lli'k^ àrtaiì ■■■■■lì*. rflltllli hK i -'p ^-0 DOTT. FRANCESCO LO PAECCy ^ AULO GIANO PARRASIO </ STUDIO BIOGRAFICO - CRITICO • ■ t a ■• - Da codici e documenti inediti rintenuti in Napoli tUUe Bibtioieche Nazionale^ Draticacciana e dei PP, Gerolamini e neW Archivio di Stato 1 1 • ;:■•■'. X, . ■ ■ . - VASTO Tipografia. Ebitbiob L. Ankixi 1899. \ I I- >. - * - * » • I ■ - ■««■■^ ■I* 1 •» y W <K s V^ Proprietà Letteraria ' '^ "^a ■ • •*-m~^ m lkias«a»h^4kaa^- ■!»•■- T.- • - - l« ■_ rf >*J ^. INTRODUZIONE \ ^ Ili ■*^i**^-»- ^««««a •••aaa^ki^Mi^kirtH • •* , ■ Concludo qucmC appendice con un voto. Bemékè ìm Jfibliotcca parroMÌana sia stata, or per atarisia fra- tesca, or per incuria dei custodi, deplorabilmente assottigliata, pure di codici e di edizioni annotate avanza tanto da potersene fare uno studio accurato...,^ Che non ci abbia da essere niutw dei nostri guh vani filologi a cui non nasca questo desiderio f (1) Cosi scriveva il compianto professor Francesco Fiorentino, qnan;]So, tratteggiando da par sao il sorgere ed il progressivo sviluppo della gloriosa Accademia cosentina, rimaneva ammirato dinanzi al- Tulta figura del suo fondatore, Aulo Giano Parrasio. Dovendo, tre anni or sono, scegliere un argomento por la tesi di laurea, molto opportuna ci parve P in- dicazione del Fiorentino ; sicché, per quanto fin da principio ci accorgessimo della difficoltà dell'impresa, alla quale ci accingevamo, fiduciosi ci mettemmo alFopera, non colla presunzione di adempiere il voto del dotto filosofo, ma per mostrare che, dopo più di un ventennio, vi era chi accoglieva il suo invito, Prancbsco Piorvntino>— Bernardino Tclesio. ^ Voi. !!« Firenze Siieo. Le Monnler, 1874« Il II I II I ■ * I *m w l ,mtm >.1< -<« >. ..... *m ■■>■ VITI INTRODUZIONE por dar prova, so non altro, elio la polvere ola tignuola non meltono poi tanto spavento, da faro presto presto strizzare Poceliio ed arricciare il naso scliifiltoso. Ora ò appunto quel lavoro, benevolmente giudi- cato prima dalla Commissione esaminatrice della Pacoltà letteraria di Napoli, e poi dalla Eacolfii del R. Istituto superiore di Firenze, che, riveduto e ritoccato nello sue parti, sottoponiamo al giudizio del benevole lettore. Oli scrittori contemporanei del Parrnsìo si mo- strano addirittura entusiasti di luì, non gli rispar- miano le \ìì\i alto lodi, e no magnificano con x>arolo altisonanti il valore e la grande erudizione; ma a ben poco si riduco tutto quo! rumore, cbo menano intorno : suppergiù non trovi che notizie inesatte, cbe gli uni copiano dagli altri, e che ripetono sino alla noia, inni, ditirambi, epigrammi, tirate reto- riche e che so altro ; ma la critica manca comple- tamente, o appena si azzarda a far capolino. Degna però di nota ò la monografia che pub- blicava lo Jaunelli, nel 1S44, sulla vita e sugli scritti del Parrasio (1). (1) De vita et scriptìs Auli Jani Parrhasii conscntini^ phiiologi saeeulo XVI celeberrimi, commeutarius a Cataldo JaimeUio, regio bibliotecario^ acadeènìico herculanensi et conscntino^ cluciihratus ; ab Antonio Jamiellio^ ratris filio^ conseutinae Acadetniae pariter socio, cditiis, praefation$ et tuxis auctui, — NeapoU, tipis Alo^'sii Banzolii, mdccc^cliv. «.^ INTKODUZIONB IX Con tutto il rispotto dovuto al dotto e yalente archeologo, ci dispiace di dovere fìn da ora asserire che il nostro giudizio sulPopera sua non sarà molto lusinghiero. La vita da lui scritta è un magro e nudo racconto, che si riduce alhi semplice esposizione dei fatti, alle sole citazioni, senza che nulla si agiti intorno al x>ro« tagonista e v'imprima un po' di varietà e movimento: Il Parrasio x)rofessò a Napoli, a lloma, a Milano, a Vicenza, a Padova, a Venezia, ebbe molti nemici, solivi molte x)ersccuzioni, l\i torturato dalla gotta e morì a Oosenza. E può mai questa chiamarsi biografia? Dov' ò l' uomo, che ti si presenta innanzi coi suoi aifanni e colle suo miserie, colle sue x)assioni e coi suoi disinganni, senza grave sforzo del lettore? Il Parrasio corre errabondo di cittA in città, trova nemici acerrimi ed ostinati, che gli si gettano addosso a guisa di cani mordenti ; ebbene, perchè tutto questo ì Xe è forse egli meritevole per l' indole sua, X>er l'incompatibilità del suo carattere, opx)nre quelle lotte, quelle persecuzioni sono il portato legittimo dei tempi in cui visse, di quel secolo d' interminabili litigi, il secolo dell' Umanesimo t Non lo dice lo Jannelli : egli pare che faccia poco conto di quel x>i'ecetto, che il valore esatto di un uomo non si ha se non quando un tale uomo, come l>enis8Ìmo osservava il Graf (1), si considera (l) Attraverso il -Ciwjucceuto^ pag. 107. — Looschor, Torino, 1888. ««^ìA. «.— «•■^f» • ..• ^»»- >-*« V^' -I t I i • INTBODUZIOIVB nelP ambiente sao, in mezzo alla vita. varia e com- plessa di cui egli è| al tempo stesso, organo e pro- dazione. Per la qnal cosa, dopo aver letto il commentario dello Jannelli, quaP è V idea che il lettore si è fatta del Parrasiof Oiò che si è detto di Gaio può dirsi di Tizio, non vi è nulla che caratterizzi 1' uomo, non appare Tessere vivo di Dante, l'individuo tutto intero, tutto d' un pezzo, la persona libera e consapevole del De Sanctis. Oltre a ciò non ci dice lo Jannelli se ò giusti- ficato quel lugubre lamento, cbe emana da tutte le opere del Parrasio, specie dalle orazioni inedite ; se ò vero quello straziante singulto, cbe erompo da quel mesto componimento, V elegia Ad Luciam {!), in cui si sente lo sconforto di un' anima abbattuta, un phato9, cbe ti aggbiaccia, un taedium vilae, che ti stringe il cuore. Su tutto questo tace il biografo : Innanzi alle innumerevoli miserie, cbe affliggono il suo protagonista, egli non si commuove punto, le narra senza commenti, senza riflessioni, trascu- rando così completamente il lato artistico, cbe non consiste nella semplice forma; ma richiede anche il concetto, consistente in quelP elemento subiettivo, in quella speciale maniera di saper spiegare e rior- (1) V. nostro lavoro : L'elegia e Ad Litciam » di Aulo Giano Par^ rasio e il Bruto mitiare di Giacomo Leopardi, — Ariano, Stali, tip. Ap- paio Irpino, ISOO. . — ♦ ' ♦. *' ' IKTKODUZIOlfB XI I I dinare i fatti, facendoli tutti dipendere da un' idea unica, cbo abbracci in mirabile sintesi tntta la vita di un individuo. Le copiose notìzie, con tanta pazienza raccolte, sono gettate lì, senza essere state prima elaborate, non v' è sintesi, ma lunga e pesante analisi ; sicchò manca completamente la riproduzione artistica delle notizie trovate, che f^ apparire coi suoi pregi e eoi suoi difetti la persona presa a tratteggiare. Bisogna però convenire che, rispetto al Parrasio, non ò cosi facile riuscire neir impresa : perchè si possa avere una completa conoscenza di lui, non bastano le notizie, spesso inesatte, che ci danno gli scrittori contemporanei ; è necessario che il biografo sapx)ia ficcare lo viso infondo ai preziosi manoscritti inediti dell' insigne filologo, e studii ed analizzi soprattutto Pampio codice (1), che contiene le ora* zionl tenute dallo stesso, al principio dei corsi, nelle diverse città, dove fu chiamato ad insegnare. In questo codice V infelice umanista ci dà piena contezza dei suoi mali, dei suoi nemici implacabili. (l) MSS. R. BibUoteca Nazionale di NapoU — Cod. V. D. .15 — Cari. aut. del sec. XVI, min. 317 per 223, di e. 164 non numerate, uè tutte interamente scritte, oltre due o più bianche, già guardie di esso; ò legato di pelle. — Incipit € Epithalamium », esplicit € Oratio ad. di- scìpulos. » — Come tutti gli altri manoscritti parrasiani, questo, codice divenne prima proprietà di Antonio Scripando, come dalla seguente di- dascalia finale : € Antonii Scrìpandi ex Jani Parrhasii testamento », e poi passò alla Biblioteca di S. Giovanni a Carbonara, di dove nel 1799. alla R. Biblioteca borbonica, ora -Nazionale. ■MMkaMiMi ■«^M ■■«M * » «» «■*» ° , »-m >^ «v .^«-c > I ■ ■_^— •••■•••;» >.^--y - ir^^'» —"-*•■*«■• ^*^ "<l • ) UfTBODUZIONB dello persecuzioni patito; sicché, dopo un accurato studio, appare dinanzi, nella sua piena realtà, la fi- gura di quest* uomo, d' ingegno potente, dalla fibra gagliarda, dal carattere fiero ed irremovibile, elio, in mezzo alle tante calamità delP avversa fortuna, resta sempre uguale a so stesso, codcìn valla proiìo- sitoqae (1), rivelandosi cosi vero figlio del!a forte e generosa Galabrìa. Kon deve credersi che lo Jannelli abbia trascu- rato del tutto Pesame dei manoscritti : egli mostra di averne consultati alcuni ; ma molto scarsamente e senza per nulla uniformarsi alle norme dettate dalla paleografia. Non ascriviamo tra i suoi piti gravi errori la mancanza completa delle indicazioni necessarie, ri- spetto ai diversi codici, se questi cioè siano mem- branacei o cartacei, autografi o apografi, so mutili, acefali, adespoti; ae abbiano didascalie, chiose,* po- stille, moniti o segni sulla legatura o sullo guar- die; ciò che non possiamo perdonare allo Jannelli si è la dimenticanza delP ubicazione dei codici e finanche della biblioteca nella quale si trovano, poiché quella magra indicazione < MSS. Beg. BibL Borb. » ò dovuta al nipote Antonio, che, pubblicando il lavoro dello zio, cercò di ovviare in parte ai gravi errori di lui, citando le opere ed i luoghi, da cui erano state tratte le notizie. (1) AuLi Jani Parrhasii. — Quaesita per epfstolam^ pag. 245. — Naapoli, SimoniiB fratibus, mdcclxxi. . I \ X » m* ^^ta^ I ^* *« *.- * . «V -*r ^ «. I2fTBODUZIONB XIU Oiò rispetto alla prima parte del lavoro dolio Jannclli ; quanto poi alla sfcouda, por mostrarne il merito, ci serviamo dello parole stesse del Pioren- tinO| il qualo scriveva : Il commentario dello Jannelli non contiene altro elio V inventario di ciò che rimane, e solo qua e là accenna alcune correzioni (1). Vogliamo credere die non sia tacciato di troppa severità il nostro giudizio sulPopera dello Jannelli, che certo io essa si ò mostrato di molto inferiore ai suoi meriti veri ed indiscutibili. Il nostro biografo paro che abbia messa maggior cura ad avvolgere in classico ammanto la figura del Parrasio, che a far risaltare il carattere ed il valore letterario di lui, non sappiamo ben dire so incoosciamente,' o per il desiderio di riuscire magni- loquente e versato nella lingua del Lazio non meno deirautore preso in esame. Ma lo studio della paroletta classica, della frase ciceroniana, tratta e non sempre acconciamente da questa o quelPopera del grande stilista, fa si che V intero commentario risenta di una certa ricerca- tezza lo stilo diventi gonfio e rimbombante; è il caso di ricordare il motto oraziano : profesmM grandia turget. (l) Op., 1. cit. ^*^'™— ^''*^~^'^"^~" - r - r - r — — - - '-- I > I r - i IB» — •••■■MV -4. »^,»-.tf — \trmm, Jh.»^» '^.^r -«.•.•«>• ..^ .>i . ...^«f M- • •-• »•<■ -V I T -A. DI AULO GIANO PAMASIO • — ■- - . ^ ■ » - •! ;■•»■* \' . i>. h t-M 4>»t. ^ «^ ^ *ì »^i I CAPITOLO I- Patria — Famiglia — Maestri. Nella CaUibria Citeriore, in fonilo a quel granilo ellis- soide, eh' è la valle del Crati, formata dalla catena degli Appennini, che ai contini della Ba^^ilicata si dirama in due opposti bracci, V uno lungo il golfo di Taranto o l'altro lungo il mar Tirreno, sul fiume Crati e Busento, sorge la (Vii- sentia di Strabone e di Appiano Alessandrino, la metropoli dei Bruzii, come la chiamano Tito Livio, Plinio, Antonio, Pomponio Mela. Bella e famosa città, dal territorio ubertosissimo, dove, facciamo nostra. Pespressione di uno dei più fervidi apologisti di essa, il Sambiase (1), « stan gareggiando insieme Cerere e Bacco, Pallade e Silvano, e Pomona con Flora i. Occupa una bella pagina nei fasti civili e militari d' I- talia ; ma merita soprattutto un posto importantissimo nella storia dell' umano pensiero. Basta dare un semplice sguardo alle opere del Barrìo (2), deUo Spiriti (3), deUo Zavarroni (4), dell' Ughelli (5), del d'Amato (G} e di tutti quegli altri scrittori calabresi, che, (1) Ragguaglio di Cosenza, Napoli 16^. (2) De Siiu et antiq. CalaMae, Roma 1737. (3) Memorie degli scritton coseèuini, Napoli 1750. (4) Biblioi. Calabra. Napoli 1753. (5) Italia Sacra* \jSi) Pantapologia calibra, Napoli 1725. \ ^Um """ ■ - VITA DI A. GIANO PAKUASIO diuanzi alle gloriose mciuorie ili Cosenza, entusiasmati, hanno sciolta la loro lingua alle più alte lodi, per comprendere quanti forti e baldi ingegni abbia nei diversi t-empi dati alla luce : Antonio Telesio, Galeazzo di Tarsia, Coriolano e Ber- nardino Martirano e soprattutto la fenice dei moderni ingegni, Bernardino Telesio, potrebbero illustrare, nonché una città, una nazione intera. Ed Aulo Giano Parrasio non è anche lui nativo di Cosenza! Sebbene tutti i suoi biografi lo credano tale, e non sorga a negarlo che il solo Aceti, il quale con scarse ragioni, gonfiate da un esagerato spirito di campanile, sostiene che il P. sia nativo di Figline (1), villaggio presso Cosenza, puro noi, per varii motin, dubitiamo che egli sia cosentino nel vero senso della parola. Anzitutto perchè troviamo ritenuti per cosentini parecchi valenti nomini di quei tempi, come Rutilio Bonincasa, Tom- maso Cornelio, Sestilio Mazzucchio, che sono nativi di qnei diversi villaggi, detti volgarmente casali, che circondano Cosenza e sono ritenuti come tanti sobborghi di essa. Poi perchè il P. nelle sne opere, sebbene .ne abbia tante volte l'occasione, non ricorda mai Cosenza come sua patria, a differenza di tutti . gli altri scrittori di questa città, nei qnali, come notava il Fiorentino, si vede una certa ostenta- zione nel determinare la loro patria, e nell'apx)orre al proprio nome l'epiteto di cosentino. In una lettera a Vincenzo Tarsia si congratula del risveglio letterario della Calabria e specialmente di Cosen- za (2) : in un'altra, diretta ad Andrea Pngliano (3), parla dei * (l) Animadcersiones in Barrium — De Situ et antiq. Calabriae^ ed. cit. € Vir iste inter omnet acvi sui erudi tissimus facile prìnceps, ad « Fillooum, tire Felinum pertinet, patriam tuam ac meam. » l2) De Rebus per EpisL quaesit.^ ediz. cit., 1. cit; (3) I?U VITA DI A. GIANO PARBASIO I - in r 1 cosentini^ mostra che non dimentica mai Cosenza, che anzi Pama teneramente; ma non dice mai nnlla, da cui si possa dedurre che egli stesso sia cosentino. Ne basta : nell'orazione inedita, tenuta e Ad Patrieios Xeapolitanos > (1), il ?.♦ per ben predisporre gli animi verso di lui, fa noto che, sebbene ancora giovane, ha già inse- rì guato parecchi anni nella nativa regione dei Bruzii : e prìus I : aliquot annos frequenti auditorio in Brutiis, unde nos ortum dncimus, interpretandis auctoribns impendimus i. Ora perchè qui ricorda i Bruzii e non Cosenza, dove realmente insegnò prima di andare a Napoli 1 * Non crediamo parimenti trascurabile Fultra prova, che ci fornisce un codice inedito di Bernardino Mnrtirano, cosentino,* discepolo del Parrasio, da noi rinvenuto nella Biblioteca Brancacciaua di Napoli. In questo codice iutitolato e De Famiiiis cousentinis i (3), il Martirano non fa menzione della famiglia del maestro, e ciò non sembra fatto per semplice dimenticanza, poiché in un sonetto dello stesso scrittore, sulle famiglie di Cosenza, riportato dal Sambiase (3) e riprodotto dal Fiorentino (4), si' nota la medesima omissione. E in ultimo è ravvalorata sempre più la nostra tesi da una lettera contenuta in im altro codice inedito del P., che si conserva nella biblioteca dei PP. Gerolamini (5). V, (1) Cod. cit. V. D. 15. (2) MSS. Bibl. Brancacciami di Mapoli. Cod. 3. A. 16. e De FamiliU coaseatinit CommentarìuB. > Ai cultori di memorìe cosentine indichiamo i due codici inediti, che ti trovano nella stessa Biblioteca: € Rclacion de la Ciudad de Coson- zia — 5. 0. 1. — De Syla Consentiae. ex historìcis — 2. C. S. » (?) • d) op. cit. (5) A/S5. Bibl. dell'Orai, dei PP. Gerolamini di Napoli. Cod. Pil. XI.2 Cari. mise, apogr., del secolo XYl, mm. 219 per 158, leg. di pelle. È dello stesso formato dei codici della Bibl. Nazionale^ e proviene. 0t0immjmtmi' I afti^fci y** VITA DI A. GIANO PARRASIO In quella il P. roccoinaucla caldamente a Tommaso Fedro Inghirami, bibliotecario della Vaticana^ il caro amico Antonio Cesareo, che egli chiama suo e conterraneus »• Non pare che il P. gli avrebbe dato l'epiteto di e civis i, se anche lui, come quello (I), fosse stato cosentino t Tenuto conto di tutte questo ragioni e delle notizie enfaticamente forniteci dall'Aceti, il quale fa menzione di un altare gentilizio dei Parisio (3), di una lapide commemorativa del Cardinale P. Paolo, esistenti in Figline, come pure di altri documenti tratti e ex librìs Baptizatorum », ci sentiamo indotti a erodere che il P. fosse realmente nativo di Figline. • Ma Cosenza fu per lui la vera patria di adozione, l'amò sempre del più tenero amore, fino a quando fluì in essa i suoi giorni, e sebbene non si sia mai dato l'epiteto di cosentino, pare che non gli sia dispiaciuto d'essere st«ato creduto tale. Anche noi x)erciò, pur sapendo di tradire in parte la verità storica, continueremo a chiamarlo cosentino. I biografi non sono d'uccordo circa le origini della fa- miglia del P. : alcuni affacciano delle ij)otesi, altri fanno delle gratuite asserzioni, fra queste degne di nota quelle del come Morobfa, dalla stessa Biblioteca di S. Giovanni a Carbonara, di dove pare sia venuto in proprietà di Giuseppe La Valletta e da questo ai PP. Gerolamlni. — Cont. « Campanarum Epist. Antonii Panhormitae », di e. 56 scrìtte, più 6 bianche, già guardie. Incip. « Ad Nicolaum . Buezo- tom > ; expl. € et genus humanum ». Seguono : € BpistoUe Jan! Parrhasii » di e. 30; incip. e T. Phaedro, romanae Aeademiae », expl. e epistola Bernardino Minoritaiio ». (1) CiiioccARELij — De iUusiribtis scn'ptoribiis ecc. Ncapoli, mdcclxxx, pag. 223. (2) Come vedremo Parrasio ò alterazione di Parisio. .^ i» .V. > VITA DI ▲. GIANO PABBASIO Gonzaga (1)| cho, fra lo altro cose, chiama il marchese Giuseppe Parisi di Napoli, l'ultimo rappresentante del ramo calabrese della famiglia Parisio ; mentrOi da notizie da noi assunte', ò risultato che V ultimo rampollo di essa e Ernesto Parisio,. marchese di Panicocoli, dimorante ora a Benevento. Questi, con gentilezz«'> degna della nobiltà ed eccellenza della sua famiglia, ci forniva le seguenti notizie, tratte da diplomi e privilegi : Guglielmo, nativo di Parigi, portatosi in Italia alPepoca del re Carlo I, lasciò il primitivo cognome di Lancia e prese quello di Parisio. Da Ruggiero, suo figlio, nacque Matteo ed Andrea, che, uniti al padre, militarono con grande onoro sotto lo stendardo di Ferrante I d*Ai*agona, come apparo dal privilegio d' immunità e franchigie, confermate poi da Carlo V (2). Avendo il suddetto 5ratt.eo operati molti e prestanti servigi al suo re, ebbe in premio il feudo Aconaste di Alipraiido, confermato dal re Alfonso (3). Illustri discendenti di Andrea e ^latteo furono Guglielmo e Gualtiero, i quali da Ferdinando il Cattolico ebbero in dono il castello di Kalamo, nella terra di £se, come appare dal breve di donazione, da noi osservato in Benevento presso il marchese Parisio. Da Ruggiero poi nacque una delle maggiori glorie della famiglia, .P. Paolo, valentissimo giureconsulto, che tenne cattedra a Bologna ed in altre città d' Italia, e giunse all' o- nore della porpora, nel 1539. Ora t^ma qui opportuno osservare che la famiglia Parisio si diramò poi in Messina, Oastrogio vanni, Mineo, (1) Conte Berardo Candida Conzaga. — Memorie delle famiglie nobili delle province meridionali d'Italia. — Voi. 6, pag. 136, Napoli 1883, (2) Archivio di S, Agostino alla Zecca, — Documento XI, fol. 62, in quinter. Vili, fol. 200. (3) Archivio di S, Agostino alla Zecca, — Privilegio registrato in Privil. XI in quinter. XI, foL 436. 8 VITA DI A. GIANO PARBÀSIO Lcntini, Napoli, Bologna e Reggio; ma il ramo principale fa quello di Calabria, il quale a sua volta si diramò nei Parisio e ex Bugerio », da cui discese il Gardinale, e nei Parìsio € De Thomasio »• Da quest'ultimo ramo, da Tommaso, consigliere di S.» Chiara, e da Pellegrina Poerio, il 28 dicembre 1470 (1), nacque Giovan Paolo Pàrisio, che poi prese il nome di Aulo Giano Parrasio. Discendeva questi dunque da illustre ed antica famiglia, in cui pare siano stati ereditari Pcccellenza dell' ingegno e Pamore alle >nrtn ed alle alto ed onorifiche imprese. Gli scrittori del tempo sono concordi nel tessere gli elogi dei genitori del P. , lodano la coltura e 1' alto sentire di Tommaso, non che la nobiltà d' animo di Pellegrina, che fu rapita prematuramente aU'affetto dei suoi (2). Non tardò molto a palesarsi nel P. quella grande ten- denza ed attitudine allo studio, e quella grande tenacità di mente, che fin dai primi anni fece presagire nel giovanetto uno splendido avvenire. n primo suo maestro fta Giovanni Grasso Podacio (3), detto cosi dalla patria, Serra Pedacia (4) : molti scrittori no lofiano la dottrina e la bontà del cuore, sicché sotto la guida di lui il P. fece rapidi progressi, dando presto chiare prove che il discepolo avrebbe superato il maestro. Gi rimane una lettera, indirizzata al Pedacio, in cui l'antico alunno scioglie alcune difficoltà letterarie, che quésti gli aveva proi>oste ; ciò che in altri avrebbe generato un (1) Loca Gaurico — Traci. IV Da Nat., T. II. Op., pag. Id36. Jamtislli — Op. cit., pag. 1. (2) Parrasio. — De Rebiu ecc. — Orai, in epist. Cic. ad Alt., pag. 242, ediz. Mattltaei, Neapoli, mdcclxxi : e In optimam matrem mcam primo desaevit (Fortuna) integra adhue aetata. '» (3) De Rebus ecc., pag. 121. (•^ Zavarroni. — Op. cit., pag. 63. * fnXk'^<^VU^ntiii»St^tù- I^.Tlrt.ìWììj'^*-*. mf ^w •• *% •<*«• Xi > lAk^Ài ■•- -•»»T»*<* v- i HP f . ^ ri»» i* < 0f^if - M»iM^^ «i^- VITA DI A. GIANO PARBASIO 9 certo senso di orgoglio , risveglia potente in lui il sentimento della riconoscenza, e con gentile pensiero, che tutto rivela la nobiltà del suo animO| cosi scrive al caro maestro: e Sit hoc iyziTzeAAoyiiVj ut enim cicouiae parentibus, aetate confectis, alimenta, sic ego tibi parem stndiornm gratiam prò virili parte referam ; tametsi nulla satis referri potest, ut inquit Plato » (1). Dopo che il giovanetto ebbe gustate le prime bellezze della lingua latina, si dedicò subito allo studio della lingua greca, avendo compreso ciò che non fu da molti, anche fra' più grandi umanisti, che 1' una non può andare disgiunta dall' altrtf, se si vuol toccare una nobile meta. n primo avviamento allo studio del greco l'ebbe a Lecce dal valente grecista Sergio Stizo, quando il padre fu chia- mato a governare questa provincia (2), parrebbe intomo al 1483 e non nel 1485, come ritiene lo Januelli (3), che in* terpreta nel senso prettamente classico quell' € admodum praetextatus > , che si legge nella cosi detta Apologia di Vallo. Passato un cei*to tempo dalla sua venuta a Lecce, il P., come vedremo, incorse nell'ira paterna per essersi mostrato poco disposto allo studio del diritto. Essendosi però il padre piegato a più miti consigli, egb", allettato dal bel nome, che godeva a Gorfù Giovanni Mosco, spar- tano, al quale accorrevano da Veneziike da ogni parte d'Italia, non che dalla stessa Grecia, tutti quelli che desideravano pe- {ì) De Rebus ecc,^ ediz. cit., pag. 121. (2) Apologia del Vallo. — V. Comm. del P. al e D^ Raptu Proserp. Claudiani > — 1505, Milano : € Multa tamen in Graecia antea ilidioe- rat, admodum praetextatus, in Japygla, quam regia potestata Tamìsiui, pater eius, obtinebat, usua praeceptore Sergio Stizo, cui nihii ad sum- mam defuit erudi tionem, praeter quam maiua nostrarum litterarum sin- dium. > (3) Jannblli — Op. cit., pag. 4. . . ^to«Mi«^hMiA«Mta 1 . «■^«I *v y- * v L^ ? ;. TT^ 10 VITA DI A. GIANO PARRASIO I notrare nello intimo bellezze del greco (l), volle recarsi colà| e pare che vi si trattenesse poco più di un biennio (2). Non possiamo dire con procisiono quando egli si portasse dal nuovo maestro, se nel 1488 o nel 1489, pare però eerto che ritornasse a Cosenza intorno al 1491, come ci aiTerma un passo del suo Oommentario al De Baptn Proserpinae di Claudiano, pubblicato la prima volta nel 1501. Ivi il P.) parlando della Delia Oliva di Catullo, ricorda che per fonte e non per albero aveva interpretato quell' O- Uva, dieci anni prima, quando a Cosenza aveva avuto a maestro Tideo Acciarino (3). Tornato a Cosenza, riprese quindi il P. lo studio del latino sotto la guida di quest' ultimo , tanto lodato dal Poliziano (4), e ben presto rivelò i frutti del savio ed ordinato insegnamento del dotto maestro, riportando a Cal- limaco quel carme, che ha per titolo e ri ahtx », o inter- pretando per la fonte che esisteva nella Beozia, e non per albero, la Delia Oliva di Catullo (5). (1) Liuo Gregorio Giraloi. — De Poctis sui temporis. Dial. II. TiRABOSCUi. — Storia della letier. iud. — T. VII., P. II, pag. 437. Roma 1784. Anoelo Spera. — De nobil. profess. gramm, 1. IV, pag. 288. (2) Apologia del Vailo. — e lode Corcyram profeotus, operam Mosche dedlit 000. > (3) Parrasio. — Commentario al € De Raptu Proserpinae » — y« 188, lib. II : < Ad hanc Olivam fontcm Catulli carmen osse referendum, de- cimo abbine anno omnium primi indicavimus, quum celeri Strabonom eum poeta committerent. Neque mentirì me sinet Tydeus Actianut, vir et doctus et integerrimus, quo tum praeceptore in litterìs utebamur >• (4) Poliziano. — Epistolae, — lib. VII. (5) Parrasio. — Commentario al € De Raptu Proserpinae », lib. III^ T. 288. »aA.i CAPITOLO U. . Il Parrasio a Cosenza ed a Napoli — Relazioni cogli AragonesL Non bisogna però tacerò che anche il P., corno tanti altri umanisti (1). trovò nel paciro un fiero oppositore ai suoi studi prediletti (2). Era ornai divenuta tradizionale nella famiglia Parisio la tendenza alla carriera giuridica (3), sicché Tommaso si mo- strò dispiaciuto verso il figliuolo, che preferiva lo studio dei classici a quello del digesto e delle pandette. A quale perìodo della vita del P. deve però riportarsi questo fatto! Lo Jannclli, esagerando anche lo sdegno del padre verso il figliuolo, aiTerma che bisogna riportarlo a quel tempo in cui quest' ultimo apri pubblica scuola a Cosenza (4). (1) V. nostra monografia: Un Accademico pmitaniano del secoli XYi^ precursore dell'Ariosto e del Pnrini^ pag. 13. — Ariano — Stab. tip. Ap- piilo-Irpino — 1898. i2) De Uchus per cpisloìam ecc., eiliz. cìt., pag. 242 : e Neque vero comineinoralH), quod ut hune quantuluincuinque litterarum profectum ' iiiorarctur« indulgciuU alioqui in me patria animum'depravavit (Fortuna), no sumptuA ai ooìa Musarum auppcditaret, taroquam relieta a malori- bus trita semita degeneri, quod, ut illi, leges ediscere neglexerìra ». (3> Morelli — De Patricia consentina nofnlitaie, (4) De vita et scriptis ecc., pag. 10. I ^ 12 VITA DI A. qia:«o paukasio Ciò non ò prosaniibile, poiché Tommaso Parisio, da uo- mo accorto ed intelligente quaPerai non avrà certo atteso che il giovane avesse raggiunta l'età di 21 anno, per costringerlo a battere la e tritam semitam gentis suae i. Più logico in- vece ci sembra che egli cercasse di piegarlo ai suoi volerli prima che del tutto < mansuetiorum JMusarum delinimeuta avo- cassent a molestissimo legum studio i (1), quando cioè, intorno al 1485| dopo le cognizioni apprese dal Pedacio e dallo Stizo, credè opportuno che potesse entrare, non illotis pcdibm, nel campo giuridico. Errava similmente lo Jannelliy quando asseriva che Tom- masO| monendo, hortando, increpando [2]^ non riusci a vin- cerla sul figlio, poiché abbiamo le pia chiare p]*ove che questi, benché certo a malincuore,, fini coli' appagare il de- -. siderio paterno, come risulta non solo dal brano succitato (3) e dalla lettera al Pellegrino (4), ma anche da un manoscritto inedito, intitolato e Vocabularium legale i (5), redatto, come pare, sotto la guida del padre, che gli fu certo maestro in quella disciplina, in cui era tanto versato (G)« In questo codice, dove sono disposti per online alfabetico (1) MSS. Biblioteca NaùonàU di Napoli. — Cod. V. P. 9. — Cari, aut., mm. 315 per 215, leg. come i precedenti e della medesima derivaxione — Inc. < Galeatio Thyenaeo », expl. € horis consti UieUatur »• Questo codice contiene la maggior parte dei € Quacsitapor episto- ' lam », già editi, più alcune lettere ancora inetlite, fra cui quella al di- scepolo Pellegrino, che esorta a non lasciarsi troppo allei taro dalle Muse, polche potrebbero distoglierlo dallo studio del diritto. (2) Op. cit., pag. 10. (3) De Relmi ecc., pag. 242. (4) Cod. cit. V. F.-9. (5) MSS. Biblioteca Nazionale di Xapoli — Cod. XUI. B. 25. — * Cari, aut., di e. 155, senza le guardie, di mm. 214 per 152, leg. di pelle — Inc. « Eburneam bibliothecam », expl. e aliam hano appcilant ». (6) Obiolu. — Orig. dello Studio di Napoli. — T. 1, 1. IV, pag. 250. NapoU 1753. ■■-j<«^'*-« f ■■■ ' ■«■< W i m '■ ' ii \ . ^H«Mfc>uwa^««»««^N<>!w' VITA DI A. GIANO PARRASIO 13 luuuincrcroli quesiti di diritto, tratti dalle opere dei pia valenti giurecbusulti, corno Ulpiano, Paolo, Modestinoi Pa- piuiiiDO ecc., bisogna notare il lavoro paziente del giova- * netto, reso ancora più manifesto dai non pochi errori grafici, in esso ibcorsi, ed eliminati evidentemente da una futura correzione. Pare però che in Tommaso Parisio abbia finito col trion- fare la generosità del suo animo; sicché, specialmente quando vide l'altro, figlio Pirro battere la strada dei suoi antenati, dovette certo venire a più miti consigli verso Giovan Paolo, e permettergli di seguire la naturale tendenza del sud ingegno* Xon crediamo punto di errare asserendo quindi che egli stesso lo consigliasse a lasciare Cosenza, dove presto la scuola di luL.cra salita in grande onore, ed a recarsi a Napoli, dove già egli occupava la carica di regio consigliere di . S.« Chiai-a (1\ Però inclineremmo a credere che il P. non si recasso allora a Napoli per la prinia volta, poiché uelP Oraiio ttd ratritios ncapoliUiìtos dice che, essendo venuto colà per sa- - lutare gli amici, da questi, che già per prova dovevano conoscere il suo valore letterario, venne invitato, anzi forzato, a tenere uù corso /li lezioni sulle Sclì:e di Stazio (2). Non crediamo qui necessario trattenerci a discorrere del Pontano e della sua Accademia, dopo il cenno che ne abbiamo fatto in altro nostro lavoro (3} ; solo ci piace osser-' vare che sebbene il P., ancora cosi giovane, si assumedse il (1) Toppi. — Dj Orig. Tribun. — P. II, 1. IV, cap. I, pag. 239. (2) MSS. Bibl. XoiionaU di NapoU. ^ Cod. V. D. 15. — € Ai io praesontiaruui/ Viri patritli, quum ofiilii causa, ut amicos inviseremas, A'I vostram rempublicaiu ornatisshnain aodique vorsum me contulissem, ab eìndem post aliquot dies inissIoDem impetrare haudqaaquam potala quod dicerent nostrae consuetudinis iucundltate teoeri eoe. > (3) Un Accadeinico poHtaH'ano d€l secolo X Vi, precursore ddV Ariosto e del Perini, pag. 21 e seg. — Ariano, Sub. tip. Appulo-Irpino, 1888. .-• ■ \ »-:j ^tei*«*MÌB iimtaa^^ lm <u — ^ 'TX" ■ ; '; ) ■ ^ . -...#■• U VITA DI A. GIANO PABRASIO difficile compito di professare in nna città e totias Italiae celeberriinai ubi omnium bonarum artium studia poUebant, in tanto praesertim doctissiinorum hominum coetu i (1), pure riusci molto bene nella prova, da meritare il plauso generale. L'orazione tenuta^ dal P. ai Patrizii napolitani, nel codice succitato, appare divisa in due parti, il che fece credere allo Jannelli che si trattasse di due orazioni diverse. L'oratore esordisce bellamente con una lode alla costi- tuzione della Repubblica romana, in cui, egli dico, e nihil occurrit quod non summo iugenio excogitatum, maiori'studio expolitum, maxime Consilio ac prudentia gcstum iudicetur i. . Bicorda poi la lunga e paziente preparazione dei Romani prima di uscire in campo npeiiK) contro i nemici, e da questo prendo le mosse per accennare ai suoi maestri ed all' inse- gnamento altrove esercitato. Dopo aver parlato delle lunghe ed insistenti premure dogli amici e della sua titubanza prima di accettare e arduam et difficilem provinciam i, si trattiene a discorrere della gloria, e ad implendos totius operìs numeros adiumeutum, i e degli sforzi inauditi a cui si sobbarcano gli nomini per conseguirla lasciare appo i posteri un nome onorato (2). Dopo aver riportato vari esempi, per sempre meglio comprovare il suo asserto, cita quello del Fontano (3), il quale (1) MSS. Dibl, Nazionale di 2iapoli — e Oratio ad Patrìtios neapo- lit&Dot » in Cod. V. D. 15. (2) AfSS. nibLJf azionale di Aapoh — Orai, cit., in Cod. V. D. 15. — € Quotu8quìs<|ue, ut ad rem lettcrariam adveniam, tain róaximos studilt labores impendisset, nisi nomen et gloriain inde adsequeretur ? » (3) MSS. Bibl. Nazionale di Napoli — Orat. cit. in Cod. V. D. 15. — < Sed quid externis utor excuiplit 1 Jovianus Pontanus, vir discrtissimus, qui Cam illis vctustissimis acque contendit, Dii boni, qtiae nuper sui Uborit monumenta dodit? Rem profecto ad hoc usque tempus intactam : ^ttt^^n^mtm^mmmam. «IraMiabawkM^*^ VITA Bl A. GIAHO FABBA8IO IT noi sembra che fl Parrasio, volendo unire al prenome ed al nome di fonie latina il cognome di fonte greca, forse per denotare la soa conoscenza profonda nell'una e nell'altra lingua, abbia scelto il nome o del pittore omonimo, o quello del figlio di Jjicaone, o quello dell'abitante di Parrkasia, la fiorente città dell'Arcadia, nomi tutti che avevano una certa assonanza col suo vero cognome, Parisio. Parecchi biografi, quali lo Zavarroni (1), il D'Amato (2), Castiglione 3Iorelli (3), parlano di una speciale predilezione, che Ferdinando II d'Aragona avrebbe avuta pel P., a causa di scrvitia ingenita (4), da quest' ultimo operati a beneficio di lui. Nessuno però dei succitati scrittori ci fornisce dei par- ticolari rispetto a questo punto oscuro della vita del P«, e lo Jaunelli, più che gettarvi un po' di luce, accozzando no- tizie, e coordinando i fatti senza alcun discernimento critico, tradisce completamente la verità storica, presentandoci il suo protagonista sotto una forma tanto diversa dal vero. Siamo lieti di essere riusciti anche questa volta a veder chiaro nella quistione, coli' aiuto di una preziosa lettera inedita {6\ - ' ' In questa lettera non si accenna chiaramente aUa persona, alla quale viene indirizzata; ma si trovano dei dati sufficienti per fiurcela identificare. (1) BMioieea ealabra. — Napoli 1753. (2> Pantapdogia ealabra, — Napoli 1725. (3) De Patricia consentina nobilitate. — Venezia 1713. (4) Castiglione Morelli. — Op. cit. e Ferdinando II regi admodum carut, cuius ingenita servitia laadantur »; i5) MSS. Bibl. Nazionale di Napolil — La lettera in doppia trascri- zione, si trova nel codice già descritto. — V. P. 9. \ Il "- ■ — K*«b ■M«MkMd«M*^wv«*k#«J)A« j *V^»^tlm, ■■» ■■■ * *« ■<— « ■ ■»»■ 18 TITÀ DI A. ai4NO FÀBBA8IO n P., interrogato intomo olle attrìbazioni dol dio egi- ziano, Serapidoi cosi gentilmente risponde: e Qnod a me de Serapi qnaeris, illustris ae omatissime PrìncepSi atinam sic ad te reduoendum prosit io avitum pa^ temumquo soliami qno nulla tua culpa cares >• Dopo avere a lungo discorso della divinità cgizianai il P. cosi pone termine alla sua lettera: e Qui (Fortunae) si nonduin omncs ad unum bonos libuit excindore, si nomon Aragouium propitìa rospicit, te, lapsis tuomm rebus, incolumen servabit, discot abs te clcmcntiam, mitissimoque Principi mitis aliquando fiet. Tu rnrsus maio- res tuos intueri debes, ascitos coelo, operamquo dare ut, nude per iniuriam doiectus cs, industria virtusque te rcponant >• Come ognun vede, questo Priucipo aragonese per iniu- riam scacciato dal trono, non ò altro che Ferdinando II, il quale dopo la battaglia di S. Oermano e l' insurrezione degli Abruzzi, non avendo potuto mettere un argine ali* invadente piena, che si era rovesciata nel suo regno, lasciò Napoli per fuggire alla volta di Ischia. Merita similmente di essere riportato il seguente brano della lettera in esame : e Audio (1) te esse egregiae iudolis adolescentnlum, animo alucrem, iugenio pótentem, frugalitatis et contincntiae in istis ani^is admirandae, patientem laboris, a voluptatibus àlienum, firmiterque laturum quicquid inaedificare, quicquid tibi fortuna voluerit imponere >• Dai passi succitati, specie da quest'ultimo, in cui è descritto minutamente il carattere di Ferdinando, chiara- mente si vede come tra il Principe ed il giovane filologo sia esistita, pia che una semplice relazione, una vera e cordiale amicizia, che crediamo abbia avuto origine fin da quando il P. (1) Audio è qui adoperato noi significalo di conoscere ; Cfr. Cicerone: 4 Audit igitur mena divina de s^ngalla ». ^^ -■ - . ■ _. .. .A--, -1- a . lait. "-Tfc'- i r» t - ■ ■■' ■^■■* m» . « i^ ^i i H m» » . -<^^ ■< «yiÉi i nV .ir^'i» ' ' ^^'^^i » ^*" ■■ — ;j ^ ■'**' '? *? . '* *V VITA DI A. GIANO PARBASIO 19 ^— ^F«^"W«-^F*i^-^ Telino a Napoli, e diodo oosi bella prova di sè| tenendo un oorso di lezioni sulle Selve di Stazio. n principe Ferdinando contava allora ventitré anni, l'età in cui sogliono frullare per la mente sogni dorati di gloria letteraria, sicché, conosciuto il valore del giovane mae- stro, l'avrà invitato ad impartirgli delle lezioni. Oiò premesso, chiaramente appare che il gran Barrhasio, per mano del quale Phcbo die la dotta lira in dono alVAra» gonio principe Ferrando (1) non é altro, secondo intuiva, ma non dimostrava, il prof. Pércopo (2), che Aulo Giano Parrasio (3). Da un importante documento inedito, trovato noli' Ar- chivio di Stato (4), apprendiamo che il Principe non tardò a mostrare la sua benevolenza verso il giovane calabrese, fhcendolo nominare e magister Gamerao et magister actorum penes Justiciarios sen Gapitanoos terrae Tabemae > ; e fo- ccndogli affidare V ufficio di e Oavaleris penes Oapitaneos terrarum Montaneae et Civiteducalis, x>otcstatc substituendi, cum gagiis et emolumentis, lucrìs et obvcntionibus solitis et consuetis et debitis >. ^on ripetiamo tutti gli elogi proiligati nel documento in parola ; ci limitiamo a riportare solo il seguente brano, in cui chiaramente si vede l'alta stima, che il re Alfonso ed il principe Ferdinando avevano del P. : ' e Nos autem habentes respectum ad merita sincerae (1) Chàritio. — Endimione. ^ Canxooe Vili. (2) Le rime di BenedeUo Gareih, detio il Chariteo. — Napoli MDCCCXCII — V. I, pag. XLIV. (3) Erroneamente il Tafuri crédette di identificare nel Barrhasie dtà Chariteo, Giovanni Marrasio ; come pure a* ingannarono coloro i quali supposero che fosse Francesco Barrasio, « regio consigliere et presidente di Camera >. (4) Archivio di Stato di Napoli. — Collaterale prìviL Aragon., V. VII, 14M-95« C 7S. .* ■ « 20 VITA DI A. GIANO PARRA8IO clovotionis ot fide! praefati Pauli, ac considerantcs sorvitia per oum Majostati nostrae praostita et impensa iis et aliis considerationibas et causis digne moti, praefato Paulo ad eius vitae decarsum iain dieta officia. ..;• haberi volumus prò in- sertis et expressis et declaratis. > Pare però che il P. non abbia occupato a lungo questa carica, che, se gli procurava danaro ed onori, non doveva certo concedergli il tempo necessario per dedicarsi ai suoi studi prediletti. Ecco perchè nel 1405 lo troviamo a Lecce (1) in DeeU" iiam 8cribarum^ carica molto onorifica, alla quale non poteva aspirare e nisi honesto loco natus, et fide ot industria co- gnita 1 (2). . - Di queste due cariche sostenute a Taverna ed a LeccCi si rammenta poi il P. con rincrescimento e disgusto quando^ svaniti i sogni dorati della giovinezza^ si dedicò di nuovo e con pia lena allo studio delle Jettere : e lam vero piget neminisse quod ab ingenuis ai-tibus ad calamum militiamque me tradaxit (Fortuna) i (3): n P. né in questo, né in altiì luoghi ci dice quando impugnò le armi ; non crediamo però di errare, sostenendo che ciò sia avvenuto nella lotta degli Aragonesi contro Carlo Vili e non dopo la caduta di questi, e ut consuleret sibi patrique i, come crede lo Jannelli (4)« Come i suoi illustri antenati, nei quali rifulge inteme- rato il sentimento della fedeltà e della gratitudine, il P. corse subito a prestare Peperà sua in difesa del suo signore, e se dopo, come abbiamo visto, egli si penti di ciò, bisogna rl- (1) Apologia del Vallo, 1. cit. — € Ipse Janus in eam provinoiam (Japjgiam), quam pater rexit, adolescens Scripturam fecit. > (2) Ivi. (?) Ouaesùa per epi%i. — Orai, ante pralect. in epist. Cie. ad Att. (4) Op. cit., pag. 26. h ~'^ -*~'^ "' - r - I I i*' i ' 1 ^ 1 là i M "j • • . ,. .. .■■. i \ Mr '^ •"•" '' VITA DI A. GIANO PABRASIO 21 cercamo la causa nel suo giusto risentimento, quando vide la sua devozione ed il suo zelo indegnamente ricompeasati da re Federico. Oi parrebbe quindi verosimile che il P. seguisse il prin- cipe Ferdinando, quando con un corpo d'esercito fu mandato da re Alfonso nelle Bomagne, e che prendesse parte a tutte le vicende di quella poca fausta spedizione contro l'Aubigny, ed alla stessa battaglia di S. Germano. Ciò non risulta chiaramente da alcun documento, ma siamo indotti a crederlo da quello speciale interesse, che il P. mostra di aver preso alla causa aragonese, e da quel continuo accenno alle armi, a cui, altrimenti, non sapremmo dire in quale altro periodo della sua vita egli si sarebbe rivolto (1). (1) Torna utile riporUro i seguenti versi di un epigramma del P. contro il Nauta, suo fiero nemico (Apologia di Vallo): Si fortuna levis de Consule Rhetora fecit. Et ferulam gerirous qua prius arma manu. Nonne eoe... La parola co9isìU ci farebbe credere che il P. fosse giunto a qualche alto grado nell* esercito aragonese. \ ■ W ■■ I !■ i«A>^i— •'^bA* ^a^^>*^»> >'•» »iy~- '««Jwti w>i>»i' » .a ■■* IW »^f *m' ^rtèmtmr'nmmm .•••,• • • ... CAPITOLO in. Il Parrasio in disgrazia di re Federico. Integrità e fermezza del suo carattere — Dimora a Roma. n P. conchiade la sua lettera a Ferdinando d'Aragona col voto di poterlo rivedere, prima di morire, sul trono degli antenati : e onte meos obitus sit, precor, ista dies >• n giorno desiato non tardò molto a spuntare : dopo quattro mesi, il 7 Luglio 1495, Ferdinando rientrò in Napoli, festeggiato dal popolo, e cosi il voto del fedele P. fu piena- mente adempiuto. Allora questi fu reintegrato, insieme col padre, nell'ufficio perduto dopo la conquista di Carlo Vili, e ritornato a Lecce, si dedicò con ogni cura all'emendazione del testo di Solino: (1) e Si quis alter in emaculando Solino laboravit, in iis ego nomen proftteor meum : Ncapoli, Lupiis, in Japygia Apulia, nactus antiquoe reverendaeque vetustatis exemplaria..... » Ma Ferdinando II godette ben poco del possesso del trono ricuperato, poiché dopo un anno appena morì, la- sciando la corona allo zio Federico, che, inetto a regnare, diede V ultimo crollo alla dominazione aragonese. (1) AtSS. DibL Nazionale di Napoli, — Da una lettera contenuta nel Cod. cit. V. F. 9, diretta non sapremmo ben dire se a Oiovan Battista Pio Bolognese o ad Aldo Pio romano. — Inc. € Atqul tua cum bona venia fallit te ratio, mi Pie, » \ MiJII *!■< * — r"~^^TTiry -iiii *' 1^-1 1 . fu. |i%'*Mli I 34 VITA DI A. DIANO PABRASIO Soccedato sul trono di Francia Luigi XII, fin dal suo avveniinento rivelò il disogno di riconquistare il regno di Napelli e per riuscire pia facilmente nel!' impresa, si collegò con Ferdinando il CattolicO| stipulando con lui a Granata quel trattato segreto, in cui fu stabilita la partizione del reame. Le mire dei due potentati rimasero occultCì finche le milizie spaguuole, col falso pretesto di difesa, non s'istallarono nelle Calabrie, sotto il comando di Gonsalvo da Cordova. Quando Federico si accorse dell' inganno, di cui era stato vittima, era già troppo tardi per poter reagire ; oltre a ciò, lasciatosi raggirare dai suoi favoriti, Vito PisancUi e Leonardo Prato, si mostrò severo verso quei sudditi, che credette, o gli fecero credere, suoi nemici, accelerando in questo modo la sua rovina. Purtroppo in ogni tempo i tristi non hanno mai potuto sopportare la presenza dei buoni, sicché i due ministri di Federico cercarono ben presto di sbarazzarsi di tutti quelli che eolla loro attitudine avrebbero p'^^uto intralciare i loro disegni. Fra i primi ad essere colpiti diillé loro male arti furono i fedeli Parisi, che, senza aver commessa alcuna colpa, cad- dero in disgrazia del re e furono quindi rimossi dalla carica, che occupavano (1). Sebbene non sia detto in alcun luogo, è però certo che l'accusa indettagli fu quella di aver parteggiato pei Francesi. Quanto sia stato grande il dolore del P. per questo cosi indegno trattamento, appare da parecchi luoghi delle sue opere. Egli si era de<licato con tutto il suo ardore giovanile al servizio degli Aragonesi, rimanendo loro fedele nella buona (1) Comm. del P. al De Raplu Proserpinae^' 1. II. v. 414 : < Ao aliunde ikclum puUs, ut Vitut ille PisAnelIus, homo saevissirous et qualem pudet fateri, Lupiensque Leonardus Pratus, ex inlquissimo sacer- dote pirata taovisiiimas, qui novo exemplo summum ecelut cum tumma stttltitia coniunxit, ex amioitia regia..... ad summas opes penreneriot f >. "-* Vii r J rrn ' " r '~ - V t f'^-'f^J'^^^''^ VITA DI A. GIAlfO PABBA8I0 26 come nelPavvei^a fortunai oltre che per l'amore, che ad essi lo legaya, por la speranza e honestioris gradus, maionunqae commodorum > (1); ebbene ora, invece del premio dovuto, di quel posto onorato, di quegli agi sognati, gli si gettava in faccia l'accusa di traditore. Il giovane letterato aveva forse sperato di poter col tempo raggiungere l'alto grado del Beccadelli e del Fontano; ma dinanzi alla dura realtà quei sogni dorati erano svaniti, gettandolo nel più grande sconforto. Ecco come dolorosamente egli esclama contro la maligna sua sorte: % € O calliditatis inauditum genus ut (Fortuna) iuvando noceret, ad opes me evexit et dignationem I Verum simulao animadvertit eius aura, simulatoque favore de pristina vitae ratione nihU in me mutatum, passimque meas omnes acces- siones industriae magis et probitati, quam sibi acceptas referri, vehementer oiTensa, confestim passis alis evolavit, ne virtuUs comes esse cogeretur > (2). Oh come questo brano tutto rivela lo strazio di quel cuore addolorato I e quale triste verità nelle ultime parole, che accennano allo spietato abbandono in cui tanto spesso la fortuna suole lasciare il virtuoso I Ma l'abbattimento morale, in cui era caduto il F., fli puramente passeggiero : fornito di quella lealtà incarnata nella virtù e di quella gagliardia di propositi, che reca in sé una potenza a cui nulla resiste, dopo la penosa impressione del momento, si senti subito forte per vincere le diflBcoltà e sopportare la sventura. Anzi questa, ben per tempo, rivelò in lui ciò che Q Settembrini ben definì corona e gloria della vUa, cioè un nobile (1) Parrasio. — Orai, ante praelect. epist. Ciò. ad AtL, Matthaai. — Neapoli, MDCCIAXI« pag. 244. (2) W. , \ '■ - ■■■'•- ■ -- - -'^- i . iì_ I -r^ ■ ii - i --"- -'- ' ' ■ • ■ ■ ■ ■ - r^'ir s 26 VITA DI A. GIANO PARRÀSIO 6 grande carattere : al giovano inesperto successe V uomo dalla fibra gagliarda, il quale, come vedremo, nelle lunghe peripezie della sua vita, anche quando tutto gli venne meno, ebbe ancora un terreno sul quale restò invincibile, il coraggio e l'integrità. Ecco come egli nobilmente si esprime : € Ego nihilominus, ut meum nunquam ratus, in qnod incostantia Fortunae ius haberet, quod alieni foret arbitrii, quod auferrì, quod crìpi, quod amitti posset, in eodem vultu prqposìtoque permansi, Quumque vicem meam dolerent omnes, (quod indicat incolumi statu qualem me gessissem*) solus ego furienti Fortunae laqucum mandabam » (1). Fiere parole, in cui tutta rifulge questa splendida figura di calabrese, che nelle calamità della \ita resta saldo a guisa della torre dantesca, e assicurato dalla buona compagnia che V uom franclicggia, eleva baldanzoso la testa e con aria fiera e calma volge ai suoi calunuir.tori uno sguardo, in cui si compcnctra generosa compassioue ed odioso disdegno per la viltà, che striscia ai suoi piedi. Ben diverso però è il P., che ci presenta lo Jannelli: freddo ed insensibile dinanzi a quelle pagine palpitanti di vita reale, in cui si sente tutta l'ambascia di chi si vede colpito in ciò che aveva di pia caro : Ponore, il nostro biografo ci & del suo protagonista! un girella della peggiore risma, che, ve- dendo e inane Aragoniorum imperium fatali casu in dies ruere >) diviene, insieme col padre, aperto fautore dei Francesi (2). Cataldo Jannelli, a sostegno della sua asserzione, non adduce altra prova che qualche parola di lode, che il P. a- vrebbe rivolta, molto posteriormente, ai Francesi, durante la sua dimora a. Milano (3}; il nipote Antonio poi crede di (1) Orai, cit., ed. cit., pag. %iA e seg. (2) De vita et icriptis ecc. ed. cit., pag. dO e seg. (3) Op. cit., pag. 30. > ii^i'/" »■ iir.— . r>^.iin^ii -i.JMé ■ !■ m'imI mk^ i' V*««>i>hi^iii<«j»l>lW [j^WjiWiiM; M>iM»W li» IfiI^ l'^l 11 ^«yy Q \»t ' ' 1 ' *> 'l ^^ l| tf »^rfi>>ii»WiW ■ T i K i * *< i ^i l'rf M'^ VITA DI A. GIANO PABRASIO 27 ravvalorare la tesi dello zio col seguente brano : e memini ex iis (Aragoueis) qaeindam, cui tono ego iuiquis, ut patery fatis aiUlictus eram » (!)• Più che un'esplicita confessione a noi pare ch^ queste parole suonino un amaro rimprovero all' avverso fato, che l'aveva voluto, col padre, al servizio degli Aragonesi. L' innocenza del P. fu ben presto riòonosciuta, e basta a provarla la lettera, che il re Federico gì' inviò a Boma, colla quale, dopo averlo chiamato Segretario fedeUi lo invi- tava a ritornare a Napoli (2). Egli però oppose un fiero rifiuto : più che placare il suo giusto rancore, la resipiscenza del re pare che sia valsa a maggiormente inasprirlo, poiché, ogni volta che fu x)OÌ co- stretto a xiarlare di lui, non gli risparmiò giammai l'ei>iteto di tiranno (3}« • • Lasciata Napoli, verso La fine del 1497, non poteva fl P. essere più felice nella scelta della citta, destinata quale agone dei suoi studi : in Roma infatti l'Accademia, fondata (1) Jani Parrh. — Epìstola ad Michaelciu Ricciura, ante Sedolii et Prudcntii cariuìna. <— Mediolani, Kal. Oct. ìMDI. (2) Vai.i.0 — Apologia^ l. cit. — € Rex autem Friderìcas, coius im- potentem domi nato in Janus non tulit, ita irtterìs, quibus ab Urbe eum re%'ocab.it, hunc titulum fecit : Magnifico viro Jano Pa^'rhasio Consiliari^ et ^Secretano nostro fideU\ MSS. R. Bibl. Naz. eli Sap. — Cod. V. D. 15. — Oratio IH in Alexaa- drum Miniitianum : « Audistis, Patres optimii audistis, ut Frìderìcus, qui ttim rerum Neapoli potiebatur, per cpistolam nos in patriam revocai ? » (3; MSS. R. Bibl. ^a: di Napoli. — Cod. V. D. 15. — Oratio HI io Minutianum : «... odio tyrannidis patria cessi, tyrannìdis inquam.... quod ipsiuA lyrannì litterae tes'antur ». Epistola ad Riccium^ 1. cit. ~~ « Nam tyrannorum (Aragoniorum) munera, non secus ac ipsi, bonis omnibus sordeant necesse est ». "••■**wi^'*— ^— M^»i4h«M^èMM ut là « fc !■■■ ■ irit>i«iw*i ^i«i^i*ii> >--- — -■ ■ ■■■ ■ • ■ «' 28 VITA DI A. GIANO FABBA8IO da Pomponio Leto, aveva raggiunta altissima fama, chia- mando colà molti fra' più dotti letterati del tempo, quali Bartolomeo Sacchi, detto il Platina, il grammatico Sulpizio Venilano, il valente grecist-a Augusto Baldo e, per non parlare di altri, Tommaso Fedro Inghirami, giustamente detto dftl P. e fiicilis, expeditns, plenus humanitatis » (!}• Fin dai primi giorni in cui il P. conobbe quest' ultimo si senti legato a lui della più salda amicizia, che, per mutar di eventi, fu sempre viva e sincera (3). L' Inghirami, all'alto sapere congiungendo una non comune bontà d'animo, fu uno dei pochi veri amici, che abbia avuto V infelice P., ed in molti casi, come vedremo, fu per lui la vera ancora di sal- vezza. Libero omai dalle fantasticherie giovanili, e spinto da quel tiranno signore dei miseri mortali: il bisogno, l'umanista calabrese si dedicò agli studii con più amore ed alacrità che non avesse fatto x)er lo innanzi (3), riuscendo, dopo non molto tempo, a completare la correzione del testo di Solino e di quello di Ammiano Marcellino (4). Ben presto occupò un degno posto tra' più illustri let- terati, che allora professavano a Boma, e diede subito chiara (1) Orat. ante praelec. epist. Cic. ad Att., ed. dt., pag. 240. (2) Orat. cit., pag. 247 € ut me, quo priroum die Romae \idit, aro- tissime complexus est; ut auctoritate, gratia, testimonio suo prolixe iuvit, ot in omni fortuna semper idem fult »• (d)MSS. R. Bibl. Naz. di Napoli. — Cod. V. D. 15. — Orat. ad Sen. Medici. € Immo paupertas iampridem virtulis et doctrìnae contubernalis est..... ; quippe qui dum integris opibus et incolumi patrimonio floreha* mus, litteranim studia remissius assectabamur ; ubi vero-communis illa tyrannorum procella no», ut bonos omnes, involvit, ardenter adeo man- suetloribus Musis operam dedimus ». (4) MSS. R. Bibl. Sai. di Napoli. — Cod. V. F. 9. — € Ammlani Marcellini Rerum gestarum libri penes me sunt omnes quot extant, ex antiquissimo codice Romae exserìpti ». • **- •- •-" x*:. VITA DI A. GIANO PABRA8I0 29 prova del suo sapere, specie nella disputa avuta con Antonio. Amiternino. Questi, quasi del tutto igniaro della lingua greca, aveva messe fuori delle vuote e cervellotiche interpretazioni, che voleva gabellare per irrefutabili. Il P. in sulle prime cercò di fargli comprendere amichevolmente gli errori in cui era caduto ; ma quando vide che si ostinava nella sua opi- nione, anzi aveva osato finanche minacciarlo di morte, non ebbe più alcun ritegno di rendere di pubblica ragione la poca valentia del protervo grammatico (1). Essendosi cosi acquistata alta e meritata fama, gli fti assegnata nell'Accademia la cattedra di oratoria, mandato molto onorifico, che egli seppe disimpegnare con zelo e dot- trina (2;. Appunto in quel tempo fu scelto a maestro di Ber- nardino Gaetani, figlio di Niccolò, duca di Sermoneta, a di Silio Sabello, giovanetti di assai belle speranze (3). Parva che un'era di pace e di tranquillità fosse sorta per V infe- lice P. ; ma purtroppo allora Boma gemeva sotto il giogo di Alessandro VI, lo scellerato pontefice, di cui, come ben disse il MacchiaveUi, tre ancelle seguirono le sante pedate : lussuria, simonia e crudeltà. Forse molti dei delitti di casa Borgia saranno stati inven- tati dall'accesa fantasia dei romanzieri ; ma non si può certo sconvenire che fu sparso innocentemente il sangue -di nume- rose vittime, per sola sfrenata smania di potere. Tra questa bisogna ascrivere i due cari ed amati discepoli del P., Silio e Bernardino, barbaramente trucidati dagli emissari pontifici, ri) Quaesita per epist.^ ed. di. pag. 155-168. (2) MSS. R. BM. yaz. di SapoU. — Cod. V. D. 15 — Orai, ad Seti. Mediol.: € operain dedìmas, ut et nos hactenus non poeniteat, et aK aliia idonei esistimati »imas, qui Romae, io arce totios orbis terraram, oratoriam publice profiteremur ». * • (3) Vallo. — Apologia; Orat. praelec. epist. Cic. ad Att.« edix. ciu, pag. 247. A --"-*-^^ ..i^^^j*-:— ^:.-»-^>.--^^ - 1'- - 'l^-l^r '.111 I ■■-■■ IWH _m ■ ■ M ■ 1 30 VITA DI A. GIAMO PARaASIO solo perchè le loro famiglie non si erano forse mostrate lige ai nefandi voleri del Pontefice, che pur di fondare pel figliuolo Cesare uno stato, che comprendesse tutta l' Italia centrale, non la risparmiava ad ogni sorta d' immani scelleratezze. Poco mancò che il P. stesso non fosse coinvolto nella disgrazia dei suoi alunni e, se ri usci a salvarsi, lo dovette solo all' intercessione, ai consigli ed agli aiuti dell' amico Inghi- rami (1). Allora, al x)rincipio del 1499, il P. si recò a Milano (2), dove gli erano riserbati infiniti altri dolori. (1; Oratio ante praelec. epist. Ciò. ad Alt., ed. cit., pag. 247: € quam Bollicite euravit Phaedrus, Alcxandri VI pootificatu, ne me Bernardini .Caietani, neo Silii Sabelli tempestaa involveret ». (2) Vallo. — Apologia : € inde quoque disoessit, ususque Consilio lu- venalia, in Galliam citeriorem migravit »• * > Orat. cit., pag. 247: € audivit in Gallia citeriore portolo iam me tenere^ Mediolanique publice conductum profiteri ». - \ é« -] . i . «•• •• .-. f CAPITOLO IV. U Parrasio a Aliano. Importanza storico-letteraria di questo Lotta col Ferrari e col Nauta. Luigi XII, oltre le vecchie pretese sul regno di Napoli, a causa del matrimonio di Valentina Visconti, figlia del duca Gian Galeazzo, col suo avolo Luigi di Turaine, affacciò queUe sul ducato di Milano, e, vedendosi favorito nei suoi disegni dalle gelosie e dalle discoi*die dei x)rincix)i italiani, si affrettò a mettere in opera il suo disegno. Assicuratasi l'amicizia di Alessandro VI e della repub- blica di Venezia, mandò in Lombardia un esercito, ohe in breve tempo costrinse Lodovico il Moro a lasciare il ducato ed a riparare nel Tirolo, il 2 settembre 1499. Ma ben presto i Francesi con le loro soperchierie fecero rimpiangere il governo del Moro: questi pensò di trame profitto, e, disceso rapidamente con un forte nucleo di mercenari Svizzeri, fu accolto festosamente dai Milanesi. Il suo trionfo fu però breve ed illusorio, poiché venuto a battaglia, presso Novara, con l'esercito francese comandato dal Trivulzio, i Buoi Svizzeri si rifiutarono di combattere coaitro i loro compatriota del campo francese, e cosi la sua rovina fu bella e decisa. \ I»!^"*** Mm iM ■— ■1 ■ M ' i » * *^ h »S»>»mmi^*mm^^^i0mi >m*^m ■^t*a ■tfhrfi*»* ^■'h- -««wAhAi** ':** 33 VITA DI A. OIAIfO PABBA8IO . / Fallitogli il tentativo di fnga, il Moro fa preso e man- dato a finire i suoi giorni nella torre di Locheé ; cosi il ducato di Milano ricadde sotto la dominazione francese. Laigi XII propose al governo di esso il cardinale Giorgio d'Amboise, il quale, fedele ministro del sao re, vi riscosse ben trecento mila ducati per le spese di guerra, inasprendo coUe sue angherie sempre più l'animo dei Milanesi. Forse per coonestare in certo modo questa sua condotta, il cardinale si adoperò a che fosse continuata in Milano la nobile tradizione degli studi umanistici, ohe ivi avevano a- vuto valenti cultori e pptenti mecenati. Si sorbava ancora colà memorili della munificenza dei Visconti, degli onori tributati al Petrarca dall'arcivescovo Giovanni, e degli aiuti largiti da Gian Galeazzo, Giammaria e Filippo Maria agli umanisti del tempo : Uberto e Pier Oandido Decembrio, Antonio Loschi, Gasparino Barzizza, Francesco Filelfo e tanti altri ; come pure era vivissimo il ricordo della protezione accordata ai letterati dagli Sforza, soprattutto da Lodovico il Moro, che aveva fatto della ca- pitale lombarda uno dei principali centri di coltura d'Italia (1). L'Amboise protesse anche lui i buoni studii e fti largo di aiuto agli umanisti, ohe allora professavano a Milano: Giovan Battista Pio Bolognese (2), Giulio Bmflio Ferrari (3), e, per non parlare di altri, il celebre grecista Demetrio Oid- oondila (4). (1) TiRABoecBi. — op. eit., T. VI, pag. 19. Rosmini. — Storta diUUoM, T. HI, 1. XV, pag. 274, Milano 1820. ^) Sax. — Eiti. Lùter. Typogr. Mediai., pag. 431. Aboslati. ~ BM. Script. Mediai., T. I, P. Il, col. 871, 893.' TiRABOSCHi: — op. eit, T. VII, P. Ili, pag. 272. (3) AxoKLATi. ~ op. eit, T. \\, P. 11, eoi. 2111. Sax. — op. oli., pag. 38, 44, 332, eoe. (4) Aboslati. ~ op. cit., T. II, P. II, eoL 871, 808. . Sax. — op. oit., pag. 39, 43, 279, 420 ""•*•■' "^ *"'.' •»■*» '" • * ' Vii" - ^ I • | --" i '-' iiii r i r i rnij i nriV •"• - ii " lì rfcÉTliiiniiit\ VITA DI A. GIANO PASBA8IO 33 Fiorivano allora anche valenti poeti : Oiovan Mario Cattaneo (1), Lancino Curzio (2), Stefano Dulcino (3), Gio- vanni Biffo (4), Pietro Leone (5), tutta una flora di eletti in- gegni| in mezzo ai quali venne a brillare Aulo Giano Parrasio. Como dicemmo altrove, questi giunse a Milano nel prin- cipio del 1490, come ci attestano chiaramente oltre la sua lettera dedicatoria del De Raiìtn Proserpinat all'amico Ca- tulliano Cotta, pubblicata anno maturius dalla eua venuta in questa città (VII Kalendas januarias MD) (6), la prima lettera inviata da Vicenza a Gian Giorgio Trissino (ex aedibus tnis pridie Jdus decem. 1506) (7), e l'asserzione di essere rimasto a professare e octoqne per annos in Gallia Citeriore » (8). il tempo che il P. dimorò a Milano a ragione può dirsi il periodo più burrascoso della sua vita, a causa delle lottOi deUe persecuzioni interminali, e di quella sterile guerra d'in- trighi e di basse calunnie, di cui egli fu vittima. Quel periodo però fu anche il più produttivo del grande filologo calabrese, il quale appunto allora a noi paro che (1) Sax. — op. ctt., pug. 524, 526« eee. Tirar. — op. c'Um T. VII, V. LI, pag. 201. (2) Aroxlati. — op. cit., T. I, P. II eoi. 531. Sax. — op. cit , pag. 42, 359, eoo. Giovio. — Elogia Vir. Uu. iUustr.^ pag. 74. L uo Creo. Girai/ 'I. — De poetit sui temperisi Dial. I. Rosmini. — Vita ilei Maresciallo TrivuUio. Voi. 1, pag. 020. (3) Bakoell. — Novell. LVIII, T. IL — Sax, pag. 307, .314. (4) Sax. — op. cit., pag. 39, 139, 310, 353, eoe. Mazzuchklu. ^ Scriu. d' ItaJUa; Rosmiki. — Vàa dai Hear. Triwd.. pag. 020. ^ • (5) Sax. — op. cit., pag. 401, 403. <0) Janneli.1. — op. cit., pag. 35 e seg., a. 5. (7) RoscoB. ~ Vita e Pontificato di Leone X., ina. di Luigi Rossi, Milano, SoQzogno 1817, y. X, pag. 145. (8) MSS. R. Bibl. J^az. di Napoli. Cod V. D. 15. — € Oratio II ad Muoicipium Vincenti num ». • , * \ ^1^— <M»M*>**yM<*'a*— * ^ ' ; ■<>!' . ' . ■ * '<•<■■■■»»**»**— ** I Ji « ■■ «.«Mta 34 ' VITA DI A. GIAXO FARRA8IO costituisse la più salda base, a quel metodo scientifico degli studi letterari! e forse anche giuridici, cbe, presentito dal Salutati e trascurato per quasi mezzo secolo a causa della deliziosa e geniale indipendenza del Poggio, della grossolana filologia del Guarino e degli sterili sdilinquimenti di troppi altri (1), solo verso il 1450 accennò di avviarsi a sicuro trionfo mercè l'efficacia, che ebbe sulle soi-ti della filologia uno degl' ingegni più acuti e spietatamente critici, che l'Italia abbia creato, Lorenzo Valla (2). Non ci occuperemo qui del metodo tenuto dal P. (3), nò delle sue geniali correzioni dei classici, doMite soprattutto allo studio indefesso dei manoscritti, coi quali giunse tante volte a reintegrare ed a restituire un' opera al suo vero au- tore, a migliorare il testo di scritture, che si leggevano mutile errate (4); ciò sarà oggetto di ampia trattazione nel secondo volume del nostro studio, sicché ora continue- remo il nostro racconto biografico. (1) Vittorio Rossi. — Il Qìutttrocento. — 3 e 4 fase, della Storta letteraria d' Italia^ pag. 62. — Francesco Vallardi, Milano. (2) Op. cit., fase, cit., pag. 53. (3) MSS. R. DM. Sai. di Napoli. — Cod. V. D. 15. — Pra^fatio in L. Florum et Val. Flaccum : € Omnia a receptissimis auctorìbos mutua- bimur, adhibituri talein tempcramentum, ut a notiorìbus pedem referamas et in reniotìs obscurisque largius imnioraremur. Digrediar interdum, sed rarenter et paroe ». (4) MSS. R, Bibl. Naz. di Napoli. ~ Cod. V. F. 9. — Epist. cit. ad Pittm (?) : € Neapolì, Lupiìs.... Roniaeqne nactas antiquae, reverendaeque vetusta* is exemplaria (Solini), quibus adhibitis et excussis, castigatis- simum inihi codicem reddidi ». Nello stesso codice — De Lutatio : « Et haec ÌA causa fuerunt ut Lutatium potius quam Lactantium nominarem, quum plus apud omnes sane mentis hoinincs valere debeat antiquorum codicum . fides, quorum magna inibì copia Neapoli Romacque contigit, quam particula vulgatis inserta codicibus ab iis qui testimonium inscrìptionis ab se perversai sibi ipsi confinxerunt ». . • ^Lv« TITA DI A. GIAXO PABSA8IO 3S Quella iMirie della monografia dello JannelK, cke ri della vicende del P. a Milano, sebbene troppo difl aoaien te^ è condotta con maggior cura delle altre, grazie aDa t»- lerole cooperazione dell'erudito Pietro Mazzochelli, fl qoale, come attesta in dirersi luoghi lo stesso biografo (l), gii forni non poche notizie, raccolte neUe biblioteche milanesL Xon prire d'interesse sono poi le belle ossenrazioDi, che foceva Mario Mandalari, quando in una sua nota sol P., a lumeggiare questo oscuro periodo della vita di lui, traeTa in mea^zo alcuni versi latini di Lancino Curzio (2). Il Mandalari, pur avendo il merito di aver richiamato r attenzione degli studiosi suUe opere del poeta milanese^ pare non abbia fotte le opportune ricerche, pct accertarsi se realmente il Fiorentino e lo Janaelli non seppero mai f «fi- Mtenza degli epigrammi del Curzio; polche non gli sarebbe certo sfuggito che nella monografia dello JanneUi, insieme con altri di maggior importanza, ne figurano due (3), da lui stesso rii>ortatì (L - IV) (4). Noi però più che ai versi di Lancino Curzio, Cesare Sacco, Gerolamo Plegafota, Stefano Dulciuo, Giovanni Biffo, quando non avremo assoluto bisogno della loro testimonianza, ci at- terremo aUe orazioni inedite del Cod. V. D. 15, pronunziate dal P. a Milano. Sono circa una ventina, di cui alcune hanno interesse puramente letterario (5), altre ci forniscono xireziose notizie biografiche. (1) Op. cH., pagg. 19, 37, 38« 57 ecc.' (2) Anecdoti Hi gloria^ bibliografia e antica, pag. 12-18. —- Catania, Tip. Francesca Galati, 1395. (3) Praefat., pag. XIX ; Op. 37, 38, 62, ecc. (4) € Ad Jan'uin Parrhaa. neapol. — In nuptiis J. P. et Tbeodorae Calcondylae », pag. 14-18. (5) Bpitalamla 11 — De Justitia — De Jore — ^ Praelectio — Praefatio in.Lucium Florum ot Valerium Flaccum — lu Lucium Florum — Praefatio in Liviuin— Praefatio in orationes Ciceronis^rraefatio in Achilleldtm ecc. \ àmktw,titi ihi^t^ »•■■ ^■«■haaa-^^i— • ^ 36 TR4 M A« Gl^aO PAKBASIO Queste, che pobblieliereaio ute^ralaieate is appevUee^ crediamo che debbano disporn ia questo nodo^ per ordìao di tempo: e Orationes II io lliootianaa. — Oratio ad Seaa- tom Hediolaaenseoi. — Oratio ia Minattannm — la Loeiom Floram* — PmeCitio ia Femoai. — Praelatio ia Thebaida ». Di capitale importanza, per le ootizie che a foraiseoaa 8a<i:li ultimi tempi della dimora del P. a Milano, sono le e Orationes II ad llnnicipium Yincentinwn ». Il P. appena s;innse a Milano, privo di amid e di mezzi di sussistenza, per sua disgrazia, chiese aiuto e protezione ad un certo Alessandro Minuziano, pu^^ese, nomo astuto e Tcnale, corrotto da tutte le nefandezze del trivio (I), un fMid tra fl retore ed fl tii>ografo, che coli' uno e coli' altro wu9iicre si era formata una certa fortuna. Questi non si lasciò certo sfoggire l'occasione di sfruttare a suo vantaggio fl giovane filologo, già abbastanza noto nel mondo letterario, lo accolse volontieri presso di si, e gli asse» gnò, oltre V insegnamento, fl grave e diflScfle incarico della correzione dei codici (2), che egli poi pubblicava per suo conto. n P. curò allora l' edizione di parecchie opere latine, fra cui fl Cirii (3), erroneamente attribuito a Virgilio, e la (1) Vallo. — > Apologia^ ediz. di.: € habetqua (Mioatiaaut) pe- eoBÌAe samniani sludiani ; dignlutcs afleeUl noe ad omamentoa Titat, ted ad quaestum, qao nttri omnia...... diligit ex animo nemioem. Caias aiaieaa ae aimalat, io hooe loddiaa priaom aoetit »• (2) XiSS. R. BtlfL Nas. di NapoU. Cod. V. D. 15. — Oralio 10 ia kiontiaooa : € Meom foit iUod in to benefidom, ai noaela, mona al la domi, fona, in ro privata, in ro publica, in atodlia invi, anaUnni, ioyì ; podet lateri qui na vicarìaa, qol diadpaloa amdiebam aohia» oC amen da n ^ provindaa aoatinabaa »• (3) PABaASio. — Canim. D§ Raptu Pro$€r. L HI: e varsna tz Ciri ma n doaoa, ot aillaUa olla vaoilUntiboa, in boa radaginina nnoMioa^ IpdqDO Mlnntiano dadhaoa Imprlmaodoa ^« VITA DI A. GIANO PABllASIO 37 Vita di quest' ultìmo, cho attribuì a Tiberio Donato (1) e non a Servio, come molti ritenevano ai tempi suoi (2). Ne soltanto colla propria attività il P. mostrò ol Minn- ziano la propria gratitudine: Questi più che dall' amore per le lettere, spinto dalla smania del guadagno, aveva da poco pubblicate le opere di Cicerone, in cui, con grande presunzione, aveva messo fuori tali e tante cervellotiche correzioni, si vuote ed errate in- tei-pretazioni, da suscitare giustamente contro di se lo sdegno dell' irritabile genus, specie del grammatico Emilio Ferrari, valente cultore del grande stilista latino (3). Si schierò poco dopo contro di lui anche un tal Damiano , Nauta, corso di origine, insieme con molti altri, i quali tutti gli si scagliarono addosso, mettendo in mostra gì' infiniti errori, di cui erano rinfarcite le opere pubblicate. Il Minuziano, di natura temerario ed aggressivo, cercò di lottare contro i suoi avversari e di difendere il suo la- voro ; ma le sue argomentazioni furono abbattute dal Fer- rari, il quale pubblicamente, manifestissimii argumentii omr- niumque coìiseMH, lo chiamò reum lanciìuiti, praecerpti fNr^r- siqtte Ciceroni$' (4t). (1) Anche il P., come molti altri dotti, attiibuì a Tib. Claudio Do- nato la Vila di Virgilio, che altri poi, corno parrebbe realmente, attribui- rono ad Elio Donato, il quale avrebbe attinte non poche notixie dalla bio- grafia di Virgilio contenuta neiropera di Sve'onio € De vlris illustribus »•' Il Valaraggi, che Ri occupò poi della qui^tione (Rivista di fil. class. ▼• XIV, luglio-agosto 1885, pag. 104) ritenne che la biografia appartenesse ad un anonimo commento alle Ducolicì^e, fra le cui fonti bisognerebbe ascrivere il commento di Elio Donato e forse quello di Servio. (2) Parrasio. — Comm. De Raptu Proserp. 1. I., v. 2. € Tiberìos inquam Donatus, non Servi us, ut vulgo fere creditur. Sed Donati iam titulo nostra castigatione Minutianus impressit ». (3) ÀRGSLATi. — Dibl. Script. Mediai.^ T. II, P. 1, pag. 611, 613, 615 ecc. (4) MSS. R. Bibl. Nai. di XapoU. Cod. V. D. 15. — Orai. IH in Minutianum. \ * ' —**'''** ''^^'■*"*' "**'"*• ''-^-■^—' ì n n f^_ 1 i ~ r - i " ìl i --- - — * -' -* • ^ "- ■r^tr 38 VITA DI A. GIANO' FABRA8I0 Fu allora che il P.y vistolo in quel serio imbarazzo, per quanto convinto e dolente nel tempo stesso di dover soste- nere un' ingiusta causa, pure fece parlare al suo cuore la voce della riconoscenza, e prese a difendere il suo ospite (1) e o- biecto Minervae clipeo » (2). Essendo il Minuziano poco caro alle Muse, e non sapendo maneggiare quell'arma perfezionata del tempo: l'epigramma, il P. si senti cosbretto a scrivere dei versi, che quegli mandava ai suoi avvei*sari, gabellandoli per proprii (3). Questi però non toi'darono a scoprire il vero autore, ed a scagliai'si di conseguenza contro di lui, costringendolo cosi a venire in campo aperto. Xon si sgomentò puuto il P., con epigrammi vibrati e pungenti rintuzzò la petulanza d^l Nauta, che l'aveva at- (l) MSS. R. Btbl. Xaz. di ^apolt\ Cod. V.'D/IS. Orat. IH in Mi- nutianum : € Ego qucm tu ingratum vocas (piget hercule iiiciDinissa) suscepi tuas partcs, et quidem iniquissiinas^ quantumque in. me fuit, io- deftfusum non reliqui, tucrìque conatus sum, cum sammo capitis mei pcriculo, ut vestrum plcrosque meminisse confido ». (2* Vatlo. — Apologia. (3) Crediamo cbe appunto allora Lancino Curzio, fiero nemico del Minuziano, che egli per prima forse denominò Appura Musca, (Sax. Hiat. Liti. Typograph. col. 401-403) scrivesse queircpigramroa (pag. 32, 1. Ili Epigram., Milano. 1521) finemente ironico : Ad Fabium ParrhasiuM Calvum Neapolitanum ^ sul quale il Mandalari richiamava raUcnzione del futuro biografo del grande umar^is'a (op. cit., pag. 17) : DocU Parrhasii delltlae, FaU, Vates nec modicus Pieridum in graft ; Ex quo pr«csos opem dot, facit et rabl Ut sis Doctis docta refer, die : studlis vaco. Vulgi turbae, age, die : Vale ; abl Caeo. A queirepoca il P. non poteva aver figli, non avendo sposatela Calcon- dila cbe intorno al 1504, né ebbe mai fratello o parente di nome Fabio, sicché, tenuto conto di quanto abbiamo detto, riteniamo che il Curzio nel- Tepigramma citato abbia voluto sferzare il coroo pugliese^ che si faceva bello delle penne del giovane pavone. ^>: •* ■ -■ . . - - ^ - II — I - - - ■ ■*■■■' * ' "~" •' ■ ■■ '• ^ "" ■ ■ ■■ • e TUA DI A. GUHO PABBASIO- 31^ tAceato più fieramente e fece oomprendere al fiero eorso che quella mano, che maneggiava la bacchetta del pedagogo^ aveva ben saputo in altri tempi brandire nna spada: S fòrtana kris de coosale rbetora fecH, Et lierohuai garìnms qua prìns arma mano. Nonne eee..... (1). Ed a mostrare che alle parole sapeva far seguire i Catti, non ebbe alcun ritegno di penetrare nella scuola del Ferrari- e di prendere pubblicamente le difese del Minnziano (2). AUora gli odii si rinfocolarono e segui tra il P. ed i due retori uno scambio di fieri epigrammi e di virulente invet- tive (3), fino a che la .partenza del Ferrari (15<M)) non pose fine alla controversia. Essendosi i Francesi impadroniti definitivamente di ìBr lanoy il Ferrari, che aveva parteggiato per il Moro, conobbe che quivi non spirava più buon vento per lui, e si recò perciò ad Arena, sul lago Maggiore (4>, dopo avere però ancora uua volta sfogata la sua bile contro il Minnziano ed i tristi tempi, che lo costringevano a lasciare quella città. n P. però non si lasciò sfuggire l'occasione di mettere in piena luce il motivo della partenza di lui e di dare l'ul- tima scudisciata al suo avversario: Noo te, crede mìhi, iactae quae tempora pelliint. Aurea lalciferi qualia ficta Dei : Sed radia ioaulsae petulans audacia lioguae, Luxua, et omento piaguis aqualicolus ^. (1) Vallo. — Apologia. {Z) Op. di. (3) Lo Jannelli ha diligentemente raccolti tutti gli epigrammi del P. In Aemiliam — In Nautam », op. cit., pagg. 188-104. (4) Aroslati. — op. cit., T. II, P. II, col. 2111. ^) Comm. De Baptu Proserp., P. I, pag. 42. Jakiuoxi. — op. cit., pag. 188. \ "■^1 ^''l" ''"' ."'■'l I " "'**•' " ■•.. ^^ ' >■... . . ■- - », m i -, I I y 11 ì ^^-^.- ^ . . . ■ ..^ yr . 40 VITA DI ▲. GIANO PABBA8I0 n Minuziano, data la bassezza dol suo carattere, a la poca stima della propria dignità, e quam post unibram la- celli semper habuit » (l), non comprese, né potè apprezzare il sacrifizio che il P. aveva fatto per Ini. Appena messi a tacere i suoi nemici, egli si dedicò con pin ardore di prima e qaaestuariis artibus » (2), e poco o nulla riconoscente verso il suo valente difensore, lo invitò a ritor- nare all'antico e faticoso ufficio, per contribuire cosi, disinte- ressatamente, ad appagare la sua ardente sete di guadagno. Non poteva certo il P. rassegnarsi più a lungo a quel tenore di vita, che logorava le sue forze, senza nemmeno procurargli una comoila e tranquilla esistenza ; sicché, ade- rendo al consiglio di quelli che apprezzavano i suoi meriti, abbandonò la casa del ^Unuziano, ed apri scuola a so in casa del carissimo e bravo discepolo Catulliano Cotta (3), che generosamente gli aveva offerto ospit>alità, per strapparlo dalle unghie deU'avaro pugliese (4). Questi finse di non dispiacersi di questa risoluzione del P«, e gli concesse volentieri il permesso di eseguirla; ma in cuor suo giurò di vendicarsi, e si apparecchiò a quella lotta vile ed abominevole, in cui spiegò tutte le sue male arti per rovinarlo (5). (1) ìiSS. R. BM. AVu. di yupoli. Cod. V. D. 15. — Oratio I io Miootianimi. (2) MSS. R. BM. N(u. di NapoU. Cod. V. D. ISi — Oratio III in MinaUaiiiiiD »• (3) Parrasio. — Epistola ante Comm, De Raptu Proserp., Milano 1501. e Qttom lualtos oronis onlinis aetatisque diacipulot habeam, monim gratta earìssimos, noster in te amor praecipuus est et sìngularis », (4) Comm. De Rapiu Proserp., 1. IH, v. I. — € tu nos invidiae lelit eiectos opibus et otBciis cumulatissime iuveris ». (5) Vallo. — Apologia, — # Habeas confessum reum (Janum) ab Alexandre vel unum discipulum abduxisse, praeter Catullianum Cottam, euiua ospitio Janus est usus Alexandri permissu, nisi simulata fuit eius ormtio ». I - ■*-**tr--'» i j > I I.'' nia'i ni> ih^l I» rliy-'a^iif Tf rtal^ J* •l-fiiri.É" irnS "f'"\' i^ — [*--ì"fT1 — — .-J*»^-^^pp««^^iit*=a <•• CAPITOLO V. Lotta col Minuziano. Relazione col- Poncherìo e col Cardinale d* Amboise. La Cattedra di oratoria. — Plauso e onori. Le yicende della lotta col Minuziano sono ampiamente narrate da tre orazioni inedite, pronunziate dal P. contro il suo avversario ; bisogna però invertire la disposizione di essa^ se si vuole conoscere il naturale procedimento dei fatti (!}• La scuola del P. fu ben presto frequentata da numerosi discepoli, delle principali famiglie della citta ; fra questi è degno di nota il figlio di Demetrio Oancondila, Teofllo, gio* vanetto di assai belle speranze (2). Come pare, fin d'allora (1501) il Parrasio contrasse eoi- l' illustre ateniese quella sincera e forte amicizia, che doveva poi condurlo al matrimonio colla figliuola di lui. Ciò contri- buì non poco ad accreditare sempre più la scuola del giovane maestro, destando però grande invidia nel Minuziano, ohe non poteva certo rimanere indifferente dinanzi all' improvvisa for- tuna di colui, che poco tempo prima dipendeva dai suoi cenni. (1) E oecessarìo qui avvertire, che le Oraziooi del Cod. V. D. 15 noo seguono punto un ordine cronologico, essendo state raccolte e legate promiscuamente, senza alcun discernimento. Cosi delle tre In Afi^ nudanum la terza deve figurare al posto della prima, e questa dopo la seconda e dopo V Gratto ad Senatum Medùjlanewem. (2) PiRRASio. — Comm. De Raptu Proserp., 1« III. \ 43 VITA DI À. GIANO PASRASIO Egli grido al tradimento ed inizio la lotta, accusando U P. di aver attirati nella propria scuola i suoi alunni (1). Non potendo più ricavar profitto dalla coltura del giovane filologo, credè bene negargliela del tutto, senza però rinun- ziare a qualche ultimo beneficio, come^ a dire gabellare per proprio (2) quel magnifico quadi*o generale dei diversi generi letterari, che il magistellus aveva tracciato nella classica e Praefatio in L. Florum et Yalerium Flaccum > (3). n P. in sulle prime -non diede gran peso aUe tristi insi- nuazioni del grammatico, e si limitò soltanto a proporre agli alunni il medesimo esperimento del flautista tebano, Ismeneo, ohe invitava i suoi discepoli ad ascoltare altri suonatori, per Cftr loro meglio comprendere ed apprezzare recceUeuza dei- Parte sua (4). Incoraggiato dal plauso generale, il P. si dedicò con maggior lena ai suoi studi e riusci a pubblicare dopo non molto tempo il suo commentario al De Paptu Proserpinae di daudiano, dedicandolo, quale attestato della sua gratitudine, a Catulliano Gotta (6). • n lavoro del P., di cui ora non daremo alcun giudizio, non poteva ottenere miglior successo : il Curzio, il Mariano, il (1) Vallo. — Apóìo^. (2) MS3. R. DM. No», di Napoli. Cod. V. D. 15. - Orai. I in Mi- noiianum: € poetaram genera nostrìs tantum non verbis enumeraret, qoaaque nos anno superiore ex auctoribns graecìs aceepta, vobiscum oomanicavimua, eadem nuper ille quasi sua, quasi nova, inagno verbo- ram strepitu blateraret ». (3) MSS. R. BM. Noi. di Napoli. Cod. V. D. 15. (4) MSS. R. Bibl. Noi. di NapoU. Cod. V. D. 15. * Orat. I in Mi- natianom: € Id nos exemplum, quod maxime probaremus, in usum revocare tentavimus, an aliunde factum putatis, ut illam pecudem vos auditum miserlmos, quam ut recenti periculo cognoscatis quid inter Apollinis et Marsiae cantom differat ». (^) CI. Claud. 2)é R£^u Proserp.^ com Comm. A. Janl Parrhasii,.! MedioL 15». / « • l^^lfirrfìiilfei >jfÀiàlÌit'^Ìij.>i»;|ii.i'i| <y^ ;*«%.- 4<.< wimV h ^WVw « « ii '*" i 1 i» tf' i iV- i ti' i -S^Ìtfi * n < »^'9i^l m Um > m »> 9i , 'r\ir ,tm, ^ VITA DI A. GIANO PABBÌ8IO 48 Cattaneo, il Motta, Tommaso Fedro Inghirami scrìssero dogU epigrammi, in cui ne magnificarono le lodi ed elevarono al cielo i pregi peregrini (1). In mezzo a qncsto bel coro si fece sentire la stridula voce del Minuziano e di pochi altri suoi pari, che, non potendo criticare il Commento, fecero dilToDdcre la insulsa x)anzana che il P. aveva raffazzonato e spacciato per proprio un codice di Domizio Calderine, morto pochi anni innanzi, di' cui era venuto in possesso (2). Non s'accorgevano i ribaldi che in questo modo ricono- scevano e sancivano essi stessi il merito indiscutibile - del PaiTasio. Questa pubblicazione e le altre due : De viris illustribuè, opera da lui attribuita a Coinelio Kepote (3) ed il Carmen Paschale di Sedulio cogli scritti di Pioidenzio (4), dedicati con bellissima lettera all'amico Michele Riccio (5), gli procaccia-' reno maggiore stima presso i buoni, e soprattutto la be- nevolenza e la protezione di Stefano Poncherio. coltissimo (1) Coroni, al De Ra^du; Valix) - Apolotjia; Jannelli — pag. 45 e seg. (2) RoLANOiNi Panati — livectivae in.Jaiiiim ParrhHsiuro. — Di questo rarmiiuo incunabulo 8i conserva una copia nelli Biblioteca Ambrosiana di Milano. . . (3; CoRNELius Nkpos — Ds viris tUuslrihM, ab A. Jane Parrhasio et Catulliano Cotta, qui editionem curavit, ix probatissimis codidbos emendatus. — Medici. 1500. Nella seconda parte del nostro studio esarainercrao le ragioni addotta dal P. a sostegno della sua tesi (Cod. V. D. 15 — De viris illustrìbos cuius sit), che, per quanto ardita e ben sostenuta, non può reggere ai* colpi della critica moderna. Cfr. AuGUSTUS Reiffbrscueid « C. Sretoìfiii Tranquilli praeler Caesarnm libros reliquiae, — Lipsia,^ Teubner, 1800. (4) Seoulii Cannen Paschale et Prudentius. — Mediol. 1501. (5) Tirar. -;- Storia della Lett.^ T. VI , P. II, pag. 259 ; Argblati — op. cit., T. li, T. I, pag. 1503; Tafuri ^ Scrittori del Regno di Napoli, T. m, P. I, pag. 64. . ^ \ • • - .. «•■•* ..■•■■» •••^» • K .. -•. • «-* •• •% ■ V ■^ ^ — — .^j Éj.*.^e^'.A>-i^ :^ *^ ^^^^W |rt^j_«.-p^^ j ^j^ • H* ■• " 44 TITÀ DI a. GIANO PASRÀ8IO vescovo parigino e presidente del Senato milanese, venuto in qualità di Gran cancelliere insieme col cardinale d'Amboise. Grazie ai buoni ufBci del Poncherìo, il P. potè ottenere che per quattro anni non fossero né stampate, uè vendute le suddette opere, a danno delPautore, e in tote Mediolanensi dominio sub poena aurei uuius prò singulis volumi- nibufl > (1). n P. cercò di rendersi sempre più degno della stima accordatagli dal Poncherìo (2), il quale, avendo conosciuto da vicino i meriti di lui, gli fu sempre largo di beneficii e onori, sino ad invitarlo spesso alla propria mensa (3). n Minuziano, che non aveva potuto, o meglio aveva temuto di avvicinarsi al dotto prelato, temendo, come la not- tola, la luce del sole, nonché il e controllo > di quella giusta bilancia (4), senti macerarsi maggiormente dall' invidia ed acuire il suo sdegno contro il Parrasio. Nel secolo dell' umanesimo la calunnia era Parma a cui solevano spesso ricorrere i e gladiatori > della penna, in queUe loro interminabili contese, destate per lo più dalla loro am- bizione sconfinata, e da quello spirito insofferente di giogo, (1) Mediolani, die primo Julii 1501, et Regni nostri quarto — Per Regem ducem Mediolani — Ad Relacìontm Gonsilii. Dal diploma originale, riportato dallo Jannelli, op. cit., pag. 48 e teg. (2) MSS. R. BM. Naz. di Napoli. Cod. V. D. 15. — Orat. I in Mi- not. : € In praeeentia diligenter seduloque caTebimus ne patria am- plissimi Stephani Poncherii, Senatus principis, ac saerosancti nostri regis Archigrammatici fallare iodicium videamur, quippe quum nos, qui sumrous bonor est, sais annumeret, ac, ut est in bonos omnes munificns, maio- ribns in dies anctet praemiis ». (3) Vallo — Apologia: « Amplissimus Stephanus Ponoherius..... hnmanarum divinaramque rerum perìtissimns, Jane oonviotore deleotatar ». (4) MSS. R. Biffi. Na$. di Sapoli. Cod. V. D. 15. — Orat. I in Mi- nut: € cur ad salutandam (Poncherium) nondum venitf Nempe quia Dootna solem fugit, neo audet Uli tmtinae se committere »• ìckMMttMUépiaéUMaHiMfiaà TITA DI A. OIAHO TABRàSiO 45 ' cbe, faecimno nostre le parole del Voigi (1), portò 1a Tite ed il faoco nel campo sereso dcirarie, il malconiento e P in- trigo nel campo dei letterali. Nelle invettiTe si prendevano a narrare fin dall' infanria le vicende dell'avversario, mescolando al vero menzogne, fingendo casi ed azioni infamanti, accamnlando le più atroci calunnie, senza peritarsi di inzaccherare persino i pia sacri affetti familiari (2). L'animo basso del Minnziano, nato per avvoltolarsi in simili bruttare (3), non rifaggi daUe pia atroci accaso, dalle pia sozze calunnie per rovinare il Parrasio. Quasi non bastasse il discredito, che cercava gettare nel pubblico, ardi finanche d' irrompere nella scuola stessa del suo avversario e di vomitare contro di lui, al cospetto dei discepoli, ogni sorta di contumelie (4). Lo chiamò ingrato dei henefidi ricevuti, lo tacciò d' im- moralità e di tradimento, e, per colmo di spodoratezza, lo accusò di aver commesso a Napoli un omicidio, causa della sua precipitosa fuga da questa città (5). In questo genere di lotte infamanti, dopo i successi ot- tenuti, il Minuziano doveva ornai stimarsi invincibfle: altre ne aveva già sostenute contro Giulio Emilio Ferrari, Baffiaele (1) OiOROio VoioT. — // RisargimerUo delCantichiià dassiea^ YoL 1, pag. 327. Fireoza, Sansone, 1390. (2) ViTTomio Rossi. — Il QuaUrocenio. Ed. cit., fase 7-8, pag. W. (3) ÌISS. R. DM. Naz. di NapoU. Cod. V. D. 15. — Orai. I in Minot. : « netnini parcit, oblatrat omnibus, omnium dicfa factaque probrit insectatur, ac ut imroundus sus cum quibus volutali qoaeiit ». (4) MSS. R. Bibl Noi. di Napoli. Cod. V. D. ìb. — Orat. Il ia . Minut. : « Adests tantum frequentes, Konestissimi iuTenes, inteUigetis profecto quantum profuerit vanissimo nebuloni innoccntissimom hominaia tot immanibus calumniis provocassi ». (5) MSS. R. Bibl. Naz. di NapoU. Cod. V. D. 15. — Orat. m in Minut. : « Ego si nescis, versntissime veterator, non patrata caedo, qood ipss fingis, sed odio tyrannidis patria cessi ». \ ,• mti f ìtai'iMH» k0mim:^mmmmmmtm^mUmam^mmmmmm,tmfmimmé»*^mÉ li !■■> titt^^m*tì Miii jiiifc^t^fcfci ^M^^^M l«IM I I ■« I -.■«•• ^ •••»•«■ *>««« •-•! «-•« ■» » Wl II II f ■■JM^Jbl^— .*^ |> »■>> I 46 VITA DI À. aiAKO PASBASIO BegiO| Gioyan Battista Pio (1), Talenti letterati, costretti dalla tristezza dei tempi a venire alle prese con on ribaldo della peggior risma, ed a cedere forse dinanzi a lai, per non scapitare troppo nella propria dignità. Però avversari più fieri incontrò il Miunziano in Pietro Leone e soprattutto in Lancino Curzio, il quale, come pare, per primo gli affibbiò il felice nomignolo di mosca pugliese (2) : Ut vidi, mord&x visus et nimis Appulus, atqae Dixi : Asini in tergo est Appola Musca trueit. n Parrasio parimenti tenne fronte al rabula petulantis- j simus, però volle aspettare, come disse ai discepoli, il tempo I ed il luògo propizio per scagionarsi delle accuse, che gli •erano state inflitte (3;. Oome pare, appunto allora il Poncherio volle dargli la più alta prova della sua stima, ed offrirgli il mezzo per trionfare altamente sul pedante avversario. Per la fuga del Ferrari vacava a Milano la cattedra di oratoria; dietro proposta del degno prelato, il Cardinale (1) MSS. R. BibU Noi. di Sapoìi. Cod. V. D. S5. — Orat. HI in Minot: « Sic in Julium Novarionsem, sic in l^aphaelem Regium, 8ic in Baptistam Pium, perhumanos illos quidem, et, ut a multis audio, bene doctos, quasi furore quodam percitus, olim debacchatum esse ». (2) Lakcimo Curzio. — Epìgrammaton libri XX^ Mediolani, apud Rocchum et Ambrogium fratres do Valle impressorcs : Pbilippus Poyot fisdebat, 1521 in folio. Di quest'opera, importante per quanto rara, si conserva nella Biblio» teca di Brera una delle poche copie che rimangono. (3) MSS. R. Bibl, ^az. di Napoli. Cod. V. D. 15. — Orat. II in Minut. : € Non veni responsurus, ut suKpicamini, maledictis jurgationibus et conviciis, quibos hesterna die nequissimus ille bipedum, non tam ma. In qaem illa minime cadunt, quam sanctissimas aures vestras oneravi!. Aliad certe tempus, alium locum illa sibi poscit oratio, quod ubi consti- tatnm mibi faerit, efficiam ut sciatis ». * • VITA DI A. GIANO PABBA8IO 47 d' Amboise, con bellissimo diploma, invitava il P.' a oo- capar (1). • Solo dopo il discorso inaugurale, questi, dinanzi ni Senato milanese, pronunziò la terza orazione contro il lilinuziano (2), bella per vigoria e colorito d' immagini, per efficacia d,'e^ spressioni, e soprattutto per la sicurezza e la serenità dei giudizii, dettati da una coscienza forte e tranquilla, sotto Voshergo del sentirai pura. Degna poi di speciale menzione è P orazione inaugu- rale tenuta anche dinanzi al Senato milanese : se in essa trionfa, come generalmente nelPeloquenza dimostrativa del secolo, la rettorica parolaia, ed abbondano le digressioni| immaginate a sfoggio di erudizione, non mancano dei pen- sieri nobili od elevati sulla vera missione dell' insegnante^ ^ e dei precetti pedagogici, che ricordano alcuno massime di quei due insigni educatori umanistici : Guarino veronese e Vittorino da Feltro (3). (1) Chioccarblli. — De illusi, script. ^ pag. 232; Jaknblu. — op. di., pag. 49, n. 1: « Georgius de Ambasia, tituli S. Sixti, praesbyter Cardinalis, Archiepiscopus Rothomagcnsis, Comes Sartiranae, Regius Ultramontes, Locumtenens Generalis Christianissiuii Regia etc, vacante loco publico lecturae lectionis artis Oratoriae in inclyta urbe Mediolani, per absenUam inagìatrì Julii Novarìensis, egregius Janus Parrhasius Neapolitanus pelili 8ibi de ilio loco provideri. Quare nos freti doctrina, moribus et ititeffritaU eiusdem Jani, illi annuimus, et magistrum Janum constituimua ad pu- blicam professionem ipsius artis Oratoriae in dieta urbe Mediolani, ad placitum Christianissimi Regia nostri, cum solito salario (Vallo, Apol. ; centenis quinquagenis aureis) — Datum in arce Portae Jovis, Mediol., die 14 augusti, 1501 ». (2) Questa orazione figura prima nel codice, e tale fu creduta dallo Jannelli, il quale perciò non potette delineare esattamente la vicenda della lotta. ' (3) MSS. R. Bibl. Naz. di Napoli. Cod. V. D. 15. — Oratio ad Se- natum Mediolancnsem : « Non enim parum refert quam quia initio di- sciplinam sortiatur, nam quae .teneri percipiraus altius animis insidunt, ac ita penitus radices agunt, ut nunquam vel certe difficulter evelli queant »• » •» . \ ■■-•" im '[ I " ' «J*! ! ». » l > ^»> J l<i r II II ■ l* m B Miti «IW I I» » . 1 . K i^ . »l I ■»>■■■ § .1*1 .I»!»* tl^ I Milli* " I W ■■■ 48 VITA DI ▲. GIANO PABRA8IO L'oratore, dopo aver parlato dell'efficacia singolare che un buon indirizzo educativo suole avere sull'animo dei gio- vanetti, sino a decidere del loro avvenire, rivolge belle ed acconce parole di ringraziamento al Senato od al Cardinale d'Amboise, per la carica conferitagli, non senza però accen- nare, con bel garbo e fine arguzia, alle molteplici prove alle quali l'avevano prima sottoposto, certo in grazia alle calunnie del Minuziano (1). A differenza degli altri umanisti, i quali tutti, ad esempio del Filelfo, con audacia più o meno boriosa, si credevano ed amavano fiEU*8Ì credere dispensatori di gloria (2), il P. rifugge dalla consapevole ciarlataneria adulatrice, come pure non sembra affatto dominato da quell'orgoglio e da quella grande vanita letteraria, riprovevole nel Filelfo, nel Poggio, nel Valla ed in tanti altri. Ed ecco perchè egli, con una modestia ammirevole per e quanto rara, prega i suoi uditori di non voler ricercare in lui altri beni all' infuori di quelli, che gli procacciò il bisogno (3). n P. non poteva meglio corrispondere all'aspettazione dei Milanesi ed alla promessa fatta di adoperarsi in dieg magie magisque, per non sembrare indegno della fiducia riposta in lui. Gli scrittori del tempo, quali il Curzio (4), il Giovio (S), (1) MSS. R. Bm. Nas. di N<q>oU. Cod. Y. D. 15. — Or. oit. € H^beo Tobit gratias et quidem maximat. Viri claiiasimi, ac ai facaltaa daretor etiam referrem, qui de nostrìs stodiis adeo aolliciti estis, ni me, licei illuatris amplissimiqae Cardinalis Rhotomagensis, qui Chrìstianiariaii regia peraonam auatinet, iodieio comprobatom, non tamen prius admiaeritis ad endiendam Mediolanenaem iuventutem, quam Tigilantisaimia veatrìa ocalia exliibitom aliquod perìcolam faeere apecUTeritia »• (2) Vittorio Roesi. — op. cit«, faac. 3-4, pag. 34. (3) Orat. di., Cod. eit. • (4) Op. eli., 1. di. 9) Bugia Vir. Uu. iOusir., pag. 74. VITA DI k. GIANO PABBASIO 49 il Giraldi (1), Q Bosmini (2), Q Tiraboschi (3), n Plegafeta (4), e tanti altri ci attestano concordemente il plauso * riscosso : non riporteremo qui integralmente le tirate rettoriche e le lodi entusiastiche contenate nei loro pomposi epigrammi| ci limiteremo soltanto a citare alcuni versi di Cesare Sacco (6), che nella loro forma enfatica ci rivelano, più che tanti altri, quel vero entusiasmo che il P. riusci a destare anche nella più eletta cittadinanza milanese: Dam legit et Janot concenlibas aera compiei, Doleis et in nottras perstrepit aure eonue. Qoae Veneree homini dictant modulamina vocis f Hunc gratum innumerae, non Charia una facit. Huiua in ore sedet trìplez Acheloia prole». Canina et Astrorum porrìgit ipse manum. Ingenita eei illi mira quam vìtIì et arie Actio. Goncinnum quid magia esae poieetf Adde quod hanc ditat longisaima copia rerum : Fertile doctrinae quod gerii ingenlum ! B in verirà il P«, oltre la grande erudizione, possedeva tutti quei dati esteriori, che tanto contribuiscono a procao» dare all'oratore la benevolenza del pubblico : il suo occhio vivo e penetrante, la fironte ampia e serena, che anche nel- l'effigie ti rivela l' ingegno potente e scrutatore, il gesto di- gnitoso e la rara bontà di eloquio rapivano ed ammaliavano le moltitudini (6).' (1) DmZ. i De Poetii sui t&mparii» (2) Viia da MarudàjOù Triwdtw. (3) Op. eli., 1. di. (4) AxfoxLo Oabriillo da S. Maku'. — BM. degli Senti. Vicendm, T. lY., pag. XY e aeg. (^ Yallo. — Apologia. (6) PiSRio Yalxbiano. ^De infeUcitate Utterai.^ L I, pag. 2U OiOTio. — Slogia Vir. iOusir.^ pag. 806. \ 60 VITA DI A. GIANO PABRASIO Ed ecco perchè dappertatto, anche da lontani paesi (1)| accorrcTano a lui giovani e vecchi, valenti letterati e per- sone mezzanamente istruite. Fra' più assidui uditori merita d'essere ricoi'dato Gian Giacomo Trìvulzio, che carico di anni e di allori militari, traeva grande diletto daUe lezioni del giovane retore (2). Questo pieno, incontrastato trionfo impose silenzio al maligno Minuziano, il quale, dopo qualche tempo, si senti spinto, forse costretto, a fare una completa ritrattazione (3). AUora, verso il 1503, sia per suggerimento di Stefano Poncherio, sia per non dare agli alunni il poco lodevole e- sempio di una lotta indecorosa, il P. non -si mostrò alieno dal pacificarsi col Minuziano (4). Con questo nobile atto egli volle prendere sul suo avver- sario la migliore delle vendette : il perdono, e mostrargli cosi chiaramente, come disse poi ai discepoli, che e multo speciosius est iniurias dementia vincere, quam mutui odii pertinacia > (6). (1) Vallo. — Apologia : « Diesque me deficiet, si commemorare sin- gilUtim pergaui quot e finitimis et longìnquis etiam re^onibufi Jani traxerit eruditio, qui ceteros ante eum rhetores indignabantur ». (2) Spbra. — De nobilit, profess.^ 1. IV, pag. 451 ; Spiriti. — Uo- morie degli Sf-rittori cosentini, pag. 24 e 8eg. ; Zayarroni. — Biblioteca eaHabra, pag. 64 ; Tapuri. — Scrittori del Regno di Napoli^ T. IV, pag. 236; Barrio. — De Sita et antiq, Ca'ab.^ 1. II, pag. 90; Baylx. — DicUonnaire liistor. et crit,^ T. Ili, pag. .598. (3) MSS. R. Bibl. ^az. di Napoli. Cod. V. D. 15. — Praefatio in Per- dum : € Quapropter omnia praotcrìta malcdicta, quae non voluntate, non iudicio (qood ipse non negavi t), sed irapercitus, in noe effudit, familiari- tati, qua mihi coniunctus olim fuit, et amicorum precibus condonavi ». (4) MSS. R. BiH. Saz. di Napoli. Cod. V. D. 15. — Fraefatio in Per^ sium : € Minutianus Alexander, ut acitis, annis abbine duobas, an tertios agitar, ex hospite factus.hostis, utrius culpa dicere supcrscdeo, quando fere iustum quisque afiectum indicai, quem agnoscit, amicis auctoribus in gra- tiam mecum rediit, et eam (quod est in me) mansuram semper Quum praesertim' intelligerem satis in eo Pontifico meo (Stefano Poncherio) factu- rum,' ne morum facilitatem, ad quam ipse natus est, in me desideraret ». ^. .• • •■■., ■ ^■.■^- .^ >■-, , . ^ ^^ ^ rll ' ^r ii '[|t ii r -Tm i TìiS'iihi'ti ll 'i ai Vr'ì 1 li É n i n ì ti -unr /- f-*^*'^- f--''>^'- -m ** CAPITOLO VI. Coltura ed attività prodigiosa dd Parrasio. La seconda età della Rinascenza. Grande autorità del Retore in Milano e fuori. La Colta Giurisprudenza. « La soddisfazione morale provat<a por la cattedra conferita-' gli e la calma subentrata nel suo animo, dopo la paco col Mina- zianOy influirono moltissimo sull'attività Ictten^ria del Parrasio. In questo periodo egli apparo più che mai invaso dalla « febbre del sapore, ritorna e con più ardore allo studio dei classici e con mano maestra ne ricorca le intime bellezze. ■ La sua coltura di>ieno sempre più vasta, le sue osserva- . zioni sempre pia acute, i suoi commonti sempre pia profondi. . Allora egli compose in parte, o arricchì, quei pazienti * ed accurati lavori di compilazione, che denominò excerpta. \ In primo luogo meritano di essere ricordati gli e Excerpta mitologica ex Pindaro > (1), che ci attestano chiaiamente quale fosse la sua erudizione in fatto di mitologia, nelle cui CavoIo egli fra' primi trovò un' esatta corrispondenza eoi fe- nomeni naturali (2). (2) MSS. R. Dibl. Noi. di NapoU. Cod. Xlll. D. 10. ^ C&rt. Mi.,, di e. 119 non nom., oltre le guardie, mm. 291 per 175; è legato di pelle e attesta la medesima provenienza degli altri codici : € Antonii Serìpandi ex Jani Parrhasii testamento ». Inc. € Ex Qlympionicis Pindari », expl. eoa un rimedio contro la podagra € et conforterà lo membro debole ». (2) Parrasio. — Gomm. al De Ra^u Proserp., 1. 1, v. 109 : € qaod non Cjolopea tela ». \ , . \ J-^^m 62 VITA DI A. GIANO PABBASIO È parimente un lavoro di compilazione fl codice (1) ohe contiene le sentenze tratte dagli scrittori antichi, di cni egli si servii per qnanto non sempre opportunamente, in tntte le sue opere. Da simile intento il P. appare guidato nella raccolta degli e Excerpta ex Polisno et Polybio > (2) e negli e Excerpta historica, grammaticalia et geographica > (3), come pure nella compilazione del e Dictionarium geographicum > (4)| lavoro di grandissima mole, che rivela uno studio lunghissimo ed una pazienza sbalorditoia, per disporre alfabeticamente nomi di regioni, citta, monti, fiumi, mari ecc., tratti come egli dice € ex Strabene, Pomponio Mela, Tacito, Pansania, Am- miano Marcellino, Historia tripartita, Eusebio, Apollonio Bhodio, Hermolao Barbaro, Appiano Alessandrino, Nicandri interprete, Dione Gocciano etc... >r Meritano similmente d'esser ricordati altri due codici (6), contenenti notizie di vario argomento, ricavate da diversi (1) MSS. R. DtbL Nat. di Napoli. Cod. Xlll. B. 24. * Cari. aot. di e* 21 interftmente scrìtta e non num., mm. 288 per 203; — Antonii Serìp. etc. Ino. € si possent homiaes »; ezpl. « plenus unguenti pa* tere videtor ». (2) MSS. R. BiU. Nas. di NapoU. Cod. XIlI. B. 18. — Cart. aut. di e. 70 non num., compresa le guardia e la e. bianche in principio in ia mazzo ad alla fine, mm. 299 par 210. — Antonii Sarìp, atc. — Ex- cerpta ex Poli»no inoip.: € Antoninus et Severus imperatorei ezeroitnm dnxerunt in Parthos ». — Excerpta ex Polybio incip. : e postaaquam oonsulas » ; ezpl. : € inde opima retnlit spolia ». <3) MSS. R. Bihl. Naz. di NapoU. Cod. XIII, B. 35. — Cart. aut. di e. 24 non num., mm. 213 per 145. — Antoni! Serìp. etc. — Inc. e Gcero ad Brutum », expl. e Arìsba, oppidum in Abidenorum regione, Polyb. in V». (4) MSS. R. Bibl. Nas. di NapoU. Cod. XIU, B. 11. — Cart. aut. di e. 270 non num., mm. 335 per 228. — Antonii Serìp. ete. — Ine. € Absonus insula »; expl. e Zigopolis - Hermol. 100 ; Strab. 173 ». (5) MSS. R. Bibl. Noi. di NapoU. Cod. XUI, B. 21 0). — Cart aut. di mm. 280 per 207 ; è legato eome i precedenti e poru la solita di- dascalia Anale : € Antonii Serìp. ete. ». Cont* Adnotationes multipUois j 1 i ^r--- - ^ , -,j^-j -w^ ^^; L, ,,, , r--; V^^"<- T ■- ' '^ ^«■^« --^ ■■^i" .^ v. é J ft* ^ln i^^.^->^ YIIÀ DI ▲• GIANO PABBA8IO SS autori, ed in ultimo un Tolaminosissimo e Nomenclator > (l), di parecchie centinaia di pagine. In questo modo il P. poto acquistarsi una coltura dar- vero straordinaria, da non rendere poi di troppo esagerata la lode che gli tributaya Matteo Toscano (2) : llle sul Janus sftecli Varrò, ille vetarnam Torpentem excussit^ torba magistra. Ubi, E non altro che lui, colla sua erudizione e col suo se- vero metodo scentifico, poteva rinfocolare negli animi l'amore per i buoni studi, e indirizzarli a più alta e più nobile meta: Tra il 1458 ed il 1466 erano morti Alfonso d' Aragona, Cosimo dei Medici, Pio n, Francesco Sforza, tutti potenti mecenati ; come tra il 1457 e il 1463 erano morti Lorenzo Valla, il Poggio, il Guarino, Flavio Biondo. Nel 1465 si era poi compiuto un assai importante av- venimento, si era cioè impiantata la prima officina tipografica noi monastero di Subiaco, por opera dei due tedeschi, Oor» rado Schweinhcim e Arnolfo Pannartz. Notevole riscontro di date, dice il Bossi (S), che par segnare il tramonto di quel periodo della Binasoenza, che fu di preparazione e di fermento della materia letteraria. Grazie alle insigni scoperte fatte dagli umanisti, la miglior parte della letteratura antica, che era sfuggita all' Tariique argomenti ex plurìbus auctorìbus digettae » : — Ine. € Persona Theodorìci », expl. € neo Xanthos uterqae »• MSS. R. Bibl. Naz. di Napoli. Cod. XIII, B. 22 (*;. — Cari. aut. di mm. 278 per 199 — Anionii Serìp. eie. — Inc. € Indice Galeoti et Me- rulae de homine » ; expl. € Indice Hermolai ». (1) léSS, R. BM. Naz. di Napoli. Cod. V, D. 3. — Cari. ani. mm. 325 per 227 — Antonii Serip. etc. — Inc. e Atticas et Marcus Bratos »; expl. € ex Eusebio, de temp. 41 »• . (2) Peplum ludiae^ pag. 63. (3) Vittorio Rossi. — il Quattrocento, ed. oli., fase. 11*12, pag. 215w \ 1 . 64 VITA DI ▲• GIANO PÀHBASIO dei tempi, si oiTriva allo stadio dei dotti ; non restava quindi che saper (are buon uso di quei metodi, meglio appropriati all'interpretazione e alla critica. A qnest' ultima quindi spettava, come afTerma il Bossi (1), di trarre dalle conquiste dei grandi eruditi trapassati tutto il frutto possìbile, di affinare col savio uso i loro metodi, di attuarli rivedendo, correggeudo, commentando la suppellet- tile classica. Questo difficile comx)ito si assunse e disimpegnò nel più alto modo Aulo Giano Parrasio, col quale si delinea netta- mente la seconda età della Binascenza, in cui la critica e l'arte raggiungono la loro maturità. La stampa ben presto si era propagata in Italia, e a •non lunghi intervaUi di tempo Eoma, Venezia, Milano, Ve- rona, Foligno, Firenze, Napoli avevano avuto la loro officina tipografica. Non sempre però accadeva che nella revisione e corre- zione dei classici vigilasse la mente esperta degli accorgi- menti critici di un Giannantonio Gaiupano, o di un Gian-' nandrea Bussi, di un Lascari, di un Erasmo (2) ; spesso le edizioni erano curate da avari ed inesperti tipografi, che, spinti dal solo desiderio di guadagno, al pari del Minuziano, stampavano e diffondevano nel pubblico le opere degli scrit- tori antichi, riboccanti di errori (3). Contro questi veri profanatori dell' arte antica si sca- gliò fieramente il P., e con tutte le sue forze si dedico alla correzione dei testi, che nel triste stato in cui erano ridotti dai tipografi, come egli disse, non sarebbero stati ; (1) Op. cit., pag. 216. (2) Maittairb. — Annal. Typogr,^ ▼, I, pag. 122. (3) MSS. R. Bibl. Na:. di Xap. Cod. \\ D. 15. — Orai. Ili in Mi- not* : € Et la unquaio poteri t illum quaestom facere, quem non ex offi- cina, sed laniena libromm, quam maùmam iadtf ». . .•^ , ■ I* ■*' T _ ' "l" - " VITA DI A. GIANO rAERASTO 65 pia riconosciuti dai loro stessi autori, se fossero ritornati in vita (1\ Fedele al suo programma, il P., dopo la pubblicazione dello splendido commento al De Baptn Proserpiuae e degli altri lavori, di cui abbiamo tenuto parola, nel 1503 mise fuori, dedicandolo a Stefano Ponchorio, De Regionibus urbii Samae lihellus aureu» del psoudo Publio Vittore (2), che, coUe ag- giunte già apportatevi da Pomponio Leto, divenne la più iiiH portante guida topografica di Boma. Un anno dopo vide poi la luce V opera dal titolo : Probi instituta artium et aliorum grammaticorum fragmenia (3), che dedicò a M. Antonio Cu- sano, giovanetto che alla nobiltà del casato 'congiungéva mente eletta e sentimenti generosi (4). Intanto il P. con anlore incredibile emendava i classici, apportando dovunque la sua opera di critico profondo ed illu- minato. A questo periodo di lavoro intenso e geniale dobbiamo i seguenti importanti commenti, sfuggiti all' avarizia fraieeea (1) MSS, R. Bibl. Nat. di .VopoZt. Cod. V, F. 9. » De UtIÌ indice: e De latinis vero quo me Vertam nescìo, ita mendose ecrìbuntar et to- neunt. Utin&m non nostri temporis haec iustior easet querela ! certe ego non plus in alienis erroribua confutandia, quam in exponendia aoUquorum acriptia inaudarem. Sed affirraare iuratiia et aancte poaanm, aio omnea ab Impressoribua inversoa esse codices, ut si auctorea a postliminio mortìa in lucem revocentur, eoe agnituri non aint ». (2) Il vero titolo deiropera del pseudo Vittóre è: Notitia regionum Urbis Romane. (3) Aldo Manuzio. * Instit, grammai,^ 1. IV; Akoxlo Spera. — De Nobil, profess., 1. IV, pag. 451 ; Bayli. — Dictionnaire histor^ et crit.^ pag. 599, n. D. ecc. (4) Parrasio. — Epistola ad M. Ant. Cusanum^ ante Probi Inst. ete. \ ^'•^- -^TUM- l'-j'^ "■Hlf ^'ì^'-^-'- tjf -—- - •^- «■■^.-i^-^. .*^^«.— »■- T&ani<aiAi'>a»i'iii— 4>^Mfc»» n i>i ft n i ■ fM Éi i -jfi 11 -'-v*-- ! ' 66 TITÀ DI À. GIANO PABIUSIO e all' incuria dei eustodi (1): e Valerii Maximi Prisoorum exeui- plorum libri II (i) ; Kotulae in I Od. Q. Horatii Flacci (ii) ; In lOnvi Valerii Flaeei (iii) ; Commi'ntarii in Horatii Poeti- Cam (iv) ; AdnotatUmei in Caesarie Commentarios (v) ; Adno- tationes in Epistolae Ciceronii ad Atticum (yi) ; N'otae. in Statii Silvas (yn); Adnotationes in Tibullum (vili); In Ciceronii Paradoxa adnotationes 7— Commentarii in Livii libroe: De bello Macedonico, et in Lucium Florum (ix) >• Parecchie altre opere, che sono andate perdate, furono composte durante la dimora del P. a Milano ; fra queste degnissima d'essere ricordata quella dal titolo : Quaeeitii per epietolam, di^ cui non ci resta che un libro solo dei venti- cinque da lui compilati (2}. Quest'opera da se sola baste- rebbe a. darci un' idea precisa della profonda coltura del P. e dell'alta fama raggiunta. Da ogni parte d'Italia si ri- Ci) MSS. R. DM. Naz. di Nap. — (i) Cod. cart. aat. XIII, B. 14 ; (11) Cod. cart. &at. XIII, B. 15 ; (ni) Cod. cart. aut. XIII, B. 20 ; (it) Cod. earU aut. XIII, B. 23 ; (v) Cod. cart. ant. V, D. 3 ; ^ti) Cod. cart. aot. V, D. 13; (tu) Cod cart. aut. Y, D. U; (viii) Cod. cart. aut. V, D. 22; (ix) Cod. cart aot. V, D. 12. . A proposito di quest* ultimo codice non sarà foor di luogo ricordare il seguente brano della Frac fatto in Livium (Cod. V, D. 15) : e L. Flomm praelegi, qui carptim compendioqae popoli romani scrìbit historias. In eo castigando simol enarrandoqoe quantom Tigìlianim, quantom laborie exhaoserim, testes mihi sunt omnes qoi tum nobis operam dabant. Qoorom nonnollos non tam mea, quae mediocris est, eroditio trahebat ad aodien- dom, qoam qoaedam, ni fallor, expectatio, qoa ratione curarem tot rol» nera, vel, ot verios dicam, carnìficinam, qoam librarios (il Minoziano) in Floro sic exercuerat (Id. Janoar. 1502), ut novae cicatrici locus non esset». (2) OiOTANNi Pier Cimino. — Episi, nuncup. ad CorioL Mariyr. Inst. Oramm. CharisU: e Brat enim ad editionem iamprìdem paratom, librisqoe constabat cireiter quinqoe et viginU ». Enrico Stefano. -^ Epist. ad Lud. Casuilvetr.^ ed. De Rebus 1540 ; NicoDBMi. — Addizioni alla Dibl. Nap. del Toppi, pag. 87 ; Marafioti. — Cron. ed amie, di Calab., pag. 264; Tiraboschi. - Storia ecc., T. VII, P. III« pag. 330; Oinournì.— iTótotiv Uu. d'Italie., V. VII, pag. 214, ParU 1810. ♦ . - ' . a VITA DI A. GIAMO PABRASIO 57 volgevano a lui per aver schiariineuti di questo o quel dubbio, per V interpretazione di questo o quel passo con- troverso ; ed egli con una modestia, non meno rara della sua affabile liberalità, non negava a nessuno il suo giu- dizio, che, come canta il Salemi, era venerato al pari del responso deli' oracolo di Delfo o di quello di Dodona (1): .... credas Delp&is oracula Phoebum Aut Dodonaeas ornos, quercum|ue locutat. Da ciò appare che il P. negli studi di erudizione teneva incontrastabilmente il primato, da non temere punto di schie- rarsi, alPoccasione, contro i più rinomati umanisti del tempo, fosse anche un Poliziano (2). Certo, facciamo nostra la giusta osservazione del Fio- rentino (3), il contendere la palma all'eruditissimo Poliziano e il biasimarne i giudizii richiedeva non piccola autorità, quando non fosse stata audacia e sfrontataggine senza pari. Da quanto abbiamo detto chiaramente appare che un simile rimprovero non poteva toccare al Parrasio. • • • A questo punto crediamo opportuno far rilevare un altro grande servigio arrecato dal P. alla scienza, durante la sua (1) Salerni. — Sylvae*' In Jani obùu Epieedion^ pag. 110 e Mg. ed. Neap. 1596. (2) MSS. R. BibL Kos. di Napoli Cod. Y. F. 9. — Lettera a persona ignota : « Non vìdeo cur ad me acribas a Politiano Domltii sententiam non probari in illad ex prima Papinii Sylvula : RKenus et atUmiH vidù ' domus ardita Dati. Nisi forte vis ut Politiano sabtcribam, vel a calamuia Doroifium defendam »• Quaesiux per episL^ ed. Matthaei, pag. 1Ó : € Lia est mihi cum Po- litiano sinuosa (a proposito di un passo di Virgilio) »• Op. cit., ed. cit., pag. 225 e seg^: € Et audet PoHtianns asserere Trapezuntium multa fecisse rerum vocabuìa ex imitatone veteram » eoe... (?) BiBXARDiKO TsLKsio. — V. I.« Flrenso, sncc. Le Mounier, 1872. \ ^m N » ^ ■■ ^f^» i»i ni » »i^»v ■ M ■■ ti^Mli 'H awi mw*4 ' ** " i^M^»J>»'>»l 1 ■ ■ ^ij ■ 1^ »1» ji«»« i»l !*>«■■ «I II I H * I I I t 58 VITA DI A. OIAKO PARRA8IO dimora a Milano, quello cioè di aver contribuito non poco al sorgere della Colia Oiurisprudenza, di cui fu caposcuola il suo discepolo, Andrea Alciati. Senza punto occuparci dei primi due periodi della col- tura del diritto romano, la Glossa e lo Scolasticismo, ci limitiamo a ricordare che si deve esclusivamente agli uma- nisti quel mo\imento reattivo all' indirizzo precedente, in cui avevano avuto grande predominio le peripatetiche spe- culazioni, il vuoto formalismo e l'arte delle infinite distin- zioni suddistinzioni, che avevano ridotta la dottrina del diritto romano ad un convenzionalismo dogmatico. La lotta contro i giuristi, cominciata dal Valla con la famosa lettera contro l'opuscolo di Bartolo da Sassoferrato, De insigniii et armi$, trovò plauso negli altri umanisti, soprat- tutto nel Poliziano; e se suscitò al principio un grave scan- dalo, valse a rimettere in onore lo studio negletto delle fonti ed a far conoscere la grande importanza del metodo storico-filologico. Questo rinnovamento, iniziato dai lette- rati, fu poi recato completamente in atto dai giuristi e, primo fra tutti, da Andrea Alciati (1). Questi, mettendo a profitto il suo sagace discernimento e la sua vasta erudizione, coll'aiuto di codici da lui dissep- pelliti nelle biblioteche, riusci a restituire alla loro esatta lezione molti passi di Erodoto, di Polibio, di Appiano; altri emendò in Plauto, in Terenzio, in Tito Livio e special- ''^ (1) Gravina. — De ertu et progressu iurù civilis. € lurìspnidentiA Alciati manu ex humo sublata, oculos ad primordia sua reflectens, vetera ornamenta nativamque digoitatein a priscis ropetiit auctoribus ; cumque Alciati discipuli ex Gallia et Italia universa conspirarent, eorum praesidio iurisprudentia se in prìmaeva eruditìone atque elegantia cpllocavit* quaeque in Imeni, Accursii et Bartoli scholis viret exsenierat, retonta rubigine, cultu eruditoruni et industria littcrarum elegantiarum, exuit barbarìem el nativam explicuit venustatem ». y • !■ ■ rm^ nix DI ▲« GIAHO PARRA8IO 69 mente in Tacito, determinò l'indole dello stile dei migliori giureconsulti, per cogliere il senso dei loro consigli nelle Pandette, descrisse «Uligentemente le variazioni del diritto pubblico romano, i>er conoscere lo spirito delle leggi in ogni età, e colla sua profonda critica gettò la luce sui passi pia difficili e controversi (!)• Ora domandiamo : l'Alciati a chi va debitore di questo critico indirizzo, a cui deve la sua famaf Se qualcuno, neiracnme e ncireleganza di dettato del- VAntore deWclegantc giHritpruiìemza, riconobbe i lieti frutti deir insegnamento del Parrasio (2), la cui scuola egli firc^- quentò dal 1504 al 1506, compiendovi, ancora giovanissimo, gli studi d' umanità (3), nessuno, per quel che sappiamo, ha aucora bene osservato che il metodo tenuto dal grande giurista ncir emendare i testi degli antichi giureconsulti è quello ^stesso tenuto dal P» nella correzione dei clas- sici, e che da qucst' ultimo, molto probabilmente, apprese anche i primi elementi della dottrina del giure. B e' indu- cono in questa opinione due altre preziose orazioni inedite : « De iustitia, De iure >, le quali ci attestano che il P. a Milano, dietro invito del Canlinale d' Amboise, fece parte (1) Giuseppe Prima. — Andrea Alciati. -* Orazione inaugurale letta neir Univ. di Pavia. — Milano, Stamp. reale MDCGCXI. (2) RoBBRTELLO. — A»not. ad Var. toc., 1. II : Tibi vero gratulòr, Alciate, quod Jannm Parrìtasium^ virum doctissiiBuin, a puerìlia nactos fuoris praeceptorein. Nunquam enim tua scrìpla lego, quin mihi illiua recordatio viri oecurrat, adeo diligentis et perspicacia in veterum locit emendandis, atque expUnandìs Homines qui ignorant talem prae- ceptorcm tibi a pueritia contigiese admirantur postoa quantum eUam in hoc ttudiorum genere valeaa. Ego, qui id iMsio, nec miror et laetor »• k3) Claudio Minois. — Vita Alciati ante Emhlemata ; Quoio. -» Epiii, Clar, et doct, Vir., pag. 81 e^eg. ; Tiraboschi. — Op. cit., T. VII, P. II, pag. 106 e t^g. \ jaiiiBiiiiii i*^**»«m«i<^ mfm 0k^*\ i J> i> < ù'nf fc iTtJMtirf ■»rfC.» **■ 60 VITA DI A. GIANO PABllASIO del collegio dei giudici (1), e impartì anche pubbliche lezioni di diritto (2), rifacendo e ampliando quel Vocabularium Io- gale, di cui già abbiamo fatto menzione in questo lavoro (3). L'Alciati, superbo e ambizioso per natura, si mostrò poco riconoscente, per non dire ingrato, verso il suo grande maestro, e non lo nominò che rare volte nelle sue opere, . mettendone in dubbio quella vasta e profonda coltura, che gli aveva dischiusi i tesori della sapienza giuridica dei Bomani (4). Ma la storia, che ben fu chiamata da Cicerone luce della verità, ripara questo torto, salutando nelP umanista calabrese uno dei fondatori della scuola della Colta giurisprudenza. (1) MSS. R. BM. Naz. di Napoli. Cod. V. D. 15. — Do JusUUa: € Ut non iniurU veteri proverbio ìactetur: virtutcs omDOS in una iattiUa conti Qorl. Cuiot ministri tamen dcnique. Viri boni, omnium consensu nominamur, quum nos ncque grafia praovenit, neque miseri- cordia flectlt..... »• (2) MSS. R. Diti. Naz. di Napoli. Cod. V. D. 15. — Do Jure: € At quomodo non iniustissimus ossem, ianrtisnmoè-um legis peritorum Collegio minime cooptandus, si tot ornamenta, quibus me bonestatit, hodie silentio praeterirem f Quae, qualia, quantaque tint, Patres amplia- timi, tametsi non ut vos in iis Rtudiis (giuridici; tot annot summa edm laude versati, prò meo tamen captu satis intelligo ». (3) Y. pag. 12 e seg. ~ Del Vocabularium e delle due orazioni succitate , d occuperemo in un* altra monografia , che intitoleremo : € Andrea Alciatl e la Colta Giurisprudenza ». * (4) è noto che V Alciati soleva dire che il P. citava gli autori, senza averli punto né letti, né conosciuti. i > ,>A<* fc*-.**^,>^-"» >*■■*• • - «• • - - - r ^ #•_ .^ -^-- I ,/ / CAPITOLO VII. Attinenze del P. con Demetrio Calcondila. 1 Sue condizioni. — Nuove lotte. A:cuse infamL — Partenza da Milano. Il P., nulgrailo lo tristi vicende toccategli/ senti sempre per Milano U pia grande attrattiva, a segno da preferirlai dopo Napoli, % tutte le altre città d' Italia, come con belle parole dichian ai suoi discepoli (1). A rendetli cosi piacevole quel soggiorno' contribuì, senza dubbio.prima V amicizia e poi la parentela contratta col valente gecista, Demetrio Oalcondila. Questi, chiamato a Milano daLodovico il Moro nel 1491, dopo aver inse- gnato, per t^ti anni e con molto plauso, a Padova o poi a Firenze dda cattedra resa celebre dall' Argiropulo, vi ebbe le più liete accoglienze, venendo egli a soddisfiure quel vivo Uiogno sentito dalle menti, dopo la meta del secolo XV, dponoscere cioè ed apprezzare le opere immor- taU dei Gì (1) MS8. R.m. Naz. di Napoli. Cod. V. D. 15. — PrtefAtio ia Thebaida : « Egouom prìmum appuli in hanc inclytam civitatem 6t latÌ8HÌmo dignamiperìo, eìut amplitudine captua, hanc animo meo proprìam sedem U Nam post illam felicissimam Campaniaa oram in tota Italia nullii usquam secessum solo virisque meliorem, qaiqiie mihi M«diolano mls arrìdeat, invenl ». \ • i»)itj,„'Éartiì,L ■toMUÉMMÙ* •tuli I wii .•-(.•"'• - 62 VITA DI A. GIANO PABUASIO n P., appena giunto a Milano, cercò di avvicinarsi al- l' illnstre ateniese, per potere ancora niegfio apprezzare i tesori del mondo ellenico, e trovò in lui uia guida sagena e illuminata e affetto veramente paterno. . l Frequentando la casa del Oalcoudila, ej^li ebbe agio di ammirare la coltura o le belle qualità mora! della figliuola di lui, Teodora: sebbene questa non potes» vantare né grande bellezza, nò forte dote, se no invaghi\ la foce sua sposa (1), intorno al 1504, come si desume daunepigramma scritto in quelP occasione dall' amico Lancino Cil^io (2). D'allora in poi il. P. abitò in casa del suocera, dove potè conoscere molti valenti letterati, venuti a ^lilant per appren- dervi il greco, fra' quali Giaugiorgio Trissino (1|0G), il quale pare abbia fatto dimora presso lo stesso Calondila,. come « e' inducono a credere una lettera di quest' ulmio «liretta a lui e sei altre del P*, da cui traspare la pinjgrande fami- liarità e domestichezza (3). Cominciò cosi un periodo di tregua nelUvita del P., ma nou fu molto duraturo, poiché vennero ditinovo a tor* montarlo le strettezze finanziarie e i suoi nmici, che gli piombarono addosso ancora più rabbiosi di praa.* I Milanesi, se gli furono larghi di applauso onori, non (1) MSS. R. DM. Noi. di Xapoli. Cod. V. D. 15. A Praefatio in Thebaida: « placoit in spcm prolit ot rei faìnili» Thcodoram, Demetrìi filiam, mihi adiungerc, in qua non forma, quan ea inediocria est, ut appellat Ennius, non oiTertam dotein, quae ma «ine morìbus ex|>etitur, animuroque ineum non facile capit, scd ingfiat artes, intè- gritatein vitae, et super omnia |>atri8 eius affinitatem Retavi ». ^ (2) Op. cit., ediz. cit., pag. 80 ; Jannelm. — optt., pag. n2« - (3) KoscoB. ~ Vita é PctUi ficaio di Leone X, trad./ Luigi JBossi. — Milano, Sonzogno, 1817, V* X pag, 143 e aegg. 11 traduttore ri u venne queste lettere nella corrisddenza epistolare del poeta vicentino, conservata dai Trìssino dal Yeld*Ofo. V • VITA DI A. GIANO PABBASIO 63 lo furono altrettanto nel ricompensare le sue fatiche (1). Di ciò abbiamo chiara prova in un'altra orazione inedita, in coi il P. candidamente fa nota ai discepoli la sua triste condì* zionci ricordando loro, con aniarezza, il detto di Aristotele che cioè il povero difficilmente e raramente giunge all'ac- quisto della scienza (2). Quanto diverso era stato il suo giu- dizio sulla povertà nclVOratio ad SetMlum McdioUinensem t Non deve recar punto meraviglia che questa ed altre volte la miseria abbia bussato alla porta del P. • In quél secolo, ben chiamato dal Graf il secolo dei ciarlatani, chi non si tirava innanzi, chi non gridava e magnificava la sua merce, chi non prometteva più di quanto potesse attenere, correva rischio di morir di fame (3). ^ Bifuggendo il P. da ogni bassezza e dalle quae$tuarU$ artibìii dei letterati del tempo, era naturale che non guaz* zasse mai nell'abbondanza/ Il Poncherio, conosciute le condizioni poco floride in cui egli si trovava, non mancò di venire in soccorso di lui, affi- dandogli il proficuo incarico dell'educazione e dell' istruzione del nipote Francesco (4). Ma ciò, se valse a sollevare il bi- (1) MSS. R. Bihl. Naz. di Napoli. Cod. Y. D. 15. — In L. Flomm : € Nam quid aliud, ornatissimi ìuveoet, in tanta rerum difficultate, quid a1ittd« inquam, facerem, quum publica stipendia non procederent, et al qnae privatim consequor emolumenta, vix emendis olusculit satis essentf » ^ MSS. R. Bibl. Naz. di Napoli. Cod. V. D. 15. — In L. Flomm : « Quippe ai viatica desint, ut vocat Aristoteles, omnia ad acientiam eo- nattts irrìtus est et inania, et quantocumque labore diligentiaque, mille- simus quisque vix evadei ». (3) AUraverio il Cinquecento^ pag. 110 e aeg. (4) MSS. R Bibl. Kaz. di Napoli. Cod. V. D. 15. — In L: Florum : « Nunc autem quum pater amplissirous Stephanus Poncheriua quo, quasi sacro atque inspoHato quodam fano« boni omnes utuntur, non ho- nesta solum mihi praemia constituerit, sed, quod magous honor est, nepotis ex fratre sui curam'milii delegaverit »• \ • — i -^-- ■ ■ -•■*■- --> ! I I ■ ■ > ' 0""'t_-' 1 -_t^' a I - 'c I ■ *• » r »j ' Il M libili iiit — i j j I r II l ii — ^ - 1 " 64 VITA DI A. GIANO PARRA8IO lancio domestico del povero retore, noD potè ridargli la tranquillità dello' spirito, turbata ancora una volta dagli antichi nemici. Primo ad uscire dal suo agguato fu il perfido Minuziano, il quale, avendo corrotto un ribaldo sacerdote, discepolo del P., fece sottrarre a quest' ultimo il commento al De bello Macedonico di Livio, frutto di tre anni di assiduo lavoro, pubblicandolo spudoratamente col proprio nome (1), e dedi- candolo per giunta ai successore del Poncherio, Carlo GoiTredo. Questo fatto indignò fortemente il P., che memore degli altri torti ricevuti, senza alcun indugio, rese di pubblica ragione V impudente plagio. H Minnziano, vedendosi brutto e spennacchiato, al pari della cornacchia esopiana, per ven- dicarsi, non rifuggi da un' ultima vigliaccheria, dal collegarsi' cioè col Ferrari, che era ritornato a Milano, e col Nauta, contro i quali aveva lottato insieme col suo antico ospite (2). A questi si uni un vero lanzichenecco della penna, fac- ciamo nostra un'altra espressione del Graf, un tal Rolandino Panato, che indettato e coadiuvato dai suoi amici, scrisse contro il P. delle scandalose Inveetivae (3), che per oscenità non hanno nulla da invidiare a quelle scritte dal Panormita, • da Poggio, dal Valla e dal Trapezunzio. (1) Vallo. — Apologia : « Impudentior autem praeceptor ille tuut, iropressorum postrerout, qui Jaai castigationes in bellum Ltvil Mac«do- nicum, grandi pretio redemptaa, ab avarìssimo quodam sacerdote (palam rea est) intervertìt, emendatumquo Jani labore Livium suo titulo pabli- cavit (1506) ». • (2) Vallo. — Apologia : « Neque erubuit homo com iis in Jannui conspirare, adversus quos certo capitis perìculo se, nomen, doctrinani, ceteraque omnia sua tutatos fuerat Parrhasius ». (3) RoLANDiKi Panati. — Inveclivae et Nautae Carmina. — Questa pubblicazione, sebbene non porti indicazione né di anno, né di luogo, pure, come notAva il Mazzucbelli, è certo che fu fatta a Milano, al principio del 1506. .mm^Smi^^mt^l^lCt TRA m A. 6IAXO TkWMAWm CS Laudo contro fl P. o^ torto £ coBioBieliey ^ o^ sorto di ribalderie, lo duamò msiumm mremdiemmt, Jmmm /o€di$$immm Mcarmhcuwi, tmprmrimm, Ibtommw» jMrtjtfi Don eitore altri Tilissini epiteti, che layia^o ndte 1/ infkaie rabula criticò i larori di Ini, ne^ loro o^ V'^fl^ letterario e li denomiiiò amwumtmriolm. do Irrìdo di protesto eruppe daD'aniaio dei baoai per la basse ingiarìe lanciato all' nomo dotto e morigerato : GioTanni Biffo, Tanzio Cornìgero, Antonio Peloto, Pio Bolognese^ Bratt- gelisto Biadano ed altri molti alzarono la roee contro i tìK diiEunatori, e scrissero contro di loro de^ epigrammi di foooo, che non riportiamo, per non intralciare fl nostro racconto (!)• n P. neppure questo rolto si diede per Tinto, e riden» dosi delle nuoTe insidie dei suoi aTTcrsari, si ain^arecdiiò a schiacciarli con pochi colpi, come scriTOTa all'amico Bolo- gnese (2). B non disse dò per millantoria, polche rinsd complctomento nel suo intonto colla pubblicazione della dtato Apologia di Vallo (3), la quale d ha fornito tanto e ri im- portontl notizie. Nessuno dei biografi del P., compreso lo*Jannelli, ha ossenrato che il Vallo, se ebbe in essa la sua parto, non fli certo la prìndpale: la grande erudizione, lo stfle, le dta- zioni, comuni ad altri lavori del P., rivelano la mano del provetto maestro più che quella del «liscepolo. Questa volto, dobbiamo pur dirlo, il P. fu costretto a combattere i suoi nemici colle loro medesime armi, oppose (1) Y. Jaio«blli. — Op. cit., pagg. 58, 71 e segg. (2) Jannblli. — Op. cit., appendic«, pag. 109: « Risi de Jolio «t Musoa Appula, perque gratum fuit audire quid de utroque seotiret - 8ed, ut spero, noo agam Aesopi calvum,,nec expectabo Eiemis adrontùm : paucis ictibus conteram ». (3) Furius Vallus Echinatus in Rolandinum, pistrìni yernam illauda- tnxn, 1505 ante sec. ed. Comm. De Raptu eto. . \ mmm r*^iM i> " I <*w I »■ »ll ^ « t i W «III 66 VITA DI A. GIANO PABRASIO iosolonza od insoleoza, ingiurìa ad ingiurìa, e ritorcendo abilmente contro di loro le accuse inflittegli, li ridusse al silenzio. Ma neppure allora egli potette godere un po' di pace, poiché poco dopo (1506) sorse contro di lui un nemico molto più folate dei precedenti, Carlo Goffredo, e di (i*onte ad un tale avversario fu giocoforza soccombere. Il successore del Poncherio, goffiis et frtgidus (1), come satiricamente lo chiamò il P., non sappiamo per quale motivo, avendo preso ad odiare cortìialmente l' illustre giureconsulto napolitano. Michele Biccio, mal sopportò che il P. lo avesse lodato nella lettera dedicatoria dei Carmi di Sedulio e Pru- denzio e nella lettera-prefazione all'opera del Biccio stesso : De Regiìnis llUpaniae, Hierusalem etc.^ Historia (2). Crebbe poi a dismisura lo sdegno del Goffredo, quando il P. giu- stamente si rifiuto, di espellere dalla propria casa alcuni giovanetti milanesi, per collocarvi i conterranei di lui (3). Allora cominciarono i dispetti influiti, e quella lotta vile ed esecrabile, che crediamo abbia pochi esempi nella storia dell' umanesimo. n Goffredo accordò subito la sua protezione ad un oscuro e invidioso grammatico, di nome Minutolo, il quale gli fece credere che il P. notava, per poi pubblicarli nella sua opera, (1) MSS. R. Bibl. Naz. di Napoli. Cod. Y. D. 15. — Orai. I ad Mu- nicipium Vincentinum. , (2) MSS. R. mi. Naz. di f^apoli. Cod. V. D. 15. — Orai. I ad Mun. Vinc. : € In me vero praecipue d^acchatur et fqrit impotontisaime, quod uoa alteravo epistola Ritium laudavi ». . ^ (S) MSS. R/Bibl. Noi. di Napoli. Cod. V. D. 15. — Orai. I ad MuQ. Vinc. : € Illnd vero nullo paolo forre potuit me sua causa noluisse quorundam Mediolanonslum liboros a nostrìs aedibus ex turbare, quo va- cuus apud me contubernio locqs Allobrogibus ossei suls »• ^ _ ■ 1 ■ ifliN U BiliMil*»!»!^»^» — »< 1 i«fl^«A4»«u«*;t»<*M|p«« VITA DI A. OIANO PABBASIO 67 De Rebus ete., dei fatti poco lodevoli della vita di lai (1). n perfido uomo allora, per vendicarsi, non rifoggi dal de- litto: mentre il P. una sera ritornava dalla casa di -an senatore, dove era stato invitato a cena, da un ribaldo fa ferito gravemente alla testa con un colpo di pietra (2). Saputo poi il ribaldo che la ferita non era mortale, con grandi promesse, cercò finanche di corrompere il medico, perchè avvelenasse V infermo (3). Impotente a lottare contro un tal nemico, il P. stimò miglior partito esser quello di abbandonare Milano ; ma il Poncherio, che si trovava ancora colà e ramava sempre teneramente, lo fece desistere dalla presa risoluzione (4). Oiò dovette sembrare al Goffredo come una nuova sfida lanciatagli, e crediamo che allora appunto egli ricorresse a quella nera e sozza calunnia, ricordata dai biografi, ultimo e troppo amaro guiderdone concesso a Milano al filologo insigne^ che per ben otto anni, in quella città, aveva dedicato tutto se stesso all'educazione della gioventù e al trionfo dell'arte. (1) MSS. R. Bihl. Naz. di NapoU. Cod. V. D. 15. — Orat. I ad Mun. Yinc. : € ac incidit in illam quoque susplciooem, quam garrìent ad aurem Minutulus (^;, de quo iam dixi, delator augehat, a me sua notari tempora, vitaeque sordes eo opere, cui titulum feci De rebus eie »• (') Lo Jannelli lesse Mioutianum e perciò ritenne erroceamectt (pag. 75) che Carlo Goffredo si uni agli antichi nemici del P. « dirae societati »• (2) MSS. R. BM. Nag. di Napoli. Cod. Y. D. 15. — Orat I ad Man. Vino. : € Quare non ita multo post a caena cuiusdam rodient 86- natoris ad prìmam facem, ex ictu lapidis in capite vulnus accepi ». (3) MSS. R. Dibl. N(u. di Napoli. Cod. V. D. 15. — Orat. I ad Mun. Yinc. : « ingentis spe praemii sollieitatum Micaelem chirurgum, qui me curabat, ut malum venenum medicamcntis infunderet ». (4) MSS. R. Bibl. Nat. di NapoU. Cod. Y. D. 15. — Orat. I ad Mun. Yinc. : « ab amplissimo patre Stephano Poncherio Lutetiaé Parìsiorum pontifico, cuius imraerito vicem gerit, a decedendi Consilio revocatum »• \ ■' i.r f *• **" m • - 'ir"iMJ ,«.>• • .- • • «•^Ki^' • "fc^i^i>B ap"'litT-< ■■j~>r"i 68 VITA DI A. GIANO PARBA8I0 Una delle colpe attribuite al secolo dell' nmanesimo ta qnel vizio abbominevole, per designare il quale si e tolto a prestito il nome dai Greci. Fra le ignominie che gli umanisti, a ragione o a torto, si gettavano in faccia vicendevolmente havvi sempre in primo luogo la pederastia. H Bcccadelli rinfaccia questa colpa al grammatico sanese Matteo Lupi, il Filelfo al Porcello, Poggio al Valla, il Valla a Poggio e cosi via. Non dove sembrare quindi strano che quest^accusa tanto comune si lanciasse anche contro il P. dal corrotto cinque- cento, che ereditò, anzi rese più morboso questo vizio del secolo precedente. Infatti tutti gli strati sociali, come dice il Oraf (1), ne erano infetti, a comijiciare da Leone X, se vogliamo prestar fede alle parole del Giovio ; Antonio Vignoli e il Bibbiena ne accusano preti e frati ; il Firenzuola lo chiama manza di maggior riputazioAe, e gli prodigsftio lodi Giovanni della Gasa, Lodovico Dolce, Andrea Lori, Curzio da Marignolli ed altri dieci altri cinquanta, aggiunge il Graf. B che dire dell' ac- cusa che grava su Francesco Bemi e sulla figura pia eletto del secolo, Michclangiolo Buonarroti Y Siamo lieti di notare che tutti, concordemente, assolvano il P. del fallo imputatogli, prima di tutti lo stesso Giovio, che non la perdona a Leone X (2). Ove non potessimo ad- durre delle prove tanto convincenti, basterebbe per poco . riflettere sulle sante massime dettate ai discHpoli nelle ora- zioni inedite (3), osaaiinarc l'elegia in morte di Antonio (1) Attraverso il Cinquecento^ |)ag.. 125-130. (2) Oiovio. — Ehgia ViV. Un. t7/ii5fr., p&g. 208; Spiriti, r- ifemorM degli sct-iitori Cosentini^ piig. 25; Qinqukns. — Histoire litt, d'Italie, Y. VII, pag. 214; Morcri. — Grand Dictionn, histor., pag. 828« ccc (3) MSS. R. BiU. Nnz. di Napoli. Cod. V. D. 15. — PraefaUo in Achillcidem, Cratio ad di«cipulos, Oratio ad Scoatam Mediolanensem, Ad Mumclplum Vlncentloum tic t'amili' ■ ma» w ^ ,n>»mt ^ t'-^ n 1 iT_ I liw ■! j I ■l'if^N» iw*iift*>ff ■ ."^ *■. ■■■'v'^' ii»mifjtmv%'<v»m^titttStméttt$im\^f'^i\i» VITA DI A. GIANO PARRA8I0 69 Babrono, spirante candore e purezza, e soprattutto l'elegia e Ad Luciani » (1), V ultimo sospiro ardente di un cuore ad- dolorato, che fin negli ultimi anni della vita serba tutta l'alta idealità dell'amore, per convincersi che il P., anche patologi- camente parlando, non poteva essere infetto di mal costume. Purtroppo però l'accusa lanciata da un nomo potente quale era Carlo Goffredo, diffusa e ravvalorata dai suoi emissariy produsse l'effetto sperato. Il credulo volgo, come pare, presto fede al turpe mendacio, sicché il povero P., ferito moral- mente, col cuore straziato dalle più orribili angoscio, si vide costretto a lasciare quella citta, che egli aveva tanto amata, e che era stata il principal teatro della sua fama (2). (1) Y, nostro layoro : € L* Elegia ad Luciam di Aalo Giano Parratlo e il Bruto rumore di Qiacouo Leopardi ». Ariano, Si. appulo-irpino 1890. (2) Crediamo che il P. aia partito da Milano al principio del 1507, poiché nella lettera che invia al Trissino a Vicenza, « ex aedibns Demetrìi (Calcondilae), Xlll octobrit 1506 » (Rotcoe, op. cit., 1. cit.), gli chiede ia prestito tre lecchini, che promette di restituire, appenaetatt» io fUpendi». • r. ■ \ s I l t ,■-«- • --J ,^..V»4m. «< ^^-••'S*— '•———•/• -----—^^^ r f - V t 1 V '* • % f • CAPITOLO VIU. n Parrasio a Vicenza. — La Lega di CambraL Vita randagia a Padova, Abano» Venezia. La vita di molti umanisti potrebbe ben definirsi uno squallido itinerario, poiohè passarono ripetutamente da una in aititi cittii, da un borgo all' altro, ora incalzati dal bi- sogno, dall' irrequietezza innata., dall' assiduo desiderio del meglio, ora costretti da guerre, pestilenze, carestie, angustie dei comuni o dei principi (1\ Però se molti trascinarono una triste esistenza e alcuni, come Cosimo Raimondi e Sassuolo da Prato, finirono* col suiciilio i loro giorni, crediamo che ben pochi abbiano menato una vita infelice e randagia come quella del P. e siano stati vittima, al par di lui, di lotte indecorose e d' implacabili persecuzioni. Carlo Goffredo, non contento di averlo perfidamente infamato e costretto quindi a partire da Milano, adoperò poi tutte le sue male arti, perchè non gli fosse concessa la cattedra d'oratoria a Venezia (2); e sarebbe eertamente • * (1) Rossi. — - op. cit.« fase. S-4« pag. 30. (2) MSS. R, Btbl. Xaz. di Napolt. Cod. V. D. 15. -* Oratio I ad Mun. Vincent.: € Ostentare impotentiam suam voluit AUobroz, quam me Venetiis evocaturo fictis excogitatisque crlminibus excepit, itaqae pro- pudiose laceraTit, ut nihil reliquum fecerit iniuriae ». .« . \ »»<mm^ìÌ0tt^riméÈia^m^t^ 72 VITA DI A. GIANO PARRA8IO riuscito a farlo respingere anche da Vicenzai senza la valida protezione del fedele amico Giangiorgio Trissino (1). Quivi| malgrado lu assicurazioni di quest' ultimo, il P.,, prima di ottenere la cattedra desiderata! dovette esporsi a doppia prova davanti ai Municipali della citta; ma se ciò ferì l' amor proprio dell' insigne filologo, come appare da una lettera al Trissino, valse a procurargli la stima delle persone colte e a dissipare quei dubbi sorti sul suo conto, per le maligne insinuazioni del Goi&edo (2). Per fortuna ci sono pervenute le due orazioni pronun- ziate allora dal P. (3), degne entrambe di grande attenzione, come quelle che ci rivelano ancora meglio il nobile carat- tere dell' umanista calabrese. . . Merita soprattutto di essere ricordato il principio della prima orazione, in cui palpita un cuore altamente italiano, che dinanzi alle miserie della patria, non resta indiiTerente, ma freme di nobile sdegno e impreca alla tirannide straniera : e Veni, Patros optimi, tandom veni, serius exspeotatione vestra meaque voluntate^ quod immanium barbarorura grave diutumum iugum non facile fuit ab attrìtis excutere cervi- cibus, quippe qui nec opinata Victoria extulerunt animos, • tantumque sibi permittunt in omnes Italos (O miseram tem- porum conditionem ! quis hic ita non ingemiscat et frontem (1) De Rebus eie. . • • ed. 1771, pag, 103: € Idque me aceeptum Ubi referre, quod optimi cives tui, te referente, ducentenis anniiis insti- tueodae iuvenliiti suae me condaxeruat »• (2) Roftcoe — op. cit., ed. eit., pag. 145, epiet. Ili: «Nam Palaemo- nlbus, Oronibonis, Biuariis, Naeriis, Portensibas, Gaietanis, Luseis, Leo- nicenisque tuia imp<>8ai, Tisusqae sum orator Quid igitur aateal dubilabant ne conduxisseut Thucididem Bntannicom, vel Ranam 'Sobri- phiam? Sed utramque suspicìonem disonstl ». Questa lettera e le seguenti sono dirette al Trissino, che allora si trovava a Milano ad apprendere il greco, presso Demetrio Calcondila* (3) MSS. R. Bibl. Nas. di NapoU. Coà. V. D. 15. • " III wm^mf* »Jfc^>»*M>W^ I ^ I 11 >WII^« / ' • • VITA DI A. aiANO PARRASIO 73 fonati) quantum vix olira Gares in Leloges, Arcades in Pe- lasgos, Laoed(cinono3 in Ilotost »• Fiere e generose parole che mostrano ancora una volta quanto fosse esagerata i' accusa di coloro che negarono com- pletamente agli scrittori del secolo XVI la coscienza morale della nazione italiana (1). B che realmente il P. avesse fede nel!' avvenire, d è mostrato anche dalla seconda orazione, dove se si notano i medesimi difetti delle altre, e soprattutto la prolissità e una troppo sìidata erudizione, si ammirano similmente gli alti pre- cetti pedagogici e didattici, e le sane norme dettate ai gio- vani e ai padri di famiglia, circa i beneficii di una buona educazione (2). Gonosciutosi in tal modo il valoro e la nobiltà d'animo dell' uomo bassamente calunniato, dietro l' esempio deUa famiglia Trissino, presso la quale egli aveva trovata, nei primi tempi, la più calda e sincera ospitalità, cominciò una vera gara tra le più nobili famiglie vipentine, per sempre più dégnamente onorarlo e cattivarseni) la benevolenza (3). Nonostante tali prove di affètto e di stima, il P. non visse a Vicenza in quella perfetta tranquillità, come credette lo Jannelli (4), per aver ignorate le importanti lettere al • (l) Nencioni. — Nuova Antologia, 1884, 3. bimestre. 2; MSS. R. Bibl. Naz. di NapoU. Cod. V. D. 15. — Orai. II ad Mun. Vincent : « In quo nonnulli parontet, ut hic ordiamur, obiargatione digni sunt, qui spcs quoque suas ambitioni donant et precibus amicorom, non minus insulse quam si gravi morbo quia Implidtus, ut amici grar tiam colligat, oinisso perito salutiferoque medico, se committai ignaroii cuius inscitia fonasse peidatnr ». (3) Roseci, op. cit.,. 1. eit. : € Qni (Trissiol) nihil ad oroaodam tei- lendumque me domi forisque omisenint, exemploqoe coeteris, nt Idem faeerent, oxtitere. Nam cerUnt inter se Thiend, Palelli, Portensea et Cberigati quinam de me magia promereantnr »• (4) Op. cit., pag. 84. • ^ . ^ . \ immmà^J^amm^t0>m^' ^*« ^ , j. j i>^ 1 1 ^,n ^».w ».^,^»*.«i»i<»Im^ »i>» . »! I »«■ *■■■■ a «» «ii ' i^iai^ ■ T i ri i ^ ■■. ì .i -. - ««-ìLm 74 TITA DI A. aiÀifO PARBASIO Trìssino: prima la podagra (l), che aveva cominciato ad af- fliggerlo fln da quando si trovava a Milano, e poi gì' invi- diosi e ignoranti grammatici gli turbarono, come ftl solito, la pace dello spirito. n P. , irritato per i tranelli tesigli da un tal Antonio da Trento e da un perfido sacerdote, di cui ignoriamo il nome (2), accolto nella sua scuola in qualità d'hypodidascalos, aveva già deciso di lasciare Vicenza, quando, per la opportuna ed elBcace intercessione del Trìssino, non solo recedette dalla presa riso- luzione, ma concesse anche il perdono all'infame sacerdote (3). Malgrado i continui fastidii e le non lievi cure dell' in- segnamento, il P. non tralasciò i suoi studii prediletti, che continuò a coltivare con amore e profitto, pubblicando, a breve intervallo, i seguenti importanti e pregevoli lavori: Claunulae Ciceronu ex epistolin familiaribus (4); Breviarium Rhctoriec9 ex aptimU quibunque Oraccis et Txitinis atictoribuM depromptum (5); Probiliistituta artium et Catholica (2*ediz.) (6); Conieliìis Franto — De nominum verborumqM differentiU et Fhoca grammaiiou$ — De /laudi nota, atqne de aspirationè libelluè (7) ». Questa ricca produzione letteraria ci fa argomentare che (1) RoscoB. — op. cit., 1. cit. : € torqueor incredibili po- dagrac dolore : quicquid est mediconim, quicqutd phannacopolarain din noci uq uè conti ncnter exerceo >• (2) L* indegno prete era Irato contro il P., mal sopportando che que- Mlo avesse chiamato nella sua scuola e prediligesse il cosentino Ant4)nio Cesario, uno dei pochi veri e costanti amici delPinfelice umanista, '3) RoscoB. — op. cit., l. cit, : « Sacerdos tuas est apud me laUs honcsta condì tione (12 ag. 1508) ». (4) Veicetiab, MDVHI, per Henrìcam librarìam Veicet et Jo. Ma- rlam oius flllum, in 4. (5) Kal. Jan., MDIX, per Henricnm «te. (6) MDIK, per Henricum ete (7) VUI Id. Febr., MDIX etc..... ^ i/j » n i ì I II » * !■■■ / ■ ■ » m jÈJì iV ■■*'nM>-|f mk Iri i> i liikJ^'- • ■• ■ ••• .. . m i0i ii\ Vii i^i<fti> ■!> ri tf i - •• - ♦ VITA BI A. GIANO PARRA8IO 75 il P. negli aitimi tempi della sua dimora a Vicenza, se visse in poco floride condizioni economiche, da essere costretto a ricorrere talvolta al Trissino per qualche xirestito (1), non dovette però essere più molestato, come per lo innanzi, da nemici maligni e invidiosi. Allettato quindi da quella tran- quillità relativa, succeduta alle lotte interminabili, forse egli non sarebbe cosi presto partito da Vicenza, se non fosse sopraggiunto il pericolo della lega di Cambrai. Appena salito sul trono di S. Pietro, Giulio II mostrò il suo fermo proponimento di ricomporre lo stato della Ohiesa, che era andato in frantumi, non per favorire il miserando nepotismo, come avevano .fatto i suoi predecessori, ma per fondare una monarchia pontificia, che potesse dare al papato il necessai*io prestigio. A tal uopo, appena si liberò di Cesare Borgia, rivolse le sue mire contro Venezia, che si era im- possessata di alcune terre della Ohiesa. La Serenissima, scossa nel suo commercio per la sco- perta della nuova via, che conduceva alle Indie, e per la crescente dominazione dei Turchi, aveva rivolta la sua at- tività a formarsi uno stato in terraferma. Bra riuscita a mera- viglia nel suo intento, ma si era procurato Podio del Papi^ e l'invidia dei principi italiani e dei potentati stranieri, che^ il 10 dicembre 1508, conchiusero a Cambrai una formidabile le^a e per ispegnere, come incendio comune, l'insaziabile capl- digia dei Veneziani e la loro sete d'ingiusta dominazione (2) »« (1) RoscoB. — op. cit., epist. V. : < Summa pecunìae difficultat ia causa fui% ut boa sex aureolos ad diero non acceperìs; ecce cuoi pri- mum licuit ad te dedi. (pridie Jd. Aug. 1508) ». (2) Dal manifesto dell* imperatore Massimiliano emanato il 5 gen- naio 1509. ■. • \ • 76 TITA DI A. aiANO PARBÀ8IO Non narriamo le vicende di quella lotta, solo ci limi- tiamo a ricordare che dopo la triste giornata di Agnadello, 14 maggio 1509, la repubblica di 3. Marco si trovò addi- rittura sull' orlo dell' estrema rovina. In breve tempo Lui- gi XII s' impadroni di Brescia, Grenia, Bergamo, Peschiera, Gremona; Ferdinando il Cattolico delle città marittime del- PAdriatico; il Papa delle Romagne; e Massimiliano d'Au- stria, per mezzo dei suoi messi, di Belluno, Trieste, Fiume, Verona, Vicenza, Padova, n P. non fu spettatore della resa di Vicenza (2 giu- gno 1^09), poiché, come si rileva dal codice, da noi rinve- nuto nella Biblioteca dei PP. Gerolamini (1), egli si era già rifugiato a Venezia, qualche tempo prima che i Vicentini aprissero le loro porte al messo imperiale, il vescovo di Trento. Nel suddetto codice, che -contiene V importante epi- stolario postumo del P. (2) , appare che la prima let- tera indirizzata a Tommaso Fedro Inghirami , per racco- (1) MSS. Bihl. dtlV Orai. d£Ì PP. Gerolamini di Kapoìi. — Cod. Pll. XI. 2. — Questo codice apografo, già descritto a pag. 5 e S4*g., o. 5 di quello lavoro, sia per la provenienza (l)ibl. S. Oiov. a Carbo- nara), sia per la grafia incerta, senza le solite sigle, sia per le visibili correzioni, crediamo sia stato scritto da qualche discepolo del P., allor- ché la gotta ridusse «1 povero maestro « herinae similliinuA, quippe cui nec manus, nec pedes ad officium dati ^Cpist. X.) ». E di ciò indirettamente ci rende certi il P. stesso, quando scrive al Cesario: € ai^ me pessime morbus articularis haberet, qui fuit in causa, ut baae ùXiena numu ad te.serìberem, cum dextra parum commode otamnr. (B- pist. XVIU) ». Più che air epistolario stampato, guasto da non pochi errori, ci at- terremo al suddetto codice per le opportune citazioni, che indicheremo colla semplice parola Epistola e il numero d'ordine da essa occupato. (2; Epistolae Pharrhasii — Neapoli, in aedibus Jean. Pasq. per Do- minlcum Pasquetum Neapolitanuni.propo divam Annunciatam accuratis- sime (!) impressae, anno domini 1523. X - 1 % vn^rnm. m. •:pBSS& QfL 71^ 4L F: Itbmmudsvk. « «15^1.11 i""i T««V2^ £ Su ^;^ Efif^^ h IVw-^tor €Sf^' (ti (Pf. <rt,* f%. ». m. 3 Coa. V. D. IS. — P1M&6» m --^ .T. t . -^ . •- • ^ ■. , '-'* ^ J TS VITA DI JL. aiAKO FIKRASIO Allora il P. si recò a Padova, pia che per tenervi an eoTBO di lezioni, a cai in qnel tempo gli animi dovevano eeriamente essere poco disposti, per trovare un sollievo ai saoi mali ai rinomati bagni della vicina Abano. Inclinerem- mo anzi a credere che si recasse colà i>oco dopo II discorso inaogurale (1), lasciando al téAele Cesario, che non aveva voluto abbandonarlo in qnella circostanza (2), la cara del- l' insegnamento, al quale aveva dovuto assolatamente ricor- rere per poter sbarcare il Innario (3). n P., ritornato a Padova al principio dell' agosto, collo spirito rinfrancato per il miglioramento ottenuto ai suoi mali alle acque di Abano (4), riprese con nuova lena IMnsegna- meuto, lasciando cosi libero il Cesario di tentare a Roma la sua fortuna (5). La Mumma anetoritas deUa storica cittì, in cui per prima (X) MSS. R. BibL Sai. 4i Napoli. Cod. V. D. 15. — Praefalio 'm Horatil odM : « Si qois aliuii, ornatUsioii iiivenes, ex eo loco quem net iKKiettlstimàin Romao Madiolanique et dcmum Vcìcetiae lonuìmas, ad hanc iniquitaUm tamporum radactos ataat, ut privai im doc«ret, ilio qai- dom fato eooTieiain faeoret tiquidem summa buius urbis auctoriiat, celeborrimum Fatarii nomon, ubique gentiunn venerabile, com- peniat omao salarli dotrimootoni ». (2) Lo Jannelli, noo avendo ieooto alcun conto della lettera del P, %1 Cesario € ex Aponi baliceia », ritenne che quest* oltiiro € excessli Viooentia (Romani) XI!! vel Xll Kal. Jonii ( op. cit., pag. 86, o. 3 ) ». (3) Sputala JJ, ex Apani balinais, e. d.: « interea vale et cara disdpuloe eraditioni fideiqne nostrae commlsaoe ». (^ Epistola II, ex Apani balineis : « Salve, Caetari, profuemnt alU qvaatlsper Aponi Iwlinea Bqoidem me cupio ad vot recipera klo enln me taediam eepit remm onnlom ». (5) li Cesario non fa accontentato nei suoi desiderii, poiché nell^ lettera inviatagli da Venesia, io data del 13 settembre 1511, Il P. %| rallegra con Ini « quod incolurois in complexu suorum vivat accoptos (Bpist. IH) ». Da ciò argomentiamo che la maggior parte delle Iutiere del P. gli furono Inviate a Cosensa. ■ « « ■■ 1 1» jiil y « » ■mtl^Mm nm^mi ■■■■«■^■i^ n i* m,tmt, ^ mi Mllb*^i^hUBk«la ì iw«MHk«!fAi«^MiaMUHMUÀli^4b*iS YITA BI A. GIANO PABRA8IO '^T». oon Albertino Mussato emno fioriti^ gli studi! umanistioi, e il nomali celeberrimum da essa acquistato, por ^ aver accolto nelle sue mura tanti illustri letterati| quali Giovanni da .Ba- venna, Pier Paolo Vergerio, Secco PolentonCi Gasparioo da Barzizza, Vittorino da Feltro e, per non parlare di altri, Demetrio Galcondila, allettarono subito il P., sino a fargli dimenticare omne salarii detrimentum. Però i tristi aweiii- menti sopmvvenuti lo costrinsero a lasciare Padova* L' imperatore Massimiliano, essendosi finalmei|te scosso dalla sua inerzia a causa dei continui progressi dei Vene- ziani, nel tempo stesso che Bodolfo di Anhalt si recavi^ nel Friuli, per occupare la tcpra di Gadore, e il duca di Brunswick tentava di espugnare Gividale e Udine, in per- sona per le montagne di Vicenza era sceso nel contada di Padova. Però e non essendo ancora maggiori le forze sue, si occupava in piccole imprese con -poca di- gnità del nome Gesario (1) » : saccheggi orribili, eoddi spietati furono eseguiti dai feroci invasori, la cui indescri- vibile licenza fece ricordare quella delle orde barbariche» Il P., visto scoppiare un cosi furioso turbine di guerra, prima che Massimiliano cingesse d'assedio la città coi suoi 100,000 uomini, verso la n^età di agosto riparò di nuovo a Ve- nezia, dove fu accolto amorevolmente, come forse anche nella sua prima venuta, da Lodovico Michele, che era stato suo discepolo a Vicenza (2). (1) Guicciardini. — 7f<. d'Italia, 1. Vili, cap. Ili, pag. 144, Mi- lano 1838. (2) Appreodiaioo questa notisia da un monito, che si legge m /VonCf del codice descritto (pag. 51 n. 1) Vili. D. 10: « Jaoas Parrbasiiu lia«e Venetiis excerpebat aeger ex podagra, mense Sextili 1500, apnd magoill- oum venetumque patricium dominum Ludovicum Michaéleu« Peni f^ lium ». La mole del codice, di e. 1 10, V esiguità del tempo e la diTsrsa grafia oi dicono però cbiarameate ohe il lavoro dei suddetti Eaocerpia e» Pindaro, era stato già cominciato a Milano. \ f ^«MMhaF«a«tak«MlMfMlMalMto tt 4»t ■ ' ■* «VM-<*' • 7 ^ " • ■* ■ 80 VITA Dì A. GIANO PABBASIO Dei gravi pericoli corsi e delle perdite subite in questo viaggio il P.y con lettera in data del 13 settembre 1610 (1), dà poi contezza al Gesario, mostrando ancora tatto il suo raccapriccio a quelIMngrato ricordo (2). Nella medesima let- tera fa poi noto all' amico V invito avuto dai Vicentini e dai Lucchesi e la sua risoluzione di non voler restare a lungo a Venezia, a causa delle tristi condizioni di salute ; non gli tace parimenti che non è punto disposto a ritornare in patria (3). Ma il desiderio di rivedere il natio loooj pare che poi a mano a mano si sia fatto strada nell'animo del P.| poiché al principio del febbraio 1611 (4), ammalato e povero, egli lascia Venezia per recarsi nella bruzia terra, da cui, circa venticinque anni prima, era partito baldo e vigoroso, col- V animo pieno d'elle più splendide chimere. (1) 1^ lettera porta (fuesta semplice indicazione : « Venetiis, idibus Septembrìs »; noi però argomentiamo che sia stata scritta nel 1510 da queste parole della lettera in esame: € meorum scriptonim nihil adboo odidl, tum quod hiemem fere tciam deculmi »• (2) Epistola III: € Exantlatis qoibasdam aeramnis, quasi per ignet et hostile ferrum Venetias ^'erveni, angue verno spoliatior, praetar aliquid ex illa supellectili librorom, Commentarìos a me Incubratoe habeboque dom vivam Deo optimo maximo gratiam, quod me ex ord faucibos eripalt »• ' (3) Epistola III : € A Veicetinis iror ut eo petam, Lucenses ioTitant honestissimis conditionibus \ Venetiis articulari morbo Texaios in animo morari non est, multoque minus in patrìam redlre »• (4) Ricaviamo questa data òèlVEpistoia IV^ la quale, sebbene porti la semplicii indicazione: € Neapoli, Idibus Februarli », tenuto conto della lettera 4>recedente (Venezia, 13 settembre 1510), appare chiaro che sia sUU seritU nel 1511. * .A * » '^^'< I « Mi «»<ii^" 'ì ■■■■>i ^i<>y« ■>i V >»i»Bwr ■—>■'«*»»*-»*'»'» " * ■ ■»— i I 1*1 la» 1 ^ » '^imr ■ !<%*-■ — i — Vm i m^iO ' H- ii i l ■ 'irftf ' W-l ti^ i i^fci' * «Jlto^MfcAjLjL CAPITOLO DL Ritomo del P. a Napoli e a Cosenza. Disgrazie domestiche. — Teodora Calcondiku Prima di ritornare in Calabria, il P. soni» il bisogno di rivedere illam felicissimam Campaniae oram (1), a eoi era legato da tanti lieti e tristi ricordi. A tal uopo egli si fermò a Napelli prima ancora del 13 febbraio 1511 (3)| e tì si trattenne nn pò di tempo, per ammirare ancora ona volta le bellezze della citta, e per rinfrescare le antiche amicizie. Dovette certo non poco attirare l' insigne umanista quella colt:i società napolitana del^ primo Cinquecento (3), che ha dato alla storia generale della nostra letteratura i nomi di Antonio Epicuro, di Angelo di Costanzo, di Luigi Tansillo e di Berardino Bota, e ad una storia letteraria pia spe- ciale quelli di Dragonetto Bonifacio, Pomponio Gàurico, Pie- tro Gravina, Scipione Capece, Pietro Summonte, Gerolamo (1) MSS. R. BiU. JVojr. di NapoU. Cod. V. D. 15. — PraefaUo la Thebaida. (2) EpUtola IV: € ... . nihil adhae habeo consUtutam quam dio Neapoli 8im fntunis Neapoli, Jdibus Febmarii (1511) ». Da quanto sopra abbiamo detto, appare chiaro V errore dello Jaa- oelli, che riportava (op. cit., pag. 89) al 1510 la venuta del P. a Napoli. (3) E. PzRCOPO. — Rauegna critica détta leti, itid., a. Ili, fase 3-4. K \ "■'-•■r^rrT*4»iin I ù ^^r>l^^ 1 1 III *"r"r- I tr ^ — - \' .''"^ '*^ -■ — . «^--if— >•— «^TV - .* •- -C- • ^- •• 82 VITA DI A. GIANO PABBA8IO Garbono, i fratelli Anisio, i fratelli Seripando, Gerolamo An- geriano e parecchi altri {ly, Col pia vivo piacere il P. fre- quentò i geniali convegni «lei letterati napolitani e fu accolto dovunque colle più sincero manifestazioni di ossequio. Non mancarono, come al solito, i versi apologetici, fra' quali citiamo quelli del prolifico epigrammista napolitano. Giano A Disio, nella cui mente il P. destò il ricordo degli antichi soci della gloriosa Accademia pontaniana: Qui8 non his tabulis dubia dipingitur umbra Commeritas, qais non byali ridenta colore. Insigni virtute vir, et spectatus amicus? Tene ego praeteream, cui Musae tempora cireum Jusserunt hederaa, et amicaa serpere lauros (2). ■ . • Il P. allora forse rinde Gjovan Tommaso Filocalo da Troja, Gerolamo Garbone, Francesco Puccio da Firenze, alle cui lezioni aveva assistito durante la sua prima dimora a Napoli, ricavandone non poco profitto. Allora similmente rese sempre più saldi i vincoli d'amicizia, che lo legavano^ al dotto e munifico Antonio Seripando (3). Pare che egli conoscesse quest' ultimo alla scuola del Puccio (4>, tra il 1492 (1) So questi scrittori, quasi tutti poco noti, rìcbiaroava testé V at- tenzione degli studiosi 11 chia.mo prof. Flamini, cbe additava In essi « no territorio da esplorare della gloriosa nostra letteratura umanistica »• Rassegna Bibl. della ìeU. ital.^ VI. (2) Janl Anysii, Varia poemata et Satirae ad Poropejum Colomnam cardlnalem, Neapoll, Suitzbach, lib. IV, pag. 66. (3) Giano Anisio. — Op. cit., 1. Ili, pag. 66; Bernardino Martlrano. Bplst. ad Card, de AccoUIs Ante Comment. In Uoratii Artm Poeiie. Parrbasll, Neapoll 1531. (4) Che realmente 11 Seripando sia stato alunno del Puccio lo rile- viamo dair iscrìsione da lui fatta apporre nella cappella gentilizia di Si. Giovanni a Carbonara : € Francisco Puccio quod bonarum artlum sibl maglster foisset ». Mabill. Museum 2ud. T. I pag. 108; Jannelli, òp. cit., pag. LO. . <>■— *i— i^i^Wi^^^— fci^^ii^^ <^ -01 ^hna^Ji^iM^^dh TRA m A. OASO FAKKAS» e fl 1483« e cIm fa d'allora avesse orì«:ÌBe qaell* aaiieiziay ^e, sebbeae ww d sia aUcsiala da vaa comspwaàeniM epi- slolare, cerhimeale saiarrìla* pare possiano asserire elie 8» stala qoaalo Bai calda e siseerm. B ar^oai^iliaaM ciò^ idtre cIm da qnaleke fupiee ae- cenno (IX da qad nobile atto del P., Ae alla soa moria lasdara all'amico fedele qaanio OTera di pia caro al mondo: la soa biblioteca e i fintli del sao hin^ e paziente lavoro (2). Prezioso dono che fl Serìpando seppe degnamente apprezzare, accorrendo a Cosenza a slrappario da mani rapaci (3), e cn- stodendolo ^losamente a Kapcdi (4); dove, morto lai, passò in potere del Cardinale GerolaaM, sno fratello, 3 quale in- (1) Pabbasio. — Dt Rekms tàe. OnJL ante prmdccl. cpìst. Cie. ad Altiel, ed. eit., ptig. 251 : « Qood eqsidaii um f^àaaem^ wmà ìat ircB ii 'mnt Antooins Scripandiis^ ia ilU doctì»i«A aostia Ntepoli suìmo loeo oaUn, alomouaque Masanoiia, d« aobb optiaM meritai »• (2) ApprendUmo ciò dal folilo laooite cke si trova io tatti I eo&i • i libri dd P. : « Aatooii Seripaadi ex Jaai Parriiasii tcstameote » V. pure Giano Aoisio. — Yarim poem^ L VII, pag. 97 : « opes beata* Parrhasii quoque miasas amico, ex asse legatas Seripaado ». (3) BzaNAmoiHO MAmTimA!«o. — EpisicU ctt. ante Cémmt^nfL In Art. poet. Hondii Parrhaài : € omncs pene Parrhasii vi^iKas, vix eo defnncto, rapacissimia unguibos oocupanint . •• • Actum profeeto de iis aerìptia fuisset, fanditosqoe occidissent, ni Antonine Serìpandns, vir non minos probitate, qaam hnmanitate clama, hnic obriam pesti prodiisset » • Giano Ani»o, op. cit., L V, pag. 03 : Haeredem nnsnimem Ubromm bie scripcit amlenoi. Te, Seripande: menu cnn lacts Insl^nt anro Phrìxeo, ad doonm accestì Lncanta In (4; I seguenti versi di Gerolamo Carbone, tratU dallo Jannelli da un* elegia adhue inedita^ (op. cit., pag. IX, 90) ci farebbero credere che il Serìpando illustrasse le opere del P. in hortis Carboniatdi : iDTisit {nune) cqiCos Serlpandus sodalas bortos logcoii repetcDt tot moaomenU sul, Doctaqu* ParrhaMl scripu et memoranda per aernm. O Adam fltuctaa pectns amidtlae I \ 84 TITA. DI A.. OUirO TÀXRÀSIO sieme eoi sooi libri n« arricchì poi la Biblioteca di 8. Ofo- Taani a Oarbonara (1). HoD sapremmo beo precisare quanto tempo il P. si for^ masse a Napoli ; sembra però ohe la eoa dimora In questa citti non oltrepassasse i dae mesi, poìobè II suo arrìro a OasalnnoTO (2) non dovette essere dì molto posteriore al 31 mu^o, giorno in cui egli annonziava da Hapoli la sna proa- sima venata a Cosenza (3). D 10 giogno lo troviamo a Castrovillarl preoccupato per l'improvvisa malattia, da oul era stato colpito fi flgUnolo (4), I* onico che ancora gli avesse risparmiato I* inesorabile fbr- tona (6). Pare ohe allora la malattìa del bnciollo non do- rasse a lungo, poiché il F., prima tanto indeciso se, per cararto, dovesse restare a GastrovUlori, o recarsi a Policaatro {i), • (1) M»biH. — iter flot, iwg. 110, Lnut. Pirii 1687; MMtbM. - BibUoih. Bibliotlue. T. I, pag, 231 . Oiustlo. — Utmifr. tlor. eHt, d^Ui K. Bibl. Borb., ptg. 50.: Andrea. — Atucd. Grate, tt Lai. Proòt. ptf. XXX ; Jamnblu. — op. clL, Vili, 161; Pibus di Nouac,— la BMMiifUé éé Fulvio Ortini, PuU 1887, ptg. 196 • Mf. (2) CtMlnaoTO eradUno oh* mU l'odiwaa VinapUas. atlU prvvlMU di COMOU. (3) Sputata 7, ex CaMoU mk«, s. d. i « 81 niAu» tlU «Mrt a n« liUarM, qou prìdia Kl. Aprìlli «d u HnpoH d«d«rMa. U* 4Mim npt^ un ftdT«Dtuin meum Adibo Csalnia rilUri», M»U rMU (*) EpùMa VI, CaUnviOari, iO lunU: « Adbu U tiy— t«lWM samni, at quiden ub dnbla, ob alUrins aJvMwn ÌIMI rilTlifffttw qui, mUta morbi t) correptoi, d«eamb«r« nvBslstar ». ' (5) Di J^<^w *(«. - Or»t. uu ptMUM. Is •piM.'cU. U Ali,, H. dU. pag. 245: ■ Quanqu* m* ctniMl iofma Sfplrila PM«m MMt. «Unum nndam farori tuo pwtiu offarrv. Mfttl qaUas mm mmmM U pMDAia, libero, .utom meliorM mbdU m„^ « (,0^^ <«mI«m ■«««*. tur fnrellcM, «t cito morlttirl) de dm ««« rMMs ,.,',» (6j Sputala T/: ..,.,,.,» a^ ^^ ^ l,'tol,'s«V«fc«,(,^^ «at MMfoUm moeraw ». ^ii< itiiw K ti irt i;!! I ,«■111* ■«■rtwih II » a t iii WM M mtmi0m ' u At ^ mihM ^ ■ I mr w i ■»•»■ — »«^iibi^*A>a*^ifc»*«^*i< m'i* i * i ^ i <. • ^ • .^-d VITA DI A. aiANO PABRA8IO 87 bene, da lui aveva forse attinto coraggio e rassegnazione nelle continue avversità toccategli dopo la sua partenza da Milano -•'..•• I ebbene ora anche qnest' ultimo conforto gli era negato per sempre. DerelittOi affranto sotto il peso di tante sventure, crudelmente tormentato da mali fisici e morali, V infelice letterato sente intorno a sé quello spaventevole vuotO| che fa divenire la vita un insopportabile fardello. Ncfl parossismo del dolore, a guisa del naufrago che cerca di affer- rarsi a una tavola salvatrice, egli rivolge il pensiero alili moglie Teodora, invocandone pietosametite il. soccorso con quella mesta e profopda elegia, che tutto rivela lo strazio del suo onore (1): Lticiis lace magia misaro dìleota, m^squ« Te uno ìam eaecìs unica lux ocalic. Quid maestam aine luce domum, Irìstique gravatam Nube, quid ehu ! miserum deaerìs ia tenebrìa f Se abbiamo modificato il nostro giudizio, espresso in un primo lavoretto scolastico (2), circa i pregi di questa elegia, il tempo in cui sarebbe stata scritta, e ì raffronti istituiti, riteniamo ancora fermamente che essa sia stata diretta a Teoilora Calcondila; poiché altrimenti, tenuto conto deUe coalizioni d'animo e dell'età del P., non sapremmo dire a qoale altra donna avrebbe egli potuto rivolgere questi versi (3), ohe ci sembrano dettati dal cuore e non per semplice eser- citazione retorica: Tu potea buoo animum insti caligine meranm Protinua, excuaaia nubibaa, erìgere. Erìgere hnnc animum pulaat qui limSna mertia. Pectore iam vacuo ai quid ioeat animi. (1^ V.^ noatro lavoro. L' Elegia € ad Lmeiam > di Aulo Giano Par» raaio ecc.. Ariano, Stab. tip. Appulo-irplno, 1890. (^ Op. cit. (3) Piccante V ossenraxione dello Jannelli a questo punto (op. eh. pa|t. 94; : « Quantumvis perditorum morum illum fuisse fiugamoa, indo- cere ne sani iu animum possumus tam seno tantia votia meretrìMA procul abaentem ad ae arcessere Parrhasium potoiasef ». Iu« 88 YIIJL DI A. aiANO PABRÀSIO Per mancanza di dati, non possiamo ben dire se per pun- tiglio di offésa vanità femminile^ o per non allontanarsi dai saoi vecchi genitori, la Calcondila non segui il marito quando da MilanOi si recò a Vicenza (1). Dalla lettera al cognato Basilio apprendiamo solamente che, malgrado le continue insistenzci il P. non potè riunirsi con la moglie (2), se non quando gli fu assegnato a Boma la cattedra d' eloquenza (3). Quali che siano i motivi che abbiano spinta la Oalcon- dila ad agire in tal modO| noi non possiamo non biasimarla sia come sposa, sih come madre: come sposa perche resta impassibile alle preghiere dell'infelice marito, che, per quanto colpevole, chiamandola a sé ripetutamente, le aveva data la più ampia soddisfazione ; come madre perche mostra di non sentire alcun affètto per l'unica sua creatura, che, priva delle carezze e delle cure materne, a guisa di tenero fiore, a poco a poco intristiva e periva miseramente. (1) Nella seconda lettera al Trìssino ( Roscoe, op. cit. ) il P., dopo avergli detto facetamente che dispone con piena libertà delle sostanze di Ini, eoque forUusé plus, quia sunt uberiares, gli dà notisia dei compa- gni di greppia^ senza fare alcun cenno della moglie : € Amanuensis item graecus ex Creta Nicolaus, quem Trissineo Lisiae designave- ras Accessit ^ Lario quoque lacu Simon Age nuno et lopos bospita »• W OuDio. — op. cit., epist, XLVIII, pag. 137: € Sed in primis a me salutem optimae socrui et uxori. Quum litteras ad eam dabis, de onios Toluntate nihil ad hanc diem ex tuis literis intellexi, reditura ne sit in gratiam contuberniumque meum, vel quid aliud in animum agitet. Ego enlm statui vel secom vivere, vel aliud vitae genus hoc longe (Cosentiae) quietius instituere ». . (3) Dopo la morte di Demetrio Calcondila, avvenuta nel 1511, Teo- dora colla madre e col superstite fratello Basilio (Teofilo era stato ucciso a Pavia e Seleuco era morto in tenera età) aveva stabilita la sua di- mora a Roma. ' . -l -_ - 1 || _-- -ì| — l'i i fc ^ " ' ~ •" • >■ ■ ■ I !■ É« ■ . Jt f '', HfcaUfciifc^M 1< • 'frt' 111» CAPITOLO X. Un triennio in Calabria trascorso a Cosenza, AjellOv Taverna, Pietramala, Paola. Di capitale importanza nella vita del P. è qael periodo di tre anni (1511-1514), che egli passò in Calabria, prima di essere chiamato a Roma a occnpare la cattedra di eloquenza. Esso merita di essere studiato attentamente, soprattutto per determinare Pepoca della fondazione della gloriosa Accademia Cosentina, avvenuta per opera del nostro insigne umanista. Per quanto possediamo un ricco epistolario , che si riferisce appunto a questo periodo, pure non ci riesce cosi facile precisare dove e quando si siano svolti i diversi av- venimenti, perchè il ?• nelle sue lettere, tranne la prima, si limita ad indicare soltanto il luogo, il mese e il giorno, senza dire che omette talvolta anche queste indicazioni. Pccorre quindi uno studio accurato per poter scorgere il nesso e la durata dei diversi fatti, e non cadere quindi nelle erronee asserzioni dello Jannelli (1). Appena si diffuse in Calabria la notizia della venuta del P., gli vennero inviti da ogni dove: egli però, per quanto già si fosse mostrato propenso ad accettare l'incarico d' istruire i figliuoli del conte Antonino Siscari in Ajello, per le disgrazie accadutegli, e per regolare gli affari della fa- miglia del morto fratello, fu costretto a rimanere ancora per un certo tempo a Cosenza, dove apri pubblica scuola. (l; Op. di., pag. 91-99. ,• J i 90 VITA DI ▲• GIANO PABBASIO B rileviamo ciò da ima lettera, nella qaale il P. invita il Oesario a Cosenza, e lo prega caldamente di condurre seco nn tal Gerolamo, al quale promette ricompensa adeguata alle proprie fatiche (1). Ohi non vede che richiedeva dai detti amici la loro opera d'hypodidascali, più che un semplice soccorso morale nelle disgrazie, che Pavevano colpito! (2). Fu appunto allora che frequentarono la scuola del P. Carlo Giardino, Olario Leonardo Schipanio, Pierio Giminio e, per non parlare di altri, Bernardino Martirano (3), il quale, oltre a divenire nn valente letterato, percorse con molto onore la carriera politica (4). a. . • • (1) Epistola JX, CosetUiaey s. d.i € utiaam per occupationes tuat lioeret, ut hio adess^es, aut ope aut Consilio me adiuvares, sì tecum prae- sertim duceres Hieronymum, qui vel amori erga se meo, vel affinitati hoc tribuere deberet. Usurus euim videor cius opera, oon dira suum commodum atque emolumentum ». (2) Lo Jannelli scivola su questo fatto importantissimo, perchè con- trario alla sua tesi, circa V epoca della fondazione dell* Accademia Co- sentina, • ritiene (op. cit., pag. 143) che non allora, ma al ritorno da Roma (1521) il P. aprisse scuola a Cosenza. A prescindere dal fatto che il P. non sopravvisse che pochissimo tempo alla sua venuta in questa città (Pier. Valer. — De infel. Zàl., 1. I, pag. 24), non rifletteva lo Jannelli che Bermtrdino Martirano, il più bravo degli alunni che il P. ebbe a Cosenza, era già consigliere di Carlo Y nelP esercito imperiale, quando egli, nel 1521, lo fa pendere intento e cheto diffla bocca del suo mentore*. (3) Epùttola nuncup, ad Card, de Accoltis ante Parrhasil In Art. Poé'tie. Horat, Comm. Neapoli, 1531 : € A Parrhasio ita semper et eru- ditus et dilectus sum, ut uni patri concederet soli Sed tanta fuit ipsius magnitudo in me merìtorum, ut mihi ipsi nunquam satisfaciam ». (4; Bernardino Martirano, autore del pregevoli poemetti VAretùsa^ il PoUfemo ecc., fu a NapoP il mecenate della letteratura ufficiale sotto Carlo V, di cui fa consigliere neiresercito imperiale dal 1521 al 1520. Occupò poi r ufficio di segretario del conestabile di Borbone, del viceré Lanoya e dell* Orange, quello di segretario regio nel 1529 e del Regno dal 1532 al 1535, sotto il vicereame del Toledo. V. Francesco Pometti. — / Martirano, — Romi^ Tip. d. r. Acc. dei Lincei, 1^; E. Pèrcopo. — Uauegna critica^ a. HI, £uc 3-4. i#« • ^■ ■ t.iihiw T fca xn p» i < i liti tàm^ t^ Èà Hh t tfi ti ìt IVMitàdÉjJ^h idWri^fw^l». (1) Epistola X, (AgelU^ circ. Jun. Ì5i2)i €....% bermaa timil- limus, quippe coi neo manus nec pedes ad officium dati, sed ut ineredibili dolore cracientur, utcumque vivamus, immo quotidie morìamor, Amieit qoibus ita visum, tibique gratiaa ago maxi mas, qui Parrhasii reliquia* tam constanter amas ». (2) Epistola Xl^ ex balineù Lyìtaniae^ pridie Kal. Sepiembrò. -». Lisania è V odierna Nicastro ; ma, come osserva il Fiorentino, (op. <^t«. Voi. H app. pag. 317) qui ni tratterebbe propriamente dei bagni termali della vicina Sambiase. (3) Allora il Cesario rimase a Cosenza a dirigere la scuola fondata dal Parrasio. VITA DI A. OIAlfO PAJEtRASIO 91 Oerchiamo ora di determinare quanto tempo il P. si trattenne a Cosenza: Dopò VEpistoln IX{b. d.), che per gli accenni alla lettera precedente, in data del 21 settembre 1611, non deve essere a questa di molto posterìore, appare una lunga interruzione nella corrispondenza col Cesario. Infatti la prima lettera, (s. d.),' che il P. gl'iiÌTiavada Àjello, enumerandogli tutte le sue sofiferenze (1), non può essere che di un mese, o poco più, anteriore a quella che poi gli scrirevail 31 agosto del seguente anno 1512, dai bagni di Sambiase, dove era an- dato a sperimentare la virtù di quelle acque term&li (2). Da ciò chiaramente si desume che P interruzione episto- lare fu causata dalla presenza del Cesario a Cosenza, e che il P. non potè recarsi ad Ajello prima del maggio del 1512, dopo aver cioè dimorato a Cosenza per lo spazio di più di nove mesi (3). n conte Siscari, orgoglioso e felice di potere affidare V educazione dei figli ad un tanto maestro, accolse il P. ooUà più cordiale ospitalità e col rispetto dovuto all' alta e meri«- tata fama di lui. Inoltre, dotto e munifico quaPera, il Siscari ricolmò di doni V illustre suo ospite e si adoperò perchè fosse conosciuto, onorato e circondato nel tempo stesso da nn'eletta * I • ■ ' * • . 92 YITA DI ▲. OIÀlfO PABBA8I0 cerchia di ammiratori. A tal uopo egli invitava nella propria casa le più spiccate personalità, che allora si trovassero in qaella regionOi come quel Ludovico Montalto, sicilianoi noto per la sua svariata coltura letteraria e giurìdica, non meno che per i suoi importanti servigi militari (I). Questi, dopo aver occupate alte cariche in Sicilia e a Napoli, affidategli dalla fiducia e dalla benevolenza di Fer- dinando il Cattolico, era stato destinato in Calabria, e ad ordinandam provinciam, compescendaque perditorum quorun- dam latrocinia » (2}. Conobbe subito il forte ingegno e la vasta coltura del P., e non tardò a dargli chiara prova della sua stima, ricorrendo a lui per continui schiarimenti sugli scrittori e sulle antichità classiche. Il P., sia per V alto grado occupato dal Montalto, sia per un certo sentimento di gratitudine che nutriva verso il valoroso soldato, che era riuscito a liberare la sua amata Calabria dai ladroni che V infestavano (3), gli forniva vo- lentieri le notizie richieste; anzi cercava di accontentarlo nel più breve tempo possibile, come quando, in una sola notte, (1) SuMMOim. — Istoria di Napoli^ 1. I; Toppi. — De origine Tri- buH,, pag. 145 • Mg. ; Monoit. — Bibl. Sicula, T. II ; Jannblli. — Op. cit.« pag. 9Z. (2) MSS. lU Bibl. Noi. di Napoli. Cod. XIII. B. 16. — Cari. aut. mm. 295 p«r 198, di o. 40, non num., compresa le guardie e 13 o. bian- che interpolate in diversi punti del codice. La grafia è più bella e pre- cisa di tutti gli altri codici parrasiani; è legato di pelle e porta 11 solito monito : € Antonii Serìp. ex Jan! Parrhasii testamento ». Cont. : € De Sybarì, Crathi ac Thurio; De mensuris ac ponderibus; Epistola ad Ludo- Ticum Montaltum ». Incip. € Nunquam dubitavi »; expl. € ipsa facit »• {?) MSS. R. Bibl. NoM. di Napoli. Cod. XIII. B. 16. — Epistola ad Lud. Montaltum: € . . . . antiquorum ponderum mensurarumque mo* dos et appellaliones indignum putavl negare tibi, per quem parla publica securltas, otioque tranquillo froi licei »• ^^'^' .-^-.^^ . r-,...^ .t^ . t,F .-^ t. VITA DI ▲.GIANO PABRA8IO 9S * scrisse per lui queUa langa ed aconrata trattazione sui pesi e sulle misure antiche (!)• Menando una vita regolare e tranquilla, tutto dedito ai suoi studii e all' educazione dei figli del Siscari e dei nipoti| condotti seco da Cosenza, il P. sentiva ornai alquanto sol- levato il suo spirito, allorché la gotta venne di nuovo a tor- mentarlo più atrocemente che mai ; e questa volta P avrebbe certamente spinto alla tomba, senza le assidue e fraterne cure del buon conte Siscari (2). Il Cesario, come sempre, buono e affezionato, non mancò di accorrere presso il diletto amico, quando questo, dovendo recarsi ai bagni di Sambiase, ebbe bisogno di lui. Appreor diamo ciò dalla lettera che il P. gli scriveva dai bagni sud- detti, in data del 31 agosto 1512, nella quale, dopo aver 'accennato al miglioramento della sua salute e al suo pros- simo ritorno, gli raccomanda caldamente i figliuoli del conte e i nipoti (3). Ad AJcUo il P. si trattenne poi sino alla fine del 1512, epoca in cui egli ritornò a Cosenza, dove venne a visitarlo P affettuoso cognato Basilio (4). Questa volta però il P. non vi si trattenne a lungo. (1) MSS. R. Bibl. Naz. di Napoli. Cod. XIII. B. 16. — De meo- 8urÌ8 &c ponderìbus: € Haec habeo quae^de ponderìbus et mensaris, opere tumultuano, nec amplius quam lucubratione unius noctis ad te, sicat iussisti, Bcrìberem; ea, quaeso, boni consule, nìhil enim potest esse lèsti* natum et ad unguem factum. Nam si diutius in fermento fuissent, eiti- ditissimas aures tuas aut implevissent, aut certe non offeodisseot, (2) Epistola X: € Ego vero, Caesarì, nibil babeo, cur adeo de for> tuna querar, quam quod ex illa mortis imperturba tissima quiete me nir> sue ad aerumnas vitao revocavit; abibara laetus ex bac inutili corporis sarcina, si per faeroem (Antonino Siscari; cui Servio licuisset. Is enim sani* mis opibus effecit, ut ego diutius articularis morbi carnific}nam perpetlar »• (3) Epistola XI, ex balineis Lisaniae, pridie Kal. Septembris : € Bar linea visa sunt »liquid opis actulisse Ego propediem revertar, ioterea tu cura pueros beriles ac meos, ut tui moris est »• - (4} QuDio. — Op. oit., epist. XLVIII, pag. 137, ed cit 94 YITA J>I ▲• OlANO PAKIUSIO • poiché si recò a Taverna, parC| tra l'aprile e il iiia^r^o dol 1513 (1), vi tenue un breve cor^b di lezioni* di cui oi ò giuut4i solUiutH) V orazione. inauguralo intorno ali* impor- t>anza o all' utilità della grauimatioa, che trascurata e quas^i disprezzata! dai più, secondo V oratore« e la sola disoiplina che possa far acquisUiro un vero e foudat-o sapere (1). Questui spontanea relegazione del P. negli estremi conilni della Calabria dovett<e destaro non poca meraviglia e susci- tare non pochi commenti presso i letterati dol tempo; siccliò uon crediamo di errare, asserendo ohe quel carme inviato da Giano Anisio nella Sila, tra gli alti pini, perche vi tro- vasse quel celebre Parrasio proprio lui !.. sia uno dei t4iuti inviti degli amici, perchè rit-ornasse a brillare ia più degni agoni (2) : Fiirrhiuiìum ad SyUm Oenotrìaipio arva colanteia Proccrat Inter picela pinus«pie, P*P>'i^ 1 moA, oonvcnÌM, coiupolla uonilae oUro Piirrbasiuin ne illum pratvUrl noìulnUY ìllum l|t«uui iot^uam Kd era lui davvero, osserva il Fiorentino (3), il maestvro di scuola di Taverna, che eni pure il miglior critico che avesse allora V It-alia, si ricca di filologi. Durant-e la sua dimora in questo villaggio, il P. rivelò up' altra bella dote del suo ingegno multiforme, cioè la sua • ♦ (1) A/SS. R. DM. Siu. di ^^opoU\ CoiK V. D. 15. — Oralio ad TabornMtt : « Qao uullurn uialut pignua an>uHs erga se nioi TaWrnatea hfbere queant, <)uaiu quod ego qul^ ìuvenia^ iil parva conloumeliam^ quae prius dUcuQtur studia nunc, annia ia aealum vergeniìbua, eoruui oauea, veluf (a puerUiain relabor, ut adoleecoatìum utìlitati con«ulam ». (2) Op. eìU 1. Ili, pag. 66 e eegg. (3) Op. olt., V. ÌÙ *PP* ^^^^^^^^^g,^gf^,.^g^^^J^,i^^lt,mm»m * t*ii<k l *J«»i W i » « t«a Ti I I i >ai 'T « r"*' '■" IT ""* ' «4 VITA DI k. GIANO PARKABIO 95 grauile perizia negli studi! atvheologici* Tare cli« nemiuMio A Tavoriia nìaiica.<soro quoi soliti IctU^rati ila 8trapa7./.Qy ohe fomiti di una barocca o disoixlinaUi coltura let-toraria, ero- dovano di poter imporra a.s;li aìtri la propria opiniono (1). Fra questi ricordiamo un tal Crasso (2),» che, per un esagerato spirito di campanile, aveva s,>sato calvgoricamento alTormaro che bisognava riconoscere presso Taverna Tubica/iono doIPau* ticaSibari(3}* 11 P., non potendo sopportare una ìmxÌA arro-r gan3uì« scrisse contro T ignorante mtttihit'HuH una dottai ed ela- boratali dissert-a/ione, nella quale, basandosi sulle testimoniaiuo di Aristotile, Mela, Strabone, Tolouìco, IMìnio e parecchi altri, oltre a determinare che V antica citt«à sorgeva tra^ flumi (1) .V^\ A\ DibL Sai. di SapiìU. Ceni. XUI. H. Itì — De SyUri, Oratili AC Tliurìo :€.... sUm^ proivus in à\ho Upidd lincao, nihìl oiunìno sìgnanK ìisipio shuiliMit ipii iH>r tonobran aiubulaiit^ apprehcMiduni (^uìo^uid ad maims oooiirrìt. IH qui bonis et iuali« auotoribuH suflar- rinati, tcstimoniis utuntur, aut miniale necc»$arìi8« aiit contra oausam certa suam », (2) .Vv<5. A\ RìM. Siu. iii XitpoU. Cod. XIII- B. 16, — l>« Sybari Crathi ao Thurìo : « Ao ut agnoi^oant omnes ea quae tantum Crassus (1) olfecisrìt ox inversi» Aristotelit rerbis e»s« nobis esplicata*». il) Quoto Crasso non è punto GiOTffn&l Crasso da IVdaco, coma poco ao- cortamentd cjr>Nlo(ta lo JanntlU «op. cit. |ui^. 8^), Anche ainmettondo che e^U noi IMS fo»5e ancor vivo, si op porrebbe a una tale assorclone quella nobile lettera del P. ( /V Kfbtis rtc.« pa^. ìi{ ; pr. laY., pa^. 9 ), al >uo caro maestro, dalla quale appare che questi, più che schierarsi contro 11 suo antico discepolo, ricor- reva a lui |>er schiariinenU e constigli. (3> .Vò\^. /?. lUbL -Vai. di Sapoti. Cod. XUI, B, 15. — De Sybari Crathi ao Tburìo : « Quantum fidei sit habeadum crassae minervaa ma- gistellis, audentìbua atBrmare Sybarim adhuc oxtara iuxta Tabemaa, Jt appallante oppidum, vel ex lioo iatelligi datur ». > ■i"r'%ii I ,1 ». •TT'.'>«»^^««^faat*4t^^i*#«>aM«MM»«s%v>«ab«M^M>»^<i • « • « 96 VITA DI ▲• GIANO PABRASIO Orati e Sibari, sostenne eoe valide ragioni che Tnrio sorse più tardi sulle rovine deUa stessa Sibari (1). Non mancò similmente, essendoglisi oiTerta V occasione, di ricordare e di stabilire V ubicazione di parecchie altre città del 8inu4t TarentinM (2). Da Taverna il P. passò a Pietramala (3), dove lo tro- viamo il 27 settembre 1514, come ci attesta nna sna lettera a Tommaso Mercatore, di Taverna, suo hypodidascalos (4). Si trovava colà appena da poco tempo, quando gli pervenne la lettera (5), che il cognato Basilio gli ave vit inviata da (1) MSS. R. Bibl Nas. di Napoli. Cod. XIII. B. 16. — De Sybwi, Crathi ae Thurio : € Ecc« Plinius, Hìstor. natur. Ili — Secuadus, inquit, Earopae sinus incipit a Laeinio proniontorìo, a quo abest LXXV milibaa paasuuin oppidum Croto, aioDis Neaeth'us, opplduin Thurium inter duot amnes, Grathia et SybariVn, ubi fult urbs eodem oomioe. Similiter est Inter Sirìn et Acirio Heraclea, aliquando Siria vocitata. — Quid apertiuaf Esse Sybarim cum Thurio eandem negare non poa- sunt, camque a Slrabonc, Mellaque Pomponio et Plinio reddi in aina Tarentino, Sirìtìdi et Heracleae proxìroam« cum quae nune ab iia asse- rìtur Sybaris extra Tarentinum sinum certe sit, et adeo durum habent os, ut opinioni quamquam perversae, quamquam damnatae pertinaciter haereant». (2) Di questa importante dissertazione, notevole non solo per i ri- soltati a cui giunge il P., ma anche per la conoscenza delle condizioni della critica in quei tempi, ci occuperemo ampiamente nel secondo volu- me, mettendola a raffronlo coi recenti dottissimi studii sulla Magna Grecia. (3f Pietramala è 1* odierna Cleto, nella provincia* di Cosenza. (4, Epistola XXXir, Petramalae, V Kal. OctóMs Ì5i4. Le quattro lettere del P. € eruditissimo iuveni Tamisio Mercatorìo arai- corum optimo» e un'altra € Bernardino Minorìtano, sacerdoti ac theologo facundissimo » si trovano in fine del cod'ce e dell* epistolario stampato, sebbene per ordine di tempo dovessero occupare altro posto nella raccolta. t5; Epistola XXX III, Petramnlae^ i. d, (Tamisio Mercatorio": € Roma perlatas ad me litteras ex Basilio uxoria mae fratre, Ioaoneque Laschari, Ilio Qraecorum omnium nostri temporìs eruditissimo, qui gratia aucto- ritate plurimum valet apud Pontificem, Phaedroque et CItrario, quibus accersor ad urbanam profectionem ; nec videor in Brutila diutius fore, quam quod coniirmer et vlaticum parem ». , - -- I ■" < "J i -Ll ì ,1 ^ - t .'-I' - J^-'— ..-.iJ^-.-. Z .^^^^Mm^^ .m — »^.^; j^^^.j^^j.L^j:a.iA^fc.^hA:J3ML^j VITA DI ▲• OIANO PAEBA8IO 97 Boma, fin dal 31 agosto, per aonanziargli la nomina alla cattedra di retorica nel Ginnasio romano (1). Da nna lettera • all' amico Bernardino Minorìtano ap- prendiamo che il P. il 2 ottobre si trovava ancora a Pie- tramala (2) ; ma non dovette trattenersi a lungo colà, poiché il 5 novembre era già a Cosenza, dove gli ginnse il Breve pontificio, che si affrettò a comunicare al Cesario (3.\ rimasto forse a Pietramala per attenuare la penosa impressione de- stata negli animi dalla improvvisa partenza dell'amico (4). Ma, come al solito, questa gioia fu amareggiata da gra- vissimi dispiaceri : la cognata Vincenza, dòpo aver per tre anni imitata la casta Penelope, innamoratasi di un tal Paolo Capati, era passata a seconde nozze, e espilata poeuitus parvornm liberorum prioris tori ereditate »; oltre a ciò una nipote, non aveva saputo resistere alle lusinghe del vedovo cognato (5)« (l; GuDio. — op. clt., epìst. XLIX (prid. Kal. SapU 1514): € Ibi (in Rotulo) tu in primis adscriptus es cura salario diicontorum* aureo- rum. Aliud insupcr excogitavimus, ut maiorì cum gloria et honore Ko- mam peteres ». (2) Epùtola XrXVI, Petramalae, VI Non. Octobrii Ì5i4. (3) Epistola XII2, Cosentioe^ Non. Novembrù Ì5i4z € Non dabito quia acceperìa a Pontlfice mihi redditat litteras hoc ezemplo: Dilccto Allo Jano Parrbasio Leo PP. X Dilecte fili salutem et apostolicam benedictionem. Cupientes ut Ro- maaum Gymnasium optimis doctoribus abundet, quo ii qui se bonis artibus dedidcrunt ea ex re percipcre fructus uberiores'^possint, de tua io studiia mitioribus doctrìna certiores facti, ad ea doceoda, profiten- daque Romae publice te elegimus. atatuimunque ut singulis annis da- centos aureos baberes. Quamobrero hortaimir te, ut ad Urbem quam primum te conferas, libenti enim et paterno animo te videbimus. Datum Romae apud S.Pelrum, sub anulo piscatorìs. — Die XXVIII Septem- bris. — P. Bembus« ~ V. Bembo. — Epist, lat.; Chioccarxlu, op. eit* pag, 232; Spiriti, op. cit., pag. 25; Zatarroni, op. cit., pag. 65 eco... (4) Dair Epistola XXXIII^ diretta al Mercatore, appare infatti che il Cesario gli aveva fatta una visita a Pietramala: € Caesarìus bodie mecum cenat • • • »• (5) GuDio — op. cit.9 ^pist. XLVIII. ^ mJ -(-.>-■—«> .« ■• -^' • ' 98 VITA DI ▲• GIANO PABRAdlO L* animo sensibile del P. restò fieramente colpito da si brutto fiittOy che aveva macchiata V onorabilità della saa famiglia; sicché, volendo honesto nomine cancellare l'onta del nefandum cHmen, pregò caldamente il cognato Basilio di . voler interessare, presso il Pontefice, il Lascari e V Inghi-^ rami, a fine di ottenere la bolla di dispensa per qnesto matrimonio (1). Durante la sospirata attesa il P., per allontanarsi forse da un luogo per lui o<lioso, da Cosenza si recò a Paola, di dove scrive al Cesario in data del 26 novembre (2). Quivi pare che si sia trattenuto un certo tempo, finche tornato a Cosenza, dopo aver assistito al poco fausto imeneo, verso la metà di febbraio, si diresse alla volta di Boma (3)* ^ (1) OuDio. — op. cit., epist. XLVIII. (2) Epistola XVI, ex oppido Paulue^ VI Kal. Decembris 1514. (3) Desumianio questa d&U approssimativa dalla prima lettera, (XXVIU) che il P. da Roma inviava al Cesario, e pridie Kal. Murtias ». .y... V.^.-^-j -, ,j .- , - v^^- ^-->. «j--^ ,-.^'.'-. •^;.^'^, ■fWtiai.iliM.i^lÉY.^lÉr.f.lfarflAjBiiftVWi-JJ • • y . CAPITOLO XI. ■ n P. nel Ginnado romano. Ritomo a Cosenza. — Sua morte. — L'Accademia Cosentina* Se nel secolo XV farono ben poche le corti che accor- darono ai letterati una vera e propria protezione, nel secolo seguente esse si moltiplicarono, gareggiando fra loro nel di- stribuire onori e ricompense. Non solo le reggie e le corti dei principi potenti divennero centri di coltura e convegni di letterati; ma le più piccole corti, i principi più oscuri,, i cardinali e finanche i ricchi borghesi vollero circondarsi .di letterati e artisti, che accrescessero pompa al loro nome; di improvvisatori, novellatori, buffoni,' che li divertissero. n principale centro di coltura nel Cinquecento fti però Boma, dove nella corte di Leone X convennero da ogni .dove uomini sommi e mediocri, attirati colà dalle pensioni, dai donativi, dagl' impieghi, dai beneficii e dalle dignità eccle- siastiche, che come manna benefica piovevano sul loro capo (1). Educato nella splendida corte di suo padre Lorenzo il Magnifico, Leone X, al x>ar di questo, fu prodigo e munift- (1) Per farsi un* idea del gran numero dei lelterati, che allo, a in Roma godevano della protezione di Leone, X, basta leggere il poemetto di Francesco Arsilli^ Depoetù Urbanis^ gli Elogia Virar, litt, iUustrium, 4i Paolo Hiovo e il De infelicitate litteratorum di Pierio Valeriano. Im- portante per conoscere la vita romana di quei tempi è, fra* tanU studila r articolo del Gian» — Gioviang. ( Oiom. stor. XVil, 277 e segg. ). .■.-«•^^««-^» • <■ », .- . V- ■ « 100 TITA DI A. GIANO PAREA8I0 conte, e sobbone moconate non sompre avvednto, compendio nel suo nome quanto di più segnalato ebbe nel secolo l'amore delle lettere, facondo di Boma un vero santuario dell' arte. Per opera di zelanti collettori arricchì la Biblioteca vaticana di preziosi manoscritti| con larghe ricompense fece ricercare, esaminare e commentare tutto ciò che apparteneva a Boma imperiale, e quel che più riordinò e sollevò ben presto a grande onore il Ginnasio romano, invitandovi a professare uomini valentissimi, qnali Cristofaro Aretino per la medicina, Gerolamo Botticelle per la giurisprudenza, Agostino Nife per la filosofia, Basilio Oalcondila per la lingua greca, e Aulo Giano Parrasio per la latina (1). Quest' ultimo, come abbiamo accennato, dovette soprat- tutto la sua nomina ai. buoni uffici di Giano Lascari, valen- tissimo nelle lingue antiche, e di ^Tommaso Fedro Inghirami, bibliotecario della vaticana, entrambi potenti presso la Curia e molto stimati dal Pontefice. Ne la scolta poteva essere più felice e accetta nel tempo stesso, considerando che dalla cattedra destinata al P. aveva qualche *iempo prima insegnato quel Marcantonio Flaminio, che, in un secolo in cui molti credettero di aver raggiunta la perfezione degli scrittori an- tichi, fu uno dei pochi che a questa si avvicinò maggiormente. Come si rileva dalla lettera di Basilio Calcondila, la no- mina del P. fu accolta a Boma colle più sincere manifesta-' zioni di compiacimento, suscitando in tutti vivo desiderio di ascoltare il retore insigne, che ritornava a Boma, dopo aver empito del suo nome V Italia tutta (2). (1| Muzio PsnzA. — Libreria Vaticana^ Roma 1500, pag. 28. (2) GuDio. — op. cit., epist. XLIX : € Nihil iam restat, confecto omni aegoiio, nisi ut tu venias, ot tui expectationem, quae magna est, m- moremque iam disseminatum per Urbem de tua doctrina atque eloquentin reipsa noo solum confirmes, aed et augeat • • • • Abrùmpendae tibl sunt omoes trìoae.....lDgenfl est tui expectatio, fama, ac denlque deslderìam »• ^^^^Wi i ^ K > iW.*<i«i»«> W P 1jJ_i_«Ii iMi'uTiMiii •ir^i''*''' **■'■ I ■ * i»i^j«a>*-^ ■■f *t'--.-^.. .'^„»,^jì:^ VITA DI A. GIAMO PABBASIO 101 . Malgrado ana tanta aspettazione e lo continue insistenze, il P., oome abbiamo visto, non potè recarsi a Boma che verso la metà di febbraio del 1514; sicohèy tenuto conto della lettera innata al Cesario, in data del 28 febbraio, non prima dei venti di detto mese egli potè iniziare il sao corso sulle Selve di Stazio. Neil* orazione inaugurale, pervenuta sino a noi, il Jf. mise a profitto tutti i suoi mezzi di retore raffinato, non escluso quell'artifizio di parere nel suo esonlio perplesso e titubante, per procacciarsi la benevolenza del pubblico, giusta V ammaestramento di Oicerone. Dopo un accenno alla gran- dezza del popolo romano, rivolge un cortliale saluto al La- scari e alP Inghirami, protestando loro pubblicamente tutta la sua profonda gratitudine (1). Non mancò naturalmente in tale circostanza di far cadere destramente il discorso su Leone X e di tributare le più calde lodi al munifico Pontefice (2). Oome concordemente ci attestano gli scrittori contem- poranei, il P. destò a Boma il più schietto e generale en- tusiasmo (3). Sebbene allora la città riboccasse di letterati, alcuni dei quali di meriti indiscutibili, come il Cattaneo» il (1) MSS. R. BibL Nai. di Napoli. Cod. V. D. 15. — Praefatio la Sylvas Statii : € Nibil it&que dcsperandum Jano «luce et auspice Phaedro, in quorum blando obtutu, tranquillo vultu, bilaribua oculia acquiesoo* Quibus ingentes ago gratias, habeboque dum vivam» quod me gravissimis apud Pontificein sententiis ornaverunt^ ubi vel nominarì aunimus honor est. (2) MSS. R. Bibl. Nas. ut Napoli. Cod. V. D. 15. ^ PraefaUo la Sylvat Statiì :€.... per quos ulrumque inibì contigli indulgentia sacrosanctì Pontificis, divique Leonia X, qui maxime rerum usu, incom- parabili prudentia, suprema gloria, incredibili felicitate, admirabili elo- quentia, proroptissimo ingenio, castissima eruditione polle! ». (3) Giovio — Elogia etc, pag. 208; Onofrio Panvinio. — Proém. Deci. 1 2Xf applausu erudii. ; Filippo Briezio — Annales mundi, T VU, pag. 130 ; SalemI — SylvlUae^ Parrhasii Epicediatt^ pag. 140 eco. • . •*• . ^ -o-^ '' i»'<ay^ - ' Kv <*»» i-v k«.. 102 DI ▲• GIANO PAERÀSIO Lascarì, l' Iniarhirami, il Kavac^ero e por non parlano (ti altri i duo sogrotarii di Leono X, il BembD o il Sadolot3y pure il P., colla sua facondia e colla sna speciale maniera di por- gerOy seppe attiraro a se P attenzione delle persone colte, che a schiere correvano ad ascoltarlo (1). Furono composti in lode di lui apologie, versi od epigrammi, che se non sono per noi dei giudìzi autorevoli e inappellabili, data la ciarla- taneria del secolo, in complesso valgono però a mostrarci che il P. a Boma, come altrove, fu apprezzato e stimato fra' primi (2). Da ciò non bisogna però dedurre che egli trascorresse in qnesta città tranquillamente i suoi giorni : come scriveva al Oesario (3), ben presto si ripetettero anche colà le solite basse guerricciuole, mal sopportando gP invidiosi coUoghi che egli godesse la benevolenza di Leone X e percepisse (I) Piero Valeriaao. — De in felicitate eie, 1. I, pag. 24 : « Professas est otiam apud nos ( Romae ) Janus Parrhasius, ad cuiu5 iucundam Tocem undìque concorrebatur ». . * V. Luca GAurico — Tractatus asirologiais, T II Op., pag. 1635 : € Janus Parrhasius tempero felicissimo Leonia X in scholis public« profitebatur cum eleganti facundia Sylvas Statii, ad quem eonfluebat maxima auditorum caterva ». (2> Fra* tanti stimiamo degni di nota i seguenti versi dettati allora da Antonio Telesio, V elegante e terso poeta cosentino : Tlbrifl et obstupnit doctae modnlamtae tocIs, Assonult riTifl haee quoque Tlbrl tnls. Fsf flus et buie uni es Teteres cestisse Quirites ; Tarn Latiis sonat hic dulce magis LaUum. Attice et Actaes msgis Urbe loquutus et Ipsa est» Hospes divino dlctus ab eloquio. (3) Affesionato come era ali* amico carissimo, il P. si adoperò a tnt- t* uomo per procurargli a Roma conttitionem et ìocum ; ma il Cesario, malgrado le continuo insistenze di lui, (Epist. XX-XXIX^ non si mosse da Cownza. Forse era rimasto poco bene impressionato alla notizia obe gli forniva il P. stesso ( Epist. XX ) : e In Urbe singulae regione» sin- gulos babent praeceptores ex aerario conductos, et qui nibilominus t prìvatls certam exigunt mercedem ». Troppa bollai rfMUitflri ^>rfki««<iMto ■T /«Kilìii iMi* HtaiAi*i^Hi*>»«i''*Mh^ VITA DI A. GIANO PAERA8IO 103 uno stipciKlio «li jxran lunga sui>oriorc a quello di tutti loro (1). Ma il P. questa volta, reso ornai abbastanza pnitico ilolla vita, lasciò i>ure olio i cani riu^irliiosi abbaiassero alla luna, li umiliò con un dignitoso silenzio, che gli valse lo<li e ricompense da parte del Pontefice (2). Incoraggiato dal plauso dei buoni e dalla palese protezio- ne di Leone X, nei primi due anni della sua dimora a Roma il P. fu di una produttività veramente ammirevole. Dopo il corso sulle Si*lcc di Stazio, si occupò delle KpiHtolae ad Attkum, dell' Orator e dei VanuUwa di Cicerone ; commontò poi VArte poetica di Orazio, VKiicUle e le Bucoliche di Vergilio, V Argo- nautica di Valerio Fiacco, l' Ibi» di Ovidio e altro opere, di cui si era già occupato durante la sua dimora a Milano. Di attività fenomenale e zelante nelP eseguire il proprio dovere, il P. non si stimava mai soddisfatto delPopera sua, sino a lamentarsi coi discepoli che le cure domestiche e la malferma salute gì' impedissero di fare per loro ancora di più (3;. (1) Epistola XVrir, pridie Kal. Martias (ioi4): € sed in eo te falli nolim, quod cxistìmare vidoris (cxaiiiaio eoim tuo metirU alios) ine litcratis omnibus acccptum ; nani, praetcr Phaedrum pau-. cos<iue eius .iKsectatorcs, ardet invidia, quo<l ego solum habcain plus annui «alarii, ^uam colIegAruin fere decem ». (2) MSS. R. Bibl. Xaz. di Napoli Cod. V. D. 15 — Praefatio in Oraiorem : « Nemincm vcstrum l.itet, anlitorts ornatìssimi, quantas Ifi- vidiac procellas anno superiore sola paticnlia porfregerìm ; quodque lenti maleque de ino acntlcMìtis opinijneui subire uialucrim quam quod Cicero turpissiinum vocat contcntiosi sonis : huius mcae lenitatis uberrimo fruotu porcepto sacrosancti au^uslissimiquo Lconis X iudicio, quo nuUura uìaius hoinini coulingcre polest ». (3; MSS. R. Dibl. Xaz, di yapoli. Cod. V. D. lo — Praefatio in Flaccum : « si por occupationcs et domestica negotia liceret, equidera non unum et altennn vobis auctorem, sed decem quotannis enarrarcm Quiu vero ad omnia sinml praestanda tcmpus viresque non suppetunt ». \ "(•»»p.<« *-•■*■ * , • 104 VITA DI A. aiANO PABBA8IO Intanto 1' awersA fortuna, com' egli elice, nemica della pace di Ini, nello stesso anno 1516, gli strappava i due esseri, che aveva sempre amati con tutta 1' effusione dell' anima sua: il cognato Basilio e 1' amico Inghirami. Indicibile fu il suo dolore per questa irreparabile perdita, che lo gettò nel più penoso abbattimento (1), e fu forse causa non ultima di quella gravissima malattia che lo colpi poco dopo (2). Ancora sofferente per un ascesso al piede, venuto a completare degnamente, i dolori di lui ; il P. vei*so la fine del 1516 riprese le lezioni (3) ; ma pare che questa volta mal riuscisse a superare corporis infirmitaUm animi virtute (4), se (1) De Rebus eie. — Oratio cit., ediz. cìt., pag. 249 : € male vivacem aanectutem ineam! Qao nuoc me vertam minor! ad quem confugiamlf cuius iudicio posthac ut&r ? cui pectorìs intima committam f quando non modo T. Phaedrum, cuius humanitate, prudentia, amore, fide recreabar; sed etiam (proh scelus) uxoris meae fr^ troni Basilium mora, Portunae sa- tellet, erìpuit k (2) MSS. R. Bìbl. Nat. di A/ po2t. Cod. V. D. 15 •- Praefatio In Epistolas ad Atticum : € Duum enini carissiraorum desiderio funestam domum, diuturna coniugìs insuper et mea valetudine ooncussit, et qua ( dii boni ! ) valetudine, caelitus invecta: quìppe quam adversis siderìbus conflatam Gauricus, astrologorum nostri temporis eminentissimus, certa matheseos ratione doprehendit, Lunae enim deliquium perniciem nobis •rat allaturum, nisi salutarìs stella Jovis intercessisset ». Interessante questo passo che ci rivela nel P. la sua piena credenza nei misteri dell* astrologia e il suo illimitato rispetto verso il celebre astrologo e ciarlarne Luca Gàurico, che nel suo TracUUus astrologicus^ (T. II Op., p. 1635) registrava scrupolosamente T oroscopo comuni- cato al P. : « A natalicio Servatoris 1516, octobri mense, laboravit in extremis ( Parrhasius ), uti colligebatur ex Lunae deliquio sub nona Leonia parte ». (3) MSS. R. fìibl. Noi. di Napoli. Cod. V. D. 15— Praefatio in Episto- las ad Atticum : € in summo pede enatus abscessus ..... Ego nihilominus ulcere etiam nunc manante, redamantibus ad unum medicis, quam pri- mum figere gressnm licnit, huo exiloi »• (4) MSS. R. DM. Naz. di NapoU. Cod. V. D. 15 — Praefatio in Epistola* ad Atticum. / VITA DI A. aiANO PABSA8IO 106 per mezzo di Michele Silvio, un ciotto portoghese, diyennto poi cardinale, si decise a pregare il Pontefice di volerlo, nel faturo anno, esonerare dall'insegnamento. Come era da aspettarsi, Leone X non si mostrò punto propenso a privare il Ginnasio romano di chi ne formav» il principale omanento ; sicché il P., per non dispiaoergliy fa costretto ad insegnarvi ancora i^er tutto 1' anno 1617 (1). Trascorso questo però, grazie alla efficace intercessione dello stesso Michele Silvio, egli potè abbandonare l' insegnamento pubblico (3), ricevendo da Leone X un assegno di venti ducati d' oro il mese, meta del quale sarebbe poi destinato alla moglie Teodora, se gli fosse sopravvissuta (3). (1) MSS. R. Bibl Sai. di Napoli. — Cod. V. D. 15 — Praaleetio in Epistolas ad Atticum : € Sed quia s&crosancto Pontiflci Maximo, caiiu in manu sunt omnia, placuit hunc item annum ( 1517) laborìbus nostrìs accedere, parondum duximus eìus imperio ». Per la stessa ragione altrove notata ( pag. 41 ), questa Praetedw in Efiistùlas pronunciata dal P. per richiamare alla mente dei giovani quanto kuI medesimo soggetto aveva dotto nell* anno antecedente, nel Codice si trova prima della Praefatio in Epistolas^ (2) Ove si ponga mente alla data della malattìa sofferta dal P., neir ottobre del 1516, come ci attesta il Oàurico ( 1. e. ), appare mani- festo che errava lo Jannelli, quando riportava al 1519 V ultimo anno deir insegnamento di lui (op. cit. pag. 112). (3) Gaetano Marini — Lettera sul I Ruolo dei Profess. del Ginnasio Romano^ l^. XXIU, Roma 1797, pag. 114; Jannelli, op. cit., pag. 113: € Leo PP. X. — Motu propria etc. Dilecto filio Jano Parrhasio .... Virtot tua et utriusque linguae eximia scientia, fidesque sincera, quam ad not et sedem apostolicam geris, tuaque incurabilis valetudo nos inducnnt, ut te spec'.alibus gratiis et favoribus prosequamur Idcirco tibl provisionem viginti Ducat. auri de Camera de pecuniis ad vitam tuam singulis quibusque meiisibus persolvendam, et, te defuneto, dilectae in Christo fìliae Theodorae Chalcondyli, Demetrii Chalcondylis Aliae, uxori tuae decem Ducat. similium ad vitam utriusque vestrnm quolibet mense persolvendam motu simili concedimus et elargimur » % 106 yiTA DI ▲• GIANO PABRASIO Come apprendiamo da una lettera diretta ad un amico, di cui ignoriamo il nome, il P. fu contentissimo di questo munifico atto del Pontefice (1) ; sicché, per mostrargli la sua gratitudine, nel 1518 gli dedicò il suo commento suU' Epi- ètolae ad Atticum, frutto di lungo e accurato studio (2). Leone X gradi moltissimo il lavoro e il gentil pensiero del P«, e, per dimostrargli ancora una volta la propria benevo- lenza, lo ascrisse tra' suoi familiari e tra' commensali della corte pontificia (3). Cosi, grazie a quest' ultima prova della munificenza di Leone X, e all'assegno mensile anteriormente ottenuto, il P., insieme colla moglie Teodora, colla quale, se non 1' ab- biamo detto ancora, erasi riunito appena venuto a Roma, in otto litterarutn, potè trascorrere i giorni, se non nell' agia- tezza, certo nemmeno nell' estrema miseria, come vorrebbe (1) Dtf Rebus eie. ediz. cit.« pag. 142 : « Audivere dii maa vota, audivere dii (Horat. ), ìdeiit ilio rerum omnium opifex Leo X et utrìusque divinitatìs partK'ops heros noster Michael Sylvius in tanta negoUorum mole mo respiceret aetate, diroque morbo iam con- fectum, vitaeque commoda mihi tandem decerneret in otium litterarum taceasuro ». I (2) Salsrni — Syloulae, Epie. pag. 140 : Quo doctat leffiior, quo yìwìi la ore Tiromm AtUcut, et numeris obscnrìui Ipse Platonit, Glarìus Boll radiit Hyperìonlt uqus Effeclt nnper« functnsque labore, Leoni Auspiciit cttioi tntceperat ante, dieatlt (3) Chioccarblli. — De illusi, script, neap., T. I, pag. 232 e seg., Jannelli, op. cit., pag. 1 10 e seg. : € Dilecto filio Jano Parrhasio fami- liari Nostro. — Dilecte fili talutem et apostolicam bonedictionem Verum ut prò doctrina qua libéralissime praeditus es et ingenio quo mirifice praestas et aliud a nobis erga te paternae Nostrae caritatit et benevolentiae indicium extet, idoneusque prò tuae virtutis et dignitate et praestantia honos habeatur, te in Nostrum familiarem,* continuum commensalem harum serie recipimus, et aliorum commensalium numero adgregamnt. Datum die 29 Aprìlie 1518 »• «iMbAwM4ÙlM«*»iì*iW VITA DI A. GUNO PABRA8IO 107 far crederò il Valeriane, che, avendo trovato il vero tii>o di letterato infelice per la sua nota opera, volle caricare un po' troppo le tinte (!;• Conoscendo poi la speciale protezione, di cui godeva il P«, non è da credersi che gli fosse diminuito V assegna- mento, o per lo meno ne fosse nt4irdata di molto la ri- scossione, come vorrebbe insinuare lo Jannelli, il quale, temendo che al suo x>rotagonista dovesse mancare il tempo per fondare V Accademia Cosentina, mostra gran premura di rimandarlo in Calabria. InfaUi, adducendo a motivo la miseria di lui, la morte del cognato Basilio e degli antichi protettori, Fedro Inghirami e il Cartlinale d' Aragona, e in ultimo la partenza del Canlinale Adriano, altro caldo am- miratore del nostro umanista, alTerma che questo lasciò Roma ineunte anno 1521 (2). Non occorrono molti argomenti per combattere questa gratuita asserzione, in sostegno della quale lo Jannelli non sa addurre alcuna prova. Basta infatti riflettere per poco su ciò che il P. scriveva a <in amico circa le x)ubblicazioni, alle quali intendeva dedicr.rsi (3), per conoscere che egli, più che ritornare a Cosenza, era disposto a rimanere a Roma, dove poteva trarre gran profitto dagli antichi e preziosi co- dici della ricca Biblioteca vaticana. Bisogna quindi riportare (1) De ili felicitate litteratomm^ 1. !« |Mig. 24 : « ut p«r annos aliquot nil praeter linguam hi universo corpore haberet incoiarne: siderato propemodum utroque crure, ut iiullis peduin officiis uti posset, lacerlistiue prae dolore et contraetionc redditìs inutilibus, magna insuper inopia atque egestate oppressus, rerum ouinium de8|>eratìooe ductnt....» (2) Op. cit., pag. 115. (3) De Rebus etc. ediz. cit., pag. 143: « Certe 8i quid ingenii, si «|uid eruditionis in me, si dicendi commodi'aa est, id omne effundaa prodendis iis, quae tot anoonira varia Icctionc compcrta, conquìsita, col- lectaque luihi sunt in usum studiosac iuvcntutis ut siquidem fructum lostcritas inde percipiet, acceptum rcfcrat Pontifici prìmum Maximo, deinde Sylvie nostro, per quem conciliata mibi Pontìficis voluntas est ». ••. . »■• » ■ i >»'«'•..'# ^ t • • » -te ■ 108 VITA DI A. GIANO PABRA8IO detta partenza un anno pia tanli, quando cioè per la morte di Leone X, avvenuta il 1 dicembre 1521, essendosi seccata la fonte delle largizioni, e non potendo, per la malferma salute, procacciarsi da se il necessario sostentamento, il P., come tanti altri letterati, lasciò Boma e si recò a Cosenza. Quivi non visse a lungo, poiché, come ci attcsta il suo contemporaneo Pierio Yaleriano, fu subito colpito da febbre mortale, che, dopo penose sofferenze, lo trasse alla tomba (1). Nessuno dei biografi contemporanei del P. ci ha tra- mandata la notizia circa 1' anno della morte di lui ; sicché i biografi posterìori (2), ignorando gli avvenimenti ora ri- cordati, solo perchè il Salemi nel 153G aveva pubblicato tra le sue Sylvulae anche V JUpicedion, scritto parecchi anni prima in lode del P., credettero di avere una prova irrefra- gabile per ritenere che questi mori tra il 1534 e il 1535. Senza punto trattenerci intorno a questa asserzione, che cade da sé, quando si rifletta che i componimenti poetici raccolti e pubblicati dal Salerni appaiono composti in tempi diversi (3), crediamo opportuno prendere in giusta considera- (1) De infeliciUUe ZiM.» pag. 24 : € ... . relìcta Roma, in Cala- briam cum secessisset, in febrim subito inciditi <|Qa diu vexatus, mise- rabiliqae eo cruciata superatus, expiravit ». (2) Spiriti — Memorie degli ScHu. eosent,^ pag. 26; Saverio Mat- TKi — Vita Parrhasiip edix. De Rebus eie, Nap. 1771. Tiraboschi — «Storia eco T. VII., P. in, pag. 336 ; Oinguenè — Istoire litter. d* Italie, V. VII, pag. 342 ; Biografia Universale — V. XLIl, pag. 464 (Venet. 1^; PiORBNTiNO, Bernardino Telesio, V. I (si corresse nel V. II) eoe. (3> Nicolai Salerai consentinl Sylvuìae Epicedicae, Encomiastieae, Satyricae ac Paraeneiicae — Variariimque aliamm rerum descripiiones fortasse non inutxles — Neapoli, SulUbach, MDXXXVI. i<*•p••■»••*p|^M**•*l^Mi^l*^^^>••^•■*•^*!^*•*^p"**'**^*''^T^^^.. ! ' .. tf^.*.. .^•» '«■ -«•■•*.»>.« m„-*'mì^'%u',*. VITA DI A. GIANO PABRA8IO 109 zione le testimonianze del cosentino Antonino Ponto (1) e (li Giano Anisio (2), suggeriteci dallo Jannelli (3). Tanto il primo che il secondo scrittore, parlando di Adriano VI, eletto Pontefice il 9 gennaio 1522, ricordano con rammarico la morte recente del Parrasio. Ora, conside- rando che questo ricorilo di una delle più grandi illustrazioni del Ginnasio romano non può riferirsi che ai primi tempi del pontificato di Adriano VI, quando cioè non ancora era nota la sua avvei*sione ai buoni studìi e quell' orrore per le cose pagane, che gli procacciò 1' odio dei letterati e i poco lusinghieri epiteti di e furibondo nemico delle muse, della eloquenza e di ogni arte bella >, riteniamo che il P., ritor- nato a Cosenza, verso la fine del dicembre del 1521, se- guisse ben presto nella tomba il suo protettore, Leone X (4), nel seguente gennaio 1522 (5). Dopo quanto abbiamo detto, non crediamo sia più il caso di affacciare alcun dubbio circa V epoca della fondazione (1) Romiiypion — P. li, Roi io 1524 : < Vide Philippum Gullum^ Crassum quo4]ue, et doctorum Plìoc.'cem Farrhasiuin coaevo8« Dee vivo... per florida rura et lauri nemus melico^, hymnos concìnere ». (2) Poemata varia etc, ediz. cil. : Ilaec tua maxima cura Tandem lltdriane, prima tua maxima cura sii Caesar Mortem obUt Phoel>i Interpres, carusqno sacerdoi Parrhaslus, quem clara femat monumenta per orbem (3) Op. cit., pag. 1 15 e seg. (4) Salbrni — op. cit. : Leo PaMor ovllit Romani aethereos tandem niii;ravit In arcea, Unile suum ius8lt propere ad meliora Tenira Praemia Parrhasium v5) Lo Jannelli, sebbene non traesse dalle prove addotte una con- vincente deduzione, non si scosu di molto dalla nostra tesi, ritenendo che il P. morisse € desinente ipso anno 1521, vel ineunte 1522 ». \ • •* • * % • ^ ' • / ^ . » ■ J ... • - 110 VITA DI A. GIANO PARKASIO dcU' Accademia Cosentina, attribnita al nostro umanista (1). Scy come crediamo di aver dimostrato, e^li non visse che poco tempo dopo il suo arrivo a Cosenza, è chiaro che questo notevole avvenimento non potè compiersi se non nel primo ritorno in questa città, e specialmente in quel periodo di circa nove mesi, che va dall'agosto 1511 all'aprile 1512 (2), Sebbene non precisasse alcuna data (3), il Fiorentino, nel primo volume del suo Teìcsio, pubblicato nel 1872, si mostrò di questo stesso parere, combattendo V asserzione del Lombardi, che aveva riportata la fondazione dell' Ac- cademia al secondo ritorno del Parrasio (-1). Due anni dopo però il Fiorentino, avendo letto il commentario dello Jaunelli, mutò avviso e stimò jiiù probabile che detta fondazione avvenisse nell' ultimo ritorno (5). A quanto x>are, il dotto filosofo volle prestare troppa fede allo Jannelli ^5), il quale, come abbiamo visto, oltre a mostrarsi non molto esatto nel xirccisare dove e come il P. passò in Calabria il triennio 1511 - 1514, non seppe teucre (1) Spiriti — Memorie degli Senti coseni. Pref,^ pag. 0; Mattei — Vila Patrìknsii^ odix. Dì Rebus ^ pag. XV e sog. : Tirahosthi — Sloria ecc., T VJI, pag. l^; Signorei.u — Vicende della Coltura ecc., T. IV, pag. ^0 ; Biografia Unicers, T. XLII, peg. 464 ; Nuovo Dizion. Ist. T. XX, pag. 174. (2) V. pag. 91. (3) Ignorando 1* anno preciso della prima venuta del l*. a Cosenza, il Fiorentino opinò* € che 1* Accademia cosentina fosse cominciata fra gli anni 1500 • 1514 ». (4) Andrea Lombardi -* Discorsi accademici ed altri opuscoli, terza edix., Cosenza — Pei tipi di Giuseppe Migliaccio, 1840. Fra* non pochi errori commessi dal Lombardi nel Saggio storico sull'Accademia cosentina, che P. S. Sai fi volle chiamare € quadro preciso e fedele della sua origine e delle sue vicende » nella troppo benevola prefazione, notiamo quello circa V anno della morte del P., secondo lui avvenuta nel 1534. (5) V. Op. oit., Appendice al Voi. II, Firenze, Succ. Le Monnier 1874. - - -- I II - 1 I - r - Il I '■■ ■■ «■ M^ ^ • ' . - -- . • « VITA DI A. GIAMO PABBA8I0 111 giasto conto delle prove di scrittori autorevoli, attestanti tatti concordemente che il P. morì poco dopo il suo iirrìvo a Cosenza. L' Accademia cominciò quindi ad aver vita tra la fine del 1511 e il principio del 1512, quando appunto si trova- vano a Cosenza Antonio Telesio, Francesco Franchini, Niccolò Salemi e, come pare, Galeazzo di Tarsia, il gentile autore di quelle tenere poesie, che destavano nel Settembrìni il desiderio di altre. Mai come allora Cosenza si era trovata in condizioni pia favorevoli per un vero risveglio lettei-ario. Caduta la Calabria sotto il dominio spagnuolo, dopo l' iniqua divisione del regno aragonese, essa, a prcrcrenza delle altre città, era stata fatta sogno a speciale protezione. Vi erano state raccolte le sa- preme cariche, riconfermati gli antichi privilegi e creata quasi un' altra capitale del regno (1). Fu allora che venne su tutta una flora di giovani baldi e volenterosi, che, spronati da vivo desiderio d' imparare, si affollarono intomo al maestro insigne, che capitava tanto opportunamente tra loro (2). Prive della pompa e dell' ostentazione moderna, allora le Accmlemie, nei loro primordi, non erano altro che amiche- voli convegni, in cui pochi amici dotti e di buona volontà discutevano su questo o quel passo di scrittore classico, oppure davano lettura di qualche componimento letterario. Quest' umile principio ebbe anche V Accademia Cosentina, la quale pare che per un certo tempo non fosse neppure denominata in questo modo : come ben diceva il Fiorentino, ci ora il fatto e mancava il nome (3). (1) Fiorentino — op. cit., edit. cit., V. I. ^ (2^ Fra ì tanti ricordiamo i Martirano, Pierio Ciminio, CUrio Leo- nardo Schipanio, Giovan Hattista Morelli', Andrea Pagliano, Carlo Giar- dino eoe (3) Op. cit., V. 1. •* '>»^. >■ I "jl ■■ ^^1 » — «-^ '—'« «I ■ .i«-«-^«' 112 VITA DI A. GIANO PARRÀ 8IO n P. contribui all' incremeuto di questa istitaziono anche qaando si allontanò da Cosenza, poiché, come ci attcstano le lettere inviate al Cesario (1), ad Andrea Puf^liano (2), a Giovan Battista Morelli (3) e a<l altri cosentini (4), egli si mostrò sempre pronto a fornir loro schiarimenti circa l' in- terpretazione di passi diincili e a sciogliere quei dubbi, che non erano forse risoluti nei loro convegni letterari. Con quanto garbo e piacere egli facesse ciò, si scorge chiaramente, pia che in altri luoghi, in quella lettera gen- tilissima che inviava al cosentino Vincenzo Tai-sia, forse durante la sua dimora a Roma. In essa si mostra lieto di dare all' amico le notizie chiestegli intorno ai Bruzii, e si compiace moltissimo del risveglio letterario di Cosenza, mes- sasi in grado di poter gareggiare per coltura con qualunque altra città d'Italia (5J. Chi non* sente in queste parole la schietta e spontanea soddisfazione del P. nel vedere cosi felicemente coronata 1' opera sua T L' Accademia Cosentina al principio ebbe un indirizzo puramente critico-classico, che si cambiò in fllosoflco, quando venne a darle nuova vita e splendore Bernardino TeIesiO| P aquila bruzia, che con tanta ala d' ingegno si librò nelle pia alte regioni del pensiero, e, suscitando una viva op- (}) De Rebus eic.^ edix. oit., pag. 117. (2) Op. cit., edix. cit., pag. 119. (^) Op. cit., ediz. cit., pag. 125. (4t Si ricordi, come abbiamo detto altrove, 'pag. 56) che V opera De Rebus per e/tùtolani quaesìiis era composta di 24 libri e che di questi uno solo è giunto sino a noi, e da ciò si argomenti quante altre lettere il P. avrà inviate ai suoi amati Cosentini prima e dopo il ano ritorno a Cosensa. (5 De Rebus ete, ediz. cit., pag. 110: € Remitteret allquid de iudi- cio 800 Lucius, et qui Lucio subscripsit. Cicero, si viverent bac aetate, luventutemqoe Cosentinam bonarum artium studiis cum quavit Italiae civitate oertantem viderent »• VITA DI A. GIAKO PAB&A8IO 113 posizione alle dottrine aristoteliche, diede all' Europa quel nuovo sistema, che t-anta influenza doveva esercitare sulla filosofia e sulle scienze naturali. Cosi mentre l' Italia, in generale serva dello straniero e ingolfata nelle lotte religiose, penleva ogni amore per gli studii umanistici, mentre il fiore del Binascimento, come con frase felice si esprime il Geiger (1), si chiudeva dinanzi all'im- perversare della forza brutale dei lanzichenecchi, un flore fresco e rigoglioso sbocciava nella forte Calabria, dove avevalo piantato qualche tempo prima 1' UUimo degli urna- nUti, Aulo Giano Parrasio. fi) Rinascimento e Utnanesinto io Italia e in Germania — Stort« Oniv, illustrata di Guglielmo Oncken. — Milano 1891, pag. 410. ita0iM te I fu ai ,'wif • ru i>i>itiM'< rft •jn-ji > ■ 1 4. 1 • « Or non parrebbe che cote»ti scrifU« ( ParrasUnl > del quali pochiwlml sono siiti impressi, valessero li predio della stampa, più che non tanto Insulsaggini tramandate con tanta curai » P. PiORKNTiNO. ~ Bernard, Telesk^ T. 1. APPENDICE ^ « • w — « ^. ■ -^-^.^^,- ..- ■ r ■■■ I •■ 1 fi-rfaal i j nr- -W • - ■"' I - *"■'-. ""'" '^^' '*'■ '■*"' AULI JANI PARRHASn m m PRIMUS AD VITAM EIUS NARRANDAM EX R. BIBL. NAT. NEAPOL. CODICIBUS EXCERPSIT ET TEMPORUM ORDINE DIGESSIT B FRANCISCUS LO PARCO ^^M^V -k- — • ■ ' » . ^ >iin«">»»i OHAIIO AO PATHITIOS NEAPOLIIANOS Ciro. 1493 s,2) (Cod. Y. D. 15) 0) Ponsitanti sacpo mociim, viri pntritii, oruditissimi iavones, iuj;:cuiiiqiio adolcsccutuli et coatcmplnnti qnam proeclarara pri- sci illi Romani publieae aclministrationis formam/in postcrum rem populi susccpturì, per maous tradideruut, uihil occurrit quod non summo in*renio exeogitatum, maiori studio expo- litum, maximo Consilio ac prudentia gestum indicotnr: ut niilìi quidem undecunique eorum non modo bella, sed etìam paces per historìas exploranti, quam apud omnes obtinent, o)nnìone diguissìmi videantur. Sed illud praecipue militane disciplinae institutum, quo adolesceutes ad palum intra val- ium prius impense exercerì, quam serìae dimicationi interesse iubentur, usque adeo me delectàt, ut, in re lioet diversa, ab iuenntibus annis hactenus observarim. Haud enim quodpiam vulgo unquam commisimus, prin- squam per doctissimos utriusque linguae grammaticos, prò meo ingenioli captu, eruditus in ludis litterariis satis superqne delituisse visus sum. Et, ne ab id genus similitudine disoe- damusy quem ad modum tirones ad palum punctim caesimqoe (1) V. hoius op. Gap. Il, pag. 13 et aeqq. (2) In omnibus orationibus et cpistulis annum et iascrìptionem Parrhasius non apposuit. ^ ■ ^M »■■■■■ >1> HT i» rfi > nf m • ■ i r ^.i li. ■ ■ k, •- ■ ,> . , , f^ - -^ -„ , ^^^ ^ ^J-t;-. . , - •- '. . , ■ '_ '^.„^.,;^ , .;^ 120 A. JANI PARRHASU ferirò discobantur a vetoranis, ac ex ilio commentitio pugnae Biinulaoro quod in vera dimicatione magno mox usui foret imbibebant, ita et nos primo, quoad fiori potuit, haud tamen 8cio an supra omnes nostri coeli ao aetatis homines, non citra bonae valetudinis dispendium, sed eruditissimis viris non modo nostratibns litteris, vorum etiam graeeanicis operam de- dimuSy nty si quid in communem rei litterariae utilitatem excudere libuisset, perinde ao in penuria cellam haberemus in promptu. Ao ne sio quidem, tametsi pares huie oneri complnribns videbamnr, a<l enarrandi munus accessi, nisi prius aliquot annos, frequenti auditorio, in Brutiis, nude nos ortum ducimus, interpretandis auctoribus impendissemus. At in praesentinrum, viri patritii, cum offltii causa, ut amieos inviseremus, ad vestram rempublioara ornatissimam undique versum me contulissem, ab eisdem post aliquot dies missionem impetrare haudquaquam potui, quod dicerent no- strae consuetudinis incunditate teneri, neo unquara a me contendere desierunt quousque, ' ssiduis eorum vocibus exi>u- ^natus, P. Papinii Statii, poetiu*um oppido quam doctissimi, quem urbs haeo florentissima universo terrarum orbi, quo- cumque latini nominis fama percrebuit, non iniuria queat imputare, Silvarum opus haud omnibus obvium, singulis lectionibus, enodaturum promiserìm. Scio profecto, neo me fugit quam arduam quamque difflcilem provinoiam sim aggressus, quamque implicitos ao inextrioabiles paone nodos absolvendos assumpserim , et vestrum fortasse plerosque nostros hos conatus ut audaculi, ne dicam impudentis, reprebensuros, quod huius aetatis ado- lescens in totius Italiae celeberrima urbe, ubi omnium bo- narum artium studia poUent, in tanto praesertim doctissimo- rum hominum conventa subgestum hoc ascendere non eru- buerim. Insta sane et non improbanda incusatio, si aut meo consilioi aut sponte, non dicam ultro, hoc munus obiverim. Verum hoc erga amieos nimiae indulgentiae trìbuendum potius I.' OKATIONK8 BT EPI8TCLAX 121 erity quibus dura in oinnibii9, iikmIo honesti spociom prae se fcranty obsecumlo, iu aiudaciae crimon incarri. Sed quaeso vos per tlcos iinmortales, viri pntritii, boui consulite, proqae Ycstra 8olit4i hiimanit-ate statuite. Quuiu saepe niecum parcutis omniura naturae exactum umlique opus inspicio, uihil oecurrit, viri patritii, quod non magna cum sapieutia productum, maxiaiaqne diligcntia di- spositum sit; scd illud imprimis ad hoiniuum coetus non solura tuendosy veruni ctiaiu decorandos non par>i momenti visual est, quod omnibus auimantibus gloriae ao laudis af- fectum iudidorit, praccipuum, ut arbitror, ad implondos totins opcris numoros adiumentum. Nam quid utilius, quid fnigins, quid couducibilius affectu hoc queat invonirì T Quippe cai, si quid cxcultum, si quid politius immo utile excogttatum est, iure ac merito referamus acceptum. Inde sunt etenim tot ao tant;irum rerum iuveutioues, inde tot saeculis artes incoguitae prodierunt, inde, indico, semper aliquid inventis adiicitur, inde tot \irorum din noctuque elaborata monumenta. Kam si couditis usque saeculis inventa altius repetamuSi omnia ab hoc affectu profecta inveniemns. Missum facio Promethca, quem quid alimi, ut in fabnlis est, ad snbtrahendum Superis ignora compulit, nisi ut inventi gloriam reportarotf Omitto Liberum ao Cererera, quorum uterque hac eadem causa a ferino ilio victu homines revooaviti quippe quum alter, ut aiunt, >inura repcrerit, altera vemm frumcntum excogitarit. Nonne litterarum notae ao dementai sive Cmlmus, sive alter invenerit, inde ortnm habueret Quotusqnisque, ut ad rem litterariam adveniam, tam maximos studiis labores impendisset, nisi uomen ao gloriam inde adsequeretur T Eudoxus Gnidius complures sub montibns annos egisse traditur, ut mathematica disciplina, anni ratio- nera solisqne meatus perciperet. Sed haeo ut remotiora fortasse praetereo. Hac nostra tempestate viri et ingenio et doctrina praecipui multa- et nova et utilissima excudnut: \ ■■.'. ^ ■.-.■>■■—*■> ■ ^ ' ^A . .. •. ■■tifc... .-'1? — ^ i "^--^-irÉ un I >i' Tt t Kurw HI. ■ »u t:X, i L.l. 122 A. JANI PARRHASII patrum nostroriim memoria cnleliographia, qnam Latini vocaut improssionom, a Germanis excogit>at>a est non tam lucri quara gloriao cupiilitate, nam eorum plerosqno huiu<«cemocli rei ru<limcnti8 logimns decoxisse. Scd quid extemid utor excmplis f Jovianus Poutauus, vir discrtissiiuuSy qui cum illis votustissimis aeque contenditi dii boni, quao nupor sui laboris monumenta dedit ! Rem profecto ad hoc usque tempus 1nt>act>am : De Fortitudine he- roiva luculentissimum opu?, de quo seor$um praeter eum nomo scripsit. rrincipvm vero ab iucunabulis ito instituit, ut felicia rogna futura 8int quibuscumque, qualem ipso in- formata princops obvenerit, Ohedientia^ vero partes it4i dis- sorit, ut ad hanc onines virtut^es referantur. Quid eius Cha- ronte gravius, quid rurs«us festivius aut elegantina T Quid Antonio doctius, in quo illud prnecipuum duco duos totius romani eloquii principe!*, Ciceronem ao Vergilium, sic ira- proborum caìumniis absolutos* ^i u*ostrigilatores maiori qnam ipsi Maronora ac Tnllium licer' 'i momorderit. Tacco Serto- riunij quo piane uuusquisque fat-etur veterem illam scribendi felicitatcm revocat*am. Unde vero vir doctissimus inter tot ao tanta^ occupationes din noctuque bis studiis incubueritf Nulla alia re, quid enim sibi ad humanam felicit>atem, Bege tam praesenti^ deesse pot-erat, nisi ut gloriam sibi apnd posteros compararet. Atque sic habetoto nnllos satis improbos esse ad vir- tutem conatus. Quis enim Lucanum accnset quod huius aet4iti8| aut paululum, supra, PharsaHa^ bella detonuitf Nemo est profecto qui Valerium Gatullum, Propertium Naut*am, Albinm TibuUum^ Oaium d'enique Balbum non admodum laudet, quod omnium ore cant>anda adolescenies edidernnt. Quotusquisqne invenitur qui mactum virtut^e esse non iubcat, si poetam Oylicem Oppiauuui scripsisse compererit admotlum praetexta- tunii quao etiam doctissimi soncs studiosissimo legantt Qnod si aut illi quos diximusi aut oeteri, quos brevitatis causa t ■ rtM«*«Mk«teMii*«i«MÌNarfai*«»««MMMk I^M^^aBM>Wfc»<MM«H^lifc^iiMM '^^■■Wait wh li ' i V I »! I Li ti i WÌri^i»i^JS ORATIOKS8 ET EPISTUULX 13S siibtnceo, ad rem littornrinm non insto tompestivins accc98ig- seut, uiliil horclo haberemus* qnod oonim nos admoncroi ofe postoris ntilit4itom afTorrot. lt4iquo tot ao tantalo in bonorum artium etudii» vi^nHao immatnra morto int'0recpt4ie, non por- Ycnisseut ad frngem. lloriim 0^0 diictus oxemplo, ct<8i nec t-antum mihi tri- biiam noe assumam, nt iUis mo comparom, oam do nio ^pem vobis poUiceor, nt mo noe incopti poonitoat, noe vos mio- loscont43m audivisso pi^nerit. SihI por Jovom inoptissimns sum qui haoo ad oos dicam qnos oi*a pacata atqne etiam sereni insuper vultus hnmanissimos pro<liuit : tanto sileutio verbis paone singulis inhiatis, nt non reformidaverim longius ovagarì. It>aque orationi modnm 8t^tuam, si illnd nnum piias admonuorim. Si quid in his qnao dixero ofTondet, omnibus enim piacere csset immensnra, roeminisse debebitis nihil es86 in humanis quod nndecnmqne possit esse perfectum, vota- stissimosque granimaticos ante oculos penero qui etiam in plurimis lapsi dopronduntur (ueque omnibus esse Pont4Uì08, Aurolios, AltilioSy Actios ^^anazaros ao denique Dionisios Superi coucessere, immo siugulis virtutes 6ÌnguIaS| ut est apud optimum maximumque «^oetam}, et priscos illos, quomm adhuc auct-oritas vigot^ mulUi scisse non omnia. \ ■**— I ^ « ■ i M *ilW>« • t ^ V »^> I ■ I lg»i I ««, I M^»^li, ,,^,, „^ , , » ■•■ .*'W^^.^ .^ « n PRIVILEGIDM « (In R. Archivo Ncapol. — CoUat. Prìrileg. Aragonensium Voi. VII. 1494-1495. — fol.. 75). J. PAULI DB PABISIO Alfonsos et cetera, uniTersis et cetera, licet adioctione et oetera, sane prò parte nobilis et egregi! viri J. Paali de Parisio de Gusenda, familiaris nostri fldelis, dilecti, fait Maiestati nostre roverenter expositam et amiliter sapplica- tam qaod Panlus ipse ex concessione sibi facta ad eius Ti- tani per Serenissimum Ferdinandum, patrem et dominam nostmm colendissimam memorie recolonde, habuit, tonnit et possidet, 6ÌTe exercet oiBciam magistn Oamere et magistri actomm penes Justiciarios, sen Gapitaneos torre Tabomei nec non officiom Gavàleris penes Gapitaneos terrarum mon- tanee et Givite dncalis cam potestate sabstituendi, cam gagiis et emolumentis, lacris et obveutionibas solitis et consaetis et debitis, proat in qnibasdam prìTilegiis per dictnm genito- rem nostmm sibi propterea concessis hoc et alia clarins (1^ Cum hoc unum monumeotom nobis in R. NeapoliUno Ta- bulario invenire contigisset, facile animum indaximat, ut hoe loco ederemns, codicis scrìptura diligenter servata. — V. huiat op. Gap. li, pag. 19 et seq. aatm n m »>t» .<^i m ■ ^■•■■i ■Wlll l M IIM^MI <Wl<fc B^J^Mi^fc / ■> >id i ><Ì M Tb ìim I I ■ ì »M» lV l<t T » ^V wilÌMi»iifcMM« lfly'Ù'' i S^ h >tr il .J PBIYILBOIUX 135 aDQotantor. Dignaremur sibi ad eius vitam dieta officia iaxte tonorem dictonira privilegiorum de speciali gratia benignins coufirmare. Nos autem habeutes respeetum ad merita sincera devotionis et fldei prefati Paali, ao considerantes servitia por euin Maiestati nostre prestita et impensai qneque pre- stat adpresens, et ipsnm de bone semper in melius conti- uuatione laudabili prestiturum speramns, propter queqne in iis et longe maioribus a nobis exauditionis gratiam ratìona- biliter promeretur, iis et aliis considerationibns et caosis digne moti, prefato Paulo ad eius Tito decursum iam dieta ofilcia actorum magistri et magistri Camere penes Insticiarios seu Gapitaneos diete terre Tabeme et officium Oavalerii penes Gapitaneos terrarum montanee et civite ducalis cnm potestate in eisdem oIBciis substitnendi. De quorum substituendoram culpis et defectibus Paulus ipse nostre Ourie principaliter tcncatur cum gagiis et emolumentis, lucris et obventionibus solitisy consuetis et. debitis, iuzta formam dictomm preno- minatorum privilegiorum. Ipsaque privilegia cum omnibus et singulis in eisdem contentisi oxpressis et narratis, qua licot presentibns non inserì 'itur, haberi tamen volnmus prò insertis et expressis et dcclaratis, si et pront hactenus in possessione sou quasi fuit cl in presentiarum existit. Tenore prosentium nostra ex certa scientia specialique gratia oon- firmamus, acceptamus, approbamus, ratiflcamus atque lan- damus, nostreque confirmationis, ratificationis, acceptationis et approbationis muniraine et suffragio validamus et robo- ramus, volentes et decernentes expresse quod presens nostra confirmatio sit eidem Paulo semper et omni futuro tempore firma, stabilis, realié, utilis et fi*uctnosa ; nullumque in iudiciis vel extra, seu alias quovis modo sentiat diminutionia iucommodum , aut impugnationis obieotum sive obstaon- lum, vel noxe alterius detrimentum, sed in sua firmitatCì robore et officio pcrsistat. Illustrissirao propterea et caris- simo filio primogenito Ferdinando de Aragonia, duci Gala- •^•('«^<Ma*^a^i«ia«r«ri[|»»«^*i^i«akga<<^»«^>*MtoiV4 126 PRIYILBaiTTX briO| vicario nostro goncrali, nostram super iis doclaranios iotontnin Mamlamus magno huius regni Camerario ciusque locumtenenti j presentibus et rationalibus Camere nostre Summarìe^ Jasticiario seu Capitaneo terre Tabeme , et tcrrarum montanee et Oivite ducalis, Universitatibusque et hominibus ipsaram terrarum, aliisquo univcrsis et singulis ofTìcialibos et siibditis nostris maiorìbus et rainoribus quo>ns officio auctoritate et dignitate fungentibus nomineque nun- cupatis ad quos sea qucm prescntes per\*enerint| et sxiecta- verint seu fuerint quoraodolibet presentate. Qnatenns forma presontium per eos et unumquemque eorum diligenter actenta X)refatum Panlum, seu eins substitutos ad dieta officia exer- cenda recipiant et admittant, retincaut atque tractent de- center et favorabiliter prout expedit in eisdem deque gagiis et emolumentis, lucris et obveutionibns solitis consuetis sibi respondeant et per quos decet responderi faciaut atque mandeut integre et indiminute prout hactenus extitit con- suetum. Kt contrarium non faciant prò quanto dictus Illn- strissimus Dux filius noster nobis morem gerore cupit, Getcri vero offlciales et subditi nostri gratiam nostram caram ha- bent et xienam ducatorum mille cupiunt evitare, in quorum testimoniorum etc* Datum in felicibus Oastris apud Sulmonem per magni- ficum virum Antonium de Alt^xandro locumtcnentem etc. Die Villi Julii MCCCCLXXXXIIII Regnonim nostro- rum anno primo Bex Alfonsus — Dominus rex mandavit mibi, P. Gablon Jo. Pontakub Pasoasiub r MM^MaMHkaA^aadVAMaaataa iM^kMBaw «MF*«# I .^M^*^^«— i— ^i^»— <»■ *■■ >' tm-*mdtt0mé^m^mmm>tk^tmm^^'^JmÌ^i^,^A^^^t^ ^ « I UI EPISTULA AD FEHDINANDUM II ARAGOIilUM ^'^ Neapoli 1495 (COD. V. F. 0) Quod a me de Sarapi quaeris, illustris ac omaiissiine PrìncepSy utinara sic ad te reducendura prosit in avitam perditumqne (?oIiuin, quo nulla tua culpa caresi ut olim Ptolomaeo, Lagi filio, ad constituendas Aeg^'pti opes. Ilnic cnim recens comlitam Alexandriam mocnibns sacris et no- vis religionibus excoleuti, per quietem dicitur obversatos augustior humana forma iuvenis, atque monuisse ut i>er cortes homines eius eflìgiem acciret e Ponto ; id antein fe- lix fanstumque et amplitudini sibi gentiqne suae foro; enn- demque iuvenom plurimo igni rutilantem cum dicto simnl in sublime raptum evanuisse. Quo miraculo Ptolomaeus e somno excussuSy adhibitis Aegypti sacerdotibus, imaginem nootumam visumque narravit. . Hisque extemorum ignariS| remqne ex- pedire nescientibus, quidam nomine Sosibius, qui vagis er- (1) ExsUt in codice 'duplex huiut epistuUe exemplar. Manifeste ap* paret eara ad Perdinandum II Parrhasiuin misisse, cum ille Neapoli in Aena-> rìam insulam confugerat (IX Kal. Mari. 1495). Quod mìnime mirarì debe- mu8, cum perpendaroas, ut Era smus Percopo. in opere, quod inscrlbitor Benedetto Gareth^ luculente demonstravit, infelicem regem semper, etiam in roaximis advenis rebuK, ad animum tttum erìgendum, in bona studia incubuisse. — V. huiut op. Cap. 11, pag. 17 et seqq. \ ^>*. *< ^ • ■■■! > ^«^ fa ■ m ^ m^»0>m.mi^mam à ■■ t»U » w i ■"■»* ■" ■■^— i« <> ■» ■■ ■»< — 1^ iw» i ^^i ■> ■ ii w ii » m m ^, fa ■ ■ >t<»^Mfci— M^A^Mi^a l M m ihi fc i 138 A. JANI PASSHASn rorìbos orbem fere teiramm peragravenit, in medium pro- cessiti et qoa specie regi apparuisset, a se colossum S^nsope sx)ectataro, quae Ponti civitas est in Scjthia, retulit. Itaqae Ptolomaeus, Sotele Dionysioque legatis,- in Pon- tura mandat, ut imperata Dei faciant. Triplex inde fama : nonnulli post multa prodigia, coelitusque illatas contumacibus barbaris clailes, Alexandrinos a rege missos acccpisse deum. volunt a Scydrothemide, qui tunc in Ponto rerum potiebatur. Alii cum Plutarcho tradunt ab ipsis oratoribns esse furto subrex)tum. Quidam miracula quoque comminiscuntur : ap- pulsas litori naves nitro Sarapim conscendisse et idoneam navigandi tcmpestatem seeundosqne ventos in Aegyptum rocurrentibus immisisse, celorius opinione, Alexaudriam. Per- vetus rumor est^ Eleusinum Timotheum e genere Eumol- pidarum, rerum divinarum peritissìmum, itenique Manethonem Sebeniten a Ptolomaeo consultos quinam deus is esset, re- spondisse Plutonem Ai<lerì, tricipitis argumento canis, quem Gerberum suspicari, assistentisque puellae, in qua Proser- pinam liceat intelligi. Alii coniectaut x\esculax)ium, quod apud eum susceptis votis aegroti convalesoant ; nonnulli Osirim ; plerique Jovem, rerum omnium potcntcm, quod oraculi sors ab Apolline delphico quibus dixi legatis edita facile probnt: irent simulacrumque patris sui rcvehorent; sororis relinquerent. Ipsius item de se dei profcssio suffra- gatur, qui rogatus a Xycocreonte, 0;>'priorum tymnno, quis haberi deorum vellet, ad hanc senteutiam graece respondit: Siiin Deus ipse, tibt qualein me cannine pandam : Regìa celsa poli caput est mihU caerula venter Unda roarìs, calccsque pedum tellurìs in imo Cespite nituntur, mea tempoia lucidus aether Arobit, et accendant oculos mihi lumina Pboebl. Dioilorus autem Siculus, in Bibliotbecis, Osirim, Sa- rapim, Liborum, Ditem patrom, Ammonom Jovem, Pana, eundom dcum esse existìmat. Aristippus, Arcadicorum primo, ■if -- • ì ■*- T — — ^ Il 'i ^ — ■^-r'i'—ii^ f-^tir- ir-fitfirif i^^Tn- >»f^il«ii->- IT — — "^^^^r^-^Ti-'—tààìimi- lìkimàéÀJi ORATI02fS8 ET EPI8TUXJLS 129 refert Apim, Argivorum rcgom, Mempbim in Aegypto sodém sibi ooudidissOy qiiem postoa Sarapim transnominatum Ari- stcos Argivus autumat ot huno ab Aegyptis attonita sapereti- tiono coli. Xymphodorus Amphipolitanos auctor est in bis quae de logibus xVsiao composuit, Apis tanri, cum decessisseti salo duratum cadaver iu arca, quara Graeoi acpÓ¥ voeant , esso comlitum, ex coque duplicato nomino Soro-apim demnnique Sarapim, nnucupatum. Porphyrius autem philosophus Sarapim cum Plutone con* fundity ut ca soli vis, unde proveniunt opes, Orcus et Pln- ton et Dis pater appellotur, quatenus autem vitium terra sentit ad Sarapim pertineat; abstrusique intra terram ignis inditium purpurea Dei vestis, infemae vero potestatis basta trunca, atque cuspis deorsum conversa sit. In Aegyptura translato Sarapi, templum prò magnitudine urbis extruetum^ loco cui nomen Rhacotis antea Aiisset. Apnd Tacitum iogimus : eius templi hostium anni certo tempore patefaciebant ipsi sacordotes, admotis ad rem divinam aqna et igni, quo4l baco dementa maxime praestent. Dominatu Julii Caesaris incendio consumptum recitafc Busebius. Illud addimus ex Plutarcbo Alexandriae primum indigitari coeptum Sarapim, Aegyptiorum lingua Plutonem significante vocabulo. Is fingebatur hunc in modum : prae- stanti forma atque aetatis iutegrae iuvenis, qui subieeto ca- pite vetusti operis quasillum gestet. In quo Macrobins, is qui deos omnes ad unum solem confort, ipsius sideris alti- tudinem siguificari contendit, et vim rerum omnium terrena- rum capacem, quas immissis radiis ail se rapiat. . Imago vero tricipitis animantis adiuncta simulacrO| quid aliud quam tripartitum tempus ostendit, in id quod est, quod fuit, quod futurum estt In leonis ergo capite qnod 6 tribus medium se altius erexerit, tempus instans exprimitori inter praeteritum futurumque tam breve, ut quibusdam nxù^ lum videatur; iu cui*sd enim semper est, it et praecipitafe, \ m - T. . - -^— ■ 1. T ri- ' I H j » i»»w*i r_'ìf 1 ' III ■ I n. i^i > 'ti ni IT | - l-i i i ' i *^ -A.^-^ ^ •«■ • -làr:.. ^.- .^^ . ^. ^_. ^ ut i m ^iin 130 A. JANI PARRHASU ante desinit esse qaam vonit. Est onim leo natura fervens ac in agendo quod iinminet validus. Teinporis vero praeteriti cervix lupi rapacis a sinistra parte oriens argumentum ore- ditur, eo quod por id animai rerum transactarum memoria au- fertur. Oeterum canis caput a dextra adulantis specie renidenS| futuri temporis eventum declarat, de quo nobis spes licet incerta blanditur. Quis enim non suas cogitationes in lon- gum porrigit! Maxima porro xìtae iactura dilatio est; illa prinium quemque extrahit diem, illa eripuit praesentia, dum ulteriora promittit; perdimus hmlicrnum, quod in manu for- tunae positum, disponimus, quod in nostra dimittimus. Olamat ecce poetarum maximus, velut divino ore in- structns: Maxima quaeque dios aevi prìuia fugit* Quid cunctarisy inquit, quid cessasi nisi occupas, fngit; cum occnpaverìs tamen fugiot. Itaque cum celeritate tem- poris utcndi velocitate ccrtandum est, et velut ex torrente rapido nec semper cnrsuro, cito hauriendum. Audio te esse egregiae indolis adolcscentulum, animo alaorem, ingenio potentem, frugalitatis et continontiae in istis annis admirandae, patientcm laboris, a volnptatìbus alienum, fìrmiterque laturum quicquid inaediflcare, quicquid tibi fortuna voluerit imponere. Cui si nondum omnos ad unum bonos libuit excindere, si nomen Aragonium propitia respicit, te, lapsis tuorum rebus, incolumem servabit, discet abs te clementiam mitissimoque principi mitis aliquando fiet. Tu rursus maiores tuos intueri debes ascitos coelo, ope- ramque dare ut nude per iniuriam deiectus es, industria vir^ tusque te reponat. Ante meos obitus sit, precor, ista dies. Deditus ac devotns JAMU8 PASBHASIUB »■■*■ •t^^tmmmii^mtmtmm^-im té^maif^tmnmrt i ii '■'■^^■dfcn* i^-»- tm Cm^^ m iiJfcéi^MiMiiiÒfai IV OHATIO I IN ALEXANDRUM MHiUTIARUM Mediolani 1501 (Cod. V. D. 15) 0) Ismcnias ilio Thcbanus, sammus oetate sua libiceli, quos in arto discipulos habobat, iis auctor erat ut alios eiaa- dom studii profossores ot quidem malos adiront. Quod ita foro putabat, ut ot illi quid in canondo soqaondum aut fa- giendum essot ab alionis erratis erudirontur, ot oius alioqniii non iniucundao modulationi, oomparationo peioris, gratiae plus aoooderot. Id nos oxomplum, quod maximo probaromus, in usnm re- vocano tentavimus: an aliunde factum putatis, ut iUam pocudom (Minutianum) vos audituin misorim^ quam ut roconti perìculo cognoscatis quid intor Apollinis ot Marsyao cantnm differatt Non dubito, qnae vostra sagacitus ost, qnin onmes in- tolligatis illum noo ingonio, noe oruditione valore, qui per se nihil unquam parit, ab aliis omnia suppilat, ao ut igni^ vissima volucris relictis cadaveribus saturatur, ot, quo nihQ impudentius, oiusotiam, quom tortio quoque verbo crudelissime lacerat, quo se potiorom iactat, inventa recitare -pro som non oruboscit. (1) V. huius op. Gap, li, pag. 40 et aeqq. \ ì< ^~^~^*'- ■ --r ^-^ — rlfMii-^rr-r-B t— *-— ^HTTj rn- n ■-,, — . — — ■ , , i i ^riairy T i - « f i i i ~i — nr .^ ^ ti iTV fr — r '-" r r - ' i «■^ ■». <- *^< » ■ i >■ 132 A. JANl PARBHA8II Audistis, arbitror, audistis, ornatisf^imi mveues, cum, nu- dins quartns an quintus abbino est, poctarara genera nostrìs tantum non verbis enumeraret, quaeque nos anno superiore ex auctoribus graecis accepta, vobiscnm oommunicavimus j eadem nuper ille quasi sua, quasi nova, magno verbornm strepitn blatteraret. Et audety proh Superi, se nobis ilio eomponere ! qui negligentiae nomon suae praetendit inseioiae, qui turpe non dueit oeoupationibns excnsare, quod haotonus magistri per- sonam non sustinuisset et satis buio inelytao ei>itati factum putat, si prò tot annorum iactura recipiat in posterum foro diligentem. Quae cum dioit homo parum consideratus non yidet alterutrum necessario sequi : aut ante adventum meum ab ilio Tos esse despectos, ad quos illotis, ut aiunt, pedibns et imparattts acoederet, ut, si quid in litteris curae posthao adhibuerit, eius omnino mihi gratia deboatur, cuius opera sit effectum ne vos, ut antea, scopas solutas existimaret; aut certe illud se non amore disciplinarum, quas arrogantissime Sibi vendicat, non virtntis, a cuius itinere iampridem longius aberraret, non suae denique existimationis, quam post um- bram lucelli semper habuit, ad hoc adductum, sed spemer- cedis, quam desertus erat a vobis amissurns. Et Ì8 unqnam poterit illum quaestum, quem non ex of- ficina sed laniena librorura quam maximum facit, vestris ra- tionibus non anteponeref non hercle magis quam pisois in Bieco TÌTere« Nam ubi cupido diTitiarnm invasit, ncque disciplina, neqne artes bonae, ncque ingenium ullum pellet, ut non minus vere quam graviter ait Sallustius. Sed fac eum maxi- me velie: quid tandem praestabitf an alius nuno est quam olim ftiit, cum per libellos a Senatn toties efiBagitatus ut ab aede Musarum raucus hic anser exploderetur T nempe ille ipse est et aliqnando tot annorum cessatione deteriora Sed quid hoc refert, si discipuli non facilitate sermonis, ■ i^ ii . ■■«. »m n mwtt* fi *»m,mii i ,Ama d j T b ^\''mì k 'ì è Ì%tV m0 m imi tì mktmmwt h mut m m^m T »éb'^^mmmmÌèmiJÈm ORATIOXES ET SPISTULAB 13S non rerum memoria, quod par esset, seti oviclianis ariibns alliciuDturf An non illius earmiais in meutem venii: Pro- mittas facito ; quid enim promittere laodit. Pollieitis dives quilibet esse potest. Invenias aliquos adeo veeordes ut oas- sam spem precio mercentur et quo, dii boni, precio ! iactar» temporis; quo nihil esse preoiosius in vita qui Theophrasto mature non erednnt, exacta mox aetate, sero sentient. Qnod ne nostris auditoribus usu veniai, si unquam àlias in praesentia diligenter seduloque cavebimns, cum mea spenta vestrique causa, quibns ut amantissimis nostri consnltam volumus, tum ne P. A. Stephani Ponoherii, Senatus prìnoi- pis, ao sacrosancti nostri regis Archigrammatioi fidlere iodi- cium videamur, quippe quum nos, qui summus honor est, snis aanumeret ao, ut est in bonos omnes muniflcus, muo- ribus in dies auctet praemiis, ut Glaudiani mei Carmen usur- pare iam libeat: Crescite virtutes fecundaqne floreat aeUt, Nfciu patet ingeniis campus, certusque inerenti Stat favor ; ornatur propriis industria doni». Surgitae sopitae, quas obruit ambitus artes : Nil licet invidiae, Stephanus dum prospicit orbi. Non est amplius vulpi locus, nusquam iam nebnlones, nusquam Lysonis excussor emissarius, iacet cmentus iUe da- lator, in acie linguae qui nccem gerebat. Quod si verum non est, nec malis artibus, ut omnes afiirmant, sed, nt ipso glo- riatur, industria pervenit ad opes et dignitatem, dicai, db- secro, cur nuno cadem non assequitur, quando nberiora tìp- tutum praemia sunt proposita , naetus indnlgentissimam Praesidem, qui benigna fovet ingenia T cur ad enm sàlutan- dum nondum venit? Nempe quia noctua solem fingit, neo audet homo lovissimus illi trutinae se committere. Sed Tersipeìlcm, quem, ut Lysonis sui suecessorem, intrinseoos odit, foris amare simulat, de quo ad aurem garrit, eundem- que palam laudat, ita frigide tamen ut ad noTeroae tomn- \ "•~ ^' rf H 111 • *• • ■» ft -* ~tf -~-rii' • ■ <»ii 11 «»^^9**4ÉUJb 134 ÉL. JANI PABRHASn Inni fiere Tidentur. Sapienter Kurìpides, cnins singalos versus singula testimonia putat Cicero : intempestivos, inqnit, amor a simnitate parnm differt; sed utinam faxit iUe deus ut sumrais aliquando beneftciis affeetns , Pater amplissimus (Poncherius), te enim absentem tamquara praesentem appello, tibi amiens sit ; hoc enim cum tibi opto, opto ut beatus sis ; erit enim tam din vir modo harum, modo illarum par- tium fldns nemini, ao in sua levitate tantum constans. Et ille suam vitam mecum contendit, cuiu^ nulla pars corporis^ a turpitudine vacat. Sed nimis evecti sumus ob huius vix hominis importnnam perditamque petulantiami qui iamdudum princeps in urbe, quam Philippus in Thracia condidit, Po- niropoli, nemini parcit, oblatrat omnibus, omnium dieta fac- : taque probris insectatur, ac ut immundus sus cum suibus • volutari quaerit. Krit aliquod tempus quum huius insaniae gra^nores mihiy poenas dabit; nunc ad ipsum Statium transeamus, in cuius auspiciis uihil est mihi commune cum ceteris. Illi poctam lau- dibus in coelum tollunt, id ego mihi faciendum non puto, primum ne videar in laudando conterraneo meo mihi piacere, ■ deinde ne quis in nos torqueat quod olim Spartanus ille citharoedo nescio cui, qui non suo tempore laudabat Hercu- lem: quis eum vituperat? Nam Statium, quem laudant om-. nes, accusat nemo, defendere, quod ali! tentaverunt, prae- '' terquam quod ineptissimuni duco, hominis esset non intelli- gentis, poetam, ipsa vetustate extra aleam iam positum, sollicitudine defeusionis in dubium revocari. De nobis*autem magnifico quicquam praefari, quod nunc a doctis indoctisque iuxta fit, adeo consilium non est, ut omnia experientiae relinquamus, ad quam statìm descendam, quom de poetae vita panca dixero. «?* » . , rf^ ORATIO II II ALEXAIDRUM MIlDTIAlOy » MedìoUni 1501 (Cod. V. D. 15) Non vodì responsanis, ut snspicaminiy maledietis Jnr- gationibus et conviciis, quibos hesteraa die nequìssiniiis iDe bipedum, non tam me, in quem Ula minime cadnnt, qnam sanctiBsimas anres vestras oneravit; alind certe tempns, aìium locum illa sibi poscit oratio qnod, ubi constitntam mibi faerity eflìciam nt sciatis. Adesto tantum frequentes, honcstissimi iuvenes, intel- ligetis profecto quantum profuerìt vanissimo nebuloni inno- centissimum hominem tot immanibus calumniis provocasse. Spondeo recipioqne voluptatem vos haud exiguam perceptu- ros; non cnim me fngit vos omnes cupere temeritatem tot annorum impunitate confìrmatam quandoque retnsam spoetare. Itaque libcntius aggrediar, datnrus vobis varìam ridondi ma- terìam. t Proinde ieiuno stomacho faciendum non erit. » Illud autem diffcrre non possum. Quid est, per deos immortales', quod ita soUicitius a nostra auditione vos arcet, adeoque deterret, ut etiam, si diis placet, homo sordidissimus edictum proponatf quid est, inquam, nisi illud prohibet vos a oo- (1) V. huitts op. Gap. V, pag. 45 et seq. ■ r ■ • r. », MUri 1^. w. a>. ■ « ■*-•# « « •• «• ■ ■il ■'fììtii'il«^iThMli tf ì f ifci /T fu 1^ |^, Y-1 i ib» ri I 136 ▲. JANI PABKHABn gnitione doctiorum, quo diatius in admirationc sui detineati apad quera quantum proficiat quisque sontitf Sua cuiusque ros agitur ; per me sit omnibus integrum audire quem maxime probat. Equidem neminem invitum detineo, neque si velim posse confido, quod Appula musca saopissime gloriatur. Quoties onim pracdicasse creditis ita discipulos addiotos ha- bore, ut ne ipso quidem Varrò, si reviviscat, co plures Me- diolani sit habiturust Scd illud gravins, dicam autem quod ab co milies au- divi : Yos a pccudibus differro quicquam negat. Non onim ratione, ncque iudicio, scd impctu quodam ferri, contuma- citerqne contendere prò sententia, cui quisquo semel inhae- serit. In Tobis uunc est enScorc, quominus nimiae licentiae littcrator ca vere dixerit, neque committere ut patientia nostra diutius abntatur. .' { MM*riM ii i h r m-- \ • '■ — ' ' ^^iJ::^--^^^-^^.-~^M^~^^*:M.^>~.i...m.ir^-MM.^'-^f,A-^2..ji^^.^^.^sL..^.2J.^^ * .• • VI ORATiO AD SENAIUM MEDiOLANENSEM ^'^ 1501 (Cod. V. D. 15) Gratulor litteris, |i:aiuIoo mihi, Patrcs optimi, qui tandem iuveni qiiocl diu multumqne frustra clcsicleraram, ne nostri temporìs priucipcs aut eorum ma;;istratus, in quorum manu rcs est, tcmoro cuipiam docendi munus iniungeront, quo nihil indignius, nihil roipublicae porniciosius excogitari poterat* Non cnini parum rofert quam quis initio disciplinam sortiatur; nam quae teneri percipimus altius animis insidunt, ao ita penitus radices agunt, ut nuuquam, vel certe difficulter eyelli quoant. Intellcxit hoc prudentissimus vates Horatins et hunc in modum testatus est: Quod semel est iiubuta recens servabit odorem Testa dia. Deinde subdit: . Sinccruin est nìsi vas, quodcumque infundis acescit. Habeo vobis gràtias et quidem maximas, viri clarissimi, ac si facultas darctur, etiara referrem, qui de nostris studila adeo solliciti estis, ut me, licet illnstrìs amplissimique do- 0) V. buius'op. Gap. V, pag. 47 et taq. • k ... , . \ "'ili m i^>*i ■*i>**^M*MMMM«^«*aa«^ 188 A. JANI PUSRHASU mini Oardinalis Bothomagensis, qui Ghrìstianissimi regia personam sastinet| iudicio comprobatum, non tamen prius admiseritis ad eradiendam Mediolanensem iuventutem, quam vigilantissimis vestris ocalis exhibitum aliquod porìoolnm fa- cere spectaretis. Non enim nobis exciderat illud Plaatinum: Pluris est oculattts testìs unus, quam aoriti deeoin. Novistis, Patres optami, novistis quid hoius sanotissimi Senatns ordinem deceat: non oportero mmusoolis bominnm, neque simplici cuinsqne testimonio facile credi. Oondonant pleraque mortales odio, nonnulla etiam gratiae ; ncque reve- rendissimi domini Gardinalis divina mensy gravioribus ne- gotiis occupata, minimis quibusque vacare potest. Quid vero nnnc agam, viri clarissimi, quom sere già- diator in barena consilium capiat mibique necesse sit in consessu disertissimi Senatus, virorumque doctissimorumi quos adesse iussistis, ex tempore verba faceref Fateor hoc etiam periculum bone pcriculo nos quandoque fccfsse ; sed in ludo litterario, non in foro; sed nostri generis hominibns, non tot eloqucntissimis viris et illa auctoritate praeditis audientibus, qui, quoque me verte, virtutum fulgoribus in- gentes occurritis. Sed unum me, Patres optimi, consolatnr, quod apnd prudentes, ut in lucubratis operibus censura severior est, ita in snbitis orationibus venia prolixior; nulla enim res potest esse eadem festinata simul et examinata, neo esse quicquam omnium, quod habeat et laudem diligentiae suae simul et gratiam celeritatis; Bxstant a nobis evigilati commentarii atque leguntur, in quibus non recuso vel.etiam malevolorum subire iudicium (1), dummodo ne quid ingenio valeamus ex hac tumul- (1) TttDo Parrhaalat iam ediderat laculentissimos commeDtarios, qui iDscrìbuDtar: Corneliut Nepos De viris iUusiribus, MedioU. 1500; Sadalii Carmen Paschaie et Prudentins, Mediol. 1501 ; Comm. De Rc^ffiu Pre- eerpinae CL Claadiani, Medici, prid. Kal. Sext. 1501. •• s MmMié MM«.<^ria^>M^U^«MiteM«iM*^F««iid»w*i*MM*rn«kM^*«taa^k«Bi^M.*rt*««>w»rfkMkW«*««wAi«aitfkÌHa^^ ORÀTIOMKS BT BPISTUULB 139 tuaria dictìone stataatis. Neo opes, arbitror, in nobis exigitìs so<l virtutem, quae pauportati praoclusa nanqaam fiiit. Im- mo paupertas iam pridem virtutis et doctriDae contubemalis est, fragiy sobria, parvo potens, aeinala laudis, habita secnra, calta simplex, Consilio benesaada. Haeo in Aristide insta, in Platone benigna, in Epaminonda strenna, in Socrate sa- piens, in Ilomero diserta fiiit, nt non ininrìa apnd Graecos Baripidis poetae versus proverbii vice iactetar: ircv/a ii fjcur,y tkayit^ idest sapientiam sortita paupertas est; et Oarthaci, qui sub ipsis nostri maris Aucibus habitant, eandem simul et artem prò nnminibus venerarentur, artem ut ampleo- tendam, paupertatem vero ut ipsius artis calcar etincitabn- lum, quod ita nos esse certissimo documento deprehendimos; quippe qui, dum iutegris opibns et incolumi patrimonio domi florebamus, litterarum studia remissius assectabamur; ubi vero communis iUa tyrannomm procella nos, nt bonos omnes, in- volvit, ardenter adeo mansuetioribu^ musis operam dedimnsi ut et nos hactenus non poeniteat, et ab aliis idonei existi- mati simus, qui BomA«, in arce totius orbis terramm, or»- toriam publice proAteremnr: in quo rev:mns dominns Sancti Georgii Gardinalis me mentiri non sinet, ne forte nos ezi- stimetis, ut dicitur, in dolio flglinam velie discere. Quod si praeiudicio rev:mi domini 0ardinali9 Itothomagensis, ut par est, assentiemini, cnrabimns nt suscepta de nobis opinio vos frustra non habeat, et hnius indytae urbis civos iure queri non possint, eomm liberis 'a vobis male consultam. Non enim, quod a nonnuUis fieri solet, mores cnm honore mn- tabimus, sed in dies magis magisquc enitemar, ut vestris mnneribus indigni non habeamor. Dixi. \ . . f , . . - ■ -^ -m i t, *"— "'-^- -*• - ---il I «^■•b*» 4» « .% « « •»,••► «•^«•^•«••«« • m^m m •• •» tmi^m^m ^^^^^ ^^W^Wj^* -, • V *•-• « »« J^ ' vn ORAIIO III m ALEXANDRUM MINUIIANUM ^^ Mediolaiii 1501 (Cod. V. D. 15) Decreveram, fatcor, Patros optimi, vosquo Risortissimi iuvonos, hodie non tam diluero crimina, quae potulantissimus ilio rabula, dies. abbino quintus an soxtas ost, in nos evo- muity quippe qnae nomo vostrum non iutcUigit anele profl- oiscantnr, qnam quo decet ore bipcdnm ncquissimum remor- dere, quo si quam voluptatem male dicendo ccpisset, eam male audiendo amitteret, quom praosertim notisslmae teme- ritatis homo nostra patientia abuteretur, ac in dics fteret im- portonior, ut Torendura mihi esset, ne verum Publii Carmen experirer, et veterem ferendo iniuriam invitarem novam. Quo- niam rero nonnulli et ii quidem boni viri, nostrique, nisi falli- mur, studiosi, me convenorunt, amice monentes, ne cum inso- lentissimo oirculatore iurgiis velitarer, qui non tam iudioio, quam morbo animi, bonis omnibus convicietur : sic in Julium Novariensem, sio in Baphaelem Begium, sio in Baptistam Pium, perhumanos illos quidem, et, ut a multis audio, bene doctos, quasi furore quodam percitum, olim debacchatum pag. (1) V. halut op. Cap. Ili, pag. 27; Gap. IV, pag. 36 et saq; Gap. V, . 45 et Mq, MdM - - — ■ -- ■ ---' -' -■ • -•■*■-■ ..i^;^^-^^..-^. — :.^^.^^A^Lt-.^,^Uws.ft:LAa.Js«Jfcm^*A»e. ORATlOlilKS BT BP18TULAX 141 esso; proinde negligerem, nihilqae rcsponderomi nisi compar ei 8iinilisque vidori vellem : id cnm aiI optiinaram ai'tium soien- tiam et huinanitatem, quain profltcmury pertinere videatar, soquutus sum eoruin Toluntatein ac iudicium. Quod ea de causa libcnter feci, ne Demetrium nostrum (1) offcnderemusy qui prò sua gravitate ac sapicntia, et calnnmiatoris levitatem aspernatus est, et in me desiderasset facilitatemi ad qoam ipso natus est et institutus. Qnare quia semel oblivisci màlai- mus iniurias, quam persequi, obiecta tantum rofellam, de homine nihil dicam. Verum ut intelligat quantum beneficium a vobis accepe- rit, qui vostra auctoritate effocistis, ne parem mentis eiiis gratiam reforrem, quam brenssimo pancia exponam, quae in eum regerere potnissem. Ncque vero dicturus eram, Pft- tres optimi, quam turpiter in agro Piceno prìmum, mox Ve- nctiis, egisset pueritiam, quod crimen non tam suum quam patris videretur, qui summam tuuc in eo potestatem habe-' bat; sod ca quae robusta iam aetsito Mediolani designavit: honiicidia, furta, rapinas ; oinisissom stupra et flagitia, quae honeste dici non possunt, quibus impurissimus ganeo cooper- tus totus est (2). Quid est ? num mentior ? Ecce Pindari codex est in eins manu, quem vir integerrimus Bartholomous ille Chalcus in- volatuui sibi diu frustra quaesivit. Num veteres, nescio qnos Lucaui comineutarios, a Merula suo iure compilavit, quod Ì8 eum, quem facturus videbatur, haoredcm testamento praete- (l) Um tum Parrhasius in intìinam Demelrii CalchondyUa amicltiam pervonerat. — V. huius op. Gap. VII, pag. 60. 2) Ira incitante, Parrhasii oratio in probra et maledicta delabitor. Quis vero eum iure moritoquc insiniulare poterit, modo trìstem hoiatce saeculi circuniftpcxerit conditionem, malumque permultorum grammati- corum ingenium, qui ab acerrimis iris odiisque minime abhorrentet, ctiam 8anae pacataeque mentis doctores ad iurgia lacessebant f \ ■»* .. fcwlfc. " *' * * " ' " ■ ■ 'M ' * ■< i iiwii !»<<■». ■ K g' -" - • ri _ii_ 142 A. JÀlfl PÀBRHA8U riisset f Et qaem carnificem plnres homines qaain suis dela- tionibus huno occidisso existimatis f Ilio est ille, Patres opti- mi, qui nostrum iUnm praesulom, repetnndarum nuper dam- natum, in nostras domos, in nostras fortunas, in nostras cervioos incitabat. Doletis amissos amantissimos nostri cives f hic Yobis abstulit; dosidoratis vestros liberos ant affines extorres f hic a pati'ia fugavit. Is infonsam illam beluam Yobis rcddidit, is immanora, qui nullo non die, quasi de vobis aliquid comperisset, ad aurem eius snsurrabat. Atque oum haec ita sint, ausus es, o Minutìane, (te enim absentem tamquam praesentem appello) homicidium mihi obiicere, cum tot illustres etiam viros, tuis praestigiis, tuis calumniis interfeceris f Utinam tam rerum tnum quam meum crìmen hoc esset; orbatam certe tot pracstantissirais viris hanc urbem non videremns ! " Ego, si nescisy versntissime veterator, non patrata caode, quod ipso fingis, sed odio tyrannidis patria cessi, l^rannidis inquam, quam non magis ego forre didici, quam tu non assectari. Quid 08 distorsisti, vulpio versutiloquax f quid os di- storsisti ! Idne etiam negare persevei*as, quod ipsius Ty- ranni litterae testantur! (1) has tu, quaeso, lego, ut impo- nant huic impudentissimo pudorem. Audistis, Patres optimi, audistis, ut Friderìcus, qui tum rerum Neapoli potiebatur, per epistolara nos in i)atriam re- vocat, ut nullum patratae caedis aut homioidii verbum fa- citf Si quid autem horum, quae calumniator iste mentitus est, admisissem, quo nos facilius ad se traheret, id quod ex litteris cupere prae se fert, impunitatem certe polliceretur, cuius hic mentionem Aeri nuUam yìdetis. Nnnc autem quom nostrae fugae ratio vobis constet. ■ i» (1) Epistula baec desìderatur ana cam saxeentis aliis qoas Parrhasias, ut ìd Valli Apologia scriptum leginias, ab Aragoneis a€cepit« kihflil*MiilkM^ mì - \ ' a t it^Ét • - - - -'-' -' - - "--• i"-'i*"-*y''- .rf i' t ■■ ,. ■■■ ^-^ -■ .■■■■rh«f ORJLTIOHSB KT BPI8TUIJLB 143 velim mihi respondeat invidus obtreoiator quid dt car ipso quadraginta totos annos in exilio consumpsit. Nam ea vera causa sit, qnam ipse speciose iaotat! tam propudiosa tam turpis est, ut ne acerbissimo quidem hosti patiar obieo- t^iroi ne sanctissitnas vestras aurcs portentomm memoratioiìe polluamus. Et etiam vanissi mns nebnlo beneficia nobis exprobrafc^ quod apud se recepit, quod litterarum Indnm communicavit. Id ego quamquam semper prae me tuli, maini enim me de- bere faterìy quam cuiquam minus prudenti non satis gratus Sideri : die tamen, obsecro te, vir bone, idne benefloinm tuum vocas quod, si bone tibi, mihi damno ftiltt O diem funestam, o diem semper poenitendam! Qnid ex illa socictate praeter vigilias, praeter labores, praeter iuvidiam, quod denique praeter sugillationem ad me pervenitt Scis quid machinatus sis, quid struxeris et andes id 9^ pollare beneftcium 9 Quanto satius, quantoqne melius fuissei obducta iam vulnera non rcfricare. Meum fnit illud in te boncficium, si nescis, meum, si te domi, foris, in re privata, in re publica, in studiis invi, sustinui, fovi. Pndet fateri qui me vicarium (!), qui discipulos erudiebam solns, et emen^ dandi provinciam sustinebam: quam diligentiam si vel antea^ vel nunc adhiberes, nunquam Ciceronis opera adeo depra- vata, manca, corrupta legerentur, aliaque praeterea nonnulla, quae tu, qua stum sequutus, imprìmenda curasti. Qnid quod mea opera liberalitatem tui Lysonis provocasti et qui nnn- quam versus, aut certe malos, facis, repente tamqnam somnio poeta factns, ingenii praemium accepisti et annnos quadra- ginta consequutus es'aureos. Extaut ecce carmina quae me mentirì non sinunt, quae qnoniam video vos id expetere, non gravatim iubebo recitari. Transeo cottidiana mea in te officia, missa facio interiora nostra studia, quibus adhue spiras et auram trahis, quibus, ineptissime, tibi placca, non sccns ac pica salutatrix, quom voces humanas imitatnr. >!■ I nn , - ,., ^i TI ir ■• • f. P.A .-•. , ^^..^. ■^■^ ; „ ,,,, ---, ■ • - - . »> • • • 144 A. JkSl PABBHASn Qnod si non tantum profecisti, quantum par osset, tua non mea culpa taxi ; quid cnim facias homini tot quacstuariis artibus occupato? lam vero illud cuiusmodi fuerit, omnes probe nostis, quom Julius AeinìliuSy vir, ut a raultis accepi, plurimae lectioniR, ex hoc loco, prò dii iramortales, (et au- debis negare ?) manifestissiinis arguinentis, omniuinque con- sensu te reum lancinati, praecerpti inversique Cicoronis ageret. Ego quom tu ingratnm vocas ( piget horcule memi- nisse) suscepi tuas partes et quidem iniquissimas, quantumque in me fuit, indefon^um non reliquia tuoriquo conatus snm oum summo capitis mei periculo, ut vestrnm plerosque me- minisse conAdo. I mine et confer illa sapidissima tua tuceta, illum pa- nem secundarium, illam vappam, quam nobis appouebas. Neo eo dico ut expostulem, qui potus cibique (quod tu non negas) parcissimus semper oxtiterim; sed compononda fue- runt aliquando beneficia, ne tibi semper ingratus viderer. Quod si nihil praeterea contulissom, nonne minerval mea diligentia quaesitum satis est ad aequandas rationes f an tuas dumtaxat in ephemeridem contulisti, quod facis cum papyri glutinatoribus, quos semper aliqua summa defraudas f Vae tibi si non intelligis minorem lucri quam fldei iacturam esse 1 In quo ingratus tibi videor ! an de vi queri non debui, ne ingratus tibi viderer 9 Ao in illa querela quid est dictum a me cum contumelia, quid non moderate, quid non remis- sins quam scelerìs atrocitas exigebatf Sed alibi furoris arcem habet callidissimus veteraton invidia miser aestuat, invidia coquitur, invidia rnmpitor, nollet extare cuius comparatione detegeretnr, Andistis, eru- ditissimi iuvenes, audistis cum clai*a voce clamaret : descende de pulpito, si vis ut taceam. Egone descenderem, stolidis- sime, ab ilio suggestu, in quo certa disciplinarum ratione locatus sum, in quo me Pater amplissimus et divinus Car- dinalis Botbomagensis, approbante universo Senatu, statuit t r r • *"- -^ I ------ — ■^■^ -^ •^*^''>'^'*-^'^' »•'»■'- 'i^^*- ■• • <■■■■• ■^-■■g..' — .-i^-.^^^^^. OKATIONB8 KT KPISTULAX 145 Itane padorom cnm pudicicia siinul amisisti, ut istis oculis, istis fauoibus, isto crine ad lenociuium composito, tanto Praesidi, [j^rnvissimoquo ordini to oppouas, et eum de grada deiieere temptos, quein venernndus Princcps, quem sanctia- simus ortlo praeceptorcm declaravit, laudavit et suo testi- monio decoravit ! Quoti, ne quis a me flctum putet, auscul- tata), quaeso, diploma (1). Accepistis, Patrcs optimi, qui- bus me verbis froquous Senatus ornavorit: et audet nimiae liceutiae litkMnitor edicere, ne quis ad nos accedat, ne quia auditum veniatf Seti quid infelix a«;:at! videt aliter se stare non posse, arcet vos a nostra auditione, ne quid inter utrumque distoi agnoscatis, ut vos diutius in admiratione sui detineat, cum summa reipublicae iactura ; quid cuim doceat praeter strì- bliginem aut ventosam loquacitatem , qui dimidio stultiorea dimittit auditores quam aeccpit ! Et erit qui posthao tam im- peritum, tam pctulantem, tam temerarium ducem sequaturt erit qui liberos credat! qui suas aures accommodett Hos cgo^ si qui tnmt, non tantum facile patior, sed etiam votis opto no nos auditum veniaut ; quid cnim aliud esse crodamus, quam veeordes, aut certe non bonos ! Quare quoniam satis apud vos, a quibus prubari cupio, videor expur- gatus, flnem dicendi iam faciam. Si quid autem nostra ora- tione offeusi estis, iustius illi quam mihi succensere debetis, qui initium iutroiluxit. Ego dabo operam ne in ftiturum hoc in genere gravis sim. Itaque noe iuimicum duco» nec ami- cum recipiam. (1) ExsUt diploma, ouius hio mentioDem facit Parrhasias. ^ V. httias op. Cap. V, pag. 47, n; {!)• ^ >««kri*«.k_M ***"■* ■■ ■ *'"''^"— ■»-^" ■ ■■ ■^■y-ni' h«U W4 »s^ . A «^ , Vili PBAEFAIiO IN PEBSIOM^) Mcdiolani 1504 (Cod. V. D. 15) Chilo, sapiens uuas e scptom quos votostas in Graecia consecravit, iam senez eoqao prailentiori nam serìs venit usus ab annis, ut inqnit Ovidins, qnom forte qnompiam glo- riantem audisset nnllam se inimicum habere, an nuUam e- tiara amicnm haberet, interrógavit, amicicias et inimicioias iuvicem consequi et addaci necessario ratus, ut apnd Gellium Plntarchas memorat. e Hai >, in Aiace farente Sophocles ita monet, e hac fini amcs, tamqnam forte fortuna osurus, bao itidem tenos oderis, tanqaam paulo post amatams >• Per tot onim vitae salobras quis ita circomspecte potest incedere qain offensiones aliqnando non incnrrant f Sammae illnd qoi- dem felicitatis est dnas forocissimas affectiones amoris atque odii intra saam qnamqne modom continere. Qnod si minns contingaty qaom non omniam sit in Gorinthnm navigatìo, proximae laudis illad est ad lenitatem nos qaam primom dare, nec in vita mortali inimicicias perpetnas exercere. Minutianos Alexander, nt scitis, annis abbino daobns, an tertins agitar, ex hospite factas hostis, utrins colpa dicere (1) V. httius op. Gap. V« pag. 60, • t I^i* * J 0i m,^ m^m^mì^^ ORATIOIIKS BT SP18TUULX 147 supersc<Ieo, quando fero iufftum quisque affeotum iudioai quem agnoscit, amicis auctorìbus, in gratiam mecum rediit, et eanii qnod est in me, mansuram seniper : atque ita forOf Deum optimum maximum quaeso. Fecenint hoe ante nos alii complurcs, quorum vestigiis insistere quem pnderet t M. Ae- milius Lepidus, Fnlvius Flaecus, Livius Salinator, Olandios Nero, Tiborius Gracchos , Africanus Scipio, M. TuUios, 0. Antonins, ii non solum sino crimine Icvitatis, sed etiam cum laude simultatis acerbitatom deposuerunt. Nam multo speciosius est iniurias clemcutia vincere, quam mutui odii pertinacia. Quapropter omnia praeterita malcdicta, qnae non voluntate, non iudicio, ( quod ipse non negabit ), sed ira percitus, in nos effudit, familiaritati, qua mihi coniunctns olim fuit, et amicorum precibus condonavi ; quom praescrtim intelligerem satis in eo Pontifici meo facturum, ne momm ^ facilitatem, ad quam ipse natus est, in me desideraret. Ac- cessit et alia causa non levior, quod noUem simnl alterca- tionibus ozimi diem, simul honestissimas aures vcstras iUi- beralibus conviciis onerare non citra iacturam temporis evi- dentem, qua nulla pemiciosior, ut Theophrasto placet. Et verebar ne contentiones huiusmodi nostra Consilia pcrturbarent, quae penitus in eo flza sunt: aliqnid utilitatis nostris hominibus afferro, nec levibus occupatos studiis, ezi- stimationem bonorum mereri, nec ad eam rem labori parcerOi qui generosos alit animos, ut sentit Seneca. Quare quom vobis anno superiore Papinii 8jflca$ prò virili diligenter ezposuerimus, in praesentia, Snperis approbantibus, in eamm locum Nasonis in Ibim Diroij Horatii Foetteam^ Persiiqne Satyroi suiBciemns, eius quem Lactantius, quem divns EUe- ronymus habet apctorem \ •MÌkUijM*«^i4kr«.a*ÌbiAMriWÌtal»M4ki^«i*ih**i«^MU^i«k^a*MiJMkÌMM*»n«i«B«Ht«»**«»«»*M«^^ .,^.'^■^^,^^ aj— é0t * fciii »it^ I IX PRAEFATiO IN THEBAIDA^ Mediolanl 1504 (Cod. V. D. 15) PrìnBqaam destinatam mnnus aggrediar, oniatissimi aa- ditores, consilii mei rationenii cnm in ducenda nxore^ tum in hoc potissimum poeta promulgando reddendam censui. Ego quom prìmum appnli in hanc inclytam civitatem et latissimo dignam imperio, eins amplitudine captus, hanc animo meo propriam sedem flxi. Nam, post illam felicissimam Gampaniae oram, unde nos armorum strepitus exclusit, in tota Italia nullum usquam seoessum solo virisque meliorem, quique mihi Mediolano magis arrideat, inveni. Adhnc enim retinet rerum copiam, innumeras et cnltas demos, virorum focnnda ingenia, antiquos mores et quae praeterea ceoinit Ausonius. Itaque velut. oblatam caelitns occasionem docendi non invitns arripui, proque mea virili parte enixius operam dodi, ne vobis essem pudori, aut inter grammatices Italiae professores ultimus • Ut multorum iudioio ridebar assequutus quod optabam, apud eruditos aliquam in litteris opinionemi apud optimos qnosque benevolentiam non vulgarem ; quom- qne nostra studia ita oculos attòllere coepissent et braohia movere, ut pristinam dignitatem recnperatura yiderehtur:' (1) V. haius op. C^. VII, pag. 61 «t taq. I» I ■ «i m «wWi T i n i MWB^^w»«Ma»ifa<^U«i««tai''MtfM*«^'M«**"*»^«M<hM**«w«MMM«iA««Mb«»«MaM^aMMif^^ ORATIONSS RT.KPISTULAB 149 ecce tibi caocis invidiae tolis impeditasi ^arum àbftiit quin animi conscientia securas intor oscitantos opprìmerer. In tanta rei notioia nihil opus est immorari ; non enim vobis ignota loquimor. Hoc ego periculo non minus ac deboi motns, ne patieutia mea iniurìam invitaremi quia certos insidiaram auctores non habebam, bilim,.ut ingenue fatear, in omnes effudi; unde auìmos a me vestros aliquantisper habui arersos cum maxime meo dolore. Quam ob rem iniquo meo fato ceden- dum ratus, quod, nulla mea culpa, uescio quomodo, semper obtrectatorcs invenii vel in Ulterìorem OaHiam, quo maximia praemiis invitabar , aut in Urbem Bomam ; Uluo enim T. Phacdrus, illius Academiae princeps, omniumque nostri temporìs eloqueutissimus, me per litteras accersebat.. Ea fama, ut mos est, emanavit, iuque dies magia m»- gisque gliscens, quosdam nostri nomiuis studiosos exanimavit;. ii me frequeutes adeuut: uno ore rogare, obtestari, contendere- ne committerem, ut quantum improbi discessu meo cresce* renty tantum bonorum consensus erga me debilitaretur ; ami- cicias inimicicias iuvicem contraili posse; bonorum ex levi olTensione in gratiam redire, si me ad lenitatem darem; ne- bulonum vero nullam habendam esse rationem, improboram nullam curam esse debere. Ut informatus a natura animus facile moveretur, effeceioint ii auctoritate recto monentinm. Sed ut aliquo praesenti pignoro me diutius in usum ve- strum fere declararom, placuit in spem prolis et rei familiaris Theodoram, Demetrii liliam, mihi adiungere, in qua non formam, quae in.ea mediocris est, ut. appellat Knnius^ non offertam dotem, quae male sijae moribus expetitur, animumque meum non facile capit, sed ingenuas artes, integritatem vitae, et super omnia patris eius afiinitatem spectavi, quo studio- rum adiutore, spero me vobis industriam diligeotiamque meam probaturum. Quare si ìiieìim erga vos animum nondum aliis in rebus perspicere potuistis, in hoc ad liquidum debetìs habere exploratum, quod in optanda uxore non opum, non ^■ » , , ,,^«. , ,, .h I., , I r , I , r M ,. l U afc.^^ «feat. --. 4- • ^ • I •• IM A. JANI PABRHABn Yolnpiatis, at alii| sed vestrae omniam otilituitìs haboi ratio- nem. Adianxi enim mihi viruni doctissimum, cnins assidno conviotu quantum studila nostrìs accederet in dica cxperìe- mini. Neque magis uxor impedimento nobis erit quam Mai-tia HortensiOy Plinio Calpurnia, Lucano Argentana, Statio Claudia, Apuleio Pudentilla olim fiiit. Prudentibus enim viris uxores ut in ampliflcanda conser- yandaque re familiari| sic in studiis magno sunt usui ; non enim sinunt avocari mentem cura parandae lodicis, aut pul- mentarii. Sed quid hoc ego pluribus excusoi quasi meum sit exemplum f quom difficilius sit invenire ex antiquis illis sa- pientibus, Socratem dico, Platonem, Aristotelem ceterosque quorum divini spiritus loquuntur aetemumque loquentur in libris, unum caelibem, quiqne procreandae sobolis curam neglexerit, sexcentos utique raaritos, praeter unum Biautem, cuius antistrephon et quidem inane non iniuria Favorinu^ elusit. Mihi certe satis est unius Antiquari! iudicium, hominis et doctissimi prudentissimiquc et ad unguem facti, cui nemo aetate nostra in aliquo vitae colore comparari potest. Is, in- quam, consilium meum laudat elegantissima epistola et prò me quodammodo spondet, uxorem studiis minime offuturam, quod ita ego praestabo, ut omnes intelligunt nihil de pristina diligentia mea remissum. Loquantur alii quod volunt, ego, tanti viri iudicio tutus, malorum invidorumque sannas aspemabor. Itaque ad ipsum pootam, ut proposui, iam veniam • • . •■)■:■} »• «««•«««■*• ^ ^i--'* i--n i rr r ii «*rf — utti i r- - i --'-- •■ »-- .i-.**. ^^ltm-^^ m....^^^ — i^^^*A^à^^»:^iM^^*^wat : ORATiO m L, FLORUM^ Mediolani 1504 ( Cod. V. D. 1&) Ut qui non suft, sed fortunae colpa decoxit et solvendo non est, creditores in dicin blanda spe tollit, donec occasionem nomiuis asscqiiaiur, ita uos hactenuSy ut ingenue fateamur, inopia pressi, proniis.s«im toties Fiori lectionem sensim pro- crastinando distuliinus. Nani quid aliud, ornatissimi iuvenes, in tanta rerum dinicultate, quid aliud, inquam, facerem, quom publica stipendia non procederent, et, si quae prìvatim consequebar emoluinenta, \ix emcndis olusculis satis essentf Subit adniiratio si quando venit in nientem, quo pacto, tam procul a ineis, nulla re familiari, nullo praesidio ftaltus, huc usque magistri personam sustinucrim. Sed hoc equidem divinae priinum benignitati, deinde vobis acceptnm refero, qui tanta aurium clomentia nobis operam datis, qna nisi stetissem, meo certe studio staturum non fuisse piane scio. Optabat Aristodemus a diis immortalibus opes, ut est apnd Alceum, quoniam bonus esse pauper difficile posset. Et Homs Apollo, qui de sacris Aegyptiorum notis patria lingua scrìpsit, auctor est ab Aegyptiis doctrinam gentiliter appellari Sbo, victus ubertatem significante vocabulo. Quippe si viatica (1) V. huiuB op. Gap. VII, pag. 62 et teq. 'M/j:. 1*r :: '-'' :* ''^ ^ ^'!"*"* ^ *?w-v:r:i.: •U:.-:*.),WT.«w i» 152 A. JAIVI PABBHASn desinti ut vocat Aristotcles, omnis mi scientiAm conatu8 irrìtus est ot inanisi et quantocumqae labore dtligentiaque niillesimus quisqae vix evadet. Amabam nuper artlentissiine studia, sed ut pauper et qui duriter in dies agcbain vitam, non de lodice tantum ( quod ait Juvenalis), sed etinm de calceo parando sollieitus, ut incitatus ille cursus ad gloriam levissiinis interdum curis, quibusdam velut obiicibus, retardaretur, et in aliquibus fidem meam non praestare cogebar iuvitus: quod proximis raen- sibus nsu venit in Floro, non sino meo summo dolore, qui nonnullos inde mihi paulo oiTensiorcs acciperem. Kunc autem, quom amplissimus Stcphanus ille Poncherius, antistes Pari- siensis, et Senatus Insubrum x)rinceps, quo, quasi sacro atque inspoliato quoilam fano, boni omnes utuutur, non honesta solum mihi praemia coustituerìt, sed, qui maguus honor est, nepotis ex fratre sui curam niilii delegavcrit, existimationi meae cousulendura ratus, cum pi-iii>um licuit, quod aliquando receperam, sicut aes alieuum dis^olYere cessavimus, ut omnes intelligatis, hactenus satisfaciendi votum mihi non defìiisse, sed faoultatem. Quod si Fabius Quintilianus, ob eiusdem generis iniunc- tam sibi provinciam, mores accuratius excolendos et studia sibi duxit, quo Domitiani, perditissimi principis, opinioni responderet, quantopere laboraudum mihi censetis in utroque, ne sapieutissimum sacrosaucti Pontiflcis iudicium fefellisse yidear, qui sicut opibns et imperio, quae malis indignisque plerumque contingunt, nitro co<lit, ita bonis artibus et elo- quentia longe praestat. Quare praesentibus omnes animis adeste, et si vobis iniquo meo tempore non displicui, cogitate quid, arridente iam fortuna, vos oporteat expectare. Dixi. 2«- -■ ■ ■•*'•' • ' -' III -— >- .-..^^. ■ -.f^.^. -•-•,..--.>^j.-- ■^,>-a.-^^,.«j«^^-AÌjJ^-^y, XI EPISTULA AD LAURENTIUM PEREGRINUM <'> Mediolani, olro. 1505 (Cod. V. 1^ 0> Non it4i iiiro oontubernii, qno<l tibi communo cum maltis ot iis, ob ìn^ronii |)orv(M*sit>iitem, pnruin inilii probatiSi ut in- dole inoruinque olo;raiiti:i ne bonnrum ariiuiu 8tmlio potes a me expecUire oiniìia qiiae a<l excolcuilum pertineut ani- nium, quem non miiuis ornaium velini quam sua qnisque. Qiiom non nniplius nnuum fueris apiid me, tantum tibi bonÌ9 artibui) et oniciis nmoreni eoneiliasti, quantum si domi nieae natus e^ses ae viveres. Itaque potes et debes a nobia expectare omnia, quao praesertim pertineut ad animi cultnm. Non enim minus e^o oruatum te expolitumque velim quam optimus quisque opifex elaboratam a se statuam. Juuii Juvenalis illud ex initio Satj^rarum e nunquamne reponam >, non ininria desideras expHoari, nam neque Do- mitius, neque Piemia, interpretes alioqui diligentissimi, mol- toque minus infra classem ma^struli eins verbi vim peroe- perunt in hoc poeta. Juvenalis enim reponere non in si- ' gnificatione scribendi sarciendive, sed prò eo qnod est parem gratiam referre videtur accipere. Sieuti ad Lentulum soribenSi (1) V, huiut op. Gap. 11^ pag. IS. \ " ti' t ^mmfmm *• " ■ IM»!! I» I . 1»!,^^, T* ''^ *■-•*'%■■ .• •■- - -', ^ ". , ^ ^^. T-f - ■^- '■! 164 A. JANI PABBHABn Cicero per haec in Epistolarum famiìiarium libro primo: cCur, inqoit, vatdciiiiam landarim, peto a te ut id a me neve in hoc reO| neve in aliis reqoiras, ne tibi ego idem rcponam Cam veneris», idest eadem in te regeram. Atreus apudSe- necam poetam : e Sceleri modos debetar, onm facias scelus, non abi reponas >, idest nlciscaris. Metaphora sampta est ab iis qui matitant, invicemque convivantar. Haec babai saper ea quae a me qaaesisti ; integrnm sit seqni quod maxime probabis. Probabis enim quod aptissime loco et sensuii qui sis ingeniosissimuSi congruct, Sed ben ! tn vide qnid agas, qui cursum reflectas ad Sirenas ; est sane pericnlum, ne te mansuetioram Musaram delinimenta avocent a molestissimo legam studio. Cogita tibi, vale. „<[) ■ !■■ l_Ll:--_L-JW_l_^--ft r-^ ii L.V'^- i -L iT -fi i Ti — "' '-T" - '■ - | ' «'^'-^-i-'*:"— ^■'■^■^^^^-*'^-^^^^ xn PRAEFATiO m LIVIUM» Mediolani 1504 - 1505 ( Cod. V. D. 15 ) Autoquain, Patros optimi, vosquo iuvouos ornaiissimi, do Livio vorba faciaiiii cuuctationis inoae cousilinm broviter exponam. Ego quom videromi nt cetorìs in rebusi sio in liboralibns (liscipliuis ccrtos esse grailus, per quos itur ad sommami anno superiore aditum struons ad LiWumi L. Floram prae- Icgi, qui carptira compendioquo popuH Romani soribit histo- rias. In oo castigando simul onarrandoque quantum vig^li»- rum, quantum laboris exhausorim testos mihi snnt omnos qui tum nobis operam dabant. (Quorum nonnnllos non tam mea, quae modiooris est, eruditio trahebat ad andiendnm quam quacdam, ni fallor, expectatio qua ratione cnrarem tot vulnera, vel, .ut verìus dicam, carnifloinam, quam libra- riu8 in Floro sic exercnerat (2.^, ut novae cicatrici locns non esset. Bt hi quidera, modo livor iudicio non oiBciat, habent cur mihi| si non doctrinaei certe diligentiae gratiam debean^ (1) V. haios op. Gap. VI, pag. 56. (2) Aperte hic Parrhasiut Alexandrum reprehendit Minutianom, qui Mcdìolanif Jd. Januar. 1502, L. Fiori Epiiomeìì, inoumerit refertam erroribut et falsi • corruptam interpretationibos, edlderat. \ « t«" ^Wt»" . ' — •awAmm» '•^•# T?*- l'iWfc iTiiiSWw*! !■•■"»• -^ • 166 ▲. JANI PABBHASn . » od cam caraulandam ne quid oraittercm, qaam Fiori parti- culaiiìi saovicia pcstis excluso mihi tum non licuit, in prae- sontia ropetore constitucraiiii qiiod co facilior accossus ad Livium fore vidobatur. Ad haoo me comparantem forte convenit yir aureo di- gnus aevo/ uee nnqnam satis laudatus Demetrins Chalcon- dylesi qucm uon niagis ego quam studiosissimus quisque inxta pareutem colit. Ad quom, quom meas, ut soleo, co- gitationes retulissein, quae philosophi libertas est, cSanus cs> iuquit € Jane, qui centra tui saeculi mores in uno altero ve libello tam lente sedeas t non illa nunc aetas est, quom in- venes quod imitari vellent diu audiaut, omnes ad vota fe- 8tinaut| ncc expectandum habent, dum mihi tibique libeat prò re dicere. Sed saepe ultro- iuterpellant, atque alio trans- gredientem revocant et propcrarc se testantnr. Utque Phi- lostrati leones ex eadem praeda bis cibum non capiunt, sed ex calida recentique semel pasti reliqiiias aspemantur, eodem pacto nostri temporis homines una do re saepe disserentem non facile x>atiuntur. Quare nisi novi quid in mcilium promas, quod discipuli probenty vereor ne solus in scholis relinqaaris (1) >• Qnibus ego monitis, ut par erat> a priore scntentia de- turbatus, animi dubius aliquandiu pepeudi. Nam quam vis et ipsa res et auctor monebat, ambiguuiu iiuncn erat quam in partem homines essent accepturi, si Lucium Florum nostra ope propemodum convolescentemy nt parum periti medici, non penitus obducta cicatrice, desererem ; *tlifficilis anceps- qne deliberatio , din multnmque agitata , nostri innneris auspicia retardavit, donec animo sedit ocii^mei rationem vestris commodis posthabere. Diebus itaque festis, quos alii genialiter agitabunt, quae restabant ex Floro, pomeridianis (1) Haec Demetrìi Chalcondylae moniU maximam Parrhasii nostri laudem praa se ferunt, nam manifestis argumentis eins magnuin et Msiduum in castigandis scrìptorìbus stodium nobis patefadont ». ^ •^■M*^'*"^ - ■- tk é m u mtàutmm^tÈm^im^m^^mnm* itiàm ««M^«*laiM*É*«i OBATIOME8 ST EPI8TULAX 167 horis intoi-pretabimur, in eius vero locum (qaod (ànskiiii folixque sit omnibus ) Livionì sustitucmns illum, qnem ve- tustos adco suspoxit, adoo venerata est, ut nihil ad hoo aeyi rcliqueriti qnod in eius no>'um praeconium possit excitari. Quis euini post Fabium non dixit in conciouibus Livium, supra quani narrar! possit, cloquenteinf Qnarum tanta vis ad persnndenduni iam tuni crcdebatur, ut Metio Pompusiano capitale fuerit apud Domitianum, quod eas excerptas ad usum uiemoriae circuaiferret. Quanto niitius sacrosancti nostri Ro£^s in^^euium, per quein non haee ediscere solum licet| sed ipso praeceptores nitro conduciti qui iuventutem Hber»- liter institnant, Quis vero Livium nescit in exprimendis alTectibnSi quoa mitiores appcllant, inter historìcos primos obtineref Nam quoil ab ultimis Ilispaniao Galìiarnniqne flnibus illustres in urbem viri venerint, ut unum Livium salutarenti epistola Plinii Nepotis ita porcrcbruit, ut sit in tanta notioia reforre supcrvacanoum. Furor est autem, furor in quaestionem vacare, quod olim Valla, Sallustiusne doctior fìierit an Li- vins, et eos invicera comparare, a quibus discere magis oon- venit. ntrique summi extit-ore ac cadesti quadam providentia componcndis moribus alendis<]ue ingeniis accommodati. Quanto mniori cum laude defendissct in Livio calumniam quam Vm- bius ab Asinio Pollione refert intentatam. e Quo modo, inquii| attica illa anus Theophrastum, hominem alioqui disertia- simum, annotata nnius alTectatione verbi, hospitem dixit, nec alio se id deprendisse, interrogata, rcspondit, quam quod ni- mium attico loqueretur : et in Tito Livio, mirae facnndiae viro, putat inesse Pollio Asinius qnandam patavinitatem »• \ -I.^#by^.;>.. ^ . ^t -- . • • » » .K XUI EPISTULA Nli.-DE LIVII INDICE^') Mediolani, circ. 15(fó ( Cod. Y. F. 9 ) Timon ìlio Phliasius, óloqueutiac sapicniiacquo stadiosusi ut undecimo Successionum libro scrìbit Sotion, iutcrrogatus ab Arato Solense quo pacto posset Homeri poema consequi castigatuniy respoudit : e Antiqua lego exeniplaria, non ea quae nuper emendata snnt >• Eius, ut reor, auctoritatem secutns, Probus exemplaria undique coutracta inter se oou- forre coepit, ex eorumque fide corrigere ceteraf atqne di- stinguere et adnotare curavit et soli liuic noe ulli praeterea grammaticae parti deditus, ut Suetonius auctor est, ad fa- mam dignationemqne pervenit. At, ut quidem sentio, non i^ niurÌHi nam quam sit hoc laboriosum, quam non omnium, Cioero testatur ad Quintnm fratrem. cDe libris, inqnit, Tyran- nio est cessator ; Ohrysippo dicam, sed operosa res est et hominis perdiligentis; sentio ipso, qui in summo studio nihil assequor »• De Latinis verOi quo me vertam, nescio, ita mendose (1) In codice V. F, 0, in quo omnes quae Parrhasii tupersont epi- •tulae collectae sunt, nonnulla Quaesita^ ut hoc De Livii indice^ omni indicio signoque careni, ad certuni signiflcandum viruro, cui inscrìpta sint. — V, huios op. Gap. VI, pag. 55. N •MklMU»* ll'^g''^ — ^-j^^Aat^*— i>fc^ «' •. -^ oratioubs xt bpistui^àx 159 scribuntur et veneunt. Utinam non nostri temporis haec io- stior essct querela! certe ego non plus in alienis erroribos coufutamlis, quam in cxponendis antiquorum scriptis inso- dsircm. Sccl afiirmare inratus et sancte possum, eie omnes ab impressorìbus inversos esse codices, ut, si anctores a pestìi- minio mortis in lucem revoceutur, cos agnituri non sint. In quo non recuso quin mentiri indicer, nisi Livii Decada istao. apertissime probabunt. Ao ut ita facile omnes iutelligant, ab ipsis argumentis incipiam. Sjllabos et elenchos graece dicitur is quem latini vo- cant indicem, cuins adeo studiosi fuerunt antiqui, ut PliniuB integrum volumen elencho dederit, et Cicero per epistolam potati ut eius libris index ailinngatnr. Lampius etiam, Pia- tarchi filius, hac una re claruit, quod cleuchon operibus pa- tris addidisset, ut est apud Suidam. Qais huuo indiccm Livio praetexuerit in obsouro est; a- liqui tamcn Florum suspicantur. Ego nihil aiBrmo, sed qui- cumque fait, doctus certe fuit et plenns auctoritatis in scholis, ut quidam de suo multa addidisset, quae, licet a Livio transcripta sint, adulteraut et vitiant alienar nm lucubrationum sinceritatcm, ut dcpreudimus iu antiquissimo codice, qui ma- uavit ab cxemplari Fraucisci Petrarcae, viri, sua tempestatOi dootissimi. ^ 'i XIV PRAELECTiO AD DiSCiPULOS<'> Mediolani circ. 1506 (Cod. V. D. 15) Tollite iampridem, victricia tollita sigoa Virìbut utenduiD quatf'fecimos Libuity adolescentes ingennii pomorìdianis iis aaspiciis, iisdom V08 hortari verbis ad repetenda litterarum stadia, qaibas apud Lacanam Oaesar ad instaurandum bellara mili- tos sao8, qaando non cnm aurìore maj^que infesto ' hoste Oaesari fntura res erat, qaam nobis hoc tempore. Stat ecce in nos ignorantia gravissima adversaria, centra qnam, cum anno saperiore freqnentes mecnm strenne pngna- yerìtiSy frigoris atqne solis patientissimi| nunc nisi reparata constanter acie consistemns omnes prompti, labores emnt irriti, pessimeqne de rationibns nostris actnm. Haeo enim nos omnibus omamentis et oommodis exnet; nam quid ant conseqni potost ant praestare qui, quid optandnm, qnidve fngiendnm sit, ignoratf Usns mnltarnm remm perìtia com- parat homini prndentiam ; nnlla tamen re magis ignorantia prostemitnr, qnam litterarum cognitione, qua si qnis a teneris annis imbntus, poetas et historiarum scriptores accurate versat (1) Hano attalimas Pradectionem ad venim paternumqo« Parrhasii in discipolot demoDStrandum amorem* f> ab^i^mt^mimm'^'mmm^^ 111^1»» 1 1 r if , m I ■ ■ ■■ mi II \ km ru ^^ni^im OnànOVEB ET BPISTULAX 161 indeqae mores et instituta mortaliuiii disciti ao daoe demaìn philosophiai Wtae probitatem cum eniditìone coniimgiii Ì8 sane diis immortalibus par in torris habetnr. Itaque ne tanto nos pracmio spolict ignoranza, resamp- tis viribns, bellicis exeroitationibusi antea firmatis, daòram qaoqae raonsiain requie refeotiS| integri et reccntes ad ca- pcssenda denuo studia consnrgite. ConsurgitOy inquani| adulesccntes optinii| consurgite ad solitam litterarnm palaestram, et iam sublata atque explieita signa prosoquimiui, ut adversus ignoi-antianii horainis acer- rimam hostcnii fortiter et impigre mecum decematis. In quo quidem bello commilitonis et non imperitissimi dncis offido fungar. Etenim nullum laboremi nnllas vigilias, nullnm de- uiqne periculum recusaboi ut in arcem sciontiae, ad quam nati sumus, victores triumphantesque vos perducam, Atque, ut verba ad rem conferamnsi institutos auctores, 4°orum enarrationem vindeniiarum feriae intcrruperunt| resumemoa ab eminentissimo poeta sumpto initio. \ .s . . » • Zi. ^m -, ^^«P •«- XV epìstola ad PIUM....^'> Mediolani circ. 1505 ( Cod. V. P. 9 ) Atquiy taa cuni bona venia, fallit te ratio, mi Pie, nam nec extat apud Solinum: e Armenia tigribus feconda >; nec sic unquam scrìpsi, sed : e Armenia voi Hircania feta tigribus est>, ut ait Soliuus; in quo velini dicas utrnm codicem mendosnm su- spicaris ab antiqnis exemplaribus inter se collatis, an qnod ea locutio latina non sit, ant parum tersa. Liceat apud te gloriari : si quis alter in emaculando Solino laboravit, in iis ego nomen proflteor meum, Neapoli, Lupiis ( nrbs ea^ Apn- liae est), Bomaeque nactus antiqua reverendaeque vetustatis exemplaria, quibus adhibitis et cxcussis, castigatissimum mihi codicem reddidi. Sed et hic alterum habeo vetustissimum, qui Merulae fiiisse di^itur. In iis omnibus /e/n tigriÒM est' et non fecìinàa^ et ita dixit, ut Maro feta armiè^ et feta furentibut auètriiy alludens ad animàlium speluncas et sub- terranea cubilia. Scio quis iUius emendationis auctor fiierit, sed is me perducere non potuit, ut ei, magis quam vetustio- rum codicum fidei, crederem. (1) Non prò explorato afArmare possamus cui Parrhaslos hanc io- Bcripiierìt epistulam, oam daos illi hoc nomine amicot fuisse compe- rimnt : Joannem Baptiatam Pium Bononiensem, et Aldam Piam Roma- num. — V. haiui op. Gap. Ili, pag. 23, 34. n t . ifc IWli^fc •**i*"^^** ^ntU^tì^^ìimAm X7I EPiSlULA NI. -DE A. MARCELLIIO Mcdiolani ciré. 1505 (Cod. V. P. 9) Ammianì Marcollini Btrum gestnì'um libri penes me soni omnos quot extant, ex antiqaissimo codice Bomae exeriptì; nec alium prope froqueutius in manibas habeo, qaod inde quaedam non vulvaria liccat hanrire, Sed quid oportott iii>^ Illa Juliani mentione Marcellinura citare, nisi qnotiens in rem meam faciebat ex rebus Juliani f Curiosi certe nimis est inaccurate illud a me factum putare (1) (1) V. hoiui op. Gap, Ili, pàg. 28, / \ * -•■ .-^-^^-1^ — v^^^ I — , ^ -^. 1^ ,1, I f n , i m T , ^^^ ■« <H»^ >«»<«li m m lr<M<— >i».i>i<p».^^ • / xvn EPISTOLA HII.-OE LOTIiTIO » Mediolani circ. 1506 (Cod. V. P. 0). Quae de Lntatio monnisti mihi non erant ignota, ao ne cniquam mentiri videar, occipe- prò re tua, quod ipse non integram recitasti testimoninm. Carmen in VI Thcb. est hoc : Mundo succincU latenti Vulgati codices, ex interpretis persona, habent huno in modam: e De iis rebns, ut ingenio meo connectere potni, ex libris iDClTabilis doctrìnae Persei praeceptorìs seorsnm libel- Inm composui : CaelUis LaetantUiS Firmianu$ Plaeidìi$ i. Sed haoc non leguntnr in vetustis exemplaribns, in qnibus titulns est hic : Lutata Placidi versuè ; noe a Lactantio compositos esse ex eo datur intelligi, quod habet auotorem Sedulium, oitatqne eius huno yersum: Culus Ach&emeniam rabies accenderai tram Plus fornace ffna.' Scdulium vero posteriorem Hicronymo ftaisse oonstat, ut aetate una prìorem Lactantinm. Lutatii praeterea Placidi glossemata, per ordinem litterarum digesta, Bomae legerami (1) V. hoiQS op. Gap. IV, pag* 3i. >> . . ■ ■■■% '^m^ »W ■ » ti wii^ I I OBÀTIONBS BT XPISTUUUB 186 piena fnigis optimae ; et haec in causa fuenmt ut Latatium potius quam Lactantium nominarem, quom plus apud omnes sanae mentis homines valere debeat antiqaoram codicum fldes, quorum magna mihi copia Neapolii Bomaeque con- tigit, quam particnla vulgatis inserta codicibns ab iis qui testimonium iuscriptionis ab se perversaesibi ipsi conftnxeront. \ I xvm ORATIO HD MUNICIPIOM VINCENTililiM Veicetiao la07 (Cod. V. D. 15) !IU (0 Veni, Patres optimi, tandem veni, 8oriu9 oxpcctatione Tostra moaquo voluntate, quod immanium barbarorum grave diuturnnm iugum non facile fuit ab attritis excutcre cervi- cibus, quippe qui necopiimta Victoria extulonmt aDimos, tantumque sibi pcrmittuut in omnes Italos ( o miseram tem- porum conditionem ! quis hic ita non ingcmisoat et frontem feriat ? ) quantum vix olim Gares in Leleges, Arcades in Pelasgosy Lacedaemones in Dotos. Ilabeo diis immoi*talibus gratiam, quorum uumine serva- tus hio a<l8um; quodque semper, ex quo primum die vostra mihi moderatio nota est, in votis habui, iueundissimo vostro conspeetu fmor, usu vera comperio qnae de vostra singulari in omno» bonos humanitate constans fama praedicabat. Eoque maior mea voluptas esse debet, quod cogitanti mihi saevam superbamque Gallorum dominationem qnovis vastoque loco permutare, vos obtigistis, animi, coii)orÌ8 dotibus ac fortunis omnibus anteponendi nedum beluis. Beluis inquam, Patres optimi, belnis ; an homines existimandi qui sic hominnm (1) V. haius op. Gap. VII, pag. 66 et Mqq. ■ v> -tJ^f,^^' - " -1 '"- -^* ' ^' -^ ^.-a. t I ■> - ^ ■ ^r->. ■ tf ■ ■!!> u# i'^i I •> iì iì I II ■ rfi 'I riaBiiiii r '\x^è\ • * OBÀTIOmBS BT SPI8TUULX 167 sanguine gliscnut^ sic in omni crudelitate eznltanti nt vix acerbis sociorura funcribns satientorf Errat, Patros optimi, si quis arbitratur ipsos deos Ulyssi magis extitisse propitios, a cyclopum fanoibns elapso, qnam mihi dum cruentas Gallorum manus effagi. Qydopos enim dnmtaxat in advenas appnlsosqne saeviebanti ii ne notos quidem saisque parcunt. Ulysses uno vini cado Poljphemum sibi pene conciliavit, ii beneflciis obsequiisque redduntar importuniores. Nam quid in eos a me publice priyatimque, domi fo- rìsque profoctum non est f Quis centra ganeo, quis adulteri quae mulier infamis, quis corruptor iuvcntutis ita iactatus est unquam, ut ab iis, innocentissimus optimeque de se me- ritusy ego t Caput omnium, satorque scelerum fuit AllobroX| qui virtutis praemia malis aiidbus assccutns ini rcSv oye^v fiùaiìjQ'Aiktl^y Inito^ &pcv(jij idest ex asinis et quidem lenUs repente cquus exiluit. Is enim nostri generis omncs odio prosequitur ob in- testiuas inoxpiabilcsque simultates, quas cum clarissimo nostro conterraneo Michaele Bitio, iurisconsultorum nostri codi facundissimo, gerit, nude quave de causa susceptas in pracscntia dicere nihil attinet. In me Tcro praecipue debao- chatur et furit impotentissime, quod una alteraye epistola Bitium laudavi, semel in editione Sedulii Prudentiique, Obri- stianorum poetarum, quos omnium primus e pulvere situque vindicavi, iterum per initia patriae Historiae, quam Bitius ipso condidit, mihique castigandam 'dedit (1). lUud autem nullo pacto forre potuit me sua causa no- luissc quorundam Mediolauensium liberos a nostris aedibus exturbare, quo vacuus apud me contubernio locus Allobro- (1) Ritii opus inscrìbitar: De Regibits Hispaniae^ HierusàUm^ GaOiae ete. Histort\ Romae MDV. Parrhasii epistula, impressa in huias operit prìacipio, data est ad Ritiuin Mediolani, Rai. Coi. Ì50S. W lm é'^ m^i ••■•,. '^ p I, 168 A. JANI PÀBItHASn gìbus esset snìs. Ex iUo Mioutulttin quendam, nostrae prò- fessionis acmulnm, qui nihil quoestus aliquot annos prope me fcceraty extollerey amplecti, fovere quo stomachum mihi faceret, ìgnarus ineptiarum longe grandiores offas a me sae- penumero voratas ; ac incidit in illam quoque suspicionem, quam garriens ad aurem Minutulus, de quo iam dixi, dola- tor augebati a me sua notari tempora vitaeque sordes eo opere, cui titulum feci : e De Rebus per epistolam qunesitis », quod adhuc domi sanatur, propediem vcstris auspiciis exi- turum {1\ Quare non ita multo post a cena cuiusdam re- diens senatoris ad primam facem, ex ictu lapidis in capite vulnus accepi ; nec alieni dubium quin homo sexagenarins, qui plus in capulo, quam in curuli sella suspendit nates (ut iSocete Naevius ait in Pappo) percussores immiserita indi- gnamque caedem, quantum fuit in ipso, patraverìt, quom satis constet ab emissariis eius excursoribus ingentis spe praemii soUicitatum Michat^lc'm chirurgum, qui me curabat, ut malum venenum medicamentis infunderet. Exponere su- persedeo quam gestierit, quantum sibi placuerit indomitis moribus Allobrox, quod eo periculo motus in patriam me recipere statueram, quanto rursus dolore sit affectus, ubi sensit ab amplissimo patre Stephano Poncherio, Lutetiae Parisio- rum Pontifice, cuius immerito vicem gerit, a decedendi Con- silio revocatnm. Quid itaf nolite quaerere, Patres optimi, nolite quaerere, quando felicioribus etiam saeculis tam perverso principes ingenio sunt inventi, qui prò hostibus haberent eos qui excel- lerent in communibus studiis essentque superiores ingenio. (1) Parrhatli aiteveratio valde congrùit cam illis Ciminii verbis in Epistola nufte» ad Corìolanum Martyranun ante Itist. Gramm. Charh : € In prìmiff autem deflenda est illios divini operis iaotura, — > De Rebus •cilicet per epistolam quaesitis, — > quod ipse saepenunìei'o vidi. Erat enim ad editionem paratura, libiisque constabat quinque et viginti »• 1 «. iaHto<^M»CV>«*««aMataiiBrf*«Mtfi*i^^A«#^*MM«aa*»wi<Mw«»MM«M^^ ST BPISTULAX 169 Inde Nero Lneanum sustalit, Hmlrionus adeo Favorinom vexaviti ut eius statuam virtutis ergo positam deiiciendain eurarot, ipseqae Favorìnas haud iniuria gloriaretur, haeo inusitata Bibi praecipuaque tria contigisse: quod Arelatensis et pingui Miuerva Gallus orationo perpetua graeee dissertaret, eunuehus adulterii eausam dixisseti accusatus a neseio quo senatore, Caesaris inimions TÌTeret. Et quisquam dubitat an AUobrox longe plurìbus pas- 8UUD1 milibus ab Iladriano dissitns quam nos a Favorino di- gitoSy neeem per insidias inibì stinixeritf Quom simularit omue studiornra genus, ubique tamen, ut est, Goffredus, idest goffus et frigidus apparet. In quem tam mirifice nostri Claudiani carmina eonveniunt, ut in eum seripta quodammodo yideantur : ^sperius nihil est humili quom surgit ia altam : CoocU ferìt, dum cuocta timet, desaevit in ouines. Ut se posse putent. Ostentare impotentiam suam Toluit Allobrox, quom me^ Venetiis evocntum, Actis exeogitatisque criminibus exeepit, itaque propudiose laceravit, ut nihil reliquum fecerit iniuriae. Non erat opus, infande tenebrie ( te enim absentem tamquam praesentem appello ) non erat opus in advenam, nullo fultum pracsidio, tuas ad nocendum vires experiri ; satis superque notae sunt omnibus quae nuper in Antonium Mariam Pala- viciuum, domi suae primarium, composuisti, quem non Teritns es apud regem perduellionis insimulare, corruptis emptisque testibus, ab usque Mantua petitis/ • Sed iueptus ego sum, Patres optimi, qui sapientissimas vestras aures iutempestivis vocibus obtundam. Non est de- risioni locus in praesentia, quom nondum mihi lieuerìt or- dinem sycophantiarum rescire, neque per litteras neque per nuncios, quos equidem din frustra Mediolano yenturos expeo- tavi Patavii. Nihil enim cei*ti possunt afferro, tam sollioite eayet Allobrox, ne veritas in lucem yeniat, mihique fàcultas \ MM - '- ni ' l ' l < !■ > " ■ I H I V, ■'W.« ll*< Il . l l' l iw f ^ **'*' ' *^^Ì, 170 A. JANI PABRHASn àliquando detnr agcndi meani oausam. Sed obraat eamque demergat in proftinduin: yelit, iiolit, ipsa dies oninino pro- ferot, non enim Saturni ftlia vano ftngitur argumento. Quid dixi: proferetl immo iam protulit. Bcquis est tam Tccors aut tam caocns, ut non yideat improbissimi nobulonis osso, tipulaeqne levioris eundem ma- ledictis omnibus inscctari, pauloque post bouoro verborum tol- lero. Non raentior: extat ecce diploma din post illam rabulatio- nem, senatus eiusque decreto factum, quo decernuntur annua mihi ducenta, optioqne datur, ut ex animi mei sententia Me- diolani Tel Ticini profitear. Sed haec uberius et enodatius agenda causa dentata charta, calamoque temperato, ut inquit Cicero. Nec recusabo quiu eum me iudicetis quem nostri fingunt obtroctatores, nisi prius evidentissimis argumentis, deinde rebus ipsis et instituto vitae maledicta conviciaque diluero. Diluam vero quom primum cognoscendi crimina pò- testas erit; erit autem propediein. Nam concinnante ut audio, quam vobis bue usque mittant accusationem, si quidem ve- stram naturam metiuntur ex sua, putantque tos ad omnem auram moveri. Nesciunt miseri, nesciunt quid inter credulae stoliditatis Gàllos et oonstantissimos intersit Italos, et eoe Italos, quibus in omni vitae colore reliqui cedunt Itali, Ve- netos excipio, quibus, ut orbis imperio dignissimis, assurgit omnis Italia. Oeteri vero quid ad hanc urbem f Non ambitu murorum, non populi frequentia, sed antiquis opibus, optimis institutis, elegantia morum civiumque praestantia respublicae comm^ndantur: quanta cum laude versentur in ocio, in ne- gocio, domi forisque, bello togaqne ; qui virtutibus ita abun- dent, ut eas in aliis ament et honorent; qui in omnibus bonis artibus emineant, àlios tamen infra se non contem- nant, immo manum porrigant, invitent, hortentur, ut ad summum culmen, quod ipsi iam tenent, evadant. Ouiusmodi vos esse meo bono periculo iam didici, id quod noa impulit ut pei: onmes dilBoultates bue usque penetrare9ìU8« i> % 1^1 11 I ■!! ^i^i^>tft»at0t I • I .» I ■ Il » ^ ■^^,.^. -^ y-^^-ì •...■: ^-^^J -K- -•--■■■ •,\j.:-.i>;^^i .-^^.l--:-. i»timm ORÀTlOVEa ST BPISTULAX 171 Trahat anrì splendor et lucri capiditas alios : ego pecuniae captum nauquam habui; sequantar alii annouae liberalitatem, vhiique praostantiam, an^^uillarum saginara, quas Tester amnis Dutrit Eretenus, ab Aeliano laudatasi ego, magistra philoso- phia cum Vairone didioi sitienti therìacum mulsum, exurìeiiti pancm cibarium siligineum, excrcitato somnum soaTem. Di- scesserint bino alii pecunia divites, ego contentus ero yestra bencvolentìa, acri iudicio, gravissimo testimonio parta gloria: quamquam nobis est in animo, si liceat, aetatis reliquum vobiscum exigere, proqne mea virili parte oaptuque ingenti sedulo commodis vestris inservire; sic enim publice priva- timque de nobis meriti. Dies me deficiet, si commemorare volucro quibus ofBciis florentissima vostra respublica, ye- strique cives me prosecuti sint et x)rosequantur. Itaque ne cuiquam videar eorum magnitudinem non sentire, quod unum possnm, pollicear industriam meam quantamcumqne vestrom ncmini defuturam ; praeterqne publicum docendi munns, quod mihi delegastis, epistolam tertio quoque die iuventuti ye- strae dictabo, quod antea facturum perncgaveram: tantum bonefacta in omni re valont, ut est apud Propertium.. Denique enitar ac elaborabo, si minus cmditionem, qnae in nobis alioqui mediocris est, egregiam certe voluntatem vobis omnibus omni ex pai*te probare, quibus existimationem meam commendo meque dodo. Dixi (1) (lì Cum illa sola edere st&tuUsemus monumenta, qoibns maxime ad narrandam Parrhasii vitam usi sumus, permultas omisimus orationes, ut luculentissimas duae aliaa quas Veicetiae habnit. \ li I ri— ■ ■ W ■ m > 1^ i<||i «Miii I i » ■ 'rrrrr^^.'rr-^:-' "•-.r*-^— .-.,-: — ^-r ^>**»i^ t^j XIX PBAEFATID IN HORATII ODAS<'> PaUvii 1509 (Cod. V. D. 15) Si qais alias, ornatìssimi invenes, aat litterator ani eloqaeutiae inagister, ex eo loco, qaem nos honestissimniii Bomae, MediolaDiqao et demum Veicetiae tennimus, ad hano iniquitatem temporum rcdactas esset, ut privatim doceret| ille quidem fato convicium facoret seqae de fortnna praefa- tionibus alcisceretur, nt olim Licinianns ex consnle rhetor in Sicilia. Sed ego qui rerum omnium esso vicissitudinem non magis ex Eunuche Torentiano, quam certa vitae experientia didiciy sic ad omnia quae Tel inferuntur, vel accidunt homini me comparavi, ut prosperos optem successns, adversa fàcile patiar. Quamquam, si yernm fateri Tolnmns et a Tobis o- blatam conditionem recta via reputare, nihil est our agi no- biscnm male existimem, qnod longe minoris solito profitear; siqnidem summa hnius urbis auctoritas celeberrimumque Patavii nomen, ubiqne gentium yenerabile, compensat omne salarii detriraentam. (1) V. holQS op. Cap. Yin« pag. 7S. i^ ■'^^t*****'*'* r«M4^w»aM J < un ■ ■ Il h ^Li^ 0&A.TI0MS8 ST BPISTULAX 17S Nam ut antiqaitus Athenis ita hac tempestate dvilis ordo disciplinae, philosopbia ac omnes ingennae liberoqae tlignae ai-tes hauc iuclyt^m civitatem, quasi qaoddam tem- plum habent. Accodit ctiam qaod is ego non sira, qui la- cellum cnpide consecter, quique non malim qaod expediat in commune, quam qaod uni mihi. Sanctissime possant affir- mare qui mecuin vivunt, quam bene mihi cnm paupertate conveniate contento quod necesse est, aut eo certe quod satis est. t '. \ t -• • - •. > ( EPISTULA AD LUOOVICUM MOITALTUM Agelli 1512 ( Cod. XIII. B. 16 ) (0 Admircutur alii Siciliani^ quod omnia qaae gignit sive soli sive hominis ingcnio proxima siut iis quae iudioantur optima; qnod in ea prìmutn inventa comoedia ac mimica cavillatio; quod Giclopuin gentem testentar vasti specus et Lestrìgonam sedes etiam nunc vocentnr; quod inde Lais illa, qaam propter insignem formam Gorinthii sibi vindi- caront, et inde Oeres, magistra satiouis framentariae, et Prosorpinae fama sit; qnod ibidem campus Ennensis in florìbus semper et omni vernus die, et Daedàli manna de- mersum foramen ostendat, quo Ditem patrem ad raptum Proserpinae exeuntem fama est hausisse lucem. Gomme- moreut amnium, fontinm, stagnorum, ignium et salinarum miracula, ao arnndinnm feracitatem tibiis aptissìmarum. Laudent Achatem lapidem, quem Sicilia primnm dedit, in Achatae fluminis ripa repertum. Tollat in coelum vetns adaginm Syracusarum maximas opes aerìsque olementiamy qnod in ea etiam cum per hiemem conduntnr serena, nnllo non die sol est. Addant Alphe! et Arethusae fabnlosos (1) V. haias op. Gap. X, pag. 92 «t Mq. •; . #^' A • ♦ • « \ , HMM««Ml«««M » iniiiiri*' i< É a hr»itfr*"iUitiUib^i> «h j» . __ •• ; « OBÌ.TIONB8 ST XPISTUI«AS 175 amores, et quicqaid mendacia poetaram vnlgaverant. BqoL- dom non adeo principem nrbium Sidliae Syraoosas ezi- stimo, qaod ambita moenium quatuor oppida oompleete- rotar, Aohradincm, Neapolim, Bpipolas et Tychen, qaam qaod cxempla pietatis cdiderint, Emantiam et Oritoncm, qui dao iavenes, iucendiis Aotnae exuberantibas, sablatos parentes ovexcrunt inter flammas illaesi ignibas ; quam qaod Archimedis incanabula fuorint, qui praoter sideram diaoipli- nam machinaiìas conimentator extitit, oppugnationemqae liaroelli triennio distulit; quam qaod Thcocritam protaUt illam rustioae Masae perurbanum pootam, multosqae prae- terea qaorum immoHales animae loqaantnr in libris. Inter qnos ipso tantnm praestas, qaantom ceteris m<m- tibas Atlas, at non ab re Montis alti nomcn impositnm tibi videatar: in te euim humanaram diviuarumqae rerum sum- ma peritia, prudentiae lumen, tcmperantiae decas, fortitadinis robur, iustitia, sanotitas, àliaeqae cori)orÌ8 et animi dotes, quaecumqae beatum facere possunt hominem. Nam quid ego dicam de celcritate montisi qnae Jalium Firmicum mentiri non sinit, aoumen ingenii Sicnlis adiadioantem. Facundiae yero tanta vis ut fidem facias hio ortam eloquentiam ad àlias transmissam gentes. nnde non iniuria sacrosanctus potentissimasqoe Bez Hispaniae tibi snmmam rerum administrationem prius in Sicilia, deiude Neapoli credidit. Ut importuna non sint illa Pindari, qaae in te vera probantur, in quo disciplinae militaris expericntia, dictorum £EM)torumque memorabilium summa cognitio, tanta commoditas orationis, ut Sulpitios, ScaoTolas, Trebatios, Ulpianos, immo Oicerones nobis expri- mas ; qui in summo imperio frangis ayariciam, scolerà punis, vitam tuam populis exponis ad imitandum ; ouius ea gravitas et constantia, ut non solum gratiae sed snspitioni resistas; cuins incredibilis in audiendo facilitas, in discemendo lenitas, in satisfàciendo et disputando diligentia; qui fidile continee /•t '.r \ ^ « 1' ••••.• • • • I ■ «i W <fc I ■■■^■■f»^». ^- •^- '^^♦■»'^^^ " ^ "" '*'' V <fc^ -^V*' *'' ■**" ^ '"j. « -^«< k* O /l''t ^itf ■■»^*^— 176 À. JAKI PABRHASn alios in officio, cam te ipse contineas. Itaquo cnm in Brutios ad ordinandam provinciam, compescendaqne porditoram qno- ramdam latrocinia profectns, a me qnaesisscs antiquoram ponderam mensaramqne modos et appellationes, indignum potavi negare tibi, per quem parta publica secnritas est, ocioqne tranquillo frui lioet. Eloqnentia vero tua non sum territus, cum quod hoc per heroicae indolis Antoninum Siscarim, Agelli regnlum« cui debeo omnia, mecum egisti, tum quod abs te provocatns ad scrìbendum, satis habni tuae voluntati morem gerere. Quid autem f cui mandaris ipse \iderìs ; fortunae vero fastigium multo minus expavi, apud te enim vere (quamvis sit magna) socunda est. Nam quibus dominatur eos secundos ipsa facit. ^,m^^^a^it^mi^»^'^^m^atmiammm^m^^m^mmtmmi^'^mmmMim^mi^^gi^émma^t»*^mmtmAmmmmmaJimmt^ammm>A^mtt»tìLiém^l£^^ XXI PeAEFATIO IN SÌLVAS SUTII ^'^ Roinae 1514 (Cod. V. D. 15) Si quis in hoc honcstissimo eonsessu t4icitus secum forte qaaerat, andò ovenerit ut ego, promtns alioqui paratnsqne som- per habitus ad dicendum, quemque totics ex tempore perìcnluni bono periculo multis in locis fccissc constons fama nunciabat, apnd T09 hacsit-are cunctarique Bim visus, ac, voluti mutato solo vocis usum penlidisscm, quod in Agro Locrensi cicadis acoidere Pliuii tradit historia, quibusdam quasi tergiversa- tionibus extraxerim muueris obeundi diem, dabit is facile mihi veniam, quom pluribus iustisque de causis id a me factum sciet. Ego, ornatissimi viri, licet in dolio flgulinam non discami quod agore vulgari quoque proverbio vetamur, octoque iam per annos in Gallia Citeriore persouam rhetoris haud inglorìe sustinuerim, tamen insolentia loci, diversitate auditorumi nimiaque vestra de nobis expcctatione tardior efficiebar. Denique, si res aliter ceciderit, malo ezistimarì magni- tudinem Bomanorum ignorasse, quod apud eos audeam do- cere, quam humanitatem, si non audeam, quom praesertim (1) V. huius op. Gap. XI pag. 101 et teg. \ ■^**riSi"»rr.— »•;. «e :'^-.— ^r-* --^.o»: it...»*..^** 4 178 A. JANI PABBHASn prò me staro vidoara duos atriusqne linguae signiforos et qaos nulla remotior latet oruditio : Janam Lascharim, non minus ingenaaram artium studio quam natalibus et imperia toriis imaginibns illustrem ; Thomamque Phaedrum, Bomanae Acadomiae principem, sacerdotiis et iugenio partis opibus insignem, quorum tanta verbornm pondera semper esso duxi, ut uno suo verbo cum mca lande coninnctOy omnia asseou* turum me confldam. Nil itaque desperandum Jano duee et auspice Phacdro, in quorum blando obtutu, tranquillo vultu, hilaribus oculis acquiesco. Quibus ingentes ago gratias, ha- beboque dum vivam, quod me gravissimis apud Pontificem sententiis ornaverunt, ubi vel nominari snmmus honor. est, Nam Grispi Passioni sententia quorundam magis expo- tcndum iudicium quam benoficium, quorundam beneftoium quam iudicium. Our iUis ego non omnia debeam, per quos utrumque mihi contigit indnlgentia sacrosancti Pontificis di- viquo Leonia X, qui maxime reram usn, incomparabili pru- dentia, suprema gloria, incredibili felicitate, admirabili elo- quontia, promptissimo ingenio, castissima eruditione pellet^ eaque morum sanctitate quo suus olim conterranous Leo, cuius ante vivendi rationem quam nomen affectavit (1) (1) Reliqua deincept, ut minime none « •"Nh M il ^makttmtmamm^mmmt^* m^mir ■•iM^tfiM— ^yj XXII PRAEFATIO IN ORATOREM» RomM 1515 (Cod. V. D. 15) Antequani docendi muuus instaurem, coDsilii mei ratio- nein vobis, auditores optimi, qaibas me maxime probatam oupioy rcddemlam censui cor e tot aureis divinis Ciceronis oporibas Oratorem potissimam dolegerim, car, repudiata priore sootontiay Moronis Aeneidem prosecutums accesserim, quom paucis abhinc mensibus ex hoc ipso sug^^esta a. me enarra* tum ili Bucolica pronunciassem; quod nisi me insta de cansa diotnm mutasse oonstiterit, equidem non recuso quin apnd vos levitatis et inconstontiae culpam inourram • • • Nominem vestrnm latet, auditores ornatissimi, qnantas invidiae procellas anno superiore sola patiencia i)er(regerim; quodque lenti maleqne de me sentientis opinionem subire maluerim, quam, quod Cicero turpissimum vocat, contentiosi senis : huius meae lenitatis uberrimo fructu percepto sacro- sancti augustissimique Leonis X indicio» quo nuUnm maios homini contingere potest, a me «non difficulter impetravi, si qua deinceps huiusmodi tempostas impenderet, aliquid de iure meo magis accedere, quam nomen boni viri litiumqae fu^itantis emittore (1) V. buius up. Cap. XI, pag. 103. \ "ì:"^ .'^'S^T^ <»iCr3n: ^.:^rT^i^. v;-- -^r^-t h -ì v> -# xt».-.^^ -v- tr*?»-**-?--- ^»».- XXIII PHAEFATIO IN EPISTOLAS AD ATTICOM <*> Roniae 1516 ( Cod. Y. D. 15 ) Quom scdnlo mccum reputo qnnm inulta nccidant ho- mini prneter spein^ libot npud vos^ auditore? carissimi^ qnod Aenoas Ycrgilianuf^ oxclawat usurpare: Hcu nìhil iavitis fas quenquam fidere divit. Etenim quem rcbar annum tranquillitatis et ocii plenum foro, is acerbissimos mihi casus atque gravissimas attulit aerumnas, quae nostrorum studiorum rationes tantum evor- teruut ; id quod eventurum non temere quisquam iudieasset in tanto bonorum Principum proventn, quorum opibus ao indulgentia benignissime fovebamur. Ut enim missa faciam quae sacrosanctus Pontifex Maximus ex aorario mihi largitnr, ne iam obductas imidiae cicatrices inutili recordatione re- fricemus ; ut etiam taceam snffragia patris amplissimi Julii Medicis, quem nuper ad proximam Pontifici dignitatem di- vinae virtutes OTexerunt ; ut hebraicae latiuaeqne linguae instauratoris Hadriani mnniflcentiam in me transeam : certe Lisias AragoniuSy antistes ille meus omni laude superior, ea TÌtae mihi commoda suppeditat, quae studia possint igna- vissimi cuiusque exoitare. % ^1) Y. httiuB op. Cap. XI« pag. 104. l«ow^ ^IN •«*■ i m i r ii»* »<m<pii#<wrf< <Mrfc*wé|^ lì * I iWgaM*>Ìk< ORATI02f£8 ET £ri8TUIJLK 181 Quibus ego fretus, arbitrabar uihil amplius esse mihi oaranilum quam ut personam praecoptoris honeste susUnerem, meque sic ad omuia cotuparabani, tatnquatn in singulis euar- rationibus auotorum, quos exponemlos acceperam, iudiciuro do tota mea faeult*at-e futnrum esset. Itaque meouin subinde meditabar: Roma est eivit^as ex natiouuui couventu constitnta, arx reguin, lumen geutium, domicilium summi imi>erii, in quo mihi eottidie lectissimorum virorura subeunda censnra est} quos nulla, quamlibet remot^a, latet eruditio, quique anres non hcbetes, oculos acres, ingeuia habent acutissima. Proin- de vigilandum sompor, multao euim insidiae sunt boni», ut ille Jove uatus suis praecipit filiis, et quo minus ingenio possum co magis subsidio adhibebam industriam, qnae quanta fuerity quia tempus et spaoium datum non est, intelligi tnm non potuit. Nam post illa vit4ilibus mlaota vulnera, quae paucis ante mensibus apud vos oratione perpetua deploravi, quid erat ineommotli, quod mihi deesse videretnr, aut cui novae calamitati locus ullus iam relictus ! Eadera tamen for- tuna, quae eoepit urgere, reperit novum maerorem, afUictum- que duplici luctu senem tantulum respirare passa non est (!)• Duum enim carìssimorum desiderio funestam domum, diuturna couiugis insuper et mea valetudine concussit, et qua (dii boni !) valetudine, coelitus iuvecta: quippe quam adversis sideribus conflatam Gàuricus, astrologorum nostri temporis emineutissimus, certa matheseos ratioue deprehendit; Lunae enim deliquium perniciem nobis erat allaturum, nisi salutaris stella Jovis intercessisset (2}. Et mors mihi quidem molesta non fuisset, ut in qua propositam mihi scirem laborum ac mise- (1) Deflet hìc Parrhatiut Thomae Phaedri et Batilii ChalcondylM mortem. — Y. huius op. Gap. XI, pag, 104 (2) In Tractattt tistroìogico (TU Op., pag. 1635) Luca» Oàuricat horoscopum pcrscripait, quein noi io hoc opere retulimus. — Y. Gap. XU pag. 104, n. (?). \ r-:. ^ • - Il- fciniiji' ( iti II' tmmu^Mbummmi '^tf^^MUi-m^t^^M 183 A. JANI PABRHASn riariim omninm qiiietem; seti illnd nmitn nos angobat, qnod apnd vos absolvero tiilem moam, qnaeqne pollioitus in has Epistola^ ad AtUcnm fiieram praest-aro non potnissem. Quo nuno lactAndam mihi mairis est, quod ex orci fnucibns erop- tns, iiicnndissimo Ycstro conspeotu fruor, quod intuoor et contcìnplor uunmqucmque vestrum, quorum nomo ost cui non mca salu^^ ncque cava fuerit ac ipsi mihiy ctiius non extct aliquod in nos moritumi cui non sim devinctns me- moria* benefloii sompiterna; ncque cnim vos oculornm co- niecturay SiHÌ assiduam mihi frequcntiara praostitistis, ego- quo non minus signiflcntione voluntatis et benovolontiae, qnam robu9 ipsis astringor. Itaque vel hao potissimum de causa corporìs inflrmitotcm animi virtute superavi, ut satis aliqua ex parte nostro erga vos officio faciamus. Quod huo usque non distulissem, nisi memet quidam casus incredibilis ac inopiuus oppressisset. Nam prìdie oius dici quo rcditurus ad iutormissnm docendi mnnns eram, in summo pedo enatos abscessus, (àjrocrrysux Graoci vocant) brevi ita altas egit radices, ut igni ferroqne vix excindi potuerit. Ego nihilo- niinus, ulcere etiam nunc manante, reclamantibus ad unnm medicis, quom prìmum flgere gressum licuit, bue exilui: tam nihil autiquins habeo vestris commodÌ8. Ncque vero hoc dico, quo me vobis venditem; our enim blandiar bis, quorum erga nos amor, honestis artibus qnae- 8ÌtuS| odeo cre\ity ut non haberet quo progredi iam possit t atqni potius haec ad impetrandam veniam pertinent, ne qnis vestmm forte mihi succenseat, quoti ad diem praesto non ftierim. Nano acquis animis attendite nostramque de hia ambagibus ad Atticum coniecturam cognoscite. Nam si ns- quam alibi, hic certe necesse est iuterpretem divinare ; nomo vero desperet od huius operìs calcem nos aliqnando per- venturos quod hoc anno cessatum sit. Temporis iactoram * focile reparabimns, si viatornm nobis exemplnm proponemns, Ili si serins quam volnerìnt forte surrexeriuti proporando. \% «M^B#«**^à«««Ì»«^ÌA»«>«M »mim»i*a^lìkmami^Jmt^mmm*t ■ •■ I IH ìàH^ti^mtm^^^t^mim ri II t, 1 ■!< "> • • ORA^TIONES ET SriSTUULS 183 etinui citius, quam si tic noot4! vigilass^ent, perveniunt quo to- luut. Quoiiiani vero, prinoipiis cogiiitU, multo fAcilius oxtrema percipiuutur, autequam quae rtvtaut mloriamnri Epistolao argumcutuin brevissime repet4im. Huius Episiolae superiore partieula noster Oieero reti- ilebat Attioura certiorera de ratione suae petitioDÌ8, idest quot in oa eompetitores haberet, atquo ex his qui certi quive partim Armi viiloroutur. Nunc mldit etiam diem quo prensaudi initium Taeturus ipso sit, et quorum suffragiis ao ope nit4itur ad cousulatum, quidve in ea re Pompouium sua causa facere velit. ^ • * \ ^*'"-^*- - r*; •-*- r'^ ^ \ -■ r>rf ai n » ■ i é" " . ' ■ ** ! «■w«*k>*« i^-«i»*iii^i»v' V »4» n . I»^»«^l«fc — «nlBÉ PRAELECTIO IH EPISTULAS AO ATTICOM <" RoniM 1517 (Cod. V. D. 15) Si mihi f qaofl in comitiis honorumque petitionibns olim' aervabatar ) excusare morbum iareiuramlo profuissct, oquidem nuno in ooio domi degerem, vosque daretis operara oaÌTÌ8 alteri magis idoneo praeceptori. Nam me iam non enndcm, sed ambram nomenque Parrhasii relictum videtis : vires enim corporìs affectae, sensus ocniorum atque anrìum hebetes, memoria labat, vigor animi obinsus, ut illam Laberiiquere- lam, in re quamquam diversa, liceat usurpare : Quid • • . . htic .... afferò y (2) Decorem forma«, an dignitatem corpontf Animi virtatem, aa vocis iucuodae sonam f Oerte nihil horum; sed quia sacrosancto Pontifici Maximo., cuius in manu sunt omnia, placuit huno item annum labo- ribus nostris accedere, parendum duximus eins imperio, cui ve! privato, prò sua in nos indulgentia, morem gestnn ftiis- semus, ne, cum sapientissimus Princeps, induotis nonnullorum nominibus in albo rhetorum, meum retinuerit, ego de suo iudicio temere vidisse (t) existimer (8). (1) V. hains op. Gap. XI, pag. 105. (2) Laberius alt : Quid ad aoenam afferò. — Maerob. Satam. 1. II, Gap. Vn, (3) Sequuntur ad ditoipulos moaita ao contilia, qaae lù aliis Iam oraUonibus oGourrant, — «X^' mmm**<0*>^ ^•tei ■«iMa<%ÉriMM«MMtMwa^aMU[«aaiU«H«k4hbMa ^. * * Condotto a termine il presente volume, adem- piamo il dovere di ringraziare vivamente V amato maestro Prof. Enrico Cocchia, che ci suggerì questo studio sul Parrasio, e benevolmente ci consigliò e sorresse nelle prime difficoltà dell* arduo lavoro. Simile ringraziamento rivolgiamo al chiarissimo Prof. Remigio Sabbadini, che durante la pubblica- zione di questa monografìa, con gentilezza pari al suo alto sapere, ci diede aiuti e consigli, specie nella laboriosa ricostruzione ~~del testo dei documenti latini. %. \ •»• # — »A MlJ» '-' .''W^w^ta^^ '•»-*' t^j^i ft^ I AVVERTENZA Rileggendo il nostro lavoro, abbiamo notato qua e là, specialmente nei primi quattro fogli, parecchi errori tipografici. Speriamo che il benevolo lettore, considerando quanto sia difficile in lavori di simil genere ottenere un* edizione scrupolosamente corretta, vorrà perdo- narci queste mende insieme con qualche inesattezza ed omissione, in cui siamo incorsi. Fidando molto nella sua indulgenza, non notiamo partitamente tutte le imperfezioni colle correzioni re- lative, promettendo di occuparcene quando parleremo del Parrasio Filologo e della sua Bibuoteca. .'N -n--- T~t ìj"*^-! ia ìl^ ' *^ * i > .jm i > i ■ r- > ir >i Mj i a ni n i ■ ■ n i nr -— •" ■- , ■-■ ■ •"■ »— « - ■■ ■ arh^fc-Émli ■ Xl^ZDXC S Disdica l>ng. Ili Iktboduzionb > y VITA DI AULO GIANO PABRASIO Gap. I. Patria — Famiglia — Maestri • '• pag. 3 1 II. Il Parrasio a Cosenza e a Napoli — Belazioni cogli Aragonesi • • » 11 1 III. n Parrasio in disgrazia di re Federico — Integrità e fermezza del sno ca- rattere — Dimora a Roma • • » 23 » IV* Il Parrasio a Milano — Importanza storico -letteraria di questo periodo — Lotta col Ferrari e col Nauta • i 31 1 y. Lotta col Minuziano — Relazione col Poncherio e col Garilinale d' Amboise — La cattedra di oratoria — Flanso e onori i 41 1 VI. Coltura ed attività prodigiosa del Par- rasio — La seconda età della Rina- scenza — Grande autorità del Retore in Milano e fuori — La Colta Giuris- prudenza • ^ • • • • » 51 1 VII* Attinenze del Parrasio con Demetrio Galcondila — Sue condizioni — Nnove lotte — Accuse infami — Partenza da Milano 1 61 > VIII. Il Parrasio a Vicenza — La lega di i«i*irtHMMi«aaaMMifa M*«ta«Mta ►♦•N :.^»*M.iixi#iiC.^wi» • • 1 ^■^■*X .•! M ■■!■. 188 IIVDIOB Oombroi — Vita randagia a Padova, Abano, Venezia* • • • • Gap. IX. Bitornò del Parrasio a Napoli e a Oo- senza — Disgrazie domestiche — Teo- dora Oaleondila • • • • » X. Un triennio in Calabria trascorso a ì « Cosenza, AjellOj Taverna^ Pietra- mala, Paola [• H Parrasio nel Ginnasio romano — Ritorno a Cosenza — Sua morte — L' Accademia Cosentina • Appkndìcb pag. 71 1 81 1 89 » 00 1 115 AULI Jani Pabbhasu OBATIOXES ET EPISTULAB SBLBOTAK I. Oratio ad Patritios neapolitanos • II. Privilogium . • • ; • III. Epistula ad Ferdinandum Aragoninm IV. Oratio I in Alexandmm Minutianum V. Oratio II in Alexandram Miuutiannm VI. Oratio ad Senatnm Mediolanensem VII. Oratio III in Alexandrum Minatianum vni. Praefatio in Persinm • IX. Praefatio in Tbebaida . X. Oratio in L. Floram • XI. Epistola ad Laurontinm Peregrinum XII. Praefatio in Livium XIU. Epistola NN. — De Livii indice . XIV. Praelectio ad discipolos XV. Epistola ad Piom • • • XVI. Epistola NN. — De A. Marcellino XVII. Epistola NN. — De Lotatio . pug. 119 > 134 > 127 . . » 131 > 135 > 137 > 110 > 146 > 148 > 161 > 16S > 166 . . > 168 > 160 > 162 > 163 . » 164 «^■«Mfc^lt ■ I» M II ■' • ■» *i»-^«—*-w r ^•fc. • ^ w ■.^,.. ^■l^-^r-^■■^^T«.L-^^^^;.^■-•^^■■^, ^ •- , -■ ■-.-^-- , .a£^&.-'-^jJ:-L^.-c'-.^a:ji::^ ^- ■^ niDiox 180 XVIII. Oratio ad Municipium VincentiDum XXI. Praefatio in Horatii Odas • XX. Bpistula ad Ludovicum Mouialtum XXI. Praefatio in SUvas Statii . XXn. Praefatio in Oratorem XXIII. Praefatio in Epìstulas ad Atticam XXIV. Praelectio in Epistnlas ad Atticam pag. 166 172 174 177 179 180 184 -") ■,/ ,":■ : ■ ::,■-.:;■■■. ■■■■ / Dello stesso autore L* Eleqfa. c Ad Lucia» > . di Aulo Uìaco Farrosio « il Brnto minore dì G. Leopardi — Ariano — Stab. Tip. Ap- '' pnlo-irpino ÌS96, pagg. 30, h. 0,70. Un Accadbmico Pontakiaito elei seo. XVI PpeonrBOPe del- l' Ariosto ode) Panai — Stiano — Stab Tip Apputo ir- pÌHO 1898 pagg X 489, \ 3,S0 Di prOBSima pubblicazione Il Parrasio Filoloqo c la sua Biblioteca. F. Paolo Pabzanbsb — Tita ed opere. Scritti ihrditi di P Paolo ParzanoBo feon prefazione t noU). In preparazione STunn Dahtebchi Anxcdoti HuvzoinANi FOLELOBB iBPmO La Bcdola Sabda e i Codd d' Arborea ^ Prezzo del pbesektb vomuE LiB^ 3,
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