Nella bimillenaria tradizione filosofica occidentale il termine «essere» ha gio-
cato un ruolo decisivo, e questo ha contribuito a rendere a poco a poco del tut- to incomprensibile il significato originario dei frammenti che ci restano del poe- ma di Parmenide di Elea. Ho già notato che la contrapposizione folkloristica di Parmenide, guru dell'essere e di Eraclito, guru del divenire, è degna dei giochi te- levisivi a quiz, ed ha lo statuto epistemologico della canzoncina della Vispa Teresa. Tuttavia, è bene ricordare al lettore almeno alcuni significati principali assunti dal termine «essere» nel pensiero occidentale dalle origini ad oggi. Trascurando qui gli antichi Greci, il primo significato rilevante di «essere» è quello che lo identifica prima con l’Uno dei neoplatonici e poi con il Dio monoteista dei cristiani e dei successivi musulmani. Si tratta di una vera e propria onto-teo- logia unificata, come dirà poi Martin Heidegger. A questa onto-teo-logia unificata, mirabilmente sistematizzata da Tommaso d'Aquino e dalla teologia domenicana medioevale — che risacralizzò così in forma “razionale” l’unità ontologica del ma- crocosmo naturale e del microcosmo sociale —, reagì fortemente prima il nomina- lismo sia laico (Abelardo) che religioso (Guglielmo di Occam), e poi il panteismo rinascimentale (Giordano Bruno). Il periodo storico della costituzione formalistica del soggetto, da Cartesio a Kant, è un periodo di declino storico della onto-teo-logia, e questo non certo a caso, in quanto l’onto-teo-logia consacrava in quel periodo sto- rico il dominio simbolico delle vecchie classi signorili e tardo-feudali, e la borghe- sia nascente era interessata ad infrangere razionalmente il nucleo metafisico di questa onto-teo-logia, e cioè l’unità delle categorie dell'essere e delle categorie del pensiero. Il grande filosofo Kant infranse questa unità ontologica, sostituendo la nuova religione gnoseologica borghese alla vecchia religione onto-teo-logica tardo- feudale e signorile, e si acquistò così la riconoscenza perenne di tutto il nuovo clero universitario. La restaurazione della categoria di «essere» da parte di Hegel è basata sull’attribuzione all'essere di una genericità assoluta, che si concretizza e si determina progressivamente mediante una logica dialettica (Scienza della logica, ecc.). Per Marx e poi per Lukécs il termine «essere» non può che significare l’insie- me pensabile concettualmente della totalità espressiva della società e della storia. L'Uno-Tutto non è però più declinato in modo religioso e bimondano - come per Plotino ed i neoplatonici - ma è costruito concettualmente con l'intreccio della per- manenza ontologica («ciò che è, ed è eternamente») e della determinatezza storica («il proprio tempo appreso nel pensiero»). È questo l’unico possibile “ritorno” a Parmenide, non certo la ripetizione ieratica e sapienzale (più esattamente: pseudo- 69 CAPITOLO X jeratica e pseudosapienziale) secondo cui è da “pazzi” (e tutto il mondo moderno sarebbe pazzo, al di fuori di un professore universitario in pensione di Brescia) ritenere che le cose possano mutare nel tempo. Parmenide, di cui presuppongo qui l'appartenenza alla scuola pitagorica, già ampiamente attestata dalle fonti classiche, pensa radicalmente un numero solo, il Numero Uno. Sostenendo la cosiddetta «sfericità» dell'essere, non bisogna pensare che alluda ad una sorta di palla splendente in cielo. Il termine sfairikòs significa infatti congiuntamente “sferico” ed anche congiuntamente “globale”, “totale” e “complessivo”. In greco moderno, duemila e cinquecento anni dopo Parmenide (la non conoscenza del greco moderno, custode semantico incomparabile dei signifi- cati originari della filosofia classica, rappresenta uno dei più pittoreschi elementi di ignoranza dei professori europei di filosofia), il termine sfairikòs continua ad avere lo stesso doppio significato semantico; si dice, ad esempio, «un'idea globale del problema», «mia sfairikì andilipsi tou provlimatos»). Non avrei fatto questa “deviazione” semantica se non avessi voluto sottoline- are il fatto che il termine parmenideo di «sfericità dell'essere» non allude ad un gigantesco pallone aerostatico in cielo, ma connota semanticamente e concettual- mente lo stesso oggetto teorico che Hegel e Marx (senza contare anche Adorno, Marcuse e Luk4cs) hanno più tardi connotato in termini di totalità espressiva. Certo, sarebbe sbagliato “attualizzare” eccessivamente questa analogia, perché da un lato Parmenide non poteva ancora “isolare” l'essere sociale dall'essere naturale, ma li pensava in strettissima unità ontologica (vedremo più tardi che questo “isolamen- to”, parzialmente anticipato da Aristotele, dovrà aspettare il Settecento illuministi- co-borghese per poter essere concettualizzato e sviluppato), e dall'altro non poteva ovviamente ragionare sulla base della distinzione kantiana e della successiva ride- finizione hegeliana di intelletto (Verstand) e di ragione (Vernunft). È quindi chiaro che il concetto di «sfericità» di Parmenide ed il concetto di «totalità» in Hegel e Marx non ricoprono esattamente lo stesso spazio teorico. E tuttavia, pur non rico- prendolo, sono largamente comparabili, e questa comparabilità deve essere messa alla base del ragionamento. Ma qual è l'esatta natura storico-genetica ed ontologico-sociale del concet- to parmenideo di «essere»? Di quale «sfericità», cioè di quale totalità è il riflesso astrattizzato? Ammetto che non possiamo saperlo con certezza. Non possiamo ar- rivarci con il metodo deduttivo diretto, e neppure con il metodo induttivo indiret- to. Dovremo arrivarci con quello che Peirce chiama il metodo «abduttivo», e cioè non il metodo di Aristotele (la deduzione) o il metodo di Stuart Mill (l’induzione), ma il metodo di Sherlock Holmes e di Hercule Poirot: succede X, un fatto straordinario ed inesplicabile; se però Y è vero, X smette di essere straordinario ed inesplicabile, e diventa invece razionalmente spiegabile. L'«essere» di Parmenide è un tipico esempio di sfida all'abduzione. È infatti “straordinario” decidere di chiamare «essere» la totalità «sferica» di tutto ciò che può essere pensato. È allora plausibile che ci sia un sostrato socialeche fa da riferi- mento materiale a questa concettualizzazione ideale. Si tratta di discutere spregiu- 70 L'Essere di Parmenide come metafora della stabilità e della permanenza nel tempo della buona legislazione dicatamente tutte le ipotesi che ne possono essere date, scartare le meno plausibili, ed accettare la più plausibile. Alfred Sohn-Rethel, che è stato uno dei grandi fondatori del metodo della de- duzione sociale delle categorie filosofiche (e che appunto per questa ragione è oggi trascurato e dimenticato), ha cercato di dare una spiegazione materialistica della categoria parmenidea di «essere». Sohn-Rethel nota acutamente che il concetto di Essere in Parmenide è caratterizzato da una totale genericità indeterminata (è infat- ti indeterminato come l’apeiron di Anassimandro), e si chiede allora che cosa possa aver causato questa indeterminatezza astratta assoluta. Se infatti io penso in modo astratto — sostiene Sohn-Rethel — ci vorrà qualcosa di astratto che faccia sì che io pensi astrattamente. E Sohn-Rethel ritiene di individuare la sorgente materiale e sociale di questa “astrattezza” nella moneta coniata, moneta coniata originatasi prima in Lidia, poi passata dalla Lidia alle isole greche di Chio e di Egina, e pro- gressivamente diffusasi in tutto lo spazio economico e culturale greco. La moneta implica il passaggio dal baratto “concreto” allo scambio “astratto”, perché con una moneta si possono comprare le cose più diverse, indipendentemente dai materiali con cui sono costruite. Non c'è dubbio che la moneta, insieme con la fusione dei metalli (e del ferro in particolare), abbia giocato un ruolo decisivo nella costituzione materiale della civiltà greca. La moneta è stata anche un fattore primario per il sorgere dell’econo- mia schiavistica antica, perché ha permesso di comprare gli schiavi come si com- prano tutte le altre merci, mentre prima ci volevano guerre di conquista di tipo assiro-babilonese. E tuttavia a mio avviso Sohn-Rethel si sbaglia. E si sbaglia di grosso, nonostante il fatto che almeno “ci ha provato”, e gli sciocchi che continua- no a proporre un concetto indefinibile, ieratico, sapienziale, sacerdotale e «falsa- mente profondo» (come direbbe Hegel) di «essere» non gli arrivano neppure alle caviglie. Chi ci prova può sbagliare, ma chi non ci prova neppure resterà sempre a pestare sul suo quadratino di terra, come un tempo facevano i soldati nel cortile delle caserme. Sohn-Rethel sbaglia perché proietta nel lontano passato greco l’importanza che la «forma merce» — e quindi il denaro come merce astratta per eccellenza - ha assunto a partire dal Settecento europeo, importanza che ha determinato prima l'economia politica di Adam Smith e poi la critica dell'economia politica di Karl Marx. Per i Greci, ed in particolare per i Greci del tempo di Parmenide, ciò che contava non era la forma astratta del valore di scambio e della moneta coniata che ne era la portatrice “astratta”, ma era proprio l'esatto contrario, e cioè la buona legislazione comunitaria che ne permetteva la limitazione e la sua sottomissione al metron. Come si vede, la realtà storica e concettuale è invertita rispetto a come se la rappresenta Sohn-Rethel. Il concetto generale ed astratto di Essere, infatti, presumibilmente non deriva dalla proiezione della funzione mercantile-astratta della moneta coniata, la cui introduzione nel mondo greco equivale appunto (e qui Sohn-Rethel ha ragione) all’irruzione del Nulla nel mondo dell'Essere, ma proprio al contrario, e cioè dal 71 CAPITOLO X ” x concetto di buona legislazione comunitaria, che essendo “buona” è pensata come non migliorabile e non modificabile, e quindi eterna, stabile e permanente. Parmenide allude certamente alla sua polis di Elea, ed i suoi frammenti descrivono proprio le cavalle che salgono sulla akropolis della sua città per un sentiero erto e difficile. E sono queste cavalle concrete le portatrici materiali del concetto astratto di «essere» inteso come proiezione “metafisica” della buona legislazione comunitaria, dotata per ciò stesso di stabilità e di permanenza, e quindi di “eternità”. Riflettere su Parmenide in modo ieratico-sapienziale, destoricizzato, desocia- lizzato (e quindi privato di ogni chiave di interpretazione semantica) e pomposo- giornalistico non serve a niente, se non ad incrementare quella particolare forma di idiozia presente in molti filosofi di “professione” fondata sull'idea che meno ci si fa capire, più si è profondi. Se invece ci si accosta a Parmenide in modo storico- genetico ed ontologico-sociale, allora si guadagnano molti punti di vista illumi- nanti, nuovi ed inediti. In primo luogo, che i Greci pensavano in modo «sferico», sulla base cioè dell'idea di totalità espressiva, e questo modo «sferico» è esattamente quello che verrà poi “restaurato” in forma storica da Hegel e da Marx. In secondo luogo, che la permanenza e la stabilità “eterna” della buona legislazione comunitaria sta alla base dell'idea sociale di “eternità” della cultura occidentale. In terzo luogo, che tutte le forme di sensismo e di empirismo non possono giungere a questo tipo di comprensione, e nonostante si presentino come più “concrete” sono paradossal- mente molto più “astratte” della stessa idea di Essere, perché questa idea allude alla cosa più concreta di tutte, e cioè all'idea della coesione sociale e comunitaria, mentre l’empirismo sacralizza invece concettualmente la dispersione caotica degli atomi sociali individualizzati. In quarto luogo, infine, che il concetto di Uno non ha bisogno necessariamente di un supporto teologico per essere pensato (il Dio monoteistico cristiano, musulmano ed ebraico), perché l’Uno stesso è del tutto au- tonomo ed autofondato in modo logico ed ontologico. Bisogna quindi rispettare l'onto-teo-logia, ed io la rispetto mille volte di più dell’empirismo e del sensismo, ma essa non può essere “l’ultima parola” di una trattazione ontologica dell’«essere». In quanto a Parmenide (ed affermo voluta- mente una cosa paradossale e provocatoria!) la sua trattazione dell'essere socia- le del suo tempo è filosoficamente del tutto omogenea alla trattazione che ne farà Lukécs (e sulla sua scia, ma più modestamente, chi scrive) nel suo tempo. In en- trambi i casi, l'essere sociale è pensato in modo unitario con una categoria «sfe- rica». La differenza ovviamente sta nel fatto che in Parmenide non può esistere la “storia”, intesa come concetto universalistico di tipo trascendentale-riflessivo (concetto sorto nella seconda metà del Settecento europeo sulla base di una ge- nesi ideologica “borghese”), e per questa ragione la buona legislazione comunitaria, concepita in modo pitagorico, viene rappresentata nella forma della stabilità, della permanenza e della eternità temporale. Oggi, sulla scorta di Eraclito, sappiamo invece che il polemos non si può esorcizzare.
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