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Monday, September 10, 2012

Storia della filosofia romana -- la tradizione retorica

Speranza

Con la conquista dell'Oriente e della Grecia a seguito della battaglia di Pidna del 168 a.C., i romani entrarono in contatto con la cultura greca, restandone fortemente influenzati.
« Graecia capta ferum victorem cepit et artes
intulit agresti Latio. »
« La Grecia conquistata conquistò il feroce vincitore e le arti
portò nel Lazio agreste. »
(Orazio, Ep. II 1, 156)
A Roma la retorica fu materia molto studiata e molto praticata, sia nelle sue applicazioni forensi che in quelle politiche: ne è un chiaro esempio Cicerone, con le sue famose "Verrine", orazioni scritte contro il propretore della Sicilia Verre.

Ma non può certo tralasciarsi il ruolo essenziale che, dopo di lui, ebbe Quintiliano, che nella Institutio oratoria elaborò una vera e propria silloge della retorica antica così come si era sviluppata fino alla sua epoca.

Riconosciuto come il più importante retore latino, Cicerone è ricordato sia per essere stato un grande oratore (a lui si deve la diffusione dello stile rodiese, con la sua prosa più temperata rispetto all'Asianesimo, ma priva dell'asciuttezza dell'Atticismo), sia per le sue opere teoriche, in cui entrò nel merito dei principali dibattiti in corso.

Egli però evitò nei suoi testi un'esposizione troppo tecnicistica, preferendo piuttosto fornire una visione non specialistica della retorica e del ruolo dell'oratore, mostrando come essa si radichi nel campo delle lettere e della filosofia.

In questo modo, Cicerone intendeva ribadire la nobiltà e l'utilità dell'eloquenza, sottolineandone l'importanza civile e politica.

Nel De oratore, ad esempio, opera in tre libri sotto forma di dialogo completata attorno al 55 a.C., egli affronta il tema del rapporto tra filosofia e retorica, affermando che senza la filosofia la retorica è vuota, ma che d'altro canto la retorica non può essere screditata dai filosofi, poiché proprio l'eloquenza è il fondamento della società civile.

Filosofia e retorica non sono opposte, ma semmai complementari, cosicché il buon retore deve essere filosofo: su questo solco si colloca anche la riflessione del "Bruto", altra opera in forma di dialogo scritta attorno al 46 a.C., nella quale viene delineata la figura del perfectus orator, sintesi delle virtù rilevate nei principali retori e oratori del passato.

Sempre negli stessi anni Cicerone compone l'Orator, epistola indirizzata a Bruto in cui riprende quanto detto in merito all'eloquenza nel De oratore, soffermandosi in particolare sul numerus (ritmo).

Infine, negli ultimi anni della sua attività compose i Topica e le Partitiones oratoriae, opere di carattere più tecnico che riprendono in particolare i Topici e la teoria dei loci).[44]


Con il passaggio dalla Repubblica all'Impero, la retorica perse la sua funzione politica, e progressivamente diminuì d'importanza, pur rimanendo materia di studio (tuttavia, gli argomenti delle suasorie e controversie su cui gli allievi si esercitavano erano perlopiù staccate dalla realtà).

Proprio nei primi anni dell'Impero (I secolo d.C.) vive e opera il già ricordato Marco Fabio Quintiliano, retore tra i più celebri e precettore dei nipoti dell'imperatore Domiziano.


Quintiliano teorizzò nella sua Institutio il percorso formativo che doveva seguire un romano nobile per poter diventare un buon oratore ed essere quindi – secondo la formula di Catone il Censore - vir bonus dicendi peritus.

Posto anch'egli di fronte alla spinosa questione del rapporto tra filosofia e retorica, Quintiliano piega verso l'eloquenza, l'unica in grado di formare cittadini onesti e moralmente saldi.[45]

Inoltre, seppur di primaria importanza, il trattato non si esaurisce nell'analisi degli aspetti pedagogici, ma sviluppa anche una serie di considerazioni sulla tecnica e la composizione: la classificazione dei generi del discorso, le cinque fasi della composizione (inventio, dispositio, elocutio, memoria, actio), le caratteristiche morali e culturali che deve avere un buon oratore (con esplicito riferimento a molti altri autori, da prendere a modello), il rapporto che il retore deve intrattenere con i politici.[46]

L'Anonimo del Sublime [modifica]

Al I secolo d.C. appartiene un importantissimo trattato di retorica, noto con il titolo di Περί ὕψους, Sul Sublime. Nulla sappiamo del suo anonimo autore, indicato dalle fonti come «Dionisio oppure

La Seconda sofistica [modifica]

Nel II secolo la retorica antica giunge infine alla sua ultima fase, segnata dal movimento filosofico-letterario definito da Flavio Filostrato Seconda sofistica. Gli esponenti di questo movimento intendevano riportare in auge i fasti della Sofistica del V secolo a.C., di cui ripresero il nome; tuttavia, ai loro interessi furono estranei i temi politici ed etici di cui si erano occupati i loro illustri predecessori, preferendo piuttosto soffermarsi sullo studio e l'esercizio della retorica allo scopo di raggiungere il successo. Essi inoltre mantennero sempre stretti rapporti con il potere costituito, cercando (tranne rare eccezioni, come nel caso di Dione di Prusa) di ingraziarsi i favori di re e sovrani. Questa inclinazione si scorge anche nella produzione letteraria dell'epoca, tesa ad assecondare i gusti del pubblico colto a cui si rivolgeva, attraverso una prosa attentamente studiata, riducendo lo spazio dell'improvvisazione con il ricorso ad un ampio repertorio di temi e discorsi già pronti. I generi letterari a cui si dedicavano erano svariati e mutevoli: si va dai trattati ad opere di semplice intrattenimento, senza dimenticare dialoghi, novelle e opere satiriche. Infine, i neosofisti ereditarono l'ormai annosa diatriba tra asianesimo e atticismo, che proseguirono senza risultati.[52]
Alla Seconda sofista sono riconducibili autori del II secolo come Dione Crisostomo, Massimo di Tiro, Favorino, Erode Attico, Elio Aristide, Luciano di Samosata, Eliano, Flavio Filostrato ed Ermogene di Tarso;[52] il sofista Cassio Longino (III secolo); scrittori del IV secolo come Imerio di Prusa, Libanio di Antiochia, Temistio di Paflagonia, Sinesio di Cirene; la scuola di Gaza del V secolo.[53]

 

Con la crisi dell'Impero, la retorica continuò ad essere materia di insegnamento durante tutto il Tardoantico, e proprio in una scuola di retorica si formò il giovane Agostino d'Ippona. Gli studi umanistici e retorici a cui fu sottoposto per volere del padre (che sognava per il figlio una brillante carriera forense) furono per lui di estrema importanza quando, convertitosi, si avvicinò allo studio dei Testi Sacri. Dalla sua intensa attività ermeneutica, perseguita per anni con estremo scrupolo, nacque il De doctrina Christiana, opera in 4 volumi dei quali i primi tre sono dedicati all'esegesi biblica a partire dalla coppia concettuale res (contenuti) e signa (parole),[54] mentre il quarto è dedicato alle norme da seguire per una corretta esposizione della Verità appresa. Proprio in quest'ultimo libro Agostino descrive quella che doveva essere la «retorica cristiana», posta al servizio della predicazione: in essa vengono riprese le norme della retorica classica, come la distinzione dei tre stili (sublime, umile, medio) e la necessità che il retore sia animato da rettitudine e sia – quindi – un buon cristiano.[55]
D'altra parte va ricordato che anche prima di Agostino altri autori cristiani si erano rivolti alla retorica classica per le loro opere apologetiche, come Tertulliano, Minucio Felice e Lattanzio (quest'ultimo noto come “il Cicerone cristiano”); tuttavia, è con il De doctrina Christiana che il Cristianesimo acquisisce in toto la retorica pagana per applicarla allo studio della Bibbia, la quale con il suo stile semplice è vista come l'archetipo della retorica stessa. In questo modo, la retorica continuerà a sopravvivere anche nel Medioevo.[56]
Le sette arti liberali in un manoscritto conservato all'università di Tubinga. Da sinistra a destra: Geometria, Logica, Aritmetica, Grammatica, Musica, Fisica, Retorica

Al V secolo risale il De nuptiis Philologiae et Mercuris di Marziano Capella, trattato in cui vengono presentate, sotto forma di personificazioni allegoriche, le sette arti liberali del Septennium. Nello specifico, le arti sono suddivise in due gruppi:[57]
Il Septennium godette di grande fortuna nel Medioevo, e fu ulteriormente sviluppato nei secoli successivi da filosofi come Boezio, Cassiodoro, Prisciano e Isidoro di Siviglia.[58] La retorica, in particolare, entrò di forza nella dinamica dell'insegnamento scolastico, sebbene la sua importanza fu presto offuscata dalle altre arti del Trivium, la grammatica prima e la dialettica (logica) poi. I metodi di insegnamento vigenti nelle scuole sono riconducibili a due tipi di esercizi:
  1. Lectio, che prevedeva la lettura e la spiegazione di un testo fisso, solitamente preso dalle Sacre Scritture. Si componeva di due momenti:[59]
    1. Expositio (interpretazione del testo),
    2. Quaestiones (discussioni sulle parte del testo che ammettevano un pro e un contro),
  2. Disputatio, sorta di “tenzone dialettica” sotto la supervisione del maestro. Quattro momenti:[60]
    1. Quaestio (problema posto dal maestro),
    2. Respondeo (proposta di soluzione),
    3. Sed contra (obiezione alla soluzione proposta),
    4. Determinatio magistralis (soluzione del maestro).
Personificazione della retorica in una vetrata della Cattedrale di Laon
L'esercizio della lectio fu in breve accantonato in favore della disputatio, metodo dal sapore agonistico sviluppatosi nell'università di Parigi, e cresciuto di importanza con lo studio della dialettica derivata dalla logica aristotelica:[60] un celebre esempio di disputatio è rappresentato dallo scontro tra Abelardo e il maestro Guglielmo di Champeaux, ricordato da Abelardo stesso nella sua Historia calamitatum mearum.

La retorica dominò la scena culturale nei secoli compresi tra il V e il VII, per poi essere superata dalla grammatica (VII-X secolo) e dalla logica (X-XIII secolo). Il suo campo d'azione fu suddiviso in tre tipi di artes: le artes poeticae (preposte alla poesia e alla versificazione), le artes dictaminis (arte epistolare) e le artes predicandi o sermocinandi (le arti oratorie in generale, che si occupano di sermoni e discorsi).[61] Nel contempo ebbe il sopravvento la grammatica, che divenne “grammatica speculativa” e iniziò ad occuparsi delle exornationes (figure retoriche); anch'essa dovette però cedere alla forza della dialettica, che finì per inglobarla.

Anche la classificazione delle arti nel Trivium venne messa in discussione, e nel XII secolo il filosofo Giovanni di Salisbury proporrà una biforcazione la cui fortuna continua ancora oggi: da un lato la dialettica (Filosofia), che si occupa di oggetti astratti per mezzo di sillogismi, dall'altro la retorica (Lettere), che invece si occupa di argomenti reali e concreti.[60]

 

Con l'Umanesimo la retorica fu riscoperta come disciplina autonoma dalla filosofia, tanto da scavalcare nuovamente di importanza la dialettica. Umanisti come Lorenzo Valla e Coluccio Salutati esaltarono la retorica in quanto mezzo per raggiungere la verità: se si nega che la verità si riduce a uno sterile insieme di dogmi, padroneggiare l'eloquenza risulta basilare per giungere alla conoscenza. Inoltre, va ricordato che nel 1416 Poggio Bracciolini rinvenne nel monastero di San Gallo (Svizzera) una copia integrale dell'Institutio oratoria di Quintiliano, il cui impatto sulla società dell'epoca fu notevole: negli intellettuali infatti passò l'idea che l'educazione di un uomo doveva trovare compimento nello studio dell'eloquenza e delle lettere.[60]
Nel corso del Rinascimento, un'altra scoperta però scosse gli intellettuali, quella della Poetica di Aristotele. Scarsamente conosciuta nel Medioevo (se non in forma di compendi, per altro poco fedeli), la Poetica fu pubblicata per la prima volta, in traduzione latina, a Venezia nel 1498, e successivamente tradotta in italiano da un gruppo di eruditi nel 1550.[62] Dall'Italia, le tesi della Poetica si propagarono in tutta Europa, e particolarmente in Francia: il breve trattato aristotelico venne letto come «codice della creazione letteraria», cioè come un insieme di norme e leggi teoriche da rispettare nell'esercizio della bella scrittura.[62]
Proprio in Francia visse e operò in quegli anni il filosofo antiaristotelico Pierre de la Ramée (noto anche come Petrus Ramus o Pietro Ramo), il quale teorizzò una nuova suddivisione delle artes logicae in Dialectica e Rhetorica: alla prima competono l'inventio e la dispositio, mentre alla retorica elocutio e pronunciatio (o actio). Ramus riduce così la retorica a semplice teoria dell'elocuzione, trasformandola in una scienza delle norme della scrittura il cui principale interesse sono le figure retoriche: essa entra tra le discipline oggetto d'insegnamento sotto forma di scienza dell'analisi del testo, volta a studiarne gli ornamenti.[63]

 

Andrea Pozzo, Gloria di Sant'Ignazio

Nel XVI secolo la retorica si ridusse a disciplina scolastica, concentrandosi sull'elocutio (la forma dell'espressione) e la classificazione delle figure del discorso. In questi anni ad assumere l'onere di insegnarla sono membri della neonata Compagnia di Gesù, fondata da Ignazio di Loyola nel 1540: la Ratio Studiorum, composta da alcuni gesuiti e pubblicata nel 1586, stabilisce infatti che l'educazione dei giovani deve fondarsi essenzialmente sullo studio della retorica latina e della cultura umanistica in generale.[64]
Il Barocco (e in seguito anche il Neoclassicismo) rappresentò un periodo particolarmente prolifico per la stesura di trattati di retorica. L'intento era volto soprattutto ad una classificazione minuta degli elementi del discorso e in particolare delle figure retoriche.[65] Tra i vari trattati pubblicati nel corso del XVI secolo ricordiamo: Grand et Vrai art de Pleine Rhétorique di Pierre Fabri (1521-1544), il trattato Della Retorica di Francesco Patrizi (1542), Rhétorique française di Antoine Fouquelin (1555). Nei secoli successivi abbiamo Agudeza y arte de ingenio di Baltasar Gracián (1642), L'Art de Parler di Bernard Lamy (1675), il Traité des Tropes di César Chesneau Du Marsais (1730), le Lectures on Rhetoric and Belles Lettres di Hugh Blair (1783) e Philosophy of Rhetoric di George Campbell (1776).

Perelman e la Neoretorica [modifica]

Gli ultimi trattati di un certo interesse sono precedenti al 1830: Elements of Rhetoric di Richard Whately (1828) e Les Figures du Discours di Pierre Fontanier (1827-30). Negli stessi anni Schopenhauer stende una serie di appunti sull'eristica, confluiti in parte nei Parerga e paralipomena e pubblicati postumi. Dal Romanticismo in poi l'importanza della retorica si è progressivamente ridotta: a pesare è in particolare l'atto di accusa mosso da Victor Hugo e da altri in nome di un ritorno all'oggettività e all'originalità, riassumibile nella massima «Guerra alla retorica, pace alla sintassi». Questi intellettuali guardavano alla retorica come arte dell'artificio, orientata alla soggettività del pubblico da persuadere, nemica, quindi, dell'originalità, della naturalezza e dell'oggettività che devono invece essere proprie dell'Arte e delle sue produzioni.

Simili posizioni saranno condivise da molti intellettuali negli anni a venire, tra cui, ad esempio, Francesco De Sanctis e Benedetto Croce.

La retorica, non più materia di studio, sopravvisse comunque all'interno della stilistica e della poetica.
Nel corso degli anni '50 del XX secolo la retorica è però tornata al centro di una serie molto vasta e corposa di approfondimenti, soprattutto nelle vesti di teoria dell'argomentazione, grazie ai lavori di Theodor Viehweg, autore di Topik und Jurisprudenz del 1953, e soprattutto di Chaim Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca con il loro Traité de l'argumentation. La nouvelle rhétorique del 1958. Da questi nuovi orientamenti si svilupparono varie teorie che, partendo dagli assunti della retorica classica, la innovarono, studiandola alla luce di tematiche legate alla sensibilità moderna, come la semiotica, la psicoanalisi, ma anche la musica e la pubblicità: per tutti questi studi si parla generalmente di Neoretorica.[66]

Il rinato interesse nei confronti della retorica è dovuto anzitutto alla riscoperta di questa disciplina come arte del discorso persuasivo: mentre nei secoli precedenti, da Ramus in avanti, il suo campo si era ridotto alla sola elocutio, con Perelman essa torna ad essere ciò che era per Aristotele, ovvero la scienza che si occupa di trovare gli argomenti più convincenti. A partire da Cartesio, i filosofi hanno ritenuto che il dominio della ragione dovesse limitarsi a tutto ciò che può essere verificato, escludendo quindi il verisimile, perché né vero né falso; Perelman, con i suoi studi, rigetta questa posizione, affermando al contrario che la retorica risponde alle caratteristiche reali della mente umana, la quale procede formulando giudizi sulla base di premesse non vere ma verisimili. Da qui, l'interesse dello studioso per l'uditorio, ovvero chi fruisce il discorso, a partire dal quale vengono stabiliti i criteri di giudizio e studiati gli argomenti. Su questa stessa linea si colloca il filosofo italiano Giulio Preti, che nel saggio Retorica e logica separa il campo della retorica da quello della logica, identificandoli rispettivamente con le scienze umanistiche e le scienze esatte.[67]
I membri del Gruppo μ
Decisamente rivolta alla teoria letteraria è invece la retorica generale dei sei studiosi dell'Università di Liegi, Jacques Dubois, Francis Edeline, Jean Marie Klinkenberg, Philippe Minguet, Francois Pire, Hadeline Trinon, i quali negli anni '60 diedero vita al Gruppo di Liegi, meglio noto come Gruppo μ (dall'iniziale della parola greca μεταφορά, metaphorá). Rifacendosi alle ricerche linguistiche di Roman Jakobson, e in particolare al modello della teoria dell'informazione, gli esponenti del Gruppo μ studiarono le varie figure del discorso con particolare attenzione non solo al loro utilizzo in poesia e letteratura, ma anche a come vengono usate nel quotidiano: la retorica diventa scienza del discorso in senso ampio e analizza come le figure, alterando le strutture del linguaggio generando “scarti”, integrano il codice della lingua superandone le limitazioni e le carenze.[68]

Con un velo di polemica verso questa retorica generale, Gérard Genette parla al contrario di retorica ristretta:[69] il campo della retorica è stato ridotto nel corso dei secoli a quello dell'elocutio e delle figure, trasformandosi da scienza del discorso a teoria delle figure o teoria della metafora (quest'ultima è infatti sopravvissuta al naufragio della retorica, trovando fortuna nella poetica).

Da qui l'auspicio di un ritorno ad una retorica che sia davvero generale, con il conseguente sviluppo di una serie di studi, molto differenti tra di loro, che hanno analizzato la retorica sotto vari aspetti. Intellettuali come Roland Barthes, Umberto Eco, Christian Metz, ad esempio, hanno studiato la retorica in riferimento alla semiotica e alla teoria dell'immagine, applicandola a campi come il cinema e la pubblicità; inoltre, la retorica ha destato interesse anche per la psicoanalisi, come strumento per interpretare i simboli dell'inconscio.[70]

 

Frontespizio di un'edizione del 1720 della Institutio oratoria

Sin dal suo sorgere, la retorica ha avuto come scopo quello di classificare i vari elementi che costituiscono l'arte della persuasione, organizzandoli in un sistema. La prima e più importante opera in cui viene portato avanti questo progetto è la Retorica di Aristotele, che influenzò tutti i retori delle epoche successive, fino al XIX secolo. In epoca romana il sistema aristotelico fu ripreso da Cicerone e Quintiliano, i quali lo svilupparono ulteriormente senza però modificarlo nella sostanza.[71]
La Rhetorica ad Herennium, il più antico trattato di retorica latino, riprendendo e ampliando le dottrine di Aristotele e Crisippo, distingue cinque fasi nella stesura di un'orazione, coincidenti con altrettante parti di cui si compone il sistema della retorica:[72]
  • inventio (in greco εὕρησις, ricerca), ricercare le idee e gli argomenti per svolgere la tesi prefissata, rifacendosi a tópoi codificati;
  • dispositio (in greco τάξις, disposizione), organizzare argomenti ed ornamenti nel discorso;
  • elocutio (in greco λέξις, linguaggio), l'«espressione stilistica delle idee», con la scelta di un lessico appropriato e di artifici retorici;
  • memoria (in greco μνήμη, memoria), come memorizzare il discorso e ricordare le posizioni avversarie per controbatterle;
  • actio o pronunciatio (in greco ὑπόκρισις, recitazione), declamazione del discorso modulando la voce e ricorrendo alla gestualità.

L'invenzione: la scoperta degli elementi persuasivi [modifica]

Cicerone denuncia la congiura di Catilina in Senato (affresco di Cesare Maccari a Palazzo Madama)
La parola latina inventio, corrispondente al greco εὕρησις (héuresis), significa «ricerca», «scoperta»: il primo passo che deve compiere un retore consiste nello scoprire (e non nell'inventare) i possibili mezzi di persuasione che gli saranno utili al fine di far accettare le sue tesi. La parte relativa all'inventio si occupa dunque di classificare i diversi argomenti (veri o verisimili) stabilendo quale preferire a seconda del caso; vengono anche studiati i diversi generi di discorso, a partire dall'oggetto di cui si occupano e la situazione in cui devono essere pronunciati.

Funzioni e princìpi del discorso persuasivo [modifica]

Anzitutto, uno sguardo preliminare alle funzioni che deve assolvere un discorso, che vengono così indicate da Quintiliano:[73]
  • docere et probare, ovvero informare e convincere;
  • delectare, catturare l'attenzione con un discorso vivace e non noioso;
  • movere, commuovere il pubblico per far sì che aderisca alla tesi dell'oratore.
Inoltre, Reboul riassume in tre princìpi fondamentali le regole che devono essere seguite dal retore per essere persuasivo:
  • Principio di non parafrasi. Anzitutto, un discorso efficace non deve essere parafrasabile, cioè non si deve poter sostituire i suoi enunciati portanti con altri enunciati senza che vi sia una perdita di informazioni, o comunque un'alterazione del senso. Questo principio, osserva Reboul, diventa più chiaro se si prendono in esame i tropi e le figure, le quali perdono di significato se tradotte in un'altra lingua o se si tenta di cambiarne le parole.[74]
  • Principio di chiusura. All'impossibilità di essere parafrasato si accompagna l'irrefutabilità del discorso. In altre parole, per un avversario deve essere impossibile – o quasi – ribattere a quanto detto dall'oratore, a meno che anch'egli non trovi un argomento che si colloca sul medesimo livello. Un esempio sono le formule, come gli slogan pubblicitari, la cui forza risiede nell'impossibilità di replicarvi, se non appunto ricorrendo a un altro slogan.[75]
  • Principio di trasferimento. Infine, il discorso persuasivo, per essere tale, deve avere come punto di partenza una convinzione accettata dall'uditorio e trasferita sull'oggetto del proprio discorso. Un'opinione radicata nelle menti di molte persone, infatti, benché relativa apparirà comunque vera agli occhi dei più, e la sua forza aumenterà con l'aumentare degli elementi affettivi e intellettuali a suo favore. In questo modo anche i desideri diventano in qualche misura reali, e il retore deve essere in grado di sfruttare questa ambiguità per persuadere chi gli sta di fronte.[76]

I generi del discorso [modifica]

La retorica classica distingue tre generi di discorso in base al loro oggetto (causa):[77]
  • Genere giudiziario (γένος δικανικόν, genus judiciale),[21] il primo a essere nato, si usa nei tribunali durante i processi e il suo fine è accusare o difendere secondo il criterio del giusto.
  • Genere deliberativo (γένος συμβουλευτικόν, genus deliberativum),[21] il genere che si usa quando si deve parlare davanti a un’assemblea politica, quando cioè si deve consigliare i membri della comunità secondo il criterio dell'utile.
  • Genere epidittico (γένος ἐπιδεικτικόν, genus demonstrativum), il genere inventato, secondo Aristotele, da Gorgia, viene usato quando si deve tenere un elogio di qualcuno o comunque si deve parlare davanti a un pubblico.

Argomentazione e persuasione [modifica]

Exquisite-kfind.pngPer approfondire, vedi le voci Argomentazione e Argomento (filosofia).
Per «argomento» si intende una proposizione atta a farne ammettere un'altra,[78] e quindi a indurre qualcuno ad accettare la bontà di ciò che si sta dicendo. Argomentazione e persuasione (peithó) sono dunque collegate, ma detto ciò bisogna precisare che il rapporto non è esclusivo, poiché si può ottere la persuasione anche da una dimostrazione o da un atto di seduzione. Vediamone le differenze. La dimostrazione, il cui modello sono le scienze esatte, ha la caratteristica di essere rigorosa e oggettiva, e quindi di mirare a conclusioni che siano inattaccabili. Decisamente irrazionale è invece la seduzione, che mira semplicemente ad influenzare e manipolare gli altri facendo ricorso a sentimenti e sensazioni. Tra queste due si colloca l'argomentazione, oggetto della retorica, la quale mira sì a persuadere facendo leva sulle passioni, ma cerca di farlo in maniera rigorosa, attraverso un'arte. Ciò che differenzia l'argomentazione dalla dimostrazione è il carattere non necessario degli argomenti che vengono portati a supporto della tesi: il retore infatti si rivolge sempre a delle persone specifiche, delle quali prende in considerazione le opinioni e le sensazioni, e il punto di partenza del suo discorso sono premesse non evidenti ma verisimili (eikota) che portano a conclusioni relative e confutabili. Inoltre, nell'argomentazione il nesso logico tra gli elementi che la compongono non è rigoroso, e la sua validità è valutata in base all'efficacia.[78]
Mentre lo scienziato, dunque, sostiene la propria teoria ricorrendo a dati oggettivi presentanti per mezzo di un linguaggio simbolico, il retore cerca di persuadere gli altri attraverso le parole e il linguaggio naturale, trovando e ordinando i possibili elementi di persuasione. A questo scopo, il retore deve tener presenti non solo gli aspetti razionali, ma anche quelli emotivi ed etici. Oltre al discorso (logos) in sé e per sé, che persuade attraverso prove vere o apparentemente tali, a ricoprire un ruolo importante è il carattere (ethos) dell'oratore, che deve saper dimostrare di essere attendibile e di conoscere a fondo l'oggetto di cui sta trattando, così da accattivarsi la fiducia del pubblico; inoltre, è importante saper suscitare emozioni (πάθη) di piacere o dolore negli ascoltatori, poiché i sentimenti influenzano inevitabilmente la capacità di giudizio del pubblico.[79]

Prove tecniche e extra tecniche [modifica]

Le prove da portare a favore della tesi vengono suddivise da Aristotele in tecniche (o prove nella tecnica) e extra tecniche (o prove fuori-tecnica). Le prove extra tecniche (πίστεις ἄτεχνοι) sono quelle che non dipendono direttamente dal retore, ma sono comunque a sua disposizione, come le confessioni degli imputati, i testi scritti, le leggi, le sentenze precedenti, le testimonianze e via dicendo. Le prove tecniche (πίστεις ἔντεχνοι), al contrario, sono quelle fornite al retore dall'esercizio della sua arte.[80] Queste ultime possono essere di due specie:
  • esempio o exemplum (παράδειγμα), ovvero l'induzione retorica. L'esempio consiste nel ricorrere ad un fatto particolare, reale o inventato (ma sempre verisimile), che abbia affinità con l'oggetto dell'orazione, per poi generalizzarlo tramite induzione e giungere infine a conclusioni la cui validità è solo particolare. A questo tipo di prove sono ricollegabili l'argomento d'autorità, il modello, il precedente giuridico;[81]
  • entimema (ἐνθυμήμα), ovvero la deduzione retorica. Si tratta di un sillogismo basato su premesse non vere ma verisimili (il verisimile ammette dei contrari), spesso riprese da opinioni diffuse (in certi casi la premessa maggiore può anche essere taciuta). Le premesse a loro volta possono essere di tre tipi:[82]
    • gli indizi sicuri (τεκμήρια), che possono essere verificati dai nostri sensi e sono quindi necessariamente veri e incontrovertibili (in questo caso l'entimema può coincidere con un sillogismo);
    • i fatti verisimili (εἰκότα), che vengono accettati dalla maggior parte delle persone perché stabiliti da una legge o dalla morale comune;
    • i segni (σημεῖα), una cosa che può indurre a farne intendere un'altra: per esempio la presenza del sangue può richiamare alla mente un omicidio, anche se l'associazione non è necessaria (il sangue può essere stato versato per una semplice epistassi).

I luoghi (topoi) [modifica]

Exquisite-kfind.pngPer approfondire, vedi la voce Tòpos.
Con il termine «luogo» (in greco τόπος, tópos, in latino locus) in retorica si intende un argomento ricorrente, organizzato in forme convenzionali e stereotipate a uso e consumo del retore. Il topos, nella sua convenzionalità, è infatti immediatamente riconoscibile da parte dell'uditore, e permette al retore di disporre di un elemento di sicuro effetto da utilizzare nelle orazioni.[83] La teoria dei topoi, detta appunto topica, si deve quasi integralmente ad Aristotele, che ne trattò nei Topici e poi nel Libro II della Retorica come forma di argomentazione dialettica. Generalmente, se ne distinguono due tipi: comuni e propri.
I luoghi comuni (τόποι κοινόι) partono da punti di vista generali, opinioni accettate dalla maggior parte degli individui, che appunto in quanto generali valgono per quasi tutti gli argomenti. Aristotele ne classifica 3 tipi: possibile/impossibile, reale/non reale, più/meno. I luoghi propri (εἶδος), invece, sono specifici e variano a seconda del pubblico, della disciplina e del tipo di discorso. Si tratta di proposizioni particolari, legati alla pratica di ciascuna determinata disciplina, la cui validità viene però riconosciuta da tutti.[84]

La disposizione: la struttura del discorso [modifica]

Cicerone pronuncia un'orazione in Senato
La seconda parte del sistema della retorica riguarda la dispositio (in greco τάξις, taxis, oppure οἰκονομία, oikonomía), cioè l'organizzazione del discorso: le parti di cui si compone il discorso, l'ordine in cui presentare i contenuti e le idee, l'ordine delle parole per presentare gli argomenti.[85]
Con particolare attenzione alla retorica giudiziaria, la retorica classica ha formulato uno schema per strutturare i discorsi, il quale può essere seguito rigorosamente o meno. L'orazione prevede quattro parti, nell'ordine:
  1. exordium, esordio, tentativo di accattivarsi l'uditorio delectando e movendo con ornamenti;
  2. narratio, esposizione, esposizione dei fatti, per docere l'uditorio, in ordine cronologico o con una introduzione ad effetto in medias res;
  3. argumentatio, argomentazione, dimostrazione delle prove a sostegno della tesi (confirmatio) e confutazione degli argomenti avversari (refutatio);
  4. peroratio, epilogo, la conclusione del discorso, muovendo al massimo gli affetti dell'uditorio e sviluppando pathos.

Esordio [modifica]

L'esordio (προoίμιον, exordium) è la parte che apre l'orazione, in cui viene esposto, sempre che non sia già noto, l'oggetto di cui ci si intende occupare (πρότασις). Il suo scopo è quello di accattivarsi i favori del pubblico (captatio benevolentiae) e annunciare le ripartizioni che si stanno per adottare nello svolgimento dell'orazione (partitio).[86] Se la situazione lo permette, è possibile chiedere esplicitamente all'uditorio di essere benevoli, altrimenti si deve ricorrere all'insinuatio, entrare nell'animo degli ascoltatori per via sotterranea, evitando di parlare dei propri punti deboli per mostrare invece quelli degli avversari. Inoltre, è importante rendere subito nota la struttura dell'orazione e l'ordine degli argomenti, così da rendere il pubblico partecipe dei termini del discorso ed evitare che sembri troppo lungo.
Per accattivare e rendere più partecipi le giurie - nel caso dell'orazione giudiziaria greca, in particolare - all'interno del προoίμιον venivano inserite talvolta espressioni o periodi che sottolineavano la presa di coscienza da parte dell'oratore della difficoltà dell'argomento trattato o della sentenza da emettere (ad es. "mi rendo conto di quanto sia difficile per voi, o Ateniesi, giudicare...").[21]
Si tenga presente che, nel caso si intenda trattare l'argomento in medias res, l'esordio e l'epilogo possono essere evitati.

Esposizione [modifica]

L'esposizione (διήγησις o anche ῥῆσις, narratio) è il resoconto succinto, chiaro e verisimile dei fatti che vengono affrontati, così che sia funzionale all'argomentazione. Due sono i generi di disposizione dei contenuti: l'ordo naturalis, che segue lo svolgimento logico e cronologico degli eventi, e l'ordo artificialis, orientato più alla resa estetica tramite l'uso di figure retoriche, digressioni e altri procedimenti stilistici. Quest'ultimo è anche più intellettuale, poiché rompe la linearità del tempo per assecondare le esigenze della situazione e dell'argomento.[87]
Nell'esposizione dei fatti è inoltre necessario perseguire quello che è il «giusto mezzo», non essere cioè troppo prolissi ma nemmeno tanto brevi da tralasciare qualcosa di importante. Bisogna poi ricordare che è essenziale la verosimiglianza dei fatti, i quali devono essere attendibili e devono essere disposti in maniera tale da assolvere alle tre funzioni della retorica: docere, movere e delectare.

Argomentazione [modifica]

Cuore del discorso persuasivo è l'argomentazione (πίστις o ἀπόδειξις, argumentatio), il resoconto delle prove a sostegno della tesi, che può prevedere anche un affondo contro le tesi avversarie. La sua struttura interna si compone di due parti: propositio e confirmatio, a cui può seguire una terza, l'altercatio. La propositio è una definizione ristretta della causa (o delle cause) da dibattere, subito seguita dalla confirmatio, l'elenco delle ragioni a favore, nell'ordine: dapprima quelle più forti, in seguito le più deboli e infine le più forti in assoluto. Talvolta, specie durante un processo, la confirmatio può essere interrotta dall'intervento di un avversario, come ad esempio un avvocato di parte opposta: in questo caso si parla di altercatio, un dialogo serrato tra il retore e il suo avversario.[88]

Epilogo (perorazione) [modifica]

L'epilogo (ἐπίλογος, peroratio) è la parte conclusiva dell'orazione, e si muove su due livelli: riprende e riassume le cose dette (enumeratio e rerum repetitio), tocca le corde dei sentimenti (ratio posita in affectibus). Da un lato, il retore deve concludere dando un'idea d'insieme di quanto è stato detto e sostenuto, richiamando alla memoria i punti fondamentali; dall'altro, ha luogo la perorazione vera e propria, che fa leva sui sentimenti dell'uditorio ricorrendo a dei loci prestabiliti (in genere atti a creare indignazione o commiserazione).[89]

L'elocuzione: lo stile [modifica]

Miniatura quattrocentesca del De oratore
L'elocuzione (elocutio in latino, λέξις, lexis in greco) è la parte che riguarda l'espressione, la forma da dare alle idee. L'elocutio si occupa dello stile da scegliere affinché il discorso risulti efficace, studiando quindi la parte estetica dell'espressione, la scelta (electio) e l'ordine (compositio) da dare alle parole. Sotto questo aspetto la retorica invade il campo della poetica, riprendendone gli elementi di ornamento, tra cui le più importanti sono le figure (vedi oltre).

La composizione [modifica]

La parte centrale dell'elocutio è rappresentata dalla cosiddetta compositio, operazione che consiste nella scelta e combinazione dei termini. Affinché il discorso possa risultare efficace, è necessario tenere conto nella fase di composizione di quattro qualità o requisiti fondamentali, meglio noti come virtutes elocutionis:
  • l'aptum (in greco πρέπον, prépon), l'adeguatezza del discorso al contesto in cui deve essere pronunciato;
  • la puritas (o latinitas), la correttezza sintattica e grammaticale;
  • la perspicuitas, la chiarezza, necessaria affinché il discorso sia comprensibile;
  • l'ornatus, gli ornamenti e tutti gli altri mezzi atti a rendere il discorso più bello e quindi più gradevole.
Tutte queste caratteristiche devono essere presenti, applicate o a singole parole o a intere frasi. Talvolta il mancato rispetto di una delle virtutes può essere giustificato da determinate esigenze espressive, e in questo caso si parla di licenza (licentia); in caso contrario, la mancanza viene sanzionata come errore (vitium).[90]

Gli stili [modifica]

L'espressione varia a seconda degli argomenti e della situazione in cui il discorso deve essere pronunciato. Per questo motivo, la retorica classica distingue tre stili (genera elocutionis):
  • nobile o sublime (genus sublime o grave),
  • umile (genus humile o tenue),
  • medio o moderato (genus medium).
Il sublime è lo stile nobile, elevato, e viene utilizzato per trattare di argomenti seri facendo leva sui sentimenti (movere), suscitando forti passioni; l'umile ha lo scopo di docere et probare, mentre lo stile medio, misto dei due precedenti, deve delectare attraverso un atteggiamento moderato che tenga conto dell'ethos.[91]

La memoria [modifica]

La mnemotecnica, la scienza che mira a sviluppare la memoria attraverso una serie di regole, è molto antica: tra gli intellettuali che si interessarono di questa disciplina ricordiamo il sofista Ippia di Elide e i filosofi Raimondo Lullo, Pico della Mirandola e Giordano Bruno. Nel corso del Seicento la mnemotecnica classica finì per essere assimilata alla ars combinandi, teoria della combinazione degli elementi associata al calcolo matematico.[92]
Jean-Jules-Antoine Lecomtedu Nouy, Demostene si esercita a recitare un'orazione
La memoria entra a pieno titolo nel sistema della retorica classica a partire dal Libro III della Rhetorica ad Herennium (I secolo a.C.), e ricopre un ruolo importante in funzione della recitazione, poiché permette di mandare a mente la struttura e gli argomenti del discorso senza dover ricorrere ad appunti scritti, risultando particolarmente utile quando la situazione richiede di improvvisare. Generalmente si distinguono due tipi di memoria: la memoria naturale e quella artificiale. La prima è la dotazione naturale di cui dispongono tutti gli individui, mentre la seconda, che ha lo scopo di rafforzare la prima, viene appresa tramite una tecnica – la mnemotecnica, appunto – che funziona attraverso immagini e punti di riferimento fissi, ai quali vanno associati gli oggetti da ricordare: in questo modo l'atto del ricordare diventa una scrittura mentale, in cui ad ogni immagine corrisponde un oggetto e quindi un significato.[92]

La recitazione [modifica]

Infine, il retore deve anche essere in grado di recitare la propria orazione di fronte a un pubblico. Questo momento prende il nome latino di actio o pronunciatio (in greco ὐπόκρισις, hypókrisis), e la sua efficacia è legata al modo in cui chi parla si presenta di fronte all'uditorio. Al retore è dunque richiesto di essere anche attore, di avere cioè buone capacità di recitazione, così da coinvolgere il pubblico attraverso la gestualità e il tono di voce. La sua indubbia importanza è stata tuttavia messa in secondo piano dai retori e dai teorici, che nei loro trattati preferiscono concentrarsi su inventio, dispositio ed elocutio, specie in riferimento alla produzione di testi scritti.[93]

Le figure del discorso [modifica]

Exquisite-kfind.pngPer approfondire, vedi le voci Figura retorica e Tropologia.
Oltre ad occuparsi della costruzione del discorso, la retorica si interessa anche allo studio degli ornamenti, e in particolar modo all'uso delle figure.[94] In origine le figure erano usate esclusivamente in poesia; il primo a farne uso in prosa, a quanto sappiamo, fu Gorgia: la retorica gorgiana si caratterizzava infatti per una forte enfasi e una grande ricercatezza stilistica, e il suo periodare era reso melodico dall'uso frequente di espedienti ricavati dalla poesia.
Il termine «figura» (σχῆμα, schēma) è usato per la prima volta da Anassimene di Lampsaco (IV secolo a.C.), ma il primo a studiare le figure in modo sistematico è Aristotele, il cui allievo Demetrio Falereo in seguito proporrà la distinzione tra figure del discorso e figure del pensiero.[95] Nel corso dei secoli, e soprattutto in epoca barocca, i teorici si sono impegnati in un'imponente opera di classificazione delle varie figure, senza però giungere ad una tassonomia condivisa. In particolare, a destare interesse sono le figure di significazione, altrimenti dette tropi, la cui collocazione è oggetto di dibattito: talvolta i tropi vengono semplicemente inseriti insieme alle altre tipologie di figure, mentre altre volte vengono distinti e ad esse opposti.[96] Di seguito si riporta, a titolo esemplificativo, la classificazione proposta da Fontanier (1830), citata a pagina 144 del Manuale di retorica di Bice Mortara Garavelli, nella quale le figure del discorso sono divise in tropi e non tropi.
FIGURE DEL DISCORSO
TropiFigure di significazione (tropi veri e propri)
Figure di espressione (tropi impropriamente detti)
Non tropiFigure di dizione (metaplasmi)
Figure di costruzione
Figure di elocuzione
Figure di stile
Figure di pensiero
Τρόπος (trópos) in greco propriamente significa «direzione», ma il suo significato originario è stato successivamente abbandonato per quello di «deviazione», «conversione». Per tropo infatti si intende una variazione (mutatio) del significato di un'espressione rispetto al suo significato originario;[97] i tropi propri (figure di significazione) riguardano singole parole, mentre quelli impropri (figure di espressione) riguardano più parole o parti di frasi. Sul loro numero e la loro classificazione non vi è accordo; quelli fondamentali, a cui possono essere ricondotti tutti gli altri, sono 3: metafora, metonimia, sineddoche.[98] La metafora (da metapherein, trasportare) è il più classico dei tropi, e consiste nella sostituzione di una parola con un'altra il cui senso ha qualche affinità con la parola che sostituisce.[99] Si ha invece una metonimia quando si definisce un oggetto con un termine diverso, il cui significato è però continuo a quello dell'oggetto in questione (per esempio: «cuore» per indicare i sentimenti, «Foscolo» per indicare le sue opere).[100] La sineddoche infine (talvolta confusa con la metonimia) consiste nel definire un oggetto con un termine legato ad esso tramite rapporti di causalità o inclusione (per esempio: «legno» per indicare un'imbarcazione, «felino» per indicare un gatto).[101] Oltre a queste tre, Lausberg classifica come tropi anche: antonomasia, enfasi, litote, iperbole, perifrasi, ironia, metalessi.
Le altre figure retoriche, che Fontanier classifica come «non tropi» e suddivide in cinque classi, vengono più semplicemente divise dalla retorica antica in due gruppi: figure di parole (in cui rientrano le figure di dizione, costruzione, elocuzione e stile) e figure del pensiero. Le figure di parole riguardano l'espressione linguistica, e si costruiscono per addizione (ripetizione: climax, paronomasia etc.) o soppressione di parole (ellissi, asindeto e zeugma), oppure ancora per mutamento dell'ordine delle parole (anastrofe, iperbato etc.). Le figure di pensiero invece interessano le idee o le immagini che appaiono dalla frase, e si ottengono per addizione o sottrazione (ossimoro, chiasmo etc.), oppure per variazione (hysteron proteron, apostrofe etc.).[102]

Note [modifica]

  1. ^ R. Barthes, La retorica antica, trad. it., Milano 2006, p. 7.
  2. ^ Quintiliano, Institutio oratoria II, 15, 34.
  3. ^ J.M. Lotman, Voce: Retorica, in Enciclopedia Einaudi, Torino 1980, vol. XI, p. 1047
  4. ^ O. Reboul, La retorica, trad. it., Milano 2004, p. 6.
  5. ^ R. Barthes, La retorica antica, trad. it., Milano 2006, p. 99.
  6. ^ J.M. Lotman, Voce: Retorica, Enciclopedia Einaudi, Torino 1980, vol. XI, p. 1047.
  7. ^ R. Barthes, La retorica antica, trad. it., Milano 2006, pp. 53-55.
  8. ^ R. Barthes, La retorica antica, trad. it., Milano 2006, p. 7-8.
  9. ^ B. Mortara Garavelli, Manuale di retorica, Milano 2002, p. 17.
  10. ^ R. Barthes, La retorica antica, trad. it., Milano 2006, p. 13.
  11. ^ A. Plebe, Breve storia della retorica antica, Roma-Bari 1988, p. 16.
  12. ^ A. Plebe, Breve storia della retorica antica, Roma-Bari 1988, pp. 17-18.
  13. ^ Cfr. A. Plebe, Breve storia della retorica antica, Roma-Bari 1988, pp. 21-22; B. Mortara Garavelli, Manuale di retorica, Milano 2002, p. 18.
  14. ^ O. Reboul, La retorica, trad. it., Milano 2004, pp. 10-11.
  15. ^ A. Plebe, Breve storia della retorica antica, Roma-Bari 1988, p. 24.
  16. ^ DK 80A1.
  17. ^ B. Mortara Garavelli, Manuale di retorica, Milano 2002, p. 19-20.
  18. ^ A. Plebe, Breve storia della retorica antica, Roma-Bari 1988, p. 27.
  19. ^ O. Reboul, La retorica, trad. it., Milano 2004, pp. 11-13.
  20. ^ Gorgia, Encomio di Elena 8-9.
  21. ^ a b c d e f I. Biondi, Storia e antologia della letteratura greca, Firenze 2004, vol. 2A.
  22. ^ DK 82 A1, A4.
  23. ^ DK 85 A11, A12, A13.
  24. ^ Platone, Gorgia 262c.
  25. ^ Platone, Fedro 271c-272b.
  26. ^ A. Plebe, Breve storia della retorica antica, Roma-Bari 1988, p. 35.
  27. ^ B. Mortara Garavelli, Manuale di retorica, Milano 2002, p. 23.
  28. ^ Isocrate, Antidosis 274-278.
  29. ^ Isocrate, Antidosis 254-5.
  30. ^ Isocrate, Antidosis 271.
  31. ^ Aristotele, Retorica I, 2, 1355b.
  32. ^ A. Plebe, Breve storia della retorica antica, Roma-Bari 1988, pp. 62-63.
  33. ^ O. Reboul, La retorica, trad. it., Milano 2004, p. 15.
  34. ^ a b A. Plebe, Breve storia della retorica antica, Roma-Bari 1988, p. 57.
  35. ^ A. Plebe, Breve storia della retorica antica, Roma-Bari 1988, p. 58.
  36. ^ A. Plebe, Breve storia della retorica antica, Roma-Bari 1988, p. 60.
  37. ^ R. Barthes, La retorica antica, trad. it., Milano 2006, p. 19: «Non è forse aristotelica l'intera retorica (se si eccettua Platone)? Probabilmente sì: tutti gli elementi didattici che alimentano i manuali classici vengono da Aristotele».
  38. ^ B. Mortara Garavelli, Manuale di retorica, Milano 2002, p. 24.
  39. ^ A. Plebe, Breve storia della retorica antica, Roma-Bari 1988, pp. 78-79.
  40. ^ A. Plebe, Breve storia della retorica antica, Roma-Bari 1988, pp. 81-85; B. Mortara Garavelli, Manuale di retorica, Milano 2002, p. 31.
  41. ^ B. Mortara Garavelli, Manuale di retorica, Milano 2002, p. 32.
  42. ^ G. Cipriani, Storia della letteratura latina, Torino 1999, vol. I, p. 237.
  43. ^ A. Plebe, Breve storia della retorica antica, Roma-Bari 1988, p. 93-4.
  44. ^ G. Cipriani, Storia delle letteratura latina, Torino 1999, vol. I, pp. 233-237.
  45. ^ G. Cipriani, Storia della letteratura latina, Torino 1999, vol. II, p. 143.
  46. ^ G. Cipriani, Storia della letteratura latina, Torino 1999, vol. II, p. 140.
  47. ^ D. Del Corno, Letteratura greca, Milano 1994, p. 560.
  48. ^ Sul Sublime I.
  49. ^ Sul Sublime VIII.
  50. ^ A. Plebe, Breve storia della retorica antica, Roma-Bari 1988, p. 107-8.
  51. ^ A. Plebe, Breve storia della retorica antica, Roma-Bari 1988, p. 109.
  52. ^ a b D. Del Corno, Letteratura greca, Milano 1994, p. 517-8.
  53. ^ D. Del Corno, Letteratura greca, Milano 1994, pp. 547-551.
  54. ^ Per approfondire la differenza tra res e signa si rimanda alla voce: Agostino d'Ippona.
  55. ^ G. Cipriani, Storia della letteratura latina, Torino 1999, pp. 363-5.
  56. ^ B. Mortara Garavelli, Manuale di retorica, Milano 2002, p. 40-1.
  57. ^ R. Barthes, La retorica antica, trad. it., Milano 2006, pp. 32-33.
  58. ^ B. Mortara Garavelli, Manuale di retorica, trad. it., Milano 2002, pp. 43-4.
  59. ^ R. Barthes, La retorica antica, trad. it., Milano 2006, p. 31.
  60. ^ a b c d B. Mortara Garavelli, Manuale di retorica, Milano 2002, p. 45.
  61. ^ R. Barthes, La retorica antica, trad. it., Milano 2006, pp. 34-37.
  62. ^ a b R. Barthes, La retorica antica, trad. it., Milano 2006, pp. 45-46.
  63. ^ (EN) Rhetoric. Britannica Online Encyclopedia. URL consultato in data 29 luglio 2011.
  64. ^ R. Barthes, La retorica antica, trad. it., Milano 2002, p. 47.
  65. ^ B. Mortara Garavelli, Manuale di retorica, Milano 2006, p. 47.
  66. ^ O. Reboul, La retorica, trad. it., Milano 2004, p. 27.
  67. ^ G. Preti, Retorica e logica. Le due culture, Torino 1968.
  68. ^ B. Mortara Garavelli, Manuale di retorica, Milano 2002, p. 292-3
  69. ^ G. Genette, La rhétorique restreinte, «Communications», 16 (1970).
  70. ^ O. Reboul, La retorica, trad. it., Milano 2004, pp. 27-28.
  71. ^ O. Reboul, La retorica, trad. it., Milano 2004, p. 16.
  72. ^ Rhetorica ad Herennium I, 2, 3.
  73. ^ Quintiliano, Institutio oratoria III, 5, 2.
  74. ^ O. Reboul, La retorica, trad. it., Milano 2002, pp. 63-65.
  75. ^ O. Reboul, La retorica, trad. it., Milano 2002, pp. 69-71.
  76. ^ O. Reboul, La retorica, trad. it., Milano 2002, pp. 74-78
  77. ^ Aristotele, Retorica I, 4-15; Rhetorica ad Herennium I, 1, 2.
  78. ^ a b O. Reboul, La retorica, trad. it., Milano 2002, pp. 56-57.
  79. ^ Aristotele, Retorica I, 2, 1356 a1-20.
  80. ^ Aristotele, Retorica I, 2, 1355b.
  81. ^ B. Mortara Garavelli, Manuale di retorica, Milano 2002, pp. 75-77.
  82. ^ R. Barthes, La retorica antica, trad. it., Milano 2006, pp. 70-73.
  83. ^ Dizionario di retorica e stilistica, Torino 1995, p. 430.
  84. ^ R. Barthes, La retorica antica, trad. it., Milano 2006, pp. 81-83.
  85. ^ B. Mortara Graravelli, Manuale di retorica, Milano 2004, p. 104.
  86. ^ R. Barthes, La retorica antica, trad. it., Milano 2006, pp. 92-93.
  87. ^ R. Barthes, La retorica antica, trad. it., Milano 2006, pp. 94-96.
  88. ^ R. Barthes, La retorica antica, trad. it., Milano 2006, pp. 96-97.
  89. ^ R. Barthes, La retorica antica, trad. it., Milano 2006, p. 94.
  90. ^ B. Mortara Garavelli, Manuale di retorica, Milano 2002, p. 114.
  91. ^ B. Mortara Garavelli, Manuale di retorica, Milano 2004, p. 279-280.
  92. ^ a b B. Mortara Garavelli, Manuale di retorica, Milano 2002, p. 282-4.
  93. ^ B. Mortara Garavelli, Manuale di retorica, Milano 2002, p. 284-5.
  94. ^ R. Barthes, La retorica antica, trad. it., Milano 1996, p. 48.
  95. ^ J. M. Lotman, Voce: Retorica, in Enciclopedia Einaudi, Torino 1980, vol. XI, p. 1050.
  96. ^ R. Barthes, La retorica antica, Milano 2006, p. 101.
  97. ^ Dizionario di retorica e stilistica, Torino 1995, p. 439.
  98. ^ J.M. Lotman, Voce: Retorica, in Enciclopedia Einaudi, Torino 1980, vol. XI, p. 1051.
  99. ^ Dizionario di retorica e stilistica, Torino 1995, p. 216.
  100. ^ Dizionario di retorica e stilistica, Torino 1995, pp. 221-2.
  101. ^ Dizionario di retorica e stilistica, Torino 1995, p. 394.
  102. ^ B. Mortara Garavelli, Manuale di retorica, Milano 2002, pp. 184-270; Dizionario di retorica e stilistica, Torino 1995, pp. 140-141.

Bibliografia [modifica]

Opere antiche e medievali [modifica]

In ordine cronologico, con edizione italiana:

Trattati moderni [modifica]

  • A. Fouquelin, La Rhétorique Françoise, A. Wechel, Paris 1557
  • C. C. Du Marsais, Des tropes ou Des diferens sens dans lesquels on peut prendre un mème mot dans une mème langue [1730], Impr. de Delalain, 1816
  • G. Campbell, The Philosophy of Rhetoric [1776], Southern Illinois U.P., Carbondale 1963
  • P. Fontanier, Le figures du discours [1830], Flammarion, Paris 1977
  • B. Gracián, Agudeza y arte de ingenio, 1648 (trad. it.: L'acutezza e l'arte dell'ingegno, Aestetica, Palermo 1989)
  • A. Schopenhauer, L'arte di ottenere ragione [1864, postumo], a cura di F. Volpi, Adelphi, Milano 1991

Neoretorica e teoria dell'argomentazione [modifica]

In ordine alfabetico:
  • G. Genette, Figures III, Seuil, Paris 199-72 (trad. it.: Figure III, Einaudi, Torino 1976)
  • Gruppo μ, Rhétorique générale, Larousse, Paris 1970 (trad. it.: Retorica generale. Le figure della comunicazione, Milano, Bompiani 1976)
  • C. Michelstaedter, La persuasione e la rettorica, Adelphi, Milano 19682
  • C. Perelman, L'Empire rhétorique, Vrin, Paris 1977 (trad. it.: Il dominio retorico, Einaudi, Torino 1981)
  • C. Perelman, L. Olbrechts-Tyteca, Traité de l'argumentation. La nouvelle rhétorique, Presses Universitaires de France, Paris 1958 (trad. it.: Trattato dell'argomentazione, Einaudi, Torino 1976)
  • G. Preti, Retorica e logica. Le due culture, Einaudi, Torino 1968
  • P. Valesio, Ascoltare il silenzio: la retorica come teoria, il Mulino, Bologna 1986
  • T. Viehweg, Topik und Jurisprudenz, 1953 (trad. it.: Topica e giurisprudenza, Giuffré, Milano 1962)

Letteratura secondaria [modifica]

Voci correlate [modifica]

Altri progetti [modifica]

Collegamenti esterni [modifica]


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