e^
favorendo il valentuomo , escu- savàlo se
non la dltlmava,
mosso daUe prègbieve
e dalla compassion della madre.
Ma la gioveUtù
rimaka nelle città,, tocca
da invidia per.
le grandi prede
fatte dalFe» scrci'to, e’
delusa delle speranze
che aveva, se
prendei»^ dosi Roma ne
era Oaccàto l’orgoglio;
ne fremette , e fi esulcerò
contrd'del capitano. £ finalmente
assunti, per ca|)i della
scellcrsgginc uomini- .potentissimi
tra quelle Digilized by
Google DELLE A^ITICHITA’ BOMANE genti , imbarbarì , e commise
nn indégnissimo fatto.
Isti- gavala aoprattattO Azzio
Tulio circondato da
non pochi di ogni
città. Costui non
polendo più la
invidia sua contro ‘Marcio*; aveva
già da uii
tempo risolato di uc-
ciderlo occultamente e frt^dolentemeote
, se quel duce xiuscendo ne’
disegni e 6accando Roma tort^Va
- dal sottometterla ai Volsci
, o di darlo manifestamente ai suoi
partigiani ^d ucciderlo
come traditore, se
falliva nella impresa , è
tornavane senza l’ intento.
Ora ciò fece appunto.
Imperocché ' convocando gente non
poca; le accusò quel
.valentuomo argomentando dal
vero il falso, e conghietturando dalle
cose già' state, quelle -che
non sarebbero mai t poi
comandò che deponesse
il comando, e desse conto
del suo capitanato.
Once costui delle truppe
rimaste nelle città , come
ho detto di
sopra, ‘era l’arbitro di
raccogliere le adunanze,
e di chiaipare chi voleva
in giudizio. ' ' ■ [ . ' . ■ • ‘ ' LYilI. Marcio
giudicava non* dover
contrapporsi a ninna delle
dué intimazio.ni ; solamente
discordava nel metodo di
soddisfarvi ; 'credendo che égli
dovesse prima dar conto
de’ fatti della
' guerra , e pqi deporre , se
così paresse a tutti
i 'Volséi , il comando. Affermava che
non dovesse di
tanto esser arbitra
una sola città corrotta in
gran, parte 'da Tulio;
ma tutta la
nazione, raccolta in comizj
legittimi , ove fossero spediti
deputati da 'ogni . città,
come portava il
'costucrie, quando aveansi a discutere i grandi
jeffari. Opponevasi a ciò
Tulio,' ben vedendo cbe se
Marcio , ahroòde parlatore ,
facciasi tra la pompa
di capitano a dar
conto delle 'tante e belle sue
gesta trionferebbe^ della moltitudine
; c non' cbe su- Digitized by
Google • LIBRO VITI. ■ 77 hire
le pene • de’ traditori , ne diverrebbe
più onorato e )>iù
grande. Impe^occbé ’ sarebbero
per concedergli tutti che
solo finisse a piacer
suo la guerra
, ed arbitro re» stereljbe
di ogni cosa.
Adunque per molto
tetnpo se no suscitarono ogni
giorno dicerie vicendevoli , e reclami in Senato,
éd altercazioni vive
nel Foro ; uou
essendo lecito a niun di
essi 'far violenza all’ altro
, garautito dalla dignità pari
della magistratura,. Or
poiché non dovasi fine,
alla disputa ; Tulio
comandò a Marcio di venire
in dato giorno
a deporre il suo
gradò, e sotto- mettersi ai proressi
di tradimento, E sollevati
eon lu- singhe' di benefizi
> uomini audacissimi , e
messili per capi della
scellcraggiuc indegna; si
portò nel Foro
de- stinato. 'Asceso ' nel tribunale
accusò Marcio con
tòòlte incolpazioni ; ed istigò
la moltitudine a'
degradarlo a fo4'za , se spontaneo
non lasciava il
comando. ' LIX, Accese Marcio
anch’ esso per;,
far le difese
; ma ì grandi clamori de’ seguaci
di Tulio gli
tolsero di par- lare. Dopo ciò
gridandosi: {ira , ferisci ,
lo efreonJa- ' rouo , e con .nembo
di sassi lo,
uccisero uomini inso-, lentissimi. Ed
essendo lui strascinato
Foro , quelli che erano
presenti allo spettacolo,
e quelli che Vi so-
pravvennero dopo eh’ egli
erst spirato , deplorarono
il valeniaoiiio ; perchè' non
degna avea da
loro la ricatu- pensa. E Hdiceano
quanto bene avea
fatto al comune, e r arresto' .voleanO degli
uccisoci, perchè dato.aveano esempio di
opèra. ingiusta, e lesiva
delle '.città, spe- gnendo senz’iimmelterne le
difese violentemente un di
loro , c questo , , comaudante. Ne fremeauo
soprattutto i compagni di lui
uclle spedizioni. Epoiché
non erano Digitized by
Google ^8 DELLE Antichità’
romane stati da tanto
d’ impedirne i mali- mentre
viveva ; delU berarono riconoscerlo
de’benefizj, almeno dopo
la mor- te; recando al
Foro quanto alla
deliha onorificenza ri- cluedesT
de’'valentoomini. Quando lutto
fu pronto > col- locarono lui con
veste di capitano, su
letto vaghissima- mente
ornato : poi facendo
precedere quelli che
reca- vano le prede, le
spoglie, le cotone,
le immagini delle citli
prese da lui ;
ne sollevarono il
feretro i giovani più segnalati
fra le armi.
Lo portarono al
sobborgo più ragguardevole , accompagnandone il
cadavere i 'cittadini tutti con
gemiti e la^inDe. uomo
il. più grande di
tutti 'al suo
tgmpo' nelle armi.
Continente da lutti
i pacetri che traspòrUmo
i giovani , seguiva 'la giustizia ifon involontario
per le leggi
che forzano col
timore de’ supplizi', ma spontaneo,
come per inclinazione
d’in- dole bennata. Non tenea
per virtù non
offendere ; e bramava non
solo di esser
puro egli stestd
da ogni malfare, ma
credea giusto di
astringervi -anche gli '^allri.
Magnanimo' , liberale , intentissimo a
soccorrere quando cpnoscevalo , il bisogno
degli amici , npn era
inferiore a ninno de’ patrizj
nel roaneggio.del- pnbblico.
C se fa sedizione della
città non lo
avesse impedito da'
pubblici Digitized by LIBRO Vili.•(Tari , forse' Roma
preso avrebbe da'
regolamenti suoi grande aògumeolo
d’iiQpero. Ma'già. non
può farsi cbe tuKe
le virtù si
uniscanó nella natura
di un nomò ;
nè da seme mortala
e caduco sorgerà mai
niutlo per ogni parte
peidetto. LXI. Il ‘destino
che ' propizio area
sparso in esso i
germi di
tali virtù«^ vé
ne mise alfiri
ancora di sciagure e dì
mali. Non era
dolcezza nè illarità
ne’ suoi modi, non degnevolezza
ne* salmi e ne’
colloqui , .. non' facilità di
placarsi , non moderazione nell’
ira se contro
alcnno la concepisse ,
grazia in6ne, quella
«die adorna tmte le
nmane cose. ¥élnto
lo avresti sempre
difficile, e sempre acerbo,
f^ocquero a lui mólto
tali maniere, e soprattutto
la severità sua
^moderata,' incredibile, e senza
scintilla mai di
chnuenza ne|)ar custodia
dei giusto e delle leggi. Ma
ben sembra vero
il detto^d^ filosofi
antichi , che le virtù
specialmente quelle delia
giustizia , . sono moderàzioni , e non
estremità de costumi
: perocché sia che la
ginstizia manchi dal
mezzo , sia 'che
lo ec- ceda ; non più
giova i mortali , cagionando talvolta
gran danni , e ridùcendo a
stragi > miserande , ed immedica- bili inali. Nè
fu cbe la
troppo sollecita e troppo
austera esigenza del giusto
la quale ridusse
Marcio fuori della patria,
e senza il frutto
delle altre belle
sue doti. Po- tendo- piegarsi per
atòunà maniera al
popolo, e lasciare qualche cosa
af loro desiderj
e divenire il primo
fra loro ; non volle
: ma contrariandoli in
qualunque cosà ' la
quale ad essi
non si dovea,
se ne concilò
l’ odio , c fu cacciato dalla -patria. Potendo,
appena ^ sciolse la guerra, lasciare
il comando deifarmata,
e trasferire al- & 8o ì)Et,LE
antichità’ ROMANE trove la
sua dirnora , Gncbè
gli fossi! conceduto
il ri« torno alU
patria, anzi 'che esporre
^ stesso à nemici, ed alle
stoltezze della moltitudine
; ne vide la
necessità di ‘farlo , e non volle.
Ma giudicando 'dovere affidare sè
stesso a chi gli
aveva affidata T armata , .c
conto del suo capitanalo,
e se irovavasi. reo di co.sa
alcuna subirne le pene
secondo le leggi;
raccolse amaro U frano
di tanta giustizia.
• i LXII. Pertanto sé
col disciogìiersi de’
corpi aiicUo l’anima, qualunque' cosa ella
sia, si discioglic,
né punto ne so^ravvanza;
io non vedo
come.- chiamare beati quelli elle
non goderono della
loro virtù niun
frutto, anzi pci*^ essa perirono.
M.i se le
anime nostre ’Soprav-* vivono Immortali
affatto come pensano
alcuni ;'0 qùal- ebe
tempo almeno dopo
la .-partenza' loro
dal corpo, il più
lungo quelle do’,
buon; , ed .il
più breye quelle
dei malvagi (it; certo
parrà beq grande
ai. virtuosi l’ onore che
li seguita, loipérocclié
sebbene la fortuo»' stasi loro contrapposta; avranno
buona fama e langbissima
la ri« cordanza tra’ vi vanti, come
appunto ' accadde a questo uomo. Perocché
non solaincute ’mofto
io piansero e Io onorarono, i Yolsci
come virtuosissimo; ma
li Romaui , conosciutone appena
il caso , riputandolo sciagura
altis- sima di Roma , ne fecero
pnvalo e pultbJ/co lutto.
Le donne come usano
in morie dei
domestici loro amaiis- s.ifni , lasciarono da
un canto l’ oro , la
porpora , ei • V . (i) [1
Vossio nel lil>*
i ^ de IJoloturia dctltice
d» f|iicslo passo ch^
Diouigi crcdctle che
le auhne esùtono
J«pu !a tnofie
del colpo ma solo
-per un tempo
limitalo ; e per ciò
lo ridice nella
classe dt (|iicl!i che
pensavano quaulu alla
durazioue delle anime
come gU Stoici» \ Digitized by
Coogle LIBRO Vili. 8 I atterono
fra loro senza
re- gola, senza comando, misti
e confusi: tanto che
grande ne fu la
strage in ambe
le parti ; e forse
totale ne sa- rebbe stata la
rovina , se il sole
non tramontava. Ma cedendo
, loro malgrado , alla notte , che
inipedivali di contendere , separaronsi , ed alloggiaronsi
ciascuno nel (i) Aa. di Ruma
aGG secondu Catoue,
aGS secoudu V'arrooe , e 48G 8T.
Cristo.DJONICI . tomo Iti. fi Digilized
by Google 8a DELLE
antichità’ ROMANE proprio campo.
La maltina i duci
lerando le truppe
si ricondussero alle loro
case. Udirono i consoli
dai diser.- tori e da
altri divenuti prigionieri
col fuggire dalla
bat- taglia , qual furia e quale
flagello divino fosse
nell’eser- cito; non però colsero
la occasione tanto
a proposito per essi non
lontani più di
trenta stadi, nè
gl’ incalza- rono nella ritirata
: nel qual tempo
se essi freschi , in buon ordine , avessero perseguitato
gli emoli stanchi , feriti, confusi,
e già pochi di
molti, di leggieri
gli avrebbero totalmente distmtu.
Sciogliendo aneli’ essi
il campo, tornarono in
patria sia che
fossero paghi del bene
dato loro dalla
fortuna , sia che non
fidassero su r annata loro
non disciplinata , sia che assai
valutassero il perdere anche
pochi soldati. Ma
giunti in città
vi furono vituperati ,
riportandovi fama di
pusillanimi per tale condotta.
Mè facendo altra
spedizione , rassegnarono il
poter loro a’
consoli susseguenti. LXIV. Presero
l’ anno appresso il
consolato Cajo i^quilio e Tito
Siccio , uomini periti
di guerra (i). E
facendo questi proposizioni
di guerra; il
Senato decretò che si
spedisse un’ ambasceria
per chiedere soddisfazione secondo le leggi dagli
Ernici, popolo amico
e confede- rato, il quale aveva
offesa Roma nel
tempo della guerra de’
Volsci e degli Equi
con prede e scorrerie
su le terre contigue
: e decretò che intanto
che ne avessero la
risposta i consoli iscrivessero
milizie quante ne
pote- vano , convocassero
con messaggi gli
alleati , ed appa- recchiassero sollecitamente col
mezzo di molti
ministri (■) Ao. di
Roma a07 secondo
Catone, 369 secondo
Varrooe, e 485 av. Cristo. Digitized by
Google LiDno vili. 83 armi
, grano , (lanari , e quanto è
necessario ()cr la guerra.
Tornali , cspcKero gli ambasciadori
le risposte degli Ernia,
i quali diceano non
esservi pubbliche con- venzioni tra loro e
tra’ Romani , e che
pensavano già sciolte quelle
che vi furono
tra loro e tra
Tarquinio , come detronizzato
, e morto in terra
straniera : che le prede
e le incursioni non
furono ingiustizie del
pub- blico, ma di privati
intesi al guadagno:
e che non do- veano
però nemmeno gii
autori di quelle
consegnarsi al supplizio: e lamentandosi che
avessero anche gli
Eroici patito altrettanto ; signiQcavano che
volentieri accette- rebbero
la guerra. Il
Senato , ciò udendo ,
decretò che si dividessero
in tre parti
le nuove reclute
descritte: che il console
Cajo Aquilio marciasse
coll’ una sugli
Eruict già in arme
aneli’ essi: che Tito
Siccio, l’altro console, ne
andasse coll’ altra su i
Volsci : che Spurio
Largio , nominato da’
consoli comandante della
città , prend cero ciò
primi li Volsci
; e ben tosto la
ottennero ; dando l' argento
multato dal console , e somministrando quani’ altro
bisognava all’ esercito
; dopo avere promesso che
sarebbero ì sudditi de’
Romani, né più
da tali ao> cordi
si leverebbono. In
ultimo gli Eroici
vedutisi rima- sti soli ,
trattarono coi console
di amicizia e di
pace. Ma Cassio assai
richiamandosi di essi
con gli ambascia- dori , disse
, che prima doyeano
far quanto conviene ai
vinti ed ai
sudditi, e poi discorrer
di pace; e soggiungendo gli
ambasciadori che lo
farehhono se moderata e possibile
ne fosse la
esecuzione , co- mandò loro
che gli portassero
in grasce i viveri
di un mese, ed
in argento la
somma onde stipeudiarue
t sol- dati secondo il solito
per sei mesi:
e definendo un nu- mero di
giorni entro cui
potessero tutto apprestatali
; concedette intanto ad
essi una tregua.
Presentarono gli Ernici ogni
cosa con prestezza
ed impegno, e spedirono di bel
nuovo i parlamentar] di
pace. Li lodò
Cassio c li rimise
al Senato. Ne
deliberarono i padri a lungo;
e piacque loro che
si ammettessero questi
all’ amicizia, c Cassio il
console esaminasse , e decidesse
le condizioni de’ trattati
da conchiudersi. Approverebbero i padri
cioo- ch’ egli ne
stabiliva. LXIX. Prescritto ciò
dal Senato; Cassio
tornando in città chiedeva
un secondo trionfo
per aver sottomesso i popoli più
riguardevoli : ant>gavasi però
quest’ onore per le
aderenze , piuttosto che di
giustizia lo ricevesse. Digilized by
Googl LIBRO Vili. 91 tinperocchc non
avendo nè prese
città per assalto,
nè disfatti eserciti in
campo aperto ; non
potca menar seco in
spettacolo i prigionieri e le
spoglie che sono
gli or- namenti dei trionfi.
Ma lo amare
il piacer suo ;
non le risoluzioni simili
a quelle degli altri , gli
concitò subi- tissima
invidia. Impetrato il
trionfo pubblicò la
concor- dia , com’ aveala firmala
con gli Eroici.
Erano le con- dizioni trascritte da
quella conchiusa già
co’ Latini. Dicchè mollo
si dolsero i più
provetti ed autorevoli , e tennero lui
per sospetto , sdegnati che
gli Eroici , estra- neo popolo ,
fossero pareggiati di onore ai
Latini loro congiunti ; e quelli
che dato non
aveano neppur minimo segno
di benevolenza partecipassero le
cortesi retribu- zioni di chi
tanti dati ne
avea. Soffrivano ancora
di mal' animo la
superbia di quest’
uomo , perché onorato dal Senato
non aveali a vicenda
onorati , fissando e
pultblicando i patti come
glie ne parve
; non di concerto comune coi
padri. Così la
troppa felicità nuoce , non giova ; divenendo
insensiòilmente per molli
cagione di orgoglio incredibile,
e stimolo di desiderj
superiori alla natura; come
avvenne a costui. Condecorato
al- lora dalla città egli
solo fra tutti
con tre consolati
e due trionfi ampliava l’ onorificenza sua , ambizioso del
regio potere. Considerando però
che la via
più sicura per
chi ambisce il regno
e la tirannide è quella
di guadagnare il popolo
co’benefizj, e di costumarlo
ad essere alinien» tato
da chi dispensa
le pubbliche cose ;
a questa si ri- volse , e senza manifestarsene ad
alcuno. E perocché ci aveva
un terreno amplissimo
del comune ma
trascurato e goduto da^ ricchi
; deliberò di compartire
questo tra’l Digitized by
Google 92 DELLE Antichità’
romane popolo. E se contentato
si fosse di
procedere fin qui ;
forse riuscito sarebbe
ue’ disegni. Ma trasportatosi
a trop- po ; cagionò
sedizione nou picciola , e fine sciaurato
a sestesso. Imperocché presunse
congiungere alla divisioa del
terreno non pure i
Latini ; ma gli
Ernici , ricevuti ultimamente per cittadini. LXX. Tali
cose ideando a conciliarsi
quelle nazioni, convocò nel
glotoo dopo il
trionfo il popolo
a parla- mento. Quindi
asceso in tribuna
com’ è 1’ uso
de’ trion- fatori , prima dié
conto delle opere
sue, delle quali
era la sostanza : che
fatto console Ut
prima %>oUa vinse
i Sabini, e li rendè
sudditi a Roma alla
quale dispu- tavano il comando
: che fatto console
per la seconda, racchetò la
civil sedizione , e restituì la
plebe alla pa- tria : e ridusse amici
e (compartecipi della cittadinanza di Roma,
i Latini che erano
consanguinei, ed emoli eterni
delt impero e della
gloria di lei;
tantoché non più la
contrariarono , ma
riguardarono Roma come patria
loro. Chiamato la
terza volta al
consolato ne- cessitò li V ilsci
ad essere amici , di
nemici che erano, colle
armi, e sottomise spontanei
gli Ernici, popolo vicino, grande,
potente, ed attissimo
a nuocer molto, o giovare. Eisponendo
queste e simili cose
chiedeva al popolo che attendesse
a lui , provido soprattutti ora e
per sempre della
repubblica , e chiudendo il discorso disse che
farebbe e tra non
molto tali e tante
benefi- cenze che
supererebbe quanti erano
encomiati di aver amato
e salvato il popolo.
Oisciolta 1' adunanza
invitò nel giorno appresso
a raccogliersi il Senato
sospeso e timoroso pe’ delti
antecedenti di lui.
Prima di ogni
altra Digilized by Google LIBRO
Vili. 93 cosa propose un
tal suo sentimento
tenuto occulto alla plebe
, e chiese ai padri
che giacché questa
era stata si utile
per la libertà
dando mano a farli
dominare su gli altri , prendessero cura
di lei e le
dispensassero il ter- reno , pubblico in
sestesso per essere
acquistalo colle armi , ma goduto
in fatti senza
niun dritto da
patrizj impudentissimi : e poi chiese
che si rendesse
dal pubiuale fu
sopraimominaiu Poplicola.
Digilized by Google 102
DELLE antichità’ ROMANE potenti per
aderenze e ricchezze , e tutto
che giovani , non
inferiori a niun pari
loro nei trattare
le pubbliche cose esercitavano
la questura. Ed
arbitri per questo -di intimar le
adunanze accusarono al
popolo con incolpa» zioni di
tirannide Spurio Cassio
il console dell’
anno precedente, che osò
d’introdurre le leggi
su la partizione delle campagne
; e • preGggendogli il giorno,
lo citarono a giustiCcarsene presso
del popolo. Adunatasi
nei giorno prescritto gran
gente essi invitandola
ad ascoltare di- mostrarono che le
opere manifeste di
quest’ uomo non comprendeano nulla
di buono : primieramente perchè mentre
i Latini appagavansi di
essere ammessi alla
cit- tadinanza , e riputavano
sommo il favore
se la ottene- vano; egli console
non solamente concedè
la cittadinanza che dimandavano,
ma decretò che si desse
loco il terzo delie
spoglie della guerra,
se in comune
la sostenessero:
secondariamente perché rendette
amici in luogo
di sud- diti , concittadini in
luogo di tributar)
gli Eroici che , vinti , doveano ben
esser contenti se
non erano dan- neggiati
collo smembramento delle
lor terre; anzi
ordinò che si desse
loro pur la
terza parte delle
prede e 'Tlelle campagne che
fossero mai per
conquisure. Tanto che divisa
la preda in
tre parti doveano
i sudditi e foresuerì
pigliarne due parli
, ed i paesani e padroni
una sola. Dimostravano che da questi
due assurdi ne
segnirebbe r uno o altro ,
se volessero pe’
molti e segnalati servigi condecorare un
altro popolo come i
Latini, o come gli Eroici
che ninno prestato
ne aveano, vuol
dire: o che non avrebbero
che dar loro
(i) , o se volessero
pareg- (i) Il lesto
di Rciske si
togUmero e confiscassero i
beni del
padre che ne
avea svelato le brighe
per la tirannide
; e per questo io
decidomi piut- tosto per la
prima narrazione. Le
ho nondimeno riferite ambedue, perchè
coloro che leggono
aderiscano a quale più vogliono. LXXX. Insistendo
poscia alcuni perché
si uccides- sero i figli ancora
di Cassio; parve
al Senato aspra
la inchiesta nè utile.
E congregatosi decretò che
si rila- sciassero , c
vivessero sicurissimi da
esilj , da infamie
, da ogni sciagura.
Da quel fatto
si stabili tra’
Romani r uso , custoditovi fino
a’ miei giorni , che
vadano im- muni da ogni
pena i figli di
padri delinquenti , sian
essi figli di
tiranni , di parricidi o di
traditori , che tra loro è il
massimo dei delitti.
E quelli che vicini
al no- stro tempo , circa il
fine della guerra
Marsia , e della guerra civile
dandosi ad abolire
quest’ uso , impedirono
finché dominarono che i
figli dei proscritti
da Siila giungessero agli
onori paterni e prendessero
posto in Senato , sembrarono
far opera degna
della esecrazione degli uomini , e della vendetta
de’ numi. Perocché
col Digitized by Google LIBRO
vin. 107 volger degli
anni raggiunse loro
la giustizia , vendica- trice
non riprovata , per la
quale furono dal
colmo della gloria precipitati
ai fondo delia
miseria; non lasciandosi del lignaggio
loro se non
la prole nata
di femmine. E colui
(i) che li
distrusse riordinò quei
costume com’era ne’
prìncipi. Pfeaso di
alquanti greci però
non è così mite il
costume; perchè alcuni
credono giusto che i
gli de’
tiranni co’ tiranni
finiscano; ed altri
con perpetuo esilio li
punistxtno; quasi non
consenta la natura
che sorgano figli buoni
da’ padri rei ;
nè figli
rei da buoni padri.
Ma su ciò
lascio che altri
discuta, se migliore
è l’uso; de’ Greci
o migliore quel de’
Romani : ed io
pro- sieguo la storia.
LXXXI. Dopo la
morte di Cassio
i fautori del co- mando de’ pochi divennero
più baldanzosi, e spregiatori del popolo.
Laonde gl’ ignobili
per nome e sostanze
se ne abbatterono ; accusando molto
sestessi di stoltezza
, perchè aveano colla
condanna' di lui
distmito il custode fidissimo della
fazion popolare. Era
questa la causa
per la quale i consoli
non eseguivano il
decreto de’ senatori pel quale
doveano eleggere i dieci
che determinassero la terra
pubblica , e riferire in
Senato quanta parte
ne fosse da dividere , ed
a quali persone. Adunque
si te- nean de’
crocchi mormorandovisi in
ciascuno so l’ in- ganno , ed incolpandovisi più che tutti
i tribuni pre- cedenti come traditori
del comune ; slmilmente
faceansi dai tribuni d’
allora continue le
adunanze e le richieste della promessa.
Or ciò vedendo
i consoli deliberarono
rimovere col pretesto
di guerra la
parte sediziosa della (1)
Aagatto. D^itized by Googie Io8
DELLE .antichità’ ROMANE città
; percccbé di qae*
tempi il territorio
era iofesiato da’ ladronecci , e dalle scorrerie
de* popoli circonvicini. Adunque per
far la vendetta
degli aggressori aveano inalberato i segnali
di guerra , ed iscriveano
le milizie della città.
Ma , non dando i poveri
il nome loro,
non • potevano astringervi
a nonna delle leggi
gl* indocili , {jerocchè
li tribuni proteggevano
la moltitudine , e lo
avrebbero impedito, se
altri tentava portar
la violenza su le
persone , o le robe
di chi ricusava.
Adunque lanciarono i consoli molte
minacce , che non permette» rebbero che
alcuno rivoltasse la
moltitudine ; e sveglia- rono
ne’ cuori un
secreto sospetto che
nominerebbero un dittatore il
quale sospendesse tutti
gli altri magistrati, ed avesse
egli solo un
potere supremo ed
irrefragabile. In tale apprensione
i plebei temendo che
il dittatore fosse Appio , uomo
duro e dlflìcile ,
piegaronsi a sof- frire ogni cosa , piuttosto che
questa. LXXXII. Descrittone il
molo , i consoli presero le milizie , e marciarono su l’
inimico. Gettatosi Cornelio nel
territorio de’Vejenti ne
portò via la
preda sorpre- savi. Allora i Yejenti
spedirono ambasciadori , ed egli rilasciò
loro i prigionieri per
date somme, e concedè la
tregua di un
anno. Fabio coU’altr
armata piombò su la
terra degli Equi ,
e quindi su quella
de’ Volsci. Pa- zientarouo i Yolsci
alcun tempo, ma
non molto, che fossero
i campi loro predati
e devastati: poi spregiando i Romani come venuti
con armata non
grande impu- gnarono in buon
numero le armi , ed
uscirono su le terre
degli Anziati per
Incontrarli : se non
che ne an- darono anzi precipitosi
che savj : perocché
se giunge- Digitized by
Google LIBRO Vili. 109 vano
inaspettati, e
K>rprendeano i Romani mentre
erano qua e là dispersi;
ne avrebbero assai
variato le vicende; ma
il console istruito
del giunger loro
dagli esploratori, richiamò bentosto
i suoi , sbandati com’ erano , da’
fo- raggi , e dié loro la
ordinanza conveniente alla
guerra. Come i Volaci che
.-venivano confidando e spregiando, videro fuori
dell’ imaginazione tutte
le forze nemiche ordinate e raccolte , sbalordirono alio
spettacolo inopi- nato : nè più
curando la salvezza
comune , provvide ognuno alla sua, e
dando volta, con
quanto aveàno di velocità,
fuggirono tutti chi
per una e chi
per altra via; salvandosene la
maggior parte nella
città (i). Solamente nu
picciolo corpo il
quale era più
che gli altri
ordinato ritirandosi alla cima
di un monte
, quivi pose le
armi e vi pernottò. Ma
ne’ giorni seguenti
essendo dal con- sole circondala 1’
altura e chiusene tutte
le uscite , ne- cessitato
dalla fame si
sottomise , e cedette le
arme. 11 I console fe’
vendere pe’ questori
quanto vi era ,
prede , spoglie, prigionieri,
onde riportarne danaro
alla patria. Non molto
dopo levò 1’
esercito dalle terre
nemiche e a suoi lo
ricondusse , ornai standosi
1’ anno per
termi- nare. Giunto il tempo da
creare i magistrati , i patrizj
che vedevano il
popolo irritato e pentito
della condanna di Cassio
, deliberarono di sopravvegliare perchè
non facesse movimenti elevato
di nuovo a speranze
di do- nativi e di divisioni
di terre da
taluno che prendesse gli
onori consolari pieno
della facondia per
aringarlo e travolgerlo.
Parve loro che
se il popolo
desiderasse ponto di ciò,
potesse impedirsegli con
eleggere un con- (1)
Adiìo. Digilized by Google 110
DELLE antichità’ ROMANE sole
ad esso non
£tvorevole. Ck>nchiuso ciò
confortano perchè aspirino al
consolato Fabio Cesone
1’ uno degli accusatori di
Cassio» fratello di
Quinto, console attuale^ e Lucio Emilio
» altro patrizio propensi^mo
agli Otti» mali. Non
potendo il popolo
impedir questi due
che aspirassero al consolato , usci dal
campo e si levò
dai comizj. Perciocché ne’comizj
centuriati tutto il
poter de’snfiragj
assorbivasi da’ cittadini più
illustri e primi di ordine
; e di raro cosa
alcuna si decideva
col voto an- cora delle centurie
intermedie di ordine:
la classe estre- ma poi
nrila quale votava
la parte più
misera e più numerosa non
avea , come innanzi fii
detto, se non un
voto solo , il
quale era 1’
ultimo. LXXXIII. Adunque negli
anni dugento settanta
dalla fondazione di Roma
(i) essendo Nicodemo
1’ arconte di Atene
divennero consoli Lucio
Emilio figliuolo di Ma-
merco, e Fabio Cesone
figliuolo 'di Cesone. Ora
suc- cedette loro secondo il
desiderio di non
essere pertui> bati da
sedizioni civili; per
essere la repubblica
investita di fuori. E le
cessazioni delle guerre
esterne sogliono rieccitare le
nazionali , e dimestiche
tra’ Greci , tra’ bar* bari,
e dovunque, principalmente tra’ popoli
che vivono Ira le
armi e i travagli per
amore della bbertà
e del comando ; perchè gli
animi avvezzi a bramare
ognora più , ridotti senza gli
esercizj consueti difficilmente
si contengono. Su tal
vista comandanti savissimi
fomentano sempre alcuna discordia
cogli esteri; giudicando
migliori le guerre nelle
regioni altrui che
nella propria. Allora (i)
Anni di Roma
^70 secondo Giatonc,
373 secondo Varrone, e Cristo. Digitized by
Google LIBRO Vili. I 1 I fecondo
il genio appunto
de’ consoli , occorsero come bo
detto, le insurrezioni
de’ sudditi. Imperocché li
Volsci sia che hdassero
ne’juoti interni di
Roma, contendendo il popolo
co’ magistrati ; sia
che fremessero per la infa- mia della precedente
disfatta, ricevuta senza
combattere; sia che insuperbissero per le forze
loro che eran
gran- dissime;* sia che seguissero
tutte insieme queste
cagioni; aveano deliberato ikr
guerra ai Romani.
E raccogliendo i giovani da tutte
le dtté marciarono
con parte dell’e- sercito contro le
città de’ Latini
e degli Ernici , e col- l’
altra che era
la più numerosa
e più forte teneansi pronti a ribattere
chiunque si avanzasse
contro le loro. 1 Romani ciò
saputo deliberarono dividere
1’ armata in due
corpi, e guardare con
uno le terre
degli Ernici e de’
Latini , e correre coll’
altro a depredare quelle
dei iVolsd. LXXXIV. Avendo i consoli , com’ è loro
costume , tirato a sorte
le milizie ; Fabio
Cesone assunse il co-
mando di quelle che
andavano a soccorrere gli
alleati , e Lucio marciò
colle altre contro
la città degli
Anxiati. Avvicinatosene ai confini , e vedutevi le
armi nemiche, si accampò
su di un
colle a fronte di
^e. Ma uscendo i nemici ne’
giorni consecutivi più
volte in campo
, e sfidando alia battaglia;
egli credette avere
il buon pun- to, e cavò le
sue schiere. Ed
ammonitele , e riammo- nitele prima
del cimento ; alfine
diedene il^egno e le avventò.
Bentosto i soldati alzato
il grido consueto
della battaglia pugnarono folli
, a schiere e coorti. Esaurite poi
le lance , i dac;di
cd ogni arme
da tiro si
scaglia- rono, rotando le spade,
gli uni su
gli altri con
ardire Digilized by Goc^le II2
DELLE Antichità’ romane e desiderio eguale
di misurarsi. Era
iu ambedue simi« lissima
la maniera di
combattere : nè maggiore
tra* Ro* mani la
saviezza e la sperieuza
che gli aveva
rendati già più volte
vincitori , nè maggiore la
costanza e la sofferenza per 1* esercizio
di tante battaglie
; ma le doti stessissime brillavano
pur tra’ nemici
6n dall’ ora , che fu
duce loro Marcio,
famosissimo duce romano.
Adun- (jne gii uni
resistevano agli altri
senza cedere il
posto preso in principio.
Ma dopo alquanto
i Volaci a poco a poco si
ritirano , schierati , e con
ordine , tenendo fronte ai Romani.
Tendea quel movimento
a dividere le milizie di
questi e combatterle da
lut^o elevato. LXXXV. In
opposito i Romani credendo
che questi principiasser la
fuga tennero anch’
essi a passo a passo in
buon ordine dietro
loro che si
ritiravano. Ma poiché videro
che a rilancio conevano
agli alloggiamenti an- ch’ essi
rapidissimi , in disordine li
seguitarono. Intanto le centurie
estreme e la retroguardia
, quasi già vinci- trici , spogliavano i morti , e davansi a predare
la re- gione. Vedendo ciò
li Voisci che
facean credere di fuggire , giunti appena
alle Urincee , voltata faccia
, si contrapposero : e
quelli che erano
negli alloggiamenti ,
spalancate le porle
, accorsero numerosi da
più parti. Or qui
cambiarono le vicende
della battaglia : chi
per- seguitava fugge , e chi
fuggiva perseguita. Perirono , com’ è naturale , molti bravi
Romani incalzati giù
pel declivio , e circondati ; essi
pochi , dai molti. Non
dis- simile sorte
incontrarono quanti eransi
dati a spogliare e predare , impediti
di retrocedere schierati
e con oi^ dine ; imperocché
sopraHatti ancor essi
da' nemici resta- Digitized by
Google LIBRO Vili. Il3 vano
iracidali o prìgiooierì. Quanti
però di questi
o di quelli respinti giù
pel monte fuggivano
in salvo ; soc- corsi , benché tardi,
dalia cavalleria, tornavano
al6ne a’ proprj alloggiamenti
: e parve che a non
essere intc-ramenie distratti
giovasse loro un’acqua
dirottissima dal cielo , ed un
bujo qual formasi
per nebbia profondissi- ma ; perocché non
potendo i nemici vedere
più di lon« tano
, infkslidirottsi a
seguitarli più oltre.
La noue ap- presso il
console movendo l’ armata
la ritirò cheta , in buon ordine
, sicché 1’ inimico
noi comprendesse. Al tornar
della sera mise
il campo presso
la ciué di
Lon- gòla t scegliendo un’altura
idonea, onde. respingerne gli assalitori. E qui
fermatosi curava gli
egri .dalle ferite, e rianimava gli
aiHitti dalla vergogna
delia disfatta im- pensata. tLXXXVi. Tale
er^ lo stato
de’ Romani. Li
Volacipoi come al
nascere dei giorno
conobbero che quelli eransi
di loggiati; portarono
più da vicino
il campo loro. Quindi
spogliato avendo i cadaveri
de’ nemici , raccolto i
semivivi che davano
speransa di guarigione , e seppel- lito gli estinti
loro compagni , rientrarono
la città di Anzio
che prossima rimaneva.
Qui cantando inni e
por- gendo in ogni tempio
sagrifìzi per la
vittoria , si diedero ne’
giorni seguenti ai
conviti e piaceri. E se
teneansi a quella vittoria,
né intraprendevano altra
cosa; la guerra avrebbe avuto
per essi nn
esito fortunato. Imperocché li
Romani non aveano
cuore di uscire
dagli alloggiamenti per combattere
; anzi desideravano di
lasciare le terre nemiche , anteponendo nna
fuga ingloriosa ad
una morte DIOIfJGI , tomo ut. .
. . 8 • Digitized by Google 1 1 4 DELLE Antichità’
romane manifesu. Infiammati però
da speranae maggiori , per- deroDO la
gloria ancora della
prima vittoria. Udendo
da- gli eipioratori e dai disertori
che i Rbmani andati
salvi eran pochi , e per lo
più feriti ; ne
concepirono disprezzo grandissimo
, ed impugnate le
armi marciaron sa
loroi Li seguitarono senza
1’ armi moiri
della città per
vedor la batuglia , e per fare
insieme prede e guadagni.
Ma quando giunti all*
altura circondarono gli
alloggiamenti , e presero a
svellerne gli steccati
; proruppero prima su di
essi i oivalieri Romani , postiti a piede
per la con- dizione del luogo,
e poi li triarj , schieratisi strettissimi. Sono questi
i veterani a’ quali
si dà la
guardia degli al- loggiamenti , se le
milizie escono per
combattere , ed a’ quali
per mancanza di
altri ripari si
ha restrerao in- dispensahil ricorso
quando avviene strage
funesta de’ gio- vani. Ne
sostennero i iVolsci la
irruzione e pugnarono gran tempo
pieni di valore.
Ma non favoriti
poi dalla natura del
aito se ne
rimossero : e fatto a’
nemici danno tenue, nè
degno di memoria,
e ricevutolo essi più grande
ancora; calarono alia
pianura. Messi quivi
gli alloggiamenti , schierarono
ne’ giorni appresso
1’ armata, e provocarono i Romani
alla battaglia : nè
pertanto usci- rono questi al
paragone. 1 Volsci vedendo
ciò li spre- giarono : e convocate le
milizie dalle loro
città ; si ap* pareccbiarono per
espugnarne le trincee
colla moltitu- dine. E ben erano
per fare alcuna
cosa di grande
ri- ducendo per patri e colla
forza il console
e i suoi che già penuriavano
; ma giunse prima
di loro il
soccorso Romano , e furono traversati
da compiere con
bellissimo (ìpe la guerra.
Imperocché Fabio Cesoue
l’altro console, Digitized by
Googlc LIBBO Vili. I I 5 Mpen rono compartiti
pe’ corpi varj.
I consoli dopo avere
sup> plite le coorti
mancanti , tirarono a sorte il
comando degli eserciti. Prese
F abio l’ esercito sostenitore
degli alleati , e Valerio 1’ altro
che * accampava tra’Yolsci
; re- candovi le nuove reclute.
I nemici saputo il
giugner di lui ,
deliberarono far venir
nuove troppe , trinderarsi in luogo
più forte, nè
coìrere, come prima
, per lo di- spregio rovinose vicende.
F orqirono i duci tutto
ciò spe- ditissimàmente , intenti
l’ uno , e l’ altro a
guardare le trincere sue
dagli assalti , non
ad assalir le
inimiche , per espugnarle. Cosi
decorse non poco
tempo fra ter- ror
vicendevole che 1’
ano 1’ altro
investisse. Non pote- rono però l’uno
e l’altro osservare sino
al fine il
pro- posito. Imperocché
quante volte spedivasi
alcuna parte di esercito
pe’ frumenti o per
altro bisogno ; davansi
at- tacchi e percosse, con esito
non sempre vittorioso
per ' (i) Cesare (a) Altenlare
so’ Iribaoi era
delitto graTÌssimo , perchè le
per- sone loro si riguardavano
come sacre ed
inviolabili : Quindi Cice- rone nel lib. 3
de legibns scrive:
quodque ii prohibessint , quod- que plcbem
rogaisint ralitm està ^
taneiique turno. Digitized by
Google LIBRO vin. I ig UD
de' partiti. Ne
perirono in tante
scaramacce non po- chi ; restandone feriti
ancor più. Non
riparava le perdite Romane alcun
nuovo rinforzo venuto
altronde ; mentre i Volsci ,
sopravvenendo ad essi
schiere su schiere , si erano moltissimo
ampliati. Dond’è che
animatine i duci loro ,
cavarono dalle trincee
1’ esercito per
la battaglia. LXXXIX. Usciti
i Romani nommeno e schieratisi
a fronte, insorse una
mischia grandissima di
cavalli, di fanti, di
soldati leggeri , pieni
tutti di ardore
e di > sperienza e
ciascuno col disegno
che dipendesse da
lui solamente la vittoria.
Cadutine dall’ una e
dall’ altra parte
molti estinti , e piò ancor semivivi
; si ridussero a pochi
quelli che tuttavia rimanevano
tra la mischia
e il pericolo. Or non
potendo questi fare
le azioni di
guerra perchè gli scodi
destinati a difendere , pieni di
dardi conGccativi ^ aggravavano
la sinistra , né
permettevano che si
tenesse ferma in atto
di ripercotere i colpi , e perchè le
spade erano ornai spuntate,
rotte , - inutili ; tanto
più che il combattere
di tutto il
giorno gli aveva
stancati, mer^ vati , illanguiditi a ferire , e la sete,
il sudore , l’aiTanno
travagliavali come chi
combatte a lungo nelle
ardentis- sime ore di estate;
la battaglia non
prese termine me* morando
, ma 1’ nnò e
l’ altro duce ritirarono
ben vo* lentieri le
armate : e tornarono a’
proprj alloggiamenti^ Non uscivano
più gli uni o
gli altri a combattere,
ma standosi dirimpetto spiavano
a vicenda le sortite
degli emoli pe’ bisogni
■ di guerra. Parve
nondimeno , e molto in Roma se
ne discorse , che
la milizia Romana
, po- tendolo , non facesse nulla
di luminoso per
odio contro del console
, e per indignazione su’
patrizj , mentitori Digitized by
Google lao DELLK Antichità’
romane nella dÌTÌsione delle
terre. In opposito
i soldati acctisa» vano il
console come insulficiente
; scrìvendone ognuno lettere ai
suoi. Tali furono
gli eventi nel
campo in Roma intanto
molti segni celesti
annunziarono l’ira divina
con voci , e viste
inusitate. E tutti i segni
concorrevano a questo , come i vati
e gli spositorì delle
sante cose , te» nutone consiglio
, interpretavano , che alcuni
de’ numi erano esacerbati , perché non
riceveano gli onori
legit* timi, o riceveano sagrifizj
non puri, nè
pii. Faceasi dunque grande
ricerca, 6nchè diedesi
indizio a’ sacerdoti che
l’ una delie vergini , custodi del
fuoco sacro ( Opi- mia
n’ era il nome)
avea la verginità
contaminato, e con la
virginità le sante
cose. Or questi
con indagini e discussioni chiarìtlsi
.esser vero pur
troppo il fello
in- dicato , spogliarono
quella delie sacre
bende, e condot- tala di su |»1 foro,
la seppellirono viva
tra sotterranee pareti. Flagellarono
poi nella pubblica
luce ed uccisero due
convinti del fello
con essa. E ben
tosto favorevoli le sante
cose , e favorevoli si ebbero
le risposte degl’in- dovini , come per la pace
venduta da’ numi. - XC;
Giunto il tempo
de’comizj , e venutivi i consoli,
ebberì briga e contenzione
assai viva tra’
patrìzj e tra ’l popolo
su’ personaggi che
avrebbero da pigiare
il co- mando. Voleano quelli
promovere al consolalo
giovani intraprendenti né amici
della plebe ; e per
insinuazione loro chiedevalo il
figlio di Appio
Claudio , di quello ri- putato già si
contrario al popolo
; ed era questo
figlio pieno di orgoglio
e di audacia , e potente
per amicizie e clientele più
che lutti dell’
età sua. Per l’
opposito il popolo nominava
a far l’ utile pubblico
e volea per con- Digitized by
Googlc LIBRO vm: 1 3 1 soli
personaggi anziani , notissimi per
le d^ci maniete sole
vi marciasse colle
armate. Fu tal
decreto un sub> bjetto di
contraddizioni : perocché molti
non lasciavano che la
guerra uscisse , ricordando a’
plebei la partizion delle terre
decisa già da
cinque anni dal
Senato , e come tra le belle
speranze furono defraudati , e protestando che non
particolare ma comune
sarebbe quella guerra , se
la Etruria tutta
levavasi unanime a soccorrere
ì suoi nazionali. Non poterono
però nulla tali
sediziosi discorsi;
imperocché per le
insinuazioni di Spurio
Largio anche il popolo
ratiScò la sentenza
de’ padri : pertanto
i con- soh* cavarono gli
eserciti , e gli accamparono separati r uno dall’
altro , non lungi da
Yejo. Si tennero
in tal modo più
giorni: non uscendone
però l’inimico coll’ar- mata
; datisi a saccheggiarne i campi , sen
tornarono con quanta poteano
più preda in
patria. Or ciò e
non altro vi ebbe
di memorabile sotto
questi consoli.Digitized by
Google 124 DELLE ANTICHITÀ ROMANE
n I ALICARNASSEO LIBRO NONO. L JLj anno
appresso nacque disparere
tra ’l popolo
e tra i senatori su
la scelta de'
consoli : imperocché que- sti voleano promovere
al consolato due
di cuore patri- zio , laddove la
moltitudine due ne
volea popolareschi. Arse la
disputa finché tra
loro si persuasero,
che am- bedue le parti
dovessero nominare ,
ciascuna , un console. Pertanto il
Senato elesse Fabio
Cesene per la
seconda volta , quello
appunto che aveva
accusato Cassio come reo
di tirannide, ed
il popolo creò
Spurio Furio (i) (i)
Anno di Roma
s;3 tecoado Catone,
375 Mcoodo Vairone,
c 479 av. Cristo. Digitized by
Googl DELLE Antichità’ romane
lib. ix. laS nella
olimpiade settantesima quinta
; essendo Calliade Arconte in
Atene , al tempo appunto
che Serse fece
la sua spedizione contro
della Grecia. Or
avendo questi preso appena
il comando , yennero
in Senato gli
am- basciadori Latini per supplicarvi, che
si mandasse loro coir
esercito l’ uno de’
consoli , il quale non
permettesse che la insolenza
degli Equi procedesse
più oltre. An- nunziavasì insieme
che la Etruria
tutta era in
moto , e che tra non
molto uscirebbe colle
armi per essersi
già riunita in (x>mizj
generali : come pure
che avendo i Vejenti
insistito per congiungersele contro
i Romani, ne aveano Gnalmente
ottenuto , che potesse ogni
Tirreno parucipare alla impresa:
dond’ è che fatto, si
era un corpo riguardevole
di Vejenti volontari , per militarvi. Or
ciò vedendo i magistrati
Romani deliberarono che si
recintasser le armate , e che li
consoli uscissero con
esse r uno per combattere
gli Equi , ed esser
il vindice dei Latini
; e l' altro per marciare
contro l’ Etruria. Oppo- nessi a ciò Spurio
Sidnio (i) l’uno
de’tribnoi, è con* gregando ogni
giorno il popolo
a conclone raddoman- dava le
promesse dal Senato , e protestava che
non pen> metterebbe , che si
eseguisse niuna delle
cose decretate da’ padri
su’ nemid o su
la dttà, se
prima non creavano i Died , per
deBnire le terre
del pubblico , e non
le compartivano , come eransi
obbligati in verso
dd popolo. Implicavasi , nè sapeva
che fare il
Senato ; quando Ap> (i)
In atconì codici
ti legge Icilio:
e Lirio stesso nel
lib. 4, dice : auetoret
fuitte tam Uberi
popolo mffrayì leitios
accipio , ex famitia
i/ifeetUtima patribue Irei
in eam antuun
Uibunot plebù ereaioi.
Digilized by Google 156
DELLK Antichità’ romane pio
Claudio suggerì che si procurasse
la dissensione tra questo
e gli altri Tribuni
; perciocché vedea , eh' essendo r oppositore inviolabile,
ed impedendo col
poter dei^ leggi i decreti
de’ padri, non rimaneva
altra via da
rin- tuzuraelo, se non
quella che un
altro di eguale
onore e potenza operasse in
conurario , e proibisse
ciocch’ egli proibiva: consigliava
inoltre che quanti
prenderebbero successivamente il consolato
si adoperassero , e mirassero
sempre ad avere
iàmigliari ed amici
de’' tribuni , ripe» tendo non esservi
altr’ arte da
iuvalidame il potere , se non quella
di ridurli discordi. II.
Parve ai consoli
che Appio ben
consigliasse, ed essi , e
gii altri de’più
potenti si afiàticarono
vivamente, perchè quattro de’
tribuni si dessero
ai voleri del
Se> nato. Or questi
cercarono alcun tempo
persuadere colle parole Sicinio
a desistere dalla mira
che i terreni si' di- videssero innanzi la fin della
guerra. Ripugnando e giu- rando , e dicendo però
costui protervissimamente , che
vorrebbe piuttosto vedere
la città caduta
in poter dei Tirreni
e di altri nemici , che
lasciare placidi a sestessi que’ che
godeansi le terre
del pubblico , pensarono di prender
quindi la bella
occasione di parlare
, e di ope- rare contro tanta
arroganza , non udita con
piacere , nemmeno dal popolo.
Adunque dichiararono che
gliel proibivano ; e fecero svelatamente , quanto piacque
al Senato , ed ai consoli.
Dond’ é che Sicinio
rimasto solo non era
più 1’ arbitro
di cosa niuna.
Fecesi dopo ciò la
iscrizion dell’ annata , e si
apparecchiarono dai pri- vati , e dal pubblico
con ogni diligenza
le cose tutte necessarie per
la guerra. I consoli , tirata a sorte
la spe- Digitized by
COogle LIBRO Vili. 127 dÌEioQ
loro, uscirono ben
(osto all'aperto, Spurio
Furio contro le città
degli Equi , e Fabio Casone
contro i Tirreni. Corrispondevano i successi
appunto ai disegni
di Spurio ; non avendo
i nemici nemmen cuore
di venire alle mani :
e potè di quella
spedizione raccogliere da- nari e prigionieri in
buon numero ; imperocché
per poco non scorse
tutto il territorio
nemico , menando o por- tando via. Concedè
tutte le prede
in dono ai
soldati : e se parea
già da gran
tempo l’amico del popolo;
più che mai se
lo accarezzò con
tal suo capitanato.
Del quale , finito il tempo , ricondusse l’ esercito
intero, in- violato , ricchissimo divenuto , alla patria. IIL
Fabio Cesone diresse
nemmeno bene il
comando deir armata , por
andò privo delle
lodi delle opere , non per colpa
sua , ma perchè fin d’
allora che fe’
giudicare, e dare a morte Cassio
il console, come
intento alla ti- rannide , non avea
più lafiètto del
popolo. Donde che li
soldati suoi non
erano disposti nè
ad ubbidire colla prestezza la
quale abbisogna al
duce , che ordina , nè ad espugnare
con ardore quantunque
muniti di fòrze convenienti , nè a
guadagnare colle insidie
i posti op- portuni al buon
successo , nè a fare
cosa niuna dalla quale
raccogliesse onore e fama
buona pe’ comandi
che dava. Le altre
iocongruenze poi colle
quali spregiavano esso capitano
erano per lui
meno gravi , nè di
tanta ro- vina per la
patria. Se non
che quel che
fecero in ultimo creò
pericolo non lieve,
e grande ignominia per
ambe> due. Imperocché scesi
a battaglia campale fra i
due colli su quali
alloggiavano diedero molte
e splendide prove di valore , fin
a scingere i nemici a dar
volta ; non Digitized by
Google ia8 DELLE Antichità’
romane però gl' inseguirono
nella fuga , sebbene il
capitano ve gli scongiurasse , né vollero
con fermezza asserliame gli alloggiamenli
; ma lasciata la
bell* opera imperfetta , si ritirarono
alle proprie trincee.
Anzi tentando il
con- sole capitano dire alcune
cose (i): molti
a gran voce ne lo
beffarono, e redarguironlo che
avesse per la
im> perizia sua nei
comandare, fatto tra
lor la rovina
di tanti valentuommi: ed
aggiungendo altre maldicenze
e querele , esigerono che sciogliesse
il campo , e li ricon- ducesse a Roma , come insufficienti
ad una seconda
bat- taglia , se il nemico
su loro tornasse.
Nè puntò si
pie* garouo per le
ammonizioni , nè si commossero
pe’ g»> miti , e per le
suppliche di lui , nè
le grandi minaccie ne
riverirono { ma sd^nandosene
ognora più si
osti- narono. Per le quali
cose tanta , e tanto
universale fu la insubordinazione , e il dispregio
pel capitano; che
le-vatisi intorno la mezza
notte , dismisero le tende , e rac- colsero le armi ;
trasportandone li feriti
, senza comando ninno. ly. Il
duce vedendo ciò
fu costretto dare
il segno per tutti
della partenza ; temendo
1* audacia e l’ anarchia loro : ed
essi come salvatisi
colla fuga , pervennero in gran
fretta su 1’
alba presso di
Roma. Le guardie
delle mura ignorando che
fossero amici , brandirono le
armi , e chiamaronsi a vicenda ; e tutto
il resto della
ciltè si empiè di
confusione e tumulto , come per
grande scia- gura : nè si
aprirono le porte , se
non a di luminoso , quando si
ravvisò eh’ era
1’ esercito loro.
Questo poi , (i)
Secondo ua’ altra leiione
il teaio Mrebbe
: ami tentando ai- euni
dare ai cotuoU
nome d' Imptradore ec. Digilizetì by
Googl LIBRO IX. I 29 per
tacere la infamia
deli' abbandono del campo,
corse a riscbio non lieve , traversando disordinatamente di notte
le terre nemiche.
Imperocché se gli
emoli se ne avvedevano , e lo inseguivano
, niente impediva che lo
sterminassero. Cagione , come ho
detto , di questa irra- gionevol partenza , o fuga , fu
l’odio del popolo
contr» dei capitano, e la
invidia su la
onoriBcenza di lui,
af> finché più autorevole
non divenisse per
la gloria del trionfo.
I Tirreni conosciutane al
quovo di la
rimozione, spogliarono i
cadaveri de’ Romani , presero e trasporta- rono i feriti , e
saccheggiarono nelle trincee
tutti gli apparecchi ,
certamente ben grandi , come
per guerra diuturna . Alfine dopo
avere , quasi vincitori, depredate le
terre nemiche più
prossime , ricondussero in patria 1’
armata . V. Creati consoli
dopo questi Cajo
Malllo , e Marco F abio per la
seconda volta , siccome
il Senato decretò, che
marciassero (i) contro
Vejo con armata
quanta po> teano numerosa , intimarono il
giorno per la
iscrizioa dei soldati. Ben
pose loro Impedimento
per questa Ti- l>erio
Pontificio T uno dei
tribuni con reclamare
il de-creto su la
partizione delle terre
: ma essi, come
aveano fatto i consoli antecedenti , guadagnando altri de’ tribu- ni , disunirono que'
magistrati , e cosi diedero esecnzlone pienissima ai
voleri del Senato.
Finita in pochi
di la coscrizion militare , uscirono contro
de’ nemici ; condu- cendo ciascuno due
legioni , reclutate dalf interno
di ( I ) Anno di Roma
a^4 secondo Catone , 376^
tecoado Varrons ■ av. Cristo. VIOmGT , temo
III. 9 Digilized by
Google i3o DELLE Antichità’
romane Roma , e milizia non minore
; spedita dalle colonie
e da’ sudditi. Giunse
dai Latini e dagli
Emici il doppio del
soccorso intimato , non però
li consoli lo
usarono tutto , ma
rimandandone la metà , li
ringraziarono am- plissimamente
di tanto
buon animo. Accamparono
in- nanzi di Roma una
terza armata floridissima
di due le- gioni , per guardia
del territorio , se
mai vi si
presen- tasse altro esercito nemico
improvviso ; e lasciarono a difenderne
le fortezze e le
mura gli altri
non più com- presi nella iscrizion
militare, ma validi
ancora per le armi.
Quindi guidando gli
eserciti fin presso
di Vejo ne misero
il campo su due colli
non molto lontani
fra loro. Accampavasi davanti
la città l’armata
nemica , nu- merosa e buona
pur essa ; anzi
maggiore non poco
della Romana per esservi
accorsi i primarj di
tutta la Etmria co'lor
dipendenti. All’aspetto di
tanta moltitudine, allo splendore delle
armi , assai temerono i consoli
di non listare a vincere
, se metteano l’ esercito
loro non bene concorde
a fronte dell’ esercito unanime
de’ nemici. Adun- que
deliberarono i consoli fortificare
il campo , e pren- der tempo , finché l’ audacia
nemica , elevata da un ir-
ragionevol disprezzo , desse loro
la opportunità di ben
fare. Seguivano dopo
ciò preludj continui
di battaglie, e brevi scaramucce
di soldati leggeri
; non però mai nulla
di grande o di
lumino»). VI. Mal soffrendo
t Tirreni la dilazion
della guerra accusavano i Romani
di viltà perchè
non uscivano a bat- taglia , e magnifica vansi ,
quasi avessero questi
ceduta loro r aperta campagna.
Anzi tanto più
si elevavano a spregiare
le milizie nemiche
e vilipenderne i consoli ; Digitized
by Googie LIBRO IX. 1
3 I quanto che credeano
gl’ Iddj combattere
pc’ Tirreni. E certo
caduto un fulmine
nel quartiere di
Cajo Mallio ]' uno
de’ consoli, ne
abbattè la tenda , ne
mandò sosso* pra i focolari , ne macchiò
le arme , le
bruciò d’ intor* no , o in tutto
glie le distrusse
; e ne uccise il
più co» spicuo de’
cavalli dei quali
valessi nel combattere , ed alquanti de’
servi. E condossiacbè gl’
indovini diceano che i numi
annunziavano la presa
del suo campo,
e la rovina de’ personaggi
più riguardevoli ; Mallio
levò l’ e* centrò nel campo
stesso del compagno.
I Tirreni co- nosciuta la traslazione , ed uditane
la causa da’
prigio- nieri , s’ ingrandirono
tanto più nel
cuor loro, quasi
il c*ielo ancora guerreggiasse
i Romani; e moltissimo con- fidarono di vincerli.
E gl’indovini loro i quali
sembrano aver meglio che
quelli di altri
popoli esaminato i segni superni, e d’onde
scoppino i fulmini, e dove
finiscano dopo il colpo,
da qual Dio
vengano , e con quale pre- sagio di
bene o dì male;
esortavano che si
andasse al nemico , inlerpetrando il
segno avvenuto a’
Romani in tal modo :
poiché il fulmine
cadde nella tenda
con- solare ov' è il centro
del comando , e disfecevi
tutto insino ai focolari
; egli è indizio divino
a tutto l’ e- sercilo
deir abbandono del
campo espugnato a forza, e della rovina
de' più riguardevoli.
Se dunque , di- ceano , coloro che
ebbero U fulmine restavansi
nel luogo fulminato, nè
trasportavano ciocci* erano
signi- ficato infra gli altri
; la presa di
un campo , e la distruzione di
un’armata sola avrebbe
appagato lo sdegno del
nume cite U contrariava. Ma
perciocché Digitized by Google i3a
DELLE Antichità’ romane cercando precedere
col senno gli
Dei si trassero
aiì aluo campo, lasciato
deserto il proprio,
quasi il segno celeste
fosse pel luogo
non per gli
uomini ; quindi è che [ ira
' dà' ina fulminerà lutti
e chi trasmutatasi , e chi li
raccolse. E siccome mentre
la necessità divina prenunziava la
presa del campo
essi non aspettarono, ma lo
cederono di per
sestessi a nemici , così non il
campo abbandonato sarà
preso di forza , ma
quello che ricettò chi
lo abbandonava. VII. I Tirreni,
udite tali cose
dagl’indovini, invasero con parte
dell’ esercito il
campo derelitto da’
Romani , per valersene , contro dell’
altro. Erane il
luogo ben forte, e mollo
accomodato per impedire
chi da Roma andava
all’ esercito. Fatte
poi diligentemente altre
cose colle quali superar
l’ inimico , recarono in
campo 1’ ar- mata. Ma
standosene i Romani in
calma , i più audaci fra loro
scorsi e fermatisi a cavallo
presso le trincee
, rampognarono tutti , quasi femmine
: e dicendo simili i duci
loro agli animali
più timidi , gli sbeffavano , e chiedeano l’ una
delle due , vuol dire ;
che se
disputa- vano altrui la gloria
delle armi ; scendessero
in campo, e ne decidessero
con una sola
battaglia : ma se
ricono- sceansi per codardi
; cedessero le arme
ai più forti
, subissero la pena
delle opere, nè
più aspirassero a nulla di
grande. Replicavano altrettanto
ogni giorno: ma
per* ciocché niente ne
proGttavano ; deliberarono rinserrarli intorno intorno
con muro, per
astringerli, almeno colla fame,
alla resa. consoli
lungo tempo guardarono
so- lamente ciocché facevasi non
per codardia nè
per mol- Icsza, essendo
Tuno e l’ altro animoso
e guerriero; ma Digilized by
Googl LIBRO IX. l33 perchè
temevano il mal
talento, e la ritrosia
nata e perpetuatasi ne’
soldati plebei fin d’
allora che il
popolo tumultuò per la
division delle terre.
Ancora stavano loro su
gli orecchi , e su gli
occhi le cose
che avea fatte nell’
anno precedente per
astio sul console , vitu- perose né degne
di Roma, cedendo
la vittoria ai
vinti, e sostenendo fin gli
obbrobrj di una
fuga non vera ,
affinchè colui non
trionfasse. Vili. Volendo tor
vii» finalmente dall’
esercito la se- dizione e richiamare alla
concordia primitiva la
molti- tudine ; e dirigendo a ciò tutti
i disegni e le providen- Ee
; poiché non poteano
ravvederla uè co’
supplizj par- EÌali come
protervissima ed armata,
nè co’ discorsi come insofferente di
essere persuasa ,
concepirono che due vie
rimarrebbero per la
riconciliazione; vuol dire;
la infamia di essere
vilipeso da’ nemici per
gli uomini (che pur
ce ne avea )
d’ indole moderata , e la necessitò , coi tutti
paventano , per gl’ indocili
al bene. Adunque per
effettuare ambedue queste
cose, lasciarono che i
nemici li disonorassero
colle parole , biasimando la
cal- ma loro come la
calma de’ vili ;
e li necessitassero coi fatti
pieni di arroganza
e disprezzo a tornar valentuo- mini , se tali
non dimostravansi per
sestessi. Speravano, se ciò
faceasi , grandemente che accorrerebbero tutti
al quarlier generale fremendo
, gridando , ed istando
di esser condotti al
nemico. Or ciò
appunto addivenne ; imperocché
non si tosto
prese il nemico
a rinchiudere con fossa e steccalo
le uscite dal
campo , i Romani considerata
la indegnità dell’
opera , ne andarono
prima in pochi , indi
in folla alle
tende dui consoli
, c vi Digilized by Google i34
DELLE Antichità’ romane schiamazzarono, e come
di tradimento li
redarguirono; protestando
infine die se
niun de’ due
li guidava , essi di per
sestessi volerebbero colle
armi alla roano
su gli avversar). Ciò
fatto da tutti,
giudicando i consoli venuta alfine
la opportunità che
aspettavano , imposero agli
araldi di chiamarli
a parlamento. Allora Fabio
recatosi innanzi disse : IX.
Sohìati , capitani, tarda è la
vostra indigna- zione su vilipendj
che vi si
Jan da’ nemici
; nè più in tempo
è la volontà che
at'ete di combatterli,
pei'- che m annestatasi troppo
dopo il bisogno.
Allora do- veasi ciò
fare quaruìo li
vedeste la prima
volta scen- dete dalle trincee , e cercar la
batiaglia: jdllora bello era
il combattere pel
comando , e degno della subli- mità de’ Romani.
Ora necessario ne si è reso,
e certo non di egtuile
decoro , quatulo ancora vincessimo. Nondimeno sta
pur bene che
vogliate una volta
ri- ' scuotervi, e riavervi delle
occasioni tralasciate, E molto siete
lodevoli per tale
ardore verso le
nobili gesta ; imperocché
procede da virtù , e vai
meglio cominciar ciocché deesi
aruhe tardi, che
mai. Ed oh!
cosi tutti V abbiate sentimenti
consimili per t util
vostro , e vi animi tutti
uno zelo medesimo
per combattere. Pa- ventiamo noi però
che i trasporti de’
plebei contro de’ magist
rati per la
division delle terre,
siano cagione al pubblico
di sciagure, E ciò
noi paventiamo, perché i clamori , e le istanze , e la insofferenza
per uscire, non è forse
in tutti t ejffctto
di un disegno
medesimo. Ma quali di
voi anelale uscir
dai campo per
punir f inimico ; e quali per
fuggirvenc. E cagione del ti-
Digilized by Goc^le LIBRO
IX. l35 ntor nostro
non sono già
gl’indovini, non le
conget- ture; ma fetui più
che notorj e non
antichi, anzi fre- schi delt anno
precedente, come tutti
sapete, quando uscendo contro
questi nemici medesimi
un esercito nostro numeroso
e forte , e pigliando fn
la prima battaglia un
esito propizio per
noi , mentre Cesane mio
fratello, console condottiero
poteva espugnare gli alloggiamenti loro e
riportare alla patria
una vittoria luminosa, alquanti
presi da invidia
della gloria di lui
perchè nè era
popolare nè mirava
nel suo governo
a far le voglie
de’ poveri , levarono le
tende la notte stessa
dopo la battaglia , e fuggirono fuori
di ogni comando, senza
valutare il pericolo
che comprendevali nelf andare
privi di ordine
e di capitano per
le terre nemiche , e fra
la notte , e senza
riguardare quanta vergogna ri
avrebbero , perchè quanto
era in loro , cedevano C impero a nemici,
essi già vincitori
ai viziti. Tribuni , centurioni ,
soldati ! in vista
di tali uomini, non
buoni nè per
dominare , nè per farsi
dominare , che pur sono
molti e caparbii , e colle armi ,
non abbiamo noi fin
qui voluto la
battaglia , nè osiamo ancora
per tali compagni
decidere in campo
la somma delle cose ,
perchè non sian
essi tT impedimento
e di danno a chi presenta
tutto il buon
animo. Ma se la
divinità richiami ancor
essi a buon senno,
se, lasciate da parte
le discordie per
le quali ha
il nostro comune tanti
mali e sì gravi , e differitele ai
tempi di pace ,
vorranno redimere ora
col valore { obbmbrio
passalo: niente impedisce che
ne andiamo caldi
di belle spe- ranze al
nemico. Oltre le
tante opportunità di
vin- Digitized by Google t3f> DELLE
Antichità’ romane rere , le
più. grandi e più
solide ce le
porge la stoli^ dità
degli avversar] medesimi.
Costoro superiori a noi di
molto nel n limerò,
ed atti con
ciò solo a contrah- hilanciare t animosità
e perizia nostra , han privato sestessi fin
di quest’ unico
vantaggio , consumando il
più delle milizie
in guardia delle
loro fortezze. Ap-presso , quantunque dovrebbero
fare ogni cosa
con diligenza e saviezza considerando
con quali e quanti grand uomini
abbiano a misurarsi, pur
vanno conarroganza ed
incuria al cimento
, come sian essi
in- vincibili, e noi
sopraffatti dal terrore
di essi. E le fosse
con che ci
cingevano , e le corse
a cavallo fin sotto ai
nostri alloggiamenti , e
tan^ altre ingiurie colle parole
e colle opere, questo
appunto dimostrano. Or via
dunque, ciò riguardando
e le tante e sì
belle antiche battaglie nelle
quali gli avete
vinti : andatene con ardore
a questa ancora. E quel
luogo dove cia- scuno sarà collocato , quello concepisca
essere la casa, i poderi , la patria
sua : concepisca che
chi salva il vicino in
battaglia salva sè
ancora: e che abbandona sestesso a nemici
chi abbandona il
compagno. Ilam- mentatevi soprattutto
che di quelli
che persistono va- lorosi e combattono , pochi
no soccombono ; laddove pochi ne
scampano, e a stento, di
quelli che piegano, e figgano. X. Egli
seguitava ancora , in
mezzo a lagrime co- piose , tal discorso
animatore , e chiamava a nome
cia- scuno de’ tribuni , de’ centurioni , e de’ soldati
, nolo a lui per le
belle prove di
valore date nel
combattere, e prometteva a chi più
segnalato sarebbesi nella
batla- Dìgitized by Gin ■
LIBRO IX. 137 glia
molti e gran pegni
di benevolenza , onori
, r;c> cliezze , soccorsi d’
ogni guisa in
parità delle imprese
; quando proruppe da
tutti una voce
che inviuvalo a con6dare
, e portarli al nemico.
Cessata questa , gli si fece
innanzi dalla moltitudine
Marco Flavoleio , plebeo di
condizione ed arteGcc
, non vile però ,
ma per
le sue virtù pregiato
, e prode in guerra
; e per tali due rispetti
condecorato in campo
di una presidenza
lumi- nosa , cui sieguono ed
ubbidiscano per legge
sessanta centurie. I Romani chiamano
primipili nel patrio
idio- ma tali condottieri. Or
quest’ uomo , altronde grande
e bello , postosi in parte,
donde fosse a lutti
visibile, al- fine disse: K oi
temete, o consoli, che
le opere nostre non
corrispondano alle parole
? Io per il
primo vi darò su
mestesso le assicurazioni
meno equivoche della mia
promessa. E voi cittadini , voi compagni della sorte
medesima , voi che avete
risoluto di pa- reggiare ai detti
le opere , non
sbaglierete facendo quanto io
fo. E qui , sollevando la
spada , giurò con formola sacra
e solenne ai Romani
, per la sua
buona fede , di non tornare
, se non dopo
vinti i nemici, alla patria.
Sorsero al giuramento
di Flavoleio lodi
amplis- sime d’ogn’intorno.
Fecero bentosto altrettanto
i consoli e mano a mano i duci
minori , tribuni e
centurioni ; e la moltitudine
finalmente. Yidesi dopo
ciò molto buon animo
in tutti, molta
benevolenza fra loro , molta
con- fidenza , e fermezza. Partiti dall’
adunanza , chi metteva il
freno ai cavalli,
chi le spade
aguzzava e le lance
; e chi riforbiva gli
scudi ; ond’ è che
tra poco tutta
1’ ar- mala fu in
pronto per la
battaglia. I consoli , invocali
Digitized by Googic i38
DELLE Antichità’ romane gl' Iddìi con
voti, con ugrifizj , con suppliche,
perchè fossero i duci essi
stessi di quella
uscita , portavano fuori
degli steccati l’esercito,
schierato in buon
ordine. I Tirreni vedutili scendere
dalle loro trincee
, ne stu- pirono , e vennero ad
incontrarli con tutte
le forze, XI. Come
furono gli uni e
gli altri sul
campo, e le trombe annunziarono
il seguo delta
battaglia , corsero quinci e quindi
con alti clamori.
E fattisi i cavalieri su i cavalieri,
ed i fanti so i
fanti; pugnarono, e molu fu
la occisione in
ambe le parti.
I Bomani dell’ala de- stra comandati dal
console Mallìo malmenavano
il corpo che li
contrastava , e smontati da
cavallo combattevano
appiedo: ma quelli
dell’ala sinistra erano
circondali dal corno destro
de’ nemici. Imperocdiè
essendo ivi la mi-
lizia tirrena più elevata
e più numerosa , i Romani
ne erano battuti, e coperti
di ferite. Comandava
in questo corno Quinto
Fabio luogotenente e già
due volte con- sole. Egli resistè
lungo tempo , ricevendovi
ferite sopra ferite ; ma
poi trafitto da
una lancia nel
petto fino alle viscere
, esangue ne stramazzù.
Come ciò udì
Marco Fabio il console
che crasi ordinalo
nel centro , pigliò seco i più
bravi, e, chiamato
Fabio Cesone l’uno
dei fratelli , marciò verso 1’
altro Fabio (i). E
proceduto buon tratto, e trascorso
all’ala destra de’ nemici,
venne a quelli che circoudavano
i suoi. Dato l'assalto,
causò strage cupa a quanti
avea tra le
mani, e fuga ad
altri che erano da
lontano. Trovato il
fratello che respirava (i)
Il ferito. Par
questo il senso
migliore. Nel testo
si legge in luogo
di Fabio. Qui
dunque si hanno
tre Fabj, Marco , Quinto
, c Cesone, fiaiclli lutti
tre. Digitized by Googli LIBRO
IX. 189 ancora, lo
soUcTÒ; ma questi
non molto sopravvivendo, morì. Crebbe
qui l’ira a’ vendicatori suoi
su’ nemici. Nè più riguardando
la propria salvezza
lanciatisi in piccieda sebiera nel
mezzo di essi , dove
erano più folti , vi
al- zarono monti di cadaveri.
Pericolò da questa
|>arte la milizia toscana
, ed essa che
prima incalzava en
incal- zata dai vinti. Per l’
opposto c|oelli dell’ala
sinistra che gii crollavano
, e gii meticvansi in
piega li dove
era Mallio, quelli fugarono
i Romani contrapposti. Imperoo cbè
trafitto Mallio con
una lancia da
banda a banda in un
ginocchi o , c riportato da’
suoi che lo
circondavano agli
alloggiamenti ; i nemici lo
credettero estinto , e se ne
animarono ; ed assistiti
pur da altri
forzavano i Ro- mani , ridotti senza
duce. I Fal^ dunque
lasdalo il corno sinistro
furono di nuovo
astretti a soccorrere il destro.
I Tirreni , vistfli che venivano
con esercito po- deroso , desisterono dall’
inseguire : e strettisi fra
loro , combatterono io
ordinanza , perdendovi molti
de’ loro ; e molti nocidendovi
de’ Romani. XII. Intanto
i Tirreni ebe avevano
invaso gli allog- gia menti lasciati
da Mallio , aizaione il
segnale dal ca- pitano, marciarono con
gran fretta ed
ardore verso gli altri
alloggiamenti Romani perchè
non bene forniti
di guardie. Era il
loro concetto verissimo
; perché tolti i triarj
e pochi giovani, non
v’ erano se
non mercadanii, e servi , ed
artefici. Ma ristringendosi molti
in picciolo spazio presso
le porte, ebbevi
una viva e terribile
zuffa con strage copiosa
e vicendevole. Accotzo con i
cavalieri Mallio il console
per ajuto ; cadde
col cavallo, nò po-
tendo risorgere per le
molle ferite vi
morì. Perirono Digitized by
Coogle i4o DELLE Antichità’
romane ancora intorno a lui
molti giovani valorosi
: e per tale infortunio gli
alloggiamenti furono espugnati
; vcriGcan* dosi cosi li
vaticini fatti ai
Tirreni. E se avessero
ben usato la sorte
presente, e guardato quegli
alloggiamenti; sarebbero
stati gli arbitri
delle provvigioni de’
Romani e gli avrebbero
costretti a partire obbrobriosamente : ma datisi
a predare le cose
rimastevi , e li più a
ristorarsi ancora , lasciaronsi
fuggir di roano
una bella occasione. Imperocché nunziatasi
appena all’ altro console la
presa del campo , accorsevi
co' fanti e cavalieri
migliori. Li Tirreni saputo
che veniva cinsero
le trincee ; e fecesi battaglia ardentissima
tra chi voleva
ricuperar le sue cose , e chi temea
, se ricuperavansi , 1’ ultimo
eccidio. Ma traendosi in
lungo , e riuscendovi migliore
assai la condizione de'
Tirreni , perchè combatteano da
luogo elevato contra uomini
stanchi dal 'combattere
di tutto il giorno;
Tito Siccio legato
e propretore, consigliatosene
con il
console , intimò la ritirata
; e che si riunissero ed
attaccassero tutti le
trincee dal canto
più facile. Trascurò la
banda verso le
porte per un
discorso plau- sibile che non
lo ingannò; per
questo cioè, che i
Tir- reni sperando salvaf&i , ne
uscirebbero : laddove se di
ciò disperavano circondati
da nemici senza
uscita niuna; sarebbero necessitati
a far cuore. Portatosi
in una sola parte
l’assalto; non più
si diedero i Tirreni
a resistere; ma spalancate le
porte , salvaronsi ne’ proprj
alloggia- menti. XIII. II console
, rimosso il pericolo , scese di
nuovo a dar soccorso nel
piano. Dicesi che
questa battaglia de’ Romani
fu maggiore di
tutte le antecedenti
per la Digitized by
Google LIBRO IX. l4l mollltudine degli
uomini , per la
durazione del tempo , e per
l’ alleraarvi della sorte
; imperocché venti mila erano
i fanti, tutti di
Roma, floridi e scelti,
oltre mille dugento cavalli
che univansi alle
quattro legioni ; ed
aU trettanta era la
milizia de’ coloni , e degli alleati.
La }>attaglia conunciaia poco
prima del mezzogiorno
si estese 6no air
occaso , e la sorte ondeggiò
quinci e quindi gran tempo
tra vittorie e tra
perdite. Occorsevi la
morte di un console , di
un legato , stato
due volte console
, e di tanti altri
capitani , tribuni , e centurioni , quanti mai piu
per addietro. Il
buon esito della
giornata fu creduto de’
Romani non per
altro , se non
perché li Tirreni fra
la notte lasciarono
il proprio campo,
e pas- sarono altrove. Il giorno
appresso fattisi i Romani
a saccheggiare il campo
Tirreno abbandonato , e seppel- lire le morte
spoglie dei loro
,tornarono agli alloggia- menti. Dove riunitisi
a parlamento diedero i premj
di onore a quelli che
avevano combattuto da
valorosi , e primieramente a
Fabio Gesone fratello
del console, che avea
fatto grandi , e
meravigliose gesta : in
secondo luogo a Siedo, cagione
che gli alloggiamenti
si ricu- perassero ; ed in
terzo a Marco Flavoleio
duce di una legione,
si pel giuramento,
che per la
magnanimità sua tra* pericoli.
Rimasero dopo ciò
per alquanti giorni
nel campo ; ma ninno
più dimostrandosi per
combatterli tor- narono alla patria.
In Roma per
battaglia si grande
laquale prendea fine
bellissimo , voleano tutti
aggiungere r onor del trionfo
al console che
tornava : ma il
con- sole stesso noi consentì , dicendo, non
essere pia cosa, nè
giusta , che egli s’
avesse pompa e corona
trionfale Digilized by Google l[\1
DELLE ANTICrilTA* ROMANE per
la morte del
fratello e del collega.
E qui lasciate le insegne , e congedalo 1’
esercito , depose ancora
i) consolato due mesi
prima del termine
suo , non po> tendo
ornai più sostenerlo
per la grande
finta che lo travagliava e riduoevalo
in letto. XIV. Il
Senato scelse gl’
interré pe’ comizj , e convo- cando il secondo
interré la moltitudine
nel campo Mar- zo, vi
fu nominato console
Tito Yerginio , e per la terza
volta Fabio Cesone,
colui che ebbe i
primi premj della battaglia
ed era fratello
insieme del console , che avea deposto
il comando. Questi,
decidendo ciascuno per sé
l’esercito col mezzo
ddle sorti, uscirono
in campo, Yerginio per
combattere i Yejenti e Fabio
gli Equi che scorrevano, depredando,
le campagne Latine
(i). Gli Equi all’
udire che i Romani
venivano , si levarono iu fretta
dalle terre nemiche , e ritiraronsi alle
proprie città, sopportando che
si derubassero le
terre loro : tanto
che il console col
subito venir suo
s* impadroni di
danari , di persone,
e di altre prede
in copia. Si
tennero i Ve- jenti in
principio tra le
mura ; ma quando
parve loro di avere
il buon ponto , usarono su’
Romani sbandati , ed intenti
alla rapina delie
campagne. E perciocché piombarono numerosi
, in buon ordine
contro di essi , non
sedo ue ritolser
le prede; ma
uccisero, o fugarono quanti si
opposero. E se Tito
Siccio legato non
accor- reva , e li frenava ,
con soldatesca ordinata
appiedi e a cavallo , niente .impediva
che I’ esercito
in tutto si di-
struggesse. Ma giunto lui
per impedir ciò,
si affretta- ci) Adoo di
Room 37S aecaudo
Catone, 377 secondo
Marrone e 479 av.
Cristo. Digitized by Google LIBRO
IX. I 43 rono a rlunirsegli , senza eccettuarne
alcuno , tutti i di- spersi.
Coocenlralisi tutti occuparono
a sera un colle,
e vi pernottarono. Animati
dalla prosperità li
Vejenti ac- camparonsi presso
del colle e chiamarono
altri dalla città, quasi
avessero addotti i Romani
in luogo, privo
in tutto de’ viveri , e poiessero tra
non molto necessitarli
ad ar- rendersi. Accorsavi gran
moltitudine , si misero due campi
ne’ lati possibili
ad espugnarsi del
colle ; ed altre picciole guarnigioni
in siti men
facili ; tanto che
tutto ribbolliva di armati.
Fabio l’ altro console
intendendo per le lettere
del compagno che
gli assediati nel colle
erano agli estremi,
e sul punto ornai
di rendersi per la
fame , se alcuno
non li soccorreva
; raccolse 1’ esercito
, e corse su’ Vejenti.
E se giungeva un
giorno più tardi; niente
gli sarebbe valuto
, ma trovato avrebbe
l’ esercito rovinato.
Imperocché quei del
colle costretti dalla
pe- nuria ne uscirono per
correre a morte più
onorata ; e fattisi alle
prese co’ nemici , combattevano esausti
dalla fame , dalla sete ,
dalla veglia , da ogni
disagio. Ma dopo non
molto, quando videsi
l’esercito di Fabio
che giungeva numeroso, in
buon ordine, tornò
la conBdenza ne’ Romani
, e la paura negli
avversar). Dond’ è che
i Tirreni più non
estimandosi acconci per
fare giornata cx>ntro di
un esercito fresco
e potente , abbandonarono l’ impresa , e partirono. Ma
non si tosto
le due armate Romane
si ricongiunsero , fecero un
amplisnmo campo in luogo
munito presso della
città. Trattenutisi quivi più
giorni , e saccheggiatone il
meglio del territorio
di Vejo; rimenarono in
‘patria gli eserciti.
Avvedutisi i Vejenti che
le milizie Romane
eransi levate dalle
inse- Digilized by Google i44
DELLE Antichità’ eomane gne , presa ia
gioventù più spedita
che essi tenevano
ia arme , e quanta ne
era presente de’
loro vicini , si get- tarono su campi
confinanti , e li
depredarono pieni di fratti , di bestiami , di
uomini ; per essere
i contadini calati da’ castelli
a pascere i bestiami c lavorare
le terre su la
fiducia che aveano
nell’ esercito Romano
trincie- rato innanzi di
loro. Non eransi
questi ai partir
dell’e- sercito affrettati a
ritirarsi colle cose
loro, non temendo che
i Vejenti , tanto danneggiati ,
dessero cosi pronta la
ripercossa a’ nemici. Fu la irruzione
de’ Vejepti pic- cola se
se ne guardi
il tempo ; ma
grandissima per la quantità
de’ campi saccheggiati
: ed avanzatasi fino
al Tevere verso il
monte Gianicolo a meno
di venti stadj da
Roma ; le recò
dolore e vergogna insolita
; non es- sendovi sotto le
insegne milizie che
impedissero a quella di estendersi.
Cosi l’esercito de’
Vejenti prima che
que- ste si riunissero ed
ordinassero , corse desolando , e
parti. XV. Adunatisi quindi
il Senato e i consoli
, c datisi a considerare in qual
modo fosse da
far guerra a’ Vc-
jenti ; prevalse il
partito di tener
ne’ conOni milizie
di osservazione pronte sempre
in campo per
la difesa del territorio. Couturbavali
che grande ne
diverrebbe il di- spendio , laddove l’ erario
era esausto per
le imprese continue , nè
più bastavano i beni
ai tributi ; e molto più
contnrbavali la recluta
di tali presidj
da spedirsi * perocché
ninno voleva star
in guardia per
tutti: doven- dosi
travagliare non a volta
a volta, ma sempre.
Essen- do per tali due
cause mesto il
Senato; i due Fabj
(a) (i) 1 due Fabj
sono Marco Fabio,
e Fabio Cesoue nomiaati
di topna. Digitized by
Google LIBRO ix; 145 convocarono qnanti
partecipavano il loro
lignaggio. Con* saltatisi, promisero
al Senato di
andare spontaneamente essi per
tutti a tal rischio , conducendo seco
amici e clienti , e
militandovi a proprie spese
; finché durerebbe la guerra.
Ed esaltandoli per
la disposizion generosa , e contando tutti
di vincere anche
per (jnesta opera
sola , pigliarono essi famosi
in città le
aripe tra’sagrifizj e tra i voti,
e ne uscirono. Era
duce loro Marco
Fabio il console dell’
anno precedente, quegli
che vinse i Tirreni in
batuglia. Esso menava
presso a poco quattro
mila , clienti per la
maggior parte ed ,
amici , ma trecento
sei ve n’ erano delia
stirpe de’Fabj. Usci
non molto dopo su
le orme loro
l’armata Romana, comandata
da Fabio Cesone, Tuno
de’ consoli. Avvicinatisi al
Cremerà, fiume non molto
discosto da Vejo ,
fordficaroiio su di una
balza precipitosa e dirotta
un castello opportuno
a di- fendere tante milizie, e vi
scavarono intorno doppie fosse , e vi elevarono
torri froquenti. Cremerà
fu nomi- nato ancor esso
il castello dal
fiume. E conciosnachè molti esercitavano,
ed il console
stesso coadiuvava quel lavoro , fu terminato
prima che noi
pensassero. Allora cavò r esercito , e marciò su
1’ altra parte
alle terre dei yejenti , poste incontra
al resto della
Etruria , dove quelli
tenevano i bestiami , non aspettandovi
mai l’arme Romane. Fattavi
gran preda se
la recò nel
nuovo ca- stello ,
esultandone per due
cause , cioè per
la vendetta non tarda
pigliata su’ nemici , e per 1’
abbondanza che dava copiosissima
ai soldati che
lo presidiavano, percioc-
« chè niente ne
riservò per l’
erario , o ne dispensò tra lo
DIONIGZ , tomo in. 1«
Digilized by Google i46
DEiXE Antichità’ romane sue
milizie, ma tulio
concedette a quelli che guarda^ vano
la regione, greggi,
giumenti, gioghi di
buoi, ferramenti , e quanto
era utile per
la coltura. E dopo ciò
rlmenò 1’ esercito
a Roma. Erano dopo
fondato il cartello i Vejenti
a mal termine ; non
polendo nè lavo* t^re
con sicurezza le
terre , nè ricevere esterne
vetto> vaglie. Imperocché li
Fabj (i) diviso
in quattro parti
la gente loro , con una
difendevano il castello
, e le tre altre scorrevano
la regione nemica
pigliando, e traspor> landò. E quantunque
molte volte i Vejenti
gli assalirono con truppe
non poche nell’
aperto , e se li tirarono dietro in
terre piene d' insidie
; essi nondimeno vinsero r uno
e r altro pericolo ; e fatta
glande uccisione , n ricondussero salvi
al castello. Pertanto
non osavano più li
nemici d’ investirli , ma
tenendosi per Ib
più tra le mura
, np faceano furtive
sortite. E cosi ne
andò quel* r inverno. XVI. Entrati
l’anno appresso (a)
in consolato Lucio Emilio , e Cajo Servilio
, fu nunziato a’
Romani , che i Volsci e gli
Equi eransi convenuti
di portare su
loro la guerra, e d’ invaderne tra
non molto le
terre; e ve- rissimo ne era
1’ annunzio. Imperocché
, armatisi gli uni e gli
altri prima dell’
aspettazione , corsero , e
devasta- rono , ciascuno , la
regione vicina a sestesso
, persuasi che non potrebbono
i Romani combattere in un tempo i Tirreni , e rispiiigere altri
che gli assalissero.
Poi so- (i) Cioè
quelli i quali prcaidiavauo
il casiello aoUo
gli auspicj di Marco
Fabio. (a) Addo di
Roma 37C lecoudo
Catone, 3^8 lecoodo
Varroae ; e 476 *v.
Cristo. * Digitized by Googte LIBRO
IX. 147 {iravveiiendo altri
ridicevano che I’
Elriiiia tutta levavasi in
guerra coulro i Romani , e preparavasi di
s[>edire ia comune un
soccorso a’ Vejenti.
Or lo avevano
i Ve> jenti f incapaci di
espugnare il castello , imploralo qu»> sto
soccorso ; commemorando la
unità del sangue , 1’
a- micizia, e le tante
guerre che aveano
insieme combat- tute. Anzi aVeano
dimandata l’ alleanza loro
nella guerra co’ Romani
non si per
questi riflessi , come per
quello ancora , che i Vejenti
erano su la
frontiera dell’ Etra- ria ; e frenavano una
guerra , che versavasi da
Roma su tutta la
nazione. Convinti di
tanto i Tirreni promisero mandare tutti
i sussidj che richiedevano.
Per 1* opposto il
Senato, informatone, risolvette
spedire tre eserciti.
Ed arrolate in fretta
le milizie; fu
spedito Lucio Emilio
sa i Tirreni. Usci pur
con esso Fabio
Ceso ne , colui
che avea di fresco
deposto il comando , ottenuta dal
.Senato la facoltà di
ricongiungersi in Cremerà , e partecipare t pericoli
della guerra colle
genti Fabie che
il fratello aveaci condotte
in difesa del
luogo : ma egli
v’ andava co’ suoi
compagni ornato di
autorità proconsolare. Cajo Srrvilio
l'altro console marciò
contro i Volsci, e Servio Furio proconsole
contro gli Equi.
Seguivano ciascun di essi
due legioni Romane
, e truppe alleate non
minori di Eroici , di Latini , e di
altri. Servio il
proconsole espedì la guerra
con termine rapido
e lieto ; perciocché fugò gli
Equi con una
battaglia , e senza stento
; im- paurendoli al primo investirli
: e poi rifuggitisi questi ne’ luoghi forti
; ne devastò le
campagne. Ma Serviliu
il console fattosi a combattere
con fretta ed orgoglio,
in- contrò ben altra sorte
da quella che
ne aspettava: Op- Digilized
by Google i/jS DELLE
Antichità’ romane posiiglisi i Volsci
bravissimameote , vi perdette
molti va* lentuomini: tanto
che si fidasse
a non far più
battaglia: ma standosi negli
alloggiamenti , deliberò di
mantenere la guerra con
tenui mosse e scaramuccie
de’ soldati leg- geri. Lucio Emilio
mandato nell’ Etruria
, trovando ac- campati
innanzi della città
li Yefenti con
grandi rinforzi di quella
nazione , non indugiò per
imprendere : ma dopo un
giorno da che
erasi trincerato , presentò le schiere
in battaglia. Vi
si lanciarono' i Vejenti
arditis- simamente: ma divenuta questa
eguale in ambe
le parti; prese i cavalieri , e. gli
avventò su 1’
ala destra de’
ne- mici ; e perturbatala;
corse su la
sinistra, combattendo a cavallo dov’era
luogo da cavalcarvi,
e dove no, smon- tando , e combattendo a piede.
Venute in travaglio
am- bedue le ale , nemmeno
' il centro potè
più sostenersi , forzato dalla
fanteria : e fuggirono tutti
verso gli allog- gitrmenti. Emilio
allora gl’ inseguì
con le milizie
ordi- nate, e molti ne uccise.
Giunto presso gli
alloggiamenti diedevi con mute
continue 1’ assalto , ostinandovisi tutto quel
giorno e la notte
seguente : finché nel
giorno ap- presso languendo i nemici
pel travaglio , per le
ferite , e per la veglia
, se ne impadronì.
Quando i Tirreni videro i Romani
trascendere le trincee
, le abbandona- rono, e
fuggirono quali in
città, e quali a’ monti
vicini. Tennesì il console
per quel di
negli alloggiamenti ne- mici ; ma
nel giorno prossimo
onorò con doni
conve- nienti i più
segnalati in combattere,
e concedette a’ sol- dati
quanto era ivi
stato lasciato , giumenti , schiavi , c tende
piene di ogni
ricchezza. E 1’ esercito
Romano se ne ricolmò
quanto non mai
per altra* battaglia;
impe- Digltized by Google LIBRO
• IX. 1 4p rDcclièJi Tirreni
vivono vita delicata
e sontuosa in pa- tria , ed
in campo ; e portan
seco , non che le
cose necessarie , suppelletlili
ancora di pregio
e di artifizio , ond’
esserne in piaceri
e delizie. XYII. Ne’ giorni
appresso stanchi da’
mali i Vejenti spedirono ambasciadorì
i più anziani della
città cq^ modi de’ supplichevoli per
trattare intorno la
pace col console. Or
questi sospirando, prostrandosi^
e dicendo,^ tra molte lagrime, quante
cose mai sogliono
impietosire; indus- sero il console
a questo, che permettesse
loro d’inviare oratori a Roma
per dar fine
in Senato alla
guerra : e che non
danneggiasse in tanto
la terra loro ,
finché ne tornassero colie
risposte. Ad ottenerne
però questo, pro- misero , come volle
il vincitore , dar grano
per due mesi , e danari per
sei pe’ stipeudj
di tutta V armata.
E portate , e ricevute , e dispensate
tra' suoi tali
cose , il console conchìuse
con essi la
tregua. Il Senato
, uditi gii ambasciadori ,
viste le
lettere del console
che molto pregava, e raccomandava che
si finisse il
più presto la guerra
co’ Tirreni ; deliberò
dar la pace
che dimanda- vasi : e che
nel darla il
console Lucio Emilio
stabilisse le condizioni che
gli sembrasser migliori.
Il console a tale
risposta si concordò
co’ Vejenti , facendo una
pace anzi umana , che utile
pe’ vincitori , senza riserbare
per essi delle terre , senza
impor nuòve multe,
nè garantire i patti cogli
ostaggi. Or ciò
lo mise in
grand’ odio , e fu causa
che non avesse
dal Senato ringraziamenti, come savio
nel procedere suo.
Imperocché chiese il
trionfo; ed i padri si
opposero ; incolpando 1'
arbitrio de' suoi trattati , definiti senza
il pubblico voto.
AlìGaché però Digilized by
Googl l5o DKLTT. AXTICHÌTA’
ROMANE nou sei prendesse
ad ingiuria , nè
sen corucciasse ; lo destinarono a portare
le armi contro
de’ Volaci in
soc- corso dell’altro
console, perchè, come
fortissimo nomo eh’ egli
era , desse ivi , se
poteasi , buon fine alla
guer- ra , e dissipasse 1’ odio
dell’ azion precedente.
Ma costui sdegnato sa la negazion
degli onori fece
presso del po- polo lunga accasa
de’ senatori , cpiasi dolesse
loro che spenta fosse
la 'guerra co’
Tirreni. Diceva , che
ciò fa- cevano ad arte
in conculcaménto de*
poveri , perchè i poveri , delusine già
tanto tempo, non
insistessero per la division
delle terre , se tornavano
dalle guerre di fuori.
Queste e simili contumelie
lanciò con indigna- zione vivissima su’
patrizj , e sciolse 1*
armata che avea con
lui combattuto , e richiamò , e
congedò 1’ altra
che era tra gii
Eqni sotto Furio
proconsole. Con die
re- nelle con- ti ricchi i
poveri. XVIII. Presero quindi
il consolato Cajo
Orazio , e Tito Menenio (t)
nella olimpiade settantesima
sesta, quando vinse allo
stadio Scamandro da
Mitilene, es- sendo in Atene
Fedone P arconte^ Il
torbido interno impedì questi
a principio ne* fatti
del comune, fremendo la
moltitudine , nè tollerando che
si fornisse niuna
pub- blica cosa innanzi la
divisione delle terre.
Ma poi, vinto il
popolo dalla necessità , lasciò quanto
facea sommossa e tumulto , e
ne andò
spontaneo in sul
campo. Impe- rocché le undici
popolazioni Tirrene non
comprese nella ( I ) Anno di Roma
377 secondo Catone
, 27;) secondo Varrone , e 4y5 av.
Cristo. stimi molto potere
ai tribuni di
malignare doni contro del
Senato ,, e di alienare
n ciò principio alla
guerra. Levaronsi, ciò
convenuto , dal par-» lamento. Indi a
non mollo spedirono
i Yejenti a raddo» mandare' da’ F
abj il
castello , e già tutta 1'
Etruria era sa r arme.
I Romani , conosciuto ciò per
lettere spedite da’ F abj , decretarono che
uscissero ambedue i consoli r uno alla guerra che
sorgea dall’ Etruria
, e 1’ altro a quella
che ardeva già
co’ Yolsci. Orazio
marciò con due legioni
e con truppe alleate
ben forti contro
de’ Yolsci, Menenio dovea con
altrettanta soldatesca incamminarsi contro r Etraria.
Ma intanto che
si apparecchia, e s’in> dogia ; il
castello di Cremerà
fu preso , e distratta
la stirpe de’ F abj.
La sciagura de’
quali- si narra
a due modi r uno non
persUadevole , 1’ altro piò
prossimo al vero. Io gli esporrò
tutti due , come gli
ebbi. XIX. Narraoo alcuni
che sovrastando no
patno sa- grideio che
doveasi porger da’Fabj,
uscirono gli uomini con
pochi clienti per
compierlo , ed andarono , senza esplorare le
strade , non ordinati
sotto le insegne
, ma incauti e negligenti ,
quasi passassero terre
amiche , nei giorni lieti
della pace. I Tirreni , saputane anzi
tempo Digitized by Google iSa
DELLE ANTICniTA* ROMANE r andata , disposero
tra via le
insidie con parte
dell* e> sercito , mentre 1’
altra parte veniva
in ordinanza non molto
addietro. Approssimatisi i Fabj,
sorsero i Tirreni dalle insidie , e gl’ invasero
di fronte , e di
fianco ; as- salendogli non molto
dopo da tergo
il resto de’ Tirreni. Circondatili d’
ogn’ intorno con
fionde , con archi , e dardi , e lance
; gli uccisero tutti
colla moltitudine dei colpi.
Or tale racconto
a me sembra poco
persuasivo. Imperocché non par
verisimile, che tali uomini,
addetti com’ erano alla
milizia, ne andassero
dal campo in
città senza il voto
del Senato per
sagrìficarvi ; potendo il santo
rito fornirsi per
altri del lignaggio
medesimo, già provetti negli
anni. Che se
tutti erano partiti
d» Roma senza che
stesse ne’patrj lari
alcuno de’ Fabj; nemmeno può
credersi , che uscissero dal
castello quanti di
questi il guardavano; imperciocché
se ne andavano
tre o quat* tro , bastavano a compiere
il santo rito
per tutta la
pro- sapia. Per tali cagioni
a me non sembra
credibile questo racconto.
XX. L’
altro che io
reputo piò verisimile
su la di- struzione di essi , come
su la presa
del cartello , così procede. Andando
questi di tempo
in tempo per
forag- giare, e. spandendosi ognora
più da largo,
come quelli che prosperavano
ne' tentativi ; i Tirreni , raccolte gran forze,,
si accamparono, senza
che il nemico
ne sapesse, in luoghi
vicini : poi facendo
uscire da’ castelli
masse di pecore , di buoi , di
cavalli , come per pascere , accen- devano i Fabj ad
invaderli: ond’ è che venendo
questi predavano i pastori , e
menavano seco i bestiami.
Davano i Tirreni di continuo
tal »ca , traendo i nemici
sempre Digitized by Googlc LIBRO
IX. l53 piii lontani
dal campo : or
quando ebbero con
gli allst- lameoti perpetui
dell’ utile rallentate
le provvidenze loro per
la sicurezza; misero
di notte gli
agguati in luoghi opportuni , intanto che
altri stavano su le allure
per esplorare. Nel giorno
appresso mandali innanzi
alcuni soldati , come per difesa
de’ pastori, cavarono
mollo be- stiame da’ castelli.
Come fu nunziato
ai Fabj , che se andavano
di ià dai
colli vicini , troverebbero ben
tosto il piano ripieno
d* ogni bestiame
senza valida guardia
: lasciarono nel castello
un idoneo presidio
, e vi si di- ressero. E trascorrendo frettolosi , ardenti veri,
e dicendo opera loro,
quanto è l’opera di 'una sorte
improvveduta , ed inevitabile
; li renderono inso- lenti, se già
erano esasperati. Fra
tanti mali i consoli spedirono con
molti danari chi
comperasse grano dai luoghi
vicini : e comandarono che
chi teneane in
casa oltre i bisogni moderati
della vita , lo
recasse al pub- blico: e destinatone i prezzi
convenienti, e fatte queste e cose
altrettali , ammansarono i
poveri che si
sfrena- vano , e si rivobero di
bel nuovo agli
apparecchiamenti delia guerra.
XXVI. E certo tardando
a giugnere le vettovaglie di fuori , e finite in
breve le interne,
non aveaci altro scampo
da’ mali: ma doveasi
nece»ariamente o rischiare tntte le
forze e snidare i nemici
dai territorio, o morire tra
le mura per
le discordie e la
fame. Adunque eles- sero farsi incontro
ai nemici , come al
meno dei mali. E levatbi di
città coll'esercito valicarono
circa la mezza notte
su picciole barche
il fiume, e prima
che il giorno fosse
luminoso , già teneano
il campo presso
a’ nemici. Donde cavato
nel giorno appresso
1’ esercito , 1’ ordiua- (i)
Di ani illiberali
• sordide. Silbtirgio inleade
(|r«. Quindi è che
se dividasi 390U per
laS risulta -i6. Casaub. Digitized by
Google i64 DEIXE Antichità’
romane le trasmutarono in,
àlire di pecore
e’ buoi , tassato an- che il
numero di questi
per le ammende
avveniife , che i magistrati
imporrebbero su’ privati. La
condanna di Menenio fa
causa che i patriaj
si sdegoas'sero col p-
polo , nè più gli
permettevano di fare
la divisione delle terre , nè voleano
in cosa ninna
condiscendergli. Ma tra non' molto lu
potilo il pplo
de’ suoi giudizj , appunto
nell’ udire la
morte di Menenio..
Imperocché non crasi questi
mal p(ù veduto
nelle adunanze , o" ne’
pubblici luoghi: e polendo pagare
l'ammenda (giacché non
po- chi de’ suoi eran
pronti a soddisfarla pr
esso ) , e con ciò non
perdere' niun pubblico
diritto j non volle
: ma giudicando pri la
ingiuria alla morte;
si tenne in
casa, nè più ammise
prsona , e rifinito dal
dolore e dalla ’ fame ' abbandonò
la vita. E tali
sono le ■ Operazioni
di quest’ anno. ^ . XXVIII.
Divenuti consoli Pulsilo
Valerio Poplicòla e Cajo
Nauzio (i), fa
condotto a giudizio capitale
anche un altro patrizio
Servio Servilio, console
dell’anno pre- cedente, non laokò
-dopo che aveva
lasciato il coma'udo. Due
tribuni Ludo Cedicio , e.Tito Stazk)
erano quelli che lo
accusavano’ al popolo-
chiedendo ragione non d' ingiustizia alcuna , ma
degl’ infortuni suoi , perchè nella ballagUa
co’ Tirreni spintosi
egU fin sotto
alle trin- cee nemiche con
più ardirò che
prudenza , e- rincal- zatone da quei
d’ entro' che ne uscirono
in copia , vi prJetle
il meglio de’
giovani. Questo giudizio
parve ai patrizi il
più duro di
tutti.' E congregavansì , e doleansi , (i) Abdo
di Roma 979
Mcoado Catoast aSi
secondo Varrone, e 473 >r.
Cristo* Digilized by Coogle LIBRO
IX.. lG5 è teneano per
gran male se
il bell’ ardire , e il
non ri* cu sarsi
ai pericoli accusarasi
ne’ capitani che
non tro* vavan propizia
la. sorte, e da
quelli che non
erano nemmeno stati ne’
perìcoli : dicevano , che
qne’ giudizj aarebbero ,
coni’ era verìsimile , cagione di
timori e di ignavia ne’ comandanti, e di
non &r loro
mai piu con* cepire
nuovi trovameoti : che
perita ne sa.rebbe
la li- bertà, come annientata.!’ antorità del
capitano. Ed in- sistevano caldamente presso
la plebe >. perchè
non con- rebbe il . danno
se puoi vanti
i dttci > pe’ successi
non buoni. Venuto il
tempo del giudizio , fattosi innanzi Lneio* Cedicio,
uno de’ tribuni, accusò
Servilio di avere per
imprudenza ed imperizia
di comando menata
i’ ar- mata incontro a pericoli
manifesti , e rovinato il
Bore della repubbnca : tanto
ohe se informalo
beo tosto il console ' compagno della
sciagura volando a lui
coll’e- sercito, non respingeva
i nemici, e salvava i suoi;
niente impediva che non
fosse disfatta anche
tutta 1’ altra
mi- lizia , e che in avvenire
per metà decadesse
, non che si ampliasse
la'' potenza di Ronìa.
E cosi dicendo presen- tava per testimOnj
i centurioni , quanti ve n’
erano , èd alcuni soldati, i quali,
volendo rilevare sestessi
dall’ infa- mia della disfatta
e della foga, d’
allora , versavano sul capitano
là colpa degl’
infortito) del combattimetnto. Quindi inspirando
viva compassione, verso
gli estinti in quella
giornata, exl esagerando
quel male, ne
ricordò con. molto .disprezzo
ancor altri , i quali detti
in comune contro i ' patrìzj , scoraggiavano chiunque
di loro volesse intercedere per
Servilla ; é dopo ciò
gli concedè la
dii- / Digitized by Google l66
DKU.E ANTICHITÀ.’ ROMANE XXIX.
E Servilio pigliando a difendersi
disse ^ Cif- tadini , se mi
chiamale al giudizio,
e cìuedete ragione del "mio
capitanalo ; san pronto,
a renderla : ma se mi
oliiàmate ad una
pena già risoluta , e'
mente pift giova eh’
io dimostri che
non v oJ[esi; prendete
fusa-, temi come avete
già stabilito. .Egli'è
pur meglio eh’ io mora
non giudicato cK
ottener le difese,
nè persua-, dervele ; perciocché
■ sembrerei patir con
giustizia ogni cosa che
su me sentenziaste.
Altronde voi meno
sa~ rete colpevoli, se
togliendomi le difese,
jnentre oscura ancora c la
mia colpa , se colpa
ho mai fatta
; secon- date 1 vostri
risentimenti. Il pensier
vostro' dalla vostra udienza mi
-sarà chiaro : il
silenzio o' il
tumulto mi saran d argomento
se m’ avete alle
^scolpo chiamato, o alla pena.
E biò detto si
tacque. E fatto silenzio,
e gridando ben molli
che facesse, cuore , e dicesse ciocché voleva, cosi
ripigliò: Cittadini, se
.voi siete i‘ giudici, non i nemici
miei ; di leggeri
spero XOftVincervi , che non
v’ oj^esì ; e comincio
da ciò cito' tutti
sapete. Io fui scelto
console ’coll ottimo
V-erginio , quando i Tir^ reni fortificatisi
nel colle imminente
a Ronìà , domi» navano,
tutta intorno la
campagna, sperandosi di
abo- lire ben tosto, ambe
il vostro f principato. Eravi
in città fante , discordia
, defeienza onde risolvette. In- contratomi in tempi
così . turbati e terribili ruppi , unito
al collega , due volte
in battaglia i nemici , e gli astrinsi
a lasciare, il castello
, 'che guardavano. Feci dopo
non molto cessare
la fame , ricondotta t abbondanza npl ■
Foro , e consegnai d consoli
susse- guenti sgombro da’ nemici
il territorio che
n’ era pie- Digitized by
Google L13BO IX». 167 HO,
e Roma sana da
tutti i mali politici , i cot pipopoU l’
avea/io inabissata. So
dunque non è de^ litio
vincere gt inimici , e di che mai son
io ’^lpevole presso vai ?
O conte ha Servilio
offeso il popolo',
se alcuni bravi incontraron
la morte col,
maU:hio combai* tere ? Già
non v’ è niun
Dio che asiicuri
ai capitani la vita
de* suoi militari
; nè prendiamo , d , comando
con- patti e formale
di vincer lutti
i nemici ^ e non perdervi aldino
de' nostri. E chi
mai , s egli è uomo^ chi si
offrirebbe di riunire
in sè tutti
i bei tratti di consiglio
buono , e di sorte
? Anzi i grandi risuUad con
pericoli grandi s'
ottengono. XXX. Nè già
io- sono il primo éte
m’ avessi tale ÒKonlro
in combattere, ma
se l ebbero, dOei,
quanti fecero pericolose battaglie
con poche schiere
contro lè molte nemiche.
Incalzarono alctzni i nemici , e poi furono incalzati:
ne uccisero, e ne
furono decisi, an- che in
più nurhero.- siri capitani , riuscitici altri
con termine buotto
, ‘altri con doloroso ? E perchè
dunque^ lasciate gli
altri , e me 'giudicale ; se a
norma - ponderale delle
leggi le opere , non degne
della sapienma e del
capitanato ? Quante imprese
più audaci ancor
della' mia cadde in pensiero
capitani^ di compierle , quando la
circo- stanza non ammetteva consigli
sicuri,' é già maturati^ Chi
strappando le insegne
dalle . mgni de' soldati , le gittò fra
nemici , perchè i suoi
scoraggiati ed intimo- riti » d -rìànimassero a-
forza, istruiti , che chi
non salvatale ne avrebbe
morte ingloriosa dal comandante, jiltri scorrendo
sul territorio nemico , ucdicarono e ruppero
i ponti de' fiumi
valicati, perchè i soldati
non . vedessero scampo nella
fuga, se la
tramavano , e com^battessero coji ardore
e ferrnezza. Altri- dando
alle fiamme le bagagUe
e le tende , necessitarono ' i suoi a ritrovare nelle
terre nemiche quanto
lor bisogna- va. 'Lascio' mille
altre imprese', audaci
tutte , ed ideate da capitani , che ió
.potrei pur dire
'su la sto- ria , e su la
sperienza , e per le quali
ninno mai , faUilagli .la
prova, soggiacque alle
pena E già niuno può
redarguirmi che mettendo
i compagni ad aperto pericolo , io xnen
tenessi lontano. Se
io mi vi
esposi cogli .altri , se ultimo
me ne ritolsi
, se vi 'corsi
la sorte comune di
tutti ; e di~che • sono
io reo ? Ma basti
il fin qui
detto su me. XXXIL
Voglio ora dirvi
alóune poche cose
intorno del Senato e de’
patrizj , perocché f odio pubblico Digitized by
Google l'](y DELLE antichità’
HOMANE contro di loro
per la division
sospesa àeUe terre
deot* neggìa eutcora a me,
nè l accusatore mio
occultò que-^ sto facendomene parte
non piccola delt
accusa. E questo dir
mio sarà libero
; giacché diversamente nè io
saprei parlarvi, né
> voi profittarne» Popolo!
voi nè giusti siete
nè retti non rendendo
grazie al Senato de'
tanti e 'grandi benefit j che
ne aveste ; e sdegnan- dovi che non
'per invidia ma
per calcolo di
ben pub- blico, vi si
oppone .in cosa
che'- dimandate , la quid conceduta tusai
nocerebbe '.al comune.
Piuttosto do- vevate
accettarne i consigli pome' nati -da principj
sol* dissimi , pel bene di',
tutti , e tenervi dalle
sedizioni'} 0 se non potevate
con tal sano
discorso frenar gli appetiti,
t non sani , dovevate implorar
te dimande , persuadendo , non
violentando, Imfièroechè li
doni spontanei titnpettp de’
violenti son più
cari per chi li
dona y e più stabilì
per . chi. H riceve..
Or • voi , viva Dio
, non ' avete ciò
cónsiderato : nia commossi
ed inaspriti dai capipopolo,. come il
mare dai venti
che insorgano, F un. dopo F
altro , non avete
lasciato che la patria
riposasse, nemmen picciolo- tempo.,, tra la xoima , 'e
il sereno. Dondt
è che. noi. dobbiam
pensare migliore per noi
la guerra, che
la pace ;^iacchà
nella guerra maltrattiamo i nemici,
ma gli amici
nella pace. Se voi
lipulate tutti burnii
e lutti utili, come
sono, 1 decreti del Senato
; perchè, non avete
riputato tale anche questo
? E se credete che
il Senato non
prov- veda con semplicità, mq
che male, e vituperosamente amministri , 'perché noi
degradate / voi tutto
, e ven prendete le cariche
, e consultate e
guerreggiale voi Digilized by
Google LIBRO ix; • 171 per
la potenza di
Roma , ma , lo stuzzicate , e lo in- debolite poco a poco
, chiamandone i personaggi più illustri
in giudizio? Certo
sarebbe pur meglio
che fos» situo tutti
insieme combattuti , che càìunmati
ad -uno ad uno. Sebbene , non
siete voi , con»’ io
diceva , la cagione di ciò,
ma i capi del
popolo che vi
sommo- vano , non sapet^o essi
nè ubbidire y nè
comandare. E per ciò che
spetta alla loro
imprudenza ed impe^ rizia',
già più volte
sarebbefi la nave
rove^aicita. Ep- pure il Senato
che ha riparato
tante volle i loro
sba- che. fa che
la vostra repubblica
navighi rettamente, ' ascolta
^ peggio della maldicenza
da loro. Or
queste cose , vi piacciano o no-,
le ardisca io
dire con ogni verità:
e vorrei piuttosto morire;,
videndorm di una libertà
'profittevole ab pubblico
{ . che salvarmi adu- landovi. ■ • ' ■ XXXIIf. G}si, dicendo
,, senza volgei^i a lamentare
o deplorar la sciagura , senza uniilianti
a suppliche, e pro- slrai^ioni non
degne y e senza' ..palesai^
affezione alcuna men che
generosa , lasciò che
parlassero gli altri , 'do- gliosi di ' coadiuvarlo arringando,
o testificando: Lui di** scolpavano, molti
che eran presenti , singoK\rmente Ver* giuio
, gii cpnsòle. co'n
euo lui , riputato
l’autore della vittoria! Coitui
non solamente dimostrò
Servilio irre- prensibile,
ma degno
che si encomiasse
‘ed otiofasse come peritissimo
in guerra , e savissimo tra’
capitani. Diceva che se
credeano buono iì
termine della gaerra dovevano ringraziar
lutti due ; o tutti
dile punirli se sci
aurato ; giacché avevano
.tntti;.dne avuto 'doiiiu ni i
consìgli , le opere , la
fortuna. Commovea non
solo il Digitized by
Googlc 172 DELLE INTICHITA.’
ROMANE / discorso di lui ma la
vita intera, speriménUtta
in tutte le belle
ationi. A^iungevasi ,
ciocché ispirò piò
com- passione , la forma addoloievole , (piai suoL
essere in qiielli che
han sofferto, o siano
per- soffrire tamii
ter- ribilL Tanto che
li' congiunti degU uccisi,
quelli che pareano più . implacabili contro
1* autore tl^l
danuo , Ia sciaronsi vincere-,
e deposer lo sdegno
che ne aveano manifestato ; imperocché
qinna tribù nel
dare il voto
ló diede per la
condanna. E tal fu
la fine de’
pericoli di Servilio. ■ ' . ^XXIV.
Marciò non mólto
dòpo contro i Tirreni r armata Romana
sotto gli auspicj
dei console Pubfio Valerio, perocché
si era d^
bei nuovo levau
in arme la città
di Vejo , ubendpsde i Sabini , alieni fino a
quei giorno di unirsele , quasi aspirasse
cose impossibili : quando
però vider(> Menenio
in fuga e presidiato
il monte prossimo a Roma
, giudicando ^ scadute le
forze Romane , e sbaldanzito
1’ animo di
quella 'repuUilica ,
eoncertaronsi co’ Tirreni , spedendo loro
milizie nume- rose. I
Vejenti confidati su
le schiere proprie
e su quelle giunte di
fresco^ da’ Sabini
frattanto che aspettavano
le ausiliarie degli altri
Tirreni anelavtino , di
volarsene a Roma col
più dell’ esercito , quasi ninno,
ne uscirebbe a combattere , ma dovessero
per assalto espugnarla , o ri- durla con la
fame. Indugiandosi però
essi ed aspettando i confederati, lehti
a ingiungersi, Valerio ne
prevenne i disegni , guidato
contra loro il
fiore de’ Romani , .e gli alleati,
con sortita non
manifesta, ma occulta
quanto polevasi. Imperocché .uscito
da Roma sul
far della sera, e valicato il
Tevere ; si accampò
non lontano dalla
città. Digitized by Google LIBRO
IX. ' 173 Poi levando
F esercito su la
mezza notte , si avanzò
con marcia oi-dinata; e prima
che fosse il
giorno, investi r nna de’
campi nemici. Erano
due questi campi
; di^ sgiunti , ma non molto , fra
loro , l’ uno de’ Tirreni , r altro, de’ Sabini.
Fattosi primieramente stil
campo Sa* bino, assalirlo
fb prenderlo ; ''dormendovi i più
senza' guardia sufficiente, 'come
in terra- amica
, e liberi da ogni sospetto
, nwntre non si
annoqziavano in parte
ai* cuna i nemici.- Preso il
campo , quali furono uccisi
tra il sonno , quali
^orti appena’, o mentre
si armavano , e quali armati
già , mal resistendo disordinati
e dispersi: la -più parte peri,
fuggendo verso .1’ altro
campo,' sor- presa dalla cavalleria.
, XXXV.' Valerio', invaso'
il 'campo Sabino , marciò su r altro
de’ Vejenti , postisi in
luogo non- abbastanza
si- curo: ma non poteano
più gli assalitori
ghingeM oc-' culti , per essere
il giorno già
chiaro ; e datoyi da
fng- gitivi r avviso della
strage Sabina , e di
quella immi- nente ai Tirreni.
Pertanto eca necemario
andar con fortezza al
nemico. 'Ecco dunque
resistere con ardore sommo
i. Tirreni avanti j^i
alleggia'menti , e fervisi' aspra tenzone e strage
vicendevole.; stando 'lungo
tempo in- cert^ e pendendo
or quinci Or
quindi la sorte
della guerra. Alfine dan
volta i Tirreni , sospinti
dalla ca- valleria Rpmana , e ricacciansi tra
le uincee. . Segueli il consolé
, ed approssimatosi alle
trinclere nè* ben
for- mate , nè in. luogo
, come ho detto
, abbastanza sicuro , le assaU
da più parti
; travagliandovi tutto il
resto del giorno , nè
desistendone por nella
notte appresso. I Tir- renivinti da’
mali incessanti / a'bbandonano su l’
alba il Digitized by
Googte 174 DELLE antichità’
ROMANE CAmpo ; altri in
città iuggeo4o$i , altri dispergendosi
pei boschi vicini. Il console , invaso par
questo campo, diè riposo
; in quel giorno
all’ esercito : e net
seguènte com> parti la
preda copiosa de’ due
alloggiameuti tra le
Site milizie , coronando co* premi
^ usati chiunque s’ era
più segnalato nel 'combattere.
SenrUio il console
dell’ anno precedente , quegli
che sfuggi le
^ne popolari , man- dato ora luogdtenente
di Valerio, parsé
aver pià che tatti
risplenduto fra le
arme,- e sospinto i Vejeqti
alla fuga; è per tale
SUO merito ne
ebbe il primo
i premj, riputati' più
grandi tra' Roiliani. 'Fatti quindi
spogliare i cadaveri nemici , e> seppellire
quelli de’suoi , marciando, e
venendo il console
coll’ esercito ne’
campi prosskni a Vejo;
sfidò quelli d’
entro per la
battaglia. Ma non
pre- sentandovisi alcono , e
conoscendo altronde esser
cosa ben ardua pigliarli
di assalto , come chiusi
in città for- tissima, scorse in- gran
parte il lor
territorio, e si glttò su
s quello dé’ Sabini.
E saccfaeggikto pei^., più
giorni', pur questo , ^ che
era ancora intatto
; ricondusse l’ eser- cito
carico di prede
àmplissimi in patria.
‘ Usci di città molto
a dilungo per incontrarlo
' il popolo cintp
di ghir ciò Furio
(i); il Senalo
decretò che Tnino
de’due mar*, classe ^contro
di Vejo , ed
essi decisero, come
u$ayasi, colle sortì, chi
andasse. E 'toccato a Malliq,
vdlò col- r armata, e mise
il campo presso
a’ nemici. I Vejenti ristrettisi fra
le mora , resisteroùO intanto ,.
e spedirono alle città Tirrene, _ ed
ai Sabini,' recenti
loro ' alleati , chiedendone
che mandassero sollecito
ajuto, .Ma percioc- ché non furono
secondati -e consumarono .tra
poco i viveri ; alfine
^ necessitati dalla fame , uscirono, i perso- naggi più
provetti e 'più veóer;iodi
e co’ simboli di. pa- ce , ne
andarono ambasaiadori ai
console per intercedere
' da esso il fin della
guerra. M^o comandò
che poetas- sero a lui li
viveri di due
mesi per'.tulta.rarmsui). o tanto
di argento da
stipendiamela per un’anno,
e ciò . (i) Anno di
Roma a&u secoado
.fatoae^ aSa secoado
Vacroae, 4t 473 av.
Cristo. Digitized by Coogle 176
DELLE Antichità’ romàne fatto , «perirebbero al
Senato per trattarvi
la pace. Ac> cattarono i Vejenti
le condiaioai, e dati
beu^tosl» gli stipendi , e
per concession del
console , anche in luogo del
grano il suo
prezzo , ne andarono a Roma.
Intro- dotti in Senato cercarono
perdono t delle cose
operate fin’ allora, e
requie dalla guerra
in tu.tio. l’ avvenire. Disputate più
cose per l’una
e l'atra sentenza, al
line prevalse quella che
insinuava la riconciliazione , e ven- nesi ad
Una tregua di
quaraot* anni., Gli
oratori, avuta la pace,
assai de ringraziarono
Roofa , e partirono. In opposito
Mallio vi tornò
finita la guerra , e vi
chiese , e n’ebbe il
trionfo a piede (i).
Fecesi, reggendo questi consoli , il censo
; ed i cittadini che
assegnarono sè Stessi, i beni,
e li figli '^ià puberi,
fotono, poco più. che
cento fneUta' mila;
. , . XXXYU. Giunti dbpo
quesU al consolato
. Lucio Emilio Mamertx) per
la terza volta
e Giulio Yopisco nella olimpiade
settantesima settima (a) , nella
quale vinsè allo stadio
Date Argivo , mentre Caritè
era l’a» ' conte- di
Atene ; ebbero assai
travaglioso e turbato il comando , sebben tacesse.
la guerra di
fuori. Standosi ogni nemico
in calma ; ineprsero
per le se4izìoni
in- terne , in pbricoti ,
prossimi a rovinar la
repubblica. Sciolto il popolo
dalia otilizia insistè
ben tosto per la
division delle' lem. 'Imperocché
fra i tribuni aveacene uno
baldanzoso, nè disacconcio
alle arringhe. Gneo Genuzib.eia deiso,
l’ istigatore dei popolo.
Egli ad ora (1)
L’ovatiooe. *' ‘ (a)
Aano di Roma
aSi secondo Catone,
aS3 secondo Varrauc
, e 471 a». Cristo.
' . ■ , Digitized by Googic LIBRO
IT. 177 nJ ora
adunauJolo , per conciliarsi
i poveri ; pressava i consoli all
eseguire il decreto
del Senato sa
la divi» sion delle
terre. E questi ricusavano
dicendo , non es- serne la esecuzione
stabilita pel consolato
loro , ma per quello di
Vergiiiio , e di Cassio a’ quali
era diretto il decreto
: similmente che gli
ordini del Senato
non erau leggi perpetue , ma
previdenze , valide per un anno. In
mezzo a tali pretesti
non potendo costringere
i con- soli che aveano autorità
più grande della
sua ; diedesi a protervi consigli.
Mise in pubblica
accasa Mallio e Lucio
, consoli dell’ anno
precedente , e prescrisse loro
il giorno nel
quale dovésse giudicarsene , pronunziando svelatamente per
titolo dell' accasa
, ch’essi aveano offeso il
popolo col non
avere nominati i decemviri , com'era il decreto
del Senato , per dividere
finalmente i terreni. Che se
non menava in
giudizio altri consoli
quando dodici erano i consolati
dalla emanazione del
decreto , ma faceva rei , questi
due soli , della promessa
tradita; davano per cagione
la mansuetudine sua.
In ultimo disse; che
i consoli attuali allora
unicamente ridurrebbonsi a divìder
le terre , quando vedessero
alcuni de’ trasgres- sori puniti dal
popolo , considerando che avverrebbe anche ad
essi altrettanto. XXXVllI. Ciò
detto , esortati tutti a venir
pel giu- dizio , giurò per
le sante cose , che
egli osserverebbe il proposito
, ed insisterebbe con
tutto l’ardore su
la con- danna di quelli,
e prefisse il giorno
in cui sen
farebbe la causa. I patrizj , ciò udito , caddero in
molto timore e sollecitudine , come
dovessero liberare que’
due , e reprimere 1’ audacia
del tribuno. Deliberarono
resistere DIOXIGI . tomt Iti.
i> Digilized by Google 1-^8
DELLE ANTICniTA’ ROMANE al
popolo fortissimameote , e bisogoandovi
, colie armi ancora , né permettergli cosa
ninna , se mai
la decre- tasse contro la
dignità consolare. Non
però vi bisognò violenza ninna , cessando il
pericolo con risoluzione
ina- spettata e repentina.
Imperocché quando mancava
al giudizio un giorno
solo; Genuzio fu
rinvenuto morto nel suo
letto p senza indizio
niuno di uccisione
non per isu-azio , o capestro , o veleno , nè
per altre insidiose maniere. Risaputosi
il caso , e portatone il
cadavere nel Foro , parve
questo come un
impedimento divino , e ben
tostò il giudizio
fu tolto. Imperocché
niun tribuno osò di
riaccendere la sedizione , anzi molto
condannò le lune di
Genuzio. ' Se dunque
i consoli quando il
cielo chetò la discordia
avessero ceduto, non
insistito in con- trario ; non sarebbero
incorsi in altro
pericolo. Ma da- tisi ad
insolentire e spregiare il
popolo, e fatti vogliosi di
mostrargli quanto era il potere
del loro comando
; causarono mali gravissimi.
Intimata una iscrizioa
mili- tare , e forzandovi
chi ricusava , con multe
e verghe : ridussero il
più del popolo
alla disperazione, principal- mente per tali
motivi. XXXIX. Publio Valerone
, un plebeo , d’ altronde illustre fra
le arme, e già
capitano di centurie
nelle guerre precedenti , fu segnato
da essi per
semplice le- gionario. Or lui
reclamando , e ricusando un posto
che lo disonorava quando
non aveva demeriti
anteriori, sde- gnaronsi i consoli
de’ liberi modi ,
e comandarono ai Kttori di
nudarlo a forza , e di batterlo.
Il giovine in- vocava i tribuni , e chiedeva , se era
colpevole , di es- sere giudicato dal
popolo. Ma non
udendolo , ed insi-
Digitized by Google LIBRO
IX j irjg Stendo i consoli perchè
i latori sei menassero , e lo bal^ lessero;
egli riguardò la
ingiuria come insoffribile,
e divenne appunto il
vindice di sè
stesso. Imperocché,
fortissimo eh’ egli
era , trae de’
pugni in faccia , ed
at- terra il littore che
primo lo investe , e poi l’ altro.
Esa- sperandosene iconsoli, e
comandando a tutti insieme
i satelliti di avventarsegli
; parve raiion superbissima
ai plebei ebe eran
presenti. E congregandosi ; e schiamaz- zando per
istigarsi 1’ uno V
altro alla vendetta;
ritolsero il govane, e respinsero
colle percosse i littori.
Alfine si spiccavan su i
consoli , e se questi non
isparivan dai F oro ; sarebbevisi
fatto male gravissimo.
Per tale evento tutta
la città se
ne scinde ; ed i
tribuni placidi fin’
al- lora , fremendo ne accusano
i consoli : e le contese
per la ditnsion de’
terreni cangiaronsi in
altra più grave
su la forma del
governo. Imperocché irritandosi
i paU-isj come i consoli , quasi
fosse l’ antorilà conculcata
di questi ; voleano precipiur
dalla rupe l’ audace
che in- sorse su i littori.
Per 1’ opposi to
i plebei riuni vansi , e
vociferavano e conciUvansi a non tradire la
libertà. Si rimettesse la
causa al Senato , vi
si accusassero i con- soli, e se n esigesse
un castigo , perchè non
lasciarono goder de’ suoi
dritti , e traturono come uno
schiavo, e diedero a battere
un uomo libero
, un cittadino , che chiedeva l’ ajuto
de’ tribuni , e di essere , se
fosse reo , giudicato dai
popolo. Fra tali
contrasti e ritrosie di ce-
dere gli uni agli
altri , decorse tutto
il tempo di
quel consolato senza fatti
di guerra, o di
governo, belli e memorandi. Xh. Venuto
il tempo de’comizj
furono dichiarati Digitized by
Googlc i8o DELLE Antichità’
romane consoli Lucio Pina
rio e Publio Furio
(i). In principio di
quest’ anno la
cilià fu piena
ben tosto di
religiosi e divini terrori
pe’ molli portenti
e segni che apparvero. £ li vali , e gl'
interpreti delle sante
cose, dichiaravano tutti ,
esser questi gl’
indizj dello sdegno
celeste per al- cuna sacra cosa , fatta
con ministero non
pio , nè puro. E dopo non
mollo ne venne
su le donne
un morbo , chiamato contagioso
, e tanta moruliià per
le gravide principalmente ,
quanta mai più
per addietro. Imperoc- ché partorendo prole
immatura e già morta , perivan con essa.
IVè le suppliche
ne’ templi e nelle
are de’nu- mi, nè i
sagrifizj di espiazione
fatti a scampo della
pa- tria o delle famiglie ,
portarono un fine
ai mali. In tal
rio stato un
servo diè cenno
a’ pontefici , che una
delle vergini sacre , custodi del
foco inestinguibile , ( Orbilia ne era
il nome ) avea
la sua verginità
estinta , e che non pura sagrificava
; ed essi traendola
dai Santiìario , e dandola a giudicare
; poiché per gli
argomenti fu rea manifesta
, la batterono , e condottala con
pompa lugu- bre per la
città , la seppellirono
viva. Di quelli
poi che ebbero il
mal' affar colla
vergine , 1’ uno si
diè la morte di
per sè stesso;
l’altro fu preso
nel Foro pe’ sopra- stanti delle sante
case , e flagellato come uno
schiavo , ed ucciso. Dopo
ciò fini ben
tosto la infermità
soprav- venuta alle femmine , e la
tanto lor perdita. XLI.
La sedizione già
si diuturna in
Roma de’plebet co’ patrizii , vi
ribolli per opera
di Publio Valerone
tri- buno , quello che ntll'
anno precedente aveva
disubbi- |i) Anno di
Roma aSa secoudo
Catone, aS; secondo
Varrone, e 4^0 av.
Cristo. ♦ Dìgitized by Google LIBRO
IX. l8l dito i consoli
Emilio e Giulio quando
il segnavano per legionario,
di centurione che
era. Costui nato
di stirpe vilissima , e
cresciuto in grande
oscurità e disa- gio , fu creato
tribuno dal ceto
de' poveri , appunto perchè sembrava
che avesse il
primo tra’ privati
umi- liato il grado consolare
, autorevole Gu’ allora
come quello dei monarchi,
'e molto più
per le promesse
che dava di togliere , giurilo al
tribunato , la potenza de’
patrizj. Costai quando l' ira
del cielo era
cheta , convocando il popolo,
fece uba legge
su le elezioni
popolari trasmu- tando i
comizj che i Romani
chiamano per curie
in quelli per tribù.
Io sporrò qual
sia la differenza
degli uni e degli altrL
Li comizj curiati
perchè fossero va^ lidi , conveniva che
precedesseli il decreto
del Senato , che il
popolo vi desse
il voto di
curia in curia
; e che oltre questi due
requisiti , niun segno , nè augurio
ce- leste vi si opponesse
: laddove gii altri
comizj compi- vansi dalle
tribù con un
giorno solo senza
decreti an- teriori del Senato
, senza sagriGzj , e senza le
divinazioni degli auguri. Due
degli altri quattro
tribuni volean co- m’ egli
la legge ; ed
esso tenendosi amici
que’ due ; ne andava
superiore a fronte degli
altri che la
ricusavano i quali eran meno.
I consoli , il Senato , i patrizj
in- tendeano tutti a distoglierla e renderla
vana. E recatisi in folla
al Foro nel
giorno preGsso dai
tribuni per fon- dare la
legge , vi furono
aringhe di consoli , di
sena- tori provetti , e di
chiunque il volle , per
dimostrare gli assurdi di
essa. Risposero i tribuni , e di bel
nuovo i consoli ; e prolungandosi mollo
le altercazioni , fecesi notte , e l’ adunanza fu
sciolta. Proposero nuovamente Digitized by
Google 182 DELLE Antichità’
romane i tribuni pel terzo
mercato la diacussion
su la legge
; ma concorsavi gente anche
in pi & copia , se n’ebbe
un fine simile al
precedente. Or ciò
vedendo Publio, de- liberò di
non permettere ai
consoli di accasare
la legge , nè al
patrizj di trovarsi
al dar de’
sufiì'agj. Perocché questi co’
loro amici e clienti
non pochi , ingombravano
gran parte del F
oro , facendo animo a chi
denigrava la legge , e remore
a chi difendevala , e cose
altrettali che nel dar
dei voti sono
indizio di violenza
e disordine. XLII. Se non
che ne interruppe
i disegni tirannici nn’
altra calamhé mandata
dal cielo. Imperocché
sorse in città nn
morbo pestilente che
infuriò pnr nel
resto d’ Italia ; non però
quanto in Roma.
Nè valeva per
gii infermi soccorso umano , morendovi del
pari e chi era con
ogni diligenza curato,
e chi non lo
era. Nemmeno giovarono allora
suppliche , sagrifizj , espiazioni
private o pubbliche , alle
quali necessitati si
rivolgono gli uo- mini io
tali casi per
estremo rimedio. Il
male non di- stinse non età , non
sesso , non vigore
, non debolezza, non arte ,
non cosa
ninna di quelle
che pajono ren- derlo più leggero;
ma comprendea del
paro Uomini e donne , giovani e vecchi.
Non però durò
gran tempo , e questo impedì
che la città
ne perisse totalmente.
Si gettò come torrente
o incendio su gli
nomini con im- peto furibondo , ma passeggero.
Quando il male
diè requie ; Publio era
per uscire di
carica. E siccome non potea
stabilire in quel,
resto di tempo
la legge ; soprastando
i comizj j chiese di
nuovo il tribunato
per l’anno seguente, fatte
molte e grandi promesse
al po- polo: e di nuovo
se lo ebbe
egli, e due de’ compagni. « Digitized by
Google LIBRO IX. l83 Per
Topposito i patrizj tentarono
far console un
uomo aspro, odiatore del
popolo, e che non
lascerebbe punto diminuire l’ autorità
de’ pochi : io
dico Àppio Claudio , 6glio di
queir Appio eh’
crasi tanto opposto
al ritorno del popolo.
Or quest’uomo che
moltissimo contraddiceva alla scelta
dei tribuni , questo che
non avea nemmeno voluto venire
al campo p«’ comic],
sei crearono con-* sole , quantunque assente , avutone precedentemente il decreto
del Senato. XLIII. Terminati
ben tosto i comic]
> per esserne partiti i poveri
appena udito il
nome di Appio
; pre^ sero il consolalo
Tito Qninuo Capitolino
ed Appio Claudio Sabino,
nomini non simili
di caratteri e di voglie
(i). Perocché Appio
voleva distrarre tra
le mi- lizie di fuori
il popolo ozioso
e povero , afGnchè coi suoi
travagli guadagnasse dai
beni ' del nemico
il vitto giornaliero , di cui
tanto penuriava , e rendendo UliK servigi
alla patria , non fosse
malafFelto e molesto a’ pa-
dri che governano il
comune. Dicea che
avrebbe puiv le cagioni
plausibili di guerra
una città che
si procac- ciava il comando
, e che era da
tutti invidiata : chie- deva che argomentassero dalle cose passate
le future , esponendo quanti
moti erano stati'
in città , e come sempre nella
cessazion della guerra.
Quinzio però non pensava
di portare ad
altri guerra : dichiarando
che do- vea bastar
loro quando il
popolo ubbidiva chiamato contro ai
pericoli esterni , che sopravvengono
e strin- gono , e dimostrando , che
se forzassero nel
caso pre- ti) Anno di
Roma a83 secondo
Catone , aSS secondo
Varrone, av. Cristo. Digilized by
Coogle l84 PKLLE ANTICHITÀ.’
ROMANE sente gl' indocili , indurrebbero la
disperazione come i consoli
precedenti 1’ avevano
indotta. Dont}* è che
por- rebbonsi essi a repentaglio
o di opprimere la
sedizione col sangue e colle
stragi , o di scendere con
vitupero ad appiacevolire la
plebe. Comandava Quinzio
in quel me- se ; tantoché non
potea 1’ altro
console far nulla
senza il consenso di
esso.. Ma Publio
e li compagni ripiglia- rono senza indugio
la legge , che non
aveano potuto stabilire nell'
anno precedente , aggiungendo
a questa , che si
creassero ne' comizj
stessi ancora gli
edili: o che tutto in
fine, quanto si
trattava o risolveva dal
popolo, si trattasse e risolvesse
nel modo medesimo
con i co- mizj per trìbùr
Or ciò era l’
annientamento manifesto del Senato
, e l’ inalzamento del popolo. XLiy.
A tale notizia mpensierirono , e discussero i consoli , come
togliere pronti e sicuri
la sommossa e la
sedizione. Appio consigliava
che si chiamassero
al- r armi quanti volean
salva la forma
della repubblica ; e che
si numerassero tra’
nemici quanti si
opporrebbero ad essi che
le impugnavano. Ma
Quinzio giudicava che si
dovesse prendere il
po[x>lo colla persuasiva
, e con- .vincerlo die per
ignoranza de’ -veri interessi
sla nciavansi a rovinose risoluzioni.
Dicea esser t estremo
'della de^ menta estorcere
colla forza da’
cittadini ritrosi ciocché aver
ne poteano di
buorr grado. Ora
approvando pur gli altri
senatori il parere
di Quinzio ; i consoli
ne an- darono al Foro,
e chiesero da’ tribuni un’aringa,
ed il giorno in cui farla.
Ottenuta a stento l’una
e l’altra istanza, venuto il
giorno richiesto, e concorsa
al Poro moltitudine d’ ogni
genere preparata per
opera de’ due Digitized
by Googic MBIVO IX.
l85 magistrati in favor
loro , presenlaronsì i
consoli per cen- surarvi la legge.
Quinzio , uomo altronde discreto , e persuaso che
il popolo avessi
a guadagnar col discor- rere , chiese il
primo udienza , e ragionò cose a
propo* sito , e con piacere
di tutti ; cosicché
li fautori delia legge
impotenti a dir cose
pii^ giuste o benigne,
assai ne furono imbarazzati.
B se il console
collega non la- vasi ancora troppo
gran moto ; forse
i plebei ricono- scendo che non
cercavano nè il
giusto , nò il bene
ri- pudiavan la ■ legge.
Ma perciocché colui
tenne un discorso superbo , e grave ad
udirsi da’poveri ; il
popolo ne fu crocciato , implacabile , e discorde , quanto
mai piò per addietro.
Non parlò costui
come a uomini liberi,
a cit- tadini arbìtri di fare e
disfare le leggi
: ma quasi par- lasse con nomini
vili , forestieri , né liberi
solidamente; vi lanciò detti
amari, insoffribili: vi
lamentò le assolu- zioni dei debiti , e ricordò la
separazione dai consoli
; quando dato di
piglio alle insegne , che
pur sono , san- tissima cosa ,
abbandonarono il campo , volgendosi ad un
esilio volontario. Richiamò
li giuramenti che
avean fatti , quando presero per
la patria le
armi , che poi contro lei
sollevarono. Pertanto diceva
che non sarebbe meraviglia se
essi che avevano
spergiurato gl’iddj , lasciato i
capitani , e diserta , quanto era
in loro , la p^ttria , e che vi
erano tornati, confusavi
la buona fede,
e sov- vertitevi le leggi ed il governo
, ora non si
dimostras- sero moderali ed utili
cittadini : mai incitati
da nuòvi desideri ed
eccessi , talvolta
chiedessero magistrati pro- prj , scelti dall’ordin
loro, e questi iudipendentì
, in- violabih ; tal’ altra
chiamassero in giudizio
per cagioni Digitized by
Google 1 86 DELLE A^TICHITA’
ROMANE turpissime
que’palrizj che loro
paressero, trasferendo dal celo
più puro al
più sordido i poteri
con cui Roma faceva
un tempo giudicare
sull’ esilio e la
morte; e ta- lora i
mercenari e privi de’
palrj lari com’
erano , fis- sassero leggi
ingiuste ed oppressive
contea i bennati , senza lasciare
al Senato la
facoltà di proporle
prima col sno decreto
, tolta ad esso
una prerogativa che
aveva V sempre avuta senza
contrasto, fin sotto
de’monarchi, e de' tiranni.
E dette molte altre
cose consimili , senza
lasciare indietro memorie
amare, nè risparmiare
nomi ingiuriosi ; alfine pronunziò
questo ancora per
cni tntto il popolo
ne infuriò , vale a dire
che mai la
città che* terebbesi totalmente
dalle sedizioni ma che sempre
in- fermerebbesi per nuovi
mali , finché fossevi il
poter dei tribuni ; affermando
che negli affari
politici si dee
ve- dere che i principi sian
buoni e giusti , giacché da
buon seme si ha
frutto buono e felice,
ma infelice e reo
da reo seme. XLV. Diceva
: se questo potere
fosse erttraio in città
di buon accordo
per ulil comune;
venutovi col favor degli
augurj e della religione , sarebbe stalo
a noi causa di
molti e gran beni , di
unione , di leggi savie,- di speranze
belle dal ctmto
dé’ numi, e di mille altre
cose. Avendovelo però
introdotto la violenza,
la prevaricazione , la discordia , il timore
di una guerra interna, e tutti
i mali più odiati
fra gli uomimf
come con tali principii
ne sarà mai
fausto e salutare? Ben è superfìua cosa
cercar farmachi e cure
quante sen possono ai
mali che ne
germogliano finché restavi
la radice viziata. Nè
mai vi sarà
termine , mai requie Digitized by
Googte LIBRO IX. 187 alcuna
dallo sdegno celeste , finché ques^
invìdia , in» saziabile
furia in città
s’ annida , e lorda , ed infra- cida tutto. Ma
per tali cose
vi sarà discorso,
e tempo più acconcio. Ora,
poiché si vuole
rimediare alle còse presenti
; io lasciando ogni
acerbità , vi dico : « N& » questa legge,
nè altra qualunque
non approvata prima » dal
Senato sarà mai
valida nei mio
consolato. Ma so> n Sterrò con
parole gli ottimati , e quaudo anche
1’ o- » pere vi
bisognino , nemmeno in
queste sarò vinto » dagli
avversar). E se non
prima ayete saputo
quanta » sia r /lutorità de'
consoli , nel mio consolato
lo sa- a prete, a XLVI.
Àppio cosi disse , quando Cajo
Lettorio il piò provetto
e più venerabile de’
tribuni , uomo rico- nosciuto
non ignobile in
guerra , e buono al maneggio degli affari , sorse e replicò
, cominciando da alto ,
e ragionando a luogo sul
popolo , quante diftìcili
spedi- zioni avessero intrapreso i poveri , da
lui vilipesi , non- solo nel
tempo dei re , quando
forse era necesiiià
, ma dopo la espulsione
loro per acquistare
alla patria la libertà
e il comando. Pur
non ebbero , dicea
, ricom- pensa ninna da palrizj , né
goderono alcuno de'
pub- blici beni; ma quasi
presi in guerra
, furono privati injino della
libertà : e se volevano
conservarsela do- vettero .
abbandonare la patria , cercando una
terra ove non fossero , essi liberi
uomini , insultati^ Senza
violentare , senza obbligare colle
arme il Senato
, eb- bero nella patria il
ritorno , condiscendendo a lui che chiedeva
e pregava che si
rendessero alle abbandonate lor cose,
fi qui spose
i giuramenti , e rammentò gii
Digilized by Google l88
DELLE antichità’ ROMANE accordi fatti
per questo ritorno;
tra’ quali v’era I* amni- stia di tutto
il passato, e la
concessione a’ poveri
di eleggersi magistrati i quali
proteggessero loro , e resi- stessero a chiunque volesse
mai conculcarli. Scorrendo su
^li subjetd , aunoverò le
leggi fondate poco
prima dal popolo ; come
quella su la
iraslasion dei giudizj
per la quale il
Senato cedeva ài
popolo che chiamasse
in giudizio qual più
volesse de’ patrizj
; e 1’ altra sul
dar dei suffragi, la
qual rendeva arbitri
de’ voti i comìzj per tribù , non quelli
per centurie. XLVIL E così
ragionato Sul popolo
; rivolgendosi ad Appio disse
: E tu ardisci et
insultar quelli pe’
quali la repubblica divenne
di piccola grande , e luminosa d' ignobile ? tu
chiami sediziosi gli
altri ^ e rimproveri loro tome
fuorusciti ? Quasi non
tutti rammentino ancora ciocché
avvenne tra noi , vuol
dire che gli
avi tuoi levarono il
capo contro de’
magistrati , abbando- naron
Ut patria, e supplichevoli qui s'
alloggiarono. Se non forse
voi che avete
abbandonala la patria
per amore della libertà
, voi v avete fatto
un opera belìa^ fié
^ella è quella de’
Romani che han
fatto altret- tanto, Tu ardisci
calunniare l’ autorità de’ tribuni
conte introdotta a mal fatto
; e persuadi qui noi
che c in- voliamo questo sacro , questo immobile
rifugio de’ po- veri , confermatoci da
numi a dagli uomini
per tanto grandi cagioni
? Ta tirannissimo ,
ninUcissimo che sei del
popolo ! E non giungi
nemmeno dunque a vedere , che ciò
dicendo , oltraggi il
Senato , oltraggi la tua mùgislratura
? Insorse pure ' tutto
il Senato contro dei re
, più non potendo
so ferirne la
superbia^ Digitized by GoogleLIBRO
IX. 1 89 c gli affronti
; e fondò il consolalo
, e prima di ban- dirli da
Rema f coesi altri
ministri del regio
potere. 2'antochè ciò che
dici contro del
tribunato come in- trodotto mal fato,
per la origine
sediziosa, ciò dici ancora
contro del consolato
; giacché non altra
causa il fé nascere
se rwri lo
scuotersi de’ patrie j contro dei re.
Ma che parlo
io di queste
cose con te
quasi con cittadino buono
e Moderato , quando tutti
sanno che tu sei
di^ stirpe mal grazioso , anzi acerbo , anzi
in- festo al popolo , nè buono
da ingentilire la
salvati- chezea tua ? X)
perchè non pospongo
i detti , e ^ in- vesto co’ fatti
, e ti mostro che
tu che non
ti vergogni di chiamare
il popolo un
sordido , e senza casa , tu
non sai
quanta sia la
forza di lui ?
quanta quella del suo
magistrato a cui le
leggi ti obbligano
di dar luo- go e di
cedere ? ma già
lasciati 1 rammaricìd delle parole , comìncio le
opere. XLVIII. E ciò detto
giurò col giuramealo , più rive* reado
infra loro , di sostenere
la legge; o di
morire. E qui taciutisi
lutti , e latti empiutisi di
ansietà su ciò che
farebbe : comandò che
Appio ne andasse
dall* adu- nanza. E
perciocché non ubbidiva
, ma cingendosi coi littori
e colia turba che
aveasì perciò condotto
di casa, ripugnava ad
andare ; Lettorio , intimato pe’
banditori silenzio,
consigliò che i tribuni
facessero portare il
con- sole nella carcere. E qui
la guardia di
lui si avanzò
, comandata , come ad arrestarlo
; ma il littore , che
il primo se la
ebbe innanzi , la battè
e respinse. E levatosi romor grande
e rammarico; v’accorse lo
stesso Lettorìo, eccitando la
turba in ' suo
ajulo. Se gli
oppose Appio Digitized by
Google igo DELLE Antichità’
romane con giovani bravi
e numerosi; ed eccone
quinci e quindi viluperauoni ,
grida , spinte ; talché la
contesa diveni— vane zuflà , ornai
cominciandovisi il trar
delle pietre. Se non
che ripresse tali
colpi , e fece chn il
male non procedesse più
oltre Quinzio l’ altro
console , caccian- dosi egli c li più
anziani de’ senatori , tra le
minacce , e supplicando e scongiurando tutti
a desistere. Non avanzava allora
se non picciola
parte del giorno,
e però si divisero finalmente
, ma di mal’
animo. Incoiparonsi i magistrati a vicenda
ne’ giorni appresso
: il console accusava i tribuni
che tentassero di
annientare il suo grado
col volere in
carcere chi lo
rappresentava ; ed i tribuui
il console , pe’
colpi portati su
persone , sacre ed inviolabili per
la legge ; e de’
colpi avea Lettorio
i segni manifesti nel'
sembiante. Intanto stavasi
la città scissa e fremente.
I tribuni ed il
popolo occuparono il Campidoglio, non
tralasciandone mai la
guardia, giorno' e notte : il
Senato adunatosi tenne
lunga e travagliosa
discussione intorno ai
modi di chetar
la discordia , con- siderando
la gravezza del
pericolo , e come nemmeno
i consoli fossero uniti
fra loo); giacché
volea Quinzio conr^dere al
popolo le istanze
• moderate , ed Appio vi ripugnava , a costo ancora
della vita. XLIX. E poiché
ninna cosa avea
termine , Quinzio presi nn per
uno i tribuni ed
Appio , orando , scon- giurando , raccomandava loro
di antepoiTe il
ben pub- blico al proprio.
E vedendo alfine ornai
rimplacidili quelli, ma duro
in sua caparbietà
il console compagno; persuase Leitòrio
e i seguaci di lui,
sicché rimettessero al Senato
l’esame de’ privati e pubblici
risentimenti. Con- Digitized by
Google LIBRO IX. *9* Tocato quindi
il Senato, lodativi
ampiamente i tribuni, e
scongiurato il compagno
a non contrastare la
salvezza pubblica , invitò tutti
, secondo il solito , a dirne il pa-
rer suo. Invitato per
il primo Publio
Valerio Poplicola, disse: che
doveansi dal pubblico
condonare, non por- tare in
giudizio le incolpazioni
vicendevoli de' tribuni e del
console su quanto
s’ avean fatto o sofferto
nel tumulto; perchè non
erosi fatto per
mal animo, nè per
ben propiro , ma
per gara di
preminenza in re- pubblica: quanto alla
legge poi sen facesse
previo decreto in Senato
; giacché Appio console
non voleva che senza
questo al popolo
si proponesse. Del
resto provvedessero tribuni e cofisoli
insieme il buon
ordino, e C armonia de' cittadini
nel dar de'
suffragi. Appro- varono lutti quel
dire ; e ben tosto
Quinzio fe’ dare
il volo a’ senatori
su la legge.
AcCusolla Appio per
più capi, e -molto i tribuni
se gli opposero,
ma vinse (ìnal- mente
di gran lunga
il partito per
introdurla ì stesone il decreto
del Senato, ne
tacquero le gare
de’ magistrati, il popplo di
buon grado lo
accolse , e fece co’
sufTragj suoi la legge.
Da>quelip (i) fino a
miei tempi i comizj per
tribù decidono col
volo loro la
scelta de’ tribuni
e degli edili ^enza
dipendenza ninna dagli
augurj^e dalle cose di
religione. E tal fu
la soluzione de’
dissidj che di que’ giorni
conturbarono Roma. L. Piacque
dopo non molto
ai Romani di
arrolar le milizie , e spedire ambedue
^ consoli contro gli
Equi e li Volsci:
perocché nunziavasi loro
eh’ erano uscite truppe (i)
Addo di Roma
a83 secondo Catone,
a85 secondo Varrone, * 4^
UT. Cristo. Digilized by
Google 1C)2 DELLE antichità’
BOMANE in gran numero
deli’ uno e dell’
altro popolo e depre- davano gli
alleati Romani. Apparecchiati
dunque in fretta gli
eserciti , e sceltone colle sorti
il comando ; Quinzio marciò contro
gli Equi, ed
Appio contro de’Volsci.
Ma ciascun dei due
consoli v’ ebbe
le vicende che
meritava. Imperocché l’armata di
Quinzio benevola al
vaientQomo per la moderazione , e per la
dolcezza di lui , ne
ubbi- diva pronta i comandi , e
le più
volte anche senza
co- mandi affrontava i pericoli ,
per acquistargli fama
ed onore. Dond’è che
scorse in gran
parte, saccheggiando, la region
de’ nemici ; senza
eh’ ardissero questi
venirne alle mani : e raccoltevi amplissime
prede , e vantaggi , e
dimoratavi alcun tempo
scevra in tutto
da mali; si
pre- sentò di bel nuovo
in patria , rimenandovi il
suo capi- tano luminóso per
le belle azioni.
Ma 1’ arntata , anda- tane con Appio , lasciò per
odio di lui
ipulti patrj do- véri; perocché fu
mal animata in
ogni spedizione e poco curante il
suo duce: e quando
le bisognò far
battaglia co’ Volscl , schieratavi
da . esso, ricusò
di venire alle mani.
Centurioni ed antesignani , chi lasciò
la schiera sua , chi gettò
1’ insegna , e rifuggironsi agli
alloggia- menti. E se gl’inimict, sorpresi
dalla stranissima fuga, ed'
intimoriti per essa
di un qualche
inganno , non de- sistevano
dall’ incalzarli ; perivane
il più de’Romani.
Or ciò faceauo a mal
cuore del capitano
, sicché egli sul- r esito
di fauste battaglie,
non crescesse col
trionfo, e con altri
onori. Nel giorno
appresso ora il
console re- darguendoli per la
fuga -ingloriosa , ora esortandoli
a cancellarne la infamia
con un generoso
combattimento, ora minacciandoli che
varrebbesi del rigor
delle leggi se Digitized
by Googl LIBRO IX.
ig3 non teneansi fermi
contro a’ pericoK
, essi ìadociii tut>' lavia Io
intronarono colle grida , e cltiesero che li ri«> tirasse dalla
guerra , come invalidi
a pi& resistervi per le
ferite. E quasi feriti
davvero , ' aveansi alcuni fasciate membra sanissime.
Appio adunque , necessitatovi ,
ritirò r esercito dalle terre
nemiche; ed i Volaci
tenendogli dietro, ne ticoisero'non
pochi. Giunti in
terre amiche, il cònsole
convocatili , e fintine i
grandi lamenti , an- nnnrìò che.
punirebbeli come i disertori.
E quantunque seniori e
magistrati militari assai
lo pregassero a tem- perarsi , nè volgere
la patria di
danno in danno
; egli non tenne conto
di alcnno , e stabili la
pena. Quindi i centarìoni le
cui centurie fuggirono
«'e li portatori delie bandiere , che le
aveano peivlute , gli nm furono
decapitati colle scuri , e gli
altri Colle verghe
battuti e morti. Del
resto della diilizia
ne peri , tirata a sorte , la
decima parte per
tatti. Tale fra*
Romani è il castigo per
chi lascia l’ ordinanza
, o getta la insegna.
.Dopo ciò egli , duce odióso
, condocendo 1’ avanzo
dell’ eser- cito mesto è disonoralo
; ornai sovrastando i oomiz)
, si rimise in patria. LI.
Dichiarati consoli , dopo questi , Lncio Valerio per
la seconda volta
, e Tiberio Emilio (i); i
Tribuni contenutisi già per
qualche tempo , introdussero di bel
nuovo il
discorso su la
division de’ terreni. £d
andatine ai consoli ,
chiesero supplichevoli ed
insistenti che si mantenessero al
popolo le proihesse
fattegli dal Senato (i)
Addo di Roma
384 *, piacciavi
udirle o no, vi
dico,, veracissimo e libero , come
utili di presente , e sicure per P
avve- nire , se lascerete mai
persuadervene ; quantunque per. me
che affronto pel
pubblico bene l'odio
altrui saran causa di
mali non pochi.
Imperocché ragionando an- tivedo , e presentami i casi
altrui come norma
de'miei. Digilized by Google LIBRO
IX. IQQ LIV. Appio
cosi disse , e consenlendo con
lui quasi tutti , fu sciolto
il Senato. Irriuronsi
i tribuni per la ripulsa
: e partitisi , considerarono
come punirne un tal
uomo. In
mezEO al molto
discutere piacque loro
di sot- toporre Appio ad un giudizio
capitale. Pertanto accu» sandolo
.nell’ adunanza del
popolo , invitarono tutti a venire
in giorno determinato , per sentenziare
su lui. Sarebbero queste
le incolpazioni , vuol dire
che stabiliva massime ree
cofilro il popolo
; che riaccese in
città la sedizione ; che
alzò viqlento le
mani sul tribuno
ad onta delle leggi
sacrosante ; e che duce
delC esercito , sen tornò
pieno di sciagura , e (T infamia.
Annunziate tali cose al
popolo , e destinato il
giorno in cui
di(^ vano che ne farebber la
causa , intimarono ad Appio
di comparire a difendersi. Sen
dolsero e prepararonsi i padri
Con tutto l’ ardore
a salvarlo. Eid esortandolo
a cedere al tempo , e prender abito
conveniente alle cir> costanze ; replicò
che mai non
farebbe azione vile , nè degna delle
precedenti; e che sosterrebbe
anzi mille morti che
prostrarsi supplichevole ad
alcuno. Rimosse alquanti
‘che eran pronti
d’ Intercedere per lui , dicendo: die sarebbegli
stata doppia vergogna , se
vedesse altri fare per
lui ciocché non'
dovea fare nemmeno
per sè stesso. Dette
queste , e cose consimili ,
senza cambiar vestimenti, nè
tener di sembiante,
nè llul fìnsero
che per una
Infermità morisse. Portatone quindi
il cadavere nel
Foro , -il Gglio di
lui fattosi innanzi
ai tribuni ed
ai consoli » dimandò Digitized by
Coogle 200 DELLE ANTICHITÀ’
ROMANE che convocassero Tadananza
legittima; e ^mettessero a
lui di
lare sul padre
suo la -funebre
laudazione, usala in morte
de’ Valentuomini. Intimarono ai
consoli l’adu* nanzB ; ina
vi ripugnarono itribuni , ed
imposero al giovine di
tor via quei
cadavere. Non sofferse
il popolo né guardò
con indifferenza clte
inonorato il cadavere
si rimovesse ; ma concedette
al > 6glU> di
rendere i con- sueti onori al
padre : £ tale fu
la fine di
Appio. LV. I consoli arrotarono,
e cavarono di città
le mi- lizie ; Lucio Valerio
per combattere gli
Equi e Tiberio Valerio i Sabini
; perciocché gli ultimi
ne’ tempi della sedizione entrarono
il territorio romano,
e danneggia- tane gran parte ,
ne partirono con
amplissima preda : gli
Equi poi venuti
più volte alle
mani , e presevi molte
ferite, eransi riparati
in luogo fortissimo,
nè più ne scendevano
per combattere. Ben
tec^ò Valerio di
asse- diare quelle trincee ,
ma ne
fu proibito dal
cielo. Im- peròcclié mentre
v’andava e ponessi all’opera;
si mise il cielo
in caligine , in pioggie
, in fulgori , e tuoni spaventevoli. Se
ne sbandò l’ esercito , ma sbandatosi appena cessò
la procella : e fecesi
grande serenità. Prese il
console come cosa
di religione un
tal fatto : e per- ciocché gl’ indovini
diceano non essere
da por quell’as- sedio ; egli diè
volta, e saccheggiò la
terra; e lasciata in utile
de* soldati la
preda , ricondusse in
patria l’eser* cito. Tiberio
Emilio però scOrrea
fin dal principio
con assai negligenza le
regioni" de’ nemici, nè
aspettavano ornai più le
milizie; quando uscirono
a fronte i Saliini, e sen fece
battaglia ordinata , quasi dal
mezzodì fino a sera.
Sorprese dalla notte
ritiraronsi le armate
ciascuna Digilized by Googlc LIBRO
IX. aoi al suo
campo , nè vincitori
nè vinte. Ne’giorai
appresso i duci presero cura
de’ loro estinti , e munirono di
fossa gli alloggiamenti ; ambedue
con proposito di
difender' visi , non di uscirne per
offendere. Poi col
volger del tempo levarono
le tende , e partironsi cogli
eserciti. LVI. L’ anno
dopo (i) nella
olimpiade settantesima
ottava in cui
vinse nello stadio
Parmenide di Possido> nia , mentre
Teagene «vea l’ annuo
magistrato di Atene, furono
in Roma consoli
Aulo Verginio Cclimoutano
e Tito Numicio Prisco.
Ascesi appena questi
al comando, ridicevasi che
giungevano i Volsci con
esercito poderoso. Nè mólto
dopo fu invaso
da essi , e dato alle
Gamme un posto ne’
dintorni di Roma :
e non essendo questo mollo
lontano ; il fumo
stesso annunziava alia
città l’in» ibrtunio. Immantinente,
essendo ancor notte,
inviarono i consoli de’ cavalieri
per osservare , e misero guardie su
le mura; ed
essi stessi schieratisi
fuori delle pqrte co’
soldati più spediti , v’
a^ettavano i ' rapporti de’
ca- valieri. Fatto giorno raccolta
la milizia che
avevasi iu Roma, andarono
contro a’ nemici: ma
questi, derubato il luogo'
ed incendiatolo, ne
erano ben tosto
partiti. Liberarono r consoli )e
cose che ardevano
ancora , e lasciatovi un presidio
sen tornarono a Roma.
Pochi giorni appresso usci
coll’ armata propria
, e con quella degli alleati
l’ uno e 1’ altro
console : Yergiulo contro degli
Equi e Numicio contro
de Volsci : e ciascuno
se n’ ebbe fra le armi
il successo che
desiderava. Deva- stando
Verginio le terre
degli Equi non
ardirono questi (i) Attuo
di Roma z85
tecondo Calotte, >87
secondo Varroac , e 4^
av. Cristo. Digitized by
Coogle aoa DELLE anticbita’
romane di venire alle
mani. Ben posero
nna imboscata di uo-
mini scelti ove speravano
di piombare su
l’inimico sban> dato; ma
vanissima ne fu
la speranza. Imperocché
sa- putosi «ben tosto pe’
Romani , fecevisi vigorosa battaglia: ove gli
Equi tanto perderon
de’ suoi ■ die
più allora non vennero
al paragone delle
armi. Numicio marciò
su la città degli
Anziati , 1’ uua allora
delle primarie tra’VoI- sci , ma non se gii
oppose armata niuna
, riducendosi tutti a
rispingerlo da entro
le mura. Fu
dunque sac- cheggiato gran tratto
della lor terra,
e presa una citta- della in sui
lido, la quale
era per essi
come arsenale ed emporio,
ove concentravano il
molto che andavano depredando sul
mare. L’ esercito
si attribuì per
conces- sione dei console gli
schiavi , i danari , i bestiami , le merci : ma
gli uomini liberi
che non erano
periti tra la guerra
furono presentati all’ incanto.
Si acquistarono nom- meno
su gli Anziati
ventidue navi lunghe
, ed apparec- chi ed armi
di navi. Alfine
per comando del
console i Romani ne
bruciarono le case , ne
devastarono l’ arse- nale, e
ne distrussero da’ fondamenti le
mura; perchè, ritirandosene essi ,
quel luogo non
fosse un castello vantaggioso per
gli Anziati. Tali
furono le azioni
se- parate de’ consoli ; poi.
gettatisi insieme sui
territorio dei Sabini , e
depredatolo , rimenarono a Roma
gli eserciti; e r anno finì.
’ LYII. L’anno appresso
fatti appena consoli
Tito Quin- zio Capitolino, e Quinto
Servilio Prisco (i),
tutta la milizia romana
fu in arme , e spontanea si
presentò (i) Auno di
Roma aS6, secondo
Catone, aS8 secondo
Varrone, e 4^ av- Cristo. Digitized by
Googl( LIBRO IX. ao3 quella
degli alleati , prima che
richiesti ne fossero.
Dopo ciò fatte suppliche
ai nami, ed
espiato l’esercito, mar> ciarono i consoli
contro a* nemici.
Li Sabini contro
ai quali era andato
Servilio , non che schierarsi
in batta> glia , non
nscirono nemmeno- all’ aperto:
ma tenendoM dentro del
chiuso, lascravano che
si devastassero loro
le terre, s’ incendiasser ’
le case,
e gli schiavi se
ne fuggis* . sero.
Dond’ i che i Romani
tornarono a grand’ agio dalle
lor terre , carichi di
preda , e risplendenti di glo* ria.
E cosi terminò la
spedizion di Servilio.
Quinzio, ed il seguito
suo , movendosi con marcia
più che mili» tare
contro gli Equi , ed
i Volsci, venuti ambedue
dalle regioni loro in un sito
stesso a combattere per
gli al- tri , ed accampatisi
davanti di • Anzio
: diedesi a vedere
improvviso. E fermatosi non
lungi dal campo
loro in tm luogo , basso
per sé medesimo , che era
quello ap> punto dove
prima fa veduto
e vide gli avversar) , po- sevi le bagaglie per
far mostra di non temere
i nemici, quantunque
superiori di numero.
Or com’ ebbero
am- bedue tutto in punto
per la battaglia , uscirono in
cam- po , cd avventatisi pugnarono
infino al mezzogiorno. Non cedevano,
non superavano, quésti
o quelli, risto- rando
sempre la parte
che vacillava , co’sussidj ordinàli per
questo. Allora quando
come superiori - di nnmero, cominciarono i Yolsci
e gli Equi a vantaggiare
^ e pre> valerne; non avendo
i Romani moltitudine , pari
all’ar- dore , Quinzio
veduti estinti molti
de’ suoi , e ferito il più
de’ superstiti , era per
intima ve la
ritirata : ma te- mendo poi
di dar vista
ài nemici di
fuggire; concluse, ch’egli dovea
cimentarsi. E scelto il
nerbo de’cavalieri. Digitized by
Google 2o4 delle antichità’
bomane vola in soccorso
de' laoi nell'
ala destra , dove
princi- palmente perìcclavaoOi
Ed ora sgridando
di codardia li duci
stessi , ora ricordando le
passale battaglie , e di-
pingendo la infamia ed
il pericolo loro
se fuggivano; alfine disse
una cosa Gota
sì , ma cbe rincorò
li suoi più che
tutto , e sbigottì F ibiiuico. Egli
divulgò che r allr ala
sua incalsava già
gli avversar} , e già stava prossima agli
alloggiamenti r e
divulgandolo, spronò sui nemici
; e sceso di cavallo
co’ bravi suoi
cavalieri, prese a
combattere di piè
fermo. Tornò l’ audacia
aUora nei suoi che
ornai si abbandonavano
, e divenuti quasi altri da
quelli cbe erano,
fulminaronsi tutti sul
nemico. Tal- ché li Volsci
contrapposti -appunto in
quella parte, dopo aver
luogo tempo résislito
, piegarono finalmente. Quin- zio fiigaiili appena
, rimonta il cavallo e corre all’
al- tr’ala, e mostravi a’ fanti
suoi disfatta l’ala
nemica, e raccomanda che
non sieno per
virtù minori de’compagni. LYllI. Dopo
ciò niono più
de' nemici 'tenne fronte, ma fuggirono
tutti alle trincee.
Non gl’ inseguirono lungo tempo
i Romani , ma beutoste se he rivolsero forzali dalla
stanchezza, nè più 'avendo
ornai l’arme, pari al
bisogno. Decorsi alquanti
giorni , convenuti per
seppellire gli estinti e curare i mal
conci , avendo già riparato quanto
mancava loro per
combattere, fecero nuovo conflitto
intorno gli alloggiamenti
romani. Impe- roccliè venute
nuove reclute ai
Volsci e agli Equi
dalle terre circonvicine, inanimito
il capitano perchè
i suoi erano il quintuplo
de’ Romani , e perchè
vedeva le trin- cee di
questi su luogo
non abbastanza munito , cre- dette il buon
punto d’ assalirvegli.
Con tal disegno
guidò Digitized by Google LIBRO
IX. . ao5 su la
mezza notte 1’
esercito intorno al
vallo de’ Roma- ni , e cinseli , e t«ineli in
guardia , percbè inosservati
non s’ involassero. Quinzio
saputa la moltitudine
de’ ne- mici , ebbe caro di
accoglierla. Ed aspettaudo
che fosse • giorno,
e principalmente Tura nella
quale il Foro
suol riempirsi , quando vide > che
i nemici venivano ornai stanchi
dalla vigilia e dalle
scaramucce, non per
centu- rie, nè in schiera
, ma confasi e sparsi;
immantinente, spalancale le porte , precipita su
loro col nerbo
de’ ca- valieri , mentre i fanti
lo seguitavano serrati
e stretti. Sbalorditi i
Yolsci dall’ audacia
, dopo aver sostenuta bteve tempo
la furia della
irruzione, rinculano, e la- sciano gli alloggiamenti. E percbè
non lungi da
questi aveasi un colle
alquanto elevato ; vi
accorrono , come a
riprendervi requie ed
órdine. 'Non riuscì però
loro di fermarsi e di
riaversi , giungendo ben tosto
i nemici , stretti quanto poteano
colle coorti , per
non esserne trabalzali ,
nell’ ascendere a forza
la pendice. Fattasi azione vivissima
per gran parte
del giorno, ne
perirono molti diagli ani e
degli altri. I Volaci , 'tuttoché supe- riori nel numero,. e rassicurati dal
posto occupalo, nou goderono
alcuno de’ dué
vantaggi : ma violentati
dall’ar- dore e dalla virtù de’
Romani , abbandonarono il
colle. F uggendo però verso
le trincee , molti ne
soccombe- rono. Imperocché non cessarono
i Romani d’inseguirli , ma tennero
immantinente .dietro loro ,
senza desisterne , finché ne
presero a forza il
campo. Impadronilivisi dei prigionieri e di
ogni cosa lasciatavi»
cavalli , armi , da- nari ,
che erau
pur molli , passarono ivi
la notte. Nel giorno
appresso il console,
apparecchialo ciocché biso- Digitized by
Google 2o6 delle antichità’
romane goava per un
assedio , diresse 1’ esercito
alla città degli Ansiati , uon lontana
più di trenu
stadj. Per avvenlora ivi
slavan di guardia
alquanti Equi ausiliarj
e custodivan le mura , e
questi per terrore
della baldanza romana naacchinavan fuggirsene.
Saputo dagli Anziati , ed
impe- diti partirne , congiurarono
dar la cittade
a’Roraani che si appressavano.
Gli Anziati avuto
sentore pur di
que- sto , cedettero al tempo
: E imnvenutisi cpn loro ;
si die- dero a Quinzio , in modo
che gli Equi
pe^ patto si dimettessero, accettassero
gli Anziati in
città la guarni- gione , e seguissero i comandi
de’ Romani. Divenuto pertanto il
console arbitro della
città, pigliatine stipendi ed
altri bisogni dell’
esercito , e presidiatala,
se ne ritirò. Uscitogli per
tal gesta incontra
il Senato, lo
accolse gratissimamente, e
lo onorò
del trionfo. LiX. L’anno
-appresso (i) furono
consoli Tiberio Emilio per la seconda
volu, e Quinto Fabio
Ggliuolo dell’ uno dei
tre fratelli , duci già
della guarnigione spe- dita in
Cremerà^ ed 'ivi periti
co’ loro clienti. Ora.
fa- vorendo Emilio console ai
tribuni , e rimescendo qu^ti
di bel
nuovo il popolo
intorao la divisione
de’ campi ; il
Senato voglioso di
cattivarselo , e sollevarne i
poveri, stabili di compartir
loro uu tratto
del territoifio conqui- stato r anno avanti
su gli Anziati.
Furono deputati per la
divisione Tito Quinzio
Capitolino , quello appunto a cui
si erano gli
Anziati venduti , e Lucio
Furio ed Àulo Verginio.
Non stumio Albino
per la prima
volta , ■ e Quinto Servilio
Prisco per la
seconda. Nei lor
giorni gli Equi
risolvei* (t) Anno di
Roma -aSS secondo
Catone, 390 secondo
Vsrrone, e 4^4 Cristo.
Digitized by Google 2o8
delle antichità’ romane tero
vioiai-e i patti , recenti co’
Romani , per questa ca- grane.
Gli Aoziati che
avevano case e campi , rimasero nella lor
patria , coltivando le terre
ad essi concedute , come quelle
attribuite ai coloni
, a’ quali davano
con regole Gsse parte
del frutto :quelli
perd che unila
più avevan di questo,
si trasmigrarono. Gli
accolsero di buon grado
gli Equi fra
loro ; ma uscendone
, d^>redav«x> le terre latine
: dond’ è cbe 'i
più audaci , e più poveri ancora
degli Equi , fecero causa
con essi. Lamentarono i' Latini r insulto
in Senato, e'tdiiesero
che mandasse loro un
esercito, o loro concedesse
di ribattere gli
au- tori delia guerra. Il
Senato , udito eiò , nè inviare un
esercito , né permise ai
Latini che lo
menas- sero : ma scelti tre
ambasciadori, capo de*
quali era Fa- ,bio , quegli che l'
anno avanti avea
conchiuso il trat- tato, ordinò loro
di chiedere dai
primarj della nazione, se
mandava il pdbtdico
per qite’ latrocini
ne’campi degli alleati di
Roma , anzi di
Roma stessa , ne’ quali
eransi anche fatte alcune
scorrerie da , quegli esuli
: o se il pubblico non
avea di ciò
colpa ninna : E se
diceano che r opera era
de’ privati senza
volere del popolo
; chiedessero nelle mani
le predé nomuMno
ohe i preda- tori. Venuti gli
oratori , ed ascoltatili ; gli
Equi diedero oblique risposte
, dicendo , che 1’ opera
non era certo fatta
per pubblico voto,
ma che non istimavano bene consegnarne gli
autori , perché, ridotti già
senza patria, e vaganti , erano
come supplichevoli stati
ricevuti nelle campagne (t).
AddoloravaSi Fabio, e reclamava
i patti (i) Vuol c^ita
pareva loro come
tradire la fede
oepiiale , $e ti conergnaTeoo. Digilized by
Googl Linno IX. - 209 traditi , pur vedendo
che gli Equi
s’inGngevano , e di- mandavano tempo
a consultarsi , e lo intrattenevano come pe’
doveri ospitali ; si
rimase infra loro
con di> segno di
esplorare le cose
della città. E visitando
ogni luogo sul titolo
di vagheggiarvi le
cose dei templi
e del popolo , gli
opifizj delle arme
da guerra o Gnite o che
si lavoravano , comprese i loro
disegni. Tornato ■n Roma
disse in Senato
quanto aveva udito , e ve- duto. Ed il
Senato , non più dubbioso
, decretò che si mandassero
i F eciali per intimare
agli Equi la
guer- ra , se non cacciavan
da loro i fuorusciti
di Anzio , nè promettevano rintegrare
i danneggiati. Replicarono gli Equi
baldanzosi , Gno a dir che
accettavano , nè già di mala
' voglia , la guerra. Li nigione
su’* turbolenti di
Anzio , onde rassicurarsene , e Spurio
Furio l’altro de’consoli
coll'esercito contro degli Equi.
Marciò ben tosto
1’ uno e 1’
altro ; nfa gli
Equi udendo uscita già
l’armata romana si
mq^sero da’ campi degli Ernici
per incontrarla. Vedutisi
appena fra loro ,
tutto che non
fossero molto distanti
, per quel giorno si
trìncierarono. Nel giorno
appresso i nemici vennero quasi
alle trincee de’Romani
per. esplorarvenè gli
animi. E poiché questi non
uscivano alla battaglia,
fattevi delle scaramucce, e niente
di memorando, sen
partirono assai (i) Allude
ai Romaui' portali non
molto prima iif
Aniio , come coloni pcrchi nel
tempo slesto invigilassero
e lenestero iit soggeunn^ Ig
città proclive alla
ribellione. Digitized by Google LIBRO
IX. 213 magnificandosene. Il
cohsole lasciate nel
giorno seguente quelle trincee,
come non molto, sicure
, trasposele in sito più
acconcio , e vi scavò
fossa più profonda
^ e vi piantò steccati più
alti. Crebbe a tal
vista il cuor
dei nemici , e molto più quando
ad essi pervennero
altri snssidj de’ Volaci
e degli Equi ; tanto
che senza più indugi
marciarono al campo
romano. LXIII. Il console
considerando che a lui.
non bastava r>esercito contro
le dpe nazioni,
spedisce alcuni cavalieri con
lettere' in Roma
perchè mandisi a lui
pronto soc- corso ,
pericolandogli tutta l’ armata.
Giuntivi questi su la
mezza notte , Postumio il
collega di lui
ricevendole, fe’ convocare per
via di molti
araldi i padri in
Senato: e prima che il
di si chiarisse,
crasi decretato che
Tito Quinzio già console
per la terza
volta portasse bentosto con
autorità proconsolare il
fior de’ giovani
a piedi ed a cavallo sul
nemico , c che Aulo
Postumio il console raccolte il
più presto le
altre milizie , a raccoglier le quali
vi abbisognava più
tempo, li soccorresse.
Quinzio riuniti sul principio
del giorno presso
a cinque mila volontari, dopo
non molto marciò.
Gli Equi ciò
sospet- tando non istavansi a bada
: ma deliberati d’
assalir le trincee de’
Romani prima che
vi giungesse il
soccorso , si divisero
in 'due corpi
, e t’ andarono per
espugnarle colla forza , e col
numero. Fecesi per
tutto il giorno calda
battaglia , spingendosi questi
audacemente in più parti
su’ ripari, nè reprimendosene pe’ tiri
continui delle lance , degli
archi , e delle fionde. Adunque , conforta- tivisi a vicenda,
il console ed
il legato spalancando
in uri tempo le
porte , ne sboccano,
e piombando co’sol-
Digitized by Google 2i4
delle Antichità’ romane dati
più validi da
ambedue le parti
del campo su i
ne* mici, ne rispingono
quanti vi salivano.
Messili in fuga, il
console insegai breve
tempo i soldati a lui
coatra- posti, e poi si
ripiegò: ma il
fratello suo e Publio
F urio il legato trasportati
dalla impresa e dall’
ardore corsero incalzando e uccidendo
fino al campo
nemico ; e non avean seco
se non due
coorti , numerose in .tutto
di mille uomini. Gli
avversar) loro «be
erano intorno a cinque
mila, osservato ciò,
si avventano dagli
steccati. . E mentre questi vengon
di fronte , la cavalleria
, fatto un giro, prende
alle spalle i Romani.
Publio ed il se-
guito suo cosi circondato
e disunito dal resto
de* suoi ben potea
salvarsi se cedeva
le arme, esibendogli
questo i nemici , cbe assai valutavano
far prigionierì que’mille bravi, quasi
potessero in vista
di essi ottener
pace ono* rata: ma i
Romani spregiato l’invito
ed animatisi a non far
cosa indegna della
patria, combatterono e spirarono tutti Ira’
cadaveri de’ nemici. LXIV.
Morti questi , gli Equi
inebbriati dal buon successo
presentaronsi alle trincee
romane elevando con- fitto alle aste
il capo di
Publio e di altri
cospicui, per iscoraggirne quei
d’ entro, e necessitarli a ceder
le arme. Ma se
venne ad essi
pietà per la
sciagura degli estinti compagni , e se
ne pianser la
sorte , si moltiplicò
ben anche lo spirito
per combattere e l’ onorato
amore di vincere o di
morir come quelli
prima che andar
pri- gionieri. Circondati dunque, com’erano
de’ nemici, pas- sarono i
Romani senza' sonno
là notte , riordinando le parli
che aveano soiferto
nelle trincee , e quant’
altro mai potea respingere
gl’ inimici se
tentavano un altra Digitized by
Googlf LIBRO IX. 2i5 volta
investirveli. F ecest nel
giorno appresso di
bel nuovo r assalto , schiaotandovisi lo
steccalo in più
parti. Più volte furono
gli Equi respinti
da quei d*
entro che ne uscivano
a schiere , e più volte
nell’ audacia delle
soi> lite , lo furono
questi dagli Equi.
Durò tutto il
di la vicenda: quando
fu il console
romano ferito nel
femore da uno strale
a traverso dello scudo,
e feriti pur furono
^ molti de’ più
rignardevoli , quanti li combattevano
in- foiano. Ornai
vacillavano t Romani , quando
su l’ im- brunir della sera
ecco inopinatamente apparire
Quinzio per soccorrerli col
corpo de’ prodi
volontarj. I nemici , vedutili
che avanzavano , diedero di
volta , lasciando l’assedio imperfetto: ma
quei d’ entro
incalzandoli nella ritirata facean
strazio della retroguardia
: se non che indeboliti per la più
parte dalle ferite,
non gl’ insegui- rono a lungo ; ma
presto si ripiegarono
verso il lor campo.
Dopo ciò si
tennero gli uhi e
gli altri lungo tempo
fra le trincee
, guardando sestessi. LXVt Quindi
mentre il nerbo
de’ Romani era
im- pegnato in campo , altre
milizie di Equi e
di Volaci credendo il
buon punto d’ ime
depredando la regione
, uscirono tra la
notte ; ed invasala
in parte lontanissima dove gli
agricoltori viveano scevri
d’ogni paura, occu- parono non poco
di robe e di
nomini. Non però
ne ebbero bella in
,dné né facile
la ritirata , imperocché Postumio il
console mepaudo agli
assediati nel campo
i soccorsi adunati , appena udì
le operazioni de'
nemici , si presentò loro
contro la espettazione.
Non sbalordironsi essi, nè
tremarono, ma ponendo
a bell’agio le bagaglio e le
prede in luogo
sicuro , e lasciandovi guarnigione Digitized by
Google 2i6 delle antichità’
romane che bastasse, marciarono
ordinali al nemico.
Venuti alle mani , sebben pochi
contro molli , fecero memorabili prove. Imperocché
precipitandosi giù dalle
campagne uomini in copia
cinti di lieve
armatura conir’ essi
che eran tutto arme
il corpo , fecero
grande uccision dei Romani
; e per poco non
si ritirarono , lasciando
nel- l’altrui territorio un trofeo
su gli assalitori.
Ma il con- sole e con esso i
cavalieri più scelti
spronandosi a re- dini
abbandonate su’ loro ,
dov^ erano il
forte , e com- battevano ; ve li
sbaragliarono «e prostrarono
in copia. Battuti que’
pnmi , anche il resto
dell’ armata respinto fuggì : e la
guaniigìone delle bagaglie , lasciatele , s* in- volò di
su pe’ monti
vicini. Cosi pochi
moriron di essi nella
battaglia ; ma moltissimi
nella fuga , perchè ignari de’
luoghi ed inseguiti
dalla cavalleria de’
Romani. LXYI. Intanto Servio
1’ altro console
persuaso che il collega
ne veniva a lui
per soccorrerlo, e temendo
che 1 nemici ^non gli
uscissero incontra e glien
traversasser la strada ; risolvè
frastornameli , con assalirli negli
aU loggiamenti. Questi però
lo prevennero; perciocché
sa- puu la sciagura
de’ compagni dai
predatori salvatisi , levarono
il campoj e nella
notte, che fu
la prima dopo la
battaglia, rientrarono in
città, senza che
avesser po- tuto tptanto aveano
disegnato. Ma se
ne periron di
loro tra le battaglie
e i foraggi ; ne soggiacquero
nella fuga d’ allora assai
più di prima
(ra quelli che
restavano addietro.
Aggravati questi dal
travaglio e dalle ferite
, Iraendosi a stento innanzi , perchè non
.prestavansi ad essi i lor
membri , stramazzavano ,
vinti principalmente dalla sete ,
presso de’ ruscelli
e de’ dumi : e raggiunti Digitized by
Google LIBRO IX. ^ , 217 da’cavallert romani,
erano trncidali. Netnraeno
i Romani tornarono felici in
tutto da quella
f guerra ; perdutivi molti valentuomini,
ed il legato
che vi si
.era segnalato, più che
tutti , nel combattere. Non
pertanto rivennero in patria
con una vittoria
non inferiore a ninna.
E ciù fecesi in quel
consolato. ' LXVII., Sacceduti
consoli Lucio Ebusio , e Pnblio Servilio Prisco
(1); k Romani plinti
da mori>o con- tagioso , quanto mai
più per addietro , non fecero
in queir anno cosa
ninna degna di
rimembranza nè in guerra
nè in pace.
Gettatosi quel morbo
in prima tra gli
armenti de’ cavalli , e de’ bovi , e poi
delle capre e delle
pecore , disfece quasi
tutti i quadrupedi. Quindi serpeggiando tra'
pastori e tra’ coloni
via via per
tutta la regione , in ultimo
invase anche Roma.
Non è facile ridire quanti
servi, quanti mercenàrj,
quanti della , classe indigente perissero.
Da principio se ne trasportavano
i cadaveri a mucchi su’
carri : ma poi
quelli . de’, men ri- guardevoli si
gettarono nella corrente
del fiume. Con- tasene perito il
quarto de’ senatori , e con
essi i due consoli, ed il più
de’ tribuni. Cominciò
quel morbo in- torno a’
primi di settembre
, e prosegui per un
anno in^ro , investendo e consumandone di
ogni, sesso e di ogni
età. Saputosi tra’ vicini
il disastro romano,
gli Equi ed i Yolsci
lo riputarono occasione
bonissima da levare sene
il giogo , e fecero
patti, e giuramenti, di
alleanza fra loro. Quindi
preparato quant’ era d' uopo
per 1’ as- sedio , uscirono gli
uni e gli altri
il più presto
colle (1) Anno di
Roma 391 secondò
Catone, 39! secondo
Vartoae , e 4^1 av.
Cristo. Digilized by Google 2i8
delle antichità’ romane milizie; inondando
su le prime
il territorio de* Latini
e degli Emici, onde
precludere a Roma il
soccorso degli alleati. E nel
giorno che giunsero
ai Senato gli
oratori de’ due popoli
assaliti per ottenerne
ajuto , in quei giorno
appunto era morto
Ebuzio 1’ uno
de* consoli » standosi
già Servilio , eh*
era 1’ altro
, per morire. Or questo , sopravvivendo anche
un poco , convocò il Se-
pa to. Portativi i più
de’ padri malvivi
su le lettighe
di- chiararono ai legati di
annunziare a lor popoli
^ che U Senato concedeva
ad essi di
respingere col proprio
va- lore i nemici , finché
il consolo si
risanasse , e fosse raccolto un*
esercito per soccorrerli.
A tali risposte i Latini
concentrato ciocché poteano
dalie campagne , guardavano
le mura, trascurando
ogni altro danno.
Ma gli Eroici non
reggendo al guasto
ed al sacco
de’ campi, diedero all’
armi, ed
uscirono. Infine dopo
fatte luminose battaglie con
perdervi molti ^de’
loro ed uccidervi
molto più de* nemici , fuggirono , necessitati , fra le
mura , né tentarono più di
combattere. LXVIII. Pertanto gli
Equi ed i Volsci,
depredatone il territorio, si
avvanzarono impunemente ai
campi Tu- scolani. E derubati
pur questi senza
che ninno li re-
spingesse , scorsero fino ai
Sabini ; e giratisi impune- mente anche su
le terre loro , avviaronsi a Roma.
Ben poterono essi turbarla;
non però conquistarla.
Quanlun* que languidi nella
persona , e perduta 1* uno e
F altro console, mortone di
fresco ancora Servilio,
armatisi ol- tre le forze
i Romani , si misero su
le mura. Estese allora
per circuito quanto
quelle di Atene,
sorgeano queste parte su i
colli e su. scogli
dirotti, fortissimi per Digilized
by Google UBBO IX, a
19 natura , e bisogoevoli appena di
difesa , e parte assicu- rate
dall’ alveo del Tevere,
fiume largo quattrocento piedi (i),
profondo da navigarvisi
con legni grandi; rapido quant*
altri e vorticoso nel
corso. Non passasi questo appiedi
se non per
vìa de’ ponti , de’
quali ve n* era
allora sol uno ,
e di legno , cui
disfacevano nei tempi di
guerra. Il lato
di Roma men
arduo ad espu« gnarsi
dalla porta chiamata
Esquilina fino alla
Collina era fortificalo eoli’ arte;
imperocché scavata innanzi
ci avevano una fossa
, larga , dove' eralo il
meno , più di cento piedi , e cupa di
trenta , è quinci e quindi su la
fossa elevavasi un
moro, cinto da
argine interno ampio ed
alto, talché né
battere quello si
potrebbe cogli arieti, né
rovesciar sbucandone le
fondamenta. Lungo questo lato
circa sette stadj
spandesi cinquanta piedi
per largo. Or qui
schieratisi in folla
i Romani respingevano 1’ as«
salto nemico :perocché
noù sapevano allora
i mortali né far testuggini
sotterranee , né macchine espugnatrict delle mura.
Diffidatisi gli assalitori
di prendere la
città ritiraronsi dalle mura , e devastandone , ovunque passa- vano la campagna,
sea tornarono in>patria. LXIX. I Romani
come sogliono quando
restano senza chi comandi , scelsero gl’
interré per tenere
i comizj , e vi crearono consoli
.Lucio Lucrezio e Tito
Veturio Gemino (z). Sotto
questi ebbe requie
la pestilenza; puc (i)
'Wel testo: ntritfit
rìkirftr : la toco
rXtrftr »’ interpreta da
altri per jugero
: Svida la interpreta
per cesto piedi.
— Ma tale cspoiisione noa
corrisponde. ' (a) Aano
di Roma aga
secondo Catone, 394
secondo Varrone, e 46a av.
Qrisio. 1 Digitized by
Google 2 20 DELLE ANTICHITÀ*
ROMANE ♦ • furono diflerite le
controversie civili private
o pubbliche: e tentando Sesto Tito T
uno dé’
tribuni >, riaccendere quella su
la division de’ terreni;
il popolo gli
si oppose, e rimisela a tempi
più acconci. Eccitossi
in tutti in
vece I un desiderio di
punire quanti aveano
dato guerra alla repubblica ne’ giorni
del morbo. Cosi
decretata la guerra dal
Senato, e ratiScata ' dal popolo,
si arrolarono le soldatesche : e ninno
di anni militari , quantunque pri> vilegiatone per
le leggi, cercò
sottrarsi da quell’
impresa. Diviso r esercito in tre parti
1* una fu
lasciata in guar- dia di
Roma sotto gli
auspicj di Quinto
Fabio, uomo consolare ; e le
altre seguirono i consoli
contro i Yolsci e gli Equi.
Aveano gii' fatto
altrettanto i nemici. Riu- nitesi le milizie
migliori d’ ambedue
quelle nazioni , te- neano il
campo aperto sotto
due capitani per
cominciare dalla terra degli
Ernici , dove ' allor
si trovavano , a devastarne quanta
ne soggiaceva ai
Romani : la parte men
atta delle ipilizie
crasi lasciata in
custodia delle città, perchè
su di esse'
ngn venisse irruzione
improvvisa dagli emoli. Avuto
infra loro consiglio , crederono i consoli
il meglio d’ investire
innanzi tutto le
lorp città sul riflesso
che la unione
delle armate si
scioglierebbe, se ciascuno udisse
ridotta in pericolo
estremo la sua
pa- tria ; giacché
riputerebbero assai meglio
salivare le pro- prie cose che
guastar le ini
miche. G)sl Lucrezio
piotnbò su gli Equi , e Yeturio su i
Yolsci. Gli Equi
trascu- rando ogni rovina di
fuòri guardavano la
città e li ca- stelli. LXX. In
opposito i Yolsci ardimentosi , arroganti , spregiando 1’ armata Romana
come diseguale contro
la Digitized by Coogle Lisno
IX. 221 lor ffloltitudiae , uscirooo 4 combattere
pel territorio proprio, e misero
il campo presso
di Yeturio- Ma
come accade a milizie receuti , raccolte per
la circostanza alla rinfusa
di mezzo a villani
e cittadini , privi in gran parte
di arme o di
sperienza , non ebbero
cuore nem- men di
venire alle mani :
e perturbatine i più fin
dal primo avventarsi de’
Romani , non reggendo nè
al suono delle arme
percosse , nè ai gridi , preludio della
batta- glia , tornarono con dirottissima
fuga in città.
Dond’ è che incalzati
dalia cavallwia ne
perirono molti nello stretto
de’ sentieri , e più ancora
mentre a gara si
cac- ciano tra le porte.
A tale disastro accusarono
i Yolsct sestessi d’ imprudenza ,
nè più
tentarono di cimenUrsi. Li
capitani però che
tenevano in campo
aperto le mi- lizie dei
Yolsci e degli Equi
all’ udire , com’ erano
in- vestite le loro città,
deliberano di fare
ancor essi alcuna magnanima impresa , levandosi dalle
terre de’ Latini
e degli Eroici , e marciando
«on quanta avean
furia e prestezza su
Roma. .Ancor essi
avean mira che
rinscisse loro r uno o 1’
altro de’ due
belli disegni , cioè
d’ inva- dere Roma ,improvvista
, o di richiamarvene le
armate di lei dai
loro territori, necessitando
ti consoli a soc- correr la patria.
Su tale pensiero
marciarono a gran fretta per
essere inaspettati su
Rotna , coll’ effetto del- r opera. LXXI. Avvicinatisi
di nuovo al
Tuscolo, udendo che le
mura di Roma
erano tutte piene
di arme, e che
in antecedente aveva tentalo
il primo d’
iikrodiuTe tale eguaglianza ; ma
dovette lasciar I*
opera imperfetta, tro-; vandosi
U gran numero del
popolo nell' armata
in sai' campi nemici , tenutovi ad
arte. ,da’ consoli
, finché il tempo finisse
del loro governo. IL
Postisi quindi a tale
impresa il uibubo
Aulo Veo- ginio’e li
colleghi , t voleano
consumarla: ma i consoli
, col Senato , e . con ■ altri
in città . più potenti
adoperavansi costantemente
per ogni maniera
,, affinchè ciò
non se-« guisse , nè dovessero
governare secondo le
leggi : e. più volle
sen tenne 1’
adunanza del Senato,
piA volte quella del
popolo ; facendo i lor
magistrati ogni sforzo
gli uni contro degli
altri ; doiid’ era a
tutti viàbile che
verreb!>e da' tanto Jisàdio
alla città disastro
insanabile e grande. A tali |>resagj.
dai canto degli
uomini agglongevansi i terrori
dal canto del
cielo , d’ alcuni
de' quali non
Iro- vavansi L àmili ne’
pubblici scritti , né , par
monumento qualunque. Ben trovavanà
occorse ancora in
antico e coiTuacazioni soorrenti
pelcielo ed. accensioni
fissa in un luogo,
muggiti e scosse continue
delia terra,. e larve qua e-
là vaganti per
l’aere, e voci desolatrioi , e cose alirallali: ma
ciò che non
erasi mai nè
sperimentalo- nà udito, e che
più che lutti
perturbava., era che
il cielo navigò .
dirottamente pQn- già con
nembo , dii neve ,
ma con brani, più o
men grandi di
carne; che tali
cairn momot , ltrio di ''contndirla
fino al ritorno del
terso mercato. Or
molti, d^l Seoatè
giovani e vecch) , nè giè de’
più dispregevoli , la contraddissero per più
giorni cou as^ai
studiati discorsi. Stanchi
poscia 1 tribuoi per tanto
consumarsi di tempo , più
non per> misero che
altri aringasse in
contrario: ma predesti» Dando il
giorno nel quale
espedire la legge , invitarono i plebei a raccogliersi appunto
in quello , giacché non sarebbero
più conturbati dalle
lunghe concioni , ma
voterebbero su di
essa per tribù.
Cosi promisero , e sciolsero 4’
adunanza. IV. Dopo ciò li consoli
e li patrizj più
potenti an- datine più esasperali
ad essi reclamarono , e dissero che non
permetterebbero che introducessero leggi
senza previo decreto del
Senato : SSSMUS IM
lecci t patti Digilized by
Google 3 28 DELLE ANTICHITÀ’
ROMANE DSL COMVNS DELLB
ClTtjC IfOTf DI
ONA PARTE DS~. GLI
ABlTAafl DI QUESTE
: CHE QUAWDO LA
PARTE-, MEIf SANA VI
da' leggi ALLA
MIGLIORE A PRSf.UDlO MANIFESTO DI
DANNO TRISTO, INSANABILE , SCON» GISSIMO. . Quale. , aggiuDgevaQO qtuU
potere avete voi o.
tribuni di far
leggi o distruggerle ? Voi
non avete con questi
diritti ricevuta dal
Senato là magistratura: voi chiedeste
il tribunato in
difesa de' poveri
offesi o soverchiati , non
per altra briga
niuna. Che se
aveste già prima tal
potenza cedendo il
Senato ad ogni
vo- stra pretensione ; non C avete
voi questa, perduta
col mutar dei comizj
? perciocché non i Pereti,
del Sor- nald', non i
voti dati per
centurie destinano voi
per tiibuni : voi non
premettete ai comizj
per la vostra creazione nè i
sagfijicj dovuti per
legge , né altri
os- sequj verso de'
numi , nè pietose
-opere verso degli uomini.
Come a voi si
appartiene far cose (
quali ap- punto sono
le leggi) che
ahbisognavtmo' di culto e di sagrifizj di
un dato rito , se
i riti tutti violate
f Coai «lissero ai tribuni
i patrixj seniori , cosi li
giovani , .che andarono
cinti da un
seguito per la
città : e rìcuperà^ rono colle
dolci i cittadini più
miti spaventando i ca-, parbj
e K turbolenti se non
faceano , senno, col terroc de’
pericoli : anzi battendo
come schiavi , ed^ escludendo dal Foro
alcuni de’ più bisognosi
ed abjelti, i qualt non
curavano se non l’
utile proprio. • V. L’
uno di quelli
ebe ebbe maggior
seguilo , e che poteva aUora più di lutti
i giovani fu Quinzio
Cesone, figlio di Lucio
Quinzio chiamato Cincinnato , nobile , Straricco , bellissimo
, valentissimo nelle armi , e nel
dire« Digilized by Google LIBRO
X. 229 Or questi
molto allora si
scaricò su' plebei , non
aste* nendosi' nè da
parole , molesiissitne ad
uomini liberi , nè
da’ fatti corrispondenti alle
parole, Pertanto i pairizj lo
onoravano, e ^istigavanlò più a
tener fronte ai
perì- coli , promettendogli
sicurezza essi stessi
: ma i plebei r odiavano più
che ogni altro.
Or da 'un tal
uomo ri- solverono liberarsi * i tribuni
avanti tutto per
abbattere in esso gli
altri giovani , e necessitarli ad
esser più savj. Ciò
risoluto , e preparati assai discorsi
e lestimon}^ , lo dtardno
come reo di
pubblica * offesa per
punirlo 'di morte. Intimatogli
di presentarsi al
popolo, venutone il giorno , e convocata 1’ adunanza , perorarono
a lungo coofra lui ; nunierando
tutte le violente
fatte , ed alle- gandone gli offesi
stessi per teslimonii.
-Or .qui data
li- cenza di parlare ; il
giovine chiamato a difendersi
non ubbidiva : ma volea
soddisfare ai privati
in 'quanto di- ceansi
oltraggiati da loi
> secondo le leggi , tenutone il giudizio
innanzi de’ consoli
: ma, il padre
di lui vedendo i plebei sofferime
malamente le ritrosie , prese a difen- ’^erlo egli
stesso ; dimostrando le
tante delle accuse
coqic false f ed insidiose
, e dimostrandole , . quando
negar non poteansi , come picciole
, leggere , nè dégne
dell’ ira del popolo , e su cose ,
fatte non per
trama o disprezzo , ma piuttosto
per enfasi giovanile
di gloria. Per
questa diceva eh’ eragli
occorso talora di
fare e tal altra
di pa> rire forse
incautamente nelle contese;
non essendo lui nel
fiore degli anni e
del senno. Pertanto
pregava il popolo non solamente che
non se gli
adirasse pel di- scorrere suo , ma
che giel condonasse
in vista delle
belle gesta di esso
le quali operarono
fra le armi
la libertà Digitized by
Coogle 23o delle antichit-v’
romane de’ privati ed
il comando della
patria , ed invocavano fin d’
allora per lai
quando Avesse mancato
la clemenaa ed il
soccorso di tcuti.
E qui narrò le
campagne da lai sosténute
, -e le battaglie
nelle quali avea
riportato dai capitani la corona de’
prodi , quante volte eravi
stato la diiesa de’
cittadini , e quante avea primo
salito le mura de’
nemici : da ultimo
ri rivolse ad
impietosire e scon- giurare
il popolo in
riguardo della modera^'one
sua verso tutti , e del vivere
‘suo conosduto sempre
come innocente ; chiedendo che
in grazia almeno
gli salvas- sero il figlio.
' ' ' VI. Compiacevasi il
popolo* a tali discorsi
, e delibo- ravasi rendere H 6glio
al padre. Se
non che riflettendo Yerginio che
se costai non
subiva le pene ;
ne diver- rebbe intollerabile 1’ audacia, e la caparbietà
de’ giovani, sorse e disse : Contestata
o Quinzio è la tua
virA , la tua benevolenza verso
del Spopolo e te
ten debbe tutta la
stima: ma la
molestia , e la insolenza di
codesto tuo figlio verso
tutti non ammette
escusàzione o perdono. Egli educato
con la tua
disciplinà sì discreta,
cpme tutti sappiamo , e si
popolare ; ne abbandonò
gli ammae- stramenti e seguì V arroganza
de tiranni , - e la sfre- natezza de' barbari , portando in
città gf incentivi
a tristissiiHe opere. E sia
che tu noi
conoscessi per tale ; ora
che tei conosci
ben dei con*
noi e per noi concitartene : che
se per tale
il sapevi , e lo coadiu- vavi in quanto
egli inviliva ognora
pià' la sorte
dei poveri ; eri anche
tu lo scellerato
, e mal souavati intorno la
fama di uom
probo. Afa tu
non vedevi ( ed io
stesso potrei contestartelo
) quanto egli dalla Digitized by
Google LIBBO X. . a3i tma
uirtà degenerava. Sebbene
io tenga però , che
al- lora tu non partecipavi
con esso . nelF offenderci
; dolgomif che ora
come noi non
te ne sdegni.
Ma. perchè tu meglio
conosca qual niostro'
abbi nudrito senza avvedertene
contro la patria,
quanto tirannico, c non . puro
nemmeno tlal sangue. . dk'
cittadini ^ odi la egregia
opera sua , e contrapponi a questa , se puoi , U bellici
suoi prèmji E voi , quanti siete
imo pioto siti al
pianger di un
padre , considerate se
stia bene che risparmisi
un tal cittadino.
' • VII. E qui fe'
cenno a Marco Volscio
T uno de’ suoi colleghi
perchè sorgesse e dicesse
quanto sapeva di
quel giovane. E fatto silenzio
, e grande espettazioiie ; V(d> scio soprastando
alcun poco-, disse
: Oltraggiato , e pià che
oltraggiato che io
fui da quest’uomo , ben avréi voluto
pigliarmene , o cittadini ,
le pene
che ut erano concedute dalle
leggi : ma impeditovi
allora, dalla mia debolezza
, dalf esser mio
di plebeo , prenderò ora che mi è dato
f le parti di
testimonio , se quelle non
posso di accusatore.
Udite le acerbità , le
inde- gnità che men ebbi.
Era Lucio , fraltel
mio , ,che io amava
piti che tutti
i mortali Avea \ questi
cenato mecò. presse di
un amico , quando
al giungere della notte
di levammo , e partimmo.
E già passavamo per il
Foro , quando si
abbattè con noi
codesto petuUui- ,te ,
seguito da giouani
pari suoi: li
quali, ebbrj ed 'arroganti
che erano , beffarono ed
insultarono noi , quanto, insultato
e beffato avrebbero i meschini
e gli .ignobili. Così provocati
j V uno di noi
parlò liberis- simamente. Or codesto
Cesane estintando . ria
cosa Digilized by Google a3a
DELLE antichità’ romane ttdire
' ciocché non voleva
, gU s' avventò
, lo battè : e mainìenalolo con i
calci e con ogni
guisa di sevizio^ e cT
ingiurie; io uccise.
Ucciso lui, manomise
ancor me , che ne gridava
, e ne repugnava quanto
io po~ tev'a : nè
mi lasciò , se
non dopo credutomi
estinto , ài vedermi
immobile in terra
, e senza voce. Allora se
no' andò giubilando
come per bellissima
prova ; ed allora'
gli astanti raccòlsero
noi lordi dal
sangue j e riportarono a casp
Lucio il fnio
fratello , morto , come
ho detto , e me
presso che morto
, e che certo ornai poco
sperava di sopravvivere.
Occorse ciò. sotto i consoli P^ublio
Servilio , e Lucio Ebuzio
, quando spaziava in Boma
la ff-an-' pestilenza, alla
quale era- vamo soggiaciuti atKor
noi. Quindi non
potei diman- darne ragione , morti
/essendo i consoli tutti
due. Suc- cederono poi
consoli Luaezio e Tito
Terginio. Io voleva allora
' citarlo in giudizio
; ma ne fui
impedito dalia guerra ,
fasciando ambedue per
essa la città. Jiitomati .questi
dal campo , quanto
volte 16 citai presso
de* òiagittrati , quante volte
mi vi accostai , tante ( e ben
molti lo sannò
) fui da esso
ferito. E questo, 'o popolo
, che io ne
ho tollerato, questo
vi ho detto con
tutta la verità.
• ■ ' ' . Vili. Alzarono a quel
dire , gli astanti
le grida , (eo- landone molti
la vendetta colie
lor inani. Ma
vi si op- posero i consoli , ed i più
de’ tribuni , alieni che
in città s’ introducesse
la tea consuetudine
; tanto più che la
parte più sana del popolo
non voleva che si toglicssero le difese
a chi pericolava in
giudizio della vita.
La cura duirque della
ginsUzut represse allora
gii empiti della
iur Digitized by Google I LìMRO X. • '
a 33 scienza , ed il
giudizio fii differito
non, senza conten- zioni e dobbj non
piccioli, se dovesse'
intanto il reo serbarsi
neiia carcere , o dare i mallevadori
per la sua dimissione , come
il padre di
lui dimandava.' Il
Senato adunatosi decretò che
se no desse
malleverìa • sotto ob-> biigazion pecuniaria
; ed egli libero
andasse finché di lui
si giudicasse. Or
mancando il giovine
di comparire • al
suo tempo ; . i tribuni
convocarono il giorno
appresso la molthndine , e contro
lui sentenziarono ; dond’
è che i mallevadori , eh’
eran dieci , pagarono là
multa conve- nuta in sicurezza
delia sua presentazione. Colto
dunque fra tali insidie
dai tribuni che
guidavano tutta la
trama , colle itestimobianze di
Volscio , che poi
false si riconób- bero , Cesone fuggi
nell’ Etruria. Il
padre di lui
venduto il più di
sue cose , e rintegrati i mallevadori
delle multe obbligate visse
tra il disagio
e lo stento in
un poderétto; che aveasi
con picciolo abituro
lasciato di là
dal Tevere, coltivandolo con
ponchi servi, né
più rècandosi in
città per 1’ afflizione,
b la inopia, nè
riabbracciando gli «mici ,
né iniramettendosi -a
festa , o ricreazione niuna. Ai
tribuni però succedé
ben altro che
le loro speranze: imperocché non
.solo qon se
ne chetò pér
alcun modo la gioventù
contenziosa ammaestrata dai
mali di Cesone
; -ma ne imperversò
più ancora , contrastando co'
detti e co’ fatti
la legge; talché
non poterono affatto
stabilirla, cousumandosi in brighe
la loro magistratura.
Pertanto il popolo confermò
pel nuovo anno i
tribuni medesimi. ' fX. Ascesi
ai grado consolare
Valerio Popiicola , e Cajo .Claudio
Sabino (i), Roma
corse in pericoli
« quanti (i) Anoo di
Roma 39! secondo
Catons , 396 secondo Varrone, c 4''8 av.
Cristo. Digilized by Coogle n34
DELLE ANTICHITÀ* ROMANE uiai
più ^ per la
guerra cogli i esteri , attiratale dalle
d!«i «cordie domestiche ,
come af
eano j preoooziato i libri sibillini, e li
segui dimostrati 1’
anno precedente dai numi.
Io sporrò cagione,
che suscitò U guerra , e ciò che fu
per queau operato-
allora da’ consoli.
Li tribuni preso di
nuovo il lor
grado su la
speranza di fondare la
legge , vedendo console
Ca)o Claudio pieno
di odio ereditario contro
del popolo, e sollecito
per ogni guisa nd
impedire quanto facevano
; e vedendo i più potenti de’
giovani trascorsi -iu
fùria manifesta da
non combatterli colla forza , ed
i più della plebe
obbligati da' servigi de’
patrizj , e rimasti senza il
primo ardore per
la leggQ deliberarono spingersi
all’ intento con
mezzi più risoluti , onde atterrire
quei della plebe , e far
desistere il console. Su
le prime procurarono
spargere voci varie
per la città, poi
sederono da mattina
a sera coosultaudosi visibiloRate senza comunicarne
ad alcuno nè
consigli nè parole.
Ma quando parve loro
tempo di .eseguire
i disegni, finsero delle lettere
; facendosele recare mentre
sedeano nel Foro da
un ignoto. E come
prima Je lessero
, , battendosi la .fronte , e contristandosi ne’
set^bi^nti ; levaronsi in
piede. Accorsa gran moltitudine,
ed insospettitasi che
fosse in quelle lettere
indicato alcun grande
infortunio, essi or* dioaroiio ,pe’ banditori silenzio
e dissero; La repubblica o cittadini sta. negli
estremi pericoli. E sé
la benevo^ lenza degl
iddj non avesse
provveduto a chi era
per. incorrervi : noi tutti
saremmo in fetali
sciagure. Chie- diamo che vi
tfiniale qui breve
tempo , finché riferiamo al Senato
eiocohè ne si
avvisa, e facciamo di
cornuti volo oiocché si
debbo ; E ciò detto
, ne andarono ai Digilized
by Googk LIBRO X. a35
consoli. Frattanto che
il Senato si
radunava, faceansi pel Foro
molti e svariati discorsi;
ripetendo altri appo> stalaroente ne’crocchj
ciocché era stato
intimato loro da’ tribuni
; ed altri pubblicando
, come detto ai
tribuni, ciocché temeano essi
stessi , che succedesse.
Chi dicea che i Volsci
e gli Equi aveano
accolto Quinzio Cesone il
giovine condannalo dal
popolo , creandolo comandante assoluto delle
due genti e che
leverebbe .gran forze
e marcerebbe contro di
Roma: echi dicea
che quel gio- vine d’
accordo cp’ patrizj
tornava con esterne . milizie , perché
si abolisce una
volta per sempre
il magistrato che era
il presidio de’
plebei : altri aggiungeva
che eosì non sentivano
tutti i patrizj ma i
giovani soli: e. vi
fu chi ardi fino
dire che colui
si stava occulto
in città , e che
occnpenebbe i posti più
acconci. Ondeggiando cosi tutta
la città per
|a espeUazioue de’
mali , e sospettan- dosi tutti , e guardandosi gli
uni dagli altri
: i consoli convocano il Senato
: ed i tribuni vengono
e palesano ciocché
avvisavasi loro: parlava,
per tutti Aulo
Yerginlo e disse : - „
>> • f > X. Finché
gli annunzj che
ci si davan
de' medi ^ ci
sembrarono non accureUi , ma
vani e senza fondai mento
, sdegnefmmo o padri coscritti , di pubblicarlit tal timore
che non.se ne
eccitassero grandi txirba- menti , come sogliono
, alP udirsi triste
cose , e con riguardo di
non essere da
voi creduti anzi
precipitosi che savj. Non
però lasciammo tali
annunzj , trascu^ rondo li eiffaUo
: anzi ne abbiamo
i investigata la ver rità , quanto per
noi si potè..
Ora . poiché la provit denzu
celeste , la quale ci
ha ‘sempre salvato
la re» Digitized by
Google 2 36 DELLE Antichità’
homane pubblica , ci
benefica p svela i segreti
consigli y e le ree macchinazioni
di uomini nemici
agt iddj , e te- niamo fin delle
lettere che abbiamo
di fresco ricevute in
pegno di benevolenza
da ospiti, che
voi poscia adirete ,* e
poiché concorrono e concordano
gC indizf Interni con
gli^ altri di
fuori , e gli affari che
abbiam tra le mani
non ammettono più.
indugio e riserva i deliberiamo
, com’ è giusto , palesarli
a vói , prima che al popolo.
Sappiale dunque che
hanno contro il popolo
congiuralo uomini non
ignobili , tra' quali di- pèsi-esser parte,
non grande però,
degli anziani, ascritti al
Senato , ma più
grande de’ cavalieri
che ascritti non vi
sono ; e questi , quali siano
, non è tempo ancora
di rivelarlo. Questi , come
udiamo , colta una
notte oscura, sono
per assalirci tra’l
son- no , quando nè può
risapersi ciocché è fatto
, nè va- Uomo a congregarci
e difenderci. Fermi sono
d'in- vestire ‘e di uccidere
nelle case noi
tribuni e quei plebei che
st opposero iy o
fossero mai per
opporsi ad essi circa
la libertà. Quando
avran tolto noi , pensano
di aver da
voi ciò che
resta , sicurissima- ' mente , cioè
che revochiate di
comun voto le
conces- sioni da voi fatte
alla plebe. Fedendo
però che han bisogno
per compiere ciò di prepararsi
occultamente una milizia di
fuori , e non piccola , si
hanno eletto capo queir
esule nostro, quel
Ceso» e , convinto del- V eccidio di
cittadini , e della
discordia della città , • e pure fatto
per alcuni di
qua entro , fuggir
salvo dal giudizio e da
Roma , con promettere di
procurar- gli il- ritorno , magistrature , onorificenze , ed altri Digitized by
Google LIBRO. X, compensi de' servigj.
E questo Cesene ha
protnesso di conduf loro , milizia di
Equi e di Eplsci , quanta abbisognane. Egli
verrà tra non
molto co’ più
audaci, introducendoli a
pochi a pochi e '.sparsamente in
ci/r tà: l^ altre
milizie, quando saremo
periti noi capi del
popolo si avventeranno
su gli alpi
del popolo stesso , i quali difendessero
ancora la libertà.
Queste, o padri coscritti sono
le terribili , le impurissime opere che
disegnano far tra
le tenebre , senza temere r ira
degli iddj , nè riguai
dare, la vendetta
degli uomini. ^ , XI. Agitati
da tanto pericolo
, a voi ne veniamo supplichevoli , o padri, voi
scongiuriamo per gf
iddj, voi pe genj
adorati dalla patria , voi
per la memoria dei
tanti e gravi nemici
da noi combattuti
in coma-, ne, affinchè
non lasciate che
noi patiamo le
sì dure, ed indegnissime
offese : ma v’
'empiate come noi di
risentimento , e ne soccorriate , e
puniate , come delf~ Lesi,
tali macchinatori tutti , o nei
capi almeno della infame
congiura. E prima che
tutto , dimandiamo o padri
che decretiate, come è
giusto,. che inquisiscasi da noi
tribuni su le
cose deferiteci; perciocché
oltre, la giustizia , la necessità
dee rendere , inquisitori di-, agentissimi gV
investiti dal pericolo.
Che se alcuni tra
voi son disposti
di non compiacerci
punto , anzi di contrariarne in ,
quanto vi diciamo
del popolo ; volsntieri
conoscerò da essi
quale vi disgusti
delle. nosVe dimande , e ciò che
vogliate da noi
finalmente Che non facciamo
forse niuna ricerca , ma
trascu~ riamo la si
bufa e si rea
tempesta che pende
sul Digitized by Google 2.38
DELLK ANTICIUTA’ ROMANE popolo
? E chi direbbe li sì fatti
decisori esser sani, e non
corrotti) e non' partecipi della
congiura anzi chi non
direbbe che temono
per sestessi , temono
di essere scoperti , e
quindi scansano che
si esamini • il vero
? Perciò non debbesi
attendere a tali uomini.
O vorranno forse che
non siamo noi
gl' inquisitori 'di dò; ma
il Senato e li
consoli? Ma che
impedirebbe che i tribuni pure
dicessero , che a loro che
han preso a difendere il
popolo / a loro si
spetta la in- quisizione de* plebei , se
alcuni mai congiurassero contro de'
padri e de' consoli , e macchinassero la rovina
del Senato ? Or
che seguirebbe da
ciò ? que- sto appunto , che
mai la indagine
si farebbe ma- neggi
reconditi. Noi però
mai ciò nort
faremmo, per- chè sospetta ne
sarebbe f ambizione : e così
voi non bene adopererete
dando mente a coloro
che non vo- gliono che noi
pure slam pari a
voi ne’
casi nostri , per fare F
esame; ma benissimo
adopererete riguar- dando questi
, come nemici comuni.
Al presente , o padri coscritti , niuna cosa
tanto bisogna , quanto
la sollecitudine: glande, imminente
è il pericolo; e C in- dugio a salvarsi è sempre
intempestivo ne’ mali
che non indugiano. Lasciando
dunque le altercazioni , e i lunghi discorsi
decretate ornai ciocché
F utile vi sembra della' repubblica. eraoo
i padri come rìsolfere: e riflettevano seco
stessi, e ripetevano 'fra
loro , come fosse
ugualmente arduissima cosa
concedere e non concedere ai
tribùni di fare
inquisiaione su loro, in
affane comune e gravissimo.
Ma Cajo Claudio
1’ uno Digitized by
Goosle ' . ■ LIBRO ajg de* consoli , che
tenea per obliqua
quella loi^ propo- sta , sorse e disse
: iVon penso , o Kergìnio ,
che co- storo sospettino me
come partecipe della
congiura che dite macchinata
cantra voi , e cantra il
popolo e sospettino che io sorga
a contraddire , perchè temo per me
o per alcuno de
miei che n è complice
; giacché il tenore della
mia vita esclude
in tutto da
me tali sospetti. Io
dirò sincerissimamente e sema
riguardi ciocché reputo £ utile
del Senato c del
popolo. Molta , anzi affatto
s’ inganna Ferginio
, se concepisce che alcun
di noi sia
per dire ohe
si lasci,, sema
discu- terlo , im tal» affare
sì grande e necessario
; e che non debbono aver
parte , nè star presenti
alla inda- gine i magistrati del
popolo. Niuno è sì
stolido , niuno sì
malevole al popolo
che voglia ciò
dire: Che se dunque
alcun chiede , qual ne ho male ,
ohe in- sorgo contra cose
che io concedo
per giuste ; e che presumo io
mai col mio
dire ; io , viva
Dio , ve' lo esporrò: Io penso,
o padri coscritti, che i
savj deb- bano considerar sottilmente
i germi e le linee
prime di ogni affare
: imperocché deesi di
ogni affare di- scorrere secondo che
ne stanno i principj.
Ora udite da me
ciocch' è V intrinseco del
subietto presente , e quale
il disegno de
tribuni. Non riesce
ora loro di ultimare
ninna delle cose
incominciate nè proseguite nelC anno
antecedente , perchè voi vi
opponete ad essi come
allora , nè pià il
popolo li favorisce.
E ciò conoscendo cercano necessitare
voi , sicché cediate loro anche
vostro malgrado , ed il
popolo , sicché cooperi a
quanto mai vogliono.
Ma per quanto
se ne Digitized by
Google 24o delle Antichità’
romane consultassero, per quanto
volgessero da,' ogni banda, V affare , non trovando
mezzi semplici e buoni
per V uno e V altro intento
; alfine così la
discorsero. . » Lainenliamoci che alenai
nobili han congiurano
di> abballcre il popolo
/ e di uccidere quanti
ne proca- » nino la
salvezza. E quando avrem
&UO , che tali cose, » preparale da
gran tempo, siano. in
cittA disseminate,; » e sembrino credibili
«I popolo (e
credibili le renderà a la
paura)} allora fiugeremo
delle lettere da
presenti » larcisi per un
ignoto in presenza
di molti. Ne
amdre> » mo quindi In
Senato, ci> sdegneremo,
ci dorremo, » e cercheremo il
poter d’ inquisire su
le dinunzie dateci. » Se
i patria) ci si
oppongono, prenderemo ‘da
indi » ^argomento di calunniaiii
presso del popolo;
ed il a popolo esacerbato
contro di essi
diverrà ^ propizio a X .quanto
noi vogliamo. Che
se cel concedono
leveremo X di città , come trovati
complici , i più misgnanimi frA » loro , e più nemici
nostri , vecch j ^o giovani.
Impe- » rocchè coloro intimoriti
di essere condannati
o pat- » tuiranno con noi
di non più contrariarci ; o saran » costretti a lasciare
la patria : e co^
la fàzipn contrap- » posta sarà
desolata ». XIII. Tali
sono i loro disegni p padri coscritti,
e quando li vedevate
che sedeano o consultavano ^ al~ lora
tesseano C inganno contro
i più riguwrdevoli tra, voi,
allora complicavan la
rete contro i cavalieri
più puri. E che ciò
sia vero ; presto
ve lo dimostro.
Dì , yèrginio , dite voi , su
quali pende il
pericolo , da quali ospiti
aveste la lettera
? dove abitano , come vi conoscono', come
seppero tali nostre
cose ? Perché Digitized by
Google LIBRO X.' 241 differiste a svelare
i lor nomi , perchè prometteste dirceli poi , nè
li avete già
detti ? Qual fu V
uomo che vi portava
le lettere ? che
noi menate voi qui y sicché
su lui cominciamo
a diicutere , se vere elle siano
y o se piuttosto , come
io penso finte
da voi ? E gt
indizj interni che
si accordano co’
segni di fuori quali
sono mai questi?
o chi mai ve
li diede ? Per- chè ne
celate , non ne pubblicate
le prove ? Se
non. che mal si
trovano prove di
cose che non
furono mai come io credo
, nè mai saranno.
Questi o pa- dri coscritti non
sono indizj di
una congiura contro loro
ma piuttosto delle
insidie e del mal
animo che essi covano
contro di voi ,
come C affare dichiaralo
• per sè stesso.
Ma voi siete -di
ciò la causa,
voi che concedeste loro
le prime cose,
e portaste a tanta po- tenza codesto insano
1 loro magistrato , quando lascia- ste nell’ anno
antecedente che giudicassero
per falsi titoli Quinzio
Cesone y 'e soffriste
che strappasSer dal seno
un tanto difensor
de'patrizj. Da ciò
nasce che- pili non serban
misura , nè tolgon di mira i no- bili ad
ano ad uno,
ma investono e scacciatio
in un globo tutti
i migliori della città
: E- ciò che è peggio
j non permettono nemméno
che contraddiciate Biro ,
e V atterriscono con darvi
per i sospetti , e calunniarvi come complici
de’ segreti disegni ^ con
dirvi ben tosto inimici
del popolo , e citarvi
al popolo stesso
, per- chè -subiate la pena
de’ discorsi qui
fatti. Ma su ciò
diremo altrove pià
acconciamente. Ora per
istringere e non prolungare il
discorso , ammoniscavi che vi
PTOIftCr , tomo in. '
it Digitized by Google 242
DELLE, antichità’ ROMANE guardiate da
codesti turbatori di
'Jioma , dti codesti seminatori de’
mali. Nè celerò
già al popolo
quanto qui dico ; ma
gli sporrò liberissimo
che non pendo su
lui niente di.
male , se non
quanto glien fanno
i tristi ed insidiosi
..tribuni , benevoli ne' sembianti
e nemici ne' fatti. Sorse
al dire del
console clamore m» tomo
ed applauso ben
grande , e sciolsero 1’ adunanza senza ^pertncHve
che '^pià i tribuni
parlassero. Dopo ciò Yergiaio
convocato il popolò,
vi accusò il
Senato ed i consoli.
Ma Clandio ve
li escusava apptmio
co’ discorsi tenuti in
Senato. Presero i più
discreti del popolo
per vana quella paura:
ma i più sjolidi
per -vera, credendo le dicerie
: e quanti ne erano
I più soellerali , ^anti i più
bisognosi ognora di
un cambiamento , vi xercaròno un
pretesto -di sedizione , je di
torbido , doù che
mi> ressero a far disceraere
il Vero dal
falso. XIV. Intanto un
Sabino non ignobile
di lignaggio , potente
in averi (Appio
Erdonio ih chiamavano.)
si pose in cuore
di - abbattere la
potenza romana , sia
che ne cercasse per
sé la tirannide
, sia che una
grandezza ed un dominio,
ai -Sabini, sia che
tina fama luminosa al
suo nome. Comnni'catosi, in
quanto a tale idea,
con' molti amici , divisata là
maniera dell’ impresa
, ed ap- provatone ; riuni li
clienti , e li più baldanzosi
de’ servi suoi. Concentrati
In poco tempo
intorno a quattro mila uomini , ed apparecchiate
arme, viveri , e quanto
biso- gnava per una guerra,
gl’ imbarcò su
legni fluviali. ?ia- vigando
sul Tevere , gli
approssimò a Roma dalla
ban- da, ove sorge il
Campidoglio , non lontana
nemmeno uno stadio dal
fiume. Era la
notte in sul
mezzo: ed in » ’ DIgitized LIBRO X. 243
Roma calma grandissima.
Egli dunque al
favore di queo
ottenuti i luoghi piu
acconci, ricever^ gli
esuli,, liberare, gli
schiavi, sdebitar con promesse
i poveri , e consociare a sestesso
4utti gli akti
cittadini clie dal
basso loro stato
invidia- vano ..ed odiavano i potenti,
e seguivano con diletto
la mutazione. La iipniagine.
che deludevalo intanto
che lo isperariziva di
ottenere quanto aspettava , era la
civil sedizione, per la
quale concepiva che
più non vi
fosse amicizia , nè ligame
tra i plebei e tra’
patrizj. Che non fosse
a lui riuscita ninna
di tali cose r
allora dise- gnava chiamare con
tutte le milizie
i Sabini , i Yolsci ed altri vicini , quanti voleano
iredimerst dal giogo
ese- crato de’ Romani. . ^ ' XV,
Occorse, però che s’
ingannasse in lutto
; jmpe«> aocchè nè si
diedero a lui gli
schiavi, dè gli
esuli ripa- triaronb, nè gl’
indebitati q disonorali 'anteposero'!’
utile proprio al comune,
nè i sqcj esterni
ebbero spaziò ab- bastanza da preparare
la guerra: giacché
tale affare, che diede
tanta paura e turbamento
a^ Romani , ebbe
Gne ben tosto ne’
primi tre o quattro
giorni. E per verità
, presa appena la
fortezza , datisi gli
abitanti dei luoglù (1)
Questa porta fu
chiamala ancora scellerata
perchè poterono per essa
uscire ma non
tornare i Pabj che
andarono a Cremerà contro i Toscani
j come iuiUcano Testo
ed Ovidio. Fasi.
a. Digitized by Google l a 44
DELLE AWriCHITA” ROMANE intorao che
non erano rimasti
uccisi , a gridare e fug-' gire
; il popolo non
sapendo che mai
fosse , impugnò le armi , e Corse parte
ne* siti eminenti
y o ne’ spaziosi , che
eran molti , della città , e parte ne’
campi vicini. Quanti perduto
il fiore degli
anni erano nella
impotenza delle forze , salirono
colle, mogi) ai
tetti delle case
per combattere di là
li forestieri , parendo loro
ogni luogo pieno di
nemici. Fatto giorno,
come seppesi che 'erano in
città prese^ le
fortezze , e chi prese le
avesse ; i coa- soli
andarono al Foro , e chiamarono i cittadini
alle arme. Li tribuni
convooita la ' moltitudine
dissero che non voleano
far cosa contraria,
alla patria ne’ suoi
peri- coli ; ma che riputavaào
giusto , che il popolo
il 'quale espoùevasi a tanto
cimento vi si
esponesse con patti espressi : Se i
patrìzj , diceano , promettono , chiamarti done mallevadori
gli Dei, che
Jinifa la guerra
cìoon^ cederanno di creare
i legislatori , e di vivere
pari a noi ne
diritti per t avvenire;
liberiamo con essi 'la patria : ma
se ricusano ogni
partito di moderaziode
; e perchè mai cimentarsi
?' perchè gettile
la vita , quando niun
bene' ce ne ridonda
? Mentre cosi dice- vano ed
il popolo se
>ne persuadeva tiè
udiva le voci di
chi altro gli
suggerisse ; Claudio . disse ohe
non tJ>- bisognavasi di
tali che soccorressero
la patria non volontari , ma per
prezzo e non ' lieve
: che i pcurizj armando sestessi
e i clienti, e chiunque univasi
loro spontaneamente
assedierebbero le fortezze
; Che se tali milizie
non pareano sufficienti;
ne chiamerebbero ancora dai
Latini e dagU Ernici
: e se la necessità stringesse , prometterebbero la
libertà agli schiavi
: Digilized by Google LIBRO
X. 245 cAe infine
inviterebbero, tutti, piuttosto
che quelli che in
tal congiuntura profittavano
della odiosità de'
vec~ chj fatti. Contraddiceva
a tanto Valerio 1’
altro console : e giudicando che
non dovesse mettersi
in guerra coi patris)
la plebe già
adirata con essi
.-consigliava che si cedesse
al tempo : si
pretendesse da' nemici
esterni il diritto: ma
si usasse helle
gare domestiche equità
e dolcetta, E sembrato egli
al più dei
padri di aver
dato il consiglio migliore,
ne venne all’ adunanza
del popolo,e tenutovi un '
conveniente discorso , lo ■
terminò , giu> rando , che
se i plebei si
unissero a , lui con
ardore sella guerra, q, riordinassero le
cose della città;
con- cederebbe ai tribuni di far discutere
al popolo la
legge che essi progettavano
su la eguaglianza
ne’ diritti, e che terrebbe modo
onde ciò che
fosse à questo piaciuto
si eseguisse nel suo
consolato. Ma ‘non portava
il destinò eh’ egli
adempiesse alcuno de’ patti,
seguendolo ornai da presso
la morte. . • XVI.
Sciolu i’ adunanza , intorno
a’ crepuscoli ve- spertini
accorse ciascuno a’
suoi posti per
dare a’ capi
il suo nome, ed
il militar giuramento;
e fra tali due
cure si consnmò qncl
giorno e la notte
che lo segui.
- Nel giorno appresso furono
compartiti e còllocati da’
consoli i tribuni sotto le
insegne sante ,
aiTollandovisi la niolti- tndine ancora
abitatrice della campagna.
Ordinata così ben- tosto
ogni cosa , i consoli divisero
le milizie, e ne tirarono
a sorte il comando.
A Claudio toccò d’ invigi- lare innanzi le
mura , aIBnché non
entrasse in sussidio altr’ armata
di fuori ; perocché
sospettavasi di un
moto assai grande, e temeasi
che piomberebbero forse
tutti i Digitized by
Google 2 46 DELLE antichità’
ROMANE nemici su loro.
Portò la sorte
che Valerio si
mettesse all’ assedio delle
fortezze. Altri duci
furouò destinati sb I di
altri luoghi muniti,
interni alla città ^ ed
altri su le* vie
che menano al
Cartipidoglio per impedire
che vi passassero al
nemico gli schiavi
e li bisognosi temuti soprattutto. Non
venne a Roma sussidio
di alieniti , se non
de’ Tnscolaili , informati ed
apparecchiati in una notte
e guidati da Lucio
Mamilio , uomo operosissimo , e capo allora
della nazione. Questi
soli entrarono con Valerlo
a parte de’ pericoli
, et dimostrandovi Ihtta
la benevolenza e lo zelo ;
rivendicarono con eSso
le for- tezze. Diedevisi da
tutte le parti
1’ assalto : chi
adattava su le donde
vasi pieni di
bitume e ■ pece incendiaria
, e lanciavali dalle case
vicine in sul
colle : chi recava , fasci di
sarmenti , e fattine cumoli
ben àltj su
lo sco- ' sceso della
rupe gli ardeva , lasciando che il vento
ne trasportasse le damme:
i più magnanimi ristrettisi
nelle Schiere salivan alto
di su per
vie manufatte : ma
la motti(udine colla quale
tanto sorpassavano 1*
inimico , niente giovava
ad essi che
ascendevano per sentiero angusto , pièno sopra
di sassi da
trabalzameli , e tale che i pochi vL
divenivano bastanti contro
i mólti : nè la costanza
acquistala tra le
molle ‘‘guerre incontro
ai pericoli valeva punto
per chi rampicavasi
diritto sa pei scogli.
Pcroccliò facessi la
battaglia con colpi
lontani e Dòn a corpo
a corpo onde moslraiwi
audacia e forza ; le
arme lanciate da
basso in alto
giungevano , cotn -è verisimile , se colpivano , languide e tarde
; laddove quelle scagliate dall’
alto in basso
piombavano penetranti e
piene , secondandone il
peso , \ lor tiri. Non
però Digitized by Google LIBRO
X. 247 invilivano gli
assalitori , ma persistevano , necessitati , tra' mali , senza
rèquie alcuna diurna
o notturna : tanto che mancate
finalmente agli assediati
le arme e le
forze, dopo il terzo
giorno gii espugnarono.
Perdeèouo i Ro« mani in
questa battaglia molti
valentuomini , ed il con- sole', valentissfmo , come tutti
concedono. Costui seb- bene ricevute molte
ferite , non si
levava da’ perìcoli
: ma saliva tuttavia
la rocca , finché gli
precipitarono ad* dosso un
macigno , che gli
tolse • la vittoria
e la vita. Espugnata la
fortezza , Erdonid
robustissimo che era di
corpo-, e bravissimo in
arme , destò strage
incredibile idtornct di sé,
ma sopraffatto infine
dai colpi morì.
Tra quelli che -avevano occupato
con esso il
castello, pochi furoRO pigliali
vivigli più trafissero
sestessi, o perirono
precipitandosi dalla rupe. XVII.
Finito cosi l’attacco
de’ Ladroni, i tribuni ri- produssero le ‘interne
discordie , chiedendo dal
console superstite che adempisse
le promesse circa
la istituzioa della legge
fatte loro da
Valerio , estinto nella battaglia. Trasse GlandLò
in lungo qualche
tempo, ora con
espiar la città , ora con
fare agl’ Iddii
sagrifiz) di ringrazia- mento , ed ora
dilettando il popolo
con spettacoli e giuochi.
Alfine mancatigli tutti'!
pretesti disse, che
do- vessi nominare. in luogo del
defunto un altro
console, perocché le cose,
fìtte da lui
solo non sarebbero
né le- gutime ',
né salde,' ma salde
saqebbero , e legittime fatte
da ambedue. Respintili
con 'questa replica, prefisse
il giorno pe’ oomizj
ove farsi un
collega. Intanto i capi dei
Senato concertarono con
maneggi occulti fra
loro il console da
eleggersi. Venuto il giorno de’comizj,
quando Digitized by Google 248
DELLE Antichità’ romane il
baDclitore chiamò la
prima classe, le
diclotto ceniarie de’ cavalieri e le
ottanta de’fanti ricchi
di più possideusa entrate nel
luogo dimostrato nominarono
console Lncio Quìdeìo Cincinnato,
il cui figlio
Cesone ridotto a già* di^o
capitale da’ tribuni , avea per
necessità lasciato la patria:
>nè più si > chiamarono altre
classi a dare il lor
voto, giacché le
centurie che lo
aveano dato superavano per tre
centone le rimanenti.
Il popolo si
ritirò prono- sticando il suo
male , perché sarebbe il
consolato in mano di
chi lì odiava.
Il Senato spedi
uomini che prendessero e menassero
il suo console
al comando. Quinzio arava
allora per avventura
un campo per
se- minarvi , ed egli stesso
scinto di^ tonica , col
pilco in testa , e con fascia
ai lombi , teneva dietro
ai bovi che lo
fendevano. Or vedendo
i molti che a lui
si recavano, fermò 1’
aratro , e dubitò buon tempo
chi fossero , e perchè
sen venissero ; ma
precorrendo un tale
ed am- monendolo ad acconciarsi
, andò nell’ abituro , e accon- ciatovisi riuscì.
Gli uomini spediti
a riceverlo , lo salu- tarono
tolti non dal
suo nome , ma
come console : e messagli
la veste circondata
di porpora , e dategli le scuri , e le altre
insegne de’ consoli , lo
pregarono che in città
si portasse. £ colui
soprastando alcun tempo
e lagrimandone disse : questo
mio campiceUo . in
qilesto anno restar^ dunque
non seminato, ed
io correrò pe- ricolo di
non avere come
alimentarmene. E qui salu- tata la
consorte, ed intimatole
che provvedesse alle
coso dimestiche , sen venne a Roma.
Or questo mi
son’ io condotto a dirlo
non per altra
cagione , se non
perchè sì conosca quali
erano allora i primarj
di Roma, come Dicitt
i GoOgIc LIBRO X. 249 operosi
, collie savj ; e come
, non che gravarsi
di noa povertà onorata
, ricusavano , non ambivano
i sovrani poteri. Dal che.
sarà manifesto , che i moderni
non so* migliano a quelli
nemmen per poco ,
eccettuatine ai- quanli , pe’ quali
vive ancora la
maestà romana e ser- basi una . immagine di
que* tempi. Ma
basti su ciò. XVIII.
Quinzio preso il
consolato (i) chetò
li tribuni dalle innovazioni
e dalle brighe su
la legge , con
inti- mare , ehe àc non
la finivano , porterebbe
tutti i citta- dini fuori di '
Roma , minacciando una
spedizione sui Volsci. E replicando
i tribuni che lo
avrebbero impe- dito di arrolare
l’esercito; egli convocata
un’ adunanza, disse che
lutti si erano
vincolati col giuramento
militare di seguire a qualunque
guerra fossero chiamati,
li con* soli; come
di non lasciar
le bandiere e di
non far cosa contro
Ja legge. Diceva
che con assumere
il consolato, ei tenevali
tutti sotto quel
giuramento. Ciò detto , giu-> rando che
si varrebbe delle
leggi contro gl’
indocili , fe’ cavar le
bandiere da’ tèmpli.
£ perchè disperiate di ogni
aggiramento di pòpolo
nel mio consolato
, non tornerò, disse', da
cnmpi nemici se
non dopo Jinitone il
tempo. Apparecchiatevi dunque
in quanto v è ne- cessario , come per
isvernare nel campo.
Sbalorditili con tal parlare,
quando li vide
alquanto più mansuefatti supplicarlo di
esser liberi dalla
spedizione, dichiarò che sospenderebbe in
grazia loro la
guerra, purché non
fa* cessero movimenti, lasciassero
eh’ egli reggesse
il con- fi) Aanb di
Roma 394 secondo
Catone, 996 secondo
Varrone', a 4S8 av.
Cristo. Digilized by Google aSo
DELLE Antichità’ romane solato
a suo modo, e dessero
ed esigessero scambievole mente il
giusto. XIX. Calmata la
turbòienza, ristabilì su
le istanze loro li
giudizj interrotti da
tanto tempo , ed
egli straso decise il
più delle cause
colla equità e colla
giustizia, sedendosi quasi tutto
il giorno nel
tribunale , > io atto
sempre compiacevole , mite , umano verso
de’ ricorrenti. Operò con
questo die il,
governo non sembrale
aristo* cratico , che i poveri ,
gl' ignobili , ed altri
infelici co- munque
conculcati da’ potenti, OOn
avessero bisogno dei tribuni, 'nè desiderassero
piu nuova legislazione
per es- sere trattati cOn
eguaglianza , anzi che
amassero e gra- dissero
tutti il
ben essere attuale
delie leggi. Fu
iodato nel valentuomo questo
procedere, òome pure,
che fluito il suo
comando , ricusasse non che
lieto riaccettasse il consolato
offertogli nuovamente. Imperocché
il Sanato che vedea
la moltitudine non
alièna di obbedire
aU’uom buono , rivolealo a grand’
istanza nel consolato , perché li tribuni
brigavansi a non lasciare
uemmen pel terzo anno
il magistrato, ed
egli sarebbesi ad
essi contrapposto
rattenendoli dalle innovazioni
colla verecondia o col
ter- rore. Disse che non
appcovava cJte i tribuni
non ce- dessero il grado
loro ^ ma che
egli non incorrerebbe ' neir acciua
di essi. E convocato
il popolo e lamenta- tovisi lungamente
de’ riottosi a deporre
, il comando , giurò
solennissimamente di non
ricevere il consolato
in- nanzi di averlo ceduto.
E prefisse il giorno
pe’ comizi, e designativi i consoli , si ritirò
di bel nuovo
nel suo picciolo abituro
, c visse , come dianzi , col
travaglio delle sue mtini.
> X Digitized by Google LIBRO
X.- aSi XX- Divenuti
consoli Fabio Ylbolano
per la terza volta
, e Lucio Cornelio (i), e
celebrando i patrj spet> tacoli , frattanto
circa eeì mila
Eqof , uomini scelti ,
marciarono in lieve
armatura nella notte
, e la notte durando ancora
giunsero al Tuscolo
, città latina , di*- stante
nemmeno di cento
stadj da Roma.
Trovatene aperte come in
tempo di pace ,
le porte
, nè '"custodite le mura,
la invasero al
giunger primo, in
odio de’Tu- scolaci > perchè
erano gli ardenti
cooperatori dei Ror mani , e principalmente perchè
essi gli unici
aveano fatto causa - di
guerra con loro
nell’ assedio del
Campi- doglio. Uccisero
certo degir^uomini , non però
molti nella- invasione della
città ; perocché mentre
prendeasi quei che v’ -erano
, eccetto gl* invalidi
per vecchiezza e per
mali , fuggirono ^ spingendosene
fuori per le
porte. Fecero prigionieri ,
le donne , i fanciulli, i servi,
e diedero il sacco
alle robe. Nunziatasi
in Roma la
espu- gnazione,, i consoli
conclusero che si
dovesse bemosto provvedere ai
fuggitivi e rendere loro
la patria. Oppo- nendosi però U tribuni,
non permettevano che
si arro- lasscr soldati,
se prima non
si desse il
voto su la
legge. Cònlurbandosene il Senato,
e ritardandosi là spedizione, sopravvennero altri
messi 'da’ Latini colia
nuova che là città
di Anzio erasi
manifestamente ribellata, accordan- doviki i Volsci
, antichi abitatori di
essa, e, li Romani venutivi come
coloni , e compartecipi de’
terreni. Giun- sero
contemporaneamente de’ nunzj
ancora dagli Eroici e dissero , che già
era'- uscita , e già
stava nel lor
ter- (i) Adqu «li
Roma' 395 secondo Catone , 397
secondo Varrone-, « 457
av. Cristo. Digitized by
Google aSa DELLE Antichità’
romane ritorio un armata
grande di Volaci
e di Equi. A tali a^unzj
parve al Senato
che dovesse > ornai
,non indù* giarsi , ma
corrersi con tutte
le forze da
entrambi i consoli : e che
chiunque ciò ricusasse
, romano o con- federato : si avesse
per inimico. Or
qui li tribuni
cede- rono , e li consoli
descrissero quanti aveano
età milita- re, e* convocate le
truppe alleate, uscirono
bentosto in campo ; lasciando
il terzo delle
milizie urbane in
guar- dia di Roma. Fabio
n* andò di
fretta coIF esercito
su gli Equi fra’
Tuscolani : li più
di quelli saccheggiata
la città , sen’ erano
già ritirati : ma
pochi ne difendevano ancora il
castello. E questo assai
forte , uè bisognavi molto presidio.
Adunque alcuni dicono
che le guardie del
castello , dal quale, come
elevato , scopronsi dj leg- geri tutti i dintorni , vedendo uscire
da Roma un’
ar- mata, lo abbandonassero spontaneamente: altri
però di- cono , ebe postovi
da Fabio l’ assedio
si renderono a patti , e passando sotto
giogo ebbero in
dono lai vita. XXI.
Fabio venduta la
patria ai Tnscolani,
levò l’e- aercito sul
far della sera , e marciò di
tutta fretta coiv tro
a’ nemici ^ Equi e Volsci
che accampavano, come udiva
, con armata numerosa
intorno alla città
dell’ Al- gido. Viaggiando tutta
la notte si
trovò su l' alba
a fronte dei nemici
alloggiati nel piano
senza vallo , senza fossa, come
nel proprio territorio',
con disprezzo degli avversar). Or
qui confortati i suoi
a farla da valentnq- mini , piombò prima
sul campo nemico
con la cavalle- ria , mentre i frati
alzato il grido
militare la seguita- vano- Altri furono
uccisi che dormivauo , altri che
sorti appena davano all’
armi , e volgeansi a
resistere : ma li Digilize::
by G- LIBRO X. a53
più gettaronsi alla
fuga e si dispet^ro.
Presi con molta fiicilltà gli
alloggiamenti, concedette a’ suoi
che vi s’im- padronissero di robe e
persone, salvo quanto
era dei Tuscolani. Non
istette quivi gran
tenapo , e menò 1’ ar-
mata'su la città
degli Eccctrani, riguardevolissima allora tra
quelle de’ Volaci,
e fondata in fortissimo
luogo. Te- nutovisi più
giorni da presso
coll’ esercito su la Speranza che
quei d’ entro
uscissero per combattere
, nè uscen- done ; diedesi a devastare
la loro campagna
piena di bestiami e di
uomini; non avendone
gii assediati ritirato prima ciò
che v’ era
pel troppo repentino
giungere dèi nemici. Fabio
'lasciò che i soldati
facessero anche qui le
prede per loro , e consumati più
giorni nel farle
; alfine con essi
ripatriò. Cornelio T altro
console mossosi contro i Romani
di Anzio, e li
Volsci sen’ imbattè col- r esercito loro
che l’aspettava a’ confini.
Fattovisi alle mani , uccisine
molti , e fugatine gli altri , s’ avanzò col campo
fin presso fe
mura: ma non
osandovisi più uscirne a combattere ; prima
desolò la lor
terra , e poi ne rin- chiuse la città
con fossi e steccati.
Vinti allora dalla necessità , ne
uscirono novamente con
tutte le forze
, che erano molte
si , ma disordinate. Paragonatisi
in bat- taglia , sostenutala , ancor
peggio , e fuggitine scoraggiti e
svergognati , si rinserrarono un’
altra volta tra
le mura. Il console
non dando ad
essi tempo di
riaversi , portò le scale alle
mura,, e ne abbattè
con gli arieti
le porte: e cenciossiachè da
entro vi resistevano
affaticati e lan- guidi; ve li
espugnò senza molto
travaglio. Quanto eravi monetato , quanto
di oro , di attuto , di
rame, fe’ por- tarlo neU'erario : gli
schiavi , e le altre prede
le fe’ rac- I Digitized by
Google 2 54 DELLE Antichità’
romane cogliere e venderle da’
questori ; lasciando a’
soldati , quanto ve n era
, alimenti , vesti , e cose •
altretuli di lor giovamento.
Poi scelti tra i
coloni e t^a gli
Anziaii nativi i capi, clie
eran, molti, più cospicui
della rivolta, e battutili lungamente
e decapitatili inSne , si ravviò coir
esercito alla patria.
Il Senato usci
all* incontro dei consoli
che tornavano , decretando
che ambedue trion» lasserò: si
concordò, per finire
la guerra, cogli
Equi, che aveano perciò
spediti oratori , e nei patti
fu , che ritenessero le cittò , e eie
terre che *aveauo
nel tempo che si
conehindeva la pace , ma
ubbidissero ai Romani; non
pagassero tributi, ma
somministrassero ideile guerre, come
gli altri alleati
, truppe ausiliarie. secondo
>1 biso- gno : e con ciò l’
anno spirò. XXII. L’anno
appresso (i) fatti
consoli Cajo Nauzio per
la seconda volta,
e Lucio Minu^io ebbero
per qual- che tempo guerra
domestica su’ diritti
civili con Vergi- nio
e li compagni di lui
, tribuni già da
quattro anni. Ma poi
venendo alla città
guerra da-’ popoli* iotorno , e paura che
le tógliessero il
régno ; presero con
trasporto l’ evento come dalla
fortuna : e fatti i cataloghi
militari , divise in tre
parti le milizie
interne e confederate, e bsciatane
una in città
sotto' gK ordini di
Fabio Vibo- lano ; essi
alia testa delle
^ altre uscirono immantinente
, Nauzio contro de’
Sabini , e Minucio contro degli
Equi. Iniperoccbé questi due
popoli s’ erano di
que’ giorni ri- bellati a’ Romani
: li Sabini manifestamente tanto,
che si erano avanzati
sino a Fideue, città
dominati da Roma, (i)
Anno di Roma
396 secouòo Catone,
398 secondo Varrouc
, e 456 av. Cristo. I Digilized by
Googk - UBRo X. a55 che
ne era distante
quaranta stadj ; laddove
gli Equi ferbavano colle
parole i ^diritti dell’
ultima pace ; facen- dola nelle opere
da nemici, con
movere guerra ai La-
tini , confederati di Roma , quasi
i^el trattato di
pace non «ressero mcbiuSo
ancor essi. Comandava
l’armata loro Gracco delio
^ uomo intraprendente , che
avea renduto quasi regio
il potere arbitrario
di cui era
stato adornato. Costui ne
andò fino al
Tuscolo , città pigliata
e sac- cheggiata ancora
nell’ anno antecedente
dagli E^ui, che poi
ne furono espulsi
dai Romani , e rapi dalle
campa- gne quanti uq sorprese‘ uomini in
copia- e bestiami ,
guastandovi i fruiti , buoni
già da ricoglierli.
E giunta un’ ambasceria, dal
Senato per intendere
le cause per le
quali guerreggiavano contro
gli alleati de’Romani
quando erasi di fresco
giurata pace^con essi , nè
frattanto era occorso disturbo
alcuno tra’due popoli , e dovendo que- sta ammonir Clelio
a dimettere i prigionieri che
avea di quelli , a ritirare 1’
armata , e ‘ subire il
giudizio su le ingiurie
o danni fatti a’ Tuscolani
; colui s’ indugiò lungamente scuz’
abboccarsele come impedito dalle
oc- cupazioni. Alfine quando gli
parve tempo di
ammettere r ambasceria, e
quando i. membri
di essa ebbero
espresso gli annunzi del
Senato $ egli Soggiunse:
Mi meraviglio, o Romani, come
voi per^dominare e tiranneggiare., temale per
Turnici lutti gli
uomini , anche senza es- serne
offesi. Voi non
permettete che gli
Equi si venr dichino
de' Tuscolani, contrarj
loro., senza che
ciò si concordasse nella
pace, firmala con
voi. Se dite
che abbiamo oltraggiato e danneggialo
voi ; vi rinlegre- temo a norma
de' patti : ma
se venite a chieder
conto Digilized by Goc^le 2 56
dell?: Antichità.’ romane su
Tuscolani ; nienle vale , che
a me parliató , o vai quanto parliate
con quella pianta;
e frattanto additò loro un
&ggio (i) , che prossimo
frondeggiava. XXIIL I Romani cosi
vilipesi da colui
non cavarono subito ,
abbandonandosi all* ira , gli
eserciti : ma repU- carono
un altr ambasceria , e mandarono i Feriali
che chiamano , uomini sacrosanti , . per attestare
i genj ed i numi , che
essi porterebbero , necessitati ,
una guerra legittima , se
non erano soddisbuti
; e dòpo ciò spedi- rono il console
colle milizie. Gracco
all’, intendere che i Romani
venivano, levò l’esercito,
e lo portò più
ad* dietro, seguendolo pasto
passo i nemici. Egli
volea ri- durli in luoghi
da vantaggiarsene ^ come
addivenne. Imperocché tenendo in
mira una valle
cinta da monti, non
si tostò i Romani
vi s’ internarono , egli voltò
fac- cia , e si accampò su
la strada che
conduce fuori di quella.
Segui da questo
,.che i Romeni misero
il campo non dove
il volevano , ma
dove la circostanza
lo per- metteva. Ivi nè
era facile il
pascolo pe’ cavalli , per. es- sere il
luogo chiuso da
monti ripidissimi e nudi
; nè facile I dopo aver'
consumato quelli che
portavano , pro- cacciare a
sestessi gli idimenti
dalle terre nemiche
, o mutare il campo;
standogli a fronte i nemici,
e, proi- bendone r uscita.
Risolverono dunque usar
la violenza , e cacCiaronsi avanti
per la battaglia
: ma respinti e feri- tivi largamente si
richiusero fra le
loro trincee, delio inanimato dal
buon succedo li
circondò con fosse
e steccali , su la
fiducia che premuti
dalla fame gli si
« (>) Lìtio chiama
quèrcia quella che i
delta fiisgìo da
Dioiùgi. Digitizad by Google LIBRO
X. 2,5'J reoJerpbbero. Giupta*
in i\oma la
ao|i»a di ciò.
Quinto FabÌ9 lasciatovi comandaute,
scelse il fiore
ed il nerbo suoi
militari, , e li spedi per
soccortere il console
, sotto gli ordini-
di -Tito Quinzio uome
cousoUre , e questore. Mapdò , oopomeno letiére
a rCsuaio ra , e le
.altre insegne ornamento
un tempo de\. re.
Saputo^ che Roma
.oIeggeval(> diltàtore , non
solo non ' si rallegrò
di up 4anio
onore, ina conr tuebandoseoe disse , adiaufue per
io mio occupdzioni perud',pw e il
fi allo di
ifUest' unno e noi.tidti
rje avremo grande il', disàgio
! Dopò ciò recatosi
a Ro- ma ( 1^, confortò su
le prime i cittadini
con discorso al (•y'-Amio
«li Roma agS
secu'mla Caloof , ajS
fecondo Vsernas, t 4^ sv.
Lfista. • . ZJYw.v/(;/ .
/tZf ' Digilized by
Google 258 DELLE Antichità’
romane popolò' dà'enapierlo di
beile speranze! Poi'^coavocAti mai i giovani
dalia Oittà' e dalia
campagnì , soncenlrate le
truppe ausiliarie , e
nominalo maestret de’
cavalieri .Lucio ' Tarquinio , 'ignobile
per la povertà
ma nobilis- simo in arme,
Usci coll’esercito riuaiio
e gianto >af questore Tito
Quinzio c6e io
aspettava , prese ' pur le sue
schiere , e né andò'
sul nemico. Appe'Oi#
ebbe con- siderata la natura
de' luoghi ov’ erano gli
accampamenti cOilooò parte dell'armatA
ntdie aliuiié onde
precladerc agli ^quà i sussidi
ed i meri, e' riieneodo 'seco le -
ah re naHizie lé
avanzò cOn -ordiqe
de 'battaglia, ■ GleliO
phnto tion si sbietti , perocché nè
la sua gente
era poca , 'Oè poco il
cor suo nella
guerra, e lo seooti^
nel sUo^ gia- gnerè , e ne sorse
■una pugna ostinata;
Era decorso buon tempo,
e li Romani oom'e
cresciuti ’fi'à''' le arme rinovavansi Ognora
al travaglio, *e
la cévallérià soccorrea |yron;a ove
erano ì iaHti'*iti pericolo.
Criccò dunque Eopra0altone , si
ritirò nel suo
cantpo. Quinzio ' éllora 10
cifis^e con aho
steccato e torri frequenti ,-
e' quando seppe a!6nc
che penuriava' de’ vivevi, lo
investi con as- salii contigui nel
stio oéntfpo,' ordinando a hSinucfó
che uscisse dall^altVà parte.
Esausti gli Equi
di viveri , di*- speraii di
un soccorso ,* -e streiii
per ogn’ intorno
Hal- r assedm , furouo nécéssitéti
à prender ibr&a *dì '
su[^ {tlichevbli , e spedire a
Qoìozìq per la
pace. E- colai replicò
che la daitebbe , 'e
lasccrebbe* agli Equi
iSalva la persona , se
deponessero le arme ,
é- passassero ad'
uno ad uno sotto
giogo: traliersbbe però' qual
nemico Gracco 11 capo
tkUa guerra,, e gli
altri consiglieri delia
rivolu. £ qui comandò che
gli 'recassero tali '^ùoraiai
in ferri. Digilized by
Googl turno X. a59 [/milìaVaiui gli
Equi' a lutto; quando' egli ordioó,
che giacobè aveano senza
"esserne oilest previamettie , sog- gettilo e derubato il
Tuscolo città coufederau
di Ruma, essi consegnassero
a lui ' CorbioBe -, città
loro perchè ne lutasse
altrettanto. Prese tali
-rrsposta partirono gli
ora- tori , e dopo non molto
tornarono traendo .con
st Gracoo è i Compagni incatenali.
Essi poi cedute
le arme, e lasciate 'le trincee
t ne andarono ^so
t(o ^iogo, come era
il volere del
diltaiort , . à traverso .del.èaiupo
ro- mano. Consegnarono
tiorbione , e ebn restituire
,i pri- gionieri tuscolaai ottennero
soUmeotè che ialiti
prima ne uscissero gli
uomini iagfenai. XXV. Quinrio
ricevuta ht" città,
comaodd ■ che. le prede
pià -wgqardevoU sr trasportassero in
Roma , .con- cedéndo che
le altre si
dispensassero tra’ soldati
venuti con esso, e tra- gir
altri spediti prima
con Quinzio il questore
;, e" soggiungendo
, che a^ soldati
rinchiusi «mi console. Miiiudo
avea dato ànjplissimó
«lono , quando li rivenaiet- dajla-
morte. Ciò 'fano
, obbligando Minucio.a
dhnettérsi djl suo
grado, si ripiegò
verso IVoma, e'ne menò.
Uionfo luminoio, più.
che tutti .i
duci meuato- Io avessero
perche in sedici
giorni de’ die avea
preso il còniaotfo , 'uvea salvalo
l’ esercilò anaico,
disfatto i’ altro floridissilno de’
nemici ; saccheggiata la loto città
, mes- savi guarnigione, e comku»
va • séco In catene
il capo, e. gli
altri primarj di’qneUa
gueira. . FaoeVa soprattutto ùieravigliu die
avtmdo ricevuto quel
magistrato per sci mési
non sei tenne
quuito eonòedeva la'>
legge : • ma coni vocata
la plebe , e ragipjiatuJe delie
cos«r operate ; lo depose.
E pregandolo il Schato
che prendesse quanto 260
DELLE ANTÌCUITA’ ROMANE vote»
delle- terre , degli schiavi
delle prede conquistate colle armi , e pressandolo che
vivificasse la tenaiti
sua con ricchexaa ginata,
ché egli possederebbe
'glónosrsaitna, come 'tratta
colle proprie iàticbe
dal nemico', ed=o(fe« rendo'gli' amici-
e pai'enli amplissimi doni , e
pregiando più che tutto'
adagiare un tal
uomo , egli ' lodatane
la cortesia, non prese
nulla, ma si
ricondusse nel piodolo suo
campicello „ ' ed antepose
ad nna splendida
vita la vita 'tua travagliósa,-
nobiliubdosi per la
^povertà, più che altri
.non. sogliaho per l’
opulenta. Dopo non
molto Nanzio f altro console
vinse in battaglia
i vamente le armi
contro de’ Romani, e scorKro- «accheg- jgiando assdi
della lòr terra
tanto che quei
che' veai« vano int.copia
fuggendo dalle campagne,
dicevano tatto in poter
loro , quanto è tra
Fidene e Cmstumera^ An- che gli
.Equi sottomessi ultimamente
sorsero^ im’ afira volta
alle armi: e recandosene
> tra la notte
i più robusti a Corbìone , città ceduta
da essi Panno
antecedente ai Romani, c sorpresavi, la gnamigioDe
nel sonno >; ve la
uccisero, salvo podhi‘^
che" per .ventura
non v’ erano.
Gli altri marciarono ju
gran moltitudine contro 'di
Ottona, (■) Anno di
Roma 397 'secondo
Catone, 399 seconda
Varronc, a 4S5 Cristo.
■' . olimpiàde otlan» dr
Gitene vinse Digilized by
GoogÌ| . LIBRO X.' . ^ • 261 cìni de*
Latini , e -presala a prim’ impeto, fecero
per la rabbia su
gli alleati de’ -domani , docebè non
potevano su’ Romani medesimi
' uccisero tutti > puberi , eccetto quelli -ette efan
fuggiti udì’ invadersi della' cillà-r rende-, rono
prigionieri, donne, fanciulli,
vecchj,, e raccoltovi in fretta
quanto poteano trasportar
di pregevole ,' ripar*
tirono prima'' che v’accorressero tutti.!
Latini. ,11 Senato saputo ciò
da’ Latini , e da’ militari
salvatisi della guarr. nigione , decretò di 'iàr
uscir le milqsie
y e con ùse i due
consoli. Ma Verginio
e i colieghi , tribuni già da cinque
anni davano a ciò
ritardo , opponendosi come negli
-anni antecedenti alla
scelta militare , , che
faceasi pe’coqsojij.u reclamando che.
si Sdisse prima
la guerra domestica, -con
rimettere al popolo
l’esame della. legge, che davano
sò la eguagliauaa
.dei diritti : e la
plebe ooadjuvava t ttibaui che
asiaf malignavano , contro,
del Senato. Imapto temporeggiandosi , nè comportando
i consoli,’ che si facesse
in Senato il
previo decreto su la
legge e si proponesse
al - popolo né
volendo i tribuni concedere la
leva e la marcia
delle, milizie, an^i
facen- dosi accuse inutili e dice^e
vicendevoli belle concioni
e nella curia,, alSne
fu ideato da’ tribuni -uu altro
disegno^ che sorprese l padri
e chetò >U sedizione attuale,^~ma fu* causa di
molto ingrandimento per
il popolo: ed io
sporrò .come il
popolo se lo
ebbe questo incremento. ' XXVII. Essendo
manomesso e predato il . territorio de’ Romani
e de’ cOufederati , e
spaziandovisi i nemici come per
una solitudine su
la speranza che
nou 'Usci- rebbe oontr’ essi esercito. alcuno a causa
dcHe sedizioni di Róma,
i consoli -adunarono- il
Senato per consultare Digitized by
Google 3 DET.L5 ANTICHITÀ:’ BOMANE come
sy pericolo estcetno.
Tenutisi raoUi discórsi , li- ichestò il
primo dei* parer
suo Lucio- (^uiozio , il> dit* latore
dellVarìBO, aotecedents , >ttomq
,noo/^solo -il più grande
allora fra le
armi',*; ina creduto ancora-
savissimo nel govefoo', propose
il coniglio d ^ale
poi persuase più che
tnttq'i tribuni e gli
altri, che si
dij^erine in tempo più
accóncio t esame allora
‘non riecessario della legge,
è si /accise con
tutta prontezza la
guerra alfutJe’, scorsa ornai
/no, su la
etllà r nè si
perdesse imbeflemente e
Mtuperosasnente il comando
con tanti stenti acqmstato.
H che se il
popolo non -ià-s'
tmi*- ceva; si armassero
patrizj e clienti, con- guanti
altri vòleano far causa
con essi in
qaeil aringo ‘nobilissimo della patria,
e ne andassero ardenti
al nemico,- pren^ dendo per
duci dell andafpiento
i Numi 'protettori di Roma. Imperocché
ne verrebbe lune
'o laUi^ buono e bel
fratto^ vuoi dire ò
che riporferebbefo ima
vit- toria la più gloriósa
fra tutte le
riportate "dai loro ptaggiori , o che
magfianimi' niorirebbero pe'
beni che sìeguòno la
vittoria. 'Annnnzìaira c4e>
egli stesso ^n si
ricuserebbe a tanto .esperimento , ma presento
vi pugnerebbe' qeaniq i più
coraggiosi', e ‘che rpempieno manchérebbevi alcuno
seniori che amasse-.la
libertà e li buon nome.
> > ^ XXVHL'-'Così
piacitito a tutti , Senza che
alouna vi ù -óppon%sc , i consoli
convocarduo il popolo.' Cbacorsi quanti erano
in Roma come
per ndieofa di
nuov^ co* se, fattosi
innanzi Cajo Orazio,
l’uno de^ consoli, tentò volgere
spontaneamente i plebei anche
alia guerra pre* sente.
Ma perciocché i tribuni
vi 'ripugnavano, 'ed i
LTUno X.
, 263 plebei ,!a> senti
v«n coq
essi; recatoseli console
Un altra volta in
tneszo disse- : Beìia marlwigliasa impr^a
ifi vero é^la vostra -o
f^ejrginìo ck^. abbiale
stacpatò U popolo dal
Senato ! e cho. dal^
canto vostro avesstmo già
perduto quanto abbiamo,
ereditato dagli .avi , e ffuanlo .oUepiUo
co')Ttoftrì sudori Ma
noij npn, cede- remo noi questo,
senza lordarsi nemmeno
di polvere) ma impugnando
le orini con
.quanti vprrap salva
la patria ne andremo
al cimento, i^erantiti
su la bontà dell’impresa. E se
àLui}' Dio rimìui. le
belle.,, le' giu- stissime
imprese') se la
sorte che da tanto ' tc/Apo
prò- • spera questa
cillà -, non t
ahbqndona sqibnonte- reniò il
nemico. , Ma se alcun,
Dio me gravita . sopra 4 c’
ci si oppope
per , bt salvezza . di
-Jiqma ) certo JC voler
nostro x di nostra
propensione non perirà-;
che Jortissimamente per la pat/ia moriremo.
'E voi li
belli, U generosi capi che
siete di ' Roma
, guardata pure colle vostre
mogli le case,
abbandonando e tradendo
noi:,, ma nà te noi
vinciamo onoràta- sarà
la vostra vita, nè
sicura se perderemo.
Se pur non
siete ■‘ani- mali (lidia misera
speranza che inémici
dàpo.' rovinati i patrizj , preserveranno voi
per gratitudine , a cori- cederànuo che
godiate la vostrd
patria, la libèrtà,
il comando , e tuUi t befù
-^/ie ora v’
avete. Sb, questo appunto a voi
copeederanao cfue’ nemici a'
quali men- / tre
vói pensavate pìà
'saviamehte avete levato
tardo iersìtorio, distratte ttgtle
c'ktà, JaUine' schià^i i >popoli, ed irudzati
toni i- trofei, tanti manUmérUi
di nemicizfa, e sì luminosi,
che mai^per età
non perirahpo. Ma perchè
io mi addoloro
còl popolo il
qtude non fu mqi
Digilized by Coogle 2^4
TfJULLE Antichità' romane taUù’o
ài voter non
piit tosto o Vt^fginìo
con Voi che per si bella-
maniero, io dirigete
? Noi' certo necessitali b. non
-pensar bassamente noi
deliberata abbiamo , e ninno
cel vielirà , 'di- farci
a combattere per la patria:
jna voi che
abbandonate, voi che ^ tra- dite il comune,
voi ne- avrete condegna,
irreprensibil vendetta dal cielo:
nè' fuggirete ‘già questa, se
quella fuggite degli uomini.
Nè crediate già
che io ciò
dica pertatterrirvi : 'ma sappiate
che quanti siano
qui la- sciati per guardia
dèlia città, se
mai gf inimici
pre- valilo Ho ^ ne destineremo
come a noi si
conviene.' Se od alcuni^
ìfarbatì , ornai tra
le unghie de'
nomici , venne in
cuore di non
lasciare ad essi'
non le mogli, ~hon
i figli , non le
cùlà, ma di
ardere .gueste , e di uccidere 'quelli; non
farànno altrettanto sé"
li Èo- mani de' quali
è proprio il dominare.?
' Certo' degeneri non saratmo : ma
còmi notando da
vqi > che' nemicis- simi Stata ,s.
ogrii amica\lor cosa
distruggeranno.- ^on-
sidarMe ora up'i
questo , ié> considerandolo ; fatevi -le adunatvte e-
le leggi. - ' ~ • XXIX'. Detto
tali ^ose e ‘molte
consimili, presentò li più
provetii de patrie]
che piangevano. A tale''s[>euaoolo molti del
popolo boa contennero
nemmeno essi le la»
gtime: t destatasi grande
commoxlone per gli
acmi e per la maestà
di tali uomini,
il console sopraÀandò
alquanto disse :
'Impugneranno questi seniori
le 'armi per
voi giovani nè' voi ve nè'
vèrgognelete , occultandovi' fin .sollotarm é"
vi terrete lontani
da questi duci,
che padri sempre , avete
nominati ? 'Sciaguo^i voi !
nè degni pure di
èsser detti- cittadini
-di questa èittà
fon- Digitized by Google ' : LiBiio • 265 Sala
"da c'olbro che
àveano por iole
fpaile il pa- dre, aperto loro
dà numi lo
teatnpo ^ra le
armi e le fiàmmè- Catm
Yergioìo temè ciré
il pòpolo fosse
com- mosso dà) quel discorso
per non SDfhii{V
'dl dover met- tersi « quella guerra
coOlro il sub
dire, fecési avanti'
e soggiunse;- Noi non
vi abbandoniamo'- né. Vt'
6-adiamo, Hè mai vi
.abbandoneremo o padrii come
per addietro mai'^ foste da
noi derelitti su,
et impresa niurtae
di met- tere custodi' delia
libertà te leggi
a cui tutti ubbidi- scano^ Che se
ciò vi .sa
male p, Se
sdegriate- concederle a'
vostri cittadini questa
grazia,' e'^ riputate
com’ essere la mocte.
vostra ammetlére- il
popolo nelC eguaglianzd;
non' pià
vi darem briga
su dà ,■
ma vi chiederemo
' altro' dono , avuto
il quale farse
noh avrem pià
bi- sognò di nuova legislazione:
se nonché ci
vien paura che non
ottérremo nemttten questo
, sebbene non sia ponto
lesivo dei Senato,-
e sia ^uUo* bmief
ce- ed- ono- revole al
popolo. s '' «‘ XXX. E
replicando il 'console- che se
rimetteanb la istanza vai
Senato , non sarebbe oegata
loro cosa, che discrcia
fosse-; ed invitandoio
a dire ciocché dimanda*- sero , ' Verginio abboccatosene
alquanto ^co’-suoi colleght rispose , che lo
dirèbbe - al Senato,
'fiopo ciò Ji
consoli adnnarooo il Senato
, ed egli - venutovi
^ e divisatovi quanto edmpetevasi al
po>pólo, chiede che si duplicassero i magistrati del
pòpolo, ed .ogni
anno in luogo
;d> ciò* Digilized by
Google aGfì DETXE.ANtlCHITA’ ROMANE que
ài nonaipaiserD dieci',
tiibuni. Alcuoi, ca{>0
de’qaaii era Laoio QuipzioV
àatorevolissinto Pilota , in v
Senato , pensavano clie.ciò
pon. offenderebbe* Ja
repubblica e ooDsigll nico
vi si'dppose Cajo
Claadio , figlio di
Appio /dau* dio , deir avvertano 'perpetuo
a voleri del popolo
, se non erano ^a
nórma 'delle, leggi.
Egli ereditati i ' senti- menti del padre,
impedì quando. fu console
che si con- cedesse ai' tribpni
d.* inquisire contro
de’ cavalieri, calun- niati di congiure,
ed ora con
iuiligo ragionamento di^ mostrava
, che il popolo
non diverrebbe più
moderato e più docile y ma
più incansiderato e più
grave. lùipe- rocchù appelli
che sarebbero ' dt
poi giunti 'al
iribonaio noi prenderebbero gii'
per* questo* eoa.-
legame'* .che li tenesse
ai patti, ma
beP. presto tratter^bero di
divìsioue di 'terre 4^ « dl,e^[}ia|ità dì
drritir',,e certdtei;ebbera par- lando e ..brigando de cqiUe cose ,
estensive 'delia potenta del
popolo, eotne dmpaqenti
1* onor del
.Seoato^.-ìlfosse ntolti*
tH^ tal dire
graodemeote i. ma
Quinzio a ri- trasse
ammaestrandoli voler 1’ otite
del Sedato che i
tribooS si moltipKcttseil» , giacché i molti
men *8’ at^r- dan dei
poclii t esser rocspediziooe>^ Toccò
a MìducÌo Ja gaem
co’ Sabfm ad*
Orazio 1* altra'
eoo gli Eqaiy- e ben lostb
marciarono ‘atubedi^e. L
Sabini gtuuy* dando le
Idko città.; non
curarono .'che' ì Romani si menassero
>6 portasae.ro quanto
.r’ era pez le
campagne. Gii Equi a|ledirono
'Ito’ armala' per coalrxitarli; ma -tutto ebe
pugnassero nobilissimamente / non
poterono supe- rarli, e si - ritirarono
ne^sitatt oeile loro^
città,* perduto il castello
pel quale avaano
co/nbattùlo'. Orazio respinti i nemici , -iPatto
assai danno alle,
lor itette.^ abbattè
le mura di Corbinne
r ne rovesciò da’
fondamenti' le mse ,
e -ricondusse in Roma
l» e(wreito.v ’ ' ' ' ■*
~ • XXXL Sotto Marco
Vaieriòy* e Spurio Verìpoio
con- soli delH anno segne'nte ,(i) non
osci dà’ confini nato,
e • convoràlv. il Senato.
E condosslachè un littóre, comandatone, rispinse
T- araldo ; icilio e i suoi
coUeghi ■degnatine presero e trassero 'il littore
me per balzarlo ^la
‘ rupe I consoli tuttoché
sen tenesseró 's[^giatls$inù non poteano.fiir
violenza, e redimere quel
prigioniero: e''^i volsero ptf
ajuto agli altri' tribuni-: 'Perooché niuu pifò
sospendere p proibire gli
atti di- alcun
tribuno, se non quegli
che tribuno, sia
parimente giaqchéji tribuni s’ erano LIBRO
X. • > preoccupati già, da molti
e potenti. Unico -contraddisse
.a.tal dire Caju Claudio
, comprovandolo molti ; ma
-si decretò che il
silo al -popolo sì
concedesse. Dopo ciò.
presenti i pon- tefici,‘ gli auguri,
e due sagrificatori , fatti
secondo il rito.sà^ifizj e preghiere
, e convocati da’ consoli
i 00- niizj centurìati si
'confermò la leg^e
, e descritla sQ co- lonna^ metallica , e portata
ne|l’ Avventiòq ' fu
collocata nel tempio di Diana.
Poscia- coqgregatisi J plebei
tira- rono a sorte il suolo
dove fabbricare e fabbricarono , occupando
ciascuno , lo spa^o che
poteva. Unironsi al-r . • i Digitized by
Cooglf 27 Ò DELIE ANTICBITà’. ROIBANB r edifiso dì
qò^lcke cak due o
M' pèrsone , e talvoiu più- ancora, prendendosi
uno i pianterreni ». e
gl! ahri i piani ,'àupdnori.
E 'cosi tl’. armo
si consumò eoj^i^b- bricare. • ' • ' ' > • ' XXXIII. Riusoi
pesò complicatò e varìo e pie*o di grandi
avVenluee l’ anno
seguente (j)’, nel
optale eletti consoli .T'ito' Ro™iliO e Cafo
Veturio, furono riassunti al
Hribanale ‘Icilio e i
coUegbi. {mperoccfaè fu
di nuoro suscitata da’ tribuni
la d*ril sedizione
ebe parea venuta ihene;
e sorsero guerre dagli' esteri
: ma queste non 4^e
danneggiarla , ' giovaróno non
poco la repubblica
, non toglierne gl’
in^rlH diSsidj ; essendole’
consueto e viceodevole di '
esaére ’anaoime tra le guerie,
* ma discor> diosa' nella
pace, distraiti - di
ciò quanti salirano
al con- solato» prendevano eoo
trat^rtOi se nascevaoo,Te
guerre cogli esteri. E ce i
^oemìd erim' 'cheti
; essi stèssi finge- vano’ manoanze pretesti
0' debi- ^litavasi tra lo
sedizioni.' Animati nel
modo 'stesso i-'oOn* soli 'di quest’'am^,
deliberarono cavar 1' esercito'
contro L taemìci spi timore che
i' poveri e gli
oziosi . qoaiìn- ctassero a
perturbare - la pacel
Or essi- ben
la rutebde* vano ,'cbe
'vuoisi- distrarre la
mollitudioe ndle gtiè'rre cogli esteri
i’hia non beò
intendevano com’ eseguiscasi.' '
Quando avrebbero dovuto
flir leve moderate
ì Qotìae ilo città mal
affetta ; si diedero
a 'castigarvi colla forzà
tùtii i ’ranitenti i senza Cfonsazione
o dispensa, iriando ine- sorabili ^il rigor
4elie. leggi sù
gli àVen> e su
le persone. 'ny Anqo
di' Roma agg secoodo
Calooc , joi seoondo Varroue,
a 453 av. Critto..
■ Digitized by Google LIBRO
X. - ) 37 1 Presero da
tal proceder^ ■ occasioae
di bel onovo
i tri* buoi di concitare
la plebe ; e radonatala , vi
strepitarono per più cause,
come ancora, perchè aveano. .fatto portar nella
carcere molti che
reclamavano 1’ ajuto
de’ iriboni: e dissero che'
essi che soli
he aveano l’ autorità
dalle leggi , gli assolveano da
quel rechi [amento. ' Vedendo però che
niente ne profittavano , anzi ' che
laccasi la coscrizione piti
severamente , incominciarono*
ad oppor» visi co’
fatti. E resistendo I conscM
.colla forza del
grado loro ; sen fecero
altercazioni e scaramnCce. La
tenea pei consoli la .
gioventù patrizia , ma
teneala • pe’ tribuni
la turba oziosa e povera
: e quel giorno assai-
prevalsero i LODSolif su'
tribuni. Ne' giorni
appresso - versandosi in>
città più turba. dalle campagne
, i tribuni , vedutisi òmai con forze'
da contrapporsi , convocarono assai
spesso il po- polò-, ^e
mostratigli'! ‘minbui loro malconèr
' dalle pia- ghe ,
prolestaropo che deporrebbero
il magistrato se non
erano da esso
gàraoliti. - '• XXXiVv Irritatasene
la nioltitudiée ; dt^'no
i coiv* soli a ' dar conto
al popolo del
procedete' loro. Nóp
gli attesero questi; ed
andatine i 'iribòni alia
curia* ove il Senato ^a^e va 'già
consultandoqe
lo.aupplicaroooi a non
trascurare essi tribuni,
offesi -bruttisiihiàmrate ,
uè il spopolo, che
era dell’ aita
loro privato. -^E qui ùàrracono quante ne aveano
sopportate da’ consoli , e le mapohi- nazioni di
quesb contr* essi
ond’ erano svergognati'
non pure flel grado ) ma'-
nelle penonc. Laonde
chiedeaao che ^.consoli facessero
l* Una delle
due , vuol- dire ,
se negavano di aver
fatto . cesa vietata
datie leggi controde’
tribuni « vemsserò e giurando*
Ift negassero all’ ado- 2’J2 DELLE
AT^riCUlTH’ ROMANE aaaza ; se
di giurare non
sostenevano , venissero , c vi
rendessero, conto ; e le
tribù «entenziereLbero su
loro. Si difesero i cousoli , . dando a vedere
ebe i tribuni erano la
origine de’, mali, per
la caparbieti , per
l’auda- cia di profanare Je
persone de’ consoli, prima
con avere imposto ai- satelliti
jorp 'e agli edili
di portare in
carcere uonjini rivesliti di
ogni potere, e poi
con tentar di as-
salirli col raeazo de'
plebei più temerarj
; e qui sponeano quanto fosse
il^ divari a dalla
tribunizia alla, consolar di- gnità, piena 'questa di regio potere,
e nata l’altra solo per
protegger' gli ttppressi.
Tanto esser lungi
che po- tes^ro far
votare la moltitudine
contro de' consoli, che noi
póteauo nemmeno contro
il minimo de’
patriz| senza un decreto
espresso del Senato.
Pertanto 'minacciavano, se i,
tribuni faceano' votar la
moltitudine di dàr.
rju’me a* patria). Continuandosi
‘ppr tutto.il giorno
i pochi contro
de) ' r • ■ . (0 Vedi Ii
che si ripiegasse lo
sdegno su’ lor
fautori , castigandoli a
norma delle leggi. Se
quel giorno i tribuni
trasportati dall’ira lan- ciavansi
a far cosa alcuda
contro del Senato,
p de* con- soli , niente
avrebbe impedito che la città
di per sé ro-
vinasse. Tanto eran tutti
pronti per armarsi
e .combat* Uni t Ma perché
sospeser 1’ afiàre , dando ' a sé
tempo per meglio consigliartene; serbarono
essi ' moderazione , e r fra del
popolo n'n fu
mitigÀa. Intimarono pel
tc^'zo mercato dopo quel
giorno una assemblea
popolare- ove condannire; i
consoli ad una
emenda in mgeoto,
e sciol- sero 1’ adunanza. Approssimandoti pe^ò
quel -giórno de- sisterono anche da
lah* intrapreta dicendo,
di coneedecp ciò alle-
istanze di uomini
i più 'venerandi per
anni e • per grado.
Poi congreg-indo il
popolo; dichiararono die essi
rimettevano le offese
proprie , sul desiderio di
motti buoni, a’ quali nop
era lecito contraddire
: ma che le ingiuri^
fette al popolo
e punirebbero queste , anzi
le toglierebbero. Imperocché diretumente
(i) aggiùngereb- bero tra le
leggi pnr quella
su la divisiori
delle terre differìlit ornai
da treni’ anni , e quella su’
diritti eguali r • N. ’ (i)
Kel lesto »v^it
nuot’aiiante , forse ot nè
per dono ,> nè
per compera , nè
per altro legittimo
mezzo che^ possa dimòstrarvisi. Se
ne avessero questi
dimandata parte pià grande , che
noi dopo • avere
come noi tra~ vagliato
neW acquistarle ; certo
non sarebbe stato
de» gno di uomini
, degno di cittadini
che pochi si ap»
propiassero" ciocché era di tutti;
ma pur stata
una causa vi sarebbe
a tanta ingordigia^ Ma
quando non potendo dimostrare
alcuna opera grande
e magnanima per la quale
si tengono ciocché
è nostro , non sen
vergognano ^ 'né lo
rilasjdano y nemmeno convintine
; chi potrà comportarli?
_ 1* XXXVIII. Or su,
per Dio, se
io nfetilo in
ciò , venga chiunque
di questi onorandissimi , venga , e dimostri per
quali splendide- e belle
gesta presuma pià parte
di me. Forse
ha guerreggiato pià
anni, in pià battaglie
, con pià ferite
, con pià onore
di po« rotte di
spoglie , di prede , o di
cUtre marcfm da vincitore , per le
quali /’ inimico
se ne umilia , e la
, patria > magnificata ne
sfol^ra ? Dimostri il
decima almeno di quanto
io v ho dimostrato.
Per, certo i pià d’ essi
non potrebbero allegare
nemmen. la minima parte
delle mie gesta
: anzi alcuni di
loro non par.^ rebbero
di' avere sofferto nemmen
quanto il popoletlo pià
basso. Grandi essi
ne detti , noi
sono certo nelle armi, pià vagliano
contro l' amico , che
a fronte dell' inimico : non
pensano essi di
avere una patria a tutti comune , ma
propria di loro , quasi
non siano stati per
noi liberati da’
tiranni , ma dà tiranni
ab-^ biano noi preso
come un lòt
bene. Questi (perocché Digilized by
Google un 8 HELLE Antichità’ romane bacaselo /e
ingiuriò continue pià o
men ^andi j eh» tutti
sapete ) sono giunti
a tanta in scienza
^ efu^.non soffrono che alcuno
di noi dica
libere yoci, o che solo
apra la bocca
su la patria.
E 'Sputió Cassio , quello
che ptimó^ parlò
su la le^e
agraria-, quello che illuitre
per tre eonsólati,
e per, due trionfi
glo- riosi, e che avea dimostrato
tanta solerzia nel
co- mando nplitare e civile , quanto
niun altro in
quei tempii qùeH' uomo
si grande lo
accusarono i con- •soU’j come
intento alla tirannide,
lo sopraffecero con falsi
teslìmonj , e, Jìnalniente^ precipitandolo dalla rupe ,, Io uccisero',
nè per altra
cagione se iwn
per- ché era V amico della
patria e del popolo.' E Cajo Genuzh) tribuno'
vòstro- che riproduceva - dopo
undici anni la stessa
legge , e citM>a- in giudizio
i consoli deir anno antecedente
come trascurati 'a
compiere i v decreti del
Senato tu la
partition delle terre
, lo lè- varon di
mezzo appunta il
giorno avanti, il
giudizio con occulte maniere
i non potendolo colle
manifeste. Donde tte venne
.a* successori grave
timore, e niun più st
mise a quel rischio
: e già sono trend
anni che sopportiamo , quasi perduta
il nostro potere
nella tirannide. XXXIX. Ma lasciamo
il resta. I magistrati
vostri attuali , quelli che voi
avete rendati siseri
per le^e ed mvMabili , a quanti mali
non incorsero per
vo- glia di difendere gli
oppressi tra 7 popolo
? Non fu- rono questi ètpulsi
dal Foro a pugni
e calci, e con ogni altra
guisa di vilipendj
? Vò 'siro era V
affronto; e voi vel comportaste
nè cercaste vendicarvene
con Digilized by Goc^le • ' LIBRO X. ,
i'^g darne i voti almeno , in
che solo vi
resta la libertà. e Ma
su prendete spirita
o miei cpmpopoUiri. Presene tino
i tribuni la legge
su la partizione
delle- campa- gne'; _e voi
la confermate co’
voti vostri , nè soffrite pur
voce chi reclami.
Voi non abbisognate
o tri- buni di esortazione a questi
opera ; voi posti
vi ci siete , e benissimo fate a
non desisterne. E se
la caparbietà', se là
insolenza de’ giovani
vi' si opponga, e rovesci le
urne in'' che i voti
raccolgonsi , o./i voti vi
levino, o scondita tal , altra
cosa nel' dar de
sofì fragi ntastrate -loro
quanta ' il potere
siasi del tri- i
bunato. Che se
non è lecito degradar^
i constai, sot* topOnete ai . giudizio
i privati , de’ quali si
vatgonó per le violenze
; e fate che il
popolo' voti su
loro ^ come su
conculcatori delie leggi
sacre y e distruttori del dostro
magistrato. * . XL, Or
Jui cosi dicendo , ta
moltiludibe nè fa
cóm> mossa tanto intimainente , e manifestò tanta
ira contro gU oppositori,
che, copie ho
divisato dai princt[yio,
non vofesa memmen tollerarne
t discorsi. Quaodo sorgendo Icilio tribuno
dii^e : che eran
pur buoni *1 suggerimenti di Siccio,
e lan^mcnte lo encomiò,
tuttavia dimostrò cìie non
era cosa nè
giusta , nè sociale negar
la parola a chi vojeya
perorare in contrario , prìncipalmeote' di> acutendosi una
legge colia quale
far prevalece il
diritto alla Ibraa
varrebboosi di occasioni
consitnili , qpelK che non avevano
pensieri eqni uè
ginstì sul popolo
, a turbar la pUè
novamentp, e'rimovetae ciocché
le gio* /asse. E ciò
detto ^ prescrivendo ^ il. giorno
seguente ai , contraddittori della
legge , sciolse 1’ adunanza.
I consoli Digilized by Google aSo
DELtE Afl^TICHITA’ ROMANE a4umildjili «oiuiglio
privato de^'pairìxj più
energici al» lora e più
floridi , dimostrarono cbe dovea
leg^ impedirsi per ogni
modo prima' colie parole,
è poi colle opere, se il popolo
non lasciasse persuadérsi.
AdunqH^ raccomandavano a
tutti che andassero
la ma^a al
poro ciascuno quanto più
poteva con amici
e cliènti:, e quindi che alcuni
ài stessero .ed aspettassero intorno
la tributiti onde parlasi
all’ adunanaa , ed
altri in più
crttcchj tna>. versassero il
Foro , per intraccbiudere, il
popolo, é vie- tarne la riunione.
Parve questo U partito
migliore , e prima cbe il di si
chiarisse , erano molli
posò del Forò presi
gii 'da’ patriÉj.
' ‘ XLI, Vennero dopo
^ciò li' Iriboni
e li consoli, quando il
banditore invitò chiunque
voleva dir contro la
legger Presemaronsi perciò
molti onesti uomini , ma il remore
e il disordine non
lasciai* ascoltarne le
voci. Imperocché qoal déflli
astanti esortava 'ed animava
i di* ^ cuori, e quale gli
urlava e'rigettavali nè la
lode'pre- yalèva de’fautori, né
lo strepito degli
avversar):* Sdegna* ronsi « .protestarono r consoli,
che il popolo
dava prìn* cipio alla
vioTenza col non
volere ascoltare : ma
repli- carono i triboni che avendo* essi
ascoltato ben per
cin- que anni , non laceano cosa
da odiarnéli , se non
voi- leaoo più* tollerare
trite contraddizioni , e
rant^de. Còsi ne andara
il più delia
giornata, quando il
popolo chiese di votare/
Allora i giovani patria)
credendo che più
non iCoise da sufferire , impedirono il
popolo che si
racco- gliesse in tribù, tolsero
a chi li portava
i vasi de' voti, e battendo e spiugendo,-
cacciarono quanti erano
a ciò deputati, nè $en
parlivauo. Alzarono le
grida i tribadi. Digitized by
Coogic ' LIBRO x: 281 e géttaronsi nel _
méz^o di
essi : e questi cederono
e là» sciarono die ipvioiati
' passassero ovnnqne, ina
passare ovnnque nob Isàdavano
il popolo'xbe li
seguitava , o quello che
tumultuando e disordinandosi qua e
là per lo Foro
moveasi verso di
loro. Cosi divenne
inutile al popolo il
soccorso de’ tribuni : ed i
patrizj ila. vinsero
, nè lasciarono che
si ammettesse la
legge. Le famiglie che
più sembrarono coadjuvare
i consoli furono le tre
de’ Posiumj , de’ Sempronj , de’ Clelj,
cospicuissime tutte per lo
splendor de’ natali,* e
potenti assai per
amicizie; per ricchezze , e riputazione , .come insigni
per le im- prese nella guèrra.
Si consente che
da questi -dipendè
prìncipalmebte che la
legge non si
ammettesse^ XLll. Nel giorno,
appresso i tribuni prendendo
i l>le* bei più rlguardevolT
discùssero ciocché fosse
da ‘fare: e tutti di
comun voto statuirono
di non citare
in giudizio i cposoli , ma
i' privati che
erano stati loro!
minjstrij; la punizione de*
qudi ecciterebbe come
Siccio' avvertiva meno diceria
contro del popolo.
Adunque cominciarono
dih'geotemcnte a discutere, quabti 'fossero da :
processare, qpal titolo Ressero
al giudizio « e qtialé.
ne sarebbe, '.e quanta la
pena. 1 più buj
di carattere consigliava
nò che si desse
a tutta un aria
di graveùa e di
terrore f in opposito i' più
miti voleano moderazione
e ^clemenza, é Siccio era
,il' capo di
questi , e- ve li
persuase ; io djco colui
che perorò per
la partizion delie
terre diuonti del popolo.
Parve loro che
si trascùraasero- gli àitri
patrizi, e si menassero al
popolo i Clelj, i Posiumj,
i Sempronj a subirne le pene 'delle
opere' fotte : *si ! accusassero,’ .di aver soverrbiato
.ed rnipedUo i tribuni
dal forc'uliiiiutre
Digiiized by Google p 28 a DETXr. AMTlCìrtTA’
ROM^WE la deftsioQ 'della legger
qa«ido lè l^gt
facre -dei Senato-- e del popolo
,hqn tsoucedoM ad;
alcuno , di p/dl^i ri chiuso
t ed alfine sen
venne il tempo
di giudicare co- loro. I cooteli ed i ,
patria] («rau questi
i migliori) a^^ sunti per
consultatvisi -opinavano che si
dovesse con- cedere a! tribuni , la
punigione , affinché i|upedki
Uoa causassero male tpaggiore
1 e lasciare che i ^plebei
furi-' Ixmdi versassero* r ira
loro sù le.soÀanxe
degli accusati affiprhè paesane
arendeita quanta ne
voleanp *, V iirq>U- cidnsero *pér
l’ avveAire prinoipalmente
ché il danno negli
averi potrebbe risarcirai
a chi aosteuevalo. Or
Unto appunto àddivénne. Imperocché
condannati questi, scnaa- apptfrìre in
giudizio, il popolo
Inasprito se ne^raddolci,- ì tribuni pensarono
che fossè rendalo,
loro un -moderato eivil potere
e sostegno: ed i'patrizj -restituirono ai-
con- dannati le lo'to ^stanze
reiHmendole, a prezzo eguale da
chi -areale dal
pubblico comperate. Con
tali ripari -si- dissiparono i mali
imminenti ^lla repubblica.
, ' XMII. Dopo non
molto riprodussero i.
tribuni il di- scorso su
la legg^y àia
l’avviso delia- irmzioae repeatina de’ucjidci sul
Tusoolo fu causa
bastante ad im^edirneli. ^ceeiuccliè precipitandosi li
Tuscolani in folta
a , Roma «'dicendo essere giunta
una artnaNi grande
di Equi, che av«a-
già devaatatq le
foro campagne , e ohe
tra ; , Digltlzs-d by Googli LiBFo
X. a83 pochi gieini
ne espugnerebbero fin k
ciwà se
ben tosto non sibccorpeTauo
; iK Senato decretò
‘che v’ andassero entrambi U consolù
.ed i consoli, intimata
la leva, fchk* tnarono
tutti i dttsdini alle
anni. Ebbevi anche
allora del snsurro, oppibnendovisi i tribnni
alla iscrizion mili^ tare , né. volendo
die gl’ indocili
si pòm'ssei'O col
rigor delie leggi: ma
tutto io indarno.’ Imperocché -il Senato, raccoltosi, decretò
che uscissero alia
guerra i ' patck) coi loro
clienti : che quanti
voleano avér parie
nel aalvaro la patria,
avessero ancor parte
nelle sante cose
de’ numi, ma che niuna
più ve n’
avessero quei -che
lasciavano i consoli. Saputosi
il decreto del'Sen^o
nell’ adunanza del popolo
mólti si misero
spontaneamente all' impresa. Vi
si misero i p{ù
ingenui per la
verecondia 'di non soccorrere toha
città confederata ,'
diauuta wmpre per r aderenza sua
con Roma : tra
questi fu Siceio
1’ accu- satore presso del
popolo degli usurpatori
delle 'pobblidie terre , -il
quale menava seco -ottocento uomini,
timi co» me -lui
di età superiore , nè piè
vincolati dalla legge
^a combattere ma pieni
della riverenza del
valentuomo pe’ grandi benefizj
ricevutine aveano ripntato
cosa non degna di
abbandonarlo, mentre rinsciva
egli* a fitr guerra. Òr
questa tra la
milizia d’ allora
fu di gran lunga
la' migliore per
la perizia iu
combattere , Come per T'ardire
tra’ pericoli. Seguitarono anepr
altri T eaer- cito- vinti dall’
aderenza e dalle istanze
de' seniori. - E il èri pur- k
milizia 'pronta «sempre a tnui {.pericoli
per amor deUe prede
, che si fan
tra4e arme.. Pertanto
in poco tempo ebbest
un armata numerosa
, e .'fornita splendidissimameute.
.!■ nemici udite
che i Romani mar* Digitized by
Google *84 DELLE Antichità’
romane cercbbero contre ^ essi
, ravviafóQO terso la"
patria r esercito : ma i consoli
avanzando ,a .gran
>freilao per 6eno, e gl*
investirono improvvisi, mentre
scendevano a tor r acqua ; e più
volte a battaglia li
provocarono. XLIV. -Or attagiia
; e cavò le milizie dalle
trincee#. e comparti fcavslieriie fanti
per coorti, ciascuno ne’luoghi'
Convenienti ; alfine chiamando Siede gli
disse : iVbi combattiamo
da quindi o Succio, 1 nemicL Tw-
mentre noi ed
efsi ci risparmiamo
ap- parecchiandocip va di
fianco per- quella
via sul monte ove
è il.eaatpo nemico, e v assalùci
quei che ilo guardano
, affinchè gli altri
che slan contro’
noi ne teman la
perdita, e tentando soccQnjerlo
ci volgari le spalle
; e cor/ie. avviene ^in
una subita ritirata , si
affi. foUirt tutti per
una strada , e con
fUcilità li., conqui- diamo : o se qui si rimangono
; lo perdano il^
campo ^ loro. La
milizia che -lo
presidia, per quanto
seti con- cepisce, già non
è. per sè
foige, ma pan
mettere tutta Digitized by
Googl ■ ' LIBRO X. , ■ 285 la
fiducia bliquamente per
quella slracbi , impossibile a salirsi di,
rutscosòr dei nemici:-
ma io vi
condurrò per vie non, visibili ad
essi; e ben mi
presagisco trovarle tali òhe
ci -guidino sul morite,
e sul campo. Inanimiìevi Digitized by
Googlc « . , LlDnO X. ‘ 387 dunque
i e speràlCk Ciò detto
s* avviò Wk
fa selva , '>« eorsooe buoa
tratto, a’ imbattè con un
'cHtadioo , parti» tosi non so
d’ onde , e fattolo
arrestare ; , sei prese
a guida. E colui rigirandoli
gran tempo attorno
del mon* te , li pose
al fine su
di nn colle
rimpetto degli aHog la
battaglia ebb^ un fine
decisoli Imperocché -Siccio
co’ suoi, non
Si toifo - fu -presso
degli alloggiamenti , trovalbne'' il danto
verso di sè derelitto
dalla iniliiia , intenta tutta,
come n spetta» cólo dal
canto verio del
combattimento > vi diede
faci» lissimitmente assaltò ,
-e sonrontpvvi : . e prorompendo in grida
; corsele come dall’ alto
^ addosso. Sopraffatta
quella dal mate
impensato e concependo che
venisse non qne’ pochi
ma l' altro console
colle > sue schiere
si precipitò fuori delle
trincee, per la 'più.
gran parte senz’arme. Que’di
Siccio ne' uccisero 'qua
uà ne presero, e signori già
degli alloggiamenti , ripiombarono sa gli
altri nel piano.
Gli Equi , conoscinta- dalla foga e
dar damori la presa
degli alloggiamenti,’ e veduti
dopo non molti^.i nemici
correre loro alle
spalle, noo 'mostraùlno .già cnof 'generóso , ma
dnordinadsi , ceecàrono scanapo
per varj
sentieri. Ma iu
questi appunto fecesi
strage copiosa , non avendo
i Romani lasciato d’
iusegnirli a trucIdarvegU fino
alla notte. Siccio
ne era l’uccisor-
più / Digitized by Google 288
DELLE antichità' BOMANE graude
Ira Ilice d’imprese
bellissime: e quando vide
le cose. nemiche ornai ridolte
al suo temiihe,
egli già fatta notte
, tripudiando e forte magnificandosene rimenò
la sua coorte agli
alloggiamenti espuguati. 1 suoi
npn sedo illesi ed
inviolati da’ mali
che ne temeyanó
„ ma 'em- piutisi tutti di gloria
vivissima , lo chiamavano
padre y salvatore, Dio,
ed ogni altro
bel nome, nè
finivano di felicitarlo con
amplèssi ed -altre
esuberanze di 'gioja. Intanto r altra . milizia romana
tornava al campo
tuo ‘ dall’ inseguire i nemici.
> , . . XLVIL Era già la mezza
notte , quando' Sfecio
ra- minando 1’ odio
suo 'bontro de’
(Gasoli che ,lo
oveano spedito alia morte
-, si pose
in ' animo , dì tor
loro la gloria 4el
buon' successo. Rivelato
il cor suo
tra’ com- pagni , e
sembratone a tatti benissimp
, anzi ammiran- done Ognuno i concetti
e F ardire, .^li prese
e fe’' prender le armi ,
e prima uccise guanti
trovò 't|tnvi nomini,
cavalli, ed altri
animali degli Equi,
e pòi mise in fiamme
i padiglioni , pieni di arme ,
di vesti
, di apparecchi di guerra
, e di robbe moltissìmé , recàtevi dalla [ureda
tascoiaua : al fine , dopo
svanita ogni cosa tra
r incendio, parti su
I’ alba senza
altro che le
arme, e rientrò con marcia
rapidissima in Roma.
Osservativisi questi appena , solleciti
tra le arme , tra
’b sangue , tra i cantici della
vittoria , eccovi grande
il concorso , e la smania di
visitarli , ed intenderne
le cose .operate.,
Ed essi, andatine al- Foro,
ve le narrarono
ài tribuni: ed i tribuni,
intimata un’adunanza; comandarono
loro che vi favellassero.
Era già grandè
la moltitudine ; quando Siedo recatolesi
iunanzi narrò la.
vittoria \ e' le maniere Digilized by
Google LIBRO xr '289 del
combatlimentp j >e come
il campo nemico
era preso per ie '
forze sae>e degK
ottocento suoi, spediti
dal con- sole a morire, e come
infine le altre
• milizie combattute^ dai
-consoli ne ifurono
ridotte a fiìggjre, Chiedea
per« tanto che non
sapessero grado , se
non a luì dèlia vittoria dicendo
in' ultimo : noi veniamo
sMve le per- sone e le arme ,
nè pattiamo coià
ninna grande o picciola
delle involate ài
'nemico. Il' popolo
-alf udirli', impietosì, lagrìmò
, vedendo la età ,
considerando la fortezza de’
valentuomini , e crucciandosi , • e smabiandó so chi
voluto ne aveva
privare la patria.'
Sorkène, come era l’intento
di Siccio , l’odio
di tutti contro
de’ con* soli. Il Senato
srésso'non soffrì ciò
di buon animo,
nè decretò per essi
il trionfo' o altro
pe’ fausti cornetti- menti. H popolo
poi veduto if
tempo della scelta
dei magistrati , nominò
'Siedo tribuno ; conferendogli la di-
gnità della • qpale erà'
1’ arbitro. E tali
furono le cose più
rilevanti operate in
qòeiranno. '• 1 XLVllI.
Spurio Tarpeo , ed A11I9
(i^ Térmipio pr^ sero
il consolato per
l’ anno seguente
(0). Questi carez- zarono di continuo
il popolo con
più medi , ccène
col previo decreto del
Senato su’ magistrati (3);
imperocché “ * » * (i) Si coniulti
SigoDÌo su Livio.
Di là si
raccoglie cìie forse
dea Irggtt ti' jfterh. \ ' (a) Anna
di 'Roma 3ao. secondo
Catone.. ^o» secoado Varrone, e av'. Cristo.
, . ' (3) Cioi che
si potessero multare
i magistrati arrogami o clie trascendevano i limili^dei
loro poteri. Vedi.g
5o^i rjueito libro. Nondimeno vi è
chi crede che
vi si parli
del senatusconialto fallo emanare
dai consoli perchè
li tribuni potessctp
ìar approvare dal DlOillGT,
amo Iti. • ' » ' ' nsoli ultiini.
Intanto prima che*
d* di Sén Venisse 'di' quella causa.^
facendo l’uno e^l’ altro
d^li accusati calde brighe
e raccomandaziodi, essi, come
già consoli , assai
speravano su del
$éQato ; • e teneano per leggero.,
il pericolo , promettendo i seniori
di quel ceto ed
i giovani che ilon
lascerebbero far- tal
giudizio. Ma ì tribuni prevependo
tutto da lontabo,
e non valutando preghiere; non
minacce, non pericoli
; a{q>ena giunsene il tèmpo,' convocarono .il
popolo. Eransi già
riversati da’ campi in
città poveri e lavoranti
in gran numero
: or .-questi aggiunti
alla moltitudine interna
'empierono il Foro, e le
vie che vi
conduconp. popolo il progetto
sa la formasione
del.le leggi , eguali
per tatti ; 'argomeaio
allora di controTeraie , -come apparisce
dalle, coa'e pre- cedenti/'’ -• (r) Forae
Icilio tribuno dell’
anno precedente. . ' ‘ Digitized by
Google • n. .. LIBRO X.- ».r-XLIX., laQ^oUo.per
il primo il
gÌRdluo' tU' Romi« lio , .Sieda
fattoti (^vaati .accurà
le> violenze di lui nel •DO
consolato contro de’
tribuni , e le insidie contro
di aè e della sua
coorte nel suo
capitanato. E endo egli
voluto esimere' da
quella spe- dizione. Matxo .Jciiio
, coetaneo ed qmico'SUOf
figlio di' uri tale
dellfi coorte^, perchè
qifesti non ujttme.
ài un tempo col
^adre -à morire
^ e che avendo ottenuto da
Aulo V srginio , zio suo , e luogotenente afiqrq delle
nfilizie di recarsi' ai
consoli^ chiederne quésta grazia
; i coruiyli ebbero cuore
di .coatraddirh , ed egli, fa
ridotto al conforto
nùsero delle lagrime
^ non restar^do à (iti che
dèplorare- la calamità, delf
amico : che t antico
pel quale pregqvaf
udito ciò, se_n
venni, 9 chiesto di parlate
protestò choj avea
pur grandi gli obblighi
agi inteAiessori suoi,
rna che. mai grad^ebbe anche ottenutala
una concessione che
levavagli d' esser pietoso inverso
del sangue suo :
nè nidi
si Hmove/ubbe dal padre
quanto più si
avyiava a. morte, certa
come tutti sapeane : anzi
ne andrebbe con
lui pey difen- derlo fin dove
potrebbe , e correrne, la
sorte medesi- ma, Or costui
ridicendo tali cose , niun
fu " che nou commiscrasse la
sorte di tali
uomini : ma quando
poi chiamati , comparvero
per attestarla , (cilio
' padre , e figlio, e oarrarono
cioochè era. di loro;
non poterono i più del
popolo contenere le lagrime. 'Perorò,
se ne 293> DELLE
ANTICHITÀ^' ROMANE difese Ròmilk>,'non ossequioso,
non pi^érole-ai tem« pi
; ma fastoso , e, grande
ne’ concetti ' suoi , coÉàe non si
avesse a dar cónto
del consolato. ■ Adunque
l’ira ne crebbe* de’ cittadini ,
e rendati arbhri di
sentenziame , deliberarono ripercoterlo,' e condannarlo co’voti
di' tutte le tribù
; . talché la' condanna
fosse una ' multa
di assi dieci mila.
Siccio, 'sembrami, risolvè
ciò non senza
nna .provi denza : ma
perchè scadesse il
favór de' patrizj
su costui, nè facessero
broglio nel darsene
ih voto, consi- derando che la
emenda era * in
danari e non ‘altro
; e perchè li plebei
fossero più pronti
a .pronunziarne la pena, non
dovendo spogliare l’àom
consolare di patria, nò
di yita. Condannato
Romilio fu dopo
pochi giorni condannato eziandio
Yeturio.' Anche la
multa sua- fa pecuniarìa, ma
suddupla di quella
del consolato. Adunque
non \ più governavano
misteriosa- mente, ma Con intento
manifesto ai vantaggi
del popolo. E priipa stabilirono
ne’comizj benturiati per
legge: che tutti- i magistrati
potessero punire quelli
i quedi ecce* devono o disordinavano i loro
poteri , perchè per
ad- dietro non altri che i
consoli pòteano far
questo. Per (i) Qoi
di'cinqoa mila aui.
Ora ciò sembra
ragionevòle; per- chè
esseodo Romilio oppositore
più che Velario
de’ tribooi , dovea sentirne danno
maggiore. Nondimeno Livio
afTerma che Romilio
fa condannalo per dieci
mila assi , e Velario per
(piiadjci mila ; il
che ha -fallo, interpreiare la
voce a/oUssi qui dire
minatamente , a voi , che
vef. sapete , quanto ho
sofferto dal pòpolo
non per mie
private ingiusti- zie i ma per
la henevolenza mia
verso di voi;
tuttavia ciò ricordo per
neceisità, affinchè vediate
che io parlo per
lo migliore ,, non per
adulare il popoìp
, che mi è eontrarioi Nè
alcuno si meravigli , -je- io
che fui d altro asviso
più volte , e quando fui
^console e prima, ora
mutato mi sia
sttbitamenté ;J nè
vogliate concepire che non
bene consigliassi allora , , o non bene mi
ritratti ah presente.
Io finché vidi , o padri , , superiore
lo .stato de
nobili, lo favorii,
come doveasi, non. curando quello
dei popolo. Ma
poiché fatto savio da’
mali miei, vidi. a gran
costo che il
poter vostrq è minore
dei vostri voleri
; e che piegaridovi alta
ne-, Digitized by Googlc 294
DELLE AWTKHITA^ ROMANE cessild più
volle avete lasdèUo
manometter dal popolo quelli
che vi sostetievimA
, rdiora più ,non
tenni gh antichi pensieri.
E ben vorrei che
rion fossero a me, nè
al collega mio
succedute le cose
per le tjtiali
voi tutti su noi'vi
condolete. Ma poiché
finite sono, tali nostre
vieef^e, e possiamo solo
curar' t avvenire, prov- vedendo 'che ailri
non soffran Iq
stesso , v'i esorto
ad uno. xid uno I
é tutti insieme che órdinialé
m bene, almeno il presente:
àmpcrocchò'JèUcissimamente go-
vernasi una repubBlica , la
qual si èontempera
alle sue cose; quegli
è il consiglierò migliòre
che pòrge il parer
suo per cònio
di utile pubblico^ -non di
nirnid- xte private o furóri;
e benissimo lei. porgerà
su'tempi di poi chi
pigha esempio delle
cose JWhtre dalle
pas- sale. Noi., o padri, quante
sfolte si ■ disputò , si 'don- lése
tra'l Senato e tra ’l
popolò ; tante ne
àvemmo per alcun modo
la- peggio con morti,
«v» esilj , con sfingi' (T Uomini
insigni. Or quale
sciagura maggiore per una. repubblica che le si
tolgano i cittadini mi- gliori , ò senza Una
cauia ? Pertanto io
vi esorto che questi
ve ù risparmiate; nè
gettiate i consoli presenti a''màmfesti pericoli , abbandonaisdoli poi
tra la tem- pesta, al pentimento.
Deh! che non
gettiate ai ‘peri- coli niim altro
qualunque, e sia pur
egli piccolissimo per la
repubblica. La principale
fierò delle cose
che vi' raccomando , è che mandiate
deputati ,'qiusli nelle grecite
città d" Italia , e quali in
Alene ; perchè vi cerchìn
le leg'gi migliori
, e più confacevoli a’ nostri costumi, e Sce
le fìpot'i.iio: che
Ibrnnti questi, i con- soli propongano al
Senato , quali debbansi
'scegliere Digitized by Google LIBBO
X. 395 per legitlatori
con Jfual potere
, , per quanto tempo
, e cosp altrettali come -
egli le
crederà spedienti : fi- nalmente che lasciate
le discordie col
popolo , e di cofinetlervi disgrafia
a disgrazia , principalmente per una
legislazione , la quale
ha seoo , se tiòn
altro » uM apparqto 'almeno
di maestà. . - LU.
Seooodarooo i dpe consoli
ài parer di
Rqntiliò con più ragioni
premediut^ e , molti altri
xonsiglieri lo secoodaronof; tanto
cbè la plorftità'vi
^ deprsj^. E già già se- ne slendeva
ài decreto, quando
Slocio'.il^ trtbimot quegli cbe zyevz
accusalo iLomilio sorse,
e fattone ekn gio copioso , ne
laudò la mutazione
, e cbe non ayesse anteposto Je
nimicizie sue all’
util comune ,-,ma
^tto ingennào^entè 9ÌÒ. eb’era
il bene. Peritai
meritp^ sog- giunse , IO gir
rendo qvesC ossequio , 0 ^ptesta ricono^ saenza : io
U> assolvo dalla
multa impostagli' nel giu- dizià
, e dà pra in
poi, me ^ riconcilio
: perocché ci ha sopra^atlo
ftel .bpne. Egli
disse } e già altri tribuni presenti acconsenlironò. I^on
sostenne RomiUo- dà, pren- derne quel conlnccambio
; ma lodati i .tribuni
protestò cbe pagherebbe la
multa, essere questa
sacra ai numi: e non
fare ■ cosa né
giusta nè pia,
chi spoglia h numi di
quanto si dee
laro per legge
: e. coti £e$;9.
Steso il decreto dal
Senato , 'e confermato dal
popolo , ' furono eletti a prendere
le leggi da*
Greci Spurio Posiiunio
, Setvio. Sulpicio , ed Aulo
MalHò (i). Furono,
questi a ' . , " ^ „
(I) In
Lirio si legge
PuM- Sulpicio .in
laog'o di Servio
Salpido come scrivesi '.in
Dionigi. Servio Sulpicio
fu eOosdle l'anno
193, ma Publio non
si trova cbe
'mai lo fosso.
Tanto Liiio quanto
Dionigi numeraao Aulo Manlio
Ua i depùiati, cd.
Aulo Maoliq seooado Digitized by
Google 2g6 DELLE ANTICmtA’
'ROMANE pubbliche spese forn^
di triremi- e > di ogni
arredo ; quanto si
convenisse ialia maestà
' dell' impéno ; e cosi l’anno
-spirò. '' ‘ ' LUI.
Nella olimpiade ottantesima
seconda, quando Lieo Tessalo'
di Larissa vinse
allo stadio , e Cherofiino era l’arconte
di Atene, compiutosi
1’ anno ,trecent«imo dalla fondasionb
di Roma, cretti
consoli ' Publio Orazio, e Sesto Qaintilip
j[i) , proruppe nella ^città up
morbo coptagioso , il inaggioi%
di quanti ue
erano ricordatL Vi 'perirono
quasi tutti i sèrvi , e circa .Una
metà di cittadini. Non.
piò i medici avean
cuore d( curare
gl’ in- iermi , non i domestici , non gli
amici di porgere
loro le cose necessarie
; perocché volendo
'assistere gU -altri còl
tatto e col commercio
ne coutr^evan i malu
Donde è che piò famiglie
si^ desolarono per, deficiènza di
assi- stenti. Non era la
minima delle sciagure*
quella so la esportazion de- cadaveri,
^ certo era causa'.cliè
il morbo non venisse
meno subitamente. Su
le prime per
la ve- recondia , e la copia
de’ funebri apparecchi
bruciavano o seppellivano i
-morti : ma poi
curando poco la
vere- condia , o non avendo ciocché
bisognava , ne gettavano
molti nelle chiaviche , e più ancora
nella corrente del fiume.
nd’ è che spinti
ai scogli e alle
arene delle rive , songeane danno
gravissimo ; perchè spiccavasene Oiooipi fu
contotq r aono s8o i
laddove io Livio
leguaai .ia quel- l’anno per coufole
G. Manlio. S;
dunque ì deputali erano,
còm'a veri$imile, tuui uomini
co^olari , il tèsto- di
Dionigi in questi -lue- gbi trovasi
più eastigato che
quello di LCvio.
t .-(t) Aono di
Roma 3oi secondo
Catone ,, 3o3. secondo
Varrone, e 45» av. Crisio.
• ■ • ’ Digilized by Google f ..
"‘uBao x; ' 297 un -odor fetidissimo,
il quf^e col
corso dé’ reali causava subite mutezioni
ai corpi anche
saqi. Nè l’acqua
portatq dal dame era
più buona da
beveme si per
1’ odor tri» sto,
ri per le ree digestioni
a designarvi i consoli, e designatili ', propoiTebbero' io* sieme
con questi ai
padri la scelta
de’ legislatori. ^ Ao- cordativisi i tribuni , essi intimarono
-i- comizj prima assai
deir usato , e destinaieno consoli
Appio Clandio , 0 Tito 'Genuzio. Dopo
questo .omettendo , quasi
già fòsser di altri,
.tutte -li cure {fùbliliche,
più non datano ascolto ai
tribuni ', e solo
miravano a sottrarsi di-
briga nel resto delia
loro raagistratnra. Occorse
intanto cbo Mencaio l’ iroò
de’ consoli- s’
ìnfernuMe di juna'
lunga malattia , e vi fu chi
disSe che il
languore sopravvenu- togli
per -l’ affanno e per
1’ abbattimento, la
rendeva in* sanabile. E'
Séstio sol titolo
che egli non
"potea’ solo per by
Google LIBBO X. . 1 , a()9 aè
fiir aiedle,' respingeva 4e
istanzt de’ tribuni,^ e voleva che
si vbigessero a miO^i
niagislrati. E questi non
avendo altoo lYiodó, furono
astretti in privato,
e nelle adunanze pufablicbe dirigersi
ad Appio , e suo collega , quantun> qùe non
avessero ancora preso
il coniando. Or
gli ri- dussero alQue questi
uomini, empiendoli' di
grande spe> ranza di
onori e, di
potere , se prendessero a*” cuore
gli interessi del'popdfo. Imperocché -Appio iu
invaso dal- 1’ ambizione
di avere una
qualche nuova magistratura , di fondare
leggi di cònCordia
e di pace", e di
far che tulli estimassero
'che la patria
sola- comandava^«u‘ citu* dini.
Ornato però di
una' grande magistratura non
vi à contenne; ma
inebbriàtone da’ poteri sublimi
,^^tr^orse ai furori di
perpetuarsela , e per poco
non giuose alla tirannide ; cqme
spbirò ne’ suoi tempi.
- LV.‘ Allora dunque
cosi pensaodota con
cuore -buono, '6no a {lersuademe
il.* collega egl’ invitato più' volte
dai tribupi alle adunanae
, vi 'si (^dusSe
, e 'tenpevi molti ed umani
ragionamenti. I quali rigiravansi . ip t^eslo che
piaceva a hd come
al collega suo',
prÌTtcipalmeiUe che si destinassér
le leggi, e si
chetassero . le ■ discara
die civili su
diritti ; e diceano ciò '
palesissimàmeute ; come pure
che ''essi ',
perchè non entrati
al comando , non
aveano 'facoltà di
nominare i cosUtutori' delle
leggp ‘ che noH
si opporrebbero per '
mòdo 'alcuno a Menenio’
console e suo ^collega
se dava esecuzione
al decreto del- Senato, anzi’ che
do - coadj'uverebbero e ringràzierebbyo ; che'
se Menenio e il
compiano re- ylica e protesta- ( Soggiungevano) , che trovandoci
noi designati per consoli
f Tton ^uo ' nominare
altre' magi- Digitized by Googli iSoO
DELLE ANTICHITÀ.’ ROMANE slrature lé
quali prendano podestà
pari' alla consola- re ; noi dal
canto, nostro non
saremo V ostacolo della operazione : perchè
sporttanoi cederemo la
nostra so- prastanza, se cosi •
piace in
Senato, ai nuovi
che sce- glieransi in . ^ogo
de' consoli. Elocomiava
it popolo' la buona
volonlà di tali
.uomini ; e spiolMÌ, tutti
ia /olla nella curht , Sesto
( non poiendoviai tcovare
Menenjo per la iufern^ità
) costretto a convocare egli
solo il Se- nato, propose la
deliberazione su le.
leggi. Ben si
disputò qninci e quindi copiosaiaeute da. chi
lodava l’essere coiuanihto dalle
leggi , e da chi chiedeva
che si rite- nessero le* costumanze
paterne: ma prevale
il , parere de’ consoli
designati propostovi da
Appio Claudio , in- terrogatone per il
pritpo : vuol dire
cAe si icegliessero dieci i più
cospicui tra padri
: che forrtandastero su tutta
la repubblica per un anno
dal giorno deità
ele- zione'col potere' che
'ci aveatip i consoli',
e primari re : e che-.fiotànto che
governavanp i decemviri .ces- sasse ogni altra
.màgislralura: che qqesti
proponessero le leggi più
utili alla ivpubblica , scegliendone le mi-
gliori da quelle riportate
pe' deputali dalla
Grecia , e dalle usante. della
patria; che le
leggi scritte da de-
cemviri, approvale • che fissero
dal Senato e ratificate dal popolo
,, valessero per
tutto f avvenire; e che
i magistrati che si
creerebbero a norma di
queste leg- gi ,
discutesteror a rtórma appunto
di esso i,
conti atti d'e' privali, e pròvyedessero al
pubblico. - .,LYL. Preso questo
decreto ne anderonò
i tribuni al/ adunanza, e
letto velo; assai
vi encomiarono i padri, ed
Appio che lo
aveva proposto. Giunto
poscia il tempo Digilized by
Google ■ , ' LIBRÒ x:^ . ‘ 3oi de’
comizj , i iribun!
convocatovi il popolo , fecero ve« Dirvi
i censoU/ designiti perchè g[li
osservà^ro le pro- messe: e questi presentatisi
; deposero il consolato.
Non finiva il popolo
di encomiarli e lodarli:
fattosi quindi a dare il
voto pe’ legislatori scelse a tal
grado -ipiestl due per i
'primi. Imperocché, ne’
comizj per centurie furono eletti
legislatori Appio (gaudio,
e>Tito Genuzio^ li due' che
doveano èsser consoli
l’anno seguente :* Pu«
blio 'Sestiò., «insqle ^ dell’ anno corrente,
li tre Publio Postnmió , Cervio
Sulpicio , ed -Aulo
Mallio -, . r qusfli aveano riportate
le leggi da’
Greci; Romilio il
console dell’ anno antecedente
(i) il quale
condannato peo le accuse^
di' Sfócio dal
popolo , fu poi sentito
il primo a dir
senlèDEe fautrici ^ cemVirato • f
LVtll- Dettesi quinci
0 quindi più cose»' vinse' final- tnente.il partito
di chi consigliava
che sì tenesse
ancorsi il ■ decemvirato su
-là repubblica; peroccbè' compilata in picciolo
,t$mpo la legislazione
non pareva La
.tutto ulti- osata., e -pareva
ancora ;che bisognasse
un magistrato assoluto per
.obbligare , volessero 0 no , tutti , a quanta ne èpa
già -stata decretata. Ma
ciò-,cbe gl’. indusse più che
tutto, a preeleggere i dieci. fu, rinlenlo di
spegnere- il tribunato ,
ciocché bramavano sommanaenie.
''Tali fa- tono i risaltati
delle - pùbbliche « cousuUaziom
: ma. in privato i primi
del Senato disegnavano
procurare per sè quel
magistrato Sui timore
che intrqduceodovisi uo- mini turbolenti nen
cagionassero grandi sciagure.
Il po* polo ricevè
con diletto , e ratificò Con
pieno trasporto , dandone
-il voto , le
sentenze -dej Senato. . I dieci pre- fissero il tempo
de’.comiàj-, e li più
provetti e più ri- spettabili de’ patrizi
ambirono quel' magistrato,
b* fptì molto ebeomiato
da tutti JVppio
, il pruno ^allora
del decemvirato , * ed il
popoip vo)ea .couifermarvelo ,-
-come se niou altro meglip di lui
-lo remerebbe. Egli-
fingea su le prime
di escusarsene e 'cbiodeva
ebe Ip esimes- Digitized by
Google 3o4 DELLE ANtlCHITA’
ROÌIArfE sero da nn
incarico , pieno di
travagli e d* invidia
: ma poi Btimolandovelo tutti;
fecesi a chiederlo nottamenle
; anzi dolendosi dei
migliori ' de’ competitori , come
di animo non buono
verso lui per
4a ' invidia ; favori
gli amici suoi palesissimamente. Egli
dunque nc’comizj per centurie
fu crealo per la seconda
volta datore di
leggi: e eoa esso'lai furono
creati' Quinto Fabio detto
Vibo^ lado , già 'per 'tre volte
console; ed- irreprensibile 6no a quel
tempo in ogni
bel costume : e ira
gli altri pa-^ trii)
diletti ^uoi; Mai‘co' Cornelio, Marco
Sergio, Lucio MinuCio , Tito
Antonio , e Manio Rabulejo , .uomiut non molto
chiari : de’ plebei
poi Quinto Poetelio , Ce- sbne Duellio
, e Spurio Oppio. Aveaci
Appio assunti por questi
per adulare il
popolo coi dire
che', 1’ equità voleva
, • «he , stabilendosi una
magistratura uòica su tutte
le -còse ; aves^ro
parie in essa
anche i plebei. Applaudito in
unte' queste cose ,
. e ‘parendone il mi- gliore dei re , e
de’ soprastand annuali
; prese la magi.i stratura per l’
anno che
seguiva. Or questo
e non altro ' è quanto si
operò degno di
ricordauza nel primo
de- cemvirato presso de’ Romani.
' ^ LtX. Presero nell' anno
^guente -la podestà
suprema i dieci con Appio
alle* idi di maggio.
Allora i mesi legolavausi colla
Iona , e cadeva in quelle'
idi appunto il plenilooio.
Or prima legandosi
tra sagrifizl , arcani alla plebe
, convennero di non
contrariarsi mai fra loro,
'di ratificare tutti
quanto ciascuno giùdicherebbe: di ritenersi
la magistratura ih
vìta\ nè Jasciare
che altri vi sottentrasse
: di aventi' tutti
onore e potere eguali : di
ricorrere di rarii
, e per necessità sola , ai Digitized by
Googic LIBRO X. . 3o5 i>oti del
Senato e del popòlo
, e di ultimare per lo
più le
cose colC autorità
propria. Poi jrenuto
il gio;^o da pigliare
il comando , ( è questo giorno
sacro ai Ro- mani , e guardansi tutti
di ascoltare o vedere
cose non liete ) ^ fatto
prima sagrifìzio agl’ Iddìi
secondo il rito, uscirono ben
tosto i. dieci
su la mattina
con tutti i di- stintivi di nn
regio potere (i).
Come il popolo
vide, che non osservavano
più |e mauiere
popolari e, modeste di preminenza
, e che non avvicendavan
fra loro come prima
i segni del comando
supremo; assai ne
decadde nell’ aspetto e nell’animo.
Temè le scuri
messe tra’ fasci portati da
dodici licori dinanzi
a ciascuno, i quali fa- cean
largo , dando de’
colpi come prima
ai tempo dei re.
Era stator questo
costume abolito ben
tosto. dopo la espulsione dei
ré da Publio
Valerio , uomo popolare , quando
ne succedette al
comando. E paréndo essere stato autóre
di ottima cosa;
tutti i consoli posteriore
fe> cero come lui,
nè più misero
tra’ fasci le
scuri, se non quando
marciavano, all’ armata, o per
altro intento usci- vano da
Roma’. Or quando
portavano guerra agii
esteri, quando visitavano i sudditi,
assuiueans le scuri
; .perchè r aspetto
terribile di esse- , . come dirette
contro de’ ne- mici e de’ servi , si
rendeva mec grave
pe’ cittadini. LX. Veduto
ciò, che riputavasi
il segnate di
nn re- gno , si temè , come
ho detto , moltissimo , credendosi pòduta la
libertà , e creati dieci per
un solo monarca. Con.
tal modo sbalordirono
i dieci la moltitudine
: e (f) Anòo di
Roma 394 secondo
Catone, 3g6 secondo
Varrous, e 448 ar. CrJslo.
' '1 PlOStGt , Itipu) in. ■
' - . * IO Digitized by Google 3o6
DELLE Antichità’ domane fermi , cbe avrebbero
a dominare per 1’
avvenire col terrore ; ciascuno
fecesi Un seguilo
dì ^oyanl i più
le- Dterarj , e opporiuui per
esso. Ben era
da aspettare , o sperare cbe i
più de’
poveri e sciaurati si
dimostrassero fautori della tirannide
; anteponendo l’ utile
proprio al pubblico ; ma
non era da
aspettare , nè da
sperare , e certo egli fu
meravigliosissimo^ che molli
patrizj potendo grandeggiare per
'sestauze e per , sangue
soffrissero di opprimere co’
decemviri la liberi^-
della patria. ' Costoro datisi a tutti
i piaceri , quanti
sottopongono 1’ uomo ,
comandavano superbissitnamente : e legislatori insieme
e giudici , tcncano per
niente il Senato
ed il popolo,
ed uccidevano e spogliavano , conculcando
ogni diritto. E perchè
azioni illegittime e biasimevoli
sembrassero noux indegne, anzi
operale per giiislizia;
nomsi accingevano a farle se
non previo esame,
ed'uu giudizio. Erano gli
accusatori inandaii da* fondatori
stessi delta tirannide, creali i giudici
dal ceto de’ loro
amici; laDlochè solcano questi in
coniraccaràbio sentenziarne per
compiacerli. Molte cause però',
nè di poco
rilievo, le defìnivano
i dieci per sesiessi.
Cosi quelli che
erano per essere
de- fraudali del loro diritto
, non trovando altro
scampo , conducevansi necessariamente a renderseli
amici. Ood’ è che
col volgere del
tempo videsi la
parte corrotta ed inferma
maggiore della innocente.
Imperocché coloro che v'
erano concul^cati da’
decemviri sdegnavano di ri-
manervi , e si ritiravano «nelle
campagne , Bspettandovi il tempo
de comizj , ^quasi
coloro finito 1’
apno fossèro per deporre
il comando , ed eleggete
nuovi ^nagislrali. Appio intanto
£ i colleghi ^crisscA) le.
leggi che rima- Digilized by
Google LIBRO X. nevano in
altre due tavole,
e le aulroao alle
prime. In queste eravt
traile altre lajegge,
che non concodeàsi a^atrizj il
matrimonio co’ plebei: e ciò
non per altro, io t j * ■ , !• OLGENDO
la olimpiade ottantesipia
' terza nella quale Grisoue
Imero vinse allo
stadio mentre Filisco era
1 arconte di Atene
, i Romani annientarono il de-
cemvirato il quale governava
già da tre
anni la repub- blica. Ora, io
tenterò descrivere dalle
origini per qual modo
, quali nomini , con i|uali
cause e pretesti , se- guendo la libertà , si
lanciassero a schiantare una
si- gnoria che ovea già
profonde le radici
; perciocché ne reputo la
cognizione bella e necessaria
principalmente al Glosofo die
contempla , ed all’ uomo
dr stato che amministra , per non
dire a tutti. E certo
.molti non si Digitized
by GoogI( LIBRO XI,
3o9 contentano ^ conoscere dalia
storia , solamente come gli Ateniesi
ed i Lacedemoni vinsero , per
esempio', la ^ guerra col
Persiano , aiTrontandosi in due
battaglie na- vali ed nna
campale contro - un
barbaro che area
tre milioni di nomini , essi
che 'aveano appena
cento dieci mila nomini
insieme cogli alleali;
ma vogliono' por co», noscere
dalla storia i luoghi
ove occorsero , .ed
kiten» dere le cagioni
per lè quali
si compiecono le
meravi- gliose ed
incredibili gesta , come
apprendere quali fos- sero i duci delle
armate greche e persiane
, nè essere , per
cosi dire , defraudati , di cosa
niuna fatta ne’
com- battimenti. Imperocché
dilettasi la mente
dell’ nomo por*, tata quasi
per mano dai
racconti alle opere , e come a vederle
dopo ascoltatele; E quando
gli uomini odono le
civili vicende , non
appagansi di udire
la somma ed il
termine degli ’ affari , per esempio.,
come gli. Ateniesi permettessero el^e
gli Spartani demolissero
le mura , conquassassero le
navi di Atene
, ponessero guarnigionè
nella Iqr cittadella
è vi trasmutassero il
governo del po- polo in
quello de’pochi^ senza
nemmeno combattere (.i); ma.
bentosto dimandano quali
erano le angustie
di 'quella città , onde incorse
in tali orrori
è miserie , quali e di chi li discorsi che
ve 1’ acchetarono , e quanto seguila tali
cose. Dilettarsi poi
della contemplazione totale
di quanto ■concerne gli
affari è cQmifuq a tutti ,.
come agli uomini, pubblici
, tra’ quali colloco
àncora i fUosofì , quelli almeno
che pongono la
filosofìa non già
nelle (i) Occorsero tali
fatti oelf''aoao Hltimo
detta goeri'a del
Pelo- poaneso ; conws pu&
vedersi io Senofoute
nel libro secoado
lAasx- nel lib. -i3
di Di odoro , t nel
LitandrQ di Plutarco., Digilized by
Coogle 3 IO DELLE antichità’
ROMANE I parole , ma nelf esercizio
delle opere belle.
Cd oltre questo diletto,
ne segue, > no
, e riducendd' quanti ner credevano
IntorTerablle il giogo ; a lasciare
colle -mogli e co’
figli lo^ patria
, ed alloggiarsi nelle città
vicine, ricevutivi da’Lallni
in forza de*'- parentadi , e dagli
Eroici per essere
stati di fresco creati- cittadini
da' Romani. DI
guisa teaoo traversarne
'le opere ; nè
vi rimasero nemmeno gli
asciiitl al Sentito
I qu^li doveano per
necessità star pronti pe’
decemviri ; ma l più
trasferendosi con quanto aveano
in famiglia; dimoravano,
abbandonate lo case , per
le carrqiagne. Non
dispiaceano gli allontanamenti de’ grandi
personaggi agli amatori
del decemvirato per più
cause, e principalmente, perchè
I più 'giovani di questi erano
divenuti don che
scellerati, molto insoleati, né
poteauo tollerare. 1’
aspetto di qtielll
, innanzi dei quali doveano
arrossirsi della loro
impudenza. III. Derelitta cosi
la città dal
fior degli uomiai
(^) , e cadùlavi ogni libertà
; gli Equi già
vinti da' Romani , cogliendo la
Occasion propizia di
combatterli , di con» (i) Anuo
di Roma 3o5
Mcondo Caioua, ìof
ascondo Vartoae , c av.
Cristo. Digitized by Googie 3i2
delle antichità’ romane traecambiarlt delle
iogiorie sostennlene , e
riveodicarsi quanto perduto ci aveano , apparecchiaronsi all’ armi , e marciarono con
grandi eserciti contro
di lei', malconcia pel
comando de’ pochi
nè idonea a tener
fronte , nè a concordarsi , nè
a' cura fecesi innanzi
e disse che portavasi
a -Roma, la guerra,
da due parti, quinci
dagli Equ^ , e quindi da’
Sabini ; tenendovi un discorso
ariifiziosissimo* , indirilto a
far votare la
leva delle milizie e condurle
imipzntioeDtc in campagna , 3i4 DELLE
Antichità’ romane non peùnetteodo
T «Ifare che » indagiasse.
Or lui cosi dicendo
insorse Lucio Valerio,
soprannominato Polito , uomo
che grande tenessi
|>e' grandi genitori: certamente era stalo
padre di lui
più, importano, conte sarebbe
il buon ordine
della moltitudine, e che la
cosa stessa apparisca
utile a tutti , rimovendo dalla città
la ingiustizia e la
soverchieria che vi do-
mina, e rendendo l’ antica
forma al governo;
in tal caso sbattuti
quelli che ora
inorgogliano , e gettate le armi,
verranno a noi tra
non molto per
saldarne le ingiurie, e trattare
la pace : e noi,
ciocché i savj tutti desiderano
, potrein finir senza
le armi , la guerra con
essi. Or ciò
considerando, poiché sì
grave tra le mura è
la turbolenza ; io
giudico che debbasi per
ora sospendere ogìti
cura di guerra,
e concedere a chi vuole di
proporre mezzi di
concordia , e buon ordine interno.
Noi chiamati da
queste magistrato non abbiamo
potuto già prima
di essere addotti
a questa guerra , consultare su
lo stato^ de’
nostri pub- blici affari, e conoscere
se scóncio alcuno
ci avesse. Ed ora
assai riprensibile sarebbe
chi, lasciata la occasione
, •cercasse di altro
discorrere : e niuno dir può
con sicurezza che
trascurato questo tempo,
come Digitized by Google 3ao
DELLE Antichità’ romane men
congruo, un altro
ne avremo pià
acconcio. Anzi se alcuno
vuol concludere V avvenire
dal passato ; trascorrerà
gran tempo senza
che possiamo qui riu- nirci per
deliberare. IX.' Io prego
te , Appio , e voi
tutti presidenti di Honta , voi che
dovete provvedere non al bene
vostro privato , ma a quello
Ai tutti , a non corucciarvi , se io parlo
secondo la verità , non
secondo il genio
vo- stro. Voi dovete por
mente , che io parlo
, non per malignare, o vilipendere
il vostro magistrtUo;
ma per additare , se
pur vi è , una
via di salvare , e diri- gere la repubblica
, dopo mostratine i /lutti
da’ quali è sbattuta. Quanti
han cara la
patria, debbono forse qui
tutti discorrere dell’
util comune , ma io
princi- palmente. Imperocché io debbo
per la onorificenza fattami dar
principia ad opinare
: e saria vergogna e stoltezza grande,
se io che
sorgo il primo
non di- cessi le cose
che prime son
da correggere : Appresso trovandomi io
zio paterno di
Appio il capo
decem- viro, accade che
più di tutti
mi consolo, o rattristomi secondo che
bene o non bene
governano la repub- blica. Aggiungi che ho io
ricevuto da’ maggiori
miei la civil consuetudine
di curare anzi
l' utile -pubblico che
il mio , senza
guartlare a privati pericoli
; nè io , la tradirò
io questa civil
consuetudine , nè profanerò
le gesta
di que' valentuomini.
Orjt , che il governo presente male a
.noi si
conviene anzi che
incomoda , direi quasi
tutti ; siane questo
l’ argomento gravissi- mo , che quanti
trattavano le cose
civili ( nè già
po- tete voi soli ignorarlo
) ràiransi ogni giorno
da Ho - Digilized by
Google LIBRO XI. 3ai ma,
lasciando le paterne
case deserte. Qual
de' plebei più rìguardevoli trasferisce
la propria sede
colle mo- gli e co' figli
nelle città più
vicine , e quale nelle
campagne più lontane
da Roma : E molti
de' patrizj nemmen essi
in città se
ne vivono, ma
li più si di-
morano per le campagne.
Ma che giova
parlare degli altri j quando
appena in città
se ne stanno
alcuni pochi senatori uniti
a voi per amicizia
o per sangue, e cercan gli
altri la solitudine
più che la
patria? E quando voi
v'aveste il bisogno
di adunche il
Senato, tornarono invitati ad uno ad
uno dalle campagne que'
dessi che solcano
insieme co' magistrati
guardare la patria, nè
mancare mai da
affare niuno della
re- pubblica. Or tdie pensate
voi che gli
uomini ahban- donande la
patria fugano i beni
o li mali ? certo che
i mali. E t essere abbandonata
da plebei , de- relitta da' pevrizii
senza incontri di
guerra , di pesti- lenze , e di altri
disastri mandati dal
deh , , ella è sciagitra
questa non seconda
a niuna per una
città, massimamente per Roma , la
quale abbisogna di molle
milizie , tutte sue ; se
vuoi dominare stabil- mente su' vicini. X.
Folete udir voi
le cagioni che
riducono i po- poli ad abbandonare
i templi e le tombe
degli avi , e lasciar diserti
i poderi e le case
paterne' ^ e cre- dere ogni
altra terra più
necessaria della patria
? Certamente tali cose
non avvengono^ senza
cagioni, ed io sporrovele
queste , non occulterowele. Molte Appio
sono le accuse
e di molti sul
vostro magi- DSOHKlJ , tomo
III. il Digitized by
Google 32 2 DELLE AHTICHITA’
HOMANE strato : vere o false
che siano , noi
cerco per ora :
certo che vi
si fatino. Ninno
, se non del
vostro se- guito j trova il
ben suo nell' orditi
presente. I ^andi, figli pur
essi di grandi
, à quali spettavano i sacer- dozj , le magistrature
, e gli altri onori
goduti dai loro padri , fremono di
essere da voi
respinti e tolti dalle dignità
degli antenati. Quei
del celo di
mezzo che cercati la
calma del vivere
, v imputano lo spo- glio ingiusto de
beni loro , lamentano il
disonore che fate alle
lor mogli, la
effrenatezza verso le
loro figliuole nubili, ed
altri oltraggi molti
e gravi: e la parte più. bassa
del popolo , non più
arbitra per voi de'
voti e delle elezioni,
non più chiamata
alle a4u- nanze , nè, partecipe di
alcuna civile uguaglianza , ve ne maledice
appunto per questo
, e tirannico chiama il vostro
governo. XI. Ora come
voi correggerete questi
abusi, come la lingua , incolpati che
ne siete , accheterete
del po- polo ? questo è ciò , che
rimanemi a dire. Facciane il
Senato previamente il
decreto : fate che
il popolo deliberi, se
torni a lui meglio
ripristinare i consoli, i
tribuni e gli altri
magistrali della patria , o conti- nuare r ordin presente
: se tutti i Romani
avran caro il comando
de' pochi , e dinoteran co’
lor voti , che ve
lo abbiate voi
questo comando ; voi
terrete un magistrato legittimo
, non violento. Ma
se vorranno di nuovo
i consoli, di nuovo
gli altri mostrati
; voi sarete decaduti per
legge , nò più
crediate dominare, se ìton
da tiranni su
gli eguali , non
prendendo gli ottimati il
comando , se non
da' cittadini spontanei. Digilized by
Google LIBRO XI. 3a3 E nel
far questo , o u4ppio , tu dei
dar principio , c tu
disciogliere un comando
da te stahilUo , utile un tempo
, ed ora noceyole.
E m’ odi ciocché ne
guada- gni, se mi ti
arrendi, se ne
deponi codesto malve- liuto
comando. Se li
tuoi colleghi a ciò
s’ indurranno'; ciascwi dirà che
buoni fatti su
/’ esempio tuo
vi si indussero t laddove
se questi si
ostinano a tenere un dominio
illegittimo ; sarai tu
benedetto che volesti , altnen solo ,
compiere il giusto
; mentre i contumaci saran con
infamia e danno gravissimo
degracUtti. Che se mai (
lo che
potria ben essere
) fermato v' aveste infra
voi secreti trattali
e parole , pigliandovi i Dei per
mallevadori , fa pur conto
che siasi empietadv osservarli , e vera pietà
vilipenderli , come contrarf ai cittadini , e alla patria.
Imperocché sogliono i numi esser
presi mallevadori su
gli accordi buoni
e giusti; non su gV
ingiusti e vergognosi. XII. Che
se tu esiti
lasciare il comando
per timor de' nemici , sicché non
ten venga pericolo , nè
sii stretto a dar conto
delle opete tue ;
certo non è ra- gionevole questo timore.
Non è sì picciolo
, non sì sconoscente il
Romano da ricordare
i tuoi sbagli , c scortlarc
i tuoi benefizj : ma
contrapponendo i beni
presenti ai mali
passati giudicherà degni
questi di perdono , c quelli
di lode. Potrai
tu rappresentare al popolo'
le tante belle
tue gesta innanzi
del Decem- virato , ed in
.vista di queste
ottenerne ajuto e sal- vezza , e difenderti in
più modi dalle
accuse , come ad esempio ,
che non
eri tu che
abusavi , ma un altro senza
tua saputa; che
non bastavi a reprimerlo
come Digitized by Google 3a4
, DELLE antichità’ romane tuo
pari: o che eri
necessitato a soffrire per
areme altra cosa più
utile. Ma troppo
lungo sarebbe il di-
scorso , se numerare volessi
tutti i modi delle
difese. Coloro che non
han discolpa niuna
giusta , nè plau- sibile ,
pur confessando il
delitto , e raccomandan- dosi,
ammolliscono il cuor
degli offesi , con allegare il
poco giudizio degli
anni , la pravità de'
tompagnì , la vastità del
comando, o la sorte
che travia ne
cal- coli loro tutti i mortali.
Or tu se
deponi il comando, tu
n avrai , lo prometto ,
amnistia generale de’
man- camenti , e riconciliazione
col popolo , decorosa in mezzo
de' mali. XIII. Ma
io temo , che il
pericolo siati pretesto non
vero a non lasciare
il comando ] essendo
a mille riuscito di rinunciar
la tirannide , nè
scontrarne al- cun danno da
cittadini. Le cagioni
non dubbie sono un
ambizione vana che
cerca le apparenze
di una gloria vera , una
propensione pe' rei
piaceri , quali il vivere concedegli
de’ tiranni. Ma
se pià che
andar dietro alte immagini , e alle ombre
degli onori , e de’ piaceri
, ne vuoi tu
ciò che è solido;
rendi alla pa- tria la
tua preminenza , ricevi le
dignità dagli eguali tuoi
, acquistati la emulazione
de’ posteri , e lascia loro in
luogo del mortala
tuo corpo , sempiterna
la fama. Questi sono
gli onori fondati
e veri , questi gt
indelebili e cari nè
rincrescevoli mai. Pasci
V animo ti.'o de’ beni della
patria: già non
parrai di aver- glìt.^e
dato la menorna
parte, liberandola da
signo- ria ce'ti dura. Prendi
esempio dagli antenati , consi- dera chs^ niun
d’ essi mise affetto
ad un potere
di- Digitized by Google LiBBO
XI. 3a5 spotico ^ nè
fu lo schiavo
vilissimo de piaceri
del corpo ; eppur furono
onorati in vita ,
e morti sono celebrati da
posteri ; giacché tutti
fan loro testùno- niama , che
furon custodi fidissimi
delC aristocrazia ^ che
Roma fondò , dopo espulsi
i monarchi. Non di- menticare
i detti ^ non i fatti
tuoi gloriosi; perciocché belle pur
furono le prime
tue mosse nella
repubblicUf e pur grandi per
la speranza ^ che
davano della tua virtù.
Deh ! che siano
consentanee ancor le
altre tue opere. Deh !
ritorna a quella indole
tua Jlppio fi- gliuolo : sii nel
genio del governo
un ottimate , non un
tiranno. Fuggi quelli , che
adulando , ti parlano , quelli pe'
quali , se’ lungi
dalle utili istituzioni
, er- rante dal diritto sentiero,
già’ wotr È rzRtstitiLE , CHS AtTSt
SIA DI SSL
HVOrO SXWDUTO BDOIfO
, DA CHI già’ FSSSIXO
lo RStfDk. Xiy. Quante
volte dir ti
volli tali cose
da solo a solo
j per instruirviti dove
le ignoravi , o per ammo- nirtene, dove vi
mancavi! Nè già
venni, per ciò
sola una volta in
tua casa, ma i
servi tuoi ,me ne
riman- darono , e con dire ,
che non
avevi tu ozio
da inti'at- tenerd con
un tuo congiunto
; ma clu: avevi
a fare cose più necessarie
; seppur v è cosa più
necessaria della pietà verso
i suoi. Forse, i tuoi
servi , ciò co- noscendo y
mi vietarono di per sé
stessi t entrata , e non per
tuo comando. E ben
io vorrei, che
così fosse. Certamente questo
mi ridusse a parlarti
di ciò. che io
volea nel Senato , non
avendolo mai potuto
da solo a solo. Ma
.le buone , e le
utili cose dovunque, 0 rippùj y son
da dire tra
gli uomini, piuttosto
che Digilized by Coogle 'JaG
DELLE Antichità’ romane sempre
tacerle. E che io a
le rendessi gli
ojfizj do- vuti alla nostra
prosapia ; ne attesto
gl' Iddj de'
quali noi dell’ Appio sangue
veneriamo i templi e gli
altari con sagrifiej comuni:
ne attesto i genj
degli antenati, a’ quali
porgiamo del paro
gli onori secondi , e li ringraziamenti , dopo de’
numi : e soprattiMo attesto questa terra,
la qual tiene
nelle sue viscere
il padre, ed il
fratello mio , che
io dedicava a te
la vita e la voce
per sit^erire il
tuo meglio. Pertanto
desideroso di rettificare ,
per quanto io
posso , gli sbagli
tuoi ti prego a non
rimediare male con
male } à non per- dere le
cose tue mentre
aspiri ad altre
pià gratuli ; e finalmente a non
dominare agli eguali
e a maggiori , ed essere dominato
da' pià vili, c più
tristi. Se noti che,
volendoti io ra^nar
di più cose e
più a lungo, non so
ridurmici : perocché se Dio ti
rivuole a buon senno; sóprawanzano
le cose anzidetle:
ma seti ab- handona
al tuo peggio
, sarebbero indarno , quante io
ne aggiungessi. Eccovi , o padri coscritti , e capi tutti di
Poma , il mio sentimento
per dar fine
alla guerra , ed ordine alla
repubblica perturbata.' Se altri
tien cose migliori
a ridirne ; vincano pure
te ottime. XV. Cosi disse
Claudio ; assai speranzandosene i pa- «Iri , che i Dieci
deporrebbero il loro
magistrato. Non replicava Appio
nulla in contrario
; quando fattosi in- nanzi Marco Cornelio
altro Decemviro disse
: Non ab- bisognano, o
Claudio, i tuoi consìgli:
su Futile no- stro provvederemo noi da noi
stessi; perocché tale appunto
ò' la nostra
olà, da non
disconoscere ciò Digitized by
Google LIBRO XI. 327 che
ne giova , nè
scarsi siamo di
(uaici , età consul- tar nel bisogno.
Pertanto dispensati da
opera intem- pestiva ; non dare o
gran veccJào consigli , ove non se
ne richiedono. Che
se vuoi di
cosa alcuna ammo- nire t o pià propriamente
, inveire su di
Appio ; in- veisci a tua voglia
y ma quando se’
fuor di Senato. Quivi
entro però di ciò
, che ten pare
su la guerra t co’
Sabini , e con gli Equi ,
circa la
quale se’ chiesto del
parer tuo ; e cessa
da vaniloqui fuori
di argo- mento. Sorse
a lai voci Claudio
nuovamente tutto me- sto, e pieno gli
occhi di lagrime,
e disse: Appio o padri , Appio , presenti
voi , non reputa me ,
lo suo zio , degno
nemmeno di risposta.
Egli precludemi , quanto è da
esso , il Senato , come già la sua
casa. Anzi levami , a dirlo più
veramente , dalla città ; perocché
non io potrei
rimirarvi di buon
occhio un indegno degli
antentUi , un emulatore
de' tiranni. Io dunque
raccolti i miei , e le mie
cose , vammene tra i Sabini , per abitarvi
la città di
Jiegillo , dond’ è la
oiigine mia , e tenermivi finché
questi trionfano nel sì
bel magistrato , ma quando
( nè dee molto
tarda- re ) fta di questo
decemvirato , ciocché ne antivedo
; allora tra voi
mi renderò. Ma
ciò basà su
me. Quanto alla guerra , e sue cose , consigliavi o padri , che non diate
sentenza niuna , finché i nuovi
magistrati non si abbiano.
Cosi dicendo , e svegliando grandi
ap> plausi nel Senato
pel maschio e libero
suo spirito; se- dette. E qi)i rizzandosi
in piede Lucio
Quinzio Cin- cinnato , Tito Quinzio
Capitolino , Lucio Lucrezio , e lutti i primari
1 senatori , seguirono il parere
di Claudio. l Digilìzed by Google 3a8
DELLE antichità’ romane XVI.
Comarbatine i coilegbi di
Appio; risolverono di non
più chiamare , a dir la sua mente , niodo
io vista degli anni,
e dell’autorità sua nel
consigliare; ma solo in
vista delia intrinsichezza , e dell’ aderenza
con esso loro. E qui
procedendo in mezzo,
Marco Cornelio fe’ sorgere
Lucio, Cornelio il
fratello suo, uomo
operoso nè infacondo nella
ragione politica , e già compagno
di consolato a Quinto Fabio Vibulano
, mentre Fabio era. •
console per -la terza
volta. Ora costui
sorto disse: Egli r
è mirabile , o padri , che uomini
di tatua età
quanta ne kan quelli
li quali hanno
prima opinato , e li quali cercano
primeggiar nel SeiuUo , portino per gare
politiche, un odio
implacabile ai capi
dello sta- to , quando dovrebbero , quanto è d'uopo
difenderli , animare i
giovani a combattere intrepidi
per la buona causa,
e tener per amici,
non, per nimici
i sosteni- tori del pubblico bene.
Ma mollo pià
mirabile egli è, che
trasferiscano là malvolenza
privata alle atse della
repubblica , e vogliano anzi perir
co’ nemici , che con
tutti gli amici
salvarsi. Eccesso di
furore , e direi accecamento
divino egli è questo;
eppure cosi li capi
si comportano del
nostro Senato. Sdegnati questi che
nel concoirere al
decemvirato, che ora
ac- cusano , furon vinti da
altri che apparvcr
pià idonei , fan loro
eterna, irreconciliabile guerra:
e sì stolida, e sì furiosa
; da ìovesciare da
capo a fondo la pà-
tria, per calunniare presso
voi li Decemviri.
Vedon essi la nostra
regione in preda
a nemici : vedono che ornai
giungono a Roma , giacché breve
è lo spa- zio che ne
li separa ; ed
in luogo di
esortare , e di Digitized by Google LIBRO
XI. 339 incitare i giovani
a combattere per la
patria , e di soccorrerla
essi stessi con
tutta la diligenza,
e l’ or- dorè , quanto la età loro
ne ammette ; vogliono
che ora voi provvediate
ad ordinare il
governo , a creare nuovi
magistrati , e far tutto piuttosto-,
che conqui- dere gC inimici
: nè san vedere
che danno sentenze
, anzi che tengono
desiderj impossibili. XVII. E certo , fate cosi
ragione : il Senato
emani il decreto de'
comizj : i Decemviri lo
riferiscano al popolo , destinando
il giorno del
terzo mercato dal giorno
presente ) perocché -, e
come staà mai
valido ciocché si vota
dal popolo j se
non compiasi a norma delle
leggi ? Poi quando
abbiano le tribà
dato il voto , prendano
i nuovi magistrati la
repubblica , e propongano a voi
la guerra perchè
ne discutiate. Se in
tempo sì grande , quanto ve n
ha da
ora ai co- mizj, si
avanzino intanto i nemici,
e vengano fino alle mura;
noi che faremo,
o Claudio? Diremo loro: « atpettate per
Dio , finché ci avrem
fatti nuovi magi* a straM
? Certo Claudio suggerìvaci
a non decretare , a nè riferire
mai cosa al
popolo , nè scriver
le leve , a se
prima non siasi
deciso come vogliamo
su' magi- a strati. Itene
dunque, e quando udirete
creati ì con- a soli ,
creati i magistrati , e tutto pronto
per le armi a tornate allora
per trattare con
noi della pace ;
giac- B cbè voi senza
essere offesi da
nei d avete i primi a oltraggiato ; e d ricompenserete , secondo
la giusti* a zia , in danaro
i danni delle vostre
incursioni : non a però vi
conteremo le stragi
degli agricoltori , non le a inginrie , e le insolenze
sperimentate da femmine
in* Digitized by Google 33o
DELLE Antichità’ romane M g«uuc, nè
altro male insanabile
». Ed essi
li nemici a tal nostro
invito useranno moderazione
, e lasciato che la repubblica
crei li nuovi
maestrali, e faccia gli apparecchi
di guerra ; tomeran
poi portando ùi luogo
delle armi , suppliche per
la pace ; ed
arren» dendo a voi sè
medesimi. Xyni. O pur stolti
coloro d- quali
van pel pen- siero tali delirj
! e milènsi noi se
non ci corucciamo con quei
che li propongono:
anzi sosteniamo di
udirli, quasi consultino su
nemici , non su la
patria e su noi! Che
non leviamo di
mezzo i cianciatori sì
fatti? che non decretiamo
sul punto , che
marcisi a difen- dere il territorio
, il quale ci
si devasta ? che
non armiamo quanti vi
sono idonei de
cittadini ? anzi , che non
portiamo le armi
contro le città
loro ; ma ce ne
stiamo qui a bada,
ed accusando i Decemviri, ideando nuovi
magistrati , e discutendo
forme di go- verno , lasciamo quant'
è nelle nostre campagne,
come nella pace , esposto
al nemico ? Che
sì ; che infine
, se permetteremo che
la guerra giunga
alle mura , corriamo
noi rischio di
essere schiavi , e che ne sia
lì orna
stessa distrutta. Non
sono queste , o padri coscritti, le
maniere di uomini
sani, non le
maniere di una social
provvidenza , la quale antepone
al ben pubblico gli
odj privati ; ma
le maniere piuttosto
tli una contenzione intempestiva , di un
disamar sconsi- gliato, di una
invidia sciaurata, la
qual non lascia esser
savio chi ne
vieti preso. Tacciano
per Dio le controversie ; che
tenterò di esporre
ciò che avete
a decretare salutevole per
la patria , ed espediente
per Digitized by Google . LIBRO XI. 33
1 1*01 , come terribile pe’
nemici. Stabilite ora
la guerra co* Sabini
f e cogli Equi : arrolate
diligentissinù e prontissimi le
milizie da guidare
contro ambedue : e quando
la guerra abbia
avuto buon, termine
, quando siansi in città
ricondotte le milizie
^ quando sia già rinata
la pace ; allora
volgetevi ad ordinare
il go- verno , allora chiedete
conto dai dieci
delle opera- zipni loro
nel mostrato , allora
createvi nuovi ma- gistrati , fondatevi nuovi
tribunali ; e quando da voi
dipendono queste cariche
onoratene i personaggi che ne
son degni ; avvertendo
, che pud tboppo
non seb» FONO I TEMPI
Alts COSE MA
LE COSE AI
TEMPI. Spiegatosi Cornelio in
questa sentenza vi
aderirono, toltine pochi, anche
gli altri che
dopo lui ragionarono, altri perchè
la stimavano necessaria , come -convcnien' lissima a'
fatti presenti , ed altri
perchè piegavansi e blandivano
i Dieci per timore
delia loro autorità
, la quale avea costernato
non picciofa parte
de’ padri. XIX. 'Alfine
essendosi opinato dalla
più parte, e cora* parendo quelli
che volcano la
guerra superiori di nu-
mero agli altri ; invitaron
tra gli ultimi
a dire Lucio Valerio ,
quello che volea
fin da principio
proporre la sentenza sua , ma
se fu ritardato , come già
scrissi. Or costui sorgendo
tenne questo ragionamento
: Fedele , o padri j C inganno
dei Dieci] Non
permisero questi che a voi
favellassi , com' io volea , nel
principio , ed ora
tra gli ultimi
mel permettono ! quando
pen- dano che io punto
non giovi la
repubblica, sebbene io segua
il partito di
Claudio , perchè ben
pochi vi si appigliarono.
Che se io
mi dichiaro per
altro con- Digitized by
Google 33 2 DELLE Antichità’ bomane sigilo
, sia quanto si
vuole bonissimo , ne sarò
va- nissimo difensore ove io
contraddica gli espósti
da loro. Annoverar si
possono facilmente quei
che dopo me sorgeranno
per dire : e quando
pure consentano tutti con
me, che può
mai risultarmene , non facendo essi
nemmen picciola parte
rimpetto ai fautori
di Cornelio ? Ma sebbene
io ciò veda ;
pur non
dubito dire il mio
sentimento: a voi si
spetta, quando udito lo
avrete , di volgervi
al meglio. Quanto
al Decem- virato , e le cure
sue del ben
pubblico^ concepite che io
ven dica le
cose tutte, che
il prestantissimo Clau- dio ven
diceva : e che debbesi
far nuovi magistrati prima che
votisi per la
guerra, giacché pur
questo chiedea con purissimo
'fine quel valentuomo.
Tentò Cornelio mostrarvi impossibili
i cos/.ui su^erimenli , pretestando
il gran tempo
che abbisognavi per
le civili r forme , quando la
guerra ne ò sopra.
Egli mise in burla
, cose niente burlevoli , e con ciò
commosse , ed ebbe
molti di voi:
ma io, fofò
vedervi, che non è impossibile , no , - la sentenza
di Claudio ; come niuno
di quanti la
derisero osò dirla
nocevole : e vi mostrerò come
salvisi il territorio ,' e puniscasi chi temerario
danneggialo : come ristabiliscasi intanto
il comando, che era
qui degli ottimati;
e come tutto si compia , cooperandovi i cittadini , senza che
niuno tenti il contrario.
Nè sarà già
questa una mia
sa- viezza ; ma io non
vi addurrò se
non gli esempli
di cose operate da
voi; imperocché qual
luogo hanno tnai gli
argomenti dove la
sperienza stessa ne am-
maestra su ciò che
giova ? Digitized by
Google LIBRO XI. 333 XX.
Fi ricorda che i
popbli stessi che
ora le man- ti a/w
, spedirono ancora milizie
in un tempo
stesso , già è r mino
nono o decimo^ su
le terre nostre
e de^ gli alleati, sotto
i consoli Cajo Nauzio,
e Lucio A/i* maio F Foi
mandando allora molta
florida gioventà contro i due
popoli ; f uno de' consoli
ridotto a trio- cerarsi in
luoghi disastrosi, non
potè far nulla , anzi videsi assediato
nel >suo campo
medesimo , e, sul
ri- schio di esservi preso
per la penuria
de' viveri. Nau- zio
poi contrapposto a'
Sabini, impegnato da
battaglie continue, non potea
nemmeno accorrere verso
i suoi che pericolavano : non
ignoravasi che se
periva V e- sercito contro
degli Equi, non
avrebbe nemmeno po- tuto resistere V altro
contro de’ Sabini , riunendosi insieme i nemici.
E fra tanti pericoli
intorno della città , mentre
nemmen ci avea
nelC interno suo la
concordia , qual rimedio voi
ritrovaste ? Congregativi su la
mezza notte in
Senato ( lo . che giovò
sicura- mente ogni cosa , e
dirizzò la patria
che rovinava ornai miseramente
) , creaste un magistrato
solo , ar- bitro della guerra
e della pace, sospendendo
tutti gli altri ; e prima
che fosse giorno , ebbesi un
ditta- tore neir ottimo Lucio
Quinzio , sebbene si
trovasse allora non in
città, ma in
campagna. Foi ben
sapete le imprese operate
dipoi dal valentuomo , come ap- prestò forze idonee , liberò V armata
che pericolava , e punì
gV inimici, pigliandone
fino il duce
prigioniero. E fatto ciò con
soli quattordici giorni , e riparlato quan^ altro
pur v era di
male nella repubblica , de- pose il comando.
Così niente impedì,
volendolo voi Digilized by
Google 334 DELLE Antichità’
noiviANE che si creasse
il imovo magistrato , solamente in un
giorno ; e così dovete
> credo , imitarne V esempio , e scegliere , poiché altro
non potete , un dittatore , pri- ma che di
quivi usciate. Se
trapassiam questo tempo , i Dièci non
pià vi aduneranno
per consultazione al- cuna. E perchè sia
il dittatore nominato
legittima- mente eleggete un interré
nel pià idoneo
de cittadini; come solcasi
fare quando i re
mancavano , o li con. soli , nò si
aveano affatto , come
ora non le
avete , legittime autorità. Spirato
che fosse per
questi il tempo del
comarulo ; la le^e a
sé ne
richiamava i poteri. Or
questo o padri, che è
sì fattibile ed
utile, è ciò che vi
eswlo di fare.
La opinion di
Cornelio porta la dissoluzion
manifesta del comando
degli ot- timati ; imperocché se i
Dieci divengano una
volta padroni delle arme
per tale occasione
di guerra ; temo
che. valercnisene contro
di noi. (^uei
che non voglion deporre
i fasci ,- depotranno
essi mai le ar-
mi f Considerate ciò : "'guardatevi da
tali uomini ; provvedete
contro tutti gC
inganni ; poiché vai
meglio provveder che pentirsi;
cotne é cosa pià-
savia discre- dere gli empj ;
che , credutili , accusarli. XXI. Piacque
il dir di
Valerio ai più
come potè ri- levarsi dalle voci
loro e da quelli
che sorsero dopo
di lui ; perciocché doveano
opinare ancora i giovani , e questi , eccetto pochi , lenean per bonissitno ,quel
con- siglio. Cosi quando tutti
ebbero opinato , e le
delibe- razioni aver
dovevano un termine
; Valerio chiese che i decemviri proponessero
la ritrattazion dei
pareri , c che di
nnovo s invitassero a dire
tutti i senatori ; c Digitized
by Google UBRO xj. ■
335 persuase ciò fàcilmente
, volendo molti di
loro cangiar eli partito.
Cornelio che avea
consigliato che si
desse a decemviri il
tornando deHa guerra , opponeasi poten- tissimamente; dicendo
esser questo un
affare già discus- so , e portato giurìdicamente al suo fine
col voto di tutti
: pertanto si annoverassero
i voti nè cosa
ninna si rìnovasse. Alternavansi
tali detti ostinatamente
a gran voce da ambe
le parti, essendone
scisso il Senato;
pe- rocché tutti quelli che
voleano riformato il
disordiu ci- vile ,
favorivan Valerio ; ma
peroravano per Cornelio quanti preferivano
il peggio , e-
temeano de’ perìcoli
da un cambiamento. I decemviri
presa occasione di
fare a lor modo
per la turbolenza
del Senato , si
-attennero al parer di
Cornelio. Ed Appio
, quell’ uno di
essi , re- . catosi in mezzo
disse : JVoi v abbiamo
qua convocati o padri perchè
deliberaste su la
guerra cogli Equi e
co’ Sabini , e per questo
abbiam /alto che
interlo- quissero quanti il volevano
^ chiamando voi tutti
dal primo aia ultimo , ciascuno ordinatamente
, al suo tempo. I tre
uomini • Claudio , Cornelio, e
Valerio in fine , ne diedero
tre pareri ; e voi
tutti , quanti altri qui restavate
, li ponderaste : e ciascuno
, udendolo tutti, espose il
partito al qual
si appigliava Tutto fu
a norma delie leggi
: ed essendo ai
pià di voi parato
che Cornelio abbia
presentata la sentenza
mi^ gliore ; dichiariamo che
questa prepondefa ; e scritta Ut pubblicfdamo.
f^alerio e ti' suoi partitoni,
annul- lino se vogliono , ma quando
sian consoli , i giudizj già finiti
: ed invalidino le
sentenze già firmale
da tutti. E' cosi
dicendo , c comandando che io scriba
le- 336 DELLE Antichità’
romane gesse 3 decreto del
Senato , col quale
ordinava» che i dieci
làcesser la leva
delle milizie , e ammiuistrasser la guerra
; sciolse 1’ adunanza.
■ XXII. Quei della
panie decemvirale ne
andavano dopo ciò superbi
e gonfi , come vincitori , e come riu- sciti con esser
gli arbitri delie
arme , nell’ intento , che non si
abolisse il loro
comando. Per contrario
quelli che aveano voluto
il bene della
repubblica suvansi ti- midi e mesti; come
se non più
ne sarebbero gli
arbitri in maneggio ninno.
Dond’ è che si
divisero con risolu- zioni diverse ; riducendosi
i meno ' generosi per
indcde a concedere tutto ai
vincitori , e consociarvisi ; laddove
i men paventosi teneansi
in placida vita
lontani dalie pubbliche cure ;
e li più
eccelsi di spìrito
faceansi ua seguito proprio,
intenti a difènder sestessi,
e trasmutare il governo. Capi
di queste unioni
erano Lucio Valerio e Marco Orazio
, que’ dessi appunto
che intrepidi, pro- posero i primi al Senato di
ritogliersi al decemvirato
: e questi custodivano la
propria casa colle
armi , e se- stessi con
valida guardia di
'clienti e .di servi
per non patir violenza
, e non mostrar di
temerla insidiosa o palese.
Quelli che non
voleano in Roma
part^giar coi più forti
, nè brigarvisi in
cure pubbliche , nè giudica- vano intanto ben
fatto di starvi
in ozio indolente
; ne uscivano , . parendo loro
cosa non facile
di vincere i dieci
colle arme, anzi impossibile di
abbatterne la grande potenza ; ed
era lor condottiero
1’ insignissimo uomo Ca)o
Claudio, lo zio di Appio
Clandio capo decemviro^ il
quale adempiva le
promesse fatte in
Senato al figlio del
fratello quando stimolavalo
a deporre 3 comando.
Digitized by Google LIBRO
xr. , 337 ne T«
Io indusse (1).
Lui seguivano torbe
di amici e clienti;
ma, datovi da
esso il principio,
abbandonarono la patria ancor
altri colle mogli
e co’ Ggli , non già di
nascosto ed in
pochi; ma a moltitudini
ed in pubblico. Altronde i compagni
di Appio indispettiti
del fatto si misero
ad impedirlo, cbiudendo
le porte, e ritraendone alquanti de’
profughi. Ma poi
venuti in paura
, che gli impediti si
rivolgessero alla forza
, e considerando più
rettamente come era
meglio che uscissero
che rimanes- sero, nemici loro,
a conturbarli; spalancarono le
porte, e lasciarono andarne quanti
mai vollero; incolpatili
però come disertori , ne
invasero le case , i poderi , ed
ogni cosa non potata
portar via per
l’esilio, apparentemente a
conto del fisco , ma
in sostanza beneficandone
i loro fautori, quasi comperata
l’avessero. Or tali
imputazioni date a’ primarj
esasperarono più ancora
i patrizj e i plebei contro
ai decemviri. Nondimeno
se qiiesti non aggiungevano novi
errori ai già
detti; parmi che
avreb- bero tenuto ancora lungo
tempo il comando.
Imperoc- ché stavasi ancora in
città la sedizione,
mallevadrice del poter loro , cresciuta da
tanto tempo , e per tante
ca- gioni : le quali facevano
esultare a vicenda gli
uni pei mali degli
altri ; li plebei
perchè vedevano, mancato
il cuor ne’ patrizj
, e nel Senato ogni
arbitrio su la re-
pubblica; e li patrizj, perchè
vedevano il popolo
ridotto in tutto senza
libertà e senza forze
, fin d’ allora che i
dieci gli tolsero
l’autorità de’ tribuni. Ma
perciocché tali decemviri nè
moderali in campo,
nè prudenti ìu
Roma, (1) Vedi S i5
di questo libro.
4 v ptONlGl > ITI’ , la Digitized by
Google 338 DEI.LE antichità’
ROMANE iasistevaDO con assai
durezza centra l'uno
e Tallro par* ti(o, lo
astrinsero infine a riunirsi,
e deporli colle arme stesse
, avute per la
guerra. Tali poi
furono gli ulllmi delitti pe’
quali svergognato il
popolo , ne infuriò. XXIII. Dopo
che ebbero stabilito
.in Senato il de»
creio per la
guerra ; descrissero in
fretta le milizie
, e divisele in tre
parti, ne serbarono
due legioni per
guar* dia deir interno
della città. Piesedeva
a queste due Ap* pio
Claudio il capo
decemviro insieme uon^
Spurio Op* pio. Intanto
Quinto Fabio , Quinto
Poeteiio e Manio Rabuleio nè
andarono con tre
legiodi contro de' Sabini: partirono con
altre cinque per
la guerra .contro
degli Equi Marco Cornelio
, Lucio Minucio , Marco
Sergio , Tito Antonio , e
Cesone Duvilio finalmente.
Militarono con essi le
truppe latine , e di
altri alleati , non
meno numerose delle romane.
Ma con tantb
milizie urbane , con tante
ausiliarie , niente riuscì
loro secondo il
dise- gno. Imperocché li nem'tci
spregiandoli come nuove
re* clute , si accamparono
vicinissimi a loro; e ne
invade- vano i viveri che erano
ad èssi portati
, insidiando le strade , e gli
assalivano mentre uscivano
ai pascoli. E se
mai venivano ordinati
alle mani, cavalieri
con cava- lieri, e fanti con
fami; riuscivano da
per tutto vincitori i nemici ; perocché
non pochi Romani
mandavano alla peggio ogni
cosa , indocili al
capitano , come restii
per combattere. Quelli che
erano tra’ Sabini , renduti sav) da
mali minori, deliberarono
da seslessi di
abbandonare il campo: e levandosene
circa la mezza
notte ripassarono con una
ritirata , simile ad
una fuga, dal
territorio ne- mico nel proprio;
fino a Crustumero, città nou
lontana Digitized by Google tiBno
jfi. 339 da Roma.
Gli altri che.
teneano il campo
nell’ Algido della regione
degli Equi, ne
riceverono ancor essi
non poebe^ percosse. Ma
ostinandosi incontro a’ pericoli,
quasi a riaversi' dalie perdite , incorsero in
danni lagrimevoli.
Imperocché spintisi i nemici
su loro , cacciarono quelli che
erano in guardia
degli steccati; e salite
le trincee , occuparono
il campo , e vi uccisero
i pochi che resi- stevano , uccidendone anche
più nell’ inseguirli.
Quelli che scamparono colla
fhga, feriti in
gran parte, e quasi tutti
privi di arme,
ripararonsi al Tuscolo.
Del resto tende , giumenti ,
danari , schiavi e tutti gli
altri appa- recchi furono preda
ai nemici. Saputasene
in Roipa la nuova
i nemici del decemvirato
, quelli ancora che ne
occultavano 1 odio, si
dichiararono, esultando su la rea condotta
de’ capitani. E già
grande era Ja
moltitudine presso di Orazio
e di Valerio, capi ,
come fu
detto, de' crocchi aristocratici. XXIV. Appio
e Spurio somministrarono a quelli
che comandavano in campo
arme , danari , grano , ed ogni bisogno,
pigliandone
superbissimamente da’ privati
e dai pubblico: e reclutando dalle
tribù tutti gl’idonei
a com- battere ; gl’'
inviarono loro in
supplemento de’ morti , e delle schiere.
Invigilarono diligentissimi su
Roma , pre- sidiandovi i luoghi più
acconci; talché il
seguito di Va- lerio non
fosse occulto nel
sommoversi. Commisero per vie
sécretissime ai capi
dell’esercito di sterminare
i loro contrari , in occulto se
riguardevoli , ma
palesemente se ignobili, sempre
però con qualche
pretesta, perchè pa- ressero giustamente levati.
Altri mandati da
essi a fo- raggiare , altri a proteggere
i trasporti de’ viveri
; ed Digilized by Google 34 o DELLE ANTICHITÀ.’
ROMANE altri ad altre
belliche incombenEe lisciti
dagli alloggia- menti , non furono
mai più vedùti
in alcun luogo.
Ma li più ignobili
accusati _ di aver dato
princi'pio alla fuga, o portato secreto
notizie ài nemico , o non mantenuto r ordine, erano
in pubblico trucidati
per ispavento co- mune. Così le
milizie erano in
due modi disfatte
: le fautrici del -decemvirato
pe’ cimenti col
nemico , e pei capitani le
altre che ridesideravano jl
governo degli ottimati. XXV. Appio
co’ suoi commetteva in
città delitti con- simili e non pochi
: la plebe tenne
picciolo conto di alcuni
estinti quantunque fossero
molti di numel-o
: ma la morte barbara , ingiusta di uno de’
plebei più cospi- cui, celeberrimo per
le belle virtù
sue nel combattere, operata nell’ accampamento ov’ erano
i tre capitani, de- cise quanti vi
erano alla ribellione.
Sicciu fu I’
ucciso , quegli che
avea combattuto le
cento v^nti battaglie
, raccogliendone sempre' il premio
de’ prodi , quegli che disobbligato già
per gli anni dal
> guerreggiàre , si diè spontaneo
per 'la guerra
,con gli Equi
menandovi per r amor che
gli avcano , altri ottocento,
già liberi ancor essi
a norma delle leggi
da’ servigj militari
: quegli che spedito dall’
uno de’ consoli
contro le. trincee
nemiche a rovina come parea
manifesta; pur le
invase, e preparò pienissima la
vittoria pe’ consoli.
Or quest’ uomo ,
cer- cando Appio co’ suoi di
levarsel d’intorno, perchè
avea molto parlato in
città contro i duci
del campo come codardi
e imperiti» io trassero
a discorsi amichevoli, lo invitarono
a deliberare con essi
intorno le cose
del campo, e dire come
fossero da emendare
gli errori Digilized by
Google ‘ LIBBO XI. 341 de’
capitani i e Io indussero
infine ad andare
in forma di legato
all’ armata di
Crustumero. È tra’ Romani
il legalo onoratissima e santa
rappresentanza , con l’ auto- rità de’ comandanti, e con
la riverenza e la
inviolabilità de’ sacerdoti. Lo
accolsero al giunger
suo con benevo- lenza i duci , e lo stimolarono
affinchè stesse e coman- dasse con essi ;
anticipandogli de’ doni , e promettendo- gliene ancora. L’uom
d'arme, tutto ingenuo
in seslesso, deluso dai
scellerati, come lui
che non capiva
i presti gj delle parole , e quanto
erano ingannevoli ; suggerì
loro le cose che
utili riputava, e soprattutto
che trasferissero il campo
dal territorio proprio
a quello de’ nemici
; additando i mali che
ivi soffrivano , c rilevando i beni che
da tale passaggio
nascerebbero. XXVI. Fingeano que’duci
udirne con diletto
gli am- mpnimenti : Adunque
che non ti.
fai tu duce,
gli dis- sero , di questo
transito , preeleggendone il
sito op- portuno , tu si
perito do' f ioghi
por le tante
tufi spe- dizioni ? Noi ti
daremo schiera eletta
di uomini , espediti
per armamento leggiero.
Avrai tu cavallo come
alT età tua
si com’iene , ed armatura
degita . dei tuoi pari. Tenne
Siccio l’invito, e chiese
cento uomini scelti. Quegli,
essendo ancor notte,
spediscono lui senza indugio
, c con lui cento
i più baldanzosi de’
loto fau- tori , istrutti , e
mossi ad
ucciderlo con lusinga
ahiplis- sima di ricompense.
Or questi giunti,
ornai ben, lungi dal campo
, in luogo montuoso , angusto, e difficile
di ascenderlo a cavallo , se
non di passo , ordinaronsi , datone
il segno , in
maniera da serrarsi
in folla su
lui. Un tale , sostenitore e servo
di Siccio , valoroso tra le
34 a, DELLE ANTICITITa’
KOMAVE arme , indovinando il
cor loro , diedene
cenho al pa- drone. Il
quale vedutosi in
tanto disagio di
sito da noa potervi
nemmen slanciar con
forza il cavallo',
ne salta , e postosi
coir unico sostenitore
suo in una
balza per non esservi
circondato , aspetta che
ve lo assalgano.
Or tutti ( ed erano
molti ) assalendovelo ; ne
uccide intorno a quindici, feritone
il doppio : e parca , se
lo assaliva» da presso
, che avrebbe , combattendo
, straziato ancor gli altri.
Ma questi, conceputolo
per invincibile, e come non
era dà prenderlo
a corpo a corpo ; non
vennero in tal modo
alle mani: ma
tenendosi lontani da
lui; lo fulminarono con
dardi , sassi , e legni. Ed
altri avan- zandosi di fianco
in &ul motttc,
e riuscendogli a tergo,
rotolavano dall’ alto
macigni stragrandi : talché
per la moltitudine de’
dardi lanciatigli conira
, e per la enor- mità de’ sassi
che cade.mu romorosi
dall’ alto , lo
op- pressero in 'fine: e
questo fu il
termine incontrato da Siccio. XXyiI. Tornaitono
gli uccisori co’
feriti nel campo
, e vi pubblicarono che
una insidia ióiprovvisa
di nenrici avea spento
Siccio , e gli altri , che assalirono
i primi , e che essi he
erano a stento scampati,
ricevutine molle ferite. Pareano
questi dir vero ;
non però
si giaeque occulta la
loro per6dia : ma
sebbene avvenisse 1’
eccidio in luoghi deserti
e senza testiinonj ; i fati
stessi e la giustìzia che
invigila le cose
umane, lo diedero
a co- noscere per segni indubitati -(i). Imperocché
quei del campo riputando
1’ uom forte
degno di pubblica
sepol- (i) A quella icotenza
somiglia quella lauto
vera di Arioslo
can. 6 e tanto poco
tenuta in peotieio
dagli nomini. Digilized by
Google LIBRO • XI. 343 tara . e di onori
distinti rispetto degli
altri, per più
cau- se , e' principalmente pel
carattere suo di
legato, e per* cbè libero
già da’ servigj
militari, eravisi cimentata di nuovo
per util comune;
decisero di unirsi
dal complesso di tre
legioni e di uscjre
cosi per investigarne
il cada- vere , onde riportarselo
con pieno decoro
e sicurezza. Concederono
questo i capitani per
non dare sospetto alcuno delle
insidie : e prese le
arme uscirono intenti all’^opcra bella
e degna. Giunti al
sito e vistovi non selve
, non valli , non luoghi
consueti per le
insidie , ma una
balta tuttar nuda
ed aperta ,.ed
angusta a pas- sarla;
sospettaron bentosto ciocch’era.
Avvicinatisi quindi ai cadaveri
% mirato Siccio e gli
altri derelitti, ma
senza essere spqgliati; si
meravigliarono che-i nemici,
vincen- do , non avessero levate
loro non le
vesti , nè le
anni. E specolando ihtoroo ogni
cosa , nè trovando vcstigia di
cavalli o di uomini
se non le
impresse nel sentiero; tennero per
impossibile che i nemici
fossero su loro* venuti
improvvisi , quasi uccelli., o uomini
discesi dal cielo. Ma,
più che questi
e simili indi^, il non trovarsi ivi
cadaveri, di avversar)
fu . loro argomento evidentissi- mo , che gli
amici ne erano
stati gii uccisori
e non i nemici. Imperocché
non parea loro
che Siccio , e quel Miscr chi
maV oprando si
confida , Che ngnor star
debba il maleficio
occulto ; Che quando
ogn’ altro taccia
intorno grida V aria e la
terra ittetsa in
che-d tepultq^ . E Dio
fa spesso che
'I peccato guida Il
peccator, poi cV alcun
di gli ha
indulto- Che" si
medesmo , seni' altrui
richiesta JnavOedutamstnle
mastifesla. Digilized by Coogle ■^44
nF.LT,E antichità’ ROMANE sosteuitore suo, e
gli altri, che seco
perìroofi, sarebbero morti inulti , specialmente se
venuta si fosse,
quanto si può , (la vicino
alle mani. Rac(:olsero.
ciò ancora dalle ferite
: perocché Siccio , come quel
suo, sostenitore , ne avea
molte per colpi
di sassi o di
strali e di spade
; laddove gli uccisi
da loro avean
colpi di spade
si, non di sassi , o di
strali e di saette.
Adunque .ne sorse
in- dignazione , e claipore , e
lutto. Alfine compianta
la disgrazia ; raccolsero e portarono
il cadavere ai
campo : e là gridarono
altamente contro de’
capuani , esigendo allora
allora secondo la
legge militare la
morte degli uccisori ; o che
sen fidasse almeno
il giudizio ; e già molti
erano pèr ,farvisi
accusatori. Ma conciossiaché
non davano loro udienza,
e nascondeano gli uccisori,
e^ne differivano il giudizio
, con dire che
in Roma darebr bero
a chi la volea
la podestà di
accusarli ; ben vtdesi che
la trama era
de’ (ùpitani. Adunque
portarono (xm * magnifica pompa
Siccio al sepolcro,
alzandogli una pira meravigliosa, e tributandogli secondo
il loro potere
altre primizie che la
legge concede negli
onori estremi dei valentuomini. Alienaronsi
allora tutti dal
decemvirato; e pensarono come liberarsene.
Cosi l’ esercito presso Chistumero r Fideue
era nimico a’
suoi capi per la
morte di
Siccio legato. XXVIIl. L'
esercito acc;impato nell’
Algido della re- gione degli Equi ,
e la molutudiiie in
Roma crasi per tali
cagioni esacerbata tutta
con essi. Lucio
Verginio un plebeo, non
secondo a niuuo nella
milizia, starasi capo di
una centuria nelle
cinque legioni, belligeranti
con gli Equi. Avea
costui per avventura
una figlia vaghissima Digitized by
Coogle LIBRO XI. 345 fra
ratte le donzelle
romane. Ella portava
il nome del padre,
ed avealasi pattuita
in isposa Lucio
Icilio, uomo tribunizio, qome
6glio (i) di
quell’ Icilio che primo
fe’ stabilire , e primo assunse
T autorità di tribuno.
Appio Claudio il capo
decemviro vista la
verginella che leg- geva in
una scuola ( stavansi
allora le scuole
pe’ giovi- netti intorno del
Foro) bentosto ne
fu preso dalla. bel- lezza ; anzi vinto
dalla passione era
così tòlto a sestes-^ so
, che non potea
non passare più
volte intorno della scuola.
Or non potendo
torlasi sposa come
già sacra ad altri
, anzi perchè egli
avea pur moglie
, e perchè non istavagli bene
donna plebea di
lignaggio contro il suo
grado e la legge
scrìtta da lui
nelle dodCci tavole
; su le prime tentò
corrompere co’ danari la
giovinetta. Egli mandava ad pra ad
ora delle donne
con doni e pro- messe maggiori' alle nudrici
di essa, orfana
già della madre ^ avea
però comandate le
donne che tentavano le
nudrici a non dire
chi fosse l’amante
della fanciulla, ma solo
eh’ egli erg
un tale che
potea , volendo , -bene- ficare e nuocere. Non
potendo però^ guadagnarle
, anzi vrt.duta la donzella
guardata più che
prima , si mise , caldissimo che ne era
d’ amore , a camminare
altra via con meno
ancora di sénno.
Fattosi chiamare Marco Claudio
, r uno de’ suoi
clienti , uomo ardito e pronto ad
ogni servigio , gli additò
la Gamma sua :
e prescrit- (t) Forse nipote’,
perchfc dalla islitusione
del tribonato all' anso prescote decorsero
45 aooi. Pertanto
Lucio Icilio di
cui qui ai ra-
giona o era nipote ni*, Icilio
Ruga, o coOTÌen dire
che di molto
ec- cedesse gli anni di
Virginia destinatagli sposa
; seppure non voglia dirsi
che Icilio Ruga
generasse beo tardi
quel figlio. > Digitized by
Coogle 34 fi DELLE antichità’
ROMANE togli cioccliè volea
che facesse, e dicesse
; lo spedi con allato
uomini impudentissimi. Costui
recatosi alla stuoia, vi
tolse la vergine
, b volea recarsela palesemente
pel Ford. Impedito però
dai clamori e dal
grande «oucor- so, di
recarsela dove avea
stabilito; venne al
magistrato. Sedessi allora nel
tribunale Appio*' solo,
rendendo ri- sposte e r&gioni a chi
ne chiedeva. Or
volendo colui dire , sòrsene
rumore e sdegno tra*
circostanti , i quali tutti
reclamavano , perché si
aspettasse 6nchè venissero i parenti della
fanciulla ; ed Appio
ordinò che in tal
modo appunto si
facesse. Passato appena
picciolo tem- po; ecco presentarsi 'Publio Numitore
nomo insigne tra i plebei,
zio materno di
lei, con, seguito di
molti amici e parenti; e dopo
non molto ecco
giungere con numero poderoso di
giovani plebei Lucio
Icilio, quegli che
per le promesse dèi
padre aver dovea
la donzella in
isposa. E questi , tutto sospeso
ed ansio nel
respiro , avanzan- dosi al
tribunale , addimandò chi
osato avesse toccare la
giovine' cittadina , g (die mai
ne pretendesse. XXIX. Fattosi
intanto silenzio. Marco
Claudio, que- gli appunto che
avessi preso la
donzella, così ragion:^; O j^ppio Claudio
, niente ho io
fatto di temerario
, niente di violento
contro la fanciulla.
' Signore , come io tono
di lei , secondo le
leggi me la
conduco. Or odi comi
ella siasi la
mia. Ho io
una tal serva
pa- terna che ministrami già
da tempo lunghissimo.
Or questa , familiare che
ne era , usava di
andare alla mo"liè di
f^érginio; e la moglie
di Ferginio persuase lei
gravida a concederle , quando
che fosse , il
frutto del suo ventre.
La donna , partoiita
una figlia , ( ed Digitized by
Coogle LIBRÒ XI. 347 era questa ) serlà le
promesse ; e àiedela a Numito- ria, con
fingere presso noi
che uscita fosse
la di lei prole
già morta. Numitorià
tuttoché madre non
fosse di fanciulli o fanciulle,
la pigliò, la
fé' sua, la
nudrì, senza che io
sapessi nel principio
la vicenda.' Or la
so per indizj
di molti e buoni
testimonj : io ho fatto
t esame di quella
serva , e ricorro alla legge comune
per tutti ha
quale vuole « che
sia la prole
non » di chi la
impostura per sua , ma
di chi 1’ ha gene- » rata
; e che libera sia se nata
di libera , e serva , se » nata
di serva , de’ padroni
stessi delle madri
u . Su questa legge esigo
di riportarmi la
figlia della mia serva
, pronto a subirne il
giudizio: Che se
alcuno la reclama per
sua, dia certi
mallevadori di riprodurla
in giudizio : ma se
anzi vuole chi^
ora qui sen
tratti la causa io
lo secondo , voglioso c^e
si espedisca anzi che
si procrastini , e che io mi assicuri
con malleva- doii la
vergine. Scelgano qual
più vogliono di
questi partiti. XXX. Claudio cosi
disse aggiungendo vive
preghiere di non essere
considerato meno de’‘suoi
competitori per amici , e torlasi a forza quando glie
la ripresent'avano per
la sentenza. E perchè 11
giudizio fosse con
buona forma , sul
pretesto che il padre
di lèi non
erasi presentato ; diè
lettere a cavalieri fedelissimi ,
e li spedi nel
campo ad Antonio , cdroan- dante della
legione ov’ era Verglnio,
con ordine che ritenesse
quest’ uomo cautissima
mente , talché udite
le vicende della figlia , da
fui non s’
involasse. Ma Io
prejr vennero , attinenti che
erano alla donzella
, il figlio di Numitorio,
cd il fratello
d’ Icilio , spediti avanti, sul nascere
appena della sommossa.
Giovani pieni di
corag- gio fornirono prima il
vaggio sferzando i cavalli
ed ab* Digilized by
Google 35a DELLE Antichità’
bomane baudonando loro le
redini j e _ narrarono a Vergitiio l’evento. E Verginio,
^cimane ad ^Antonio
la cagione vera , e fintogli
di aver udita
la morte di
un suo pa« rente
di' cui doveasi
fare il trasporto
, e la sepoltura secondo la
legge , ebbe il
congedo. E presso 1'
ora in cbe accendonii
i lumi ; se ne
andò con que’
giovini , ma per altra
via , temendo , come
avvenne , di essere inseguito da
quei del campo
e della città; perocché Antonio, ricevuta
la lettera circa
la prima vigilia,
spedi contr esso una
banda di cavalieri,
mentre un’altra spe* dita
da Roma guardò
per' tutta la
notte la strada
che vi conduceva dal
campo. Ma non
si tosto un
tale ridisse ad Appio
che Yerginio era
l’unto contro la
espetta- zione; egli, uscito
di' senno , ne andò con
gran seguilo al tribunale , e fece che a
lui si
chiamassero i con- giunti
della donzella. Venuti' questi , Claudio ripetè
lo stesso discorso , e
dimandò cbe Appio
senza indugio decidesse l’affare;
dicendo esser pronto
chi lo esponeva, e chi lo
attestava , fin la
serva , madre vera della
fan- ciulla. Simulava in tutti
questi atti . che assai
si sdegne- rebbe , se esso
per essere cliente
di lui non
ottenea come prima la
giustizia egualmente che
gli altri ; e di- mandava che ajutasse
chi dicea cose
più vere, non
chi più lamentevoli. XXXIV. Il
padre della donzella
e gli altri patenti escludcano la
supposizione del parto
con molti argo- menti giusti e veri , per
esempio che non
ebbe cagion plausibile di
farla la sorella
di Numitorio c moglie
di Verginio maritatasi vergine
ad utl giovine
la quale par- torì tra
non molto : appresso
perchè sebbene voluto Digitized by
Googl ’ ' LIBRO XI. 353 avesse
iotradere in sua
casa un 6glio
altrui ; v’ avrebbe intruso non
il figlio di,
una donna schiava , ma
quello di una ingenua,
amica o parente sua,
onde ritener fe- delmente e stabilmente ciocché
TÌce'«’eaiée : ed arbitra
in tutto di Scersela
Come volea ,*
scelta s’ avrebbe
la prole non femipea,
ma > vivile} imperocché la
donna che par- torisce, vinta dall' aderenza pe’ 6gli
che partorisce, ama e nudre
ciocché la ‘natura le
porge: laddove, la
donna che imposturasi un
6g)fO sei' cerca del > sesso migliore, non
del più ignobile.
Contro lui poi
che dava .l’ indi- zio,'e .contro i molti
tesu'monj- edibili da Claudio
come degni di fede . allegavano cagioni
tratte dal verisimile
: vuol dire che
Numitoria non avrebbe
operalo imai pale- semente e presenti molti
ingenui tekùmònj tur
fatto che abbisognava di
silenzio , e che -pbtea' fornirsi
col mini- stero di- un solo ; e c|ò
perché la prole
edncatà non fosse col
tempo ritolta dai
padroni delia madre.
Ag- ginngeano che la
dilazione non picoiola'
era segno evi- dente che il
calunniatore non prolTeriva
niente di vero: perocché colui
che dié l’ indiziò
'della supposlzioue e gli
altri che la
cooteslano -l’avrebbero molto
'iuoansi svelata, non tenuta
Segretissima per quindi^,
anni. Frat- tanto
redarguivano le pròve
degli accusatori, come
non vere 'né credibili,
e chiedeano che si
paragoudssero colle altre loro,
nominando molte doqpe
non ignobili le quali
dicevano aver veduta
Numitoria gravida cOn pienezza
di utero. Olirà
queste ne additavano
altre che in fom
del parentado venute
pel parto o per
la pimr- pera aveano
mirato k prole , ed iuasievano
perché s’ iu- Viomci , tome
III. .1 »i •
Digilized by Google 354
delle antichità.’ romàne terrogassero. Era-
poi di siderando queste
e simili cose, e fra
lóro discorrendole, ne piangevano.
Appjo altronde , come non
cauto, per matura , e
corrotto dalia grandezto
del potere , invanito di sestcsso , e caldo ' di
amore nelle viscere , non
ohe attendere al parlare
dei difensori , e commoversi alle lagrime
della vergine , adiravasi per
la compassione che di -lèi' Sentivano >i
circostanti (Juasi di
compassitme egli fosse più
degno, e patisse mali
più grandi, ridotto
pri* ■gioniero dì quella
bellezza. Da tali
cause infuriato ardi fin
di 'fare' impudenti discorsi
(pe’ quali, coloro che
già ne sospettavano ,'
foron -chiari , 'che sua
era 1- impostura contro la
donzella ) > e compiere infine
la barbara c ti- rannica azione. Digitized by
Coogle , LIBRO XI. 355 XXXVI. Àncora
parlavano , quando egli iu- Uqoò
sUeniiio ; e . feoesi. jbtanlò
la moilitudine che
era nel Foro , ^ntenendo
lo adegno si
spinge innanzi per desiderio
d’ intendere ciocché direbbe
; ed esso volgeo'. dosi
qua c là per
numerare col guardo
i crocchi degli amici co* quali
avea p|:ima occupato
il Foro cosi
favellò: O Verginio j o voi qui
presenti con , esso
f fiqn io sento ora
la prima voltd
un tal fatto , ma-
lo sentii prima ancora
di giutfgere a questo
magistrato. Or udite ; Come
' lo sentàsL 11 ^
padre di
questo Marco Claudio ornai . spiratido la
fitfl y pregavnmi die io
prendessi la tutela
del figlio lascialo
da lui piccélo
; giqcchò essi fin.
dagli antichi loro
son . clienti della ìiostra
famiglifc. Or mentre
io rn era
il tutore di
esso udii della donzella
e .come Numitoria sala
suppone; prendendola dalla sert>à
di Claudio: ed
esaminatala; trovai che appupto
cosi pava •' dettai
c, giudico esser Claudio
pa- drone della serva.
Digitized by Google 356
1 DELLE antichità’ EOJHAME XXXVII. Udito
ciò , quanti ivi erano
fiomlni iniegrì , sostenitori di
que’ che dicevano
il giusto , levarono
le mani al cielo
, con “"un grido
misto d’ indignazione
, e di pianto : per
1’ opposlto i partigiani
de’ Decemviri , mandavano
voci atte ' a confortarli ed
animarli. Irritatasi però l’adubanza,
e riempiuta» di ogni
guisa di afTetti, e discorri ; Appio
intimo silenzio , e disse
: O tutbo- lenti , o inutìii a
tutto nella guerra
e nella pace !• se
non cessale di
sonunover la' patria , e di
contropor- vici ; farete alfin
senno per forza.
Non pensate , jche abbiamo noi
messo un presidio
nel Campidoglio , e nella
fortezza soltanto contro
i nemici di fuori , e che
lascèremb poi fare
quei iT entro
, i quali scon- ciano ih Roma,
ogni cosa. 'Prendete
consiglio migliore ^ thè
non avete o . voi
tutti a quali non
spetta C af- fare ; andatene per
le cose vostre
in buon ora. £
tu Claudio recati ria
pel toro ' la
donzella : non teme- re ; giacche i dodici
miei Colle scuri
ti saran guar- dia. A ul dire
gli altri ululando,
battendosi la froòte, nè
potendo raffrenare le
lagrime, partirono dal
Foro; e Claudio succò via
la donzella, che
stringeva, che baciava il
padre suo , e con voci
affettuosissime lo in- vocava. Fra tanti
mali , Yerginio si mise
in pensiero un’ azione , amara , addolorevole ad
un padre , ma
de- gna di ud nomo
liberò, -di un
Uomo generoso. Egli intercedette di
salutare ancora una
volta la 6glia , e di parlare a lei
le cose , che volea
da solo a solo
; prima che dal Foro
la involassero. Condiscesone
dal capitano , e ritiratisene alquanto
i satelliti , abbraccia la
figlia che sviene , che abbandonasi
; e cosi la sostiene , richiaman- Digitized by
Google LIBRO XI. . • 357 dola,
baciandola', rasciugandola dalle
lagnile, che la inondavano. Poi^
trattala seco un
poco , non si tosto
fu presso la officina
di un niacellajo,
rapiscene di su dal
banco la
coltella, ed immersela
nelle viscere della
figlia gridando: Figlia (i
mando Ubera e casta - ai
nostri sotterra: per colpa
del tìrarmo già
ntm potevi tu
viva serbare questi pregi. . SóHevatisi intanto
■ de' clamóri ; tenendo in
pugno il ferro
insanguinato, egli stesso
gron- dante del sangue , sebitaato su lui
, nell’ uccidere della figlia
, corse furibondo , peó
la città , reclamandovi la libertà
; de* cittadini. Passate
a fona le porte,
àìcese il cavallo , ebe ■ tenessi
per Ini' preparatp
, e rivelò nel campo ,
riaccompagnatovi dà Icilio , e da' Knmitórlo
, i giovanetti ebe ne
*1 cavarono. Teneano
loc' dietro anche altri plebei
non pochi, Jn numero
quasi di ^attro.* cento. j ' ; XXXVIIT. Appio
al caso della
^giovinetta,. levatosi da sedere, si
slanciò cpme per
inseguire Verginio , dicendo, e
facendo cose non
degne : ma eiroondandolo , e pres- sandolo gli , amici
a non traviare , si
ritirò , pieno di rabbia
su tutti : quando
ornai -presso della
sua casa udì da
taluni de' suoi
fautori , che Icilio il
.suocero , e Nut raitore lo zio , ridottici
con altri - amici , e congiunti intorno al
cadavere, gridavano contea- Ini
an colpe no*> te,
e non note concitando
tutti a rendersene liberi
una volta. Colui spedì
per la rabbia»
che ne' ebbe,
alcuni de’ littori , -con ordine
d’ imprigionare i maledici , e di levare dal
Foro il cadavere;
opera, insana in
v?ro , « sconvenientissima al
tempo. Imperocché mentre
dovea- carezzar la moltitudine
incollerita giusUmente, e-jóedere 358
* DELLE Antichità’ bomane in
principio al tempo
, e poi rdifendersi ,
pregare , be- neficare onde’ riconciliarsela ; egli
'corso Alla* violenza
, ridusse tutti . a
disperarsi. Pertanto non
permisero che gl’ inviati
levassero la estinta , o'
portassero alcuno nella carcere
: ma gridando , ed animandosi
gli uni gli
altri ; cacciarono dai
Foro coll’impeto, e oolle
percosse i mi'- nistri della
violenza. Talché Appio,
ciò udendo, fu co-
stretto dì recarsi con
molte partigiani e clienti
nel F oro , e comandare 'che
battessero , e sbandissero , chi v*
era ,* ne’ capi delle
vie. Orazio e Valerio,
duci come ho
detto degli altri a riprendere
la libeiné , sentito il
disegno dell’ uscir di colpi,
menarono' con sé molti
bravi gio- vani , e si' misero
dinanzi k estinta. E qpando
ebbero più \icini {'compagni
di ‘Appio, prima inveirono,
(jnanto poterono , su loro cOn
-clamori .ed ingiurie
; é quindi , pareggiando ai detti
le opere , ferirono e rovesciaronoquanti osarono
lanciarsi su lOro.
* XXXiX. Appio mal
.sofferendo l’ostacolo impreve- duto , nè trovando
come trattare tali
nomini \ risolvette di correre
Una viaria più
rOvinOk. Impéròccbè porta- tosi al tempio
di Vulcano ; invitavi
a parlamento la ' plebe, quasi' benevola ancora
verso di esso:
e prendevi ad accasare la
inginslizia, t la dnsojenza
di tali uomini, lusingandosi per l’
autorità sua .tribunizia , e per le
vane speranze , ebe la moltitudine
gli concedesse di
precipi- tarli dalTa' rupe.. Afa i
compagni di Valerio
occupata l’altra parte del
Forò, e postovi il
cadavere della ver- gine visibilissimo a .tutti , ''convocarono un*
altra adu- .'nahza; facendovi
vivissime aCcusé di
Appio e de’ suoi. Occorse, com’era
vcrisimile’,
che*’aUÌt'andovene altri 'la
Digilized by Google LIBRO
XI. . 359 riverenza per
^questi ' nomioi ,, altri
la commiserazioae vereo la
dctazella soggiaciuta a vicènde
dure, ,e più,
che dure per la
sv>a bellezza infelice,
ed, altri H. desiderio stesso della
forma .precedente df
governo , vi si
rioni più gente che
intorno di Appio
: tanto che non
rima-c seto presso questo
'se non pochi , appunto i partigianir ira'qtuli cc
ne^avéa pur alèoni , che
per molte cagìoivi
■ mal più si
acconcravano eoi Decemvirato ,, contèntissimi di rivolgersi agli- avversar)
, sé il partito
loro si fortiG- easse. Appio
vedendosi - derelitto ^ -fo
cpstretio i mutar COtasigHo ,'e '
ritnrarsi dèi Fpro^*cioecll&' moitissiUo
gii giovò. Imperocché prèso
a cólpi- 'dalia moltitadioe pa- gata le
avrebbe le* giustissime
pene. Dopò .ciò
Valerio . acquistata preponderanza, quanta 'ne
volle, si sfogò
pe- rorando contro ai
'Decemvirato , e decise in
favor suo perGno i dubbiosi.
Molto . più' poi conjpccia'rono la moU
titudiiie contro ai
Dètèiòviri i parenti della
vergine, recando -al Foro .il
feretro , -e T altro lagubre
apparato, maguiGco quanto potevano
, è facendo ..la traslazione
del cadavere per le
.vie più illustri,
di Roma , onde
fóssevi più rimiralo; imperocché
còrreabu fuori di
casa matrone e donzelle per
piangere la sciagura
e qual d’esse get- tava su
la bava Gori^e
ghirlande*', e qual veli
e. nastri . e fiV;gi pel
capo di .una
vergine, e quale, in
Gne.te anella de’ Vecisi
capelli : iiratlantor molti
uomini •nobilita* vano 'la liinèbre
pómpa con' doni* convenienti,
presi grsì- tnitamente’ o con
pfeézró dalie prossime
olBcIce. Tanto che divulgaiissima era
per' la citrii la
lagrimevole ceri- mònia , éd avea
tulli acceso il
desiderio di -spègnerti la' lirannlde. Ma
qnei chè la
difeudeano f isirntii che 1 ' ; ‘ ".jd ny 36o
DELLt AWTICHITa’ nOMANE erano
di arme , davano grande
spavento ; laddove Va^ lerio
W SUOI non volea
finire col sangue
de’ duadim la disputa.
" . Tale era in
Roma la turbolenza.
Intanto Ver- ginio che
avea^ come ho
detto ^ itccisa di
sua mano la figlia
spronando.' a briglia
sciolta il .cavallo i giunse agli alloggiamenti presse
l' Algido su l’
imbruttir della sera ,
tutto lordo -di
sangue , e . colla ooltelitt ,
in pugno
, ap- punto . com’ era fuggito
da Roma. Vedi^tolo , i soldati che stavansi
a guardia innanzr del
campo ^ non sapeano indovinare ciocché
. avessè patito^ e lo
accompagnarono per
intenderne 1* alto.'
e terribile caso. E colui
tuttavia camminava
piàngendo, e significando- a quanti
gli erano intorno di
.seguitarlo. Uscivano fin
di mezzo alJf
cena da’ padiglioni , presso i quali
passava , soldati Jn
folla y con faci e
làmpade, pieni di
mestizia e tumulto, e fa* cendogli corona^
lo accompagn#ano. Alfine
giunto in un luogo
spaziose del campo.,'
e salita una eminenza ov’ essere da
tutti veduto, nar^ò.
le disavventure sue, dandone
per testimou) quanti
erano con esso ,
venati da Roma. E quando
infine videne molti
addolorati e pian- genti-;
fecesi allora a supplicarli
e scongiurarli di non permettere che
restassero ,. egli
invendicato, ^ concai-
cataria patria. E lui
coti dicendo, ecco. in
tutti- grande la voglia di. udirlo
e viva 1». istigazione perchè
parlasse. Adunque tamtx più
animoso 'inveì su’ Decemviri ,
mo- strando di quanti, aveano
essi tolte le
sostanze, di quanti flagellato il
corpo, e quanti ne
aveano ridotti senza colpa
niuna a lasciare la
patria ^ e numerando insieme le
ingiurie verso le
matrone , i ratti delle donzelle . nu- Digitized by
Google LIBRO XI. 36 1 bili,
i '.disoBoramenti de’ liberi >
garzoncelli, e, le, tante altre
ingiustizie e tirannidi. E così,
disse, ci calpestano * (Questi , senza che
ne aibiano il
poterti non dulia legge , non dal
Senato , non dal
popolo. Imperocché spirato è /’
anno dflla loro
magistratura ; e spirato ; doveano
in altre mani>
trasmetterla'.' violentissimi
però la ritengono ; spregiando
in noi , quasi
in femmine , la
paura grande e'
la codardia. Ognun
• di voi qui ricordi
quanti^ mali ha
da loro sofferti,
o veduto sof- ferirsi dagli
e^i. Che se
alcuni qui blanditi
da essi mai con' piaceri
o favori , non temete il
Decemvirato, ne apprendete che
eguali mali siano
per., venire un giorno
su voi, sappiate
che non vi è
fede pe
tiranni, sitppicUe che non
donano t' potenti
per benevolenza , e sapendo queste
e simili, cose , Uorreggetévene : ed unanimi
tutti Iterate da
tù'onni la patria , quella dove sono i
templi de\ vostri Dii,
dove le tombe
dei vo.stri maggiori, ! quali
voi riverite appresso
gV Iddj , dove li
veóchi genitori che
.dimandano il premio
dei travasi e delle tante
cure per voi ^ dove
le mogli, vostre legittime
^ dove le figlie
nubili, alle quali
deesi non tenue Id
Vigilanza: dove infine \i
vostri figli ma- schi , che aspettano
da voi cose
degne dèlia natura loro^
e de’ progenitóri. Taccia
le vostre case,
i vostri poderi , i vostri ■
danari acquistati con
tome fatiche dagli antenati
e >da^ voi : , delle,
quali cose tutte
pià non pofrtle essere
i certi, padroni 'finché i Dieci
qui tiranneggianox ' . XLI. Già
non è da savj ,. non
da valenùtompii cer» care
colla fortezza le
cose altrui ^ nè
curare poi che Digilized
by Coogle 36a DELLE
antichità’ romane per viltà
si rovinin. le
proprie far co»
gli Equi ^ co’
Fblsci , co’ Sabini , a '
con tutti intorbo
i vicini guerre diuturne » indefesse
per la indipendenza
e pel principato , nè vbter poi
nemmeno prendere le
armi per la^ vostra
sicurezza e la libertà
cantra uomini il- legittimi che fi
comandano. Che nòn
ripigliate lo spi- rito' delia patria
? Che non tornano
- in voi li
sensi degni degli' antenati?
cU quelli che
per V oltra^ìo di una
femmina solà profanata
da un de
•Tarquìnj ed ucàisasi da
sestessa per le^
vergogna , 'tanto rie incol- lerirono e infierirono , e tanto
comune tipqtaron la ingiuria';
che sbandirono di
Roma non il
solo Tqr- quinio,maJ re-:
nè piti soffersero^
die magistrato alciùfó vi
comandasse in vita,
e senza doverne far conto
: di quelli che ne fecero
altisiunto giuramento fitto con
imprecazione su paetèri'
se noi' compievano
? Of essi non
avran sopportata la
incuria di un sol
giovinastro su di
una libera- donna'
soltanto ; e voi vi state
Comportando una tirannide
di tante teste
, •ehé’ scorre ad ogti
ingiustizia e libidine ^ è scorrerawi anche pià se pià
tra vói la
tenete ? Non la- ebbi
io sole una. figlia
vaghissima , che jippìò-- accirigevasi palesemente a violentare
e lordare : le avete
anche molti infra voi‘'rhogli
o ; figlie e figli avvenenti:
Or chi difhn'dele mai
che ' ' alcuno de'
Dièci nón fàccia loro
come /dppio ? Vi
raccertano forse gt
Iddf che so lasciate
impunita la insolenza
' a me fatta, no/i
si avanzi questa fin su molti
di voi; e che
^ nmor ti~ tannò , giunto
alla mia figlia , ivi
si 'rimanga e si plachi
rispetto degli altri
fanciulli e faiKÌiille? Quanto Digilized by
Googl " LIBRO XI. • 363 stolula , quanto atfena
cosa è dire che
mai tali idee si
-effettuerànno ! Illimitate sono
de' tiranni le
pas- sioni, perchè superiori alle
leggi, e al^ timore.
Su dunque fate le
mie vendette , prepardte la
sicurezza vostra, per non
subire egual male , rompete o miseri una
volta la^ cótena:
riguardate ‘con intenti
sguardi la libertà : ~E
per qual altra
occasione mai fremerete pià
che per queéta;
quando ne si
tolgon le figlie
prè- testandooele per ischiave , e quando via
ne si porlan le
spose" co’ littori?
E se'ora che siete
tutti cinti di arme
la trascurate la
occasione e: quando mài \
quando il genia- di
libertà ripiglierete? -, XLU.
Ma iotaato cKe
egli parlava molti
gli promct- teanò, gridando,
la vendetta: e chiamati
a nomr i dnci delle schiere
gl’ invitaronó a por
mano aff impresa
; molli ancora , se
ne avéano riéeTuto
alcun danno , fa- ceansi coraggiosi innanzi,
e lo rivelavano'. 'Udito
ciò li cinque, capi
come ho detto
delle legioni, temendo
che la moltitudine facesse
qualche soròmossa ' Cóntro di
essi corsero- tutti 'al
pretorio e vi consultarono
con gli amici, se
poteanO chetarne il
tumulto cinti dalle
arme de par* '
tigiani. non si
tosto intesero che i
soldati eransi .tri* tirati
'nelle tende , che
caduto e cessato era
il tumulto , senza sapere
intanto che il
piò de’cènturioni aveva
con- giuralo occultissimamente d’
insórgere e liberare la pa-
tria ; destinarono , appena fosse
giorno , imprigionare Verginió che
istigava la^ moltitudine
, e raccolto l’ eser- citò
condurlo ed acc^parlo
tra’ nemici , . e desolarvi H meglio
elei lor lerritorj
; nè più' lasciare
chè ognuno investigasse Curioso
ciocché facevasi in
Roma , ma tutti perocché
, chiamato Vergioio ai
pretorio , i ceatnriooi non
permisero che v’
andasse pel sospetto
che vi peri» colasse: e scoperto
com’era ne’ratpi 'il
proposito di por- tare l’armata tra’ nemici.
Io riprovavano, dicendo:
Me- ramente ci avete prima
comandato benissimo, perchè ora
isperanzili vi seguitiamo
f Duci voi di
'tanta mili- zia , quanta ninna
ntai ne portò
da Roma f e dagli alleati non
sapeste nè vincere
, nè danneggiare i ne- miti.
V oi dimostrandovici odi , imperiti , colf accam- parci male , e col
desolare , quasi asversarj
, le terre nostre , ci rendes^
poveri , e bisognosi delle cose
le quali noi conqOistayamo
col prev/dere in
bailaglia , quando i nostri
capitani \ eran migliori
che voi. Ora il
nordico inalza contro
noi li trofei i il
nemico si. porta le cose
nostre; saccheggiandoci tende ^ schiavi y ottm, danari. . XLUl. Verginio
per la rabbia
, e perché non più temea
que’ capitani .inveiva
più libero conti»
di essi , 'chiamandoli corruttori
e distruttori delia patria,
ed ani- mando i centurioni a tor
le insegne,, e ricondursi
in Roma colle milizie.
Molti non ardivano
ancora movere le insegne , che
sono inviolabili ; né
riputavano cosa onesta e.
sicura abbandonare i loro
capitani ' e ^i co- mandanti ; perocché il
giuramento militare , die i Ro- mani avvalorano più
che tutti,, (à che il
soldato siegua i suoi comandanù
, dovunque Io guidino
: e la legge concede a questi
di. uccidere , nemmen giudicandoli
. gl’ indocili e li disertori.
Verginio, vedendoli tenuti
an- Digitized by Google ' LIBRO XI.
365 cora da tal
riverenza , mostrò ' loro che
La le^e stessa avea
sciolto quel giuramento
: giacché dea ehi
có- manda gli eserciti , esser scelto
a norma delle leggi
; e r autorità de’ decemviri
era tutt^ contro
le leggi, trapassalo t anno
per cui fu
destinata ; far poi
gli ordini di chi
comanda contro le
leggi non è ubbi- dienza, nè pietà,
ma demenza e furore.
Or ciò aden- do , giudicarono udire
il vero : e suscitatisi a vicenda
; e quasi dato lor
cuore’ dagl’ Iddi!; tolser
le insegne, e ne
andarono.' In mezzo
d’ indoli tanto
varie , nè tutte conoscitrici del
meglio, si rimasero,
co’ decemviri, com’è verisimile, centurioni
e soldati', minori però
molto, non eguali di
numero agli altri.
Quelli clie partirono dal
campo , viaggiando tutto
il giorno , giunsero
al far della sera
in città , seuzaqhè
alcuno ve li
annunziasse ; nè poco
la costernarono , credula cbe
giugnesse il ne> mica.
Adunque tutto tri
divenne clamore , moto
, di- sordine ; ' ma non sì a
lungo , da nascerne
òiale : pe- rocché quelli passando
pe’capi strada, vi
gridavano che eran gli
amici, e venivano in
bene della pàtrio:
e con- formarono le Opere ai
detti , non offendendovi alcuno. Recatisi ali' Aventino,' colle il
piò acconcio entro
Roma per accamparvisi, allogaronsi
presso il tempio
di Diana. Nel giorno
seguente fortificato il
campo, e destinati dieci tribuni
miljtàri , de' quali era capo' Marco
Oppio, sul comune , si tennero
in calma. XLIV. Dopo
non molto giunsero
in* sussidio loro con
molta milizia dal
campo di Fidene
i centuribni mi- gliori delle tre'
legioni , alienatisi da’
comandanti fin di allora
che fecero trucidare
, come ho detto
, Siedo il Digitized by
Google 366 DELLE AJITICHITA.’
ROMANE legato ; .e timidi
non pertanto di
cominciare i primi la ribellione
in vista . delle
cinque legioni delK
Algido , quasi fossero
amiclie ai Decemviri.
Ora però saputane la
insurrezione; acceuarotjo di
tatto buon grado
il favor della sorte
:■> anche di
queste milizie eran
capi dieci tri- buni eletti in
mezzo alla marcia
, ma Sesto Manlio
ne era il più
ragguardevole. - Congiuatisi tutti , e deposte le arme,
incaricarono i venti tribuni
a poter . dire e fare quanto dovessi
pel comune. .Elessero
di questi venti come
capi consiglieri i due
più rispettabili,. Marco
Op- pio, e Sesto Manlio. E questi
.formata un coùsigUo
dei centurióni maneggiavano tutto
,cpn,. essi. .Non
essendo ancor c^arl al
popolo i (prò disegni , Appio .consape- róle a ses tesso
di essere la
cagione di quella
turbolenza, e de’ìUali che ne
verrebbero, tenòvasi in
casa, non 'ehe ardisse far
pubblici atti. Sbigottì
su le prime
anche Spurio Oppio , costituito
, come lui , su
la città , quasi fossero ben
tosto per assalirlo
nemici, e fossato appunto per
questo venutL Quando
però vide che‘'uon
fàceano innovazioni]
rallentando le paure
^ convocò li Senatori nell.^ curia
, intimatili ad uno
ad ano per
le case. E ' standovi
questi ancora adunati:
ecco giungere i cpman- danii dall’ armata
di Fidane, irritati
che la milizia
avesse abbandonato T uno e.T
altro' campo , -.ed.
insistere col Senato perché
ne prendesse degna
vendetta. Ora do- vendo ciascuno dare
il sno voto
su questo. Ludo
Cor- nelio disse , porlqre il dovere ,che
tornussero i spillali 'ttcl giorno
stesso daW Avenlitto
lot' campi, ed ese- guissero gli ordini
des comandanti. Con
ciò non sa- 'rebhero
tenuti rei di
quanto s' era
fatto , so noti
gli Digitized by Google LIBRO
XI. 367 autori sali , della ribellione
; à qvudi imporrebbe la pena' il
duce ^medesimo : ma
se non ubbidwanq
; il Senato delibererebbe su
loro ,, camq
su disertori dei posti , affidati ad
essi da' capitani
, e come su viola- tori
del giuramento ipiUtare.
Lucio .Valerio gli
contrae riava (i).... Ma nè conviene
che no» facclaosi
af&tto' pa- role delle-
leggi romane ehe
troviamo nello dodici
tavole, essendo tanto venerande
e più insigni delia
grecai legi- slazione ; nè conviene
che sen facciano
oltre il dovere , prolungando la
storia delle leggi
medesime. -- - XLV. Tolto
il decemvirato ebbero
i primi ne’oomizj cenluriati la
dignità consolare, dal
popolò come ho ‘detto Lucio Valerio
Potilo, -e Marco
Orazio Barbato (2),
uo- mini popolari per indole,
come per educazione
eredi- tari*'. Fidi alla promessa
che avcan fatta
al popolo quando lo
indussero a, deporre
le armi , di
maneggiare sempre il governò
in suo bene ;
stabilirono ne’ coraizj centuriati, mal
grado i palrizj che
vergognavansi di re- clamarvi , oltre le leggi
che non rileva
qdi scrivere , anche quella
coUa quale ordinavasi , che i decreti
faixi dal popolo ne
comizj per tribù
valessero conìé i de- creti emanati ne'
comizj ceniuriati per
ogni classe di cittadini
;■ sotto pena t
in caso 'di convinzione
, per chiunque^ abrogasse o trasgredisse questa
legge, della (t) Qdì
miaca 1’ aliimo SYÌluppo
de* fatti co*
quali fa tolta
la eppreaaione Decemvirale. -Perdita
non ignobile ; traltSadoYiti di uno
de* graudi oambiameati
di stato. . . , *• (a)
Aeuo 44^ avanti
Cristo , dalla fondaiiooe
di Aoma ,3o6
se- condo Catone^ Quest* anuo è
tralasciato nella cronologia
di Varroue e però/ le dne
cronologie differiscono dopo
questo per un
anno solo, non per
due com^ per
I* addietro. ‘ Digilized
by Google 368 DELLE
Antichità’ romane morie e della
confisca de'heni. Questa
risoluzione levò le controversie
tra’ plebei e tra'
patrizj , i quali ricusa- vano di ubbidire
ai d^eti latti
dai primi , e riguar- davano i
decreti emanati ne’comizj
per 'tribù come leggi singolari di 'esse
non 'come universali
di' Roma intera: laddove ciocché
fosse stabilito ne’comizj
per centurie lo riputavano
ordinato a sestessi come a
tutti i cittadini. Fu gié
détto innanzi che*
ne’ comiz) per tribù
li poveri e li plebei
prevaleano su’ patrizj , come
i patrizj/ quan- tunque assai
minori di numero
, prevalevano su’^plebei ne’ comizj
per centurie. » ' ' . • XLVI. Stabilita
da’ consoli questa
legge con altre leggi , fautrici ’anch’
esse , 'come ho
detto , del popolo
; ben tosto i tribuni
credendo vénnto il
tempo di vendi- cami di Appio
e de’ colleghi di' esso, pensarono
d’ in- timar loro il
giudizio >e chiam'arveli
non tutti insieme perchè gli
uni non giovassero
gli altri ; ma
l’ uno dopo l’altro, su
la idea di
convioceryeli più facilmente.
Ora considerandu su chi
prima incominciassero più a
pro- posito , deliberarono mettere in
istato di accusa
Appio , il più esoso
al pqpolo per
le oppressioni , e per le in-
degnità recenti contrò la
vergine. Parea (oro
che assi- curatisi ''di questo , disporrebbono' facilmente
pur degli altri; laddove
se cominoiassero dai
men furti, parea
loro che l’ira de’ cilladtni , calda oe’ primi
gludizj« s’inde- bolirebbe,
come spesso accadde,
per giudicare in
ultimo i rei più segnalati.
Deliberato ciò ,
sopravvegliarono i rei ,(j)
ordinando a Verginìo di
accusare Appio', senza , * ' t • • |i) Cioè
gli aliti DeceniTiri
aùìaebè non soccorceMcto
Appio. Digilizet; by Coo^e LIBRO
XI. 369 nemmeno decidere
colle sorti chi
Io accusasse. Appio dunque
accusato da Yerginio
nell’ adunanza fu citato
al giudizio del popolo
, e chiese tempo per
giustificarvisi. £ siccome non si
ammisero per v lui
mélievadorì ; ■ fu tratto in
carcere per custodii^elo
finché di lui
si giu- dicasse. Ma prima
' chu giùngesse il
di prescritto pel giudizio
mori nella carcere , per
opera come molfi
so- spettano de’ tribuni : ma
secondo che divulgarono
altri, che li discolpano , egli, appiccò
sé medesimo. Dopo
lui fu tradotio al
popolo Spurio Oppio
da Publio Numi- torio
altro tribuno : ma',
dategli, le difese , vi
fu con- dannata a pienissimi voti :
e portato in carcere
fini nel giorno stesso
la vita. Gli
altri decemviri pfima
di essere necessitati al giudizio
, ■ condannarono sestessi all’
esilio. 1 questori incorporarono all’eràrto
i beni degli uccisi
e degli esuli. Fu
nommeno citato Marco
Claudio quegli che si
accinse a tor via
come schiava la
donzella da Icilio lo
sposo : ma preiéstando
i comandi di Appio
fu scampato da morte
^ e 'gettato' in esilio perpetuo.
Gli altri' ministri ^elle* ingrastizie 'dèi decemviri
non .subi-' irono giudizio
pubblico ma diedesi
a tutti la impunità. Suggerì pari
economìa Marco Duilh'o
il tribuno per essere
ornai turbati i cittadini,
e. timorosi di -essere
fi- nalinente anch’ essi
giudicati. XLyiI. Chetate le
turbolenze interne', raccolto
il Senato, decretatio che
esca immantinente T armata
con* tro , a’ nemici.
Ratificato dal popolo
il decreto del
Se- nato, Valerio l’uno de’ cònsoli
, marciò eoa metà
delle schiere contro gli
Equi e li Yolsci
i quali miliuvano ' PtOSIGt ,
itmo III. .- 370
DELLE antichità’ ROMANE insieme. (Consapevole
però thè gli
Equi , imbaldanzili pe’ vantaggi-
precedenti, elevavansi fino a
sprecar gran- demente la milizia
romana , cercò renderli
ancora più temerari e vani
con'^are di sé
vista ingannevole, pra
de’ Romani r -ma
dimostrando r cavalieri un
ardor sommo ottenne una
segnalata vittoria , - nccisivi
molti nemici , imprigionativene
pii^ ancora , e preso'
i loro alloggiamenti
dereKtti. IvÙ trovò •molte
provvigioni da guerra, e tutta
la preda già tolta, dal
terchoi^'dé’'Ro- mani : anzi'
detenuti molti de’ suoi
che liberò; non. es- sendosi alTretlati i Sabini
pel disprezzo che
aveano del nemico a riporre
in sictirb 4anti
loro vantaggi. 'Adunque diede a’
soldati la roba
nemica , preelcggeudone ciocché
era da
offerire agl’ Iddii
1 ' ma ‘ rendette te
prede a chi n^era stato
spogliato. ‘ XUX. Fatto
ciò ricondusse 1’
eserdto in Roms
ove giunse)- contemporaneamente
anche . Valerio : ambedue sentivansi grandi
per là vittoria
, e' se ue
auguravano luminosi trioufi. Non
però uiccedette cobi’
essi ne spe- rayano
.imperocché Raccoltosi il
Senato' per essi
'dtie- efae stavansi coli’
esercito sul campo
-Marzo , ed esami- natine'le gesta
, non accordò loro
il sagrifizio per 1»
vittoria : essendo oontrarìati
da molti. , e da alcuni
ma- nifestamente , soprattutto
da Cajo Claudio
, zio come scrissi di Appio,
vuol dire del
fondatore dei decemviri, e tolto non
ha guari di
mezzo .da’ tribuni.
Cajo ricor- dava le leggi
colle quali ajrean
essi ‘ diminuita rautorilà del
Senato , e ricordava le altre
maniere da essi
tenute perpetuamente ' nel gorernare
: ricordava ‘ le morti
o le conCfohe'de’beni
dc’decemviri, traditi da esu ài
tribuni 37» DELLE ANTICPITA’
ROMANE contro i patti ed i
giuramenti essendosi in
mezEO alle vittime convendta
tra’ patrizi e tra’
plebei la dimenti« canza, e la
impunità su tutto
il passato. Protestava
cbe Appia non era
caduto morto innanzi
al giudizio di sua
mano , ma per
malizia de’ tribuni
: aflìncbè nell’ essere giudicato non
ottenesse nè difese , nè
misericordia : co* me polea
ben ottenerle , se potatalo
in giudizio metteva ÌDuanzi al
guardo la nobiltà
della sua gente,
e le molle beoefìcenze di
essa verso la
repubblica ; se reclamava
i giuramenti e' la buona
^fede- su la quale
gli uomini ri- posano) e rendonsi a far
pace; se veniva, co’ suoi
figli» co’ parenti., jn
àbito di umiliazione
; in somma con
-gli altri modi pe’
quali uo popolo
si disacerba , s’ intene- risce, e perdona. '{fra tali
rimproveri dati loro
da Cajo Claudio , e da altri
presenti , fu coucluso , che si
con- tentassero i' due, di
non pagarne le
pene: del resto
non essere nemmeno in
picciobssima parte d^gui
del trionfo, o ,di concessioni
non dissìmili. L. Valerio
ed il coUega
esclusi ^al trionfo
,' lenen- dosene ofTcsìssimi , e
sdegnandosene ; convocano il po-
polo , e vi accusano vivamente
il Settato. .Peroravano per loro i
tribuni^ e proposero e ne
ottennero dal po- polo il
trionfo: ed essi
..primi di tutti
i Romani pro> dussero tal
cot^uetudine.* Dopo ciò
rinacquero ‘i dissid), e le
incolpazioni tra’ patrizj
f e tra’ plebei. Li
tribuni raccendeano questi ogni
giorno concionandoti. Irriuyali soprattutto il
sospetto cbe li
tribuui cercavano di
cor- roborare con romori incerti , e di amfdìare
con divina- zioni varie, come
se li patriz)
fossero per' )tnnienUre
le leggi stabilite dai
consoli, Valerio e suo
collega: c quel Digitized by
Google LIBRO ’XI. $7 3
lupetto ornai tanto
prevaleva che degenerava
la fede. E tati sona
gli eventi di
qnel consolalo. LI. Nell’ anno
appresso foron consoli
Laro Erminio, e Tito
Verginio (i). Snccederon
loro Marco Geganio..>(a). LH. Nè
rispondondo essi, ma
sdegnandosene; Scatùo fecesi di
nuovo innanzi e disse
: ecco o cittadini che si
concede dai litiganti
medesimi che essi
pretumonb, parte che a lor
non compete f della noslrà
campagna', or voi considerando
ciò decidete ciò
che é giusto e congruo
co' giuramenti. Scattio
cosi diceva : ma i
con- soli ardevano dalia vergogna
in riflettere , che
il giudi* aio prenderebbe
un ' termine . nè giusto
, uè onorato , se’ il
popolo il quale
qiai non aveast
attribuito ' la campagnar disputata, ora,
elettone giudice, se T
attribuisse , con toglierla ai litigami.
Adunque ad iscansare
èiò si ten- nero dai
consoli" e dai capi
del Senato molli
e molti discorsi ; ma ihvauo.
Impetocchè quelli' che
aveano pi- (i) Ando
di Roma 3o7
fecondo Catone,, 3o3
fecondo Varrone , e 445
*v. Ctifio. .-(a) E C.
Giulio secondo che
si ricava dà
Livio. Net consolato di
Erminio e venissero persuasi in
contrario , annullerebbero alcuna delle
rìso- kizioni proprie. LV.' In
vista di .tali
minacce .adunati gli
Ottimati Ji piu anziani
e principali da' consoli
a consiglio privato , ponderavano
ciocché ''fosse da fare.
Cajo Claudio come U men
popdiarc , ed erede
degli antenati in
tal genio di procedere,
inculcava ostinatissimo, che
non si ce- dessero al popolo
né i consolati , nè altro
magistrate qualunque; e che senza
riguardo di persona . privata o pubblica
si frenasse colle
armi , se. non l'eodeasi
per le parole, chiunque
tentasse il contrario.
(mpero.cché chiun- que
tentava sommovere le
patrie costumanze o discio- gliere la forma
primitiva del governo
era non cittadino ma
nimico. Per 1’
opposito Tito Quinzio
non voleva che si
reprintessero gli avversari
colla violenza , .né si
venisse alle armi ed
al sangue civile
colla plebe: tanto
più di- ceva che. -noi
abbiamo contrarj i tribuni , che i nostri padri dichiararono
sacri ed inviolabili;' facendo igenj
e gl' fddj mallevadori
dell’ accordo con
imprecatone gra- vissima
delia rovina loro
e' de’ figli , se
da indi in poi
lo avessero mai
violato anche in
parte. LVI. Accosta vansi . a
questo partito . ancor
gli altri chiamati a'
congresso , quando. Claudio
pigliando la pa- rola disse : Non
ignoi*o quaji Jòndamento
pongasi di mali, per
tulli noi,, se^-concediamo che il popolo
fac- ciasi a volare su questa
legge': ma non
avendo cosa pià farmi,
nè come resistere
a voi; che tanti
siete ; ahbattdonomi ' ai vostri
consigli. Ben è giusto
cJte Digilized by Google LIBHOXI. . 377 ognun dica
Ciò che sente
deU util comune:
ma poi siegua ciò
che i più ne
conchiudono. Jar, eome
esortasi in c^fan che
aggravano , nè si vogliono , vi
esorterei che non cedeste
nè ora nè
poscia il consolato
a ninno, se non ai
patrtzj , i quali è giusta è pia
cosa che lo abbiano
: ma qustndo come
cd presente , siete
alla n«- cessità ridotti
di far partecipi
anche gli altri
cittadini del grado e del
potere più grande
; vi dico che
assu^ miate i tribuni militari
in luogo de'
consoli , defineie- ione un numero
{ otto -o sèi
forse, chè tanti
credo bastarne ) riel quale
i patrizj e i plebei si
pareggino. Così Jrscendo nò
renderete il córuolato
magistratura di uomini indegni
ed abbietti •,
oè parrete per
voi f ohe hricare un
comando ingiusto , coll escluderne
affatto i plebei. Ed approvando
tatti , senza reòlamt>
niuno un lai voto}
udite soggiunse , .ciocché restami
a dire a voi consoli. Prefisso
il giorno in
cui^ stabiliate quel
previo decreto ^ e ciò che
daf Senato si
giudica , lasciale che
parlino su Ha
legge chi la
difende e chi C accusa.
Fi~ mia la disputa
, quando fio t ora
d’ irttendeme i voti, non.
vogliate da me
cominciare , non da, codesto
Quirtr zio , nè' da altro
seniore ma dsU
popolafissimo sena- tore
Lucio Valerio; interrogando
appresso Orazio , se punto
vuol dire, Bicercate
così le .loro
.sentènze , or- dinale che
noi seniori diciamo.
Jq sporrò liberissirrta- mente il
parer mio 'contrqrio
ai tribuni ,• e
fa questo [ utile della
repubblica. .Questo Tito
Genuzio , se il volete, dia
la proposta su*
tribuni militari. Parrà
que- sto il partilo più
congruo e meno sospetto
se proget- tisi o Marco Genuzio-
dal tuo fratello.
I( consiglio sena- l Digitized by
Google O'jS DELLE antichità’
ROMANE brò giusto , e parlironsi' dU
oiAigresso. T^merbuo i tri* buui
la secretissima aduuanza,
come intenta a gran
danno de’ plebei , perché fatta
in casa , _ non
in pubblico , e senz'
.ammettervi alcuno de’ capi 'del
popolo. Adunque raccogliendo anch’
essi un consiglio
di uomini , amantis* simi- della
plebe ^ idewono ript|ri
e guardie contro le iusidìe
che aspeitavansi da’
patrizj. . LVIL Giunto il
tempo preacritlo per
fare 'il previo decreto , i
consoli convocato il
Senato , ed* esortatolo
grandemente al buon
ordine ed alla
concordia; invitarono, prima di
ogn’ altro j a parlare
i tribuni deUik. plebe,
i quali propónevano la
legge. Fe^i avanti
Cajo Canule)o, un di
loro ; ma egli
non che dimostrarla , bon mentovò nemmeno la
giustizia e la utilità
della legge. Diceva
c/te si stupiva de
consoli che avendo
fra loro ponderato
ù deciso ' ciocché jsra
da fare , ora
quasi pi abbisognasi sero consigli
e decisioni , metteansì a
proporlo ai Pa» dri
, e 'davano- facoltà di
cBingaxyi con simulakione non cbnvèniente
nè alt età
loro , r\è alla '
grandezza del comando. Diceva
che irttroducevan t esempio
di tristissime' pratiche , quando
umvansi in casa
et con- gressi recondite, jtè
vi chiamavano tutti
i Senatori , ma i soli
favorevolissimi loro. E qui
soggiungeva che poco faceva^li meraviglia
che fossero esclusi
da^quel coa- 1 sigho edtri
sonatori;, ma ^grandissima
gliene ftcevache 'avessero tenuti
indegni da invitarveli
Marco Grazia, e Lucio L aierio , qaell( che
avetìno . tolto il Decemvi- rotò, ambedue
uomini consplari %nè
idonei' -men di chiunque a deliberare
su la repubblica:
lui non poter, concludere appunto
In cauta .di
tal procedere ; indovi- Digitized by
Google LIBBO XI. . 379 nco
iie però quest'
unica: valé^ a direi
cfie essendo essi per
allegare -disegni' ingiusti trovinosi
alla piche, non vollero,
convocarvf persone di
essa amantissime , per- ' chè
sdegnate arti popolaresche
; numerando fin da
principio, tutti i |>ericoli venuti
su Roma per
colpa di quelli
phe vole- vano conU'ario governo;
rilevando come l’odio
versola plebe crasi renduto
dannoso a quanti lo
ebbero; e lo- dando
amplìssimamente il popolo
.come, autor principale delia libertà
e del comando delia
repubblica; alfine ra- gionate queste e simili
cose , concluse non
poter e^ser libera quella
città dalla quale
tolgasi /’ eguaglianza
z e quindi sembrare a lui
giusta, la legge
la- qual vuole che concorrano
al consolalo/ tutti
i Boinani purché siano irreprensibili ne
costumi e degni per
le opere di lai
tanto onore : non
essere però, quello
il tempo oppor- tuno da trattare
legge siffatta in
tanta turbolenza di guerra
per la repubblica.
Pertanto consigliava, ai
tri- buni di permettere che
si réclutassèro i soldati,
e che reclutati uscissero: ai
consoli poi di
pubblicare, appe-j \
Digitized by Coogle V',
i.iBHó xr.' '* 38
1 na detto buon
alla guerra il
previa decreto su la
legge: e si scrivessero
e si corueruissero fin
et alloratali cose
da ambe ’ie, parti.
Ta^è fu la
senteuza di Va- il
secoudo da*' consoli: non ^ però
ne fu pari
1* affetto io tutti
gli astanti. Imperocché
quelli, che voleaoo
preclusa la legge, ne
udirono f!Ot> piacere
la dilazione , non'peré con piacere
ne adirono éhe
essa dovesse decretarsi
dopo la guerra: air
opposito quelli che
volevano che sì ac-
cattasse la legge dal
Senato iotesero con
trasporlo che giusta si
dichiarava : ma con
isdegno intesero che se ne ritardasse
il decreto. ■ j > LX.
filato taraulto ('oom' è verisimile , perchè
questa sentenza non soddisfaceva
in tutto ad
ainhe le parti , il console fattosi
innanzi interrogò per
il terzo Cajo
Claudio il quale sembrava
ostinatissimo e/ potentinimo
fra tutti i primari della
fazione opposta alla
|>lebe. Costui tenne un
dùtcorso premeditato contro
del popolo-, rilevando
di luì tutte le
cose che gPien
parevano contrarie a begli usi
della patria, fra
lo scopo principale
ove tendeva il dir
suo, che i consoli
non pcoponessero al
Senato l’^esar* me di
quella legge nè
allora' - uè mai , ooine
diretta a distruggere il
comando degli Ottimati,
e confondere ogni buon ordine.
Cresciuto a tal dire
il tumulto , sorse in- vitato il
quarto , Genuzio , fratello
dell* a^tro con- sole.-Costui j discorse
breveménce le circostanze
della città, e come la
cótnplicav^^no all* uno o
all’ altro disastro , o di far
prosperare ^i nemici
per la discordia
e 1* ambiziojie de’ citudinij
e, di dare mal
termine alla guerra
interna e domestica .|>er espedirsi
dajl’ altra che le era
portata Digilized by Google 38 2 DELLE A^ìTICHITA’
ROMANE di fuori, disse,
che essendo' due i maiì'
ed essendo ne- cessità d’ inwyrreme
, loro mal grado,' l’^udo o Y altro , credeva coufacevole
ai Padri lasciar
che il popolo
urtasse alcune istituzioni proprie,
anzi che rendere
la patria Io scherno
di forestieri' e nemici^
E cosi dicendo" propose la
sentenza approvata nel
congresso di ^elli
che si erano in
casa riuniti , sentenza come
io dichiarai suggerita
da Claudio , che si eleggessero
ift luogo de'
consoli i tri- buni militari , tre de’ patrizj , e tre dd
plebei , tutti con' potestà
superiore : chè quando
-^nìrebbefo questi il lor
tempo, e si dovrebbero
creare i nuovi magistra- ti ; allora unitisi
di bel nuovo
il SerUUo ed
il popolo decidessero quali
più voleano riassumesre
al cornando li tribuni
militari o li consoli
: che per valido
si tenesse quello che il voto
comune destinerebbe: e che
pari decreto si rinovpsse
ogni anno. ■ , ' ' LXI.
Eu la opinion
di Genuzto acclamata
da tutti: e gli altri
che sorsero a sentenziar
dopo lui -la
tennero, quasi tutti , per b migliore.
' Se ne stese
dunque da' consoli il
decreto , ed i tribuni della
plebe , pigliatolo , oe andarono
, tripudiando, al' Foro. E convocatovi
il popolò, vi lodarono
amplissimamente il Senato^
e vi di* nunziaronoV cbe
doncorresse pure a’
magistrati .‘insieme co' patrizj
chiunque il volea
de* plebei. '.Se
non- ohe il desiderio
senza cagione , Speciàlmemc' nel
popolo ^ è per sé" dori
vano, e cori pronto
' a dar luogo arcOnirario
; ohe quelli i quali
facevano ogni prova
per essere a parte
' del magistrato , risoluti
se non concedeasi
ciò da’ patrlz}, di abbandonare
la patria come
1' avevano abbandonata altra volta
, o dì usurparselo colle
armi , ottenutane ap*
Digilized by Google LIBRO
XI. 383 pena la
pertnissione , rattemperacono
sestessi , e rivolsero altrove i
loro favori. E quantunque
molti de’ plebei
aspi- rassero al militar tribunato,
e" facessero per giungervi insistenze caldissime
; non riputarbno alcuno
degno del grande onore.- Cosi
quando vennesì al
voti nominarono al militar
tribunato tra’ patria)
che yi còneorrevano
, Aulo Sèmpronio Atratino^ Lucio
Attilio Longo, e Tito
delio Sieelo. . ' ; . y ‘ ^ ■ i *
LXn. Questi assunsero
i piWi qu^ grado
in luogo del consolare
nell’ anno terzo
della olimpiade ottante- sima quarta essendo
Di61o arconte in
Atene (i): ma ritenutolo
settantatrè' giorni lo deposerq
secondò gli usi della
patria’ spontan^atOébte ;• perché
alquanti segni ce- lesti vietavano loro
il maneggio de’
pubblici affari. ' Le- vatisi questi dal
comando; il Senato- si
raccolse, e no- minò gr;ìn(errè. U quali
prefìssero il tempo
de’ comizj e proposero; da
risolvere al popolo
se voleat rieleggere li
tribuni o li «008011 1 il
popolo decise attenersi
agl) nsi primitivi; ed
essi cont»derono che
chiunque il volea
de* palrizj concorresse al
consolato." Adunque si
elessero di' nuovo i' consoli’ dell’ ordin
patriuo , e fuf'onò' Lucio
Papirio Mugiliano , e Lucio Sempronio
Atratino , fratello di uti de*
tribuni che s’
eran dimessi. Dond*
è che furono in -fiLoma
tu un anno
stesso due magistrature
supreme. Non però comparisce
1’ una e l’ altra
magistratut^ in tutù gli
annali Romani : ma
in alcuni trova'nsi
i 'soli tribuni, (i) Aodo
di Roma 3ii
$ècon{lo Catone, 3ia secondo Varronc
, e 44* ^v. Ccisle.
Tilo Livio dice
cbv i tribuni militari
entrarono maghtraii sul termidare
dall* anno 3io ,
e perciò toccarono anche l’inno
3 11. Digitized by Google 384
DELLE Antichità’ romane ÌD
altri i consoli soli , osservandosi in non molti
T .una e r altra. Noi ci
atteniamo agli ultimi
nè senza ragione, affidandoci alla
testimonianza de' libri
sacri «'recònditi. Sotto, questi
consoli nou occorse
altra cosa civile
o mi- litare degna di ricordanza;
fecesi però trattato
di ami- cizia e di alleanza
colla cidi degli
Ardeali , peroccliè spedirono
ambasciadori , pe* qliali , lasciate le
querimonie intorno la campagna
, dimandarono di essere
gli amici e gli alleati
de’ Romani. I consoli
ratificarono questo trattato.
LXIII. 11 popolo
confermò co' suoi
voti che si
cf'eas* s^ i consoli anche
per 1’ anqo seguente
; e nel. pleni- lunio di Dicembre
presero il consolato
Marco. Geganio Macerinó per
la secotula volta , e Tito Quinzio
Capi- tolino per la quinta
(i). Questi rimostrarono
mentre i più inutili
e più svergognati eran
fuori ài ogni registro, e cangiavano
luogo con luogo
affine di viverci come
loro piaceva. , i. (i)
Addo di Roma
3ia se'coado Catone,
3i3 seeuado, Yatione
, 41» ar. Cristo. Digitized by
Googl SUPPLEMENTI E FRAMMENTI
DEI NOVE
LIBRI PERDUTI DELLE ANTICHITÀ
ROMANE DI DIONIGI DI ALICARNASSO. DZONlGt, fmo
Ut. Digitized by Google Digitize(J by
Googli 387 IL TRADUTTORE AI LETTORI. U tomai dì
AUcartiosso scrìsse le
Antichità Ro- mane dalie orìgini
di Roma fino
alla prima guerra Punica
in venti libri
estesissimamente , e di questi,
poi diede un
compendio in cinque
libri come fu già
detto nella prefazione
al tomo primo.
De' venti libri perirono qualche
parte deW undecimo
, e tutti i nove ultimi ,
salvo alcuni frammenti
pubblicati più volle e ridotti in
fine secondo P ordine
de' tempi in ciò
che narrano. ’ Avendo
io trasportato nel
nostro idioma gli
undici primi libri, e li
frammenti già noti
de' rimónéitti, fu tutto
dato in luce U
anno ii5ia per
Fìncenm Pog- gioli, editore in
Roma della Collana
Greca tradotta in Italiano.
Quattro anni appresso
però , cioè nel 1816, apparve
in Milano una
stampa Grecolatina della quale
il titolo latino
è: DiONTsii Halicarnassei RomaDarum AntiquitaUim
pars hactenus desiderata
nunc denique ope codicum
Ambrostanorum ab Angelo
MaJO Ambrosiani Coliegii doctore
, quantam licuit , restitala.
Quella stampa comprende
gli antichi frammenti
dei nove libri smarriti,
e parti riguardevoli derivate
dal compendio, collocate prima
c dopo di essi
frammenti Digitized by Google 388 per ordinare
un tutto il
quale dia compenso
e lume di ciò che
erano i nove libri
perduti di Dionigi. Jn
questo letterario ordinamento
ci si dà
ciò che si è trovato
, e non sopra. Del
resto la versione
la- tina è precisa ,
corrispondente , elegante , buona
, anzi molto : te
note opportune , nè vi
si desidera di- ligenza : e ciò basti
su quell’ opera. Considerando come i
frammenti veri de’
nove libri presentati di
nuovo in quella
stampa erano già
vol- garizzati , C editore in Roma
della Collana Greca tradotta, cercò
più volte di
avere anche il
volgare di que’ supplementi
raccolti come si
potè dalla Epitome o Compendio di
Dionigi: ed uUirnumente
vi aggiunse pur le
sue premure il
nuovo editore in
Milano della Collana' Greca ,
presa la
occasione dal valersi
egli ancora della mia
traduzione. Su tali
istanze ho con- segnato il volgare
di que’ Supplementi
ordinato coi vecchi frammenti
appunto come si
ha nel testo
Gre- colatino. E ciò è quanto
basta a dar luce
alla giunta seguente. Roma aa.
Settembre i8a3. Digilized by
Google V 389 DELLE ^
ANTICHITÀ ROMANE DI > . • ‘ DIONIGI ALICARNASSEO LIB^lO. DUODECIMO.
• SDPPLEMENTI (i). i • £jglI avendo
radtinato Intorno a sé
uomini di ogni reo
genio, li nudrìva,
quasi fiere, contro
la patria. (i) Suppiementi.
Cos\ li chiamo
per dittiogaerli dai
Frammenti. Qnetti tono parti
vere^ dei libp
perduti f gli altri
tono parti deri- Tite
dal compendio de’ Tenti
libri delie anpchilà
di Dionigi troraio in
Milano ueil’ Ambr*>a°a io due dodici,
l'nno intitolato: Di
Dio- nigi di jilicarnatto Archeologo
Romano t l’altro: Dionigi
di Ali— tarna$$o Archeologo
dplle cote Romane.
E chiaro che questo
titolo i dato da altri.
Li supplementi avran
sempre doe TÌrgole
in prin- cipio ed in
fine dei paragrafi
per dùtiognerli dai
frammenti., Digitized by Google 390
DELLE antichità’ ROMANE Tuttavia se
ascoltava me , se confofmavast
alle leggi , egli faceva
un gran colpo
per la difesa
, dando segno non piccolo
di non aver
cospirato. Ma sbattuto
dalla sua cosdenza si
ridusse dove quelli
si riducono, i quali siegnono scellerati
disegni contro dei
loro più congiunti; deliberò di non presentarsi
al giudizio ; e respinse
a colpi di mannaja
li cavalieri spediti
su lui (i)
.... li suolo -della sua
casa i Romani Io
chiamano equimelio:
conciossiacbè equo è detto
da loro , ciò cbc
non ha prominenze. Cosi
il luogo soprannominato Mclio
in principio fu di
poi detto Equimelio
alterandosi i dne nómi in
un solo (2) ».
II. « Guerreggiando i Tirreni , i Fidenati , e li Ve- jenti
co’ Romani (3j , « Laro
Tolumuio re de’
Tirreni segnalandovisi
spaventosamente ; un* tribuno
romano , Aulo Cornelio
cognominato Cosso, spronò
il cavallo su lui.
F attisi a combattere già
moveano ai colpi
le aste ; quando
Tolumnio feri nel
petto il cavallo
dell’ emulo , talché
il cavallo ne
infuria e lo atterra.
Ma Cornelio internando I’
asta per lo
scudo e 1’ usbergo
nel fianco di Tolumnio
rovesciò pur lui
da cavallo. Ben
sorgea questi ancora ,
quando fu colto
nell' anguinaja. Con
ciò Cosso Io ucdsc
e lo ' spogliò , non solo
respingendo quanti accorrevano fanti
e cavalieri , ma disanimando
e t . (1) Qo«sla h parte
òel discorso di
Cineinnato sa Spn^o
Melio Deciso come reo
di ambita lirannido. (a) La
occisione di Spurio
Melio co4) corre con
l’anno 3r5. II libro
XI di Dionigi
non eccede 1*
anno Sia. Pertanto
cib ebe manca a dar
conliuna la storia
delle Àniichiià Romane
con quella del
Coca- pendio b la serie
dei fatti dell’
anno 3i2 e dell!
due sdenti. (3) Anno
di Roma 3i^. •
Digilized by Google • LIBRO XII. '
391 impaurando quanti erano
alle mani neN'
uno e nell* al- tro cornò
»• IH. « Essendo* consoli'
ntiovamenie Aulo Gjmelio Cosso, e Tito
Qtrinzio (i) ; penuriò
la terra per
gran siccità; mancando non
che le pio^e,
fin le acque
nelle sorgenti. Donde nniversaie
fa lo scapito 'di
pecore, di giumenti , di bovi :
e moitè -fra gli
uomini le. malattie , quella principalmente che
scabbia à detta, assai
molesta per lo rosore
nella cute , c più Rtolesta
ancora se inni- ceravasi : infermità
miserabile in vero , e cagione solle- citissima di rovina
». IV. .... « Mal
sembrava a’ primarj
del Senato ad- dimesticare il popolo
alla pace e prolungargliene la
cal- ma , sul riflesso che
per la pace
si schiudono in
città , vizj , piaceri , e sedizioni , e solean
queste prorompere ad ogni
occasione , difficili nè
interrotte , appena si lo- gliean
le guerre di
fuori .... E meglio
superar 1* ini- tnico
beneficando , che punendo : imperocché
di là sie* gue
se ' hon altro , almeno la
speranza loro più
dolce sopra de’ Numi V.
. . a Appena conobbe che i
nemid Io
assali- vano alle spalle , chioso
com’ era per
ogn’ intorno da, essif
disperò di retrocedere.
Egli tenea grave
sul cuore che nel
pericolo comune , essi pochi
contro de' molti , essi
gravati dalie arme
conira milizie leggere
perireb- bero turpissimamente
senza dar segno
di opera generosa. Adunque vista
un’ allora conveniente nè
lontana destinò di occuparla
» VI. « Agrippa Menenio,
e Publio Lucrezio e Servio (3)
Anno di Roma
3i6. Digitized by Google ' 392
DELLE Antichità’ romane Nauzio
tra gli ODorì
di tribuai militari
scopersero and insurrezione di
servi destinata coaUx>'di
Roma (1). Di- segnavano i congiurati dar
fuoco tra la
notte in un tempo
a più case in
più luoghi, e quando
vedeano gli altri intenti
a reprima. 1* incendio
, allora invaderne il Campidoglio, ed
altre parti munite,
e quindi provocare ad esser
liberi lutti gii
altri Servi, e.
con essi ucciderne i padrom', onde
averae le mogli
e li, beni. Manifestatasi la prauca
, i capi di essa
furono presi , battuti , e cro-
ciassi : e que’ due servi
che la manifestarono, ottennero essi la
libertà veramente , e miUe (2)
dramme a testa dal pubblico
erario a. . ' . , VII.
Adoperavasi il tribuno
romano a compiere la guerra
iu pochi giorni,
come lui che
credea facilissimo, e quasi posto
nelle sue mani ,
sottomettere còn una batuglia
i nemici. Per contrario.Jl
comandante nemico
apprendendo la perizia
de’ Romani tra
le armi , e . la costanza ne’
pericoli , non avea cara
una battaglia in campo
aperto con pari
circostanze; ma Uaeva la guerra tra
le arti e 1*
inganno , aspettandone chq
gli si pre- sentasse un vantaggio
(3) . . . . ferito e morto
venuto appena ». , , Vili.
« In quest’anno fu l’
inverno rigidissimo, in Roma
(4) , tanto che dove
la neve caduta
era meno , ( i) .tnno
di Roma 335. ^
(a) Il
mille mauca oel
lesto. È presso a pòco
il nomerò pbe
dee supplirai consideralo ciò
che se ne
ha presso di
Livio lib. 4,
o. aS. (3) Questo
racconto consente per
qualche modo con
ciò che narra Livio
net capo 4^
del libro quarto
, intorno la disfalla
dei Romani contro degli
Equi. ' r ^ (4) Anno
di Rema 355. Digitized by
Google LIBRO XII. 393 ivi
era alta li
sette piedi (1).
Vi perirono alquanti
uo- mini, e molte greggi, ed
altro bestiame non
poco, so- praffatto dal gelo o
dalla fame per
mancanza de’pasccdi. Le arbori
firuuifere inusitate alle
grandi nevi o perirono in
tutto, o seccate ne’ tempo
in tali regioni
alquanto più boreali del
mezzo , seguendo il circolo
parallelo il qual viene
per 1’ Ellesponto
sopra di Atene.
Allora, per la prima
ed unica volta
1’ ambiente di
questa regione si allontanò
dalla sua temperatura
fa) a. IX. « I Romani
fecero le feste
dette letxistermi nel- r idioma, dei
luog.o. Or furono
ammoniti a tanto pe’
li- bri Sibillini: giacché gli
astrinse a consultarne l’ oracolo nn
morbo pestilenziale mandato
loro da' Nomi , nè
sa- nabile'per cura umana.
Adunque acconciarono, come voiea
r oracolo tre ietti , T uno
ad Apollo e Latona
, r altro ad Ercole
e Diana , ed il
terzo a Vulcano e Nettuno.
Fot per,s?'tte giorni
fecero pubblici sagrifizj
, come pur fecero,
ciascuno secondo le
forze sue, private offerté ai
Numi , e conviti sontuosi ed
accoglienze di forestieri (3) ».
« ^ , I I ' (1) Livio raeconu
I. ▼, c.
i3 cb« il Tevere non
pelea navigard. (3) Questo
fraocbiaaiUko tcnvere & desiderare le
cautele dell’aa- tore dei
veoli . libri delle
Aulichità Aooiaae. Le
muiasioai anche rarieeime dcll'elmosfera ooa
perché non sono
scriue pel tempo
paa- laio , può concludersi
che non avvenissero
mai piò . (3j Livio
parla di ul
festa nel lib. t
, 0. i3 , la dice
occorsa Digitized by Google 3p4
DELLE ANTICHITÀ,’ ROMANE X«
« Pìsone il censore
fa negli annaK
suoi quest’ag> giunta : cioè , che
sebbene fossero sciolti
tutti i servi ^ tenuti
io ferri dai
padroni , sebbene Roma si
empisse di forestieri , ' e sebbene
’si tenessero dì e
notte spalan* cate le
case, penetrandovi chi
volea,-senz* ostacolo ; pur
ninno si
dolse che avessene
furio , nè oltraggio ; quan« tnnque i giorni
festivi sogliano per
'le brìachesze dar largo
il campo a disordini
ed ingiustizie XI. «r
Stando i Romani all’
assedio di Vejo
(i) sul nascere delia
canicola quando gli
stagni diminuisconsi e tutti
li fiumi all’
infuori ' dell’ Egizio
{filo (a) , il . lago de’ monti Albani,
distante non meno
di quindici miglia da
Roma, presso al
quale fu già
la città madre
de’Ro* ' mani , crebbe senza
piogge , senza nevi , e senz’ altre apparenti cagioni , per
le sole inteMe
sue fonti' a tal dismisura , che 'inondò
buon tratto delle
adiacenze con molte case
di agricokorì. E finalmente
aprendosi a forza , il passo
tra- monti si
versò con terribile
sbocco ne’ campi sottoposti , ■ ' Della
estate contagiosa, la
qual s^cedcltc all' inverao
rigidissimo descritto diantì.
(i) Addo
di Roma 356. (a)
Aie infuori delV
Egitto Nilo- Questa
cceetione , &t cono- scere,
parmi, che l’autore'del
compendio non i Dionigi.
Imperoc- ché egli nato in
Alicamasso città dell’
Asia , e già spettante
al re- gno di Persia , come
tatto il corso
dell' Eufrate , non poterà
, e certo non dorerà
ignorare in tanta
naturai tua diligenia
che P Eu- frate anch* esso
nel luglio assai'
cresce e trabbocca , come
si legge in Arriano
iibro ni, par.
ao, greco per
esso, e scrittore delle
gesta di Alessandro. Lo
stesso Arriano scrire
nel lib. r,
paragr.7 secondo la nostra
tradusione, che anche
i fiumi Indiani nell’estate
ingrossano fuor di modo e
neU’inrerno scemano. Digitized by
Google LIBRO XII. 395 XII.
• Vedalo ciò li
Romaai , da princìpio
, (jQast 10 sdegno del
cielo minacciasse Roma,
decretarono pia* care con
sagrifizj i Nomi ed i
Genj del
luogo , con- saltandovene pur
gl’ indovini , se ne
eressero mai co$a da
significare: .Se non
che né il
Iago ripigliava l'ordine SQO,
nè gTinterpetri sapean
dirne a proposito, ma
sng~ gerirono che si
mandasse per intenderne
P oracolo in Delfo ». '
XIIL « Intanto un
di Vejo perito,
per Ipmc avutone da’ maggiori, dell' arte
divinatoria di' qne* luoghi,
sfavasi per avventura in
gnardiè'deNe mura/ Era
cosini noto ad un
centurione romano. E • quél
centurione venato una volta
presso le mura
lo salutò come
usava ; aggiu- gnendogli di
commiserare Ini come
tutti i suoi pe’mali imminenti nella
espugnazione dellai cittè.'Per
l’opposito 11 Tirreno, il
qual già sapeva
In inóndàziooe del
lago Albano, e sapeva gli
antichi oracoli intorno
di questa , replicò
, sorridendo , guanto é bene conoscere
t ot'tv- nt're. Voi per
non conoscerne sostenete
una guerra senza fine , e travagli irriuscibili , disegnandovi la distruzione di
Vejo. Se alcuno
vi rivelasse portare
il destino di questa
città che allora
sia presa , quandó U lago Albano
impoverendo nelle acque
sue , non più si mescoli
al mare, cessereste
di tenere voi
nella fatica, e noi tra
le molestie. Assai
ne impensierì ciò udendo
il romano , e parti
». XIV. « Nel giorno
appresso il romano , comunica- tone il disegno
co’ tribuni', rivenne
allo stesso luogo
, ma senza le
armi , onde il Tirreno
non sospettasse af- fatto d’ insidie. Ripigliò
I’ usato saluto
, e poi disse in- Digilized
by Google 396 DELLE antichità’
ROMANE nanzi tutto l’ incertezza
la quale agitava
il campo de! Romani , e cose altrettali
da rallegrarne , com’ egli
cre- deva , il Tirreno. Poi
chiedealo spositore di
alquanti segni e portenti occorsi
di recente ai
tribuni. Gnidi- scese colui
' niente sospettando d’ inganni.
E fatto ritirare gli altri
i quali erano con 'lui
si mise egli
solo col .cen- turione : £ questi U passo
a passo lo allontanò
dalle mura con discorsi
diretti a deluderlo ; Or
come fu presso alle
muniuoni romane. lo abbracciò
con ambe le mani , e sei portò
negli alloggiamenti ». XV.
B Quivi i tribuni or
lusihgando or minacciando lo ridussero
a dire quanto celava
sul lago Albano , e poi lo
mandarono al Senato.
Non parvene u tutti
i pa- dri in un modo :
e chi tenea costui
per pno scaltro
^ per un impostore,
per uno che
mente su gli
oracoli de’ Numi, e chi
dicea lui parlare
a punto il vero
». XVI. « Fluttuando fra
tali incertezze H Senato,
ecco i deputati - al Nome
in Delfo riportarne
(i) le divine risposte, concordi
a quelle, date già
dal Tirreno: vncd dire
che gli Dei e
li Genj
li quali aveano
in sorte la città
di Vejo promettevano
mantenervi costante la
pro- sperità trasmessavi
dagli antenati finché
le acque sor- genti del lago
Albano ne Uaboocassero
e corressero al mare : Ma
quando quelle acque
, .mutata la fonte
e il corso antico , deviassero
altrpve , nè più si
mescolassero al mare, allora
pur Vejo ne
andrebbe sossopra. Parve che
potesse pianto ottenersi
da’. Romàni , se
scavando delle fosse intorno
al lago V*
incanalavano l’ acque le quali
sboccavano, dirìgendole in
campi lontani dal
mare. • (i) AjBno di
Homa 357* » Digitized by
Google L^O XII. 397
G>DOsc!ato ciò li
Romaai bentosto misero
gli operaj su r intento
», XVIL w Rendutine i Vejenti
consapevoli per nn
pri* gioniero, deliberarono spedire
a chi li assediava,
a fine di toglier la
guerra innanzi ch^
la città soccombesse:
e scelsero de’ seniori per
deputati. Rigettata dal
Senato la pace , lasciavano
questi , taciuirni , la curia : quando
il più Cospicuo fra
loro e più famoso
nel divinare , fer- matosene
alla porta e girato
lo sguardo su
tutti se- natori disse: bel
decreto v avete voi
fatto o Romani! e degno di
voi U quali cercate
dominare per tutto intorbo
, quando ricusate aver
suddita una città
nè piccola nè ignobile
la qual depone
le armi e si
ren- de, e destinata
abbatterla da’ fondamenti
senza te- meme^t ira
de'^Numiy nè la
vendetta degli uomini. Or
ne verrà per
questo su voi
la giustizia punitriea de’
Numi con pari
vicenda ; Voi che
spogliate li Ve- jenti di
patria , voi , tra non
molto perderete la vo-
stra (i) ». XVIII. « Prendendosi
(a) dopo breve
tempo Yejo, taluni de’
cittadini ne andarono,
e stettero da valebtno- mini contro
a’ nemici , e ne uccisero
e furono uccisù: altri diedero
a sé stessi la
morte: ma quanti
per co dardia , e bassezza di
spirito risguardavano ogni
altro successo come più
mite della morte , abbandonarono le armi
e sè stessi al
inncitore ». (i) Anche
Cicerone nel lib.
r, c. 44 èe Natura
Deoram fa men- xione
di quella ambasceria
, e dell'annunxio del castigo,
succeduto, ^oni’ egli scrive
, sei auui dopo
la presa di
Vejo, col piombare
dei Galli su Roma. (3)
Anno di Roma
35K. Digilized by Google 398 DELLE ANTICHITÀ.’
ROMANE XIX. « GatniUo sotto
la dittatitra del
quale Ve)o fu presa , stando co’
Romani pili insigni
su luogo elevato donde
tutta quella città
si scopriva, prknieramente
fèli- qitava té stesso^della'
Iiella avventura con
che gli era accaduto
di espugnare e senza
gran costo una
città grande e prosperosa , -
la quale
erà parte , uè
gii la più ignobile
'della Etmria , allora fiorentissima
, e po- tentissvna tra' popoli
dell’ Italia , e la quale
avea dispu- tato |1 principato
ai Romani con
guerre moltiplicate per dieci
generazioni (i) con
cimentarsi alfine a tutti
i mali tra r assedio non
interrotto di nove,
anni (a) ». XX.
a Di poi ponsiderando
per qual lievissimo
bil- lico trascende la
sorte umana , e come nino
bene tien fermezza , alzò
le mani , sopplichevole ' a Giove
e agK altri Nomi, perchè
tanta felicilà non
chiamasse l’invidia su lui
principalmente , nè su
la patria : e se
per Con- trario pubblici disastri
pendeano su Roma,
o privati sa lui, almen
fossero questi i più
lievi e più tollerabili
». XXI. « Non minore
di Roma per
gli cdificj , godea Vejo terreni
■ ampj , d’ assai frutto
, dove piani , e dove montuosi in
aere purissimo e salutevolissimo, senza
pa- ludi vicine , dalle quali
sorgono aliti gravi
ed ingrati , e senza
ninn fiume il
qual dia troppe
fredde le. aure del
mattino: nè scarse
vi son Tacque
(3), nè condot- ti) Ciok per
circa irecento anni
asjegaaado treni' anni ad
ogni generaaione; Imptroccbè Vejo
cominciò tali tae
gaerre con Romolo: poco
prima della aua
morte, e loocomM l’anno
358 di Roma. (3)
Livio ed aliti
dicono durato quello
asi^io dieci anni :
vuol diro nove furono
gli anni' interi
ciocché scrive I’
autore dell’ Epi« tome , ma non
intero fu 1’
ultimo. (3) Dionigi nel
paragr. i5 del
libro iz scrive
che non lungi
da Digitized by Google , , LIMO xil;
399 levi altronde , ma
vi scatnrtacono copiose
• nommeoo , ohe bouissime
a beverne a. ■ * XXII.
«'Dicono, che quando
Enea 'figlio di Anchise e di
Venere approdò nell' Italia
volesse, far sagrìfizio ad un.
tale de’ Numi ;
e che fatte già
le preghiere , stando ornai per
operare su la
vittima apparecchiata , mirasse venir da
lontano tm greco,
Ulisse forse quando
fu per r oracolo di
Avemo , o Diomede quando
si recò per soccorso
di Danno. E dicono
che disgustato Enea
del- l’incontro, tenesse come
inaugurata la vista
dell’ inimico tra le sante
cose, e che volendo
respingerla si bendasse e volgesse altrove
; finché dopo la
sparizione di colui lavatesi di
nuovo le ^ mani fece
il sagrìfizio: e siccome vi
si rendè fàusta
ogni cosa , e^U
ne fu dilettato
per .'nodo da custodihie
di poi nelle
sante cose la
cerimo- nia; conservandola
per ciò li
posteri di Ini
quasi legge dei sacro
ministero ». XXUI. « In
conformità de’ patrii
riti , fatta la
sup- plica Camillo ancora si
trasse in sul
capo il manto
, e volea rivoltarsi. Ma
travoltoglisi ciò che
avea di sotto
a piedi , nè potendosene rattenere , ne andò
supino a terra. Or
questo rovescio , indizio
che egli di
necessità cadrebbe per una
miseranda caduta , questo rovescio fàcilissimo da
intenderlo senza calcoli
e divinazioni, an- Vejo è il
fiume Cremerà, e che
da questo fiume
fu denomioaio Cremerà il
caetello edificato da
Romani contro di
Vejo. Qui ai •crÌT»
che non vi è
niun fiume il
^oalc dia troppo
fredde le aure del
mattino : che anche
senza fiume vi
abbondano le acque.
Questo esservi e non esservi
un fiume & concepire che
lo scritture del
com'.^ pendio non è Dionigi. Digitized by
Google 4oO DELLE ANTICHITÀ.’
ROMANE LIBRO XIlJ che
da’ meoo periti , questo egli ■
noi pensò degno
da guardarsene e da espiarsene
f ma lo ridusse
tale da. consolarsene come
se li Numi
avessero ‘esaudito le pre glie
pii\ illustri a' quali
esso era maestro
di. lettere, li \ » * ' • t *
(i) Narrano che
Dionigi divise il
suo campcndie in
cinque libri. Ambedue li
codici trovati del
compendio delle aiilicbilà
non hanno 0 non ritenpoiio indiaio
ninno della distinsiooa
in libii. (a) Aaoo
di' Roma 36o BfOHlGI,
urna III. j ,S Digitized by
Google 4o2 delle Antichità’
romàne cavò fuori delie
porte come per
passeggiare dinanzi le mura
, e far loro visibile
il campo romano.
Poi sionla* nandoli poco a
poco dalla città , li
ridusse presso le guardie
Romane:^ queste accorsero;
ed egli cedè
sé stesso, e gii altri.
Menato a Camillo disse
, che da gran
tempo egli volea rendere
la città de’ Romani : ma
non avendo in sua
balla nè la
fortezza , nè le porte , nè
le armi , si argomentò di
mettere nelle mani
di lui li
6gli ^e’dtta^ dini primarj , consideràndo cbe
necessiterebbe li padri , solleciti di
salvarli , a dar la città
quanto prima ai Ro-
mani. E cosi diceva, immaginandosene maravigliòsi
pre^ mj pel tradimento,
a II. « Camillo , dati da
custodire . il maestro e (i
fan- ciulli, scrisse al Senato
il successo, chiedendone
cièche fosse da fare.
■ Lasciatogli dal Senato
di lÀrne il
lueglio che a lui ne
paresse , egli cavò
dagli alloggiamenti' il maestro
e li fanciulli, e fece
alzare* il suo tribunale
non lungi dalle porte
, presentandosi immensa la
folla su le mura , e dalle porte.
Quindi primieramente distinse
ai Falisci quanto il
maestro fosse stato
ardito di olTeuderli. Appresso ordinò
che i servi gli
traesscr la veste
, e lo canninasser ben bene
colle sferzate ; e quando
tal pena gli parve
bastare ^ .allóra ‘diè
delle' verghe ai fanciulli
, e fece che sèi
menassero innanzi alla
città, legato colle mani
al t&rgo, battendolo
e malmenandolo per ogni
ma- niera. I Falisci
ricuperalo i fanciulli, e punito
il maestro in proporzione
del suo malfare , sottomisero la
patria a Camillo. «' , I
' . , -• , ^ - , f » III. n Lo
stesso Camillo nella
spedizione su Vejo
(i) (i) Anno di
Homa 36o. Digitized by
Coogle ' ' LIBRO XII. lece volo a
Giunone^ 'Dea sovrana del
luogo, di collocarle se
prendea Yejo , la
statua iu Roma',
istitoendoveue insiemé cpito magnidco.
Pertanto dopo espugnalo
Vejo, man^ò de’ cavalieri
più rìguardevoli a prendere
dalla sua sede it
simulacro. Appena gl’
inviati vennero al
tempio, r uno (K loro
sia. p^erilmeitte e per
beflTarsene , sia per fame l’augurio,
addimandò la Dea se voleva
tra^mn grarsi a Roma , e
colèi soggronsè volere
con chiarissima voce della
statua ; e due volte
lo aggiunse. Impérocchè non potendo
que’ giovani peiiuadersi
che la statua
fosse quella che «vea
parlato , replicarono la dimanda , e ne adirono un*
altra volta la
voce stessa (i). »
IV. «'Tra il
comando de’ consoli
dopo Camillo pro- ruppe in
Roma un morbo
contagioso , apparecchiato dal non
piovere e dall' anura
estrema. Afflitti con
4:iò git' albereti e li
senànati porsero frutti
pochi, e nocevoli' agli uomini
, e pascoli scarsi e malsani
ai bestiami. Odd’ è
che ■ il
male consuase pecore
e giumenti senta numero non
sedo per . • quantunque non
igno- rassero che U multa eccedèVa
non poco gli
averi di ]ui: ma
ciò vollero perchè
messo ' in fcavcere
scapitasse nella riputazione chi
tanta ne avea
per 'hobitissiole guerre , amministrate per^
eecellenia. Li ‘congiunti e li
clienti ac- cozzarono e
diedero la son^ma-
richiesta afBnchè egli non
soggiacesse a vilipendj ; ma H
valentnonio riputando intollerabile la
ingiuria., abbandonò (a
patriq. » VI. « Nel
giungere alle porte
fra gli astanti
• addo* lorati e piangenti per
la perdita che
farebboho, bagnò di largo
pianto anch'esso il
senAbiante, -e lamentò la in-
famia in che era
mesio dicendo : > ^
Adunque disperando i barbari
prendere la fortezza per
inganno o di furto-,
si diedero a trattare del prezzo , cui
dato , i Romani riavessero la
cittù. » XIIL a Dopò
giurati gli accordi;
i Romani portarono r oro , e Vckiticinqae talenti
era la somiina'.la
quale' do- veano ricevere
i Galli. Disposta la
bilancia ècco il
Gàllp imporvi un peso
maggiore deKgiusto: se
ne querelarono i Romani : ma.
il nemicò- tanto
fu alieno dal
rettificarlo, che lo aopmccaricò
delia sua spada,
levatosela dal cinta E chiedendo il
questore che volea
mai significate quel fatto
; rispose , ^ubt pò
vinti. E poi che
il peso ivi
po- sto, ampliato com’ era-,
non si pareggiava , anzi mancava un
terzo' di tanto , i Romani si
ritirarono chiesto tempo da
raccoglier l’ intero. Sosteneano
tanta insolenza ignari delle
cose operate ] come
al>biàm detto , in campo
dpe il 'corpo
ad un tempo
e lo spirito; converseodola oibei Uòndi
nasposto^ma palesemente. Addolorato
Arante per lo distacco
della donzella non
più reggeva alia
in- giuria-, cbe ne avea
da- ambedue : né
potendo pigliarne Vendetta si
mise' ad -ùn viaggio sótto
.vista di liegoziare. Udì con
trasporto il giovine
lo andare , dandogli
ciò che era l^sogao
ai goadàgiii,' e T altro
poftò, nelle Gallie
molli earri eoa Q^i di vinoV
di olio ^ e 'tnollr.'ata ceste >di fichi, a ' r ‘ . a I Galli di
quel di' non conoseeano
il vino delle, vili,
nè 1’ olio-,
quale fi'a-uoi 1q
danno ie olive: ma.teneano vin
d’orab, festnefatato in
acqqà , ó foglia- me. tetro
all* odore , usando
per olio ^assi
vecebj di porco , ingrati
a odorarne e gustarné/> CoiQe
provarono frutti non prima
gustati ne presero
dilatto masaviglioso,
iuierrogaodo il forestiere , dove e come
ciascuno di questi si
generasse, n -'t ■ XVII.
« E. colai replica*, the.'iimpìa
e buona è la terra che li produci , è questa posseduta
da uomini , pochi
di numero: uè
punto. migliori delle Jìemraine
in far guen'a. Suggeriva;
,chc'non ricevessero più 'tali
cose dagli altri ad
on péezzq, ma
cacciassero i possessori an- tichi, e se le
appropriassero. ( i ). Mossi
da quel dire
ven mi. Ma i 'GaRii
ne misero in
fuga la molhtudine
, ed occuparono tutta Róma ,
salvo il
Campidoglio. v Con c'ò gran
eommrrcio praesdente. Cioachè
non ti accorda
con la DoTÌlà deacriiia
.dei prodotti recati
da Aruoti nelle
Gallif. Won a facile a connidemi
ube una natione
ai ecciti e commo^a
a tfa- tmtgrare pa’ racpooti dì
un aTTeuttrriero. Livio
tcrive Iv 5.
i4> .Eoa ( Gallt ) ^lu
oppufinavtrunt CUuiunì . non fuh$t
qui primi alpet trantUrint^ latù
óonstat. 0uel .aarii
eo/iitat impoHa Alt
lai «ni- diaione era
comune in Roma
a'iAreno Ira! leueraii
'oi t,empi di
Livio, che sod (joelli
di Augatcn ,,
.nel cui regno^^
anche Dionigi vino,
io Roma luogo tempo.
Panai duiiqae da
coocluderbe che lo
scritto ai risente di
alquanto nosiooi te
'quali .uoo erano
del diligentissimo aa- tore
della aiilicbità : ciot
questo- tjompoodio k di
t>n greco il
quale non essendo £>rao
vivulo nell* Italia
, S compendiando Dionigi , 'vi
lasciava conoscere la
vena dell* ingrfpio
ano non ai
para quanto quella di
Dionigi. ■ ; ' s * (t) Anno
di Roma. 551. *
' • •' . ‘ ' Digilized by
Google 4io DELLE ’, •! '•
* » • f ' ■ ANTICHITÀ ROMANE - DIONIGI
ALIGARNASSEO ) V • » \ , • rodar(7ao,
nel lesto edeltan,
donde celtico e poi ceillca,
, , Digitized by Googlc 4i3
delle Antichità.’ romane dopo
V incendio generò dal
ceppo un tirgnlto
, come dì Un cubito , volendo gli
Dei manifestare ^e
ben presto la' città , ricreando se
stessa, darebbe germi
novi in vece degli
antichi. » ' y. H Anche
in ‘Roma il picciolo
tempio di Marte
in cima al- Palatino ,
'i Romani pensano' chò
debbasi operare ben alirimen)Ì
debbasi a’ vecchj benefìzi sagrificare
la coliéra per
gli oltraggi recenti. IXt
-Cerltmenle della Romana
grandezza ben. fu me-
raviglioso. quel ^axto, che
non malmenarono, pia
lascia- rono ille^ tjttti i Tuscolani
‘^u^ntuòque colpevoli f tna più
meraviglioso ancora fu
quanto eòncedesouo ad
essi dopo* il perdono
(3). Imperocché fattisi
% provvedere che non .saccedesse
più nòlla di
Simile., nella loro
città , né più ci
avessero alcuni comodità
di far cose
nuove , non conclusero già di
mettervi guarnigione nella
fortezza , nè (l'I Anno di
Roma }-4- , ^ (a)
Questo e li tre
seguenti paragrafi sono
fratOmeaii dei venti
libri delle autichltà Romane
acUtte da bioaigt
e àul'' dal Gomptndjo
; aono picciolo parti
dèli’ opera vara' e noi»*
parti* derivata altronde per
supplirla, il tasto
grec» e-la tradaàioqe
latina ai ara
atampata più volte. Li
framosenti ai dislingtsuao
dal non avere
l« virgole nè in
principio nù in
fin^ dei paragrafi.
' (3) Anne di
Roma 3^3 . ' . > . . lasciarono
contro il sangue loco
eccessi ùi oltraggi
che i barbari più
empj potessero
sopraggiungervi. . ^ - 'i' . 'XI.tE potrei
allegare’ altri errori' infìnhi 'di
quelle repubbliche ; ma' li
tralascio; giaocbè spiaeemi
; - fino l’aver menzionato gli
ànzidetti. Imperocché vorrei
che la nazione Greca . si
distinguesse '‘dà . quelle de’
barbari non col nome
solo. e col dialetto; ma per la.inlelligeoza eia scelta
delle utili costumanze;
c sopratthtto che infra loro
noit si desolassero
con ingiurie più
che disumane. E ad
esercitare i lor corpi o faticare
nelle armìv ne
ausavano di con- tinuo, e vi grondavano
dal sudore, costretti
a desisterne innanzi P awiSo de’ capitani
». . XUI. ‘ a Udito
ciò f ' Camillo dittatore
de’ RomaOi , adunò le
sue milizie , e condonò • tra
loro , . assai vivifi- (»ndole ad
imprèndere: 0 ‘Romani ^ e^i
disse, nói abbiamo assai
più cùU it
nemici benfatte le
arme , le corazze y gli elmi,
gli stivali, gli
teuài saldi, coi
tiuaU guardiamo tutto il
corpo , le spade'
d due tagli , ed in luogo
dell asta, saette
iP irreparaòH colpo.
Le armi colle qutdi
ci copriamo son
tali'da ndn> fdcilitare
su noi le ferite:
laddove quelle con lè quedi
nodiamo 'ci abilitano per
ogn impresa. B poi
- ruiao è il càpo
dei nemici, nudo il
petto ed i lati, 'nudo
il,fem&re è la ( 1 )
Aiuio di
Roma S87 . " .
Digitized by Google 4l6
DELLE XNTICHn:A’ ROMANE gamba
mfino piedi. Altro
noti hanno die
li. mu- nisca se nonf lò'
scudo : nè adiro
tanto picchiar degli scudi
, e guani altro ostentano
di barbara e stolido
a bravar t inimico , guai
vantaggio daranno ad
essi i guali assalgono
senza regola , .a-,
guai mai terrore
a chi con tanta
re^la sta tra i
pericoli ? » XVI. , B Considerando tali
cose: voi tutti
guanti ne foste nella
prima guerra cpì
Galli e guanti non vi
foste , non ‘diserrate.' o voi
ohe vi foste
C arUica vir- tù , col temere , e;
vai che non
virfbste non siate
da meno che gli
altri net jegntdarvi
co' fatti (i). Andate (i)
La prima gnarra
ocoqrae l’ aooo 364
I* acMiida ueii’337 Digitized by
Google LIBRO XIV. 4 * 7 bravi
giovani : dimostratevi degni
de' padri valorosi , correte intrepidamente al
nemico ; Sarà con
voi la ' mano
degC Iddìi per
tentarvi à punire • quanto
volete, questi- impìacabili.
Io vi son
duce, al qucde
tanto te- slificate buon
senno e Jbrlunà. Da
ora in poi
saréte felici, sia che
riporterete alla patria
la iwbilo corona della
vostra virtù , sia
che qui finendo
la vita lasco- rete
a’ teneri' figli] e ai
vecxhj padri per
un fragile corpo una
splendida fama immortale.^
Ma già non è
più da
tenervi, Ecco t irUaùco
sen viene ; ofidaie , presentatevi in
schiera ». XVII. « Era ‘'il
combattere de’ Barbari ansi
brutab: e maniaco senza le
cure e la scienza
delle e vi ascese. Accorsa
la molUtudine 'urbana
allo spettacolo , egli
primieramente fece voti
alBncbè 11 ^umi
avvèrsa- aero l’ oracolo , e facessero
nascere molti , eguali
a lui di valore bella
patria. Dopo ciò
lasciate le redini
e ' dato di sprone
cavallò precipitò nella
voraginet Sopra lui furono
gittate in quell’
abisso nioltè. vittime
, nìolti frutti, molte ricchezze,
molte preziose Vesti
^ «'molti oggetti di arti
di ogni maniera,
e senza più la
terra si ricongiunse ( i ) ■•
' ’ XXn « Il Gallo area
corpo straordinario, il quale
molto eccedeva la
proporzione comnne ....
Li- cinio Stolone stato dieci
volte tribuno , quegli
il ‘‘quale fu capo
alla fstitnzlone delle
leggi , per la
'quale dieci anni fu
sedizione, alfine' vinto
iu giudizio e condannato ad una
multa in danaro
()) disse: che
non vi è bestia alcuna pià
callivà del popolo,
il qutde non
nsparmia nemmeno chi lo
sostenta ». XXIII. B Assediando
Marcio console que’di
Piperno , ridotti senz’ altra
speranza spedirono a lui.
E Marcio , indicatemi , disse ,
come solete voi
trattare li servi
li quali dà voi
si ribellano ? tome
si dee , soggiunse
il legato più anziano
, punir chi desidera
ricupenve la r (i) Sie
mai ri fu
questa Toragiae , ciò che
può beo essere,
ta ricoopuDtione di lai
mode ò tutta (àvolosa.
Livio assai propiiio
a tali raceopti aon
la- fiiTorisce. Vedi lib.
7. 4* . (3)'.\nao
di Roma 3^7. Digitized by
Google 4ao DELLE Antichità’
romane liberti ncUiva. DlIetUtosL
Marcio del franco
parlare , e se nei , dicea ,
se noi
ci lasciassimo piegare
a' lispar^ miarvi ogni
cruccio, quali pegni
ne darete voi
di non farla mai
più da nemici
? q V anziano tipigUava. Sta in
te o Marcio e ne'
tuoi Romani' sperimetttm-lo. So con
la patria Uberi
torniamo , vi ci
terremo • pen sèmpre costanti
amici : ma tali
mai vi saremo , 'se
ci astringerete a servire. Marcio
ne ammirò li
magnanimi M‘q^i , e sciolse
1’ assedio ». ^ /
\ Digitìzed by Google 42t - ' D^I/LE ANTICHITÀ RÒMÀNE D I DIONlGI ALICARNASSEO t ■ * ^ ^ . . LIBRO DECIMOQUINTO, . -SUPPl^MENTl E FRAMMENTI. L « IV^EMTAE i GaQi
guerreggiavano Roma, un
priil'» cipe di questi
sfidò qm^lunque de’ Romani
a venire con esso al
paragone dello armi,(i).
Un Marco Valerio
tri- buno proveniente da Valerio
PopUcola’ il quale
insieme con altri ' Uberò
la città dai
tiranni , si fece
innansi pel combattimento. Venuti 'alle
mani,' un ooryo
.si. mise in su. r elmo
di Valerio, sgrid^do
e guardando terribil- mente
il barbaro f e se
mai lo. vedeva
portare de’ colpi sul romano
/ gli si avventava
ora colie unghie
alle (i) Addo di
Roma 4»5. j . ' ; Digilized by
Google 422 .DELLE ANTICHITÀ’
ROMANE guance lacerando , ed ora
col rostro agli'
Occhi , pun- gendo. Tanto che il
Gallo ne andava
fuori di se ,
non potendo trovare come
ribatter 1' emolo
, nè come 'guar- darsi dal corvo
»! ' ' II. « Ma
traendosi la zuffa
in lungo, il' Gallo
fu col ft;rro sU T
altro per internarglielo coll'
impeto nel seno. Corsogli il
corvo agli occhi
Onde forarglieli, colui
alzò Io scudo a respingerlo
: e tenendolo alzato , il Romano che
ne seguiva 1e
mosse , menò da
basso la spada
, e lo uccise, Camillo
(i) il comandante
lo insigni .con aurea
corona soprapnominaudolo Corvino^
dall’ uccello compagno di
lui nel combattimento
; perocchò li Ro- mani chiamano corvi',
gli oicoelll che
noi coracas chia- miamo. E costui da
quel fatto ebbe
1’ elmo ornato-
di un corvo. In
guisa che qùanti
fecero statue o pitture di
lui , lutti gli acconciarono
sul capo quell’
uccello ». III. « Devastavano
le campagne ricche
di ogni bene... nomini sfìaiti
dalla g^uerra • e simili
ai cadaveri , se non quanto
respiravano . . . Essendo calda
ancora la penero come
dicono dell* ucciso
... Fu vittin»
miseranda del- r
inimicO’Uomo il quale
saziava la iuvidia
sua poi san- gue civile . . . Dispensò tra’
soldati parte de’
vantaggi nè questa la
più piccola,' ma
tale* da sommergéK
frà le ricchezze la
inopia dt ciascùtlo
. . . diedero il 'guasto ài seminati’ già
colmi per h ' raccolta tnalmetiando il meglio
dellB^ terre fruttifere »: ' i
■ I • , . . . f I * * * • " ' t , (i)
Queste Cemitlo il, quale
apparisce ora aalHaaao'4e& Roma i Uli
tìglio del^ftmoso Furio
Csmiflo morto i6
ano,! adòiciro. .Au- cb'esso
viute S fugò con
ifna iniigue battaglia
i Galli, tuttavia mo- lesti ai
Romani. Livio lib.
7. aS. aC. ''
Digilized by Coogle LIBRO
XV. 4^3- IV. . . •
Ma percl^è spesso
e molto danneggiavano i Campani
come iorp' amici (i).
Pertanto -il Senato
ro« manò su le
istanze e lamenti replicati
dé’ Campani .con* tro de*
Napoletani spédi a questi
ordinando che non più
nòcessero ai* sudditi
della repubblica ; ma
ne aves- sero e rendessero ciò
ch’ era ^usto
-: e nascendo coih- (roversìe fra
loro, le dJscutesserò
co’gindizj non'cqlle armi , '
secQudo le convenzioni
che ne farcbbono
: del resto mantenessero la
pace con lutti
ìnlornó i popoli , non
corseggiassero il mare
Tirreno né tentassero
eséi per sé nè
.cooperassero con altri
imprese disdicevoli ai Greci.
Soprattutto istmi, gli
.ambasciadori che ’ cer- cassero , Se venivano
il destro , di alienare
co’ bei modi verso
de’ potenti la
loro città dai
Sanniti , e renderla amica
di Roma. ' , . y.
Ti-òvavansi di quel
tempo (a) in
Napoli come ambasciadori di
Tatanto uomini rispettabili , e , po’ li- gami
del. sangue, ospiti antichi
di que’ cittadini: ma por
altri ,vi si
trovavano inviativi da’ Nolani , cooSuanti dei Napoletani, e tutti
dediti' ai Greci,
i quali vi brigavano in
contrario onde non
copcórdassero co’ Ifomani
nè co' sudditi di
essi) nè lasciassero'
l' amicizia verso dei Sanniti.
'Che .se r Romani
set pigliassero a pretesto di
guerra { rton temessero
, nè invilissero , come in^ su^rabile
rie fosse la
forza ; ma, perseverassero , e combattessero come i
jbraoi Grecf., confidando-
sù le - » (i) Manca
il principio dj
questo raccolto: puj>
coninliar^i Livio nel lib. 8
, c. aa.
Questo 'pangrafo e tutto il
resto del libto 'sono Frammenti veri
dei libri perduti
delle aatichità di
Dionigi.* . (a) Anno
di Aoina 497. Digilized by
Google /^24' DELLE antichità’
ROMANE schiere proprie ^ e su
le ausiìiane^ che
verrehhono dai Sanniti. Riceverebbero
se ne abbisognavano
, pià delle loro, le
forte , navali dà' TaretUim , le
quali eran tanUs e. si,
buone. VI. Adunato il.
Sanato, e tenutivi molti
dlsconi dai legati « loro
fautori , vi si divisero
i senbmenti : ma li piu
autorevoli parfianO tenerla
' pe’ Romani. Non
fecesi per quel giorno
decréto alcuno , ma
riserbato per, altra sessìonè l’esame
intorno ai legati;
recaronsi a Napoli in folla'
i primarj de’ Sanniti.
Or quésti * Conciliandosi con ossequióse manio:e
i capi del comune-,
pregarono il Senato a far
si che decidesse
il popolo dell’,
utile pub» blico. Quindi
recandosene all’ adunanza , vi
ricordarono i loro benefizj , poi
vi fecero le
mille - accuse di
Roma come di una
ingannevole e perfida : e finalntente pro- misero- le meraviglie
ai Napoletani se
deliberavann per la guerra:
vale a dire che
mauderèbbero loro. milizie , quante
ne bisognassero ‘ per
difender le ptura
, come Tarmata e 4utta la
ciurma per le
na#I. Davano insieme a vedere che
subirebbero tutte’ le
speso guerra non solo
pe’ soldati proprj , m»
pe’ loro.; che
respinto T .e- sercito romano
■ ricupererebbero ,Cuma ,-
occupata dai Campani, erano
già due generazioni
{i), .cén esdnderM gli
abitanti : che renderebbero
la patria ai
Cumani , accolti , quando U perderono
, dai Napoletani , e fatti
partecipi di ogni
lor bene: che
'darebbero ai Napoletani un
trat^ assai grande
del territorio che
tenevasi dai Catppihi. , - , ' r ' , vn. Ih
mezzo a .tal dire,
la parte calcolatrice
dei (i)'Auno di Roma
335. Digitized by Google - . LIBRO XV. .
4^5 Ntpoletani , la quale vedea
da' .lontano i mali
xhe ver* rri>bero colle
battaglie, su la
città , dimandava che ai
conservasse la ^ace:
ma' la parte amante
di :cose nuove ^Ja
quale cercava insieme
un. mezsp .
arricchire nelle ttsbolenze lanciavasi
verso le guerra:
'Pertanto, elevafonsi a
vicenda e -voci e mani
; procedendo la contesa
fino al tiro delsàss).
Alfine prevalendo il. partito
men buono, gli. oratori
di Roma dovettero
tornarsene senza Tintento. Dond’^è che
il" Senato romano
.decreti^ 'd’ inviare un eseacito
contro de’ Napoletani. . , ' .Vln.
1 Romani all’ udire
5^10 i Sanniti apprestavano un esercito,
vi spedirono prima
Rmbasciadori.(i). E di essi quelli
eh’ erano scelti dell’ ordine .. senatorio
venuti ai consiglieri de’ Sanniti
dissero: Voi fatfi
ÌQgiustamonte o Sanniti
violando i p'attati cha
ovate con noi
con^ cordato. Amici vi
eijt^nete di nome ,
nemici che ne siete
di fattL Vìnti,
voi da Romani
in tanti condtat» timenti, sciolti
per le istanze
vostre caldissime dalla • f . . ' guerra j oiténuta
la pace come
la volevate' ^ e desi- derosi poi di
essere gli amici
e gli alleati di
Roma; giuraste, alfine, di
avere amici e nemici
quelli appvinto che per
tali riconosceva la
nostra repubblica. ^ IX. Ed
ora immemori di
tutto questo , e fin
posti in non cale i
, giuramenti , avete abbandonato
noi nella jguerra co'
Latini e ci>i Volsci,,cpn
que’ pòpoli io dioOf
che sono divenuti
nemici nostri appunto
per voi , perchè avevamo noi
ricusqtò di unirci
con essi net dare a
wi guerra. JE
nelt anno. J precedente voi avete 'istigato con
tutta la premura
e f ardore , anzi (1) Addo
di Roma 4’8. Digilized by
Coogk 4? 6 DELLE antichità’ ROMANE. voi. avete necessitato
i Napoletani che temevano
far- lo , a prendere. contro
noi la guerra^
e voi ne sup- plite'le
spese : voi la
loro città ven
tenete. Ed ora tutti
intenti ad apparecchiarvi raccogliete
d' ogn in- torno milizie ,>
coh pretesto , come
pare , innocente , ma: in
realtà con disegno
di guidarle contro' i nostri cotoni. Ed a
tanta ingiustizia invitate
i .Fdndiani e i Formiqni' ed altri,
i (fuaii abbiamo no,i
pOr^^iato ne' diritti ai
nostri cittadini. X.‘ Or
'voi profanando così
scopertamente 9 turpe- mente i
trattati 'di amicizia
e di alleanza ; il
Senato ed il popolo
romano^ deliberarono di
spedirvi amba- sciadori , e iperitnentai'vi colle
parole , innanzi di procedere
ai' fatti. E queste
sono le cose
che ami tutto vi
dimandiamo, queste quelle,
ottenute le quali, crederemo soddisfatti
i nostri risentimertti : Chiediamo primieramente che
ritiriate, le truppe 'inviate in
soc- corso ai Napoletani:,^ e poi
che non mandiate
milizie condro i nostri' coloni
, nè provochiate- affatto
i sud- diti nostri a voglie ambiziose.
Che se dite
che tali cose non
piacciono a tutti fra
voi , ma- che le
fitnno alcuni solamente contro
il ‘votò comune;
cónsegHàteci dunque voi questi
perchè ne giudichiamo
, 0 cen ter- remo contenti: ma
se non gli
avremo noi tjuesti
nelle mani j né prenderemo
in ) testimonia i Numi
, ed i Genj invocati
da voi -nel
giurare i trattati ; e pSrciò siam qua
venuti co* Eeciali.
' • • r • XI: Dòpo H parlar
del romano consaìlatisl
infra loro quei capi
de’ Sanniti diedero*
questa risposta : Non
è già colpa del
comune che i nostri
sussidj giungessero
Digitized by Google •LIBRO
XV. 4^7 a poi tardi
per Ut guerra
'cóntro i Latini, Imperocché si
era appunto decretato
che questi a voi
s’ inviasse- ro : ma i
capitani assai ' s’
irtdugiOrono nell àppre- starveli ; come
voi troppo vi
acceleraste a dar la battaglia
] e coti giunsero quelli
tre o Quattro giorni dopo
il bisogno.'' Jiispetto' a Napoli
poi -dove sono alquanti, de 'nostri , tanto siamo
lantàni dcUt oltrag- giarvi soccorrendola in
qualche fnodo mentre
perico- ' la-; che
noi pensiamo di 'essere'
piuttosto gli oltrag- giati e gravemente da
voi. Foi, tutto
che non òjfesi, v'
adoperale a soggiogare questa
città , confederata ed amica nostra
non già da
poco , né d^
allora che con voi
ci concordammo , ma
da due generaeioni en>antS , e per grandi
e copiosi ben^tij ricevutine. XII. .Tuttavia
non é la comun
dei Sanniti che
of- fendavi nepimeno in questo
; imperocché di propria voglia ìóccorpono
Napoli , come udiamo , alcuni
no- stri , ospiti ed amici
loro , o stipendiati , per
la in- di^nta’fbrse del
vivere. Nè abbiam
poi bisogno di staccare
da voi' li
sudditi yostri ; imperocché
senza que’ di Fondi , ^ e . li Formiesi , noi , necessitati
alla guerra , bastiamo a noi
■ stessi. -Apparecchiamo un esercito- non per
levare: a^ yostri colorii
le còse loro ;
ma per
difendere le nostre
propriamente. A vicenda noi dimandiamo
da voi j se -volete
far la giustizia, che partiate
da Fregelli , città da
" noi conquistata tanto priiHa
col mezzo delle
armi, che è mezzo
di- rittissimo di possedere ; e voi
sera alcun titolo
ve t avete , già sono
due- anni , ' appropriata. ' Or
tali Digilized by Google 428
DELLE Antichità^, romane cose
ci si concedano
> nè crederemo di , essere
stati oltraggiati. . • XUI. Allora»
subentrando 'al discorso il
Pedale Ro- mano , ripigliò : Niente
impedisce che violando
voi così manifestamente i trattati
di pacOy i Bomani
pas- sino alle armi : nè
già ponete lepnerUarvi
di essi , ma de'
non- sani vostri
consigli. Ornai da
loro si è /atto
qtuuUo doveàsi per
.le leggi rsacre
e civili della patria , o di pio
verso i Numi , o di giusto
verso i mortali. Gli
Dei che per
sorte soprawegliano alla guerra,
giudicheranno tfuale de due popoli
osservasse i tràttati. £/ qpi
recatosi in atto
di partire , e tiratosi al capo
il lembo onde
cingevasi gli omeri , .alzò
come era il costume
j le mani' al
cielo , orando don. impreca- zione gl' Iddii
: che se Roma
ingiuriata da Sarmio
, non potendo riaversi
dalla, ingiuria cotle
jrsfrole e co' tribunali
^ procedeva finabnerite alle
operé , U dessero per la mente
ctmsigU bùqni,. e.
condotta, pro- pizia per la
guerra. Afa se
in opposito Rorna
ìrà- scurando i legami santi
delV amicizia,' accattava pre- testi non giusti
onde romperla , -.non la
dirigessero 0 ne consigli o ftelle
opere. XIV. Levatisi gli
uni e gli altri
dal .colloquio ; e di- chiarate alle loro
città le CMe
disputatevi ; dascuno dei due
popoli pensò molto
diversamente su Tabro.
I San- niti come £an essi
quando iqtprendon la
guerra , te- ndano per lent^
assai |e operazioni
de’ Romani; laddove 1 Romani immaginavano
rannata di Sannio. ornai
pros- sima a . piombare ^u i*
Fregèllaui’, loro còloni.
Donde ne avvenne a ciascuno
ciocché erane consentaneo:
Im- Digilized by Coogle LIBRO
XV» ' 429 perocché li
primi, apparecchiandosi e indugiandosi ro- vinarono la opportunità
’d^ imprendere : per
T opposito i Romani tenendo tutto pronto , udita
appena la risponsóli.
E prima che i nemici
ne udissero la marcia;
tanto le milizie
reclutate V , ‘ i. ' • ' . - ' • ■ , DELLE • • , ^ f » *
ANTICHITÀ romane DIONIGI ALIGARNASSEO LIBRO DEGIMOSESTO! r SUPPLEMEÌTTI E FRAMMENTI. / . ■ * ' ■ r ' ' -non. di»:etidere in teiTa
, ma .dalla terra
elevarsi. Imperocché nell’
e^ero stan le sorgenti
del fuoco divino
». II. a Ciò che
si dimo^ra pel
fuora .nostro sia
che lo abbiam 'da. Prometeo
, sia che da Vulcano. Impe^ rocché
quando è sciolto da’
vincoli pe’ quali
è necessi- uto a» rimanere
fra noi , corre subitamente
per 1’ aria verso
1* altro fuoco , suo
connaturale, ed Q quale
doge d’interno' tutta la natura
del mondo^ Cosi
donque l’al. ■■
l6- e Livio più
dislesamente nel lib.
9. i5. (3) Il
tratto aegnenic sembra
parte della ri^tosia
di Poaaio ai- rinviato
de’ Romani. 4 Digitized by Google 4^2
DELLE Antichità’ /Romane neUe
guerre han ■perduto
i jìgti, quanti i fraleìli, e quanti gli
amici? Ne’> quali
tutti come pensi
che dee traboccatne la
bile ^ se alcuno
' gf impedisca placare ^ue'
morti eoa tante
vite di nemici
le quali sole
son credute un ossequio
in verso gU
estinti ì, V. '«
Ma supponiamo che
•persuasi, o forzali^ o per qualunque maniera
vinti mi si
arrendano , e contxdano che questi continuino
tìi vita, or ti pare,
che sian per cqnce'dere'che ritengano
insieme ogni lor
cesa, q sema pur neo
di vergogna' se
ne vadano quando,
a tbr pia» ce , 'quasi
eroi . qui apparsi per
felicitàrne ? O non
piuttosto sopravvenendomi j quasi
fiere, mi sbranereb- bero appena tentassi
dit questo? O non
vedi come i cani
da caccia quando
è presa la fiera
la qual chiusa dà
essi va nella
rete , circondano il ceuciatort , chie- dendo parte della
preda ? e se non
ottengono bttntosto il sangue
o le viscere , non yédi
come lo sieguonó , e pressano, e malmenano,
nè. respinti sèn
pdrtono , nè percossi ? » » • , ■
■ VI. ... « Faticarono tuUo'il
di cotnbaltendd, ma^i che
le ombre tobero
di rafhgurare gii
amici e i nemici, tornarono a proprj
alloggiamenti . . . Appio Gaudio
non so per qual
mancanza intorno de*
sagrifizj perdé la vi-
sta, e ne fu denominato ->^f£'eco ; 'perocché
li' Romani cosi chiamano chi
non vede ^ ^ . le
scritluce' custodite tra 1 murs
(i) , formate con lettere/
accuratissime , odo'- rifere per lo misto
in che sono,
presentano tal iloridez* (t)
È diifieite iotarpetrare dove
miri «iitesio rottame.-
Fn detto che alle
«nti Freoettine'. Digllized by
Googl * . • LIBRO, tVl. ,• i
4^3 u . ^ . I RonUuii ckUmaQO calende'
le ncòmeaie . come
* none dtiamano la'
mezza IbQa , ed idi
il pleoiluaio. » VII.
« Era*. la falange nel
rnsAZO disgiunta ié.
mal piena : cori quelli
che ivi erano
disposti id òontrario, le
furono sopra, e ne 'respinsero i>coDÒfc|auenli l’'iaosa,
guàra aitàccò tutto
il fiore dc^
cita Uomini sacerdoti ,
onorati Co’ sacri -minirieii'. Quest’ uomo
pien di trasporti
senza consiglro, insolen> tissimo , deliberando e ctmcentrando in
sé tutti i poteri per
la guerra E poi
tu ardisci di
accusare ia sorte, turche
la usavi pessimarnente, postola
su barca già rovesciata
? Così eri stolto
? \ , .^jilcuni i membri
abbisognano di cura,
e tali altri cicalritzcmdosene .> . « ■VQt (i)
Ma vo’ ricordare ancora
un’ arion' dvile -de* gna
degli «noom) di
tutti i mortali , dalla iquale
sia chiaro ai .Greci
quanto Roma ' allora abborrisse
soellerati , e come fosse
inesorabile contro chi
viola i diritti comuni della
natura. |Ca jo Letorìo
soprannominato Mergo , uomo
illtutre pe’^ natali , , còme >non
ignobile per le'
belliche imprese ; dichiarato trìbW>'
militare* nefia 'guetta -San- nitica^
Ittsiqgò per un
tempo un giovinetto^
sub came- rata , vago più
eh’ altri di
aspetto , perchè rendere
si volesse agli amorosi
diletti di- lui
(a). Ma perchè
noi guadagnava cb’'donl , uè còlle
gentili maniere,* ornai
più non bastando a sesiesM , cpr§e alla
violen^. Divulgato- sene il disordine
tra le miliziè
,, i tribuni • della
plebe y « ; V » ' ' - (i)
Qoaoto Si«go»Ja questo
.libro , er^etlaato. it* paragrafo
lO'A lutto frammenti. . . ^ *•
* V > (r) Anno di
Roma 4^, . • . > PÌONIGI, lama
111. . 1 ' , . U 4^ DELLE
Antichità’ romane •
ripuUQ^Io oltraggiò comune
della {repubblica , me
die» dero .accusa .pubblica
al reo-, cpudannatone
quindi dal .popolò a Qiorte
eoo voti pieqi.
Peroécbè non tollerò questo ebe
uomini di grado
,nell',;fsercilo profanassero
con ingiurie ‘ùmpìabili e contrarie
ali^ -natura Tirile, ' persone -iagentté, mentre
esse per la
libertà’ co njballe-; vano (i)i
.• ... . - ' IX.
.Se non che
non molto prima -di
questo fece^ttn’ opera ‘ aaeor
piò tp^evigliosa per T
ingiuria recata ad un
altra persona, quantunque
servile. Il (àglio
di PubKo,io dico t di
uno di que’
tribuni milUari che
umiliarono ai Sanniti l’ esercito
e n& andarono, sotto
giogo , fa co- stiletto, come
lasciato iir grave
pénuria, a ter -danari ad usura
pe’ funerali del padre ,- ^qtfasi ch%
sarebbene quanto prima rilegato
da’ parenti.' Ma
deinsò nelle sue speranze,
e scadutone il termine {vfa
présir'egU Stesso pel:
debito, giovinetto èòm’
era. e vaghissimo nc’
sem- (t) Valtrìo Masshiro
pirla di a(
capo' primo ' ' ' ' ^ Le
deecrjsione qui «ecala
b l' una' de’ tram meati de’ libri
per- doti-di Oiop^i. ,II'£|ito
fi narra pur
aél compendio in.
tal modo: Ua tal
Romano^, Cajo Leutrio , intUleva cpn
un giovine , suo
eu- merata, ond’ avir tUo
diletto da lui y
vago della persona.
'Ma non essendo il
giovane goodagnalq nb
per doni v né
pér eavetse , alta Jiite
divalgato il disordine
dell’uomo, i tribuni lo
condannaranò . ‘-'IXdnigi , ’Oòm'Vne'^reaiaieoii , leone per
ciseostinta gravissima del fitto
la vipleoia, usala in
noe dg Letorio
: -Se cglf compendiava sè atess >Ta
le carni ^acci&ct^
appena-^ si'riseajtooo e ' commoTOusi ifid
tanto eh*. gli «piriti . nalnrali di
esse yio* lentano i p.ori , e $i dissipa'no.
Questa •>, pur la
cagione de’ terremolwià Roma.
Conciossiaché tutta vuota
di setto per grandi
e contiqùatl canali pe’
quali conducesi T afana tien
m'ohe sflatatoje^ per
le quali sen.esca.il
vento rio- r.hiusovit ma.
quando il vento 'rimastovi prigiohiero
' sia troppo e veemente^ questo^
somioove' Roriù e rompene il
suolo (a), a •' ;
. (iX Si^ consenta in
generata ani liplo
rfi qi|eSto, giATÌnetto : ma
si discorda autonome, su la famìglia',
e sul ten^)0. Valerio' Massimo nel lihA ^
lo chiama *fity
Vetório figlto noa
di Pubblio ma
di quel Tito Veturio
che net aifq
consolato fu dato
ai Saooiti (lal.
cfattaio obbrobrioso
coocluso con essi.
7(10 Livio chiama
it giovine Cajo Publicio, ed
assegna il fauo
all’ anqo .'4^7
di lioma aolto
i oontoli C. Poeleliu fc
Lucjo Pepino, vispi
4irùclusa la pace
co’ Romani , soprastettero breve'
tempo i Saiteiti, e poi,, stimolati
dà un* antiéa
ingiuria, mar* ' ciaróno coll'
armata tra i Lucani,'
loro cónfinauti. Questi affidati da
principio 'alle forze
proprie sosienner la
guér* ra : ma- pòi vinti
in tutte le
battaglie, pelòta gran parte
del territorio , e già prossimi
» perdere^ anche il resto , si
videro necessitali ad
implorare rajuto- di
Roma» J£ quantunque' consapevoli
a sestessi di aver
tradito i patti cdnclusi
Uria volta con
lei di antiòizia
e di allean- zaf non-
disperSròne ch^ concorderebbe
di nuovo, se le
inviassero in ostaggio
insibme òon gli
oratori 'i giovinetti più rignardèvoti
di tutta la
repubblica loro. ■ XU.
Qr questo appunto
ne seguitò. Perciocché
Ve- nutivi gli oratori^ e supplicandovi ca^dissimamente ; il Senato deliberò
di- ricever gli ostaggi
e render^ ai -Lo* cani r amicizia;
ed il popolo
né comprovò- la sentenza. Firmati gii
accordi con- gl'
inviati de'Lh'cani , il Senato elesse
i più provetti per
anni è per onori
^ e li diresse ambasciadori al
consiglio' generale dèi Sanniti;
affinchè dichiarassero 'ad
èssi che ‘i
Luoùni erano git
amici , e gli alleati
.di Bontà , e gli esortassero
a render lóro le terre
usurpatene , nè più
tramarli ostilmente : già non
permetterebbe la repubblica' che alleati
suoi che a ' lei ricorret'àna , rinutnessero esclusi , dal
proprio, territorio. ... • tata
levar tutu levando,
i oaneli. Pìi( volentieri
diremo che le
mosee de' venti ttnterranei seno
éfletlo 4ie'unemoti ausi
che la- priout eafione. * (t) Anno di
Roo» 4^6. Digitized by
Google UBBO XVI, 4^7 , . XIII.
I Sanniti
gli mnbasciadcwi incollerìrono
e replicarono primicramentò ; che
i trattati di pace
non erano Jdtt} 'Con
accordo 'che essi
-non mossero per. amico;
o , nemicò se /ton
^quello che -assegnassero
• loro per tale i Romani
i Appresso , che i Romàni
~s' avje- vano renàuto
amici i Lficani non
già in antico,
ma di recerite quand'
erano questi già
inoolli- nella ~^guerra co' ^Sanniti ; oh A
è che non avevano-
titolo nè, giusto nè
decoroso per- romperla
co' Sanniti Risposero
i Ro- tofiixì'.'che. coloro i quaU
avevano promesso di
soggia- cere, ottenendo
appuntò con ciò-
la pace, dovevano obbedire in
tutto, a chi presedeva.;
'.e minacciavano in caso
contrario di portare
sa essi la
guerra. I 3aimiù ripuianjlo intollerabile
|a ptresunaione di
Roma intima- roflo agli
ambasciadori cht partiasero
su. T istante ; e de- ntarono che sL
apparecchiasse spianto bisognava
per la guerra di
tutta .1» fazione, e di
ogni citti^^^ ^ XrV.
Pèrtanto' la ; cigìon manifesta,
nè ingloriosa a" raccontarla ,. della
guerra Sanuiliea , fu .la
voglia di soc- Q>rrere i Lucani
caccòmmuidatisi a Roma quasi fosse già
pubblico e^ vecchio
costume * di essa
^difendere gli oppressi, che la
invocavano: ma la
oagion recondiu., e che
più \li sospinse
a romper la pace ,
era la
potenza Saimitica, divenuta già
grande, e la qnal$' crescerebhene ancora, se
domati i.l,ucani ed i
confinanti di questi
si volgessero ad essi
anche le barbare
genti .che stayansf appresso. Cosi
tornati appena gli
ambasciadori la pace fu
rotta , e sì àfrolarono
due armate. XV. Postumio
già console , ■ venuta
1* oca di
esserlo Digitized by Google 438
DELLE AJWICHITa’ ROMANE ii«vatneiue - ( i ) , teniasi grande
per to splendor
de*’na- taii , come pel gemino
consdato» Doleasene sa
ie prime il collega
di Ini quasi
escluso' daU’ essergli
Uguale, e più volle ne
fece 'in Senato rimostranxa.
Alfine qUah plebeo venuto
in luce da
poco, riconosoendosegli' mìAore per gli
antenati, per gli
amici, e per àltre
eccellènze, .n'mi* liossegli , e
gli concedette di
per si stesso
il comandò della guerra
Sanuitica. Diede grande
invidia aPostumio un tal
fatto, come nato
dalla media arroganza
sua'; ma poi glien
' diede un altN , ancona
più indegno di un
duce -Romano. linperoccbè
separali due mila'
difi esercito suo li
ridusse nelle campagne
sue proprie' senza
i fèrri con ordine l'nsieme
ebe potassero "un
qùerceto, leneu- doK gran
tempo in òpere
ài mercenari e dà
schiavi. XVI. E superbo tanto
^ prima di Uscire
|Kr la s|>è- dizione, apparve,
più InioUeraUle ancora
nel compierla; dando al
Senato ed al
popolo catise* giustissime
òndè r abborrissero. E ceno, • avendo.
i| Senato definitó'che Fabio il
console- dell’ àttnò
precedente, il quale
area vinto i Sanniti cbiamali'
’FeHtri'{i) si- rimanesse
nei campo .con aniorità
proconsolare per guefreg^are
con- la parte stessa
de' Sanniti, ^gli.oon ieiterrs(ia'
gl' intimò di
par* tirne , come spettasse
e lui sólo còmaudarvi.- Spedirono i FUdtì'a ^chiederlo
ebe non impedisse
al proconsole di stTtre,
nè ripugnaste 'ài loro
decreti; ed 'agli
non diede se nOn.
òrgegboae e* tiranne
rlsposfe, dicèndó:*cAe fin- (■)
Anno (li Roma '
(a) Aocbe Litio
fa mauaionè di
quelli SaoaÌM : nondimeau
Cla- tetio li tralatoia
Della ina Italia
antica. Digitized by Google LIBRO
xn. 43 a . . > . IV.*-* beticippe
IvaocdeaiOBe-ìùteyVÓgÀido
l’oracolo, dove portaste il
destino * che egli
cc/’^stiei '‘prendessero tede, né
ascoltò chè dovessero
Aavìgare-AllMuiia, «divi (i) Caprifico,
fico «ilvcstfe. La
voce greca tigoifica
ca'pro e pr«s$o .glcuui popoli
caprifico. Quindi P ambiguiii
d* iulerprcUrc la voce
per capro o-
capritico. ^ Digilized by
Google LÌfiRO XVII. • 443 ahbìtàre dove
approdati rimanessero un 'giorno
ed una notte. Approdata
la flotta intorno
di Gallipoli 'in un tal
campo de^T^renlinì, dilelliito'Leacippo della
aalbra del luogo , operò
coi Tarenlini .afllnchè
gli isonCedessero di stanisi
ii giorno e la
notte. ^ Cosi passatine
più giorni ; voleano
' i ^Tarentini che ne
partissero ì -ma colui
noti ditd^ lor mente,
dicendo che secondò
^li accordi uvea iU
loì^ quel tUoigo
pel giorno e per
la notte", e però sino
a Umto^che fosse o furio
o f altra non se
ne parti- rebbe.'I Taréalini
vistisi, nell’ inganno,'
coQsentirono che rimanessero (ì). »
> > ' 'V. u I Looresi popolando
Zefirio (3) , «Ina
punta d’ Itali»; ne
flirtino soprannominati' Epizeflrii
.X. . Stav tniropo. che
rimanesse nel hiogo
in che era , soste- nendone la ^ecn.
che ne derivava
.«. furono dissipati tra
selve e valli e ripidezze,
s Vi. « Un TarentiOo,
uomo empio, e deditO/-à
tatti i piaderf p«* la
incpntinenztr e prostituzione' della
Sua bellezza fln'da ^ovinetto
/ ne' iu nominato Taide
. . . . Fatta ià' scelta dal
popolò erano'' partiti ....
Vilissimi e petulaaUssìml tra* cinadini.'
» ■ • VII.' (3) Fu
Postumio spedito ambàsciadore
ai Ta- rentinr : ma'
facendovr rimostranza ; questi
non-T iitte> sero , nò ' pigliaronp
il contegno de’
saVf i quali -òòmuliino su là
patria che pericola
: anzi , se nieoiotavitno mai
che cóldi non parlava
accuratissimo il greco
'Idioola , ve! (1) Siraboàs
pel libro setto- dà
questo '«Sdetiaid racconto per la
origine di Melapoalo.
■ ^ ‘ r (a) Cosi detto
perebà risolte al
vento Ztflro ciot
di Ponente. (3) Questo
e li tre paragrafi
srgoenti tono frammenti.
- Digitized by Googlc 444
DELLE Antichità’ romane deridevano , ed elevando
1i;m le mani o
la voce
, se ne irritavano, e barbaro
lo chiamarono; jtantt>
che 1q espul- sero infine .dal
teatro (i). E già
costui m ne andava co’ suoi, quandd
per istrada si
avvenne con essi ,.
Fi- lopide , un accattone
(a) di Tasanto
il ' quale sopran-j nomina vasi
Colila dalF uso
che avea, ‘continyo di
bria> carsi. Caldo del
vino, ancora del
di precedente , come ebbe vicini
i Romani , si tirò su
la veste : e scompó- stosi in atto
indegnissimo da «vederlo , sbrufTè sul
manto sacro de’ Legati
ciocché non. pttò
nominarsi ' nemmeno con decenza.
, , Vili. Scoppiatene da
tutto '3 teatro
le .visa', e sbat- tendoglisi per
fino- le mani
da' più protervi ,-
EoStumio riguardandolo disse : accettiamo
o tvtissimo uomo / au- gurio
: giacché ci date
fin le cose
che nòn chiedi/ama. Poi rivoltosi
alla moltitndine ,■
mostratovi contaminato il suo
manto , e sentitevi
uuiversaliN aucora 'e
più, grandi le risa,
anzi le voci
nemmeno , di àlcUni
che'sen compia- cevano , e
lodavansi, della contutUelid
: -ridete f disse , finché
V é dato ; ridete, pure o
"Tarenùni ; ehè assai ne
sospirerete dii j>oi.
Fremendo alquanti 'alla minaccia iò
; replicava , perchè pià
Jremiale vi aggungo
; che assai laverete col
sangue :quesUi , mia Cosi
spre- giati dai 'prijvati e(kl
pubblico, e tosi
•pcoaunziatp quasi come un
vaticinio divino , su
loro / sciolsero ,d
legati dal porto dà
Taranto. „ ' . • v ' * « ^ ' IX. Giunti
questi sotto Emilio
fiarbula magisti^to (i) Aono
di Roma al Altri-
alla idea-dj acoattone- soatitaiacono quella
*di od aomo brflardo
t garrulo , ellione de** Lucani
e de* Bruzj ‘j e
finch’ era' indomita la' nazione' grande le
bellicosa de* Sanniti
, e 1* altra 'de* questi
son fatti a\dar
buoni auguri , a chi cerca
mantenne i beni pri>prii.
Ma. chi cerca r altra!,
spii queiU augnrf
da uccelli di
pronto e rapido impeto
per lontauT Via^.
Ginciossiaché questi uccelli sieguooo
e pcocacciansi ciò che
nbn hanno : ma gli
altri guardano e''cnstodiscòno ciò
saltité ». ■Pormi
sa- viezza mandar’ lettere
di minàcce aC sudditi:
ma vi&t pendere come
uomini da pocoro
da nulla- Uomini dei quali
non siansi considerate
le milizie -nò
conosciuto il valore , questo
è indizio di forsennato
, o di chi non sa
ciò che è senno.
3Ia noi sogliamo
punire i nemici co
folti , non,, colle
parole. Nè fàteiamo
te giudice de’ nostri
richiami co’ Tapentùti , oo’ Sanniti
, e con altri: nè
prendiam te garante- dà
far valere ciò che
tu . giudichi. Decideremo
colle armi nostre
la di- sputa pigliandone la
pena che ne
vohemo.- Su tali 'notizie . apparecchiati come
nimico ^ noa come
giudice nostro ». - , » ' XVIII. « Vagli
poi considerare quali
’ garanti ne darai per te da
soddisfare le ingiurie
>che tu ci
fai : non ricevere
a carico tuo che nè^
farentim . né sdtri nemici opprimeranno
i diritti. Se luti
deliberato di int- prendere per
ogni rqdnierà la. guerra' contro di
nói , tieni certo
che^ti succederà dò Se di ^
'necessità suc- cede a chi vuole
combattere innanzi di,
aver ponde- ralo con’ chi sia- per
.combatterò. 'Abbi 'tutto in
pen- siero , e poi se cosa
ti bisogna da
noi, aìlo'ntàna- le minacce , pon
già. quella tua
regia fierezza V vieni
al Senato , informalo ,,
persuadilo uè' vedrai -mtuteanS non 'il tjlirilto,
e non £ equità a. Digitized
by Google V i'»9 • DELtE ' ANTICHITÀ
ROMANE n I DIONIGI ALICARNASSEO
> • J . ' LIBRO DECIMOTTAVO. . SUPPLEMENTI
E FRAMMENTI. I. « JLìevino console
ramano (i), preso
un esploratore «li Puro
(e prendorfe alle
sue. milizie le
armi e schie>r rarsì : poi
mostratone a lui lo
spettacolo gl’ impose
di riferirne a cbv lo
mandava, tutta la
verità : e che oltre le
cose vedute dicesse
che Levino il
console de’Komani lo ammoniva
a -non inviare occultamente ‘altri per
os- servare : venisse egli 'e
vede^ palesissipiameate, e spe* rimenlasse ciò
che-gian Tarmi romane
». (■) Addo (li Roma. 474- n/ÓJV/C/. lówà
III. ' ' '>9 Digitize(j by
Google 45o DELLE antichità’
ROMANE IT. « Ua tal
Oblaco,
loprannominato.VuUinlo, dace
de'Fereatani, al vedere
che Pirro non
avea posto certo, ma
presentavasi rapido dòvuoqnc.
.tra’ soldati , diresse r
attenzione . a.' lui solo : e dove'
che ,ne andasse
il re cavalcando , ivi piegava
anch’ esso il
proprio cavallo. '
Osservando 'ciò Leonnato
di Macedonia figlio
di Leo- fante , .l’nno de*
compagni del re, se ne
empi di so- spetto, e scoprendolo a Pirro
disse fvMarortaro(^o. Dopo
quell’ incontro il
monarca afEne fidisstihó e valorosissimo fra’
coin|>kgni la da* mide
sua di porpora
e di Oro usata
da Ibi. nel
com- battere, c l’armatura,
migliore delle altre
per la materia e pei
'tavqro , ed Segii prese
la clamide bruna
, e 1’ u- sbergo e la
causia colla quale
, Megacle difendeva il capo
dagli ardori. E questo
fu cagione , sembra , a lui dj
salute a. ‘V. (i).
Dopo (Jbe Pirro
signore degli Epiroti
aveva portato r esercito contro
- ai Romani , deliberarono spe* dirgli
ambasdadoH pel- riscatto
de'^rigiouieri , sia che
colui volesse' restituirii'cambiandoli, sia
che tassando un prezzo
per ciascuuo di
essi (a). Pertanto
dichiararono ambasciadori' Cajo
Fabrizio , il quale
gii console , ad- dietro da tre
anni , vinte i Sanniti , i
Lucani , i Bruzj con strepitose
battaglie , e disciolse 1’
assedio ‘di Turi , e Quinto Etnilio
il quale éelTega
un tempo di
Fabrizio fece la guerht
co’ Tircehi«, è Pdbiio
Cornelio il quale gii
console addiètrct da
quattré' atini atuccò
^utti i Galli chiamati
Scnoni, nenvcilsfmi'de’^omani,
'e 'mitene a 61 di
spada tutù gli
adulti.' VI. Venuti quésti
a Pirro , e -discorsogli qninto
concerneva il subjelto
, come la sorte
non Imttoposta a calcoli ,
corno repentini sOno
*i eangiamenti fra
le ar- mi, e .come niun
può' di leggieri antivederne
il futbro; proposera a- lui
che sceglieste dì
rendere i -prigionieri a
p-szzo o permuta. . . • ’ * • ' • - •■ * • (t)
Anno di Roma
47S. ' ( ' 001101 rispose
: jirduo cimento è il
vostror o Romani , . che
ricusate can^iungervi meco di
aiaicieia , e richied/ete i vostri prigionieri da
usarli in altre' battaglie in
mio.dannoi Voi se desiderate
il bene., se
intenti siete tdX
utile comune a noi due ;
pacificatevi con me , e
ee’ miei confederati, e ripigliatevi gratuitamente
1 vostri pri- gionieri, alleati,,
0 cittadini che sieno.
In altra moda non
soffrirò che vi
abbiate un' altra
volta- tanti, Je ^ tanto
valorosi. Corì disse
presenti i tre 'legéti
, ma poi prendendo Pabrizio
in disparte soggiunse:, Vili. Odo o
Fabrizio che tu
se prestantissimo nel guidare
una guerra, che
se’ giusto, e sobbrio
e pieno d’^ogni virtù, dell’
uomo privato , ma
che intanto sei povero
di sostanze, e depresso
in ciò solò
dalfis sor- te ; onde noli
vivi tù eoa
più agio cher . gV
infimi se- natóri. Ora io
volendo sollevarti anche
in ciò, ti af-
ferò tanta quantità di
argento e di oro
da superarne il più
facoltoso tra’ Romìmi.
Imperocché io reputo liberalità bellissima. , e degna di
citi presiede , be- neficare i valentuomini i ‘ qiysli . per , la povertà
non vivono con dignità
de’ lor^ genj
bennati, e- questi io reputo
doni, questi monunten{i
luminosi per /una re-: già
potenza. ' , IX. Or
tu vedendo '0
Fabrizio il, voler mio,
lascia ógni verecondia ',
vieni ,a parte
de’ miei beni ;
e con- cepisci che mi farai
piacer grande, . . e.
che sarai presso me
riverito come un
amico , o un, congiunto
, o certo coni uno
degli ospiti più
onorevoli. Nè già per
questo mi dovrai
tu p/eslare l’ opera
tha in cose Digilized by
Google LIBRO' xvnì. 4'^^ non
giuste, o non degne,
md in coj&
onde tu ne sia
piti stimabile e grande
ancora nella tua
patria. E primieramente pròvecherai
spianto puoi perchè
faccia la pace 'cotesto
tu& Senato , fin qui
duro , e privo di niodprati
contigli. Dirai che ia venni
in danno' di Roma
promettendo soccorrere i Tarentini
ed altri d' Italia
: che ora non
sarebbe giusto, , né decoroso che
gli cdibandonassi io
presente qui coll'
esercito', e vincitore già.,di
tuia' battaglia: che
nondimeno affari imperiosi e molti
avvenutimi poscia -mi
richiamano alla reggia. • ‘ ' X.
Ed io qui
ne do , sii
tu solo o am
gli altri compagni , le
assicurazioni più. ferme
, c&è io son intento
a tornarmene se ì Romani
mi si concordano per la
pace : talché puoi
dirlo pur francamente
ai tuoi cittadini se
alcuni mai - ve
ne ‘fossero d quali mal
suona, il mme
di un,re, come
quello di un fi4o , ne’
trattati, e-témessero di
me similmente perchè taluni
monarchi si. videro, sorpassare
i giuramenti, e tradire gli
accordi.. Fatta la ■ XV.
Magro ò il nfio
poderetto: eppure amando
io di lavorarvi ed
appiicàndomene
prudenzialmente -> i frutti
t somministramb tutto il
bisognevole; riè la na-
tura ci viohnUf a cercare
pià che il
bisogiievole. "Soave m’ è f alimento
cui la fame
còridiscemi, dolce la • bevanda
Cui la seté
procurasi , e molle il
sonno cui la stanchezza
precede.
'&ijfèientissima rrì è la vèste
Che mi difènde
dal fredda , come
acconcissimo, il -vose meri
prezioso fra quanti
datino P uso mede- simo. Noti saria
^unquè giusto accusare
la sorte, la quale
mi pòrge quanto
basta alla natura,
e la quale se 'non
dovami H' abbondanza , non tri'
impresse netn- tnèno desiderf
superflui. • XVL Io
non hb mètri' è vero
da- soccorrere riti- si debbe ;~'ma
nemmeno diedemi''Dio. su le ricchezze quella' cognizione . certa j 'o
divinatoria per la
quale gioitasi chi he'
abbisogna , come nemmeno
diedemi tante -altre cose. Partecipo
ciocché ho colla
patria e gli- amici; porgo
loro còme comuni
le cose mie ,
be- Digilized by Google 456
DEixE Antichità’ romane neficando come
posso chi ne
abbisogtia , nà 'quindi io
credo mancare. K quesfe
sono quelle manierp
mie che tu giudichi,
prestantissime , e else sei
pronto di comperale a sì
gran prezzo. - , XVll.
Che se poi
la ^ gran possidenza
sia degna che procqrisi
po/t tante premure , e gare appunto
per benefitare chi ne
abbisogna » e se questa
rende più Jelici i pià
ricchi come sembra
a voi re j qaoii
vie saran le migliori,
da pi'ocurarsela, quellè
per le quali vuoi
tu 'che io
me l' abbia
ingloriosamente , o quelle per le
quali io V avrei
prima ottenuta con
decoro ? Certamente gli
affari di stato
mi diedero tante
volte per addietro > mezzi
da arricchirne principalmente quando già
da tre anni
fui • consolo , spedito
col- f esercito cantra , XVIII.
K potendo di^ tali
acquifU applicarmene quanto.io-
voleva ; • non veppi
toccarne I 0 trascurai per amor
della gloria uua
ricbhezza anche giusta
; come, fece falcfio
Poplicola,' e ,come pur fecero,
altri moltissimi pc’ quali
- Roma tante 'ne è
grandiosa, Ma da te
quali doni mi
si, apparecchìanà ? Non
cans- hierei forse il
meglio col peggio
? Sal'ebbe quella prima maiiiera
di possedimento stata_uiùin
colla sod. disj azione del
cuore, con un
apparalo di giustizia,
e Digilized by Google , j LIBRO XVIU.
' 4^7 decoro; ma da
codesta tua Ujopfia
tatto ciò manca. Imperocché qpAttVO^
uquo^accstta dall’ nomò k
cotta ca
knseTiro csb-gu gravita-
iNTOthro riw cuk SOL
oottrairifA i k NAseoaDASf purb .
la etA- TORÀ DBL
PRESTITO .co' tfÙMI SPSCIOSf , DI
DONLf Dt favori ; DI
BiOfBFfCBmBE.' , , o XIX. Or
su poni che
io uscendo da
me prenda C oro che
mi offerì, e ciò
divulghisi tra’ Homani.
I magistrati irreformabiU ,
quelli . che noi
chiamiamo censori , a’ quali spetta
esaminare U' vivete de'
ife>« mani e castigar ehi
devia -dalle cóasuetadini
della patria , quelli mi
citino e m’ astringano
a- dar conto de’
doni ricevuti , al cospetto
del pubblico e,
dicano : ;,xt. « Noi
(i) ti abbiamo
inviato o. Fabticio
con due consoUpi al
monarca per trattare
il riscatto dei prigionieri. Tu
rivieni dalla spedizione
‘ feoza li pri- gio/tieri , e sene’ altro
bene por, la
eittà : Bitorni col» mà
, e m solo^ e npn. i tuoi
compagni ,, delle regie .( se
non da ciò
die tu ne tradisci al
-ne- mico, sì che egli
coi tùo mezzo
soggioghi per sè
/’/- talia , e tu col
mezzo di lid
tòlga alla patria
la li- bertà ? Così fan
tutti gli nomini
di una v^tà
simu- lata," e non
vera, quando si
sono avanzati al. grande e forte degli
affari «. « . > . , • XX.I. w Che^fe
non -tu- adorno ddla
dignità sena- toria,-e non da nemici,
cnom^per tradire e far
ti- ranneggiare la patria avessi
accettato- que doni,
ma soltanto come privato
da'-un re cotfederato,
e senza ombra di male
pel comune, dì,
non. saresti da pu- nire anche per
questo che depravi
li giovani , insi- nuando nella loro
vita il genio
per la- ricphezza,
per le delizie , • e per
Its sontuosità dd
monarchi-^quando abbisognavi
condnenza estrema a preservar -la repub- blica? Svergogni, li
tuoi maggiori de'
qu^i niuno de- viò dagli
usi della patria
nè mutò la
povertà deco- rosa con turpi
ricchezze : Si tennero
tutti' nel tenue patrimonio, che fu riceyesti,'ma
poi “riputasti minore di
tC n' . , K ' XXII.
u Anzi tu ' dissipi
la gloria a te
risultata pe’ fatti anteèedenli , la qiiaL
possedevi di uom
tem- perante , e superiore
ai bassi desìderj.
Ti diletterai di' esser
fatto malvagio di
proho , quando dovevi an- che cessare dall'
esSer inalvagió , se
eri mai tale? 'O
sarai da ora in
-poi messo a parte
mai più degli onori
dovuti ai buoni
? anzi levati piuttosto
dalia città, o dal Foro
almeno. E se ciò
dicendo mi cas- i.
' Digitized by Google LIBRO
XVIII. 4^9 sasserp dai
Senato , e mi riducessero.
disonnati, qual cosa ftqtrei
replicare , o. quid
Jar giustamente in contrario
? E, dopo ciò qital
vita vivrei io
mai, caduto in tanta, infamia t‘~e versatola
in tutti i iniei posteri ? n • , , - XXIlI. u Quanto
a te poi come-
darò segno mai più
di giovarti , se tra miei perdo
la influenza e Ut riputazione , per
le qatdi ora
cerchi, di afJezionap~- miti ? Quando
non potessi più
nuUa nella patria
, non mi rimarrebbe
che uscirne cottr
tutta la Jìtmiglia, condannandomi da
me stesso ad un obbrobrioso
esilio.' Ma dove mi
starei da- indi
in poi , qual
' luogo mi ricetterebbe » ridotto^'
^eom’ è conseguenza , senza
la libertà del parlare
?> Forse il
tue regno? Viva- Giovo se mi
apprestassi tutta la
règia tua prosperità,,
non mi daresti tanto
bene quanto' mé
ne togli' , . levatami la libertà,
preziosissima innanzi ,n . * XXI-V. u Còihe
potrei tener vita
tanto divérta ^ tardi
ammaestrato a servire? Se
cJù- è nato ne’ regni e nelle tirannidi
quàhdo abbia cuor
generoso , ama la libertà , stì/nando ogni
-benè meno difessa
; come chi è cresciuto ùt
città libbra e consueta
dominare^ su gli altri
, passerà volentieri di
bpie in -mole , di libero
in suddito per
imbandire laàte ogni
giorno le mense, pie
.aver gran seguito
intórno di servi,
e pigliar diletto senza
rifeèya eoa'' femmine
e donzelli formosi quasi 'la
ùmana felicità sia
riposta in questo 0 non
già nella virtù
?-n XXY. u'Ma sùm
pure questo e cose
altrettali de- gnissime \di esser
cercate , or quando
/’ uso ne
sarà Digitized by Google 46o
DELLE Antichità’ romane
/ tnai lieto se
non sono mai
stabili ? Se a voi'
sta concedere tali amabili
còse.; voi le
ritogliete uguale mente ,■
quando vi piace.
Lascio di ridire
le gelosie , le
calunnie , la. vita
sempre- in pericolo
, sempre in timore , e tutti gli
altri sconci , non degni
del wx» lentuomo , quanti
ne porta lo
sfar presso ai
moìiar- chi. Già non
colpirà tanta stoltezza
Fabrizio da ab- bandonare la famosissima
Roma per vivere
nelC E- piro; o da
ridurlo chk merUre
può far da
capo nella città dominante , voglia essere
dominato da un
solo , pien di sestesso,
e .còhsueto di 'udire dagli
altri sol- tanto ciò che
diletHa ». j XXVI.
« Già non potrei
levare il grandioso
nei pensieri t nè impiccolirmiti
, anche volendo, sicché
tu non debba sospettare
niun danno. E rimanendomi come la' natura
e-'glt usi della'
patria mi han
fatto , ti parfè
grave , ■ e quasi tirare, da. ogni
pòrte il co- mando verso di
me. Generalmente debbo
avvertirti ctie non vagli
ricevere nel - tuo
regno, nè . Fabràio, nè altri , sia maggiore
sia .'pòri tuo
nella virtà , . ni
af- fatto chiunque
sia'crescitUò iti, città
Ubère con sensi più
grandi deiiP nomo
privato. Già* non è
sicura ai. principi nè cara
la dimestichezza con
uomini, di mente eccelsa.
• Mà. su: V utile tuo vagli
tu da te,
di- scernere ciò eli è da
fare:.-quaoto a prigionieri nostri scéndi
ai miti consigli,
lasciane aitdare ». . XXVII.
Appena Fabrizio (ìae, maraviglialo della magnanimità
sua, lo prese ‘per
la (lesira dibendo: Già
non mi vlen
maraviglia che la
vostra città sia tanto
celebrala , • la cresciuta
a tanta signoria , dap-
Digilized by Google LIBRO
XVllI. 4^1 poiché dia
nudre tali valentuomini.- Ben
avrei caro che non
fosse stata fra
noi briga ninna
fin dalle origini, fifa
poiché vi fu,
poiché taluno de'
numi volle che noi
misurassimo a vicenda le
nostre forze e iL valore , ^ misuratolo ci
riconciliassimo ; son pronto. E cominciando io
la benignità la
quale dimandate , restituisco
'in dono, e non
a prezzo i suoi prigionieri a Roma n. ^ ,
•' Digitized by Googli 46a DELLE , ANTICHITÀ ROMANE di" ' . I » DIONIGI ALICARNASSEO LIBRO DECIMONONO. r . SUPPLEMEirri B FRAMMEHTL I. « X^ECto,
un. Campano, lasciàtd
da Fabrizio console romano
per capo ddia
gbarnìgione di Regio
(t), invaghito dei beni
di questa , finse venutagli
lettera da un ospite
suo nella .quale
si annunziava che
il re Pirro manderebbe cinque
mila soldati a Reggio
per invaderla, promettendogli li
cittadini , di aprir loro
le porle. Su tale
pretesto uccise cinque
di Reggio, e poi
comparti le maritate e le
nòbili tnt* suoi
militari, » vi si
fece (i) Anno di
Roma 47^. Dìgitized by
Google CELLE antichità’ ROMANE
LIBRO. XIX. 4®'^ tiranno
(i). Alfine caduto
nudato degli Occhi
mandò cercando • in Messina
Dessicrate medico » prestaatissimo secondo che
udiva. ...>,.» r II.
« Pirro recitò li
versi che Omero
mise, in bocca di
Ettore verso Achille
,'qnast detti da’
Romani versò di Pirro; . , Ma
te tale e Xaot’
nomo io gHi
non voglio , Cól
guardo seguitandoti ,
di.'forto , ■ ^ Ma palese
ferir^ se mi
riesca i ' • ■ Poi' soggitmgendo
che egli seguiva
forse nn tristo
$u> bjetto di guerra
contro Greci , buonissimi e giustissimi , ma rimanevaci
un solo- e bel
termine ; che li
rendesse 4 amici di nemici
, con'* principio magnifico
di benevo- lenza. n • ‘ III. tt
Quindi fattisi veaire'
li prigionieri de’
Romani, diede a tutti vesti
convenienti" ad uomini
liberi , e le spese- del
viaggio, Con esortargli
infine a ricordarsi quale egli
foése staio- inverso
'di essi,' a manifestarlo - agh
altri, e cooperare con (utlb
1’ impegno ‘ a .rendergli amiche
le patrie loro , quando
vi giungessero, .'i .
1 Certamenté r oro de’ principi' ticn forza
insuperabile, hè fu
dagli uomini trovato -fin
qui riparo contro di
arme siffatta. »... IV.
CKnia da Crotone
uomo soperchiatore privò
di libertà le cittadi,
'cOn dar fritnehigia
ad esuli e schiavi numerosi' de’ 'luoghi intorno
(a). Fondata là
tirannide (i) Quel di
Reggio '«ve vano cercalo
il presidio Romano,
temendo tanto de* Cariagipeai
quanto di Pirrol
Dacib uccise li
cinque qni si- gnificali in un
convito. Ma li
soldati ne uccisero
assai più per
le case, come sì
racc'bgjlie' da Dione.
'' ' (a) Questo
paragraie , e l( tegajeuti
lino al duodeoimo
sono fram- menti. Digilized by
Google 464 DCLi.E Antichità’
Domane col mezEO di
questi uccise o bandi
li Grotoniati più rìguardevòli. Anassilao
oocopò la fortezza
di Keggio , e ■ ritennela per
tutta la vita,
lasciandola appresso al
figlio suo Leofrone (i'.
Dopo questi anche
altri facendosi' a dominar
le città vi
sconvolsero ogni cosa^ V.
Ma il dispotismo , ultimo a nascere
e massimo ad- opprimere le
città d’ Italia , fu quello
di Dionigi , tiranno della Sicilia.
Imperocché passato nella
Italia in soccorso de’
Locresi che vel
chiamavano a danno di
que’ di Reg- gio , che erano
loro nemici , ebbe incontro
eserciti Ita- liani numerosissimi ; ma
postovisi in battaglia
uccise moltissimi , e presevi a
forza due città.
Poi tornato un’ altra
volta in Italia
svelse dalle loro
sedi gl’ Ipponiesi traendoli nella
Sicilia : invase Crotone
e Reggio e vi tiranneggiò per
dodici anni fiqché
queste città sopraffatte dal timore
di lui si
diedero ai barbariv
Ma poi premuti pur
da’ barbari come
nemici , si rimisero nelle
numi del tiranno. E fluttuando,
come le. acque
dqli’ Euripo , si volgevano senza
requie qua e là
fortuitamente , levan- dosi da
chiunque li malmenasse. VI. Scese
PiiTo di bel
nuovo nell’ Italia,
non riu- scendogli. nella Sicilia
le cose come
le ideava , perchè il
governo di Ini
sembrò dispotico anzi*
che 'regio alle città principali.
E per -vero dire, iutrodoftp
questo in Siracusa da
Sosistrato che allora
vi presedeva , e^da Toinone capitano
della fortezza (a), e
ricevnto da essi r erario
, e presso che dngento
navi rostrate , e sotto- (i) Ciurlino
uel lil>. a fa
mcniione di più zelante
per pubblica ^confessione
e più attivo nel
dar mano a Pirro pèrcbé
scendesse nell’ isola
e vi regnasse , giacché si
eca .costui recate
colla. fidUar^er incontrarlo^ e gli av^a
renduta l’ isoletta , da Idi,
presidiata in Sira- cusa (i).. Ma
tentando sorprèndere ugualmente
Sosistrato fu ddosò.; perocché
costui previde le
insidie , * e fùggì. - ' r ' ‘ • ' ' i * ' ' *’ ,(r) ^irapnsiT'pcr
quatuo rileviamo da
Lucio l^loro era
coma aoa ciùà composta
da tre cittàio
delle quali ngoiina
/ra cir- oonJata di
mora. Vedi le
uote lib.' a , c.
nella faoSlra tlradu- xKltoe ^i
quello' icritìera. • , ' DIÓA’TGI f tomo
///. , i , Digilized by
Goc^le 4G6 DELLE Antichità’
romane Poi coniinciaiKlo a scouyolgeoi
le cose di
Itti ; Carta> gine credette
avere il buon
tempo da riprender
nell’isola i luoghi perdniivt, e' ti
spedi sollecita un’ arinata. . IX. Evagora
figlioolo di Teodoro , ^alacro ' figliuolo di Mieapdro , e Dinarco figliuolo'di
Nicia , tristi , infàmi sopra
tutti gli amici
di Pirro ,*
emoli com’ erano
in dar consigli , alieni da’
Dumi e dal culto , vedendo il mo-
narca in disagio, cercar
vie da conseguire
danari , glie ne proposero una
indegnissitna^ i^e era
quella di aprire i tèsoli sacri
di Prosèrpina (t).
Imperocché nella città stessa
eravene un tempio
aaitvo , il quale serbava
oro in copia , intatto da
tempo antichissimo , e dove altro ven'
era invisibile a tutti,
come posto occnltistimamente sotterra. Sedotto
^da tali adulatori,
e riputando' la neces* sità superiore
a' tutto, si
valse de’ consiglieri
medesimi per lo spaglio
sacrilego. Quindi tutto
riconfortato im- baroò con
altre ricckecze Toro
venutogli'! dal tempio,
spendendolo a. Taranto. X.
Ma la provvidenza
giusta degl’ Iddj
maoifcslò T ef- ficacia sua. Perocché
ariose dai porto
pròcéderono in principio le
nari' col fi^re A t/n.
venm terra ; ma poi
cambiatosi questo iu
altro coo^rìo ii^pestà
per tutta la notte , e quali ne
affondò , . quali ' ne miruse
al golfo di Sicilia
; e spinse ai fidi,
di liocrs quelle
ov’ èra- no portati i doni' , già
votivi ne’ tempj , e P oro 'am- Jtnas&atooe : e qui
disfacendosene i legni foce
perire i nocchieri naufoaghi
pel riflusso deUe
onde , e sparse )’ oro
sacra su la
spiaggia appunto più
prossima a Ix>cri. Donde costernato
rese il mouaroa
alla Dea tulli
gli or- (>} Anao
di Roma 4/8- Digilized by
Google LIBRO XIX. namenti e i tesori , quasi per
allontanare con collera. » 4G7 ciò'
(a Stollo ! che non
vede» t/ùali tormenti Tf«
ìncorrerì* : 'chè facili
non tono , ■ , , . Thnla a mutarti
le celesti menti,
* ' ' Come' Ai détto da
Omero (r). Dappoiché
stese la mano lemerliria su
1’ oro sacro,
onde valersene in
guerra, la Dea lo
iniìitQÒ nè* Consigli
» per esempio' e 'documento de’ posteri.
t XI. E per questo
appunto ' io vlcrto
colle armi da’
Ro praticati don
éagli uomini, ma
dàlie capre per lo
selvoso e scosceso in
che sorto : cd
erano , per andare
senza ordine alcùno
spossandosi dalla sete e
(1) Odissea 111-,
, ):^micllUà Romane di
Dionigi. Tulio il resto
t auppliio col compendio
formala su li
medesimi verni libri. ' , . )Digitized by
Google 4^9 DELLE ■ ANTICHITÀ ROMANE . ' - '01 ,
parecchio. Conciossiachè ivi
crescono in copia
abeti al- tissimi e pioppi , e
la pingue picea , e il
pioppo e il pino > e r ampio fàggio , e il
frassino , fecondati dàlie
acque che vi
trascorrono ^ ed ogni
altra sorta di
alberi, la qual densa
ne’ rami tiene
continua 1’ ombra
su la montagna 1»). »
s - \ VI. a Eh questa
sélva gir alberi
prossimi al mare e
ai fiutni tagliati
interi dal ceppo
e recati ai porti
ricini forniscono a tuttà T Italia
materiali^ per navi e case:
gU alberi^ lontani dal
mare e da’ fiumi , ridotti in
pezzi , e riportati su le
spalle dagli uomini somministrano remi V " (t) Àpao
di Roma 481.'
‘ '• (a) Stra'bufu nel
lilwo V-I di«
che questa selva
eré lunga tcllc- cento
stadj. Digilized by Goc^le 4 7 "2 DELLE
Antichità’ romane e pertiche, e mezzi
di ogni arme,
e rasi domestici: fi* naimcnie
la parte di
piante più grande
, e più oleosa vien preparata
a dar le resine , e scn fornia
la resina chiamata. Bruzia-.,
la più odorata
, -e la piu
soave infra quante io
^ne conosca. Or
dagli affitti di
unto Roma ne ha
ciascon anno cospicue
rendite. » VH. « Io
Reggio, iecesi un’
altra sommossa 'dal pre- sidio lasciatovi di
Romani e di confederati
: seguitatidone da' ciò
stragi ed- esilii
noti pochi. Per
tanto Gajo Ge- micio
r altro de’ consoli usci
coll’ esercito a punir
quei ribelli. Presa la
città colle ardii
rendette ai citudini
prò* fughi gli averi
loro, edarresuto il
presidio lo condusse prigioniero in
Roma. Or su
questi tanta fu' Pira,
c tanto il dispeuo.-Dcl
Senato e uel popolo
che- non vi fu I pietà
di partiti : nm
da tutte le
tribù (ù senlenziau su
tutti la pena di morte
come presciivono le
leggi su tali malfattori
(■). » > ' ' . Vili, a Stabilita
la sentenza di
morte furono pianUti de’
tronchi- nel foro e
condottivi e legati trecento
a cor- po nudo i quali aveanq
già i cubiti avvinti
dietro le spalle: e poi
battuti, e poi decapitati
con le scuri.
Dopo ì primi vi furono
puniti altri trecento,
e quindi altret- tanti ancora 4 findiè
in t'uttO furono
quaMro m'da dn- (i)
La Irgiooe Campaoa
con Decio capitano
occupi Ecgg'o l'an- no 4/4
Roma poco ifopo
la venuta di
Pirro nM’ ftalia
, occorsa appunto in quell’
ann^. La legione
ribelle fu punita
l’anno 4^^ sotto il
contole Genucioi Livio
XX Vili , aS. dice clic
la pena fu dicci
anni dopo il
delitto , é ebe li
póniti in Roma
furono quattro rada. Nel
testo ai parla
della ribellione come
aeconda. Non k chiaro se
la indicata io
questo luogo eia
detta seconda in
rispetto a quella di Dcciu , o di
altra antecedente. Digitized by
Google V LIBRO, XX. ,47 3 quecento.
Non ebbero questi
sepoltura , ma tirati
dal Foro in luogo
aperto dinanzi la
città vi si
abbandona- rono, pascolo di uccelli
e di cat^i. » IX.
. « La turba mendica
non tenea cura
delPo* nesto nè del
giusto. Però sedotta
dal Sannite (i)
si rac- colse in un
corpo , e su le
prime vivea por
lo . più pei monti
nelle campagne. Ma poi cbe
fu cresciuta in nu-
mero ornai da tener
fronte occupi una
città forte , dalla quale
prendea le mosse
a depredare le terre
ihtomo. ÌÀ consoli, cavarono la
milizia, contro di
questi. Ricu- perata senza gran
briga la città
batterono ed uccisero gli
autori della ribellione , véndendone^ gli
altri all’ in- canto. Era già
1’ anno avanti
stata venduta la
terra e g^i altri- acquisti*
fatti colle' armi e
l’argento risultatone dal prezzo
èra stato comparilo
ai cittadini (1). n
fi) Ano»
di Roma 4^- '
' ' ' - ’ > ’ ' Qui 81 attude
«Ila guerra concitata
da LoUio Sannite
il quale fug- gito da
Roma dove era
ostaggio, raccolse gente,
prese un luogo munito
della sua regione,
e vi padrone'ggiava, e. predata. (a) Dionigi
nel lib. 1. 9
dice di
tessere la storia
sua fioo al
prin- cipio della prima guerra
Punica 1 Questa occorse
Panno 488 di Roma
; e le cose di
quest’ ultimo paragrafo
concernono P anno {85 . Tanto
che il eoiApendio
ha prossima corrispondensa alla
storia delle aSA*itA «Usa
in venta libri.
• > - J '• .. ' • . - • i t , . . PINE/ DELLE iNTICniTÀ*
ROMÀNE ■ ‘ ■ DI ntONir.l DI
ILIClRMASSO. •I r-. ■T —
Digitized by Google 474 INDICE DELLE COSE
PllT NOTABILI IN
DIONIGI DI ALldARNASSO. tl mmero
romano accenna il
libro t P altro numero
iparagnf. A .A-borigeoi.' Sono
porto degli Oeootri
di Arcadia. Tt
36. Se* condo alcani
non diiT ' >.
Agricoltnra. Romolo- conginnge
le cure di
essa con «joelle della
miliaia. II. a8.
Anco Maraio raccomanda
Tagricoltara e li pascoli pinttoato
dié la gneira.
III. 3G. ^ Agilla
cpsi chiamata dai
Pelasgi fa poi
détta Cere dagli
Etra- sci. I. 1 1 . Agrippa
vedi Menenio. f Alba
Lunga, suo fondatore
e sito. I. 5^.
Sua durasione. III. 5i, Albani:
da quali genti
r|snltassero, IL 2.
Catalogo dei loro re.
I. Ga. Dopo
la morte di
A,mnlio e di Nnmitore
ebbero annui magistrati. V. Al)«>nza degli
Albani e de'Romani sotto Romolo,
III. 3. Guerra
tra, i' due popoli;- loro
capi- tani, ed esito della
medésima , 2 e segg. Traflaziqne
degli Albani in Roma,
2q, • Albani, campi
fertili di ave e
frutti, t. 28.
Bontà premi- nente del suo
vino , 5^. 'Monte
Albano, Vili. 87.
Ferie Latine', ivi. 1 > Alceo
, poeta esiliato. V.
^3. ... Algido. I Volaci'»
gli Equi vi
accampano. X. 21.
XI. 3. i Romani
.vi sono danneg^ati
,23. ■ Alsio, Inogo
degli Aborìgeok I.
11. '' Amiterna Inogo
dei Sabini. ’I.
6. IL Amnlio , ipoglia
il ano' fratello Enmitore.
I. €7. Regna
XLII anni, G2. Viene
aaaalito, ^5, ' • Ancbiie , figlie di
Capi -e padre
di Enea. I.
53. Sua tomba, 55.
Porto di Anchise,
4L '^Itri looghi
i qnaR' ebbero nomo per Aflcbise,
64. ' t Ancile o scudo
caduto dal cielo.
II. 70. Digitized by
Google 47^ ■ Anco, prenome
di Marzio re e
di t*ablioio Corano,
Vedi que- sti nomi.
Anfittioni e loro congressi.
IV. 25, Aniene , Game, III.
22. Non era
lontano dal Monte
Sacro. VI, 45. Era
ricino * Fidene. Ili,
55, Si ecarioa
nel Te- vere , ivi. Anterana, sna
fondazione, l. 8. È
tolta ai
Sicoli dagli Abo- rigeni. II. 35.
Fn resa, colonia
Romana , ivi. Si
unisce a Marnilio TuScolano
per soccorrere Tarqninio
contro i Ro- mani. V. 21. Antistio
Petrone i ucciso per
inganno' da Sesto 'Tarquinio ,
IV. 57. Ansio , è fondata da
Anzio figlio di
Ulisse. I. G3. B
cittì pri- maria de* Volaci.
VIII.,i. IX. 56.
Fa lega con
Tarquinio superbo. IV. 49.
Soccosre quei della'
Ricoia. V. 36.
Soc- corre i Latini contro i Romani.' VI. 3vSoceorre
quéi di Goriolo, f)2.
& preso il, porto
e la campagna di
essa. IX. 56.. Sì
rende a Qoinaio, .5R,.
Parte delle sue
terre divisa tra i Romanì,«5(). Oli
Anziati spogliati delle
terre ne partono
, sono ricevuti dagli
Equi, e fanno scorrerie
su campi de’ La- tini, 60. Gli
Anziati si ribellano.
X. 20. Apiolani espugnati
da Tarquinio Prisco.
III. 40* Appello, la
legge Valeria permise
a chiunque. di appellare dai ' magistrati al
popolo sa le
condanne .di morte
o di battitore. ' V. 20.
Si voglicmò paniti
i consoli perobi impediscono
que- st'appello. IX. 3g. ., ■
Appio, prenome Sabino
de’ Claudi e di
Erdonio. Ve£ ffuesù homi.
: . ^ Aquìdotti magni Gcentisai
mi di
Romq. III. 67. Aqaillo,
C. console. Vili.
64* Vinoe gli
Erpici, ,65. Ne ot-
tiene la ovaz'ione, 67. AquìI),
L. e M. conghirati,
vicende nella loro
pena. V. g. Ara
massima. I. 3i. '
* , Digitized by Google 477 Arcadi, i primi
fra i Grecj veogooo
ad abitare l'Italia.
I. 3. ^ dove
abitassero, 36. Arcadia fa
già detta Licaonia.
II. i.- Atlante
fa ano primo re.
I. Si. Dilario
di Arcadia, Sa,
5g. Ardea è fondata da
Ardeas figlio di
Ulisse, I. 63. È
città del Lazio. V.
6i. Tarqpinió superbo
1* assedia. IV. 6{. Fa
fregna coi Romani, '85.
V. i. È toko
loro parte del territorio. XI. 54
Aurunci, popolo d’Italia.
I. 12. Loro
qualità, ivi, e VI.
Ss. Occupavano la parte
più bella della ’Gampa'oia, ivi.
Sono vinti da Servili 0 , ivL Ridomandano
i caiòpi degli Ecce- tranì,
ivi. . , Ao sonia
era l’Italia. I.
27. Il .seno
Apeonio fu' pei chiamato il
seno Tirreno , 3i Oli
Ausoni cacciati dai
iapigi vanno in Sicilia
, i3. ' . ' Auspizj s’ imprendono
ooA cui le
cose ardne. V.
28. Si de- cide con
essi li' sito di
Roma. I. 77,
Più volle sono
di- sprezzati. Ut G. Digitized
by Google 479 A»io Nevio
Aogare > tua «ccelienu.
I- 6i. E tolto
di mez- 10, 63. Aizio
Tallo capo de*
Volaci. Vili. l.
Accogllè benigoameote,
Coriolaoo, 3. Stimola
i Volaci coìitro i romam
: fa dicbia-' rare Coriolaoo
per (mmandante delle
MÌlicie , i3. Ne pro- oara
la morte, ^7 «
segg.'E uoeiso in
gaeira , 69. Suo olrattere, ivi. *
. . * ; B Babilonia, eoa celebrità.
I> 27. Sne
mora. IV. 25. Bacco , pianto dei
Greci en j caeì
di Bacco. II.
g. Tempio ' inalzatogli
da Fostumio dettatóre.
VI. 17. Coneagrasioae
' fattane, Battaglia
impedità' dai et^ni
celeetì. IX. 55-
Prima \di altóc* caria
fanno preghiere e eagriiiaio,
10. Balia luogo degli
Aborigeni. I. i5. ^
' Bighe, gara delle
roedeeime. VII. 93. Bitumo,
rasi pieni di
bitnme e pece drati
colle Condo eu i
nemici. X.'iC. ' Boario,
Poco. I. 3i.
Servio Tallio vi
forma un tempio
della Fortuna. IV ' t .
Canne raconfilta. II.
17. . . . ‘Capi. I.
,62. ' , ' ' ' . •
Capitolino, colle, già
detto Saturnio. II. O
Tarpee. III. 6q. Perché
poi ai cfaianiasae
Capitolino. IV. Gì.
Romolo lo fortiGca. II.
07. In citna
di qoeato colle
osala Catppidoglio vi i il
tempio di Giove
Feretrio, 5{. Tarqoipio
Prisco vi conaìncia un
tempio , Tarqoinid anperbo ve
lo continua , sua
Innghezza e larghezza. IV.
Ci. È poi compito,
e M. Orazio lo dedica.
V. 35. Vja
in lìàmme. IV.
61. E. riedi- ficato, ivi. * . . ‘ ' Capua , città
della Campania. VII.
10. Eb^e. noMer-da
Capi. I. 64. Carine luogo
di Roma. 1.
5g. III. 22.
Vili. 79. Carmenta. I.
22 a aeg. • - ‘ ^ Carmenlale porta.
I. 22. X.
i4. , v ^ . -f Carsola. I.
C. ' Cartagine. Timeo
Sicolo dice che
fu fabbricata circa
i Xempi Digilized by Google • (li
Roma. I. G5.
Toroa a cercare di
naoTO T Impero. II. 1'^.
I Cariagineai sono eipuUi
dal mare. Proemio,
3. Loro viitime umane/
2r). , • ' Catiandro re
di Macedooiar L ^o. Carvilio (Sp.)
il primo ripadia
la moglie qon
prima delt’anno 5lo di
Roma. II. 2$. CaMÌo
(Sp.) Uscelltoo trionfa
dei Sabini. V.
Tito Larglo Dittatore Io
prende -per maestro
de’ cavalieri , 'jb. Senti- u)eolo
doro di osto
circa il castigo
dei Latini ribelli.
VI. 20. E fatto console
di nuovo, 40’
Guarda la città,
gì. De^ dica il
tempio di Cerere
e di Bacco , g5.
Diviene consolo per la
tersa volta. Vili.
C8. Noi resto
di questo libro
sie- gue il (racconto . dell’ ambisione
di lai , degli Sforai
per in- trodurre la legge
Agraria , le accuse , ed
il suo tkagico fine,
'jg. I figli di
Castio non sono
privati nA della
pa* tria , nè de’
beni , nè degli
onori pe’ delitti
del padre per decreto
del jSènato. Vili.
8o. Il popolo
si pente di
aveiio condannato , *82. ' ' ~ ^ . Castore e Pollace
diconsi apparsi in
Roma. VI. i3.
Monu- menti in Roma della
loro apparisiooe , giuochi , feste,
ivi. Cavalieri. Servio Tallio
li ordinò in
18 centurie. IV.
18. Piò di quattrocento
plebei souo aggiaiiti
all’ ordine de’'cava- .
lieri. VI. 4i. .
Cecilio IL. Metello)
, suo trionfo e zelo
nel oonservare le
cose di- Vesta, e statua di
lai. nel Campidoglio.
II. 6G. Cecidio (L.^)
tribuno della plebe
accusa Servilio uomo
con- solare. IX. 28. Celeri, origine
del loro nome.
II. i5. .Loro'incoiubenze , GL Tarquinio snperbo
costituisce Bruto prefetto
di eui. VI. 92.
Bruto Uscia questa
prefettura , '^5. Celti o Galli
fanno vittiose umane
a Saturno. I. 2g. Censori , loro uffizio.
IV, Come permettono
il divorzio DIorriGJ, tomo
II/. 3, Digitized by
Coogle 48a di Garvilio. 11. 2
5. CommenUrj o regùtri
de’ oentori. I. 65.
IV. 22.. Cento de’ Romani,
oome ùtitnito da
Servio Tollioi IV.
i5. C latti Bcaaio ne de’ Romani , iG.
VII. 5g. Sfumerò
di citta- dini-IV. 22.
Geiuo fatto ancora
dai contoli. V.
.20. Cento sotto Tito
Largio primo Dittatore,
g5. Altro cento
ove tro- vanti cxxs mila
cittadini. VI. C3.
Cento dell' anno' 261 di Roma.
VI. gC. Cento
dell' anno 2^8
di Roma. IX.
25. Cento dell’anno 280.
IX. 36. Cento
rettituSta dopo ig anni.
XI in fine. Centurie, te
ne fanno ]g3 e
ti dividono in
tei datai. IV. 18.
VII. 5g. Di
raro ti chiedeva
il voto della
tetta clatte. IV. 20.
Luogo tpeciale delle
oentnrie negli tpettacoli. III. «8. -
Ceoturiati, comiaj. IV.
20. VII. $g.
Come differiacano dai comiaj
per tribù. IX.
Ut, XI. 46*
Intimazione dei eomitj oentnriati. V.
10. Loro forza.
XI. 55. I Patrizi
vi preva- levano. Vili. 82.
XI. 4^* I decreti
di qtietti eoli
comizj ' nn ^empo erano
riguardati come leggi
dai patrbi , ivi. L’in- terré-oonvoca queati
comizj. VII. go. Centurioni, loro
scelta. IV. i>j.
Dove collocati. X- iG.
Cecere insegna l’agricoltura
a Triptolemo. I. 4*
Tempio e tacrifitj di
Cerere , ^4- Pottomio Dittatore
le fonda un tempio
per voto. VI.
l'j. Se le' innalzano
tUtne metalliofae. Vili. 2g.
A' Iti ti
contagrano i beni di
quelli che facevano violenza ai
-tribuni. VI. 8g.
X. 4>. ^ Cipria , via in
Roma. III. 22. Circe , dove abitatae'.
IV. G3. Telegono
figlio di essa e
di ditte, 45* Circei
donde denominiti. IV.
G3. Si rendono
a Minio. Vili. i4' Circo
Massimo. lL''3i. Chi
lo incominciaste. III.
68. Vi era tal
termine il tempio
di Cerere. VI.
g4> Citerà, itola. L 4l> Digilized by
Googl 483 Citt;idini romani come
da Romolo. II.
Come Servio Tallio volle
rieaperne il oamero,
il ietto e l’ rià.
IV. l5. Come ne
accrebbe il nomero,
91. Tullio^ vuol
pareggiare il diritto de’
ciUadini , Non era lecito
battere nn citta- dino. IX. 39.
Non poteva nociderai
eenaa cogniaioii della canta.
VII. 3G. Qoali
arti non potette
eiercitare. IX. x5. Claudia,
gente oriunda da
Regillo città di
Sabina. XI. i5. È condotta in
Roma da Tito
Claudio. V. 4o*
Tribà Clan- dia , ivi. Claudio (Appio)
Sabino, nega che
potrà levarti la
leditione con donare i debiti.
V. 60. È Contqle.
VI. 23. Discorda
dal col- lega'circa dei
poveri i4 , e Sol
trionfo di lui,
3o. Suo di- ' scorso
per chetare le
seditiooi, 38. E chiamato
nemico del popolo , 48-
Suo discorto circa
il ritorno del popolo
, C6 e tn la
legge agraria. Vili.
^3. Suo consiglio
per frenare i tribuni.
IX. 10. X.
3o. ' • Claudio (Appio)
nipote di C.
Clàudio per« parte
del fratello, è console.
X. 54. È creato
Decemviro, 56, (9. E
creato di nuovo Deceniviro , 58 e ritiene
un tal grado
pel terzo anno, Ci.
Seguito delle sue
vioende, XI. 4 • eeg.
Muore in carcere. ^.6. Claudio
(C.) Sabine , sio del
Decemviro è console. X.
9. E contrario anobe
egli alla plebe , ivi.
Sua parlala in
Senato contro i Decemviri. XI.
7. Si ritira
in Sabina, 22 ,
Claudio (M.), cliente
del Decemviro : sue
pretensioni su Vir- ' gioia.
XI. 32, Claudio (Neròne);
console per la
seconda volta. Proemio , 3. Clelia fugge
con gli oslaggj.
V. 53 e teg. Clienti o Clientela.
Proemio, 8. Cloache, loro
grande artificio. Ili,
67. Cluvilio, capo degli
Albani, occasiona la
guerra di questi
coi Romani. III. 2. Sna morte,
repentina ,' 5. ' Cluvilio
Graooo, sommo comandante
drgli Equi. X 21.
Sua Digilized by Coogle 484 riapoaU orgoglioaa
ài Romani. X.
22. Gli arviluppa
, 25. E vinto e portato
in trionfo , 2/(..
, Clovilip (Q.^ Sicoioj
è conaole , e reata alla
gnardla di Roma, e perchè. V. 5
9. Depone il
contolato e nomina Largio
per Dittatore, 92. Fa
prigionieri parte de'
predatori latini , er.
escludere i scellerati dalla
città propria. IV. 2$.
Colonie divenute maggiori
delle città madri.
III. 11. Colonne , vi ai
descrivono le alleanze.
IL 55. Talvolta
si cn- stodivano ne’ teibpi.
III. 33. Vi
s'incidevano li leggi.
X. 32. In tempi
pib antichi le
leggi si scrivevano
ip tavole di quercia.
HI. 36. ' Cominio
(Post.) console. V.
So. Dedica il
tempio di Saturno. VI.
I. È console per
la seconda volta,
49 ed in qnal
epoca. V. 1 1 . Confarreazione. Ilt 2
5-. Consoli , prkni cemioli Brolo
e Collatino. IV. Loro
di- stintivL III. Ga.
IV. V. 75. X.
5q. Diritto di
convo- car le concioni. VII.
17. Il Senato
di loro 1*
autorità dì crncloder la
pace. Vili. 18,
Il oonsole è privato
del con- solato dal Dittatore.
X. 25^ I consoli
si rendono amici
al- cuni tribuni per contrapporli
agli altri. IX. i
, '2. l 'consoli sono citati
al collegio de’
tribuni. X. 3i.
Contrasto coi tri- buni , ivi. Sono
citati dii tribuni
ai popolo, 3^.
Comin- ciano a governare
favorendo la plebe,
^8. 1 consoli tengono nn
Senato privato in
casa, 55. Contesa
dei patrizj e della plebe
per creare consoli
cìascnno della soa'
fazione : Un oonsole si
sceglie fra i fautori
'della plebe, uno
tra i fau- tori dot patrizj.
Vili, qo e a«g.
Si creano i Decemviri
in Inogo dei consoli.
X. 56. Si
terna a creare i consoli.
XL 45. Si creano
i tribuni militari in
luogo de' consoli | Ga. GonsolaH , nomini , citati in
giudizio dai tribuni
finite il con- solato per la
trascnratesza sa le
cose agrarie. IX.
37. Sono multati in
danaht in Inogo
di esporli a pene
personali , e perchè. X. 49'
Ordine nel ohieder
loro i. pareri
in Senato, 5. Limiti
deir autorità consolare.
IV. 75. 4.
Toi*na in potere
degli Equi , 26. È distratto
dai Ro- mani, 80. ■>
' Gorciresi , loro sedizione.^
VII. 66. Cordo, cognome
di Mnzio. V.
aS. ' Digilized hy
Googlc 486 Gorilla 0 Coriola paoae
dei Latini. IV. Goriola , oittà famosa
de’ Volaci tiene
assalita da Poslumio Gominio. VI.
92. Si rende
a Marcio Gnriolano, Vili.
19. Marcio ebbe nome
appunto d*' Goriola. VI.
94* Gornelio (L. Siila)
, durissioio nella sua
dittatura. V. 77. Gornelìo
(L.) console. X.
20. Espufgna Ansio,
21. Suo pa- rere su
le istanze dei
Decemviri. XI. 16 e
aopra i r'Idali che' abbandonavano il
campo dei Decemviri , 44- Gornelio (M.),
fratello di Looio
Gornelio, è Decemviro. X. 68.
Sna risposta a G.
Glaudio. XI. 16.
invita Lucio eoo
fra- tello a dire il suo
parere, iC> Marcia
contro glj Equi,
2Ó. Gornelio (Ser.), console,
fa tregua per
un anob coi
Vedenti. Vili. 8a. GorneUnì, popolo
del Lazio. V. Gz.
Gornicolo , città del Lazio.
IV. 1. Gade
in potere di
Tarqoi- DIO Prisco. III.
5l. ' Gorni di
bove :. si
convocava con essi
la plebe romana. IL
8. > Corona di
oro donata dai
Romani a Porsena. ,V.
35. Gorona di oro
data a chi aveva
salvate le bandiere.
X. 36. Gorona civica
donata. Vili. 29.
X. 07. Gorona
anurale, ivi. Il po-
polo esce coronato ad
incontrare il vincitore.
IX. 35. Gote , segata
cpo un rasojo.
III. 71. Greraera, castello
presidiato dai Romani
contro i Vejeoti. IXi i5.
E preso dagli Etrusohi , 2Ò. Grotone , quando fondata.
IL 69.. Grotone nella
Etrnria tolta dai
Pelssghi agli Umbri.
I. 1 1* Muta abitatori
e nome, ed A chiamata
Goiornia. 17. Lingua de*
Grotoniati , lo. . **eoe tiranno
, 8. Come le ne li* bera
, li. Viene occnpat'a
dai Gampapi. Tomo
£e^s/on/. In- contro in Coma
dei, Legati Romaqi. Manda
nn Mocono ■ quei
della Riccia. V. 36. ‘ • Goraxj.
III. iL Loro
spoglie portate in
Roma, 21. Cori , sna origine.
II. 48- Coreti , loro rili.
IL 90. Faroleggiati
ohe educassero Gìore fanciollo. II.
61. 1 Coreti dei
Greci sono gl' istessi
cbe i Salj dei
Latini, 'jo.' Carie erano
parti anbalteme delia
divisione pii generale dei
cittadini in Roma. IL
Se avessero nome dalle
matrone Sabine, 47*
Sbotto Romolo scelsero
i Senatori , ed i Celeri, 3,
Ordinano coi loro
voli che ai
restituiscano i beni a
Tarqainio superbo. -V. 6. Cariali.
Vedi Comizi e Centurie
tì.^ Gnriasj. Vedi Cumtj.-
. il Cnrieni^ capi delle
Carie. IL 7.
Facevano pnbblico sacrifizio per le
Carie. IL 64 Difesa
, non dee negarsi
ad alcuno. V.
4- \Tcmpo acoordato per
difendersi. VII. 58. ,
Dittatore , origine dtl
nome. V. 73..
S'na anlorilà e dnraaione. VII. 56.
Creavasi. nel' tempi diffioili
della repubblica. XI. 20.' Condotta del.
primo dittainre Tito
Largio. V. 75.
Imi- tato dagli altri dittatori
6uo a Siila ,77»
Anio Poslnmie Digitized by
Google ditutor» «econdo. TI.
>. Mjnio TaWrìo
dilUtore terw*. VL ^
3g. Loeio $.
Vinte le Spagne viene
io Italia , ivi.
Uccide Caco , 33 e
.diviene insigne , 34> Abolisce i sagriGsj
umani soliti a farsi
a Sa- tarno, 28- Evandro
gli tributa onori- divini, 3i.
Soci com- , pagiii che si fissano
presso dèi Pallanteo.
II. i. Alenai
han crednto che egli
lasciasse de’ figK
nell’ Italia. I. 3^.
Ercole, Arconte di' -Atene.
.IV. 4 >• Erdonio Appio
«conpa il Campidoglio^
X. 1 i- Muore
combat- tendo talerosamente , iC. ' Erdonio
(Turno), resiste a Tarquinio
superbo, cabala di
que- sto per Deciderlo. IV. e
seg. Ereto , città Sabina. III.
5q. Battaglia data
in Breto eontro
i Toscani. IV. 3.
Sua distanza da
Roma. III. 3i.
Restava presso del Tevere.
XI. 3. I Sabini'- vi
al aocampanp, ivi. Vi
tono vìnti da
Tarquinio. aoperbo. IV.
5l. Erinni, venerate dai
Groci.'II. Jj. • r Elitra , luogo dell’
Asia minore. IV.
62. Ermmio (Lar.) conscie.
XI. 5i. Erminio (Tito),
i latciatò Inogotenente da
Tarqninio nel cam- po , suo
zelo per liberare
la patria dal
medesimo. IV. 8. E UDO
de’ capitani contro Porsenna.
V. 22. Tito
Erminio console , 36,
Lnogotenente del Dittatore
impedisce la foga ' \ Digilized by
Goc^le 49* dc'RomaoL VI* Uocide
Manulio, io cpoglia
ed 4 uo> oieo , ifi. , , ' , r-
• firnici , popoli *icini ai
Romani. Vili. Si
collegano eoa Tacqninio , inperbo.
IV. 4q- Ritpondoao
ambiguameote ai Romani che
dimandano loccorto. V.
Promettono ajuto ai Latini
contro i Romani. VI.
5. Risposta loro
superba ai Romani. Vili.
64* Lasciano gli
alloggiamenlt di notte
a faggono, C6. Chieggono
la pane e la
ottengono, G8 « seg. Cassio
vuol che partecipino
alla ilivisìone ilelle
terre, 90 , 9 ■ . Mandano >i
Romani il doppio
de’ sussidi ricercati.
IX. 5. Dimandano ajnto
ai Romani contro
gli Equi e gli
Er- niciy C9. X. 20.
Ersilia Sabina , antrice della
Legasione muliebre ai
Sabini dopo il ratto.. II.
4^. III. 1. Esequie,
Tarquinio Superbo le
proibisce in,qlQrle.di Servio Tulliò. IV.
4o. Escq uic
per Virgioia. XI,
39. . ' Espiasione. Romolo
fa , saltare ^il popolo
attraverso le Gamme per
espiarlo. I. 99.
Espiazione per acciskme
non volonta- ria. IIL 2 2.
Espiasione pe^ causa
di un morbo
cohtagioso. JX. ^o. Espiasione
o lustrazione di Roma
dopo ia morte di
Erdonio. X. 19. '
Esploratori mandati in
qualità di J/gatu
VI. i5. ' ' ■ Esquilino , colte, il.
5'f. Servio Tullio
lo oniOoe a Roma.’IV. là. Tribù.
Esqnilio'r, ì4- Porta -Esquilioa. IX.
68. Etrunia ; E la stessa
che la Tirrrnia
o Toscana, è fertile in vino.
I. 28. E divisa
in dodici principati
ed à potentissima per terra
e per mare. VI.
95. • Etrnachi delicati
e sontuosi nel vivere.
IX. 16. Mandano
soc- corso ai Latini contro
i Romani. 111. 3>.
Coma ai Sabini, 65.
Sono vinti da
Tarqninio Prisco, ivi, e
da Servio Tal- lio. IV:
29. Sono battali-
da quei delta -Riccia
ed accolti dai Romani.
V. 36. Ricusano
socoot^reàa tanto i Romani , quanto I Latini,
42. Destinano socoòrrere
i Vejentì contro Digitized by
Googte 49» - i Romani. IX. i.
E'K' toecorretto, C. Abbandonano
gli ao campamenti, i3.
Stacenno i Yeieotì dall’ amiciaià ’ mani.
IX. i8. Ocenpano
il OiamenU, 2ó.
Foggono di notte a Vejo,
aG. Etmachì vebati
ad abitare nr
Roma. I. So.
Via Elrnica o Tirrena in
Roma. 'V. 36.
Ré de^i Etmsci
: loro diatiotivi. III. Gl. '
Evandro. L 92. Viene
e prenda sede cOn
gli Arcadi dn Pa-
la tia. I. So.
II.' I. (Inori
che porge àd
Ercole. L'3i. Dina o Lavinia figlia
di Evandro, a3. '
' Eariléone Aacanio figlio
di Enea , re
de’ Latini. I.
5G.‘ i F • ‘ ‘ Fabia , gente cccvi.
Fabj marciano per
difesa di Roma
contro di Vcjo.. IX. 1
5. Il
consoilato fa per
sette anni- contiabi nella casa
dei Fabj fratelli
Cesene, Marco, e (Quinto,
22. Se necièt i trecento^sei Fabj
sopravvanzasse nella gente
F^* bia' nn aòlo
fanoiollo, ivi. ' Fabio
(Cesène), fratello di
Q. Fabio, estendo
questore accasa Cassio di tirannide. Vili.
7^. B fatto console,
83. Va a ■oocorrere
gli alleati di
Roma, S(. Diviene
oonsole per la seconda
volta. IX. 1.
L’esercito non -lo ubbidisce
e lo in- salta’ e mettevi in
marcia senza il
comando di Ini,
3. E Io priva di
una segnalata vittoria , ivù Diviene
console per la tersa
volta, Soccorre il
Collega, ivi. Va
qaal proconsole ai Fabj
che presidiavano Oreoieral,
16. Fabio (M ),
fratello di Cesene,
é console. IX. 21. È'
mandato a soccorrere gli alleati.
Vili. 88. Depone
il consolato e ricasa
il trionfo, iZ.
Va con gli
altri Fabj. contro
Ve- jp, i5. . • ' , Fabio
(Q-), storico Romano, anlichisshaó. Proemio,
6. ' Fabio (Q.),
Pittor» cosa narri
dei dne gemelli
di Ilia. I. 70.
Gota del
tradimento 'di Tarpea. IL
38eseg. Si rigetta
Iacea* s Digilized by Google teoz»'di >rai
circa i figli di
Tarquiaio Frjico. lY.
6« Seoti- menlo di
Fabio aa di
Egerio, G4> Foca
ma diligenza nella cronologia^ 3o. ,
Fabio (Q.) r.ooDtole- Vili. 77-.
Marcia contro gli
Eqai ed i Volici,
83. Q. Fabio , figlio di
Ccione , console per la se-
comU Tolte, QO. È
ncciso, 20. Fabio (Quinto),
figlio di uno
dei tre Fabj i
qnali preiiede-* rano alla
guarnigione di Cremerà , diriene.^ console.
IX. 5g. Fa pace.oon
gli Eqni, ivi.
Q. Fabio Vibnlano
& còn- sole per la .seconda
volta. IX. 6i.^.Debella
gli Eqni, ivi. Q-
Fabio Vibolano console
per la tersa
volta marcia contro gli
E delibera sa
la guerra contro
i Romani. V. ‘ 5o, Sa,
Ci. ^ • Feciali, Noma
istitnises il collegio
de’ Feciali in Roma.
II. •ji. Sono impiegati
nel 'cènoiliare la*
plebe- col Seiuto. VI. 89.
Loro incombente. II.
93. ' . Ferelrio , Giove. II.
34- ' Fidene-, è fabbricata
dagli Albani. II.
53. Era lontana
cinque miglia da Roma. 'III.
2ij. X. 22.
Romolo la , rende colonia Romana. III.
2* prende Tar- • qninio
Prisoo, 58. Per
impulso di Sesto
Tsrquinio si ri- ■ bella
dai Romani, V.
4^- 6 riacquistata, 45. I
Sabini ac- campali a Fidene sono
vinti. IV. 5s. Fido
Giova Saiico. IV.
58. Sp. Postnmio
consagra il tempio di
Giove Fidio. IX.
Co. Figli. I delitti de’
figli non privano
il padre de’
propri beni. Vili. 80.
Figli come soggetti
al padre. Vedi
padre. Flanmii , pecchi cbs) chiamati.
IL C4. Ftanleio (M.),
sna bravura, premio,
esortasioni. IX. io. Fortuna.
Ser. Tallio le fabbrica due
te(npj. IV. 2’j.
Uno di questi tempi
s’ incendia , 4^2. Giuochi
funebri. V. jj.
Oraiioni funebri aolite
in morte de*
vaien* tuomini. IX. 54*
Qual popolo le
intradnceaae. V. ijt
Ora- aio padre non, rende
i funebri onori al)a
figlia percbi non amica
‘della patria. III.
ai. , Fario (Lnoio)
, console. IX. 36. ~
Furio, triumviro per
dividere i terrenj. IX.
5g. -* . Furio
(Sta.) , oòniole. Vili.
i6. Furio. (Spor.), oopaole. IX. i. Corre
e saccheggia le campa'- gne
degli Equi, a. . -
/4g. ■ Geganio. (L.),.
fratello di T.
Gegaoio oonsole, i spedito
a com- prare i grani in SiciK».
VII. i. Suo
ritorno, lo. Gegaoio (M.
Macerino), console. XI.
5i. Geganio (T. Macerino),
console. VII. i. Geli)
, i dne fratelli, nipoti
di Bruto congiurati.
V. €. '* Gellio
(Gn.), senteosa di
lui oirca Tanno
del'ratto delle Sa- bine. Il,
3l. Altra sul
collegio de' Feoiali, gl.
Scrisse che Numa lasciò
una figlia, Suo
parere sul venir
di Digitized by Google Tarqainio a Roma.
IV. C. È oegligeatt'
nella ■ oronologia. - VII. I. , '
Gelone, iuocede ad
IppocraU nella tirannide.
VII. i . Manda ■ framenlo in
dono li Romaoi,
so. ‘ Gennaio (On.),
tribuno della plebe,
insiete per la
legge agraria e si
ritrova morto. IX.
Z’j, 38. E ohiamato
Cajo in .Inogo di
Gneo. X. 38.
4Tito Gennaio obiama
in gindiaia Tito
Me- nenio. Titn Livio chiama
Gennaio sempre Tito e
non Cneo nè Cajo.
IX. 27. • ' . '
PorseOa lo' occnpa.
V. 22^ Lo ooonpano
gli Etruschi. IX-
2{. Lo abbandonano,
2C. Giapigia , promontorio
'Saleolino. I. ^2. Giove,
spoglia Saturno del
comando. IL 1 9.
Tarquiàio Prisco comincia a fabbricare
id comune un
tempio a Giove, Giu- none e Minerva. III.
C9. Giove Feretrio.
II. 34. Fidio , vedi
questa parolk. , Giove' Capitolino,
ammonisce i Romani a replicare
i giuochi in suo onore.
VII. 68. Sagrifis)
a Giove nel monte
Albano. Vili. 87. Romolo
alsa un tempio
a Giove Statore. IL 5o.
Giove Terminale. II.
74. Digitized by Google 497 Ginlia, famiglia
traiferiu da Alba a
Roma. III. 29.
Giulio il pili grande
de’ figli di
Ascanto diede origine
e uomo alla gente Giulia.
I. 61. Giulio Proolo
, suoi racconti eu
Romolo. II. C5. Giulio
(Cajo) Cesare rende
alle loro cariche
i tribuni espulsi da Pompeo.
Vili. ^8. Giulio (C.)
Ginlo console. Vili.
i. Giulio (C.) console.
Vili. 90. Giulio Decemviro.
X. 5C. Giulio Vopisco
console. IX. Giulio (L.)
Bruto perchè detto
Bruto. IV. G7.
Sua perora- zione contro la
tirannide ^ 70. Bruto
e Collatioo i primi sono destinati
consoli , 7G. Austerità sua
nel punire i oon- giorati a favorir
la tirannide. V. 8. Fa
rimovere Collatino dal consolato
e prende P. /Valerio per
collega, 12. È uc- ciso da
Arante Tarqninio in
battaglia j i5. E riportato
in Roma: aoa pompa
funebre, 17 e seg. Giunio
(Brolo L.) , nomo
plebeo. Vedi Bruto. Ginnj
(Tito « Tib.) figli
del console oongiurano
e sono pa- niti. V. 8. Giunone , suo tempio.
I. ^1. Sul
Campidoglio insieme con quello
di Giove e di
Minerva. IV. 61.
Giunone Luci~ fera, i5. I Icilio
(C.) Ruga, è creato
tribuno. VI. 89. Icilio
(L.) tribuno della
plebe per la
seconda volta. X. 33.
Riprova in parte
il parere di
Siccio , 4». Icilio (L.) destinato
sposo dì Verginia.
XI. 28. La
soccorre,' ivi. Perora in
suo favore, 3i e
seg. Icilio (M.) coetaneo
e compagno di Sp.
Verginio. X. 49* mOJSIGI.
tomo ut. Si Digitized
by Google 498 Icilio (Sp.)
è spedito dalle plebe
al Senato insieme
con Im Gionio Brolo,
e M. Decio. VI.
88. Sne querele
contro del Senato per
la carestia e per
la colonia mandata
in luoghi malsani. VII.
i4 , 19. Sp.
Icilio Roga edile
tenta di arrestare per
ordine dei tribuni
Goriolano ed ò ri- spinto dai patria),
26. Icilio tribuno
aumenta il potere
della plebe. X. 3i. Itia
figlia di Numitore.
I. 6'}. È falla
Vestale, ed ingravidata, ivi. Partorisce
doe gemelli , 69. Imatiooe, Remo
Gglio di esso.
I. 63. Imperiale, abito.
Vili. Sq. Interri , quando si
creava. XI. 20.
Interri creati , morendo un console
e stando malato 1*
altro. IX. i4* O
morendo tolti dne i consoli,
69. Interri creati
per cagìon de’comis). XI. Ga.
OfGsio degl* interri.
II. 58. IV.
4o> So* Interregno dopo
la morte di
Romolo. II. 5'}.
Dopo la morte di
Tulio Ostilio. III.
3C. Fatto l’ interri
cessarono tolti gli altri
magistrati. Vili. 90. Italo,
Oenotro di origine
regnò nell’ Italia e le
diede il nome. I.
26. Sicolo creduto
figlio d’ Italo diede
nome alla Sicilia, i3.
Ad Italo soccedette
Morgete , 64* Italia ebbe nome
da Italo. I.
26. Fu già
delta VItalia. 2’). E
dai Greci Esperia
ed Ansonia , ivi. Come
Saturnia dai pae- sani, ivi. Bontà
dell* Italia, 2';,
28- Limiti dell’ Italia , a. Antichi limiti
della medesima, 64*
Città Greche nell’Italia. X. 54-
L’Italia si ribella
dai Romani. IL 17.
L Labìcani , popolo del
Lasio. V. 4*.
Erano colonia -degli Al- bani. Goriolano gli
espugna. Vili. 19. Lacedemoni , loro
colonia passala tra i
Sabini. II. 49*
Uno Sparlano il primo
si espose nudo
affatto a compiere i giuo- Digilized by
Goc^le 499 chi olimpici : non
concedevano agli esteri
il diritto di
cit- tadinaosa se non rarissimamente, ij. S* impadroniscono di Atene.
XI. i. I Re
loro erano dne.
lY. q'S. Sottoposti
alle leggi. V. jii
II* ìAi Autorità
somma nel Senato,
ivi. Così crebbero. IV.
Perderono il comando
con ignomi- nia. II. 7. Largio
Sp. , capitano, protegge l’esercito
che si ritira.
Y. 23, 2Ì, Procura
i viveri a Roma, sf, È
console, 3iL Sp.
Lar- gio consolare marcia a soccorrere
Valerio , Sp. Largio fratello di
'T. Largio Dittatore /resta in
gnardia di Roma, 7 5.
Sp. Largio Flavio
console per la
seconda volta. VII. 68.
Sp. Largio mandato
ambasciadore oon altri
a Gorìo- laoo. Vili. 23^
Spurio Largio stando
a difendere Roma ne protegge
le vicine campagne.
Sp. Largio interré
, go. Consiglia la guerra
contro i Vejenti , Qi.
Largio (T.) oons.
V. ^ T. Largio
Flavo cons., 5g.
Sua mo- derasione, 60, E
dittatore il primo,
7^. Sna condotta, 75.
Sentenza di lai
sol pacificarsi coi
Latini. VI. ^ Sai ristabilire la
concordia interna ed
esterna, e seg. È la- sciato in guardia
di Roma, 4^.
Sno diacorso alla
plebe ri- tiratasi, 81.
Largio (T.) legato
di Postumo Cominio
espugna Coriola. VI. Larisse,
due, nna in
Italia. I. l2. L’altra
in Tessaglia. X. iL
Latino figlio di
Ercole ma creduto
figlio di Fauno , e per- chè. L 34. Re
degli Aborigini : il
suo regno passa
ad Enea , ivi. Latino Silvio
Re. L Ql, Latini , ebbero questo
nome sotto Latino,
L 1 , 56 , 5_l, Le città
Latine ricusano di
ubbidire ai Romani
dopo la caduta di
Alba. III. 34,
Sono vinte da
Anco Marzio, E da Tarquinio Prisco,
4S: Si collegano
con esso, 54.
Decretano far guerra contro
i Romani per favorire
Tarquinio Super- bo, 61.
Vinti cercano la
pace. VI. 1 Volaci
cercano Digilized by Google 5oò •nmiDOVftre i Latini
, e questi ne portano
gli ambasciailori legati a Roma,
e ne tono premiati.
VI. zi. Sono
infettati dai Volaci. Vili.
L2. E da Curiolano,
^ Catsio vuol che
par- lecipiuo alla divisione
delle campagne come i
Romani, 6r). Cercano toocorto
dai Romani contro
gli Eqni./4X. L.
Man- dano il doppio de*
snttidj dovuti ai
Romani, ^ Sbaragliano gli Equi
ed i Voitci, Sì.
Chiedono di nuovo
ajoto dai Ro- mani contro gli
Equi, Co . 67. Città
Latine. VI. 63 ,
7^. Vedi Ferentino. Ferie
latine istitnite da
Tarqninio superbo sni monte
Albano. IV. ^ Se
ne aggiunge una
seconda per la espulsione
del tiranno stesso
il qnale le
aveva istituite , ed
una tersa pel
ritorno del popolo.
VI. q5. Lazio , era
luogo della regione
degli Opici. L 63. Lavina
o Lavinia figlia di
Anio o di Latino.
L Lavina figlia di Evandro
, Lavioio metropoli del
Lazio, e di Roma.
Vili. 3o. E fon-' data
dai Trojani. I.
36. Vili. 2 1 . Coriolano l' assedia
, ivi. Quei di Lavioio
cercano soddisfasione dai
Romani per l’ol- traggio
fatto ai legati.
IL .*) 2. Lanrento
città d' Italia. L 44 . 46.
Era degli Aborigeni, Situazione di
essa, 36. Legge , si esaminava
prima dal Senato
, e poi si proponeva' al
popolo. IX .45.
Tempo richiesto per
I’ esame, 4j_ì
Di- ritto di formare le
leggi presso del
popolo. II. i_4. 1
pa- trizi tenevano per leggi
quelle sole emanate
dai comiz| cen- toriati.
XI. Ma poi
riconoscono anche le
altre dei Co- mizj
per tribù , ivi.
Leggi di Romolo.
IL z3. Leggi
di Servio Tullio. IV.
i_3. Il tiranno
Tarqninio toglie tutte
le leggi di Tullio,
43. Legge di
Romolo sol matrimonio.
IL £3. Legge del
medesimo circa la
potestà patria, ìQ.
Compilazione delle leggi. Vedi
7)ece/nviro/o.’ Queste leggi sono
proposte all’esame del popolo.
X. 5^ Ne
risultano le leggi
delle dodici tavole. Co.
Le quali furono
stimatissime. XI. 44- Digilized
by Google 5oi L4‘ttorìo G.
tribano della plebe
rttponde al console
Appio Gl. a nome della
plebe. IX. 4^
Suo tumulto |>er
arrestare Appio, 4^ Licinio
storico : sue narrazioni
su la strage
di Tazio. II.
5a « 54. Su
Tarqninio Prisco. IV.
ù± Su la
ovazione. V. Su Tarqninio
superbo. VI. 1 1.
Sua negligenza nell'
esame de' tempi. -VII.
u Licaoni , dne. L 1. Licinj C. e
Pab. creati triboni.
VI. 8^ Lioorgo , dà leggi
severe agli Spartani.
II. 42: Divulga
di averle apprese da
Apollo Delfico, f) i .
Lidi o Lydi , inventori di
nn dato giuoco.
II. 'jL. Littori ,
precedevano il re
con fasci di
verghe e con scure. III.
ILl, Difendono il
console ooniro il
tribuno. IX. Rimovono per
comando dei consoli
la torba che
tumnltoa. VII. IL Ogni
Decemviro fa precedersi
da dodici littori.
X. 5q. I tribuni risolvono
di far gittare
dalla rupe tarpea
oa littore perchè aveva
ubbidito al consoli.
X. 3i, Liguri , loro emigrazione
dall' Italia nella
Sicilia. L lL I Li- cori contrastano il
passo ad Ercole
nelle Alpi , Liri , fiume. L L, Lista,
metropoli degli Aborigeni.
L S, Liti, e cause discusse
ne’ tempi de' mercati. VII.
fiS. Locri , f n tempo Lelegi.
L Q. Longola città de' Volaci
è presa da Postumo
Cominio. VI. qi. • È presa
da Goriolano. Vili.
56. Lucani, infestati dai
Sanniti. Tomo III.
Lfgationi. Sono vinti
5- Perchd chiamati
Aborigeni , 5. Vengono
dall’Arcadia con Oenotro.
II. i. Oenotro , ana nascita
e venata in Italia.
I. 3. Opici , popolo : loro
porto. I. 44*
La regione loro
abbracciava anche il Lazio,
C3. Gli Opici
cacciano i Sicoli, i3. Opimia,
Vergine Vestale; è condannata
per lo stupro.
Vili. 8q. Oppio (M.)
capo dell’ esercito
che si ritira
dai Decemviri. 21. 44. Oppio
(Sp.) Decemviro. 2.
58. Resta con
Appio Glandio a proteggere
la cittii. 21.
a3. Convoca il
Senato, 44* R con- dannato a pieni voti
dal popolo e more
lo stesso giorno
in carcere, 4C. Orbilia Vestale
è punita per lo
stupro. 12. 4c. Ostia
città, da ohi
formata. III. 44. Ovazione,
perchè cosi chiamata.
V. 47 Doao
maodato dai Remaci al
medesimo « 35. Porta Capeoa.
TIII. 4- Carmentale.
I. 23. Mogooia.
IL 5o. Sacra. X.
i4- Trigemina. I.
a3. 3o. Porzio (M.)
Catone, eoo racconto
su dne gemelii
d'Ilùu I. ^o. Sa
l’anno della fondazione
di Roma, 65.
Su le tribù
sta> bilite da Tallio.
IV. i. Fostamio (4.)
consolo, è nominato dittatore.
VI. 2. Marcia contro de’
Latini , 3. Parla all’
esercito per animarlo , 6. Trionfa dei
Latini, 17. Lascia
la dittatura e rende
i suoi magistrati alla Patria , 23.
A Postnmio Albo combatte
bra- vamente contro gli Aoranci , 33.
' Fostamio (A.) Albo
console, collega di
Furio lo soccorre. IX.
65. Fostamio (P.) Taberto
console con M.
Valerio , marcia a eoo correrlo. V.
3q. P. Postnmio
Taberto. console per
la se- conda volta, è battuto
per la troppa
audacia, .(4* Ripara r infamia , vince bravamente
i Sabini , gli si accorda
1’ o- vazione , 47> Postnmio
Taberto è legato alla
plebe pro- fuga » 9-
Postnmio (Sp.) Albino
console. IX. 60.
Dedica il tempio
di Giove Fidio , ivi. Spur.
Postnmio va legato
in Grecia a raccoglier
le leggi. X.
52. E creato Decemviro,
56. Postamj , impediscono la
legge Agraria , ed il
popolo li con- danna ad
una emenda. X.
4a> Postnmio , legato
vilipeso dai Tarentini.
Tomo III. Lega- zioni. Preda, parta
data ai soldati
, parte all’ erario.
X. 21. Preda venduta
dai questori con
metterne il denaro
nell’ erario. VIII. 82.
Colle decime della
preda se ne
fan sagrifizj, VI. 17.
Primizie della preda
date ai valentuomini,
q4. Prenestini , popoli del Lazio.
V. 4i* Prenestina
via. IV. 53. Proca
Silvio , Re di Alba.
I. 62. Digilized by
Google 5i2 Prole. È deliUo di
ucciderla. I. 8.
Quando polesse eaporei secondo la
legge di Romolo,
II. i5. Fi'oserpina, «e ne dedica
il tempio. VI. Punica,
prima gnerra per
la Siotlia. II.
6C. Suo comincia- mento , quando. Proemio,
8. ' Q Quadrighe, combattimenti
con ewe. VII.
'jz, '^3. Questori, Vendono
la preda. VII.
05 e ne portano
il danaro nell’ erario.
Vili. 82. Vendono
i beni dei profughi , e ne recano il
prezao nell' erario.
XI. 06. Sono
comandati di fare a spese
pubbliche i funerali di
Menenio. VI. q6.
Ac- cusano Cassio come reo
di tirannide al
popolo. Vili. ^7. Querqnelnla , popolo del
Lazio. V. Oi. Questura
, la esercita un
nomo consolare. X. 23.
Qaintilj trasferiti da
Alba in Roma.
III. 2^. Quintino Sesto
console , muore per la
peste. X. 55. Quinzia , via. I. 6.
Quinzio C. o Curzio
console. XI. 5z. Quinzio
Cesene figlio di
L. Quinzio Cincinnato,
si oppone ai plebei
: è accusato al popolo.
X. 5. Va
in esilio , 8. Qnhizio
(L.) Cincinnato, padre
di Cesene, fa
la causa del
figlio presso del popolo.
X. 5. Venduti
i suoi beni paga
per la sicurtà del
suo figlio , e si ritira
io un suo
poderelto di là dal
Tevere. X. g.
Donde è chiamato al
consolato, l’j. Sna condotta , e seg. £ chiamato
dal suo poderetto
alla dittatura , 24. Soddisfa
al bisogno , e torna privato
al suo rampo , 25.
Suo parere sul
frenare i tribuni, 1'}. E
sol duplicarne il numero
, 3o. Quinzio Tic Capitolino
console , discorda da Appio
suo col- lega. IX. 4i-
Ammansa il popolo,
ivi. Divide la
rissa dei tribuni e del
sno collega , 48> È console
per la seconda Digitized by
Google 5i3 volta. IX. ^ Vince
gli Equi e i Volaci , ivi Ne
trionfa, È console per la
terza volta , Qjj Proconsole
porta ajoto ■ Ser. Furio,
Questore porta ajuto
a Miuuoio circon- dato dai nemici.
X. 22, Parere
di lui su
le richieste dei Decemviri. XI.
i2> E console per
la quinta volta,
02, Quirino, vedi Romolo
e Marte. Quirinale. II. 58. K
congiunto a Roma da
Romolo, e Tazio, 2q, Noma
lo ricinge di
mora , , Quiriti , nome di tatti
i cittadini di Roma
derivato , da Curi patria di
Tazio. II. ^6. .
. Rabolejo (C.). tribuno, come
divise, come dii'
fine alle oou* tese
dei consoli. Vili.
5^ Rabnlejo (M.) Decemviro.
X. 28, Marcia
contro i Sabini. XI. a5. ■
' ‘ ' • Rasena duce Tirreno.
L 21, . . _ Ratto delle
Sabine. II. 2tL
In grazia di
esse lasciasi ai
loro cittadini vinti la
patria, la libertà
, li beni, 55. Reatino
agro, fu tenuto-
dagli Aborigeni. II. I
Reatini ac- colgono i Listani profughi.
L 6* Regillo , città Sabina , patria della
gente Claudia. V. 4°^
Claudio a tempo dei
Decetnviri protesta ritirarvisi
di nuovo. XI. i2, Regillo , lago nel
Lazio. V. ' v Regno , Numa lo
ricusa. II. Ila.
Suo diritto TÌmaneva
nei col- latori. IV. ^
Si regnò
lungo tempo sotto
certe condizioni. . V.
2^ Perchè gli
antichi talvolta togliessero
il governo re- gio ; ivi. Quanto
durasse in Roma.
IV. 82, Re delle
cose sagre, vedi
Manto Papirio. Rea , figlia
di Numitore. L Rea
, ossia Opi , suo tempio.
II. vio.vicr, toma III. ^
' il Digitized by Googlf 5i4 Religione, quanto
ne fouero ouer?aatt
gli antichi. Vili.
o-). Rem uria. 1. ^6.
Ren>o> nome dato
da Fanalaio. I.
^o. È fatto prigioniero,
’ji. £ aoiolto . ^a. Sua morte
e tomba, 78. Roma, Donna
Trojana, vi è chi
scrive che desse
il nome alla città
regia di Romolo.
I. 65. Roma , se ne
additano tre. Proemio , 7.
FondaaioDe fattane da Romolo.
II. 2. Il
suo popolo derivaTa
dai Greci non dai
Barbari. VII. 72.
Romolo e' Tasio
l' ampliSoano. II. So. Servio
Tullin vi aggiunge
i| Viminale., e 1’
Esqnilino. IV. i3. Dividendola
in quattro p.irii,
e tribù ; tanto che i
colli di Roma divennero
sette, i{. Brolo
la rende libera.
Vedi Giunlo Bruto. Re’
suoi pericoli più
grandi conservò sempre ^ la
sua dignità. Vili.
36. Non usava
cedere punto ai
nemici. VI. 71. In
tempo di pace
era sedisiosa , i laddove
era una- Btmc in
tempo di gnerra.
X.. 33. Fa
rifugio a quanti vi cercavano
sede sicara. V. 56. Moltitadine
della colonia che vi
andò con Romolo.
II. 2. Quando
presa dai Galli.
I. 65. Fn dominata
prima dai Re
{'quanto ciasenno vi
dominasse, 66. Quindi ebbe
per capi i consoli,
poi K Decemviri, e di nnnvo
i consoli, i triboni militari,
e di nuovo i consoli. Vedi queste
parole. Romilip (T.^ console.'
X. 33. Gommissioni
(die egli diede
a Siccio, Siocio lo
accusa al popolo,
^ condannato, ivi. Sèntensa di lui su
la compilazione delle
leggi. So. E creato
Decemviro , 56. Ronsolo figlio
di Enea. I.
Nascita di Romolo
e Remo, 6q,'7«. Era
decimoseuimo nella disceadeosa
da Enea , 36. Non
ennenrda col fratello
sol laogo di
fabbri- care Roma , 76.
Uccide Remo e se
oc pente , 78. Fonda- aione
di Roma. II. a. È creato
re, dal 16
al 56, delio stesso
libro si esprime
la condotta ‘di Romolo
nel regno; muore, 56.
Noma gli inalza
un tempio e la
venerarlo con annui tagriCzj , 63. Digitized by
Google 5i5 Ro*tri nel Foro
Romano. L 20: Rutuli, fanno
guerra a Latino. L 4^
Si ribellano di
nuovo (la Latino , Enea
niuor* combattendo con
eui , iei. Pro* mettono di
mandare ajulo ai
Latini. V. 4^ S Sabini
j cosi denominati da
Sabino o Sabo. II.
4^ Vi è chi li
crede Spartani di
orìgine in gran
parte. IL Un
tempo erano molli come
gli Etruschi , 58.
Prendono Lista', me- tropoli degli Aborigeni,
Sotto il comando
di Tazio por- tano guerra ai
Romani , 5iL Condizioni con
le quali con- cludono la pace
con Romolo , 4^
Tallo Ostilio li
debella. 111. Ili Rompono
1' alleanza e li
debella di nuovo , Come
pure li vinco
Anco Marzio , 4» . 4--
Promettono ajute ai Latini
contro t Romani « ìlL,
Li vince anche
Tar> quinìo Prisco, 55 ,
G^. E Tarquinio so|)erbo.
IV. 5o. fi li
consoli. V. Esultano
per una leggera
vittoria e sono disfatti
novamente , i_5. Ottengono
la pace , saliscono
i Romani mentiv; erano
in festa. Yi«
3_L. Movono guerra di
nuovo ai Romani , 34.
Promettono soccorrere i Volaci , e sono vinti , 4A:
Soccorrono i Vejenti conlro
i Ro- maoi. IX. ^ Sono
vinti , ìjL Fra la
sedizione di Roma ne
devastano la campagna
, 5^ Tutti due i
consoli deva- stano la loro
campagna , 56. Servilio
consdle li desola
ao- vamente, 5‘j. Scorrono
sino a Fidene. X.
2^ Manomettono di nnovo
I’ agro romano.
X. zfL Di
nuovo fanno s>:orreria ne* coo6oi.
XI. 5 . Combattono co'
Romaui pel comando. VI. Sacro Monte.
VI. 45^ Lai
plebe vi alza
nn altare e vi
sagri- Aca , 90. Via sagra.
IL 4C . 5o. V.'35.
Classi otto di mi-
nistri sagri istituite da
Jfuma , ii. Cause
spettanti a cose sagre deciJevansi
dai Poatefici, ’)5.
Legge sagra: cioè
quella su la inviolabilità
dei tribuni. VI. ^
Cittadini lordi di Digilized
by Google 5i6 sangue sparso
si espiano prima
di accostarti alle
sagre cose. V. ^ Sacrifisj , dopo la
viUoria per render
grazie ai nnmi.
X. Vili. 6^ Sagrifìzi
per il termine
della peste , ivi. Salj , istituiti da
Nama. II. 2^
Tallo Ostilio ne
raddoppia il numero. III.
2l2. Salj Palatini , e Collini , 2^ Ancili
o scudi de’ Salj , 2i_! Saline antiche
all’ iniboccatora del Tevere. II. 5^
Samotracia i«o|a , perchil
così chiamata. L iz.
Enea porta Sanniti , sconsigliano i Napoletani
dall’ amicisia de’
Rolnani , loro, guerra
(>oi Lucani eo.
Tomo III. Legazioni. Satirico , giochi
e salti. VII. 2^ Satrieo , popolo del
Lazio , Corìolano lo
riduce colla forza* Vili.
. . Saturnia , colonia degli Aborigeni.
L SiL L’ Italia fu
detta Saturnia , e perchè ,
sJL Saturnio colle
fu detto il
CaunpU doglio , ivi. Saturno
regna io Italia.
Ì. 22* SagriEsj
fatti a Saturno « zq. Ercole
alza un altare
a Satùrno , VI. 1, Tempio
dì Sa- tnmo snl
colle Capitolino, ivi. Saturnali. IV.
i^.- - Scattini popolo
del Lazio. V.
S_L. ■ Scellerata , via. IV.
59. Scola letteraria nel
Foro. XI. a8. Scriba
ucciso in luogo
di Porsena.. V.
z8> Scuri , vedi Fasci. Sedia
Curale. V. 4^
Coriolano fa mettere
a basso la sedia eoa
al venir della
madre. Vili. 4^ ''
Sempronio (Q.) Alratino
console. VI. l.
Postumio dittatore lo lascia
a presedere à Roma , !• Console
per la seconda volta. VII.
20. Sentenza sua
su le cose
agrarie. Vili. Sempronio (A.)
Atratino interré. Vili.
E tribuno militare in luogo
di console. XI.
Ci. ■ ■ Digitized by
Google * 5i7 Sempronio (L.) Atratino
coniole. XI. fìa.' Semprooj , impediscono la
legge agraria , e ne sono
paniti. X. ^ e seg. Senato, donde
cos) detto. II.
1_Z, OfBsj del
Senato, Pri- vilegi. Romolo stabilisce
nn Senato di
cento. II. 1-1_. Vi
si aggiangnno altri
cento dopo cbe i
Sabini farono messi a parte
delle cose di
Roma , ^ Tarqninio Prisco ne
aggiunge altri cento , rendendo il
Senato di trecento. III. ^ -Strazio
del Senato sotto
il tiranno Tarquinia.
IV. 4-2, Dopo espulsi
i re si ascrivono
dei plebei nel
Senato per supplire i trecento.
V. il. Siila
pone in Senato
ogni feccia di nomini , 2Jz
Senato era il
freno dell* antorilà consolare. VII.
55. II console
aduna il Senato
di notte. IX. 65.
XI. 2jk I Senatori
sono convocati ad
uno ad ano in
affari ardui. Vili.
5, I tribuni tentano
convocare il Senato sebbene tal
diritto fosse dei
consoli. X. 3.1 e
seg. I con- soli adunano in
casa loro un
corpo di senatori
pi& scel- ti , 4^ ^ Quali
fossero f primi a dire
il loro pa- rere in
Senato. VI. 84^ I
censori esaminano la
vita dei Senatori. IV.
2^, Seaatusconsnlto avea forza
per un anno.
^X. Ricercavasi il Senatusconsnlto su
cose intorno le
quali non vi
era leg- ge. VII. I'
tribuni presentano alla
pdebe il sefatusoon- snlto scritto
dai consoli. XI.
Gj, La plebe
approva il sena- tnscoosulto. X.
5^ , » ■ ' Sette acque , luogo. LG, •
' Sette, pagi. 1 Vejenti
li consegnano ai
Romani. II. 55. I
Ko • mani li
rendono a Porsena. V. 5G,
Sequinio Albano. III.
i5. Serg io (M.)
Decemviro. XI. 25, Servii)
trasferiti da Alba a
Roma. III. 2^ Servilio
(C.) console, poco
felice contro i Volaci.
IX. iG, Servilio (P.)
Prisco console discorda
da Claudio ano
collega VI. 25, Placa
i poveri, 3G, Eccita
i plebei alla gnerra,
28. Digitized by Google UiS Vince i Voitcì.
VI. 19. Si
arro(>a I* ovasione
eenza beneplacito del Senato
a vinca gli Aaruaci
,02. / Servilio (P.)
Prisco console , prossimo a noprte
convoca il Senato. IX.
6'j. Muore di
peste, 68. ' Servilio
(Sp.) console. IX.
25. Più andace
che felice contro gli
Etruschi, 26. È citalo
al gìodiaio del
popolo appunto per questo,
28. E assolalo, 33. È
legato di Valerio
nella guerra co’ Vejenti
e si distiogoe, 35. Servilio
(Q.) è fatto maestro
dei cavalieri dal
dittatore Vale- rio. VI. 4o. Servilio
(Q.) Prisco, console.
IX. 5^. Devasta
la regione Sa- bina, ivi. Q.
^ervilio console per
la aecouda volta.
Co. soccorre i Latini , ivi.
Servi reodoti liberi
nelle grandi urgenze
di guerra. VII.
55. Servo quando torna
di suo diritto.
II. 2^. Cospiraaione
dei servi contro la
fepubblica. V. 5i. Sestio
(P.) , console. X. 5(. Diviene
Decemviro, 56. Setini popolo
del Lazio. V.
61. Coriolano ne
prende la loro città
Seizet Sibille Oracoli. I.
.{o. Oracoli della
Sibilla Eritrea , 46* Libri Sibillini esibiti
a Tarquinio superbo. IV.
62. A chi dati
in custodia , e quando consultati , ivi.
Si consultano in una
grande carestia. VI.
17. Como in
caso di segni
portentosi. X. 2. I libri
Sibillini si bruciavo,
e ai procurane altre
col- lezioni di oracoli e dà
quali luoghi. IV.
62. Privilegi dei custodi
dei libri Sibillìai , ivi. Sicania fu
detta un tempo
la Trinacria o Sicilia
dai Sicani , popolo delle
Spagne. I. i3. Siccio
(L.) Dentato : sue
parole al popolo
per la legge
agra- ria. X. 5u. Propone
consigli più miti
di altri , 4-*
Siegue i consoli in guerra
, ma si scusa
dall* adempirne certi
co- niaudt , 4S- Come
si vendicasse dei
consoli, 46 e seg.
PI fatto tribuno , 47*
Accusa Romilie console
al popolo, 48. Si
riconcilia con Romilio , $2.
E ncciao per la
perfidia dei Digilized by
Google 5i9 Decemviri. XI. 36.
L* eeercito gli
fa iplendidi fanarali,
2']. Da alcaiii è chiamalo
L. Sicioio Dentato, Siccio (T.)
console vince i Yolsci.
Vili. 67. Ife
triooEa, ivL T. Siccio
legato saggcrisce a Fabin
come riprendere gK ac-
campamenti , 68. Ottiene i premj
delia eoa prodeiaa , ivi. Sicilia fu
detta dai Siedi , popolo italiano , quella che un
tempo ai
chiamava Sicania o Trinacria.
I. i5. Roma
ipe- disCR in Sicilia
a provvedere i grani. VII.
1. La Sicilia
ai ribella ai RomanL
IL 17. Sicinio (C.)
Bellbto nomo sedizioso
prooora di sollevare
ì soldati plebei. VI.
VII, 33. Son
risposte ai legati
dai consoli. VI. 45.
Aduna la plebe
nel i.ionte sagro
e permette che i legati del
Senato vi parlino , e fa che i
plebei rispon- dano. VI. 71 ,
72. E creato tribuno
dai plebei, 8q. E
tri- bnno per la
seconda volta. VII.
33. Sue invettive
contro Goriolano , 3{. Cita
Goriolano al popolo,
38. Fa che il
popolo ne sentenzi
,61. Sicoli , qnal gente fossero
d’ Italia , e dove abitassero.
II. i . Italiani nominati
Sieoli da Sioolo
re. I. 4-
Un tempo abi- tarono Roma, I.
Ne sono cacciati
dagli Aborigeni e dai Pelaighi , ivi. Passano
dall’Italia nella Sicania , i3.
Legati Sicoli assaliti dagli
Anziati. VII. 37.
Vestigi de’ Sieoli
in Italia. II. I. Sicolo
figlio d’italo porta
nna oolooia*di làgqri
nell’Italia. I. i3. Sicolo
re di Ausonia,
ivi. Siedo prologo
da Roma viene a Morgete
, 64. Signia , colonia di Tarquinio.
IV. 63. Sesto
Tarqninio tenta invano di
prenderla. V. 58. Silvio
figlio postumo di
Enea cosi denominato
dalle selve. I. Gl.
Ebbe il regno
de' Latini dopo la
morte di Ascanio,
ivi. Da lui furono
Silvj denominati tutti
i re di A^ba , ivi. Soci del
popolo Romano dovevano
mandargli de’ sossidj
nella guerra. X. 2i.
Leggi date ai
Latini circa i sussid;.
VITI. i3. E Su racquieto
de’ nnovi campi, 74. Digitir.rd by
Googli 520 Sole , ano
(empio. II. 5o.
Fonte dèi aole.
I. 46. Sparla , Spartani. Vedi
Lacedemoni. Spineto j bocca del
Po. I. io. Spoglie.
Vedi Prede. Sterile, moglie
ripudiata. IL 25. Sobarrana^ tribb.
IV. i4. ' • Sneasa
Fomexia^ cittì rignarderole dei Volaci.
VI. 2^ Tarqni- nio
àoperbo la espagna.
FV. 5o. Servilio
la prende. VI.
2g. Abbondansa della ana
preda , I Soeaaani profoghi
ec- citano i Cab) a far guerra
a Tarqniuio. IV. 53. '
- Suffragi. Vedi Ceiftiz/. Solpizio (Q.)
Camerino oonaole. VII.
68. Sitlpiiio (Q.) Uno
dei legati apediti
a Coriolano. Vili. 32. Sulpiiio
(Ser.) Camerino coniole.
V. 52. Sua
prndeoxa nello acoprir la
congiura , 53.'' Dopo la
morte del collega
egli prosiegue aolo a reggere
il consolato, 5^. Sulpizio
(Ser.) Camerino console.
X. i. Ser.
Solpixio mau- dato per
le leggi in
Grecia j Sz. È creato
Decemriroj 56. Sona Soana,
paeae degli Aborigeni.
I. 6. * J T Tanaqnilla moglie
di Tarqnìnio Prisco
perita degli augurj
e d* interpretare i segni
portentosi. III. 4’}-
IV. 2. Sua
pru- densa. IV. 4-
Sno - favore per- Servio
Tullio, ivi. Se
Tana- qoilla seppellisse Arnnte
figlio di Tarquiaio.
IV. 3o. Tareolini ,
sconsigliano i Napoletani dall*
amiciaia de’ Romani. Tomo
III. Legaùom. , Tarpeja
, suo tradimento, morte
e sepoltura. II. 38 e
vg. Tarpeo , colle', poi
detto Capitolino e perchè.
III. 6g. Tarpea, rupe-, aoprastava
al Foro, e vi
ai precipitavano i rei.
Vili. 98. IX. 4a. Tarpejo
(Spnr.) console. X. 48.
Tarquinj , cittì ricca
di Etmria. III.
46. Tarqninieai cospirano co'
Vejenli contro i Romani.
IV. zj. Digitized by
Googic Ss I Intercedono per
Tarqoinio supèrbo. Y. ^
procurano colle armi il
ritorno in Roma ,
Tarqnioio Arante, è messo
dittatore in Collazia
donde prende il nome
di Gollatino , esso
e snoi discendenti. III.
So. Tarqninio Arante , fratello
minore di Tarqniiiio
superbo prende per moglie
Tnllia. IV E fatto re ,
4^ Da
questo § fino al
termine del lib.
Ili si narrano le
imprese di Tarqninio
re , e la morte in
fine. Tarquinio (L.) superbo,
prende in moglie
la* figlia maggiore di Servio
Tullio. IV. Le
òk la morte,
e prende la minore , Come , e
quando s* impadronisse
del regno e perchè
fu chiamato snperbo,
4Ai Da' questo
§ fino al ter- mine del
lib. IV si
espongono le 'sue
azioni fino, alla
per- dita del regno. Esule
tenta più volte
di ricuperare il
trono. V. ^ Porsene si
distacca da lui , Tarquinio incita*
gli Etruschi contra i Romani
, 5i , 6i. Procura
sedizioni in Roma, S3,
Quanto tempo regnò.
L OS, Muore in
Coma. VI. ai, Tarqnioio (L.)
Collatino torna dal
campo in casa.
IV. Gj. La ritrova
piena di lotto , ivi.
E destinato e fatto console
insie- me con Bruto , , 8i.
Rinunzia il consolato
e- si ritira
a Lavinia. V. LI,
Ove muore. Vili.
4^ Tarquinio (L.) maestro
de* cavalieri sotto.
T. Qainzio Ditta- tore. X. 2^. Digitized
by Google r 9 5 Tarquiaio (P.) e
Marno di
Laurealo rivebno una
coapirazio- nr, V. 5^
Premio dato loro , 5^ Tarqoiiiio Sesto
Gglio del superbo
: suo messaggio al
padre da Gabio. IV. ^
£ creato Re di
Gabio , Violenta Lucrezia , ^
Esule fa
guerra par il
padre. V. aa ,
afL É creato capitano
dei Sabini , Manda sussidi
ai Fideoati assediati, 5S. E
capitano dei Latini
contro dei Romani ^ (Ll, E ucciso. VI.
L2. Tarquinio (T.) figlio
del superbo porta
una colonia in Si-
gnia. IV. Egli a
Sesto fan guerra
per il padre.
V. aa^ a6. È ferito.
V. 1 1. Tarquinia moglie
di Ser. Tullio
muore d’improvriso. IV. 4^
Strangolala da Tarquinio
superbo , Tazio (T.)
re di Curi e
duce de*
Sabini contro i Romani. II.
2ÌL Fatta la
pace si fissa
in Roma , e regna eoo
Romolu , ho.' Erige
altari a più Dei ,
ivi. Muore , 5l. Telefono figlio
di Circe e di
Ulisae. IV. 4ì_- Tellene
città del Lasio.
III. V. Qì.
Chi ne fosse
l’ autore. L & Anco Marsio la
espugna e ne porta
in Roma i cit- tadini. III. !>& Tiirsosio (C.)
tribnno della plebe
primo tenta introdnrre
leggi e diritti nella repobblioa.
X. La , Terenzio
Varrone, che dica
su i Sacerdoti istitnili
da Romolo. 11.1 2±,
So la origine
del nomo delle
Curie , 4^ oracoli Sibillini. IV,
fil, Tebaoi tolgono l'impero
agli Spartani. Proemio,
^ Sono sol* touessi. II. l
'j. Temistocle Arconte di
Atene. VI. 54» Teologia
dei Romani migliore
di' quella de* Greci.
II. Termenio Cossia Aterio
console. X. 4d. Termini
Dii , loro sagrifisi
e festa. IL Testrina o Testrnna,
paese Sabino. II. Tenero
Re della Teucri.!
o Troade nella Frigia.
L ^ Tevere, passa vicino
a Fidcne. 11. hh, Cliiamavati
Albula e Digitized by
Google 5a3 prette altro nome
ila Tiberino Re
orlak> dalla corrente
di esao. L Gz. Tibnrtini , popolo del
Laaio» V. 4i-
Loro fondatori. L 8* Timeo
Siculo, storico non
affatto diligente, eioccbè
scrive sa gli Dei
Penati. L Gfi. E sa
1* epoca della
fondasiona di Ro« ma
, (15. Tiora, paese degli
Aborigeni. L 6. Tisicrate Grotooiate
vince nello stadio.
V. VI. 43* Tisio
(Ses.) tribuno della
plebe. IX. Cg. Toga , soB forma.
III. Gì. Intessnta
di oro.' V. 4^!
Tolerini espugnati a farsa
da Coriolano. Vili, Tuoni
e lampi spaventevoli dissnadono
Valerio il console
dal> r assalire il campo
degli Equi. IX.
55. Trabea, o Tibeuna. VI.
i5. Trebnia paese degli
Aborigeni. L IL Triarj ,
quali soldati. V. lL Vili.
SG, Tribuni, prefetti delle
trib&. II. Tribuni dei
Celeri e loro ofGsj.
II. 64^ Tribuni dèi
soldati , venti creati nel
ritirarsi le armate
dai Decemviri. XI. 4i^ Tribuni
militari destinati in
luogo dei consoli.
XI. 6t. Depon- gono
il tribunato militare
dopo acttanlatri giorni
, Ga, Tribuni della plebe
quando creati e quanti.
VI. 8 aegneiize , ^ Si
arrogano Tarbitrio di
accnaare qaalnnqne patrizio, 5g.
Nel caso di
Coriolanoj ivi. Cominciano
a ci- tare al popolo qnalanqne
cittadino « Si oppongono
a Cassio per la
legge Agraria. Vili,
Si oppongono alla leva
de* soldati, 87.
Impediscono col loro
potere i comizj , 90. Nella
penuria de* viveri
incitano la plebe
contro i Con- soli. IX. Chiamano
al gindisio del
popolo i già consoli perchè diano
conto del loro
consolato , ^ , 28. Restano pel
secondo anno nelle
cariche loro , Sforzi
loro per- chè 8* imprigioni
nn console ,' 48^
Insistono sn la
formazione delle leggi. X.'l.
Sono chiamati in
Senato a consnltarvi sa la
salute pubblica , 2., Cacciano
con finti delitti
Quinzio Cesene da Roma.
X. 8. Restano
pel terzo anno
nella loro carica, ^ E per
il quarto , 21, Confermati
per nn qninto anno
impediscono la leva
innanzi che il
Senato decreti per la
formazion delle leggi , 28,
Tentano di convocare
il Se- nato , il che
aspettava ai consoli,
3i. Il Senato
conceda che L tribuni siano
dieci in luogo
di cinque , 3^
Gitano al popolo i consoli
i quali non ubbidiscono
, ^ Sono im- pediti nella legge
agraria , 4i ° *eg> La
peste ne uccida quattro , 88, Cessano
col crearsi dei
Decemviri , 4^ Vedi
Decemviri. Ristabiliti si
vendicano dei Decemviri.
XI. 46. Istigano di
nuovo la plebe
contro i patrizj , Pretendono
che anche i plebei
possano chiedere il
consolato, 82, Cac- ciati da
Roma vanno a Cesare
nelle Gallie. Vili.
87. Tribè, Romolo ne
forma tre, -divise
in dieci curie.
II. 25. Anco
Marsio li vince,
^i. Come poro Tarquioio Prisco,
58. E Servio Tullio.
IV. 2>]. Teotaoo riportare al
trono i Tarquinj. V.
i4> Sono «ioti
dai Ro- mani, i5. Cornelio
accorda loro la
tregua. Vili. 82.
Sac- cheggiano il territorio di
Roma e ne sono
repressi, Qi. Cercano il
soccorso degli Etruschi
contro i Romani. IX. 1,5.
Assalgono i Romani dipersi , 19.
Scorrono frao al Gianoioolo , ivi. Implorano
soccorso dagli Etruschi
contro i Romani , 16.
Appoggiati all* aiolo
degli Etruschi e dei Sabini
riprendono di nuovo
le armi contro
i Romani , 34. Ottengono una tregua
di aoni quaranta
, 3G. Si acuingono a ribellarsL XI.
54. Velia Inogo di
Roma. I. 11.
V. ig. Vellelri , città
dei Volaci si
rende ad Anco
Marno. III. ^2. E presa
da Verginio console.
VI. ^2. Rifinita
dì popolo dalla peste,
chiama dei coloni
da Roma. VII.
iz. Vesbola o Suessola paese
degli Aborigeni. 1. 6.
Vesta è la terra.
II. GG. Perchè
siale consagrato il
fuoco : e a chi siano
note le cote
sacre di essa ,
ivi. Tempio di Ve-
sta , So. Da chi
prima fosso fabbricato
e dove, 65. Perchè vi
si onstodisse il
fnooo e dalle Vergini,
GG. Nel tempio non
potevano pernottare de’ maschi,
G^j. Fonte al
tempio di Vesta. VI.
i3. Vestali , vergini nobilissime.
I. Gl. Da
obi foMero prima
isti- tuite. II. G5. Quante
ne stabilisse Niima
, e qnaute gli altri Re , G7. Tarquiuio
Prisco ne aggiunte
due. III. G’;.
Of- fiij loro. II. 6G.
Quanto tempo dovessero
conservare la ver- Digilized by
Googk 5i’j ginilil. I. C8>
IL 67. Dopo
qnetto tempo poteaoo
maritarti. IL 67* Onori
delle Vestali , ivi. Loro
gastigo se lasciavano eorromperai. L C^.
IL C7. III.
G7. Veatale convinta
di etupro aottoposta a pene
solenni. IX. 4*
Vili. 8g. Suppli- xio
dei corruttori delle
Vestali. Vili. 89,
IX. 4** Vetoria, madre
di Corlolano. Vedi
Coriolano> Vetnrio (G.) console.
X. $2. Vetnrio (P.)
console. V.58- Veturio (T.)
Gemino console. VI.
3i. IX. 69.
Marcia contro i Volaci. IX.
G9. Ne trionfa:
ne ottiene la
ovaiione , 71. E fatto Decemviro.
X. 67. Virginio (A.)
Mentano console. VI.
3(. Va oontro
i Volaci, Va Legato alla
plebe profuga , G9. Virginio (A.)
oonsole. IX. i5. Virginio
^A) Celimontano console.
IX. 5G. 1 Virginio
(A.) triumviro. IX.
Sq. Virginio (A.) tribuno
della plebe. X. S e
seg. Virginio (Op.) Tricosto
console. V. /(g. '
Virginio Poolo console.
Vili. 58, 71. Virginio
(Sp.) console. X.
3i. ^ Virginio (T.)
console. VI. J. Volsci
, sono ridotti in- dovere
da Anco Marsio.
III. 4i. Do* città
dei Volaci ai
coliegano con Tarqninio
superbo. IV. .49. Il
quale infetta il
terrtìorio delle altre,
52. Mandano am- basciatori a Gabio perchè
voglia far guerra
con essi a Tar- qninio , 53. 1 Volaci
ricusano socoorrere i Roiiani
contro i Latini. V. 4
A.nsi apparecchia osi a
soccorrere i Ladini eon- tro
i Romani. VI. 5.
Giungono in soccorso
dei Latini dopo la
battaglia , i Mandano
ambasciatori al campo
Romano per esplorarlo, i5.
SI nmiliaoo e tornano
a ribellarsi, 25. Servilio li
debella, 29. In
pena ne sono
uccisi in Roma
gli ostaggi , 3o. Servilio ne
trionfa contro il
voto del Senato , ivi.
Mandano legati in
Roma a richiedere ciocché
era stato tolto loro,
3{. Sono costretti
a ricevere i coloni Romani, Dkjiii^tid by
Google 528 VI. 43 e s«g.
Dopo la goerra
Latina i primi fomentano
la bellione dai Romani,
>}C. Poatomio Gominio
li debella, 91. In
tempo di fame
macchinano contro i Romani , ma
la pe- ate li raffrena.
VII. 13. Volaci
comandati ohe cacano
da Roma tatti per
nna porta. Vili.
4- Ridomandano per
meazo di legati le
loro cose ai
Romani , q. Intimano gnerra
ai Romani e creano capitano
Coriolano , ii. Il
quale gli ac- costuma alla disciplina
militare dei Romani , Marciano con gli
Equi contro i Romani
, e si attaccano fra
loro, G3. Chiedono pace
dai Romani, 68.
Q. Fabio li
vince , 9i. Si confederano di
onovo con gli
Eqni contro i Romani.
IX. iC. Resistono bravamente
a Serrilio console , ivi.
Nansio console devasta le
loro campagne, 35.
Sono presi i loro accampamenti , 58. In
tempo di peste
cospirano con gli Equi
contro i Romani, 6'].
Sono respinti, 70.
Valerio li sbaraglia. XI.
47* Volscio (M.) tribuno
della plebe. X. 7.
Voinnnia moglie di
Coriolano. Vili. io.
Come ricevuta da Coriolano , i5. Volnnnio (P.)
console. X. i. INDICE Delle Tavole
a Carte contenute nelli
tre dolami delle
Antichità Romane -dX Dionigi
di AUearnasso. Tom. I.
Ritratto dell'Autore in principio » » Carla delli
Antichi Contorni di
Roma . . . n ivi n li. La
Porca 00' 3o
porcelli; e la Lupa
del Campidoglio o ivi » n Carla topografica
dell’antica Rmna . . . . n ivi M n Ritratta di
Giunto Bruto ....
...» 89 » 111. Tav.
1. eli. Tempia
di Giano e sne
vetligia. FINE. Marco Mastrofini. Mastrofini. Keywords: implicature,
Delle cose romane di Floro, l’antichita romane di Dionigio, le cose memorabilia
di Ampelio, il sistema verbale della lingua Latina – del verbo latino, aspetto verbale
– la filosofia del verbo – tempus, azione, la concettualizazione dell’evento e
l’azione nel verbo latino --, categorie sintattiche e morfologiche e semantiche
e prammatiche dell’aspetto verbale nella lingua Latina. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Mastrofini” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Masullo: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale e la scissione dell’inter-soggetivo – i lottatori della tribuna
-- filosofia italiana – Luigi Speranza (Avellino). Filosofo italiano. Insegna a Napoli. Ha trascorso vari periodi di
ricerca e di insegnamento in Germania. Direttore del Dipartimento di
Filosofia dell'Napoli. È stato socio dell'Accademia Pontaniana, della
Società Nazionale di Scienze Lettere ed Arti di Napoli e dell'Accademia
Pugliese delle Scienze. È stato insignito della medaglia d'oro del Ministero
per la Pubblica Istruzione. Candidato nelle liste del Partito Comunista
Italiano prima e in quelle dei Democratici di Sinistra poi, ha ricoperto la
carica di Deputato, è stato Senatore della Repubblica. Trascorre i primi anni
della sua vita a Torino. Si trasferisce a a Nola, dove compie gli studi
superiori frequentando il liceo classico Carducci. Fequenta il corso di
laurea in Filosofia a Napoli. Si laurea con Nobile discutendo una tesi su
Benda. Napoli era dominata prevalentemente da Croce; esistevano comunque altri
personaggi capaci di una riflessione autonoma e originale come fu Aliotta che
con il suo sperimentalismo offrì importanti stimoli a M.. Studia
l'esistenzialismo che andava diffondendosi in Italia. Assistente volontario
alle cattedre di filosofia e tiene seminari per Nobile, Aliotta, e
Valle. Compie la sua formazione filosofica a Napoli soprattutto con Carbonara.
Carbonara era impegnato attraverso i suoi studi di estetica a ripensare
l'attualismo gentiliano. La sua posizione prende il nome di materialismo critico.
Attraverso il confronto con Carbonara, M. si addestra al
rigore concettuale e inizia ad elaborare una propria posizione
originale. Nella formazione e nella costruzione della prospettiva
filosofica di Masullo si combinano diverse componenti. Il neoidealismo,
crociano e gentiliano, lo sperimentalismo d’Aliotta, e, tra idealismo e
materialismo, il materialismo critico di Cleto Carbonara. M. però, mosso
dalle proprie inquietudini e dalle impressioni suscitate dai tragici eventi
bellici, studia anche l'esistenzialismo e lo spiritualismo. Infine il bisogno
di comprendere l'uomo concreto e le sue reali tribolazioni lo conducono ad
avvicinarsi alla fenomenologia. Il soggiorno di studio a Friburgo gli
consente di approfondire lo studio della fenomenologia e di conoscere Weizsäcker,
il quale aveva introdotto nel filosofese il concetto di “patico.” (cf.
anti-patico, sim-patico, em-patico). Esistenzialismo, spiritualismo, idealismo
e fenomenologia sono correnti di pensiero variamente intrecciate tra di loro.
Ciò che attraversa trasversalmente questi movimenti di pensiero è la radicale
problematizzazione del rapporto tra pensiero e vita, tra il pensiero e il suo
negativo, ciò che pensiero non è. Il pensiero Intuizione e discorso è un
testo in cui, avvalendosi degli stimoli che provenivano dalla epistemologia, M.
si confronta con l'idealismo attualistico e storicistico per riflettere sul
carattere “difettivo” della coscienza e sul suo rapporto con la
conoscenza. M. in Intuizione e discorso sostiene che i poli del fatto e
dell'idea, del senso e della coscienza, della vita e delle forme dello spirito
sono legati da un vincolo dialettico. Voler ridurre l'uno all'altro conduce ad
un idealismo soggettivistico o ad un empirismo cieco alle dimensioni dello
spirito. Bisogna comprendere le modalità del vincolo che lega spirito e corpo.
Il pensiero che voglia essere critico, cioè che non voglia ingannarsi, deve
riconoscere che esso si fonda su processi biologici e fisiologici che gli sono
irriducibili. M. approfondisce in Germania lo studio della fenomenologia,
ancora poco diffusa in Italia. A Friburgo frequenta i circoli husserliani
capeggiati dall'allievo di Husserl Fink e conosce Weizsacker del quale M. svilupperà
il concetto di "patico". M. stesso, tornato in Italia, traduce e
commenta alcuni testi di Husserl in un piccolo libriccino ormai introvabile -- Logica,
psicologia, filosofia. Un'introduzione alla fenomenologia, Napoli, Il Tripode
-- il cui contenuto in parte è poi confluito nel successivo truttura,
soggetto, prassi. M. considera Husserl un grande esploratore della
coscienza. Husserl cerca di dare un fondamento filosofico alle scienze positive
indagando il modo in cui la coscienza costituisce il mondo che la scienza
prende ad oggetto delle proprie particolari ricerche. Masullo però, elaborando
gli stimoli dell'antropologia medica di Weizsacker, lavora al passaggio dalla
fenomenologia alla patosofia. Struttura, soggetto, prassi è il testo che
documenta il rinnovamento della ricerca di Masullo. Fa riferimento alle scienze
positive per mostrare che la coscienza è qualcosa di vivo e concreto e non è
«intellettualisticamente sofisticata», trasparente a sé stessa, come vorrebbero
le filosofie speculative le quali riducono la vita psichica alla vita cosciente
e non tengono conto o minimizzano il peso della dimensione psichica inconscia,
svalutata come qualcosa di filosoficamente irrilevante. S. Non è
possibile una conoscenza diretta, per introspezione/riflessionecome vorrebbero
le filosofie speculativedi ciò che pensiero non è. Il pensiero come esperienza
intersoggettiva, sociale (lo Spirito, il Soggetto) può conoscere i suoi
prodotti, i pensieri, il pensato, ma non può conoscersi come processo,
esperienza del pensare, atto, tempo, «paticità» (cioè il pensare come
esperienza soggettiva, esistenza). D'altronde il pensiero come processo non può
essere conosciuto neanche per inferenza da parte delle scienze
positivo-sperimentali. Queste possono misurare i processi, ma non possono
misurarne i vissuti. Lo scacco, il limite della conoscenza è l'apertura
alla prassi e all'etica: riconoscere il nesso operativo tra senso e
significato, crisi e ordine, «patico» e cognitivo, corpo e mente. Analizza
i grandi modelli idealistici e fenomenologici della soggettività. In
particolare, seguendo un'indicazione di Fichte, sviluppa la tesi secondo la
quale il fondamento dell'uomo, cioè la condizione per la quale l'uomo assume i
caratteri della soggettività (libertà, storia, ricerca, progetto,
autodeterminazione) è l'intersoggettività. Di questo fondamento Masullo
analizza le modalità di funzionamento. M., con i suoi studi sulla
«intersoggettività» e il «fondamento» degli anni sessanta e settanta (Lezioni
sull'intersoggettività. Fichte e Husserl, Napoli, Libreria Scientifica
Editrice, La storia e la morte, Napoli,
Libreria Scientifica, La comunità come fondamento. Fichte, Husserl, Sartre,
Napoli, Libreria Scientifica; Il senso del fondamento, Napoli, Libreria Scientifica
Editrice, Antimetafisica del fondamento, Napoli, Guida), analizza le
«operazioni nascoste» in base alle quali si costituisce l'io e in base alle
quali si costituisce l'oggettività del mondo e individua nella originaria
struttura intersoggettiva il fondamento del mondo umano. Il fondamento è la
comunità, ma essa funzionalmente rimane nascosta all'io per permettergli di
istituirsi ed operare, come ben spiega nell'importante saggio Il fondamento
perduto, in cui rielabora e sviluppa spunti presenti negli ultimi capitoli di
Il senso del fondamento e raccoglie in
modo compiuto i risultati teoretici di due decenni di ricerche intorno al tema
della comunità-intersoggettività come fondamento. M. pubblica inoltre il testo
Fichte. “L'intersoggettività e l'originario” in cui riprende e aggiorna il
saggio su Fichte contenuto in La comunità come fondamento. Fichte, Husserl,
Sartre. Pubblica Metafisica. Storia di un'idea. Il capitolo finale, Il
sentimento metafisico, è l'indicazione del passaggio a una nuova fase del
pensiero di M., una fase in cui il tema dell'intersoggettività lascia il posto
alla esplorazione delle dimensioni del vissuto del soggetto, quindi lascia il
posto ai temi della paticità, del senso, del tempo. In effetti anche i
suoi corsi universitari di quegli anni rivelano questo momento di transizione. Si
dedicati al tema dell'inter-soggettività ma vengono trattati anche i temi
caratteristici della seconda stagione della sua riflessione. Tratta della
“difettività del soggetto”; nel corso invece si occupa di “comprensione del
tempo e interpretazione morale, definitivamente centrati su “i patemi della
ragione e l'inter-esse etico.” Nei studi
su «tempo», «senso», «paticità» (Filosofie del soggetto e diritto del senso,
Genova, Marietti, “Il tempo e la grazia. Per un'etica attiva della salvezza,
Roma, Donzelli, “Paticità e indifferenza” (Genova, Melangolo). Sostiene che il
pensiero critico, nella sua incapacità di pensare il passaggio, il processo, la
trasformazione, il cambiamento (sustenuto in La problematica del continuo in
Aristotele e Zenone di Elea, seppure solo sul piano logico) è incapace anche di
pensare la soggettività la quale è una forma particolare di cambiamento, è
tempo, prodursi delle differenze all'interno di un campo strutturato,
fortemente centralizzato, l'organismo umano, portatore della coscienza di
sé. In questi studi degli anni ottanta e novanta Masullo considera le
modalità affettive e psicobiologiche dell'esser soggetto. In “Filosofie del soggetto
e diritto del senso” Masullo si confronta con Kant, Hegel, Dilthey, Heidegger e
Merleau-Ponty, i quali storicamente hanno posto il tema della soggettività non
riconoscendo però la differenza tra «significato» e «senso». M. rivendica il
«diritto del senso» ad essere riconosciuto nella sua radicale e irriducibile
diversità dal significato. Molto più rilevante nella costruzione della sua
prospettiva filosofica è invece il saggio intitolato Il tempo e la grazia. Per
un'etica attiva della salvezza, nel quale M. illustra la sua concezione della
frammentazione della soggettività a partire da alcune considerazioni sui
concetti di esperienza e di tempo. I lessici delle lingue europee antiche e
moderne consentono di distinguere la dimensione orizzontale dell'esperienza
propriamente detta (έμττεŀρία, experientia, Erfahrung) la quale ha un carattere
prevalentemente cognitivo rispetto alla dimensione verticale dell'esperienza
meno propriamente detta (πάθος, affectio, Erlebnis), cioè il vissuto, il quale
ha invece un carattere affettivo anziché cognitivo. Da una parte abbiamo il
giudizio su ciò che abbiamo provato, dall'altra abbiamo il provare come
avvertimento immediato dell'accadermi di qualcosa. Ciò introduce a
un'ulteriore precisazione filologica che riguarda la differenza tra il cambiamento
e il tempo. Il tempo non è il cambiamento. Il cambiamento è il continuo
prodursi delle differenze nell'organizzazione delle forme della vita. Il tempo
è l'avvertimento interiore di questo cambiamento, cioè l'avvertimento di sé
attraverso il cambiamento. L'uomo, a differenza degli altri viventi, è
intrinsecamente tempo. Egli istituisce il tempo nel senso che mette in
relazione i cambiamenti a dei sistemi oggettivi di riferimento, ma ancor più
radicalmente l'uomo è tempo in quanto avverte i cambiamenti del mondo esterno
solo in relazione al proprio modificarsi. Questo avvertimento, il «senso»,
è l'indice della soggettività. L'avvertimento della perdita, il senso del
cambiamento, in una parola il tempo, accende l'allucinazione del sé, scatena il
desiderio di permanenza. Parallelamente alla esplorazione della
soggettività, in Il tempo e la grazia M. segue gli sviluppi di un'emergente
epistemologia caratterizzata anch'essa dalla contingenza e irreversibilità del
tempo fisico così come la cosmogenetica ce lo illustra. Il versante umanistico
e quello scientifico convergono nel disegnare un'antropologia la cui etica non
è più la moderna e rassicurante etica reattiva che salva la società con le sue
formulazioni sull'ordine del mondo. L'etica che M. vede in prospettiva
scaturire da questo nuovo contesto è un'etica attiva che salva il tempo, cioè
il soggetto, dal vivere la perdita prodotta dal cambiamento come «disgrazia»,
mutilazione. La perdita è un momento necessario nella vita di un essere,
l'umano, che non semplicemente cambia, ma si rinnova e costruisce
intenzionalmente il proprio futuro. Una volta riconosciuto il diritto del
senso ad essere inteso nella sua irriducibilità al cognitive; una volta esplorato il campo del
senso-tempo-patico alla luce della psicanalisi, della letteratura e della
filologia; una volta riconosciute le epocali trasformazioni degli scenari
epistemologici, antropologici ed etici, M. in Paticità e indifferenza, si
chiede quale può essere ancora, in questo nuovo contesto, il ruolo della
filosofia. La filosofia è «saper assaporare i sapori della vita, gustare a
fondo i sensi vissuti, … elevare i sensi sensibili a sensi ideali e cogliere nei
sensi ideali la possibilità dei sensibili, è la “sapienza del patico” ovvero,
se si ricalca interamente l'etimo greco, è la “patosofia”». Da un
pensiero così articolato derivano alcune indicazioni e cautele
etico-pedagogiche. Essendo l'uomo intrinsecamente temporale, essendo la
temporalità umana irreversibile, l'uomo non può essere fatto oggetto di
conoscenza come un qualsiasi ente. M. distingue la conoscenza dalla cura. Egli
inoltre distingue le esperienze (che sono comunicabili e sono i materiali sui
quali si costruisce la conoscenza) dai vissuti (che sono invece
costitutivamente «incomunicativi» in quanto riguardano l'immediatezza del
sentire individuale che non è mai trasparente neanche all'individuo stesso che
li vive). La conoscenza è la dimensione orizzontale dell'esistenza. Essa guarda
alla universalità. Mentre la cura ne è la dimensione verticale. Essa invece
guarda alla unicità-identità, ai vissuti da assaporare e da sublimare in valori
da condividere. Mentre la ricerca di Masullo prosegue in questi anni
curvando verso nuove direzioni, pubblica alcuni nuovi libri. Sscrive Filosofia
morale per una collana di libri che illustrano ciascuno il nucleo delle varie
discipline filosofiche. In effetti Filosofia morale non è un elenco di temi,
personaggi, concetti ma un percorso molto personale all'interno delle questioni
e dei nodi fondanti della disciplina: la specificità della filosofia morale e
la distinzione tra morale ed etica; il bene quale orientamento dell'azione
umana; il soggetto della vita morale, la persona; il dovere, la responsabilità
e il vincolo che ci lega agli altri. Scrive, intervistato dal giornalista
de Il Mattino, Scamardella, Napoli siccome immobile. Scamardella, in uno degli
ennesimi momenti difficili per la città di Napoli, cerca la figura di un
saggio, di un'autorità morale capace di interpretare il presente e prefigurare
il futuro di questa città malata. Trova questa figura in M., filosofo ma anche
protagonista della vita civile e politica della città con concrete iniziative
quali, nel 2006, gli incontri con i giovani e la popolazione nell'ambito del
“Manifesto per salvare Napoli”. Il libro è un lungo dialogo sulle tante
debolezze della città presente che si conclude con un'analisi delle risorse che
danno speranza nel futuro. M. pubblica La libertà e le occasioni, che
sviluppa il tema del suo ultimo seminario all'Istituto Italiano per gli Studi
Filosofici di Napoli. L'impegno politico Negli anni sessanta e settanta
la contestazione studentesca segnalava il bisogno di rinnovamento
dell'università italiana. M., per i caratteri originali del proprio
insegnamento, è considerato dagli studenti uno dei professori progressisti. Egli
in quegli anni fu eletto deputato come indipendente nelle liste del Partito
Comunista Italiano, ed in seguito come
senatore, si occupò sempre dei problemi del sistema scolastico. Inoltre come
parlamentare europeo lavorò al fianco di Nilde Iotti nella Commissione
legale. All'inizio degli anni ottanta alcuni importanti provvedimenti
modificano l'organizzazione didattica e gestionale dell'università (vengono
istituiti i dottorati di ricerca, riordinate le scuole di specializzazione,
creati i Dipartimenti). Terminato l'impegno parlamentare Masullo dirige per due
mandati il nuovo Dipartimento di Studi Filosofici dell'Napoli intitolato ad Aliotta.
Anche attraverso questo incarico egli incide sulle direzioni della ricerca
filosofica a Napoli. M. si mette
di nuovo al servizio della politica quando dopo la crisi politica e sociale
degli anni ottanta, agli inizi degli anni novanta si verifica un generale
risveglio della coscienza collettiva. A livello locale egli dapprima anima per
oltre un anno, ale “Assise di Palazzo Marigliano”, un movimento che si opponeva
al progetto NeoNapoli previsto dal preliminare di Piano Regolatore.l, del
quale ottenne il rigetto, suggerendo la demolizione e il rifacimento integrale
dei Quartieri Spagnoli. Forte della popolarità acquistata con questa esperienza
è capolista del PDS nelle elezioni amministrative e poi, protagonista a Napoli
della innovativa esperienza della "giunta del sindaco". A
livello di politica nazionale M. è di nuovo impegnato per due legislature al
Senato. Egli è membro della Commissione di vigilanza dei servizi
radiotelevisivi e, come negli anni settanta, della Commissione per l'istruzione
pubblica e i beni culturali in anni nei quali i provvedimenti relativi a
istruzione, università e ricerca sono numerosi e importanti. Amante dei libri e
della cultura dei bambini, lo spessore del Maestro filosofo emerge inoltre
quando in aula si discutono disegni di legge relativi a temi quali l'ergastolo
o la procreazione assistita. Saggi: “Intuizione e discorso,” – Grice:
“Good connection.” (Napoli, Scientifica); “La problematica del infinito del continuo
– l’infinitesmale – la categoria della quantita – flat and variable,” – Grice:
“Excellent philosophical problem.” Napoli, scientifica,
“Struttura soggetto prassi,”Napoli, scientifica “La comunità come fondamento,” Grice:
“Masullo’s first attempt at a conceptual analysis of the inter-subjective; but
it takes a philosopher to understand that that is what stands behind
‘community,’ or ‘population,’ as I prefer, or the conversational dyad.” Napoli, scientifica, “Anti-metafisica del fondamento” Napoli,
Guida, “L'inter-soggettivo” Napoli, Guida, “Filosofie del soggetto e diritto
del senso,” Genova, Marietti, “Il tempo
e la grazia. Per un'etica
attiva della salvezza,” Roma, Donzelli, “Meta-fisica:
storia di un'idea,” – Grice: “Perhaps Aristotle never had an idea; after all
‘ta meta ta physica’ is later and means: “the stuff the master wrote after the
‘physika’!” Roma, Donzelli, “La
potenza della scissione” o diaresis, Napoli, Scientifiche, “Gografia e storia
dell'idea di libertà,” Reggio Calabria, Falzea. – cfr. Grice: “The history of
‘free’ is hardly a ‘natural history’!” “Paticità e in-differenza,” Genova, Melangolo, --
Grice: “Masullo’s concept of ‘pathos’ is essential – while you may have
self-pathos, the implicaure is that there is ‘empathy.’” “Inter-soggettivo” G.
Cantillo, Napoli, Scientifica, “Filosofia
morale,” Roma, Riuniti, “Scienza e co-scienza” – Grice: “This pun is only
possible in Italian: conscious and science are less of a parallel word
formation!” “tra parola e
silenzio” Grice: “This is my reading between the lines – i. e. the implicature”
atti del convegno (Monte Compatri), P. Ciaravolo, Roma, Aracne, “Il senso del
fondamento,” Napoli, scientifica, G. Cantillo, Napoli, scientifica, Napoli, siccome
immobile. Intervistato, Napoli, Guida, La libertà e le occasioni, Milano, Jaca, I linguaggi della follia e i passi della
salvezza. Il lavoro psichiatrico, in S. Piro. Maestri e allievi, Napoli, Scientifica,.
Il filosofo della coscienza, Corriere della Sera, La grazia della filosofia e
della politica, su rainews, Napoli, chi era il più grande filosofo, su
interris, A. Fioccola, Magazine dell'Università degli Studi di Napoli
l'Orientale. Aldo Masullo. Masullo. Keywords: l’intersoggetivo, la scissione di
Hegel, il continuo dei velini – velia, infinitesimal – l’innamorato di
Parmenide -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Masullo” – The Swimming-Pool
Library.
Grice e Matassi: la ragione conversazionale e
l’implicatura conversazionale e la filosofia della seduzione dei giocatori di
calcio -- filosofia italiana – Luigi Speranza (San Benedetto del Tronto). Filosofo italiano. Grice: “I like Matassi; but then I
like football – I was the football team captain at Corpus – and aesthesis, the
seductor seduced – “la condizione desiderante” indeed!” Allievo di Garroni, è stato Professore di Filosofia
morale, coordinatore scientifico della sezione Filosofia, Comunicazione, Storia
e Scienze del Linguaggio del Dipartimento di Filosofia, Comunicazione e
Spettacolo dell'Università Roma Tre; in precedenza era stato direttore del Dipartimento
di Filosofia. Si è occupato anche di Estetica musicale. È stato Presidente della Società Filosofica
Romana e ha fatto parte del comitato direttivo nazionale della Società
Filosofica Italiana. È stato nel
comitato d'onore della Fondazione Amadeus. Presidente dell’Accademia Estetica
di Rapallo, responsabile della sezione filosofica di Villa Sciarra, Roma, membro
della giunta del CAFIS dell'Università Roma Tre. È stato anche membro del
Comitato scientifico della Fondazione Résonnance dell'Losanna. Ha diretto la collana Musica e Filosofia per
la Mimesis Edizioni di Milano e quella su I Dilemmi dell'Etica per la casa
editrice Epos di Palermo. Ha tenuto un blog sul "Fatto quotidiano"
sui temi che legano la filosofia alle dimensioni del contemporaneo. Ha
collaborato con la rubrica Ricercare, dedicata alla filosofia della musica, al
mensile Amadeus e al mensile Stilos. È stato direttore della collana Italiana
per Orthotes Editrice (Napoli). È stato anche membro del comitato
scientifico-direttivo delle seguenti riviste: Colloquium philosophicum,
Paradigmi, Quaderni di estetica e di critica, Bollettino di studi sartriani,
Filosofia e questioni pubbliche, Links, Lettera Internazionale, Phasis,
Itinerari, Prospettiva Persona, Metabolè, Babel online, Civitas et Humanitas.
Annali di cultura etico-politica. Per quanto concerne il settore
estetico-musicale è presente nel comitato direttivo della rivista internazionale
Ad Parnassum. Hortus Musicus, Civiltà musicale, Orpheus, Itamar. a ricoperto la
presidenza di giuria per il Premio Frascati Filosofia. Menzione speciale della giuria al premio di
saggistica “Salvatore Valitutti”, per Bloch e la musica. È stato uno dei principali collezionisti al
mondo di incisioni relative alle esecuzioni delle sinfonie e della liederistica
di Mahler (circa mille tra vinili e compact disc). Si è occupato di filosofia
tedesca, in particolare di Hegel, delle scuole hegeliane, del criticismo
tedesco, del marxismo occidentale e della scuola di Francoforte. Un suo saggio è
stato dedicato alle Vorlesungen hegeliane di filosofia del diritto e
all'interpretazione fornitane da Gans. Si è occupato di Lukács, iutilizzando
per la prima volta il celebre manoscritto "Dostoevskij" si è poi occupato
di Hemsterhuis, l'autore della celebre Lettera sui Desider e del dialogo
Alessio o dell'età dell'oro. Le sue ricerche
hanno riguardato la filosofia della musica moderna e contemporanea e in
particolare su quella di Bloch, di Benjamin e Adorno, fino ad elaborare un'originale
filosofia dell'ascolto, le cui suggestioni si possono rintracciare nella teoria
musicale moderna di Ernst Kurth, elaborata nei Fondamenti del contrappunto
lineare. In tale prospettiva di ricerca, filosofia della musica e filosofia
dell'ascolto sono strettamente compenetrate, fino a diventare il paradigma di
una rivoluzione formativa che mette al centro del sistema educativo
contemporaneo la musica nella sua declinazione storico-teorica come in quella
pratica. All'interno di tale prospettiva
svolge un ruolo centrale Mozart, il "più ascoltante tra gli
ascoltanti" come lo definì Martin Heidegger. Saggi: Le Vorlesungen-Nachschriften hegeliane
di filosofia del diritto” (Roma, Sansoni, Lukàcs. Saggio e sistema” Napoli,
Guida); “Hemsterhuis. Istanza critica e filosofia della storia, Napoli, Guida);
“Eredità hegeliane, Napoli, Morano, “Terra, Natura, Storia,” Soveria Mannelli,
Rubettino, “Bloch e la musica,” Salerno, Fondazione Menna, Marte editore, Musica
(Napoli, Guida) “Bellezza,” Soveria Mannelli, Rubettino); L'estetica. L'etica, Donzelli,
Roma, L'idea di musica assoluta, Nietzsche e Benjamin, Rapallo, Il ramo, “La
condizione desiderante. Le seduzioni dell'estetico”- Il nuovo melangolo,
Genova; Filosofia dell'ascolto” (Rapallo, Ramo); “Lukàcs. Saggio e Sistema”
(Milano, Mimesis); “La Pausa del Calcio, Rapallo, Il ramo. “Il calcio,” Rapallo..
In: Du Nihilism à l'hermenéutique, Hemsterhuis Franciscus “Sulla scultura; a c.
di M. Palermo. Convegno sulla bellezza", presso il Centro di Studi
Rosminiani di Stresa, Musica e Creatività Intervista a Rai Notte "La
musica assoluta" Inconscio e Magia, Teatro dell'Opera di Roma, Seminario
di formazione del PD Le parole e le cose dei democratici Pisa, Palazzo dei
Congressi, Intervento alla Summer School della Fondazione Italiani-Europei, sui
rapporti tra democrazia e capitalismo, Commento al concerto jazz di Donà, "Tutti
in gioco", Porto Civitanova, Bloch e la musica. Utopia a misura d'uomo.
Intervista, Ornamenti, Arte, filosofia, letteratura, M. Latini, Armando, Roma, RAI
Filosofia, su filosofia.rai. Il Potere e la Gloria. Juventus e Inter Il Fatto Quotidiano,
s MLatini, in. tervista su Amare, ieri, di Anders, rivista on-line «SWIF-Recensioni
filosofiche», M. Latini, Doppia risonanza sul mondo (a
proposito di "Musica" Napoli), “Il Manifesto”, C. Serra, Recensione a
"Musica". Grice:
“Unfortunately, Matassi, being Italian, or an Italian, is more interested in
Nordic Kierkegaard, to pour sorn on their coldness, than in Ovid’s ‘ars
amatoria’ which would interest an Oxonian!” -- Cf. “La palestra di Platone”. Elio Matassi. Matassi.
Keywords: la filosofia del calcio, in-duzione, se-duzione – Ovidio, ars
amatoria, desiderio. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Matassi” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Matera: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale – i segni del zodiaco e la semiotica di Peirce -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Matera).
Filosofo italiano. Grice: “Only in Southern Italy is a
philosopher also responsible for the astrological edification of the city’s
cathedral!” Uno dei più grandi studiosi e divulgatori
di astrologia occidentale e filosofia dell'epoca. Insegna dapprima a Matera, e
successivamente a Napoli. Vive nel
periodo in cui la Contea materana era dominio degli Angioini e su richiesta di Filippo
IV detto "il bello", il re di Napoli Carlo II d'Angiò, detto "lo
zoppo", invia Alano a Parigi. Lì insegna e divenne noto come dottore
universale, profondamente versato in filosofia. In quegli anni infatti
astronomia e astrologia vieneno collegate poiché si crede che gli astri
potessero esercitare un influsso sulle azioni umane. Nei periodi di soggiorno a
Matera, abita, secondo Verricelli nella contrada di Lo Lapillo tra il castello
e il puzzo dove sorge l’acqua della fontana hera la sua vigna con una casuccia
di pietre, piccola, mal fatta casa propria di filosofo quale oggidì si chiama
la vigna e casa di Alano. Si tratta della collina dove poi fu edificato il
Castello Tramontano. In quella casetta il grande filosofo passava intere notti
ad osservare il cielo e gli astri con strumenti rudimentali. Di Alano è il motto
presente nel “Glora mundis”: La goccia perfora la pietra non colpendola due
volte con forza, bensì colpendola continuamente, così tu trai profitto
studiando non due volte ma continuamente. È l'esortazione con cui invita a
raddoppiare impegno e curiosità sulla strada della conoscenza. Secondo alcuni,
il perfetto orientamento delle facciate della Cattedrale di Matera e del suo
campanile lungo i punti cardinali si deve alle osservazioni astronomiche di
Alano.A Matera una strada, trasversale di via Nazionale, tra le vie Salvemini e
Di Vittorio, è dedicata ad Alano. G. Fortunato, Badie, feudi e baroni della
Valle di Vitalba, ed.Lacaita, Personaggi della storia materana, Altrimedia, per
i Quaderni della Biblioteca provinciale di Matera Morelli, Storia di Matera, Montemurro,Volpe,
Memorie storiche di Matera, ed. Atesa, Dizionario corografico del Reame di Napoli,
ed. Civelli, Biografie dei personaggi illustri di Matera, sassiweb. ntonio Giampietro, Personaggi della storia
materana, Alano di Matera. Matera. Matera. Keywords: implicature, la collina
del castello tramontanto, la catedrale di Matera, astrologia, astronomia,
dottore universale, Napoli, Bologna, Parigi, the semiotics of astrology, Grice
on zodiac signs, semiotic, semiology, astrology, astronomical chart. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Matera” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Mathieu: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale dell’uomo animale ermeneutico – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Varazze). Filosofo
italiano. Grice: “There are various things I love about Mathieu: his idea of the
‘uomo, animale ermeneutico’ is genial – and true!” Grice: “Mathieu rightly
focuses on Kant’s problems with emergentism, i.e. the fact that life (or
‘vivente’) cannot be reduced. I love that.” Grice: “Mathieu has emphasised the
irreductionism alla Bergson. I like that.” Grice: “Mathieu makes an apt analogy
between Goedel’s work for alethic systems – that they cannot self-reflect, and
deontic systems --.” Dopo il liceo, si
iscrisse a orino. Si laureò con Guzzo, filosofo rappresentante dello
spiritualismo ced autore di importanti studi su
Kant (un filosofo che sarebbe stato centrale nella vita intellettuale di
Mathieu). Libero docente nella filosofia, è stato professore incaricato,
e Professore di filosofia teoretica a Trieste.
Primo vincitore del concorso di Storia della filosofia, è stato ordinario di
filosofia fino al ruolo di professore emerito di filosofia morale a Torino -- è
stato membro del Comitato del CNR; è
stato membro e poi vicepresidente del Consiglio esecutivo dell'UNESCO (Parigi).
È stato membro del Comitato Nazionale di Bioetic; è socio dell'Accademia dei
Lincei e membro del Comitato Premi della Fondazione Balzan. Ha fondato
con Berlusconi, Colletti ed altri il
movimento politico Forza Italia. Si è candidato al Senato della Repubblica nel
collegio di Settimo Torinese: sostenuto dal centro-destra (ma non dalla Lega
Nord), ottenne il 33,2% e venne sconfitto dal rappresentante dell'Ulivo, Tapparo.
Con il sindaco di Brindisi Mennitti ha dato vita alla Fondazione Ideazione, per
il cui quotidiano ha curato una rubrica fino alla chiusura della testata. Nel
luglio (in connessione con la sua carica
di presidente del collegio dei probiviri del PdL che è chiamato a giudicare
l'operato dei finiani di Generazione Italia) diversi organi di stampa
riprendono la voce, già circolante da tempo, di una sua adesione all'”Opus
Dei.” A tale proposito sono giunte alla redazione del Corriere della Sera che
aveva pubblicato la notizia le smentite sia dell'Opus Dei che dell'interessato. Ha
offerto contributi significativi in almeno quattro ambiti della ricerca
filosofica: la filosofia della scienza; la storia della filosofia;
l'estetica; la filosofia civile. Ha indagato i limiti interni ed i limiti
esterni della scienza. Tale indagine ha avuto due filosofi del passato come
suoi principali punti di riferimento: Kant e Bergson. Ha infatti ripreso e
sviluppato le ricerche di Kant sui limiti interni della scienza e sulla sua
fondazione. A tale riguardo pubblicò il saggio "Limitazione qualitativa
della conoscenza umana" a cui fece seguito, "L'oggettività nella
scienza e nella filosofia". Seguendo Bergson, ha valorizzato anche
altre forme della conoscenza e della espressività umane non riducibili alla
cienza, ma non per questo ad esse opposte. Ha infatti sempre ritenuto che la
realtà, e segnatamente la realtà umana, non possa essere esaurita dalla
scienza, e richieda invece una costante attività interpretativa.. L'uomo,
dunque, è chiamato ad essere scienziato della natura ed ermeneuta della
cultura. Sarebbe però riduttivo non ricordare che i suoi contributi alla
filosofia della scienza riguardano una pluralità estremamente diversificata di temi.
Ad esempio, sono ddue studi pionieristici sull'applicabilità del teorema di
Gödel al diritto. Gödel aveva scoperto che non si può dimostrare la coerenza di
un sistema all'interno del sistema stesso; M. ritiene che, almeno
analogicamente, la scoperta di Gödel possa applicarsi al problema della fondazione
di un sistema deontico. Uun'autorità non può legittimarsi da sola in modo
formale e, dunque, anche il diritto richiede fondamenti esterni (etici, non
emici): l'efficacia e la giustizia. Ha realizzato alcune traduzioni
fondamentali. E forse il suo contributo maggiore alla storia della filosofia è
consistito proprio in un'opera che combina traduzione e ricostruzione critica,
ovvero l'opus postumum di Kant. Tale opera affronta questioni teoriche
tutt'oggi aperte (soprattutto nella fisica e nella biologia teoriche), come il
problema della forma degli oggetti solidi o il problema del “vivente,” cioè il
problema della vita in quanto tale e non ridotta a semplice. Ha curato poi
le edizioni di opere di Leibniz: si è trattato di un ampio lavoro che si è
raccolto in "Scritti politici e di diritto naturale" "Leibniz e
des Bosses" "Saggi filosofici e lettere" e "Saggi di
teodicea: sulla bontà di Dio, sulla libertà dell'uomo, sull'origine del male.”
La sua estetica, pur nella varietà dei temi trattati, rimanda ad una
problematica essenzialmente ontologica: lo svelarsi dell'ente. Cioè, l'opera
d'arte è heideggerianamente concepita come il modo attraverso cui gli uomini
possono cogliere il passaggio dal nulla all'essere. Di estetica è "Goethe
e il suo diavolo custode", edito per i tipi di Adelphi. Al centro di
questa ricerca vi è la figura di Mefistofele, analizzata in tutta la sua
profondità e capacità genealogica. Nei suoi volumi
sull'estetica della musica sviluppa la tesi affascinante che ascoltare la
musica è un ascoltare il silenzio. Grande è la potenza significante di ciò che
non significa nulla, perché è il nulla a far emergere l'essere delle cose. E la
musica e la luce si situano proprio in questo iato insuperabile fra l'essere e
il nulla. Entro i suoi molteplici contributi alla filosofia civile, si staglia
netta, per importanza e originalità, una triade di saggi edicati a quello che
potremmo chiamare "stato spirituale dell'Occidente". Si tratta di
opere scritte in un periodo dunque estremamente critico per l'Italia, ma che
mantengono ancora una grande attualità. Fa percepire al lettore il pericolo
valoriale in cui è venuto a trovarsi l'Occidente e pone in essere una critica
serrata alle ideologie totalitarie o nichiliste. In questo senso, vi è un'aria
di famiglia con i lavori di quei filosofii come Horkheimerche ha prospettato i
rischi di un'eclisse dell'individuo nella società tecnologica di massa. Un
articolo sul Corriere della Sera
rettifica sul Corriere della Sera
smentita sul Corriere della Sera. Saggi: “Bergson, Torino); “La
filosofia trascendentale” (Bibliopolis, Torino); Leibniz e Des Bosses, Torino);
“L'oggettività nella scienza e nella filosofia contemporanea, Torino; L’esperienza”
(Trieste); Dio nel "Libro d'ore" di Rilke, Olschki); “Dialettica
della libertà, Napoli); “La speranza nella rivoluzione, Milano, Vincenzo Filippone-Thaulero,
Salerno Temi e problemi della filosofia, Roma, Perché punire, Milano, Cancro in
Occidente, Milano, La voce, la musica, il demoniaco. Con un saggio
sull'interpretazione musicale, Spirali, Filosofia del denaro, Roma, Elzeviri
swiftiani, Spirali, La mia prospettiv, Barone; Melchiorre, Gregoriana Libreria,
Gioco e lavoro, Spirali, La speranza nella rivoluzione, Spirali); “Nazionalismo”;
S. Cotta, Japadre, Perché leggere Plotino, Rusconi); Tipologia dei sistemi e
origine della loro unità, Lincei, Orfeo e il suo canto. Scritti, Zamorani, Il nulla, la musica, la luce, Spirali, La
fedeltà ermeneutica, Paoletti Laura, Armando, Per una cultura dell'essere,
Armando L'uomo animale ermeneutico, Giappichelli, Le radici classiche
dell'Europa, Spirali, Goethe e il suo diavolo custode, Adelphi, Privacy e
dignità dell'uomo. Una teoria della persona, Giappichelli, Plotino, Bompiani, Perché
punire. Il collasso della giustizia penale, Liberi libri, Introduzione a
Leibniz, Laterza, In tre giorni, Mursia,;
La filosofia, Marcovalerio, Kant Bergson. quotidiano Ideazione, il fatto quotidiano. 3del portavoce
dell'Opus Dei sulla non appartenenza alla Prelatura dell'Opus Dei, su archive ostorico.corriere.
Vittorio Mathieu. Mathieu. Keywords: al di la del bene e del male, la fedelta
ermeneutica, l’uomo animale ermeneutico, il demoniaco, l’angelo custode, il
demonio custode, il diavolo custode. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Mathieu” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Maturi: la ragione conversazionale e l’
implicatura conversazionale -- l’io e
l’altro – io e l’altro – i duellisti – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Amorosi). Filosofo. Grice: “There are two main things I love about
Maturi, and I hate it when philosophers just dismiss him as an ‘Italian,’ or
worse, ‘Neapolitan’ Hegelian – as when they refer to me as a member of the
Oxford school of ordinary language philosophy! The first is his typically
Neapolitan-hegelian school account of what he calls ‘autocoscienza
recognoscitiva,’ which is something I do take for granted in my conversational
theory of inter-ratiationality; the second is his elaboration of what he calls
the passage from the non-human animal to the ‘human-animal’ in a sort of
pirotological passage.” Grice: “What I like about him is that he considers each
‘stage’ as just as fundamental as the other; which implicates that actually the
‘higher’ stage has a ‘foundation’ on the previous one. Here ‘foundational’
makes perfect sense; and it gives Maturi an excuse to rather pompously label
the concept: ‘forma fondamentali’ of the ‘vita.’ It’s exactly like my soul
progression, -- which I explore in ‘Philosophy of Life.’” It is not surprising
that Gentile loved Maturi and forwarded his “Introduction to philosophy.” sDocente
prima nei licei e poi nell'Napoli. Dopo
i primi studi nella cittadina natale, si trasferì a Napoli ove conseguì la
licenza liceale. La frequentazione di Bertrando Spaventa e di Augusto Vera, lo
introdusse alla filosofia hegeliana
destinata ad esercitare nel suo pensiero un'influenza duratura. Laureatosi in giurisprudenza, tre anni dopo
vinse un concorso per uditore giudiziario.
Ottenuta l'abilitazione, insegnò filosofia nei licei di varie città. Conseguita
la libera docenza, tenne corsi di filosofia hegeliana nell'Napoli quando
ritornò all'insegnamento liceale presso l'istituto Umberto I della città
partenopea. Inizia una corrispondenza con Croce e Gentile, i maggiori esponenti
dell'idealismo italiano, ai quali fu legato da un rapporto di amicizia. Saggi: “Soluzione
del problema fondamentale della filosofia” – Grice: “He implicates there is
one. Cf. Strawson,
Solution to the problem of the king of France’s hair loss.” “Bruno.” Grice:
“Italians seem to have a predilection for philosophers who were burned.” “L'ideale del pensiero umano; ossia, la esistenza
assoluta di Dio.” Grice: “For Kant,
and my friend D. F. Pears, existence is not a predicate, for another of my
friends, J. F. Thomson, it is!” “Uno
sguardo generale sulle forme fondamentali della vita” Grice: “The key concept
is ‘forma fondamentale’ as applied to ‘vita.’ -- Grice: “My favourite is his description of
the ‘forma fondamentale’ of the ‘vita’ of the non-human animal to the ‘forma
fondamentale’ of the ‘vita’ of the human animal.” L'idea di Hegel. Grice: “When
I told Hardie that I was reading “The idea of Hegel,” he said, ‘what do you
mean, ‘of’?” “For Maturi, it’s the same, and it is delightful to see that he
can quote Hegel in ‘Deutsche’ without caring to translate! Them was the days
when European languages counted!” La filosofia e la metafisica” Grice: “The
‘and’ is aequivocal: cf. Durrell, “My family and the animals.”“Principî di
filosofia” (apparently by Spaventa – Maturi has an introduction to philosophy).
Grice: “I must confess that I love the word principle, but again, Hardie would
say, what do you mean ‘of’ – my principle of conversational helpfulness – or
when I speak of the principle of conversational self-love and the complementary
principle of conversational benevolence,” I’m not sure who I apply it to! The
conversationalist like me, I s’ppose.” “Una
relazione scolastica.” Grice: “He doesn’t mean Russell.” “But what he means is
a syllabus which is illustrative of Neapolitan Hegelianism!” Dizionario Biografico degli Italiani, riferimenti in.
Mario Dal Pra, Milano, Bocca, Guzzo, Brescia, Morcelliana, A. Gisondi, Forme
dell'Assoluto. Idealismo e filosofia tra Maturi, Croce e Gentile, Soveria
Mannelli, Rubbettino, G. Giovanni, "Filosofia hegeliana e religione.
Osservazioni", Benevento, ed. Natan,.
Hegelismo Idealismo Neoidealismo italiano. G. Calogero, Enciclopedia
Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Dizionario Biografico
degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. LA FILOSOFIA 01 GIORDANO BRUNO DISCORSO
DI f SEBASTIANO MATURI letto nel di della festa
letteraria 17 inarco 1872 nel T{_. Liceo di Trapani
AVELLINO TIPOGRAFIA TULIMIERO ,E C. 1878
' | I
» XAXAXX^^XXXAAÀAAAAAXXAAXXAAAXXXXX^^OOUUUk
» \ Signori, Giordano Bruno
appartiene alla illustre falange degli eroi del Risorgimento . I quali,
scuotendo il pesante giogo, che gravava da lunghi secoli sullo spirito
umano, inalbe¬ rarono la bandiera di quella indipendenza e sovranità
del pensiero, donde si origina tutta quanta la civiltà moderna. La
più parte di questa illustre falange di eroi furono fi¬ gli dell’ Italia
nostra, ma ,la figura più spiccata, il genio più alto e più originale, la
tempra più ferma e più ga- i gliarda, che allora onorasse l’Italia e in
cui si annunzias¬ se più chiara la bella aurora del nuovo spirito del
mon¬ do, fu senza fallo il Bruno. Ma Bruno, o Signori, non fu
soltanto un grande eroe; egli fu eziandio un gran filosofo. Anzi,
esprimendo libe¬ ramente il mio pensiero, aggiungerò che, sotto un
ceno I — 6 — riguardo, Bruno è il
piu g rande filosofo italiano. Impe¬ rocché, fra tutti i nostri
pensatori, quello che è penetrato più addentro nei segreti della scienza,
quello che più pro¬ fondamente ne ha compresa la vera natura , quello
che più d’ogni altro ha sostenuto a spada tratta e a visie¬ ra
levata gli etem.i dirilt i Jclla Ugjfipe si è appunto il filosofo di
Nola. Egli è vero che, se si considera il Bruno per ciò che riguarda la
trattazione speciale e determinata delle singole dottrine filosofiche, si
deve confessare che, per questa parte, egli si trova inferiore a molti
altri; ma, sejij)on mente alla sostanza del pensiero speculativo,
bi¬ sogna allora convenire che questa sostanza, come c ò nel Bruno,
non c’ è in nessun altro filosofo italiano. In questo discorso io
non posso trattenermi su tutti gli aspetti del Bruno, perchè, quando si
tratta di un per¬ sonaggio gigantesco e moltilatero come questo, è già
ben troppo, se si piglia ad abbozzarne un lato solo nella bre¬ vità
del tempo, di cui io posso disporre. Costretto adun¬ que a limitarmi, io
mi farò a guardare nel Bruno soltanto la stia dottrina filosofica. E fo
questa scelta tra perchè è la filosofia quella, che costituisce il titolo
maggiore della gran¬ dezza del Nolano, e perchè questa è la scelta, cui
mi a- stringe con debito speciale il posto, che ho l’onore di oc¬
cupare in questo Liceo. — 7 — Signori,
se noi ci facciamo a considerare in un modo generale il carattere proprio
della speculazione nel periodo del Risorgimento, scorgiamo soprattutto
due cose. In pri¬ mo luogo, tutti questi filosofi, quantunque con forze
disu¬ guali, pure, chi più chi meno, combattono la Scolastica. In
secondo luogo, questi stessi filosofi, se da una parte combattono la
Scolastica, dall’ altra ciascuno di essi esplica in certa guisa, o almeno
avvia la esplicazione delle pro¬ fonde esigenze, che in quella si
acchiudono. Ma, fra tutti questi filosofi , ò Bruno quello , che più
fieramente guer¬ reggia la Scolastica, e nel medesimo tempo è lo stesso
Bru¬ no quello, che più di tutti gli altri traduce in atto, per
quanto è possibile ai suoi tempi, le esigenze poste dalla Scolastica
nella storia della filosofia. Per occuparmi adunque, con quella
brevità che sap¬ pia maggiore, della filosofia Bruniana, io devo innanzi
tutto accennare quale sia la posizione del pensiero filosofico
nella Scolastica, e quali siano quelle esigenze dell’attività spe¬
culativa, che in siffatta posizione si rivelano. Ebbene la
posizione del pensiero filosofico nella & |^^ca^ è la seguente. In
questa filosofia l’intelletto con¬ cepisce la verità come es istente
della natura e f dell’ uomo; c quindi considera tanto F una che P altro
co- me affatto destituiti di ogni elemento divino. La natura,
Wi Mimi* /sJaVu'M W” te
1 dinanzi allo intendimento scolastico, non ha
valore di sorta; essa è pura ombra, puro giuoco, e onninamente sfornita
di qualsiasi significazione ideale ed assoluta. Per la
stessa ra¬ gione, l’uomo è considerato come una semplice creatura e
come essenzialmente contaminato dalla colpa: tutto quel¬ lo che riguarda
1’ uomo, tutto che gli si attiene in proprio comecchessia non è altro che
miseria, abiettezza, vanità. Per tal modo, dinanzi allo intendimento
scolastico, Dio re¬ sta spogliato di tutti quei principii ideali, che si
svolgono nella natura e nello spirito umano; appunto perchè tanto
il mondo naturale che il mondo umano sono considerati come una sfera ed
una evoluzione del tutto estrinseca al- 1 assoluto, e non già come la
estrinsecazione propria del- 1 assoluto medesimo e la effettuazione
sempre più verace della sua unità (i). » Intanto,
mentre da una parte il pensiero scolastico (l) « In der
tibersinnlichen Welt war keine Wirklichkcit dcs denkenden, allgeuaeincn,
vernùnftigcn Selbstbewusstseyns anzutreffen: in der umnittelbaren Welt
der sinnlichen Natur dagegen keine Gòtt- lichkeit, weil sie nur das Grab
des Gottes, wie der Gott ausser ihr, war. — Gott war wohl im
Selbstbewusstesyn, dodi von Aussen und zugleich ein ihm Anderes, eint
andere Wirklichkeit: die Natur von Gott gemacht, sein Geschòpf, kein Bild
seiner » (Hegel, Ge- schichte der Philosopliie, Zweiter Theil, S. 178,
204, Zweite Auflage). rimuove in tal guisa e
discaccia la verità da tutti gli es¬ seri, e quindi anche da £è stesso,
dall’altra parte poi ha la pretesa di voler comprendere la verità
medesima colle semplici forme vuote ed astratte della propria attività.
Que¬ sta pretesa è quella che spiega perchè gli Scolastici det-
tero tanta^ im portane d lo^iudio^ldwPgllsi^rg , fletto, cioè, al^)
studio ^ di_g^m^^|^ch£poi a ragione fu appellata lo¬ gica scolastica. Ed
in effetti dovea esser cosi, perchè quante v volte, ad onta che si
sostiene essere la verità estrinseca al pensiero, si fa tuttavia ogni
sforzo per arrivare a de¬ terminarla mediante le forme proprie del
pensiero, egli è giuocoforza che tutto il lavorio preliminare e fondamen¬
tale della speculazione si faccia consistere nello studio di queste
forme. Considerando però attesamente questa posizione del-
9 l’intelletto scolastico t non si può non iscorgere in
essa una profonda e radicale contraddizione. Imperocché, affer¬
mando che la verità è affatto l«ori del mondo, quella ra¬ gione, che è
nel mondo, dovrebbe abbandonare qualsiasi aspirazione alla conoscenza di
essa, e quindi rassegnarsi a non cercare altrove il proprio obbietto che
nella bassa sfera della esistenza puran^nte fenomenica e peritura. Ma
la Scolastica, ardente come è dell’ amore della verità, e profondamente
agitata dal bisogno dell’ eterno c dell’ as- ro
— soluto, non potrebbe, per certo, acconciarsi a questa d-
9 miliante condizione. Ed è per questo die, quantunque
ella abbia collocata la verità fuori della natura e fuori dello s
pirito , tuttavia si fa a, cercarla con un ardore indescrivibile, e il
cielo, in cui intende a trasportarla, si è appunto il cielo del pensiero.
Ma, siccome un simile tentativo — quando si è stabilito un ra pporto di
asso luta estrinseche zza tra la verità ed il pensiero — deve tornare
necessariamenie infruttuoso ed inane, cosi è che, mentre la Scolastica si
argomenta con tutte le sue forze di raggiungere la verità, non riesce
che a notomizzare le forme del proprio intelletto, e, in vece della
verità, non ottiene altro che tritumi, sottigliezze ed astrattaggini.
Sotto questo rapporto adunque si può ben dire clic la j _^|^srica è una
barbara filosofia dell’ intelletto astratto, una filosofia senza
contenuto suo proprio, una fi¬ losofia, che non offre nessun verace
interesse ed alla quale non ò più possibile ritornare (i). Mi
limito a queste poche riflessioni per ciò che ri- * (!) « So
hoch auch die Gegenstàndc waren, die sie (die Schola- Stikcr)
untersuchten, so cdele, tiefsinnige, gelelirte Individucn es auch unter
ihnen gab: so ist doch diess Ganze eine barbarischc Philosophie dcs
Vcrstandes, oline realen Inhalt, effe uns kein wahrhaftes Interesse
erregt, und zu dcr wir nicht zuruckkehren kOnnen » Hegel, Geschich- te
der Philosophie, Zweiter Theil, S. 177-78.
ri ■’uarda il lato debole della Scolastica. Ma oltre questo
lato f? - -L.W -- 4'Ji i k - uli-^ .r-t - ‘ la
Scolastica ne Ita anche un altro, ed è quello appunto in cui, se io non
m’ingannò, cpnsiste il suo vero signi¬ ficato, e-per cui essa si connette
colle filosofie posteriori, e trova nelle medesime il suo proprio esplicamento.
Qui intanto mi si permetta una breve digressione. Ordinaria¬ mente,
quando si fa la critica di una dottrina filosofica, si crede esser
bastevole mostrare gli errori, che in essa si ac¬ chiudono. Eppure egli è
un fatto che, in quella guisa stessa che nel mondo della realtà etica il
male ha la sua ragione e il suo principio nel bene, cosi
simigliantemente, nella realtà storica del pensiero filosofico, l’errore
ha la sua segreta radice nella verità. Per la qual cosa la semplice
confuta¬ zione dell’ errore non può costituire che il lato
meramente astratto e negativo della critica filosofica, il cui arduo
e gravissimo compito' consiste, in vece, nello investigare quella
verità, che si nasconde sotto lo involucro apparente dell’ errore, e
senza di cui terrore stesso non sarebbe pos¬ sibile. La storia della
filosofia, che è appunto 1’obbietto della critica filosofica, e che ò
critica filosofica essa stessa, non è un’arena di dispute infeconde, non
è una vicenda di avventure di cavalieri erranti, clic si vadan
battendo soltanto per proprio conto , che si agitino e si affannino
senza scopo, e le cui gesta si dileguino, senza che resti di
12 loro la menoma traccia. Egli è, nella stessa guisa,
asso¬ lutamente falso che la storia della filosofia ci presenti lo
spettacolo di tale, che arzigogoli di qua, e di tale altro, che
almanacchi di là a suo proprio talento: egli havvi, all’ in¬ contrario,
nel movimento storico del pensiero speculativo, una continuità ideale e
necessaria, ed un procedere deter¬ minato dalle leggi stesse della
ragione (i). Chi non è con¬ vinto di questo vero, chi non ammette questo
governo del¬ la Provvidenza nella storia della filosofia, come nella
sto¬ ria dell’ umanità in generale, non. può intendere affatto il
valore intrinseco di nessun sistema filosofico, e non può investigare,
mediante la critica, quelle ragioni ideali, che fecero apparire i diversi
sistemi, e che, ad onta di tutte le contraddizioni, fecero passare gli
anteriori nei posteriori, come nella loro propria espressione e nella loro
verità. È con questa convinzione adunque che io mi fo a determina*
(i) Die Thaten der Geschichte der Philosophie.sind nicht nur
eine Saramlung von zufàlligen Begebenheiten, Fahrten ir¬ render llìtter,
die sich fur sich heruraschlagen, absichtlos abmOhen, und deren
W’irksamkeit spurlos verschwunden ist. Eben
so wenig hat sich hier Einer etwas ausgeklfigelt, dort ein Anderer nach
Villkùr; sondern in der Bewegung des denkenden Geistes ist
wesentlich Zusamraenhang, und es geht darin vernùnftig zu (Id. ib. Einleitung,
S. 32). — 13 — re
brevissimamente iMato vero della Scolastica, quel lato, cioè, in cui
consiste il significato storico e razionale della medesima.
Come ho già innanzi accennato, la Scolastica fa due cose: da
^yjyyxt^e^one la verità fujp della natura e fuori dello spirito, e dall’
altra si argomenta, benché indarno, di trasformare la medesima in
contenuto razionale. Ora io domando in primo luogo: perchè la Scolastica
pone la ve¬ rità fuori della natura e fuori dello spirito?
idi* Ebbene la risposta vera per me è questa.
L^^jcok^- stica ha un profondo sentimento dell’infimtacmKretezza
dell’ Idea cristiana; essa sa che questa Idea è superiore alla natura ed
allo spirito finito, e che la sua realtà non è quella isolata, astratta e
fugace, che ha luogo nella sfera delle cose sensibili £d illusorie. Egli
è vero che, mentre la Scolastica ha questo profondo sentimento
dell’ infinita con¬ cretezza dell’Idea cristiana, dall’altra parte poi
non si av¬ vede che questa concretezza si trasforma in una mera a-
strazione, qualora le si sottraggano tutti quei principii, che si
manifestano nella natura e nella spirito; imperocché, in tal caso, in
vece di avere 1’ ente realissimo, la realtà delle realtà, la idea delle
idee, non si ottiene altro che un as¬ soluto indeterminato, solitario e
trascendente, un assoluto, a cui fu tolto tutto quanto il regno della
realtà e della 14 — vita. Ma la
Scolastica non poteva accorgersi di questo er¬ rore; imperocché, non
essendo ancora sceverata nella na- ura e nello spirito la esistenza
ideale ed eterna dalla e- sistenza empirica e passeggera, essa non potea
fare altro, che quello che fece: dov ea porre P assoluto fuori della
na¬ tura e fuori dello spirito . Però, se i grandi pensatori
della Scolastica ritornas¬ sero in questi tempi, nei quali la scienza ha
messo in ri¬ lievo la forma eterna ed immutabile delle cose,
certamente essi non esiterebbero un istante a riconoscere la vita
stessa di Dio in tutto questo contenuto infinito ed imperituro della
realtà naturale e della realtà umana (i). Se adunque la Scolastica
vilipende e degrada in tal guisa la realtà della natura e dello spirito,
questo sbaglio non appartiene a quel pensiero interiore, da cui essa è
animata e a quelle ragioni ideali, che l’hanno fatta sorgere nella
storia, ma appartiene, in vece, alla semplice posizione immediata e, dirò
cosi, provvisoria, in cui si muove. Quello che appartiene al suo
pensiero Interiore c profondamente speculativo si è il con¬ cetto, benché
vago, di una più alta realtà, si ò il bisogno di un mondo migliore, si è
la esigenza di una natura spi- (i) È inutile dire che questa
scienza, di cui qui parlo, non è certamente il trasformismo,
4 — *5 — i
rituale, redenta, deificata, di una natura, in cui ci sia dato
ravvisare la realtà stessa di Dio e quindi scernere in ogni cosa un’ idea
assoluta ed immutabile. E difatti, se la Sco¬ lastica rifugge dal mondo,
se lo dichiara una vanità, ciò è perchè nella sua coscienza si agita 1*
idea del vero mon¬ do, di quel mondo, in cui ha luogo la vera presenza
del- l’infinito, e in cui perciò si trova realmente conciliato l’e-
lemento mondano col divino. Egli è vero che fu questa stessa idea
quella, che pro¬ dusse nel medio evo la più mostruosa confusione del
di¬ vino e dell’ umano, e la più spaventevole barbarie, che im¬
maginar si possa; ma egli è vero altresì che, in fondo a quella
confusione e a quella barbarie, vi è un significato della più alta"
importanza, vi è la sorgente di quella ve¬ race conciliazione, in cui
consiste il fondamento incrolla¬ bile della vita moderna (i).
La seconda cosa, che troviamo nella Scolastica, si è lo ^ (i)
Es hilft nichts, das Mittelalter eine barbariche Zeit zu nen- nen. Es ist
eben eine eigenthùmliche Art der Barbarei, nicht eine unbefangene, rohe,
sondern die absolute Idee und die hòchste Bil- dung ist, und zwar durchs
Denken, zur Barbarei geworden; was einer- seits die gràsslichste Gestalt
der Barbarei und Verkehsung ist, ande- rerseits aber auch der unendliche
Quellpunkt einer hòhern Versóh- nung (Id. ib. Zweiter Thell, S.
179). sforzo di riprodurre il contenuto della fede in una
forma razionale. Ora io domando di nuovo: che cosa vuol dire questo
sforzo? Vuol dire, naturalmente, che la Scolastica, ad onta di tutte le
apparenze contrarie, non si accontenta affatto di una verità
inaccessibile, di una verità, che non sia fatta per r intelletto umano.
Quello, in vece, che essa cerca, quello, a cui aspira ardentamente, si è
appunto la forma razionale della verità della fede, e tutta l’attività,
tutta l’energia infati¬ cabile delle sue profonde meditazioni non tende
ad altro che a tradurre queste verità nel linguaggio proprio della
ragione. Ed in effetti tutti i grandi pensatori della Sco¬ lastica non si
accontentano della pura e semplice fede: essi vogliono credere e credono
davvero, ma vogliono credere pensando ed intendendo; essi, come dice S.
An¬ seimo , non cercano d’intendere per credere, ma credo¬ no per
intendere; e tutto ciò perchè sanno che la reli¬ gione è fatta per 1’
uomo, non per l’animale e che le verità, che in essa si contengono sono
state rivelate da Dio, che è la ragione assoluta, e che perciò devono
essere necessariamente razionali (i). Egli è vero che gli Scola-
(i) L’ Hegel, parlando di S. Anseimo, dice cosi: Sehr merkwùrdig
sagt er, was das Ganze seines Sinnes enthàlt, in seiner Abhandlung Cur
Deus homo (i, 2), die reich an speculationen ist: « Es scheint
stici fanno distinzione di verità intelligibile e di verità
so¬ vrintelligibile, ma questa distinzione ha tutt* altro signifi¬
cato da quello che si crede ordinariamente. In effetti la Scolastica non
fa questa distinzione, perchè forse ritenga essere davvero sovrintelligibili
in sè stesse quelle verità, che essa chiama con siffatto appellativo, ma
la fa in vece per¬ chè, fino ad un certo punto, essa supera sè stessa, ed
ha una certa coscienza della posizione storica in cui si muove.
% In altri termini la Scolastica si accorge che quell’
intelletto, di cui fa uso e i criteri logici, di cui dispone, non
sono sufficienti a far comprendere la natura e le determinazioni
della verità cristiana. Ma con tutto ciò ess? non si arrende e non si
scoraggia, ma si fa in vece a lottare gagliardamente colla sua stessa
posizione storica e dichiara, per cosi dire, col fatto stesso delle sue
profonde lucubrazioni, che 1* impo¬ tenza del pensiero non può essere
assoluta ed insupera- mir eine Nachlàssigkeit zu seyn, wenn wir ini
Glauben fest sind, und nicht suchen, das, was wir glauben, auch zu
begreifen ». Utzt erklàrt man diess fur Hochmuth;
unmittelbares Wissen, Glauben hall man fur bòiler als Erkennen. Anselmus
aber und die Scholastiker haben das Gegentheil sich zum Zweck
gemaclit.Dénn der Gedanke, durch ein einfackes Raisonnement zu
beweisen, was ge- glaubt wurde — das Gott ist —, liess ihm Tag und Naclit
keine Ruhe, und quàlte ihn lange. Ib. S. 146.
3 bile. Ed è per questo che il perpetuo tormento,
che tra¬ vaglia quei {orti intelletti di Anseimo, di Abelardo, di
Pie¬ tro Lombardo, di Duns Scoto, e via dicendo, è riposto
addirittura in quelle verità, che chiamano sovrintelligibili. Dal che si
può scorgere che, in quehe mjjjafoU^ri^ ed asmuu^jgmdella Scolastica, vi
è un arditissimo ed immenso tentatm^w ò il tentativo dell’ assoluta
autonomia, del- " .... — 1’ attualità infinita
della ragione. In altri termini, vi è quel colossale tentativo, che poi
produsse, sotto lo aspetto reli¬ gioso, la Riforma, sotto lo aspetto sociale,
la rivoluzione francese, e che alla fine divenne filosofia tedesca e
parti¬ colarmente filosofia Hegeliana. E fu appunto in questa fi¬
losofia che venne soddisfatta l’aspirazione divina del pen¬ siero
scolastico, e trovò il suo adempimento il vaticinio di Cristo: Ego rogabo
Patron et alitivi Paracletum dabit vobis, S piritimi Veritatis : ille vos
docebit omnia. Come è chiaro adunque da questi pochi cenni,
quel- 1’ attività filosofica, che si agitava nella Scolastica,
studiata nelle sue intime ragioni, ha il significato di una duplice
esigenz a, che essa pone nella storia della filosofia. La pri¬ ma è
quella che ho già detta, cioè la esigenza di una na-
t ura ideale, di una natura spiritualizzata e in cui si possa
daddovero ravvisare il regno e la realtà di Dio (i). La seconda
esigenza, la quale deriva dalla prima, si è quella di un intelletto
superiore, di un pensiero tale che, contenendo in sè la verità, sia, per
ciò stesso, in grado di attingerla dal suo fondo medesimo e di provarla
in un modo assolutamente razionale. Ebbene tutta la storia
della filosofìa moderna altro \ non è che 1’ attuazione
successiva e sempre progrediente di questa duplice esigenza; e la prima,
benché parziale, at¬ tuazione df essa si è appunto la filosofìa del
Risorgimen¬ to. A me qui spetta di mettere in rilievo brevemente la
gran parte, che ebbe il Bruno nell’ attuazione di questa duplice
esigenza, £ di chiarire come egli, per servirmi delle sue stesse parole,
sia davvero nella mattina per dar fine alla notte, e notì nellà sera per
dar fine al giorno. (i) È stato detto che ogni scoperta della
scienza È una detro¬ nizzazione di Dio. Questo pronunziato è vero
soltanto per rispetto al falso concetto di Dio. Quanto al Dio vero, al
Dio cristiano la sentenza giusta è, in vece, che ogni scoperta della
scienza non può^ essere che una nuova affermazione, una nuova prova della
esi¬ stenza di Dio. 20 —
cacaXcip ^tf cVi\> Signori, il
principio fondamentale della filosofia Bru- niana è il seguente. Bruno
concepisce Dio come essenzial¬ mente creatore. Il che vuol dire che nella
creazione il Bruno non vede già un fatto accidentale ed arbitrario,
nè una verità di second’ ordine, ma ci vede la essenza stessa di
Dio. Dinanzi alla mente del Bruno, Dio in tanto è quello che^ è, in
quanto crea; se non creasse, non sarebbe Dio, perchè non farebbe atto di
divinità. Il Dio del Bruno, in somma, è il Dio cristiano, è il Dio
creatore, o per dir me¬ glio, è il Creatore (i). Anchejhniobe'p^nj pjqmi
nostri. lia conshi^gw^uestaveritj^igji^J^jjigjj^jj^jjj^jjh^^^la
ma nel Gioberti però questa verità non è ac¬ compagnata da una
chiara coscienza. Il Gioberti dice sem¬ pre che 1 ’ atto creativo è la
verità sup rema. e che nella contemplazione di quest’ atto, tanto in sè
stesso che nelle forme particolari della natura e dello spirito umano,
con¬ siste appunto la vera riflessione filosofica. Il fatto è però
che, quando si* va a vedere, questa grande verità (e che è realmente il
principio e la radice di ogni verità), nella filosofia del Gioberti, si
riduce ad una semplice parola: (0 Sulla imperl'ezioue di questo
concetto come è nel Brnno vedi in fine.
« — 21 — è un detto, di cui egli stesso non si
rende conto, e che perciò non gli giova nè alla sistemazione generale
della sua dottrina, nè, molto meno, alla trattazione speculativa di
una parte qualsiasi della scienza. Nel Bruno in vece almeno fino ad un
certo punto, la cosa non va così. E U v,» per verità il Bruno dice
nettamente: « In Dio il potere e il f are è tutt’ uno . Egli non può
essere altro che quello che è; non può essere tale, quale non è; non può.
.potere altro che que llo che può: non può. volere altro che quello
che vuole, e necessariamente non può fare altro che quello che fa.
L’ ajone^ sua è_ necessaria, perchè procede data- -t~ le volontà che è la
stes sa n ecessità. In lui libertà, volon¬ tà , necessità sono affatto
medesima cosa, e il fare col potere volere ed essere» (i). Ed è per questo
appunto che egli arriva a concepire il principio universale del
tutto come unità di materia e forma ( 2 ). È vero che anche il
(1) De l’infinito Universo e Mondi, Opere itti. Wagner, v. 2, p.
25 — 26. (2) L’ Hegel, dopo di aver citato il bellissimo luogo del
Bruno (De la Causa, Principio et Uno, Dial. 3, pag. 261) dove dice: «
Se sempre è stata l a potenza di far e, di produrre, di creare, sempre
è s tata la p o tenza di esser fatto , prodotto e creato; perchè l’una
po¬ tenza implica l’altra ecc, soggiunge: Diese Simultancitàt der
wir- l ujtl* 4/C [rifa
— 22 — Gioberti ha detto che il
principio universale non è nè l’ idea, nè il fatto, ma il fatto ■ ideale.
Però questo fatto i- deale del Gioberti non è che una espressione diversa
del lo stesso atto creativo, e perciò non aggiunge nessun valore
veramente filosofico al principio medesimo. Questo principio, nella
filosofia del Bruno, è la chiave di tutto il sistema, è il centro vero c
produttivo di tutta la sua dot¬ trina, ed è come la fonte, da cui
scaturisce liberamente e consapevolmente tutta la ricchezza delle sue
meditazioni. Nella filosofia del Gioberti, in vece, quantunque la
parola non manchi mai, tuttavia il principio stesso dell’ atto crea¬
tivo ci si trova, come dire a pigione, rincantucciato ora in nn angolo,
ora in un altro, senza aver mai la forza di girare la mazza a tondo, di
cacciare via tutte le rap¬ presentazioni della coscienza ordinaria, e di
dichiarare solennemente che la casa della filosofia è casa sua.
Egli è d’uopo però confessare che, anche nella filosofia del Bruno,
questo principio non arriva a spiegare tutto kenden Hraft und des
BeWìrktwerdens ist eine sebi 1 wichtige Bestim- mung; die Materie ist
nichts ohne die Wirksatrilfeit, die Form also das Verm&gen und innere
Leben der Materie. Vare die Materie bloss die
unbestimmte Móglichkeit, wie k-ame man zum Be'stimniten? Ib.
S. jo8. il suo valore. Ciò si può vedere,
chiaramente quando si osservi che, se da una parte il Bruno pone la
rivelazione di Dio come essenza stessa di lui, dall’ altra poi non
fa consistere tutta quanta la essenza di Dio in questa rive¬
lazione medesima. Secondo Bruno , Dio rivela^ solo una gran parte di sò
stess o; un’ altra parte, quantunque mini¬ ma e quasi ridotta ad un punto
microscopico ed insigni¬ ficante, resta però assolutamente irrivelabile.
Dal che si scorge che Bruno non sa disfarsi in tutto del vecchio
so¬ vrannaturale della Scolastica, e mettersi cosi pienamente d’
accordo con sé medesimo. Imperocché, quantunque egli, tr asfon d endo la
vita di_ Dio nella realtà della natura , ridu¬ ca quel sovrannaturale a
minime proporzioni, lo assottigli, lo scarnifichi e scheletrizzi in guisa
da poterlo anche met¬ tere in canzonatura ed abbandonarlo quasi balocco
alla me¬ ditazione dei teologi, ciò non ostante lo lascia li come
qualcosa che non si estrinseca, che non cade nella crea¬ zione, che non
diviene materia di quell’ atto assolutissimo, nel quale, secondo lui
stesso, consiste la vera essenza di Dio. Quantuque però quest’ultima
.ombra del vecchio Dio tenebroso induca un grave difetto nella filosofia
Bruniana, tuttavia egli è da osservare che la correzione di questo
difetto è data già, implicitamente, nello stesso concetto, che il Bruno
si forma del principio universale delle cose.
Ed è per questo che Spinoza, continuatore di Bruno, potò
sbarazzarsi totalmente di quel caput mortuum del medio evo, e recare così
a grado di esplicamento più compiuto il concetto di Dio, o della verità
che dicasi, come atto crea¬ tivo. La necessità di questo esplicamento
storico e razio¬ nale del principio del Bruno si può vedere
agevolmente, quando si rifletta che la idea di Dio come il Creatore
im¬ porta che, non potendo egli avere una doppia natura, non può,
per ciò stesso, nulla contenere, che rimanga al diso¬ pra dell’ atto
creativo, e non giunga a grado di esplica¬ zione reale e vivente nella
realtà infinita dell’universo. Dire da una parte che al disopra dell’
atto creativo resta nell’ assoluto qualche cosa, che non si rivela e non
piglia il suo posto nè nella natura, nè nello spirito, e dire poi
dall’altra che la essenza di Dio consiste nella rivelazione ^di sè
medesimo, sarebbero pronunziati contradditori. Spi¬ noza adunque,
rompendola assolutamente con quella falsa idea dell’ estramondano, non
fece che esplicare logica¬ mente il principio fondamentale della
filosofia del Bruno. Da questo principio, di cui ho brevemente
discorso e che costituisce quello, che vi ha di più intimo nella
fi¬ losofia Bruniana, come in ogni vera filosofia, perchè non
esprime questa o quella forma dell’ Idea, ma l’Idea stessa nella sua
intrinsechezza ed universalità, da questo princi- —
2 Ì — pio, dico, ne scaturiscono due altri, c sono: la esistenza j
/ eterna ed ideale di tutte le cose, e quindi la vera imma¬ nenza
di Dio nell’universo. Questi due principii, vera¬ mente, non sono che due
modi diversi di considerare, e direi quasi di esprimere, lo stesso
concetto; ma questi due modi hanno una cosi grande importanza nella
filosofia del Bruno e nella filosofia in generale, che io credo mio
de¬ bito fare una parola e dell’ uno e dell’ altro. Cito un bre¬ ve
tratto relativamente al primo modo di considerare il detto principio. Il
Bruno adunque dice cosi: « Le sole forme esteriori delle cose si cangiano
e si annullano, per¬ chè non sono cosi) ma delle cose, non sono sostanze,
ma delle sostanze sono accidenti e circostanze. Che se delle
sostanze si annullasse qualche cosa, verrebbe ad evacuarsi ^ il mondo.
Nulla cosa si annichila e perde 1’ esserg^eflffi- Jj to che la forma
accideittidL£atSàQtS-0^£S2Ì£? P c ™ tiUV to la materia quanto la forma
sostanziale di che si voglia cosa sono indissolubili e non annichilabili
» (i). Da queste poche parole, che ho citato, si può vedere,
senza una difficoltà al mondo, comedi Bruno sia davvero un idealista di
prima forza. Per Bruno ogni cosa, consi- derata nella sua forma interiore,
è una natura determina- (i) V. Dialogo 5-° e 4.° De la
Causa, Principio et Uno. 4 ' — 26 —
ta, eterna ed immutabile; ogni cosa ha la sua idea. Tut¬ to 1’
universo non è che una trama di principii o for¬ me assolute, le quali si
sviluppano e si rinnovano eterna mente nella loro esistenza esteriore e
sensibile, ma con¬ servano eternamente la loro natura ideale ed
incorrutti¬ bile. Per tal modo la essenza di tutte le cose dell’
uni¬ verso non è niente di indefinito o di arbitrario. Tutto ciò
che è ha la sua legge, in fondo a tutte le cose vi è un eterno statuto
che le modera e governa; ed è questo sta¬ tuto appunto quello, in cui
deve travagliarsi la meditazio¬ ne del filosofo. Egli ò vero che in tutti
gli esseri vi ha numero, differenze e moltiformiti, ma il numero, le
dif¬ ferenze e la moltiformità di un essere qualsiasi altro non è
che lo sviluppo di un principio unico e fecondo; e quin - di anziché
importare mutazione o cangiamento nella na- . tura di esso, ò in questo
sviluppo, in vece, che si effet¬ tua e s’invera sempre più compiutamente
la natura del- 1’ essere medesimo. Signori, se il Bruno
avesse spinta più oltre la inve¬ stigazione di questo principio, e si
fosse fatto ad appli¬ carlo alla storia, egli avrebbe potuto porre un
secolo pri¬ ma, almeno in un certo qual modo generale, quel gran
concetto, che forma la gloria di Giambattista Vico. E
s^pWtt^rió^che^èhah^uaidea. se tutto quello — 27
— che si svolge nell’ universo ha la sua legge, e come dire,
il suo codice eterno ed immutabile, anc he la storia dev e a vere la sua
legge e il suo statuto ; e quindi deve esser possibile la ricerca di
questo eterno statuto della storia , deve esser possibile, io voglio
dire, l a^ filosofia della sto - ria. Il Bruno però, bisogna confessarlo,
non ha piena co¬ scienza di tutti quei tesori, che si acchiudono nella
sua dot¬ trina. Ciò derivi, in parte, dal soverchio entusiasmo, on-
d’ egli si abbandona e si dimentica nella contemplazione della infinita
natura; e, in parte e principalmente, dalla profondità stessa e dalla
fecondità inesauribile dei suoi prin¬ cipi , dei quali, certamente, non
si poteva avere ai suoi tempi una chiara e perfetta coscienza.
Confessando però che il Bruno non giunse a questo gran concetto del
Vico, io debbo aggiungere che, con tutto ciò, il Bruno non è affatto
inferiore al Vico; anzi, espri¬ mendo liberamente quel che penso, dirò
che Bqjqq, come metafisico, gli $ di gran lunga superiore. Nel Vico
que. sto gran concetto della storia ideale ed eterna non si ap¬
poggia su di una metafisica seria e profonda, anzi questo concetto è in
assoluta opposizione colla metafisica del Vico. E per vero , quanto a
metafisica, il Vici) non esce dalla posizione dello intendimento
scolastico; e credo anche non sia ingiustizia lo aggiungere che, se si
paragona il filosofo 1AV la
tettar
napoletano coi più grandi pensatori della Scolastica,
que¬ sto riscontro non può riuscirgli molto favorevole. Dal che si
può inferire, che il gran concetto della storia ideale ed eterna, se da
un lato e per ragion di scoperta è tutto pro¬ prio del Vico, dall’ altro
poi e per ragion di natura, esso fa parte della dottrina del Bruno.
Imperocché, quantunque il Bruno non si sia innalzato alla contemplazione
del di¬ segno ideale della storia, tuttavolta è nella metafisica
del Bruno e non in quella del Vico il fondamento e la pos¬ sibilità
di siffatta contemplazione. Egli è vero che il me¬ rito del Vico non
consiste soltanto nell’ avere ammessa una storia ideale ed eterna
, e perciò nell’ avere ricono- | differisce essenzialmente
da quella, che governa la natura. Nella natura, dice
Vico, è Dio che ope ra, mentre nella storia opera 1’ uomo, e pure,
operati lo lui, compie il di¬ segno eterno della storia, effettua gli
eterni decreti della Provvidenza. Cosi l’uomo, in questa nuova posizione,
non è soltanto /’ infinito effetto della infinita causa, non è sem¬
plicemente /’ eterna genitura dell’ eterno generante , ma è eziandio
qualche cosa di più. E in questa posizione sol¬ tanto è possibile la vera
filosofia compiuta, la vera con- templazione
di Dio come Causa sui. Questo concetto della Causa sui , cioè della Causa
della Causa non c’ è_^_dav- vero nell' assoluto Bruniano (come non c’ è
neppure in quello di Spinoza), quantunque sia appunto questo con¬
cetto quello, che travaglia incessantemente la sua coscien¬ za e quello
stesso di cui fa uso, come mostrerò in ap¬ presso, nella sua dbttrina
della conoscenza e della libertà. Tutto ciò adunque non si nega. Ma
non si può ne¬ gare però, d’ altra parte, che questa nuova e più alta
po¬ sizione, in cui ci colloca la dottrina del Vico, è resa pos¬
sibile soltanto dalla posizione Bruniana. Solo ammetten¬ do l’Idea, come
essenzialmente manifestazione di sè me¬ desima, si può e si deve
arrivare, quandochessia, al con¬ cetto di quella tale manifestazione, la
quale esprimendo dav¬ vero V Idea , ed essendo essa proprio quello stesso
che è I Idea , e perciò rappresentando non più una manifesta¬ zione
esteriore, ma il ritorno dell’ Idea in sè medesima, de¬ ve
necessariamente essere governata da una legge affatto differente da
quella, che governa le manifestazioni este¬ riori, non effettuatrici esse
stesse del principio assoluto. Stando in vece alla posizione della
metafisica'del Vico, non solo non è possibile ammettere questa legge
fonda- mentale della storia, ma non si può neppure ammettere il
concetto generale di una storia ideale ed eterna. 30 —
f- VK^/ 5 ^ . Passando ora al secondo aspetto
del principio che sto esponendo, cito in prima un breve tratto del
Bruno. Nel primo dialogo della Cena delle ceneri il Bruno si e-
sprime cosi: Noi « conoscemo tante stelle, tanti astri, tanti numi, che
son quelle tante centinaia di migliaia eh’ assi¬ stono al ministerio e
contemplazione del primo, univer¬ sale, infinito cd eterno efficiente.
Non è più imprigionata la nostra ragione con ceppi di fantastici
mobili e motori. Conoscemo che non è eh’ un cielo, una eterea
regione im¬ mensa, dove questi magnifici lumi serbano le proprie
di¬ stanze , per comodità de la partecipazione de la perpetua vita.
Questi fiammeggianti corpi sono que’ ambasciatori che annunziano 1’
eccellenza de la gloria e maestà di Dio. Cosi siamo promossi a scoprire V
infinito effetto de l’infinita causa, il vero e vivo vestigio dell’
infinito vigore, et abbia¬ mo dottrina di non cercare la divinità rimossa
da noi, se l’abbiamo a presso, anfi di dentro, più che noi medesimi
siamo dentro a noi ». Signori, questo principio della imma nenza
di.Dio ne^Ja natura e nello j>£Ìrito sorge la prima volta col Bruno
nella storia della filosofia. Fu Bruno il primo che si fece a cer¬
care davvero la Divinità nell’ infinito mondo e nelle infinite cose, e
fece di questa ricerca la esigenza fondamentale e lo scopo unico di tutto
quanto il sapere filosofico. « Di — 3i —
questa infinita presenza di Dio nell’ universo, dirò colle belle
parole del nostro più profondo pensatore vivente , nessun filosofo ha
discorso con tanto entusiasmo e con¬ vinzione , quanto Bruno. La sua voce
era come il primo grido di gioia della natura che ora cominciava a
scoprire sè stessa e a conoscersi n#l suo reale valore » (i).
Premesse queste poche cose, io posso ora determi¬ nare il
significato che ha nella filosofia Bruniana la dot¬ trina dell unita dell
universo. Ciò facendo, resterà meglio dualità la importanza di quel poco
che ho esposto finora. Ma prima cito un breve tratto del nostro filosofo.
« Quan¬ do l’intelletto, dice il Bruno, vuol comprendere la essenza
di una cosa, va semplificando quanto può; voglio dire, da la moltitudine
si ritira, rigettando gli accidenti corruttibi¬ li... Cosi la lunga
scrittura e la prolissa orazione non inten- demo, se non per contrazione
ad una semplice intenzione. I.’ intelletto in questo dimostra apertamente
come ne P u- nità consiste la sostanza de le cose, la quale va cercando
o in verità, o in similitudine.... Quindi è il grado de le intel¬
ligenze, perchè le inferiori non possono intendere molte cose, se non con
molte specie, similitudini e forme; le su¬ periori intendeno migliormente
con poche; le altissime con (t) Spaventa, Saggi di Critica, p.
228. — 32 — pochissime perfettamente; la
prima intelligenza in una idea perfettissimamente comprende il tutto...
Cosi adunque, mon¬ tando noi a la perfetta cognizione, andiamo
complicando la moltitudine, come, discendendosi a la produzione de le
cose, si va esplicando l’unità ». Quindi è che « ogni cosa che
prendemo nell’ universo, perchè ha in sè tutto quello che è tulio per
tutto, comprende in suo modo tutta l’anima del mondo. E cosi non è stato
vanamente detto, che Giove empie tutte le cose, inabita tutte le parti
dell’ universo ». È per questa ragione che « quelli filosofi hanno
ritrovato la sua amica Sofia, li quali hanno ritrovato questa
unità. Medesima cosa a fatto è la Sofia, la verità, la unità » (i).
La ragione di questo principio nella filosofia del Bru¬ no risulta
già chiaramente da quel poco che ho detto fin qui. Imperocché se Dio è
immanente nella natura e nello spirito, egli è manifesto che quel
principio, che si attua nell’ uomo e che dà luogo a tutte le forme del
suo svi¬ luppo , non può, considerato in sè, essere altra cosa dal
principio che pone la natura. Ammessa la dottrina della immanenza, /’
arte interna del pensiero , per servirmi delle stesse parole del Bruno,
deve necessariamente appartenere (i) De la Causa, Principio et
Uno, pag. 287, 28}, 282. 283. — 33 —
allo stesso artefice- interno della natura; e quindi quel prin¬ cipio,
che forma i minerali, le piante, gli animali, deve essere quello stesso
principio, che pensa nell’uomo. Il che vuol dire che, se da una parte
tutte le forme della natu¬ ra e dello spirito hanno una sostanzialità
loro propria, una loro natura specifica e diferenziale, dall’ altra cosi
le pri¬ me come le seconde non possono essere che gradi diversi
della stessa unità fondamentale del tutto, di quell unità della materia e
della forma, del reale e dell’ ideale, in cui consiste la radice di ogni
esistenza. Ed ò per tal modo soltanto che si può cessare l’assoluta
separazione di spi¬ rito e materia, di realtà consciente e di realtà
naturale, separazione che degrada tanto 1’ una che l’altra, e che
fa dello spirito qualcosa di astratto e d’inconcepibile, e della
natura un mondo senza vita, senza ragione e senza finalità.
Signori, per questa dottrina il Bruno è stato gene¬ ralmente
accusato di panteismo; ed anche in questi ultimi anni la maggior parte di
coloro, che in Italia hanno trat¬ tato del Nolano, si son fatti a
rinnovare questa vecchia accusa, senza però investigare seriamente, e
spogli di pre¬ concetti, il vero senso della dottrina Bruniana e il
signi¬ ficato preciso della teoria panteistica. Io qui, naturalmen¬
te , non posso far la critica di questa accusa. Dirò sol¬ tanto alcune
cose principali. E in primo luogo osservo 5
— 34 — che, anche quando il Bruno non fosse altro che un
sem¬ plice panteista, bisognerebbe sapergli grado almeno per
questo: voglio dire che bisognerebbe sapergli grado perchè, dop o le
astrattezze della Scolastica, egli avrebbe posto al¬ meno il principio
della unità del mondo, e quindi ricollocata la filosofia sul suo terreno
naturale. Imperocché, si dica pure tutto quel che si voglia, il principio
su cui si fonda il pan¬ teismo, c che è l’unità dell’infinito e del
finito, dell’ideale e del reale, è quel principio, da cui appunto
comincia la filo¬ sofia, e senza di cui nessuna filosofia è possibile. E
per ve¬ ro dal momento medesimo che comincia la speculazione
filosofica, e quindi la ricerca della essenza universale di tutti gli
esseri, comincia per ciò stesso una certa unificazione, o
identificazione, se così piace dire, di tutte le cose in un principio
unico ed assoluto. Questo principio adunque è come la prima lettera dell’
alfabeto del pensiero; e chi non ha pronunziato ancora questa lettera,
chi, cioè, non si è ancora innalzato a questo nesso universale in cui si
uni¬ fica e cielo e terra, e che è come il pernio, a cui si ap¬
punta tutto quanto 1’ universo, chi, dirò colla bella imma¬ gine dell’
Hegel, non si è ancora bagnato in questo etere purissimo della unità del
mondo, deve essere ancora cer¬ tamente assai lontano dall’ augusto
santuario della coscien- — 35 — za filosofica
(i). Fino a questo punto adunque la dottrina panteistica, anziché essere
un sistema particolare di filosofia, é la filosofia stessa nella sua più
intima essenza. Onde è che, se una filosofia si differenzia da un’ altra,
questa differenza non può nascere dilli’ ammettere o non ammet¬
tere l’unità, ma soltanto dal modo diverso di concepirla e di
determinarla; imperocché, come ha già detto bella¬ mente il Bruno,
medesima cosa affatto è la Sofia, la ve¬ rità, P unità. La qual cosa è
stata vista lucidamente anche dal nostro acutissimo filosofo Roveretano,
Antonio Rosmi¬ ni. Il quale, pur respingendo da sé ogni possibile
accusa di panteismo, ha tuttavia sostenuto anch’egli un principio
unico universale, ed ha considerato tutte le forme della realtà natur
ale, della realtà upiana, e della realtà di Dio come diversi modi di
essere, come diverse determinazioni del principio medesimo.
Che se poi noi ci facciamo a considerare la dottrina panteistica
non più rispetto a quell’ idea fondamentale che Ile r-
<K (i) « Wenn man anfangt ni philosophiren, muss die Seele
zuerst sich in diesem Aether der Einen Substanz baden, in der Alles,
was man fur wahr gehalten hat, untergegangen ist; diese Negation
alles Besondern, zu der jeder Philosoph gekommen seyn muss, ist die
Befreiung des Geistes und scine absolute Grundlage » Id. ib. Drit- ter
Theil, S. 337. t — 36 — in
essa si contiene, e per cui il panteismo e la specula¬ zione filosofica
in generale fanno tutt’ uno, ma rispetto a quella determinazione
particolare della stessa idea, dalla quale solamente la dottrina
panteistica attinge il suo signi¬ ficato e 1’ essere proprio di sistema
speciale di filosofia, in tal caso non possiamo avere che due soli ed
opposti con¬ cetti di siffatto sistema. Imperocché, o il panteismo si
con¬ cepisce come identificazione dell’ infinito col finito nella
sua immediatezza e quindi come deificazione di tutte le cose, ovvero come
risoluzione ed annullamento di unte le differenze ideali dell’ universo
nella vuota identità della pura sostanza. Il primo concetto del
panteismo, che è ap¬ punto quello che hanno avuto in mente i nostri
critici del Bruno, non trova affatto qualsiasi riscontro nella
filosofia del Nolano. Il Bruno non ha mai confuso l’infinito col
finito, non ha fatto mai 1’ apoteosi della esistenza caduca e
corruttibile delle cose, non ha mai deificato le forme accidentali,
esteriori e materiali, le quali per lui , come per ogni vero filosofo,
non sono cose, ma delle cose, non sono sostanze, ma delle sostanze sono
accidenti e circo¬ stanze. Il Bruno ha deificato soltanto /’ infinito
mondo, la infinita natura, le infinite cose, ha deificato la eterna
genitura dello eterno generante; la qual dottrina non ha nulla che
fare col panteismo. Questa dottrina è in vece eminente-
mente cristiana, anzi è la essenza stessa del cristianesimo; e la
negazione di questa dottrina non è solamente la ne¬ gazione della vera
filosofia, ma è la negazione altresì di tutti i principii del sapere
moderno, e della possibilità stes¬ sa della scienza in generale.
Ma c’ è di più; imperocché questa pretesa confusione dell’ infinito
col finito non pure non si trova affatto nella filosofia Bruniana, ma non
ha nemmeno il suo riscontro in qualsiasi sistema di filosofia. Tutta la
storia della filo¬ sofia , per quanto è lunga e larga, non ci presenta
al¬ cun sistema, in cui si possa ravvisare questa strana con¬
fusione ; in quella guisa medesima che la storia della re¬ ligione non ci
mostra nessun popolo, che abbia proprio adorato il finito come finito
(i). Lo stesso Bruno, par¬ lando degli Egizi, dice a questo riguardo, le
seguenti me¬ morabili parole: « Non furono mai adorati coccodrilli,
galli, (i) ....Diejenigen, welche irgend eine Philosophie fiiir
Pantheis- mus ausgeben.. batteri.
es vor Alleni aus nur als Faktum zu konstatiren, dass irgend ein
Philosoph oder irgend ein Mensch in der That den Alien Dingen an und fur
sich seiende Realitat, Sub- stantialitat zugeschrieben und sie fur Gott
angesehen, dass irgend einem Menschen solche Vorstellung in den Kopf
gekommen sei ausser ihnen selbst allein. Id. Encyklopàdie, Dritter Theil,
§ 573. Vedi an¬ che: Aesthetik, Zweiter Theil, S: 478.
- 38 - cipolle e rape, ma la Divinità in coccodrilli,
galli, cipolle e rape ». E parlando dei Greci, si esprime cosi: « I
Greci non adoravano Giove come fosse la Divinità, ma adora¬ vano la
Divinità come fosse in Giove » ; il che , come ognun vede, è cosa
assolutamente diversa (x). Quanto poi all’ altro concetto del
panteismo, cioè a quel concetto secondo il quale Dio non è altro che
la semplice unità astratta dell’ infinito e del finito, dell’
ideale c del reale, egli è d’uopo riconoscere che una tal dot¬
trina c’ è davvero nella storia della filosofia. Forse non sarebbe
difficile provare che questa dottrina, considerata nella sua assoluta
purezza non ha luogo, in una forma veramente speculativa, che soltanto
nella filosofia Parme- nidea. Anche la filosofia di Spinoza, quando la si
intenda bene, non è poi addirittura quel rigido panteismo che or¬
dinariamente si crede. Ma, lasciando stare queste rifles¬ sioni, il fatto
è che nella filosofia Bruniana il princip io dell’ unità dell’ ideale e
del reale, il concetto della identità non ha affatto quello stesso
significato, che ha nella dot¬ trina panteistica pnra. Imperocché nel
puro panteismo que¬ sta unità esclude assolutamente ogni qualsiasi
determina¬ zione , ogni differenza, e perciò è la negazione di
tutto (1) V. Spaccio della Bestia Trionfante, Dial. 3. p.
226—27. — 39 — quanto 1*
universo intelligibile, mentre, nella filosofia Bru- % niana, questa
unità si muove, si distingue, si va specifi¬ cando e, come dire,
spezzando in tutte le forme della natura e dello spirito. Ammettere
questo dirompimento dell’unità universale, guardare in tutte le cose un
principio eterno ed immutabile come forma vera e totale dell’ unità
medesima, riconoscere in somma un mondo infinito, tutto questo non
è affatto panteismo; anzi è la critica vera e positiva della dot¬
trina panteistica. E tale è in fondo, considerata nel suo spi¬ rito, la
filosofia Bruniana. Il che è tanto vero che il Bru¬ no è arrivato fino a
vedere — cosa degna veramente della più alta ammirazione — che la vera
esigenza della filoso¬ fia, che il vero segreto dell’ arte, come egli
dice, consiste appunto, non già nel semplice innalzarsi all’ unità del
mon¬ do , ma nel procedere dall’ unità stessa a tutte le forme
differenziali ed opposte, in cui essa si va esplicando, e in cui si
manifesta la vita tutta dell’ universo. « Profonda magia, ha detto il
Bruno, è trarre il contrario, dopo aver trovato il punto dell’unione »
(i). Se adunque, io dico, (i) L’ Hegel dopo di aver citato questo
passo di Bruno: « Aber den Punkt der Vereinigung zu finden, ist nicht das
Gròsste; sondern aus Demselben auch sein Entgegengesetztes zu entwickeln,
dieses ist das eigentliche und tiefste Geheiranis der Kunst » soggiunge
en- faticamente: « Dicss ist ein grosses Wort, die Entwickelung der
Idee * •. ' — 4 ® —
il Bruno ha visto financo che il segreto della filosofia sta nel tirare
le differenze ideali dell’ universo dalla sua unità, o, in altri termini,
nel contemplare 1’ atto proprio del dif¬ ferenziarsi dell’ unità, quell’
atto, che, come egli dice, non pure è potenza di tutto, ma è atto di
tutto, come si può sostenere che la sua filosofia sia panteismo ? Ha
forse il Bruno inabissate, ha forse estinte nell’ unità assoluta
tutte le forme ideali dell’universo? E non è vero in vece che la
esigenza della sua dottrina si è appunto quella di di¬ stinguere nell’
unità assoluta un mondo intelligibile, un u- niverso infinito? Ovvero si
vuol sostenere che il Bruno è panteista sol perchè non ci ha presentato,
ai suoi tempi, in una forma veramente speculativa, tutto questo suo
u- è niverso infinito? perchè, in altri termini, non ci
ha dato una filosofia della natura e una filosofia dello spirito ?
Una simile pretesa non sarebbe certamente degna di una mente sana. Ma
altro è dir questo, anzi altro è anche ag¬ giungere che la dottrina di
Bruno non è nemmeno un sistema nel senso vero della parola, altro è
affermare che so zu erkennen, dass sie eine Nothwendigkeit von
Bestimmungen ist ». Geschichte der Philosophie, Zweiter Tchil, S.
209. — 41 — 1’
assoluto Bramano sia addirittura come la notte, in cui tutte le vacche
son nere (i). Ma io mi avveggo, o Signori, di essermi
soverchia¬ mente dilungato su questo punto. Dirò dunque ora pro¬
prio di volo, prima di conchiudere, pochissime parole sul- P applicazione
di questi primi principi più generali della filosofia del Bruno alla
teoria della conoscenza e della li¬ bertà. Senza fare ciò non si può
vedere la vera impor¬ tanza di questa grande filosofia. (i)
Br uno si può dire pant eista in un senso solo, cioè nel senso che nella
sua filosofia manca il concetto della vera ed assoluta esi¬ stenza di
Dio, manc^lconcettodiDio^conHSjjersonalità assoluta. Il Dip del
Bruno vive nell’ infinito universo, ma non ha una vita sua propria come
principio assoluto, non ha una sua realtà distinta, nella quale si
raccolga tutto il mondo intelligibile; inso mma il Di o * del m Bruno non
è l’Idea come autocoscienza assoluta, e perciò non è ancora realmente
Dio=Dio. Tutto questo è vero. Ma siffatta critica della dottrina Bruniana
si può fare soltanto dal punto di vista del- l’Hegel, non già dal punto
di vista de’nostri critici del Bruno. È l’Hegel soltanto, che ha dritto
di chiamare il Bruno panteista. La spiegazione e la critica del Bruno, a
me pare la seguente. Bruno^con- templa Dio come cosmogonia, come
attivitàcosmogonica (ciclo di o- rigine), ma non contempla il cosmo come
teogonia, come attività teo- gonica (ciclo di ritorno). Egli è vero che
non c’ è cosmogonia senza teogonia, come non c’ è intuito senza
riflessione; ma c’ è teogonia e I
42 — In ordine alla conoscenza il Bruno insegna che
la ve¬ rità di essa non si ha e non si può avere immediatamente,
cioè nella sua forma originaria c primitiva, e finché dura il carattere
proprio della medesima. Il carattere di questo pri¬ mo grado della
conoscenza si è quello di essere legata alla natura esteriore, sensibile,
accidentale, e quindi è la estrin- sechczza del pensiero a sè medesimo.
Per potersi scioglie¬ re da questi legami col mondo esteriore e
fenomenico, e giungere davvero a possedere sò stesso, lo spirito ha d
uo¬ po o della fede o della scienza. Ma, nella fede, l’uomo non
s’innalza alla verità colle sole forze della ragione e in un modo
assolutamente libero: nella fede 1 uomo, fino ad un certo punto, accoglie
in sè la verità come vaso o recipiente, e perciò in guisa non
corrispondente del tutto teogonia, come c’è riflessione e
riflessione. Ora il Bruno non ar¬ riva al concetto di quella forma del
cosmo che non è solamente una certa teogonia, ma che è la vera ed
effettiva teogonia; non ar¬ riva al concetto del cosmo veramente teogonico;
e perciò non ar¬ riva alla vera esistenza di Dio. Dunque la personalità
assoluta di Dio, in questa filosofia, è impossibile. Ma d’ altra parte
neppure è pos¬ sibile arrivare a questa idea, uscendo da Bruno
assolutamente. È sulla via aperta dal Bruno che bisogna camminare per
raggiungerla. Chi vuole adunque questa idea, accetti il Bruno, vada
avanti, e la troverà. — 41 —
alla vera eccellenza della propria natura. Nella scienza, al
contrario, lo spirito si eleva alla contemplazione della ve¬ rità colla
sola libera energia della sua mente, e produce la coscienza di essa come
vero artefice ed efficiente. Il processo della contemplazione della
verità consiste nel pro¬ fondarsi nel profondo della mente e nel circuire
per i gra¬ di della perfezione, cioè nel percorrere col pensiero le
di¬ verse manifestazioni dell’ infinito vigore , e perciò nell an¬
dare non già dal finito all’infinito, o viceversa, ma nel¬ l’andare
dall’infinito all’infinito. Lo scopo ultimo di sif¬ fatta contemplazione
si è di capire quell ' atto assolutissimo che t medesimo coll’
assolutissima potenza, e di effettuare così la vera immanenza di Dio in
noi colla virtù stessa della nostra mente. In conformità di
questo concetto della conoscenza, il Bruno determina il concetto della
libertà nel modo che segue. La verità e, la legge sono tutt’uno. Perciò,
come VC/àU la verità è intima allo spirito umano, cosi anche la
legge è intima all’umana volontà. Questa adunque non si può
considerare come una facoltà vuota ed indeterminata. D al¬ tra parte,
nella guisa medesima che la verità non è pos¬ seduta dallo spirito
originariamente c senza la sua stessa attività, così anche la volontà non
è oggettivamente li¬ bera, e quindi non è vera ed assoluta volontà,
finché non si ò elevata alla legge ed alla verità. La
verità adunqne è il fondamento ed il contenuto della libertà. Fuori della
ve¬ rità, fuori della legge la vera libertà non è possibile. Per
tal modo la libertà non è arbitrio, ma è necessità. Que¬ sta necessità
però non è esterna, non è fatalità, ma ap¬ punto perchè s’immedesima
colla stessa verità, è neces¬ sità interna e razionale.
Signori, io non ho bisogno di fermarmi sulla impor¬ tanza pratica
di questo concetto Bruniano della libertà. Senza che il dica, ognun vede
come in questo concetto si acchiuda ad un tempo la critica della falsa
libertà, e della falsa autorità, e come sia appunto in questo
concetto che sta il fondamento della nuova vita sociale e il prin¬
cipio animatore di tutta la civiltà moderna. A me qui spetta soltanto di
chiarire brevemente il valore speculativo di queste applicazioni dei
principi metafisici del Bruno, e di mostrare come in queste applicazioni
si possa scorgere il germe di una più alta filosofia. Ebbene
egli è facile vedere che queste idee del Bru¬ no, relativamente alla
conoscenza ed alla libertà, più che semplici applicazioni del suo
principio metafisico, sono in vece delle conseguenze, che hanno una
portata di gran lunga superiore allo stesso principio. Bruno in
queste applicazioni supera davvero sè stesso, egli va al di là
I — 45 — dello jtesso suo punto di
partenza. E per vero il punto di partenza del Brudo è Dio come semplice
atto crea¬ tivo , Dio come semplice creare, e perciò come ge¬
nerare ; e quindi l’universo Bruniano è si la infinita, la eterna
creatura o genitura di Dio, ma non è altro che la eterna, la infinita
creatura o genitura di Lui. In¬ tanto il concetto Bruniano della _libertà
e della cono¬ scenza ci presenta una vera reazione sullo stesso
principio assoluto : esso importa un’ attività superiore al
semplice creare, importa un’ attività, che non è mera
estrinsecazio¬ ne del principio eterno delle cose, ma ò una
effettuazione vera del principio medesimo, come atto dello stessa crea¬
tura fi'). Il Gioberti ha detto ai giorni nostri, in un mo- mento di
profondo intuito filosofico, che l’uomo ren¬ de a Dio la pariglia; anzi
egli ha detto anche in genera¬ le che l’atto creativo è essenzialmente
atto teogonico. Ora questo rendere a Dio la pariglia, questa forma di
atto crea¬ tivo, che è nel medesimo tempo atto teogonico , è
appunto (i) O meglio: come atto di Dio stesso, ma in quanto
creatura. Col linguaggio della religione si direbbe: come atto dello
stesso Padre, ma m quanto Figlio. Si sa poi che questo atto del
Padre, che è atto di lui in quanto Figlio, è quello che là la verità del
Fi¬ glio e la verità del Padre ; e che questo atto è appunto lo Spirito:
la vera Ferità. ' < - 46 -
quella idea, che noi non possiamo ravvisare nel principio
metafisico del Bruno, ma che però troviamo adoperata nella sua dottrina
della conoscenza e della libertà. Si può adunque affermare che, nella
filosofia del Bruno, le con¬ seguenze contengono più delle premesse; ma
siffatta con¬ traddizione anziché menomare il merito del nostro
filoso¬ fo, è appunto quella, se io non mi sbaglio, in cui si ri¬
vela la più alta potenza della sua speculazione. Nè var¬ rebbe il dire
che il Bruno non finisce come comincia; impe¬ rocché il Bruno, ha
cominciato bene, come era possibile ai suoi tempi, ed ha finito molto
meglio. E se tra il Prin¬ cipio ed il Fine, tra 1* Origine ed il Intorno
la sua filosofia non pone quell’ accordo, in cui consiste la vera Idea,
di ciò non si può fare un’accusa al nostro grande pensatore, stante
che un tale accordo è il risultato di tutta quanta la speculazione
moderna; e perciò non si può pretendere dal¬ la filosofia del Bruno. Nè
si può pretendere dal Bruno la coscienza della contraddizione, che corre
tra il suo prin¬ cipio metafisico e la sua dottrina della conoscenza e
della libertà, perchè una tal coscienza non poteva sorgere nella
storia, se prima i due estremi, cioè il Principio ed il Fine, 1’ Origine
ed il PJtorno, non avessero spiegato separata- mente tutto il loro valore
e non si fossero presentati dinan¬ zi al pensiero speculativo come le due
somme ed opposte potenze (Teli* universo, 1’ una
predominante nel mondo del¬ la natura, 1’ altra in quello dello spirito.
La filosofia Car¬ tesiana rivelò il potere del Trincipio, la filosofia
Kantiana (precorsa solo dal Vico) mise in evidemza l’attività indi-
pendente ed assoluta del Fine , e fu perciò solamente la posteriore
filosofia tedesca quella, che potè innalzarsi alla contemplazione del Principio-Fine,
dell’ Origine-Ritorno, e porre cosi un nuovo e più alto concetto di Dio,
il con¬ cetto di Dio come Sviluppo, come Spirito, e quindi una
nuova filosofia: la filosofia dello Spirito. Raccogliendo adesso le
fila del mio ragionamento, io posso conchiudere così. La
filosofia del Bruno ha riabilitata e {ligni ficat a la * e l ia
restituito il suo vero valore, 1’ ha innalzata a manifestazione reale e
vivente di Dio; dunque il primo ar¬ dente desiderato del pensiero
scolastico, in questa filosofia, è soddisfatto. Ma c’ è di più;
imperocché il Bruno, aven¬ do concepito Dio come immaii ^q^ nella
coscienza umana in lorza dell’ attività stess^ai^ essa , ha posto in
questo concetto la possibilità di quella intelligenza superiore,
che formava la seconda e più alta aspirazione dei grandi pensa¬
tori della Scolastica, e la cui attuazione non poteva essere che il
risultato finale di tutta quanta la filosofia moderna. Sebastiano Maturi.
Maturi. Keywords: implicature, Bruno, Vico, Aquino, Spaventa, I duellisti, l'io
e l’altro – riconoscimento, la dialettica del signore e del servo. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Maturi” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Maturi: la ragione conversazionale e
l’implicatura conversazionale -- filosofia napoletana – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Napoli). Filosofo italiano. Grice:
“People sometimes asks me how my intentionalist approach can be applied to
history. I always respond: Read Maturi!” Grice: “Maturi’s ‘Interpretazioni,’
thus in plural, ‘del risorgimento’ is a classic --.” Grice:: “Even in London,
the risorgimento had at least two interpretations! One in Woolwich, and another
one elsewhere! And there is possibly a gender distinction too with “Speranza,”
Wilde’s mother, being somewhat fanatic about it!” – Compe la sua formazione
culturale a Napoli dove si laurea con SCHIPA, uno dei firmatari del manifesto
degli intellettuali antifascisti redatto da CROCE. Del suo maestro, per la lezione di rigore che gli
aveva impartito, Maturi conservò un commosso ricordo ed ebbe modo di esprimere
pubblicamente la sua gratitudine in occasione della morte di Schipa,
pronunciandone il necrologio. Seguì con attenzione ed interesse, ma anche con
spirito critico, le lezioni di Croce conseguendo una laurea in filosofia con Gentile
con una tesi su Maistre. Impostato sulla lezione crociana è il saggio “La
crisi della storiografia politica italiana” a cui seguì quello dedicato a Gli
studi di storia moderna e contemporanea, inserito nel primo dei due volumi dell'opera
del “La vita intellettuale italiana.” Il suo primo lavoro Il concordato tra la
Santa Sede e le Due Sicilie pubblicato fu giudicato positivamente dalla critica
s di Omodeo che lo recensì ne La Critica. Frequenta la Scuola storica per l'età
moderna e contemporanea diretta da Volpe e fu segretario e bibliotecario
dell'Istituto storico per l'età moderna e contemporanea. Collaboratore
dell'Enciclopedia italiana per la quale scrisse numerose voci tra le quali
quella dedicata al "Risorgimento" ispirata alle sue idee
liberali. A causa di questo episodio, nonostante il suo disinteresse per la
vita politica attiva, fu allontanato dall'Istituto storico per l'età moderna e
contemporanea. Nei suoi saggi di storia politica i suoi punti di
riferimento sono Croce, Meinecke, Salvemini, e Volpe. Dapprima come
incaricato di storia del ri-sorgimento e poi come ordinario tenne le sue lezioni
a Pisa dove ha modo di scrivere numerosi saggi come alcune importanti voci nel
Dizionario di politica a cura del Partito nazionale fascista, il saggio Partiti
politici e correnti di pensiero nel Risorgimento, e l'accurata biografia Il
principe di Canosa. I corsi di storia della storiografia tenuti a Pisa furono
continuati a Torino quando ha la cattedra di Storia del Risorgimento e quella
di Storia delle dottrine politiche che occupa sino alla sua inaspettata
scomparsa. Le sue lezioni di quest'ultimo periodo furono raccolte
nell'opera postuma Interpretazioni del Risorgimento considerata di primaria
importanza dagli storici. Saggi: “Interpretazioni del Risorgimento, coll.
Biblioteca di cultura storica Einaudi,'Enciclopedia italiana, Accademia delle
scienze di Torino, In memoria, Istituto per la storia del Risorgimento
italiano, Roma 1Interpretazioni storiografiche del Risorgimento. Dizionario di
storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Dizionario biografico degli
italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Walter Maturi. Maturi. Keywords.
Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Maturi” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Maurizi: la ragione conversazionale e
l’implicatura conversazionale della vendetta di Bacco – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Grice: “I like Maurizi; of course his
‘vendetta di Bacco’ makes sense only in the context of Nietzsche’s rather
recherché dichotomy!” – Grice: “His idea of the ‘suspected ‘I’’ is good, but he
is not, as I was, having in mind Reid, but Freud!” Si è laureato in filosofia della storia presso
l'Università degli Studi di Roma "Tor Vergata" e ha conseguito il
dottorato di ricerca nella medesima università discutendo una tesi su Cusano e
il concetto di non altro da cui è nato il volume La nostalgia del totalmente
non altro. Cusano e la genesi della modernità (Rubbettino). Dopo un periodo di
formazione in Germania attualmente svolge la sua attività di ricerca presso
l'Università degli Studi di Bergamo. Pubblica le sue ricerche su alcune
prestigiose riviste come la Rivista di filosofia neo-scolastica, il Journal of
Critical Animal Studies, Dialegesthai, Alfabeta, Lettera Internazionale, e
collaborando, inoltre, con i quotidiani Liberazione e L'Osservatore Romano. Partecipa
alla stesura del secondo volume di L'Altronovecento. Comunismo eretico e
pensiero critico (Jaca) ed è il traduttore e curatore dell'edizione italiana di
Lukács, Coscienza di classe e storia. Codismo e dialettica, Alegre, Roma di
Acampora, Fenomenologia della Compassione, Sonda, Casale Monferrato,, e ha
tradotto, con Dalmasso, Derrida, Teoria
e prassi. Corso dell'École Normale Supérieure Jaca, Milano,. Ha contribuito
alla fondazione delle riviste scientifiche "Liberazioni" e Animal
Studies. Rivista italiana di antispecismo. Pensiero Maurizi ha suddiviso
i suoi interessi di ricerca tra la filosofia dialettica (Cusano, Hegel, Marx,
Adorno), la teoria critica della società e le implicazioni politiche di una
visione "sociale" dell'antispecismo a partire da una rielaborazione
del pensiero della scuola di Francoforte. Tanto le sue ricerche su Adorno,
quanto quelle su Cusano si incentrano sul tentativo di porre in evidenza il
tema della storicità dell'umano non in termini di un astratto e formale
"essere-nel-tempo", quanto più propriamente nel vedere nell'essere
storico, in tutta la sua determinatezza, l'irriducibile istanza di verità
dell'umano stesso: l'essere storico è in tal senso irriducibile ad ogni
ontologia dell'essere temporale seppure ciò non porti necessariamente ad un
relativismo storicista. Prendendo spunto dalla lettura critico-negativa di
Hegel portata avanti da Adorno, infatti, M. sostiene la leggibilità e
razionalità della storia come segno del dominio, l'universale storico non come
traccia di un positivo che si farebbe strada attraverso il negativo delle
vicende umane, bensì come questo stesso negativo che informa di sé la civiltà,
imprimendo ad essa la direttrice di un progresso della razionalità strumentale
che è l'antitesi della redenzione. La sua rilettura del pensiero della
filosofia di Francoforte ha così costituito un punto di partenza per una
ridefinizione dell'opposizione natura/cultura e lo ha portato ad estendere la
critica ai meccanismi di dominio anche al controllo e allo sfruttamento del non
umano, e più in generale della Natura. Il suo pensiero riguardo alla filosofia
antispecista è in continuità con quello espresso dal sociologo David Nibert ed
in netta opposizione all'utilitarismo di Peter Singer criticato da M. come un
antispecista metafisico. Un punto centrale nell'argomentazione filosofica di M.,
che rende originale il suo lavoro rispetto a quello degli altri teorici dei
diritti animali, riguarda l'interpretazione in termini storico-sociali dello
specismo. Ogni attività intellettuale «antispecista», secondo Maurizi, consiste
quindi essenzialmente nel fare propria questa scelta di campo: sottolineare
come la questione animale sia un aspetto irrinunciabile di ogni ipotesi di
trasformazione dell'esistente. Secondo Maurizi l'antispecismo è dunque
essenzialmente politico e non possiamo
affrontare, come fanno Peter Singer o Tom Regan, la questione animale da una
prospettiva astrattamente morale. All'attività di filosofo, Maurizi ha così
affiancato quella di attivista per i diritti animali, intrecciando l'attività
speculativa con quella politica; risultato di questa attività è il libro Al di
là della Natura: gli animali, il capitale e la libertà (Novalogos, ). M. è
stato inoltre fondatore delle riviste di critica antispecista Liberazioni e
Animal Studies, della rivista online Asinus Novus che prende il nome dal suo
breve testo Asinus Novus: lettere dal carcere dell'umanità (Ortica, ). Nel l'associazione Per Animalia Veritas raccoglie
alcuni suoi scritti che rappresentano un sunto aggiornato del suo pensiero
sulla filosofia antispecista: Cos'è l'antispecismo politico (Per Animalia
Veritas, ). Sulla scia delle riflessioni adorniane, Maurizi ha anche lavorato
sulla filosofia della musica e la teoria critica musicale. Le sue teorie
sull'antispecismo politico sono abbondantemente discusse nel libro di Lorenzo
Guadagnucci Restiamo Animali: vivere vegan è una questione di giustizia (Terre
di Mezzo, ), da Matthias Rude Antispeziesismus. Die Befreiung von Mensch und
Tier in der Tierrechtsbewegung und der Linken (Schmetterling, Stuttgart ) e
altri autori della scena antispecista di lingua tedesca. Saggi: “Il tempo del
non-identico,” Jaca); “La nostalgia del totalmente non altro” – La genesi della
modernità, Rubettino, “Al di là della natura: gli animali, il capitale e la
libertà,” Novalogos, “Asinus Novus: lettere dal carcere dell'umanità,” Ortica,
“Cos'è l'anti-specismo?” Per animalia veritas, “L'io sospeso: l'immaginario tra
psicanalisi e sociologia, Jaca, Grice: “This reminds me of my fantasies on ‘I’
– “The suspected I’ is a genial phrase!” -- “Chimere e passaggi” Mimesis, “Altra
specie di politica, Mimesis, “Musica per il pensiero. Filosofia del
progressive” -- Mincione, “La vendetta di Dioniso” -- la musica contemporanea da Schönberg ai
Nirvana, Jaca, “Quanto lucente la tua in-esistenza” --- L'Ottobre, il
Sessantotto e il socialismo che viene, Jaca. Intervento di M. su questi temi
per la Casa della Cultura di Milano: youtube.com/watch?v= ZNfJrRx-7fo Intervista su questo tema a cura del
collettivo Tierrechtsgruppe Zürich (Zurigo) M. La genesi dell'ideologia
specista in Liberazioni:/ M. Per una cultura antispecista in Asinus Novus:
rivista di antispecismo e filosofia: Copia archiviata, su asinusnovus.wordpress.
com. Intervento M. per il primo convegno nazionale antispecista:
youtube.com/watch?v= JwZiW4ngrag
Intervista a M. e Caffo sulle nuove prospettive dell'animalismo: youtube
Testo recensito da L. Pigliucci per la rivista "Lo Straniero" di
Aprile: Copia archiviata, su asinusnovus. wordpress Intervista di F. Pullia sul
quotidiano "Notizie Radicali" Una recensione del testo: Copia
archiviata, su asinusnovus.wordpress B. Le GocM. M., Musica per il pensiero.
Filosofia del progressive italiano, Mincione, Roma. Antispecismo Diritti degli animali Scuola di
Francoforte. Asinus Novus. Antispecismo e Filosofia, su asinusnovus.net. Animal
Studies. Rivista Italiana di Antispecismo, su rivistaanimal studies. wordpress.
Marco Maurizi. Maurizi. Keywords: la vendetta di Bacco -- Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Maurizi” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Mazio: la
ragione conversazionale all’orto romano -- Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Roma). Filosofo italiano. Friend of GIULIO
(si veda) Cesare and Cicerone. He writes on food and trees and takes an interest in the philosophy of
the Garden. Gaio Mazio.
Grice e Mazzarella: l’implicatura conversazionale -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Napoli).
Filosofo italiano.
Grice: “I love Mazzarella’s ‘necessary word’ – not precisely what I was
thinking when philosophising about conversation, but for Mazzarella, the
conversational motivation is to HELP in the most authentic fashion – Compared
to his ‘parola necessaria,’ my principle of conversational helpfulness, while
based in part in the desideratum of conversational benevolence, looks pretty
lame!” -- Grice: “I like Mazzarella. The fuss he makes in translating
Heidegger, whom I have elsewhere called ‘the greatest living philosopher’ – he
was living then –.” Grice: “Mazzarella, who is relying on somebody else’s
translation, is especially focused on Heidegger’s Latinate ‘fakt.’ From ‘Fakt,’
Heidegger gets an abstract noun. But he also uses the Germanic for ‘deed.’
Relying on the cognateness of ‘fakt’ with ‘fatto’ – cognate itself with
‘effetto,’ Mazarella agrees that the translation goes from ‘factivity’ to
‘effectivity.’ And it should inspire all philosophers into seeing how similar
these two concepts are – if indeed two concepts they are, seeing that they come
from the same Roman root! But M.
would know that – you wouldn’t!” – Professore
a Napoli, è tra i principali interpreti
di Heidegger. Deputato al Parlamento nella XVI Legislatura per il Partito
Democratico. Dopo essersi laureato
presso l'Università degli Studi di Napoli “Federico II” con Masullo, inizia la
sua attività di ricerca come borsista DAAD in Germania, e successivamente
presso l'Salerno. In seguito è professore incaricato di Estetica presso
l'Università dell'Aquila. Dopo essere stato professore associato di Filosofia
Teoretica presso l'Catania e di Filosofia della storia presso l'Napoli
“Federico II”, diventa professore straordinario di Storia della filosofia
presso la Facoltà di Magistero dell'Salerno e dal 1993 Professore di Filosofia
Teoretica presso l'Napoli “Federico II”. Dirige il Dottorato di Ricerca in
“Scienze Filosofiche” dell'Napoli “Federico II” e cura la programmazione e le
relazioni internazionali per la Facoltà di Lettere e Filosofia, di cui è
Preside. Deputato del Parlamento italiano, divenendo componente della VII
Commissione Cultura della Camera. Opere
In una delle sue opere principali, Tecnica e Metafisica. Saggio su Heidegger,
Mazzarella indaga i processi decostruttivo-ermeneutici sottintesi
all'heideggeriana storia della metafisica occidentale, fino a formulare
un'ipotesi "ecologica"(in senso originario, come pensiero relativo
all'abitare dell'uomo) relativa alle interpretazioni del "logos"
eracliteo e della categoria aristotelica della "physis" riscontrate
nei saggi successivi alla cosiddetta "svolta" del pensiero di
Heidegger. In Vie d'uscita. L'identità
umana come programma stazionario metafisico, le aporie di una metafisica del
fondamento sono affiancate alla dimensione tecnica della contemporaneità,
intesa storicisticamente come epoca del compimento del nichilismo. Centrale
diventa l'idea di un "essere-alla-vita", categoria che richiama in
modo lampante l'"essere-nel-mondo" di heideggeriana memoria; le
questioni teoretiche vengono così ridotte a questioni etiche riguardanti
un'ontologia minima, ove la filosofia prima si trasformi in filosofia seconda, lasciando
il posto ad un programma metafisico-antropologico di custodia e mantenimento
della e nella propria epoca. L'essere-alla-vita necessita di intendere la
cultura come “endiadi di natura e storia, ma in questa endiadi natura prima
ancora che storia”. Pensare e credere.
Tre scritti cristiani rappresenta un altro orizzonte del pensiero di M.; il
rapporto tra religione rivelata e filosofia si gioca sullo sfondo di una
prospettiva storicista di matrice diltheyana, sebbene non siano esenti dalla
riflessione Hegel, Schelling e la teologia dialettica contemporanea.
Interessante è la prospettiva di una religione come "integrazione" e
apertura all'amore fraterno, configurato nel concetto di
"agape". I suoi scritti sono
in ogni caso contrassegnati, com'è tipico della recente scuola di pensiero
napoletana, sorta sulla scia delle dottrine di Croce, da una ripresa di temi
propri dello storicismo (Nietzsche e la storia. Storicità e ontologia della
vita). In un dialogo costante con i
teologi più liberali e moderni, quale ad es. Forte, M. si è occupato
specificamente dei temi della bioetica, coniugando il tema della tutela della
vita alla ripresa del concetto di sacralità (Sacralità e vita). In Opera media ha inoltre messo in luce un
talento poetico non indifferente, che gli è valso l'apprezzamento della critica
e diversi riconoscimenti. Ha composto quattro raccolte di poesie, e pubblicato
singoli componimenti in diverse antologie.Finalista al Premio di poesia “Città
di Vita”, Firenze, e nel 1999 ha vinto il Premio Speciale “La finestra” al
Premio Nazionale di poesia “Alessandro Tanzi” perUn mondo ordinato. Saggi: “Tecnica e metafisica” -- saggio su Heidegger
(Guida, Napoli); “Nietzsche e la storia: ontologia della vita” (Guida, Napoli);
“Storia metafisica ontologia” -- Per una storia della metafisica” (Morano,
Napoli, -- Grice: “What Mazzarella is proposing is what I did for the BBC: a
history of metaphysics; philosophical tutees are too accustomed to ‘history of
philosophy,’ but surely each branch requires a separate history! “storia della
metafisica” does just that!” – “storia della semantica” hardly sounds as sexy,
and “storia della pragmatica” sounds repugnantly academese!” -- “Ermeneutica dell'effettività” -- Prospettive
ontiche dell'ontologia” (Guida, Napoli, -- Grice: “Note that Mazzarella is
exploring the ‘effectivity,’ not the ‘affectivity’ – ex-fecto, not ad-fecto – “Filosofia
e teo-logia” -- di fronte a Cristo (Cronopio,
Napoli); “Sacralità” -- e vita, Quale etica per la bio-etica? (Guida, Napoli); Heidegger
oggi, M., Mulino, Bologna, “Pensare e credere” Morcelliana, Brescia, “Vie
d'uscita. L'identità umana come programma stazionario metafisico” (Melangolo,
Genova); Opera media. Poesie, Melangolo, Genova, Lirica e filosofia,
Morcelliana, Brescia, Vita Politica Valori. Sensibilità individuali e sentire
comunitario, Guida, Napoli, “Anima madre,” Art studio Paparo, Napoli, “L'uomo
che deve rimanere,” Quodlibet, Macerata,. S. Venezia, Nota bio-bibliografica,
in Amato, Catena, Russo, L'ethos teoretico. Scritti in onore di M., Napoli,
Guida, Archivio degli articoli di
Eugenio Mazzarella nel sito "ilsussidario.net". Curriculum vitae,
pubblicazioni e attività di ricerca nel sito dell'Università degli Studi di
Napoli Federico II, su docenti.unina. Grice: “The fact that he calls himself a
Christian has me calling him a NON-PHILOSOPHER!” – Eugenio Mazzarella. Mazzarella.
Keywords: implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Mazzarellla” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e Mazzei: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale – filosofia toscana – filosofia
fiorentina -- -- filosofia italiana -- Luigi Speranza (Poggio a Caiano). Filosofo
italiano. Grice: “Not every philosopher has a city,
‘Colle,’ named after him!” -- Grice: “I like Mazzei; he is hardly a
philosopher, but the Italians consider among the ‘filosofi italiani,’ – there
is a good wine, “Mazzei,” since Mazzei, when travelling to the Americas,
transplanted a grape from his paese – the descendants still grow it! In oltre, he was influential in the
‘risorgimento’!” -- essential Italian philosopher.Massone e cadetto di una nobile famiglia toscana di
viticoltori, probabilmente risalente all'XI secolo e ancora esistente nel XXI
secolo, fu personaggio energico ed eclettico, illuminista, promulgatore delle
libertà individuali, dei diritti civili e della tolleranza religiosa. Visse una
vita avventurosa e movimentata, con alterne fortune economiche. Sebbene
sia sconosciuto al grande pubblico, partecipò attivamente alla guerra
d'indipendenza americana come agente mediatore all'acquisto di armi per la
Virginia, ed è ritenuto dagli storici uno dei padri della Dichiarazione
d'Indipendenza americana, in quanto intimo amico dei primi cinque presidenti
statunitensi: George Washington, John Adams, James Madison, James Monroe e
soprattutto Thomas Jefferson, di cui fu ispiratore, vicino di casa, socio in
affari e con cui rimase in contatto epistolare fino alla morte. Iniziato
alla Massoneria, fu poi spettatore privilegiato della rivoluzione
francese. La sua figura storica è riemersa alla fine Professoregrazie
all'infittirsi degli studi accademici in occasione del bicentenario della
rivoluzione americana, fino ad essere onorato in occasione del 250º
anniversario della sua nascita nel 1980 con un'emissione filatelica congiunta
speciale delle poste italiane e statunitensi. Dopo gli studi
compiuti tra Prato e Firenze, nel 1752, in seguito a dissapori con il fratello
maggiore Jacopo sulla gestione del patrimonio familiare, si stabilì a Pisa e
poi a Livorno, intraprendendo con successo l'attività di medico. Dopo solo due
anni lasciò la città e si trasferì a Smirne (Turchia) come chirurgo a seguito di
un medico locale. Gunse a Londra dove, dopo un iniziale periodo irto di
difficoltà economiche che lo vide arrangiarsi con l'insegnamento dell'italiano,
riuscì nel corso dei tre lustri successivi ad arricchirsi con il commercio dei
prodotti mediterranei, principalmente del vino, inserendosi lentamente nei
salotti dell'alta borghesia londinese. Una breve parentesi italiana si
concluse con un precipitoso ritorno in Inghilterra, a seguito di una denuncia
al tribunale dell’Inquisizione per “importazione di libri proibiti”.
L'illuminismo e le idee di libertà religiosa che animavano il Mazzei, ben
tollerate nella Londra di fine XVIII secolo, erano ancora tabù nella realtà
italiana. La Rivoluzione americana In questi circoli londinesi Filippo M.
conobbe Franklin e Adams, che da lì a pochi anni sarebbero stati tra i
protagonisti della rivoluzione americana. Le colonie americane si
autogovernavano, perlomeno sulle questioni locali, tramite assemblee di
delegati liberamente eletti dai capifamiglia, e l'ordinamento giuridico era
ispirato al meglio della legislazione inglese, che pure in quegli anni era
probabilmente la più avanzata, garantista e liberale che esistesse.
Invitato dagli amici d'oltreoceano, spinto sia dalla curiosità dell'inedita
forma di governo, ma soprattutto dalla disponibilità di terre e quindi dalla
prospettiva di impiantare nel nuovo mondo coltivazioni mediterranee, Mazzei si
trasferì in Virginia, con al seguito un gruppo di agricoltori toscani. A lui si
unirono anche una vedova Maria Martin, che egli sposò, e l'amico Bellini che
sarebbe divenuto il primo insegnante di italiano in un'università americana, il
College of William and Mary in Virginia. Inizialmente diretto in altro
sito, Mazzei si fermò presso la tenuta di Monticello per incontrare Jefferson,
con il quale già intratteneva rapporti epistolari e vantava amicizie comuni, e
fu da lui convinto a trattenersi in loco, arrivando a cedere circa 0,75 km²
della sua tenuta in favore dell'italiano. Da questa cessione nacque la tenuta
di Colle (il nome deriva da Colle di Val d'Elsa, perché il Mazzei aveva preso
ad esempio la campagna attorno alla città toscana), successivamente ampliata.
Lo univa a Jefferson un sodalizio commerciale, con il primo impianto di una
vigna nella colonia della Virginia, ma soprattutto un sodalizio intellettuale,
frutto di una comune visione politica e di ideali condivisi, che si sarebbe
protratto per oltre 40 anni. Il livello delle frequentazioni americane
trascinò velocemente Mazzei, arrivato con mere intenzioni imprenditoriali,
nella vita politica della ribollente colonia della Virginia. Fu autore di
veementi libelli contro l'opprimente dominazione inglese, inneggianti alla
libertà ed all'uguaglianza. Alcuni di questi scritti furono tradotti in inglese
dallo stesso Jefferson, che rimase influenzato da tali ideali, tanto da
ritrovare successivamente alcune frasi di Mazzei trasposte nella Dichiarazione
d'indipendenza degli Stati Uniti d'America. Eletto speaker dell'assemblea
parrocchiale dopo solo sei mesi dal suo arrivo in Virginia, ebbe modo di
esporre le sue idee sulla libertà religiosa e politica a un vasto oratorio,
composto anche di persone umili e ignoranti, che lo ascoltavano assorte. Un suo
scritto, Instructions of the Freeholders of Albemarle County to their Delegates
in Convention, redatto come istruzioni per i delegati della contea di Albemarle
alla convenzione autoconvocatasi dopo lo scioglimento forzato dell'assemblea
della Virginia imposto dal governatore inglese, fu utilizzato da Jefferson come
bozza per il primo tentativo di scrittura della costituzione dello Stato della
Virginia. La sua affermazione politica seguiva di pari passo i rovesci
economici, perché il clima e il terreno della Virginia non si erano dimostrati
particolarmente graditi a vite e olivo, e nel 1774 un'eccezionale gelata aveva
distrutto buona parte delle stentate coltivazioni impiantate con tanta
fatica. Naturalizzato cittadino della Virginia, volontario delle prime
ore nella guerra d'indipendenza americana, e inviato in Europa da Jefferson e
Madison per cercare prestiti, acquistareo meglio, contrabbandarearmi e ottenere
informazioni politiche e militari utili alla nascente nazione. In questo
periodo scrisse articoli, fece interventi pubblici e cercò di avviare rapporti
commerciali e politici tra gli Stati europei e la Virginia. Per tali servizi fu
ufficialmente retribuito dallo Stato dell Virginia. Rientrato in Virginia,
con suo grande disappunto non fu nominato console. Ricevette I'incarico di
amministratore della contea di Albemarle, ma solo due anni dopo nel 1785 lasciò
per l'ultima volta il suolo americano, mantenendo comunque contatti epistolari
con molti di quelli che sono definiti “padri della patria” statunitensi e in
particolare con Jefferson, che ebbe modo di reincontrare successivamente a
Parigi. Sua moglie rimase fino alla sua morte alla tenuta del Colle, che Mazzei
aveva donato alla figliastra, Margherita Maria Martini e al di lei marito, il
francese Plumard, Comte De Rieux. La Rivoluzione francese e le vicende
europee Targa a Pisa, sulla casa in cui morì/ A Parigi pubblicò una
voluminosa opera in quattro volumi Recherches historiques et politiques sur les
États-Unis de l'Amérique Septentrionale. Si trattava della prima storia della
rivoluzione americana pubblicata in francese. L'opera è tuttora una preziosa
fonte di informazioni sul movimento che innescò la rivoluzione americana.
Il successo del libro e la notorietà delle sue idee, uniti alla costante
attività di propaganda a favore dei neonati Stati Uniti d'America, lo fece venire
in contatto con re Stanislao Augusto di Polonia, illuminato sovrano liberale,
di cui divenne prima consigliere e poi rappresentante a Parigi. Da questa
posizione privilegiata poté seguire la rivoluzione francese, di cui condannò la
deriva giacobina. Preso atto della rovina economica, nel 1791 si trasferì a
Varsavia, assumendo la cittadinanza polacca e contribuendo alla stesura della
costituzione. Dopo un anno passato a Varsavia, a seguito della
spartizione della Polonia nel 1792 rientrò definitivamente in Toscana,
stabilendosi a Pisa. Lì sposa Antonina Tonini, da cui ebbe una figlia,
Elisabetta. E testimone dell'arrivo delle truppe repubblicane francesi a Pisa e
poi della loro cacciata, e fu coinvolto pur senza danni nei successivi processi
intentati dal bargello ai liberali pisani che si riunivano durante la breve
occupazione al Caffè dell'Ussero sul lungarno. Ultimi anni M. visse
quietamente altri 17 anni, dedicandosi ai propri studi di orticoltura e
limitandosi a frequentare una ristretta cerchia di salotti praticati da giovani
liberali, di cui era ispiratore. In conseguenza del dissolvimento della Polonia
operata da Russia e Prussia nel 1795, lo zar Alessandro I si accollò i debiti
della corte polacca e Mazzei poté fruire di un vitalizio. M. rimase sempre
nostalgico della Virginia e dei suoi amici americani, che ne auspicavano il
ritorno e con i quali mai interruppe il contatto epistolare. Nonostante i
ripetuti progetti di un viaggio in America, Mazzei non fu mai capace di
affrontare questa nuova avventura. Ebbe modo di assistere all'ascesa e alla
caduta di Napoleone Bonaparte e scrisse le proprie memorie, pubblicate nel
1848, oltre trent'anni dopo la sua morte a Pisa. Saggi: “Stanislao Re di Polonia” (Roma:
Istituto storico italiano per l'età moderna e contemporanea); “Ricerche
storiche sull’America” (Firenze, Ponte
alle Grazie); “Memorie” Gino Capponi, Lugano, Tip. della Svizzera Italiana); “Del
commercio della seta fatto in Inghilterra dalla Compagnia delle Indie
Orientali” S. Gelli, Poggio a Caiano, Comune di Poggio a Caiano); “Le
istruzioni per i delegati alla convenzione” (Firenze, Morgana); “Opere di suor
Margherita Marchione “Scelta di scritti e lettere,”“Agente di Virginia durante
la rivoluzione americana” “Agente del Re di Polonia durante la Rivoluzione
Francese”“La vita avventurosa di M,” Cassa di Risparmi e Depositi, Prato. Marchione
Margherita: La vita avventurosa Marchione Margherita, Curiosità.A inizio degli
anni 2000, fra alcuni intellettuali toscani appassionati della sua figura è
circolata la speculazione che Mazzei potrebbe aver ispirato persino la bandiera
statunitense, adottata dal Congresso un
anno dopo la Dichiarazione d'Indipendenza. La suggestione nasce dall'importanza
che l'alternanza dei colori rosso e bianco ha nell'araldica toscana e non solo
e di cui un esempio famoso è l'insegna di Ugo di Toscana. Potrebbe forse aver
discusso anche di araldica con gl’americani. Le radici storiche della bandiera
americana sono, in realtà, nella Grand Union Flag. In suo ricordo è stato
istituito il premio The Bridge. La cerimonia è stata istituita a Roma per
celebrare un toscano che insieme ai padri costituenti degli Stati Uniti
d'America da vita alla stesura della dichiarazione d'indipendenza. Sua era la
frase. Tutti gli uomini sono per natura liberi ed indipendenti. Russo, Nasce a
Firenze un museo che racconta la massoneria, in La Repubblica, Firenze,
Riferito al museo dedicato alla storia della Massoneria in Italia. Premio. Dalla Toscana all'America: il suo contributo,
Poggio a Caiano, Comune di Poggio a Caiano, Becattini Massimo, Mercante
italiano a Londra, Poggio a Caiano, Comune di Poggio a Caiano, Bolognesi
Andrea, L. Corsetti, L. Stadio, Mostra di cimeli e scritti, catalogo della
mostra a cura di, Poggio a Caiano, palazzo Comunale, Comune di Poggio a Caiano.
Camajani Guelfo Guelfi, un illustre Toscano: medico, agricoltore, scrittore,
giornalista, diplomatico, Firenze, Associazione Toscani, Ciampini Raffaele,
Lettere alla corte di Polonia Bologna: N. Zanichelli, Corsetti Luigi, Gradi
Renzo, Avventuriero della Libertà, con scritti di Marchione e Tortarolo, Poggio
a Caiano, C.I.C. Associazione Culturale "Ardengo Soffici", Di Stadio
Luigi, Tra pubblico e privato. Raccolta di documenti inediti, Poggio a Caiano,
Biblioteca Comunale di Poggio a Caiano, Fazzini Gianni, "Il gentiluomo dei
tre mondi", Roma: Gaffi, Gerosa Guido, Il fiorentino che fece l'America.
Vita e avventure Milano, Sugar, Gradi Renzo, Un bastimento carico di Roba
bestie e uomini in un manoscritto, Poggio a Caiano, Comune di Poggio a Caiano,
Gradi Renzo, Parigi: Scritti e memorie, Comune di Poggio a Caiano, Giovanni,
Figure dimenticate dell'indipendenza, Francesco Vigo, Roma: Il Veltro, Giancarlo,
Iacopo, L'America fu concepita a Firenze, Firenze: Bonechi,Tognetti Burigana
Sara, Tra riformismo illuminato e dispotismo napoleonico; esperienze del
cittadino americano, Roma, Edizioni di Storia e letteratura, Tortarolo Edoardo,
Illuminismo e Rivoluzioni. Biografia politica di M., Milano, Angeli, Łukaszewicz,
M., Mazzini; saggi sui rapporti italo-polacchi Abolizionismo Rivoluzione
americana Rivoluzione francese Franklin Henry Jefferson Mason Monroe William
Paca Stanisław August Poniatowski Padri fondatori degli Stati Uniti d'America
Italo-Americani Dichiarazione d'indipendenza degli Stati Uniti. Treccani Enciclopedie
on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana su
siusa.archivi.beniculturali, Sistema Informativo Unificato per le
Soprintendenze Archivistiche. Jefferson, e Vigo (video), su youtube. com.
Jefferson Encyclopedia, su monticello. org. Il circolo Filippo Mazzei Pisa, su
circolo filippomazzei. net. M., chi era
costui?, su mltoscana. blogspot.com. Clan Libertario Toscano M., su mltoscana. blogspot.com.
Il circolo Filippo Mazzei, su geocities. com. Carteggio Thomas Jefferson M. I
processi contro ed i liberali pisani, su
idr.unipi. Monticello the home of Thomas Jefferson, su monticello.org. famous americans. net. Another Site about P.Mazzei and
other famous Italian American, su Cleveland memory.org. M.,
Thomas Jefferson e gli scultori carraresi per la costruzione del Campidoglio
degli Stati Uniti di Nicola Guerra su farefuturofondazione. premio Filippo mazzei.
com. Memorie della
vita e delle peregrinazioni del fiorentino. Grice:
“The more Italian historians of philosophy, in their pretentiously and fake
patriotic prose, keep referring to this or that as ‘un illustre toscano’, the
less I am leaned to see Mazzei as ITALIAN at all!” – Paeseism with a
vengeance!” – Grice: “As a Brit, I find Mazzei a traitor – to his country, and
to mine!” -- Filippo Mazzei. Mazzei. Keywords: implicature, mazzei wine, vino mazzei, la
rivoluzione del nuovo mondo. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Mazzei,"
per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria,
Italia.
Grice e Mazzini: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale – la giovine italia – filosofia italiana – Luigi Speranza (Genova). Filosofo italiano.
Grice: “Of course it is difficult
for an Italian philosopher to approach the philosophy of Mazzini cooly; it
would be like me approaching the philosophy of Horatio Nelson!” – Grice: “I’ve
found ‘Il pensiero filosofico di Giuseppe Mazzini’ quite helpful – the
equivalent would be the pretentious sounding, “The philosophical thought of Sir
Winston Churchill,’ say!” -- Grice:
“Luigi Speranza loves to cherish the fact that an old street in Woolwich, of
all places, is named after him, in a way ‘Speranza,’ just because Garibaldi
visited!” Grice: “Luigi Speranza also cherishes the fact that Lady Wilde
preferred ‘Speranza’ just to defend Mazzini!” Esponente di punta del patriottismo risorgimentale,
le sue idee e la sua azione politica contribusceno in maniera decisiva alla
nascita dello STATO UNITARIO ITALIANO. Le condanne subite in diversi tribunali
d'Italia lo costringeno però alla latitanza fino alla morte. Le teorie
mazziniane sono di grande importanza nella definizione dei moderni movimenti
europei per l'affermazione della democrazia attraverso la forma repubblicana
dello stato. Nacque a Genova, allora capoluogo dell'omonimo dipartimento
francese costituito da parte del regime di Bonaparte. Il padre, Giacomo, e
medico e docente universitario d'anatomia originario di Chiavari, una cittadina
del Tigullio all'epoca capoluogo del dipartimento francese degli Appennini,
successivamente parte della provincia di Genova, figura politicamente attiva
nella scena pubblica locale, sia durante l'epoca della precedente repubblica ligure,
sia, in tempi successivi, dell'Impero napoleonico. Alla madre, Maria Drago, una
fervente giansenista originaria di Pegli, un comune autonomo, accorpato nel
comune di Genova, fu molto legato per tutta la vita. Affettuosamente chiamato
"Pippo" dalla famiglia, una volta terminati gli studi superiori
presso il cittadino Liceo classico Cristoforo Colombo, si iscrisse a Genova. Si
segnala per la sua ribellione ai regolamenti di stampo religioso che imponeno
di andare a messa e di confessarsi. E arrestato perché, proprio in chiesa, si
rifiuta di lasciare il posto a un generale austriaco. Lo appassiona la
letteratura: si innamorò delle letture di Goethe, Shakespeare e Foscolo (pur
senza condividerne la filosofia materialista), restando così colpito dalle
Ultime lettere di Jacopo Ortis da volersi vestire sempre di nero, in segno di
lutto per la patria oppressa. La passione per la letteratura, insieme a
quella per la musica (e un abile suonatore di chitarra), la ha per tutta la vita: oltre agli autori citati,
lesse Dante, Schiller, Alfieri, i grandi poeti romantici come Byron, Shelley,
Keats, Wordsworth, Coleridge e i narratori come Dumas padre e le sorelle
Brontë. Ha il suo trauma rivelatore. Al passaggio a Genova dei federati
piemontesi reduci dal loro tentativo di rivolta, si affacciò in lui il pensiero
che si puo, e quindi si deve, lottare per la libertà della patria. Cominciò ad
esercitare la professione nello studio di un avvocato, ma l'attività che lo
impegnava era quella di giornalista presso l'Indicatore genovese, sul quale
inizia a pubblicare recensioni di saggi patriottici. La censura lascia fare per
un po', ma poi soppresse il giornale. Compone il saggio, “Dell'amor patrio
d’Aligheri”. Ottenne la laurea “in utroque iure”. Entra nella carboneria, della
quale divenne segretario in Valtellina. Ho a lottare con il più grande
dei soldati, Napoleone. Giunsi a mettere d'accordo tra loro imperatori, re e
papi. Nessuno mi dette maggiori fastidi di un brigante italiano: magro,
pallido, cencioso, ma eloquente come la tempesta, ardente come un apostolo, astuto
come un ladro, disinvolto come un commediante, infaticabile come un innamorato,
il quale ha nome: Giuseppe M.. (Klemens von Metternich, Memorie ed. Bonacci). Per
la sua attività cospirativa e arrestato su ordine di Felice di Savoia e
detenuto a Savona nella Fortezza del Priamar. Durante la detenzione idea e
formula il programma di un nuovo movimento politico chiamato “Giovine Italia” che,
dopo essere stato liberato per mancanza di prove, presenta e organizzò a
Marsiglia dove e costretto a rifugiarsi in esilio. I motti dell'associazione
erano Dio e popolo e unione, forza e libertà e il suo scopo era l'unione degli
stati italiani in un'unica repubblica con un governo centrale quale sola
condizione possibile per la liberazione del popolo italiano dagli invasori
stranieri. Il progetto federalista infatti, poiché senza unità non c'è forza,
ha fatto dell'Italia una nazione debole, naturalmente destinata a essere
soggetta ai potenti stati unitari a lei vicini. Il federalismo inoltre avrebbe
reso inefficace il progetto risorgimentale, facendo rinascere quelle rivalità
municipali, ancora vive, che avevano caratterizzato la peggiore storia dell'Italia
medioevale. L'obiettivo repubblicano e unitario avrebbe dovuto essere
raggiunto con un'insurrezione popolare condotta attraverso una guerra per
bande. Durante l'esilio in Francia, ha una relazione con la nobildonna repubblicana
Giuditta Bellerio Sidoli, vedova di Giovanni Sidoli, ricco patriota di
Montecchio Emilia. Giuditta aveva condiviso con il marito la fede politica che,
portandolo a cospirare contro la corte estense, aveva costretto la coppia a
esiliare in Svizzera. Colpito da una grave malattia polmonare, muore a
Montpellier. Poiché la vedova non aveva ricevuto alcuna condanna, ritorna
a Reggio Emilia presso la famiglia del marito con i suoi quattro figli: Maria,
Elvira, Corinna e Achille. Dopo il fallimento dei moti dove fuggire in Francia
dove conobbe Mazzini a cui si legò sentimentalmente. Dopo il vano tentativo del
1831 di portare dalla parte liberale il nuovo re Carlo Alberto di Savoia con la
celebre lettera firmata "un italiano", insieme a Berghini e Barberis,
M. fu condannato in contumacia a "morte ignominiosa" dal Consiglio
Divisionario di Guerra, presieduto dal maggior generale Saluzzo Lamanta. La
condanna venne poi revocata nel 1848, quando Carlo Alberto decise di concedere
un'amnistia generale. Rifugiatosi nella cittadina svizzera di Grenchen, nel
canton Soletta, vi rimase sino a quando fu arrestato dalla polizia cantonale
che gli ingiunse di lasciare la Confederazione entro 24 ore. Per impedirne
l'allontanamento l'assemblea dei cittadini di Grenchen conferì al giovane
profugo la cittadinanza con 122 voti a favore e 22 contrari, invalidata però
dal governo cantonale. Mazzini, nascostosi nel frattempo, fu scoperto e dovette
lasciare la Svizzera assieme ad altri esuli, tra i quali Agostino e Giovanni
Ruffini. Comincia il lungo soggiorno a Londra, dove M. raccolse attorno a
sé esuli italiani e persone favorevoli al repubblicanesimo in Italia,
dedicandosi, per vivere, all'attività di insegnante dei figli degli italiani;
qui conobbe e frequentò anche diverse personalità inglesi, tra cui Mary Shelley
(vedova del poeta P.B. Shelley), Anne Isabella Milbanke (vedova di Lord Byron,
idolo di gioventù di M.), il filosofo ed economista John Stuart Mill, Thomas
Carlyle e sua moglie Jane Welsh, lo scrittore Charles Dickens, che finanziò la
sua scuola. Il poeta decadente Algernon Swinburne gli dedicò Ode a Mazzini.
Nello stesso quartiere di M. visse anche Marx. Durante il soggiorno
londinese M. ebbe una lunga relazione di amicizia con la famiglia Craufurd,
documentata da copiosa corrispondenza epistolare. Sempre a Londra ebbe rapporti
con la famiglia di Ashurst e con il genero di questi, il politico Stansfeld, la
cui consorte Caroline Ashurst Stansfeld e sostenitrice della società
"Society of the Friends of Italy". Per la causa dell'unificazione
italiana M. collaborò anche con il secolarista George Holyoake. Fondò poi
altri movimenti politici per la liberazione e l'unificazione di vari stati
europei: la Giovine Germania, la Giovine Polonia e infine la Giovine Europa.
Quest'ultima, fondata a Berna in accordo con altri rivoluzionari stranieri,
aveva tra i suoi principi ispiratori la costituzione degli Stati Uniti
d'Europa. In questa occasione Mazzini estese dunque il desiderio di libertà del
popolo italiano (che si sarebbe attuato con la repubblica) a tutte le nazioni
europee. L'associazione rivoluzionaria europea aveva come scopo specifico
l'agire dal basso in modo comune e, usando strumenti insurrezionali e
democratici, realizzare nei singoli stati una coscienza nazionale e
rivoluzionaria. Sulla scia della Giovine Europa M. fonda anche l'Alleanza
Repubblicana Universale. Il movimento della Giovine Europa ebbe anche un
forte ruolo di promozione dei diritti della donna, come testimonia l'opera di
numerose mazziniane, tra cui la citata Bellerio Sidoli, ma anche Cristina Trivulzio
di Belgiojoso e Saffi, la moglie di Saffi, uno dei più stretti collaboratori di
M. e suo erede per quanto riguarda il mazzinianesimo politico. M. continuò a
perseguire il suo obiettivo dall'esilio e tra le avversità con inflessibile
costanza, convinto che questo fosse il destino dell'Italia e che nessuno
avrebbe potuto cambiarlo. Tuttavia, nonostante la sua perseveranza,
l'importanza delle sue azioni fu più ideologica che pratica. Dopo il
fallimento dei moti del 1848, durante i quali M. era stato a capo della breve
Repubblica Romana insieme ad Aurelio Saffi e Carlo Armellini, i nazionalisti
italiani cominciarono a vedere nel re del Regno di Sardegna e nel suo Primo
Ministro Camillo Benso conte di Cavour le guide del movimento di riunificazione.
Ciò volle dire separare l'unificazione dell'Italia dalla riforma sociale e
politica invocata da M.. Cavour fu abile nello stringere un'alleanza con la
Francia e nel condurre una serie di guerre che portarono alla nascita dello
STATO ITALIANO ma la natura politica della nuova compagine statale era ben
lontana dalla repubblica mazziniana. A Londra per reagire alla caduta
della Repubblica Romana e in continuità con essa, M. fonda il Comitato Centrale Democratico Europeo
e il Comitato Nazionale Italiano, lanciando il Prestito Nazionale Italiano, le
cui cartelle portavano appunto lo stemma della Repubblica romana e
l'intitolazione del prestito «diretto unicamente ad affrettare l'indipendenza e
l'unità d'Italia». A garanzia del prestito le cartelle recavano la firma degli
ex triumviri Mazzini, Saffi e, in assenza dell'irreperibile Armellini, Mattia
Montecchi. La diffusione delle cartelle nel Lombardo-Veneto ebbe come immediata
conseguenza la ripresa dell'attività cospirativa e rivoluzionaria, soprattutto
a Mantova.. Messina fu chiamata al voto per eleggere i suoi deputati al
nuovo parlamento di Firenze. M. era candidato, nel secondo collegio, ma non
poté fare campagna elettorale perché esule a Londra. Pendevano sul suo capo due
condanne a morte: una inflitta dal tribunale di Genova per i moti (in primo
grado e in appello); un'analoga condanna a morte era stata inflitta dal
tribunale di Parigi per complicità in un attentato contro Napoleone III.
Inaspettatamente, M. vinse con larga messe di voti (446). Dopo due giorni di
discussione, la Camera annullava l'elezione in virtù delle condanne
precedenti. Il letto di morte di M., distrutto dagli aerei degli
Stati Uniti durante il bombardamento di Pisa. Maschera mortuaria di M., gesso,
Domus Mazziniana, Pisa Due mesi dopo gli elettori del secondo collegio di
Messina tornarono alle urne: vinse di nuovo M. La Camera, dopo una nuova
discussione, il 18 giugno riannullò l'elezione. IM. viene rieletto una terza
volta; dalla Camera, questa volta, arrivò la convalida. Mazzini, tuttavia,
anche nel caso fosse giunta un'amnistia o una grazia, decise di rifiutare la
carica per non dover giurare fedeltà allo Statuto Albertino, la costituzione
dei monarchi sabaudi. Egli infatti non accettò mai la monarchia e continuò a
lottare per gli ideali repubblicani. Lascia Londra e si stabilì in
Svizzera, a Lugano. Due anni dopo furono amnistiate le due condanne a morte
inflitte al tempo del Regno di Sardegna: Mazzini quindi poté rientrare in
Italia e, una volta tornato, si dedicò subito all'organizzazione di moti
popolari in appoggio alla conquista dello Stato Pontificio. L'11 agosto partì
in nave per la Sicilia, ma il 14, all'arrivo nel porto di Palermo, fu tratto in
arresto (la quarta volta nella sua vita) e recluso nel carcere militare di
Gaeta. Partito da Basilea e in viaggio nel passo del San Gottardo, conobbe
in una carrozza Nietzsche, allora poco conosciuto filologo e docente. Questo
incontro sarà testimoniato dallo stesso Nietzsche anni dopo. Costretto di
nuovo all'esilio, riuscì a rientrare in Italia sotto il falso nome di Giorgio
Brown (forse un riferimento a John Brown) a Pisa. Qui, malato già da tempo,
visse nascosto nell'abitazione di Pellegrino Rosselli, antenato dei fratelli
Rosselli e zio della moglie di Nathan, fino al giorno della sua morte, avvenuta
quando la polizia stava ormai per arrestarlo nuovamente. Traversie della
salma M. morente, Silvestro Lega La notizia della sua morte si diffuse
rapidamente, commuovendo l'Italia; il suo corpo fu imbalsamato dallo scienziato
Paolo Gorini, appositamente fatto accorrere da Lodi su incarico di Bertani:
Gorini disinfettò la salma per permettere l'esposizione. Una folla immensa
partecipò ai funerali, svoltisi nella città toscana il pomeriggio del 14 marzo,
accompagnando il feretro al treno in partenza per Genova, dove venne sepolto al
Cimitero monumentale di Staglieno. Le esequie furono accompagnate dalla
musica della storica Filarmonica Sestrese C. Corradi G. Secondo.
Successivamente Gorini ricominciò a lavorare sul corpo di M., onde
pietrificarlo secondo la sua tecnica di mummificazione; terminò il lavoro
qualche anno dopo. Avvenne la ricognizione della mummia, che fu sistemata ed
esposta al pubblico in occasione della nascita della Repubblica Italiana: da
allora riposa nuovamente nel sarcofago del mausoleo. Mausoleo Benché sia
incerta l'affiliazione di M. alla Massoneria fu l'associazione stessa a
commissionare il mausoleo all'architetto mazziniano Grasso che lo realizzò in
stile neoclassico adornandolo con alcuni simboli massonici. Il sepolcro
reca all'esterno la scritta “M” e all'interno sono presenti numerose bandiere
tricolori repubblicane e iscrizioni lasciate da gruppi mazziniani o da
personalità come Carducci. Sulla lapide è scolpita la scritta "M.. Un
Italiano" che era la firma da lui apposta nella lettera a Carlo Alberto, e
l'epitaffio: «Il corpo a Genova, il nome ai secoli, l'anima all'umanità. Testimonianze
di alcuni personaggi storici e una corrispondenza dello stesso M., citati
nell'opera dello studioso Luigi Polo Friz fanno ritenere che verosimilmente M.,
a differenza di altri celebri personaggi dell'epoca, come Garibaldi, non sia
mai stato affiliato alla massoneria, anche se questa ha ripreso molti degli
ideali mazziniani, simili ai suoi. La principale obbedienza italiana,
l'unica attiva all'epoca di Mazzini in Italia, il Grande Oriente d'Italia,
afferma l'impossibilità di provare l'appartenenza di Mazzini, che pure ebbe
influenza nella società, anche se non partecipò mai alla vita
dell'associazione, occupato com'era nella causa della "sua" società
segreta, la Giovine Italia. In effetti M. fu carbonaro, ma la Carboneria fu
presto distinta dalla massoneria. Montanelli afferma invece che probabilmente
Mazzini fu massone. Dello stesso parere è Massimo Della Campa, che in una
"Nota su Mazzini" fa riferimento al libro dell'ex-Gran Maestro del
grande Oriente d'Italia Giordano Gamberini, Mille volti di massoni (Erasmo,
Roma), che a119 scrive a proposito di M.: «Iniziato a Genova, secondo G.
Fazzari e F. Borsari (Luce e concordia). Ricevette dal Fr. Passano il 32° grado
del R.S.A.A., necessario per corrispondere in Carboneria al livello di Vendita
Suprema, nelle carceri di Savona. Con decreto del S. C. di Palermo ricevette
l'aumento di luce al 33° grado e la qualifica di membro onorario del medesimo
Supremo Consiglio. Fu membro onorario delle LL. Lincoln di Lodi e Stella
d'Italia di Genova. Scrivendo a Logge, Corpi rituali e Fratelli usò sempre i
segni massonici. Nessun contemporaneo mise mai in dubbio l'appartenenza di M.
alla Massoneria.» M. stesso sembrerebbe però smentire la sua
partecipazione all'associazione in una lettera al massone Campanella, Sovrano
Gran Commendatore del Supremo Consiglio del Rito scozzese antico ed accettato
di Palermo, in cui, restituendogli le carte che questi gli aveva fatto
recapitare scriveva. La Massoneria accettando da anni e anni ogni uomo, senza
dichiarazioni d'opinioni politiche, s'è fatta assolutamente inutile a ogni
scopo nazionale. Per farne qualche cosa bisognerebbe prima una misura
d'eliminazione ed una di revisione delle file, poi una formula nazionale o
politica per l'iniziazione... Chi vuol intendere intenda. La patria è la casa
dell'uomo, non dello schiavo – M. Ai giovani d'Italia) Per comprendere a pieno
la dottrina politica di Mazzini bisogna rifarsi al pensiero religioso che
ispira il periodo della Restaurazione seguito alla caduta dell'impero
napoleonico. Nasce allora una nuova concezione della storia che smentiva quella
degli illuministi basata sulla capacità degli uomini di costruire e guidare la
storia con la ragione. Le vicende della Rivoluzione francese e il periodo
napoleonico avevano dimostrato che gli uomini si propongono di perseguire alti
e nobili fini che s'infrangono dinanzi alla realtà storica. Il secolo dei lumi
era infatti tramontato nelle stragi del Terrore e il sogno di libertà nella
tirannide napoleonica che, mirando alla realizzazione di un'Europa al di sopra
delle singole nazioni, aveva determinato invece la ribellione dei singoli
popoli proprio in nome del loro sentimento di nazionalità. Secondo questa
visione romantica dunque la storia non è guidata dagli uomini ma è Dio che
agisce nella storia; esisterebbe dunque una Provvidenza divina che s'incarica
di perseguire fini al di là di quelli che gli uomini si propongono di
conseguire con la loro meschina ragione. Da questa concezione romantica della
storia, intesa come opera della volontà divina si promanano due visioni
contrapposte: una è la prospettiva reazionaria che vede nell'intervento di Dio
nella storia una sorta di avvento di un'apocalisse che metta fine alla storia
degli uomini. Napoleone I è stato, con le sue continue guerre,
l'Anticristo di questa apocalisse: Dio segnerà la fine della storia malvagia e
falsamente progressiva e allora agli uomini non rimarrà che volgersi al passato
per preservare e conservare quanto di buono era stato realizzato. Si cercherà
dunque in ogni modo di cancellare tutto ciò che è accaduto dalla Rivoluzione a
Napoleone restaurando il passato. La concezione reazionaria contro cui M.
combatté strenuamente assume un aspetto politico-religioso che troviamo nel
pensiero di Chateaubriand che nel Génie du christianisme (Genio del
Cristianesimo) attaccava le dottrine illuministiche prendendo le difese del
cristianesimo e soprattutto nell'ideologia mistica teocratica di Joseph de
Maistre, che arriva nell'opera Du pape (Il papa) al punto di auspicare un ritorno dell'alleanza
tra il trono e l'altare riproponendo il modello delle comunità medioevali
protette dalla religione tradizionale contro le insidie del liberalismo e del
razionalismo. Un'altra prospettiva, che nasce paradossalmente dalla stessa
concezione della storia guidata dalla divinità, è quella che potremo definire
liberale che vede nell'azione divina una volontà diretta, nonostante tutto, al
bene degli uomini escludendo che nei tempi nuovi ci sia una sorta di vendetta
di Dio che voglia far espiare agli uomini la loro presunzione di creatori di
storia. È questa una visione provvidenziale, dinamica della storia che troviamo
in Saint Simon con la concezione di un nuovo cristianesimo per una nuova
società o in Lamennais che vede nel cattolicesimo una forza rigeneratrice della
vita sociale. Una concezione progressiva quindi che è presente in Italia
nell'opera letteraria di Manzoni e nel pensiero politico di Gioberti con il
progetto neoguelfo e nell'ideologia mazziniana. Concezione mazziniana
«Costituire l'Italia in Nazione Una, Indipendente, Libera, Repubblicana – M., Istruzione generale per gli affratellati nella
Giovine Italia) Magnifying glass icon mgx2.svg Mazzinianesimo. Dio e popolo
«Noi cademmo come partito politico. Dobbiamo risorgere come partito religioso.
L'elemento religioso è universale, immortale: universalizza e collega. Ogni
grande rivoluzione ne serba impronta, e lo rivela nella propria origine o nel
fine che si propone. Per esso si fonda l'associazione. Iniziatori d'un nuovo
mondo, noi dobbiamo fondare l'unità morale, il cattolicismo Umanitario. Il
pensiero politico mazziniano deve dunque essere collocato in questa temperie di
romanticismo politico-religioso che dominò in Europa dopo la rivoluzione ma che
era già presente nei contrasti al Congresso di Vienna tra gli ideologi che
proponevano un puro e semplice ritorno al passato prerivoluzionario e i
cosiddetti politici che pensavano che bisognasse operare un compromesso con
l'età trascorsa. Alcuni storici hanno fatto risalire la concezione
religiosa di M. all'educazione ricevuta dalla madre fervente giansenista
(almeno fino agli anni '40 fa spesso riferimenti biblici ed evangelici) o ad
una vicinanza ideale col protestantesimo e le chiese riformate ma, secondo
altri, la visione religiosa di Mazzini non coinciderebbe con quella di nessuna
religione rivelata. Il personale concetto mazziniano di Dio, che per alcuni
tratti è avvicinabile al deismo settecentesco, con evidenti influssi della
religiosità civica e preromantica di Rousseau, per altri versi al Dio
panteistico degli stoici, è alla base di una religiosità che tuttavia esige la
laicità dello Stato (questo nonostante la dichiarata contraddizione poiché se,
come egli crede, politica e religione coincidono, non avrebbe senso separare la
sua concezione teologica da quella politica e l'assenza di intermediari tra Dio
e il popolo. Per ciò e per il ruolo avuto nella storia umana e italiana, define
il papato la base d'ogni autorità tirannica. Un altro influsso sulla sua
concezione religiosa è stato visto nella considerazione che ha per la religione
CIVILE di ispirazione ROMANA e per l'ammirazione verso la prima Roma, antica e
pagana, che passando per la seconda Roma, cristiana e medievale, prepara il
campo alla terza Roma future. Un mito questo, romantico-neoclassico, che e
fatto proprio da Carducci e poi dal fascismo, con il filosofo Ricci -- e dalla
massoneria con l'esoterista Reghini e avvicina il mazzinianesimo anche al culto
massonico del Grande Architetto dell'Universo. In realtà rifiuta non solo
l'ateismo (è questa una delle divisioni ideologico-teoriche che egli ebbe con
altri repubblicani come Pisacane) e il materialismo L'ateismo, il materialismo
non hanno, sopprimendo Dio, una legge morale superiore per tutti e sorgente del
Dovere per tutti...»), ma anche il trascendente, in favore dell'immanente: egli
crede nella reincarnazione, per poter migliorare di continuo il mondo e
migliorare sé stessi. Una concezione questa tratta probabilmente da Platone o
dalle religioni orientali come l'induismo e il buddismo, religioni alle quali
Mazzini si era interessato. Come altri patrioti, letterati, rivoluzionari delle
società segrete francesi, inglesi e italiane Mazzini vide nell'abate calabrese
Gioacchino da Fiore, l'autore di una profezia riguardante l'avvento della Terza
Età o Età dello Spirito Santo quando sarebbe sorta la Terza Italia che sarebbe
rinata, libera dalle dominazioni straniere, come la nazione che avrebbe
esercitato un primato sulle altre per la presenza della Chiesa cattolica: tema
questo poi ripreso da Gioberti nel suo Primato morale e civile degli
Italiani. M. ebbe grande interesse per Gioacchino tanto da volergli
dedicare un trattato rimasto inedito Joachino, appunti per uno studio storico
sull'abate Gioacchino], che considerava un suo precursore per gli ideali
sociali e politici da realizzare tramite un'unità spirituale e storica.
Religione civile La sua è stata anche definita una religione civile dove la
politica svolgeva il ruolo della fede e dove la divinità si incarna in modo
panteista nell'Universo e nell'Umanità stessa, che attua la Legge che nel
Progresso si rivela. Egli afferma di credere che Dio è Dio, e l'Umanità è il
suo Profeta, che il popolo romano è immagine di Dio sulla terra e vi è«un Dio
solo, autore di quanto esiste, Pensiero vivente, assoluto, del quale il nostro
mondo è raggio e l'Universo una incarnazione. Per lui non conta che la sua
intima credenza sia razionale o no, come il Dio di Voltaire e Newton che è
invocato come la causa prima dell'ordine naturale, poiché «Dio esiste. Noi non
dobbiamo né vogliamo provarvelo: tentarlo, ci sembrerebbe bestemmia, come
negarlo, follia. Dio esiste, perché noi esistiamo» anche se, specifica,
«l'universo lo manifesta con l'ordine, con l'armonia, con l'intelligenza dei
suoi moti e delle sue leggi. E altresì convinto che fosse ormai presente nella
storia un nuovo ordinamento divino nel quale la lotta per raggiungere l'unità
nazionale assumeva un significato provvidenziale. «Operare nel mondo
significava per il M. collaborare all'azione che Dio svolgeva, riconoscere ed
accettare la missione che uomini e popoli ricevono da Dio. Per questo bisogna
«mettere al centro della propria vita il dovere, senza speranza di premio,
senza calcoli di utilità. Quello di M. era un progetto politico, ma mosso da un
imperativo religioso che nessuna sconfitta, nessuna avversità avrebbe potuto
indebolire. «Raggiunta questa tensione di fede, l'ordine logico e comune degli
avvenimenti veniva capovolto; la disfatta non provocava l'abbattimento, il
successo degli avversari non si consolidava in ordine stabile.». La storia
dell'umanità dunque sarebbe una progressiva rivelazione della Provvidenza
divina che, di tappa in tappa, si dirige verso la meta predisposta da
Dio. Esaurito il compito del Cristianesimo, chiusasi l'era della
Rivoluzione francese ora occorreva che i popoli prendessero l'iniziativa per
«procedere concordi verso la meta fissata al progresso umano». Ogni singolo
individuo, come la collettività, tutti devono attuare la missione che Dio ha
loro affidato e che attraverso la formazione ed educazione del popolo stesso,
reso consapevole della sua missione, si realizzerà attraverso due fasi: Patria
e Umanità. Patria e umanità Targa in onore di M. sulla casa
londinese Senza una patria libera nessun popolo può realizzarsi né compiere la
missione che Dio gli ha affidato; il secondo obiettivo sarà l'Umanità che si
realizzerà nell'associazione dei liberi popoli sulla base della comune civiltà
europea attraverso quello che Mazzini chiama il banchetto delle Nazioni
sorelle. Un obiettivo dunque ben diverso da quella confederazione europea
immaginata da Napoleone dove la Francia avrebbe esercitato il suo primato
egemonico di Grande Nation. La futura unità europea non si realizzerà attraverso
una gara di nazionalismi ma attraverso una nobile emulazione dei liberi popoli
per costruire una nuova libertà. Il processo di costruzione europea, secondo M.,
doveva svolgersi prima di tutto attraverso l'affermazione delle nazionalità
oppresse, come quelle facenti parte dell'Impero asburgico, e poi anche di
quelle che non avevano ancora raggiunto la loro unità nazionale.
Iniziativa italiana In questo processo unitario europeo spetta all'Italia
un'alta missione: quella di riaprire, conquistando la sua libertà, la via al
processo evolutivo dell'Umanità: la redenzione nazionale italiana apparirà
improvvisa come una creazione divina al di fuori di ogni inutile e inefficace
metodo graduale politico diplomatico di tipo cavouriano. L'iniziativa italiana
che avverrà sulla base della fraternità tra i popoli e non rivendicando alcuna
egemonia, come aveva fatto la Francia, consisterà quindi nel dare l'esempio per
una lotta che porterà alla sconfitta delle due colonne portanti della reazione,
di quella politica dell'Impero Asburgico e di quella spirituale della Chiesa
cattolica. Raggiunti gli obiettivi primari dell'unità e della Repubblica
attraverso l'educazione e l'insurrezione del popolo, espressi dalla formula di
Pensiero ed azione, l'Italia darà quindi il via a questo processo di
unificazione sempre più vasta per la creazione di una terza civiltà formata
dall'associazione di liberi popoli. Funzione della politica Il
mausoleo di M. nel cimitero monumentale di Staglieno, realizzato
dall'architetto mazziniano Grasso. La politica è scontro tra libertà e
dispotismo e tra queste due forze non è possibile trovare un compromesso:
si sta svolgendo una guerra di principi che non ammette transazioni; M. esorta
la popolazione a non accontentarsi delle riforme che erano degli accomodamenti
gestiti dall'alto: non radicavano, cioè, nello spirito del tempo quella libertà
e quell'uguaglianza di cui il popolo aveva bisogno. La logica della
politica è logica di democrazia e libertà, non accettabili dalle forze
reazionarie; contro di esse è necessaria una brusca rottura rivoluzionaria:
alla testa del popolo vi dovrà essere la classe colta (che non può più
sopportare il giogo dell'oppressione) e i giovani (che non possono più
accettare le anticaglie dell'antico regime). Questa rivoluzione deve portare
alla Repubblica, la quale garantirà l'istruzione popolare. La
rivoluzione, che è anche pedagogico strumento di formazione di virtù personali
e collettive, deve iniziare per ondate, accendendo focolai di rivolta che
incitino il popolo inconsapevole a prendere le armi. Una volta scoppiata la
rivoluzione si dovrà costituire un potere dittatoriale (inteso come potere
straordinario alla maniera dell'Antica Roma, non come tirannide) che gestisca
temporaneamente la fase post-rivoluzionaria. Il governo verrà restituito al
popolo non appena il fine della rivoluzione verrà raggiunto, il prima
possibile. La Giovane Italia deve educare alla gestione della cosa
pubblica, ad essere buoni cittadini, non è, perciò, esclusivamente uno strumento
di organizzazione rivoluzionaria. Il popolo deve avere diritti e doveri, mentre
la rivoluzione francese si è concentrata esclusivamente sui diritti
individuali: fermandosi ai diritti dell'individuo aveva dato vita ad una
società egoista; l'utile per una società non va mai considerato secondo il bene
di un singolo soggetto ma secondo il bene collettivo. Non crede
nell'eguaglianza predicata dal marxismo e al sogno della proprietà comune
sostituisce il principio dell'associazionismo, che è comunque un superamento dell'egoismo
individuale.Questione sociale M. affrontò la questione sociale negli scritti
più tardi, ad esempio nei Doveri dell'uomo Rifiuta il marxismo, convinto com'è
che per spingere il popolo alla rivoluzione sia prioritario indicargli
l'obiettivo dell'unità, della repubblica e della democrazia. M. fu tra i primi
a considerare la grave questione sociale presente che era soprattutto in Italia
la questione contadina, come gli indica Pisacane, ma egli pensava che questa
dovesse essere affrontata e risolta solo dopo il raggiungimento dell'unità
nazionale e non attraverso lo scontro delle classi, ma con una loro
collaborazione (interclassismo), da raggiungersi però organizzando
l'associazionismo e il mutualismo fra gli operai, il soggetto più debole. Un
programma il suo di solidarietà nazionale che se non contemplava l'autonomia
culturale e politica del proletariato non si rivolse solo al ceto medio
cittadino, agli intellettuali, agli studenti, fra i quali raccolse i consensi
più ampi, ma anche agli artigiani e ai settori più consapevoli dei propri
diritti fra gli operai. M. criticò il marxismo e fu da Marx biasimato per
gli aspetti dottrinali idealistici e per gli atteggiamenti profetici che egli
assumeva nel suo ruolo di educatore religioso e politico del popolo. Marx,
risentito per gli attacchi di M. al comunismo, da lui definito col termine
inglese «dictatorship» (cioè «dittatura»), lo definì in alcuni articoli
teopompo, cioè «inviato di Dio e papa della chiesa democratica, dandogli anche
sprezzantemente del «vecchio somaro» e paragonandolo a Pietro l'Eremita. Forte
sarà il contrasto tra Marx e l'inviato personale di M. (oltre che con Garibaldi
che ne prese le difese) alla Prima Internazionale. Critica i socialisti per il
proclamato internazionalismo dei loro tempi, venato di anarchismo e di forte
negazionismo, per l'attenzione da essi rivolta verso gli interessi di una sola
classe: il proletariato. Inoltre egli definiva arbitrario e impossibile a pretendere
l'abolizione della proprietà privata: così si sarebbe dato un colpo mortale
all'economia che non avrebbe premiato più i migliori. La critica maggiore era
rivolta contro il rischio che le ideologie socialiste estremistiche portassero
a un totalitarismo: egli previde con lungimiranza quello che avverrà con la
Rivoluzione in Russia, cioè la formazione di una nuova classe di padroni
politici e lo schiacciamento dell'individuo nella macchina industriale del
socialismo reale. Da queste critiche ne venne la valutazione negativa di
Mazzini sulla rivolta che portò alla Comune di Parigi. Mentre per Marx e
Michail Bakunin quello della Comune era stato un primo tentativo di distruggere
lo stato accentratore borghese realizzando dal basso un nuovo tipo di stato,
Mazzini, legato al concetto di Stato-nazione romantico, invece criticò la
Comune vedendo in essa la fine della nazione, la minaccia di uno smembramento
della Francia. Per salvaguardare l'economia e allo stesso tempo per tutelare i
più poveri, M. punta su una forma di lavoro cooperativo: l'operaio dovrà
guardare oltre una lotta basata solo sul salario ma promuovere spazi via via
crescenti di economia sociale con elementi di «piena responsabilità e proprietà
sull'impresa». M. punta sul superamento in senso sociale e democratico
del capitalismo imprenditoriale classico, anticipando in questo sia le teorie
distribuzioniste sia le teorie che esaltano il valore dell'associazione fra i
produttori. In Doveri dell'uomo scrisse: «Non bisogna abolire la proprietà
perché oggi è di pochi; bisogna aprire la via perché i molti possano
acquistarla. Bisogna richiamarla al principio che la renda legittima, facendo
sì che solo il lavoro possa produrla. La
sua influenza sulla prima fase del movimento operaio fu per questo molto
importante e anche il fascismo, in particolare la sua corrente repubblicana e
socializzatrice, si ispirerà al pensiero economico mazziniano come terza via
corporativa tra il modello capitalista e quello marxista. Cospirazioni e
fallimento dei moti mazziniani M. in una fotografia con autografo
scattata da Domenico Lama I moti mazziniani, ispirati ad un'ideologia
repubblicana e antimonarchica furono considerati sovversivi e quindi perseguiti
da tutte le monarchie italiane dell'epoca. Per i governi costituiti i
mazziniani altro non erano che terroristi e come tali furono sempre
condannati. «Trovai tutti persuasi che la Giovine Italia era pazzia;
pazzia le sette, pazzie il cospirare, pazzie le rivoluzioncine fatte sino a
quel giorno, senza capo né coda» (Azeglio, Degli ultimi casi di Romagna)
Giovine Italia «Su queste classi così
fortemente interessate al mantenimento dell'ordine sociale le dottrine
sovversive della Giovine Italia non hanno presa. Perciò ad eccezione dei
giovani presso i quali l'esperienza non ha ancora modificate le dottrine
assorbite nell'atmosfera eccitante della scuola, si può affermare che non
esiste in Italia se non un piccolissimo numero di persone seriamente disposte a
mettere in pratica i principi esaltati di una setta inasprita dalla
sventura.» (Camillo Benso conte di Cavour). M. si trova a Marsiglia in
esilio dopo l'arresto e il processo subito l'anno prima in Piemonte a causa
della sua affiliazione alla Carboneria. Non potendosi provare la sua
colpevolezza infatti la polizia sabauda lo costrinse a scegliere tra il confino
in un paesino del Piemonte e l'esilio. Mazzini preferì affrontare l'esilio e
passa in Svizzera, da qui a Lione e infine a Marsiglia. Qui entrò in contatto
con i gruppi di Filippo Buonarroti e col movimento sainsimoniano allora diffuso
in Francia. Con questi si avviò un'analisi del fallimento dei moti nei
ducati e nelle Legazioni pontificie. Si concordò sul fatto che le sette
carbonare avevano fallito innanzitutto per la contraddittorietà dei loro
programmi e per l'eterogeneità delle classi che ne facevano parte. Non si era
riusciti poi a mettere in atto un collegamento più ampio delle insurrezioni per
le ristrettezze provinciali dei progetti politici, com'era accaduto nei moti di
Torino quand'era fallito ogni tentativo di collegamento con i fratelli
lombardi. Infine bisognava desistere dal ricercare l'appoggio dei principi e,
come nei moti dei francesi. Con la fondazione della Giovine Italia il
movimento insurrezionale andava organizzato su precisi obiettivi politici:
indipendenza, unità, libertà. Occorreva poi una grande mobilitazione popolare
poiché la liberazione italiana non si poteva conseguire attraverso l'azione di
pochi settari ma con la partecipazione delle masse. Rinunciare infine ad ogni
concorso esterno per la rivoluzione: «La Giovine Italia è decisa a giovarsi
degli eventi stranieri, ma non a farne dipendere l'ora e il carattere
dell'insurrezione. Gli strumenti per raggiungere queste mete erano l'educazione
e l'insurrezione. Quindi bisognava che la Giovane Italia perdesse il più
possibile il carattere di segretezza, conservando quanto necessario a
difendersi dalle polizie, ma acquistasse quello di società di propaganda,
un'«associazione tendente anzitutto a uno scopo di insurrezione, ma
essenzialmente educatrice fino a quel giorno e dopo quel giorno anche attraverso
il giornale La Giovine Italia, fondato del messaggio politico della
indipendenza, dell'unità e della repubblica. Durante il periodo dei
processi in Piemonte e il fallimento della spedizione di Savoia, l'associazione
scomparve per quattro anni, ricomparendo solo in Inghilterra. Dieci anni dopo,
il 5 maggio 1848, l'associazione fu definitivamente sciolta da M., che fondò al
suo posto l'Associazione Nazionale Italiana. Entusiastiche adesioni al
programma della Giovane Italia si ebbero soprattutto tra i giovani in Liguria,
in Piemonte, in Emilia e in Toscana che si misero subito alla prova organizzando
una serie di insurrezioni che si conclusero tutte con arresti, carcere e
condanne a morte. Oganizza il suo primo tentativo insurrezionale che aveva come
focolai rivoluzionari Chambéry, Torino, Alessandria e Genova dove contava vaste
adesioni nell'ambiente militare. Prima ancora che l'insurrezione
iniziasse la polizia sabauda a causa di una rissa avvenuta fra i soldati in
Savoia, scoprì e arrestò molti dei congiurati, che furono duramente perseguiti
poiché appartenenti a quell'esercito sulla cui fedeltà Carlo Alberto aveva
fondato la sicurezza del suo potere. Fra i condannati figuravano i fratelli
Ruffini, amico personale di M. e capo della Giovine Italia di Genova,
l'avvocato Andrea Vochieri e l'abate torinese Gioberti. Tutti subirono un
processo dal tribunale militare, e dodici furono condan morte, fra questi anche
il Vochieri, mentre Jacopo Ruffini pur di non tradire si uccise in carcere
mentre altri riuscirono a salvarsi con la fuga. Tentativo d'invasione
della Savoia e moto di Genova. L'incontro di M. con Garibaldi nella sede della
Giovine Italia Il fallimento del primo moto non fermò M., convinto che era il
momento opportuno e che il popolo lo avrebbe seguito. Si trovava a Ginevra,
quando assieme ad altri italiani e alcuni polacchi, organizzava un'azione
militare contro lo stato dei Savoia. A capo della rivolta aveva messo il
generale Ramorino, che aveva già preso parte ai moti, questa scelta però si
rivelò un fallimento, perché il Ramorino si era giocato i soldi raccolti per
l'insurrezione e di conseguenza rimandava continuamente la spedizione, tanto
che quando si decise a passare con le sue truppe il confine con la Savoia, la
polizia, ormai allertata da tempo, disperse i volontari con molta
facilità. Nello stesso tempo doveva scoppiare una rivolta a Genova, sotto
la guida di Garibaldi, che si era arruolato nella marina da guerra sarda per
svolgere propaganda rivoluzionaria tra gli equipaggi. Quando giunse sul luogo
dove avrebbe dovuto iniziare l'insurrezione però, non trovò nessuno, e così
rimasto solo, dovette fuggire. Fece appena in tempo a salvarsi dalla condanna a
morte emanata contro di lui, salendo su una nave in partenza per l'America del
Sud dove continuerà a combattere per la libertà dei popoli. M., invece,
poiché aveva personalmente preso parte alla spedizione con Ramorino, fu espulso
dalla Svizzera e dovette cercare rifugio in Inghilterra. Lì continuò la propria
azione politica attraverso discorsi pubblici, lettere e scritti su giornali e
riviste, aiutando a distanza gli italiani a mantenere il desiderio di unità e
indipendenza. Anche se l'insuccesso dei moti fu assoluto, dopo questi eventi la
linea politica di Carlo Alberto mutò, temendo che reazioni eccessive potessero
diventare pericolose per la monarchia. La vita mi pesa, ma credo sia
debito di ciascun uomo di non gettarla, se non virilmente o in modo che rechi
testimonianza della propria credenza.» (M., lettera di risposta ad Angelo
Usiglio, Londra. Altri tentativi pure falliti si ebbero a Palermo, in Abruzzo,
nella Lombardia austriaca, in Toscana. Il fallimento di tanti generosi sforzi e
l'altissimo prezzo di sangue pagato fecero attraversare a Mazzini quella che
egli chiamò la tempesta del dubbio, una fase di depressione, in cui, come in
gioventù, come ricorda nelle Note autobiografiche, pensò anche al suicidio, da
cui uscì religiosamente convinto ancora una volta della validità dei propri
ideali politici e morali. Dall'esilio di Londra, dopo essere stato espulso dalla Svizzera,
riprese quindi il suo apostolato insurrezionale. Nello stesso periodo esce il
saggio La filosofia della musica sulla rivista L'italiano pubblicata a Parigi. Fratelli
Bandiera. Esecuzione dei fratelli Bandiera a Cosenza Nobili, figli
dell'ammiraglio Bandiera e, a loro volta, ufficiali della Marina da guerra
austriaca, aderirono alle idee mazziniane e fondarono una loro società segreta,
l'Esperia e con essa tentarono di effettuare una sollevazione popolare nel Sud
Italia. I fratelli Emilio e Attilio Bandiera parteno da Corfù (dove
avevano una base allestita con l'ausilio del barese Vito Infante) alla volta
della Calabria seguiti da 17 compagni, dal brigante calabrese Giuseppe Meluso e
dal corso Pietro Boccheciampe. Era loro giunta infatti la notizia dello scoppio
di una rivolta a Cosenza che essi credevano condotta nel nome di M.. In realtà
non solo la ribellione non aveva alcuna motivazione patriottica ma era già
stata domata dall'esercito borbonico. Quando sbarcarono alla foce del
fiume Neto, vicino a Crotone, appresero che la rivolta era già stata repressa
nel sangue e al momento non era in corso alcuna ribellione all'autorità del re.
Il Boccheciampe, appresa la notizia che non c'era alcuna sommossa a cui
partecipare, sparì e andò al posto di polizia di Crotone per denunciare i
compagni. I due fratelli vollero lo stesso continuare l'impresa e partirono per
la Sila. Subito iniziarono le ricerche dei rivoltosi ad opera delle
guardie civiche borboniche, aiutate da comuni cittadini che credevano i
mazziniani dei briganti; dopo alcuni scontri a fuoco, vennero catturati (meno
il brigante Meluso, buon conoscitore dei luoghi, che riuscì a sfuggire alla cattura)
e portati a Cosenza, dove i fratelli Bandiera con altri 7 compagni vennero
fucilati nel Vallone di Rovito. Il re
Ferdinando II ringraziò la popolazione locale per il grande attaccamento
dimostrato alla Corona e la premiò concedendo medaglie d'oro e d'argento e
pensioni generose. «Mazzini, colpito da tanta fermezza e da tanta sventura,
restò commosso da quell'efferata barbarie e celebrò la memoria di quei martiri
in un opuscolo uscito a Parigi. Vdendo nel loro sacrificio la realizzazione dei
propri ideali così scriveva in un opuscolo a loro dedicato: «Il martirio non è
sterile mai. Il martirio per un'Idea è la più alta formula che l'Io umano possa
raggiungere per esprimere la propria missione; e quando un giusto sorge di
mezzo a' suoi fratelli giacenti ed esclamaecco: questo è il vero, e io,
morendo, l'adorouno spirito di nuova vita si trasfonde per tutta l'umanità. I
sagrificati di Cosenza hanno insegnato a noi tutti che l'uomo deve vivere e
morire per le proprie credenze: hanno provato al mondo che gl'Italiani sanno
morire: hanno convalidato per tutta l'Europa l'opinione che una Italia sarà. Voi
potete uccidere pochi uomini, ma non l'Idea. l'Idea è immortale. Dopo i moti e capo,
con Aurelio Saffi e Carlo Armellini della Repubblica Romana, soppressa dalla
reazione francese. Fu l'ultima rivolta a cui M. prese parte direttamente.
Moto di Milano e sollevazione in
Valtellina. Ispirato al mazzinianesimo e alle ideologie socialiste fu il moto
di Milano, a cui tuttavia M. non prese parte, e che fallì; analoga sorte ebbe
la rivolta in Valtellina dell'anno seguente. Nel moto milanese si mise in luce
Felice Orsini, che di lì a poco avrebbe rotto con Mazzini e organizzato
l'attentato a Napoleone III, fermamente condannato dal genovese poiché
risoltosi in una strage di cittadini innocenti. Spedizione di Sapri.
Pisacane Il piano originale, secondo il metodo insurrezionale mazziniano,
prevedeva di accendere un focolaio di rivolta in Sicilia dove era molto diffuso
il malcontento contro i Borboni, e da lì estenderla a tutto il Mezzogiorno
d'Italia. Successivamente invece si pensò più opportuno partendo dal porto di
Genova di sbarcare a Ponza per liberare alcuni prigionieri politici lì
rinchiusi, per rinforzare le file della spedizione e infine dirigersi a Sapri,
che posta al confine tra Campania e Basilicata, era ritenuta un punto
strategico ideale per attendere dei rinforzi e marciare su Napoli.
Pisacane s'imbarca con altri ventiquattro sovversivi, tra cui Nicotera e
Falcone, sul piroscafo di linea Cagliari, della Società Rubattino, diretto a
Tunisi. Sbarca a Ponza dove, sventolando il tricolore, riuscì agevolmente a
liberare 323 detenuti, poche decine dei quali per reati politici per il resto
delinquenti comuni, aggregandoli quasi tutti alla spedizione. Il 28, il Cagliari
ripartì carico di detenuti comuni e delle armi sottratte al presidio borbonico.
La sera i congiurati sbarcarono a Sapri, ma non trovarono ad accoglierli quelle
masse rivoltose che si attendevano. Anzi furono affrontati dalle falci dei
contadini ai quali le autorità borboniche avevano per tempo annunziato lo
sbarco di una banda di ergastolani evasi dall'isola di Ponza. Il 1º
luglio, a Padula vennero circondati e 25 di loro furono massacrati dai
contadini. Gli altri, per un totale di 150, vennero catturati e consegi
gendarmi. Pisacane, con Nicotera, Falcone e gli ultimi superstiti, riuscirono a
fuggire a Sanza dove furono ancora aggrediti dalla popolazione: perirono in 83;
Pisacane e Falcone si suicidarono con le loro pistole, mentre quelli scampati
all'ira popolare furono poi processati. Condan morte, furono graziati dal Re,
che tramuts la pena in ergastolo. Senso dell'impresa Pur essendo quella
di Sapri un'impresa tipicamente mazziniana, condotta «senza speranza di
premio», in effetti essa rispondeva alle idee politiche di Pisacane che si era
allontanato dalla dottrina del Maestro per accostarsi a un socialismo
libertario espresso dalla formula "Libertà e associazione".
Contrariamente a Mazzini che riguardo alla questione sociale proponeva una
soluzione interclassista solo dopo aver risolto il problema unitario, Pisacane
pensava infatti che per arrivare ad una rivoluzione patriottica unitaria e
nazionale occorresse prima risolvere la questione contadina che era quella
della riforma agraria. Come lasciò scritto nel suo testamento politico in
appendice al Saggio sulla rivoluzione, «profonda mia convinzione di essere la
propaganda dell'idea una chimera e l'istruzione popolare un'assurdità. Le idee
nascono dai fatti e non questi da quelle, ed il popolo non sarà libero perché
sarà istrutto, ma sarà ben tosto istrutto quando sarà libero». Vicino
agli ideali mazziniani era Pisacane invece quando aggiungeva nello stesso
scritto che quand'anche la rivolta fallisse «ogni mia ricompensa io la troverò
nel fondo della mia coscienza e nell'animo di questi cari e generosi amici...
che se il nostro sacrificio non apporta alcun bene all'Italia, sarà almeno una
gloria per essa aver prodotto figli che vollero immolarsi al suo avvenire. La
spedizione fallita ebbe in effetti il merito di riproporre all'opinione
pubblica italiana la questione napoletana, la liberazione cioè del Mezzogiorno
italiano dal malgoverno borbonico che Gladstone definiva negazione di Dio
eretta a sistema di governo.. Infine il tentativo di Pisacane sembrava
riproporre la possibilità di un'alternativa democratico-popolare come soluzione
al problema italiano: era un segnale d'allarme che costituì per il governo di
Vittorio Emanuele II uno stimolo ad affrettare i tempi dell'azione per
realizzare la soluzione diplomatico militare dell'unità italiana.
Appoggio a Garibaldi e ultimi tentativi M. appoggiò moralmente la spedizione
dei Mille di Garibaldi, che egli considerava una valida opposizione a Cavour.
Dopo l'Unità riprese la lotta repubblicana, ma le persecuzioni della polizia
sabauda e le condizioni di salute limitarono i suoi ultimi tentativi.
Controversie Stampa raffigurante Mazzini con l'epitaffio della tomba a
Staglieno Conflitto con Cavour M., che dopo la sua attività cospirativa fu
esiliato dal governo piemontese a Ginevra, fu uno strenuo oppositore della
guerra di Crimea, che costò un'ingente perdita di soldati al regno sardo. Egli
rivolse un appello ai militari in partenza per il conflitto: «Quindicimila tra
voi stanno per essere deportati in Crimea. Non uno forse tra voi rivedrà la
propria famiglia. Voi non avrete onore di battaglie. Morrete, senza gloria,
senza aureola, di splendidi fatti da tramandarsi per voi, conforto ultimo ai
vostri cari. Morrete per colpa di governi e capi stranieri. Per servire un
falso disegno straniero, l'ossa vostre biancheggeranno calpestate dal cavallo del
cosacco, su terre lontane, né alcuno dei vostri potrà raccoglierle e piangervi
sopra. Per questo io vi chiamo, col dolore dell'anima, deportati. Quando Napoleone
III scampò all'attentato teso da Orsini e Pieri, il governo di Torino incolpò M.
(Cavour lo avrebbe definito "il capo di un'orda di fanatici
assassini" oltreché "un nemico pericoloso quanto l'Austria"), poiché
i due attentatori avevano militato nel suo Partito d'Azione. Secondo Denis Mack
Smith, Cavour aveva in passato finanziato i due rivoluzionari a causa della
loro rottura con M. e, dopo l'attentato a Napoleone III e la conseguente
condanna dei due, alla vedova di Orsini fu assicurata una pensione. Cavour al
riguardo fece anche pressioni politiche sulla magistratura per far giudicare e
condannare la stampa radicale. Egli, inoltre, favorì l'agenzia Stefani con
fondi segreti sebbene lo Statuto vietasse privilegi e monopoli ai privati. Così
l'agenzia Stefani, forte delle solide relazioni con Cavour divenne, secondo
Fiore, un fondamentale strumento governativo per il controllo mediatico nel
Regno di Sardegna. M., intanto, oltre ad aver condannato il gesto di Orsini e
Pieri, espose un attacco nei confronti del primo ministro, pubblicato sul
giornale Italia del popolo: «Voi avete inaugurato in Piemonte un fatale
dualismo, avete corrotto la nostra gioventù, sostituendo una politica di
menzogne e di artifici alla serena politica di colui che desidera risorgere.
Tra voi e noi, signore, un abisso ci separa. Noi rappresentiamo l'Italia, voi
la vecchia sospettosa ambizione monarchica. Noi desideriamo soprattutto l'unità
nazionale, voi l'ingrandimento territoriale» (M.]) Timori di M. per la
cessione della Sardegna Estratto di articolo di giornale inglese
Mazzini temeva che Cavour, dopo la cessione della Savoia e di Nizza, potesse
cedere anche la Sardegna, una delle cosiddette “tre Irlande”, sulla base di
altri supposti accordi segreti di Cavour con la Francia, in cambio di una
definitiva unificazione italiana, accordi che preoccupavano anche
l’Inghilterra, la quale era intervenuta presso Cavour per avere rassicurazioni
sul fatto che non sarebbe stato ceduto altro territorio italiano alla Francia.
Russell commenta a Hudson, in Torino, di dire al Conte di Cavour, che il
Governo inglese, informato di un disegno per la cessione della Sardegna alla
Francia, protestava e chiedeva promessa formale di non cedere territorio
italiano. Il dispaccio era comunicato il 26 a Cavour.» (da Scritti editi
e inediti di M., per cura della Commissione editrice degli scritti di Giuseppe
Mazzini, Roma]) Riguardo alla cessione della Sardegna alla Francia, M.
affermava anche. L’opposizione minacciosa dell’Inghilterra e la nostra, possono
renderlo praticamente impossibile.» (da Scritti editi ed inediti di
Giuseppe Mazzini, per cura della Commissione editrice degli scritti di M., Roma)
Alcune affermazioni di Giovanni Battista Tuveri, esponente del cattolicesimo
federalista, deputato per due volte al Parlamento Subalpino e amico di M.,
confermano la possibilità di accordi segreti relativi alla cessione della
Sardegna alla Francia per una definitiva unificazione del resto della penisola:
«Vicino a M. ed a Cattaneo, ma con una propria originalità di pensiero, il
Tuveri fu sempre fedele alle sue convinzioni federaliste o, in mancanza di
meglio, autonomiste, né esitò ad impegnarsi nell'azione pratica quando circolò
insistente la voce che Cavour, dopo Nizza e la Savoia, intendesse cedere alla
Francia anche la Sardegna» Anche il giornale britannico "The
Illustrated London News" citava l'inopportunità
di cedere la Sardegna alla Francia, commento che aveva suscitato reazioni nella
stampa francese e fatto suggerire altre ipotesi. Mazzini suscita continuamente
energie, affascinò per quarant'anni ogni ondata di gioventù e intanto gli
anziani gli sfuggivano. Quasi tutti i grandi personaggi del Risorgimento
aderirono al mazzinianesimo ma pochi vi restarono. Il contenuto religioso
profetico del pensiero del Maestro, in un certo modo rivelatore di una nuova
fede, imbrigliava l'azione politica. M. infatti non aveva «la duttilità e la
mutevolezza necessaria per dominare e imprigionare razionalmente le forze». Per
questo occorreva una capacità di compromesso politico propria dell'uomo di
governo come fu Cavour. Il compito di Mazzini fu invece quello di creare l’animus.
Quando sembrava che il problema italiano non avesse via d'uscita «ecco per
opera sua la gioventù italiana sacrificarsi in una suprema protesta. I
sacrifici parevano sterili», ma invece risvegliavano l'opinione pubblica
italiana e europea. La tragedia della Giovine Italia «impose il problema
italiano a una sempre più vasta sfera d'Italiani: che reagì sì con un programma
più moderato ma infine entrò in azione e quegli stessi ex mazziniani che
avevano rinnegato il Maestro aderendo al moderatismo riformista alla fine
dovettero abbandonare ogni progetto federalista e acconsentire all'entusiasmo
popolare suscitato dalle idee mazziniane di un riordinamento unitario italiano.
Le idee politiche di Mazzini furono alla base della nascita del Partito
Repubblicano Italiano. Tramite la Costituzione della Repubblica Romana,
ispirata al mazzinianesimo e considerata un modello per molto tempo, fu uno dei
pensatori le cui idee furono alla base della Costituzione Italiana. Inoltre
ebbe una grande influenza anche fuori dall'Italia: politici occidentali come
Wilson (con i suoi Quattordici Punti) e Lloyd George e molti leader
post-coloniali tra i quali Gandhi, Meir, David Ben-Gurion, Nehru e Sun Yat-sen
consideravano Mazzini il proprio maestro e il testo mazziniano Dei doveri
dell'uomo come la propria "Bibbia" morale, etica e politica. Mazzini
conteso tra fascismo e antifascismo M. sul letto di morte L'eredità
ideale e politica del pensiero di M. è stata a lungo oggetto di dibattito tra
opposte interpretazioni, in particolare durante il Fascismo e la Resistenza.
Già prima dell'avvento del FASCISMO, il cinquantenario della sua morte e
celebrato con una serie di francobolli. In seguito, nel Ventennio fascista M. e
oggetto di citazioni in libri, articoli, discorsi, fino al punto d'essere
considerato una sorta di precursore del regime di MUSSOLINI. Secondo un appunto
diaristico (intitolato "Ripresa mazziniana") diBottai, però,
l'utilizzo che ne fa MUSSOLINI e strumentale. La popolarità di M. durante
il periodo fascista è dovuta anche ai numerosi repubblicani che confluirono nei
Fasci di combattimento, iniziando il loro percorso di avvicinamento a MUSSOLINI
durante la battaglia interventista, soprattutto nelle aree dove maggiore era la
presenza del PRI, cioè in Romagna e nelle Marche. Sulle pagine de L'Iniziativa,
l'organo di stampa del PRI, si guardava a Mussolini come al «magnifico bardo
del nostro interventismo». Particolare e il caso di Bologna, città in cui i
repubblicani Nenni, e i fratelli Bergamo presero parte attivamente alla
fondazione del primo Fascio di combattimento emiliano per poi abbandonarlo poco
dopo diventando avversari del fascismo. Tra i più famosi repubblicani che
aderirono al fascismo vi furono Balbo (che si era laureato con una tesi su
"Il pensiero economico e sociale di M. e del quale Segrè ha scritto:
«Balbo, prima di aderire al Fascismo nel '21, esitò a lasciare i repubblicani
fino all'ultimo momento e considerò la possibilità di mantenere la doppia
iscrizione»), Malaparte e Ricci, che nel FASCISMO vede la perfetta sintesi fra
«la Monarchia d’ALIGHIERI e il Concilio di M. L'intellettuale mazziniano.
Cantimori, nella prima fase del suo percorso politico che lo portò prima ad
aderire al fascismo poi al comunismo, considerava il fascismo «compimento della
rivoluzione nazionale iniziatasi con il Risorgimento, che doveva riuscire dove
il processo risorgimentale e il cinquantennio successivo avevano fallito:
nell'inserimento e nell'integrazione delle masse nello stato nazionale, nella
creazione di una più vera democrazia, ben diversa dal
"parlamentarismo" e lontana dall'"affarismo", dal
"particolarismo", dall'"inerzia" che avevano caratterizzato
l'Italia liberale». Inizialmente la tesi delle origini risorgimentali del
fascismo fu fatta propria anche dai comunisti. Togliatti, polemizzando con il
movimento Giustizia e Libertà e il suo fondatore Rosselli, in un articolo su Lo Stato operaio
critica il Risorgimento e indicò in M. un precursore del FASCISMO. La
tradizione del Risorgimento vive quindi nel fascismo, ed è stata da esso
sviluppata fino all'estremo. M., se fosse vivo, plaudirebbe alle dottrine
corporative, né ripudierebbe i discorsi di MUSSOLINI sulla funzione dell'Italia
nel mondo. La rivoluzione anti-fascista non potrà essere che una rivoluzione
"contro il Risorgimento", contro la sua ideologia, contro la sua
politica, contro la soluzione che esso ha dato al problema della unità dello
Stato e a tutti i problemi della vita nazionale. La stessa posizione fu assunta
d’Amendola, durante il confino a Ponza, nel primo di due corsi sul Risorgimento
tenuti per i confinati, per poi rivedere tale impostazione nel secondo corso,
dopo la svolta unitaria (che segnò l'inizio della politica del fronte popolare
con la conclusione di un "patto d'unità d'azione" con i socialisti),
allorché insistette sulle origini risorgimentali del movimento operaio. I
fascisti, inoltre, rivendicavano una continuità con il pensiero mazziniano
anche riguardo l'idea di “patria”, la concezione spirituale della vita,
l'importanza dell'educazione di come strumento per creare un uomo nuovo e una
dottrina economica ispirata alla collaborazione tra le classi sociali. Baioni
scrive a proposito della contemporanea celebrazione nell’anniversario della
morte di Garibaldi e del decennale della Marcia su Roma che le principali
manifestazioni sembrano confermare il nesso tra il bisogno di presentare il
fascismo come erede delle migliori tradizioni nazionali e la volontà non meno
forte ad enfatizzarne le componenti moderne, che avrebbero dovuto distinguerlo
come originale esperimento politico e sociale. Negli anni della Resistenza la
situazione si complica maggiormente: il fascismo della repubblica sociale
italiana intensifica naturalmente i richiami a Mazzini. Ad esempio la data del
giuramento della guardia nazionale repubblicana venne fissata nel giorno della
proclamazione, quasi un secolo prima, della repubblica romana che aveva avuto
alla sua testa il triumviro Mazzini. Ma anche gli anti-fascisti, in particolare
i partigiani di Giustizia e Libertà di Rosselli, iniziano a richiamarsi sempre
più apertamente al rivoluzionario genovese. Proprio Rosselli scrisse che agiamo
nello spirito di Mazzini, e sentiamo profondamente la continuità ideale fra la
lotta dei nostri ante-nati per la libertà e quella di oggi. A seguito della
caduta del fascismo e dell'armistizio di Cassibile, la lotta contro il nazi-fascismo
vide la partecipazione dei repubblicani (il cui partito era stato sciolto dal
Regime) anche attraverso la formazione di proprie unità partigiane denominate
Brigate M.. Anche un comandante partigiano, proposto per la medaglia d'oro al
valor militare, Manrico Ducceschi, ispirò la sua azione all'ideologia
mazziniana adottando in onore di Mazzini il nome di battaglia di
"Pippo", lo stesso pseudonimo usato dal patriota genovese. Altri
saggi: Atto di fratellanza della Giovane Europa in Giuseppe Mazzini, Edizione
nazionale degli scritti., Imola, s.e., 1Dei doveri dell'uomo Fede ed avvenire
Editore Mursia Doveri dell'Uomo Editori Riuniti university press Roma Pensieri sulla democrazia in Europa, trad.
Mastellone, Feltrinelli, Milano, Andrea Tugnoli, La pittura moderna in Italia,
Bologna, CLUEB, Antologia di scritti Dal Risorgimento all'Europa Mursia Periodici diretti da M. L'apostolato popolare
Il nuovo conciliatore L'educatore Le Proscrit. Journal de la République
Universelle Il tribunoNote La Civiltà cattolica,
La Civiltà Cattolica, «La politica acquista pathos religioso, e sempre
più col procedere del secolo... la nazione diventa patria: e la patria la nuova
divinità del mondo moderno. Nuova divinità e come tale sacra.» in F. Chabod,
L'idea di nazione, Laterza, Bari); Da Dei doveri dell'uomoFede e avvenire,
Paolo Rossi, Mursia, Milano; L'uomo nuovo in Montanelli, L'Italia giacobina e carbonara,
Rizzoli, Milano, Schmid, Michael Rossington, The Reception of Shelley in Europe Citato nell'Edizione nazionale degli Scritti
di Giuseppe Mazzini a cura della Commissione per l'edizione nazionale degli
Scritti di M., Cooperativa tipografico-editriceGaleati; per la citazione vedi
anche: Memoriale M.-Domus Mazziniana; Introduzione a Jessie White Mario, Vita
di M. su Castelvecchi Editore; Giuseppe Santonastaso, Edgar Quinet e la
religione della libertà, edizioni Dedalo; Felis, Italia unità o disunità?
Interrogativi sul federalismo, Armando editore,, pag. 7. Comune di Savona Liguria magazine in. Gilles Pécout, Il lungo Risorgimento: la
nascita dell'Italia contemporanea Pearson Italia S.p.a., 01 Patria, nazione e stato tra unità e
federalismo. M., Cattaneo e Tuveri, CUEC, University Press-Ricerche storiche, La
tesi del figlio sicuramente di Mazzini è sostenuta in Bruno Gatta, Mazzini una
vita per un sogno, Guida, Il dubbio invece che si trattasse veramente di un
figlio di Mazzini è espresso in Luigi Ambrosoli (M.: una vita per l'unità
d'Italia, ed.Lacaita): «Ma proprio il ritardo con cui venne comunicata a
Mazzini la notizia della morte di Adolphe fa sorgere qualche dubbio sulla
supposizione, per le altre ragioni accennate ben fondata, che si trattasse di
suo figlio». Dubbi simili vengono riportati in Mastellone, M. e la
"Giovine Italia", Domus
Mazziniana, («D'altra parte, è da aggiungere che nelle lettere inedite a
Ollivier, che pubblichiamo, M., pur parlando di Giuditta come della propria
amica, se accenna ad Adolphe come figlio di Giuditta, non allude al bambino
come proprio figlio:...») Barberis, in Dizionario biografico degli italiani,
Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
M. a Londra È l'autrice del
romanzo gotico Frankenstein (Frankenstein: or, The Modern Prometheus). Curò le
edizioni delle poesie del marito Shelley, poeta romantico e filosofo. Era
figlia della filosofa Mary Wollstonecraft, antesignana del femminismo, e del
filosofo e politico William Godwin.
Susanne Schmid, Michael Rossington, The Reception of P.B. Shelley in
Europe Seymour, Mary Shelley, M., il
cospiratore senza segreti Lettere di
Mazzini ad Aurelio Saffi e alla famiglia Crauford Giuseppe Mazzatinti Soc.
Alighieri Politica e storia Buonarroti e
altri studidi Pia Onnis Rosa Edizioni di storia e letteratura Roma M. «pavese»
e l'Unità d'Europa Quando M. scatenò il
patatrac sognando la Repubblica pbmstoria. Legnago a Giuseppe Mazzini, Grafiche
Stella, S. Pietro di Legnago (Verona) Scarpelli, La scimmia, l'uomo e il
superuomo. Nietzsche: evoluzioni e involuzioni
Pensiero di M., brigantaggio: la Repubblica nasce nel nome di M., su
pri.Carducci scrisse una famosa lirica intitolata Mazzini i cui versi finali
sono rimasti nella storia: «E un popol morto dietro a lui si mise. Esule
antico, al ciel mite e severo Leva ora il volto che giammai non rise, /Tu
solpensandoo ideal, sei vero». La stessa
semplice scritta volle Spadolini, politico e storico repubblicano, sulla
propria tomba a Firenze Luigi Polo Friz,
La massoneria italiana nel decennio post unitario: Lodovico Frapolli, Franco
Angeli, Storia della Massoneria in Italia. L'influenza di M. nella Massoneria
Italiana in. La stanza di Montanelli L' unità d' Italia e
la Massoneria M. massone? A.Desideri, Storia e storiografia, IEd.
D'Anna, Messina. Gli sconvolgimenti operati dalla Rivoluzione francese avevano
fatto dubitare a molti uomini della razionalità della storia, così altamente
proclamata nel secolo precedente. L'unica alternativa allo scetticismo parve
allora la fede in una forza arcana operante provvidenzialmente nella storia» in
A. Desideri, Ibidem «S'identificò la
storia della civiltà con la storia della religione, e si scorse una forza
provvidenziale non solo nelle monarchie, ma sin nel carnefice, che non potrebbe
sorgere e operare nella sua sinistra funzione se non lo suscitasse, a tutela
della giustizia, Iddio: tanto è lungi dall'essere operatore e costruttore di
storia l'arbitrio individuale e il raziocino logico». Adolfo Omodeo, L'età del
Risorgimento italiano, Napoli. Così il genere umano è in gran parte
naturalmente servo e non può essere tolto da questo stato altro che
soprannaturalmente... senza il cristianesimo, niente libertà generale. e senza
il papa non si dà vero cristianesimo operoso, potente, convertitore, rigeneratore,
conquistatore, perfezionante.» (cfr. Maistre, Il Papa, trad. di T. Casini,
Firenze) M., Fede e avvenire, M., Fede e
avvenire. Ha una visione utopica, romantica e anche sincretistica della
religione, che egli considerava come il contributo, in termini di princìpi
universali, delle varie confessioni e fedi alla storia collettiva.» SenatoDoveri
dell'uomo, M., Dei doveri dell'uomo
Fusatoshi Fujisawa, La terza Roma. Dal Risorgimento al Fascismo, Tokyo, M.
il patriota scomodo Reghini a metà
strada tra fascismo e massoneria «Noi
dissentivamo su diversi punti: sulle idee religiose, ch'ei non guardava, errore
comune al più, se non attraverso le credenze consunte e perciò tiranniche
dell'oggi; sul cosiddetto socialismo, che riducevasi a una mera questione di
parole dacché i sistemi esclusivi, assurdi, immorali delle sétte francesi erano
ad uno ad uno da lui respinti e sulla vasta idea sociale fatta oggimai
inseparabile in tutte le menti d'Europa dal moto politico io andava forse più
in là di lui: sopra una o due cose delle minori spettanti all'ordinamento della
futura milizia; e talora sul modo d'intendere l'obbligo che abbiamo tutti di
serbar fede al Vero. Ma il differire di tempo in tempo sui modi d'antivedere
l'avvenire non ci toglieva d'essere intesi sulle condizioni presenti e sulla
scelta dei rimedi» (M. su Pisacane)
Lettera a Forte Londra. Noi crediamo in una serie infinita di
reincarnazioni dell'anima, di vita in vita, di mondo in mondo, ciascuna delle
quali rappresenta un miglioramento ulteriore…» (M., in Bratina). La vita
d'un'anima è sacra, in ogni suo periodo: nel periodo terreno come negli altri
che seguiranno; bensì, ogni periodo dev'esser preparazione all'altro, ogni
sviluppo temporale deve giovare allo sviluppo continuo ascendente della vita
immortale che Dio trasfuse in ciascuno di noi e nella umanità complessiva che
cresce con l'opera di ciascuno di noi» (Dei doveri dell'uomo). Leggeva Dumas e i testi buddisti Il volto
inaspettato di Mazzini Il Foscolo, che
scriveva di aver visto da giovinetto a Venezia un "libercolo"
attribuito a Gioacchino, in cui erano indicati i papi futuri, affermava che la
fama dell'abate era "santissima" tanto che Montaigne, desiderava di
poter vedere questa meraviglia: «le livre de Calabrois, qui prédisait tous les
papes futurs, leurs noms et formes» G.
da Fiore, Concordia Veteris et Novi testamenti, B. Rosa, Gli appunti
manoscritti di Mazzini, Impronta, Torino, Sarti, M. La politica come religione
civile, con postfazione di Mattarelli, Roma-Bari, Laterza, A.Omodeo, Introduzione a M., Scritti scelti,
Mondadori, Milano, «L'Italia trionferà
quando il contadino cambierà spontaneamente la marra con il fucile». in C.
Pisacane, Saggio sulla rivoluzione, ed. Universale Economica, Milano; M.:
comunismo vuol dire dittatura Il
"Manifesto" di Marx? Scritto contro Mazzini Doveri dell'uomo, capitolo XI, punto 3° M., Doveri dell'uomo, cap.XI (in Baravelli,
L'Italia liberale, ArchetipoLibri, A.
Gacino-Canina, Economisti del Risorgimento, Torino, POMBA, 1G. Mazzini, Istruzione
generale per gli affiliati nella Giovine Italia in Scritti editi e inediti, II,
Imola, M., op. cit. Nome col quale i
greci indicavano l'Italia antica L. Stefanoni,
G. M.: notizie storiche, Presso Barbini, Ricordi dei fratelli Bandiera e dei
loro compagni di martirio in Cosenza Documentati colla loro corrispondenza, Dai
torchi della Signora Lacombe, Pisacane. Volantino pubblicato su "Italia
del popolo", G. Cataldo, Chi ha paura di M.?, in la stampa. D. Smith, M.,
Rizzoli, Milano, D. Smith, Contro-storia dell'unità d'Italia: fatti e misfatti
del Risorgimento, Milano, Gigi Di Fiore, Cappa, Cavour, Laterza, definizione di
Cavour riportata da The Morning Post. We have three Irelands, in Sardinia,
Genoa and Savoy La terza Irlanda, Gli
scritti sulla Sardegna di C. Cattaneo e M., Cattaneo, M., Francesco Cheratzu,
8pagg. M. La Sardegna Tip. A. Debatte Livorno, Risorgimento Rassegna The Illustrated
London News In A. Saitta, Antologia di critica storica, Laterza, Le citazioni
sono tratte da A. Omodeo, Introduzione a M., Scritti scelti, Mondatori, Milano,
(Fusaro); Benedetti “M. in Camicia nera” edito della Fondazione 'Ugo La Malfa';
Dal diario di Bottai. Spesso, all'uscita dei cento e più volumi dell'edizione
nazionale di M. trovo il Duce, a palazzo Venezia, immerso nelle folte pagine. O
meglio, v'immergeva, a ferire di pugnale, il suo metallico tagliacarte: e ne
tirava fuori brandelli di M. A quando a quando il brandello anti-francese,
anti-illuminista, anti-nglese, anti-socialista, etc. etc. Brandelli, mai
tutt'intero, nella sua viva, molteplice e pur varia personalità; S. Luzzatto,
Riprese mazziniane, Mestiere di storico: rivista della Società italiana per lo
studio della storia contemporanea (Roma: Viella); P. Benedetti "Mazzini
nell'ideologia del fascismo" G. Belardelli,
“Camerata M., presente!” Gentile, Balbo, Rocco, Bottai: tutti i fascisti
tentarono di arruolarlo, Corriere della Sera; “Manifesto realista” pubblicato
sulla rivista L'Universale Cromohs Pertici Mazzinianesimo, fascismo, comunismo:
l'itinerario politico di D. Cantimori, R. Pertici, Mazzinianesimo, Fascismo, Comunismo:
L'itinerario politico di Cantimori Cromohs, La memoria e le interpretazioni del
Risorgimento, Guerra e fascismo da 150anni. Togliatti, Sul movimento di
«Giustizia e Libertà», in Lo Stato operaio, antologia F. Ferri, Roma, Riuniti);
Fatica, Amendola, Giorgio, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Mieli,
"L'Italia impossibile di Mazzini un fallito di genio", Corriere della
Sera, M. Baioni, Il Risorgimento in camicia nera, Carocci, Roma; Corriere della
Sera in Arianna editrice Mario
Ragionieri Salò e l'Italia nella guerra civile, Ibiskos, P. Mieli, art.
cit. Treccani Enciclopedie, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Associazione Nazionale Partigiani d'Italia.
“Saggi”, A. Saffi e di E. Nathan, Roma, “Lettere a Saffi e alla
famiglia Craufurd, Società Dante Alighieri di Albrighi, Segati, Roma); “La
democrazia in Europa, trad. a cura di S. Mastellone, Feltrinelli, Milano, V. Marchi,
Ricostruzione della filosofia religiosa, in Dio e Popolo, Marchi, Camerino Joseph
de Maistre, Il Papa, Firenze, A. Omodeo (Milano, Mondadori); A. Codignola (Torino,
POMBA); Omodeo, “Il ri-sorgimento italiano, Napoli, ESI, Chabod, L'idea di
nazione, Bari, Laterza, Monsagrati (Milano, Adelphi); Batini, Album di Pisa,
Firenze, La Nazione, F. Peruta, I rivoluzionari italiani: il partito d'azione, Milano,
Feltrinelli, Il processo a Vochieri, Alessandria, Lions; Albertini, Il
Risorgimento e l'unità europea, Napoli, Guida, Smith (Milano, Rizzoli); S.
Mastellone, Il progetto politico di Mazzini: Italia-Europa, Firenze, Olschki); Desideri,
Storia e storiografia, Messina, Anna); R. Sarti, La politica come religione
civile (Roma, Laterza, Mattarelli, Dialogo sui doveri (Venezia, Marsilio); Galletto,
Nella vita e nella storia” (Battagin); N.
Erba, Unità nazionale e Critica storica, Grasso , Padova. N. Erba, Il
Contributo italiano alla storia del pensiero Ottava Appendice. Storia e
politica, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, Dear Kate. Lettere
inedite di M. a Katherine Hill, A. Bezzi e altri italiani a Londra, Rubbettino;
Saggio sulla rivoluzione, Universale Economica, Milano); I sistemi e la
democrazia. Pensieri Con una Appendice su La religione di M. scelta di pagine
dall'Opuscolo Dal Concilio a Dio, V. Gueglio (note al testo, repertorio dei
nomi e saggio introduttivo) Milano, Greco); Giuseppe Mazzini verifiche e
incontri Atti del Convegno Nazionale di Studi, Genova, Gammarò, Tufarulo, G,M.-
L'Iniziatore, l'iniziato, Dio e popolo. La tempesta mazziniana nella
rivoluzione del pensiero Cultura e Prospettive, Filmografia Viva l'Italia di R.
Rossellini. Film incentrato sulla spedizione dei Mille. M., sceneggiato RAI, regia
di P. Passalacqua, Il generale, sceneggiato RAI, regia di Magni. M. è interpretato da Bucci. Noi credevamo di M.
Martone. Mazzini è interpretato da T. Servillo. Garibaldi, miniserie di Rai 1 ;
interpretato da Lombardo. L'alba della libertà, cortometraggio, regia di Emanuela
Morozzi, Associazione Mazziniana Italiana Domus Mazziniana Doveri dell'uomo
Mazzinianesimo Monumento a M. (Firenze) Museo del Risorgimento e istituto mazziniano
Pensieri sulla democrazia in Europa Risorgimento. su Treccani Enciclopedie, Istituto
dell'Enciclopedia. Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario di storia, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana,. su sapere,
De Agostini. hls-dhs-dss.ch, Dizionario storico della Svizzera. Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, storia.camera,
Camera dei deputati. Istituto Mazziniano
a Genova; Rai Tv: "La Storia siamo noi": una certa idea dell'Italia,
su la storia siamo noi.rai. 3Mazzini e le frontiere d'Italia su viacialdini.
Pagine mazziniane: "il pensiero e l'azione", dal sito della
Biblioteca Nazionale di Napoli, su vecchiosito bnn Domus Mazziniana di Pisa, su
domusmazziniana. Associazione Mazziniana Italiana, Scritti Prose politiche, Cenni
e documenti intorno all'insurrezione lombarda e alla guerra regia, Scritti
editi e inedit, Celebrazioni mazziniane Mazzini, Triumviro della Repubblica
Romana, A. Saliceti Aurelio Saliceti. Giuseppe Mazzini. Mazzini. Keywords: la
giovine italia, la tesi di laurea di Benedetti su Mazzini nella ideologia
fascista, ideologia fascista, gentile, bobbio, garibaldi, nazione italiana,
stato nazionale, stato unitario. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Mazzini” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e Mazzoni: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale – la vita attiva dei romani – filosofia italiana -- Luigi
Speranza (Cesena). Filosofo italiano.
Grice: “Mazzoni is important on various fronts: he loves Dante, or Alighieri
as Strawson calls him – his library in organised alphabetically; the other
front I forget!” Compì i suoi studi di lettere a Bologna e
quelli di filosofia a Padova. Membro dell'Accademia della Crusca, fu tra i
preferiti del papa Gregorio XIII che lo avrebbe voluto prelato; Mazzoni preferì
proseguire nella carriera universitaria. Dapprima fu all'Macerata, ed in
seguito a Pisa, dove ebbe la cattedra di filosofia. Nella città della torre
pendente, conobbe un giovane insegnante di matematica, Galilei, con il quale
instaurò ottimi rapporti. Invitato ad insegnare all'Università La Sapienza di
Roma. Benché avesse da poco preso questa cattedra, seguì il cardinale Pietro
Aldobrandini nei suoi incarichi a Ferrara ed in seguito a Venezia. Ammalatosi
sulla strada del ritorno, si recò nella sua Cesena, dove si spense. Opere: “Difesa
della Commedia di ALIGHIERI Grazie alla sua preparazione letteraria, giunse
alla notorietà per il suo tomo Difesa della Commedia di Dante, pubblicato a
Bologna inizialmente, sotto pseudonym e poi l'anno successivo sotto il suo vero
nome, in cui criticò aspramente Leonardo Salviati. Nel testo egli risponde ad
alcune contestazioni fatte alle sue elucubrazioni sul sommo poeta Dante
Alighieri. Parimenti nel libro si occupa anche di argomentazioni pertinenti alla
filosofia ed alla poetica”; “In universam Platonis et Aristotelis philosophiam
praeludia Interessato anche all'astronomia, Mazzoni espone le sue teorie in
quello che risulta il suo testo più importante ovvero In universam Platonis et
Aristotelis philosophiam preludia. In questo saggio egli sostiene il sistema
geocentrico aristotelico contro la sempre più diffusa e apprezzata teoria
copernicana eliocentrica. Questo volume è divenuto molto noto poiché Galilei,
dopo averlo letto, gli inviò una lettera, nella quale difendeva Copernico e le
sue teorie. Questa missiva rappresenta la più antica testimonianza
dell'adesione alla teoria eliocentrica di
Galilei. M., Prefazione, in Mario Rossi, Discorso di Mazzoni in difesa
della "Commedia" del divino poeta ALIGHIERI, S. Lapi.Saggi: “Discorso
de' dittongi” (Cesena, Rauerio); “Discorso in difesa della Comedia del divino
Alighieri contro Castravilla” (Cesena, Raveri); “De triplici hominum vita
ACTIVA nempè, contemplativa, et religiosa methodi tres, quaestionibus quinque
millibus, centum et nonagintaseptem distinctae in quibus omnes Platonis et
Aristotelis, multae vero aliorum Latinorum in universo scientiarum orbe
discordiae componuntur” (Cesena, Raverio), “Della difesa della Comedia di
Alighieri -- distinta in sette libri” (Cesena, Rauerio), “Intorno alla risposta
e alle opposizioni fattegli da Patricio, pertenente alla storia del poema
Dafni, o Litiersa di Sositeo poeta della Pleiade” (Cesena, Raverio); “Ragioni
delle cose dette e d'alcune autorità nel discorso della storia del poema Dafni,
o Litiersa di Sositeo” (Cesena, Raverio), “In universam Platonis et Aristotelis
philosophiam praeludia” (Venezia, Guerilius); TreccaniEnciclopedie Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Toffanin, M. nciclopedia Italiana, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. M., su
sapere, De Agostini. Davide Dalmas, M. Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. M., su
accademicidellacrusca Accademia della Crusca. Opere di M., su ope nMLOL,
Horizons Unlimited srl. Opere di M., Benedetto, M. in Enciclopedia dantesca,
Istituto dell'Enciclopedia, Dizionario Enciclopedico Brockhaus Efron, Маццони,
Джакомо. Ostracismum laudabit huius ce Reipub. formam ciae et A J de Repub.
ses, illud affequebantur, quod improbi meliores essent co- Achen. oss ditione, quàm
probi, quod quid ememanavit ex eo, quod REI PUBLICAE ROMANORVM FELICITAS cibiadis. VITAE
ACTIVAE. Ficienda erant, ad Confu pertinebat examinare diligenter, coaciones quoties
opus est et evocare, So Cspopulore ferre, quicquidque maior parsius filler exequio1
quin etiam in his quae ad belli apparatum et castrensem disciplinam pertinet, hi
summon i imperium habebant. Hiseniius erat sociis quic quid visunt eller
imperare, Trib. militum creare, de l e ett uniq. Habere, ad haec de his qui sub
corum imperio erantin castris arbitratu suo supplicium fumiere, his praeterea
licebat comitante quaestore, lacse dulo imperata faciente, publiciaeris, quantum
resipsa posset, Rei-pub. forniani Regiam esse.
Senatus autem primo quidem acrarii totius dominus erat atg; administrator:
nam et redditus omnes in eius erant potestate, et eiusdem arbitratu im pensae
fiebant, malefi ciaque et crimina PER ITALIAM commissa, de quibus iudicium
publicae fieri debebat, ut puta proditionis, coniurationis, beneficii, caedis,
at q ; insidiarum ad Senatum refeerebantur, eiuss; de his erat cognitio quod si
vlla APUD ITALOS controversia dirimenda, si publica, vel privatim qui spiam, vel
civitas ob iurganda, si cui auxilium, aut praesidium ferendum esset, de his
omnibus curam Senatus ad hib ebat. codemo popularis Rei-pub. fornia
videtur. Consules enim ante quam ex urbe
legions educerentur quinimo et quaede Res Publica per populum transigenda. Et
có. ,{{1 Pin !! porro tulerit impendere quod fi quis ad hanc partem respexerit,
probaliter dicere videre licet tuni Regiam, optimorum, populiģ; gabernationem: quoties
enim Consulum imperiuint ueamur, Re gia, quoties verò Senatus authoritatem
optimarum admianistratio, quoties autem populi potestatem respicimus, banaruni omnium
rerum ins, atq; imperi una habebant: his et enim caeterionines magistratus
praeter Tr.Ple.fa? bijci ebantur, hi legationes in curiam traducebant, hic ea
leriter quae errant decidenda ita tuebant, negociaģ; magna ad Senatum: referebant,
et penès ipsos vtquae patres de: creuissent sedulo perficerentur cura omnis et
administratio erat METHODVS. codemq; modo fi extra ITALIANI ad aliquos legat somittenda
esset, vel ad aliquid decidendum, vel ad foedus faciendum, vel ad cohortandum, vel
ad imperandum, aut poftre mo ad resrepetendas, aut ad bellum in dicendum, haec
in yrben venerint agendum, quid eis respondendum in populo commune, ad eo ut quoties
quis ad urbem consulibus ab sentibus profectus esset, prorsusei Respublica optima
tum confilioregi et gubernari videretur, quod fanem multi graecorum et regum
per sua sum habuerunt, quod negocia, quae in urbe haberent ferem, omnia per Senatum
tra is incos, qui maiores magistratus gessissent, admittebatur solus autem
capite damnandi potestatem habuit, qua in re illuds anèapudeos commemoratione
dignissinum fuit, quod eorum instituto iis qui capitis damnati fuerant, ut on
ex urbe palan egrederentur, permittebatur, acfi Tribuum una ex his, quae iudicium
exercebant reliqua fuerit, quae in non dum suffragium tulerit, exiliun: reo sibi
arbitratu suo deligendi facultas dabatur, exulesautem Neapoli [NAPOLI], Praene
siæe,Tybure, atg; in alia quauis foederatorum urbe tuto elle deferebat, lege etiam
comprobandi, ac sanciendi ius habebat et quod caput eitis de pace de bello, defoedere,
decom trouersiis decidendis, aur componendis deliberavit, atque unum quod quem
horum ratuni, aut irritum faciebat, quibus, ex rebus probaliter pofleta liquis dicere,
populuni si bi maxima min Res Publica partem vindicasse, ac Rei publicae formam
Senatus ipse curabat, et providebat. Praetere a quid delegationibus ex terarum gentium,
quae ex populi administratione confatam
fuisse. Quò igitur pacto Res Publicae, in partes diftributa fueritiam sigerentur
suae tianı populo, et eaquidem amplissima pars reli&a est: poterant praeterea
populus ipse magistratus dignissimis quibusque Senatus voluntate, arý; arbitrio
pofitumerat. atq; horum quidem, quae superius
dicta sunt nihil est cum folusenini in Republica et poenae, et praemiis potestatem
habebat, et plerunq; in aliis etiam qua estionibus quoties gra priuior alicui maleficijmulata
irrogannda esset et praesertim ditum VITAE ACTIVAE rendas, ac perficiendas
idoneus hauderat conttar enim legionibus eorum aliquid missum, quae illis
publice suppeditari solebant, namq; fineS.C.neớ; frumentum , neq; vestimenta, nec
obsonia legionibus administrari poterant, ad eo ut eorum, qui exercitus
duxissent expeditiones et consilia omnia, quoties eis obstare, cum eila;
maligne agere Senatus inanimum induxisset, irritaredde rentur, et minimem ad exitum
perducerentur: quin ut quae ili animo et cogitatione complexi fuerant, ac sibi proposuerant
perficere possent, ili Senatus voluntate positum erat: nam is post quam niannuum
tempus praeterierat, aut successors mittendi, aut imperium prorogandi potestatem
habuit, ac etiam penem se undem fuit ducum res gestas et dignitatem velex tollere,
atý; ornare, velele vare, ac deprimere :nani triumphos, neộ; ut I decet
apparere, neġ; ducere cuiquam licebat, ni aliensus fusset S e longissime abfuiflet,
populi certe aflen su opus erat, quodq; est omnium ferem maximum , omnes imperio
deposito, populo eorum quae gesserint rationem reddere oportuit, qua propter Consulibus,
caeteris; Imperatoribus minime expediebat, Se. po. quem voluntatem erga se conteninere
rursu siani Senatus quam uistant umin Res Puplica potuerit po illius
authoritatem approbasset populus, praetereasi quisex Trib. pleb, intercesserit,
nedum Sena erat 1 natus, et ineius fumptum erogasser necessaria. Et siquis
ex prouincia decedere voluisset, quamuis domo pulum tamen intueri, ac illius
rationem habere coactus fuit: in maximis enim ,atg; atrocissimis quaestionibus
eorum maleficiorum, quae contra Rempub.conmislaca-. piteple&untur ,nihilSenatus
ex equipotuiffet, nisi prius tus nihil eorum quae decreuerat perficere: sed ne
sedere quidem, automnino incuriamvenire poterat: Trib.autí 11 di & um est:
nunc autem quaratione potuerint partes illae quoties voluerint, sibimutuo
repugnare, fibiq; inuicem opitulari, dicendum eft: enimuerò Consul poft quameani,
quam superius dixi facultatem adeptus, copias eduxerat, funini o quid e mille
cum imperio videbatur esse: verum populi, ac Senatus auxilio indigebat, ac sine
his adresge 1 erat officium id femper exequi: quod populo visunr fuerat
ciasý voluntatem quani maximè respicere, his omnibus cepissent, eos relevandi; siquae
difficultas, aut publicuni seei sintortunium; quo minus ellent foluendi obstitisser,
loca . tionemg prorfusin ducendi, ius et potestatem habuit. 7 eodenie modo Consul
ut hac tionibusti midem, ac minime libenter aduers ab an turtum populus, tum
Senatus caniforis, militiaeque; universus exercitus, et singuli, quia fub c o
ad se inuice miuuandun, et impediendum adomnes rerum 217;.occasiones; ex opinione
Polybije aminterse aprem, conue Bodi nichteré connexae; dispofitaeq; fuerunt,vt
hac nullam e Izifior, praestantiorg Rei pub formare periti potuerit.' name, cum
habeant omnes Res pub. In orbe quandam có 11.4, versionem et mutationem. Nullam
ipse hac firmior emar Essen bitratus eft, fiquidem poft uniuersalia dilaniaa missis,
ac sublatis artibus et studiis, aliquo post tenporis intervallo rursus humanum
genus auctum et propagatum fuit, quo tempore in homini bas naturale arbitrary debemus,
quod etia in in ratione carentium animalium generibus comtin gerevidenius, inquorum
gregibus fortiffimus quisý; manifestò principatum fibi vendicat: omnes enim
fortissimum et potentissimum fectabantur, aró; ita vnius dominiuni oliniigitur quisemel
honore illo digni habiti sunt in regnis consenescebant iusta studia fe&
antes nullaq; propter eos invidia, fi qui de m non magna in eis aut v i et tis,
aut verò omnibus Senatus praeerat. idem diem proferendi, fiquam publicani calaniitate
mac rum imperio, ac potestate eflent.i Haecporrò cum elfét vnius cuiusý partium
vis et facultas METHODVS decáüllis multitudinem Senatus metuebat, ad populique
: voluntatem , studi uni et cogitations suas dirigebat. At contra Senatu i populus
ipse obnoxius, et subie&userat, eumque universim, et singulatim colere, arg;
obseruare sua per magni interesse putauit, cum enim effent in ITALIAM ul bidid
tave et igaliuni genera, quae Censores in fumptus appara 33°53.stusd; publicos
locare solebant:in his omnibus conducen discurandis populus implicitus esse
confutu i c :his ve constitutum eft. 287 H Iitus kitus gracatio cernebatur:
verum funiperin emculisciuium wi t a n i lag cotes, eaem qua populus victus
ratione vte ban 7 sed post quàm horum filij cum iam comparata haberent imperio,
essent differre et ad haec licexe etiam spemine
: prae metu contradicente: in concesus concubitus appetore, ató;ita coorta
eft ex RegnoTyrannis. Noći atg hoc manifestem liquet, ex Cyri, Cam.bylif que imperio,
fortissimis viris coniurationes, adinuante etiam ducum En suorum consilia multitudine,
atg; ilius imperii quodpe nesvnum erat forma facile vedelereture ueniebat, atque
indeiam optimatum principalu sortunt, atque initium accepifient, educati abinitio
in poteltate, ang honoribus apparatus, alijsad vim mulieribus per Itapra, et raptus
inferendam , alijdenių; adaliaturpiale conuertebant, atậ; ita optimatum
principatus ad paucorun dominationem hinc illorum imperioper idem quod tyrannos
oppresserat in fortunium finiş imponebatur, ncq; praeterea Regen creare libuit sobiniuftitiac,
qua superiores vsi fuerant metum, neg; pluribus committere Rem publicam audebanttam
re centi rei malae gestacniemoria ad suanı igitur fidem publica recipiebant, atq,
ita popularis fornia effe et aeft horum postremo filii plus caeteris in Res Publica
posse contendebant; atg; sinhanc cupiditatem, maxime locupletiores incidents maximis
pecuniae largitionibas plebem cor runipebant VITAE ACTIVAE paternis, propter
eaae quabilis, communisų libertatis ru ;,-des& ignari, alijvinolentiam
;& luxuriofosconuiuionum translatuseft. praesidia,& rebusadvi&um
pertinentibus,magis quàm pro neceffitate abundarent, ob nimiam bonorum copiam,
atq; aff.uentiam cupiditatibus obsequentės, arbitratifunt oportere principes, ornatus
et epulisabijs, quifubeoruni f :: quod& Herodotus affirmat contra huiusce modi
principes fiebantàgen crofiffimis,& 1 1 tur . duxit . hiprinò administratione
gaudentes commun ivtilitate del nihil antiquius habuere, 31.disinijinsi. Sed emi
a n i eorum liberi e andem å patribus potestatem METHODUS I rumpebant, quae
affirefacaaliena bonaconselle, vitách; suae spem omnem in alienis fortunis ponere
facileducem elaro animo, ace; audacise et abatut,atý;tum Rei publicae for
mailla, cuius conservatio in flavum fiducia posita est, nascebatur, fiqui deintum
plebs in vnum coactacaldem facere, ciues eijcere, proscriptorum; agrosdiuiderein
Scipiebat, donec facuum tuufus, &erforatum, vniusiruperit *0 um
reperiretur, qua propter his motus rationibus eamprae caeteris lau Res publicae
benainaliam bonam non mutetur quam bona innalam, siquidem ut Aristoteles dicit in
habentibus infi dese symbolum facilior eft tramlitus, an quia fimilitudo ila, ali
neracione. Quam qaog contrarieta temr equirit? quodquidéin Ele's atme mentorum trasmutatione
liquid paret: inhisverò Reip.
niutaionibus, quis fimilitudineni, & contrarietateinnes gabit) FACVLTAS
ROMANORVM . quo ad leges veròattinet, quibusviifunt ROMANI, occur
rimtnobismulca, quae vt figillatim esplicentur,rom ab otoexordientur; &
inprimisant equam ROMULUS [ROMOLO] leges 1.2. demai. vixit .pokea loges quasdam
ipse tulit, cum alijs sequentibus Ro. gibus, quas curiatas appellarunt, fequidem
conuacat oper triginta curias populo Imgalifý; curiis inseparatas epra constitutis
et sententiam rogatistege solim ferebankor,;? quae populi congregario comitia
curiata dicebantur, à cocundo; quòd populuscoiret,et viri timlogesterret, et
dicerScruiusTulliusRex hunc mioremimuutle: camépo pulo eaporekasrelictaest, vt
plebiscita, & leges comitijs. Dät Polybius, quaeonines Rerum pub. forniasin seconti
not atg congregat, ne quacar uim vlera quàm facis fit au & a 1ist. &
prouceta in sibi adherenteni,& coguatam pernicien in: -b.cideret: fódvniuf cuiufớiroboreac
potential interfeinui liseem obnitentesulla ciuitatispars vfquam declinaret, ne
1.Dvivein altum propenderer. ex supradi& isautem dubucabit forfan aliquis,curfaciliusa
Pomp.in suriaras ferret populus incerto iurs, incertis que legibusparis. H 2
curiaris LECALI vinil 1.& ler VITAE ACTIVAE. COROLLARIVM Augusto [OTTAVIANO]
hinc et Suetonius ait Tiberium à [GIULIO
CESARE] in foro legecu riaelle adeptatum, hoc eft suffragiis populi percurias collectis.
quidam retulerunt. pe: TAPE PTA LEGALIA ! Ilarunt, ad haec verò addita su t
plebiscita, Senatus consulta, practorumedicta, et principum placita,exquibus
EJSER Servorum verò (cuius origo deiu regentium fluxit) iuxta curiatis ferrentur,iii
IB":NOI 3quaedam .de iur. 8oz idem parierro relabitur ybi putabat,cum
quiinciuitate sua Facinus patrasset, si in alium lo cum peruenisse t accusam o
m . iud. ai tik di t e r e a sunt prudentum declarationes, quas responsa
appeluorum fi Ергл. 800exa& isdeinceps Regibus lege Tribunicia Regum
leges antiquataesunt, poftquècaepit POPULUS ROMANUS incer tomagisiure&
consuetudine aliquavti; quamlegelata, done e decem viri leges à Graecis
petierunt, quas in tabu liseburneis praescriptas pro roftrisappo fuerunt,vt faci
lius percipipoffent, atý;cum animaduerfumeffet aliquid 1
primisistislegibusdeelle; aliasduaseisdem tabulis,adie cerunt,&
itaexaccidenti appellate esuntleges duodecim 14 'ride illo crimine non potuisse
exemplo Hermiodori. Qui demomn eius ROMANORUM coaluit. 804 quod quidem universum
refertur, vel ad personas,velad res, vel ad a & iones. Iureconsulti verba vnatantunt
fuit conditio, istig;domi defta.ho. nioalieno contra naturam subijciebantur.
:.ning Liberi in li. cum TABULARUM, quarum ferendarum authorem fuiffe X Cicerone
.I.v.in. viris Hermodorum quendá Ephesum exulantem in ITALIA Tus, argumentum ad
exules. net ibni I PERSONAE lib.3.f. dedos hominesautem autliberisunt,autferui.
fta.ho. li ? رز inli.2.de80r rationeveròhuius Hermodorinon rectè colligitBaldus {,oz inillisautêquiafummaeratobscuritas
desiderataeprop habent,quodlibet faciendi legenon prohibitum , atý;isto rum , alij
sunt liberti, alij libertini, alij ingenui. Quià mortein vita millosre uocarunt,
appellabantur. -horun, autem alij ciueserant ROMANI, qui vindicta, censu,Vlp.cap.s.
: aut testamento nullo iure impediente n i anumis li sunt, alij instic. latiniIuniani,quiexlegelunia
interamicos manumisli funt, alijdeditiorum numero, qui propter noxam torti
nocételáinuenti sunt, deinde quoquomodo nianumisli. LIBERTINI. INGENVI. $ 11. Ingenuorum veròalijluisunt
iuris, alijverò alieno iuri fubie&i.
et savie quialieno iuris ubie et isuntfilij familias appellan-1.1.f.&his
tur, qui inditione, et potestate patris sunt vel natura, velquisútlui
adop. natura sunt qui ex nuptiis uxoris
et maritioriuntur. NVPILAE. Nuptia cverò apud ROMANOS tribus per ficiebantur modis
Bəê in2: tiaeper coemptionem. Mulieres autem quae in manu per coenuptionem
conue nerant matres familias vocabantur, quaeveròvsu, velfar reationeminime.
caeterae aliaevxoresvsu erant. Anim aduertendum est autem maximam fuisse differentia
adoptione. Farreatione nempè, coemptione, &ylu, & fanèfar reatio Top. Cicerone
folis pontificibus conueniebat. coeniprioverò cereis solemnitatibus per agebatur,
fese.n. 1. 2. ff.de METHODVS Liberi sunt qui nullius imperio subie &I facultatem
liberā LIBERT1. Liberti funt quos domini ex iustaserui. Il convito di Platone.
Discorso de' Dittonghi di M. all'Illustrissimo Signor il Signor Francesco Maria
de Marchesi del Monte. In Cesena Appresso Raverio. Questo Discorso sitrova
altresì inserito nella celebre Raccolta degli Autori del bel Parlare, impressa nella
Basilicata. II.Discorso di M. indifesa della Comme dia del divino Poeta Dante.
In Cesena per Bartolomeo R a verii in4.Ladedicaè AlMoltoMag.mioSig.
Osservandissimo il Sig. Tranquillo Venturelli . Da Cesena. De’ motivi, che
indussero l’autore a scrivere questo dotto ed ingegnoso Discorso, se ne ragiona
qui addietro a cart.19. e segg. III. M. Oratio in funere. Guidiubaldi Fel trii
de Ruvere Urbinatium Ducis .Pisauri apud Hierony mum Concordiam. in4. IV.M.
Cæsenatis deTriplici HominumVita , Activa nempe, Contemplativa , ei Religiosa
Methodi tres, Qyestionibus quinque millibus centum etnonaginta septem
distincta. In quibus omnes Platonis et Aristotelis, multæveroaliorum Græcorum, Arabuin,
et LATINORUM in universo Scientiarum Orbe discordiæ componuntur. Quaomnia
publice disputanda Roma proposuitAnno salutis Ad Philippum Boncompagnum S.R.E.
Cardinalem amplissi mum. Cæsena Bartholomæus Raveriusexcudebat in Questo volume contiene le celebri conclusioni
di quasitutte le scienze, che M. difese pubblicamente con meraviglia di
tutta S2 . 1 1 Ita 1T Della Difesa della Commedia di Dante
ec. Parte Pri ma, che contiene li primi tre libri, pubblicata a beneficio del mondo
letterato. Studioe Spesa di D. Mauro Verdoni, D. Domenico Buccioli Sacerdoti di
Cesena , e da essi dedi cata all'Illustriss. eReverendiss.Monsignore Sante
Pilastri Patrizio Cesenate dell'una e dell'altra Segnatura Referendario,
Abbreviatore de Curia , e della Santità di N. S. In nocenzioXI.eSua Cam. Apost.
CommissarioGenerale.In Cesena Per Verdoni. in e V. Della Difesa della Commedia
di Dante distinta in seta te libri; nella quale si risponde alle opposizioni
fatte al D i s corso di M. e sitratta pienamente dello arte Poetica , e di molt
altre cose pertenenti alla Filosofia, e alle belle Lettere Parte prima ; che
contiene i primi tre libri.Con due Tavolecopiosissime.AllIllustrissimo eRe
verendissimo Sig.il Sig. D. Ferdinando de'Medici Cardinale di Santa Chiesa . In
Cesena Appresso Bartolomeo Raverii in4. . Italia . N o n seguì però questa
famosa Disputa in Roma, com' egli avea disegnato di fare, ma bensìinBologna
nelFebbrajo dell'anno seguente; on degliconvennemutare il frontispizio al suo libro,
e porvi: Quæ omnia publice disputanda Bononia proposuic Anno Salutis Veggasi
qui addietro ove sitrattaampiamente disìfatta disputa,e delmeritodi questo libro.Della
Difesa della Commedia di Dante distinta in sette libri, nella quale si risponde
alte opposizioni fatte al Disa corsodiM. M. esitratta pienamente dell' Arte
Poetica , e di molte altre cose pertinenti alla Filosofia , ed alle belle
lettere. che contiene gliultimi quattro libri nonpiù stampati; edora pubblicata
incuisitrova, cosìpergloriadel M., come per le insigni qualità del Prelato, che
vi si rilevano, cred o ben fatto di riportarla in questo luogo, e dèla seguente.
a beneficio del Mondo letterato. Studio eSpesa diD. Mait ro Verdoni,eD.
Domenico Buccioli Sacerdoti diCesena,. da essi dedicata Ad Albizzidell'una e
dell'altra Segnatura Re ferendario , Giudice della Sacra Congregazione di
Propagan da, ePrelato domestico di N. S. Papa Innoc. XI. in Cese na per Severo
Verdoni in 4. Nell'occasione , che D. Mauro Verdoni , illustre letterato di
Cesena , ebbe ri soluto di pubblicare questa seconda parte della Difesa di
Dante , vedendo che la prima era di già divenuta assai rara , si determinò d i
dover ristampare anche questa , siccome fece, dedicandola a Monsig. Sante P i
laseri Prelato Cesenate per dottrina e per esemplarità di costumi
riguardevolissimo, il quale aveva prestato a tal effetto al Verdoni ed ajuto e
favore . M a essendo Monsig. Pilastri passato a miglior vita in tempo che appena
n'eraterminata la stampa, convenne aglieditori procacciarsi un nuovo Mecenate ,
cui subito ritrova rono senza uscire dellalorpatria nelladegnissima per sona di
Monsig. Dandini Vescovo diSinigaglia, Prelato anch'esso digran nome ; onde è
avvenuto che quasi tutti gliesemplari siveggono con nuova dedica indirizzati a
questo secondo , ede'primi non m'è riu. scito discontrarne cheuno,ilquale
siconserva pres so dime unitamente all'altro dedicatoaMonsig. Dandini. La
dedica a Monsig. Pilastri è in data, e quella a Mopsig. Dandino è de'17. dello
stessomese edanno. Epoichè questa prima dedica merita assolutamente d'essere
tratta dall'oblivio ne Illuge 'animo fatociperultimare que sta grande
impresá frastornataci da tanti ostacoli) abbia mo stimato convenientissimo
debito presentarla a V. S. Illu striss. per una particella di dovuta
restituzione , eriman dar (comesidice) questo FiumealsuoMare. Nepunto erriamo, sesottonone
di Mare ricopriamolavastità delsa pere , la profondità della prudenza , i
tesori delle Cristiane virtù,cheadornano l'anima di V. S. Illustris.Avvenga
che, se sirifletta con quanta carità dispensa ella a'Poveri isussidjdellavita,
a'suviConcittadinilegrazie, con quan ta magnanimità , emulando la pietà de'suoi
Avi, eregga agli Eroi del Paradiso gli Altari;sovvengaleCongregazioni del
Taumaturgo Fiorentino , ed in specie questa della Pa che con tanta esemplarità
dal Porporato , che ci regge, ècomunemente protetta,e progredisce ne dettami
delpiosuo Illustriss. eReverendi ss.Monsig. Comparisce sulla scena
del Mondo alla seconda lucelaPri. ma Parte di cotestaDifesa fregiata del
pregiatissimo nome di V.S. Illustriss.per contestare, che volume si prezioso
meritò sempre ne'suoi natali uscire ornato in fronte del no me d'uno d'e primi
Personaggi, che venerasse il Secolo. Ed invero,sesiconsiderinoledignità,merito,virtù,e
l'altre venerabili doti, che adornano l'animo di V. S. III., puossi senza
veruna nota concludere, che sia sempre stato secondato da segnalatissimi favori
nelli suoi ingegnosi parti il nostro M.; mentre questi sono stati sempre genero
samente accolti, edalle prime Cattedre, eda'primiSavj del mondo, leggendosi
sino da’Chinesi iportenti di questo grandeingegno. Ondenoiin considerazione
delle grazie tan tevolte compartiteci,e dell tria , ' Fondatore , non potiamo,
nè dobbiamo concludere altro della religiosa prodigalità della sua mano , se
non quello, che della mano dispensiera di Probo cantò Claudiano: Præ 1
Præceps illamanus Auvios superaba tIberos, zioni,eprove dell'amore
che V. S. Illustriss. le porta ed in udire tutto giorno i religiosiattestati
della sua pietà a risplendere o ne' Tempii, o negli Altari, non le consacri
tuttose stesso in olocausto? Se nontemessimo tormentar quivi la sua modestia ,
proseguiressimo a mostrar con mille prove la sua gran dilezione verso la
Patria, e noi tutti ; giac chivisonopochi,chenonrammentino legrazie,ifavori,
eisovvegni conseguiti dalla bontà diV. S.Illustriss., ch'e Aurea dona voinens .
A questo Mare adunque, la di cui gentilissima aura hacci sovvenuto a condurre
alporto un Opera contrastataci da im. petuosi aquiloni di mille infortunj,
abbiamo noi presentato nella tavola de nostri voti questo eruditissimo libro,
col solofinedi rimostrare all'universale Repubblica diDotti, che se la nostra
Patria ha saputoprodurre i M., i > Chiaramonti, i Dandini, e gli Uberti,
preseduti alle pri me Cattedre di Roma, di Parigi, di Bologna, e di Pisa, ha
ancora nelmedemo tempo avuto nobilissimi Figli, chegli hanno generosamente accolti,
favoritiegraziati. Egiacche questa
Difesa per se stessa rende immune da qualsisia di fesa l'Autore, che ha saputo
mettersi in tal quadraturii coll' altissimo suo sapere , che non paventa veruna
offesa; resta perciò liberaa V.S. Illustrissima lasola difesa epro tezione di
noi, che abbiamo volentieri registratoin questo Libro lossequiosissiino e
riverentissimo tributo della nostra divozione al di leigran Nome; che non potrà
mai ricor darsi e da noi, e dalla Patria tutta senza rassegnargliene con un
eccessivo ossequio un tenerissimo affetto. Perciocchè chi è , che nella Patria
in vedere le affettuose dimostra f > mula di quelGrande, neque negavit
quidquam peten tibus; et ut quæ vellent, peterent, ultrò adhortatus est.
Cesena. Sacerdoti Cesenati, VJ. Discorso di M. intorno alla Risposta ed alle
opposizioni fatregli da Patricio , per est . M a vaglia per tutti, e sia
ne' fasti dell eternità a caratterid'oro registrata la grande restituzione ,
che ha fat to alla Patria del suo gloriosissimo, e primo seguace del Redentore,
Martiree Pastore d'EvoraS. Mancio ladi cuimemoria quasi quiestintaèstata dalla
dilei Pietà ravvivata ; le di cui Sante Reliquie , fatte portare dalle ultime
regioni del Tago , siccome hanno impietositi gli Altari , così ancora hanno
indotta tal venerazione del di leiNome , che ingegnosamente si dice , meritar
ella corona più preziosa di quella , che da' Romani donavasi a chi rendeva i
suoi Cittadini a Roina; ovvero che solamente lapietà di Monsig. Sante ha saputo
accrescereifigliSanti allaPatria;eche sopra questo fortissimo Pilastrosivede
ogni giorno più sta bilita la divozione verso gli Eroi del Paradiso in Cesena.
Viva dunque il nome di V. S. Illustriss., e fino che i nostri celebratissimi
Rubicone e Savio tributeranno i loro liquidi argenti all'Adriatico, resti impressa
negl’animi di tutti la memoria di si gran Benefattore. Vivaquesto Cesenate Ti
moteo , a cui non Atene, ma Cesena , che è pur l'Atene della Romagna, ergapertrofeouna
corona di cuori. Mentrenoi. restringendocia supplicarladigradire
quest'attestato delno stro umilissimo ossequio, riverentemente inchinati, la
sup plichiamo anon isdegnarsidi permetterci, che ci pubblichid mo per sempre Di
V.S. Illustriss.e Reverendiss. Vmiliss.e Reverentiss. Servi Obblig. D.Verdoni ,
e D. Buccioli > te 145 tenente alla Storia del Poema Dafni , oLitiersa
di Sositeo Foeta della Plejade. InCesena appresso Bartolomeo Raverii .in4. VII.
Ragioni delle cose dette , ed'alcune autorità citate da Jacopo Mazzoni nel
Discorso della Storia del Poema Dafni oLitiersa di Sositeo . In Cesena per
Bartolomeo R a verii in4. Del merito
diquesti dueOpuscoli, e della cagione, che indusse l'autore a scriverli , si
vegga acart.78.e segg.,eacart.84. e85. Jacobi M. Cæsenatis , in almo Gymnasio
Pisano Aristotelem ordinarie, Platonem vero extraordinem profitentis, in
universam Platonis et Aristotelis Philosophiam Preludia, sive de comparatione.
Platonis et Aristotelis. Liber Primus. Ad Illustrissimumet Reverendissimum CarolumAn
sonium Pureum Archiepiscopum Pisanum .Venetiis Apud Joannem Guerilium in fol.
Questo volume , che dal Mazzoni era,forse non senza ragione, riputato il suo
capo d'opera, si vede al presente giacere quasi in una totale dimenticanza ,
colpa de' nuovi sistemi di Filosofia , che di poi si sono introdotti . Ad ogni
modo è opera dottissima, e quanto mai si possa di -. re ingegnosa, e nel suo
genere affatto singolare; con tenendo quasituttiisistemi degli antichi Filosofi
esa In Exequiis Catherina Medices Francorum Regine. Florentia apud
Philippum Jun ctamin 4. L'Autore dedica questa sua Jacobi Mazonii Oratio habita
Florentia Idus Orazione al Duca di Bracciano per 1 ! i molti favori , che avea
ricevuti da questo m a gnanimo eliberalissimo Signore;dallacuigentilepro
pensione verso di sè dice, che sisentiva tratto a scri vere, epresentargli un
giorno cose molto maggiori .mi . T minati ed illustrati in una
maniera sorprendente. Lettere . Una lettera del Mazzoni scritta a Belisa rio
Bulgarini si trova impressa a cart. 121. delle Consi derazioni del medesimo.
Bulgarini sopra il Discorso di esso M. in difesa della Commedia di Dante . In
Siena appresso Bonetti. in 4. Tre altre scrit teparimente alBulgarini sileggono
a carte e delle Annotazioni , ovvero Chiose Marginali dello stesso Bulgarini
sopra la prima parte della Difesa di Dante di M.. In Siena appresso Luca
Bonetti. Ed una indiritta a Speron Speroni staa cart.355. del volume quinto di
tutte l’Opere di esso Speroni dell'ultima edizione di Venezia. Dialoghi in
difesa della nuova Poesia dell'Ariosto. Di questi dialoghi fa menzione M,
medesimo alla pag. 20. delsuo Discorso de’ Dittonghi; e dice ch'era presto, a Dio
piacendo, periscamparli, il chepoinon fece, forse per essersi ricreduto sovra
tale materia; giacchè allora, che era molto gio Considerazioni sopra la Poetica
del Castelvetro. Que ste furono mandate dal Mazzoni al Barone Sfondrato, che ne
dà ilsuo giudizio inuna lettera scritta all'autore t r a quelle del Vannozzi.
vane XIII.Commentarj sopratutti I Dialoghi di Platone.P rea se M. a scrivere
questi Commentarj per soddisfazione di Francesco MariaII, della Rovere Duca
d'Urbino, ed egli medesimo ne fa menzione in una lettera scritta a Veterani
Ministro del Duca, come pu . re a reinaltraa Belisario Bulgarini,
cheleggesi acart.213. delle Annotazioni ovvero Chiose marginali ec. di esso Bul
garini. M. medesimo poiacart. della DifesadiDante nomina isuoi Commentarj sopra
il Fedone, XIV . Libri de Rebus Philosophicis , fatti ad imitazion di Varrone. Compose
M. quest'opera inunasua villetta sulla riva del Savio , e. disse a Roberto Titi
che pensava di pubblicarla prima della seconda parte della Difesa di Dante.
Veggasi quan toda mesenediceacart. 44.e98. delpresentevo lume. Censura del
primo Tomo degli Annali del Cardinal Baronio . Il celebre Simon in una lettera
a Dandini, che si legge a cart. della sua Biblioteca Critica , afferma d'aver
inteso da questo Prelato , che M. avea scritto contro il primo tomo del Baronio
, tosto che questo uscì in luce , e che
il manoscritto di quest'opera sic onservava nella libreria delGran Duca. Discorso
d'una breve Navigazione, chesi puòfare da Portugallo nell'Etiopia, e nel Paese
del Prete Janni . A Buoncompagni General di S. Chiesa, e Marchese diVignola. Questo
si trova in una Miscellanea della Biblioteca Vaticana. Discorso sopra le Comete.
Anche questo Discorso, lodatissimo dalSig. Guidubaldo de' Marchesidel Monte
celebre Astronomo, dovrebbe ritrovarsi nella Libreria Vaticana tra'Codici
Urbinati; ma per diligen zefattenon siè potuto rinvenire al num.513., allegato
dal Conte Vincenzo Masini nelle Annotazioni al primo libro del suo Poema del
Zolfo, e dietro a lui da Muccioli a cart.116. del suo bel Catalogo della Bi
. Biblioteca Malatestiana . Veggasi ciò , che del pregio di quest'operetta
si è da noi detto alla pag. 101. La Fisica , e i Dieci Libri dell'Etica
d'Aristotile. Tadini scrive che il manoscritto originale di quest'opera ,
mancante però e imperfetto , si conser vava alquanti anni sono presso ilSig.
Gio: Antonio Al merici Nobile Cesenate. Il medesimo si afferma da Ceccaroni in
alcune memorie mano scritte, comunicateci dal Ch.Sig. Arcidiacono Chia ramonti
, dalle quali si apprende , che lo stesso Cecca roni avea fatta copia
dell'originale inedito dell' Etica; ma sento che questa copia ancora sia andata
insinistro,epiù non siritrovi. In universam Platonis Rempublicam Commentaria.
Della Rupubblica di Platone da sé commentata fa ri cordo M. medesimo nella
lettera di ZQ / 148 ν gata al Sig. GiulioVeterani; dicendo,che quantopri
ma pensava di mandarla , o di recarla esso medesimo al Sig.Duca d'Urbino. alle
La X X . Orazioni . Di varie Orazioni dal nostro autore composte in diverse
occasioni , e non mai pubblicate, si è fatto memoria nel decorso di quest'opera
, prima viene accennata a cart.89. , detta in Pisa nell' aprimento degli Studi
in lode della Filosofia . La se conda scrittada lui eloquentissimamente per
movere il Pontefice Clemente VIII. a ribenedire il Re Arrigo IV. di Francia a
cart. 99. La terza detta ne' funerali del celebrePierAngelio da Bargaacart. 100.
El'ultima final mente recitata nell'Archiginnasio Romano , facendo una
comparazione tra l'antica Roma e la moderna ; . della quale sifavella
acart.112. Lezioni. Quattro Lezioni altre sì scrive M. sopra che mai non
videro la luce . Elle furono reci. tate in Firenze , due nell'Accademia
Fiorentina per ri schiaramento di due luoghi di Dante; e l'altre in quella
della Crusca sopra i Brindisi ,e le feste Vinali degli Anti chi.Veggasi a cart.77.94.95.e97.
Lettere. Di alquante lettere del M. si conservano gli originaliin Pesaro nella
libreria Giordani, delle quali lach.me.del dottissimo Sig. Annibale degli Abati
Olivieri si compiacque giàmandarmi copia; e sono tre scritte al Cardinale Giulio
della Rovere, una al Duca d'Urbino , due a Giulio Veterani, ed una a Piermatteo
Giordani. Altre parimente originali scrittea Belisario Bulgarini si trovano in
alcuni Codici esistenti nella Libreria dell'Università di Siena. Oltre
aquest'opere ilTadini afferma, essercime moria, che dal Mazzoni sieno state
scritte anche le seguenti , cioè I. In Homerum Paraphrasis. II. Numi smatum Græcorum
Interpretatio. In Lullum Commentaria.IV. Naturalis Philosophie Arcana.V.
Secretoperco noscere da'Bigari e Quadrigati , denari Romani, qual fazione
restasse vittoriosa ne' Giuochi Circensi, se la Veneta o Prasing Rossa o
Bianca. Tractatus de Somniis. L'originale di questo trattato de'Sogni dice, che
fu venduto molti anni sono da certuno al Sig.Pier Girolamo Fattiboni Gentiluomo
Cesenate. Ma che avea incontrata la stessa disgrazia degli altri, non si
essendo più trovato. Forse tutti questi mss. dovettero essere in quelle dieci
casse di libri di M., che rimasero dopo la di lui morte presso Girolamo
Mercuriali in Pisa, come il Dottor Ceccaroni nell'accennate Memorie afferma
apparire da un pubblico Documento rogato. Per Per ultimo il
sopralodato Sig. Arcidiacono Chiara monti mi assicura, esservi anche al
presente chi sostiene doversi attribuire al M., così la Canzone composta in lode
del Torneamento fatto in Cesena nel Carnovale, la quale incomincia Mostra
l'alterafronte,come la difesa della medesima, che fu pubblicata sotto nome del
Bidello dell'Accademia con questo titolo; Risposta di Matteo Bidello
delloStudio di Cesena al Parere d'incognito Oppositore fatto sopra la Canzone Mostra
l'altera fronte. In Cesena conlicenza de Su periori Per Bartolomeo Raverii. in8.;
machenon avea avuto modo di verificare veruna di queste voci. lo per altro non
averei difficoltà di credere, che così la Canzone,come ladifesa potesser essere
fattura del nostro autore , essendo la Canzone assai bella ; e la difesa molto
dotta e giudiziosa , e degna assolutamente del nostro grande e celebratissimo M..
Mazzoni. Keywords: implicature, repubblica romana, the Latins on ‘vita activa’,
I romani e la vita attiva. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Mazzoni” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e Mecenate:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza. (Roma). Filosofo italiano. Gaio Cilnio
Mecenate. Interessi filosofici prova lui, il potentissimo consigliere
d'Ottaviano. Di origine etrusca, e probabilmente aretina, discende da
stirpe regia, ma volle restare semplice cavaliere romano. Combattè a
Filippi per i triumviri e e intimo di Ottaviano che egli cerca di conciliare
con Marc'Antonio, siechè ha luogo l’incontro di Brindisi. Per conto di
Ottaviano si reca presso Marc'Antonio affinchè partecipasse alla guerra contro
Sesto Pompeo. Lui e il rappresentante di Ottaviano a Roma e in Italia con
poteri illimitati. Ottaviano si serve di Mecenate in pace e in guerra e
trova sia in lui che in Agrippa il sostegno più sicuro del suo principato. Ma egli
deve la sua fama imperitura alla protezione che concesse ai maggiori
filosofi del tempo suo. Restano pochi frammenti dei scritti del MECENATE
in versi e in prosa, nei quali, e specialmente nel Simposio o convito, opera
che introduce in Roma un genere letterario molto coltivato in Grecia, mostra di
subire l’influsso dei filosofi dell’Orto. Interessi filosofici e influssi
epicurei si manifestano negli seritti dei maggiori filosofi del circolo del
Mecenate. Maecenas wrote
several works, none of which have come down to us. Their loss howerer is not
much to be deplored, siuce, acoording to the testimony of many ancient writers,
they were written in a very artificial and affected manner (Suet. ‘Octv.,’ ;
Sen., ‘Epist.’; Tac. ‘Dial. de Orat.,’, who speaks of the ‘calamistros
Maecenatis. They consist of poems, tragedies (one entitled ' Prometheus,' and another
'Octavia'), a history of the wars of Augustus (ORAZIO, 'Carm.' ), and a symposium,
in which VIRGILIO and ORAZIO were introduced. The few fragmente which remain of
these works have been collected and published by Lion under the title of ‘Maecenatiana,
sive de C. Cinii Macenatia Vita et Moribus,’ Göttingen. Maecenas' known works
include a Symposium, with such notables on the guest list as Horace, Virgil,
and Messalla, and, if a fragment from Plutarcocan be trusted, some pretty
clever dinner conversation. Servius, Aeneid: Facilesque oculos fert omnia
circum: physici dicunt ex vino mobiliores oculos fieri. Plautus faciles oculos
habet, id est mobiles vino. Hoc etiam Maecenas in Symposio ubi Vergilius et
Horatius interfuerunt, cum ex persona Messallae de vi vini loqueretur, ait
'idem umor ministrat faciles oculos, pulchriora reddit omnia et dulcis¡uventae
reducit bona.' Cf. Plut. Mor. frag. 180: 'Ev tô cuvosívo tỘ toû ManvaTúTEÇa
¿YYóo, N unò tị Koía tò HéyE0os HeyíGTh Kai kán2os auaxos. kai ola sikòsETAVOUV
ARZOL ANNOS AUTHV O SE TÓPTIOS, OUK EXOV O TI MAp ¿AUTOû TEpaTEÚGaGOaL,Glyñ
ysvousn, "EKsivo dE ouK ¿vvosits, d pior Guunótal, Oc otpoYyún sotì Kai
ayavrEpIpEp'S." ¿ TOÍVUV TẬ ¿páTO KORaKsia, Ó5 tÒ siKóS, yéS KatEppáyn.
For the possibility that this incident may come from Maecenas' Symposium see
Jiráni 1932, 1-12; Lunderstedt 1911, 92-93. Perhaps Maecenas's Symposium should
be added to the list of possible antecedents for Petronius' Cena. Luigi Speranza, “Grice e Mecenate”, The Swimming-Pool
Library. Mecenate.
Grice e Medio: la
ragione conversazionale al portico romano -- Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Roma). Filosofo italiano. Medio. Porch. A contemporary of
Plotino. He wrote a number of essays. Medio.
Grice e Megistia:
la ragione conversazionale e la diaspora di Crotone -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Metaponto). Filosofo italiano. A Pythagorean according to
Giamblico di Calcide. Grice: “Cicero argued that anything written in Greek is
not part of Roman philosophy; I guess he has a point. Whereas we do consider
things written in Latin by Englishmen PART of English philosophy, we do not
consider anything written by the Old Britons before the Anglo-Saxon Conquest to
be a part and parcel of Sorley, “History of English philosophy’!” -- Megistia.
Grice e Meis: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale – IL FU MATTIA PASCALE – lo spirito abruzzese -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Bucchianico).
Filosofo italiano. Grice: “I agree with Meis’s naturalism; he
proposes a three-stage development: vegetal, animal, man – his naturalism has a
Hegelian side to it, while man is more old fashioned, more Kantian!” Figlio di un medico aderente alla carboneria e di
ideali mazziniani, nacque a Bucchianico, dove compì i primi studi: li prosegue
presso il Regio collegio di Chieti e poi a Napoli, dove e allievo dei letterati
PUOTI, SANCTIS, SPAVENTA e RAMAGLIA. Si laurea e divenne socio degl’Aspiranti
naturalisti, di cui diventerà presidente; e poi medico aggiunto dell'Ospedale
degli Incurabili e apre una scuola di grande successo, dove insegna filosofia
naturale. E poi rettore del Collegio di Napoli.
Dopo la promulgazione della costituzione nel Regno di Napoli, venne
eletto deputato per la circoscrizione Abruzzo Citra: sostenne la protesta di
Mancini contro la repressione operata dalle truppe borboniche contro i
manifestanti e l'accusa di tradimento al re.
E quindi costretto all'esilio. Dopo un soggiorno a Genova e a Torino, si
stabilì a Parigi. Esercita la professione di medico per gli esuli e gli
emigrati italiani. Insegna antropologia filosofica lall'università ed entra in
contatto con il mondo filosofico parigino, diventando assistente di Bernard e ottenendo da Trousseau l'incarico
di insegnare semeiotica. Strige anche un proficuo rapporto con Cousin. Rientra
in Italia, prima a Torino e poi a
Modena, dove insegna. Torna a Napoli e divenne
assistente di SANCTIS, ministro dell'istruzione nel governo provvisorio, e
venne eletto membro del Consiglio Superiore della Pubblica istruzione. E deputato al Parlamento del Regno d'Italia sedendo
tra i ministeriali. Busto di M. al
Pincio (Roma) Non si sa né dove né quando e iniziato in massoneria, è certo
tuttavia che e membro della Loggia Felsinea di Bologna. Insegna a Bologna. Il
suo naturalismo lo spinse a cercare un fondamento filosofico alle scienze della
natura, che egli trova nell'idealismo di Hegel. E anche amico intimo e collega
di SICILIANI, del quale condivise in parte la speculazione intorno al
positivismo. Venne citato, di passaggio,
nel romanzo di PIRANDELLO (si veda), “Il fu Mattia Pascal”. E costruito il
palazzo della Biblioteca di Chieti, in piazza Tempietti romani, dedicata a M.. V. Gnocchini, L'Italia dei Liberi Muratori,
Erasmo ed., Roma, M. su treccani. Il
protagonista del romanzo infatti ascolta casualmente, durante un viaggio in
treno, una conversazione fra due filosofi, e dato che è uscita la notizia della
sua morte, sceglie come proprio nuovo cognome "Meis", traendolo da
"De Meis". Il nome sarà "Adriano", udito dal fu Mattia
nella stessa conversazione, che attribuiva a M. la tesi che due statue nella
città di Peneade rappresentassero Cristo e la Veronica -- colei che si sostiene
abbia asciugato il viso di Gesù durante il calvario. In queste pagine del
romanzo pirandelliano, Mattia Pascal prova uno straordinario senso di ebbrezza
legato alla propria libertà. Tessitore, M.
Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, Colapietra, M., politico “militante”, Napoli, Guida, Treccani Enciclopedie,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. M. Enciclopedia
Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
M., in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. openMLOL, Horizons storia.camera,
Camera dei deputati. M. di Giacomo de
Crecchio, in Biblioteche dei filosofi, Scuola Normale Superiore di Pisa Cagliari.
L'Unificazione, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Nella prima edizione
di Il fu Mattia Pascal figura qui un GIUSEPPE De Meis, che nelle successive si
precisa nel nome di un seguace piuttosto atipico di SANCTIS, il filosofo
abruzzese M. Difficile immaginare che questa schelta sia del tutoo casual,
altrettanto difficile sondarne a fondo le ragioni e avanzare qualche ipotesi. A
meno che non si pensi al saggi in cuil M. (“Darwin e la scienza”) tenta una
sistesi tra evoluzionismo e dialettica hegeliana dello spirito; o non si
immagini che possa essere la sua filosofia, sull’IMPOSSIBILITA della demo-CRAZIA
in Italia, alla radice di uno sfogo politico de Adriano Meis. Meis, del quale
Mattia Pascale prende parte del cognomen, e autore di una specie di impegnativo
paradosso politico (IL SOVRANO), nel quale sostene la necessita di una REGALITA
forte, come punto di mediazione disinteressata tra le passioni laceranti di
varia strati della popolazione. E questo E il solo possible filo che riusciamo
a intravedere tra lui e questo improvviso (ma forse non del tutto
imporgrammato) sfodo di Adriano Meis. Antichità Oggettivismo. Oggettivismo primitive
da Talete ad Anassagora Soggettivismo pratico individualista Sofisti.
Soggettivismo pratico universalista Socrate Oggettivismo ideale assoluto
Platone Soggettivismo incompiuto Aristotile Tempo moderno — Soggettivismo.
Soggettivismo pratico intuitivo Stoicismo Epicureismo Scetticismo Ne-oplatonismo
Cristianesimo Oggettivismo ideale
particolarista Roscellino. Occam Oggettivismo sensibile Bacone. Condillac.
Diderot, d’Holbac. Passaggio alla soggettività Hame. Kant. Oggettivismo ideale
universalista Anseimo. S. Tommaso. Scoto . » Soggettivismo tendente alla
oggettività Cartesio Oggettivismo assoluto Geulinx. Mollebranche. Spinosa
Oggettivismo dogmatico individualista — Lcibnitz. Wolf Passaggio alla
soggettività —Berlielei/. Kant Tempo recente Soggettivismo assoluto.
Soggettivismo trascendentale — Kant Soggettivismo assoluto astratto — Fichte
Oggettivismo assoluto Schelling Soggettivismo positivo assoluto — Hegel . La storia
della medicina .Cosa è lo Stato? Lo Stato è l'uomo grande; è la società
umana individuata. L'ha detto Aristotile: lo Stato è la società che
basta a se stessa. 11 che appunto vuol dire che lo Stato è il grande
organismo umano, l'individuo gran- de, compiuto in sé stesso,
indipendente ed assoluto. L' uomo piccolo è una scala ascendente di
funzioni. Egli ha per base la funzione vegetativa, per cui mangia e beve
e si nutre, veste panni, abita un nido e si riproduce: la funzione
riproduttiva è l'apice, e la corona della vita vegetativa. Egli è
questo il sistema dei suoi bisogni materiali, vegetativi ed animali. Ma 1'
uomo elementare non è soltanto un vegetabile compenetrato e avvolto da un
animale; egli è anche un animale, un'anima, sormontata dall'unità
dello spirito, avviluppata e compenetrata dalla coscienza umana. La
riproduzione è la corona della vita vegetale; la coscienza è la corona della
vita animale; e la coscienza assoluta è la corona e l’apice della
vita spirituale. Come spirito l'uomo è per prima cosa, e
per prima base, morale. La moralità, la virtti privata, è la forma
più naturale dello spirito: essa è il patrimonio dell'individuo, e resta
confinato e chiuso in lui. Il dritto è l’uomo aggrandito; egli è
l'individuo che si aggiunge una porzione della natura esterna; ed è
una estensione del suo corpo, e della sua anima; ampliazione della sua
natura organica, ed esplicazione della sua natura giuridica spirituale. E
a tutto questo sovrasta l’IO, la libera coscienza, che è come il perno
intorno a cui tutto gira: centro e circonferenza del circolo
umano. L'IO è la conoscenza di se. Nella pura coscienza l'uomo
conosce sé come sé, come semplice forma; ed egli aspira a conoscere anco l’interno
di se, la sua propria natura. E Si conosce infatti: nell'arte, come
bello, e per dir così semi-infinito: nella religione, come infinito
sensibile; nella scienza, come infinito di pensiero, e sì come pensiero
infinito. Tale è il sistema spirituale nell' uomo piccolo, nell’individuo
particolare. Nell’uomo grande, nell' organismo politico-individuale che si
chiama LO STATO, ci sono le stesse funzioni. Ci è la funzione economica,
agricola, industriale, commerciale: produzione materiale, frumento o
libro; trasformazione ed assimilazione; circolazione e scambio;
nutrizione e consumazione: relazione sensibile fra tutti gl'individui dei
quali il corpo sociale è formato. Ci è la funzione morale, non più chiusa
nell'individuo, ma estesa alla società, manifestata come relazione attuale fra
gì' individui umani. La morale individua diventa dritto comune; materia della
polizia, e del dritto penale. Nessun uomo ha il dritto di offendere e
usar vie di fatto contro un altro uomo, perchè tutti hanno il dritto che
la loro coscienza morale sia rispettata. Il reo non fa contro uno, ma contro
tutti; e non è quindi uno o pochi, sono tutti contro di lui: il
sentimento della comune natura umana reclama la sua punizione. Nessun uomo ha
il dritto di maltrattare un bruto; perchè non è il bruto, è il
sentimento della fondamentale unità della natura umana e animale eh' egli
ferisce e maltratta in tutti gli uomini civili e sensibili. La morale
individua è il rispetto della natura; il dritto morale è l'azione
conforme ai fini, ai principii, ai sentimenti naturali. Egli è dunque una
relazione psichica, spirituale, poiché spirituale è il suo fine. Ci
è la funzione giuridica, ed è la relazione dell'individuo coi suoi annessi
naturali agli altri individui similmente costituiti di cui la società è
formata. Quello che invade l’altrui , non occupa solo una porzione di
natura; egli occupa e viola l'anima di un uomo, la quale è pur quella di
tutti gli uomini, membri di uno stesso corpo sociale; e perciò tutti si levano
contro l'ingiusto invasore. Questo tutti è la legge, che funziona e si
esercita in forma di Tribunale. La legge penale sta di rincontro alla
barbarie, alla passione violenta ed alla guerra privata; un tribunale criminale
è in realtà una corte marziale. La legge civile è il principio e la
regola della pacifica decisione. Essa è la libera ragione che si leva di
mezzo agli opposti interessi; e il contrasto troncato in germe, e
definito in forma di piato, non solo non giunge, ma neppur tende alla
violenza ed alla guerra. La guerra è la barbarie; la civiltà è la pace,
perchè è la legge, e perciò questa a ragione è detta civile; e i suoi
sono tutti giudici di pace. Ci è finalmente l’IO comune, conoscenza
e volere generale; ed è, come tale, una funzione formale a cui
servono di contenuto e di soggetto tutte le funzioni speciali. Cosa è
dunque lo Stato? Lo Stato è l’insieme di tutte le funzioni
materiali ed economiche, morali e giuridiche, in quanto sono
unificate nell'IO comune, che tutte le penetra e le regola, ed è il punto
a cui mette capo ogni particolar movimento, e da cui parte ogni azione
generale. Lo Stato è adunque l'IO, la coscienza sociale. Tale è la forma: il
contenuto è la virtù pubblica, il dritto civile, il dritto penale, e la
pubblica economia. Lo Stato è il giusto, dice ALBICINI (si veda). Sì
certamente; ma il giusto non è che una parte del suo contenuto; è
un elemento della sua natura, il quale piglia nell’organismo giuridico la sua
forma particolare, e la sua realtà naturale. Ma un principe non è solo un
Gran Giudice, e un Parlamento non c'è soltanto per fare il Codice Civile.
Giusto io lo piglio in senso di legge: e la legge io la piglio in senso
di relazione umana in genere. Ed io allora la piglio in senso di
relazione cosmica universale. Bisogna finirla una volta con le idee vaghe
ed astratte, e con le parole indeterminate e generali. Lo Stato è la
virtti; dice Montesquieu: la virtìi è il suo principio ed il suo
fondamento, e il vizio è la sua rovina. Idee generiche, astratte,
indeterminate, piene di confusione e di errori. La virtù, la
morale, non è che un elemento, ed una sfera dello Stato. Essa ò per
se individuale; ma quando esce dall'individuo, e promove o turba e nega
l'ordine sociale inferiore, e per così dire individuale, essa allora di
privata diventa pubblica, ed appartiene allo Stato. Che se dall' infima
sfera delle relazioni individuali l'azione si leva alla sfera giuridica,
o se anche penetra nella sfera politica, allora essa perde man mano il
suo carattere morale. Un delitto politico è per poco un non-senso, quando non
è che politico: e tale egli è quando l'animo è puro. Omnia mwnda
mundis: puro vuol dir non-individuale, assoluto, generale. E allora non è
a parlar di delitto e di colpa: in politica non ci è che prudenza ed
imprudenza, serietà e leggerezza, verità ed errore, successo ed insuccesso. Lo
Stato ordina i premi e le pene, e le proporziona alla loro natura morale,
giuridica o politica : se non che una pena politica è quasi un non-senso:
essa in realtà non è che un semplice fatto di guerra, un puro atto di
difesa. La virtù, dirà il Montesquieu, io la piglio in senso di forza, di
energia politica. Ed io la piglio in senso di energia magnetica,
elettrica, nervosa, muscolare. L’antiche repubblica romana e fondata
sulla sobrietà e sulla severa continenza, sulla parsimonia e la povertà
del privato cittadino. Roma cadde perchè vi penetrò la ricchezza, la
voluttà, il lusso dell'Asia. Quella io chiamo virtù, questo vizio,
rilassatezza, corruzione, dice Montesquieu, e ripete Napoleone III, e con
lui tutti, dal primo all'ultimo, i francesi. — francesi, questa che voi
fate non è la storia, è il fatto; è la materia appena un po' digrossata,
non è l'idea che la determina e la informa; è il fenomeno, non è il
pensiero della storia. E lo vedrete. Lo Stato è il ben essere, la
prosperità, la ricchezza, dice Fourier. Sì, certamente: anche questo è lo
Stato: ed egli cura la produzione, promove ogni maniera d'industria, e
favorisce il commercio con istituzioni, e leggi , e procedure speciali.
Ma la ricchezza non è che il sostrato, il sottosuolo dello Stato. La
ricchezza è la materia , lo Stato è il pensiero: 1' una è il corpo, l’altro
è l' anima. L' anima fa il corpo , ma non è corpo per questo; e
l'Economia politica non è la Politica, non è lo Stato. IL PRINCIPIO
DELLO STATO ITALIANO E LA RELIGIONE, è la Bibbia degli Ebrei, dice Aquila
di Meaux, e per quel tempo non vola male. Ora però, sarebbe il peggio che
si potesse dire. Cotesto ora non è piti un volare, è uno strisciar
per le terre, o come talpa andar per le cieche latebre, odiando la luce e
il puro e libero aere della ragione. E se Dupanloup pure insiste e
perfidia, allora io dico che il principio dello Stato è l'arte, è la
Divina Commedia e il Decamerone , il Barbiere di Siviglia e la
Trasfigurazione. Tanto ci ha che far l'una quanto l'altra, ed io avrò
altrettanta ragione. Il principio dello Stato è Dio, dirà Dupanloup. Sì,
certamente; ora finalmente ci siamo. Non è però il Dio della Religione e
dell'Arte, ma il Dio del corpo sociale, il Dio dello Stato. Questo è che
costituisce i Re, che direttamente o per suoi organi crea tutti i poteri
e le autorità politiche; e questo Dio non abita nel cielo; lassù non v'è
che il Dio della Natura: il Dio dello Stato abita nel petto del
cittadino, ed è a lui eh' egli ubbidisce quando rende ubbidienza
alle autorità che ne sono i ministri, il braccio e la parola. Lo
Stato non e corpo, è anima. Anima è sapere e volere, coscienza e azione;
e la funzione dello Stato come Stato consiste nel sapor di essere, e nel
volere essere Stato. Questa non è che la sua forma; ma questa forma è
appunto il vero Stato; e la coscienza assoluta ch'egli ha di sé, e l'azione
comune in cui questa si traduce e si spiega, è per l'appunto la sua
funzione essenziale. La coscienza dello Stato per intrinseca ed
assoluta necessità prende una esistenza naturale, e spontaneamente si
crea il suo particolare organismo. Essa è l'anima; ed il sistema dei
poteri politici è il corpo che si crea , e in cui si fa reale. È una
creazione immediata e diretta, ovvero indiretta e mediata, come quella d'
ogni principio vitale; ma in definitivo è la coscienza pubblica, ed è
sempre lo Stato che crea i poteri e le autorità dello Stato. Questa
funzione creatrice è 1' elezione. Ma questo corpo in cui l'anima generale
si traduce e si concentra, in realtà non è che una pura anima: è il semplice
potere legislativo. Quest'anima effettiva ed attuale creata
dall'elezione, si crea a sua volta il suo proprio corpo. Tale è 1!
esercito : l' esercito amministrativo e l' esercito militare ; e la
finanza è il sangue di questo corpo generale. L' esercito amministrativo
serve per eseguire o render possibili tutte le funzioni, che
compongono la triplice natura dello Stato: la funzione economica,
la morale, e la giuridica. Un magistrato, un impiegato, il ministro, il
Sovrano, è un soldato; e il suo onore è d'ubbidir fedelmente alla legge,
all'anima dello Stato. L'esercito militare ha un ufficio anche pili
essenziale. Esso serve allo Stato per essere, per esistere; gli serve a
difendersi dalle potenze nemiche, esterne o interne, che ne minacciano la vita
economica, politica o morale. Il soldato è il braccio della legge, e
dello Stato; il suo ufficio è di respinger l' assalto o l' insulto
di un altro Stato , e di reprimere le passioni colpevoli che si sfrenano
contro la legge del suo paese, e le istituzioni del proprio Stato: nobile ed
alto ufficio tanto nel primo come nel secondo caso. I due
eserciti sono entrambi assoldati. Sono il corpo, e il sangue vi dee
circolare. Il potere legislativo è l'anima; ed è perciò che non è pagato. Il
Sovrano ha una lista civile perchè unisce in sé le due nature: egli è il
tratto d' unione fra il potere legislativo e l'esecutivo, e personifica in lui
l'unità dello Stato : ed è perciò eh 9 egli è sacro. Sovranità,
potere legislativo, potere esecutivo; tutto questo è forma di forma: la
forma essenziale , il vero Stato , è l”IO assoluto , la coscienza e la
volontà generale. Ma non vi è la pura coscienza e l'astratto volere, e
non è possibile una funzione puramente formale. Si è conscii di essere
questo o quello , si vuole e si fa sempre qualche cosa: e lo Stato
conosce e fa da un lato, e dall'altro esegue, la legge economica,
la legge penale, la legge civile. Il Sovrano, il legislatore, l’impiegato,
il soldato, tutti vogliono che lo Stato sia; vogliono che sia prospero,
giusto, savio, forte di tutte le fotze morali, e che possa tutte
liberamente spiegarle, ed esser felice. L'Io è la forma; la forza economica, la
virtù, il dritto, è il contenuto dello Stato. Ma la forma prevale, e
domina il contenuto. La morale domina l'economia: la produzione non è
possibile, e il guadagno non è realizzabile s'egli è immorale. Il dritto domina
la morale: la virtù pubblica impone alla virtù privata. L'Io, la pura
funzione formale, domina e modifica tutte le funzioni speciali che sono
il suo essenziale contenuto: lo Stato domina e modifica il dritto e la
morale. Un assoluto vince l'altro: tutti per sé assoluti, sono fra loro
assolutamente RELATIVI (“il relativo hegeliano”). Il volgo riguarda come
piti eccellenti gli assoluti inferiori, perchè piti naturali, e di più
immediata e più sensibile idealità. Il più alto è per lui l'ordine
morale; che sovrasta e primeggia sull'ordine giuridico; 1' ordine
politico è subordinato a tutti e due. In realtà il più eccellente è
l'ordine dello Stato, perchè più generale, e più assoluto e divino; e
quando l'armonia fra i tre ordini e le tre funzioni si rompe, è la
funzione formale, la funzione assoluta dell'essere, quella alla quale
appartiene il primato, e prende sopra l' altre la mano. Scoppia la RIVOLUZIONE
dal basso o dall'alto: ribellione, COLPO DI STATO. Slealtà, tradimento,
illegalità, delitto. È vero. La coscienza morale lo riprova, la coscienza
giuridica lo condanna; ma v'è (vi può essere) una coscienza superiore
che l'approva; e se non è la coscienza politica dei contemporanei, sarà
di certo la coscienza politica degli avvenire. La storia approva IL COLPO
DI STATO e LA RIVOLUZIONE popolare,
quando è vera funzion di essere: quando cioè l' essere apparente dello
Stato non corrisponde al suo VERO essere , a quello che esso è nella
coscienza del corpo sociale, sia che oltrepassi, o sia che rimanga al di
sotto di questa misura ideale. Invadere la proprietà d' un cittadino è
ingiusto; ma lo Stato può farlo; ed è una giusta ingiustizia, ed una
legale illegalità, perchè in tal guisa realizza il suo essere, il
benessere della comunità, o dell’intiero corpo sociale. La ragione e il
titolo è la pubblica utilità. Questo è un vedere solo il lato esterno
del fatto, che vi è di certo e non può mai mancare, ma non la sua
vera ragione. Si vede la comodità sensibile, ma non si vede il suo
interno principio, l'essere generale realizzato. Ma non è meraviglia. IL
CODICE ITALIANO E POCO MEN CHE TRADOTTO DEL FRANCESE. Le nostre leggi
fatte esse pure dal risorgimento, parlano la sua lingua e ne riflettono
le idee. Ammazzare un uomo è ingiusto ed immorale: è un violar
l'ordine naturale; è un toglier all'uomo una proprietà che 1'uomo non ha
creata. Ma lo Stato anche questo può fare. Lo Stato è funzion di
essere; egli è, vale a dire una forza: e l' elemento di questa forza è la
sua corrispondenza e la possibile eguaglianza con la coscienza generale.
Lo Stato è debole quando il suo concetto resta al di sotto o supera
quello del corpo sociale. Il secondo, e non già il primo, è di gran lunga il
caso dello STATO ITALIANO. Egli è perciò che quando la società vede
nella pena di morte un elemento di solidità, ed un pegno di sicurezza generale,
abolirla è un errore: è una fallace utopia, una velleità teorica, difetto
di serietà pratica, scipita sentimentalità, filantropia fuor di
proposito; bontà di cuore forse, ma certo debolezza di mente, che ad
altro non condurrebbe che a crescer la debolezza, già così grande, dello
Stato, accrescendo la distanza che lo divide dalla coscienza pubblica, di cui
deve render l' imagine , ed essere la fedele espressione. Quando l'opinione
sarà progredita; quando la coscienza dei pochissimi si troverà in armonia
con la coscienza dei moltissimi, allora lo Stato e forte, e allora la pena
ingiusta, immorale ed inumana della morte si potrà, e si dovrà senza
altro indugio, abolire; perchè allora il PAESE, divenuto meno
incolto e per dir così più spirituale , avrà cessato di riguardarla come
un elemento di esistenza; e non sentirà il bisogno di una garanzia sensibile
tanto barbara e immane. Allora non saranno soltanto pochi pubblicisti
ignoranti e frivoli, ed alcuni legislatori ridicoli, saranno moltissimi, se non
pur tutti, a reclamarne l’abolizione. Si parla sempre dell'utilità
della pena di morte. È l'argomento dei sostenitori, ed è l'achille degli
oppositori. Questo è da una parte e dall' altra un vergognoso errore. Necessità
non è utilità; e quando lo Stato opera in funzion di essere, egli è in una
sfera ideale e assoluta, superiore alla regione della utilità e del
senso. Ma questo sì vergognoso errore era la verità del Risorgimento; ed
è perciò che non se ne vergognava, anzi l'accettava, e ne andava
giustameute superbo: il senso e l'utilità e tutta la sua filosofìa, ed
egli condanna allora la pena capitale come non utile. Venuto più tardi a
miglior sentimento, il Risorgimento respinge l’utilità , e condanna la
pena di morte come utile. Egli scambia per utilità la necessità
ideale; e non si vergogna, perchè questo sofisma è la sua verità:
egli è il da ubi consistam della FILOSOFIA positiva. Ma se ne vergognerà di
certo quando di risorgimento sarà passato a secolo decimonono. Ammazzare
un uomo, turbarne i dritti, e violarne il possesso, attentare all'esistenza
dello Stato, che è quanto dire alla vita delle sue istituzioni, è
immorale ed ingiusto; e sarà assai di più ammazzare moltitudini di
uomini, insignorirsi, recare in sé il dominio (e sia pur l'alto dominio) delle
loro proprietà, e distruggere uno Stato. Questo il cittadino non lo può,
non lo dee fare; ma può e dee talvolta farlo lo Stato. L' usurpazione e
la violenza privata è ingiusta; la violenza pubblica e la pubblica
usurpazione non è giusta; è più e meglio di questo, è politica; e si chiama
guerra e conquista, e non più violenza ed usurpazione. La guerra è
buona, e la conquista è giusta legittima e veramente politica, (e dico buona, legittima,
giusta per convenzione, ed in mancanza d'altre parole) quando in esse lo
Stato opera in funzione di essere: quando guerreggia e conquista per vivere
per essere, o per diventare quello che è in sé, e deve anche attualmente
essere. Vi sono società naturali, che la violenza, l'arbitrio, la
passione, il caso in una parola, divide in più corpi sociali , per cui DI
UNO SI FORMANO PIU STATI. Ma in tutti rimane la coscienza della loro identità
politica, e della loro natura storica comune. Yi sono ancora società
originariamente separate, in cui l’accidente, cioè l'arbitrio, la
violenza, le passioni umane, col concorso di altri accidenti ed opportunità
naturali, crea una coscienza comune. LA LINGUA ITALIANA, vale a dire la
comunità e la somiglianza fondamentale dei DIALETTI ITALIANI (non mai la loro identità, che non e' è
mai, e non può esserci in natura, ed è una finzione assurda dei pedanti)
è l'organismo sensibile, e l'espressione approssimativa, e la meno
inadeguata, di quella nuova coscienza. La comune storia è il processo per
cui di un gruppo accidentale di popoli e di Stati si forma a poco a poco
un tutto naturale e vivente con una interna unità e un' anima
generale. LA GEOGRAFIA è la condizione esterna dello sviluppo, e l'
occasione più o meno accidentale di questa formazione ideale. La comune
coscienza che si è conservata dopo lo spartimento dello Stato unico
originario, non è più coscienza, ma tende a ripigliare l'antica forma e
la primiera attività; e la coscienza comune che si è sviluppata in un
gruppo di Stati eterogenei non è che il sentimento della loro comune
unità: e nell' un caso e nell'altro questo sentimento è la nazionalità ,
la coscienza nazionale. E nell' uno come nell' altro caso ciascuno Stato
si trova diviso in se stesso; è un' anima scissa , con due coscienze
distinte ; che l' una è la coscienza propria di Stato, l' altra è la coscienza
comune di NAZIONE. Esso è dunque in realtà due anime, due esseri,
uno attuale, e l' altro possibile; il primo è Stato, l'altro non è che
nazione. LA NAZIONE E LA POSSIBILITA NATURALE DELLO STATO. Ma esso anche
quest'altra parte di sé vuol recare ad atto; esso ha bisogno di
esser tutto il suo essere, e irresistibilmente aspira a far della
sua coscienza politica effettiva, e della sua coscienza nazionale astratta,
una sola coscienza reale. Egli è perciò che lo Stato fa la guerra, e
conquista gli Stati connazionali. È la buona guerra, e la legittima
conquista; ma è ancora il processo barbaro, violento, inconsapevole,
passionale, irrazionale. Era altra volta la buona soluzione; ora è
divenuta cattiva: il decimonono secolo è tempo di coscienza e di ragione,
e non ammette che la soluzione consapevole, volontaria e razionale.
Questo succede quando in tutti i corpi sociali si sviluppa più o meno
egualmente di sotto alla loro particolare e diversa coscienza politica la
comune coscienza nazionale. Tutti allora aspirano, e tutti finiscono per
fondersi in un solo corpo di nazione, in una stessa società, in cui
l'antica coscienza nazionale si eleva e si perde ben presto nella
coscienza politica comune. Non è più. la soluzione forzata, è la
soluzione spontanea e razionale. Egli è nel primo modo che si sono
costituite le nazioni moderne; formazioni accidentali, prodotti di
guerre e di conquiste senza ragione, e di nozze fortunate. Tu felix Austria, tu
felix Gallia, etc... nube. La coscienza nazionale non esiste, è venuta dopo.
L'Austria felicemente accozzava delle società affatto eterogenee, fra cui non
vi è stato che un principio di fusione. Si è formato senza dubbio nella Boemia,
nell’Ungheria , nella Iugo-Slavia, una coscienza austriaca. Ma la vera
coscienza politica è la coscienza boema, ungherese e slava; e ciò perchè
l' austriaca è una coscienza astratta, occasionale, non è una possibilità
naturale effettuata e completa; non è lo sviluppo e la realtà della
coscienza nazionale. La Francia riuniva con lo stesso metodo delle nozze,
delle guerre ingiuste e delle astute diplomazie , degli Stati meno
inomogenei, in cui pur v’era un avanzo di un'antica LINGUA COMUNE –
FIGLIA DELLA LINGUA MADRE LATINA, testimone di una comune coscienza, di
politica rimasta puramente nazionale, reminiscenza di una potente antica
unità; IL FRANCESE E UNA LINGUA AVVENTIZIA E FORZATA, ma che ha finito per
essere adottata -- coscienza avventizia, ma che era pur venuta, ed aveva finito
per essere LA COMUNE ESSENZIALE UNITA DEL MONDO ROMANO. Ed ecco perchè quei corpi insieme posti
finirono per formar le membra di un solo corpo morale: fatte però
le dovute e ben note eccezioni. Ora la Francia avrebbe l'intenzione di
seguitare in questa via, ed applicare ancora il metodo antico, barbaro,
medieyale. Ma si oppone la natura e la ragione. La ragione è la
coscienza nazionale, è LA LINGUA, ed è la storia. La natura è la
geografia: un fiume non è un confine, ma una via ed un mezzo di unione.
La Francia è fuor dei suoi confini naturali e nazionali. La
soluzione spontanea razionale e naturale delle quistioni nazionali e serbata
al secolo della ragione; ED E L’ITALIA CHE NE HA DATO AL MONDO L’ESEMPIO,
ed è il suo onore immortale, e il suo vero primato civile e morale.
Questo esempio la sorella dell'Italia, la Grecia, si appresta ad
imitarlo. La natura lo richiede. La greca penisola è un tutto geografico
perfettamente circoscritto; si direbbe una regione, un nido apprestato
per una sola razza. La ragione lo esige e lo impone; lingua, storia,
coscienza nazionale, solo in parte venuta a coscienza politica, tutto è comune
alla Grecia; e v' è un altro comune principio che la unisce, ed è la
religione. Tutto dunque chiede l'indipendenza e r unità della Grecia,
tutto vuole che la Nazione Greca diventi lo Stato Greco; ma l'
Inghilterra non vi trova il suo conto, e con tutte le forze si oppone, e
l'Europa delle crociate, divenuta la positiva e irreligiosa Europa
del Risorgimento , custodisce e protegge con una edi- ficante unanimità
il barbaro e immondo straniero, il musulmano oppressore. L'
Italia è stata piu fortunata. Un grand' uomo uscito dal suo sangue,
pervenuto ad. assidersi sopra un nobile trono straniero, rammenta
l'antica madre per la quale giovanetto aveva pugnato, e pugnava
ancora per essa, e le dava la mano a farsi di una nazione astratta, uno
Statò reale. ITALIANO, IO NON SO CHE QUESTO. Tutto l'altro io l'ignoro, perchè
la Storia non è ancor venuta, e non ci ha giudicato sopra. Ora non
vi è che la morale e il dritto, e le piccole passioni politiche dei francesi,
tutti incompetenti nella quistione. Ma di quel che il grand' uomo ha
operato per l'Italia siamo competenti noi; e non sono ingrati tutti
gì' Italiani. L'Italia per viriti propria, e per generoso aiuto, che
appena è che possa dirsi straniero, è salita dalla coscienza nazionale
alla coscienza politica. Ma se quella è forte e potente, questa è ancor
debole ed incompleta. Le sette antiche coscienze politiche, nelle quali
la sua coscienza nazionale era scissa, non si sono tutte egualmente
amalgamate in una coscienza politica comune. Le deboli sono scomparse; ma ve
n'è qualcuna forte, che resiste e permane, ed è L’ANTICA COSCIENZA
PIEMONTESE. Il Piemonte ha tre coscienze in lotta fra loro. La coscienza
nazionale, che in lui era, ed è senza dubbio ancor forte, non si è pienamente
trasformata. Essa è rimasta nazionale , astratta; ed ha solamente
prodotto di sé una coscienza politica italiana debole, parziale,
incompleta, poco men che astratta, piena di riserve e di eccezioni. Essa
è incompleta e debole di tutta la realtà e la forza che rimane alla VECCHIA
E TENACE CO-SCIENZA PIEMONTESE, di cui la permanente è l'espressione. Questo SAMMARLINO
(si veda) lo ignora ; ed è in una perfetta buona fede. Egli in travvede in lui
una forte coscienza nazionale, e allato a una profonda coscienza
municipale (certo indebolita da quello che era prima) vi trova un
chiaroscuro di coscienza politica italiana, e dice: io sono quanto si può
più essere italiano. E se lo crede. Sammartino non ha tutti i torti : egli
è senza dubbio italiano; ma quel suo quanto si può essere, o quanto
altri sia, è una sua ESAGERAZIONE.. Nobile esagerazione, inganno volontario e
generoso, illusione che genera in lui la coscienza nazionale, la quale
fa sentirgli il bisogno di giustificarsi ai proprii occhi e agli
altrui. Ma in tanta complicazione il valente uomo non ha tale abito e tal
forza d'analisi da rendersi conto del proprio essere, per cui diviene il
giuoco della sua immaginazione. Egli è perciò che è in buona fede.
Tutti gli uomini ci sono qual pili qual meno allo stesso modo. Ma il
tempo è galantuomo; e s’egli ha potuto sviluppare in tutto il mondo
antico una COSCIENZA ROMANA: se sulla vera coscienza magiara , czeca e
jugoslava ha potuto inserire una coscienza austriaca; se finalmente nella
tedesca Alsazia e nella Lorena punto del mondo francese, ha potuto
(incredibile a dirsi, e mostruoso a pensare) destare una coscienza
politica francese: ben saprà creare una vera coscienza italiana in
quel Piemonte, che pure è il primo fra tutti i paesi della moderna
Italia: in quel Piemonte, che nel momento in cui la grande storia italiana del
Medio Evo ha termine, quando tutto intorno tace, s'avviliva e
s'abbandona, e la nazione intiera scende nella tomba della servitù
straniera e papale, egli solo non s' abbandona; e che rimasto jnfino
allora nell'ombra, sorge a un tratto giovane e vigoroso, e
ripigliava in sua mano il filo e creava la nuova storia italiana, e
per lui ed in lui l'Italia vive ancora. E quando a nostra memoria si
riapriva 1' antica tomba , e l'Italia vi scende di nuovo , rimaneva egli
solo sulla breccia, e lottava animosamente, eroicamente, e compiva
alla fine il destino della patria: onore a cui dalla provvidenza della
storia era visibilmente riserbato. Ah non tutti gl'Italiani sono ciechi e
ingrati! Certo il tempo saprà identificare la coscienza piemontese, che
dopo tanta e così grande storia, fuor di proporzione con la
materiale grandezza di quella nobile provincia, è naturale sia permanente e resista
alla grande coscienza politica italiana. E sarà allora galantuomo
davvero. Quando ciò sia avvenuto, e che in tutta l'Italia non vi
sarà che una sola coscienza politica, allora non vi sarà più soltanto una
grande nazione, ma un vero e forte Stato Italiano. L'Io, la coscienza
sociale, è adunque il vero e proprio elemento dello Stato; ed è una
funzione puramente formale che domina e modera e modifica la funzione
giuridica, e la funzione morale. Lo Stato toglie la vita, e turba e
invade la proprietà del cittadino; fa la guerra per esser quello eh 9
egli è, o quel che dev'essere, e toglie la proprietà, la vita, l’essere
indipendente, allo Stato vicino. Tutte cose che l'uomo privato non può
fare, e che gli sono permesse, doverose anche talvolta y quando, divenuto uomo
pubblico, la sua coscienza s' immedesima e si confonde con la
coscienza assoluta dello Stato. Allora è illecito e reo tutto ciò eh'
egli può far nel suo particolare interesse, ma è lecito e buono tutto ciò
che fa in vista dell' interesse generale. La fusione e l'amalgama succede
sempre in una certa misura, ed è tanto pili completa quanto l'uomo è più
alto locato, finche nel capo dello Stato i due interessi non ne fanno più
che un solo. Dal momento che si separano, il tiranno è perduto: egli
allora non è piu lo Stato, è un altro; è un corpo estraneo contro a cui
l'intiero organismo si solleva, e scoppia la crisi. La crisi, la
rivoluzione, è un processo di guarigione. Il morbo è la tirannia,
l'anarchia: forme dello stesso disordine; tutte e due passione e
sfrenato arbitrio; ed anarchia tutt' e due. U&rche non è né questo,
ne quello; né uno, né pochi, ne molti, ne tutti: l’arche è la
ragione. Il principio dello Stato, la sua vita, il suo vero
essere, non è il giusto, non è il morale, non è l' economico. Tutto questo egli
lo contiene in sé; ma come Stato egli è l'unità consapevole
organizzatrice e moderatrice di tutte le forme, di tutti gli organi, di
tutte le funzioni sociali. Questo è lo Stato, e qui finisce
l'attività politica, la vita pubblica; ma qui non finisce la vita umana,
e non è anche tutta la storia. Sotto allo Stato vi è il dritto, la
morale, la pubblica economia; ma vi è sopra allo Stato un mondo piìi
etereo, piìi,assolutò ed universale che non è il suo; vi è il mondo
dell'arte, il mondo della scienza, e il mondo della religione. Il mondo
della verità è di sopra al mondo della natura e dell'azione. Lo
Stato è l'unità, la coscienza, la forma pili alta, e la pili perfetta e
più generale esistenza delle funzioni a lui inferiori. Lo Stato non è che
la base e la reale possibilità delle funzioni a lui
superiori. L'Arte è una funzione naturale, e perciò rimane affatto
individuale. Vi è un mondo estetico, ma non vi è una società artistica:
vi sono soltanto degli artisti e dei poeti ; e la parte dello Stato è di
render possibile lo sviluppo del talento estetico, e rispettarne la
spontaneità ed il libero giuoco. Egli non ha dritto sull'artista se non
quando egli abusa e tradisce l'Arte, ed esce dalla sua
natura. L'Arte non è la morale o il dritto, e può essere immorale e
ingiusta a sua posta: ma finché rimane Arte la sua immoralità non
contamina, e la sua ingiustizia può esser sublime, atta solo a sollevare e
fortificare i caratteri, non mai ad avvilire e degradar l' animo umano.
Ma dal momento che essa esce dalle sue condizioni di Arte, essa non è
pili che immorale ed ingiusta, e allora lo Stato interviene: interviene
in nome della giustizia offesa, e della morale violata; funzioni
inferiori, che gli sono tutte e due subordinate, ch'egli dirige ed ha in sua
tutela. L'Arte non è la religione, e può a sua posta essere empia ed
irreligiosa: ma la sua irreligione è sublime ispiratrice di grandi e puri
pensieri , e di religione vera e pura. Che s' ella trasgredisce le
proprie sue leggi, ed esce dalle sue condizioni vitali, e non è più
che semplice e sguaiata irreligione; in tal caso lo Stato non interviene.
Egli dirige e modera le funzioni che sono al di sotto e dentro di lui, ma
non amministra la verità religiosa che gli è superiore. L'Arte non è
la Scienza; è in un certo senso il suo contrario: che s' ella esce dalla
sua natura di senso ideale, e si atteggia a ragione e a idea; tanto
peggio per lei. La Religione è una funzione dirò così spiritiforme: la
sua natura è sensibilmente spirituale, ed il suo carattere è di essere
naturalmente universale. Egli è perciò che mentre l'arte rimane nella sua
inconsapevole particolarità, la religione viene a coscienza, e si forma
un Io sociale superiore all'Io dello Stato: e di fuori e di sopra alla
società politica si forma una società religiosa. Il luogo di questa alta
società non è la terra, è il cielo: l'uomo religioso ha i piedi su questo
umile suolo, ma la sua anima è altrove. La sua funzione è tutta celeste;
essa è riflessione e adempimento del destino umano: contemplazione della
infinita natura dell'uomo, rappresentata nel mondo infinito della grande
fantasia; conseguimento della infinita felicità mediante il possesso dell'
infinito della religione. La funzione religiosa dello Stato è di render
possibile la formazione, e libero lo sviluppo e l'azione, della
società religiosa. La religione non è né scienza, né arte, ne economia, ne
morale. Essa può dunque essere a sua posta inestetica e goffa, creare
simboli mostruosi e informi, miti ributtanti e triviali; PUO PROFESSAR
TUTTI GLI ERRORI FILOSOFICI astronomici, teologici, politici CHE VUOLE. Tanto
meglio per lei; sarà più creduta, e più stimata e rispettala. Può la
religione professare tutte le assurdità morali e giuridiche che le piace. Può
attribuire a Dio tutte le passioni umane, sopratutto le piu
barbare, e pu perverse e colpevoli, quelle che l'uomo moderno pih si
rimprovera, e maggiormente arrossisce quando se ne lascia sorprendere e
dominare. Sarà per lei tanto meglio: maggiore sarà la riverenza, il
terrore religioso, il timor di Dio. La religione può a suo beneplacito
credere ed insegnare che i figli sieno responsabili dei peccati dei
padri, come lo insegna e lo crede Mosè, in un tempo ed in un paese in cui
non v'E ANCORA IL DIRITTO ROMANO , e il Codice Civile era di là da
venire. Se questo vi fosse stato , non sarebbe venuto in mente a
Mosè una siffatta idea, e non avrebbe insegnato un così sterminato
errore. Quella era pertanto la verità giuridica e la verità religiosa del suo
tempo: due gradi e due forme non per anco distinte, confuse ancora
in una verità sola. Oggi la distinzione è avvenuta: la verità giuridica del
Codice Mosaico, convinta e condannata di falsità, è sostituita dalla
verità giuridica del Codice Civile, nel modo istesso che all'astronomia
di Giosuè e del Santo Uffizio è sottentrata l'astronomia di Copernico e di GALILEI.
Ma come verità religiosa è rimasta in piedi: crede il popolo ed il comune
che l' innocente è colpito col reo dalla vendetta divina. E si crede
anche oggi come tre mila anni sono il dogma che insegna che la colpa del
primo uomo s' è naturalmente trasmessa a tutti gli uomini. Questo
dogma non è che l'applicazione in grande del principio giuridico-religioso
di tre mila anni sonò, e quel che lo rende piti meraviglioso, e perciò
più credibile al popolo ed al comune, si è che quella colpa era la
curiosità di sapere, il bisogno di conoscere il vero : jcolpa grave,
imperdonabile agli occhi del dogma religioso. Un dogma simile viola
apertamente il Codice Civile, e violentemente urta ed offende il 'senso
morale; ma non è che una offesa ed una violazione religiosa, e lo Stato non
interviene per far rispettare il Codice Civile ed il senso comune. La
rappresentazione succede in una sfera superiore, e lo Stato ne
rende possibile lo sviluppo e libera la manifestazione, e la
rispetta qualunque ella sia. Ma se l' azione religiosa esce di questo
campo, e deposto il proprio carattere, si spinge nella sfera dello Stato,
e diventa irreligiosamente immorale, ingiusta ed impolitica, allora lo
Stato interviene, e si fa rispettare. Questo inevitabilmente
succede alle religioni che di spirituali si fanno temporali. Peccato è loro e
non naturai cosa: di loro è la colpa e non dello Stato: e perciò tanto
peggio per loro. Finalmente, al di sopra dello Stato, e sì dell'Arte
e della Religione , vi è la scienza , LA FILOSOFIA. Ma qui l'individuo
s'identifica e si perde nel puro assoluto universale, per cui l'Io
filosofico non prende alcuna forma naturale. Non vi è quindi una società
filosofica, vi è soltanto il mondo della filosofia, il mondo del
pensiero , della verità assoluta. Lo Stato non interviene in nessun caso
in questo ultimo empireo: egli né il dee, né il può; egli è natura, e non
ha presa su ciò che non è naturale. Lo Stato non può entrare nella
sfera della scienza senza disertare la sua, senza perdere il suo
carattere essenziale, e cessar di essere Stato. Lo Stato del decimonono
secolo lascerà dunque insegnare chi vuole, e checché vuole, anche il
Prete ed anche il Demagogo? Non già; non mai. Insegnare non è
pensare e recare in mezzo il proprio pensiero; è invece agire, educare e
preparare all'azione, ed appartiene quindi allo Stato; e insegnare un
principio repugnante e contraddittorio a quello dello Stato, è uno
scalzare lo Stato, che non può certo trovarci il suo conto. Lo Stato è
funzion di essere, di vivere; e nessuno ha gusto di lasciarsi ammazzare, sia di
ferro o sia di veleno; e i cattivi principii sono velenosi allo Stato. Il
principio politico dei Gesuiti è la Religione, la loro; e quello a cui in
ultima analisi tutto mette capo, ed a cui il cittadino ubbidisce, è l'
autorità religiosa. Il principio dello Stato moderno è invece l'Io, la
ragione; è la coscienza pubblica, la pubblica opinione; e quello a
cui il cittadino ubbidisce, è lui stesso: in ciò consiste la libertà
civile. Il principio del Demagogo è la libertà sensibile, e
l’eguaglianza materiale. Il principio dello Stato moderno è la libertà
ragionevole, l'eguaglianza assoluta, ideale. Egli è perciò che lo
Stato limita e nega la libertà del Demagogo e del Prete, e li pone tutti
e due fuor dello Stato — né elettore né eleggibile — e fuor della
scuola — né maestro pubblico, né insegnante privato. Il giornale è
una scuola, e non può quindi godere una libertà illimitata. Ogni cosa ha
il suo limite nella sua propria natura, e la libertà ha il suo limite
nella natura dello Stalo. Questa è la libertà vera e buona, perchè
concreta: la libertà indefinita, astratta, è la stolta, .assurda,
micidiale e pestifera; e perciò lungi da noi. La libertà non appartiene
che alla libertà. Solo quella stampa, queir insegnamento, e quella
qua- lunque siasi attività dee poter liberamente agitarsi e
spiegarsi nella sfera dello Stato, che ne osserva e professa il principio
generale, e vive dello stesso elemento assoluto. La religione, l'arte, la
scienza non sono assolutamente libere che nel proprio elemento, e nella
loro sfera speciale, e qui lo Stato non può, non dee, non ha facoltà di
mettere il piede. E però quando io vedo un Ministro chiuder la
bocca a un insegnante né demagogo né prete, ma liberale, perchè
professa delle particolari idee che in un certo mondo — Dio sa che mondo
— non sono ricevute ed accettate; io lo rispetto troppo per dir eh' egli
abusa delle sue facoltà, ma dico che varca il limite, ed oltre-
passa la sfera dello Stato : dico che agisce in nome di un principio
particolare, religioso o scientifico, io non lo so; so soltanto che non è
il suo; e non ha come Stato facoltà di porvi la mano: e che il Ministro
mi scusi, e mi perdoni il Consiglio Superiore. Lo Stato non è
adunque che la possibilità effettiva e naturale della vita artistica,
della società religiosa, e della pura attività scientifica. La sua
funzione con- siste nel renderle tutte e tre possibili mediante
l'Istruzione e la Pubblica Educazione ; ma non ha ufficio, e non può
altrimenti intervenire nell'arte, a pro- mulgar le leggi del gusto, e
prescriver la rettorica e la poetica mediante decreto: e così non può
decretare la verità religiosa. Non vi è, non vi può essere, una religione
dello Stato: cotesto è un controsenso, un non senso, un errore. Sent
from the all new AOL app for iOS Opere di M. Studi su M. - Opere ed
articoli che a lui accennano - Recensioni di suoi scritti » La vita e la storia del pensiero di M. . La
famiglia e i primi anni Nel R. Collegio di Chieti La vita intellettuale a
Napoli Le scuole private. Gli studi letterari, filosofici, scientifici M. a
Napoli. I suoi studi. La sua scuola privata . Gli avvenimenti a Napoli Le vicende di M.. Il processo e l'esilio. La
dimora in Francia. Il De Meis medico A Torino «quando l' Italia era colà » . M.
e i suoi amici: SPAVENTA, SANCTIS, MARVASI. La corrispondenza col De Sanctis.
L'attività intellettuale di M. e la sua metempsicosi; M., professore
all'Università di Modena. Il ritorno a Napoli M. a Bologna. L'insegnamento. La
vita famigliare, sociale e politica. La morte. Il testamento La personalità di
M. Lo svolgimento del suo pensiero. Perchè la sua opera è frammentaria I
momenti di sviluppo del pensiero di M. Il Dopo la laurea. La storia della
filosofia esposta dal M.. L'antichità o il periodo dell' oggettivismo. Il
passaggio dall' oggettività alla soggettività. La filosofia moderna o
soggettiva La filosofia hegeliana giudicata da M. Rapporti fra medicina e
filosofia. La medicina hegeliana . Influenza dell'hegelismo sulla scuola medica
napoletana. M. e gli altri hegeliani di Napoli. Limite tra la fisiologia e la
metafisica, Le opere scientifiche e la filosofia della natura. .Il Dopo la laurea
e l’orientamento filosofico. Gli scritti scientifici, Lettere geologiche sul M.
Majella negli Abruzzi, Sul sessualismo e la fecondazione delle piante in
coerenza alle dottrine della morfologia, Saggio sintetico sopra 1' asse
cerebro-spinale e la diagnosi delle sue malattie per rispetto alla loro sede.
Intorno l'asse cerebro-spinale. Considerazioni anatomiche sul salasso locale
Teoria dell'ascoltazione Dello stato e del carattere attuale delle scienze
naturali; Nuovi elementi di fisiologia generale speculativa ed empirica; Del
principio vitale; Idea della fisiologia greca; Le opere scientifico-filosofiche; Idea
generale dello sviluppo della scienza medica in ITALIA nella prima metà del
secolo. Del metodo delle scienze mediche ( Considerazioni sopra l'infiam.
Il momento rivoluzionario e il momento moderato del De Meis. L'evoluzione
delle sue idee politiche e la trasformazione del partito liberale italiano li.
L* idea dello Stato. Lo Stato come campo libero all' arte, alla religione, alla
scienza e alla filosofia. Lo Stato e l'indi- viduo. Stato e nazione. Stato
oggettivo e Stato soggettivo. Il limite dello Stato; L'idea della sovranità. Il
culto per la dinastia Sabauda .La lotta contro il pensiero e contro 1' azione
del partito progressista. Il suffragio universale e lo scrutinio di lista. II
giurì. La legislazione e le ingiustizie sociali. Il socialismo secondo M. Contro l'abolizione della pena di morte Il
divorzio. La donna I rapporti fra lo Stato e la Chiesa. L'abolizione delle cor-
porazioni religiose. Le corporazioni religiose e l' insegnamento. Le spese del
culto e i culti non cristiani. L' Italia e il papato; Lo Stato e l'istruzione
pubblica. Insegnamenti obbligatori e insegnamenti facoltativi. I tre gradi di
ogni insegnamento scien- tifico. Le facoltà universitarie. Il liceo Magno e l'
istituto tecnico inazione dei vasi
sanguigni. I mammiferi. Fisiologia. Prelezione
al corso di fisiologia dato nella R. Università di Modena nell'anno scoi.
Gl'ippocratici e gli antippocratici Lettere fisiologiche Le opere
scientifico-filosofiche La jatrofilosofia. La medicina sperimentale. La
medicina storica o razionale. La medicina religiosa. La natura medicatrice. La
patologia storica IV. Jlncora il terzo periodo. La filosofia della natura. La
creazione secondo M.. La lotta di M. contro la teoria darwiniana. Il suo metodo
trimorfo. La dimostrazione dei suoi principi. L' accidentale e il necessario
nella sua concezione filosofica. Le idee politico-sociali e pedagogiche. medico. L'insegnante unico. Gli esami. La
libertà d'insegnamento. I malefici della cattiva coltura e di Mazzini. Due
discordi Sacerdoti d'idee: M. e il Mazzini. Le idee estetiche e religiose. La
coltura letteraria. Il suo stile. Il suo epistolario. I suoi giudizi sulla
terminologia scientifica, sulla lingua italiana, sull' affratellamento delle
lingue e sull' uso del fran- cesismo. M. critico letterario II. La profonda
religiosità del De Meis. La sua negazione di un Dio personale e la sua critica
del Dio cartesiano, dell' antinomia kantiana e dei dogmi dei Santi Padri. Il
suo giudizio sui culti non cristiani, sul cristianesimo e sulle varie forme di
esso III. La «metempsicosi» dell'arte e della religione nella filosofia secondo
M.. La storia del genere umano: oriente, antichità, tempo moderno o
cristianesimo. Il tempo moderno : medio evo, risorgimento, secolo XIX. Il mondo
latino e il germanico. Il risorgimento o negazione e i suoi prodotti : il romanzo,
la filosofia positiva, la musica. Il secolo XIX e l' unificazione di tutte le
correnti umane. La religione e l'arte considerate come gradi e forme del vero.
Valore degli argo- menti storici e logici addotti da M. Ottimismo e misticismo
del De Meis. Rapporti tra il suo hegelismo e il suo misticismo e la sua
mentalità scientifica. Significato e valore della sua filosofia della
natura. Lettere geologiche sul Monte Majella negli Abruzzi, nel Lucifero,
Gior- nale scientifico - letterario - artistico - industriale, Napoli, Filippo
Cirelli, Anno IV, Uomini utili alla società: Samuele Pierantoni, nel giorn. //
Vigile di Chieti, Sul sessualismo e la fecondazione delle piante in coerenza
alle dottrine della morfologia. Memoria letta alla classe fisico-matematica
della Reale Ac- cademia bavara delle scienze dal Prof. Martius, dal tedesco
voltata in italiano da M. , nel «Filiatre-Sebezio» Giornale delle scienze
mediche diretto e compilato dal cav. Salvatore De Renzi, Napoli, Tip. del
Filiatre-Sebezio, Saggio sintetico sopra l'asse cerebro-spinale e la diagnosi
delle sue malattie, per rispetto alla loro sede di A. C. De Meis socio
dell'Accademia degli aspiranti naturalisti e medico aggiunto dello Spedale
degl'Incurabili. Presentato al 5° congresso degli scienziati italiani -
convocato in Lucca. Na- poli, Coster.
Intorno l'asse cerebrospinale. Memoria di Giuseppe Meneghini tradotta
dal latino da A. C. De Meis per cura e per uso dello studio privato del prof.
Pietro Ramaglia, Napoli, Barnaba Cons, Considerazioni anatomiche sul salasso
locale, presentate al VII Congresso degli scienziati italiani celebrato in
Napoli, Napoli, Stab. Coster, Teoria dei fenomeni acustici della respirazione,
Napoli, F. Vitale, [Dedicato a Luigi La
Vista]. Teoria dei fenomeni acustici della circolazione, citato dall'Autore in
Teoria dell'ascoltazione, Torino, Pomba, p. Vili [La Teoria dell'ascoltazione
(v. infra) riunisce sotto un titolo comune questa dissertazione e la
precedente]. Dello stato e del carattere attuale delle scienze naturali.
Discorso di M. presidente dell'Accademia dei naturalisti di Napoli - detto
nella pubblica adunanza, Napoli, Stab. tip. all'insegna dell'Ancora, M.
deputato di Abruzzo Citra agli elettori della sua provincia, Napoli. Discorso
inaugurale di A. C. De Meis neli'assumere l'ufficio di rettore del Collegio
Medico. Pronunziato e pubblicato dagli
alunni del Collegio Medico, Napoli, F. Vitale, Proposta di un nuovo sistema di
insegnamento pel Collegio Medico. Napoli, Federico Vitale, Discorso di A. C. De
Meis ex-rettore del Collegio Medico nel deporre il suo ufficio, Napoli,
Vitale, Nuovi elementi di fisiologia
generale speculativa ed empirica. M. già deputato al Parlamento. [Manifesto].
Nuovi elementi di fisiologia generale speculativa ed empirica di M. già
deputato al Parlamento Nazionale. Del principio vitale. Napoli, F. Vitale,
Lezioni orali, raccolte per cura degli uditori ed amici dell'Autore, e, lui
assente, da essi pubbli- cate ». (Cfr. la bibliografia che precede la Teoria
dell'ascoltazione, To- rino, Pomba). Sono nove lezioni, dedicate a Pietro
Ramaglia]. Chiarimenti al teorema di Hamberger sull'azione dei
muscoli intercostali, Napoli, Fisiologia
generale. Evoluzione logica del principio vitale. Idea della fisiologia greca
per A. C. De Meis ex-deputato, Napoli, Stab. tip. all'insegna dell'Ancora, [Dodici
lezioni in conti- nuazione dei Nuovi elementi ecc.]. Teoria dell'ascoltazione,
Torino, Cugini Pomba e comp. edit., Idea generale dello sviluppo della scienza
medica in Italia nella prima metà del secolo. Note di A. C. De Meis. Torino,
Tip. Pavesio e Soria. [Dedicate alla memoria di Luigi La Vista e di Casimiro De
Rogatis]. Del metodo delle scienze mediche. Lettera al professore Carlo
Demaria, To- rino, in Giornale della R. Accademia medico-chirur- gica di
Torino, anno VII, voi. XX, Torino, Favale Considerazioni sopra l'infiammazione
dei Vasi sanguigni nel Giornale della R. Accad medico-chirurgica di Torino,
Tip. di G. Favale e Compagnia, Torino,Torino, Torino, [Nella seconda, nella terza e nella quarta
puntata il titolo è : Considerazioni sopra la flogosi dei Vasi sanguigni. Nella
quinta puntata e nelle successive il titolo è : Considerazioni critiche sopra
la flogosi ecc.]. / mammiferi,Torino,Tip. del Picc. Con. d'Italia. L'opera è
preceduta da un'affettuosa lettera dedicatoria « al professore Francesco De
Sanctis a Zurigo. Sulla copertina dei Mammiferi si legge: « Quest'opera si com-
porrà di tre volumi : il primo conterrà YIntroduzione, il secondo i Generi, il
terzo le Specie dei mammiferi, e sarà pubblicata a fascicoli di circa 5 fogli a
ragione di centesimi trenta per ciascun foglio. Tutta l'opera sarà composta di
circa 70 fogli... »]. Fisiologia, Torino, Franco, Estratto dalla Nuova
enciclopedia popolare del Pomba). Gl'ippocratici e gli antippocralici,
nella Rivista contemporanea, Torino, dalla Società l'Unione tip. editrice,
Lettere fisiologiche. Lettera I, nella Rivista contemporanea, Torino, dal-
l'Unione tip. Editrice. Definizione della vita], . [Il De Meis, sotto la data
di Modena, espone l'idea del corso di fisiologia iniziato in quella Università
« e che con dispiacere sono ora costretto ad interrompere ». Cfr. infra:
Prelezione al corso di fisiologia ecc.]. Agli elettori di Manoppello, (ppNapoli
Prelezione al corso di fisiologia dato nella R. Università di Modena nel-
l'anno scolastico Napoli, Stabil. tipogr. di T. Cottrau, Il Collegio Medico-chirurgico di Napoli e la
« Monarchia nazionale », Na- poli, Stab. tip. F. Vitale, [Polemica anonima
contro il giornale la Monarchia nazionale. Reca la data del 2 gennaio 1862].
Degli elementi della medicina, Prelezione di M. professore di storia della
medicina nella R. Università di Bologna, Bologna, Monti, Della natura
medicatrice. Lettera prima al prof. Cesare Taruffi, in Bullettino delle scienze
mediche pubblicato per cura della Società medico-chirurgica di Bologna. Bologna,
Tipi Gamberini e Parmeggiani, La chimica fisiologica, Lettere, Fano, nel
giornale L'Ippocratico). [Sono due lettere: I. La vita; La chimica inorganica.
- l De Meis si era proposto di scriverne dodici, e di pubblicarle pei tipi del
Le Monnier. Questi insistette molto, anche per mezzo di Marianna
Florenzi-Waddington, per averle dall'Autore ; ma invano]. / naturalisti,
Dialogo 1°, nella Civiltà Italiana, Firenze, Niccolai, dir. da A. De
Gubernatis, La natura a volo d'uccello : Forza e materia, Dialogo, nella
Civiltà Italiana, Firenze, Niccolai, dir. da A. De Gubernatis, La natura a volo d'uccello: Un nuovo corpo
semplice, Dialogo, nella Civiltà Italiana, Firenze, [Questo dialogo e i due pre- cedenti sono
citati nei “I Tipi animali” col titolo: “I tipi naturali.” De Meis
deputato di Chieti ai suoi elettori, Bologna, Monti,Reca la data: Bologna tipi
VegetaU. Ad uso delle scuole italiane, Bologna, Monti,[È, dedicato alla
contessa Teresa Gozzadini]. Lettere [il testo: lettera] sulla patologia
storica. Lettera I. Si dimostra che l'uomo era in origine assolutamente sano.
Estr. dal Bull, delle scienze mediche di Bologna, Delle prime linee della patologia storica,
Prelezione al corso di storia della medicina per M., Bologna, Monti, Il sovrano, nella Rivista bolognese,
periodico mensuale di scienze e letteratura, compilato da Albicini, Fiorentino,
Siciliani e Panzacchi, Bologna, Monti, [Ristampato, con notizie e documenti
della polemica a cui lo scritto diede luogo tra Carducci e Fiorentino, da CROCE,
nella Critica, Vili Dichiarazione nella Gazzetta dell'Emilia, [Si riferisce alla polemica ora accennata. Fu
pubblicata anche nel giornale La Patria di Napoli, a. Vili; e fu ri- stampata
dal CROCE, nella Critica, Vili sovrano. Al signor G. B. Tahiti. [Articolo Il|,
nella Rivista bolognese, Bologna, Monti,
[È una lettera, con la data: Bologna. Dopo la laurea - Vita e pensieri [parte
prima|, Bologna, Monti, Bologna, Monti, Le prime cinque lettere erano state
pubblicate qualche anno prima nel giornale L'Ippocratico di Fano. L'Intermezzo
pubblicato nella Rivista bolognese, prima della pubblicazione del volume]. La
natura medicatricc e la storia della medicina, Lettera al prof. Salvatore
Tommasi, Bologna, Monti, (Estratto dal fase. 8° della Rivista bolognese,
Bologna. [Fu pubblicata anche nel Morgagni, Della medicina sperimentale,
Prelezione, Bologna, pubblicata anche nel Morgagni di Napoli, Lo Stato, nella
Rivista bolognese, Deus creavit, Dialogo I, nella Rivista bolognese, Della
utilità dello studio della storia della medicina, [Prelezione], Estratto dalla
Rivista Partenopea Testa e Bufalini. Lettere IV, Fano, Lama, 1870 (estr.
dall'Ippocratico). Sintesi ed episintesi, Prelezione, Bologna, Monti,
Pubblicata sotto il titolo di « Prelezione » nei Tipi animali. I tipi animali, Lezioni, [parte prima],
Bologna, Monti, [La Prelezione era 3
stata pubblicata prima (v. Sintesi ed episintesi). La lezione fu pubbl. nel
Giornale napoletano di filosofia e lettere, dir. da Spaventa, F. Fiorentino e
V. Imbriani, col titolo: I tipi animali (Da Linneo a Darwin)]. Prenozioni,
Bologna, Tip. di G. Cenerelli, Del concetto della storia della medicina,
Prelezione, Bologna, Monti, La medicina religiosa, Prelezione, Bologna,
Monti,pubblicata anche nel Giornale napoletano di filosofia e lettere, scienze
morali e politiche, diretto da Fiorentino). All'onorevole signor commendatore
Gaspare Monaco La Valletta senatore del Regno, presidente dell'Associazione
costituzionale di Chieti, Bologna, Monti, [È, una lettera, con la data:
Bologna, Il canonico di Campello e la
stampa tedesca, nella Gazzetta dell Emilia,
[Anonimo. Si finge tradotto dal tedesco]. La malattia dell' on. Sella,
nella Gazzetta d'Italia, [giorn. di Firenze],
[Anonimo]. Agli elettori del 1° Collegio di Chieti, Bologna, Monti,
Filosofia e non filosofia, Discorso inaugurale per la riapertura degli studi
nella Imperiale Accademia di Krenztburg del dott. E. K. Mayow, prof, di
zoologia in detta Università, tradotto dal tedesco, Bologna, Monti, Francesco De Sanctis, Bologna, Fava e
Garagnani [Estratto dai nu- meri 8-11 della Gazzetta dell'Emilia, opuscolo di
pp. 18, in -16°, firmato « Camillo ». Ristampato nel volume In memoria di Fr.
De Sanctis, Na- poli, Morano, XVII Spaventa [Necrologia di], nella Gazzetta
dell'Emilia (Monitore di Bologna). Fiorentino, Necrologia, Bologna, Fava e
Garagnani, [Estratto dalla Gazzetta dell'Emilia, Opu- scolo. Spagnolismi e
francesismi. Note di Ange i Antonio Meschia maestro elementare in Zangarona
Albanese, Bologna, Monti. Darwin e la scienza moderna, Discorso del prof.
Camillo De Meis per la solenne inaugurazione degli studi nella R. Università di
Bologna nell'anno scolastico, Bologna,
Monti. [Stampato anche neWAnn. della R. Univ. di Bologna]. Rialzare gli studi,
Estratto dal giornale L'Università, Bologna, Società Tip. già Compositori, (pp.
12, in -8°). Repubblica o monarchia (Da un album), nel Sancio Panza, Bollettino
quo- tidiano di Bologna, stampato e redatto nella sede dell'Esposizione
Emiliana, N. Primo; segue una polemichetta nel giorn. cit. numeri [La pagina d'album e la polemica furono ripro-
dotte in un opuscolo, edito a Bologna, Fava e Garagnani,]. Corso di storia
della medicina nella Università di Bologne - Appunti sul- l'introduzione al
corso e sulla medicina orientale, nell'Università, Bo- logna, A. Idelson, .
[Uscì pure in un opuscolo, estratto dall'Università, Bologna, Azzo- guidi].
Lettere di M. a Spaventa, pubbl. da G. GENTILE, Napoli, Melfi e Joele, 1901,
per nozze Salza-Rolando [Tre lettere ed un telegramma di M. sono state
pubblicate in Maria Teresa di Serego-Allighieri Gozzadini, seconda edizione
ampliata con pref. Di CARDUCCI, Bologna, Zanichelli, (la prima è la dedicatoria
dei Tipi vegetali); una lettera da G. CANEVAZZI, Autografi inediti pubblicati
per le auspicatissime nozze del tenente nobile Orazio Toraldo di Francia con la
gentile signorina Gina Mazzoni, celebrate in Firenze il III luglio MCMXI,
Modena, Soc. tip. Modenese. Altre lettere di M. sono state pubblicate da CROCE
nel volume Silvio Spaventa - - Lettere scritti documenti, Napoli, Morano, 1898;
e negli articoli su // De Sanctis in esilio - Lettere inedite, nella Critica,
ed una in FRANCESCO De SANCTIS, Lettere da Zurigo a Diomede Marvasi, Napoli,
Ricciardi, Il Croce preparava anche, sin dal 19i4 ('), un florilegio del
carteggio inedito del De Meis per gli Atti dell'Accademia Pontaniana. Molte
lettere del De Meis sono possedute da Bruto Amante, e saranno probabilmente
pubblicate a spese del Consiglio Provinciale di Chietij). La religione
cristiana è già distrutta nel mondo civile latino. Vive solo nell'ancor
barbaro mondo germanico. La riforma è il secondo medio evo germanico. Il soprannaturale
non illude più. All'epica religiosa del medio evo, ed all'epica giocosa
del risorgimento, parodia generica del -- Questo pensiero risulta dalle pagine
del Dopo la laurea, pur senza esservi enunciato esplicitamente, e
chiarisce le apparenti contraddizioni notate dal GENTILE, La filosofia in
Italia, Le idee estetiche e religiose -- soprannaturale nel principio,
poi caricatura smaccata e cinica della religione, succede la drammatica
senza soprannaturale. La distruzione è compiuta in Italia; in
Francia erano irreligiosi i pochi uomini colti, ma la nazione era
incolta, e per questo la riforma potè attecchirvi, come vi attecchì nel
secolo XVII il giansenismo, una riforma mitigata; ma nel secolo XVIII la
Francia, divenuta centro di coltura, fu anche centro di incredulità. Il
secolo XVIII è il secolo della filosofìa sofistica e negativa. Alla
tragedia di Voltaire, priva di vita poetica quando ha per fine l'irreligione,
ed a quella dell' Alfieri, in cui tutto è umano e naturale, succede la
lirica moderna, che non lascia alcun margine fra sé e l'assoluta
riflessione, e giunge all'ultimo limite della poesia. Anche in Germania,
in parte per riflessione spontanea e in parte per influenza del
risorgimento italiano divenuto sudeuropeo, si è iniziato il risorgimento,
che DIFFERISCE DAL LATINO in quanto non è la semplice rappresentazione
del naturale, ma la negazione del soprannaturale, rappresentata e
sviluppata nelle sue conseguenze. Secondo M., i due risorgimenti, IL LATINO e
il germanico, che già nel sec. XVII reagivano l'uno sull'altro, si fondono in
un solo risorgimento, un solo mondo di poesia e di pensiero, in cui la
religione, divenuta indifferente, è appunto per questo perfettamente
tollerata. E a questa fusione delle due Europe in una sola Europa
spirituale seguirà certo fra non molti secoli la fusione in una sola
Europa giuridica e politica. Il secolo XIX durerà finché duri
l'uomo. S'inizia nel secolo XVII, quando a lato a Bacone — che mettendo
fin da principio fuori causa lo spirito non lo ritrova più in se-
guito, e nega la possibilità di conoscerlo, consolidando la opera del
risorgimento negativo, — sorge Cartesio, che con- [Dopo la laurea, [Le idee estetiche e
religiose.] verte subito il dubbio nell'intima certezza di sé, del pensiero del
suo pensiero, Il vangelo di Gesù è quello del cuore, il vangelo di
Giovanni quello della fantasia, il Discorso del metodo è il vangelo dello
spirito. Tu es Petrus. Il cogito cartesiano è la pietra su cui sorgerà la vera
Chiesa cattolica, un edifizio che avrà le proporzioni dell'universo
ed accoglierà tutto il genere umano, destinato a formare un solo ovile
sotto un solo pastore, il pensiero. Dopo Cartesio, il moderno Anassagora,
viene Kant, il Socrate moderno, che leva di mezzo la metafìsica e la
natura, e parla dello spirito, uno spirito fenomenico sì, ma dal quale
egli fa scaturire la vita, la virtù, la morale, attribuendo alle cose
dello spirito un pregio infinito. Vero è che questo infinito,
questo divino, questo assoluto e universale non è che individuale.
Ma solo per Socrate. Dopo di lui viene Platone — leggi FICHTE — , che con
profonda intuizione vede come l'universale e il particolare di Socrate si
compenetrino in una sola unità. E dopo Platone viene Aristotele, viene
Hegel, che nulla concede alla intuizione e alla fantasia, procede con
rigore, esattezza e precisione, tanto che il suo regno non durerà solo
diciotto secoli, come quello dell'antico Aristo- tele, ma diciottomila, o
meglio finché duri questo attuale genere umano.Hegel, ponendosi nella
posizione di Cartesio, rifa per intero il processo della conoscenza e
trova il processo della creazione. Questo grande movimento, che si
compie nel nord, si era iniziato nel sud; ma il sangue di BRUNO (si veda)
era stato versato invano ed VICO (si veda) non era stato compreso da nessuno, [Pel
giudizio di M. circa il sistema cartesiano, v. qui addietro, ; e cfr. Cfr.
qui addietro, V. Dopo la laurea,
Le idee estetiche e religiose.] un po' per colpa del papato e
molto più pel carattere delle loro creazioni, che sono intuizioni isolate
del genio, più che momenti di uno sviluppo storico ordinato e
necessario. La storia della filosofia moderna è una storia tutta
settentrionale. La Germania è la nuova Grecia europea. Nel MONDO LATINO non
giunge che tardi l'eco indebolita e sfigurata della grande filosofia.
Cartesio, il padre della filosofia moderna, non procede da BRUNO, non è
inteso da VICO, né da GIOBERTI finché egli non si e “spapificato. Spinoza fa
rabbrividire l'Italia e la Francia. M. ritene che a Napoli si fosse
sempre conservato, in mezzo al risorgimento, un fil di tradizione di
BRUNO e di VICO: la quale, così guasta e superficiale come era diventata
nelle mani degl’avvocati, pure erstata bastante a farne un paese a parte;
ma crede che i germi gettati dalla filosofia italiana avessero
germogliato in Germania. SPAVENTA si era molto preoccupato del problema
della filosofia nazionale. E M. accoglie in questo proposito l'opinione del suo
Bertrando, da lui ritenuto il primo filosofo vivente dell'Italia, e forse
di tutta l'Europa, la Germania inclusive
Ora che la storia della filosofia moderna sia concentrata tutta
esclusivamente nella sola Germania — concedendo soltanto un posto al cogito
cartesiano — è una opinione che Spaventa, e a traverso Spaventa M.,
accettano dai romantici tedeschi. Ad essi, e a tutti coloro che hanno
fede assoluta di essere nel vero, il nostro Autore rassomiglia anche in
questo, che il valore di ogni singolo filosofo è per lui in ragione
diretta della distanza che lo [SPAVENTA, La filosofia italiana nelle sue
relazioni con la filosofia europea, a cura di G. GENTILE, Bari, Laterza, e
Frammenti di studi sulla filosofia italiana nel secolo XVI, nel Monitore
bibliografico di Daelli, Torino, V. Dopo
la laurea, Le idee estetiche e religiose.] separa dalla sua propria concezione.
Caratteristici in questo proposito i giudizi circa SERBATI e la
evoluzione del pensiero giobertiano. Dopo Hegel, secondo M., religione e
poesia cedono in Germania il posto alla teologia e all'estetica.
Nel MONDO LATINO la tradizione cartesiana si è dispersa; è rimasto
padrone del campo il risorgimento sofìstico, ateo e negativo. Ma l'uomo
non può vivere senza un Dio, e il tempo moderno, quando il risorgimento ebbe
distrutta la religione cristiana, si volge al passato, al medio evo sacerdotale
e simbolico, e moltiplica gli sforzi per creare una nuova religione. Sforzi
vani, che la religione cristiana, religione di Dio, del vero spirito,
della sua trinità, della sua umanizzazione, è l'ultima di tutte le religioni, e
solo potrà trasformarsi e purificarsi. Mentre questi vani sforzi si
compiono nella Germania volgare — non in quella pensante — , nel sud,
dove un elemento pensante manca, la parte più elevata, non però pensante e
moderna, tardivamente inaugura il secolo XIX: è un secolo XIX non
filosofico, perchè non è rischiarato che da un debole raggio di
riflessione ; è pseudo-religioso e pseudo-poetico; si apre col Concordato
e col Genio del Cristianesimo, parti infelici della riflessione travestita da
immaginazione. La riflessione, non avendo piena coscienza di sé come nel
mondo germanico, coesiste nel MONDO LATINO a fianco alla poesia; e dà origine
ad una pseudo-epopea, al romanzo, genere ibrido, anfibio, tra la storia e
la finzione, tra la poesia e la prosa, tra l'arte e la scienza. Il
romanzo, genere equivoco, compare per la prima volta nel principio
del secolo XIX dell' antichità, ricompare nel nostro se- [Dopo la
laurea, [Dopo la laurea, Dopo la laurea, Le idee estetiche e religiose.] e
rinasce in Germania, col Goethe, genio equivoco, tra la poesia e la
prosa, in cui l'universo si riflette tutto intero; si sviluppa in
Inghilterra, paese equivoco, tra latino e germanico, e raggiunge la sua
perfezione in Italia, paese equivoco anch'esso, mezzo liberale e poetico e
mezzo prosaico e papale, e precisamente in un uomo, come Goethe a
cui somiglia, equivoco: MANZONI. Si osservi che M., una volta
stabilito che il romanzo è un genere equivoco, trova che sono equivoci
tutti gl’individui e tutti i popoli presso i quali il romanzo fiorisce,
prendendo — si noti — la parola equivoco nella accezione di misto e complesso,
sì che ad ogni popolo e ad ogni individuo potrebbe indifferentemente
applicarsi. Dopo Scott e MANZONI, il romanzo perde il carattere
epico, e diventa sempre più storico, riflessivo e prosaico con l'Hugo e
con la Sand, finché in Kock e Poe la prosa assorbe ed avviluppa in se la
poesia. Nel risorgimento moderno, come nell'antico, la lotta comincia
antireligiosa e finisce antifilosofica: prima la riforma, uno scetticismo
che distrugge 1' Olimpo cattolico ; poi il deismo, uno scetticismo più
progredito; infine l'ateismo, uno scetticismo assoluto, la pessima delle
filosofie. E non è finita ancora la triplice serie, osserva M.,
fedele sempre alle sue triadi. La Germania è per tre quarti protestante;
la Francia è prevalentemente deista, e in parte atea. L’ITALIA HA UNA VENTINA
DI MILIONI D’ANALFABETI, TUTTI PAPO-TEMPORALI; i semi-analfabeti sono in gran
parte demagoghi. Il risorgimento produce quella filosofia che è la
bestia nera di M., la filosofia positiva. E la filosofia che gli ha
preso fra i suoi artigli, strappandolo alla fede hegeliana, un caro amico —
rimasto tale malgrado la irreconci- [Dopo la laurea, Le idee estetiche e religiose.] liabile
opposizione delle opinioni filosofiche. Villari, al quale così frequenti e
amichevoli frecciate sono dirette nel Dopo la laurea; e la filosofia che
accoglieva la teoria dell'evoluzione del Darwin; e la filosofia
opposta alla hegeliana nel principio, nella essenza, nel metodo.
Mai M. si lascia sfuggire una occasione di combatterla : trova che
la filosofia scettica dichiara irraggiungibile la natura delle cose; ma la
filosofia nuova, la filosofia positiva o iperscettica, non ne fa neppur
materia di dubbio o di discussione, ed è una filosofia dell'apparenza, cioè una
filosofia antifilosofica. Il risorgimento iperscettico non può
trovare la verità, perchè ha l'occhio sempre rivolto alla natura
esterna, e non mai alla natura interna, al pensiero dell'uomo, che
è la verità stessa. Secondo M., la filosofia sedicente positiva è
di fatto negativa, poiché nega il negabile, la conoscenza dell'essenziale, e
non pone che la conoscenza dell'apparente, del reale e dell'accidentale, che
nessuno ha mai pensato a negare. Questa pseudo filosofia si sviluppa
come la vera. Il primo atto è il principio. La scena è in Italia: TELESIO
scopre l'apparenza come principio. Il secondo atto è il metodo. La scena
è dapprima in Italia, poi in Inghilterra; il metodo galileo-baconiano, ovvero
induttivo sperimentale, ha due parti: la descrizione e la legge dei
fenomeni. Il terzo atto è il sistema, che ha pure due parti: la
classificazione e la filiazione dei fenomeni. La filosofia positiva
è una terza corrente, che si caccia fra la corrente poetica e la
filosofica, ed è il sangue della [Dopo la laurea, passim; cfr.
VlLLARI, La filosofia positiva e il metodo storico, nel Politecnico di
Milano; e SPAVENTA, Scritti filosofici, nota, per quanto si riferisce alle
critiche mosse a questa pubblicazione dal WYROUBOFF, dal MAIANI, dal
FIORENTINO, dal TOCCO. Dopo la laurea, Le idee estetiche e religiose] filosofia;
l'osservazione e l'esperienza ne è lo stomaco; l'induzione baconiana il polmone
sanguificatore. La legge positiva il torrente della circolazione. Ed essa, la
filosofia, è il cervello, in cui il sangue positivo diventa anima e
pensiero speculativo. Giorno verrà in cui lo stomaco baconiano non
avrà più nulla a digerire, né il polmone a respirare; e la natura
divenuta tutta sangue circolerà dentro dell'uomo. Allora questa terza corrente,
tutta e sempre prosaica, sarà divenuta un mare, ed avrà confuse le sue acque
col mare della religione, della poesia e della filosofia. La terza
parte del gran dramma della filosofia cristiana è il tempo nuovo. Dopo la
riflessione negativa del risorgimento, la filosofia moderna, come ogni
filosofia, muove alla ricerca di un principio. Il nuovo Talete è BRUNO;
il nuovo Pitagora è Leibnitz. Per passare dal naturalismo dinamico di
BRUNO e dal neo-pitagorismo e, per così dire, dall'atomismo ideale
leibnitziano, dal principio naturale al principio umano, occorre un nuovo
Anassagora, e venne Cartesio. Il principio cartesiano, come tutte le cose del
mondo, nasce non perfetto; in Cartesio è uovo o tutt' al più embrione. Il
secondo atto della filosofia moderna si volge al metodo. Nel perfezionare
il metodo antico, l'antica dialettica, proporzionatamente alla più perfetta
natura del principio moderno, e nell' esplorare più completamente il principio,
consiste il lavoro del secondo atto del secolo XIX, che termina poco dopo
la fine del secolo XVIII. L'atto terzo è il sistema, è il principio di
Cartesio e dello Spinoza, del Kant e dello Schelling, corretto e
metodicamente sviluppato. Ed è nella sua essenza, se non nella sua
esecuzione, il sistema più compiuto e perfetto, ne altro ve ne potrà mai essere
in eterno. Il principio è il germe e l'assoluta possibilità
dell'universo, ed è quindi uno, come uno è l'universo; tutti [Cfr.
qui addietro, Le idee estetiche e
religiose. i principi a traverso ai quali la riflessione greca è
passata non sono che le forme e i gradi della sua cognizione. E uno
è per conseguenza il metodo : e quando si giunge a un punto nel quale il
principio contiene in se il tutto % e il metodo si confonde col processo
evolutivo del principio, e il sistema è il tutto spiegato; quando la filosofìa
giunge a comprendere il creante e il creato in un attivo processo di
creazione, non ha più dove andare, a meno che non voglia
indietreggiare, come fa la Grecia dopo Aristotele, o uscir dell'universo.
E se il tempo moderno non vuole indietreggiare, bisogna che si
contenti del suo nuovo Aristotele. Non è possibile un terzo Aristotele,
perchè il tempo antico ha ricevuto nel moderno il perfezionamento
essenziale, il solo di cui fosse capace : di oggettivo è diventato soggettivo,
di totalità immobile vivo processo di cognizione e di creazione. Vivo di
riflessione filosofica, non d'immaginazione. Un sistema, per concreto che sia,
è sempre un'astrazione, e l'astrazione è la morte dell'anima umana.
L'anima vive finché la fa, ma quando l'ha fatta, quando della realtà vivente,
ossia di se stessa, ha composto quell'estratto che si chiama pensiero
filosofico, allora l'azione si arresta, e con l'azione è finita la vita.
Quando Aristotele creato un grande sistema, perfetto e compiuto per l'antichità,
lo spirito antico vi si chiude come in un sepolcro per secoli ; e torna
alla vita solo quando ricomincia a sentire e a fantasticare. Quando la Germania
crea il vero sistema del mondo, e recata la religione cristiana nella
forma di un cristianesimo assoluto, allora la vita si congela
nell'astrazione, e lo spirito germanico rimane assiderato. Ma presto si
scuote, e, brancolando nel buio dell'astrazione hegeliana, trova il
risorgimento negativo ed ateo ed il risorgimento negativo-positivo.
Congiungendosi col primo, produce mostri filosofici ed aborti strani; col
secondo la medicina naturali- [Dopo la laurea, Le idee estetiche e
religiose.] stica e la storia naturale materiale. Ma la Germania
materialistica e naturalistica è più morta della Germania hegeliana. Come la
pura riflessione, così la pura contemplazione è la morte. La vita è
pensiero apparente, è unità di riflessione e di contemplazione, di metafìsica e
di filosofìa positiva, di poesia e di filosofìa. La storia universale è
una sequela di creazioni, identiche fra loro quanto al ritmo e alla
legge, sempre più pure e perfette quanto al contenuto, che comincia dalla
pura forma dello spazio, e termina nella forma più pura del tempo.
Ogni creazione ha come fine la creazione successiva ; ciascuna vive
di quella dalla quale nasce e serve di alimento a quella a cui dà
origine, che le si sovrappone e l'avviluppa in se stessa, senza
distruggerla. Così dalla natura nasce il regno vegetale, da questo
l'animale, dall'animale l'uomo finito e particolare, e da questo l'uomo
universale. Tutto questo è il regno umano inferiore, e tutto si spiega
nella forma dello spazio, e coe- siste come nella natura. L'uomo di
sopra, il regno umano universale, ha esso pure la sua storia, ed è una
serie di sfere, che l'uria avviluppa l'altra; prima l'arte, poi la
religione, poi lo spirito, che universalizza la natura, e dà valore
assoluto e infinito al particolare e al finito. Tlàvta qsI . Eterna è solo
l'idea ed immortale è soltanto la natura. Come la natura, così l'uomo, lo
spirito umano, natura anch'esso, ha una legge inflessibile e costante. «
Sono due nature diverse, certo, e ciascuna ha la sua legge partico-
lare e propria, ma in fondo è una natura sola, ed una sola legge naturale.
Le forme e gli elementi naturali ed umani sono del pari indistruttibili,
e la legge comune della loro attività è immutabile: nascere, crescere,
decadere e perire è destino comune agl’uomini, agl’animali, alle
piante Dopo la laurea, I tipi animali, Le idee estetiche e
religiose. e ai sistemi planetari. Ma gl’elementi della natura
sono l'uno fuori dell'altro, e anche quando si combinano non si
compenetrano. Quelli dello spirito sono compenetrati ed intimamente unificati,
ne mai si scompagnano nella realtà, variando solo quanto alla proporzione. E il
prodotto piglia forma e natura dall'elemento preponderante e più attivo.
La natura è come una scala a piuoli. Lo spirito come una scala a
corda, che raggiunta la meta si raggruppa in se
stessa. Nell'uomo-cosmos gl’elementi spirituali sono tutti in uno
stato di assoluta quiete e di completa indifferenza. Solo il genio,
l'immaginazione e attiva da principio. Poi entra in attività il senso.
Anche la natura, poiché si muove, deve avere il senso naturale, nella
forma inferiore di senso chimico ed in quella superiore di senso
meccanico. Poi l'uomo di sistema solare si fa pianta. Nella pianta
l'unico elemento spirituale attivo è il senso chimico. Nell'animale v'è
il senso meccanico in nuove forme; v'è un arco diastaltico, di cui l'impressione,
il senso naturale è il primo atto, e l'ultimo è il movimento, la
contrazione; e nel sommo dell'arco cominciano ad entrare in azione gl’altri
elementi umani: immaginazione, sensazione, memoria, e ristretta in una sfera
tutta animale una piccola induzione, e per poco la famiglia umana,
e talvolta la società umana in forma animale. Finalmente nell'uomo entra
in attività la coscienza, la riflessione, e con questa gli elementi
spirituali superiori, la poesia, la religione. Manca la riflessione della
riflessione, la scienza; predomina il senso (vegetale, animale ed umano).
Questo è lo stato naturale di cui parla Rousseau. Nel secondo tempo
l'attività passa alla fantasia, e si conciliano le disuguaglianze fra gl’uomini.
Queste si vanno poi via via accentuando per opera della riflessione, che
si è andata rinvigorendo alle spese del sentimento e dell'immaginazione.
Ma contemporaneamente a questo processo di divisione e di analisi, si
compie nella storia un lavoro di unificazione e di sintesi. La grande
ragione avviluppa la piccola, poiché è sempre la facoltà
superiore che unifica in sé e dà la sua forma alla facoltà
inferiore, da cui riceve in contraccambio LA VITA. Questa seconda
coscienza non è un trovato della odierna metafisica, che anche Aristotele
parla di due vovg, l'uno poietico o attivo, l'altro patetico o passivo ;
e nel secolo XVI qualcuno e arso vivo per aver parlato di quel secondo
spirito. La vera vita dello spirito, unità vivente, è in una moltitudine di
individui ad un tempo ; e però la storia dello spirito si compone di una
successione di grandi unità. Il primo stato embrionale del genere umano è
la natura (M., hegeliano e medico, prende spesso come termine di
confronto l'organismo umano); la vita fetale è il vegetabile e l'animale.
Terza muda è quella dell'uomo positivo, l'infante del genere umano. Egli
con la sua piccola positiva riflessione vede intorno a se un mondo
finito, e si fa un Dio finito e positivo; non soddisfatto di questo breve corso
mortale, senza scopo in se stesso, sogna una seconda vita, ha fede in
essa, ed è religioso. Questa religione, questa fede, si trasforma a
poco a poco in un ideale, in un caro sogno poetico. Poi dalla prima nasce
una seconda coscienza, e l'uomo intuitivo diventa — quarta muda — l'uomo
riflessivo e intellettuale. La nuova coscienza, mentre si appropria la
coscienza finita e positiva, imprime in tutte le diverse funzioni
umane il suggello della sua infinita unità, pur lasciandole nella loro
distinzione naturale; e così permangono l'agricoltore, l'avvocato, il medico, e
via dicendo. Ma nella sfera superiore le due coscienze si unificano, ed
il poeta ed il prete rimangono assolutamente identificati nel pensatore,
perchè una volta sviluppata la coscienza intellettiva l'uomo non può più
deporla per ritornare uomo positivo ovvero semi-uomo, così come non
poteva deporre la coscienza positiva e tornar ad essere [ Dopo la
laurea, Del Vecchio-Veneziani - animale. E la poesia si trasforma in
estetica; la religione in critica e in filosofia. Oggi la poesia non c'è
più al mondo, perchè essa non è una combinazione di fantasia che
afferra e trasforma e di natura afferrata e idealizzata ; ma è una
sola unità, « è l'universo pervenuto a grado di spirito, che
inconsciamente si trasforma e si purifica nella conscia anima di un solo
uomo, spettatore più che autore della sua propria trasformazione ».
È un fatto di ragione che la vita umana comincia con l'assoluta
barbarie, col puro senso materiale e col semplice istinto naturale; e
termina nella riflessione intellettuale, che è la vera vita e l'assoluta
e definitiva civiltà. È un fatto di osservazione e di ragione che si va
dall'una all'altra passando per la forma intermedia della immaginazione.
La religione e l'arte è il regno dell'immaginazione: è una barbarie
civile ed un senso spirituale. L'epica è la poesia immaginativa e
barbara, e perciò più perfetta; la lirica è la poesia riflessiva e
civile, e perciò più imperfetta; la drammatica è la forma intermedia.
Essa è più riflessiva dell'epica, e sviluppa un elemento di questa; è
epico- religiosa nell'antichità, raggiunge la perfezione nel
risorgimento, e decade nel secolo XIX, nel greco-romano come nel
latino-germanico, per eccesso di riflessione. Analogo arco descrive la
lirica, che sviluppa un elemento della drammatica, e, finita come poesia,
durerà come lirismo filosofico finché duri il secolo XIX, ossia
finché duri il genere umano. La poesia sensibile ed oggettiva
è la barbarie dello spi- rito umano, la filosofia intellettuale e
soggettiva è la sua ci- viltà ; dall'una all'altra si passa a traverso la
forma inter- media della religione, che è tutt'insieme oggettiva e
sog- gettiva, è sensibilmente intellettuale, è la barbarie civile
dello spirito umano. La religione più barbara, più naturale, più
oggettiva e più epica è la religione indiana; la più civile, più umana,
più soggettiva e più lirica è la cristiana. Tra la religione epica
orientale e la religione lirica occidentale, la religione passa per una
stazione intermedia, la Grecia, e vi prende una forma intermedia, la
forma drammatica. Nella religione indiana troviamo tutti gli elementi e
tutti i caratteri di un sistema religioso completamente sviluppato; il
politeismo greco è la prima caduta della religione, la quale risorge nel
tempo moderno. L'oriente moderno, ossia il medio evo, pone gli elementi
essenziali della religione, che sono quelli stessi del pensiero, nella
vera forma religiosa; l'anti- chità moderna, ossia il risorgimento,
spezza questa forma; il secolo XIX, il vero tempo moderno, li pone nella
forma di pensiero : invece della riflessione filosofica del medio
evo è una filosofia religiosa. L'oriente è essenzialmente epico; la
Grecia è, nella sua stessa epopea, principalmente dramma- tica; il tempo
moderno è tutto umano e tutto divino ed è tutto lirico e riflessivo. E
del tempo moderno il medio evo è religioso ed epico; ma è un'epica
lirica, ispirata dalla grande riflessione: tale è la poesia dantesca. Il
risorgimento è irreligioso e drammatico. Il fantastico si cangia nel
meraviglioso; poi il meraviglioso stesso sparisce dalla poesia. Il secolo
XIX è di nuovo religioso ed è tutto lirico: il principio è epico-lirico; poi
viene la drammatica, che comincia storica e finisce cittadinesca e
domestica; e all'ultimo viene una lirica tutta stravolta per voler essere
ultra-poetica. Ormai la riflessione ha superata l'immaginazione; il
sentimento e la fantasia sono stati oltrepassati e ravviluppati dentro al
pensiero; quindi quella del nostro tempo deve essere una poesia lirica,
drammatica ed epica ad un tempo; il prodotto di tutte le facoltà riunite,
la filosofia vivente, poetica e religiosa, la filosofia dell'universo,
cioè dell'uomo. 11 secolo XIX, cominciato lirico-poetico, termina
lirico-prosaico- filosofico-poetico-religioso ed assolutamente cristiano.
La poesia non è morta; ha subita una metempsicosi, uscendo dalla
forma di immaginazione per entrare in quella di FILOSOFIA, e in quella vive ed
eternamente vivrà. La forma e l'elemento della poesia e della
religione è, come abbiamo visto, l'immaginazione. Quando il
risorgimento ha distrutta l'immaginazione, allora il sentimento, che
prima era in germe, assorbe tutto l'uomo e tutta la natura. E sorge
la musica f 1 ), forma di poesia della quale il sentimento è solo
elemento e sola sostanza, e il tempo V unica forma. La musica è l'ultima
delle arti ; la poesia è la prima. Le arti plastiche usano una materia
più naturale, meno ideale, deb- bono sostenere con questa una lotta più
lunga, e giungono più tardi a perfezione. Viene prima la scultura, poi la
pitiura. Certo la musica è nata, come tutto il resto, con
l'uomo; ma nel medio evo antico è un esercizio secondario, subor-
dinato alla poesia e alla religione ; nel risorgimento sofistico è bensì
un'arte, ma rimane di gran lunga inferiore alla scul- tura e alla pittura
; nel medio evo moderno la musica è epico- religiosa, e rimane
subordinata alla religione. Solo nel risor- gimento moderno la musica si
sviluppa, mentre le arti pla- stiche decadono: dapprima, nel risorgimento
drammatico, la musica non è che un compimento e un aiuto del dramma
; acquista un proprio assoluto valore solo nel risorgimento li-
rico, che è il tempo della negazione del pensiero, ossia dell'essenziale, e
quindi è il tempo del nulla. Questo vuoto sentimento si traduce in un
vuoto suono, che diviene arte e poesia. La musica è dunque una lirica
vacua, è un'arte oltre-lirica, è l'arte del nulla. È l'ultimo prodotto
del risorgi- mento, ed è quello che meglio ne scopre il carattere,
poiché il fine è il grande rivelatore. Ma il nulla al quale il
risor- gimento mette capo, se in apparenza è la fine, in realtà è
il principio, quello stesso dal quale in origine usciva l’universo. Da quel
punto istesso l'universo, ossia l'uomo, rico- [Dopo la laurea] mincia da
capo, tutto intero, in seno alla filosofìa. Questa nuova creazione è il
tempo dell'essere, il secolo XIX, che ha per necessaria preparazione il
risorgimento progressiva- mente negativo e per divisa: negazione di
negazione. Il secolo XIX nega quel vuoto universo di suoni ; fa della
musica quello stesso che già prima ha fatto della poesia, la
dissolve a poco a poco ; comincia dallo snaturare la musica a furia
di sapere e di meditazione, dando sempre meno alla me- lodia e sempre più
all'armonia, e la riduce ad essere una scienza musicale. Questo è già
avvenuto in Germania, dove allato al risorgimento scorre il tempo
moderno; nell'Europa italo-celtica prevale ancora il risorgimento lirico,
e tocca ormai l'estremo punto dell'assoluta negazione; già la
musica si avvicina al suo limite prosaico ; già il pensiero
positivo comincia a sopraffare e ad assorbire il sentimento e
l'immaginazione. Il tempo moderno è la vita che rinasce dal seno
della morte, la fede che spunta dalla negazione. Non il tempo
moderno dell'antichità, perchè sopravviene nell'anima ro- mana, mentre il
dramma del risorgimento si era combattuto nell'anima greca, ma il vero
tempo moderno che è la continuazione e l'adempimento del risor- gimento
cristiano. In questo secolo il sentimento dell'uma- nità, che è un
aspetto del sentimento della natura, prenderà la sua vera forma in una
nuova poesia, nella quale la lirica, la drammatica e l'epica saranno
ricomposte in una unità assoluta e definitiva. L'unificazione non è
però avvenuta ancora nel campo della poesia, né in quello della religione
e della filosofia. La poesia primitiva o naturale, invariabile come la
natura, sussiste presso il popolo analfabeta; e c'è la poesia
medio- evale e quella del risorgimento, immodernate e ormai vuote.
Così è delle forme religiose. Analogamente delle forme filosofiche :
esiste presso il popolo apostolico primitivo la filosofia primitiva o
religione ; ed esiste pure la filosofia medioevale, la scolastica, e la
filosofia del risorgimento, con tutte le sue gradazioni progressivamente
scet- tiche e negative e con tutte le sue forme positive. Abbiamo
oggi la massima complicazione di indirizzi e di forme ; non è però
difficile distinguere le diverse funzioni storiche in atto, né prevedere
un continuo avvicinarsi ad una assoluta unità. A questa
teoria di M. si mossero da Silvio Spaventa e da altri obbiezioni, che
possono ridursi sostanzialmente a questa : Come può lo spirito umano
perdere due delle sue funzioni essenziali, l'arte e la religione? M.
risponde che SPAVENTA ha ragione se, basandosi sulla filosofia
kantiana, afferma che lo spirito umano sarà sempre tratto a fare degli
assoluti giudizi religiosi ed estetici, ad unire al concetto della mente
la intuizione che deve dargli corpo e vita; ma ha torto se crede che la
intuizione da accompa- gnare all'ideale debba essere sempre fantastica e
falsa. Nel principio l'intuizione religiosa e l'intuizione estetica è
creata dalla fantasia, ed è a vicenda distrutta perchè non è la
vera, non è assoluta, e non agguaglia l'assoluto concetto; e di qui
nasce da una parte una serie di capolavori tutti relati- vamente perfetti
— se son davvero capolavori — , perchè l'ideale dell'arte, come finito
ch'egli è, può accordarsi con una intuizione finita; e ne viene
dall'altra parte una serie di religioni tutte imperfette e però tutte
transitorie, perchè l'ideale religioso è infinito, e la fantasia non sa
creare che delle immagini finite. Ma le due serie hanno una legge,
perchè [Dopo la laurea, e cfr. Poesia ed arte, Lettera di G.
FRANCESCHI a M., nella Rivista bolognese. Franceschi dice che M., togliendo
all'uomo la religione e la poesia, lo abbassa all'abbaco e al pane ; egli
non comprende che M. intende anzi di innalzarlo alla sua filosofia
religioso-poetica. Le idee estetiche e religiose. hanno un
termine : e il loro termine non può essere che la vera e reale intuizione
corrispondente al concetto dell'arte ed all'ideale della religione. E
difatti abbiamo da un lato una serie di forme estetiche l'una meno
perfetta dell'altra, e sempre meno rispondenti alle condizioni assolute
dell'arte; e sono sempre meno naturali e spontanee, meno epiche e
fantastiche, sempre più spirituali, liriche, filosofiche e reali; e sì
l'intuizione dell'arte è sempre meno lieta e bella, e più trasparente ed
immediata all'ideale. È, dunque una serie regressiva e discendente. La
serie religiosa è al contrario ascendente e progressiva. Ogni forma
religiosa è meno fan- tastica, più razionale, più reale della precedente.
Per cui l'ultima, la cristiana, è assolutamente vera e perfetta; in
essa al mondo della ragione corrisponde un mondo fanta- stico quanto
esser può più adeguato e spirituale : il cristianesimo non ha altro difetto che
quello di essere una reli- gione. La religione cristiana si va sempre più
perfezionando; e il suo perfezionamento consiste nell'essere sempre
più storia, più realtà, più verità, e sempre meno religione. E così
per contrarie vie, l'una scendendo e l'altra montando, la religione e
l'arte corrono al loro fine, al vero. Il vero è l'eguaglianza della
realtà e dell'idea, del pensiero e del- l'intuizione. L'intuizione
estetica, da principio fantastica e non realmente assoluta, diventa a
gradi sempre più somi- gliante al concetto assoluto dell'arte, finché
raggiunge l'asso- luta e reale intuizione. Allora la natura è concepita
come un solo essere vivente, indipendente, assoluto; e ciascuna sua
parte è intuita come membro dell'intero, ed assoluta essa stessa :
giacché le due intuizioni ne fanno una sola. La intuizione religiosa, essendo
finita, non è adeguata alla sua idea, che è infinita. La verità religiosa
non è mai la vera, perchè è una combinazione di finito e di infinito,
anzi che di infinito con infinito. Ma la intuizione religiosa si va
sempre più allontanando dalla forma naturale, e si fa sempre più
veriforme fino a diventar vera ; il che avviene quando l'infinito
ritrova se stesso, ed è a un tempo concetto e intuizione. Allora al falso
succede il vero, e la religione fi- nisce. Questo non è perdere una
funzione; è risolvere e trasfigurare. Le funzioni inferiori dello
spirito, come la mo- rale, il diritto, lo Stato, conservano una esistenza
separata, perchè partecipano ancora della qualità della natura; ma
la religione e l'arte hanno per oggetto il vero; sono i gradi e le
forme del vero pensiero, e perciò quando il pensiero ac- quista una
esistenza distinta, esse la perdono e rimangono unificate in lui. L'arte
è per sua natura illusione e la reli- gione è per sua essenza errore ;
ora l'illusione è fatta per trasformarsi in certezza e realtà, l'errore
in verità. L'arte si trasforma nella vera cognizione naturale ; la
religione nella vera cognizione spirituale. In questa trasformazione
consiste la storia; il suo compimento è il fine della civiltà ed il
limite del progresso umano, che è temporalmente indefinito, ma
idealmente determinato. L' ideale è provvisorio, e sparisce
nell'idea. Così termina la parabola religioso-poetica, della quale
il primitivo oriente è il ramo ascendente; l'antichità pagana, tutta arte
e mistero, è la cima; ed il ramo che discende è l'era cristiana, in cui
la religione e l'arte vanno progressi- vamente diventando più riflessive,
sino a ridursi ad essere, oggi, il pensiero e la scienza cristiana.
L'uomo moderno cerca l'ideale e trova l'idea, cerca il concetto dell'arte
e trova il vero concetto, cerca il divino fuori di se e trova in se
l'umano; cerca il sovrannaturale e trova il naturale. Il nuovo uomo crede
e pensa; e pensando ricrea l'universo, dal suo pensiero una prima volta
creato. Questo nuovo universo è un'opera d'arte in cui la forma eguaglia
il concetto ; ed il concetto fatto conscio di se vince la forma, ed è
bello e sublime ad un tempo. Questo nuovo universo è un capolavoro, di
cui il nuovo uomo, poeta e critico insieme, intende il magistero; è un
tempio, di cui il pensiero umano è il nume [ Le idee
estetiche e religiose. ] e ciascun uomo il sacerdote, che a quel Dio sacrifica
ciò ohe è in lui di non buono. E il nuovo uomo continua questa
creazione con azioni generose ed alti pensieri. « Ed è così che egli è
più che mai non sia stato religioso e poeta, quando non è più che
scienziato e libero pensatore ». L'uomo parte dalla tenebrosa unità della
natura e del senso, e, a traverso la piccola riflessione e la grande
immaginazione, giunge alla luminosa unità della riflessione intellettiva,
avvivata dalla fede religiosa e poetica, che sole restano della religione
e della poesia. Naturalmente gli argomenti logici addotti dal M. a
sostenere la sua tesi della « metempsicosi » della religione e dell'arte
nella filosofia hegeliana sono validi solo se si ammette l'esistenza di
un concetto assoluto, universale, defi- nitivamente vero, al quale le
intuizioni estetiche e le reli- giose possano gradatamente adeguarsi;
solo, in una parola, se si accoglie l'hegelismo dell'Autore. Il compendio
di storia del genere umano tracciato per convalidare queste
argomentazioni non raggiunge lo scopo, perchè in esso non la storia
conduce alla dimostrazione, ma la dimostrazione, se pur non modifica la
storia, certo la coglie nei momenti e negli aspetti a lei giovevoli,
sorvolando sugli altri. E le molte e molte pagine che l'Autore consacra
alla dimostra- zione della sua tesi riescono invece a dimostrare questo :
che egli ha avuta la somma fortuna di trovare nella sua conce-
zione dell hegelismo la sua filosofia, la sua religione e la sua
poesia. M. è certo che le tre grandi correnti umane, — la
contemplativa religioso-poetica che nasce dalla natura e la
riflessivo-filosofica che, nata dalla precedente, si suddivide in altre
due : la filosofica positiva o filosofia della sostanza e Tanti
filosofica negativa che bentosto diviene afilosofica, negativo-positiva,
pseudo-riflessiva o filosofia dell'apparenza — , dopo aver proceduto
isolate fino al secolo XIX, suddividendosi in altre molte correnti o scienze
pseudo-positive, accennano oggi a ri convergere. L'unità dell'apparenza e
del pensiero, con la precedenza di questo su quella, è l'unità del
pensiero. Per avere l'unità della natura non basta che le due filosofie
astratte si fondano in una sola filosofia con- creta; bisogna che la
corrente religioso-poetica mescoli le sue acque con la corrente unificata
della filosofia. La cor- rente filosofica, scaturita dalla religione e
dalla poesia, tor- bida in principio, si allarga, si purifica, diviene
trasparente sino a perdere ogni potere nutritivo; ma poi, a poco a
poco, invade e travolge il tutto, l'uomo e la natura, la religione
e la poesia; e fa di tutto una sola unità vitale. E allora la filosofia
sarà la vita, sarà l'unità spontanea ed armoniosa della natura : un
pensiero pieno d'amore vivificherà una natura piena di fantasia, l'amerà
come natura umana, e l'adorerà come natura divina. Qui alcuno
potrebbe chiedersi : in questa identificazione della filosofia con la
vita, non subirà la filosofia stessa un assorbimento analogo a quello
subito dall'arte e dalla reli- gione ? La forma superiore non sarà la
vita e l'azione ? Ma M. non distingue dalla vita quella sua filosofia
del- l'avvenire. Egli afferma che è difficile precisare come tale
unificazione vitale si compia, e perchè quest'opera è appena cominciata,
e perchè avviene nella profondità del pensiero, al di sotto della
coscienza. Sono cose tanto lontane — dic'egli — e c'è di mezzo una tal
nebbia di tempo avve- nire, che è impossibile vederci chiaro: bisogna
contentarsi di averne un'idea generale, a Ma —soggiunge — a questa
generalità io ci credo, e giurerei, tanto ne sono certo, che le cose
passeranno così in generale ; e che tutto anderà a terminare nella
fusione di tutte le forze, di tutte le cono- scenze, e di tutte le
realtà, in una sola vita umana. La sua filosofia sarebbe forse un atto di
fede? L'uomo è un sistema vegetativo, un sistema riproduttivo, un sistema
animale e un sistema spirituale. Ciascuno di questi quattro sistemi umani
è attivo e si muove; ed ha, come natu- rale, la causa del suo movimento
fuori di se, nella natura. La natura della causa esterna che move è
corrispondente e proporzionata alla natura della sfera interna che è
mossa; mentre è una stessa natura che fa l'una per l'altra, ed è
sempre la seconda che move se stessa con la prima natura. Ma se
l'accidente, esterno o interno che sia, se la irragione- vole cattiva
natura interviene, e rompe la legge, e viola la ragione; se l'arbitrio
umano o naturale modifica la qualità della causa motrice, e ne muta la
relazione, e ne altera la proporzione con la interna sfera umana, questa
si altera e si disordina. Il disordine della sfera direttamente colpita
si comunica alle altre, ed è una successione e una complica- zione
di morbi; ma, isolati o uniti, non vi sono che quattro morbi umani
essenziali: i vegetativi, i riproduttivi, gli ani- mali, gli umani o
mentali. La patologia preistorica dice che di questi quattro morbi il
primo è stato il morbo vegetativo. L'uomo primitivo, uscito sano, valido
ed innocente dalle mani del Creatore, rimane sano, finché rimane
innocente; non ammala che per irragionevole arbitrio estemo o naturale ;
non è esposto che agli accidenti meccanici, alle malattie trauma-
tiche. Ma l'animale umano è, a differenza degli altri, capace di colpa;
egli trasgredisce il precetto e oltrepassa la natura: felice colpa,
perchè lo fa accorto di poterla oltrepassare. Di là dalla natura l'uomo
trova se stesso : trova la sua libertà e la sua propria natura, e fa
della necessità animale, istintiva ed involontaria, una necessità umana,
spirituale e volon- taria: e così di colpevole ritorna innocente. Ma non
è più la primitiva innocenza dell'animale ignaro e meccanico; è
l'innocenza dell'uomo che si vede nel suo interno, e si sa libero ; e
liberamente vuole se stesso, ed ama e venera la sua propria natura. Ma
bentosto egli oltrepassa questo se stesso, supera questa sua natura, e
diviene di nuovo colpevole, e si rifa sempre di nuovo innocente,
finché non abbia raggiunto tutto se stesso e la sua vera natura
spirituale, e non sia com- piuto il fato umano. Così l’uomo naturale
diventa in principio civile, e poi da una civiltà passa in un' altra. La
civiltà ha certamente i suoi morbi; e sopratutto nel momento del passaggio e
della colpa il morbo si impadronisce dell'uomo, e cresce e si moltiplica
ed imperversa. Allora l'uomo è annoiato di se stesso, e perciò si
corrompe. E il morbo, fecondato dalla corruzione, genera nuovi e più
cru- deli morbi. La corruzione sensuale moltiplica i morbi vegetativi ;
le voluttà naturali e preternaturali generano i morbi riproduttivi. Le
cause psichiche non moltiplicano solo le cause naturali, ma operano anche
per proprio conto, generano per diretta azione le malattie nervose e le
psichiche. D'altra parte, nelle nature più elette, invece di una
corruzione sensuale, nasce un principio di fermentazione intellet- tuale,
che dà origine alle malattie dello spirito. Ma tutto questo avviene con
una certa legge. Tre grandi civiltà si succedono: la prima naturale, la
seconda umana, la terza divina. E ciascuna ha il suo proprio carattere e
la sua par- ticolare natura; e ciascuna si corrompe, ed ha le sue
proprie e particolari malattie. La civiltà naturale quando è nel
suo primo fiore e nella sua perfezione originaria è senza morbi,
altro che accidentali e meccanici ; ma la sua corruzione porta seco le
cause fìsiche e chimiche, e genera morbi fisici e morbi chimici: cause
cosmiche, naturali, che danno origine a morbi naturali, sopratutto
vegetativi, prima ai morbi nutri- tivi, e più tardi ai morbi formativi.
La civiltà umana — il paganesimo — nel suo fiore è di nuovo senza morbi ;
ma la sua corruzione porta seco le cause umane, sensuali, passio-
nali, e dà origine ai morbi riproduttivi ed ai morbi animali: ai nervosi
prima, e quindi ai psichici. La civiltà divina — la cristiana — nel suo
primo fiore è del pari senza morbi ; essa è la reazione della medicatrice
natura umana, è la gua- rigione dell'anima e la salute del corpo, rimedio
radicale di tutti i morbi umani. Ma la reazione eccede tosto il
segno della umana natura, ed è principio di nuovi morbi. Mistica e
tutta entusiasmo e religioso sentimento, essa reca le cause mistiche, che
danno origine alle malattie psichiche mistiche e religiose. La corruzione
cristiana riproduce la corruzione pagana, e con le cause passionali
rinnova le antiche malattie. Ma di sotto alle rovine del primo spunta il
secondo cristia- nesimo, la nuova e vera civiltà divina, e riconduce le
cause spirituali e le nuove malattie mentali. Quando quest'ultima
civiltà avrà raggiunta la sua definitiva perfezione, allora spa- rirà il
male e l'uomo spirituale sarà di nuovo senza morbi, come era in principio
l'uomo animale. Tale è il primo e più generale risultato, la prima legge
della patologia storica : l'uomo ha quattro vite, quattro anime, ed ha
quattro qua- lità di morbi, che sono le categorie primarie della
patologia. Ma ciascuna anima può oltrepassare nell'uno o nell'altro
senso quei limiti della sua attività entro i quali ha luogo la
oscillazione normale ; ed allora concepisce un morbo positivo o negativo,
stenico ovvero astenico. Sono queste le cate- gorie secondarie della
patologia. La categoria primaria, la natura e la qualità fisiologica del
morbo, è l'essenziale, e mai non manca, né può mancare ; invece la
categoria secon- daria, il grado e la quantità innormale, può mancare, e
manca infatti, o non è sensibile ed apparente. Certo non vi è qua-
lità senza quantità ; ma nelle piccole applicazioni cliniche la quantità
innormale può mancare del tutto, perchè è supplita dalla quantità normale ;
nelle grandi applicazioni sto- riche la categoria secondaria trasparisce
sempre dentro alla categoria primaria. Le categorie primarie e
secondarie ci danno la pianta della patologia storica; non l'edilìzio con
tutte le sue parti. Le quattro grandi sfere contengono minori sfere, i
quattro grandi sistemi contengono sistemi sempre più piccoli :
apparecchi, organi, tessuti, elementi istologici: le anime gene- rali non
esistono veramente che nelle anime elementari o cellulari. I fatti sono
complessi organici e naturali di categorie, le più generali chiuse nelle più
particolari, e queste ricoperte dalla loro buccia innominabile ed
accidentale. A forza di aggiungere categorie a categorie il vacuo si
riempie e si consolida l'astrazione. La patologia storica congegnata da
M. è veramente originale; e sebbene, volendo dedurre da pochi
principi e compendiare in pochi schemi tutti i fatti umani, abbia
tal- volta dell'artinzioso, non è certo nel complesso senza genia-
lità, e coglie con acume i nessi che legano i singoli morbi alle varie
forme della civiltà umana. Ancora il terzo periodo — La filosofia della
natura. La creazione secondo M.. La lotta di M. contro la teoria
darwiniana. Il suo metodo trimorfo. La dimostrazione dei suoi principi.
L'accidentale e il necessario nella sua concezione filosofica. M. non puo
limitare la sua speculazione entro l'ambito della jatronlosofìa. Dalla
sua stessa concezione di [Delle prime linee della patologia
storica, Prelezione, Bologna, Monti. Della sua patologia storica l'A.
scrive (Delle prime linee della patologia storica): « ...Sarà vera o falsa,
buona o cattiva...; ma sarei curioso, e ben vorrei vedere chi di questa
bazzecola, come d'ogni altra mia piccola cosa infino a una menoma parola,
sarebbe capace di reclamare la priorità. Nella prel. qui cit. l'A. non
tracciò che lo schema generale di questa sua costruzione. Ma svolse poi
l'argomento nel successivo corso di lezioni universitarie, mai dato alle
stampe. Cfr. SICILIANI, Gli hegeliani in Italia. Per gli argomenti
trattati in questo paragrafo, si vedano: / naturalisti, La natura a volo
d'uccello: Forza] questa, oltre che dall'indole del suo ingegno e
dall'influenza dell'ambiente filosofico nel quale era stato educato,
egli doveva essere e fu infarti condotto alla costruzione di una
filosofìa della natura. Ma se egli parte dall'affermazione che l'essere è
pensiero, e non vede chiaro il significato di questa identità e non
ne deduce logicamente tutte le conseguenze, se egli pone le
fondamenta in modo arbitrario e nelle singole parti confuse e cozzanti
fra loro, non può innalzare un edifizio solido e fermo. E la sua
filosofìa della natura è infatti un castello in aria, sebbene edificato
con ingegnosità, pazienza e tenacia ammirevoli. Sono pagine che succedono
a pagine, volumi che succedono a volumi, e rivelano una profonda
conoscenza dello svolgimento di tutte le scienze mediche e naturali,
dai tempi più antichi fino a quelli in cui viveva l'Autore: geologia,
chimica, fisica, zoologia, anatomia umana e comparata, fisiologia, patologia,
terapia; e sono ipotesi e conquiste scientifiche messe in relazione con
sistemi filosofici e con periodi storici. Sono analisi di animali e di
vegetali, di specie, di classi, di ordini, di generi; e descrizioni di
organi, di funzioni, il cui nascere e modificarsi vuol essere
spiegato dal crearsi della idea divina. Ma in tutta la costruzione
si risentono le conseguenze della incertezza fondamentale. M.
afferma che creare è diventare, è spiegare successivamente le forme di cui si
ha il germe nel proprio essere. Il pensiero originario compie la propria
creazione, e di semplice essere si fa a poco a poco pensiero assoluto. Ma
poi aggiunge che il pensiero è il fondamento, il tetto e e materia, Un
nuovo corpo semplice, I tipi vegetali, Deus creavit, I tipi animali, Filosofia e non filosofia,
Darwin e la scienza moderna, ecc. Deus creavit, Dialogo I, nella
Rivista bolognese] la travatura dell'edilìzio della natura. Egli viene così ad
ammettere che il pensiero non basta ad esaurire tutta la realtà, perchè
il fondamento e la travatura non sono tutto l'edifizio. Non resta dunque
fedele alla concezione idealistica, secondo la quale la natura è un
momento del pensiero, che si risolve interamente nel pensiero stesso, e
senza la quale lo sviluppo del pensiero non sarebbe né completo, né
possibile. Egli distingue nella natura due gradi e due modi
di creazione: l'una sensibile, individuale, l'altra tipica, ideale,
individuale anch' essa. La prima creazione è quella che F idea dell' uomo
fa dell' individuo umano; ma 1' idea del- l'uomo è naturale, e le idee
naturali restano latenti finché l'idea divina, prima causa di sé e della
natura, le renda attuose, le fecondi e ne determini la trasformazione.
Quando l'idea divina è naturata nell'uomo, la creazione cessa nella
natura e ricomincia nella storia, finché l'uomo si è ricongiunto al suo
principio, e l'idea divina esiste tutta in forma di idea spirituale.
Anche l'idea spirituale esiste solo legata all'acci- dente, cioè come
individuo. Quindi, come nella natura, così nello spirito accade una
doppia creazione : quella dello spi- rito individuale e quella dello
spirito universale. Il primo ripercorre le forme storiche passate
dell'umanità sino all'at- tuale, l'altro crea le nuove e più perfette
forme storiche. La storia della natura umana, quella della natura vivente
e quella della natura cosmica sono le tre forme vitali di uno
stesso assoluto individuo temporale, il mondo. Sono tre crea- zioni : una
divina, eterna, infinita; l'altra essa pure ideale, ma temporale e
finita, universale e particolare insieme; la terza materiale,
individuale, accidentale. Dio si realizza nel mondo, e il mondo
nell'individuo; quindi anche Dio si realizza nell'individuo. L'universo
fa nel tempo come Dio fa nell'eternità: comincia nella forma più
semplice del suo essere, la natura; si divide in due forme opposte, il
vegetale e l'animale, e infine si raccoglie in una [Del Vecchio-Veneziani
- Le opere scientifiche e la filosofia della natura. ] forma
completa, lo spirito umano. Le forme dell'idea divina passano eternamente
l'una nell'altra, senza annullarsi; e così pure le forme dell'idea
naturale; ma nella materia una forma esclude l'altra, e però
nell'individuo sensibile, pur rimanendo tutte idealmente, spariscono via
via sensibilmente. Come un mammifero passa per le forme animali inferiori
e le proto- vertebrate prima di assumere ra sua forma specifica, così
l'in- dividuo umano principia selvaggio, e poi riproduce le tre
forme moderne essenziali, ed è prima immaginativo, indi ra- gionatore, e
finalmente pensatore: medio evo, risorgimento, tempo nuovo. L'uomo
ordinario, nel suo sviluppo, si arresta alle forme storiche già create;
l'uomo di genio crea forme nuove, opera come spirito universale, traendo
da Dio l'im- pulso e l'ispirazione creatrice. E sempre esisteranno oltre
ai più, agli uomini evolutivi, anche i pochi, i creativi, finché,
come la natura, anche l'umanità non sia giunta alla sua forma vera, già
tracciata da Dio. E perciò ora coesistono i vari gradi e le varie forme
in cui il tipo divino si squaderna nella natura. Questi gradi
sono una scala di mezzi e fini, in cui la forma inferiore è organo e
mezzo all'esistenza della superiore. Il ciclo tipico concepisce il moto
creativo e produce il ciclo superiore. Quando la natura è fatta, comincia
la vita; e quando è chiusa la creazione vitale comincia lo spirito
umano. I cicli secondari, anche prima di essersi svolti interamente, cominciano
a produrre i tipi corrispondenti del ciclo superiore. E la creazione
ideale è creazione sensibile ; la creazione di una specie è produzione di
molti individui in cui appare la nuova forma. Il concetto precede
l'esecuzione, e la successione effettiva e naturale presuppone la
succes- sione logica, ideale. La funzione è la vita, la forma è la
natura, che precede il contenuto vitale, e non se ne lascia tuttavia
assorbire e soverchiare ; e quando il contenuto spa- risce la forma
rimane. Nei tipi superiori la funzione assorbe e domina sempre più la
forma, ma la sua vittoria non è mai completa. L'equilibrio fra la forma e
il contenuto si ristabilisce non nel corpo, ma nello spirito umano. La vita
passa come il tempo; la natura è più tenace. Altra è la successione
di tempo, altra di idea. La suc- cessione naturale va non da ciclo a
ciclo, ma da tipo a tipo ; e perciò in tutte le epoche della creazione
tutti i tipi primari sono, più o meno completamente, rappresentati.
Ogni tipo incomincia col riprodurre i tipi formali che lo precedono, indi
prende la sua forma propria, e infine arieggia al tipo che gli deve
succedere. Anche diverso è il modo di accrescimento nella natura, nella
vita e nello spirito. Essendo la natura pura esteriorità, i corpi
inorganici crescono per moltiplicazione quantitativa esteriore, e non
hanno altra unità che la loro forma comune. Nello spirito, che è pura
interiorità, la esterna moltiplicità diviene interna e qualitativa.
Infine, essendo la vita uno spirito naturale, un misto di esteriorità e di
interiorità, di apposizione e di intuscezione, Tessere organico si sviluppa
per una moltiplicazione quantitativa ed esterna e per una moltiplicazione
interna e qualitativa, con prevalenza dell'una o del- l'altra secondo che
si tratti di una forma più o meno pros- sima alla natura. Mai la vita è
tanto esterna che non abbia la sua interiorità ; mai la forma organica è
tanto molteplice che non abbia la sua unità. Ma quest'unità è diversa nel
vege- tale e nell'animale. Nel vegetale la vita di ogni individuo
elementare si unifica nella vita comune dell'aggregato; nel- l'animale
deve prevalere l'unità dello spirito umano, e l'in- dividuo, semplice e
libero al di fuori, è molteplice e tutto qualificato al di dentro. Le
forme superiori [sono la chiave I tipi animali, , Bologna, Monti; Cfr.
Lettere sulta patologia storica, I tipi animali] necessaria a spiegare ed
interpretare le inferiori, per se stesse oscure, indistinte,
indeterminate; e sono alla loro volta spiegate dalle forme inferiori in cui
appariscono nella primitiva semplicità. Ma il riscontro non è utile se
non cade sulle forme fra le quali corre una particolare e più diretta e
più intima relazione tipica, secondo il vero metodo evolutivo, in
cui l'idea unisce le forme ed organizza le serie, non col metodo
empirico, capace solo di conclusioni generali arbitrarie, arti- ficiali,
ovvero, se alla vacuità sostituisce il preconcetto dar- winiano, di una
inestricabile confusione. Come Giorgio Hegel aveva combattuto e
denigrato il Newton, così M. lancia
in quasi tutte le sue opere strali frequenti contro il Darwin e i
darwiniani. Il naturalista inglese è per lui un genio, ma il genio
dell'ignoranza, perchè pone il cieco caso in luogo della ragione vitale. Egli
pretende che tutte le forme dell'intera serie animale sieno venute l'ima
dall'altra per l'aggiunta di sempre nuove particolarità organiche nate a
caso, e perchè utili ritenute nella selezione naturale, e trasmesse
dall'eredità, senza che mai in una forma nulla preesistesse dell'altra
che da essa proviene. M. afferma che qui c'è un progresso sul Lamark, in quanto
la modificazione dell'essere vivente è primitiva, spontanea, in- [M.dice
che la proposizione in cui si compendia la scienza dell'astronomia : « I
sistemi solari sono i primi uomini, il cosmos è il mondo umano
primitivo... non è possibile che alla filosofia della natura: motivo per
cui Newton, il divinissimo astronomo, non la sapeva altrimenti; egli nel
cielo ci vedeva Dio, e per questo ci voleva poco, ma non ci vedeva
l'uomo». - Dopo la laurea, li, [I tipi animaci, pel giudizio di M. circa
la teoria darwiniana, Dopo la laurea, Deus creami, Darwin e la scienza
moderna, I tipi animali; Filosofia e non filosofia, Lettera sulla patologia
storica] genita, e non prodotta soltanto da agenti esterni; ma egli non
sa comprendere come si possa affermare che tale modifi- cazione è
casuale, irrazionale, e che la ragione c'entra poi, introdotta dal caso.
Ammette che in ciascuna delle teorie di Mosè, Zaratustra, Firdusi,
Diodoro, Lamark, Darwin, è qualcosa di ragionevole, cioè di serio e di
vero. La verità più ragionevole, sebbene espressa in modo goffo e
materiale, è quella di Mosè: Deus creavit! — la meno ragionevole è
quella darwiniana. La teoria adattativa del Lamark e quella selettiva del
Darwin, pur essendo tutte e due sbagliate, hanno di vero lo schema
comune, ed è questo: gli animali formano tutti una sola famiglia naturale
; il principio che unisce e lega le forme è l'eredità; il principio della
divergenza delle forme è la variabilità. Se non che questi tre punti
debbono essere integrati rispettivamente così : gli animali sono tutti in
fondo uno stesso animale ; la generazione è creazione ; la
variabilità deve essere determinata, perchè nella natura e nella
scienza la potenza sta nella determinazione. Secondo M. , è
vero che l'individuo varia senza legge e senza ragione, fuorché quella di
essere individuo accidentale; ma varia anche con ragione, perchè è posto
fra la cieca necessità della natura e la conscia assoluta libertà
dello spirito umano. Dio è il grande modincatore, il vero e solo creatore
dei nuovi organi e delle nuove funzioni vitali, perchè una funzione è
un'idea, e per creare un'idea ci vuole un'idea. Il non essere non può
creare l'essere, l'irrazionale non può creare la ragione, la natura ossia
l'accidente non può creare i tipi e le funzioni. Senza l'idea divina non
potrebbe nascere dall' antropoide 1' antropo, intercorrendo fra loro una
differenza ideale anche, e di gran lunga, maggiore dell'organica, e
neppure potrebbero nascere nuove forme, perchè ogni fonma ha un suo
proprio valore assoluto, e si sviluppa secondo il ritmo assoluto del mondo,
secondo il disegno eterno della creazione. L'idea, e non il sangue, fa
l'unità delle forme vitali. Fra coloro che non riducono la
scienza ad una storia accidentale, alcuni — i seguaci della scienza
antica, essenzialmente religiosa e intuitiva — ammettono due storie
ideali, una fuori della natura e del mondo, un'altra secondaria, riflesso
della prima, sviluppantesi nel seno della natura e dell'essere vivente;
gli altri, i seguaci della scienza moderna, riflessiva, non riconoscono
che la forma e la storia intrinseca alla natura, all'animale, allo
spirito umano, con- siderando la storia extramondana come un effetto
ottico ope- rato dalla intuizione. Vi sono tre maniere
diverse di considerare le forme vitali. L'una consiste nel distinguere fra gli
elementi comuni a tutte quelli che sono propri di alcune soltanto. E si
consi- derano questi elementi formali come caratteri costitutivi di
un tipo più o meno comprensivo. È la maniera astratta, quella di Linneo,
di Jussieu, di Decandolle, di Cuvier, di Milne Edwars, di Owen. V'è una
seconda maniera, che si riassume tutta nella frase : una forma è simile ad
un'altra perchè il figlio è simile al padre e il padre all'avo. Questo è
pel I. il finis Poloniae, la comune e l'internazionale della
scienza moderna. Vi è infine una terza maniera, che con- siste nel
cogliere la forma nel suo movimento, e considerare i vari tipi come i
momenti evolutivi di un tipo ideale assoluto, il quale è l'unità, la
verità, la ragione, il principio e il ter- mine di tutte; e questo tipo è
il vero animale. È la maniera concreta, quella di Schelling, di Hegel, di
Oken. Dopo di loro il solo Baer l'ha presentita, ma non ne ha fatta
una applicazione sistematica e conseguente alle varie forme
animali. M. dice che egli intende di fare un tentativo di questa
specie. Secondo lui, tutte le forme preesistono idealmente l'una nell'altra;
tutte preesistono in una forma [I tipi animali, Le opere scientifiche e la
filosofia della natura] germinale di cui sono lo sviluppo creativo,
interno, spontaneo. La creazione consiste nella determinazione ideale
originaria di schemi indeterminatissimi, e nella loro delimitazione naturale,
ossia accidentale. Una forza interna a un dato momento, aiutando le
condizioni esterne da lei stessa preparate, trasforma l'embrione in larva
e la larva nell'individuo completo, facendolo attraversare una serie di
forme l'una più perfetta dell'altra, immagine della palingenesi
uni- versale. Questa forza ricevette una prima spinta dalla gene-
razione. L'uomo dà l'impulso prima alle forme semplici e generali,
quiescenti l'una nell'altra, che sono nella natura e pur non sono
naturali; le desta, le crea, le differenzia, le delimita; dei puri e
semplici momenti della legge formale fa delle forme vive, reali,
accidentali; muove la materia in- forme a creare il sistema solare e
l'uomo a traverso alla serie delle forme cosmiche e vitali. L'uomo
eterno, l'uomo intelletto umano, è dietro al caos ed a tutte le forme, è
la forma, l'anima, la forza, la spontaneità pura, assoluta, in cui
lo stesso accidente, il limite indifferente, l'assoluta par- ticolarità
esiste, ma nella forma di principio, di universa- lità, di necessità, ed
in questa contraddizione consiste la sua attività creatrice. Il pensiero
assoluto si trasferisce e si effettua nella realtà dell'universo, e lo fa
a sua immagine, e seco vi trasporta il metodo assoluto della sua
evoluzione attuale. La forma è un principio e una forza
indipendente dalla funzione; e questa forza ha una legge che ne
deter- mina lo sviluppo e l'azione, ed è la stessa*legge dell'uni-
verso, è il metodo della natura, del vegetabile, dell'animale e
dell'uomo, il metodo insomma di tutto il creato, perchè è quello
intrinseco alla divinità creatrice. Secondo questa legge, ogni sviluppo
essenziale si fa in tre momenti: tesi, antitesi, sintesi. Al movimento
puro, assoluto, astratto, corrisponde il [I tipi animali, Le opere
scientifiche e la filosofia della natura] movimento concreto della forma,
ai tre momenti ideali corri- spondono tre tipi sensibili : amorfo,
antimorfo, teleomorfo. E perciò l'universo è una gran trilogia: è amorfo
nella na- tura, antimorfo nella vita, teleomorfo nello spirito umano.
La natura (amorfopan) è indifferenza senza opposizione essenziale ; è
tutta forma senza unità, senza fine, senza ragione, senza la forma della
forma. La vita (antipan) è essenzialmente opposizione fra corpo ed anima,
fra molteplicità ed unità, fra vegetale ed animale. Esiste fra vegetale
ed animale una doppia antitesi : l'una di natura e l'altra di funzione
(antitesi psichica e antitesi corporea). Lo spirito umano (teleopan)
è teleomorfo. Lo spirito è 1' opposizione spinta all' estremo,
poiché l'antitesi non è più solo fra corpo ed anima, fra senso e
sensibile, ma fra intelligenza e intelligibile, fra Dio e l'uomo. Lo
spirito comincia con l'opporsi alle idee e finisce per riconoscersi in
quelle, e con lo stesso colpo si riconosce nelle cose : sì che egli è
l'unità reale e distinta delle cose e delle idee. L'anima nella natura è
interna, nel vegetale apparisce al di fuori, ma è corporea; nell'animale diventa
corporea, ma rimane particolare; nell'uomo diviene assoluta, universale e
puramente ideale, e la opposizione è finalmente risoluta e conciliata. La
natura, la vita, lo spirito umano hanno ciascuno a sua volta il proprio
sviluppo trilogico essenziale. Questo metodo trimorfo, come egli stesso lo
chiama, è per M. il filo ariadneo che deve guidarlo a traverso al
labirinto delle forme vegetali ed animali. Per lui tutte le forme e i
tipi più eterogenei e dissimili sono in realtà uno stesso identico
animale in via di formazione : l'uomo. E dei tipi animali egli vuol
tracciare la storia ideale, perseguendola a traverso alla descrizione. Confessa
che la descri- zione gli riesce troppo completa e determinata, mentre
ogni tipo è sfumato ed evanescente innanzi alla sua realizzazione,
è il mobile oscuro che da dentro fa forza e opera lo sviluppo creativo,
cominciando da sé, creando a mano a mano le pro- prie determinazioni.
Invece i sistematici ordinari, tutti intenti alla diagnosi delle forme,
poco si curano delle differenze di quantità ; essi hanno bisogno di caratteri
qualitativi specifici, possibilmente esclusivi, precisamente quelli più
materiali, che non significano nulla appunto perchè non passano in altre
forme. Tipo è forma con significato. Questi sistematici hanno una
logica difettiva a forza di astrazione; non pensano che nel quanto è
rinchiuso il quale. Seguono la vecchia tendenza separatrice, diagnostica,
arti- ficiale, bisognosa di abissi e avida di caratteri esclusivi,
isolatori. La nuova morfologia invece cerca le comunanze e le
transizioni, benché non arrivi ancora a ravvisare la transizione ideale dove
manca quella materiale. Per la vera morfologia il primo è la forma, che
pone i lineamenti gene- rali dell'essere; poi viene la funzione ideale
che la accomoda e la modifica; e in ultimo viene la funzione reale e la
selezione naturale. I darwiniani invece ignorano l'omo- [I tipi
animali] Dopo aver chiarita la differenza fra le due morfologie, Meis soggiunge
che il suo scritto è un lavorìo tutto di pensiero, condotto con un organo
che nel cervello dei naturalisti, darwiniani o antidarwiniani ch'ei
sieno, dev'essere assolutamente atrofizzato: « è tutta da capo a fondo
(apriti cielo)... una ricostruzione a priori. Ma lo scandalo sarà
piccolo, perchè non ci sarà di certo chi ci si voglia rompere il capo.
Questo scritto non si fa per stamparlo, si stampa per farlo ; e si fa per
uso e consumo esclusivo, e per supremo divertimento dell'autore, che
quando sarà tutto stampato tirerà tanto di chiavistello sulle pochissime
copie che ne avrà fatto tirare ». Le opere scientìfiche e la filosofia della
natura] la formale; per essi la funzione è tutto e fa tutto, ed è una
funzione prodotta dall'organo, la nutrizione, non la funzione essenziale,
«principiale)), a loro ignota e inconcepibile, Le dottrine materiali non
hanno nulla a che fare con la scienza, perchè questa non è la ragione
dell'uomo che la fa, ma la ragione della cosa. Il caratterizzatore vede
crollare come castelli di carta le sue classificazioni più o meno
inge-gnose. Il rimedio è uno solo: a Non caratterizzare, non clas-
sificare; pensare e ripensare. Seguendo il metodo trimorfo, si riconosce che
nel vege- tale l'amorfofito è indifferente ed informe; l'antifìto è il
centro della formazione, il punto in cui si spiega l'opposi- zione fra il
corpo e l'anima vegetale ; nel teleofito le due sfere sono egualmente
sviluppate. Il vegetale amorfo è l'alga, prima chimicamente e poi
anatomicamente semplice, indi molteplice, ma tutta disgregata nei suoi
elementi cellulari. 11 vegetale antimorfo è da un lato la felce
vegetativa, dal- l'altro il fungo riproduttivo. Il vegetale teleomorfo è
il coti- ledonato, in cui la forma vegetativa e la forma
riproduttiva sono egualmente sviluppate. Analogo è lo sviluppo
tipico dell'animale. L'amorfozoo è informe e indifferente; nell'antizoo,
punto centrale di tutta la formazione, si sviluppa l'opposizione fra
corpo e anima, fra sistema vegetativo e sistema riproduttivo ; nel
teleozoo i due opposti sviluppi sono riuniti e in giusta proporzione fra
loro. L'amorfo animale è il protozoo, cioè il rizopode e l'infusorio;
l'antimorfo è il radiario, il mollusco e l'articolato; il teleomorfo è il
verte- brato: pesce, anfibio, rettile, uccello, mammifero. I nomi
di amorfozoo, antizoo e teleozoo sono preferibili a quelli di vertebrato
ed invertebrato, che esprimono solo la presenza o l'assenza di un
elemento secondario. Finché M. sta fedele al suo programma di
dimo- strare solo col farli muovere i principi filosofici ai quali [I
tipi animali, Le opere scientifiche e la filosofia della natura] crede,
egli lavora a meraviglia: originali le applicazioni alla scala degli
esseri viventi, alle varie forme della vita, della scienza, della filosofìa,
della storia; particolarmente geniali e nuove le applicazioni alla
patologia. Ma a volte — rare volte, è vero — egli sente il bisogno di
tentare una dimostrazione logica di quei principi, e riesce invece,
senza avvedersene, a dimostrarne 1' ìnsuffìcenza, 1' arbitrarietà,
la nebulosità. Ciò gli accade nel Deus creavit, e nei tre dia-
loghi : / naturalisti ; Forza e materia ; Un nuovo corpo semplice. Nel Deus
creavit — già lo abbiamo visto — egli tenta, senza riuscirvi, di
dimostrare che il pensiero è fin dal primo momento essere. Nei Dialoghi
affronta lo stesso problema in forma più concreta : ricerca il punto in cui
l'essere ed il pensiero si identificano, lo ricerca con la sicurezza
di chi sappia di rintracciare cosa esistente nella realtà ; e con
lo stesso metodo, lo stesso procedimento, lo stesso linguaggio, e quasi
la stessa mentalità con cui un naturalista potrebbe studiare un essere da
lui non visto ancora, ma del quale, per descrizione autorevole e per
indizi indiretti e certi, gli fosse nota l'esistenza e i caratteri.] vero
lutto è l'uomo, l'uomo come pensiero, in cui l'uomo della natura, che in
sé ricompendia tutta la natura, si risolve ed unifica perfettamente. Ma
come questo pensiero eterno passa nel realizzarsi per tutti i gradi della
natura ? E che è questa natura ? Quale il suo primo grado ?
Retroce- dendo nella storia del processo naturale si perviene ad un
muro saldo, incrollabile, oltre al quale non si può andare: quel muro è
la materia. Certo la materia suppone lo spazio; ma spazio senza materia
non ci può essere. Chi dice spazio [I naturalisti, Diagolo 1°, nella
Civiltà italiana, Firenze, La natura a volo d'uccello: Forza e materia,
Dialogo, nella Civiltà italiana, Firenze, La natura a volo d'uccello: Un
nuovo corpo semplice, Dialogo, nella Civiltà italiana, Firenze, Le opere
scientifiche e la filosofia della natura. dice tempo, e chi dice
tutti e due dice moto; e dir moto è dir qualche cosa che si muove, è dire
— insomma — la materia, moto immobile, forza latente ed inerte
dell'universo. La forza diviene sempre materia a traverso un suo sviluppo
: da forza chimica, semplice affinità, a forza fìsica, e da forza
fìsica a forza meccanica, e infine corporea. Ogni forza è la materia della
forza inferiore ed il germe della superiore : e così il moto è il tempo
materializzato; il tempo è lo spazio divenuto più materiale. Sempre la
materia è la realtà, il limite di una forza; e la forza è la materia nel
suo spon- taneo svolgimento. La forza del pensiero da principio non
pensa ancora, ma si vuol pensare, ed è chiusa nella forza semplice in cui
tutte le forze speciali sono latenti ; e come la più forte, le urta di
sotto e fa uscire la forza chimica, che si comunica a tutta la massa della
forza semplice, sì che tutto diventa forza chimica reale, affinità e
materia puramente chimica ; e fa di questa affinità informe un
imponderabile informe, e di questo un informe ponderabile, un corpo
sem- plice informe. L'uomo senza influsso di esterno
accidente, mentre egli era da per tutto ed era tutto, non poteva
scegliere un punto del tempo e dello spazio in cui operare la
trasformazione della materia semplice in corpo sémplice. E l'operò in
un punto del tempo e dello spazio che erano tutto il tempo, tutto
lo spazio. Quell'attimo, quello spazierello» si riempì di ma- teria
reale, naturale, diventò da spazio ideale spazio reale, interminato, e
con esso cominciò la natura. La forza del pen- siero, come ha trasformato
il moto, la forza semplice, in forza chimica, così trasforma questa in
forza fìsica, e la forza fìsica in forza meccanica; e dallo stesso oscuro
fondo fa scaturire dietro a quelle forze la materia chimica, che si
trasforma in materia fìsica e indi in meccanica; e all'ultimo in vera
materia, in corpo chimico imponderabile, ponderabile. È la materia semplice che
successivamente si modifica e si realizza; è la proprietà chimica, è la
speciale natura Le opere scientifiche e la filosofia della natura.] fisica,
è la figura meccanica, geometrica, cristallina, che si aggiunge alla
forza chimica imponderabile, ponderabile, e le dà un primo corpo ed una
nuova realità; gli è un corpo incorporeo, una materia immateriale, una
realità non sensi- bile. Le forze, e le loro forme, le loro proprietà,
sono semplici, indifferenti, indistinte; esse sono avviate all'atto, alla
esistenza naturale, ma non ci sono giunte ancora. La forza è molto
pensiero e poca natura, e non ha tal realità e tal valore da fare di uno
spazio-pensiero uno spazio-natura; ma la proprietà è più natura che
pensiero ed è perciò atta ad empire di se lo spazio ; onde appena il
pensiero umano dietro a quelle tre forze fa scaturire quelle tre
semi-materie, subito mette fuori lo spazio, e lo distende, e vi spiega le
tre pro- prietà; e queste vi portano seco le loro forze, e le
dissemi- nano egualmente in tutti i suoi punti. Non perciò lo
spazio è pieno ed ha compiuta realtà. Egli è estensione, è materia,
ma non corpo, perchè non è ancora sensibile. 11 primitivo pensiero
umano ha dentro di sé un limite che è esso stesso pensiero, ed è il germe
e l'origine del senso; di questo limite fa lo spazio-pensiero e il
tempo-pensiero, e il moto, la forza-pensiero, e persino il qualcosa, la
materia pensiero: e tutto questo rimane dentro di lui, rimane lui
stesso, ed è ancora poco men che pura ragione e semplice pensiero. Ma poi
egli, premendo di più su quel limite, fa dello spazio-pensiero uno
spazio-estensione, e di questo un corpo sensibile prima al corpo, e poi,
per mezzo del corpo, anche all'anima. E poi, facendo del moto-pensiero un
moto reale, farà del tempo-pensiero un tempo durata; e poi farà
tutta la natura, e la vita — il vegetale — , e l'anima — l'animale ; e
all'ultimo si rifa pensiero, e pensa se stesso e l'opera sua. Di quel suo
limite originario, che era un senso-pensiero, egli ha fatto a poco a poco
un senso-senso. E di questo senso farà nella natura formata vari sensi
distinti, e così farà del- l'anima. Se noi facciamo la storia della
natura, troviamo all'origine della forza e della materia uno stesso
identico germe, il quale è in uno pensiero umano e senso umano
originario. Quel germe, pur mantenendo sempre la sua ori- ginaria
identità, si sviluppa di grado in grado, ed è prima natura, poi vegetale,
poi animale, e da ultimo uomo; e in ogni grado conserva quelle due cose
opposte, la forza e la materia, sempre distinte e sempre unite in una
perfetta iden- tità. Nell'uomo, nell'io, nel pensiero reale, l'unità
delle due cose opposte è naturata, personificata, e incorporeamente
corporalizzata. Questa unità veduta nella nostra natura ci fa più
facilmente riconoscere l'unità dei due elementi nelle nature inferiori,
la psichica, la vitale, la naturale. Nell'af- ferrare ciò consiste la
scienza. Questa è la storia della natura amorfa, in cui tutto è
quiete ed immobilità, in cui non c'è che un corpo semplice, omogeneo,
uniforme, informe. Poi — dice l'Autore — verrà la natura antimorfa, lo
sviluppo delle forze e delle materie, il caos. Infine vedremo sorgere una
nuova forza, che a tutte le forze del caos darà una legge e una norma, a
tutte le materie una forma comune ; e sarà la natura olomorfa, il
cosmo. E vedremo la forza cosmica trasformarsi nella forza vitale, e la
forma cosmica divenire la forma vitale, vegetale. E con questo programma
egli termina il secondo dialogo, Forza e materia; ma non pubblica più che
un terzo dia- logo (*), nel quale riassume la storia del pensiero umano,
che da prima tutta interna, tutta dentro un punto, si squaderna poi
nello spazio e si sgomitola nel tempo, e all'ultimo si ritrasforma di
natura in pensiero, e si riduce di nuovo ad un punto, e questo punto è
l'io. Come in principio il punto originario, così ora il punto
individuale si trasforma tutto; ma la trasformazione non si fa, come
allora, tutta in un atto, [Il dialogo (Un nuovo corpo semplice) è
preceduto da questa nota. Il presente dialogo è indipendente dai precedenti »,
- Sappiamo già che M. lavora spesso frammentariamente. Le
opere scientifiche e la filosofia della natura.] bensì successivamente. L'io è
un animale naturale, individuale; ma gli ii sono molti, e sono come molti
punti, molti tempi in un solo tempo, e tutti fanno come uno spazio
intellettuale nello spazio naturale, La trasformazione umana universale,
come quella dell'individuo umano, si sgomitola nel tempo e si srotola nello
spazio, e intanto si raggo- mitola e torna ad arrotolarsi nella storia. E
perciò la storia umana è una storia naturale di tempo e di spazio, è
una cronologia e una geografìa. La storia umana e la storia della
natura, essendo creata dal pensiero, è in ogni sua fase totale e
universale ; solamente non appare e non diventa reale che in certi punti
di tempo e di spazio: in certe epoche, in certi luoghi, in certi corpi e
in certi ii. È facile scorgere che M. non è felice quando
vuole risalire ai principi sui quali ha fondata la sua costruzione.
Invero non si capisce come quel suo pensiero originario, avendo nel senso
un limite interno, possa non avere anche un limite esterno, e tutta la
natura, che invece deve ancora nascere; ne si capisce come quel pensiero,
a furia di premere e caricare sul proprio limite, possa fare del
senso-pensiero un senso-senso, possa, in altre parole, trasformarsi da
forza in materia. Ma l'Autore non ha il più lontano dubbio di star
tentando la soluzione di un problema forse insolubile, certo insoluto.
Che forza e materia sieno due cose distinte ed opposte, ma unite ed
identiche è per lui una verità certa, positiva, reale. Egli dichiara che
non ha la pretesa di di- mostrare, ma solo di far presentire la verità,
come la pre- sente egli stesso: e certo di quella verità da lui
pre- sentita non riesce a dare una dimostrazione logica. In una
pagina che onora il suo senso poetico più che la sua GENTILE, LA
FILOSOFIA ITALIANA. V. Forza e materia, I naturalisti, Dialogo] profondità filosofica,
egli afferma che il corpo è un vegetale, è l'inferno, l'anima è parte
materiale e parte immateriale ma sempre naturale, il pensiero è il
paradiso, e di pensiero noi siamo tutti uni in Dio ; e per descrivere il
suo paradiso tratteggia con poche belle linee il paradiso dantesco.
Come Dante non può significar per verba il trasumanare, così egli
stesso non può chiarirci come 1' universo si unifichi nel- l'uomo; solo
ci dice con slancio lirico che quella è la sua fede. Alla fede in quanto
è davvero tale e solo tale, ed è ardente, profonda, incrollabile, sarebbe
certo vano, se pur fosse possibile, 1' opporre argomentazioni. Ma ai
principi che di quella fede sono oggetto, e vengono posti a fon- damento
di una costruzione scientifico-filosofica, si può e si deve chiedere se
sieno suscettibili di avere dall'esperienza una conferma o dalla logica
una dimostrazione. La risposta è negativa. Quanto alla
conferma dell'esperienza, M. dice che con le idee si scopre, è vero, la
sostanza delle forme e si tien dietro al loro movimento essenziale ; ma
il controllo è la stessa realtà che deve rimanere inalterata ed
intatta, ed è il fatto che deve essere riprodotto nella sua
integrità, e con tutte le sue condizioni essenziali. Ma se l'Autore
ammette l'esistenza di realtà e di fatti che non sono idee, e che solo
con le idee possono venir scoperti nella loro sostanza e seguiti nel loro
movimento, dovrebbe indicare un terzo termine, atto a valutare la
rispondenza fra gli altri due. Non lo indica. Ma è chiaro che il terzo
termine non può essere per lui che la stessa idea, giudice e parte
in causa. Il controllo di cui egli ha parlato manca; e non poteva
non mancare. Nell'ambito dell'idealismo assoluto non può esistere un
controllo esterno, ne si può senza essere [I tipi animali. Cfr. Dopo la
laurea, Le opere scientifiche e la filosofia della natura. incoerenti ammettere
l'esistenza di una realtà che non sia l'idea o il pensiero.Quanto alla
dimostrazione logica dei suoi principi, abbiamo veduto che le rare volte in cui
M. la tenta non la raggiunge, e cade in contraddizioni, come
quando, dopo aver affermato che il pensiero è l'essere, ne ragiona
come di un pensiero che pensa l'essere, e considera l'essere come puro
essere e non pensiero ('); o incorre in errori, come quando afferma che
il pensiero originario ha nel senso un limite interno senza avere un
limite esterno; ovvero si appiglia ad ipotesi degne di un alchimista
ostinato alla ri- cerca della pietra filosofale, come è quella della
forza che diviene materia premendo e calcando sul suo proprio limite. La
sua filosofìa della natura, riposando su principi che possono essere
oggetto di fede, ma non possono avere dal- l'esperienza un controllo né
dal ragionamento una conferma, è una costruzione che può essere, ed è
difatto, ingegnosa e bella, ma è del tutto arbitraria. Di ciò mai ebbe
alcun sospetto l'Autore, sempre fermo nella sua fede hegeliana,
vita della sua vita, anima della sua anima. Egli non intendeva di cercare
una soluzione nuova; solo si proponeva di svolgere ed elaborare una
soluzione già da altri raggiunta. La sua opera è fallita perchè aveva
come presupposto e come base quella conciliazione dell'essere e del
pensiero, della forza e della materia, che contrariamente a quanto egli
cre- deva non era stata raggiunta da nessuno, e meno che mai po-
teva esserlo da chi, avendo studiata analiticamente la natura, si
ribellava a tagliare il nodo gordiano negando la natura stessa o
riducendola a una mera forma spirituale. Deus creavit. Forza e
materia. Della medicina sperimentale, p. 3 ; e cfr. tutte le opere di M.
M. non è d'accordo col Berkeley, che «
sopprime la natura»; Del Vecchio Veneziani Una costruzione
speculativa della natura, quale l'idea- lismo assoluto e la riduzione
della natura a pensiero esigono, dev'essere tutta una deduzione
necessaria per considerarsi compiuta e riuscita. E in una deduzione
logica e necessaria l'accidente come tale non può trovar luogo. Non
si dimentichi, del resto, die l'idea dominante in tutte le assidue e
lunghe meditazioni del M. intorno alla natura, l'idea informativa di
tutti i suoi studi era, come egregiamente la definiva Fiorentino, «
l'idea di con- trapporre al predominio dell’accidente, che è il lato
debole del darwinismo, una spiegazione più intima e più razionale
delle forme, attraverso delle quali progredisce e si dispiega la vita
della natura... una ragione superiore, che regola lo sviluppo dei tipi
della vita naturale, finche non si dispieghi, e non si allarghi nell’uomo
e nella coscienza. Si trattava dunque per M. di superare quello scoglio
contro il quale, a suo vedere, naufragava il darwini- smo; di evitare la
trasformazione dell' accidente in Deus ex machina, al quale far ricorso
perchè o dove non soccorra una ragione superiore o una spiegazione più
intima e razionale. M. appunto dice e ridice, anche per quanto
si riferisce alla natura, che la filosofia vive nella sfera della
necessità e della certezza assoluta; ma in contrasto con questa esigenza
afferma anche l’indispensabilità dell’accidente in tutti i momenti della
creazione. Ora l'accidente, che è dichiarato indispensabile, o è
razionalmente necessario, cioè deducibile a priori, e allora deve
rientrare nella costruzione speculativa come elemento interno, e non
esteriore, sicché non può più dirsi propriamente accidentale. O è
la né col Fichte, nel cui sistema la natura c'è soltanto quanto basta per
far la coscienza, ed è quindi ridotta ad una espressione astratta. Cfr.
Prenozioni, La filosofia contemporanea in Italia, Dopo la laurea, negazione della necessità
razionale e della deduzione a priori, ed in questo caso la dichiarazione
della sua indispen- sabilità costituisce il confessato fallimento della
costruzione speculativa. M. oscilla fra le due alternative, senza
sapersi appigliare né all'una né all'altra. Questa non meno di quella
avrebbe significato il riconoscimento della contraddittorietà della sua
impresa. Invero l'accidente sembra necessario per lui a costituire
nella catena dello sviluppo creativo l'anello iniziale e gli anelli di saldatura
tra i frammenti non altrimenti congiungibili. L'anello iniziale, poich'egli
dice che quando non c'era la natura e quindi l'accidente » era
impossibile al- l'uomo (ossia all'idea di Uomo, che come fine deve
prece- dere e determinare lo sviluppo), senza arbitrio e « senza
in- flusso di esterno accidente, di scegliere un punto del tempo e
dello spazio in cui operare la iniziale trasformazione della materia
semplice in corpo semplice. Gli anelli di salda- tura, in quanto dice che
l'accidente, elemento costitutivo della natura, è necessariamente
compreso nel processo della funzion ; che ogni tipo vivente è già
idealmente quello che dee succedergli, ma non basta a crearlo, a produrlo
real- mente nella natura, senza il concorso di cause accidentali e
d'esterni influssi ». E in generale tutto il processo e lo sviluppo della
natura per M. consegue la realtà solo in quanto l'accidente interviene e
concorre con l'idea alla produzione del risultato. Il fatto è anche idea,
ma l'idea non è reale e non esiste che nel fatto; « il principio e
la potenza della vita... è sempre unito a un qualche elemento materiale e
meccanico che lo fa reale e particolare, che è quanto dire individuale ed
accidentale. Forza e materia, /
mammiferi. Prelezione al corso di fisiologia dato nella R. Un. di Modena.
Degli elementi della medicina. Le opere scientifiche e la filosofia della
natura. M. considera i vari tipi carne momenti evolutivi di un tipo
ideale assoluto, l'uomo eterno. Crede che tutte le forme preesistano in
forme germinali di cui sono lo sviluppo creativo interno e spontaneo. Ma la
creazione non consiste soltanto, nella determinazione ideale originaria di
quegli schemi indeterminatissimi », sì anche nella loro delimitazione
naturale, o sia accidentale. E molte volte ripete che la natura è
accidente e che l'idea spirituale esiste solo legata all'accidente. Ma qui
appunto si potrebbe obiettare alla nostra osservazione, che noi dobbiamo
approfondire il concetto del- l'accidente che M. afferma. Legato all'idea,
intrin- seco alla natura, l'accidente che egli fa entrare in campo
a determinare e spiegare lo sviluppo non è, come l'accidente dei
darwiniani, puramente estrinseco e meccanico. Ha anzi esso medesimo una
necessità interiore ; è il momento della antitesi, senza il quale non
potrebbe svolgersi la sintesi crea- tiva. L'uomo eterno, dice appunto M.,
è « la forma, l'anima, la forza, la spontaneità pura, assoluta, in cui
lo stesso accidente, il limite indifferente, l'assoluta
particolarità esiste, ma nella forma di principio, di universalità, di
necessità : ed è in questa contraddizione che consiste la sua attività
creatric. Per questa via parrebbe risolversi la difficoltà nella quale ci
appare impigliato la filosofia di M.. Che se anche altrove egli
identifica il puro accidentale col male, non vi sarebbe contraddizione
con la universalità e necessità rico- nosciuta sopra all'accidente; ma
distinzione di due specie di accidenti o di nature: l'interna e
l'esterna; necessaria la prima, accidentale in senso proprio la seconda. M.
difatti parla esplicitamente di una natura esterna che viene Deus
creavit, (/ tipi ammali. Le opere scientifiche e la filosofia della
natura. a dare l'ultima mano alla natura interna, di un agente esterno ed
accidentale che non era compreso nel processo della natura interna, non
era calcolato nella evoluzione vitale, e oltre a modificare, sia pur solo
superficialmente e quantita- tivamente, le forme, e favorire la
trasformazione, e provocare la nuova interna creazione e lo sviluppo di
germi latenti, « può fare e fa certamente di più, v'introduce qualche
cosa di accidentale e di naturale ». Di fronte a questo accidente,
esterno sta l'interno : « vi è già — soggiunge M. — nella forma latente
un principio di accidente. Essa è semplice ed una, ma nella sua unità vi è un
germe di differenza e di moltiplicità, vi è l'attitudine e la
disposizione a dividersi in molti e diversi, ed è un accidente indeterminato
e scolorato, pura possibilità di farsi, più che non è, accidentale. L’accidente
esterno feconda 1' accidente interno e gli dà corpo e colore, e ne fa una
realità accidentale e naturale. Gli agenti esterni stimolano, promuovono,
determinano, ma Dio opera la trasformazione. L'accidente può render conto
delle differenze secondarie, non giunge ai veri gradi della formazione.
Esiste dunque una storia interna, essenziale, ed una esterna,
accidentale; ed esistono due sorta di accidente: uno necessario ed
essenziale, l'altro secondario e individuale: il primo, l'accidente
necessario, assoluto, realizza l'evoluzione creativa ideale, intrinseca,
assoluta della forma animale; accompagna ogni realtà, circoscrive
esteriormente le forme, e fa esistere gli individui; l'altro, l'accidente
accidentale, nasce dall'intreccio dei processi e dal cozzo inevitabile delle
cause na- [Lettera sulla patologia storica] Cfr. Deus creavit, passim.
Dopo la laurea, tipi animali, tipi animali, Cfr. Deus creavit, Deus creavit, Le
opere scientifiche e la filosofia della naturatura] li, delle quali una è la
darwiniana concorrenza vitale, da cui deriva la formazione delle varietà,
delle specie, dei ge- neri, ma la sua azione non potrebbe estendersi fino
ai tipi. La natura finisce per essere, come la società umana, una
lotteria. Finisce, ma non comincia; e non è una lotteria da capo a fondo
», perchè ha le sue basi ideali e le sue leggi necessarie. Se non che arrivati
a questo punto noi possiamo doman- darci : l'obiezione che abbiam detto
potersi muovere al nostro rilievo delle difficoltà inerenti al pensiero
del M., è veramente risolutiva? Questo approfondimento del concetto
di accidente, questa distinzione delle due specie di esso, interna o
necessaria ed esterna o accidentale, elimina vera- mente la
contraddizione nella quale ci era sembrato che questa filosofia della
natura si involgesse ? L’accidente interno consiste nella indeterminazione
e molteplice possibilità della forma latente. Ma intanto M. più volte
afferma che senza il concorso di esterno accidente la possibilità non
passerebbe all'atto, non si farebbe realtà di natura. Tra la potenza e
l'atto bisogna che s'inserisca un mediatore perchè il passaggio avvenga. Sicché
l'accidente esterno è da lui riconosciuto indispensabile non sol- tanto
per l'esistenza degli individui, ma anche per la produzione reale dei tipi
nella natura. E del resto la stessa molteplice possibilità in cui è fatto
consistere l'accidente necessario, del pari che l'intreccio dei processi
dal quale si fa nascere l’accidente accidentale, possono essere a
loro posto in una concezione puramente causale e meccanica della
natura (per esempio in quella cartesiana), ma non sono più a posto in una
dottrina finalistica, nella quale il termine finale, l'uomo eterno, pre-esiste
a tutto il processo di sviluppo e lo genera esso medesimo. Voler
dimostrare che nella natura si compie uno sviluppo teleologico, e non
saper negare che vi sia anche qualche cosa di ciò che il Darwin vi
scorge, ossia che la natura finisce per essere, come la società umana,
una lotteria, è contraddizione non conciliabile tra l'intenzione e il
resultato. E si potrebbe anche aggiungere che una contraddizione
è nello stesso intervento dell' accidente esterno a spiegare la
patologia. L'intero edinzio della patologia storica costruito dal M.
crollerebbe, se non intervenisse l'accidente accidentale, perchè solo «se
l'accidente, esterno o interno che sia, se la irragionevole cattiva natura
interviene, e rompe la legge, e viola la ragione; se l'arbitrio umano
o naturale modifica la qualità della causa motrice, e ne muta la
relazione, e ne altera la proporzione con la interna sfera umana, questa
si altera e si disordina. Ora si ricordi che per M. la malattia corrisponde al passaggio
dall'in- nocenza alla colpa, a cui succede il passaggio ad una
forma superiore d'innocenza, alla libertà. Se questa forma
superiore, che è il fine dello sviluppo, non è raggiungibile che
attraverso a questo processo, il processo è necessario, e necessari,
non accidentali sono i suoi momenti : la tesi, l'antitesi e la
sintesi. Ma allora come può il momento dell'antitesi essere un ac-
cidente violatore della ragione ? In un idealismo assoluto, e
particolarmente nel ritmo dialettico che si svolge nel movi- mento degli
opposti, il momento negativo non è meno neces- sario che il positivo a
dare con la negazione della negazione la più alta realtà. Come può dunque
in questa concezione filosofica trovar luogo l'accidente accidentale di M.?
Come può un accidente siffatto, cioè un accidente estrinseco, che rompe
la necessità e viola la ragione, essere costitutivo della natura quale
dev'essere intesa in un idealismo assoluto, cioè come pensiero o ragione
? [Delle prime linee della patologia storica]. Queste contraddizioni si
collegano con una profonda, in- conciliabile contraddizione interna del
pensiero di M.. È in fondo il contrasto fra il naturalista e il filosofo
idealista, contrasto che si svolge anche nell'antitesi fra l'ardente
e costante aspirazione a ricongiungere ed unificare la fisiologia
con la filosofia, e lo scrupolo della divisione del lavoro, che talvolta
si riaffaccia: la metafisica ai metafisici, a noi la fisiologia. Questo è
il suo conflitto intemo non superata, che si potrebbe estendere ben oltre
il suo caso individuale. Invero se la natura è, come M. sostiene, idea
e natura a un tempo, la divisione del lavoro non è possibile: il
fisiologo non può essere tale se non è prima filosofo; la fisiologia non
può essere costruita se non è costruita prima la metafisica. E costruita
non da altri, ma dal fisiologo stesso, come altrove M. riconosce. Perchè,
secondo il principio vichiano ed hegeliano, per M. il fare soltanto ci dà
il vero conoscere : criterio del vero è il farlo. Dal che sarebbero pure
derivate conseguenze contrarie alle conclusioni di M. intorno ai rapporti
fra la teoria e la pratica medica. Infatti come può la separazione
della jatrofilosofia dall'attività del medico pratico conciliarsi
con l'unità del vero col fatto? Se la vera scienza è la storia,
perchè è la realtà vivente, non varrà anche per la jatrofilosofia la massima
che criterio del vero è il farlo ? E non sarà quindi contraddittorio il
dichiararla disgiunta dalla pratica, e quindi inutile come tutte le cose
eccellenti, virtù, giustizia, arte, religione, scienza ? Ed ecco il
criterio della verità della jatrofilosofia nella pratica, nella clinica,
nella cura delle ma- lattie, secondo voleva TOMASSI. Anche qui M. Lettere
fisiologiche, Cfr. Dopo la laurea, là dove si riconosce come necessaria, sia
pur soltanto al sapere positivo, la divisione del lavoro. [Idea della
fisiologia greca ; e altrove. La natura medicatrice e la storia della
medicina] mostra di non aver raggiunta la piena coerenza del suo pen-
siero, né la piena consapevolezza delle esigenze dei suoi
principi. Egli, come ogni naturalista, riconosce la funzione del- l'
accidente ; ma il rapporto e il contrasto fra il necessario e
l'accidentale, fra ciò che è conoscibile e costruibile a priori e ciò che
è dato solo dall'osservazione sperimentale, rimane in lui insoluto. Ed
egli non riesce a vincere le difficoltà che anche Hegel aveva incontrate
nel costruire la sua filosofìa della na- tura, la quale è certo la parte
più debole del suo sistema. L'errore fondamentale del M. è consistito in
questo : che egli ha attribuite le deficenze della filosofìa della
natura hegeliana a cause fortuite e soggettive, e non ha scorto che
le cause erano intrinseche al sistema, per se stesso tale da non
consentire che vi fosse inquadrata una filosofia della natura compiuta,
razionale e concreta ad un tempo. E andò cercando per tutta la vita una
soluzione non raggiunta ancora, sempre credendo di lavorare solo alla
dimostrazione e alle applica- zioni di quella, che egli stimava già
scoperta da Hegel. Grice: “De Meis’s
theory resembles my pirotological progression, heavily! I like his
generalisations. I wish we had at Oxford such a freedom to generalise!” -- Camillo
De Meis. Angelo Camillo De Meis. Meis. Keywords: implicature,
citato da Pirandello in “Il fu Mattia Pascal” “Chi lo dice? – gli domanda forte
il giovane, fermo, con aria di sfida. Quegli allora si volta per gridargli:
“Camillo De Meis!” –-- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e e Meis” – The
Swimming-Pool Library.
No comments:
Post a Comment