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Tuesday, June 4, 2024

GRICE E PITODORO

 Nella bimillenaria tradizione filosofica occidentale il termine «essere» ha gio-   cato un ruolo decisivo, e questo ha contribuito a rendere a poco a poco del tut-  to incomprensibile il significato originario dei frammenti che ci restano del poe-  ma di Parmenide di Elea. Ho già notato che la contrapposizione folkloristica di  Parmenide, guru dell'essere e di Eraclito, guru del divenire, è degna dei giochi te-  levisivi a quiz, ed ha lo statuto epistemologico della canzoncina della Vispa Teresa.  Tuttavia, è bene ricordare al lettore almeno alcuni significati principali assunti dal  termine «essere» nel pensiero occidentale dalle origini ad oggi.   Trascurando qui gli antichi Greci, il primo significato rilevante di «essere» è  quello che lo identifica prima con l’Uno dei neoplatonici e poi con il Dio monoteista  dei cristiani e dei successivi musulmani. Si tratta di una vera e propria onto-teo-  logia unificata, come dirà poi Martin Heidegger. A questa onto-teo-logia unificata,  mirabilmente sistematizzata da Tommaso d'Aquino e dalla teologia domenicana  medioevale — che risacralizzò così in forma “razionale” l’unità ontologica del ma-  crocosmo naturale e del microcosmo sociale —, reagì fortemente prima il nomina-  lismo sia laico (Abelardo) che religioso (Guglielmo di Occam), e poi il panteismo  rinascimentale (Giordano Bruno). Il periodo storico della costituzione formalistica del  soggetto, da Cartesio a Kant, è un periodo di declino storico della onto-teo-logia, e  questo non certo a caso, in quanto l’onto-teo-logia consacrava in quel periodo sto-  rico il dominio simbolico delle vecchie classi signorili e tardo-feudali, e la borghe-  sia nascente era interessata ad infrangere razionalmente il nucleo metafisico di  questa onto-teo-logia, e cioè l’unità delle categorie dell'essere e delle categorie del  pensiero. Il grande filosofo Kant infranse questa unità ontologica, sostituendo la  nuova religione gnoseologica borghese alla vecchia religione onto-teo-logica tardo-  feudale e signorile, e si acquistò così la riconoscenza perenne di tutto il nuovo  clero universitario. La restaurazione della categoria di «essere» da parte di Hegel  è basata sull’attribuzione all'essere di una genericità assoluta, che si concretizza e  si determina progressivamente mediante una logica dialettica (Scienza della logica,  ecc.). Per Marx e poi per Lukécs il termine «essere» non può che significare l’insie-  me pensabile concettualmente della totalità espressiva della società e della storia.  L'Uno-Tutto non è però più declinato in modo religioso e bimondano - come per  Plotino ed i neoplatonici - ma è costruito concettualmente con l'intreccio della per-  manenza ontologica («ciò che è, ed è eternamente») e della determinatezza storica  («il proprio tempo appreso nel pensiero»). È questo l’unico possibile “ritorno” a  Parmenide, non certo la ripetizione ieratica e sapienzale (più esattamente: pseudo-    69    CAPITOLO X    jeratica e pseudosapienziale) secondo cui è da “pazzi” (e tutto il mondo moderno  sarebbe pazzo, al di fuori di un professore universitario in pensione di Brescia)  ritenere che le cose possano mutare nel tempo.   Parmenide, di cui presuppongo qui l'appartenenza alla scuola pitagorica, già  ampiamente attestata dalle fonti classiche, pensa radicalmente un numero solo, il  Numero Uno. Sostenendo la cosiddetta «sfericità» dell'essere, non bisogna pensare  che alluda ad una sorta di palla splendente in cielo. Il termine sfairikòs significa  infatti congiuntamente “sferico” ed anche congiuntamente “globale”, “totale” e  “complessivo”. In greco moderno, duemila e cinquecento anni dopo Parmenide (la  non conoscenza del greco moderno, custode semantico incomparabile dei signifi-  cati originari della filosofia classica, rappresenta uno dei più pittoreschi elementi  di ignoranza dei professori europei di filosofia), il termine sfairikòs continua ad  avere lo stesso doppio significato semantico; si dice, ad esempio, «un'idea globale  del problema», «mia sfairikì andilipsi tou provlimatos»).   Non avrei fatto questa “deviazione” semantica se non avessi voluto sottoline-  are il fatto che il termine parmenideo di «sfericità dell'essere» non allude ad un  gigantesco pallone aerostatico in cielo, ma connota semanticamente e concettual-  mente lo stesso oggetto teorico che Hegel e Marx (senza contare anche Adorno,  Marcuse e Luk4cs) hanno più tardi connotato in termini di totalità espressiva. Certo,  sarebbe sbagliato “attualizzare” eccessivamente questa analogia, perché da un lato  Parmenide non poteva ancora “isolare” l'essere sociale dall'essere naturale, ma li  pensava in strettissima unità ontologica (vedremo più tardi che questo “isolamen-  to”, parzialmente anticipato da Aristotele, dovrà aspettare il Settecento illuministi-  co-borghese per poter essere concettualizzato e sviluppato), e dall'altro non poteva  ovviamente ragionare sulla base della distinzione kantiana e della successiva ride-  finizione hegeliana di intelletto (Verstand) e di ragione (Vernunft). È quindi chiaro  che il concetto di «sfericità» di Parmenide ed il concetto di «totalità» in Hegel e  Marx non ricoprono esattamente lo stesso spazio teorico. E tuttavia, pur non rico-  prendolo, sono largamente comparabili, e questa comparabilità deve essere messa  alla base del ragionamento.   Ma qual è l'esatta natura storico-genetica ed ontologico-sociale del concet-  to parmenideo di «essere»? Di quale «sfericità», cioè di quale totalità è il riflesso  astrattizzato? Ammetto che non possiamo saperlo con certezza. Non possiamo ar-  rivarci con il metodo deduttivo diretto, e neppure con il metodo induttivo indiret-  to. Dovremo arrivarci con quello che Peirce chiama il metodo «abduttivo», e cioè  non il metodo di Aristotele (la deduzione) o il metodo di Stuart Mill (l’induzione), ma  il metodo di Sherlock Holmes e di Hercule Poirot: succede X, un fatto straordinario  ed inesplicabile; se però Y è vero, X smette di essere straordinario ed inesplicabile,  e diventa invece razionalmente spiegabile.   L'«essere» di Parmenide è un tipico esempio di sfida all'abduzione. È infatti  “straordinario” decidere di chiamare «essere» la totalità «sferica» di tutto ciò che  può essere pensato. È allora plausibile che ci sia un sostrato socialeche fa da riferi-  mento materiale a questa concettualizzazione ideale. Si tratta di discutere spregiu-    70    L'Essere di Parmenide come metafora della stabilità e della permanenza nel tempo della buona legislazione    dicatamente tutte le ipotesi che ne possono essere date, scartare le meno plausibili,  ed accettare la più plausibile.   Alfred Sohn-Rethel, che è stato uno dei grandi fondatori del metodo della de-  duzione sociale delle categorie filosofiche (e che appunto per questa ragione è oggi  trascurato e dimenticato), ha cercato di dare una spiegazione materialistica della  categoria parmenidea di «essere». Sohn-Rethel nota acutamente che il concetto di  Essere in Parmenide è caratterizzato da una totale genericità indeterminata (è infat-  ti indeterminato come l’apeiron di Anassimandro), e si chiede allora che cosa possa  aver causato questa indeterminatezza astratta assoluta. Se infatti io penso in modo  astratto — sostiene Sohn-Rethel — ci vorrà qualcosa di astratto che faccia sì che io  pensi astrattamente. E Sohn-Rethel ritiene di individuare la sorgente materiale e  sociale di questa “astrattezza” nella moneta coniata, moneta coniata originatasi  prima in Lidia, poi passata dalla Lidia alle isole greche di Chio e di Egina, e pro-  gressivamente diffusasi in tutto lo spazio economico e culturale greco. La moneta  implica il passaggio dal baratto “concreto” allo scambio “astratto”, perché con una  moneta si possono comprare le cose più diverse, indipendentemente dai materiali  con cui sono costruite.   Non c'è dubbio che la moneta, insieme con la fusione dei metalli (e del ferro  in particolare), abbia giocato un ruolo decisivo nella costituzione materiale della  civiltà greca. La moneta è stata anche un fattore primario per il sorgere dell’econo-  mia schiavistica antica, perché ha permesso di comprare gli schiavi come si com-  prano tutte le altre merci, mentre prima ci volevano guerre di conquista di tipo  assiro-babilonese. E tuttavia a mio avviso Sohn-Rethel si sbaglia. E si sbaglia di  grosso, nonostante il fatto che almeno “ci ha provato”, e gli sciocchi che continua-  no a proporre un concetto indefinibile, ieratico, sapienziale, sacerdotale e «falsa-  mente profondo» (come direbbe Hegel) di «essere» non gli arrivano neppure alle  caviglie. Chi ci prova può sbagliare, ma chi non ci prova neppure resterà sempre  a pestare sul suo quadratino di terra, come un tempo facevano i soldati nel cortile  delle caserme.   Sohn-Rethel sbaglia perché proietta nel lontano passato greco l’importanza che  la «forma merce» — e quindi il denaro come merce astratta per eccellenza - ha  assunto a partire dal Settecento europeo, importanza che ha determinato prima  l'economia politica di Adam Smith e poi la critica dell'economia politica di Karl  Marx. Per i Greci, ed in particolare per i Greci del tempo di Parmenide, ciò che  contava non era la forma astratta del valore di scambio e della moneta coniata  che ne era la portatrice “astratta”, ma era proprio l'esatto contrario, e cioè la buona  legislazione comunitaria che ne permetteva la limitazione e la sua sottomissione al  metron. Come si vede, la realtà storica e concettuale è invertita rispetto a come se la  rappresenta Sohn-Rethel.   Il concetto generale ed astratto di Essere, infatti, presumibilmente non deriva  dalla proiezione della funzione mercantile-astratta della moneta coniata, la cui  introduzione nel mondo greco equivale appunto (e qui Sohn-Rethel ha ragione)  all’irruzione del Nulla nel mondo dell'Essere, ma proprio al contrario, e cioè dal    71    CAPITOLO X    ” x    concetto di buona legislazione comunitaria, che essendo “buona” è pensata come non  migliorabile e non modificabile, e quindi eterna, stabile e permanente. Parmenide  allude certamente alla sua polis di Elea, ed i suoi frammenti descrivono proprio le  cavalle che salgono sulla akropolis della sua città per un sentiero erto e difficile. E  sono queste cavalle concrete le portatrici materiali del concetto astratto di «essere»  inteso come proiezione “metafisica” della buona legislazione comunitaria, dotata  per ciò stesso di stabilità e di permanenza, e quindi di “eternità”.   Riflettere su Parmenide in modo ieratico-sapienziale, destoricizzato, desocia-  lizzato (e quindi privato di ogni chiave di interpretazione semantica) e pomposo-  giornalistico non serve a niente, se non ad incrementare quella particolare forma  di idiozia presente in molti filosofi di “professione” fondata sull'idea che meno ci  si fa capire, più si è profondi. Se invece ci si accosta a Parmenide in modo storico-  genetico ed ontologico-sociale, allora si guadagnano molti punti di vista illumi-  nanti, nuovi ed inediti.   In primo luogo, che i Greci pensavano in modo «sferico», sulla base cioè  dell'idea di totalità espressiva, e questo modo «sferico» è esattamente quello che  verrà poi “restaurato” in forma storica da Hegel e da Marx. In secondo luogo, che  la permanenza e la stabilità “eterna” della buona legislazione comunitaria sta alla  base dell'idea sociale di “eternità” della cultura occidentale. In terzo luogo, che  tutte le forme di sensismo e di empirismo non possono giungere a questo tipo di  comprensione, e nonostante si presentino come più “concrete” sono paradossal-  mente molto più “astratte” della stessa idea di Essere, perché questa idea allude  alla cosa più concreta di tutte, e cioè all'idea della coesione sociale e comunitaria,  mentre l’empirismo sacralizza invece concettualmente la dispersione caotica degli  atomi sociali individualizzati. In quarto luogo, infine, che il concetto di Uno non  ha bisogno necessariamente di un supporto teologico per essere pensato (il Dio  monoteistico cristiano, musulmano ed ebraico), perché l’Uno stesso è del tutto au-  tonomo ed autofondato in modo logico ed ontologico.   Bisogna quindi rispettare l'onto-teo-logia, ed io la rispetto mille volte di più  dell’empirismo e del sensismo, ma essa non può essere “l’ultima parola” di una  trattazione ontologica dell’«essere». In quanto a Parmenide (ed affermo voluta-  mente una cosa paradossale e provocatoria!) la sua trattazione dell'essere socia-  le del suo tempo è filosoficamente del tutto omogenea alla trattazione che ne farà  Lukécs (e sulla sua scia, ma più modestamente, chi scrive) nel suo tempo. In en-  trambi i casi, l'essere sociale è pensato in modo unitario con una categoria «sfe-  rica». La differenza ovviamente sta nel fatto che in Parmenide non può esistere  la “storia”, intesa come concetto universalistico di tipo trascendentale-riflessivo  (concetto sorto nella seconda metà del Settecento europeo sulla base di una ge-  nesi ideologica “borghese”), e per questa ragione la buona legislazione comunitaria,  concepita in modo pitagorico, viene rappresentata nella forma della stabilità, della  permanenza e della eternità temporale. Oggi, sulla scorta di Eraclito, sappiamo  invece che il polemos non si può esorcizzare. 

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