Grice e Rabirio: la ragione conversazionale e l’orto romano -- Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo
italiano. Orto. Criticised by Cicerone for oversimplifying the school’s
doctrines in order to reach a wider audience – “which reminds me of me.” –
Grice.
Grice e Raimondi: la ragione conversazionale e l’implicatura
del gatto persiano – filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo italiano. Insegna a Roma. Contribusce
alla rinascita dell’idealismo contro il Lizio che domina la filosofia. Pubblica
la Data di Euclide. Le coniche di Apollonio di Perga. Autore di molti
commentari, specialmente su alcuni libri della Synagoge, nota anche come
Collectiones mathematicae, di Pappo d’Alessandria e sui trattati di Archimede. Membro
dell'accademia fondata da Aldobrandini, nipote di Clemente VIII. -- è celebre
soprattutto per essere stato il primo direttore scientifico della Stamperia
orientale medicea, o Typographia Medicea linguarum externarum, fondata a Roma
da Ferdinando de' Medici. L'attività principale svolta dalla stamperia e, con
l'appoggio di Gregorio XIII, la pubblicazione di saggi nelle per favorire la
diffusione delle missioni cattoliche in Oriente. Forma un gruppo di ricerca
costituito da Vecchietti, inviato
pontificio ad Alessandria d'Egitto e in Persia, dal fratello Gerolamo, da Orsino
di Costantinopoli, neo-fita ebreo convertito, e di Terracina. In un periodo in
cui Roma intrattene buone relazioni diplomatiche con la dinastia Safavide, al
potere in Persia essi riuscirono a
recuperare diversi manoscritti della bibbia in lingue orientali – “which were
fun” – Grice. Sono portati a Roma più di una ventina di testi biblici ebraici e
giudeo-persiani, tra cui i libri del Pentateuco, tra i pochi sopravvissuti ai
giorni nostri. La tipografia si trasfere a Firenze, in conseguenza
dell'elezione di Ferdinando a duca di Toscana. E avviata la stampa delle opere.
Sono pubblicate dapprima una grammatica filosofica ebraica e una grammatica filosofica
caldea. Seguirono: una edizione arabo dei vangeli, di cui furono tirate MMM copie;
un compendio del Libro di Ruggero di al-Idrisi; Il canone della medicina di Avicenna. Il duca gli
vende la stamperia, chi a sua volta la
cedette al figlio di Ferdinando, Cosimo II, salito al trono. La stamperia
chiuse poiché la realizzazione di volumi nelle lingue orientali non si è rivelata
economicamente conveniente (“The same happened with Austin’s attempt at
Blackwell’s.” Grice). Pubblica una grammatica araba intitolata “Liber
Tasriphi”. Il suo grande progetto e quello di pubblicare una bibbia poliglotta
comprendente le VI lingue principali del cristianesimo orientale: I siriaco, II
armeno, III copto, IV ge'ez, V arabo e VI persiano. I manoscritti appartenuti
alla stamperia orientale medicea sono disseminati in diverse istituzioni: la biblioteca
medicea laurenziana di Firenze, la biblioteca nazionale di Firenze, la biblioteca
apostolica vaticana, la biblioteca nazionale di Napoli, la biblioteca marciana
di Venezia. Giovanni Battista Vecchietti, su iliesi cnr. L'editoria del principe, ovvero la stampa
ufficiale delle istituzioni laiche e religiose. Per la dedicazione al re
Ruggero II di Sicilia. Tipografia
Medicea Orientale, su thesaurus. cerl. Piemontese, La Grammatica persiana; Bibas,
La Stamperia medicea orientale, in, Un Maestro insolito (Firenze, Vallecchi); Dizionario
biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Liber Tasriphi compositio est Senis Alemami:
Traditur in eo compendiosa notitia coniugationum verbi Arabici, Roma, Medicae, Biblioteca
Nazionale Centrale di Firenze, manoscritti persiana. Grice: “I tried to study
Persian once, but J. L. Austin said that it was useless!” -- Giovan Battista
Raimondi. Giambattista Raimondi.
Raimondi. Raimondi. Keywords: il gatto persiano. Refs.: Luigi Speranza, “Grice
e Raimondi” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Raio: la ragione conversazionale e l’ermeneutica
dell’io e del tu – filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo italiano. Insegna a Napoli. Si occupa in
particolare dell'ermeneutica. Saggi: “Antinomia e allegoria”; “Il carattere di
chiave”, “Ermeneutica del simbolo” (Napoli, Liguori); “Il simbolismo tedesco.
Kant Cassirer Szondi” (Napoli, Bibliopolis); “Conoscenza, concetto, cultura”
(Firenze, La Nuova Italia); “Meta-fisica delle forme simboliche” (Milano,
Sansoni); L'io, il tu e l'es: saggio sulla "Meta-fisica delle forme
simboliche" (Macerata, Quodlibet); Rivista "Studi filosofici". Giulio Raio. Raio. Keywords: ermeneutica
dell’io e del tu, Szondi -- Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Raio” – The Swimming-Pool Library
Grice e Raulica: la ragione
conversazionale all’isola! l’implicatura del barone -- l’origine dell’idee – il fondamento della
certezza – filosofia siciliana – filosofia sicula – dello spirito della
rivoluzione e dei mezzi di farla terminare -- corso di filosofia: ossia,
re-staurazione della filosofia -- filosofia
italiana -- Luigi Speranza (Palermo). Filosofo Italiano Essential Italian philosopher.
Grice: “Italian philosophers can be fun: there’s ventura, and there’s
Bonaventura, who was actually fidanza, i.e. fidence, as in confidence.” Noto per il suo sostegno alla causa
della rivoluzione siciliana. Studia a Palermo. Insegna a Roma. Si distinse come
apologeta, scrittore e predicatore, sopra-ttutto grazie alla sua "Orazione
funebre di Pio VII.” La sua carriera da filosofo inizia come esponente della
corrente contro-rivoluzionaria. Teatino. Intraprese l'attività di predicatore.
La sua eloquenza, sebbene a volte esagerata e prolissa, e veemente e diretta ed
ottenne grande fama. Con l'elezione di Pio IX al soglio pontificio, acquisì un
ruolo politicamente prominente. Sostenne la legittimità storica e giuridica
della rivoluzione siciliana. Auspica la ri-fondazione del regno della Sicilia
indipendente all'interno di una con-federazione italiana di stati sovrani. Ministro
pleni-potenziario e rappresentante del governo siciliano a Roma. La sua posizione a Roma divenne delicata per
via della proclamazione della repubblica romana e dell'esilio di Pio IX. Rifiuta l'offerta di
un seggio all'assemblea costituente, maoltre ad invocare la separazione tra
potere temporale e spirituale riconosce la repubblica romana a nome del governo
rivoluzionario di Palermo. Altri saggi: “La scuola de' miracoli: ovvero, Omilie
sopra le principali opere della potenza e della grazia di Gesù Cristo, figliuolo
del dividno e salvatore del mondo”; “Il tesoro nascosto: ovvero, omilie sopra
la passione del nostro signor Gesù cristo”; La madre del divino, madre degl’uomini:
ovvero, spiegazione del mistero della SS. vergine a piè della croce”; “Le bellezze
della fede ne' misteri dell’epifania: ovvero, La felicità di credere in Cristo
e di appartenere alla vera chiesa”; “I disegni della divina misericordia sopra
le Americhe: panegirico in onore di Martino de Porres, terziario professo
dell'ordine de’ predicatori”; “Il potere politico”; “Saggio sul potere
pubblico, o esposizione della legge naturali dell'ordine sociale”; “Dello
spirito della rivoluzione e dei mezzi di farla terminare”; “La ragione
filosofica”; “La tradizione e i semi-pelagiani della filosofia: ossia, Il
semi-razionalismo svelato”; “Saggio sull'origine delle idee e sul fondamento
della certezza”; “Della falsa filosofia”; “Nuove omelie sulle donne del vangelo”;
“Corso di filosofia: ossia, re-staurazione
della filosofia”; “Sopra una camera di pari nello STATO pontificio”; “La
questione sicula sciolta nel vero interesse della Sicilia, Napoli e dell’Italia”;
“Memoria pel riconoscimento della Sicilia come stato sovrano ed indipendente”;
“Menzogne diplomatiche, ovvero esame dei pretesi diritti che s'invocano del
gabinetto di Napoli nella questione sicula”; “Discorso funebre pei morti di
Vienna la religione e la libertà”; “Raccolta di elogi funebri e lettere
necrologiche; Il pensiero politico d'ispirazione cristiana. Atti del seminario
Erice, Guccione, Firenze. Andreu R.: saggio biografico, "Regnum Dei",
Bergamaschi, R.: fra tradizionalismo e neo-tomismo [AQUINO], Milano, Cremona
Casoli, Un illustre siciliano”; "Rassegna Storica del Risorgimento",
Cultrera, Generale dell'ordine dei Teatini, Palermo; Giurintano C., Aspetti del
pensiero politico nel "De jure publico ecclesiastico"; Istituto per
la Storia del Risorgimento, Palermo, Guccione, Democrazia. Murri, Sturzo e le
critiche di Giobetti, Palermo, Ila-Palma, Guccione, Alle radici della
democrazia” Palermo; Guccione, Un omaggio clandestine; in "Nuova Antologia", Pastori, “La
rivoluzione napoletana in "Rassegna siciliana di Storia e Cultura",
Romano, La vita e il pensiero politico, Treccani Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Regione Siciliana. Martinucci, Istituto Storico dell’Insorgenza e per
l’Identità Nazionale. Gioacchino Ventura dei baroni di Raulica, Gioacchino
Ventura Da Raulica. Gioacchino Ventura di Raulica. Raulica. Keywords: l’origine
dell’idee – il fondamento della certezza, la legge naturale dell’ordine
sociale, la sicilia come stato sovrano ed independente. Refs.: The H. P. Grice
Papers, Bancroft MS – Luigi Speranza, “Grice e Raulica” – The Swimming-Pool Library,
Villa Speranza, Liguria.
Grice e Reale: la ragione conversazionale del capretto
di Kant -- erote demone mediatore, o del
gioco delle maschere nel convito – filosofia italiana – Luigi Speranza (Candia Lomellina). Filosofo italiano. Ho la ferma convinzione che l’ACCADEMIA e la
più grande associazione o gruppo di gioco filosofico in assoluto comparso sulla
terra, e che il compito di chi lo vuole comprendere e fare comprendere agl’altri,
pur avvicinandosi sempre di più alla verità, non può mai avere fine. Studia a Casale
Monferrato e Milano sotto OLGIATI. Insegna a Parma e Milano. Fonda il centro di
ricerche di meta-fisica. La sua tesi di fondo è che la filosofia antica
dei romani crea quelle categorie e quel peculiare modo di pensare che hanno
consentito la nascita e lo sviluppo della scienza e della tecnica dell'occidente.
I suoi interessi spaziano lungo tutto l'arco della filosofia romana antica e i
suoi contributi di maggior rilievo hanno toccato via via APPIO, CICERONE,
ANTONINO, Aristotele, Platone, Plotino, Socrate e Agostino. Studia ognuno di
questi filosofi andando, in un certo senso, contro corrente e inaugurandone una
lettura nuova. La ri-lettura che da di Aristotele e del LIZIO in generale
– tanto influente a Roma -- contesta l'interpretazione di Jaeger, secondo il
quale i saggi del LIZIO seguirebbero positivisticamente un andamento
storico-genetico che partirebbe dalla teo-logia, passerebbe per la meta-fisica,
per approdare infine alla scienza. Reale sostenne invece la fondamentale unità
del pensiero metafisico del LIZIO. Ne “La filosofia antica”, mette in
evidenza come la filosofia di Teofrasto nel LIZIO si diffuse per l'aspetto
scientifico con un'ampiezza del tutto paragonabile a quella del maestro
Aristotele, rivelando però uno scarso spessore nella speculazione filosofica.
Da Stratone in poi, ciò provoca un ripiegamento della scuola del LIZIO verso
l'ambito della fisica e delle scienze empiriche. Per quel che riguarda
L’ACCADEMIA, importando in Italia gli studi della scuola accademica di Tubinga,
mette in crisi l'interpretazione romantica di Platone stesso, che risale a
Schleiermacher, e rivalua il senso e la portata delle dottrine non scritte, vale
a dire gli insegnamenti che gl’accademici hanno tenuto solo oralmente all'interno
della villa al ginnasio dell’Accademia e che conosciamo dalle testimonianze dei
discepoli. In questo senso, l’accademia risulterebbe essere il testimone e
l'interprete più geniale di quel peculiare momento della civiltà che passa dalla
cultura dell'oralità a quella della scrittura. Negli studi su Plotino,
contesta la tesi di fondo di Zeller che vede nel grande accademico il
principale teorico del pan-teismo e dell'immanentismo. Al contrario, R. ri-legge
Plotino come il campione della trascendenza metafisica dell'uno.
L'interpretazione che ha dato di Socrate, analogamente, si propone di risolvere
le aporie della cosiddetta questione socratica, entrata in un vicolo cieco dopo
gli studi di Gigon, secondo cui di Socrate non possiamo sapere nulla con
certezza. R. inaugura, invece, un nuovo modo di interpretare Socrate, non solo
cercando di risolvere dall'interno le testimonianze contraddittorie degl’allievi,
ma soprattutto guardando al contesto della filosofia italica prima di Socrate e
dopo Socrate. In questo modo, balzerebbe agl’occhi la scoperta socratica del
concetto di ‘animo’ (greco – animos) o anima come essenza e nucleo pensante
dell'uomo. Socrate dice che il compito dell'uomo è la cura dell'anima o
dell’animo: la psico-terapia, potremmo dire. Che poi oggi l'animo e interpretato
in un altro ‘senso’, questo è relativamente importante. Socrate per esempio non
si pronuncial sull'immortalità dell'animo, perché non ha ancora gl’elementi per
farlo, elementi che solo con emergeno coll’Accademia. Ma, nonostante ancora
oggi si pensa che l'essenza dell'uomo sia l’animo. Molti, sbagliando, ritengono
che l’animo e una creazione semitica: è sbagliatissimo. Per certi aspetti il
concetto di ‘animo’ e di immortalità dell'animo è contrario alla dottrina semitica
che parla invece di risurrezione dei corpi degl’uomini. Che poi i primi filosofi
della patristica utilizzano categorie della filosofia antica, e che quindi il
suo apparato concettuale sia in parte basato sulla filosofia antica non deve
far dimenticare che il concetto dell’animo è una concezione aria. L'Occidente
viene da qui. Infine, per quanto riguarda all’africano Agostino, tende a ricollocarlo nel contesto dell’Accademia dell’antichità e
quindi nel momento dell'impatto del dell’ebraismo con filosofia aria italica
cercando di scrostarlo di tutte le successive interpretazioni dell'agostinismo
medioevale. Ritiene, poi, che la cifra spirituale che caratterizza la
filosofia d’Occidente sia costituita dalla filosofia italica. È
stato infatti il logos a caratterizzare le due componenti essenziali della
filosofia d’Occidentre e precisamente a fornire gli strumenti concettuali per
elaborare l’ebraismo, dando luogo, così, a quella peculiare mentalità da cui
sono scaturite la scienza e la tecnica. Ma se la cultura d’non si capisce senza
la filosofia aria degl’italici, questa a sua volta non si capisce senza la meta-fisica
come studio dei veliani dell’unità dell'essere. Il lavoro che svolge, studiando
i filosofi italici – CROTONE, VELIA, GIRGENTI, ecc. -- vuole anche servire a un
confronto fra la meta-fisica antica e quella moderna. La preferenza che accorda
all’accademia dipende dal fatto che la scuola di Atene è, con la seconda
navigazione di cui parla nel Fedone, la creatora di questa problematica. Si
fa così porta-voce di un meditato ritorno alle radici della nostra cultura attraverso
la riproposta dei classici filosofi italici. E in sintonia con la Scuola di
Tubinga rinnova l'interpretazione, mettendo in luce la primaria importanza
delle dottrine non scritte di cui riferiscono gli allievi del fondatore stesso dell’Accademia
-- Aristotele del Lizio in primis. In
“Per una interpretazione dell’Accademia” fa affiorare l'immagine di una
accademia diversa, una accademia orale e in certo senso dogmatica. Del resto,
non è forse l’accademia stessa (ad esempio, nella Lettera VII) a garantirci che
la sua filosofia dev'essere ricercata altrove rispetto agli scritti? Lo stesso
corpus degli scritti dell’accademia, giuntoci nella sua interezza (circostanza,
questa, unica nella storiografia della filosofia antica), non presenta, invero,
quell'unità sistematica che ci si dovrebbe attendere, il che, ancora una volta,
depone a favore della tesi secondo cui l’accademia cerca altrove, e
precisamente nelle dottrine non scritte. Studia anche la metafisica del Lizio,
smaschererebbe la tesi fatta valere da Jaeger, secondo cui l'opera non presenta
un'unitarietà ma sarebbe piuttosto una sorta di zibaldone filosofico -- e, in
particolare, il libro XII risalir ebbein forza del suo spiccato interesse
teologico alla didattica del Lizio. Lungi dal risolversi in un coacervo di
scritti risalenti a differenti epoche e contesti, la Meta-fisica del Lizio rileva
R. è profondamente unitaria. Al centro c'è la definizione della meta-fisica
come scienza della causa e del principio, dell'essere in quanto tale, della
sostanza, dei dei e della verità. In “La saggezza antica”, R. sostiene che
tutti i mali di cui soffre l'uomo d'oggi hanno proprio nel nichilismo la loro
radice e che un'energico questi mali implicano il loro sradicamento, ossia la
vittoria sul nichilismo, mediante il recupero di un ideale e di un valore supremo,
e il superamento dell'a-teismo. Ma quello che egli propone non è affatto un
ritorno a-critico a certe idee della antica filosofia italica, ma
l'assimilazione e la fruizione di alcuni messaggi della saggezza antica, che,
se ben recepiti e meditati, possono, se non guarire, almeno lenire i mali degl’uomini,
corrodendo le radici da cui derivano. In una siffatta prospettiva, può
acquistare un valore eminentemente filosofico anche la filosofia in lingua latina
in Seneca, a suo parere ingiustamente trascurato da una lunga tradizione che
non gl’ha riconosciuto alcuna cittadinanza filosofica, per il fatto di non avere
nato romano. In “La terapia dell'anima” (Bompiani, Milano) riprende, ancora una
volta, l'idea che la filosofia degl’antichi in questo caso, quella di Seneca puo
costituire un farmaco per l'animo dilaniato degl’uomini. Oltre al campo
specifico della filosofia antica, si occupa a vario titolo anche della storia
della filosofia posteriore. Per esempio, nella stesura del noto “Manuale di
filosofia” per i licei edito dalla scuola oltre alla direzione delle collane
filosofiche classici della filosofia, Testi a fronte della Bompiani e I filosofi
per Laterza. Oltre a questo, i suoi principali scritti sono: “ Il
concetto di filosofia prima e l'unità della Meta-fisica del LIZIO” (Vita e
Pensiero, Milano); “Il Lizio” (Laterza, Bari); Storia della filosofia antica (Vita
e Pensiero, Milano); “Il pensiero occidentale dalle origini (Scuola, Brescia); Per
una nuova interpretazione dell’Accademia” (CUSL, Milano); “Proclo” Laterza,
Bari); “Filosofia antica” (Jaca, Milano); “Saggezza antica” (Cortina, Milano);
“Eros demone mediatore. Il gioco delle maschere nel "Simposio" dell’Accademia”
(Rizzoli, Milano); “L’accademia: alla ricerca della sapienza segreta” (Rizzoli,
Milano, Bompiani, Milano, La nave di Teseo, Milano); “La Meta-fisica del Lizio”
(Laterza, Bari); Raffaello: La "Disputa", Rusconi, Milano); “Corpo,
anima e salute: il concetto di uomo" (Collana Scienza e Idee, Cortina, Milano)
– cf. Grice, ‘urina sana, corpo sano, medicina sana – scremento sano -- “Socrate.
Alla scoperta della sapienza umana” (Rizzoli, Milano); “La filosofia antica” (Vita
e Pensiero, Milano); ““Radici culturali e spirituali dell'Europa” (Cortina, Milano);
“Storia della filosofia romana” (Bompiani, Milano, Collana Il pensiero
occidentale, Bompiani); “Valori dimenticati dell'Occidente” (Bompiani, Milano);
“ L'arte di Muti e la Musa accademica” (Bompiani, Milano); “Agostino” (Bompiani,
Milano); “Wojtyla: un pellegrino dell'assoluto” (Bompiani, Milano); “Auto-testimonianze
e rimandi dei Dialoghi dell’Accademia alle dottrine non scritte" (Bompiani,
Milano); “Storia della filosofia” (Scuola, Brescia); “Salvare la scuola
nell'era digitale” (Brescia, Scuola); “Responsabilità della vita: un confronto
fra un credente e un non credente” (Milano, Bompiani); “Mi sono innamorato
della filosofia” (Milano, Bompiani); “Romanino e la «Sistina dei poveri» a
Pisogne” (Milano, Bompiani); “Filosofia” (Scuola, Brescia); Introduzione,
traduzione e commentario della Meta-fisica del Lizio, su archive. Bompiani, Traduzioni
e commenti R. ha tradotto e commentato molte opere dell’Accademia, del Lizio e
dell’Accademia romana -- la sua nuova edizione delle Enneadi è stata
pubblicata nella collana "I
Meridiani" della Mondadori. Pubblica per Bompiani il poderoso volume I
presocratici, da lui presentato come la prima traduzione integrale. Nonostante
in Italia ne è già uscita una traduzione da Giannantoni edita da Laterza. Sostene
la presenza di lacune e manomissioni nel Giannantoni, lacune e manomissioni che
sarebbero dovute, a parere di R., all'ossequio all'ideologia e all'egemonia
culturale marxista, secondo cui in quel periodo gl’intellettuali di area
comunista dominano la scena in campo editoriale. CANFORA, in risposta alle
accuse di R., sostene la natura pubblicitaria e l'inconsistenza del
ragionamento. Si sostene che, se influenza c'è stata nel Giannantoni, essa è
stata di matrice idealistica, hegeliana e crociana – CROCE (si veda). Qualsiasi
omissione è da evitare, specie se non è segnalata nel testo. Con riguardo alla
presunta irrilevanza di taluni tagli operati da Giannantoni sottolinea come i
capretti a volte segnano la storia della filosofia più di alcuni filosofi e
togliere questi animali dai frammenti, così come far sparire dei cavolfiori, si
tasformarsi in una censura. Di Seneca, cura le opere in "Seneca. Tutti gli
scritti". Interprete dell’Accademia, La Stampa, Ripensando l’Accademia e
l’accademicismo” (Milano, Vita e Pensiero). Dimostra la profonda unità concettuale
di questi saggi di filosofia prima, mettendo in luce come Jaeger e condizionato
dal positivismo e dalla teoria dell'evoluzione della cultura secondo le tre
tappe di teologia-metafisica-scienza. Il concetto di filosofia prima e l'unità
della "Meta-fisica" di Aristotele” (Milano, Bompiani); Storia della
filosofia antica. La fondazione della botanica e il suo guadagno essenziale. Verso
una nuova immagine dell’accademia, Milano, Vita e Pensiero, Cfr., in
particolare, Il paradigma romantico nell'interpretazione dell’accademia, di
Krämer, Napoli, La filosofia antica,
Milano, Jaca. Ha ragione, bisogna
imparare ad accettare la morte, Corriere della Sera. Il concetto di filosofia prima (cf. Grice) e
l'unità della meta-fisica di Aristotele, Milano, Vita e Pensiero, La filosofia
di Seneca come terapia dei mali dell'anima, Milano, Bompiani, In memoriam. Pur
riconoscendo a Giannantoni una statura di studioso di prim'ordine, sostiene che
molti marxisti non presentano talune cose nella loro effettiva realtà. Pur non
potendosi parlare di complotto, nel testo di Laterza curato da Giannantoni
mancano in un'edizione chiamata l'unica integrale italiana decine e decine di
passi che elenco in 4 pagine all'inizio della mia traduzione dei veliani e
crotonensi. Ci sono inoltre indebite aggiunte assenti nell'originale. Una
raccolta di tal fatta, nata assemblando anche vecchie versioni e tagliando pure
molte note di queste ultime, ha l'effetto di svuotare le idee forti di codesti filosofi.
Svuotare, ironizzare, occupare uno spazio e toglierlo ad altri, evitare un vero
confronto. Ecco la vecchia tattica che rimane ancora molto viva. Naturalmente,
sul piano pubblicitario, si comprende la auto-esaltazione. La mia traduzione è
più completa della tua, come il mio bucato è più bianco del tuo. Ma anche la
pubblicità bisogna saperla fare. Ci sono lauree brevi da poco istituite in
proposito. Particolarmente inconsistente appare il ragionamento. Eccolo nella
sintesi fornita dal suo intervistator. Giannantoni e molto bravo, e questo lo
sapevamo anche senza il supporto di R., Laterza è innocente del sopra
menzionato reato ideologico. La colpa è della penetrazione comunista. Sembra
quasi di sognare. Ma questa è la caricatura dell'antica cantilena sui comunisti
padroni dell'editoria italiana. Per confutare questa sciocchezza BOBBIO si
limita a trascrivere i titoli del catalogo Einaudi. E infatti come negare
l'affiliazione bolscevica di BOBBIO? Che pena. Si fa riferimento
all'osservazione secondo la quale le omissioni di Giannantoni riguardano
aspetti poco rilevanti per un marxista come il frammento 23 di Orfeo -- un mal-ridotto
frustulo papiraceo in cui si fa cenno ad un rituale misterico. Queste, e
consimili, sono le omissioni rimproverate dal neo-presocratico R. Sembra del
tutto irrilevante sapere se Kant, quando scrive la Critica della ragion
pratica, mangia capretto o una particolare minestra. Alla storia della
filosofia questo poco interessi. Ma sapere se un *orfico* o un crotonese mangia
capretto è MOLTO significativo dal punto di vista filosofico. Se l’orfico
crotonese s’astene, allora e vegetariano e, come tale, non ha condiviso la
ritualistica italica in cui si consumeno le carni offerte ai dei e si lasciano
ai dei gl’aromi per segnare la distanza tra gl’uomini e i dei. In sostanza,
l’orfico crotonese crede, evitando il capretto, in una filosofia in cui gl’uomini
e i dei sono legati. Non è un capretto né una vacca quello che manca in Giannantoni.
Mancano in un'edizione chiamata l'unica integrale decine e decine di passi che elenco
in 4 pagine all'inizio della mia traduzione dei Presocratici. Ci sono inoltre
indebite aggiunte assenti nell'originale. Una raccolta di tal fatta, nata
assemblando anche vecchie versioni e tagliando pure molte note di queste
ultime, ha l'effetto di svuotare le idee forti di codesti autori. Svuotare,
ironizzare, occupare uno spazio e toglierlo ad altri, evitare un vero confronto.
Ecco la vecchia tattica che rimane ancora molto viva. Laudatio. Radice, Tiengo,
Seconda navigazione. Omaggio (Vita e Pensiero, Milano); Grampa, "Ritornare
a Crotone: intervista a sulla sua «Storia della filosofia antica»", Vita e
Pensiero. Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, La mia
accademia bocciata. Il cattolico amico dell’accademia. Critico l’accademia di R.
il marxismo non c'entra. La dittatura culturale del marxismo, in Corriere della
Sera, Treccani Storia della filosofia antica. Dalle origini a Socrate. Ospitato
su gianfranco bertagni. R. Storia della filosofia antica. Platone e Aristotele.
Storia della filosofia antica. I sistemi dell'Età ellenistica. L’ECLETTISMO ACCADEMICO A ROMA CON
CICERONE E CON VARRONE 1. La posizione filosofica assunta da
Cicerone — Come Filone e An- tioco sono i più tipici rappresentanti
dell’Eclettismo greco, così Ci- cerone è il più caratteristico
rappresentante dell’Eclettismo romano.! Antioco si colloca
decisamente a destra di Filone, diremmo con metafora moderna, mentre
Cicerone prosegue piuttosto sulla linea di Filone. Il primo elabora un
Eclettismo decisamente dogmatico, il secondo un Eclettismo cautamente e moderatamente
scetticheg- giante. Non c’è peraltro dubbio che, dal punto di
vista speculativo, Ci- cerone resti al di sotto sia dell’uno che
dell’altro, non presentando alcuna novità che sia paragonabile alle
formulazioni del probabilismo positivo del primo o alla sagace critica
antiscettica del secondo. Se, in sede di storia della filosofia
greca e romana, ci occupiamo di Cicerone è soprattutto per motivi
culturali più che speculativi. ! Cicerone nacque nel 106 a.C. ad
Arpino. Si accostò fin da giovane alla filo- sofia, che coltivò con
interesse e costanza. Tuttavia l’amore della filosofia fu lungi
dall’assorbire per intero tutte le energie e gli interessi di Cicerone. Egli,
infatti, si sentì prevalentemente portato alla vita pubblica, alla vita
forense e alla vita politica. Perciò la sua scelta di fondo fu per la
retorica, ossia per l’oratoria. La sua carriera oratoria inizia già
nell’81 a.C. e ne 76/75 a.C. inizia la sua attività politica, con la sua
elezione a questore. Da allora in poi Cicerone legò spesso il suo nome a
clamorosi processi e a importanti avvenimenti politici. Morì nel 43 a.C.,
ucciso dai soldati di Marc’ Antonio. Dei suoi maestri di filosofia
abbiamo già detto, e diremo ancora nel testo. Le numero- se opere di
filosofia di Cicerone pervenuteci furono da lui scritte nell’ultimo
periodo della sua vita. Nel 46 scrisse i Paradoxa Stoicorum; nel 45 gli
Academzica, due dialoghi intitolati a Catullo e a Lucullo, di cui fece
una seconda redazione, in cui compariva- no come interlocutori Attico e
Varrone (degli Acaderzica priora ci è rimasto il libro II Lucullus, degli
Academica posteriora il libro I e frammenti). Del 45 è anche il De
finibus bonorum et malorum. Nel 44 furono pubblicate le Tusculanae disputationes,
il De natura deorum e il De offictis. A queste opere vanno inoltre
aggiunte: il De fato, il De divinatione, il Cato maior de senectute e il
Laelius de amicitia. Da ricordare, infine, sono le opere politiche De re
publica e De legibus. Del De re publica ci sono giunti i primi due libri,
non completi, frammenti del III, del, IV, del V e gran parte del libro
VI, che già nell’antichità ebbe vita autonoma col titolo Sorzziuzz Scipionis.
Diamo dettagliate indicazioni nello Schedario, s.v. Per i rapporti fra
Cicerone e Platone, cfr. l’eccellente raccolta di testi in Dòrrie, op.
cit., Bausteine 25-31, pp. 212-258. 1508. LIBRO VI - SCETTICISMO,
ECLETTISMO, NEOARISTOTELISMO E NEOSTOICISMO In primo luogo,
Cicerone offre, in certo senso, il più bel paradigma di pensiero
eclettico, che è come dire il più bel paradigma della più povera delle
filosofie, e, in certo senso, la più antispeculativa delle
speculazioni. In secondo luogo, Cicerone è di gran lunga il più
efficace, il più vasto e il più cospicuo ponte attraverso il quale la
filosofia greca si è riversata nell’area della cultura romana e, poi, in
tutto l'Occidente. E anche questo è un merito non teoretico, ma di
mediazione, di diffusio- ne e di divulgazione culturale, e comunque di
altissima classe. Ciò non toglie, però, che Cicerone abbia
intuizioni felici e anche acute su problemi particolari, specie su
problemi morali. Il De officiis è, probabilmente, la sua opera più
vitale. Inoltre, presenta anche ana- lisi penetranti. Tuttavia, si tratta
di intuizioni e di analisi che si colloca- no — per così dire — a valle
della filosofia; sui problemi speculativi che stanno a monte egli ha poco
da dire, come del resto in questo ambito hanno poco da dire quasi tutti i
rappresentanti della filosofia romana. Già i maestri frequentati da
Cicerone indicano chiaramente la ge- ografia del suo pensiero. Da giovane
udì l’epicureo Fedro e, più tardi, anche Zenone epicureo; sentì anche le
lezioni dello stoico Diodoto, conobbe a fondo il pensiero di Panezio e
allacciò stretti rapporti di amicizia con Posidonio; fu influenzato da
Filone di Larissa in modo decisivo e, inoltre, udì per un certo tempo
anche le lezioni di Antioco di Ascalona. Inoltre, lesse
Platone, Senofonte, le opere pubblicate di Aristotele, alcuni filosofi
della vecchia Accademia e del Peripato, ma sempre con i parametri della
filosofia del suo tempo. Da tutti prese e in tutti cercò conferme
su determinati problemi, eccettuati forse i soli Epicurei, coi quali
polemizzò accesamente. Egli stesso si autodefinì espressamente come
«Accademico», e come Accademico della corrente filoniana: anche per lui,
infatti, /a probabilità positiva è alla base della filosofia.
Nell’operare la fusione eclettica delle varie correnti, dunque,
Cice- rone non diede contributi essenziali, perché tale fusione era già
stata operata dai maestri che egli aveva udito. Cicerone si limitò a
ripropor- la in termini latini e ad amplificarla non qualitativamente —
giacché questo non era possibile — ma quantitativamente. 2.
Il probabilismo eclettico ciceroniano — Dicevamo sopra che Cice- rone
respinge il tipo di eclettismo di Antioco e assume, invece, una posizione
simile a quella di Filone di Larissa: il «dogmatismo ecletti-
CICERONE 1509 co» di Antioco gli sembrava alquanto incauto, mentre
il «probabili- smo» filoniano lo appagava pienamente. Come avevano
fatto molti dei nuovi Accademici, Cicerone adotta il metodo della
discussione del «pro» e del «contro» su ogni questione. Questo metodo gli
offre grandi vantaggi: 1) in primo luogo, gli offre la possibilità
di far conoscere le varie posizioni dei filosofi in materia, facendo
largo sfoggio della sua eru- dizione; 2) in secondo luogo,
gli offre la possibilità di valutare la consisten- za delle opposte
tesi; 3) in terzo luogo, il raffronto di opposte idee gli offre la
possibilità di scegliere la soluzione più probabile; 4)
infine, da buon oratore e avvocato, trova che questo metodo costituisce
un perfetto esercizio di eloquenza. Dunque, il raffronto non deve
portare alla «sospensione del giudi- zio», bensì al ritrovamento del
«probabile» e del «verosimile» e anche all'esercizio retorico.
Ecco le precise parole del nostro filosofo che mettono bene a fuoco
questo punto: A me è sempre piaciuta la consuetudine dei
Peripatetici e degli Ac- cademici di discutere in ogni problema il pro e
il contro: non soltanto perché questo sistema è l’unico adatto per
scoprire in ogni questione l'elemento di verosimiglianza, ma anche per
l'ottimo esercizio che ciò costituisce per la parola. Ma il
passo ci permette di fare anche un’altra riflessione. Cicerone pone
e risolve i problemi filosofici sempre in chiave pre- valentemente
culturalistica e mai direttamente, ossia in maniera pura- mente teoretica.
Le questioni che egli imposta sono quelle che già altri hanno sollevato,
e anche le soluzioni che sceglie sono per lo più quelle già proposte in
tutto o in parte da altri. E così si spiega perfettamente come il
suo «moderato Scetticismo» — per sua stessa confessione — non derivi
tanto dalle difficoltà che in- trinsecamente sollevano i problemi della
conoscenza e del criterio del- la verità (per esempio gli errori dei
sensi, e simili), quanto dalle diffi- 2 Tusc. Disput., II, 3,9=1,
18, 3 Dérrie; traduzione di A. Di Virginio. 1510 LIBRO VI-
SCETTICISMO, ECLETTISMO, NEOARISTOTELISMO E NEOSTOICISMO coltà che
scaturiscono dal dissenso circa le soluzioni di quei problemi che sono
state proposte dai vari filosofi. Di conseguenza, risulta anche
chiara la ragione per cui, da un lato il «dissenso» dei filosofi
sconcerti Cicerone, mentre dall’altro lo con- forti in pari modo il
«consenso», quando ci sia, al punto che egli non esita a fare di tale
consenso ur criterio di probabilità. Il «vero», dunque, è
irraggiungibile, come prova il dissenso dei filosofi; tuttavia restano il
«probabile» e il «verosimile», che sono se non il vero stesso, ciò che
tuttavia al vero più si avvicina. Dice Cicerone nel De natura deorum:
Non siamo di quelli che negano in assoluto l’esistenza della
verità: ci limitiamo a sostenere che a ogni verità è unito qualcosa che
vero non è, ma tanto simile a essa che quest’ultima non può offrirci
alcun segno distintivo che ci permetta di formulare un giudizio e di dare
il nostro assenso. Ne deriva che ci sono delle conoscenze probabili
le quali, benché non possano essere compiutamente accertate,
appaiono così nobili ed elevate da poter fungere da guida per il
saggio.’ Nel De officiis Cicerone ribadisce: Mi si
chiede però, e proprio da uomini di lettere e colti, se io creda di agire
con sufficiente coerenza, quando, mentre osservo che nulla può essere
conosciuto con certezza, tuttavia e soglio disputare di altre que- stioni
e in questo stesso momento cerco di dare regole sul dovere. A co- storo
vorrei che fosse abbastanza noto il mio pensiero. Giacché io non sono di
quelli il cui animo vaga nell’incertezza e non ha mai un principio da
seguire. Quale sarebbe infatti la nostra mente, 0, piuttosto, la nostra
vita, quando fosse tolta ogni norma non solo di ragionare, ma anche di
vivere? Come gli altri affermano la certezza di alcune e l'incertezza di
altre cose, noi invece, dissentendo da loro, sosteniamo la probabilità di
alcune cose e l’improbabilità di altre. Che cosa, dunque, mi può impedi-
re di seguire ciò che mi sembra probabile e di disapprovare ciò che mi
sembra improbabile, e di fuggire così, evitando la presunzione di recise
affermazioni, la temerarietà, che è lontanissima dalla vera sapienza?*
E a questo «probabile» si perviene non legandosi dogmaticamente ad
alcuna Scuola, ma restando liberi di scegliere ecletticamente ciò che
pare più verosimile. Nelle Tuscolazze leggiamo: } De nat. deorum,
I, 5, 12, traduzione di U. Pizzani; cfr. Acad. pr., II, 31, 98 e ss. 4 De
offictis, II, 2, 7-8, traduzione di Q. Cataudella. CICERONE
1511 Esiste libertà di pensiero, e ognuno può sostenere ciò che
gli pare; per me, io mi atterrò al mio principio, e cercherò sempre in
ogni que- stione la probabilità massima, senza essere legato alle leggi
di nessuna scuola particolare che debba per forza seguire nella mia
speculazione.” Il «probabilismo» di Cicerone è, in tal modo,
strutturalmente con- giunto col suo «eclettismo»: l’uno sta a fondamento
dell’altro e vice- versa, e ambedue hanno radice, più che teoretica,
culturale e storica, come sopra dicevamo. Questo ben spiega —
tra l’altro — come, a seconda dei problemi che Cicerone tratta, il
probabile si assottigli fino a diventare dubbio, oppure, per contro, si
consolidi fino a diventare quasi certezza. 3. Logica: il criterio
della verità - Anche Cicerone, come tutti i filosofi del suo tempo,
ritiene che il compito precipuo della filosofia consi- sta nello
stabilire il «fine dell’uomo», e quindi la natura del «sommo bene», e
che, per poter far questo, occorra stabilire quale sia il criterio del
vero: Queste sono le questioni massime in filosofia: il criterio
della verità e il fine dei beni, né può essere sapiente chi ignori o il
principio del conoscere o il termine dell’appetizione, così da non sapere
da dove si debba partire o dove si debba arrivare.° Iniziamo
dall’esame del «criterio del vero», che è il punto di par- tenza.
In primo luogo, Cicerone accoglie positivamente la testizzonianza
dei sensi. Non l’accoglie a livello di certezza assoluta, ossia a
livello di cer- tezza tale da meritare l’assenso totale, ma 4 livello di
probabilità (si ricordino le posizioni di Filone e di Antioco). L'evidenza
dei sensi e dell’esperienza è, dunque, un primo criterio: chi nega queste
eviden- ze, sovverte la possibilità stessa della vita.” Un
secondo criterio Cicerone lo trova nel «senso comune», nel «consenso
universale degli uomini» (nonché nel consenso dei dotti). Egli usa anzi
espressioni che riecheggiano una certa forma di «inna- tismo», che si
rifà, molto alla lontana, all’innatismo platonico e, più >
Tusc. disp., IV, 4,7. 6 Acad. pr., II, 9, 29. ? Cfr. Acad. pr, II,
31,99. 1512. LIBROVI- SCETTICISMO, ECLETTISMO, NEOARISTOTELISMO E
NEOSTOICISMO da vicino, alla dottrina della «prolessi» che — come
abbiamo visto — è comune sia al Giardino sia al Portico. Così
Cicerone — per limitarci all'ambito che maggiormente inte- ressa —
ammette non solo che la natura umana ci abbia dato serzina innata delle
virtù, cioè naturali disposizioni alla virtù, ma che abbia altresì
ingenerato size doctrina notitias parvas rerum maximarum, per raggiungere
le medesime virtù. Ed è precisamente questo generico innatismo la
vera motivazione che gli fa ritenere come probante il senso comune e il
consenso di tutti gli uomini. Naturalmente, Cicerone non ci
sa dire di più a questo proposito: risale dal «senso comune» e dal «consenso
universale» a nozioni da- teci naturalmente, cioè «innate», e con questo
crede di aver raggiunto un criterio dotato di evidenza tale da non aver
bisogno di ulteriore fondazione. 4. Fisica — Per i problemi
«fisici» — cioè per il grosso dei problemi cosmo-ontologici che le
filosofie ellenistiche includevano nella dot- trina della physis —
Cicerone mostra pochissimo interesse. Ciò è ben conforme al sentire
squisitamente romano, il quale solo se vede una precisa valenza pratica
si interessa ai problemi speculativi. Naturalmente, egli fa eccezione
per i problemi di Dio e dell’anima, che sono strettamente legati
all’etica, nel senso che condizionano, in ultima analisi, il senso ultimo
della medesima. Per quanto concerne la soluzione dei problemi
metafisici e ontolo- gico-cosmologici egli nutre uno scetticismo molto
più spinto che per tutto il resto. Non li sa impostare e risolvere,
soprattutto per il motivo che non gli interessano esistenzialmente.
Perciò gli è anche più como- do affermare che sulla natura delle cose è
molto più facile dire corze non sia la verità che non come sia, e che
tutto è circonfuso di tenebre che non si possono squarciare:
Tutte queste cose ci restano nascoste, occultate e circonfuse di dense
tenebre, al punto che nessun acume di umano ingegno è così grande, da
saper penetrare nel cielo o entrare dentro la terra.!° Tuttavia
egli prudentemente non ritiene che siano da bandire del tutto le
questioni fisiche, perché la considerazione della natura è, in 8
Tusc. disput., III, 1,2. ° De finibus, V, 21, 59. !0 Acad. pr., II,
39, 122. CICERONE 1513 ogni caso, cibo e
sostentamento della mente, forza che ci sorregge e che ci porta in alto
e, portandoci così in alto, ci permette di guardare con nuova ottica le
cose umane e quindi di ridimensionarle. Consi- derando le cose celesti e
sublimi, si comprende come le cose terrestri siano piccole e meschine.
Senza contare, poi, la gioia spirituale che noi proviamo allorché ci
imbattiamo, se non nell’irraggiungibile vero, in qualcosa di
verosimile: Non penso [...] che si debbano bandire queste
questioni dei fisi- ci. Infatti la considerazione e la contemplazione
della natura è come naturale pascolo degli animi e degli ingegni. Ci
innalziamo, ci sembra di diventare più grandi, disprezziamo le cose
umane, e pensando alle cose superiori e celesti, disprezziamo queste
nostre come piccole e vili. La stessa indagine di cose grandissime e
occultissime ci dà dilet- to. Se poi accade che qualcosa ci sembri
verosimile, allora l’animo si riempie di piacere umanissimo.!!
Come si vede, è sempre in chiave etica e antropologica che Cicero-
ne affronta i problemi.!? 5. Pensieri teologici — Sull’esistenza
di Dio Cicerone non sembra nu- trire dubbi. Il consenso di tutti i popoli
è per lui la prova più solida: Quanto all’esistenza degli dèi, la
prova più solida che se ne possa addurre è questa, a quel che pare: non
c’è popolo, per quanto barba- ro, non esiste uomo al mondo, per selvaggio
che sia, che non abbia nella mente almeno un’idea della divinità. Sugli dèi
molti hanno delle convinzioni errate, e questo fatto normalmente è dovuto
all’influenza corruttrice dell’abitudine: ma tutti quanti credono
nell’esistenza di una forza e di una natura divina, e questa convinzione
non è effetto di un precedente scambio di idee fra gli uomini e di un
accordo generale, né ha trovato appoggio in istituzioni o leggi: ora, in
ogni questione, il consenso dei popoli si deve considerare legge di
natura.! Analogamente, Cicerone non ha dubbi sulla Provvidenza:
sia le cose esterne dimostrano di essere state finalizzate in funzione
dell’uo- mo, sia la forma e la struttura dell’uomo stesso e dei suoi
organi ricon- fermano una organizzazione finalistica. E dire
organizzazione finalistica è dire Provvidenza.!* !! Acad. pr., II,
41, 127. 1° Ibidem. 3 Tusc. disput., 1, 13, 30.
14 Cfr. De nat. deor., passim. 1514 LIBRO VI- SCETTICISMO,
ECLETTISMO, NEOARISTOTELISMO E NEOSTOICISMO Nulla ripugna a
Cicerone più della concezione meccanicistica pro- pria dell’atomismo
epicureo: un casuale e meccanico accozzamento delle lettere dell’alfabeto
non potrà mai — dice sensatamente Cicerone — generare gli Arzali di
Ennio:! Come non provare meraviglia, a questo punto, se qualcuno
ritiene che corpi solidi e invisibili siano trascinati dalla forza del
loro peso e che dalla loro fortuita unione sia derivato il mondo con
tutti i suoi splendori e le sue bellezze? Chi fosse disposto ad ammettere
una cosa del genere non vedo perché non dovrebbe anche ritenere che, se
si raccogliessero da qualche parte in un numero molto elevato di
esem- plari le ventuno lettere dell’alfabeto foggiate in oro o in altro
materiale e le si gettassero a terra, dovrebbero ricostituirsi tutti gli
Armati di En- nio ormai pronti per la lettura: un risultato che il caso
non riuscirebbe forse a realizzare neppure limitatamente a un solo verso.
! Più incerto si mostra, invece, Cicerone quando deve prendere
po- sizione circa la natura di Dio. Egli, in primo luogo,
crede all’unità di Dio. Ma come concepire- mo, dal punto di vista
ontologico, questo Dio-uno? Chi fin qui ci ha seguito non può aver
dubbi sul fatto che alla do- manda non potremo avere se non risposte
ambigue e oscillanti fra spi- ritualismo e materialismo. E, questo, non
già per ragioni contingenti, ma per motivi strutturali. In effetti, o si
recuperavano i risultati della «seconda navigazione» platonica e il senso
del trascendente, oppure le affermazioni sulla spiritualità di Dio dovevano
rimanere senza alcun fondamento teoretico. Nelle Tuscolane
leggiamo: E la divinità stessa, quale noi ce la rappresentiamo,
non può essere concepita che come uno spirito indipendente, libero (vers
soluta qua- edam et libera), e privo di ogni elemento corruttibile: uno spirito
che tutto sente e tutto muove, ed è a sua volta dotato di eterno
movimento.!$ Ma l’espressione «7ens soluta quaedam et libera» non
ci deve trar- re in inganno, perché questa z2ers soluta et libera non può
essere pen- sata da Cicerone in funzione della categoria del
soprasensibile, tant'è che egli finisce per accettare l’ipotesi stoica
che si tratti di aria e fuoco, oppure anche dell’aristotelico
etere.!” 5 De nat. deor., II, 37,93. 16 Tusc. disput., 1,
27, 66. CICERONE 1515 6. Idee sull’anima —
Analogamente egli non dubita dell'immortalità dell’anima, giacché è la
natura stessa che ha posto in noi questa con- vinzione, tanto è vero che
tutti si preoccupano di quello che sarà dopo la morte.!8
Questo è per Cicerone il più valido argomento a favore dell’im-
mortalità, anche se non esita a riprendere, di rincalzo, le tradizionali
prove di estrazione platonica.! L'anima è ciò che ci congiunge a Dio ed è
quasi il punto di tangenza che l’uomo ha con Dio: Niente di quello
che sta sulla terra può spiegare l'origine dell’ani- ma, perché in essa
non c’è nulla che sia misto o composto, nulla che si possa considerare
derivato o formato dalla terra, nulla che abbia la natura dell’acqua,
dell’aria o del fuoco. In effetti, nella composizio- ne di questi elementi,
non rientra nulla che abbia la proprietà della memoria,
dell’intelligenza, del pensiero, che possa ritenere il passa- to,
prevedere il futuro, abbracciare il presente: questi sono attributi
esclusivamente divini e non si potrà mai trovare per loro altra prove-
nienza che non sia la divinità. L'anima, insomma, ha un’essenza e una
natura del tutto speciali, e ben distinte da quelle degli altri elementi
comuni e a noi noti. Pertanto, qualunque sia la natura di quell’entità
che sente, che conosce, che vive, che agisce, essa deve essere necessa-
riamente celeste e divina, e di conseguenza eterna. E la divinità stessa,
quale noi ce la rappresentiamo, non può essere concepita che come uno
spirito indipendente, libero, e privo di ogni elemento corruttibile: uno
spirito che tutto sente e tutto muove, ed è a sua volta dotato di eterno
movimento. Di questa specie e di questa medesima natura è l’anima
umana.? Naturalmente, anche a proposito del problema della natura
dell’a- nima si notano le stesse incertezze e le stesse oscillazioni che
abbiamo notato a proposito del problema della natura di Dio. E la radice
di queste incertezze è la medesima: la natura dell’anima è
filosoficamente determinabile solo in funzione della categoria del
soprasensibile; altri- menti si cade inesorabilmente nel
materialismo. E, infatti, poco prima del passo letto, Cicerone
scrive: E certo, se la divinità è aria o fuoco, come lei è fatta
l’anima dell’uomo: quella sostanza celeste non ha in sé né terra né
liquido, e ! Cfr. Tusc. disput., I, 26, 65. 18
Tusc. disput., 1, 14,31. 19 Tusc. disput., I, 12, 50 ss. 20 Tusc. disput., I, 27, 66.
1516 LIBROVI- SCETTICISMO, ECLETTISMO, NEOARISTOTELISMO E
NEOSTOICISMO questi due elementi sono egualmente assenti
dall'anima umana. Se poi esiste una quinta essenza, quella introdotta da
Aristotele, essa rientra sia nella divinità sia nell’anima.?!
Ma aria, fuoco e la stessa quinta essenza sono, appunto, sempre e
solo materia. 7. Pensiero morale — La parte della filosofia che di
gran lunga più interessa Cicerone — come abbiamo già rilevato — è
l’etica. E non è quindi senza ragione che le sue due opere più vive siano
quelle Suz doveri e Sul fine dei beni e dei mali. Più che mai
è vero per Cicerone che non la aristotelica pura attività contemplativa,
ma la attività pratica e sociale è regina. Ecco un passo molto
eloquente: Ritengo siano più conformi alla natura quei doveri che
promanano dal sentimento sociale, che non quelli che promanano dalla
sapienza, e questo può essere affermato dal seguente argomento, che, se a
un uomo sapiente toccasse una condizione di vita tale che, affluendo a
lui le ricchezze più varie, egli potesse dedicarsi in piena tranquillità
allo studio e alla contemplazione di tutte quelle cose che sono degne
di essere conosciute, tuttavia, se la solitudine fosse così grande che
non potesse vedere nessun uomo, egli preferirebbe morire [...].
Infatti, la conoscenza e la contemplazione (della natura) sarebbero in
cer- to modo manchevoli e imperfette, se non dovesse seguir loro
alcuna attività concreta; e questa attività si manifesta specialmente
nell’assi- curare l’utilità degli uomini; riguarda, dunque, la società
del genere umano; perciò questa deve essere anteposta alla
scienza.” Ma, anche in questo ambito specifico, si cercano invano
delle no- vità di fondo in Cicerone. Egli discute le etiche
dei sistemi epicureo, stoico, accademico e pe- ripatetico; respinge in
blocco la morale epicurea e procede a eclettici accomodamenti fra le
altre. Da un lato, egli è portato ad ammirare soprattutto la morale
stoica, da un altro lato fa concessioni alla morale accademica e a quella
peri- patetica (che egli considera sostanzialmente identiche).
21 Tusc. disput., I, 26, 65. 2 De offictis, I, 43, 153 (nel
passo omesso dopo i puntini Cicerone parla della superiorità della sophia
sulla phroresis, ma autocontraddicendosi in modo impres- . ) p
sionante). CICERONE 1517 Cicerone non può, infatti,
accettare il principio stoico che solo il sapiente è buono e tutti gli
altri sono viziosi, perché — egli rileva — la sapienza dello stoico
sapiente è tale che «alcun mortale ancora non ha raggiunto», e perciò
egli propone di considerare ciò che è nella con- suetudine e nella vita
comune, non quello che è nelle pure aspirazioni e nei puri
desideri.” Anche per lui il principio fondamentale della morale è
seguzre la nostra natura individuale nel rispetto della generale natura
umana. Questo richiamo alla natura dell’uomo, che è anima e corpo,
per- mette a Cicerone di temperare la morale stoica e rivendicare
anche i diritti del corpo, giacché è necessario vivere biologicamente,
ossia soddisfare alle esigenze del corpo, proprio per poter
ulteriormente soddisfare alle esigenze della ragione. E, così, per questo
aspetto, egli si schiera dalla parte dei Peripatetici, come già Panezio e
Posidonio avevano in parte fatto. Ma poi torna agli Stoici
nel riportare la virtù interamente alla ra- gione, dissentendo dalla
tipica concezione aristotelica della virtù etica come via di mezzo fra
opposte passioni. E come gli Stoici, egli ritiene la virtù
«autosufficiente» e bastevole per la vita felice. E sembra allearsi con
gli Stoici anche nel concepire il saggio come privo di passioni e
imperturbabile. Infine, anche le rivendicazioni dell’umana libertà
nell’opera Su/ Fato vanno ben poco oltre la pura affermazione di una
libertà intui- tivamente colta: i moti volontari dell’anima non hanno
cause esterne ma dipendono da noi, nel senso che ne è causa la natura
stessa della nostra anima. 8. Conclusioni sul pensiero
ciceroniano — Quando Cicerone dai prin- cìpi scende all’analisi dei
«doveri intermedi» (quelli che gli Stoici chia- mavano kathekonta),
allora mette in evidenza tutta la sua intelligenza e assennatezza
pratica. Ma qui siamo, ormai, non più nel campo della filosofia in
senso stretto, ma piuttosto in quello della fenomenologia morale.
D'altra parte è inevitabile che tutte le notazioni e i rilievi
originali che si ritrovano in Cicerone nell’ambito delle analisi morali
non va- dano oltre il piano fenomenologico e restino teoreticamente in
certo senso un poco informi. ® De amicitia, 5,18. 24
Cfr. De officiîs, I, 31, 110. 1518. LIBROVI- SCETTICISMO,
ECLETTISMO, NEOARISTOTELISMO E NEOSTOICISMO Le ambigue risposte ai
problemi ontologici e antropologici dell’E- clettismo non gli permettono
— proprio per ragioni strutturali — di spingersi oltre. Come
giustamente ha scritto il Marchesi, «Cicerone non ha dato nuove idee al
mondo [...]. Il suo mondo interiore è povero per la ra- gione che dà
ricetto a tutte le voci». Il suo contributo maggiore sta, dunque,
nella fusione e divulgazio- ne della cultura antica e, in questo ambito,
egli è veramente una figura essenziale nella storia spirituale
dell'Occidente. «Anche qui — è ancora il Marchesi che scrive — si
manifesta la forza divulgatrice e animatrice dell’ingegno latino: perché
nessun Greco sarebbe stato capace di dif- fondere, come ha fatto
Cicerone, il pensiero greco per il mondo». 9. La figura di uomo
dalle conoscenze enciclopediche di Varrone — Uomo di vaste conoscenze
filosofiche come Cicerone, fu anche Var- rone Reatino. Egli fu
propriamente un enciclopedico: già i suoi con- temporanei lo giudicarono
il più colto dei Romani. Più che di una filosofia di Varrone si può
parlare di implicanze filosofiche della sua cultura generale.
Contrariamente a Cicerone, che come abbiamo visto segue Filone di
Larissa, egli si schiera dalla parte di Antioco, e gli resta in larga
misura fedele. La sua concezione dell’anima come «pneuma» e del
Divino come «Anima del mondo» sono in perfetta sintonia appunto con
l’Ecletti- smo stoicizzante antiocheo. E le sue idee morali
non presentano novità di rilievo. La dottrina filosofica per cui
egli è più noto consiste nella distin- zione delle tre forme di teologia
(una distinzione che ha radici molto antiche): a) la
«teologia favolosa o mitica» dei poeti; b) la «teologia naturale» propria
dei filosofi; c) la «teologia civile», che si esprime nelle
credenze e nei culti delle Città. 5 C. Marchesi, Storia della
filosofia latina, Milano 19718, I, p. 317. Per uno sta- to della
questione, una dettagliata analisi del pensiero filosofico di Cicerone e
per aggiornamenti bibliografici, si veda l’opera citata supra, p. 1481,
nota 23, capitolo VI, che contiene la trattazione del nostro autore a
cura di G. Gawlick e W. Gòrler, pp. 991-1168. 26 E nato a
Rieti nel 116 a.C. ed è morto nel 27 a.C. VARRONE 1519
È fuori dubbio che Varrone ritenesse la seconda forma di teologia
come la più vera. Tuttavia, il Boyancé rileva quanto segue: «da
tempo alcuni filosofi si sforzavano di dare un posto alla teologia dei
poeti e delle Città. Si trattava della tradizione storica dei Greci e di
Roma e Varrone aveva un rispetto tutto romano di questa tradizione.
L’erudito, in lui, rispet- toso in particolare della storia delle parole,
credeva di poter fonda- re la verità dei filosofi. [...] Tutto ciò non
avveniva in Varrone senza esitazioni, dubbi e scacchi, di cui aveva
consapevolezza. Ma egli era sostenuto dal fervore delle sue convinzioni e
dalla vastità delle sue conoscenze»? 2? P. Boyancé, Les
implications philosophiques des recherches de Varron sur la re- ligion
bumaine, in «Atti del Congresso Internazionale degli Studi Varroniani», Rieti
1976, I, p. 161. Cfr. Schedario, s.0 PARTE XX Giovanni Reale. Reale. Keywords: Crotone,
Velia, Crotonensi, la scuola di Crotone, la scuola di Velia, I veliani,
Parmenide, Girgentu – filosofia siciliana – magna Grecia non e Sicilia --. I
confine della magna Grecia – filosofia italica, filosofia italiana – la
filosofia nella peninsula italiana in eta anticha – filosofia Latina, filosofia
romana. Catalogo di Nome di Filosofi Italici, il poema di Parmenide, il poema
di Girgentu, il poema di Velia, la porta rossa di Velia, Zenone di Velia,
Filolao di Taranto, Gorgia di Lentini, Archita di Taranto, studi degl’antichi
italici da I romani, Etruria e Magna Grecia, le radice etrusche della filosofia
romana, fisiologia, teoria dela natura, uomo, la moralia, la colloquenza o
dialettica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Reale” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Reghini: la ragione conversazionale -- numero
tri-angolare, numero qua-drato, numero pi-ramidale -- l’implicatura del numero
sacro crotonese, e il simbolismo duo-decimale del fascio littorio etrusco -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Firenze).
Filosofo italiano.
Grice: “It’s difficult to call Reghini a philosopher; yes, he was interested in
Pythagoras – but to what extent can, in spite of Russell, number GROUND a whole
philosophy?” Studia a Pisa.
Insegna a Roma. Promotore della setta di Crotone, è affiliato a vari gruppi
dell'esoterismo italiano. Entra nella società teo-sofica e ne fonda la sezione
romana. Fonda a Palermo la biblioteca di teo-sofia filo-sofica. È iniziato a Memphis
di Palermo, rito massonico di supposta origine egizia. Entra a Firenze nella
loggia Lucifero, dipendente dal Grande Oriente. Adere al martinismo papusiano, diretto
da SACCHI, verso le carenze della cui maestranza e pubblicistica apporta una
demolizione magistrale. È chiamato d’ARMENTANO, che lo avvia allo studio della
scuola di Crotone. Entra nel supremo consiglio universale del rito filosofico
italiano, dal quale però si dimise, non havendo infatti un'alta opinione dello
stato della massoneria in Italia. Insignito del XXXIII massimo grado del rito scozzese
antico e accettato, entra a far parte come membro effettivo del supremo consiglio,
di cui è cancelliere e segretario. Gl’anni della grande guerra vedeno
discepoli e maestri della schola italica pitagorica partire volontari per il
fronte. Non rimase inerte innanzi al sorgere dell’istanze interventiste. Partecipa
attivamente alla manifestazione romana del maggio, culminata in Campidoglio,
tesa ad ottenere la dichiarazione di guerra. Accolto nell'accademia militare di
Torino come allievo ufficiale di Genio, parte volontario per il fronte,
ottenendo sul campo il grado di capitano di Genio. Lui ed il suo maestro ARMENTANO
creano a Roma l'associazione pitagorica, che riprende le fila di precedenti
esperienze e si richiama operativamente al sodalizio pitagorico. Fonda e anima
varie riviste, con interventi sagaci e ricchi di dottrina. Scrive sul papiniano
“Leonardo”, dando vita ad “Atanór, Ignis, e UR, con COLAZZA, EVOLA (si veda) come direttore, PARISE, ed ONOFRI.
Contrasti d'idee e caratteriali prevalser nel rapporto di collaborazione fra lui
ed EVOLA, provoca la scelta evoliana di allontanamento di questi, assieme a PARISE,
dalla rivista “UR” -- rivista sórta a esprimere al pubblico della cultura
l'intento dell'occulto Gruppo di Ur -- dove il maestro fiorentino pubblica con
l'eteronimo di ‘Pietro Negri’. E se ne ha anche strascichi giudiziari. Infatti
EVOLA tenta di farlo incriminare per affiliazione massonica -- affiliazione che
costituiva reato dopo l'imposizione di scioglimento dell’associazioni segrete decretata
dal regime fascista. Ma il potere giudiziario opta infine per un accordo tra i
due onde evitare uno scandalo. Per via del condizionamento repressivo fascista
volto all'emarginazione di tanti esponenti dell'esoterismo italiano – ARMENTANO
parte per il Brasile --, ormai isolato si ritira dalle attività pubbliche e a
Budrio si dedica all'insegnamento nel circolo quirico filopanti, alla
meditazione in chiave pitagorica delle scienze matematiche. Ottenne
riconoscimenti dei lincei e dall'accademia
per la sua opera sulla restituzione della geo-metria pitagorica. Il Crepuscolo
dei Filosofi regalato dal suo autore, Papini all’amico Arturo al suo ingresso
nella loggia fiorentina ‘Lucifero.” Nel fronte-spizio una dedica ad inchiostro,
scolorito dal tempo, ‘Al fratello R. il suo PAPINI’ in R., pitagorico, su il manifesto Rito filosofico italiano, Massa, “Pagine
esoteriche” (Finestra, Trento). In questa qualità firma il decreto del suo
scioglimento (riprodotto in Sessa, I sovrani grandi commendatori e storia del supremo
consiglio d'Italia del rito scozzese antico ed accettato, Palazzo Giustiniani
(Bastogi, Foggia), in seguito all'approvazione alla camera dei deputati del
progetto di legge sulla disciplina delle associazioni, presentato da MUSSOLINI,
mirante allo scioglimento della
massoneria. Iacovella, "Il barone e il pitagorico”, Vie della Tradizione, Cfr.
la recensione fatta ne da Guénon. Altri saggi: ““Parola sacra e parola di passo
dei gradi”; “Il mistero massonico” (Atanor, Roma); “Geo-metria pitagorica” (Basilisco,
Genova); “Il numero sacro nella tradizione pitagorica”; “Il numero sacro e la
geo-metria pitagorica”; Il fascio
littorio, ovvero il simbolismo duo-decimale”; “Il fascio etrusco” (Basilisco,
Genova); “Il numero sacro nella tradizione crotonese” (Ignis, Roma); “Del numero”;
Prologo Associazione culturale Ignis, Dell'equazione indeterminata di secondo
grado con due incognite” (Archè/pizeta); “Della soluzione dell'equazione di
tipo Pell x2-Dy2=B e del loro numero” (Archè/pizeta); “Il numero tri-angolare, il
numero qua-drato, il numero pi-ramidale a base tri-angolare, il numero pi-ramidale a
base qua-drata” (Archè/pizeta); “Dizionario filologico” (Associazione culturale
Ignis"), Cagliostro, ("Associazione culturale Ignis"), “Considerazioni
sul rituale dell'apprendista libero muratore” (Phoenix, Genova); “Paganesimo, scuola
di Crotone, Massoneria” (Mantinea, Furnari, Messina); “Per la restituzione
della massoneria crotonese italica (Raffaelli, Rimini); “La tradizione crotonese
massonica” (Melita, Genova); “Trascendenza
di spazio e tempo”, Mondo Occulto (Napoli, ASEQ). Cura “De occulta philosophia”
di AGRIPPA (Fidi, Milano); I Dioscuri,
Genova; La Sapienza pagana e crotonese (La Cittadella. I Libri del Graal. Geminello Alvi, R., il
massone pitagorico che ama la guerra, Corriere della Sera; Paradisi, Il pitagorico
che sogna l’impero, L’Indipendente, Luca, "Un intellettuale neo-pitagorico
tra massoneria e fascismo" (Atanòr, Roma); Parise, "Nota su R.",
in calce a “Considerazioni sul rituale dell'apprendista libero muratore” (Phoenix,
Genova); Sestito, “Il figlio del sole” (Ancona, Associazione Culturale Ignis); Via
romana agli Dei Amedeo Rocco ARMENTANO, Evola
Parise, Schiavone, a metà strada tra fascismo e massoneria, su archivio storico.
Centro Giorgi Scuola Normale Superiore di Pisa, Breve biografia su mathematica.
Boni, Omaggio su rito simbolico; Un pitagorico dei nostri tempi; Bizzi, La
Tradizione occidentale. Grandi massoni. Illustre matematico e anti-fascista --
grande oriente. Pitagorico, su ilmanifesto. Derivo
l’espressione di «corrente tradizionalista romana» dal po¬ deroso
(e ponderoso) lavoro di P. DI VONA, Evola e Guénon. Tradizio¬ ne e
civiltà, Napoli 1985, pp. 179-210, in cui, nel VI cap., intitolato ap¬
punto Il tradizionalismo romano, l’A. studia la «corrente romana del
tradizionalismo, ad opera di Reghini, Evola e De Giorgio». È evidente che
col termine «corrente» noi non intendiamo riferirci (se non in singo¬ li
casi, che ben preciseremo) ad una linea di pensiero omogenea, bene
organizzata in un gruppo unitario e compatto dalle caratteristiche co¬
muni, ideologicamente e politicamente parlando, ma ad una tendenza che
potè as sumere aspetti e sfaccettature diverse, come proprio i casi
di Reghini, Evola e De Giorgio (e non sono certo gli unici) sono a
dimo¬ strare. 17 zioni (8)
e che non mancherà di ulteriori sviluppi. In questa sede sarà
sufficiente fare rapido riferi¬ mento a quell’epoca gravida di grandi e
decisive tra¬ sformazioni che fu il Rinascimento italiano. È so¬
prattutto nel corso del XV secolo che tradizioni oc¬ culte, sopravissute
per secoli nel più grande segreto, paiono ricevere nuova linfa e
l’impulso ad una nuo¬ va manifestazione dal contatto con personalità
del¬ l’Oriente europeo di altissima rilevanza intellettuale, come
quella di Giorgio Gemisto Pletone, il grande rivitalizzatore della
filosofia platonica negli ultimi anni dell’Impero d’Oriente e fondatore
di un cena¬ colo esoterico a Mistra, la medievale erede dell’anti¬
ca Sparta, all’interno del quale, oltre a conservare testi dell’antichità
pagana (come le opere dell’impe¬ ratore Giuliano, che vi venivano
trascritte), si cele¬ bravano veri e propri riti e si elevavano inni in
onore degli dèi olimpici (9). La figura e la funzione di
Giorgio Gemisto Pleto¬ ne sono ancora troppo poco note in generale e,
in Italia, non ancora studiate (10). In genere, ci si limi-
(8) Cfr. ad esempio: R. DEL PONTE, Sulla continuità della tradizio¬ ne
sacrale romana, parti I e II, in «Arthos», voi. V, numeri 21 e 25
(1980-82), pp. 1-13, 275-281; parte III, voi. VI, n. 29(1985), pp.
149-157; vedi anche: Q. AURELIO SIMMACO, RelazionesuH’altare della
Vitto¬ ria, con un’introduzione di R. del Ponte su Simmaco e isuoi tempi.
Edi¬ zioni del Basilisco, Genova 1987. (9) Si tenga conto che
nel sud del Peloponneso sono attestati, a livello popolare, culti nei
confronti degli dèi classici sino al IX secolo della no¬ stra era.
(10) In lingua italiana mancano ancora del tutto studi
approfonditi. 18 ta a citare, a proposito di lui, la
sua partecipazione al Concilio di Firenze e l’istituzione
dell’Accademia Platonica Fiorentina, che ebbe sede nella villa di
Ca- reggi (o «delle Cariti», o «Muse»), concepita da Co¬ simo il
Vecchio e realizzata da Lorenzo il Magnificosu suggestione del Pletone. Ma gli
effetti dovettero essere ancora più interessanti e gravidi di
conseguen¬ ze, se si considerino i legami, ad esempio, fra Gior¬
gio Gemisto Pletone e Sigismondo Pandolfo Mala- testa. Signore di Rimini:
colui che ne sottrarrà il ca¬ davere agli Ottomani (1464), i quali
avevano occu¬ pato Mistra nel 1460, onde deporlo pietosamente in
un’arca marmorea del suo famoso «Tempio Malate¬ stiano». Lo stesso
Malatesta dovette pure essere in rapporto con la ben nota «Accademia
Romana» di Pomponio Leto (11), propugnatore, scrive il von Pa-
stor, del «romanesimo nazionale antico». Il capo Ci si dovrà
pertanto limitare a rimandare a: B. KIESZKOWSKI, Studi sul platonismo del
Rinascimento in Italia (vedi soprattutto cap. II), Sansoni, Firenze 1936;
P. FENILI, Bisanzio e la corrente tradizionale del Rinascimento, in «Vie
della Tradizione», X, 39 (1980), pp. 139-147 (ci viene comunicato ora,
che a cura dello stesso P. Fenili è in corso di stampa un’antologia di
brani di Pletone, dal titolo «Paganitas», lo squarcio nelle tenebre, per
Basala Editore di Roma). Di recente, ci è ca¬ pitato di leggere in
un’insolita pubblicazione, una rivistina satirica di si¬ nistra, un reportage
da Mistra singolarmente informato e documentato su Gemisto Pletone e la
sua scuola (cfr. P.LO SARDO, La repubblica dei Magi. Da Sparta alla
Firenze del '400, in «Frigidaire», 56-57, luglio- agosto 1985, pp.
55-63). (11) Per mezzo del Platina (definito da Pomponio pater
sanctissi- mus), 1 ’Accademia Romana intratteneva rapporti col Malatesta,
il quale 19 dell’Accademia
Romana, riporta il von Pastori «spregiava la religione cristiana ed
usciva in vio¬ lenti discorsi contro i suoi seguaci... venerava il
ge¬ nio della città di Roma. (...) Quale rappresentante di
queU’umanesimo, che gravitava verso il pagane¬ simo, si schierarono ben
presto attorno a Pompo¬ nio un certo numero di giovani, spiriti liberi
dalle idee e dai costumi mezzo pagani. (...) Gli iniziati
consideravano la loro dotta società come un vero collegio sacerdotale
alla foggia antica, con alla te¬ sta un pontefice massimo, alla quale
dignità fu elevato Pomponio Leto» (12). Si noti che sembra
certa l’adesione alla cerchia del Leto del principe Francesco Colonna,
Signore di Pa- lestrina, l’antica Praeneste, dai più ritenuto
l’autore della celeberrima Hypnerotomachia Poliphili, un te¬ sto
molto citato, ma molto poco letto e soprattutto compreso, dove, in ogni
modo, una sapienza ermeti¬ ca si sposa all’esaltazione, non tanto
filosofica. fu notoriamente nemico dei papi e ammiratore del
movimento pagano di Mistra (cfr. F. Masai, Pléthon et le platonisme de
Mistra, Paris 1956, p. 344, nota. L’opera del Masai è a tutt’oggi la più
completa esistente sulla dottrina e la figura di Giorgio Gemisto
Pletone). Si noti che il Pla¬ tina fu allievo a Firenze dell’Argiropulo,
discepolo di Pletone, e che un altro antico discepolo, il Cardinal
Bessarione, si prodigò per la liberazio¬ ne da Castel Sant’Angelo dei
membri dell’Accademia Romana nel 1468, dopo che furono accusati dal papa
Paolo II — non senza fondamento — di «paganesimo». 11 Masai (op. cit., p.
343) si domanda se l’Accade¬ mia Romana «non fosse in qualche modo una
filiale di quella di Mistra». (12) L. von PASTOR, Storia dei
Papi, voi. II, Roma 1911, pp. 308-309. 20 quanto
mistica, del mondo della paganità romano¬ italica, culminante nella
visione di Venere Genitrice. Se si rifletta al fatto che Francesco
Colonna, rea¬ lizzatore fra il 1490 e il 1500 del nuovo imponente
palazzo gentilizio eretto sulle rovine del tempio di Fortuna Primigenia
(ancora oggi ben identificabili nelle strutture originali), vantava
discendenza diret¬ ta dalla gens Julia e quindi da Venere (13), si
potrà allora intravedere come l’apporto vivificante della corrente
sapienziale reintrodotta in Italia da Gemi¬ sto Pletone si fosse
incontrato col retaggio gentilizio di una tradizione antichissima,
gelosamente custodi¬ to nel silenzio dei secoli col tramite di alcune
fami¬ glie nobiliari italiane, in ispecie laziali, generosa¬ mente
fruttificando: nel senso di spingere ad un rin¬ novamento tradizionale
non solo l’Italia, ma persi¬ no, ad un certo momento, lo stesso papato,
se avven¬ ti 3) Risulterà forse sorprendente apprendere come i
Colonna posse¬ dessero ancora fino ai nostri giorni (è documentato almeno
sino al 1927) il «feudo» originale di Giulio Cesare, Boville (Frattocchie
d’Alba- no). Sempre fino al 1927 era visibile nel giardino Colonna al
Quirinale l’aitare antico dedicato al Vediove della gens Julia (notizie
ricavate da: P. COLONNA, I Colonna, Roma 1927, pp. 5-6). Tolomeo 1
Colonna ostentava il titolo di Romanorum consul excellentissimus e Julia
stirpe progenitus (cfr. P. FEDELE, s.v. Colonna, in «Enciclopedia
Italiana», X, 1931). Ha compiuto un’attenta analisi deWHypnerotomachia
Poli¬ phili (editio princeps nel 1499, presso Manuzio) come opera di
France¬ sco Colonna, M. CALVESI, Il sogno di Polifilo prenestino, Roma 1980.
Si veda anche: OLIMPIA PELOSI, Il sogno di Polifilo: una quéte del¬
l’umanesimo, ed. Palladio, s.l. 1978. A.C. Ambesi, in considerazione
della dimensione iniziatica dell’opera di Francesco Colonna, la conside¬
ra come un’anticipazione cifrata del movimento dei Rosacroce (/ Rosa¬
croce, Milano 1982, pp. 76 e sgg.). 21
ne che poco mancò che salisse al soglio pontificio quel cardinale
Giuseppe Bassarione che fu discepolo diretto di Giorgio Gemisto Pletone,
da lui giudicato, come scrisse in una lettera privata ai figli del
mae¬ stro dopo la sua morte, «il più grande dei Greci do¬ po
Platone» (14). Ma altri tempi tristi dovevano giungere, tempi
in cui sarebbe stato più prudente tacere, come dimo¬ strò il
bagliore delle fiamme in Campo dei Fiori, av¬ volgenti nell’anno di
Cristo 1600 il corpo, ma non l’animo, di Giordano Bruno, rivivificatore
generoso, ma impaziente, di dottrine orfico-pitagoriche, che
trovavano analoga eco — frutto di una linfa non mai del tutto estinta
nell’Italia Meridionale — nella poesia e nella prosa dell’irruente frate
calabrese Tommaso Campanella, lui pure oggetto di odiose
persecuzioni. Bisognerà giungere sino all’unità d’Italia,
parzial¬ mente realizzatasi nel 1870 con la fine della millena¬ ria
usurpazione temporale dei papi, per trovare una situazione mutata. A
questo punto bisogna chiarire una volta per tutte, con la maggiore
evidenza, che dal punto di vista del tradizionalismo romano l’uni¬
tà d’Italia — indipendentemente dai modi con cui (14) Si dovrà
ricordare che il Bessarione raccolse cum pietate nel suo studio le opere
e i manoscritti del maestro, in particolare alcuni fram¬ menti
apertamente pagani delle Leggi, dotandone poi la Biblioteca Marciana da
lui fondata, a Venezia. 22 potè in effetti
verificarsi (modi spesso arbitrari e prevaricatori della dignità e delle
sacrosante autono¬ mie di diverse popolazioni italiche) e dall’azione
di certe forze sospette (Carboneria, massoneria e sette varie) che
per i loro fini occulti poterono agevolarla — era e rimane condizione
imprescindibile e necessa¬ ria per ritornare alla realtà geopolitica
dell’Italia au- gustea (e dantesca): quindi per propiziare il
rimani¬ festarsi nella Saturnia tellus di quelle forze divine che
ab origine a quella realtà geografica — consa¬ crata dalla volontà degli
dèi indigeti — sono legate. È un dato che si dovrà tenere ben
presente, per meglio intendere certi fatti che avremo modo di
esporre in seguito. Intanto, negli ultimi anni del XIX secolo è
nell’a¬ ria qualcosa di nuovo e antico insieme, che verrà av¬
vertito dalle anime più sensibili. Fra queste, il grande poeta
Giovanni Pascoli, con un equilibrio ed una compostezza veramente classi¬
ci, valendosi di una sensibilità non inferiore a quella con cui in quegli
stessi anni conduceva l’esegesi di certi lati occulti della dantesca
Commedia, con il se¬ guente sonetto (e col corrispondente testo in
esame¬ tri latini, da noi non riprodotto) celebrava in una semplice
aula scolastica la solennità del 21 aprile 1895: 23
«L’aratro è fermo: il toro d’arar sazio, leva
il fumido muso ad una branca d’olmo; la vacca mugge a lungo,
stanca, e n’echeggia il frondifero Palazio. Una mano
sull’asta, una sull’anca del toro, l’arator guarda lo spazio: sotto
lui, verde acquitrinoso il Lazio; là, sul monte, una lunga breccia
bianca. È Alba. Passa l’Albula tranquilla, sì che ognun
ode un picchio che percuote nell’Argileto l’acero sonoro.
Sopra il Tarpeio un bosco al sole brilla, come un incendio. Scende
a larghe ruote l’aquila nera in un polverio d’oro» (15). Allo
scadere del secolo, nel 1899, è un fatto nuovo di ordine archeologico il
punto di riferimento im¬ portante ed essenziale per il secolo che sta per
aprir¬ si: la scoperta nel Foro da parte dell’archeologo Gia¬ como
Boni (un nome che non dovremo scordare) del cippo arcaico sotto il
cosiddetto Lapis Niger (VI sec. a.C.), in cui l’iscrizione in caratteri
antichi del termi¬ ne RECHI ( = regi) attesta documentariamente
l’ef¬ fettiva esistenza in Roma della monarchia e, con quanto ne
consegue, la sostanziale fondatezza della tradizione annalistica romana,
trasmessa nel corso di innumerevoli generazioni, dai primi Annales
Ma¬ ximi dei pontefici sino a Tito Livio e, al termine del-
(15) G. PASCOLI, Antico sempre nuovo. Scritti vari di argomento latino,
Zanichelli, Bologna 1925, p. 29. 11 lettore esperto potrà notare come in
pochi versi il poeta abbia saputo sapientemente concentrare particolari
nomi evocativi di determinate realtà primordiali dell’Urbe.
24 l’Impero d’Occidente, alle ultime gentes sacerdotali ed a
quegli estremi devoti raccoglitori e trasmettitori della sapienza delle
origini, come poterono essere un Macrobio ed un Marziano Capella nel V
secolo. È come se, fisicamente, una parte di tradizione ro¬
mana si esponesse improvvisamente alla luce del so¬ le a smentire
l’incredulità e l’ipercriticismo della scuola tedesca, che, in nome di un
presunto realismo scientifico, aveva respinto in blocco le più
antiche memorie patrie, e soprattutto dei suoi squallidi se¬ guaci
italiani, come quell’Ettore Pais che nella sua Storia di Roma (ristampata
innumerevoli volte fino in piena epoca fascista) aveva negato ogni tradizione
da una parte, costruendo dall’altra fantastici castelli in aria, senza
alcuna base, né storica, né filologica. Risulta che Giacomo Boni fu
in corrispondenza con un altro principe romano, pioniere degli
studi islamici e deputato al parlamento nei banchi della sinistra:
Leone Caetani duca di Sermoneta, principe di Teano, marito di una
principessa Colonna. Suo nonno, Michelangelo Caetani, era stato
l’au¬ tore di un fortunato opuscolo di esegesi dantesca sin dal
1852, dove si sosteneva l’identità di Enea col dantesco «messo del cielo»
che apre le porte della Città di Dite con «l’aurea verghetta» degli
iniziati di Eieusi (16): quello stesso che nel 1870, già vecchio e
quasi cieco, fu il latore a Vittorio Emanuele II dei (16) Cfr. M.
CAETANI di SERMONETA, Tre chiose nella Divina Commedia di Dante
Alighieri, II ed., Lapi, Città di Castello 1894. 25
risultati del plebiscito che sanciva l’unione di
Roma all’Italia. Proprio Leone Caetani sarebbe stato
l’autorevole tramite attraverso cui si sarebbero manifestate al¬ l’interno
della Fratellanza Terapeutica di Myriam (operativa proprio negli anni
della scoperta del La¬ pis Niger) fondata da Giuliano Kremmerz (cioè
Ciro Formisano di Portici) — che la definì talvolta come Schola
Italica — determinate influenze derivanti dall’antica tradizione
romano-italica se, come scrive l’esoterista Marco Daffi {alias il conte
Libero Ric- ciardelli) (17) è lui il misterioso «Ottaviano» (altro
riferimento alla gens Julia!) autore nel 1910, nella ri¬ vista
«Commentarium» diretta dal Kremmerz, di un articolo sul dio Pan e di una
lettera di congedo dalla redazione in cui egli riafferma in tali termini
la pro¬ ti?) «Sotto tale pseudonimo si nascondeva persona
veramente auto¬ revole, autorevolissimo collega di ricerche ermetiche di
Kremmerz tanto da potere essere ritenuto portavoce di sede superiore
(...) Don Leone Caetani, Duca di Sermoneta, Principe di Teano» (M. DAFFI,
Giuliano Kremmerz e la Fr+Tr+ di Myriam, a cura di G.M.G., Alkaest,
Genova 1981, pp. 62 e 84). Gli scritti firmati da «Ottaviano» in
«.Commenta¬ rium» sono tre: La divinazionepantéa (n. 1 del 25 luglio
1910), Per Giu¬ seppe Francesco Borri (n. 3 del 25 agosto 1910),
Gnosticismo e inizia¬ zione (n. 8-10 di novembre-dicembre 1910). In
quest’ultimo scritto, con¬ sistente in una lettera di congedo come
collaboratore della rivista, si ri¬ manda all’opera di un altro
personaggio che, come «Ottaviano», doveva riconnettersi allo stesso
ambiente iniziatico gravitante alle spalle dell’or¬ ganismo kremmerziano:
l’avvocato Giustiniano Lebano, autore di un curioso libretto intitolato
Dell’Inferno: Cristo vi discese colla sola ani¬ ma o anche col corpo?
(Torre Annunziata 1899), in cui nuovamente si accenna al «ramoscello
dorato del segreto, ossia la voce mistica di con¬ venzione» (p. 66) che
Enea presenta a Proscrpina. 26 pria fede
pagana: «... non sono che pagano e ammiratore del paga¬
nesimo e divido il mondo in volgo e sapienti (...) volgo, che i miei
antenati simboleggiavano nel ca¬ ne e lo pingevano alla catena sul
vestibolo del Do- mus familiae con la nota scritta: Cave canem; ca¬
ne perché latra, addenta e lacera» (18). In quegli stessi anni (a
partire dal 1905) era co¬ minciata l’attività pubblicistica ed iniziatica
di Ar¬ turo Reghini (1878-1946). La sua importanza fra i più
autorevoli esponenti europei della Tradizione, e del filone
romano-italico in particolare, risiede cer¬ tamente non tanto nel
tentativo, vano e fatalmente destinato all’insuccesso, per quanto
disinteressato, di rivitalizzare la massoneria al suo interno (19),
quanto nell’attenzione da lui portata allo studio ed (18)
OTTAVIANO, Gnosticismo e iniziazione, cit., p. 210. (19) Tentativo
che si concretizzò soprattutto con la creazione del Rito Filosofico
Italiano, fondato nel 1909 dal Reghini, Edoardo Frosini ed altri (il 20
ottobre 1911 vi sarà accolto come membro onorario Aleister Crowley...),
ma dall’esistenza effimera, dal momento che sin dal 1919 si fuse con la
massoneria di Rito Scozzese Antico ed Accettato di Piazza del Gesù. 11
Reghini seguirà le sorti e le direttive di Piazza del Gesù di Raoul
Palermi, molto favorevole nei confronti del fascismo, sino ai
provvedimenti contro le società segrete del 1925. Giovanni Papini ha de¬
dicato alcune pagine nel contempo pungenti e commosse ad Arturo Re¬ ghini
di cui fu amico negli anni giovanili, cosi concludendo: «Arturo Reghini
visse, povero e solitario, una vita di pensiero e di sogno: anch’e¬ gli
difese e incarnò, a suo modo, il “primato dello spirituale’’. Nessuno di
quelli che lo conobbero potrà dimenticarlo» (Passato remoto (1885- 1914),
ed. L’Arco, Firenze 1948, p. 129). 27
alla riscoperta della tradizione classica e romana, che gli era stato
dato in compito di rivitalizzare «in segreto», così come egli stesso si
esprime in una let¬ tera inviata ad Augusto Agabiti e pubblicata nel
nu¬ mero di aprile 1914 di «Ultra»: «sai bene come il nostro
lavoro, puramente meta¬ fisico e quindi naturalmente esoterico, sia
rimasto sempre e volontariamente segreto» (20). In tal modo
il Reghini ben si inseriva nel filone della corrente tradizionalista
romana, in quella sua variante che si può legittimamente definire
«orfico- pitagorica» (21), col contributo di numerosi scritti,
soprattutto sulla numerologia pitagorica, sparsi fra molti articoli e
opere impegnative, come Per la resti¬ tuzione della geometria pitagorica
(1935; rist. 1978), I numeri sacri della tradizione pitagorica
massonica (postumo 1947; rist. 1978), Aritmosofia (postumo
(20) A. REGHINI, La «tradizione italica», in «Ultra», Vili, 2 (aprile
1914), p. 69. (21) Allo stesso modo, di tradizione ermetica
«egizio-ellenistica» si potrebbe parlare per il filone essenzialmente
seguito dalla corrente kremmerziana. È chiaro come nessuna di queste
correnti possa preten¬ dere di identificarsi con il filone centrale deWa
tradizione romana (come vorrebbero, ad esempio, certi continuatori del
Reghini dei nostri giorni), rappresentandone, semmai, corollari
concentrici ed espressioni validis¬ sime, ma essenzialmente periferiche.
Il nucleo della tradizione romana è altra cosa: può includere tutto ciò,
ma al tempo stesso ne è al di sopra nella sua essenza originaria. Per
cercare di comprendere la cosa, si dovrà riflettere sul simbolismo e
sulla funzione del dio Giano, non per caso divinità unica e propria della
sacra terra laziale. 28 1980) ed il tuttora inedito
Dei numeri pitagorici (22). Con questa attività egli avrebbe
perseguito la mis¬ sione affidatagli da un’antica scuola iniziatica di
tra¬ dizione pitagorica della Magna Grecia (23) allorché, ancora
giovane e studente a Pisa, fu avvicinato da colui che sarebbe divenuto il
suo maestro spirituale: Amedeo Rocco Armentano (24), calabrese, ufficiale
dell’esercito all’epoca in cui lo conobbe il Reghini. Ad Amedeo
Armentano (1886-1966) apparteneva (22) Di recente, per il
quarantesimo anniversario della scomparsa del Reghini (1986), è stata
edita una raccolta di suoi scritti vari: Paganesi¬ mo, pitagorismo,
massoneria, ed. Mantinea, Fumari 1986, a cura del¬ l’Associazione
Pitagorica, un gruppo costituitosi solo nel giugno 1984 con un poco
iniziatico «atto notarile» (sic), ma che vanta diretta discen¬ denza dal
gruppo del Reghini. La raccolta è stata purtroppo eseguita con
dilettantismo, senza criteri ed inquadramenti storico-filologici e gli
scritti reghiniani (uno addirittura incompleto) non seguono nè un ordi¬
ne logico, nè cronologico. Il saggio suW Interdizione pitagorica delle
fa¬ ve si potrà leggere ora completo in «Arthos» n. 30 (1986, ma
stampato 1987). (23) DIOGENE LAERZIO (Vili, 56) ricorda come
il pensiero di Pi¬ tagora avesse trovato accoglienza presso gli Italioti
della Magna Grecia: «Come dice Alcidamante tutti onorano i sapienti. Così
i Pari onorano Archiloco, che pur era blasfemo, e i Chii Omero, che era
d’altra città (...) e gli Italioti Pitagora» (Die fragmente der
Vorsokratiker, a cura di H. Diels-W. Kranz; trad. ital. Bari 1981, v.
I). (24) Per alcune notizie su Armentano (ed una sua foto), cfr. R.
SE- STITO, A.R.A., il Maestro, in Ygieia, bollettino interno
dell’Associazio¬ ne Pitagorica, 111, 1-4 (1986), pp. 1-3. Di Armentano si
vedano le Massi¬ me di scienza iniziatica, commentate dal Reghini in vari
numeri di «Atanòr» ed «Ignis» (1924-25). Negli anni Trenta Armentano
lasciò l’I¬ talia per il Brasile, dove morì. È sintomatico come anche
«Ottaviano» in quel periodo si sarebbe allontanato dall’Italia
stanziandosi a Vancou¬ ver in Canada. 29
quella misteriosa «torre in mezzo al mare. Una ve¬ detta
diroccata, su di uno scoglio deserto» (25) dove, con gran dispiacere di
Sibilla Aleramo, il giovane protagonista del romanzo Amo, dunque sono
(Mon¬ dadori, Milano 1927), «Luciano» {alias Giulio Pari¬ se),
avrebbe dovuto «diventare mago» in compagnia di un amico non nominato,
vale a dire proprio il Reghini. Fu proprio nella torre di
Scalea, in Calabria, che il Reghini rivide nell’estate 1926 il testo
della tradu¬ zione italiana deirOccw//flr Phylosophia di Agrippa, a
cui premise un ampio saggio di quasi duecento pa¬ gine su E.C. Agrippa e
la sua magia. Vi scriveva, fra l’altro: «E perciò, in noi,
il senso della romanità si fonde con quello aristocratico e iniziatico
nel renderci fieramente avversi a certe alleanze, acquiescenze e
deviazioni. Forse si avvicina il tempo in cui sarà possibile di rimettere
un po’ a posto le cose, e noi speriamo che ci venga consentito, una
qualche vol¬ ta, di riportare alla luce qualche segno dell’esoteri¬
smo romano. Quanto alla permanenza di una “tradizione romana”, si vorrà
ammettere che se una tradizione iniziatica romana pagana ha potu¬
to perpetuarsi, non può averlo fatto che nel più as¬ soluto mistero. Non
è quindi il caso di interloquire con affermazioni e negazioni»
(26). (25) S. ALERAMO, Amo, dunque sono, cit., p. 15. Cfr. p. 50:
«Lu¬ ciano, Luciano, e tu vuoi essere mago! M’hai detto d’aver già
operato fantastiche cose, fantastiche a narrarsi, ma realmente accadute».
(26) A. REGHINI, E.C. Agrippa e la sua magia, in: E.C. AGRIPPA,
30 Il 1914 è un anno molto importante, sotto diversi
aspetti, per i tentativi di rivivificazione della tradi¬ zione italica.
Nel numero di gennaio-febbraio 1914 di «Salamandra», in un articolo dal
titolo fortuna¬ to, poi ripreso da Evola, Imperialismo pagano, il
Re¬ ghini coglieva occasione, scagliandosi contro il par¬
lamentarismo ed il suffragio universale che favoriva cattolici e
socialisti, di riaffermare l’unità e l’immu¬ tabilità della tradizione
pagana in Italia, che, sempre ricollegata nella sua visione al
pitagorismo, si sareb¬ be trasmessa attraverso le figure di alcuni grandi
ini¬ ziati sino ai nostri giorni (27). In ottobre, dalle pagi¬ ne
di «Ultra», precisava nello stesso tempo, in un importante articolo
dottrinario, che: «Il linguaggio e la razza non sono le cause
della superiorità metafisica, essa appare connaturata al luogo, al
suolo, all’aria stessa. Roma, Roma caput mundi, la città eterna, si
manifesta anche storica¬ mente come una di queste regioni magnetiche
del¬ la terra. (...) Se noi parleremo del mito aureo e so¬ lare in
Egitto, Caldea e Grecia prima di occuparci della sapienza romana, non è
perché questa derivi da quella, ché il meno non può dare il più» (28).
Lm Filosofia occulta o la Magia, voi. I, rist. Mediterranee, Roma
1972, pp. XCIII-XClV, nota. (27) L’articolo fu poi
ripubblicato in «Atanòr», I, 3 (marzo 1924), pp. 69-85 (oggi nella
ristampa anastatica a cura dell’omonima casa edi¬ trice di Roma).
(28) A. REGHINI, Del simbolismo e della filologia in rapporto alla
sapienza metafisica, in «Ultra», Vili, 5 (ottobre 1914), p. 506.
31 Intanto, nella notte del solstizio
d’inverno del 1913, si era verificato un insolito episodio, gravido
di future conseguenze: in seguito a misteriose indi¬ cazioni, nei pressi
di un antico sepolcro sull’Appia Antica era stato rinvenuto, a cura di
«Ekatlos» (29), accuratamente celato e protetto da un involucro im¬
permeabile, uno scettro regale di arcaica fattura e i segni di un
rituale. «Ed il rito — riporta «Ekatlos» (30) — fu celebra¬
to per mesi e mesi, ogni notte, senza sosta. E noi sentimmo,
meravigliati, accorrervi forze di guerra e forze di vittoria; e vedemmo
balenar nella sua lu¬ ce le figure vetuste ed auguste degli “Eroi”
della razza nostra romana; e un “segno che non può fal¬ lire” fu
sigillo per il ponte di salda pietra che uo¬ mini sconosciuti costruivano
per essi nel silenzio profondo della notte, giorno per giorno».
«Il significato, le vere intenzioni e le origini di tali
(29) Lasciamo ogni responsabilità circa l’identificazione di «Eka¬ tlos»
con il principe Leone Caetani, già da noi incontrato, all’anonimo autore
(si tratta, peraltro, certamente di C. Mutti, fanatico integralista
islamico) di una postilla alla parziale traduzione francese della rivista
evoliana «Krur» (TRANSILVANUS 1984, A propos de l’article d’Eka- tlos,
seguito da una Note sur Leone Caetani, in: J. EVOLA, Tous les écrits de
«Ur» & «Krur», 111 [Krur 1929], Arché, Milano 1985, pp. 475- 486).
Ancor più lasciamo all’autore di tali tristi note (in cui ancora una
volta si dimostra come tra fanatismo religioso e via iniziatica esista un
divario invalicabile) la pesante responsabilità delle poco ragguardevoli
espressioni usate nei confronti del benemerito principe romano.
(30) EKATLOS, La «Grande Orma»: la scena e le quinte, in «Krur», I,
12 (dicembre 1929), pp. 353-355, oggi in: GRUPPO di UR, Introdu¬ zione
alla Magia, voi. Ili, Roma 1971, pp. 380-383. 32 riti
pongono un problema», osserva il Di Vona (31), «ma il loro fine immediato
fu esplicito, e come tale è stato dichiarato. (...) Esso fu compiuto nel
dovuto modo da un gruppo che si propose di dirigere verso la
vittoria italiana la I Guerra Mondiale». Ma l’episodio ha un
seguito: il 23 marzo 1919 (giorno in cui cade la festa romana del
Tubilustrium, o consacrazione delle trombe di guerra) fu fondato a
Milano, nella famosa riunione di Piazza Sansepol- cro, il primo Fascio di
Combattimento (dal 1921 de¬ nominato Partito Nazionale Fascista). Fra gli
astanti vi fu chi, emanazione dello stesso gruppo che aveva
riesumato l’antico rituale, preannuncio a Benito Mussolini: «Voisarete
Console d’Italia». E fu la stes¬ sa persona che, qualche mese dopo la
Marcia su Ro¬ ma, il 23 maggio 1923, vestita di rosso, offrì al
Capo del Governo un’arcaica ascia etrusca, con «le dodici verghe di
betulla secondo la prescrizione rituale le¬ gate con strisce di cuoio
rosso» (32). Con tale atto dal sapore sacrale, come è evidente.
(31) P. DI VONA, Evola e Guénon, cit., p. 202. (32) EKATLOS,
art. cit., p. 382, nota. La notizia è riportata con altri particolari nel
«Piccolo» di Roma del 23-24 maggio 1923, p. 2 [cfr. Ap¬ pendice 1].
Particolare curioso: la sera stessa del 23 maggio Mussolini parti in
aereo alla volta di Udine, onde potere inaugurare il giorno dopo, 24
maggio, anniversario dell ’entrata in guerra, il monumentale cimitero di
Redipuglia, alla presenza del Duca d’Aosta. La sera del 24, sulla via del
ritorno verso Roma, l’aereo fu costretto, da un inspiegabile guasto, ad
un atterraggio di fortuna nei pressi di Cerveteri, cioè l’antica etrusca
Cere, donde forse proveniva l’arcaico fascio. 33
le correnti più occulte portatrici della
tradizione ro¬ mana avrebbero voluto propiziare una restaurazione
in senso «pagano» del fascismo. Altri episodi concomitanti
concorrono a rafforza¬ re questa supposizione. Dopo essere stata
composta proprio nel 1914, fra il 21 aprile ed il 6 maggio 1923
(altre significative coincidenze di date), fu rappre¬ sentata sul
Palatino la tragedia Rumori: Romae sa- crae origines (il solo terzo
atto), col beneplacito e la presenza plaudente di Benito Mussolini. La
tragedia (o, meglio, alla latina, il Carmen solutum) risulta opera
di un certo «Ignis» (pseudonimo sotto cui si celerebbe l’avvocato Ruggero
Musmeci Ferrari Bra¬ vo), che risulta godere di appoggi assai influenti,
co¬ me quello di Ardengo Soffici [cfr. Appendice 11], e appare,
specialmente in quel terzo carmen che fu re¬ citato, più che una semplice
rappresentazione sceni¬ ca, un vero e proprio atto rituale: un rito di
consa¬ crazione, certamente denotante nell’autore, o nei gruppi
restati nell’ombra di cui egli era emanazione, una conoscenza non solo
filologica della tradizione romana (si pensi che in intermezzi scenici
vengono cantati, al suono di flauti, i versi ianuli e iunonii dei
Fratres Arvales), ma anche di certi suoi lati occulti, come lascia
intendere il rito di incisione su lamine auree dei nomi arcani deU’Urbe e
l’esegesi, voluta- mente incompleta, dei significati del nome di
Roma. Quest’azione, occulta e palese, sulle gerarchie fa¬
sciste affinché i simboli da esse evocate, come l’aqui¬ la o il fascio,
non restassero puro orpello di facciata, continuerà sino al 1929, che è
anche l’anno in cui 34 Rumon verrà pubblicata, in
splendida edizione uffi¬ ciale, dalla Libreria del Littorio, con i
frontespizi or¬ nati di caratteri arcaici romani, disegnati
apposita¬ mente nel 1923 da Giacomo Boni, lo scopritore del Lapis
Niger già da noi incontrato, il quale avrà il pri¬ vilegio poco dopo,
alla sua morte (1925), di essere inumato sul Palatino stesso (33).
Ancora noteremo come sintomatica l’uscita, nello stesso 1923, della
Apologia del paganesimo (Formig- gini, Roma) di Giovanni Costa, futuro
collaboratore delle iniziative pubblicistiche di Evola [cfr.
Appendi¬ ce III]. Fra il 1924 e il 1925 uscirono le due riviste
«di stu¬ di iniziatici» «Atanòr» ed «Ignis», dirette da Arturo
Reghini, e in cui iniziò una collaborazione il giovane Evola:
affronteranno con un rigore ed una serietà inconsuete, per l’eterogeneo
ambiente spiritualista dell’epoca, tematiche e discipline esoteriche di
parti¬ colare interesse: vi comparvero, per la prima volta in
Italia, scritti di René Guénon, fra cui a puntate, pri¬ ma ancora che in
Francia, L'esoterismo di Dante. È peraltro evidente come il contenuto di
queste riviste non avesse un valore puramente speculativo, come
dimostrano gli scritti di «Luce» suirO/7M5 magicum (Gli specchi - Le
erbe) negli ultimi due numeri di (33) Fu proprio Giacomo Boni che,
risalendo ai modelli d’origine, mi¬ se a punto il prototipo del fascio
romano (oggi al Museo dell’Impero) per il Regime Fascista: è quello che
compare sulle monete da due lire di quel periodo (cfr. V. BRACCO,
L’archeologia del Regime, Volpe, Roma 1983). 35
«Ignis», che preludono a quelli del successivo
Grup¬ po di Ur. Ma intanto l’auspicata svolta in senso pa¬ gano da
parte del fascismo sperata dalla corrente tradizionalista romana non solo
stenta a verificarsi, anzi è messa pericolosamente in forse dalle mene
de¬ gli ambienti cattolici e clericali. Nel n. 5 del maggio 1924 di
«Atanòr» Reghini con parole di fuoco de¬ preca alcune espressioni
pronunciate da Mussolini in occasione del Natale di Roma: «Il
colle del Campidoglio, egli ha detto, "‘dopo il Golgota, è
certamente da secoli il più sacro alle genti civiir. In questo modo l’On.
Mussolini, in¬ vece di esaltare la romanità, perviene piuttosto ad
irriderla ed a vilipenderla. (...) Noi ci rifiutiamo di subordinare ad
una collinetta asiatica il sacro colle del Campidoglio». E
nel n. 7 di luglio, dopo il delitto Matteotti: «... ecco un
clamoroso delitto politico viene a sconvolgere la vita della nazione, ad
agitare gli ani¬ mi. (...) Investito da popolari e da ogni
gradazione di democratici, a Mussolini non resterebbe che battere
la via dell’imperialismo ghibellino, se non esistesse un partito che già
lo sta esautorando... tengano ben presente i nostri nemici che,
nono¬ stante la loro enorme potenza e tutte le loro pro¬ dezze,
esiste ancor oggi, come è esistita in passato, traendo le sue radici da
quelle profondità interiori che il ferro e il fuoco non tangono, la
stessa catena iniziatica pagana e pitagorica, inutilmente e seco¬
larmente perseguitata». L’ordine del giorno Bodrero e le successive
leggi 36 sulle società segrete tolgono ulteriore
spazio all’atti¬ vità pubblicistica del Reghini, che peraltro
conflui¬ sce, fra il 1927 e il 1928, nel «Gruppo di Ur», for¬
malmente diretto da Julius Evola. A noi qui non interessa tanto
esaminare il lavoro di ricerca esoterico svolto dal Gruppo di Ur, cui
par¬ teciparono, come è noto, personalità appartenenti alle
principali correnti esoteriche operanti in quegli anni in Italia, dai
pitagorici ai kremmerziani, dagli steineriani (antroposofi) ai cattolici
eterodossi come il De Giorgio, quanto sottolineare come in quella
se¬ de dovesse essere stato, almeno in parte, ripreso il programma
di influenzare per via sottile le gerarchie del fascismo, nel senso già
voluto dal gruppo mani¬ festatosi nel 1913 con la testimonianza di
«Ekatlos» (che, non lo si dimentichi, viene riportata proprio nel
terzo dei volumi che raccolgono le testimonianze di tutto il gruppo — in
apparenza slegata da esse — successivamente apparse col titolo di
Introduzione alla Magia). In un inserto per i lettori comparso nel
n. 11-12 di «Ur» (1927), Evola poteva scrivere: «... possiamo dire che
una Grande Forza, oggi più che mai, cerca un punto di sbocco in seno a
quella bar¬ barie, che è la cosidetta “civilizzazione” contempo¬
ranea — e chi ci sostiene, collabora di fatto ad una opera che trascende
di certo ciascuna delle nostre stesse persone particolari».
Del resto, molti anni più tardi, Evola stesso di¬ chiarerà
piuttosto esplicitamente nella sua autobio¬ grafia spirituale che
l’intento del Gruppo era stato quello, oltre a «destare una forza
superiore dr servi- 37 re
d’ausilio al lavoro individuale di ciascuno», di far sì che «su quella
specie di corpo psichico che si vole¬ va creare, potesse innestarsi per
evocazione, una vera influenza dall’alto», sì che «non sarebbe stata
esclu¬ sa la possibilità di esercitare, dietro le quinte, un’a¬
zione perfino sulle forze predominanti nell’ambien¬ te generale» (34).
Un’indagine ben più approfondi¬ ta, come si vede, meriterebbe di essere
svolta sugli evidenti tentativi di rivitalizzazione, all’interno
del Grupo di Ur (35), delle radici esoteriche e dei conte¬ nuti
iniziatici della tradizione romana: a parte i con¬ tributi dello stesso
Evola (che firmerà come «EA» e, pare, anche come «AGARDA» e «lAGLA»), di
cui ricordiamo l’importante saggio (nel HI volume) Sul «sacro»
nella tradizione romana, ancora una volta fondamentale resta l’apporto
del Reghini (che firma come «PIETRO NEGRI»): egli, nella relazione
Sul¬ la tradizione occidentale, sulla scorta di un’attenta esegesi
delle fonti antiche (soprattutto Macrobio) e di personali acute
intuizioni, nonché di probabili «trasmissioni» iniziatiche, non esiterà
ad indicare nel mito di Saturno il «luogo» ove è racchiuso il sen¬
so e il massimo mistero iniziatico della tradizione (34) J. EVOLA,
Il cammino del cinabro, Milano 1972 (li ed.), p. 88. (35) Un esame
generale, storico-bibliografico, sul Gruppo di Ur è sta¬ to da me
compiuto in lingua tedesca, come studio introduttivo alla ver¬ sione
tedesca del I volume di Introduzione alla Magia (Ansata Verlag,
Interlaken 1985). Si tratta del notevole ampliamento, riveduto e corret¬
to, di un mio precedente studio già apparso in «Arthos» n. 4-5
(1973-74). 38 romana, un’indicazione utilizzata e
sviluppata ulte¬ riormente nel nostro recente Dèi e miti italici.
Intanto, nella seconda metà del 1927, una serie di articoli
polemici sui nuovi rapporti tra fascismo e chiesa cattolica, che Evola
aveva pubblicato in «Cri¬ tica fascista» di Bottai e in «Vita Nova» di
Leandro Arpinati, e la successiva comparsa, nella primavera del
1928, di Imperialismo pagano, che quegli articoli raccoglieva e
sviluppava, riversarono proprio sul Gruppo di Ur pesanti attacchi
clericali, fra cui è in¬ teressante segnalare quello particolarmente
violento e ambiguo, del futuro papa Paolo VI, Giovanni Bat¬ tista
Montini, allora assistente centrale ecclesiasti¬ co della Federazione
Universitari Cattolici Italiani (F.U.C.I.), che aveva come organo
culturale la rivista «Studium» (redazione a Roma e a Brescia).
Dalle pagine di «Studium» il Montini accusava «i maghi» riuniti
attorno a Evola di «abuso di pensiero e di pa¬ rola (...) di aberrazioni
retoriche, di rievocazioni fa¬ natiche e di superstiziose magie»
(36). (36) G.B.M., Filosofia: una nuova rivista, in «Studium»,
XXIV, 6 (giugno 1928), pp. 323-324. Oltre che del futuro Paolo VI
(certamente il più nefasto fra i papi di questo secolo), apparvero in
«Studium» anche gli attacchi del futuro ministro democristiano del
dopoguerra Guido Gonella {Un difensore del paganesimo, ivi, gennaio 1928,
pp. 28-31; // nuovo colpo di testa di un filosofo pagano, ivi, aprile
1928, pp. 203- 208), cui Evola replicò — dopo averlo definito «un tale il
cui nome esprime felicemente che vesti gli si confacciano più che non
quelle della romana virilità» — nell'«Appendice Polemica» di Imperialismo
paga¬ no. Contro Imperialismo pagano (le nostre citazioni sono tratte
dalla ristampa del 1978, presso Ar di Padova) si scomodò tutto Ventourage
del giornalismo clericale, da «L’Osservatore Romano» a «L’Avvenire»,
39 Imperialismo pagano fu
l’ultimo deciso, inequivo¬ cabile e tragico appello da parte di esponenti
della «corrente tradizionalista romana», prima del triste
compromesso del Concordato, affinché il fascismo, come si esprimeva
Evola, «cominciasse ad assumere la romanità integralmente e a permearne
tutta la co¬ scienza nazionale», così che il terreno fosse «pronto
per comprendere e realizzare ciò che, nella gerarchia delle classi e
degli esseri, sta più su: per comprendere e realizzare il lato sacro,
spirituale, iniziatico della Tradizione» (p. 162). A questo scopo Evola
non ri¬ sparmiava taglienti critiche alle gerarchie del
Regime: «Il fascismo è sorto dal basso, da esigenze confuse
e da forze brute scatenate dalla guerra europea. Il fascismo si è
alimentato di compromessi, si è ali¬ mentato di retorica, si è alimentato
di piccole am¬ bizioni di piccole persone. L’organismo statale che
ha costituito è spesso incerto, maldestro, violento, non libero, non
scevro da equivoci» (p. 13). Di più: Evola, nel 1928, prevedeva
addirittura gli al «Cittadino» di Genova, nonché tutta la
pubblicistica fascista fautrice dell’intesa col Vaticano, da «Educazione
fascista» a «Bibliografia fasci¬ sta», sino alla stessa bottaiana
«Critica fascista» che aveva ospitato i primi articoli evoliani.
40 esiti e gli sviluppi della Seconda Guerra
Mondiale: «L’Inghilterra e l’America, focolari temibili dei
pericolo europeo, dovrebbero essere le prime ad essere stroncate, ma non
occorre di certo spendere troppe parole per mostrare che esito avrebbe
una simiie avventura sulla base dell’attuale stato di fat¬ to. Data
la meccanizzazione della guerra moder¬ na, le sue possibilità si
compenetrano strettamente con la potenza industriale ed economica
delle grandi nazioni...» (pp. 88-89). Era dunque necessario
che il fascismo, che «bene o male ha messo su un corpo. Ma... non ha
ancora un'anima» (p. 13), si rivolgesse senza esitazioni a quella
della Roma precristiana prima che fosse trop¬ po tardi, sì da «eleggere
l'Aquila e il fascio e non le due chiavi e la mitria a simbolo della sua
rivolu¬ zione» (p. 138). «Nostro Dio può essere quello
aristocratico dei Romani, il Dio dei patrizi, che si prega in piedi
e a fronte alta, e che si porta alla testa delle legioni vittoriose
— non il patrono dei miserabili e degli afflitti che si implora ai piedi
del crocifisso, nella disfatta di tutto il proprio animo» (p. 163).
L’il febbraio 1929 il governo di Mussolini firma¬ va a nome del Re
d’Italia, dal 1870 considerato dai papi un «usurpatore», il cosiddetto
Coneordato con la Chiesa Cattolica (37) e nasceva il monstrum
giuri- (37) Che il cosiddetto Concordato abbia sortito un effetto
a dir poco nefasto sulle sorti, non solo dello stesso fascismo (come le
vicende stori- 41 dico della
Citta del Vaticano (38). Veniva con ciò tolta ogni speranza residua di
azione all’interno de¬ gli ambienti ufficiali, sia da parte di Evola che
di Re- ghini e di altri autorevoli esponenti, restati per lo più in
ombra, del «tradizionalismo romano»: alcuni di loro, come già si è
accennato in nota, abbandonaro¬ no per sempre l’Italia per il Nuovo
Continente nel corso degli anni Trenta. Restava il
«programma minimo» indicato ancora da Evola in Imperialismo pagano,
secondo cui il fa¬ scismo avrebbe dovuto: «promuovere studi
di critica e di storia, non parti- giana, ma fredda, chirurgica, sull’essenza
del cri¬ stianesimo (...). Contemporaneamente dovrebbe promuovere
studi, ricerche, divulgazioni sopra il lato spirituale della paganità,
sopra la sua visione vera della vita» (p. 125). che
successive ben presto dimostrarono, avvalorando i timori di Reghini e di
Evola), ma della stessa Italia del dopoguerra, lo sperimentiamo an¬ cora
oggi sulla nostra pelle, dopo che un quarantennale dominio
clericale-borghese ha provveduto, quasi in ogni campo, ad addormenta¬ re
la coscienza delle «masse» ed a stroncare, con un autentico «terrori¬ smo
di Stato», qualsiasi velleità di reazione delle minoranze coscienti della
necessità di mutare uno stato di cose ormai incancrenito. (38)
«Mussolini non si era reso conto che prima di lui uomini non so¬ lo
autoritari, ma dal potere assoluto — gli Ottoni, gli Svevi, perfino Carlo
V ecc. — si erano dovuti pentire di ogni intesa, patto e transazio¬ ne
con la Santa Sede. (...) ogni intesa tra Santa Sede e Stato italiano
avrebbe significato unicamente il riconoscimento giuridico della validità
42 Chi avesse pensato che la «Scuola di Mistica Fa¬
scista», fondata significativamente poco dopo la «Conciliazione»,
nell’aprile 1930 nell’ambito del G.U.F. di Milano per opera di Nicolò
Giani, avrebbe svolto una funzione del genere, avrebbe dovuto ben
presto ricredersi amaramente. In realtà, il sentimen¬ to religioso
dichiarato di quella che avrebbe voluto costituire Vélite
politico-intellettuale del fascismo si configurava con precisione come
cattolico. Lo di¬ chiara, in una maniera che non potrebbe essere più
esplicita, lo stesso fratello del «Duce», Arnaldo Mussolini, in un
discorso tenuto alla Scuola nel 1931: «La nostra esistenza
deve essere inquadrata in una marcia solida che sente la collaborazione
della gente generosa e audace, che obbedisce al coman¬ do e tiene
gli occhi fissi in alto, perché ogni cosa nostra, vicina o lontana,
piccola o grande, contin¬ gente od eterna, nasce e finisce in Dio. E non
parlo qui del Dio generico che si chiama talvolta per sminuirlo
Infinito, Cosmo, Essenza, ma di Dio nostro Signore, creatore del cielo e
della terra, e del suo Figliolo che un giorno premierà nei regni
ultraterreni le nostre poche virtù e perdonerà, spe¬ riamo, i molti
difetti legati alle vicende della no¬ stra esistenza terrena» (39).
dei principii su cui si fonda l’ingerenza della Chiesa nelle questioni
del¬ lo Stato italiano» (N. SERVENTI, Dal potere temporale alla
repubblica conciliare. Volpe, Roma 1974, p. 42). (39) Cfr. «11
Popolo d’Italia» del 1° dicembre 1931. Sulla «Scuola di Mistica
Fascista», si veda: D. MARCHESINI, La scuola dei gerarchi, Feltrinelli,
Milano 1976. 43 E il
filosofo Armando Carlini, discutendo della nuova mistica, ravvisava la
nota più originale del fa¬ scismo proprio nel suo presupposto «religioso,
anzi cristiano, anzi cattolico» (40); perché «il Dio di Mussolini
vuol essere quello definito dai due dogmi fondamentali della nostra
religione (...): il dogma trinitario e quello cristologico» (41).
Quel programma che abbiamo detto «minimo» cercherà Evola più tardi
in parte di compiere con l’organizzare il lavoro di alcuni suoi insigni
collabo¬ ratori attorno al «Diorama filosofico», la pagina speciale
che, con uscita irregolare e alterna, quindi¬ cinale e mensile, curò per
dieci anni, dal 1934 al 1943, all’interno del quotidiano cremonese di
Fari¬ nacci, «11 Regime Fascista». La tematica della tradi¬ zione
romana, esaminata nei suo simboli, nei suoi miti, nella sua forza
spirituale, ritorna qui frequen¬ temente negli scritti dello stesso
Evola, di Giovanni Costa (già da noi incontrato), di Massimo
Scaligero e di diversi collaboratori stranieri, come Edmund
Dodsworth (appartenente alla famiglia reale britan¬ nica) e lo storico
tedesco Franz Altheim. Analoghe collaborazioni sono fornite dall’allora
giovane An¬ gelo Brelich, in quell’epoca sconosciuto, ma destina¬
to nel dopoguerra a ricoprire degnamente l’impor- (40) A. CARLINI,
Mistica fascista, in «Archivio di studi corporati¬ vi», voi. XI (1940),
p. 299. (41) ID., Saggio sul pensiero fUosofico e religoso del
fascismo, Roma 1942, p. 56. 44 tante cattedra,
che fu del Pettazzoni, di Storia delle Religioni nell’Università di Roma,
e da Guido De Giorgio, già collaboratore di «Ur» e di altre
iniziati¬ ve evoliane. Nel contesto della corrente da noi defi¬
nita del «tradizionalismo romano» il De Giorgio oc¬ cupa una posizione
piuttosto anomala e tale che il Reghini avrebbe visto con sospetto: egli
infatti con¬ cepisce in Roma la sede eterna, geografica e storica,
ma soprattutto metafisica, in grado di unire in sé stessa la religione
pagana e il cristianesimo, tesi ela¬ borata soprattutto ne La tradizione
romana, uscita postuma solo nel 1973 (42). D’altra parte, è lo
stesso De Giorgio a ribadire con sorprendente sicurezza la
persistenza del culto di Vesta in un misterioso cen¬ tro, nascosto e
inaccessibile: «Il fuoco di Vesta (...) arde inaccessibilmente
nel Tempio nascosto ove nessuno sguardo profano sa- (42)
L’uscita alle stampe di questa edizione (presentata come Ed. Fla- men,
Milano 1973) offre contorni alquanto misteriosi. In ogni caso, il
manoscritto dell’opera sarebbe stato consegnato all’autore della nota
introduttiva, «ASILAS» (che corrisponderebbe ad uno degli ispiratori del
«Gruppo dei Dioscuri» e nel contempo autore di due dei fascicoli omonimi
[si veda poi]), da un antico componente del Gruppo di Ur, che noi
sappiamo corrispondere al «TAURULUS» del 1929, cioè Corallo Reginelli,
tuttora vivente. L’uscita della Tradizione romana, in ogni modo, è
stata 1 ’occasione per una salutare riflessione sul tema da parte
dell’ambiente tradizionali¬ sta nella prima metà degli anni Settanta, sia
da parte cattolica (si veda¬ no il bollettino «Il rogo», operante fra il
1974 e il 1976 e la successiva rivista «Excalibur»), sia da parte
propriamente «pagana» (si veda la no¬ stra recensione dell’opera del De
Giorgio, confortata da un parere di Evola, in «Arthos» n. 8: essenziale
come punto di ripresa del discorso sulle origini della tradizione
romana). 45 prebbe
penetrare e a lui deve l’Europa intera la sua vita e il prolungamento
della sua agonia. Da questo fuoco occulto partono scintille che
alimentano le crisi e risollevano periodicamente l’esigenza del ri¬
torno alla Romanità attraverso le varie vicende di cui s’intesse la
storia delle nazioni europee conside¬ rata geneticamente, internamente e
non sul piano li¬ mitatissimo della contingenza dei fatti e degli
uomini» (43). Queir immane conflitto, già previsto da Evola
nel 1928, e che anche il De Giorgio giudicava del tutto inefficace,
«se non addirittura letale per lo spirito e il nome di Roma» (44), avrà
in effetti come risultato più manifesto, per i fini dello studio che qui
andia¬ mo conducendo, di occultare del tutto le fila della corrente
di pensiero di cui siamo andati ripercorren¬ do la trama.
Solo verso la fine degli anni Sessanta è proprio la ristampa
dell’evoliano Imperialismo pagano (e la scelta pare significativa),
curata nel 1968 dal «Cen¬ tro Studi Ordine Nuovo» di Messina (45), a
tentare (43) G. DE GIORGIO, op. di., p. 245 (vedi anche pp. 239 e
243). (44) ibidem, p. 296. (45) L’edizione,
ciclostilata, con copertina stampata in azzurro, venne tolta subito dalla
circolazione in quanto non autorizzata da Evola: la si può considerare
oggi una vera rarità bibliografica. 46 di riannodare
i termini di un antico discorso: «L’angoscioso grido d’allarme
rivolto dall’Autore in quel lontano 1928 a Benito Mussolini per
met¬ terlo in guardia contro il ventilato proposito della
cosiddetta “Conciliazione’)) — si afferma nell’a¬ nonima introduzione —
«risuona oggi con inusi¬ tata attualità e fa si che Imperialismo pagano
ven¬ ga guardato come un oracolo». Ed è proprio provenendo
dalle fila di «Ordine Nuovo», un’organizzazione che lo stesso Evola
ha tenuto in buona considerazione (46) — almeno fino a che, sul
finire del 1969, la sua ala borghese¬ modernista, condotta da Rauti, non
confluì nel MSI (47) — che comincia ad agire, tra la fine degli
anni Sessanta ed i primi anni Settanta, il «Gruppo dei Dioscuri», con
sede principale a Roma e dirama¬ zioni a Napoli e Messina. Pare assodato
che all’in¬ terno del «Gruppo dei Dioscuri» venissero riprese
- (46) Cfr. J. EVOLA, Il cammino del cinabro, cit., p. 212:
«L’unico gruppo che dottrinalmente ha tenuto fermo senza scendere in
compro¬ messi è quello che si è chiamato AeWOrdine Nuovo».
(47) L’interesse dei «tradizionalisti romani» nei confronti di
«Ordine Nuovo» si esaurisce sin dall’inizio degli anni Settanta,
allorché, da una parte, la frazione rautiana rientrata nei ranghi del MSI
si isterilì in fatui ed estenuanti «giochi di potere» (!?) all’interno
del partito e in decla¬ mazioni populistico-giovanilistiche (non a caso
la cosiddetta «Nuova Destra» proviene quasi esclusivamente da
quell’ambiente torpido ed ambiguamente compromissorio), dall’altra, la
frazione «movimentista» ed extraparlamentare condotta da Clemente
Oraziani ed altri si smarrì nelle velleità inconcludenti e pericolose
della «lotta di popolo», con conseguente ed inevitabile suo annientamento
da parte del Potere vero... 47
tematiche e pratiche operative già in uso nel «Grup¬ po di
Ur» ed è perlomeno probabile che lo stesso Evola ne fosse al
corrente. Fatto sta che nei quattro «Fascicoli dei Dioscuri»,
usciti in quel torno di tempo, l’idea di Roma da una parte e di un Centro
nascosto dall’altra, a cui il tra¬ dizionalismo dovrebbe far riferimento,
ritornano con grande evidenza. Per l’anonimo autore del primo
«Fascicolo dei Dioscuri», intitolato Rivoluzione tradizionale e
sov¬ versione (Centro di Ordine Nuovo, Roma 1969), il più grande
dei meriti di Evola è quello: «di avere rammentato il destino di
Roma quale portatrice dell’Impero Sacro Universale e di avere
tratto da tale verità le necessarie conseguenze in ordine alle idee-forza
che devono essere mobilitate per una vera rivoluzione tradizionale» (p.
20). Qualche anno dopo, al termine del terzo «Fasci¬ colo»
intitolato Impeto della vera cultura (tradotto poi anche in francese nel
1979), il mito di Roma vie¬ ne additato come l’unico che sia in grado di
condur¬ re ad una superiore unità gli sforzi di tutti i tradizio¬
nalisti italiani: «a tutti i tradizionalisti, anziché proporre uno
dei tanti miti soggetti a rapido e facile logoramento, si può
ricordare la presenza di una forza spirituale perennemente viva e
operante, quella stessa che il mondo classico ed il medio-evo definirono
l’AE- TERNITAS ROMAE» (p. 18). 48 Il «Gruppo
dei Dioscuri» ebbe notevole impor¬ tanza come cosciente riconnessione
alle precedenti esperienze sapienziali e come indicazione, per
taluni elementi particolarmente sensibili dell’area della de¬ stra
radicale, di possibili indirizzi e sbocchi futuri del «tradizionalismo
romano», anche se la partico¬ lare via operativa scelta e, soprattutto,
la mancata qualificazione di taluni componenti, porterà ben presto
alla distruzione dall’interno del Gruppo stes¬ so, di cui non si sentirà
più parlare già prima della metà degli anni Settanta (ci viene detto che
frange disperse del gruppo continuerebbero a sussistere so¬
prattutto a Napoli). È tuttavia da supporre che alcu¬ ni dei gruppi
periferici, sia pure trasformati, ne ab¬ biano continuato il retaggio se,
ad esempio, a Messi¬ na nel 1975, molto probabilmente nell’ambito di
al¬ cuni dei vecchi membri del «Gruppo dei Dioscuri» viene
elaborato un testo dottrinale ed operativo, a circolazione interna, sotto
forma di «lezioni» di un maestro a un discepolo, piuttosto interessante.
La via romana degli dèi: «Diremo anzitutto dell’essenza della
tua religiosi¬ tà, fornendo alla tua mente profonda gli argomen¬ ti
per una serie di esercizi di meditazione affinché con saldo cuore, tu
possa prepararti all’assolvi¬ mento del rito» (48) [cfr. anche Appendice
IV]. (48) N.N., La via romana degli dèi. Istituto di Psicologia
Superiore Operativa, Messina 1975 (ciclostilato ad uso interno), p.
1. 49 E certamente
non priva di connessioni genetiche col gruppo romano appare la sortita,
improvvisa, verso la fine degli anni Settanta, nella stessa Messi¬
na, del «Gruppo Arx», successivamente editore del periodico «La
Cittadella» e degli omonimi quader¬ ni, in cui senza alcuna attenuazione
i possibili itine¬ rari di approccio alla «via romana degli dèi»
sono indicati attraverso la cosciente riappropriazione del- Vanimus
romano-italico, rivissuto nel rito stesso, e nel rigetto, sostanziale e
formale, di ogni adesione a forme anche esteriori del culto
cristiano. Quanto segue è storia dei nostri giorni, dal mo¬
mento che proprio con l’inizio degli anni Ottanta vi è stata una nuova
cosciente ripresa del moderno «movimento tradizionalista romano», una cui
rima¬ nifestazione «pubblica» si estrinsicherà in una data ed in un
luogo alquanto significativi. Infatti nel 1981, il 1° marzo (data in cui
iniziava l’anno sacro romano), a Cortona (donde in epoca
primordiale Dardano, figlio di Giove, si sarebbe mosso alla volta
della Troade) si tenne un importante Convegno di studi sulla Tradizione
italica e romana (49), che, a (49) Gli Atti sono stati pubblicati
nel numero speciale triplo di «Ar- thos» n. 22-24, daU’omonimo titolo, di
pp. 192. Per una sintetica analisi sulla diversa valenza del termine
«italico» nei vari interventi, cfr. R. DEL PONTE, Che cos’è la tradizione
italical, in «Vie della Tradizio¬ ne», XV, 57 (gennaio-marzo 1985), pp.
1-3. 50 parte l’emergenza di differenti prese di
posizone dei tradizionalisti presenti, ebbe il merito di riproporre
la questione — non puramente dottrinale o formale — di una cosciente
riconnessione aWaurea catena Saturni della tradizione indigena da parte
di chi, pur in quest’epoca di totale dissoluzione di ogni valore,
intenda coscientemente riassumere il fardello delle proprie radici
etniche e spirituali. Successivamente ad un nuovo Convegno, tenutosi nel
dicembre 1981 a Messina, sul Sacro in Virgilio (50), la
rielaborazio¬ ne dottrinale e la ridefinizione concettuale dei
valori difesi dagli attuali esponenti del «tradizionalismo romano»
(di cui è parte cospicua anche l’apparire alle stampe di alcune collane
di libri specifiche) (51) si è spostata su un piano più interiore, ma la
loro presenza è destinata a riaffiorare a livello di influen¬ za
sottile e indiretta di gruppi o ambienti eticamente sensibili di un’area
superante i limiti stessi del mon¬ do della «destra politica».
Il futuro dimostrerà se la funzione di questa mi¬ noranza (ben
cosciente di esserlo) si limiterà ad una (50) Gli Atti sono stati
pubblicati in buona parte nel numero speciale di «Arthos» n. 20 (uscito
successivamente al n. 22-24), daH’omonimo titolo, di pp. 72.
(51) Ci limiteremo a ricordare la collana «1 Dioscuri» per le ECIG
di Genova, in cui figurano L’oltretomba dei pagani di C. Pascal, il
mio Dèi e miti italici. La religiosità arcaica dell ’Eliade di N. D’Anna
e Arca¬ na Urbis di M. Baistrocchi (in stampa); o quella di «Studi
Pagani» del Basilisco di Genova, in cui sono comparsi testi di antichi
(Giuliano Au¬ gusto, Giamblico, Simmaco, Porfirio) e di moderni (Guidi,
De Angelis, Beghini, Evola ecc.). 51
pura e semplice azione di testimonianza, sia pure
«scomoda» per molte cattive coscienze. Il «mito ca¬ pacitante» di Roma,
come l’antica fenice, è destina¬ to a risorgere continuamente dalle sue
ceneri, poiché riposa nella mente feconda degli dèi archegeti di
questa terra. Appendici documentarie 52
53 I Da: «Il Piccolo» di Roma, 23-24
maggio 1923, p. 2: «Il Fascio littorio a
Mussolini» Il giorno 19 scorso, presentata dall’esimia prof.a
Regina Terrazzi, fu dall’on. Mussolini ricevuta la dott.a prof.a Cesarina
Ribulsi, che offriva al Presi¬ dente del Consiglio come augurio per la
data del XXIV Maggio un fascio littorio da lei esattamente
ricostruito secondo le indicazioni storiche e icono¬ grafiche.
L’ascia di bronzo è proveniente da una tomba etrusca bimillenaria
ed ha la forma sacra col foro per la legatura al manico: alcuni esemplari
simili so¬ no conservati nel nostro Museo Kircheriano. Le
dodici verghe di betulla, secondo la prescrizio¬ ne rituale, sono legate
con stringhe di cuoio rosso che formano al sommo un cappio per poter
appen¬ dere il fascio, come nel bassorilievo per la scala del
Palazzo Capitolino dei Conservatori. Il fascio ricomposto con
elementi antichissimi e nuovissimi è stato offerto al Duce come simbolo
del¬ la sua opera organica di ricostruzione dei valori del¬ la
nostra stirpe allacciando le vetuste origini alle for¬ me più vibranti
dell’attività gagliarda e rinnovata che prende le mosse dal XXIV Maggio
1915. La rudezza espressiva del Fascio è ingentilita dal
contrasto tra il verde della patina bronzea e il rosso 55
del cuoio che ricorda la stessa armonica tonalità
che producono le colonne di porfido presso la porta di bronzo
àcWheroon di Romolo, figlio di Massenzio, al Foro Romano.
L’offerta era accompagnata da una epigrafe latina dedicatoria
composta dall’offerente, la quale nel¬ l’Università Popolare fascista
svolge una fervida opera di propaganda di romanità viva. Il
Duce gradì l’augurio ed il voto accogliendoli colla sua consueta serena
nobiltà, non senza un se¬ gno della vivacità del sorridente suo spirito
latino: «Lei mi ha dato una lezione di storia» — osservò in tono
scherzoso. Singolari parole in bocca di chi dà e darà non poco a fare
agli storici futuri. (La notizia è riportata in una rubrica
dedicata a «I solenni riti del XXIV Maggio», senza indicazione di
paternità). 56 II Da: IGNIS, Rumori.
Sacrae Romae origines, tra¬ gedia in cinque carmi. Editrice Libreria del
Littorio, Roma 1929. pag. non numerata, IV dopo il
frontespizio: LETTERA DI ARDENGO SOFFICI A S.E.
MUSSOLINI Mio caro Presidente, (...) permettimi ti dia,
scritte e sottoscritte anche da me, che ne resto garante, al¬ cune
prove di pregi eccezionali della tragedia, che, in fondo, in un vero
poema epico delle origini, è l’esal¬ tazione di oggi della nostra stirpe.
Comincio da un mio giudizio, già a te noto; Rumori è tragedia roma¬
na che può stare a paro col Giulio Cesare di Shake¬ speare (...) ti fo
osservare che il titolo di Poeta di Ro¬ ma, dato da Jean Carrère ad
ignis, si è dato solo a Virgilio e ad Orazio: Augusto, vive, oggi, tra
noi tut¬ ti in ispirito, più per questi due poeti, da lui protetti,
che per la sua politica imperiale. E tu vedi come Rumori sia stato
giudicato, prima ancora che esistessero l’idea e la forza fascista,
tra¬ gedia degna di Roma (...) quando competenti — dai nostri a
Carrère, ed a me che sono l’ultimo al giudi¬ zio del 1923 — corrono
all’iperbolico per lodare Ru¬ mori di ignis bisogna concludere che ci si
trova da¬ vanti ad un’opera d’arte somma, e per fortuna no¬ stra,
d’arte italiana — opera che è, anche per se stes- 57
sa, di alto significato politico, e di spirito
fascista (...) Mi rileggo, e mi credo, caro Presidente ed amico
carissimo, di averti scritto una lettera storica. Fai che non sia stata
scritta invano, ma invece il tuo no¬ me vada unito a quello della
tragedia Rumori, al poema di Roma e degno di Roma: e di questo
lega¬ me in avvenire, spero che tu possa essere un po’ gra¬ to al
tuo affezionato amico e devoto ARDENGO SOFFICI pag.
successiva non numerata: IL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI
Caro Soffici, bisogna assolutamente far marciare Rumori. 11
Governo appoggia fervidissimamente l’iniziativa perché essa rientra nel
grande quadro della rinascita nazionale. Saluti fascisti e
cordialissimi. f.to MUSSOLINI Roma, 7 marzo 1923
pagg. CLXV-CLXVI (Carme terzo): AUGURE Manifesto
è dunque: amor — essere — ROMA. Se tutte move, ed incende, le create
cose... legge si è — Amor — dell’universo vita... così, un tanto
Nome, a noi predice: 58 dono di regno e potestà sovra
ogni terra, e dello spirito, e d’imperio. Confirmato si è,
per te, prodigioso il vaticinio. Non pronunciati mai più sien i
Nomi occulti... su la Città terribili chiamerebbero fortune...
Li trasmettano, oralmente, i Pontefici ai Pontefici. Né mai più,
tu, l’eccelso pronuncia Nome palese, se concluso non avrai, prima, il
solco sacro. Permesso e commesso mi è: Nunziare, allora, in gran
letizia, al Popolo... quel Nome che licito non più mi è dire
quando, già per tre volte, qui, in tre diversi suoni, de la gran
Madre nostra il Nome risonò. {Dispiega le dita della sinistra, ad
una ad una, per nu¬ merare i significati del nome). Di
significati cinque: È... ’l Nome palese, latore, con
l’occulto: Chiama la Città: Valentia... Ròbure... Virtù! e
ancor: Madre... Mamma... Alma Nutrice! Vostra — nei nomi vostri —
oh Re! suoi fondatori... Come del grande Rumon: URBE: la Città del
Fiume! {Pausa) Ammirate! se gli Dei saputo abbiano
addensare, in così breve Verbo, sì pieni... tanti arcani.
Mirifici! donando Nomi nove: in quattro occulti ed un — Medio
— palese, e quando, nove, siamo al Rito. 59
Ili Da: G. COSTA, Apologia del paganesimo,
A.F. For- mìggini Editore, Roma 1923, pagg. 69-70: Il pagano
è, per definizione, buono. Né un greco, né un romano avrebbero concepito
che l’uomo po¬ tesse esser qualcosa di diverso da ciò, che in lui
liti¬ gassero per così dire due nature, che la manifestazio¬ ne
esterna fosse diversa dall’interna, che né nella vi¬ ta individuale, né
in quella sociale vi fossero mezzi termini, transazioni, compromessi.
Esso è quello che naturalmente è, cioè buono, come ideale supre¬ mo
della vita, come dovere, come necessaria fatalità insita nelle cose
umane. Egli vive quindi la vita inte¬ ramente, dolorosamente,
gioiosamente a un tempo, con un pragmatismo sano e forte che non
ammette ipocrisie, doppiezze, scuse. Solamente all’uomo
cosiddetto moderno è stato concesso, per virtù di dottrine religiose e
culturali che si sono formate a lui d’intorno, una distinzione ed
una separazione del suo essere intimo, spirituale, psicologico, dal suo
essere apparente, esteriore, ma¬ teriale. All’antico quando di questa
scissione appar¬ ve per un momento la possibilità, egli ne cacciò da
sé l’idea, ne biasimò perfino la concezione. La concezione pagana
della vita ha fatto perciò l’uomo tutto d’un pezzo, ne ha affermato il
caratte¬ re, ne ha provocato 1 ’azione. Ecco perché la vita nel
paganesimo ha avuto tutto il suo massimo sviluppo ed è stata accettata
non come un male, ma come un 60 bene che bisognava
con interezza di carattere vivere interamente e sanamente per sé e per
gli altri. pag. 91: Per stabilire l’equilibrio l’uomo
deve tornare al paganesimo poiché il cristianesimo si è mostrato
di¬ vina opera cui le sue spalle non sanno sottostare. Ma
paganesimo è sincerità e l’uomo deve ritorna¬ re ad essere sincero. Il
cozzo a cui l’ha costretto per due millenni il suo desiderio di seguire
il messaggio cristiano e la sua manifesta impotenza di non saper¬
lo fare, deve risolversi in armonia se egli vuol sanare in sé l’eterno
dissidio. Lo spirito e la carne debbono avere il medesimo valore ed il
loro prevalere non può essere determinato che da circostanze speciali di
in¬ dividuo, di momento e di luogo che l’uomo può in- travvedere,
non deve violare con convinta testardag¬ gine. L’equilibrio di queste
forze, l’esteriore e l’inte¬ riore, quindi, deve essere nella dottrina,
come nella vita, assoluto. 61
IV Da: Im via romana degli dèi, ciclostilato
anonimo, Messina 1975 pagg. 41-42: L'immagine di un dio è lo
stemma della Forza che essa rappresenta. A tutti i fini pratici tali
immagini sono personae, perché qualsiasi cosa possano essere nella
realtà esse sono state personalizzate e forme di pensiero sono state
proiettate su un altro piano (...) Alcune di queste immagini e le
loro attribuzioni sono così antiche e sono state costruite con
tanta ricchezza di lavoro sottile da essere capaci di rico¬
struirsi da se stesse, durante l’eventuale lavoro di meditazione, che
l’allievo può fare su una divinità. Resta un minimo «invito», un minimo
stimolo, per¬ ché il meccanismo scatti e l’immagine si ricompon¬
ga, sia pure su un piano semplicemente psichico. Così, della limatura di
ferro, dispersa su un piano, si raccoglie intorno ad un magnete che venga
posto in mezzo. Se il magnete è forte esso attirerà i granelli
anche se essi sono pochi e molto distanti... 62
AMKDKO R(K ( () ARMKM ANO (im - da «Ygieia», 111, 1-4
(dicembre 1986) 63
Arturo Reghini (1878-1946) 64 0 Piscio
littorio a Mussolini n florno If »cor*o. pr^eniaU dalla tsl-
bjU prof.» Rcidna Trmiizl. fa rtalTon. Maa. aOltnl rlotwta la doti.»
pmf.» Osarina RI- baiai cba offriva al Proatdanta dr’. Conti¬ guo
romo aufurln la data de) XXIV Mabfio «n falcio littorio da lei
eaattamcDte licoatndto lecoudo la lodicaslonl atorictie e
leooograflclia. l.‘aicla di bronra k prorenlenU dm aoa tomba
etmaca hlmtneoarta ed ba la forma aorra eoi foro per la Vantura hi
manico: alcool eaamplan slmili sono coosenrat: :.«! nostro Ma.*«o
Klrcberiamo. é La dodict verace di l>ctulla. ascondo la
prescrizione rit'iale. sono legala con tiri¬ sele ^ cuoio rosso cba formano
al tonimo ua cappio per poter appendere fi fascio, conta nel
ba.MorUiero per la acala del Pa lazzo Capitolino dd Conaenalori.
Il Fascio ricomposto con elementi antl- fhlHilmt a nuoTltaUnl k
stato offerto al Dora come simbolo della saa opera onra- ntea di
rieoatruztona del valori della no- Mra attrpa allacciando le veia«ie
origini alla fonn* più vibranti dell'attività ga- giarda a
rinnovata cha prendo la mosse ^ XXIY Maggio 19t8 Là rudezza
espressiva dal Fascio è in- gantlHta dal contrasto tra (I verde
della patind bronsea e U rosso del molo che ri¬ corda la stes.aa
armonica tonalità che pm- doeono le colonne di porfido presso la
por¬ ta di bronzo deD'brroon di Itomdlo, figlio 41 Massenzio al
Foro Romano. L'oflerla efa accompagnata da ani epl- graia
latina dedicatoria composta dall'or- farente. la quale nell'UntvcnUtà
Popolare faartsta avolga una fervida opera di pro- pafgada di
romani Ih viva. n Duca gradi raugorto a fi voto acro-
Mlaodoll colla sua consueta serena nobiltà. 2«m senza tm segno della
vivacità del sor> ridaots ano spirito latino: • Let mi ba dato
nna testone di storia • — osservò In tono aehanoao. Btngolart parole In
bocca di r.hl db a darà non poca a fare agli storici fu- tnrl
Riproduzione da «11 Piccolo». V. pag. 55. 65 Arturo
Reghini. Reghini. Keywords: implicature, il fascio etrusco, scuola di Crotone, il
fascio littorio, simbolismo duodecimale, Cuoco, il fascio etrusco – Pitagora
dell’Etruria, Evola, numero tri-angolare, numero qua-drato, numero pi-ramidale,
la logica del numero – il concetto di numero in Frege – Austin, Grice. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Reghini” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e Regina: la ragione conversazionale dell’esse
e dell’inter-esse, o degl’uomini complementari, la potenza e il valore –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Sabbioneta). Filosofo italiano. Grice: “When Urmson said that for Prichard,
duty cashed out in interest, he was right! But we must wait for Regina to
emphasise Kierkegaard’s punning on interest – which literally means, ‘being in
between’! The interesting (sic) thing is that Kierkegaard exploits the old
Roman aequi-vocation between the alethic (being in between) and the practical
(Prichard, ‘duty as interest’). Studia
a Milano sotto SEVERINO, laureandosi con una tesi su Lavelle e Heidegger. Insegna
a Macerata, Verona, e Cagliari. Progetto «Tempus», relativo all'organizzazione
presso Sarajevo e Mostar di un master sulla tolleranza religiosa. Saggi: “Ripresa,
pentimento, perdono” (Verona); “L'essere umano come rapporto: l’antropologia filosofica
e teologica di Kierkegaard.” Forum, Conferenza Episcopale Italiana, Progetto
culturale della Chiesa. Insegna a Verona. Si basa su Kierkegaard, Nietzsche e Heidegger (“the
greatest living philosopher” – Grice). In Heidegger evidenzia l'importanza del ruolo sapienziale assegnato alla
finitezza dell'uomo. In Kierkegaard vede invece da cui partire per costruire
una ontologia e una antropo-logia basate su una concezione dell'essere: l'esse
come “inter-esse.” L'essere come inter-esse -- nella doppia valenza ontologica
ed etica -- pone il pensante in rapporto con un'ulteriorità che, nel
trascenderlo, ne accentua e personalizza il differire. La metafisica fondata
sull’ “inter-esse” cessa di essere onto-teologia, ossia nient'altro che
proiezione idola-trica della logica umana.
Sarajevo; “Dal nichilismo alla dignità dell'uomo” (Vita e Pensiero,
Milano); “Esistenza e sacro” (Morcelliana, Brescia); “L'arte dell'esistere” (Morcelliana,
Brescia); Romera, “Acta Philosophica”, recensione a Noi eredi dei cristiani e
dei Greci (Poligrafo, Padova). Il termine è stato acquisito da Heidegger. “Gesù e la filosofia” (Morcelliana,
Brescia); “L'uomo complementare: potenza e valore” (Morcelliana, Brescia);
“Servire l'essere” (Morcelliana, Brescia); “La differenza viva: per una nuova
concettualità” (Sentiero, Verona); “Noi eredi dei Greci” (Il Poligrafo,
Padova); “La soglia della fede: la domanda su Dio” (Studium, Roma); “L'arte
dell'esistere” (Morcelliana, Brescia). Umberto Regina. Regina. Keywords: uomini
complementari – potenza e valore, essere ed interesse, esse ed interesse, Heidegger
(? – il termino, acquisito da Heidegger), Prichard, duty and interest, Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Regina” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Renier: la ragione conversazionale e l’implicatura
– filosofia italiana – Luigi Speranza (Treviso). Filosofo italiano. Essential Italian
philosopher. Studia in Camerino, Urbino, ed Ancona, a Bologna, sotto CARDUCCI, Torino,
e Firenze, sotto BARTOLI. Insegna a Torino. Fonda il “Giornale storico della
litteratura e la filosofia italiana”, «profonden dovi, negli studi particolari,
nelle rassegne, negli annunci analitici e in un ricchissimo notiziario, un vero
inesauribile tesoro di cultura, di notizie, di rilievi. Cura importanti
edizioni critiche e monografie. I suoi saggi critici spaziano attraverso tutta
la letteratura e la filosofia italiana. “Il tipo estetico della donna nel medio
evo” (Ancona, Morelli); Isabella d'Este Gonzaga” (Roma, Vercellini); “Mantova e
Urbino” (Torino, Roux); “La cultura e le relazioni letterarie d'Isabella d'Este
Gonzaga (Torino, Loescher); “Svaghi critici” (Bari, Laterza); Luzio, La coltura
e le relazioni letterarie di Isabella d'Este Gonzaga, Sylvestre Bonnard. Vendittis,
Letteratura italiana. I critici, Milano,
Marzorati, Renda, Operti, Dizionario storico della letteratura italiana (Torino,
Paravia); Letteratura italiana. Gli Autori,
Torino, Einaudi. Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Rodolfo
Renier. Renier. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Renier” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e Rensi: TRASEA – l’implicatura –
filosofia italiana -- Luigi Speranza (Villafranca di Verona). Filosofo Italiano. Grice: “Only in Italy does a
philosopher get his obituary when still alive!” Studia a Verona, Padova, e Roma. Insegna a Genova. Iscrittosi
al partito socialista, si reca a Milano
per assumere la direzione del giornale “La lotta delle classi sociali”,
collaborando assiduamente anche alla turatiana Critica Sociale e alla Rivista
popolare. A seguito delle misure repressive adottate dal governo, e per
sfuggire alla condanna del tribunale militare per aver preso parte ai mossi operai
milanesi, stroncati dall'esercito con la strage del generale sabaudo Beccaris, è
costretto a cercare rifugio in Svizzera. Frutto dell'esperienza ticinese e
la pubblicazione de “Gl’anciens régimes e la democrazia diretta” (Colombi,
Roma) in cui difende il principio della democrazia diretta del sistema
istituzionale federalista. Collabora con numerosi articoli ai fogli radicali Il
Dovere di Bellinzona, la Gazzetta Ticinese e L'Azione di Lugano, nonché alla
rivista socialista e pacifista Coenobium. Ri-entra in Italia per stabilirsi a
Verona dedicandosi alla filosofia del linguaggio – “o semantica.” A seguito
della campagna libica, vi è la rottura col partito socialista, poiché si è schierato con l'interventismo di Bissolati.
Pubblica “Il fondamento filosofico del diritto” (Petremolese, Piacenza). Altri
due volume seguono: “Formalismo e a-moralismo giuridico” (Cabianca, Verona) e “La
trascendenza: studio sul problema morale” (Bocca, Torino), ove sviluppa un
idealismo trascendente. Insegna a Bologna, Ferrara, Firenze, e Messina. L'esperienza
della grande guerra manda in crisi (“alla merda”) la sue convinzione idealistica,
conducendolo verso lo scetticismo – della ‘scessi’, come la chiama --, la cui
prima formulazione sono i “Lineamenti di filosofia della scessi” (Zanichelli,
Bologna). Sostene che la guerra distrue la fede ottimistica nell'universalità
della ragione, sostituendola con lo spettacolo tragico della sua pluri-versalità,
vale a dire dell'irriducibile conflittualità dei diversi punti di vista. Espose
nella “Filosofia dell'autorità” (Sandron, Palermo) la traduzione politica di
questa concezione. Poiché tutti i punti di vista politici sono sullo stesso
piano, quello che anda al potere lo fa con un atto di forza, tacitando tutti gl’altri
punti di vista. In questo saggio si è scorta una prima GIUSTIFICAZIONE dell'autoritarismo
fascista. Tuttavia, dopo una prima simpatia per il fascismo, ne divenne un
fiero avversario quando MUSSOLINI con metodi un po ‘anti-democratici’ comincia
a perseguire un disegno dittatoriale ispirandosi a GIULIO CESARE – o duca/duce.
R., non Mussolini, sottoscrisse il Manifesto degl’intellettuali o filosofi anti-fascisti
di CROCE, pagando questa scelta con la sospensione, dalla cattedra di filosofia a Genova. Arrestato
e rinchiuso in carcere. Solo un abile stratagemma escogitato dall'amico e
collega SELLA, che pubblica sul “Corriere della Sera” il necrologio del
filosofo, diffondendo così la falsa notizia della sua morte, induce il duce a
rimetterlo prontamente in libertà. Il dittatore teme l'ondata di sdegno sollevatasi
per i metodi oppressivi del regime. Per la sua coerenza agl’ideali di libertà,
sube il definitivo allontanamento dalla cattedra, è, comandato, da vigilato
speciale, presso il centro bibliografico dell'ateneo genovese, per la
compilazione della biografia ligure. Nonostante il doloroso distacco dalla
scuola dove insegna, continua la sua attività filosofica e collabora al
quotidiano socialista genovese Il Lavoro, l'unico foglio che accoglie testi di
personalità che non hanno fatto atto di sotto-missione al fascismo. Ricoverato
al ospedale Galliera mentre infuria il
bombardamento della flotta inglese su Genova, per essere operato d'urgenza.
Tuttavia l'azione militare danneggia alcune sale dell'edificio e i medici doveno
rinviare l'intervento, una fatalità che non lascia scampo a R. Ai funerali
pochi amici ed ex allievi poterono seguire per breve tratto il carro funebre.
La polizia, che vieta questo devoto omaggio, dispersa il funerale, schedando
alcuni discepoli. R., anche morto, tura il potere. Sulla tomba nel cimitero di
Staglieno un'epigrafe riassume uno stile di vita ed esprime il suo dissenso, la
sua resistenza e indipendenza filosofica. ETSI OMNES NON EGO. La sua filosofia si
è sviluppata dopo l'approdo alla scessi in
direzione del realismo e del materialismo critico. Un realismo materialistico
quindi, che considera derivato, con una certa libertà interpretative, dal
criticismo. Arrriva ad ipotizzare che Kant puo pensare alla cosa in sé come a
una più nascosta essenza materiale della cosa stessa. La sua filosofia non
e esente da paradossi concettuali e da mutamenti continui che lo hanno portato
a cadere in alcune contraddizioni e incoerenze. Ma va anche considerato che al
di sopra d’esse a dominare è comunque un forte pessimismo, che non è solo
esistenziale, ma anche gnoseologico. Sia il mondo, sia la mente umana sono
irrazionali. Ma supponiamo che un tale fatto esteriore ai nostri orologi,
destinato al controllo di questi, non esiste, e che i nostri orologi
continuassero a discordare. Come potremmo allora, in mancanza di quel fatto
esteriore obbiettivo e nel discordare dei singoli nostri orologi, conoscere
l’ora che è? Ora questo è appunto il caso delle nostre ragioni. Non c’è
l’oggetto esterno ad esse, l’esterno modulo-ragione, su cui controllarle e che
le giudichi, ed esse discordano tra di loro. Come conoscere l’ora che è della
ragione? Per esempio egli ha sostenuto che, siccome la filosofia ha una storia
che si snoda nel tempo, ciò significa che un pensiero vero e unico non può
esistere e che perciò nel suo procedere ed evolvere essa nega continuamente sé
stessa. Contro l'idealismo di GENTILE, allora imperante, che considera la
storia una realizzazione progressiva dello spirito e della ragione, ha una
visione negativa della storia, come assurdo caso e vana ripetizione. C'è
storia dunque perché ogni presente, ossia la realtà, è sempre falsa, assurda e
cattiva, e perciò si vuol venirne fuori, passare ad altro, quel passare ad
altro in cui, unicamente, la storia consiste. C'è storia, insomma, l'umanità
corre nella storia, per la medesima ragione per cui corre un uomo che posa i
piedi su di un sentiero cosparso di spine o di carboni ardenti. La sua critica
della religione si sviluppa poi in un'aperta apologia dell'a-teismo. Sembra
quasi di poter cogliere uno dei tratti dell'a-teismo in un saggio “Sopra lo
amore di FICINO (si veda). FICINO
propone una visione dell'amore come amore eterno che ritorna come
desiderio di ogni grado ontologico di ritornare al bene e al tutto. Propone una
nuova interpretazione di questa tipica teologia dell’ACCADEMIA, vedendo
nell'amore ipotizzato da Ficino in realtà un preludio a quelle che diventeranno
due tra le più influenti correnti filosofiche: l'idealismo e il volontarismo.
L'amore come totalità dei diversi, o come volontà nelle vesti di matrice
essenziale del tutto, mette da parte il bisogno dell’amore trascendente e
sussurra l'ipotesi di un a-teismo, forse professato tra le righe dai più
celebri filosofi. Filosofo profondamente problematico e inquieto, fine però
per approdare a un forte pessimismo ontologico ed esistenziale, che lo spinse
verso derive spiritualistiche, forse latenti nelle sue riflessioni fin dalle
origini nelle “Lettere spirituali”. In quest'opera, come anche nell “La morale
come pazzia” (Guanda, Modena), delinea una sorta di mistica dei valori e
un'etica concepita come l'azzardo dell'uomo che scommette sul bene in un
universo cieco e indifferente. Nella sua “Autobiografia intellettuale” suddivide
in tre periodi la sua evoluzione. Un primo misticismo idealistico. Un secondo
relativismo scettico materialistico e ateo. Un terzo misticismo spiritualistico
come ultimo approdo della sua filosofia. Il primo è un misticismo di tipo
platonico dell’ACCADEMIA, in cui sono presenti anche elementi di San Paolo e di
Malebranche. Scrive “L’antinomie dello spirito” (Petremolese, Piacenza); “Sic
et non: meta-fisica e poesia” (Romaa, Roma); “La trascendenza: studio sul
pensiero morale”. Il secondo periodo nasce dal suo sconcerto di fronte alle
violenze della grande guerra e lo porta alla negazione di qualsiasi razionalità
della realtà. Pensa infatti che se gl’uomini ricorrono sistematicamente alla
violenza per risolvere i loro conflitti, questo significa che la ragione in sé
non esiste, e che si tratta dell'illusione dell'uomo di pensare che si puo dare
ordine al caos. L'irrazionalità della realtà si trova espressa in “Lineamenti
di filosofia della scessi”; “La filosofia dell'autorità”; “La scessi estetica”
(Zanichelli, Bologna); “Polemiche anti-dogmatiche” (Zanichelli, Bologna); “Interiora
rerum – la filosofia dell’assurdo” (Milano, Unitas); “Realismo” (Milano,
Unitas); “Apologia dell'a-teismo” (Formiggini, Roma); e “L’aporie della
religione”. Il secondo periodo è altresì caratterizzato da un avvicinamento al
positivismo materialistico e dal rifiuto dell'idealismo di CROCE e di GENTILE.
In esso va registrata anche una rivisitazione del panteismo di Spinoza, che
interpreta alla maniera dei teologi, quindi come a-teistico perché nega il divino personalizzato del mono-teismo.
Pensa anche di realizzareuna sintesi di scessi e realismo perché se solo la scessi
è il modo reale e utile di porsi di fronte al mondo, essa è anche l'unica
verità possibile. Si tratta anche del momento di punta del nichilismo, perché
si afferma che siccome l'unica cosa certa e stabile è la morte, ed essa è il
nulla, solo il nulla possede una verità. Prevale una forma di misticismo
che non sorge, però, improvvisamente, essendo già chiaramente presente nelle
opere maggiormente influenzate dalla scessi. Quest'ultima è, infatti, sempre
sollecitata da un'innata, profonda religiosità, sicché non stupisce che il
filosofo si apra alla voce del divino, poiché cerca nella negazione assoluta un
criterio positivo che consenta la negazione stessa. A questo periodo appartengono:
“Critica della morale”; "Critica dell'amore e del lavoro”; “Paradossi di
estetica e dialoghi dei morti” (Corbaccio, Milano); “Frammenti di una filosofia
del dolore e dell’errore, del male e della morte” (Guanda, Modena); “La
filosofia dell'assurdo” e “GORGIA (si veda) -- Autobiografia intellettuale – la
mia filosofia – testamento filosofico” (Corbaccio, Milano). Isolato in vita nel
mondo filosofico italiano, nel quale domina l'idealismo crociano-gentiliano, trova
la comprensione di pochi intellettuali a lui affini. È stato quest'ultimo a
creare la formula della scessi credente, che in forme diverse ha dominato i
pochi studi sulla sua filosofia. Oggi trova la collocazione nell'ambito del
nichilismo. Per alcuni, tale collocazione resta comunque riduttiva rispetto
alla vastità della sua filosofia, che andrebbe ancora approfondito. La
trascuratezza nei suoi confronti sta nel fatto che la cultura italiana è stata
dominata dall'idealismo e dall'esistenzialismo. Legato alla cultura socialista,
si caratterizza per una certa dose di eclettismo e per una forte componente
umanitaria, distante dal materialismo storico marxiano e riconducibile, più
agilmente, nel novero dei filosofi vicini al socialismo utopista. Se durante
l'attività politica in Italia aderisce all'idea della lotta delle classi sociali,
l'esperienza svizzera lo porta a ri-considerare tale concezione dei rapporti di
forza nella storia, ri-dimensionandone la portata. Infatti, l'ant-agonismo tra
proletariato e borghesia è circo-scrivibile ad alcune realtà contingenti e non costituirebbe
un'invariante delle relazioni socio-politiche. E se, da un lato, il suo
realismo politico lo porta ad apprezzare le teorie elitistiche del conservatore
MOSCA (si veda), dall'altro, la matrice umanitaria e socialista emerge
nell'esaltazione degli istituti della democrazia diretta, caratterizzanti il
sistema costituzionale svizzero, considerati come l’unico in grado di far
emergere la volontà popolare e di permettere l'emancipazione delle classi
lavoratrici. L'elogio ai regimi federalisti appena citati, e il contingente
recupero di CATTANEO sono sintomatici di un altro aspetto del suo orizzonte
culturale: la feroce critica dell'istituto monarchico -- tanto nell'accezione
assolutista, quanto in quella temperata del costituzionalismo borghese
ottocentesco -- appannaggio di una vicinanza con il programma del partito repubblicano.
Mostra un pessimismo storico verso il risorgimento, la disapprovazione
intransingente del ruolo, ritenuto ambiguo e ostile al riscatto sociale del
proletariato, della casa regnante dei Savoia e l'appartenenza alla massoneria.
Influenze "Atomi e vuoto e il divino in me", queste parole di Rensi
hanno ispirato Lobaccaro nella composizione della canzone Rosa di Turi dei
Radiodervish. Altri saggi: “Una Repubblica italiana: il Canton Ticino, "Critica
sociale", Milano), “L'immoralismo di Nietzsche” (Carlini, Genova); “Il
genio etico ed altri saggi” (Laterza, Bari); “Sulla risarcibilità del danno morale”
(Cooperativa,Verona); “L’istinto morale” (Riuniti, Bologna); “L'orma di Protagora”
(Treves, Milano); “Principi di politica im-popolare” (Zanichelli, Bologna); “Introduzione
alla scessi etica” (Perrella, Napoli); “Teoria e pratica della re-azione
politica” (Stampa, Milano); “L'amore e il lavoro nella concezione della scessi”
(Unitas, Milano); “Dove va il mondo?, «Inchiesta fra gli scrittori italiani» (Libreria
Politica Moderna, Roma); “L'irrazionale, il lavoro, l'amore” (Unitas, Milano); "Terapia
dell'a-teismo" (Castelvecchi, Roma); “Apologia della scessi” (Formiggini, Roma); “Autorità
e libertà: le colpe della filosofia” (Politica, Roma); “Il materialismo critico”
(Sociale, Milano); “Spinoza” (Formiggini, Roma); “Scheggie: pagine di un diario
intimo” (Bibl. Ed., Rieti); “Cicute: dal diario di un filosofo” (Atanòr, Todi);
“Impronte: pagine di un diario” (Italia, Genova); “Raffigurazioni: schizzi di
filosofi e di dottrine” (Guanda, Modena); “L’a-porie della religione” (Etna,
Catania); “Sguardi: pagine di un diario” (Laziale, Roma); “Passato, presente, future”
(Cogliati, Milano); “Motivi spirituali dell’ACCADEMIA” (Gilardi, Milano); “Scolii:
pagine di un diario” (Montes, Torino); “Vite parallele di filosofi: l’accademia
e CICERONE” (Guida, Napoli); “Critica della morale” (Etna, Catania); “Figure di
filosofi: ARDIGÒ e GORGIA” (Guida, Napoli); “Poemetti in prosa e in verso” (Ist.,
Milano); "La morale come stato d'eccezione?" (Castelvecchi, Roma); “TRASEA
(si veda) contro la tirannia” (Oglio, Milano) – FASCISMO E STORIA ROMANA – la
critica -- ; “Lettere spirituali” (Bocca, Milano); “Sale della vita -- saggi
filosofici” (Oglio, Milano); “La religione -- spirito religioso, misticismo e a-teismo”
(Sentieri Meridiani, Foggia); “Contro il lavoro -- saggio su L’ATTIVITA PIU
ODIATA DALL’UOMO” (Gwynplaine, Camerano); “Le ragioni dell'irrazionalismo” (Orthotes, Napoli);
“Su LEOPARDI” (Bruni, Torino). – “Il filosofo dissidente, Pastorino, Uomini e
idee della Massoneria. La Massoneria nella storia d'Italia, Roma, Atanor sub
voce (in ordine cronologico), R. Istituto di Studi filosofici, Roma); Untersteiner,
Interprete del pensiero antico (Bocca, Milano); La scessi estetica (Zanichelli,
Bologna); Cuneo, Conti e C., Cuneo); Un moralista, Italia, Resta (SIAG,
Genova); Poggi (Azzoguidi, Bologna); “Il problema generale della giustizia e
della giustizia penale” (Vallardi, Milano); Rossi, “L’deale di Giustizia” (Bocca,
Milano); Buonaiuti, “La scessi credente” (Partenia, Roma); Mignone, “Leopardi e
Pascal” (Corbaccio, Milano); Nonis, La scessi etica, Studium, Roma, Morra; R.,
Scessi e mistica in R. (Ciranna, Siracusa); Tecchiati, Alla mostra del libro
filosofico", La Voce di Calabria, Palmi, Bassanesi, La coscienza tragica” (Filosofia,
Torino); Alpino, La collaborazione di Rensi alla rivista "Pietre" (Marzorati,
Milano); Liguori, “La scessi giuridica” (Giuffrè, Milano); Noce, "Tra
Leopardi e Pascal, ovvero l'auto-critica dell'a-teismo negativo", in Una
giornata rensiana, Marzorati, Milano, Sciacca, “Una giornata rensiana” (Marzorati,
Milano); Perano, Il problema della verità nella scessi di Rensi” (Lateranense,
Roma); Mas, Tra democrazia e anti-democrazia” (Bulzoni, Roma); Santucci, Un irregolare:
Tendenze della filosofia italiana nell'età del fascismo, Pompeo, Faracovi, Belforte,
Livorno; Rognini, “Dal positivismo al realismo” (Benucci, Perugia); L'inquieto
esistere” (EffeEmmeEnne, Genova); Boriani, La questione morale nel positivismo”
(Melusina, Roma); Silva, “La ribellione filosofica” (Genova, Liguori); Il Cavaliere, la Morte e il Diavolo.
La coerenza critica, Il sentiero dei perplessi. Scetticismo, nichilismo e
critica della religione in Italia da Nietzsche a PIRANDELLO (si veda), La Città
del Sole, Napoli, Gianinazzi, Intellettuali in bilico, Milano, Ed. Unicopli, Emery,
Lo sguardo di Sisifo: R. e la via italiana alla filosofia della crisi: con una
nuova rensiana, Marzorati, Settimo
Milanese, Mancuso, Tra democrazia e
fascismo, Aracne, Roma, Serra, Tra dissoluzione del socialismo e formazione
dell'alternativa nazionalista” (Angeli, Milano); Meroi (Olschki, Firenze); “L’eloquenza
del nichilismo, SEAM, Formello); Pezzino, Scacco alla ragione” (C.U.E.M.C.,
Catania); Castelli, Un modello di
Repubblica; la politica e la Svizzera (Mondadori, Milano); Greco, politica,
autorità, storia, Viaggi di carta, Palermo); P. Serra, “La rivolta contro il
reale, Città Aperta, Enna); A. Montano, “Ethica ed etiche” (Napoli); G. Barbuto,
Nichilismo e stato totalitario: libertà e autorità” (Guida, Napoli); Greco, la
filosofia morale, Viaggidicarta, Palermo, Mancuso; Montano, Irrazionalismo e
impoliticità Rubbettino, Mannelli, Meroi, filosofia e religione (Storia e
letteratura, Roma). Lobagueira, Documenti,
Trento; Mascolo, Il corso infernale della storia. L'influenza di Schopenhauer
nella filosofa, in Ciracì, Fazio, Schopenhauer in Italia, Lecce, Pensa Multi Media,
Bruni, “Il leopardismo filosofico” (Firenze, Le Lettere); “Filosofo della storia,
Firenze, Le Lettere, Bignami E. Buonaiuti, Croce, Ghisleri, Manifesto degli intellettuali
antifascisti Ad. Tilgher, Treccani Dizionario biografico degli italiani,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Il contributo italiano alla storia del
Pensiero: Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. R. il filosofo
dimenticato. scomodo nichilista di Volpi l'"irregolare" di
Martinetti. Di qui, con evidenza, un elemento evolutivo nel “Trasea, contro la
tirannia” (Corbaccio dall’oglio, Milano) -- dove R. introduce elementi di
giudizio nei confronti dei regimi statali che pregiano maggiormente le
«questioni materiali e spirituali rispetto all'effcienza dell'amministrazione
-- quasi a dire che non è possibile accettare l'affermazione tirannica del
potere, anche se questo risulta poi operativo ed efficiente, perché essa coarta
eccessivamente lo spazio della personalità individuale. Di qui il limite della
stessa filosofia dell'autorità, la cui estensione trova nel rispetto della
moralità e interiorità un limite; e che tale limite sia valicato si intuisce
dalla crescita dell'im-moralità pubblica -- delazione, adulazione etc. ne sono
i fenomeni rivelatori. Questa vicenda è descritta con riferimento all'impero
d’OTTAVIANO a Nerone inclusi, e, alla data di stesura, intuitivamente e
obliquamente allusiva al fascismo. Cf.
Il CICERONE di Rensi. Spero enim homines mtellecturos quanto sit omnibus
odio crudelitas et quanto amori probitas et clementia. C.
Cassio in Cic., Ad farri. Cicerone era vicino ai sessantanni, quando lo
Stato legale romano, che già precedentemente aveva subito terribili scosse, ma
che mediante una saggia riforma avrebbe potuto rinvigorirsi sul
suo stesso tronco senza frattura o soluzione di continuità, riceveva da GIULIO
(si veda) Cesare il colpo di grazia. Non è più necessario rivendicare la
grandezza di CICERONE contro le denigrazioni di Mommsen e di altri
due o tre storici tedeschi. Egli non e una ràbula e un politico
superficiale. Bensì un uomo di stato dallo sguardo ampio e sicuro,
nel cui animo si radica e vive di vita vigorosissima tutta la grande tradizione
politica romana, [Una bella e vivace confutazione di Mommsen si può
leggere nel saggio di Horncffer, Cicero und die Gegenwarl, contenuto nel
volume Das Klassische Idealm Lipsia, Klinkhardt. Horneffer però rivendica
solo il valore di Cicerone come epistolografo e oratore, non come FILOSOFO.]
e pur senza che l’animo servilmente vi soggiacesse, ma, anzi, insieme,
con la chiara coscienza della nuova direzione che quella tradizione dove
prendere, e della misura e forma in cui dove prenderla, per svilupparsi
fecondamente e superarsi vivificandosi. Accanto a ciò, mente che s’e
impadronita di tutta la più alta cultura dell'epoca: Demostene e Platone
insieme pel suo paese, come riconosce Moellendorf . Accanto a ciò,
una squisitissima sensibilità artistica e una passione vivacissima per le
cose d’arte. Basta vedere quanto “vehementer” com’egli stesso dice,
attende che Attico gli mandasse sculture ed oggetti artistici greci: “genus hoc
est voluptatis rneae” (Ad Att.); e basta aver letto attentamente le sue
orazioni e aver scorto il perfetto senso d’arte con cui
sono costruite e che vi circola. Accanto a ciò, infine, una
sensibilità in generale per le cose, le persone, gl’eventi, gl’affetti,
così moderna, che in lui, nella sua pronta e multiforme impressionabilità,
ritroviamo interamente noi stessi: e il suo dolore erompente e
pieno di accenti passionali per la morte della figlia Tullia, è il
palpito d’un cuore dei nostri tempi. Uomo, in una parola; assolutamente
completo. Un pensatore di così sottile e sicuro buon gusto e di cosi
grande penetrazione storica (e particolarmente [Il rimprovero che gli si
fa di debolezze e incertezze è uno dei soliti rimproveri che gl’eroi di
poltrona hanno quasi sempre occasione di rivolgere al grande che si è trovato a
dover davvero vivere avvolto da un gigantesco turbine d’avvenimenti, e che
nemmeno se fosse stato mille volte più grande poteva abbracciarne tutte le
fila, come è invece agevole a quelli che non fanno se
non pacificamente rileggerli nel loro tranquillo gabinetto venti
secoli dopo. Egli non e debole ed incerto nè nella repressione della
congiura di CATILINA (si veda), nè nella lotta per la salvezza della
costituzione contro il cesarismo rinvelenito da MARC’ANTONIO (si veda), lotta
che chiuse cosi gloriosamente la sua carriera mortale. Le sue incertezze
d’altri momenti sono unicamente frutto della sua profonda moralità.
Perché l’uomo fondamentalmente morale e intelligente, in mezzo a
cataclismi enormi che travolgono gl’individui come fuscelli, quali quelli
in cui CICERONE si trova, mentre non può operare contro coscienza, e
per questa, che pure sarebbe l’unica via possibile, salvarsi o tornare a
grandeggiare, però avverte anche i pencoli micidiali a cui espone sè ed 1
suoi operando secondo coscienza: e la condotta risultante è necessariamente
quella che tracciano le fluttuazioni di tale angoscioso conflitto
interno.] circa la storia romana) come Montesquieu ne dà questongiudizio. Ciceron,
selon moi, est un des plus grands espnts qui aient jamais été -- Pensées
diverses -- Ab illis est periculum si peccare, ab hoc si recte fecero,
nec ullum in his malis consilium periculo vacuimi inveniri potest (Ad Att.).
Quando i frangenti in cui un uomo si trova realmente a vivere sono
davvero quelli così delineati, si può domandarsi se sia umanamente
possibile la rettilineità che esigono da lui coloro che poi
spulciano comodamente gl’eventi della sua vita. Sicuro e diritto, in
tali circostanze, è l'uomo amorale che non sente scrupoli: il cinico ed
elegante arrivista CELIO RUFO, che a CICERONE dava questo consiglio (Ad.
Di'.). Suppongo che non ti sfugga come nelle discordie politiche interne
gl’uomini debbano seguire, finché si lotta senz’armi, la parie più
onesta, ma la più forte quando vengono in gioco guerre ed eserciti, e stabilire
che è migliore ciò che è più sicuro. CELIO RUFO, del resto ottimo filosofo,
tanto che per molti umanisti ed altri dotti è ancor oggi il miglior
modello di stile. Ma CICERONE e un uomo di coscienza. Questa
soltanto, non la sua incapacità mentale, la causa della sua
rovina. Egli e andato con POMPEO (si veda), non già sedotto dalla
speranza della vittoria, ma quando la causa di costui era ormai pressoché
perduta e con la piena nozione di tale condizione di cose, e mentre GIULIO
Cesare, MARC’Antonio, Celio, per cercar di trattenerlo almeno neutrale,
gli fanno offerte larghissime: secuti non spem, sed officium (Ad
Div.). Vi era andato essendo consapevole, non solo dell’inettitudine e
impreparazione di Pompeo e di quelli che sono con lui, ma altresi del
fatto che poco o nulla c’e da sperare da essi circa la
restaurazione della legalità, animati come costoro sono da propositi di
persecuzione sillana (Ad Att.), e chiaro ormai essendo che dai
pompeiani non meno che dai cesariani non si pensa che a far man
bassa dello Stato -- regnandi contendo
est -- Ad Att. -- dominatio quaesita ab utroque est, non id actum
beata et honesta civitas ut esset. Vi era andato straziato dall’ idea d
una guerra civile e unicamente in obbedienza a considerazioni d ordine
morale. E’ la coscienza che ci costringe, scrive ad Attico, a staccarci
da Cesare più ancora se vincitore che se vinto, per non essere solidali
con ciò che segue alla sua vittoria, stragi, estorsioni, violenze -- et
turpissimorum honores, et regnum non modo Romano homini, sed ne Persae quidem
cuiquam tolerabile. E andato da Pompeo, senza illusioni e speranze,
unicamente per senso del dovere. Sed valuit -- scrive a Cecina -- apud
me plus pudor meus quam timor -- veritus sum deesse Pompeii saluti,
cum ille aliquando non defuisset meae. ltaque vel officio, vel fama
bonorum, vel pudore victus, ut in fabulis Amphiaraus, sic ego
prudens ac sciens, ad pestem ante oculos positam sum profectus -- Ad Div.
Egli sa cioè di andare alla rovina e vi anda in obbedienza a yu
principio d'onore (pudor) e di gratitudine, per quel poco che Pompeo
aveva fatto onde richiamarlo dall’esilio.
Pudori tamen malui famaeque cedere quam salutis meae rationem ducere
riconferma a M. Mario. E ritornando più tardi in una lettera a Torquato,
che aveva anch’egli seguito la parte pompeiana, su quell’episodio a
entrambi comune, sente di poter ricordare in cospetto al correligionario
politico -- nec nos victoriae praemiis ductos patriam olim et liberos et
fortunas reliquisse, sed quoddam nobis officium iustum et pium et debitum
reipublicae nostraeque dìgnitati videbamur sequi, nec cum id
faciebamur tam eramus amentes ut explorata nobis esset victoria. Ne è
questa un’opportunistica configurazione postuma della sua condotta di quel
tempo. Basta percorrere la sua corrispondenza con il cosidetto “ATTICO” -- suo
amico intimo e suo editore, uomo consumato nell’ impresa di tener
il piede in più staffe e nella difficile arte di conservarsi amici i
vincitori senza inimicarsi i vinti -- per constatare che tale veramente, cioè
il senso del dovere, e il nobile sentimento da cui fu mosso. Officu me
deliberalo cruciat, cruciavitque adhuc. Cautior certe est mansio. Honestior
existimatur traiectio (Ad Att). E quando Pompeo è pressoché spacciato e
stretto da tutte le parti, e Cicerone è ritornato in Italia, egli
si cruccia proprio di questo suo atto da cui gli sarebbe derivato
vantaggio e che poteva quindi essere reputato abile, e si rammarica di non
essere stato con Pompeo sino alla fine -- numquam enim illus
victoriae socius esse volui. Calamitatis mallem fuisse (Ad Att.). Il
principio, insomma, che in un’altra posteriore circostanza, piena
di pericoli mortali, nella sua lotta contro Antonio, egli enuncia a Planco così.
Mihi maximae curae est, non de mea quidem vita, cui satisfeci vel aetate vel
factis vel gloria, sed me patria sollicitat -- ( Ad Dio.), questo è il
principio che domina costantemente nell’animo di Cicerone, insieme con
l’insormontabile ripugnanza, o meglio con 1’impossibilità, di venir meno
al rispetto verso se stesso. Allorché, essendo Cesare incontrastato
padrone, l’accomodante Attico gli dà il consiglio di obbedire ai
vincitori. Non mihi quidem, egli risponde, cui sunt multa potiora (Ad Att.). Certo,
un uomo mosso prevalentemente da sentimenti di tale natura, nelle tragiche
vicende pubbliche da cui si trova avvolto Cicerone, va al fondo. Resta a
vedere se ciò sia un indice di inferiorità o se non lo sia piuttosto quel
successo che è raggiunto -- e la cosa è facile -- in grazia dell’assenza di tali sentimenti,
della mancanza d’ogni freno etico, dell insensibilità ad ogni scrupolo
di coscienza, della nessuna riluttanza a violare cinicamente ogni principio
di diritto e di morale. Nè r uomo che comincia la sua carriera
attaccando coraggiosamente nell’orazione prò Roselo un favorito
potentissimo di SILLA, e un pavido. Dimostra ancora di non esserlo nel
suo consolato. L’apparenza di timidità da lui talvolta offerta, deriva da
ciò che egli, come dice di sè, si preoccupa grandemente dei pericoli
nella rappresentazione e raffigurazione mentale anticipata di essi, non già
che titubasse poi ad affrontarli nella realtà. Quintiliano narra. Parum
fortis videtur quisbusdam. Quibus optime respondit ipse, non se timidum
in suscipiendis, sed in providendis periculis. E’ press’a poco ciò che egli
scrive a Toranio. Mi accusano di essere timido -- eram piane, timebam
enim, ne evenirent, quae acciderunt. Mi diceno timido -- quia dicebamus ea
futura, quae facta sunt (Ad Dio.). Nè è giusto accusarlo di non
aver saputo intuire con chiarezza le situazioni e di essersi per questa
deficienza di sguardo gettato a corpo perduto a combattere per
soluzioni che la realtà escludeva. È questa la solita iniqua condanna che ì
posteri, aggiungendosi ai contemporanei nell’incensare i vincitori e
nel dare il calcio dell’asino ai vinti, pronunciano contro colui
che difende la causa rimasta storicamente soccombente. Quasiché il fatto che
una causa sia rimasta storicamente sconfitta dimostri anche che e giusto e
logico che essa lo fosse. Quasiché il mero fatto, il fatto del successo,
sia anche verdetto di giustizia e logicità, quasiché assai spesso la
causa storicamente prostrata non sia quella che avrebbe dovuto
vincere. Che la cosa stia così nel caso di Cicerone, lo dimostra il fatto
che la causa da lui combattuta e che vinse costituì LA ROVINA DELLA VITA
DI ROMA. Basta per accertarsene constatare che NELLA STESSA NOSTRA
MEMORIA DI POSTERI LA VITA DI ROMA RESTA CHIARAMENTE PRESENTE E ATTIRA LA
NOSTRA APPASIONATA ATTENZIONE APPUNTO SINO AD OTTAVIANO. Ci rimangono ancora
come appendice già torbida i primi imperatori. Poi tutto ci si confonde
dinanzi in un lungo stato comatoso chiazzato di continui sussulti
sanguigni, in cui -- se non siamo storici di professione -- non distinguiamo
piu ne nomi, nè persone, nè eventi, di cui non ricordiamo, NE C’IMPORTA
RICORDARE, più nulla. Si rammenti come, per es., scorge Roma Massimo d’Azeglio.
Fra tutti gli stati dell’antichità è Roma quello che ho in maggior stima,
FINO ALL’EPOCA DEI GRACCHI, intendiamoci ! lo ammiro que’ tempi durante i quali
domina la legge -- durante i quali le più bollenti passioni agitate
dai più vitali interessi, non cercano altr armi nè altre vittorie che un
voto ne’ Comizi. E poco prima. Se è giusto e vero il principio
fondamentale delle società moderne, essere la legalità di un governo
dipendente dalla volontà del popolo che vi è governato, vorrei sapere se l’umanità
consultata avrebbe ne’ tempi dei Romani votato Nemmeno i mezzi che egli
aveva messo in opera per sostenere la causa che soccombette, erano
inadeguati. Tutto, invece, egli aveva provvisto; tutto quanto era
necessario perchè essa vincesse: aveva cercato di assicurare ad essa
l’appoggio e la fedeltà dei maggiori personaggi militari e politici;
aveva costituito e messo in campo eserciti poderosi; con la sua parola
tenne altissimo il tono morale del popolo all’ interno. Se la causa
non vinse, lo si deve, non a un fato storico, a condizioni incoercibili
insite nella realtà e sfuggite allo sguardo di Cicerone, o al logos
immanente nella storia. Ma unicamente a due o tre puri casi, che
potevano accadere diversamente e in tal modo rovesciare la situazione.
Dice in qualche luogo SERBATI che uno de’ mezzi, co’ quali l’uomo
può sciogliere la propria mente da molti pregiudizi e da’ legami delle
consuetudini sensibili, si è l’esercitarsi a considerare le cose non solo
come sono, ma come potrebbero essere. Se vogliamo applicare questo
precetto al periodo di storia in discorso -- come Renouvier in
Uchwnie l’ha applicato in modo grandemente interessante a tutta la
storia occidentale dagli Antonini in poi -- scorgeremo agevolmente che due o
tre futili casi, per l'impero (Miei Ricordi, Barbera, Antologia Pedagogica
cur. di Pusinieri, Rovereto, Mario] i quali fossero avvenuti diversamente,
sarebbero bastati a cambiare del tutto la faccia delle cose; se, p.
e., LEPIDO non avesse tradito, o se un giavellotto l’avesse ucciso quando egli
si mosse per portar soccorso a MARC’ANTONIO ormai disfatto, se PLANCO
non avesse fatto il doppio giuoco, ciò sarebbe bastato per far di Cicerone il
capo dello Stato romano, e perchè egli occupasse nella politica di Roma
d’allora, e nella storia, il posto d’OTTAVIANO. E quanto lo stato romano
e la posterità sarebbero stati più fortunati se il potere fosse venuto in
mano ad un uomo di rettitudine profonda e di vivo senso del diritto e del
dovere, come Cicerone, anziché ad un uomo la cui bassezza d’animo è provata
luminosamente dal fatto che, avendo cominciato ancora puer o adolescens,
come sempre Cicerone lo chiama -- sed est piane puer n \Ad Att.-- ad
essere qualcosa solo per l’appoggio datogli appunto da Cicerone e con lo
strisciarsi umilmente ai suoi piedi -- a me postulat primum ut clam
conloquatur mecum Capuae vel non longe a Capua... ducem se profitetur nec
nos sibi putat deesse oportere -- binae uno die mihi litterae ab
Octaviano -- deinde ab Octaviano cotidie litterae, ut negotium susciperem,
Capuani venirem, iterum rem publicam servarem » ; mihi totus
deditus „ ; “ nobiscum hinc perhonorifice et amice Octavius — Ad Att.,
non si trattenne dal sacrificare ad una propria maggiore ascesa la vita
di colui che l’aveva sorretto nei suoi primi passi. Uomo egli, si,
veramente, pusillanime, che vinse le guerre solo per mezzo dei suoi
generali e specialmente di Agrippa, e non aveva il coraggio di
presentarsi nel campo se non dopo che Agrippa gli annunzia la vittoria
(Svet. Aug.). Fondamentalmente istrione e poseur come risulta dal fatto,
narrato da Svetonio (Aug.), che non comunica mai nemmeno con sua moglie senza
scrivere prima e leggere ciò che voleva dire, nonché dall’altro, sempre
narrato da Svetonio, che egli ama stilizzare a particolare espressività e
luminosità i suoi occhi -- quibus etiam existimari volebat inesse quiddam
divini vigoris, gaudebatque. Octave lui, a Sesto Pompeo, fit deux guerres
laborieuses ; et après bien de mauvais succès il le vainquit por i’habilité
d’Agrippa. Je
crois qu’Octave est le seul de tous les capitaines romains qui ait gagné l’affection
des soldals en leuv donnant sans cesse des marques d’une làcheté
naturelle „ (Montesquieu, Grandeur et Dócadence des Romains. Tanto GIULIO Cesare quanto OTTAVIANO hanno
l’abitudine di citare dei versi delle Fenicie di Euripide. E la citazione
che l’uno e l’altro aveva scelto è rivelatrice del loro rispettivo
carattere. Cesare ama citare i versi -- “se c' è un caso in cui sia
bello VIOLARE IL DIRITTO, è quando lo si VIOLA – cf. H. P. GRICE – FLOUT,
VIOLATE -- per conseguire la
tirannide -- citazione signifìcatiice dello spirito violento e illegale.
OTTAVIANO ama citare il versoL è meglio per un generale procedere al
sicuro (àacpaÀr/c) che essere ardito (ihf aouc) -- citazione significatrice
della vigliaccheria -- cfr. Cicer. De Off. e Svetonio Aug.] si qui sibi
acrius contuenti quasi ad fulgorem solis vultum summiteret e infine in
modo palmare dalle parole -- ecquid iis videretur mimum vitae commode
transigisse -- e dalla citazione greca richiedente l’applauso per la commedia
ben riuscita, con cu; egli chiuse la sua esistenza. Uomo che desta
particolare antipatia precisamente in grazia del suo proposito di
moralizzare la vita romana; perchè niente è più ripugnante del dissoluto
che si da il compito di costringere gli altri alla virtù e posa a
restauratore della morale pubblica; e OTTAVIANO cambia tre mogli prendendo l’ultima
al manto sotto ì suoi stessi occhi, conducendola con sé in un altra
stanza donde e ritornata spettinata e con gli orecchi rossi, e poi
introducendola in casa propria INCINTA D’UN ALTRO; aveva commesso le oscenità
che narra Svetonio, irripetibili, tranne forse una -- adultena quidem
exercuisse ne amici quidem negant -- e dopo ciò faceva udire le parole
ammonitrici di vita austera e imprende a ricondurre i costumi alla prisca
severità. La
scandalosa condotta di sua figlia e di sua nipote, che condusse -- A cool
head, an unfeeling heart, and a cowardly disposition, promtcd finn al thè
age of nmeieen, to assume thè maske of hypocrisy, which he never
afterwards laid aside. With thè saine hand, and proba’bly with thè
same temper, he signed thè proscription of CICERONE and thè pardon
of Cinna. His virtues, and even
his vices, are artifìcial -- Gibbon, Decime and Fall] all’esilio di
entrambe, e di OVIDIO (si veda) complice o pronubo, dimostra che nella sua
famiglia stessa si ha il senso netto del come si puo prendere sul serio
una riforma morale che pretendeva attuare un individuo di siffatta ìndole e di
siffatti precedenti. Non ostante che all’epoca del trionfo di
Cesare si avvicinasse alla sessantina, Cicerone non era uomo che non
sa comprendere i tempi. Li comprende benissimo, più profondamente e
sapientemente di Cesare e di Ottavio. La sua mente e in pieno vigore.
Subito dopo quell epoca egli poteva scrivere quei suoi saggi di FILOSOFIA
che suscitano l’ammirazione dei contemporanei e sono letti con entusiasmo o
rispetto da tutte [Coglie veramente nel segno Aurelio Vittore: Cum esset
luxuriae serviens erat eiusdem vitii severissimus ultor, more hominum,
qui in ulciscendis vitiis, quibus ipsi veliementer indulgent, acres sunt. E s.
può dire d. lui quel che Boissier dice di Domiziano: 1 ar malheur,
ce prince si sevère pour les defauts des autres, etait lui-mème très vicieux.
11 avait fait des lois rigoureuses contre l’adultere et il vivait
publiquement avec sa mèce, la bile de Titus, qu’il avait enlevée à son
mari et dont il causa la mort en essayant de la taire avorter. Ce
contraste etait choquant, et il n’ ignorait pas qu’on en etait indigne (Tacite).]
le generazioni successive. Poco più oltre egli svolgeva anzi la sua
azione politica più abile, più decisa, piu energica e più importante, e,
insieme, con le filippiche raggiungeva un’altezza da lui ancora non
tocca nella forma d’arte che gli era propria -- “divina„ chiama
giustamente un giudice certo non facile, Giovenale, la seconda di
esse. La sua idea di portare alla luce del mondo politico, sotto la sua
direzione, il pronipote e figlio adottivo di Cesare, ancora ragazzo -- ha
appena diciannove anni --, accordandogli
anche onori che a molti pareno eccessivi, e di riuscire così giovandosi
del nome di Ottavio a far rientrare il ribollente partito cesariano
nell’ordine costituzionale e a dominare in tal modo una situazione
difficilissima, e una idea geniale, abilissima, da politico grandemente
avveduto, l’unica [Sull immensa influenza esercitata da Cicerone sui
a t“ di tutti ' tempi ' veg § asi ‘'furiente r “, Z r fe ,v C f er
, 0 o ™ Wandel dcr Jahrhunderte I d-' P r a ' ed ;. lj^ 9 )
Strachan-Davidson nella sua Vita di Cicerone, Heroes of thè Nations
Series, dice giustamente che se si dovesse decidere quale degli filosofi romani
maggiormente influì sul mondo moderno, la decisione sarebbe in favore di
Cicerone — hrasmo, scrivendo ad un amico, dice che, se da giovane
aonr enVa rf matUra anda sempre più apprezzando Cicerone. Ld è
proprio giusto il noto giud. Z .o di Quintiliano. Ille se profecisse sciat, (e
s. può aggiungere: tanto gusto letterario, quanto in retti Jne
etico-politica) cui Cicero valde placebit. G. Sensi . y ita paratiti « di due
fila.ofi] idea che in quel terribile cataclisma poteva dar buoni frutti.
Non è sua colpa se 1 idea non riuscì, e proprio sopratulto per la
perfidia senza scrupoli del futuro Augusto. Per quanto avveduto e
grandemente intelligente, un uomo di Stato fondamentalmente onesto come
Cicerone, non fa entrare nel suo giuoco la supposizione di una
perfidia enorme, di gran lunga travalicante la media nequizia umana, come
fu quella di Augusto; nè si può accusarlo di incapacità se non ve la fa
entrare, e se essa gli si rizza impensatamente dinanzi mandando a picco i
suoi piani più accortamente e sapientemente elaborati. Cicerone
assume risolutamente, nel momento più pieno di vicissitudini e pericoli,
la parte di leader del Senato e del popolo romano, come egli stesso
scrive a Cornificio -- me principem Senatui populoque romano
professus sum (Ad Dio.). Spiega un’attività prodigiosa, tanto verso gl’eserciti
quanto rispetto alla situazione interna, per dirigere [Giustamente
Platone osserva (Rep.) che le persone oneste sono facili ad essere
ingannate dai malvagi perchè non hanno in sé il modulo dei
sentimenti di costoro (fire oòv. s'/ovre? èv éaotoT; ^ 7
iapaos'y|J.axa óp. 0 i 07 ia{H) tot; nove^oi?) ; mentre però il malvagio,
abilissimo nel suo comportamento coi malvagi, resta ingannato quando tratta coi
buoni, perchè, giudicando da se, e ignorando le indoli onesti, vede
dappertutto inganni (àruaT&v Tiapà xaipòv xaì àYVOtòv uytè; fjU'o;)] la
lotta contro Antonio; getta di nuovo, attesta scrivendo ancora a
Cornificio, 1 fondamenti dello Stato con la prima Filippica: “ fundamenta
ieci reipublicae „ (Ad D/v.); e al giocondo Peto conferma quanto abbia
fatto, quanto faccia e come ritenga che se dovesse in tale sua
azione perdere la vita l’avrebbe spesa bene ; “ sic tibi, mi Peto,
persuade, me dies et noctes mini aliud agere, nihil curare, nisi ut mei
cives salvi liberique sint : nullum locum praetermitto monendi, agendi,
providendi : hoc demque animo sum, ut si in hac cura atque admistratione
vita mihi ponenda sit, praeclare actum mecum putem -- Ad Div. In questi
primi mesi del 43, Cicerone fu veramente il princeps, ch’egli aveva
idealizzato nel De republica : consigliere, esortatore, ispiratore del
Senato, dei consoli, dei governatori delle provincie. Non è questa
la condotta d un uomo le cui facoltà spirituali siano
illanguidite. Ma, sopratutto, a prova della sua esatta comprensione dei
tempi, basta ricordare come la riforma che occorreva allo Stato romano,
pessimamente attuata, secondo attestò la susseguente vita Amateli,
Cicerone, (Bari, Laterza). Jamais Ciceron n a joue. un plus grande róle
politique qu à ce moment ; jamais il n’a mieux mérité ce nom d’hom-
me d Etat que ces ennemis lui refusent (Boissier, Cr- céron et ses amis
-- dell’Impero, da Cesare e da Augusto, fosse stata prospettata per primo
da Cicerone nel De Repubblica. L’introduzione, cioè, d’un nuovo e più
fermo principio d’autorità sotto forma di un rector rerumpublicarum d’un moderator
reipublicae d’un princeps civitatis (De Ti,ep.). Senonchè Cicerone,
con molto maggior senso della necessaria continuità di sviluppo dello
Stato romano e con molta maggior disinteressata cura di esso, non
intendeva che questa riforma dovesse rivolgersi a distruzione della
costituzione esistente, bensì che dovesse ingranarsi in essa e formarne
un naturale complemento e uno svolgimento spontaneo e logico ; “ homines
non tarai commutandarum quam evertandarum rerum cupidos, egli
giudica i cesariani -- De Off., mentre per lui la costituzione
romana, come esattamente nota lo Zielinski, era “ capace di ogni
progresso in quanto questo conducesse all’accettazione e allo
sviluppo di idee feconde (fordeTnder), non di idee distruttive. La differenza
tra il modo con cui egli concepiva la riforma e il modo con cui la
attuarono Cesare ed Augusto è si può dire scolpito dalle seguenti sue due
proposizioni : “ me nun- quam voluisse plus quemquam posse quam universam
rempublicam (jdd Div.); ego sum, qui nullius vim plus valere volui, quam
honestum otium. Ovvero: la differenza tra la concezione ciceroniana del
princeps e la pratica applicazione fattane da Cesare è resa nel
bell’ emistichio con cui Lucano descrive il modo di operare di quest’ultimo -- gaudens
viam fecisse ruina. Basta riflettere a tutto ciò per scorgere tosto che
non solo la mente di CICERONE era nel suo pieno vigore, ma altresì la sua
comprensione dei tempi (se per questa s’intende, non già furbesca
valutazione personalmente opportunistica delle circostanze, ma avvertimento
delle necessità profonde che ad un dato momento si presentano nella
vita sociale e politica d’un paese) era perfetta. Il sovversivismo di Cesare è provato dal
dolore che per la sua morte manifestarono sopratutto gl’Ebrei (qui
etiam noctibus continuis bustum frequentabant -- Svet, Caes., cioè precisamente
coloro che nel seno nello stato romano, da essi violentemente odiato,
costituivano la catapulta diretta a farlo saltare, e che, sotto la veste
del Cristianesimo, a farlo saltare effettivamente riuscirono. Si può anzi con
sicurezza dire che l’impero romano si deve agl’ebrei, perchè sono i loro
lunghi tetri lamenti intorno al cadavere di GIULIO Cesare che suscitarono
nella plebaglia quella sommossa per e attorno al rogo del dittatore, la quale fa
prender nuova forza al cesarismo. É noto come per la commozione popolare
che lo straziante rito ebreo provoca colle sue lugubri lamentazioni
orientali, se ne ingenerò quel tumulto che dove mutare la faccia
de! mondo, mandando in fumo i diplomatici accordi con Bruto e Cassio, che
dovettero fuggire in Illirio : sicché ne vennero le lunghe guerre civili
e l’Imperio di Augusto „ (Ottolenghi, Voci JOriente, Lugano, Mente
possente, senso politico sicuro, comprensione dei tempi piena. Non si può
dunque attribuire a deficienze intellettuali il modo con cui Cicerone
valutò Cesare e il movimento da costui capeggiato. Egli non vide
certamente Cesare come la sua figura si è plasmata nella storia, che corona
con eternità d’ apoteosi tutto ciò che ha trovato in ogni presente la
consacrazione del bruto successo di (atto. Lo vide come glielo presentava
la realtà immediata. Lo vide come lo vide Catullo: Pulcre
convenit improbis cinaedis, Mainurrae pathicoque Caesarique. E
questo Caesar era proprio Caio Giulio Cesare e quel Mamurra (da Catullo
soprannominato Mentula) il suo generale del genio. A permettere al quale
di mangiare (il verbo si usava anche in latino con
questo preciso significato) milioni su milioni, il commovimento politico
aveva principal¬ mente servito. Doveva essere una cosa nota a
tutti, se Catullo la mette correntemente in versi: Cinaede Romule,
haec videbis et feres? Es inipudicus et vorax et aleo. Eone
nomine, imperator unice, Fuisti in ultima occidentis insula.
Ut ista vostra diffutata Mentula Ducenties comesset aut trecenties
? Cinaede Romule Romolo debosciato, impudico, vorace e giuocatore: cosi
Catullo vede Cesare. E press’a poco così lo vede Cicerone. Egli non
scorge Cesare, quale il fanatismo interessato dei seguaci e poi gli storici
l’hanno costruito: gli storici, i quali (in generale) non fanno mai altro
se non aggiungere, per supino servilismo postumo, la loro adulatrice
consacrazione al suc¬ cesso di fatto e di solito non osano mai, per
la paura di passar per “singolari,,, sviscerare il clamoroso
successo di fatto ottenuto da un grande nella età in cui visse, mettendone
coraggiosamente in luce le vere molle, spessissimo casuali, o
basse, o vili, ma sempre invece per essi è grande colui che nella sua
epoca le circostanze, o la perfidia, o i misfatti hanno portato in alto. Si
vous avez une vue nouvelle, une idée origi nale, si vous présentez !es hommes
et les choses sous un aspect inattendu, vous surprenez le lecteur. Et le lecteur n’aime pas à ótre
surpris. Il ne cherche jamais dans une histoire que les sottises qu’ il
sait dejà. Si vous essayez
de l’instruire, vous ne ferez que l’humilier et le fàcher. Ne tentez pas
de l’éclairer, il criera que vous insultez à ses croyances... Un
historien originai est 1 objet de la défiance, du mépris et du dégoùt
universels. Questo è l’abituale comportarsi degli storici, secondo
la satira, aggiustatissima, che ne schizza A. France, L’ ile des
Pingouins. Ci sarebbe solo da aggiungere che spesso il servilismo degli storici
verso i pesonaggi della storia che scrivono serve al loro servilismo
verso i personaggi della storia che vivono. Cicerone vede Cesare muoversi
davanti ai suoi occhi, nella vita vera, non nella luce abbagliante
del mito. Esso gli appare screditato, corrotto, senza senso di
morale nè privata nè pubblica, uomo la cui vita, i cui costumi danno la
certezza che si condurrà male : e sopratutto la danno la gente che
lo circonda. O Dii, qui comitatus ! in qua erat area scelerum! scrive ad
Attico, dopo uno dei suoi abboccamenti con lui. Egli sa che Cesare
aveva cominciato a costruirsi la sua potenza accaparrandosi e tenendo
alle proprie dipendenze i manigoldi audaci e bisognosi. Egli scorge. Nell'
interessantissima antologia di pagine storiche di Chateaubriand, testé
pubblicata dall’editore Tallandier sotto il titolo Scénes et portrails
historiques, si legge. Tout personnage qui doit vivre ne va point aux générations futures
tei qu’ il était en réalité: a quelque distance de lui, son epopèe
commence : on idéalise ce personnage, on le transfigure ; on lui attribue
une puissance, des vices et des vertus qu’ il n’eut jamais ; on arrange
les hasards de sa vie, on les violente, on les coordonne à un
système, Les biographes répètent ces mensonges ; les peintres fixent sur
la toile ces inventions et la posterité adopte le fantóme. Bien fou qui croit à l’histoire. L’histoire est
une pure tromperie „. E Montesquieu, dal canto suo aveva già
osservato : “ Les places que la posterité donne sont sujettes, corame les
autres, aux caprices de la fortune „ ( Grandeur et décadence des Romains.
Habebat hoc omnino Caesar : quem piane per- ditum aere alieno egentemque,
si eumdem nequam homi¬ nem audacemque cognorat, hunc in familiaritatem
libentissime recipiebat (Fi/.radunata attorno a Cesare tutta la gente
equivoca e sospetta, violenta e disperata, tutte le anime dannate, vexu
(<x (Ad Att. IX. 18), “ omnes damnatos, omnes ignominia affectos,
omnes damnatione igno- miniaque dignos, omnem fere inventutem,
omnem illam urbanam et perditam plebem (Ad Att.,), tutti i giovani circa
i quali pensava che “ma¬ ximas republicas ab adolescentibus labefactas,,
(De Seti.), tutti coloro ch’egli chiamava « perdita iuventus (Ad
Att.) e poc’anzi « barbatuli iuvenes, grex Catilinae »), feccia di
Romolo, i precursori di quella che poi Giovenale denominerà «turba
Remi»; cosicché, egli scrive ad Attico, intorno a Cesare è
raggruppato tutto il canagliume della penisola, cave autem putes quemquam
hominem in Italia turpem esse, qui hinc absit; osservazione identica a
quella che è costretto a fare il cesariano Sallustio: occupandae
reipublicae in spem adducti homines, quibus omnia probo ac luxu-
ria polluta erant, concorrere in castra tua (De Rep. Ord.). Come Catullo,
Cicerone vede con disgusto i cesariani ormai dominatori darsi al
lusso ed al fasto, giuochi, cene, delizie, mentre Balbo (altro
comandante del genio di Cesare e sua longa manus in Roma) si costruisce
dei palazzi, “quae coenae? quae deliciae?... at Balbus aedificat „
“(Ad Att), e Antonio scorrazza l’Italia confi) Val la pena di riportare
tutto il passo perchè esso ducendosi dietro in una lettiga aperta la sua
amante in un’altra sua moglie, “ septem praeterea coniun- ctae
lecticae amicarum sunt an amicorum ? „ l^/JJ Att. X, IO) (I). Tutto ciò
desta in Cicerone una nausea invincibile: “ nosti enim non modo
sto¬ machi mei, sed etiam oculorum, in hominum insocontiene
un’osservazione di indole psicologica e morale eternamente vera e colta
da Cicerone dalla vita stessa che lo circonda. At Balbus aedificat ; tl
yàp «ÒTfij péÀst ; Verum si quaeris, homini non recta sed vuluptaria
quaerenti nonne [kfifwTai ? „ Cioè: “ Balbo pensa a costruirsi palazzi.
Che importa a lui di tutto ciò ? E in verità, se a un uomo non sta a cuore
la dignità e la coscienza, ma solo il suo interesse, fa bene a far così :
può dire ho vissuto La ributtante figura d’Antonio risalta
scolpita non solo nelle lettere di Cicerone, ma, più ancora nelle
Filippiche (v. specialmente FU. He.). Pagine che stanno a dimostrare una
volta di più come, in una situazione politica tirannica ed eslege, anche
persone notoriamente turpi possano salire ai più alti gradi, perchè il
controllo dell opinione pubblica e la possibilità di censure sono
sop¬ presse dalla forza e la gente costretta al silenzio. Non
ostante, in un primo tempo Cicerone, usando l’avveduta prudenza dell’uomo
politico, aveva cercato di persuadere quasi amichevolmente Antonio a
rimanere nell'orbita della legge. Ciò con la Fil. I, di cui è il caso di
citare le se¬ guenti righe : “ Sin consuetudinem meam, quam in repu-
blicam semper habui, tenuero, id est, si libere, quae sen- tiam, de
republica dixero; primum deprecor ne irascatur, deinde, si haec non
impetro, peto ut sic irascatur, ut civi lentium indignitate, fastidium (Ad
T)iv. Quanto a Cesare, egli è per Cicerone “ hominem amentem et miserum
che non ha mai conosciuta neppur l’ombra dell'onestà, che considera la
tirannide come il maggior dono degli Dei, (Ad Alt.), capace di ogni
scelleraggine, omnia taeterrime
facturum, uomo del quale “ vita, mores, ante facta, ratio suscepti
negotii, sodi „ fanno ritenere che non potrà comportarsi se non perdite. La
sua condotta sarà anche resa peggiore di quel che per l’indole di
lui sarebbe, dal fatto che il vincitore nella guerra civile deve pur
contro sua volontà operare ad arbitrio di coloro che l’hanno aiutato a
vincere. Omnia, scrive a Marcello, sunt misera in bellis civilibus ;
sed miserius nihil, quam ipsa victoria : quae etiamsi ad meliores venit,
tamen eos fero- [La stessa ripulsione, e per la stessa ragione, Filippo
destava in Demostene. È circondato (egli dice) da ladri, da adulatori, da
gente che si abbandona a immoralità che non oso neanche ripetere. E De¬
mostene si illudeva che anche perciò Filippo sarebbe caduto. Geloso e ambizioso
com' è (egli dice) allontana gli uomini di valore, che gli danno ombra ;
gli uomini assennati e morigerati, che sono rivoltati dalle sue
immoralità (àxpaafav xoO pioti -/.al xal xopSaxia|jioOs) sono
da lui cacciati e ridotti a nulla, TrapEwaHa'. xal sv Ò'jSevò; s!va'.
|ispei (ib. 18). Ma pur troppo i fatti hanno sempre provato che è vana
speranza contare che queste ragioni facciano cadere un uomo dal potere.
L’esigenza morale non trova sanzione nella storia e nella
politica. ciores impotentioresque (più sfrenati) reddit ; ut etiamsi
natura tales non sint, necessitate esse cogantur ; multa enim victori eorum
arbitrio per quos vicit, etiam invito, facienda sunt„ (Ad Div.). E
su questo stesso pensiero insiste anche con Cor- nificio (Ad ©iv. Xil,
18). Bellorum enim ci- vilium hi semper exitus sunt, ut non ea soium
fiant, quae velit victor, sed etiam, ut iis mos gerendus sit,
quibus adiutoribus sit parta victoria La situazione scaturita dalla vittoria di
Cesare appare a Cicerone un mostruoso sfacelo dell’eticità
pubblica. “ Tutto allora in Roma precipitava a rovina, religione,
costumi, esercito, cittadinanza, popolo, senato, magistrati, privati ; e in
quel rovescio d’ogni cosa umana e divina, poneva i fondamenti
sanguinari la tirannia degli imperatori Cicerone vede come non appena Cesare,
annientati i suoi avversari, e rimasto solo sulla scena politica,
ha messo violentemente le mani sullo Stato, e in Il modo genuinamente
italiano di considerare Cesare è quello che un veramente grande italiano,
il Carducci, ci presenta nei due sonetti II Cesarismo , che
cominciano con le parole, estremamente significanti e pregnanti,
Giove ha Cesare in cura. Ei dal delitto Svolge il diritto, e dal misfatto
il fatto. Entrambi i sonetti mentano di essere attentemente
letti, con la nota al v. 14 del secondo, che li accompagna.
Barzellotti, Delle Dottrine Filosofiche nei libri di Cicerone.
seguito a ciò “ omnia delata ad unum sunt (jdd Div.) al punto che Cesare
redige in casa sua, a suo libito, quelli che devono apparire come
senatusconsulta (Ad Div.), si formi un’atmosfera di falsità, di servilismo, di
adulazione uni¬ versale, tanto da parte di privati quanto di enti
pubblici, cosicché non si distingue più il sentimento sincero dalla
simulazione, “ signa perturbantur, quibus voluntas a simulatione
distingui posset « (Ad Att. Vil); (1) quell’adulazione e quel
servilismo, che, diventati poi a poco a poco oramai di rito, Lucano, più tardi
sotto NERONE, stigmatizza con magnifici versi, facendone risalire 1'
inizio appunto al dominio di Cesare. Cette abjection de la patrie releva I’ àme
de Cicéron par l’indignation et par la honte. La victoire de Cesar,
au lieu de l’en rapprocher, l’en éloigna. Le succès, qui est la raison du
vulgaire, est le scandale des grandes àmes (Lamartine, Cicéron, Calmati -
Levy, 1874, pag. 167). E’ un libro, poco conosciuto, in cui
Lamartine, in forma simpaticamente piana e scevra da ogni
erudizione, presenta, nella sua nobile luce, e con accenti assai
elevati, la figura di Cicerone. Ne vogliamo, a conferma di precedenti
osservazioni, estrarre ancora due passi. “ Les ambi- tieux, les factieux, les séditieux,
les corrupteurs et les cor- rompus, la jeunesse, la populace et la
soldatesque, les barbares mèmes enrólés dans les Gaules, étaient
avec Cesar. Coriolan... n’avait
rien fait de plus monstrueux... et cependant l’histoire a flétri Coriolan
et a déifié Cesar. Voilà la
justice des hommes irréfléchis, qui prennent le succès pour juge de la
moralité des événements. Namque omnes voces, per quas iam tempore tanto
Mentimur dominis, haec primum repperit aetas. Qua, sibi ne ferri
ius ullum, Caesar, abesset, Ausonias voluit gladiis miscere
secures, Addidit et fasces aquilis et nomen inane Imperii
rapiens signavit tempore digna Maestà nota. Cicerone vede come,
appena risultò che Cesare era saldamente stabilito al potere, non solo i
sovversivi ma anche gl’ottimati le vecchie figure Si avverte che la
parola imperium qui non significa il
nostro impero ma officio pubblico legale Lucano vuol dire che Cesare copri
l’usurpazione, assumendo falsamente il semplice nome d’un officio
pubblico legale. Come è noto, è sopratutto col nome di potestà tribunicia
che ( usurpazione si effettuò. Nel libro, ricco di dottrina e di acume,
di G. Niccolint, Il Tribunato della Plebe (Hoepli) si mostra che 1’
impero si costitui deformando e nell’ istesso tempo assorbendo la
potestà tribunicia. « L'impero non era, in ultima analisi, che il trionfo
della democrazia [più esatto sarebbe dire: demagogia], e se chi aveva
fondato il suo potere sul partito democratico, non poteva abolire la
pericolosa magistratura, non gli restava che appropiarsela nella sua
sostanza, se non nella forma esteriore... Cosi la temuta magistratura,
nata per difendere la libertà del popolo, che conteneva perciò elementi
di sovranità atti a svilupparsi in tirannide costituiva ora l’essenza del
potere civile del monarca. 11 contegno adulatorio e vilmente opportu¬
nistico comincia con gli uomini il cui prototipo è Attico. C’est
assurément ce qui nous répugne le plus dans sa vie ; il a mis un
empressement fàcheux à s’accomoder au regime nouveau „ (Boissier, Cicéron
et ses amis). politiche, abili a restar sempre a galla, “ huic
se dent, se daturi sint „, sia pure perchè terrorizzati, sebbene
essi ora dicano che lo erano quando ossequiavano Pompeo (Ad Alt); come essi
se^ venditant „ a lui, mentre i'municipi fanno di lm vero Deum, e il
grosso del pubblico sta inerte, passivo, indifferente, non pensa
che alla propria tranquillità (otium), non rifiuta, come non ha mai
rifiutato, nemmeno la tirannide dummodo otiosi essent, non si
occupa che dei campi, delle ville, dei quattrini, nihil prorsus aliud
curant nisi agros, nisi villulas, msi nummolos suos; atonia che si
aggravo ancora più tardi quando diventava po^ tenie Antonio : “ mihi
stomachi et molestiae est populum romanum manus suas non in
defendenda YA/I own ," plaudendo consumere (Ad Att. AV|
. lU- Ma questa prosternazione e adula- [Anche qui si riscontra un
parallelo nella potente e \ ibrante invettiva di Demostene per l’inerzia
dei Greci del suo tempo. Non e senza ragione (egli dice) che i
Greci una volta avevano a cuore la libertà e ora invece hanno a cuore la
servitù. Gli è che allora (prosegue) vi iTera^ C ° Sa 'vi Persian ° e fece la Grecia def
rarH mVlnC |! bl 6 “ T* ® “ mare : ed era la fermezza (Filla 36 C 37ìT 81
asciavano corrompere e comprare uiterr di bene ** Gr “ j .' 1
era un tempo non avere fil ventre el’“7 qUa 'Ì la misura della
felicità e il ventre e 1 inguine (xig yaatpl jisxpoOvtsc xaì iole
V ' l0X ° tS Tr ' v £tJ °aqtovtav) l a libertà fu bevuta alla
zione universale, questo continuo panegirismo ormai diventato di
prammatica, non è, per Cicerone, se non un’universale falsificazione di
coscienza, quella stessa per cui più tardi egli osservava che i
cittadini gementi sotto l’oppressione avevano dato a Cesare colpevole
dell’ orrendo parricidio della patria il titolo di parens patriae : “
potest cuiquam esse utile faedissimum et taeterrimum parricidium
patriae, quamvis ìs, qui se eo abstnnxerit, ab oppressi civibus parens
nominaretur ? ,, {De Ojf.) Questa situazione che fa fremere d’orrore Cicerone,
nella quale egli trova che non c e salute di Filippo e di
Alessandro. E, data questa vostra viltà e servilità, (dice altrove) è
mutile che speriate nella malattia o nella morte di Filippo : anche se
muore, vi creerete tosto voi stessi un altro Filippo, "ay^Éu;
upet; gxepov OIXiotvov Tìsir/ae-re (Fil.). In questo stesso luogo,
volendo Cicerone dimostrare che l'utile e il giusto non possono
distinguersi, scrive fra l'altro : « Hanc cupiditatem [quella di Cesare
di voler dominare tirannicamente la patria] si honestam quis esse
dicit, amens est ; probat enim legum et libertatem mteritum, earumque
oppressionem taetram et detestabilem glonosam putat ». Come, aggiunge,
può essere ciò utile all usurpatore? Anche i re legittimi hanno avversari
; « quanto plures ei regi putas, qui exercitu popuh romani populum
ipsum romanum oppressisset ? Ricco com’era d’un pathos etico affine a
quello di Kant, si intuisce chiaramente dalle sue lettere e dai
suoi scritti che egli sentiva profondamente, come il filosofo
tedesco, che il “ dovere relativo alla dignità dell umanità in noi, e che
è per conseguenza un dovere verso noi piu posto“ non modo pudori,
probitati, virtuti, rec- tis studiis, bonis artibus, sed omnino Iibertati
ac Dh ), gli appare sopraia!,„ basata sulla menzogna e sul
falso, perchè sotto 1 adesione, 1 adulazione, l’apoteosi che
l’atmosfera ufficiale orma, impone, circola larghissimamente quel
malcontento e quell’esecrazione generale verso ì distruttori dello Stato
legale, che egli constatava già precedentemente quando essi avevano
iniziata tale loro opera di demolizione (“ sumiTITJm odium omnium
hominum in eos qui tenent omnia ; mutationis tamen spes nulla Ad Alt.). Questa
esecrazione generale, sotto le parvenze dell’ossequio più profondo, s’è ora
concentrata in Cesare, il quale, dopo poco tempo di dominio, ormai
in realta persino “ egenti ac perditae multiludini in odium
acerbissimum venerit. Invero, Cesare stesso sapeva d’essere odiato e di
dover esserlo, sopratutto per la posizione di superiorità e
distanza, così urtante al senso cittadinesco romano, che egli aveva finito per
prendere : dopo la sua uccisione, Mazio racconta a Cicerone che
stess., può esprimersi in modo più o meno chiaro nei seguent,
precetti: non siate schiavi degli uomini: non permettete che , vostri
diritti siano impunemente calpe¬ stati „ (Dottr. della Virtù § 12). Che
è, del resto, il precetto evangelico : \ii) r £veafre SotW.c-
àv&pdmwv (1, SU V1 ’ 2 ' 3 1 t V Xeu ^ e P t( É Xptaxòs
UylCWXw!]) ^ ” 4Xlv tu r» G. Reati . Vita parallele di due
filosofi avendo dovuto una volta Cesare far fare antica¬ mera
a quest ultimo, aveva detto : se un uomo come Cicerone deve attendere per
essere introdotto da me e non può a piacer suo parlarmi, “ ego
dubitem quin summo in odio sim „ ? (Ad Att. XIV, 1 e 2) A proposito
dell’uccisione di Cesare. Vi sono molti i quali pensano che perchè Bruto
era stato « perdonato » da Cesare e poi anzi « beneficato », egli
dirigendo il tradimento e
l’uccisione del suo benefattore, abbia dato « perfido esempio di cuore
ingrato e irreverente » (Corradi). Questa opinione è la tipica prova della
completa mancanza d’ogni senso di ciò che è diritto. Proprio il
fatto che Cesare gli aveva perdonato », doveva essere per Bruto una
giusta ed onesta ragione di più per abbonirlo. Bruto aveva preso le armi
contro Cesare in difesa dello Stato legale : dunque conforme al diritto.
Decidere sul suo caso, condannarlo od assolverlo, spettava alle autorità
legali (Senato), non a un individuo. Il solo fatto che non già le
leggi o le autorità legalmente costituite, ma l’individuo Cesare, potesse
a suo beneplacito interrompere o far proseguire i processi, ordinare
condanne o assoluzione, assolvere Bruto, perdonare a Bruto (quasiché
condannare od assolvere, e, peggio, « perdonare », supposto si
trattasse di delitto, fosse di competenza d’un individuo, e
quasiché questo stesso fatto non comprovasse lo sfasciamento dello
stato legale compiuto da Cesare) era una ragione di più per avversare e
condannare legittimamente l’uomo e il sistema, e per ricorrere ad ogni
mezzo onde liberarsene. Che, per citare un altro fatto, onde far
ritornane Marcello dall esilio ì senatori abbiano dovuto pregare un
individuo, gettarsi ai piedi d un individuo, dell' individuo Cesare,
è un fatto che doveva legittimamente suonar condanna per Era,
insomma, la situazione che un filologo italiano contemporaneo descriveva di
recente crn tutta esattezza così: La crescente potenza di Cesare,
il quale, dopo la funesta giornata di Farsalo, erigendosi a signore assoluto, e
sopprimendo la libertà della vita politica di Roma, aveva, per
primo, inaugurato la lunga e mostruosa serie degli questo individuo, che
si sovrapponeva in tal guisa alle leggi : condanna, anche quando perdonava, perchè precisamente così
dimostrava che dipendeva, non più dalle leggi assolvere o condannare, ma
da lui perdonare o no. Piena ragione ha Seneca quando in un capitoletto
pieno di considerazioni interessanti circa l’atto di Bruto, dice
che egli non aveva ragione di gratitudine verso Cesare, perchè
questi non aveva acquistato il diritto di fare il bene se non violando il
diritto e perchè chi non uccide non arreca un beneficio, ma si astiene da
un maleficio : in ius dandi beneficii iniuria venerai; non enim servavit
is, qui non interficit, nec, beneficiun dedit, sed missionem. -- De
Benef.. Del pari piena ragione ha Cicerone, il quale, ad Antonio, che gli
rinfacciava come un benefizio usatogli di non averlo ucciso al suo sbarco
a Brindisi, rispondeva : questo è lo stesso beneficio di cui potrebbe
vantarsi un assassino per non aver ucciso taluno : « quod est aliud
beneficium latronum, nisi ut commemorare possint iis se dedisse vitam,
quibus non ademerint ? (Fil.). E
si noti ancora che Seneca e Lucano, vivendo entrambi alla corte di
Nerone, il quale, pure, era della casa Giulia, poterono il primo dare a
Bruto la massima delle lodi facendo dire da Marcello a sè stesso: “ tu
vive Bruto miratore contentus (Ad Helviam), il secondo dipingere
nel suo poema con smaglianti colori di grandezza morale “ magnanimi pectora
Bruti mperatori romani ; la viltà degli adulatori, che disertavano il
partito dei vinti per quello più van- taggioso dei vincitori ; le mene
degli ambiziosi, che, r er trar partito dalle circostanze ad accu¬
mular potenza e ricchezze, pullulavano su su dal fondo di quella corrotta
società, come marcida fungaia dal fondo d’un’ acqua stagnante ; le crudeltà
dei prepotenti, che volevano, anche a mezzo di violenze e di sangue,
aprirsi un varco nella folla dei concorrenti a quella specie d’albero
della cuccagna ch’erano le usurpazioni dei poteri dello Stato con
le loro mille seduzioni e promesse di dominio e di saccheggio dei beni
pubblici e pri¬ vati ; il vivo cordoglio e l’abbandono sconsolato
in cui vivevano, nell’esilio volontario o non volon¬ tario, le anime dei
virtuosi e degli onesti, fautori del partito repubblicano ; tutto insomma
contribuiva a mostrare l’immagine dell’irreparabile catastrofe. Anziché
assopirsi, cresce a dismisura nelle classi non mai dome nel loro
caratteristico orgoglio, il malcontento per il nuovo regime... La miseria
in¬ tanto cresce spaventosamente in Roma e nella provincia ; lo
spettro della fame s’aggira nelle campagne desolate e incolte dell’
Italia ; le classi medie e il popolino sono ridotti alla miseria ed
alla disperazione... Torme di miserabili si vedono per ogni dove languire
d’ozio e di fame U. Moricca, Introd. a Cicer. De Finibus, Torino,
Chiantore Ora, tanto appare a Cicerone falsa e menzognera la situazione
che egli è certo che non può durare. La maschera di clemenza di Cesare e
le sue bugie circa la restaurazione finanziaria (“ divitiarum in
aerario „) sono cadute; è impossibile che egli e i suoi, non d’altro
capaci che di scialacquare, riescano ad amministrare soddisfacentemente le
pro- vincie e lo Stato ; cadranno da sè, per gli errori propri, “
per se, etiam languentibus nobis ,,, “ aut per adversarios aut ipse per
se, qui quidem sibi est adversarius unus acerrimus. Questa
tirannide non può reggere sei mesi, “ iam intelliges id regnimi vix
semenstre esse posse Probabilmente, ciò di cui Cicerone avrebbe sopra¬
tutto incolpati i cesariani è che essi cadevano in quell’errore che il
Romagnosi descrive così : “ La temerità e l’intolleranza sono i vizi che
sogliono guastare questo procedimento [inventivo dell’ incivilimento). Si pecca
di teme¬ rità allorché si tentano innovazioni o rifiutate dalla
natura o non preparate sia nei fondamenti, sia dal tempo. Si pecca
d’intolleranza allorché si vuole seminare e raccogliere ad un sol tratto, e
però si passa ad infierire con¬ tro attriti che da se stessi vanno
cessando in forza della riforma fondamentale già praticata. Siate severi
nel man¬ tenere la giustizia, e nel rimanente lasciate operare il
tempo sul fondo ben disposto. 1 vostri stimoli artificiali, le vostre
correzioni minute, invece di giovare nuociono, invece di affrettare
ritardano; e se per caso avrete un frutto precoce, ne avrete mille
falliti » {Dell’ Indole e dei Fattori dell’ Incivilimento, Avvertimento
finale). Auree pa¬ role d’uno dei nostri massimi pensatori politici, che
an¬ drebbero anche oggi meditate e tenute presenti. Alle Tale
previsione di Cicerone andò incontro ad nna smentita colossale. Quella “
divinatio „ dell’andamento degli eventi che egli, ricavatala dallo studio
e dalla pratica, aveva la coscienza di pos¬ sedere ( 1 ), qui gli fallì
del tutto. E' vero che Cesare quali vanno accostate, sempre ad
illustrazione del senti¬ mento politico, che, in quelle perturbate
circostanze, si sprigionava vivo in Cicerone, le seguenti: “ guai a
quel popolo, nel quale, spento il punto d’onore, non prevalgono che poteri
individuali! „ (/„,/. di Ciò. FU Giurispr. T e ° r \. P \ 1,1 C -
1V ): nonché la sua affermazione dei diritti dell uomo, da lui chiamati “
originaria padro¬ nanza naturale di ogni individuo “ Quelli che
vennero appellati diritti dell'uomo formano appunto il complesso di
questa originaria padronanza. L’indipendenza, la libertà 1 eguale
inviolabilità e il diritto di difesa e di farsi render ragione, sono
tutte condizioni di questa originaria padronanza „ (Lett. a G. Valeri , Cu,
quidem divinationi hoc plus confidimus, quod ea nos mhil in his tam
obscuris rebus tamque perturbatis umquam omnmo fefellit. Dicerem, quae
ante futura dixissem, ni vererer ne ex eventis fìngere viderer » (Ad Dio.
VI, o). Exitus, quem ego tam video animo, quam ea quae ocuiis
cemimus » (Ad Dio. Tamquam ex aliqua specula prospexi tempestatem futuram.
Questa sicura previsione degli eventi, questo sicuro presentimento,
Cicerone lo possedeva in effetto. Anche nella circostanza suaccennata
egli prevedeva giusto, preveveva cioè quello che tutto faceva ritenere
dover accadere. Se i fatti si svolsero in senso del tutto opposto alla
sua previsione, si può, in un certo senso, dire che ebbero torto i fatti,
non Cicerone; cioè che la realtà è irrazionale e casuale, e che mai
vi tu un periodo di storia che sia stato come quello irrazionale e
casuale. fu ucciso poco dopo e
probabilmente lo fu quando e perchè divenne chiara a tutti I’
impossibilità in cui egli era di dominare la situazione, di riordi¬
nare cioè seriamente lo Stato e di soddisfare insieme le brame dei suoi seguaci
(1), cosicché Mazio — uno dei pochi cesariani onesti, che, come
risulta da una sua nobilissima lettera (Ad T)iv. , non aveva sfruttato Cesare
vivo, e che gli rimase fedele anche morto, e anche durante quel
momento in cui, subito dopo l’uccisione del dittatore, il cesarismo
sembrava crollato e i cesa¬ riani in pericolo — diceva, deplorandone la
morte: che catastrofe ! non c’è più rimedio ; se lui, con 1’
ingegno che aveva, non trovava la via d’u¬ scita, (exitum non
reperiebat), chi la troverà ora ? ,, (Ad Att.). Ma dopo la morte di
Cesare, come appunto prevedeva Mazio le cose finirono per peggiorare
rapidamente. Anche Cice¬ rone è costretto a constatarlo. Il tiranno perì
(egli dice) ma vive la tirannia (Ad Att. Va però tenuta presente anche la
profondissima osservazione di Montesquieu : « Il étoit bien difficile
que Cesar pùt défendre sa vie ; la plupart des conjurés étoient de
son parti ou avaient été par lui comblés de bienfaits : et la raison en
est bien naturelle. Ils avoient trouvé de grands avantages dans sa
victoire : mais plus leur fortune devenoit meilleure, plus ils commen 9
oient à avoir part au malheur commun : car, à un homme qui n’ a rien,
il importe peu à certains égards en quel gouvernement il vive »
(Grandeur et décadence d siamo liberali dal re dai regno (yìj Di,. /aj' fi
marzo non consolano più come pnma (Ad AH. XIV, 12, 22): stolta L
iZZ Martmrum consolano, animis usi sumus virilibus cooubs puenbbus
; excisa est arbor, non avulsa ^ i, fi ; e st . a ‘° Iasc,al ° vi
vo in Antonio 1 erede del regno (ih. XIV, 21); si poteva con
piu libertà parlare contra illas nefarias partes xiv r vivo
che non uccitó ' X V ’ 1 : lnfine crebbe meglio che Cesare
vivesse ancora “ nonnumquam Caesar desideran- dus , Infatti, la
situazione era di¬ ventata quale la descrive ad Attico così • “ S
ed vides magistrati ; si quidem illi magistratus'; vides tyranni
satellites m impems ; vides eiusdem exer- cniis ; vides in latere
veteranos In conseguenza il sistema di governo che Cicerone prevedeva non
poter durare un semestre, durò invece, continuamente aggravandosi o
peggiorando per quattordici secoli, cioè per quanto visse l’impero
bizantino. Ma la fallacia di questa previste la torio
all. mente di Cicerone. E' la fallacia propria delle menti profondamente
razionali, che hanno una fede inconcussa nella ragione ; e la mente
di Cicerone era appunto secondo la felice dennizione che ne dà Io
Zielinski, un “ Aufkà- rungsvers tand. A codeste menti è
impossibile (I) O. c. .ammettere che la mostruosità, l’irrazionalità,
l’assurdo vengano a tradursi permanentemente nel fatto, si facciano
solida e stabile realtà. "Ciò è assurdo, quindi è impossibile „ ;
questo è per siffatte menti un canone assolutamente insopprimibile,
sradicando il quale essa sentirebbero di strappar le proprie
medesime radici. A cagione della stessa forza della loro compagine
razionale, è ad esse impossibile riconoscere che il fatto che una cosa
sia assurda non impedisce menomamente che essa divenga realtà e che
anzi quasi sempre nella storia umana avviene che ciò che all’ inizio la
mente scorgeva come cosa “ assurda », “ pazzesca „, implacabil¬
mente ciò non ostante si realizza. Come buon platonico Cicerone non
poteva a meno di essere fermamente convinto che oòx eattv Sit àv xij
|a£r;ov xoótotj xaxòv TTaìfoi y) Xóyou? (juar^aag (Fed..). Nel
logos egli aveva indefettibile fede. Egli scorgeva dietro a sè, fin dove
1 occhio della memoria poteva giungere, soltanto governo di popolo.
Questo era per lui una conquista permanente» della civiltà, la civiltà
stessa, la civiltà che non può perire. Con tale forma di governo il suo
spirito si era immedesi¬ mato ; essa faceva parte essenziale della sua
coscienza d uomo, formava il cardine su cui poggiava tutta la sua vita
spirituale Pensare che tale Che tale stato d'animo fosse non solo
ciceroniano ma romano, emerge anche da ciò che l’indignazione per la caduta di
quella forma di governo si formi potesse crollare e permanentemente
scomparire, era come pensare che potesse precipitare tutto ciò che si è
sempre visto stabile, la terra, il sistema solare, ciò che è
l’incarnazione di un’eterna legge della natura. Sempre gli uomini quan- o
si sono trovati in una fase di cangiamento analoga a quella in cui si trova
Cicerone_e tanto più quanto più la loro mente era fortemente
razionale hanno emesso la medesima errata previsione di lui ; ciò è assurdo,
quindi impossibile, quindi non può durare. prolunga sino in S. Ambrogio,
in cui, da signore romano d antica razza quale era, la romanità viveva
ancora, Hic erat pulchemmus rerum status, nec insolescebat quisquam
perpetua potestate, nec diuturno servitio frangebatur. Nemo audebat alium
servitio premere, cuius sibi successuri in honorem mutua forent subeunda
fastidia; nemini labor gravis quem dignitas «ecutura relevaret. Sed
postquam do- mmandi libido vindicare coepit indebitas et ineptas
nolle deponere potestates... continua et diuturna potentia gignit
msolentiam. Quem invenias Hominem qui sponte deponat impenum et ducatus
sui cedat insigne, fiatqe volens nu- mero postremus ex primo?
{Hexameron). . ^ osa & nota : lo stesso errore, la stessa
illusione— nobilissimo errore ! troviamo, come già si e rilevato,
in Demostene, il dramma della cui vita fa esattamente riscontro a quello
di Cicerone. Anche Demo- j. en „ e . p - e - ne,,a seconda Olintiaca
prevedeva che la potenza di rilippo era alla fine ; npÒQ a ùvfjv tfy.ec
~riv teXsut^v t« «payiiax aòttji (§ 5). E questa previsione era per
lui principalmente fondata appunto sul fatto che una potenza costrutta
sulla malvagità non può durare. Oò yàp gcmv, Il dramma, terribile dramma,
della vita di Ci¬ cerone, è appunto questo. II dramma dell’uomo
oìjy. laxiv, u> àvopEg ’Avrjvatoi, àSixoùvta -/.al èruop- xoOvxa
xa: ^£'joÓ|ìsvov Sóvajuv j3ej3aiav XTiqaaad’at... xwv jrpà^ewv xàg
àp%à<; xxl xàg ÒTtofliaeig àX^S-sT; xa’. òtxaiag Etvai /tpcaTjxei. E
nemmeno dieci anni dopo Filippo trionfava definitivamente a
Cheronea. Ad ogni momento troviamo questi pensieri nelle orazioni
di Demostene, che perciò sono cosi istruttive circa le illusioni in cui
il « razionalismo » induce gli uomini. Ma neppure la battaglia di
Cheronea guarì Demostene dal1 illusione. Plutarco narra che quando Filippo fu
assassinato, Demostene comparve nell’assemblea, raggiante,
tpatSpòg, splendidamente vestito, incoronato: con la morte dell’uomo,
secondo lui, la costruzione improvvisata ed effimera doveva certo
crollare. E quando Alessandro si fece avanti a sorreggerla Demostene rideva di
quel ragazzo imbecille, ndsioa xai |ia T txT)V (Plot., Dem.). Ma la
costruzione fondata sulla perfidia, e che perciò, secondo
Demostene, non poteva reggersi, sboccò invece nel trionfo
addirittura fantastico ottenuto appunto da Alessandro. Gli uomini
non possono rassegnarsi a credere che una politica malvag-a possa
ottenere un successo duraturo, che il male trionfi permanentemente. Pur troppo,
invece, è questa una pia illusione; e le cose vanno precisamente cosi. E
gli astrattisti, 1 razionalisti, gli spiritualisti, non sanno
ricavare dal male che sotto ì loro occhi permanente trionfa,
neppure quell unico bene che vi si potrebbe ricavare: quello cioè
di essere definitivamente istrutti dell andamento assolutamente arazionale,
alogo, ateo, del mondo e della vita. Chiusi nel loro mondo dei meri
concetti, è a quelli e alle deduzioni da quelli che continuano a credere,
anziché aprire gli occhi ai fatti. < Sapiunt alieno ex ore
petuntque res ex auditis potius quam sensibus ipsis » (Lucr.). che
con disperazione vede rovinare intorno a sè senza possibilità di salvezza
il mondo civile di cui la sua più intima vita stessa era intessuta,
il mondo razionale e trionfare ineluttabilmente, in causa impia,
victoria etiam foedior ( T)e
Off.), l’ingiustizia ed il male, una forma di mondo umano “ impensabile assurda,,.
11 dramma della coscienza eticamente desta che vede con orrore ciò che
essa giudica aberrazione morale e iniquità acquistare ufficialmente il
carat¬ tere di nobiltà, grandezza, elevazione, e avviarsi a restare
definitivamente sotto questo aspetto nella storia. Quando si fa a poco a
poco chiaro nella mente di Cicerone 1 ineluttabilità dell’evento,
quando egli è ormai costretto a vedere che non c’è più speranza, a
domandarsi: quae potest spes esse in ea republica, in qua hominis
impotentissimi (violento) atque intemperantissimi armis oppressa
sunt omnia ? „ (Ad Div.); quando deve constatare che “ tot tantìsque rebus
urgemur, nullam ut allevationem quisquam non stultissimus sperare
debeat „ (Ad Div.), il suo strazio non ha confini- Ciò che già
precedentemente, quando tale condizione di cose si delineava, egli
cominciava a sentire, civem mehercule non puto esse qui temporibus
his ridere possit „ (Ad. Div.), diventa ora il suo stato d’animo
permanente. La vita non ha più sorriso : “ hilaritas illa nostra
erepla mihi omnis est. Il suo grido è quello del coro degli Spiriti nel
Fausi. Du hast zerstòrt Die schòne Welt Mit màchtiger Faust; Sie
stiirzt, sie zerfàllt! Ein Halbgott hat sie zerschlagen ! Wir tragen Die
Triimmern ins Nichts hinuber Und kiagen Uber die verlorne
Schòne. Questo dramma
strappa a Cicerone espressioni di dolore profondamente dilacerante. E la
sua corrispondenza è forse la lettura più viva che l’an¬ tichità e probabilmente
la letteratura d’ogni tempo ci offra, appunto perchè, come in nessun
altro scritto, vi si scorge con l’immediata evidenza della vita vissuta e
quasi vedessimo la cosa svolgersi giorno per giorno sotto i nostri occhi,
come sotto quel dramma sanguini il cuore d’un uomo. Certo anche la
terribilità della sua rovina personale affligge gravemente Cicerone : “ natus
enim ad agendum semper aliquid dignum viro, nunc non modo a-
gendi rationem nullam habeo, sed ne cogitandi quidem (Ad Div.)
; ed egli ha ragione di deplorare di essere stato travolto proprio
nel momento in cui avrebbe potuto e dovuto, cogliendo il frutto
dell’opera della sua vita, toccare l’apice della sua carriera. Omnis me
et industriae meae fructus et fortunae perdidisse Casu nescio quo
in ea tempora aetas nostra incidit, ut cum maxime florere nos oporteret,
tum vivere edam puderet. Certo anche la rovina che incombe sulla sua
famiglia e specialmente sulla sua figlia lo tortura.Quibus in
miseriis una est prò omnibus quod istam miseram patre, patrimonio,
fortuna omni spoliatam relinquam (Ad Att. XI, 9). Ma ciò che forma il
crepacuore di Cicerone non è la sua situazione personale, bensì il
baratro in cui è precipitato lo Stato. Sed tamen ipsa republica nihil mihi est
carius (Ad Dio.). “ Ego enim is sum, qui nihil umquam mea potius,
quam meorum ci- vium causa fecerim. Ma ora ? Ego vero, qui, si
loquor de re publica, quod oportet, insanus, si, quod opus est, servus
existimor, si taceo, oppressus et captus, quo dolore esse debeo ? (Ad
Att.). Due sono sopratutto le note in cui erompe 1 espressione di questo
suo strazio. In primo luogo, andarsene, andarsene dovunque, pur di non
veder più simili cose: “ evolare cupio et aliquo pervenire ubi nec
‘Pelopidarum nomea nec facta audiam „ egli ripete con un tragico antico
(ib. VII, 28, 30, Ad Att.); “ ac mihi quidem iam pridem venit in
mentem bellum esso aliquo exire, ut ea quae agebantur hic, quaeque
dice- bantur, nec viderem nec audirem (Ad ‘Dio. IX, 2); “ longius
etiam cogitabam ab urbe discedere, cuius iam etiam nomen invitus audio. Tu
mi sembravi pazzo (scrive a Curio) quando abbandonasti Roma per la
Grecia, ora veggo che sei “ non solum sapiens, qui hinc absis, sed
etiam beatus : quamquam quis, qui aliquid sapiat, nunc esse beatus
potest ? „ (Ad Db. VII, 28). E’ il desiderio che si fa strada persino nei
suoi trat¬ tati, p. e. nelle Tusculane, dove parlando di Da-
marato. Io giustifica cosi : “ num stulte anteposuit exilii libertatem
domesticae servituti? O, se andarsene non si può, almeno ritirarsi in
solitudine : “ nunc fugientes conspectum scelerato- rum, quibus omnia
redundant, abdimus nos, quam- tum licet, et saepe soli sumus „ (De
Off.). In secondo luogo, morire. “ Perire satius est, quam hos
videre „ (Jd Db. Vili, 1 7) Mortem] quam etiam beati contemnere
debebamus, prop- terea quod nullum sensum esset habitura (I), nunc
(1) Che cosa pensi intimamente Cicerone della vita futura,
risulta, non già dal quadro, avente scopi puramente estrinseci, che
traccia nel Somnium Scipionis. ma dalla sua corrispondenza Oltre il passo
sopra ricordato, e due altri, (Ad Dw.) ricordati più innanzi,
basterà citare: « Fraesertim cum impendeat, in quo non modo ^ or
,*. v erum finis etiam doloris futurus sit. E anche in altre opere di Cicerone
questo suo vero pensiero si manifesta. Cosi nelle Tusculane. Mors.
aeternum nihil sentienti receptaculum. Cosi in Pro Marcello (IX) c Q uo d
(la fine) cum venit, omnis voluptas preterita prò mhilo est, quia postea
nulla est futura» Cosi in Pro Cluentio: quid ei tamdem almd mors
eripuit, praeter sensum doloris ? sic affecti, non modo contemnere debeamus,
sed etiam optare » ( ib. V. 21); la filosofia sembra <
exprobrare quod in ea vita maneam, in qua nihil insit, nisi propagatio
miserrimi temporis ; non si sa <si aut hoc lucrum est aut haec vita,
superstitem reipublicae vivere ; « nam
mori millies praestitit quam haec pati (Ad. AH.) ; « eis conficior
curis, ut ipsum quod maneam in vita, peccare me exi- stimem >
(Ad Div.); mortem cur con-
sciscerem causa non visa est, cur optarem, multae causae. In uno spirito,
così profondamente romano, cioè volto all’attività pratica e civica, la
desolazione dello Stato faceva spuntare questo pensiero: « Ipsi enim quid sumus
? aut cum diu haec curaturi sumus ? » (jdd Att.); quid vanitatis in vita
non dubito quin cogites (Ad Div.).
Cosi, pur nell'atto che prevede la prossima caduta del cesarismo, dice
: Allo stesso modo la pensava Cesare, il quale nel discorso,
riferito da Sallustio, da lui tenuto in Senato circa la pena da darsi ai
complici di Catilina, si oppose alla pena di morte appunto perchè con
questa cessa la coscienza e quindi ogni male : « Eam cuncta mortalia
dissolvere ; ultra neque curae neque gaudio locum esse» (Cat.). Va
però notato che Cicerone dà un’altra interpretazione a questo punto del
discorso di Cesare. Cesare cioè era contrario alla pena di morte. Egli «
intelligit, mortem a diis immortalibus non esse supplici causa
constitutam, sed aut necessitatem naturae, aut laborum ac
miseriarum quietem esse. -- In S. Catilinam.). id spero vivis nobis fore
; quamquam tempus est nos de illa perpetua iam, non de hac exigua
vita cogitare » (Ad. Att.). E il pensiero della morte come unico scampo e
rifugio viene a grandeggiargli dinanzi in modo, che bene spesso lo
vediamo insinuarsi anche nei suoi scritti teorici : così, p. e., nel
proemio del terzo libro del De Oratore : « sed 11 tamen rei publicae
casus secuti sunt, ut mihi non erepta L. Crasso a dis immor-
talibus vita, sed donata mors esse videatur; e così nelle Tusculane :
multa mihi ipsi ad mortem tempestiva fuerunt, quam utinam potuissem obire
! nihil enim iam acquirebatur, cumulata erant officia vitae, cum fortuna bella
restabant. Morte per sè, morte per coloro che amiamo ; questo soltanto è
ciò che lo status ipse nostrae civitatis ci costringe a desiderare: cum
beatissimi sint qui liberi non susceperunt, minus autem miseri qui his
temporibus amiserunt, quam si eosdem, bona, aut denique ahqua
republica, perdidissent... non, mehercule, quemquam audivi hoc
gravissimo, pestilentissimo anno adolescentulum aut puerum mortuum, qui
mihi non a Diis immorta- libus ereptus ex his miseriis atque ex
iniquissima conditione vitae videretur (Ad Div.). Ne solo
nell animo di Cicerone il trovarsi « in tantis tenebris et quasi
parietinis rei publicae induceva il desiderio di sfuggire a questo
sfacelo con la morte ; ma tale sentimento era certo diffuso. Nella
bellissima lettera con cui Servio Sulpicio cerca di consolare Cicerone
per la morte della figlia, 1 argomento principale che egli fa valere
e, nelle circostanze presenti, “ non pessime cum iis esse actum, quibus
sine dolore licitum est mortem cum vita commutare e che Tullia
visse finché visse lo Stato, “una cum republica fuisse „ (Ad Dio.) ; al che
Cicerone dolorosamente risponde che l’attività pubblica lo consolava
dei dolori domestici, l’affettuosa intimità con la famiglia delle
traversie pubbliche, ma ora “ nec eum dolorem quem a re publica capio
do- mus iam consolari potest, nec domesticum res publica . Ed anche in
Catullo, il disgusto invincibile suscitatogli dai “ turpissimorum honores
„, disgusto che faceva gemere dal suo canto Cicerone, cosi ; “ o tempora
! fore cum dubitet Curtius consulatum petere? „ (Ad Att., e circa Vatinio)
suscita 1’ aspirazione alla morte : Quid est, Catulle ? quid
moraris emori ? Sella in curulei struma Nomus sedet, Per
consulatum peierat Vatinius ; Quid est, Catulle ? Quid moraris
emori ? Donde attinge Cicerone qualche conforto in questa immensa
iattura ? Non dal foro che egli (interessante confessione) dichiara di
non aver mai amato e nel quale del resto oggi non c’è più nulla da
tare : “ quod me in forum vocas, eo vocas, unde, etiam bonis meis rebus,
fugiebam : quid enim mihi cum foro, sine iudiciis, sine curia ? „
(Jld Jltt.). Era il momento in cui i vincitori della violenta lotta
politica, giravano per Roma baldanzosi ed allegri, e i sostenitori dello
Stato legale, battuti, erano melanconici : “ Mane salutarne domi et bonos
viros multos sed tristes (1), et hos laetos victores, qui me quidem
perofficiose et peramenter observant „ {Ad Div.). Due di essi,
anzi, Irzio e Dolabella, si erano messi a prender lezioni d’eloquenza da
lui, o forse, con questo pretesto, lo sorvegliavano per conto di Cesare.
Anche queste lezioni recano a Cicerone qualche sollievo {yld Di\>.). In
maggior mi¬ sura, egli ne ricava dal far udire, quando e come era
possibile, qualche parola di ammonimento. Così, pur avendo risoluto di
non più parlare in Senato, allorché sulla universale istanza di questo,
Cesare amnistia Marcello (che non aveva fatto nessun passo per
essere richiamato e sembrava non desiderarlo — e che fu, del resto, assassinato
da un suo impiegato nel momento in cui stava per partire alla volta di
Roma), Cicerone prende la pa- (0 La voce dei gaudenti sfruttatori
di situazioni im¬ morali rinfaccia sempre a coloro che le condannano,
come un torto, di essere afflitti o melanconici. Cosi quella voce
si fa udire, secondo Seneca : c Istos tristes et superciliosos alienae
vitae censores, suae hostes, publicos paedagogos assis ne feceris » (Ep.)
rola per ringraziare il dittatore ; ma sa anche attraverso i ringraziamenti
esporgli il parere più libero e ^coraggioso che forse mai Cesare
abbia sentito. Quodsi rerum tuarum immortalium (egli ha 1 ardue di
significargli) hic exitus futurus fuit, ut devictis adversariis rem
publicam in eo statù relinqueres, in quo nane est, vide quaeso, ne
tua divina virtus admirationis plus sit habitura quam glonae „.
(Pro Marc.). Tu devi, egli incalza, preoccuparti della vera gloria, del
giudizio che da¬ ranno i posteri sulle tue azioni, saper
considerare ciò che tu fai, non cogli occhi abbacinati dei con¬
temporanei, ma con quelli di coloro che giudiche¬ ranno le cose a
distanza, nell’avvenire. Se tu non avrai ristabilito la vera legalità
nello Stato, tu sa¬ rai certo sempre ricordato, ma non con giudizio
concorde : “ erit inter eos etiam, qui nascentur, sicut mter nos fuit,
magna dissensio, cum alii lau- dibus ad caelum res tuas gestas efferent,
alii for- tasse ahquid requirent, idque vel maximum, nisi belli
cmlis incendium salute patriae restinxeris, ut illud fati fuisse
videatur, hoc consilii. E questo un nobilissimo linguaggio da cittadino
onesto e d’animo forte ; linguaggio che, bisogna riconoscerlo, Cesare sa
ascoltare, come altri e ben più vivaci attacchi contro di lui, con
tolleranza ed equanimità, civili animo. -- Svet,, Caes.. Anche Cicerone
nella sua corrispondenza talvolta constata che Cesare andava orientandosi
a mitezza. P. e.: L intolleranza, l’oppressione, l’uso del potere
per far tacere censure al detentore di esso, e persino per impedire
di rispondere agli attacchi, comincia con Augusto ; ed è ciò che fa
uscire Asinio Pollione (lo stesso, alla nascita del cui figlio il servile
Virgilio, pronto a vendersi a tutti i potenti e a prostituire poi il suo
genio a colui che tra questi occupa nella storia per bassezza e nequizia
uno degli “ nam et ipse, qui plurimum potest, quotidie mihi
delabi ad acquitatem et ad rerum naturam videtur „ Ad Dio. VI, 10!,
Che cosi fosse (ed è la stessa cosa che accadde con OTTAVIANO) è
naturale, perchè, se un uomo non è straordinariamente perverso, il suo grande
successo e trionfo personale lo rende incline alla benevolenza verso gli
altri, a diffondere anche intorno il sentimento di felicità che il
successo gli dà. Solo un uomo dal cuore fondamentalmente malvagio nel suo più
pieno e grandioso trionfo, quando ogni cosa gli va a seconda, diventa
sempre più duro e crudele, e non è pago se non condisce quel
trionfo col darsi la sensazione di poter a suo beneplacito tormentare,
perseguitare, far soffrire altri uomini. Tale era Siila, secondo le
parole che Sallustio mette in bocca ad Emilio Lepido : “ Cuncta saevus
iste Romulus, quasi ab externis rapta, tenet, non tot exercituum clade
neque con- suhs et aliorum principum, quos fortuna belli consumpse-
rat, satiatus : sed tum crudelior, curri plerosque secundae res in
miserationem ex ira vertunt. -- Hist. Fragni. Raramente, si, ma però talvolta
avviene che un uomo, favorito dalia più straordinaria fortuna, diventi sempre
più bramoso di far del male agli altri. “ Felicitas in tali ingenio
avaritiam, superbiam ceteraque occulta mala pate- fecit. -- Tac., Hist.. “Itimi
posti, Ottavio, dedicò la sconciamente cortigiana e piagg.atr.ee Egloga
IV) nell’elegante epigramma, riportato da Macrobio (Satura II 4)
che non si può più scrivere dove in risposti si può proscrivere :
temporibus triumviralibus PoIIio cuna fescenmnos ,n eum Augustus
scripsisset, ait: g taceo ; non est emm facile in eum
scribere qui potest proscribere (2) Più ampio conforto ricavò
Cicerone dagli studi, bbene una volta fuggevolmente accenni che forse
senza la sua cultura sarebbe più atto a resistale! exculto emm animo
nihil agreste, nihil inhuma- (I) Si vegga nel libro diV. Alfieri
D»/ p • , » I J1 '> e la
dimostrazione che questa viltà ha in Virg.ho guastato l’arte.
“Quella parte divTna e ha per base il vero robusto pensare e sentire
tm-,1 niente manca in Virgilio „ (L. II C VI) “ V -esse avuto
nell’animo quella P napesco, assai maggiore sarebbe stato egli
stesso e quindi assai maggiore il suo libro „ (L. II C VI • vegga
anche il C. Vili) E il Canti 1 . Ci j ;•
, C S ‘ uh. ed. I. 582 n 94.«V- r ÌU '. Sorla de S^ Italiani,
V l D < ’ VIRGILIO si lascia traricchire anche Boissier, L’opposition
sous tes Césars p. I3Ì” RnU 1 j- qUe f°, . t epigramma ’ senza
citare la fonte il Les e Rom P - r0ba . b,,mente a memor ia, la
seguente versione: Les Komains disaient avec raison qu’ il est rare mi’
™ num est „. (Ad Alt. XII, 46) ; e sopratutto dallo studio della
filosofìa, la passione per la eguale '’quo- tidie ita ingravescit, credo
et aetatis maturitate ad prudentiam et his temporum vitiis, ut nulla res
alia levare animum molestiis possit. „ (Ad Dio. IV, 4). Le sue
lettere di questo periodo sono piene delle sue attestazioni che non vive
se non negli studi filosofici e non trae conforto che da essi. Ad
aumentare questo conforto, ad aiutarlo a stornare il pensiero dalle
calamita dello Stato, s aggiunge la sua atti¬ vità di scrittore. Sono
questi gli anni della sua intensa e feconda produzione filosofica. “ Nisi
mihi hoc venisset in mente, scribere ita nescio quae, quo verterem
me non haberem (Jld Alt.) Equidem credibile non est, quantum scribam die,
quin etiam noctibus, nihil enim sommi. Nullo enim alio modo a miseria
quasi aberrare possum. Vero è che le afflizioni e le ìnquietitudmi,
I incertezza dell’avvenire, derivanti dal pessimo andamento degli affari
pubblici, non permettono piena pace nemmeno nello studio : Utinam quietis
temporibus, atque aliquo, si non bono, at saltem certo statu civitatis,
haec inter nos studia exercere possemus ! „ Però, ap¬ punto in tali
circostanze, “ sine his cur vivere velimus? -- d Dio. Così nascono i saggi di FILOSOFIA
di Cicerone, circa i quali si cita sempre per aiutare a deprezzarli la
fuggevole frase “sono copie” cascatagli dalla penna scrivendo al suo amico
e certo come convenzionale espressioni t Xlì Vf fr ° nte j
1Iammiraz ' on e di lui (Ad X ’ I 52 ’ ma 51 dimentica di affrontare
tale fra e con le sue numerose e consuete esternaziom dalle quali
risulta che ben altra era la stima ch’egli off" 3 de ‘ pr0pr
;. scrltti ' “ Res difficiles „ (ib. XII 38) egli dice di star scrivendo
; quanto alle Jìc- G Q rto -5 C ° nVInt ,° “ U ‘, Ìn f3lÌ 8 enere
ne aVud , cos quidem simile quidquam „ (ib. XIII 1 3)- le
chiama “ argutolos libros „ ^ XIli.Y 8 ,00^ XIII 19? ac n ra ?
posset supra ” r/4. XIII, 9); 1 libri del De Oratore gli sono “ ve
- hementer probati (ib.) e così il De Finibus ib ?AJ ÀI
XvT i , soddisfa Attico bl v ’ im7 e M) e l0ra,OT L'P'a (M
AA- ( ’ 8 ^ eSpnme anehe ,a sua Propria soddisfazione per queste due
opere; mihi vakle pbcent, maHem tibi dice dei libri, perduti
d! Giona (Ad Ali). In particolare, i| e sua opere filosofiche LE
TUSCULANE, che facilmente si prendono per un mero esercizio letterario,
sono invece un saggio profondamente vissuto, rampollato da a
tragica realtà di vita i cui Cicerone si dibatte e che come tale, come idoneo
cioè a fornir conforto e forza in quelle circostanze dove essere generalmente sentito, e certo da Attico
se Cicerone gl, scrive -- quod prima disputatio Tuscu ana te confirmat,
sane gaudeo. Neque enim ndhim est perfugium aut melius aut paratius. Bel saggio,
che in ogni epoca, nelle medesime circostanze da cui esso è nato, è
servito allo scopo per cui era stato scritto – DIE EROICA DER ROMISCHEN
PHILOSOPHIE, come con calzante espressione lo definisce Zielinski. Ma il
supremo conforto di Cicerone è un altro. Esso consiste non tanto
nell’ immergersi nella FILOSOFIA come un’occupazione mentale
opportuna a distornare il pensiero da quello che poi Lucano, il
grande poeta anti-cesariano, define“ ius sceleri datum, quanto nel
rivivere in sè I CONCETTI DELLA FILOSOFIA come atti a fornire forza d'animo per
affrontare e sopportare le sciagure derivanti da una situazione politica e
sociale particolarmente triste. FILOSOFIA cioè non come “ostentationem
scientiae, sed legem vitae „ (Tusc.). Anche in lui, per usare
l’espressione di cui poi si servì Marco Aurelio zi 5 óypaia.
Giustissimamente il Moricca. Saremmo forse anche noi tentati di ritenere
l’operetta tulliana un’amplificazione rettorica, se non pensassimo
che quelle parole sono scritte per una generazione d’uomini nelle cui
orecchie esse andavano diritte al cuore. Un saggio di morale dell’epoca di
Cicerone è da considerarsi non come una fredda e vuota argomentazione
rettorica bensi come un’eco squillante delle voci del passato, che sale dalle
tombe e vince i secoli. Secondo il testo di Trannoy (Les Belles Lettres).
bisogno di vivere tali precetti A' i ,• . ventar succo e sangue e il f T
l d ‘ faHl dl gere a ciò, Cicerone Lnl f" 0 S ° rZ ° per 8 iun
' maniera singola,«sima, scnVoSo^v"' 0 i'I “ na consolazione a
se stesso “ D • Un ^ ro dl profecto anfe me TeZ. ^Z 'T ***
consolarer ; que m librum jf . me per i‘ tera s serint librari; affirmo
tibi^nuLm” 3 " 1 S ‘,^'P' esso talem ; totos die® U c °nsolationem
quid, sed t n^sper 1 C ; ,b ° 5 T“ qU ° proflci ™ XII 14) p t,sper
im P e dior, relaxor „ (Ad 4tt « 'a ll'Tlzr ™ di r'*
d«„e meditazioni morali!^ e8mam0 le Mslre '4«fr-r v lLStó
et,r°d servire 4 IL PORTICO, di cui poi in ,CaZI ° ne Pra ' ÌCa
de,, ° e d oppressivi, uomm Lme° Tm "p" ^ tehi
vid.o Prisco fornirono ° Peto ed EI ’ e che successivamente
si anc ° Ta p ‘ù insigni, .1 hiosofo :z :L: r , ai cristiano, il
sacerdnie • ’ p ° SCIa> n el mondo c„i i,Tat'„ e ' „x:; a ” d f
molti tenevano costantemente in d m ° nre ’ anZI rettoredi coscienza e
confortatore, iHoro ZofoOX . Plauto, fatto morire da Neron» • mi
istanti assistito e confortato dai “ / V ‘ ene " ei 3U0 ' u,tl
Cerano e Musonio (Tac., Ann. XwTv)), Trlse’ O Socrates et socratici viri! -- esclama
Cicerone, qui, veramente riguardo a traversie di carattere privato). Numquam
vobis gratiam referam Un immortales quam m ihi ista prò nihilo (Ad
Alt. ). Attico (egli scrive al suo liberto e segretario Tirone) mi vide
agitato, crede che sia sempre lo stesso, “nec videt quibus presidii
philosophiae septus sim -- Ad Div. La disperata e rovinosa
condizione dello Stato -- quidem ego non ferrem nisi me in philosophiae
portum con- tulissem. “ Equidem et haec et omnia quae homini
accidere possunt sic fero ut PHILOSOPHIAE magnam habeam gratiam, quae
me non modo ab sollecitudine abducit, sed etiam contra omnes fortunae
impetus armat, tibique idem censeo faciendum, nec, a quo culpa absit,
quid- quam m malis numerandum -- Ad Div. E noi vediamo veramente
questo pensiero centrale del PORTICO, cioè lo sforzo di distornare
il proprio interesse da ogni cosa esteriore per concentrarlo unicamente
nel nostro comportamento, e m ciò trovare appagamento e pace (questo,
come si può chiamare, ottimismo della disperazione, che e il solo
che resta nei momenti di maggiormente infelici condizioni esterne, perchè
vuole appunto, riconoscendo tale inguaribile infelicità, trovare an-
Demetrio: e Seneca dice di Cano. dato al supplizio da Caligola -- prosequebatur
illuni Losophus suus -- (De Tranq. An.). man- phi-
i cora una tavola di salvezza), vediamo questo pensiero centrale dello
stoicismo svelarsi sempre più chiaro agli occhi di Cicerone e proprio
come postogli innanzi delle circostanze di fatto. Sic enim sentio, id
demum, aut potius id solum esse miserum quod turpe est (Ad Att.). Video philosophis placuisse iis qui mihi
soli videntur vim virtutis tenere, nihil esse sapientis praestare nisi
culpam -- (Jld Dio.. Cogliamo il procedere di questa appassionante
tragedia, per cui un uomo di indole ilare e disposto a gioire delle cose,
degli spettacoli naturali, delI arte, della letteratura, delle relazioni
sociali, dell’attività pubblica e anche della ricchezza, è, a poco a
poco, dal rovinio politico, risospinto entro se stesso e costretto a
vedere e cercare la felicita soltanto nel proprio retto comportarsi. Le
meditazioni filosofiche (scrive a VARRONE) ci recano ora maggior frutto “sive
quia nulla nunc in re alia acquiescimus, sive quod gravitas morbi
tacit, ut medicmae egeamus eaque nunc appareat, cuius vim non sentiebamus
cum valebamus -- Ad r i0 ’. Naturalmente con questo alto sentimento a cui
Cicerone è ora pervenuto, il pensiero della morte, qui fonte anchesso di
consolazione e forza, viene a intrecciarsi. Nunc vero, eversis omnibus
rebus, una ratio videtur, quicquid e veni t ferre moderate praeserlim cum
omnium rerum mors sit extremum magna enim consolatio est cum
recordere etiamsi secus acciderit te tamen recta vereque sensisse --Ad
Div. Nec enim dum ero angar alia re, cum omni vacem culpa ; et si
non ero, sensu omnino carebo. Il crollo dello Stato è cosa gravissima -- tamen
ita viximus et id aetatis iam sumus, ut omnia quae non nostra culpa nobis
accident, fortiter ferre debeamus (Jld Div.). E tali pensieri, tali alti
ed austeri conforti ed incoraggiamenti, i grandi spiriti di quel periodo
si scambiavano tra di loro, prova, sia di quanto il dolore per la
catastrofe dello Stato era largamente sentito, sia della estensione che a
lenimento di questo dolore siffatto ordine di pensieri allora aveva
preso. Era la genuina visuale del PORTICO a cui i nefasti avvenimenti
politici aveva tutti guidati -- non aliundo pendere, nec extrinsecus aut bene
aut male vivendi suspensas habere rationes -- Ad Div. Se Cicerone ad ogni
momento ripete di sè quidquid acciderit, a quo mea culpa absit, animo
forti feram (Ad Div.), nec esse ullum magnum malum praeter culpam; sed
tamen vacare culpa magnum est solatium; se per sè pensa fortunato, quam
existimo levem et imbecillam, animo firmo et gravi, tamquam fluctum a
saxo frangi oportere; se l’esperienza di quella dolorosissima fase
lo fa approdare alla definitiva conclusione che in omni vita sua quemque a
recta conscientia transversum unguem non oportet discedere (Ad Att.) —
queste sono amici, « a Lucccio7“'“ 8 “ 1 « f'umanas contemnentem et
opule C on^t r 7 "* c„ g „„ vi „ {Ad0 7 casu, et deiicto
h Z ,n non aP r l “ 1U,piludi ”' non veri „ (ih V |7) ’ M a i ° rum
ln,una commo- Pme.;/ cu,pl'ai picca,tT'° ; ■" “ÌJ—*
digni et Ss TstrrdublteTo; ^ ea maxime conducant ! P ° SSimus ’ V. 19
) : e a Torquato ‘ ‘ f T Tectl8s '™" (A. praesertim quae absit a ancora a Torauato •
“ ■ P , V1 ’ 2 )> e delio Stato) vereor ne I ^ n 3 ' (,a
rovina teperiri, praete, i|| am q “ a TtaMa"e“ “ P °7
“r: e®, atque noTZIt,» questi sentimenti ogni IralToìtTd' !“l
“ 7 ° a anch’egli aveva bisogno ’’No|!\e oh ■ - ' 7 ? scrive
Sulpicio in morte di Tullia) Cicerón ^ 1 ^ ' et eum aui a Ine ' '-' ,cer
°nem esse 9 ' 3l,,S COnsuer,s Praecpere et dare consilium... quae alns
praecipere soles, ea tute tibi subirne, atque apud animum propone;
vidimus ali- quotiens secundam pulcherrime te ferre fortunam fac
ahquando intelligamus adversam quoque té aeque ferre posse. Dalle lettere
di Cicerone si potrebbe così ricavare un antologia di massime di vita del
PORTICO da servire efficacemente in ogni tempo al ripresenarsi di
analoghe circostanze (e tale è forse sopratutto la ragione per cui queste
lettere suscitarono in ogni tempo I ammirazione, anzi il culto di nobili
animi), pm efficacemente ancora che non i suoi trattati, come le TUSCULANE
e il DE OFFICIIS, ove egli da sistemazione teorica alle medesime
idee 1 qual, però appunto perchè non contengono se' non quelle .dee
morali che, suscitate in Cicerone dalle vicende di ogni giorno, riempiono
la sua corrispondenza, ci si ridimostrano, non mere esercitazioni letterarie,
ma anzi saggi cresciuti su dalla vita vera e scritti col sangue che le
ferite inferte da questa fanno stillare dal suo cuore. Herzenphilosophen
chiama giustamente Cicerone Plutarco racconta che un giorno OTTAVIANO essendosi
accorto che un suo nipote scorgendolo nasconde impaurito un saggio sotto
la (1)0. dt., 112 toga, glielo prende, e visto che e di
Cicerone ne legge un tratto, poi lo reshtui al ragazzo, dicendo uomo
dotto e amante della patria, Xó r ,o : *vl' ?. «rat, io T ,o £ *«l Tardo
(come al so’ hto) riconoscimento del meriti di colui che egli ha
raggirato, tradito, abbandonato al carnefice Ma Cicerone e qualcosa di
più. Spirito altissimo e st'anzetn m n “'T'? 1 "”'’ da »! le
circo- ero \ „ j " 6 r 1 ' **' vivere, espres. sero, m
ragione di tale sua sensibilità, una soma d dolore enorme, egli
seppe da questa esperienza d, dolore trarre un-espenenza morale di
elevazione e di purificazione del dolore stesso nel fuoco
della filosofia intesa come via, di cui molti ,„ e b dTrendl'
' aPaC '' QUeS '° * P a,ll “ la "”ente ciò che rende
appassionatamente attraente la sua grande figura alla quale
veramenle-secondo un penTero che trova eco sino m Giovenale -e
Roma' ltf !a " “ u la 8erva arl “lazione lo dava Sr p
a,t a , a, ' ebl> ' a,hibl,Ì, ° N di ' P ad - Sed Roma parentem,
Roma patrem patriae Ciceronem libera dixit. Altri saggi: Pesco Piente Fu , un [Mi|an0i CogliariJ.
f? Ap ° r ' e Jella R'Hgiont [Catania, - Etna 1 Motwl Spirituali
Platonici [Milano, Gilardi e Noto] nSTT, d ' W Jr aZl0nalim0
|N«poli. Guida], Materialismo C„„ c0 [R om ., CaS a ^ ^
Pagine di Diario : Scheggio [Rieti, Biblioteca
Editr.J, Cicute [Todi, Atanórj. Impronte [Genova, Libt. Ed.
Italia] Sguardi [Roma. La Laziale], Scolli [Torino, Montes,
], Imminenti :
Critica deir Amore e del Lavoro [Catania. Critica della Morale [Catania,
“ Etna .. " Etna J. Giuseppe Rensi. Rensi. Keywords:
filosofia dell’autorita, autorita e liberta, Gorgia, Gorgia ed Ardigo,
Santucci, Tendenze della filosofia italiana nell’eta del fascismo, Gentile,
necrologio, Ardigo, Platone, Cicerone, Ficino, Bradley, Bosanquet, diritto e
forza, filosofia della storia, Gogia, Elea, Velia, Elea ed Efeso, Gorgia. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Rensi” – The Swimming-Pool Library. Rensi.
Grice e Ressibio: la ragione conversazionale della diaspora di Crotone –
Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Metaponto). Filosofo italiano. A Pythagorean cited by
Gamblico.
Grice e Resta: la ragione conversazionale e le
masserizie della mutua fiducia conversazionale – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Bari). Filosofo Italiano. Grice: “I
like Resta; I was reading a book on golf that the Italians define, as I would
cricket, as the game of ‘fiducia,’ so it is nice to see that Resta has tried to
formulate some ‘rules,’ as we would call them, for trust. The cover of the essay
is especially fascinating, as it depicts two acrobats on a circus ring. Where
‘fiducia’ becomes a matter of life and death – or a vital evolutionary tract,
if often ‘ciecco,’ as Resta puts it. His research reminds me of Warnock on
‘trust’ in “The object of morality.” Essential Italian philosopher. Filosofo. Nominato
Alfiere del Lavoro. Studia a Bari. Insegna a Bari e Roma. Dirige un seminario sulla
cultura giuridica alla fondazione Basso-Issoco. Colabora a "Sociologia del
Diritto" e "Politica del Diritto". Spazia dai temi classici della filosofia dfino a temi
di particolare attualità quali quelli riguardanti l'infanzia, i diritti dei
minori e il bio-diritto. Particolarmente interessanti sono i saggi nei quali
indaga sul significato e sui risvolti giuridici del concetto di
"farmaco" come anti-doto necessario alla violenza. Saggi: “Conflitto
e giustizia” (Bari, De Donato); “Diritto e sistema politico” (Torino, Loescher);
“L' ambiguo diritto” (Milano, Angeli); “Poteri e diritti, Torino, Giappichelli);
“La certezza e la speranza: diritto e violenza” (Roma, Laterza). Le stelle e le
masserizie: paradigmi dell'osservatore” (Roma, Laterza); “L'infanzia ferita” (Bari,
Laterza); “Il diritto fraterno” (Bari, Laterza); “Diritto vivente” (Bari, Laterza);
“Le regole della fiducia” (Bari, Laterza); bio-diritto. Eligio Resta. Resta.
Keywords: della fiducia, le stelle e le masserizie. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Resta” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Restaino: la ragione conversazionale ed
Antonino e compagnia – filosofia italiana – Luigi Speranza (Alghero). Filosofo Italiano. Grice: “Only in Italy, a
philosopher philosophises about cartoons!” Filosofo. Studia e insegna a Cagliari e Roma. Studia la
storia della filosofia e dell'estetica.
Il suo saggio forse più noto è una “Storia del fumetto: da Yellow Kid ai manga”
(POMBA, Torino) che non ha mancato anche di suscitare alcune polemiche, fino al
punto che un gruppo di appassionati di fumetti lancia una petizione chiedendo
alla casa editrice il ritiro del saggio, accusato di contenere gravi lacune ed
errori. Gabrielli, Petizione contro l’POMBA per la Storia del Fumetto, Lo
Spazio Bianco, Plazzi, Il fantasma del fumetto, in il Mulino, Bologna, Mulino. La
fortuna di Comte, Comte sansimoniano, in Rivista critica di storia della filosofia,
Comte scienziato, Comte filosofo, Mill e la cultura filosofica, La Nuova
Italia, Firenze, Mill: Scritti scelti, Principato, Milano, “Scetticismo e senso
comune” (Laterza, Bari); Hume, Riuniti, Roma, Filosofia e post-filosofia” (Angeli,
Milano); Storia dell'estetica” (Pomba, Torino); “Storia della filosofia,
fondata d’Abbagnano, in collaborazione con Fornero e Antiseri, La filosofia contemporanea
(Pomba, Torino); La filosofia inglese, in La Filosofia; Paganini,
Piccin-Vallardi, Padova, Storia della filosofia, Pomba Libreria, Torino, La
Rivoluzione Moderna. Vicende della cultura (Salerno, Roma); Giovanni Franco
Restaino. Restaino. Keywords: Antonino e compagnia. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Restaino” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Ricordi: la ragione conversazionale eil
Nerone di Manfridi, Seneca o dell’essere per amore, e gl’inganni dell’infinito
di Leopardi sulle ceneri di Pasolini nell’inferno d’Aligheri – filosofia
italiana -- Luigi Speranza (Milano).
Filosofo italiano. Se è vero che Shakespeare inventa l'umanità, è altrettanto
vero che egli l'ha poi divisa, il più delle volte, tra due grandi generi di
rappresentanti: e questi passano davvero per le categorie dell’accademia degli platonici
e il lizio degl’aristotelici. Merk Ricordi, in arte Teddy Reno e la produttrice
e distributrice cinematografica Vania Protti. Studia a Roma e Napoli. Studia l’ermeneutica
con Ronconi. Attore con Stoppa, Lavia, e Filippo. Inizia la carriera registica
che lo ha visto spesso anche interprete nei propri allestimenti. Questi sono
stati salutati sempre da un forte e caloroso successo di critica e pubblico. Si
dedicato a Shakespeare, alla drammaturgia antica, al teatro tedesco dell'età
romantica, ma anche e costantemente ai contemporanei introducendo autori come
Rohmer, Amann, Norén. Si ricordano “Medea”
e “Fedra” di Seneca, Trio in mi bemolle di Rohmer e Dopo la festa di Amann, Anfitrione
di Kleist e Don Giovanni e Faust di Grabbe, “Canti nel deserto” e Gl’inganni
dell'infinito di LEOPARDI (si veda), “Le ceneri di Roma” e Orgia di PASOLINI, Creditori
di Strindberg e Demoni di Norén, Romeo e Giulietta, Macbeth e Amleto di
Shakespeare, Lame e NERONE di Manfridi. Pubblicat su LEOPARDI (si veda),
Shakespeare, Schiller e il concetto di teatralità: “Lo spettacolo del nulla”
(Bulzoni) e Essere e libertà (Bulzoni). Pubblica "Le mani sulla
cultura" (Gremese), una denuncia assai netta dell'egemonia storica della sinistra
sull’arti, che si ravvisa in modo particolare nel "Teatro politico". Direttore
del Teatro Stabile d'Abruzzo a L'Aquila. Inaugura il corso di questo teatro, dirigge
e interpreta Edipo Re di Sofocle e Anfitrione di Kleist, e insieme dedicato
vari incontri al teatro di poesia. Consigliere
di amministrazione del Teatro di Roma. Collabora a Liberal, per le cui edizioni
pubblicato il saggio "Ideologia di Amleto” (Liberal). Pubblica
"Shakespeare filosofo dell'essere" (Milano, Mimesis), saggio che si
riassume nella tematica di una nuova “Filosofia del dramma”. Questo saggio
rappresenta il sui progetto dedicato alla drammaturgia esistenzialista. Pubblica
"Filosofia del bacio" (Mimesi), e "PASOLINI e le ceneri di Roma,
o un filosofo della libertà" (Mimesis). Pubblica il suo saggio teoretico
più rilevante, "L'essere per l'amore" (Mimesis). ALIGHIERI (si veda) per Roma e nel mondo. Inizia
un Progetto filosofico su Alighieri -- saggistico ma anche teatrale e
comunicativo. "ALIGHERI per Roma", con la lettura in luoghi
significativi della "Città Eterna" -- Mausoleo di Cecilia Metella,
Arco di Giano, Terme di Caracalla e Terme di Diocleziano -- di VII Canti
dell'Inferno. Realizza un primo documentario per Rai 5 -- ricevendo il plauso
della critica e grande riscontro dal pubblico. Pubblica “Filosofia della
Commedia di Aligheri,” dedicato alla cantica dell'Inferno. “Il grande teatro
shakespeariano” (Mimesis); “Filosofia della Commedia di ALIGHIERI -- L’Inferno
– Il Purgatorio ” (Mimesis) “ALIGHERI -- per Roma: Inferno” Rai; La grande
magia di ALIGHERI può essere capita soltanto ascoltandola a viva voce", in
Spettacoli, La Repubblica. Intervista di Grattarola. Franco Ricordi. Ricordi.
Keywords: essere per amore, il Nerone di Manfridi, Seneca, Pasolini, le ceneri
di Roma, gl’inganni dell’infinito, Leopardi, Alighieri. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Ricordi” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Righetti: la ragione conversazionale e la
critica della ragione ecologica, o l’etica dello spazio -- filosofia italiana
-- Luigi Speranza (Roma).
Filosofo italiano. Si concentra soprattutto sui temi dell’estetica. Fonda “La
Stanza Rossa” sull rapporto arte-comunicazione. Affianca alle ricerche
precedenti altri filoni di indagine, volti prevalentemente all’ambito della
riflessione meta-etica.. Studia l’ecologia. Pubblica «Iride», «Dianoia» e
«Millepiani». Ecoinciviltà. La ragione
ecologica spiegata all’umanità civile” (Mucchi, Modena); “La ragione ecologica:
intorno all’etica dello spazio” (Mucchi, Modena); “Etica dello spazio: per una
critica ecologica al principio della temporalità” (Mimesis, Milano); “Dall’assenza
d’opera all’estetica dell’esistenza” (Mucchi, Modena); “Forme della “verità”:
follia, linguaggio, potere, cura di sé” (Liguori, Napoli); “La fantasia e il
potere” (Mucchi, Modena); “La Stanza Rossa. Tras-versalità artistica” (Costa, Milano);
“Soggetto e identità: il rapporto anima-corpo” (Mucchi, Modena). Cf. Grice, “From the banal to
the bizarre: method in philosophical psychology.” Stefano Righetti. Righetti. Keywords: la ragione
ecologica, o l’etica dello spazio, linguaggio, la pietra di bismantova. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Righetti” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Rignano: la ragione conversazionale della
teleo-nomia -- filosofia fascista – filosofia italo-giudea – filosofia italiana
-- Luigi Speranza (Livorno). FIlosofo italiano. Grice: “I love Rignano, but I would not
consider him a philosopher, in that he never attended a course on philosophy!” Studia a Pisa e Torino. Laureato, si interessa
subito ai problemi filosofici collegati alla ricerca scientifica. Fondatore della
Rivista di Scienza. Fonda a Bologna “Rivista di Scienza” per Zanichelli. La rivista
assunse il nuovo titolo di “Rivista di sintesi scientifica” -- cf. Grice on
einheit der wissenschaft. La rivista nasce con il proposito di opporsi alla
eccessiva specializzazione a cui era giunta la ricerca scientifica danneggiata
per questo da criteri troppo specifici e restrittivi. Gli fondatori, e in particolare R., si proponeno
di superare il particolarismo delle scienze per una visione più estesa gettando
un ponte fra cultura umanistica e quella scientifica ed elaborando una
"sintesi" -- o unità o continuita -- tra le scienze della natura e le
scienze dell'uomo. In questo modo la
filosofia, libera da legami nei confronti dei sistemi prefissati, poteva
dedicarsi a promuovere la coordinazione del lavoro, la critica dei metodi e
delle teorie, e ad impostare in modo più ampio i problemi delle teorie. Nei
saggi che pubblica su “La rivista de sintesi scientifica” ha modo di mettere in
rilievo le sue capacità di divulgatore e di condurre i suoi studi in completa
autonomia dal mondo accademico ufficiale elaborando la sua concezione
filosofica ispirata soprattutto dalla corrente positivistica. Chiede a Freud
un'esposizione della psicoanalisi con le indicazioni di quali rami del sapere
potessero essere interessati alle teorie e all'esperienze psicoanalitiche.
Freud scrive “Das Interesse an der Psycho-analyse”, pubblicato sulla rivista. Si
interessa di psicologia e biologia ed è noto soprattutto per la sua ipotesi
della proprietà mnemonica, secondo la quale la sostanza vivente sarebbe in
grado di ricordare le condizioni fisiologiche dell’iniziali situazioni fisiche
determinate dall'ambiente esterno e quindi di riprodurle nel prosieguo della
vita biologica. Questa sua teoria
consente a lui di operare nella biologia un compromesso tra una visione
meccanicistica della realtà naturale e una finalistica, vitalistica. Per il
meccanicismo infatti non è possibile pensare che nell'ambito degli organismi
viventi vi sia il proposito immanente di conseguire una finalità ma d'altra
parte è innegabile he nel mondo organico sia presente una sorta di TELEO-NOMIA particolare
per ogni essere vivente tale da giustificare l'idea che, durante il periodo di
adattamento all'ambiente, questi conservi una specie di traccia fisica
mnemonica persistente e trasferibile ereditariamente. Si interessa anche di
filosofia della psicologia – o psicologia filosofica -- ma quando intese indicare lo statuto
epistemologico della teoria psicologica, il tipo di scientificità che ad essa
compete, in modo da definire i rapporti con la scienza naturale da una parte e
con quella umana dall'altra, si orienta verso soluzioni intermedie, che spesso
complicavano più che risolvere i problemi. Coerentemente al suo programma di
sintetizzare opposti sistemi, elabora anche una concezione economica di tipo
socialista marxista che è in accordo con il liberismo. Altre saggi: “Per una
riforma socialista del diritto successorio” (Bologna, Zanichelli); “Di un socialismo in accordo colla dottrina
economica liberale” (Torino, Bocca); “Sulla trasmissibilità dei caratteri
acquisiti: ipo-tesi d'una centro-epigenesi” (Bologna, Zanichelli); “L'adattamento
funzionale e la teleologia psico-fisica” (Bologna: Zanichelli); “Che cos'è la
co-scienza?” (Bologna, Zanichelli); “Il fenomeno religioso” (Bologna,
Zanichelli); “Il socialismo” (Bologna, Zanichelli); “Dell'attenzione: contrasto
affettivo e unità di co-scienza” (Bologna, Zanichelli); “Dell'origine e natura
mnemonica delle tendenze affettive” (Bologna, Zanichelli); “Per accrescere
diffusione ed efficacia all’università popolari” (Milano, Compositrice); “La
vera funzione delle università popolari” (Roma, Antologia); “Vividità e
connessione” (Bologna, Zanichelli); “L'evoluzione del ragionamento” (Bologna,
Zanichelli); Il nuovo programma dell'Un. pop. milanese: primo anno
d'esperimento, Como, Cooperativa comense; Bari; Le forme superiori del
ragionamento” (Bologna, Zanichelli); “Democrazia e fascismo” (Milano, Alpes). “Dizionario
di filosofia, Treccani Dizionario biografico degl’italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Il ragionamento in rapporto al finalismo della vita. Brevi parole ci basteranno per trarre la
conclusione del nostro lavoro. L'analisi
di questa facoltà suprema della mente,
quale è il ragionamento, ci ha condotto a constatare come esso sia tutto costituito, in definitiva, dal
giuoco reciproco delle due ‘attività
fondamentali e primordiali della nostra
psiche : le intellettive e le aftettive; le prime consistenti nella semplice evocazione mnemonica di percezioni
od imagini del passato ; le seconde
manifestantisi come tendenze o aspirazioni
dell'animo nostro verso un dato fine, al cui raggiungimento è rivolto il ragionamento stesso. Abbiamo visto l’attività affettiva entrare
in giuoco nel ragionamento, non solo
direttamente colla sua opera evocatrice
e selettrice ed escluditrice delle imagini sensoriali, bensì anche sotto forma di altre facoltà dello spirito
che da essa derivano. Così la facoltà di
fare attenzione a quanto si pensa, e quindi
di mantenere la coerenza del pensiero -e. di esercitare lo spi- rito critico, quella di imaginare
combinazioni nuove a mezzo di elementi
mnemonici vecchi, la facoltà di classificare e di porre un po’ d’ordine nell’infinita e caotica
congerie di fatti che cadono sotto i
nostri sensi, quella di creare concetti sempre
più generali ed astratti, e così via: tutte queste facoltà di attenzione, di’ coerenza, di critica, d’
imaginazione, di classi- ficazione e
d’astrazione, che elevano a mano a mano il ragio- namento dalle sne forme intuitive primordiali
alle più alte deduzioni della scienza,
si sono palesate alla nostra analisi
396 E. RIGNANO avere tutte un
sostrato di natura affettiva. Abbiamo visto,
parimente, avere origine affettiva anche la deformazione che subisce il ragionamento, quando dalla sua
forma costruttrice e creatrice passa
all’altra intenzionale, puramente classifica-
toria, per lo più sterile, di cui le manifestazioni più tipiche sono il ragionamento dialettico e il ragionamento
metafisico. Abbiamo visto, in seguito,
l’ influenza che le tendenze affettive
hanno nel determinare le varie forme di mentalità logica. Abbiamo visto, infine, le forme patologiche
stesse del ragio- namento essere dovute,
esse pure, a cause di pretta natura
affettiva. L'attività affettiva
ci appare, lina come impregnante per
così dire di sè tutte le manifestazioni del nostro pensiero. Si può dire, anzi, essere essa l’unica ed
effettiva costruttrice che, servendosi
del materiale intellettivo di puri ricordi ima-
ginativi, immagazzinati nelle nostre accumulazioni mnemoniche sensoriali, erige ogni e qualsiasi edificio
del nostro raziocinio, dal più umile
dell’animale più infimo al più sublime dell’uomo di genio.
Ma questa facoltà affettiva, che così ci appare il grande artefice, incitatore e moderatore ad un
tempo, della nostra mente, vedemmo
essere alla sua volta dovuta alla proprietà
mnemonica fondamentale; anzi, di questa proprietà mnemo- nica della sostanza vivente essere essa la
manifestazione più genuina e più
diretta. Di guisa che questa facoltà
mnemonica, che già vedemmo in altre
nostre opere spiegarci i fenomeni biologici più fon: damentali, — dal preordinato adattamento
morfologico degli organismi e
dall’inconsciamente preveggente comportamento-
istinto degli animali alla trasmissibilità dei caratteri acquisiti, della quale tanto 1° evoluzione filogenetica
che lo sviluppo ontogenetico sono la
diretta conseguenza, — questa facoltà
mnemonica ci si appalesa ora come capace di fornirci, da sola, anche tutte le manifestazioni più
svariate della psiche. Se ad Archimede
bastava un sol punto d'appoggio per sol-
levare il mondo, alla energia vitale basta questa sua proprietà mnemonica per dar luogo a tutte le
manifestazioni finalistiche più
caratteristiche della vita e per creare tutto il meccanismo pensante e ragionante della mente. Già vedemmo questa facoltà mnemonica potersi
definire come la capacità di riprodurre,
per cause interne, quegli stessi
CAPITOLO XVII. 397 stati
fisiologici specifici, a produrre i quali la prima volta fu necessaria l’azione delle energie del mondo
esterno. Tentammo anche «di precisarne
il meccanismo coll’ ammettere a base di
ogni fenomeno vitale l’energia nervosa e col dotare quest’ul- tima della proprietà dell’accumulazione
specifica, cioè a dire col supporre che
ciascuna accumulazione nervosa sia atta a
dare come « scarica » unicamente quella medesima specificità della corrente nervosa di « carica », dalla
quale l’ accumula- zione stessa sia
stata deposta. Ma mettiamo pur da banda
tale ipotesi ; 1’ importante sta in ciò, che per avere le mani- festazioni biologiche e psicologiche più
fondamentali della vita basta supporre
nell’ energia nervosa, in più delle proprietà
comuni a tutte le energie del mondo inorganico, néent’ alt70 che la proprietà mnemonica. Non è, infatti, come molti sostengono, la
proprietà di adattamento all'ambiente
ciò che distingue energia vitale dalle
energie del mondo inorganico. Tale proprietà di adatta- mento è comune a queste come a quella. È ciò
che dimostra qualsiasi sistema
fisico-chimico, il quale, ove venga ad avere
disturbato il suo equilibrio dinamico da qualche mutamento sopraggiunto nelle condizioni esterne, si
dispone con esse in un equilibrio
dinamico nuovo, cioè a dire « reagisce » e
< si adatta » a queste condizioni ambientali mutate. Così, p. es., se fermiamo a metà colle dita la
corda di un pendolo che oscilla, questo
si adatta alle nuove condizioni mettendosi
ad oscillare più rapidamente. Se le pile d’un ponte vengono a restringere la sezione d’un fiume, l’acqua
rigurgita a monte fino a che l’aumentata
sua velocità fra le pile la fincecia de-
tluire nella stessa quantità di prima. Il raggio di luce al mo- mento di entrare in un mezzo trasparente più
denso si rifrange. E l’intensità della
corrente elettrica, ferma restando la diffe-
renza di potenziale ai poli, si commisura alla resistenza del circuito. Tutte queste sono altrettante forme
di adattamento a mutate circostanze
esterne da parte delle energie del mondo
inorganico, le quali, prima di trasformarsi in altre forme ener- getiche, assumono piuttosto, finchè è
possibile, le più diverse modalità, che
permettano loro di proseguire nella forma stessa in cui già si trovano attive. Ciò che manca
loro, in confronto all'energia vitale e
nervosa, è unicamente la facoltà mnemo-
nica, cioè la facoltà, ripetiamo, di riprodurre queste modalità energetiche di adattamento per sole cause
interne, senza bisogno 398 î E.
RIGNANO che si ripresentino nella loro
integrità quelle circostanze am-
bientali che la prima volta costrinsero la rispettiva forma di energia ad assumere queste modalità di
adattamento. Ora abbiamo visto questa
proprietà mnemonica essere appunto ciò
che dà alla vita il suo aspetto finalistico, cioè quello di essere mossa da forze « a fronte »
anzichè dalle sole forze « a tergo ». Il
fine verso cui gravita l’uomo colle sue
tendenze affettive, le circostanze esterne ad affrontare le quali si avvia inconscio l’animale col suo
comportamento complesso dettatogli
dall’istinto, il rapporto ambientale ‘al quale sarà adatto l’organo che l'embrione plasma nell’
utero materno fungono ora da « vis a
fronte » in quanto furono « vis a tergo »
nel passato e in quanto le attività fisiologiche, allora deter- minate nell’organismo da queste circostanze
esterne e da questi rapporti ambientali,
hanno lasciato un’accumulazione
mnemonica di sè, la quale costituisce ora, essa stessa, la vera ed effettiva « vis a tergo » che dirige e
muove lo sviluppo e l'istinto e la
condotta cosciente dell’ essere vivente.
E il ragionamento, messo in moto dall’una o dall’ altra affettività primaria, controllato di continuo
dall’affettività se- condaria del
relativo stato d’attenzione, e poi dalla primaria stessa e da altre affettività ad essa
strettamente connesse sospinto verso le
forme più elevate e più astratte, è di questo
aspetto finalistico della vita la manifestazione più alta e più complessa.
Da ciò il tragico eterno contrasto fra la nostra vita inte- riore, tutta impegnata di finalismo, che
sente questo finalismo essere carne
della propria carne e sangue del proprio sangue, e l’inanimato mondo esterno, che, per quanto
ansiosamente scrutato per secoli e
secoli, da nessuna finalità sembra in-
vece essere mosso. Tragico ed eterno contrasto, questo, fra il microcosmo essenzialmente finalistico e il
macrocosmo pu- ramente meccanico, che
costituisce il sostrato profondo della
lotta più che millenaria fra la scienza e la religione, la prima costretta dalla ragione basata sui fatti a
negare una finalità all’universo, la
seconda invece irresistibilmente sospinta dalle
più intime fibre del sentimento ad affermarla. Questo contrasto fra la ragione e il
sentimento non avrà forse mai fine, a
meno che l’uomo si rassegni a cercare, non
più nell’universo tutto, bensì entro l’ambito più ristretto del solo mondo della vita, col quale ha comunanza
di origine e CAPITOLO XVII. 399 di natura, la ragione ultima della propria
condotta, la finalità suprema della propria
esistenza. E questa comunanza di ori-
gine e di natura, se profondamente intesa, non mancherà al- lora di infondergli un sentimento di simpatia
e di solidarietà verso tutti gli esseri,
in genere, capaci di godere e di sof-
frire, e di amore e di altruismo verso la famiglia umana, in ispecie, in cui più forte e ‘più conscio,
perchè all’apice del- l'evoluzione
organica, batte il ritmo della vita. Sarà tratto pertanto dal più profondo senso stesso del
dovere a combat- tere ovunque, con opere
di bene e di equità, ogni causa di
dolore e a favorire ogni occasione di letizia, — diminuzione l’uno e aumento l’altra di attività vitale, —
e a promuovere nel tempo stesso ogni
forma di progresso sociale, ogni mani-
festazione di bellezza, ogni slancio verso l’ideale, aftinchè sempre più completa e più serena e più
elevata si svolga l’esistenza umana e
sempre più radiosa e più pura risplenda
nell'universo la face della vita. Eugenio Rignano. Rignano. Keywords:
diritto successorio, vitalismo, democrazia e fascismo, liberismo, liberalismo,
socialismo, “Scientia”, filosofia italo-giudea, teleo-nomia. -- Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Rignano” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Rigobello: la ragione conversazionale o
dell’allargamento interpersonale del razionale – l’intenzionalità rovesciata –
filosofia italiana -- Luigi Speranza (Badia Polesine). Filosofo italiano. Il nostro rapporto
con gl’altri deve sempre farci essere un interrogativo per loro. Fra i
principali rappresentanti italiani del personalismo. Dopo gli studi liceali a Padova
consegue la laurea in filosofia, quale allievo di STEFANINI e PADOVANI. Insegna
a Padova, Perugia e Roma. Spazia dalla meta-fisica, all'etica e la filosofia
politica, alla storio-grafia. Collaboratore a Studium. Ripensa il personalismo
partendo dal presupposto per cui esso, potendo anche costituire un possibile
complemento integrativo ed estensivo alla meta-fisica non puo comunque
considerarsi una dottrina filosofica definita bensì una posizione che mette in
primo piano il concetto di "persona" (cf. Strawson, “Il concetto di
persona”). Il personalismo non è in contraddizione con la meta-fisica bensì ne puo costituire un proficuo
ampliamento psico-logico, etico, antropo-logico. Uno dei suoi contributi più
originali consiste nel personificare -- proprio per il tramite del personalismo
-- la ragione meta-fisica attraverso quel processo di integrazione fra l’esistenzialismo
e la filosofia classica. Ri-esamina nel suo evolversi, nonché compara
criticamente e storicamente, questo concetto di “persona” alla luce della
storia della filosofia fino ad arrivare alla filosofia romana – il schiavo non
è persona -- chiamando in causa anche l'ermeneutica, la filosofia morale e la
sua storia. Ne risulta, quindi, che il concetto di persona – nel diritto romano
repubblicano -- deve anzitutto essere inteso in un senso giuridico. Non deve
essere confuso con quello derivante dal concetto d’esistenza della filosofia
esistenzialistica, che nega la possibilità che le persone possono governare la
loro vita, in quanto ritenute prive di auto-dominio. Infine, le persone, pur
nella sua reale concretezza, non sono sostanze. Tutto ciò ha costituito una
delle tematiche principali in cui s'è venuta a delinearsi la sua filosofia, la persona
e l’interpretazione. Una seconda tematica della sua attività di ricerca
scaturisce dagl’insegnamenti, per certi versi anti-tetici fra loro, dei due
suoi maestri, ovvero quelli di STEFANINI, grazie ai quali egli individua un
primo polo di convergenza delle sue riflessioni filosofiche attorno alla
nozione fenomenologica di un mondo della vita, e quelli di PADOVANI, incentrati
sulla meta-fisica tradizionale e ruotanti attorno alla nozione di trascendenza
con i suoi limiti. Ogni altra questione filosofica sembra snodarsi o essere
compresa fra questi due poli di convergenza che egli sintetizza nella
trascendenza, la legge morale, e il mondo della vita. Altro ambito
tematico apre la prospettiva personalistica al dialogo col mondo moderno e
contemporaneo, con l'etica, la politica, la religione, puntualizzando in
particolare la sua valenza etica e politica nell'analisi della realtà sociale
in cui le persone viveno ed agisce, nonché esprime il suo dissenso non su basi
ideologiche ma come critica del sistema dominante. Questo tematica puo quindi
chiamarsi in dialogo con il mondo contemporaneo. Come esponente di punta del
personalismo italiano, storicamente rappresentato da STEFANINI, CARLINI,
SCIACCA, e PAREYSON, rivolvela sua attenzione ad una ri-visitazione originale
del personalismo comparato con l'etica e la politica, grazie a cui è emersa,
oltre alla limitatezza della dimensione trascendentale, sia quella rilevanza
civica assunta dalla persona umana come testimone della sua epoca che la sua
responsabilità di cittadini. Mette in evidenza come il personalismo si
distingua nella critica mossa al sistema idealista, che non ha attecchito nella
filosofia d'oltralpe. Riprende le e tematiche più tipiche della struttura
delle persone umane e le relative implicazioni metafisiche in “Prossimità e
ulteriorità” (Rubbettino). Inoltre, da sempre interessato anche all'ermeneutica
pubblica “L'apriori ermeneutico” (Rubbettino). Altre saggi: “Oltre lo
storicismo” (Studium); “Ricchezza e povertà della metafisica classica”
(Humanitas); “Il problematicismo di SPIRITO (si veda) come empirismo
coscienziale assoluto: note sul significato del nostro tempo, in Rassegna di
Umanesimo e antropo-centrismo; La disponibilità come abito etico del rapporto
autorità-libertà, Istituto editoriale del Mezzogiorno, Napoli, Kant e
l'indirizzo idealistico, Il problema del linguaggio storio-grafico, Perugia, “Condizionamenti
socio-logici e linguaggio morale” in Sociologia e filosofia; Socrate e la
formazione dell'uomo politico, in Civitas, Esperienza di fede e struttura del sapere, Studium,
CROCE (si veda), perché possiamo e non possiamo dirci ‘crociani’, Coscienza.
Mensile del movimento ecclesiale di impegno culturale, La riflessione
sull'etica, Etica oggi: comportamenti collettivi e modelli culturali, Re e
Poppi, Fondazione Lanza e Gregoriana, Roma, Il tempo nello spiritualismo, Il concetto di
tempo. Società filosofica italiana, Caserta, Casertano, Loffredo, Napoli, “Persona,
trascendentale, ermeneutica” in Filosofi italiani, Riconda e Ciancio (Mursia,
Milano); La storia nella coscienza (AVE, Roma); L'intellettualismo in Platone
(Liviana, Padova); Platone, Senofonte, Aristotele: il messaggio di Socrate”
(Scuola, Brescia); “Introduzione di una logica del personalismo, Quaderni
dell'Istituto di Pedagogia di Padova (Liviana, Padova); L'itinerario
speculativo dell'umanesimo contemporaneo, Quaderni dell'Istituto di Pedagogia di
Padova (Liviana, Padova); L'educazione umanistica e la persona. Saggio di una
filosofia dell'insegnamento umanistico” (Scuola, Brescia); “Determinazione ed
ulteriorità nel Kant pre-critico” (Silva, Milano-Genova); “I limiti del
trascendentale in Kant” (Silva, Milano); “La certezza morale, filosofia morale relazioni
tenute a Perugia nell'A.A. (CLEUP, Perugia); “Legge morale e mondo della vita”
(Abete, Roma); La morale radicale” (Perugia, Perugia); “Struttura e
significato” (Garangola, Padova); “Antropologia” (Antenore, Padova); “Modelli
storio-grafici di morale” (Frama Sud, Chiaravalle Centrale); “Ricerche sul
trascendentale kantiano” (Antenore, Padova); “Dal romanticismo al positivismo”
(Marzorati, Milano); “Il regno dei fini” (Bulzoni, Roma); “Il personalismo” (Città
Nuova, Roma); “L'impegno ontologico” (Armando, Roma); “Il futuro della libertà”
(Studium, Roma); “Politica e pro-mozione umana” (Scuola, Brescia); “Perché la
filosofia” (Scuola, Brescia); “Studi di ermeneutica” (Città Nuova, Roma); “Verso
una nuova didattica della storia” (Sei, Torino); “Persona e norma
nell'esperienza morale” (Japadre, L’Aquila); “Certezza morale ed esperienza
religiosa” (Vaticana, Vaticano); “Kant: che cosa posso sperare” (Studium,
Roma); “Lessico della persona umana” (Studium, Roma); “L'immortalità
dell'anima” (Scuola, Brescia); “Soggetto e persona: ricerche sull'autenticità
dell'esperienza morale” (Anicia, Roma); “Autenticità nella differenza”
(Studium, Roma); “Attualità della lettera ai Romani” (AVE, Roma); “Il divino
oltre i saperi: tra teologia e filosofia” (San Paolo, Milano); “Interiorità e
comunità. Esperienze di ricerca in filosofia (Studium, Roma); Oltre il
trascendentale, Pubblicazioni della Fondazione Spirito, Roma, L'altro,
l'estraneo, la persona, Città Nuova Editrice, Roma, La persona e le sue
immagini, Città Nuova, Roma, L'estraneità interiore (Studium, Roma); Le
avventure del trascendentale. Contributi al Convegno del Centro studi filosofici
di Gallarate (Rosenberg, Torino); “Umanità e moralità” (Studium, Roma); “Immanenza
metodica e trascendenza regolativa” (Studium, Roma); “L'apriori ermeneutico:
domanda di senso e condizione umana” (Rubbettino, Mannelli); “Prossimità e
ulteriorità: una ricerca ontologica per una filosofia prima” (Rubbettino,
Mannelli); “L'insuperabile singolarità dell'avventura umana: dalla
determinazione completa alla rottura metodologica” (Ramo, Rapallo); “Vita e
ricerca. Il senso dell'impegno filosofico, intervista Alici” (Scuola, Brescia);
“L'intenzionalità rovesciata: dalle forme della cultura all'originari”
(Rubbettino, Mannelli); “Struttura ed evento: tempo di vivere, tempo di dare
testimonianza alla vita, la vita come testimonianza” (Rubbettino, Mannelli); “Dalla
pluralità delle ermeneutiche all'allargamento della razionalità” (Rubbettino,
Soveria Mannelli); “Ciascuno di noi nell'incontro con l'altro deve essere tale
da suscitare curiosità e interesse di conoscenza reciproca (Presentazione a
Alici, Grassi, Salmeri, Vinti (Studium); “La filosofia come testimonianza, Rivista
bimestrale, Studium, Roma. Berti ha R. come docente supplente di filosofia
quando è ancora studente liceale. Cfr. Berti, "Origini del pensiero di R.",
in: Alici, Grassi, Salmeri e Vinti, “La filosofia come testimonianza” (Studium.
Cfr. Berti, "Origini del pensiero", in Alici, Grassi, Salmeri, Vinti,
La filosofia come testimonianza, Studium, Roma, Cfr. pure il contributo di Borghesi,
"La dialettica tra struttura e significato", nella stessa
collectanea. Oltre quelli delle Parti II
e III, si vedano soprattutto i vari contributi presenti nella Parte I della collectanea
in suo onore: Alici, Grassi, Salmeri, Vinti, la filosofia come testimonianza, Studium, Roma, Cfr. Alici, Grassi, Salmeri, Vinti,
cit. Cfr. i vari contributi presenti
nella miscellanea: Estraneità interiore
e testimonianza. Studi in onore, Pieretti, ESI-Edizioni Scientifiche Italiane,
Perugia); Cfr. pure "Biografia, pensiero e opere", Bollettino della
Società Filosofica Italiana nella
rubrica Filosofi allo Specchio, Cfr.
Alici, Grassi, Salmeri, Vinti, cit. Per
questi aspetti centrali del pensiero, si vedano soprattutto i contributi
presenti nella prima parte della collectanea in suo onore: Alici, Grassi, Salmeri
e Vinti, La filosofia come testimonianza, Studium, Cfr. Alici, Grassi, Salmeri
e Vinti, Ricordo, Umanità e moralità, in Dialegesthai. Rivista telematica di
filosofia, In memoriam: In ricordo straneità interiore e testimonianza. Studi
in onore, Pieretti, Scientifiche Italiane, Napoli-Perugia, Alici, Grassi, Salmeri
e Vinti, R., la filosofia come
testimonianza, studio in suo onore, evento organizzato a Perugia in
collaborazione con Roma Tor Vergata e la LUMSA, Perugia/Roma, i cui atti sono
stati pubblicati, Alici, Grassi, Salmeri e Vinti, Studium, Dotto, Enciclopedia filosofica,
Bompiani, Milano, Baccarini, Passione
dell'originario: fenomenologia ed ermeneutica dell'esperienza religiosa, studi
in onore” (Studium, Roma). Vita e ricerca. Il senso dell'impegno filosofico
(Interviste), Alici recensione di Din, Padova. Video di un'intervista a cura di
Valentini, fatta a Roma. Armando Rigobello. Rigobello. Keywords: l’allargamento
del razionale, ‘struttura e significato’, il regno dei fini, comunita, Grice on
human vs. person, Strawson, the concept of the person, Ayer, the concept of a
person. In personam, persona sui iure, persona populum (Cicero). Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rigobello” –
The Swimming-Pool Library.
Grice e Rimini: la ragione conversazionale, o del significato
totale, la percezione del pane e Socrate è seduto – filosofia italiana -- Luigi
Speranza (Rimini). Filosofo italiano. Il primo a
conciliare gli sviluppi delle idee d’Occam ed Aureolo. Questa sua sintesi ha un
impatto duraturo. Insegna a Bologna, Padova, Perugia, e Rimini. Da lezioni
sulle sentenze di Lombardo. Oltre alla sua opera principale, il commento alle sentenze
di Lombardo, scrive diversi saggi, tra cui: “De usura,” “De IV virtutibus
cardinalibus” – cf. Grice, philosophy, like virtue, is entire -- e un estratto del commento alle sentenze, il “De
intentione et remissione formarum,” un’appendice sulla IV distinctio del I
libro del commento alle sentenze, una tabula super epistolis. Augustin. Manifesta
una certa attitudine sincretistica tra gli sviluppi d’Occam ed Aureolo. Mostra
analoga tendenza anche nella ri-costruzione e dell'analisi del processo della
percezione animale e umana e il conoscere umano, nelle quali si fondono in
maniera originale elementi etero-genei desunti da Aristotele del Lizio,
Agostino e Ockham. Causa un grave fraintendimento della sua filosofia, è
qualificato come tortor infantium, per la supposizione di aver condannato alle
pene eterne i bambini che muoiono senza il battesimo. In realtà espone tale
dottrina senza pronunciarsi. Talvolta è indicato quale antesignano dei
nominalisti. Altre saggi: “Gregorii lettura super I et II Sententiarum”; “De
imprestantiis venetorum”. Mazzali, Gori, Manuale di filosofia medievale, Dizionario
biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Dizionario di
filosofia. Now two important consequences follow from
Gregory's definition of the object of complex knowledge as the significatum
totale of the conclusion. Firstly, it entails a proposition of a special kind
which meets the requirements of both demonstration and experience.? Not every
proposition does so. Indeed Gregory dis-tinguishes three different kinds of
propositions. They are in two categories. The first is of mental images
representing actual spoken words, or statements, from which they are directly
derived and which vary according to the language in which they are framed: for
example Greek or Latin.3 The second is of mental images which have no direct
correlation with words; it consists in purely mental concepts undiversified by
language, the same for all men. These are the mind's natural signs prior
to words, which have been instituted to express them.* They are divided into
those which are (bid, pono etiam tetio quod propositio aliqua non est
ipsam esse veram 2 Secundo, idem est obiectum scientie et assensus
sciabilis, sive assensus sit scientia sive distinguatur. Nam ei quod quis scit
assentit, sed obiectum assensus sciabilis est significatum conclusionis. Ei
enim assentit quis habens demon-strationem quod significat conclusio
demonstrationis (ibid., O). a Quidam enim est earum que sunt vocalium
enuntiationum imagines vel similitudines ab exterioribus vocibus in anima
derivate, vel per ipsam ficte, iuxta modum qui infra dist. 3 declarabitur de
abstractione et fictione in anima conceptuum. Et iste non sunt eiusdem
rationis in omnibus * Quidam vero genus est enuntiationum mentalium que
nullarum suntultimately founded upon sense experience and those which are
not. The former, whether they originate directly or indirectly by simple
or complex knowledge, or just inhere in the mind, have their source in external
things; they are as much the property of the deaf and dumb as of other men, for
experience, not words, is their agent. The other group, on the contrary, owes
nothing to external knowledge; its images belong to propositions which are held
as matters of belief or opinion and remain unverified. ? They do not come
within the province of knowledge. Of these three groups only the second
represents both know-ledge and assent.? The first consists simply of words,
devoid of either knowledge or judgement; the third of judgement, or assent,
divorced from knowledge. Gregory includes in the third category dissent since
it is the negative act of assent.® The effect of this classification is
to isolate statement, know-similitudines vocum, nec secundum illarum
diversitatem in hominibus habentibus diversificantur. Sed eadem sunt secundum
speciem apud omnes idipsum naturaliter significantes quid vocales eis
subordinate ad significandum ad placitum et per institutionem significant; et
ille sunt illa verba que nullius lingue sunt, et vocalia verba exteriorius
sonantia (Prol., q.I, a.3, 4 F-G). secundum enuntiationum mentalium
subdividitur: quantum quedam immediate ex rerum intuitivis notitiis
incomplexis, tanquam ex partialibus causis vel ex alis complexis vel
incomplexis, ex illis mediate vel immediate causatis, seu ex habitibus ex
talibus notitiis complexis derelictis causantur, vel forsitan etiam quedam non
ex aliquibus incomplexis notitiis causantur, sed sunt simpliciter prime
venientes in mentem naturaliter (ibid., G Quedam vero sun que non ex talibus
primis notitis rerum aliquo predic torum modorum causantur, cuiuismodi
sunt enuntiationes quibus quis enuntiat mente et iudicat sic vel sic esse aut
non esse, non cognoscens tamen intuitive, aut alia notitia prima vel ex
intuitiva derivata, que sic sit vel non sit, sicut enuntiat in mente quis dum
credit vel opinatur (ibid., G-H). 3 Secundi autem generis propositiones
et enuntiationes sunt et notitie et assenus (ibid., H). 1.
propositiones primi generis sic sunt enuntiationes quod non sunt notitie
formaliter, necque assensus, non plus quam enuntiationes vocales quibus sunt
similies (ibid.). • Tertii autem generis propositiones et enuntiationes
quidem sunt et assensus, sed non notitii ibid.). 6 Ex his autem
sequitur quod dissensus non est aliquis actus intellectus a quolibet assensu
distinctus, quinimmo quilibet est assensus quidam. Quod probatur, quantum cum
assensus mentalis sit enuntiatio, dissensus erit enuntiatio sibi opposita
(ibid.).ledge, and judgement as separable elements in a mental demons-tration.
One does not imply the other, so that the statement can obtain either
exclusively or in combination with knowledge or judgement. ' Only when all
three are joined together can there be a true demonstration. The statement
alone tells whether something is or is not, according to whether it is
affirmative or nega-tive, * knowledge enables us to ascertain its truth or
falsity; assent (or belief) affords the judgement necessary to any
demonstration" and is thereby the means by which a conclusion is reached.®
Gregory, then, unlike Ockham, keeps assent and knowledge separate; although,
when present together in the same demons-tration, they are all part of a single
mental action, we have seen that propositions containing one do not logically
imply those containing the others. The separation between them gives rise to
the second consequence in Gregory's treatment of complex know-ledge. For since
assent has to be to a proposition embodying a statement of truth, the object of
assent is the proposition, not an external object. Consequently the object of
assent is a complex, as opposed to a simple, signification; or as Gregory puts
it, it is Ulterius sequitur ex istis quod non omnis
mentalis enuntiato est assensus, licet omnis assensus sit mentalis enuntiato.
Et quod quamvis omnis notitia complexa... sit mentalis cuntiatio, non tamen e
contrario omnis mentalis enuntiatio est talis notitia. Item quod quamvis omnis
notitia complexa sit assensus, non quilibet tamen assensus est talis notitia
(ibid., 1). quia est circa obiectum scientie, quod proprie est illud quod
significatur per conclusionem demonstrationis, ut patet ex primo articulo,
intellectus habet actum enuntiandi et actum cognoscendi et actum credendi seu
assentiendi (ibid., 3 K). 3 nam per ipsam conclusionem enuntiat sic esse, si
est affirmativa, vel non sic esse, si est negativa (ibid., L) 4 Cognoscit
etiam sic esse sicut enuntiat (ibid.). 5 unde primo Posteriorum
dicitur, quod scire est per demonstrationem intelligere, et quod
demonstratio est syllogismus faciens scire. Non solum autem enuntiat et
cognoscit sic esse, sed etiam credit seu assentit quod ita est (ibid.). *
Prima [conclusio] est quod conclusio demonstrationis mentalis propric accepte
est assensus de sic esse sicut ipsa significat (ibid., 3 Q). 'ga
conclusio est quod circa taliter demonstratum vel scitum non sunt ponendi tres
actus distincti in anima ad enuntiandum conclusionem et cogno-scendum et
credendum, seu assentiendum, sic esse vel non sic esse; sed quod idem actus
sufficiat ad hoc, et idem actus est conclusio, notitia, et assensus (ibid.).a
complexe significabile.! Its meaning derives not from direct
sen-sory experience but from mental activity. It is an expression, as opposed
to thing, describing a set of relations which has no direct correspondence to
an actual object. Hence, although Gregory has throughout stressed that the
truth of any proposition rests upon its foundation in experience, this is not
the same as saying that it can in itself be directly encountered. Its reality
is of a different order; verbal rather than actual. Now there are three
ways in which something? can be said to be. In its most general sense it
embraces any sign, simple or complex, true or false; secondly it can denote any
sign which is true; finally in its strictest sense it is confined to that which
is actually in being, and conversely by this criterion that which does not so
exist is nothing. While by the first and second modes the totale significatum
can be said to exist, by the third it cannot, as, for example, to say that man
is an animal is both a statement and a true one but not something which can be
seen in itself.® Gregory, as H. Élie has shown in Le complese significabile,
here opens the way to what is akin to scepticism in making a distinction
between verbal statements and sensory reality. In his case, however, it had the
opposite effect, since it enabled him to recognize a true description without
seeking to identify it with any specific object in rerum natura. As applied to
God's attributes, the divine persons, and sin, we shall see that the innovation
of the complexe significabile was employed to reassert the most rigorous
traditionalism. If it is here that complex and simple knowledge diverge,
it is also the point at which they meet, for the absence of direct experience
in complex knowledge compels it to depend for its truth upon simple knowledge:
no simple knowledge, no true Ad
probationem dico quod non assentimus proprie loquendo nisi signi-ficabili per
complexum, nec aliunde vere dicimur assentire alicui complexo, nisi quia
assentimus ei quid ipsum significat (Prol. q.1, a.1, 2 F). He regards the terms aliquid, ens, and res as
synonymous (ibid., 1 Q). Ibid. *
Ibid., 2 A. 5 Tertio modo sumuntur ista ut significant aliquam essentiam
sive entitatem existentem, et hoc modo quid non existit dicitur nihil
(ibid.). * Cum dicitur utrum istud totale significatum sit aliquid, dico
quod, si aliquid sumatur pro primo vel secundo modo, est aliquid; si vero
tertio modo sumatur, non est aliquid, unde homo esse animal non est aliquid... (ibid.).complex knowledge, is the law governing all
valid mental demonstration. There is a constant order between what can be known
directly in itself and the judgements which can be made about it; and
ultimately the guarantee for the validity of the latter lies in the truth of
the former.? As Gregory says, a proposi-tion is true or false in accordance
with the truth or falsity of that to which it refers. Experience is therefore
the final arbiter, appeal to which transcends the findings of a conclusion taken
in itself and so gives rise to the totale significatum. From this there
follows, finally, the conclusion, or corollary, so momentous for
fourteenth-century cosmology, that knowledge of one thing does not entail
knowledge of another. It springs *logically from Gregory's findings over
the object of complex knowledge in which judgement must be based upon simple
knowledge, and has two aspects. One is Gregory's sustained re-buttal of the
contention of St. Thomas and Henry of Ghent that there can be a single habit
for all knowledge. Apart from in- stancing the absurdities to which this
would lead, in allowing everything to be deduced from first principles, Gregory
bases his arguments upon the character of complex knowledge. Firstly, as we
have seen above, a demonstration is true only if it can be verified, and this
applies equally to each of the components which make it up. Thus the knowledge
(and habit) of the conclusions is not the same as knowledge of the principles;
one does not engender the other. Secondly, each proposition must be reached by
a separate act of verification: far from knowledge of one lead-ing to knowledge
of another, we can know one proposition and 1 Aut notitia conclusionis,
id est enuntiabilis per conclusionem, sit notitia nobis naturaliter ex alia
prior notitia, aut non. Si non, ergo non est scientia
proprie loquendo (ibid., a.4, 6 L). = Ibid., a.3, 4 I-K. 3 unde
illud dicitur falsum enuntiabile, cuius enuntiatio est falsa, vel esset falsa
si esset, et illud verum, cuius enuntiatio est vera, vel esset vera si
formaretur. Vel aliter, illud dicitur verum quod est enuntiabile per
veram enuntiationem, illud falsum quod per falsam (ibid., a.1, 2 D). *
Ibid., q-3, a.I, 13 C. " non sequitur notitia conclusionis eque
preexigit notitiam premissarum, sicut notitia terminorum (ibid.,
O). *nulla autem una enuntiatione nobis
naturaliter possibili possunt tam diversa enuntiabilia enuntiari (ibid.,
C.).yet be ignorant of others,' for each refers to its own object;ª it can be
particular, universal, affirmative, negative, according to its significatum
totale. Thirdly, only that knowledge which derives from direct experience can
be complete knowledge: to know something a priori is not to know something on
account of some-thing else but to infer it from a premiss.' Thus the
proposition which tells us that the moon is liable to eclipse does not tell us
that such and such an opaque body is the cause of a particular eclipse; that
can only be known directly. Knowledge, then, far from being a unity governed by
a common habit and a common set of principles is individual, resting ultimately
upon specific, veri-fiable experiences. The other aspect of the
individuality of knowledge lies in the status of the subject. Duns Scotus had
held that the subject of any knowledge contained virtually within itself all the
truths pertain-ing to it, and that in God, as the first subject, inhered the
habit of all truths." Gregory rejects this view. A subject, and its
proper-ties, he says, can be understood in one of two ways: as the terms of a
proposition? or as things themselves for which the terms stand.® In the first
sense they can obtain either formally in them-selves, if the proposition is a
composite one comprising distinct 1 Notitia unius principii potest stare
cum ignorantia alterius... (Prol. 9-3, aI.
Significata principiorum sunt alia et alia, et unum non cognositur per
alud, igitur non est unus habitus (ibid., H). 3 constat autem quod
demonstrationis aliqua est propositio universalis et aliqua particularis,
aliquando etiam aliqua est propositio affirmativa, aliqua negativa. Item de
diversus predicatis vel subiectis obiective sunt, sicut aliud significatum
totale est unius propositionis demonstrationis vocalis, aliud alterius
(ibid., B). • Ad confirmationem dicendum quod aliud est dictu scire est
cognoscere hoc propter hoc. Aliud est dictu scire est cognoscere quod est
propter hoc. Primum enim universaliter verum est... Secundum autem non
universaliter, tum quia ille qui scit aliquid precise a priori et per causam
non cognoscit quod hoc est propter hoc (ibid., 14 C-D). Ibid., D. Op.
Ox. I, Prol. q.3, and Rep. Par. q.I, as cited in margin (15 F). › premitto quod
subiectum et passio in proposito possunt dupliciter accipi: uno modo pro
terminis mentalibus quorum unus vel formaliter secundum se vel quas
significant (ibid.).parts, so that both the subject and properties are separate
from each other.' Alternatively, if the proposition is not composite but
simple, standing for only one term, as it were, then the subject and its
properties are equivalent, in the event of which one can be predicated of the
other.* In every case the subject and the proper-ties, whether as terms in a
mental proposition or as self-subsisting entities, are not implied in each
other: that is, one does not virtually contain the other,a nor does one entail
knowledge of the other.* In the first place, if the property were contained
virtually within the subject, it would not be a property, for it would then
become a different thing from the subject, and, as Duns says, be joined to the
latter in a causal relation as its effect. Thus, in the case of say a straight
line which is divisible, the line and its divisi-bility would become separable
entities, so that either, by God's power, the divisibility could exist without
the line, or the line, as virtually containing its own divisibility, could
divide itself— both absurd. The same position is reached with whatever is
con-sidered, as for example, the separation of a creature from his property of
annihilability, leaving the latter with no subject.? It is equally inapplicable
to God, in whom nothing inheres virtually, and to the celestial
bodies.® Ibid. Si vero propositio non sic
componatur.. tunc inquam talis passio mentalis non nisi equivalenter dicitur
predicari de subiecto (ibid.). Prima
(conclusio] est accipiendo subiectum et passionem secundo modo, non omme
subiectum scientie vel principii continet virtualiter primo suam passionem
(ibid., 15 H). Secunda quod notitia subiecti non sic continet, scilicet, primo
virtualiter notitiam passionis, et si subiectum et passio primo modo accepta
non sunt aliud quam notitie incomplexe subiecti et passionis secundo modo
acceptorum, ut aliqui volunt, tunc idem dictum, primo modo accipiendo subiectum
et passionem, quod subiectum non continet passionem (ibid., H-I.) Ibid.,
I. * Si ista passio est alia res etc., vel est aliqua res actu existens in
linea, qua ipsa linea est formaliter divisibilis, que vocatur divisibilitas;
vel linea non est divisibilis per huius divisibilitatem quam habet actualiter,
sed per divisionem quam habet possibiliter. Si detur primum, possibile erit per
dei potentiam esse lineam absque tali natura. Patet, tum quia accidens potest
esse sine subiecto... Si detur secundum, igitur linea, quando dividitur,
causat divisionem in seipsa, quod est absurdum (ibid., K-L). 7 Ibid., M. * Ibid., N.In the second place,
among nothing created does knowledge of one thing entail virtual knowledge of
another such that the know-ing of one thing is the cause of knowing something
else.1 This conclusion shows the degree to which the Ockhamist cosmology of
individual experience had gained currency, even if, as we have stressed, this
does not imply scepticism or a purely critical out-look. As we have seen, all
knowledge of the external world, that is knowledge which deals with creatures and
their relation to one another, depends upon direct experience of what is
known. Hence immediate (intuitive) knowledge of one thing cannot by its
very nature engender intuitive knowledge of another not itself directly
experienced. Similarly, abstractive knowledge, since it is dependent upon what
has previously been known, cannot give rise to further knowledge either
intuitively or abstractively.? Gregory has no difficulty in showing that
no virtual knowledge can meet these conditions: knowledge of man does not in
itself entail virtual knowledge of his capacity for beatitude or his ability to
smile;? in knowing of the existence of rhubarb we do not thereby know virtually
its curative properties in purging choler.* To be known these attributes have
to be experienced for themselves. Thirdly, if our propositions are
true only when founded on experience, conversely our experiences do not in
themselves lead to demonstrations—the source of scientia in the strict sense.»
Thus we can have distinct and separate intuitive knowledge of both rhubarb and
of its curative powers without thereby knowing it, as 1.. quia
nulla notitia unius rei continet primo virtualiter notitiam alterius.
Loquor de rebus creatis (Prol. q.4, a 1, 15 0). 3 per notititiam
intuitivam unius rei non potest haberi intuitiva alterius... et per consequens
non primo virtualiter continetur a notitia intuitiva alterius, nec secundum...
quia nulla talis [abstractiva notitia] potest haberi nisi pre-habita intuitiva
eiusdem rei... Nec tertium potest dici. Tum quia abstractiva non potest esse
prima, et per consequens nec primo continere. Tum quia multo minus per
abstractivam unius rei potest haberi intuitiva alterius quam per intuitivam
(ibid., P). 3 Ibid., O. 4 Ibid., Q. 5
Tertia conclusio probatur, nam multe sunt propositiones immediate que
sunt principia artis et scientic, in quibus predicantur passiones proprie de
subiectis, nec tamen ad eas sumendas sufficit notitia incomplexa ctiam
distincta subiecti et notitia distincta passionis (ibid., 16 B).a
universal truth, that rhubarb purges choler: this is the property of
propositions which make up complex knowledge.' Thus, simple knowledge does not
virtually contain complex know-ledge.* In the same way, one principle cannot be
inferred from another, for in any demonstration each has to be known
imme-diately, nor can the conclusion be known from the subject or knowledge of
the subject.' We have thus, as it were, boxed the compass in rejecting any source
of knowledge other than simple intuitive experience and any means of
understanding (or scientia) other than complex propositions. In the one case
each component must be given in experience; in the other a separate mental
process of affirmation and negation is needed. Neither therefore permits
knowledge, least of all universal knowledge, through one first and
all-embracing subject; as this would short-circuit the processes necessary for
reaching a true demonstration as just adumbrated. In short, since one thing
cannot be known from another, and cause cannot be inferred from effect, there
can be no way to the universal knowledge contained in propositions other than
by individual experience; while, for their part, individual propositions must
be combined into a demonstration before they yield universal truths.
What, then, is the subject of knowledge? If the subject is taken to mean that
which is signified in reality, as opposed to one element in a mental
proposition, and knowledge is regarded as that which is signified in a specific
demonstration, then the subject of knowledge is that which is. Thus in the
statement that a line is I etiam si quis novit(a) quod hoc singulare rheubarum
est purgativum cholere, et illud, et sic de pluribus, ad habendum notitiam universalem,
quod omne rheubarum etc, necessario requiritur quedam alia notitia universalis
non causata ex illis singularibus (ibid., 16 C). (a) Ms. Univ. 196:
noverit. * Ex his patet quod notitie incomplexe subiecti distincte et
predicati seu passionis non continet primo virtualiter notitiam complexam
principii (ibid., D). 3 Quarta conclusio quod unum
principium non continet primo virtualiter aliud seu una premissa aliam (ibid.,
1s I). quia subiectum seu notitia subiecti non continet primo virtualiter
pro-positiones immediatas, igitur nec conclusionem (ibid.). Quinta
[conclusio] quod subiectum scientie non continet virtualiter primo omnes
veritates illius scientie... (ibid.).divisible
the subject is the line as divisible.' If, however, we speak of the subject as
part of a mental demonstration, then the subject is one part of the total
knowledge thus gained; for, unlike the object of knowledge, which is reached by
a complex of judgement and experience, the subject is simple.? Taking knowledge
in the wider sense as a collection of conclusions all pertaining to a single
body of scientia, there will then be as many subjects of such knowledge as
there are conclusions and objects known,* as in the case of the subjects which
go to make up logic or medicine. Here the determining factor will be the nature
of the subject in question." Accordingly, Gregory's entire treatment of
the relation of the different kinds of knowledge, and of their parts, to one
another is governed by the experience which we gain of them. The validity of
anything known springs from the evidence which experience provides, and that
experience can only be of individuals. It is at once the bond which unites and the
barrier which divides the simple and the complex, the subject and the object.
(3) SELF-EVIDENT KNOWLEDGE There remains to be considered self-evident
knowledge. It difters from both purely simple individual apprehension and trom
demonstration, and indeed strictly speaking from a proposition at all, in
dealing with necessary truths immediately evident to all. As defined by
Gregory, it is a statement or its equivalent, the 1 dico quod subiectum
scientie est illud quid scitur per illam esse tale. Et
ratio subiecti, seu esse subiectum, est scire esse tale vel tale, verbi gratia,
huius scientia qua scitur omnem lineam rectam finitam esse divisibilem in duo
media. Subiectum est linea; ipsa enim scitur esse divisibilem etc., et
ipsam esse subiec-tum huius scientie non est aliud quam ipsam sciri esse
divisibilem etc (Prol. supposito quodtalis conclusio mentalis non sit
actus simplex...sed essenti-aliter sit composita ex subiecto et predicato sicut
propositio vocalis et scripta ...et sic subiectum scientie est pars scientie
actualis (ibid., L). ..quia
subiectum secundum omnes est aliquid incomplexum (ibid., M). Si
vero loquamur de scientia secundo modo dicta, sicut eius sunt plures
conclusiones et plura obiecta scita, sic etiam sunt plura subiecta (ibid.). *
Et ista patent discurrendo per ea que communiter assignantur subiecta in
scientiis... quam etiam per rationem, quantum non apparet taliter qualiter tot
partiales scientie dicantur ad unam scientiam totalem pertinere (ibid., P).Gregorius
Ariminensis. Gregorio da Rimini. Rimini. Keywords: complesso significabile,
semplice, complesso, animale, pane, l’animale percezione del pane, Socrate is
seated, truth-functionality, scuola italiana, scuola di Bologna, studi generali
in Italia, studio di Rimini. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rimini” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e Rinaldini: la ragione conversazionale -- del
cimento del Lizio -- filosofia italiana -- Luigi Speranza (Ancona). Filosofo italiano. Studia a Bologna. A servizio
di Urbano VIII, ottenne da Barberini,
nipote del papa, la supervisione delle fortezze di Ferrara, Bondeno e
Comacchio. Insegna a Pisa. Amico di GALILEI e BORELLI, il quale lo soprannomina
Simplicio per la sostanziale fedeltà al LIZIO. È in corrispondenza. Uno dei
soci fondatori del Cimento. Tuttavia ha numerose controversie con i suoi amici
e con Redi e Ruberti. Nonostante il conformismo, si oppone alla teoria della
virtù zoo-genetica delle piante, sostenuta dagl’altri accademici del cimento,
precedendo Malpighi con l'ipotesi che anche gl’insetti delle galle nascessero d’uova
deposte da individui della stessa specie.
Insegna a Padova. Saggi: “Philosophia rationalis, atque entità
naturalis.” Un'altra delle sue glorie è la sua proposta di scala termo-metrica
utilizzando come riferimento fisso il congelamento e l’ebollizione dell'acqua
all'ordinaria pressione atmosferica. Prropone di dividere l'intervallo in XII
gradi. Altre saggi: “Opus algebricum” (Ancona, Salvioni); “Opus mathematicum” (Bologna,
Dozza); “Mathematica italiana”; “Geometra pro-motus” (Padova, Frambotti); “Ars
analytica mathematum” (Firenze, Cocchini); “Ars analytica mathematum” (Padova,
Frambotti); “De resolutione atque compositione mathematica, Padova, Frambotti, Philosophia
rationalis, naturalis, atque moralis opus in quo praesertim physica universa ex
accuratis naturalium effectuum observationibus deducta et ubi rei natura
patitur geometrice demonstrata exhibetur, Padova, Frambotti, Ad artem quam ipse
conscripsit mathematum analyticam para-lipomena” (Padova, Frambotti); “Commercium
epistolicum” (Padova, Frambotti). Redi scienziato e poeta alla corte dei Medici,
Lo sviluppo delle ricerche sulle galle, Redi
scienziato e poeta alla corte dei Medici
Pighetti, Il vuoto e la quiete: scienza e mistica: Cornaro e Rinaldini (Milano:
Angeli); Dizionario biografico degli italiani, Roma, Treccani Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Museo
Galileo di Firenze. SECTIO PRIMA. crjuairKpifaf/jfrox, et quanta sit roam necefinat.
CII ani)iu/r>orrpro- dtni m Utut NATURALI tr nrmenlir/anNJliu. SONI auccin nomine dd>et intelligi,
quod auditu percipitur ciim omne id fomnefle dicaturi noo umen 1'onus omnis cRvox» sed
Uleunuutimodo qui animalis orc PROFERTVR. Sonus emm ex corporum
jacrirque pcrculEo- ne muhiriril efficitur} TONVS tamen ilJe
dumtaxat qoiab animali eftcitur nonmodo quocunauc>
fcd ons prolatione» vox nuncupaturi 6c
iurc quidem per suturalia dicitur
mTlrumcnta formatustum expiica- cioois maions gratia tum etiam
sonum excludendi CAVSA I qui cUi forfan ore ab aminali prolatus
nono tamen per
vocis iniirumenta fbmutus fit >
ItekaiSr Multa pottd fum advocem
eftbrmandam inAru- uiuBe- mentanatur x; PULMONES videlicet
guttur dentes u W . lingua » labra
&c.cquibus LINGVA prarertimen qu cii varia fui
Rexione» txKitioneque et ad palatum denccT^
que conhmChone acrem ex p^ote in os
vitali fiicul- cueitae vsmucf atqi pulmonis
agitatione deducum nrietate mira franzit percutit atque componit. Ita voce
tn tuodoTatur» ac tamas vocum, vcrbonimq;
varietates e^rmai . Hinc mirabilis illa vcrboiunu» copia}hinc magnus cloqueittiz thcfaunK.
Tocii di» Vox autem vatiam» atqoe
multiplicem fafaitpar- Bifioin^ ciiioneui) elini
pnmd diuidatur in illam quf NIHIL SIGNIFICAT}nfcdulitz ac ARTICVLATA fic homini
propriz st exteris conucnirc
non poflint. lu qurdem Philosophus T'uces»inquit»/«nr at«»nimiruinfi;
na earum PASSIONVM^qtu; SVNT IN ANIMO per pa (fiones incelli
geo mcmis CONCEPTVS. Hxc .tutem vox» quam
homo» quatenus rationis particeps fibi
vendicat propriam» rc^ dicetur, qux mentis CONCEPTVS
poteA imnifena- rc • £x his quidcmintclligcs » quid
mtcnltdifitiir.i- m$ imer fermonan» sonum et
vocem i naaifenno quidem cA hominis » vox animalis » sonus autem corporis. Agdnuncquanta fit vocum vtilitii
quancanecef Vnluu fitas paucis aperiamoj. Heraclitus
ciufquc iorcs»cq'iorumnumcro Cratylus» putabant
verbis*'* ' niJiil exprimendum» fcd horum
loco digttts» geAi- bufquc manuum ad
mentis conceptus manifcAandos vtendumi non
quod voces aliquo iiabcteni odio fcd quoniamnihil
Aabilc>nUuiqoc firmum arbitrabamur» quin omma
in continuo efie fluxu dicebant» proinde- 9ue dum vox profenurquod exprimendum crai>cran !uAe putabant.
Non inficiandum fanc quibufdam SIGNIShominem Homine ad
intimiores animi SENSVS ex promendos indtgerC. alinumio cum nihil poiTit interius latens
ac in mente regium Tmint NOTIFICARI, mfiali cuius REI sensibivs
opimlationc fi- animiqut ue przfidio. Hinc fiinum ejl illud,
quod prtttr fui agnitionem, quam m^rrrr sensihus, facit nos tentre i» cognitionem ALTERIVS
. Vt
voxiAa»lJowo»praterfpe.® cicin» quam imprimit in auditu tanquain
lonus nos in alterius pma in humanz nanirx cognitionem deducit.
HuiufnKsdi proinde li.um dic debet vt, co pcrlcnfuscognuo
dcocniamusm cognitioitcm rei ctim qua SIGNIFICAT
fignuiv} fiabci connexionem. Iu fit VT SIGNIFICARE non fitaR
quam aliquid aliud a fe diflinCtm cognofccmi reptxTcmaiO .
Quamohrcir^ jdco^nofcentcm fotciuiam cmrcprxfc,H^ai quarareptx- fentatiorji
hgii».n TamcUj *I\-. r »purr,.cn cogitari. Wv'aVi«‘n mienram «ft VOX, Vx
A' H aiuH Ctreli Reiuliim Diprtttunit DuUtBic*.
tnleii conecptnm tlteri d atque ngiuBcet»
vt funt oculi manus et id genus aUa » tamen
inter omnia Tcrbii princeps debetur locus
>aim his »qaio quid humana mens
perceperit» longe melnis atquO commodius quamc cemiignis
eaprinu» declarari qocpoint Veees ad
Vocesad resnianirrflandaaomnind Becclfanarnon m mtnK
Tunt »cum ad id non mediocri tu
opportuna itgna repe* lcftarvd«a riantur;
nemini tamen infictandum» idonea przler o inA
tim ad hoc munus efTc inArumenta , &
forfan etiam necedant jptilTima , cum longe
quidem facilius atque com “II*' roodms,
quaccunque concipimus» ammoque ge- rimus» per voces
qudmperaliaAgnanobisliceat cxplicare. fi Kakt lotera in
vonbus momenti fti ad ciuilcm vium ducendam
neminem pratcrti fi nonnihil ad- phirimB**
ttcrtCTit » non par lim oblidlamcmiquemlibct et voca-
qaeetMa. Ji fennone delumcrei itcmquead amicitiam
focieta- cit.adci- temque exercendam conduccrc»
addocendum» ad btkn vi intenogandumjaddicendum
»adurxcipienduni»ad ttoi dc| finiul & ad petenda con/ilia
conterre. MuiIhI WiJabtiia denique vocis
potilTHinim humana» qua hanlMa caterorum
animantium voci multis nominibus ante- vocu
e6 ccliie videtur indoles atque NATVRA.
H^ccnimma- ditie. xinia,ficorpufcu!i
moJcmexiguamrefpicias{h« vana admodum pro
varietate.fingulorum } h litauis in primis htcdrnique fuir m teneritatis acmollitudinis maxime enim
Hqgitur» frangitur» ac Ace- tur niht!que
pluribus fiexionibus prpeipue in cantu
commutatur { nunc in longum trahitur
continuato spiritu» nunevariaturinfiexo nuncconcifo
diiUn- guitur modo falfis voabus mollitur modo entis atque feueris intenditur
quandoque deorfum a furo- ma vcl Ultujvcl
per gradus prteeps ruiti non rard
fiur- fumahimo pariter attollitur. Nedum
autem vtilitas verom etiam neccAitas vocum cA
explorata fine ipfis
enim haud fieri potcA » n anmd ienla»
atque conceptus hominibus loco quidem abfemibus traCfuque temporis futuris manu Acnnjr
quod scribendo verba literifque CONSIGNANDO ailcquimur iac
id fine vocibus obtineri non potcAj
quid cmm liceris confignaremus antmraUontVoeibus
pgn^catiocoKHtmat i‘ Vletib. TT Veteres
ilioa philosophames Heraclitum Jl Cratylum 'k
Pythagoreos omnes dcnwniia» t«mut no cyt .t
» VI dicerent NOMINA fuifle REBVS i natura
im- n na te pofica »& rem vnaroquamque
pro 1'ui conditione for boi a M* tuam
luilic nomen» vun et eJficaciam habens ad
illam t«ia &ir*e*primendam» ainue
repryfenandaro» vc fapientis ft irapofi*
nmnus videretur »mud noua rebus imponere
nomi- na» fed cuique natura tributum
peculiare» &prc |»rium inquirere. Hcrn,ogencs
contra fignificandi vim omnem in vocibus
hominum voluntati penitus reterebat acceptam»
mhilm hoc tribuendum natur potans, cum fonuit6
fingulia rebus nomiru quoquO lugula tuerim
impoAta. Vocet nfi Voces non omnes
vnmfmodi fum; propterea qudd alique vtfufpirta» GEMITVS
Ac. qus nimirum arti- vomIib ifon fum non ex homrnum IMPOSITIONE
ar- •iiom. |)i(f2tuue» Icd fui NATVRA SIGNIFICANC.
Arcicuiaesau- tctn»quc Ium» non ucm»fed ex
hominum impofitionc» ac placiiOiquod AriAoicIci
eleganter exprcAti diccns» J^omenftgnifitut fteimditm fUettum y
nwniam natura. MminM* nidlam. ^x\i\n , CnmUoraiiotfl
SIGNIFICAT fsgnifica' UtunoH^^iUinfinmcnumtftdftatndm
fiatittmi In quo ducem habuit Platonem» apodquemlo
Cratylo hzc eadem exprcAa legimus. Ab his nec facr* Paginz dtflcntiunt
in ijs enim cA feriptum
Dnu om^atf>iiiRtfnrra4d«^dos»qu« placuerint nomina
rebus imponeit.. Et certe fi res quolibet ab
ipla natura fuum obeinuifi fet
nomc>nulIi dubium »quin omnes populiinationdqs
omnes eodem nonnncresiiiasappcilaredcbuillcnt. Quod a veritate
quanrurr. fit alienum cuicun*]uc • cene
perfpc^um animaducncmi rem aliquam duicr-
fis nomirubus apud diucrfas gentes atque
rutionec exprimi ) eandem itidem vocem vel
in diuerfis linguarum generibus diucrfii penitus
denotare i vcl in vna_j 3uidcm
aliquid finalia veru nihil fignificarc . Ineo em etiam Idiomatc frequenter aqumoex
voces occurnint qus abfque omm PROPORTIONIS
fundamento diversa significam; fic etiam voces fynonitrx ncnipd fienificationis ciufdeiu
quamuis vocis fubAantii dil- fcr.'m.
Tainctfi autem res ita fi: [habeat»
non tnficiandum MulniOt tamen» multa quidem
cAe nomirta determinatis rebus fignificandi simpefiu
non temere amue fortuito >fcd datiopera»&
exinAituto quodarnnlle Platoni ttne- mori» literifque
traditum cAjidque ficvfurpauduin mulca fcUictt
nomina talem ac
cantam cum rebus conucnienciaro » ac proportionem
obtinere » vc ad ci- primendas illas pre
cztcris idonea line ) Neque hino aliquem
admiratio fubeat inam etfi libera
voIuntacC-s stomina rebus poirmc imponi }
cognitis tamen rerum naturis et proprietatibus congruum ac idoneum nomen
l'cicc qui fingulis imponere» datum erit }
Oc cenc hoc fapientis ac Prudentii cA munus {
isenia ciim rerum naturas probe cognoueric»
confemanea.»» consruentiaque nomina ad tllas
denotandas prudenter feliget. &c profeCld
nomen iAud lebemah zpnd Hcbnros Deo
Optimo Maximo congruit appnmc cum
quod cAa fi; ipfo » & Derfuamemfuiam quodr qucnecefle c*pic
>necvnquam delinet »&cA tbns»ac origo
lotitii eflc » cuiufino^ Deus eA fignificac . Nominis
ad rem iAa proportio contingit vel
per Noiuis» etymologiam in eo confiAcmem vtcum prius fuerit ad
rem^ nomen impofitum ad quidpiamfignificandum
»fiini- ledeindenomenad rem itidem fiiuilcm
denotandam adhibeatur) quamuis eo tandem
deueniendum» vc nomen citra quamlibet
etymologiam ad rem ligni- candam vfurpetur .
Ica quidem Logica dicitur a Itigot »
Phylica i fityfu » homo ab humo, & id genus alu.
Eli itidem aJiud vnde proportionis ratio nempe nomi- numcum
rebus fignificandis cognatio quadam qu« penes foQum
attenditur» propterea quod tnultxltinc voces
humiles atqfuefuaues ad res qualdamprxeipud
figniheandas talis conditionis» idonea. Alta vera
alpe- riores naturi func»quaadrearcpr^encandasinquibu#
alpehus maxime conueniences lunt
ac oppornuue .
t^idfignificathYoeit, cui, &4fuidf^nific(t.
Tria ^ TRia igitur in praienda
fum confideracu digni^- ****' fima . Et
quid fit vocisligmficatio* A: cui ngo^
aaS fiti.1 1 & quid penpiam figmficctur . *can
Vtcxocdixri prund } tnepte admodum quidam
Digi!ijccj !:v CjO( Nihil flB '
M>cc i- fiuScMit ni|i.,fi
SiSi»Tmt4i :. jf ii|^1ignIfiqn^aiKli^
ffi^obcitiBa m:;ti prait^ai(lAg|»Acarefio(eir Ideoijircr*
rproirrifniu nonuciiQsipdco^Aofcamu$> itdur
ifio{>t>(!o;:;oiucartFrismamft^cu]us. Non inficien- dam
tamen i vfii venire po(Tc, ut re ipfl
protcren» & .
Attdiwafeidem; cumpo(ntquiJ)*«anieA> (ib.CKcna/eiHi
VDci. gttttioociudaidcducttur» qnod torfan cx
cum animo Niptf&u^ueTnfiab in- exciderat»
Nd: idctn dc protcreno; oiiliuwmium j .
jf»adoinuihisf«d)or» dum enim hica hi loquiiuti
«eirfu d4Curto:;niti- ac^notiminhabnc. hac prxtcritdj
nom rmiOU ruiTiHrntiririrni ffl( , inctuTdcni
rcinocitiamdedaci- . i* quadam pro.
Setinoirailmvocibutabiblai poteA » quin&; noti-
lkttv«’ ttamiho)aitclo»]ucntis» &rcm
crprcflani per ^4 rriiiflitp volita
ffioCTi^W impo/ita> nec non lupponat
icuniquilqucderccogmca Icloqoi cx- uiui •dif .Aie%uiAea(a *_^tealdIi
eliquciu rcfpcCtanrcoi>
iHTicntiicognolcatjqaononimmcritdPhiJofopban-ieA, qui
JteefiWi xubil igitur uuimui)) tium animos
dubitatio fubipdc rciignihcau pci vo- fc
i»o(kiI denominatioaem i^defunipiain (Igiuticarc qupar
,ex- quidem habft I vimqt J^i^rcndumobuocti
vt homi9am iuiiTc de- um aliquid (tbi
denoti- I illam proferat vocem > illud
idem imeUiga? »* ;%e£^alem eilbdenomina-
rccdaderiuatani. ttonem eandem per cari cum quali
vir- )lcat invoccrelatio- animo gignendam. cem
n >>ito‘-c InfuJ^ quibufdam est vifum
per vocci prinw incn> ^T^™*** tis CONCEPTVS secundo
fiiplarfigniricant ciimpotiils primo RES conceptas (igniHcan
cxiAiininduitUi ,51^^ quod degatuer apud
Anllocdem exprclfum iegt- uppoaa- »1
*t linquit 1 jScri nm potffl t vt rct
ip/ji frtenltt dtfputmui nominthu ytmirr fissis .
Putalwt cnitn aflumi nomina ad res
ccmccpras denotandas» quod comprobatum inde
pariter inrclligcs) qudd primus humani
generis }»rciis animalibus n-om.na quidetn
impgfuic» nominibusqupfuis animantia cunela nun
cupauit icxquu hicilc tnicUtgcs >no(ninibiores
ipios Agnihcart . In hanc autem
Imtcncbm adducoriquoniam id sx>t Ibo»
af» pnrad figni/icat» ad quod prirnb
denotandum itutionc liominum lini imp^a Prnnd fune autem J*
uoces impolioe ad res Agnificandas has igitur priraii Jj*
icmrmtono-
Jiwfenir^lii^tr^»^ expU- e -r- X"
ligniHcant. oho.4iiilhJ^^ £t oend uoctbus id
prim^ligfuiicariputandumiin 4 ctiiu$ NOTITIA iuiiiwncdt2ce»^moqocnosillxdcdu-
Aluadd» ^^^^steodum
proptetta ia eunt.
Jdporr6funcresipf«>hxpromdepfiu)6%ai» ctu* r».
phyficc cognitio, ficancur. w®* „ _^^nt
concrcttonc mate- QiuU ade6venim»ut etiam uoecsantmiooeeeMv
Vm«c« aiiii^riamininierfo>nivox denotantes*
dirc^c tesngnthcaredicendsmtiotuonaafifai.'
Jt^propterca-tamumcioon- enim cognitioncs concepcufuccognofciinus*
vocibus ficann» qqptjiichgi Bipriiis caufa
mentem au- utimur ad illos significandosicauc non
fccus* acre* *"*> ^ omoqfdi^eaqtit hic enim ob vocis
in>. liquz res cognitu fe habeant)
atque adcocognicio apHpiBii
j&cftAa^quwdeipnisConitioneha- quatenus rcscognicacA*
per proprium Agnibeatur Imi
bc^Mlitttuf^co^nmtctde^uotormallequitur. nomcn. dx««i{« oiuff
^l^iscwfiv&iMbe^CT^picndumyVtvoxid (it> TatuetA autem
uocibus res cognitis (igtii£cari di-
mM pfo^nat coctionis atquin ceremus»
tamen id nbnfvufurpanduminuafirctn uni Qgo
(*•« tpQ^j^a^rriCxcitarequc co^i- &:
comeionem ntiWaudicnttmmaU- tisuoabuscoi*''^ ‘ ^
Atyi gflCi" fi»IT€r. '' ’ *0'
iVc"’^«fa«icaoubos qip»t- • in wcBtt
ilje^niinaiuili^SWcis prodii , quod ||liin' quod
audietj •> iK pnmo concepti»)
ct^mcioneiuc ferum uocibmn^tHcan- attingit. C^areobrem
i^uens» vt iine huiulmo- '»tc
|voaft)ir^uat(.nuau|mirumconimlocoJubffieutKadobic* di
conceptu nequit alctri quidquam ea
liqutdem eft humani audicasiinc iUo percipere
. lumT intflJtgcmi* conditio, vt nihil
afleqtacuK^tulatio» • 'B*|karte autem loqumU prarter
commemoiamm^Tl^ ^ koi coooqitwn alia indem NOTITIA, /iueconecinus
,nuem i^indtci »du»miftrantibus comparetur* Quod
igitur in aho vlunrnumappclUfaOreqairirur.
NifienimquilpUm proW
tcBucrir,quodcm*cepitaiiima,.linjuu^rofc- qyencc id
ccrtddedaratc non poterit picc mirum,
vo> rkinaiS ^ehimloccfconceptuuin rubror^antufi
conceptos eaim vt* ob idvenjm,quacanquc(uit
i^ib^ligniHcande,iu^ tinuM pommtufinmence QiMdadcoVerum.
Ttfatu ad loquendutn de re aliqua
pnchabuiflenodeiam, ied oportet * ut d^^liloq armilla
rdc qua fkfcruiocDgnofcacur. Ninfor* fu eft
de deba . rius eA animo haud Itoct
nobi« perctpefe, ndt quibuf* dam
^CTii'd»Ubua,prafertiinuocibu8 (ucrit eapreflunr» l^unc
icitur in m^iim concc|>tus menets
uocibut iV gmhcart dicuntur^ hoc Tentu
ca iunt ufurpando^ , quz dc
uocibusdtci Tolcnt , nCmpc qiidd mcmiscoiv ccpius
exprimant , eorundcmqnc notufint, acli^na} non ad
cum modum, quo Hma remtn cHc dicuntur, sed
quaccnos conceptuum foco Tubrogantur. Hinc
auditi uoce bene licet arguere cognitionem
Ic^ucn* ccquiTpiimcaruiforcnttdquerem vocirqidigTtiAcario rc aliqua u.
jn. k... nem Ignorans,
certum aliqwod vocabulum proferat fr^halxiiC
quodapudalioidctermiatoe/igiithcationisnc, tnne
icnutit». autemn)XnonvelutadH«afi50atidumapta>^dutro- nus
quidrrn profcnir} ucauibusquibuldam contingit , dum
vocesqualdam o^Wnunt, quibus nihil pbnd
figniheant , cilm mhi! concipiam, teli articulans
vo- mo, co* MS prononcient, quo mattr^iter
tantum voces pro> gnol» ' Icrrcdicunn^.
tuc« ^ At inaudieote nullumiap^ptam, millamuc
noti ri» ftine quibus amdetj
idque ceni dc coOTicionis "'“*®®** ; L.
c i!ur»«i fluueor ad rationem
quand?m rcJpcxit «cxquafccim* {uadcrcnimncun
quoniam hac potitis mmiflerio ■iiuf^d
dum quamUmi etyrroJogiam anlam certum
iiiipo vocis, in audientis meme gigni
procrcaiique di^; luJie^ «n 4f
ncndinomtndefumplttiiionaJraiionemillam» led non
tgiturhscprztequduaii^iQa, quippe, qnxvo> ^ uuut. ^
«... i, L. j-.,. T-- .it-
■lt(cnuficaniiscrtwai»,Pcr' Hinc etiam diuerlis
concepubus, vocesdiuerlic vart^que relpomlcmi
itaridelicet ut eadem in re, 6 plurcs
inucmanciir rationes, fccunduir qaas A: plurei
conceptus Ibrmari queant } VOCES mdem plures ex-
tern, cum ijs proportionem habenies. Nccpropre- rca fvnomniz reputanda i
huiufmodi enim ut tint ne duin rem eandem ,
Icd litcundum eaudem rationem» eundcmqueconccpuim
ftgnincarc debent. AUcsefl prxtcrcundum
,quovl trcqucncer ufii vcni- «oDcepnt
re ToU t, ui aliuslu conceptiuex q«o
Tumitur vox , & iqriblu- alius, ad queinalTuinitur.
Primusemm nominis i»> iiiur araiiufjid
qu' potius ad itmiplam IfgniHcandam.
luiJlcquidcm aducrtens Numcnfuprfltnumprofpiccrc, ac pronidc-
xe, Dei proinde nomine dignum exiihinamc, non^
quod hoc prorpicientiam>acprouidcntiam,lcd No*
men ipTum, cuius cil prorpiccre ac piouidcrc significare
vellet. ¥( tem lUud etiam libenter
adi)riam, quod »nt vocescon- ceptoumloco
fubrogamur ita pro
eorum diUmdio- ne ,condhionequc voces diftmguumuT
.. Ali* igitur (impliccs,incomj>lcx*que, primae
intcHc- coiQ adeoaS hoc etiam uocis
fccxccnda^gni&ario, uc nedum vox polTit
ie mentem redttccre,qua alioqum U qui
audit aliquando cognouiile ropponicuri^etiam hadlmos
prorfus incogniu iMmifi:uaie,acqi noci^are polTic
" ••* ^4-
Hatc tamennili rcdldduteme^eRntr facile noi
in ci> rorem deducent. Htccrte It
abfoluid hacintcIlUan* tur maxtmd fum i
iTritait remota ciim luud heri ” poflit, ut
audiendo qtiifpiamincdligacuny^ igno* rara
lignilicatione j u nat^t profiuncict altq^u ,
"t funt parw nwmero; jtddsenttrimmus
totius oratio- nisl^iiicatumperc renonpotAitdingularumvo-
’ cum hgniHcadonc ignoratd oportet enim dc hac
vo- . ? ced^^no^tumpiahabuffic, St ita
dc rciiq4is, uc retn^int^igot exprclTaoi p»
integram orationem* , M qu?tan*n
nullo modo tunc in inAte fdideat,
‘ntrolpcdioncrcipropofityieifiquidcm fiteUe con-
hoccnmctiftivcritirenullum habet coraroerciunu, flabit in LOQUENTE,
et AUDIENTE simul ahquam.cogni ciim fi prahJcric,
quamtamenobiiuiodelcuerit, non ruacio. titmcinrequiri,
qu^-cuiufmodi fu, explicandum fu- fulKciat ; fed-opotxc atficiliarum
vocum SIGNIFICATA
DypKtpcreft. Vtautemi uuniftfiis ad
iiumis^rfpjcita-s nomHc, utS'ocibus tudms vocum
in memoriam is» lutMii cd. gredum
hietf c videamur, non pigebit in memonam gnihcatio
reccurrat, quod «ft eorum in habitu noti*
ccpnMvI. fedq^ere, cognitionem, (fueconcc^in
mentis in non -‘ ^ iimicuLic
vltioMtuin/lr ulniiiatudifiribuiiiliefonum vocis tan —
I Illi;; n nim,hiercm{igaiiicatan aumgit)
illum on.mndnc- ccdanmntam cx pane
loqucmis, qu2m aumcncis, cuique paiaiii efl
) ik apenum i non enim hcct quid-
quamaupvoccfignilicarc , nifi vocetn ipiaoi nos
tbqaoRcs, & audu-ract iiidcm imclltgamusi
quod ne^ miiu debet adrpirauoncm ingerere, vorenim
e> ip vnum, qua fubfiiilum c^ura i n
igitur imeUedus cognoicuualkqttitundin quo Vito
figit obtutum tiammbere. icdpociiumco»
4ju%haiKtuco^ carciJtovtamutQlibivulc^mnurum maudiouisani-
«dKwero opoim. Iu parucrfxpcquifptanj
«»umcoRmtio«einmduccrcjqoamobrcni pcrfcctcli- «VitJum.
*°***M*rxioc«tkHK*dodrinaqucaicett05td(lircit>qu2RU7t-
gntiicare.cA «idem perh^dam rei
co'4nitiuBcinin;'C‘ ic uno qmro iciuemi
quoniam tt/i pniubere notuiaiu-*
rcrc:utdar^,quiddintiu4*quefrgindctrej cAcctcla- iS«nut.
oportet dc fiwgulafu/n vocum ftffudcati
auodcA tajn • grqutddtcaciuaiiiincuiiUcntlnuiionouiianL^
hacfaabiracpgno^rc, non taiiicnneceflceit j ine
(farr«diAiiiAcquc cn^icci^ ranafVcqua- a Uja-
idd^c ('tfn^tdarnmvocam/umiiicieBpcnitusiroo-
curfVOcancqnK-nprotvrat »qiuedarain> peiferfam*
V9a*do rsc i*imde nec a&a , nec
habitiulU cogp^cic t nuita.* ue cor; nitioncra
non pntheat > ptoGsCld rem ii pcrli>
wmenexillts vocibus apud cam£pndcandivmiol>-
daamq(icnocitiatqaflcqiiatur;illeprocu!du- C^tmiantreipil vox nullam figniHca
adtviinolHmec» biopcrfcClc>diIUiidcquerem ti^itacallc
dicetur, «urtloqttonitfk^atidiauisammiiu conuemaiK* 0|
Voccatamcttuon poliunt pcilediuifera audienti i luc prolati vo^hucincciligetubimiV. .
quimlunottloqucnti, ligniricarejacque adedpr*- AAsalis
^ mcdli^es . ut opmor yqoidde cognitionis
bemio nouamrci notinam cura aoJicna res
abundo pcrfn«dumpnrreqQi^
perrpcdaooai'ucnt»prati]3rcultnnumcpo:enc> rem au« fvi
isip^ (tcanoneilyTcd Aad/ica adom i &
exercitium lign^ Nec inconiubo |nmcul«m
ajt(.Cbmi raiAitocs» d^m vcchecn» uc
eun co£oorcar)'cdmtierinoapoin(> i^notx>^e^a hic
ell fermo: vel per raodumcxcitan- ' qi^^i diexercitio. rnamyoxqtnnhremproutconcepuinlignihcat
, tt >n Non fie impedimento ertt> in
babitu nodtia con> igitur perti^lid^quaniipfa
concepta tuent jii^n i|. filUus » hac
cnimhabitif vokadhdcpotefVattditmch .care
poteticjquamobccm ut voccj quod non con^-ept-
Bniiuuin in mX^tun coKiMifi:endi*|ebi tantam
babim mustiigobSc^^ noobcec|icanecpcrfectiuii^mr.va- peteepom dediscere
) l^autero fi^iiicaciore^di*
rciniiuisi«led^cotKeptumt%niticareliccj4. v'u- cetut
ca«quxreuocat inCiciiiem«qaod aiias/iocum» cctcnim
l^uun^c conceptui j ijideniquc pru rnu. a
tqoepmpcdbsin fuerat. .
Dcrci'pondcnc}cuiuImudii^ituxiufum>casquu.^-j.:
HincfadliqaidemiBceUiges^fktiusqQidpiafliene cHeooercc;.*
loquirqudraltdniBciretcdmiliudvechiaro^iprot'
£t«rtc^voc«KC(Mcepcuttmfocolubro?amur>n i ''«*■ ”
fcae,vtlprC|Telniemepn*clcrat$fiocautcfttiddat liuiitmcJbgo* curhis
mx pcifcclioms mcnturi k- iiK0^ttx’rei./4iidiemit
Bainvo cognitioncith ing> . ponBere non tkbeamsioco
tiqmdemconccpiiisim^ * ' xaciqud ad Oaun loquimur» cui uunen
nihil lignifi-* perf^Ic rcpfxlbicamti fubfVttuta
vox impcircCic ti* caxeUctt i ei
oOTon^ia pc^pedb tine, aeexdorau ai^abit (^ctmdraodum lococonccpius
rem p;r« Sedhlc
noniidulscquirpUmf^upcibituidubium. KdcxcprxlcmajKiBTot itidem
fubUuuta pcrtlclc li* mpq£ otunufBvnnrepoAitj
utaliquisuceodo uocil^ps» Sc gmticabic.
Ncqtiemlrum» namrocesomnem lii^ni- veltmponctidoyVd
un|dmpro^iend6 iiias»qwA.' hcanfli vim hab^cdictimur..
quatenus loco conevp- gniticaxe poihint rcmperkclius dgttiHca»
quano^ xusun fubfUtuamdr» 'quibus natotd
mamitliarc.)» icait u* ip&mee ct^no&ax . ^
rcprxfemaxc conuenit . d>*"i^S
^cbnsqmdcmdiAicultxs»mamcainen«xparte ')d parucc
bancueriutemruminopereconHnnat. . ■ ortum ducemexdiuerfomodo
acraiendi pertedio- Si quis rei conceptum
immediate quidem altcnpol^ ratiT'^
lKmcoerfiriorBB/&eBdmct{bca4laodint^O) quo fcconendcxetcarcis»cmraanifelutioricrct»
maio* * m f«||Voxxei%miic3t^no6tiamprxbcrepqtefi{ec(taucera
xems- ^ct^oremue notitiam rei conceptx ct ua
Bliona mnnqngfuppctant j dc adoftcndcndain fen- maoilmaii
conceptus aDcqtu non poflex quam iit
e«« nuamaifirmaiuem ik ad MmoiJbandim negan- idem
conceptus. Hoc n^is autem de uocc
dicem im|tarncnc?»r>ediun llgnidcatio vocis » jcd etiam QOXpcrlcCtiOfrm^ qujm
m loquentc notitiam indu* pcr/edbo dpt^catioms
dqpc^cti (iquiJem iu»a^ . ceie poliet '.Vndemautem
m loqucntc non poHcc .
XRJiomniBinorrmucreitigniiicatxBOtitiamvoKiJia» ■ £t ut ingmucfiuearihuc
tantum abc/liutlrcqucnccr cis* mifitifoe icm ipbun
percie %oihcaie dicitur, penire u(ufoleat*aocibosndura
pcricciacnnomiam B^rtita rcidefl lUafBtl^tO
>quxmcogniuonOj iniudiencssammuniiaduci* quam m
loqmntelk. %ni/}c4Xioaeq»c'pot^^*ttendi>iicmpecIarias»acqne Qisod
Plarodi l^le pcrfpc^umi ac expioraramac-
'ddhiHSiodiuTi ciBriuBjdiiluB^ufoefcs^ognolctcur) cepimus*
cum de Deo loqueos diceie conlueuiilct*
fcppnecas iodexa conerpo^ dum pcopriou quiddi**
dt^ile clio* peumi i^udlcCtu peicipcte cioqut
ucid impoHibilc. ; • . A-.W. -
u »1 d»tl$ RrntUin^
Dijftriatmet DUUBit^, Skfr»U- 7d am«ni
paffim cMitingere nobis com^namcA) iit>
caTu»mcnucr(>tprotuIcr(t> uodfam aJhaeai*
0a «i^fii|uisenimqui(lpiafnocuIisvfDrpct« atque
adc6in*> lertquidpiamfj^nificaiunn (k; cilm conccpms attcrv
tue«Tttr« haud potcricemif^voQibuireinocicumal» didcocat
>cuiusloooivudIioinineshQiuiipodtrcmio Mt«acc6 teri
pate^icere» qui rem eandem aiueocuida non
ha- fubAtiw (blctj quainiMrcm fi duo lint »
qniljabcanc >boerit»ruxqucTifionisv*aqndcIaramnotkiamnoiu>
inzquaics conceptus > ijfdcrotamciivocibusutaj^r» iucrtt
coiUecutusi quoniam» ut hoc pauos perfi/in-
coDdcn>qticremK>ncniadhibcaat) a^taliter hgnifica*
ftni» DequiiUQiPCTfcd^ res oocibosea primi buht«
Vtcntm cadeui de r« conceptus haberi
pofTunt fi|nirican* Loqueos Noneotansctiiddico»
quafi taoi dtuerCts adinue* cmm videndo claram
aeque findam ret notuian\,.» ntri vam>
Icmt conceptus mcnco i fcd c»haitn allero,
diuerial imungdpntbcndumaflcnfnminducK.
JUeigiturvi» iDflttutasfuiilcvocrsps nmabilcmdtucrliutcnicon>
iusopituJationecoputionem adipilcitui': alceraite»
cepeuum* Non negandum tamen vocesccoKepnbtucI
, fiacionis»n-.cdijs vocibus fkdbe*prxMiojrci nottoam-»
proportione rdpon^ere » m quo dariortf » fic diflro*
acqniru Igitur qui
foquuor miniflecio vocumnequic chores quis
4o rcquspiaiuiIiM ^bucrit * co ctianu* audienti
tanipcdrdbmbotiriam ingerere I quoniam chnutydifiinChust dc
aperriu^rctoipram vocibuf bic non eodem
utitur CDCnolccnds modo Iciitca explicare ibieat*
proprix vifionis qmi
Ulc ruam fibi notitiam coiopa» Qua
autcin*vtruas in humana mmisconceptiboi
rautiat* iocfi» csdcmipntadexxcrn&sroc^traasiundicursut
•ufietn- Sed hic aliam veritatem
qccadtare non licet nimi- enhn cognitio
verd vel/aUo repnrrentet obieCtum: ita •ingttjvt
!>}[nlxpe contingere» Ut vores pcrlrciiUs
rem au;licn> «nxcogiuuo^mexprmicns rem illam
nl falso' tifignificenc»quamnou iiiloqoenci «ocitandolciii-
/tgriilkat' Ncqucmltumvoxenimtdt^ rmi •0^'j^i cec m audiente cognliioncm
in labita conliuutam clt qnontam concepsns
loco cadenp de re rtiblVuat- fieniMt
^iquttenimreialicuiascUrani»dinhiaamucnodtiai)i tut » ita
vcrffigiiiMa^ptopuereaqDdtilocovericon- quioinD filcrit
adeptus» poOir.odumea dc It nibU cc^iunss
Geptus;rals6auteui^qtfDnumrd{(U'C>nceprisloco{ui> M (k
fa>.ilumdeipiaJoqucrta»atidic» quaniuii indiimuma togauir*
qiKMi* vdutiiiuui»inquoeiurdcmtc; notitia admoduniim*
'Vroz>inumcA*nequid vcrlus*quidque^firasfit Qpij
pertecta cfi»AioL'^rai txpexictur utiquccogmtio>
invoabaa»ufenamu>. £amporr6dcno«mnacioncm riacsraunucnr»
fiiii'zquc iint»^ mqutr^ notitiam» quam in
l'c habeat» induci. fign)ncactoncprobcMCi(or'/qu«
ciiincxhancmis Ji^***'* Hoc plaufibikihncnuximd
rationi con entaneom» butaus in exuinfc^
quadam detximmatton;coa'N quoniam nedum voci
concedenda vis ilia ingerendi ibt hun^modi qu
vocibmclK»puuidum Pfoiivlclthounnesootlcnc
xificntemuidemexcitaMipuliuin iQlubicu» quacfi
anipUusubccminiidtquarigniricaaorieQrurpare »nu!>*
pciicClionc mneat» aefuperet stlam» qui IeK]uemts
laeausinu-ujOrcdpmuiiunela^.itcdpcrlolasciRrin* amrrnsmtrirroatur
«cuiNcaiprafie^quarnouiiercxcv' finsdcnotmnauOflfts ueruatem
»auxl^i(atcm amic- tatttr nulli dubtmu»cum
pcrtedlior^ura fit co^m* itrcc. Vtcomra*»
ri uo> nihil ItgniliCins ad aliquid
no annno qimkm auditmus ingefia^ qudm ca
> qux l|gniitcanduiii aUbnicrctur •
rchdct mloqueme > V oces y itur prterem c rf i tando
Hax amcmdcndMlmtiofico imcUuttuscogmtKK Oenoaii- numtam»
inaudiente pctltiibns» ^tiufqoc rcfn«a ne
dcrumiiur >.ucperconnouuoocm'ipfaramrcruin iMtto ex*
fi^niHcarc poliunt &c- • f^mlia pttdt* iAam
noiitiamnoncx ri vocis» rigo^cMiooifue aj
lqaucruatc»lainuu'quccognicioms»cuio>iocovo. da*cmas
notiuamrci aliasigno&nouiicvprocrcandamdedpo.
«tsTubrogamor» dcmmlTiatioventatis» ac fallTcaus CIUS
ad rei pratcoemtxvctetcra excittodain haben . in
vodbus er vcM j fehaqoc coghiuone dscctur
dio Nonenimhxclu,ruhcardivisadnmperfedilamrci
dcTntnpu.** aii«cu*ni Domiain gignendam dcteunin^.ell*»(ed
penitus inut • & fane
inaudicmisanimotiutlljei/ignlficaarco- incmeeogrfi loocm uaam
oppolicum tamen e«tet-
g^tioncDouiicrgenicaAfcti pri0mitaotrimcxciuti> ms
uocibus alfirinac »\uaut eucma*I^ufio tmemo
twxadhuc fignihcatioaiscifccliniiobuDuilhriSttn^' conceptui
noncon^niat* Prion ruedo uocalu talla
OicmemaudtciMiscogniuoncm iaduxiJle dicetur*
JocutroaUlUTUcncisnotmadcnomtnacur* bccundo Hic
libenter iubi|dam aliquid notatu dignilhniums
modo » non quoniam iemu> vocibiiscipreliusmcmii
aempe» fi quempiam accidat, au ccrfeChis
fit rei con> coiKeprui , cmm veruni luppommus congrhir» hinc ceptus»
uti uoeibos niiiuisper^ ptofeiTc uocca
perfcdiabfiunih^te$n^(cruli> cum» quaicnusde iplu
longdtaciliusilJa prxeepu-uj of dirigtf.
ier»utaiunt» (altcmperfedieremfigmficaiuniimad*
uadumuriquxdeincnrt$concepcibus»quonnu*oco^**” e«r> couc»
eiuinfiJoquciisnuiiuiiicucooccptujo habuc*, i*ub(tuutziwu»ihuUtgcndikvo&mu$»(.vr4(/wjiny/tfr/u>
Vnmftf»*
r^^f^^^^^ffnprmctpiat&conclufionesYniticrfalitdicunturfijuonijmcHmmat
tumbxqufdamYtti'- l«pj'r'ri(» mrffUttmmcidtHmti^edebent .
incomplrxumaucununmrrfaiccftrcsijuedam fimjilcxinconipicio
tcrmi- Maltipl« i' niuerfaledicituT mcaufando,
cUquciplaciula untuer-Vmueifi. Iklis
rfj dtfiu ,^mmiam ud plures, ac plures
fi extendit effeclus, iuxta muUilndinim quorum ,
prout nimirum^ u i..com. plMTifpaucior^qMefmS,
eaufa tna^it minufue dict fdet Yniuerfdis.
1'niuerfaUlfmaommimtH caufa prima fleiom. Yt animalis natura tqua inomnibus animales et
Vntutrf bcMinii; omniimi (pcasdmucmturtboc sdem
dtcitur et:.:myniutrfait in prsdicandu, quoniam quod
in mtdtiseJUe le id fig.. .
omUisqmifmpradtcaTipottll. £jlautemm figmficando (pmependo
feuprxdicando vniuerfali illud, in cumi
fimiJ*. Logicus mcumbit X immeritd ,
cum buiiu .Artificis omnis eo coUimet
imittflria» vi inteOe^ius co. Vcu«c£»*
gmtmm dirigat ,iureihtudmem in tllam
inducat i quodprafertim Yniucrfalism hic medii
traiimioHeconfe- 7 ^ialm\Timquta ad
pradicamentorum notatam sntellKlmtisre^Utudini
fsmmopereconferentemtnedsmYtilii ijla y ,umV. io^^fod
mtuffaria eflspradicamentafiquidemborum qumaueYnmerfalnm fme
prxdica&ilium funt tndma- k« pr«. tmoitiMeonm
quemlibet af^misgeneTioui, mfpeaeiperdtfferetttias Yfquead Yliima
indiuidita diuidatufi (p djcaaio . fnprutaUt^
oUrsbuta ifsadnectaniur,ita Yt in eorb
errainattone nihilfrequentiusMam hxc»de quibusloquimut
l>c q«t> ymmrfaiuttYfwrpentMr.'tumqniaadfmgsda infirumentalcgkahacmagno
pereconducstnotitta^&quidtmad *«iueilaii dtffMitiemts quemau
Ynius cuutfqi res definis io per
gemu, (p differentiam : deferiptio per
proprium,Yei per multae afwuuai^safmsdfumpta
tradcndaffi^^ Jl£ diuifmemmern» poptcreaqsMin^entiaJabusdmfiwdsus^^^
ftntm JfrrmiM I ataiJnlMii3 fiibiritMmmacciJmudiflTiSMwrvIlmilxo
y^irms, xnplinmus. M ima Otiakmt, mipiiiutmfiiim est definitio, veldferntia, u
ohniodoffiflimeidefnbitbodimm- ffrmdut ifiettiamad
olt4o VrMtpuatauunYtilitati ob quaerat opera
pretium hanc (r.a^i^toii/m m/iiiHerrj uetfait» t^^amiiufouda
t qmmiamYtdapradicamentitdifceptatioadintelleaionmdirigendamcondiKit,
qitstenus ante bw, yitit ociimfeTmnomnssmgnnafifpectei,
differentiafqne conjlstuit, Yt fuhindHong melius, atque facilius in du, i*T*^ V
peretpertipc bac
contemplaiio,quatenus nuais tamen ab^rabie omnia
ad hac qusnqt t^sredigit,
imdle&umdocen^,qMulfitgenHs,qntdfpecies&Cn ut uleriti
fuas extreere poGit operatmet m id supg^ttdm
proteli, &adtsunent9n < Carlo Renaldini. Carlo
Rinaldini. Rinaldini. Keywords: cimento, cimentare, provando e riprovando, del
Cimento, filosofia naturale, filosofia razionale, Refs.: Luigi Speranza, “Grice
e Rinaldini” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Rindaco: la
ragione conversazionale o, la setta di Lucania – Roma – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Lucania). Filosofo italiano. A
Pythagorean, cited by Giamblico. Giamblico sometimes spells his name “Bindaco”
(non si veda).
Grice e Riondato: la ragione conversazionale o del metodo
dell’etologia filosofica – filosofia italiana. Luigi Speranza (Padova). Filosofo italiano. Studia a Padova sotto STEFANINI,
FERRABINO, PADOVANI, e DIANO. Studia l’Aristotele neo-latino. Uno dei galileiani.
Ezio Riondato. Riondato. Keywords: il metodo dell’etologia, morale, morale
classica, Aristotele neo-latino, Epitteto, l’enuniciazione,
dell’interpretazione in Aristotele, crisi, metafisica e scienza in Aristotele. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Riondato” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Riverso: o, la ragione conversazionale della
la forma del segno romano – filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo italiano. Studia a Napoli. Insegna
a Salerno e Napoli. Spazia dalla filosofia critica ed analitica, alla logica
formale, ed è stato esperto in problemi di linguistica, di filosofia delle
scienze e delle culture. Saggi: “Colpa e giustificazione nella re-azione anti-immanentistica
del "Roemerbrief" barthiano”; “Teo-logia esistenzialistica”; “La
costruzione interpretativa del mondo”; “L’epistemo-logia genetica”, “Meta-Fisica
e Scientismo”; “Filosofia e analisi del linguaggio”; “Dalla magia alla scienza”,
“Conoscenza e metodo nel sensismo degl'ideologi”; “L’esperienza estetica”; “La
filosofia d’Occidente, Corso di storia della filosofia, Natura e logo, La
razionalizzazione dell'esperienza, La
filosofia analitica, La filosofia, Individuo, società e cultura. La psicologia del
processo culturale, L’immagine dell'universo. Astronomia e ideologia, Il
pragmatismo, La spiritualità, Il linguaggio nella filosofia romana antica, Democrazia,
iso-nomia e stato, Una corrente
filosofica; riferimento e struttura; Il problema logico-analitico in Strawson, Democrazia
e gioco maggioritario, Filosofia del tempo, La civilta e lo stato romano; Alle origini del
pensiero politico, La carica dell'elettrone, Esperienza e riflessione, Forma culturale
e paradigma umano; Le tappe del pensiero filosofico nella cultura d’Occidente, Paradigmi
umano e educazione, Filosofia del linguaggio, Dalla forma al significato, Cose
e parole, Come BRUNO (si veda) inizia a parlare: Diario di una maestra di sostegno,
“La rimozione dell'eros nel giansenismo”, Civiltà, libertà e mercato nella
città italica antica (Roma). Un viaggio al centro dell'immaginario religioso e
mistico che ha influenzato l'umanità, morale
e dottrina, Cogitata et scripta, Filosofo
del linguaggio, La Tribuna. Semiosi iconica e comprensione della terra. Intorno al pensiero di Karl Barth. Colpa e
giustificazione nella reazione antiimmanentistica del "Roemerbrief"
barthiano. CEDAM. Padova 1951. 70 pp. Introduzione. - Il problema della
giustificazione. - Prima della giustificazione.- La salvezza è nella fede . -
L'istante della crisi. - Giustificazione e grazia. - Osservazioni critiche. -
Appendice. La teologia esistenzialistica di Karl Barth Istituto Editoriale del
Mezzogiorno. Napoli.1955. 428pp. Introduzione.- La teologia dommatica secondo
Barth.-Senso e valore di una teologia. - Il problema di Dio. - Il Dio della
Rivelazione. - Il Dio rivelatore. - La Rivelazione oggettiva : Gesù Cristo. -
La Bibbia: Testimonianza scritta della Rivelazione. - La Rivelazione nel
soggetto che la riceve. - La Fede. - La Creazione nel sistema di Karl Barth. -
L'antropologia barthiana. - Valutazione dell'antropologia barthiana. - Il
Creatore e le sue creature. - Redenzione e Giustificazione nel barthismo . -
Cristo Redentore. - L'ecclesiologia. - La morale di Karl Barth. - L'evoluzione
del pensiero di Karl Barth. - Conclusione. - Appendice bibliografica. La
costruzione interpretativa del mondo, analizzata dall' epistemologia genetica
Istituto Editoriale del Mezzogiorno. Napoli 1956. 322pp Introduzione. - La
nascita e lo sviluppo dell'intelligenza nei lavori di Jean Piaget. -
L'epistemologia genetica e il pensiero contemporaneo. - L'interpretazione del
reale.- Adattazione e divenire. - La struttura del concetto. - Lo schematismo
concettuale del sapere. - Volontà e intelligenza. - Conclusione. Metafisica e
scientismo. Con un'appendice sulla logica di C.S.Peirce Istituto Editoriale del
Mezzogiorno. Napoli 1957. 150pp Introduzione.-Atomismo e genetica concettuale.
- Psicologia, logica e matematica. - Il substrato metafisico della logica. - Il
substrato metafisico delle matematiche.-Il substrato metafisico della fisica. -
Psicologia e metafisica. - Conclusione. -Appendice. La logica di Charles
Sanders Peirce. Il pensiero di Bertrand Russell. Esposizione storicocritica.
Istituto Editoriale del Mezzogiorno. Napoli 1958. 568pp.Seconda edizione
Libreria Scientifica Editrice, Napoli 1967. Introduzione. - La logia dei
"Principi della matematica".- La logica dei "Principia
mathematica".- La filosofia della mente e della conoscenza. - La filosofia
della natura .- I problemi del linguaggio. - L'umanesimo di Russell . -
Sociologia e politica. - Conclusione. - Scritti di Bertrand Russell. - Scritti
su Bertrand Russell. Introduzione alla filosofia e all'analisi del linguaggioIstituto
Editoriale del Mezzogiorno. Napoli 1960. 324pp. La filosofia del linguaggio nel
pensiero antico. - Filosofia e analisi del linguaggio nel pensiero cristiano e
medioevale. - La filosofia del linguaggio nel pensiero moderno e contemporaneo.
- Le ricerche attuali di filosofia e analisi del linguaggio.-Il problema
logico. - Il problema sintattico. - Il problema psicologico. - Il problema
semantico.- Il problema grammaticale. - Conclusione. Dalla magia alla scienza
Libreria Scientifica Editrice. Napoli 1961, 130pp. Introduzione. - Magia e
scienza. - Scontro di Weltanschauungen . - L'euristica rinascimentale. - Lo
schema interpretativo "macrocosmo-microcosmo". -Caratteri
dell'interpretazione magico-rinascimentale e caratteri dell'interpretazione
scientifico- seicentesca. - Natura viva o natura morta? Sintesi o antitesi? -
La lotta contro la spiritualità magico-rinascimentale. - Matematica e
spiritualità scientistica. - L'esperimento. - La tecnica. - Una polemica sull'
"Harmonia mundi". - Una polemica sulla divinizzazione dell' universo.
- La vittoria dello spirito scientista. I problemi della conoscenza e del
metodo nel sensismo degl'ideologi Libreria Scientifica Editrice. Napoli. 1962.
282pp. Introduzione. - Etienne Bonnot Abbé de Condillac. - Pierre Cabanis. -
Joseph Marie de Gérando. - Antoine Louis Claude Destutt de Tracy. -Charles
Bonnet. - François Xavier Bichat.- Gli altri ideologi. - Pierre Laromiguière. -
Antonio Genovesi. - Francesco Soave. - Melchiorre Gioia. - Giandomenico
Romagnosi.- Melchiorre Delfico. - Pasquale Borrello. - Marie François Pierre
Gauthier Maine de Biran. - Ideologia e pessimismo. -Henry Beyle Stendhal. -
Conclusione. Analisi dell'esperienza estetica Libreria Scientifica Editrice.
Napoli 1963. 350pp. Introduzione. - L'atteggiamento estetico. - I linguaggi
dell'arte. - L'opera d'arte. - Il mondo dell'arte. - Conclusione. II ed.
ampliata, ivi,1967. 360pp. Il pensiero occidentale. Corso di storia della
filosofia.Libreria Scientifica Editrice. Napoli 1964. 3 voll. 142 + 120 + 180.
- Vol. I . I presofisti. - I sofisti e Socrate. - Platone. - Aristotele. - La
filosofia dell'età ellenistica. - La filosofia greco-orientale. - Il
Cristianesimo e la patristica. - Sant'Agostino. - Le origini della scolastica.
- I grandi problemi della scolastica. - San Tomaso. - La scolastica dopo San
Tomaso. - Vol. II . L'età del Rinascimento. - La crisi della spiritualità
rinascimentale e il nuovo orientamento nello studio della natura. - Cartesio ed
Hobbes. - Il cartesianismo. - La sopravvivenza del panteismo. - Leibniz. - Vico.
- Locke. - Berkeley ed i platonici di Cambridge. - L' illuminismo. - Kant. -
Vol. III. L'età del Romanticismo. - Hegel. - Discepoli ed oppositori di Hegel.
- Lo spiritualismo italiano. - L'età del positivismo. - La crisi del
positivismo. - L'età che viviamo. - Il movimento logico-scientifico. - Il
movimento fenomenologico. - Il movimento analitico-linguistico.- Conclusione. -
Dizionarietto di termini filosofici. Le tappe della pedagogia nel mondo
occidentale. Corso di storia della pedagogia ad uso degl'istituti magistrali e
dei candidati ai concorsi magistrali e direttivi.. Con un'appendice sulla
letteratura infantile. Libreria Scientifica Editrice. Napoli 1964. 146pp.
L'educazione nel mondo omerico. - L'educazione nell'aristocrazia postomerica. -
L'educazione nella democrazia ateniese. - La pedagogia di Platone. - La
pedagogia di Isocrate. - L'educazione nell'età ellenistica. - L'educazione
romana. - Cristianesimo e formazione dell' uomo. - L'educazione nel Medio Evo.
- La pedagogia dell'Umanesimo e del Rinascimento.- L'antinaturalismo
seicentesco e la ricerca del metodo dell'educazione. - Il rinnovamento
illuministico della pedagogia. - La pedagogia nell'età del Romanticismo. - La
pedagogia del Risorgimento italiano. - La pedagogia scientifica e il Positivismo.
- La pedagogia attuale. - Le scuole nuove. - Conclusione. Appendice. Il
pensiero di Ludovico Wittgenstein Libreria Scientifica Editrice. Napoli . 1964.
390pp. Introduzione. - La filosofia del "Tractatus
logico-philosophicus".- La logica del "Tractatus
logico-philosophicus".- La fondazione della matematica. - Nuove vie per
l'analisi filosofica. - le analisi dei "Libri blu e marrone".- Le
"Ricerche filosofiche".- La matematica senza fondamenti. -
Conclusione.- Bibliografia. Natura e logo. La razionalizzazione dell'esperienza
da Omero a Socrate. Libreria Scientifica Editrice. Napoli 1966. 464pp.
Introduzione. - La visione omerica del mondo. - La vita, il mondo e il divino
alle soglie dell'età classica. - La razionalizzazione dell'esperienza nella
scuola di Mileto. - Il pitagorismo e lo sviluppo della matematica. - Il
razionalismo eleatico. - Il razionalismo eracliteo. - L'equilibrio dinamico
dell'universo empedocleo. - Lo scientismo di Anassagora.- L' atomismo. - La
razionalizzazione storiografica. - I limiti della razionalizzazione: il tragico
e il comico. - La crisi del logo. - La filosofia analitica in Inghilterra
Armando. Roma 1969. 338pp. L'analisi nella tradizione filosofica inglese.
- Analisi e pensiero scientifico a Cambridge.- L'analisi neopositivistica in
Inghilterra. - L'insegnamento di Wittgenstein a Cambridge. - La revisione
dell'analisi logica. - Il percepire. - Il soggetto e la mente. -Dio. -
Dall'etica alla metaetica. - Conclusione. - Bibliografia. Il pensiero di
Ludovico Wittgenstein. Seconda edizione interamente rifatta. Libreria
Scientifica Editrice. Napoli 1970. 484pp. La filosofia oggi Armando. Roma.
1971. 301 pp. Introduzione. - L'orientamento fenomenologico. - L'orientamento
marxista. - L'orientamento dell'analisi chiarificatrice. - L'orientamento
dell'analisi ricostruttiva. - Jean Paul Sartre. - Enzo Paci. - L'istituto di
filosofia della Accademia delle scienze dell' URSS. - Gyorgy Lukacs. - Peter
Frederick Strawson. - Gilbert Ryle. - Willard Van Orman Quine. - Alfred Jules
Ayer. - Conclusione. Individuo, società e cultura. Introduzione alla psicologia
dei processi culturali Armando. Roma 1971. 240pp. Trad. in spagnolo: Individuo,
sociedad y cultura - Editorial Verbo Divino. Estella (Navarra) 1974.
260pp. Seconda edizione italiana. Armando. Roma 1983. 184pp. Cultura e
processo culturale. - Schemi e schematismi psicologici. - Gli schemi
linguistici. - Gli enunciati che funzionano da schemi culturali. - Schemi
d'interazione e strutture dei gruppi. - L'unità strutturale di una cultura. -
La dinamica assiologia nei processi culturali. - L'inserzione di un individuo
in una cultura.- Il divenire delle culture. - Conclusione. La nostra immagine
dell'Universo. Astronomia e ideologia. Edizioni Beta. Salerno 1971.
200pp. Introduzione. - Cosmologia ed immagine dell'Universo.-I precedenti
storici della nostra immagine dell'Universo.- L'immagine dell'Universo
all'inizio del nostro secolo. - L' immagine dell'Universo dopo Einstein.-
Conclusione. Il pensiero di Bertrand Russell. Esposizione storicocritica. Terza
edizione interamente rifatta. Libreria Scientifica Editrice. Napoli 1972. 414
pp. Introduzione. - Da Hegel a Leibniz. - Il platonismo delle relazioni.
- Dall'atomismo logico allo scetticismo analitico. - L'umanesimo di Russell. -
Società e politica. - Conclusione. - Opere di Bertrand Russell. - Opere su
Bertrand Russell. Il pragmatismo Edizioni Beta. Salerno. 1972. 262pp.
Introduzione. - Charles Sanders Peirce. -William James. - John Dewey.- George
Herbert Mead. - Clarence Irwing Lewis. -Ferdinand Canning Scott Schiller. -
Conclusione. Aspetti
della spiritualità europea dal '500 al '600Edizioni Beta. Salerno .1973. 430pp.
Introduzione.- Motivi e figure del naturalismo rinascimentale. - Momenti della
riscossa antinaturalistica.- Corneille fra amore e ragione. - Il dramma di
Racine.- Il tormento di Pascal. - Milton ed il Puritanesimo.- Conclusione. Il
linguaggio nel pensiero filosofico e pedagogico del mondo antico Armando. Roma.
1973. 262pp. Le prime riflessioni sul linguaggio. - La nascita
dell'analisi linguistica. - Il "logos" dalla scienza alla religione.
- Il linguaggio nel pensiero patristico. - La riflessione sul linguaggio alla
fine della cultura antica. Democrazia, Isonomia e Concetto di Stato Edizioni
Beta. Salerno. 1975. 510pp. Prefazione. - Equilibrio e vita pubblica nella
Grecia antica. - La politica aristocratica di Platone. - Lo Stato e la felicità
umana in Aristotele. - Il gioco democratico. Le correnti filosofiche del '900
Fratelli Conte Editori. Napoli. 1976. 192pp. Introduzione. - Il
pragmatismo. - La filosofia dell'azione e l'intuizionismo. - I neokantiani. - I
neoidealisti. - Il logicismo. - Il positivismo logico. - La fenomenologia. -
L'esistenzialismo. - La filosofia analitica.- Il marxismo.- Pagine scelte di
filosofi del '900. Riferimento e struttura. Il problema logico-analitico e
l'opera di Strawson. Armando. Roma. 1977. 240pp. La polemica sulla denotazione
e il riferimento. - Uso linguistico e verità. - La logica formale. - Soggetto e
predicato. - Linguaggio e ontologia. - Strutture e forme dell'intenzionalità.-
Conclusione. Democrazia e gioco maggioritario Armando. Roma. 1977. 192pp.
L'esperienza politica dei Greci. - Idee e domande dei tempi nuovi. - La nostra
esperienza. - Un gioco che può sfuggire di mano. - Conclusione. Filosofia
analitica del tempo Armando. Roma. 1979. 240pp. La menzione del tempo nel
pensiero antico. - Trasformazioni semantiche dei discorsi sul tempo. - Nuovi
problemi linguistici sul tempo. - Denotazione e non-denotazione nella semiosi
discorsiva sul tempo.- Problemi semantici e sintattici dei discorsi sulla
temporalità.- Conclusione. Ideologia e società nell'Islam Gentile Editore.
Roma. 1979. 244pp. Vicende e problemi delle origini. - Dagli Ommiadi agli
Abbasidi: organizzazione sociale e sviluppo ideologico. - La frantumazione
politica e l'avvento dei Turchi.-Le differenziazioni dell'ideologia islamica. -
L'apertura alla filosofia. - I tre grandi della filosofia islamica. - Filosofia
e scienze. - Filosofia illuminativa e sufismo. - Conclusione La città e lo
Stato. Alle origini del pensiero politico occidentale. Edizioni Borla. Roma.
1982. 350pp. Dal villaggio alla comunità urbana. - Dai palazzi minoici
alla polis greca. - La "polis" e il paradigma commerciale. - La sfida
persiana. - Il paradigma ateniese.- Critiche e proposte di Platone. - Lo Stato
e l'appagamento umano in Aristotele. - Conclusione.- Tavole prospettiche. -
Bibliografia. Millikan e la carica dell'elettrone Editrice La Scuola. Brescia.
1982. 112pp. L' atomo e l'elettrone. - Le ipotesi di Franklin. - La constatazione
di nuovi fenomeni. - Faraday, l'induzione elettromagnetica e il campo di forza.
- Metafisica ed elettromagnetismo. - Campo elettromagnetico e linee di forza. -
Dal campo di forza al campo di particelle. - Il campo nel ripensamento di
Maxwell. - Nuove idee sull' elettricità. - Gli elettroni. - Campo e materia
negli elettroni.- La teoria dell'elettrone in Lorentz e in J.J. Thomson. -
Elettroni e quanti.- La radioattività. - Il procedimento di Millikan. -
Osservazioni metodologiche. -Sviluppo della nozione di elettrone. - L'elettrone
nella fisica odierna. - Un problematica filosofica. - Millikan e la sua opera
scientifica.- "La mia impresa della goccia d'olio". Esperienza e
riflessione, le tappe della filosofia e della scienza nella cultura occidentale
Edizioni Borla. Roma 1983. 3 voll. 384 + 448 + 470 pp. - Vol. I.
Introduzione. - Le origini della civiltà greca e la scuola ionica. - Influenze
iraniche e nuove riflessioni sul mondo della Ionia. - Pitagora e la filosofia
nella Magna Grecia. - La nascita della scienza e il pensiero di Anassagora e di
Democrito. - La sofistica e lo sviluppo socio-culturale. - Socrate e Platone. -
Aristotele. - L' uomo nelle prospettiva medica. - L' organizzazione del tempo
umano e dell'ecumene. - L' età ellenistica. - Lo sviluppo delle scienze e delle
tecnologie. - Istanze religiose e filosofiche nel mondo greco-orientale. - Il
cristianesimo e la patristica. - Sant' Agostino e il suo tempo. - La cultura
islamica. - La cultura europea nell'Alto Medio Evo e le origini della
Scolastica. - La rinascita della città ed il fiorire della Scolastica. - Tomaso
d'Aquino. - La Scolastica dopo Tomaso d'Aquino. - Vol. II. Introduzione.
- Il trionfo del naturalismo. - Umanesimo, Rinascimento e naturalismo. - Vita,
luce e gloria. - Le realizzazioni scientifiche del Rinascimento. - Filosofi del
Rinascimento. - Società, politica e storia nel cinquecento. - La reazione
contro lo spirito rinascimentale. - Il trionfo della razionalità. - Il nuovo
atteggiamento verso la natura. - Cartesio ed Hobbes. - Il trionfo dello spirito
seicentesco.- I rapporti tra la sostanza estesa e la sostanza pensante. -
Leibniz e lo sviluppo della matematica. - Newton, la fisica ed il sistema del
mondo. - Vico e la storia come metascienza. - Locke, Berkeley, Hume. - La
filosofia dell' Illuminismo.- Scienze e tecnologie nel settecento. - Emanuele
Kant. - Vol.III. Introduzione. - Il Romanticismo. - Il romanticismo filosofico.
- Hegel ed i suoi discepoli. - La filosofia in Francia ed in Italia nell'Età
del Romanticismo. - La trasformazione del meccanicismo. - La nuova immagine del
mondo.-Il positivismo francese. - Il positivismo inglese. - Il positivismo in
Germania e in Italia. - Il marxismo. - Idealismo e pragmatismo in America. -
Idealismo e logicismo in Inghilterra. - La psicologia e la nuova immagine
dell'uomo. -Fenomenologia ed esistenzialismo. - L'opposizione al positivismo. -
Crisi della fisica e nuove filosofie della scienza. - La filosofia analitica e
la nuova epistemologia. - La scienza dei nostri giorni. - Oggi e domani.
Piaget. Filosofo, epistemologo, psicologo e pedagogista. Edizioni Borla. Roma
1985. 120pp. Prefazione. - La filosofia: passione e delusione. - Logica e
psicologia. - Concetto di logica. - Classi, reticoli, gruppi e raggruppamenti.
- Equilibrio e logica. - Alla ricerca dell'equilibrio operativo. - Dal
movimento alla logica. - Il mondo degli oggetti e l'intelligenza
sensorio-motrice. - Rappresentazione preoperatoria ed operazioni concrete. - Il
linguaggio preoperatorio. - Il linguaggio delle operazioni concrete. - Le strutture
formali. - Circolo delle scienze e loro autonomia. - Il pensiero puro. -
L'epistemologia genetica dell'aritmetica. - L'attività del numerare. -
Matematica e realtà. - La geometria e la costruzione dello spazio. - Alla
radice psicologica della meccanica.- Le idee di forza, di conservazione e di
causa.-Dai concetti del fanciullo alle costruzioni della scienza. - La
psicologia. - Il contributo di Piaget alla psicologia. - Il contributo di
Piaget alla pedagogia. - Piaget e gli altri. - Conclusione. L'Islam. Crogiuolo
d' idee, di problemi, di angosce.Armando . Roma 1985. 310 pp. Nomadismo e
urbanizzazione nell'Arabia preislamica. - Muhammad: la sua opera ed il suo
insegnamento. - Diffusione e lacerazioni della Umma dopo Muhammad. - L'assalto
all'Europa cristiana. - Il mondo islamico nei tempi moderni. - L'Islam uno e
multiforme.Sviluppi dottrinali in area sunnita. - Zandaqa, Latinismo, walayat e
falsafa. - I falasifa.-Macrocosmo e microcosmo. - Sapienza orientale e sufismo.
- Conclusione. Forme culturali e paradigmi umani. Le tappe del pensiero
filosofico e pedagogico nella cultura occidentale. Edizioni Borla. Roma 1988. 3
voll., 392 + 384 + 544 pp. - Vol. I. Introduzione. - Educazione e visione del
mondo nelle società più antiche. - Ideali umani e visione del mondo nella
Grecia arcaica. - Sviluppi della cultura nella Ionia. - Nuovi atteggiamenti
verso l'umano e il divino. - La fioritura culturale in Magna Grecia e Sicilia.
- Cultura e educazione nella Atene del V sec. A. C. - Platone e i problemi del
suo tempo. - Saggezza retorica e saggezza medica. - Aristotele. - Civiltà e
educazione nell'Età Ellenistica. - Filosofia e cultura nelle Età Ellenistica ed
Ellenistico-Romana. - La Romanità: educazione, scuola e cultura. - Fermenti
religiosi orientali e nascita del Cristianesimo. -La fine del mondo antico. -
Sant'Agostino e la patristica. - Cultura islamica e idee filosofiche. - Cultura
e scuola in Occidente nell' Alto Medio Evo. - La Scolastica. - Da San Tomaso
alla Tarda Scolastica. - Vol. II. Introduzione. - L'Umanesimo. - Il
Rinascimento. - Uomo e natura. - Gigantismo e comicità dell'uomo. -
Rinnovamento umano e acquisto del sapere. - La lacerazione religiosa
dell'Occidente. - La reazione antirinascimentale. - Un nuovo metodo per capire.
- Capire la natura per dominarla. - Sopravvivenze rinascimentali e platoniche.
- Sviluppi dell'educazione nel seicento. - Il razionalismo filosofico. - Il
secolo dei lumi. - Vico e il settecento italiano. - Il settecento inglese. - Il
settecento francese. - Gian Giacomo Rousseau filosofo e pedagogista. -
L'illuminismo tedesco e Immanuel Kant. - Vol. III. Introduzione. - Il
Romanticismo. - Il Romanticismo filosofico. - Il Romanticismo e la teologia
protestante. - La pedagogia nell' età del Romanticismo. - Hegel e l'Hegelismo.
- Filosofia e pedagogia nell'Italia risorgimentale. - Il Positivismo e la
cultura francese dell' ottocento. - Il Positivismo e la cultura inglese dell'
ottocento. - Il Positivismo e l'assetto ideologico dello Stato italiano. - Marx
e la cultura tedesca dell' ottocento. - Idealismo, naturalismo e pragmatismo
negli Stati Uniti. - L' opposizione al Positivismo. - Fenomenologia ed
esistenzialismo. - L' uomo nella psicologia. - Innovazioni scolastiche e nuove
idee pedagogiche. - La filosofia come analisi del discorso. - La filosofia come
epistemologia e come ermeneutica. - L'uomo occidentale oggi. - La pedagogia
oggi. Paradigmi umani e educazione Anicia. Roma 1990. 152 pp. L'
indeterminatezza originaria dell' uomo. - I determinanti culturali. - Cultura e
autocoscienza. - I paradigmi umani. - Paradigmi e casi paradigmatici. -
Paradigmi e pedagogia. - Il nostro momento storico. Filosofia del linguaggio.
Dalla forma al significato. Città Nuova Ed. Roma 1990. 216 pp. La ricerca
della forma logica. - La forma logica da realtà sussistente a linguaggio
perfetto. Ermeneutica della forma e del significato. - La rifondazione
neopositivistica della scienza.l significato in una nuova luce. - Chiarezza
linguistica e onestà sociale. - Metodo critico-analitico e filosofia odierna. -
Conclusione. Cose e parole nella traduzione interculturale. Edizioni Borla.
Roma 1993. 254 pp. La traduzione radicale. - Tradurre il diverso. -
Riferimento e traduzione. - 'Theòs' e 'Dio'. - Le cose del mondo.- Conclusione.
Come Bruno iniziò a parlare. Diario di una maestra di sostegno. Presentazione
di Emanuele Riverso.Edizioni Osanna ,Venosa 1994. Presentazione. Diario
scritto da E. Riverso e presentato come anonimo di una maestra di sostegno di
scuola materna. La rimozione dell'Eros nel Giansenismo. Abelardo - Biblioteca
di Gabriele Chiusano. Editore in Gaeta. 1995. 156 pp. Da Baio a Giansenio. -
Giansenio contro concupiscenza e libidine. - Rimozione e Educazione. - Un caso
pedagogicamente difficile. - Conclusione. Civiltà, libertà e mercato nella
città greca antica.Working Papers n. 16, 1995, della Libera Università
Internazionale degli Studi Sociali Guido Carli ( LUISS, Roma) 50 pp. Capire
l'Islam. Atheneum, Firenze 2003. 248 pp. Prefazione. I parte. L'insieme
dottrinale dell'Islam: Chiarificazione di alcuni termini. Le rivelazioni e il
testo coranico. Contenuti e temi coranici. Lo stile. Il contesto
storico-culturale: i precedenti ebraico-giudaici. Il contesto culturale: la
parentela arabo-giudaica. Nuove frustrazioni giudaiche e i cugini del desero.
Motivi giudaici nel Qur'an. Mutuazioni coraniche dal Cristianesimo.
L'ermeneutica coranica dal Cristianesimo. L'ermeneutica cranica. Gli ahadîth.
Le sarî'ah e il fîqh. La ummah depositaria della Rivelazione.- II parte. La
formazione storica del mondo islamico. Coscienza storica e Islam. Dalla
trasmissione orale alle scritture storiche. La vita del profeta. I primi
khulafah nella tradizione sannita. La ricostruzione sciata delle vicende
califfati e i critici occidentali. Muhammad, le origini dell'Islam e la critica
storica occidentale. Le ricostruzioni alternative delle origini islamiche.
Dagli Umayyadi agli Abbasidi. Il califfato abbaside. La disintegrazione del
califfato abbaside e l'arrivo dei Turchi. L'impero selgukide e la fine del
califfato di Baghdad. L'espansione islamica verso Occidente. Gli Ottomani e
l'espansione oltre l'India. La condizione dei vinti.- III parte. La fioritura
culturale dei secoli IX-XIV: Dall'oralità del nomadismo alla cultura del libro.
L'emergenza della cultura islamica scritta. L'assimilazione della cultura
letteraria greca. Ontologia greca e traduzioni in arabo. I Mu'tazilah e la
razionalizzazione dell'Islam. La razionalizzazione moderata dell' Asciarismo. I
falasifa. Studi scientifici. Studi storici. Speculazioni esoteriche e
produzione letteraria. Pittura, scultura e architettura.- IV parte. I Musulmani
oggi. La decadenza. La Rinascenza Safavide. L'aggressione degli Occidentali. I
problemi dei Musulmani di oggi. Dal Babismo al panislamismo. L'Iran tra
laicismo e teocrazia. La soluzione teocratica di Khomeini e il resto del mondo
islamico. Gli Islamisti e Sayyd Qutb.- Dizionarietto. Iran, Da Zarathuštra all’
Islâm. Un viaggio al centro dell’immaginario religioso e mistico che ha
influenzato l’umanità. (titolo dell’autore: Immagini iraniche da Zarathuš-tra
all’ Isl?m ). Atheneum, Firenze 2003, 192 pp. Prefazione. Introduzione: 1 Le
genti arie ( o indo-europee) nello spazio indo-iranico. 2.L’Irân prima degli
Arii. 3. L’arrivo degli Ario-Iranici. 4. Medi e Persi. 5. Il costituirsi delle
strutture socio-politiche nell’Irân Indo-Europeo. 6. La percezione del reale e
l’immaginario nelle genti ario-iraniche. 7.Il clan degli Achemenidi. 8. I.
L’immaginario di Zarathuštra: 1. La collocazione di Zarathuštra nella
tradizione ufficiale. 2. Achemenidi e Zoroastrismo. 3. Dall’immaginario
politeistico alla riforma di Zarathuštra. 4 La riforma di Zarathuštra. 5. Il
nuovo sistema di immagini. 6. Conservazione e modifiche dell’immaginario
zoroastriano. II . Fuoco, luce, fravaši e Saošyant : l. Il fuoco
nell’immaginario zoroastriano. 2 . Il fuoco-luce irradiante o ?var?na. 3.
Fravaši. 4 Saoš-yant. III La catastrofe: 1. L’immaginario zoroastriano messo
alla prova. 2. Il risveglio dell’immagnario zoroastriano. 3. Certezze in crisi.
4. La catastrofe venuta dal deserto. IV. L’immaginario sciìta : 1 . Gli
Zoroastriani sotto l’Islâm. 2. Dissenso sociale e im-maginario esoterico. 3
Sciìsmo ed esoterismo. 4. Il Mahdî nell’immaginario sciìta. V. Il fuoco-luce
nello Sciìsmo e nel Sufismo: 1. Sufismo e Sciismo. 2. Šiâboddîn Yahyâ
Su-hrawardî e l’immaginario della Luce Orientale. 3.Šîrâzî. 4. L’immaginario
cosmologico nell’Irân islamizzato. Osservazioni conclusive.
Bibliografia.Indice. Islâm, morale e dottrina. Atheneum, Firenze 2005, 255 pp.
I. La Šarî’ah e le sue fonti: 1, La Šarî’ah o Legge Morale, 2 Le fonti della
Šarî’ah: il Qur’ân, 3 Le fonti della Šarî’ah: La Sunnah, 4 Le fonti secondarie
della Šarî’ah: al-I?mâ, al-Qiyâs e al-I?tihâd, 5 Le scuole di Fîqh. II. Temi
fondamentali della Šarî’ah: Gli obblighi di culto del Musulmano: 1 l’ Imân e la
sua manifestazione, 2 La preghiera, 3 Altri obblighi. Il matrimonio e la
famiglia: 1 Il matrimonio secondo la legge islamica, 2 La scelta del partner, 3
Impedimenti, 4 La poligamia, 5 La dote (Mahr), 6 Il divor-zio (Talâq), 7 Il
mantenimento della moglie e dei figli. La normativa penale della Ša-rî’ah: 1
Idee generali, 2 Pene fissate dal Qur’ân. La vita economica: 1 La trasmissio-ne
ereditaria, 2 Le attività commerciali ed i contratti, 3 Economia e società.
III. La vi-sione cranica del mondo: 1 Allâh, i suoi attributi ed il mondo
creato da lui, 2 La vicenda umana. IV La rielaborazione razionalistica : 1
Contatti culturali fuori d’ Arabia, 2 L’Islâm e la cultura greco-ellenistica, 3
Mutaziliti ed Asciariti, 4 Asciarismo e Muta-kallimûn, 5 Altri movimenti
dottrinali. V, I falâsifa ed i loro oppositori: 1 I falâsifa: al Kindî. 2 I
falâsifa: al-Fârâbî. 3 I falâsifa: al Râzî. 4 I falsâfa: Ibn Sînâ . 5 Contro i
falâsifa: Al-Ghazâlî. VI La falsafa nell’Andalus e nel Maghreb : 1. Ibn Bâ??ah
e Ibn Tufayl, 2. Ibn Rušd. 3. Panteismo e misticismo in Ibn ‘Arabî. 4. Un
fayalasuf della sto-ria : Ibn Khaldûn. 5. Una filosofia della storia in
prospettiva nomadica. VII Lo studio magico e sperimentale della natura: 1
Ermetismo e Sciìsmo. 2. Il Rasâ’il degli Ikwân al-Safâwa Khullân al-Waf‘â. 3
Ahmad al-Bîrûnî. VIII. La teosofia della luce orientale: 1 Eredità
mazdeistiche, esoterismi e misticismo nell’ Islâm. 2. Motivazioni e prassi dei
Sufî. 3. Mondo immaginale e teosofia della luce orientale. 4. L’eredità di
Suhrawardî. Conclusioni storico-critiche: 1. Le origini islamiche secondo la
tradizione. 2. Le origini islamiche secondo altre fonti. 3. Il disimpegno
bizantino nell’area siro-palestinese (Al-Šâm) . 4. La nascita
politico-religiosa dell’unità supertribale araba. 5. Storia critica dei
primordi della dottrina e dell’etica islamiche. Indice analitico. Bibliografia.
Cogitata et scripta. Giannini Editore. Napoli 2007. 200 pp. I. 1. Lidealismo
gentiliano. 2. Il linguaggio gentiliano. 3. Benedetto Croce. 4. La logica come
scienza del concetto puro. 5. L'Esistenzialismo di Sartre. 6. Gli altri
esistenzialisti. 7. Da Kierkegaard a Barth. 8. Epistemologia e psicologia. 9.
La psicologia. 10. L'opera di Piaget. 11. La logica formale. 12. La metafisica
e la ricerca storica. II. 1. Dalla magia alla scienza. 2. La nascita della
scienza e la cultura occidentale. 3. Analisi semantica e filosofia del
linguaggio. 4. Linguaggio ed esperienza estetica. 5. Ludovico Wittgenstein. 6.
Io, Wittgenstein e la nuova filosofia analitica. 7. Natura e Logo. 8. Bilancio
sulla filosofia analitica. III. 1. Interessi socio-culturali. 2. Giambattista
Vico. 3. Bruner. 4. Linguistica ed etnologia. 5. Altre ricerche di filosofia
analitica. 6. Immaginazione e linguaggio iconico. 7. Filosofia della scienza.
8. Approccio alla nuova scienza: neurologia e coscienza di sé. 9. Genesi
evolutiva dell'uomo e del linguaggio. Il pensiero. 10. Cosmologia e geologia.
11. Fisica e cosmologia. IV. 1. Sistemi dottrinali e iconici. 2. rapporti e confronti
fra culture. 3. Nuovo approccio alla cultura islamica. 4. Culture e
organizzazione sociale. 5. Convinzioni, cogetture, dubbi, sospetti e
valutazioni. Dati biografici. Pubblicazioni Alle origini del Corano (in
preparazione) Aporie e difficoltà del positivismo logico" in Sophia 1953,
XXI, n.1, pp. 43-52. Pubbl. anche in Sapienza 1953, VI, fass. 1-2, pp. 72-84.
"Caroli Barth in doctrinam catholicam de gratia recentissimae
difficultates refutantur" in Angelicum 1954, XXXI, n.1, pp. 31- 45.
"Insufficienza del positivismo logico" in Sapienza 1954 , VII, n.2,
pp. 180 - 202. "Neoilluminismo, neorazionalismo e trascendentalismo della
prassi" in Sapienza 1955, VIII, n.1, pp. 18 - 46. "Ludovico
Wittgenstein e il simbolismo logico", Estratto dal vol.LXVII degli Atti
dell' Accademia di Scienze Morali e Politiche della Società Nazionale di
Scienze, Lettere ed Arti In Napoli , 1956, 38 pp. "Barth, Karl" ,
voce in Dizionario biografico degli autori , Bompiani, Milano 1956 , vol. I ,
p. 183. "Problematica della filosofia odierna" , in Sapienza 1956, IV
n.1, pp. 33 - 44. "L'esistenzialismo teologico di Karl Barth" in
Sapienza 1956, IV , n.1 pp. 370 - 382 "Cristianesimo e mito" in
Digest Religioso 1957, 3, pp. 37 - 41. "Epistemologia, epistemologia
genetica e implicanze filosofiche" in Sapienza 1957, V, n.6, pp. 419 -
460. "L' epistemologia genetica e la formazione del concetto" ,
Estratto dal vol. LXIX degli Atti dell'Accademia si Scienze Morali e Politiche
della Società Nazionale di Scienze, Lettere ed Arti in Napoli, 1958, 69 pp.
"Il costruzionismo e la sua fondazione critica" , Estratto dal vol.
LXIX degli Atti della Accademia di Scienze Morali e Politiche della Società
Nazionale di Scienze, Lettere ed Arti in Napoli, 1958 , 52 pp. "Nozioni e
problemi di epistemologia", Estratto da Asprenas 1959, VI, n.1, 86 - 103
"Vladimiro Jankélévitch o alle soglie dell'ineffabile", in Giornale
di Metafisica , 1959, XIV, pp. 502 - 537. "Cristianesimo e peccato"
in Studi Cattolici, 1959, III, n. 13, pp. 10 - 18. "La filosofia della
scienza e i limiti dello scientismo" , in Sapienza 1959, VII, nn.3 - 4 pp.
287 - 323. "Il valore della logica in Edmondo Husserl" , Estratto da
Sapienza, 1960, VIII, nn. 3 - 4, pp.251 - 256. "Discours philosophique et
image physique" in Atti del XII Congresso Internazionale di Filosofia,
Sansoni, Firenze 1960 vol. IV pp. 279 -286. "Il paradosso del mentitore
", Estratto da Rassegna di Scienze filosofiche , 1960, XIII, n.4. 32 pp.
"La storicità del pensiero filosofico ( psicologia sociale e filosofia)
", Estratto da Atti dell'Accademia di Scienze Morali e Politiche della
Società Nazionale di Scienze, Lettere ed Arti in Napoli, 1960, LXXI , 62pp.
"La storiografia e la metodologia scientifica contemporanea ", in
Cultura e Società (Salerno), 1960, I fas. 3, pp. 578 - 621. "I problemi
della filosofia attuale al Congresso di Venezia", in Cultura e Società
(Sa-lerno), 1960, I fas. 3. "La filosofia delle forme simboliche di
Ernesto Cassirer", in Giornale di Metafisica, 1961, XIV, n.1, pp.17 - 38. "Il
problema della conoscenza nell' empirismo di C. D. Broad ", Estratto da
Sapienza, 1961,IX, nn. 5 - 6, pp. 411 - 440. "L' antropologia
spiritualistica di Maine de Biran". Estratto da Asprenas (Napoli), 1961,
VIII, n.4 , pp. 399 - 424. "Le premesse del problema di Dio". In Asprenas
(Napoli), 1961, VIII, n.1, pp.5 - 26. "Problematica del protestantesimo
attuale : la Bibbia (Bultmann, Barth, Cullmann)". Estratto da Sapienza,
1961, IX , n. 1. 16 pp. "Neopositivismo e Metafisica secondo Louis O.
Kattsoff". Estratto da Rassegna di Scienze Filosofiche , 1961, XIV, n.1,
24 pp. "I problemi della ricerca scientifica nella prospettiva di Karl R.
Popper". In Rassegna di Scienze Filosofiche, 1961, XIV, nn. 3 - 4. pp.240
- 265 "Expérience culturelle de notre époque". Tradotto in cinese da
Wu Ming-shih e pubblicato nella rivista cinese il cui titolo in inglese è
Contemporary Thought Quarterly 1961, I n.1. Hsintien, Taipei, Taiwan.
"Cristocentrismo e demitizzazione nella problematica del protestantesimo
attuale" in Studi Cattolici, 1961, V, n.25 Verità e libertà" in Atti
del XVIII Congresso Nazionale della Società Filosofica Italia-na Palumbo,
Palermo 1961, vol. I , pp. 435 - 442. "Connotazione e denotazione".
Estratto da Rassegna di Scienze Filosofiche, 1962, XV, n.1. 29 pp.
"L'argomento ontologico". Estratto da Rassegna di Scienze
Filosofiche, 1962, XV,n.2; pp.128 - 168. "L'ottimismo cristiano nel
pensiero di Karl Barth" , in Studi Cattolici, 1962, VI , n.31; pp.9 - 14.
"Il linguaggio come interpretazione e comunicazione" in Il Dialogo
(Urbino) 1962 quaderni18 -19; pp. 65 -83. "Fenomenologia e ontologia in
Martino Heidegger", Estratto da Rassegna di Scienze Filosofiche, 1962, XV
nn. 3 - 4 , pp.286 - 318. "La filosofia di fronte alle scienze ", in
Atti del XIX Congresso Nazionale di Filoso-fia, Adriatica Editrice, Bari, 1962,
vol. II, pp. 653 - 661. "La controversia sull'argomento ontologico"
in Studia Patavina 1963, X, n.1, pp.66 - 89 "Genesi e funzione del
linguaggio" , in Asprenas 1963, X, n. 1, pp. 3 - 17. "Arturo Pap
filosofo della scienza", in Rassegna di Scienze Filosofiche, 1963, XVI, n.
4, pp. 357 - 363. "Logica e metafisica in Roberto Pavese", in
Sapienza, 1963, XVI, pp.107 - 129. "L'analisi del linguaggio come metodo
di indagine filosofica", in Rassegna di Scienze Filosofiche, 1963, XVI,
n.1, pp. 23 - 66. "Idee per una filosofia dello sviluppo umano", in
Rassegna di politica e di storia, 1963,IX, n. 102, pp.27 - 30
"L'evoluzione del pensiero politico occidentale". Estratto da
Rassegna di politica e di storia, 1963,IX n. 106, 4 pp. "L'esperimento:
esame critico-epistemologico" in La Nuova Critica, Studi e rivista di
filosofia della scienza, 1963, fas. IV, pp. 11 - 38. "Magia e pregiudizio
nella scienza" in Studi Cattolici 1964, VIII, n. 44, pp. 28 - 33.
"L'etica dell' umanesimo scientifico" in Studi Cattolici 1964, VIII,
n. 45, pp.73 - 78. "Il potere come funzione sociale" in Il problema
del potere politico. Atti del XVIII Convegno del Centro di Studi Filosofici tra
Professori Universitari (Gallarate 1963), Morcelliana, Brescia 1964, pp. 73 -
82. "Le
mot 'vérité' ", in La vérité. Actes du XII Congrès des Sociétés de
Philosophie de Langue Française ( Bruxelles - Louvain 1964) , Nauwelaerts,
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Grice e Roccoto: la ragione conversazionale e l’implicatura – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Roma).
To be identified.
Grice e Rodano: la ragione conversazionale dell’immunità
e della comunità, o l’implicatura dei comunisti – filosofia italiana -- Luigi
Speranza (Roma). Filosofo italiano
. Fondatore del “catto-comunismo.” E tra i fondatori del movimento dei cattolici comunisti,
poi sinistra cristiana. Studia a Roma. Frequenta la Scaletta. Milita nell'azione
cattolica e nella FUCI presieduta da Moro. Entra in contatto e collabora
con anti-fascisti d'ispirazione cattolica -- Ossicini, Pecoraro, Tatò e altri
-- comunista -- Bufalini, Amendola, Ingrao, Radice e altri --, del partito d'azione
e liberali -- Malfa, Solari, Fiorentino fra gl’altri. Partecipa al movimento
dei cattolici anti-fascisti. Con Ossicini e Pecoraro tra i promotori e
dirigenti del partito co-operativista sin-archico -- poi partito comunista cristiano
-- e ne redige i principali documenti. Fa parte, con Alicata e Ingrao, del
trium-virato dirigente le II distinte organizzazioni clandestine, comunista e
comunista cristiana. Scrive saggi sull’Osservatore Romano. Arrestato dalla
polizia fascista in una generale retata dei militanti del partito comunista
cristiano, e deferito al tribunale speciale con altri suoi dirigenti. Il
processo non ha luogo per la caduta del fascismo. Nel periodo badogliano ha
intensi scambi d'idee con i compagni di partito e altre personalità anti-fasciste
sulla linea da seguire. Stringe amicizia con Luca e Pintor. Collabora al
“Lavoro”, diretto da Alicata, comunista, Vernocchi, socialista, e Gaudenti, cattolico.
Sotto l'occupazione nazista di Roma fonda il movimento dei cattolici comunisti,
e ne redige i documenti teorico-politici. Scrive saggi sui 14 numeri usciti
alla macchia di “Voce operaia”, organo dello stesso movimento dei cattolici
comunisti. Liberata Roma, il movimento di cattolici comunisti prende il nome di
partito della sinistra cristiana. Vi confluiscono i cristiano-sociali di Bruni.
Vi partecipano anche Balbo, Sacconi, Barca, Amico, Chiesa, Valente, Mira, Tatò,
Tedesco, Parrelli, Tranquilli, e Rinaldini. Stringe un rapporto di
amicizia e collaborazione -- che non sarà privo di momenti di dissenso critico
--con Togliatti. Su Voce Operaia, pubblicata adesso legalmente, scrive numerosi
saggi. In IV di essi sostiene la prosecuzione dell'IRI e ciò segna l'inizio
della sua amicizia con Mattioli. S'incontrano, a casa di R. e con la sua
mediazione, Togliatti e Luca, primo, cauto sondaggio reciproco tra mondo
cattolico e movimento comunista italiano. A conclusione di un congresso
straordinario, il partito della sinistra cristiana si scioglie. Sostiene, con
argomentato vigore, che non è più utile una formazione cattolica di sinistra,
poiché incombe alla classe operaia nel suo insieme e perciò al partito
comunista il compito di affrontare la questione cattolica, superando le pre-giudiziali
a-teistiche e del dogmatismo marxista. Si adopera perciò per ottenere modifiche
nello statuto del partito comuista, che consentano l'iscrizione e la militanza
in esso indipendentemente dalle convinzioni ideo-logiche e religiose, modifiche
che saranno adottate dal partito comunista nel suo congresso. Entrato nel partito
comunista, scrive su
periodici ufficiali di tale partito o ad esso vicini. Particolarmente
numerosi i suoi saggi su Rinascita. Vi ha largo spazio l'invito ai cattolici a
lavorare in politica e nelle altre dimensione della storia comune degl’uomini
in spirito di laicità, evitando quindi improprie commistioni con la fede
religiosa. Questa posizione approfondita nel corso di tutta la sua opera ed
essenziale per comprenderla contrasta con la linea della chiesa di Pio XII, che
coglie l'occasione di due suoi saggi sulla condizione economica del clero
(Rinascita) per comminargli l'interdetto dai sacramenti, accusandolo di
fomentare la lotta di classe all'interno delle gerarchie (L'interdetto e tolto
sotto Giovanni XXIII). Cura i saggi politici di “Lo Spettatore”. Scrive sul
Dibattito Politico, diretto da Melloni e Bartesaghi, teso a una difficile
mediazione tra le posizioni politiche del mondo cattolico e di quello comunista
e socialista, nel distinto riconoscimento dei rispettivi valori e motivi
ideali. Vi collaborano tra gli altri Chiarante, Magri, Baduel, Salzano. Durante
il pontificato di Giovanni XXIII opera, tramite Togliatti, per la trasmissione
ai dirigenti della proposta, primo, cauto sondaggio reciproco tra mondo
cattolico e movimento comunista italiano. A conclusione di un congresso
straordinario, il PSC si scioglie. R.sostiene, con argomentato vigore, che non
è più utile una formazione cattolica di sinistra, poiché incombe alla classe
operaia nel suo insieme e perciò al PCI il compito di affrontare accolta, di
uno scambio di messaggi in occasione del compleanno di papa Roncalli.
L'iniziativa sarà il primo segno di disgelo tra URSS e s. sede. Si svolge un
serrato dialogo tra R. e NOCE (si veda), che mette in chiaro la diversità delle
rispettive posizioni. Fonda con Napoleoni La Rivista trimestrale, affrontando
nodi teorici e politici di fondo. Ancora con Napoleoni, e Ranchetti, dirige la scuola
di scienze politiche ed economiche, rivolta a militanti del movimento. Collabora
alla rivista “Settegiorni”, diretta d’Orfei e Pratesi, in cui fra l'altro
scrive una serie di interventi d'intensa riflessione teologica, le Lettere
dalla Valnerina. Chiusasi l'esperienza della Rivista Trimestrale, R. scrive sui
Quaderni della Rivista Trimestrale, diretti da Reale, cui collaborano, insieme a
Sacconi, Salzano, Tranquilli, Gasparotti, Rinaldini, Reale, Agata, Vincenti,
Montebugnoli, Padoan, Sacconi, Zevi, R.
e R., ed altri. Lo si considera l'esponente più autorevole del “catto-comunismo”:
"i rapporti di R. con il mondo cattolico sono stati indagati a fondo.
Quelli con Togliatti -- che furono rapporti personali assai intensi -- assai
poco, come quelli con Berlinguer -- all'Istituto Gramsci si conservano tre
vaste memorie che scrive per Berlinguer -- anche se il rapporto stretto di
questi con Tatò è sufficiente a delinearne l'influenza". Nella
stagione del compromesso storico proposto da Berlinguer e oggetto prima di
attenzione, poi di cauta convergenza da parte di Moro, R. elabora i fondamenti
teorici di una politica diretta a non ridurre l'incontro tra le grandi forze
storiche del comunismo, del socialismo e del cattolicesimo democratico a una
mera operazione di governo, ma a farne una strategia di lungo periodo di trasformazione
della società. Quella stagione e quelle prospettive vengono improvvisamente
troncate dall'ASSASSINIO DI MORO. S'intensificano, all'epoca, i suoi contatti
personali con esponenti del PCI, del PSI, della DC e di altri partiti -- Malfa,
Malagodi, Visentini -- su problemi politici a breve e lungo termine. Pubblica saggi
su vari periodici e sul quotidiano Paese Sera, quasi settimanalmente. Altre saggi:
“Sulla politica dei comunisti” (Boringhieri, Torino); “Questione demo-cristiana
e compromesso storico” (Riuniti, Roma), “Lenin da ideologia a lezione”
(Stampatori, Torino); “Lettere dalla Valnerina” (Pratesi, La Locusta, Vicenza);
“Lezioni di storia possibile” -- Tranquilli e Tassani (Marietti, Genova); “Lezioni
su servo e signore” – Tranquilli (Riuniti, Roma); “Cattolici e laicità della
politica” Tranquilli (Riuniti, Roma); “Cristianesimo e società opulenta” – Mustè
(Storia e letteratura, Roma). Saggi sono spubblicati in numerosi periodici e
quotidiani, tra i quali l'Osservatore Romano, Primato, Voce Operaia Rinascita Il Politecnico, Unità, Vie nuove,
Società, Cultura e realtà, Lo Spettatore Italiano, Il Contemporaneo, Il
Dibattito Politico, Argomenti, La Rivista Trimestrale, Settegiorni, Quaderni
della Rivista Trimestrale, Paese Sera, Città Futura, Nuova Società, e Il Regno.
I saggi più importanti, pubblicati sulla Rivista Trimestrale e sui successivi
Quaderni, sono “Risorgimento e democrazia, Il processo di formazione della
società opulenta”; “Il pensiero cattolico di fronte alla società opulenta”; “Egemonia
riformista ed egemonia rivoluzionaria”; “Nota sul concetto di rivoluzione”; “Significato
e prospettive di una tregua salariale; “Il centro-sinistra e la situazione del
paese”; “Marx, A proposito del convegno delle ACLI a Vallombrosa”; “Su alcune
questioni sollevate dal movimento studentesco; “Con Dopo Praga: considerazioni
politiche sulla storia del movimento operaio, A proposito dell'autunno caldo”;
“Considerazioni sulla dialettica sociale dell'opulenza”; “La peculiarità del partito
comunista”; “Dopo il congresso del partito comunista: il nodo al pettine”, “I germi
di comunismo”; “La questione demo-cristiana”; “La proposta del compromesso
storico”; “Dopo la morte di Mao Tse-tung: la lezione di una grande esperienza, con
Tranquilli; “Considerazioni sulla strategia dei comunisti italiani”; “Egemonia
e libertà delle opinioni”; “Considerazioni sui fenomeni di eversione”; “La
politica come assoluto”; “Note sulla questione”; “La specificità umana e
condizione storica: dopo la lettera di Berlinguer al vescovo di Ivrea: laicità
e ideologie”; “Alla radice della crisi”; “L'incompatibilità tra capitalismo e
democrazia”; “È possibile una soluzione reazionaria?” “Idee e strumenti della
manovra reazionaria”; “Roluzione” “Rivoluzione”; “Filosofia della storia”; Rivoluzione
in Occidente e rapporto con l'URSS, Il
senso di una grande lezione: per una lettura critica di Lenin”; “Per un
bilancio del compromesso storico”; “Innovazione e continuità”; “Contratti e
costo del lavoro: imprese e sindacati, partiti e istituzioni”; “La chiesa di
fronte al problema della pace”. Craveri, Una critica pregnante, in Mondoperaio,
Teorico del compromesso storico Archivio la stampa. Noce: Lettera a R. -- Regno-attualità --; Cinciari: Cattolici comunisti, n
Enciclopedia dell'anti-fascismo e della resistenza, Milano; Bedeschi: Cattolici
e comunisti (Feltrinelli, Milano); Cocchi, Montesi: Per una storia della
Sinistra cristiana (Coines, Roma), Casula: Cattolici-comunisti e Sinistra cristiana
(Mulino, Bologna); Tassani: Alle origini del compromesso storico (EDB, Bologna);
Ruggieri, Albani: Cattolici comunisti? (Queriniana, Brescia); Repetto: Il movimento
dei cattolici comunisti: problemi storici e politici -- Quaderni della Rivista
Trimestrale; Ricordo, Broglio, "Un cristiano nella sinistra", in
"Nuova Antologia", Giannantoni, Alema, Ingrao: Dibattito in Rivista
Trimestrale, Nuovo Spettatore Italiano, Bella: “Lo Spettatore Italiano”
(Morcelliana, Brescia); Papini: Tra storia e profezia: la lezione dei cattolici
comunisti (Univ., Roma); Landolfi, R.: la rivoluzione in Occidente, Palermo,
Ila Palma, Raimondo: solitudine e realismo del comunista cattolico (Galzerano,
Salerno); Tronti: Una riflessione -- in Rivista Trimestralen; Manacorda: lettore
di Marx in Critica marxista; Napoleoni, Cercate ancora (Riuniti, Valle); Napoleoni,
Teoria politica; Noce: Il comunista (Rusconi, Milano); Tranquilli: Fede
cattolica e laicità della politica -- in Teoria Politica; Tranquilli: Realtà
storica e problemi teorici della democrazia
-- in Bailamme, Reale: Sulla laicità: considerazioni intorno alle
relazioni fra atei e credenti -- in Novecento, Bellofiore: Pensare il proprio
tempo. Il dilemma della laicità in Napoleoni, in Per un nuovo dizionario della
politica (Riuniti, Roma); Capuccelli, Lucente:
La riflessione teorica di R. dalla Sinistra Cristiana alla “Rivista
Trimestrale” -- tesi di laurea in scienze politiche, Milano -- Istituto
Gramsci: Convegno commemorativo di R., Roma --; Mustè, “Critica delle ideologie
e ricerca della laicità” (Mulino); lbani: La storia comune degli uomini. Ri-leggendo
R. -- in Testimonianze, Papini: La formazione di un cattolico -- Tra la
Congregazione mariana La Scaletta e il liceo Visconti, in Cristianesimo e
storia, Possenti: Cattolicesimo e modernità. Balbo, Noce, R. (Milano); Mustè:
Fra NOCE e R.: il dibattito sulla società opulenta, La Cultura; Mustè: R.:
laicità, democrazia, società del superfluo (Studium, Roma). "Cristianesimo
e società opulenta", a cura e con introduzione di Mustè (Edizioni di Storia
e Letteratura, Roma, Parlato: L'utopia in Manifesto, Melchionda: R. (in Aprile,
Rosa, "R.; il cristianesimo e la società opulenta", in
"Ricerche di storia sociale e religiosa", Chiarante: Tra Gasperi e
Togliatti. Memorie (Carocci, Roma; Pandolfelli: Marxismo, Scienze politiche,
Roma; Tassani:"Il Belpaese dei Cattolici", Cantagalli, "La
traccia e la prospettiva teorica di R." MORO, R. e la storia del 'partito
cattolico' in Italia", in Botti, Storia ed esperienza religiosa. Urbino,
Quattro Venti, Hanno detto di lui: la sua vita testimonia, in modo esemplare,
quanto possa essere forte, nell’uomo, la dedizione all’impegno intellettuale e
ai grandi ideali, tra i quali la politica intesa nel senso più nobile e più
alto dell’accezione. Portatore d’una fede religiosa profondamente sentita e
sofferta, ha avuto costantemente con sé il dantesco “angelo della solitudine”:
durante l’intera sua vita, infatti, mai si è sottratto al rovello e al dubbio;
mai ha preferito la comoda via dei pigri, degli opportunisti e dei neutrali. La
sua prima scelta di campo nell’Italia divisa in due, fu doppiamente coraggiosa: la resistenza al
nazi-fascismo ed il tentativo di conciliare nel Movimento dei cattolici
comunisti i valori della tradizione cristiana e cattolica con quelli della
rivoluzione d’ottobre. E così continuò senza paura e con sacrificio personale
in tutti questi anni promuovendo con le sue tesi, tra consensi e dissensi, un
continuo dibattito. La sua “inquietudine” è, dunque, sincera e feconda,
sorretta da uno spirito virile, ma al fondo sensibile ed umanissimo. Certamente
sarà ricordato dallo storico del futuro con queste sue peculiarità di
intellettuale originale, pugnace e coraggioso. In questo modo l’ho visto e conosciuto,
e così rimarrà per sempre nella mia memoria. Pertini, Quaderni della Rivista
Trimestrale. Ritengo che la sua vita e la sua opera abbiano fornito una prova
concreta e significativa della validità di due principi che egli ha serenamente
professato e praticato e che, anche con il suo personale contributo, sono
acquisiti al patrimonio teorico e ideale del partito comunista. Il primo è la
distinzione e l’autonomia reciproca della politica e della fede religiosa -- o
della convinzione filosofica o del “credo” ideologico. Il secondo è
l’affermazionefatta da Togliatti, formulata in una tesi approvata dal X
congresso del partito e sviluppata poi nelle tesi del XV congresso secondo la
quale un cristianesimo genuinamente vissuto non soltanto non si oppone, ma è anche
in grado di sollecitare un’azione che può contribuire alla battaglia per la
costruzione di una società più umana, più libera e più giusta di quella
capitalista. Berlinguer, Quaderni della Rivista Trimestrale. C’era nella sua
avversione al misticismo, all’indistinto, all’anarchismo, una grande lezione di
umanesimo storico e costruttivo. La drammaticità con cui sentiva i rischi di un
capovolgimento della democraziavissuta nei suoi angusti limiti democraticisticiin
corporativismo e in anarchia, e, quindi, la possibilità di una replica
autoritaria, è tuttora inscritta nella nostra vita quotidiana, nella fase che
stiamo attraversando. Bene: distinguere per collegare; stabilire i confini del
campo di ciascuno, da cui discende l’autonomia della politica dalla religione e
dalle ideologie. Per questo ritengo che occorra respingere le sollecitazioni di
quanti pensano di poter rimuovere la questione di fondo posta da R.. Quella
questione oggi riguarda, a mio avviso, il confine mobile tra progresso e
conservazione” Occhetto, Quaderni della Rivista Trimestrale, Per chi ha
seguito, anche talvolta dissentendo, la filosofia di R. e lo ha spesso messo a
confronto con la visione di MORO, appare chiaro che gli insegnamento di R. come
quelli di MORO non hanno solo valore per la ricostruzione storica di una fase
politica conclusa, ma hanno invece valore e significato come guida per la
costruzione di un processo di allargamento della democrazia, di sviluppo e di
confronto e di un dialogo che sono ancora più che mai attuali, perché attuali e
non risolti sono i grandi problemi nazionali che richiedono sì maggioranze
e governi più efficaci e risoluti, ma anche un più largo consenso popolare da
realizzarsi col confronto, col dialogo, con la partecipazione, sia pure a vario
titolo, ad un unico disegno di tutte le forze politiche rappresentative
dell’intera realtà popolare. Galloni, Quaderni della Rivista Trimestrale, “benché
creda che la storia sia opera di molti, e non di singole personalità pur
spiccatissime, ho sempre ritenuto che il ruolo esercitato da R. nella vicenda
italiana di questi decenni sia stato assolutamente fuori del comune, e
portatore di cambiamento come a pochissimi altri è stato dato. Ciò dico
soprattutto in riferimento alla storia e alle trasformazioni del partito
comunista italiano, nei cui confronti Rodano ha esercitato una funzione
liberatrice e maieutica che, se non temessi di far torto alla complessità del
processo di un grande movimento di massa e agli innumerevoli apporti di cui
esso è sostanziato, non esiterei a definire demiurgica.» Valle, Quaderni
della Rivista Trimestrale. Lasciamo ad altri le banalità sul consigliere del principe
o sul consulente per i rapporti con il mondo cattolico o con il Vaticano.
Togliatti ne fu attratto e interessato certo, anche perché l’esperienza di R.,
le sue riflessioni, le sue frequentazioni arricchivano il Partito di qualcosa
che altrimenti non sarebbe venuto. Forse qualcosa di analogo era stato per
Gramsci e per Togliatti l’incontro con Godetti. Che conoscesse e stimasse Ottavini,
che fosse intimo di Luca, non era importante perché ciò rappresentava un
“canale”. E iuttosto decisivo che un giovane così ascoltasse e parlasse, che si
trovasse a casa sua tra i comunisti, che per farlo soffrisse fino alla
persecuzione vaticana, riuscendo sempre ad essere fedele nel senso più pieno
del termine. Paietta, Quaderni della Rivista Trimestrale. Rrimane uno dei pochi
uomini la cuia filosofia rende possibile l’appellativo di femminista anche per
un appartenente al sesso maschile. La sua continua attenzione dalla questione
femminile derivava, certo, da una molteplicità di circostanze. Vi influiva la
ricerca su quello che egli stesso define il processo di umanizzazione
dell’uomo, nel cui quadro la liberazione della donna costitusce ben più di una
semplice componente o misura, ma piuttosto una delle condizioni decisive per
una reale, generale fuoruscita dall’alienazione e dallo sfruttamento umano. Oggi
più d’uno ambirebbe, revanchisticamente, a considerare conclusa la stagione
femminista. E invece il vero problema per le donne, per la democrazia, per il
mutamento, è la perpetuazione e il saldo attestarsi a un livello superiore del
femminismo. Per questo il messaggio che può ben a ragione essere definito
femminista nell’accezione più onnicomprensiva ed elevata, risulta tuttora
rivolto alla speranza e soprattutto all’impegno: quell’impegno per cui egli ha
consumato generosamente, e certo positivamente anche per la causa femminile,
tutta intiera la sua vita. Tedesco, Quaderni della Rivista Trimestrale. Il mio primo
interrogativo riguarda le scelte politiche che egli ha fatto, ponendosi come
cattolico in contrasto con alcune direttive ecclesiastiche. Dove ha trovato
forza e serenità, pur con sofferenza, per queste opzioni non rinunciando alla
sua fede e alla sua appartenenza ecclesiale, sempre professata? Non ho trovato
altra risposta che la sua fede teologale. La fede di Franco non era credenza
dottrinale, magari utilizzata ideologicamente, o sottomissione alla gerarchia
che poi si muta in ribellione; era adesione cosciente e ferma a Dio che si è
rivelato in Gesù Cristo, ancora vivente nella Chiesa. Questa fede comporta quel
“sensus fidei” (ne ha parlato il Vaticano II nella Lumen Gentium) che diventa
giudizio pratico nelle concrete situazioni per scelte che siano conformi alla
volontà di Dio. È il discernimento di cui parla san Paolo nella Lettera ai
Romani (12, 2) e che tanta parte ha nella dottrina spirituale cristiana. D. Torre,
Quaderni della Rivista Trimestrale, Il rapporto con la chiesa, sia come
comunità di fede che come istituzione, senza mediazioni di un partito cattolico
rappresentava per R. un’occasione e una garanzia per depurare il movimento
comunista non solo dall’ateismo scientista, ma anche di una visione
totalizzante della rivoluzione politica e sociale. Il mito del regno dei cieli
sulla terra e di una storia senza alienazioni. Corrispettivamente il movimento
comunista e il portatore necessario di una trasformazione della società che non
si presentasse come inveramento e compimento della razionalità illuministica,
della rivoluzione borghese, ma anche e soprattutto come loro rovesciamento
dialettico, e perciò offre un fondamento storico e materiale ad un mondo
in cui le persone diventano centro e misura, liberate dalla rei-ficazione
capitalistica, e perciò stesso base reale di un pieno sviluppo di un
cristianesimo, non integralista, ma consapevole, diffuso, praticabile. Magri. Melchionda,
in "Aprile", Dall'utopia alla secolarizzazione, Vassallo, Il
consigliere di Berlinguer che ama la Contro-Riforma. Giornalista politico, Franchi,
Corriere della Sera, Archivio storico. Treccani L'Enciclopedia italiana". Franco
Rodano. Rodano. Keywords: immunità e comunità – filosofia italiana – i
comunisti, il laico, democrazia, revoluzione, lotta di classe, societa
opulenta, peculiarita dei comunisti italiani, anti-fascismo, arrestato dai
fascisti. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rodano” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Rodippo: la ragione conversazionale ante la diaspora – Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Crotone). Filosofo italiano. A Pythagorean, cited by Giamblico.
Rogatiano: la ragione conversazionale della filosofia della gotta – Roma
– filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo
italiano. A senator whose tutor is Plotino. He credits Plotino for helping him
realise the importance of leading a frugal existence. He himself fasts every
other day – to which he attributes his recovery from gout. Rogatiano.
Rogo: la ragione conversazionale dell’allievo di Filone – Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A pupil of Filone at Rome. Tertilio Rogo.
Grice e Romagnosi: la ragione
conversazionale della Roma antica, e l’implicatura dei IV periodi: o, dal segno
alla logìa -- filosofia italiana
-- Luigi Speranza
(Salsomaggiore). Filosofo Italiano. Important Italian philosopher. L'etica, la politica ed il diritto si possono bensì
dis-tinguere, ma non dis-giungere. Non esiste un'etica pratica, se non mediante
la buona legge e la buona amministrazione. Studia a Piacenza e Parma. Insegna a
Parma e Pavia. Membro della società letteraria di Piacenza, dove legge i suoi saggi:
“Discorso sull'amore considerato come motore precipuo della legislazione”; “Discorso
sullo stato politico della nazione romana e italiana”; “L’opinione
pubblica. Uno degl’Ortolani. Pubblica la “Genesi del diritto penale”; Cosa
è eguaglianza e, Cosa è libertà; Primo avviso al popolo romano, che mostrano
simpatie rivoluzionarie. Il suo incarico gli procura contrasti con il principe
di Trento, Thun. Questi gli concede comunque il titolo di consigliere aulico
d'onore. Schiere contro i principi della rivoluzione francese. Accusato di
giacobinismo, è incarcerato a Innsbruck. Scrive “Delle leggi dell'umana
perfettibilità per servire ai progressi delle scienze e delle arti”. Scopre gl’effetti
magnetici dell'elettricità. R. anticipato la scoperta dell'elettro-magnetismo. Pubblica
“Quale e il governo più adatto a perfezionare la legislazione civili”. Fonda il
“Giornale di giurisprudenza universale”. Pubblica l’Istituzioni di Diritto
amministrativo e Della costituzione di una monarchia costituzionale
rappresentativa. Rerduna intorno a Milano una scuola o gruppo di giocco alla
quale si formarono alcuni dei nomi più illustri del risorgimento: Ferrari (si
veda), Cattaneo (si veda), Cantù (si veda), Defendente S. (si veda) e G. Sacchi
(si veda). Collabora alla biblioteca italiana. Pubblica L’Assunto primo della
scienza del diritto naturale. È arrestato e incarcerato a Venezia con l'accusa
di partecipazione alla congiura ordita da Pellico, Maroncelli e Confalonieri.
Pubblica “Dell'insegnamento primitivo delle matematiche” e “Della condotta
delle acque”. Pubblica l’Istituzioni di
civile filosofia ossia di giurisprudenza teorica. Dirige gl’Annali Universali
di Statistica Tra i maggiori filosofi italiani,
nel rinnovamento del pensiero giuridico italiano richiesto dalla necessità di
codificare i nuovi interessi delle classi borghesi emersi con la rivoluzione
francese e consolidati nel successivo codice napoleonico, è legata alla
fondazione di una nuova scienza del diritto pubblico, penale e amministrativo,
con uno spirito scientifico illuministicamente volto all'unificazione delle
scienze giuridiche, naturali e morali. Studia pertanto la vita sociale nelle
sue componenti storiche, giuridiche, politiche, economiche e morali. Considera
l'uomo nelle forme della sua esistenza storica, nei modi in cui concretamente
pensa e agisce in un contesto sociale determinato. In questo modo lo studio
della storia rivela lo sviluppo dell'incivilimento umano. Nella “Genesi
del diritto penale”, opera che gli dette notevole fama e non solo in Italia,
riprendendo tesi di BECCARIA, pone i problemi dell'utilità della punizione,
della natura della colpa e del diritto. Dà una GIUSTIFICAZIONE RAZIONALE della
società che gl’appare un'unione necessaria tra gl’uomini, dialetticamente
rapportati nel rispetto di una disciplina condivisa. L'uomo è lo stesso sia
nello stato di natura che in quello di società, malgrado le diversità delle
forme sociali. Pertanto gl’uomini hanno un diritto di socialità importante e
sacro, quanto quello della conservazione di se stesso. La società è per R.
l'unico stato naturale dell'uomo, respingendo così la dottrina di uno stato di
natura *anteriore* allo stato sociale. Il cosiddetto stato di natura è solo un
diverso stato sociale nella storia dell'umanità. Nell'introduzione allo
studio del diritto pubblico universale, premesso che ogni complesso giuridico di
basarsi sul bisogno della comunità, sostiene che lo scopo del diritto e il
rafforzamento delle strutture civili e politiche della
società. Nell'Assunto primo della scienza del diritto naturale, riprende
temi sviluppati nella genesi del diritto. Sostiene che nella natura è tanto il
principio di individualità quanto quello di socialità, e, pertanto, lo sviluppo
umano avviene naturalmente verso uno stato di società, l'unico in cui si
sviluppa l'incivilimento - termine ricorrente nei suoi scritti - un continuo
processo verso stadi più avanzati di perfezionamento morale, civile, economico
e politico. E ancora nel Dell'indole e dei fattori dell'incivilimento,
con esempio del suo risorgimento in Italia si pone il problema di quale sia il
motore del progresso umano nella storia. La tesi è che la società umana è
l'organismo fattore di progresso, essendo in sé dotata di forze agenti in
particolari condizioni storiche e ambientali. Lo sviluppo civile, suddiviso da
R. in IV periodi -- I l'epoca del senso e dell'istinto, II l'epoca della
fantasia e delle passioni, III l'epoca della ragione e dell'interesse personale
e IV l'epoca della previdenza e della socialità -- vede un costante
trasferimento, agl’organismi pubblici rappresentativi, delle funzioni sociali
come se la natura si trasferisse progressivamente nella funzione
rappresentativa. Il punto d'arrivo della civiltà è una forma sociale in cui
prevalgono la proprietà e il sapere. Tale processo non è lineare. Il diritto ROMANO
si afferma in condizioni civili arretrate. Ma, come una macchina i cui
meccanismi migliorano nel tempo, la sua azione progressivamente perfezionata fa
sorgere dal fondo delle potenze attive un sempre nuovo modo di ri-azioni e
quindi d’effetti variati. L'incivilimento appare così una cosa complessa
risultante di molti elementi e da molti rapporti formanti una vera finale unità
simile a quella di una macchina, la quale scindere non si può senza
annientarla. Il motore di siffatta macchina è il COMMERCIO, sviluppato a sua
volta dal progresso dello stato sociale. Guardando allo sviluppo storico
nazionale, vede nel medio-evo l'epoca in cui la città diviene luogo di
aggregazione di possidenti, artisti, commercianti e dotti, favorendo le
condizioni per la nascita dello stato italiano dallo stato romano anche se ai comuni
medievali manca uno spirito politico nazionale perché presero la strada dal
ramo industriale e commerciale per giungere al territoriale. Essi dunque
ripigliarono l'incivilimento in ordine inverso. In quest'ordine trovarono i più
gravi ostacoli avendo dovuto separare la professione dell’armi da quella del’arti
e della mercatura. Per questo, bisogna sempre porsi il problema di un corretto
modo di sviluppo e ora, nella società industriale, l'incivilimento è una
continua disposizione delle cose e delle forze della natura pre-ordinata dalla
mente ed eseguita dall'energia dell'uomo in quanto tale disposizione produce
una colta e soddisfacente convivenza. Nella collezione degl’articoli di
economia politica e statistica civile si trova espressa la fiducia nella
sviluppo capitalistico e nella libera concorrenza economica, difesa contro le
tesi di SISMONDI che vede nello sviluppo industriale una spaventosa sofferenza
in parecchie classi della popolazione. I poteri pubblici fano rispettare le
corrette regole della libertà di con-correnza, cosa che non avviene in
Inghilterra dove ora si favorisce il popolo contro i mercanti, ora i possidenti
e i mercanti contro il popolo e intanto si applica ancora il protezionismo. E inoltre
un paese in cui non si applica IL DIRITTO ROMANO, fonte di equità civile. La
mentalità empirica degl’inglesi non consente loro di pre-vedere ma solo di
constatare i fatti. Polemizza col Saint-Simon, dottrinario che ostacola la
libera con-correnza, assegna ogni ramo d'industria a guisa di privilegio
personale, favorisce il popolo miserabile contro i produttori e abolire il
diritto di eredità. I saintsimoniani vogliono far lavorare e poi lavorare senza
dirmi il perché. Progresso non è che lavoro. Questo è l'ultimo termine, questo
è il premio. L'uomo, secondo Saint–Simon, dovrebbe sempre progredire lavorando
con una indefinita vista e senza stimolo. Ma voler far progredire l'industria e
il commercio col togliere la possidenza è come voler far crescere i rami col
distruggere il tronco. La proprietà ha un carattere naturale e, come la natura
è la base di ogni società, negare la proprietà significa distruggere ogni
possibilità di convivenza civile. Partendo dalla sua vasta esperienza
giurisprudenziale e politica, auspica una nuova forma di filosofia civile, che
studia le forme e condizioni dell'incivilimento storico della nazione romana e
la nazione italiana, scoprendo la legge massima e unica delle vicende
politiche, sociali e culturali dei popoli. Riguardo al problema
gnoseologico, per R. la conoscenza proviene dai sensi ma la sensazione non è di
per sé ancora conoscenza, la quale si ottiene solo quando l'intelletto ordina e
interpreta le sensazioni secondo proprie categorie, definite logiche – logìe --,
con cui diamo segnature razionali alle segnature positive. Chiama compotenza
questa mutua concorrenza di sensazioni provenienti dall'esterno e di
elaborazione della nostra mente. Una logìa non è una idee formata nel
momento della nostra nascita, ma a sua volta è il risultato della riflessione
operata sull'esperienza empirica. La logìa è dunque a posteriori rispetto alla
sensazione passata e a priori rispetto alla sensazione attuale. Pertanto, la
conoscenza è in definitiva un a posteriori con un contenuto base
empirico. Ma cosa conosciamo in realtà? I sensi non danno conoscenza delle
cose in sé, ma di ciò che percepiamo delle cose. Conosciamo la rappresentazione
che ci formiamo della cosa. Se il fenomeno non e copie esatta del reale,
tuttavia è UN SEGNO a cui corrisponde in natura un’essere reale. Pertanto, una
cosa esiste fuori di noi, non è una creazione dell’io trascendentale. Non
essendoci evidentemente posto per una meta-fisica nella sua costruzione
filosofica, R. è attaccato dagl’spiritualisti e in particolare dal puritano
SERBATI (si veda). Può a buon diritto essere considerato il precursore del
positivismo italiano. Considera la contrapposizione di classico e
romantico – nata nell'immediatezza della restaurazione e trascinatasi per oltre
un ventennio con implicazioni letterarie, linguistiche e anche politiche - come
impropria. Cerca di dare una soluzione alla controversia attraverso la sua
concezione ilichiastica -- cioè relativa al tempo – cf. Grice, La costruzione
ilichiastica dell’io -- della letteratura, secondo la quale la filosofia e
consone all'età e al gusto del popolo romano e del popolo italiano, e suggere
che le opere contemporanee dovessero corrispondere sempre al pensiero moderno
di un popolo. L'ilichiastismo si rifà in sostanza alle sue concezioni sulla
formazione della civiltà. Così espose la sua dottrina in Della Poesia,
considerata rispetto alle diverse età della nazione romana e della nazione italiana.
Sei tu romantico? Signor no. Sei tu classico? Signor no. Che cosa dunque sei?
Sono “ilichiastico”, se vuoi che te lo dica in greco, cioè adattato alle età. Misericordia!
che strana parola! Spiegatemela ancor meglio, e ditemi perché ne facciate uso,
e quale sia la vostra pretensione. La parola “ilichiastico” che vi
ferisce l'orecchio è tratta dal greco, e corrisponde al latino “aevum”, “aevitas”
-- e per sincope, “aetas”, “età,” la quale indica un certo periodo di tempo –
nell’unita longitudinale della filosofia --, e in un più largo senso, il corso
del tempo. Col denominarmi pertanto “ilichiastico,” io intendo tanto di
riconoscere in fatto una filosofia relativa all’età, nelle quali si sono ri-trovato
e si trova il popolo romano e il popolo italiano,
quanto di professare principj, i quali sieno indipendenti da fittizie
istituzioni, per non rispettare altra legge che quelle del gusto, della ragione
e della morale. Ma la divisione di romantico e classico, voi mi direte, non è
dessa forse più speciale? Eccovi le mie risposte. O voi volete far uso di
queste due parole, ‘classico’ e ‘romantico,’ per indicare nudamente il tempo, o
volete usarne per contrassegnare il *carattere* della filosofia nelle diverse
età. Se il primo, io vi dico essere strano il denominare ‘classica’ la
filosofia romana antica, e filosofia romantica la media e moderna. L’eta antica
(palio-evo), l’eta media (medio-evo), e l’eta moderna (neo-evo), sono fra loro
distinti non da una divisione artificiale e di convenzione, ma da una effettiva
rivoluzione. Se poi volete adoperare le parole di ‘classico’ e di ‘romantico’
per contrassegnare il carattere della filosofia romana e della filosofia italiana
nelle diverse età, a me pare che usiate di una denominazione impropria. Quando
piacesse di contrassegnare la filosofia coi caratteri delle tre diverse età –
I: paleo-evo, II: medio-evo, III: neo-evo), parmi che dividere si potrebbe in I
filosofia eroica (filosofia romana antica), II filosofia teocratica (filosofia
del medio-evo), e III filosofia civile (neo-evo, moderna eta). Questi caratteri
hanno successivamente dominato tanto nella prima coltura, che è sommersa dalle
nordiche invasion dei barbari longobardi – dimenticami i goti – e d’arii -- ,
quanto nella seconda coltura, che è ravvivata e proseguita fin qui. Questi
caratteri non esistettero mai puri, ma sempre mescolati. Dall'essere l'uno o
l'altro predominante si determina il genere, al quale appartiene l'una o
l'altra produzione filosofica. Vengo ora alla domanda che mi faceste, se io
classico o romantic. E ponendo mente soltanto allo spirito di essa, torno a
rispondervi che io non sono (né voglio essere) né romantico, né classico, ma
adattato alla mia eta, ed al bisogno
della ragione, del gusto e della morale. Ditemi in primo luogo. Se io fossi
nobile ricco, mi condannereste voi perché io non voglia professarmi o popolano
grasso, o nobile pitocco? Alla peggio, potreste tacciarmi di orgoglio, ma non
di stravaganza. Ecco il caso di un buon italiano in fatto di filosofia. Volere
che un filosofo italiano sia tutto classico, egli è lo stesso che volere taluno
occupato esclusivamente a copiare diplomi, a tessere alberi genealogici, a
vestire all'antica, a descrivere o ad imitare gl’avanzi di medaglie, di vasi,
d'intagli e di armature, e di altre anticaglie, trascurando la coltura attuale
delle sue terre, l'abbellimento moderno della sua casa, l'educazione odierna
della sua figliuolanza. Volere poi che il filosofo italiano sia affatto
romantico, è volere ch'egli abiuri la propria origine, ripudj l'eredità de'
suoi maggiori per attenersi soltanto a nuove rimembranze -- specialmente
germaniche: i longobardi. Voi mi domanderete se possa esistere questo terzo
genere, il quale non sia né classico né romantico? Domandarmi se possa esistere
è domandarmi se possa esistere una maniera di vestire, di fabbricare, di “con-versare”,
di scrivere, che non sia né antica, né media, né moderna. La risposta è fatta
dalla semplice posizione della quistione. Ma questo III genere e desso
preferibile ai conosciuti fra noi. Per soddisfarvi anche su tale domanda osservo
primamente che qui non si tratta più di qualità, bensì di bellezza o di
convenienza. In secondo luogo, che questa quistione non può essere decisa che
coll'opera della filosofia del gusto, e soprattutto colla cognizione tanto
dell'influenza dell'incivilimento sulla filosofia, quanto degl’uffizj della filosofia
a pro dell'INCIVILIMENTO. Non è mia intenzione di tentare questo pelago. Osservo
soltanto che questo III genere non può essere indefinito. E necessariamente il
frutto naturale dell'età nella quale noi ci troviamo, e si troveranno pure i
nostri posteri. Noi dunque non dobbiamo sull'ali della meta-fisica errare senza
posa nel caos dell'idealismo, per cogliere qua e là l’ idea archetipo di questo
genere. Dobbiamo invece seguire la catena degli avvenimenti, dai quali nella
nostra età, essendo stata introdotta una data maniera di sentire, di produrre,
e quindi di gustare e di propagare il bello, ne nacque un dato genere, il quale
si poté dire perciò un frutto di stagione di nostra età. Per quanto vogliamo
sottrarci dalla corrente, per quanto tentiamo di sollevarci al di sopra dell’ignoranza
e del mal gusto comune, noi saremo eternamente figli del tempo e del luogo in
cui viviamo. Il secolo posteriore riceve per una necessaria figliazione la sua
impronta dal secolo anteriore. E tutto ciò derivando primariamente dall'impero
della natura che opera nel tempo e nel luogo, ne verrà che il carattere filosofico,
comunque indipendente dalle vecchie regole dell'arte, perché flessibile,
progressivo, innovato dalla forza stessa della natura, e necessariamente
determinato, come è determinato il carattere degl’animali e delle piante, che dallo
stato selvaggio vengono trasportate allo stato domestico. Posto tutto ciò,
l'arbitrario nel carattere della filosofia cessa di per sé. Si puo allora
disputare bensì se il bello ideale coincide o no col bello volgare. Se il gusto
corrente possa essere più elevato, più puro, più esteso; ma non si potrà più
disputare se le sorgenti di questo bello debbano essere la mitologia pagana degl’antichi
romani – o dei longobardi -- piuttosto che i fantasmi cristiani, i costumi
cavallereschi piuttosto che gl’eroici, le querce, i monti o i castelli gotici,
piuttosto che gl’archi trionfali, le are e i templi ROMANI. Il carattere
attuale sarà determinato dall'età attuale e dalla località. Vale a dire dal
genio nazionale romano e dal genio nazionale italiano eccitato e modificato
dalle attuali circostanze, il complesso delle quali forma parte di quella
suprema economia, colla quale la natura governa le nazioni della terra. Finisco
questo discorso col pregare i miei concittadini a non voler imitare le
femminette di provincia in fatto di mode, e ad informarsi ben bene degli usi
della capitale. Leggano gli scritti teoretici, e soprattutto le produzioni di
LA FILOSOFIA SETTENTRIONALE, e di leggieri si accorgeranno che se havvi in essa
qualche pizzo di romantica poesia, niuno si è mai avvisato né per teoria né per
pratica di essere né esclusivamente romantico né esclusivamente classico nel
senso che si dà ora abusivamente a queste denominazioni. Troveranno anzi
essersi trattati argomenti, e fatto uso di similitudini e di allusioni
mitologiche anche in un modo, che niun LATINO O ROMANO antico MERIDIONALE si
sarebbe permesso. Il solo libro dell'Alemagna della signora di Staël ne offre
parecchi esempi. Il pretendere poi presso di noi il dominio esclusivo
classico, egli è lo stesso che volere una poesia italiana morta, come una
lingua italiana morta. Quando il tribunale del tempo decreta questa
pretensione, io parlo con coloro che la promossero. Durante il periodo del regno
italico, è iniziato massone nella loggia r. giuseppina di Milano, di cui è in
seguito oratore e maestro venerabile. È grande esperto all'atto della
fondazione del grande oriente esponente di primo piano della massoneria di palazzo
Giustiniani, grande oratore aggiunto del grande oriente e in questa funzione
autore di vari discorsi massonici. Altri saggi: “Genesi del diritto penale”; “Che
cos'è uguaglianza”; “Che cos'è libertà”, “Introduzione allo studio del diritto
pubblico universale”; “Principi fondamentali di diritto amministrativo”, “Della
costituzione di una monarchia nazionale rappresentativa”; “Dell'insegnamento
primitivo delle matematiche”; “Della condotta delle acque”; “Che cos'è la mente
sana?”; “Della suprema economia dell'umano sapere in relazione alla mente sana”;
“Suprema economia dell'umano sapere”; “Della ragion civile delle acque nella
rurale economia”; “Vedute fondamentali sull'arte logica”; “Dell'indole e dei
fattori dell'incivilimento con esempio del suo risorgimento”; in Collezione
degli articoli di economia politica e statistica e civile, con annotazioni di
Giorgi (Milano, Perelli e Mariani); Opere, Milano, Perelli e Mariani, La
scienza delle costituzioni, I Discorsi
Libero-Muratori, L'acacia Massonica, Scritti filosofici, Milano, Ceschina,
Scritti filosofici (Firenze, Monnier); Stringari, R. fisico; Lanchester, R.
costituzionalista, Giornale di storia costituzionale, Macerata: EUM-Edizioni
Università di Macerata, Gnocchini, L'Italia dei Liberi Muratori (Mimesis-Erasmo,
Milano-Roma); Studi in onore, Milano, Giuffrè, Per conoscere R., Milano,
Unicopli, Albertoni, “La vita degli stati e l'incivilimento dei popoli nella
filosofia politica di R.” (Milano, Giuffrè); Mereu, “L'antropologia
dell'incivilimento in R. e CATTANEO (si veda)” (Piacenza, La Banca); E. Palombi,
“Introduzione alla Genesi del Diritto penale” (Milano, Ipsoa); Tarantino,
Natura delle cose e società civile. SERBATI e R.” (Roma, Studium); Treccani Dizionario
di storia, Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, L'Unificazione,
Dizionario biografico degl’italiani, Il contributo italiano alla storia del
Pensiero. Gian Domenico Romagnosi. Romagnosi. Keywords: scienza simbolica,
scienza simbolica degl’antichi romani, il vico di Romagnosi, la terza Roma, la
prima Roma, la prima eta, la terza eta, la logica di Genovese, la matematica,
Sacchi, Cattaneo, incivilamento, gl’italiani, la nazione italiana. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Romagnosi,"
per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria,
Italia.
Grice
e Romanoto: la ragione conversazionale e l’implicatura -- filosofia italiana –
Luigi Speranza (Roma). To be
identified.
Grice e Roncaglia: la ragione conversazionale alla
palestra – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo Italiano. Studia a Roma e Firenze
sotto GREGORY (si veda) e MAIERÙ (si veda). Insegna a Tuscia e Roma. Si dedica
alla storia logica fra il medio-evo e Leibniz. Saggi: “Intero e frammentazione”
(Roma, Laterza); Rivista di filosofia dell'intelligenza artificiale e scienze
cognitive ; “Palaestra rationis: una discussione sulla copula e la modalità” (Firenze:
Olschki); Università Roma Tre. Dimissioni organi consultivi Mi BACT. Note a
margine del concorso per CCCCC funzionari del Ministero Beni Culturali: mezzo
bibliotecario per ogni biblioteca? E la tutela di libri e manoscritti chi la
fa? Tuscia. Gino Roncaglia. Roncaglia. Keywords: palestra. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Roncaglia” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Ronchi: la ragione conversazionale e la
ragione conversativa -- il conversativo, o, filosofia della comunicazione –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Forlì). Filosofo Italiano. Si laurea a Bologna e consegue il dottorato
a Milano sotto SINI. Insegna all’Aquila. Dirige “Filosofia al presente” per
Textus, di L’Aquila e “Canone minore” per Mimesis di Milano. Dirige la scuola
di filosofia Praxis. Si dedica alla passione -- “Sapere passionale” (Spirali,
Milano) e alla questione della comunicazione intesa filosoficamente come
partecipazione alla verità e fondamento ontologico della stessa pratica
filosofica (“Teoria critica della comunicazione: dal modello vei-colare al
modello conversazionale” (Mondatori, Milano) -- Grice: “I like ‘conversativo,’ Almost
a Spoonerism for ‘conservative’!” --; “Filosofia della comunicazione. Il mondo
come resto e come teo-gonia” (Boringheri, Torino). Propone una revisione del modello vei-colare o
standard della comunicazione e una critica al paradigma linguistico del
vivente. Al problema della raffigurazione e al suo rapporto col dicibile nella
filosofia è invece dedicato “Il bastardo: figurazione dell’invisibile e comunicazione
indiretta” (Marinotti, Milano). Grice: “This shows a distinction between ‘ingelese italianato.’ To call
indirect communication bastard would be a bit too much at Oxford!” --. Grazie ai suoi studi su Bergson si è segnalato
come una voce significativa della cosiddetta “Bergson renaissance”. – cf.
Grice, “Speranza e la cosidddetta “Grice renaissance””. In “L’interpretazione”
(Marietti, Genova) e “Una sintesi”
(Marinotti, Milano) guarda a Bergson come a un filosofo in grado di dare
risposta a questioni tuttora aperte del dibattito filosofico. Bergson non è un
filosofo irrazionalista, spiritualista, ostile alla scienza e ai suoi metodi.
Per lui la filosofia è un metodo rigorosamente empirista, che consente la
massima precisione possibile nella descrizione dei fenomeni. Bergson è anzi il
filosofo che cerca di emancipare la scienza da quanto di meta-fisico è ancora
inconsapevolmente presente nelle sue pratiche. Con le sue celebri nozioni di
“durata” e di “memoria” (cfr. Grice, “Personal identity: my debt to Bergson”) ha
costruito un nuovo modello di intelligibilità del divenire, alternativo a
quello del Lizio, in grado finalmente di spiegare, senza riduzionismi, il
“vivente” quale e descritto dalla biologia evoluzionista. Il pensiero bergsoniano
è presentato come uno snodo essenziale della filosofia. La sua dirompente
attualità è mostrata attraverso un confronto sistematico con la fenomenologia,
l’esistenzialismo, l’ermeneutica, il pensiero della differenza e
l'epistemologia della complessità. Al tempo stesso però, Bergson è ricollocato dall’interno della
tradizione filosofica come un capitolo, tra i più alti, dell’indagine
filosofica sulla natura: un capitolo che continua l’opera di quei filosofi e di
quei teologi che, dai accademici a Cusano fino a Grice e GENTILE, hanno provato
a pensare la natura come vita vivente e come divinità immanente. Impegnato
in una definizione e ri-abilitazione del filosofico contro il pericolo della
sua dismissione (“Come fare: per una resistenza filosofica”, Feltrinelli,
Milano), proprio grazie al confronto con Bergson e ai filosofi amici di
quest’ultimo -- Grice, and Grice’s immediate sources: Gallie and Broad -- define
la sua posizione filosofica inscrivendola in una costellazione ben precisa,
ancorché minoritaria -- “Canone minore: verso una filosofia della natura” (Feltrinelli,
Milano). Empirismo radicale, realismo speculativo e “pragmatica”
“trascendentale” sono le definizioni che, più di altre, esprimono il senso e la
direzione della sua ricerca, improntata com'è a criticare quella che chiama “la
linea maggiore della filosofia” e che definisce dualistica, soggettivistica e
antropo-centrica. In una parola: moderna. Da Kant sino a Derrida, la filosofia
è stata infatti caratterizzata dal primato accordato alla finitudine, alla contingenza,
all'intenzionalità griceiana, alla negazione e al linguaggio e la semiotica. La
filosofia di questa linea maggiore è, in fondo, un’antropo-logia cui oppone una
filosofia del processo radicalmente monista e immanentista che contesta la tesi
dell'eccezione umana e che non pone come apriori il principio della
correlazione soggetto-mondo -- anche nella versione offertane dall'ermeneutica
e dalla fenomenologia. Alla svolta trascendentale kantiana è opposta quella
cosmologica whiteheadiana e, al dispositivo aristotelico del Lizio potenza/atto,
dispositivo insufficiente a cogliere la natura naturans, la nozione di
gentiliana di “actus purus”. La linea minore della filosofia è, infatti, anche
e soprattutto una linea megarica che, alla potenza logico-linguistica e umana
troppo umana dei contrari, sostituisce una potenza che non può non esercitarsi --
sia essa quella dell’uno di Plotino, della sostanza di Spinoza o della durata
di Bergson. La filosofia della linea minore è una filosofia del processo -- categoria
che oppone all’aristotelica Kinesis del Lizio -- che, pur confutando il nulla e
il possibile come pseudo-problemi, non sacrifica il carattere creativo e
dinamico del reale. Il problema filosofico del rapporto uno-molti da sempre al
centro della riflessione cioè risolto nei termini di una co-generazione
reciproca fra i differenti per natura, in cui questa differenza non di grado
tra il principio e il principiato funziona come causa
dell’immediato essere uno dei molti ed esser molti dell’uno, ossia come la
causa di quella unità cangiante di tutte le cose che chiama immanenza assoluta. Altri saggi: “Luogo
comune: verso un'etica della scrittura” (Bocconi); “La scrittura della verità:
per una genealogia della teoria” (Jaca, Milano); – modello conversativo. Grice: “As I say, I like
‘conversativo;’ perhaps I should adopt it! ‘conversative,’ rather than the pompous
‘conversational’! -- Liberopensiero. Lessico filosofico della contemporaneità
(Fandango, Roma); Brecht. Introduzione alla filosofia (et al., Correggio )
Zombie outbreak: la filosofia e i morti-viventi (Textus, L'Aquila ); Credere
nel reale (Feltrinelli, Milano); Dispositivi (Orthotes, Napoli) -- realismo speculativo,
Sini, Gentile. Ronchi. Keywords: filosofia della comunicazione, immanenza, in
defense of the minor league, natura naturans, Gentile, atto puro, implicatura
conversativa. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Ronchi” – The Swimming-Pool
Library.
Grice e Rosandro: la ragione conversazionale degl’amici filosofi – Roma
– filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo
italiano. A philosopher who becomes an acquaintance of Elio Aristide.
Grice e Rosatti: la ragione conversazionale e l’implicatura – filosofia
italiana – Luigi Speranza
(Roma). Filosofo italiano Marcello Vitali Rossati.
Grice e Rosselli: la filosofia
italiana nel ventennio fascista – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo. Important Italian philosopher. There
is a R. Circle in Rome. Teorico del socialismo liberale, un socialismo
riformista non marxista direttamente ispirato dal laburismo inglese e dalla
tradizione storico-politica del radicalismo liberale e libertario. Fonda a
Firenze il foglio clandestino “Non mollare e insieme a Nenni, la rivista
milanese “Il quarto stato”. Fonda il movimento anti-fascista “giustizia e libertà”,
che combatté per la repubblica nella guerra civile spagnola, all'interno della colonna
italiana R., costituita assieme agl’anarchici. Ucciso in Francia insieme con il
fratello R. da assassini legati al regime fascista. Nato da una famiglia politicamente
attiva, avendo partecipato alle vicende del Risorgimento italiano: Pellegrino R.,
tra l'altro zio della futura moglie di Nathan, sindaco di Roma, è un seguace e
stretto collaboratore di MAZZINI (si veda) ed un Pincherle è nominato ministro nella
Repubblica di S. Marco, instauratasi nel Triveneto a seguito d'una massiccia
insurrezione anti-asburgica guidata da Manin e Tommaseo. I R. abitato per
un considerevole periodo a Vienna. Si trasferirono a Roma. Qui, dopo la propria
nascita, venne alla luce il fratello R. La madre, separata, si trasferì
con i suoi figli a Firenze, dove frequentarono la scuola. R. mostra in quel
periodo poco interesse per gli studi e la madre lo ritira dal ginnasio,
facendogli frequentare la scuola tecnica. L'entrata in guerra dell'Italia è
accolta con entusiasmo dai R., decisamente interventisti. Il fratello maggiore
è arruolato come ufficiale di fanteria e muore in combattimento. R. collabora al
foglio di propaganda «Noi», fondato dal fratello, anche se l'editoriale Il
nostro programma, è redatto con buone probabilità da lui. Il manifesto, che
l'ingenuità di due ragazzi indirizza verso una fiduciosa speranza in un mondo
migliore, propone sin da allora alcuni tratti fondamentali della sua personalità,
ossia un amore incondizionato per l'umanità e la spinta all'azione nel solco
dello spirito mazziniano, che lo inserisce nel filone dell'interventismo
democratico. Per «Noi», licenza saggi, uno sulla rivoluzione russa, altro sull'entrata
in guerra degli Stati Uniti. “Libera Russia” esalta il risveglio del paese
di Gorkij, Tolstoj e Dostoevskij, supremi interpreti di un rinnovamento in atto
già dal secolo precedente, per cui la rivoluzione non e che il punto culminante
di una lunga preparazione all'avvento di una società più giusta. Vi è tutta una
massa che sale lentamente, inesorabilmente. La marcia si puo ritardare ma non
impedire. Dei recentissimi eventi, inoltre, viene esaltata la componente
pacifica, la loro attuazione relativamente non violenta. Il saggio “Wilson”
mostra tutta la fiducia nutrita per l'uomo che define il conflitto come “una
guerra per porre fine alle guerre”, uno slogan che rappresenta bene le sue speranze
di e di tutta la famiglia R.. È chiamato alle armi. Frequenta a Caserta
il corso allievi ufficiali e venne assegnato a un battaglione di alpini in
Valtellina. La guerra finisce senza che egli avesse dovuto sottomettersi al
battesimo del fuoco. Il contatto con militari e molto importante per lui. Apprezza
la massa furon posti in grado di comprendere tante cose che sarebbero loro
certamente sfuggite nel loro isolamento di classe o di professione. Diplomatosi
all'istituto tecnico, si iscrive a Firenze al corso di scienze sociali,
laureandosi a pieni voti con una tesi, Sindacalismo italiano,” e si prepara a
sostenere anche gl’esami di maturità classica per ottenere il diritto di
frequentare altri corsi universitari. Tramite il fratello, conosce Salvemini,
professore a Firenze, che e da allora un costante punto di riferimento per
entrambi i fratelli. Gli fa rivedere il suo saggio sul sindacalismo
rivoluzionario, che giudica non un saggio critico, equilibrato, sostanzioso, ma
in essa e incapsulata un'idea fondamentale: la ricerca di un socialismo che fa
sua la dottrina liberale e non la ripudiasse. S’avvicina al partito socialista,
simpatizzando, in contrapposizione all'allora maggioritaria corrente
massimalista di Serrati, per quella riformista di Turati, che egli ha poi modo
di conoscere a Livorno durante lo svolgimento del congresso del partito, che
sance la definitiva scissione dell'ala di sinistra interna filo-bolscevica che
prende il nome di partito comunista, e scrive svariati saggi per “Critica
Sociale”. MUSSOLINI sale al potere. I riformisti di TURATI sono espulsi dal partito
socialista. Si trasfere a Torino, dove frequenta il gruppo della “rivoluzione
liberale», in quel momento fortemente impegnata in senso anti-fascista, e con
la quale incomincia a collaborare. Conosce Matteotti, del partito socialista unitario,
nel quale erano confluiti GOBETTI (si veda) e la componente riformista espulsa
dal partito socialista, come Rossi. A Firenze, il gruppo dei socialisti
liberali che si raccoglie intorno alla figura carismatica di Salvemini inaugura
un circolo di cultura. Oltre ai R. vi sono Calamandrei, Finzi, Frontali,
Jahier, Limentani, Niccoli e Rossi. Gli ex-combattenti del circolo adereno all'associazione
anti-fascista “Italia libera”. Si laurea a Siena, con “Prime linee di una teoria
economica dei sindacati operai” e parte per Londra, stimolato dal desiderio di
conoscere la capitale del laburismo, di seguire i seminari dei fabiani e di
assistere al congresso delle unioni operaie. Vi è anche Salvemini, che tene un seminario
sulla storia della politica estera italiana al King's. Tornato in Italia
grazie anche ai buoni uffici di Salvemini, si impiega come assistente
volontario a Milano. Prosegue la sua collaborazione a “Critica Sociale” di
Turati. Vi pubblica un articolo, invitando il partito socialista a rompere con
il marxismo, che giudicava espressione di cieco e tortuoso dogmatismo, per
mettersi piuttosto sulla linea di un sano empirismo all'inglese. Collabora con
la rivista del partito socialista unitario, «Libertà», scrivendo proprio un saggio
sul movimento laburista inglese. Dopo il delitto Matteotti s'iscrive al partito
socialista unitario. Spera invano che in Italia si costituisse una seria
opposizione anti-fascista moderata in grado di offrire un'alternativa politica
alla borghesia che guarda con simpatia al fascismo. Una di queste avrebbe
potuto essere l'unione democratica nazionale d’Amendola, alla quale adere il
fratello. D’Inghilterra invia al giornale del partito socialista unitario la
«Giustizia», le corrispondenze sull'evolversi della situazione politica
inglese, successiva alla vittoria elettorale dei conservatori e alla rottura
dell'alleanza tra laburisti e liberali. E pessimista sulle condizioni
politiche dell'Italia. La secessione aventiniana non produce effetti, con i
suoi sterili tentativi di accordo con il re, con i generali e i fascisti
dissidenti. Del resto, i fascisti stano re-agendo. Lo dimostrano anche
devastando il circolo di cultura, che, come non basta, venne chiuso dal
prefetto con una singolare motivazione. La sua attività provoca il giusto
risentimento del partito dominante. Lasciato l'incarico a Milano, insegna a Genova.
Scrive a Salvemini. Forse non ha apparentemente alcuna positiva efficacia, ma
io sento che abbiamo da assolvere una grande funzione, dando esempi di
carattere e di forza morale alla generazione che viene dopo di noi. Appare così
con la collaborazione di Rossi, Salvemini, Calamandrei, Traquandi, Vannucci e il
fratello, che ne ha proposto il nome, il foglio clandestino “Non mollare”. Alcuni
redattori della rivista sono Traquandi, Ramorino, Rossi, Emery, e i due R. La
denuncia di un tipografo provoca la repressione e la dispersione d’alcuni tra i
redattori del foglio. Rossi riusce a fuggire a Parigi, Vannucci in Brasile,
Salvemini è arrestato a Roma è denunciato per vilipendio del governo fascista. In
attesa del processo, messo in libertà provvisoria, a causa delle minacce dei
fascisti, passa la notte a Firenze, in casa dei R., che non sono ancora fra i
sospettati. Gli squadristi però, venuti a conoscenza del fatto, devastano
l'abitazione il giorno dopo. Scrive R. ad Ansaldo. Io sono di ottimo umore e
l'altra sera ho financo bevuto alla distruzione compiuta! Se i signori fascisti
non hanno altri moccoli, possono andare a dormire. Aspetteranno a lungo la mia
rinuncia alla lotta. Ormai preso di mira dai fascisti, è aggredito a Genova
mentre si reca all'università e poi disturbato durante la sua lezione, con la
richiesta del suo allontanamento. Si attiva infine lo stesso ministro dell'economia,
Belluzzo, che chiede il suo licenziamento. A questo punto, prefere
dimettersi. Pochi giorni dopo, a Firenze, sposò con rito civile una laburista
venuta a Firenze a insegnare nel British Institute, conosciuta da R. al circolo
della cultur. Lapide commemorativa: «In via Ancona vive il martire anti-fascista
e qui ha sede la redazione del ‘Quarto stato,’ rivista socialista a difesa
della libertà e della democrazia. R. vive a Milano, dove fonda con Nenni la
rivista «Il quarto stato’. La rivista ha vita breve, venendo chiusa con
l'entrata in vigore della legge sui provvedimenti per la difesa dello stato
fascista italiano. Scopo della pubblicazione è il tentativo di rappresentare un
punto d'incontro di tutte le forze socialiste e di sviluppare temi di politica
culturale al cui centro e il perfezionamento degl’uomini e l'elevamento della
vita dei cittadini. Con Treves e Saragat costitue un trium-virato che,
costitue clandestinamente il partito socialista dei lavoratori, che prende il
posto del partito socialista unitario, sciolto d'imperio dal regime fascista a
causa del FALLITO ATTENTATO A MUSSOLINI da parte del suo iscritto ZANIBONI. Bova,
Turati, R., Pertini e Parri a Calvi in Corsica dopo la fuga in motoscafo da
Savona. Oganizza con Oxilia, Pertini e Parri l'es-patrio di Turati a
Calvi in Corsica, con un moto-scafo partito da Savona. Mentre Turati, Pertini e
Oxilia proseguirono per Nizza, Parri e Rosselli, ritornati con il moto-scafo a
Marina di Carrara, SONO ARRESTATI, nonostante tentassero di sostenere d’essere
reduci d’una gita di piacere. È accusato anche di aver favorito la fuga d’Ansaldo,
di Silvestri, di Treves e di Saragat. Venne detenuto nelle carceri di
Como, poi inviato al confino di Lipari in attesa del processo. Quando e ricondotto
da Lipari a Savona per essere processato, nell'isola siciliana giunge il
fratello, condannato a V anni di confino. Al processo si difende
attaccando il regime fascista. Il responsabile primo e unico, che la coscienza
degl’uomini liberi incrimina è il fascismo che con LA LEGGE DEL BASTONE,
strumento della sua potenza e della sua nemesi, inchioda in servitù milioni di
cittadini, gettandoli nella tragica alternativa della supina acquiescenza o
della fame o dell'esilio. La sentenza, rispetto alle previsioni, e mite: X mesi
di reclusione e, avendone già scontati VIII, avrebbe potuto essere presto
libero. Ma una nuova legge speciale permisero alla polizia di infliggergli *altri*
III anni di confino da scontare a Lipari. La vita al confino trascorre con
le letture filosofiche di Croce, Mondolfo, l’epistolario di Marx ed Engels, e
Kant. Intanto, si prepara la fuga, che venne organizzata dall'amico di
Salvemini Tarchiani. Evase da Lipari con Nitti e Lussu, con un moto-scafo
guidato dall'amico Oxilia diretto in Tunisia, da cui poi i fuggiaschi
raggiunsero la Francia. Nitti narra l'avventurosa evasione in “Le nostre prigioni --
e la nostra evasione”, mentre R. racconta le vicende del confino e
dell'evasione in “Fuga in IV tempi”. A Parigi, con Lussu, Nitti, e un gruppo di
fuoriusciti organizzati da Salvemini, e fra i fondatori del movimento anti-fascista
"Giustizia e libertà". “Giustizia e Liberta” pubblica diversi numeri
della rivista e dei quaderni omonimi ed e attiva nell'organizzazione di diverse azioni
dimostrative, tra cui il volo sopra Milano di Bassanesi. Critica appassionatamente
il marxismo ortodosso, colonna portante della stragrande maggioranza dei vari
schieramenti politici socialisti. Il socialismo liberale propugnato da R. si
caratterizza quale una creativa sintesi della tradizione del marxismo
revisionista, democratico e riformista -- quello, tra gli altri, di Bernstein, Sombart,
Turati e Treves -- ed il socialismo non marxista, libertario e de-centralista --
come quello di Merlino, Salvemini, Cole, Tawney e Jászi. Attacca dirompente contro lo stalinismo della terza
internazionale che, con la formula del “social-fascismo” accomuna social-democrazia, liberalismo borghese e
fascismo. Non stupisce perciò che uno fra i più importanti stalinisti,
Togliatti, define il socialismo liberale
un magro libello anti-socialista e R. un ideologo REAZIONARIO che nessuna cosa
lega alla classe operaia. “Giustizia e libertà” adere alla concentrazione anti-fascista, unione di
tutte le forze anti-fasciste non comuniste – REPUBBLICANI, socialisti, CGL -- che
intende promuovere e coordinare ogni possibile azione di lotta al fascismo. Pubblica
i "Quaderni di giustizia e libertà". Dopo l'avvento del nazismo
in Germania, “Giustizia e liberta” sostenne la necessità di una rivoluzione
preventiva per rovesciare i regimi fascista e nazista prima che questi
portassero a una nuova tragica guerra, che a “Giustizia e Liberta” sembra l'inevitabile
destino dei due regimi. Bandiera della colonna italiana, nota anche come centuria
giustizia e libertà, che sostenne i repubblicani nella guerra civile spagnola. Scoppie
in Spagna la guerra civile tra i rivoltosi dell'esercito filo-monarchico, che
effettuarono un colpo di stato, e il LEGITTIMO GOVERNO REPUBBLICANO del fronte popolare
di ispirazione marxista. È subito attivo nel sostegno alle forze repubblicane,
criticando l'immobilismo di Francia e Inghilterra. I fascisti aiutano FRANCO
con uomini e armi agl’insorti. Combatte la sua prima battaglia. Cerca poi
di costituire un vero e proprio battaglione -- intitolato a Matteotti. La
prima formazione italiana, che prende poi, dopo l'uccisione dei due fratelli,
il nome di colonna italiana R., annovera tra i 50 e i 150 uomini, reclutati fra
gl’esuli italiani in Francia dal movimento “Giustizia e libertà” e dal comitato
anarchico. Tra questi c'erano anche gl’anarchici Marzocchi e Berneri. Marzocchi
scrive sulla comune esperienza anti-fascista di anarchici e di militanti di “Giustizia
e Libertà”, "R. e gl’anarchici". In un discorso, pronuncia la
frase che poi diverrà il motto degli anti-fascisti italiani: "Oggi in
Francia, domani in Italia". È con questa speranza segreta che siamo
accorsi in Ispagna. Oggi qui, domani in Italia. Fratelli, compagni italiani,
ascoltate. È un volontario italiano che vi parla dalla radio. Non prestate fede
alle notizie bugiarde della stampa fascista, che dipinge i rivoluzionari come
orde di pazzi sanguinari alla vigilia della sconfitta. A contrasti con gl’anarchici
si dimette da comandante della colonna e fonda il battaglione Matteotti. Soggiorna
a Bagnoles-de-l'Orne per delle cure termali, dove è raggiunto dal fratello.
Sono uccisi da una squadra di miliziani della Cagoule, formazione eversiva di
destra francese, su mandato, forse, dei servizi segreti fascisti e di Ciano. Con
un pretesto sono fatti scendere dall'automobile, poi colpiti da raffiche di
pistola. R. muore sul colpo; il suo fratello, colpito per primo, venne finito
con un'arma da taglio. I corpi vennero trovati due giorni dopo. I colpevoli,
dopo numerosi processi, riusciranno quasi tutti a essere prosciolti. I R.
sono sepolti nel cimitero monumentale parigino del Père Lachaise. I familiari
ne traslarono le salme in Italia, a Trespiano. Salvemini tenne il discorso
commemorativo alla presenza del presidente della Repubblica. La tomba riporta
il simbolo della spada di fiamma, emblema di “Giustizia e Liberta”, e l'epitaffio
scritto da Calamandrei. Giustizia e liberta. Per questo morirono per questo
vivono. L'unico saggio pubblicato da R. mentre è in vita è
"Socialismo liberale", scritto durante il confino a Lipari, in una
situazione di semi-prigionia. “Socialismo liberale” si pone in una posizione
eretica rispetto ai partiti della sinistra italiana del suo tempo -- per i
quali “Il capitale” di Marx, variamente interpretato, è ancora considerato come
la bibbia. Indubbiamente è presente l'influsso del laburismo inglese, da lui
ben conosciuto. In seguito ai successi elettorali del partito laburista, R. è
infatti convinto che l'insieme delle regole della democrazia liberale sono
essenziali non solo per raggiungere il socialismo, ma anche per la sua concreta
realizzazione -- mentre nella tattica leninista queste regole, una volta preso
il potere, debbono essere accantonate. Pertanto, la sintesi del pensiero
rosselliano è: "il liberalismo come metodo o mezzo, il socialismo come
fine". Pisacane, L'idea di rivoluzione propria della dottrina
marxista è fondata sulla concezione della dittatura del proletariato -- che, in
realtà, già ai tempi di R. si sta traducendo, in unione sovietica, nella
dittatura del vertice di un solo partito. Essa viene respinta da R., a favore
di una rivoluzione che, come si nota nel programma di “Giustizia e liberta”, è
un sistema coerente di riforme strutturali mirate alla costruzione di un
sistema socialista che non rinnega, ma anzi esalta, la libertà individuale e
associativa. Alla luce dell'esperienza spagnola -- difesa dell'organizzazione
sociale di Barcellona compiuta dagli anarchici durante la guerra civile -- e
dell'avanzata del nazismo, R. radicalizza la sua posizione libertaria. Influenzato
dalle idee di Mazzini e di Pisacane, R. propugna il socialismo liberale: il
fine è il socialismo, il metodo o mezzo il liberalismo, un metodo o mezzo che
garantisce la democrazia e l'autogoverno dei cittadini. Il liberalismo deve
svolgere una funzione democratica, il "metodo o mezzo liberale" è il
complesso di regole del gioco che tutte le parti in lotta si impegnano a
rispettare, regole dirette ad assicurare la pacifica convivenza dei cittadini,
delle classi, degli stati, a contenere le lotte -- peraltro desiderabili se
limitate. La violenza è giustificabile come risposta ad altra violenza -- per
questo è giusta la lotta contro il franchismo e sarebbe stata auspicabile in
Italia una rivoluzione violenta in risposta al fascismo. Il socialismo è una
logica conclusione del liberalismo. Socialismo significa libertà per tutti. R.
ha fiducia che la classe del futuro è la classe proletaria, la borghesia deve
fare da guida al proletariato. Il fine è la libertà per tutte le classi. Archivio
R. Bio. Tranfaglia, Dall'interventismo a “Giustizia e Libertà” (Bari, Laterza).
Il circolo di cultura a Firenze, chiuso da Mussolini, e rifondato a liberazione di Firenze appena
avvenuta, per iniziativa del Partito d'Azione e dei soci superstiti e
intitolato ai R.. Assunse così il nome di circolo di cultura politica R. La sua
prima manifestazione è presieduta da Calamandrei. Con decreto del presidente
della repubblica è stata costituita ed eretta in ente morale la Fondazione
Circolo R. per sostenerne l'attività. Martino:
Fuorusciti e confinati dopo l'espatrio clandestino di Turati nelle carte della
R. Questura di Savona in Atti e Memorie della Società Savonese di Storia
Patria, Savona, e Pertini e altri socialisti savonesi nelle carte della R. Questura,
Gruppo editoriale L'espresso, Roma. Commissione di Milano, ordinanza contro lui
(“Intensa attività antifascista; tra gli ideatori del giornale clandestino “Non
mollare” uscito a Firenze. Favoreggiamento nell'espatrio di Turati e Pertini”),
Pont, Carolini, L'Italia al confine, Le ordinanze di assegnazione al confino emesse
dalle Commissioni provinciali, Milano, ANPPIA, La Pietra, Cfr. Commissione di Firenze, ordinanza contro
N. R. (“Attività antifascista”), Pont, Carolini,
L'Italia al confino Le ordinanze di
assegnazione al confino emesse dalle Commissioni provinciali, Milano, ANPPIA, La Pietra, Cfr. La storia
sotto inchiesta: Fuga da Lipari, un esilio per la liberta trasmesso da Rai
Storia. Il discorso di R. su Roma civica.net in.
Fiori, Casa R., Einaudi); Franzinelli, “Il delitto R.: anatomia di un omicidio
politico” (Mondadori, Milano). Altre saggi: “Oggi in Spagna, domani in Italia” (Einaudi,
Torino); “Scritti politici e auto-biografici (Polis, Napoli); Ciuffoletti e
Caciulli (Lacaita, Manduria); Lettere Salvemini, Tranfaglia, «Annali della
Fondazione Einaudi, (Torino); “Socialismo liberale” (Einaudi); Il Quarto Stato»
di Nenni e Rosselli, Zucàro, Sugar Co, Milano, Epistolario familiar (SugarCo,
Milano); Socialismo liberale, J. Rosselli (Einaudi, Torino); Socialismo
liberale, J. Rosselli, introduzione e commento di Bobbio, «Attualità del
socialismo liberale» e «Tradizione ed eredità del liberal-socialismo», Einaudi
Tascabili. Saggi, Scritti dell'esilio. «Giustizia e libertà» e la concentrazione
anti-fascista Costanzo Casucci, Collana Opere scelte” (Einaudi, Torino); “Scritti
politici, Ciuffoletti e Bagnoli, Guida, Napoli, -- una grossa anteprima del
libri. Scritti dell'esilio. Lo scioglimento della concentrazione anti-fascista,
Casucci (Einaudi, Torino); Liberalismo socialista e socialismo liberale,
Terraciano (Galzerano, Casalvelino Scalo), Giustizia e libertà, Limiti e
Napoli, prefazione di Larizza, Roma, con la tesi sul sindacalismo (Firenze).
Scritti scelti, Furiozzi, “Quaderni del Circolo R.” (Alinea Editrice, Firenze);
Salvemini, “Scritti Vari”, Agosti e Garrone, Feltrinelli, Milano, Opere scelte,
Cultura e società nella formazione, buona anteprima del pensiero di Salvemini
con i rapporti e la grangia politica correlata Gremmo "Alla Cagoule"
Silenzi e segreti d'un oscuro delitto politico. Storia Ribelle, Biella.
Garosci, "Vita", U, Roma, Giustizia e Libertà, Levi, "Ricordi” La
Nuova Italia, Firenze («Quaderni del Ponte»). Merli, "Il dibattito
socialista sotto il fascismo. Lettere di Morandi, Rivista storica del
socialismo», ricompreso in Id., "Fronte anti-fascista e politica di
classe. Socialisti e comunisti in Italia,
Donato, Bari, Movimento operaio; Tranfaglia, "Dall'interventismo
all'antifascismo", «Dialoghi del XX», Cfr. il informazioni su volume "R. e l'Aventino:
l'eredità di Matteotti", «Il movimento di liberazione in Italia», Cfr.
stralcio di "L’Aventino. L'opposizione diventava per la prima volta
opposizione, minoranza; come minoranza, avrebbe potuto darsi una psicologia
virile, d'attacco. Ma aveva troppi ex nelle sue file, era troppo appesantita da
uomini che avevano gustato le gioie del potere e della popolarità.» «Fu
questo il miracolismo dell'Aventino. Credere di poter vincere con le armi
legali l'avversario che ha già vinto sul terreno della forza. Pregustare le
gioie del trionfo mentre si riceve la botta più dura. Evitare tutti i problemi.
Gobetti dice. L’Aventino ha un mito, il mito della cautela" -- sperando
che la borghesia dimentichi Quanto alle masse popolari, che si mostravano nei
primi giorni in stato di effervescenza, guai a chi avesse tentato metterle in
movimento! Solo i comunisti e le minoranze giovani chiesero lo sciopero
generale. Ma le opposizioni non vollero, per non spaventare la borghesia e il
sovrano. R. dall'interventismo a «Giustizia e Libertà»" (Laterza, Bari, Biblioteca
di cultura moderna); in appendice: scritti di R. e Lettera di R. a Nenni; "Dal
processo di Savona alla fondazione di Gustizia e Liberta, Le fonti di
«Socialismo liberale»", «Il movimento di liberazione in Italia», Lolli,
"Alcuni appunti per una lettura del «Socialismo liberale» di R.", «Il pensiero politico», Fedele,
"Lo «Schema di programma» di «Giustizia e Libertà», Belfagor, Bagnoli,
"L'esperienza liberale di R.,, Italia Contemporanea, L'antifascismo
rivoluzionario dei «Quaderni di Giustizia e Libertà»", «Ricerche Storiche»,
Santi Fedele, "Storia della concentrazione anti-fascista prefazione di Tranfaglia
(Feltrinelli, Milano); Garbari, "I «vinti» della Resistenza. Nel
quarantesimo del sacrificio di R. e R.", «Studi Trentini di Scienze
Storiche», a"«Quarto Stato» di Nenni e R.", Tavola rotonda fra Bauer,
Grimaldi, Spadolini, Zucàro, «Critica Sociale», Valiani, "Il pensiero e
l'azione”, Nuova Antologia, Tranfaglia, "L'anti-fascismo", «Mondo
Operaio», Vivarelli, "Salvemini", «Il pensiero politico», Poi
compreso Spadolini, "R. nella lotta per la libertà", con lettere tra
Reale e R., «Nuova Antologia», Colombo, "R. e il «Quarto Stato»",
«Nord e Sud», "Giustizia e Libertà nella lotta antifascista e nella storia
d'Italia", Atti del convegno internazionale organizzato a Firenze dall'Istituto
storico della Resistenza in Toscana, dalla Giunta regionale toscana, dal Comune
di Firenze, dalla Provincia di Firenze (Nuova Italia, Firenze); Bauer, "R.
e la nascita di Giustizia e Liberta in Italia". Petersen, “Giustizia e
Libertà in Germania”; Guillen, "La risonanza in Francia dell'azione di Giustizia
e Liberta e dell'assassinio dei R.”; Rosengarten, "R. e Trentin, teorici
della rivoluzione italiana”; Salvadori, "Giellisti e loro amici degli
Stati Uniti durante la seconda guerra mondiale". Fedele, "Giellisti e
socialisti dalla fondazione di GL alla politica dei fronti popolari”; Zunino,
"Giustizia e Libertà e i cattolici”; Garosci, "Le diverse fasi dell'intervento
di Giustizia e Libertà”; Marzocchi, “Gli’anarchici"; citazione sottostante
da un articolo di Finetti. Infatti considera una barbarie le stragi di
anarchici in Catalogna, tra cui l'uccisione di Berneri, l'anarchico che lo affiancava nella
guida della prima colonna italiana formata da MMM anti-fascisti, i primi
accorsi -- e si ricorda, nel prosieguo, anche la ferma presa di posizione delle
brigate partigiane di Giustizia e Libertà quando Canzi e rimosso da comandante
unico della XIII zona operante nel piacentino e grazie a questa presa di
posizione e reintegrato dopo un breve arresto. Le brigate partigiane di
Giustizia e Libertà sono in gran parte
influenzate dal pensiero di R.. Tommasini, "Testimonianza -- L'eredità di Giustizia e Libertà". Piane,
"Rapporti tra socialismo liberale e liberalsocialismo". Codignola, “Giustizia
e Liberta e Partito d'azione". Tranfaglia, "R.", in "Il
movimento operaio italiano; “Dizionario biografico", Andreucci e Detti,
Editori, Roma, Colombo, "R. e il socialismo liberale", «Il Politico»,
Bagnoli, "Di un dissidio in «Giustizia e Libertà». Lettere di Levi, Giua,
Chiaromonte, Garosci «Mezzosecolo»,
Centro studi Gobetti, Istituto Storico della Resistenza in Piemonte, Archivio
Nazionale Cinematografico della Resistenza, Annali Cirillo, "Il socialismo",
Fasano, Cosenza); Lussu, "Lettere e
altri scritti di «Giustizia e Libertà»", Brigaglia, Libreria Dessì,
Sassari. informazioni su Storia della Sardegna di Brigaglia, son presenti
correlazioni fra i succitati personaggi. "Le componenti mazziniana e
cattaneanea in Salvemini e nei R.. Belloni", Convegno, Domus Mazziniana, Pisa. Arti
Grafiche Pacini & Mariotti, Pisa, Comprende: Colombo, "Il «Quarto
Stato»" Varni, "Derivazioni mazziniane nella concezione sindacalista
di R.", Ceva, "Aspetti politici dell'azione di R. in
Spagna", Tramarollo, "R. e il regime",
Bagnoli, "Il revisionismo di R.",
in "Guida alla storia del partito socialista. La ripresa del pensiero
socialista tra eresia e tradizione", Talluri, «Quaderni del Circolo R.», Galasso,
"La democrazia da CATTANEO (si veda) a R.", (Monnier, Firenze); «Quaderni
di storia», R. , Una tragedia italiana" (Bompiani, Milano); Kostner,
"R. e il suo socialismo liberale", Lalli, Poggibonsi, Linee politiche;
Bagnoli, "Tra pensiero politico e azione", Passigli, Firenze, Colombo,
"R. e il socialismo liberale", in "Padri della patria.
Protagonisti e testimoni di un'altra Italia", Angeli, Milano, («Ricerche
storiche» ). Invernici, "L'alternativa di «Giustizia e Libertà». Economia
e politica nei progetti del gruppo di R.", Angeli, Milano («Studi e
ricerche storiche»). Valiani, "Da Mazzini alla lotta di liberazione",
«Nuova Antologia», Scacchi, Colombo, presentazione di Spadolini, Casagrande,
Lugano, («Quaderni europei»). Vivarelli,
"Le ragioni di un comune impegno. Ricordando Salvemini, R. e R., i, Rossi",
«Rivista Storica Italiana», Spadolini, "R. e R.: le radici mazziniane del
loro pensiero", Passigli, Firenze («Letture R.»). Malandrino,
"Socialismo e libertà. Autonomie, federalismo, Europa da R. a Silone"
(Angeli, Milano); Bandini, "Il cono
d'ombra: chi armò la mano degl’assassini dei fratelli R.?", SugarCo,
Milano, Colombo, "I R., due guardiani per l'albero della libertà", "Voci
e volti della democrazia. Cultura e impegno civile da Gobetti a Bauer", Monnier,
Firenze («Quaderni di storia»), Nel nome dei R.. Quaderni del Circolo R.»,
Angeli, Milano, Muzzi. "A più voci,
Arfé, Casucci, Garosci, Malgeri, Rapone, “Scritti dell'esilio", Il Ponte, Il
carteggio dei R. con Silvestri", Gabrielli, «Storia Contemporanea», Fedele,
"E verrà un'altra Italia. Politica e cultura nei «Quaderni di Giustizia e
Libertà»" (Angeli, Milano, Collana di Fondazione di studi storici Turati);
Ciuffoletti, Il mito della rivoluzione russa e il comunismo", in
"Socialismo e Comunismo, Il Ponte, Bagnoli,
"La lezione di R., La nuova storia. Politica e cultura alla ricerca del
socialismo liberale, Festina Lente, FNicola Tranfaglia, "Sul socialismo
liberale"; "Dilemmi del liberalsocialismo", Bovero, Mura,
Sbarberi (Nuova Italia, Roma, «Studi Superiori, Scienze Sociali»). Atti del convegno
"Liberal-socialismo: OSSIMORO o sintesi?", organizzato ad Alghero Dipartimento
di Economia istituzioni e società dell'Università Sassari. -- fu pubblicato il
primo numero di “Libertà”, periodico legato all'ala socialista del movimento
antifascista, il sottotitolo fu la frase di Marx ed Engels: Alla società
borghese, con le sue classi e con i suoi antagonismi di classe, subentrerà
un'associazione nella quale il libero sviluppo di ciascuno sarà la condizione
del libero sviluppo di tutti e, su invito Treves, Mondolfo e Levi, Rosselli
scrive un articolo “Il partito del lavoro in Inghilterra” in cui R. riafferma una
parte del suo pensiero del periodo. Il partito laburista in base agl’elementi
che lo compongono può definirsi come una federazione di gruppi economici e di
gruppi politici. In realtà è l'organizzazione politica federativa ed
associativa del movimento operaio più vecchio e potente del mondo. Suppa,
"Note su R.: temi per due tradizioni", in I volume "dilemmi del
liberal-socialismo, Puppo, Il Quarto Stato, L'attualità di R. e del socialismo
liberale. Dialoghi tra: Bosetti, Foa, Maffettone, Marzo, Tranfaglia, Supplemento
a di Croce Via, Edizioni Italiane, Napoli, Atti del dibattito svoltosi a Napoli
in occasione della presentazione
italiana del volume "Liberal socialism", lavoro di Urbinati, tradotto
da William McCuaig, Princeton, Princeton, Urbinati, "La democrazia come
fede comune", «il Vieusseux», Bagnoli,
Rosselli, "Gobetti e la rivoluzione democratica. Uomini e idee tra
liberalismo e socialismo", La Nuova Italia, Firenze («Biblioteca di
Storia»). Casucci, "La caratteristica ", con un vademecum,
«Belfagor», Visciola, Limone, "I Rosselli. Eresia creativa, eredità originale",
Napoli, Guida, Graglia, "Unità europea e federalismo. Da Giustizia e
Libertà a Spinelli", il Mulino, Bologna) "Il dibattito europeista e
federalista in «Giustizia e Libertà»", «Storia Contemporanea», Lisetto, Le
élites. Una teoria tra l'elitismo democratico e la democrazia partecipativa",
«Scienza & Politica», Pagine scelte di economia, Visciola e Ruggiero,
Firenze, Le Monnier, Mastellone,
"Il partito politico nel socialismo liberale «Il pensiero politico», Furlozzi,
"R. e Sorel", «Il pensiero politico», L'eredità democratica da
Bignami a R.", Angeli, Milano, Mastellone, La rivoluzione liberale del
socialismo»". Con scritti e documenti inediti. Olschki, Son riportati
testi pubblicati da R. non inseriti nel
I delle «Opere scelte». R., “Dizionario delle idee", Bucchi, Riuniti,
Martino, Pertini e altri socialisti savonesi nelle carte della R. Questura,
Roma, Gruppo editoriale L'espresso, Franzinelli, "Il delitto R.: anatomia
di un omicidio politico" (Mondadori, Milano); Dilettoso, "La Parigi e
La Francia di R.: sulle orme di un umanista in esilio", Biblion, Milano. Bagnoli.
Il socialismo delle libertà. Polistampa, Milano, Bagnoli. Socialismo, giustizia
e libertà. Biblion, Milano, Treccani Dizionario biografico degl’italiani,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana; Iacchini, Socialismo liberale ma... vero!,
Movimento Radical Socialista brigata Garibaldi. Archivio dei R.. I fratelli R.,
genesi di un delitto impunito. Berneri. Vite parallele d’Ortalli (da
"Umanità Nova" Fondazione R., Centro di ricerca, Circolo R. Firenze, "Pecora" Socialista e liberale. Bilancio
critico di un grande italiano, su politica magazine. Spini, "Perché i R.
parlano ancora a questa Italia", sul sito repubblica. Carlo Alberto
Rosselli. Keywords: sindacalismo, sindacalismo revoluzionario, laburismo, partito
laburista, I fabiani, Mill, Bonini, liberalismo, sindacato, sindicato nella
storia italiana, sindacato in Roma antica, socialismo liberale – l’ossimoro di
R.. Refs.: Luigi Speranza, “Rosselli e Grice,”
per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria,
Italia. Rosselli.
Grice e Rosselli: la filosofia italiana nel ventennio
fascista – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Diresse il mensile “Noi”. Discusse
con SALVEMINI la tesi di laurea su “MAZZINI
(si veda) e il movimento operaio”. Pubblica saggi su riviste storiche italiane,
tra’altri, “MAZZINI e Bakunin: XII anni di movimento operaio in Italia” (Torino,
Einaudi), e “PISCANE nel Risorgimento
italiano” (Torino, Einaudi) -- raccolti in “Saggi sul Risorgimento italiano” (Torino,
Einaudi). Inizia a far politica ed è col fratello R. (si veda) tra i fondatori
del giornale "Noi". Col fratello e con Calamandrei, e col patrocinio
di Salvemini, fonda un circolo di cultura -- chiuso dai fascisti. Fa parte dei
fondatori del gruppo fiorentino di “Italia libera”, fra cui, oltr’al fratello,
Bocci, Rochat, Vannucci, Traquandi. Adere alla fondazione dell'unione nazionale
delle forze liberali e democratiche promossa d’Amendola, e partecipa alla
fondazione del giornale anti-fascista clandestine, “Non Mollare”. Arrestato e
condannato a V anni di confino a Ustica. Rilasciato, venne nuovamente arrestato
e condannato a V anni di confino a Ustica e Ponza, dopo la fuga da Lipari del
fratello. Ottenne, su intercessione di Volpe il passaporto, con una
sollecitudine che ad alcuni amici, tra cui Calamandrei, parve sospetta e
motivata dal fine di arrivare attraverso lui al rifugio del suo fratello. A
Bagnoles-de-l'Orne è assassinato d’una squadra di miliziani della Cagoule,
formazione eversiva di destra su mandato, forse, dei servizi segreti fascisti e
di Ciano. Con un pretesto vengono fatti scendere dall'automobile, poi colpiti
da raffiche di pistola. R. muore sul colpo, R., colpito per primo, viene finito
con un'arma da taglio. I corpi vengono trovati due giorni dopo. I colpevoli,
dopo numerosi processi, riusciranno quasi tutti ad essere prosciolti.
Commissione di Firenze, ordinanza contro R. (“Attività antifascista”). Pont, L'Italia al
confine: l’ordinanze d’assegnazione al confino emesse dalle commissioni
provinciali, Milano (ANPPIA/La Pietra), Ustica
celebra la libertà dei R., profilo di Volpe, profile nel sistema informatico
dell'archivio di stato di Firenze. Fiori, Casa R., Einaudi, Franzinelli, Il delitto
R.: anatomia d’un omicidio politico” (Mondadori, Milano). Altri saggi: “ “Inghilterra
e regno di Sardegna” (Torino, Einaudi); Ciuffoletti, “Un filosofo sotto il
fascismo: lettere e scritti vari” (Firenze, Nuova Italia); Colombo, I colori
della libertà fra storia, arte e politica” (Milano, Angeli);Belardelli (Catanzaro,
Rubettino); Visciola, “La scuola di storia moderna e contemporanea. La prima
fase della ricerca di storia diplomatica, in Politica, valori e idealità, Maestri
dell'Italia civile, Rossi, Roma, Carocci, Visciola, “Soi "maestri".
Il rinnovamento della storiografia italiana fra le due guerre, in i R.: eresia
creativa eredità originale, Visciola e Limone, Guida, Napoli, Visciola, Uno
filosofo salla ricerca della libertà in tempi difficili: appunti sparsi per una
biografia complessiva ancora da scrivere, in I fratelli R.. L'antifascismo e
l'esilio, Giacone e Vial, Roma, Carocci, Tramarollo, “Tra mazzinianesimo e socialismo”, Belardelli, Un filosofo anti-fascista” (Passigli,
Firenze); «Il filo rosso». Il carteggio di i R. con Silvestri, Gabrielli,
Storia, Franzinelli, “Il delitto R.: anatomia d’un omicidio politico” (Mondadori,
Milano). Treccani Dizionario di storia, Dizionario biografico degl’italiani,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Sabatino, R.. Nello Rosselli. Rosselli.
Keywords: risorgimento, Mazzini, operaismo, movimento operaio, risorgimento
italiano, Piscane. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rosselli” – The Swimming-Pool
Library.
Grice e Rosselli: la ragione conversazionale
dell’apologeticus, o implicature cucullate -- filosofia italiana – Luigi
Speranza (Gimiliano). Filosofo
italiano. Far dobbiamo onorevole menzione di lui, letterato insigne del suo
tempo e filosofo di grido, Cattedratico in Napoli ed in Salerno; il quale, a
dir del Barrio, partitosi pel genio di visitare l'Africa, e ucciso dal proprio
schiavo. Della famiglia di cui è stata la madre del celeberrimo Scorza,
matematico distintissimo, istruttore, autore di merito, ed illustratore della
scienza per metodi ed invenzioni, morto non ha guari in Napoli. Conchiudendo
adunque, pare non dubbio essere stato Nifo calabrese di origine, ed avere avuto
tra noi i primi rudimenti di letteratura, tali da avergli dato a vivere. Dal
contesto di scrittori calabresi, contemporanei alcuni, e vivuti altri dopo
breve tempo della morte di lui, a cui noto veniva per recente tradizione,
chiaramente se ne rivela il vero. Discepolo del celebre NIFO (si veda), per la
sua dottrina e prescelto a leggere filosofia per più anni a Salerno. Saggi: “Apologeticus
adversus cucullatos philosophiae declamatio ad Leonem X Oratio habita Patavi in
principio suarum disputationum; “De propositione de inesse secundum Aristotelis
mentem libellu” --- LIZIO -- ; “Universalia Porphiriana”. Calabria, Le
biografie degl’uomini illustri delle Calabrie, Accattatis, Di questo filosofo
si occupano nei loro studi, tra gli altri, Zambelli e Franco. "Rosselli di
Gimigliano. Dalle origini a noi" (O/esse) che ricostruisce la sua vita e
le sue opera. Dizionario biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. L'Apologeticus adversos cucullatos è un'opera del filosofo Tiberio
Rosselli (1490 Gimigliano - 1560 Africa), pubblicata nel 1519 a Parma grazie a
Girolamo Sanvitale che accoglie il filosofo calabrese presso la sua corte di
Fontanellato. Apologeticus adversos
cucullatos Autore Tiberio Rosselli 1ª ed. originale 1519 Genere Apologia Lingua
originale latino La prefazione dell'Apologeticus che consiste in una storia
delle vicende che portano alla sua composizione, è dedicata al vescovo di Lodi,
Ottaviano Sforza, figlio naturale di Galeazzo Maria Sforza, duca di Milano.
Alla fine dell'Apologeticus si legge una peroratio, che non è più rivolta allo
Sforza, ma al Conte di Belforte, Gerolamo San Vitale di Parma, suo
mecenate. Dopo questa Peroratio, si
legge la declamatio e infine sei brevi componimenti poetici in lode all'autore;
chiude il foglio il seguente colofone: “Tiberii Russiliani Sexti Calabri
Apologetici Finis ad laudem Individuae Trinitatis”. L'esemplare parigino reca sul frontespizio,
sotto i titoli, un breve “Ad librum Carmen”, composto da due distici elegiaci;
mentre nell'ultimo foglio sotto il colofone presenta la seguente annotazione a
mano: “Parmae MDXX”, e cioè il luogo e la data della stampa. Che il libro sia stato stampato a Parma
viene confermato da Girolamo Armellini, il quale, nel suo libro, intitolato
Jesus vincit, scritto proprio contro l'Apologeticus, fornisce queste
notizie: «...dopo l'abiura sotto
riportata, temendo tutti i luoghi sicuri, profugo delle varie scuole d'Italia,
si portò a Parma...ivi di nascosto stampò l'opera sua velenosa; scoperto il suo
inganno da me inquisitore, (come richiedeva il diritto) viene chiamato in
giudizio, coperto dallo scudo della contumacia; viene condannato all'anatema,
vengono requisiti i volumi stampati, vengono interdetti e bruciati. Dopo che in
seguito venne scoperto fuggiasco a Pisa, e, cosa veramente impudente, nel
mentre andava in cerca di una cattedra di filosofia, per mezzo della quale
potesse infettare i giovani col veleno della sua perfidia, con la forza e
l'aiuto dell'allora reverendissimo Cardinale Dè Medici ed ora Papa Clemente VII
codannammo che fosse arrestato e che in tale posizione fosse rinchiuso nelle
carceri di Firenze; da queste carceri tuttavia col favore di alcuni scappò
libero prima che gli fosse fatto il processo.»
Tiberio scampa all'ira di Armellini, il quale non potendolo processare,
compone contro di lui lo scritto già menzionato, il cui lungo titolo richiama
tutti i capitoli dell'Apologeticus.Tiberio Russiliano-Sesto. Tiberio Rosselli.
Rosselli. Keywords: apologeticus, adversus cucullatos philosophiae; de
propositione de inesse, universalia porphiriana, Lizio. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Rosselli” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Rossetti: la ragione conversazionale
del fratello perduto – filosofia italiana – Luigi Speranza (Vasto). Filosofia italiana. Grice: “A
philosopher can also discover an ‘antro di pipistrelle.”” Filosofo, illuminista
poli-edrico, poeta estemporaneo, tragedio-grafo, archeologo e speleo-logo, da
Martuscelli. Studia a Napoli e Roma. Si trasfere a Elba. Ceelbra la liberazione
del gran ducato di Toscana con il canto estemporaneo“La superbia dei galli
punita” (Firenze, Gio). Si sposta in Sardegna, sotto la protezione del vice-ré
Carlo. A Sassari compose e rappresenta la tragedia “Morte di S. Gavino”
(Oristano, Arborense). Si sposta in Provenza, a Nizza, dove scopre la piramide
di Falicon, che gl’ispira un poema, “La grotta di Monte-Calvo” (Parma). In
seguito, si trasfere a Torino, dove conosce Caluso, e si stabilisce a Parma. Inizia
a dirigere “Il Taro”. Altri saggi: “Cantata in occasione d'essere l'augusto imperator
de’francesi Napoleone I coronato re d'Italia” (Parma, Luigi); La note” (Parma, Paganino);
“Alla tomba di Hoffsteder” (Parma, Luigi); “Ode saffica” (Parma, Giuseppe
Paganino); “Le nozze d’Esculapio De Cinque” (Lanciano, Carabba); “Annibale in
Capua (Napoli, Flautina); A. Lombardi, Storia della letteratura italiana”
(Venezia); Andreola, Biografia degl’uomini
illustri del regno di Napoli’ Gervasi, La famiglia Pietrocola di Vasto; Spadaccini, “R.
e le sue battaglie per la libertà”; R. e quei versi ispirati dalla cacciata dei
francesi, Catania, R. e la grotta del monte Calvo, Mugoni, “Il fratello perduto:
R. e R.”, in Studi medievali e moderni. Nei panni dello speleo-logo ante
litteram, si avventura in una cavità del monte Calvo, scoprendo nelle viscere
della terra un antro, che ama definire fascinoso ed insieme orribile. Ne
celebra la scoperta con la pubblicazione di “La grotta del monte Calvo”; dato alle
stampe a Torino, per i tipi di Domenico Pane, Parma. A Pezzana sub-entra nella
direzione. Si mostra più attento alle notizie scientifiche e contribue ad
introdurre nel periodico notizie leggere, come favole e indovinelli che il più
delle volte incensano il nome di Napoleone. Con la sua direzionei supplementi
al periodico, da semplici elenchi riguardanti le vendite per espropriazioni
forzate, si trasformamo in pagine che arricchiscono i contenuti culturali e di
svago della testata. Marchesani, Storia di Vasto, Apruzzo Citeriore, Napoli,
Torchi dell'Osservatore Medico, retro copertina di Spadaccini, “R. e la Grotta
di Monte Calvo: tra mistero e leggenda” (Lanciano, Torcoliere); Martuscelli. Saggi:
“Opere” (Parma, Paganino); “Ai liberatori dell'Italia: ode di Tavanti; Chiari
nella Condotta, Anelli, Ricordi di storia vastese, Arte della stampa, Oliva, “Abum
di famiglia: documenti, testimonianze, immagini” (Lanciano, Carabba); Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Domenico
Rossetti. Rossetti. Keywords: il fratello perduto, la Dora, L’Emonia. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Rossetti” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Rossi: la ragione conversazionale della
volontà e della temperanza -- filosofia italiana -- Luigi Speranza (Appignano del Tronto). Filosofo italiano. Grice:
“Rossi touches many Griciean points: universalia, strength of will, and etc. –
he also commented, like I did, on Aristotle’s metaphysics.” Attivo filosofo fra Aureolo e Rimini, dalla
parte di Occam e Cesena, e oppositore di Giovanni XXII, nelle dispute dei fraticelli,
che portarono alla sua espulsione dall'ordine. Ha idee innovative e spesso
influenti in teologia filosofica, filosofia naturale, metafisica e teoria
politica. Soprannominato come "doctor succinctus" e
"doctor praefulgidus", come osservabile dalle iscrizioni su uno degli
affreschi del convento di Bolzano, e studiato e commentato soprattutto per
alcune tesi risalenti del suo commento alle sentenze, i Libri IV Sententiarum
dichiarazioni autorevoli sui passi biblici che l'opera riune di LOMBARDO. Le
sue vedute contribuiscono all'evoluzione della filosofia basso-medievale. Appignano
del Tronto fa parte all'epoca della Marca di Anconada. Nacque da una famiglia
con il nome di Rossi (Rubeus). Studia sotto Scoto. Insegna a Perugia. Sottoscrive
la risoluzione con la quale viene dichiarata lecita la tesi secondo la quale
Cristo e gl’apostoli non mai possedeno beni. Prende parte attiva alle
lotte interne riguardanti la povertà che divide l'ordine. Insieme a Michele da
CESENA, Occam e BONAGRAZIA di Bergamo, sostenne una regola di assoluta povertà
per i successori di Cristo e per la chiesa. Si ribella a Giovanni XXII,
sostenendo il suo avversario, l'imperatore Ludovico. I francescani che rifiutano
la condanna della critica dei frati minori della bolla Cum inter nonnullos di
Giovanni XXII sono accusati d’eresia. Questo avvicina l'ordine allo
schieramento anti-papale rappresentato da Ludovico. Questi era divenuto ostile
a Roma dopo che Roma rifiuta la conferma
e l'incoronazione come imperatore dopo l'elezione a re di Germania, preferendogli
Federico I. Ludovico scomunicato, rispose con un Appello. Con esso Roma fra
l'altro, viene accusato d’eresia, quindi delegittimato per la sua presa di
posizione nella disputa sulla povertà. Lo scontro divenne acceso, la
conciliazione di CESENA al capitolo di
Lione falle. Cesena venne convocato e trattenuto ad Avignone insieme a BONAGRAZIA
da Bergamo ed Occam. R. come lector nello studio generale dell'ordine,
sottoscrive una protesta redatta da CESENA contro l'operato di Giovanni XXII. Ludovico i
giunge in Italia, prende la corona imperial. Dichiarato deposto Giovanni XXII.
Nomina Pietro da Corbara, con il nome di Niccolò V. Scomunicato da
Giovanni XXII, R. decide di raggiungere, fuggendo, Ludovico a Pisa con i suoi
con-fratelli prigionieri. Ancora una volta si ribella per protestare contro la
sua scomunica. A Pisa i quattro pubblicano un documento, l'”Appellatio maior”,
nel quale Giovanni XXII e dichiarato eretico per la sua posizione nella
questione della povertà. Lui e i suoi compagni andano però perdendo le simpatie
all'interno dell'ordine. Il tentativo di CESENA di impedire lo svolgimento
del capitolo generale convocato a Parigi falle, mentre la riunione dell'ordine
conferma la scomunica di CESENA ed elesse, quale nuovo ministro generale Guiral
Ot, ovvero Geraldo di ODDONE, favorevole alla curia. Lui e i suoi compagni
sono condannati ed e formalmente confermata la loro scomunica. R. ispira la
protesta espressa nelle “Allegationes religiosorum virorum”, che dichiara
invalida la deposizione di Cesena e l'elezione di Oddone, per l'esclusione di
metà degl’aventi diritto alla partecipazione al capitolo. I quattro
francescani, con Marsilio da Padova, entrano a far parte della curia di
Ludovico. Con lui, raggiunsero Monaco di iera, ove si stabilirono nel convento.
Perseguitato dalle autorità ecclesiastiche in Italia, fa una ritrattazione
formale -- che dove servire da esempio per tutti i dissidenti successivi -- e
si riconcilia con la chiesa e con l'ordine. Nel Improbatio, si concentra sulla
determinazione di quando e dove i diritti di proprietà hanno origine per
sostenere la convinzione che Cristo vive in povertà assoluta. Distingue tra due
tipi di proprietà: la proprietà prima della caduta di Adamo, e la proprietà
dopo. La proprietà prima della caduta di Adamo, nota anche come la proprietà
dello stato pre-lapsario, momento in cui tutte le creature del divisno si
rallegrarono nella felicità, sono profondamente collegati tra loro, e condivisa
nella creazione del divino. La proprietà dopo la caduta d’Adamo è stata causata
dal primo peccato d’Adamo, rendendo la questione del diritto di proprietà distintamente
umana. Giovanni XII nega che l'origine della proprietà è legato agl’esseri
umani, sostenendo che e il peccato d’Adamo in sé ad esserne la causa. R. convene
che, senza peccato non c’è il diritto di proprietà. Tuttavia, il peccato non
porta immediatamente al concetto di diritto di proprietà. Sostenne che la legge
umana è responsabile della formazione del concetto di diritto di proprietà, non
la legge divina. Usa la storia di Caino e Abele, citando volontà corrotta di
Caino per sostenere la sua convinzione. Fiorirono una serie di studi nel
contesto della filosofia naturale in relazione alla dottrina del Lizio del
movimento applicata al moto del proiettile. Per Aristotele un corpo inanimato si
muove spontaneamente verso il loro luogo naturale. Un corpo in movimento deve
alla presenza continua, e per contatto, di un motore che dirige il corpo verso
un’altra direzione. Già Filopono mosso logiche obiezioni a questa
dottrina. Con la definizione di un “impeto”,
la discussione prosegue, ripresa d’AQUINO. Solo con R. si giunse a
conclusione. La sua teoria sul moto del proiettile o moto para-bolico, indicato
come virtus de-relicta (forza rimanente), è descritta nelle sezioni di suoi
commenti sulle Sentenze che spiegano la consacrazione dell'Eucarestia, in una
quaestio sull’efficacia dei sacramenti. Il moto di un corpo è causato da una
forza lasciata dal corpo che agiva su di essa forza, quella forza residua
impressa al proiettile durante il lancio. A differenza della teoria
dell'inerzia che ha lo scopo di spiegare solo il fenomeno naturale, la sua teoria
della virtu de-re-licta è una spiegazione che include i fenomeni naturali e
sopra-naturali. Questa virtu derelicta spiega diversi tipi di moto perpetuo e finite
ed è destinato a tener conto delle variazioni innaturali. Gli elementi chiave
della de-re-licta virtu includono: Un corpo viene messo in moto da un
altro corpo, che lascia la forza rimanente in corpo in movimento. All'inizio di
un dato movimento, la ‘de-re-licta’ virtu puo lavorare con o contro la naturale
disposizione del corpo in movimento. Se funziona *contro* il corpo in
movimento, la virtus derelicta si dissipa ed eventualmente lascia il corpo,
cessando il moto. Se funziona *con* il corpo in movimento, la virtus derelicta
rimane nel corpo, provocando il potenziale moto perpetuo. Ci sono stati diversi
filosofi prima del suo tempo, come ad esempio Richard Rufus di Cornovaglia che sembrano
disporre già di versioni della “virtus derelicta”. Quindi non è chiaro se
questa teoria sia veramente originta autonomamente da lui. Tuttavia, filosofi
come Buridano e Odonis utilizzano la teoria di R. per affinare i propri
concetti di virtus derelicta, confermando che gioca un ruolo chiave
nell'evoluzione della filosofia sulla fisica. Nel secondo libro dei Commentari
sulle Sentenze, si focalizza su come la volontà potrebbe agire contro la
ragione con conseguente colpevolezza morale. Se la volontà potrebbe o agire
prima, o contro giudizio razionale. La volontà è la causa dell'azione. Dopo che
l’agente elabora un giudizio, la sua volontà decide di agire sia in conformità
con tale giudizio o *contro* di esso. La volontà e il termine medio tra
giudizio e azione. Senza di volonta, il giudizio richiederebbe un'azione,
negando il concetto di libero arbitrio e colpevolezza morale. Inoltre, la
volontà dell’agente è sotto una legge che *obbliga* a compiere un atto buono.
Senza questo impegno non ci sarebbe peccato, o colpevolezza morale. Per
rispondere a come la volontà dell’agente puo andare contro tale obbligo,
distingue tra l’atto apprensivo e l’atto gidicativio. L’atto apprensivo è
necessario per far funzionare la volontà. L’atto apprensivo è frutto della cognizione
intellettuali e del giudizio. L’atto giudicativo è formato dalla *conoscenza* più
complessa in cui il ragionamento si applica giudiziosamente. La volontà non
richiede un atto giudicativo da eseguire. Ciò spiega come gl’esseri umani sono
in grado di peccare. La volontà non dipende da un giudizio *razionale*. Per
evitare l'obiezione che il giudizio è necessario per il ragionamento e non può
essere ignorato nel processo deliberativo, offre un'ulteriore distinzione tra *conoscenza*
apprensiva e *conoscenza* giudicativa, e due tipi di giudizi riflettenti
razionali. Queste distinzioni consentono un giudizio da selezionare su un'altra
causa della forza che riceve da essere *selezionato* dalla volontà. Altri
saggi: “Improbatio contra libellum Domini Johannis qui incipit Quia vir
reprobus, una confutazione alla bolla papale di Giovanni XII. Quodlibet cum
quaestionibus selectis ex commentario in librum Sententiarum. Affronta i
principali temi: le relazioni delle persone divine all'interno della trinità e
il rapporto tra il creatore e il mondo, la libertà di dio nel creare, la pre-scienza
divina e la pre-destinazione alla salvezza. “Sententia et compilatio super
libros Physicorum Aristotelis Quaestiones praeambulae et Prologus” -- Riflette
sullo statuto scientifico della teologia e della metafisica. Distingue primi
libri prima ad decimam Questes super metaphysicam. Repertorium biblicum Medii
Aevi, IMatriti Visita triennale di O. Civelli, Picenum seraphicum, Ratisbona,
Chronica de ducibus ariae, Leidinger, in Mon. Germ. Hist., M. Firenze, Compendium chronicarum
fratrum minorum, in Arch. franc. hist., Emmen, in Lex. fA. Heysse, Descriptio codicis Bibliothecae
Laurentianae Florentinae S. Crucis, Plut. A. Heysse, Duo documenta de polemica
inter Gerardum Oddonem et Michaelem de Caesena, Perpiniani, Monachii, in Arch. franc. hist., A. Pompei, Enciclopedia
filosofica, Venezia, cfr. anche impeto, Possevino, Apparatus sacer, Venezia; A.
Tabarroni, Paupertas Christi et apostolorum. L'ideale francescano in
discussione Roma A. Teetaert, Deus et homo ad mentem I. Duns Scoti. Acta
Congressus scotistici Vindobonae, Roma; C. Dolcini, “Crisi di poteri e politologia
in crisi” (Bologna); “C. Dolcini, Il pensiero politico di Michele da Cesena, Faenza, Roma, Schabel, Il determinismo,
Picenum Seraphicum. C. Schabel, “La virtus derelicta e il contesto del suo sviluppo”
in C. Schabel, “La dottrina sulla predestinazione di Rossi,” Picenum Seraphicum,
F. Giambonini, Giovanni dalle Celle, L. Marsili, Lettere, Firenze, Repertorium
Commentariorumin Sententias Petri Lombardi, F. Tinivella, Enciclopedia
cattolica, Vaticano, Gonzaga, De origine seraphicae Religionis franciscanae, G.
Cantalamessa Carboni, Memorie intorno i letterati e gli artisti della città di
Ascoli nel Piceno, Ascoli, G. Mazzuchelli, Gli scrittori d'Italia, Brescia,
G. Sbaraglia, Scrittori francescani piceni; G. Sbaraglia, Supplementum et
castigatio ad Scriptores trium Ordinum S. Francisci, Roma; I.A. Fabricius,
Bibliotheca Latina mediae et infimae aetatis, Firenze; L. Wadding, Annales minorum,
Quaracchi, L. Wadding, Scriptores Ordinis Minorum quibus accessit syllabus
illorum qui ex eodem Ordine pro fide Christi fortiter occubuerunt, priores
atramento, posteriores sanguin. christianam religionem asseruerunt, recensuit
Fr. Lucas Waddingus ejusdem Instituti Theologus, ex Typographia Francisci
Alberti Tani, Roma, Ludger Meier, De
schola franciscana Erfordiensi. N. Glassberger, Chronica, in Analecta
franciscana, II, Ad Claras Aquas; Schneider, Mariani, “Francisci de Marchia
sive de Esculo, Quodlibet cum quaestionibus selectis ex commentario in librum
Sententiarum, Spicilegium Bonaventurianum, Grottaferrata; N. Mariani, Francisci
de Marchia sive de Esculo, Sententia et compilatio super libros Physicorum
Aristotelis, Spicilegium Bonaventurianum, Grottaferrata; N. Mariani, Due
Sermoni, Archivum Franciscanum Historicum Nazareno Mariani, Francesco di
Appignano OFM, Contestazione, Appignano del Tronto, Nazareno Mariani, Francisci
de Esculo, OFM, Improbatio contra libellum Domini Johannis qui incipit Quia vir
reprobus, ed. (= Spicilegium Bonaventurianum) Grottaferrata; N. Mariani,
Francisci de Marchia, “Quaestiones super Metaphysicam”; Spicilegium
Bonaventurianum), Grottaferrata; N. Mariani, Francisci de Marchia sive de
Esculo, “Commentarius in IV libros Sententiarum Petri Lombardi”; “Distinctiones
primi libri a prima ad decimam”; Spicilegium Bonaventurianum, Grottaferrata; N.
Mariani, Francisci de Marchia sive de
Esculo, “Commentarius in IV libros Sententiarum Petri Lombardi; “Distinctiones
primi libri a undecima ad vigesimam octavam, Spicilegium Bonaventurianum, Grottaferrata,
N. Mariani, Francisci de Marchia sive de Esculo, Commentarius in IV libros
Sententiarum Petri Lombardi. Distinctiones primi libri a vigesima noa ad
quadragesimam octavam, Spicilegium Bonaventurianum, Grottaferrata); N. Mariani,
Francisci de Marchia sive de Esculo, “Commentarius in IV libros Sententiarum
Petri Lombardi”; “Quaestiones praeambulae et Prologus, Spicilegium Bonaventurianum,
Grottaferrata); N. Mariani, Franciscus de Esculo, “Improbatio”, Grottaferrata);
Mariani, “Questioni sulla metafisica”, Spicilegium Bonaventurianum, Grottaferrata;
N. Minorita, Chronica. Cividali, Il beato G. dalle Celle, in Mem. dell'Accad. dei
Lincei, Gauchat, Cardinal Bertrand de Turre, Ord. min.
conc. "Quaestiones in
Metaphysicam", Serino. Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, R.
Lambertini, “La proprietà di Adamo”; “Stato d'innocenza ed origine del dominium
nel Commento alle Sentenze e nell'”Improbatio” di F. d'Ascoli, in Bull.
dell'Ist. stor. ital. per il Medio Evo, Bennett, Offler, Guillelmi de Ockham
Opera politica, Mancunii S. Baluze Mansi, Miscellanea novo ordine digesta,
Lucae, Cipriani, Dizionario ecclesiastico (Torino); Collectanea franciscana, Nani,
Duba, Carron, Etzkorn, “Francisci de Marchia, “Quaestiones in secundum librum
Sententiarum”, Reportatio, Quaestiones, Leuven; Eckermann, Hugolini de Urbe Veteri
Commentarius in quattuor libros Sententiarum. Francesco d'Ascoli, Francesco della Marchia,
Francesco d'Appignano, Francisco de Esculo, Franciscus Pignano, Franciscus
Rubeus, Francesco Rossi, Schneider, A proposito della teoria dell'mpetus nella
filosofia della natura. Sbaraglia, Supplementum et castigatio ad scriptores
trium ordinum S. Francisci a Waddingo aliisve descriptos; cum adnotationibus ad
Syllabum matyrum eorundem ordinum, S. Michaelis ad ripam apud Linum Contedini,
Roma, Wadding, Scriptores Ordinis minorum, Roma, Napoli, Biblioteca Nazionale. Explicit
fratris Francisci de Marchia super primum Sententiarum secundum reportationem
factam sub eo tempore, quo legit Sententias Parisius anno Domini; Commento ai
primi sette libri della “Metaphysica” di Aristotele, N. Minorita, Cronaca, G. Pamiers,
Quodlibet “Acta, gesta et facta fuerunt
praedicta coram religiosis et honestis viris, fratribus Ordinis Minorum”, Francisco
de Esculo, in sacra theologia doctore et lectore tunc in conventu Fratrum Minorum
de Avenione. Lambert, Povertà francescana; La dottrina dell'assoluta povertà di Cristo e
degli apostoli nell'Ordine francescano, Biblioteca Francescana, Cf. MS Firenze,
Biblioteca Laurenziana, Santa Croce, pluteo, sinistra, Appellatio maior, N. Minorita, Chronica. Cui
appellationi et provocationi incontinenti adhaeserunt et eam approerunt
religiosi viri frater Franciscus de Esculo, doctor in sacra pagina. F.
d'Ascoli, Occam, Enrico di Talheim e Bonagrazia da Bergamo, Allegationes
religiosorum virorum, Baluze-Mansi in Miscellanea, Lucca e dallo Eubel in
Bullarium Franciscanum, Roma, Lambertini, “Rossi e Occam: alcuni aspetti di
un rapporto non facile, Convegno su Francesco d'Appignano; Jesi, Terra dei
Fioretti; Lambertini, F. d'Appignano ed
Occam: alcuni aspetti di un rapporto non facile in AConvegno su F. d'Appignano;
Jesi, Edizione Terra dei Fioretti; G.
Filipono, Commentari alle opere di Aristotele, “Sulla generazione e corruzione”;
“Sull'anima”; “Analitici primi”; “Analitici secondi”; “Le Categorie, Fisica,
Meteorologia Fabio Zanin, Francis of
Marchia, Virtus Derelicta. -- "How is
Strength of the Will Possible? (cfr. H. P. Grice, “I’ll show Davidson how
continentia and temperantia are POSSIBLE!”). Dopo la grande edizione critica di Mariani,
Grottaferrata, Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, Centro Studi Francesco d'Appignano. Francesco Rossi della Marca.
Rossi. Keywords: continentia, temperanza, giudizio, giudicazione, volonta,
volere, atto apprensivo, appresione, atto giudicativo, conoscenza apprensiva,
conoscenza giudicativa, decisione, libero arbitrio, colpavolezza morale, agire
l’atto buono, possibilita della colpavolezza morale, la legge, la volonta sotto
la legge, giudizio razionale, agire razionale, ragionamento, conclusione,
sillogismo pratico, elezione, la caduta d’Adamo, la teoria dell’elezione e la
deliberazione, i peripatetici, virtus de-re-licta, teoria del moto, moto
perpetuo, virtus contro il corpo, virtus con il corpo, volonta con il giudizio,
volonta contro il giudizio. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Rossi” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Rossi: l’implicatura di Lucrezio – filosofia
italiana -- Luigi Speranza (San
Giorgio). Filosofo italiano. "Il più grande e puro metafisico" nelle
parole di VICO (si veda). Vive a Montefusco. Studia a Napoli. Scrive diverse saggi
tra cui il più importante rimane “Della mente sovrana del mondo”. Altri aggi: Considerazioni di alcuni misteri
divini, raccolti in tre dialoghi, Dell'animo dell'uomo, Dizionario biografico degli italiani,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. IS PUTAZ10NE UNICA DELL’ ANIMO
DELL UOMO DEPUTAZIONE UNICA Nella quale fi fciolgono principalmente gli Argomenti di Tito Lucrezio Caro contro all’Immortalità. OPERA
DEL SIGNOR D. TOMMASO ROSSI Abate Infoiato di S. Giorgio ec. -J> fi D *- All’ Illustrissimo Signor Marchese D. LO RENZO
BRUNASSI - . *§i* IN VENEZIA MDCCXXXVI. . Con Licenza de' Superiori . Digitizecf by Google rw>5'* !
•yr&Si fftm/rbr Nil tam
diffìcile eff , qtiiu qiuerendo
inveffigari poffìet . Ter.
Heautontim, A3, 4 . Se. r. % 1 ■
Digitized by Gingie ILLUSTRISSIMA % ■9
... SIGNORE — tv
Ella dimora , che in quefta
noftra Città di Montefufcolo per al - 1
kti 'DigmzSa by Coogl alcun tempo fatta avete , tanti argomenti di virtù , e nel riguardevole Uffizio di Regio Uditore , e in_> tutti gli utti -cibila vita^ avete dati ; che in ogni parte di quella ben am- pia Provincia , la lode , e’1 nome voftro nelle bocche ♦ •
degli Uomini rifuona da per tutto
. Per la qual co- fa io non folamente
ho dovuto rivolgermi verfo di V oi ad ammirarvi , ed amarvi con tutti gli altri ; ma ancora ho potuto alla de-
Digitized by Gf)ogle degniffima
perfona voftrà alcun particolare
oflequio preftare : e fi il mio
libro dell’ Immortalità dell’ A- nimo , che ora efee alla., pubblica luce, dedicare, e confecrare . Concioffiachè la V irtù fola di per fe, fen- za dover altro cercare , fia potentiffima cagione , per- ché riveriamo, ed onoria- mo colorò , che adorni ne fieno: e più quelli , che nel più alto feggio di lei col- • locati veggiamo . Nel che nondimeno , mentre l’af- : ' • fe-
lezione dell’ animo rive- . lente
, e divoto ho fegui- ta ; nel tempo
medefìmo all’ opinione del libro ,
e I9ia?r ip cr e do a -baflanza a ver provveduto. Percioc- ché io non dubito, che-» v quella mia Opericciuola , (qualunque ella ha) oltre a’ confini dell’ Italia , ed • oltre al ter mi ne d ella pre- fenteEtà,inRegioni rimo- te , ed a futuri tempi coll’ • • autorità del tifone volo , e chiaro nome voffro nom> abbia a trapaliate. Gran- de
Digitizécl by Google de
fermamente , e di gran laude degna è la
Virtù vo- ftra , che fin dalla
prima giovanezza con perpetuo tenore , belle , e laudevo- li Opere ed alle private., pe rione, ed alle pubbliche cofe profittevoli arrecan- do, fi è dimoftrata . Nel ti lumi di Giurifprudenza, quanti ivi fono , ri luffe., ella con grande ammira- zione di tutti : poiché ap- pena varcati tre luftri , a prò di litiganti , e di rei , ' tifiti a dot- V
• • . 0 . ‘ dotte , ed eleganti
, e fpi- ritofeOrazioni vi udirono * * recitare . Per la qual cofa .»■ di dì in dì Tempre più cre- ' * , fcendo l’ opinione del va- - lor voftro , del pregevole ornamento della Toga di Giudice della Gran Cor- te maturamente fu il vo- ■ ■ ■
ftro merito onorato . E in * quel
gra vidimo Miniftero con lucidezza di
feienza , e con incredibile
coftanza il dritto cammino del V e- ro Tempre tenendo , e in ogni affare la prudenza-^ ufan-
t ; • ♦ • *9 » •
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ufando ; cosi bene avete *
adoperato, che l’approba- zione ,
e l’amore di ognu- * • no , e in quefti
vicini ben avventu roti tempi il
fa- vore ancora della Maeftà del Gloriofiffimo Re no- iìro avete meritato. Quin- ‘ di l’ alta di lei Regai prov- videnza , il -primo onore confervandovi intero, a moderare i Tribunali del- le Provincie, ed a tenerne gli errori , e le corruttele lontanila conofciuta V ir- tù voftra ha prefcelta . E a 2 ben
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. Digitized by Google ben la
Città noftra innan- zi ad ogni altra, e
tutta la Provincia , delle diritte, fagge , e fcorte maniere-, voftre con comune ripo- fo , e comun contento co- pioii frutti han ricolti . Ne folamente nella nobili^ ma fcienza delleLeggi,ma in altre parti ancora dell’ umano fapere Voi avete molte fatiche , e vigilie-, collocate: le quali e la no- ja adergono di quegli ftu- dj , e ne ajutano l’ intelli- genza , e la cognizione di- ' > •; la- Digitized by Google latano, e compiono dell’ Uomo . Ne finalmente^, nelle pulitezze , e ameni- tà delle Lingue più belle non avete ancora efercita- to lo ’ngegno : poiché con elette Poefie tofcane e la- tine, della nobile Acade- mia Cofentina , e della,, famofa Arcadiadi Roma , ove liete aferitto , avete fuperata l’ opinione . Ma la voftra loda più ricca , e adorna £ difeopre , e più chiara , e luminofa nelle dovizie, e negli fplendori del-
delle magnifiche , e me- morande
laudi del Signor Duca di San Filippo vo- ftro degniffimo Padre . Le quali fe non diftintamen- te narrare, ne degnamen- te celebrare , che non è luogo , ne io con niuno in- gegno potrei ; perchè fon pur voihe , debbo alme- no in alcun modo addita- re. E in particolare alcuna parte del veramente ma- ravigliofo governo , che delle pubbliche cofe egli ha fatto, nel confiderabile . .Ma-
Digitizéd t Magiftrato di
Eletto del Popolo debbo rammenta- re in ogni modo . A quel- la importantiffima ammi- ri ideazione in tempi diffi- cili , e pericolofì , con tutti i fuffragj più volte chia- mato il Signor Duca , con mirabil fapienza , e con.» incredibile iludio, e fatica i pubblici affari ha condotr ti a felice fine . Egli la pub- blica falvezza fempre me- ditando , e a quella ogni penfiero, ed ogni operai rivolgendo, una cofa affai dif-
4 difficile ha confeguita:
che per tutto il tempo, che quell’ immenfo pefo ha_» foftenutó, giammai ne per colpa murray-rtc-per qua- lunque fortunofo evento , ne di fterilità , ne di guer- re, ne di altro fimigliante, nella Città , e nel Regno la fcarfità , e la fame fiali potuto introdurre . Per- ciocché , oltre ad ogni al- tro ingegno di fcorto prov- vedimento , in ogni tem- po da lontane Regioni per lunghi tratti di mare co- t « P io -
» * * i ~’i • »- , . . _ •_ * . * — - ’ • . Digitizèd by Google piofe annone fonofì fatte approdare ne’noflxi Porti . Nel che con raro efempio di carità verfo la Patria , di o/Iequio verfo il Princi- pe , delle fue proprie fo~ ftanze molto oro ha pro- fufo . Sopra tutto di eter- na memoria degno è quel- lo, cheneiravvicinamen- todelle vittoriofe Infegne dell’invitto, pio, felice^. Re noftro, in tempi pieni di timori , e di fofpetti , premendo ancora il no- lfro Suolo le armi nemi- t'àìf b che; s
che; mercè de’fuoi alti configli
, nella Città , e contorni ogni cofa
videfi tranquilla , e quieta . Or- che le rapine , le occifio- ni , i tumulti , che i trifti , e iediziofi Cittadini in fo- Iniglianti tempi meditar fogliono , tenefiè dalla.. Città lontani; Egli folleci- , tamente le cofe alla vita neceflarie appreftando 5 e gli animi feroci della ple- be mitigati , e addolciti » co’ Signori conciliandola tran-
Digitized by Google v tranquillità , e la pace nel- la Città, e quindi in tutto il Regno fuori di ogni opi- nione ritenne . Onde po- tè dirti allora , che eglf il Signor Duca la Città fai- va , falve le vite , e foflanze de’ Cittadini al Gloiiofo Re noflro avefle ' conferva te . Caro pei - tan- „ * to al Re , alla Regai Cit- „ tà, ed al Regno, a.fublinii . degnità fi è veduto meri- tevolmente afcefo. E pri- ma il pregevoliffimo ono- : - - re ottenne già di dover b 2 Egli
Mf Digitized by Google Egli colla fua Famiglia , in uno qual più voleffe de’ nobiliffimi Seggi , fra Pa- trizj effer annoverato, e delcritto-. Pe^qticfte vie , e con ifplendidiffime affi- nità la fua Cafa nel più al- to luogo de’ Baroni , e Si- gnori del Regno ha folle- vata. Oltre al le nobili Fa- miglie Spina della Sarde- gna , e Poliaftri della.* fplendida Nobiltà Cofen- tina, in donando a Voi in Ifpofa la Signora Marche- fa D. Marianna Orenghi , Da-
4 Dama di rare doti , tutti
i pregi di quella nobiliffima Famiglia nella fua propria Cala ha trasferiti.Per chiù- ' . quella chiariffima Fami- . glia ella è nobile in Ven- timiglia ,Città principale pofla nel fuolo di Geno- • va . Ella è altresì nobile in Roma , rocca dell’Eccle- iiaftico Imperio. Ed ivi a > | quella Repubblica faggi ,>, Togati » e prodi Capita- - ni ; equi Senatori in Cam- ' dere in brieve giro più cofe pidoglio , qual fu un Gio- van
* Digitized tty Google van Angelo Orenghi , e_> degniffimi Prelati , e Car- , dinali ; tra quali il Car- dinal Niccolò Orenghi di onorata memoria , alla-, Chiefa ha donati . In ol- tre alla Signoril Cafa Maf- fa degli antichi Baroni del Vaglio gli Orenghi Eret- tamente appartengono : ' della qual Cafa fu già l’A- va paterna della Signora Marchefa , che del loda- tiffimo a memoria noftra Cardinal Girolamo Maf- facafanatte , è degnifsi- - ma
Digitized by Google ma
Pronipote. Quella pic- ciola parte delle
voftre_> amplissime lodi ho io
qui potuto ricordare, molte,' e grandi cofe lafciate ad- dietro . Dal che nondi- . meno lì può vedere , che di fommo pregio è la mia fperanza , che ’l mio li- bro , che ora al volil o me- rito inchinato vi prefen- to , dedico , e confacro j ficcome 1’ accefo delìde- riadel di voto animo mio contenta in parte ; cosi fra molte genti , e pe r mol- • . : . . " te . / ■ .
te età debba effe re .dure- vole
memoria della fervi- ti! mia ; della
quale fopra ogni altra cofa del
Mondo onorandomi--, -volentieri mi confermo f'- 1 Di U. S. Illuftriflima ma rno
Divotifs . , eri Obbligatifs. Servitore
- L' Abate Roflì di S. Giorgio .
piqiliiCd by C ÌOOglc
PREFAZIONE. Oicbè può avvenire
, che quefa mia Difputa capiti nelle
mani di alcuni , che le vane
fittili- t'a , e, pregiudizj feguono
ancora della vo/gar Ftlofofia ; e' fa
di me fieri , che io qui alcuna cofa ne
dica , che mi pare dover dire per
liberarla , fe è pnjjìbilc , dalle
coloro accufe . Imperoc- ché eglino
cerfh mente bia finteranno leu* maniera
di filofofare , che io ho prefo a
feguire : e le dottrine , che vi arreco t tutte, o parte come nuove , e frane ri- fiuteranno : e nelle ofeurità , nelle quali forza è che alcuna volta fi abbattano, e dove da' fienfi , e parlari loro i miei
fi dipartono ,come fogliono in sì fatte
accu - fe di leggieri trascorrere \
fufpicberanno ancora per avventura , che
alcuna cofcu» vi fi a fionda , che colle
verità della' no- fra Santa Religione
non ben confenftt , Or io innanzi ad
ogni altra cofa /* Alti fi fimo Dio
chiamo in tefliShnio , che con-, * c
quefa + t quejla tuia fatica altro non ho io intefo
, che quelle verità , quanto più per me
fi è potuto , nell ’ ordine naturale
ancora co * fumi della Filofofia
avvalorare , e oi di quel torrente d’Eloquenza divina , con la qua- e vi avete fatta una fpezie di favellare
tutta vo- :lra propia ? perch è p ropia
di co tal Jcienza ? Del- a bellezza, e’
leggiadra de’ traf porti , che ufate_»
tutti opporti, dome debbono eflere , a quelli , che ufa l'eloquenza Umana ; perchè quefta debbe
fare dello fpirito corpo , e voi in
certo modo fate del corpo fpirito. Voi
liete degno, Signor D. Tomma- \ fo, non
già di Montefufcolo , ma della più famofa
Univerfità dell’ Europa. Laonde poiché la voilra mo- dedia, eguale alla voftra gran dottrina, e
virtù ve ne fa contento, almeno giovate
il Mondo di coterta fappfentiflìma
Scritturai la quale l’aflìcuro, che re-
cherà gloria, non che a Napoli, all’ Italia tutta , con merito grand irti rno inverfo della Pietà
, che fi ri- fonda in utilità di tutte
le Repubbliche , e molto più Criftiane:
e vi fo divota riverenza. • ■ . : > J .'ii' . i 1 : f- ». » / . \ \ 1 • ‘f * - » • -• J » • • i » - » .J ? i • Uantunque negl* infelici tempi del Gentilefimo denfiflìme tenebre d’ i- gnoranza delle cofc Divi- ne, (alvo il Popolo Ebreo, premettero tutta l’Umana generazione ; pure per lo Covrano magi- llero della Mondana fabbrica , e per
l’or- dinato, e collante corfo de’ moti
, e delle generazioni da una parte , e
per la virtù dell’Umana intelligenza, c
per 1* interna, e comun legge , e regola
delle operazio- ni della vita ,dall’
altra ; delle quali cofe, quella è certa
, ed illultre lignificazione , e quella
è chiara, ed indubitata cognizio- ne di
Dio ; aggiuntevi ancora te reliquie
della tradizione de’ primi. Uomini; pec
tutte quelle cagioni , era nondimeno nel- le menti degli Uomini altamente infitta A Topi-
«NI nz DELL* ANIMO T opinione dell’ autorità , e del
principa- toDivino, edinfieme dell’ Immortalità degfi Animi umani , e del t fa patta
inferno opinioni di' loro al futuro
Secolo . E tra’Filofofi,i più gravi, e
fublimi, purgata la Religione dal- della
Satura h ttolta moltiplicazione delle Deità , e
divinale dei r dalFaltrc feoncezze, e fozzure della V ol- aumdeirvo- f U p Cr ttizione , vennero a
conofcere, on folo Autore dover vi
etterc, e un folo Arbitro di tutte le
cofe:c la Divina origi- ne , e Timmortal
condizione degli Animi noftri, e le pene
degli fcellerati, e i premji
degl’innocenti ebbero per fermi, e più
minuti , ed ofeuri , febbene ne la forma- zionc dell’ Univerfo, per potere, ed
in- ■ gegno di mente fovrana; ne
l’informazio- ne del corpo umano , per
condizione di mente inferiore informante
, compren- dere potettero ; tuttavia la
più parte di loro , ne provvidenza di
Mente Eterna , r ne realità di Animo
Immortale in altro modo negarono , che,
nel Mondo la rea- 4* lità del Divino
cflere, e nell’ Uomo , la . verità del
dovere onefto ritenendo . Il ■ - che i
moderni Epicurei con tutta laco- ** #
pia de’ lumi de’ noftri avventurofi tempi
non fanno ; come quelli , che per eftrema ma-
Digitized by Google ir DELL’UOMO. ? malizia , ò cecità , non de l tut to
convin- ti , per non potere concedere in
Dio rea- lità di Edere fenza verità di
legge , e nell* Uomo verità di legge
fenza realità di na- tura foffanziale ;
e per non volere l’una per l’altra in
Dio , e nell’ Uomo rirenerc; fi gittan
più tofto negli effremi dell'em- pietà
del totale annullamento di ogni realità,
e di ogni verità Divina, ed umana. Ora
per forza di que’ naturai» lumi , e di
quelle antiche origini , e’ non è da mara- vigliare , che Lucrezio, il più fiero
nemi- co del culto , e dell' Immortalità
, abbia nondimeno per vere, ed affermi
alquante cofe , che l’infelicità de’fuoi
tempi fol po- tè fare, che noi
conduceflfero per diritto cammino al
conofcimento del Y r cro . Le quali
prima di ogni altra cofa convien notare,
con alcune altre offervazioni , % che
lafciate addietro, più intrigata, e ma-
lagcvole fenza dubbio rederebbono l’ in-
traprefa inveftigazione . E in prima quel Filofofo, dopo avere argomentato, che f/To Lucrezio i tre Volgari Elementi , l’Acqua , l’Aria ,
g^EicZnti e’I Fuoco doveflono l’Animo, e
1* Anima non vagliano dell’ Uomo poter
comporre ; ."■'«g* p°' LE3Èi2 con
apertiflime parole, che quelle tre Na- gfUe.
A 2 tu- Jflfc. :
m v .lì
.aÉ Bt m
S* «fitti *
ftkjili Jfr ! 4
« il fr
■. 4 t f V' ,,4 * %4
É*> .* 4 . r>
j2^ W m Anìmofecon - do Lucrezio
fon di altro genere, dcu* que' dm ve -
gnono agli oc- cb\ e agli al
- tri fenfi* ♦DELL’UOMO. 7 chi ; ma d’ altro genere più fublime, e più vigorofo, e più mobile di gran
lunga. Nunc age , moveanf animum res
accise : tir unde ^monl Qu >**'«» i
> nilfimo , dove fuole ella rifuggire per
trarne comuni (limi argomenti in tutte le ' piùofcure, e malagevoli quiftioni della Natura. Qnefto tcgttt*tnfinito, nel qua- cureineU c** le truovano eflì e copia per
ogni fuftanza, mafatuol 1 * c d ingegno
per ogni lavoro, c virtù , e r infinito.
' porere per ogni maniera di operazione.
Sicché vergendo, non potere al fortuno-
foconcorfo degli atomi lagrande, e mae-
ftrevole opera dell’ Uni verfo afloluta-
mentc affegnare;dicono f che per un tem-
po infinito , dopo infiniti varj accozza- menti , fien finalmente gli aromi potuto a quel termine pervenire, come nel. li- ‘ ' bro v:
Nani certè neque confìtto primordi* rerum Ordine quoque fuo, atque fataci mente locar
unt: Nec quo: quoque darent motu:
pepigere profetici . Sed quia multa
modi: multi: prìmordia rerum Ex infinito
)*m tempore peretta plagi:-, Ponderi
bufque fui : confuerunt concita ferri,
Omnimditque coire , atque ormila ^er tentare , Qut r-
Oigitized by Google
'"DELL* UOMO. Ma «v Qutcumque inter fe pqffent congrega crenrez Troptèrea Jìi , ufi magnum vulgata fer piane , e Semplici cogitazioni noflre. E
, in fine è affai malagevole a ritrovar
cotal ■Uyr. . .r’iVero a forza di
fillogiftici ragionamen- ti ; poiché
l’una parte, e l’altra della
contradizione , contradicenti fillogifmi
quinci, e quindi fomminiflrano , e vie
« più inviluppano la difficoltà . Onde i più _ fenfati , e collanti fon coflretti a
fofpen- deré i giudizj; ed i
malavveduti, c leg- gieri fi rivolgono a
difendere 1’ uno de* due Conrradittorj ,
e fra loro di vili l* un contro dell’
altro oftinatamente com- battono . Il
Vero minuto , c fcompiglia- to della
foflanza materiale ùmilmente e’ non può
ne forma fantallica dipingere, ne
intellettuale , o ragionevole efpri-
mere , nc conchiudere fillogifmo per
una contraria ragione. 11 noflro intendi- mento, poiché dalla parte dell’ Animo è unirà , che aduna , c contiene il
numero, che è la vera diffinizione
dell’Intelligen- za , ed è manifefla nel
raccoglimento, che ella fa del numero
della materia nej. fenfo, e de’ fenfi
nella cognizione, e_, , ' delle varie
cognizioni nell’ univerfale, cd 0
Digitized by Uoogle DELL’UOMO.
25 cd in fe medcfima , per quella
cagione», non può raggiugnere , c
diftinguere quel- lo ccce/Iivo
sminuzzamento, e dilfipa- menro , ne può
accozzarlo , e cederlo a comporne 1’
eftcnfione . E poi una af- fai ardua
imprefa di pervenirvi con argo- menti :
perciocché la mente dell’Uomo nel fuo
intendere, che è il Tuo edere, non
avendo niuna abilità per quella ma-
niera di Vero cotanto a lei dilfi migliaa- te, fenza feorta , e fenza lume fi
svia-, qua, e là adirquctlo, o quello
con mal fondati ragionamenti; ficcome è
mani- fedo nelle molte , e varie
fentenze , del- le quali niuna ha niuno
pofitivo argo- mento per fondare il
proprio Vero ; e tutte, e ciafcuna han
molti, e forti ar- gomenti per abbattere
il Vero contrario delle contrarie .
Quindi ficuramente , fe T amor delle
parti non in rutto gli accie- cafie,
porrebbon giungere finalmente a
conofccre , che il Vero non può trovarli
nel dil’cioglimenro degli enimmi in uno
de contradittorj , ma dee ricercarli nel
temperamento, e nell’ accordo delle con-
tradizioni , e nel viluppo degli enimmi,
e nelle maraviglie. Stando così le cofe,
♦ D come •*. • y
■ - à 2 6 DELL» ANIMO come abbimi noi divifato, gli Epicurei antichi preoccupati da quel pregiudizio
, e i Novelli fpaventati dall’
apparente^, contradizione , o affatto
non han ricerca- to il Vero maravigliofo
, o leggiermente i ~ facendolo, tolto
quelli alla preoccupa- zione, e quelli
allo fpavento cedendo , , ' fonofi late
iati fedurre dalle vicende delle forme
corporali ad aver per cert3 la mor-
talità degli Animi noflri , con ifconvolgi- roento , c rovina della Naturale , e
della , ' Morale feienza, e della Ci
vile 3 e della Di- vina altrelì.E qui
lien terminati gli avver- timenti, dopoi
quali è ormii tempo di fa- re quello,
che gli Epicurei non han fat- to, cioè
di farci a confidcrare l’ inrendi-
mentodeli’ Uomo , l’ effenza , la proprie- tà, e le operazioni lue : nc per tanto
tutta la felva degli argomenti , che di
là , o al- tronde trar fi poffono ,
penfiamo di alle- gare , che sì trapaleremmo
i limiti di uua Difpura, eforfi alquanto
ci difeofterem- Sì arrecala mo dalla P
ro P°H l foluzione , m t tanti , e
teiere timo- tali ne feerremo , quanti, e quali credere- ijlinzlonf mo P'ùf ,ire al propolìto fenza
rincrefce- delle idee del- Vole
proliffltà . JtiU* ‘Iute ^ in primo
luogo conviene allegare la ria, a,em
diftin- Digitized by Google A* Jb
DELL* UOMO. 27 dirtinzione, e la
dilucidazione dell’Idce della Mente, c
della Materia, che ivi., altra guìfa
propofta , che da’ Volgari non fi è
fatto finora , e farà ella un gagliardif-
fìmo argomento dell’ immaterialità dell*
Animo, ed agli altri argomenti maggior
forza , e lume fomminillrcrà , che arre-
cheremo dappoi. Per non tacer nulla di
quelle co fe, che lafciate addietro ofeure- rebbono la dottrinajleldee dellaMateria, e della Mente , s’io non erro , elle in noi, e con noi nafeono a quello modo . Nell* Uomo di corpo, e di anima comporto, (cheunquefia l’Animo ) per erta coftitu- zione nafee certamente il fenfo del pro- prio corpo , il qual fenfo apprende la
pri- ma, ed ampia , e comune azion
Tonifican- te della lortanza corporale :
Similmente da quella cortituzione
mcdefima rifulta la cognizione , o
cogitazione del proprio animo, e del
proprio intendimento , Ia^. quale
comprende , ed efprime la prima , ed
ampia, e comune fignificazione del- 1 ’
Edere mentale . Quelle due Idee così
dirtinte , con dirtinte lignificazioni , ed cfpretTioni, fono ad ogni uno per la co- feienza della propria cognizione , e del D 2 prò- Digitized by Google 1
28 DELL* ANIMO proprio fenfo
manifede jdccome è a tut- ti parimente
manifeda la contenenza, o inclusone , e
la lignificazione , o efpref- fion loro
. Cioè 1* Idea del corpo chiara- mente
contiene, ed include , e lignifica, ed
efprime P eftenfionc ; e 1* idea dell’
Animo, e dell’ Intendimento con pari
lucidezza la cogitazione efprime, e in-
clude, e contiene. Orio non poffo ac-
quetarmi a quello , che gli altri fanno,
che da quelle fole idee della mente , £«. della materia, e da quelle fole contencn-
, ze , fenza dir altro , traggon 1’
argomen- to della didinzione delle due
Sudanze. A mio giudizio con troppa
fretta con- iar mqftra ìl chiudono , che
1* e de n za del corpo da F difetto
dcll'ar- Sdendone, c non già P Intelligenza , o de' cartellante Cogl fazione ; e che 1
cuenza dell Ani- in far quella mo la
Cogitazione, o Intelligenza, e non
fazione? 0 ' già 1’ Edenfionc . Ma credo in ogni modo doverd andare più oltra , e più a minuto olTervare lecofc, per poter su fondamen- tapiù falde, e più ampie fondare quella importantidìma confeguenza . Per mo- drar di padaggio il difetto , e la
debolez- za di quel corto ragionamento;
P eden- fione, che il corpo di fe apprefenta
ad ap- »
DELL’UOMO. 29 apprendere,
certamente ella è quell'eder medefimo ,
che nella coftituzione dell’ Uomo, e per
quella coftituzione può il corpo
oggettare,e lignificare; e che l’in-
tendimento noftro dall’altra parte può
percepire, ed apprendere: ma non è già
egli certo , che quella lignificazione cosi fatta arrechi il primo , e principal edere corporale, in cui è dovere che fi
riponga laSuftanza, o Edenza ;o almeno
none cofa delira, che il corpo con quel
foloef- fere tutta la fua edenza, o
Suftanza ap- presemi all’Animo a
comprendere. Oltre a ciò l’ eftenfìone ,
come è un edere uni- forme , e
univcrfale ; così è il più tenue, e
leggiero, ed è come nel frontifpizio del-
la propria codituzione dell’ Edenza cor-
porale locato ; il quale perciò la proprie- tà, cioè la propria differenza , che è
l’atto e la forma , onde fi termina , e
compie V edenza, Secreto , e ripodo,non
può disco- prire , ed efporre al primo
SenSo , ed alla prima percezione
dell’Uomo . E quella^, uniformità, e
comunità , di più per que- lla fteda
ragione di edere uniforme , e», comune,
è neceffariamente confuSa, e indiftinta:
che pe r tanto certezza, e chia-
rez- Digitized by Google f
30 DELL’ ANIMO rezza niuna in
niuna guifa può infondere nell’ idea.La
qual cofa tanto più è da cre- dere, che
nella fofianza delCorpo del rut- to di
vifìbile è uopo, che una moltitudine di
particularità infieme adunandofi , ve-
gna a confonderfi in una uniforme , e co- mune percezione in quella prima Idea, eh c ancor effa dal fuo lato fottile,
leggie- ra, cftrema, cojnune , uniforme,
indiftm- ta . Or chi potrà dire , che in
quella in- diftinzione, e confufione, ed
in quella leggerezza ,ed eftremità di
cofe , d’ idee, c di fignificazioni,
ripor fi polla l’eftenza? Per dir tutto
in poche parole, quella fi- gnificazione
elfendo come una produz- zionc della foftanza
corporale , che di là ft propaga nel
fenfo dell’ (Jomojegli è fen- za dubbio
un manifcfto errore ,il riporvi il primo
, e principale, e ftante , e pro- fondo
e fiere , qual’ è, e qual efter dee l’ef-
fenziale delle cofe. Finalmente fe 1» Idea contiene, e comprende , ed efprime 1* efìenfione, fermamente ella 1* adegua
an- cora, e fi combacia con lei, che
altri- menti come polla comprenderla , e
con- tenerla , non fi può dire . Adunque
l* /idea , e 1* Animo , diciam così ,
ideante , fi ve- Digitized by Goògle *
DELL’ UOMO. 31 fi vede per quella
via , che coll* ellenfio- ne che
apprende, ed efprime, pofla eften- derfi
ancor elfo , e sì P Animo nell’ idea
dell’ ellenfione dal lato della potenza , e* pareeftenfo, quantunque nell’ideadella cognizione, dalla parte dell’ obbictto , tale non fi ravvili . Ed allo ’ncontro, per- che l’idea della cogitazione non è dell* Animo folo ; li perchè animo folitario non è nell’ Uomo, onde il corpo ancora nelle produzioni mentali dee in alcun.» modo concorrere ; fi perchè nella cogni- zione de’ materiali obbietti, ne impref- fione , uè efpreflione fenza corporale ef- tenfionefi può .concepire ; per quella
ca- gione il corpo dalla fu3 parre fi fa
vedere in alcuna guifa cogitante dal
lato della potenza; avvegnaché dalla
parte dell’ obbietto, come tale non fi
ravvili nell* idea deli’ ellenfione . Or
come in quella ultima oppofizione si è
fatto , così in tut- te le altre, quanto
fi è detto del corpo , per far vedere
l’insufficienza dell’idea dell’
ellenfione a dimolìrare 1’ Eflenza
corporale , tanto con altrettante parole
fi può dir dell’ Animo , per fare intende- re, che l’Idea della cogitazione none fuf-
Digitized by Google ■3 a
DELL’ANIMO (ufficiente a poter
diffinire l’ effienza , o lultanza
mentale , In fine non debbo fa- lciar di
dire, che il volere colle prime, c
(empiici , c comuni idee dell’ Animo il
voler noftro diffinire l’ c (lenze delle cole , è per lenze deill_> Dio cola tanto pericolola ,
quanto e per- ' refe eolie fri- verfa
maniera di filofofare . Alle quali ra-
"cìidee^è'co- g* on * quando io pongo mente, inrendo fei pericolofa, bene perchè quella celebre
dimoftrazio- nc Cartefiana in quel modo
propoda,fia (lata , e fia ancora da
moiri con ogni ar- gomento fieramente
combattuta . Adun- que per quelle due
prime (empiici idee.., della Mente, e
della Materia , e per quel- le
indiftinte, e comuni loro lignificazioni,
non può giuftamente venirli a quella gra- viffima conchiufione;ma è neceffiario
ri- guardare per tutta 1’ effienza
corporale , e in tutte le fu e forme , e
modi , e moti , ed operazioni;ed oltre
ciò offiervare tut- ta Ledendone del
fenfo , quanto egli c nel proprio corpo
congiunto, o quanto da circolanti
corporali obbietti riceve. Ed ancora in
tutta l’ effienza mentale , ed in tutte
le fue forme , e modi per tutta la
capacità della Cofcienza , e della Scien- za , quanto in fe medefima vede , o
dall’ altre Digitized by Google )
DELL’UOMO. 33 altre cofe
raccoglie*, e ciò fatto, fe_ troverai!!,
che nell’ Elfcnza del Corpo la fola
Eftenfione fifeerne da per tutto fenza
niun eflerc, o potere di Cogita- zione,
o intelligenza ; e nell’ £lfenza_,
mentale, fé feorgeraflì folo intelligen-
za , o cogitazione in ogni ricetto fenza
niun edere, o modo di ettenfione; al-
lora , e non prima fi potrà conchiude-
re , che quefte fieno certamente due™.
Elfenze , o foftanze , l’ una dall’ altra™, realmente didime. La ragione del do- ver negare alle fempliei idee quel che fi crede dover concedere all’intera, e compiuta cognizione della feienza , el- la è , a chi ben v> attende , chiariflima. La fignificazione , ed efpreflion
partico- lare, e manchevole, qual’è
quella del- le fempliei idee , già ella
molro , o po- co laici il in tenebre una
parte dell’ ef- fenza , che non è in
niun modo ligni- ficata, ed efprelTa :
onde volcndofi a_> quella elfenza
donar qualche attribu- to, non fi può
fare lenza gran temerità: conciottiachè
ragionevolmente debbafi dubitare , fe nella
parte non lignificata vi rimanga afeofa
alcuna ragione efclu- E dente Digitized by Google r
w X» % 34 DELL’ ANIMO dente quello attributo , che le fi vorreb- be concedere , e volendofi negare , non può niuno , falvo fe non è fconftgliato, e temerario , rifolverfiafarlo: percioc- ché fi dee poter fufpicare, che nella^ parte non lignificata alcuna ragion fi rimanga, che includa quel cotale attri- buto, che le rivorrebbe negare. Adun- que l’ Idea del corpo , che contie nc l’cf- tenfione ( qualunque ella fia ) cfTcndo pur nondimeno particolare , forza è che ne lafci in dubbio , fe altro vi fia nell’ effenza corporale , che includa la cogi- tazione, o intelligenza; e fimilmcnte_, qualunque ella fia 1’ idea della cogita- zione dell’ Animo , e quantunque didi n- ta , e chiara fi voglia , giacché ella è
. particolare, ne fa per quella cagion
fof- picare,che altro pofla efTervi
nell’ Ani- mo, che includa Fedendone . E
pertan- to per fi fatte idee non può
giammai giu- gnerfi a tale , che quelle
due Eflenze fi veggano in tanta luce,
che chiaramen- te apparifea l* Animo
efTer foftanza_» cogitante , o intelligente
. Ma nel fatto di una intera , e
perfetta lignifi- cazione le cofe danno
altrimenti; im- peroc- >
v Digitized by Google i
DELL’UOMO. is perocché ogni
elTenza col fuo mcdefimo edere
lignificando, per modo che l’ef- fere
medefimo fia lignificare , e’1 lignifi-
care altroché federe non fia ,cdel tut-
to imponibile , che la lignificazione co- tanto dall* efifere fi difcofti,e quello
da quella cotanto fi diparta , che tutta
inte- ra una lignificazione niente
affatto ligni- fichi , di un ampio
elfere che fi c; e che un ampio intero
elfere non fia nulla affatto di una
perfetta lignificazione, che fi ha. Ora
egli è, o agevolmente può elfere ad v *
ognuno manifefto , che in quanto colla., zioneficon - Icorta’del fenfo , e col cammino della_,
^caadejbe- feienza li olferva , o fi
argomenta nella materia, di foftanze ,
forme , lavori, ; • % movimenti,
generazioni , e qualunque operazione,
per tutta cotaf ampia, ed intera
lignificazione niente affatto fi feor-
ge , ne pur leggiermente adombrato , ne
di effenza, ne di modi di effer della men- te : ed è parimente , o può di leggieri efferc a tutti manifefto, che per tutta la fignificazione , ed efpreffion
mentale, che ci viene o dalla feienza ,
o dalla cofcienza, nulla affatto di
materia, ne cffenziale , ne modale, nc
edere, ne ope- « ■ E i rare ■ b*/
. . . ' , Digitized by Google 3
6 DELL’ ANIMO rare vi fi (cerne .
Adunque egli è im- ponibile, che la
materia fia, o che ab- bia, o produca
tutto il magnifico ede- re mentale, e
che niente di quell’ ede- re dimoftri in
niuna parte dell’ ampia , ed intera Tua
lignificazione ; e che la Men- te fia ,
o che abbia tutto l* edere mate- riale,
e niente di quello dimoftri in_» niuna
parte dell’ ampia, ed intiera li-
gnificazione Tua . Tanto era da fard,
che non fi è fatto, per condurre quel-
; v Vi*’ la dimoftrazione ad una chiaridi ma chia- rezza
La ragione, che dalli materia drit-
delP immorta- tamente efclude la cogitazione , per la- mo Umano* 11 * ^ ^iare °S n ‘ circuizion di
parole, ella 11 ° non è altro , che
quella reai diftinzio- ne, che per tutta
la foftanza materia- le per ogni parte
s’interna, per modo che niuna parte c
della materia , che o in altre parti da
fe contenute ella non fia da dividere ;
o che niente contenen- do , non fi debba
ad una ftrema minu- tezza di ogni
contenenza vuota ridur- re . Per cotal
ruinofa diftinzione , la fo- ftanza
della materia, o nell’un modo, * o nell’
altro, ella è tutta diftinta , e tut-
Digitized by Google (DELL*
UOMO. , 37 ta divifibilc: tutte le Tue
parti fon Fune fuori dell’ altre, foni’
une all’ altre av- veniticcie ,ed
eftranee; non fi potendo a niun patto
ritrovare parte della ma- teria per
nello di reale identità nell’ altra
implicata . Anzi di vantaggio il tutto
medcfimo fi può dire in certo mo- do ,
che e’ non fia, c non infida nelle», fue
parti: inquanto che il tutto non è tale
unità , che intera, ed indivifa nel
numero delle parti fi eftenda . E le_*
•parti allo ’ncontro in certa guifa pur
puoffi affermare , che non fieno nel
tutto , inquanto che elle non fono di
quel numero , che fenza confufione_,
benché indiflinte , nel tutto fi adunino. In sì fatta maniera di efTere , più fiate
in più luoghi altrove efplicata , è
cofa^ manifefta , che le parti non
poffono in- fra di loro in guifa alcuna
comunicare; ne 1* une nell’ altre per niuna
via pe- netrare; ne può avvenire
giammai, che elle in niun
modofcambievolmente fi contengano , o
comprendano , o inchiu- dano : Ne
finalmente comunicazione, o penetrazione
, o contenenza , com- prendone ,o
inclufione alcuna può ef- fere I
L'imfene- trabVita del- la Materia ,
ovejh da ri - fOì’re . $« DELL* ANIMÒ «fere ne pur fra ’I tutto , e le parti ^ Or tutto quello novero di ragioni, che vi- cendevolmente l’une 1* altre implican- do , fono ccrtiffime produzioni della reai diftinzionc, che noi fotto una ap. pellazion comprendiamo d’impenetra- bilità, come le contrarie con un fol no- me di penetrabilità nominiamo; quelle ragioni , dico, fon la (lefliilima
cecità, O amenzia della materia. Siccome
quel- la profonda , e difcorrevole
diftinzion reale difperde ogni
penetrazione, e co- municazione di
elTenza , cosi fa ancora di ogni
penetrazione , e comunicazione di
fcienza. Conciofliachè la Scienza, o
intelligenza , ed ogni cognizione , e co- gitazione, altro che comunicazione , e penetrazione non fia: ficcome la fcomu- nicazione , e l’ impenetrabilità, altro
non fono che cecità , o fconofcenza .
Per Dio la facilità fola , e’1 chiarore
di que- lla luminofa dimoftrazione
potrebbe per avventura per un fol
momento farne travvedere la fermezza , e
la ficurezza. Imperocché come può la
materia in- tendere quello , che non
contiene ? E come contenere quello , che
elTa non è ? Per * Oigitized by Google DELL’ UOMO. 39 Per qual via, e con qual potere fi effon- derà la materia ad includere colla co- nofeenza quello , che efclude coll’ ef- fenza?Come diftinta effondo dall’ altre cofe, ‘comunicherà con quelle medefìme per apprenderle ? Come dentro di fé , e quali da fé (leda diftinta, ed efclufa, potrà o a fé ri volger fi , o in fe il
fuo edere raccòrrò , per intender fe , e
le cofe fue ? In qual modo pofta fuori
del- le cofe, che ella non è, e fuori di
fe niedelìma , che non contiene,
potria 1* altrui , o’I fuo proprio edere
dentro di fe conchiudere coll’
intelligenza ? Qual farà il fentimento
di quel tanto deuro, quanto celebrato
principio , che l’operare fiegue all’
edere , fe non que- llo ; che federe è
regola, e norma dell* operare : che
quale, e quanta è Ceden- za , tale , e
tanta eder dee 1’ operazione: che
l’operazione non può fuori eftender- d
dell’edenza: che in dnc l* operare è una
produzione dell’cderc, dechè l’effon-
zada operante; d’operare mededmo,el’
operazione da edftente , e da edo edere
a rincontro. Per le quali certi (lime regole fedi maggior lume abbifognade, vie più
lì dichia- V.
4 o DELL’ ANIMO dichiarerebbe
ciò, che diciamo ; che non fi può
contenere, ne includer quello, che non
fi è ; come quello che non fi con-
tiene, ne include , non fi può intendere. Adunque certifiimo argomento, e chia- rifiìmo di cecità, ed infenfatezza , è la- diftinzion reale coll’ impenetrabilità, fcomunicazione, ed efclufion materiale. La diltinzione , che per varj divarie co- fe , e diflacca 1’ eflenze , e proibifce
le coriofcenze; nella coftituzione
dcll’intut- to divifibile material
fotlanza giugneall’ ecceflo di
diftinguere ; per modo che af- fatto
ogni comunione tronca di eden za, ed
ogni via chiude d’ intelligenza . La-
onde e’ non è da maravigliare , fe in
tutte le Lingue più belici’ intelligenza
colla penetrazione , comprenfione, con-
tenenza , ed inclufione è lignificata ; e con contrarie appellazioni è lignificata la fconofcenza. Ed è da ammirar molto , che i novelli Filofofi fien così ciechi
, che la cecità della Materia per
quella via non abbiano ravvifata, che fi
pre- fenta nel primo afpetto delle cofe
, non che nel procefio dell* invelligazione. Con dimoftrare la cecità della mate- ria
Digitized by Cìoogle ~rr . —
*’-• — DELL’ UOMO. 4i , , ria, abbiamo inficme dimoftrata 1’ im- materialità della mente ; Imperocché fe la materia è cieca, perchè ella è di vi- libile, la mente dee eflere indi vilibiie
, perchè è intelligente . Pur
nondimeno c uopo in efla intelligenza
oflervar la di lei immaterialità, come
in efla natura diviflbilc la cecità , c
l’amenzia abbiam’ oflervata. Adunque fe
la Mente cono- °V e f ,a fce le fue
cognizioni , come per la pri- trabiitàdei-
ma, e più interna , più lucida notizia I* Mente. della colcienza è certiflimo, ella
certa- mente le Tue cognizioni , e 1’
eflere di quelle, e ’i fuo medefimo dee
in fc con- tenere : e con quelle Tue
operazioni , e con tutto il fuo eflere ,
per pcnetrevo- le comunione , e per
indiflolubil neflo d’ identità , efler dee
una cofa mede- lima realmente indiflinta
, ed indivifa. E poiché per mezzo delle
cognizioni apprende tante cofe, quante
ve n’ ha_, in tutte l’Iflorie, e in
tutte le Scienze, ed Arti; la Mente
quell’ immenfa am- piezza, e quel novero
infinito di forme memorabili , fcibili ,
ed agevoli con- terrà tutte nel fuo
intendere, e nel fuo eflere penetrando ,
e includendo : F con ✓ . . J
, ?» Digitized by Google 42 DELL’ANIMO con reai neffo tutte le cofe compren- dendo, cd unificando nella Tua intelli- genza ; e la Tua intelligenza in tutte le cofe eftendendo, indiftinta, ed indi vi- ta da quelle così, come è dal fuo efte-[ re medcfimo,e dalle fue medeGmc cogni. zioni.Dal che chiaramente fi feerne,
cfter l’intelligenza, e per confequcnte
1* Eflcn- za mentale con tutta quell’
ampiezza , e 4 ; con tutta quella
dovizia , che accennata ■ abbiamo efier,
dico, nondimeno indiftin- ta, femplice,
ed indivifibile.Concioflìachc comunione,
penetrazione , e inclufione__,
Veneu-abi- fono co ip indiftinzione , o identità una ■ hta , e rden- r ... tiù fono um cola, c per poco una ragione , o
notizia c»fa medejì. medefima . Siccome
la reai diftinzione fminuzzaper tutto la
foftanza della ma* teriajondel’eflere
materiale è impenetra- bile^
incomunichevole ; così la penetra-»
zione , la comunione , e l’ inclufione per tutto realmente conduce, e connette
l’in. telligenza ; onde l’ intendere , e
1’ eflere- mentale efter dee indiftinto,
femplice* ed indivifibile , immateriale
, e immorta* le. Certamente la fola
eftre ma chiarezza di quefta
dimoftrazione a non fani intel- letti
può per avventura far dubitare
della Digitized by Googlè DELL’ UOMO. 4? della fermezza per un momento . Im- perocché come potrebbe la Mente, o non contenere quel , eh’ intende, o non eflerc quel , che contiene, o edere da . ciò che contiene realmente diftinta ? Come mai potrà efcludere, e (termina- re coll’eft’enza quel, che include
coll’in- telligenza ? Come fopra di fe
ritornan- do, o in fe il fuo effere
raccogliendo A )■ * 0 - ad intender fe,
e le fu e cognizioni ; trebbe poi cfler
tutta in fe, e quafi fe realmente
diftinta, ed efclufa ? E in fine il
proprio, e 1* altrui edere , nell*
intelligenza accogliendo , come può av-
venire , eh’ ella fia pofta fuori delle co- fe,che intende, e che efler dee, e fuori di ' fe medefima ancora, qual certamente larcbbe , fe fuflc divifibile , e materiale
? Non ci ha dcll’indivifibi!ità,c
dell’imma- terialità argomento più
ficuro di quel- lo , che eia
penetrabilità, e della co- munione, che
è l’intelligenza. L’Iden- tità , che per
varj gradi di varie cofe fomminiftra 1*
intelligenza, c connette l’edenza; nella
coftituzion della mente giugnendo fino
alla penetrabilità, ed infelfionc , che
adduce ogni comunio- .. : Fa ne •#
Digitized by Google . •* ./ •* ^ ^ ^
44 DELL’ANIMO ne di eflere, ed
ogni lume d’intendere, viene in tanta
chiarezza , che egli è una maraviglia ,
che alcun de* Filofofi abbia difperato
di poter trovare (uf- ficiente ragione
deli’ Immortalità dell* Animo dell*
Uomo, la quale fenza fa- tica
d’inveftigazione nel primo afpctto delle
cofe ci fi apprefenta. ■g?** Con quello
argomento fenza fallo ^ffHré P, °mate-
fino il fondo è fiato difcopcrto dell’
riale quale efienza materiale, che è la reai diftin- deU^mmte 2 j one ^ e j a di vifibilità , onde
la cecità , e 1’ infenfatezza
immediatamente di- pende . E
infiemcmente il principio, e 1* origine
dell’ efienza mentale ab- biam ritrovato
, che è la reale indiftin- zione , e 1’
indivifibilità ; onde l* im- ,
materialità , e immortalità neccflaria-
mente difcendono. - * ' Ora da
quel primo fondamento del , - materiale
eflere , molte altre proprietà procedon
della materia: ciò fono mu- tabilità , e
mobil ita ; novità, e contingen- .) , za
; impotenza , ed inerzia ; e in fine fug-
^gezione , c dipendenza , che tutta l* ef- fenza della materia adempiono per av- ventura . Come altresì da quel princi- pi» ^ pio
. ■? « # - • •
• . ^Digitised by Qoogle DELL’
UOMO. 45 pio dell' Efler mentale molte
proprietà provengono della mente : quali
fono, coflanza , ed immobilità ;
neceffità , ed antichità ; potenza , ed
arte; e finalmen- te libertà , e
independenza , che tutto 1 ’ effer
mentale fi può credere, che_ adeguino.
Le quali cofe fono altrettan- ti
fermiflìmi argomenti, 1 * une della ceci-
tà della Materia, e l’ altre dell’ Immor- talità della Mente . Ma alla difputa di fi fatte ragioni e’ fa di meftieri
premet- tere una confiderazione , con
utilità de* novelli Epicurei , per
fargli fin da ora argomentare la
debolezza degli argo- menti Lucrcziani :
e di tutti gli altri , per agevolargli
l’ inrelligerfza di quanto im- prendiamo
a dire di quelle ducEffenze.Io
prefuppongo, che quelli novelli abbian
già fatto quel, che gli antichi non pen-
farono di fare , o fecero leggiermente ,
e trafeuratamenre : cioè che abbiano
afTai filofofato fopra la Natura imma-
teriale ; che nondimeno per la cagio-
ne , che dirò , fi fian rimafi nell’errore. Prendendo eglino la corpulenza, e la
for- za fenfibile della materia per
falda, e chia- ra verità, e realità; e
per la finezza, e fotti- 4 tutto corporeo , e dirtolu- bile, e mortale apparifee ; e dall’ altra
, per gli altri argomenti fi feerne
incor- poreo , ed Immortale : non può
niuno ne a quello, ne a quello, ne alla
mor- talità, ne all’ immortalità , non
prima avendola va nità de’ contrari
argomen- ti dimoftrata , fe non per
temerità, e per capriccio attenerfi . E
trovandoli per avventura amenduele parti
inacef- fibiii f «"ÌMI -'*T* « W*f
v» m- ?:
Digitized by Google 4 S DELL’
ANIMO libili, cd inoperabili , c dovere
allora, che fi temperi , e fi mitighi la
forza degli uni, e degli altri
argomenti, affinchè o un qualche comune
effetto infieme lor for- za comunicando
, arrechino ; o lor forza dividendo, in
diverfe foftanze , o modi, divedi
effetti producano . Nel qual tem- -
pcramento,e mitigamento egli è fenza ,e
fallo riporto il Vero maravigliofo : co-
me del Vero della Mente abbiamo già
detto doverfi fare: e come a fuo luogo
in quefta medefima Difputa, col favor
di Dio , noi faremo in effetto . Frattan- to fe lo feopo degli argomenti Lucrc- ziani è , che la Ragione , e l’Animo dell’ Uomo fia del tutto diffolubile, e mortale ; che egli prende da diffipamen- ti , fucccffioni, vicende, e mutamenti, •che vi fi veggono : e per contrario i contrarj argomenti vanno a dimoftrare , che la fortanzial ragione, e I’ Animo egli è in fe medefimo indiffolubile , ed immortale; non c egli un giurto, e ra- gionevole temperamento, e mitigamen-- to del contrarto degli argomenti , il
di- re, che l* Animo debba effere in fe,
e verfo di fe immortale per forza de’
fe- -tèéà condi * .
; DELL» UOMO. 49 » condi argomenti ; e che la forza de’
pri- mi più oltra non vaglia a
conchiudere, fe non che l’Animo lia
dall’ Uomo dif- folubile , e in quello
fentimento , e in quello rifguardo
mortale ancora? La fola Compofizione ,
che è nell’ Uomo, ella è
fufficientiflima cagione di ogni
variazione, la qual perciò a quel- la
compolìzione fola puoflì attribuire :
onde necelfità di dover dedurre , che-,
elTd Natura ragionevole immediaramen-
te patifca que’fvariamenti, ed ella deb-
ba clTer caduca e mortale , non vi li ,
fcorge niuna affatto. Gli fcadimenti,
gli avanzi, i eominciamenti,e i lini fo-
no varie guifc, evarj modidieffa com-
polizione.La compofizione è principio, ' ». 41 c radice di ogni variazione. La natura
^luziongeL ragionevole , quantunque ella
in le da ti gli argo- mutamenti
corporali immune , e libera; nienti ima*
tuttavia congiunta colla variabile ma-
reria, dee neceffariarnentfc non in altra guifa , che variando, difpiegar le fue« ragionevoli operazioni. Sarà quella Tem- pre una generai foluzione affai fondata, c forte di tutti gli argomenti di Lucre- zio , che può offufear eziandio quella • * G - appà-' 1 >
■ •; ¥ Digitized by Google V t
*0 DELL’ANIMO apparente
evidenza, con che ha prefi i materiali
intelletti de’ Cuoi feguaci: e’1 farà
ella Tempre, finché eglino non auran
dimoftrata 1’ impofiibilità della.,
natura immateriale , o 1* impoflibilità
del concorfo , ed unione della medefi-
ma colla materia , e che a natura im-
materiale fia ripugnante, il potere con
quelle variazioni, che nell’ Uomo veg-
giamo , in niuna guifa operare. Il che
ficcome finora non han fatto, così non
éda credere, che fian per fare in avve-
nire . Ora ritorniamo al propofico, per
dimofirare in oltre per la mutabilità,
o mobilità cieca la Natura materiale; e
per l* immutabilità, o immobilità , im-
mortale l’intelligente: come già prima
. nbbiam fatto, per la reale difiinzione, ed efclufione dell’ una, e per la reale_ indifiinzione , ed inclufione dell’ altra
. Nell’ eftenfione , o efirapofizione,
che - firZlonc' 1 ^- ne ^ a materia è
manifcfta, noi feorgendo Ucecita della
allora quella difiinzione , ed efclufione,
de tornir* ne argomentammo la cecità , ed amenzia: e nell’ intelligenza , che è in noi , e
nell* e (Ter noftro evidente,
veggendol’indiftin- zione ,e P inclufione
; quindi raccogliem- mo , •*» • •
tal ila de Hi Mente . 1
Dig[tized by Google DELL’UOMO.
51 mo dover la mente edere indivifibile,
ed immortale. Ora nell’ eftrapofizione
me- - 4 -v dcfima , di più la
mutabilità , la mobilità, e’1 moto
oflcrvando ; e nell’ intelligen- r za ,
di più la immutabilità ,e l’immobi-
lità, e la quiete ritrovando ; di nuovo
1* una, e l’altra conchiufione dell’ una, e dell’altra natura verremo a provare. V -.=■
- L’ Eftrapofizione , per cominciar
dalla prima, c la radice di ogni
variazione, . 1 mutazione, e moto ;
perciocché man- cando alla materia unità
reale , che_, * . aduni ,0 unifichi le
parti , e 1’ edere dell’une nell’ altre
implichi, e le Arin- ga, e fermi
indillolubilmente ; per ne- celfltà
deonfi poter le parti 1* un e dall’ \
altre feparare, e fcambiarft infra di lo- ro , e variare, c mutare, e muovere. Il reai numero delle parti, l’une dall’ altre in realtà diftinte , e 1’ une fuori ~
-* dell* altre eftftenti, è il medcfimo
etter mobile, e variabile della materia:
c Ia_, fletta mutabilità , e mobilità: è
il prin- cipio di ogni attuai variazione
, c mu- tazione , e moto . Il difetto di
quella rea- le unità, che contenga il
numero a quel ^ Materia, modo , é il
verace vuoto, col quale, e . - . G 2
nel _ Di^itized by Google wr
r * -* u «i*S
* ** DELL’ANIMO nel quale dee poter muoverli la mate- ria: che gli Epicurei ad altra manie- ra di fallo vuoto trafportano; e i no- velli Peripatetici , e i traviati de’
Car- tcfiani n:egano a torto, quello
vero vuo- to con quel falfo degli
Epicurei confon- dendo. V Annone delle
parti, Fune all altre in ordine al luogo
fuccedcn- ti , è come un fluflo , c una
fuga delle medelime per Io fpazio: la
quale di fua natura domanda I’ attuai
variazione, c mutazione, e ’I moto
attuale. Il moto allo ’ncontro egli è
l’atto dell’ eflenfio- ne, o
efirapofizionc : ed è prefcnte,ed attuai
efienfione , e fuccelfione . Nel mo- to
di per fc conlìderato non folamenre e
lubricità, e flufTo , e fuccelfione di
parti in ordine al luogo; onde le parti
fieno 1’ une fuori dell’ altre allogate : ma e altresì fluflo f e fuccelfione in
ordine a tempo; onde le parti fieno I’
unc_, dopo dell’ altre nel tempo
efifienti : di- modo che ognuna delle
parti del moto • allora ella è, quando
1’ altre fue com- pagne o fono già
preterite, o fono per efiere in futuro:
che o più non fono, o ad elTere non fono
ancora pervenute. Il + 4
Y DELL’ UOMO. 53 II che vero cdendo , come infallante- mente è ; qual maggiore (Minzione può avervi dell’ edere , e del non edere ? qual più certa efclufione di quella, che Pelle r fa del nulla, ed il nulla fa del Ee
Ae- re all* incontro ? come ciò , che c
, può mai procedere egli a contenere, ed
in- cludere quello che non è,
quantunque o fia dato da prima, o debba
edere dap- poi ? ficcome non vi ha
maggior diftin* zione dell’ edere, e del
nulla , ne più chiara efclufione ;
perciocché il nulla, che non è a niun
patto, c ogni efclufio- ne di ogni
realità; e l’ edere che real- mente è, è
ogni efclufione di ogni nul- lità del
non edere: così non ci ha mo- do più
potente a diftinguere, ed cfclu-
dere,cpcr confegucnte più certo , e
più chiaro modo di efcluderc , ed eftin-
gucre ogni intelligenza di quello, che
è il moto, che perchè fia, 1’ edere, c’1
non edere congiunge inficine : le cui par- ti deono edere tali , che una edendo , T altre afFarto non fono, dovendo e(Fc- re o preterite, o future. Non eie, ne può eflervi più chiaro argomento dice- o nio-
cita, ed infenfatezza, della mutabilità, J' 30é-' UHP nn. 1 — a
\ "W" 2 •* Wa- * >• ' le *
Digitized by DELL» UOMO. ^ le parti non poflbn Pune dalPaltre fce- vcrarfi , ne (cambiarli infra di loro,
ne murarli , o muoverli in niuna guifa .
J L’identità delle parti, l’unc nelP
elTere " dell’ altre infiflenri ,
P unc nell’ altre pe- netranti^ deflfo
elTere invariabile , ed immobile dell’
intelligenza , è elTa in va- #•
riabilita, ed immobilità, e coftanza, e
virtuofa quiete della mente. L’ inclu-
sone è la virtù maravigliofa , che Uri-
gne,e aduna, e contiene, econferma_. . -1 P clTcnza mentale ad eder libera, e im- mune dalle mutazioni , e da moti della materia , e ad elTere in quello riguar- do invariabile, ed immobile, e quieta. Quella identità, ed inclulione è ella il Ver
5 verace pieno della Mente, che ne i
voi- Tra ma- gari Peripatetici, ne gli
fciocchi de’ Car- ta!e ' tefiani , e
tanto meno gli Epicurei in- tendere non
han potuto finora. L.’infi- - ^ > Y'
llenza, ed infeifione delle parti, che ne luoghi eftendono,ne difpergono tem- pi , è quello che ogni corporale lubri- cità, e fltilTo, e fuccelfione allontana^. •
** ì dall’ elTere intelligente. Ma di
cotalin- - fillenza,o penetrazione , o
inclufione, egli è da fapere, che altra
cofa non è, che f •.
JDigitiz’ed by Google t 5 6 DELL’ANIMO * che (lane l’atro, che 1’ Idea, o perce- zione . L* intelligenza è principale , radicai percezione, ed Idea: e 1* Idea, o percezione , è prefente , ed attuale intelligenza; nella quale 1* immobilità, cd invariabilità del mentale edere, e 1* indivilibilità , e Immortalità in
chia- ridimo lume lì difeoprono . La
prefen- te ,cd attuai percezione dell’
Idea , niu- na parte della potenza
intelligente , e niuna parte dell’
intendevole obbierto preterendo , o in
futuro rifervando, cioè ogni parte della
cofa , che inten- de ,infieme
comprendendo tutto aduna in un atro , ed
in una prefenza di un femplice edere
indi vifibiìe . Poiché l’ in- telligenza
penetrando , ed includendo tende all’
influenza di ogni fuo clTere^ in una
unità di eflenza: la percezione c,
prefente, ed attuale inclusone, c pe-
netrazione , ed influenza. Ella è l’atto
di quella virtù, c la fermezza, c’1 ri-
pofo, e la quiete della mente, nella..,
pod'cdìone dell’ edere , c del fapere .
Non vi ha maggiore indiftinzione , ed
inclufione dell* ogni edere , cioè di quel- la edenza, che tutto il fuo proprio ef- DELL’UOMO 57 fere poflìede, che di fé, e delle fue
co- fc ogni nullità efcludendo , include
ogni fua realità: onde l’atto, e la
prefenza, cioè il prefente edere attuale
, che ogni realità a fe appartenente
contiene , è nel colmo dell’
indidinzione , e dell’ in- elulione, che
ogni nullità, e vacuità, e lubricità, e
fluflo, e mutamento efclu- de. Tal
fermamente è la percezione, o idea , le
cui parti sì elleno fono a fe prefenti ,
che una parte eflendo , tutte l’ altre
con quella, ed in quella eder deono
fenza edenfione di luoghi , e fen- za
fucccflìone di tempi ; tutta prefen- te,
ed in atto in fe, e con fcco tutto il
fuo edere conchiudendo. Siccome il moto
edende, e (minuzza , e difperge le parti
della materia; ed è perciò eda
variazione , e mutazione : così la per-
cezione , o idea, diciam così, intende,
e conclude tutto l’ edere della Mente :
e per tanto è la dedìdima invariabilità,
o immobilità, o permeglio dire, è edo
ftabilimcnto , ed eda quiete della Men-
te . Non è nella natura, ne in Cielo,
ne in Terra unione più dretta , ne piu
intima , ne più falda, e indidblubiledel- H la
L 58 DELL’ANIMO la percezione: non ci è della percezio- ne più ficuro , ne più chiaro argomen- to d’invariabilità, ed immobilità , e di
. . quiete . La Mente che nell’
inclufione , ttjftmo arco - e
penetrazione deir intelligenza fi di-
menio d' m- moftra femplice edere, ed indivifibile , faòlaìwia!' ^ cm P^ ce » penetrabile. La
Materia per la compofizione ,
edeftenfione,o eftra- pofizione è
divifibilc, variabile , mobi- le : la
Mente per la penetrazione, ed ♦
inclufione è immobile, ed invariabile.
La Materia ha il fuo proprio atto della
; , propria edenza, che è il moto: la Men- te, ella ancora ha il fuo proprio dei proprio edere ,che è F Idea. Nell’ eden* dono , efcludone , variazione, e moto la Materia dimoftra da fua cecità, ed amenzia: e la Mente ndia'penetrazio& ne , inclufione , invariabilità , ed,
immo- ti lì bilica Digitized by-Google s .
remcLa DELL’UOMO. 59 biliti fi diicopre indiviiibiie , ed
immor- tale. Non ci ha cofc più tra fe
diver- fc, della Materia, e della Mente:
non re ci ha piu evidente contrarietà di
quel- / ra U M/e- la, che è tra l’Idea
della Mente, e ’1 rìsela Mam- molo della
Materia. Ma affinchè niu • no
rivolgendoli alla materia , ed alla
mente deli’ Uomo, ed a’ mori , ed alle
idee del medefimo, non fi turbi, o eoa
tacita oppofizionc non contratti quella
nottra dimoftrazione ; promettiamo in
luogo più opportuno di quella Difputa
far vedere , come nel congiungimento
di quelle diverfe nature, e di que’ di-
verfi modi-, vie più venga adilluttrarfi, e confcrmarfi la prefente dottrina. Dall* eflerc indiftinto , penetrevole , *
* ed inclufivo dell’ intelligenza , e*
fegue Quarta dì- di neceffirà , che l’
intelligenza eflcr deg- già interminata,
e univerfale : come-, tdfà-Atuu dall’
eflerc dillinto , impenetrabile , ed uc
elclufivo della materia , necefli riamen- te avviene, che la materia debba efler terminata, e particolare. E benché la penetrazione , ed inclufione chiaramen- te voglia aver con beco infiniti, eduni- verfalitir e l’ efclufionc , ed impenetra.- H 2 bilità
Digttized by Googk 1 60 DELL’ANIMO bilità pur con pari chiarezza arrechi terminazione , e particolarità, anzi più torto la penetrazione , ed inclufione-, paja eflere non altro, che erta infini- tà, cd univerfalità: e 1 * efclufione ,
ed impenetrabilità colla particolarità ,
e-» terminazione pajano edere una
mede- lima ragione ; contuttociò quelle
due ragioni fono due nuovi rilucenti
(Timi lumi , co* quali nuovamente per
nuo- ve vie rinveniremo coll’ uno la ce- cità , ed infenfatezza delia materia , e coll’ altro l’ immaterialità , ed
immor- talità della Mente . Le quali
cofee’ per- ciò conviene , quanto più c
podibile , fpiegare ,e dichiarare
paratamente. Per ^Aeco- cominciar quindi
, Univerfale c quello, che tutte le cofe
, o quelle che gli appar- tengono , cioè
tutto il numero , e tut- ta la varietà
delle differenze , forme , e modi
pienamente contiene, e sì contien egli
ciò che e’ contener dee , che le for- me
,o le differenze per lungo ordine di
cagioni l’ une dall’ altre procedenti , e tutte da una prima, e principale pen- denti , effo Univerfale dee produrre-,, eziandio. Una principale unità per altri mezza.
Digitized-by Google DELL’ UOMO.
6 1 mezzani principi inferiori, che indi
pro- vengono, ed ordinatamente gli uni
agli altri fuccedono, con fucceffive
produ- zioni fi eftende fino all*
cflremiti degli ultimi particolari a contenergli,
e pro- durgli. Or quella cflenza, o
nozione, o ragion di univerfale ,
manifefta mente ella efler dee
indivifibile,ed immateria- le.
Conciofliachè eflere immateriale , ed
indivtfibile altro e* non fia, che eflere in tutti, e con tutti i particolari , e tut- ti comunicando , penetrando, includen- do, adunare in una fempliee, indi via- bile unità di efienza, o foftanza. Senza quella principale unità contenente, e unificante , ficura mente le diftinzioni ,
e le differenze de* particolari
fminuzze- rebbono , e difperderebbono
ogni co- municazione , e contenenza: e
fenza_» quel numero contenuto , fenza
fallo T uhità rimarrebbe ruota di ogni
pie- nezza , e ubertà . Or 1*
intelligenza^ deir Uomo , che ella
efprimendo, eraf- fojtiigliando , fi
eftenda da per tutto> a imprendere ,e
conchiuder tutto il nu- mero , e tutta
la varietà dell’ Univerfo i* Iftorie, e
le Scienze x eT Arti il roa- ni fe- y ♦
V.jt. , 62 DELL’ANIMO, nifdhno a chi che fia. Adunque l’Uni- verfale ,chc non altro , che una ragio- ne, o nozione , o Idea parendo elTere da fé nel primo afpetto non dimoftra realità ; li Icorge pofcia , ed è
reale», nell’intelligenza; la cui
realità il chia- ro lume della cofcienza
a tutti dimo- ftra. E l’intelligenza,
che è una reali- tà, o reai natura, o
foftanza; c pertan- to nel primo afpetto
non arreca uni- verfalità; fcernefi pofcia
aver vera uni- verfalità nell’ idea,o
nozione, o ragio- ne dell’ Univerfalc ;
la cui immateriali- tà a tutti innanzi
appretta 1* evidenza», della ragione .
Cotal ritorno, e fcam- bievole
fomminiftramento proprio dì qualunque
più invitta, e piu illultre di-
moftrazione non intendongli Epicurei:
onde nell’ LJniverfale , che di per fe i
{blamente nell’ idea della Mente, tur-
tocche ben vi veggano indivifibilirà, ed
immaterialità; credon pur nondimeno
non più che ideale , e immaginario V elle- re immateriale: e poi nell’ intelligenza
, che è , e fi vede edere folo in
nature particolari , febben ravvifano
univerfa- lità; pur ii fanno a credere,
che mate- HNUti riale , j Digitized by Google DELL/ UOMO. 6; riale, e divisibile efler debba quella
na- tura univerfale ; dovendo per
forza»* di sillogiftica dimollrativa
conneffione, all’ Univerfale , per l’
intelligenxi , con- ceder realità; cd
all’ intelligenza , per l’ univerfale
donare immaterialità . Ma egli è ben
uopo quella univerfalità, che nell’Arte,
nell’ litoria, e nella Scienza fi
manifefta , deferivere più particolar-
mente : affinchè quello argomento non
paja anzi un lavoro di fantafìa , che
vero, e fermo, e fondato in Sicure , e
indubitabili realità . La nollra intelli- genza, come ognun vede, mifura tutti i modi dell’ eftenfionc , e diftingue, e diffinifee tutte le forme del numero ; onde eHa è aritmetica , e geometrica :
ed al medefimo modo tutte ancora le
va- rie fpezie , e varie operazioni
delle co* fe oflerva, e difeerne, ed
eftima ; on- de ilìorica, e fisiologica
può divenire. Non è adunque la Mente una
partico- lar diterrainata dimenfione, ne
c un»* certo, e particolar numero
ditermina- to; ne finalmente è ella
certa ,e diter- minata forma , o fpezie
di quelle, O quelle nature; ma efler
dee, ed è uni> 4 P» P verfal ftwrtl* I Univer fatiti deità Screma*
del P Arte , e della Storia
. (Séif 4/. ^4 * V
V, '* { * St>\
°S n ‘ cofa efplicando , e argomen-
tando: che è Io tteflo che dire, che ella i numeri, e i peli, e le mifure, colla_, univerfalità , dentro di.fc il molto
nell* ~ . : uno accogliendo, e il molto
dall’ uno [M ■ v ;
ri- »... v. ' A: • ~ • ^ r
/+ DELL* UOMO. 69 riproducendo , diftingue , ed efprime: ficcome con più ragioni nel noftro Vo- lumetto Metafilico abbiam provato per ogni parte .Ora dalla univcrfalità, della quale abbartanza fi è favellato, trapaf- fiamo alla necertità, ed antichità per
ri- coglierne altri argomenti. Ma io non prendo ad ofiervare Pef- fere necertario , per trar quindi
dritta- mente Immortalità
nuovo, c contingente per argomentar-
ne cecità , ed infenfatezza nella mate-
ria . Perciocché agevol cola è ad inten-
dere , quanto nell’ indiftinzione la ne-
c ertiti, ed antichità ; tanto nella necef- fità , ed antichità 1* ertere indi vifìbile , ed immateriale: ed al primo afpctto, come /iella dirtinzione della materia fi ravvifa torto novità, e contingenza j co- sì nella novità ; c contingenza 1* efler cieco, ed infenfato fenza molto (len- to fi riconofce . Onde il far quegli ar- gomenti , farebbe più torto di ciò eh* è (lato detto, una riftucchevole ripeti- zione , che di nuovo ingegno, una di- moftrazione novella. Benché non porta negarli
# argomenti d’ immaterialità ,
ed * 1 salirà nella Mente : ne 1* erter m
■* . ss» a * ' -Digitfted by Google « •K'j
« • • . ,7© DELL’ ANIMO negarti, che la ncccifità fopra la
indica- zione; e la contingenza fopra la
diftin- xione aggiungono una, come
dicono, nuova formalità. Adunque nella
necef- fita. fi vuol notar folamenteil
primato, .e’1 principato del proprio
edere : che è*il più forte de’
nobililfimi argomenti Platonici, da più
degli .Autori trattato con poca
dcgnità.E nella contingen- za deefi
moftrare fol la fuggezionc, e la
dipendenza , che meglio di ogni altra
cofa ne conduce a quel Vero , che nella
materia andiam ricercando . E vuolfi per
tanto dcfcrivcrc prima la necclfirà, e_
poi la contingenza: avvenendo per fimi-
glianti acribologie, che mirabilmente e
l’ idee fi dichiarino, e li fortifichino gli argomenti. Or la neceflità, che altro è Jìù*cbeelia fc non identità , o
inclufione_ Jìa . dell’clferc in una
fempliee unità; onde l’efienza con ogni
fua parte , e con fe- co medefimaè
infeparabilmente connef- fa ? E poiché
un cotal nello non può conccpirfi che
fia, fe non infra più Ra- gioni, o
elementi, o parti ; 1’ identità dell’uno
col numero inclufo;e del nu- mero coll’
uno includente; c delle par- ti if. -
* ’• Digitizec DELL* UOMO. 71 tr del numero infra di loro in
quell’uno» medefnno, e’ farà certamente
il nello della uccelliti . E in fine non
potendo» tutto ciò edere fenza
intrinfeco produ-- cimento , e fenza
intrinfeco procedo dell’ uno dall’
altro; nelj’ efienza necef» faria ,
necelfiria mente eflèr dee princi- pio,
mezzo, e fine:, così che il princi- pio
internamente produca il mezzo, c’I fine,
e a quelli comparta tutto il fuo edere ,
e in tutto 1* eflere di quelli fi
diffonda • e ’l mezzo , e ’l fine vicende- volmente tutto il loro edere nel prin- cipio rifondino , e in quello ritornino ,, e fi ripolino . La necelfita è edenza., avente unità , e numero ,. principio , mezzo , e fine per interne comunica- zioni indivifibilmente congiunti . E
adun- que la necelfita in fc , e con
feco ,,eL- da fe medefima , ed avendo in
fc mer. **ìzo , e fine prodotti da un
principio,, che è ella medefima ; viene
con ciò avere il primato, e ’l
principato del fua> proprio edere ,
da ogni altra edenza m? quello rifguardo
libera, c indipenden- te. Dichiarate
così quelle nozioni, di-' eiamo’ che la
neceflirà, o non è ella_, MI» . a
fiat- •* • r
v “nitiVarl l.
,T> » ; . rx
*■- \ uX ' T ..
(. * V « • Vk *• *.
K T' -■ *- ; v
- . • -* V ~ [ • rV‘ te.
-a * * -V ; u.
e procaccievolc la fcien- onde
pròve' za • Quello è dedò ficuramente tutto il
i ™ . nerbo di quel famofo argomento pla- tonico, che T Anima dell’ Uomo muo- va fe medelima: e perciò da fe dipar- tirli, ed abbandonare fe (leda a vcrun__» patto non poifa giammai. E di queiral- tro pur di Platone , che nel primo è im- plicato , cioè che l’Anima dell’ Uomo,*' fia eda vita, onde il corpo fia , e li
di? t ca vivente : e per tanto finir di
vivere platonico del? per niuna
contraria forza di natura non
immortaliti . poflain niuna guifa. Perciocché qual’ai- tra cola è ella la vita , fe e* non è
un«, atto perenne , e podcrofo nelP
edere, e nell* operare? la vita è edcnza
attuola, ed atto eflenziale, o
foilanziale: è ede- re, ma perfetto,
pieno, vigorofo ope- rante : è ella
altresì operare, ma faldo, tobufto,
incettante. La qual cofa uni- camente è
polla nella generazione, comunicazione
dell’ edere . Nella vita adunque è
pofleflione dei proprio cfse- I DELL* UOMO. 7 $ re, e del proprio operare, che fi
diftin- gue , e fpecifica nella pollone
del vero , e del retto , e della fcienza
, e della legge, col potere ad
apprenderlo, e confeguirlo : e nella
pofseflione del proprio potere, colla
fcienza ad inten- derlo, e a reggerlo
colla regola. La vi- ta perfetta è il
fapere, volere, e po- tere della mente .
Ma fonovi nondime- no certi gradi d’
imperfetto vivere, per gli quali a
quella fommità della vita mentale,
dall’imo d’ impcrfcttiflìme vi- te fi
afccnde , che altrove forfè dile-
gueremo . , > : « •di-
vediamo ora della Novità , e Contin-
genza della materia , e del fuo eflere^ f . fpregcvole, fuggetro, e dipendente . Il
v che, per quel che dell’ intelligenza
det- to abbiamo , come facile a
comprende- re , preftamente in pochi motti
fpedire- roo. Siccome nell* inclufione
dell’ intel- ligenza è il vincolo della
neccffità ma- . ' i mfcfio ;cosi nella
efclufione della mate- \ • • 4 ria
chiaramente feernefi l’ infragnimen- >
to, e ’1 difcioglimento della contingen- ebetekj* L * contingenza ella è sì fatta , che Z£ s
l™. 1 • parti , 1 ’ une all’ altre fono
rtra- «**• K 2 mere, • ■ , . • ' ì . • * * Digitizeà by Google la Mate-
ria fi fpopjia dì ogni prin - CÌpGtO «
7 6 DELL* ANIMO.
nierc,avveniticcie ,e nuove; ed al tut-
to ancora, che non in altra guifa, che
i* une all’ altre avvenendo, e congre-
gandoli infierae, compongono; e 1’ une
dall’ altre dipartendoli , c fegregando- - fi, agevolmente depongono. Come rincontro per le ragioni medefime , il tutto alle parti Tue, onde ora è coftrut- to , ed ora diftrutto , egli è Uranio, nuovo, e avveniticcio. E giacche l’ in- diftinzione decedere è il nodo infolu- biie della necedità ; ben egli è uopo ,
' che nell* ogni diftinzione- tanta
contin- genza li ritrovi , quanta non
può edere altrove. La Materia adunque
per cotai difetti non può in fe edere,
ne confetf co, ne da fe;ne può avere
interni prin- cipi , mezzi , c fini per
interne comu- nioni infcparabilmente
infieme avvinti. Il perchè non potendo
muovere, o reg- gere fe medefìma dentro
di fe ; ne_, fuori di fe altrove in
altre cpfe pe- netrare a muovere , o reggere
foftanze da fe diftinte ; è forza che
ella fi ri- manga nuda d’ogni primato ,
e princi- pato di edere, c di operare,
fenza lu- me di faperc , fenza nume di
volere, . , ZT . ' efen- Dtgitfzed by Google DELL’UOMO. 77 C fenza fermezza di potere , di fcienza
, di arte, e di regola fprovveduta ,
eie- v ca , infenfata , inerte, informe,
ed im- a potente del tutto. Quel capo di
fogge -• ' ■ zione, e di dipendenza ,
fecondo quel- la generai ragione del non
edere , egli è come radice di tre più
proprie, più fpeciali dipendenze: il
primo di non intendere alcun edere, o
vero; l’altro di non appetir retto, o
bene niuno,c’l terzo, ed ultimo di non
avfcre niun_» vigore verfo niun obbietto
, di muove- nte fe medefima . E qui
altresì è cofa de- gna di maraviglia ,
che in quel generai difetto, è manifefto
lo fcioglimento , e’1 fluita della
contingenza, quafi dei non edere; onde
1* edenza , o fuftanza ^ della materia è
rifolubile , caduca, temporale . La qual
contingenza fi diri- va, e comparte ne’
tre capi fudeguen- ti: deche nel primo
di quelli c la con- tingenza del non
fapere; onde la Ma- teria è cieca, ed
infenfata :c nel fecon- do è la
contingenza del non volere ; , onde la
Maceria è difinchinevole , ed
indifferente : e nel terzo è quella del
non potere, onde la Materia è pigra,
e feio- Digitized by
Google 78 DELL* ANIMO e fcioperata . Quello egli c tutto il
fà- yf reomento mofo argomento
Ariftotelico di là pre- Anjtotelico rii
r r • dciu Divini . *° » che qualunque
corpo fi muova , e ta debba da altro corpo efler moflfo :
on- de per non procedere in infinito ,
abbia ad efTcrvi un primario principio,
da fe movente il tutto . Conciofliachè ,
come il potere della Mente ritorna nel
Capere , e nel volere, per gir colla
cognizione ver- fo il vero , che fi
conofce , e coll’amore verfo il rètto,
che fi appetifee ; così il non potere
della materia fi ellende al non Capere ,
e al non volere il vero , che non s’
intende , e ’l buono, che non fi vuole .
Adunque come nella coCcien- n za dell’
Uomo ,da que’ tre principi del»- trìnci}
j men - le tre poteftk mentali fi perviene, a co* **• noCcerel’ Immortalità della mente
dclP Uomo; onde poi di più conoCcijmo
la cecità , ed inCenCarezza della
materia; co- sì nella conoCcenza, che abbiamo
della Materia, fimilmente da’ tre
principi de* vizj materiali , fi
comprende la cecità di quella Coftanza ,
e 1* inerzia , e 1* in- differenza, ed
impotenza:* onde poi ve- gniamo a
conoCcere 1* infinito Capere, volere, e
potere della mente del Mon- do. De*
Dlgitized by Google DELL’ UOMO.
79 -, do . Imperocché il primario
generai ca- po viziofo, ci mette dinanzi
agli occhi Come da tre il difettofo
lubrico edere della Mare- ^{Tcomjce ria:
onde argomentali infinita efl'enza , l’impotenza^ che l’abbia dovuta trarre dal nulla. Il primo fpczial vizio del non Capere, ne
zadeltaMe * h fa intender chiaramente il
difordinato, Um ,c turbolento, ed
informe edere della_, medefimajonde fi
argomenta infinita lapienza, che
coftanza, ed ordine, e— ; .forma le
abbia donato. Il fecondo, e’I terzo del
non volerete del non potè- *>- , re,
fa veder l’ edere materiale del tut- to
impotente , ed inetto: onde fi racco-
glie dovervi edere Comma benevola po- vV t- teda, ed onnipotente Nume, che drit- ti, e fruttiferi inchinamenti , e moti
le abbia conceduti . L’ uno , e T altro
è egli un ben triplicato argomento dell
r Im- mortalità della Mente dell’
Uomo,e_ dell’ efidenza della Mente del
Mondo • c della fuggezione , e
dipendenza della Materia particolare
dalla Mente parti- colare dell* Uomo; e
della materia uni- verfale mondana dalla
mente univerfa- le del Mondo. Il quale
Aridotelico ar- gomento nondimeno ,
menti tenebrofe,* v altri • • «■
4W4 ■' i A .->***«* Vii*.
T-' . * » > I '
QigitizcKt-ty v»^***Ó * 1 . ■ -»
-* ‘,i fc Cowf /* della
Scien- za , mento , quel Filofofo riftretto dentro de’ confini deli’ attività del fenfo
dalle-, materiali origini, che in quelle
ofeurt- tà, e in quelle anguftie poflono
parere e’ prende, e così efprime ne’
feguenti ve rii . -m* j w* DHLL’ UOMO 85 Tum cum gìgnimur , & viu cum limen humus
: i&wrf ftu conveniebat , uti cum
corfore , cìr «nà Caw membris videatur
in ipfo fanguine creJTe ; velut in
cavea per fe Jìbi vivere folam Conventi
, ut fenju corpus tamen affluat orane .
Siccome contro all* efiftenza della».
Mente univerfale , 1* argomento , che
dalla fenfuale origine del Mondo trag-
go* 1 più i novelli , che i prifehi Epicu- rei, cioè che nell’Uomo, e nel Mon- do, altro che *1 corfo de’ penlìeri
loro, ed altro che la mole, e i moti
della materia non veggendo ; nell’ Uomo
al- sfro che un fugace penfiero , e nel
Mondo altro che mobile materia non
elTere ar- gomentano ; quell’ argomento
, dico, per quella fola dottrina delle
due fpc-t 2,c di foftanze , c di origini
, fenza far altro, rimane fviluppato,c
fpianatoper ogni parte. Perciocché, fe
niun di lo- ro, non convinte prima di
vanità le fpi- rituali follarne, e le
fpirituali origini , che con chiari , ed
invitti argomenti abbiam dimoflrate,
crede di premerci ancora coll 'apparenze
delle origini fen- dali ; egli è
Scuramente uno feempio. ■*** Con at ti
8 6 DELL’ ANIMO v Con tutto ciò
e’ fa di meftieri , che quelle inviabili
origini in quello luogo in alcun modo
almeno deferivamo . Adunque poiché 1*
eflfer neceflario , e_ T efler eterno
fono i primi , e più cer- ti, e più
fplendidi lumi dell’ umana co- gnizione;
e poiché 1' infolubilc della.* neceflità,
e 1’ antico dell’ eternità fon proprie
doti dell’elTenza indillinta , pe-
netrevole, e comunicante; e* non altro-
ve , che nelle tre principali forme del
fapere,del volere , e del potere indi-
ftinzione , penetrazione, e comunicazio*
ne può rinvenirle d’altra parte e* non
ci ha cofa più fparuta, e vana, e fug-
gevole della contingenza , c della novi-
tà , le quali quanto dal vincolo della_*
neceflità, e dal primato dell’ eternità li dipartono , altrettanto dall’ edere, e
dal conofcere fi allontanano ; e come la
no- vità , e la contingenza fono
proprie., dell’ cflenza tutta divilìbile
, e impene- trabile della materia, così
alla medefl- ma materia la neceflità, e
antichità, o eternità fono improprie, e
repugnanti; e finalmente poiché non
altrove 1’ ogni diftinzione, colla
divifibilità,e impene- dell; uomo-
sj trabilità ritrovali, che nella
cecità, in- differenza , e impotenza
materiale; Poi- ché, dico r tutte quelle
cole per luci- dilfime nozioni, e per
certilTimi argo- menti fon vere , e
manifelle , e con- te : egli è in ogni
modo da dire, che la neceflità, e V
eternità non già nel vuo- to^ nel nulla,
ma nel pieno, e neH’cf- fererne nell*
edere della materia difttn- ta,
divifibile , impenetrevoFe, e con-
tingente, e nuovo; ma nell’ edere del-
la mente, fndiflinto, indi vifibile, pene- trevole, necelfario, ed eterno, lì deb- bano allogare. Anzi che la neceflità , ed eternit* fiano Ta fteflìflima mental natura primaria, e lovranare che FjLj M ente prima altro ella non ITa, cheef- fa neceflità, cd eternità, di Capere,
vo- lere , e potere dotata . La quale
per Letìfere necelfario, ed eterno, da
uni- co , fupremo , libero , e
indipendente principio' del fuo elfere ,
che è l r ogni eflfere fpiritnafe ; e
dell’ elfere della ma- teria, che è l r
ogni edere corporale, cut abbia ogni
folhnza , ed ogni potere con- ceduto, ed
apprettata ogni forma. Por, perchcogni
particolare alfuouniverfale, come 88 DELL* ANIMO ' come a Fonte rivolo fi dee riportare ; Umilmente è da tener per fermo , che-* come la materia dell’ Uomo dall’ im- menfa felva dell’ Univerfale materia el- la è tratta ; così la Mente particolare del medefimo ,dall’ infinito potere
della Mente univerfale è provenuta . Ma
la Mente dell* Uomo, benché ella è in
al- cun modo di neceflità,e di
antichità partecipe , e delle tre forme
ornata ; onde può fignoreggiare la
Materia, e di -vita, moto, fenfo, c
d’ideali forme fi- gnificanti cogitative
, e fenfitive fornir- la ; tuttavia
perchè ella è finita , e par- ticolare,
non può dominar la Materia, ne con
produzioni di foftanze, ne con
introduzioni di reali forme. Dal che li
raccoglie efler dritto della Mente uni-
verfalc, che ella, come ha prodotta, e
moda, e moderata la Materia univerfa-
le per la formazione di tutte le fpezic
delle cofe mondane, ad edere; così pa-
rimente abbia prodotto, e moda, e fi-
gurata la materia particolare per 1* in- * formazione , onde fieno l’idee, e forme ■
. fignificanti a fentire,e a conolccre .
Nel qual noftro diviiamento è pure , a
mio * giu- # »
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? * . .‘^fliqitizedjay.
Google DELL’UOMO. 89 giudizio , memorevole un bel cambio di libertà, e di dipendenza tra la Men- te particolare, e la particolar materia nella coftituzione dell’Uomo . Imperoc- ché la Mente , comechè per le tre for- me mentali aver deggia primato, liber- tà, ed indipendenza ; con tutto ciò per- chè è terminata, e particolare, non può ella da fé trarre la Materia al fuo con- sorzio, ed alla compofizionc dell’ Uo- mo: onde per la particolarità , e termi- nazione, ella è in quello ancora, e fug- gett 3 ,e dipendente : e la materia,
ben- ché per le tre forme viziofe
materiali , di Tua natura fia dipendente
, e ferva ; nulladimanco , perchè è ella
con tan- ' to ingegno formata, che debba
eflcrc informata al fenfo , ed alla
cognizione ; è libera , ed independente
dalla materia univcrfale . Conciollìachè
quella forma, che è magifterio di
Sovrano Sapere , non Solamente la
Sottragga alla debolezza , cd alla
cecità della materia, ad ogni al- tra
formazione di per Se impotente ; ma
oltre ciò la debba diftinguere , e Se-
gregare dall* univerSal Seminario , e dal- la formazione universale dell’ altre co- •M Se.
' ¥ ri. 1
» t . Digjtized by Google > • • : ^ 4 »
Vera orìgi- ne dell' Uomo rintracciata
col lume del- la filofofia . Origini ma- faiche ezian-
dio all’ umano faPere chiare
, efuminofe . 90 DELL» ANIMO fe . Sicché per quelle vie vienfi a co- nofccre eziandio, che dalla mente uni- vcrfale, non già la fola mente partico- lare per creazione; ma infieme la par- ticolar materia deir Uomo, quanto al- la formazione , immediatamente è do- vuta procedere . Quella è ella 1* origi- ne deir Uomo, che con quell’ altra del Mondo giunte infieme , fono il vero pieno, perfetto, armonico , e maravi- gliofo delle facre origini mofaiche, con ogni ragione ,c con ogni legge , c rego- la concordi : quanto ofeure a’ baffi , e ca- liginofi intelletti , tanto a’ fublimi ,
e purgati eziandio dentro i confini
dell* umano faperc Iuminofe . Laddove
e», manchevoli, e difordinate, ed inette
,e da ogni ragione , e regola
difeordanti , le origini di Diodoro, e
di Lucrezio, e d’ altri fenfuali
Filofofanti , anche al lu- me del
mondano fapere per falle fi ri-
conofcono . Per fare come un
Epilogo delle co- fe della natura dell’
Animo finora de- putate ; prima abbiam
provato , che*. 1* Animo è ineftenfo, e
penetrevole . Secondo , che elTo è
immobile, ed inva- ria- *
. Dinlti7 # DELL* UOMO. 9 i riabile .Terzo, interminato , ed umver- fale T abbiam dimoftrato ; inquanto
Tini- mobilità , e T infinità fi
oppongono alla mobilità, e finizione
materiale . Quar- to , che e’ debba
avere dell’ edere ne- ceffario, ed
antico . Quinto , ed ulti- mo che egli
abbia libertà , cd indipen- denza , e
primato , e principato del proprio
efTere , e dell’ alrrui . Da tut- te , e
ciafcuna delle quali ragioni egli fi è
conchiufo , dover T Animo in__. ogni
modo edere immateriale , ed im- mortale.
Di più colf ultimo argomen- to del
primato , abbiamo feoperta la va- nità
di uno de’ principali argomenti dell*
Avverfario . Ma quante ragioni abbiamo
allegare, per convincerne della diverfi-
tà delle due nature dell* Animo , e del
Corpo ; e per conofcere T edere fpiri-
tuale,ed Immortale dell’ uno, e T eder
cieco, ed infenfato dell’ altro ; altret- tanti oftacoli pare che dinanzi ci fiamo opporti , per non intendere il concorfo, e la congiunzion loro a coftituire un_i principio di edere , e di operare nelT Uomo. Imperocché quanta fra quelle^ due nature è diderenza nella foftanz# Mto* M 2 dell’ ci- *» DELL’ ANIMO .deir edere , e nella maniera dell’
opera- re; altrettanta ripugnanza pare
dover- vi edere ad unirli infieme alla
coftitu- zione di una natura . La qual
diflicultà ella è tale, che come l’altra
dell’unità dell’ edere, e dell’ operare
dell’ Uomo , prima ha fofpinti gli
Epicurei a credere che l’animo, e ’l
corpo fiano una me- defima natura; così
la difficoltà del po- tere edere due
nature diverfe , gli ha», poi nell’
errore vie più confermati . Gonciodiachè
prima fi prefentò loro in- nanzi quella
unità , onde facilmente», ConcKiufero la
dmiglianza delle due na- ture : e pofeia
contro ad ogni più forte argomento, che
l’animo di altra natu- ra dover edere
dimoftrade , han fatto riparo con quella
ripugnanza : che na- ture cotanto
diverfe non potelfono con- venire
infieme a comporre una medeli- ma
eflenza . Sicché tutti gli argomenti
della mortalità da quelli due capi , che
ora abbiamo additati , difendono . Ed
ancora quella immaginata ripugnanza ,
cotanto ella ha potuto fopra lo fpirito
di alcuni moderni Filofofanti ; che per
le loro vie , e giuda i loro principi , 1
DELL’UOMO. 93 non potendo eglino
unire infieme lana- tura fpirituale, e
la corporale a formar 1 ’ Uomo , fonofi
rivolti a voler riftrin- gere, e
rinferrare la foftanza dell’ Ani- irrori di
mo chi ìh una parte , e chi in un* al- t&StS. rra acl i^elabro ,come già argomentato tomo
alta Se. avea Lucrezio, che dovette
farfi ; ****** T animo di fuori venitte
a compor l’Uo- * mo , e non gii col
corpo da fimiglianti principi nafcefle .
Or chi crederebbe - che anzi quella
diverfirà è ben ella la , cagione, onde
la natura fpirituale, e la corporale
fono inchinevoli, e prette a convenire
infieme , o nel mondo alla formazione
per lo produci mento di tut- te le
fpezie materiali , o nell’ Uomo a produr
1* Uomo, e le forme fenfitive, e
lagionevoli all informazione? 1 cotan-
to egli è vero, che P inveftigazione ,
dal principio male avviata, per tutto
il corfo, poi fino alla fine fa traviargli Uomini dalle verità, quantunque age- voli, e piane. E per difingannareognu- no, noi dicemmo gii, che la Mente 7 per 1 inclufionc , o penetrazione è ella
* i n S e & nj °fa f attuo fa y
operante; e per la raedefima cagione è
altresì invariabile,, • w ^ «P« • f
I DigitizóJ by Coogle 514 DELL* ANIMO, e per così dire,impallìbile, o impazien- te: e che la Materia, per l’ efclufione
, o impenetrabilità è infenfata, viziofa
, fcioperata ; e per tanto è oltre ciò
mu- tabile, e per così dire, paflibile ,
o pa- ziente: poiché immobilità, ed
invaria- bilità, che della Mente c
propria, egli c il medeiimo , che
impaflibilità , o im- pazienza: e
mobilità, o mutabilità, che della
Materia efler propria dimoftram- mo , è
lo flelTo che pazienza, o paflibi- lità.
In quella impaflibilità , per cui la
Mente non può edere moda, mutata,
o variata, e* può parer vizio, o difet-
to , e nondimeno è virtù: e propriamen-
te ella c l’atto pieno, perfetto , vigo-
rofo, onde la Mente è, ed intende tut-
to ciò che eder dee, ed intendere: ed
infieme produce ad edere , ed efprime
a conofccre ogni foradiera edenza. E
così la padibilità, o pazienza, per cui
la materia non è immobile, e invaria-
bile , può parere virtù ; e tuttavia è vi- zio: e propriamente ella è la potenza vacua, imperfetta, inferma, onde Ia_# materia non ha proprie forme di ede- re , ne d’ intendere ; ne di produrre,
ne *
DELL’ UOMO. 9* di efprimere
realità, o idee nell’ altre cofe . E
ficcome V atto mentale , che- per 1*
immobilità fembra dover edere infertile,
ed informe, dalla fua unitali conduce
alla moltitudine, a produrre-, molte , e
varie forme di edere , e da intendere
nella variabil materia ; così la potenza
materiale, che per la mobi- lità par
dover edere fertile , e formo- fa,da fe
trafcorre ne’ difordini,e negli errori .
Ma ben ella dalla moltitudine all* uno,,
cioè ar conciglio, all* ordine , ed alla
forma eder può condotta per forza, ed
ingegno della Mente , La_* Materia da
fe non ha forma , ne atto ^nzTddl^L
alcuno; ma per quello appunto ella è virtù della-* tutta capace, ed abile a ricevere ogni
^detuM^ forma, ed ogni atto. La fodanza
eden- mia.. fa, rutta didinta , e di
viflbile della ma- teria , che in
dividendo o non mai ad alcun termino
perviene, o termina in indivifibili
edremità: quanto per quedo ella
apparifce mobile, e variabile ; tan- to
s’ intende eder pieghevole , ed arren-
devole , ed odequiofa a prendere tutte
le forme , e i modi,, che *1 fapere, e
volere mentale può ritrovare . Se la^
ma- Digitized by Google 9 6 DELL’ANIMO materia non forte tale qual’ è , eftenfa
, impenetrabile, divifibile, e variabile
in ogni modo ; non potrebbe ella efler
ca- pace a ricevere forme, ne reali
operan- ti nel Mondo, ne ideali
lignificanti nell’ Uomo . Se la Mente
non forte ineften- fa, indiftinta,
immobile , ed invariabile; non avrebbe
ella ne potere , ne inge- gno di forme;
ne potrebbe aver virtù, ne modo d’
informar la materia . La_. leggerezza ,
ed incortinila, e variabili- tà, ella è
della abilità della materia ad erter
formata, o informata. La fermez- za , e
cortanza , ed immobilità , ella è def-
fa virtù della Mente a formare , o in-
formar la materia . La Mente per la
virtù, che è il fuo atto, è principio del- le cofe operante . La Materia per lo di- fetto, che è il fuo edere potenziale , è principio delle cofe, per così dire,paf- fivo . Quella è la più rimota attitudine
, e capacità della materia per la
produ- zione del Mondo, e per la
cortiruzione dell’ Uomo a concorrere, e
a congiu- gnerfi colla Mente. Ma altro
e* fa ben di meftieri , che polTa edere
vicino appa- recchio a sì grandi opere
maravigliofc . /I DELL* UOMO. 97 La Materia , fecondo l’ opinione di coloro, che nell’inizio delle cofe vo- gliono il vuoto , dee edere fcompiglia- ta, e fparfa in moti difordinati , e
tur- bolenti : e fecondo 1* altra degli
altri , che noi vogliono, dee darli
immobile, e fcioperata: nell’uno, e
nell’altro fi- ftcma ad ogni formazione
inetta , ivi per lo fcompiglio,e
difordine, che proi- bire ogni fruttuofa
compofizione , equi per 1* immobilità ,
e fcioperaggine, che toglie affatto ogni
sforzo ad ogni in- traprefa. Il perchè
gli uni, e gli altri per viediverfe
s’ingegnan di adempier quei difetti
della materia, e di appa- recchiarla, e
condurla alla formazione . Ma lafciato
da parte dare il contrado di quelle
rimotc origini , che qui non ha luogo;
egli è certiflimo , che la ma- teria di
per fe impotente, ed infruttuo- fa , con
due condizioni può pervenire a comporfi
, e variarli , e a comporre , e produrre
i var j frutti delle varie fpezie delle
cofe. L’uno è il contatto, che_ aduna le
parti ; l’ altro è il confenfò , o
concerto , che unifce infieme i movi-
menti. La Materia quando ha le parti
N con- Due condi- zioni necejpi- riea compor-
re , e Variar la Materia • ;
98 DELL’ANIMO congiunte in un lol
corpo , e i moti cofpiranti in un fol
moto; allora è ella nel colmo dell’
eflere variabile , e pie- ghevole , e
offequioSo . La Materia pria Sminuzzata
, e raffinata , colle parti in- ficine
accolte , e co* moti tutti in uno
convegnenti , ha la maggiore Squisitez-
za dell* eflere paffibile, o paziente, che è,o a raflomigliar l’ idee mentali moda- li , o a congiugnersi con idea Softanzia- le, la più vicina , e più pronta
diSpofi- zione. Imperocché in quello
fiato, con quelle doti la materia in
certa guiSa al- lora è con Seco , e da
Se , ed in Se : ed ha il primato , e *1
principato del Suo proprio eflere , nel
tutto le parti adu- nando; e ’l tutto
alle parti eftendendo ; e le parti fra
loro, e col tutto infieme giungendo :
ficchè ne moto in una par- te può
SuScitarfi , che per tutte V altre parti
non diScorra , e per tutto in ogni lato
non fi diffonda ; ne modo , o for- ma
può imprimerli in una parte , che», ad
ogni altra infiememente da ogni ban- da
non fi comunichi . Con che la ma- teria
tanto all* eflere mentale fi avvici- na
, che ben può tutte le idee dclla_.
UBeJÈt ■ • men- . •jJ,
iwO '
• »** j.v»W DELL’ UOMO. 99 mente agevolmente cipri mere , e tutti i numi prontamente efeguire , c la fu- ftanziale idea fecondare , e con quella Erettamente collcgarfi acoftituir
l’idea, e ’1 nume dell’ Uomo . Colla
copia , e col contatto delle parti , e
col confcn- fo, ed armonia de’ moti, la
materia ha tutta la felva, c tutto il
potere , e tut- ta l’abilità per
appreftare a Mente fu- periore tutte le
forme delle cofe , colla produzione di
tutte le fpezie mondane^ c per
appreftare fe medefima a Mente conforte
, per la coftiruzione dell’ Uo- mo, col
producimento di tutte le for- me ideali
fenfirive, c ragionevoli. Ma per
deferivere più particolarmen- te la
maravigiiofa unione delia Mente, e della
materia nell’Uomo, non già per hmfrabÙZ^,
confermarla, che di già abbiam fatto ;
è uopo affifarci ad oflervare le opera- t^Materi zioni dell’ animo noftro : che giufta il
nell'Uomo veriflimo volgar principio,
quale 1’ ef- fer delle cofe, tale ancora
è l’operare: e vicendevolmente qual è
quello, tale efter dee quello
infallantemente . Quan- do l’Uomo
apprende le forme fcnfibili della
materia circoftante ; e in appren- . » N
2 dendo Sì prende ad adombrare - Digitized-by Google .t i»
. : * \ 100 f:
.. ^ Coro* Al-» . A lente
apfrc- r da le formai ì • de' fenjtbili obbietti •
li ■ *
'> 3 - 4 » E; V ' DELL* ANIMO
dendo quelle forme da* piccioli indizj -, c rudimenti negli organi de* fenfi
intro- dotti , come altrove abbiam
ricordato, le difpiega , e dilata ;
certamente allo- ra la mente nodra , e
raccoglie in uno i numeri , ed adegua le
dimenfioni , ed efprime le modificazioni
della materia . In quelle fcnfuali
figurazioni la mente ha per fuo oggetto
la materia formata ; e in quell’ edere
della materia, diciatti così,
obbiettivo, la mente fi congiugne in
alcun modo colla materia ;ficchè or- nandoli delle di lei forme , dentro di fc nel fuo eflere eftende , fpiega , e
figura la material fodanza . Similmente
quan- do da’ geometrici elementi , e
dalle-, combinazioni, e da’fillogifmi ,
la Men- te dell’ Uomo da fc giugne a
trovare forme artificiose , da
trasmettere nella materia ; quelle forme
medefime , nel fuo medefimo edere
codruifce ; molti particolari in uno ,
cioè nell’ una* fua_. Semplice , e
indivifi&ile edema , eden- Stoni,
figure, e numeri effigiando . Adun- que
nelle mentali nodre operazioni, due cofe
quanto certe , tanto memorevole
intervengono* L’una è, che la Mente
con Vf. V
M * Oigitized by Gòogie • -
VÙk' i, % dimento . Per quello
novello fiflema.» coflrutto fopra
faldilfime fondamenta , S* intende bene
quali fieno i principi . ; . LHj dell*
Uomo: e le maniere dell’ operare ,
utilità del come colle più interne, e più fecrete nuovo fijiema guife dell* eflere mirabilmente
confen- tano : e la Mente dell’ Uomo , e
dell’ U- niverfore la materia dell’ uno
, e dell' altro: e TofTequio di quella,
e di quel- la materia :c la virtù di
quella Mente, e di quella ; dell’ una a
formare , e dell' altra ■*, A.
\ :: JL ■*: Digitized Grtogl» • . \
DELL’UOMO. io 5 altra ad
informare, con mille altre ve- rità
finora alla maggior parte degl’ in-
gegni nafcofte , vegnono a conofcerfi
chiaramente. Sopra tutto per quefta_r> dottrina , 1* argomento di Lucrezio ,
che dal confenfo dell’animo, e del
corpo, il contatto di quelle foftanze ;
e dal con- tatto l’uniforme natura di
amendue*. Vucrezio. vuol concludere
;'nel quale tanto con- fìdanoi novelli
Epicurei ; fi difcopre-chc
Secondo argomento di | / l
'egli è ufeito dal più cupole più rene-
brofo fondo dell’umana ignoranza . L’ar- gomento è efpreflo in que’ verfq : - hit.
Uh H, *tm e. L bt. enim propellere membra , «-
f I.v ’ - Corpoream docet effe.
Ubi. enim Corripere exjomno corpus ,
mutar eque vultum , Atque hominem tqtum
regere , ac ver far e videturz {Quorum
nil fieri fine ta8u pqffe videinus^ '1
J«M! r i t.*V. ‘. & ^ i.
H£ t. ‘ fi io 6 DELL*
ANIMO mentale, che è la penetrazione, e
i’ in» elulione . E che 1’ eftenfione,
la fuccef- fione, e ’l moto con quel
contatto , e con quel contenta, fono il
più pronto, c predo inchinamento, ed
olTequiodel- la materia. E in fine, che
P oflequio ap- prettato con quelle
condizioni , e’1 pò- cere efaltato con
quelle doti , fono la maniera più
adattata, e più conface vo- le di unire
infìeme la Mente , c la Ma- teria alla
coftituiione dell’ Uomo . Ma fe
Lucrezio colla feorta de’ tan- fi non
potè penetrare in quelle profon- dità ;
almeno dalla poteflà , e dall' im-
perio, che P Animo ha fopra il corpo,
potea coll* efempio d* illullri Filotafi
alcuna cofa argomentare di più prege-
vole, che non ha fatto. Tanto più, che
quella prerogativa cosi bene efprirae
in quelli verta : 0 Citerà pars
arùieé per totum dljjìta corpus Paret,
& ad numen mentiti momenque movetur :
' a* * - • ^ \dque Jìbi Jolutn
per fi fipit , cSr fibi goudeti Cum
ncque res animami neque corpus commove t ulta • Concioflìachè lo fptendore di cotal prin-
Pigitized by GoogU • • . ,
tn« » wn io8 DELL’ ANIMO folo , ma tutti in un colpo avrem ricili i nervi di tutta 1’ argomentazione Lu- creziana . E benché con dimoftrarc lo fcambievole inchinamento , c combacia- mento di quelle nature , fi è in parte-, (pianata la difficultà ; tuttavia ci c altro da dire ancora , per farne da prcflo ad offervare quella maravigliofa unità. Nel fenfo , e nella cognizione dell’ Uomo , o per la percezione delle efterne for-» me, o per la concezione dell’ interne idee ; egli è da por mente ad una cola affai memorevole , che non fi è finora nelle bocche udita , ne su i libri letta delle novelle famiglie de’ Filofofanti : cioè, che quanto da noi , o concependo fi penfa, o con percezioni fi apprende, tutto dee effere in fé raccolto , accon- cio , ordinato, e comunicante: e nien- te , che o diflìpato fia , o confufo, o difcordantc , può ne effere efpreffo da- gli edemi obbietti, ne per interne idee figurato . L’ obbietto del noftro fenfo
, e della noftra cogitazione ,
proporzio- nevolmente fecondo che più ,
o men-» vive , e chiare fono le
fenfazioni , e le idee , egli de’ bene
effere ordinarameu- • j , . ■ i * o
te — . Digi^ed by GoogUf DELL* UOM O. .109 te confetto , c congegnato: licchè le
par- ti ciafcuna al fuo luogo adattate,
etra loro congiunte compongano ciò che_ deono comporre: e poi per lo moto, il tutto colle parti , e le parti col tutto , _
. ed infra di loro, comunichino
infieme vicendevolmente . Imperocché,
come altrove è flato detto , qual’ è
nella Mcn- OlfaV è la te la penetrazione
, e 1’ inclufione ; tal’ L///ES, è il
moto nella materia: onde la pene- limato
trazione, un moto della natura fpiri- ne ^ t,AaUr,a ' tuale fi può dire che fia ; c ’l moto
all’ incontro una penetrazione della
corpo- ' ralc. Oltre a ciò la
confettura, e’inu- mero, e le dimenfioni
con arte voglion ettere difpofte: ed in
numero , c mifu- ra regolatamente vuole
il moto per tut- to da un capo all’
altro trascorrere :e di quindi nella fua
origine ridondare: e-, tutto ciò
variamente, fecondo il vario ingegno , c
’l vario modo delle cofe . Conci oflìac
he , come nell’ efprelfione_* dell’
efterne fignificazioni , o azioni , - »
tutto l’ ingegrio, e tutto il movimento
vien da fuori , e fi riproduce nel fenfo
dell’Uomo; così nelle figurazioni inter-
ne, a formar 1* opere dell’ arte , tutto r in-
V / I* * Digitized by Google /
JT Luce , e le- nebre che fia- to elle.
I ,no DELL» ANIMO T ingegno, e ’l movimento dall* inter- no fenfo dell* Uomo provenendo, nel- le materie efteriori pofcia fi diffonde
. Fermamente ove è diflipamento ,
tu- multo , difordine , e difeordanza ,
qui- vi ci ha egli un chaos tenebrofo al
fen- fo , ed all’ intendimento dell’
Uomo : ed ove è adunamento , ordine , e
concor- dia con vigore , ed attività;
ivi èchia- riflima luce . Sicché le
tenebre non fi può dire, che altro elle
fieno, fc noru» che difordine , e
dilpergimento , e di- feordanza di
parti, e di movimenti: e la luce all’
incontro ben fi può crede- re , che
altro ella non fia , che piena ,
vigorofa, ed ordinata comunicazione di
modi , e di moti . Perchè la Mente dell’
Uomo è ragione, ordine , regola, vir-
tù, ed atto penetrevoleje le operazio-
ni mentali, fono elleno o elementi, o
congiungmmenti , o fillogifmi di feien-
ze , e di arti ; non può per tanto la».
Mente altrimenti operare , che fimi-
glianti modi ordinati, e ragionevoli, ed
attuofi, e penetrevoli, o per le forma-
zioni producendo, o riproducendo per
1* efprelfioni. Cioè adire,ficcome ali* in-
Bigiteed by Google DELL’ UOMO.
in intendimento noftro fon naturali , e
prò- „ > prj gli elementi, o generi,
le combina- zioni, e i fillogifmi
dialettici, metafifi- ci , geometrici ,
ed altri d’ altre Facol- tà , e Scienze,
che tutti dal copiofofon- ** te della
foftanziale, ed univerfal ragio- ne ,
eh’ è della Mente , produconfi ; così
folamente le acconcie,ed ordinate, e
ragionevoli , e penetrevoli forme,
modi , ancora dell’ efterne fignificazio- ni , ed azioni fono al medefimo inten- dimento adattate, e proprie: e feonve- nevoli, e fconcie , e difadatte , e per confeguente infenfibili ,
edifintendevoli fono le cofe difordinate
, e feompiglia- te, e difeordanti . La
qual cofa , per quello tante tolte da
noi ricordato principio , che qual è
delle cofe Fede- re , taf è T operare ,
è affai chiara , e ma- nifella . E come
le Scienze, e 1* Arti fono ampliarne
tele di ragioni, e di mo- ze te e /^ m
di, e lavori con penetrevole comunio ■ fino mfiìffi- ne conteftej e le fignificazioni efterne
, che figurano, c fiedono il fenfo ,
firnil- * *. ^ mente con forme, e modi,
e moti mi- furati, e comunicanti
compongono di cofe fatte, o nate la
Storia ; così è da tenere • Digitized by Googl ii2 DELL’ ANIMO tenere per fermo, che Cielo , Terra, Mare, e tutta la macchina mondana, di elementi, e di congiunzioni , e
fillogif- mi aritmetici, geometrici , e
fiatici co- ftrutta; e di copiofe,e
vigorofc forze, e moti fornita, da un
principio per tut- te le linee fino all*
ultime eftremità , per continuata ferie
gli uni dagli altri procedenti , tutra
confcco medefim.'L, comunichi, e in fe
medefima fotti Ita , e da fe a fe , da’
principj a mezzi, c fini, virtù, c vita
fommimftri . I quali modi, e mori j
maeftrcvoli ingegni di fovrana fapienza
, ne’l fenfo noflro, ne 1* inten- dimento
può diftinguere , e fccrnere a . V niun
patto: e chi di proprio ingegno a s ^
fuo modo di fingergli ardifce , egli è \
certamente un infano. E per li quali
modi, perchè ordinati, e ragionevoli ,
.la materia è, per così dire , fcibile; e è non per fe fletta : perchè d i fe
flef- f er onevor*' c ^ a ® inferma ,ed
informe, dal divi- ìntlol no Platone per
tal cagione condannata duce la Men . a
rimanerli in perpetue tenebre fe pot- rà
. Ecco adunque del conofcimento dell*
informazione un aliai notabile pro-
fitto . La Materia dell’ Uomo , per ordi- « ne.
■/ * ■ ir . • Qigitizqd'by m
9 k ì.ì DELL’ UOMO. P ne , ed incatenamcnto de' principi ,
mez- Zl , e fini , tanto nella fabbrica
dell' or- gano .quanto nell’ influenza
del moto, ella e comporta con tale
ingegno, che tutta m fe infittente, ed
in fe raccolta, e per tutto operante, e
rivolta ad ap- prendere le forme efterne
degli obbiet- ti elterni , e a produrre
l’ interne degl’ interni : e fecondo
querte , e quelle , che fanno un
concerto di lumi a profittar nella
icienza, a regolare la vita , c ad
operare nell'arte . L* altre naturali com- polizionl, e l’univerfo medefimo della Matura , non fono in altro modo , che per e fiere efpreflTe da idea nel fenfo , c ^
: ne i a n.°f; ta210ne: ma Ia magnifica
ope- ra dell umano comporto è tutta
ordi- nata ad efprimere, ed apprenderle
co- le. Il corpo organico è un
arrificiofifli- P/ r ef P rimere , e
raflbmiglta- re tutte le forme, e
apprendere e fUn ca ** cor t° bile Tfl
,e - azi** ^ de fpeciofi , ed attuofi
obbietti circo- ^ flanti . La materia
dell’ Uomo a quel modo coftrutta , e
modificata è infine una mente materiale
. Adunque la Men- P te. : y
. \ « > ■
♦ « _ iDigitized by Google r unità diir Uon w.
1 ar ri4« DELL’ ANIMOI tc , modificata fecondo quella ordina* fì fwV» ta » c ragionevole modificazione del
cor- po organico, in primo luogo fente ,
o avverte quella fua modificazione : e
per tal cagione , e in oltre per 1*
intima^, unione , avverte ancora, o
fente laMa-*ì teria congiunta.
Conciofliachè quanto quel modo V è
apprettato dalla formai corporale; tanto
ella da fe per naturai virtù lo produca
: ficcome appunto av- viene nelle
minute, e variabili , e lievi
informazioni de’ fenfi, e delle cogita-
zioni particolari . Comunque egli ciò
fia , la Mente fenza fallo i* universa»
compofizione delle parti, e V univerfo
confenfo de* moti, che tutte le parti in
uno, e tutti i moti in un fol moto con-
giunge, por P influenza de’ principi ne*
mezzi , e ne* fini , e per lo ritorno di
quelli in quelli ;Ia compofizione , dico, e’1 confenfo univerfale, prima conclu- de nell’ unità della ifua univerfal
cogi- tazione ; e poi , in quanto è
modificata ne’ principi, fente quivi il
ritorno de* mezzi, e de’ fini: ed in
quelli allo’ncon- tro , fecondo i quali
fimilmente è mo- dificata , fente 1’
influHo de’ principi : onde ->*t
□ » Oigitized by_Googl( DELtWOMO. il s onde viene a formarli un confenfo luci- do , univerfale , con che più efprefla- mente avverte , e fenre la Tua unione) p’I corpo organico congiunto, e tutte le parti, e tutte le azioni fra loro
Team* {fievolmente comunicanti . E in
cotal modo, della materia con ferma , e
(U* bile modificazion ragionevole,
ordina- ta al fenfo ,ed allo
’ntendimento ; e deN la Meme, che è erta
lòftanzial ragione, che per naturai
producimento , e per P unione del corpo
, nel corpo imprem de quella
modificazione medefimajdell* uno , e
dell’ altro ftretri infieme , ed uniti ,
in quello già deferitto intreccio di
(labili , e fondamentali percezioni ,
•fa fic ne il fenfo ragionevole , e la cogi- dei fenfo tazion fenfuale , che è la Natura dell’ e
della cog?- Uomo. Ne è da lafciare
addietro, che uz,one • de’ due modi di
operare, l’uno della», diftribuzione
dell’ univerfale ue* molti ^particolari
, e l’altro del raccoglimen- to de’
molti particolari nell’ univerfale, -da
Mente qui con quello fecondo mo- rdo
adopera ; poiché di molte partile -di
molti momenti , e movimenti forma un
corpo folo,ed un folo movimento: P 2
fic- ^Oigitized by Google i \6 DELL» ANIMO ficcome fa delle forme aritmetiche , e geometriche , e dell* altre di lor natura eflenfe, e divifibili , che aduna
nell’ine- ftenfa , e indi visìbile fua
cogitazione ; così nelle concezioni ,
quando ella da fe le inventa ; come
nelle percezioni r quando ella in quelle
già inventate , e fatte s’ incontra .
Laddove per contra- rio nelle percezioni
degli obbietti eter- ni , nell’organo
univerfale dell’ univer- fal fenfo,e ne’
particolari de’ fcnfi par- ticolari , la
fua unità , ed univerfalità già piena, e
feconda comparte ne’ mi- nuti indizj , o
immagini , all’ impreso- ne, che ne
riceve; tutte dall’intimo univerfal
fenfo, e cogitazione riprodu- cendole .
E ormai , a mio credere , ri- trovata
già 1* unità dell’ effenza , e del- la
operazione dell’ Uomo . Poiché ogni
unità, o metafilica, o fifica,o etica,
di arte , od altra come che fia , fe vi ’ ha di altro genere , certamente ella fi compie per unione di atto, e di poten- za; così che, o per identità, o per na- turai produzione, o per azion morale, o artificiofa , 1’ atto colla potenza,
c- quella con quello fi avviluppino
infa- me , Digitizgd by Google DELL'UOMO.
© fievole fi difeopre . Imperoc-
ché primamente il fenfo lucido ragione-
vole , che dalla coftituzione delle due
nature rifulta.è quello , che nafce,e fi
eltingue coli* Uomo : e che propria-
mente per gli varj gradi dell’ età quel-
le variazioni , e quelle vicende patifee: e non è già la pura , e lineerà intelli- genza della parte pura , e lineerà
fpiri- tuale . Quel fenfo, che è
univerfale , nella già cfplicata
univerfal modifica- zione della materia
congiunta , al va- riare della materia
medefima, ne’ varj particolari modi, e
moti, che al moto, e modo univerfale
fopravvengono , o dentro dell’Uomo
fufcitati, o di fuori tra fm e Hi ,
ancor elio dee elfcr varia- mente
figurato, e mollò . E quando nel procedo
dell’ età, al variare degli anni, o
ancora per morbo , o per qualunque altra
cagione i modi ,e moti li perver- tono,
e turbano, o illanguidifcono , o
celiano, o fi cancellano in parte , o in tutto-
“ Ditgitized by Cooglc 12 6
DELL* ANIMO tutto ; allora forza è che
quel fenfo , di che parliamo, più , o
meno , tutto , o parte pervertito, e
difordinato, ofpa- ruto, o deformato ne
vegna. Ne’ qua- li cangiamenti, nella
parte materiale, e non altrove, come
defcrivonfi i modi, c fi miniftrano i
moti; così i difordini, e » fopimenti, e
i vuoti , ed ogni altro vi- zio
principalmente addivengono. E da quel
lato, onde eflo fenfo è di condi- toli
variabile, e mortale, a tutti quei
cangiamenti , ed accidenti è fortopofto , falva , e intera, e illibata rimanendo la parte pura dell’intelligenza , che a
quel- le varietà la fola univcrfal
cognizione, o cogitazione fomminiftra ,
c’ tutte-, quelle varietà lènza
moltiplicazione , e fenza giunta
riproduce. E qualunque fa la (ecreta
guila della unione delle-, due nature, e
cheunque ne rifiliti,!! Mente , ficcome
nella reale, e (labile informazione del
corpo organico , che è come foftanzial
percezione , indiflin- ta, c indivifa ,
include, c penetra , ed adegua il vario
lavoro di quella prima', e (labile
modificazione ; e come nelle percezioni,
che fono ideali , e leggiere , e
fu- r DELL’ UOMO. 127 c fugaci informazioni , fimilmente indi- ftinra, indivifa , e invariata, penetra,
c include , ed efprime quei varj
minuti modi particolari ; c sì quella
prima fo- . ftanzial modificazione ,
come quelle fe- condane accidentali
dall’ unità, e dall’ univerfalità della
fua virtù , e natura», produce , o
riproduce ; così quando quei modi, c
moti fi turbano, o ceda- no, o fi
cancellano tutti, o parte ; la v Mente
allora, o in parte, o all’ intutto
fofpende le lue produzioni , c depone
quelle modificazioni fenza pervertimcn- gbi di 'modi to,e fenza detrimento della fua foftan-
corporali. ■ za, falva,ed intera prima
nel fenfo uni- vcrfale' raccogliendoli ;
e poi, fe elfo * univerfal modo, e moto
organico cof- fa, o fi cancella ; nella
fua propria uni- tà, ed univerfalità
della fua pura natu- ra , e intelligenza
raccolta , li rivolge ad altri obbietti
, e di altre forme fi adorna , ad altro
vivere , e ad altro fapere . ' 'f Quella nofira foluzione non lafcia», luogo a dubitare della vanità, ed infcr- mezza dell’argomento Lucreziano. Im- perocché nel noftro fillema tutti , dr- cram J
* vv rz8 ^DELL’ANIMO ciani così , i fenomeni delle fenfuali,e ragionevoli operazioni deli’ Uomo, con quei crefcimenti , e fallimenti venendo pianamente efplicati: ficchè ,dato che— È intelligenza dell* Uomo fia fodanzia- le, e la materia fia bruta, c cieca ,
co- me noi affermiamo, e niegano gli
Epi- curei ; le operazioni della ragione
, e— del fenfo pur nondimeno così
dareb- bono elle, come ora danno; per
certo che quell* argomento il più
riputato , non vale a concluder nulla .
Che fe poi fi pon mente, che gli
Epicurei , con tut- « to l’ingegno loro,
non han finora potu- to da niun modo, o
moto argomenta- re della materia niuna
diffidenza , e- abilità all’ opere
fenfuali ragionevoli dell’Uomo; tantoché
l’imprefa di fpie- gare quei fenomeni
difperando, hari— lafciata dare; allora
certamente la no-, - dra foluzione farà
ancora dell’ edere- fpirituale,e
immortale dell’Animo una novella
dimodrazione. E per ìfcorgere la
convegnenza , eia bellezza della dot-
trina, tutto il penfamento è qui ora-
tempo di rapportare. Noi adunque pri-
ma poniamo due tra fe lontaniffime-f;:
cdre- r* -
av A ' / /
DELL’UOMO. 129 eftremità , 1’
una del più e ccelfo flato di perfetta
intelligenza, e l’ altra della più bada
condizione della cecità della materia.
Le quali Mente , e materia in quelle
eftremità conflderiamo , che amendue per
contrarie ragioni ugual- mente da fe
sbandifcono ogni docilità. L’
intelligenza perfetta da un lato, per 1
°& n * includono , e penetrazione do-
vrebbe ella certamente ogni lubricità ,
e fluflo,e fucceflione efcludere di dot-
trina: e si perfetta dottrina , e perfet- ta feienza in ogni tempo pofledere : e non mai in niun tempo docile poter ef- fere ; che fenza il lubrico , e ’l
vicende- vole di variate, e fugaci
percezioni , e ragioni non può ftare.La
Materia dall* altro lato, nell’ eftremo
deli’ impoten- za, e deformità , per la
dimoftrata im- penetrabilità , ed ogni
efclufione , doci- le in niuna guifa non
può ella eflèr giammai : fe la docilità
con tutta la fua incoftanza.e lubricità
, pur tuttavia in- cludono, e
penetrazione inftantemente domanda
. Appreflo , quelle due nature da
quell* *- eftremità argomentiamo poter
ricede- 4 R re -
zza* ' > v » . t
, Digitizetì by Googlc 4
*t X +W rM
•o l'J’ * * »
. ' f 130 DELL’ ANIMO re a quello modo: Cioè, che Ueflfere mentale da quella fublimità , per varj gradini di varie foftanze giù dechinan- do, giunga finalmente a poter congiun- gerfi in uno colla materia , e a poter cfprimere modi , c mori materiali : e che T eifer della materia dall’ imo di fila imperfezione, per varj gradi di va- riate forme , e lavori innalzandoli fu pervenga al fine , fino a collogarfi , e ftrignerfi. colla Mente, e a poter
railo- migliare, e lignificare modi
fpirituali , e mentali: e così nell’
Uomo , in cui , t 0 ìu
i M *1 §F 1 • * ' ; ■ -
7 ■ by. . &*■ - •: •Go
t DELL’ UOMO. 13 1 , in fine quell’ingegno medefimo,fe non * altro, ci (copre l’origine dell’ errore. Perciocché la Mente piegando all’ imo dell edere mentale, c la materia ergen- doli al lammo dell’ edere materiale a formar 1 Uomo; in quella natura , e_> -
•" propriamente nel fenfo lucido,
la Men- te per 1 edendoni , e variazioni
mate- riali , e la materia per gl’ ingegni
, e lu- mi mentali li tengono afcole :
onde la Mente , materiale edere ; e la
materia poter edere mentale gli Epicurei
han_» Cagiont-* creduto, alle fole
lignificazioni fenfua li rivolti . Ma
eglino avrebbon potuto w‘. penfare, che
fe la Mente nella propria fua altezza
non potria mentir la mate- r ria : e la
materia nelle fue natie badez- zc non
può fimigliare la Mente ; per- che i \ i
la Mente in chiara luce feerne- rebbefi
immateriale ; e qui la materia
chiaramente infenfata,c cieca fi ravvi-
ferebbe; nell’Uomo , ove 1 ’ una fotto
alle fembianze dell’ altra fi tiene afeo- fa , è una neeelfità , che ne 1* effer cieco della materia , ne 1’ immaterialità
della mente, per altra via , che per
quella^ degli argomenti col cammino
della ra- ’*** *■ Ri gio- ; * • Digjtized by Googlp *3* DELL* ANIMO gione non fi podano ritrovare . Quella è certamente una nuova di- moftrazione , che abbiam tratta dalP in- telligenza, rifguardata nell’ idea di fo- vrana perfezione : laddove tutte le al- tre prima allegate fono (late tolte
dall* intelligenza , confiderata nel fuo
edere generale , e comune : avvegnaché
dalla comunità de’ generi all’ idee
perfette, e da quelle a quelle fiavi
commerzio , e comunicazione vicendevole
di cogni- ' zioni,e di feienze, come nel
primo ca- pitolo della noftra Metafilica
abbiamo dimollrato . Colla dottrina della univerfal perce- zione, che fidamente 1* anima contri- ' buifee a* varj modi , e mori , che
nella materia avvengono; e con quella
dell’ univerfal fenfo dall* unione delle
due.* nature rifultante , che c la
proprietà dell* Uomo, e che propriamente
per ca- gion della parte materiale , dee
con_> quei moti, e modi efler
modificato, e modo; con quella dottrina
, dico , tut- C te le altre difficoltà
vegnono ancora a • dillrigarfi degl’
impedimenti, e de’ tur- cibamenti, che
cagiona l’ebbrezza; e de’ deliri, . 7 * . r * / * r
« DELL’UOMO. 133 delirj, e de’fopimenri , edetarghi, che certi morbi arrecano ; e in particolare il pericolofo diflipamcnto , che produce la velenofa forza dell’ Epilelfia , ed
ogni altro fìmigliante accidente . Che
come tutte convegnono in quell* uno
argo- mento generale delle variazioni ,
che_ dalla materia nelle operazioni
dell* ani- mo trapalano a turbare, o
interrompe- re, o abolire il fapcre ;
così tutte con quell’ una generai
dottrina , ugualmen- te per ogni parte
fviluppate rimango- no. Cioè dire, che
quegli accidenti, che*l vino, e’I veleno
epilettico , come Lucre- zio l’appella,
e gli altri malori induco- no nell’ Uomo
, fono eglino folamente valevoli a
difordinare , o interrompe- re, o
affatto caffare le forme fenfitive, e
cogitative ne* moti , e modi corpora-
li, e non altra cofa altrove . I quali
lafcia allora la Mente di più avvivare ,
e illuftrare in tutto, o in parte, eoa-»
fofpendere, come fu detto abbiamole
fue produzioni , e con deporre le mo-
dificazioni: ed indi prima ne’ principali feggi corporali , e poi , fe più oltra è (dipinta , nella fua propria unità , ed 134 * DELL’ ANIMO univerfalità fi ritira da quello
ffrazio. Ma è in alcun modo diftinto 1*
argo- mento del timore , e del lutto,
che— ^Lucrezio • amareggiando, ed
affannando l’animo, foventi volte
conducon l’Uomo a mo- rire. Imperocché
in quel primiero ca- po di argomenti de’
varj gradi dell’età, e de’ varj
accidenti de’ morbi , le va- * ^
riazioni immediatamenre , c principal-
mente il corpo immutano, ed offendo-
no : le quali perchè nelle operazioni dell’ - . animo ancora trasfondono i difetti, e i difordini ; per quefto folo , fono a
Lucre- ' zio argomento di mortalità. Ma
il timo- re, c ’l lutto fono morbi
dell’ animo, e l’animo immediatamente, e
propriamen- te conturbano , e affliggono
: e quando • l’Uomo per quelle offefe
viene a fini- re , nell’ animo è il
principio , e V ori- gine del danno, e
dall’ animo al corpo . trapaffa ;
fìccomc per contrario ne’mor- bi
corporali , dal corpo all’ animo Lu-
crezio argomenta , che debba la mor-
, • te trapaffa re . Così ugualmente per gli morbi, che fono manifeffe cagioni del- la morte corporale , perchè varie paf- fioni nell’ animo inducono; e dalle paf- .. . fioni,
Digitized by Google DELL’UOMO.
i-35 doni ,che fono manifede offcfc
dell’ani- mo, perchè c morbo , e morte
al cor- po arrecano; pare à Lucrezio
dall’ima parte , e dall’ altri potere la
mortalità dell’animo argomentare : c poi
dclla_, cu ragione dell’ uno, e dell’
altro propo- ne come un nuovo argomento
, fog- giugnendo. Addere enimpartes , aut ordine trajicere
&quume(l y Aut ali quid pr or funi
de fummx detrabere illuni , Commutare
animum quicumque adori tur ,* * ,?83r DELL’ANIMO * le cogitazioni, e tra le fen(azioni,e
gli * V affetti ; così tra' le
cogitazioni , e gli af- fetti c più
ffretta appartenenza, e con- r •
neflìonerper modo che non mai, ne co- a
• gitazione fenza ogni fenfo di affetto,
ne affetto fenza ogni lume di cogita-
zione fi può trovare . Da cotcfte cole
Quii fiati (ì fa chiaro, che come il fapcre , cosi '1 volere dell’ Uomo non è la pura , e fincera parte dell’ animo ; ma è quel
vo- - lece proprio dell’Uomo, di fenfo
infic- ine , e di ragione commifto , che
dall’ unione delle due nature dee
rifultarc . Laonde i varj moti, e modi
delle va- ' i r ie affezioni, o paffioni
propriamente in • - : quel volere , e
non già nella parte pu- ra dell’ animo
le loro vicende ingerif- ’ m cono: e le
anzie , e gli affanni , e i tedj ' del
timore , e del lutto quella parte-,
conturbano , e corrompono fino a con-
dur 1’ Uomo mi fero alla morte . E dell’
Animo avvien folo, come nc’ modi del
Capere , che fofpenda le produzioni , e
diponga le modificazióni del volere ; e
. intatto, e purgato, e puro fi ritiri nel- • la fua univerfalità , per rivolgcrfi
ad altri obbietti con altri amori più
puri, ■ e più , DELL’UOMO.: 139 e più finceri . Ma perchè noi nei pre- fente ragionamento del fa pere dell’ Uo- mo, di altro genere di operazioni 4 che delle fcnfuali,e fantastiche non abbiati! fatto menzione; non è per tanto , che dentro gli angufti confini del fenfo , e dell’ efpreilioni fensuali , debba efler ri- stretta la cogni'zion noftra . Da quelli univerfal cogitazione , o cognizione , ficcome perchè dalla parte corporale è ella fenfitiva , ne debbon nafeere Itu, fenfazioni , e l* efpreilioni di
fenfibili obbietti; così perchè dalla
parte imma- teriale, e ragionevole, ed
intelligente, le ragionevoli cognizioni
provenire ne debbono. Siccome nel fenfo
univerfa- le , per fomma finezza ,
pieghevolezza,, c mobilità , e per
uniformità di virtù , e di foftanza,
onde è come un genere generaliifimo del
fentire , fono i primi elementi, o
principi , onde rutte le par*» ticolari
fenfazioni, ed efpreilioni fenfi- bili
formate ne vengono; così in efTa_,
cogitazione , o cognizione , da ogni altra cofa fceverata, ed in fe r ccolta, fono tutti gli clementi , o principi delle ra- gionevoli produzioni, e delie Scienze, S a che
r 4 o DELL/ ANIMO che cd elfa
cognizione è infieme gene- rale cflenza,
e generai conofcenza : e i fuoi elementi
, onde è coftituita , fono .
inficmemente parti, o principi di quel-
la eflenza ad edere ; e fono prime no-
zioni, o ragioni di conofcere, o inten-
dere alla Scienza . Cotefto è il bivio deh fapere dell’ Uomo, nel quale in oltre., è da notare, che TUomo nella via del fenfo è analitico , conducendofi da’
par- ticolari a gli universali ; e nella
via. del- la Scienza è Sintetico , dagli
universali ai particolari avviandosi. Ma
gli ele- menti del SenSo, in quanto Sono
minu- ti, imperfetti, informi, fon pure
come altrettanti generi: e le nature
fenfibili-y - in quanto perfette, e
compiute , fono * anco in quel riguardo
particolari. E le eflenze perfette
ragionevoli , e intelli- gibili,
perciocché quando vi fi pervie- ne ,
illuminano tutta la Scienza , fono come
univerSali: e i generi , perchè fo- no
imperfetti, ed ofeuri, in quello ri-
guardo fono come particolari da ripu-
tare . Similmente come il fapere , così
il volere, o dalla parte impura fenfua-
le genera volontà, ed affetti foraiglian- Bìvìodel
jà ^cre delP Picji tizeti ^
Gpogle • V • DELL’ UOMO. 141 ti , dietro a gl* incitamenti del fenfo
; o dalla parte pura fpirituale
produce», voleri, ed affezioni
ragionevoli dietro alla guida della
Ragione. E quello è il bivio della vita
,in cui fcorgonli le ori- gini delle due
celebrate porzioni dell* V *' Uomo ,che
il volgo de’ Filofofi , quan- to con
magnifici parlari decantavamo con ofcuri
fenfi intriga , ed ofeura . Adunque la
Mente noftra, per la virtù tante fiate
ricordata , e in tanti modi provata di
muovere , e reggere fe ftef- fa , prima
fopra le fenfazioni medefime . '*'' ** # •
E ixti tiMnet certo : velut aurei , atque oculi funi , Atq\ aliifenfus , qui vitam cumque
gubcriumt: . t Et Dilati mnust atque ‘ oculut t ntirefvs
féorjltttv Secreta a ‘nobis nequeunt
fentiret neque effe : Sed tamen in
parvo linquuntur fenipore tali i _ , ,
Sic animus per fe non quii fine corpore , dr ip/ó ' Efse hominet illiut quafi quod va; efse
videtur : .'■o'F 1 .' Qs, ■ t # Sive aliud quidvts potius coniunaius et i • .«li*» > ■yjp r i M**- Etagere quondoquidem e****#*, corpus,
adixret . V.v . -tftbv* "■ o
>s * Tutto il nerbo di quello
argomen- to egli è r a mio credere*!!)
quella una r fola Digitized by Google DELL* UOMOa 147 fola cofa riporto ; che 1* operare ,
fia^ del Tutto , di cui è ancora 1*
edere : onde a niuna delle parti , che
*1 com- pongono , quell* edere , e
quell’ opera- re medefimo debba edere
attribuito Il fentire adunque, e *1
ragionare dell* Uomo, che certamente è
dell’ Uomo’, cioè del comporto, e del
tutto , all’amo mo folitario non dee
poter convenire : c per confeguente 1*
animo folo , fenza il corpo , e fenza 1*
Uomo , non può fentire , ne ragionare ,
ne affatto ede- re : fcevero di fenfo,e
di ragione, non potendo già avvenire ,
che l’animo da in niun modo . Si
aggiunge a quefto , che P eder di Parte
è fermamente effe- ^ t re di relazione,
o di rapporto ; onde», la parte al tutto
appartenga, e col tut- to da congiunta
infeparabilmente . Egli T-V* è vero, che
ci ha alcun genere di parte, che verfo
di fe condderata , ella anco- ra è un
tutto : quali fono le parti del .1 «à-J
tutto cftenfo, e variabile, e quali in»,
ogni altra accidentale compodzione .
Con tutto ciò cotali parti, quando elle * fono fegregate dal tutto, perdon quell’ eder di parte, con ogni altra cofa, che Digitized by .Google I
148 DELL’ANIMO in quel rifguardo
lor conveniva. E che Lucrezio a quefto
ancora abbia rifguar- dato, dalla
dottrina del medefimo in- torno alla
indivifibilità de’ primi corpi , è
manifefto . Volendo egli indivifibilt
quei primi elementi , e volendogli va-
riamente figurati ; acconfente bene ,
che quelli abbian parti , non già avve-
niticcie , ma natie ; non quinci , e quin- di raccolte a compor P elemento , ma in quello nate: il cui edere , tutto fia dell’ elemento , che le contiene ; ed
ab- biano a quello necefTario rapporto
;on- . de Pune dalP altre , e dal tutto
non_, poffano per qualunque potere effer
fe- parate giammai . Il luogo di
Lucrezio ciUd^Lucre- è alquanto
malagevole ad intendere j zio , non ’m -
Picchè P acutezze de* più nobili Spofi-
tor ‘ P oturo falciar delufe . Il qual
jj>ojì on % nQ j ^ er j a p ua importanza abbiara volu- to qui arrecare, ed mterpetrare . , I»,
Tum porri , quorum e/l exttmum quodque cacumen Corforìs ìll\us % quei noftri cerner*
fenfitt Jam nequeunt : hi nimhrutn fine
fartibuy extat > , \ Et minima
cwtfat naturai nec fuit umquam ' Uh.
U JL
Ver bigitized by Coogle I
.V K. DELL* UOMO. 149 Ter fe fecretum , neque pofìbac effe v
debiti Alterius quoniam ejìrpfum :
frinì* quoque , fluire a/ùe fìmiles ex
ordine parte: * Agmine condenfo
naturavi eorforis explent . quoniam per
fe nequeunt confi are ^neceffe ejl
H*rere , ««c/e ?«e Hatura nitri- tale Jì truova la vera ragio- ne di ejfer un tutto .
t. 152 DELL’ ANIMO domanda, che dentro di fe abbia a con- tenere tutte (e parti , onde è coftitui- to: e la parte allo Scontro vuol’ efler tale, che tutta quanta ella è, con ogni fuo eflere , (la , diciam così,
incorpora- ta nel tutto . Di modo che l*
eflere del tutto in quello
principalmente confida , che contenga le
Tue parti in guifa,chc non pofla ne
eflere, ne intenderli , len- za che
lia,e s’intenda con quella con- tenenza
: e 1’ edere di parte in quello lia
unicamente riporto , che debba del tutto
eflere , e nel tutto abbia ad ede- re
contenuta ; licchè non eflere giam- mai,
ne pofla immaginarli lenza quel rap-
porto , e lenza quella , per così dire ,
partiva inclusone .Se quello è vero, co-
me è appreflo di erto Lucrezio ancora ;
egli è da tenere per fermo , che la ve-
race , e fincera , e perfetra condizione
dell’ efler tutto, altrove , che nella na- tura fpirituale , c mentale non pofla_, rinvcnirfue che la natura corporale, e bruta non più , che di una imperfetta limiglianza di quell’ eflere lia capace
' Imperocché la natura mentale , per Io fenfo ,e per l’ intelligenza di le, e
dell' altre DELL’UOMO. r Si altre cofe che fente,ed intende ; chia- ramente dimoftra dover ella contener fé medefima, e 1’ altre eflcnze con ogni identità, e comunicazione: e fé mede- lima,e 1* altre eflenze dover penetrare da per tutto. Con che quella inclufio- ne , e quella contenenza , che *1 tutto ha delle Tue parti, e quel paflivo incor- poramento , con cui le parti fono nel tutto, dimoftra dover fola perfettamen- te pofledere. Nella qual cofa è princi- palmente riporto il reciproco rapporto, e la neccflaria conneflione , onde il
tut- to dalle parti , e quelle da quello
, e», 1* unc dall* altre non portano
fepararrt . Per contrario la natura
corporale tut- ta per ogni vcrfo
limitata, ed efclufa, c diftinta , di
quella inclufione , e di quello
incorporamento non è capevo- le:febbene,
come qui, ed altrove ab- biam
dichiarato, può la Materia per fi- nezza
, e per fublimità , ed attività di
foftanze , e per conneflione di parti , e confenfo di moti cotanto ingentilirli, che vegna tanto , quanto a Materia è poflibile , un tutto perfetto a raflomi- gliare. Oltre a ciò, contenenza , ed uni- V ver-
Ì54 DELL’ ANIMO vcrfalità fono
una cofa medefima : Teflere un tutto, e
l’ edere univerfale, fono una medefima
elfenza . Donde fi può intendere , che
alla perfezione del tutto, due cofe vi
fi richieggono necef fariamenrc ; l* una
, chc’l tutto debba aver perfetta
pienezza in ampia indivi» fibile unità;
l’altra, che tutti i partico- lari , che
gli appartengono, dentro quella pienezza
fiano realmente com- prefi . Benché
quelle due condizioni ad una fola
finalmente pofiono riferire :
concioflìachè , ne perfetta contenenza.,
fenza palfiva inclufione , ne pafliva in- clufione fcnza perfetta contenenza ,
pof- fa clfervi in alcun modo . Per
cotclle_ leggi , primieramente ogni
fpezie di tut- to, generalmente
confiderato quell’ ef- fere , dee con
tutte le fue cofe efl'erc-, • • in fe
medefimo riftrcrto,e chìufo,e da Goog[e
•J t gegno, colla noftra principal dottrina potta fcioglierlo di leggieri ; pure per produrnoi il frutto delle noftre fpecu- ’ \ {azioni , ci rifolviamo a parte trattar- lo. Adunque quel che di tutti gli altri argomenti abbiam fatto , e faremo ap- prettò; di quello argomento ancora fac- ciamo al prefcntc; ingegnandoci a più potere fortificarlo da ogni parte . La_. neceflità del dover 1* Anima fcparata
ef- fcr fornita de’ cinque fenfi , che
Lucre- zio fcmbra voler confermare colle
im- magini de’ Pittori , e de’ Poeti ,
che at- • ' • tedino
• ■** -l ’ . m t
Digitizecfby Goòglc k DELL’ UOMO. 161 tedino l'antico comun fcntimento , ella è in fatti da quel Fiiofofo data appog- giata fopra quel fermidìmo principio ; che ogni edenza , o natura comune», dee con alcuna delle fue differenze , o proprietà elfer diterminata neceffaria- mente : e che fenza ogni fua differen- za , o proprietà non può ella dare in_» niuna guifa. Siccome allo’ncontro, pro- prietà ,o differenza niuna e! può avervi mai fenza il fondamento, diciam così, della Natura, o edenza comune. Per- ciocché 1 * Anima con generai fenfo , e percezione delie cofe , per ogni modo dover edere; anzi altro, che quel fen- fo , e quella generai percezione non ef- fere , egli è ad ognun che vi ponga»» mente , manifedo .Dal che fegue bene, che il fenfo, e la percezione generale , come con alcuna delle fue proprietà e particolari forme eder dee compiu- to, e perfetto; così quelle proprietà, e particolarità medelime di necedità egli implica nell’Anima . Fermamente non può capirfi a niun patto, come l* Ani- ma feparata poffa aver niun fenfo , o percezione , che nel tempo medefimo X ella
m: m ^ • j|C
. Digitized by M "A..
Go4 Sottilità dì Lucrezio non
inteja da gli Sfojìtori, 161 DELL’ ANIMO ella nc veda, ne oda ,nc per niuno de- gli altri fenfi particolari, niuna
percezio- ne abbia degli obbietti.
Dall’altra par- te , 1’ impoflibilità di
avergli in quello flato, egli è per
certo una gran fottili- tà , con che
Lucrezio la compruova , che niuno degli
Spofitori ha potuto pe- netrare finora
.Onde, e nel variar In- iezioni, che
ftanno bene, e nel fupplir- vi i
fcnfi,che non vi mancano, eglino fonofi
affaticati in vano . Prende egli a
conliderare i fenfl in idea, fecondo le
loro, per così dire , formalità metafi-
ficamente,c gli rapporta all’Anima : e
infieme gli confiderà nelle loro realità , e corpulenze filicamente , e gli
riferif- ce al corpo: e poi argomenta,
che co- me i fenfì, ne effere , ne operare
pofTono feparatamente dall’ Anima ; così
allo fteffo modo non deono potere , ne
ede- re , ne operare feparati dal corpo
, e— dall* Uomo . Concioffiachè 1* Anima
ila l’uno Ideale, o formale, o
metafilico, onde le proprietà , o
differenze de* par- ticolari fenfi
debbano procedere ; c— 1* Uomo, e’I
corpo fia V uno Reale, o materiale , o
tìfico , nel quale quelle— pro- *.v ' ^ Digitized by Google DELL’ UOMO. 1 63 proprietà , e differenze medcfime deb- bano eflere incorporate diverfamente , fecondo quei diverfi rifguardi , di di- '
> verfi principi , e procefTi.Con
ciò vie- ne egli a conchiudere , che
poiché l’Ani- ma da una parte non può
edere sforni- 7 ta de’ fenfije dall’
altra non può in niu- na guifa efferne
provveduta • che ella non può ne fentire
, ne in altro qua- lunque modo operare,
ne effere affatto dal corpo , e
dail’Uomo feparata . Udia- mo le parole
fue proprie, e poi vegnia- mo alla
Soluzione. Vr eterea fi immortali t
natura animai efi , Lib. 111. Et
fentire poiefi fecreta a corpore nqfiro :
QuinqueiMt opinor)eam/aciendum efifenfibus auHantt Ntc ratione alia nofmet proponet e nobis " i t * Tofiumus infermi animai Acheronte
vocari. riHores itaque , & f
criptorum Stola priora Sic animai
introduxerunt fenfibut cucì ai r L * At
ne 1* natura ragionevole , ed intelli-
gente , e’I Tuo operare efplichiarao , e
la fenfibile non lafciamo addietro, deo-
no difdire che nel più alto, e puro dell* intelligenza medcfima, quanto a Uomo è conceduto , poggiando , a quelle
fubli- mità non afccndtamo ? Ma
nulladiman- co in cotali cofe, affai
probabili ragio- ni , e dove di farlo ci
è permelfo , giu- fte dimoftrazioni
allegando , V affare condurremo a tale,
che anzi da defide- rio di più oltra
conofcere accefi , che da difperazione
di potervi altro edere, confufi
rimanghiamo. Per rifecare ogni
rincrefcevolc lunghezza , io dico fulla
e lucidezza . Sicché il fenfo
dell’ Uomo , ove egli è più virtuofo, e
più lucido j quivi è in quefle , e
quelle parti diflinto , c divi- io : ed
ove è unito, ed uno ; ivi è tor- bido,
confufo, ed ofuro. Ma nello fla- r è
w V Anima-, fepnrntn dee
potere operare con piìi
fran- cbezza , e vir- tù .
1 6 * DELL’ANIMO to della
Separazione , fenza far violenza nc a
ragione , ne a cofa alcuna , e’ ci
convien credere, che l'Anima fottratta
a quelle gro(Tezze,e da quelle angurie
Sprigionata , a voler riguardare la natu- ra di lei, e la fua virtù naturale ,
quel potere medefimo , che ella ha fopra
la ; materia penetrcvole , con più
Sovrani- tà^ più vigore efcrcitar polla;
e mag- gior copia di maggior finezza, ed
atti- vità di quella materia dominare. E
per confcguente non riftretta fra quei
can- celli , ne in quelle nnnurczze
fpartita ; ma dilatata, e in fc
raccolta, con uil- folo ampliamo fenfo
universale , polla e più diftinramcntc
(cernere , e più al- tamente penetrare ,
e più chiaramente apprendere tutte le
forme ,e tutte le«, azioni delle cofe
materiali . Se l’Uomo per virtù dell’
Anima ha imperio, e po- reftà Sopra la
materia pcnetrevole in» terna ; e dona a
quella , e nc riceve a rincontro le
modificazioni ; e col mini- fierio della
medefima produce il fenfo , e la
cogitazione univerfale ; e fecondo la
divilata varietà in tante maniere il
difiignuc , quante in noi le ne veggo-
no; Digitized byCoogle DELL’UOMO. i 1 pri ,? cip > primi , e’1 temperamento loro , c l va- ftarata. g j 0 ingegno de* lavori , e tutte
le gene- razioni , e le fufianae , e gli
ordinati procedimenti » e k virtuofe
influenze • v de* ikir
Digitized by Google DELL* UOMO-
175 de’ Celefti corpi, e tutto il
concerto r e ’1 fiftema del Mondo, e la
cottruzio- ne dell* Uomo può meglio
efplorare r e penetrare , ciascuna
fecondo la pro- pria capacità r e virtù
. Perciocché è da credere , che le menti
finite emen- do, abbiano le proprie
fpirituali tnodi-i ficazioni ; onde
fieno dall’ infinito cir- coferitte, ed
infra di loro diftinte.Ein particolare,
che la menre dell’ Uomo, per una cotal
proprietà di più fra ella * propriamente
inchinata , ed adattata a congiugnerfi
colla materia per la corti- tuzione
deli’ Uomo . Per quefti nottri
divifamenti s’intende ciò, che dir vol-
lero quei Filofofi,che di certi veli cor- porali , gli Spiriti puri diceano dover
ef* fere provveduti ; e alcuni Padri ,
che le Anime e gli Angeli corporee
fo- ftanze riputarono. Cioè non altro
eglino a-ver voluto infirmare da quello
r che noi della maniera di operare
dell’Ani- mo feparara abbiam conchiufo ,
fi dee: tenere per fermo . Cosi
fimilmente è da interpetrare quella
Sentenza , che la_. Mente d’ un’ altra
mezzana natura ab- bisogni , per potere
attemperai alla ma** 9 +
,'fc* fc • i74 DELL’ANIMO materia * Finalmente , che la villa
Tifac- ela non per inrromilfionc della
luce». ' . 1 efterna nell’occhio, ma
per eftramillio- ne della interna verfó
gli obbietti ; è fenza dubbio nata dalla
cognizione dell* imperio, e potere della
Mente fopra la materia penetrevole , e
dal minifterio, ed oflequio di quella
verfo di quella : onde è il vigore della
virtù mentale al- la produzione, o alla
percezione delle cofe.E qui poffumo dire
aver termina- ta la Dilpnra colla
foluzione degli ar- gomenti più
principali, e più forti. Per- chè dopo
avere ben fondata la reai di- fìinzionc
dell’ intelligenza : e dopo ave- re
altri punti ftabiliri, così come fatto
abbiamo delle più rilevanti verità ; gli
argomenti , che ci rimangono, così leg-
gieri, e piani 1} difcoprono; che più per non parere, che nftuf aulente gli
tralan- diamo , che per necdfiti , che
abbiano di particolar foluzione , gli
dobbiam ri- cordare, a ciafcuno
argomento adattan- do quelle generali
dottrine : il che fa- rem brevemente. E
prima veggiamo di quello, che c in quei
verfi efpreflo: \ Dkjitized by Gooole •V
-*1 DELL’ UOMO. 175 Denìque cum corpus ncque at per far e
mimai Dìjjìdium , quirt in tetro
tabefcat odore r Quid dubitar quin ex
imo y penitufque coorta Emanar iti uti
fumus y diffufa anima vis 1 Atque ideo
tanta mutatum fu tre ruina Conciderit
corpus pcnitus I quia mota loco funt
Fundamenta forar anima r manantque per artus , Terque viarum omnes fiexus y in corpore qui
funt r Atque / or amina : multi modi s
ut nofcere pojjìs Difpertitam anima
naturavi exijje per artus 5 * Et prius
effe /ibi diflraclam corpore in ipfo ,
Quitm prolapfa forar enaret in aCris aurar ** *1 '
Vi, UT, Settimo argomento’
di Lucre- zio . ' x
‘‘1 0 • £ Dalla. dillofuzione , c putrefazione del corpo umano r che al dipartimento 1 dell’Anima fegue immantinente , vuol Lucrezio inferire r che L’ Anima debba eflere fparfa per tutto il corpo : che i di lei principj componenti fieno con_* quelli del corpo talmente intralciati T
c intrigati ; che quella eflcr 'debba la
ca- gione , onde al dipartirti- dell’
Anima , una totale fovverfione al corpo
ne av- venga : ficchè tutto fi cangi , e
impu- \ • m-
*■ Dkjitaed by Goggfe i*j* DELL" ANIMO tridifca., c tramandi fuora 1*
intollcrabil fetore - E poi ne’ feguenti
verfi foggi ti- gne , che il folo
deliquio , avvegnaché allora 1 ’ Anima
non vada via , ma foi difiratta , o
opprefla languifca ; tanti cangiamenti
nel volto , e negli occhi , e in tutto
il corpo produce ; quanti le grida, e le
lagrime badino a rifvcgli3re
^riterfetri ^ e ’ circoftanti . De* più migliori Inter- no» ban capì- pcrri di Lucrezio, non bene han
capi- la la forza ù t;1 la forza dell’
argomento . Eglino mo- MntO'. arS °
firan di credere , che quel Filofofo te-
glia , che F Animo , e l* Anima flano
una medefuna cofa ; e quanto qui dice
dei doverfi in morte difperderc i com-
ponimenti dell’Anima , onde il corpo
imputridifca ; che tanto intenda di dire
dell’ Animo , e dell’ Anima infieme ,
E una natura coll’ altra confondendo »
crvvéro prendendo efli 1* Anima per la
fola parte incorporale ; e quella idea t * e quell’ appellazione alla mafia degli umori , e degli fpiriti non concedendo , fecondo quefto lor proprio fentimcnto. prendono l’argomento Lucrcziano: fon contenti di rifponder folamentc , che la putrefazione , e ’l fetore del cor- po
Digitizéd * DELL’UOMO. 177 po morto , non è effetto della divifio- ne, e del dilfipamento dell’ Anima; ma di altra cagione tutto diverfa. La qual
. rifpofta, fe vuolfi comprendere la
par- ... , te fenfuale , è certamente
falfa : c fe , meffa da banda la fenfuale
, come quel- la , cui V appellazione , e
1* idea di ani- * J ' ma non convegna ,
della fola parte in- corporale fi vuole
intendere ; c fenza dubbio fcempia, ed
inetta: perciocché corre a far difcfa ,
dove non bifogna : . . e quella parte ,
ove è indrizzata 1’ op- . ... pofizione
, fcoperta lafcia , e fenza di- Fefa. Si
aggiugne a quello , che quando Lucrezio
dice , dover efTere dal profon- '• t *'
do fcolfi i fondamenti dell’ Anima , e
fuora difTipati , e difperfi ; dicono eflì , che con ciò s’intenda elfer 1’ animo il
, fondamento del corpo; il che è
ancora vero: ma eglino non intendon già
per fondamenti i primi componenti ,
il cui dilTipamenro cagioni quello
effetto. : . ne’ corpi morti: che è per
certo un non # - affatto intendere 1 *
argomento . Ad un- cye f e “ c e re *j } 0 e
que Lucrezio tratto dalla forza del ve- PAAimi^L* ro, tenne per fermo, che 1 ’ Anima , c 1 * Animo , cioè il principio intelligen-
Mmrumt. ■Hmìz O'
te - - - « Digita ed by Google .tt..
178 DELL’ ANIMO tc , c la parte
corporale miniera del fenfo , foflono
due nature didinte : per modo che contro
a quella opinione , che l’Animo altro e’
non fotte , che un* armonia, o concerto,
o temperamento, con lunga fchiera d’
argomenti fiera- mente combatte ; e
vuole in ogni mo- do, che T Animo fia
una fpezie,ed una fodanza . Con che
viene a dire , che r Animo fia una
fpezie, ed una fodan- za didima dalla
mafia, e modi , e moti animali. Poiché
certo dell’ eflere dell’ Anima ; dell*
Animo folo , come di una cofa aflai
ofcura , va ricercando che e* fia: e in
quella ricerca dice ,che e’ non fia già
un’ armonia , o qualunque altro modo ,
ma una certa particolar foftan- za .
Appretto, comechè per l’Anima e’ dica
efiere baftevole il calore, e l’aria e
l’aurc; tuttavia a produr 1’ Animo ,
niuna di quelle cofe crede poter bada-
re: ne altro e’rirrova nella felva delle
corporali fpezie , cui pofla attribuire—
quella maravigliofa produzione . Onde
conclude , che cotal natura producitri-
ce dell’ Animo , fia del tutto nafcoda ,
ed ignota, e innominata: di che fin dal DELL* UOMO. 179 principio della Difputa nc abbiamo alle- gate le teftimonianzc di più luoghi .Fi- nalmente c’diftingue bene gli utfizj
dell' Animo , e dell’ Anima ; e ’1
fupremo dell’ intelligenza , e del
reggimento del corpo all’ Animo
aflegnando ; le parti dell’ ubbidire, e
dell’ efeguire all’ Ani- ma accomanda.
Ed efpreflamente ,che l’Animo, e l’Anima
fono due foftanze tra loro diftinte ,
febbene {grettamente infieme congiunte:
e per la {{retta con- giunzione, quanto
argomenta della na- tura dell’ Anima ,
vuol che dell’Animo ancora s* intenda .
Sopra il qual fonda- mento buona parte
degli argomenti di lui fono appoggiati .
Lucrezio adunque da quel fubito
cangiamento de’ corpi morti , o
languenti, non può, ne vuo- le egli
inferire il difperdimento , ed
annullamento dell’Animo ; ma sì bene
il difperdimento , e l’ annullamento dell* Anima ; cioè della parte bruta , e fen- fuale : e quindi per la {{retta unione*, delle due nature, vuole che lo lìruggi- mento dell’ Animo infieme fc ne argo- menti . La qual cofa , comechè e’ ben vedelTe non efler neceflaria conchiu- Z 2 fione
i8o DELL* ANIMO (ione di
neceflfario fillogifmo ; percioc- ché di
cofe diftinte , comunque infie- me
congiunte , mancando 1* identità dell’
edere , dall’ una all* altra cofani non può
con certezza condurli l’argo- mento a
conchiuder nulla ; con tutto ciò, tra
perchè l’Animo una fottiliflì- ma, e le
vidima foftanza cder e* li avvi- fava; e
perchè la robuftezza , e’1 pote- re
dell* Animo nell* intendimento di lui, e
degli altri Tuoi pari, fparuta, e debi-
le cofa appariva ; per quelle cagioni
pensò egli , che come il totale disfaci-
mento del corpo , non altronde , che
da quello dell’ Anima proviene; cosi il
diflìpamento dell’Anima fenza 1* ellin-
zion dell’ Animo , non potede avvenir*.
Ed ecco come noi in efplicando il fen-
fodi Lucrezio , abbiamo infieme difciol-
to il fuo argomento . Imperocché ab-
biam fatto vedere, come edendol* Ani-
ma , e l’Animo , cioè la parte corpo-
rale minilira dclfenfo,e l’incorporale
principio dell’ intelligenza , due nature dillinte , quali ad elfo Lucrezio pajon d* edere , 1* argomento in buona Loica dal didìparaento dell’ Anima , quello :i dell’
"Digiti? ed c DELL- UOMO. 181 . dell’ Animo non può conchiudere a ni. ^ un patto. Ne dalla (fretta congiunzio-
* •v-W, 584 DELL» ANIMO del fcnfo fono ftromenti,il cui confen- fo , e cofpiramento , anima egli appel- la, ciò intefe di affermare ; quantunque
, che 1 ’ animo ancora fia divifibile ,
vuol che da quella si fatta divifione fi
argo- menti . E dell' infermezza di tal
con- chiufione per la diftinzionc di
quelle», due nature, che Lucrezio
appruova,e noi abbiam provata, con tutto
quello, che al precedente argomento fi è
fatto, non riman luogo a dubitare : e così tutti gli altri a quello finiiglianri ,
che dal confondere in uno il principio
in- telligente, c la parte fenfualc ,
tutta_, lor forza ritraggono. I quali
tutti, non già col folo ribattere , o
fchifare i col- pi negando, come ufano
di fare i Vol- gari ; ma la foftanza
indi vifìbil e dell* Animo , e le fue
maravigliofe opera- zioni, ed ogni altro
dimoftrato pregio v^per tutto opponendo;
e quindi da cer- ' ti , cd indubitati
principj argomentan- do; fi fa
chiaramente vedere, che’l va- rino e’
percuotono dell’ ària . Più larga '-via
ne apre il feguente argomento a
derivarvi i fonti della principal noftra
dottrina , il quale con chiarezza è ne*
.r : fe- r ; ( DigitizeQby Goògje ' DELI/ UOMO. iSs fegucnti verfi efplicato : . Dtnifue cur animi numquam mens , confili
umqu » Gignitur in capite , aut fedi
bus , manibufve ? fed unii >• - • •
. v Sedibus , «ir certi s regionibui
omnibus bar et ? Si non certa loca ad
nafcendum reddita cuique Sunti «ir ubi
quicquam fojjit durare creai um ; Atque
ita multimodis prò totis artubus effe y
Membrorum ut numquam exijlat prxpojìerus orda . Vfque adeo f equi tur ret rem : neque fiamma
creavi Lib. tll. Nono argo-
mento . Fluminibus /olita e/ly
neque in igni gignier algor . ^ Circa
1’ origine dell’ Anima , in prima e* ci
oppolc Lucrezio, che ella nafeer debba
infieme col corpo ; perchè fi veg- ga
col corpo, e con tutte le membra
crcfcere inficine . E poi del feggio, do- ve l’Anima fia allogata , ftabilifce che certo, diflinto , particolare , e
proprio e debba clfere. Finalmente ,
amendue quelle cofe giunte infieme , dal
nafee- re, c dall’ cficre 1’ Anima in
certo , e ditcrminato luogo, egli
argomenta , che fuori del corpo, e fuori
del fuo proprio luogo non polfa
folTiftere . Noi allo ’n- contro con
bello intreccio di metafifi. A a
che •Digitized by Google 1 8
per altre opportunità ; delle cogitazio- . ni: c nel fecondo per la finezza , c vi- vacità del fenfo, e per lo fervore , e_. Copia de’ fluori più (pi ri rosi; degli
affet- ti ; ma ben ella è in tutti i
luoghi , e ini . tutte le parti del
corpo organico colla fortanz'a > come
è in tutti per 1’ opera- . zione del
fenfo , e della cogitazione . Or due
foli argomenti di quelli , che wnfaìm
!r- Cì ^ am proporti , rimangono a trattare:
Sfotefuo^ de’ quali il primo più al platonico dog- ma della preefiltcnza dell’ Anime va a ' '.T colpire dirittamente , che nel
punto .. f,"*; .- dell* immortalità
: che per diletto de’ * plausibili
divifi di quella (cuoia , non_* abbiam
voluto lafciare addietro , coti-, gli
altri che contro a quella medefima . .
opinione ,o alla pitagorica Metemfico-
Digitinoci b/Google DELL’UOMO.
i 9S fi , o ad altro, che alla
principal noftra quiflione fono
indirizzati: c’1 fecondo, il tedio , c 1
a /Fan no di coloro , che.,, muojono ,
ci oppone contra , di facilif- fìma
foluzione. Col quale , efpugnati pri- ma
di grado in grado i più robufti ar-
gomenti , convien conchiudere la prc-
lentc difpurazione . Il primo adunque
que’ vcrfi , che con leggiadria , ed
acutezza è da Lucrezio fpiegato .
Tr eterea fi Immortali s natura animai
, L'I . - Conflati & in
corpus najeentìbus infinuatur ; Cuì
Juper cnteaElam atatem j neminijjf nequimus f
Interi iffe , c ir qut nunc ejl , nane effe creatam * . Nec vejìigia gejlarum rerum ulla tenemus
l .-*• fi t-'Mope™ e Jl animi mutata potejlas
, Omnrs ut aBarum exciderit retinentia
rerum : No» ( ut opinor ) id ab Uto jam
longius errai . Quapropter fateare neceffe
' eff , qu « fift ante , interìiffe ,
. co col dire, che fenza giufta cagione
, ' la pura luce deli’ Anime da Cielo
in-. Terra/i traeflono , a congiugnerti
co’ tenebrofi corpi terreni . Per quelle
me- defimp ragioni Lucrezio e’ fi
avvisò, che 1 * anticipata produzione
dell’ Ani- me, e’I comun loro nafcimcnto
co’cor- pi , bollono due ellremità ,
delle quali una vera , e 1’ altra falla
ncccllariamen- te eflcr dovefie . Onde
mcllolì a con- vincere di fallita il
primo efiremo dell’ anticipato
nafcimcnto , per quello che 1’ Anime
congiunte , di andare cofe niu- na
memoria (eco arrechino al mondo;
conchiufe,che’i fecondo diremo del co-
mune, e promifeuo nalcimento dovefie
cfler vero: e per confeguente , che l’A-
nimc corporee doveflono edere ; e co-
me i corpi , elle ancora corruttibili , e mortali . Tutravia gli antichi Platonici co* loro profondi fenfi , c magnifici par- lari , le minutezze , e le arguzie degli Epicurei , picciola allora nazione de’
Fi- lofofanri , aveano per nulla: e col
tem- peramento della reminifeenza-, che
ne -viva, ed cfprclla memoria , nc c
tota- 5 -' le oblivione ; e col
dimollrarc come-, l v ' P an- - C
Digitized by Gòogle DELL*
UOMO. 199 V antiche notizie, col
conjugio de’ cor- pi porefiono effcrc
ofcuratc; il prefen- te argomento
deludevano di leggieri . Ma noi tra
quelle eftremità il vero mez- zo abbiamo
apprefo, che 1 * Anime non già co’ corpi
, ne da’ corpi , ne per tan- to innanzi
a loro, ma bene in eflì nel punto
medelimo da principio ideale, a mentale
debbano effer create : e tutto ciò dalla
natura dell’Animo, c da quel- la del
corpo , e da una mirabile armo, nia di
natura , e di legge , e da ogni parte
del ragionevole umverfo compro- vando;
c’I vero del mirteto platonico
difcoperro,e la difficoltà di quello ar-
gomento abbiamo fpianata- Al
fecondo argomento , che è l* ulti- mo di
tutti ; dato , e non conceduto , che
ogni Uomo in morte fi dolga di mo- rire;
il che de’ vizioii Uomini, cui i vi-
fibili obbietti , e l’idee ofeurare, e gli affetti rapir fuo!c r è egli vero , e
non_» già de’ virtuofi , che colla
meditazion della Morte ogni fpecie , ed
ogni amo- re del prefente fecolo deporto
, vivaci idee , e acccrt affetti
nudrifeono dell’ invirtbile Mondo ; dato
dico, c noiu 200 .DELL'ANIMO • conceduto , che così dea la cofa , come canta Lucrezio; giuda i noftri principi rifpondiamo brevemente, che quel do* lore e* non è della pura intelligenza ,
ne dell’ Anima fola ; ma bene è del
fcnfo impuro dalla unione delle due
nature rifultante: ed è dell’ Uomo per
quella unione medefima codituito . Il
qual fen- fo, coll’ Uomo., eder mortale,
fol vie- ne a concludere 1 * argomento .
Al che Soluzione polliamo accomodare
l’acutezza di Lat- tanzio col dire, che
finche 1’ Uomo vi- mrgonunto. ve,
quando l’Anima è ancora nel cor- po
congiunta , c’ non è tempo di dover ella
fentirc la fua liberazione ; anzi più
tolto i languori, e le corruzioni corpo-
rali di quegli ultimi momenti le con-
vien fofFerirc: e quando I* Uomo è già
, morto, e’ non è tempo allora di poter
fignilicare il fuo fenlò . Sicché Lucrezio da ogni parte ingannato fi mife a dire: Db. Uh
.... quod fi immortali nofira fcret mens , * Non lavi f e morlens dijjolvi conquereretur : Sed mogis ire f mas , vcfiemque relinquere ,
ut anguis , Gaudenti frtlonga fenrx aut
ccrma cervus . fi 7 " : W Con ' ' . Digitizédby poogle . ft*
DELL’UOMO. 201 Con quella
ftiedefima riTpofta , la va- nità
deirargomenro , che a’recitati ver- Dtmde c ! mo . li immediatamente va innanzi, li dimo-
fuafoivzione . * {Ira ancora . Dove dice
, che 1* Uomo in morendo, non lo
fceveramento dell’A- nima , ma il
diftruggimento (ente , ed avverte :1*
Anima non da un luogo all* altro del
corpo intera trapalare , ma_, nel Tuo
proprio luogo , come ogni altra parte
infievolire, e mancar lente appo- co,
appoco. Perciocché è da dire , che **
l’Uomo è quello che muore ; e di quel- '' la vita, e di quei fenfo, che dalle due nature rilulta, e’puo efifer vero quel
che e’ dice fentirfi , ed avvertirli in
quel punto; donde il patimento , c ’l
manca- mento , c la mortalità dell’anima
pura , e del fenfo, o intelligenza pura,
che niente di quello foflFrono , e
niente fentono,o avvertono , non dcefi a
niun patto ar- gomentare. Finché 1’ Uomo
vive, e fin- che l’Anima è col corpo
congiunta, il fenfo proprio dell’ Uomo,
e la vita pro- pria dell’ Uomo per legge
di unione è fol operante. E quivi lono i
mancamen- ti, e i profitti : e in quella
parte , di quella fono i fenfi, e l’
avvertenze, -«4 C c che Digitized by Google 202 DELL’ANIMO che fi fentono , o avvertono . Se più rodo coll’ allegata acutezza di Lattan- zio , che propriamente contro a que- llo argomento ritrovò quel nobile au- tore, non fi vuol far difefa ; che ben_ può Ilare .
Sciolti a quello modo tutti gli argo-
menti Lucreziani, perocché alcuni piti
minuti, e leggieri, che o fono eftcnfio-
ni,o particolareggiamenti de* più prin-
f en f° cipali; o in qualunque maniera a quelli JSf/. I* 1 rapportano ; ed altri ,che ad
altro fc- , gno mirano, che al punto
dell* Immor- talità , inutile , e nojofa
opera farebbe a volergli perseguire
partita mente ; fciol- ti , dico, gli
argomenti, e fatte le dimo- llrazioni
dell’ immortai natura dell’Ani- ma dell*
Uomo, niente rimane, perchè non Ita
terminata la prò polla Di Sputa . Ma
tuttavia del fenfo degli Animali bruti
conviene foggiugnervi un brieve
ragionamento , per placare ogni Solle-
citudine, ed affanno degl* ingegni vacil- lanti, edubitoli. Imperocché dalla co- mune , c volgare openione nafeene-, pure un molefto argomento, o fofpica- mento in contrario . Concioflìachè la_ co-
Digitized by Google DELL’UOMO.
203 cognizione , che nella via del
hlofohco inveftigamento fola ne fa lume
nel ri- cercare l’immaterialità, e 1*
immortali- tà dell’ Anima umana ;
comunque , e qualunque a gli animali
bruti li conce- da ; non pare , che in
quel cammino pof- fa edere così ficura,e
così fida feorta, come ella è in effetti
. E adunque con ogni fludio da
dimoftrare la fallita di quella ftolta
openione:'il che altra via tenendo da
quella , che finora han te- nuta i
moderni Fifiologi , con altri ar-
gomenti , *col favor di Dio , faremo
fpeditamente . E’pare, che i
difenfori dell’Immortalità dell’Anima
ragionevole , ogni cognizione debbano
difdire a’ Bruti ; ovvero colla
cognizione conceder loro i’immareriali-
tà, e l’ immortalità parimente. Percioc-
ché dal dover 1* Anima ragionevole»,
effere immateriale, ed immortale, perche
è di cognizione dotata, tanto può con-
chiuderfi , che i bruti , perchè e’ non», fieno immateriali , debbano edere di co- gnizione privi ; quanto che i bruti
ezian- dio abbiano ad edere immateriali
, per- chè abbiano cognizione . Siccome
gli C c 2 Epi- L’ opinion
volgare dit- / avori /’ Immortaliti dell" Anima-» delf Uomo •
Digitized by Google 204 DELL’
ANIMO Epicurei, i quali tcgnono,che
l’Animo umano fi a materiale , non
poflono , a— mio giudizio , a’ bruti non
donare alcu- na Torta di cognizione: ne’
quali da una parte veggono ordinate
operazioni ; ed a* quali dall’ altra non
fi può negare— qualunque più pregevole
condizione, o fpezie di materia. Ma con
tutto ciò , co- me potrebbe agli
Epicurei venir voglia di negare ogni
cognizione a’ bruti, con dividere dal
fenfo cieco la cognizione -, c l’uno ad
una fpezie di materia , e l’al- tro ad
altra fpezie aflegnare; e lafciata
l’inferior materia fenfuale a’ bruti , la miglior parte all’ Animo dell’ Uomo ri- ferbarejcosì de’partiggiani dell’Immor- talità , una parte fi fon voluti lafciar
con- durre a concedere a’bruti
cognizione, con diftinguere più maniere
di cognizioni: e quelle così diftinte ,
come loro è paru- to,tra l’ immateriale,
e la material na- tura , tra gli Uomini
, e le beftie com- partire. Onde non c
da reftarfi in quel -folo argomento, il
quale nondimeno noi tratteremo a fuo
tempo; ma fa di me- ftieri di una intera
deputazione . In co- sì fconcia openione
, e come farem ve- dere * Digltized ?art
DELL’ UOMO. 205 dcre dappoi, a
gli Uomini, ed al fommo Dio ingiuriofa ,
più per forza di pregiu- dizi 1 che per
niun valevole argomento fono eglino
caduti . Nella qual preoc- cupazione
nondimeno , c dalla quale», pofcia e’
fon giri raccogliendo degli ar- gomenti
: o più torto le preoccupazio- ni , o i
pregiudizi mcdefimi han fatto contro al
vero, arme di argomenti. Or per
cominciare, ognun fa che 1* ingan- . no
de Volgari e non e altro, che que- de'isolg*
fto.Le operazioni animalefche fono el-
leno certamente diritte, e regolate co-
tanto, che il naturai diritto monaftico , quanto loro conviene , adempiono inte- ramente: ed al focicvole domeftico,ed infino al politico ancora in alcune fpe- zie pervengono: lafciando ftarc mille», varj particolari ingegni di operazioni in quelli , e quelli animali , che fan- no le maraviglie del volgo . Adunque per quel veriflimo principio , che ogni ragionevole azione dee da ragionevo- le principio provenire ; tantofto fenza», niuna difamina , a quelle cotali opera- zioni interno principio di cognizione», hanno eglino attribuito . E ficcome que- ***** * fio
Digitizeb by Google 20 6 DELL*
ANIMO {lo pregiudizio è di fuori venuto
dalle cofej così dall’altra banda, da
eflo Uo- mo , e dalla di lui natura, e
fua manie- ra di operare un’ altro n’ è
Torto nien- temeno del primiero
faftidiofo . Giacché il fenfo a’ bruti
in ogni modo fi dee- concedere , e’1
fenfo proprio dell’ Uo- mo nella
cofcienza di ognuno fi dimo- flra edere
di cognizione illudrato jquin- . di
eglino, che’l fenfo altresì degli ani- •
mali di alcuna cognizione fornito etter
debba, han creduto . Per parlar prima
di quello fecondo pregiudizio , che han-
no i Volgari in conto di gagliardo ar-
gomento, e che del primo può di leg-
gieri più prettamente fpedirfi; batta ri- cordare, che alla coftituzione dell’Uo- mo due diverfe nature concorrono . Per la qual cagione , come delle due fo- ftanze un folo ettere , che è 1 etter
pro- prio dell’Uomo rifulta ;così
parimente de’ due generi di operazioni ,
che a quei diverfi principi rifpondono ,
un folo operare , che è il proprio
operar dell’ Uomo di amendue quelle
proprietà do- tato , dee provenire : ciò
che in più luoghi di quella Difputa, e
nella folu- zione Dìgitized by Google . DELL’ UOMO 207 zione degli ultimi argomenti abbiamdi- moflrato . Donde, che ’l fcnfo dell’Uo- mo e’ non Ha Tempi ice, e puro Tento; e che la cognizion del medctìmo non pu- ra , e Tcmplice cognizione ella ila ; ma che quello con alcuna luce di cognizio- ne , e quella con alcuno adombrameli- . to di TenTo , efler debbano , argomen- tammo .Giuda quel noftro veriflimo di- viTamento, Ticcomc chi dalla cognizio- B
contórni ne dell’ Uomo inTcrir voletTe ,
che le jenfaiTf^fo cognizioni degli
Tpiriti puri, Toflon elle furo jènzj^
altresì commifte di TenTo , per non po- f^orìtroije ter capire , che cognizione Tenia ogni TenTo Ti poffa ritrovare , egli in
grande errore fi abbaglierebbe r così
parimen- te va errato colui , che dal
TenTo dell* Uomo argomentando , il
TenTo anco- ra delle bedie voglia
credere , che fia_. con cognizione
congiunto, per non po- tere intendere ,
come TenTo Tcevro di ogni cognizione
rinvenire fi potTi . Se nell’ Uomo Tolo
le due nature convc- gnono infieme ad
edere, ed operare: e " , fuori
dell’ Uomo e’ non è altrove in al- ~
tra Tpezie sì fatto mefcolamento :e per
cotal cagione è nell’ Uomo il TeuTo mi-
do Digitized by Google 208 DELL’ ANIMO fio di cognizione , e la cognizione a_# rincontro è comporta di fenfo ; e’ pa- re per Dio una chiariflima evidenza , che fuori dell’ Uomo , come cognizione non può efferc fe non pura, fenza niu- na nebbia fenfuale ; così fenfo non pof- • fa avervi non del tutto cicco , fcnza_* ogni lucidezza di pognizione .Da tutto ciò chiaramente fi comprende , che.» quanto il fenfo limano agl’ inconfidera- ti c occafion di errare , e di credere-, ' ' che il fenfo de’ bruti è a quello
dell’ Uomo fimigliante ; tanto è chiaro
ar- gomento a’ più fenfati di tenere
per fermo, che come la cognizione del
ge- nere puro fpirituale, perchè non è
co- gnizion di Uomo, non dee erter fen- fuale : così il fenfo del puro material genere , perchè non è fenfo d’Uomo, non può erter luminofo . Intorno a che egli è affai da maravigliare ,che i Vol- gari Peripatetici , ed i Cartefiani ,
fono i g iriejìa- eglino da una medertma
cagione fta- ri fofpinti in diverfe
eftremità di erro- iia vmcÀgton ri
eftremamente contrarj . Imperocché
medejìtna fi - gjj un j jC gjj a |tri fedotti dal fenfo urna- trarfinorT. no , credendo non mai poterli
fenfo da CO- Digitizecfby Google r
DELL’UOMO. 209 cognizion
feparareji primi per non tor- re il
fenfo a’bruti , la cognizione ancora 1*
han conceduta : e i fecondi per non
donare a’ bruti cognizione , il fenfo an- cora P han tolto . Le quali eftremc ope- nioni noi ugualmente falfe riputando , liam venuti a quello, di dover fepara- re quelle due facoltà, per lafciare a’bru- ti il fenfo folo, ed alle pure
immateria- li Portanze la fola
cognizione . E tanto balli aver detto di
quello fecondo pre- giudizio , per
torgli ogni forza , non fo- lo di
argomento per convincere , ma_. ancora
ogn’ illulìone di pregiudizio per
preoccupare . Ma quel primo ha egli
per le Menti degli Uomini fparfe tene-
bre più denfe, e più univerfali :che di-
cemmo già eflcr nato dal vedere gli
Animali bruti, diritte , e regolate,
ragionevoli operazioni produrre ogni
ora . E intorno a quello , onde , come
fopra abbiam notato , falli ancora il
principale argomento loro , dee rutta
la feguente Difputa aggirarli, in dimo-
ftrando,che altra cagione vi lia del di-
ritto, e ragionevole operare de’ bruti ,
che quella delP interna cognizione . B
. D d pri- no DELL’ANIMO Epicurei Jo- bachè la Mente, e la Materia
colle io- migliante. ft anzc>c
co’modi loro nell’Uomo con- venendo
abbian gli Epicurei medi in__. confusone
; per modo che eglino la_> Natura
immateriale, che è il principio
intelligente, annullando, han 1’ Anima
dell* Uomo tra le pure materiali fpczie
annoverata: e i modi mentali , e i mo-
di, e foftanze della materia, negli ani-
mali bruti avvenendo, abbian confufi i
Volgari ; (ìcchè fpiritualizzata , diciam così , la materia , V Anima delle beftie nel ruolo han meflfa delle foltanze co- gnofeitive. Perchè nell’Uomo, da una parte la fola materia è al fenfo riguar- devole ; c dall’ altra le mentali opera- zioni,che ficemorrfi n'dta' cofciùiiza
,Co’ modi, e moti materiali , e loro
vicen- de , e variazioni procedono ; i
fenfuah Epicurei -han creduto, che la
Materia a tanta finezza, e attività ,e
ingegno per- venga , che poffa ella efler
principio dell’ umane cognizioni . B i
Volgari , ne- gli animali bruti, perchè
la materia de* modi ... . 4 '
prima è bello il vedere, che 1* inganno
L 1 instino j c ’ volgari Peripatetici è a quello de- de luefloVeJi gh Epicurei aliai fimigliante .
Conciof- Digitized by Googl DELL’UOMO. 2ii modi dell’arte, e della feienza menta- le ornata , cd ordinata , veggon produr- re ragionevoli opere da una parte : e_, dall’ altra al Colo Uomo , come è dove- re , concedono immatcrial principio in- telligente: fono eglino perfuafi,che la materia porta in alcun modo e/Tcre prin-
* cipio di alcuna cognizione. Nella qual cofai Volgari per certo più bruttamen- te errano di coloro . Imperocché gli E- picurci , negata una volta la natura^ immateriale , che è tutto il loro
errore, concordan poi con feco rteflì ,
e giuda i proprj principi da prima
preferitti , profeguono a dire, quanto
poi afferma- no appreso dell’Anima
dell’Uomo. Ma i Volgari da’ loro
principi ben lungi fi dipartono , c
apertamente fi contradi- cono: quando ,
concedo che. vi fia na- tura immateriale
, c nell’ crter principio di cognizione
la colei eflTenza riporta ; pure
ne’bruti alcuna cognizione poi do- nano
alla materiale per colorir Tinca danza,
e mitigar la contradizione ; nuo- ve
fpezie di nature immateriali , e nuo- ve
fpezie di cognizione a capriccio poi
fingono . Dalla qual cola il comune aiv
D d 2 go- • 3 2iì DELL’ ANIMO gomcnro è tratto di coloro, che niega- , no a’ bruti ogni qualunque cognizione: il quale argomento allegheremo noi po- fcia, fé avremo tempo, e luogo opportu- no di farlo . Ora alcune più rimote , e più gene- il fenfo i ra jj confiderazioni ci deono
condurre uniforme, a quelle f che piu
vicine tono , e pra proprie del
propofito noftro E in ogni modo in primo
luogo fi dee efplicare , come il fenfo,
o natura fenfuale è una, ed uniforme ,
che tutte le maniere , e , forme delie
fenfazioni in quella unità , ed
uniformità comprende : che medesi-
mamente è il fuo edere ampio, ed uni-
versale, qual’ è, ed efler dee ogni altra natura comunella qual verità bene in- tefa , non fi può dire quanta luce fia per arrecare a quella ofcuriflima quiftione
. •Adunque fiocone la cognizione , o
ra- gione , o natura ragionevole tutte guife, e tutte le forme di ragionare 'in una uniforme unita, ed univerfalità con- tiene, infino a perfetta luminofa Scien- za, arte, e legge ragionevole ; così al termine di perfetta material feienzà , irte, e legge fenfuale*, da fimigliante_ • w « v prin- • . Digitized by GoCgle DELL’ UOMO. 2ij principio uno , uniforme , e univerfa- ie il ienfo eziandio fi conduce . Alle quali due nature giacché con Peripate- tici, e non già con Epicurei ora depu- tiamo , dobbiamo aggiugnere la natura intelligente ; quelle tre nature a que- llo modo ordinando . Che la pura In- telligente nella fua immobile uniforme
s! unirà , tutte le intellezioni di
tutti gl* uè intelligibili accolga
fenza vicende , e Nature , /«- lenza
variazioni: c che l’impuro Senfo ^onroole^e
tutte le fue proprie varietà di fentire , Scnfualt . in una mobile , e divifibile unità con_, moti , e modi con perpetuo flufio va- rianti , debba contenere : E la natura ragionevole polla in mezzo al fenfo , ed alla intelligenza, moti fenfibili , e lumi intelligenti inficmc congiugnendo* tut- te le fue particolarità Umilmente in fe aduni, fino al fine di perfetta feienza
, legge , ed arte ragionevole . Sicché
1* In- telligenza fia ciò che ella è ,
fenza mi- llura di fenfo ^ il Senfo fia
il fuo pro- prio edere , fenza ogni luce
d’ intelli- genza : e la Ragione così
abbia le fue proprietà, che mefcoli
infieme col tor- bido fenfua le , il
chiaro dell’ intelligen- za. Digitized by Google Due fonimi
generi , P uno dell ’
effere—» terilene feltro dell' ejjer
immagine reale, che non è propriamen-
ove fi ritruo- f c quella, o quella fpezie particolare . v ’-> ed mela Così flando elleno quelle
cofc , ad in- ' ìarila > . aiUC0 '
tcllerti metafifici cotanto chiare, quan-
to più non fi può dire, P Intelligenza (
la Ragione , e ’l Senfo fono ciafcuna una unità uniforme , efprelfiva , e raflomi- • gliativa di quell’ elfere , ed a quel
mo- do, eh’ è a fe convenevole. L’
Intelli- genza è un Siiiogifmo già
perfetto ,che con totale penetrazione ,
e con cccelfi- va chiarezza comprende
Puniverfo ef- fere intelligente lenza
ombre, e lenza vicende . La Ragione, o
cognizione uma- na non è ella altro ,
che un argomcn- *■ to: *
Digitized by Google J DELL’UOMO. 217 to: cioè una poterti, o facilità, per co- * sì dire , di rtllogizzare , che tutto
l’ertere ragionevole va a conchiudere
con vi- cende, ed ombre . Secondo che
noi nel- la noftra metafilica abbiamo
rtabilito, la ragione dell* Uomo, ella
non in altro modo giugne a conofcere gli
obbietti , che argomentando dalle
minute, e roz- ze loro fimilitudini ; ed
indi le intere , e più perfette immagini
riproducendo, ed efplicando . Ella
adunque ertendo co- terto Colo crtere di
argomento, che è erte- . Cfme r/tm re
ideale , ed efprertivo , uno , unifor- e£?mto“ em- me , penetrevole , uni verfale: viene con ten
£ a tutt^ ciò a potere efprimer tutte le
differen- ze , e forme ragionevoli, una
rimanen- do , ind irti nra , indivifa ,
con quell’ una unità efprefliva ,
argomentativa . La_. Ragione, tutto ciò
che le rt apprefen- ta con argomento in
fc raccogliendo , e fe medefima , c ’l
fuo fenCo , e le fue percezioni , e
cogitazioni penetrando , c includendo ,
tutto il novero apprende . delle forme,
che T appartengono . Così il fcnfo,col
contatto, e col conciglio, Comelffen- e
confenfo della più fin 3 ,e più valente
E e por- . ' ' Drgitized t ' 2 1 8 DELL' ANIMO m porzione della materia in quel modo r che noi già dichiarammo, divenuta pe- netrevole, le azioni , e le
lignificazioni de’ fcnfibili obbietti ,
ed eziandio degl’ interni appetiti con
incredibile agevo- lezza , e virtù
raflbmiglia : ed iniicme per adattati
canali , con abili dromenti produce
operazioni ad ogn’ interna-, r ed edema
lignificazione corrifpondenti . il Senfo
è Egli è il fenfo come un materiale argo-
argomento* mento; cioè una elprelhone , e riprodu- zione, con che la più virtuofa parte
del- 1* • . la materia raccoglie in fé
tutte le par- ticolari , minute, ed
imperfette lignifica- zioni , ed azioni
materiali .. A llmiglianza della natura
intelligente, e della ragione- vole
alTai più, il lenfo ancor efìfo è una
efprefliva ideale unità materiale , uni-
forme , ed univerfalc : e cotale ella ef- fetido , le varie maniere dell* edere
Ten- ibile dee tutte produrre , fino a
poter pervenire a perfetta faenza ,
legge , ed arte fenfuale. L’intelligenza
ella è pur- gata da ogni grettezza, e
impurità^, ed c libera da ogni mutamento
, di pure t e lucide notizie conteda in
una amplif- ^ ->•*«* •; • - ima * -
S*V-'VT & ♦ Digitized by (Joogle DELL» UOMO 2i9 {ima faenza deli’ ogni effere intelligi- bile. Il fenfo è impuro, variabile,
tcne- brofoj e nondimeno con cieche idee
, e combinazioni , e fillogifmi
conchiude Tumverfa materiale erprclfione
, e pro- duzione d’ ogni fenfibile
obbietto . La cognizione , o ragione di
fenfo com- mifta , e di lume d’
intelligenza , per convenienti idee , e
componimenti , e per fillogifmi fi
raccoglie in una ben ampia fcienza
lucida argomentativa . Siccome la
fcienza ragionevole è pene- trabile, e
inclufiva per interne comu- nicazioni ,
e produzioni ; così il fenfo egli è a
fuo modo pur penetrevole , e inclufivo
per finezza , ed agevolezza di materie,
e moti . La fcienza ella è un* ampia
forma univerlale del vero ragio- nevole
, piena , e feconda delle ragio- nevoli
forme , fino alle più particolari, ed
eftreme : c’1 fenfo è umvcrfal for- ma
del vero fcnfibile , con ferie di li-
mili forme fubordinate , potente a pro-
durre tutte le guife delle fenfibili ope- H && è razioni. Il femo e della corporal natu- cieca-. ra come una fcienza cieca : come la_-
•frtowdco- fcienza è della natura
incorporale , per fumìmfo. E c 2 COSÌ Digitized by Google 220 DELL* ANIMO così dire, un fenfo luminofo. Poflfono adunque i Volgari Filofofanti fé non-, credere, fofpicare almeno, chele in- finite combinazioni , e fillogifmi
ciechi de’ principi, o elementi, onde il
fenfo è coftituito, vaglion di per fe
foli , fen- za niun lume di cognizione a
produrre tutte le ordinate azioni
fignificati ve , ed operative degli Animali
. Cotefte-, '; r v tre Nature, ciafcuna
di per fe feparata- mentc nel fuo
proprio regno , hanno elleno perfetti
principi operanti . Ne all* intelligenza
e* fa uopo ne de’ pro- cedi della
ragione , ne delle macchina- zioni del
fenfo . Ne il fenfo , o degli {labili
comprendimenti dell* intelligen- za, o
delle lucide argomentazioni della
ragione abbifogna . Ma nell* Uomo ,
nel qual folo due nature convengono,
fenfo, cd intelligenza e*fi mefcolano in- fteme : e come le turbolenze fcnfuali ^rToffufeano la luce della cognizione ;
co- fienìt la cali- sì i chiarori
ragionevoli illuflrano la«. frJIAZ
caligine del fenfo. dell' intelii- Cosi
dette quelle cofe , più per after- &
enza • ger loro il malnato pregiudizio , che
per convincergli del tutto j rivolgiamo
' ‘ - ormai DELL* UOMO. 221 .
, ormai il fermone a quelle, che
maggior forza di argomento ne pare che
deb- bano avere. Benché ne il
pregiudizio e* v ’. V * •. fi è potuto
combatterete non in alcun ' modo
argomentando ; ne argomento niuno fi
potrebbe adoperare, fé non in qualche
maniera contro al pregiudizio
combattendo ; ne altronde parmi po %
ter meglio cominciar quella parte , che
dalla famofa definizione Ariftotelica^
della Natura, la quale i Volgari di lui
'feguaci malamente interpetrando , di-
fcreditano ; e i meno feorti moderni
affatto non intendendo , deridono. Per-
ciocché il fecrcto di quella mifleriofa_, definizione difeoperto, tutta affatto
dif- fiderà la nebbia del Volgare
abbacina- mento. Lafciata Ilare ogni
altra cofa , che dir fi potrebbe , per
efplicar quel- , la definizione , che
qui non è uopo; io \ à d'^nìziow porto
ferma openione,che quel Filofo- Arìj tot elicne
fo , quando e’ diffe , la natura effier prin- u 1 A cipio di moto , e di quiete ; che egli ,
* allora intefe infinuarne di più la
comu- — nicazione , e la diftinzionc ,
che infic- ^ mementc la Natura ha colla
Scienza , e coir arte . Sono certamente
Natura, Scierà * -
Digitized by Google ^ f . ni
DELL* ANIMO Scienza, ed Arre tre
primarj principi , natura - j c h e ogni
genere di forme compiono Jnejcnò t , e
1* univerlità delle cofe. La Natura mo-
l?' n yù.i timi vendo , o producendo : che produzio- L-nivirjo c moto £ C omc più giù
dimoftrere- mo)fonó una medefima cofa.
L’Arte componendo , e formando ; e la
Scien- za penetrando , e intendendo . La
Scien- za generalmente confiderata ,
altro non è ella che principio di cognizione:
fic- corae 1’ Arre pur prefa in generale
, e* non è che principio di formazione. La Natura, ne di formazione come l’ Ar- te, ne di cognizione come la Scienza; y mafoldi moto, e di quiete e principio. Quella diftinzione di quelli tre princi- pj additar volle il Filofofo in quella fua diffinizione con ifceverar l’Idea , e ‘ l’elTenza della Natura dall’ idee, ed
ef viV'X fenze della fcienza,c dell’
Arte; e con rillringerla alla lua
determinata proprie- tà. Ma fono
nulladimanco quei princi- Comunìone di
pj tra loro inficme comunicanti , co-
fueì trefrìn* mG dalla defìnizion medefima è facile c ' iJ ' argomentare. Perciocché, nc l’Arte
e’ può di niuna formazione elTer
princi- pio ; nc la Scienza di
cognizione fen- DKLL’ UOMO. aij za virrìi di produrre, che e la Naturar e Icambicvolmente nella Natura è in- ficine Ja feienza , e 1* Arre ; perchè
a_, niun patto c’ porrebbe la Natura
cfler „ principia di produzione fenza
idea , e regola, e modo di produrre ; il
che è cfler Scienza, ed Arte . Quanto è
im- ponibile , che v’ abbia alcun
produci- mene di cognizioni foie n tifi
che r e di forme artificiofe fenza
potere di pro- durre: altrettanto potere
, o virtù nin- na e’ non può eflervi
fenza modo , o regola di produzione . La
feienza , T Arte fenza virtù di
produzione fa- rebbono (lenii r ed
infruttuofe per im- potenza, e fi
rimarrebbono in una ofeu- ra, e tenue
generalità di fapere . E la Natura fenza
via , e regola , farebbe., per tumulto ,
e difordine di parti , e di moti ancor
ella infeconda , e rollereb- be in una
fparuta , e informe comunità d* edere .
Tanto la Scienza, e 1’ Arte ; quanto la
Natura , come è ben uopo t hann* elleno
potenza, ed atto, de* qua- li come di
due neceflarj principj fi com- piono. La
potenza dell* Arte , e della Scienza è
la virtù producente ; 1* idea T o
for- V i*.
224 DELL’ANIMO o forma ,o regola
è il di loro atto . Per contrario la
forma , o regola, o idea è la potenza
della Natura ; e ’1 fuo atto è la virtù
produttiva , L’ atro proprio 'QuùIJùl^ d
e i| a Scienza è la potenza della Natu-
f unita della K Natura* qua- ra
: e 1 arto proprio della Natura e la le
de ! i ,i s I icn potenza della Scienza, e dell’ Arte». ili /f* * | • r • con bel reciproco lovvenimcnto j foccorfo . La Regola , o idea ella è V
u- nità della Natura ; la qual fottratra
, difturbafi l* adunamento , e ’l
confenfo delle parti , e de’ moti ; onde
la Natu- ra in molte, e varie parti, e
in molti, e difeordanti mori fi frange
fi difper- de, che nulla producono . L’
unità del- la Scienza, e dell’ Arre è
egli il potere di Natura: il qual tolto,
la comunica- zione, o inclusone
s’interrompe : dal che 1* Arte , e la
Scienza in molte , e varie idee
^.cogitazioni fi fmhiuzza , • che nulla
conofcono, ne formano. Ma tuttavia. è da
notare, che 1* edere , c *1 potere della
Scienza ,e dell’Arte, quan- tunque egli
è foftanzievole , e natura- le, cfler
dee nondimeno inclufivo , pe- netrevole
, e Iuminofo: che altrimcnte la Scienza
, e l’ Arte con edere , e con po- Digitized by Google vi
* '■l 1 za .
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22 6 DELL’ ANIMO quella
fcientifiche , c quella artificiofe, con
edere, e con potere penetrevole ,
lucido, inclufivo.E la Scienza coll’Ar-
te, non vuota, vana , fpoflata , fantafti- ca; ma è reale, vera, piena, collante , poderola , per edere , c per potere di reale follanzievole natura: nel che l’E- ternità della Scienza , dell’ Arte , e
del- la Legge è locata : la qual cola ,
dopo "lunghi contraili, e’ non han
potuto net- tamente difpiegare i Volgari
. E la Na- tura non è ella informe ,
irregolare^* difordinata ; ma è formofa
, ordinata , diritta , per idee , e
regole di verace , e falda Scienza, ed
Arte : nel che la fem- piternit'a dell*
Univerfo è ripolla , che_* gli Epicurei
intendere giammai non-, han voluto. Quel
che al prefente rile- va è , che con
quanto ho detto della.» • Natura , e
degli àTtrf due principi , io fon venuto
a dimollrare , che le ordi- nate , e
ragionevoli operazioni della^ Natura
particolare degli animali bruti, come
quelle della Natura univerfale , deono
poter provenire da principio in- terno
di Scienza, ed Arte cicca . ? E perchè
il maravigliofo potere del- le \
DELL* UOMO. le idee cieche , che
alla Natura abbia- mo attribuite, finalmente
tutti ricono- P!ìt fpezie lcano; egli è
da notare, che oltre alle ^^ orme forme
reali delle cofe, che già fono in
eletto, e fono a’fenfi nortri manifefte,
e vi ha altresì delle forme ideali , che- così appelliamo , divife in tre diftinte •
- Jpezie, o più torto in tre ufficj
diverfi. Il primo egli è dell» ideali ,
come lor di- cefi plaftiche , dalle
quali generalmen- te a formarli, ed
efplicarfi vegnono le reali . Quello
genere è egli principal- mente riporto,
e chiufo nel feno degli elementi ; onde
nella prima origin lo- ro , Erbe, e
Piante , e Animali ufeiron « fuori alla
lucè : ed al prefente ancora non di rado
ne avvengono novelle pro- duzioni . E in
fecondo luogo le mede- lime ideali ,
nelle fortanze delle cofe- per tutte le
fpezie elle ferbanfi invol- te : donde
ogni cofa può produrre il lì- mile, e
propaginar la fua fpezie. Il fe. condo
genere è dell’ ideali , cui noi di-
ciamo lignificati ve , che fpiccanfi dagli r&jt obbietti, e a rapprefentar vegnono a’ V
Maini- iioltri lenii tante varietà di
colori e di rettrici f ono forme ,
quanti già ne veggiamo . Il ter- tt Pi •
Ffa zo, ; 9 • \ - _
Digitized by Google r • 2*8 DELL* ANIMO zo , che fa al propofito , è dell’ ideali
di- ?** rettrici fopra tutte 1* altre di
fommo valore, e pregio, che il fovrano
uffizio hanno elle di reggere i moti, e
le ope- razioni . La Natura di tutti e
tre quei . ! generi d’ Idee eflfer dee
fornita: del pri- mo, e fovrano delle direttrici
; affinchè i movimenti fieno regolati,
profittevo- li, e fruttuufi: del fecondo
genere del- le plaftiche; affinchè le
forme, o fpe- zie delle cole fieno
durevoli , utili , e- gradite : e in
fine del terzo delle figni- ficative ;
per fomminiftrare al fenfo ac- conce
lignificazioni , ed efpreflìo ni , on-
de fi promuovano le operazioni, e le—
comunicazioni delle particolari nature
infra di loro fi compiano. E ritornando
alle direttrici, è affai ragionevole pen- famento,che cotali Idee ne’ corpi Ce- lcfti , e ne’ loro fiti , ed afpetti , c
mo- vimenti fien ripofte . E non per
altro , che per quelle tre Idee
moderatrici è da credere , che il Mondo
, magnimi-, KtlU Kd Animai fu da Platone
appellato. Nella tuv * fenf uale
particolar Natura del fenfo e’ ci ha_.
ètuualapcr • fut t; a perfezion della Natura Univer- si 0 * natU " fale *. Oltre al fommo
potere, ed al per- fetta Digitized by Gòogle D 3 LL* UOMO. 229 fetro concilio de’ principi coll’ idec_, plaftiche , e fignificative , avvi anco- ra la fovrana regola delle idee diret- trici per Io governo della vira. La Na- tura fenfuale ella è (opra tutte le cor- porali nature perfetta, e Copra tutte lì avanza ad imitare la Natura Univerfa- le: ficcome V Uomo,’ nel quale tutto il filloma del fenfo , fornito d’ ogni ma- niera dMdee, egli è oltre ciò governa- to dall’ Idee lucide ragionevoli , Copra tutte le terreftri foftanze rafTomiglia_, 1 ’ Univerfo me de fimo illudrato dall’
in- telligenza della Mente Unìverfale .
Or poiché è neccflario , che negli
Animali bruti vi fin (ufficiente
provigione d’idee direttrici ben
ordinate ; per qual ca- gione e’ vi
richieggono di vantaggio il reggimento
delle cognizioni ? Non fo- no forfè l’
Idee cieche direttrici bade- voli a
moderare 1’ arruolo moto del fea- fo ; e
fecondo i movimenti interni , o fecondo
l’eftcrne lignificazioni , non_» fono
elleno valevoli a produrre quelle, e
quelle ditcrminate operazioni ? Co- me
potranno- le plaftiche idee diftribui-
xc il chaos della Materia fcminale,, e-, reg-
230 DELL' ANIMO reggerne i moti
per generar erbe , ed alberi , ed
artificiofiilìme forme di Ani- mali ; e
non varranno le direttrici a__. moderar
l’azioni, e i moti fcnfuali per
confervare la vita^E egli per avvenru-
ra il fatto della confervazione della vi- merzio tra ta P*u ingcgnofo , e piu
artihciolo del- jiicbe ? 7 e f° rrnaz '
one medefima ? Egli non ci ideejìlnifi-
ba tra quelle due fpezie d’ idee di-
eative. rettrici, e plaftiche , fomiglianza , e_ comunicazione, e commerzio si fatto , che l’impreflìoni talora delle plaftiche ' ■ pervengon fino al fovrano feggio
delle lignificazioni, e direzioni, e
quivi figni- ’• ficative, e direttive
divegnono ; ed al- lo ’ncontro le
figure delle direttrici , e lignificati
ve difcendono giù al luogo del- le
generazioni , e per così dire, plaftico
- w ingegno, e potere acquila no ? Siccome la mafia dellgk^a*e*i*,dà*i»m così, ge- netliaca, è egli un indigefto , e confufo chaos, e in certo modo indifferente, e indeterminato , che'' nondimeno l’idea plaftica diftingue , dirermina , e forma fino a perfetta generazione; così il mo- to fenluale è propriamente indetermi- ' - nato, e indifferente, e come confufo, e
in- A-' ■% • Qigitized by Goc V
• * DELL’UOMO. 231 digefto chaos,che tuttavia 1* idea
diret- trice dee poter diftinguere , e
formare fino all* intero governo del vivere
ani- malefco . Egli è fopra ogni altra
cofa da por mente, che il moto del fenfo
è della più preziofa.,e più agevole
mate- ria; ed c il più vigorofo, ed
efficace tra tutti gli altri, Tempre
pronto, e fpedi- to , ed operante: e che
1’ idee direttri- ci del medefimo fenfo
fono vivaci, ed efprefle, e ben
ordinate, e compiute ; cioè per diftinta
, e lunga ferie fono in sì fatto modo
compartite , che da cer- te più ampie, e
generali, che in una_, prima , e
principale , ampliffima , ed unr-
verfaliffima idea fono accolte , tutte l’al- tre minori procedono; e quefte medcfi- me infra di loro 1* une dall’ altre , da quella prima comuniffima idea fino all* eftreme, e particolari ordinatamente di- pendono . Òr egli efleiido nell’Anima- le, da una parte quel virruofo, e per- petuo, e univerfal movimento; e dall* altra quel ben fornito , ed ordinato
reg- gimento di efficaci idee ; qual’
altra 'co- fa fia uopo , perchè
l’animale poffa^ agi’inrerni incitamenti
del fuo corpo , w ed r
A mi •* ? 4 *
’ DigitizetUiy Google rJj- 232 DELL’ANIMO cd agli efterni de’ corpi circoftanti
re- golare le operazioni, di che la vita
ab- bifogna ? Siccome fciocchiflìmo
penfa- mento c* farebbe di chi alla
virtù fen- iuale , altra forza d’ altra
potenza ag- giugner volctfe, per muovere
l’ anima- le ; cosi ugualmente , a mio
giudizio, vaneggiano coloro , che all*
intera , perfetta regola fcnfuale ,
altra regola d’ altro ingegno vogliono
fopra porre-. JtJèZjòT* P er governarlo
. Il fenfo è vigorofa vir- tù motrice,
per idee cieche direttrici, valevole a
produrre ordinate , e pro- fittevoli
operazioni . Quindi raccogliefi bene
effer dovere, che 1* animai bruto, che è
indocile , nafea addottrinato di quanto
ha a fare per fua difefa : e per . *
contrario 1 * Animai ragionevole, che è
docile , imperito , ed indotto de’ Tuoi
f affari e’ convien chfc nafea al Mondo , Poiché ridec del Bruto e’ fono corpo- Ter qual co- rali , e cieche ; deono elle con
tutto rottone- 1’ apparecchio della
materia, c con tut- vnie rufea in- to il
lavoro delle forme infiemementeT dotto,
effer trafmefTe per via di generazione:
, Siccome l’ idee genetliache, di fimil fat- ta, tanto nell’Uomo quanto negli altri DELL’UOMO. 233 animali , non per difciplina fi appren- dono , ma bene per naturale operazio- ne fi fommimftrano . E poiché tutte.» ridee dell’ Uomo fono lucide , elle di neceflìtà colia luce delia cognizione, T una dietro all’ altra , e dall’ altra
l’una efplicandofi , crefcer deono a
formare la feienza . Per rimontare ali’
altezza.» de’ primi principj , di che
largamente nella fuperior Difputa fi è
favellato, la. Mente è ella in fe , e
con fe medefi- ma , ed è in fe , e con
feco operante : il perchè 1 ’ Uomo di
Mente dotato , a quella guifa operando
,- fe medefimo infegna o nella Mente
univerfale , o nella univerfal materia ,
da’ particola- ri a gli universali , e
da quelli a quel- li discorrendo ; e in
cotal modo arti inventando, ed
esplicando Scienze, ed iftorie teflendo
. Ma il SenSo cicco ma- teriale , da
ogni altra coSa e in Se , e per poco da
Se fieflo diviSo, e* non può fermamente
in Se , e con Se operando ^ come fa la
ragione dell’ Uomo , inse- gnare Se
medefimo : e perciò con tutte 1* altre
forme, ed operazioni , e lavori
materiali , unicamente per gencrazio
G g ne 234 DELL’ANIMO ne efler dee formato, ed idrutto . Er- Erme de * rano b cn dj m olto i Volgari , che
vo- ogc,u ' gliono l’animale
addottrinato per qua- Erroredìal -
lunque cognizione . Errano eziandio fan/
*• c * A ,, .h.
• 3 . _ •! ' Digilized
è^X3oogfe 2?8 DELL’ANIMO , • mcdefima debbono immediatamente procedere . Ed in ciò egli è ben latto éeU’Vom* avvcrtire » che la Mente deli’
Uomo la Materia da una parte; e la
Materia univerfale-* jeZnoUtrfn- ^ a ^
l{ d rr3 > cileno amenduc affettano il
creato . primato, e’1 principato dclfc cofe . La Mente dell’ Uomo per 1’ indifiolubil m ncflTo della penetrevole , e
comuniche- vole identità, per la quale
in alcun mo- do ella da fé procede, c in
fé ritorna, e in fé ripofa; avendo
principio, mez- zo, e fine
infeparabilmente connetti in una
indivifibile, reale unità; e per l a .
quale è ancora a Tuo modo proporzio-
♦ nevolmenro ampia , ed univcrfalc : e la materia per la fua ampiezza , ed uni- verfaliti , onde ogni efifere del fuo
ge- nere abbraccia , c contiene ; cd
onde * ^ in alcuna gnifa , una ,
penetrevole, e co- municante f! fa
vedere . Perciocché a fondare il fourano
primato , e principi- t to dell’ efifere
, due cofe infieme concor- rono ; Luna è
I* identità , che invinci- bilmente
unifee tutta l’ettenza , o fo- flanza, e
tutta in ogni parte rendela a -fé
medefima infittente, e prefente: l’al-
tra c l’ ampiezza , e contenenzjuwrit'er- fale,
Digitized by.Google * DELL’ UOMO. 239 fale , che ogni eflerc dentro di le di - ogni genere largamente comprendevi anzi primato, ed univerfalità e’ paioli di eflerc una medefima eflenza ; l’ univerfalità per efler prima, e
(bura- tta , ella è uopo , che all*
ampiezza ag- giunga r identità de’
principi ; che il tut- to alle parti, e
quello a quello infepa- rabilmente
connettendo, arrechi verace contenenza -
E così eziandio Identità, c primato
pajono flmigliantemente una fola cola ;
ma e* fa di meftieri, che l’iden- tità,
col neflo infolubile dell’ eflenza_.
abbia infleme la contenenza. ili ogni ef- fere, per efler perfetta, prima, e po- derofa, e con perfezione, pienezza, e potenza efler prima, e fourana . Orla Mente deli’ Uomo per I* identità de* principi, che feco adduce alcuna uni- versità : e la materia mondana per 1’ univerfalità , che pare aver fe.co
al- cuna comunicazione, elle, come dice- vamo, ambiscono il principato delle co- fe appreflo degli Uomini ftolti . Dal che begli nella Fifiologia Torta l*
opinio- ne dell’ eternità del Mondo , e
quella dell’ autorità , e del potere
della Fortu- • na, m
*r' Digitized by Google 2 4 o DELL* ANIMO na , ed ogni altra Scempiaggine, che fa produzione delle forme ideali, e reali, umane , e mondane fottragge all’ Idea divina : ed indi altrefi nell’Etica c egli
de- rivato il pregio del fallo , dell’
utilità , e del piacere, che colle frodi
, e colle violenze introducono nelle
Civili focie- tà la peftilenziofa
Tirannide . Ma l’una, e l’altra nell*
intelligenza de’ dotti da quelle alture
nel più infimo luogo, cia- fcuna del fuo
genere fono fiate ritrai te ;
conciolfiachc la Mente dell* Uomo fenza
la vera, e piena univerfal conte- nenza
c ella rifirctta, e circol’critta da
ogni lato , minuta , angufta , povera ,ed impotente, c di minute, c varianti, e caliginose cogitazioni , e idee fol pre- veduta : Sebbene ella per forza della r penetrevole identità , e lumi , e Segni della Mente uTTiVeffale , e dalla uni- . verfal materia ricevendo , può b.Z » *»
t i ft — '•* BMv *“v ji. ! 2 •”
; Sfe: .- yin. /S ' Ev*
■*• *> L^J ■
80KT9i fi.:-,;,;. t- if ^ %
Vi V ,. DELL’UOMO. 24 1 ingegno Mentale
può ella, forma, ed ordine, e bellezza,
e forza acquifere Così la Mente dell’
Uomo , 1* uni verfai eflere e fapere ,
che è 1» ogni eirere , c ogni fapere ,
fuori di fe avendo ; e di la fatta
accorra di edcr ella piccio- ni porzione
, e fottil produzione di quell ampia
umverfalità ; e la Materia avendo fuori
di fe ogn’ idea, che è ogni ingegno , e
forma , ed arte ; ben ella lì di- moia
e/Tere una partecipazione , ed un
limuiacro delia verace prima univerfal
torma. Con che elleno, non già il va- Doppio». no lantafima del loro fa4fo pnncimrn «omento
del che creano nel fenfo degli ftolT;
maj del vero principato della fovrana
Men- te divina, doppio, rubufto,e
luminofo argomento fom mi ni Arano;
quella colla cognizione , e quella colla
fignificazio- ne : quella col conokere,
indiritta ver- • fo 1 ogni fapere , ed
ogni elTere , onde procede; e quella col
lignificare, addi- tando il medelimo
ogni elTere , ed o" ,w,r, a.-
flf-ft * - •’.V* K
-•'Ve : > .• .
», * * \y > -.A 2 4 i DELL* ANIMO vacuità» e difordine» e tumulto» c de- formità» e infermezza , cd ogni inutili- tà, e danno sbandifee » bontà » pienez- za , potere , Capere , e con erti ogni
frut- to , ed ornamento Ceco arrecando
da»# una parte ; e dall* altra fe nell’
erbe , e nelle piante , negli animali »
ed in ogni altra corporale fpezie, cogli
occhi del- la fronte e* fi. vede cotal
perfetta cofpi- razione , e comunione
con tutte quel- le virtù, e bellezze: e
nell’ Uomo parti- colarmente tutto il
corpo organico con ogni fila parte
feorgefi ordinato all* in- veftigazionc
, ed al profeguimcnto del vero, c del
bello» £ nell’ Univerfo al- tresì nel
corfo regolato , e collante » negli
fplendor» della luce » nel potere della
formazione , c in quello della fi-
rnificazione, nell* infinità delle forme
reali, che opefàn ò*7'c felle ideali, che lignificano , egli è apertiflima » e
luci- didima cofpirazione , e comunione
con ogni bontà, e belleza,e utilità, e
uber- tà, e dilettamento; fe , dico ,
tutto ciò è vero , come fermamente è ;
ficcome vedefi per quello dalle cofe
difcacciata ogni vacuità di edere , che
è il nulla ; DELL’UOMO. 243 ed ogni difetto di configlio , che è il cafojcosì con indicibil chiarezza l’ogni comunione perfetta della mente fcer- nefi ancor chiaramente lignificata . Di cotali comunicazioni, e fignificazioni , onde è l’ Uomo d* ogn’ intorno cinto , e delle interne comunioni , e
lignificazioni del proprio edere, e del
proprio fapere, egli è ccrtiflima
produzione V Idea di Dio ,che il
divagamento , e divi/ione de’ penfieri,
e ’l tumulto , e lubricità degli affetti
ofcurano, e cancellano fino all* infano
Ateifmo, che come più fiate è per noi
flato detto, è dpiù cupo.abbiL fo
dell’umana ignoranza , Ora per ri-
metterci in cammino , quello danno an-
cora inferifcono alla fcienza quei , che
per 1 * ordinate operazioni degli Ani- •' mali bruti, non contenti delle forme , fue
cegni o idee materiali direttrici, di
vantaggio ӣ> pjcurala vi richieggono
la cognizione : quella fffi^, az '° ne
illuflre fignificazione divina della divi- na autorità ofeurando non poco ; co- me fa altresì chiunque T idee direttrici dell* Univcrfo non riconofce . Percioc- ché le forme direttrici , con più fret- to, e più certo xommercio elleno fon ni H h 2 coll’ • 4 *
* .. RJ *m._
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^ « vP, sr &»- l\r iSPIEjS &
, feAfl ». vv. .^■•’MI j»4 V*.
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fi Si- „• Sè?L"; i'r*:- • ■
r'- fe V,*. . •Q©:ii"e'1 ri*»' • ®
! «r*- 51 a»
* 4 &K 5 J j?* x DELL* UOMO. 247 nino a fvegliarvi le ufo , o cognizione ; ma più tolto, che da un capo all’altro, non in altra maniera qualunque modi- ficazione fi diffonda, che per virtù del- la penetrevole materia , fuccelfivamen- te d’ una in un’ altra parte di fpiriti
, onde tutto il corpo abbondi ,
moltipli- cata, e propagata .Imperocché
ficcome è il Cielo di aere , e d* etere
ripieno , e di luce, che da per tutto è
in perpe- tuo atto, e moto ; così il
corpo dell* animale della fpiritofa
foltanza è tutto in ogni fua parte
irraggiato , e con pe- renne vigorofo
atto-, e mo vimento ope- rante. Il qual
penfamento,(ee più ac- concio a Spiegare
la maravigliofa co- municazione delle
cognizioni de’ len- ii , e degli
affetti; e in particolare il fu- bito
momentaneo contentò , con che- V imperio
della, .volontà fecondano i movimenti
de* membri; ed all 1 incontro jfilg» incoi -
a’ fenfi nelle membra fufeitati rifpon- rjffondenzcu, dano i penfieri , e gli affetti: e fe è
egli più atto a fpiegare la mirabil
propaga- zione delle figure , de* colori
, e de* Tuo- ni in tante parti, e in
tanta diftanzaje iu ifpczieltà 1’
incredibile velocità del- mfe le *■ .
a- • e L* _i m a . 1 1 \ . tf 7
7 >J ■■ . A
»V - -* Sa * r 7
* T •• * - • ' ■ 4M
* + l,'4 To' ri ‘1 wiH
v- 1 -3 -li, •.ira
NK3 ì 4 8 DELL* ANIMO le illuminazioni, e figurazioni delia
lu- ce , che non fa la comun volgare
ope- nione ; e* non dee già niuno
offendere la novità delle cofe. A quella
guifaor dimoflrata 1* origine , e la
virtù, e le~, varie guife dell’
operazioni ideali , noi fermamente
abbiamo refa più accette- vole la
fentenza , che per le fole idee
direttrici , fenza niuna cognizione , fi
governi la vita degli animali bruti.
Pure , come per l’ ingegno , e lume
delle idee direttrici abbiam moflrato ,
poter la materia avvicinar^ al fapere della mente: così d T altra parte ,
alla_» poteflà della mente medefima
poter el- la farfi dapprefTo col vigore
del moto , conviene che dimoflriamo. E
adunque uopo , che ritorniamo all*
Ariflotelica definizione del moto : la
quale intera- mente fpianancknp'
vcrrenTo a conofce- re da una parte 1*
atto della mente , che c la cognizione;
e dall’altro l’at- to della materia, che
è il moto: e ’l po- tere deli’ una
natura, e dell* altra ; dell’uno, e
dell’altro atto , che dirit- tamente va
a toccare il nodo di que* fla difficile
Quifiione. II moto, dice-u quel 3
. - . * . ; *
i.' , •’ >.• a ,"'' ■ ■
DELL’UOMO. 249 jquel Filofofo,
egli è atro di ente iiu. potenza, in
quanto in potenza: diffìni- Defittiti**
«ione, come noi già dicemmo , dcrifa c " • da moderni Filici , ma che in più , e
di- verfe maniere interpetrata , alti
spro- fondi fenfi difeopre, che la
coloro leg. * gerenza, o feempiaggine
ravvi farvi non ha potuto. Noi l’ altre
cofe , che po- tremmo addurre, ad altro
uoporiferva- te, due fole ne feerremo ,
che a fu pe- rare la malagevolezza , che
abbiamo innanzi, crediamo più opportune
. Pri- Prima /*. 1^3, il moto non è una
particolare e r P e,raz 'mn* diterminata
mutazione a produrre- #£!%£. quella, o
quella diterminata cofa, che nizione *
qualificando il fubbietto , il termini ,
e ’l compia in alcun modo ; ma così
?gl.' £ ? tto » e c °sì ( diciam così ) attua il lubbietto; che altro movendo non li faccia, ed altro non fi polTa dire , fe^ non che quello fi muova , e fi muti ge- neralmente . Il moto e* già non è di quella fatta di modi , o qualità , chc^ con qualificare , o modificare f compia in elTere il corpo movente ; ma egli avviene all’ente già perfetto, e com- piuto, ed attuato con ogni atto , e per- £ I i fe-
Digitized by Goprk , ,• M i |
^ -250 DELL’ANIMO lezione , e compimento del Tuo eflerè': il qual eflere perciò e* non è in poten- za, che al moto foloy cioè a mutazio- ne, e variazion generale, che altroché mutazione, e variazione e* non fia.On- de avviene eziandio, che in qualunque modo, e quantunque muovali il corpo , Tempre e’ rimanga libero, e fpedito , e in potenza a muoverli più oltra in in- finito. La mobilità adunque ella non è certa, e diterminata potenza a quello, o quel certo , e diterminato atto . Il di lei atto non è tale , che così ne di- termini Tinfinità , c T indifferenza ; che in oltre altro atto , ed altra
dttermina- zione , e perfezione e’ non
li abbia a», ricevere . La mobilità non
h potenza à produrre, o operare; non è a
ricevere nulla , o patire ; non è ne
attuofa , ne paziente mmi*— * tì iiffr»
tua' bene ella è ima potenza generale ,
ordinata ad un generai atto, che
attuandola; tuttavia nella fua capacità
, o poffibilità ancor la (èrbf. Quello è
egli effe re in potèn- za, in quanto
potenza; onde Arinote- le con profondo
acume potè dire ciò che dille del moto
in quella dWfinizio-' - . - ne Digitized by Google 'A
\ * 1 • -*> * w « v_ ■«: A* otete^tffa-cggn^ ìzrònKéT Bà r » l tW
l IH 1 ! g medefima maravigliofe forze a
conofce? re. Imperocché fa Mente puo^lla
a fd medefima rivolta, fopra di fé ogni
fu a azione adoperare : ficco me fopra
noi còti 1 altrettanti argom enti abbia
m dimoftra.’ ^ > coniQqj^iioMjfrt( l
pf73^5TPa Ja yacjjj.' tà*#Plffipotenza
della materia . Siccome la cognizione,
non come il moto della' materia è atto
di ente in potenzi , in guanto potenza .
La cognizione non è* eftrinfcca , ma
intrinfeca alla foftanza mentale , e
intrinfecamente la termina , e compie ;
eflfere , e forma , e perfezionò * in
lei rifondendo . Da qucikTnfigne 4
dif- Digiti; DELL* UOMO. 255 differenza della mente , c della mate- ria , della cognizione, e del moto e* fi viene con Comma chiarezza a conofcere da una parte il Covrano edere della men-
cognizione te pura ; e dall’altro ,
l’infimo edere della Ù pura materia.
Imperocché nella totale acuità , e
impotenza della materia e’ben li ravvifa
la Cuggezione ,la dipendenza , e
Peftremo biCogno ,che ella ha di ede- re
moda , variata , e figurata : e per con-
feguente la Cua natura vuota di ogni po-
tere, e d’ogni atto , e luce mentale. E
nella virtù della Mente, che ella ha di
muovere, e for ma n e c ornare Ce fteC-
fa, e’bene fi riconoCce la Covranltà, e Pin- dipcndcnza , e la pienezza , c ’1 potere
di 254 DELL* ANIMO defima differenza s’ intende ancora , che è il proposto noftro , la natura del
fenfo ragionevole dell’ Uomo , e la
natura del fenfo cieco animalefco:
quella nella con- giunzione di mente
foftanziale, colla .ma- teria formata ;
e quella nella comunica- zionedell’ atto
mentale alia materia ii* forme . Ed ecco
la natura fenfuale , tutta con tutte le
operazioni ragionevoli , ef- preffa , ed
effigiata nella fola materia . Quando
per virtù della mente pura e* paffa
nella materia 1* atto mentale dell* ogni
comunicazione aritmetica , geome- trica,
ftatica ;-c-+ l arrcr tfelt* ogni poter©
del moto nella materia più fina , agevole , cd attuofa con- perpetue circolazioni,
ed ordinate diftribuzioni ,jcon
principi, P ro “ greffi , e ritorni; e
quello in fine dell* ogni formazione
coll’ ideali plaltiche , c della
direzione , c jigiuficasioiie cotPideali di- rettrici^ lignificati ve ; ecco allora
un principio movente , ampio , pieno ,
per- fetto ,podcro fo e fruttifero :
onde nella materia-mondana è la
direzione , efigni- ficazione ne* Corpi
celefti di giorni, me- fi, e d’anni, e
di ordinate {lagioni, e di altri più
ampj , e più perfetti periodi, ed è 1*
ogni formazione , o produzioo^di er-
1 f - ff
DELL’UOMO. 2 55 '• , be ,di
piante, e d’ animali , e di ogni altra
potfibile fpezie corporale . 11 qual princi- pioè egli la Natura univerfale . E nelle- u^'- matene particolari coflrutte, ed ordì- vt
rjÀlc. nate con quegl’ingegni , e
fornita di quel- le virtù , e forme
reali, ed ideali e’provie- nc , e la
produzione , o formazione de li- mili, e
la fignificazione , e direzione di
tutte le ordinate operazioni neceflarie al- la vita. 11 qual principio a fuo modo capa-
-^ rt * ce, e potente, ed ordinato, c
egli lana- f0 / *¥■ # ^ «• +*jàf ['•" ' .^. ■ .'•a * .*« . ’ •* ' S*1 %
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"i ” « 1 * ’* *2 IwNP^ • ■ * ’ ’**
%ìj *4** * *7 V«>
’ tl ^4 M Tommaso Rossi. Rossi. Keywords: implicature moderna, argumenti
contro LUCREZIO (si veda), Lucrezio, De rerum natura, animi degl’uomini, anime
degl’uomini, animo/anima, corpi degl’uomini, corpi degl’animali, degl’affetti
degl’uomini, il senso, il moto, i corpuscoli, ossessione con Lucrezio come
filosofo romano. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Rossi” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Rossi: la ragione conversazionale di Romolo;
o lo storicismo – filosofia italiana – Luigi Speranza (Torino). Filosofo italiano. Studia a Torino sotto ABBAGNANO, Napoli, e Milano.
Insegna a Cagliari e Torino. Studia lo storicismo, l’illuminismo, e il
positivismo. Saggi: Lo storicismo, Einaudi, Torino; “Storia e storicismo, Lerici,
Milano; La storiografia Saggiatore, Milano; “Oltre lo storicismo, Saggiatore,
Milano; “Storia della filosofia”, Treccani Enciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Cf. Grice, “Speranza e l’opera di Grice in Italia.”
Pietro Rossi. Rossi. Keywords: lo storicismo, la critica della ragione storica,
la storia della filosofia – l’antichita – filosofia romana, filosofia antica,
gl’antichi, la filosofia romana, filosofia italica – indice al volume
‘L’antichita’ nella ‘Storia della filosofia” – “L’antichita” – storiografia
filosofica – l’origine della filosofia italica, l’origine della filosofia
romana. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rossi” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Rossi: la ragione conversazionale e l’implicatura
di Vico – filosofia italiana – Luigi Speranza (Urbino). Filosofo italiano. Studia ad Ancona, Bologna, e Firenze sotto GARIN. Insegna a Castello
e Milano. Lavora all'Enciclopedia presso la casa editrice Mondadori.
Insegna a Cagliari, Bologna, e Firenze. Si occupa di storia della filosofia. Cura
edizioni di diversi filosofi, tra i quali CATTANEO (Mondadori) e VICO (Rizzoli).
Le collaborazioni con giornali vanno dalla rubrica "Filosofia" sul
settimanale Panorama alla rubrica "Storia delle idee" per il
supplemento culturale La Domenica del quotidiano Il Sole 24 ore. Della rivoluzione
di GALILEI (si veda) sostiene che la scienza vive un vero e proprio mutamento
di paradigma. Il carattere rivoluzionario dei mutamenti nel modo di fare
scienza avvenuti all'epoca di GALILEI grazie a una serie di fattori: la visione
della natura, non più divisa tra corpi naturali e artificiali, la dimensione
continentale (e, in prospettiva, mondiale) della cultura, l'autonomia da Roma,
la pubblicità dei risultati. Un'altra importante novità e costituita dal
formarsi di un'autonoma comunità scientifica, una sorta di autonoma repubblica
della scienza dove non esiste l'ipse dixit. Si dedica al tema della
memoria, in chiave filosofica e storica, in “Il passato, la memoria, l'oblio”.
Analizza e denuncia l'esistenza di diverse forme di ostilità alla scienza -- il
primitivismo e l'"anti-scienza -- che, come forma di reazione allo
sviluppo tecnologico e industriale, propugnano come soluzione di tutti i mali
il ritorno a un mondo pre-moderno idealizzato e il rifiuto della razionalità.
Dei Pontani di Napoli. Dei lincei. Saggi: “Acocio” (Milano, Bocca); “Favole
antiche” (Milano, Bocca); “Dalla magia alla scienza” (Bari, Laterza); “Clavis
Universalis: arti della memoria e logica combinatoria” (Milano, Napoli, R.
Ricciardi); “I filosofi e le machine” (Milano, Feltrinelli); “Galilei” (Roma-Milano,
CEI-Compagnia Edizioni Internazionali, “Il pensiero di Galilei: una antologia
dagli scritti, Torino, Loescher); “Le sterminate antichità: studi vichiani” (Pisa,
Nistri-Lischi); “Storia e filosofia: saggi sulla storiografia filosofica,
Torino, Einaudi); “Aspetti della rivoluzione scientifica, Napoli, Morano); “La
rivoluzione scientifica” (Torino, Loescher, Pisa, Edizioni ETS, “Immagini della scienza,” Roma, Editori
Riuniti); “I segni del tempo: Storia della nazione italiana in Vico” Milano,
Feltrinelli); “I ragni e le formiche: un'apologia della storia della scienza,”
Bologna, Il Mulino); “Storia della scienza,” Torino, Pomba, “La scienza e la
filosofia dei moderni: aspetti della rivoluzione scientifica,” Torino, Boringhieri,
“Paragone degli ingegni moderni e post-moderni,”Bologna, Il Mulino, “Il
passato, la memoria, l'oblio: sei saggi di storia delle idee” (Bologna, Mulino);
“La filosofia,” Torino, Pomba, “Naufragi senza spettatore: l'idea di
progresso,” Bologna, Il Mulino, “La nascita della scienza” Roma, Laterza, “Le
sterminate antichità e nuovi saggi vichiani,” Scandicci, La Nuova Italia, “Un
altro presente: saggi sulla storia della filosofia,” Bologna, Il Mulino); “Bambini,
sogni, furori: tre lezioni di storia delle idee, Milano, Feltrinelli); “Il
tempo dei maghi: Rinascimento e modernità, Milano, Cortina, Speranze, Bologna,
Il Mulino, Mangiare, Bologna, Il Mulino,
Un breve viaggio e altre storie: le guerre, gli uomini, la memoria
(Milano, Cortina); saggi in onore di R., Vergata e Pagnini, Nuova Italia,
Firenze, Segni e percorsi della modernità: saggi in onore, Abbri e Segala,
Dipartimento di Studi Filosofici dell'Siena, Rainone, «Rossi Monti, Paolo»
in Enciclopedia Italiana, Appendice, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,
Abbri, Nuncius, Dizionario di filosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, Un maestro, Pisa, Edizioni della Normale, Tra BANFI e Garin: la
formazione, in Rivista di filosofia, Treccani Enciclopedia Italiana, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degli italiani, Enciclopedia
multimediale RAI delle scienze filosofiche -- Per una scienza libera,
intervista. Storia Moderna, : memoria e reminiscenza, sul RAI Filosofia, su filosofia rai. Il Fondo
Rossi nella biblioteca del Museo Galileo. PAOLO ROSSI CLAVIS UNIVERSALIS ARTI
MNEMONICHE E LOGICA COMBINATORIA DA LULLO A LEIBNIZ MILANO - NAPOLI RICCARDO
RICCIARDI EDITORE MCMLX CLAVIS UNIVERSALIS DELLO STESSO AUTORE: Per una storia
della storiografia socratica, nel vol. Problemi di storiografia filosofica, a
cura di A. Banfi, Milano, Bocca, 1951. Giacomo Aconcio, Milano, Bocca, 1952. Il
«De Principiis» di Mario Nizolio, nel vol. Testi umanistici sulla retorica, a
cura di E. Garin, Roma-Milano, Bocca, 1953. Francesco Bacone, dalla magia alla
scienza, Bari, Laterza, 1957. Su alcuni problemi di metodologia storiografica,
nel vol. Il pensiero americano contemporanco, Milano, Ediz. di Comunità, 1958. Altre
ricerche di storia della filosofia pubblicate nella « Rivista critica di storia
della filosofia », anni 1950 segg. C. Cattaneo, L'insurrezione di Milano nel
1848, Milano, Universale Economica, 1948 (introduzione). O . Cattaneo, La
società umana, Milano, Mondadori, 1959 (antologia). > . E. TayLor, Socrate,
Firenze, La Nuova Italia, 1952 (prefazione). F. Bacone, La nuova Atlantide e
altri scritti, Milano, Universale Economica, 1954 (introduzione, traduzione e
note). G. B. Vico, Opere, I classici Rizzoli, Milano, Rizzoli, 1959 (introduzione
e note). PAOLO ROSSI CLAVIS UNIVERSALIS ARTI MNEMONICHE E LOGICA COMBINATORIA DA
LULLO A LEIBNIZ MILANO - NAPOLI RICCARDO RICCIARDI EDITORE MCMLX PRINTED IN
ITALY INDICE Premessa I. Immagini e memoria locale nei secoli XIV e XV I.
Polemiche di umanisti contro le prescrizioni della memoria - 2. Le fonti
classiche e medievali dell’ars memorativa - 3. Ars memorativa e ars praedicandi
nel secolo XIV - 4. Tecniche della memoria nel secolo XV - 5. La Fenice di
Pietro da Ravenna - 6. Natura e arte - 7. Arte della memoria, aristotelismo e
medicina - 8. La costruzione delle immagini. II. Enciclopedismo e combinatoria
nel secolo XVI III. IV. I. La rinascita del lullismo - 2. Agrippa e le
caratteristiche dell’ars magna - 3. Arte, logica e cosmologia nella tradizione
lulliana - 4. L’arbor scientiae © gli enciclopedisti del secolo XVI - 5. La
confirmatio memoriae negli scritti di Raimondo Lullo - 6. Bernardo de
Lavinheta: combinatoria e memoria locale - 7. La logica memorativa. I teatri
del mondo I. Simbolismo e arte della memoria - 2. Diffusione dell’ars
reminiscendi in Inghilterra e in Germania - 3. Span- gerbergius - 4. La
medicina mnemonica di Gratarolo - 5. Il lullismo e la cabala nei teatri del
mondo. La logica fantastica di Giordano Bruno I. Gli scritti lulliani e
mnemotecnici del Bruno - 2. Combinatoria, ars memorativa e magia naturale nel
secolo XVII. La memoria artificiale e la
nuova logica: Ramo, Bacone, Cartesio. Pierre de la Ramée: la memoria come
sezione della logica - 2. Bacone e Cartesio: la polemica contro i giocolieri
della memoria - 3. Mnemotecnica e lullismo in Bacone e Cartesio - 4.
L’inserimento delle tecniche memorative nella nuova logica: gli aiuti alla
memoria nel metodo baconiano; tavole, topica, induzione; gli aiuti alla memoria
e la dottrina dell’enumerazione nelle Regulae. 4l 81 109 135 VIII CLAVIS
UNIVERSALIS VI. Enciclopedismo e pansofia I. Il sistema mnemonico universale:
Enrico Alsted - 2. La pansofia e la grande didattica: Comenio - 3. Enciclope- dismo
e combinatoria nel secolo XVII - 4. L'alfabeto filosofico di Giovanni Enrico
Bisterfield. VII. La costruzione di una lingua universale I. I gruppi baconiani
in Inghilterra: progetti di una lingua universale - 2. Simboli linguistici e
simboli matematici - 3. I gruppi comeniani: lingua universale e cristianesimo
universale - 4. La costruzione di un linguaggio per- fetto: George Dalgarno e
John Wilkins - 5. La funzione mnemonica delle lingue universali: il metodo
classificatorio nelle scienze naturali - 6. Cartesio e Leibniz di 179 201 fronte
alla lingua universale. VIII. Le fonti della caratteristica leibniziana 239 APPENDICI
App. À pp. App. App.
App. App. App. App. À pp. App. I II
IIl IV Vv VI VII VIII: IX X : 11 Liber ad memoriam confirmandam di Raimondo
Lullo. : Un anonimo trattato in volgare del secolo XIV. : Due Mss.
quattrocenteschi di ars memiorativa. : Documenti sull’attività di Pietro da
Ravenna. : Tre Mss. di ars memorativa del tardo secolo XVI. : Il Petrarca,
maestro di arte della memoria. : Uno scritto inedito di Giulio Camillo. Esercizi
di memoria nella Germania del secolo XVII. : La voce Art mnémonique nella
Enciclopedia di Diderot. : D’Alembert e i caratteri reali. INDICE DEI
MANOSCRITTI INDICE DEI NOMI. PREMESSA Il termine clavis universalis fu
impiegato, fra il Cinquecento ed il Seicento, a indicare quel metodo o quella
scienza generalissima che pongono l’ uomo in grado di cogliere, al di là delle
apparenze fenomeniche o delle « ombre delle idee », la trama ideale che
costituisce l’essenza della realtà. Decifrare l'alfabeto del mondo; riuscire a
leggere, nel gran libro della natura, i segni impressi dalla mente divina;
scoprire la piena corrispondenza tra le forme originarie e la catena delle
umane ragioni; costruire una lingua perfetta capace di eliminare gli equivoci e
di svelare le essenze mettendo l’uomo a contatto non con i segni, ma con le
cose; dar luogo ad enciclopedie totali, a ordinate classificazioni che siano lo
specchio fedele dell'armonia presente nel cosmo: al tentativo di realizzare risultati
di questo tipo, ad analizzare, difendere e propagandare queste posizioni e la
visione del mondo ad esse collegata furono intenti, fra la metà del Trecento e
la fine del secolo XVII, quanti si volsero a discutere i temi del lullismo, a
dettare le regole della memoria artificiale, a compilare grandiose enciclopedie
e complicati teatri del mondo, a ricercare l’alfabeto dei pensieri, a farsi
sostenitori delle aspirazioni della pansofa e delle speranze in una totale
redenzione e pacificazione del genere umano. Si tratta di atteggiamenti, di
progetti, di temi che ebbero diffusione vastissima, che esercitarono un peso
decisivo sulle ricerche di logica e di retorica, che condussero a studiare e ad
approfondire, da un ben determinato punto di vista, il problema della lingua e
quello della memoria, le questioni attinenti alle topiche e alle
classificazioni, ai segni e ai geroglifici, ai simboli e alle immagini. È senza
dubbio difficile per un uomo moderno rendersi conto del peso che una produzione
libraria dedicata a quest'ordine di problemi ebbe ad esercitare sulla cultura,
anche su quella filosofica. Resta il fatto che ad elaborare le regole del
discorso, quelle dell’ argomentazione e della persuasione, a stabilire i canoni
dell’arte della memoria, ad insegnare il tipo di collegamento che deve
sussistere tra i luoghi della mnemotecnica e le immagini che in essi hanno da
essere collocate, a studiare le figure della grande arte di Lullo, ad elaborare
le complicate regole della combinatoria, si dedicarono intere generazioni di
uomini colti dal primo Rinascimento fino all’età di Leibniz. Che le tecniche
della memoria artificiale e della logica combinatoria siano scomparse dalla cultura
europea non è probabilmente un male; male è invece che molti storici abbiano
creduto o tuttora credano di poter intendere polemiche e discussioni e
significati di teorie, strap- pando violentemente quelle discussioni e quelle
teorie da un contesto storico preciso nel quale quelle tecniche, oggi ben morte,
erano invece vive e vitali. Chi, occupandosi della cul- tura del Cinquecento e
del Seicento, non ha per esempio inteso il significato della connessione
logica-retorica e ha creduto di poter tracciare una storia della prima senza
minimamente occuparsi della storia della seconda, ha raggiunto, in genere, conclusioni
abbastanza desolanti. Dire, come molti han fatto, che «testi insignificanti »
ebbero grande diffusione in tutta Europa, significa, in ultima analisi, cercare
di sfuggire, con un giro di parole, ad un problema storico ben determinato: che
è poi quello delle ragioni di quella singolare fortuna e dei motivi che
spinsero filosofi come Agrippa e Bruno e Bacone e Cartesio e Leibniz e uomini
come Alsted e Comenio e scien- ziati come Boyle o Ray a prendere estremamente
sul serio quelle discussioni, a impegnarsi in una valutazione della loro funzione
e del loro significato, a interpretarle e adattarle a più diverse e complesse
posizioni di pensiero. Certo, ove non si vogliano eliminare dalla storia, come frutto
di errori e di illusioni, gli scritti latini del Bruno, vari capitoli del De
Augmentis, i frammenti giovanili di Cartesio, una metà degli opuscoli di
Leibniz, ove non si vogliano re- spingere ai margini della cultura uomini come
Alsted e Co- menio, bisognerà rendersi conto che anche la cultura del Sei- cento
(non solo quella delle età precedenti) è, nelle sue stesse linee di fondo,
assai lontana da una mentalità post-illuministica. Poiché è proprio il
razionalismo illuministico che segna, da questo punto di vista, una svolta
decisiva: una serie di problemi che avevano appassionato per secoli i cultori
di logica e di retorica, i teorici del discorso e gli studiosi del linguaggio vennero
eliminati per sempre dalla scena della cultura europea, perdettero significato
e senso, apparvero manifestazioni delle folli aspirazioni di secoli che si
erano posti sotto il segno delle empie ricerche astrologiche, magiche e
alchimistiche, o sembrarono i relitti, ancora presenti nell’ età della nuova
scienza, delle tenebre medievali. Accettando come valido il quadro storiografico
estremamente parziale elaborato dagli illuministi nel corso di un’aspra lotta
ideologica, non poca della storiografia dei secoli successivi ha preferito
sorvolare su alcuni aspetti, che furono in realtà decisivi, della cultura
dell’età barocca. Gli interessi del Bruno per la combinatoria e la mnemotecnica
vennero considerati come «curiosità e bizzarrie »; si preferì sorvolare sul
fatto che Ramo e Bacone e lo stesso Leibniz ave- vano visto nella « memoria »
una delle sezioni nelle quali si articola la nuova logica dei moderni; non si
tenne conto che la dottrina baconiana delle tavole e dell’induzione, che quella
cartesiana dell’enumerazione erano state elaborate su un terreno storico
preciso con riferimenti a testi diffusissimi e a discussioni ormai secolari; si
vide in Comenio solo il pedago- gista moderno e in Leibniz solo il teorico
della logica formale. Di quel complicato groviglio di temi connessi alla cabala
e alle scritture ideografiche, alla scoperta dei caratteri reali, al- l’arte
della memoria, all'immagine dell’albero delle scienze, alla mathesis e alla
caratteristica universale, al metodo inteso come miracolosa chiave
dell’universo, alla scienza generalissima, si preferì sbarazzarsi facendo
ricorso ad una generica e misteriosa entità “platonismo” sempre presente, come
uno sfondo non chiarito e un indistinto panorama, dietro le opere dei grandi e
dei piccoli pensatori. Questo libro è nato dal tentativo di chiarire, almeno
nelle sue linee fondamentali, quello “sfondo” e di individuare gli aspetti
generali e particolari di quel “panorama”: non mediante riferimenti generici,
ma attraverso l’analisi diretta di una serie di testi editi e inediti, un esame
della diffusione di determinati libri e di determinate idee, una ricerca
dell’azione esercitata da quei libri e da quelle idee sulla “filosofia” (in particolare
sulla logica) dei pensatori moderni di maggior rilievo. i La funzione, il
significato, gli scopi delle arti della memoria e della logica combinatoria si
andarono, di volta in volta, variamente configurando dal secolo XV al XVII. Le formule,
da secoli ripetute, di un arte veneranda acquistarono in ambienti diversi da
quelli originari, significati assai diffe- renti: quella che era apparsa a
molti, fra il Trecento e il Quattrocento, una tecnica neutrale utilizzabile nei
discorsi per- suasivi indipendentemente dalle circostanze di luogo e di tempo,
finì per rivelarsi strumento di ambiziosi progetti di riforma, per caricarsi di
significati metafisici, per connettersi al temi della cabala dell’esemplarismo
mistico e della pansofia. Da questo punto di vista fra i testi di ars
praedicandi o di ars memoriae del Trecento e del Quattrocento e i testi del Bruno
e del Camillo esiste una incolmabile differenza: a uno strumento concepito in
vista di finalità pratiche e mondane, nell’ambito della retorica, si è
sostituita, dopo l’incontro con la tradizione del lullismo, la ricerca di una
cifra che consenta di penetrare i segreti ultimi della realtà, di ampliare
smisura- tamente le possibilità dell’uomo. Non diversamente, inserendo la
dottrina degli aiuti della memoria nei quadri di una dottrina del metodo o
della logica, o richiamandosi alla carena e al- l’arbor scientiarum, Ramo,
Bacone e Cartesio muteranno pro- fondamente il senso di problemi tradizionali.
L'antico pro- blema della memoria artificiale, piegato a nuove esigenze e profondamente
trasfigurato, faceva il suo ingresso nella logica moderna, si legava ai temi
del linguaggio universale e della scienza prima o generale. Ma al di là di
questi “mutamenti” e di queste “trasfigurazioni” resta ben salda, dalla fine
del Trecento agli ultimi anni del secolo XVII, una effettiva con- tinuità di
idee e di discussioni: una continuità che ha carat- tere europeo e che è
accertabile mediante la documentazione della diffusione di un grandissimo
numero di testi e di molte idee in gruppi di uomini ben determinati. Nel corso
del Set- tecento i testi di Pietro da Ravenna e di Cornelio Gemma, di Alsted e
di Pedro Gregoire, di Schenkelius e di Rosselli, di Bisterfield e di Wilkins,
che erano stati studiati e letti e com- mentati da Bruno e da Bacone, da
Comenio da Cartesio e da Leibniz vengono eliminati dalla cultura europea. Anche
il lullismo, che era stato in Francia, in Germania e in Italia, una delle
componenti fondamentali della cultura, una delle “sette” filosofiche più
fortunate e accademicamente più forti, si localizza nella città di Magonza e
nell’isola di Maiorca, assume carattere esclusivamente erudito, dà luogo, nella
se- conda metà del secolo, solo alle malinconiche esercitazioni di qualche
professore, si riduce a manifestazione di una menta- lità irrimediabilmente
arcaica e provinciale. Non diversamente le arti della memoria artificiale, nate
con Cicerone e Quinti- liano, riprese da Alberto e Tommaso, considerate
essenziali all’esercizio della virtù cristiana della prudenza, coltivate da Lullo,
da Bacone e da Leibniz, vengono respinte ai margini della cultura, vanno infine
a far compagnia, nelle collane di libri occulti, ai testi dell’ antroposofia e
dello spiritismo. Appellandosi ad un “calcolo” logico e soprattutto ad un “simbolismo”
di tipo matematico Leibniz aveva dato in realtà un colpo mortale a quei
“simboli” intesi come «pitture ani- mate prodotte dall’immaginativa » che
avevano riempito per tre secoli non pochi testi di retorica di pedagogia e di
filosofia. Con Leibniz, ed anche per opera di Leibniz, scompariva un intero
mondo; non solo un certo modo di intendere la fun- zione delle immagini e dei
simboli, ma anche un modo di intendere il compito della logica e i rapporti di
questa con la metafisica. Nel 1713 quando Collier pubblicò la sua Clavis universalis,
questo termine, già carico di tanti significati, aveva perso ogni senso, era
solo un'etichetta, estranea al contenuto dell’opera. Rifiutando gli aspetti
arcaici del pensiero leibni- ziano; respingendo l’esemplarismo di derivazione
lulliana, le stravaganze della cabala, i sogni della pansofia, tutta l’atmo- sfera
— alquanto torbida — dell’enciclopedismo dei due secoli precedenti, il
razionalismo settecentesco coinvolgeva però nella condanna — con conseguenze
storiche assai importanti — an- che i progetti di una caratteristica universale
e di un simbo-
lismo logico avviati da Dalgarno e da
Wilkins, condotti avanti da Leibniz. Non a caso Emanuele Kant, a quasi un
secolo dalla comparsa della Dissertatio de arte combinatoria, esclu- deva
radicalmente che le idee composte potessero essere rap- presentate mediante la
combinazione di segni e paragonava la caratteristica di Leibniz agli
inconcludenti sogni dell’ alchimia. L’opera di Leibniz veniva così identificata
con quella di un teologo e di un metafisico speculativo, la sua fama era affidata
alla Teodicea e alle discussioni sul problema del male. Come ha scritto con
molta esattezza il Barber, che ha studiato in modo egregio le reazioni di un
secolo di cultura francese al leibnizianesimo, l’avvento del nuovo empirismo «
swept Leibniz too into the class of the outmoded exponents of apriori : DR, Si
: systems ». Per veder ripresi i progetti di Leibniz bisognerà attendere per
due secoli: fino ad Augustus de Morgan e a George Boole; come logico, Leibniz
verrà rivalutato, agli inizi del nostro secolo, da Louis Couturat e da Bertrand
Russel; del vescovo di Wilkins si parla con una certa simpatia, forse per la
prima volta dopo il Settecento, nel volume The meaning of meaning di Ogden e
Richards pubblicato a Londra nel 1923. La sviluppo ottocentesco della logica
formale, il costituirsi della logica simbolica come scienza derivava dalla «
graduale acquisizione della sempre più netta consapevolezza della sua natura di
tecnica deduttiva indipendente dai presupposti di una visione generale del
mondo » (Barone) dallo svincola- mento « da ogni preoccupazione
ontologico-metafisica » (Preti). Come già aveva notato Husserl, la logica
formale moderna era nata « non da riflessioni filosofiche sul significato e
sulla necessità della mathesis universalis, ma dalle esigenze della tecnica
teoretica deduttiva della matematica ». I riconoscimenti delle « geniali
anticipazioni » presenti nel pensicro di Leibniz ebbero origine precisamente su
questo terreno. Ma su un altro terreno, radicalmente diverso, si era mosso
Leibniz e, prima di lui, si erano mossi Bacone e Car- tesio. Quelle
“anticipazioni”, quei “precorrimenti” che Far- rington, Beck' o Russel,
trattando rispettivamente di Bacone, di Cartesio e di Leibniz, hanno così
acutamente segnalato sono senza dubbio di grandissimo interesse ed ogni ricerca
volta a determinarne meglio la portata e la fecondità per i contem- poranei è
non solo legittima, ma auspicabile. E tuttavia sotto- lineare le differenze,
battere sulla diversità, sulla alterità è, quanto meno, altrettanto importante:
per dissipare cquivoci, per mostrare che cosa fu, nella realtà, quello sfondo
indistinto sul quale campeggiano i ritratti dei nostri illustri antenati. Co- me ha scritto di recente
Augustin Crombie, a proposito dei lu- minosi precorrimenti presenti nell’opera
di Galileo, « it is not by reading our own problems backwards that historical
expe- rience is enlightening, but by exposing ourselves to the surprise that
thinkers so effective should have had aims and presup- positions so different
from our own ». Chi abbia familiare la letteratura sul
Rinascimento vedrà chiaramente quanto questo libro debba alle ricerche di E.
Garin sulla cultura dei secoli XV, XVI e
XVII e, per quanto riguarda la “continuità” delle “idee” fra il Quattrocento e il
Settecento, alle conclusioni cui è giunto, di recente, Delio Cantimori.
Desiderio inoltre esprimere la mia gratitudine al Padre Miquel Batllori dell’
Istituto Storico della Compagnia di Gesù, al prof. Frangois Secret, a Mrs. G.
Bing del War- burg Institute, agli amici Paola Zambelli e Cesare Vasoli che mi
hanno variamente consigliato, fornito pubblicazioni e indicazioni di articoli e
di studi. Ringrazio inoltre il dott. Luigi Quattrocchi dell’Istituto Italiano
di Amburgo che mi ha procurato le fotografie di alcuni manoscritti leibniziani
c la direzione della « Rivista critica di storia della filosofia » che mi ha
consentito di riprodurre qui quelle parti del libro che erano apparse, nella
rivista stessa, sotto forma di saggi. AvveRTENZA: Nelle note, a indicare le
biblioteche qui di seguito elen-
cate, si sono usate le seguenti
abbreviazioni (ma si veda anche l’ Indice dei manoscritti: Ambros. . Ambrosiana
Ang. Angelica Anton. Antoniana Archiginn. Comunale di Bologna Braid. Braidense Casan.
Casanatense Class. Classense Fir. Naz. Nazionale di Firenze Laur. Laurenziana Marc.
Marciana Pad. Civ. Civica di Padova Par. Naz. Bibliothèque Nationale Pavia
Univ. Universitaria di Pavia Ricc. . Riccardiana Roma Naz. Nazionale Centrale
di Roma Triv. Trivulziana Vatie. Apostolica Vaticana IMMAGINI E MEMORIA LOCALE NEI
SECOLI XIV E XV. POLEMICHE DI UMANISTI CONTRO LE « PRESCRIZIONI » DELLA MEMORIA.
In un testo fondamentale della filosofia moderna, com- posto alla metà del
secolo dei lumi, Hume, discorrendo del discernimento e della memoria, affermava
che mentre i difetti del discernimento non possono trovar rimedio in alcuna
arte o invenzione, i difetti della memoria possono sovente essere attenuati od
eliminati «sia nel campo degli affari come in quello degli studi ». Accennando
al « metodo », alla « opero- sità» e alla « scrittura » come opportuni aiuti a
una debole memoria, scriveva: «quasi mai sentiamo indicare la scarsa memoria
come la ragione del fallimento d’una persona nelle sue iniziative. Ma
nell’antichità, quando nessun uomo poteva conseguire successo se non possedeva
il talento della parola, e quando il pubblico era troppo delicato per reggere
ad ar- ringhe rozze ed indigeste del tipo di quelle che gli improv- visati
oratori dei nostri giorni propinano alle assemblee, la facoltà della memoria
aveva la massima importanza e, per conseguenza, era assai più stimata di oggi
».' Hume, che negli anni della sua formazione intellettuale aveva «
segretamente divorato » i testi ciceroniani, era ben con- sapevole
dell’esistenza storica di una tecnica o arte della me- moria che, come risulta
dal suo brano, è per sua natura con- nessa al fiorire di una civiltà che fa
largo posto alle tecniche del discorso e ad un mondo nel quale la retorica si
presenta come un elemento vivo della cultura. Negli anni in cui Hume scriveva,
le ricerche volte alla fissazione e alla elaborazione 1 D. Hume, Ricerche
sull’intelletto umano e sui princìpi della morale, a cura di M. Dal Pra, Bari,
1957, p. 267. Cfr. il testo inglese ed. L. A. Selby Brigge, Oxford, 1955, p.
241. Sul problema della memoria cfr. anche A Treatise of Human Nature, cd. by
L. A. Selby Brigge, Ox- ford, 1955, pp. 8-10 (sulla memoria e l'immaginazione);
pp. 117-118 nota; pp. 108, 153, 199, 209. Sull’ assenza di ogni sensazione di
piacere o di pena nell'esercizio della memoria cfr. libro III, parte III, scz.
IV. 2 CLAVIS UNIVERSALIS delle regole della memoria artificiale erano ormai
definitiva- mente scomparse dalla scena culturale europea e si erano rifu- giate
sul piano delle curiosità e delle stravaganze. Non si era trattato solo di un
corrompersi delle arti del discorso di fronte alla minore delicatezza degli
uditori: l’enorme diffusione della stampa (e quindi dei repertori, dei
dizionari, delle bibliografie, delle enciclopedie), la progressiva affermazione
delle nuove logiche (da Ramo a Bacone, da Cartesio ai Portorealisti) ave- vano
dato in realtà un colpo mortale da un lato alla tratta- tistica retorica e
dall’altro a quella produzione di opere di mne- motecnica (a quella
trattatistica strettamente collegata) che, durante i secoli XV e XVI e nei
primi decenni del XVII, ave- vano letteralmente invaso l’ Europa. Solo tenendo
conto della diffusione che la mnemotecnica aveva raggiunto non solo in un
ambito letterario e filosofico, ma anche all’interno delle scuole e dei
programmi d’insegna- mento, ci si possono spiegare le proteste e le ironie che
contro di essa da più parti si levarono nei secoli stessi del Rinasci- mento.
Nel decimo capitolo del De varitate scientiarum, dedi- cato appunto all’ars
memorativa, Agrippa si scagliava con vio- lenza, contro quei zedulones che,
nelle scuole, impongono agli studenti lo studio della memoria artificiale o che
riescono a spillar quattrini agli incauti facendo leva sulla novità dell’arte. Far
ostentazione di capacità mnemoniche gli sembrava cosa puerile; spesso,
concludeva, si giunge a manifestazioni di tur- pitudine e di impudenza: si
sciorinano tutte le merci dinanzi alla porta mentre la casa, all’interno, è
completamente vuota. Ricordando Simonide, Cicerone, Quintiliano, Seneca,
Petrarca e Pietro da Ravenna fra i maggiori teorici dell’arte memorativa, egli
da un lato notava la insufficienza della memoria artificiale
ove non sussistesse già robusta la
nazuralis memoria c dal- l’altro si scagliava contro il carattere mostruoso
delle immagini e la pesantezza delle formule in uso nella mnemotecnica. I cul- tori
della quale, gli sembrava, intendono far impazzire me- diante l’arte coloro che
non si accontentano dei confini sta- biliti dalla natura.” ° H. C. Acrirra, De
incertitudine et vanitate scientiarum, in Opera, Lugduni, per Beringos Fratres,
1600, II, pp. 32, 33 (copia usata: Triv. Mor. K. 403). IMMAGINI E MEMORIA
LOCALE 3 Con altrettanta decisione, vent'anni più tardi, Erasmo, nemico dei
ciceroniani e della retorica, si pronuncerà contro l’uso dei loci e delle
immagini che non fanno — affermava — che rovinare e corrompere la memoria
naturale. Con più iro- nia, un altro grande critico delle degenerazioni
pedantesche e delle precettistiche dell’umanesimo rifiuterà questo tipo di let-
teratura, insistendo, con una crudezza che va certo spiegata anche mediante il
riferimento ad una situazione culturale pre- cisa, sulla sua stessa mancanza di
memoria: Il n'est homme è qui il siese si mal de sc mesler de parler de
memoire, car je n’en recognois quasy trace en moi, et ne pense qu'il y en ayt
au monde une aultre si mervcilleuse en defaillance... Si jc suis homme de
quelque legon, jc suis homme de nulle retention... Ma memoire sempire
cruellement tous les jours... Proprio sul terreno dell'educazione c partendo
dal presup- posto che « sgavoir par coeur n'est pas “gdvolt, c'est tenir ce qu'on
a donné en garde à sa memoire »,° Montaigne polemiz- zava contro
l'apprendimento mnemonico in nome di una cul- tura « viva»: non si chieda conto
al discepolo delle parole della lezione, ma del suo senso e della sua sostanza;
gli si chieda non la testimonianza della sua memoria, ma della sua vita; lo
stomaco non ha adempiuto alla sua funzione se non quando ha mutato la forma e
la struttura degli alimenti, iden- tico è il compito della mente." Non si
trattava di generici riferimenti alla libertà della mente di fronte ad ogni
precet- tistica; la polemica di Montaigne assomiglia solo nella forma a quella
che potrebbe condurre un professore dei nostri giorni * D. Erasmo, De razione
studii, ed. Frocben, 1540, I, p. 466. ! MoNTAIGNE, Esseis, I, 9; II, 10 (ediz.
Garnier, Parigi, s. d., I, p. 25; 374). > Essats, I, 25 (vol. I, p. 119). €
«Qu'il ne luy demande pas seulement compte des mots de ca legon, mais du sens
et de la substance; et qu'il juge du profit qu'il aura faict, non par le
tesmoignage de sa memoire, mais de sa vie... C'est tesmoi- gnage de crudité et
indigestion, que de regorger la viande comme on l’a avallée: l'estomach n'a pas
faict son operation, s'il n'a faict changer la faccon et la forme à ce qu'on
luy avoit donné à cuire... On nous a tant assubjectis aux chordes, que nous n’avons plus de
franches allu- res; notre viguer et liberté est esteincte ». (Essai, I, 25; vol. I, p. 117). Cfr. anche II, 10
(vol. I, p. 380). 4 CLAVIS UNIVERSALIS contro gli studenti che imparano le
lezioni a memoria. Egli aveva di fronte obbiettivi precisi: Si en mon pais on
veult dire qu'un homme n°a point de sens, ils disent qu'il n'a point de
memoire; et quand je me plains du default de la mienne, ils me reprennent et mescroyent,
comme si je m’accusois d’estre insensé: ils ne veoyent pas de chois entre
memoire et entendement... Mais il me font
tort, car il se veoid par cxpérience que les memoires excellentes se joignent
volentiers aux jugements debiles... Ils on laissé, par escript, de l’orateur
Curio que, quand'il proposoit la distribution des pieces de son oraison en
trois ou en quatre, ou les nombres de ses arguments ou raisons, il luy advenoit
volentiers ou d’en oublier quel- qu’un, ou d’y en adjouster un ou deux de plus.
J'ay tous- jours bien evité de tomber en cet inconvenient, ayant hai ces
promesses et prescriptions...” In
realtà, nonostante le proteste di Erasmo e di Montaigne, quelle odiate «
prescrizioni » erano destinate a diffondersi sempre più ampiamente durante
tutto il secolo XVI e a pro- lungarsi poi fino in pieno Seicento. A_metà del
secolo XVII Wolfang Ratke protesterà, da un punto di vista simile a quello dei
grandi umanisti, contro l’apprendimento mnemonico e contro gli esercizi di
mnemotecnica.* Ancora negli ultimi anni del secolo i ‘““ciceroniani”, che non
avevano affatto disarmato nonostante Erasmo, Montaigne e la grande crisi
ramista e car- tesiana, si facevano con successo sostenitori, in sede pedago- gica
oltreché retorica, della necessità e dell’utilità della me- moria artificiale.
Quella vasta produzione di trattati di ars memorativa alla quale si rifaceva la
Art of Memory del D’As- signy, che non a caso veniva dedicata nel 1697 ai «
giovani studenti di entrambe le università »,° non era stata soltanto espressione
di pedanteria grammaticale: in essa aveva trovato forma quel panmetodismo che,
nel corso del Cinquecento, aveva contrassegnato tutta la cultura. La
fisionomia, i tempe- ramenti, le passioni, le proporzioni del corpo umano, il
di-
? Essais, I, 9; III, 9 (vol. I, p. 25;
vol. II, p. 350). *
Pàdagogische Schriften des Wolfang Ratichius und seiner Anhinger, Breslau,
1903. Cfr. E. Garin, L'educazione in Europa,
1400-1600, Bari, 1957, pp. 234-235. ® M. D'Assicny, The Art of Memory. A treatise useful
for such as are to speak in Publick, London, 1697. IMMAGINI E MEMORIA LOCALE 5 scorso, la poesia,
l'osservazione della natura, l’arte del gover- nare e quella militare: tutto
venne in quell’età codificato e ridotto in arte. In quel periodo della cultura
che è stato felice- mente chiamato «l’età dei manuali », in quel secolo che «
fu instancabile nel ricercare princìpi normativi di valore generale e perenne
da calare in comodi schemi didascalici »,°° proprio mentre si veniva chiarendo
la impossibilità, per quelle codifi- cazioni, di passare dal piano delle
topiche e dei teatri univer- sali a quello del metodo,!! si andava rafforzando
l’esigenza di un’arte capace di presentarsi come la chiave della realtà, come arte
universale e somma, capace di risolvere di colpo tutti i problemi dando luogo
ad una tecnica suprema che rendesse di fatto inutili tutte le varie provvisorie
e particolari tecniche. L’idea di un’arte del ricordare e del pensare che si
svolga in modo “meccanico” acquisterà nuovo vigore quando, fra la metà del
Cinquecento e la metà del Seicento, si stabilirà un contatto profondo fra le
ricerche di arte della memoria ispirate a Cicerone a Quintiliano alla Retorica
ad Herennium, quelle derivanti dal De memoria et reminiscentia di Aristotele
dai commenti di Alberto, Tommaso, Averroè e infine quelle diret- tamente legate
alla ars magra di Lullo. Avrà allora nuovo rilievo il concetto di un meccanismo
concettuale che, una volta messo in moto, possa svolgersi da solo, in modo
relativamente indipendente dall’opera del singolo, fino alle ultime conse- guenze,
fino alla comprensione totale, ponendo gli uomini in grado di leggere nella sua
integrità il gran libro dell’universo. Per rendersi conto del peso che questa
idea eserciterà nel seno stesso della filosofia moderna basterà pensare alla
macchina che Bacone intendeva costruire mediante la sua nuova logica, al mirabile
inventum cartesiano cercato, prima che nella geome- tria analitica, nei testi
di Lullo e di Agrippa, ai libri « porta- tori di luce universale » di Comenio,
infine a quella mirabile chiave che intendeva essere la “caratteristica”
leibniziana. L'antico sogno lulliano di un’arte che sia contemporanea- !° L.
Firpo, Lo stato ideale della Controriforma (Ludovico Agostini), Bari, 1957, p.
245. !! Cfr. R. KLEIN, L’imagination comme vétement de l’ dame chez Mar- sile
Ficin et Giordano Bruno, in « Revue de Métaphysique et de Mo- rale », 1956, 1,
pp. 30-31. 6 CLAVIS UNIVERSALIS mente logica e metafisica,'° che, a differenza
della logica tra- dizionale, tratti non delle seconde, ma delle prime
intenzioni, che mostri la corrispondenza tra il ritmo del pensiero e quello della
realtà, che disveli, mediante combinazioni mentali, il vero senso dei rapporti
reali, aveva trovato piena espressione, nei secoli del Rinascimento, nei
tormentati scritti di mnemo- tecnica del Bruno. E non a caso, oltre che alla
lettura dei testi di Lullo, Bruno ebbe a richiamarsi alla scoperta, fatta in
anni giovanili, del trattatello sulla memoria di Pietro da Ravenna," che
era invece di precisa ispirazione “retorica” e “ciceroniana”. Quando nel De
umbris idearum Bruno si muoverà sul piano dei nessi immaginativi, delle
connessioni tra immagini e figure e lettere, affiderà proprio al connubio tra
meccanismo logico e meccanismo psicologico quella possibilità di una immensa estensione
del sapere o di una nuova inventio che era al cul- mine delle sue aspirazioni:
in quel punto apparivano saldate insieme, nei testi bruniani, le aspirazioni
del lullismo e le tec- niche sull’uso dei luoghi e delle immagini che
derivavano dai testi di retorica antica e dai trattati sulla memoria
artificiale del Rinascimento. Leggendo le pagine vivacemente polemiche contro
l’arte della memoria (quelle di Ratke come quelle di Erasmo o di Montaigne o di
Agrippa) è certo difficile non simpatizzare in qualche modo con quella polemica
condotta, in nome della libera spontaneità dell’uomo, contro gli schemi e la
pedan- teria e le prolissità di una rigida precettistica. Ciò non toglie 12 R.
LutLi, Opera omnia, Mainz, 1721-42, vol. III, p. 1: « Sciendum est ergo, quod
ista Ars est et logica et Metaphysica... Mctaphysica considerat res, quae sunt
extra animam, prout conveniunt in ratione entis; logica etiam considerat res
secundum esse, quod habent in anima... sed hacc Ars tanquam suprema omnium
humanarum scientiarum in- differenter respicit ens secundum istum modum ct
secundum illum ». Cfr. anche Opera, ed. Zetzner, Strasburgo, 1617, p. 358: «
Logicus trac- tat de secundariis intentionibus... sed generalis artista tractat
de primis... Logicus non potest invenire veram legem cum logica: generalis
autem artista cum ista arte invenit... Et plus potest addiscere artista de hac arte
uno mense, quam logicus de logica uno anno ». (Copia usata: An- gelica, XX, 12,
49). 13 A. Corsano, // pensiero di G. Bruno nel suo svolgimento storico, Firenze,
1940, p. 41; F. Tocco, Le opere latine di G. Bruno, esposte e confrontate con
le italiane, Firenze, 1889, p. 37, nota 2. IMMAGINI E MEMORIA LOCALE / che di
fatto proprio quella precettistica (quella derivante da Cicerone come quella
derivante da Lullo) ebbe ad incidere, per vie sotterraneee, sulla formazione
della nuova cultura con- dizionando il costituirsi stesso della logica nuova da
Bacone a Leibniz. In varie guise collegata agli sviluppi delle arti del discorso
e alle tecniche della persuasione, ai tentativi di co- struzione di una nuova
enciclopedia, alle controversie sul rami- smo e sul lullismo, alla magia, alla
medicina e alla fisiogno- mica, la trattatistica sulla memoria artificiale si
colloca dun- que, fra la metà del Cinquecento e la metà del Seicento, al centro
di un giro di discussioni e di problemi cui appaiono interessati non solo i
teorici o cultori della retorica, ma filosofi e logici c cultori di scienze
occulte e medici ed enciclopedisti di varia provenienza e natura. Le
“bizzarrie” della mnemotecnica andranno così da un lato a intrecciarsi a
problemi di logica e di retorica e dall’altro a connettersi alla rinascita del
lullismo e alla creazione di lin- guaggi artificiali nonché a quella ambigua
atmosfera magico- occultistica che appare in molti casi collegata al rifiorire
di interessi per l’ars magra di Lullo. Le discussioni sulla mnemo- tecnica non
saranno in tal modo senza risonanza su due grandi problemi della cultura
filosofica del Seicento: quello del me- todo o della logica inventiva e quello
della sistematica classifi- cazione delle scienze o costruzione di una
enciclopedia del sapere. 2. LE FONTI CLASSICHE E MEDIEVALI DELL’ARS MEMORATIVA.
Gli uomini — scriveva l’anonimo autore di un trattato quattrocentesco sulla
memoria — inventarono arti diverse c numerose per aiutare e potenziare l’opera
della natura. Con- statando la labilità dell’umana memoria, legata alla
fragilità della natura dell’uomo, escogitarono un’arte mediante la quale fosse
possibile ricordarsi di molte cose che, per via naturale, non potevano essere
ricordate. Nacque così la scrittura e poiché in tempi successivi gli uomini si
resero conto di non poter portare sempre seco le scritture e che non sempre
scrivere era possibile, inventarono, fin dai tempi di Simonide e di Demo- crito,
l’arte della memoria artificiale. Questo avvicinamento dell’arte mnemonica alle
altre tec- 8 CLAVIS UNIVERSALIS niche che aiutano l’opera della natura,
presente in questo co- me in tutti i trattati rinascimentali sulla memoria, non
è, come vedremo, senza significato. Ma più che da questo accosta- mento si è
colpiti, esaminando i trattati di ars memorativa composti fra la metà del
Trecento e la metà del secolo XVII, dal costante, insistente richiamo alla
psicologia aristotelica, ai grandi manuali della retorica latina, ai testi
sulla memoria e ai commenti di Alberto Magno e di Tommaso d’Aquino. In molti
casi i trattati che andremo esaminando non fanno che
esporre, commentare, amplificare regole,
dottrine, precetti che risalgono a molti secoli prima e che, elaborati in
Grecia e in Roma, giungono agli scrittori del Trecento e a quelli del Rinascimento
attraverso l’opera dei grandi maestri della scola- stica. Certo, anche quelle
regole e dottrine andranno mutando valore e portata e significato a contatto
con tradizioni culturali differenti e con differenti ambiti di civiltà: quegli
aiuti della memoria che appaiono connessi nel Medio Evo con l’ars prae- dicandi,
diventeranno in Bruno gli strumenti di un’arte che vuol riprodurre le strutture
della realtà, mentre Bacone e Descartes li inseriranno, come elementi
essenziali, all’interno della nuova metodologia delle ricerche naturali.
Tuttavia, chi voglia intendere il significato e l’origine storica di quegli “aiuti
alla memoria”, non potrà non aver presenti le fonti alle quali con maggior
insistenza quelle dottrine si richiamavano. Appunto di quelle fonti si intende
qui dar conto brevemente. 1) Il De memoria et reminiscentia di Aristotele. Questo
scritto, che si presenta come un trattato di psico- logia e non come una
dissertazione sulla mnemotecnica, con- tiene tuttavia alcune affermazioni che
verranno sfruttate in epoche successive in vista della costruzione di una
tecnica del ricordare. I teorici della mnemotecnica si richiamano alle se- guenti
dottrine aristoteliche: 4) La tesi della necessaria pre- senza dell'immagine o
fantasma (gAvtacpa) in vista del fun- zionamento della memoria (pvt ). Il
necessario ricorso all'immagine, che è una specie di sensazione senza materia o
di sensazione indebolita, fa sì che fra la memoria e l’immagi- nazione (
pavtagia «leSntx4 ) da un lato e la memoria e la sensazione dall’altro
intercorrano rapporti assai stretti. 4) La IMMAGINI E MEMORIA LOCALE 9 tesi che
il ricordo o memoria riflessa o attualizzazione della memoria scomparsa dalla
coscienza ( &v&pvrotg ) sia facilitato dall'ordine e dalla regolarità,
come avviene per esempio nel caso della matematica, mentre ciò che è confuso e
disordi- nato difficilmente può essere ricordato. c) La formulazione di una
legge dell'associazione secondo la quale le immagini e le idee si associano in
base alla somiglianza, alla opposizione, alla contiguità. In un passo del De
memoria (2, 452 a, 12-15) che avrà particolare fortuna Aristotele affermava:
«talora il ricordo sembra partire dai Zuoghi (Toro). La ragione di ciò è che
l'uomo passa rapidamente da un termine all’altro, per esempio dal latte al
candore, dal candore all’aria, dall'aria al- l’umidità, dall’umidità al ricordo
dell’autunno, supponendo che si cercasse di ricordare questa stagione ».
All’impiego delle im- magini Aristotele si riferisce del resto anche nel De
anima (III,
3, 427 b, 14-20): «E chiaro che
l'immaginazione è qualcosa di distinto dalla sensazione e dal pensiero.. essa è
in nostro potere quando lo vogliamo, e si può infatti porre qualcosa davanti
agli occhi come fanno coloro che vanno riempiendo i luoghi mnemonici e
fabbricano immagini (év toîs pwapovizotîe aiSepevor xa ciòwioror9ivte: ),
mentre la sensazione non di- pende da noi ».'' 14 Oltre ai luoghi cit. nel
testo cfr.: per i rapporti fra immagine e sen-
sazione: De anima, III, 8, 423 a 9;
Rhet., I, 11, 1370a 28; per i rap- porti fra memoria e immaginazione: Sec. An.,
II, 19, 99b 36-100a 4; Metaph., A, I, 9800 27-b 27; De mem., 1, 450a 22-25; per
i rapporti fra memoria e sensazione: Mezaph., A, 980 a 28-29; De mem., 1, 450a 30-b
3. Come è stato notato la traduzione di &vapwoxg con remini- scentia, pur
legittimata dal riferimento a Platone in Prim. An., II, 21, 67 a 21-22, non
corrisponde al senso che il termine ha in Aristotele. La àvapynog è una
attualizzazione della memoria, una ricostruzione del ricordo che richiede una
conoscenza del tempo non spontanea come nella memoria (De mem., 450a 19), ma
riflessa (452b 7; 453a 9-10) e che è quindi caratteristica solo dell’uomo (453a
8-9). Del De memoria et reminiscentia cfr. l'edizione con traduzione inglese e commento
di G.R.T. Ross, Cambridge, 1906. Utile il commento del TricoTr, nella
traduzione dei Parva naturalia, Parigi, 1951, pp. 57-75. Scarsa la trattazione
della memoria nelle opere sulla psicologia aristo- telica: A. E. CHaicHer,
Essai sur la psychologie d’A., Parigi, 1883; J. Nuyens, L’évolution de la
psychologie d'A., Lovanio, 1948; C. W. SHUTE, Psychology of A., New York, 1947.
Sulla presenza di una mne- motecnica presso i Greci cfr. la testimonianza della
RAetorica ad He- 10 CLAVIS UNIVERSALIS 2) Il De oratore di Cicerone (II,
86-88). In questo testo la memoria viene trattata come una delle cinque parti
che costituiscono la tecnica dell’oratore. Dopo aver fatto riferimento
all’episodio del poeta Simonide (primum ferunt artem memoriae protulisse) che
aveva identificato i corpi dei partecipanti a un banchetto sfigurati dal crollo
del soffitto ricordandosi il posto (/ocum) che essi avevano occu- pato,
Cicerone metteva in luce la opportunità, in base al pre-
supposto che l’ordine giovi alla memoria,
di scegliere dei luoghi, di formare le immagini dei fatti o concetti che si vogliono
ricordare, di collocare quelle immagini net luoghi. L’ordine secondo il quale
sono disposti i luoghi metterà in grado di ricordare i fatti. L'arte della
memoria appare in tal modo paragonabile e analoga al processo della scrittura:
i luo- ghi adempiono alla stessa funzione della tavoletta cerata, le immagini
hanno la stessa funzione delle lettere. L'uso delle immagini appare fondato
sulla necessità di un ricorso al piano del senso e sulla maggior persistenza
della memoria visiva («ea maxime animis adfigi nostris quae essent a sensu
tradita atque impressa; acerrimum autem ex omnibus nostris sensibus esse sensum
videndi »). I luoghi dovranno essere molti, chiari c collocati modicis
intervallis; le immagini risulteranno tanto più efficaci quanto più atte a
colpire le facoltà immaginative («est utendum imaginibus agentibus, acribus,
insignitis quae occurrere celeriterque percutere animum possint »). 3) Il De
institutione oratoria di Quintiliano (XI, 2). Pur avanzando qualche riserva
sull’utilità della € mnemo- tecnica, Quintiliano, che inizia anch’egli la sua
esposizione con il racconto di Simonide, dedica all'argomento una tratta- zione
assai più ampia e dettagliata di quella ciceroniana. Sulla costruzione dei
/xoghi della memoria artificiale Quintiliano renniun, III, 23: «Scio plerosque
Graccos, qui de memoria scripse- runt... ». Sulla tecnica della memoria in
Ippia d’Elide cfr. l'ipotesi avan- zata da O. Arett, Bettriige zur Geschichte
der antiken Philosophie, VIII, 1891, p. 381. Sono da vedere anche: J. A.
ErnESTI, Lexicon teclnolo- giae Graccorum rhetoricae, Lipsia, 1795; Lexicon
technologiae Lati- norum rhetoricae, Lipsia, 1797; P. Laurap, Manuel des etudes
grecques et latnes, App. II: La mnémotechnie des anciens, Les Humanités, 94,
1933. IMMAGINI E MEMORIA LOCALE 1} si sofferma a lungo: per raggiungere
risultati efficienti è opportuno servirsi, egli afferma, di un edificio
collocando le varie immagini nei singoli luoghi ordinatamente disposti all’in- terno
delle singole stanze. « Visitando mentalmente l’edificio » (che può essere
anche un edificio pubblico o può essere sosti- tuito dai bastioni di una città
o da una giornata suddivisa in varî periodi o da una costruzione immaginaria e
« non-reale ») sarà possibile « riprendere » le diverse immagini (e quindi ri- chiamare
alla mente i fatti o i concetti che esse esprimono) dai diversi loghi nei quali
esse sono rimaste « custodite ». 4) La RAetorica ad C. Herennium (MI, 16-24). In
questo scritto di autore ignoto che i medievali, attribuen- dolo a Cicerone,
qualificano come rhetorica nova o secunda
(per distinguerlo dal De inventione o
rhetorica vetus) ritro- viamo presenti le stesse regole e gli stessi precetti
ai quali ci siamo riferiti parlando di Cicerone e di Quintiliano. La distinzione
fra memoria naturale e memoria artificiale appare formulata con estrema
chiarezza: « sunt igitur duae memo- rine: una naturalis, altera artificiosa.
Naturalis est ea quae nostris animis insita est et simul cum cogitatione nata;
artifi- ciosa est ea quam confirmat inductio quaedam et ratio prae- ceptionis
». Fra i /uoghi, che per ricordare molte cose do- vranno essere assai numerosi,
troviamo elencati: aedes, interco- lumnium, angulum, fornicem et alia quae his
similia sunt. Le immagini, che sono le formae o notae o simulacra di ciò che si
intende ricordare, vanno collocate nei luoghi: «allo stesso modo infatti in cui
coloro che conoscono le lettere dell’alfa- beto possono scrivere ciò che viene
dettato e recitare ciò che scrissero, così coloro che hanno appreso l’arte
mnemonica pos- sono collocare nei luoghi le cose che hanno udito e da questi ripeterle
a memoria ». Mentre le immagini sono variabili, i luoghi dovranno essere fissi
(« imagines, sicut litterae, delentur, ubi nihil utimur; loci, tanquam cera,
remanere debent ») e ordinatamente disposti: ciò darà la possibilità di
richiamare mentalmente le immagini indifferentemente dall’inizio, dal termine o
dalla metà di un ordinamento o elenco.'* !° Sull’epoca di composizione della
Rhetorica ad H. cfr. la introduzione di F. Marx all'edizione di Lipsia, 1894,
p. I. Sulla posizione dei me- 12 “CLAVIS UNIVERSALIS 5) Il De bono (IV, 2) e il
commento al De memoria et reminiscentia di Alberto Magno; la Summa theologiae (Il,
11, 49) e il commento al De memoria et remini- scentia di Tommaso d’Aquino. Le
trattazioni della memoria contenute nel De Boro di Alberto e nella Summa di
Tommaso !* si richiamano esplici- tamente alla fonte aristotelica e a quella
pseudo-ciceroniana. Per Alberto, « ars memorandi quam tradit Tullius optima est
»; i precetti della mnemotecnica servono all’etica e alla retorica; la memoria
delle cose che concernono la vita e la giustizia è duplice: naturale e
artificiale. « Naturalis est quae ex bonitate ingenii deveniendo in prius
scitum vel factum facile memo- ratur. Artificialis autem est, quae fit
dispositione locorum et imaginum ». Come in tutte le altre arti, anche qui
l’arte e la virtù aggiungono perfezione alla natura e poiché nella nostra azione
«ex praeteritis dirigimur in praesentibus et futuris et non e converso », la
memoria si presenta, accanto alla intelli- gentia e alla providentia, come una
delle tre parti che costi- tuiscono la virtù della prudenza. Come ha ben
chiarito la Yates,!” l’autorità alla quale si appellavano Alberto e Tommaso nella
loro considerazione della memoria come parte della pru- denza era il De
inventione ciceroniano e poiché Cicerone nella sua seconda retorica (la
Rhetorica ad Herennium) aveva di: stinto tra memoria naturale e memoria
artificiale dettando le regole per la acquisizione della memoria artificiale
mediante l’impiego dei loc: e delle imagines, quella distinzione e que- dievali
di fronte a questo testo, p. 52. L'attribuzione del testo a Corni- ficio risale
al 1491: RapHaeL Recius, Utrum ars rhetorica ad H. Cice- roni falso iscribatur,
in Ducenta problemata in totidem institutionis oratoriae Quintiliani
depravationes, Venezia, 1491. Per la posizione di Valla sull'argomento cfr. L.
VaLLa, Opera, Basilea, 1540, p. 510. 16 Cfr. ALBERTI Magni, De Bono, Monasterii
Westfaliorum in aedibus Aschendorff, 1951, vol. XXVIII, 249 segg. Il commento
di Alberto al De memoria ct reminiscentia in Opera, ed. Borgnet, IX, pp. 97
segg.; quello di Tommaso in Opera omnia, ed. Fretté, Parigi, 1885, XXIV e In
Avristotelis libros de sensu et sensato, de memoria et reminiscentia commentarium,
Roma, 1949. 17 F. A. YatEs,
The Ciceronian Art of Memory, nel vol. Medioevo
e Rinascimento, studi in onore di B. Nardi, Firenze, 1956, pp. 882-83. IMMAGINI
E MEMORIA LOCALE 13 ste regole entravano ad occupare un posto di primaria
impor- tanza nella discussione di Alberto e di Tommaso sulla me- moria come
parte della prudenza. Di questa alta considera- zione della € mnemotecnica
“ciceroniana” è del resto precisa testimonianza l’ampiezza della discussione di
Alberto e la sua minuziosità: praticamente vengono esaminati, nel De dono, tutti
i precetti contenuti nella Retorica ad Herennium. Ba- sterà, a titolo di
esempio, riportare qui il passo di Alberto che si riferisce al carattere
«inconsueto » che devono avere le immagini: « Ad aliud dicendum, quod mirabile
plus movet quam consuetum, et ideo cum huiusmodi imagines translatio- nis sint
compositae ex miris, plus movent quam propria con- sueta. Ideo enim primi
philosophantes transtulerunt se in poe- sim, ut dicit Philosophus, quia fabula,
cum sit composita ex miris, plus movet ». Il richiamo ad Aristotele è particolar- mente
significativo: questi testi di Alberto e Tommaso si pre- sentano infatti come
un tentativo di fusione tra il testo aristo- telico e quello “ciceroniano”. Ciò
appare particolarmente evi- dente nella trattazione della Summa theologiae
tomistica. Muo- vendo dalla nota identificazione della memoria con una parte della
prudenza (« convenienter memoria ponitur pars pruden- tiae... necessaria est ad
bene consiliandum de futuris »), Tom- maso mette a confronto la possibilità che
ha la prudenza di essere aumentata e perfezionata ex exercitio vel gratia con quella
che si offre alla memoria di essere perfezionata me- diante l’arte (« non solum
a natura perficitur, sed etiam habet plurimum artis et industriae »). Le
quattro regole della me- moria artificiale enunciate da Tommaso riguardano:
l’uso delle immagini (« quasdam similitudines assumat convenien- tes »),
l'ordine che facilita il passaggio dall’uno all’altro con- cetto o dall’una
all’altra immagine («ut ex uno memorato facile ad aliud procedatur »); la
necessità della concentrazione in vista della costruzione dei luoghi; la
frequente ripetizione in vista della conservazione dei concetti (« quod ea
frequenter meditemur quae volumus memorari »). La prima e la terza di queste
regole derivano dalla R&etorica ad Herennium, la se- conda e la quarta dal
De memoria et reminiscentia aristo- telico: non a caso, nel commento al De
memoria, la prima regola apparirà eliminata, la terza verrà adattata al testo
ari- 14 CLAVIS UNIVERSALIS stotelico mediante l’esclusione del riferimento alla
costru- zione dei luoghi.!* 3. ARS MEMORATIVA E ARs PRAEDICANDI NEL sEcoLO XIV.
Accanto alle citazioni di Aristotele, di Cicerone e dello pseudo-Cicerone, di
Quintiliano, di Alberto e di Tommaso, compaiono spesso, nei trattati di ars
memorativa composti fra il Trecento e il Seicento, i nomi di Platone (per il
luogo del Timeo, IV, 265, che fa riferimento alle maggiori capacità mnemoniche
della adolescenza), di Seneca (che in De dene- ficiis, III, 2-3-4-5 tocca, a
proposito della memoria dei bencfzi ricevuti sia il tema della « frequenza »
sia quello dell’« or- dine »), di Agostino (per i ben noti passi sulla memoria
nel libro X, cap. 8 delle Confessioni e per i brevi riferimenti in De
Trinitate, IX, 6). Lo stesso sommario elenco di queste
« autorità » basta da solo a mostrare
come quella trattatistica di ars memorativa che si diffonde largamente in
Europa dopo il Trecento si richiami ad una assai antica. e non mai inter- rotta
tradizione. Attraverso una vasta produzione la cui storia attende ancora di
essere puntualmente indagata, questa tradi- zione si era andata svolgendo
secondo diverse linee di svi- luppo e su piani differenti: mentre il testo
aristotelico affron- tava questioni connesse con il problema della sensazione
(non a caso i commenti medievali al De memoria et reminiscentia appaiono sempre
connessi a quelli al De sensu et sensato), della immaginazione e dei rapporti
fra anima sensitiva e anima intellettiva, i testi di Cicerone, di Quintiliano e
dello pseudo- Cicerone si erano mossi su un piano tipicamente ed esclusi- vamente
« retorico » richiamandosi all'arte della memoria come ad una tecnica i cui
compiti e i cui problemi si esaurivano totalmente sul piano di una funzionalità
in vista dei partico- lari fini perseguiti dall’oratore. Dal De rhetorica di
Alcuino al tentativo di Giovanni di 18 THoMas Aquinas, /n Aristotelis libros de
sensu et sensato, cit., 371: « Si ergo ad bene memorandum vel reminiscendum, ex
praemissis qua- tuor documenta utilia addiscere possumus. Quorum primum est, ut studeat
quae vult retinere in aliquem ordinem deducere. Secundo ut profunde et intente eis mentem apponat.
Tertio ut frequenter medi- tetur secundum ordinem. Quarto ut incipiat reminisci
a principio ». IMMAGINI E MEMORIA LOCALE 15 Salisbury di far rivivere gli
ideali dell’eloguentia, fino allo Speculum maius di Vincenzo di Beauvais, tutta
la grande retorica medievale si era collocata sotto il segno delle opere ciceroniane.!®
Onde, com'è stato giustamente notato, si può parlare di retorica scolastica
solo ove si elimini quasi comple- tamente dal termine “scolastica” il
riferimento alla “autorità” di Aristotele. In Alberto e Tommaso i due piani sui
quali si era andata svolgendo nel corso del Medioevo la trattazione della
memoria (il piano “speculativo” e quello “tecnico”) ap- paiono per la prima
volta strettamente connessi e intrecciati: la psicologia razionale di
Aristotele costituisce, per i due grandi maestri della scolastica, lo sfondo e
la cornice entro la quale quella tecnica (che aveva avuto in Cicerone ec nella
rhetorica secunda la sua espressione più alta) andava collocata, inserita e
giustificata. Come la Yates ha messo opportunamente in luce,?° questo sfondo
rigidamente razionalistico della mnemo- tecnica albertino-tomista costituiva
molto probabilmente la 19 Di Atcuino cfr. la Dispetatio de rhetorica et de
virtutibus sapien- tissini Regis Karli et Albini magistri (in Mine, P. L., CI,
919-50, in Ham, RAetores latini minores, 523-50 e ora, con traduzione inglese, in
W. S. Howett, The Rhetoric of Alcuin et Charlemagne, Princeton, 1941). Nella
trattazione delle cinque parti della retorica (trattazione che riproduce
direttamente o indirettamente quella ciceroniana) ci si limita ad affermare che
l'arte della memoria è stata raccomandata da Cicerone. Nel De dialectica
(Micne, P. L., col. 952) la logica viene sud- divisa in due parti: dialettica e
retorica (K. Logica in quot species di- viditur? A. In duas, in dialecticam et
rhetoricam). Mentre la tratta- zione della dialettica derivava da Isidoro, da
Boezio, dall’anonimo Categoriae decem (ritenuto una traduzione agostiniana
delle Categorie aristoteliche), la trattazione della retorica, fondata sulla
partizione delle cinque grandi arti del De inventione, era assai vicina (come
ha notato lo Howell) allo spirito della trattazione ciceroniana. Più ampi
riferi- menti alla memoria appaiono presenti in Marciano CAreLLA, V, ove ci si
richiama all'episodio di Simonide (intellexit ordinem esse qui me- moriae
praeccpta conferet), e nella Novissima Rhetorica del Boxncow- PAGNO composta
nel 1235 dove ci si richiama ad un «alfabeto imma- ginario » come strumento per
l'arte della memoria. Leggo il passo del Boncompagno sulla memoria nella
trascrizione che ha dato il Tocco, Le opere latine, cit., p. 25 dal Cod.
marciano lat. cl. X, 8, f. 29v. Pa- gine essenziali sulla retorica medievale ha
scritto E. R. Curtius, Euro- piische Litteratur und lateinisches Mittelalter,
Berna, 1948 (trad. fr. Parigi, 1956, pp.
76-98). °° F. A. Yates, The Ciceronian Art of Memory, cit., p. 887. 16 CLAVIS UNIVERSALIS base del tentativo compiuto da
Alberto e da Tommaso di sganciare nettamente le tecniche della memoria
artificiale dal piano magico-occultistico dell’ars rotori o di un'arte “magica”
della memoria intesa come “arte somma” o come chiave della realtà universale.
Nell’ars motoria, come poi avverrà più tardi in taluni testi del pieno e del
tardo Rinascimento, il problema dell’arte memorativa appare infatti
strettamente collegato a quello di un'arte segreta o scientia perfecta capace
di con- durre ad omnium scientiarum et naturalium artium cogni- tionem mediante
il congiungimento delle regole dell’arte con formule di invocazione, figure
mistiche e preghiere magiche.” Comunque stiano le cose, è certo che sulla via
inaugurata dai due grandi domenicani, la via cioè di una sintesi tra le dottrine
aristoteliche e quelle ciceroniane, si muoveranno non pochi scritti di arte
mnemonica. Chiaramente su questa linea è per esempio il domenicano Bartolomeo
da San Concordio (f 1347). Nel capitolo dedicato a «quelle cose che giovano a
buona memoria » da lui inserito ne Gli ammaestramenti degli antichi, frate
Bartolomeo (dopo aver richiamato la Rée- thorica ad Herennium, il Timeo, il De
memoria e il secondo libro della Retorica di Aristotele, l’Ars poetica di
Orazio) fa- ceva larghe citazioni dal commento di Tommaso al De me- moria e
dalla « seconda della seconda » della Summa: «Di quelle cose che huomo si vuol
ricordare pigli alcune conve- nevoli simiglianze, ma non del tutto usate;
imperrocchè delle cose disutate più ci meravigliamo... Conviensi che quelle
cose che huomo vuole in memoria ritenere, egli colla sua consi- derazione
l’ordini sì, che ricordandosi dell’una vegnia nel- l’altra ». Il riferimento
alla dottrina ciceroniana dei luoghi e delle immagini appare altrettanto
esplicito: « Di quelle cose che vogliamo memoria havere, doviamo in certi
luoghi allo- gare imagini e similitudini ». Gli otto « precetti » esposti da Bartolomeo
(1. apparare sin da garzone; 2. fortemente at- tendere; 3. ripensare spesso; 4.
ordinare; 5. cominciar dal principio; 6. pigliar simiglianza; 7. non gravar la
memoria di troppe cose; 8. usare dei versi e delle rime) appaiono quindi 21
Cfr. il cap. Salomon and the
Ars notoria in L. THORNDIKE, History of magic and experimental science, New
York, 1929 sgg.; II, pp. 279-289. IMMAGINI
E MEMORIA LOCALE 17 ricavati da una sintesi tra i varî testi ai quali egli si è
richia- mato.?° Esclusivamente ispirato alla RAetorica ad Herennium (no- nostante
che l’autore dichiari due volte di «discostarsi da Tullio ») è invece quel
trattatello trecentesco in volgare sulla memoria artificiale che è stato
erroneamente attribuito a Bar- tolomeo. Accanto alla definizione del luogo («
una cosa dispo- sta a poter contenere in sè alcuna altra cosa ») e della imma- gine
(«il representamento di quelle cose che si vogliono tenere a mente ») compaiono
in questo breve scritto sia la distinzione fra luoghi naturali « facti per mano
di natura » e artificiali « facti per mano d’huomo », sia le regole relative
alla costru- zione dei luoghi e al carattere simbolico delle immagini: « An- cora
conviene che la imagine sia segnata da alcuno segno il quale si convenga per la
cosa per la quale è facta, cioè che la imagine del re pare che gli si convenga
il segno della corona et a’ cavalieri il segno dello scudo... Ancora conviene
che a la imagine si faccia alcuna cosa, cioè che la proprino, quanto agli acti,
quelle cose che a loro si convengono, si come si conviene ad uno lione dare
l’imagine apta et ardita... Adunque veg- giamo sempre che ne’ luoghi si
convengono porre le imagini sì come nelle carte si convengono porre le lettere
».?° Questo tipo di rapporto fra luoghi e immagini, che risale alla Retorica ad
Herennium, e che resterà per tre secoli uno
degli assiomi fondamentali dell’« arte »,
appare del resto pre- sente anche in altri testi del secolo XIV: « L’arte della
me- moria per due, luoghi et imagini, è facta. E’ luoghi non hanno diferentia
da le imagini se non perché sono imagini fisse sopra le quali, siccome sopra a
charta, alcune imagini sono dipinte... ?2 Fra BartoLoMEo di San Concorpio,
Ammaestramenti degli antichi, Dist. 9, capp. 8, 28. 3 Il testo, per intero
riprodotto in appendice, è contenuto nei codici Palat. 54 e Conv. soppr. I, 47
della Nazionale di Firenze. Un altro commento alla RAetorica ad Herennium
(libro III, capp. XVI-XXIV) è contenuto nel Cod. Aldino 441 della Bibl.
Universitaria di Pavia: cart. sec. XV, di cc. III con numerazione di mano più
recente. Il Textus de artificiali memoria è alle cc. 1-20 Inc.: Mo passamo al
texoro de le cose trovate et de tutte le parte de la Rectorica custodevole Me- moria.
Expl.: Con le cose premesse cioè con Studio, Fatiga, Ingegno, Diligentia. Finis
commenti in particulari. 18 CLAVIS UNIVERSALIS onde i luoghi sono come materia
e le imagini come forma ».5! Le varie regole presenti nel trattatello
precedentemente citato tornavano, con lievi differenze, anche in questo
scritto. Ma della diffusione negli ambienti domenicani del secolo XIV dell’ars
memorativa fanno fede, oltre i testi citati, anche quella connessione, che in
molti casi venne a stabilirsi fra l’ars me- moriae e l’ars praedicandi. Non a
caso Lodovico Dolce, che fu nel Cinquecento uno dei più noti volgarizzatori dei
pre- cetti della retorica e di quelli della mnemotecnica, si richia- mava nel
1562? alla Summa de exemplis et similitudinibus di Fra Giovanni Gorini di S.
Gimigniano (} 1323) ?" come ad uno dei testi capitali dell’arte mnemonica
e collocava il suo nome, accanto a quello di Cicerone e di Pietro da Ravenna, nell’elenco
dei fondatori dell’arte. In quel testo che si era pre- sentato come « perutilis
praedicatoribus de quacumque mate- ria dicturis », la costruzione di analogie
fra i vizî e le virtù da una parte e i corpi celesti e i moti della terra
dall’altra dava luogo appunto ad una tecnica del costruire immagini capace di
consentire al predicatore una ordinata esposizione e di col- pire in modo
efficace e persuasivo la fantasia degli ascoltatori. Accanto a preoccupazioni
di questo genere, un vero e proprio interesse per una tecnica della memoria non
era stato del resto affatto estraneo ai cultori di quella scienzia quae tradit
formam artifictaliter praedicandi*" che aveva avuto nel Trecento una 24
Cod. Magliab. cl. VI, 5, fol. 67v. La data in fine (Explicit et finitus die X
mensis junii millesimo CCCC® XX° Indit. XIII per Petrum quon- dam Ser Petri de
Pragha) fa riferimento alla stesura della miscellanea
nella quale il cod. è contenuto. Altri
passi, diversi da questo qui ripor- tato, di questo stesso cod. furono
trascritti dal Tocco, Le opere latine, cit., p. 27, nota 4. 25 Dialogo di M.
Ludovico Dolce nel quale si ragiona del modo di accrescere et conservar la
memoria, in Venetia, appresso Giovanbattista Sessa et fratelli, 1582, p. 90. La
prima cdizione è del 1562. (Copia usata: Triv. Mor. M. 248). 26 Il testo di
Giovanni Gorini fu pubblicato a Venezia nel 1499: Sem- ma de exemplis et
similitudinibus rerum noviter impressa. Incipit summa insignis et perutilis
praedicatoribus de quacunque materia dic- turis fratris Johannis de Sancto
Genuniano, Impressum Venetiis per Johannem et Gregorium de Gregoris, 1499 dic
XII Julii. 2? L'espressione è di Roberto di Basevorn autore di una Forma
praedi- candi composta nel 1322. Il testo è stato pubblicato in appendice al volume
di TH. M. CHarvanp O. P.,Artes praedicandi, contribution è IMMAGINI E MEMORIA
LOCALE 19 larghissima diffusione. Per uno dei maggiori teorici della pre- dicazione,
Thomas Waleys, la divisio thematis esercita una funzione precisa : Dato vero
quod tantum una fiat divisio thematis, adhuc illa divisio erit bene utilis, tam
praedicatori quam auditori. Non enim propter solam curiositatem, sicut aliqui
cre- dunt, invenerunt moderni quod thema dividant, quod non consucverunt
antiqui. Immo, est utilis praedicatori, quia divisio thematis in diversa membra
pracbet occa- sionem dilatationis in prosccutione ulteriori sermonis. Auditori vero est multum utilis,
quia, quando praedicator dividit thema et postmodum membra divisionis ordinate et
distinctim prosequitur, faciliter capitur et tenetur tam materia sermonis quam
etiam forma et modum praedi- candi...?* In quel singolare prodotto di cultura
che fu la medievale
ars praedicandi le esigenze della
persuasione retorica, della co- struzione di immagini capaci di dar luogo ad
emozioni ben controllabili si connettevano in tal modo con i precetti relativi all'ordine
e al metodo concepiti come strumenti per imprimere nella memoria i contenuti e
la forma dell’orazione. 4. TECNICHE DELLA MEMORIA NEL sEcoLO XV. In molti
trattati del secolo XV quella caratteristica tematica speculativa che faceva da
sfondo alle trattazioni di Alberto, di Tommaso, di frate Bartolomeo viene
decisamente abban- donata. Come avviene per esempio nelle Artificialis memoriae
regulae di Iacopo Ragone da Vicenza (composte nel 1434 e conservate in varì
manoscritti)?® l’interesse dell’autore si volge l’histoire de la rhetorique au
Moyen Age, Paris-Ottawa, 1936, p. 233. Si vedano i cataloghi dei mss. compilati
da H. CapLan, Mediaeval Artes praedicandi. A Hand-List e A supplementary Hand-List, in « Cornell Studies
in Classical Philology », XXIV ec XXV, Ithaca, 1934-1936 e, dello stesso
autore, A late mediaeval Tractate on Preaching, nel vol. Studies in Rhetoric
and Public Speaking in honour of S. A. Winans, New York, 1925, pp. 61-91. ?*
Cfr. THomas Waters, De modo componendi sermones, in TH. M. ChÒartanp, Artes
praedicandi, cit., p. 370. n Nel codice marciano cl. VI, 274 il trattato del Ragone è conservato in due
esemplari (di diversa mano) ai ff. 15-34 e 53-66. Un terzo esem- plare è nel
codice marciano cl. VI, 159, un quarto nel cod. T. 78 sup. dell’Ambrosiana.
Lievi le differenze. I passi qui citati sono stati tra- 20 CLAVIS UNIVERSALIS in
modo esclusivo ad un esame ampio e dettagliato delle tec- niche di ricerca dei
luoghi: 53r. Iussu tuo, princeps illustrissime, artificialis memorie re- gulas,
quo ordine superioribus diebus una illas exercui- mus, hunc in librum reduxi
tuoque nomini dicavi, imi- tatus non modo sententias, verum et plerunque verba
ipsa M. Tullii Ciceronis et aliorum dignissimorum philoso- phorum qui
accuratissime de hac arte scripserunt... Prae- ceptore Cicerone ac etiam teste
sancto Thoma de Aquino, artificialis memoria doubus perficitur: locis videlicet
et imaginibus. Locos enim consideraverunt necessarios esse ad res seriatim
pronunptiandas et diu memoriter tenendas, unde sanctus Thomas oportere inquit
ut ca que quis memoriter vult tenere, illa ordinata consideratione dispo- nat
ut ex uno memorato facile ad aliud procedatur. Ari- stoteles etiam inquit in
libro quem de memoria inscripsit: a locis reminiscimur. Necessarii sunt ergo
loci ut in illis imagines adaptentur ut statim infra patebit. Sed imagines sumimus ad
confirmandum intentiones, unde allegatus Thomas: oportet, ait, ut eorum quae
vult homo memorari quasdam assumat similitudines convenientes. Dopo essersi rapidamente richiamato alla fonte
ciceroniana e a quella tomistica, il Ragone passa a trattare, in modo molto più
articolato di quanto non avessero fatto gli autori da lui citati, delle
caratteristiche della memoria «locale » : 53 v. Differunt vero loci ab
imaginibus nisi in hoc quod loci sunt non anguli, ut existimant aliqui, sed
imagines fixe super quibus, sicut supra carta, alic pinguntur imagines delebiles
sicut littere: unde loci sunt sicut materia, imagi- nes vero sicut forma.
Differunt igitur sicut fixgum et non fixum. Consumitur autem ars ista centum
locis, quatenus expedit pro integritate ipsius. Sed, si tue libuerit celsitu- dini,
poterit eodem alios sibi locos invenire faciliter per horum similitudinem. Sed
oportet omnino non modo bona, verum etiam optima diligentia ac studio locos ipsos
notare et firmiter menti habere, ita ut, modo recto et scritti dal Cod.
marciano 274 ai ff. 53-66; si è fatto ricorso, per la com- prensione dei passi
dubbi, sia all'altro esemplare contenuto nello stesso Codice, sia al Cod. T. 78
sup. dell'’Ambrosiana, ff. 1-21v. Il testo del Ragone è dedicato al Marchese di
Mantova: Ad illustrissimum princi- pem et armorum ducem Iohannem Franciscum
Marchionem Mantue. Artificialis memorie regule per Iacobum Ragonam vicentinum.
Nel cod. dell'’Ambrosiana il titolo è invece: Tractatus brevis ac solemnis ad sciendam
et ad conseguendam artem memorie artificialis ad M. Mar- chionem Mantue. IMMAGINI
E MEMORIA LOCALE 21 retrogrado ac iuxta quotationem numerorum, illos prompte recitare
queas. Aliter autem frustra temptarentur omnia. Expedit igitur ut in locis
servetur modus, ne sit inter illos distantia nimis brevis vel nimium remota sed
moderata ut puta sex vel octo aut decem pedum vel circa iuxta magni- tudinem
camere; nec sit in illis nimia claritas vel obscuritas sed lux mediocris. Et
est ratio quia nimium remota vel an- gusta, nimium clara vel obscura causant
moram inquisi- tionem imaginative virtutis et ex consequenti memoriam retardant
dispersione rerum que representande sunt aut earum nimia conculcatione, sicut
oculus legentis tedio af- fligitur si litterc sint valde distincte et male
composite aut nimis conculcate. Loci vero quantitas non est adeo su- menda
modica, ut numero videatur esse capax imaginis, quia violentiam abhorret
cogitatio ut si velles pro loco sumere foramen ubi aranca suas contexit tellas
et in illo 54r. velles equum collocare, non videretur modo aliquo posse / equum
capere. Sed ipsorum locorum quantitas sumenda est ut statim inferius distincte
notatum invenies. I luoghi dovranno dunque esser disposti in modo da consen- tire
una facile e rapida lettura: la loro distanza e la loro gran- dezza sono state
stabilite sulla base di alcune osservazioni di natura psicologica. Si tratta
ora, sempre sulla base di osserva- zioni dello stesso tipo e tenendo conto di
determinate asso- ciazioni che si presentano fra i varî contenuti della
memoria, di procedere ad una scelta dell’« edificio » nel quale i luoghi (e di
conseguenza le immagini) dovranno essere collocati : 54 r. Oportet etiam ne
loci sint in loco nimium usitato sicut sunt plateac ct ecclesie, quoniam nimia
consuetudo aut aliarum rerum representatio causant perturbationem et non claram
imaginum representationem ostendunt sed confu- sam, quod summopore est
cavendum, quia si in foro locum constitueres et in co rei cuiuspiam simulacrum
locares, cum de loco simulacroque velles recordari, additus, reddi- tus,
meatusque frequens et crebra gentis nugatio contur- baret cogitationem tuam.
Studebis ergo habere domum que rebus mobilibus libera sit et vacua omnino, et
cave ne assumas cellas fratrum propter nimiam illarum similitu- dinem, nec
hostia domorum pro locis quia cum nulla vel parva tibi sit differentia idco
confusio. Habeas ergo do- mum in qua sint intra cameras salas coquinas scalas
vi- ginti, et quanto in ipsis locis dissimilitudo maior, tanto utilior. Nec sint camere iste ct
reliquie excessive magne vel parve, et in earum qualibet facies quinque locos
iuxta distantiam dictam superius scilicet sex aut octo vel decem pedes. Et
incipe taliter ut, a dextris semper ambulando 32 CLAVIS UNIVERSALIS vel a
sinistris quocunque altero istorum modorum ex apti- tudine domus tibi commodius
fuerit, non oportcat te re- trocedere. Sed,
sicut in re domus procedit, ita continuen- tur loci tui per ordinem domus, ut
sit facilior impressio ex ordine naturali. Sulle caratteristiche “materiali”
dei luoghi (grandezza, lu- minosità, non-uniformità, ecc.), sulla scelta e la
funzione delle immagini, si sofferma, con altrettanta minuziosità l'anonimo autore
di un altro testo manoscritto °° che risale, molto pro- babilmente, allo stesso
periodo e agli stessi ambienti culturali. 41 v. De ordine locorum. Circa
cognitionem et ordinem loco- rum debctis scire quod locus in memoria
artificiali est sicut carta in scriptura, propterea quod scribitur in carta quando
homo vult recordari et non mutatur carta. Ita loca debent esse immobilia, hoc
est dicitur quod locus de- bet semel accipi et nunquam dimitti seu mutari sicut
carta. Deinde super talia loca formande sunt imagines il- larum rerum vel
illorum nominum quorum vultis recor- dari sicut item scribuntur in carta quando
homo recordari vult. De forma locorum. Loca debent esse facta ct ita formata 42r.
quod non sint nimis parva nec nimis magna / ut verbi gratia non debes accipere
pro uno loco unam domum vel unam terram vel unam schalam, nec etiam, sicut
dixi, nimis parvum locum scilicet unum lapidem parvum nec unum foramen vel
aliud tale. Et ratio est ista: nam humanus intellectus non circa magnas res nec
circa parvas colligitur et imago evanescit; sed debes accipere loca me- dia
scilicet terminum clarum et non nimis obscurum, nec enim debes accipere loca in
illo loco nimis solitario, sicut in deserto vel in silva, nec in loco nimis
usitato, sed in loco medio: scilicet non nimis usitato nec nimis deserto. Et 2°
I passi di seguito citati nel testo sono stati trascritti dal Cod. mar- ciano
Cl. VI, 274, ff. 41-49. (Ars: memoriae artificialis incipit. Ars me- moriac
artificialis, pater reverende, est ca qualiter homo ad recordan- dum de
pluribus pervenire potest per memoriam artificialem de quibus recordari non
possit per memoriam naturalem). Dello stesso trattato ho visto altri tre
esemplari: il Vatic. lat. 3678, ff. 2r-4r (Inc.: Practica super artificiali
memoria. Pater et reverende domine. Quatenus homo ad recordandum) che reca solo
l’inizio del trattato; il Vatic. lat. 4307, ft. 79-85v. (Inc.: Ars memoriae
artificialis est qualiter homo ad recor- dandum de pluribus pervenire possit)
che reca il trattato quasi com- pleto; il Vat. lat. 5129, ff. 60-64v. (Inc.:
Ars memoriae artificialis est
qualiter homo) che, come il Vat. lat.
3678, si interrompe dopo le prime pagine. Al £. 68r. è ripetuto l’inizio del
trattato. IMMAGINI E MEMORIA LOCALE 23 nota quod predicta loca bene scire debes
ct ante et retro et ipsa adigerc per quinarium numerum, videlicet de quinque in
quinque. Et debes scire
quod loca non debent esse dissimilia, ut puta domus sit primus locus, secundus locus
sit porticus, tertius locus sit angulus, quartus locus sit pes schale, quintus
locus sit summitas schale. Et nota quod per quintum vel decimum locum dcebes
ponere unam manum auream aut unum imperatorem super quin- tum vel decimum
locum; qui imperator sit bene atque imperialiter indutus, vel aliquid aliud
mirabile vel defor- me, ut possis melius recordari. Et haec sufficiant quantum ad formam locorum. Nunc
autem videndum est de ima- ginibus per predicta loca ponendis. De imaginibus. Est enim
sciendum quod imagines sunt sicut scriptura et loca sicut carta. Unde notatur
quod 42v. aut / vis recordari propriorum nominum aut appellativo- rum aut
grechorum aut illorum nominum quorum non intelligis significata aut
ambasiatarum aut argumentorum aut de aliis occurrentibus. Ponamus igitur primum quod ego vellim recordari
nominum propriorum. Sic enim ponere debes imagines in proprio convenienti loco
et ipso sic facto: cum vis recordari unius divitis qui nominatur Petrus,
immediate ponas unum Petrum quem tu cogno- scas qui sit tuus amicus vel
inimicus vel cum quo habuisti aliquam familiaritatem, qui Petrus faciat aliquid
ridi- culum in illo loco, vel aliquid inusitatum, vel simile dicat... In
secundo loco ponas unum Albertum quem tu cognoscas, ut supra licet per alios
diversos modos, vide- licet quod dict:;s Albertus velit facere aliquid
inusitatum vel deforme scilicet suspendens se et ut supra. In tertio loco, si
vis recordari istius nominis equi, ponas ibi unum equum album, magnum ultra
mensuram aliorum, et qui percutiat quenpiam tuum amicum vel inimicum cum calcibus
vel pedibus anterioribus, vel aliquid simile faciat ut supra.... Dalla lettura
di queste lunghe citazioni ci sì può fare un’idea abbastanza precisa di quale
fosse l’effettivo “funzionamento” dell’ars memorativa di origine “ciceroniana”.
La qualificazione non è inutile perché la mnemotecnica dei lullisti e degli
aristo- telici è fondata su procedimenti affatto differenti. Per realiz: zare
l’arte mnemonica è necessario, in primo luogo, disporre di una specie di
struttura formale che, una volta stabilita, possa essere sempre impiegata per
ricordare una serie qualunque di cose o di nomi (res aut verba). Questa
struttura formale o fira e sempre reimpiegabile (come dicono i teorici della
mne- 24 CLAVIS UNIVERSALIS
motecnica, la carta o la forma), viene
costruita in modo arbi- trario: si sceglie una località (edificio, portico,
chiesa ecc.) che può essere “fantastica” o reale e già di fatto conosciuta e si
fissano all’interno di questa località un certo numero di luoghi. Il carattere
arbitrario o convenzionale di queste scelte è, come abbiamo visto, limitato da
un certo numero di regole che riguardano: a) le caratteristiche della località
e dei luoghi (ampiezza, solitudine, luminosità ecc.); 6) il modo nel quale i
luoghi stessi devono essere ordinati. È da ricordare infine che la maggiore o
minore ampiezza di questa struttura formale condiziona la quantità dei
contenuti che in essa possono essere inseriti: nel caso per esempio che si sia
costruito un insieme di cento luoghi, questa struttura potrà essere impiegata
per ricordare una quantità di nomi e oggetti fino a un massimo di cento (al
problema della multiplicatio locorum o del progres- sivo allargamento della
struttura verranno non a caso dedicate molte discussioni). La struttura formale
così ottenuta si presta ad essere “riem- pita” da contenuti mentali di
qualsiasi natura e di volta in volta variabili (/magines delebiles o materia o
scrittura). Per effettuare questo “riempimento” si fa ricorso alle immagini che
devono simbolizzare, nel modo più adatto a colpire in modo duraturo la mente,
le cose o i termini che si vogliono
ricordare. Anche qui, l’arbitrarietà
nella scelta delle immagini appare limitata da regole che concernono: la
“mostruosità” o “stranezza” delle immagini e il loro carattere direttamente evocativo
di contenuti. Le singole immagini vanno infine collo- cate nei singoli luoghi
“provvisoriamente” (in vista cioè del ricordo di una particolare serie di nomi
o di cose). Ripercor- rendo mentalmente (in modo semi-automatico) la località
pre- scelta o la struttura costruita, si potranno aver presenti imme- diatamente,
attraverso il richiamo delle immagini e la sugge- stione da esse esercitata, i
termini o le cose appartenenti alla serie che si voleva ricordare. Data la
struttura fissa dei luoghi, termini e cose ricompariranno nel loro ordine
originario e quest'ordine sarà a piacere invertibile. Il problema della
dispositio locorum e della formazione delle immagini occupa, nelle trattazioni
alle quali ci siamo riferiti, una parte assai rilevante. Proprio su questo tipo
di codificazioni insisterà la maggior parte dei trattati quattro-cin- IMMAGINI
E MEMORIA LOCALE 25 quecenteschi,‘' ed è al carattere esclusivamente “tecnico”
che questi trattati vanno assumendo, che ci dobbiamo richiamare per spiegarci
la loro sostanziale uniformità. Gli autori che si occupano dell’ars memorativa
non si presentano mai come de- gli inventori, ma sempre come dei
“chiarificatori” dell’arte: essi si limitano a trasmettere una serie di regole
già codificate, cercando di esporle in forma particolarmente accessibile e di giungere,
se possibile, a qualche integrazione o migliora- mento. Magari attraverso la
riduzione delle regole ad uno schematico formulario,®? l’arte dev’essere resa
facilmente e so- # Si vedano per esempio oltre ai due mss. dell'Ambrosiana (T.
78 sup., ff. 22-26 e ff. 27v.-32v., quest'ultimo anche nel Cod. Angelica 142, ff.
83-87) riportati in appendice, il Cod. marciano cl. VI, 292 (Inc.: De Memoriae
locis libellus) e,alla Casanatense, il Cod. 1193 (E. V. 51) ff. 29-32 v. (Liber
seu ars memoriae localis). Una breve trattazione in vol- gare degli stessi
problemi è nel Cod. Riccardiano 2734, #. 30-32 (Inc.: Appresso io Michele di
Nofri di Michele di Mato del Gioganti ragioniere mostrerò il prencipio dello
’nparare l’arte della memoria, la quale mi mostrò il maestro Niccholo Cicco da
Firenze nel 1435, di dicembre, quando ci venni, cominciando per locar luoghi
nella casa mia. Expl.: E queste sono lc otto sopradette fighure della memoria
artificiale e tutti i modi, atti e chose che s’appartengono in essi. E
maturamente studia- re et sapere, c verrai a perfezionare e a notizia vera di
presta scienza). 12 È quanto avviene nel Cod. I, 171 inf. dell’Ambrosiana, f.
20v.: « Regu- lae artificialis memoriae. Locorum multitudo; locorum ordinato;
locorum meditatio; locorum solitudo; locorum designatio; locorum dissimilitudo;
locorum mediocris magnitudo; locorum mediocris lux; locorum distantia; locorum
fictio. Locorum multiplicatio: addendo diminuendo per sursum et deorsum, per
antrorsum et retrorsum, per destrorsum et sinistrorsum. Imaginum: alia in toto
similis; alia in toto dissimilis: per oppositionem, per diminutionem, per
transpositionem locorum, per alphabetum, per transuptionem locorum, per
loquelam ». Si veda anche, sempre all’Ambro- siana, il Cod. E. 58 sup., f. 1: «
Ars memoriac. Locorum multitudo, ordi- natio, permeditatio, vacuitas sive
solitudo, quinti loci signatio, locorum dissimilitudo, mediocris magnitudo,
mediocris lux, distantia, fictio. Locus multiplicatur: addendo, diminuendo,
mutando (per sursum, deorsum, antrorsum, retrorsum, dextrorsum cet
sinistrorsum), mensurando (lon-
gum, latum, profundum). Idolorum: aliud
in toto simile, aliud in toto dissimile per contrarium, per consuetudinem, per
transpositionem (per alphabetum, sine alphabeto), aliud parum simile per
compositio- nem, per diminutionem, per transpositionem, per trasunptionem
(lite- rarum vel silabarum), per loquelam ». Del trattatello qui trascritto dal
Cod. Ambrosiano E. 58 sup. esiste un altro esemplare, quasi identico, nel Ms.
90, f. 84v. della Casanatense. L'idea di rendere l’arte rapida- mente
acquisibile attraverso uno schema, si presenta strettamente asso- 26 CLAVIS
UNIVERSALIS prattutto rapidamente acquisibile. Su quello che abbiamo chia- mato
il carattere “tecnico” di questi trattati, giova d’altra parte insistere per
intendere le finalità che essi si proponevano e il clima culturale entro il
quale essi poterono trovare larga dif- fusione. L’arte “ciceroniana” della
memoria si presenta, nel Quattrocento, come del tutto priva di finalità e di
intenti di carattere speculativo, si pone come uno strumento utile alle più
varie attività umane. Il trattatello manoscritto di Guardi (o Girardi?)"
eximii doctoris artium et medicinae magistri (qui per intero riprodotto in
appendice) si propone per esem- pio di insegnare a ricordare: i termini
sostanziali e accidentali, gli autori citati (auczoritates), i discorsi comuni
(orationes stm- plices), il contenuto di lettere, di collezioni e di libri di
storia (epistolas, collectiones et historias prolixas), le argomentazioni e i
discorsi scientifico-filosofici (argumenta et orationes sillogi- sticas), le
poesie e i termini appartenenti a lingue non cono- sciute (versus et dictiones
ignotas, puta graecas hebraicas), gli articoli del codice (capita legum). Sul
modo di ricordarsi delle ambasciate, delle testimonianze, degli argomenti
insistono del resto tutti i testi che si presentano talvolta come un adatta- mento
delle regole della mnemotecnica alla finalità di una vittoria nelle
discussioni.” ciata all'altra di una serie di versi mediante i quali si
potessero rapida- mente mandare a memoria le regole dell’arte. Si vedano per
esempio i versi ai quali fa ricorso il magister Girardus nel trattato contenuto
nel Cod. T. 78. sup. dell’Ambrosiana c, in altro esemplare, nel cod. 142 dell'Angelica
(vedi Appendice), e il Tractatus de memoria artificiali
carmine scriptus che ho visto nel cod. R.
50 sup. dell’Ambrosiana (f. 9lr). 33 Ambrosiana. T. 78 sup., ff. 27v.-32v. Un
altro esemplare nel Ms. 142 (B. 5 12) dell’Angelica, ff. 83-87. 34 Cfr. il già
citato Cod. marciano cl. VI, 274, ff. 43r., 43v., 44r.: « De ambasiatis
recordandis. Si vis recordari unius ambasiate quam facere debes, pone in loco
imaginato ut supcerius scribebam... Si ambasiata est nimis prolixa, tunc pone
unam partem ambasiate in uno loco et aliam partem in uno alio loco ut supra,
quia memoria naturalis adiuvabit te. De argumentis recitandis. Argumenta si
recitare velis... De testis recor- dando. Si vis recordari unius testis ponas
primam particulam in illo loco, primam in primo, tertiam in tertio et sic de
aliis successive... ». Ma si veda anche il Cod. Ambrosiano T. 78 sup., f. 25v.:
« Ambasiatas vero sì commode volueris recordari... ». Sulla costruzione di
argomenti insi- stono molto trattati. Si veda per esempio il Cod. marciano cl.
VI, 238, IMMAGINI E MEMORIA LOCALE 27 Legata per le sue stesse origini agli
intenti pratici della retorica, l’ars memorativa intende dunque presentarsi
come un aiuto per chi è impegnato in varie guise in attività mon- dane e
“civili”. Il Congestorius artificiosae memoriae ®*? del Romberch, un testo che
ebbe nel Cinquecento diffusione eu- ropea, si presenta come un’opera utile a
teologi, predicatori, professori, giuristi, medici, giudici, procuratori,
notai, filosofi, professori di arti liberali, ambasciatori e mercanti. 5. La «
FENicE » DI Pietro pa RAVENNA. Che testi di questo genere potessero
effettivamente presen- tare una qualche reale utilità appare senza dubbio
difficilmente credibile. Tuttavia se dobbiamo prestar fede a una serie nume- rosa
di testimonianze, gli assertori e i teorici della mnemo- tecnica erano giunti a
risultati di un qualche rilievo. Il celebre Pietro da Ravenna (Pietro Tommai),
autore di un trattatello sulla memoria artificiale (Venezia, 1491)? che avrà
enorme f£. tv.: Tractatus de memoria artificiali adipiscenda eaque adhibenda ad
argumentandum ct respondendum (Inc.: Ne in vobis, fratres, imo fili carissimi
opus omittam devotionis). 35 Congestorius
artificiosae memoriae ]oannis Romberch de Kryspe, omnium de memoria
pracceptione aggregatim complectens. Opus om- nibus Theologis, praedicatoribus,
professoribus, iuristis, iudicibus, pro- curatoribus, advocatis, notariis,
medicis, philosophis, artium liberaliun: professoribus, insuper mercatoribus,
nuncits, et tabelariis pernecessarium, Venetiis, in aedibus Georgii de
Rusconibus, IX Iulii, 1520 (Copia usata: Triv. Mor. L. 561). 36 Phoenix seu
artificiosa memoria domini Petri Ravennatis memoriae magistri, Bernardinus de
Choris de Cremona impressor delectus im- pressit Venetias die X Januarii, 1491.
Una copia di questa edizio- ne originale
curata dallo stesso autore è contenuta, insieme a due altri incunaboli, nel
cit. Cod. marciano cl. VI, 274, ai ff. 82-97x. A questa prima edizione si
richiamano le citazioni del testo e quelle riportate nell'appendice. Le regulae
dell'operetta del Ravennate (dalla prima alla dodicesima) sono presenti nel
Cod. Vat. lat. 6293, ff. 195-199 (Inc.: Fenix domini Petri ravennatis memoriae
magistri. Expl.: Finis. Deo gratias matrique Mariae) e sono in parte riprodotte
anche nel Cod. Aldino 167 (sec. XVI di cc. 82) della Bibl. Univ. di Pavia. Cfr.
alle cc. 63-66 v.: Inc.: Magister Petrus de memoria. Expl.: Expliciunt re- gulae
memoriae artis egregii ac rmemorandi viri Petri Magistri de Memoria. Su Pietro
da Ravenna cfr., oltre al TiraposcHi, Storia della letteratura italiana,
Modena, 1787-1794, VI, pp. 556 segg.; BORSETTI, 28 CLAVIS UNIVERSALIS risonanza
e non sarà senza influenza sul Bruno, affermava di poter disporre di più di
centomila luoghi che si era andato costruendo onde riuscir superiore a tutti
nella conoscenza delle sacre scritture e del diritto. « Cum patriam relinquo —
scri- veva — ut peregrinus urbes Italiae videam, dicere possum om- nia mea
mecum porto; nec cesso tamen loca fabricare »."* Di fronte al suo maestro
in giurisprudenza Alessandro Tartagni da Imola, all’ Università di Pavia, il
nostro Pietro, appena ventenne, si cra mostrato in grado di recitare a memoria
totum codicem iuris civilis, il testo e le glosse, di ripetere parola per parola
le lezioni di Alessandro e più tardi, a Padova, aveva stupefatto il capitolo
dei canonici regolari recitando a memo- ria prediche intese una sola volta.
Della sua abilità egli parla del resto a più riprese in pagine nelle quali
un’accorta auto- propaganda si associa al manifesto desiderio di suscitare nel-
l'animo dei lettori una stupefatta ammirazione per tanto pro- digio: « Mi è
testimone l’università di Padova: ogni giorno leggo, senza bisogno di alcun
libro, le mie lezioni di diritto canonico, proprio come se avessi il libro
dinanzi agli occhi, ricordo a memoria il testo e le glosse c non ometto la
benché minima sillaba... Ho collocato in diciannove lettere dell’alfa- beto
ventimila passi del diritto canonico e di quello civile e, nello stesso ordine,
settemila passi dei libri sacri, mille carmi di Ovidio... duecento sentenze di
Cicerone, trecento detti dei filosofi, la maggior parte dell’opera di Valerio
Massimo... ».?* Historia Gymnasti Ferrariac, II, pp. 37-40; P. GinannI,
Scrittori raven- nati, II, pp. 419 segg. Alla Classense di Ravenna è da vedere,
per una biografia, il Cod. Mob. 3.3.H2.10 contenente la genealogia della famiglia
Tomai. Le ragioni del termine P/oenix contenuto nel titolo sono chiarite dallo
stesso Pietro: « Et cum una sit Foenix et unus iste libellus, libello si placet
Focnicis nomen imponatur ». Ma alla fenice fanno riferimento, nello stesso
senso, anche altri scritti: si veda per es. nel cod. Palat. 885 della Naz. di
Firenze, ai ff. 314-323v. il Liber qui dicitur Phenix super lapidem
philosophorum (Inc.: Post diuturnam ope- ris fatigationem. Expl.: de lapide
philosophorum natura et composi- tione
sive fixione quae dicta sunt observentur. Dco gratias. Finis). 87 Phoenix seu
artificrosa memoria, cit., £. 87v. 38 Phoenix seu artificiosa memoria, cit.,
ff. 92v.-94v. (cfr. i passi ri- portati nell’appendice). Ma si veda anche
quanto scrive il Ravenna a f.88r.: «In magna nobilium corona, dum essem
adolescens, mihi semel fuit propositum ut aliqua nomina hominum per unum ex
astantibus IMMAGINI E MEMORIA LOCALE 29 Meno sospette delle testimonianze
dell’interessato appaiono quelle di Eleonora d’Aragona, che chiamava l’intera
città di Ferrara a testimoniare della prodigiosa memoria del raven- nate,?° o
di Bonifacio del Monferrato che, dopo aver constatato la sua straordinaria
virtù, lo raccomandava caldamente ai re, ai principi, ai « magnifici capitani »
e ai nobili italiani, o infine del doge Agostino Barbarigo. Comunque stiano le
cose, è certo che la straordinaria fama della quale godette in Italia e in
Europa questa singolare figura di giurista era affidata, più che alle sue pur
non trascurabili cognizioni giuridiche, al fatto che egli si presentiva come la
vivente dimostrazione della validità di un'arte alla quale si volgevano, in
quell’età, le speranze e le aspirazioni di molti. Professore di diritto a
Bologna, a Ferrara, a Pavia, a Pistoia, a Padova, Pietro Tommai contribuì senza
dubbio a diffondere, in tutta Italia, l’interesse per l’ars memorativa. Conteso
al doge veneziano da Bugislao duca di Pomerania e da Federico di Sassonia,
Pietro vide aperte dinanzi a sè, intorno al 1497, le porte dell’ Università di
Wittenberg. Dopo aver rifiutato un invito del re di Danimarca, passava a
Colonia e di qui, accu- sato di poco corretto comportamento (scholares itali
non pote- rant vivere sine meretricibus), fu costretto a ritornarsene in Italia.
La notorietà di questo personaggio e l’ammirazione per la sua opera non saranno
senza risonanze: la Phoenix seu artificiosa memoria del Ravennate eserciterà su
tutta la succes- siva produzione di mnemotecnica una larghissima influenza e a
Pietro si rifaranno, come ad un eccelso maestro, tutti i teorici italiani e
tedeschi del Cinquecento e del Seicento. La diffusione di questo scritto,
stampato per la prima volta a Ve- nezia, poi ripubblicato a Vienna, a Vicenza,
a Colonia, tra- dotto in inglese (intorno alla metà del Cinquecento) da una precedente
edizione in lingua francese, basta da sola a mo- strare come tra la fine del
secolo XV e il primo decennio del dicenda recitarem. Non negavi. Dicta ergo
sunt nomina. In primo loco posui amicum illud nomen habentem, in secundo
similiter, et sic quot dicta fuerunt, tot collocavi, et collocata recitavi ». i
Il testo della lettera di Eleonora d'Aragona è in Phoenix seu artifi- ciosa
memoria, cit., ff. 82-82v. (cfr. l’appendice). 30 CLAVIS UNIVERSALIS secolo
XVIII fossero interessati alla “memoria locale” ambienti non soltanto
italiani.*° L’operetta del Ravenna appare costruita secondo i già ben noti
schemi della tradizione “ciceroniana”. Più che sulle regole concernenti la
ricerca dei luoghi, Pietro volge tuttavia la sua attenzione alla funzione
esercitata dalle immagini e si soffer- ma a lungo sul concetto che le immagini,
per essere davvero efficaci, debbono porsi come dei veri e propri “eccitanti”
del- l'immaginazione: « Solitamente colloco nei luoghi delle fan- ciulle
formosissime che eccitano molto la mia memoria... e credimi: se mi sono servito
come immagini di fanciulle bellis- sime, più facilmente e regolarmente ripeto
quelle nozioni che avevo affidato ai luoghi. Possiedi ora un segreto utilissimo
alla memoria artificiale, un segreto che ho a lungo taciuto per pu- dore: se
desideri ricordare presto, colloca nei luoghi vergini bellissime; la memoria
infatti è mirabilmente eccitata dalla collocazione delle fanciulle... Questo
precetto non potrà gio- vare a coloro che odiano e disprezzano le donne e
costoro con- seguiranno con maggiore difficoltà i frutti dell’arte. Vogliano perdonarmi
gli uomini casti e religiosi: avevo il dovere di non tacere una regola che in
quest'arte mi procurò lodi ed onori, anche perché voglio con tutte le mie forze
lasciare successori eccellenti ».1! 6. NATURA E ARTE, Opere come quelle del
Romberch e di Pietro da Ravenna avevano intenti eminentemente, se non
esclusivamente “pra- 40 Le edizioni viennesi sono del 1541 e del 1600,
l’edizione di Londra, che è senza data, è stata assegnata al 1548 circa: il
trattato viene presentato, senza nome dell’autore, da Robert Copland come The
Art of Memory, that otherwise is called the Phenix, a boke very behouefull and
profytable to all professours of science, granmaryens, rethoryciens, dialectyks,
legystes, phylosophes and theologiens. Stampato da Wil- liam Middleton si presenta come «a
translation out of french in to englysche ». L'edizione di Colonia è del 1608, quella di Vicenza
del 1600. Per la rinomanza del Ravenna in Germania è da ricordare che Agrippa
si vantò di averlo avuto maestro e che un ampio elogio di Pietro, maestro di
memoria, è inserito nell’A/phabetum aureum del- l'Ortwin, Colonia, 1508. 41
Phoenix seu artificiosa memoria, cit., ff. 88v., 89r. IMMAGINI E MEMORIA LOCALE
31 tici”: si rivolgevano ai filosofi solo in quanto anch'essi, così come i
medici o i notai o i giuristi, sono impegnati in terrene faccende. Con tutto
ciò anche in questi trattati, nei quali l’in- teresse tecnico appare dominante,
si affacciano dei motivi (cone per esempio quello delle immagini) che hanno
stretti rapporti con la cultura rinascimentale, e temi, quale per esempio
quello del rapporto arte-natura, che erano stati e soprattutto saranno ampiamente
dibattuti in sede più specificamente filosofica. «La memoria locale è un’arte
con la quale riusciamo a ricordare facilmente e ordinatamente molte cose delle
quali, con le forze naturali, non sarebbe possibile che noi avessimo o così
pronta o così distinta memoria », si afferma nell’ Urb. lat. 1743 ‘* e su
questo motivo, il cui spunto appare già pre- sente nei testi di Cicerone e di
Quintiliano, si ritornerà da più parti con accenti significativi. Mentre
contrapponeva i risultati dell’arte a quelli della natura, l'anonimo autore del
ms. lat. 274 conservato alla Marciana,** avvicinava non a caso l’arte mne- monica
agli altri ritrovati della tecnica e tuttavia, proprio in quel punto, sentiva
il bisogno di porre l’arte sotto il leggen- dario patrocinio di Democrito ‘' e
di presentarsi come il chia- rificatore delle straordinarie difficoltà e delle
« oscurità » conte- nute nella RAetorica ad Herennium : 42 Urb. lat. 1743, £.
428r. 14 Cod. marciano cl. VI, 274, f. 4Ir-4lv. Il brano di seguito citato nel
testo, che trascrivo dal cod. cit., è già stato pubblicato da F. Tocco, Le
opere latine di G. Bruno, cit., pp. 29-30, nota 2, che fa riferimento al Cod.
marciano cl. VI,226. 44 Il Tocco ha già notato come ritorni in più di un
trattato di memoria artificiale il nome di Democrito come fondatore dell’arte.
Cfr. Cod. marciano cl. VI, 274, ff. 1-5: Tractatus super memoria artificiali,
ordi- natus ad honorem egregii et famosissimi doctoris nec non et comitis Troili
Boncompagni P. F.... Homines enim mortales memoriam labilem conspicientes
fuerunt conati quemadmodum fuit Democritus, Simonides et Cicero per artem
adiuvare. Ma cfr. anche, nello stessocodice, al f. 5, le Regulae memoriae
artificialis ordinatae per religiosum sacrae theolo- giae professorem magistrum
Ludovicum de Pirano ordinis Minorum (Inc.: Democritus atheniensis philosophus,
huius artis primus inventor fuit). Il richiamo a Democrito appare fondato, come
chiarisce il Tocco (p. 30) sulla testimonianza di Aulo Gellio (X, 17) secondo
la quale De- mocrito si sarebbe cavati gli occhi per meglio concentrarsi nei
suoi pensieri.
32 CLAVIS UNIVERSALIS 4lr. Ars memoriae
artificialis, pater reverende, est ca qualiter homo ad recordandum de pluribus
pervenire possit per memoriam artificialem de quibus recordari non possit per memoriam
naturalem. Debetis enim scire quod sic natura adiuvatur per artem adiunctam
sicut sunt navigia ad mare transfretandum quia non potest transfretari per
virtutem et viam naturae, sed solum per virtutem ct viam artis; unde philosophi
vocaverunt artem adiutricem nature. Sicut enim invenerunt homines diversas
artes ad iuvandum diversis modis naturam, sic etiam videntes quod per na- turam
hominis memoria labilis est, conati sunt invenire artem aliquam ad iuvandum
naturam seu memoriam ut homo per virtutem artis recordari possit multarum rerum
quarum non poterat recordari aliter per memoriam natu- ralem et sic
adinvenerunt scripturas et viderunt non posse recordari horum quae scripserant.
Postea in successione temporis, videntes quod semper non poterant secum por- tare
scripturas, mec semper parati erant ad scribendum, adinvenerunt subtiliorem
artem ut sine quacumque scrip- tura multarum rerum reminisci valerent et hanc
vocave- runt memoriam artificialem. Ars ista primum inventa fuit Athenis per Democritum
eloquentissimum philoso- phum. Et licet diversi philosophi conati fuerint hanc
artem declarare, tamen melius et subtilius declaravit suprascrip- 4Iv. tus
philosophus Democritus huius artis / adinventor. Tulius vero perfectissimus
orator in cuius libro Rhetori- corum de hac arte tractavit licet obscuro et
subtili modo in tantum quod nemo ipsum intelligere valuit nisi per divinam
gratiam et doctorem qui doceret ipsam artem qualiter deberet pratichari. 7. ARTE DELLA MEMORIA, ARISTOTELISMO E MEDICINA. Ad
una diversa atmosfera culturale e a temi legati alla “psicologia” e alla
“filosofia” più che alla retorica, ci riportano invece altri scritti del tardo
Quattrocento nei quali l'influsso delle impostazioni aristoteliche e tomistiche
è assai più forte di quello esercitato dalla tradizione della retorica
ciceroniana. Si tratta, come è ovvio, solo di una differenza di grado poiché, come
abbiamo visto, proprio attraverso Alberto e Tommaso, l’arte ciceroniana della
memoria era entrata a far parte del
patrimonio della cultura scolastica e
tuttavia, in qualche caso, si assiste, leggendo questi trattati,
all’interessante tentativo di ricavare direttamente dai testi aristotelici
alcune regole della memoria artificiale. In questo senso è tipico il De
nutrienda IMMAGINI E MEMORIA LOCALE 33 memoria pubblicato a Napoli nel 1476 nel
quale Domenico De Carpanis si propone di presentare le dottrine svolte da Ari- stotele
nel De memoria et reminiscentia « condite col sale del santo dottore Tommaso
d’Aquino ».‘° Il sensus communis appare al De Carpanis simile a una gigantesca
selva (silva maxima) nella quale vengono accumu- landosi le immagini provocate
da ciascuno dei cinque sensi. Su questo caos agisce l’intelletto con una
triplice operazione: in primo luogo prende coscienza delle immagini, in secondo
luogo le connette secondo un ordine preciso e in terzo luogo infine (quasi
deambulans per pomerium) lega l’una all’altra le cose simili riponendole in
archa memoriae. Quando di quelle cose si parli, l'intelletto « quasi de armario
pomorum cibum sumens, verba per dentes ruminantis intellectus emittit ».'° La memoria,
a sua volta, si muove su un duplice piano: quello del senso e quello
dell’intelletto. La memoria sensitiva (vis quaedam sensitivae animae) appare
strettamente congiunta col corpo e capace di ritenere corporalia tantum; quella
intellet- tiva, al contrario, è armarium specierum sempiternarum. Alle principali
tesi di Aristotele l’autore accosta, quasi sempre, la citazione di passi tratti
dall’ XI libro del De triritate di Ago- stino: così la dottrina aristotelica
del carattere corporeo dei contenuti della memoria sensitiva viene accostata al
passo di Agostino sulla memoria delle pecore che, dopo il pascolo, tor- nano
all’ovile; mentre la nota tesi agostiniana della identità tra memoria
intelletto e volontà viene citata a conferma del carattere intellettivo di una
delle due parti nelle quali la memoria si suddivide. Anche la dottrina degli
aiuti (admin: cula) della memoria risente da vicino della sua origine tomi- stica:
accanto all’ordine (bonus ordo memoriam facit habilem) e alla ripetizione (ex
frequentibus actis habitus generatur)*' il De Carpanis colloca fra gli aiuti
principali la similitudo e la contrarietas. Senza far ricorso all’arte della
memoria « locale », 45 Mi sono servito dell’ Inc. De nutrienda memoria
Dominicis de Car- panis de Neapoli, anno domini 1476, ind. IV, die vero XVI
decembris regnante serenissimo et illustrissimo Domino nostro D. Ferdinando Dei
gratia rege Sicilie, Hierusalem et Hungarie, contenuto nel cit. Cod. marciano
cl. VI, 274, ff. 97-103v. 46 De nutrienda memoria, cit., f. 97 v. 4 De
nutrienda memoria, cit., fi. 98, 99, 102v. 34 CLAVIS UNIVERSALIS l’autore
giunge in tal modo a fissare alcune regole ricavate, anziché da Cicerone, dalla
psicologia aristotelica : Contrarietas secundum dicitur adminiculum ubi notan- dum
est quod quando res diversorum ordinum et quali- tatum essent recitandae in una
orationc vel in una sen- tentia eloquendac, tunc ordo subsequens debet esse
con- trarius immediate antecedenti, ut si videlicet memoranda essent libertas
servitus frigus estas divitiae paupertas pictas crudelitas iusticia impictas,
sic ut sunt hic nominata ordi- nabis; non autem dices: libertas, frigus
servitus estas divi- tiae pietas paupertas crudelitas. Graveretur cnim memo- ria
sic inordinate procedens cuius ratio videtur quia... contraria non se
compatiuntur ad invicem immo iuxta se posita nullo medio, motum habent
contrarium et ope- rationem ad invicem contrariam. Sic itaque, sicut motum nullo
medio ad invicem habet contrarium, sic in memo- rando nullum aliud habendo vei
querendo auxilium, mo- vebunt memoriam. Ars cnim imitatur naturam.!8 Un
tentativo dello stesso genere è presente anche nel De omnibus ingeniis augendae
memoriae del medico, storico e poeta bergamasco Giammichele Alberto da Carrara
che fu pubblicato a Bologna nel 1481.‘° Anche in questo caso le os- servazioni
di Aristotele sull’ordine, sul passaggio del simile al simile, sulla
contrarietas vengono interpretate come vere e pro- prie “regole” dell’ars
memorativa.®® Ma oltre che per queste de- rivazioni aristoteliche e per la
proposta di un particolare tipo di 48 De nutrienda memoria, cit., f. 101r. 19
Mi sono servito dell’Inc. contenuto, accanto a quelli delle opere di Pietro da
Ravenna e del De Carpanis, nel Cod. marciano cl. VI, 274, ai ff. 69-82:
Johannis Michaelis Alberti Carrariensis. De omnibus in- gentis augendae
memoriae. Ad
prestantissimum virum Aloisium Ma- nentem incliti Venetorum Senatus
Secretarium. Impressum Bononiae per me Platonem de
Benedictis civem bononiensem, regnante inclito prin- cipe domino Iohanne
Bentivolio, secundo anno incarnationis, dominicc 1481 die XXIHI Januarii. Al
testo del Carrara attingerà largamente, senza citare l’autore, il medico
bergamasco Guglielmo Gratarolo nei suoi Opuscula dedicati alla memoria,
Basilea, 1554. Sul Carrara cfr. TiraBoscHi, Storia della letteratura, cit., VI,
pp. 688-693. °° De omnibus ingentis, cit., f. 72v.: « Primum est ordo et
reminisci- bilium consequentia. Cum cam didicimus ex ordine cum connectione et
dependentia si aliquo eorum erimus obliti, facile, repetito ordine, reminisci
poterimus. Alterum est ut et uno simili in suum simile pro- IMMAGINI E MEMORIA
LOCALE 35 “memoria locale” fondato sulla suddivisione in cinque parti
del corpo degli animali," il testo
del Carrara è importante perché mostra la stretta connessione che venne a
stabilirsi, al- l’interno di una certa tradizione aristotelica, fra arte della
me- moria e medicina. Richiamandosi a Galeno e ad Avicenna il Carrara affronta,
in primo luogo, il problema di una localiz- zazione della memoria, passa poi a
discutere delle principali malattie che ostacolano l’uso della memoria, si
sofferma ad esporre una serie di regole concernenti l’uso di cibi e bevande, il
sonno e il moto, e giunge finalmente alla formulazione di un vero e proprio
ricettario. All’idea di una terapeutica della memoria, già presente nel Regimen
aphoristicum di Arnaldo da Villanova, e diffusa nella medicina medievale, si
richia- mava, accanto al Carrara, anche Matteolo da Perugia che pub- blicava,
in quegli stessi anni, un opuscolo di medicina mne- monica.?? In entrambi i
testi è non a caso assai frequente il ricorso ad Avicenna: la tesi sostenuta
dal Carrara che l’um:- dità sia di ostacolo alla memoria è per esempio già
presente nei testi del medico arabo (« qui autem habent locum domi- natum
humiditate non rememorant, quia formae non fingun- tur in humido »),°° ma il
trattato del Carrara, a differenza di quello del Matteolo e degli altri già
presi in esame, appare fondato su numerosissime letture. Oltre ai già noti
classici della memoria, comparivano qui i nomi di Galeno, Boezio, Ugo da San
Vittore, Giovanni Scoto e Averroè. vehamur: ut si Herodoti obliviscamur de Tito
Livio recordati latinae historiae patre, in Grecae historia patrem Herodotum
producemur. Tertium est ut
contraria recogitemus... ut memores Hectoris, remini- scimur Achillis ». ! De
omnibus ingentis, cit., f. 73. Il
passo può esser letto nella tra- scrizione che ne ha dato il Tocco (op. cir.,
p. 34, nota 1). °? Si veda per esempio: Tractatus clarissimi philosophi et
medici Ma- theoli perusini de memoria et reminiscentia ac modo studendi
tractatus feliciter. L'opera, non datata, è della fine del Quattrocento e
insiste sul regime da seguire in vista della buona memoria. Sull’autore cfr.
Tira- BoscHI, Storta della letteratura, cit., VI, pp. 462 segg. ° Averrois
Cordubensis, Compendia librorum Aristotelis qui parva na- turalia vocantur, in
Corpus Comm. Av. in Arist., Cambridge (Mss.), 1949, VII, pp. 70-71. 36 CLAVIS
UNIVERSALIS 8. LA COSTRUZIONE DELLE IMMAGINI. Attraverso un contatto con la
tradizione della medicina e con certe tesi dell’aristotelismo, la trattatistica
sull’ars memoriae del tardo Quattrocento sembra dunque avvicinarsi a temi e a problemi
che rivestono un interesse non meramente “tecnico” e non soltanto “retorico”.
Tuttavia, ed è opportuno non di- menticarlo, quando a metà del Cinquecento si
verificherà l’in- contro fra la grande tradizione del lullismo e l’ars
reminiscendi di derivazione “retorica”, saranno proprio i trattati stretta- mente
tecnici dei “ciceroniani” ad esercitare una funzione es- senziale. In realtà
quell’arte dei luoghi e delle immagini, nono- stante la sua apparente
neutralità e atemporalità, era legata alla cultura del Rinascimento da una
molteplicità di rapporti, e solo tenendo presenti tali rapporti sarà possibile
spiegarsi le ragioni per cui testi spesso aridi e quasi sempre speculativamente
inof- fensivi eserciteranno un fascino notevole sulle menti di Agrippa e di
Bruno. Chi ponga mente all'importanza dei segni, delle imprese e delle
allegorie nella cultura rinascimentale, chi ri- chiami alla mente i testi
ficiniani sui « simboli e le figurazioni poetiche che nascondono divini misteri
» e avverta il signifi- cato di quel gusto per le allegorie e per le “forme
simboliche”
presente negli scritti del Landino, del
Valla, del Pico, del Poliziano e più tardi del Bruno, non potrà non rilevare la
risonanza che l’arte della memoria in quanto costruttrice di immagini era
destinata ad avere in una età che amava incor- porare le idee in forme
sensibili, che si dilettava a trasferire sul piano delle discussioni
intellettuali la Febbre e la Fortuna, che vedeva nei geroglifici il mezzo usato
per rendere indeci- frabili i precetti religiosi, che amava gli “alfabeti” e le
icono- logie, che concepiva verità c realtà come qualcosa che si va progressivamente
disvelando attraverso i segni e le “favole” e le immagini.“ 94 Su questi temi
cfr. E. Cassirer, /ndividuo e cosmo nella filosofia del Rinascimento, Firenze,
1935, pp. 119, 149; PH. Monnier, Le Quattro- cento, Losanna, 1901, pp. 127
segg.; CH. LeMMI, The classical deities in Bacon. A study in mythological
symbolism, Baltimore, 1933, pp. 14-19; P. O. KriIsTELLER, // pensiero
filosofico di M. Ficino, Firenze, 1953, pp. 86 segg.; E. Garin, L'umanesimo
italiano, Bari, 1952, pp. 120 segg.; Medioevo e Rinascimento, Bari, 1954, pp.
66-89. Essenziale resta ]. Seznec, La survivance des dieux antiques, Londra,
1940 (in particolare IMMAGINI E MEMORIA LOCALE 37 In un testo caratteristico e
giustamente famoso, l’Alciati, mentre parlava di un’ars quaedam inveniendorum
et excogitan-
dorum symbolorum, si soffermava a lungo a
discorrere delle differenze che intercorrono fra schemata, imagines e
symbola;?° ottant'anni più tardi, in un libro altrettanto fortunato, il peru- gino
Cesare Ripa presentava una « descritione d’imagini delle virtù, vitii, affetti,
passioni umane, corpi celesti, mondo e sue arti » annunciando che il suo
scritto (che è veramente «la chiave dell’allegorismo del Seicento e del
Settecento ») doveva servire « per figurare con i suoi proprî simboli tutto
quello che può cadere in pensiero umano ».°°. Alla voce memoria tro- viamo la
rappresentazione di « una donna con due faccie, ve- stita di nero et che tenga
nella man destra una penna et nella sinistra un libro »: le due facce stanno a
significare che la memoria abbraccia « tutte le cose passate, per regola di
pru- denza in quelle che hanno a succedere per l’avvenire »; il libro e la
penna, simboli della frequente lettura e della scrit- tura, « dimostrano, come
si suol dire, che la memoria con l’uso si perfettiona ».°” In un manuale di
iconologia, compo- sto negli ultimi anni del Cinquecento, ritroviamo in tal
modo da un lato l’antica idea dell’uso e della scrittura come aiutidella
memoria (due secoli più tardi Hume parlerà dell’« ope- rosità » e della
«scrittura »), dall’altro l’eco di quelle discus- sioni sulla memoria e la «
prudenza » che avevano appassio- nato Alberto Magno e Tommaso.”* Ma era l’idea stessa di sulla
iconologia le pp. 95-108); ma cfr. anche M. Praz, Studies in Se- venteenth
Century Imagery, Londra, 1939 c F. A. Yates, The French Academies of the
Sixteenth Century, Londra, 1947, p. 132: «It was on the ’image-level’ of the
mind (if one may speak thus) that the Renaissance men achived his ounified
outlook ». Uno storico dell’arte come W. WaetzoLp,
Diirer and his Time, Londra, 1950, p. 63, giunge del resto a non dissimili
conclusioni. Più recente R. }. CLEMENTS, /corno- graphy on the nature and Inspiration of Poetry in
Renaissance Emblem Litterature, in PMLA, 1955, IV, pp. 781-804. 55 Omnia A. Alciati Emblemata, Antverpiac, 1581, pp.
11, 13 (Copia usata: Braid. 26. 17. C. 9). La prima edizione è del 1531. 5° È
il titolo della /conologia di Cesare Ripa. Uso l'edizione padovana del 1611. La
prima edizione è del 1503. °? C. Ripa, /conologia, cit., p. 335. € Sulla
Allegoria della prudenza del Tiziano E. Panorsri scrisse, nel 1926, uno
splendido saggio (ora ristampato nel vol. The meaning of visual arts, New York,
1957, pp. 146-168). Sulla prudenza come « me- 38 CLAVIS UNIVERSALIS una rappresentazione sensibile delle “cose” e
dei “termini” c di una “personificazione” dei concetti alla quale il Ripa (e
molti altri con lui) si ispirava, che aveva indubbiamente assai stretti legami
con quella sezione della mnemotecnica che aveva per scopo la costruzione delle
immagini. All’interno stesso della più ortodossa tradizione dell’ars memorativa
ciceroniana non erano mancate espressioni di una particolare sensibilità per il
problema delle immagini. Certe pagine dell'Oratoriae artis epitoma (Venezia,
1482) di Iacobo Publicio ‘* giovano senza dubbio a comprendere come tra queste
immagini e quelle delle iconologie sussistesse un legame reale. Le intentiones
simplices e «spirituali », affermava il Pubblicio, non aiutate da nessuna
corporea similitudine, sfug- gono rapidamente dalla memoria. Le immagini hanno
appunto il compito, mediante il gesto mirabile, la crudeltà del volto, lo
stupore, la tristezza o la severità, di fissare nel ricordo idee termini e
concetti. La tristezza e la solitudine saranno il simbolo della vecchiaia, la
lieta spensieratezza quello della gioventù, la voracità sarà espressa dal lupo,
la timidezza dalla lepre, la bilancia sarà il simbolo della giustizia,
l’erculea clava della fortezza, l’astrolabio dell’astrologia. Ma soprattutto
gio- verà richiamarsi, nella costruzione delle immagini, all'opera dei poeti,
di Virgilio e di Ovidio. Le loro raffigurazioni della Fama, dell’ Invidia, del
Sonno potranno essere felicemente ri- prese in quella collocatio in locis che
fa uso di immagini rare ed egregie.®° Simboli e immagini in funzione del
ricordare: anche quan- do l’idea di una collocatio imaginum in locis verrà
abbando- nata definitivamente, resterà ben salda l’idea dei simboli e delle immagini
come aiuti della memoria. La Istoria universale pro- moria del passato,
ordinamento del presente, contemplazione del fu- turo » il Panofski avrebbe
potuto citare, accanto a fonti meno note, anche 1 passi, assai significativi,
di Alberto Magno e di Tommaso d'A- quino. Ma resta egualmente significativa la
penetrazione, entro le arti figurative, dell’antico tema della connessione
memoria-prudenza. 5° PusLicii IacoBI, Oratoriae artis epitoma, sive quae ad
consumatun spectant oratorem, Venetiis, 1482. L’opera del Publicio fu
ristampata nel 1485 a Venezia (Erhardus Radtolt augustensis ingenio miro et
arte perpolita impressioni mirifice dedit) e successivamente ad Augusta nel 1490
e nel 1498. Qui si è fatto uso dell’ Inc. 697 dell’Angelica di Roma. 6°
Oratoriae artis epitoma, cit., d4v.-d4v. IMMAGINI E MEMORIA LOCALE 39 vata con
monumenti e figurata con simboli degli antichi pub- blicata nel 1697 da
Francesco Bianchini doveva « unire alla fa- cilità dell’apprendere e del
comprendere la stabilità dell’ordi- nare e del ritenere »;* la « dipintura
proposta al frontispizio » della Scienza Nuova di Giambattista Vico doveva
servire al leggitore « per concepire l’idea di quest'opera avanti di leg- gerla,
e per ridurla più facilmente a memoria ».** ©! Francesco BrancHInI Veronese, La
istoria universale provata con monumenti e figurata con simboli degli antichi,
Roma, 1697, p: 5 (Copia usata: Braid. AA. V. 13). 8? G. Vico, Opere, a cura di
F. Nicolini, Milano-Napoli, 1953, p. 367, e cfr. le mie Schede vichiane, in «
La Rassegna della letteratura ita- liana », 1958, 3, pp. 375 segg. II. ENCICLOPEDISMO
E COMBINATORIA NEL SECOLO XVI 1. LA RINASCITA DEL LULLISMO. Nel corso del
secolo XVI si verificano, in quel settore della cultura che qui ci interessa,
due importanti fenomeni. Il primo è la diffusione in Inghilterra, in Germania,
in Francia di quell’arte della memoria locale che aveva avuto, alla fine del Quattrocento,
la sua più organica e completa trattazione nel- l’opera di Pietro da Ravenna.
Il secondo è il contatto che venne a stabilirsi fra quella tradizione
mnemotecnica che risale a Cicerone, a Quintiliano, alla RAetorica ad Herennium,
a Tommaso e l’altra, diversa tradizione di logica combinatoria che fa capo alle
opere di Raimondo Lullo. Fra la metà del Quattrocento e la metà del
Cinquecento, Cusano, Bessarione, Pico, Lefèvre d’Etaples, Bovillus e poi
Lavinheta e Agrippa e Bruno contribuiscono a diffondere le opere di Lullo,
l’inte- resse per l’ars magna e la passione per la combinatoria entro tutta la
cultura europea. Il significato della loro adesione ad una tematica che appare
così profondamente estranea ad una mentalità post-cartesiana e post-galileiana
è necessariamente sfuggito sia a quegli interpreti che hanno visto nell’ars
magna una specie di sommario elementare o “preistorico” di logica simbolica,
sia a coloro che hanno preferito sbarazzarsi, con facile ironia, delle
“stranezze” di molti fra gli esponenti più significativi e più noti di una non
trascurabile stagione della cultura occidentale. L'interesse per la cabala e
per le scritture geroglifiche, per le scritture artificiali e universali, per
la scoperta dei primi princìpi costitutivi di ogni possibile sapere, l’arte
della me- moria e il richiamo continuo ad una logica intesa come “chiave”
capace di aprire i segreti della realtà: tutti questi temi appaiono
inestricabilmente connessi con la rinascita del lullismo nel Rinascimento e
formano, davanti a chi affronti direttamente i testi del Cinquecento e del
Seicento da Agrippa a Fludd, da Gassendi a Henry More, una sorta di inestrica- 42
CLAVIS UNIVERSALIS bile groviglio del quale non appare del tutto lecito
sbarazzarsi facendo ricorso ad una generica e misteriosa entità “plato- nismo”.
In realtà molti dei temi che formano quel groviglio hanno non pochi e non
trascurabili riflessi anche sui problemi della speculazione e della scienza:
dalla teoria baconiana e vichiana dei segni delle immagini e del linguaggio,
alla discussione baconiana e cartesiana sull’a/bero delle scienze e sulle
facoltà; dalle polemiche sul significato della dialettica e sui suoi rap- porti
con la retorica, a quelle concernenti le topiche e il pro- blema del metodo e
infine a quelle stesse trattazioni di filo- sofia naturale che fanno appello
alla struttura logica della realtà materiale, all’alfabeto della natura o ai
caratteri im- pressi dalla Divinità nel cosmo. Non si ha qui la pretesa di dar
fondo a questi complessi problemi: si ritiene tuttavia che ad una maggiore
compren- sione di talune delle questioni precedentemente indicate possa giovare
non poco un esame, analiticamente condotto, della diffusione del lullismo nel
secolo XVI e del suo connettersi con la già fiorente tradizione dell’arte
mnemonica. 2. AGRIPPA E LE CARATTERISTICHE DELL’ARS MAGNA. Nei primi anni del
Cinquecento, in una lettera dedicatoria premessa al suo commento all’Ars brevis
di Raimondo Lullo, Cornelio Agrippa * tracciava un sommario quadro della diffu-
1 Faccio uso dell'edizione delle opere e dei commenti lulliani pubbli- cate a
Strasburgo dai fratelli Zetzner. Si dà qui, per comodità del lettore, un
sommario del contenuto di questa edizione (che verrà di seguito indicata
semplicemente con ZetznER). Raymundi Lullii Opera ca quae ad inventam ab ipso
artem universalem scientiarum artiumque omnium brevi compendio firmaque memoria
apprchendendarum locu- pletissimaque vel oratione ex tempore petractandarum
pertinent. Ut et in candem quorundam interpretum scripti commentarit...
Accessit Va- leriù de Valerits patrici veneti aureum in artem Lullii generalem
opus, Argentorati, Sumpt. Hacr. Lazari Zetzneri, 1617 (copia usata: Triv., Mor.,
I, 304. La prima edizione è del 1598. L’opera fu ristampata nel 1609 e ne 1651;
parzialmente riprodotta: Stoccarda, 1836). Il volume contiene i seguenti
scritti: Opere autentiche di Lullo: Logica brevis et nova, pp. 147-161; Ars
brevis, pp. 142; Ars magna generalis ultima, pp. 218-663; Tractatus de
conversione subiecti et praedicati per medium, pp. 166-177; Duodecim principia
philosophiae, pp. 112- ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA 43 sione del lullismo
nella cultura europea: Pedro Daguì e il suo discepolo Janer sono ben noti e
celebrati in Italia, l’insegna- mento di Fernando de Corboba ha avuto
vastissima risonanza nelle scuole europee, Lefèvre d’Etaples e Bovillus sono
stati, a Parigi, devotissimi a Lullo, infine i fratelli Canterio ° hanno mostrato
non solo alla Francia e alla Germania, ma anche all'Italia, le mirabili
possibilità dell’arte. Mentre si richiamava ai grandi maestri del lullismo,
Agrippa chiariva anche breve- 146. Opere apocrife e attribuite a Lullo: De
auditu kabbalistico seu kabbala, pp. 43-111; Oratio exemplaris, pp. 224-217
(sic, errore di numerazione nelle pagine); /n RAesoricam Isagoge, pp. 172-223;
Liber de venatione medii inter subiectum et praedicatum, pp. 162-165. Com- menti:
G. Bruno, De lulliano specierum scrutinio, pp. 664-680; De lampade combinatoria
lulliana, pp. 681-734; De progressu logicae ve- nationis, pp. 735-786; H. C.
Acrirra, In artem brevem Raymundi Lullit commentaria, pp. 787-916; VaLeria DE
VALERIS, Opus aureum in quo omnia breviter explicanter quae R. Lullus tam in
scientiarum arbore quam arte generali tradit, pp. 969-1109. ° Su Pedro Daguì
che tenne pubblici corsi di lullismo nella cattedrale di Maiorca nel 1481, sul
suo discepolo Janer, sul filosofo platonico
Fernando de Còrdoba che difese Daguì
dalle accuse di eterodossia in una commissione nominata da Sisto IV, sul
lullismo del Lefèvre e del Bouelles, sui fratelli Andrés, Pedro e Jaime
Canterio cfr.: T. e |. Carreras y ArRTAu, Filosofia cristiana de los siglos XII
al XIV, Madrid, 1939-43, 2 voll., vol. II, pp. 65 segg., 78, 283 segg.,
201-209, 216 segg. nel quale si trovano notizie bio-bibliografiche sui singoli
autori. Stru- mento essenziale per la storia del lullismo è: E. RocENT y E.
Duran y Renats, Bibliografia de las impressions lul-lianes, Barcelona, 1927
(per le edizioni, numerosissime, del commento di Agrippa, cfr. i numeri: 79,
80, 82, 86-88, 103-105, III, 125, 144, 148, 162, 180). Per le notizie sulle
opere edite e inedite, sui manoscritti ecc. si vedano: Littré, in Histoire
littéraire de la France, vol. XXIX; E. Lonc- PRÉ, voce Lulle in Dictionnaire de
théologie catholique, vol. IX; J. Avinvò, Les obres autèntiques del Beat Ramon
Lull, Barcelona, 1935; C. Ortaviano, L'ars compendiosa de R. Lulle avec une
étude sur la bibliographie et le fond ambrosien de Lulle, Paris, 1930. Per la
diffu- sione del lullismo, particolarmente in Italia, sono assai importanti gli
studi di Miguel BatLLORI che, oltre a una preziosa Introducion biblio- grafica
a los estudios lulianos, Mallorca, 1945, ha pubblicato: E/ /ulismo en Italia,
Madrid, « Rev. de Filos. de l’ Inst. L. Vives », II, 5-6-7, 1944; La obra de R.
Lull en Italia, in « Studia », Palma de Maiorca, ag.-sett., 1943; Le lullisme
de la Renaissance et du Baroque: Padoue et Rome, in «Actes du XIéme Congrès
Int. de Philos. », Bruxelles, 1953, vol. XIII, pp. 7-12 (per una completa
informazione cfr. Bibliografia del P. Miguel Batllori S. I., Torino, 1957). 44
CLAVIS UNIVERSALIS mente la portata e il senso della combinatoria lulliana, le
ra- gioni della sua superiorità e della sua efficacia: l’arte — affer- mava —
non ha nulla di « volgare », non ha a che fare con oggetti determinati e
proprio per questo si presenta come la regina di tutte le arti, la guida facile
e sicura a tutte le scienze e a tutte le dottrine. L’ars inventiva appare
caratterizzata dalla generalità e dalla certezza; con il suo solo aiuto,
indipenden- temente da ogni altro sapere presupposto, gli uomini potranno giungere
ad eliminare ogni possibilità di errore e a trovare « de omni re scibili
veritatem ac scientiam ». Gli “argomenti” dell’arte sono infallibili e
inconfutabili, tutti i particolari di- scorsi e princìpi delle singole scienze
trovano in essa la loro universalità e la loro luce (« omnium aliarum
scientiarum prin- cipia et discursus tanquam particularia in suo, universali
luce, elucescunt »); infine, proprio perché racchiude e raccoglie in sé ogni
scienza, l’arte ha il compito di ordinare, in funzione della verità, ogni
sapere umano.° Agrippa, che pure scriverà molti anni più tardi una pagina feroce
contro la tecnica lulliana,' poneva dunque in rilievo, nella prefazione al suo
commento, due delle fondamentali caratteristiche con le quali l’arte lulliana
si presenta alla cul- tura del Rinascimento. In primo luogo essa appare come
una scienza generalissima e universale la quale, richiamandosi a princìpi
assolutamente certi e a infallibili dimostrazioni, con- sente la determinazione
di un criterio assoluto di verità; in secondo luogo, proprio perché si
costituisce come la scienza delle scienze, l’arte è in grado di offrire il
criterio per un pre- ciso e razionale ordinamento di tutto lo scibile i vari
aspetti * H. C. AcrIPra, /n artem brevem... commentaria, Zetzner, pp. 787-89. 4
H. C. Acrirra, De wvamitate sciertiarum, in Opera, Lugduni, per Beringos
Fratres, 1600, 2 voll., vol. II, pp. 31 segg. (il cap. IX del De vanitate ha
per titolo De arte Lulli, il X De arte memorativa). Cfr. lo stesso testo nella
versione italiana di L. Dominichi, Venezia, 1549 (copia usata: Braidense 25.
13. H. 14). Nel Saggio bio-bibliografico su C. Agrippa di HeLpa BuLLortA Bar- RAacco,
in « Rassegna di filosofia », 1957, III, pp. 222-248, non si fa cenno al
commento lulliano di Agrippa. L'opera non è databile con precisione. G. A.
Prost, Les sciences et les arts occultes au XVIè*me stècle, Paris, 1881, I, p.
35 la assegna al 1517, con argomenti forse in- sufficienti. Certamente lo
scritto è antecedente al 1523 (cfr. Claudius Blancheroseus H.C. Agrippae, in
Fpist., III, 36, Opera, cit., II, p. 802). ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA 49 del
quale mediante successive sussunzioni del particolare al enerale vengono tutti,
senza esclusioni, ricompresi e inverati nell’arte. Il giovane Agrippa non aveva
fatto altro in realtà che esporre vivacemente e chiarificare temi largamente
diffusi. Sul- l'efficacia «inventiva » dell’arte e sulla sua « finalità
enciclo- pedica » egli non era stato il solo ad insistere. Il tema di una logica
intesa come chiave della realtà universale, come discorso concernente non i
discorsi umani ma le articolazioni stesse del mondo reale si congiunge infatti
strettamente, nei testi stessi di Lullo e in quelli del lullismo, con
l’aspirazione ad un ordinamento di tutte le scienze e di tutte le nozioni che corrisponda
all'ordinamento stesso del cosmo. Giustamente si è potuto parlare, a questo
proposito, di una « direzione logico- enciclopedista » del pensiero lulliano
che si pone, come motivo centrale e dominante, accanto alla direzione « mistica
» e a quella « polemico-razionalista ».@ L'apprendimento delle regole dell’arte
e la ordinata classificazione di tutte le nozioni im- plicano e presuppongono
d’altra parte la costruzione di un sistema mnemonico che si presenta come parte
integrante e costitutiva della logica-enciclopedia. Ma gioverà a questo punto, per
chiarire questi problemi, delineare brevemente alcuni degli aspetti
fondamentali della problematica connessa al lullismo facendo riferimento sia ai
testi di Lullo sia a quelli della tra- dizione lullista. 3. ARTE, LOGICA E
COSMOLOGIA NELLA TRADIZIONE LULLIANA. Nei testi di Lullo l’arte si presenta
come una «logica » che è anche e contemporaneamente « metafisica » (« ista ars est
et logica et metaphysica ») ec che tuttavia differisce dall’una e dall’altra
sia «in modo considerandi suum subiectum » sia «in modo principiorum ». Mentre
la metafisica considera gli enti esterni all'anima « prout conveniunt in
ratione entis », e la logica li considera secondo l’essere che essi hanno
nell'anima, l’arte invece, suprema fra tutte le umane scienze, considera gli
enti secondo l’uno e secondo l’altro modo. A differenza ° Cfr. Carreras y
Artau, Filosofia cristiana, cit., II, pp. 10-11. © Introd. all’Ars
demonstrativa, in R. Lutt, Opera omnia, Mainz, 1721- 42, III, p. 1. Gli otto
volumi dell’edizione di Mainz numerati I-VI, IX, 46 CLAVIS UNIVERSALIS della
logica che tratta delle seconde intenzioni, l’arte tratta delle prime
intenzioni; mentre la logica è « scientia instabilis sive labilis », l’arte è
«permanens et stabilis »; ad essa è possibile quella scoperta della « vera lex
» che è invece pre- clusa alla logica. Esercitandosi per un mese nell’arte si
po- tranno non solo rintracciare i princìpi comuni a tutte le scienze, ma anche
conseguire risultati di molto maggiori di quelli raggiungibili da chi si
dedichi per un anno intero allo studio della logica." Opportune premesse
all’acquisizione del- l’arte appaiono non a caso, da questo punto di vista, la
cono- scenza della logica tradizionale e quella delle cose naturali: «Homo
habens optimum intellectum et fundatum in logica et in naturalibus et
diligentiam poterit istam scientiam scire duobus mensis, uno mense pro theorica
et altero mense pro practica... ».° Presentandosi strettissimamente connessa
alla conoscenza delle cose naturali, alla metafisica, all’ontologia l’arte
mostrava da un lato la sua irriducibilità sul piano di una conoscenza
formale e dall’altro i suoi legami con
quella metafisica esem- plaristica e con quell’universale simbolismo che
costituiscono insieme lo sfondo e la premessa delle dottrine lulliane. La scomposizione
dei concetti composti in nozioni semplici e irri- ducibili, l'impiego di
lettere e di simboli per indicare le no- zioni semplici, la meccanizzazione
delle combinazioni tra i concetti operata per mezzo delle figure mobili, l’idea
stessa di un linguaggio artificiale e perfetto (superiore al linguaggio comune
e a quello delle singole scienze) e quella di una specie di meccanismo
concettuale che si presenta, una volta costruito, assolutamente indipendente
dal soggetto umano: questi ed altri caratteri dell’ars combinatoria han fatto
sì che storici in- signi, dal Biumker al Gilson, abbiano avvicinato — e non X
(il VII c I'VIII non furono pubblicati) furono curati, per i primi tre volumi,
da Ivo Salzinger. Su questa singolare figura e sulle vicende dell'edizione
maguntina cfr. Carreras y Artau, La filosofia cristiana, cit., II, pp. 323-353.
? Cfr. Ars magna generalis ultima, cap. CI De logica, in ZETZNER, pp- 537-38. S
Cfr. Ars magna generalis ultima, in ZETZNER, p. 663. ENCICLOPEDISMO E
COMBINATORIA 47 erroneamente — la combinatoria alla moderna logica formale. A
differenza di altri storici meno provveduti, tuttavia, sia il Biumker sia il
Gilson avevano chiaramente presente il peso esercitato sul pensiero di Lullo da
quell’esemplarismo e da quel simbolismo al quale ci siamo ora riferiti. Dio e
le dignità divine appaiono a Lullo gli archetipi della realtà mentre l’in- tero
universo si configura come un gigantesco insieme di sim- boli che rimandano, al
di là delle apparenze, alla struttura stessa dell’essere divino: «le
similitudini della natura divina sono impresse in ogni creatura secondo le
possibilità ricettive della stessa creatura, e ciò secondo il più e il meno,
secondo che esse più si avvicinano al grado superiore nel quale è l’uomo, così
che ogni creatura, secondo il più e il meno, porta in sé il segno del suo
artefice ».!° Anche gli alberi, teorizzati nell’Arbre de Sciencia, non of- frono
in alcun modo l’esempio di una classificazione formale del sapere: essi
rimandano, attraverso un complicato simbo- lismo, alla realtà profonda delle
cose, quella realtà che al filosofo spetta appunto di scoprire individuando i
“significati” delle varie parti degli alberi. Le diciotto radici dei primi alberi,
che rappresentano il mondo delle creature, corrispon- dono non a caso ai
princìpi stessi dell’arte. Di modo che, come è stato giustamente notato,"!
le radici o fondamenti reali ° Cfr. C. Barumker, Die curopaische Philosophie
der Mittelalter, nel vol. Allgemeine Gesch. der Phil., Berlino, 1923, pp.
417-18; E. Gitson, La philosophie franciscaine, nel vol. Saint Frangois
d'Assise ecc., Parigi, 1927, p. 163. Un'ampia e precisa esposizione della
combinatoria lul- liana è in P. E. W. PLatzeck, La combinatoria luliana, in «
Revista de Filosofia », 1953, pp. 575-609 e 1954, pp. 125-165 (già
precedentemente pubblicato in « Franziskanische Studien », 1952, pp. 32-60 e
377-407). Assai notevole è lo studio di Fr. A. Yates, The Art of Ramon Lull, in
« Journal of the Warburg and Courtauld Institutes », 1954, nn. 1-2, pp. 115-173
nel quale vengono posti chiaramente in luce i rapporti tra la logica c la
cosmologia lulliane. Del tutto insufficiente appare, alla luce di questi studi,
la interpretazione e l'esposizione del PrANTL, ediz. 1955, III, pp. 145-177. 1°
Compendium artis demonstrativac, in R. Lutt, Opera, Mainz, 1721. 24, III, p.
74. 1! Carreras y ARTAU, La filosofia cristiana, cit., I, p. 484. La versione
catalana dell’Arbor scientiae occupa i
volumi XI-XIII (1917-26) del- l'edizione delle Obres de Ramon Lull, Palma de
Mallorca, 1901 segg. Le più recenti edizioni latine sono Lione, 1635 e 1637
(ediz. prece- denti: Barcellona, 1482 c 1505; Lione, 1505, 1515 e 1605). 48
CLAVIS UNIVERSALIS delle cose, i princìpi dell’arte, e le dignità divine
appaiono, nella terminologia lulliana, termini assolutamente intercam- biabili
ed equivalenti. Gli strettissimi legami fra l’arte e la teoria degli elementi sono
stati del resto messi in luce di recente, con molta pene- trazione, da un ampio
studio di F. Yates.!? Il tradizionale “approccio logico” alla dottrina lulliana
(del tipo di quello presente nella trattazione del Prantl) si è rivelato alla
Yates parziale e insufficiente. Un accurato studio dell’inedito Trac- tatus
novus de astronomia del 1297 non solo ha posto in luce il significato della
applicazione delle regole dell’arte alla astro- logia, ma ha anche chiarito
come nelle varie opere di Lullo i nove princìpi divini (le cui “influenze”
erano state identifi- cate nel Tractatus de astronomia con quelle dei segni
dello Zodiaco e dei pianeti) costituiscano la base effettiva della uni- versale
applicabilità dell’arte allo studio della medicina, del diritto, della
astrologia, della teologia e, come avviene nel Liber de lumine, della luce. Che
sulla base dell’esemplarismo lulliano si potesse perve- nire a una specie di
identificazione dell’arte con una cosmo- logia è mostrato, fra l’altro, da uno
dei primi testi del lullismo europeo sul quale la Yates ha opportunamente
richiamato la attenzione. Tomàùs le Myésier, autore dell’ Electorium Re- mundi
(Par. Naz. Lat. 15450) composto ad Arras nel 1325," fu amico personale e
discepolo entusiasta del Lullo. In una specie di grande compilazione, egli
intende presentare i carat-
teri essenziali della dottrina del suo
maestro: all’arte spetta una funzione precisa: la difesa della fede cristiana
contro gli averroisti e il riconducimento di tutti gli uomini alla com- prensione
della verità e dei misteri divini. Proprio nella parte espositiva o
introduttiva si rivelano chiaramente le connes- sioni fra arte e cosmologia: il
circolo dell’universo, la cui rap- presentazione grafica viene accuratamente
descritta dall'autore, comprende la sfera angelica attorno alla quale ruotano
il primo mobile, l’empireo, il cristallino, la sfera delle stelle fisse e le
sette sfere dei pianeti. La terra, sulla quale sono rappre- 12 Fr. A. YATEs,
The Art of Ramon Lull, cit. 19 Parigi, lat. 15450 (inizio sec. XIV). La data di
composizione è in fine al testo: « Anno Domini 1325 per Thoman Migerii. In
attrebato ». ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA 49 sentati un albero un animale e un
uomo, è circondata dalle sfere dell’acqua, dell’aria e del fuoco. Ad ognuno dei
nove segmenti nei quali il cerchio dell’universo è diviso corrispon- de una
delle nove lettere dell’alfabeto lulliano (BCDEFGHIK) nel suo duplice
significato di predicato assoluto e relativo, mentre, secondo gli insegnamenti
di Lullo, alcuni dei signi- ficati delle lettere cambiano in corrispondenza
alle diverse sfere.!! L’ Electorium de le Myésier non rimase certo un caso iso-
lato: la presenza di interessi di tipo cosmologico all’interno di quell’ampia
letteratura lullista che si diffonde in tutta Eu- ropa fino dalla prima metà
del Quattrocento è ampiamente documentabile. Ad una adesione, o quanto meno ad
una spiccata simpatia per il lullismo, corrisponde in moltissimi testi l’idea
del rapporto necessario che si pone fra la costru- zione di un’arte
indifferentemente applicabile a tutti i rami del sapere e la delineazione di
un'immagine gerarchica e uni- taria dell’universo. Proprio sull’esemplarismo e
sulle dignità divine come fondamenti primi dell'arte lulliana insiste, non a
caso, il primo grande filosofo europeo che si muove entro l’orizzonte del
lullismo. « Primum fundamentum artis — scri- verà Cusano — est quod omnia, quae
Deus creavit et fecit, creavit et fecit ad similitudinem suarum dignitatum ».!*
I prin- cìpi dell’arte combinatoria (donitas, magnitudo, aeternitas, po- testas,
sapientia, voluntas, virtus, veritas, gloria) apparivano qui, ancora una volta,
come principia essendi et cognoscendi, non meramente formali, ma esprimenti le
caratteristiche divine e di conseguenza quelle di tutti gli esseri esistenti.
La metafisica esemplaristica costituiva la garanzia della assoluta
infallibilità di una logica attinente non ai discorsi, ma alla realtà. Mentre polemizzava
implicitamente con il Gerson e proponeva una 14 Cfr. A. Yates, The Art of Ramon
Lull, cit., p. 172. 15 Cod. Cus. 85, £. 55 v. cit. in P. E. W. PLatzecg, La
combinatoria luliana, cit., p. 135. Dello stesso autore si vedano anche: E!
/ulismo en las obras del Cardinal N. Kreos de Cusa, in « Rev. Espafiola de Teologia
», 194041, pp. 731-65 c 1942, pp. 257-324; Los postumos datos lulisticos del
Dr. M. Honecker y las glosas del card. N. de Cusa sobre el Arte luliana, «
Studia monographica », 1953-54, pp. 1-16; Lullsche Gedanken bei Nikolaus von
Kues, « Trierer Theologische Zeitschrift », 1953, pp. 357.64. 50 CLAVIS
UNIVERSALIS riforma terminologica dell’arte lulliana, il Cusano, in una sua postilla
all’Ars Magra, mostrava di accettare la sostanza del- l'insegnamento di Lullo: Praedictorum
principiorum nomina sunt apud philosophos inusitata et tamen iuxta figmentum
inventoris propositae artis res vera significantia. Ergo, cum propter nostram
af- firmationem vel negationem nihil mutetur in re... et omne verum vero
consonet... praefata ars non est repudianda propter suorum nominum
improprietatem [che era la tesi del Gerson]; quin potius, ut possit concordari
cum scientiis aliis, est ad corum terminos exfiguranda,!% Ancora più
strettamente legata alle impostazioni “esempla- ristiche” del lullismo è,
d’altra parte, la dottrina cusaniana dell’ascesa e discesa dell’intelletto
secondo la quale è possi- bile elevarsi alla conoscenza di Dio muovendo dalla
somi- glianza con le divine perfezioni impressa nelle creature, e di scendere
dalla conoscenza dell’essere divino e dei suoi attributi alla conoscenza della
realtà che di quella perfezione è lo specchio.!’ Nel Liber de ascensu et
descensu intellectus, composto dal Lullo a Montpellier nel 1304, era stato
ampiamente svolto il tema, poi ripreso dal Cusano, di una conoscenza che
procede attraverso la ricerca delle analogie e dei segni — alla rico- struzione
di quel divino modello che ha presieduto alla co- struzione del reale.
Attraverso la descrizione della compli- cata scala degli esseri, dalla pietra
al fango alla pianta al bruto all'uomo al cielo all'angelo a Dio, questo tema
si era andato identificando con l’altro, ben noto, di una ricostruzione minuta,
ed “enciclopedica” delle complesse gerarchie del co- smo. Questa stessa
impostazione “cosmologica” troviamo pre- sente in quel Liber creaturarum di
Raimundo Sibiuda (Sa- 15 Cfr. Martin Honecker, R. Lulls Wahlvorschlag Grundlage
des Kaiserwahlplanes bei N. von Cues?, « Historisches Jahrbuch », vol. 57, 1938,
p. 572. Sul Iullismo del Cusano si vedano gli studi di F. Kraus, di J. Marx, di
F. Tocco, di E. pe VANSTEENBERGHEN segnalati nel ca- pitolo Influencias
lultanas en Nicolàs de Cusa della cit. Filosofia cri- stiana det Carreras v
ArtAu, II, pp. 178-196. Più recenti: M. DE Ganpittac, La philos. de N. de C.,
Paris, 1941 e J. E. HorMann, Die Quellen der cusanischen Mathematik,
Heidelberg, 1942. 17 Cfr. Carreras v Artau, Filosofia cristiana, cit., Il, p.
187. ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA 5I bunde, Sebond) che influirà sullo stesso
Cusano, su Lefèvre d’Etaples, Bovillus e Montaigne e che fu composto (fra il
1434 e il ’36) negli stessi anni che videro Cusano appassionato let-
tore e trascrittore dei testi di Lullo.
Anche qui, accanto alla dottrina dell’ascesa e discesa dell’intelletto, accanto
all’affer- mazione di un’arte concepita come « radix et origo et funda- mentum
omnium scientiarum », il cui possesso è raggiungi- bile in brevissimo tempo con
risultati mirabili (« quia plus sciet infra mensem per istam scientiam quam per
centum an- nos studendo Doctores »), troviamo l’immagine di una scala naturale
i cui vari gradini vanno ritenuti a memoria e rap- presentati mediante figure:
«et haec est prima consideratio in hac scientia radicalis et fundamentalis,
scilicet considerare istos gradus in se, et bene plantare et radicare cos in
corde et figurare sicut in natura realiter ».!* La ordinata successione dei
gradi ci offre un'immagine unitaria, gerarchica e organica dell’universo: il
primo grado comprende le cose che sono, ma non vivono né sentono né intendono
(minerali e metalli, cieli e corpi celesti, oggetti arti- ficiali); il secondo
comprende ciò che è e vive, ma è privo del sentire e dell’intendere (i
vegetali); il terzo gli animali che sono vivono e intendono; nel quarto infine,
ove risiede l’uomo, sono presenti l’essere il vivere il sentire e l’intendere. L’uomo,
come microcosmo, riassume in sé le proprietà stesse dell’universo, è la vivente
immagine di Dio. 4. L’ArBoR SCIENTIAE E GLI ENCICLOPEDISTI DEL secoLo XVI. Che
l’arte lulliana rinviasse a una descrizione della realtà universale e che
questa descrizione si andasse configurando a sua volta come una vera e propria
enciclopedia è cosa che, dopo le considerazioni fin qui svolte, dovrebbe
risultar chiara. Nell’Arbre de Sciencia, composto a Roma nel 1295, l’impiego degli
“alberi” veniva esplicitamente presentato come un mezzo per rendere l’arte più
« popolare », più direttamente e facil- mente acquisibile e l'enciclopedia si
presentava come parte in- tegrante della grande riforma del sapere progettata
da Lullo. !* R. Sabunpe, Liber creaturarum, ed. Wolfangus Hoffmanus, Frank- furt s. Main, 1635, tit. I, p. 8. 52 CLAVIS UNIVERSALIS Alla base
dell’enciclopedia, articolantesi in sedici alberi, sta un'idea centrale: quella
di una fondamentale unità del sapere umano che è in stretta relazione all’unità
essenziale del cosmo. Una suggestiva illustrazione del manoscritto ambrosiano
che contiene la versione catalana del testo di Lullo,!® mostra il filosofo e un
monaco ai piedi dell'albero delle scienze. Al mo- naco, la cui figura ritorna
accanto a quella di Lullo in tutte le illustrazioni dei vari alberi, Lullo si
era rivolto per conforto dopo che il suo piano missionario, che includeva la
propaga- zione dell’arte, aveva trovato fredda accoglienza presso Boni- facio
VIII e proprio il monaco (così racconta Lullo nel prologo) lo aveva consigliato
di presentare la grande arte sotto una nuova forma. Le diciotto radici
dell’albero delle scienze sono costituite dai nove principi trascendenti (o
nove dignità divine) e dai nove princìpi relativi dell’arte (differentia,
concordantia, contrarietas; principium, medium, finis; matoritas, aequalitas, minoritas).
L'albero si suddivide in sedici rami, ciascuno dei quali corrisponde ad uno
degli alberi che formeranno la fore- sta della scienza: l’arbor elementalis,
V’arbor vegetalis (bota- nica e applicazioni della botanica alla medicina),
sensualis (esseri sensibili e senzienti e animali), imaginalis (quegli enti mentali
che sono similitudini degli enti reali trattati negli alberi precedenti),
Aumanalis, moralis (etica, dottrina dei vizi e delle virtù), imperialis
(connesso all’arbor moralis, si riferi- sce al regimen principis e alla
politica), apostolicalis (governo ecclesiastico e gerarchia della Chiesa),
celestialis (astronomia e astrologia), angelicalis (gli angeli e gli aiuti
angelici), eviter- nalis (immortalità, mondo ultraterreno, inferno e paradiso),
maternalis (mariologia), christianalis (cristologia), divinalis (teo- logia,
dignità divine, sostanza e persone di Dio, perfezioni e produzioni divine).
L’arbor exemplificalis (nel quale vengono esposti allegoricamente i contenuti
degli alberi precedenti) e l’arbor quaestionalis (nel quale vengono proposte
quattromila questioni riferentisi agli alberi precedenti) si presentano come «ausiliari
» rispetto al corpus dell’enciclopedia. 1° Cod. Ambrosiano D. 535 inf. fol.
37v. L’illustrazione è riprodotta nel vol. XIII delle Obres de Ramon Lull, cit.
La stessa immagine an- che nell'edizione latina, Lione, 1515, p. 145. De
L’arbre de Sciencia ho usato la versione castigliana stampata a Bruxelles dal
Foppens nel 1664 (Braid. BB. 9. 64). ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA 53 L'unità
del mondo del sapere appare dunque fondata sul fatto che i princìpi assoluti e
i princìpi relativi dell’arte costi- tuiscono la comune radice del mondo reale
e del mondo della cultura. Su queste radici (simboleggiate dalle nove lettere
del- l’alfabeto lulliano) poggiano infatti sia l’arbor elementalis i cui rami
indicano i quattro elementi semplici della fisica, le cui foglie simboleggiano
gli accidenti delle cose corporee, e i cui frutti fanno riferimento alle
sostanze individuali come l’oro e la pietra, sia l’arbor Aumanalis che
raccoglie, accanto alle facoltà umane e agli abiti naturali, anche quelli
artificiali o le arti meccaniche e liberali. L'immagine lulliana dell’albero
delle scienze, non a caso ripresa da Bacone e da Cartesio, sarà particolarmente
fortunata, ma, soprattutto, agirà a lungo nel pensiero europeo l’aspira- zione
lulliana verso un corpus organico e unitario del sapere, verso una sistematica
classificazione degli elementi della realtà. Non mancheranno certo suggestioni
derivanti da altre fonti e da altri ambienti di cultura, ma Lefèvre d° Etaples
e Bovillus, Pedro Gregoire e Valerio de Valeriis, Alsted e Leibniz faranno preciso
riferimento, affrontando questi problemi, ai testi di Lullo e a quelli del
lullismo. In quell’ideale pansofico che domina tutta la cultura del secolo XVII
si insisterà da un lato sul necessario possesso dell’intero orbe intellettuale
e dal- l’altro sulla conoscenza di una legge, di una chiave, di un linguaggio
capace di dominare il tutto e di permettere una diretta lettura dell’alfabeto
impresso dal creatore sulle cose: cosmo reale e mondo del sapere appariranno
realtà da cogliere nella loro sostanziale unità e identità di struttura, nella
loro profonda “armonia”. Sui testi della pansofia seicentesca do- vremo
ritornare. Per ora basterà fermarsi brevemente su alcuni testi cinquecenteschi
nei quali questi aspetti dell’eredità lul- liana si espressero in modo compiuto
e coerente. Lo scritto In RAetoricam Isagoge fu pubblicato a Parigi, nel 1515,
da Remigio Rufo Candido d’Aquitania dietro incita- mento di Bernardo Lavinheta,
uno dei più rinomati lullisti dell’epoca. Attributo a Lullo, e ristampato nelle
edizioni delle opere di Lullo dello Zetzner, lo scritto rivela chiaramente il suo
carattere di opera pseudo-lulliana: frequenti appaiono i riferimenti a Cicerone
e a Quintiliano, ai dialoghi platonici, alla mitologia e alla storia greche e
romane. In un testo com- 54 CLAVIS UNIVERSALIS posto quasi certamente fra la
fine del secolo XV e l’inizio del XVI, e che veniva considerato come un’opera
autentica di Lullo, troviamo una singolare mescolanza di retorica, di co- smologia
e di aspirazioni enciclopedistiche. Nella prefazione indirizzata dal Rufo ai
suoi discepoli, i fratelli Antonio e Francesco Boher, la finalità enciclopedica
dell’opera veniva presentata come strettamente connessa alle esigenze della
reto- rica e ai bisogni dell’oratore: « Per consiglio e ispirazione del nostro
amico Bernardo di Lavinheta studiosissimo di Lullo, portiamo alla luce questa
Retorica affinché in questo libro, come in uno specchio nitidissimo, possa
essere contemplata, o meglio ammirata, l’immagine di tutte le scienze. È
infatti necessario che l’oratore sia a conoscenza di tutto e si impa- dronisca
con diligenza di tutto quel mondo delle scienze che vien detto enciclopedia.
Per questo, l’autore volle abbracciare con brevità e stringatezza tutte quelle
cose che son relative alla comprensione di ciascuna scienza ».?° Nel testo
pseudo-lulliano non mancavano, naturalmente, le tonalità occulte caratteristi- che
della magia rinascimentale e della letteratura lulliano-al- chimistica: « Ex
tenebris lux ipsa emergit. Ipse enim posuit tenebras latibulum suum, qui
apparuit in monte circumdato caligine et nebula. Qui rationem dicendi discere
volunt, opus habent ut eam silentio adipiscantur. Hinc silentium Pytha- gorae
». 20 Traduco dalla prima edizione: Raemaundi Lulli Eremitae divinitus illuminati,
in Rhetoricen Isagoge perspicacibus ingeniis expectata, Ve- nundantur in
Ascensianis Aedibus, 1515 (pagg. non numerate). Il passo cit. è tratto dalla
lettera dedicatoria di Remigio Rufo (su questo per- sonaggio cfr. Carreras y
Artav, La filosofia cristiana, cit., II, pp. 214 segg.). La stessa opera è
inserita nella edizione ZETZNER, pp. 172-223. Ho trovato indicato il Cod. Vat.
Lat. 6295 a proposito di un’opera inedita di Lullo: la RAetorica Nova della
quale esistono vari altri manoscritti (Parigi Lat. 6443c, ff. 95v.-109v.;
Monaco Staatsbibl., 10594, ff. 164r.-196v.; Ambrosiana N. 185 sup., ff.
1v.-35v.). Il codice Vaticano indicato contiene invece, insieme agli Sratuta
pesciven- dolorum Urbis, una redazione manoscritta dell’opera apocrifa In
Rheto- ricam Isagoge (si tratta di un cod. cartaceo del sec. XVI che reca due fogli
bianchi e non numerati all’inizio. Lo scritto pseudo-lulliano oc- cupa le carte
]r.-25v. Il codice è stato rilegato assieme ad un cod. pergamenaceo del secolo
XV che contiene gli Statuti sopra indicati). Gli altri tre codici (parigino,
monacense e ambrosiano) contengono invece effettivamente lo scritto di Lullo
sulla retorica. ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA 55 Dopo un sommario riferimento
ai subiecta dell’arte lulliana (Deus, angelus, coelum, homo, imaginativa,
sensitiva, vege- tativa, elementativa, instrumentativa) ed ai praedicamenta, il
testo si articola in una lunga serie di quadri sinottici nei
quali viene accumulato ed esposto,
secondo un rigido ordina- mento, tutto il sapere. La considerazione
dell’imaginativa si trasforma in tal modo in una classificazione degli animali,
delle varie parti del corpo umano e degli esseri umani che vengono curiosamente
suddivisi sulla base della loro apparte- nenza ai quattro elementi della fisica
: Terrestres, ut agricolae, metallarii Aquatici, ut mautae et piscatores Acrei,
ut funambuli et schenobatae Ignei, ut fabri, Cyclopes. Hominum quidam sunt Allo
stesso modo sotto il subrectum angelo, troviamo la Hie- rarchia angelorum,
mentre la trattazione dei predicati dà luogo ad una classificazione dei diversi
tipi di narrazione storica e di dimostrazione dialettica, delle varie parti
della retorica, delle sezioni dell’etica e dei tipi di virtù, infine delle arti
mec- caniche e liberali dall’agricoltura, alla pastorizia, alla caccia, all'arte
scenica, alla culinaria, ai lavori manuali, alla filosofia, alla musica, alla
geometria, alla matematica, alla medicina. Ben più significativo di questo
trattato retorico-enciclope- dico è il De arte cyclognomica (1569) di Cornelio
Gemma, astronomo e professore di medicina a Lione, autore di un testo sulla
cometa del 1577 e di uno scritto sui prodigi e le mostruo- sità della natura.”
Gli interessi del Gemma sono rivolti prin- 21! Cornelius GemMa, De arte
cyclognomica tomi II doctrinam ordi- num universam, unaque philosophiam
Hippocratis Platonis Galeni et Avistotelis in unius communissimae et circularis
methodi speciem refe- rentes, quae per animorum triplices orbes ad spherae
caelestis simulitu- dinem fabricatos, non medicinae tantum arcana pandit
mysteria, sed et imveniendis costituendisque artibus ac scientiis caeteris viam
com- pendiosam patefacit, Antverpiae, cx officina Christophori Plantini, 1569.
Ho usato la copia della Vaticana L. IV. 28 (Palat. III, 70), ma della stessa
edizione esiste un esemplare alla Braidense (B. XV. 5. 803) e uno all’Angelica
(e. 8. 16). Cfr. anche De naturae divinis characteri- smis, seu raris et
admirandis spectaculis, causis, indiciis, proprietatibus rerum in partibus
singulis universi, libri Il, Antwerpiae, ex off. Chr. Plantini, 1575 (copia
usata: Vatic., N. XI. 64, ma cfr. Racc. Gen. 56 CLAVIS UNIVERSALIS cipalmente
alla medicina, ma il suo trattato si propone di giungere alla unificazione dei
metodi di Ippocrate e Platone, Galeno e Aristotele e di fondare un metodo
universale valido così per la medicina come per tutte le altre arti e scienze.
Il metodo viene suddiviso dal Gemma in tre parti a seconda che la conoscenza si
volga alla comprensione delle cose passate, allo studio delle cose presenti, e
alla divinazione di quelle future. Nel primo caso abbiamo la memoria et eius
artificium
methodicuni; nel secondo la scientia
etusque adipiscendae me- thodus; nel terzo la praedictio eiusque methodus.
Ricercando una via compendiosa alla verità, il Gemma insiste a lungo sulla
funzione essenziale delle immagini, delle rappresenta- zioni simboliche, dei
circoli lulliani, ma concepisce le stesse immagini in funzione di un metodo
inteso come ordinata classificazione di tutti gli elementi che compongono il
reale: « Tota vis igitur agendi dextere et facile cognoscendi per rerum causas
in ipsis ordinibus potissimum collocatur. Ordo enim intelligentiae signum
est... ».°° Alla minuziosa, ordinata elen- cazione degli elementi naturali e
sopramondani e della facoltà è dedicata la maggior parte dello scritto del
Gemma che si configura come una grande enciclopedia nella quale appaiono largamente
dominanti i temi della sapienza ermetica e pita- gorica. Nel Quaternio
pytagoricus per mundi septenos ordines pari proportione distributos," la
materia, la qualità, lo spirito, l’anima appaiono suddivise a seconda della
loro appartenenza al mondo intelligibile, alle cose celesti, a quelle eteree,
alle sublunari, alle animate, all’uomo, allo Stato. La tavola, nella quale sono
raffigurate queste partizioni, ha il compito di mo- strare le segrete
corrispondenze tra ciascuno degli elementi, di chiarire il modo in cui il senso
o l'immaginazione, la razzo o Medicina, V. 882); De prodigiosa specie naturaque
Cometae anno 1577 visa, Antwerpiae, ex off. Chr. Plantini, 1578 (copia usata:
Angelica YY. 3. 20). Nell'opera dei CarreRAs y Artau lo scritto De arte cyclo- gnomica
del Gemma è stato erroneamente datato 1659. Non si tratta però di un semplice
errore di stampa; gli autori, che hanno lavorato molto spesso su informazioni
di seconda e anche di terza mano, trat- tano del Gemma nel capitolo dedicato
agli sviluppi del lullismo nel secolo XVII (Cfr. La filosofia cristiana, cit.,
Il, p. 304). 22 De arte cyclognomica, cit., p. 27 29 De arte cyclognomica,
cit., p. 34. ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA 57 la mens si collegano alla
totalità dell’universo, ai corpi celesti, al calore presente negli esseri
animati, agli spiriti eterci, alle intelligenze che presiedono al moto degli
astri. A questo stesso scopo rispondono sia la rappresentazione grafica
dell’anima con la collocazione delle cinquantuno facoltà presenti nell’uo- mo,”
sia la raffigurazione delle tre scale ciascuna delle quali offre il quadro
delle parti che compongono la metafisica, la fisica e la logica mostrando
insieme gli scopi di queste scienze, i rapporti che intercorrono tra le varie
parti delle singole disci- pline, l'ordine nel quale dev’esser collocata ogni
parte in rela- zione all’ordine universale.? AI fondo di queste fantastiche
classificazioni, alla base delle strane figure che riempiono il testo del
Gemma, dietro questa incondizionata adesione ai motivi più torbidi della
tradizione ermetica resta però ben saldo — ed è questo che si vuol sotto- lineare
— il presupposto di una necessaria unità del sapere che è specchio della
fondamentale unità del cosmo: « mediante l’idea stessa della divina Virtù, le
ragioni di tutte le cose risplendono in ciascuna delle particelle del mondo ».
Que- st'affermazione — e lo ammetteva esplicitamente lo stesso Gemma —
costituiva il primo, essenziale fondamento di tutta l’Arte.?* Su questo stesso
terreno, anche se con una fondamentale diversità di tono derivante dal
prevalere di interessi di tipo “logico”, si muove l’opera di Pedro Gregoire di
Tolosa che fu pubblicata per la prima volta a Lione fra il 1583 e il 1587; il
titolo è già di per sè indicativo: Syntaxes artis mirabilis in libros septem
digestae per quas de omni re proposita, multis et prope infinitis rationibus
disputari aut tractari, omniumque summaria cognitio haberi potest.?* Accanto al
consueto tema 24 De arte cyclognomica, cit., p. 105. °5 De arte cyclognomica,
cit., pp. 48, 49, 50. 26 De naturac
divinis characterismis, cit., p. 34: « Hoc ergo sit primum artis nostrae
fundamentum ». 2? Venetiis, apud Jo. Dominicum de
Imbertis, 1588. L'altro tomo del- l’opera ha per titolo: Sintareon artis
mirabilis alter tomus in quo om- nium scicntiarum et artium tradita est
epitome, unde facilius istius artis studiosus de omnibus propositis possit
rationes et ornamenta rarissima proferre, ibid., 1588 (copia usata Archiginn.,
9, NN. V. 26). L’opera fu ristampata dall’editore Zetzner nel 1610 a Colonia in
quattro tomi: 58 CLAVIS UNIVERSALIS di un’arte capace di giungere alla
individuazione degli assiomi comuni a tutte le scienze e di elaborare assoluti
criteri di certezza, tornavano qui molti dei problemi già affrontati, in quegli
stessi anni, da Agrippa e da Lavinheta, ma il tentativo del Gregoire non si
risolveva in un semplice “commento” all’arte lulliana. A differenza dei
commentatori egli, dopo aver accennato a Lullo e ai principali teorici della
sintassi univer- sale, elaborava una vera e propria enciclopedia delle scienze non
indegna di essere accostata, almeno per quanto concerne la vastità di interessi
e la grandiosità, al De augmentis baco- niano. Essa si fondava su uno speculum
artis nel quale veni- vano presentati da un lato i « modi quaerendi examinandi disputandi
et respondendi » e dall’altro le classi o cellulas alle quali ogni sapere
dev'essere riferito. Il riferimento ai princìpi assoluti e relativi dell’ars
magna era qui esplicito, ma altret- tanto e forse più interessanti sono le
pagine nelle quali l’aspi- razione ad un sapere enciclopedico e universale si
congiunge alla fiducia in una sostanziale intercomunicabilità fra tutte le scienze.
Ed è da sottolineare il fatto che questa affermazione dell’unità del sapere si
converte, immediatamente dopo, nel- l’altra, ad essa corrispondente, dell’unità
essenziale del cosmo: « Poiché, come afferma Cicerone, nulla v’è di più dolce
che il conoscere tutto e l’indagare su tutto, giunsi alla convinzione che i
particolari precetti delle singole scienze, distinti l’uno dall’altro, possono
essere racchiusi in un'unica arte generale mediante la quale essi giungano a
comunicare reciprocamente. In tutte le cose è sempre possibile rintracciare un
unico ge- nere nel quale concordano e al quale partecipano tutte le specie,
nonostante che esse differiscono in talune proprietà; è chiaro di conseguenza
che, una volta pienamente conosciuto il genere, la nozione delle specie
apparirà più facilmente, allo Commentaria in Sintaxes Artis Mtrabilis, per quas
de omnibus dispu- tatur habeturque ratio, in quatuor tomos... in quibus plura
omnino scitu necessaria... tractantur. Il secondo tomo ha per titolo Sintarcon artis
mirabilis in libros XL digestarum tomi duo. Nel terzo e nel quarto acutissimae
ac sublimes tractationes de Deo de Angelis et de Immortalitate animae
continentur. Le citazioni che seguono sono tratte da quest'ultima edizione
(copia usata: Archiginn., V, VI, 24-26). Per più ampie notizie sull'autore cfr.
CARRERAS Y ArtTAU, La filos. cristiana, cit., II, pp. 234 segg. ENCICLOPEDISMO
E COMBINATORIA 59 stesso modo che conosceremmo la divisione in rivoli e lc
parti- zioni dei fiumi una volta che, dalla fonte, fossimo giunti, se- guendo
l’alveo, ai luoghi nei quali si effettuano le separazioni. Allo stesso modo non
apparirà impossibile e assurdo che le diverse opere delle diverse arti vengano
realizzate mediante un unico strumento... Così infatti tutti i particolari
corpi na- turali sono composti dalla diversa mescolanza dei quattro ele- menti
e tutte le piante e tutti gli animali partecipano ad un’unica forza vegetativa
e per essa crescono, e tutti i sensi sono contenuti in uno stesso corpo e le
cose corporee € quelle incorporee consentono nell'uomo che consta di anima e di
corpo, lo stesso Cielo ultimo abbraccia naturalmente e con-
duce e muove in un solo ambito, in un
solo moto e in un solo influsso tutte le cose inferiori che tutte in esso
concordano ». Il fondamento della “scienza unificata” era dunque una concezione
platonico-pitagorica o, se si vuole, “magica” della realtà intesa come un tutto
unitario e vivente. La estendibilità dell'Arte o dell’unico metodo a tutte le
discipline e a tutti i rami del sapere è possibile in virtù di un presupposto
“meta- fisico”: quello di un cosmo nel quale si rispecchiano le idee della
mente che ha presieduto alla sua creazione e al suo ordi- namento: « E
finalmente tutte le cose sono create e rette dal- l’unica mente di Dio, ogni
luce delle stelle partecipa della luce del sole e tutte le virtù partecipano
della giustizia... Dio e l’uomo, infine, convengono e convivono in un’ipostasi
unica: in nostro Signore Gesù Cristo. E poiché così stanno le cose... senza
alcun dubbio la mente e la ragione dell’uomo possono estendersi a tutte le
arti, ove siano guidate da un ottimo me- todo generale del sapere e del
comprendere... A ciascuna delle scienze particolari appartengono delle nozioni
— o preludi universali — mediante le quali l’arte e la perizia vengono facilmente
potenziate ».?° A conclusioni non diverse giungerà, nell’ultimo decennio del
secolo, il patrizio veneto Valerio de Valeriis che nell’Opus aureum, pubblicato
nel 1589, riprendeva, modificandolo e inte- grandolo, il progetto lulliano
dell’arbor scientiarum. Nel testo del De Valeriis il problema dell'albero delle
scienze viene pre- sentato come strettamente connesso con quello della formula-
28 Commentaria, cit., I, p. 12; per il brano precedente cfr. p. Il. 60 CLAVIS
UNIVERSALIS zione delle regole della combinatoria: « L’opera è ripartita in quattro
parti. Nella prima verrà trattata la cognizione neces- saria al raggiungimento
della conoscenza degli alberi. Nella seconda mostreremo i quattordici alberi
dalla cui conoscenza dipende l’intera conoscenza degli enti. Nella terza
illustreremo con esempi ciò che è stato esposto nella prima e nella seconda parte.
Nella quarta parte, infine, mostreremo in qual modo l’arte generale di Raimondo
vada ridotta a questa impresa, insegnando a moltiplicare i concetti e gli
argomenti quasi al- l’infinito... mescolando le radici con le radici, le radici
con le forme, gli alberi con gli alberi, e le regole con tutti questi e molti
altri modi ».?° L’interpretazione che, nella quarta parte dell’opera, veniva data
delle “figure” dell’arte appare fortemente influenzata dal commento di Agrippa
e, molto probabilmente, anche dalle tesi del Bruno il quale, fra il 1582 e il
1588, era venuto pubbli- cando le sue opere lullistiche e mnemotecniche. Più
che ad Agrippa e al Bruno, il de Valeriis si richiama tuttavia più volte a
Scoto e allo scotismo ?° (« de aliorum dictis non cura- mus, Scotum
praeceptorem sequimur ») introducendo una dot- trina dei predicati assoluti e
relativi. L'esigenza di un’arte aurea nasceva in ogni modo, anche in questo
caso, dalla constatazione del carattere pluralistico e “caotico” dell’orbe
intellettuale, della povertà delle cognizioni umane, dal bisogno di un
singulare ac mirabile artificium mediante il quale fosse possibile rendersi conto
dell’ordine del cosmo al di là di una caoticità apparente e dar luogo ad una
situazione nella quale gli uomini, dopo infinite fatiche, potessero riposare
perpetuamente e sicuramente all'ombra degli alberi della scienza (« Nec sine
maximis in- commoditatibus et multis vigiliis id perfecimus ut philosophiae imbuti
valeant se aliquando ab infinitis ambagibus liberare et viri in scientiis
consumati post infinitos labores peracti possint sub felici harum arborum umbra
perpetuo et secure quiesce- 29 Sul De Valeriis cfr. CarrERAS y ARTAU, La filos.
cristiana, cit., pp. 235-37. Per la prima edizione dell’opera si veda RocenT
Duran, Biblio- grafia, cit., n. 138. La citazione riportata nel testo dall'Opus
aureun: in quo omnia breviter explicantur quac R. Lullus tam in scientiaruni arbore
quam arte generali tradit è ricavata dalla edizione ZETZNER (cfr. la nota 1) p.
971. 30 De VaLerns, Opus aureum, ed ZetznER, pp. 982, 986, 1009, 1115. ENCICLOPEDISMO
E COMBINATORIA 61 re »)."! Anche per il de Valeriis le radici degli alberi
coincide- vano con i princìpi dell’arte, mentre lo stesso ordine di suc- cessione
dei vari princìpi veniva presentato come dipendente dalla “natura”: « magnitudo
vero, quae est secunda radix, non fortuito primam sequitur, sed maximo naturae
consilio ». Éra proprio la scala naturae che forniva inoltre il criterio cui
far ricorso nella difficile applicazione delle radici o principi del- l'Arte ai
subiecta: « Nell’'uniforme applicazione di queste ra- dici ai sudiecta è da
impiegare la più grande diligenza... biso- gna osservare la scala della natura
e tutto ciò che, nel grado inferiore, denota una perfezione priva di
imperfezione, dev’es- sere attribuito al grado superiore. L'operazione
attribuita alla pietra (che occupa il gradino infimo) dev'essere attribuita
anche ai vegetali che occupano il secondo grado della scala natu- rale... Ciò
che comporta una imperfezione, se conviene all’in- feriore, non è da attribuire
ad ogni superiore: ne deriva che la contrarietas e la minoritas non devono
essere attribuite a Dio, anche se convengono alle cose inferiori. Il divino
Lullo ordinò secondo nove soggetti e quattordici alberi la scala della natura...
Colui che desidera sapere molte cose in ogni disci- lina si formi questa
scala... ».?? Quelle del Gregoire e del de Valeriis sono posizioni tipi- che:
da impostazioni di questo genere trarrà nuovo alimento e nuova forza l’idea di
una sintassi universale che fornisca, oltre che la chiave dei misteri
dell’ideale e del reale, anche il criterio assoluto per la costruzione di una
completa enci- clopedia delle scienze. Da Lullo sino alla fine del Cinque- cento
e poi fino a Alsted e a Leibniz resta ben salda la con- vinzione che l’arte
lulliana o cabala dei sapienti o arte aurea o combinatoria o scienza generale
costituisca la scoperta meta- fisica della trama ideale della realtì.. 5. LA
CONFIRMATIO MEMORIAE NEI TESTI DI RaiMonpo Lutto. Il problema di un rapido e
facile apprendimento delle re- gole dell’arte e dell’ordine nel quale le
nozioni sono disposte all’interno dell’“enciclopedia” si presenta, nell'opera
di Lullo e in quella dei lullisti, non come marginale o secondario, ma 3 De
VALERIS, Opus aureum, cit., pp. 970.71. 3? De VacerIIs, Opus aureum, cit., p. 1026. 62 CLAVIS UNIVERSALIS come costitutivo ed essenziale.
Le figure ruotanti, gli alberi, le tavole sinottiche, le sistematiche
classificazioni si presen- tano in quei testi come gli strumenti dei quali far
uso per tra- sformare in un tempo straordinariamente breve (si oscilla a seconda
degli autori da un mese a due anni) un uomo incolto in un sapiente, in un uomo
cioè le cui possibilità di cono-
scenza e di azione siano enormemente più
vaste di quelle offerte dalla logica e dalla filosofia tradizionali. È dunque naturale
che, da questo punto di vista, il problema di una tecnica memorativa o, nella
terminologia del lullismo, di una confirmatio memoriae si presentasse
strettamente connesso a uello della combinatoria e a quello della
classificazione enci- clopedica degli elementi della realtà e delle componenti
del mondo del sapere. Nel corso del secolo XVII si parlerà comunemente di art: ficium
mnemonicum, di systema mnemonicum, di logica me- morativa per indicare da un
lato le grandi costruzioni cosmo- logico-enciclopediche e dall’altro le
formulazioni o i manuali di tecnica combinatoria. Alsted, che presentava nel
1610 la sua enciclopedia come artium liberalium et facultatum omnium systema
mnemonicum e Stanislao Mink che intitolava logica mnemonica (nel 1648) la sua
esposizione e revisione dell’ars magna lulliana, si richiamavano ad una
tradizione precisa che ha le sue radici nei testi cinquecenteschi del lullismo
euro- peo e nell’opera stessa di Raimondo Lullo. Nel prologo alla Logica Nova,
scritta in catalano a Ge- nova nel 1303 e tradotta in latino a Montpellier
l’anno se- guente, Lullo esponeva il suo programma di applicazione dei princìpi
dell’arte generale alla logica (considerata come disci- plina e arte
particolare) e contrapponeva la sua nuova logica a quella tradizionale
insistendo sulla facilità di acquisizione e di ritenzione della sua logica
compendiosa : Idcirco ad prolixitatem et labilitatem huiusmodi evitandum (divino
auxilio mediante) cogitavimus Novam et compen- diosam Logicam invenire, quae
citra nimiam difficul- tatem et laborem ab inquirentibus cam acquiratur, et ac-
quisita in memoria plenarie conservetur, ac inibi totaliter, et facillime
teneatur.?3 33 Liber de nova logica, Mallorca, 1744, p. 1. Cit. in CaRRERAS Y
ARTAU, La filosofia cristiana, cit., II, p. 423. ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA
63 Sulla necessità di un apprendimento mnemonico dei prin- cìpi dell’arte Lullo
ritornerà più volte (« diximus de diffinitio- nibus principiorum, quas oportet
scire cordatenus... »).°* Non si trattava solo di un accorgimento che
riguardasse la “messa in movimento” della complessa macchina lulliana: tutti
gli elementi più strettamente “tecnici” dell’arte (le figure, gli alberi, i
versi) rispondevano a intenti dichiaratamente mne- monici.**° Proprio nei versi
dell’Aplicaciò de l'Art general, un poema didattico del 1301 che esponeva in
forma “popolare” i vantaggi derivanti dalla applicazione dell’arte alle varie scienze,
Lullo insisteva sulla miracolosa drew:tà della sua com- binatoria e sulle
possibilità di un rapido e insieme duraturo apprendimento: Que mostrem la
aplicaciò Del Art general en cascuna Que a totes està comuna E per elles poden
haver En breu de temps et retener.?° AI problema della memoria e dell’Ars
memorativa Lullo aveva del resto rivolto in modo più specifico la sua
attenzione fin dai suoi primi scritti. Sulla base della tripartizione delle tre
virtù © potenze dell'anima razionale (memoria, intelletto e volontà) già
presente nel Libre de Contemplaciò en Dèu del 1272, egli aveva progettato la
costruzione di tre grandi 54 Ars brevis, VI, 10. 95 Sul carattere mnemonico
delle figure e dei versi varie buone osser- vazioni nell'opera dei Carreras y
Artau. A intenti mnemonico-divulga- tivi rispondeva per esempio la Lògica en
rims 0 « nuovo compendio » del Compendium Logicae Algazelis (vv. 6-9 e
1574-80): en rimes e’n mots qui son plans per tal que hom puscha mostrar logica
e philosophar a cels qui no saben lati ni arabich... Per affermar e per neguar a.
b. c. pots aiustar mudant subject e predicat relativament comparat en
conseguent antesedent. 16 Aplicaciò de l’Art general, in Obras rimadas de R.
Lull, Palma de M., 1859, p. 422. 64 CLAVIS UNIVERSALIS arti l’ars inventiva,
l’ars amativa e l’ars memorativa”" connesse rispettivamente all’ardor
scientiae, all’arbor amoris e all’arbor reminiscentiae. L’Art amativa (1290),
completata dall’Arbre de filosofia d'amor (1298), l'Art inventiva (1289) e
l’Arbre de Sciencia (1295) rappresentano la parziale realizzazione di questo
progetto. Del 1290 è l’Arbre de filosofia desiderat: ciò che è « desiderato »,
e nel corso dell’opera solo parzialmente realizzato, è appunto quell’arte della
memoria da lungo tem- po progettata. Muovendosi entro l’arbre de filosofia e
seguen- done la complessa struttura sarà possibile, secondo Lullo, giun- gere
ad intendere le cose vere, ad amare quelle buone e a ricordare artificialmente
le cose passate. Il tronco è l’ente dal quale derivano i rami e i fiori che
rappresentano contempora- neamente i nove princìpi e i nove predicati
dell’arte. Le let- tere da è a & designano i diciotto principi-fiori
dell’ars ma- gna, le lettere da / ad « i diciotto princìpi-rami. La struttura dell’albero
è quindi la seguente: FIORI TRONCO RAMI b. bontà differenza potenza Ente | Dio
creature I. c. grandezza concordanza oggetto Ente |reale fantastico m. d.
durata contrarietà memoria ENTE | genere specie n. e. potenza principio
intenzione ExTE | movente movibile D) f. sapienza medio punto trascen-| EnTE |
unità pluralità p- e. volontà — fine vuoto [dente] Ente | astratto concreto q. Ah.
virtù maggiorità opera ENTE | intensità estensione r i. verità eguaglianza
giustizia Ente |somiglianza dissomiglianza s. k. gloria minorità ordine Ente
|gencrazione corruzione tt. Facendo uso della tecnica inventivo-espositiva, che
troverà più ampio sviluppo nell’ars brevis e nell’ars magna, Lullo si richiama
alla figura circolare, alla definizione dei princìpi, a dieci regole, infine
alle proposizioni e alle questioni. La tec- nica memorativa risulta dalla
sistematica applicazione di d (memoria) a ciascuno dei rami simboleggiati da /,
m, n, ecc. Ne risultano nove combinazioni dl, dm, dn, ecc., in ciascuna delle
quali la memoria artificiale si realizza attraverso parti- 3? Regole per la
memoria sono già presenti nel cap. 161 del Liber de contemplaciò. Cfr. Carreras
y ArtaAU, La filos. cristiana, cit., I, p. 536. ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA
03 colari accorgimenti giungendo a risultati di volta in volta differenti.
Accanto alle ingenue “regole” già presenti nella trattatistica antica e
medievale di medicina applicata alla me- moria, troviamo qui presente il
ricorso alla concordantia, alla contrarietas, alla differentia (dp:
memoria-unità pluralità; ds: memoria-somiglianza dissomiglianza) e alla
subordina- zione del particolare al generale (4n: memoria-genere specie). Lullo
si muove dunque, in questo caso, sul terreno di quella rudimentale psicologia
delle associazioni che deriva, diretta- mente o indirettamente, dalle opere
aristoteliche. Le regole della memoria contenute nell’Arbre de filosofia desiderat
sono state ampiamente riassunte cd esaminate dai Carreras y Artau.?* È quindi
più opportuno richiamare qui l’attenzione su alcune opere inedite di Lullo che
non sono state, a tutt’oggi, fatte oggetto di specifico esame. Si tratta, in primo
luogo, dell’inedito Liber de memoria conservato in due manoscritti ‘* e
composto a Montpellier nel febbraio del 1304. In questo scritto, che viene
presentato dall’autore come la rea- lizzazione di un progetto lungamente
meditato (« finivit Ray- mundus librum memoriae quem diu desideraverat ipsum
fe- cisse »),‘° Lullo fa riferimento ad un d/bero, l’arbor memo- riae, che non
appare elencato tra i sedici alberi dell’Arbre de Sciencia del 1295. Nell’arbor
memoriae vengono elencati e classificati nove tipi di memoria ciascuno dei
quali è posto in corrispondenza con ciascuno dei nove princìpi, dei nove 38 La
filosofia cristiana, cit., II, pp. 534-39. 9° Il Dictionnaire de Theologie
catholique e il Lirtré, Histoire littéraire de la France, vol. XXIX fanno
riferimento a due manoscritti: Parigi Lat. 16116; Innichen. VIII, B. 14, ff. 90
segg.; Ho trovato inoltre sc- gnalati il ms. I. V. 47 dell’ Univ. di Torino ff.
205-225 v. e il Vat. Urb. lat. 852. Il manoscritto torinese è andato distrutto.
Il Cod. Vat. Urb. lat. 852 non contiene il Liber de memoria, ma un’opera
apocrifa attribuita a Lullo (di questo più avanti). Non ho visto il ms. di
Innichen. Le citazioni sono tratte dal parigino lat. 16116 (sec. XIV) alle
carte 18v. - 23 v. Inc.: Per quendam silvam quidam homo ibat. Expl.: Ad gloriam
et honorem Dei finivit Raymundus librum memoriae quem diu desi- deraverat ipsum
fecisse. Et finivit in Montepessulano in mense februarii, anno CCCIIH ab
incarnatione Domini Nostri Iesu Christi. 4° Par. Lat. I6I16, f. 23v. 66 CLAVIS
UNIVERSALIS princìpi relativi, c delle nove quaestiones. Ecco l’inizio del trattato
: ‘! 16 v. Per quendam silvam quidam homo ibat considerando quid erat causa
quia scientia difficilis est ad acquirendum, facilis vero ad obliviscendum et
videbatur ci quod propter de- fectum memoriae istud erat eo quia sua essentia
non bene est cognita atque suae operationes sive condiciones naturales, et ideo
proposuit de memoria facere istum li- brum ad memoriam caque ci pertinent
agnoscendum. Subicctum huius
libri est ars gencralis, coque cum suis principiis et regulis memoriam
intendimus investigare... Est
autem memoria ens cui proprium et per se est memo- rari. Dividitur iste liber in tres
distinctiones. Prima est de arbore memoriac et de suis conditionibus de
principiis artis generalis cum suis diffinitionibus et regulis. Secunda distinctio
est de floribus memoriae et de principiis et re- gulis artis gencralis ipsi
memoriae applicatis. Tertia dis- tinctio est de quaestionibus de memoria factis
ct de solutionibus quaestionum. Et
primo de prima dicemus. Arbor memoriae
dividitur in novem flores ut in sc patet. 17r. Primus flos est b et b
significat / bonitatem [dantem in] > memoriam receptivam ct utrum; secun- dus
flos est c ct c significat magnitudinem concordantiam memoriam remissivam et
quid est; d significat duratio- nem contrarietatem memoriam conservativam ct de
quo; e significat potestatem sive principium memoriam acti- vam et ; f
significat sapientiam medium [mate- riam] memoriam discretivam et quantum; g
significat vo- luntatem finem memoriam multiplicativam et quale; h significat
virtutem maioritatem memoriam significativam et quando; i significat
[veritatem] acqua- litatem memoriam
terminativam et ubi; k significat glo- riam, minoritatem memoriam
complexionativam et quo- modo et cum quo. In arte ista alphabetum supradictum cordetenus
scire oportet... Facendo ricorso alle tavole e alle figure
dell’Ars brevis e dell’Ars magna è possibile, correggendo e integrando in due o
tre punti il manoscritto," rendersi conto di come si confi- gurasse per
Lullo la progettata applicazione dell’ars generalis 4! Le parole poste fra sono supplite, quelle poste fra parentesi quadre
sono giudicate da espungere. Spesso con il termine supplito si propone la
correzione di evidenti errori di trascrizione. 42 I termini posti fra parentesi
quadre nella tabella che segue manca- no o risultano alterati nel codice. ENCICLOPEDISMO
E COMBINATORIA 67 allo specifico campo della memoria. La struttura della com- binatoria
lulliana appare in questo caso la seguente: D « PRINCIPI PRINCIPI SUBIECTA: |
QUAESTIONES ASSOLUTI RELATIVI MEMORIA { b. bonitas [differentia] receptiva
utrum c. magnitudo concordantia remissiva quid d. duratio contrarictas
conservativa de quo e. potestas principium activa [quare ] f. sapientia medium
discretiva quantum g. voluntas finis multiplicativa quale h. virtus maioritas
significativa quando i. [veritas] acqualitas terminativa ubi k. gloria
minoritas complexionativa quomodo ct cum quo. Non è certo il caso di
addentrarsi qui in una spiegazione del complesso funzionamento
dell’applicazione dell’ars gene- ralis al subiectum memoria. Una tale
spiegazione richiede- rebbe fra l’altro la preliminare chiarificazione dei
procedi- menti della combinatoria i quali, anche di recente, sono stati esposti
e discussi in modo egregio da Erardo W. Platzeck.** Basterà soffermarci su un
passo particolarmente indicativo del tipo di problemi ai quali si volge
l’attenzione di Lullo. Nel brano che segue Lullo affronta da un lato il
problema del rapporto tra la facoltà memorativa e il corpo e dall'altro fa leva
sul passaggio dal generale al particolare per gettare le basi di una tecnica
del ricordo: 21r. Memoria est in loco ut per regulam de i in tertia parte. Quod
amiserat principium distinctionis signatum est et est in loco per accidens non
per se, hoc est ratione cor- poris cum quo est convicta, quoniam memoria per se
non est collocabilis eo quia non habet superficiem sed est in loco in quo
corpus est, ct sicut corpus est mutabile de loco in locum, etiam memoria per
ipsum. Memoria vero mutat obiecta de uno loco in alium non mutando se, sed
mutando suas operationes obiective recipiendo spe- cies quae sunt similitudines
locorum cum quibus est dis- cretiva et multiplicativa ct ideo secundum quod
ipsa est conditionata cum loco, debet artista uti ipsa per loca et ideo si vult
recordari aliquid traditum oblivioni, consi- derat illum locum in quo fuit et
primo in genere, sicut In qua civitate, post in specie, sicut in quo vico, post
43 P. E. W. PLATZECcK, La combinatoria luliana, cit. 68 CLAVIS UNIVERSALIS in
particulari, sicut in qua domo seu in aula seu in coquina 21v. / et sic de
aliis et ideo per talem discursum memoria multiplicabit se. Nonostante che
l’attenzione di Lullo sia qui chiaramente rivolta al processo di successiva
determinazione dei particolari (nella sua terminologia la tractatio de generali
ad specialia postea descendens) è difficile non avvertire nel passo ora citato l'eco,
sia pure attenuata, di quella discussione sui “luoghi” che caratterizza tutta
la mnemotecnica di derivazione « cice- roniana ». Gli stessi esempi portati da
Lullo (la città, la strada, la casa, la stanza, la cucina) sono tipici di
quella termi- nologia della quale i “ciceroniani” avevano fatto un uso larghissimo.
Per il tramite dell’agostinismo qualche elemento di quella tradizione
dev’essere penetrato all’interno dello stesso pensiero di Lullo.4* I rapporti
tra lc tecniche memorative escogitate da Lullo e la tradizione ciceroniana sono
certo assai tenui e difficilmente determinabili e tuttavia sarebbe grave- mente
errato, continuando ad interpretare l’arte lulliana come un abbozzo di “logica
formale”, sottovalutare il peso che sui progetti dell’arte esercitò quella
tematica di derivazione ago- stiniana che vedeva nella distinzione di memoria,
intelletto e volontà l’espressione simbolica delle tre persone della Tri- nità.
Di fatto, come ha notato di recente la Yates, l’arte ap- pare anch'essa
concepita a immagine e somiglianza della tri- nità divina. Nella sua pienezza
essa consta di tre facce o aspetti: il primo (che si realizza mediante la
combinatoria o la nuova logica) agisce mediante l’intelletto; il secondo me- diante
il quale si esercita la volontà (e a quest’aspetto si rife- riscono le opere
mistiche di Lullo); il terzo che concerne la memoria e trasforma l’intera arte
in un grande sistema di mnemotecnica.!* 44 Sul rapporto fra la mnemotecnica
ciceroniana c l’opera di Agostino cfr. Fr. A. YATES, The ciceronian art of
memory, nel vol. Medioevo e Rinascimento, studi in onore di B. Nardi, Firenze,
1956, pp. 878-81. 4° Si veda a questo proposito il Cod. 16116 della Naz. di
Parigi, f. 23v.: Liber iste [si tratta del Liber memoriae] valde utilis est et
asso- ciabilis cum libris Intellectus et Voluntatis in uno volumine quantum ad
invicem sunt se iuvantes ad attingendum secreta rerum. Sull'arte concepita a
immagine della Trinità cfr. F. A. Yates, The art of Ramon Lull, cit., p. 162. ENCICLOPEDISMO
E COMBINATORIA 69 Sull’effettiva influenza di questa impostazione agostiniana esiste
com'è noto una larga documentazione. Oltre ai nume- rosi passi del Liber de
contemplaciò e dell’Arbre de filosofia desiderat ricordati dai Carreras y Artau
si vuol qui segnalare, come particolarmente indicativo, un altro scritto
inedito di Lullo, il Liber de divina memoria** scritto a Messina nel marzo del
1313. In quest'opera l’indagine sulla memoria ap- pare piegata, secondo una
curvatura tipicamente agostiniana, a precise finalità teologiche. Trascriviamo,
dal ms. ambrosia- no, l’inizio del trattato: 22r. Deus cum tua misericordia
incipit liber de tua memoria. Quoniam de divina memoria non habemus tantam
noti- tiam sicut de divino intellectu et voluntate, idcirco inten- dimus
indagare divinam memoriam ut de ipsa tantam notitiam habeamus quantam habemus
de divino intellectu et voluntate. Ex hoc habebimus maiorem scientiam de deo...
De divisione huius libri: dividitur iste liber in quin- que distinctiones. In
prima tractabimus de memoria ho- minis, in secunda investigabimus memoriam
divinam per divinum intellectum, in tertia divinam voluntatem, in quarta
divinam trinitatem, in quinta et ultima divinas rattones... Memoria humana est
potentia cum qua homo recolit ca quae sunt praeterita et ad hoc declarandum damus
istud exemplum. Potentia imaginativa non habet actum scilicet imaginari in illo
tempore in quo potentia sensitiva attingit suum obiectum cet de hoc quolibet
potest habere experientiam, a simili dum homo attingit obiec- tum pensatum seu
imaginatum in tempore presenti tunc memoria non potest memorari illud obiectum
quia intel- lectus et voluntas hominis impediunt quominus memoria 22v. habeat
suum actum quia intellectus intelligit ipsum / obiectum et voluntas diligit seu
odit illud et per hoc ostenditur quia memoria est potentia per se contra illos qui
dicunt quod memoria non est potentia per se sed est radicata in intellectu et
simul sunt una potentia, quod falsum est ut super declaratum est. 46 Il Littré
(Hist. litt. de la France, XXIX, p. 318) fa riferimento al Cod. 10517, ff. 22
segg. della Staatsbibl. di Monaco, il Longpré (Dicr. de Théol. cat., col. 1102,
n. 59 (15) segnala, accanto a quello di Mo- naco, il Vat. Ott. lat. 405, ff.
182 segg. Ho visto ed usato il Cod. Am- brosiano N. 259 sup..ff. 22 segg. (sec.
XV) segnalato dall’ Ottaviano. Inc.: Deus cum tua misericordia incipit liber de
tua memoria. Quo- niam de divina memoria. Exp/.: Ad laudem et honorem Dei
finivit Raymundus istum librum in civitate Messanae mense Martii anno 1313. 70
CLAVIS UNIVERSALIS Fra le due opere sulla memoria del 1304 e del 1313 delle quali
abbiamo fatto cenno, si colloca infine un terzo testo sulla memoria — il Liber
ad memoriam confirmandam — anch'esso inedito, composto a Pisa nel 1308 durante
il sog giorno nel convento di San Domenico.“ Il trattato si apre con la
dichiarazione dei fini che si propone la confirmatio memoriae («ratio quare
presentem volumus colligere trac- tatum est ut memoria hominum, quae labilis
est et caduca, modo rectificetur meliori ») e con la distinzione fra le tre po-
tenze naturali dell'anima — capacitas, memoria, discretio — ciascuna delle
quali può essere perfezionata mediante l’im- piego di una particolare tecnica.
A ciascuna delle tre potenze
naturali corrisponde in tal modo una
potenza artificiale ac- quisibile mediante l’arte. A quest’ultima spetta fra
l’altro il compito di dar luogo ad un tipo di apprendimento e di tra- smissione
del sapere che non affatichi inutilmente e bestial- mente i giovani: Ir. Primo
igitur ut laborans in studio faciliter sciat modum scientiam invenire et ne,
post amissos quamplurimos la- bores, scientiae huius operam inutiliter
tradidisse noscatur, Iv. sed potius labor in requiem et sudor / in gloriam
plena- ric convertatur, modum scientiae decet pro iuvenibus in- venire per quem
non tanta gravitate corporis iugiter de- primantur, sed, absque nimia vexatione
et cum corporis levitate et mentis laetitia, ad scientiarum culmina gra- dientes
equidem propere subeant. Multi enim sunt qui, more brutorum, literarum studia
cum multo et summo labore corporis prosequuntur absque exercitio ingenii arti- ficioso,
sed et continuis vigiliis maceratum corpus suum iuxta labores proprios
inutiliter cxhibentes. Igitur decet modum per quem virtuosus studens thesaurum
scientiac leviter valcat invenire et a gravamine tantorum laborum relevari
possit. 47 Di questo testo ho visto le tre redazioni manoscritte conservate nei
seguenti Codici (tutti del sec. XVI): Ambrosiana, I. 153 inf., 35-39v.; Monaco,
Staatsbibl. 10593, ff. 1v.-3v.; Parigi Naz. lat. 17839, ff. 437 - 444r. Il Vat.
lat. 5437, che ho trovato segnalato a proposito del Liber ad memoriam
confirmandam, non contiene opere di Lullo. Nella tra- scrizione mi sono servito
dei tre codici indicati. L'indicazione delle carte si riferisce al cod.
monacense. Per il testo completo dell'operetta cfr. l’appendice. L’arte si
presenta dunque come uno strumento di libera- zione da una pedagogia
inutilmente sopraffatrice: il tema di un rafforzamento “artificiale” delle
potenze naturalidell'anima si legava al motivo, tipicamente francescano, della
letizia spi- rituale. La capacitas può essere perfezionata mediante l’atten- ENCICLOPEDISMO
E COMBINATORIA zione e l’ordinata partizione degli argomenti. Al
perfezionamento della memoria vera e propria vengono dedicate osservazioni che
presentano un notevole interesse c che differenziano in misura notevole questo
dagli altri testi lulliani sull’argomento: 2v. 3r. Varie cose sono da
sottolineare in questo brano: in primo luogo il richiamo all’aristotelico De
memoria et reminiscentia Venio igitur ad secundam, scilicet ad memoriam quae quidem,
secundum antiquos, alia est naturalis, alia est ar- tificialis. Naturalis est
quam quis recipit in creatione vel generatione sua secundum materiam ex qua
homo gene- ratur et secundum quod influentia alicuius planetae su- perioris
regnat: et secundum hoc videmus quosdam ho-
mines meliorem memoriam habentes quam
alios, sed de ista nihil ad nos quoniam Dei est illud concedere. Alia est memoria
artificialis et ista est duplex quia quaedam est in medicinis et emplastris cum
quibus habetur, et istam reputo valde periculosam quoniam interdum dantur tales
medicinac dispositioni hominis contrariae, interdum super- fluae et in maxima
cruditate qua cerebrum ultra modum dessicatur, et propter defectum cerebri homo
ad demen- tiam demergitur, ut audivimus et vidimus de multis, et ista
displiciet Deo quoniam hic non se tenet pro contento de gratia quam sibi Deus
contulit unde, posito casu quod ad insaniam non perveniat, nunquam / vel raro
habebit fructus scientiae. Alia est memoria artificialis per alium modum
acquirendi, nam dum aliquis per capacitatem re- cipit multum in memoria et in
ore revolvat per scipsum quoniam secundum Alanum in parabolis studens est ad- modum
bovis. Bos cnim cum maxima velocitate recipit herbas et sine masticatione ad
stomachum remittit quas postmodum remugit et ad finem, cum melius est dige- stum,
in sanguinem et carnem convertit: ita est de stu- dente qui moribus oblitis
capit scientiam sine delibera- tione, unde ad finem ut duret, debet in ore
mentis masti- care ut in memoria radicetur et habituetur quoniam quod leviter
capit leviter recedit et ita memoria, ut habetur in Libro de memoria et
reminiscentia, per saepissimam rei- terationem firmiter confirmatur. 72 CLAVIS
UNIVERSALIS (tale richiamo che è presente sia nel ms. parigino sia nel mo- nacense,
è invece assente in quello ambrosiano. Il ms. pari- gino reca inoltre un
erroneo Aristotelem in luogo di Alanum) c l’insistenza sulla reiteratio come
elemento essenziale al raf- forzamento della memoria; in secondo luogo
l’assenza di ogni ricorso o riferimento all’arbor memoriae e l’aperta pole- mica
contro i peccaminosi ed empi tentativi di una applica- zione delle tecniche
mediche alla memoria; in terzo luogo, infine, la distinzione (che vien fatta
risalire agli « antichi ») fra memoria naturale e memoria artificiale. Si
tratta di affer- mazioni e di tesi che consentono di stabilire una connessione fra
la trattazione lulliana della memoria e quell’ambito di discussioni che si
collegavano da un lato al De reminiscentia aristotelico e dall’altro alla
persistenza di motivi di deriva- zione retorica. Mentre l’uso del termine
discreto pare rin- viare al concetto aristotelico di rem:niscentia, l’accenno
agli antichi sembra confermare, ancora una volta, una conoscenza, sia pure
indiretta, di alcuni elementi attinti alla tradizione della mnemotecnica
“ciceroniana”. Ci siamo così a lungo soffermati su questo testo perché esso è
indicativo di un atteggiamento caratteristico sul quale gli specialisti di
Lullo non hanno ancora bastantemente ri- volto la loro attenzione: non si
procede in quest'opera ad applicare le regole dell’arte allo specifico settore
della me- moria, ma si pone l’intera struttura della combinatoria lul- liana a
servizio della memoria artificiale. 3r. Ad multa recitanda consideravi ponere
quacdam nomina 3v. relativa per quac ad omnia possit responderi / ... Ista enim
sunt nomina supra dicta quid, quare, quantus et quo- modo. Per quodlibet
istorum poteris recitare viginti ra- tiones in oppositum factas vel quaccumque
advenerint tibi recitanda et quam admirabile est quod centum possis ra- tiones
retinere ct ipsas, dum locus fuerit, bene recitare... Ergo qui scientiam habere
affectat et universalem ad om- nia desiderat, hoc circa ipsum tractatum laboret
cum dili- gentia toto posse quoniam sine dubio scientior crit aliis... Primum
igitur per primam speciem nominis quid, poteris certas quaestiones sive
rationes sive alia quaecunque volue- ris recitare evacuando secundam figuram de
his quae con- tinet, per secundam vero poteris in duplo respondere seu recitare
et hoc per evacuationem tertiae figurae et multi- plicationem primac... ENCICLOPEDISMO
E COMBINATORIA 73 Il Liber ad memoriam confirmandam ci è pervenuto solo in tre
tardi manoscritti del secolo XVI, i quali, oltre a nu-
merosi errori, presentano differenze
spesso notevoli. Il riferi- mento alquanto generico alle quaestiones;
l’insistente richia- mo ad un Liber septem planetarum (è il Tractatus novus de astronomia
del 1297?) nel quale sarebbero definite la capacitas, la memoria e la
discretio; la confusa esposizione della tecnica della evacuatio e della
multiplicatto che già nell’Ars magna era stata chiaramente teorizzata;
l'impossibilità nella quale ci troviamo, date le divergenze fra i codici, di
controllare l’autenticità del richiamo al De memoria aristotelico: questi ed
altri elementi non possono non indurre a molta cautela. Il testo è senza dubbio
autentico, ma esso ha probabilmente subìto notevoli alterazioni. Le conclusioni
cui siamo giunti, relativamente ai rapporti di Lullo con la tradizione della
mne- motecnica aristotelica e “ciceroniana”, possono dunque essere considerate
valide solo in quanto esse, come abbiamo cercato di mostrare, risultano
confortate dall’analisi delle altre opere inedite sulla memoria. Nel caso del
Liber ad memoriam confirmandam sussistono dunque solo alcuni dubbi. Assai
chiaro è invece il caso del ms. Urb. lat. 852 ** che è stato erroneamente
considerato come una delle redazioni del Liber de memoria del 1303. Qui ci troviamo
in presenza di un tratto di memoria locale, conce- pito secondo i più rigidi e
convenzionali canoni della mne- motecnica ciceroniana, e falsamente attribuito
a Lullo. Tra- scriviamo qualche passo: 333 r. Localis memoria per Raimundum
Lullum. Ars memora- tiva duobus perficitur modis scilicet locis et imaginibus. Loci
non differunt ab imaginibus nisi quia loci sunt an- guli, ut quidam putant, sed
imagines quaedam fixae 18 Cod. cart. di ff. 636 (sec. XVI). La Localis memoria
per Raimun- dum Ltullum è alle carte 333r.-438v. È da notare che nel Catalogus omnium
librorum magni operis Raymundi Lulli proxime publico co- municandi, pubblicato
a Magonza nel 1714 da I. Salzinger si trova elencata una Ars memorativa (Inc.:
Ars confirmat et auget utilitates) della quale si trova un esemplare nel cod.
10552 della Staatsbibl. di Monaco (cfr. Littré, Hirst. litt. de la France,
XXIX, p. 299). L’attri- buzione a Lullo veniva tuttavia successivamente
rifiutata dallo stesso Salzinger che ometteva lo scritto dall'elenco delle
opere lulliane che si trova nel I vol. dell'edizione di Magonza (1721). 74
CLAVIS UNIVERSALIS super quas, sicut super cartam, dipinguntur imagines de- lebiless
Unde loca sunt sicut materia, imagines sicut for- 333 v. ma... / Oportet autem
ut locis serbetur modus ne scilicet inter ca sit distantia nimium remota vel
nimium brevis, sed moderata ut quinque pedum vel circa; non sit etiam 334 v.
nimia claritas vel nimia obscuritas sed lux mediocris... / Inveni igitur, si
poteris, domum distinctam caminis XXII 338r. diversis et dissimillibus... /
Habcas semper ista loca fixa ante oculos sicut situata in cameris et scias ante
et retro illa recitare, per ordinem etiam scias quis primus, quis 339 v. secundus, quis tertius et sive de aliis... / Si detur
tibi aliud nomen notum, puta Joannis, accipe unum Joannem tibi notum... et
ipsum collocabis in loco... Che
un’opera di questo genere, appartenente ad una tra- dizione culturale assai
differente da quella nel cui ambito si era mosso Lullo, venisse attribuita al
filosofo di Maiorca non è tuttavia senza significato. Nel secolo XVI, mentre
nell’am- bito del lullismo ortodosso si vengono sviluppando in fun- zione
mnemonica i temi della combinatoria, si realizza l’in- contro, al quale più
volte abbiamo accennato, fra la tradizione “ciceroniana” e quella lullista. A
questo incontro darà riso-
nanza europea l’opera di Giordano Bruno.
Ma quasi settan- t'anni prima della comparsa del De umbris idearum, del Can- tus
circaeus e del De compendiosa architectura et commento artis Lullii (pubblicati
tutti a Parigi nell’’82) uno dei più rinomati maestri del lullismo europeo,
legato al gruppo di Lefèvre, aveva tentato una sintesi fra l’arte “ciceroniana”
della memoria e la combinatoria di Lullo. 6. BERNARDO DE LAVINHETA:
COMBINATORIA E MEMORIA LOCALE. Nel 1612, presso l’editore Lazaro Zetzner di
Colonia, che aveva pubblicato nel "98 la grande raccolta dei testi
lulliani e dei commenti a Lullo, Enrico Alsted curava la stampa della Explanatio
compendiosaque applicatio artis Raymundi Lullit del francescano Bernardo de
Lavinheta.‘* L’opera era stata 1° Bernarpi De LavinHETA, Opera omnia quibus
tradidit artis Ray- mundi Lullii compendiosam explicationem et ciusdem
applicationem ad logica rhetorica physica mathematica mechanica medica
mataphysica theologica ethica iuridica problematica, edente Johnne Henrico
Alste- dio, Coloniac, Sumptibus Lazari Zetzneri bibliopolae, 1612 (copia usata:
Trivulz. Mor. I, 75). ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA 19 pubblicata per la prima
volta, a Lione, quasi un secolo avanti: nel 1523. Mentre si scagliava nella
prefazione contro i ridicoli aristotelici e gli inetti ramisti persecutori di
Lullo e del lulli- smo e intolleranti di ogni libertà (« Itane docuit
Aristoteles ut aliis docendi cathedram iusserit clausam? Minime vero... »), Alsted
metteva in guardia i lettori da quel tanto di « scola- stico » e di « papistico
» che era ancora presente nell’opera di Bernardo: «Sed ostendit praxin
philosophiae lullianae more suo et sui saeculi, id est barbare et papistice.
Date itaque ope- ram ne impingatis ad duos istos scopulos ». Ciò che aveva entusiasmato
Alsted, al di lì degli « scogli » della barbarie scolastica e del
cattolicesimo, era il tentativo, presente nell’o- pera del Lavinheta, di
costruire sui fondamenti dell’arte lul- liana una vastissima enciclopedia delle
scienze. L’applica- zione dell’ars Lullii, come chiariva il titolo, concerneva
in- fatti la logica la retorica la fisica la matematica la meccanica la
medicina la metafisica la teologia l’etica e la giurispru- denza. Nella sua
partizione e classificazione delle scienze Lavin- heta si era richiamato
all’immagine lulliana dell’unico albero del sapere rispetto al quale le varie
discipline particolari si collocano come i diversi rami di un unico tronco. Pur
intro- ducendo nella sua trattazione partizioni e distinzioni assai lontane dal
lullismo (per esempio i tre rami del trivium), Bernardo aveva attinto
largamente, in particolare nella sua logica, alle figure della combinatoria. Ma
il suo intento di servirsi dell’ars magna in vista di una ricerca di princìpi
uni- versali e necessari capaci di unificare tutto il sapere, si rivela con
molta chiarezza nella sezione intitolata /ntroductio in artem Raymundi Lullit:
« È necessaria un’unica arte generale che abbia princìpi generali, primitivi e
necessarii, mediante i quali i princìpi delle altre scienze possano essere
provati e esaminati... Le arti e le scienze speciali sono troppo prolisse e la
breve vita dell’uomo richiede che l’intelletto possegga un qualche strumento
universale ».5° Nella sua ampia trattazione Bernardo inseriva un vero e proprio
trattato di cosmologia e di filosofia naturale (nella discussione della terza
figura), intere opere di medicina (Hor- 3° De necessitate artis. 76 CLAVIS
UNIVERSALIS tulus medicus, De medicina operativa, ecc.) e considerazioni sull’ars
praedicandi e sull’interpretazione delle Scritture: egli si muoveva in tal modo
sullo stesso terreno della RAetorica pseudo lulliana e dava l’avvio a
quell’enciclopedismo su basi lulliane al quale dettero la loro piena adesione,
negli ultimi anni del secolo, sia il Gregoire che il de Valeriis. Con il corso
del Lavinheta alla Sorbona era rientrato trion- falmente a Parigi, dopo la
grande parentesi mominalista ini- ziatasi con le polemiche di Pietro d’Ailly e
del Gerson, l’in- segnamento del lullismo. Ove si tenga presente la grande risonanza
che ebbero nel mondo dei dotti le lezioni del Lavin- heta, la sua intensa
attività editoriale nei maggiori centri europei da Parigi a Lione a Colonia, la
sua “fortuna” nel secolo XVII, può apparire particolarmente interessante anche la
tematica sulla memoria elaborata nell’ultima parte della Explanatio. Bernardo
si propone qui di costruire un'arte ca- pace di servirsi contemporaneamente e
delle tecniche memo- rative elaborate da Lullo e di quelle, già
larghissimamente sviluppate, che erano state ricavate dai testi di Cicerone e di
Quintiliano. La definizione della memoria naturale, della quale La- vinheta si
serve, è ricalcata sui testi lulliani e sui commen- tari medievali al De
reminiscentia aristotelico: « Est memoria naturalis illa potentia cui proprie
competit recolere, de cuius organo in tractatu philosophiae naturalis dictum
est. Nam ipsum est in occipite ad modum pyramidis et ipsa potentia est
spiritualis. Cuius officium est species per intellectum ac- quisitas conservare
et similitudines earundem (imperio volun- tatis) intellectui repraesentare ».”!
Per quanto concerne la memoria artificiale, Lavinheta ri- prende invece, quasi
con le stesse parole, i concetti espressi da Lullo nell’inedito Liber 24
memoriam confirmandam : LavinHETA, Explanatio (edizione LuLro, Monaco (Staatsbibl.), 1612), p. 653. Artificialis
memoria duplex est: quacdam est in medicinis et em- plastris, quam Doctor
noster re- putat valde periculosam ex eo quia 5! De memoria, pp. 651 dell’ediz.
10593, f. 2 v. Alia est memoria artificialis et ista est duplex quia quaedam
cst in medicinis ct emplastris cum quibus habetur, et istam reputo citata. ENCICLOPEDISMO
E COMBINATORIA 77 interdum dantur medicinac contra- valde periculosam quoniam inter- riac
dispositioni hominis in tanto dum dantur tales medicinac dîs- gradu caliditatis
quod cerebrum positioni hominis
contrariac, In- dessicant et sic homines in demen- terdum superfluae ct in maxima tiam et
stultitiam deveniunt. cruditate qua cerebrum ultra mo- dum dessicatur, et
propter defec- tum cerebri homo ad dementiam demergitur, ut audivimus ct vidi- mus
de multis, et ita displiciet Deo... Introducendo una separazione fra le «res
sensibiles quae sensu capi possunt» e le «res intelligibiles quae intellectu solo
capiuntur », Bernardo apriva però subito dopo la strada alla distinzione fra
due tipi di memoria artificiale: « Secun- dum hanc duplicem differentiam,
duplex est modus artifi- cialis memorandi. Primus facilior est longe secundo ».
Il me: todo più facile di quello lulliano al quale Lavinheta fa qui riferimento
è quello — a noi già noto — della memoria “lo- cale” o “ciceroniana”. Per
ricordare gli oggetti che cadono sotto i sensi e i prodotti dell’immaginazione
si fa ricorso, secondo i canoni tradizionali, ai luoghi ordinati e alla collo- cazione
delle immagini nei luoghi: « stabilienda sunt specifica loca in aliquo
familiari spacioso et communi quemadmodum est ecclesia, monasterium aut
domus... sui oppidi aut sui civi- tatis ». Ritorna, naturalmente, il precetto
dell’ordine dei luo- ghi (« memoria ab inordinatione confunditur ») e quello
della collocazione nei luoghi delle similitudines o immagini: «et sic
procedendo de loco in loco similitudines rerum collocet... et id etiam ordine
retrogrado facere potest et pluries debet illa discurrere ».°? Si riaffacciano
i temi consueti della iconologia alla quale è affidato il compito di
rappresentare e richiamare alla memoria le «cose intellettuali »: oggetti «
meramente intelligibili » come gli angeli potranno essere raffigurati « que- madmodum
est in Ecclesiis cum figurare, ut esset parvulus infans cum aliis », mentre per
fissare nella mente concetti (per esempio: « Dominus est illuminatio mea et
salus mea ») ci si servirà largamente delle figure emblematiche: «si porrà nel
luogo designato l’immagine solenne di un uomo ben vestito che tiene in una mano
un lume e nell’altra del sale, e benché sale e salute significhino cose
diverse, tuttavia per 52 Explicatio, cit., pp. 653-54. 78 CLAVIS UNIVERSALIS quella
certa somiglianza che i due termini hanno ‘n voce, l’una cosa condurrà a
ricordare l’altra »."? Di fronte agli oggetti della speculazione, a quelle
cose cioè « quae sunt remotissima non modo a sensibus, vero et ab ima- ginatione
», la tecnica “ciceroniana” della memoria si rivela tuttavia insufficiente. In
questi casi è necessario far ricorso ad un secondo, più complicato tipo di
memoria artificiale, volgersi all’ars generalis escogitata da Lullo. Qui —
afferma Lavinheta — piegando ad un uso nuovo la vecchia termino- logia
ciceroniana — tutti i possibili oggetti del sapere ven- gono « collocati in
pochi luoghi » e, attraverso i princìpi, le figure, le regole, le guaestiones,
l'artista può impadronirsi in modo duraturo di tutto lo scibile.?* 7. LA LOGICA
MEMORATIVA. La combinatoria di Lullo era dunque apparsa al Lavinheta contemporaneamente
come una logica e una mnemotecnica: da un lato essa si poneva come lo strumento
universale (1nstru- mentum universale) mediante il quale tutti i princìpi delle
scienze particolari potevano essere sottoposti ad esame, dal- l’altro essa si
identificava con un grande sistema di ars remi niscendi che aveva assai più
ampie possibilità di applicazione dell’ars memoriae di derivazione retorica e
ciceroniana. Per rendersi conto di come posizioni di questo genere giungessero ad
incidere profondamente in ambienti assai vari, non è ne- cessario richiamarsi
ora ai testi, da questo punto di vista deci- sivi, della pansofia e
dell’enciclopedismo seicenteschi. Tredici anni prima della pubblicazione
dell’opera del Lavinheta, in- torno al 1510, si erano riuniti, all’Università
di Cracovia, i rappresentanti del corpo accademico per prendere in esame la consistenza
o meno dell’accusa di magia che era stata lanciata contro il francescano Thomas
Murner, autore di una Logica memorativa, chartiludium logicae sive totius
dialecticae me- moria pubblicata nel 1509. Nello scritto, che propugnava la combinazione
di un sistema di concetti con un parallelo si- 33 Explicatio, cit., p. 654. 54
Explicatio, cit., p. 654. ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA 79 stema di simboli
plastici, erano evidenti gli influssi lulliani.*° La relazione finale, scritta
da Ioannes de Glogovia sulla questione, è un documento singolare. Meglio di un
lungo discorso essa ci dà la sensazione precisa della larga diffusione (anche negli
ambienti accademici) di un certo tipo di discussioni € vale anche a mostrarci
la presenza di quella connessione, che andò stabilendosi particolarmente nelle
università tedesche del Rinascimento, fra la logica e la mnemotecnica: Ego
magister Ioannis de Glogovia Universitatis Craco- viensis Collegiatus...
testimonium do veritatis... patrem Th. Murner Alemannum... hanc chartiludium
praxin apud nos finxisse, legisse et usque adco profecisse, quod in mensis
spatio etiam rudes et indocti... sic evaserint memorcs ct eruditi, quod grandis
nobis suspicio de prae- dicto patre oriebatur, quiddam magicarum rerum infu- dissc
potius, quam praecepta logicac tradidisse...** L’idea di una logica memorativa
o di una sostanziale af- finità e parentela fra la logica e l’arte della
memoria sta in realtà alla base di tutti i tentativi, che si rinnoveranno nella
cultura europea dal primo Cinquecento
fino a Leibniz, di utilizzare l'eredità lulliana per costruire un’ars generalis
uni- ficatrice di tutto il sapere c un sistema mnemonicum o enci- clopedia
delle scienze. La riforma della logica di Bruno e l’enciclopedismo di Alsted si
muovono, da questo punto di vista, su un terreno comune. Non è certo un caso
che tra le 55 THomas Murner, Logica memorativa. Chartludiun logicae sive to- tius
dialecticae memoria et novus Petri Hispani textus emendatus, cum jucundo
pictasmat, cxercitio, Bruxelles, Thomas van der Noot, 1509 (co- pia usata:
Parigi, Naz., Rés. R. 871). Cfr. anche la Invectiva contra astrologos,
Argentinae, 1499 (ibid. Rés. V. 1148). Non sono riuscito a vedere il
Chartiludium institutae summarie doctore Thoma Murner memorante ct ludente,
Argentinae, per Johannen Priis, 1518 che con- tiene una riduzione delle
Istituzioni giustinianee in quadri sinottici co- struiti sulla base degli
stemmi e delle imprese dei vescovi e dei prin- cipi imperiali. Nel 1515 1’
Università di Treviri rilasciò una dichiara- zione dalla quale risultava che il
Murner era in grado di insegnare le Istituzioni nello spazio di quattro
settimane servendosi di un me- todo fondato sulla memoria artificiale. Sul
Murner cfr. Carreras Y Artau, La filosofia cristiana, cit., II, pp. 224-25 e,
per le influenze di Lullo, A. Gortron, Ein /ullisticher Lehrstuhl in
Deutschland un: 1600 ?, in « Estudis Universitaris Catalans », 1913. #6 Cit. in
PrantL, III (1955), p. 294. 80 CLAVIS UNIVERSALIS fonti della “caratteristica”
leibniziana si trovino, accanto ai principali testi del lullismo europeo, non
poche e non secon- darie opere di ars reminiscendi. Un'altra cosa va infine
sottolineata: il sospetto di magia che aveva colpito il buon Murner era in
realtà, almeno in parte, pienamente giustificato. La logica memorativa, la com-
binatoria, l’ars inveniendi e l’ars reminiscendi si configurano spesso come
progetti di fondazione di un’arte mirabile capace di condurre, come per una
rapida scorciatoia, entro i più se- greti recessi della natura. Anche la logica
o l’arte di Bruno, profondamente legata al lullismo, alla “memoria”, alla ca- bala,
agli emblemi, apparirà assai simile a un prodotto di magia. Pio V, Enrico IH di
Francia, l'ambasciatore spagnolo alla corte di Rodolfo II, lo stesso Giovanni
Mocenigo ve: dranno in Bruno l’inventore e il possessore di un'arte segreta capace
di ampliare, in modo smisurato, le possibilità di do- minio dell’uomo. Dal
sospetto di magia questo tipo di “lo. gica” si libererà del resto assai tardi.
Nella Historia et com- mendatio linguae charactericae universalis, Leibniz,
mentre distingueva la «vera » dalla « falsa » cabala, si preoccupava ancora di
liberare la combinatoria dall’accusa di magia: « Già a partire da Pitagora gli
uomini furono persuasi che i più grandi misteri sono nascosti nei numeri. Ed è
credibile che Pitagora abbia introdotto in Grecia dall’Oriente questa opi- nione
come molte altre cose. Ma ignorandosi la vera chiave dell’arcano, i più curiosi
sono caduti nelle futilità e nelle superstizioni, donde è nata quella certa
cabala volgare molto lontana da quella vera e le molteplici inezie con un certo
falso nome di magia di cui sono pieni i libri ».# 5? La trad. del passo
(Gerhardt, VII, pp. 184-89) è in F. Barone, Lo- gica formale e logica
trascendentale, I, da Leibniz a Kant, Torino, 1957, p. 14. Il I TEATRI DEL
MONDO 1. SIMBOLISMO E ARTE DELLA MEMORIA. Non pochi esponenti della cultura del
tardo Cinquecento identificarono la combinatoria lulliana con una logica me- morativa.
Quest'ultima si presentava da un lato come l’ars ultima o l’instrumentum
universale capace di sottoporre ad esame tutti i principi delle scienze
particolari, dall’altro come un grandioso sistema di ars reminiscendi che
costituiva il fondamento di un organico e completo sistema mnemonicum o
generale enciclopedia di tutto il sapere. Da questo punto di vista l’ars
memoriae di origine retorica e “ciceroniana” poteva apparire — accanto alla
combinatoria e alla mnemo- tecnica di derivazione lulliama — elemento
essenziale alla costruzione della pansofia: alla nuova logica, capace di ri- specchiare
nella sua struttura le strutture stesse del mondo reale, avrebbe fatto
riscontro una enciclopedia o teatro uni- versale che, di quella logica, fosse
il naturale compimento. Comune presupposto a quella logica e a quel teatro era
una dottrina “speculare” della realtà, la tesi di una perfetta, to- tale
corrispondenza fra i termini e le res. Nel capitolo che precede ho cercato di
indicare le fonda- mentali linee di svolgimento della tradizione del lullismo durante
il secolo XVI. Anche entro la complessa tradizione della mnemotecnica retorica
e “ciceroniana”, la cui diffusione procede contemporaneamente a quella del
lullismo, interven- nero, fra gli ultimi anni del Quattrocento e i primi
decenni del secolo XVII, alcuni essenziali mutamenti. Questi con- cernono non
l’apparato tecnico dell’arte mnemonica che resta sostanzialmente immutato,
anche se va ampliandosi mediante numerosi accorgimenti, ma il significato
stesso che l’arte viene ad assumere all’interno del mondo della cultura. Quell’ars
memoriae che era stata valutata nel Trecento e nel Quattrocento un accorgimento
utile ai predicatori, una tecnica utilizzabile dai politici dai letterati e dai
giuristi, ac- quisterà sul finire del Cinquecento, in taluni ambienti, un 82
CLAVIS UNIVERSALIS
ben diverso significato. Nei testi del
Bruno essa appare per esempio strettissimamente collegata alla tematica di una
me- tafisica esemplaristica e neoplatonica, ai motivi della cabala, alle
discussioni sui rapporti logica-retorica, agli ideali della pansofia, alle
aspirazioni del lullismo. Mentre si connetteva a questi movimenti e a queste
correnti, l’ars memoriae si andava caricando di significati metafisici, veniva
piegata a diverse esigenze di pensiero. Quella limpidità di espressioni e
quella chiarezza teoretica che avevano caratterizzato le pagine di Cicerone, di
Quintiliano, di Alberto, di Tommaso, di Pietro da Ravenna scompaiono
definitivamente nella trat- tatistica successiva alla seconda metà del
Cinquecento: un gusto di tipo barocco per i geroglifici, gli alfabeti, i
simboli, le immagini, le allegorie appare ora nettamente dominante. Fra i testi
quattrocenteschi sulla memoria o quelli di Pietro
da Ravenna da un lato e quelli del Bruno
dall’altro esiste, da questo punto di vista, una differenza incolmabile: nel primo
caso assistiamo al tentativo di elaborare, con strumenti razionali, una tecnica
retorica fondata su uno studio delle associazioni mentali; nel secondo caso
siamo in presenza di un complesso simbolismo che serve da velo ad una sapienza riposta
attingibile solo attraverso la ambiguità degli emblemi e l’allusività delle
immagini, dei sigilli e delle imprese. Ad uno strumento costruito in vista di
finalità pratiche e mon- dane, si è sostituita la ricerca di una cifra o di una
chiave che consenta di penetrare entro il segreto ultimo della realtà e della
vita. Intorno alla metà del secolo non sono più i teorici della retorica o gli
studiosi di dialettica ad occuparsi dell’ars me- moriae: Cornelio Agrippa e
Giulio Cesare Camillo, Giovam- battista Della Porta, Cosma Rosselli e Giordano
Bruno con- siderano le regole della memoria come strumenti da impie- gare in
vista di finalità assai più ampie di quelle, limitate e modeste, della retorica
o della dialettica. In ciascuno di que- sti autori troviamo presenti ed
operanti i temi del lullismo e della cabala, della magia e dell’astrologia,
l’eredità dell’Ars notoria, dei testi ermetici, dell’opera di Pico e di Ficino.
Bruno, commentatore di Lullo e innovatore dell’Ars me- moriae, vedrà derivare
da una « fonte comune » la teologia di Scoto Eriugena, la combinatoria, i
misteri del Cusano, la I TEATRI DEL MONDO 83 medicina di Paracelso. Erano
posizioni e riferimenti, al suo tempo, già ampiamente diffusi: alla metà del
secolo aveva visto la luce, a Parigi, il De usu et mystertis Notarum Liber (1550)
scritto da Jacques Gohory (Leo Suavius) avvocato al parlamento di Parigi e
diplomatico, grande commentatore dell’opera paracelsiana e traduttore del
Principe e dei Discorsi del Machiavelli, studioso insigne di alchimia, di
botanica e di teoria della musica. Nella sua discussione sui segni egli faceva
riferimento costante alla magia di Tritemio, alla cabala cristiana, all’Ars
notoria, alle opere di Pico e di Ficino, all’ars memoriae, alla combinatoria
lulliana, al Teatro del mondo di Giulio Camillo.! È, la sua, posizione
oltremodo indica- tiva di quel mutamento di valutazioni cui abbiamo accennato.
Ma prima di trarre conclusioni potrà
esser di qualche giova- mento cercare di seguire la diffusione, in Europa, di
taluni testi italiani particolarmente fortunati; considerare alcuni di quei
seatri del mondo nei quali i temi della cabala e quelli di un enciclopedismo su
basi metafisiche si sovrappongono agli originari intenti mnemonico-retorici;
soffermarsi infine su alcuni testi nei quali i temi della combinatoria lulliana
e quelli dell’arte mnemonica confluiscono in modo partico- larmente evidente. 2.
DIFFUSIONE DELL’ARS MEMORIAE IN INGHILTERRA E IN GER- MANIA. Convenientemente
addottrinato da madama Logica, l’eroe di quel singolare poema
allegorico-didattico che è il Pastime of Pleasure di Stephen Hawes, continua la
sua non lieve ascesa nella Torre della Dottrina ed entra nella stanza di dama
Retorica. Dopo aver accuratamente enumerato le cin- que parti della retorica ed
aver chiarito la connessione inter- corrente fra queste e le varie facoltà
dell'animo, la dotta dama, facendo riferimento alla memoria, così si esprime: Y£
to the orature many a sundry tale One after other treatably be tolde ! Le
traduzioni delle opere del Machiavelli sono del 1571. Sul Gohory cfr. L.
THorRNDIKE, History of Magic and Experimental Science, New York, 1951, V, pp.
636-40; D. P. Wacker, Spiritual and Demonic Magic from Ficino to Campanella,
London, 1958, pp. 96-106. 84 CLAVIS UNIVERSALIS Than sundry ymages in his
closed male Eache for a mater he doth than well holde Lyke to the tale he doth
than so beholde And inwarde a recapitulacyon Of eche ymage the moralyzacyon Whiche
be the tales he grounded pryvely Upon these ymages sygnyfycacyon And whan tyme
is for hym to specyfy All his tales by demonstracyon In due ordre maner and
reason Than eche yamage inwarde dyrectly The oratoure doth take full properly So
is enprynted in his propre mynde Every tale with hole resemblaunce By this
ymage he dooth his mater fynde Eche after other withouten varyance Who to this
arte wyll gyve attendaunce As thercof to knowe the perfytenes In the poetes
scole he must have intres.? In
questo testo, pubblicato a Londra nel 1509, veniva per la prima volta
formulata, in lingua inglese, la dottrina della retorica classica. Anche se
orientato in funzione di una « poetica », il riferimento alla dottrina dei
luoghi e delle immagini non poteva essere più preciso. Il tentativo di adat- tare
la terminologia della RAetorica ad Herennium alle par- ticolari esigenze
dell’arte poetica non era, in Inghilterra, senza precedenti; in questo senso la
Poetria Nova composta da Goffredo di Vinsauf fra il 1208 e il 1213 costituisce
(come ha chiarito lo Howell) una delle principali fonti del poema di Hawes.®
Resta, a confermare una sostanziale divergenza 2 S. Hawes, The Pastime of
Pleasure, ed. by W. E. Mead, London, 1928, p. 52, vv. 1247-1267. La prima
cdizione è Wynkyn de Worde, London, 1509; successive edizioni nel 1517, 1554,
1555. Ampie notizie sull’autore e sulle edizioni nell’edizione a cura di R.
Spindler, Leipzig, 1927, pp. XXIX- XLI. Il brano riportato nel testo è cit. in
W. S. Ho- well, Logic and Rhetoric in England, 1500-1700, Princeton, 1957, p.
86. Dal libro dello Howell (sul quale cfr. la rassegna Ramismo, logica e
retorica nei secoli XVI e XVII, « Riv. critica di st. della filos. », 1957, 3,
pp. 361-63) ho ricavato varie notizie sui testi inglesi di mne- motecnica. 3 Il testo in E. Farat, Les
arts poétiques du XIlIc et du XIII: siècle, pp. 197-262. Cfr. HowELL, op. cit., pp. 75-76. I TEATRI DEL MONDO
85 di valutazioni circa la funzione esercitata dall’ars memoriae all’interno
dell’ars rhetorica, l’importanza attribuita dallo Hawes all’ars reminiscendi in
vista della formazione del poe- ta. La stessa differenza, che è indice del
sorgere di un inte- resse nuovo per le tecniche della memoria, possiamo riscon-
trare confrontando la terza edizione (1527) del Mirrour of the World di William
Caxton sia con le duc precedenti edi- zioni (1481 e 1491) sia con il Livre de
clergie nommé l’ymage
du monde (1245?) del quale l’opera del
Caxton è la più o meno fedele traduzione. In questa terza edizione, accanto una
brevissima trattazione dell’invenzione, della dispositio e dello stile e a più
ampie considerazioni sulla pronuntiatio, trovia- mo una dettagliata esposizione
delle tecniche memorative nella quale
tornano, con molta abbondanza di particolari, temi ben noti: Memory Artyfycyall
is that which men cal Ars memorativa. The crafte of memory by which craft thou mayste wryte a
thynge in thy mynde and set it in thy mynde as eviden- tly as thou mayst rede
and se the worcles which thou wrytest with ynke upon parchement or paper.
Therfore in this arte of memory thou muste have places which shal be to the
lyke as it were perchenent or paper to wryte upon. Also instede of thy lettres
thou must ymagyn Ima- ges to set in the same places... But yf thou canst not have a corporall ymage of the
same thynge as yf thou woldest remembre a thynge whyche is of it selfe non
bodely nor corporall thyng but incorporall, that thou muste yet take an ymagce
therfore that is a corporali thynge...4 L'interesse per questo genere di
discussioni è del resto strettamente collegato alla rinascita, nell'umanesimo
inglese, della grande tradizione della retorica classica, rinascita che appare
per molteplici aspetti legata ai rapidi mutamenti della società inglese,
all’avanzare sulla scena politica e culturale degli uomini di legge, ai
dibattiti sull’efficacia delle prediche religiose, alle controversie
parlamentari. Non a caso nelle 4
W. Caxron, Mirrour of the World, ed. by O. H. Prior, London, 1913. L'edizione del Prior è condotta sulle edizioni del
1481 e 1491 (circa). La trattazione sulla memoria (cit. in Howett, Logic and
Rhe- toric, cit., pp. 88-89) è ricavata dalla terza edizione: The myrrour, dyscrypcion
of the wordle with many marvaylles, London, 1527 (?), D3r-D3v. 86 CLAVIS
UNIVERSALIS scuole e nei colleges l’insegnamento della retorica e del “me- todo
di trasmissione del sapere” occupa, fra la metà del Cin- quecento e la metà del
Seicento, una posizione predominante : un testo fondamentale, la Pleusant and
persuadible art of Rhetorique di Leonard Cox, veniva presentato, nel 1532,‘ come
opera necessaria agli avvocati agli ambasciatori agli in- segnanti e a tutti
coloro che avrebbero dovuto parlare davanti ad un'assemblea. Alla diffusione
nella cultura inglese del- l'ideale del cortegiano e del gentiluomo (esperto
insieme di “cortesia” e di “politica”) corrispose il moltiplicarsi dei ma- nuali
di retorica e l’intensificarsi di una discussione che con- cerneva, insieme
alle “buone maniere”, anche problemi atti- nenti alla “persuasione”, alla
“tolleranza”, alla convivenza civile. Solo tenendo presente questa atmosfera
può del resto risultar chiaro il significato dell’aspra, intensa polemica che si
svolgerà negli ultimi anni del secolo tra i riformatori rami- sti e gli
agguerriti sostenitori della logica scolastica e della retorica ciceroniana. Molti
dei motivi che abbiamo trovato presenti negli scritti dell'’Hawes e del Caxton
erano stati senza dubbio ricavati da fonti classiche, e, sia pure parzialmente,
da fonti medie- vali. Ma non mancò, anche in questo particolare settore della cultura,
un diretto influsso italiano: esso è mostrato non solo dall'influenza
esercitata in Inghilterra dalla Nova RAetorica di Guglielmo Traversagni da
Savona (1479), ma anche dalla pubblicazione, intorno al 1548, di una Art of
memory that otherwise is called the Phoenix. Presentato da Robert Co- pland
come la traduzione di un anonimo scritto francese, questo libretto era in
realtà (come già ha notato lo Howell) la traduzione della ben nota Phoenix di
Pietro da Ravenna: Ravenna (3r-3 v) Et pro fundamento huius primae conclusionis
quatuor regulas po- no. Prima est haec: loca sunt fe- nestrae in parietibus
positae, co- lumnae, anguli et quac his si- milia sunt. Secunda sit regula: loca non
debent esse nimium vi- Copland (B 3r) And for the foundacion of this fyrst
conclusyon I wyll put foure rules. The fyrste is this. The pla- ces are the
wyndowes set in wal- les, pyIlers and anglets, with other lyke. The Il rule is.
The places ought nat to be nere togyther not ° L. Cox, The Arte or Crafte of
Rhetoryke, cd. by F. I. Carpenter, Chicago, 1889. I TEATRI DEL MONDO 87 cina aut nimium distantia.
Tertia to fare a sonder. The HI rule is sit
regula vana ut mihi videtur... suche. But
it is vayne as me se- meth... Dati questi precedenti, appare facilmente
comprensibile come uno dei testi più fortunati e più significativi della cul- tura
del Cinquecento, la Arte of RAetorique di Thomas Wil son (1553), potesse
rifarsi, in modo caratteristico, a fonti ita- liane costruendo un tipo di
esemplificazione che, mentre da un lato ricorda da vicino i testi del
Ravennate, dall’altro sembra anticipare, nell’uso costante di immagini di
perso- naggi mitologici, alcune tipiche costruzioni del Bruno: As for example,
I will make these [places] in my cham- ber. A doore, a window, a presse, a bedstead, and a chim- ney.
Now in the doore, I wil set Cacus the theefe, or some such notable verlet. In
the windowe I will place Venus. In the presse I will put Apitius that famous
Glutton. In the bedstead I will set Richard the third King of En- gland or some
notable murtherer. In the Chimney I will place the blacke Smith, or some other
notable traitour.* Oltre e più che
in Inghilterra, l’arte ciceroniana della memoria trovò, nel corso del secolo
XVI, larga diffusione in Germania. Qui, oltre al consueto inserimento della
tecnica memorativa entro le trattazioni generali dedicate alla retorica, si
ebbe una vera e propria fioritura di testi specifici: nel 1504 esce a
Strasburgo un’Ars memorativa S. Thomae, Ciceronis, Quintiliani, Petri Ravennae
che colloca definitivamente Pie- tro fra i classici dell’arte; nel 1505, a
Colonia, Sibutus pub- blica un’Ars memorativa, del 1510 è il Ludus artificialis
obli-
vionis di Simon Nicolaus aus Weida
pubblicato a Lipsia; a Venezia, dieci anni più tardi, esce un fortunato
libretto, il Congestorium artificiosae memoriae di Johannes Romberch, intieramente
modellato sullo scritto del Ravennate e poi dif- fuso in Italia nella
traduzione di Ludovico Dolce;’ a Stra- © TH. WiLson, The Arte of Rhetorique for the Use of All
Suche are Studious of Eloquence, ed. by G. H. Mair, Oxford, 1909 (cfr. Howett, op.
cit., p _.104). 7 Jo. RomsercH DE Kwrspe, Congestorium artificiosae memoriae...
om- num de memoria pracceptiones aggregatim complectens, Venetiis, in aedibus
Georgii de Rusconibus, 1520 (copia usata: Triv. Mor. L. 561). La Yates, The Ciceronian Art of Memory, in: Medioevo
e Rinasci- 88 CLAVIS UNIVERSALIS sburgo, nel ’25 Fries pubblica un’Ars
memorativa, ancora a Strasburgo nel ’41 e nel ’68 vedono la luce
rispettivamente la Memoria artificialis di Riff e i Praecepta de naturali memo-
ria confirmanda di Mentzinger; infine a Wittenberg, che era stata il centro di
diffusione dell’insegnamento del Ravenna, esce nel "70 (ma con una
prefazione del 1539) il Libellus arti- ficiosae memoriae in usum studiosorum di
Johannes Spanger- bergius, più volte ristampato e incluso nel 1610 nel Gazopli-
lacium dello Schenkel, una raccolta che fece il giro di tutta Europa. L’aspra
polemica di Cornelio Agrippa contro l’uso e l’a- buso delle arti mnemoniche
appare facilmente spiegabile ove si tenga presente questa vera e propria
invasione di testi di mnemotecnica nella vita culturale tedesca del
Cinquecento. Attribuendo a Cicerone a Quintiliano a Seneca al Petrarca e a
Pietro da Ravenna la responsabilità di questa « frenetica mania » Agrippa non
solo si scagliava contro un tipo di inse- gnamento che opprimeva gli scolari ‘n
gymmnastis e contro una tecnica che mirava, anziché alla vera sapienza, alla «
glo- ria puerile dell’ostentazione », ma ripeteva, con vigore parti- colare, il
vecchio argomento di tutti gli avversari della mne- motecnica, lo stesso
argomento contro il quale, cinquant'anni più tardi, il Bruno polemizzerà
aspramente: « La memoria artificiale non è minimamente in grado di persistere
senza la memoria naturale e quest’ultima viene assai di frequente resa ottusa
da immagini mostruose tanto da generare spesso una specie di mania e di
frenesia per la tenacia della memoria; accade invece che l’arte,
sovraccaricando la memoria naturale con innumerevoli immagini di parole e di
cose, conduce alla pazzia coloro che non si accontentano dei confini stabiliti mento,
Studi in onore di B. Nardi, Firenze 1945, assegna erronca- mente la prima
edizione di questo testo al 1533. La traduzione del Dolce è il Dialogo di L.
Dolce nel quale si ragiona del modo di accre- scere ct conservar la memoria, in
Venetia, Giovanbattista Sessa c fra- telli, 1586 (copia usata: Triv. Mor. M.
248). La prima edizione risale al 1562, una seconda è del 1575. Già nel 1592 la
fonte del Dolce era stata individuata: cfr. la Plutosofia di Filippo
Gesualdo... nella quale si spiega l’arte della memoria (p. 11 dell'edizione
vicentina del 1600. Triv. Mor. H. 65). I TEATRI DEL MONDO R9 dalla natura ».8
Era una curiosa posizione, questa di Agrippa, dato che questa contrapposizione
dei diritti della natura alle empie pretese dell’arte proveniva da uno dei più
ferventi e appassionati sostenitori dell’arte lulliana, da un uomo che aveva
dedicato non poche delle suc energie ad un « perfezio- namento » della
complicata impalcatura dell’ars magna. Il testo di Agrippa è del 1530. Due anni
dopo, nei suoi Rhetorices elementa il maggior teorico della logica ec della retorica
della Riforma, Melantone, assumeva nei confronti dell’ars memoriae una
posizione non dissimile. Pur senza l’asprezza polemica di Agrippa, Melantone
denunciava la sostanziale sterilità di ogni tecnica intesa al perfezionamento della
memoria naturale: « Le cose che sono state scoperte cd ordinatamente disposte
vanno infine espresse mediante le pa- role. In queste tre parti si esaurisce
tutta l’arte. Sulle altre due parti non offriamo precetti giacché la memoria
può ve- nire assai poco aiutata mediante l’arte ».° Insistendo tuttavia da un
lato sulla strettissima connes- sione fra la cogitatio e la dispositio e
dall’altro sulla funzione della topica in vista di un ordinamento dei concetti
origina- riamente sparsi 12 magno acervo, Melantone veniva però a richiamarsi
esplicitamente proprio a quella duplice tesi del- l'ordine e della limitazione
sulla quale si era fondata la dot- trina dei luoghi e, di conseguenza, l’intera
tecnica mnemo- nica. In realtà fra la topica intesa come mezzo di ordinamento dei
concetti e la dottrina dell’arte della memoria sussiste, come dovrà notare
acutamente Bacone, un rapporto assai stretto.!° Ma di questo più avanti. Ciò
che qui va posto in rilievo è invece lo scarso effetto esercitato sugli
ambienti tede- schi da prese di posizione del tipo di quelle. di Agrippa e di 8
H. C. Agrippa, De vanitate scientiarum, cap. X, De arte memorativa, in: Opera,
Lugduni, 1600, II, p. 32 (copia usata: Triv. Mor. K. 403). Agrippa attribuisce
ancora a Cicerone la R/etorica ad Herennium. ° Rhetorices Elementa, autore
Philippo Melanchtone, Venetiis, per Melchiorem Sessam, 1534, p. 4v-5 (copia
usata: Ambros. Sxu v. 96). 10 Rhetorices Elementa cit., p. 8. Un caratteristico
esempio della con- nessione rilevata nel testo è l' Opusculum de amplificatione
oratoria
seu locorum usu, per Adrianum Barlandum
in inclito Lovaniensiun gymnasio publicum Rhetoricae professorem, Lovanii,
Servatus Zaffe- nus Diestensis, 1536 (copia usata: Braid. B. XIII. 5.512). 90
CLAVIS UNIVERSALIS Melantone: non solo continueranno a diffondersi in Germa- nia
i trattati dedicati alla mnemotecnica ciceroniana, ma, dopo la confluenza della
tradizione “classica” in quella del lullismo, questo tipo di produzione
acquisterà nuovo vigore giungendo, nel corso del Seicento, ad investire alcune
delle maggiori personalità della cultura tedesca. 3. SPANGERBERGIUS. Il
Libellus artificiosae memoriae in usum studiosorum col- lectus di Johannes
Spangerbergius, pubblicato a Wittenberg nel 1570,'! può essere preso ad esempio
della vivacità con la quale si presenta, negli ambienti culturali tedeschi del
tardo Cinquecento, la tematica attinente all'arte memorativa. L’au- tore di
questo libretto (che è forse la più limpida esposi- zione cinquecentesca
dell’ars reminiscend:) non ha pretese di originalità: « hanc artificialis
memoriae lucubratiunculam ex probatis autoribus utcunque decerpsi et in hanc
Epitomem collegi ». Presentando l’arte in forma catechistica egli si preoc- cupa
di due cose: rendere l’arte chiara e rapidamente acqui- sibile, presentare una
trattazione completa che tenga conto, oltre che delle fonti classiche, anche
delle opere più recenti sia retoriche sia mediche. Su alcune delle definizioni
e delle regole dello Spangerbergius vale la pena di soffermarsi anche perché
esse possono fornirci, in qualche modo, la chiave necessaria ad intendere molte
delle posizioni presenti negli scritti del Bruno. Accanto ai leggendari “eroi”
della memo- ria (Simonide e Temistocle, Crasso e Ciro, Cinea e Carneade) l’autore
ricorda Cicerone, Quintiliano, Seneca e si richiama
anche a Pietro da Ravenna che cita
ripetutamente avvicinando il suo nome, in modo significativo, a quello del
Cusano: « Nostro saeculo consumatissimus fuit in hac arte clarissimus 11
Artificiosae memoriac libellus in usum studiorum collectus, autore Joanne
Spangerbergio Herdesiano apud Northusos verbi ministro, Wi- tebergae, apud
Petrum Seitz, 1570. Mi servo della copia dell’Angelica (YY. 3.28) a pagine non
numerate. Con il titolo Erosemata de arte memoriae seu reniniscentiae il testo
fu ristampato (con la indicazione Authore Ioh. Sp. Herd.) nel Gazophylacium
artis memoriae... per Lambertum Schenckelium Dusilivium, Argentorati,
excudebat Anto- nius Bertramus, 1610,
alle pp. 339-378 (copia usata: Angelica. SS. 1. 24). I TEATRI DEL MONDO GI vir Petrus Ravennatus
utriusque iuris doctor, deinde Ioannes Cusanus
et alii ». Il “lullista” Cusano diventava, non a caso, uno dei mae-
stri dell’arte mnemonica: l’idea che le
finalità ultime del- l’ars Raimundi coincidessero, in ultima analisi, con
quelle proprie dell’ars memoriae era, come vedremo, destinata a raf- forzarsi
fino a condurre a quella particolare valutazione della combinatoria lulliana
che sarà tipica degli scrittori del Sei- cento e giungerà inalterata alla
Historia critica philosophiae del Brucker. Dopo aver definito la memoria come
comprehensio earum quae praeterierunt, come retentio e conservatio ed aver di- stinto
fra memoria naturale e artificiale, lo Spangerbergius prende immediatamente
posizione contro l’accusa di una insufficienza dell’arte di fronte alla
perfezione o imperfezione naturale: in primo luogo egli nega la perfezione
della me- moria naturale, in secondo luogo pone in rapporto la perfet- tibilità
di questa mediante l’arte, con la maggiore o minore perfezione delle doti
native: « Quanto naturalis memoria est hebetior, tanto ad artificiosam est
imbecillior; contra quanto na- turalis est vegetior, tanto ad artificiosam
expeditior ». La memo- ria artificiale è definita una « dispositio imaginaria
rerum sen- sibilium in mente, super quas memoria naturalis reflexa com- movetur
et adiuvetur, ut prius apprehensa facilius et diutius valeat recordari ». Essa
è utile sia all’apprendimento delle scienze, sia a quella transitoria
ritenzione degli argomenti che
è necessaria al poeta, all'insegnante,
all’oratore, all’avvocato. Accanto alla normale dimenticanza «delle specie
delle cose passate » (per corruptionem), lo Spangerberg distingue duc tipi di
amnesia “patologica”: l’uno derivante dal sopravvento delle passioni delle
malattie della vecchiezza (per diminutio- nem), l’altro dipendente dalla
ablezio o da una lesione agli organi cerebrali. Mentre per ovviare alla
corruptio è oltremodo utile l’uso dei luoghi e delle immagini, di fronte alla
dimi- nutio e alla ablatio i precetti della retorica devono lasciare il posto a
quelli della medicina. Sulle tracce della Réetorica ad Herennium e della
Phoenix del Ravennate, la dottrina dei luoghi e delle immagini viene svolta
secondo i canoni tradi- zionali: accanto a una distinzione dei luoghi in tre
tipi fondamentali, l’autore enumera dieci « regole » sulle caratte- 92 CLAVIS
UNIVERSALIS ristiche dei medesimi, tratte, in sostanza, dallo scritto del Ra- venna.
Agli stessi testi si rifà la teoria delle immagini: di nuovo c’è solo la
distinzione fra imagines rerum e imagines vocum. Dalla parte «teorica » della
mnemotecnica lo Span- gerberg distingue, come farà più tardi il Bruno, una
parte pratica (praxis memoriae) nella quale le regole della sezione teorica
vengono applicate, attraverso la costruzione di una serie di esempi o modelli,
a casi specifici. Soprattutto preoc-
cupato della creazione delle immagini, lo
Spangerbergius co- struisce, seguendo un metodo rigorosamente dicotomico, la seguente
tabella di tutti i possibili tipi di dictiones: Omnis dictio aut cst ‘ignota
aut nota aut est res inwvisibilis aut visibilis vel est accidens vel substantia
vel est imanimiata vel animata est nomen commune vel propriun Il primo dei sei
casi è quello della dictito ignota: al posto della diczio della quale si ignora
il significato si può collocare, facendo ricorso alla vocalis similitudo, una
dictio nota signift- cante una cosa visibile e « similis in voce huic pro qua
poni- tur » (come quando, per figmentum, si fa ricorso ad una « palam
instrumentum » al posto della « praepositio palam »), oppure si può procedere,
nei casi nei quali sia assente la pos: sibilità di una similitudine vocale o di
suono, per inscriptio- nem, ponendo cioè un’immagine in precedenza fissata al
po- sto di ciascuna delle lettere che costituiscono il termine. Il secondo caso
è quello della dictio nota rei invisibilis (per es. il termine «giustizia »);
oltre che del fiementum ce della ins- criptio è qui possibile servirsi della
comparatio e della simi- litudo facendo leva su quelle che in linguaggio
moderno sono le leggi dell’associazione (« nigrum nos ducit in cognitionem albi
»; «calamus ducit nos in memoriam scriptoris » ecc.). Il terzo caso è quello
della dictio nota di una res visibilis che sia un accidens: qui sì ricorre al
subiectum principale (« ut albedo per nivem » ecc.). Il quarto caso è quello
della dictio nota di una res visibilis che sia substantia inanimata: essa è I
TEATRI DEL MONDO 93 esprimibile attraverso l’immagine di una persona « agens
cum tali re ». Il quinto caso è la dictio nota di una res visibilis che sia
substantia animata espressa da un nome comune: l’imma- gine è costruita,
secondo i canoni “ciceroniani”, col riferi- mento ad una « persona nota ».
Infine il sesto caso è quello della dictio nota di una res visibilis che sia
substantia animata espressa da un nome proprio: attingendo alla iconologia si
dà qui luogo all'immagine di un uomo in particolari abiti e particolari
positure (con le chiavi: nel caso di Pietro, con una spada in mano: nel caso di
Paolo ecc.). La classificazione così costruita dallo Spangerbergius è in realtà
molto più complicata di quanto non risulti da questo già troppo complicato
sommario: in primo luogo vengono accuratamente distinti i vari tipi di
simulitudo e di figmen- tum,!* in secondo luogo il reale esercizio della praxis
mnemo- nica si trova di fronte a casi più complicati di quelli contem- plati,
che risultano dall’intreccio di vari tipi di dictio, in una stessa proposizione
o discorso. Ma è alla vivacità delle im- magini che conviene, dopo tanti
schemi, fare riferimento per- ché risulti ancora una volta confermato quel
rapporto, sul quale già ho avuto occasione di insistere, fra la pratica del- l’ars
memorativa e la “visione”, fra la dottrina dei luoghi e delle immagini e quelle
iconologie, quei simboli, quegli em- blemi dei quali tanto si diletterà Bruno
e, con lui, la cultura di un secolo intero: «Ut si velis habere memoriam horum nominum:
Petrus, flagellum, canis, sus, aqua, vermes, arena; fac talem colligantiam et
imaginationem ut Petrus flagello canem percutiat. Canis vero, verbere commotus,
suem mor- 12 Fra i vari tipi di similitudo vengono elencati: « effictio
corporum : ut cum senem facimus tremulum, incurvum, labiis demissis, canum; notatio
adfectum: ut cum dicimus lupum voracem, lepores timidos, sic laeta iuventus,
tristis senectus, prodiga adolescentia; etynrologia : ut Philippus amator
equorum; onomatopera: quando sumitur cogni- tio verbi a sono vocis ut hinnitus
equi, rugitus leonum, bombitus apum; rerum effectus: cum cuilibet mensi officia
sua assignamus ». Molti degli esempi addotti appaiono ricavati, direttamente o
indirettamente, da un testo di Iacobo Publicio, Oratoriae artis epitoma, sive
quae ad consumatum spectant oratoren, Venetiis, 1482, D4r-D4v. (Ho visto l'Inc.
697 dell’Angelica; un altro esemplare alla Naz. di Roma, Inc. 70. A. 48). 94 CLAVIS UNIVERSALIS deat. Sus vero, evadere
cupiens, vas aquae evertat, in cuius fundo sint vermes procreati qui tegantur
arena ». Forse anche di qualche testo di questo tipo converrebbe tener conto
quando si parla, a proposito della cultura del tardo Cinquecento, di «
barocchismo delle immagini ». 4. LA MEDICINA MNEMONICA DI G. GRATAROLO. Ad una
atmosfera ben diversa, permeata di aristotelismo, di magia e di medicina
occulta, ci riportano le pagine sulla
memoria del medico e studioso bergamasco
Guglielmo Grata- rolo sul quale, in anni recenti, hanno richiamato l’attenzione
da punti di vista differenti il Church e il Thorndike.!* Rifu- giatosi a
Basilea dopo la sua conversione al protestantesimo, il Gratarolo pubblicava a
Zurigo nel 1553 e poi a Basilea nel 1554 (dedicandoli a Massimiliano) i suoi
Opuscula !* che con- tenevano, accanto a un trattato di fisiognomica e ad una
dis- sertazione sui prognostica tempestatum, un manuale di ars memoriae.
Tradotto in francese nel ’55 e in inglese nel ’63, ristampato nel °58 e
inserito nel 1603 nelle Introductiones 13 Sul Gratarolo cfr., oltre al
TirasoscHI, op. ciz., VII, pp. 615 -16, it CHurcH, Riformatori italiani, tw.
it., Firenze, 1935, I, 326 ss.; II, 83 ss, 103 ss, 216 ss. c L. THORNDIKE, op.
cit., V, pp. 600-616. Varie indi- cazioni di scritti anche nella « scheda » di
E. G. [E. Garin], « Giornale
crit. della filos. ital. », IV (1957),
pp. 353-54. Sulla posizione
del Gra- tarolo si veda il giudizio del THORNDIKE, op. cif., p. 600: « No man in
the sixteentàh century did more to circulate and to perpetuate a va- ried
selection of curious works, past and present, in the fields of me- dicine,
natural sciences and occult science than did G. Gratarolo... the physician of
Bergamo who turned Protestant and settled at Basel ». 14 Uso l'edizione del 1554; Guglielmi Grataroli
Bergomatis, artium et medicinae doctoris Opuscula, videlicet: De memoria
reparanda, augen- da confirmandaque ac de reminiscentia: tutiora omnimoda
remedia, praeceptiones optimae; De praedictione morum naturarumque homi- num
cum ex inspectione partium corporis tum alis modis. De tempo- rum omnimoda
mutatione, perpetua et certissima signa ct pronostica, Basileae, apud Nicolaum
Episcopium iuniorem, 1554 (Triv. Mor. L. 244 e Braid. 13. 52. B. 16). Sulla
edizione dell'anno precedente cfr. p. 3: «Superiori anno... citius quam
voluissem emisi in lucem ami- corum ac typographi coactus instantia ». In una
terza edizione: Lug- duni, apud Gabrielem Coterium, 1558 (che ho visto in Triv.
Mor. N. 4) è aggiunto ai precedenti l'opuscolo De literatorum conservanda valetudine
liber. I TEATRI DEL MONDO 93 apotelesmaticae di Johannes ab Indagine," il
libretto del Gra- tarolo avrà vasta fortuna e diffusione europea inserendosi in
quella trattatistica di medicina mnemonica che si rifaceva ai testi di Avicenna
e di Averroè. Pur interessato vivamente alla pubblicazione di testi magici ed
alchimistici (il Gratarolo si fece editore di testi pseudo-lulliani, di Arnaldo
da Villanova, di Giovanni Rupescissa) il nostro medico evita nella sua trat- tazione
ogni riferimento all’ars motoria e si richiama, al solito, da un lato ad
Alberto Magno ed Averroè, dall’altro alla RAe- torica ad Herennium. In realtà —
cosa che il Thorndike non ha notato !* — Gratarolo sfrutta molto ampiamente un
trat- tato italiano che risale al 1481: il De omnibus ingentis augen- dae
memoriae di Giovanni Michele Alberto da Carrara.” I venti precetti generali
dell’arte presenti nel sesto capitolo del- l'opuscolo del Gratarolo
(pAslosophica consilia, canones, et reminiscentiae praecepta) e quasi tutto il
settimo capitolo a paiono infatti ricavati, con leggere differenze di stile,
dall’o- pera del Carrara alla quale già abbiamo avuto occasione di riferirci.
Si veda, a titolo di esempio, la definizione dei quattro « moti » che
costituiscono la memoria e il comune richiamo a Cicerone e a Tommaso: Carrara
(fol. 70r, 73r) Ad memorandum quatuor mo- tus concurrunt: Motus. spiritus qui a
cogitativa ad memorati- GrataroLo (pp. 44, 59) Ad memorandum quatuor mo- tus
concurrunt: primus est mo- tus spirituum qui a cogitativa vam figuras
transportat. Pictu- ra fixioque figurarum
in ipsa cies ad memorativam figuras aut spe- transportant. Secundus
est 15 Discours notable des moyens pour conserver et augumenter la mé- moire
avec un traité de la physionomie, traduit du latin par E. Copé, Lyon, 1555
(questo, e un diverso titolo della stessa trad., in THORNDIKE, op. cit., p.
607); The Castel of Memorie, Englished by W. Fullwood, London, 1563 che ebbe
una seconda ediz. nel 1563 e una terza dieci anni dopo. Nelle Introductiones,
ed. 1603, il testo del Gratarolo: pp. 179 - 215. 16 Il libro del Dolce e quello
del Romberch vengono semplicemente citati dal Thorndike (op. cit., p. 607)
accanto a quello del Gratarolo come «other works on this subject ». Della
produzione di mnemo- tecnica — per tanti aspetti legati alla magia — il
Thorndike in realtà non si occupa. 1? Uso l’inc. contenuto nel Cod. lat. 274
della Marciana (classe VI): il testo del Carrara occupa i ff. 69-82r. (Bononiae
per Platonem de Benedictis, 1491). 96 CLAVIS UNIVERSALIS memorativa. Reportatio
carum a spiritibus a memorativa ad co- gitativam. Actio quac €a cogi- tativa
recognoscit, quae proprie est memorari... Artificiosa memo- ria ut Cicero dicit
secundo ad Herennium ex locis veluti ex cera at tabella, et imaginibus veluti
figuris literarum constat. Sic enim
fieri poterit, ut quae accipimus quasi legentes redda- mus. Cicero centum eos
satis esse pictura fixioque figurarum in ip- sa memoria. Tertius est repor- tatio a spiritibus a memora- tiva ad
cogitativam seu ratio- cinativam. Quartus est illa actio qua cogitativa
recognoscit, quac proprie est memorari... Artificio- sa memoria, ut inquit
Cicero se- cundo ad Herrennium ex locis veluti ex cera et tabella et ima- ginibus
veluti figuris literarum constat. Sic enim fieri solet, ut iudicavit, beatus Thomas
plures. quae accepimus quasi legentes habendo consuluit. reddamus... Cicero
centum eos satis esse iudicavit. Beatus Tho- mas plures habendo consuluit. Gli stessi riferimenti ai testi di Alberto e di
Averroè per- dono, sc si tiene presente l’esistenza di questa fonte, molto del
loro significato. Di originale, rispetto al trattatello del Car- rara, restano,
oltre a un fugace accenno all’anatomia del Ve- salio,"* le numerose e
curiose ricette per il rafforzamento della memoria (« Saepe lavare pedes in
acqua calida in qua bullie- rint melissophillon, folia lauri, chamaemelon et
similia, me- moriae capiti oculisque valde confert »). Quella del saccheg- io
dei testi era del resto un'attività largamente diffusa fra i trattatisti della
memoria locale. Nel 1562 (e poi ancora nell’ °86) fu pubblicato a Venezia il
Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere et conservar la memoria di
Ludovico Dol- ce, uno dei più fecondi e superficiali poligrafi del Cinque- cento,
che era in realtà, nonostante la pomposa presentazione del Dolce, solo un
volgarizzamento dell’opera del Romberch sulla stesso argomento. 5. IL LULLISMO
E LA CABALA NEI « TEATRI DEL MONDO ». Nulla in Italia, sino al Bruno, che
corrisponda alla nuova impostazione che Pietro Ramo aveva dato in Francia al
pro- blema della memoria e tuttavia, valutando quella confusa e 18 Grataroto,
Opuscula, cit., (1558), p. 2: « Sedem vero habet memo- ria in occipitio in
tertio vocato ventriculo quem et pupim vocant. Lon- gum esset ac pene
superfluum hic (ubi studeo brevitati) cerebri totius anatomen describere, quam
in multorum libris videre licet, praesertim doctissimi pariter et
diligentissimi Andreac Vesalii ». I TEATRI DEL MONDO 97 macchinosa costruzione
che fu l’Idea del Theatro di Giulio Camillo detto il Delminio (1556),'*
converrà tener presente il giudizio entusiastico che, di quest'opera, detta un
uomo come il Patrizzi che, appunto nel Theatro, vedeva realizzato il ten- tativo
di un «allargamento » della retorica e di una sua « estensione » verso la
logica e l’ontologia: « non capendo per la grandezza sua negli strettissimi
termini de’ precetti dei mae- stri di retorica, uscendone l’allargò in guisa
che la distese per tutti gli amplissimi luoghi del Theatro di tutto il mondo ».
Intrecciandosi strettamente ai temi più caratteristici dell’er- metismo, del
neoplatonismo e della cabala, la retorica diven- tava qui veramente, come è
stato scritto, « il tentativo di far corrispondere le articolazioni oratorie
del discorso alle strut- ture fondamentali dell’essere ». Senza dubbio, se
confrontata con i grandi testi della retorica del Quattrocento e del Cinque- cento,
la fumosa costruzione del Camillo non può non appa- rire se non come «la
parodia di quanto i teorici rinascimen- tali avevano rigorosamente tentato ».?°
E tuttavia se le pole- 19 L'idea del teatro dell'eccellent. M. Giulio Camillo,
in Fiorenza, 1550 (copia usata: Ambros. Sir. IV. 36). Cfr. anche Opere,
Venezia, A. Griffo, 1584 (Braid. 25. 15. A. 6). Sul Camillo cfr. TiraBoscHI,
Storia della letteratura italiana, Modena, 1792, VII, 4, pp. 1520-1532; B. Croce,
Poeti e scrittori del pieno e del tardo Rinascimento, II, Bari, 1952, pp. III
-120; F. Secret, Le Théatre du monde de Giulio Camillo Delminio et son
influence, in « Rivista critica di storia della filosofia », 1959, pp. 418-436.
Sul significato dell’ « oratoria planetaria » e sui rapporti di questa da un
lato con la magia ficiniana e dall'altro con la teoria ficiniana della musica
cfr. il capitolo Fabio Paolini and the Accademia degli Uranici nel vol. di P.
D. Wacker, Spiritual and De- monic Magic, cit., pp. 126 ss. In particolare sul
Camillo, pp. 147 - 48. 20 Questa, come la citazione precedente, da E. Garin,
Alcuni aspetti delle retoriche rinascimentali, nel vol. Testi umanistici sulla
retorica, Roma & Milano, 1953, pp. 32, 36. Sul carattere « mondano» della dialettica
umanistica che si contrappone alle mistiche cusaniane e fici- niane ha scritto
di recente E. Garin, La dialettica dal secolo XII ai princìpi dell'età moderna,
« Rivista di filosofia » 2 (1958), pp. 228 - 253: «L'umanesimo opera... nel
senso di una smobilitazione di tutti quei simboli che tendevano a proiettare i
termini di un'esperienza terrena e storica sui piani del divino e dell’eterno »
(pp. 252-53). Nei testi di Camillo, di Rosselli e di Bruno si assiste, per
quanto attiene alla mne- motecnica e al lullismo, ad una delle « proiezioni »
alle quali fa rife-
rimento il saggio di Garin. Non a caso
Bacone e Cartesio, nella loro utilizzazione dell'arte della memoria, saranno
ben lontani da questi atteggiamenti e si muoveranno sulla strada di una
trasformazione della 98 CLAVIS UNIVERSALIS miche appassionate suscitate dalla
comparsa di questa così poco rigorosa « parodia » e gli interessi di Francesco
I e gli entu- siasmi del Patrizzi e di Bartolomeo Ricci per la macchina del Camillo
possono essere facilmente ricondotti sul piano della “moda”, non è possibile
risolvere integralmente la fortuna del Delminio sul piano di una storia del
costume.*! L’idea stessa di un teatro « nel quale per lochi et immagini dovevan
essere disposti tutti quei luoghi che possono bastare a tenere a mente et
ministrar tutti gli humani concetti, tutte le cose che sono in tutto il mondo
»,°* mentre ci riporta senz'altro ad una tematica assai vicina a quella
dell’ars reminiscendi, ci mostra anche come, proprio attraverso l’equivoca e
torbida adesione del Camillo agli insegnamenti della cabala, la stessa ars
reminiscendi finisca qui per connettersi ad un duplice progetto che sarà,
soprattutto nel secolo successivo, ricco di impensati sviluppi: quello di una
“macchina universale” o “chiave” della realtà e l’altro, con il primo in
stretto rapporto, di una collocazione organicamente e ordinatamente disposta di
tutte le umane nozioni e di tutti i fenomeni della natura. Mentre l’uso
costante delle immagini veniva posto da Ca- millo in relazione con l’antico
tema, presente in tutta la tra- dizione magico-alchimistica da Zosima ad
Agrippa, di un sapere segreto °° («et noi nelle cose nostre ci serviamo delle dottrina
degli aiuti della memoria in uno degli strumenti della meto- dologia del sapere
scientifico. Ed è da sottolineare energicamente il fatto che, in questo loro
tentativo, essi si richiameranno a quell’inse- rimento della menzoria nella
logica o dialettica che era stato effettuato, nel corso del secolo XVI, dal più
noto e discusso rappresentante della dialettica umanistica: Pietro Ramo. 2! E'
da vedere la descrizione dell’opera del Camillo in una lettera scritta da
Padova il 28 marzo 1532 da Viglius Zuichemus a Erasmo (Cfr. ALLEN, Opus
epistolartm D. Erasmi, IX, p. 475; X, pp. 28, 54, 96, 124). Una lettera
dell'Alciati del 5 settembre 1530 dì inoltre noti- zie sulla fortuna del
Camillo alla corte di Francia (G. Liruti, Notizie, Udine, 1780, III, pp.
69-134). 22 Cfr. Opere, cit., II, p. 212 e J. SturMius, Lidellus de lingua
latina resolvenda ratione, ediz. Jena, 1904, p. 5. 23 L'idea del teatro, cit.,
p. 7: «I più antichi e più savi scrittori hanno sempre havuto in costume di
raccomandare a’ loro scritti i secreti di Dio sotto scuri velami accioché non
siano intesi se non da coloro i quali (come dice Christo) hanno orecchie da
udire, cioè che da Dio sono eletti ad intendere i suoi santissimi misteri. E
Melisso I TEATRI DEL MONDO 99 immagini come di significatrici di quelle cose
che non si deb- bono profanare »), la trattazione della memoria si collegava strettamente,
attraverso la cabala, al progetto del raggiungi- mento di una « vera sapienza
». Fare della retorica lo « spec- chio del mondo » voleva dire, in realtà,
muovere verso una radicale distruzione dell’arte memorativa e della stessa
reto- rica. Al posto di una riflessione sui discorsi umani, subentrava l'atteggiamento
del profeta e del mago: «Salomone al nono de Proverbi dice la sapienza haversi edificato
casa et haverla fondata sopra sette colonne. Queste colonne significanti
stabilissime eternità habbiamo da intender che siano le sette saphirot del
sopraceleste mondo, che sono le sette misure della fabbrica del celeste e
dell’inferiore... nelle quali sono comprese le idee di tutte le cose del
celeste a all’infe- riore appartenenti... L’alta adunque fatica nostra è stata
di trovare ordine in queste sette misure, capace bastante distinto et che tenga
sempre il senso svegliato e la memoria percossa et fa non solamente ufficio di
conservarci le affidate cose parole et arti... ma ci dà ancora la vera sapienza
nei fonti della quale veniamo in cognitione delle cose dalle cagioni et non
dagli effetti ».?! L’idea, che fu cara al Camillo, di sostituire ai
tradizionali luoghi della mnemotecnica ciceroniana «luoghi eterni» atti ad
esprimere « gli eterni di tutte le cose » conduceva alla co- struzione di un
sistema mnemonico su basi astrologico-caba- listiche. Il grande anfiteatro
dalle sette porte non si presentava dice che gli occhi delle anime volgari non
possono sofferire i raggi della divinità. Et ciò si conferma con lo esempio di
Mosè, il quale scendendo dal monte... non poteva esser guardato dal popolo se
egli il viso col velo non si nascondeva. Et gli Apostoli anchora veduto Christo
trasfigurato... non sufficienti a riguardarlo per la debolezza cad- devano... A
questo abbiamo da aggiunger che Mercurio Trismegisto dice che il parlar
religioso e pien di Dio viene ad esser violato quando gli sopraviene
moltitudine volgare... I segreti rivelando doppio error si viene a commettere:
et ciò è di scoprirgli a persone non degne ct di trattargli con questa nostra
bassa lingua, essendo quello il suggetto delle lingue de gli angeli... Et noi
nelle cose nostre ci serviamo delle ima- gini, come di significatrici di quelle
cose che non si debbon profanare... Né tacerò io che i Cabalisti tengono che
Maria sorella di Mosè fosse dalla lebbra oppressa per haver revelato le cose
segrete della divinità ». 24 L'idea del tcatro, cit., pp. 9, II. 100 CLAVIS
UNIVERSALIS come uno schema vuoto del quale servirsi per ordinare, ai fini dell’orazione,
tutti gli elementi della realtà. La ricerca dei caratteri planetari e delle «
sette misure della fabbrica del celeste e dell’inferiore nelle quali sono
comprese l’Idee di tutte le cose al celeste e all’inferiore apposte »
trasformava un trattato di arte della memoria in una costruzione di tipo co- smologico-metafisico.
Gli interessi per la tematica dell’astro- logia, le suggestioni dell’ermetismo
e della cabala finivano per far passare in secondo piano, come avverrà poi in
Bruno, ogni finalità meramente « retorica » : «Or se gli antichi Oratori
volendo collocar di giorno in giorno le parti delle orationi che havevano a
recitare, le affi- davano a luoghi caduchi, come cose caduche, ragione è che volendo
noi raccomandare eternamente gli eterni di tutte le cose... troviamo a loro
luoghi eterni. L'alta dunque fatica no- stra è stata di trovar ordine in queste
sette misure... Ma con- siderando che se volessimo metter altrui davante queste
altis- sime misure et si lontane dalla nostra cognitione, che sola- mente da’
propheti sono state anchor nascostamente tocche, questo sarebbe un metter mano
a cosa troppo malagevole, pertanto in loco di quelle prenderemo i sette
pianeti... ma solamente le useremo, che non ce le propognano come termini fuor
de’ quali non habbiano ad uscire, ma come quelli che alla mente de’ savi sempre
rappresentino le sette sopra celesti misure ». A questi accostamenti di temi
retorici a temi cosmologici, a questa trasformazione dei “luoghi” della memoria
artificiale nei “luoghi eterni” della sapienza ermetica, non erano state certo
estranee le suggestioni esercitate, sul pensiero del Ca- millo, dai testi del
lullismo e dal fiorire della cabala cristiana. Per quanto concerne il lullismo
abbiamo una precisa testimo: nianza degli interessi del Camillo per
l’arte,?" e non è un caso che Jacques Gohory, nel De usu et mystertis
notarum, avvici- nasse il nome del Delmino a quelli dei maggiori commenta- tori
e seguaci di Lullo. D'altro lato, quando Camillo aveva pubblicato, nel 1550, la
sua /dea del Theatro, erano già ap- 2 G. RusceLLI, Trattato del modo di
comporre versi in lingua italiana, Venezia, 1594, p. 14: «Giulio Camillo...
m'affermava d’haver fatto lunghissimo studio sopra di quest'arte di Raimondo ».
I TEATRI DEL MONDO 101 parsi e si erano rapidamente diffusi in tutta Europa i
testi fondamentali della cabala cristiana: l’ Epistola de secretis di Paulus de
Heredia (1486 circa), le Conclustones e l’Heptaplus del Pico, il De verbo
mirifico e il De arte cabalistica di Reu- chlin (1494-1517), il De arcanis
catholicae veritatis del Gala- tin (1518), lo Psalterium del Giustiniani
(1516), le opere di Paolo Ricci (1507-1515), il De Harmonia mundi di Francesco Giorgio
Veneto (1525), le opere di Agrippa (1532). La combinatoria lulliana e la grande
costruzione cosmolo- gica della cabala si incontrarono, nel corso del
Cinquecento, sul comune terreno del simbolismo, dell’allegorismo, dell’esem- plarismo
mistico. In un passo famoso già Pico aveva avvicinato l’ars combinatoria a
quella parte più elevata della magia natu- rale che si occupa degli esseri
superiori esistenti nel mondo sopraceleste: l’a/phabetaria revolutto iniziata
da Lullo gli cera apparsa strettamente connessa a quella mistica delle lettere
e dei nomi che è parte integrante della costruzione cabalistica.** 26 « Haec
est prima et vera cabala de qua credo me primum apud latinos explicitam fecisse
mentionem... quia iste modum tradendi per succes- sionem qui dicitur
cabalisticus videtur convenire unicuique rei secrete et mystice, hinc est quod
usurparunt hebrei ut unamquamque scien- tiam quae apud cos habeatur pro secreta
et abscondita cabalam vocent ct unumquodque scibile quod per viam occultam
alicunde habeatur dicatur haberi per viam cabalae. In universali autem duas
scientias hoc etiam nomine honorificarunt: unam quae dicitur... ars combinandi et
est modus quidam procedendi in scientis et est simile quid sicut apud nostros
dicitur ars Raymundi licet forte diverso modo procedat. Aliam quae est de
virtutibus rerum superiorum quae sunt supra lunam et est pars magiae naturalis
suprema ». (Apologia tredecim quaestionum, quaestio V: De magia naturali et
cabala hebreorum). Sulla funzione delle lettere e dei nomi nella cabala,
sull'allegorismo e l'esemplarismo mistico cfr. il cap. VI del volume G. G.
ScHorem, Les grands courants de la mystique quive, Parigi, 1950. Ma cfr. anche
Zu Geschichte der Anfinge der Christlichen Kabbala, in Essays presented to Leo
Baeck, London, 1954. Importante documento dell’incontro fra Cabala rina- scimentale
e lullismo è l’opera De auditu kabalistico sive ad omnes scienttas
introductorium le cui prime edizioni apparvero a Venezia nel 1518 e nel 1533.
Lo scritto venne concordemente attribuito a Lullo e come tale inserito
nell'edizione di Strasburgo del 1617 (cfr. ZetzxER, pp. 43.111). Sul cabalismo
e il lullismo del Pico cfr. M. MEexENDEZ Pelayo, Historia de los Heterodoxos
Espafioles, Madrid, 1880, vol I, pp. 464 e 525 e, soprattutto, E. Garin,
Giovanni Pico della Mirandola, vita e dottrina, Firenze, 1937, pp. 90-105;
146-154 c F. Secret, Pico 102 CLAVIS UNIVERSALIS Questa tesi pichiana verrà
ripresa, nel corso del Cinquecento, da non pochi fra i seguaci della cabala
cristiana: già sul ca- dere del Cinquecento il termine cabala veniva impiegato
a indicare l’arte di Lullo. L’avvicinamento non era solo esteriore e non
dipendeva solo dall’equivocità del termine cabala con il quale — come ha ben
chiarito Frangois Secret — si intesero nei secoli del Rinascimento cose assai
diverse: molti (soprat- tutto fra gli esponenti dei maggiori ordini religiosi)
si volsero alla cabala come ad una tradizione religiosa alla quale si pote- vano
attingere motivi apologetici," ma è certo che le lettere c le immagini, le
figure e le combinazioni delle figure riman- davano — nella cabala come nel
lullismo — a quel segreto libro dell’universo che il sapiente ha il compito di
leggere e di interpretare al di là della parvenza dei simboli. Nell’Encyclopaediae
seu orbis disciplinarum epistemon, Paolo Scaligero riprendeva, nel 1559, il
progetto di Pico.” Nelle sue 1553 « conclusiones divinae, angelicae,
philosophicae, metaphysicae, physicae, morales, rationales, doctrinales, secre-
tac, infernales » egli presentava l’immagine unitaria di un uni- della
Mirandola e gli inizi della Cabala cristiana, in « Convivium », 1957, |. Alcune
osservazioni anche in G. Sarton, Introduction to the History of Science,
Baltimora, 1931, II, pp. 901-2. Del tutto insuffi- ciente: ]. L. Brau, The Christian
Interpretation of the Cabala in the Renaissance, New York, 1944. 27 Oltre al saggio su Pico citato nella nota
precedente sono da vedere, per questi problemi, gli importanti studi di F.
Secret, L'astrologie et les Kabbalistes chrétiens à la Renaissance, in « La
Tour Saint-Jacques », 1956; Les débuts du Kabbalisme chrétien en Espagne et son
histoire à la Renaissance, in « Sefarad », 1957, pp. 36-48; Les domenicains et
la Kabbale chrétienne è la Renaissance, in « Archivum Fr. Praedicato- rum »,
1957; Le symbolisme de la kabbale chrétienne dans la « Scechi- na» de Egidio da
Viterbo, in Umanesimo e simbolismo, a cura di E. Castelli, Padova, 1958, pp.
131-51; Les jéswites ct le kabbalisme chrétien à la Renaissance, in «
Bibliothéque d’ Humanisme et Renais- sance », 1958, pp. 542-55. Ma cfr. anche:
Jose M.a Mittas VALLICROSA, Algunas relaciones entre la doctrina luliana y la
cabala, in « Sefarad », 1958, 251-253. 2* Paul ScaricHius pe Lika (Paul
Skalich), Enciclopaediae seu orbis disciplinarum tam sacrarum quam prophanarum
Epistemon, Basileae, Oporinus, 1559. Cfr. G. Knasset, P. Skalich, Ein Lebensbild aus dem 16
Jah., Miinster, 1915; L. THornpike, History of magic, V, p. 455 segg.; F.
Secret, La tradition du De omni scibili à la Renaissance: l'ocu- vre de Paul
Scaltger, in « Convivium », 1955, pp. 492-97. I TEATRI DEL MONDO 103 verso simbolico mediante la
quale sarebbe stato possibile rin- novare dalle radici e portare a definitivo
compimento, con l’aiuto della sapienza cabalistica, l’arte miracolosa di Lullo.
Tralasciando i plagi di Ludovico Dolce e gli scarsi, conven- zionali accenni
alla memoria contenuti nella celebre Retorica del Cavalcanti e nella Retorica
di Cicerone ad Erennio ridotta in alberi del Toscanella °° (rispettivamente
1562 e 1561), gio- verà dedicare una certa attenzione all’Ars reminiscendi di Giovambattista
Della Porta nella quale alla distinzione fra medicina della memoria e ars
memorativa, ai consueti ri- chiami alle fonti e ai personaggi del mondo
classico, agli or- mai noti tentativi di sintesi fra la tradizione
aristotelico-tomi- sta e quella * ‘ciceroniana”, si aggiungono considerazioni
di un certo interesse sui geroglifici e sui gestt: due temi sui quali, com'è
noto, si eserciterà a lungo la riflessione di molti e di Bacone e di Vico. Alla
discussione di questi argomenti il Porta giungeva, non a caso, attraverso il
tema delle immagini, « quelle pitture animate che rechiamo nella immaginativa
per rappresentare così un fatto come una parola ».°° Di fronte a termini che
non simbolizzano cose materiali, come i termini « perché », « ovvero », «tanto
» ecc., è necessario ricavare le immagini dalla scrittura, riferirsi cioè con
immagini appro- priate alle singole lettere o gruppi di lettere che compongono un
termine. In molti altri casi è invece possibile richiamarsi
al «significato »: in questo caso torna
opportuno il parallelo con i geroglifici. 29 Per l’opera del Dolce cfr. la nota
7 e TiraBoscHi, op. cir., VII, pp. 1028-29. Sull'opera di O. ToscaneLLa
(Venezia 1567), cfr. TiraBOSCHI, op. cit., VII, p. 1156; sulle partizioni della
retorica cfr. Lu retorica di Bartolomeo Cavalcanti... divisa in sette libri,
dove si contiene tutto quello che appartiene all'arte oratoria, Venezia,
Gabriel Giolito de’ Ferrari, 1559, pp. 24-25 (2 ediz. Triv. B. 377). Ma per
rendersi conto della diffusione delle tecniche memorative nei più noti manuali
di retorica, gioverà vedere l’opera del Trapezunzio, Réetoricorum libri quingue,
Lugduni, apud Seb. Gryphium, 1547, pp. 355-360. 3° Le citazioni sono tratte da
L'arte del ricordare del signor Gio. Battista Porta Napoletano, tradotta da
latino in volgare per M. Doran- dino Falcone da Gioia, in Napoli, appresso
Mattio Cancer, 1566 (copia: usata: Braid. 25.16. K. 14-15). Il Fiorentino
(Studi e ritratti della Rina- scenza, Bari, 1911, pp. 268-69) assegna al 1602
la prima edizione del- l'Ars reminiscendi. 104 CLAVIS UNIVERSALIS « A ciò
torremo il modo dalli Egittii i quali, non havendo lettere con che potessero
scrivere i concetti de gli animi loro, e a ciò che più facilmente si tenessero
a memoria le utili spe- culationi della Filosofia, ritrovorno lo scrivere con
le pitture, servendosi d'immagini di quadrupedi, di uccelli, di pesci, di pietre,
di herbe e di simili cose in vece delle lettere: la qual cosa noi habbiamo
giudicato molto utile per le nostre ricer- che, che altro noi non vogliamo
ch’usare imagini in vece delle lettere per poterle depingere nella memoria ».î!
Molti fra i più illustri esponenti della cultura dei secoli XVI e XVII furono
come affascinati dal problema della scrit- tura geroglifica e, più tardi, da
quello della ideografia dei cinesi. La contemporanea “esplosione” nella cultura
europea del culto per l’ Egitto e della mania per gli emblemi resta oltremodo
indicativa di un clima culturale: basterebbe, per rendersene conto, elencare
alcune fra innumerevoli edizioni dei Hieroglyphica di Horapollo (il manoscritto
greco fu ac- quistato da Cristoforo de’ Buondelmonti nel 1419, pubblicato nel
testo greco a Venezia nel 1505, nella versione latina a Parigi nel 1515, 1521,
1530, 1551, a Basilea nel 1534, a Vene- zia nel 1538, a Lione nel 1542, a Roma
nel 1597) o del grosso trattato Hieroglyphica sive de sacris Egyptiorum
aliarumque gentium di Pietro Valeriano (Basilea e Firenze, 1556; 1567, 1575,
1576 in traduzione francese; 1579, 1595, 1602 a Lione in latino e a Venezia in
italiano) riferendosi al quale il Morho- fius, all’inizio del secolo XVIII,
scriveva che il libro «è nelle mani di tutti». Gli EmzQ/emata dell’Alciati sono
del 1531 (pubblicati a Basilea, avranno più di centocinquanta edizioni, numerose
traduzioni e varie edizioni commentate). Uno dei primi seguaci dell’Alciati fu
il bolognese Achille Bocchi, ami- co del Valeriano; i Symbolicarum Quaestionum
Libri V sono del 1555. Del ’72 sono le Imprese illustri del Ruscelli, del 1603 la
fortunatissima /conologia di Cesare Ripa. Di questo tipo di produzione libraria
nel quale trovavano espressione temi di derivazione neoplatonica e cabalistica
e ove si manife- stava un caratteristico metodo ermeneutico, è necessario tener
® Sulla scrittura degli Egizi cfr. il cap. XIX. Sui gesti il cap. XX: « Potremo
parimente col gesto esprimere alcune significationi di pa- role... un muto
esprime col gesto ciò che egli desidera usando le mani in vece di lingua ». I
TEATRI DEL MONDO 105 conto, come di uno sfondo culturale, anche nel tracciare
Je linee di una esperienza “speculativa” quale fu, nel Cinque- cento, quella
del lullismo e dell’ars reminiscendi. Il fatto che in civiltà diverse da quella
europea fosse stato possibile giun- gere ad ‘una sistematica rappresentazione €
comunicazione dei concetti mediante geroglifici o immagini invece che attra- verso
le lettere dell’alfabeto, mentre da un lato sembrava in qualche modo confermare
quelle possibilità sulle quali l’ars memoriae e il lullismo avevano a lungo
insistito, dall'altro an- dava incontro all'esigenza, così largamente e
profondamente radicata, di una lingua universale che potesse essere “letta” e “compresa”
indipendentemente dalle differenze di linguaggio dovute ai tempi, alle
circostanze, alla nazionalità, alla situa- zione storica.’? E se si pone mente
al fatto che la stessa tec- nica dell’arte memorativa e le regole del lullismo
si presenta- vano di fatto assolutamente slegate c indipendenti dalle lin- gue
particolari (ove si consideri appunto la “tecnica” o “arte” prescindendo dalla
formulazione delle regole in questa o in quell’altra lingua) si potranno meglio
comprendere gli effet- tivi rapporti che sussistono fra fenomeni culturali in
appa- renza così diversi come l’arte della memoria, la rinascita del lullismo,
l'interesse per i geroglifici, la passione per le icono- logie, il culto per i
simboli e gli emblemi. Non a caso in un testo per molti aspetti interessante,
il Thesaurus artifictosae memoriae del fiorentino Cosma Ros- selli °°
(pubblicato a Venezia nel ’79) ritornava l’ammirazione 3° Ampie notizie sulle
interpretazioni cinquecentesche e scicentesche dei geroglifici in MonHor,
Polyhistor literarius philosophicus et practi- cus, Lubecca, 1732, II, pp. 167
ss. Sulla stretta connessione fra Egitto- mania ed emblematismo si vedano le
osservazioni di E. PANOFSRI, Titian’s Allegory of Prudence, in: Meaning in
visuals arts, New York, 1957, pp. 158-62. Fondamentale resta il lavoro di L.
VoLKManx, Bilder Schriften der Renaissance. Hieroglyphik und Problematik in
ihren Beziehungen und Fortwirkungen, Lipsia 1923 (per le relazioni con la memoria
pp. 80-81). Varie notizie sulla letteratura attinente ai gero- glifici in
THORNDIKE, op. cit., vol. V, p. 446 ss. Per i rapporti con la letteratura
emblematica cfr. M. Praz, Studi sul concettismo, Firenze, 1946, p. 17 ss. e il
vol. II degli Srudies in Seventeenth Century Ima- gery, London, 1939. 33
Thesaurus artificiosae memoriae... authore P. F. Cosma Rossellio florentino,
Venetiis, apud Antonium Paduanium, 1579 (copia usata: Angelica SS. 1.5). 106
CLAVIS UNIVERSALIS per i geroglifici espressioni non di lettere ma direttamente
di concetti (« Aegipti) vice literarum, quae tunc temporis inven- tae non
erant, immo non solum literarum vero etiam vice no- minum et conceptuum,
animalibus aliisque rebus multis ute- bantur »)?! e si riaffacciava l’idea di
una trasformazione del- l’ars memoriae in una vera e propria, universale
enciclopedia di tutto il sapere. La dottrina dei luoghi, originariamente con- cepita
come avente una limitata e precisa funzionalità all’in- terno della retorica,
si trasforma in uno strumento in vista della descrizione degli elementi che
compongono il reale. Col-
locando l’inferno, il purgatorio e il
paradiso fra i /oca com- munia amplissima il domenicano Rosselli converte il
suo trat- tato prima in una specie di enciclopedia teologica, poi in una ampia
e minuziosa descrizione degli elementi celesti, delle sfere, del cielo e
dell’empirco, dei demoni, degli strumenti delle arti meccaniche o figure
artificiali e delle figure naturali come le gemme, i minerali, i vegetali, gli
animali, infine le scritture e i vari alfabeti (ebraico, arabo, caldaico). L'esigenza
di un esatto, compiuto ordinamento di ciascuno degli elementi della realtà
naturale e celeste appare dominante anche nel più famoso dei teatri del tardo
Cinquecento: l’Un:- versae naturae theatrum pubblicato a Lione, nel 1590, dal grande
giurista e scrittore politico Jean Bodin.®*® Qui siamo ben lontani
dall’atmosfera del lullismo e della cabala, qui domi- nano le esigenze di
chiarezza e di rigore caratteristiche dei seguaci di Ramo: la minuziosa
divisione in tavole delle cause naturali, degli elementi, delle meteore, delle
pietre, dei me- talli, dei fossili, degli esseri viventi, dei corpi celesti
appare fondata sulla identificazione del metodo con l’ordine e con la apta
rerum dispositio. Ma è senza dubbio presente, anche nel testo del Bodin, la
convinzione di una piena, continua coe- renza, di una totale coesione fra tutti
gli elementi della realtà. La grandezza divina è rivelata dall’opera
ordinatrice di Dio che ha collocato nelle appropriate sedi le parti
caoticamente 31 Thesaurus, cit., p. 117v. 35 J. Bopin, Universae naturae
Theatrum in quo rerum omnium effec- trices causae et fines contemplantur, et
continuae series quinque libris discutiuntiur, Lugduni, apud Jacobum Roussin,
1596 (Copia usata, Braid. B. XIX. 6, 565). La prima ediz. è del 1590. I TEATRI
DEL MONDO 107 confuse della materia (« permistas et confusas materiae partes initio
discrevit, ac forma figuraque decenti subornatas, suo uamque in ordine ac
propriis sedibus collocavit »); non dis- simile da quello divino è il compito
che spetta al sapiente e nulla può esservi di più bello, più utile e più
conveniente di quel paziente ordinamento enciclopedico del reale che consente all'uomo
di riprodurre, nei limiti che gli sono consentiti, la perfezione dell’opera
divina. Coloro che trascurano questa ri- cerca, dan luogo, anche se sono in
grado di discettare sottil- mente, ad una scienza vana e deforme, mescolando i
grani del frumento con quelli della senape perdono la possibilità di far
effettivamente uso del loro sapere. Il teatro, concepito come coerente e
rigorosa dispositio, consentirà invece la sco- perta di quella indissolubile
coerenza e di quel pieno consenso degli elementi del reale (« indissolubilem
cohaerentiam, con- tagionem et consensum ») per il quale tutto corrisponde a tutto.?°
La concezione ramista del metodo aveva esercitato, sul pensiero di Bodin,
un'influenza decisiva?” e solo chi tenga presente la identificazione, tanto
energicamente sostenuta da Ramo, della dispositto con la memoria potrà
spiegarsi la sin- golare somiglianza fra il celebre teatro del Bodin e le
faticose enciclopedie costruite nel corso del Cinquecento dai cultori e dai
teorici della memoria artificiale. Negli scritti del Camillo e in quelli del
Rosselli l'intento enciclopedico-descrittivo, l'ambizioso progetto di una
enciclo- pedia totale avevano finito per sovrapporsi nettamente agli ori- Binari
intenti dell’arte mnemonica. Alle sommarie, stringate elencazioni dei luoghi e
delle immagini presenti nei testi dei teorici quattrocenteschi si sono dunque
andate sostituendo, nel corso del Cinquecento, macchinose enciclopedie. Esse
non nacquero solo dalla persistenza di temi caratteristici della cul- tura
medievale, né trassero origine solo dalla tematica del lul- lismo o dal fiorire
delle speculazioni sulla cabala; derivarono ‘anche dal nuovo atteggiamento che
molti assunsero nei con- 36 Bopin, Universae naturae Theatrum, cit., Propositio
torius operis, PP. 1, 6. si Cfr. K. D. McRae, Ramist tendencies in the thought
of Jean Bodin, in « Journal of the History of Ideas », 1955, 3. 108 CLAVIS
UNIVERSALIS fronti della tradizione dell’ars reminiscendi:** descrivere i luoghi
e le immagini creando una sorta di specchio o di arti- ficiale teatro della
realtà apparve molto più importante che il teorizzare in regole precise la
funzione dei luoghi e delle im- magini in vista del raggiungimento di una
capacità mnemo- nica utile ai discorsi umani. In modo non diverso Giordano
Bruno, appassionato cul- tore di lullismo e di magia, intenderà utilizzare i
testi, antichi e recenti, dell’arte della memoria. 38 Da questo punto di vista
potrebbe presentare un certo interesse l'esame del modo in cui uno scrittore
come Jacopo Mazzoni da Ce- sena (De triplici vita, Romae, 1576) utilizza
l'eredità di un noto cul- tore di mnemotecnica come il Panigarola (F.
PanIcAROLA, L'art de prescher et bien fare un sermon avec la mémoire locale et
artificielle, ensemble l'art de mémoire de H. Marafiote, trad. G. Chappuis,
Paris, 1604). Sul Panigarola cfr. TrraoscHi, VII, pp. 1602-1609. IV. LA LOGICA
FANTASTICA DI GIORDANO BRUNO 1. GLI SCRITTI LULLIANI E MNEMOTECNICI DEL Bruxo. Di
fronte ai molti scritti che il Bruno dedicò fra il 1582 e il 1591 all’ars
combinatoria e all’ars reminiscendi, non po- chi storici, anche illustri, hanno
mostrato una singolare inca- pacità di comprensione. All’indagine di temi che
per essere ora “morti” non furono per questo meno “vitali”, si pre- ferirono
valutazioni negative, rapide liquidazioni o addirit- tura esplicite condanne.
In questo senso studiosi come l’Ols- chki e il De Ruggiero ridussero il
lullismo bruniano sul piano delle « bizzarrie » e delle « grossolane illusioni
», mentre an- che di recente la Singer è giunta su queste basi ad esprimere più
volte il suo compatimento per un Bruno perso dietro i problemi della
combinatoria.' Ben altra sensibilità era stata presente in quegli storici
positivisti che, come il Tocco, ave- vano affrontato direttamente non solo il
problema del lullismo bruniano, ma anche la questione, ad esso collegata, dei
rap- porti fra gli scritti sulla memoria e la produzione italiana e latina del
Bruno.® Proprio quegli studiosi che in nome di ! Cfr. L. OtscHrI, Giordano
Bruno, Bari, 1927; G. De Rtucciero, Sto- ria della filosofia. Rinascimento
Riforma e Controriforma, Bari, 1930, p. 166; D. W. Sincer, Giordano Bruno, his Life and
Thought, trad. it. Milano, 1957, pp. 30, 55, 164, 167.
Nessun risultato nuovo nelle pa- gine dedicate ai primi scritti bruniani da N.
BapaLoni, La filosofia di G. Bruno, Firenze, 1955, pp. 33-51. ? Cfr. F. Tocco,
Le opere latine di G. Bruno esposte e confrontate con le italiane, Firenze,
1889: sulla tradizione della mnemotecnica, pp. 21 - 43; sulla importanza delle
opere mnemoniche di Bruno, p. 94; sulla rigida distinzione fra opere lulliane e
mnemotecniche, p. 93 ss. Per i rapporti con il lullismo e Cusano si veda anche
lo studio Le fonti più recenti della filosofia di G. Bruno, « Rendiconti
dell’Accad. dei Lin- cei », cl. scienze morali ccc., sez. 5, 1 (1892), pp.
503-37; 585-622. Nell'opera del BartHoLOMESs, Giordano Bruno, Parigi, 1847, II,
p. 158 ss., tutta la mnemotecnica viene erroneamente identificata con il lul- lismo
e Pietro da Ravenna è scambiato per un seguace di Lullo. Contro la distinzione
operata dal Tocco reagì giustamente E. Trotto, La filo- sofia di G. Bruno,
Roma, 1914, II, pp. 55-103. 110 CLAVIS UNIVERSALIS una maggior fedeltà
storiografica hanno rinunciato alla inter- pretazione “razionalista”, “moderna”
e ‘“avveniristica” del pensiero bruniano, sono giunti, anche su questo terreno,
a più apprezzabili risultati: in questa direzione di lavoro, richia- mandosi
alle osservazioni della Yates, di A. Corsano, di E. Garin, Cesare Vasoli ha di
recente affrontato, in un ampio, saggio, il problema del lullismo e del
simbolismo bruniani.* Le esatte conclusioni del Vasoli, alle quali dovremo più
volte fare riferimento, vanno qui sottolineate: «i temi e i motivi della
mnemotecnica bruniana recano un notevole aiuto alla comprensione della
posizione storica e filosofica del Bruno, dei suoi ideali riformatori, delle
sue speranze di incidere pro-
fondamente, con mezzi e metodi di estrema
efficacia prag- matica, sulla situazione intellettuale del suo tempo,
realizzan- dovi quel rinnovamento di cui gli scritti italiani ci offrono così aperte
testimonianze... Basterebbe pensare alla continuità di queste ricerche che si
svolgono parallelamente allo sviluppo di tutta la sua riflessione metafisica,
dal 1582, data presu- mibile della perduta Clavis Magna, al 1591, quando
pubblicò la De imaginum signorum et idearum compositione, per in- tendere il
legame organico tra indagine filosofica e tecnica logico-mnemonica. Ché se il
Bruno si adoperò per tanti anni a svolgere e a completare con tanta cura la sua
dottrina mne- motecnica, non fu certo soltanto per portare il suo contributo ad
una moda del tempo o per indulgere all’illusione prag- matica di una scienza
che spesso sembrava confinare con la pratica magica o con la rivelazione
cabalistica, quanto piuttosto. per tradurre in un metodo di facile ed immediata
efficacia taluni princìpi centrali della sua dottrina ».' ® Cfr. F. Yates,
Giordano Bruno's Conflict with Oxford, « Journal of the Warburg Institute »,
1938 - 39, pp. 227 - 42; The French Acadenmies in the sixteenth Century,
London, 1947; The Art of Ramon Lull, « Journal of the Warburg and Courtauld
Inst. », 1954, 1-2, pp. 115- 173; The Ciceronian Art of Memory, cit.; A.
Corsano, Il pensiero di G. Bruno, Firenze, 1940, pp. 54-104; E. Garin, La
filosofia, « Storia dei generi letterari italiani », Milano, 1947, II, pp.
149-154; C. Va- soli, Umanesimo e simbologia nei primi scritti lulliani e
mnemotec- nici del Bruno, in: Umanesimo e Simbolismo, Atti del IV convegno internazionale
di stud: umanistici, Padova, 1958, pp. 251-304. 1 C. VasoLi, Umanesimo e
simbologia, cit., pp. 253 -54. LA LOGICA FANTASTICA DI GIORDANO BRUNO Ill Sia
il Corsano sia il Vasoli hanno entrambi giustamente insistito sul peso
esercitato, nella formazione filosofica del giovane Bruno, dagli scritti sulla
memoria di Pietro da Ra- venna. In un passo della Triginta sigillorum
explicatio, Bruno affermava di essersi imbattuto, ancora adolescente, nell’arte
del Ravennate: Hoc modica favilla fuit, quae iugi meditatione progre- diens in
vastis aggeris irrepsit accensionem, e cuius flam- miferis ignibus plurimae
hinc emicant favillae, quarum quac bene dispositam materiam attingerint,
similia maio- raque flagrantia lumina poterunt excitare.* Al gran fuoco
suscitato da quella piccola favilla si vennero in realtà consumando molte delle
conclusioni cui era perve- nuto il Bruno a contatto « dei peripatetici, nella
dottrina de quali egli era stato allievato e nodrito in gioventù ». Ai proce- dimenti
deduttivi della scolastica Bruno finirà per opporre
energicamente un processo di graduale
avvicinamento, me- diante l’esercizio della immaginazione e della memoria, al piano
della conoscenza razionale; al rigido concatenarsi delle ragioni opporrà la
fuggevolezza delle immagini; alla ridu- zione dell’intera conoscenza sul piano
dell’intelletto contrap- porrà la radicale diversità del piano del senso: Stupidi
est dicursus velle sensibilia ad candem conditio- nem cognitionis revocare, in
qua ratiocinabilia et intelli- gibilta cernuntur. Sensibilia quippe vera sunt
non iuxta communem aliquam et universalem mensuram, sed iuxta homogeneam,
particularem, propriam, mutabilem atque variabilem mensuram. De sensibilibus
ergo, qua sensibilia sunt, universaliter velle definire, in aequo est atque de intelligibilibus
vice versa sensibiliter. L'impiego delle immagini, il gusto bruniano per la
rap- presentazione mediante emblemi e divise appare strettamente
collegato a impostazioni di questo tipo,
ma questo stesso gusto bruniano per il simbolo, per i geroglifici e i sigilli,
per le idee incorporate in forme sensibili non può a sua volta, se ® IoRpaNI
Bruni NoLani, Opera latine conscripta, Napoli & Firenze, 1886-91 (qui di
seguito ‘indicate con la sigla Opp. Zaz.), II, 2, p. 130. Sul significato di
questo passo, già segnalato dal Tocco, Le opere la- tine, cit., p. 37, nota 2,
cfr. A. Corsano, // pensiero di G. Bruno, cit., p. 41; C. VasoLIi, Umanesimo e
simbologia, cit., pp. 254, 277 e passim. 112 CLAVIS UNIVERSALIS non
arbitrariamente, esser disgiunto da quella grande co- struzione nella quale i
temi derivanti dai testi del Ravennate e dagli altri esponenti della
mnemotecnica ciceroniana anda- vano a intrecciarsi con quelli del lullismo, del
simbolismo e dell’esemplarismo metafisico, si collegavano con i motivi più caratteristici
della letteratura cabalistica, con gli ideali della pansofia, con l’eredità
delle discussioni dialettico-retoriche dell’umanesimo, con le aspirazioni ad
una radicale riforma religiosa. Mentre veniva inserita nel più vasto quadro del
lullismo, l’intera tematica attinente all’ars reminiscendi veniva in tal modo
spostata su un piano tipicamente metafisico. Da questo punto di vista
l’atteggiamento bruniano finisce con l’apparire per molti rispetti simile a
quello assunto dal Rosselli e dai
cinquecenteschi costruttori dei teatri
del mondo: l’arte non è una tecnica legata alle limitate finalità del discorso
retorico, ma è, sopra ogni altra cosa, lo strumento di cui servirsi per dar
luogo ad un edificio le cui strutture costituiscano l’esatto rispecchiamento
delle strutture della realtà. Le regole della memoria, così come le tecniche
combinatorie, traggono il loro fondamento e trovano la giustificazione della
loro validità nel postulato, chiaramente ammesso, di una piena e perfetta
corri- spondenza tra i simboli e le res, tra le ombre e le idee, tra i sigilli
e le ragioni che presiedono alle articolazioni del mondo reale. Su questo
preciso terreno potevano in realtà trovare un punto di incontro quelle
retoriche che si ponevano come lo specchio o il teatro del mondo (Camillo) e
quelle riforme della macchina lulliana che avevano mantenuto ben saldo il
postu- lato platonico-esemplaristico che era alla base del tentativo di Raimondo
Lullo. A quelle retoriche e a questi commenti lul- liani appare assai vicino il
Bruno quando concepisce l’intero meccanismo dell’arte come la traduzione, sul
piano della sensibilità e dell’immaginazione, dei rapporti ideali che costi- tuiscono
la trama dell’universo: mediante l’allusività delle immagini, le ombre e le «
specie involute » sarà possibile impa- dronirsi (e altra strada non è data
all'uomo) di quelle rela- zioni alle quali, più tardi, potrà pervenire
un'indagine di tipo razionale. Questa impostazione, che è chiaramente legata a
premesse esemplaristiche, non esclude affatto che in Bruno, come del LA LOGICA
FANTASTICA DI GIORDANO BRUNO 113 resto già in Lullo e nei lullisti del secolo
XVI, fossero presenti vivissimi interessi di tipo “pratico” per una riforma del
sa- pere, per una funzione pedagogica dell’arte, per una educa- zione della
memoria e delle capacità inventive, per una ra- pida cornunicazione e
diffusione della nuova cultura, per la ricostruzione, al di là della
frammentarietà delle singole scien- ze, di un sapere organico e unitario capace
di porsi a fonda- mento di una enciclopedia o sistema totale. Non a caso la stessa
riforma bruniana viene presentata come il progetto di realizzazione di un’arte
mirabile capace di ampliare smisura- tamente le possibilità di dominio
dell’uomo. Come tale essa fu accolta e valutata in quegli ambienti
platonizzanti parigini nei quali, come ha mostrato la Yates,° gli interessi per
il coper- nicanesimo e per la riforma ramista della logica, andavano strettamente
congiunti a quelli per la cabala e per il lullismo. L'inserimento, operato da
Bruno, delle tecniche “retoriche” della memoria entro la grande tradizione
lullista non man- cherà del resto di esercitare un influsso duraturo, oltreché
ne- gli ambienti francesi, anche in quelli inglesi, tedeschi e bocmi. Parigi,
Londra, Praga, Wittenberg, Francoforte erano stati, abbiam visto, centri di
diffusione del lullismo e dell’ars rem: niscendi; in questi ambienti si erano
mossi Pietro da Ravenna e Bovillus, Wilson, Spangerbergius e Lavinheta.' * F.
Yates, The French Academies, cit., pp. 77 - 94; 95 - 151; sul lullismo in
Francia cfr. anche T. e J. CarrERAs Y ARtAU, Historia de la Filoso- fia
Espaîola. Filosofia cristiana de los siglos XIII al XV, Madrid, 1943, II, pp.
207 ss.; A. RENAUDET, Préréforme et Humanisme à Paris pen- dant les premières
guerres d' Italie, Paris, 1953, pp. 378 ss. ® Già nel 1583 esce a Londra,
dedicato al conte di Leicester, il De umbra rattonis et iudicii sive de
artificiosa memoria quam publice profitetur vanitate, edito da T. Vautrollier,
di Alexandre Dicson che si richiama al De Umbris bruniano. Al Dicson, che
compare come per- sonaggio nell'opera De la causa principio et uno (cfr. G.
Bruno, Dia- loghi italiani, a cura di G. Gentile e G. Aquilecchia, Firenze,
1958, p. 225 e passim) rispose polemicamente tale G.P., autore di un Anti- dicsonus
cuiusdam Cantabrigiensis G. P. Accessit libellus in quo dilu- cide explicatur
impia Dicsoni artificiosa memoria, London, 1584: nella dedica si fa riferimento
a Metrodoro, Rosselli, Bruno e Dicson. Al Sigillus di Bruno fa riferimento
anche THomas Watson, Compendium memoriae localis, pubblicato forse a Londra nel
1585. Da un punto di vista ramista polemizza contro l'ars memoriae il Perkins,
Prophetica, sive de sacra et unica ratione concionandi, Cantabrigiae, 1952. La
trad. 114 CLAVIS UNIVERSALIS Dei tre scritti pubblicati a Parigi nel 1582, il
De umbris idearum è, giustamente, il più noto. Il tentativo di « giustifi- care
con precise ragioni metafisiche » gli clementi tecnici del- l’arte appare qui
particolarmente evidente:* 1) l’ascesa del- l'animo dalle tenebre alla luce si
compie mediante l’appren- sione delle ombre delle idee eterne: attraverso le
ombre la verità viene in qualche modo svelandosi all’anima prigioniera del
corpo; 2) le idee-ombre, nelle quali si rispecchia la trama dell’essere, si
presentano sul piano della sensibilità e della im- maginazione, appaiono come
fantasmi e come sigilli; 3) attra- verso la ritenzione artificiale delle «
catene » o delle relazioni che intercorrono fra le ombre si potrà giungere a
ricostruire, come per una graduale purificazione, i nessi che legano le idee
per giungere infine, sul piano della ragione, alla com- prensione c al
disvelamento di quell’unità che è sottesa alla confusa pluralità delle
apparenze. Su queste tre tesi appare fondata da un lato la riforma bruniana
della combinatoria, dall’altro il particolare uso bruniano delle regole per la
me- moria che erano state teorizzate dalla tradizione ciceroniana. Come già era
avvenuto nella Sintares del Gregoire e nell’Opus aureum del De Valeriis, il
concetto dell’unità del sapere ap- pare immediatamente convertibile nell’altro,
ad esso corrispon- dente, di una unità essenziale del cosmo: inglese apparve
nel 1606. Il testo dello studente boemo Giovanni DE Nostiz, che ascoltò a
Parigi le lezioni di mnemotecnica del Bruno, è andato perduto. In quest'opera i
nomi di Aristotele, Lullo, Ramo c Bruno venivano avvicinati in modo
significativo: Artificium Aristo telico-Lullio-Rameum
in quo per artem intelligendi Logicam, Artem agendi Practicam, Artis loquendi
partem de inventione Topicam me- thodo et terminis Aristotelico-Rameis circulis
modo lulliano inclusis via plura quam centies mille argumenta de quovis themate
inveniendi cum usu conveniens ostenditur, ductu lo. a Nostitz, Jordani Bruni
ge- nuini discipuli claboratum a Conrado Bergio, Bregae typis Sigfridianis, 1615.
Il titolo è stato conservato in J. L. BunEMANN, Catalogus MSSto- rum
membranaceorum et chartaceorum item librorum ob inventa ty- pographia, Minden,
1732, pp. 117-18. L’avvertenza del Nostitz ai lettori è ripubblicata in D. W.
Sincer, G. Bruno, cit., p. 410. Sull’au- tore, morto nel 1619, la cui
biblioteca di famiglia fu conservata in-
tatta a Praga fino al 1938, notizie a p.
4ll. * Cfr. C. Vasoti, Umanesimo e simbologia, cit., p. 272. LA LOGICA
FANTASTICA DI GIORDANO BRUNO 115 Cum in rebus omnibus ordo sit atque connexio
et unum sit universi entis corpus, unus ordo, una gubernatio, unum principium,
unus finis, unum primum... illud ob- nixe nobis est intentandum, ut pro
egregiis animi opera- tionibus naturae schalam ante oculos habentes, semper a motu
et multitudine ad statum et unitatem per intrin- secas operationes tendere
contendamus... Talem quidem progressum tunc te vere facere comperies et
experieris, cum a confusa pluralitate ad distinctam unitatem per te fiat
accessio; id enim non est universalia logica conflare, quae ex distinctis
infimis speciebus, confusas medias, exque iis confusiores suprema captant. Sed
quasi ex in- formibus partibus ct pluribus, formatum totum et unum aptare
sibi... Ita cum de partibus et universi speciebus, nil sit seorsum positum et
exemptum ab ordine (qui simplicissimus, perfectissimus et citra numerum est in prima
mente) si alia aliis connectendo, ct pro ratione uniendo concipimus: quid est
quod non possimus intelli- gere memorari ct agere? Unum est quod omnia definit.
Unus est pulchritudinis splendor in omnibus. Unus e multitudine specierum
fulgor emicat.? Nel momento stesso in cui procede ad una “riforma” della
combinatoria lulliana, sostituendo trenta soggetti e pre- dicati ai nove
teorizzati da Lullo e facendo cadere la distin- zione fra predicati assoluti e
predicati relativi, Bruno fa am- pio ricorso alla tradizione ciceroniana
modificandone la termi- nologia: ai luoghi della mnemotecnica corrispondono i
su- biecta (soggetti primi); alle :mmagini corrispondono gli adiecta (soggetti
secondi o prossimi). L’antichissimo paragone della mnemotecnica alla scrittura
può in tal modo essere ripreso in senso diverso: « Scriptura enim habet
subiectum primum chartam tamque locum; habet subiectum proximum minium et habet
pro forma ipsos characterum tractus ».!° Accanto a questo paragone venerando,
ritornava nei testi bruniani la maggior parte di quelle regole della memoria
che abbiamo visto presenti nei testi del Quattrocento e del Cinquecento. Nei
primi paragrafi dell’Ars memoriae si riaffacciano in tal modo le discussioni
sull'arte e sulla natura, sull’ingegno pro- duttore di strumenti artificiali,
sui rapporti fra il segno e l’og- getto significato, ricompaiono i richiami a
Simonide e i pre- ° Opp. lat., 11, 1, p. 47. 1° Opp. lat., II, 1, p. 66. 116 CLAVIS UNIVERSALIS cetti relativi alla modica
grandezza, alla convenevole distanza, alla giusta luminosità dei luoghi. La
stessa concezione bru- niana del luogo, che è apparsa al Tocco assai « più
larga » di quella tradizionale, è in realtà anch'essa derivante da testi molto
diffusi. L'idea di servirsi di « oggetti animati » per rap- presentare i
luoghi, non è affatto nuova: è già presente in un testo di un secolo prima, il
De omnibus ingentis augendae memoriae di Michele Alberto da Carrara.!! Anche
nelle pagine del Canzus Circaeus, pubblicato a Pa- rigi nel 1582, sono
facilmente rintracciabili, dietro il periodare contorto e il barocchismo delle
immagini, temi ben noti. Nel secondo dialogo del Canzus (che fu ripubblicato
con qualche modifica a Londra l’anno seguente con il titolo di Recens et completa
ars reminiscendi), la materia già trattata nel De Umbris viene ripresentata con
maggiore preoccupazione per una diffusione manualistica.'? Ponendosi come una
tecnica capace di migliorare, mediante opportuni artifici, la naturale condizione
dell’uomo, l’arte appare accessibile a chiunque.
Fra i suoi meriti Bruno annovera,
significativamente, proprio questa compiuta tecnicizzazione dell’arte: Intentio
nostra est, divino annuente numine, artificiosam metodicamque prosequi viam: ad
corrigendum defec- tum, roborandam infirmitatem, et sublevandam virtu- tem memoriae naturalis: quatenus
quilibet (dummodo sit rationis compos, et mediocris particeps iudicii) pro- ficere
possit in ea, adeo ut nemo talis existentibus con- ditionibus, ab ademptione
huius artis excludatur. Quod quidem ars non habet a seipsa, neque ex corum qui praecesserunt
industria, a quorum inventionibus excitati, promoti sumus diuturnam
cogitationem ad addendum, 11 Cfr. qui alle pp. 34 - 35, e si veda inoltre il
mio saggio La costruzio- ne delle immagini nei trattati di memoria artificiale
del Rinascimento, in: Umanesimo e simbolismo, cit., pp. 161 - 168. Per le «
regole» bru- niane sui luoghi cfr. Opp. Zat., II, I, pp. 69-71. Il giudizio del
Tocco, Le opere latine, cit., p. 51 è stato ripreso da C. VasoLi, Umanesimo e simbologia,
cit., p. 276. Per il testo del Carrara, già sopra cit., cfr.: « Guido pater
meus ex animalibus cepit locos suos et corum ordine ex alphabeto deduxit...
asinus, basiliscus, canis, draco... haec singula in quinque locos dividebat...
Nam hunc ordinem ipsa natura porrexit neque confundi in eis cnumerandis
ingenium potest... » 12 Cfr. Tocco, Le opere latine, cit., pp. 63-66. Opp.
lat., II, 2, pp. 69 - 119. LA LOGICA FANTASTICA DI GIORDANO BRUNO 117 tum eis
quac faciunt ad facilitatem negotii atque certi- tudinem, tum etiam ad
brevitatemn.15 Espressioni di questo tipo non devono trarre in inganno. Poche
righe più avanti si riaffacciavano i temi, tipicamente ermetici, della
necessità di un personale contatto fra il maestro e il discepolo e di una
necessaria segretezza dell’arte : Hortatur enim Plato in Euthidemo ut res
celeberrimae atque archanac habcantur a philosophis apud se et paucis atque
dignis communicentur... Idem omnibus iis, in quo- rum manus ista devenerint,
consulimus: ne abutantur gratia et dono eisdem elargito. Et considerent quod figuratum
est in Prometheo qui cum deorum ignem hominibus exhibuisset, ipsorum incurrit
indignationem.!4 Assai più interessante di questi atteggiamenti che ripetono motivi
diffusi, è il tentativo compiuto da Bruno di mante- nere la terminologia
dell’arte ben distinta da quella in uso negli altri campi del sapere. Il
termine subdiectum, chiarisce Bruno, ha qui un significato diverso da quello
che al mede- simo termine viene attribuito in logica o in fisica. Esso viene qui
assunto « secundum intentionem convenientem, quae tech- nica appellatur, utpote
secundum intentionem artificialem ». Non è il soggetto delle predicazioni
formali che, in logica, viene contrapposto al predicato, né quello della forma
sostan- ziale detto le o materia prima. Non è il subiectum delle forme accidentali
né di quelle artificiali che ineriscono ai corpi natu- rali: «sed est subiectum
formarum phantasibilium apponibi- lium, et remobilium, vagantium et
discurrentium ad libitum operantis phantasiae et cogitativae ». Allo stesso
modo il ter- mine forma non è usato come sinonimo di idea, così come av- viene
nella metafisica platonica; né come sinonimo di essenza, così come avviene in
quella peripatetica; non indica, come nella fisica, la forma sostanziale o
accidentale informante la materia; né, secondo l’accezione tecnica, indica una
« inten- tionem artificialem additam rebus physicis ». L'universo di discorso
del termine forma è, per Bruno, quello di una logica non razionale, ma
fantastica: « Forma sumitur... secundum 19 Opp. lat., II, I, p. 215. 14 Opp. lat., II, 1, p. 216. 118
CLAVIS UNIVERSALIS rationem logicam non quidem rationalem, sed phantasticam (quatenus
nomen logices amplius accipitur) ».!° Quest'ampliamento
della logica tradizionale, questa costru- zione di una logica fantastica è in
realtà uno dei motivi essen- ziali del discorso bruniano. Chi, come il Tocco,
ha netta- mente separato nella produzione bruniana le opere mnemo- tecniche da
quelle lulliane contrapponendo il carattere « psi- cologico » delle prime al
carattere « metafisico » delle se- conde *° ha distinto, in modo artificiale,
ciò che in Bruno sj presenta organicamente connesso e ha finito per precludersi
la via ad una effettiva comprensione degli elementi di “novità” presenti nella
posizione bruniana. L'atteggiamento sostanzial- mente nuovo che Bruno assume
nei confronti della tradizione della mnemotecnica retorica e dell’eredità del
lullismo è deter- minato proprio dal tentativo di trovare un punto di conver- genza
o un terreno comune (o, se si vuole, di operare una “sintesi”) fra due tecniche
che erano nate da diverse esperienze e che avevano a lungo proceduto lungo due
linee non conver- genti. In quanto seguace di Lullo, Bruno trasferisce
all’interno dell’arte della memoria quelle esigenze metafisiche caratteri- stiche
del lullismo: in quanto riformatore dell’ars remini- scendi, egli non esita a
servirsi, accostandoli a quelli tradizio- nali, degli accorgimenti e delle
regole teorizzati dai seguaci della combinatoria. Su queste basi egli conduce
la sua pole- mica contro i suoi predecessori e su queste basi giunge a dif- ferenziare
la sua dalle altre posizioni: 1) in primo luogo egli rifiuta quel rapporto di
tipo convenzionale che i teorici del- l’ars memoriae avevano posto tra il luogo
e l’immagine; con- tro questa posizione egli sostiene la necessità di una
connes- sione reale (che può essere una associazione o un nesso di tipo logico)
tra il subiectum c l’adiectum;'* 2) in secondo luo- go e sulla base di questa
esigenza egli sostituisce ai tradizio- nali elenchi delle casalinghe immagini
degli oggetti d'uso pre- senti nei testi quattrocenteschi, complicate immagini
mitologi- 15 Cfr. Opp. lat., II, 1, pp. 221, 222, 234. 16 F. Tocco, Le opere
latine, cit., p. 93. !? Opp. lat., Il, 1, p. 81: « Opus est non ita adiecta
subiectis applicari, quasi ca casu et ut accidit proiiciantur... ita adcoque
invicem conneva, ut nullo ab invicem discuti possint turbine ». LA LOGICA
FANTASTICA DI GIORDANO BRUNO 119 che ed astrologiche (attinte alla tradizione
ermetica) che gli offrono la possibilità di una rappresentazione visiva non
solo del soggetto, ma anche dei rapporti intercorrenti tra il sog- getto
centrale e tutti i caratteri e le nozioni che sono ad esso collegati secondo un
ordine sistematico;!* 3) in terzo luogo egli concepisce le figure ruotanti
teorizzate da Lullo come strumenti per la memoria artificiale; nelle diverse
ruote pos- sono essere simbolizzate, mediante lettere alfabetiche latine greche
ed ebraiche, tutti gli elementi costitutivi dell’arte.!° I centotrenta luoghi
fondamentali ricavabili dalle varie combi- nazioni, mentre si presentano come
essenziali in vista della piena realizzazione della memoria artificiale,
indicano al tem- po stesso anche gli elementi presenti in un sistema qualunque di
relazioni logiche. Tra logica e arte della memoria non si danno, per Bruno,
differenze sostanziali. La logica memora- ziva che è al culmine delle sue
aspirazioni ha una parentela assai stretta con la metafisica: «l’arte — egli
scrive — è un certo abito dell’anima raziocinante che si distende da ciò che è
il principio della vita del mondo al principio della vita di
tutti i singolari ».?° Esaminando i testi
dei grandi commentatori rinascimentali dell’Ars magna, abbiamo già rilevato
come il problema di una tecnica memorativa, rispetto alla quale gli alberi le
ruote le tavole si pongono come strumenti, si presentasse come costi- tutivo
rispetto agli sviluppi della combinatoria. Si è d'altra parte sottolineato
anche il fatto che quest'idea di una logica memorativa si presenta strettamente
collegata a quella inter- pretazione enciclopedistica del lullismo che, facendo
leva sul- l’immagine lulliana dell’albero, trasforma molti dei commenti lulliani
in vere e proprie enciclopedie o tentativi di classifica- zione degli elementi
che costituiscono il mondo reale e il mondo della cultura." Chi abbia
presenti queste conclusioni non potrà certo meravigliarsi né dell’insistenza
bruniana sugli aspetti mnemotecnici del lullismo, né dei suoi tentativi di de- 18
Sull’ applicazione delle immagini zodiacali di Teucro Babilonico all'arte cfr.
C. Vasori, Umanesimo e simbologia, cit., p. 281, 291. 1° Cfr. Opp. lat., Il, 1,
pp. 107 - 115. 2° Opp. lat., II, 1, p. 56. 2h qui alle pp. 51-61. 120 CLAVIS
UNIVERSALIS scrizione degli elementi costitutivi dell'universo mediante il riferimento
ai nove subiecta dell’arte.” Alla luce di queste considerazioni non apparirà
più soste- nibile neppure quella tesi del Tocco secondo la quale un’opera come
il De progressu et lampade venatoria logicorum dell’ 87 sarebbe « un compendio
della topica aristotelica » affatto indi- pendente dai commenti all’arte
lulliana.°? Il ricorso alle im- magini del campo, della torre, del cacciatore
permette di colle- gare questa indagine sulla dialettica ai trattati sulla
memoria, mentre l’esplicito riferimento alle figure consente un accosta- mento
alla tematica del lullismo.?* Ma non si tratta solo di ragioni “interne”; in
molti dei testi dell’enciclopedismo cin- quecentesco (si pensi per esempio allo
scritto /2 RAetoricam Isagoge del 1515) il lullismo appare fortemente
intrecciato ai temi della cosmologia e della retorica.?* Non a caso, anche Bruno
fu fortemente interessato al problema di una “applica- zione” dell’arte alla
retorica e alla fisica: nell’Artificium pe- rorandi (dettato a Wittenberg nell’
’87 c pubblicato dallo Al- sted nel 1610) egli tenta una applicazione della
mnemotecnica lulliana ai diversi tipi del discorso retorico, mentre nella Figu-
ratio aristotelici physict auditu del 1586 avvia una traduzione in immagini dei
concetti centrali della fisica aristotelica. Nei testi londinesi del 1583 le
complesse immagini dei sigilli erano state assunte da Bruno a indicare non
direttamente gli oggetti da ricordare, ma le regole stesse dell’arte. Ma più
che su questi testi,°° peraltro molto significativi, gioverà qui sotto- lineare
la valutazione del lullismo che è presente nel De lam- pade combinatoria del
1587: Agrippa non riuscì a penetrare (« aut prorsus non penetravit, aut non
satis ») nel valore dimo- strativo della combinatoria e si servì dell’arte per
celebrare se stesso piuttosto che i testi lulliani; più degni di considera- zione
furono i tentativi di Lefèvre e di Bovillus; solo attraverso la riforma
bruniana l’ars magna è giunta al suo pieno compi- 22 Cfr. Opp. lat., Il, 2, pp.
12, 41-49. 29 F. Tocco, Le opere latine, cit., p. 15. 24 Cfr. Opp. lat., Il, 3,
pp. 12-13. 25 Cfr. qui alle pp. 53-55. Si vedano le considerazioni del Vasoti,
Umanesimo e simbologia, cit.,, p. 293 ss. LA LOGICA FANTASTICA DI GIORDANO
BRUNO 121 mento ed è pervenuta al più alto grado possibile di perfezione: «
artem hanc a Raymundo Lullo adinventam ita complevimus ut ab omni
contemptibilitatis praetextu vindicavimus... ut om- nino impossibile sit ei
aliquid amplius adiicere ».°” In questo rapido quadro assume un rilievo tutto
particolare il richiamo a quella comune fonte dalla quale derivarono la
metafisica teologica di Scoto Eriugena, l’arte lulliana, i misteri di Cusano, la
medicina di Paracelso: Hic super illius adinventionem excolendam claboravi- mus,
cuius genium summi philosophorum principes ha- biti admirantur, persequuntur,
imitantur; unde Scoti- gena thcologicam
metaphysicam, vel metaphysicam (quam scholasticam appellant) theologiam, cum
subtilibus aliis extrassisse constat; a quo admirandum illud vestratis Cusani quanto profundius atque
divinius, tanto paucio- ribus pervium minusque notum ingenium, mysteriorum, quac
in multiplici suac doctrinae torrente delitescunt, fontes hausisse fatetur; a
quo novus ille medicorum princeps. Paracelsus...?* Le ragioni di questi
accostamenti apparvero già chiare al Tocco: l’opera di Lullo fu valutata dal
Bruno come una delle principali espressioni di quel neoplatonismo che, muo- vendo
dalla identità di ideale e reale, ritiene di poter proce- dere ad una
costruzione della realtà mediante la determina- zione del movimento delle idee.
Mentre si configurava come un rifiuto della logica tradizionale e andava
sostituendo le immagini ai termini e la topica all’analitica, l’arte bruniana si
muoveva su un terreno ben diverso da quello delle indagini dialettiche,
rifiutava ogni identificazione con una tecnica lin- guistica o retorica,
intendeva aprire possibilità di prodigiose avventure e di costruzioni totali: «
Quaedam vero adeo arti videntur appropriata, ut in eisdem videatur naturalibus
om- nino suffragari: haec sunt Signa, Notae, Characteres et Sy- Gilli: in
quibus tantum potest ut videatur agere praeter natu- ram, supra naturam, et, si
negotium requirat, contra natu-
ram ».°° Il fine dell’arte non consiste
semplicemente in un raf- forzamento della memoria o in un potenziamento delle
fa- Opp. lat., 11, 2, pp. 327, 235. Opp. lat., II, 2, p. 234. Opp. lat., II, 1,
p. 62. W n US] » (2) 122 CLAVIS UNIVERSALIS coltà intellettuali: essa «ad
multarum facultatum inventio- nem, viam aperit et introducit ». Non a caso nei
testi più signi- ficativi della magia bruniana troviamo ancora presente il
ricor- so ai sigilli, ai segni, alle figure che vengono avvicinati ai gesti e
alle cerimonie come elementi costitutivi ed essenziali di quel linguaggio
mistico-rituale che, solo, può aprire la strada a colloqui divini: «cum certo
numinum genere non nisi per definita quaedam signa, sigilla, figuras,
characteres, gestus ct alias cerimonias, nulla potest esse participatio ».°°
Nella conce- zione bruniana della magia come forza ministra e dominatrice della
natura, capace di intendere le segrete corrispondenze fra le cose e di cogliere
le formule ultime della realtà, in opere come il De Magra, le Theses de Magia,
il De Magia mathe- matica trovavano davvero la loro risoluzione i problemi
dibat- tuti nelle opere mnemotecniche e lulliane.?! L'immagine di un universo
unitario che va interpretato e decifrato mediante i simboli giungeva qui, come
già nel Sygil/us, al suo pieno compimento: Una lux illuminat omnia, una vita
vivificat omnia... Atque altius conscendentibus non solum conspicua erit una
omnium vita, unum in omnibus lumen, una boni- tas, et quod omnes sensus sunt
unus sensus, omnes no- titiac sunt una notitia, sed et quod omnia tandem,
utpote notitia, sensus, lumen, vita sunt una essentia, una virtus et una
operatio."? Alla comprensione della magia bruniana, del grandioso tentativo
del Nolano di dar luogo ad un'arte capace di av- vicinare gli uomini ponendosi
come strumento essenziale ad una riforma delle religioni, potrebbe giovare non
poco un esame, analiticamente condotto, dei rapporti fra il Bruno lul- liano e
mnemotecnico e quello, più noto, delle opere mag- giori. Da un tale esame
potrebbero forse derivare anche con- tributi non trascurabili ad una
comprensione della lingua e dello stile bruniani. Nel ritmo convulso della sua
prosa ita- liana sarebbe difficile continuare a vedere (come vuole uno storico
insigne della letteratura) un «affidarsi all’istinto e al- 30 Opp. lat., HI,
pp. 412-13 (De Magia). * Cfr. C. Vasoti, Umanesimo e simbologia, cit., p. 303. Opp. lat., III, pp. 393-454;
455-91; 494-506. 32 Opp. lat., II, 2, p. 179. LA LOGICA FANTASTICA DI GIORDANO BRUNO 123 l'abbondanza
della vena ». Il compito delle immagini, poste accanto ad un soggetto, è quello
di « presentare, effigiare, de- notare, indicare, per esprimere e significare a
somiglianza della pittura e della scrittura ». La molteplicità delle imma- gini
deve indicare ed esaurire i significati, impliciti ed espliciti, contenuti
nelle idee centrali e costituire con esse una inscindi- bile unità. Dietro il
continuo ritorno delle immagini, l’ab- bondanza delle ripetizioni, il
succedersi dei simboli che in- tendono raffigurare sensibilmente i concetti
stavano in realtà anche precise convinzioni di natura “filosofica”: «
philosophi
sunt quodammodo pictores atque poetae,
poetae pictores et philosophi, pictores philosophi et poetae, mutuoque veri
poe- tae, veri pictores et veri philosophi se diligunt et admirantur; non est
enim philosophus nisi qui fingit ct pingit... ».!° Zi COMBINATORIA, ARS
MEMORATIVA E MAGIA NATURALE NEL SE- coro XVII. Esaminando le enciclopedie e i
teatri universali della se- conda metà del Cinquecento, considerando i testi
bruniani,
abbiam visto che l’ars memorativa di
derivazione ‘cicero- niana”, mentre si congiungeva con l’eredità della
tradizione lullista, si collegava anche strettamente ai temi di una metafi- sica
esemplaristica e neoplatonica, ai motivi della cabala, agli ideali della magia
e dell'astrologia, al gusto per le immagini, i simboli, le cifre, le imprese e
le allegorie. La ricerca di una «chiave universale » capace di decifrare
«l’alfabeto del mon- do » e di individuare la trama costitutiva della realtà,
l’aspi- razione ad un teatro enciclopedico che fosse lo « specchio » fe- dele
della realtà, avevano piegato ad esigenze nuove e a fini diversi da quelli
originari le tecniche della memoria arti- ficiale. Inseriti nel discorso, pieno
di toni iniziatici, di una magia rinnovata, gli accorgimenti per la costruzione
di un'arte memorativa avevano finito per perdere ogni contatto con il terreno
delle scienze mondane della dialettica, della retorica, «della medicina e per
apparire miracolosi strumenti per il rag- giungimento del sapere totale o della
pansofia. Su questo terreno si mossero, nella prima metà del secolo 24 Cfr.
Corsano, // pensiero di G. Bruno, cit., p. 97. 124 CLAVIS UNIVERSALIS XVII, non
pochi fra i sostenitori e i seguaci delle arti mnemo- niche e del lullismo. Fra
il 1617 e il 1619, negli anni stessi che vedevano il giovane Cartesio
interessato al lullismo e alle arti della memoria, vedevano la luce a Lione le
opere di Johannes Paepp. Una di queste, lo Schenkelius detectus seu memoria artificialis
hactenus occultata era un ampio commento dell’Ars memoriae dello Schenkel, un
testo ben noto a Cartesio. Negli Artificiosae memoriae fundamenta e nella
Introductio facilis in praxin artificiosae memoriae, il Paepp si soffermava ad
illu- strare a lungo le dottrine aristoteliche ciceroniane e tomiste sulla
memoria, ma mostrava di aver subìto anche le influenze del lullismo e dei suoi
esponenti più significativi, dal Bruno allo Alsted.** Proprio sulle tracce di
quest'ultimo, in aspra polemica con i denigratori dell’arte, egli sosteneva la
oppor- tunità di una stretta connessione della logica con la mnemo- tecnica:
mentre la prima appare necessaria ad alcune arti e discipline, la seconda è
indispensabile ad ogni forma di sa- pere.?® Mentre sottolineava la funzione
mnemonica dei circoli lulliani °° e dettava accorgimenti per decifrare i testi
dell’ars notoria, il Paepp eliminava non a caso ogni distinzione tra “ciceroniani”
e “lullisti” collocando in uno stesso elenco, tra 94 Jon. Paerr, Arzificiosae
memoriae fundamenta ex Aristotele, Cicc- rone, Thoma Aquinate, altisque
praestantissimis doctoribus petita, fi- guris, interrogationibus ac
responsionibus clarius quam unquam ante- hac demonstrata, Lugduni, apud
Bartholomeum Vincentium, 1619; Eisagoge, seu introductio facilis in praxin
artifiosae memoriae, ibidem, 1619; Schenkelius detectus, seu memoria
artificialis hactenus occultata, ibidem, 1617 (copie usate: rispettivamente
Triv. Mor. L. 430; 430 (2); M. 17). 95 «Sed miror cur cidem (i negatori
dell’arte) non et logicam artifi- cialem nigro calculo notent. Ut enim logica
artificiosa intellectui rerum cognitionem secutius venatur, sic artificiosa
memoria acquisitam ac comparatam cognitionem tenacius conservat ac tuetur
naturali; quare Alstedius non minus hanc ad omnes artes et disciplinas, quam
istam ad nonnullas necessariam probat » (Artificiosae memoriae fundamenta, cit.,
p. 10). 26 Sulla funzione dei «circoli » cfr. gli Artificiosae memoriae funda- menta,
cit., pp. 13, 49, 52; sulla scrittura segreta da impiegare nell’ in- segnamento
dell’ arte cfr. p. 99-02, dove vengono dettate due regole fondamentali: « 1)
Legendum more hebraico, puta ordine retrogrado; 2) Alpha et omega sunt otiosa
id est primae et ultimae literae non habetur ratio » osras significa ars;
codrot ordo, bogamir imago ecc ». LA LOGICA FANTASTICA DI GIORDANO BRUNO 125 i
fondatori e i teorici dell’arte, Quintiliano e Cicerone, Lullo e Gratarolo,
Pietro da Ravenna e Romberch, Rosselli e Gior- dano Bruno, Schenkelius e
Alsted.?* Non poche delle sue pa-
gine appaiono dedicate a discutere le
posizioni bruniane e, come già Bruno, anch'egli si richiama alle immagini degli
dèi antichi e dell’astrologia trasformando la sua trattazione in una
elencazione di temi iconografici (« Saturnus, homo senex, pannosus, capite
aperto, altera manu falcem, altera vero nescio quid panno involutum gestans...
Iupiter apud veteres effin- gebatur sedens, in inferioribus partibus nudus...
»).°* Più volte, negli scritti del Paepp, ritornano dettagliate narrazioni e
minuziosi resoconti di miracolosi fenomeni di capacità mne- moniche.?® Più che
a una discussione dei temi attinenti alla retorica o alla enciclopedia, il
Paepp è fortemente interessato alla descrizione dei mirabili risultati cui si
può pervenire con l’aiuto dell’arte. Le tecniche della combinatoria e dell’ars reminiscendi
venivano qui utilizzate su un piano che presenta non pochi punti di contatto
con quello della magia e dell’oc- cultismo: mediante l’arte è possibile
trasformare rapidamente un fanciullo in un sapiente, entrare in possesso di
prodigiose virtù, giungere a suscitare la stupefatta amimrazione dei dotti e
dei reggitori della cosa pubblica. Già in Bruno, abbiamo visto, la tematica del
lullismo e dell’ars reminiscendi era apparsa strettamente connessa alle aspirazioni
e agli ideali della magia. L’ars inveniendi e l’arte memorativa si
configuravano spesso come progetti di fonda- zione di un’arte mirabile capace
di condurre entro i segreti della natura e di decifrare la scrittura
dell’universo. Non si trattava solo di ampliare, mediante l’arte, le capacità
mnemo- niche: la tecnica lulliana si pone in Bruno come ricerca e definizione
dei ritmi della natura; il riferimento ai subiecta dell’arte consente di
determinare contemporaneamente i prin- 2? Cfr. Eisagoge seu introductio, cit.,
p. |. °* Per i rapporti del Paepp con il Bruno cfr. N. Bapatoni, Appunti intorno
alla fama del Bruno nei secoli XVII e XVIII, in « Società », XIV, 1953, n. 3,
p. 517-518. Per l’uso delle immagini degli dèi anti- chi in Paepp cfr. gli
Artificiosae memoriae fundamenta, cit., pp. 86, 89 (ma cfr. alle pp. 86 - 113).
°° Cfr. Artificiosae memoriae fundamenta, cit., pp. 55-56 e soprattutto Schenkelius
detectus, cit., pp. 31-39. 126 CLAVIS UNIVERSALIS cipi del discorso e gli
elementi costitutivi della realtà. All'arte bruniana della memoria, in quanto
prodotto magico o arte segreta capace di ampliare smisuratamente le possibilità
uma- ne, si interessarono com'è noto Pio V, Enrico III, Giovanni Mocenigo. Un
discorso certo molto diverso, ma non in tutto dissimile converrebbe fare per
Campanella che amò anch'egli presentarsi come dotato di miracolose facoltà: al
cardinale Odoardo Farnese egli assicurava di poter insegnare filosofia naturale
e morale, logica, retorica, poetica, politica, astrologia e medicina con un
metodo speciale che avrebbe consentito di realizzare in un anno maggiori
risultati di quelli ordinaria- mente conseguibili con dieci anni di normale
insegnamento. Questo stesso concetto e la stessa insistenza sulla possibilità
di una straordinaria « facilità » di apprendimento, ritroviamo nelle pagine
della Città del Sole. Prima di dieci anni, i fan- ciulli della città solare
apprendono «senza fastidio » tutte le scienze servendosi di quella gigantesca
enciclopedia che risulta dalle immagini dipinte sulle pareti delle sei
muraglie.'° Questo ricorso all’immagini come elemento essenziale ha, in Cam- panella,
un significato non trascurabile: all’enciclopedismo lullista, fondato sui
termini e sui procedimenti logico-mate- matici, egli ne contrappone un altro
fondato sulle immagini sensibili delle cose. Nel perduto De investigatione
rerum,
composto fra il 1587 e il ’91, Campanella
aveva fatto riferi- mento ad una dialettica ex solo sensu che classificava gli
og- getti del senso in nove categorie « ut quilibet de quacumque re non per
vocabula tantum, ut Raymondo Lullio mos est, sed per sensibilia obiecta
ratiocinari posset ». A questa stessa esigenza di un sapere non verbale,
fondato sul senso e sulle cose, rispondono del resto le osservazioni, svolte
nel De sensu rerum et magia del 1620,** sulla memoria come « senso anti- cipato
», le sue critiche alle tesi della medicina peripatetica, la sua affermazione
che sia possibile operare sulla memoria con i ritrovati della medicina, la
identità, più volte affermata, di 4° Per l’enciclopedia dipinta sulle muraglie
e per la facilità dell’ ap- prendimento delle scienze cfr. La città del sole,
in Scritti scelti di G. Bruno e di T. Campanella, a cura di L. Firpo, Torino,
1949, pp. 412- 415, 419. 4! Del senso delle cose e della magia, Bari, 1925, pp.
98- 100. LA LOGICA FANTASTICA DI GIORDANO BRUNO 127 memoria e imaginativa. Si
comprenderà anche, tenendo pre- senti queste considerazioni, come egli potesse
guardare con simpatia alla « memoria locale » che fa larghissimo uso di immagini
sensibili. Gli stessi risultati cui è pervenuta la mne- motecnica “citeroniana”
appaiono in tal modo a Campanella una conferma della sua definizione della
memoria come « sen- so indebolito »: « l’arte della memoria locale, al senso
esposta in cose assai sensibili e note, ponendo le cose cognite per simi- glianza,
mostra che la memoria sia senso indebolito che così si rinnova e fortifica ». Quell’arte
della « memoria locale », alla quale faceva rife- rimento il Campanella, non
mancò certo di cultori nel corso del secolo XVII: negli scritti di Filippo
Gesualdo e di Gero- lamo Marafioto, di Johannes Austriacus e di Adam Bruxius, di
Francesco Ravelli e dello Schenkel, di John Willis e di Velasquez de Azavedo,*
ritornavano i temi e le regole della 42 Cfr. JoannIs MarciRI, De memoria
artifictosa, Francofurti, 1600 (Fir. Naz. 3.8.530); la Plutosofia del
Reverendiss. Padre F. Filippo Ge- sualdo dei Minori Conventuali nella quale si
spiega l’arte della me- moria, Vicenza, Heredi di Perin Libraro, 1600 (Triv.
Mor. H. 65); F. GiroLamo Manarioro, Nova inventione et arte del ricordare per luoghi
et imagini et figure poste nella mani, Venezia, 1605 (Triv. Mor. M. 68); la
traduz. latina dell’opera del Marafioto: De arte remuni- scentiac per loca et
imagines ac per notas et figuras in manibus post- tas fu pubblicata nel 1610 e
inserita nella edizione (qui di seguito ci- tata) del Gazophylacium artis
memoriae dello Schenkelius alle pp. 273 - 338. Nella stessa edizione, alle pp.
183-272 è inserito il De memoria artificiosa libellus di Johannes Austriacus
(Angelica, SS.1.24); fra i commentatori del De memoria dello Schenkel
(pubblicata per la prima volta nel 1595) sono da segnalare gli scritti di
Martin Sommer (Vene- zia, 1619) sotto il cui nome si nasconderebbe secondo il
Morhof (Po- Iyhistor, I, p. 374) lo stesso Schenkel e l’Ars memoriae... in
gratiam et usum inventutis explicata, Francofurti, typis N. Hoffmanni, 1617 di
Francesco Martino Ravelli (Ravelinus) (Par. Naz. Z. 58347). Più interessante è
il Simonides redivivus sive ars memoriae et oblivionis... tabulis expressa...
cui accessit Nomenclator mnemonicus, Lipsiae, im- pensis T. Schureri, 1610 di
Adamus Bruxius (Par. Naz. Z. 7878 - 7879) poi ristampata nel 1640. Ad un
anonimo professore di Lipsia si deve l'Ars memoriae localis plenius et
luculentius exposita... cum applica tone ciusdem ad singulas disciplinas et
faculates, Lipsia, 1620. Non sono riuscito a vedere questo testo né JoHANNES
VELASQUEZ DE AZAVEDO, Fenix de Minerva y arte de memoria que ensena sin maestro
a apren- der y retenir, Madrid, 1620 (il titolo riecheggia quello del
Ravennate). 128 CLAVIS UNIVERSALIS mnemotecnica “classica”, venivano commentate
e discusse le opere sulla memoria di Aristotele, di Cicerone, di Quintiliano, di
Tommaso, di Pietro da Ravenna, si tentavano combinazioni e sintesi tra la
mnemotecnica ciceroniana e la combinatoria di Lullo, si costruivano teatri ed
enciclopedie, sî escogitavano nuove, più complicate immagini, si conducevano
discussioni sui segni, sui gesti e sui geroglifici. Più che questi testi, che
contribuiscono a diffondere una tematica già largamen- te nota e ad alimentare
discussioni da tempo iniziate, ap- paiono degni di considerazione altri scritti
nei quali la ma- gia non costituisce soltanto — come per Bruno e per Cam- panella
— lo sfondo culturale sul quale si collocano le arti della memoria, ma offre a
queste una precisa giustificazione di ordine teorico. In questi scritti la
connessione tra le tecniche magiche e quelle della memoria viene esplicitamente
teoriz- zata e l’ars reminiscendi viene presentata come un prodotto di magia.
Nella Magia naturalis di Wolfgang Hildebrand A Lipsia- Francoforte, nel 1678
vedeva infine la luce, con il titolo Variorum de arte memoriae tractatus
selecti, una raccolta di scritti com- prendente le opere dello Schenkel, del
Ravelli, del Paepp, dell'Au- striacus, del Marafioto, dello Spangerberg. Lo
Schenkel, cui toccò in sorte di essere discusso brevemente da Cartesio, è
figura particolar- mente interessante: fortunato insegnante c diffusore
dell’arte mne- monica in Francia, Italia
e Germania (« artem hanc — scrive il Morho- fius, I, 374 — magno cum successu
suo nec sine insigni suo lucro exercuit ») fu accusato dì stregoneria durante
un suo soggiorno all’ Uni- versità di Lovanio, riuscendo poi ad ottencre
protezione ed appoggio dalla facoltà teologica di Douai. La prima edizione
della sua opera, poi spessissimo ristampata, è del 1695: De memoria liber
secundus in quo est ars memoriae, Leodii, Leonardus Straele, 1595. Insieme ai
tre opuscoli sopra ricordati dell’Austriacus, del Marafioto e dello Span- gerberg
l’opera fu ristampata con il titolo Gazophylacium artis me- moriace,
Argentorati, Antonius Bertramus, 1610 (Angelica. SS. 1. 24). Fra i suoi
scritti, che comprendono una Apologia pro rege catholico in calvinistam,
Anteverpiae, 1589 ec una raccolta di Flores et sententiac in- signiores ex
libris de Constantia Justi Lipsit, s.)., 1615 (Par. Naz. Yc. 12326 e Z. 17739),
è stato ristampato, in edizione moderna, il Com- pendium der Mnemonik, con
testo latino e trad. tedesca a cura di J. L. Kliber, Erlangen, J. J. Palm,
1804. All’insegnamento di quest'auto- re si richiama anche la curiosa
enciclopedia di Aprian LE Cuiror, Le magazin des sciences, ou vrai art de
mémoire découvert par Schen- Relius, traduit et augumenté de l’alphabet de
Trithemius, Paris, ]J. Quesnel, 1623 che amplia molto il testo originario (Par.
Naz. Z. 11298). LA LOGICA FANTASTICA DI GIORDANO BRUNO 129 (1610) la creazione
della memoria artificiale viene presentata come la applicazione dell’arte
magica ad una particolare forma dell’operare umano.‘ Nella Regina scientiarum e
nella Enciclopaedia Pierre Mo- restel insiste su temi largamente diffusi: la
regina delle scienze, che è l’arte di Lullo, non verte su un oggetto
particolare, ha caratteri tali di generalità c di certezza da presentarsi come totalmente
autosufficiente, da essere in grado di consentire il pieno raggiungimento della
verità in ogni ramo del sapere. All’arte mnemonica degli antichi, fondata sulla
dottrina dei luoghi e delle immagini, Morestel contrappone, come nuova arte
della memoria, la combinatoria lulliana. Nei suoi scritti la trattazione dei
temi del lullismo e della mnemotecnica si collega con quella della filosofia
occulta dei filosofi presocra- tici, con l'interpretazione delle favole
antiche, con la tematica della cabala, con la ricerca di una chiave
universale.*' Alla 49 W. Hiupesranp, Magia naturalis, das ist, Kunst und
Wunderbuch, darinne begriffen Wunderbaren Secreta,, Geheimniisse und KRunststi-
che... Leipzig, 1610. 44 Cfr. Pierre MoRESTEL, Enciclopaedia sive artificiosa
ratio et via cir- cularis ad artem magnam R. Lullit per quam de omnibus
disputatur habeturque cognitio, s.l., in collegio Salicetano, 1646 (Par. Naz.
Z. 19006); La philosophie occulte des devanciers d'Aristote et de Platon, en
forme de dialogue, contenant presque tous les préceptes de la phi- losophie
morale extraite des fables anciennes, Paris, T. Du Bray, 1607 (Par. Naz. V.
21888); Les secrets de la nature... contenant presque tous les préceptes de la
philosophie naturelle extraite des fables anciennes, Paris, R. de Beauvais,
1607 (Par. Naz. J. 25112); Artis kabbalisticae sive sapientiae divinae
academia, Parisiis, apud M. Mondière, 1621 (Par. Naz. A. 7729); Regina omnium
scientiarum qua duce ad omnes scien- tias et artes, qui literis delectantur
facile conscendent, Tremoniae, apud Jodocum Kalcovium, 1664 (la prima ediz. è
Rothomagi, 1632) (Casanat. M. XIX. 4). La definizione dell'arte di Lullo,
presente in questi testi, è ricalcata secondo schemi convenzionali: « Ars R.
Lullii non vul- garis, non trivialis, non circa unum aliquod obiectum occupata,
sed ars omnium artium regina... Huius artis ea est excellentia praestan- taque,
ea generalitas ac certitudo, ut, se sola sufficiente, nulla alia praesupposita...
cum omni securitate et certitudine... de omni re sci- bili veritatem ac
scientiam non difficulter invenire faciat ». Più inte- ressante è
l’interpretazione della combinatoria come arte mnemonica: “ Artificium igitur
memoriae, a veteribus traditum, locis constabat et Imaginibus; quidni igitur
dabitur aliqua ars memoriae quae terminis constabit? Talis est ars Lullii,
cuius termini generales patefaciunt adi- 130 CLAVIS UNIVERSALIS medicina
mnemonica di Gratarolo, e quindi alla tradizione dell’aristotelismo, si
richiama invece l’anonimo autore di un Ars magica pubblicata a Francoforte nel
1631 che dedica alla memoria e alle immagini astrologiche impiegate per raffor-
zarla, due capitoli del suo trattato. Nel Pentagonum philoso- phicum medicum,
sive ars nova reminiscentiae (1639) di La- zare Meyssonnier, medico del re di
Francia e corrispondente di Cartesio, cultore di medicina astrologica, di
chiromanzia e di fisiognomica, ritornano i temi della medicina della memo- ria,
del lullismo, della cabala. Nella Belle magie ou science de l’esprit egli
presentava, in funzione della medicina magica, un « methode de conduire la
raison » e una «logique natu- relle pour resoudre toutes sortes de questions
».'° Questa stessa esigenza di un metodo universale si accompagna, nei testi di
medicina magica di Jean d’Aubry, alla affermazione di una scienza unitaria e
suprema rispetto alla quale le parti- tum non solum ad inventiones plurimas...
sed etiam maxime faciunt ad memoriam, cum sint quasi via artificiosa et
methodica ad corri- gendum defectum, roborandam infirmitatem et sublevandam
virtutem memoriac naturalis ». (Cfr. Regina scientiarum, cit., pp. 19, 318). 45
Cfr. Lazare MryssonnIER, Penzagonum
philosophicim - medicum sive Ars nova reminiscentiae cum institutionibus
philosophiac naturalis et medicinac sublimioris et secretioris... clave omnium
arcanorum na- turaltum Macrocosmi et Microcosmi, Lugduni, J. ct P. Prost
fratres, 1639 (Par. Naz. 4. T. 19-20); La delle magie ou science de l'esprit contenant les fondemens
des subtilitez ct de plus curicuses et secrètes connoitssances de ce temps,
Lyon, chez Nicolas Caille, 1669, pp. 322, 350 (Triv. Mor. M. 114). Delle suc
competenze astrologiche ci dà testi- monianza lo stesso Mcyssonnier: « Apres
avoir durant vingi-cinq ans cxaminé soigneusement les écrits et les
observations de ceux qui ont traité de l'astronomie ct de l'astrologie, dressé
ct jugé plus de deux mille figures de nativité, qu'on nomme vulgairement
horoscopes... » Cfr. Aphorismes d'astrologie tirée de Ptolomée, Hermes, Cardan,
Munfredus et plusieurs autres, traduit en frangois par A.C., Lyon, Mi- chel
Duhan, 1657, p. 1 (Triv. Mor. M. 194). La
teoria del conarinrm so- stenuta dal Meyssonnier nel Pentagonum e nella Belle
magie dovrebbe essere studiata anche in vista di una comprensione
dell'atteggiamen- to assunto da Descartes verso questo curioso personaggio. Per
i con- tatti di Meyssonnier con Mersenne c Cartesio cfr. la lettera di Meys- sonnier
a Mersenne del 25.1.1639 ricordata in Adam et Tannery, HI, p. 17, la prima
lettera a Descartes è andata smarrita e così pure la risposta alla lettera
cartesiana del 29.1.1640 (Adam et T., III, p. 18); si vedano anche le lettere
di Descartes a Mersenne del 29. |. 1640, del 1.4. 1640 e del 30. 7. 1640 (Adam
cet T., III, pp. 15, 47, 120). LA LOGICA FANTASTICA DI GIORDANO BRUNO 131 colari
scienze hanno carattere di apparenza. Mentre traccia le linee di una grande
enciclopedia, egli insiste energicamente sulla sostanziale unità del sapere e
sulla artificialità di ogni separazione tra le singole discipline : « Dans les
trois premiers chapitres tu y verras toutes les connoissances du monde et un
ordre de toutes choses.... Et tu apprendras aussi dans le troisième chapitre
qu'il n'y a qu’une seule science parce qu'il n’y en a qu’une seule laquelle
donne reponse sans user d’aucune espece de divination.... La science... laquelle me
donne des resolutions et reponses infaillibles de toutes choses, comme estant
la règle de toute verité ».*° Anche
nei testi di Robert Fludd, che è il più noto e signi- ficativo esponente
dell’ermetismo e del simbolismo cabalistico del Seicento, troviamo un’ampia
trattazione, del resto con- dotta secondo canoni assai convenzionali, dell’arte
memora- tiva.!” 15 Cfr. Jean D’AuBry, Le triomphe de l'archée et la merveille
du mon- de, ou la medicine universelle ct veritable pour toutes sortes de mala-
dies les plus desesperées... Etablie par raisons necessatres et demonstra- tions
infaillibles, A Paris, chez l’auteur, 1661, avvertimento al pubbli- co, pp. non
numerate (Vatic. Racc. Gen. Medicina, IV. 1347). In que- sta ediz. francese,
che segue a quella latina del 1660 — Triumphus ar- chei et mundi miraculun sive
medicina universalis, Francofurti, 1660 (Braid. A. XIII. 2388) — è compresa, in
appendice, la Apologie contre certatns docteurs en médicine... respondant à
leurs calomnies que l'au- theur a guéry par art magique beaucoup de maladies
incurables et aban- donces, già pubblicata a Parigi nel 1638. Fra gli scritti
più particolar- mente dedicati a Lullo si veda la traduzione della Blanquerna
(Le Triomphe de l'amour et l’eschelle de la gloire, ou la médicine univer- selle
des ames, ou Blanquerne de l'amy et de l'aimé, Paris, s.d. Par. Naz. R. 6217),
l' Abregé de l'ordre admirable des connoissances et des beaux secrets de saint
Raymond Lulle martyr, s. d. (Par. Naz. To. 131. 113) e Le firmament de la vérité contenani le nombre
de cent démons- trations... qui preuvent que tous les prestres... abbés,
commandataires, prédicateurs et bernabites doivent étre damnés éternellement
s'ils ne vont prescher l’ Evangile aux Turcs, Arabes, Mores, Perses, Musulmans et
Mahométans, Grenoble, J. de la Fournaise, 1642 (Par. Naz. D. 2. 5652). Ma si vedano a pp. 155-61 della Apologie
(ediz. 1661, cit.) le otto ragioni, elencate dal d’Aubry, per le quali i libri
di Lullo « doi- vent estre receus de mesme que ceux d'un Père de l’Eglise ». 4°
R. FLupp, Tomus secundus de supernaturali, naturali, praeterna- turali et
contranaturali Microcosmi historia, Oppenheimi, typis Hie- ronimi Galleri,
1619, pp. 47-70. 132 CLAVIS UNIVERSALIS 9 In piena atmosfera magica ed ermetica
ci riporta anche il Traicté de la memoire artificielle pubblicato a Lione, nel
1654, da Jean Belot e inserito, a guisa di appendice, nelle Fami:- lières
instructions pour apprendre les sciences de Chiromancie et Phystonomie.** L°
intera combinatoria lulliana viene iden- tificata dal Belot con una «memoria
artificiale »j mediante la miracolosa invenzione di Raimondo, « homme d’exquise
erudition », è possibile abbreviare in modo prodigioso il cam- mino della
scienza e sostituire al lavoro di un’intera vita il rapido apprendimento dei
princìpi fondamentali e costitutivi i ogni ramo del sapere. Per svelare
l’essenza dell’arte, che Lullo volutamente nascose sotto una serie di enigmi,
per su- perare le posizioni di Bruno, di Agrippa, di Alsted e di La- vinheta,
per mettere l’arte alla portata di tutti («cet arte estoit necessaire à ceux
qui font profession de faire sermons... ou quelque trafic de marchandise »),
Belot propone di asso- ciare la combinatoria alla chiromanzia sostituendo alle
figure della combinatoria e alle immagini della mnemotecnica cice- roniana, le
figure e i termini in uso nell'arte chiromantica.** Nonostante le pretese di
assoluta novità, le « ruote » delle quali 18 Cfr. Les Oeuvres de Jean Belot...
contenant la chiromance, phy- sionomie, l'art de mémoire de Raymond Lulle,
traité des devinations, augures et songes, les sciences steganographiques
paulines et almadelles et lullistes..., Lyon, chez Claude de la Rivière, 1654,
pp. 329-345 (Triv. Mor. L. 88). Oltre a questa edizione è da vedere l’altra di
Rouen, chez Pierre Amiot, 1688 (Triv. Mor. L. 80) poi ristampata a Liegi nel
1704. Sulle arti « paulines et almadelles » si veda la nota di L THoRnpikE,
A/fodhol and Almadel: hitherto unnoted books of magic in florentine
manuscripts, in « Speculum », 1927, pp. 326 -31. Le opere del Belot, che si
mostrò favorevole alla teoria copernicana e parlò, nel 1603, di rourbillons de
matière, andrebbero esaminate più detta- gliatamente di quanto non abbia fatto
il Thorndike (History of ma- gic and experimental science, VI, pp. 360-62;
507-10) anche perché in esse sono presenti evidenti tracce delle posizioni
ramiste: cfr. per es. alle pp. 52, 56 dell'edizione del 1654 e alle pp. 62-63 e
67-68 dell'edizione del 1688. A Bruno, come ad uno dei maggiori teorici del- l’arte,
Belot si richiama più volte: cfr. Note bruniane, in « Rivista critica di storia
della filosofia », 1959. 4° Les oeuvres de
]can Bellot, ediz. 1654, cit., pp.
330, 331, 333-34. Per la connessione tra chiromanzia e arte mnemonica cfr.
l’opera di G. MararioTo, qui sopra citata alla nota 42. LA LOGICA FANTASTICA DI
GIORDANO BRUNO 133 il Belot si serve appaiono ricavate dai commenti lulliani di
Agrippa, mentre non mancano, in più punti, echi della trat- tazione bruniana.
Proprio da Agrippa e da Bruno egli trae infatti la convinzione — in seguito
sostenuta con maggior ampiezza nella RAetorigue — di una stretta connessione
tra retorica-dialettica da un lato e lullismo ed arti segrete dal- l’altro. Il
titolo del suo trattato è, da questo punto di vista, assai indicativo: « La
rhetorique par laquelle on peut discourir de ce qui est propre en l’oraison et
de disputable par dialecti- que, selon la subtilité de l’art lulliste et autres
arts plus secrets qui sont icy compris par une seule legon necessaire en tout art
».5° Le finalità di una retorica e di una dialettica fondata sul lullismo e
sulla tradizione magico-alchimistica vengono presentate, non a caso, come
coincidenti con quelle che già furono proprie dell’antica sapienza ebraica e
dei sostenitori della cabala: Ce que l’antiquité a recherché avec beaucoup de
labeur toutesfois sans en avoir acquis la parfaite connoissance, je te le donne
tout entier: c'est ce qu'ont voulu acquerir les Prophetes, Mages, Rabins,
Cabalistes et Massorets, et depuis eux le docte H. C. Agrippa.5! Portando la
retorica e la dialettica sul piano delle «arti segrete », mescolando la
combinatoria alla cabala, all’astro- logia, alla medicina magica, facendo
corrispondere alle cinque partizioni della retorica nuove partizioni attinte
alla tradi- zione ermetica,°® Belot portava così all’esasperazione, intorno alla
metà del Seicento, una tematica che aveva avuto le sue più fortunate
espressioni nell’opera di Agrippa, di Bruno, di Giulio Camillo. I primi scritti
del Belot risalgono al 1620: 5° Cfr. Les oeuvres, cit., p. 1 della seconda
parte. °l Les oeuvres,
cit., prefazione. 52 Les oeuvres, cit., p. 3 della seconda parte: « Pour les
parties, elles regoivent toutes les cinq pour bonnes et utiles, mais il y en a
cinq autres particulieres aussi: car pour la memoire, elle a l’Art notoire...; pour
l’action ou pronunciation, l’art Paulin et pour les autres parties, a pour
l’elocution l’art d’Almadel; pour la disposition la seconde par- tie de la
Theurgie et pour l’invention l'art des revelations, que Tri- theme dit venir d’
Ophiel, esprit Mercurial ». 134
CLAVIS UNIVERSALIS qualche anno prima Bacone e Cartesio avevano assunto un atteggiamento
fortemente polemico contro questo tipo di let- teratura. Su un punto essi
avevano concordemente insistito: su questo piano la combinatoria lulliana e le
arti della me- moria si risolvevano nell’inutile costruzione di giochi stupe- facenti
atti a ingannare il volgo anziché a far progredire le scienze. V. LA MEMORIA
ARTIFICIALE E LA NUOVA LOGICA: RAMO, BACONE, CARTESIO 1. Pierre DE LA RAMÉE: LA
« MEMORIA » COME SEZIONE DELLA LOGICA. L’eredità delle discussioni
quattrocentesche sull’ ars me- morativa non era stata tuttavia raccolta solo
dagli esponenti della magia e dell’ermetismo del Cinquecento e del primo Seicento.
Su un diverso terreno, quello di una rigorosa trat- tazione dei temi della
dialettica e della retorica concepite come scienze mondane, in ambienti
diversi, attenti alle dispute lo- giche, interessati agli sviluppi della
matematica e della geo- metria, era andato maturando, fin dalla metà del secolo
XVI, il tentativo ramista di inserire i problemi attinenti alla me- moria e le
regole della mnemotecnica entro una più vasta ri- cerca concernente la riforma
dei metodi di invenzione e di trasmissione del sapere. Il problema degli «
aiuti della memo- ria » giungerà per questa via ad acquistare una singolare risonanza
anche nei testi dedicati, nella prima metà del se-
colo XVII, ed una riforma del metodo:
Bacone vedrà nella ministratio ad memoriam un elemento costitutivo del nuovo metodo
delle scienze; Cartesio parlerà, a proposito della enu- merazione, di un
movimento continuo del pensiero che ha lo scopo di recar soccorso alla naturale
infermità della memoria. Più che in Francia, dove pure vedono la luce nella
prima metà del Cinquecento non pochi testi di ars memoraziva, la tradizione
ciceroniana che si ispirava in tutta Europa all'opera di Pietro da Ravenna,
aveva trovato in Italia, come abbiamo visto, i suoi più fortunati e clamorosi
sviluppi. Per quanto riguarda la Francia è dunque il caso di insistere —
trascu- rando testi come la Memoria artificialis del Campanus e l’Ars
memorativa del Leporeus (Parigi, 1515 e 1520)* che si Non ho visto l'opera del
Campanus delle cui caratteristiche discorre il Morhofius; dell’Ars memorativa Guglielmi Leporei Avallonensis ho
visto l'edizione parigina del 1520, in Chalcographia Iodoci Badii Ascensii
(Triv. Mor. H. 416). 136 CLAVIS UNIVERSALIS limitano a riecheggiare stancamente
l’opera del Ravennate — sulla posizione assunta, di fronte al problema dell’ars
me- moriae dal maggior esponente degli studi logici e retorici di questo
periodo della cultura francese. Invece di teorizzare l’arte mnemonica come una
tecnica autonoma, costruita in vista di fini pratici ben determinati e
indipendente dagli svi- luppi della retorica e della logica, Pietro Ramo? si
preoccupa proprio dei rapporti che intercorrono fra la « memoria » da un lato e
la dialettica e la retorica dall’altro. La sua opera di riformatore intende dar
luogo a questo risultato: staccare de- cisamente la memoria dalla retorica,
alla quale una secolare tradizione la aveva assegnata, e servirsene come di uno
degli elementi costitutivi della dialettica o della nuova logica. Ramo, com'è
noto, amò presentare la sua riforma come un ritorno agli insegnamenti della
filosofia classica, come una semplificazione e una chiarificazione di
quell’insegnamento aristotelico che era stato a suo avviso corrotto dalla
confu- sione terminologica degli scolastici e da quella tradizione reto- rica
che fa capo agli scritti di Quintiliano. Il filosofo che, in una brillante
esercitazione, aveva inteso mostrare la falsità di tutte le proposizioni
aristoteliche, non esiterà poi a dichiarare in modo significativo: « Libros
veterum conservemus et ad eos, cum fuerit opus, recurramus: philosophiamque ex
eorum libris collectam puram veramque doceamus ».° Né esiterà a rintracciare,
negli stessi testi aristotelici, i fondamenti delle sue proprie partizioni
della dialettica (« Qui partitur logicam in inventionem et dispositionem,
Aristoteli authore partitur »).* ? Per qualche indicazione sulla bibliografia
intorno a Ramo cfr. la mia rassegna Ramismo logica e retorica nei secoli XVI e
XVII, in « Rivista critica di storia della filosofia », 1957, HI, pp. 359-61.
Agli studi indicati in quella sede vanno aggiunti i seguenti: M. Dasson- viLLe,
La genèse et les principes de la Dialectique de P. Ramus, in « Revue de
l'Université d’Ottawa », 1953, pp. 322-55; La dialectique de P. Ramus, in «
Revue de l’ Univ. de Laval », 1952-53, pp. 608 - 616; P. Dion, L'influence de
Ramus aux universités néerlandaises du XVII siècle, in Actes du Xle Congr. Int. de Philosophie, Louvain,
1953, XIV, pp. 307-11; R. Tuve, /Imagery and logic, Ramus and methaphysical
poetics, in «Journal of the history of ideas», 1942, IV, pp. 365-400. ® P.
Ramus, Scholae in liberales artes, Basilea, 1569, pp. 157-158. 1 Scholae in
liberales artes, cit., p. 63. RAMO,
BACONE, CARTESIO 137 Ancora ad Aristotele, del resto, egli faceva risalire
quella con- giunzione di filosofa ed eloquenza che verrà teorizzata in una
celebre orazione del 1546: « Aristoteles intelligendi pru- dentiam cum dicendi
copia coniunxit: et cum antea matutinis ambulationibus philosophiam solam
doceret, pomeridianis etiam rhetoricam docere coepit ».* Per ricostruire nel
suo vero significato il senso dell’insegnamento aristotelico, per portare alla
luce le verità che nei testi aristotelici sono presenti, anche se solo
accennate, è necessario, secondo Ramo, rifiutare ogni indebita commistione di
grammatica dialettica e retorica: alla prima andranno riferiti solo i problemi
attinenti alle etimo- logie, alla seconda soltanto l’arte dell’invenzione e
quella del giudizio, mentre la terza dovrà limitarsi alla trattazione delle tecniche
dello « stile » e del « porgere », alla capacità di ador- nare e trasmettere il
materiale prodotto dalla ricerca dialettica.
Nella storia della logica e in quella
della retorica si è veri- ficato, per Ramo, un errore fondamentale che ha
finito per snaturare profondamente il senso della prima e della seconda. Si è
ammesso con Aristotele e si è poi sostenuto con Cicerone e con la Scolastica
che fosse possibile costruire due diverse logiche valide l'una nel campo della
scienza, l’altra nel regno dell'opinione e del discorso popolare, adatta la
prima ai sa- pienti, la seconda al volgo. Proprio questa duplicità viene energicamente
rifiutata da Ramo: la teoria della inventio e della dispositio è una sola,
valida in ogni campo e in ogni tipo di discorso.® Aver creduto all’esistenza di
due diverse logiche ha condotto a un’ibrida mescolanza di concetti e di termini
affine a quella della quale si è reso responsabile Quintiliano quando, oltre a
confondere dialettica e retorica, ha aggravato ulteriormente la situazione
mescolando ai temi della retorica quelli propri dell’etica: Duae sunt universae
et generales homini dotes a natura tributae: ratio et oratio; illius doctrina
dialectica est, huius grammatica et rhetorica. Dialectica igitur gene- 3 Cfr.
la Oratio de studiis philosophiae et eloquentiae coniungendis Lutetiae habita
anno 1546, riedita nelle Brutinae quaestiones in Ora- torem Ciceronis,
Parisiis, apud Jacobum Bogardum, 1547, p. 45r. (Padova, Antoniana, T.V. 5). °
Cfr. Dialectique, 1555, pp. 3-4. 138 CLAVIS UNIVERSALIS rales humanac rationis
vires in cogitandis et disponendis rebus persequatur; grammatica orationis
puritatem in ctymologia ct sintaxi ad recte loquendum vel scribendum interpretetur.
Rhetorica
orationis ornatum tum in tropis et figuris, tum in actionis dignitate
demonstret. Ab his deinde gencralibus et universis, velut instrumentis, aliae artes
sunt ceffectae... Aristoteles summae confusionis au- thor fuit: inventionem
rhetoricae partem primam facit, falso, ut antca docui, quia dialecticae propria
est; sed tamen rhetoricae partem facit et eius multiplices artes primo artis
universae loco conturbat in probationibus... Quintilianus concludit materiam
Rhetorices esse res om- nes quae ad dicendum subiectac sunt... Dividitur rheto-
rica in quinque partes: inventionem, dispositionem, cle- cutionem, memoriam ct
actionem. In qua partitione nihil iam miror Quintiliamum dialectica tam nudum
esse, qui dialecticam ipsam cum rhetorica hic confusum non potucrit agnoscere,
cum dialecticae sunt inventio, disposi- tio, memoria; rhetorica tantum clocutio
cet actio.? Sulla separazione della dialettica dalla
retorica Ramo ebbe ad insistere instancabilmente; di fronte all’obiezione che
il retore non potrà non servirsi degli argomenti elaborati in sede di
dialettica rispondeva che la congiunzione dialettica-retorica,
presente nei vari discorsi umani, non
escludeva affatto, anzi esigeva, una distinzione ed una separazione precisa fra
la teoria della dialettica e quella della retorica: Non potest... sine numeris
Geometria, Musica, Astrologia consistere: an propterca hae artes numeros
explicare et sune professioni subiicere debebunt. Usus artium, ut iam toties
dici, copulatus est persacpe. Praecepta tamen confundenda non sunt, sed
propriis et separatis studiis declaranda.8
Le artes logicae comprendono dunque per
Ramo la dialet- tica o logica e la retorica: la prima si articola nella
inventio e dispositio, la seconda nella elocutio e nella pronuntiatio. Identificando,
sulle traccie di Quintiliano e di Cicerone, la dispositio con il iudicium (il
secondo libro della Dialectica, ® Cfr. Rhetoricae distinctiones in
Quintilianum, Parisiis, apud An- dream Wechelum, 1559, p. 18; Ciceronianus ct
brutinae quaestiones, Basilea, Petrus Perna, 1577, p. 329; RAetoricae
distinctiones, cit., p. 43, * Scholae in tres primas liberales artes,
Francofurti, apud Andrcam Wechelum, 1581, p. 3I (Fir. Naz. V. 8.37). RAMO,
BACONE, CARTESIO 139 noto come la Secunda pars Rami, tratta appunto De iudicio et
argumentis disponendis), Ramo fa rientrare nella tratta- zione della dispositio
quelle parti della dialettica che si rife- riscono all’assioma o proposizione,
al sillogismo e al metodo: Duae partes sunt artis logica: topica in inventione
ar- gumentorum, id est mediorum principiorum elemento- rum, (sic cnim nominatur
in Organo) et analitica in corum dispositione.... Dispositio est apta rerum
inventarum collo- catio.... Atque haec pars est quae iudicium proprie nomi- natur,
quia sillogismus de omnis iudicandis communis regula est.... Dialecticae artis
partes duae sunt: inventio et dispositio. Posita enim quacstione in qua
disserendum sit, probationes et argumenta quaerantur; deinde, iis via et ordine
dispositis, quaestio ipsa explicatur.® In uno dei brani precedentemente citati
il termine memoria è comparso, accanto a quelli di ‘nventio e dispositio come
uno degli elementi costitutivi della dialettica (« cum dialecticae sunt inventio,
dispositio, memoria; rhetoricae tantum elocutio et actio »). Proprio alla
memoria spetta, secondo Ramo, un com- pito preciso: essa costituisce un
indispensabile strumento per introdurre ordine nella conoscenza e nel discorso.
Come tale essa non può essere omessa o trascurata: Dicis oratori tria esse
videnda: quid dicat, quo quidque loco, et quomodo: primo membro inventionem,
secundo collocationem, tertio elocutionem et actionem comprehen- dis. Memoria
igitur ubi est? Communis est -ais
- multa- rum artium, propterea omittitur. Enimvero, inquam, inventionem et dispositionem
communescum multis esse (ais), cur igitur haec recensentur, illa contemnitur?
1° Tenendo presente la funzione ordinatrice attribuita da Ramo alla memoria,
appare molto significativa la identificazione so- stenuta da Ramo, della
memoria (che nella tradizione era una delle cinque “grandi arti” costitutive
della retorica) con la dottrina del giudizio appartenente alla dialettica o
logica. Dispositio, iudicium, memoria diventano in tal modo, in molti °
Animadversionum aristotelicarum libri XX, Parisiis, 1553-1560, vol. II, prefaz.
ai libri IX-XX, p. 1; Institutionum dialecticarum libri tres, Parisiis, 1543,
Il, pp. 2, 3, 77 (rispettivamente: Braid. B. XVIII. 6. 248; Ambros. SN. UV.
41). 1° Brutinae quaestiones, cit., p. 8v. 140 CLAVIS UNIVERSALIS testi
ramisti, termini intercambiabili, giacché al giudizio spetta appunto il compito
di collocare o disporre le res inventas entro un ordine preciso e « razionale »
: Dialectico inventionem, dispositionem, memoriam me- rito assignamus;
clocutionem et actionem oratori relin- quamus... Iudicium definiamus doctrinam
res inventas collocandi, et ca collocatione de re proposita iudicandi: quae
certe doctrina itidem memoriae (si tamen cius esse disciplina ulla potest),
verissima certissimaque doctrina est, ut una cademque sit institutio duarum
maximarum animi virtutum: iudicii et memoriac... Rattonis duae par- tes sunt:
‘nventio consiliorum et argumentorum, eorum- que iudicium in dispositione...
dispositionis umbra quae- dam est memoria... Tres itaque partes illae, inventio
in- quam dispositio memoria, dialecticae artis sunto.!! Nonostante i dubbi
avanzati da Ramo sulla possibilità di una disciplina della memoria come arte
autonoma, anzi, pro- prio in forza di questi dubbi, la sua concezione del
metodo come disposizione sistematica e ordinata delle nozioni ten- dente alla
costituzione di un ordine unitario delle conoscenze appare in grado di
assorbire molte di quelle « regole » che avevano trovato un’esplicita
teorizzazione all’interno della mnemotecnica tradizionale. L’ assorbimento
della memoria nella logica operato da Ramo, la identificazione da lui soste- nuta
del problema del metodo con quello della memoria se- gnava l’atto di nascita di
quella concezione del metodo come esercitante una funzione classificatoria nei
confronti della realtà che avrà grandissima fortuna nel pensiero europeo dei secoli
successivi. Questo tipo di considerazione, mentre anti- cipava l'atteggiamento
che nella discussione di questi temi Bacone assumerà mezzo secolo più tardi,
avvicinava non a caso la posizione di Ramo a quella di Melantone che negli Erotemata
dialecticae aveva visto nel metodo un habitus videlicet scientia, seu ars, viam
faciens certa ra- tione, id est, quae quasi per loca invia et obsita sensi- bus,
per rerum confusionem, viam invenit et aperit, ct res, ad propositum
pertinentes, eruit ac ordine promit.!? 1) Scholae in tres primas liberales artes, cit., pp.
14-46; Dialecticac institutiones, cit., p. 19v. 12 MELANTONE, Erotemata dialecticace, in Corpus
reformatorum, XIII, c. 573. RAMO, BACONE, CARTESIO 14] Ad un sistematico
ordinamento delle rotiones e degli ar- gumenta, ad una ordinata collocatio dei
luoghi, alla costru- zione di enciclopedie intese come classificazioni totali
degli elementi naturali e delle operazioni umane, alla creazione di una sopica
universale avevano del resto mirato non pochi tra i più significativi testi
della mnemotecnica ciceroniana e della tradizione lullista. Il fatto che un
giovane studioso boemo, Giovanni de Nostiz, potesse pensare a una nuova logica
fon- data sugli insegnamenti di Lullo, di Ramo e di Giordano Bruno può suonare
conferma di questa fondamentale unità di impostazioni e di intenti. Per
concludere: ciò che soprattutto è da sottolineare nella posizione di Ramo è il
tentativo di inserire i problemi atti- nenti alla memoria in un discorso assai
più vasto che non ri- guardava solo la elaborazione di una particolare tecnica
utile agli oratori, agli avvocati, ai poeti, ma concerneva più delicate e
complesse questioni attinenti al metodo e alla logica. Più che ai testi degli
storici moderni della filosofia, che hanno a lungo equivocato sul significato
della riforma ramista, gio- verà richiamarsi alla precisa affermazione di Omar
Talon (Audomarus Talaeus), grande teorico della retorica cinque- centesca,
discepolo devoto e collaboratore di Ramo: « quest’ul- timo — egli scriveva — ha
ricondotto alla logica, alla quale propriamente appartengono, la teoria
dell’inventio, della dispositto, della memoria ».'* E gioverà anche rileggere,
a chiarire possibili equivoci, il preciso giudizio di Pierre Gas- sendi: Cum
observasset enim quinque vulgo fieri partes Rhetori- cac, inventionem,
dispositionem, elocutionem, memoriam et pronunciationem, censuit ex ipsis duas
solum pertinere ad rhetoricam: clocutionem puta et pronunciationem seu actionem;
duas artes esse proprias Logicac: inventionem puta et dispositionem, quibus,
quia memoria iuvatur, posse illam eodem cum ipsis spectare. Quare et Logicam seu
Dialecticam... in duas partes distribuit: inventionem et iudicium (sic enim
potius dicere quam dispositionem maluit...) atque idcirco artem totam duobus
libris com- plexus est.!4 sa i È i . i Petri Rami professoris regi et Audomari
Talaci collectaneae pre- fationes,
epistolae, orationes, Marburg, 1559, p. 15. 14 Sa P. Gassenpi DiniensIis, Opera
omnia in sex tomos divisa, Floren- tiae, 1727, vol. I. De logicae origine et
varietate, cap. 9 Logica Rami, p. 52. 142 CLAVIS UNIVERSALIS Della portata
rivoluzionaria e delle gravi conseguenze che ebbe nella storia della logica una
riforma dall'apparenza tanto inoffensiva ci si è cominciato a render conto solo
in tempi molto recenti. In questa sede e in vista dei limitati fini che qui ci
proponiamo, basterà notare quanto segue: l’atteggia- mento assunto da Ramo
segna una svolta radicale; nella sua stessa direzione, quella di un
assorbimento della dottrina degli aiuti della memoria entro i quadri più
generali della logica e della dottrina del metodo, si muoveranno, sia pure con
intenti estremamente diversi e talora addirittura divergenti, Bacone, Cartesio
e, più tardi, Leibniz. 2. Bacone E CARTESIO: LA POLEMICA CONTRO I GIOCOLIERI
DELLA MEMORIA. Bacone pubblicò l’Advancement of Learning nel 1605, Novum
Organum (la cui stesura era stata iniziata intorno al 1608) c il De augmentis
scientiarum rispettivamente nel 1620 e nel 1623. Le Cogitationes privatac di
Cartesio risalgono al 1619, le Regulae ad directione ingenit furono composte
fra il 1619 e il 1628, il Discorso sul metodo fu pubblicato nel 1637. Nello
stesso trentennio il filosofo inglese e quello francese giungono, relativamente
all’ars combinatoria e all’ars me- moriae, a conclusioni che presentano una
concordanza sin- golare. Sia nelle pagine di Bacone, sia in quelle di Cartesio
!* è rintracciabile la documentazione di una conoscenza diretta dei testi
cinquecenteschi di arte memorativa. Bacone accenna più volte alle « raccolte di
luoghi », alle « sintassi » che gli è avve- nuto di leggere, alla « memoria
artificiale », fa esplicito rife- rimento alla « dottrina dei luoghi » c alla «
collocazione delle immagini », alla «tipocosmia » di derivazione lulliana. Car-
tesio, che è assai più parco di espliciti riferimenti e non ama le citazioni,
accenna tuttavia alla sua lettura dell’Ars memo- 15 Le citazioni dai testi di
Bacone e di Cartesio rimandano rispettiva- mente a: Ocuvres de Descartes, ed. C.
Adam et P. Tannery, Il voll., Parigi, 1897 - 1909; Tie Works of Francis Bacon,
ed. by J. Spedding, R. L. Ellis, D. D. Heath, 7 voll, Londra, 1887-92 qui di
seguito indicate con le abbreviazioni Oeuvres ec Works. RAMO, BACONE, CARTESIO
143 rativa dello Schenkelius, ritorna più volte sull’ars memoriae, sulla
funzione che esercitano le « immagini sensibili » in vista della
rappresentazione dei concetti intellettuali, parla, secondo una tipica
terminologia, di catena scientiarum, si interessa vivamente alle mirabili
scoperte di un ignoto seguace di Lullo, si rivolge all'amico Beeckmann per aver
notizie e chiarimenti sui testi lulliani di Agrippa, sul significato e sulle
possibilità reali dell'Arte. Questi temi e questi interessi esercitarono, com’è
noto, una notevole suggestione sul pensiero baconiano c su quello del giovane
Cartesio. Ma c’è di più: alcuni ele- menti attinti alla tradizione dell’ars
memiorativa e dell’ars com- binatoria ebbero ad agire in profondità all’interno
della stessa formulazione, baconiana e cartesiana, di un nuovo metodo e di una
nuova logica. Di questo più avanti. Ciò che qui interessa di porre in rilievo è
il significato del rifiuto, che troviamo presente in Bacone e in Cartesio,
verso quelle tecniche memorative che si erano ridotte a giochi intellettuali e
si erano andate caricando di riferimenti a quella mentalità magico-occultistica
contro la quale entrambi i filosofi presero energicamente posizione. La valutazione
dell’arte lulliana che troviamo presente da un lato nella lettera a Beeckmann
del 1619 e nel Discorso sul metodo e dall’altro nell’Advancement of learning e
nel De augmentis è, da questo punto di vista, quantomai significativa. Di
fronte al vecchio seguace dell’ars Srevis che si vanta di poter parlare per
un'ora intera di un argomento qualunque e di poter poi proseguire per altre
venti ore parlando sullo stesso tema in modo sempre diverso, Cartesio, che pure
è fortemente inte- ressato al problema, ha l’impressione di una loquacità fon- data
su un’erudizione tutta libresca e di un’attività intesa a suscitare
l'ammirazione del volgo anziché al raggiungimento della verità. Questo «
sospetto » cartesiano si trasforma di- ciott'anni più tardi, nelle pagine del
Discorso sul metodo, in una certezza: l’arte di Lullo serve a parlare, senza
giudizio, di ciò che in realtà si ignora anziché ad apprendere verità non conosciute
o a trasmettere verità note. A identiche conclusioni cra giunto Bacone nel
testo del 1605, poi tradotto in latino nel ’23; il metodo lulliano, che gode di
grande favore presso alcuni ciarlatani, non è degno della qualifica di metodo,
mira all’ostentazione anziché alla scienza, fa sembrare dotti gli 144 CLAVIS
UNIVERSALIS uomini ignoranti; fondato su una caotica massa di vocaboli esso
sostituisce la conoscenza dei termini a quella, effettiva, delle arti,
assomiglia alla bottega di un rigattiere ove si tro- vano molti oggetti,
nessuno dei quali ha un grande valore: Bacone, De augmentis, VI, 2, in Works,
I, p. 669. Neque tamen illud praetermitten- dum, quod nonnulli viri, magis tumidi
quam docti insudarunt circa Methodum quandam, legiti- mae methodi nomine haud
di- gnam; cum potius sit methodus imposturae, quae tamen quibus- dam
ardelionibus acceptissima pro- culdubio fuit. Haec methodus ita scientiae
alicuius guttulas aspergit, ut quis sciolus specie nonnulla eru- ditionis ad
ostentationem possit a- buti. Talis fuit Ars Lulli; talis Typocosmia a
nonnullis cxarata; quae nihil aliud fuerunt quam vo- cabulorum artis cuiusque
massa ct acervus; ad hoc, ut qui voces artis habeant in promptu, ctiam artes Cartesio,
a Bceckmann, 29, 4. 1619; Ocuvres, A.
et T., X, pp. 164-65; Discours (ed. Gil- son), p. 17. Repperi nudius tertius cruditum vi- rum in Diversorio
Dordracensi, cum quo de Lulli arte parva sum loquutus... Senex erat, aliquantu-
lum loquax, et cuius eruditio, ut- pote a libris hausta, in extremis labris
potius quam in cerebro versabatur... Quod illum certe di- xisse suspicor, ut admirationem captaret
ignorantis, potius quam ut vere loqueretur. Je pris garde que, pour la logi- que,
ses syllogismes et la plupart de scs autres instructions servent plutòt à
cexpliquer à autrui les choses qu'on sait, cu méme, com- me l'art de Lulle, à
parler, sans Jugement, de celles qu'on igno- ipsas perdidicisse.existimentur.Huius
generis collectanea officinam referunt veteramentarium, ubi pracsegmina multa
repcriuntur, sed nihil quod alicuius sit pretti. re, qu'à les apprendre. L'accusa
di « ostentazione » rivolta alla combinatoria lul- liana assumeva, in pagine
come queste, un significato storico di grande rilievo: ciò che qui si mirava a
colpire era proprio quella riduzione dell’arte sul piano della magia sulla
quale avevano a lungo insistito non pochi dei commentatori cinque- centeschi.
Quest’accusa non era in realtà cosa nuova, anche se nuovo è il significato che
essa viene ad assumere nelle pagine di Bacone e di Cartesio connettendosi alla
polemica baconiana e cartesiana contro la tradizione magico-occultistica. La
valu- tazione presente nel testo baconiano del 1623, che potrebbe forse essere
posta in relazione con quella poi presente nel Discorso sul metodo, sembra in
realtà ricalcataproprio sul RAMO, BACONE, CARTESIO 145 giudizio di uno dei
grandi commentatori di Lullo che non aveva nascosto la sua simpatia per le arti
magiche, Cornelio Agrippa: Hoc autem admonere vos oportet: hanc artem ad pom- pam
ingenii ct doctrinae ostentationem potius quam ad comparandam eruditionem
valere, ac longe plus habere audaciae quam efficaciae.!® Fin qui ci siamo
riferiti alla combinatoria, ma anche nei confrontidell’ars memorativa di
derivazione “ciceroniana” le prese di posizione di Bacone e di Cartesio
risultano oltre- modo precise e utilmente confrontabili. Cartesio non esita a definire
« sciocchezze » le conclusioni cui era pervenuto lo Schenkel in un testo sulla
memoria del 1595 nel quale, ac- canto ai consueti canoni dell’ ars reminiscendi
ciceroniana, comparivano i ben noti riferimenti alle fonti aristoteliche e tomistiche,
alla medicina galenica, i richiami a Simonide, Te- mistocle e Ciro, ad Agostino
e a Pico della Mirandola, a Pie- tro da Ravenna e al lulliano Bernardo di
Lavinheta.!” L’au- tore di quel libro gli appare, senz'altro, un «ciarlatano »:
a quella falsa arte inutile alle scienze, egli contrappone la cono- scenza
delle cause.'* Non dissimile da questa, anche se molto più articolata e ricca
di riferimenti culturali, è la posizione assunta da Bacone: egli non nega che
coltivando la memoria artificiale sia possibile pervenire a risultati mirabili,
né afferma (come si fa volgarmente) che le tecniche memorative possano influire
negativamente sulla memoria naturale. Nel modo in cui l’arte viene impiegata,
essa gli appare tuttavia assoluta- mente sterile, serve a far brillare l’arte
mentre è in realtà priva di ogni effettiva utilità. Essere in grado di ripetere
subito, nello stesso ordine, un gran numero di parole recitate una sola volta o
comporre un gran numero di versi estemporanei su un argomento a scelta è
possibile sulla base di un'educazione di alcune facoltà naturali che, mediante
l’esercizio, possono essere portate ad un livello miracoloso. Ma di tutto ciò —
pro- dì H. C. AcriPPa, Opera, Argentorati, Zetzner, 1600, II, pp. 31-32. !*
Cfr. ScHenkEL, De memoria liber, Leodii, 1595, poi ristampato nel Gazophylacium
arti: memoriae, Argentorati, 1610 (Copia usata: An- elica, SS. 1. 24). Sulle
sue opere e sui suoi rapporti con Leibniz cfr. qui le pp. 253-54. 18
DESscaRTES, Ocuvres, X, p. 230. 146 CLAVIS UNIVERSALIS segue Bacone — non
facciamo più conto che della agilità dei funamboli e della destrezza dei
giocolieri. Fra i metodi e le sintassi di luoghi comuni che mi è capitato di
vedere — egli scrive —non vi è nulla che abbia un qualche valore; gli stessi titoli
di quei trattati risentono più delle scuole che del mondo reale, le pedantesche
divisioni dei quali i loro autori fanno uso non penetrano in alcun modo nelle
midolla delle cose.!* 3. MNEMOTECNICA E LULLISMO IN BAcoNE E IN CARTESIO. a)
Bacone. Il passo baconiano al quale ci siamo ora riferiti ha, senza alcun
dubbio, il tono di una esplicita condanna. Tuttavia una cosa va subito posta in
rilievo: in Bacone è presente la con- vinzione che sia possibile fare, delle
arti della memoria, un uso diverso da quello tradizionale. Anziché servirsi di
quelle arti per ostentare il prodigioso livello al quale può esser fatta pervenire
una facoltà dell'animo umano, anziché piegarle a fini miracolosi e
ciarlataneschi sarà possibile servirsene in vista di seri e concreti usi umani;
sarà anzi possibile, secondo Ba- cone, migliorare e perfezionare, in vista di
queste nuove fina- 19 Bacon, Works, 1, pp. 647-48: « Neque tamen ambigimus (si
cui placet hac arte ad ostentationem abuti) quin possint praestari per cam nonnulla
mirabilia et portentosa; sed nihilominus res quasi sterilis cst (eo quo
adhibetur modo) ad usus humanos. At illud interim ei non im- putamus quod
nazuralem memoriam destruat et super-oneret (ut vulgo objicitur); sed quod non
dextre instituta sit ad auxilia memoriae commodanda in negotiis et rebus
seriis. Nos vero hoc
habemus (for- tasse cx genere vitae nostro politicac)
ut quae artem iactant, usum
non pracbent
parvi faciamus. Nam ingentem numerum nominum aut verborum semel recitatorum
eodem ordine statim repetere, aut versus complures de quovis argumento
extempore conficere; aut quidquid occurrit satirica aliqua similitudine
perstringere; aut seria quacque in iocum vertere; aut contradictione et
cavillatione quidvis eludere; et similia; (quorum in facultatibus animi haud
exigua est copia, quaeque ingenio et cxercitatione ad miracula usque extolli
possunt); haec certe omnia et his similia nos non maioris facimus quam
funambulorum et mimorum agilitates et ludicra... Verum est tamen inter methodos
ct syntaxes locorum communium quas nobis adhuc videre contigit, nul- lam
reperiri quae alicuius sit pretit; quandoquidem in titulis suis fa- ciem
prorsus cxhibeant magis scholac quam mundi; vulgares et pae- dagogicas
adhibentes divisiones, non autem eas quae ad rerum me- dullas et interiora
quovis modo penetrent ». RAMO,
BACONE, CARTESIO 147 lità, le già esistenti tecniche della memoria. Intorno
alla me- moria — egli scrive nello stesso capitolo del De augmentis (c questo
passo è assente nel corrispondente capitolo del- l’Advancement of learing) — si
è finora indagato pigra- mente e languidamente. Non mancano certo scritti
sull’argo- mento intesi all'ampliamento e al rafforzamento della memo- ria, e
tuttavia sia la teorica che la pratica dell’ars memorativa potrebbero essere
ulteriormente perfezionate mediante l’elabo- razione di nuovi precetti o
regole.?° Un’arte memorativa così perfezionata nei metodi e rinnovata nelle
finalità appare a Bacone non solo legittima e possibile, ma necessaria su un duplice
terreno: quello delle «scienze antiche e popolari » e quello « completamente
nuovo » del metodo scientifico di indagine sulla natura. Questa distinzione fra
le due diverse funzioni o i due diversi campi di applicazione dell’arte me- morativa
è esplicitamente teorizzata in un passo del De aug- mentis nel quale ritroviamo
presente anche la distinzione, cara a tutti i teorici della mnemotecnica, fra
memoria natu- rale e memoria artificiale. Sostenere che nella interpretazione della
natura — scrive Bacone — possano bastare le forze nude e native della memoria
senza che la memoria stessa venga soc- corsa mediante tavole ordinate, sarebbe
come sostenere che un uomo, senza l’aiuto di alcuno scritto e affidandosi alla
sola memoria, possa risolvere i calcoli di un libro di efemeridi. Ma, lasciando
da parte la nterpretatio naturae, che è dottrina com- pletamente nuova, un
solido amminicolo della memoria può essere di grandissima utilità anche nelle
scienze antiche e po- polari.*! 2° Bacon, Works, I, pp. 647 - 48: « Circa Memoriam autem ipsam, satis segniter
et languide videtur adhuc inquisitum. Extat certe de ea ars quaepiam; verum
nobis constat tum meliora praecepta de memoria confirmanda et amplianda haberi
posse quam illa ars complectitur, tum practicam illius ipsius artis meliorem
institui posse quam quae recepta est». 21 Bacon, Works, I, p. 647: « Atque
omnino monendum, quod memo- ria sine hoc adminiculo (scriptio) rebus
prolixioribus et accuratioribus Impar sit; neque ullo modo nisi de scripto
recipi debeat. Quod etiam in philosophia inductiva et interpretatione naturae
praecipue obtinet. Tam enim possit
quis calculationes ephemeridis memoria nuda absque Scripto absolvere, quam
interpretationi naturae per meditationes et vires memoriae nativas et nudas
sufficere; nisi eidem memoriae per 148 CLAVIS UNIVERSALIS Della funzione
esercitata dagli aiuti della memoria (mi- nistratio ad memoriam) nella logica
baconiana e dell'influenza dei trattati rinascimentali di mnemotecnica sulla
costruzio- ne baconiana del nuovo metodo delle scienze (la :interpre- ratio
naturae) parleremo più oltre. Ci limiteremo qui ad indi- viduare l’eredità
delle discussioni rinascimentali sulla memoria artificiale in quella parte
della ricerca baconiana che fa riferi- mento alla logica tradizionale.
Quest'ultima, secondo Bacone, mantiene la sua piena validità nel campo dei
discorsi, delle dispute, delle controversie, delle attività professionali,
della vita civile; l’altra, la nuova logica induttiva, è invece indispen- sabile
nell’ambito della progressiva conquista, da parte del- l’uomo, della realtà
naturale. La prima di queste due logiche, secondo Bacone, esiste di fatto, fu
creata dai Greci e in seguito, per molti secoli, ripresa e perfezionata; la
seconda si presenta invece come un progetto o un'impresa non mai tentata. La trasformazione
di questo progetto in una esecuzione effettiva presuppone che venga
radicalmente modificato l’atteggiamento dell’uomo nei confronti della natura e
che mutino, di conse- guenza, le stesse definizioni di «filosofia » e di
«scienza ». Ma nell’ambito degli scopi che si propone la filosofia tradi- zionale
la vecchia logica nor si presenta come un fallimento. Su questo punto Bacone è
assai chiaro: ove si vogliano sol- tanto coltivare e trasmettere le scienze già
esistenti; ove si desideri insegnare agli uomini a restare aderenti alle verità
già dichiarate e a far uso di esse, ad apprendere l’arte di in- ventare
argomenti e di trionfare nelle dispute, quella logica si mostra perfettamente
funzionale, anche se bisognosa di integrazioni e perfezionamenti. Là ove si
occupa dei caratteri della logica nuova, Bacone dichiara ripetutamente di non
inte- ressarsi affatto, in quella sede, delle arti popolari o opinabili, né di
pretendere in alcun modo che la nuova logica possa ser- vire a realizzare quei
fini per i quali fu costruita la logica tradizionale. Nelle scienze fondate
sull’opinione e sui giudizi tabulas ordinatas ministretur. Verum, missa
interpretatione naturae, quae doctrina nova est, etiam ad veteres et populares
scientias haud quicquam fere utilius esse possit quam memoriae adminiculum
soli- dum ct bonum; hoc est, Digest probum et eruditum /ocorum com- muntum ».
Il passo ora citato non figura nel corrispondente luogo del- l'’Advancement of
learning, in Works, HI, pp. 397 - 98. RAMO, BACONE, CARTESIO 149 probabili, nei
casi cioè in cui si tratta di costringere non le cose, ma l’assenso, l’uso
delle anticipazioni e della dialettica, afferma Bacone nel Novum Organum, è
buono (bonus) men- tre esso appare condannabile dal punto di vista della logica
nuova. La dialettica ora in uso, si afferma ancora nella pre- fazione alla
Instauratio magna, non è assolutamente in grado di «raggiungere la sottigliezza
della natura », ma essa può essere usata efficacemente nel « campo delle cose
civili e delle arti che concernono il discorso e l’opinione ». Solo quando si voglia
trionfare non degli avversari, ma delle oscurità della natura, giungere non a
cognizioni probabili, ma a conoscenze certe e dimostrate, non inventare
argomenti ma opere, sarà necessario far uso della interpretatio naturae che è
infinita- mente diversa dalla anzicipatio mentis o logica ordinaria.’ Nell'ambito
di questa logica ordinaria, del tipo di discorso che mira alla persuasione o al
raggiungimento dell’altrui as- senso, che non mira all’invenzione delle arti e
delle opere, ma degli argomenti, le tecniche memorative esercitano una pre- cisa
funzione. Nel capitolo quinto del quinto libro del De augmentis dedicato
all’ars retinendi ricomparivano in tal modo, nella trattazione baconiana, i
motivi, ormai ben noti, dell’ars memorativa “ciceroniana”: la dottrina dei loc:
e delle 1m2a- gines, la tesi di una necessaria « convenienza » tra le immagini e
i luoghi, il riconoscimento della necessità di rappresentare sensibilmente i
concetti mediante immagini ed emblemi. Il tema di una topica o sistematica
raccolta di luoghi veniva ri- preso in queste pagine: si è soliti affermare —
scrive Bacone — che la raccolta dei luoghi può essere dannosa al sapere; la fatica
necessaria ad effettuare tali raccolte viene al contrario sempre ricompensata
perché nel mondo del sapere non è pos- sibile giungere a risultati ove manchi
la solida base di una vasta conoscenza. I luoghi «forniscono dunque materiale all'invenzione
e rendono più acuto il giudizio consentendogli di concentrarsi in un sol punto
». I due principali strumenti dell’arte della memoria sono laprenozione e
l'emblema. La prima ha il compito di porre dei limiti ad una ricerca che # Per
le differenze fra la logica ordinaria e la logica nuova cfr.: Par- fis
instaurationis secundae delineatio et argumentum, Works, III, PP. 547 ss.;
Distributio operis, Works, I, pp. 135-37; Praefatto gene- ralis, Works, I, p.
129; Novun: Organum, I, 26, 29. 150 CLAVIS UNIVERSALIS risulterebbe altrimenti
infinita, di limitare il campo delle no- zioni e di stabilire confini entro i
quali la memoria possa muo- versi agevolmente. La memoria ha infatti
soprattutto bisogno di limitazioni: l'ordine e la distribuzione dei ricordi, i
luoghi della memoria artificiale «già in anticipo preparati » i versi sono per
Bacone le principali di queste limitazioni. Nel primo caso il ricordo deve
accordarsi con l'ordine stabilito, nel se- condo porsi in specifica relazione
con i luoghi usati, nel terzo deve essere una parola che si accordi con il
verso. Nella for- mulazione delle immagini i luoghi introducono quindi ordine e
coerenza, ma le immagini, a loro volta, possono essere più facilmente costruite
facendo ricorso agli emblemi. Questi ul- timi, secondo Bacone, « rendono
sensibili le cose intellettuali e poiché il sensibile colpisce più fortemente
la memoria, si imprime in essa con maggiore facilità ». Del tutto simile alla funzione
esercitata dagli emblemi è quella dei gesti e dei geroglifici: gli emblemi non
hanno dunque una funzione limitata allo specifico settore della memoria, ma
funzionano come veri e propri mezzi di comunicazione. Nel caso dei gesti ci
troviamo in presenza di «emblemi transitori », nel caso dei geroglifici di «
emblemi fissati mediante la scrittura ». Il rapporto gesti-geroglifici è
identico, da questo punto di vista, a quello che intercorre fra linguaggio
parlato e linguaggio scritto. Mentre i geroglifici, in quanto emblemi, hanno
sempre qualcosa in comune con la cosa significata (sinzlitudo cum re significata),
i caratteri reali o ideogrammi non hanno nulla di emblematico. Il loro
significato dipende solo dalla conven- zione e dalla abitudine che su di essa
si è in seguito istituita. Il carattere della convenzionalità accomuna i
caratteri reali alle lettere dell’alfabeto, ma i primi, a differenza delle
seconde, si riferiscono in modo diretto alla cosa significata, rappresen- tano
cose e nozioni, non parole (nesther letters nor words,... but things or
notions). Un libro composto con caratteri reali può quindi essere letto e
compreso da persone appartenenti a differenti gruppi linguistici e parlanti
lingue diverse che accettino per convenzione i significati dai vari
ideogrammi.** Proprio alle discussioni sulla memoria artificiale si erano 29
Cfr. Advancement of Learning, Works, III, p. 399; De augmentis; Works, I, pp.
648-49, 651 -53. RAMO, BACONE, CARTESIO 15] collegate, nel Rinascimento, le
considerazioni sui gesti c sui geroglifici. L’approfondimento del problema
delle immagini aveva condotto Giambattista della Porta, nella sua Ars remi- niscendi,
a prendere in esame questo tipo di problemi. Una volta definita l’immagine come
« pittura animata che rechiamo nella imaginativa per rappresentare così un
fatto come una parola », il Porta si trovava di fronte ad una grave difficoltà
: non nel caso di tutti i termini linguistici — cgli notava — è possibile la
costruzione di immagini appropriate (« le parole che ci occorrono a ricordare
altre hanno le loro immagini, altre ne stanno senza »). Nel caso di termini che
non simbo- lizzano cose materiali, come « perché », «ovvero », « tanto » ecc. è
necessario ricavare le immagini dalla scrittura: far cor- rispondere cioè
immagini adatte alle singole lettere o gruppi di lettere che costituiscono un
termine. In altri casi è invece possibile il ricorso al significato e a questo
proposito torna opportuno il parallelo con i geroglifici: gli Egizi « non
avendo lettere con che potessero scrivere i concetti... e a ciò che più facilmente
si tenessero a memoria le utili speculationi della filosofia, ritrovorno lo
scrivere con pitture, servendosi d’imagini di quadrupedi, d’uccelli, di
pesci... la qual cosa noi habbiamo giudicato molto utile per le nostre
ricerche, che altro noi non vogliamo ch’usare imagini in vece delle lettere per
poterle dipingere nella memoria ». Altri significati, proseguiva il Porta, potranno
essere espressi mediante i gesti (« potremo parimenti col gesto esprimere
alcune significationi di parole »). Conclu- sioni di questo stesso tipo si
trovano presenti nel Thesaurus artificiosae memoriae del Rosselli (1579) e nel
De memoria artificiosa libellus di Johannes Austriacus (1610) che, proprio come
Bacone, aveva fatto rientrare i gesti e i geroglifici nella più generale
categoria dei « segni ».° 24 Cfr. L’arte del ricordare del signor Gio. Battista
Porta napoletano, tradotta da latino in volgare per M. Dorandino Falcone da
Gioia, Na- poli, Mattio Cancer, 1566 (Braid. 25.16.K.14-15): sulla scrittura
degli Egizi il capit. XIX, sui gesti il capit. XX; C. RosseLLIus, Thesaurus artificiosae
memoriae, Venetiis, 1579, p. 117v; JoHanNnES AustRIACUS, De memoria artificiosa
libellus, Argentorati, Antonius Bertramus, 1610, p. 215 (copie usate: Braid. B.
XI. 4951; Angelica SS. 1.24). Sulla Egittomania e sulla diffusione c la moda
degli emblemi nella cultura dei secoli XVI e XVII si vedano le considerazioni
precedente- mente svolte a pp. 104-105 c le opere indicate a p. 105, n. 32. 152
CLAVIS UNIVERSALIS La trattazione baconiana appare dunque, dopo quanto si è
detto, profondamente influenzata da una veneranda lettera- tura concernente i
segni e le immagini, ma l’eco delle discus- sioni rinascimentali sui luoghi e
sulle immagini risulta ancora più evidente nel Novum Organum (II, 26) ove
Bacone giunge a ripetere la tradizionale partizione dei /oci: «loci in memoria artificiali...
possunt esse loci secundum proprium sensum, ve- luti janua, angulus, fenestra,
et similia, aut possunt esse per- sonae familiares et notae, aut possunt esse
quidvis ad pla- citum (modo in ordine certo ponantur), veluti animalia, her- bae;
etiam verba, literae, characteres, personae historicae et caetera; licet
nonnulla ex his magis apta sint et commoda, alia minus ». L’uso dei /oc: appare
a Bacone in grado di esaltare le forze della memoria al di sopra dei suoi
limiti na- turali («huiusmodi autem loci memoriam insigniter iuvant, camque
longe supra vires naturales exaltant »). Accostando l'ordine, ai luoghi e ai
versi, insistendo sul valore delle im- magini sensibili (« quicquid deducat
intellectuale ad ferien- dum sensum — quae ratio etiam praecipue viget in
artifi- ciali memoria — iuvet memoriam »), Bacone mostrava inol- tre di
accogliere pienamente i risultati essenziali cui erano pervenuti i teorici
della memoria artificiale. Più sottili, meno espliciti, e quindi più
difficilmente de- terminabili sono, sempre relativamente a Bacone, i rapporti con
la tradizione della combinatoria. A Lullo Bacone ac- cenna soltanto una volta,
in una frase che suona — ab- biamo visto — esplicita condanna. Tuttavia chi
ponga mente ad alcuni temi caratteristici della filosofia baconiana, non potrà
non esser portato a rilevare la concordanza di certe so- luzioni con quelle
presenti in quelle sintassi universali, di precisa derivazione lulliana, alle
quali Bacone fa più volte esplicito riferimento. All’immagine lulliana
dell’ardor scien- trarum, presente nel terzo libro del De augmentis, si
connette, non a caso, il progetto di una scienza universale o filosofia prima o
sapienza (Scientia universalis, Philosophia prima sive Sapientia) ben distinta
dalla tradizionale metafisica. Quest’ul- tima si configura per Bacone come «
una fisica generalizzata fondata sulla storia naturale » che mira da un lato
alla de- terminazione delle forme e dall'altro a quella delle cause fi- nali.
La filosofia prima concerne invece quella porzione del- RAMO, BACONE, CARTESIO
153 l’albero delle scienze che è come una « parte comune della via », che
precede la partizione e la suddivisione dei vari rami del sapere. Gli assiomi
che non sono propri delle scienze particolari, ma comuni a molte scienze non
sono in alcun modo riducibili a semplici similitudini: essi appaiono invece a
Bacone segni e vestigi della natura impressi in materie e soggetti differenti:
« neque similitudines merae sunt — quales hominibus fortasse parum
perspicacibus videri possint — sed plane una eademque naturae vestigia et
signacula diversis ma- teriis et subiectis impressa ». Attraverso quella
organica rac- colta degli assiomi, della quale Bacone lamenta l’assenza, sa- rebbe
possibile porre in luce l’unità della natura."° Per concludere: la vivace
polemica baconiana contro i fu- namboli della memoria non investe le tecniche
memorative in quanto tali, ma i ripetuti tentativi che erano stati fatti per
ridurle sul piano delle arti occulte e della magia. Pie- gata alle più serie
finalità della retorica, inserita nella logica della persuasione, l’ars
memorativa conservava ancora un suo posto ed una sua precisa funzione nella
nuova enciclopedia delle scienze. Infine il progetto baconiano di una scientia
uni- versalis, mater reliquarum scientiarum si presentava, proprio come era
avvenuto nella tradizione lulliana, come volto a de- terminare un’unità del
sapere che trova la sua giustificazione e il suo fondamento nell’unità stessa
del mondo reale. b) Descartes. Intorno alle discussioni sulle immagini e sui
simboli pre- senti in taluni testi cartesiani si son scritte, anche di recente,
cose assai acute e stimolanti anche se non sempre storica- mente esatte. A
proposito di alcuni passi degli Olympica con- cernenti la rappresentazione,
mediante corpi sensibili, delle «cose spirituali », un insigne studioso di
Cartesio ha parlato dell’« idée aristotelicienne de la philosophie qui n'est
pas mise en cause» altri, riferendosi a quelle stesse note cartesiane e cercando
di coglierne «la résonance intérieure et profonde», 25 Per il già ricordato
giudizio su Lullo cfr. De augmentis, Works, I, p. 699; sulla filosofia prima De
augmentis, Works, 1, pp- 540 - 544. Sulla distinzione tra la filosofia prima
baconiana e la tradizionale metafisica è da vedere il preciso giudizio di F.
Anperson, The phi- losophy of F. Bacon, Chicago, 1948, pp. 214-15. 154 CLAVIS
UNIVERSALIS ha visto in esse l’espressione di un uomo «qui est à la re- cherche
de l’inspiration pure »; altri infine, riferendosi alla immagine cartesiana
dell’albero delle scienze, ha lungamente dissertato sulle ragioni della scelta
cartesiana dell’immagine di una realtà vivente e sulla « circulation de la vie
» presente nell'albero stesso.?* Ove si abbandoni il progetto di rintrac- ciare
il senso di interiori risonanze e si tengano invece pre- senti i risultati cui
erano giunti quegli enciclopedisti e quei retori del Cinquecento che si erano
occupati delle immagini e dell’immaginazione, dei simboli e della memoria,
dell’unità delle scienze e delle tecniche combinatorie, sarà forse possibile —
pur raggiungendo più modesti risultati — illuminare al- cuni testi
particolarmente oscuri e dare, a molte delle affer- mazioni ed osservazioni del
giovane Cartesio, un senso pre- ciso e ben determinato. Una cosa va subito
notata: la “condanna” cartesiana delle arti della memoria, alla quale abbiamo
fatto riferimento nel precedente paragrafo, è, così come quella baconiana,
assai meno recisa di quanto non possa a prima vista apparire. In un passo
scritto fra il 1619 e il 1620, volto a commentare e a criticare l’Ars
memorativa dello Schenkelius, Cartesio mo- stra infatti di accertare e la
terminologia c la stessa impo- stazione del problema della memoria presenti
nella trattati- stica di derivazione “ciceroniana”: non solo egli attribuisce all’immaginazione
la stessa funzione mnemonica che ad essa attribuivano i teorici della memoria
artificiale, ma riconosce che quest’ultima non è, in quanto tale, priva di
reale efficacia. All’Ars memorativa dello Schenkelius egli infine contrappone, ed
è questo il punto che presenta un interesse particolare, una vera arte della
memoria della quale offre, in una pagina circa, le regole fondamentali.
All’ordine solo apparente pre- 26 Cfr. H. Gounier, Le refus du symbolisme dans
l'humanisme car- tesien, in Umanesimo c simbolismo, atti del IV convegno
internaz. di studi umanistici, Padova, 1958, p. 67; M. De Corte, Lu dialectique
poétique de Descartes, in « Archives de Philosophie », XIHI, 1937, cahier II:
Autour du Discours de la méthode, pp. 106-107; P. Mesnarp, L'arbre de la
sagesse, nel vol. miscellanco, Descartes, Cahiers de Royau- mont, Paris, 1957,
pp. 336 ss. Nello stesso volume è da vedere, su questi problemi, il saggio di
M. TH. Spoerri, La pwuissance métapho- rique de Descartes. Cfr., per un più
ampio esame, H. GouHier, Les premières pensées de Descartes, Paris, Vrin, 1958.
71 71 RAMO, BACONE, CARTESIO I sente nell’opera dello Schenkel egli intende
sostituire un retto ordine che deriva, a suo avviso, dalla costruzione di imma-
gini poste, l'una con l’altra, in un rapporto di reciproca di- pendenza: dalle
immagini di oggetti connessi tra loro ver- ranno ricavate nuove immagini o
almeno, da tutte quelle im- magini, se ne ricaverà una sola; ogni immagine
andrà inoltre (a differenza di quanto avveniva nell’opera dello Schenkel) posta
in rapporto non solo con quella a lei più vicina, ma anche con le altre.
L'immagine di un'asta gettata a terra farà così da collegamento fra la quinta e
la prima immagine, quest’ultima sarà collegata alla seconda da un dardo
scagliato verso di essa, alla terza da un qualche altro rapporto reale o
arbitrariamente costruito.”’ In questo suo breve progetto di un nuova tecnica
me- morativa, Cartesio appariva evidentemente influenzato dai ri- sultati
dell’ars reminiscendi. Proprio a questi suoi interessi per l'Arte, che non si
esauriscono affatto sul piano della semplice curiosità intellettuale, appaiono
infatti da collegare alcune si- gnificative espressioni presenti in quelle
pagine di diario note come Cogitationes privatae. In esse ritorna una dottrina
cara a tutti i trattatisti della memoria artificiale da Pietro da Ra- venna
allo Schenkel, quella relativa all'impiego delle im- magini corporee o
sensibili in vista della rappresentazione dei concetti astratti o « cose
spirituali »: « come l’immaginazione 2? Descartes, Qeuvres, X, p. 230: « Perlegens Lamberti
Schenkelii lu- crosas nugas (lib. De
arte memoriae) cogitavi facile me omnia quae detexi imaginatione complecti:
quod sit per reductionem rerum ad causas; quae omnes cum ad unam tandem
reducantur, patet nulla ope esse memoria ad scientias omnes. Qui enim
intelliget causas, elapsa omnino phantasmata causae impressione rursus facile
in cerebro formabit. Quac vera est ars mermoriae, illius nebulonis arti plane
con- traria: non quod illa effectu careat, sed quod chartam melioribus occupandam
totam requirat et in ordine non recto consistat; qui ordo In eo est, ut
imagines ab invicem dependentes efformentur. Ipse exco- gitavi alium modum: si
ex imaginibus rerum non inconnexarum ad- discantur novae imagines omnibus
communes, vel saltem si ex om- nibus simul una fiat imago, nec solum habeatur
respectus ad proxi- mam, sed etiam ad alias, ut quinta respiciat primam per
hastam humi proiectam, medium vero, per scalam ex qua discendent, et secunda per
telum quod ad illam proiiciat, et tertia simili aliqua ratione in rationem
significationis vel verae vel fictitiac ». Sulla scrittura e gli altri aiuti
alla memoria cfr. Entretiens avec Burman, Paris, 1937, pp. 8, 16. 156 CLAVIS
UNIVERSALIS si serve di figure per concepire i corpi, così l'intelletto si serve
di taluni corpi sensibili, come il vento e la luce, per raffigurare le cose
spirituali... Cose sensibili possono aiutarci a concepire quelle dell'Olimpo:
il vento significa lo spirito, il moto con il tempo la vita, la luce la
conoscenza, il calore l’amore, l’attività istantanea la creazione ».°* Il fatto
che Car- tesio, nell’età matura, giunga a un radicale rifiuto di ogni simbolismo,
non elimina, per lo storico, il compito di andar rintracciando le origini,
spesso legate a temi culturali assai “torbidi” di una filosofia che si svolse
sotto il segno della distinzione e della chiarezza razionale. Non a caso, negli
stessi anni in cui escogitava una nuova tecnica memorativa, Cartesio pareva
anteporre i risultati dell'immaginazione e della poesia a quelli della
filosofia e della ragione; si dilet- tava, come già tanti fra i “maghi” del
Cinquecento, alla costruzione di «automi» e di «giardini d’ombre »; si in- formava
del significato dei commenti lulliani di Agrippa; si interessava all’ordo
locorum;?* insisteva, come già avevano fatto tanti fra i commentatori di Lullo,
sull’unità e sull’ar- monia del cosmo: « Una est in rebus activa vis, amor,
cha- ritas, armonia... Omnis forma corporea agit per harmo- niam ».°° Non si
trattava solo di giovanili concessioni ad una moda filosofica. Molti anni più
tardi, nel 1639, dopo aver letto e meditato il Pansophiae Prodromus di Comenio,
Des- 28 Descartes, Ocuvres, X, p. 217-218: «Ut imaginatio utitur figuris ad
corpora concipienda, ita intellectus utitur quibusdam corporibus sensibilibus
ad spiritualia figuranda, ut vento, lumine: unde altius phi- losophantes mentem
cognitione possumus in sublime tollere... Sensibilia apta concipiendis Olympicis: ventus
spiritum significat, motus cum
tempore vitam,
calor amorem, activitas istantanea creationem ». 2° « Mirum videri possit,
quare graves sententiac in scriptis poctarum magis quam philosophorum. Ratio
est quod poctae per enthusiasmum ct vim imaginationis scripsere: sunt in nobis
semina scientiae, ut in silice, quae per rationem a philosophis educuntur, per
imaginationem a poctis excutiuntur magisque elucent » (Oeuvres, X, p. 217). «
On peut faire un jardin des ombres qui representent diverses figures, telles
que les arbres et lcs autres... dans une chambre faire [que] les rayons du
soleil, passant pour certaines ouvertures, representent diverses chif- fres ou
figures» (Ouvres, X, p. 215). «
Inquirebam autem diligentius utrum ars illa non consisteret in quodam ordine
locorum dialecticorum unde rationes
desumuntur... » (Oewvres, X, p. 165). 30
Descartes, Ocuvres, X, p. 218. RAMO, BACONE, CARTESIO 157 cartes insisteva
ancora (pur rifiutando come impraticabile il disegno comeniano) sullo stretto
parallelismo intercorrente tra una conoscenza « unica, semplice, continua,
riducibile a po- chi princìpi » € la «una, semplice, continua, natura »
rispetto alla quale la conoscenza si pone come una « pittura » 0 « specchio » :
Quemadmodum Deus est unus ct creavit naturam unam, simplicem, continuam, ubique
sibi cohaerentem ct res pondentem, paucissimis, constantem principiis clemen- tisque
ex quibus infinitas propemodum res, sed in tria regna minerale, vegetale et
animale certo inter se ordine gradibusque distincta perduxit; ita et harum
rerum co- gnitionem esse oportet, ad similitudinem unius Creatoris et unius
Naturae, unicam simplicem, continuam, non interruptam, paucis constantem principiis (imo unico Principio principali)
unde caetera omnia ad specialis- sima usque individuo nexu et sapientissimo
ordine de- ducta permanent, ut ita nostra de rebus universis et sin- gulis
contemplatio similis est picturae vel speculo uni- versi et singularum ceiusdem
partium imaginem exactis- sime repraesentanti.5! Comunque sia da valutare il
senso di queste caratteri- stiche espressioni cartesiane, certo è che il
programma del giovane Cartesio — un uomo che non ha ancora « preso partito sui
fondamenti della fisica» e che è solo «un ap- prenti physicien-mathématicien
sans métaphysique » — può apparire, da questo punto di vista, singolarmente
vicino a quello presente nelle sirtassi e nelle enciclopedie lulliane del tardo
Cinquecento: dietro la molteplicità delle scienze, il loro isolamento, si
nasconde un’unità profonda, una legge di connessione, una logica comune. Una
volta liberate le sin- gole scienze dalla loro maschera, sarà possibile
rendersi conto di una carena scientiarum nel cui ambito le singole scienze ®1
Descartes à Mersenne (1639) in Ocuvres, Supplément, pp. 97-98. La lettera fu in
precedenza pubblicata in Spisy Jana Amosa KomensgeHO, Korrespondance, a cura di
J. Kvacala, Praga, 1897, p. 83. Il Zbro cui faceva riferimento Cartesio in una
lettera del 1639 (Oexvres, II, PP. 345 - 48): «j'ai lù soigneusement le livre
que vous avez pris la peine de m' envoyer... » era il Pansophiae Prodomus di
Comenio (Cfr. Oeuvres,
Supplément, pp. 99-100 ove si ricorda
anche una lettera di Mersenne a Th. Haak nella quale Cartesio è segnalato come
uno dei filosofi più competenti a parlare intorno all'opera del Comenio). 158
CLAVIS UNIVERSALIS potranno essere ritenute con la stessa facilità con la quale
si ricorda la serie dei numeri: Larvatac nunc scientiac sunt: quae, larvis
sublatis, pul- cherrimae apparerent. Catenam scientiarum pervidenti, non difficilius videbitur cas
animo retinere, quam seriem numerorum.?? Il problema dell’enciclopedia appare
qui, una volta an- cora, collegato in modo oltremodo significativo a quello
della memoria. Questi stessi termini e gli stessi concetti ritroviamo —
attribuiti a Cartesio — nel Commentatre ou remarques sur la Methode de R.
Descartes del Poisson, mentre, nella prima delle Regulae, Cartesio afferma che
la connessione sus- sistente fra le singole scienze è tanto stretta da rendere
l’ap- prendimento di tutte le scienze insieme più facile della se- parazione di
una di esse dalle altre: il legame di congiun- zione e di reciproca dipendenza
tra le scienze, esclude che, in vista di un apprendimento della verità, si
possa scegliere una scienza particolare: «credendum est, ita omnes [scien- tias]
inter se esse connexas, ut longe facilius sit cunctas simul addiscere, quam
unicam ab aliis separare. Si quis igitur serio rerum veritateminvestigare vult,
non singularem aliquam debet optare scientiam: sunt enim omnes inter se
coniunctas et ab invicem dependentes »."° Se ci volgiamo ai testi del
lullismo seicentesco, ad opere che sono ben lontane dall'atmosfera cartesiana,
permeate di magia e di occultismo, miranti alla fondazione della medi- cina
universale e dell’enciclopedia totale, piene di riferimenti alle fonti della
tradizione ermetica, troviamo presente la stessa insistenza sulla catena
scientiarum, sulla molteplicità solo ap- parente delle scienze, sulla
corrispondenza tra un armonioso e ordinato sapere e un’armonica natura, sulla
necessità di una sapienza che superi la fittizia parzialità dei singoli rami
del sapere. Il medico e mago Jean d’Aubry, seguace e tradut- tore di Lullo,
mentre si difendeva dall’accusa di aver operato 9? DescarTEs, Ocuvres, X, p.
215. Sono da vedere, su questo passo, le precise osservazioni di R. KLIbansky,
The philosophic character of history, nel volume miscellanco P/ilosophy and
history, Oxford, 1936, pp. 323 - 337. 39 Descartes, Oeuvres, X, p. 361. 159 RAMO,
BACONE, CARTESIO secondo magia, accennava proprio a questi concetti. A pro- posito
della catena scientiarum egli si richiamava in modo assai significativo al
commento alla creazione di Pico condotto secondo gli insegnamenti della cabala:
P. Poisson, Commentaire, p. 73 Il regne je ne sgai quelle liaison, qui fait
qu’une verité fait décou- vrir l’autre, et qu'il ne faut que trouver le bon but
du fil, pour aller jusqu'à l’autre sans inter- ruption. Ce sont à peu-près les paroles
de M. Descartes que j’ay leies dans un de ses fragmens manuscrits: Quippe sunt
conca- tenatae omnes scientiae, nec una Jean D’AuBry, ipologie, 1638. Qui doute
que les parties de la doctrine (que les sots et les igno- rants appellent
sciences, comme sil y en avoit plusieurs) ne se trouvent enchainées
l’une avec l’autre, qu'il est impossible d’estre entendu en la moindre
sans avoir une pleine connoissance de tou- tes; l’Eptaple de Pic de la Mi- rande
sur les jours de la création perfecta haberi potest quin aliae et l’armonie di
monde de Paul sponte sequantur, et tota simul Venitien vous le montrent...?* encyclopedia
apprehendatur.34 Lo studio delle connessioni esistenti tra il progetto car- tesiano
di una scientia penitus nova?" e gli interessi di Car- tesio (evidenti
nelle lettere al Beeckmann del 1618) per una matematizzazione della fisica, è
cosa che esce dai limiti della presente ricerca. Quest'ultima può tuttavia
servire a mostrare il carattere eccessivamente semplicistico dei tentativi —
che si sono più volte ripetuti — di identificare senz’altro la mathesis
universalis cartesiana con una pura e semplice esten- sion del metodo
matematico a tutti i campi del sapere.’ La scientia nova deve «contenere i
primi rudimenti della ragione umana e far uscire la verità da qualsiasi
soggetto »: essa è la fonte di ogni altra umana conoscenza. Il progetto cartesiano,
poi tanto ricco di complessi e importantissimi svi- luppi, aveva in realtà
tratto alimento, così come quello di 34 P. Poisson, Commentaire ou remarques
sur la Methode de R. De- scartes, Vandosme, 1670, parte II, Oss. 6, p. 73 (Cfr.
Oeuvres, X, p. 255). 35 Jean D’Ausry, Le triumphe de l’archée et la merveille
du monde, cit., ediz. parigina del 1661 (Vatic. Racc. Gen. Medicina. IV. 1347):
Apolo- gie contre certatns docteurs ecc., in appendice, pagine non numerate. 3°
Cfr. Ocuvres, X, p. 157. °? Cfr. per esempio J. Larorte, Le rationalisme de
Descartes, Paris, 1950, pp. 8-10. Per una più esatta valutazione: A. DeL Noce,
prefazione alla trad. it. delle Meditazioni metafisiche, Padova, 1949, pp.
XXIII - XXIV. 160 CLAVIS UNIVERSALIS Bacone, da un terreno storico preciso:
quell’enciclopedismo di derivazione lulliana che aveva profondamente imbevuto di
sé la cultura del Cinquecento e che raggiungerà non a caso, proprio nel secolo
XVII, la sua massima fioritura. Nei commenti lulliani di Agrippa, nella
Syntaxes del Gre- goire, nell’Opus aureum del De Valeriis, nella Explanatio del
Lavinheta, così come più tardi nella Regina scientiarum del Morestel e negli
scritti del d’Aubry, ci si era volti alla ricerca di un «unico strumento »
comune a tutte le scienze, di un’unica «chiave » o «sapienza» capace di
garantire as- soluta certezza e assoluta verità, di fornire infallibili solu- zioni
e risposte, di porsi come regola di ogni possibile scienza particolare. Alla
grande diffusione di questo tipo di lettera- tura e di questi testi, noti e
celebrati, più volte tradotti e più volte riediti nei principali centri della
cultura europea, alla conoscenza diretta o indiretta che di essi ebbero Bacone e
Cartesio, va fatta risalire l’immagine, comune ai due filo- sof, dell’ardor
scientiarum. Da questo terreno storico traeva anche origine la loro ricerca —
destinata poi ad orientarsi in maniera così profondamente divergente — di una
scientia universalis o sapientia madre e fonte e radice unitaria di ogni ramo
del sapere: Bacone, De augmentis, III, |, in Works, I, pp. 54041. Quoniam autem
partitiones scien- tiarum non sunt lineis diversis si- miles, quae cocunt ad
unum an- gulum; sed potius ramis arbo- rum qui coniunguntur in uno trunco (qui
etiam truncus ad spa- tium nonnullum integer est cet continuus, antequam se
partiatur in ramos); idcirco postulat res ut
priusquam prioris partitionis membra persequamur, constitua- tur
una Scientia universalis, quae sit mater reliquarum ct habetur in progressu
doctrinarum tan- quam portio viae
communis an- tequam viae se separent cet di- siungant. Hanc Scientiam Philo- Descartes,
Regulae, IV c Pref. ai Principes, in Ocuvres, X, pp. 373-74. Quicumque tamen
attente respe- xerit ad meum sensum facile per- cipiet me nihil minus quam de vulgari
Matematica hic cogitare, sed quamdam aliam me expone- rc disciplinam, cuius
integumen- tum sit potius quam partes. Haec enim prima rationis humanae ru- dimenta
continere, et ad veritates cx quovis subiecto cliciendas se extendere debet;
atque, ut libere loquar, hanc omni alia nobis hu- manitus tradita cognitione
potio- rem, utpote aliarum omnium fon- tem, esse mihi persuadco... Ainsi toute
la philosophie est comme un arbre, dont les racines sont RAMO, BACONE, CARTESIO
161 sophiac primae, sive etiam Sa- la méthapysique, le tronc est la pientiac.. nomine insignimus. physique,
et les branches qui sor- tent de ce tronc sont toutes les autres sciences... 4. L’ INSERIMENTO DELLE TECNICHE MEMORATIVE NELLA
NUOVA LOGICA. a) Gli aiuti della memoria nel metodo baconiano: tavole, to- pica,
induzione. Ponendo mente alla dottrina ramista secondo la quale la memoria si
presenta come una delle parti o sezioni della dia- lettica, acquista
particolare significato la classificazione ba- coniana della logica presente
nell’Advancement of learning del 1605 e in seguito ripresa nel De augmentis
scientiarum. Per Bacone la logica comprende quattro parti o sezioni de- nominate
arzi intellettuali: tale quadripartizione è fondata sui fini o gli scopi che
l’uomo si propone di realizzare. L'uomo: a) trova ciò che ha cercato; b)
giudica ciò che ha trovato; c) rittene ciò che ha giudicato; d) trasmette ciò
che ha ri- tenuto. Siamo quindi in presenza di quattro arti: 1) l’arte della
ricerca o dell'invenzione (art of inquiry or invention); 2) l’arte dell'esame o
del giudizio (art of examination or judgement); 3) l’arte della conservazione o
della memoria (art of cu- stody or memory); 4) l’arte della elocuzione o della
comunicazione (art of elocution or tradition)."* In questa classificazione
Bacone si richiamava da un lato alle tradizionali partizioni della retorica,
dall'altro alle posizio- ni ramiste: si discostava da entrambe queste posizioni
quando dava al termine « invenzione » un significato molto più ampio di quello
tradizionale distinguendo nettamente fra invenzione degli argomenti e
invenzione delle scienze e delle arti. In quest'ultimo settore Bacone riscontra
le maggiori deficienze: "* Advancement of Learning, Works, III, pp. 383-8;
De augmentis, Works, I, p. 616. 162 CLAVIS UNIVERSALIS mentre per l’invenzione
degli argomenti è più che sufficiente la logica tradizionale, per consentire
all'uomo l’invenzione di nuove arti e quindi il dominio della natura è
necessario procedere ad una riforma del metodo scientifico fornendo alla
conoscenza umana un nuovo organo o strumento lo- gico."° La interpretatio
naturae o la nuova induzione, teo- rizzata da Bacone nel secondo libro del
Novum Organum è quindi solo una delle due parti nellequali si articola l’arte dell'invenzione
la quale è, a sua volta, una delle quattro parti nelle quali si suddivide la
logica baconiana. La riforma dell’induzione scientifica è quindi solo un aspetto
e una sezione di quella generale restaurazione del sapere che Bacone ha in
animo di realizzare. Quando si cera mosso sul piano delle «scienze antiche e
popolari » o della «logica ordinaria », Bacone — come abbiamo visto — aveva
cercato di chiarire la funzione della memoria e delle arti memorative
nell’ambito di quella parte dell’ars inveniendi che mira non ad inventare opere
ed arti, ma si limita ad inventare argomenti e si pone come una tecnica della
per- suasione. Il problema dell’ars memorativa e della memoria si porrà
tuttavia, per Bacone, anche nell’ambito della inter- pretatio naturae o della
nuova logica. Le considerazioni svolte da Bacone nella Delineatio sulla totale
e assoluta diversità fra la logica ordinaria e la logica della scienza, sulla
radicale differenza di fini e di procedi- menti delle due logiche, non gli
impediranno di richiamarsi, nel caso della ministratio ad memoriam (che è parte
inte- grante e costitutiva della nuova logica) a un ordine di con- siderazioni
assai simile a quello al quale aveva fatto riferi- mento muovendosi sul piano
delle «arti del discorso » 0 della «logica ordinaria ». Nel caso dei discorsi
ec della in- venzione degli argomenti, le difficoltà nascevano dalla pre- senza
di una molteplicità di termini e di argomenti; sul ter- reno delle opere e del
metodo scientifico, le difficoltà nascono dalla presenza di una infinita
molteplicità di fatti. La dot- trina baconiana degli aiuti della memoria,
svolta nella Delt- neatto e più tardi ripresa nel Novum Organum, risulta da un
adattamento a questa diversa situazione delle regole che 39 Advancement, Works,
III, p. 389. RAMO, BACONE, CARTESIO 163 guidavano l'invenzione degli argomenti
e che costitutvano l’arte del ricordare e disporre gli argomenti. Per
realizzare discorsi coerenti e persuasivi, per inventare argomenti era
necessario, secondo Bacone: 1) disporre di una raccolta di argomenti
estremamente ampia (promptuaria); 2) disporre di regole atte a limitare un
campo infinito e a determinare un campo di discorso specifico e limitato (to- pica).
Il compito attribuito all’arte della memoria consisteva nella elaborazione di
una tecnica (fondata sull’uso delle pre- nozioni, degli emblemi, dell’ordine,
dei luoghi, dei versi, della scrittura, ecc.) che mettesse l’uomo in grado di
realizzare con- cretamente le due possibilità ora indicate. In sede di
metodologia scientifica (nterpretatio naturae) le cose non procedono per Bacone
in maniera molto differente: «Gli aiuti della memoria — egli scrive adempiono
al se- guente compito: dalla immensa moltitudine dei fatti parti- colari e
dalla massa della storia naturale generale, viene di- staccata una storia
particolare le cui parti vengono disposte in un ordine tale da consentire
all’intelletto di lavorare su di esse e di esercitare la propria funzione... In
primo luogo mo- streremo quali siano le cose che devono essere ricercate in- torno
ad un dato problema: il che è qualcosa di simile ad una topica. In secondo
luogo in quale ordine esse vadano disposte e suddivise in tavole... In terzo
luogo mostreremo
in qual modo e in quale momento la
ricerca vada integrata e le precedenti carte o tavole siano da trasportare in
tavole nuove... La ministratio ad memoriam si articola quindi in tre dottrine:
l’invenzione dei /oci, il metodo della tabula- zione, e il modo di instaurare
la ricerca ».!° 4° Partis instaurationis secundac delineatio, Works, III, 552:
« Ministra- tio ad memoriam hoc officium praestat ut ex turba rerum particula- num,
ct naturalis historiae generalis acervo, particularis historia excer- patur,
atque disponatur eo ordine, ut iudicium in cam agere, et opus suum exercere
possint... Primo docebimus qualia sint ca, quae circa subiectum datum sive
propositum inquiri debeant, quod est instar topicae. Secundo, quo ordine illa
disponi oporteat, et in tabulas digeri... Tertio itaque ostendemus quo modo et
quo tempore inquisitio sit reintegranda, et chartae sive tabulae praecedentes
in chartas novellas transportandae... Itaque ministratio ad memoriam in tribus
(ut dixi- mus) doctrinis absolvitur: de locis inveniendis, de methodo conta- bulandi,
et de modo instaurandi inquisitionem ». 164 CLAVIS UNIVERSALIS La memoria
abbandonata a se stessa, afferma ancora Ba- cone nella Delineatio, non solo è
incapace di abbracciare la immensità dei fatti, ma non è neppure in grado di
indicare gli specifici fatti dei quali si ha bisogno in una ricerca par- ticolare.
Di fronte alla storia naturale generale (che corri- sponde a ciò che in sede
retorica è la promptuaria o indiscri- minata raccolta di argomenti) sono dunque
necessarie regole per determinare il campo della ricerca e per ordinare i con- tenuti
di questo campo. Per rimediare alla situazione di na- turale fragilità della
memoria e metterla in grado di funzio- nare come strumento di conoscenza ci si
richiama dunque: 1) ad una topica o raccolta di luoghi che insegna quali siano i
fatti sui quali bisogna indagare in relazione ad una data ricerca; 2) alle
sadelae che hanno il compito di ordinare i fatti in modo che l'intelletto si
trovi di fronte non ad una realtà caotica e confusa, ma ad una realtà
organizzata. Quanti da Ramo a Melantone, da Pietro da Ravenna a Rosselli, dal
Romberch al Gratarolo avevano rivolto la loro attenzione ad una discussione dei
problemi attinenti alla to- pica e alla memoriaartificiale, avevano insistito
proprio sulla funzione dei /uoghi come mezzo per delimitare un campo di ricerca
altrimenti infinito e per introdurre ordine in questo campo. Per Melantone (ma
molti altri autori potrebbero es. sere citati al suo posto) i /oc; admonent ubi
quacrenda sit materia aut certe quid ex magno acervo eligendum et quo ordine
distribuendum sit. Nam loci
inventionis tum apud dialecticos tum apud rhetores non conducunt ad inveniendam
materiam, quam ad cligendam postquam acervus aliquis... oblatus fuerit. La Partis instaurationis secundae delineatio, alla
quale ci siamo ora riferiti, risale al 1607 circa; ma nelle opere della piena
maturità Bacone sarà su questi temi altrettanto espli- cito: nel decimo
paragrafo del secondo libro del Nowvum Organum si afferma: «la storia naturale
e sperimentale è tanto varia e sparsa da confondere e quasi disgregare l’intel-
letto ove non sia composta e ridotta in ordine idonco. Bi- sogna pertanto dar
luogo a tavole e a coordinationes instantia- RAMO, BACONE, CARTESIO 165 rum in
modo che l’intelletto possa agire su di esse ».‘! Le ce- lebri sabulae
baconiane costituiscono, anche nel Novum Or- ganum, parte integrante della
ministratto ad memoriam. Ad esse spetta un compito preciso: organizzare e
ordinare i con- tenuti della storia naturale. Dopo che il materiale è stato or-
ganizzato nelle tre tabulae l'intelletto si trova di fronte ad una serie
ordinata di fatti, non è più «come smarrito »: da questa situazione trae inizio
quel procedimento che Bacone chiama la nuova induzione. L’intero procedimento
induttivo baconiano — che non è certo il caso di fermarsi qui ad esporre — ha
senza dubbio i suoi fondamenti proprio nella dottrina delle tabulae. Que- stultima
appare costruita in funzione di un ordinamento della realtà naturale capace di
introdurre nella molteplicità caotica dei fatti fisici una disposizione e un
ordine tali da con- sentire all’intelletto di andar rintracciando connessioni
reali. In questo senso la compilazione delle sabulze si presenta stret- tamente
connessa a quella invenzione det luoghi naturali che attirerà per lunghi
periodi l’interesse di Bacone. Il primo, or- ganico tentativo compiuto da
Bacone di gettare le basi di una invenzione di luoghi naturali e di un metodo
di tabulazione risale al 1607-1608 e non a caso, in questi anni, Bacone usa i termini
topica e tabulae (o chartae) come sinonimi. Nei Cogr-tata et visa del 1607
troviamo annunciata con molta precisione la funzione attribuita alle tavole : Ante
omnia visum est ci tabulas inveniendi sive legi- timae inquisitionis formulas,
hoc est materiem particula- rem ad opus intellectus ordinatam, in aliquibus
subiectis proponi, tamquam ad exemplum cet operis descriptionem fere
visibilem.4? L’anno seguente, nel Commentarius solutus, egli annota rapidamente:
« The finishing the 3 tables, de motu, de calore et frigore, de sono ». Se ci
volgiamo a considerare gli appunti del Commentarius ci troviamo in presenza di
una elencazione Ja Liu i > Novum Organum, Il, 10: « Historia vero naturalis
et experimentalis tam varia est et sparsa, ut intellectum confundat et
disgreget, nisi sista- tur et comparcat ordine idoneo. Itaque formandae sunt tabulae
et coor- dinationes instantiarum, tali modo et instructione, ut in cas agere
possit intellectus ». 4° Works, III, p. 623. 166 CLAVIS UNIVERSALIS di veri e propri luoghi
naturali raggruppati in diverse carte.!? Non diversamente sono strutturate le
tre brevi opere che risal- gono a questo periodo e che rappresentano la prima
realizza- zione del programma indicato nei Cogitata et Visa e nel Com- mentarius
solutus: la Inquisitio legitima de motu, la Sequela chartarum sive inquisitio
legitima de calore et frigore, la Histo- ria et inquisitio prima de sono et
auditu."' Nella prefazione alla prima di queste tre operette Bacone, mentre
poneva in luce la funzione essenziale che spetta alla topica c alle tavole,
distingueva due differenti tipi di tavole: quelle che devono riunire i fatti
più visibili e che si riferiscono a un determinato oggetto di ricerca (machina
intellectus infe- rior seu sequela chartarum ad apparentiam primam) c quelle che
hanno il compito, più alto, di aiutare l'intelletto a cono- scere « ciò che è
nascosto » penetrando in tal modo fino alla « forma » delle cose (machina
intellectus superior sive sequela chartarum ad apparentiam secundam). Le
diciannove tavole elencate da Bacone nella Inquisitio legitima de motu
costitui- vano una topica o «sistemazione provvisoria » che avrebbe dovuto
consentire il passaggio alle tavole del secondo gruppo. Queste ultime (la
machina superior) non sono in realtà che le tabule presentiae, absentiae,
graduum del Novum Organum.** L'immagine baconiana dell’universo come labirinto
e come selva, la sua convinzione che l’architettura del mondo « sia piena di
vie ambigue, di fallaci somiglianze, di segni, di nodi e di spirali avvolti e
complicati »,*° condiziona, in modo radi- cale, la dottrina baconiana del
metodo. Uno dei compiti, se non il compito fondamentale, del metodo è, per
Bacone, quello di introdurre ordine in questa caotica realtà. Nella Delineazio 4°
Commentarius solutus, Works, IIl, pp. 626 - 28: « Tria motuum ge- nera
imperceptibilia, ob tarditatem, ut in digito horologii; ob minu- tias, ut
liquor seu aqua corrumpitur ct congelatur cte.; ob tenuitatem, ut omnifaria
aeris, venti, spiritus... Nodi et globi
motuum, and how they concur and how they succeed and interchange in things most
frequent. The times and moments wherein motions work, and which is the more
swift and which is the more slow ». 44 I
tre scritti sono rispettivamente in Works, III, pp. 623 - 40; 644 - 52; 657 -
80. 45 Inquisitio legitima de motu, Works, III, pp. 637 - 38. 49 Praefatio
gencralis, Works, I, p. 129. RAMO, BACONE, CARTESIO 167 del 1607 troviamo, a
questo proposito, un'ammissione quanto mai significativa : la verità — scrive
Bacone — emerge più facilmente dalla falsità che dalla confusione (« citius
enim emergit veritas e falsitate quam e confusione »). Il compito, essenziale e
fondamentale, di una eliminazione della confu- sione figurava, nella stessa
opera, fra gli aiuti della memoria.*' « Eliminare la confusione », porre
rimedio alla povertà di conoscenze fattuali dando luogo a raccolte di istanze
certe: questi appaiono a Bacone i compiti fondamentali del nuovo metodo di
interpretazione della natura. Di fronte a questi compiti le sue stesse tadulae
gli appaiono nulla più di semplici esempi di un gigantesco lavoro che attende
di essere realiz- zato (« neque enim tabulas conficimus perfectas, sed exempla tantum
»).'* La stesura di una logica del sapere scientifico, alla quale Bacone aveva
dedicato non poche delle sue fatiche fino dagli anni del Valerius Terminus, fu
addirittura inter- rotta perché Bacone era fermamente persuaso che la costru- zione
di tavole perfette costituisse l'elemento decisivo in vista della fondazione di
un nuovo sapere scientifico. La storia na- turale, la raccolta organizzata dei
fatti, la limitazione e la delimitazione dei diversi campi di ricerca, la
costruzione di una serie di elenchi di luoghi naturali appartenenti ad un campo
specifico (le Aistoriae particulares): tutto ciò gli apparve così importante da
indurlo a interrompere la stesura del Novum Organum e a parzialmente svalutare
quella stessa « macchina logica » che era stata per molti anni al centro dei suoi
interessi.‘ La ordinata raccolta di materiali, la costruzione di una organizzata
enciclopedia di tutti i fatti naturali raccolti nelle storie particolari,
l’apprestamento di una raccolta di fatti o «storia generale » che fosse in
grado di fornire nuovi mate- riali alle stesse storie particolari (Sylva
silvarum): tutti questi progetti apparvero a Bacone, almeno al termine della
sua 4° Delineatio, Works, III, p. 553, cfr. anche Novun Organum, II, 20. 48
Novum Organun:, II, 18. ° Sul significato, da questo punto di vista, dell’
ultimo paragrafo del libro I del Novum Organum cfr. B. FarrINGTON, F. Bacon:
philosopher SCIA science, New York, 1949, trad. ital. Torino, 1952, pp. - 121. 49
168 CLAVIS UNIVERSALIS vita, assai più importanti di ogni indagine volta a
perfezio- nare l’apparato teorico delle scienze. Ognuna delle storie par- ticolari
alle quali Bacone lavorò affannosamente dopo il 1620 (il suo progetto
comprendeva centotrenta storie) risponde a una duplice esigenza: eliminare le
opinioni tradizionali muo- vendosi entro un campo di fatti accertati; disporre
i fatti entro i campi particolari dando luogo ad una raccolta ordinata. Ove si
passi da una considerazione generica ad una diretta lettura di queste « storie
» baconiane, ci si renderà conto che esse si presentano appunto come raccolte
di luoghi naturali e che esse rappresentano il tentativo di portare a
compimento quel lavoro di raccolta già iniziato nella Inquisizio legitima de
motu, nella Inquisitio de calore et frigore, e nella Historia et inquisitio prima
de sono et auditu. Sostituendo alle raccolte di luoghi retorici una raccolta di
luoghi naturali, piegando l’arte della memoria a fini differenti da quelli
tradizionali, concependo le sabulae come mezzi di ordinamento della realtà
mediante i quali la memoria prepara una « realtà organizzata » all’opera
dell’intelletto, Bacone ave- va introdotto, entro la sua logica del sapere
scientifico, alcuni tipici elementi derivanti da una precisa tradizione. Da
questo punto di vista la sua « nuova » logica era assai più vicino di quanto
egli non ritenesse alle impostazioni che un Ramo o un Melantone avevano dato
alla dialettica quando l’avevano con- cepita come lo strumento atto a disporre
ordinatamente le no- zioni. Vale la pena di ricordare ancora una volta la
definizione che Melantone aveva dato del metodo quando lo aveva quali- ficato
un’ars che quasi per loca invia et per rerum confusionem trova e apre una via
ponendo in ordine le res ad propositum pertinentes e la definizione ramista
della dispositio (che si identifica per Ramo con il iudicium e con la memoria)
come apta rerum inventarum collocatio. AI di là di tutte le grandi differenze
che si possono senza dubbio elencare, il concetto baconiano del metodo della
scienza si muove ancora su questo terreno: // metodo è un mezzo di ordinamento
e di classificazione degli elementi che compon- gono la realtà naturale. La
dottrina della ministratio ad me- moriam aveva esercitato, da questo punto di
vista, un peso RAMO, BACONE, CARTESIO 169
decisivo sulla costruzione baconiana di
una nuova logica e di un nuovo metodo delle scienze.*° b) Gli atuti alla
memoria e la dottrina dell’ enumerazione nelle Regulae. Gli echi della
trattatistica rinascimentale sulla memoria artificiale ricompaiono, oltre che
nei frammenti del giovane Cartesio, anche nel testo delle Regulae. Quando,
nella re- gola XVI, Cartesio concepisce la scrittura come un'arte esco- gitata
a rimedio della naturale labilità della memoria e parla di un intelletto che «
va aiutato dalle immagini dipinte dalla fantasia » non fa che ripetere nei loro
termini più tradizionali, luoghi comuni presenti in quasi tutti i testi della
mnemotecnica di derivazione “ciceroniana”: Anonimo del sec. XVI (Mar- ciana, lat. 274, £.
4Ir.). vVescarTEs, Regulae, in Ocuvres, X, p. 454. . operae practium est omnes
alias Sicut enim invenerunt. homines [dimensiones] ita retinere, ut fa-
diversas artes ad iuvandum di- cile occurrant quoties usus exigit; versis modis naturam, sic enim in quem finem
memoria videtur videntes quod per naturam me- a natura instituta. Sed quia haec
sacpe labilis est... aptissime scri- bendi usus ars adinvenit; cuius ope
freti... quaccunque erunt re- stituenda in charta pingemus. moria hominis
labilis est, conati sunt invenire artem aliquam ad iuvandum naturam seu memo- riam...
et sic adinvenerunt scrip- turam... A
questa stessa assai antica tradizione si era del resto ri- chiamato Bacone nel
De augmentis quando aveva visto anche egli nella scrittura il principale aiuto
alla memoria: adminiculum memoriae plane scriptio est, atque omnino monendum
quod memoria, sine hoc adminiculo, rebus prolixioribus impar sit, neque ullo
modo nisi de scripto recipi debcat.5! Il ricorso cartesiano alle « immagini
corporee », ai simboli, alla scrittura acquista tuttavia, all’interno della
complessa me- todologia delle Regw/ze, un senso particolare. La scrittura e la «rappresentazione
sulla carta » servono a sgombrare l’animo da ogni sforzo mnemonico, a liberarlo
da esso, in modo che °° A queste conclusioni, sulla base di una trattazione più
analitica degli scritti baconiani, ero già pervenuto nello studio F. Bacone,
dalla magia alla scienza, Bari, 1957, cap. VI. 51 Works, I, p. 647. 170 CLAVIS
UNIVERSALIS la fantasia e l’intelligenza possano essere completamente ri- volte
alle idee o agli oggetti presenti: fiduciosi nell’aiuto della scrittura —
afferma Cartesio — non affideremo nulla alla memoria, ma, lasciando libera e
completa la fantasia alle idee presenti, rappresenteremo sulla carta qualunque
cosa si vorrà ricordare; nessuna di quelle cose che non richiedono perpetua attenzione,
se può esser messa sulla carta, deve essere impa- rata a memoria, affinché un
ricordo inutile non sottragga parte della nostra intelligenza alla cognizione
dell'oggetto prc- sente. Ai segni o simboli arbitrariamente scelti (a, b, c.
ecc. per le grandezze note; A, B, C, ecc. per quelle ignote) è affi- data
questa funzione mnemonica: essi saranno proprio per questo « brevissimi » di
modo che « dopo aver scorto distin- tamente le singole cose, possiamo
percorrerle con un moto celerissimo di pensiero e insieme quanto più è
possibile simul- tancamente »."* Il problema della « notazione » o della
scrittura e quello, 52 Qeuvres, X, p. 458, 454: « nulla unquam esse memoriac
mandanda ex iis, quac perpetuam attentionem non requirunt, si possimus ea in charta
deponere, ne scilicet aliquam ingenii nostri partem obiecti prae- sentis
cognitioni supervacua recordatio surripiat... nihil prorsus memo- riac
committemus, sed liberam et totam pracesentibus ideis phantasiam reliquentes,
quaecumque erunt retinenda in charta pingemus; idque per brevissimas notas, ut
postquam singula distincte inspexcrimus... possimus... omnia celerrimo
cogitationis motu percurrere et quamplu- rima simul intucri. Quidquid ergo ut
unum ad difficultatis solutionem crit spectandum, per unicam notam
designabimus, quae fingi potest ad libitum. Sed, facilitatis causa, utemur
characteribus a, b, c, etc. ad magnitudines iam cognitas, et A, B, C, etc., ad
incognitas cexpri- mendas... ». 53 Ancor più chiaramente che nelle Regulae (si
veda il passo citato nella nota precedente) il problema della notazione o
dell'impiego dei simboli algebrici si collega, nel testo del Discours de la
méthode (cfr. Ocuvres, VI, p. 20; ediz. Gilson, p. 20) al problema della
ritenzione e della memoria: « Je pensai que, pour les considérer micux en par- ticulier
[si fa riferimento ai rapporti c alle proporzioni], je les devais supposer en
des lignes, à cause que je ne trouvais rien de plus simple, ni que je puisse
plus distinctement représenter à mon imagination et à mes sens; mais que, pour
les retenir ou les comprendre plusieurs ensemble, il fallait que je les
expliquasse par quelques chiffres, les plus courts qu'il serait possible ». Il
termine chiffres è tradotto, nella edizione latina, con «characteribus sive
quibusdam notis» (cfr. Oew- vres, VI, p. 551.) RAMO, BACONE, CARTESIO 171 ad
esso strettamente connesso, degli aiuti della memoria (« utendum est...
memoriae auxiliis », dice il titolo della re- gola XII) vanno in tal modo a
intrecciarsi strettamente, nel pensiero cartesiano a quelli dell’intuizione e
di quel « moto continuo e non interrotto del pensiero » nel quale consiste la deduzione.
Nel corso della regola III Cartesio chiarisce le ragioni della presenza,
accanto all’intuito, di un altro « modo di conoscenza che avviene per deduzione
». L'’intuito, che è «un concetto della mente pura tanto ovvio e distinto » da escludere
ogni possibilità di dubbio, è richiesto non per i soli enunciati (« ognuno può
intuire che egli esiste, che egli pensa, che il triangolo è delimitato soltanto
da tre linee » ecc.), ma anche per qualsiasi tipo di discorso: 2 e 2 fanno il
medesimo di 3 e 1; non soltanto si deve intuire che 2 e 2 fanno 4 e che 3 e 1
fanno pure 4, ma anche che quella terza proposizione si conclude
necessariamente da queste due.?* La deduzione, di principio, si riduce dunque a
intuizione. A tale riducibilità di principio non corrisponde tuttavia una
riducibilità di fatto : di qui la necessità di introdurre un diverso termine,
quello di deduzione. Molte cose vengono sapute con certezza nonostante non
siano evidenti di per sé: una verità, di per sé non auto- evidente, può essere
infatti la necessaria conseguenza di una ininterrotta catena di verità
autoevidenti attraverso la quale, con un moto continuo di pensiero, « passa »
la nostra mente. Ogni passo di questo moto o ogni « anello della catena » viene
afferrato mediante una intuizione immediata, ma la conclu- sione, vale a dire
la necessaria connessione tra il primo e l’ul- timo anello della catena non è
presente alla mente con la stessa evidenza che caratterizza la intuizione
intellettuale. « Sap- piamo » che l’ultimo anello è congiunto con il primo; non
ve- diamo tuttavia, con un solo e medesimo sguardo, tutti gli anelli intermedi
dai quali la connessione dipende: ci limitiamo per- tanto a passarli l’uno dopo
l’altro in rassegna e a ricordare che i singoli anelli, dal primo all’ultimo,
stanno attaccati ai 34 Qeuvres, X, p. 369: « At vero haec intuitus evidentia et
certitudo, non ad solas enuntiationes, sed etiam ad quoslibet discursus
requiritur. Nam; exempli gratia, sit haec consequentia: 2 & 2efficiunt idem
quod 3 & 1; non modo intuendum est 2 & 2 efficere 4, et 3 & |] cf- ficere
quoque 4, sed insuper ex his duabus propositionibus tertiam illam necessario
concludi ». 172 CLAVIS UNIVERSALIS più vicini. La distinzione fra intwstus e
deductio è fondata ap- punto su ciò: nella deductio si concepisce un movimento
o una successione che è del tutto assente nell’ /nzetzs; alla de- duzione non è
necessaria quella attuale evidenza che è pre- sente nell’intuito: la deduzione
mutua in certo modo la sua certezza dalla memoria.” Nel caso di deduzioni non
particolarmente complesse o di brevi « catene » è sufficiente la memoria
naturale; ove tut- tavia le « catene » siano così ampie da oltrepassare le
nostre capacità intuitive e le deduzioni corrispondentemente com- plesse è
necessario per Cartesio « soccorrere la naturale infer- mità della memoria » («
memoriae infirmitati succurrendum esse »). La conoscenza di una necessaria
connessione tra il primo e l’ultimo anello della catena richiede infatti la
dedu- zione dell’ultimo anello: dedurlo vuol dire pervenire ad esso passando
«con moto continuo e non interrotto del pensiero » da anello ad anello. Ove
venga trascurato anche un solo anello la deduzione apparirà impossibile o
illegittima. In questo senso va soccorsa la memoria: La deduzione si compie
talvolta mediante una così lunga concatenazione di conseguenze che, quando
perveniamo ad esse, non ci ricordiamo facilmente di tutto il cammino che ci ha
condotto fin lì: per questo diciamo che si deve > Qeuvres, X, p. 369-70: «
Hinc iam dubium esse potest, quare, prae- ter, intuitum, hic alium adiunximus
cognoscendi modum, qui sit per deductionem: per quam intelligimus, illud omne
quod cx quibusdam aliis certo cognitis necessario concluditur. Sed hoc ita
faciendum fuit, quia plurimae res certo sciuntur, quamvis non ipsac sint
evidentes, modo tantum a veris cognitisque principiis deducantur per continuum
ct nullibi interruptum cogitationis motum singula perspicue intuentis: non
aliter quam longae alicuius catenae extremum annulum cum primo connecti
cognoscimus, etiamsi uno eodemque oculorum intuitu non omnes intermedios, a
quibus dependet illa connexio, contemplemur, modo illos perlustraverimus
successive, et singulos proximis a primo ad ultimum adhaerere recordemur. Hic
igitur mentis intuitum a deduc- tione certa distinguimus ex co, quod in hac
motus sive successio quac- dam concipiatur, in illo non item; et praeterea,
quia ad hanc non ne- cessaria est praesens evidentia, qualis ad intuitum, sed
potius a me- moria suam certitudinem quodammodo mutuatur ». (Cfr. anche la re- gola
XI, Ocuvres, X, pp. 408 -9). RAMO, BACONE, CARTESIO 173 portare aiuto alla
debolezza della memoria mediante un continuo movimento del pensiero?" Quel
processo che Cartesio chiama enumerazione o indu- zione (enumeratio sive
inductio) costituisce appunto questo giuto alla memoria. Il fine che si propone
questa minsstratio ad memoriam (per usare il termine baconiano) è
l’acquisizione di una rapidità o celerità nella deduzione tale da ridurre al minimo,
pur senza totalmente eliminarlo, il ruolo esercitato dalla stessa memoria e
tale da conferire ad un insieme di co- noscenze troppo complesso per essere
abbracciato da una sola intuizione, l'immediata evidenza che è privilegio della
stessa capacità intuitiva: «Se mediante diverse operazioni ho conosciuto quale
sia il rapporto tra la grandezza A e B, poi tra Be C, poi tra C e De infine tra
D e E, non per questo vedo il rapporto tra A e E, né lo posso ricavare con
esattezza dalle cose già cono- sciute se non mi ricordo di tutte. Per questo le
percorrerò tante volte con una specie di moto dell’immaginazione che in- tuisce
le singole cose e insieme si trasferisce nelle altre, finché abbia imparato a
passare dalla prima all’ultima con tanta celerità che, quasi non lasciando
alcuna parte alla memoria, mi sembri di intuire tutto insieme. In tal modo,
mentre si aiuta la memoria, si corregge anche la tardità dell'ingegno e si
amplia in qualche modo la sua capacità ».' E’ tuttavia possibile, ritengo,
mettere in luce alcuni punti le) di contatto più profondi di quelli finora
rilevati tra il testo % Qeuvres, X, p. 387: « Hoc enîm sit interdum per tam
longum conse- quentiarum contextum, ut, cum ad illas devenimus, non facile
recor- demur totius itineris quod nos co usque perduxit; ideoque memoriae infirmitati
continuo quodam cogitationis motu succurrendum esse dicimus ». 5? Ocuvres, X,
pp. 387 -88: « Si igitur, ex. gr., per diversas operationes cognoverim primo,
qualis sit habitudo inter magnitudines A _& B, deinde inter B & C, tum
inter C & D, ac denique inter D & E: non idcirco video qualis sit inter
A_& E, nec possum intelligere praecise ex iam cognitis, nisi omnium
recorder. Quamobrem illas continuo quodam imaginationis motu singula intuentis
simul et ad alia tran- seuntis aliquoties percurram, donec a prima ad ultimam
tam celeriter
transire didicerim, ut fere nullas
memoriae partes reliquendo, rem totam simul videar intueri; hoc enim pacto, dum
memoriae subveni- tur, ingenii ctiam tarditas emendatur, ciusque capacitas
quadam ra- tione cxtenditur ». 174 CLAVIS UNIVERSALIS cartesiano delle Regulae
e quella tradizione di ars memorativa alla quale ci siamo fin qui richiamati.
L. J. Beck, che sulla metodologia delle Regulae ha scritto pagine assai acute,
ha nettamente (e a mio avviso giustamente) distinto due diversi significati o
due differenti accezioni del termine enumerazione in Cartesio.?* Quando fa
riferimento, nel Discorso, alla enu- merazione Cartesio parla infatti da un
lato di « enumerazioni complete » (denombrements entiers) e dall'altro di «
revisioni generali » (revues générales). La traduzione latina del Discorso, rivista
come è noto dallo stesso Cartesio, chiarisce ancor me- glio la distinzione qui
adombrata: l’espressione denombre- ments entiers viene tradotta con singula
enumerare, quella revues générales con omnia circumspicere.?® Comunque sia da
considerare la distinzione fra questi due diversi aspetti o queste due diverse
funzioni dell’enumerazione, resta il fatto che con questo termine Cartesio
sembra far riferimento: 1) a quel rimedio alla memoria che deve essere
presente, abbiam visto, nel caso di deduzioni particolarmente complesse o di «catene
» troppo lunghe; 2) all’ordinamento delle condizioni dalle quali dipende la
soluzione di un problema particolare e a quell’iniziale ordinamento dei dati
che è preliminare ad ogni ricerca e che mira all’ « isolamento » e alla
determina- zione del problema stesso. « Enumerazione o induzione — scrive
Cartesio nella re- gola VII — è una diligente e accurata ricerca di tutto
quanto concerne una questione proposta, sì che da essa si possa con- cludere
con certezza ed evidenza che nulla è stato ingiusta- mente tralasciato ».°° La
funzione attribuita alla enumerazio 58 Cfr. L. J. Beck, The Method of
Descartes, a Study of the Regu- lae, Oxford, 1952, p. 143, ma cfr. le pp.
III-146. Sull'enumerazione cartesiana: R. Husert, La théorie cartesienne de
lenumeration, in « Revue de metaphysique et de morale », 1916, pp. 489-516;
Sirven, Les années d'apprentissage de Descartes, Paris, 1928, pp. 378-79; E. Gitson,
ediz. del Discosrs, Paris, 1947, pp. 210-213; N. KeMr SMITH, New Studies in the
Philosophy of Descartes, London, 1952, pp. 70-77; 144 - 49; 150- 59. 39
Qetivres, VI, p. 559. 6° Qeuvres, X, p. 388: « Est igitur haec cnumeratio sive
inductio, corum omnium quae ad propositam aliquam quaestionem spectant, tam
dili- gens et accurata perquisito, ut ex illa certo evidenterque concludamus, nihil
a nobis perperam fuisse praetermissum ». RAMO, BACONE, CARTESIO 175 appare qui
assai diversa da quella alla quale abbiamo fin’ora fatto riferimento. Enumerare
vuol dire qui procedere ad una classificazione logica (che si svolge
normalmente prima del processo deduttivo) in vista di una determinazione e
limita- zione dei problemi. Si tratta, come dice esattamente il Beck, di un « preparatory making-out
of the field of knowledge in which a proposed investigation of some particular
problem is presently to take place ».° AI
Beck, che è esclusivamente interessato ad un esame della struttura formale del
metodo cartesiano c delle relazioni intercorrenti tra i vari scritti di
Cartesio, è sfuggita (così come agli altri interpreti)? la sostanziale affinità
tra questa accezione del termine enumerazione e la topica baconiana che si
presenta anch’essa, non a caso, come un aiuto alla memoria. Il prin- cipale
compito degli aiuti alla memoria consisteva per Bacone nella costruzione di
regole atte a limitare il « campo infinito » 6! L. J. Beck, op. cit., p. 130. €2 Ad una perfetta conoscenza dei testi cartesiani
non corrisponde, così nel caso del Beck come in quello del Gouhier, una
altrettanto perfetta conoscenza dei testi filosofici e non filosofici
circolanti nella cultura francese ced europea del primo Seicento. Si veda per
esempio (per re- stare nei limiti dei problemi qui trattati) come il Gouhier,
nel suo bel libro su Les premières pensées de Descartes, liquidi in due righe il
problema dei rapporti tra Cartesio e la tradizione del lullismo senza aver
preso visione dell’unico studio sull'argomento e senza rendersi conto che il
giudizio cartesiano su Lullo (« parler sans jugement des choses qu'on ignore »)
non è che la ripetizione di un luogo presente nei testi filosofici da Agrippa a
Bacone (p. 27 n. 55). Anche l’espressio- ne cartesiana «in quodam ordine
locorum dialecticorum unde ratio- nes desumuntur » fa riferimento,
contrariamente a quanto mostra di credere il Gouhier, ad un ben preciso tipo di
letteratura; così come l'affermazione « una est in rebus activa vis ecc.» e il
proposito di servirsi di «cose sensibili » per raffigurare lc « spirituali » ec
l’imma- gine della catena scientiarum risultano del tutto incomprensibili e
gra- tuiti, pur prestandosi ad eleganti considerazioni di carattere specula- tivo,
ovc non vengano intesi nei loro rapporti con un ambiente e con una tradizione.
Cartesio, che aveva letto le pagine dello Schenkel, non aveva certo bisogno di
ricorrere a Keplero per concepire le cose corporee come simboli di quelle
spirituali. Ma del passo cartesiano che fa riferimento all’ars memoriae dello
Schenkel, Gouhier elimina la seconda metà (che risulta difficilmente
comprensibile a chi non abbia visto il testo dello Schenkel) senza poter
spiegare in alcun modo in che cosa consiste il « nuovo procedimento » che
Cartesio ritiene di aver inventato. (Cfr. GouHIER, op. cit., pp. 27, 28, 69,
82-84, 92). 176 CLAVIS UNIVERSALIS della conoscenza umana e a determinare
quindi un campo di conoscenza specifico e limitato: « dalla immensa moltitudine
dei fatti viene distaccata una storia particolare le cui parti vengono
ordinatamente disposte... in primo luogo mostreremo quali siano le cose che
devono essere ricercate intorno a un dato problema, il che è qualcosa di simile
a una topica; in secondo luogo in quale ordine esse vadano disposte e suddi- vise...
».5° L’enumerazione, come aiuto alla memoria, ha quindi per Cartesio il compito
di svolgere una accurata ricerca di tutto quanto concerne una questione
proposta; quella sorta di « to- pica » che costituisce per Bacone il principale
aiuto della me- moria ha esattamente lo stesso compito e la stessa funzione: mostrare
quali siano le cose che devono essere ricercate intorno a un dato problema.
Dopo aver preliminarmente isolato e de- terminato un problema o una questione
(proprio questo, ab- biam visto, era il compito che la tradizione retorica
affidava ai loci) si doveva, secondo Bacone, procedere ad un ordina- mento, ad
una suddivisione e ad una classificazione delle cose concernenti la questione
proposta. Su questo punto c da que- sto punto di vista la posizione di Cartesio
non è in alcun modo differente : «Se si dovessero considerare una ad una le
singole cose che riguardano la questione proposta non sarebbe sufficiente la
vita di nessun uomo. Ma se tutte le cose vengano disposte nell'ordine migliore,
in maniera che siano ridotte il più pos- sibile a classi determinate, sarà
sufficiente vedere esattamente una sola di queste, oppure qualcosa di ciascuna,
o almeno non ripercorreremo mai niente due volte invano; ciò è di tanto giovamento
che spesso, in base a un ordine bene stabilito, si compiono rapidamente e senza
difficoltà molte cose che, al primo aspetto, apparivano immense ».5 © Cfr. il
testo sopra riportato alla nota 40. 6! Qcuvres, X, pp. 390-91: « Addidi etiam
enumerationem debere esse ordinatam... si singula quae ad propositum spectant,
essent separatim perlustranda, nullius hominis vita sufficieret, sive quia
nimis multa sunt, sive quia sacpius cadem occurrerent repetenda. Scd si omnia
illa optimo ordine disponamus, ut plurimum, ad certas classes reducentur, ex
quibus vel unicam exacte videre sufficiet, vel cx singulis aliquid,RAMO,
BACONE, CARTESIO 177 Non è qui nostro compito esaminare le differenze inter- correnti
tra l’induzione baconiana e la inductio o enumeratio cartesiana. Al di là delle
differenze si voleva qui sottolineare, nel pensiero dei due « fondatori » della
filosofia moderna, la presenza e la persistenza di temi legati ad antiche e
recenti discussioni sulla memoria. A queste discussioni vanno colle- ate non
solo gli interessamenti di Bacone e di Cartesio per i problemi della
mnemotecnica, non solo l’immagine dell’arbor scientiarum e i progetti di una
scientia universalis o sapientia, ma anche la dottrina, baconiana e cartesiana,
degli «aiuti della memoria ». Non si tratta dunque solo dei « residui » di una
tradizione veneranda, degli echi ultimi, ormai privi di importanza e di
significato storico di un fortunato genere letterario; né si tratta di
concessioni ad una « moda » assai diffusa. Nella Znterpretatio naturae di
Bacone e nelle Regulae ad directionem ingenti di Cartesio ci sono apparse
presenti al- cune tesi legate alla tradizione “retorica” dell’ars memora- tiva: al necessario « isolamento » di
una questione si giunge mediante una preliminare classificazione degli elementi
costi- tutivi del problema; l’ordine è elemento ineliminabile e costi- tutivo
di tale classificazione; queste ordinate e « artificiali » classificazioni
costituiscono il necessario rimedio alla insuffi- cienza e alla labilità della
memoria naturale. Come già aveva fatto Ramo, anche Bacone e Cartesio avevano
dunque inserito, nella loro logica, una dottrina degli aiuti della memoria: en-
trambi considerano una tecnica del rafforzamento della me- moria strumento
indispensabile alla formulazione e al “fun- zionamento” di una nuova logica o
di un nuovo metodo. Con Ramo, Bacone e Cartesio l’antico problema della me- moria
artificiale che aveva per oltre tre secoli appassionato me- dici e filosofi,
studiosi di retorica, enciclopedisti e cultori di magia naturale, aveva fatto
in tal modo il suo ingresso, sia pure piegato a nuove esigenze e profondamente
trasfigurato, nei quadri della logica moderna. Attraverso l'influenza eser- citata
dal pensiero baconiano sulle ricerche linguistiche che si vel quasdam potius
quam caeteras, vel saltem nihil unquam bis frustra percurremus; quod adeo
iuvat, ut sacpe propter ordinem bene insti- tutum brevi tempore et facili
negotio peragantur, quae prima fonte videbantur immensa ». 178 CLAVIS
UNIVERSALIS svolsero in Inghilterra nella seconda metà del Seicento, attra- verso
l’opera di Alsted e di Comenio questo stesso problema apparirà ancora una volta
essenziale, nel corso del secolo XVII, alla costruzione di dizionari totali, di
linguaggi perfetti e di universali enciclopedie. Non a caso nella tradizione
lulliana si era lungamente insistito sulle connessioni che intercorrono tra la
memoria, la logica e l’enciclopedia. « Si igitur ordo est memoriae mater,
logica est ars memoriae » scriverà lo Alsted; e non a caso, avviando i suoi
progetti di una caratteristica uni- versale, Leibniz si volgerà — oltre che a
Bacone, Alsted e Comenio — a Lullo e ai suoi grandi commentatori del Rina- scimento
e si richiamerà a non pochi e non secondari testi di ars memorativa. VI. ENCICLOPEDISMO
E PANSOFIA 1. IL SISTEMA MNEMONICO UNIVERSALE: Enrico ALSTED. L'ideale
enciclopedico che, da Bacone a Leibniz, domina la cultura del secolo XVII si
mostra operante, con forza sin- golare, nell’opera vastissima di Enrico Alsted
(1588 - 1638) maestro di Comenio a Herborn, editore di testi del Bruno, seguace
di Lullo e di Ramo, riformatore dei metodi dell’edu- cazione e
dell’insegnamento. Percorrendo i molteplici scritti, i numerosi manuali e
infine il grande Systema mnemonicum dello Alsted, ci si rende ben conto che
dietro la sovrabbon- danza delle citazioni, la ricchezza strabocchevole
dell’erudi- zione e l'apparenza antologica delle opere, dietro la mesco- lanza
spesso caotica di temi di logica di retorica di fisica e di medicina, sono
presenti motivi essenziali: destinati a eserci- tare un'influenza decisiva sul
costituirsi, agli inizi del Sei- cento, dell'ideale pansofico e
dell’enciclopedismo. Riformare le tecniche di trasmissione del sapere; dar luo-
go ad una classificazione sistematica di tutte le attività ma- nuali e
intellettuali: entrambi questi progetti si risolvono, per Alsted, in quello
della costruzione di un nuovo « sistema » che riunisca in un unico corpus, in
un organo totale delle scienze, i princìpi di tutte le discipline. Solo
attraverso l’enci- clopedia, che rivela i rapporti tra le varie discipline e
porta alla luce la sistematicità del sapere, potrà essere costruito un nuovo
metodo, potrà essere definito un nuovo, organico pia- no degli studi.’
L’esplicita adesione di Alsted alla tematica del lullismo, la sua insistenza
sul valore della memoria come tecnica dell'ordinamento enciclopedico delle
nozioni, possono essere intese solo in funzione di questo suo grande progetto. !
Per i rapporti fra l'enciclopedia e il piano degli studi cfr. E. Garin, L'educazione
in Europa, Bari, 1957, pp. 235 -39. Sul lullismo di Asted cfr. Carreras y
ARTAU, La filosofia cristiana, Madrid, 1939-43, II, pp. 239-49; V. OsLer, s.v.
in Dictionnaire de Théologie Catolique, I, coll. 923 - 24. Molte opere inedite
in Niceron, Mémoires, Parigi, 1740, 41, pp. 298-311. 180 CLAVIS UNIVERSALIS Alla
ricerca di una « via compendiosa » capace di dischiudere all'uomo il possesso
di un sapere totale si volsero, secondo Alsted, i tre maggiori studiosi di
logica che siano apparsi sulla terra: Aristotele, Raimondo Lullo, Pietro Ramo.
Essi si ri- volsero agli uomini, che erano alle origini della storia, « pror- sus
feros et cyclopicos » e, quasi tenendoli per mano, li con- dussero « verso i
pascoli amenissimi della scienza ». Al di là delle differenze, i tre grandi
filosofi ebbero uno scopo e un me- todo comune «ad quem collinearunt, licet in
modis dissi- deant »: in questo senso le loro dottrine possono e debbono essere
conciliate.? Nella Panacea philosophica seu... de armo- nia philosophiae
aristotelicae lullianae et rameae® del 1610 Alsted tenterà, con grande
ricchezza di riferimenti, una con- ciliazione dei tre metodi, ma già nella
Clavis artis lullianae che qui più da vicino ci interessa e che risale all'anno
prece- dente, troviamo presente questa stessa preoccupazione. Nel terzo
capitolo dell’opera, De tribus sectis logicorum hodie vi- gentibus, Alsted
volgeva la sua attenzione alla situazione, in Europa, degli studi di logica.
Dopo aver tracciato un breve quadro dell’aristotelismo e aver ricordato, fra
gli aristotelici contemporanei, Melantone e Goclenius, Scaligero e Zabarella, Piccolomini
e Suarez, egli lamentava lo scarso vigore della setta dei lullisti tedeschi e
paragonava la triste situazione della logica tedesca, intieramente dominata
dalle controversie fra aristotelici e ramisti, al fiorire degli studi lulliani
in Spagna, in Francia, in Italia. I grandi commentatori di Lullo, da Agrippa a
Bruno, dal Gregoire al De Valeriis, non sono stati
in grado di chiarire il complesso
funzionamento della combi- natoria, hanno aggiunto oscurità ad oscurità, hanno
mescolato i loro sogni alle tenebre del lullismo. Per risollevare le sorti 2
Cfr. Clavis artis lullianac et verae logices duos in libellos tributa, id est
solida dilucidatio artis magnac, generalis et ultimae quam Raymun- dus Lullus
invenit... edita in usum cet gratiam corum, qui impendio delectantur
compendiis, et confusionem sciolorum qui iuventutem fa- tigant dispendiss,
Argentorati, Sumptibus Lazari Zetzneri Bibliop., anno 1609 (ristampata nel 1633
e nel 1651), prefazione, (Copia usata: Triv. Mor. I, 304). ° Panacea
philosophica seu Encyclopaediae universa discendi methodus. De armonia
philosophiae aristotelicac, lullianae et rameae, Herbornae, 1610 (Copia usata:
Braid., B. XII. 5, 314). ENCICLOPEDISMO
E PANSOFIA 181 della setta lulliana è necessario richiamarsi all'opera del La- vinheta,
di Fernando de Cordoba, di Lefèvre d’Etaples, del Bovillo, dei fratelli
Canterio, di Pico e riprendere dai fonda- menti il grande progetto di Raimondo:
trovare una scienza, conosciuta la quale, tutte le altre possano essere senza
fatica né difficoltà conosciute, e che, come il filo di Teseo, costitui- sca il
criterio di verità di ogni aspetto e di ogni manifestazio- ne del sapere.
Quest’ars generalis, che Alsted avvicina ripetu- tamente alla cabala, potrà
essere realizzata mediante la de- terminazione dei « termini generalissimi » e
dei « princìpi ge- nerali » presenti in ogni singola scienza e la successiva
indivi- duazione dei termini e dei princìpi « comuni », costitutivi cioè di
ogni possibile sapere." Esistono quindi, per Alsted, assiomi o princìpi
universali comuni a tutte le scienze, operanti in ogni ricerca. Le scienze e le
tecniche si presentano, ad un primo sguardo, come un 4 Cfr. Clavis artis
lullianae, cit., pp. 9-14; 19: « Tantum de Rameis restant philosophi in
Germania minus celebres Lullisti. In Germania, dico quia in Hispaniis, Galliis
et Italia sunt quamplurimi de hoc grege, ct nominatim quidem in Italia sunt
speculatores... qui huic arti sunt deditissimi... Haec duo sectae, Peripatetica
dico ct Ramaea in pracsen- tiarum sunt florentissimac, superest tertia, puta
Lullistarum, quae hodie ferme "Multis pro vili, sub pedibus jacet”... ».
Il giudizio sui commentatori era particolarmente aspro: «Nam commentatores
(uti- nam fuissent commendatores) lulliani, tenebras potius et nebula offu- derugt
quam lucem ‘attulerunt, aut facem practulerunt divino operi. Aut enim sua
somnia immiscuerunt, aut obscura per acque obscura explicarunt ». Lo scopo
della divina arte di Lullo fu di «talem inve- nire scientiam, qua cognita,
reliquae quoque sine difficultate ulla labo- reque magno cognoscerentur, et ad
quam, tamquam lydium lapidem, flum Thesci ct Cynosuram omne scibile
examinaretur ». L’avvicina- mento dell’arte lulliana alla cabala è, nell'opera
di Alsted, continuo e insistente. Si veda per es. la Tabula ad artis brevis
cabalae tractatus et artis magnac primum caput pertinens c il giudizio su
Lullo: « Quum Lullius fuerit mathematicus et kabbalista, impendio delectatus
est me- thodo docendi mathematica et kabbalista, ideoque circulus adhibuit, quos
non nemo concinne vocavit magistros scientiarum. Et huc facit tritus versiculus: Omnia dant mundo Crux,
Globus atque Cubus ». Può essere di
qualche interesse notare che, fra i cultori dell'Arte, Alsted ricorda anche il
Poliziano «qui, opino per hanc artem, se disputare posse de omnibus
pollicebantur » (p. 14). Per i richiami di Alsted a Bruno cfr. le mie Note
bruniane, in « Rivista critica di storia della filosofia », 1959, II, pp.
198-199. 182 CLAVIS UNIVERSALIS insieme caotico, come una disordinata foresta:
dietro quel caos apparente sono rintracciabili le linee di un ordine pro- fondo;
la rigida separazione fra le scienze è solo provvisoria; quell’intricata
foresta potrà rivelarsi l’ordinata ramificazione di un unico, comune albero del
sapere dal quale si dipartono, secondo una razionale successione, i rami delle
singole scienze e delle differenti tecniche. In vista della costruzione di un nuovo
metodo universale è necessario riportare ordine, coe- renza e sistematicità in
quel caos, penetrare coraggiosamente in quella foresta per chiarire l’ordinata
struttura dei suoi rami, per svelare l’esistenza di un tronco comune e portare
infine alla luce le comuni radici. Da questo punto di vista, il problema del
metodo si risol- veva integralmente in quello di un ordinamento delle no- zioni,
di una sistematica classificazione degli oggetti che co- stituiscono il mondo e
dei concetti che sono stati elaborati dall'uomo. La logica, strumento del
metodo, ha il compito di ordinare e di classificare: «La sola logica è l’arte
della memoria. Non si dì nessuna mnemotecnica al di fuori della logica. E pare
che di ciò si sia accorto Raimondo Lullo che, nel suo opuscolo De auditu
kabbalistico, scrisse queste paro- le: “Il metodo vien costituito non solo per
l’esercizio del- l’umano intelletto, ma anche perché fornisca un rimedio alla dimenticanza”.
Se dunque l’ordine è la madre della me- moria, la logica è l’arte della
memoria. Trattare dell’ordine è infatti il compito della logica ».* L’intera
enciclopedia si presenta in tal modo come un grande Systema mnemonicum e la
logica si presenta come una directio intellectus che è, al tempo stesso, una
confir- matto memoriae.® Precisamente su questo terreno Alsted tenta di
realizzare una conciliazione tra la dialettica rami- 5 Cfr. Systema mnemonicum
duplex... in quo artis memorativae prae- cepta plene et methodice traduntur: et
tota simul ratio docendi, discen- di, Scholas aperiendi, adeoque modus studendi
solide explicatur et a pseudo-memoristarum, pseudo-lullistarum,
pseudo-cabbalistarum im- posturis discernitur atque vindicatur, Prostat, in
nobilis Francofurti Pal- theniana, anno 1610, p. 5 (Copia usata: Angelica, XX.
12. 47).
* Systema
mnemonicum duplex, cit., p. 105: « Logicae duplex est finis et duplex obiectum;
primus est directio intellectus, secundus est me- moriae confirmatio ». ENCICLOPEDISMO E PANSOFIA 183 sta e la combinatoria
lulliana. Non a caso, nel System mne- monicum duplex del 1610, dopo aver
definito il metodo come « instrumentum mnemonicum quod docet progredi a ge- neralissimis
ad specialissima » egli inserisce nella sua tratta- zione le tre fondamentali
leggi della dialettica ramista: « Pri- ma lex est lex homogeniae... secunda lex
dicitur coordina- tionis.... tertia lex dicitur transitionis ».' Eredità
lulliane ed influenze ramiste, echi delle ormai secolari discussioni sull’arte
della « memoria locale », anda- vano in tal modo a congiungersi in funzione
dell’enciclope- dia.* Ma più che a una riforma della logica Alsetd era indub- biamente
interessato ad una riforma della « pedagogia »: una nuova organizzazione
dell’insegnamento, delle scuole, dei metodi didattici doveva corrispondere,
punto per punto, al nuovo ordinamento del mondo del sapere. Riducendo a sistema
— come scriverà Bayle® — tutte le parti delle arti ? Cfr. Systema mnemonicum
duplex, cit., pp. 106-107. # Seguendo una tradizione che risale al Lavinheta,
Alsted avvicina i circoli dell’arte lulliana ai «luoghi » della mnemotecnica di
derivazio- ne ciceroniana: « Circulus in arte lulliana est locus et quoddam
quasi domicilium in quo instrumenta inventionis collocantur... » (Clavis artis lullianae,
cit., p. 25). Ma, oltre alle opere già ricordate sono da vedere: Artium
liberalium, ac facultatum omnium systema mnemonicum de modo discendi, in libros
septem digestum et congestum, Prostat, 1610; Encyclopaedia septem tomis
distincta, Herborni Nassaviorum, 1630 (Co- pie usate: Angelica, XX. 12. 48;
Braidense, +}. XIV. 16). Fra le opere di carattere religioso € pedagogico si
vedano: Theatrum scholasticum, Flerborniae, 1610; (che contiene un Gymnasium
mnemonicum); Tri- gae canonicae, Francoforte, 161! (contenente una Artis
mnemologicae explicatio); la Dissertatio de manducatione spirituali,
transubstantiatio- ne, sacrificio missae, de natura et privilegiis ecclesiae,
Ginevra, 1630 (cfr. Padova, Antoniana, K. VII. 14). Un certo interesse presenta
anche
la classificazione delle scienze
matematiche contenuta nel Methodus ad- mirandorum mathematicorum novem libris
exhibens universam ma- thesin, Herbornae Nassaviorum, 1623, pp. 5-7: « Mathesis
est pars encyclopaediae philosophicae tractans de quantitate communiter... Ordo scientiarum
mathematicarum hic est. Scientiac mathematicae sunt pu- rae vel mediae. Purae
sunt quac occupantur circa solam quantitatem: quales sunt arithmetica et
geometria. Mediae sunt quae occupantur, circa
quantitatem haerentem in corpore: ut cosmographia, uranoscopia, geographia; vel
in qualitate ut in optica, musica et architectonica ». (Copia usata: Padova,
Civica, G. 6327). pi Bayle, Dictionnaire historique et critique, Amsterdam,
1740, pp. - 66. 184 CLAVIS UNIVERSALIS e delle scienze, Alsted intendeva in
realtà lavorare — come poi Comenio — per un sapere unitario capace di
riscattare e di liberare gli uomini. 2. LA PANSOFIA E LA GRANDE DIDATTICA:
(COMENIO. La ricerca di un metodo, di una logica, di un linguaggio che
consentano all’uomo di penetrare e di dominare tutto, che garantiscano all'uomo
il possesso dell’enciclopedia, della sapienza universale: questo fu la
pansofia. E nell’ideale pan- sofico, proposto alla cultura di tutta Europa (ma
la /anza linguarum fu tradotta anche in arabo e in persiano e pene- trò fin
nell’ Estremo Oriente) dall'impeto riformatore di Co- menio ritroviamo
chiaramente presenti non solo gli insegna- menti di Bacone e di Alsted, di
Ratke e di Andrei, ma anche molti dei temi derivati dalla tradizione dell’ars
memorativa e da quella, essai più vigorosa, dell’enciclopedismo lullista.'° Mentre
andava chiarendo le linee fondamentali del suo pensiero, nella Conatuum
pansophicorum dilucidatio, Co- menio enumerava gli autori che lo avevano
preceduto, le opere dalle quali il suo tentativo poteva trarre conforto e ispirazione.
Fin dall’antichità uomini insigni tentarono di raccogliere il complexum totius
eruditionis; in questo senso operò Aristotele indicando le tre leggi necessarie
al raggiun- gimento di quella onniscienza che è possibile all'uomo: la principiorum
universalitas, l’ordinis methodus vera, la ve- ritatis certitudo infallibilis.
A queste stesse leggi — prosegue Comenio — si son richiamati quegli studiosi
che, nell’età moderna, si sono fatti autori di enciclopedie, di polimatheie, di
sintassi dell’arte mirabile, di teatri della sapienza, di pa- nurgie, di grandi
restaurazioni, di pancosmie. I titoli cui Comenio fa riferimento ci rimandano
ad opere ben note: agli scritti del De Valeriis c del Gregoire, alle opere di
Giu- lio Camillo e del Patrizzi che vengono accostate (e l’accosta- ! Sulle
origini della pansofia: W. E. PeuckeRT, Pansophie. Ein Ver- such zur Geschichte
der weissen und schwarzen Magie, Stuttgart, 1936. Sugli ideali pedagogici: L.
Kvacata, }. A. Comenio, Berlino, 1914 c ora E. Garin, L'educazione in Europa,
cit., pp. 241-252. Sul lullismo di Comenio brevissime, insufficienti
annotazioni in CARRERAS Y ARTAU, Op. cit., II, p. 299. ENCICLOPEDISMO E
PANSOFIA 185 mento è significativo) alla /nstauratio magna di Bacone. Di fronte
a questa eredità, Comenio ripete il solenne motto di Seneca: « Molto fecero
quanti vennero prima di noi, ma essi non terminarono l’opera; molto resta e
molto resterà anco- ra da fare; neppure fra mille secoli sarà preclusa ad
alcuno fra i mortali l’occasione di aggiungere ancora qualcosa ». Ri- chiamandosi
a questa eredità Comenio intende dunque rea- lizzare « un’opera universale » e
anch’essa, come già quella dei suoi predecessori, non è costruita solo per
l’uso degli eru- diti ma per quello di tutti i popoli cristiani. Muterà il de- stino
stesso della razza umana quando sarà realizzata quella pansofia che è «
universae eruditionis breviarum solidum, in- tellectus humani fax lucida,
veritatis rerum norma stabilis, negotiorum vitae tabulatura certa, ad Deum
denique ipsum scala beata ».!! I richiami di Comenio ai teatri, alle sintassi,
alle enci- clopedic basterebbero da soli a documentare l’esistenza di una
effettiva continuità di temi e di motivi, il persistere di interessi comuni fra
i maggiori esponenti dell’enciclopedismo lullista e i teorici della pansofia.
Ma non meno evidenti — anche se assai meno noti — sono i rapporti che legano l’opera
comeniana a quella dei maggiori teorici dell’ars me- morativa per tanti aspetti
connessa, dopo la metà del Cin- quecento, alla rinascita del lullismo. Solo chi
abbia presenti le discussioni sulla funzione mnemonica delle immagini, tanto
diffusa fra gli esponenti dell'Arte, potrà rendersi conto dell'ambiente nel
quale ebbe a maturare il tentativo come- miano di fondare sulle figure e sulla
visione ogni duraturo e stabile apprendimento. La prima parte dell’ Ordis sensua- lium pictus si presenta, non a caso,
come una «omnium principalium in mundo rerum et in vita actionum pictura !! Per
quanto qui esposto cfr. Philosophiae prodromus et conatuum pansophicorum
dilucidatio. Accedunt didactica dissertatio de sermonis latini studio perfecte
absolvendo, aliaque erusdem, Lugduni Batavo- rum, Officina David Lopez de Haro,
1644, pp. 120-122. (La prima edizione dell’opera è Londra, L. Fawre et S.
Gellibrand, 1639). Ho visto l'edizione del 1644 nell’esemplare dell’Angelica,
SS. 10.90 al qua- le è stato legato assieme il Faber fortunae sive ars
consulendi sibi ipsi ttemque regulac vitae sapientis, Amstelodami, ex officina
Petri van der Berge, 1657. 186 CLAVIS UNIVERSALIS et nomenclatura », e chi ne
scorra le pagine piene di figure e di simboli troverà appunto, ovunque
presente, la tesi che la realtà delle cose dev'essere intuita e vista
attraverso le immagini delle cose.!* Fondamento di un erudizione non astratta e
scolastica, ma « piena e solida », non oscura e con- fusa, ma «chiara e
distinta e articolata come le dita della mano », è la «retta presentazione, ai
sensi, delle cose sensi- bili ». Solo per questa via, la via dell'immagine, del
senso e della memoria, sarà possibile giungere poi alla più alta educazione
dell’intelletto. Alle immagini vien dunque attri- buita una funzione decisiva:
esse sono «le icone di tutte le cose visibili dell’intero mondo, alle quali,
con modi appro- priati, saranno riducibili anche le cose invisibili ». Ripren- dendo
il motivo centrale della Cirsà del Sole campanelliana Comenio giunge a
significative conclusioni: «al nostro fine servirà validamente anche questo:
dipingere sulle pareti delle aule il sunto di tutti i libri di ciascuna classe,
tanto il testo (con vigorosa brevità) quanto le illustrazioni, ritratti e
rilievi, che esercitino ogni giorno i sensi e la memoria degli stu- denti.
Sulle pareti del tempio d’ Esculapio, come ci hanno tramandato gli antichi,
erano scritte le regole di tutta la me- dicina che Ippocrate, di nascosto,
copiò da capo a fondo. Anche Dio infatti dovunque riempì questo grande teatro
del mondo di pitture, di statue e di immagini, come vive rap- presentazioni
della sua sapienza ». Non si trattava solo della generica accettazione di mo- tivi
diffusi: l’« alfabeto filosofico » proposto da Comeniocontro quella «
permolesta ingeniorum tortura » che è la sil- labatro, nel quale le lettere son
riprodotte accanto all’imma- gine dell'animale «cuius vocem litera imitatur
»,!” non fa che riprodurre, con intenti solo in parte diversi, quegli « al- fabeti
mnemonici » che troviamo presenti in tutti i testi quattrocenteschi e
cinquecenteschi di ars reminiscendi. A questa stessa tecnica del raffrozamento
della memoria (lar- 12 Orbis senstalis picti pars prima. Hoc est: omnium
principalium in mundo rerum et in vita actionum pictura et nomenclatura, cum
titu- lorum iuxta cetque vocabulorum indice, Noribergae, Sumtibus Joh. Andr.
Endteri haeredum, anno salutis, 1746 (la prima ediz. è del 1658). Si vedano, in
particolare, le pagine della prefazione. 19 Cfr. Orbis sensualis picti pars
prima, cit., prefazione e pp. 4-5. ENCICLOPEDISMO E PANSOFIA 187 ghissimamente
impiegata dallo stesso Comenio nel De ser- monis latini studio del 1644), ai
teatri del mondo, alla ca- bala si richiamano poi quelle numerose pagine di
Come- nio nelle quali vien presentato quel Theatrum sapientiae cui dev'essere
attribuito, per la nobiltà degli oggetti che racchiu- de, il più solenne nome
di Templum. Il tempio della panso- fia cristiana è costruito secondo le idee,
le norme, le leggi divine, è consacrato a tutte le genti di ogni lingua: in
esso sono « collocati » le facoltà, gli oggetti prodotti dalla forza naturale
presenti nel mondo visibile, l’uomo e i prodotti dell'ingegno umano, le realtà
interne dell’uomo, Dio e le potenze angeliche, i prodotti della vera sapienza:
di fronte a queste pagine comeniane è difficile non ricordare le mac- chinose
costruzioni emblematiche del De Valeriis e del Ca- millo, le grandi rassegne
della realtà universale presenti nel Thesaurus memoriae del Rosselli.!' Anche
il progetto comeniano di una «enciclopedia to- tale » appare del resto
profondamente legato alle impostazio- ni del lullismo, alle discussioni sulla
catena scientiarum, ai progetti, così numerosi nel Cinquecento, di una scienza
uni- taria o arte universale. L’oggetto della sapienza — scrive Co- menio nel
Pansophiae prodromus del 1639 — è stato di volta in volta attribuito alla
filosofia, alla medicina, alla teologia, al diritto; è stato concepito come
oggetto di una scienza par- ticolare; identificato con una visione parziale che
allontana ogni speranza di pervenire alla totalità, alla comprensione dell’unità
del mondo. Alla visione totale, alla lettura del gran libro dell'universo si
potrà giungere attraverso un pro- cesso graduale che va dall’enciclopedia sotto
la specie sensi- bile (orbis sensualis) all’enciclopedia sotto la specie
intellet- tuale (orbis intelletualis): alla visione unitaria, che è lo scopo più
alto del sapere, non si potrà invece mai giungere me- 14 Il testo della
Dissertazio didactica de sermonis latini studio in Pan- sophiae prodromus,
cit., pp. 173-224. Per il tempio della pansofia cristana cfr. le pp. 122-165: «
Pansophiae christianae templum ad Ipsius supremi Architecti Onnipotentis Dei
ideas, normas, legesque Istruendum, et usibus Catholicae Iesu Christi
Ecclesiae, ex omnibus gentibus, tribubus, populis et linguis collectae et
colligendae consecran- dum ». Cfr. anche la Pansophiae Diatyposis
iconographica, Amstlelo- dami, 1645. 88 CLAVIS UNIVERSALIS diante la successiva
aggiunta di considerazioni parziali.!* Tutti i tentativi di giungere all'unità
mediante l’enumerazione e la collezione delle soluzioni e delle tecniche
particolari, sono miseramente falliti: da un lato si son confezionati gigante- schi
ma inutili elenchi che volevano esaurire, in una mint- tiarum confectatio, la
totalità delle parole e delle cose; dal- l’altro si son costruite ordinatissime
enciclopedie simili più ad eleganti catene dai molti anelli che a macchine
capaci di funzionare in modo autonomo e cocrente.!* Ne son derivati ordinati
mucchi di legna disposti con gran cura e pazienza, ma non si è riusciti a dar
luogo a quell’albero vivo delle scienze verdeggiante di fronde e ricco di rami
e di frutti che trae alimento e vigore dalle sue proprie radici. Dar vita a quell’albero
(«at nos scientiarum et artium radices vivas, ar- borem vivam, fructus vivos
desideramus »), sarà possibile solo attraverso la visione unitaria del tutto,
la pansofia che è insieme possesso del tutto e viva immagine del vivente uni- verso:
(« Pansophiam dico, quae sit viva universi imago, sibi ipsi undique cohaerens,
seipsam undique vegetans, seip- sam undique fructu applens... »). A quegli
inutili, pedante- schi elenchi di parole e di cose andrà quindi contrapposto il
promptuarium universalis eruditionis, il libro della pan- sofia: qui la
compendiosità, la chiarezza, il rifiuto di ogni oscurità, la « perpetua
connexio causarum cet effectuum » la « ordinis continuo fluentis series a
principio ad finem» so- stituiranno la caoticità e l’oscurità delle precedenti
compila- zioni.!’ In realtà l'enciclopedia comeniana, per quanto attiene ai motivi
di fondo, non si muoveva su un piano molto diverso da quello sul quale si erano
mossi, nel corso del Cinquecento, !5 Cfr. Pansophiac prodromus, cit., pp.
132-136 e le considerazioni svolte a questo proposito da E. Garin, L'educazione
in Europa, cit., p. 249. 16 Cfr. Pansophiae prodromus, cit., p. 41: «Quas adhuc
vidi Encyclo- paedias ctiam ordinatissimas similiores visae sunt catenae
annulis mul- tis eleganter contextae, quam automato rotulis artificiose ad
motum composito et seipsum circumagente; et lignorum strui, magna quadam cura
et ordine eleganti dispositac similiores, quam arbori e radicibus propriis
assurgenti spiritus innati virtute se in ramos et frondes expli- canti, et
fructus edenti ». 1? Cfr. Pansophiae
prodromus, cit., pp. 21, 41-42, 136. ENCICLOPEDISMO
E PANSOFIA 189 gli “enciplopedisti” di ispirazione lulliana. Questa comu- nanza
di impostazioni, che sussiste al di là delle differenze, delle critiche e dei
polemici rifiuti, risulterà chiara ove si prendano in considerazioni alcuni
problemi caratteristici : 1) quello dei rapporti intercorrenti fra la logica e
l’enciclope- dia; 2) quello della corrispondenza fra l’universo dei segni c l'universo
delle cose; 3) quello dell’unità del mondo (ritma- to secondo l'armonia delle
leggi divine) rispetto alla quale l'enciclopedia si pone come uno « specchio »;
4) infine quello della logica-enciclopedica come «chiave universale » capace di
dischiudere all’uomo i segreti ultimi della realtà. Su ciascuno di questi punti
la posizione di Comenio è precisa: il vocabolario o la fanua linguarum coincide
con la enciclopedia («januam linguarum et encyclopediam debere esse idem ») e
si pongono come una intellectus humani cla- vis che consente la lettura
dell’alfabeto divino impresso sulle cose; l'ordinamento rigoroso delle nozioni,
l’immagine uni- taria e gerarchica dell’universo sono il frutto più alto del nuovo
metodo che è in grado di ricondurre ogni nozione al suo genere e alla sua
specie « ut quicquid de ulla re dicen- dum est, simul et semel de omnibus
dicatur de quibus dici potest »; l’intera enciclopedia appare fondata su un
numero ridottissimo di «assiomi » o di «sententiae per se fide di- gnae, non
demonstrande per priora, sed illustrandae solum exemplis »; l’intero mondo del
sapere apparirà in tal modo simile a una «catena » la cui struttura appare
simile a quel- la in uso nella matematica: « Il rimedio sarà: una conforma- zione
di tutte le arti e le scienze tale che ovunque si inizi dalle cose più note e
il processo verso quelle ignote avvenga con lentezza e gradatamente, così come,
in una catena, ogni anello sostiene e trascina l’altro anello... Come, presso i
ma- tematici, dimostrato un teorema segue il sapere e dimostrato un problema
segue l’effetto, così, nella pansofia, dimostrata una qualche parte
dell’universale dottrina, ne conseguono certezza e infallibilità ».!* 18 Cfr. Pansophiae prodromus,
cit., pp. 4, 24-25, 78, 85. Sulla
coinci- denza della Janua linguarum e dell'enciclopedia cfr. la Janua lingua- rum
reserata aurea, Lugduni Batavorum, 1640 (la prima ediz. è del 1631), prefazione
e l' Eruditionis scholasticae atrium rerum et lingua- rum ornamenta exhibens,
Norimbergae, 1659, p. 5 (copie usate: Braid., tt 4.30 e Angelica IV, 1.56). 190
CLAVIS UNIVERSALIS L’infinita varietà delle nozioni e delle cose è dunque ri- ducibile
ad un numero limitato di « assiomi » o di « princì- pi». Questa riducibilitù —che
rende possibile la stesura del libro della pansofia — appare chiaramente
fondata, anche in Comenio, su alcuni tipici presupposti: le strutture del di- scorso
e quelle del mondo reale si corrispondono pienamente; le stesse, identiche
rationes sono presenti in Dio, nella na- tura, nell’arte. Le raziones rerum
sono in ogni caso le stes- se: in Dio sono ut in Archetypo, in natura ut in
Ectypo, nel- l’arte ut in Antytipo.?* Di fronte ai dubbi che possono essere avanzati
sulla possibilità di rintracciare una «chiave univer- sale », Comenio fa
appello alla riducibilità del mondo a pochi fondamentali elementi e allo
stretto parallelismo intercorren- te tra le res da un lato ce i conceptus, le
imagines, i verba dal- l’altro: « Per quanto le cose poste al di fuori
dell’intelletto sembrino qualcosa di infinito, tuttavia esse non sono infi- nite
perché il mondo, opera stupenda di Dio, consta di pochi elementi e di poche
forme differenti e perché tutto quanto è stato escogitato mediante l’arte può
essere ricondotto a determinati generi e a determinati punti principali. Poiché
dunque fra le cose e i concetti delle cose, fra le immagini dei concetti e le
parole si dà un parallelismo, e poiché nelle cose singole sono presenti alcuni
princìpi fondamentali dai quali tutto il resto risulta, io pensavo che quei
princìpi fon- damentali, che sono egualmente nelle cose, nei concetti e nel discorso,
potessero essere insegnati. Mi veniva anche alla mente che i chimici avevano
trovato il modo di liberare le essenze o spiriti delle cose dalla superfluità
della materia in modo da poter concentrare in una piccola goccia una forza
ingente di minerali e di vegetali e che questa goccia era, nelle medicine, di
maggior efficacia che i corpi mine- rali e vegetali nella loro integrità. E non
potrà essere escogi- tato nulla (pensavo) per radunare e concentrare in qualche
modo i precetti della sapienza ora sparsi per i così ampi ter- reni delle
scienze ed anzi, al di là dei loro stessi confini, sparsi 19 « Eadem proinde
sunt rerum rationes, nec differunt, nisi existendi forma: quia in Deo sunt ut
in Archetypo, in natura ut in Ectypo, in arte ut in Antitypo » (Pansophiac
prodromus, cit., p. 67). ENCICLOPEDISMO E PANSOFIA 191 all’infinito?
Allontaniamo ogni sfiducia perché ogni atto di sfiducia è una bestemmia verso
Dio ».?° Determinando i princìpi e le essenze, ponendosi come specchio fedele
della natura, l’arte ha il compito di rivelare la profonda armonia che lega gli
elementi dell’universo: « Omnis harmoniae fons, Deus, harmonice fecit omnia...
i musici chiamano armonia la piacevole consonanza di molte voci e tale, in
verità, è l’armonioso concerto delle virtù eter- ne in Dio, delle virtù create
nella natura, delle virtù espresse nell’arte; in Dio, nella natura, nell'arte
si dà armonia e c’è armonia divina e l’arte è immagine della natura ».?! Di qui
nasceva la fede di Comenio nella possibilità di una partecipazione di tutti gli
uomini a una comune salvez- za, la sua convinzione che, attraverso la conquista
della pan- sofia, potessero terminare per sempre le guerre, le liti, i dis- sidi
dei quali fin’ora si è nutrito il mondo: «cederent etiam non invitae tam claro
lumini errorum tenebrae et hominibus facilius cessarent dissidia, lites, bella
quibus se nunc conficit mundus ».?? 3. ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA NEL SECOLO
XVII. L'eredità dell’ enciclopedismo lullista, la fede nella pos- sibilità di
un’arte capace di porsi come strumento di razionale convivenza tra le genti,
l'aspirazione a un metodo universale o scienza unitaria che riveli la
coincidenza tra le strutture del pensiero e quelle della realtà erano ormai
state integralmente accolte, in quanto avevano di più valido, dai maggiori rap-
presentanti della cultura europea. Bacone, Cartesio, Alsted, Comenio (così come
più tardi avverrà con Leibniz) avevano accolto alcuni temi presenti nella
tradizione lullista e li ave- °0 Pansophiae prodromus, cit., p. 86. 21
Pansophiae prodromus, cit., p. 67 e cfr. alle pp. 55-56. Ma su que- ste
conclusioni cfr. anche la Janua rerum reserata hoc est sapientia pri- ma (quam
vulgo metaphysicam vocant) ita mentibus hominum adaptata ut per cam in totum
rerum ambitum omnemque interiorem rerum or- dinem et in omnes intimas rebus
coeternas veritates prospectus pateat catholicus simulque et cadem omnium
humanarum cogitationum, ser- monum, operum fons et scaturigo, formaque et norma
esse appareat, 1681. 22 Pansophiae prodromus, cit., p. 44. 192 CLAVIS
UNIVERSALIS vano inseriti in un più vasto discorso concernente la logica, la funzione
della filosofia, i rapporti fra le scienze, l'educazione del genere umano. In
molti dei testi, numerosissimi, dei se- uaci e dei commentatori di Lullo
pubblicati nel corso del se- colo XVII troviamo invece solo la ripetizione di
motivi ormai tradizionali, l’insistenza su temi ormai trasformati in luoghi comuni,
la pedantesca riesposizione delle regole della combi- natoria. Le discussioni
sull’enciclopedia, sulla trasmissione del sapere, sul metodo, sul linguaggio si
andavano ormai svol- gendo, a più alto livello, in ambienti differenti. E
tuttavia an- che di questi testi — non pochi fra i quali furono ammirati c
celebrati in tutta Europa e amati e studiati da uomini in- signi — gioverà
tener conto. Non solo per sottolineare la presenza operante di un tipo di
ricerche che ebbe eco vastis- sima, ma anche per rendersi conto di come, su
quelle stesse ricerche, andassero riflettendosi alcune esigenze caratteristiche
della cultura del Seicento. Abbiamo già ricordato i progetti di unificazione
delle scienze presenti nelle opere del Morestell, del Meyssonnier, di Jean
d’Aubry, ma altri casi sono, da questo punto di vista, non meno indicativi. Nel
1632, a Parigi, veniva pubblicato da R. L. de Vassi, consigliere del Re, Le
fondément de l'artifice universel... sur lequel on peut appuyer le moyen de
pervenir à l’Encyclopedie ou universalité des sciences par un ordre mé- thodique
beaucoup plus prompte et vrayment plus facile qu aucun autre qui soit
communement receu.?* Il libro, nono- stante le mirabolanti promesse contenute
nella lettera dedi- catoria, conteneva in realtà solo la parziale traduzione di
alcuni scritti di Lullo. Ma è significativo che l’opera di Lullo venisse allora
presentata come lo strumento atto a consentire il metodico ordinamento delle
scienze e la realizzazione del- l'enciclopedia. In una situazione che il de
Vassi giudicava assai poco favorevole agli studi lulliani («la pratique artift-
cielle du Docteur Raymonde Lulle, mis en oubly par la plus grand part et
rejetté communement du commun des Doc- teurs... ») i testi della combinatoria
venivano riproposti in fun- 29 Traduit par R. L. Sicur de Vassi, conseiller du
Roy, A_ Paris, dans l'imprimerie d’Ant. Champenois, 1632. (Copia usata: Triv.,
Mor. M. 30). ENCICLOPEDISMO E PANSOFIA 193 zione di un problema che era, in
quegli anni, estremamente attuale. E’ un atteggiamento, questo, che ritroviamo
presente anche negli scritti (ben noti a Leibniz) di Jano Cecilio Frey (morto
nel 1631), medico della regina madre di Francia, au- tore, oltre che di scritti
di medicina e di fisiognomica, di un compendio di filosofia aristotelica e di
una Via ad divas scien- tias artesque, linguarum notittam, sermones
extemporaneos nova et expeditissima.?* Nell’edizione postuma delle sue ope- re
® troviamo, accanto ai consueti interessi per la retorica e per il linguaggio,
per la logica (via ad scienttas) e per l’enciclo- pedia (scientiae et artes
omnes ordine distributae et desumptae), il tentativo di ridurre ad assiomi i
princìpi di tutte le scienze (ariomata philosophica) e di tracciare le linee di
un ordina- mento degli studi. Le regole dell’arte della memoria di origine “ciceroniana”
vengono riprese dal Frey e inserite — sulle tracce del Lavinheta — nella
tematica dell’ars combinandi. Non a caso la pAilosophia rationalis viene
ripartita dal Frey in logica, dialettica e arte memorativa (« philosophia
ratio- nalis est logica et dialectica et ars memorativa »).?° La costruzione di
una assiomatica delle scienze (riduzione di tutti i termini fondamentali delle
singole scienze ai prin- cìpi di una combinatoria riformata), la determinazione
dei rapporti fra i vari rami del sapere sono i temi centrali anche 24 L'opera
fu pubblicata a Parigi (excudebat D. Langlaeus) nel 1628. Ho usato l’edizione
del 1647 (Braid. W.Z.8.3). Del Frey sono da ricordare il Compendium medicinae
pubblicato nel 1646 e | Onmnis homo, item amor et amicus, item Physiognonia
Chiromantia Onciro- mantia, Parigi, 1630. Di questi ultimi due scritti e del
panegirico com- posto dal Gaffarcl (Lacrimae sacrae in obitum Ilani Caecilii
Frey me- dici, Parigi, 1631) dà notizia il THORNDIKE, History of magic and
expe- rimental science, New York, 1958, VIII, pp. 456 - 57, 472-73. È da ve- dere
anche l'Universae philosophiae compendium luculentissimum, ad mentem ct
methodum Aristotelis concinnatum, Parisiis, excudebat D. Langlaeus, 1633 (Par.
Naz. R. 9652 e R. 36568). 25 Jani Caecitu Frey, Opera quae reperiri potuerunt
in unum corpus collecta, Parisiis, J. Gesslin, 1645-46, 3 parti in 2 voll. (Copia usata: Angelica, SS.
6. 15). 2° « Philosophia rationalis est logica et dialectica et ars memorativa.
Dialectica quidem dans materiam disputandi et argumenta. Logica dans formas
argumentandi. Dialectica vel lullistica, vel
peripatetica, vel ramea » (Opera. cit., p. 527). Per la ripresa dei
tradizionali motivi della mnemotecnica ciceroniana si vedano le pp. 443 - 450. 194
CLAVIS UNIVERSALIS del macchinoso Digestum sapientiae (1648 circa) di Ivo de Paris
e del grande Commento all'arte lulliana di Giulio Pace, scolaro dello Zabarella
e profugo a Ginevra, professore a Hei- delberg e a Padova.?” Quest'ultimo
testo, compilato da uno fra i più acuti e più noti traduttori e commentatori
dell’Orga- non aristotelico, da un uomo che fu, oltre che logico insigne, giurista
di gran fama, sarebbe, di per sé, meritevole di un lungo discorso. Ma gioverà
invece soffermarsi con una certa ampiezza su un testo del 1659 che ebbe
immediata risonanza curopea e godette poi di fortuna grandissima: il Pharus
scien- tiarum dello spagnolo Sebastian Izquierdo.°* Alla costruzione dell’arte
universale o «scienza delle scienze» — afferma Izquierdo — hanno lavorato nei
secoli Aristotele e Cicerone, Quintiliano e Raimondo Lullo. Quest’antica
aspirazione verso una «logica prima» che possa illuminare, come un faro, il cammino
ai naviganti nel mare della sapienza, ha trovato espressione, nell'epoca
moderna, nella Sinzaxis di Pedro Gre- goire, nel Digestum di Ivo de Paris,
nella Cyclognomica di Cornelio Gemma, nel Novum Organum di Francesco Bacone. Per
condurre a termine l’opera da questi autori avviata, è ne- cessario rendersi
conto di tre cose: 1) l'enciclopedia (la scienzia circularis o orbicularis
degli antichi) non consiste in un aggre- 27 L’opera di Ivo De Paris, Digestum
sapientiac, in quo habetur scien- tarum omnium rerum divinarumn atque humanarum
nexus et ad prima principia reductio, fu pubblicata a Parigi fra il 1648 e il
1650. Un'altra edizione, più nota, a Lione nel 1672. Cfr. CarrERAS y ARTAU, Op.
cit., ll, p. 297-98. G. Pace, L'art de
Raymond Lullius esclaircy... divisé en IV livres ou est enscigné une méthode
qui fournit grand nombre de termes universels d'attributs, de propositions et
d’argumens par le moyen desquels on peut discourir sur tous sujets, Paris, F.
Julliot, 1619 (Par. Naz. R. 42374 e Z. 19007); Artis lullianac emendatae libri
IV, Neapoli, ex typ. Secundini
Roncalioli, 1631 (Par. Naz. Rés. Z. 959). Sul grande commento aristotelico - In
Porphyrii Isagogen et Aristotelis Organtm commentarius analyticus, Aureliac,
1605 - si vedano, fra l’al- tro, le considerazioni di G. Colli, introduzione
alla versione italiana dell'’Orgazon, Torino, 1955, p. XXV. 28 P. SepastIan
IzquierDo S. ]., Pharus scientiarum ubi quidquid ad cognitionem humanam
humanitus acquisibilem pertinet, ubertim juxta atque succincte pertractatur,
Lugduni, sumptibus C. Bourget et M. Liétard, 1659 (Copia usata: Par. Naz. R.
942-943). Cfr. Carreras Y Artau, II, pp. 305-308; P. Ramòn Cenat, E/ P. S.
Izquierdo y su Pharus scientiarum, « Revista de filosofia », 1942, 1, pp. 127 -
154. ENCICLOPEDISMO E PANSOFIA 195 gato di tutte le scienze, ma in una scienza
speciale (« in spe ciali quadam scientia consistere ») che comprende in sé la totalità
di tutte le scienze ivi compresi i princìpi della stessa scienza speciale o
universale; 2) alla logica « parziale » di Aristotele, va sostituita una logica
« integra » che comprenda, oltre all’ars intelligendi perfezionatrice
dell’intelletto, un’ars memorandi che soccorre alla memoria, un’ars imaginandi
e un’ars experiendi che si volgono ad accrescere le capacità della fantasia e
quelle dei sensi esterni; 3) la metafisica deve pro- cedere con assoluto rigore
dimostrativo secondo il modello delle scienze matematiche: « se i metafisici
avessero ragionato dimostrativamente muovendo, al modo dci matematici, da princìpi
evidenti, avrebbero già costruito gran parte della me- tafisica ». In questo
modo di concepire la funzione della filo- sofia prima e in questa auspicata
estensione del metodo mate- matico alla metafisica, operavano senza dubbio
suggestioni cartesiane. Che si fanno ancor più evidenti quando l’Izquierdo (dopo
aver criticato l’arte di Lullo per la «barbarie » della sua terminologia,
l'insufficienza delle combinazioni binarie e ternarie, l'incapacità a
discendere dai termini universali a quelli particolari) identifica la
combinatoria con un calcolo. Solo la matematizzazione dell’ars combinandi potrà
consen- tire la creazione di quell’unico strumento di tutte le scienze « per
quod immediate fabrica scientiae humanae construitur et absque ullo termino
semper augetur ». L’idea di avvicinare l’Ars magna ai procedimenti della matematica,
assimilando la combinatoria ad un «calcolo », sarà ripresa, com'è noto, dal
Leibniz e sarà feconda di im- portanti sviluppi. Ma negli anni nei quali il
giovane Leibniz si volgeva alla « nuova » combinatoria, si trattava, contraria-
mente a quanto molti han ritenuto, di idea non peregrina. La ritroviamo per
esempio, chiaramente formulata, negli scritti di quel singolare venditore di
fumo che fu il padre gesuita Atanasio Kircher,*° celebrato per le sue mirabili
competenze 2° Sul Kircher cfr. Carreras Y Artau, II, pp. 309-13; L. THORNDIKRE,
History of magic, cit., VII, pp. 567 - 578; L. Couturat, La logique de Leibniz,
Paris, 1901, pp. 541-43; P. FriepLanpER, A. Kircher und Leibniz. Ein Beitrage
zur Gesch. der Polyhistorie im XVII Jahrh., in «Atti della Pontificia Accad.
romana di archeologia », Rendiconti, 1937, pp. 229- 247. 196 CLAVIS UNIVERSALIS
in fisica e in archeologia, in filologia e in egittologia, in storia e in
teoria del linguaggio, autore, fra l’altro, del celeberrimo Mundus subterraneus
e di un trattato, altrettanto noto, sui mi- steri dei numeri.?° Ed è
significativo, importante per l’inten- dimento di un ambiente culturale, che
l'accostamento dell’Arte ai procedimenti matematici, l'esaltazione della
combinatoria di Diofanto (« Diophanti nobilis mathematici ars combinato- ria »)
alla quale veniva ravvicinata la combinatoria di Lullo, ci appaia presente non
solo negli scritti di logici insigni, come l’Izquierdo, ma nelle opere
confusissime di un uomo come il Kircher per tanti aspetti legato ai temi della
tradizione erme- tica e della sapienza gnostica, ai motivi della magia e della cabala,
alle speculazioni sui misteria numerorum. Nonostante le sue tirate retoriche
sul valore del metodo sperimentale e la sua difesa della nuova scienza, Kircher
credeva alle qualità occulte, alle « simpatie » e ai poteri dell’immaginazione,
riat- fermava la teoria della generazione spontanea, era convinto dell’esistenza
di demoni girovaganti per le miniere, era pronto, in ogni caso e in ogni
circostanza a sottolineare gli aspetti « miracolosi » e meravigliosi » della
realtà. Quando l’impera- tore Ferdinando III, durante le aspre polemiche
suscitate in Germania dall’apparizione del Pharus scientiarum dell’ Iz- quierdo,
fece appello alla dottrina del Kircher per essere in- formato sulla reale
utilità dell’arte lulliana e sulla possibilità di una sua ulteriore
semplificazione, il gesuita tedesco elaborò una complicata riforma che si
rifaceva in gran parte al Pharus dell’ Izquierdo.?! Mentre riprendeva le
critiche del suo pre- decessore, Kircher si volgeva però, con prevalente
interesse, alla costruzione delle immagini, alle allegorie, alla elabora- zione
di figure e di simboli, ai misteri dell'alfabeto. Negli ultimi decenni del
secolo, soprattutto ad opera dei °° A. KircHer, Mundus subterraneus,
Amstelodami, apud Joannem Janssonium et Elizeum Weyerstraten, 1664-65;
Arithmologia sive de abditis numerorum mysteriis, Roma, 1665. 31 A. KircHer,
Ars magna sciendi in XII libros digesta, qua nova et universali methodo per
artificiosum combinationum contextum de omni re proposita plurimis et prope
infinitis rationibus disputari omniumque summaria quaedam cognitio comparari
potest, Amsterdam, 1669. ENCICLOPEDISMO E PANSOFIA 197 gesuiti, il lullismo si
legava ancora una volta all'atmosfera, ormai torbida ed equivoca,
dell’ermetismo e della magia. Nei farraginosi scritti di un altro gesuita, il
padre Caspar Knittel, troviamo solo un’ampia esposizione delle regole della
combi. natoria e la stanca, monotona ripetizione delle tesi del Kir- cher.*°
Nei primi anni del Settecento, un grande erudito, il Morhofius, esprimeva, su
queste riforme e questo tipo di pro- duzione magico-filosofica, un giudizio che
può essere ripreso: « illa vero consistit in eo [nel Knittel] emendatio, quod
nova comminiscatur Alphabeta, aliis literarum formis alioque or- dine, quae
mihi res exigua videtur »." 4. L’ALFABETO FILOSOFICO DI GiovanNI EnrICO
BISTERFIELD. In tutt'altro senso, intorno alla metà del secolo, aveva par- lato
dell’ « alfabeto » Giovanni Enrico Bisterfield che aveva progettato un «
alfabeto filosofico » dopo aver raccolto e ordi- nato, in accuratissime tavole,
tutti i termini tecnici e tutte le definizioni impiegati da ciascuna scienza.?*
Nella creazione di 22 Sull'ipotesi di una presa di posizione dei Gesuiti in
favore della magia contro la nuova scienza cfr. L. THorNDIKE, History of magic,
cit, VII, pp. 577 -78. 33 Caspar KNITTEL S. J., Via regia ad omnes scientias et
artes, hoc est ars universalis scienttarum omnium artiumque arcana facilius
pene- trandi, Pragae, J. C. Laurer, 1687 (Par. Naz. Z. 11263); ma è da ve- dere
anche la Cosmographia elementaris, Norimbergae, J. A. et W. Endteri, 1674
(Angelica, CC. 9. 13). °4 D. G.
MorHorius, Polyhistor literarius philosophicus et practicus, Lubecca, 1732, I,
p. 358. 35 Ho fatto uso dei due volumi delle
opere: Bisterfieldus redivivus, seu operum Joh. H. Bisterfieldi... tomus
primus-secundus, Hagae Co- mitum, ex typographia A. Vlacq, 1661. Il primo
volume contiene: Alphabeti philosophici libri tres (pp. 1-132); Aphorismi
physici (pp. 133 - 190); Sciagraphia Analyseos (pp. 191-211); Parallelismus
analy- seos grammaticae et logicae (pp. 212-243); Artificium definiendi catho- licum
(pp. 1-104); Sciagraphia Symbioticae (pp. 3-144). Il secondo volume contiene:
Logica (pp. 1-451); De puritate, ornatu et copia lin- guae latinae, (pp. 1-26);
Ars disputandi (pp. 27 - 33); Ars combinatoria (pp. 34-36); Ars reducendorum
terminorum ad disciplinas liberales technologica (pp. 37-41); Ars seu canones
de reductione ad praedica- menta (pp. 42-46); Denarius didacticus, seu decem
aphorismi bene di- scendi (pp. 47 - 49); Didactica sacra (pp. 50-53); Usus
lexici (pp. 54 - 64). (Copia usata: Angelica, XX, 9. 49 - 50). Del Phosphorns catholicus, seu 198 CLAVIS UNIVERSALIS
queste tavole, nella ricerca di perfette definizioni si esauriva per
Bisterfield la stessa enciclopedia, quel pictum mundi am- phitheatrum che è «
ordinatissima compages omnium disci- plinarum ».'° Più che sulla logica e sul
metodo (inteso come regola dell'intelletto e rimedio alla naturale debolezza
della memoria) Bisterfield insiste infatti sull'importanza decisiva della
praxis logica che è una «artificiosa coniunctio » dei ter- mini della logica e
di quelli dell’enciclopedia, una mescolanza degli instrumenta della logica con
l’universale enciclopedia.*’ Alle radici dell’enciclopedia stanno i termini
trascendentali (« termini trascendentales sunt primae universae encyclopae- diae
radices »): da essi muovono l’analisi (che è riduzione di un discorso o di un
testo ai suoi termini semplici) e la genesi (che è « simplicium combinatio »):
come per una scala si potrà pervenire a quell’artificium definiendi che
consente una esatta definizione di tutti i termini dell’enciclopedia e una
risolu- zione di tutti i termini nei termini primari o fondamentali.?* ars
meditanti epitome cui subjunctum est consilium de studiis felici- ter
instituendis ho visto l'edizione del 1657 Lugduni Batavorum, H. Verbiest
(Angelica, SS. 5. 451). 36 Alphabeti philosophici libri tres, p. |. 3? Cfr.
Alphabeti philosophici libri tres, p. II0: «Praxis logica con- summatur, si
omnes termini logici, cum universa encyclopaedia mi- sccantur »; Logica, pp.
323-326: « Usus seu praxis logica est artificiosa instrumentorum logicorum ct
terminorum enciclopaediae coniunctio... In praxi logica singulos terminos
logicos cum singulis singularum disciplinarum terminis conferri debere ». 38
Cfr. Alphabeti philosophici libri tres, p. 53: « Termini trascenden- tales sunt
primae universae encyclopaedia radices »; Sciagraphia analy- scos, p. 191: «
Analysis est accuratum de textu seu dissertatione in sua principia resoluto
iudicium. Totuplex sit
analysis quotuplex in textu adhibita fuit genesis, idque ordine retrogrado.
Analysis autem upote praxis frugalem compendiorum ac tabularum cognitionem
prae- supponit »; A/phabeti philosophici libri tres, p. 110: «Praxis logica est
vel simplicium combinatio vocaturque Genesis, vel combinatorum reductio
vocaturque analysis, vel denique mixta estque vel Genesis- analysis vel
Analysis-genesis cuius varietas est infinita »; Artificium definiendi, pp. 1-2:
« Artificium definiendi catholicum est quod do- cet modum omnium
encyclopaediace terminorum definitiones accurate inveniendi ac diiudicandi... Scopus huius artificii est foclix id est fa- cilis,
solida ac practica, et quoad in hac vita fieri potest, certa perfec- taque
universa encyclopaediac cognitio... Definitiones sunt omnis ge- neseos et analyseos claves
et normae. Omnis enim mentis et entis, cum ENCICLOPEDISMO
E PANSOFIA 199 Sull’importanza delle definizioni che sono claves et normae della
praxis logica, Bisterfield insiste senza posa. « Tantum scit homo solide
quantum scit definire »: per giungere a deft- nire esattamente gli enti reali e
gli enti di ragione, gli enti separati e quelli collettivi, gli enzia positiva
e quelli priva- tionis, è necessario in primo luogo un dizionario (romencla- tura)
dei termini impiegati nei vari discorsi propri delle sin- gole discipline.
Sulla base del dizionario verranno costruite le tavole che sono «totius mundi
totiusque encyclopaediae re- praesentationes ». Mediante le tavole verranno
posti in luce i termini omogenei, quelli subordinati e quelli coordinati. La costruzione
di una tabula primitiva, comprendente i termini comuni a tutte o alla maggior
parte delle scienze, avvierà alla comprensione di quell’armonia delle scienze
che, Bisterfield se ne rende ben conto, è insieme basis et clavis della prassi logica
:*° « L’armonia delle scienze è la base e la chiave della prassi logica.
Quest'armonia è quella soavissima convenienza per la quale non solo tutte le
scienze concordano con tutte, ma anche le parti con le parti di ciascuna; ed è
così grande quest’armonia che uomini valorosissimi credono che non si diano più
scienze, ma una sola scienza, o piuttosto che sia unico il corpo e il sistema
di tutte le scienze ».*° Per realizzare quest’unico systema, per giungere alla
indi- viduazione dei termini trascendentali cui tutti gli altri ap- paiano
analiticamente riducibili, Bisterfield aveva ritenuto in- dispensabile una
elencazione minuziosa e accuratissima delle reductionem, tum deductionem
complectuntur, si singula definitionum verba in primos terminos per scalam
descendentem et ascendentem resolvantur, sic enim erunt omnigenae reductionis
claves, argumento- rum compendia, propositionum fontes, syllogismorum et
methodorum lumina ». 9 Sulle definizioni’ cfr. Artificium definiendi, in
particolare alle pp. 3, 4, 6. Sulle tavole cfr. p. II, 12, 15: « Tabulae
fundamentales (quae sunt certae terminorum homogcanorum subordinationes et
coordina- tiones) sunt faciles, sed accuratae totius mundi totiusque
encyclopac- diae repraesentationes... Universa illa inductio ac structura
tabularum nititur panharmonia tum rerum tum disciplinarum... Tabula primitiva est
prima simplicissima universalissima adeoque brevissima totius mundi totiusque encyclopaediae
repraesentatio... cam vocabimus ca- tholicam ». 4° Logica, p. 325. 200 CLAVIS
UNIVERSALIS cose e delle nozioni. Il « teatro del mondo », con le sue tavole che
rappresentano tutto ciò di cui può discorrere la mente umana, si poneva ancora
una volta a fondamento dell’arte, della logica, della scienza delle scienze: «I
termini trascen- dentali sono le radici prime dell’universale enciclopedia che è
ordinatissima raccolta di tutte le discipline o anfiteatro di- pinto del
mondo... L’universale artificium definiendi insegna ad accuratamente
rintracciare e giudicare le definizioni di tutti i termini dell’enciclopedia...
La prassi logica viene realizzata quando tutti i termini logici vengono
mescolati con l’enci- clopedia universale... Le tavole universali costituiscono
il no- bilissimo alfabeto di tutte le discipline. Esse devono contenere tutto e
devono rappresentare tutto ciò di cui la mente umana può discorrere e chi
meglio possiederà le tavole avrà più fermi i semi della scienza. Esse sono le
attrezzatissime officine di ogni pensiero e ci pongono sotto gli occhi tutto
ciò intorno a cui e muovendo da cui si può discorrere. Di qui possono essere
ricavati tutti i temi, tutti gli argomenti, tutti gli as- siomi, tutti i
sillogismi, tutti i metodi ».‘ 41 Cfr. Artificium definiendi, p. 1; Alphabeti
philosophici libri tres, p. 110; Logica, pp. 330-331. VII. LA COSTRUZIONE DI
UNA LINGUA UNIVERSALE 1. I GRUPPI BACONIANI IN INGHILTERRA: PROGETTI DI UNA
LINGUA UNIVERSALE. All’inizio del suo Essay towards a real character and a philosophical
language, pubblicato a Londra, sotto gli au- spici della Royal Society, nel
1668," John Wilkins, chiarendo le linee fondamentali del suo progetto di
una lingua « filo- sofica », « perfetta» o «universale », rimandava il lettore a
quellepagine dell’Advancement of learning e del De aug- mentis scientiarum
nelle quali Bacone aveva enumerato le 1 An essay towards a real character and a
philosophical language by Joun Witkins, D. D. Dean of Ripon and Fellow of the
Royal Soctety, London, printed for Sa. Gellibrand and for John Martyn printer to the Royal
Society, 1668, p. 13. (Copia usata: Ambros., Villa Pernice, 19069). Su John
Wilkins, vescovo di Chester e membrodellaRoyal Society, autore del celebre
scritto The discovery of a wordl in the moo- ne, 1638, cfr. Niceron, Mémoires,
Paris, 1750, IV, pp. 129-134. Fra i
contributi di maggior rilievo sono da segnalare: A. W. HENDERSON, The life and
times of }. Wilkins, London,
1910; D. Stimson, Dr. Wil- kins and the Royal Society, in «Journal of modern
history », 1931, pp. 539-563; R. F. Jones, Science and language in England of
the mid-seventeenth century, in « Journal of Engl. and Germ. Philology », 1932,
poi ripubblicato nel volume The seventeentài century, Standford, 1951, pp.
143-160; C. AnpRrape, The real character of Bishop Wilkins, in « Annals of
science », 1936, pp. | segg.; F. ChÙristensen, /. Wilkins and the Royal
Societys reform of prose style, in « Modern Language Quarterly », 1946, 7, pp.
179 segg.; R. H. Svyrret, The origins of the Royal Society, in « Notes and
records of the Royal Society of Lon- don », 1948, 5, pp. 117 segg.; C. Emery,
John Wilkins universal lan- guage, in « Isis», 1948, pp. 174-185; B. De MotT,
Comenius and the real character in England, in « PMLA », 1955, pp. 1068 - 1081;
Science versus mnemonics, în « Isis», 1957, pp. 3-12. Scarso interesse presen- tano le osservazioni
contenute nel noto volume di C. K. Ocpen e I. A. RicHarps, The meaning of
meaning, London, 1948, pp. 40-44. Sulle idee astronomiche di Wilkins sono da
vedere i saggi di G. Mc. Cottey, in «
Annals of science », 1936 - 39, in « PMLA », 1937, e in « Studies in Philology
», 1938. Una parte dell’Essay di Wilkins fu ripubblicata in F. TecHmer,
Beitràge zur Geschicthe der franzòsischen und en- glischen Phonetik und
Phonographie, Heilbronn, 1889. 202
CLAVIS UNIVERSALIS differenze esistenti tra i geroglifici e i «caratteri reali
».? I primi, in quanto emblemi, « hanno sempre qualcosa in co- mune con la cosa
significata »; i secondi — aveva scritto Ba- cone — «non hanno nulla di
emblematico », sono caratteri costruiti artificialmente il cui significato
dipende solo da una convenzione e dall’abitudine che su di essa sì è andata in
se- guito istituendo. Anche le lettere dell'alfabeto derivano da convenzione,
ma i caratteri reali, a differenza delle lettere alfabetiche, rappresentano non
lettere o parole, ma diretta- mente cose e nozioni (« neither letters nor
words... but things or notions »): « È da qualche tempo cosa assai nota che in Cina
e nelle regioni dell’ Estremo oriente sono oggi in uso dei caratteri reali, non
nominali; che esprimono cioè non let: tere c parole, ma cose e nozioni. In tal
modo genti di diver- sissime lingue, che consentono su questo tipo di
caratteri, co- municano tra loro per scritto; e in questo modo un libro, scritto
in quei caratteri, può essere letto da chiunque nella sua propria lingua... I
caratteri reali non hanno nulla di emble- matico e sono in qualche modo sordi,
costruiti in modo ar- bitrario (ad placitum) e poi accolti per consuetudine
come per un tacito patto. È chiaro poi che questo genere di scrittura esige una
grandissima quantità di caratteri che devono es- sere tanti quante sono le
parole radicali (vocabula radicalia)». Alla creazione di una lingua universale
e artificiale, che climini la confusione delle lingue naturali e ne superi le
de- ficienze e le imperfezioni, contesta di simboli che fanno ri- ferimento non
ai suoni, ma direttamente alle «cose », si de- dicheranno, nella seconda metà
del secolo, non pochi cul- tori inglesi di logica e di problemi del linguaggio
:* nel 1652 esce a Londra uno scritto di Francis Lodowick: The grund- work or
foundation laid (or so intended) for the framing of a new perfect language; nel
1653 appare il Lagopandecteision, or an introduction to the universal language
di Thomas Ur- ° Cfr. F. Bacon, Works, by J. Spedding, R. L. Ellis, D. D. Heath,
Londra, 1887-92, I, pp. 650-51; HI, pp. 399-400. ® Sui linguaggi universali
nell’Inghilterra del sec. XVII: O. FunckE, Zum Weltsprachenproblem in England
im 17 Jahr., Heidelberg, 1929 c le brevi indicazioni contenute in L.
Coururat-L. LeAau, Histoire de la langue tniverselle, Paris, 1907, pp. 11-28
(cfr. la recensione di G. Vartati, Scritti, Firenze, 1911, pp. 541 - 45). LA
LINGUA UNIVERSALE 203 quhart (1611 - 1660), il notissimo traduttore di
Rabelais; quat tro anni dopo Cave Beck pubblica la sua opera The univer- sal
character by which all nations may understand one ano- ther's conceptions; le
Tables of the universal character e V Ars signorum, vulgo character universalis
et lingua philosophica di George Dalgarno (1626-1687) vedono la luce, sempre a Londra,
rispettivamente nel 1657 e nel 1661; nel 1668, infine, John Wilkins (1614-1672)
pubblica il già ricordato £Essay towards a real character and a philosophical
language. Per comprendere il significato di queste opere (e delle altre dello
stesso tipo) e la funzione storica da esse esercitata, per intendere
l’atmosfera culturale dalla quale esse trassero alimento e dalla quale
derivarono le ragioni della loro dif- fusione e del loro successo, bisognerà
tener conto di tre grandi fenomeni storici che caratterizzano (per quanto qui ci
concerne) la vita intellettuale inglese nella prima metà del secolo XVII. Si
tratta: 1) in primo luogo della profon- da, decisiva azione esercitata in
Inghilterra dall’opera di Ba- cone e dai gruppi “baconiani” della Royal
Society, impe- gnati in una dura lotta contro la retorica del tardo umanesi- mo
e in un'appassionata difesa della nuova scienza; 2) in se- condo luogo di
quella grande “rivoluzione” (che non fu solo « mentale » perché investì non
solo le idee e la cultura, la letteratura e il modo di pensare, ma anche le
istituzioni accademiche e scientifiche, il modo di insegnare, di impa- rare e
di vivere) che conseguì ai grandi progressi della “fi- losofia sperimentale” e
degli studi fisico-matematici; 3) in terzo luogo, infine, della profonda
risonanza che l’opera, l'insegnamento, le utopie, le speranze di Giovanni Amos
Co- menio ebbero su molti ambienti della cultura filosofica, poli- tica,
religiosa dell’ Inghilterra del Seicento. Cominciamo dunque da Bacone, anche
perché le sue af- fermazioni sui caratteri reali (il termine avrà, in
Inghilterra e fuori, una fortuna grandissima), la posizione da lui assunta nei
confronti del problema del linguaggio, costituiscono, in tutte queste
trattazioni di lingua universale, dei presupposti implicitamente (ma quasi
sempre esplicitamente) presenti. Sul carattere « materialistico » delle teorie
linguistiche di Ba- cone, Richard Foster Jones ha scritto pagine di grande
rilie- vo nelle quali, fra l’altro, è stato anche dimostrato il gran 204 CLAVIS
UNIVERSALIS peso esercitato dalle tesi baconiane su quella « rivoluzione stilistica
» che caratterizza, in Inghilterra, durante la Restau- razione, gli sviluppi
della prosa secolare (testi di storia, di filosofia naturale, di politica) e
religiosa (libri di edificazione, prediche, preghiere). Foster Jones ha parlato
di una «an- tipatia di Bacone per il linguaggio». In realtà si tratta di qualcosa
di più che di una «antipatia »: l’atteggiamento di Bacone è fondato sulla
convinzione che il linguaggio, come del resto gli altri prodotti dello spirito
umano, costituisca o possa costituire un ostacolo, del quale tuttavia in quanto
crea- ture umane non si può fare a meno, alla autentica compren- sione della
realtà, sia, in altri termini, qualcosa che s! frap- pone fra l’uomo e i fatti
reali o le forze della natura. Per « avvicinarsi alle cose » è necessario da un
lato rifiutare i nomi che non corrispondono a cose reali, dall’altro impa- rare
a costruire parole che rispondano alla realtà effettiva delle cose. Gli :4ola
che si impongono all’intelletto per mezzo delle parole — afferma Bacone nel
paragrafo 60 del Novum Organum — sono di due generi: o sono nomi di cose che non
esistono, o sono nomi di cose che esistono, ma confusi, mal definiti e astratti
dalle cose in modo affrettato e parziale. I primi sono legati a determinate
teorie fantastiche (la for- tuna, il primo mobile ecc.) e, mediante un rifiuto
di quelle teorie è possibile liberarsi da essi. Nel caso dei secondi il problema
è molto più complesso perché qui si ha a che fare con una inesperta «
astrazione dalle cose » che ha dato luo- go a nozioni confuse. Queste
affermazioni di Bacone ci consentono di chiarire ulteriormente la sua posizione
di fronte al linguaggio: le no- zioni devono essere astratte correttamente
dalle cose e cor- rispondere ad esse; ove la nozione sia stata costruita in
modo vago e impreciso il nome risente di questa vaghezza e im- precisione.
Inoltre i nomi attribuiti alle cose, le parole, eser- citano a loro volta
un'azione sull’intelletto: le parole indi- canti nozioni vaghe «ritorcono e
riflettono sull’intelletto la 4 Oltre al saggio qui sopra indicato si vedano:
Science and english prose style in the third quarter of the seventeenthà
century; Saence and criticism in the neo-classical age of english literature,
anch'essi ripubblicati nel volume The seventeentà century, cit., pp. 41-74; 75-10.
LA LINGUA UNIVERSALE 205 loro forza » e condizionano negativamente la sua
stessa ri- cerca di nozioni precise. In tal modo le parole « riflettono i loro
raggi e le loro immagini fin dentro la mente e non solo sono dannose alla
comunicazione, ma anche al giudizio e all’intelletto ». Quando, attraverso
un'osservazionepiù ac- curata e una più attenta opera di «astrazione », si
tenta di far meglio corrispondere le parole alla natura, «le parole si ribellano
» e danno luogo a infinite, sterili controversie che hanno per oggetto non la
realtà, ma solo i nomi e le parole. Il tentativo di impiegare definizioni
precise del tipo di quelle usate dai matematici non appare a Bacone molto
utile: « trat- tandosi di cose naturali e materiali, neppure le definizioni possono
rimediare a questo male, perché le stesse definizioni constano di parole e le
parole generano altre parole ». Era, questa, una conclusione assai
significativa e la critica (svolta da Bacone nel Novum Organum) del termine «
umi- do » è preziosa per intendere il suo punto di vista: la equi- vocità del
termine « umido » dipende per lui dalla equivocità della nozione di « umido »
che indica una molteplicità di comportamenti diversi e che è stata « astratta
superficialmen- te e senza le dovute verifiche soltanto dall’acqua e dai liqui-
di comuni e volgari ». Di fronte a questa varietà di signifi- cati, non si
tratta, per Bacone, di dare una definizione che determini il campo di
applicazione del termine « umido » predeterminando l’uso possibile di quel
termine e limitan- done il senso, ma di elaborare, sulla base «di uno studio dei
casi particolari, della loro serie e del loro ordine », una nozione che
riconduca ad unità la diversità dei comporta- menti e serva da criterio per
spiegare questa diversità. La validità di questo criterio sarà però, sempre e
in ogni caso, dipendente dalla maggiore o minore corrispondenza alle cose della
nozione così elaborata. Si comprende in tal modo come Bacone possa giungere ad
una identificazione dei termini “ nozione » e « parola » (« mala et inepta
verborum imposi- to », « nomina temere a rebus abstracta » ecc.) che è in con- trasto
con gli accenni convenzionalistici pur presenti nella sua trattazione del
linguaggio. In conclusione: ciò che Ba- cone non è in alcun modo disposto ad
accettare è una teoria che identifichi la verità di una proposizione con la
coerenza logica tra i termini che compongono la proposizione stessa: 206 CLAVIS
UNIVERSALIS la ricerca si riporta di continuo alle cose, alle qualità sensi- bili
e alle proprietà dei corpi materiali. L'ispirazione fonda- mentalmente «
materialistica » di questa concezione del lin- guaggio si fa particolarmente
evidente quando Bacone crea una specie di graduatoria rispecchiante «i diversi
gradi di aberrazione e di errore presenti nelle parole »: il genere di nomi
meno difettoso è quello dei nomi di alcune sostanze ben note (creta, fango,
ecc.); più difettoso è il genere di nomi indicanti azioni (generare,
corrompere, ecc.); più difettoso di tutti è il genere dei nomi di qualità
(grave, denso, leg- gero, ecc.).° Bacone aveva dunque contrapposto le «cose»
alle « pa- role », aveva insistito sulla necessità di un linguaggio che rimandasse,
il più direttamente possibile, alla realtà e alle operazioni o forze presenti
nella natura, aveva accentuato i pericoli presenti nell’uso del linguaggio,
aveva pensato ad una lingua artificiale, composta da simboli di tutte le « pa- role
radicali » che potesse climinare alcuni o molti di questi pericoli. Ma Bacone —
e questo è altrettanto importante — era stato anche il /eader
dell’anticiceronianismo, si era fatto assertore dei brevi aforismi
contrapponendoli al corposo pe- riodare dei seguaci di Cicerone, aveva
sostenuto la necessità di un ritorno allo stile «attico» o «senechiano »
mirante alla espressività e alla chiarezza, vicino alla « brevità » degli Stoici,
« grave » e « sentenzioso », lontano dagli abbellimenti retorici, dalle
fioriture stilistiche, dall'impiego delle analogie ce delle metafore, Bacone
aveva polemizzato contro le scolasti- che « dispute di parole » e aveva
contrapposto al linguaggio in uso nelle Scuole una lingua breve ed essenziale,
precisa e cruda, capace di rimettere nuovamente l’uomo — dopo tanti secoli di
tenebre e di volontario acciecamento — ‘a contatto con il mondo.° ® Cfr. F.
Bacon, Works, cit., III, p. 581 (Redargutio philosophiarum); sugli idola fori:
III, pp. 396 -97 (Advancement); HI, p. 599 (Cogitata et visa) e Novum Organum,
I, 15, 16, 43, 59, 60. © Cfr.M. W.
CroLt, Attic prose in the seventeenth century, in « Stu- dies in philology »,
1921, pp. 79- 128; Artic prose: Lipsius, Montaigne, Bacon, in Schelling
anniversary papers, New York, 1932; The baroque style of prose, in Studies in
english philology; a miscellany in honour of F. Klaeber, Minneapolis, 1929. LA LINGUA UNIVERSALE 207 Negli scritti dei seguaci e
degli ammiratori di Bacone, nelle opere di molti fra i maggiori difensori della
nuova scienza troviamo, energicamente riaffermate, le posizioni ora delineate.
Basterà qualche esempio. John Webster, cap- pellano nell’armata del Parlamento,
acceso sostenitore della filosofia baconiana, attacca con estrema violenza
nell’Acade- miarum Examen (Londra, 1653) la retorica e l’oratoria che « servono
solo per adornare e sono soltanto l’abito e la veste esteriore di ben più
solide scienze », respinge gli studi gram- maticali che gli appaiono inutili ad
un reale progresso della conoscenza e insiste sulla opportunità di una «
symbolic and emblematic way of writing » che superi la confusione e le
imperfezioni delle lingue naturali.” Nelle Considerations touching the style of
the holy scriptures di Robert Boyle (scritte nel 1653 e pubblicate nel ’61)
troviamo lo stesso di- sprezzo per ogni inutile abbellimento dello stile. In un
in- teressante brano autobiografico lo stesso Boyle contrapponeva la sua
propensione per la filosofia sperimentale e per la cono- scenza delle cose alla
sua avversione e al suo disprezzo per lo studio delle parole insistendo anche
sull’ambiguità e «li- cenziosità » dei termini scientifici che è esiziale al
progresso della vera filosofia: «my propensity and value for real lear- ning
gave me such aversion and contempt for the empty study of words... ».° Robert
Boyle si era a lungo interessato ai problemi di una lingua artificiale; sui
danni che derivano alla scienza dalla confusione delle lingue naturali si
sofferma a lungo un altro fervente baconiano, Joshua Childrey, che nella sua
Britannia Baconia (Londra, 1660) afferma che il volto della realtà non va
sfigurato imbrattandolo con il bel- letto del linguaggio (« not disfigure the
face of truth by dau- bing it over with the paint of language »). Anche Thomas Sprat,
la cui History of the Royal Society (1667) rispecchia anche le opinioni dei
suoi illustri colleghi, condanna l’uso delle metafore, la viziosa abbondanza
delle frasi, la continua variabilità delle lingue come altrettanti mali dai
quali gli ‘ J. Wessrer, Academiarum examen, Londini, 1653, pp. 21, 24 e cfr. R.
F. Jones, The seventeenth century, cit., pp. 82, 147-48. * The works of the honourable
Robert Boyle, ed. T. Birch, London, 1772, I, pp. TI, 29-30; II, pp. 92, 136; III, pp. 2, 512; IV, p.
365; V, pp. 54, 229. 208 CLAVIS UNIVERSALIS uomini di scienza debbono
liberarsi.’ Difendendo la
Roya! Society dagli attacchi di Henry Stubbe che aveva osato assa- lire tutti i
« true-hearted virtuous intelligent disciples of our Lord Bacon », George
Thompson scriveva nel 1671: "Tis Works, not Words; Things not Thinking;
Pyrotech- nie [chimica], not PhAilologie; Operation, not merely Speculation,
must justifie us physicians. Forbear then hereafter to be so wrongfully
satyrical against us noble Experimentators, who questionless are entred into
the right way of detecting the True of things.!° 2. SIMBOLI LINGUISTICI E SIMBOLI MATEMATICI. Le
ricerche tendenti alla costruzione di una lingua « filo- sofica » o «perfetta »
trovarono un terreno oltremodo favo- revole nell’atmosfera culturale che
abbiamo ora brevemente delineato. E queste diffuse esigenze di chiarezza e di
rigore, questi progetti di una lingua simbolica trassero senza dub- bio
alimento dagli sviluppi degli studi matematici, anche se sarebbe impresa
disperata sostenere che i progetti di una lingua universale, ai quali qui si fa
riferimento, dipendano o storicamente derivino da quegli sviluppi. Il “rigore”
delle dimostrazioni matematiche, il largo impiego, in matematica, di “simboli”
contribuì però senza dubbio a rafforzare l’idea che fosse possibile, per gli
scienziati, ridurre il loro stile a quella « mathematicall plainess» di cui
parlava, nella Histo- ry of the Royal Society, il baconiano Thomas Sprat: «essi
hanno avuto la costante risoluzione di rifiutare tutte le am- plificazioni,
digressioni e ampollosità dello stile: hanno vo- luto far ritorno alla
primitiva purezza e brevità, a quando gli uomini esprimevano molte cose
all’incirca con un egual numero di parole. Hanno richiesto a tutti i membri
della So- cietà: un modo di parlare discreto, nudo, naturale; espres- sioni
positive; sensi chiari; una nativa facilità; la capacità di portare tutte le
cose il più vicino possibile alla chiarezza della ® THoMas SpraT, The history
of the Royal Society of London, London, 1667, pp. 95 - 115. Cfr. H. FiscH and H. W.
Jones, Bacon's influence on Sprat's History, in « Modern Language Quarterly »,
1946. 1° Grorce THomprson, Mtooxoplag. Londra, 1671, pp. 31, 40. Cfr. R. F.
Jones, in The seventeenth century, cit., p. 145. LA LINGUA UNIVERSALE 209 matematica; una preferenza
per il linguaggio degli artigiani, dei contadini, dei mercanti piuttosto che
per quello dei dotti ».!! A conclusioni più precise di quelle dello Sprat
giunge- vano quegli studiosi che avevano, almeno in parte, subito l'influenza
delle posizioni di Hobbes e accolto la sua defini- zione dei « termini » come
simboli di relazioni e di quantità e la sua concezione del linguaggio come «
calcolo ». Da questo punto di vista è tipica la posizione di Seth Ward,
professore di astronomia ad Oxford, che vede nella « symbolicall way inven- ted
by Vieta, advanced by Harriot, perfected by Mr. Oughtred and Des Cartes » il
rimedio migliore alla verbosità eccessiva dei matematici. Quel tipo di
scrittura, secondo il Ward, può essere esteso all’intero linguaggio in modo
che, per ogni cosa e nozione possano essere trovati simboli appropriati e tali
da eliminare ogni confusione: «I was presently resolved that symboles might be
found for every thing and notion ». Con l’aiuto della logica e della matematica
(0y the helpe of logick and mathematicks) tutti i discorsi umani potranno
essere ri- solti in enunciati (resolved in sentences), questi in parole (words)
e, poiché le parole significano nozioni semplici o sono in esse risolvibili
(eszher simple notions or being resol- vible into simple notions), una volta
rintracciate le nozioni semplici e assegnati ad esse dei simboli, sarà
possibile rag- giungere un discorso rigorosamente dimostrativo tale da ri- velare
(e l’aggiunta è importante) le nature delle cose (the natures of things). « Un
linguaggio di questo tipo — conclu- deva Seth Ward — nel quale ogni termine
sarebbe una de- finizione e conterrebbe la natura della cosa, potrebbe non ingiustamente
essere denominato un linguaggio naturale, e potrebbe realizzare quell’impresa
che i Cabalisti e i Rosa- cruciani hanno invano tentato di portare a compimento
quando ricercavano, nell’ebraico, i nomi assegnati da Adamo alle cose »."*
A una lingua universale, composta di caratteri « incomparabilmente più facili
di quelli attuali » e a un Dic- tronary of sensible words che fornisse la
necessaria termino- logia al meccanicismo hobbesiano, lavorò anche, dopo la
metà 1 TH. Sprat, The
history, cit., p. 113. 1? SetH Warp, Vindiciac academiarum, Londra, 1654, pp.
20-21. Cfr. R. F. Jones, in The seventeenth century, cit., pp. 151-152. 210 CLAVIS UNIVERSALIS del secolo, William Petty,
membro della Società reale e gran- de pioniere negli studi di economia
politica. « Il dizionario di cui ho parlato — scrive in una lettera a Southwell
— ave- va lo scopo di tradurre tutti i termini usati nell’argomenta- zione e
nelle materie più importanti in altri termini equiva- lenti che fossero signa
rerum et motuum ».'* Anche Robert Boyle, in una lettera del marzo 1647, aveva
visto nel carat- tere interlinguistico dei simboli matematici, una prova della possibilità
di costruire una lingua composta di caratteri reali: «In verità, poiché i
caratteri che impieghiamo in matema- tica sono compresi da tutte le nazioni
europee nonostante che ciascuno dei tanti popoli esprima questa comprensione nella
sua lingua particolare, non vedo alcuna impossibilità a fare, con le parole,
ciò che già abbiamo fatto con i nu- meri ».!* Gli stessi cultori di algebra e
di matematica non furono del tutto estranei a queste discussioni sul
linguaggio, sulla scrittura, sui simboli. Abbiamo già visto quali fossero, su questi
argomenti le opinioni dell’astronomo e matematico Seth Ward, ma anche negli
scritti del grande matematico John Wallis il problema dei carazteri o delle
note da impie- gare nell’algebra veniva presentato come un aspetto del più generale
problema dei segni, delle cifre e delle scritture. For- temente interessato
agli sviluppi storici dell’algebra, Wallis metteva chiaramente in rilievo,
nelle pagine del De algebra, i vantaggi che presentavano, di fronte alla troppo
prolissa simbologia del Viète i characteres o le notae compendiosae di William
Oughtred. Nella Mazhesis universalis del 1657 troviamo, numerosissimi, i
riferimenti al problema della scrit- tura in genere e della scrittura occulta
in specie: « haec qui- dem occulte scribendi ratio, flagrante nuper apud nos
Bello intestino, admodum erat familiaris». Non a caso, nel De loquela sive
sonorum formatione, premesso alla sua Gram- 1° Cfr. The Petty papers, ed. Marquis of Lansdowne, Londra,
1927, voll. 2, I, pp. 150-51; Petty-Southwell Correspondence: 1676-1687, cd. Marquis of Lansdowne, Londra, 1928, p. 324. Ma è da
vedere anche l’Advice to Hartlib, Londra, 1648, pp. 5 segg. nel quale si
accenna al problema dei caratteri reali. '4 Lettera del 19 marzo 1647 allo
Hartlib, in Works, cd. T. Birch, ly ip; 22: LA LINGUA UNIVERSALE 211 matica
linguae anglicanae, Wallis si era a lungo soffermato sulle questioni attinenti
alla grammatica e ai suoni. Infine nel De algebra, accanto ad un ferocissimo
attacco alla in- competenza matematica di Hobbes (« turpissimis paralo- ismis
ubique scatet liber iste »), troviamo un ampio capi- tolo dedicato ad
illustrare i vantaggi che presentano, per il matematico, le tecniche dedicate
al rafforzamento della me- moria.!* 3. I GRUPPI COMENIANI: LINGUA UNIVERSALE E
CRISTIANESIMO UNIVERSALE. L'influenza esercitata dall’insegnamento di Comenio
sui progetti miranti alla costruzione di una lingua universale è stata
ampiamente e minuziosamente documentata.'* Nessun libro dedicato alla lingua
perfetta era apparso in Inghilterra prima del viaggio di Comenio a Londra nel
1641; dopo quel- l’anno si ebbe una vera e propria fioritura di questi testi. E
non si trattava di una coincidenza: Samuel Hartlib — che !5 Il De algebra
tractatus historicus et practicus ciusdem origines et progressus varios
ostendens è contenuto nel secondo volume delle Ope- ra mathematica, Oxoniae, ex
Theatro Sheldoniano, 1695, voll. 3 (co- pia usata: Braid. C. XVII. 9.523. 1-3).
Sui caratteri di Viète e di Oughtred cfr. le pp. 69-73. Per i riferimenti alla
scrittura presenti nella Mathesis universalis, sive arithmeticum opus integrum
tum phi- lologice tum mathematice traditum cfr. nella stessa ediz. delle opere
il vol. I, pp. 47 segg. Per l'attacco ad Hobbes cfr. Opera, I, p. 361 (ma su
questo argomento e sui numerosi scritti antihobbesiani del Wallis cfr. G.
SortaIs, La philosophie moderne depuis Bacon jusqu'à Leibniz, Paris, 1922, II,
pp. 289-92), sulla memoria è da vedere il capitolo del De algebra (in Opera,
II, pp. 448 - 50) intitolato De viribus memoriae satis intentae, experimentum.
La prima edizione della Grammatica lin- quae anglicanae cui pracfigitur de
loquela sive sonorum formatione tractatus grammatico-physicus è del 1653. Ho
visto la quarta ediz.: Oxoniae, typis L. Lichfield, 1674 (Braid. } + VI. 51).
Sul Wallis mate- matico cfr., oltre ai correnti manuali di storia delle
matematiche, ]. F. Scort, Mathematical work of |. Wallis, London, 1938, l’opera
gram- x maticale è stata studiata da M. LeHNERT, Die Grammatik des ]. Wal- lis, Breslau, 1936. 1
Cfr. D. L. StiMson, Comenius and the Invisible college, in « Isis», 1935, pp.
383-88; Scientists and amateurs. New York, 1946; B. DE Mott, Comenius and the
real character in England, cit.; sui rapporti Comenio - Wilkins cfr. M. Spinka,
/. A. Comenius, that incomparable Moravian,
Chicago, 1943, pp. 72-75. 212 CLAVIS UNIVERSALIS era stato per lunghi anni in
corrispondenza con Comenio e che apparve, agli uomini del suo tempo, il
difensore e il diffusore, in Inghilterra, dell’opera comeniana — fu il più appassionato
sostenitore ed editore di opere sulla lingua uni- versale. Hartlib pubblicò nel
1646 l’opera del Lodowick (A common writing); incoraggiò numerosi tentativi per
la crea- zione di un vocabolario dei termini essenziali; fu in corri- spondenza
con il Boyle su questi problemi; contribuì alla pubblicazione dell’Ars signorum
del Dalgarno. Espliciti rife- rimenti a Comenio troviamo presenti negli scritti
di Henry Edmundson (Lingua linguarum) e di John Webster (Acade- miarum examen,
1654), mentre John Wilkins, il più noto e celebrato fra questi teorici della
lingua perfetta, fu aiutato e incoraggiato da un altro discepolo inglese di
Comenio con cui egli ebbe rapporti di viva amicizia: Theodor Haak. Lo stesso
Comenio, dedicando nel 1668 alla Royal Society la sua Via lucis vestigata et
vestiganda, affermava che l’opera di Wilkins, pubblicata in quello stesso anno,
rappresentava la realizzazione dei suoi programmi e delle sue più alte aspi- razioni.
Proprio nella Via Zucis, che circolava manoscritta in In- ghilterra fin dal
1641, Comenio aveva ripreso, con ampiezza molto maggiore, le osservazioni di
Bacone sui « caratteri reali ». I caratteri simbolici usati dai Cinesi —
scriveva — consentono a uomini di differenti lingue di intendersi reci- procamente:
se tali caratteri sembrano cosa buona e vantag- giosa, perché non si potrebbero
dedicare i nostri studi alla scoperta di un «linguaggio reale », alla scoperta
cioè « non solo di una lingua, ma del pensiero e delle verità delle cose stesse?
». Se la molteplicità delle lingue «è derivata dal caso o dalla confusione,
perché non si potrebbe, facendo uso di un procedimento consapevole e razionale,
costruire un’unica lingua che sia
elegante e ingegnosa e appaia in grado di su- perare quella dannosa confusione?
Se abbiamo la possibilità di adattare i nostri concetti alle forme delle cose,
perché non dovremmo avere quella di adattare il linguaggio a più esatte espressioni
e a più precisi concetti? ».!” 17 Per la Via lucis, che non sono riuscito a
vedere nel testo originale, ho fatto uso della traduzione di E. T. Campagnac:
The Way of light of Comenius, London, 1938. Per il brano qui citato cfr. le pp.
186 - 89. LA LINGUA UNIVERSALE 213 Il problema di una lingua universale si era
posto come centrale nell'opera comeniana: nel suo pensiero era senza dubbio
presente l'esigenza di una maggior precisione termi- nologica, di un linguaggio
più chiaro, accessibile e rigoroso, ma alla base del suo progetto non stavano
preoccupazioni di “logica” o di “metodologia”; stavano quelle aspirazioni e quelle
esigenze tipicamente “religiose” che avevano trovato espressione nei testi del
lullismo e del neoplatonismo, nelle idee di universale pacificazione — sulla
base di una comune lingua — sostenute dai panteisti, dai cabalisti e dai Rosa- cruciani.
Più che i testi dei lullisi — ai quali abbiamo spesso fatto riferimento — sarà
opportuno ricordare qui la fede di uno dei maestri di Comenio — Johan Valentin
Andrei — in una mistica armonia delle nazioni (la respublica christia- nopolitana)
realizzabile mediante un nuovo universale lin- guaggio e le osservazioni di
Jacob Boehme, un pensatore ben noto a Comenio, su un originario linguaggio
della natura (Natursprache) che è stato sommerso dalla confusione delle lingue
e che va ricostruito e ricompreso per la salvezza del genere umano.'* Anche per
Comenio — come già per i se- guaci di Lullo e per l’Andreîi — il linguaggio
reale o «la perfetta lingua filosofica » ha dve scopi fondamentali: 1) porre
l’uomo a rinnovato contatto con la divina armonia che è presente nell’universo
mostrandogli la piena coincidenza tra il ritmo del pensiero e quello della
realtà, tra le cose e le parole; 2) porsi quindi come base, l’unica possibile
base, per una piena riconciliazione del genere umano, per una du- ratura,
stabile pace religiosa. Nella moltitudine, varietà e confusione delle lingue,
Co- menio aveva visto il maggiore ostacolo alla diffusione della luce e alla
penetrazione, presso tutti i popoli, della pansofia. Quando sarà costruita «una
lingua assolutamente nuova, !* Cfr. J. V. Anprea£, Fama fraternitatis, 1616,
pp. 3, 12-13 cit. in B. De MotT, Comenius and the real character, cit., p.
1070; Jacos BoEH- ME's, Simmiliche Werke, ed. a cura di K. W. Schiebler,
Leipzig, 1922, IV, pp. 83 segg. 214 CLAVIS UNIVERSALIS assolutamente chiara e
razionale, una lingua pansofica e uni- versale, allora gli uomini apparterranno
a una sola razza e ad un solo popolo ». Sulla par pAilosophica, sulla concordia
mundi, sull'unità del genere umano avevano a lungo insi- stito, nei secoli del
Rinascimento, Pico e Sabunde, Cusano e Guillaume Postel ed è precisamente a
questa tradizione che si richiamavano le speranze millenaristiche di Comenio.
Ma sull'importanza e sul significato dei dissensi di carattere ter- minologico,
sulla necessità di una lingua comune, sull’op- portunità di preservare gli
elementi comuni della fede ab- bandonando le vane « dispute di parole » si era
lungamente e ampiamente discusso, durante la Riforma, negli ambienti più
diversi. Non è certo il caso di affrontare qui un proble- ma così complesso, ma
vale certo la pena — anche se in vista di scopi assai limitati — di indicare
qualche posizione ca- ratteristica. William Bedel (1571-1642), che fu in
Inghilterra uno dei maggiori sostenitori dell’irenismo e della conciliazione fra
luterani e calvinisti, attribuiva carattere soprattutto ver- bale alle
controversie fra le sètte ed era fortemente interessato ai progetti di lingua
universale di Comenio e dei comeniani inglesi. Ma anche negli scritti dei
teorici della lingua uni- versale questo interesse “religioso” appare quasi
sempre in primo piano. La lingua filosofica — afferma Wilkins — chiarirà le
attuali divergenze in materia religiosa ed esse si riveleranno inconsistenti,
una volta che il linguaggio sarà stato liberato da ogni imperfezione ed
equivocità. La elimi- nazione degli equivoci linguistici contribuirà
grandemente, secondo Cave Beck, al progresso della religione nel mondo. William
Petty vuol tradurre tutti i termini usati nelle argo- mentazioni in altri
termini che siano signa rerum (« tran- slate all words used in argument and
important matters into words that are signa rerum »), sostiene energicamente
una distinzione fra termini significanti e termini privi di signifi- cato, e
concepisce l’intero suo dizionario in funzione di una chiarificazione dei
termini della vita religiosa. Determinando l’esatto significato di God e
devill, angel e wordl, heaven e hell, religion e spirit, church e christian,
catholic e pope, si giungerà alla conclusione che le liti e le guerre fra le
di- verse sètte si sono fondate solo su divergenze terminologiche LA LINGUA
UNIVERSALE 215 e che esiste invece la possibilità di una effettiva intesa sulle
nozioni e sulle cose. Anche nell’Ars signorum di Dalgarno troviamo presente un
tentativo di questo genere realizzato mediante un complicato sistema di
divisione dei concetti e di appropriati simboli.!* Nella History of the Royal
Society, Thomas Sprat parla di una « filosofia dell’umanità » che su- eri le
differenze e le ostilità di carattere religioso: «not to lay the foundation of
an English, Sotch, Irish, Popish or Protestant philosophy, but a philosophy of
mankind ». Non si tratta solo della convinzione che
la nuova « filosofia speri- mentale » possa affratellare gli uomini al di là
delle separa- zioni politiche e delle differenti convinzioni religiose, si
tratta anche della speranza (ed è questo aspetto che si vuol qui sot- tolineare)
che la stessa organizzazione scientifica possa costi- tuire un potentissimo
mezzo per il ristabilimento della con- cordia mundi, dell’unità religiosa e
spirituale del genere uma- no. Non diversamente, del resto, la nuova scienza
era stata intesa da Bacone come uno strumento di universale redenzio- ne dal
peccato originale.? Ove si rinunci a proiettare all’indietro nel tempo i nostri
interessi e i nostri problemi per attribuirli agli uomini che scrissero ed
operarono alla metà del Seicento, bisognerà ren- dersi conto che i progetti di
una lingua « perfetta » o « uni- versale » sui quali in quegli anni si
affaticarono non pochi studiosi, traevano senza dubbio alimento dall’atmosfera
cul- turale legata alla nascita della nuova scienza, dai progressi della fisica
e da quelli della matematica, ma non intendevano certo limitarsi a fornire
chiarimenti semantici agli studiosi di filosofia naturale. Quelle «lingue »
avevano scopi assai più vasti e più ambiziose finalità: intendevano essere
stru- menti di redenzione totale, mezzi per decifrare l’alfabeto divino. Si
connettevano storicamente ai sogni di pacificazio- !° The Petty papers, cit., I, p.
150; G. Datcarno, Ars signorum, in The works of G. Dalgarno, Edinburgh, 1834,
pp. 22 - 23. 2° Per il passo di Thomas Sprat, citato
nel testo, cfr. The history, cit., p. 63. Sull’unità religiosa quale fine
dell’organizzazione scientifica insi- ste anche Samuel Hartlib. Per questa posizione cfr. G.
H. TuRNBULL, S. Hartlib: a sketch of his life and his relations to |. A. Comenius, Londra, 1920; Harglib, Dury and
Comenius, Londra, 1947, p. 75. 216 CLAVIS UNIVERSALIS ne e alle utopie
millenaristiche di quegli autori che abbiamo fin qui — nel corso di questo
libro — preso in esame. 4. LA COSTRUZIONE DI UN LINGUAGGIO PERFETTO. Nell’Ars
signorum di George Dalgarno e nell’Essay to- wards a real character di John
Wilkins troviamo considera- zioni sui geroglifici e gli alfabeti, sulle
scritture normali c cifrate, capitoli dedicati a discussioni sul linguaggio e
sulla logica, sulla grammatica e sulla sintassi, pagine e pagine nelle quali si
procede ad una minuziosa classificazione degli ele- menti e delle meteore,
delle pietre e dei metalli, delle piante e degli animali, delle attività umane
e delle arti liberali e meccaniche, dizionari dei termini essenziali propri
delle varie lingue, dizionari « paralleli », troviamo infine la pro- posta di
una lingua artificiale.*! E’ lo stesso intreccio di temi, per noi moderni così
sin- golare e caotico, del quale abbiamo tante volte riscontrato la presenza in
tutte quelle opere e quelle enciclopedie che, di- rettamente o indirettamente,
si richiamano al filone logico- enciclopedico del lullismo. Per amore di
chiarezza e di bre- vità, oltre che per facilitare il lettore, si cercherà,
nelle pa- gine che seguono, di individuare, enumerandole successiva- mente,
alcune tesi concernenti la lingua perfetta o univer- sale che rivestono
un'importanza centrale e che appaiono re- ciprocamente connesse. L'esposizione
del contenuto delle va- rie opere servirà di volta in volta a documentare e a
chiarire il significato di ciascuna delle affermazioni che seguono. 1) I
teorici della lingua « perfetta », « filosofica » 0 « uni- versale » muovono
dalla contrapposizione tra lingue « natu- 21 L’opera di John Wilkins è
suddivisa in quattro parti: Prolegomena; Universal philosophy, Philosophycal
grammar, Real character and. philo- sophical language. Il titolo dell’opera del
Dalgarno è il seguente: Ars signorum: vulgo character universalis et lingua
philosophica, qua potuc- runt homines diversissimorum idiomatum spatio duarum
septimanarum omnia animi sua sensa non minus intelligibiliter, sive scrivendo
sive loquendo, mutuo communicare, quam linguis propriis vernaculis. Prac- terea
hinc etiam potuerunt iuvenes philosophiae principia et veram lo- gices praxin
citius et facilius multo imbibere quam ex vulgaribus phi- losophorum scriptis,
Londini, cxcudebat J. Hayes sumptibus authoris, 1661. (Copie usate: Ambrosiana,
Villa Pernice, 1969 e Par Naz. V. 35875). LA LINGUA UNIVERSALE 217 rali» e
lingue « artificiali » e intendono costruire una lin- gua artificiale o sistema
di segni che risulti comunicabile e comprensibile (quindi adoperabile sia nel
linguaggio scritto che in quello parlato) indipendentemente dalla lingua « na- turale
» che effettivamente si parla. I caratteri dei quali la lingua è composta, sono
« effables » in ogni «distinct language », in ogni caso le regole della lingua
universale non è detto che coincidano con quelle pro- prie delle lingue
naturali.?? 2) La lingua artificiale è resa possibile dal fatto che le nozioni
interne o apprensioni delle cose (internal notions or apprehension of things) o
immagini mentali (mental ima- ges) sono comuni a tutti gli uomini, mentre i
nomi attribuiti alle nozioni e alle cose sono, nelle varie lingue naturali,
suo- ni o parole (sounds or words) nati dalla convenzione o dal caso mediante i
quali si esprimono, diversamente da lingua a lingua, le nozioni interne o
immagini mentali. A nozioni comuni, non corrispondono quindi, allo stato
presente delle cose, espressioni (expressions) comuni: creare artificialmente queste
ultime è appunto il compito che si propongono i teo- rici della lingua
universale.” 3) La lingua artificiale (che farà corrispondere all’ac- 22 J.
Witxins, Essay, cit., To the reader. 23 J. WiLkins, Essay, cit., p. 20: « As men do
generally agree in the same principle of reason, so do they likewise agree in
the same internal notion or apprchension of things. The external expression of
these mental notions, whereby men communicate their thoughts to one ano- ther,
is cither to the ear, or to the eye. To the car by sounds, and more
particularly by articulate voice and words. To the cye by any thing that is
visible, motion, light, colour, figure, and more parti- cularly by writing.
That conceit which men have in their minds con- cerning a horsc or trec, is the
notion or mental image of that beast or natural thing, of such a nature, shape
and use. The names given to these in several languages, are such arbitrary
sounds or words, as Nations of men have agreed upon, cither causally or
designedly, to express their mental notions of them. The written word is the
figure or picture of that sound. So that, if men should generally consent upon the
same way or manner of expression, as they do agree in the same notion, we
should then be freed from that curse in the confusion of do with all the
unhappy consequences of it ». (I
corsivi sono nel testo). 218 CLAVIS UNIVERSALIS cordo già presente nella sfera
delle immagini mentali anche l'accordo nelle espressioni) costituisce dunque un
efficace ri- medio alla babelica confusione delle lingue e potrà eliminare le
assurdità c le difficoltà, le ambiguità e gli equivoci di cui son piene le
varie lingue « naturali ». Tutta prima parte (Prologomena) dell’opera di
Wilkins è dedicata a un esame, assai ampio e minuto, della situazione in cui
versano le varie lingue, dei mutamenti e delle cor- ruzioni (changes and
corruptions) che in esse si verificano, dei loro difetti (defects), del
problema dell'origine del lin-guaggio. Wilkins parte dal presupposto — comune
del resto a tutti questi studiosi — che ogni lingua naturale sia di ne- cessità
imperfetta: ogni mutamento che si verifica nel pa- trimonio linguistico
coincide per lui con un processo di gra- duale corruzione: «every change is a
gradual corruption ». Nel mescolarsi delle nazioni mediante i commerci, nei ma-
trimoni tra sovrani, nelle guerre e nelle conquiste, nel de- siderio di
eleganza dei dotti che conduce a respingere le forme linguistiche tradizionali,
egli vede altrettanti fattori di corruzione. Tutte le lingue, ad eccezione di
quella ori- ginaria, sono state create per imitazione (‘mitation), deri- vano
dall’arbitrio o dal caso; in tutte le lingue sono quindi presenti difetti che,
con l’aiuto dell’arte, possono essere eli- minati. « Neither letters nor
languages have been regularly established by the rules of art»: la non
artificialità delle lingue, quella che noi chiameremmo la loro spontaneità, ap-
pare a Wilkins una specie di vizio d’origine e di peccato ori- ginario, la
fonte di un inevitabile processo di degenerazio- ne, la radice di una
confusione sempre maggiore. In poche centinaia di anni — egli afferma — alcune
lingue possono andare completamente perdute, altre si trasformano fino a di- ventare
inintelligibili; la grammatica (unica arte che po: trebbe introdurre ordine nel
linguaggio) si è costituita più tardi delle lingue stesse e si è quindi
limitata a prendere atto di una situazione dominata dall’ambiguità dei termini
che assumono, a seconda dei contesti, una enorme varietà di si- gnificati.
Identica è, su questo punto, la posizione sostenuta dal Dalgarno: l’arte ha il
compito «di porre rimedio alle difficoltà e alle confusioni di cui son piene le
varie lingue, LA LINGUA UNIVERSALE 219 eliminando ogni ridondanza, rettificando
ogni anomalia, to- gliendo di mezzo ogni ambiguità ed equivocità ».° 4) La
lingua artificiale vien presentata come un mezzo di comunicazione enormemente
più « facile » di tutti quelli attualmente in uso. Nelle pagine di Dalgarno e
di Wilkins ritroviamo presenti quelle mirabolanti promesse che aveva- no
riempito, per due secoli, i frontespizi delle opere lullia- ne e mnemotecniche.
Nello spazio di due settimane, afferma Dalgarno, uomini di differenti lingue
potranno giungere a comunicare per scritto e oralmente « non minus intelligibi-
liter quam linguis propriis vernaculis ». In un mese, secondo Wilkins, un uomo
di normali capacità intellettuali può im- padronirsi della lingua universale ed
esprimersi in essa con la stessa chiarezza con la quale si esprimerebbe in
latino dopo quarant'anni di studio.’ 5) La lingua artificiale esercita una
funzione terapeuti- ca nei confronti della filosofia che potrà esser liberata
dalle sue malattie (l’uso dei sofismi e l’abbandono alle logomachie) e, per la
sua esattezza, può porsi come valido strumento per un ulteriore perfezionamento
della logica: «In una parola l’Ars signorum non solo rappresenta un rimedio
alla confu- sione delle lingue, non solo offre un mezzo di comunicazio- ne più
facile di qualunque altro finora conosciuto, ma anche cura la filosofia dalla
malattia dei sofismi e delle logomachie, e la provvede di più elastici e
maneggevoli strumenti opera- tivi (c0/edly and manageable instruments of
operation) per definire, dividere, dimostrare ecc. ».?° 6) Dall’adozione della
lingua artificiale risulterà facili- tata la trasmissione delle idee fra i
popoli. I confini della co- noscenza potranno in tal modo essere allargati e
potrà esser perseguito, con nuovo vigore, quel bene generale dell’uma- 24 Per
quanto qui esposto cfr. J. Witkins, Essay, cit., pp. 2-3, 6, 8, 9, 17. Sulla grammatica cfr. p. 19:
« The very art by which language should be regulated viz. grammar, is of much
later invention than the lan- guages themselves, being adapted to what was
already in being, rather then the rule of making it so ». Per Dalgarno, cfr. O.
Funke, Weltspra- chenproblem, cit., p. 16. 25 J. WILKINS, Essay, cit., p. 454. 2°
G. Datcarno, Ars signorum, cit., p. 45. 220
CLAVIS UNIVERSALIS nità (general good of mankind) che è superiore a quello di ogni
particolare nazione. La nuova lingua potrà infine con- tribuire, in modo
decisivo, allo stabilimento di una vera pace religiosa: «questo progetto
contribuirà grandemente a ri- muovere alcune delle nostre moderne divergenze in
religione smascherando molti stravaganti errori che si nascondono sotto le
frasi affettate; una volta che queste saranno filosoficamente spiegate e
ritradotte secondo la genuina e naturale importanza delle parole, si
riveleranno inconsistenti e contraddittorie ».?” 7) I segni dai quali è
costituita la lingua universale sono «caratteri reali » (nel senso attribuito
da Bacone a questo ter- mine): segni convenzionali che rappresentano o
significano non i suoni e le parole, ma direttamente le nozioni e le cose. Riprendendo
le tesi di Bacone e richiamandosi alle di- scussioni allora assai diffuse sui
geroglifici, Wilkins distin- gue dalle normali lettere dell’alfabeto
(originariamente in- ventate da Adamo) le note (rotes) che sono for secrecy e
for orevity. AI primo tipo ‘appartengono la «Mexican way of writing by pictures
» e i geroglifici egiziani che sono « rap- presentazioni di creature viventi o
di altri corpi dietro i qua- li gli Egiziani nascosero i misteri della loro
religione »; al secondo tipo appartengono quelle letters o marks dei quali ci
si può servire, come di una forma di scrittura abbreviata, per esprimere una
qualsiasi parola. In tutto diversa
è la fun- zione del « real universal character » che « should not signi- fie
words, but things and notions, and consequently might be legible by any nation
in their our tongue ».?* Tutti
i caratteri, secondo Wilkins, significano naturally o by institution. Quelli
che significano « naturalmente » sono pictures of things o altre immagini o
rapppresentazioni sim- boliche; gli altri derivano il loro significato da una
conven- 2? J. Wikkins, Essuy, cit., Epistola dedicatoria. 28 Sulle note e i geroglifici
egiziani J. Witkins, Essay, cis., p. 12-13; parlando dei caratteri reali
Wilkins fa riferimento a Bacone (« hath been reckoned by learned men amongst
the desiderata ») e alle pagine di Bacone sulla scrittura cinese: mediante i
caratteri reali « the inha- bitants of that large kingdom, many of them of
different tongues, do communicate with one another, every one understanding
this common character, and reading in his own language ». LA LINGUA UNIVERSALE 221 zione liberamente accettata.
A quest’ultimo tipo apparten- ono i « caratteri reali » che dovranno essere
semplici, facili, chiaramente distinguibili l’uno dall'altro, di suono
gradevole e di forma graziosa, e, soprattutto, dovranno essere metho- dical:
rivelanti cioè la presenza di corrispondenze, di relazioni e di rapporti fra
segni.?° 8) Fra i segni e le cose esiste una relazione univoca ed ogni segno
corrisponde al una cosa o azione («to every thing and notion there were
assigned a distinct mark »): il progetto di una lingua universale implica
dunque quello di una en- ciclopedia, implica cioè la enumerazione completa e
ordi- nata, la classificazione rigorosa di tutte quelle cose e no- zioni alle
quali si vuole che, nella lingua perfetta, corrispon- da un segno. Poiché la
funzionalità della lingua universale dipende dalla vastità del campo di
esperienza che essa riesce ad abbracciare e del quale riesce a dar conto, al
limite la lin- gua perfetta esige una preliminare classificazione di tutto ciò che
esiste nell'universo e che può essere oggetto di discorso, richiede una
enciclopedia totale, la costruzione di « tavole per- fette ». In vista di
questa classificazione totale, di questa « ri- duzione a tavole » delle cose e
nozioni, viene elaborato un metodo classificatorio fondato sulla divisione in
categorie ge- nerali, in generi e in differenze. Solo mediante questa grande costruzione
enciclopedica ogni segno impiegato potrà fun- zionare come il segno di una
lingua perfetta: fornire cioè una esatta definizione della cosa o nozione
significata. Si ha infatti definizione quando il segno rivela il « posto » che
la cosa o azione (indicata dal segno) occupa in quell’insieme ordinato di
oggetti reali e di azioni reali rispetto al quale le tavole si pongono come uno
specchio. Inizialmente, all’incirca fra il 1640 e il 1657, i costruttori di
queste lingue universali avevano seguito una strada in parte differente:
avevano iniziato la raccolta di tutti i termini pri- mitivi (primitive o
radical words) contenuti nelle varie lingue per giungere alla costruzione di un
dizionario essenziale. In questa direzione si era mosso lo stesso Wilkins in
un’opera del 1641 che riecheggiava nel titolo una espressione di Co- °° Sugli
alfabeti cfr. J. Wilkins, Essay, cit., pp. 12-15, sulla distin- zione dei
caratteri e sulle loro caratteristiche: pp. 385 -86. 222 CLAVIS UNIVERSALIS menio:
Mercury or the secret and swift messenger. I termini radicali apparivano qui a Wilkins in una
«relazione meno ambigua con le cose » di quanto non fossero i derived words.° A
questa stessa ricerca dei termini primitivi (si ricordino a questo proposito le
tavole dei termini fondamentali del Bister- field) si erano dedicati, in
Inghilterra, Francis Lodowick nella sua opera sul linguaggio perfetto e Cave
Beck nell’Ur:iversal character. Quest'ultimo aveva impiegato, come caratteri, i
numeri arabi dallo 0 al 9; le combinazioni di tali caratteri, esprimenti tutti
i termini primitivi di ciascuna lingua, erano disposte in ordine progressivo da
1 a 10.000, un numero, que- sto, che appariva al Beck sufficiente ad esprimere
tutti i ter- mini di uso generale. Ad ogni numero corrispondeva un ter- mine di
ogni lingua: ne risultava un « dizionario numerico » i cui termini venivano poi
disposti alfabeticamente (a seconda delle varie lingue) in un altro «dizionario
alfabetico ». Cia- scuno dei due dizionari serviva in tal modo da «chiave » al-
l’altro.?! L'adozione dei caratteri reali con l’annesso progetto di una
costruzione di « tavole complete » fece poi passare in se- conda linea la
ricerca dei radicals words: si trattava ora di procedere alla riduzione di
tutte le cose e le nozioni alle ta- vole («the reducing all things and notions
to such kind of tables »). Costruire una raccolta di questo genere apparve a Wilkins
un’impresa più adatta ad una accademia e ad un’epoca che a una persona singola:
la principale difficoltà consisteva proprio nella completezza (« without any
redundacy or defi- ciency as to the number of things and notions ») e nella
siste- maticità (« regular as to their place and order »). Il problema dei
termini primitivi o radicali non poteva tuttavia essere eluso: le tavole non
potevano evidentemente contenere dav- vero tutto. Le cose e le nozioni in esse
classificate ed enume- rate erano solo quelle che rientravano (si era deciso di
far rientrare) nella lingua universale o « cadevano all'interno del discorso »:
«a regular enumeration and description of all 30 J. WiLkins, Mercury or the
secret and swift messenger, ahewing how a man may with privacy and speed
communicate his thoughts to a friend at a distance, London, 1641, pp. 109 segg.
(ediz. London,
1707). 3! Cfr. C. EMery, Wilkins' universal language, cit., p. 175. LA LINGUA
UNIVERSALE 223 those things and notions to wich names are to be assigned... enumerating
and describing all such things and notions as fall under discourse... ».?* La completezza della lingua veniva fatta dipendere
dalla completezza delle tavole che erano presentate come uno spec- chio
dell'ordinamento del mondo reale, ma per realizzare una completezza che non
fosse irrealizzabile (enumerazione com- pleta) Wilkins riprese l’esigenza che
era stata alla base della ricerca dei radical words. Le tavole non dovevano
contenere tutto, ma soltanto le cose di « a more simple nature »; quelle di «a
more mixted and complicated signification » dovevano essere ridotte alle prime
ed espresse mediante perifrasi (per: phrastically). Il dizionario alfabetico
inglese posto da Wilkins in appendice alla sua opera intende rispondere a
questo scopo: mostrare come tutti i termini della lingua inglese possano essere
in qualche modo riportati a quelli elencati e ordinati nelle tavole.?* Per
realizzare l’ordinamento in tavole di tutte le cose e nozioni Wilkins fornisce
un elenco di quaranta generi, cia- scuno dei quali viene poi suddiviso secondo
le differenze che (fatta eccezione per alcune classificazioni zoologiche e
bota- niche) sono sei di numero. I primi sei generi, che compren- dono « such matters,
as by reason of their generalness, or in some other respect, are above all
those common head of things called predicaments »,°* sono: I. Trascendentale
generale 4. Discorso 2. Relazione trascendentale
mista 5. Dio 3. Relazione trascendentale di azione 6. Mondo Gli altri
trentaquattro generi sono ordinati come segue sotto i cinque predicamenti : 22
J. Wikins, Essay, cit., pp. 20-22 e numerosi passi contenuti nel- l’epistola
dedicatoria. % J. Wilkins,
Essay, cit., pp. 455 segg.: « An alphabetical dictionary wherein all english
words according to their various significations are either referred to their
places in the philosophical tables, or explained by such words as are in the
tables ». °* J. Witkins, Essay, cit., p. 23-24. Per
l'esposizione che segue cfr. anche pp. 60 segg.; 415 segg. c il riassunto delle
varie parti dell’opera: pp. 1 segg. 224 Erba | considerata secondo : Animali : Parti
: CLAVIS UNIVERSALIS Sostanza Elemento Pietra Metallo Foglia . Fiore . Seme .
Arbusto . Albero . Esangui . Pesce . Uccello . Bestia . Parti peculiari . Parti
generali Quantità 21. 22, 23. Grandezza Spazio Misura Privata : Pubblica : Qualità
24. Potere naturale 25. Abito 26. Costumi 27. Qualità sensibile 28. Malattia Azione
29. Spirituale 30. Corporea 31. Movimento 32. Operazione Relazione 33.
Economica 34. Proprietà 35. Provvigione 36. Civile 37. Giudiziaria 38. Militare
39. Navale \ 40. Ecclesiastica Ciascuno di questi quaranta generi viene
suddiviso se- condo le sue differenze e si enumerano poi le varie specie ap- partenenti
a ciascuna delle differenze «seguendo un ordine e una dipendenza tali che
possano contribuire a una defini- zione delle differenze e delle specie,
determinando il loro si- gnificato primario ». Dell’ottavo genere (pietra)
vengono per esempio enumerate sei differenze: Le pietre possono essere distinte
a seconda che siano: Volgari o senza prezzo Di prezzo medio Preziose: Meno
trasparenti Più trasparenti Le concrezioni terrestri sono: Solubili Non-solubili
Ciascuna delle differenze è suddivisa nelle varie specie. Le « pietre volgari »
(prima differenza) comprendono per esem- pio otto specie che non vengono
(questo accorgimento è essen- ziale alla tecnica di Wilkins) semplicementeelencate,
ma LA LINGUA UNIVERSALE 225 variamente raggruppate, all’interno della tavola, e
classificate a seconda della maggiore o minore grandezza, dell’uso che se ne fa
e dell'impiego nelle arti, dell'assenza o presenza di elementi metallici, ecc. Di
questo tipo sono le tavole di Wilkins, che occupano poco meno di trecento
pagine, in corpo fittissimo, della sua opera. Mediante questa ordinata
classificazione delle cose e nozioni alle quali « devono essere assegnati i
nomi in accordo alle loro rispettive nature », si è realizzata quella universal
philosophy che sta alla base della lingua perfetta e che indica l'ordine, la
dipendenza e le relazioni tra le nozioni e tra le cose. Mediante l’uso di
lettere e di segni convenzionali è ora possibile dar luogo a un linguaggio
universale che è il corri- spettivo della « filosofia universale ». I generi
(ci limitiamo qui ai primi nove) vengono indicati come segue: Trascendentale
generale Ba Relazione trascendentale mista Ba Trascendentale di azione Be Discorso
Bi Dio Dx Mondo Da Elemento De Pietra Di Metallo Do Per esprimere le differenze
vengono indicate, nell’ordine, le consonanti B, D, G, P, T, C, Z, S, N; le
specie vengono indicate ponendo, dopo la consonante che indica la diffe- renza,
i segni seguenti: a, a, €, i, 0, ò, Y, yi, yo. Per esempio: Di significa «
pietra »; Did significa la prima differenza che è « pietra volgare »; Diba
indica la seconda specie che è « ragg »; De significa elemento; Ded significa
la prima differenza che è « fuoco »; Deba denoterà la prima specie che è «
fiamma », Det sarà la quinta differenza che è « meteore » e Dera la prima specie
della quinta differenza che è « arcobaleno ». Individuando la posizione che un
dato termine occupa nelle tavole si potrà definirlo, determinare cioè con
sufficiente chiarezza il « primary sense of the thing». Le tavole di Wilkins
forniscono senza dubbio non poche informazioni: per esempio il significato del
termine « diamante » risulterà, in base alle tavole, esser quello di una
sostanza, di una pietra, 226 CLAVIS UNIVERSALIS di una pietra preziosa,
trasparente, colorata, durissima, bril- lante. Ma varrebbe la pena di
soffermarsi su alcune tipiche definizioni come quella di «bontà » 0 di «
moderazione » v di «fanatismo ». La formazione del plurale, degli aggettivi, delle
preposizioni, dei pronomi, ecc. consente a Wilkins di giungere, sia pure assai
faticosamente, alla costruzione di una vera e propria lingua. Dell’uso di
questa, impiegando prima le lettere alfabetiche poi i più complessi « caratteri
reali » egli ci offre un esempio con la traduzione del Pater noster e del Credo.
In modo non dissimile aveva proceduto George Dalgarno quando aveva costruito,
nell’Ars signorum, vulgo character universalis et lingua philosophica, una
classificazione logica di tutte le idee e di tutte le cose dividendole in
diciassette classi supreme: A. Essere, cose M. Concreti matematici ». Sostanze
N. Concreti fisici E. Accidenti F. Concreti artificiali I. Fsseri concreti B.
Accidenti matematici (composti di sostanza e acci- ID. Accidenti fisici
generali denti) G. Qualità sensibili O. Corpi P. Accidenti sensibili v. Spirito
T. Accidenti razionali U. Uomo K. Accidenti politici (compesto di corpo e
spirito) S. Accidenti comuni Ciascuna
delle diciassette classi supreme veniva suddivisa in sottoclassi che si
distinguevano per la variazione della se- conda lettera. Ecco, a titolo di
esempio, la sottoclasse di K : Ka. Relazione di ufficio Ko. Ruolo del giudice Kn.
Relazione giudiziaria Kwv. Delitti Ke. Materia giudiziaria Ku. Guerre Ki. Ruolo
delle parti Ska. Religione I termini, compresi in ciascuna delle sottoclassi,
si distin- guono per la variazione dell’ultima lettera. In questi termini la
lettera s, non iniziale, è « servile » e non ha un senso logico determinato, r
indica l’opposizione, / il medio fra gli estremi, v è l'iniziale dei nomi di
numeri. Sotto Ska (religione) sono compresi i termini seguenti: LA LINGUA
UNIVERSALE 227 Skam: grazia Skag: sacrificio Skan: felicità Skap: sacramento Skaf:
adorare Skat: mistero Skab: giudicare Skak: miracolo Skad: pregare L'introduzione
della lettera ” consentirà la determinazione degli opposti che sono, in questo
caso, « natura » che si op- pone a « grazia »; « miseria » che si oppone a
«felicità »; « profanare » che si oppone a «adorare»; «lodare» che si oppone a
« pregare ». Riproducendo nei dettagli questa classificazione Leibniz comporrà,
fra il 1702 e il 1704, quelle ampie tavole di defi- nizioni che costituiscono
il più importante documento del suo progetto di una universale enciclopedia.’ 9)
La funzionalità di queste complicate lingue artifi- ciali è evidentemente
legata (sia nel caso di Wilkins sia in quello di Dalgarno) alla maggiore o
minore funzionalità della loro macchinosa classificazione delle cose e delle
nozioni. A proposito di quest’ultima, resta da sottolineare una tesi caratteristica
delle posizioni delle quali qui ci occupiamo e alla quale abbiamo più volte
accennato. L’enciclopedia, l’in- sieme delle tavole — e quindi la lingua
artificiale che ne è il correlato — appaiono valide in quanto costituiscono lo «
specchio » dell’ordine presente nella realtà. La classifica zione dev'essere
fondata sull’ordine delle cose; i rapporti di relazione fra i termini
riproducono rapporti e relazioni reali: « apprendendo i caratteri e i nomi
delle cose, verremo istruiti similmente nelle zazure delle cose: questa duplice
conoscenza dev’essere congiunta. Per realizzare davvero ciò è necessario che la
stessa teoria, sulla quale il nostro progetto è fondato, riproduca esattamente
la natura delle cose ».*° 3 L. Couturat,
Opuscules et fragments inédits de Leibniz, Paris, 1903, Pp- 437-510. (Phil.
VII. D. II. 1-2, 3). 2° J. Witkins, Essay, cit., p. 21: « By learning the
character and the names of things, we should be instructed likewise in their
natures, the knowledge of both which ought to be conjoyed. For the accurate
effec- tung of this, it would be necessary, that the theory itself, upon which such
a design were to be founded, should be exactly suited the nature of things ». 228
CLAVIS UNIVERSALIS Non a caso Wilkins, che pure aveva dedicato ai problemi del
linguaggio non poche delle sue energie, ripeteva, con Ba- cone e con i
baconiani: «as things are better then words, as real knowledge is beyond the
elegancy of speech ».? 5. LA FUNZIONE
MNEMONICA DELLE LINGUE UNIVERSALI: IL ME- TODO CLASSIFICATORIO NELLE SCIENZE
NATURALI. I segni della lingua perfetta o universale consentono dun- que di
individuare con la massima precisione il “posto” che ciascuna cosa (o azione)
occupa nelle tavole, permettono cioè di collocare esattamente ogni singolo
oggetto naturale in quel- l'ordine universale che è rispecchiato dalla
ewrniversal philo- sophy o enciclopedia. Mediante questa “collocazione” si pos-
sono individuare le relazioni tra la cosa significata e le altre appartenenti
alla stessa classe o specie, si possono determinare i rapporti intercorrenti
tra la cosa stessa e le differenze c i generi dai quali essa è contenuta come
elemento. Perché si potesse giungere con la necessaria rapidità a realizzare
queste collocazioni, giungendo in tal modo a precise, esaurienti de- finizioni,
Wilkins aveva elaborato tutta una serie di accorgi- menti di tipo mnemonico: «
Se questi segni o note vengono costruiti in modo da essere in un reciproco
rapporto di dipen- denza e di relazione conveniente alla natura delle cose
signi- ficate, e similmente se i nomi delle cose vengono ordinati in modo da
contenere nelle lettere o suoni che li compongono una specie di affinità e
opposizione in qualche modo rispon- dente alle affinità e alle opposizioni
delle cose significate, si avrebbero ulteriori vantaggi: oltre che aiutare la
memoria (helping the memory) in modo ottimo, l’intelletto verrebbe grandemente
rafforzato ».°* Benjamin De Mott, commen- tando questo passo, ha scritto con
molta chiarezza: «era fa- cile richiamare alla mente il termine atto a indicare
l'oggetto salmone se si sapeva che il termine era composto di due sil- labe e
cominciava con Za, il simbolo del genere pesci... Una volta ricordato il
termine Zara lo studioso, data la sua fami- liarità con la progressione
alfabetica dei caratteri, avrebbe 37 J. Witkins, Essay, cif., cpistola. 38 J.
Witxins, Essay, cit., p. 21. LA LINGUA UNIVERSALE 229 avuto chiaro il posto del
salmone all’interno del genere pesci e, in ultima analisi, entro l’intero
schema della creazione dr * L’insistenza sul valore mnemonico della lingua
univer- sale, presente nell’opera di Wilkins, non era casuale : una lingua di
questo genere sembrava in effetti esaudire le spc- ranze e realizzare le
aspirazioni di tutti quei teorici della me- moria artificiale che avevano
inteso « disporre ordinatamente — entro i loro complicatissimi teatri — tutti
quei luoghi che possono bastare a tenere a mente et ministrar tutti gli humani concetti,
tutte le cose che sono in tutto il mondo ».*° Tutti i maggiori teorici della
lingua universale insistono del resto, concordemente, sul valore mnemonico dei
linguaggi perfetti. Cipriano Kinner, che aveva collaborato con Comenio nel 1640
c che per primo aveva formulato nei dettagli il progetto di una lingua
artificiale, concepiva la sua lingua non solo come un rimedio alla « babelica
confusione delle lingue naturali », ma anche, e soprattutto, come un potente,
prezioso « aiuto alla memoria ». Col suo metodo gli studiosi di scienze natu- rali
avrebbero potuto ritenere le nozioni più complicate e dif- ficili: «quale
botanico, anche espertissimo, potrebbe impri- mersi nella memoria, fra tanta
varietà di autori in contrasto, le nature e i nomi di tutte le piante? ».
L'adozione della lingua artificiale i cui termini indicano la natura c le
qualità di ogni singola pianta e il posto che ciascuna pianta occupa nella
clas- sificazione per generi e specie, renderà quest’impresa, in appa- renza
disperata, possibile e oltremodo facile: « mediante la lingua artificiale tutto
potrà essere ricordato e recitato senza interruzioni, così come in un’aurea
catena, composta di un migliaio di anelli, se vien mosso il primo anello, si
muovono tutti gli altri, anche se noi non vogliamo affatto che essi si muovano
».°! Non diversamente dal Kinner, anche Lodowick, Edmundson e Dalgarno
metteranno in luce il valore mnemo- nico della lingua universale, mentre
Wilkins presenterà più volte, nel corso del suo Saggio, la sua lingua come un
aiuto °° B. De MotT, Science versus mnemonics, cit., pp. 8-9. ‘° Cfr. G.
Camino, Opere, Venezia, A. Griffo, 1584, II, p. 212. ‘4! Il testo del Kinner è
contenuto in una lettera a Samuel Hartlib del 27 giugno 1647 che fu pubblicata
da B. De Mott, The sources of the philosophical language, in « Journal of Engl.
and Germ. Philol. ». 230 CLAVIS UNIVERSALIS alla debolezza della memoria
naturale. I tremila termini dei quali la sua lingua è composta, sono certo in
numero assai minore di quelli impiegati in una qualunque lingua cffetti- vamente
parlata e tuttavia questi tremila termini « sono ordi- nati in modo da poter
esser ricordati più facilmente di mille termini propri di una qualunque lingua
naturale ».'? In una lettera scritta a Robert Boyle nel 1663, John Beale,
membro della Royal Society, raccomandava l’uso dei mnemonical cha- racters
(così egli chiamava i caratteri reali) giacché essi gli apparivano in grado di
introdurre finalmente ordine in tutte le possibili combinazioni di lettere, di
sillabe e di parole.** ° Come il Kinner aveva ben visto, il problema della fun-
zione mnemonica delle lingue artificiali si presentava stretta- mente connesso
a quello della classificazione dei minerali, delle piante, degli animali.
Proprio su questo argomento si aprì, dopo il 1666, un’interessante discussione
della quale fu prota- gonista John Ray, l’autore della monumentale Historia
plan- tarum generalis (1686-1704), uno dei maggiori scienziati del secolo XVII.
Congiuntamente al Willoughby il Ray colla- borò attivamente all’opera di
Wilkins, elaborando una classi: ficazione delle piante rispondente agli scopi e
alle esigenze proprie della lingua universale. Alle tavole della grande
enciclopedia contenuta nell’Essay towards a real character and a philosophical
language non spettava certo, secondo Wilkins, una funzione meramente ausiliaria.
Nei suoi propositi e nei suoi intendimenti le tavole « soprattutto quelle
concernenti i corpi naturali » avrebbero dovuto « promuovere e facilitare la
conoscenza della natura » contribuire cioè in modo diretto al lavoro di ricerca
svolto dai membri della Royal Society. Rivolgendosi al presidente e ai membri
della illustre accademia Wilkins affermava: « nelle tavole ho disposto le cose
in un ordine che potrà essere appro- vato dalla Società: in esse potrete
trovare un ottimo metodo per la costruzione di un repository che servirà da un
lato a ordinare le cognizioni già possedute e dall’altro a supplire le eventuali
lacune ». Le ambizioni di Wilkins dovevano essere 42 Per i riferimenti alla
memoria: J. WiLkins, Essay, cit., pp. 31, 385, e in particolare alle pp. 453 -
54. 43 La lettera è ripubblicata in R. BovyLE, Works, cir., VI, p. 339. LA
LINGUA UNIVERSALE 231 presto deluse, ma è certo che il suo tentativo di una
ordinata, completa classificazione dovette interessare fortemente quanti erano
impegnati, in sede di scienze della natura, alla costru- zione di
classificazioni riguardanti campi limitati di esperienza. E’ stato notato,
molto acutamente, che Wilkins si proponeva di fare con le parole ciò che Linneo
farà più tardi con le piante: * « scopo principale di queste tavole — scriveva
il buon vescovo di Chester — è di offrire una enumerazione sufficiente di tutte
le cose e nozioni e contemporaneamente di disporle in ordine tale che il posto
assegnato a ciascuna cosa possa contribuire alla descrizione della sua natura
indicando la specie generale e particolare entro la quale la cosa è collo- cata
e la differenza per la quale essa è distinta dalle altre cose della stessa
specie ».! Sulla base di questa convergenza di interessi e di problemi si
verificò, di fatto, una collaborazione fra Wilkins da un lato e Willoughby e
John Ray dall’altro. Le classificazioni di ani- mali e di piante, presenti
nell’Essay, sono infatti opera dei due illustri scienziati. Ad essi si era
rivolto nel 1666 lo stesso Wilkins per poter inserire nel suo testo una «
regular enume- ration of all the families of plants and animals ».‘*° L' inte- resse
del Ray al progetto dello Wilkins non era certo margi- 41 C. EMery, /. Wilkins universal language,
cit., p. 176. 45 J. WiLkins, Essay, cit., 289. 1 Si veda la lettera di John
Wilkins a Willoughby in W. DerHax, Philosophical letters, London, 1718, p. 366.
Il piano di Wilkins rela- tivo alla
lingua universale circolava fino dal 1647; sui primi contatti di Wilkins con il
Ray c il Willoughby si vedano le considerazioni di B. De Mott, Science versus
mnemonics, cit., p. 4. Sull’opera scientifica di John Ray (1628-1705) che fu
detto «il Plinio inglese» e che fu il primo a far uso del termine specie nelle
classificazioni botaniche cfr. E. GuyenoT, Les sciences de la vie au XVII: et
XVIII: siècle, Paris, 1941, pp. 359 segg.; F. W. OtLiver, Makers of british
botany, Cam- bridge, 1913; C. È. Raven, /. Ray naturalist, London, 1950, ma sì
ve- dano anche le precise osservazioni di MarceLLA RENZONI, nell'ampio e preciso
commento a Burron, Storia naturale, Torino, 1959, pp. 479, 483, 490. La celebre
classificazione del Ray, presente nel Mezliodus plantarum nova del 1682 non è
che una rielaborazione di quella già pubblicata nell'opera di Wilkins.
Sull’opera congiunta di Ray e di Willoughby (1635 - 1672, autore della
Orzitfologia, 1657; della Historiapiscium,1686;della Historia insectorum, 1710)
cfr. anche E. GurExor, Biologie humaine et animale nel secondo vol. della
Histoire générale des sciences, Paris, 1958, p. 362. 232 CLAVIS UNIVERSALIS nale:
l’insigne scienziato si sottopose all’ingrata fatica di tra- durre in latino,
per renderlo accessibile a tutta Europa, l'in- tero testo dell'Essay.'” Le sue
divergenze con Wilkins nasce- vano però sul terreno del metodo, riguardavano
proprio gli aspetti mnemonici della lingua universale. « Nella costruzione di
queste tavole — scriveva Ray a Lister — non mi si è ri- chiesto di seguire i
comandi della natura, ma di adattare le piante al sistema proprio dell’autore.
Io debbo dividere le erbe in tre classi il più possibile eguali, suddividere
poi ciascuna classe in differenze stando attento a che le piante ordinate entro
ciascuna differenza non superino un dato numero fisso... Chi potrebbe sperare
che un tal metodo sia soddisfacente? Esso appare assurdo e imperfettissimo,
debbo dire francamente che si tratta di un metodo assurdo perché attribuisco
più valore alla verità che alla mia personale reputazione ».i8 Anche Wilkins,
proprio come Ray, aveva inteso che i suoi schemi « seguissero con esattezza la
natura delle cose », ma, a diffe- renza di Wilkins, Ray trovava assai difficile
iceordare: almeno in sede di botanica, l’a/fabeto e la natura, l'ordine della
me- moria e l’ordine presente nella realtà. Di fronte alle difficoltà di una
classificazione degli animali e delle piante entrava in crisi, in realtà,
quella assoluta regolarità delle tavole che era essenziale al funzionamento
della lingua perfetta: i quaranta generi « may be subdivided by its peculiar
differences, which, for the better convenience of this institution, I take
leave to determine (for the most part) to the number of six. Unless it be in those
numerous tribes of herbs, trees, exanguious animals, fishes, and birds, which
are of too great variety to be com- prehended in so narrow a compass »."* Sul metodo come ordinata classificazione, come
divisione, costruzione di armoniose tavole e di regolarissime gerarchie, avevano
concordemente insistito, per secoli, i teorici dell’ars reminiscendi. Proprio
nella costruzione dei «teatri » e degli 4? La traduzione di Ray, che fu
effettivamente condotta a termine, non fu mai pubblicata. Cfr. Select Remains of the
learned John Ray by the late William Derham, ed. G. Scott, London, 1760, p. 23.
18 The correspondence of John Ray, ed. E. Lankester, London, 1848, pp. 41-42. Sul significato di queste riserve cfr. B. De Mott,
Science versus mnemonics, cit., pp. 5 segg. 4° J. Wikins, Essay, cit., p. 22. LA
LINGUA UNIVERSALE 233 «alberi », negli ordinamenti e nelle classificazioni essi
ave- vano visto i più importanti strumenti per realizzare una me- moria
artificiale che potesse soccorrere aila debolezza delle naturali facoltà
ritentive. Da questo terreno storico aveva tratto alimento l’idea, così diffusa
per tutto il secolo XVII, di una logica memorativa, di una sostanziale affinità
tra la logica (il metodo) e la memoria (come facoltà di ritenere l’ordinato si-
stema di tutte le scienze). In questo senso Ramo aveva attri- buito alla
memoria una funzione ordinatrice e aveva visto nella memoria una parte o
sezione del metodo; in questo senso Bacone aveva concepito la min:istratio ad
memoriam (cui spet- tava il compito di « eliminare la confusione » e di
procedere alla costruzione delle tavole) come parte integrante della nuova logica;
in questo senso, infine, Cartesio aveva inteso la enu- meratio come un soccorso
alla naturale fragilità dell’umana memoria. In questi stessi anni Alsted aveva
visto nella me- moria una «tecnica dell’ordinamento delle nozioni » e aveva sostenuto
la piena risoluzione della memoria « madre dell’or- dine » in una logica intesa
come arte del classificare, come metodo per la costruzione del systema
mnemonicum o uni- versale enciclopedia delle scienze. In modo non dissimile
concepirono il « metodo » gli uo- mini che si volsero, nel corso del secolo
XVII, alla non facile impresa di una integrale, ordinata, coerente
classificazione dei minerali, delle piante, degli animali. Metodo voleva dire
per essi « metodica divisione delle diverse produzioni della na- tura in
classi, generi, specie », capacità di costruire una no- menclatura i cui
termini fossero significativi di rapporti fra il singolo elemento e i generi e
le specie di appartenenza, chia- rissero il posto di ciascun elemento in un
sistema più vasto. Proprio nel momento in cui, alla metà del Settecento, i «
me- todi » entrarono in crisi e vennero rifiutate le classificazioni tradizionali
troviamo esplicitamente teorizzata, in polemica contro un recentissimo passato,
la funzione mnemonica delle classificazioni e dei metodi. Rifiutando, in nome
di una esatta descrizione, l’idea stessa del « sistema» e polemizzando con- tro
la tradizione della botanica del Cinquecento e del Seicento, Buffon rifiutava
energicamente «tutti i metodi che si sono compilati per aiutare la memoria ».°°
E proprio su questa °0 Burron, Storia naturale, cit., pp. 22-23. 234 CLAVIS
UNIVERSALIS funzione mnemonica dei metodi insistono concordemente i maggiori
esponenti della botanica del Settecento: « l’immensa quantità di piante
cominciò a pesare sui botanici — scrive lo Adanson nella prefazione alla
Famulles des plantes — quale memoria poteva bastare a tanti nomi? I botanici,
per allegge- rire questa scienza, immaginarono perciò i metodi ».°! E Fon- tenelle,
nell’elogio pronunciato all'Accademia per la morte di Tournefort, scriveva:
«egli permise di mettere ordine nello straordinario numero di piante
disseminate alla rinfusa sulla terra e anche sotto le acque del mare e di
distribuirle nei di- versi generi e nelle diverse specie che ne facilitano la
memoria e impediscono alla memoria dei botanici di crollare sotto il peso di
una infinità di nomi »°° Non si tratta di accostamenti casuali: per rendersene
conto basta leggere la voce Botanigue della grande enciclopedia il- luministica:
«il metodo serve a dare un'idea delle proprietà essenziali di ciascun oggetto e
a presentare le relazioni e i contrasti esistenti fra le differenti produzioni
della natura... per chi si avvia allo studio della natura il metodo è un filo che
serve da guida entro un complicatissimo labirinto, per gli altri (già esperti
nelle scienze) è un quadro che rappre- senta taluni fatti, i quali possono
farne ricordare altri nel caso che già li si conosca... un solo metodo è
sufficiente per la nomenclatura: si tratta di costruirsi una sorta di memoria artificiale
per ritenere l’idea e il nome di ogni pianta giacché il numero delle piante è
troppo grande perché si possa tra- scurare un tale soccorso; a questo scopo
qualunque metodo è buono ». La violenza di questa polemica, il vigore di questi
rifiuti costituiscono, di per sé, una conferma della persistenza, per tutto il
secolo precedente, di una concezione del metodo come «memoria ». È contro una
concezione di questo tipo che pole- mizzano gli enciclopedisti: «queste
divisioni metodiche — è scritto nelle pagine dedicate alla voce Histoire
naturelle — aiutano la memoria e sembrano venire a capo del caos for- M.
Apanson, Familles des plantes, Paris, 1763, p. XCV. B. DE FonteneLLE, E/oge de
Tournefort, Hist. Acad. Sci., 1708, p. 147. Questo e il passo precedente sono
cit. da M. Renzoni nelle note a Burron, Storia naturale, cit., pp. 478, 483. 51
52 LA LINGUA UNIVERSALE 235 mato dagli oggetti della natura... ma non bisogna
mai di- menticare che questi sistemi sono fondati solo su arbitrarie convenzioni
umane e che essi non sono d'accordo con le in- variabili leggi della natura ».
Qui non venivano solo rifiu- tati quegli « aiuti della memoria » che erano
stati teorizzati e difesi da illustri esponenti della filosofia e della scienza
del Seicento; qui veniva rifiutata, in nome di un deciso conven- zionalismo,
anche l’antica idea di una piena, totale corrispon- denza fra i termini
dell’enciclopedia e la realtà delle cose. 6. CARTESIO E LEIBNIZ DI FRONTE ALLA
LINGUA UNIVERSALE. Anche il matematismo di derivazione cartesiana aveva senza
dubbio contribuito a creare un’atmosfera favorevole alla costruzione delle
lingue artificiali, ma l’azione esercitata da Cartesio sui progetti di una
lingua universale è, quantomeno, difficilmente determinabile. In una lettera a
Mersenne del no- vembre 1629 che fu pubblicata a Parigi nella raccolta dello Clerslier
(1657, e ristampe nel 1663 e 1667) e che poté quindi essere letta da qualcuno
dei teorici del linguaggio universale (ma siamo sul piano delle ipotesi e di
questa lettura non ho trovato alcuna documentazione), Cartesio, pur chiarendo con
molta precisione le caratteristiche e gli scopi di una lingua filosofica, si
era mantenuto su un piano assai ambiguo. L'im- presa di una lingua filosofica
gli era apparsa, almeno teori- camente, possibile: « stabilendo un ordine in
tutti i pensieri che possono penetrare nello spirito umano, allo stesso modo che
esiste un ordine naturalmente stabilito nei numeri », po- trebbe costruirsi una
lingua composta di caratteri apprendi- bili con grande facilità e rapidità.
L'invenzione di questa lin- gua — aggiungeva — dipende però dalla « costruzione
della vera filosofia, perché sarebbe altrimenti impossibile enumerare tutti i
pensieri degli uomini e metterli in ordine ». Una lingua di questo genere,
fondata sulla individuazione di quelle « idee semplici che sono
nell’immaginazione degli uomini e delle quali si compone tutto ciò che gli
uomini pensano », sarebbe facile da apprendere e da scrivere e, cosa
fondamentale, « aiu- terebbe il giudizio rappresentando le cose così
distintamente che sarebbe impossibile ingannarsi, mentre al contrario le pa- role
delle quali attualmente disponiamo hanno quasi solo si- 236 CLAVIS UNIVERSALIS gnificati
confusi ai quali da lungo tempo si è adattato lo spi- rito degli uomini: a
causa di ciò quasi nulla viene inteso per- fettamente ». Ma poco più avanti
Cartesio aveva messo in luce il carat- tere utopistico di un'impresa di questo
tipo e aveva mani- festato il suo radicale scetticismo sulla possibilità di una
pra- tica realizzazione: «Je tiens que cette langue est possible, et qu’on peut
trouver la science de qui elle dépend, par le moyen de laquelle les paisans
pourroient mieux juger de la verité des choses, qui ne font maintenant les
philosophes... mais n’esperez pas de la voir jamais en usage, cela présuppose
de grands changemens en l’ordre des choses et il faudroit que tout le monde ne
fust qu’un paradis terrestre, ce qui n'est bon à proposer que dans le pays des
romans »." Una cosa Cartesio aveva visto con chiarezza: lo stretto rapporto
tra la lingua perfetta e la vera filosofia (quella che Wilkins aveva poi
chiamato la universal philosophy o enci- clopedia). Cartesio aveva concepito
questo rapporto come un rapporto di dipendenza: l’assenza di un ordinato elenco
di tutti i pensieri degli uomini dal quale ricavare l’elenco delle idec
semplici rendeva impossibile e illusoria la costruzione di una lingua
universale. Dalgarno e Wilkins avevano tentato l'impresa di una classificazione
totale delle nozioni e delle cose. Leibniz, largamente utilizzando questi
tentativi, rifiu- terà esplicitamente, proprio commentando la lettera a Mer- senne
ora ricordata, la posizione cartesiana: « Quantunque questa lingua dipenda
dalla vera filosofia, essa non dipende dalla sua perfezione. Vale a dire:
questa lingua può essere costruita nonostante che la filosofia non sia
perfetta; a misura che crescerà la scienza degli uomini, crescerà anche questa lingua.
Nell'attesa, essa costituirà un aiuto meraviglioso: per servirci di ciò che
sappiamo, per renderci conto di ciò che ci manca € per trovare 1 Mezzi per
arrivarci, ma soprattutto servirà a eliminare, sterminandole, le controversie
negli ar- gomenti che dipendono dalla ragione. Perché, allora, calcolare e
ragionare saranno la stessa cosa ».° 59 Descartes, Oesvres, ed. C. Adam et P. Tannery, I, pp.
80-82 (ediz. Clerselier, I, lettera 111, pp. 498-502). 54 L. Coururat,
Opuscules ct fragments inédits de Leibniz, cit., pp- 27 - 28. VIII. LE FONTI DELLA CARATTERISTICA LEIBNIZIANA In
una lettera scritta a Francoforte nell’ aprile del 1671 Leibniz esprimeva il
suo entusiasmo per l’opera di Wilkins: « Ho letto da poco il Caraztere
universale del dottissimo Wil kins; le sue tavole mi piacciono moltissimo e
vorrei che egli si fosse servito di figure per esprimere quelle cose che non possono
essere descritte che mediante la pittura, come per esempio i generi degli
animali, delle piante, degli strumenti. Quanto sarebbe desiderabile una
traduzione in latino della sua opera! ». La stessa speranza in una rapida
traduzione, Leibniz esprimeva due anni più tardi, in una lettera all’Olden- burg.
Dobbiamo arrivare al 1679-80, dopo gli anni del sog- giorno parigino e
londinese, per trovare espresse alcune ri- serve di fondo: « Sento che
quell’uomo illustre [Robert Hoock| tiene in gran conto il Carattere filosofico
del vescovo Wilkins che ho anch'io nella meritata considerazione. Non posso ta-
cere, tuttavia, che può essere realizzato qualcosa di molto più rande e di
molto più utile. Di tanto più grande, di quanto i caratteri dell’algebra sono
migliori di quelli della chimica ».' Il contatto con l’analisi matematica era
stato, da questo punto di vista, decisivo: per Leibniz non si trattava più sol-
tanto di costruire una lingua che fosse in grado di facilitare la comunicazione
tra gli uomini, ma di dar luogo ad una scrittura universale mediante la quale
si potessero, così come in algebra e in aritmetica, costruire infallibili
dimostrazioni. La differente posizione assunta da Leibniz in queste lettere conferma
ancora una volta, dal punto di vista di un problema particolare, la validità di
quella interpretazione che vede nel soggiorno a Parigi e a Londra (marzo 1672 -
ottobre 1676) una « svolta » nel pensiero leibniziano. In questi anni Leibniz
si dedica allo studio della matematica ed entra in contatto con il
cartesianesimo e con le correnti più vive del pensiero euro- ® C. I. GerHarDT,
Die philosophischen Schriften von G. G. Leibniz, voll. 7, Berlin, 1875-90, VII,
pp. 5, 6, 9, 16-17. (Quest'edizione verrà qui di seguito indicata con la sigla
G. immediatamente seguita dal numero del volume e delle pagine). 238 CLAVIS
UNIVERSALIS peo. L'attenzione per gli aspetti sintattici del linguaggio, la scoperta
della « magia dell’algoritmo » o della « funzionalità » dei procedimenti
puramente formali, l'affermazione della pos- sibilità di una scienza generale
delle forme: questi temi e queste discussioni sono posteriori agli anni della
giovinezza, presuppongono l’accostamento dei metodi della combinatoria a quelli
della matematica e dell’algebra. Il progetto leibniziano di una caratteristica
universale era fondato — com'è noto — su questi tre princìpi: 1) le idee sono
analizzabili ed è possibile rintracciare quell’alfabeto dei pensieri che è
costituito dal catalogo delle nozioni semplici o primitive; 2) lc idee possono
essere rappresentate simbolica- mente; 3) è possibile una rappresentazione
simbolica dellerelazioni tra le idee e, mediante opportune regole, è possibile procedere
alla loro combinazione. Questo progetto di Leibniz non nacque certamente sul
terreno dell’ “algebra” o del “for- malismo logico”. Il Kabitz ha ritrovato,
nella biblioteca di Hannover, l’esem- plare, annotato da Leibniz, delle opere
di Bisterfield ed è certo a quest’ultimo autore, oltre che più genericamente
alla tradizione del lullismo, che va fatta risalire l’idea, fondamen- tale per
lo stesso costituirsi della combinatoria leibniziana, di un alfabeto dei
pensieri umani o di un catalogo delle nozioni primitive dalla combinazione
delle quali si possano ricavare tutte le idee complesse." In una lettera
scritta probabilmente al barone di Boineburg e che contiene una delle prime
for- ° Per 1 rapporti con Bisterfiecld e la presenza di motivi attinti alle correnti
mistiche-pitagoriche: W. Kasirz, Die Philosophie der jungen Leibniz.
Untersuchungen zur Entwicklungsgeschichte seines Systems, Heidelberg, 1909; per
i rapporti con la pansofia: Leibniz’ Verhaltnis zur Renaissance im allgemeinen
und zu Nizolius im besonderen, Bonn, 1912; per i rapporti con Alsted c con
Henry Morc: D. MaHNKE, Leib- mizens Synthese von Untversalmathematik und
Individualmetaphysik, in « Jahrb. fur Philos. u. phinomenologische Forschung »,
1925, pp. 305 - 612; W. FeitcHenFELD, Leibniz und Henry More, Berlin, 1923. "
G. VII, 11; L. Couturat, Opuscules et fragments inédits de Leibniz, Paris,
Alcan, 1903, p. 430, 435 (di qui in avanti indicato con la sigla Op. seguita
dal numero della pagina); G. G. LEIBNIZ, Textes inédites publiés et annotés par
Gaston Grua, voll. 2, Paris, 1948, pp. 542-45 (di qui in avanti si userà la
abbreviazione Grua, seguita dal numero delle pagine). LA CARATTERISTICA
LEIBNIZIANA 239 mulazioni della caratteristica, Leibniz mostrava di accettare, nella
sostanza, il progetto del padre Kircher: ai concetti e alle nozioni
fondamentali vanno sostituite figure di circoli, di qua- drati, e di triangoli
variamente disposti; mediante la combi- nazione delle figure potranno essere
espresse le relazioni e le combinazioni fra le idee. Accanto a quelli del
Bisterfield e del Kircher, troviamo ricordati, nella Dissertatio de arte combi-
natoria del 1666, i nomi di Lullo e di Bruno, di Agrippa e di Pedro Grégoire,
di Alsted, di Bacone ec di Hobbes. La cri- tica che Leibniz rivolgeva a Lullo
non concerneva minima- mente il principio ispiratore della combinatoria:
riguardava l’arbitrarietà delle classi e delle radici, la insufficienza delle combinazioni;
il riferimento a Bacone era giustificato dal fatto che il Verulamio aveva posto
fra i desiderata una logica inven- tiva; quello a Hobbes dalla identificazione
di ogni operazione mentale con una computatio. Il riferimento a Hobbes non deve
trarre in inganno: Leibniz si limita ad approvare l’accosta- mento, presente
nei testi di Hobbes, ma larghissimamente dif- fuso anche nei testi del
lullismo, della logica ad un “calcolo”. Come ha mostrato con abbondanza di
argomentazioni il Cou- turat,* il peso esercitato da Hobbes sull’idea della
caratteri- stica è assai scarso e, nella interpretazione del calcolo, Leibniz si
allontana in modo radicale dalle posizioni hobbesiane. Pre- valgono in ogni
modo, tra le fonti indicate da Leibniz, i testi dei lulliani e degli
enciclopedisti: richiamandosi agli scritti di Bruno, di Agrippa, di Alsted,
Leibniz faceva riferimento alle più note e celebrate esposizioni e ai più
diffusi commenti dell’Ars magna; nella Sintassi del Grégoire aveva trovato, vi-
gorosamente espressa, l’aspirazione ad una scienza generale fondata sulla
determinazione di una serie limitata di princìpi e di assiomi; dalla Technica
curiosa sive mirabilia artis di Caspar Schott, uno dei testi più caratteristici
della « magia » dei gesuiti del Seicento, aveva infine attinto notizie sulle
lin- gue universali.* 1 Cfr. Op. 29-30; 536-37; G.IV, 62, 64, 70. ® L.
Coururat, La /ogique de Leibniz d’après des documents inédits, Paris, 1901,
tutta la appendice Il e in particolare le pp. 458 - 59. (Qui di seguito
abbreviato con CouTuRaT). ® Caspar ScHotT, Technica curiosa, sive mirabilia
artis, Norimbergae, 1664 (Copia usata: Triv. Mor. H. 264). 240 CLAVIS
UNIVERSALIS Il problema fondamentale della logica inventiva, quale viene
esposta nella Dissertatio de arte combinatoria, è quello, ben noto, di trovare
tutti i possibili predicati di un dato sog- getto e, dato un predicato, trovare
tutti i suoi possibili sog- getti. Trascurando, come è legittimo fare in questa
sede, tutta una vasta serie di problemi più strettamente tecnici, ci si limi- terà
a fornire, sulla traccia della esposizione del Belaval, un esempio del modo di
procedere del Leibniz. Per risolvere il problema sopra indicato è necessario
individuare le idee sem- plici e primitive che possono essere indicate con un
segno con- venzionale, in questo caso con un numero. Siano i termini della
prima classe: 1: il punto; 2: lo spazio; 3: l’interposto fra; 4: il contiguo;
5: il distante; 9: la parte; 10: il tutto; 11: lo stesso; 12: il diverso: 13:
l’uno; 14: il numero; 15: la pluralità; 16: la distanza; 17: il possibile ecc.
Combinando a due a due i termini della prima classe (com2natio) si otten- gono
i termini della seconda classe. Per esempio la quantità (il numero delle parti)
sarà rappresentata dalla formula: 14709 (15). Mediante la combinazione dei
termini a tre a tre (com3natio) si otterranno i termini della terza classe: per
cs. intervallum è 2.3.10, vale a dire che l’intervallo è lo spazio (2) preso in
(3) un tutto (10). E così di seguito procedendo per comA4natio, comSnatio ecc.
Per trovare i predicati di un deter- minato soggetto basterà suddividere un
termine nei suoi fat- tori primi determinando poi le possibili combinazioni di
que- sti fattori. I predicati possibili di intervallo sono: lo spazio (2), l’intersituazione
(3), il tutto (10) presi uno ad uno; poi, presi per com2natio, lo spazio
intersituato (2.3), lo spazio totale (2.10), l’intersituazione nello spazio
(3.10); infine, per com3 natio, il prodotto 2.3.10 che costituisce la
definizione di :nter- vallo. Per trovare tutti i possibili soggetti di
intervallo (predi- cato) bisogna individuare tutti i termini le cui definizioni
con- tengono i fattori 2.3.10. Tutte le combinazioni risultanti da questi
fattori apparterranno necessariamente alla classe delle nozioni complesse di
ordine superiore alla classe cui appar- tiene intervallo (che appartiene alla
terza classe). La linea, che è definita come un intervallo tra due punti,
appartiene alla quarta classe giacché per definirla occorreranno quattro ter- minì
primitivi: 2,3,10 e 1 (il punto). Dati n termini semplici e indicando con 4
(2>4) il numero dei fattori primi costi- LA CARATTERISTICA LEIBNIZIANA 241 tuenti
un predicato si daranno 2 "-k soggetti possibili (la pro- posizione
tautologica «un intervallo è un intervallo » è evi- dentemente compresa in
questo numero). La caratteristica, come ha notato con esattezza il Couturat, non
fu tuttavia inizialmente concepita sotto la forma di un’al- gebra 0 di un
calcolo, ma sotto la forma di una lingua o scrit- tura universale.* L’uso XI
dell’ars combinatoria consiste in- fatti per Leibniz nell’invenzione di una
«scrittura universale, intelligibile cioè ad un qualunque lettore esperto in
una qual- siasi lingua ». Tra i testi di lingua universale a lui contempo- ranei,
Leibniz ricordava — fondandosi sull’esposizione che ne aveva fatto lo Schott —
uno scritto anonimo pubblicato a Roma nel 1653 nel quale « il metodo era
abbastanza ingegno- samente ricavato dalla natura delle cose: l’autore
distribuiva le cose in varie classi ed ogni classe era formata da un deter- minato
numero di cose »,° per designare un oggetto qualunque bastava indicare il
numero della classe e il numero dell’ og- getto. Le altre due opere ricordate
da Leibniz sono: il Cha- racter pro notitia linguarum universali di J. Becher
(Franco- forte, 1661) e la Polygraphia nova et universalis ex combina- toria
arte detecta del padre Atanasio Kircher (Roma, 1663). Entrambi questi testi
sono costruiti sulla base di un dizionario numerico del tipo di quello al quale
si è fatto riferimento a proposito dell’Un:versal Character (1653) di Cave
Beck. E° diventato una specie di luogo comune, nella storiografia leibniziana,
quello di contrapporre agli « informi abbozzi » o ai «vaghi e confusi »
progetti di lingua universale costruiti dai « predecessori », il limpido,
«scientifico », coerente piano di una lingua filosofica costruito da Leibniz.
In realtà le cose (quando non si attribuisca a qualcuno la qualifica di «
prede- * G.IV, 70-71 e cfr. Y. Betavat, Leibniz, Paris, 1952, pp. 41-42; Couturat,
35 - 40; e, per una più ampia esposizione, F. BARONE, Logica formale e logica
trascendentale da Leibniz a Kant, Torino, 1957, pp. 5 segg. 8 Couturat, 5l. °
G. IV, 72. Nel settimo libro della Technica curiosa dello Schott che ha per
titolo Mirabilia graphica, sive nova aut rariora scribendi artificia (cdiz. di
Norimberga, 1664) alle pp. 484-505 e 507-529 è contenuta una dettagliata
esposizione dell’opera anonima del 1653 e del volume del Becher. Le brevi
considerazioni svolte da Leibniz sembrano esclu- sivamente fondate su questa
esposizione. 242 CLAVIS UNIVERSALIS cessore » per evitare la fatica di leggerne
le opere) stanno un po’ diversamente. Quando Leibniz formulava, nella Disser- tatio
de arte combinatoria, il suo progetto di lingua univer- sale, egli non
conosceva né l’Ars signorun del Dalgarno, pub- blicata nel 1661, né,
ovviamente, l’Essay di Wilkins che vide la luce solo nel 1668. In quegli anni,
Leibniz concepiva an- cora, sulle traccie di Bacone e di Kircher, i caratteri
della lingua universale come composti « di figure geometriche e di pitture del
tipo di quelle usate un tempo dagli Egiziani e im- piegate oggi dai Cinesi;
pitture che non vengono ricondotte a un determinato alfabeto o a lettere, il
che è causa di incre- dibile afflizione per la memoria ».!° Le riserve che egli
avan- zava a proposito dell’opera del Becher erano, d’altra parte, assai simili
a quelle che formulerà, indipendentemente da Leibniz, lo stesso Wilkins:
l'ambiguità dei termini che, nelle varie lingue, hanno diversi significati; la
impossibilità, data la mancanza di esatti sinonimi, di una precisa
corrispondenza fra i termini di due lingue; la impossibilità, data la diversità
delle regole sintattiche, di una pura e semplice traduzione dei termini uno in
fila all’altro; la difficoltà infine di ritenere a memoria i numeri
corrispondenti non solo alle classi, ma ai singoli oggetti appartenenti a
ciascuna classe. Una scrittura o lingua universale che volesse evitare questi
pericoli doveva quindi essere fondata su un’analisi completa dei concetti e sulla
loro riduzione ai termini semplici. !* All’inizio del 1671 Leibniz lesse il
Saggio sui caratteri reali di Wilkins e, probabilmente nello stesso giro di
tempo, l'Ars signorum di George Dalgarno. Il suo entusiasmo per l’opera di
Wilkins, il suo desiderio di vedere il Saggio tradotto in latino e diffuso in
Europa appare, dopo quanto si è detto, pic- namente giustificato. Nell’Essay e
nell’Ars signorum egli aveva trovato (almeno in parte realizzato) il tentativo
— già da lui stesso auspicato ed avviato nella Dissertatto — di costruire una
lingua universale che fosse anche «artificiale » e « filo- sofica », costruita
cioè non sulla base di una corrispondenza tra dizionari, ma sul fondamento di
una classificazione logica dei concetti. Le critiche di Leibniz a Dalgarno e a
Wilkins 10 G.1V, 73. n G. IV, 72-73. LA CARATTERISTICA LEIBNIZIANA 243 nasceranno,
abbiamo visto, solo negli anni del soggiorno a Parigi: in una nota apposta al
suo esemplare dell’Ars signo- rum e in una lettera all’Oldenburg (scritta da
Parigi) Leibniz criticava i due autori inglesi affermando che, più che a
costruire una lingua davvero « filosofica », capace cioè di indicare le relazioni
logiche tra i concetti, essi si erano preoccupati di dar luogo a una lingua che
potesse facilitare il commercio fra le nazioni. La lingua internazionale —
aggiungeva Leibniz — è solo il più piccolo dei vantaggi offerti dalla lingua
universale : essa è prima di tutto un instrumentum rationis.'®? Ma nel modo di
concepire la lingua universale (il termine caratteristica reale, sovente
impiegato da Leibniz, deriva in modo evidente dalla terminologia baconiana
ripresa anche da Wilkins) Leibniz non si discostava di molto dalle posizioni
tradizionali. Da questo punto di vista alcune delle sue affermazioni appaiono particolarmente
significative e valgono a mostrarci la effettiva vicinanza di alcune delle sue
tesi con quelle sostenute dai teo- rici inglesi della lingua artificiale : 1)
La lingua universale o caratteristica reale risulta da un sistema di segni che
rappresentano direttamente le nozioni e le cose, non le parole (« peindre non
pas la parole, mais les pensées »), tali quindi da poter essere letti e
compresi indi- pendentemente dalla lingua che effettivamente si parla.!* 2) La
costruzione di una lingua universale coincide con quella di una scrittura
universale (« nihil refert, an scripturam tantum universalem, an vero et
linguam condere velimus; facile enim est utrumque eadem opera efficere »).'! 3)
Pur dichiarando di volersi discostare dalla tradizione, Leibniz vede nei
geroglifici egiziani, nei caratteri cinesi, nei segni impiegati dai chimici,
gli esempi di una caratteristica reale (« hieroglyphica Aegyptiorum et
Chinensium et apud nos notae chemicorum, Characteristicae realis exempla sunt, fateor,
sed qualis hactenus auctores designavere, non qualis nostra est »).!° !* G.
VII, 12; Couturat, Nota III. 19 G. VII, 21, 204. 14 G. VII, 13. 15 G. VII, 25. 244
CLAVIS UNIVERSALIS 4) La lingua universale può essere appresa in un tempo brevissimo
(« in poche settimane », ripete Leibniz con il Dal- garno) e serve anche,
seppure non principalmente, alla propa- gazione della fede cristiana e alla
conversione dei popoli (« cette Eesinure ou langue... pourroit estre bientost
receue dans le monde, parce qu'elle pourroit estre apprise en peu de semai- nes,
et donneroit moyen de communiquer par tout. Ce qui seroit de grande importance
pour la propagation de la foy, et . pour l’instruction des peuples eloignés
»).!° 5) L'apprendimento della lingua universale coincide con l'apprendimentodella
enciclopedia o del sistematico ordina- mento delle nozioni fondamentali. Il
progetto dell’enciclopedia è organicamente legato a quello relativo alla lingua
univer- sale e da esso inscindibile (« qui linguam hanc discet, simul cet discet
encyclopaediam quae vera erit janua rerum »).!” 6) L'apprendimento della lingua
universale costituisce, di per se stesso, un rimedio alla debolezza della
memoria (« qui linguam hanc semel didicerit, non potuerit eius oblivisci, aut, si
obliviscatur, facile omnia necessaria vocabula ipse sibi repa- rabit »).!* 7)
La superiorità della lingua universale sulla scrittura cinese sta nel fatto che
le connessioni tra i caratteri corrispon- dono all’ordine e alla connessione
esistenti fra le cose («on la pourra apprendre en peu de semaines, ayant les
caracteres bien liés selon l’ordre et la connexion de choses, au lieu que les
Chinois... »).!* Su due punti, entrambi di importanza fondamentale, Leib- niz
si discosta però dai precedenti tentativi: 1) I caratteri della lingua
universale hanno il compito di esprimere i rapporti e le relazioni che
intercorrono tra i pensieri; come nel caso dell’algebra e dell’aritmetica, i
carat- teri devono servire all’invenzione e al giudizio. « Questa scrit- tura,
scrive Leibniz nel 1679, sarà una specie di algebra gene- rale e offrirà il
modo di ragionare calcolando, di modo che, 16 G. VII, 26. 12.G. VIL- 13; 18 G. VII, 13. 19 G. VII, 26. LA CARATTERISTICA LEIBNIZIANA 245 invece
di disputare, si potrà dire: calcoliamo. E si troverà che li errori del
ragionamento sono soltanto errori di calcolo indi- viduabili, come
nell’aritmetica, per mezzo di prove ». Il pro- getto di una lingua universale o
filosofica, ripreso da Leibniz con nuovo vigore dopo la lettura delle opere di
Dalgarno e di Wilkins, poteva in tal modo essere accostato a quello già av- viato
nel De arte combinatoria e tendente alla costruzione di un’ars inveniendi
concepita come calcolo.?° 2) La costruzione della lingua universale condurrà in
tal modo non solo alla realizzazione di un mezzo di comu- nicazione, ma
contribuirà anche, in modo diretto, alla realiz- zazione dell’ars inveniendi.
Il nome (segno) attribuito nella lingua universale ad un determinato oggetto o
ad una deter- minata nozione non servirà solo a individuare le relazioni intercorrenti
fra la cosa significata e le altre appartenenti alla stessa classe o specie e a
determinare i rapporti tra la cosa stessa e le differenze e i generi nei quali
essa è contenuta come elemento; non servirà solo a indicare la « posizione »
che l’og- getto occupa nello schema dell’universo; servirà anche «a in- dicare
le esperienze che devono essere razionalmente intra- prese per estendere la
nostra conoscenza »: « Equidem fateor et res ipsa clamat, non posse nunc quidem
ex nomine quod auro (exempli causa) imponemus, duci phaenomena quaedam chymica
quae dies et casus detegent, donec sufficientia phaeno- mena ad reliqua
determinanda nacti simus. Solius Dei est, primo intuitu, huiusmodi nomina
imponere rebus. Nomen tamen quod in hac lingua imponetur, clavis erit eorum
omnium quae de auro humanitus, id est ratione atque ordine sciri pos- sunt, cum
ex eo etiam illud appariturum sit, quaenam expe- rimenta de co cum ratione
institui debeant ». Nel lungo fram- mento intitolato Lingua generalis (febbraio
1678), il primo sistema di calcolo logico concepito da Leibniz, poteva in tal modo
presentarsi come il fondamento del progetto leibniziano di una lingua
universale.?! Per trasformare la caratteristica (facente uso di simboli numerici)
in una lingua che potesse essere « parlata » Leibniz n faceva ricorso, come ha
chiarito anche il Couturat,#? ai metodi n G. VII, 23, 26, 205 e cfr. Grua, 263
- 64. 2! G. VII, 13; Op. 277-79. ?2 CoururaT, 62, 63. 246 CLAVIS UNIVERSALIS teorizzati
da Dalgarno e da Wilkins, indicava con le nove prime consonanti (5,
c,d,f,g.hl,m,n)i numeri da 1 a 9, e con le cinque vocali le unità decimali in
ordine ascendente (1, 10, 100, 1000, 10000), per le unità superiori ammetteva
l’im- piego di dittonghi. Così il numero 81.374 si scriverà e si pro- nuncierà
Mubodilefa. Poiché ogni sillaba indica, mediante la vocale, il suo ordine
decimale, il valore della sillaba stessa è indipendente dal posto occupato
nella parola. Lo stesso nu- mero può essere espresso con il termine Bodifalemu
che si- gnifica 1000 + 300 + 4 +70 + 80000 = 81.374.°* Non è il caso di esporre
qui le dottrine di Leibniz concer- nenti la grammatica razionale, né i suoi
tentativi di una sem- plificazione grammaticale e sintattica del latino al
quale egli, dopo i ripetuti insuccessi cui è andato incontro, fa ricorso come «
intermediario » fra le lingue viventi e la futura lingua uni- versale.?! È ben
certo, tuttavia, che il problema che necessa- riamente Leibniz doveva porsi,
della costituzione di un dizio- nario poneva Leibniz di fronte ad una questione
nella quale si erano già imbattuti non pochi fra i teorici inglesi della lin- gua
perfetta. Perché il nome di ogni oggetto o nozione possa esprimere la
definizione dell’oggetto o della nozione in modo che i termini della lingua
artificiale divengano simboli ade- guati e trasparenti simili a quella della
lingua di Adamo, è ne- cessario aver individuato gli elementi primi e semplici
che compongono l’alfabeto del pensiero. Ma per individuare que- st’alfabeto è
necessario un inventario di tutte le conoscenze umane; è indispensabile
disporre di un’enciclopedia nella quale tutte le nozioni siano classificate
nell’ambito di un si- stema unitario e appaiano quindi riconducibili ad un
numero limitato di categorie fondamentali: «La Caracteristique que je me
propose ne demande qu’une espèce d’Encyclopedie nou- velle. L’ Encyclopedie est un corps
où les connoissances hu- 29 Op.278. 24
Cfr., su questi argomenti, Coururat, 66 segg. c, dello stesso autore, Histoire
de la langue universelle, Paris, 1907, pp. 11-28. Per una ri- presa, da parte
del Couturat, di questi temi leibniziani cfr. Des rapports de la logique et de
la linguistique dans le probleme de la langue inter- nattonale, in « Atti del
IV Congr. intern. di filosofia », Bologna, 1911, vol. II. LA CARATTERISTICA
LEIBNIZIANA 247 maines les plus importantes sont rangées par ordre. Cette En- cyclopedie
estant faite selon l’ordre que je me propose, la Caracteristique seroit quasi
toute faite ».° In una serie numerosissima di abbozzi, di frammenti, di piani,
di capitoli o sezioni offerti come provvisori specimina, Leibniz, rivolgendosi
alle società e alle accademie, ai principi e ai sovrani, andò elaborando
durante l’intera sua vita, il pro- getto di un'enciclopedia universale che non
si presentasse sem- plicemente come una classificazione o un bilancio delle
cono- scenze già acquisite, ma avesse valore « dimostrativo », ser- visse cioè
di guida alla ricerca scientifica in atto.?* Sulle « fonti » di non pochi tra
questi progetti appaiono essenziali le testi- monianze dello stesso Leibniz.
Nella Nova methodus iuris- prudentiae troviamo precisi riferimenti al Lavinheta
cui vien riconosciuto il merito di aver individuato quei termini giuri- dici
fondamentali mediante i quali potrà venir costruita la tavola enciclopedica del
diritto.?” In una lettera del 1714, rife- rendosi agli anni della giovinezza,
Leibniz parlava dell’in- flusso esercitato su di lui dal Digestum sapientiae di
Ivo Paris. Sull’opera di Alsted, già ricordato nella Dissertatio del ’66 per i
suoi scritti lulliani, Leibniz ritornò più volte: nel 1681 par- lava di lui con
ammirazione, dieci anni prima aveva dedicato un breve scritto a migliorare e
perfezionare la sua grande enci- clopedia.°* Ancor più profondo è il debito
verso Comenio: «la mia propria enciclopedia, non differisce molto da quella di
Comenio » ed a Comenio Leibniz aveva attinto la tesi (di importanza centrale)
di una sostanziale, profonda identità fra la lingua universale e
l’enciclopedia.?° 25 G. VII, 40. 26 Sul carattere dimostrativo
dell’enciclopedia leibniziana cfr. le utili precisazioni contenute nel saggio
di R. Mc Rae, Unity of the sciences: Bacon, Descartes, Leibniz, in « Journal of
the History of Ideas », 1957, I, pp. 27-48. 2? L. Dutens, G. G. Leibmtii Opera
Omnia, voll. 6, Genevae, 1768, III, pp. 156 segg. 28 Op. 561 ec cfr. Carreras y
ARtAU, La filosofia cristiana, cit., II, p. 321. 2° G. IV, 62; G. VII, 67;
Cogitata quaedam de ratione perficiendi et emendandi Encyclopaediam Alstedii in
Dutens, Leibnitit Opera, cit., V, 183; cfr. Op. 354 - 55. 3° Cfr. Carreras y
ARTAU, II, p. 320; Couturat, 571 -73; /udicium de scriptis comenianis in
Dutens, Leibnitii Opera, cit., V, pp. 181-82. 248 CLAVIS UNIVERSALIS Facendo
riferimento al commento leibniziano alla lettera di Cartesio sulla lingua
universale, abbiamo visto come Leibniz si rendesse ben conto del perfetto «
parallelismo » esistente tra il progetto della lingua universale e quello
concernente l’enci- clopedia. In quel passo, di incerta datazione, egli si era
rifiu tato di far «dipendere» la caratteristica dall’ enciclopedia: «
Quantunque questa lingua dipenda dalla vera filosofia, essa non dipende dalla
sua perfezione. Vale a dire: questa lingua può essere costruita nonostante che
la filosofia non sia per- fetta ».*! Ma, su questo punto, la posizione di
Leibniz pre- senta non poche incertezze : in una lettera al Burnet del 24 ago- sto
1697 egli affermava, muovendosi in una direzione comple- tamente opposta, che
«i caratteri presupporrebbero la vera filosofia ed è solo al presente che io
oserei dare avvio alla mia costruzione ».°* Questo duplice punto di vista, ha
scritto Fran- cesco Barone, corrisponde «al duplice punto di vista da cui il
Leibniz guarda alla caratteristica, considerandola rispetti- vamente, come
strumento metafisico assoluto o come stru- mento per la costruzione di
particolari sistemi deduttivi ».*° L'osservazione è molto esatta. La
caratteristica come stru- mento, come calcolo modellato sul formalismo
dell’algebra, non richiedeva la preliminare fondazione della vera filosofia: caratteristica
ed enciclopedia si risolvevano l’una nell’altra e procedevano di pari passo.
Continuando però a concepire la caratteristica come «chiave universale » come
lo strumento atto a disvelare le essenze e a decifrare quell’alfabeto del mondo
che corrisponde all’alfabeto dci pensieri, Leibniz si ritrova- va di fronte
allo stesso problema che avevano dovuto affron- tare i teorici inglesi della
lingua perfetta: costruire una wr: versal philosophy che servisse di base e di
fondamento alla lin- gua filosofica. Per rendersi conto di ciò basterà
considerare quelle ampie tavole enciclopediche che furono composte da Leibniz
tra il 1703 e il 1704.°4 Al termine della sua attività, dopo aver steso e
abbozzato piani e frammenti numerosissimi di enciclopedie, 9 Op. 27-28. 32 G.
III, 216. 3 F. Barone, Logica formale e logica trascendentale, cit., p. 24. "
Op. 437 - 510. LA CARATTERISTICA LEIBNIZIANA 249 Leibniz tornava a muoversi,
ancora una volta, sul piano stesso sul quale si erano mossi Wilkins e Dalgarno.
In queste pagine l'enciclopedia si configurava come una classificazione logica (fondata
sulla distinzione scolastica delle sostanze e degli acci- denti) dei principali
concetti di tutte le scienze (dalla matema- tica, alla morale, alla politica),
di tutti gli oggetti naturali (dai minerali, alle piante, agli esseri viventi)
e di tutti gli oggetti artificiali (gli utensili e gli strumenti costruiti
dalla mano del- l’uomo). La classificazione leibniziana riproduceva, con tra- scurabili
differenze, quella che abbiamo visto presente nel- l’Ars signorum di George
Dalgarno: Res: Concreto matematico Accidentia: Accidenti comuni Concreto fisico
Accidente matematico Concreto artificiale Accidente fisico generale Concreto
spirituale Qualità sensibili Accidenti sensitivi Accidente razionale Accidente
economico Accidente politico. Anche all’interno delle varie classi e
sottoclassi veniva ri- prodotta la stessa classificazione. La classe degli «
accidenti politici » comprendeva per esempio, anche per Leibniz: la re- lazione
d’ufficio, la relazione giudiziaria, la materia giudi- ziaria, il ruolo delle
parti, il ruolo del giudice, i delitti, la guerra, la religione. Anche
nell’elencazione dei singoli ter- mini compresi in ciascuna delle classi e
sottoclassi, Leibniz si discostava in misura assai limitata dallo schema
costruito dal Dalgarno. Il progetto di una enciclopedia « dimostrativa » —
stori- camente così importante — sembrava qui abbandonato. Le ragioni di questo
mutamento di prospettive richiederebbero un'analisi particolare. Qui ci si
voleva limitare a far rilevare che le “influenze” delle posizioni dei teorici
inglesi della lin- gua universale non sono presenti soltanto negli scritti del
“gio- vane”Leibniz. Facendo riferimento ai testi dedicati alla costruzione
delle lingue filosofiche, abbiamo notato come essi insistano tutti, concordemente,
sul valore mnemonico delle lingue universali : i numerosi riferimenti a questo
problema, presenti nelle opere 250 CLAVIS UNIVERSALIS di Leibniz, risultano
anch'essi, dal nostro punto di vista, oltre- modo significativi. Come già
Bacone e Cartesio, anche Leibniz era al corrente o era interessato al problema,
così a lungo di- battuto in Europa, della memoria artificiale. Di questo suo interessamento
per l’ars reminiscendi resta traccia in un gruppo di carte leibniziane ancora
inedite: Phil. VI.19, che è una raccolta di appunti avente per titolo Mremonica
sive praecepta varia de memoria excolenda, e Phil. VII. B. III. 7 che contiene una
seconda raccolta di appunti e di riassunti di opere di ars memorativa. Alla
carta 5r. del primo di questi due manoscritti troviamo teorizzata una serie di
accorgimenti che possono essere usati per ricordare facilmente, facendo ricorso
alle lettere alfabeti- che, una serie qualunque di numeri: Sr. Arcanum: qua
ratione omnes et singulos nmumeros, prae- sertim cos quorum usus est in
chronologia, atque aliorum infinitorum, memoriae mandare, corum citra omnem in-
genii cruciatum recordari, ac nunquam oblivisci possis, ne dicam, ulteriora et
infinita queas deducere. Si quis multos numeros citra cruciatum memoriae atque ingenii
memorare cupit, omnino opus est ut subsidio ali- quo utatur. Sunt qui varie rem
tentarunt, absque tamen singulari effectu ac successu, donec non adeo pridem
hunc modum quispiam excogitando invenerit, multis rationibus ipsaque
experientia reddiderit probatum. Alphabeti elementa sunt XXIV: haec dividuntur
in vo- cales et consonantes. Vocales hac in re vicariam nobis tantum praebent utilitatem, consonantes
vero primariam. / 5 v. Consonantes autem sunt hae: BCDFGKLMNPQ RST, his
adiungantur WZV. Numeros habemus hos: 1234567890.
Si plures dantur numeri, ex hisce com- ponuntur, ut ex | et 2 fiunt 12
quemadmodum res est plana. Iam vero nihil memoriam adeo torquet quam res
referta numeris, quos tamen scire memoriaque comprehendere ma- ximi interest
itaque hocce subsidii, ut utaris, valde pro- dest et conducit memoriam. Reduc
consonantes istas ita, et puta quod sint numeri, sic facile te extricabis: 1234567890
BCFGLMNRSD PK WQ Z LA CARATTERISTICA LEIBNIZIANA 251 Il ricorso ai versi, così
diffuso nei testi di mnemotecnica dal Quattrocento fino a Bacone, è presente in
un altro di questi fogli di appunti nel quale Leibniz traduce in latino i versi
33-42 della Geografia di Marciano d’Eraclea: °° 7r. Haec ergo visum est
explicare carmine facili atque claro, quali utuntur comici. Nam sic iuvatur
memoria nec sensus perit et simile quiddam vita nobis exhibet. Qui vult solutam
ferre lignorum struem prohibebit aegre ne quid illi decidat sed colligatam
facile fasciculo geret Oratio soluta pariter diffluit comprehensa versu mens
fidelius tenet. Accanto ad una critica al Lexicon dell’Hoffmann (Anversa, 1698),
questo stesso concetto ritorna in un’altra brevissima nota sulla grammatica di
Emmanuel Alvarez (Dilingae, 1574 c Venezia, 1580) e sulla Grammatica
philosophica dello Sciop- pio (Amsterdam, 1659): 8r. Eos quos in grammatica sua
habet Emmanuel Alvarez Societatis Iesu, ipse Scioppius in Grammatica
philosophica laudat et disci suadet. Ait cum centum et sexaginta versi- bus hexametris
feliciter complexum omnes regulas de ver- borum praeteritis et supinis et omnem
prosodiae latinae rationem centum sexaginta aliis versibus. 9r. Hofmanni lexicon universale maxime nominum
proprio- rum utilis liber. Unum desidero: cum non posset autor ob rerum
multitudinem cuncta plenis edisserere, praeclare fecisset si ubique indicasset
autorem aliquem unde cele- rior in studio peti possit. Nelle pagine che hanno
per titolo Artificium didacticum ed Exercitia ingenti troviamo, esplicitamente
teorizzati, altri caratteristici precetti dell’arte mnemonica: 10r. Artificium
didacticum. Semper cognita incognitis miscen- da et temperanda sunt ut labor et
molestia minuantur. Ita optime discimus linguas per parallelismum cum linguis nobis
notis, ita scriptum non satis cognitae lecturae, di- scendae linguae causa,
sumamus librum familiarem nobis cuius sensa pene memoriter tenemus ut Novum Testamentum.
Hinc etiam si cui musicam docere possem aut vellem, monstrarem cantiunculas
sibi notas posset in charta exprimere si vereretur oblivisci. 35 Cfr. Geographi
graeci minores, I, pp. 155 segg. 252 CLAVIS UNIVERSALIS llr. Exercitia ingenti.
Ut Rhetores exercitia habent orationis, Grammatici exercitia styli, ita ego in
pueris exercitia ingenii institui desidero. Exercitia ingenii nec gratiora nec efficaciora
reperiri posse nititur quam ludos [...] verba quo ordine turbato iterum
recitare ope mnemonices cui- quam facilis, inverso etiam si placet aut per
saltus, histo- rias ab aliis recitatas iterum recitare, extempore describere proelia,
itinera, urbes quorum ipsis via ante audita, histo- rias ab aliis recitatas
resumere et denuo recitare, fingere preces et iubere ut quis ex duorum
disputationibus et concertationibus patrias causas cuiquam implicatas discat facere
aut solvere. [...]. Alle carte 16r-16v. è infine presente un ampio e analitico riassunto
del Simonides redivivus sive ars memoriae et obli- vionis di Adam Bruxius
(Lipsia, 1610). Ma accanto all’espo- sizione di tesi tradizionali ricompaiono
in questi appunti i nomi dei teorici del metodo geometrico. Ad essi Leibniz
rim- provera di non aver messo sufficientemente in luce quelle pro- posizioni
primarie che stanno a fondamento di tutto il di- SCOrso : 13r. Video cos qui
geometrica methodo tractare [....] scientias, ut P. Fabrius, Joh. Alph. Borellus, Benedictus Spinosa, R. des Cartes, dum
omnia in propositiones minutas divellunt, efficere ut primarias propositiones
lateant inter illas mi- nutiores, nec satis animadvertantur, unde saepe quod
quae- ris difficulter invenies.?6 Su questi appunti inediti di Leibniz ci siamo
soffermati così a lungo non perché essi presentino un particolare interesse, ma
perché essi valgono a mostrare — e la cosa non era stata finora messa in
rilievo — come i numerosi riferimenti di Leib- niz alla memoria e alla
mnemotecnica nascano non tanto, come si è fin qui creduto, dalla lettura delle
confuse pagine del Kircher, ma dalla conoscenza effettiva c dettagliata di al- cuni
testi di arte mnemonica, come quello del Bruxius, ben noti e celebrati nella
cultura del Seicento. Questa conclusione riceve d'altra parte nuova conferma da
un csame delle pagine 26 Gli autori cui Leibniz fa riferimento sono, accanto a
Cartesio € Spinoza, il padre gesuita Honoré Fabri, feroce anticopernicano ed
au- tore dei Dialoghi Physici, Lyon, 1665 e G. Alfonso Borelli il cui Eudi- des
restitutus sive prisca geometriae elementa fu pubblicato a Roma nel 1658. LA
CARATTERISTICA LEIBNIZIANA 253 contenute nel manoscritto Phil. VII. B. n. 7. In
una nota della quale conosciamo la precisa data di composizione (aprile 1678)
troviamo, accanto ad alcune regole per la costruzione di una grammatica
razionale, la descrizione dei mezzi mnemoni- ci dei quali far uso per ricordare
una serie qualunque di idee. L'antica dottrina dei luoghi e delle immagini; la
tesi della necessaria riduzione dei concetti e delle idee sul piano delle figure
sensibili; le figure dei patriarchi, degli apostoli, degli imperatori; i
precetti relativi all'ordine e alla collocatio in locis; le immagini degli
animali; gli accorgimenti relativi ai ter- mini delle lingue «barbare »
ricompaiono in questa pagina leibniziana. Certo è che Leibniz, oltre al
Simonides redivivus del Bruxius, lesse e commentò con una minuziosa (come ri- sulta
dalle carte 1r.-4v. di questo manoscritto) gli scritti dello Schenkelius
soffermandosi particolarmente su quella parte del- l’opera che è dedicata
all’apprendimento del latino, all’educa- zione dei fanciulli alla retorica,
alle numerosissime regole del- l’ars reminiscendi.! Questi interessi di
Leibniz, queste sue letture non furono senza influenza sulla soluzione di
problemi di carattere più ge- 37 Lo Schenkel, cui toccò in sorte di essere
brevemente discusso da Cartesio e studiato da Leibniz, è figura particolarmente
interessante: fortunato insegnante c diffusore dell'arte mnemonica in Francia,
Italia e Germania (« artem hanc — scrive il Morhofius I, p. 374 — magno cum
successu suo mec sine insigni suo lucro exercuit») fu accusato di stregoneria
durante un suo soggiorno all’Università di Lovanio, riuscendo poi ad ottenere
protezione ed appoggio dalla facoltà teo- logica di Douai. La prima edizione
della sua opera, poi spessissimo ristampata, è del 1595: De memoria liber
secundus in quo est ars memoriae, Leodii, Leonardus Straele, 1595. Insieme ai
tre opuscoli sopra ricordati dell’Austriacus, del Marafioto e dello Spangerberg
l’o- pera fu ristampata con il titolo Gazophylacium artis memoriae, Argen- torati,
Antonius Bertramus, 1610 (copia usata: Angelica. SS. 1.24). Fra i suoi scritti,
che comprendono una Apologia pro rege catholico in calvinistam, Anteverpiae
1589, e una raccolta di Flores et sententiac insigniores ex libris de
Constantia Justi Lipsit, s. 1., 1615 (Par. Naz. Yc. 12326 e Z. 17739), è stato
ristampato, in edizione moderna, il Com- pendium der Mnemonik, con testo latino
e trad. tedesca a cura di J. L. Klùber, Erlangen, 1804. All’insegnamento di
quest’autore si ri- chiama la curiosa enciclopedia di ApRIAN LE Cuiror, Le
magazin des sciences, ou vrai art de mémotre découvert par Schenkelius, traduit
et augumenté de l’alphabet de Trithemius, Paris, J. Quesnel, 1623 che amplia
molto il testo originario (Par. Naz. Z. 11298). 254 CLAVIS UNIVERSALIS nerale:
è indubbio che per Leibniz l’arte della memoria conserva un suo posto ed una
sua precisa funzione nel mondo del sapere e viene più volte accostata alla
logica: nella Nova methodus di- scendae docendaeque iurisprudentiae (1667) la
mnemonica, la to- pica e l’analitica costituiscono le tre parti della
didattica; nel Consilium de Encyclopaedia nova conscribenda methodo inven- toria
(1679), la mnemonica viene collocata fra la logica e la to- pica; negli /ritia
et specimina scientae novae generalis la sagesse o « perfetta conoscenza dei
princìpi di tutte le scienze e arte di applicarli » viene suddivisa in art de
bien raisonner, art d'inven- ter e art de souvenir; in una lettera a Koch del
1708 Leibniz giunge ad accogliere la tesi avanzata da Ramo e ripresa poi fra
gli altri da Bacone secondo la quale l’ars memoriae costi- tuisce una parte o
sezione della logica. Sulla funzione mnemo- nica della lingua universale,
dell’enciclopedia, delle tavole, della stessa caratteristica Leibniz insiste
più volte: i caratteri c le figure venivano concepiti anche da Leibniz, in
pieno accordo con la tradizione, come mezzi per rafforzare l’imma- ginazione;
le tavole gli apparivano, come già a Bacone, ad Alsted, a Comenio, a Wilkins
indispensabili aiuti alla natu- rale fragilità della memoria: « Combinatoria:
his qui imagi- natione firma non valent ad res attente considerandas succur- ritur
figuris et characteribus, ita his qui memoria non valent nec multa simul
exhibere possunt, succurritur ope tabula- rum ».5 Nell’elaborazione dei suoi
numerosi, grandiosi progetti con- cernenti la caratteristica, la lingua
universale, l'enciclopedia, Leibniz si era dunque richiamato di continuo a
quelle discus- sioni sulla combinatoria e sull’enciclopedia, sull’alfabeto dei pensieri
e sulla lingua universale, sui caratteri reali e sulla memoria che avevano
avuto in tutta Europa, nei secoli XVI c XVII, un'eco vastissima. Non si
trattava di una lieve eredità. Nel 1679, a tredici anni di distanza dalla
pubblicazione della Dissertatio de arte combinatoria, dopo il soggiorno a
Parigi e a Londra, dopo le grandi « scoperte » matematiche, Leibniz parlava
ancora della 18 Per questi riferimenti alla memoria artificiale cfr. Durens,
Leibnitii Opera, cit., III, pp. 150 segg.; Op. 37; G. VII, 82, 84, 476- 77.
Sull'uso mnemonico delle classificazioni cfr. anche la lettera a Wagner in G. VII,
516-117 e, sui caratteri, « palpabili » e « sensibili»: Gaua, 548 - 49. pi LA
CARATTERISTICA LEIBNIZIANA 255 sua invenzione con accenti caratteristici, con
un tono che appare singolarmente vicino a quello « miracolistico » e «magico »
di tanti fra i lullisti e i maestri di memoria del secolo XVI: «La mia
invenzione contiene, tutto intero, l’uso della ragione; un giudice delle
controversie; un interprete delle nozioni; una bilancia per le probabilità; una
bussola che ci guiderà nell’oceano dell’esperienza; un inventario delle cose; una
tavola dei pensieri; un microscopio per scrutare le cose presenti; un
telescopio per indovinare quelle lontane; un cal- colo generale; una magia
innocente; una cabala non chime- rica; una scrittura che ciascuno potrà leggere
nella sua propria lingua; infine una lingua che potrà venire appresa in poche settimane
e che avrà presto corso nel mondo portando, ovun- que potrà giungere, la
religione vera... ».°° Non erano parole dettate dal desiderio di adattarsi a
una moda culturale o a un linguaggio corrente: come già i seguaci di Lullo e i
teorici della pansofia anche Leibniz restò sempre convinto che fosse possibile
rintracciare un metodo che costituisca la chiave della realtà universale; che
fosse possibile dar luogo ad una scienza generalissima capace di scoprire la
piena corrispondenza tra le forme originarie costitutive della realtà e la
catena delle ragioni o dei pensieri umani. La scienza generale « non ab- braccia
soltanto la logica... ma è ars inventendi e methodus disponendi, è sintesi e
analisi, didattica e scienza dell’ inse- gnare, è noologia e arte del ricordare
o mnemonica, è ars cha- racteristica 0 simbolica, è grammatica filosofica, arte
lulliana, cabala dei sapienti e magia naturale »."° Dalla tradizione
dell’enciclopedismo lullista, da quella della pansofia, dalle teorie sulla
lingua universale Leibniz non ac- coglieva soltanto una serie di temi di
importanza secondaria e marginale. Quella tradizione operava potentemente su
uno dei punti centrali e fondamentali della sua filosofia: sul con- cetto
stesso di una scienza generale che è anche una, sia pure «innocente », magia
naturale, che è in grado cioè di rivelare le ragioni presenti ed operanti nel
cosmo, di chiarire la strut- °° G. W. Leigniz, Samtliche Schriften und Briefe
herausgegeben von der Preussischen Akademie der Wissenchaften, I. R., II B.,
Darmstad, 1927, pp. 167 -69. 10 Introductio ad Encyclopaediam arcanam, in Op.
5I1. 256 CLAVIS UNIVERSALIS tura ontologica della realtà. Su questo punto, che
è di impor- tanza decisiva, i testi sono oltremodo precisi. L'arte — scrive Leibniz
nella Dissertatio — «conduce con sè l’animo obbe- diente attraverso quasi tutto
l’infinito e abbraccia insieme l’ar- monia del mondo e le intime costruzioni
delle cose e la serie delle forme ».'! La lingua universale, d’altro lato, «
scopre le interiori forme delle cose » 4° e l’astrazione ha il suo fonda- mento
nella trama ideale della realtà: « se il nostro animo non troverà il genere
delle cose... lo saprà Dio, lo troveranno gli angeli e preesisterà un
fondamento a tutte queste astrazio- ni ».°* Nella Confessio naturae del 1668
Leibniz insiste sul concetto di un’armonia universale che proviene dallo
spirito divino,‘* mentre, in una lettera del 1704, troviamo esplicita- mente
teorizzata una concezione platonico-pitagorica della realtà nel cui ambito la
matematica diviene veramente —- come è stato scritto — lo strumento per
penetrare i lineamenti più intimi e segreti del mondo: «Qual'è la ragione
dell’ar- monia delle cose? Nulla: ad esempio, non si può dar nes- suna ragione
del fatto che il rapporto di 2 a 4 sia eguale a uello di 4 a 8, neppure movendo
dalla volontà divina. Ciò dipende dalla stessa essenza o idea delle cose. Le
essenze delle cose sono infatti numeri, e costituiscono la stessa possibilità degli
enti, che non è fatta da Dio, che ne fa invece l’esistenza: poiché, piuttosto,
quelle stesse possibilità o idee delle cose coin- cidono con lo stesso Dio.
Essendo Dio mente perfettissima, è impossibile che non sia egli stesso affetto
dall’armonia per- fettissima... ».!° Temi di questo tipo ritornano, con
ampiezza molto mag- giore, in quella serie di scritti che risalgono agli anni
1675 - 1676 e che I. Jagodinski ha raccolto e pubblicato nel 1913 ‘* 4! G. IV,
56. Il passo è stato sottolincato dal Kasitz, Die p/ulosophie der jungen
Leibniz, cit., p. 26. 42 G. VII, 13. 43
G. VII, 61, 70. 41 Lersniz, Sdmtiliche Schriften und Bricfe, cit., VI, I, p.
492. 15 Su questo passo hanno richiamato
l’attenzione il KaÒitz, Die phi- losophie der jungen Leibniz, cit. p. 36 e F.
Barone, Logica formale e trascendentale, cit., p. 8. La lettera fu pubblicata
dal TRENDELENBURG in «Hist.
Beitrige zur Philos. », Berlin, 1855, II, p. 190. 46 I. JacopiINSsKI, Lerbriziana. Elementa
philosophiae arcanae. De sum- ma rerum, Kasan, 1913; dello stesso autore cfr.
Leibniziana inedita: LA CARATTERISTICA LEIBNIZIANA 257 a proposito dei quali si
sarebbe davvero tentati di dire, con il Rivaud, che «il principio di armonia è
stato il centro in- torno al quale tutte le idee di Leibniz si son venute
cristalliz- zando, c questo stesso principio appare, fin dall’inizio, non una
semplice legge logica ma una necessità estetica e mo- rale ».*" Negli
Elementa philosophiae arcanae non troviamo solo l'affermazione che « existere
nihil aliud esse quam harmo- nicum esse », ma vediamo esplicitamente affermata
la dottrina di un ordine logico del cosmo secondo la quale «ciò che distingue
una sostanza dall’altra è la sua situazione nel con- testo razionale
dell’universo ».°* Su questo stesso terreno si muoveva Leibniz quando scriveva
a Federico di poter dimo- strare l’esistenza di una «ratio ultima rerum seu
harmonia universalis » o quando affermava, in una lettera del 1678 alla duchessa
Elisabetta, la piena coincidenza tra i caratteri reali e gli elementi semplici
costitutivi della realtà: «la caratteri- stica rappresenterebbe i nostri
pensieri veramente e distinta- mente e, quando un pensiero fosse composto da
altri più sem- plici, il suo carattere lo sarebbe egualmente... i pensieri sem-
plici sono gli elementi della caratteristica e le forme semplici le sorgenti
delle cose ».‘ confessio philosophi, Kasan, 1915 (testo lat. con traduzione
russa a fronte). 47 A. Rivaup, Textes inédits de Leibniz publiés par M. Ivan
Jago- dinski, in « Revue de Met. et de Morale », 1914, pp. 92-120. 48 I.
JAGODINSKI, Leibniziana, cit., pp. 32, 220. 49 La lettera a Federico in G. I,
61; quella ad Elisabetta in Sdngliche Schriften und Briefe, cit., II, I, p.
438. Sulla presenza di motivi « me- tafisici » anche in quei temi di «logica »
che sono alla base dell’in- terpretazione panlogistica cfr. B. JasinowskI, Die
analitische Urteilslehre Leibnizens in ihrem Verhiltnis zu seiner Metaphysik,
Vienna, 1918. Pur muovendo dall’accettazione delle tesi del Couturat e del
Russell, .G. Preti, // cristianesimo universale di G. G. Leibniz, Milano-Roma, 1953,
p. 77, è giunto a conclusioni che mi pare vadano sottolineate: «In realtà
Leibniz non è giunto mai ad uno sviluppo completo della sua logica ed è rimasto
impigliato in gravissime difficoltà perché non ha saputo mai abbandonare
completamente il suo originario platoni- smo: il criterio dell’evidenza
(intuizione immediata delle idee), il rea- lismo logico (per cui esistono idee
in sé primitive e in sé composte), la concezione secondo la quale il gioco
formale dei simboli doveva riprodurre i rapporti ideali eterni sussistenti fra
le idce le quali erano nella mente di Dio, hanno impedito a Leibniz di svolgere
fino in fondo le sue intuizioni logiche, che pur erano tanto geniali e nel 258
CLAVIS UNIVERSALIS seguito si mostreranno tanto feconde. In realtà Leibniz crea
una logica sempre con la PR di creare un’ontologia e una metafisica; ma per
creare la logica moderna occorreva svincolarsi del tutto da ogni preoccupazione
ontologico-metafisica, e seguire una gnoseologia (quella che, nascendo da Hume,
arriverà al neopositivismo delle scuole di Vienna c di Chicago) che Leibniz non
avrebbe seguita ». A con- clusioni non dissimili, da queste del Preti, è giunto
più di recente F. Barone, Logica formale e logica trascendentale, cit., pp. 8
segg. che ha parlato di una « fondamentale differenza » fra la logica formale moderna
c la logica leibniziana « sempre inglobata e sorretta, anche nelle ricerche più
modernamente tecniche, dall'ideale metafisico della pansofia » c che ha
sottolineato la presenza, nel pensiero di Leibniz, di una «concezione
platonico-pitagorica delle forme che è a fondamento della formalità degli
schemi logici ». A conclusioni fortemente diver- genti da queste ora csposte è
giunto A. Corsano, Lerbniz, Napoli, 1952 che ha acutamente analizzato le
influenze esercitate sul pensicro di Leibniz dalle opere del Suarez e ha
sostenuto la tesi di « un’intima e quasi intera adesione al nominalismo »,
dalla quale avrebbe preso le mosse il pensiero di Leibniz. Con questa tesi, per
le ragioni sia pur brevemente accennate nel testo, non mi pare di poter
concordare anche perché non credo, come ritiene il Corsano, che agli «arcaici e
decre- pitt motivi di misticismo platonico-pitagorico » Leibniz fosse « co- stretto
a inchinarsi in omaggio alle opinioni dei suoi maestri (Weigel) e per parlare
con un linguaggio accessibile all’arretratissima cultura filosofico-scientifica
della Germania barocca» (A. Corsano, rec. a F. Barone, Logica formale e logica
trascendentale, cit., in « Rivista critica di storia della filosofia », 1957,
4, p. 495). Mostrare la presenza e il non indifferente peso esercitato da
quelle arcaiche « sopravvi- venze» — che non mi paiono in alcun modo riducibili
ad una specie di espediente accademico o retorico — è in ogni caso il fine che
in queste pagine mi sono proposto. APPENDICI APPENDICE 1. IL LIBER AD MEMORIAM
CONFIRMANDAM DI RAIMONDO LULLO Il Liber ad memoriam confirmandam, rimasto fino
ad ora inedito, fu composto da Lullo a Pisa fra il 1307 e il 1308. A Pisa,
Lullo era giunto da Genova, negli ultimi mesi del 1307, dopo un viaggio assai
avventuroso ed un naufragio del quale egli stesso ci dà notizia: « Saraceni
ipsum [Lullum]) miserunt in quandam navem tendentem Genovam, quae navis cum ma-
gna fortuna venit ante Portum Pisanum; et prope ipsum per decem millaria fuit
fracta, et Christianus [Lullus] vix quasi nudus evasit, et amisit omnes libros
suos et sua bona» (cfr. Disputatio Raymundi Christiani et Hamar Saraceni, vol.
IV dell’ediz. di Magonza, 1729, p. 45) A Pisa, Lullo portava a compimento, fra
l’altro, la stesura dell’Ars magna generalis ultima iniziata a Lione nel 1305 e
progettava una crociata appoggiandosi al governo della Repubblica per ottenere
racco- mandazioni per il Pontefice e per i cardinali. Nei primi mesi del 1308
(marzo-aprile) troviamo Lullo di nuovo a Genova e poi a Montpellier. La data di
composizione dell’opera indicata da S. Garmes: gennaio 1308 (cfr. Dinamisme de
R. Lull, Mal- lorca, 1935, p. 47) appare quindi oltremodo probabile. A que- sto
studioso si deve una breve ma accuratissima biografia del Lullo: Vita
compendiosa del Bt. Ramon Lull, Palma de Mal- lorca, 1915. Il testo
dell’operetta lulliana del quale si dà qui di seguito la trascrizione è
conservato in tre mss. del sec. XVI: il cod. I 153 inf., ff. 35r.-39v.
dell’Ambrosiana (qui indicato con la sigla B); il cod. 10593, ff. 1 v.-3v.
della Staatsbibl. di Monaco (indicato con M); il cod. lat. 17839, ff. 437 r. -
444 v. della Na- zionale di Parigi (indicato con P). Il ms. B appartiene senza dubbio
ad un ramo della tradizione diverso da quello cui appartengono gli altri due
mss. i quali presentano, rispetto a B, caratteristiche in parte comuni (diverso
incipit, assenza della suddivisione in capitoli, lacune comuni rispetto a B,
di- versa terminologia ecc.). In P sono presenti lacune che non sono in M.
Oltre che una derivazione di M. da P, è tuttavia 262 CLAVIS UNIVERSALIS da
escludere anche una derivazione di P da M: le divergenze fra i due mss.
dipendono nella maggior parte dei casi da diffe- renti interpretazioni dovute
alle abbreviature presenti nel testo originario o in un subarchetipo comune. Si
vedano a titolo di esempio le varianti corrispondenti alle note 15, 70, 130,
146. B. 39r. M. lr. P. 437 r. P. 437 v. B. 35\ M. lv P. 438r. In nomine
Sanctissimae Trinitatis incipit liber ad memo- riam confirmandam (1). Ratio
quare presentem volumus colligere tractatum est ut memoria hominum (2) quae
labi- lis est et caduca modo rectificetur meliori (3). Ipsum quidem dividimus
in duas partes principales (4), subsequenter in plures. Prima igitur pars est
Alphabetum ideo ut sequitur ipsum diffinimus (5). Cap. I. (6). Alphabetum
ponimus in hoc tractatu ut per ipsum possi- mus memoriam diffinire (7) ct in
certis et (8) terminatis princi- piis ipsam (9) in duabus ponere potentiis. Primo (10) igitur b. significat memoriam naturalem,
c. significat capacitatem, d. significat (11) discretivam. Quid tamen (12) sit
naturalis me- moria, quid capacitas, quid discretiva, vade ad quintum su- biectum
(13) per b.c. d. designatum (14) in libro septem (15) planetarum quia ibi
tractavimus miraculose et notitiam om- nium (16) habebis / entium naturalium,
quapropter ipsorum (17) prolixitatem et sermonem (18) declarationis hic ad
prae- sens exprimere praetermitto, cum intellectus (19) per unam literam plura
significata habentem sit generalior (20) et possit in memoria plura significata
recipere (21) quam per aliam largo modo sumptam. / Cap. II. Sequitur nunc
secunda pars quae memoriam dividit (22) in partes speciales (23) pariter et
generales de generali tractans ad specialia (24) postea descendendo. Primo
igitur ut laborans in studio (25) faciliter (26) sciat modum scientiam (27) et
ne, post amissos quamplurimos labores, scientiae huius (28) ope- ram inutiliter
tradidisse (29) noscatur, scd potius labor in . requiem et sudor / in gloriam
plenarie (30) convertatur, modum scientiae decet pro iuvenibus invenire per
quem non tanta gravitate corporis iugiter deprimantur, sed absque ni- mia
vexatione et cum (31) corporis levitate et mentis laetitia ad scientiarum
culmina / gradientes (32) cquidem (33) pro- pere subeant (34). Multi enim sunt
qui more brutorum litera- rum studia cum multo et summo labore corporis
prosequun- tur absque (35) exercitio ingenii artificioso (36) et continuis vi- gilits
maceratum corpus suum iuxta labores proprios inuti- liter exhibentes (37).
Igitur (38) decet (39) modum per quem APPENDICE I 263 virtuosus studens
thesaurum scientiac leviter valeat invenire et a gravamine tantorum laborum
(40) relevari possit (41). Oportet nos igitur conservare (42) ante omnia
quaedam prin- cipia et praccepta (43) necessaria et postrmodum ad specialia condescendere
(44). Primum ergo oportet praeceptum legis observare, idest diligere Deum
ciusque Genitricem beatissi- mam virginem (45) Mariam. Nam Spiritus Sanctus dat
scien- tiam cum magnitudine ut sit magna, Beata Virgo Maria dat scientiam (46)
cum bonitate ut sit bona. Spiritus Sanctus dat B. 36r. scientiam ut charitas
duret, Domina nostra beatissima / dat P. 438v. P. 439r. M. 2r. B. 36v. P. 439v. scientiam (47) ut /
pietas duret. Spiritus Sanctus dat scientiam cum potestate (48) ut sit fortis,
Domina nostra virgo beatis- sima dat scientiam ut recolatur. Spiritus Sanctus dat scientiam contra infidelitatem,
Domina nostra virgo (49) Maria dat scientiam contra peccatum. Spiritus Sanctus
dat scientiarp cum ratione (50), Domina nostra (51) pia dat scientiam cum patientia
(52) Spiritus Sanctus dat scientiam cum (53) spe, Domina nostra sanctissima pia
Virgo Maria (54) dat scien- tiam cum (55) pietate. Spiritus Sanctus dat
scientiam cui sibi placet, Domina nostra dat scientiam omnibus illis qui ipsam rogant.
Spiritus Sanctus dat scientiam ad rogandum, Domina nostra dat scientiam petendi
(56). Spiritus Sanctus dat scien- tiam divitibus, Domina pia dat scientiam
pauperibus. Spiritus Sanctus dat scientiam cum gratia (57), Domina nostra
sacra- tissima virgo Maria dat scientiam cum petitione (58). Spiritus Sanctus
(59) idiomata dat pariter / et (60) consolationes ab ipso quidem divino (61)
Domino nostro Jesu Christo omnia prospere (62) procedunt et conceduntur (63) et
sine ipso fac- tum est nihil / et placa (64) ipsum per devotissimas orationes maxime
per orationem Sancti spiritus (65). Secundo est opti- mum (66) observare modum
vivendì in potando et come- dendo praccipue ex parte noctis vel etiam in
dormiendo quo- niam (67) ex superfluitate horum (68) corpus gravitate ponde- rositatis
ultra modum aggravatur et anima, corpori adherens, illius dispositionem
sequitur. Nihil enim tam praecipuum scientiam inquirenti (69) ut moderationem
ponat ori suo (70) et palpebris suis non concedat multam dormitionem et inor- dinatam.
/ Tertium praeceptum invenio (71) quod nunquam (72) deficiat quin (73) maiorem
partem sui temporis (74) scientiae operam (75) tribuat cum affectu (76) quoniam
(77) ex hoc sequitur capacitas, ex hoc memoria, ex hoc discretio naturalis. / Cap.
III Sequitur nunc secunda pars ad specialia descendens. In artificioso studendi
modo (78) distinguo tres potentias natu- rales: una est capacitas, alia est
memoria, alia est discretio. Prima stat in prima parte capitis quae dicitur
phantasia (79), P. 440r. B. 37r. M. 2v. P. 440v. B. 37v. P. 441 r. CLAVIS
UNIVERSALIS secunda stat (80) in posteriori, tertia stat (81) in summitate (82)
capitis quae aliis velut regina dominatur. Et bonum est habere bonam capacitatem, sed melius est
habere bonam memoriam (83), sed multo melius (84) habere bonam discre- tionem
(85). Modo restat videre de singulis, et primo
viden- dum (86) est de capacitate (87), secundo de memoria, tertio de
discretione. Si igitur aliquis (88) capacitatem lectionis cuiuscunque
facultatis audiendae ambit (89), regulas quas in- fra dicam debet diligenter
(90) observare, quas si observaverit quod sibi eveniet (91) experientia
demonstrabit in brevi tem- pore (92). Primo (93) enim, antequam ad scholam
accedat, lectionem statim tam de grammatica quam de logica / tam (94) de iure
civili quam de iure (95) canonico et ita de omni- bus aliis scientiis audiendam
(96), si potest de iure canonico aut civili (97) textum et glossas alias solum
textum, et videbit si credit / intelligere; adhuc (98) non confidens de proprio
intellectu (99) dabit tibi materiam speculandi (100), dum legat, utrum bene
(101) vel male intellexcrit, ct postmodum, quando legetur, erit attentus
lectioni ut intelligat per alium id quod per se (102) ignorabat. Item (103)
postquam semel in domo viderit, facilius postca intelliget, et tali modo ego
(104) scientiam mcam multiplicavi, et ita faciet artista meae artis quoniam sic
(105) acquiret / scientiam quam voluerit. Item secundo dico quod (106) dum erit in scholiis
habeat intellectum (107) ad id quod doctor vel magister tam in sacra pagina
quam in artibus dicet, quod si non, faciliter (108) mens eius spargitur et
potius videtur esse in loco ubi habet mentem quam in scholiis ubi est tam- que
/ frustra (109). Ex hoc tamen (110) multi perdunt offi- cium
capiendi (111). Item quia dum fuerit casus vel scientia, legere mentaliter in
se revolvat et (112) dum questionem se- cundam vel argumentum (113) cuiuscunque
facultatis dicit doctor vel magister vel artista meae artis, primam eodem modo
revolvat, et interim quando dicetur tertia (114) reducat ad memoriam secundam
(115) et sic de caeteris, et sic habebit intentionem capiendi totam lectionem.
Posito quod non, nec (116) partem accipiat quarum (117) paulisper
argumentabitur, non autem (118) uno momento poterit habere. Item quando (119)
per sc vel per alium quis vult habere bonam capacita- tem, debet ponere ordinem
in legendis (120). Nam si vult intelligere unam legem vel decretalem vel
gramaticae vel logicae lectionem, dividat ipsam in duas / tres quatuor partes secundum
quod lectio fuerit parva vel magna quoniam ad capacitatem multum et (121)
forsan magis quam aliud (122) operaretur (123). Et de primo (124) haec
sufficiant. / Cap. IV. Venio igitur ad secundam, scilicet ad memoriam quae quidem
(125) secundum antiquos (126) alia est naturalis alia P. 441 v. B. 38r. P.
442r. P. 442v. APPENDICE I 265 est artificialis (127). Naturalis est quam quis
recipit in crea- tione vel generatione sua secundum materiam ex qua (128) homo
generatur et (129) secundum quod influentia alicuius planetac superioris regnat
(130) et secundum hoc videmus quosdam homines meliorem memoriam habentes quam
alios sed (131) de ista nihil ad nos quoniam Dei est illud conce- dere. Alia
est memoria artificialis et ista est duplex quia quae- dam est in medicinis et
emplastris (132) cum (133) quibus habetur et istam reputo valde periculosam
quoniam interdum dantur (134) tales medicinae dispositioni hominis contrariae (135)
interdum superfluae et in maxima cruditate (136) qua cercbrum (137) ultra modum
desiccatur et propter defectum cerebri homo ad dementiam demergitur ut
audivimus et vidimus de multis (138) et ista displiciet Dco / quoniam hic non
se tenet pro contento (139) de gratia quam sibi Deus contulit unde, posito casu
quod ad stultitiam (140) non per- veniat (141), nunquam / vel raro habebit
(142) fructum (143) scientiae (144). Alia est memoria artificialis per alium
modum acquirendi nam dum aliquis per capacitatem recipit multum in memoria ct
in ore revolvat per se ipsum (145) quoniam secundum Alanum (146) in parabolis
(*) studens est admo- dum bovis. Bos enim cum maxima velocitate recipit herbas et
since masticatione ad / stomachum remittit quas postmo- dum remugit et ad finem
(147) cum melius est digestum in sanguinem et carnem convertit, ita est de
studente qui mori- bus (148) oblitis capit scientiam sine deliberatione unde ad
finem ut duret, debet in ore mentis masticare ut in me- ‘moria radicetur et
habituetur; quoniam quod (149) leviter capit (150) leviter recedit et ita
memoria (151), ut habetur in libro de memoria et reminiscentia (152) /, per
saepissimam reiterationem (**) firmiter confirmatur (153). Lectionem igi- tur
diei lunae revolvat die martis et studeat et die martis et (154) die mercurii
et sic de cacteris et talia (155) faciendo scientior (156) erit uno anno
audiens illo qui sex audierit (157) annis et artistae hoc consulo meae artis
caeterisque ad- discere volentibus invenire attingere (158) et habere. Cap. V. Venio
ad tertiam videlicet ad (159) discretivam et dico quod discretio est duplex ut
de memoria dixi: alia (160) naturalis, alia (161) artificialis. Naturalis est
(162) quam quis habet ex dono Dei (163) et de ista (164) non loquor. Alia est
artificiosa et ista acquiritur aliquibus (165) modis. Primo enim acqui- ritur
si ea quae in memoria retinemus diligenter (166) serve- mus, cum (167) enim
aliquid in mente memoramus sive textum sive glosam sive auctoritatem sive
rationem per alium dictam (168) et de illo vel de simili a nobis petatur, per €a
quae iam sunt in nostra notitia et memoria radicata (169) 266 Z P. 443r. B.
39r. P. 443v, CLAVIS UNIVERSALIS faciliter indicabimus cuicumque respondendo,
verum (170) et certum est quod melius discernit (171) sciens quam ignarus propter
scientiam quam habet (172) iam cum memoria ac- quisitam (173). / Car. VI. Postquam
(174) de memoria et (175) capacitate et discre- tiva (176) tam in speciali quam
in generali pariter et singu- lari dictum est (177), nunc videndum est de
memoriac reci- tatione, et ad multa recitanda (178) consideravi ponere quae- dam
nomina relativa per quac ad omnia possit responderi . quoniam quodlibet / corum
(179) crit omnino generale ad omnino speciale et habet scalam ascendendi et
descendendi de non omnino generali ad omnino speciale (180) et de non (181)
omnino speciali ad omnino generale. Ista cnim sunt no- mina supra dicta: quid,
quare quantus (182) et quomodo. Per quodlibet istorum poteris recitare viginti
rationes in 0p- positum (183) factas vel quaecunque advenerint tibi recitanda et
quam admirabile (184) est quod (185) centum possis (186) / rationes retinere et
ipsas, dum locus fuerit (187) bene (188) recitare. Certe hoc auro comparari non
debet (189), ergo qui scientiam habere affectat ct universalem ad omnia (190)
desiderat, hoc (191) circa ipsum (192) tractatum laboret cum diligentia (193)
toto possc quoniam sine dubio scien- tior erit aliis quia (194) nomina sine
speciebus aut (195) sine magistro non possumus recitare ideo (196) ipsas pono: primo
cnim quid (197) habet tres species quas hic propter carum (198) prolixitatem
ponere (199) non curo, sed vade ad quintum subiectum (200) per b.c.d.
significatum (201) in libro septem (202) planetarum quoniam (203) ibi videbis miraculose
(204) ipsas aliqualiter (205) declarare (206) hic intendo, et sic dictum de
primis tribus / ita intelligi potest de aliis (207) sequentibus (208). Primum
igitur per primam speciem nominis quid (209), poteris certas quacstiones sive rationes
sive alia quaccunque voluerisrecitare(210) cvacuan- do secundam (211) figuram
de his quae continet, per secun- dam vero poteris (212) in duplo (213)
respondere seu recitare ct (214) hoc per cvacuationem tertiae / et
multiplicationem primae, et si (215) per primam tu recitas (216) viginti vel triginta
nomina seu rationes (217), per secundam poteris qua- draginta vel sexaginta
(218) recitare et hoc semper per eva- cuationem et multiplicationem (***).
Tamen est multumdif- ficile nisi sit homo ingeniosus et intellectu (219)
subtilis et non rudalis (220). Per tertiam vero centum poteris recitare (221) evacuando
primam et multiplicando secundam et de aliis po- teris sicut de ista
cognitionem habere. Quare firmiter et fer- venter (222) praedictas stude (223)
species in praclibato sep- tem (224) planetarum libro quem nunquam eris studere
de- APPENDICE I 267 fessus (225) immo eris gaudio cet laetitia plenus; in dicto
libro multa (226) sunt studenti (227) necessaria quae si nota essent et bene
intellecta non possent ullo modo (228) extimari; ideo consulo cuicumque ut
(229) istum habeat prac manibus et P. 444r. prae oculis suae mentis (230). / Ad
laudem et honorem Domini nostri Iesu Christi et publicae utilitati compositus fuit
praesens tractatus in civitate Pisana in monasterio sancti Dominici per
Raymundum Lullum (231) ut prius dominus Iesus Christus in memoria habeatur et
verius recolatur. Amen. (*) Cfr. il Doctrinale minus, alias Liber parabolarum
magistri Alani (uno degli auctores octo) in Micne, P. L., 210, col. 585 (425
DD): Denti- bus atritas bos rursus ruminat herbas / Ut toties tritae sint
alimenta sibi / Sic documenta tui si vis retinere magistri / Sacpe recorderis
quod semel aure capis. (**) De memoria et reminiscentia, Il, 452 a, 28-29. (***)
Sulla multiplicatio et cvacuatio figurarum cfr. Ars brevis e Ars magna,
Zetzner, pp. 15, 16, 278 -79. (1) In nomine... confirmandam ] Perutilis
Raymundi Lulli Tractatus de Memoria B. (2) hominum ] om. B. ] hominis P. (3)
meliori ] et melioretur B. (4) principales ] et add. B. (5) diffinimus ]
definimus M. (6) Cap. I (e tutte le successive intitolazioni dei Cap.) om. MP. (7)
diffinire ] definire M. (8) et ] om. B. (9) ipsam ] ipsum P. (10) Primo ] prima
P. (11) significat ] om. B. (12) tamen ] autem B. (13) subiectum ] librum B.
(14) designatum ] om. B. ] designata M. (15) in libro septem ] in libro octavo
positum B. ] in libro septimo P. (16) omnium ] omnem B. (17) ipsorum ] ipse MP.
(18) sermonem ]
cc- riem M. ] scientia P. (19) intellectus ] generalior sit add. MP. (20) per unam literam plura significata habentem
sit generalior ] pariter in memoria pro litera significata habentem B. ] ponit
in memoria plura significata P. (21) et possit in memoria plura significata
recipere ] om. BP. (22) quac memoriam dividit ] quac est de memoria et
dividitur B. (23) speciales ] spetiales B. (24) specialia ] spetialem B. (25)
ut laborans in studio ] laboranti in studio virtuose B. ] laboranti in studio studiose
P. (26) faciliter ] facile B. (27) scientiam ] scientiae P. (28) huius ]
huiusmodi M. (29) tradidisse ] credidisse B. (30) plenarie ] plenariam M. (31)
cum ] etiam P. (32) gradientes ] gradus BM. (33) equidem ] eiusdem B. ] cosdem
M. (34) propere subeant ] properari sublimiter B. (35) absque ] nullo add. B.
(36) artificioso ] artificiosi B. ] sed add. MP. (37) labores proprios inutiliter exhibentes ]
labores proprios exercentes conservare MP. (38) Igitur ] Considerare igitur B. (39) decet ]
docet P. (40) laborum ] aliquando ad4. B. (41) pos- sit ] om. MP. (42) Oportet
nos igitur conservare ] Nos igitur conside- ramus B. (43) principia et
praecepta ] praccipitata B. (44) condescen- dere ] condescendentia B. (45)
beatissimam virginem ] perbeatissimam gloriosam B. (46) Maria dat scientiam ]
om. MP. (47) dat scientiam ] 268 CLAVIS UNIVERSALIS per sapientiam add. B. (48)
cum potestate ] cum pietate B. ] in po- testate P. (49) virgo ] om. B. (50) cum
ratione ] in ratione P. (51) nostra ] Maria B. (52) cum patientia ] in
patientia P. (53) cum ] in P. (54) nostra sanctissima pia Virgo Maria ]
sacratissima pia virgo B. (55) cum ] in P. (56) petendìi ] poenitenti BP. (57)
cum gratia ] in gratia P. (58) cum petitione ] in petitione P. (59) Sanctus ]
om. MP. (60) et ] om. B. (61) divino ] Deo pio MP. (62) prospere ] prospera MP.
(63) ct conceduntur ] om. MP. (64) placa ] placare B. (65) ora- tiones Sancti
Spiritus ] orationem spiritus B. (66) Secundo est opti- mum ] Secundum est B.
(67) quoniam ] cum BM. (68) horum ] corum B. (69) inquirenti ] acquirenti B.
(70) ut moderationem ponat ori suo ] ut ponat custodiam in somno B. ] ut
moderate ponat ori suo P. (71) invenio ] om. B. (72) nunquam ] nunque B. (73)
quin ] ut B. (74) temporis ] spiritus B. (75) operam ] opera M. (76) cum
affectu ] in af- fectu P. (77) quoniam ] cum M. (278) in artificioso studendi
modo ] in artificio secundo studendi P. (79) quae dicitur phantasia ] om. B. (80) stat ] om. B. (81)
stat ] om. B. (82) summitate ] sanitate P. (83) sed me- lius est habere bonam
memoriam ] sed multo melius est habere bonam discretionem P. (84) melius ] plus
B. (85) discretionem ] discretivam B. (86) primo videndum ] providendum M. (87)
de capacitate ] de bona capacitate M. (88) aliquis ] vult habere bonam 444. B. (89) ambit ] om. B. (90) diligenter ] diligentia
B. (91) evenit ] quod add. B. (92) tempore ] om. B. (93) Primo ] Secundo B.
(94) tam ] quam MP. (95) iurc ] om.
B. (96) audiendam } auditum M. } audiendum P. (97) civili ] simili MP. (98) adhuc ] ad hoc MP.
(99) de proprio intellectu ] proprii intellectus B. ] de primo intellectu P.
(100) tibi materiam speculandi ]} et ut viam studendi MP. (101) utrum bene ] num
vel benc B. (102) per sc ] per ipsum B. (103) Item ] quia add. MP. (104) ego ]
om. B. (105) quoniam sic ] cum B. ] quoniam P. (106) quod ] om. B. (107)
intellectum ] inventionem M. (108) faciliter ] facile B. ] facilius P. (109)
tamque frustra } tamquam frustra B. ] om. P. (110) tamen ] tam P. (111) perdunt
officium capiendi } per dictum officium capientur B. (112) Item quia dum fuerit
casus vel scientia, legere mentaliter in se revolvat et ] Item dum sciat causam
vel scientiam litere mentaliter inter se revolvat ut B. ] Item quod dum fuerit
casus vel sententia litterae mentaliter in se revolvat et P. (113) dum
questionem secundam vel argumentum ] dum questionem vel scientiam vel
argumentum B. ] dum questionem sciendam vel argu- mentum P. (114) dicetur
tertia ] docetur tertia MP. (115) reducat ad memoriam secundam ] ducat ad memoriam secundam B. ]
ducat ad memoriam sciendorum P. (116) nec ] nisi B. (117) quarum ] quaerere MP.
(118) autem ] enim ad4. B. (119) quando ]
si secundo B. ] sc- cundo P. (120) legendis ] agendis MP. (121) et ] est MP. (122) quam aliud ] quam quodvis aliud M. (123)
operaretur ]} om. MP. (124) primo ] priori M. (125) quae quidem ] Memoria
quidem B. (126) secundum antiquos ] in capitulo de memoria add. P. (127)
artificialis ] artificiosa M. (128) secundum materiam ex qua ] ex materia qua B.
(129) et ] etiam MP. (130) secundum quod influentia alicuius APPENDICE I 269 planetae
superioris regnat ] secundum que influentia alicuius planetae inferioris regnat
B. ] secundum quod influentia actus planetarum supe- rioris regnat M. ]
secundum quod influentiam accipit planetae supe- rioris regnat P. (131) sed ]
et MP. (132) emplastris ] epistolis M. ] eplis P. (133) cum ] in P. (134)
dantur ] dammantur B. (135) dispo- sitioni hominis contrariae )] dispositio
hominis quae contrariae MP. (136) cruditate ] quantitate B. ] caliditate P.
(137) qua cerebrum ] quod certe bene B. ] quod cerebrum P. (138) de multis ]
multos B. (139) tenet pro contento ] contentat B. (140) stultitiam ] insaniam
B. (141) perveniat ] deveniat MP. (142) habebit ] consequetur B. (143) fructum
] fructus B. (144) scientiae ] suac add. B. (145) Alia est me- moria
artificialis... revolvat per se ipsum ] om. B. (146) Alanum ] Alo- nium M. ] Aristotelem P. (147)
finem ] seriem B. (148) moribus ] munibus B. ] modis M. (149) quod ] om. B.
(150) capit ] ct add. B. (151)
et ita memoria ] 0m. B. (152) ut habetur in libro de memoria et reminiscentia ]
om. B. (153) firmiter
confirmatur ] firmiter conti- netur B. ] firmiter confirmiter confirmetur P.
(154) studeat et die martis et ] om. B. (155) talia ] taliter B. (156) faciendo
scientior ] faciendo quis scienter B. (157) illo qui sex audierit ] illud quod
sex annis audiverit B. (158) attingere ] ctiam add. M. (159) ad ] om. BM. (160) alia ] est 444. MP. (161) alia ] est add. MP. (162) est ] om. MP. (163) habet ex dono Dei ]
debet dono Dei B. (164) et de ista ] de qua B. (165) aliquibus ] duobus B.
(166) diligenter ] dili- gentia B. (167) cum ] quando P. (168) sive textum sive
glosam sive auctoritatem sive rattonem per alium dictam ] sine textu sine
glossa sine auctoritate sine ratione per aliud dictum MP. (169) radicata ] radicantur
B. (170) cuicumque respondendo verum ] cuiuscunque unde B. (171) discernit ]
discerit BB. (172) propter scientiam quam habet ] nam rationem quam habet B.
(173) acquisitam ] acquisita M. (174) Postquam ] visum est ad4. B. (175) et ]
om. MP. (176) discretiva ] dis- cretione P. (177) dictum est ] om. B. (178)
recitanda } recitandum B. (179) eorum ] illorum B. (180) et habet scalam.... ad
omnino speciale ] om. B. (181) non Jom. B. (182) quantus ] quotus, totus B. ]
quatenus M. (183) oppositum ]oppositionem P. (184) quam admirabile ] quoniam mirabile
M. ] quam mirabile P. (185) quod ] quia M. (186) possis ] possit P. (187)
fuerit ] adfuit B. (188) bene ] om. MP. (189) debet ] potest MP. (190)
universalem ad omnia ] utilis omnia B. ] universalis ad omnia M. (191) hoc ]
homo esse B. (192) ipsum ] istum B. (193) cum diligentia ] cadem diligentia B.
] in diligentia P. (194) Quia ] quoniam M. (195) aut ] aliquid B. (196) ideo ]
labore adeo B. (197) Primo enim quid ] primo quo B. (198) earum ] illarum B.
(199) po- nere ] om. B. (200) subiectum ] librum B. (201) significatum ) desi- gnatum
vel significatum B. (202) septem ] septimo P. (203) quoniam ] cum B. (204)
miraculose ] iam add. B. (205) aliqualiter ] aliquan- tum B. (206) declarare ]
volo add. M. (207) hic intendo... potest de aliis ] om. MP. (208) sequentibus ]
in sequentibus MP. (209) quid ] quod B. (210) recitare ] evacuare secundum de
his quae continet per scientiam positis add. B. (211) secundam ] secundam
corretto in pri- 270 CLAVIS UNIVERSALIS mam da mano più tarda B. (212) secundam
figuram de his quae con- tinet, per secundam vero poteris ] 0m. B. (213) duplo
] duo P. (214) seu recitare et ] on. B. (215) si ] sic P. (216) recitas ] duo
vel tria nomina seu rationes add. M. duo e tria sono correzioni più tarde di secunda
e tertia. (217) viginti vel triginta nomina seu rationes } om. M. (218) vel
sexaginta ] om. B. (219) intellectu ] multum B. (220) rudalis ] naturalis B. ]
non ruralis M. (221) recitare ] om. MP. (222) et ferventer ] om. B. (223) stude
} audire B. (224) quem nunquam eris studere defessus ] quem nunquam eris audire
fessus B ] quoniam eris studendo defessus M. ] quoniam nunquam eris studere
defessus P. (226) multa ] nulla B. (227) studenti ] alia evidenter B. (228)
ullo modo ] modo aliquo B. ] modo P. (229) cuicunque ut ] quoscunque quod B.
(230) oculis suae mentis ] oculis et suae mentis ferveat B. (231) Lullum ]
Lulli MP. APPENDICE II. UN ANONIMO TRATTATO IN VOLGARE DEL SECOLO XIV Il
trattatello in volgare sulla memoria artificiale composto nel sec. XIV da
autore ignoto e qui di seguito riprodotto, è contenuto nei Codd. Palatino 54
(ai ff. 140 - 142) e Conv. Soppr. I 1.47 (carte non numerate) della Nazionale
di Firenze. Con- trariamente a quanto afferma la Yates (T%e ciceronian art of memory,
cit., p. 888) questo scritto non può essere attribuito con sicurezza a
Bartolomeo da San Concordio. Questa attribu- zione oltre che al Manni, risale
al Tiraboschi (V, p. 242), ma come già ha osservato il Tocco (Le opere latine
di G. Bruno, cit., p. 26), nel corso del testo si fa riferimento al Rosarum odor
vitae (contenuto negli stessi codici sopra indicati) e pro- babilmente composto
nel 1373 da Matteo Corsini, priore della Repubblica fiorentina nel 1378 (cfr.
l’edizione del Rosa:o della vita a cura di Polidori, Firenze, Soc. Tipograf.
Ital., 1845). Anche se l’anno di composizione del Rosaio può presentare qualche
incertezza resta il fatto che l’opera fu composta da un contemporaneo del
Petrarca (Ediz. Polidori, p. 96). A quanto osservato dal Tocco si può qui
aggiungere che nel suo rife- rimento al Rosato l’autore del trattato sulla
memoria parla di 84 capitoli mentre, sia nel Palat. 54 che nel Cod. I, 1, 47 i
capitoli sono 82. L'attribuzione al San Concordio appare dovuta al fatto che in
entrambi i codici gli Ammaestramenti degli antichi di Bartolomeo sono preceduti
da una traduzione del capitolo sulla memoria della RAetorica ad Herennium e seguiti
dal trattato sulla memoria artificiale. Nel Palat. 54 1 testi sono così
disposti: ff. 29-33v.: Testus memorie artifi- ciose vulgariter scilicet super
quandam partem rectorice; ff. 44-139v.: Bartolomeo da S. Concordio gli
ammaestramenti degli antichi; ff. 140-142: Ars memoriae artificialis. Il vol- garizzamento
del testo della retorica ad Erennio forma la secon- da parte o il sesto
trattato del Fior di Rettorica di Bono Giam- boni (Magliab. Palch. II, 90,
Riccardiano, 1538. Cfr. Tocco, op. cit., p. 26). ll bro di leggere cui si fa
riferimento nelle prime righe del trattato può essere, come vuole il Tocco, il 272
CLAVIS UNIVERSALIS trattato della pronunzia che è il terzo del Fior di:
Rettorica nella redazione di Fra Guidotto da Bologna e in quella di Bono
Giamboni. Il trattato sulla memoria artificiale faceva dunque parte, con ogni
probabilità, di una qualche redazione del Fior di Rettorica. La trascrizione è
condotta sul Palat. 54, ma si è fatto spesso ricorso anche all’altro codice
indicato. Si sono appor- tate modifiche, oltre che alla punteggiatura, a talune
grafie (per es. nolla = non l’ha; lo = l’ho; vene = ve ne; a = ha ecc... 140r.
Poi che aviamo fornito il libro di leggere, resta di poter te- nere a mente, et
però qui di sotto si scrive l’arte della memoria artificiale in si facta forma
che non offende la naturale che ha sifatto ordine il libro da sé che con questa
memoria si può d’esso grande parte imparare a mente se solamente il libro si
legge cin- que volte ct fra l'una volta et l’altra sia spazio di mezzo di
quello che vuoi tenere a mente, et observando le regole di questa me- moria non
si potrà errare solo in una lettera di tutto questo libro che tutto non si
imparasse a mente. La memoria artificiale sta solamente in due cose, cioè ne
luoghi e nelle imagini. Luogo non è altro a dire se non come una cosa disposta
a potere con- tenere in sé alcuna altra cosa, sicome una casa, una sala, una camera
o simili cose a questa come ab octo dieci anni a te dicte. Le imagini sono il
proprio representamento di quelle cose che noi vogliamo tenere a mente. Due
sono le maniere de luoghi, cioè naturale e artificiale. Naturale luogo è quello
che è facto per mano di natura come c il monte e il piano e gli albori che per
sé sono. Artificiale luogo è quello che è facto per mano d’huomo sì come è una
camera o un cammino, uno versatoio, uno studio, una finestra, una casa, uno
cofano et simili luoghi a questi. Non intendere però tutte le masseritie minute
de la camera però che non ti riverebbe la ragione, ma vogliono essere masseritie
grandi come sono cassoni, soppedani, fortieri, et se pure alcuna masseritia ci
vogliamo mettere, conviene che sia molto riconosciuta et stia in luogo
continuamente palese, come è una barbuta, uno cappello lavorato, uno elmo da
campo v vero cimiero e cose simili a queste. Intorno a luoghi conven- 140 v.
gono / più cose avere. In prima avere dentro molti luoghi, cioè quanti sono i
nomi che vogliamo tenere amente però che ogni luogo ha la sua imagine a
pigliare ciascuna imagine e rapresen- tamento da una cosa sola per sé, ct però
se aremo a tenere a mente XX nomi si pogniano XX imagini per luogo. Et come
dico di XX, così si potrebbe fare di cento, CC, CCC, CCCC, pure che luoghi
assai aviamo. Non obstante che io dica qui di CC e LII, posto che di questi
CCLII viene facta non poca fatica che sono nel librecto dinanzi decto del
rosaio odore dellavita capitoli LXXXIIH et ad ogni capitolo si possono
leggiermente accattare APPENDICE II 273 tre nomi sì che tre via LXXXIII, CCLII.
Ma di più nomi dire qui di sotto più pienamente. Apresso questo, ci conviene
avere e’ luoghi ordinati, cioè che per ordine l'uno vada dietro a l’altro. Et
se quella persona che vuole usare quella memoria in man- cino, cominci e’ conti
de luoghi a mano mancha et se queste sopra da la drecta mano, se a diricta vada
sopra la mano diricta, in questo modo: che se in una sala aremo da poter
pigliare cin- que luoghi, el primo sia uno camino, el secondo un uscio o un armaro
da vasi, el quarto una colonna overo uno pilastro, el quinto uno versatoio.
Incominciamo dal primo come è il ca- mino, poi il secondo come è un uscio et
così per ordine l'uno dopo l’altro et non si dee mai passare niuno luogo se non
che si debbono sapergli bene a mente come sono ordinati da sé. A presso si
conviene che i luoghi sicno numerati cioè che ogni nego quinto si segni; cioè a
questo modo: che al primo quinto i ponga una mano d'oro che per le cinque dita
ripresentino ji luogo essere quinto; poi il secondo quinto, cioè il decimo luogo,
ripresenta in questo modo o trovata per sapere subito a quanti nomi sta Piero.
Subito puoi avisare se alle due mani sarà il decimo se a due nomi dopo le due
mani sarà il duodecimo / 142r. ct così seguitando si può sapere di molti. Ma
questa regola di queste mani abbi posta qui perché la insegnia Tulio et non vorrei
che altri credessi che io non la sapessi, però l’ho posta qui, ma a me pare uno
poco faticosa per tale quale persona. Imperò potiamo lasciare andare testé
questo affanno delle mani del oro, et fare in questa forma: cioè che i luoghi
sempre cag- gino o in cinque o in dicci; în questa forma che se in una sala
sono sci o septe luoghi non tenere a mente se non cinque, et se fussino quattro
forzati tanto che sieno cinque che leggier- mente viene facto poi che si mette
in pratica. Et così similmente vuole andare de decti che se aremo una sala o
una camera dove sieno nove luoghi, forzati tanto che ve ne aggiungi un altro si
che sieno dieci. Se ce ne fussino da dieci in su in sulla sala, non ne tenere a
mente se non dieci. Adunque se arai in una tua casa una sala et in questa
fussino cinque luoghi, una camera et in questa camera fussino dieci luoghi, uno
verone et in questo fussino pure dieci luoghi, un’altra camera et in questa
fussino cinque luoghi, uno terrazzo et in questo fussino dieci luoghi, una
grotta et in questa fussino dieci luoghi, raccogli tutti questi luoghi et vedi
quanti sono, et, quanti sono i luoghi, tanti sono i nomi che puoi tenere a
mente. Sì che se i dicti luoghi sono L, et L nomi potrai tenere a mente sanza
faticha di memoria, et così similmente chi la volessi fare più in grosso,
potrebbe avisare dieci case delle dita sue dove trovasse L luoghi ciascuna casa
et così la farà di cinquecento et di mille et di diecimila sanza fallo, però
che troviamo che Seneca fu giovane esso la fe' di dumilia, ritornando allo
inanzi et allo indietro, come fanno i fanciulli ad a.b.c. quando la dicono alla
dietro. Ancora vo- 274 141 v. CLAVIS UNIVERSALIS gliono essere dicci luoghi
noti cioè che bene gli conosciamo etc. Apresso non vogliono essere troppo
grandi né troppo piccoli, ma di mezzana fog/gia come si richiede alle imagini
che qui si pongono. Ancora vogliono essere i luoghi temperati dove non usi troppa
gente però che la troppa gente guasta il luogo et la nostra memoria. Ancora
vogliono essere né troppo chiare né troppo ob- scure però che la troppa
chiarezza et la troppa obscurità fa noia agli occhi della mente sì che vedere
non possiamo i luoghi. An- cora conviene che i luoghi non si rassomiglino
troppo l'uno a l’altro, ma quanto più sono variati meglio è. Ancora non vo- gliono
essere troppo apresso l'uno a l'altro né troppo di lungi, ma intorno di cinque
o di dicci piedi l'una da l’altra. Et questo è tutto quello che bisognia a’
luoghi. La imagine non è altro se non, come di sopra è detto, come il proprio
representamento di quelle cose le quali vogliamo tenere ad mente. Questa
imagine ha due proprietà: cioè che ella ha a ricordare il nome et il sen- tire.
Ricordare il nome è ricordare a mente Piero Giovanni Mar- tino per ordine
ciascuno per sé, ricordare sententie è in questo modo che se io mi voglio
ricordare come Troia fu presa Greci con
ferro con fuoco con ruina per cagione di Elena, io pongo in uno luogo la
imagine di Troia come ardeva e come in lei sieno entrati cavalieri armati.
Ancora se io mi volessi ri- cordare della hedificatione di Cartagine la quale
hedificò una donna chiamata Dido, porrò una imagine d’una con molti gua- tatori
di intorno, et così va di simile a simile di molte et infinite sententic. Hora
d'intorno alle imagini sì come di nomi et di sententie vediamo quante cose sono
di necessità. Mostra che sieno sei per ordine. In prima si richiede che le
imagini sieno pro- prie, cioè che se io mi voglio ricordare di Piero solamente
ponga in uno luogo la sua propria imagine, et se io voglio tenere a mente
Martino, quello medesimo. Ancora conviene che la ima- 142r. gine non sia /
equivoca cioè che rapresenti più cose di quelle che vogliamo tenere a mente.
Ancora conviene che le imagini non sieno troppe, cioè più che non sicno di
bisogno non si pon- gano nel luogo, che se io voglio tenere a mente Piero,
solamente porre una imagine che rapresenti Piero, la quale cosa è contro alla
doctrina di Tulio. Ancora conviene che la imagine non sia varia, cioè che abbia
alcuna varietà in sé e questa è delle più utili cose che si possa avere. Questa
memoria però sempre ci doviamo studiare di porre imagini di nuove foggie.
Ancora con- viene che la imagine sia segnata da alcuno segno il quale si convenga
a la cosa per la quale è facta, cioè che la imagine del re pare che gli si
convenga il segno de la corona, et a’ cavalieri il segno dello scudo, al
doctore il segno del vaso et ad cui uno segno ad cui uno altro come la fantasia
della memoria comune- mente si vuole dotare. Ancora conviene che a la imagine
si faccia alcuna cosa cioè la proprino quanto agli acti quelle cose che a loro
si convengono, sì come si conviene ad uno lione dare APPENDICE II 275 la
imagine apta et ardita et alla golpe l’acto sagace et abstuto, al sonatore
l'apto di sonare stromento. Adunque veggiamo sem- pre che ne’ luoghi si
convengono porre le imagini sì come nelle carte si convengono porre le lectere.
Qui finisce delle sententie et de’ nomi abbreviato. Ancora doviamo tenere
questo modo il quale è molto utile: che poi che abbiamo imparato C 0 CC nomi et
recitargli, non per tanto dobbiamo conservargli, più inanzi ci doviamo studiare
più che possiamo che ci escano di mente e così facendo escono di mente e i
luoghi rimangono voti per gli altri che volessino imparare. Finis. Deo gratias.
Amen. APPENDICE III. DUE MSS. QUATTROCENTESCHI DI ARS MEMORATIVA Il Cod. lat.
ambrosiano T. 78 sup. (di carte 45) contiene i seguenti scritti : fi. 1-21v.:
Tractatus brevis ac solemnis ad sciendam et ad consequendam artem memoriae
artificialis ad M. Marchionem Mantuae. Inc.: Iussu tuo princeps illustrissime.
[È il trattato di Jacopo Ragone da Vicenza del quale abbiamo citato vari passi
nel testo, composto nel 1434 e conservato in due esem» plari di diversa mano
anche nel Cod. marciano cl. VI, 274 ai ff. 15-34 e 53-66 e in un terzo
esemplare nel marciano 159 della stessa classe. Il nome dell’autore
(artificialis memoriae regulae per Jacobum Ragonam Vicentinum) e la data di
com- posizione (Kal. Nov. 1434) risultano dal marciano 274 ai ff. 15v. e 53v.].
ff. 22-26: Tractatus solemnis artis memorativae. Inc.: Artificiosie memoriae
egregia quaedam. [Di questo scritto si dà qui di seguito la trascrizione. Si è
omesso l’elenco in vol- gare dei « luoghi » che occupa i ff. 26-27v.: Exp.:
Trespo da tavola. Zovane fameglio]). ff. 27v.-32v.: Tractatus artis memorativae
eximii doctoris artium et medicinae magistri Girardi. Inc.: Ars commoda na- turae
confirmat et auget. [Nella trascrizione che segue si è fatto ricorso anche al
cod. 142 dell’Angelica che ai ff. 83-87 reca lo stesso trattato con il titolo,
di mano più recente, Hic traditur preclarus modus conficiende memoriae. Inc.:
Ars com- moda natura e confirmat et augct]). ff. 33-40v.: Excerpta ex libris M.
T. Ciceronis de memoria. Inc.: M. T. Ciceronis de oratore haec de memoria
scripta sunt. [gli excerpta ai ff. 35v.-40v. sono tratti dalla RAetorica ad Herennium).
La data di composizione della miscellanea si legge in fine al codice al f. 45:
Anno 1466 scriptus pro Raphael de Fuzsy. 22 r. 22v. 23 r. APPENDICE III 277 I Tractatus
solermnis artis memorativae incipit. Artificiosac me- moriae egregia quaedam
atque preclarissima praecepta in lucem allaturi, non invanum esse duximus quod
ipsa sit primum effin- gere cum, iuxta Ciceronis sententia in primo De
officiis, omnis de quacumque re sumitur disputatio a diffinitione proficisci debeat
ut sciri possit quid sit id de quo disputatur. Est igitur artificialis memoria
dispositio quaedam imaginaria vel localis vel idealis mente rerum sensibilium
super quas natu- ralis memoria reflexa per ea summovetur atque adiuvatur ut prius
memoratorum facilius, distinctius atque divitius denuo va- leat reminisci. Vel
sit artificialis memoria est decentium imagi- num quaedam industriosa
collocatio qua corum quae in his de- bite applicantur ad tempus memorari
valeamus. Tertio vero ex menti Ciceronis, Rhetoricorum tertio, sic eius
diffinitionem im- plecti possumus: memoria artificialis est artificium quoddam quo
naturalis memoria praeceptoris voce confrmatur. Differt au- tem memoria
naturalis ab artificiosa. Harum naturalis est una quae nostris animis insita
est et simul cum ipsa / creatione nata. Artificiosa vero est quaedam inductio
et praeceptionis ratione confirmatur. Haec autem ars duobus perficitur: locis
videlicet et imagini- bus, ut Cicero sentit in tertio Rhetoricorum a quo non
dissentit beatus Thomas illud addiciens oportere ut ea quae vult quis memoriter
tenere ordinata consideratione disponat, ut ex uno memoratu ad aliud facile
procedatur. Cicero vero sic inquit: oportet igitur, si multa reminisci volumus,
multos locos domus comparare, ut in multis locis multas imagines comprchendere
at- que amplecti valeamus. Aristoteles vero in eo que de memoria scripsit a
locis inquit reminiscimur. Necessarii itaque sunt loci ut res seriatim
pronuntiare et memoriter tenere valeamus. Dif- ferunt autem loci ab imaginibus
quia loci sunt imagines ipsae su- per quibus tamque super carta imagines
delebiles, quasi literae, collocantur. Habeant igitur sc loci sicut materia,
imagines vero ut forma. Differunt quasi
ut fixum et non fixum. Et quoniam haec ars, ut dictum est, duobus absolvitur,
locis videlicet et imagini- bus, primum locorum precepta attingenda videntur. Nam cum ars imitetur naturam in quantum potest,
volenti autem scribere / primum carta et cera preparanda est, quibus loci
simillimi sunt. Imagines autem
literis, dispositio autem et collocatio imaginum scripturac, pronuntiatio autem
lectioni comparantur. Illud merito fit ut ex his locis primum diffiniamus.
Locus enim, ut quibus- dam placet, est spatium quidam domus proportionatum et
condi- tionatum quo conditionari debet; vel melius, secundum Cicero- nem, locos
appellamus eos qui breviter perfecte et insigniter manu aut natura absoluti
sunt ut eos facile naturali memoria comprendere atque amplecti valeamus. Haec
autem ars centum locis perficitur. quos hoc pacto nobis constituere poterimus
si 278 CLAVIS UNIVERSALIS decem domos nobis comparare poterimus in quarum
singulis decem loci affigantur in diversis ipsarum domorum parietibus, vel
paranda nobis erit una domus quae computatis cameris co- quina et scalis
constituatur centenus numerus apponendo cuilibet camerae vel scalae quinque
locos. Locorum proprietas multiplex est: primo
locorum multitudo, locorum ordinatio, locorum solitudo, locorum meditatio,
loco- 23v. rum signatio, locorum dissimilitudo, / locorum mediocris ma- 24 r. 24
v. gnitudo, mediocris lux et distantia. Sequitur de imaginibus. Ima- gines sunt
rerum aut verborum similitudines in mente conceptae. Duplices autem
similitudines esse debent, ut ait Cicero, una rerum, alia verborum. Rerum autem similitudines
constituuntur cum summatim ipsorum negotiorum imagines comparamus, verbo- rum
autem similitudines exprimuntur cum uniuscuiusque voca- buli memoria a nobis
imagine notatur. Verborum quidem simili- tudines aliae sunt notae, aliac
ignotae, notabilius aliae animatac, aliae inanimatae. Animatarum quaedam
propriae quaedam com- munes. Propriarum quaedam duplices, quacdam simplices.
Com- munium vero tam animatarum quam inanimatarum quacdam simplices, quaedam ex
duabus pluribusne partibus constituuntur, de quibus omnibus dicetur inferius.
Et primo videndum est de nominibus propriis simplicibus et duplicibus. Et
premicto pro generali regula imaginum collocandarum quod in locis semper collocandae
sunt imagines cum motu et acto ridiculoso crudeli admirativo aut turpi vel
impossibili sive alio insueto. Talia
enim crudelia vel ridiculosa aut insueta sensum immutare solent et melius
excitare eo quod animus circa prava multum advertat. / Secundo vero noto
collocandam circa imaginem ut aliquid agat vel operet circa se vel circa ipsum
locum. Si igitur daretur tibi ad memorandum nomen proprium, puta Petrus vel
Martinus, debes accipere aliquem Petrum tibi notum ratione amicitiae vel inimicitiae,
virtutis vel vituperii vel precellentis pulcritudinis aut nimiae deformitatis,
non ociosum sed se exercitantem motu aliquo ridiculoso. Si nomen non adsit tibi
notus capias aliquem factum et si non fuerit, recurrendum erit ad regulam
dictionum igno- tarum. Duplicia vero sunt cum duo ex istis simplicibus sumptis in
recto casu quae veniunt ad significationem unius simplicis ut Jacobus
Philippus, Johannes Maria. Preniomina vero sunt cum unum preest alteri in unico
nomine quae prelatio semper est in obliquo cum dependentia, ut Johannes Andrec,
Matheus Tomasii. Cognomina autem
et agnomina sunt quae parentelae vel ab cunctu [.....] faciunt ad singularem
notitiam vel alicuius indi- vidui: ut Franciscus Barbarus et Scipio Affricanus.
Duplicia sic collocanda sunt ut cadem facias etiam ipsam imaginem ordinate operari.
Item de prenominibus ita tamen quod / actus attributus recto habeat se in minus
et actus attributus obliquo in maius. Agnomina
autem et cognomina secundum primam sui partem ut traditum est de nominibus
propriis. Secundum vero secundam sui partem prout tradetur de nominibus
ignotis. 25r. 25v. APPENDICE III 279 Pro clariori doctrina notandum est
imagines, cx quibus simi- litudines capiuntur, formari posse dupliciter: aut ex
parte rci, aut ex parte vocis. Si ex parte rei et tunc dupliciter: aut respectu
rei propriac in se, aut ex parte methafisicac. Ex parte rei pro- priac in se
similitudo capitur ut rem ipsam formando in propria forma et naturali, ct hoc
modo in rebus naturalibus maxime con- venit. Secundo modo similitudo capitur ex
parte rei methafisicac et secundum eius officium quod operatur aut secundum
instru- mentum cum quo operatur, et isto modo praccipue operamus in rebus
invisibilibus. Si igitur rerum invisibilium vis tibi ima- gines servare, si
sint res pertinentes ad virtutes vel vitia duplices possumus similitudines
capere scilicet aut capiendo rem in qua est per excellentiam ut pro / superbia
Luciferum, pro sapientia Salomonem; secundo modo methafisice. Divina autem ut dictum et
angelos a pictoribus didicimus collocare. Item de sanctis, ut virtus iustitia
angelus anima deus, scilicet Petrus et cetera. Nominum accidentalium
similitudines ita capiuntur indiffe- renter videlicet ponendo picturam aut
similitudinem aut realem rem cuius coloris qua nota collocanda demonstratur. Nota vero dignitatum officiorum et artium
mechanicarum sic collocatur, capiendo similitudinem secundum signa et
principalia eorum si- gnificata demonstrativa et declarativa ipsorum, ut si
volumus collocare papam Martinum tibi notum secundum regulam de propriis
habentem unam mitriam trium coronarum et sic de sin- gulis secundum signa
convenientia suis dignitatibus officiis et artibus. Si vis memorari inanimatas
duobus modis id efficere poteris. Primo modo ipsius rei inanimatae
similitudinem capiendo ut aliquid operetur, imaginandus est homo sub concepto
naturali non sub spetiali, nota et talis operatio fiat contra locum vel contra
se. Secundo modo cligendo ordinem alphabeti et ad unum / quemque locum ponendo
unum hominem tibi notum supras- tanterm tamque custodem et operarium loci qui
operetur quando necesse est cum re inanimata ut dictum est in praccedentibus capitulis.
Finalis regula de collocatione prosarum versuum am- basiatarum et ceterorum
huiusmodi. Ad apte figendas certa mente epistulas orationes sermones versus et
cetera collocandi ratione potissimum opus esse percipi- tur, ut videlicet
primum res ipsa universa rectissime teneatur ea quae naturali commendata
memoriae congrue despiciatur. In primis enim rei totius summa simplici imagine
vel nota aut ex pluribus aggregata contineatur quae quidem deinceps partes in suas
idonee recitetur. Deinde illae partes in alias subdividere li- cebit. Finalis
tamen divisio loco uno vel multiplicato capiatur. Principales autem divisiones
ipsis quinariis applicentur, earum vero partes reliquas in aliorum imaginibus
accomodentur. Versus spetialiter vocari possunt si praeter eorum summam
figurationem 230 26 r. 27 v. 28 r. CLAVIS UNIVERSALIS principio annotentur aut
spetiali imagine aut sillabis vel litteris. Historiac vero per actus annotari
possunt ctiam parte tibi nota. Rubricae collocari solent aut corum summas
perstringendo imagine accomodata aut per verborum similitudines. / Ambasiatas
vero si commode volueris recordari ipsas, pro quo ambasiata collocanda est,
imagines capies sive ipsumet in quo pacta sive promissa repones et ex adversis
autem illum cui facienda est ambasiata in illo petita repones, et si sumuntur
plu- res res sive capitula seriatim conclusive per loca dispones. Argumenta
possumus congrue argumentibus applicare quibus absentibus locorum custodibus
affigantur. Si enim sologismus fuerit, maiorem dexterae, minorem sinistrae
accomodemus, aut potuerimus pro maiori tenere imaginem notatam vel medii aut conclusionis.
Si vero fuerit entimema satis erit primam proposi- tionem notare; in iure aut
rubricam cum lege aut scilicet cum cius mente notare ut fucrit. TeAog. Il. Tractatus
artis memorative eximii doctoris artium et medi- cinae magistri Girardi. Ars
commoda naturae confirmat ct auget, ut inquit egregius Tullius in tertio
rhetoricae, cuius experientiam habemus in duplici arte scilicet domificatoria
qua artifex finalis per hanc intendit defectui naturae providere; in arte etiam
medicatoria minister salutis conatur proposse superflua naturae expellere ac defectus
eiusdem restaurare. Que quidem ars
minime foret in- venta si natura auxilio non cgerct. Verum quia anima nostra in
principio sue creationis nascitur defectuosa in tribus suis po- tentiis
clarioribus: scilicet memoria, intellectu et voluntate. Non tamen dico
defectuosa sit quod anima nostra in principio creationis suac non habeat omnes
potentias sibi concreatas, sed dico defectuosa sit quod in principio nostrae
nativitatis anima nostra nequaquam potest per has potentias suos actus
exercere. Non igitur parum utilis est artificialis memoria, quae commoda naturae
amplificat ratione doctrinae. Huius quippe artis multi fuerunt inventores inter
quos quidam nimis occulte, alii nimis confuse cam tradiderunt. Sed ego zelo
sapientiac dilatandae / hanc artem compendiosis et utilibus verbis declarare
intendo, hoc opusculum dividendo per novem capitula. In capitulo primo
ostendetur breviter et succinete quac sint instrumenta quibus utendum est in
hac arte. In secundo tradetur ars memorandi terminos substantiales.In tertio
dabitur ars memorandi terminos accidentales. In quarto dabitur ars memorandi
auctoritates ct quascumque orationes simplices. In quinto tradetur ars
memorandi epistolas collectiones et quascumque historias prolixas. APPENDICE
III 281 In sexto tradetur ars memorandi argumenta ct quascumque orationes
sillogisticas. In septimo tradetur ars memorandi versus. In octavo tradetur et
dabitur ars memorandi dictiones igno- tas, puta graecas, hebraicas,
sincathagoremata et capita legum. In nono et ultimo dabuntur sccreta huius
artis. Unde versus: Sedibus humanis trita stans filia celsi Inexculta cibo mens
grave tenet in albo Sed si concipiat post sernen arca volutum In varias formas
parit similia monstro Qui igitur volet perfectam gignere prolem Promptam
facetam recte natam in ordine membri De multis tractum subiectum forbeat
haustum.! 28 v. Capitulum primum. Pro expeditione primi capituli prenotan- dum
est quod finalis intentio nostra in hac arte est componere librum mentalem qui
quid se habeat ad instar libri artificialis. Nam quemadmodum in libro
artificiali duo sufficiunt instru- menta duntaxat scilicet carta et scriptura,
ita ct non aliter in hoc libro mentali quem intendimus per hanc artem conficere
duo sufficiunt instrumenta: scilicet loca ct rerum similitudines. Unde egregius
Tullius in sua rhetorica loca inquit carte simil- lima, sicut imagines literis.
Dispositio vero imaginum in locis lectioni comparatur. Sed quia vari sunt modi
accipiendi loca in hac arte, sufficiet ad presens tres modos notare. Primus
modus est secundum Tullium, et hic est satis grossus, accipiendo videli- cet
domum realem vel imaginariam in qua diversa signa noten- tur inter angulos
illius contenta. Secundus modus
est servando ordinem scalarum. Tertius est servando ordinem mense vel alium quemvis
artificialem huic consimilem. Verum est tamen quod de novo praticantibus in hac
arte bonum est in primis modum Tullii imitari ut a facilioribus ad difficiliora
facilior sit transitus. Unde versus: Tipicha fortificat poliniam vallis locorum
/ 29 r. Hec per ambages deserti querere noli Que rapuit pacifex iam lux perdit
vel atro Invisaque spernit fugit gravissima quecque Huius vero plus placuit
medios habuisse penatos Incultos natos diversos noto placentes In quorum costis
fingantur ordine quino Que fixa maneant signa distantia tractu.? ® Grosse INTERLINEARI: Sedibus humanis: in corpore
humano; trita: afflicta; filta celsi: scilicet dci; inexculta: scilicet
impleta; grave: graviter; in albo: scilicet memoria. 2 Giosse INTERLINEARI:
Tipicha: figurata; poliniam: memoriam; vallis loco- rum: scilicet ordinatio;
Haec: loca; per ambages: per loca dubia; pacifer: scilicet intellectus; ian:
lux perdit vel atro: per nimiam lucem vel obscuritatem; 282 29 v. 30 r. CLAVIS
UNIVERSALIS Secundum capitulum. Si vis memorari terminos substantiales scire debes quod tales sunt
duplices. Quidam sunt proprii et qui- dam communes.
Si igitur vis memorari terminos communes suf- ficit pro quolibet tali accipere
similitudinem agentem aliquid mirabile vel patientem ct illam memento in suo
loco collocare, praesuppositis his quae dicta sunt de locis in precedenti capi-
tulo. In propriis autem nominibus non sic fit quoniam multorum hominum una est
similitudo communis, accipere igitur pro quo- libet nomine proprio aliquem tibi
notum ratione laudis, vituperii vel conversationis et illum memento in suo loco
collocare. Et notatur dictum cst supra
quod similitudo rei memo- randae debet agere vel pati aliquid mirabile quoniam
quanto actio vel passio fuerit mirabiltor aut magis ridiculosa tanto diu- turnior
crit memoria. Unde versus: Usia
post rerum recte ponatur in istis / Cum voles hanc disce viam quac plana
patebit Subiectis propriis proprias est darc figuras Communes aliis: cythara
noscetur Apollo.? Tertium capitulum. Si vis memorari
terminos accidentales, quia accidens non habet esse per sc sed totum esse eius
dependet a substantia, pro quolibet tali accidente debes accipere substan- tivum
in quo est per excellentiam: ut pro rubeo rosam, pro albo lilium, pro
fortitudinem Sansonem, pro sapientia Salomonem. Et nota hic tres regulas solemnes. Prima est quod omne
nomen significans substantiam in qua est aliquid accidens per excellen- tiam
significat duo: scilicet substantiam primo et accidens poste- rius et
secundario; et sic monialis significat feminam et castita- «tem, lupus animal
et voracitatem, philomena avem et cantorem. Secunda regula est quod a tali nomine significanti
duo descendit nomen adiectivum vel verbum, ut de rosa descendit roscus rosea roseum
et roseare quod est rubcum facere. Tertia regula est quod ad commemorandum
artificiose derivativa sive fucrint nomina sive verba aut participia / vel
adverbia sufficit habere memoriam primitivi, et ratio est quoniam omnem
derivativum virtualiter includitur in primitivo et capit naturam ciusdem. Unde versus: Quod pendet
fixum de se vult capere plenum Si varias uno profers multis ne licebit In
derivativis quae sit origo notabis.4 Invisa: loca; gravissima: dissimillima;
quecque: loca; medios habuisse penatos : scilicet manifestas domos; Incultos:
non habitatas; diversos: scilicet colore vel figura; noto placentes: scilicet
voluntati; In quorum: penatum; costis: parie- tibus; fixa: firma. ì 3 GLossi
INTERLINEARI: Usig: scilicet forma; recte: sub ordine; in istis: sci- licet
costis; Subiectis: nominibus; communes: similitudines. 4 Gtosse INTERLINEARI:
OQtiod pendet: illud quod est auribus pendens; fixum: subiectum; de se vult
capere plenum: scilicet in quo est per excellentiam. 30 v. 3lr. APPENDICE III
283 Quartum capitulum. Si vis memorari auctoritates ct quascum- que orationes
simplices accipe pro qualibet obiectum principale eiusdem et illius memento in
suo loco collocare praesuppositis his quae dicta sunt supra. Ratio autem huius est quoniam
signum et signatum sunt corrclativa. Unde versus: Complexum si vis obicctum indicat illud. Quintum capitulum. Si vis
memorari epistulas et quascum- que historias prolixas divide per suas partes
principales ct rursus quamlibet per suas partes donec perveneris ad clausulam;
quo facto age ut dictum est in capitulo praecedenti de orationibus simplicibus.
Et ratio huius est quoniam divisio valet ad tria. Primum animum legentis
excitat, secundo intelligentiam confir- mat, tertio memoriam artificiose
corroborat. Unde versus: Ut plerique volunt tribus divisio valet / Animum
legentis excitat mentem quoque probat Intelligentis memoriam roborat atque. Sextum
capitulum. Si vis memorari argumenta et quascum- que orationes sillogisticas
sufficit pro quolibet argumento habere memoriam medii et ratio est quoniam, ut
dicit Aristoteles in primo priorum, medium est in virtute totus sillogismus. Sed quia difficile est medium invenire secundum
doctrinam quam tradit Aristoteles in fine primi priorum, sciendum est quod
medium in proposito nihil aliud est quam causa conclusionis, idest illud inferens
in quo virtualiter consistit argumentum. Unde versus: Qui nescit causas nihil
scit, quia nulla Res est nota satis, cuius origo latet. Septimum capitulum. Si
vis memorari versus hoc potest fieri altero duorum modorum: primo accipiendo a
quolibet versu sententiam meliori via in qua fieri potest et cum versus bis vel
ter replicando; secundo accipiendo duas vel tres dictiones prin- cipales
cuiuslibet versus et cum illis ipsum versum bis vel ter repetendo. Sic enim ars suppedit naturae
et ratio huius est quo- niam versus ex sua natura valet ad tria. Unde versus: Metra
iuvant animos, comprehendunt plurima paucis Pristina commemorant quae sunt tria
grata legenti. Octavum capitulum. Si vis memorari dictiones ignotas hoc potest
duobus modis fieri. Primo per viam similitudinis, acci- piendo videlicet pro
qualibet dictione ignota dictionem nobs notam habentem aliquam similitudinem
cum tali dictione ignota. Secundo
fiat hoc per viam divisionis sillabarum, dividendo sci- licet dictionem ignotam
per suas sillabas, et pro qualibet sillaba accipiendo dictionem tibi notam
incipientem ab ca. Unde versus: Ignotum memorari si vis barbarum nomen Aut
summas apparens per partes divide totum. 284 lv. 32 r. 32 v. CLAVIS UNIVERSALIS Ultimum
capitulum. Pro cxpeditione completa huius artis facien- dum quod bcatus Thomas
in secunda secundae, quaestione 49 et capitulo primo. Ponit quatuor documenta
quibus proficimur in bene memorando. Primus est ut eorum quae vult aliquis me- morari
quasdam similitudines assumat convenientes nec tantum omnino consuetas, quia ca
quae sunt inconsueta magis miramur et sic in eis animus magis et vehementius
detinetur. Ex quo fit quod corum quae in pueritia vidimus / magis memoremur. Ideo autem magis necessaria est huiusmodi
similitudinum vel imagi- num adinventio, quia intentiones simplices et
spirituales facilius ex animo elabuntur nisi quibusdam similitudinibus
corporalibus quasi alligentur, quia humana cognitio potentior est circa sensi- bilia.
Unde hacc memorativa ponitur in parte sensitiva. Secundo oportet ut homo ca
quac memoriter vult tenere sua considera- tione ordinate disponat ct cx uno
memorato facile ad aliud pro- cedat. Unde dixit philosophus in libro de memoria
a locis vi- detur reminisci aliquando, causa autem est quia velocitate ab uno
ad aliud veniunt. Tertio oportet quod homo sollicitudinem apponat et affectum
adhibeat ad ca quae vult memorari, quia quanto magis aliquid fuerit impressum
animo co minus elabitur. Unde Tullius dixit in sua rhetorica quod sollicitudo
conservat integras simulacrorum figuras. Quarto oportet quod ea frequen- ter
meditermur quae volumus memorari. Undec philosophus dixit in libro de memoria
quod meditationes servant / memoriam, quia, ut in codem libro dicitur,
consuetudo est quasi natura. Unde quae multoties intelligimus cito reminiscimur
quasi natu- rali quodam ordine ad uno ad aliud procedentes. Sed quia tota difficultas
artis memorativac consistit in difficili et laboriosa io- corum acceptione et
in illa laboriosa adinventione imaginum convenientium, in hac arte notanda sunt
duo pro secretis huius artis. Primo est notandum pro facili et prompta locorum
accep- tione quod tota perfectio huius artis ex parte locorum consistit in
centum locis familiaribus quae pro certa loca habere poterimus duplici via.
Primo accipiendo decem domus reales a nobis opti- me frequentatas in diversibus
civitatibus vel in eadem, itaque in qualibet domo notentur decem loca distincta
loco situ et figura ac in convenienti ordine et aliqua distantia. Secundo
possunt ha- beri centum loca familiaria accipiendo viginti imagines divisa- rum
rerum quac tamen sint ordinatae secundum ordinem lite- rarum alphabeti: ut pro
A accipiamus arietem, pro B bovem, pro C canem, pro D dromedarium, pro E cquum,
pro F folium, pro G griffonem, pro H hircum, pro I idolum, pro K Katerinam, pro
L leonem, pro M monacum, pro N nucem, pro O / ovem, pro P pastorem, pro Q
quiritem, pro R regem, pro S sapientem, pro T turrim, pro V vas olci vel vini.
Ita tamen qued in qualibet istarum imaginum notentur quinque determinata signa
quae facient quinque loca in qualibet, ct hoc quidem facillimum est ut patebit
in pratica. Secundo est notandum cx parte imaginum APPENDICE III 285 sive
similitudinum quod permaxime perficit in memorando arti- ficiose servare
imaginibus colligantiam. Talis autem colligantia dupliciter intelligitur. Primo
ut quaclibet imago se exercitet ali- quo modo cum suo loco. Secundo ut una
imago se exercitet cum alia: sic prima cum secunda, tertia cum quarta et sic de
aliis. Et est diligenter advertendum in hac arte quod attestatur egregius
Tullius in tertio Rhetoricorum videlicet quod artis huius preceptio est infirma
nisi diligentia et exercitatio comprobetur. Unde versus: Doctrinae pater est
usus doctrina scolaris Interscissa perit, continuata urget. Finis. APPENDICE
IV. DOCUMENTI SULL'ATTIVITÀ DI PIETRO DA RAVENNA Al testo della sua Phoenix seu
artificiosa memoria, Pietro da Ravenna premetteva, nella prima edizione a
stampa del 1491, alcune lettere di previlegio: del Comune di Pistoia (12 settembre
1480); di Bonifacio marchese del Monferrato (24 settembre 1488); di Eleonora
d’Aragona duchessa di Ferrara (10 ottobre 1491). Oltre al testo della lettera
di Eleonora, si riproducono qui i versi scritti da Egidio da Viterbo in onore del
Ravenna e alcuni passi della prefazione che si riferiscono ad cpisodi della
vita del Ravenna. Si è usata la copia della prima edizione a stampa contenuta,
insieme ad altri tre incu- ‘ naboli, nel Cod. marciano lat. 274 della classe
VI, ai ff. 82-97v. I 82 r. Elconora de Aragona Ducissa Ferrariac etc. quod ab
omnium bonorum datore immortali deo generi humano concessum est placrique in
orbe terrarum a constitutione mundi usque ad hanc aetatem excellentes viri
evasere, quos inter nunc adest spectatus miles auratus et insignis utroque iure
consultus dominus Petrus Tomasius Ravennas harum literarum nostrarum exhibitor,
qui, practer alias corporis et animi dotes, ita omni doctrinarum genere et
tenacissima memoria refulget ut nedum superiorem, sed etiam in his parem minime
habere videatur. Quod quidem nuper latissi- me re ipsa comprobavit non solum
nos, sed etiam omnis haec civi- tas nostra testimonium perhibere potest. Qua ex
re factum est ut cum singulari admiratione precipuaque charitate complexae
inter nostros praeter alios familiarem et domesticum habere consti- tuerimus.
Quamobrem serenissimos reges, illustres principes, ex- cellentes respublicas et
alios quosqunque dominos patres fratres amicos benivolosque nostros precamur et
oramus ex animo ut quotienscunque ei contigerit ipsum dominum Petrum / tam 82
v. optime meritum cum suis famulis et equis usque ad numerum octo cum suis
bulgiis forceriis et capsis cum pannis ct vestibus suis libris vasis argenteis
et aliis cuibuscunque rebus suis ac armis per eorum urbes oppida vicos passus
aquas et loca die noc- teque liberrime et expeditissime absque alicuius datii
gabellae ct alius cuiuslibet oneris solutione amoris nostri et potissimum tam
maximarum huius hominis virtutum causa transire permit- 84 v. 92 v. 93 r. APPENDICE
IV 287 tant commendatissimumque ipsum semper habentes ci providere velint de
liberrimo expeditissimoque transitu et idonca cohorte ut opus fucrit et ipse
requisiverit. Quod quidem nobis iucundis- simum semper cerit atque gratissimum,
paratissimis ad omnia corum qui sic in eo sc habuerint beneplacita. Mandamus
autem omnibus et singulis magistratibus quoruncunque locorum nos- trorum ct
potissimum custodibus passuum reliquisque subditis nostris ut praedicta omnia
ct singula in terris et locis nostris in- violabiliter servent servarique
faciant. Sub indignationis nostrae incursu et alia quavis graviori poena pro
arbitrio nostro eis im- ponenda; ad quorum robur et fidem has nostras patentes
litte- ras ficri iussimus et registrari ct nostri maiori sigilli munimine roborari.
Datas Ferrariae in nostro ducali palatio anno nativitatis dominicae Millesimo
quatringentesimo nonagesimo primo, indic- tione nona, die decimo mensis
Octobris. Severius. Il Paduae Domino Petro memoriae magistro. Qui modo
pyramides, quid iam Babylona canamus Quid Iovis et triviae templa superba deae Non
magis immensum mirabimur amphitheatrum Nam summe facerent hoc quoque semper
opes Scipio non ultra iactet quod fecerat usus Agmina qui proprio nomine tota
vocat Petrum fama canat quam nobilis ille Ravennae est Gloria, qui plusque
docta Minerva potest Quid magni facere dei mirabile dictu Nam retinet quicquid
legerit ille semel Effatur triplici quaecunque orator in hora Protinus hic
iterum nil minus ore refert Sic reor hunc genuit doctarum quinta sororum Cui
pia musa nihil non meminisse dedit Frater Egidius Viterbiensis heremita. III. Bononiae,
Papiae, Ferrariaeque legi et qui me audierunt mul- ta memoriter scire
incoeperunt, et quamvis mea artificiosa me- moria aliorum auctoritatibus sit
comprobata, peccare tamen non puto si acta mea in hoc libello legentur quae
ipsam mirabiliter approbabunt. Dum essem iuris auditor, nec vigesimum vidissem annum,
in universitate patavina dixi mc totum codicem iuris ci- vilis posse recitare;
petii namque ut mihi leges aliquae ad arbi- trium astantium proponerentur,
quibus propositis, summaria Bar- toli dicebam, aliqua verba textus recitabam,
casum adducebam, tacta per doctores examinabam, lexque ista tot habet glosas
dice- bam et super quibus verbis erant positae recordabar, / contraria 288 93
v. 94 r. CLAVIS UNIVERSALIS allegabam et solvebam. Visum est astantibus vidisse
miraculum; Alexander Imolensis diu obstupuit, nec fabulam narro: ego palam locutus
sum in universitate Paduae ex qua in ore duorum vel trium stat omne verbum;
testes huius rei tres habco: magnificum dominum Ioannem Franciscum Pasqualicum
senatorem venetum et iuris utriusque doctorem excellentissimum apud
illustrissimum Mediolani ducem nunc legatum, clarissimum doctorem dominum Sigismundum
de capitibus listae civem nobilem patavinum cuius predictus Franciscus fuit
acutissimi ingenii iuris consultus, specta- bilem dominum Monaldinum de
Monaldiniis Venetiis commoran- tem in quo virtus domicilium suum collocavit. Lectiones
etiam Alexandri Imolensis Paduae legentis copiosis- simas memoria tencbam et
illas ex verbo ad verbum in scriptis redigebam, illas etiam postquam finierat,
astante magna audito- rum copia, a calce incipiens recitabam ex suisque
lectionibus dum in scholis audirem carmina faciebam et omnes carum partes in carminibus
positas statim replicabam; et qui hoc viderunt obstu- pucre: huius rei testes
habeo clarissimum equitem et doctorem dominum Sigismundum de capitibus listae
et filium Alexandri Imolensis qui nunc est iuris consultus celeberrimus. Centum
et quatraginta quinque auctoritates religiosissimi fra- tris Michaelis de
Mediolano Paduae praedicantis immortalitatem animae probantes, coram eo
memoriter et prompte pronunciavi, qui me amplexus est dicens: vive diu, gemma
singularis, utinam te religioni dicatum viderem. Testis est tota civitas
patavina, sed magnificum dominum Ioannem Franciscum Pasqualicum et do- minum
Sigismundum de capitibus listae et dominum Monal- dinum de Monaldiniis testes
habco. Petii ego doctor / creatus in universitate patavina, ut mihi in cathedra
sedenti, aliquis de universitate auditor unum ex tribus voluminibus digestorum
quid eligeret praesentaret locum- que in quo legere deberem designaret. Dixi
enim supra rc pro- posita innumerabiles leges allegabo. Testes sunt clarissimus iuris
utriusque doctor dominus Gaspar Orsatus Paduae iura canonica legens et
doctissimus dominus Prosper Cremonensis Paduae com- morans [....]. Semel in
schachis ludebam et alius taxillos iaciebat aliusque omnes iactus scribebat ct
ex themate mihi proposito duas / cpis- tolas dictabam. Posquam finem ludo
imposuimus omnes iactus schachorum cet taxillorum et epistolarum verba ab
ultimis inci- piens repetii; hacc quatuor per me codem tempore collocata fuerunt.
Testes sunt dominus Petrus de Montagnano et Fran- ciscus Nevolinus nobiles
patavini cives. Dum cssem Placentiae monasterium
monachorum nigrorum intravi ut illud viderem, in dormitorioque cius comitante
mona- cho quodam bis deambulans monachorum nomina quae in ostiis cellarum erant
collocavi; deinde congregatis eis nomine proprio quemlibet salutavi, licet quem
nominabam digito demonstrare 9% v. 95 r. APPENDICE IV 289 non potuissem.
Mirabantur monachi quo pacto ego peregrinus nomina eorum memoriter proferrem,
ipsis mirari non desinenti- bus, dixi tandem: hoc potuit mea artificiosa
memoria, quorum unus dixit ergo hoc Petrus Ravennas facere potuit et non alius.
In capitulo generali canonicorum regularium Paduac, prac- dicationem domini
Deodati Vincentini co ordine quo ipsam pronunciaverat recitavi astante ipsius
praedicationis auctore. Sc- mel me traxit ad sui contemplationem Cassandra,
fidelis veneta virgo excellentissima, quae dum legeret litteras serenissimae coniugis regis Ferdinandi ad se
missas, illas collocavi et recitavi; testis est illa doctissima virgo, dominus
Paulus Raimusius doctor excellens ariminensis et Angelus Salernitanus vir
clarus [....]. De mea artificiosa memoria testis est illustrissimus marchio Bonifacius
et eius pulcherrima uxor quae me egregio munere donavi; testis est
illustrissimus Hercules dux et illustrissima uxor Eleonora; testis est tota
Ferraria duas enim pracedicationes cele- berrimi verbi dei pracconis magistri
mariani heremitae recitavi, quo audito obstupuit dictus magister et dixit:
illustrissima du- cissa hoc est divinum et miraculosum opus; testis est
universitas patavina: omnes enim lectiones mceas iuris canonici sine libro quotidie
lego ac si librum ante oculos haberem, textum et glosas memoriter pronuncio ut
nec etiam minimam syllabam omittere videar. In locis autem meis quae
collocaverim hic scribere statui et quae locis tradidi perpetuo teneo, in decem
et novem litteris alphabeti vigintimilia allegationum iuris utriusque posui et codem
ordine sacrorum librorum septem milia, mille Ovidii carmina quae ab co
sapienter dicta continent, ducentas Ciceronis auctoritates, trecenta
philosophorum dicta, magnam Valeri Ma- ximi partem, naturas fere omnium
animalium bipedum et qua- drupedum quorum auctoritatum singula verba collocavi,
et quando vires arti / ficiosae memoriae experiri cupio, peto ut mihi una ex
litteris illis alphabeti proponantur, super qua pro- posita allegationes
profero, et ut clare intelligas, exemplum ha- bes: proposita est mihi nunc
littera A in magno doctorum vi- rorum conventu, et statim a iure principium
faciens, mille alle- gationes et plures proferam de alimentis, de alienatione,
de ab- sentia, de arbitris, de appellationibus et de similibus quac iure nostro
habentur incipientibus a dicta littera A; deinde in sacra scriptura de
Antichristo, de adulatione et multas allegationes sacrae scripturae ab illa
littera incipientes pronunciabo, carmina Ovidii, auctoritates Ciceronis et
Valerii non omittam, de asino de aquila de agno de ‘accipitre de apro de ariete
auctoritates allegabo, et quaecumque dixero ab ultimis incipiens velociter repetam
[. APPENDICE V. TRE MSS. DI ARS MEMORATIVA DEL TARDO SEC. XVI. Una posizione
come quella del Rosselli, che pure si muove nell’ambito della tradizione
“ciceroniana” e non ha contatti con il lullismo, appare per molti aspetti assai
vicina a quella che verrà poi assunta da Bruno. Non mancarono tuttavia, an- che
sul finire del secolo, trattazioni di ars memorativa con- dotte secondo i
canoni più tradizionali della mnemotecnica “classica”. Più che altro per amore
di completezza, si dà qui conto di tre testi manoscritti che risentono
fortemente di que- ste impostazioni tradizionali. Nel primo di questi testi,
con- servato nel ms. Palatino 885 della Nazionale di Firenze (Cod. cart.
miscell. sec. XIV, XV, XVI di carte 466. Ai ff. 289r.- 313v. è un anonimo
trattato di mnemotecnica: /Inc.: Queritur primo, quare, antequam hanc,
artificialem memoriam non in aperto tradiderunt. Expl.: Vox continua est de
quantitate con- tinua. Grafia del sec. XVI) ritorna, secondo gli schemi ormai ben
noti, la trattazione dei luoghi e delle immagini. Nel se- condo,
l’ashburnhamiano 1226 della Laurenziana (Cod. cart. in folio di carte 71, fine
del sec. XVI) riscontriamo quel feno- meno, che abbiamo visto tipico, di una
trasformazione dei trat- tati di retorica in una ordinata e sistematica
classificazione di nozioni. L'arte della memoria non è qui fatta oggetto di
spe- cifica trattazione; gli intenti mnemonici risultano chiari dalla disposizione
della materia, ordinata in tavole. Si veda per cs. al fol, l1v.: «La Rhetorica
è un’arte di trovare ciò che in ogni cosa sia acconcio a persuadere. Le fedi
con le quali si per- suade sono: Dell’arte cotai sono: nella vita e nei costumi
del- l’Oratore, in mover l’animo del giudice, nell’oratione quando si prova o
par che si prova alcuna cosa. Questa maniera di fede si prova e si tratta
dall’Oratore. Fuori dell’arte cotai sono : leggi, patti, testimoni, tormenti,
giuri. Quest’altra maniera di fede si tratta solamente dall’Oratore ». Del
terzo manoscritto (II, 1, 13, già Magliab. della Nazionale di Firenze, Cod.
cart. in folio grande di carte 48) già segnalato dalla Yates, si cono- scono
invece sia l’autore, sia il luogo e la data di composizione. APPENDICE V 291 Scritto
da frate Agostino Riccio nel Convento di Santa Maria Novella nel 1595, il
trattato si rivolge « alla gioventù fioren- tina studiosa di lettere ». La
Yates (The Ciceronian Art of Memory, in Medioevo e Rinascimento, Studi in onore
di B. Nardi, Firenze 1955, p. 899) ha visto in questo scritto « qual- cosa di
meno astratto che i trattati del Romberch e del Ros- selli ». In realtà
l’operetta del Riccio appare in tutto con- venzionale, ultima eco di una
tradizione che si andava ormai spegnendo. Tuttavia, anche in questo testo, non
manca un elemento di novità rispetto alle fonti classiche. Allo scopo di imprimere
meglio nella mente del lettore le regole dell’arte della memoria, vengono qui
impiegati immagini e simboli: in altri termini, per esprimere i precetti che
insegnano a « col- locare » le immagini, ci si serve di altre, più complesse
imma- gini. Dello stesso accorgimento già aveva fatto uso il Bruno nella
Explicatio triginta sigillorum del 1583. Ir. Essendo la memoria madre delle
scienze poi che quello che vera- mente si sa che si ritiene nella memoria
impresso, utilissima è l’arte che rende perfetta questa natural potenza. Di
essa da molti sono stati scritti vari libri, ma non però ho stimato ch’a me sia
negato il formare questo trattato nel quale sotto la simi- litudine d’un
potentissimo Re ch’appresso di sé ha due consi- glieri e tre valorosi capitani
et un servo che provede ciò che fa di bisogno, brevemente e chiaramente ho
ridotto in sette precetti la somma di quest'arte et a voi la dono. 7r. /
Seconda regola o Primo consiglier o luoghi, son nominati da me, ché tutti
questi tre nomi significano una cosa medesima come si dichiara per la figura
dipinta a uso d’huomo consigliere del Re, ché detto consigliere tiene una mano
sopra a un map- pamondo dipinto nel quale si vede città, terre, castelli, case,
botteghe, così anco chiese, palazzi, vie, piazze, conventi di reli- giosi e a
molte altre cose [....] / 17 v. Però io ho fatto molti Alfabeti diversi acciò
che tu gli legga e vi facci pratica, un Alfabeto è di fiumi laghi e pesci, un
di pietre preziose e tutte l'altre pietre insieme, un d’'erbe c piante piccole,
un di fiori, un d’alberi e frutti grandi, un d’animali grandi e piccoli... un
di città, un di casati fiorentini, un d'arti meccaniche e liberali o exercitii
o servitù che si faccino per guadagnare, un d'huomini honorati [....]. APPENDICE
VI. IL PETRARCA MAESTRO DI ARTE DELLA MEMORIA In un saggio più volte citato nel
corso di questo libro (The ciceronian Art of Memory, nel vol. Medioevo e
Rinascimento, Studi in onore di B. Nardi, Firenze, 1956, pp. 889-894) la Yates
ha segnalato una serie di testi di ars memorativa nei quali compaiono espliciti
richiami al Petrarca. Nel Congesto- rium artificiose memorie, pubblicato a
Venezia nel 1520, Johan- nes Romberch si richiama più volte al Petrarca
attribuendogli anche la paternità di non poche affermazioni di carattere “tec- nico”
sui /oci e sulle imagines (pp. 20r., 28r., 29r.); nella Plutosofia di Filippo
Maria Gesualdo (Padova, 1592, p. 14r.) il Romberch viene addirittura
qualificato un seguace della mne- motecnica del Petrarca; nella Prazza
universale (Venezia, 1578, Disc. LX) Tommaso Garzoni include il Petrarca fra i
più noti cultori di mnemotecnica; Lambert Schenkel nel Gazophy- lacium artis
memoriae (Argentorati, 1610, pp. 26-28), dopo aver riportato un lungo passo dei
Rerum memorandarum libri (ediz. di Basilea, 1581, I, p. 408; ediz. G.
Billanovich, Firenze, 1943, pp. 46, 48), fermi che l’arte mnemonica fu dal Pe- trarca
«avide susceptam et diligenter excultam » (Gazophy- lacium, cit., p. 28). Gli
sparsi accenni alla memoria, alla memoria artificiale, agli illustri esempi di
prodigiosa memoria presenti nell’opera del Petrarca sono stati elencati, con la
precisione che le è consueta, dalla Yates: nessuna specifica regola di
mnemotec- nica, né alcuna esaltazione o raccomandazione dell’ars memo- riae —
della cui divulgazione il Petrarca era tuttavia a cono- scenza («Itaque minus
miror tantis nature preditum mune- ribus artificiosam memoriam contempsisse,
que tum primum in Grecia reperta, apud nos hodie vulgata est », Rerum mem. libri,
ediz. Billanovich, p. 46) — è presente nell'opera dell’au- tore del Canzoniere.
La tradizione che vede nel Petrarca un “classico” della letteratura sulla
memoria non nasce tuttavia dal semplice desiderio — così diffuso negli autori
di questi trattati — di invocare sempre nuove “autorità”. Essa ha ori- APPENDICE VI 293
gini precise: « I think one can see how the tradition about Petrarch as an
advocate of the classical mnemonic arose. Eve- ryone knew that the great
scholastics in treating memory as a part of prudence had recommended the
artificial memory. It was therefore supposed that when Petrarch treated memory as
a part of prudence by giving amongst his exempla the me- mories of great
classical rhetors in which he made allusions to the classical mnemonic, he
thereby meant — though in his own ’humanist’ way — to recommend it. And it was
pro- bably further supposed that in the description of the memory of his friend
he was describing the feats of a modern ’ artift- cial memory” based on the
practice of the ancients. This was certainly the assumption made by Lambert
Schenkel, in the passage referred above » (p. 893). Con le conclusioni della Yates sembra difficile non
concor- dare, anche se l’unico passo del quale disponiamo per renderci conto
delle origini di questa curiosa tradizione, contiene affer- mazioni che solo
parzialmente confortano le affermazioni ora citate: «Qui autem aequus rerum
aestimator, considerans quae ex Francisco Petrarcha hic citata sunt, nempe
artificio- sam memoriam sua aetate vulgatam fuisse, militem illum ami- cum ab
adolescentia multorum itinerum individuum comitem ipsi fuisse, saepe totos dies
et noctes colloquiis traductos, alias- que circumstantias, ac maximam
occasionem consequendae huius artis, vel ab ipso, qui eam tali amico, viro tam
docto, negare non putuisset, vel ab aliis, iudicet illam ab ipso esse neglectam;
praesertim cum memoriae illius excellentia, com- muni omnium fama, celebretur
et a scriptoribus in numerum illorum relatus sit qui admirabili memoria
insignes fuerunt, ac scripta facile testentur quantus ille orator, quantus
poeta latinus, quodque italorum poetarum princeps habeatur, unde recte
colligitur artem memoriae avide ab illo fuisse susceptam et diligenter
excultam, atque maximo sibi in studiis omnibus adiumento et ornamento fuisse ».
(Gazophylacium, cit., p. 28). Comunque stiano le cose, è certo che la
tradizione del Pe- trarca maestro e teorico della memoria artificiale si
estende molto al di là dei limiti cronologici indicati dalla Yates (« the tradition
of associating Petrarch with mnemonics goes on even into the early seventeenth
century », p. 890). Negli scritti di Jean Belot pubblicati nel 1654 e in
seguito riediti nel 1669, 294 CLAVIS UNIVERSALIS 1688, 1704, il nome del
Petrarca compare accanto a quelli di Pietro da Ravenna e di Giordano Bruno (Les
oeuvres de M. Jean Belot contenant la chiromance, physionomie, l'art de memoire
de Raymond Lulle, Lyon, 1654, p. 334). Nella lunga nota integrativa apposta dal
Diodati alla voce Mémotre del- l’Enciclopedia di Diderot (Ediz. di Lucca, 1767,
p. 263) ritro- viamo in pieno Settecento, accanto a quelli di Pietro da Ra- venna,
di Jacopo Publicio, del Romberch, di Cosma Rosselli, il nome di Francesco
Petrarca. APPENDICE VII. UNO SCRITTO INEDITO DI GIULIO CAMILLO Di carattere
teologico e cabalistico è uno scritto inedito del Camillo sul quale ha di
recente richiamato l’attenzione E. Garin (« Giornale crit. della filosofia
italiana », 1959, 1, p. 159). Cfr. E. MANDARINI, / codici manoscritti della
Biblioteca Orato- riana di Napoli, Napoli, 1897, p. 122 e il Ms. Pil. XV, n.
ll, in 4°, sec. XVI, di cc. 55 non numerate. Lo scritto del Camillo inizia con
un proemio caratteristico nel quale fra l’altro si af- ferma: « Et perché né
più degno soggetto, né più alto si tratta del Sommo Dio, contenendo la presente
Opera l’interpretazione dell’Arca del Patto, per la quale si ha la vera
Intelligenza delli tre Mundi, cioè Sopra Celeste, Celeste et Inferiore, onde ne
risorge la vera Cognitione Theologica, over Divina che dir vogliamo, qui è
esponuto il Senario Canone Pitagorico et sfor- bito dal Ternario, cioè Artifex,
Exemplar, Hyle. Qui è dichia- rato cos'è Materia, Forma et Privatione. Qui più
luoghi delle Sacre pagine enodati et de oscuri fatti chiari. Qui vedrai ac- cordata
la Pitagorica, et Platonica disciplina, con la philoso- phia et theologia
nostra ». Di questo stesso testo del Camillo ho trovato un altro esemplare nel
Ms. Aldino 59 della Bibl. Univ. di Pavia (Ms. cart. del sec. XVI, di cc.
scritte e nume- rate 95, legatura in cartone, mm. 185 * 147). Anche qui, come nell’esemplare
napoletano, segue un trattato De Transmuta- tone. Si veda a fol. 40r.: « Tre
esser le une transmutationi, cioè: la Divina, quella delle Parole, et quella
ch'è pertinente alli Metalli. Et tutte tre fra loro haver una maravigliosa
corri- spondenza ». Al fol. 46r. sono ricordati Agrippa e Giovanni da
Rupescissa. Le cc. 51r. segg. contengono una trascrizione dall’edizione veneta
del 1548 della Porta della luce santa. APPENDICE VIII. ESERCIZI DI MEMORIA NELLA
GERMANIA DEL SEC. XVII Com'è noto, i testi mnemotecnici di Pietro da Ravenna prima,
e di Giordano Bruno poi, ebbero grande risonanza negli ambienti della cultura
tedesca. Il brano qui di seguito trascritto costituisce un singolare documento
dell’interesse, prc- sente anche in ambienti accademici dei primi anni del
secolo XVII, per quegli esercizi di memoria che avevano avuto gran voga durante
il Cinquecento, soprattutto in Italia e in Ger- mania. A questi divertimenti
(recitare per esempio indiffe- rentemente dal principio alla fine o dalla fine
al principio una filza di qualche centinaio di termini o di espressioni
inusitate) si dedicavano del resto anche non pochi fra i maggiori emble- matisti
del Seicento. Come ha ricordato M. Praz (Studi sul concettismo, Firenze, 1946,
p. 233) il gesuita padre Menestrier, celebratissimo autore di un centinaio di
opere di emblematica, faceva mostra della sua prodigiosa memoria davanti a
Cristina di Svezia servendosi di esercizi di questo tipo. Il testo che segue è
tratto da Joannes Paepp, Schenkelius detectus seu me- moria artificialis
hactenus occultata, Lugduni, 1617, pp. 30 - 39 (copia usata: Trivulziana, Mor.
M. 17). Negli scritti del Paepp (cfr. anche Artficiosae memoriae fundamenta ex
Aristotele, Ci- cerone, Thoma Aquinate ecc., Lugduni, 1619, e Introductio facilis
in praxin artificiosae memoriae, Lugduni, 1619) è parti- colarmente
interessante il tentativo di fondereinsieme le figure della combinatoria
lulliana e quelle in uso nella mnemotecnica “ciceroniana”. Il Goclenius,
nominato nel testo, è personag- gio assai noto. Si vedano su di esso: Morhof, Polyhistor lite- rarius
philosophicus et practicus, Lubecca, 1732, II, p. 455 e L. Thorndike, History
of Magic and Experimental Science, New York, 1951, V, p. 326; VI, pp. 137, 368,
485, 506. Die XXIX Sept., styli veteris anni, MDCII, hora octava matutina convenerunt
ad aedes celeberrimi ac magni illius philosophi et profes- soris D. Rudol.
Goclenii, clariss. vir ac D. Henricus Ellenbergerus praeclarus medicinae doctor
et professor, D. Mathias à Sichten Dan- tiscanus Borossus, ct M. Christophorus
Bauneman Maior stipendiaro- APPENDICE VIII 297 rum. Petitque Schenkelius a D. Goclenio er D. Ellenbergero
dictari XXV sententias, quas ipsc calamo excepit, pracposita cuique nota arith-
metica, deinde intro vocavit ingenuum ac doctum adolescentem Dn. lustum
Ingmannum, Cassellanum Hessum iuris ac philosophiae studio- sum cui cae omnes
ordine prelectae sunt a Schenkelio, singulae bis interiecto aliquantulo more,
omnibusque dictis tacitus aliquantisper sedit. Deinde exorsus loqui a prima ad
ultimam ordine recto et retro- grado ab hac ad illam sine mora, haesitatione
aut errore recitavit. Cum vero bis terve evenisset ut dictionem unam alteri
pracponeret, ac bis ut synonymum pro synonymo in quibus facillimus est lapsus
ita pro sic, limites pro fines, unico hoc verbo admonitus, dic ordine dixine
ita? synonymum ponis: statim et eadem substituit vocabula et suo ordine. Postremo
intercalari ordine quolibet expresso numero statim sententiam, aut dicto primo
cuiuslibet sententiae vocabulo confestim numerum indi- cavit. Tum rogavit Dn. Iungmannum
Schenkelius an vellet aliquas praeterea
sententias adiici. Alacri animo XXV alias addi optavit. Verum Schenkelio
respondente nimis multas fore, quindecim pettit; quas arti applicatas eadem
dexteritate promptitudine qua superiores quolibet or- dine et separatim et cum
aliis coniunctim intercalari repetiit. Fuerunt autem sententiae sequentes: 1. Omnia sunt
fucata, nihil candoris in aula est. 2. Animus philosophi debet esse in sagina,
corpus in macie. 3. Ut planctae saepius translatae raro
perveniunt ad frugem, sic et ingenia vagabunda [....]. 39. Timiditas
ignorantiam audacia temeritatem arguit. 40. Iuvandi non oppugnandi sunt qui
nobis iecere fundamenta sa- pientiae. Si inter alias a Dominis aliquae
dicerentur sententiae paulo tritiores quas coniiciebat D. Iungmannum antea
memoriter scire, id sincere Do- minis indicavit Schenkelius aliasque illarum
loco accepit. Si quoque aliquae iusto breviores videbantur petivit addi
aliquid. Ut factum in XXIII
et XXIV. Sequenti die XXX Septembris denuo
convenerunt su- pra nominati domini ad acdes D. Mathaei Schrodij pharmacopolae hora
nona et ab cisdem dictata sunt quinquaginta vocabula a Schenc- kelio excepta;
et intro vocato Dn. Iungmanno singula semel praelecta, relicto ipsi paululum
morae ad cogitandum et applicandum arti, deinde a primo ad ultimum ordine recto
ab hoc ad illud retrogrado, postea intercalari quocunque numero dicto subiecit
vocabulum, et contra no- minato quolibet vocabulo numerum sine mora,
haesitatione vel errore. Interrogavit
Schenckelius an placeret dominis plura dare. Videlicet: numerum illum duplicatum? Quod desiderabat
quidem Dn. Iungman- nus, sed responderunt sufficere, nec se dubitare quin
possit multo plura codem modo recitare. Postea Schenckelio conquestus est Dn.
Iungman- nus dolere se quod non ad quinquaginta sententias et centum vocabula esset
processum, haud dubie se optime repetiturum fuisse; fuerunt au- tem sequentia: 298
CLAVIS UNIVERSALIS I. Gobius, 2. Peristroma, 3. Ficedula, 4. Ephipium, 5.
Phalerae, 6. Canabis [....], 49. Mantica, 50. Locaria. Rursus oblatis a Schenckelio
Dominis ducentis sententiis in quibus sc exercuerat, Dn. Iungmannus dum specimini se praepararet, et quas iam
memoria tenebat; una cum quadraginta heri pro specimine dicti- tatis, quibus
pracpositac crant notae arithmeticae. Rogavit ut expri- merent quemlibet
numerum et Dn. Iungmannus statim corresponden- tem diceret sententiam quod
factum est feliciter, non sine praesentium admiratione. Cum praesertim magno id
fieret numeri intervallo. E. g. dic 235, dic 27, dic 9, dic 240, dic 228...
etc. Postremo Dominis sunt oblata 250 vocabula scripta in quibus partim se
privatim ad specimen praepararat, partim cum Schenckelio cexercuerat ita ut
illa quoque memoria tencret; quibus iam cadem hora erant apposita 50 alia, ut cum
prioribus trecenta efficerent; et petivit Schenckelius ut Domini quem vellent
numerum proferrent. Quod ita ut modo dictum est de sententiis fecerunt et
statim Dn. Iungmannus vocabulum quodque red- didit. Si semel aut bis non
diceret ipsam sententiam aut vocabulum servato prorsus ordine vocum, monitus
rem acu non esse tactam, veram aut sententiam aut vocabulum illico restituit.
Dic subsequenti primo Octobris interfuit Dn. Iungmannus concioni publicae R. D.
Doc- toris Winckelmanni Concionatoris ac Professoris celcberrimi quam etiam
valde attente audiverunt, ut certius de specimine iudicare pos- sent Eximius
Med. Doctor et Professor Ellenbergerus et D. ac M. Chris- tophorus
Baunemmannus, qui una cum Schenckelio concione absoluta iverunt recta ad aedes
pracclariss. D. Goclenii, ut coram ipsis cam repcteret, quod fecit ita prompte
ct exacte ut nihil ex tota concione esset practermissum. Haec omnia ita ut supra fideliter relata sunt se
habere testamur cum ea nobis praesentibus, videntibus sententias et vocabula
dictanti- bus, gesta sint et probata, omni fraude et dolo seclusis. In quorum fidem
hoc veritati non minus quam equitati debitum testimonium nominibus nostris
subscriptis siglillisgue munitum libenter Schenckelio vel non roganti dedimus. Marpurgi Hassorum anno,
mense, die supra- positis. Rod. Goclenius L. Professor Henricus Ellenbergerus
Med. Doctor et Professor Mathias à Sichten Dantiscanus Borossus Cristophorus
Bauneman Maior stipend. APPENDICE IX. LA
VOCE ART MNEMONIQUE NELL’ENCICLOPEDIA DI DIDEROT Commentando la voce Mémoire
della grande Enciclopedia, il Diodati rimpiangeva che l’autore della dotta
dissertazione non avesse fatto seguire alla trattazione della memoria natu- rale
una esposizione, altrettanto ampia e precisa, delle regole della memoria
artificiale (Ediz. di Lucca, 1767, X, pp. 263-64). Per rimediare a questa
lacuna il Diodati ripeteva alcuni dei più tradizionali concetti della
mnemotecnica di origine “cice- roniana”; aggiornava l’elenco degli uomini
dotati di prodi- giosa memoria aggiungendo ai nomi di Plinio, di Aulo Gel- lio,
di Cinea, di Ciro, di Seneca e di Pico, quello del Maglia- bechi; si richiamava
ai nomi dei maggiori trattatisti; elencava infine alcune regole di medicina
della memoria e i principali precetti dell’arte della memoria locale. La lacuna
che aveva scandalizzato il buon Diodati, non esiste affatto nell’ Enciclopedia.
Nel primo volume dell’opera (che lo stesso Diodati aveva annotato e pubblicato
nove anni prima) un’intera sezione della lunga voce Art appare dedicata alla
trattazione dell'Art mnémonique. Del testo, che è opera dell’Yvon (sulla cui
figura e posizione intellettuale cfr. F. VEx- tuRI, Le origini dell’
Enciclopedia, Roma-Firenze, 1946, pp. 40-48) si trascrivono qui di seguito le
parti essenziali. Nella identificazione dell’arte mnemonica con la logica,
nell’appello alla chiarezza e alla distinzione, nell’idea di un ordinamento delle
idee in una catena di premesse e di conseguenze, infine nel deciso rifiuto di
ogni forma di “memoria artificiale” tradi. zionalmente intesa sono evidenti le
influenze delle posizioni cartesiane. Le due opere alle quali l’autore fa
riferimento sono: Marius D’Assicny, The Art of Memory, London, 1697 e Wix- KELMANN
(che è pseudonimo di Stanislaus Mink von Venus- sheim), Logica mnemonica sive
memorativa, Halae Saxo- num, 1659. On appelle ar: mnemonique la science des moyens qui
peuvent servir pour perfectionner la mémoire. On admet ordinairement quatre de
ces sortes de moyen: car on peut y employer ou des remedes physi- 300 CLAVIS
UNIVERSALIS ques, que l’on croit propres à fortifier la masse du cerveau; ou de
certaines figures et schématismes, qui font qu’une chose se grave mieux dans la
mémoire; ou des mots techniques, qui rappellent facilement ce qu’on a appris;
ou enfin un certain arrangement logique des idéesen les plagant chacune de
facon qu’elles se suivent dans un ordre naturel. Pour ce qui regarde les remedes physiques, il est
indubitable qu’un régime de vie bien observé peut contribuer beaucoup à la con-
servation de la mémoire, de méme que les excès dan le vin, dans la nourriture,
dans les plaisirs, l’affoiblissent. Mais il n'est pas de méme des autres remedes que
certains auteurs ont reccomandés... qu'on peut voir dans l'art mmnemonique de
Marius d’Assigny, auteur anglois... D’autres ont eu recours aux schématismes.
On sait que nous retenons une chose plus facilement quand elle fait sur notre
esprit, par les moyens des sens cxtérieurs, une impression vive. C'est par
cette raison qu'on a tiché de soulager la mémoire dans ses fonctions, en
réprésen- tant les idées sous de certaines figures qui les expriment en quelque
facon. C'est de cette manière qu'on apprend aux enfans, non seule- ment à
connoître les lettres, mais encore à se rendre familiers les principaux
évenemens de l’histoire sainte et profane. Il y a méme des auteurs qui, par une
prédilection singuliere pour les figures, ont appliqué ces schématismes à des
sciences philosophiques. C'est
ainsi qu'un certain Allemand, nommé Winckelmann, a donné toute la logique
d'Aristote en figures... Voici aussi comme il définit la Logique. Aristote est
représenté assis, dans une profonde méditation : ce qui doit signifier que la
Logique est un talent de l’esprit et non pas du corps; dans la main droite il
tient un clé: c’est-a-dire que la Logique n'est pas une science, mais un clé
pour les sciences; dans la main gauche il tient un marteau: cela veut dire que
la Logique est une habitude instrumentale; et enfin devant lui est un étau sur
lequel se trouve un morceau d'or fin et un morceau d'or faux pour indiquer que
la fin de la Logique est de distinguer le vrai d’avec le faux. Puisqu'il est certain que
notre immagination est d’un grand secours pour la mémoire, on ne peut pas
absolument rejetter la méthode des schématismes, pourvà que les images n’ayent
rien d'extravagant ni de puérile, et qu'on les applique pas à des choses qui
n’en sont point du tout susceptibles. Mais c’est en cela qu'on à manqué en
plusieurs fagons: car les uns ont voulu désigner par des figures toutes sortes de
choses morales et métaphysiques; ce qui est absurde, parce que ces choses ont
besoin de tant d’esplications, que le travail de la mémoire en est doublé. Les
autres ont donné des images si absurdes et si ridi- cules, que loin de rendre
la science agréable, elles l’ont rendu dégot- tante. Les personnes qui
commencent à se servir de leur raison, doivent s'abstenir de cette méthode, et
tàcher d’aider la mémoire par le moyen du jugement. Il faut dire la méme chose de la mémoire que l'on
appelle teckni- que. Quelques-uns ont
proposé de s’immaginer une maison ou bien une ville, et de s'y représenter
différens endroits dans lequels on pla- ceroit les choses ou les idées qu'on
voudroit se rappeller. D'autres, au APPENDICE IX 301 lieu d'une maison ou d’une
ville, ont choisi certains animaux dont les lettres initiales font un alphabet
latin. Ils partagent chaque membre de chacune de ces bétes en cinq parties, sur
lesquelles ils affichent des idées; ce qui leur fournit 150 places bien
marquées, pour autant d'idées qu’ils s'y imaginent affichées. Il y en a
d’autres qui ont eu recours è certains mots, vers, et autres choses semblables:
par exemple pour re- tenir les mots d’Alexandre, Romulus, Mercure, Orphée, ils
prennent les lettres initiales qui forment le mot armo; mot qui doit leur
servir à se rappeller les quatre autres. Tout ce que nous pouvons dire là-des- sous
c'est que tous ces mots et ces verbes techniques paroissent plus difficiles à
retenir que les choses mémes dont ils doivent faciliter l'étude. Les moyens les
plus sùrs pour perfectionner la mémoire, sont ceux que nous fournit la Logique;
plus l’idée que nous avons d'une chose est claire et distincte, plus nous
aurons de facilité à la retenir et à la rappeller quand nous en aurons besoin.
S'il y a plusieurs idées, on les arrange dans leur ordre naturel de sorte que
l’idéc principale soit suvie des idées accessoires, comme d’autant de
consequences; avec cela on peut pratiquer certains artifices qui ne sont pas
sans utilité: par exemple, si l’on compose quelque chose, pour l’apprendre
ensuite par coeur, on doit avoir soin d’écrire distinctement, de marquer les
différen- tes parties par de certaines séparations, de se servir des lettres
initiales au commencement d’un sens; c'est ce qu'on appelle la mémotre
locale... Les anciens Grecs et Romains parlent en plusieurs endroits de l'art
mnemonique Cicéron dit, dans le Liv. II
de Orat. c. LXXXVI que Simonide l’a inventé. Ce philosophe étant en Thessalie,
fut invité par un nommé Scopas; lors qu'il fut à table, deux jeunes gens le
firent appeller pour lui parler dans la cour. A_peine Simonide fut-il sorti,
que la chambre où les autres étoient restés, tomba et les écrasa tous. Lors- qu’on voulut les
enterrer, on ne put les reconnoître, tant ils étoient défigurés. Alors
Simonide, se rappellant la place où chacun avoit été assis, les nomma l’un
après l’autre; ce qui fit connoître, dit Cicéron, que l'ordre étoit la
principale chose pour aider la mémoire. APPENDICE
X. D’ALEMBERT E I CARATTERI REALI La voce Caractère della grande Enciclopedia
(i caratteri tipografici vengono trattati dal Diderot in un'ampia voce Ca- ractères
d'imprimerie) risulta dalla collaborazione di vari au- tori. Dopo alcune
brevissime definizioni dell’ Eidous che di- stingue fra suoni e segni o figure
e fa risalire l’origine dei carat- teri ai primi rozzi disegni tracciati sui
corpi materiali, d’Alem- bert tratta brevemente della scrittura in generale
cinviando: per una trattazione più analitica, alle voci Langue e Alphabet. Ai
caratteri egiziani accenna in poche righe, rimandando alle voci Hiéroglyphe ec
Symbole, il celebre grammatico Du Mar- sais. Seguono nell’ordine: una colonna c
mezzo di d’Alem- bert dedicata ai caratteri reali e al problema della lingua
uni- versale; una descrizione dei caratteridei vari alfabeti e dei segni
impiegati in geometria e trigonometria di La Chapelle; una breve voce sui
Caractères dont on fait usage dans l' arith- metique des infinis ancora di
d’Alembert; infine una colonna circa del Venel sui Caractères de la Chimie. Si
vuol qui richiamare l’attenzione sul secondo dei tre “pezzi” scritti dal
d’Alembert. In questo testo troviamo pre- sente la contrapposizione baconiana
dei “caratteri reali” (che esprimono non suoni o lettere, ma cose) ai
“caratteri nomi- nali” (o normali lettere alfabetiche); vediamo ripreso il
paral- lelo, presente nel De augmentis di Bacone e nell’ Essay di Wilkins, tra
gli ideogrammi cinesi e i caratteri reali che pos- sono essere letti e compresi
indipendentemente dalla lingua che effettivamente si parla; vediamo brevemente
esposti i risul- tati cui erano giunti lo stesso Wilkins, George Dalgarno e Francis
Lodowick; le riflessioni di Leibniz sulla caratteristica e sulla lingua
universale (di questi interessi non fa cenno la voce Lerbnittanisme ou
philosophie de Leibniz) vengono infine poste in un rapporto di diretta
derivazione con le dottrine dei due autori inglesi. Le opere del Dalgarno, dello
Wilkins, del Lodowick alle quali d’Alembert fa riferimento nel testo sono
nell’ordine: Ars signorum, vulgo character universalis et lingua philoso- APPENDICE
X 303 phica, Londra, 1661; Essay towards a real character and a phi- losophical
language, Londra, 1668; The grundwork or foun- dation laid (or so intended) for
the framing of a new perfect language, Londra, 1652. Les hommes qui ne
formoient d'abord qu'une société unique, ct qui n’avoient par conséquent qu’une
langue et qu'un alphabet, s'étant extrémement multipliés, furent forcés de se
distribuer, pour ainsi dire, en plusieurs grandes sociétés ou familles, qui
séparées par des mers vastes ou par des continens arides, ou par des intéretéts
differens, n'avoient presque plus rien de commun entr'elles. Ces circonstances occasionnerent
les différentes langues cet les différens alphabets qui se sont si fort
multipliés. Cette diversitt de caracteres dont se servent les différentes
nations pour exprimer la méme idée, est regardée comme un des plus grands obstacles
qu'il y ait au progrés des Sciences: aussi quelques auteurs pensant à
affranchir le genre humain de cette servitude, ont proposé des plans de
caracteres qui pussent ètre universels, et que chaque na- tion pùt lire dans sa
langue. On voit bien qu’en ce cas, ces sortes de caracteres devroient étre
réels et non mominaux, c'est-a-dire exprimer des choses, et non pas, comme les
caracteres communs, exprimer des lettres ou des sons. Ainsi chaque nation
auroit retenu son propre langage, et cependant auroit été en état d’entendre
celui d'une autre sans l’avoir appris, en vo- yant simplement un caractere récl
ou universel, qui auroit la méme signi- fication pour tous les peuples, quels
que puissent étre les sons, dont chaque nation se serviroit pour l’'exprimer
dans son langage particulier : par cxemple, en voyant le caractere destiné à
signifier Sorre, un An- glois auroit lù o drink, un Frangois dorre, un Latin
bidere, un Grec riverv, un Allemand trincken, et ainsi des autres; de méme
qu'en voyant un cleval, chaque nation en exprime l’idée à sa maniere, mais toutes
entendent le mème animal. Il ne
faut pas s’'imaginer que ce caractere réel soit une chimere. Le Chinois et les Japonois
ont déjà, dit-on, quelque chose de semblable: ils ont un caractere commun que
chacun de ces peuples entend de la méme maniere dans leurs différentes langues,
quoiqu’ils le prononcent avec des sons ou des mots tellement différens, qu’ils
n’entendent pas la moindre syllabe les uns des autre quando ils parlent. Les
premiers essais, ct méme les plus considérables que l’on ait fait en Europe
pour l’institution d’une langue universelle ou philosophique, sont ceux de
l’évèéque Wilkins et de Dalgarme: cependant ils sont demeurés sans aucun effet.
M. Leibnitz a eu quelques idées sur le méme sujet. Il pense que Wilkins et
Dalgarme n’avoient pas rencontré la vraie méthode. M. Leibnitz convenoit que
plusieurs nations pourroient s'entendre avec les caracteres de ces deux
auteurs: mais, selon lui, ils n’avoient pas attrapé les véritables caracteres
réels que ce grand philosophe regardoit comme l’instrument le plus fin dont
l’esprit humain pùt se servir, et 304 CLAVIS UNIVERSALIS qui devoient, dit-il,
extrémement faciliter et le raisonnement, et la mémoire, et l’invention des
choses. Suivant l’opinon de M. Leibnitz, ces caracteres devoient ressem- bler à
ceux dont on sc sert en Algebre, qui sont effectivement fort simples, quoique
très-expressifs, sans avoir rien de superflu ni d’equi- voque, et dont au reste
toutes les variétés sont raisonnées. Le caractere réel de l'Evéque Wilkins fut
bien regu de quelques savans. M. Hook le recommande après en avoir pris une
exacte connois- sance, et en avoir fait lui-méme l'experience: il en parle
comme du plus excellent plan que l'on puisse se former sur cette étude, il a eu
la complaisance de publier en cette languc quelques-unes de ses décou- vertes. M.
Leibnitz dit qu'il avoit en vàe un alphadet des pensées humaines, et mèéme
qu'il y travailloit, afin de parvenir à une langue philosophi- que: mais la
morte de ce grand philosophe empécha son projet de venir en maturité. M. Lodwic
nous a communiqué, dans les transactrons plulosophi- ques, un plan d’un
a/phabet ou caractere universel d’une autre espece. Il devoit contenir une
énumération de tous les sons ou lettres simples, usités dans une langue
quelconque; moyennant quoi, on auroit été en état de prononcer promptement et
exactement toutes sortes de langues; et de d’écrire, en les entendant
simplement prononcer, la prononciation d’une langue quelconque, que l'on auroit
articulée; de maniere que les personnes accoùtumeées à cette langue,
quoiqu'elles ne l’eussent jamais entendu prononcer par d'autres, auroient
pourtant été en état sur le champ de la prononcer exactement: enfin cc
caractere auroit servi comme d’étalon ou de modele pour perpétuer les sons d’une
langue quelconque. Dopo aver
accennato a tentativi più recenti (Journal Litté- raire del 1720, sul quale
cfr. L. Coururat-L. Leau, Historre de
la langue universelle, Paris, 1907, pp. 29 segg.), d'Alembert concludeva
scrivendo: « Mais ici la difficulté est bien moins d’inventer les caractères
les plus simples, les plus aisées, et les plus commodes, que d’engager les
différentes nations à en faire usage; elles ne s’accordent, dit M. Fontenelle,
qu’ì ne pas en- tendre leurs intéréts communs ». La sua sfiducia concerneva quindi, esclusivamente, la
possibilità di una realizzazione pra- tica. Su questo punto le opinioni dei
collaboratori all’Enciclo- pedia si configurano variamente. Per rendersene
conto basterà confrontare la voce Langage nella quale veniva esplicitamente rifiutata
la possibilità, anche teorica, di una lingua universale («Puisque du différent
génie des peuples naissent les diffé- rents idiomes, on peut d’abord décider
qu'il n’en aura jamais APPENDICE X 30)5 d’universel ») con la voce Langue nella
quale veniva esplicita mente riaffermata la speranza in una pratica
realizzazione della lingua universale: « Mon dessein n’est pas au reste de former
un langage universel à l’usage de plusieurs nations. Cette entreprise ne peut
convenir qu’aux académies savantes que nous avons en Europe, supposé encore
qu’elles travaillas- sent de concert et sous les auspices des puissances ». INDICE DEI MANOSCRITTI I numeri in corsivo rimandano
alle pagine nelle quali il testo del manoscritto è stato parzialmente o
integralmente riassunto o trascritto. Gli altri rinviano alle pagine nelle
quali il manoscritto è stato sempli- cemente indicato o richiamato. Firenze Hannover
: Innichen Milano Monaco Napoli Laurenziana Ashb. 1226: 290. Nazionale II, 1,
13 (già Magliab.): 290-291. Conv. Soppr. I, 1, 47: 17, 271, 272-275. Magliab.
cl. VI, cod. 5: 17-18. Magliab. Palch. II, 90: 271. Palat. 54: 17, 271,
272-275. Palat. 885: 28, 290. Riccardiana Ricc. 1538: 271. Ricc. 2734: 25. Phil.
VI, 19: 250-252. Phil. VII. B. mi, 7: 250, 252-253. VIII. B. 14: 65. Ambrosiana D. 535 inf.: 52. E.
58 sup.: 25. I. 171 inf.: 25. I. 153 inf.: 70-73, 261, 262-270. N. 185 sup.:
54. N. 259 sup.: 69. R. 50 sup.: 26. T. 78 sup.: 19, 25, 26, 276, 277-285. Staatsbibl. 10517: 69. 10552: 73. 10593: 70-73,
76-77, 261, 262-270. 10594: 54. Oratortana Pil. XV n. IT: 295. 308 Parigi Pavia
Ravenna Roma Torino Venezia INDICE DEI MANOSCRITTI Bibliothèque Nationale lat.
15450: 48-49. lat. 16116: 65-68. lat. 17839: 70-73, 261, 262-270. lat. 6443c:
54. Universitaria Ald.
59: 295. Ald. 167: 27. Ald. 441: 17. Classense Mob. 3.3. H2. 10: 28. Angelica 142 (B.5. 12): 25, 26, 276. Casanatense
90: 25. 1193: 25. Vaticana Ott. lat. 405: 69. Urb. lat. 852: 65, 73-74. Urb. lat. 1743: 31. Vat.
lat. 3678: 22. Vat. lat. 4307: 22. Vat. lat. 5129: 22. Vat. lat. 5437: 70. Vat.
lat. 6293: 27. Vat. lat. 6295: 54. Nazionale I. V. 47: 05. Marciana lat. cl. VI, 159: 19, 276. lat. cl. VI, 238:
26-27. lat. cl. VI, 274: 19, 20-23, 26, 27, 31-32, 33, 34, 276, 286. lat cl.
VI, 292: 25. lat. cl. X, 8: 15. INDICE DEI NOMI Le cifre seguite da n rimandano
alle note. Quelle in corsivo rin- viano alle pagine nelle quali gli autori sono
più diffusamente trattati. In questo caso non si è fatto specifico riferimento
alle note comprese nelle pagine indicate. Adanson M., 234. Agostino A., 1/4,
33, 145. Agrippa C., x, 2, 2n, 5, 6, 30n, 36, 41, 42-45, 58, 60, 82, 88-80, 98,
101, 120, 132, 133, 143, 145, 145n, 156, 160, 175n, 180, 239. Alberto Magno,
xi, 5, 8, 12-14, 15-16, 19, 32, 37, 38n, 82, 95, 96 Alciati A., 37, 98n, 104. Alcuino,
14, !5n. Alembert J. B. d', 302, 303-304. Alsted ]. E., xi, xn, 53, 61, 62, 74:75, 79, 120, 124,
125, 132, 178, 179-184, 191, 233, 238n, 239, 247, 247n, 254. Alvarez E., 251. Anderson
F., 153n. Andrade C., 201n. Andrei J. V., 184, 213,
213n. Apelt O., 10n. Aquilecchia G., 113n. Aristotele, 5, 8-9, 13, 14; 15, 16, 33,
56, 72, 75, 76, 124n, 128, 129n, 136, 137, 138, 180, 193n, 195. Arnaldo da
Villanova, 35, 95. Aubry J. de,
130-131, 158-159, 160, 192. Austriacus ]., 127, 151, 15In. Averroè, 35, 35n, 95, 96. Avicenna, 35, 95. Avinyò
J., 43n. Azavedo V. de, 127, 127n. 127n, 128n, Bacone F., x, xI, XII, XHI, XIV,
2, 5, 7, 8, 36n, 53, 58, 97n, 103, 134, 135, 140, 142-153, 160, 161-169, 175n,
176-178, 179, 184, 185, 191, 201-202, 203-206, 212, 215, 220, 220n, 233, 239, 242,
247n, 250, 251, 254, 302. Badaloni N., 109n, 125n. Baeumker C., 46, 47, 47n. Barbarigo
A., 29. Barber W. H., xn1. Barlandus A., 89n. Barone
F., xiv, 80n, 24In, 248, 248n, 256n, 258n. Bartholomess C., 109n. Bartolomeo
da S. 16-17, 19, 271. Batllori M., xv,
43n. Bayle P., 183, 183n. Beale J., 230. Becher
J., 241, 24In, 242. Beck L. J., xiv, 174, 174n, 175, 175n. Bedel W., 2/4. Beeckmann I., 143, 159. Belaval Y., 240. Belot J.,
132-134, Bessarione,. 41. Bianchini F., 38-39. Billanovich G., 292. Bing G., xv. Birch T., 207n, 2/0n. Bisterfield G. E., x, 238, 239.
Bocchi A, 104. Bodin J., 106-107. Bochme ]., 213, 213n. Boezio, 35. Boher A. c
F. (fratelli), 54. Boncompagno, 15n. Bonifacio del Monferrato, 29, 286. Bonifacio
VIII, 52. Concordio, 293-294. 197-200, 310 Boole G., xiv. Borelli G. A., 252,
252n. Borsetti F., 27n.
Bouelles (Bovillus) Ch., 41, 43, 43n, 51, 53, 113, 120, IB8I. Boyle R., x, 207,
2/0, 212, 230, 230n. Brigge L.A.S., In. Brucker ]., 91. Bruno G., x, xi, x, 5n,
6, én, 8, 3In, 36, 41, 43n, 60, 74, 79, 80, 82, 87, 88, 90, 92, 93, 96, 97n,
100, 108, 109-123, 124, 125-126, 128, 132, 132n, 133, 141, 179, 180, 239, 291,
294, 296. Bruxius A., 127, 127n, 252, 253. Buffon
G. L. Leclerc de, 23In, 233, 233n, 234n. Bugislao di Pomerania, 29. Bullotta
Baracco H., 44n. Bunemann J. L., 1l4n. Buondelmonti C. de, 104. Camillo G. C.
{(Delminio), xu, 82, 83, 96-r10r, 107, 112, 133, 184, 187, 229n,295. Campagnac
E. T., 212n. Campanella T., 126-127, 128, 186. Campanus, 135. Canterio A. P.J.
(fratelli), 43, 43n, 181. Cantimori D., xv. Capland H., 19n. Cardano G., 130n. Carneade,
90. Carpenter F. I., 86n. Carrara G. A. da, 34-35, 95-96, 116, 116n. Carreras y
Artau T. e ]J., 43n, 45n, 46n, 47n, 50n, 54n, 56n, 58n, 60n, 62n, 63n, 64n, 65,
69, 79n, 113n, 179n, 184n, 194n, 195n, 247n, 248n. Cartesio v. Descartes. Cassirer
E., 36n. Cavalcanti B., 103, 103n. Cave Beck, 203, 214, 222, 241. INDICE DEI
NOMI Caxton W., 85, 86. Cenal P. R., 194n. Chaichet A. E., 9n. Charland Th. M., 18n, 19n. Childrey
J., 207. Christensen F., 20In. Church F.C., 94, 94n. Cicerone, xi, 2, 5, 7, ro,
12, 14, 15n, 17, 18, 28, 31, 3in, 32, 34, 41, 53,
58, 76, 82, 86, 89n, 90, 95, 124n, 125, 128, 137, 138, 206. Cinea, 90, 299. Ciro, 90, 145, 299. Clements
R.I., 37n. Colli G., 194n. Collier A., xm. Comenio
G.A., x, xI, XII, 5, 156-157, 178,
179, 184-191, 201n, 203, 251-216, 221-222, 247, 254. Copt E., 95n. Copland R., 30n, 86-87. Corsano A., 6n, II0, II0n,
III, IlIn, 123n, 258n. Couturat L., xiv,
195n, 202n, 227n. 236n, 238n, 239, 239n, 241, 24In, 243n,
245, 246n, 248n, 257n, 304. Cox L., 86. Crasso, 90. Croce B., 97n. Croll M.W., 206n. Crombie A.,
xiv. Cues v. Cusano. Curtius E. R., 15n. Cusano
N., 41, 49-50, 51, 82, 90-91, 109n, 121, 214. Daguì P., 43, 43n. Dalgarno G.,
xni, 203, 212, 255, 216, 218-219, 226-227, 229, 236, 241, 244, 245, 246, 249,
302, 303. Dal Pra M,, In. D’Assigny M., 4, 4n, 299, 300. Dassonville M., 136n. De
Carpanis D., 32-34. INDICE DEI NOMI 311 De Corte M., 154n. De Gandillac M.,
50n. Della Porta G.B., 82, 151, 15In. Delminio v. Camillo. Del Noce A., 159n. Democrito,
31, 3In, 32. De Morgan A., xiv. De Mott B., 20In, 21lIn, 213n, 228, 229n, 23In,
232n. Derham W., 23In, 232n. De Ruggiero G., 109, 109n. Descartes R., x, xII,
xIv, 2, 8, 53, 97n, 130n, 134, 135, 142-146, 153-161, 169-178, 191, 209, 233, 235-236,
247n, 248, 250, 252. De Valeriis V. v. Valerio de V. Dibon P., 136n. Dicson A.,
113n. Diderot D., 294, 299, 302. Diodati O., 294, 299. Diofanto, 196. Dolce L.,
18, 18n, 87, 88n, 95n, 96, 103, 103n. Dominichi L., 44n. Direr A., 37n. Dutens
L., 247n, 248n, 254n. 103-104, Edmundson H., 212, 229. Egidio da Viterbo, 286,
287. Eleonora d'Aragona, 29, 29n, 286. Emery C., 20In, 222n, 23In. Enrico III,
80, 126. Erasmo, 3, 3n, 4, 6, 98. Ernesti J. A., 10n. Erodoto, 35n. Fabri H.,
252, 252n. Faral E., 84n. Farrington
B., 167n. Feilchenfeld W., 238n. Ferdinando III,
196. Fernando de Cordoba, 43, 43n, 181, Ficino M., 5n, 36n, 82, 83. Fiorentino
F., 103n. Firpo L., 5n, 126n. Fisch H., 208n. Fludd R., 41, 13s. Fontenelle B.
de, 234, 304. Frey J.C., 193. Friedlander
P., 195n. Fullwood W., 95n. Funcke O., 202n, 219n. Galatin P., 01. Galeno, 35, 56. Galilco G., xiv. Galmes S., 261. Garin E.,
xiv, 4n, 36n, 9%n, 97”, 101n, 110, 11On, 179n, 184n, 295. Garzoni T., 292. Gassendi P., 41, 141. Gellio A., 3In, 299. Gentile
G., 113n. Gemma C., xII, 55-57. Gerhardt C.I., 237n, 239n, 24In, 242n, 243n, 244n, 245n, 247n, 248n,
254n, 256n. Gerson ]J., 49, 76. Gesualdo F.M., 88n,
127, 292. Gilson E., 46, 47, 47n, 170n, 174n. Ginanni P., 28n. Giorgio Veneto
F., 101. Giovanni Rupescissa, 95. Giovanni di Salisbury, 14-15. Giovanni Scoto,
35, 60, 82, 121. Girardus, 26, 276. Giustiniani P., 101. Glovovia I. de, 79. Goclenius
R., 180, 296, 298. Goffredo di Vinsauf, 84. Gohory J. (Leo Suavius), 83, 100. Gorini
G., 18, 18n. Gottron A., 79n. Gouhier H., 154n, 175n. Gratarolo G., 34n, 94-96,
125, 130, 164. Gregoire P., x, 53, 57-59, 61, 76, 114, 160, 180, 184, 239. Grua
G., 238n, 245n, 254n. Guardi v. Girardus. Guyenot E., 23In. 127n, 312 INDICE
DEI NOMI Haak Th., 157n, 212. Halm C., 115n. Harriot Th., 209. Hartlib S., 210n, 2/5-2/2, 215n. Hawes
S., 83-84, 85, 86. Henderson A.W., 201n. Heredia Paulus de, 101. Hildebrand W.,
128-129. Hobbes Th., 209, 211, 239. Hoffmann G.G., 251. Hofmann ]J.E.,50n. Honecker
M., 49n, 50n. Hook R., 237, 304. Horapollo, 104. Howell W.S., 15n, 84, 84n,
85n. Hubert R., 174n. Hume D., 1, In, 37, 258n. Husserl E., xiv. lagodinski I.,
256, 256n, 257n. Ippocrate, 56. Isidoro, 15n. Ivo de
Paris, 193-194, 247. Izquierdo S.,
194-195, 196. Janer I. de, 43, 43n. Jasinowski B., 257n. Jones H.W., 208n. Jones
R.F., 20In, 203, 204, 204n, 207n, 208n, 209n. Kabitz W., 238, 238n, 256n. Kant
E., xt. Kemp Smith N., 174n. Keplero J., 175n. Kinner C., 229, 230. Kircher A.,
195-196, 239, 241, 242. Klaeber F., 206n. Klein R., 5n. Klibanski R., 158n. Kliuùber
L., 128n. Knittel C., 197. Komenski v. Comenio. Krabbel G., 102n. Kraus F., 50n. Kristeller P.O., 36n. Kvacala L.,
157n, 184n. Landino C., 36. Lankester E., 232n. Laporte J., 159n. Laurad P.,
10n. Lavinheta B. de, 41, 53, 54, 58, 74-78, 113, 132,145, 160, 181, 183n, 193,
247. Leau L., 202n, 304. Le Cuirot A., 128n. Lefèvre d'Etaples, 41, 43, 43n,
5I, 53, 74, 120, 1BI. Lehnert M., 21In. Leibniz G.G., x, xi, XII XII, xiv, 7,
53, 61, 79, So, 142, 178, 179, 191, 193, 195, 195n, 227, 235-236,237-258, 302,
303, 304. Lemmi Ch., 36n. Leporcus G., /35-1 36. Linneo C., 231. Liruti G.,
98n. Littré-Haurdau, 73n. Livio, 35n. Lodowick F., 202, 212, 222, 229, 302,
304. Longpré E., 43n, 69n. Lullo R., x, xni, 5, 6, 6n, 7, 4l, 42, 42n, 43n,
44n, 45-48, 49, 50, 51-53, 54, 58, 60, 60n, 61-74, 75, 76, 78, 82, 101, 101n,
102, 112, 113, 115, 118, 119, 121, 125, 126, 128, 129, 129n, 13In, 132, 132n,
141, 143, 144, 145, 152, 153n, 156, 175n, 178, 179, 180, 180n, 181, 182, 192,
195, 213, 239, 255, 261-270. 43n, 65n, 69n, Machiavelli N., 83, 83n. Magliabechi
A., 299. Mahnke D., 238n. Mandarini E., 295. Marafioto G., 108n, 127, 128n,
132n. Marciano Capella, 15n. Marciano di Eraclca, 251. Margirus J., 127n. Marx
F., 1In. Marx ]J., 50n. 127n, INDICE DEI NOMI 313 Matteolo da Perugia, 35. Mazzoni
]., 108n. McColley G., 20In. McRae K.D., 107n. ‘McRae R., 247n. Melantone F.,
89-90, 140, 140n, 164, 168, 180. Mentzinger, 88. Mersenne M., 157n, 235, 236. Mesnard
P., 154n. Meyssonnier L., 130, 192. Michele di Nofri, 25n. Mink S., 62, 299, 300. Mocenigo
G., 80, 126. Montaigne M. de, 3-4, 6, 5I. More H., 41, 236n. Morestell P.,
129-130, 160, 192. Morhof (Morhofius) G., 104, 105n, 197, 197n, 296. Mosé, 99. Mounier
Ph., 36n. Murner Th., 78-79. Myésier T., lc, 48-49. Niceron P., 179n, 20In. Nicolini F., 39n. Nizolio M.,
238n. Nostiz G. de, 1/4, 141. Nuyens J., 9n. Oblet V., 179n. Ogden C.K. e Richards 1L.A., x1v, 201n. Oldenburg
H., 237, 243. Oliver F.W., 23In. Olschki
L., 109, 109n. Orazio, 16. Ortwin, 30n. Ottaviano C., 43n. Oughtred W., 209,
210. Ovidio, 284, 38. Pace G., 194. Paepp J., 124-125, 128n, 296, 297- 298. Panigarola
F., 108n. Panofski E., 37-38n, 105n. Paracelso, 83, 121. Patrizzi F., 97, 98,
184. Pelayo M.M., 10In. Perkins, 113n. Petrarca F., 2, 88, 292-294. Petty W.,
2/0, 2/4-2/5. Peuchert W.E., 184n. Piccolomini C., 180. Pico G., 36, 82, 83,
I0I, 145, 159, I8I, 214, 299. Pietro d'Ailly, 76. Pio V, 80, 126. Pitagora, 54.
Platone, 9n, 14, 56, 117, 129n. Platzeck P.E.W., 47n, 49, 07, 67n. Plinio, 299.
Poisson P., 158-159. Poliziano A., 36. Postel G., 214. Prantl C., 47n, 48, 79n.
Praz M., 37n, 105n, 296. Preti G., x1v,257-2581. Prost G.A., 44n. Publicio I.,
38, 93, 294. 10In, Quattrocchi L., xv. Quintiliano, xi, 2, 5, 10-11, 14, 31,
41, 53, 76, 82, 88, 90, 125, 128, 136, 137-138. Rabelais F. 203. Ragone I.,
19-22, 276. Ramo (de la Ramée, Ramus) P., xI, x, 2, 96, 98n, 107, 135-142, 164,
168, 177, 179, 180, 183, 233, 254. Ratke W., 4, 4n, 6, 184. Ravelli (Ravelinus)
F., 127, 127n, 128n. Raven C.E., 23In. Ravenna P. da, xmn, 2, 6, 18, 27- 30,
34n, 41, 82, 86-87, 88, 90, 91, 92, Ill, 112, 113, 125, 127n, 128, 135, 136,
145, 155, 164, 286-289, 294, 296. Ray J., x, 230-232. Regius R., 12n. Renaudet
A., 113n. Renzoni M., 23In. . Reuchlin J., 101. Ricci B., 98. Ricci P., 101. Riccio
A., 29/. Riff, 88. Ripa C., 37-38, 104. Rivaud A., 257, 257n. Roberto di
Basevorn, 18n. Rodolfo II, 80. Rogent E., 43n. Romberch J., 27, 30, 87, 87n, 95n, 125, 164, 291, 292,
294. Ross G.R.T., 9n. Rosselli C., x11,
82, 97n, 105-106, 107, 112, 113n, 125, 151, 15In, 164, 187, 290, 291, 294. Rossi
P., 39, 125n, 136n, I81. Rufo R., 53-54. Ruscelli G., 100, 104. Russell B., xiv, 257n. 169n, Salomone,
99. Salzinger I., 46n, 73n. Scaligero
(Scalichius) P., 102-103, 180. Schenkel (Schenkclius) L., xt, 88, 124, 125, 127, 127n, 128n., 143, 145,
154-155, 175n, 292, 293. Schiebler
K.W., 213n. Scholem G.G.,
10In. Schott C., 239, 241. Scioppius C., 251. Scoto v. Giovanni. Scott F., 21In. Scbond v. Sibiuda. Secret F.,
xv, 97n, 101, 102, 102n. Seneca
L.A., 2, 14, 88, 90, 185, 299. Seznec J., 36n. Schute C.W., 9n. Sibiuda (Sabunde, Scbond) R., $0- 51, 214. Sibutus G., 87. Singer D.W.,
109, 109n, 114n. INDICE DEI NOMI Simon N., 87. Simonide,
2, 10, 15n, 3In, 90, 115, 127n, 145, 301. Sirven, 174n. Sommer M., 127n. Sortais G.,
21In. Spangerbergius ]., 88, 90-94, 113, 128n. Spinka M., 2IIn. Spinoza B., 252. Spoerri M. Th.,
154n. Sprat Th., 207,
208-209, 215. Stimson D.L., 201n, 2IIn. Stubbc H., 208. Sturmius J., 98n. Suarez
F., 180, 258n. Suavius L. v. Gohory. Syfret R.H., 20In. Talon (Talaeus) O.,
141. Tartagni A., 28. Techmer F., 201In. Temistocle, 90, 145. Thomson G., 208. Thorndike
L., 16n, 83n, 94, 94n, 95, 95n, 102n, 105n, 132n, 193n, 195n, 197n, 296. Tiraboschi G., 27n, 34n, 35n, 94n, 97n, 108n, 271. Tiziano,
37. Tocco F., 6n, 15n, 3In, 35n, 50n, 109, 109n, 116, 116n, 118, 118n, 120,
120n, 121, 271. Tolomco, 130n. Tomai P. v. Ravenna. Tommai P. v. Ravenna. Tommaso
d'Aquino, xt, 5, 8, r2- 14, 15-16, 19, 32, 33, 37, 38n, 41, 82, 95, 124n, 128. Toscanella
O., 103, 103n. Trapezunzio G., 103, 103n. Traversagni G., 86. Trendelenburg
F.A., 256n. Trismegisto, 99. Troilo E., 109n. Turnbull G.H., 215n. Tuve R., 136n. INDICE DEI NOMI 315 Ugo da S. Vittore, 35. Urquhart
Th., 202-203. Vailati G., 202n.
Valeriano P., 104. Valerio Massimo, 28. Valerio
de Valeriis, 43n, 53, 59- 6r, 76, 114, 160, 180, 164, 187. Valla L., 12n, 36. Vallicrosa
J.M., 102n. Vansteenberghen
E. de, 50n. Vasoli C., xv, zz0, Il, lllIn, 114n,
I1l6n, 119n, 120n, 122n. Vassy L.R. de, 192-193. Venturi F., 299. Vico G., 39,
103. Viéte F., 210. Vincenzo di Beauvais, 15. Virgilio, 38. Volkmann L., 105n. Waetzold W., 37n. Waleys Th.,
19. Walker D.P., 83n, 97n. Wallis J., 250-257. Ward S., 209, 210. Watson Th.,
113n. Webster J., 207, 212. Wilkins J., xt, xi, xiv, 205, 203, 212, 216-226,
227-231, 232, 236, 237, 242, 245, 246, 249, 254, 302, 303, 304. Willis J., 127,
127n. Willoughby F., 230, 231. Wilson Th., 87, 113. Winans S.A., 19n. Winkelmann
v. Mink. Yates F.A., 12, 12n, 15, I5n, 37n, 47n, 48, 48n, 49n, 68, 68n, 87- 88n,
I10, 110n, 113, 113n, 290- 291, 292, 293. Yvon, 299. Zabarella C., 180. Zambelli P., xv. Zosima, 98. Finito di stampare in
Como il 20 aprile 1960 nello stabilimento Arti Grafiche S. A. Paolo Rossi.
Paolo Rossi Monti. Monti. Keywords: Cattaneo, Aconzio, Vico, Galilei, nato
Paolo Rossi, adottato dalla zia materna, Monti, Vico, Vinci, Garin, Banfi, la
storia della nazione italiana, Vico e la storia della nazione italiana, favola
antica, dalla magia alla scienza, bruno. – Refs. Luigi Speranza, “Grice e Rossi:
l’implicatura di Vico” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Rosso: la ragione conversazionale all’isola
-- a Sicilia – filosofia siciliana – filosofia italiana – Luigi Speranza (Corleone). Flosofo italiano. Scrive tre
saggi. Il primo e “Varie cose notabili occorse in Palermo ed in Sicilia”. Il
secondo e “Descrizione di tutti i luoghi sacri della felice città di Palermo”.
Descrive le chiese di Palermo. Questo saggio è ricordato in vari altri saggi.
Il terzo saggio e “Diario Palermitano”. Il comune di Palermo gli dedica una
via. Biblioteca storica e letteraria di
Sicilia: Mira/bibl Siciliana. Ciccarelli e Valenza, La Sicilia e l'Immacolata.
Atti del convegno, Pugliatti, Pittura
del Cinquecento in Sicilia, Electa, Roma. Istituto di studi bizantini e neo-ellenici,
Rivista di studi bizantini e neo-ellenici. Marzo, Biblioteca storica e
letteraria di Sicilia: Opere storiche inedite. Valerio Rosso. Rosso. Keywords:
filosofia siciliana, filosofia italiana. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rosso”
– The Swimming-Pool Library.
Grice e Rota: la ragione conversazionale
e la lavagna del gruppo di gioco – filosofia italiana – Luigi Speranza (Vigevano). Filosofo italiano. Italian
philosopher. Grice: “Many Italian philosophers would not consider Rota an
Italian philosopher seeing that he earned his maximal degree without (not
within) Italy! And right they would,
too!” Saggi: “Pensieri discreti” (Garzanti). Dizionario biografico
degl’italini. Palombi, “La stella e l’intero – la ricercar di Rota tra
matematica e fenomenologia” (Boringhieri); Senato, “Matematico e filosofo”
(Springer). Gian-Carlo Rota. Rota. Aune: “I left the
play group when I realised that Grice could care less about blackboards!” --
Keywords: il primate dell’identita, Whitehead, fenomenologia, Husserl,
Heidegger, tra fenomenologia e matematica, la stella e l’intero, discrezione,
indiscrezioni, combinatoria e filosofia, la lavagna del gruppo di giocco. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Rota," per
il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria,
Italia.
Grice e Rotondi: la ragione
conversazionale a Roma antica – filosofia italiana – Luigi Speranza (Vicovaro). Filosofo italiano.
I primi anni di attività della sua “libreria delle occasione” sono piuttosto
travagliati in quanto le autorità fasciste, infastidite dalla tipologia
eterodossa dei testi in vendita, operano diversi sequestri e infliggono
sanzioni. Costretto a chiudere la libreria per evitare il richiamo alle armi
della repubblica sociale. Considerato disertore, si rifugia con la famiglia a
Vicovaro. Individuato in seguito ad una delazione, riesce fortunosamente a
sfuggire alla cattura e si allontana verso le montagne che circondano il paese,
inseguito dappresso da tedeschi. Disperando di potersi salvare, si nasconde nei
pressi di una casa abbandonata, popolarmente ritenuta abitata dagli spiriti e
qui avviene l'evento fondamentale sopra descritto che cambia la sua vita e le
sue convinzioni, aprendolo alla conoscenza del mondo spirituale.
Improvvisamente ha una visione folgorante nel nielo. Sedetti a contemplare la
scena. Una catena di globi luminosi dall'alto scendevano fin giù, penetravano
nella terra, poi altri che risalivano e poi ridiscendevano come per riunirsi in
un misterioso convegno. Si senteno delle voci indistinte. Si trattiene ad
osservare tale spettacolo misterioso salvandosi, in questo modo, dal
rastrellamento in corso nel vicino paese di Roccagiovine. Questo primo decisivo
contatto con il para-normale raccontato
in "Il protettore invisibile". Tale evento rappresenta l'inizio del
suo studio e del suo interesse nei confronti dell'esoterismo e della
spiritualità. Pubblica massime, proverbi e aforismi di Roma antica. Dà alle
stampe “L’arte del silenzio e l’uso della parola”, un originale e lungimirante
saggio il cui intento si manifesta già dalla dedica, firmato con lo pseudonimo
di Vico di Varo, derivato chiaramente dal suo paese natale. Viene incaricato di
redigere un opuscolo commemorativo in occasione dell'inaugurazione in Vicovaro
del Monumento in onore delle vittime della strage nazista delle Pratarelle. Svolge
una funzione di aggregazione e catalizzazione culturale in anni difficili in
cui certi ambiti di studio venivano guardati con sospetto, quando non con
manifesta ostilità. Partecipa e svolge un ruolo tutt'altro che secondario
nel Cerchio Firenze, una delle più importanti esperienze para-psicologiche
collettive italiane. Lui la sua libreria,
sono ormai un punto di riferimento di tutto un mondo culturale in
espansione e finalmente libero da ogni censura. Pubblica titoli presso diverse case editrici -- Mediterranee,
Astrolabio, Sugarco, S.A.S. --, firmandoli oltre che con il suo vero nome con
il pseudonimo ‘Amadeus Voldben’, acronimo di “Volontario del Bene”. Tale nome
d’arte sta ad indicare la missione che si e prefisso e che delinea nel
libriccino “I volontari del bene”, vera e propria bibbia per tutti coloro che
si riconoscono nel progetto di diffusione del bene. Oltre al valore intrinseco degli scritti, sono
le riunioni e la sua stessa presenza in libreria a suscitare curiosità e
interesse presso un pubblico molto ampio che vede in lui una guida spirituale
in grado di fornire suggerimenti mai banali e, da educatore, sempre
comprensibili. Dietro la sua apparente severità, che è semplicemente rifiuto
della superficialità, traspare la disponibilità e l'umanità, accessibili a
chiunque si sforzi di varcare un civico di via Merulana. Si caratterizza
da una produzione culturale ed una serena consapevolezza. Regala gemme di
saggezza e consigli. Oltre ai testi pubblicati lascia altri scritti, alcuni
pronti per la stampa altri bisognosi di revisione, che vengono pubblicati da i
quali si sono impegnati a proseguire l'attività in libreria, mantenendosi
fedeli all'impostazione originaria da lui delineata. La libreria riceve il
riconoscimento di "negozio storico" da parte del Comune di
Roma. Opere: Saggezza ” (I della collana Le Perle, ristampato da
Astrolabio. L'arte del silenzio e l'uso della parola, ristampato dalla Libreria
Rotondi; Saggezza di Roma antica, collana Le Perle). Saggezza dell'antica
Grecia, collana Le Perle). Amore e saggezza nel pensiero, collana Le Perle). Il
giardino della saggezza, collana Le Perle). “Dopo Nostradamus: le grandi
profezie sul futuro dell'umanità” (Mediterranee); “Un'arte di vivere: via
segreta alla serenità” (Mediterranee); “La coppa d'oro: insegnamenti dei
maestri, fonte di luce e di energia, SAS; Le influenze negative: come
neutralizzarle, SugarCo,, Il protettore
invisibile: la guida che ci aiuta nei momenti difficili della vita,
Mediterranee, La voce misteriosa, Astrolabio; Lo scopo e il significato della
vita: perché si nasce, perché si vive, perché si muore, Mediterranee, I prodigi
del pensiero positivo: il suo potere e la sua azione a distanza, Mediterranee, Il
destino nella vita dell'uomo, Mediterranee, La re-incarnazione: verità antica e
moderna, Mediterranee, La potenza del creder e la gioia d'amare: i prodigi
della fede e dell'amore, Mediterranee, Una luce nel tuo dolore, Mediterranee); “Guida
alla padronanza di sé, Mediterranee, La magica potenza della preghiera,
Mediterranee); La chiave della vita, Mediterranee, La presenza divina in noi, Mediterranee, Le
leggi del pensiero: l'energia mentale e l'azione della volontà, Mediterranee);
Le grandi profezie sul futuro dell'umanità, Mediterranee. La potenza creatrice
del pensiero, Mediterranee, Pensieri per una vita serena, Mediterranee); “Ricordo
dei nostri martiri. Commemorazione in occasione dell'inaugurazione del
monumento ai martiri delle PratarelleVicovaro, Tipografia Seti, Roma); “I
Volontari del Bene” (Libreria Rotondi Editrice, Roma); “Reincarnazione e
fanciulli prodigio, Mediterranee, Roma, La reincarnazione: verità antica e moderna,
Mediterranee); “La voce misteriosa”; “Le perle”. L’arte del silenzio e l’uso
della parola. La Libreria Rotondi è segnalata in molte pubblicazioni, tra cui
la Guida ragionata alle librerie antiquarie e d'occasione d'Italia, C. Messina,
Roma); A. Voldben, Il protettore invisibile, Edizioni Mediterranee, Roma, La sua partecipazione agli incontri del
Cerchio Firenze è ricordata in “Oltre l'illusione, Roma, Mediterranee, e “Oltre
il silenzio” L. Campani Setti, Roma, Mediterranee). Dopo Nostradamus, I prodigi
del pensiero positivo, Le influenze negative, Il protettore invisibile: Molte persone
si rivolgevano a Rotondi per ricevere consigli. Una testimonianza letteraria di
questa consuetudine si trova nel romanzo di Giovetti Weimar per sempre (Mediterranee, Roma)
in cui il personaggio si reca presso la Libreria delle Occasioni per ricevere
suggerimenti su questioni spirituali e libri. Libreria Rotondi, Libreria delle
Occasioni (La libreria fondata da Rotondi) La piccola miniera (da Il Corriere
della Sera) Il libraio di via Merulana e i globi luminosi (da La Repubblica)
Cerchio Firenze (Esperienza
parapsicologica collettiva) Andiamo alla scoperta (da La Piazza di Castel
Madama. ‘Vico di Varo’. Amedeo Rotondi.
Rotondi. Keywords: Roma antica, antica Roma, le perle, Vicovaro, filosofia
fascista, il veintennio fascista. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rotondi” –
The Swimming-Pool Library.
Grice e Rovatti: la ragione
conversazionale dei giocchi e gl’uomini – filosofia italiana – Luigi Speranza (Modena). Filosofo
italiano. Grice: “I do not know any
other philosopher other than me or Austin who, like Rovatti, is obsessed wiith
the concept of a ‘game’!” Studia
fenomenologia a Milano con PACI. Insegna a Trieste. Si occupa dei rapporti tra
fenomenologia e marxismo pubblicando “Critica e scientificità in Marx” e poi
focalizzando in vari saggi il tema dei bisogni con riferimento anche alla psico-analisi.
Le questioni concernenti il “pensiero debole” diventano il punto di partenza di
“La posta in gioco: il soggetto” (Bompiani, Milano); “Abitare la distanza”, “Il
paiolo bucato: la nostra condizione paradossale” (Cortina, Milano); “La follia
in poche parole” (Bompiani, Milano); “L'esercizio del silenzio”; “Possiamo
addomesticare l'altro? La condizione globale” (Forum, Udine); “Inattualità del
pensiero debole” (Forum, Udine). Queste questioni riguardano soprattutto la
possibilità di una «logica paradossale» e si articolano intorno ai temi del
gioco, dell'ascolto e dell'alterità, tutti collegati alla questione della
soggetto. Saggio su PACI. Dalla filosofia del gioco nascono anche “Per
gioco: piccolo manuale dell’esperienza ludica” (Cortina, Milano); “La scuola
dei giochi” (Bompiani, Milano); “Il gioco di Wittgenstein” (EUT, Trieste). Si
interessa alla consulenza filosofica, con “La filosofia può curare? La consulenza
filosofica in questione” (Cortina, Milano). Altre saggi: “Il coraggio della filosofia”
in «aut aut». Tiene una rubrica sul quotidiano "Il Piccolo" di
Trieste, “Etica minima”. Racoglie "scritti corsari" (cfr. Pasolini)
in vari saggi: “Etica minima – saggi quasi corsair sull’anomalia italiana”
(Cortina, Milano); “Noi, i barbari – la sotto-cultura dominante” (Cortina,
Milano); “Un velo di sobrietà” (Saggiatore, Milano); “Accanto a una sensibile
sintonia”. Si manifesta nella sua filosofia una particolare attenzione sul
rapporto tra potere e sapere; “Gli ego-sauri” (Elèuthera, Milano); “Le nostre
oscillazioni” (Collana Edizioni alpha beta Verlag, Merano); “L’intellettuale
riluttante” (Elèuthera, Milano); “Restituire la soggettività. Lezioni sul
pensiero di Basaglia” (alphabeta, Merano); “Consulente e filosofo. Osservatorio
critico sulle pratiche filosofiche” (Mimesis, Milano); “Abitare la distanza.
Per una pratica della filosofia” (Feltrinelli, Milano); “Scenari dell'alterità,
Bompiani, Milano); “Il decline della luce” (Marietti, Genova); L'università
senza condizione” (Cortina, Milano); “Fare la differenza” (Triennale di Milano,
Milano); “Introduzione alla filosofia contemporanea, Bompiani, Milano); “Lettere
dall'università, Filema, Napoli); “Trasformazioni del soggetto: un itinerario
filosofico” (Poligrafo, Padova); “Dizionario dei filosofi” (Bompiani, Milano);
“Elogio del pudore: per un pensiero debole” (Feltrinelli, Milano Intorno); “Il
pensiero debole” (Feltrinelli, Milano); “Bisogni e teoria marxista” (Mazzotta,
Milano); “Critica e scientificità in Marx: per una lettura fenomenologica di
Marx e una critica del marxismo di Althusser (Feltrinelli, Milano); “La dialettica del processo” (il Saggiatore,
Milano). aut aut. R.: il pensiero debole, sul
RAI Filosofia. Grice: “As
Rovatti shows, it is possible to conceive of conversation as a GAME, with its
own RULES, and MOVES. Pier Aldo Rovatti. Rovatti.
Keywords: i giocchi e gl’uomini --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rovatti” –
The Swimming-Pool Library.
Grice e Rovella: la rgione conversazionale all’isola
-- querce, o della filosofia siciliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Acreide). Filosofo italiano. Studia a Ispica e
Catania sotto CARBONARA, laureandosi con un saggio di estetica, sul rapporto
fra contenuto -- o materia -- e forma. Insegna a Noto e Palazzolo. Pubblica “L'uomo”
(Giannini, Napol). In una serrata discussion affronta la meta-fisica ed espone
il suo convincimento che la ricerca senza condizioni, attraverso l'intelligenza
attiva e creatrice può aprire all'uomo orizzonti creativi, seppur rischiosi. La
meta-fisica imprigiona in schemi rigidi e vincolanti. Pervenire all'auto-coscienza
è il compito più degno degl’uomini, che pur problematico in sé non rimaneno imprigionati
nel problematicismo. Altre opera: “Deneb” (Caltanissetta, Roma), romanzo
filosofico che narra la pulsione verso l'oltre, attenuando, così, la precedente
critica verso la meta-fisica e aprendo verso il mistero che comporta il
confronto con tre donne che rappresentano tre volti diversi della verità. La
stella “Deneb” è metafora della pulsione verso l'alto. Abbondano i riferimenti
autobiografici da cui emerge l'attaccamento alla casa natia, che non abbandona,
alla famiglia e soprattutto ad un modello di vita contadina morigerata e
sobria. Lo stile è affabulante. L'auto-coscienza e il trionfo
della morte in GENTILE in Il pensiero di
Gentile (Enciclopedia Italiana, Roma). Qui si esamina il momento finale della
vicenda umana e filosofica di GENTILE alla cuia filosofia è legato. “L'errore
del cerchio” (Siracusa). Predomina il colloquio interiore, lo scavo nella
coscienza e nella memoria. Procede come un giallo. Un tema attraversa gl’avvenimenti,
la libertà e la necessità di un suo contenimento. “La fattoria delle querce” (Caruso,
Siracusa). L’epopea della famiglia siciliana Capobianco, governata da una donna
e sviluppata attraverso un intrigo di personaggi e di vicende. I discendenti
Capobianco sono identici agl’ante-nati, e la ricerca della genealogia è il
problema più assillante per i personaggi. Il mito dell'eterno ritorno
dell'identico li e caro. Rimane sempre legato ai miti. Fisiognomica,
astrologia, venti, odori e turbamenti fanno di questa opera un esempio di
scrittura immaginifica e personale. Filosofia di non di facile consume traccia
una “Imago siciliae”. Nella stessa aura de La fattoria sono scritti i
racconti. Cambia di nuovo argomento, inizia quella che lui chiama “la fase
cristica”, in cui la figura di Cristo e il rapporto fra le religioni sono il
tema dominante. “L'ora del destino, dramma in due atti” (Accademia
Casentinese di Lettere, Arti, Scienze ed economia, Castello di Borgo alla
Collina, Arezzo, L'Ora in persona di una
donna consola il crocifisso che muore quando una congiuntura astrale perviene
al suo compimento. In “Vita di Gesù” (Prospettive d'Arte, Milano) Gesù è
visto nella sua umanità. La narrazione segue lo sviluppo dei vangeli sinottici,
con qualche incursione negl’apocrifi. L'autore, che pur ne ha le competenze, si
tiene lontano dalle problematiche gesuologiche e cristologiche. Vuole narrare
un Gesù “così come parla al cuore”. L'Angelo e il Re, con prefazione di Pazzi
per i tipi di Palomar Bari. I nove mesi di gravidanza di Maria vergine sono
narrati con un andamento che si mescola di esoterismo e sapienza umana. Maria
spesso, nel mistero del suo concepimento, nella sua realtà quotidiana, vive le
vicende del suo quartiere, con le sue amiche, con qualche momento di gioia
esaltata e prorompente, con un tratto zingaresco. Attratto da zingari e
vagabondi di passaggio, come incarnazione di una libertà che abbiamo
smarrita. “Le Madri” (Utopia, Chiaramonte Gulfi). Vi si sente l'eco di
Bachofen. Breve raro capolavoro, pieno di mistero e poesia, di un potere magico.
“Asvamedha” (Utopia, Chiaramonte Gulfi) raccoglie racconti; “Inizio d'amore” (Studi
Acrensi, Palazzolo Acreide) raccoglie altri racconti che l'autore pubblica in
varie riviste letterarie nazionali, a cura dell'Istituto Studi Acrensi
Palazzolo Acreide. I racconti, dice l'autore, vivono nell'aura dei romanzi di
questo periodo. “La vigna di Nabot, dramma in IV quadri” (Associazione
Amici di Rovella, Palazzolo Acreide) narra le vicende del ersonaggio che
incontriamo nel primo libro dei Re Cap. 21. La prepotenza dei potenti e la
sacralità della terra dei padri sono il filo conduttore del dramma. Nabot muore
per una questione di coerenza. Scuderi, La fattoria delle Querce, in Le
Ragioni critiche, Menichelli in Esperienze letterarie, Jacobbi, Il miracolo Deneb, in Arenaria,
Palermo, Vettori, Il miracolo di Deneb e le profezie di Ruggero, Arenaria, Monachino
Ester, Considerazioni su un romanzo di Rovella, in Le Ragioni critiche,
Catania, E. Messina, Dal bagolaro alla sequoia” (Romeo, Siracusa); Messina,
Alle radici del pensiero. La presenza dei suoi maestri” (Romeo, Siracusa). Giuseppe
Rovella. Rovella. Keywords: romanzo filosofico, querce. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Rovella” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Rovere: la ragione conversazionale, o le
confessioni di un meta-fisico romano -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Pesaro). Filosofo italiano. Essential Italian
philosopher. The family originates in Albisola, Savona, Liguria. Filosofo. Il
giure civile del popolo italiano ha nel testo della legge positiva e speciale
autorità sufficiente da soddisfare la giustizia ordinaria e da risolvere i
dubii e acquetare le controversie intorno agl’interessi e agl’ufficii d'ogni
privato cittadino. Di quindi nasce che possono alcuni curiali riuscire
segnalati e famosi al mondo con la sola abilità del pronto ricordare, dell’acuto
distinguere e dell'interpretare acconcio e discreto. Al giure delle genti
occorre, invece, assai di frequente la discussione delle verità astratte.
Perocché esso è indipendente e superiore all'autorità della sopra-citata legge.
Si connette immediatamente al giure naturale che è al tutto razionale e speculativo.
Spesso gli è forza di riandar colla filosofia sulle fondamenta medesime dell’ordine
sociale umano, e spesso altresì non rinviene modo migliore per risolvere i
dubii e acquetare le discrepanze fuor che indagare i grandi pronunziati della
ragione perpetua del diritto, chiariti, dedotti e applicati mercé della
scienza. Poco importa se i meta-fisici si bisticciano. Ma non va senza
danno del genere umano il discordare e il traviare de' pubblicisti. E già si dice
che il fine criterio degl’uomini illuminati coglie il certo e il sodo della
scienza, ma non la crea e non l'ordina. La demenza degl’uonini fa talvolta
scandalosa la verità. Laonde ella ha a pronunziare di se medesima. Non venni a
recare la pace in mezzo di voi, sibbene la spada. Lo stato romano essere certa
congregazione di famiglie la qual provvede con leggi e con tribunali al bene
proprio e alla propria tutela -- tanto che sono competentemente adempiuti i
fini generali della socialità e i particolari di essa congregazione. Lo stato romano
non esiste per la contiguità sola delle terre e delle abitazioni, ma per certo
congiungimento e unità delle menti e degl’animi dei romani. Il che riconosciuto
e fermato, se ne ritrae ciò che pel diritto è primo principio ed assioma, non
potersi da niuno e sotto niuna ragione arrogare la facoltà di offendere e
menomare l'autonomia interna ed esterna dello stato romano insino a tanto che
questo non provoca gl’altri ad assalirlo con giusta guerra. Ed eziandio in tal
caso è lecito di occupare temporalmente il suo territorio e dominare il suo
popolo nei limiti della difesa e dell'equo rifacimento dei danni. L'uomo
individuo può nel servaggio e nelle catene serbare con isforzo la libertà dello
spirito e compiere in altro modo e sotto altre condizioni certa eroica
purgazione e certo mirabile perfezionamento della sua parte interiore e
immortale. Ma ciò è impossibile all’intero popolo romano, il quale nel
servaggio di necessità si corrompe ed abbietta, e quindi GRAVINA chiama assai
giustamente la libertà della nazione romana sacro-santa cosa e di giure divino.
L'anima non è vendibile e non è nostra, dicevano i teologanti per dimostrare da
più parti la iniquità del CONTRATTO. E neppure la libertà è vendibile. E se
l'usarla e abusarla è nostro, non è tale la facoltà e il principio infuso dal
divino con l'alito suo divino e che al dire d’Omero vale una mezza anima. Lo stato
romano possiede onninamente se stesso. Niuno fuori di lui può attribuirsene la
padronanza. Quindi il popolo romano o vivono in se od in altri. Cioè a dire, o
provedono al proprio fine con la legge e ordini propri e componendo un
individuo vero e perfetto della universa famiglia umana. Ovvero entrano a parte
d'altra maggior comunanza con ugualità di diritto e d’ufficio, come quelle
riviere che ne' più larghi e reali fiumi confondono le acque e perdono il nome.
Questa è la generale e astratta dottrina che danno la ragione e la scienza. La
patria romana, impertanto, significa quella contrada e quella congregazione d’uomini
a cui ciascuno degli abitanti e ciascuno dei congregati sentesi legato per
tutti i doveri, gl’istinti, i diritti, le speranze e gl’affetti del vivere
comune. La patria romana, considerata nella sua morale e profonda
significazione, è il compiuto sodamento di ciascuno verso di tutti e di tutti
verso ciascuno. Se la patria romana non ha debito né possibilità di nudrire del
suo ogni giorno tutti i suoi indigenti, spietata cosa sarebbe inibire a questi
di procacciarsi altrove la sussistenza. Prediletta opera delle mani del divino e
la nazione romana. La nazione romana è pura, domandano essi, e tutta omogenea.
Questo e il puro principio della nazionalità romana. Lo stato romano, dipendente
come si sia da un altro non è, a propriamente parlare, autonomo. E e perciò, a
rigore di definizione, neppure la denominazione di stato romano gli si compete.
I prìncipi non sono, del certo, scelti dal divino immediatamente, ma sono dal
divino immediatamente investiti della sovranità romana. Il popolo romano indica
l'uomo a cui vuole obbedire e in quell'uomo è subito la pienezza della
sovranità romana che dal divino gli proviene. Perocché come dal divino è
istituito IL FINE della socievole comunanza, così è istituito IL MEZZO nella
autorità del comando. È sicuro che nella lunghezza dei secoli le volontà e i
giudizi umani si accostano all'assoluto del bene sociale, quanto che la via che
viene trascorsa non procede diritta e spedita ma declina e torce continuo fra
molti errori e molte misere concussioni. La libertà della nazione romana, essendo
naturale ed essenziale agl’uomini e necessaria concomitanza d'ogni bontà, è
doveroso per tutti il serbarla integra nella sostanza. E perciò, né il privato
individuo si può vendere ad altro privato, né tutto il corpo de' cittadini
assoggettarsi pienamente e perpetuamente al dominio d’altro stato. Poco o
nessun valore ha il dissentimento dei piccioli e deboli, quando anche piglino
ardire di esprimerlo; e CHI INVESTIGA LA STORIA DELL’ANTICA ROMA RI-TROVA che DELLE
PROTESTE loro giacciono GRANDI FASCI dimenticati negl’archivi delle
Cancellerie. Dacché siete i più forti, correte poco rischio di vivere ex lege
alla maniera dei ciclopi. Ma confessare il diritto e contro il diritto
procedere, non è conceduto a nessuno. E parlavano meglio quegl’ateniesi che
alle querele dei milesi rispondevano senza sturbarsi. Il diritto è cosa pei
deboli e non già pei forti e pei valorosi. Il popolo romano è autonomo. Con
altri vocaboli, lo stato romano, vero è libero ed inviolabile. E la patria romana,
nel significato morale e politico, è *sinonimo* di STATO romano -- in quanto
questo compone uno stretto e nativo consorzio in cui ciascun cittadino ha
debito e desiderio insieme di effettuare il grado massimo di unimento sociale e
civile. S’incominci dall'avvisare chi
sono costoro che si querelano della libertà dello stato romano e ne temono
danni così spaventevoli. Costoro sono i medesimi da cui si alzano lagni e
rimproveri cotidiani per qualunque libertà, eccetto la propria loro. Vogliono limitare
la stampa, limitare la libera concorrenza, limitare IL PARLAMENTO e in fine
ogni cosa col pretesto volgare ed ovvio che il parlamento, il commercio, la
stampa abusano di loro facoltà e trasvanno più d'una volta e in più cose. La
volontà umana, dite, è corrotta e inchinevole al male. Può darsi. Ma privata di
libertà so che depravasi molto di più e i padroni non meno che i servi. Non è
lecito agl’uomini di esercitare nessun diritto qualora difettino pienamente
delle facoltà e dei mezzi correlativi. Perciò il fanciullo, il mentecatto,
l'idiota cade naturalmente sotto l'altrui tutela, e per ciò medesimo la parte
meno educata del volgo ed offesa di troppa ignoranza, o posta in condizione
troppo servile, non ha nel generale facoltà e mezzi proporziod esercitare
diritti politici. Esaminato il fine del viver comune, fatta rassegna d'alcuni
principii direttivi, più bisognevoli al nostro intento e poco o nulla NOTI
AGL’NTICHI ROMANI, segue senza più che noi trapassiamo a contemplare l'ottimo
ordinamento civile. Cosi noi delineeremo qnalche fattezza dell'incivilimento
umano, contemplandolo nella natura primitiva ed universale del popolo romano,
ed avvisandoci di non iscambiare l'alterato e il mutabile col permanente ed
inalterato; e per converso, di non dar nome d'errore emendabile e di accidente
transitorio a ciò che appartiene alle condizioni salde e durevoli della
comunanza civile. Chè nel primo difetto cadono i troppo retrivi ed i
pusillanimi; nel secondo, i novatori audaci e leggeri. GL’ANTICHI ROMANI con
molto senno incominciano dall'insegnar quello che spetta al buono stato della
famiglia, perché della comunanza umana l'individuo compiuto non è lo scapolo,
ma l'ammogliato con prole o vogliam dire la famiglia, rimossa la quale non
rimane intermezzo alcuno che tempri l'amor proprio e la fiera e violenta natura
nostra. L'organizzazione tanto è più
eccellente quanto meno cede alle esterne azioni ed impressioni ed anzi modifica
con maggior efficacia ed appropria a sé quelle azioni. È da confessare che un
gran trovato fece lo spirito umano e giovevole soprammodo alla prosperità del
viver sociale, quando mise in atto quello che fu domandato GOVERNO
RAPPRESENTATIVO o parlamentare. Se dirai: carattere della nazione romana è la
continuità e circoscrizione del suolo d’Italia. E la nazione e nella lingua
romana, la letteratura e le arti. Se le origini e la schiatta; le colonie sono
tal membro e così vivace del corpo della patria onde uscirono, da non potersene
mai dispiccare, e la guerra americana è dalla banda dei sollevati iniqua e
parricida. Gran questione poi insorge sulle genti di confine, le quali
compongonsi il più delle volte di schiatte anfibie, a cosi chiamarle. Quindi
noi vogliamo, per via d'esempio, i nizzardi essere italiani – ROMANI -- e i francesi
li fanno dei loro. La compagnia civile comincia là solamente dove gl’animi si
accostano, e sorge desiderio di regolato e comune operare. La giustizia apre e
chiude i congressi degli dei, non quelli degl’uomini. La voce “nazione romana”
nel suo peculiare e pieno significato vuol dire unimento e società d'uomini che
la natura stessa con le sue mani à fatta e costituita mediante il sangue e la
singolarità delle condizioni interiori ed estrinseche. Per talché quella
società distinguesi da tutte l’altre per tutti gl’essenziali caratteri che
possono diversificare le genti in fra loro, come la schiatta, la lingua,
l'indole, il territorio, le tradizioni, le arti, i costumi. “Nazione romana”
vuol significare certo novero di genti per COMUNANZA DI SANGUE, conformità di
genio, medesimezza di linguaggio atte e pre-ordinate alla massima unione
sociale. Lo stipite umano è ordinato esso pure a spandere discosto da sé le
propagini e i semi. E ogni germe nuovo dee nudrirsi del terreno ove cade, non
del tronco da cui si origina. Sieno rese grazie publicamente da tutta l'Italia
a voi, o Valdesi, che l'antica madre mai non avete voluto e potuto odiare e
sconoscere insino al giorno glorioso che è dal divino coronata la vostra
costanza, e un patto comune di libertà vi riconciliava con gl’emendati
persecutori. S'io credessi quelle armi
che assiepano IL FORO, DICE CICERONE, starsene qui a minacciare e non a
proteggere, cederei al tempo e mi terrei silenzioso. Ma il fatto è che quelle
armi NEL FORO induceno per se sole una fiera minaccia, tanto che CICERONE parla
poco e male, e la paura ammazza l'eloquenza. Dal riscontro, per tanto, di tutte
le storie, senza timore mai d'eccezione, e più ancora dalla ripugnanza intima
di certi termini, quali sono felicità a servitù, spontaneità e costrizione,
ricavasi questa assoluta sentenza che in una nazione civile come ROMA, nessun
governo straniero – come Cartagine -- non può vantarsi mai né della legittimità
interiore, né della esteriore che emana dall'assentimento espresso o tacito della
popolazione romana. Non può aver luogo prescrizione, dove i diritti innati o
fondamentali dell'uomo ricevono sostanziale ingiuria ed offesa; e di si fatti è
per appunto la indipendenza o dimezzata o distrutta. Ogni cosa nell'uomo è
principiata dalla natura e poi dalla ragione e dall'arte è compiuta.Voi stesso
l'avete udito? Poerio: E come nò, se rinchiuso è con lui in una prigione
medesima? Pignatelli: E è la vigilia della sua morte? Poerio: Appunto è la vigilia. Sapete che valica la mezzanotte,
una voce improvvisa e sepolcrale veramente rompevane il sonno chiamando forte
per nome alcuno di noi; e quella chiamata voleva dire: vieni, ti aspetta il
carnefice. La notte pertanto che seguitò quel mirabil discorso di Pagano gli
sgherri gridarono il nome suo, e fu menato al patibolo. Pignatelli: Sta per
mezzo a voi quell'omerica figura del conte di Ruvo? Poerio: Nò, ma in Castello
dell'Uovo insieme con altri uffiziali e con l'intrepido Mantone. Nel Castel
Nuovo e in quella carcere proprio dove è Pagano, sta il fratel vostro maggiore,
principe di Strangoli, sto io, il Conforti, Cirillo, Granali, Palmieri, Russo e
due giovinetti amorevoli e cari, cioè l'ultimo figliuolo dello Spanò ed un
marchese di Genzano, bello come l'appollino e di cui sente Pagano particolare
compassione. V'à una cagione suprema di tutte le cose, cagione assoluta e
però insofferente di limiti e incapace d'aumento e di defficienza. Ma se niun
difetto può stare in lei, ella è il bene infinito e comprende infinitamente ogni
specie di bene. Ciò posto, la cagione suprema è altresì infinita bontà che
raggia il bene fuor di sé stessa e ne riempie la creazione ed ogni ente se ne
satura, a dir così, per quanto è fatto capace. Tale contenenza di bene è poi
sempre difettiva perché sempre è finita. Di quindi si origina il male. Non si
chieda dunque perché il divino è permettitore del male, ma chiedasi in quella
vece perché piacque al divino, oltre all'infinito, che sussistesse pure il
finito. Se il vivere nostro presente è condito di molto diletto e noi incapaci
di conoscere e desiderare con ismania istintiva l'eternità, forse potrebbesi
giudicare senza paradosso aver noi sortito quella porzioncella sola e frammento
di beatitudine, brevissima ma sincera e inconsapevole della propria caducità.
Col presupposto della immortalità, bene avverte BRUNO, alcun desiderio naturale
non è indarno e alcuna lacrima non cade senza conforto. Con la immortalità non
è affetto generoso perduto, non ferita dell'animo a cui non si apparecchi
altrove copioso balsamo. Per entro il corso interminato e magnifico de'nostri
destini, ogni male vien riparato, ogni speranza risorge, ogni bellezza
rifiorisce, ogni felicità si rinnova e giganteggia ne'secoli. Poerio: Quando è
possibile strappare dal cuor dell'uomo il concetto e la speranza della
immortalità, il consorzio civile medesimo pericolerebbe di sciogliersi e i
piaceri e le utilità stesse della vita presente verrebbero gran parte impedite
o affatto levate di mezzo. I dotti e i legisti barbareggiavano sempre peggio, e
pareva in loro una sorta di necessità tramutata in diritto, e niun discepolo
mai se ne querela; e le lettere cadevano in tale grettezza, che nelle prose di Giordani
si appuntavano parecchie mende di stile, ma nessuno accusava la tenuità dei
concetti e la critica angusta e slombata. Colletta è stimato dai più uno
storico sovrano e poco meno che un Tacito redivivo, ed altri istituivano
paragone tra il Guicciardini e il Botta, tra Goldoni e Nota. Tale il gusto e il
criterio comune. Pochi grandi filosofi non mancavano neppure a quei giorni.
Basti ricordare Bartolini nella scultura; Leopardi e Niccolini nella poetica;
Rossini, Bellini, Donizetti nella musica. In Italia scemando il sapere e la
potenza meditativa, crebbe l'amore spasimato ed irragionevole della bellezza
dell'abito esterno, lasciando a digiuno la mente e poco nudriti e mal governati
gli affetti. Letteratura e filosofia vasta, soda e ben definita, e parimente
larghe scuole e ben tratteggiate e scolpite mancano alla patria nostra da quasi
tre secoli e piuttosto ne abbiamo avuto cenni e frammenti, e ogni cosa a pezzi,
a sbalzi e a modo d'assaggio. Miei degni signori, il cibo che v'apparecchio è
scarso, scondito e di povera mensa, ma è letteratura e non meta-fisica. Non
appena l'esilio mi astrinse a lasciare l'Italia e fui spettatore d'altro ordine
di civiltà e uditore d'altri maestri, subito mi si aprì dentro l'animo l'occhio
doloroso della coscienza, ed ebbi della mia ignoranza una paura ed una vergogna
da non credere. Per giudicare alla prima prima che tutto è vecchio e trito in
un libro convien sapere dell'autore se nel generale à l'abito di pensar di suo
capo. Ed egli evoca nuovi spiriti di più sublime natura, i quali entrano a uno
a uno dentro la torre. Spirito del mare. Che vuoi? Barone. Sapere l'essenza del
bene e la fonte della felicità. Spirito del mare. Perché lo chiedi al mare?
Barone. Perché tu sai o puoi sapere ogni cosa; tu nei silenzj della notte tieni
misteriosi colloquj con la luna e con le stelle che in te si riflettono; e tu
pur ricevi nell ' ampio tuo seno i fiumi tutti del mondo, i quali ti raccontano
le geste antiche dei popoli e le più antiche vicende dei continenti per mezzo a
cui essi fluiscono senza posa. Spirito del mare. lo non so nulla (sparisce).
Barone. Che tu venga malmenato in eterno dallo spirito delle procelle, e che i
tuoi membri immortali sieno rotti e squarciati mai sempre dalle taglienti
creste degli ardui scogli. La coda del cavallo bianco dell' Apocalisse.
Che vuoi? Barone. Sapere in che consiste il bene, e dove è la fonte della
felicità. La coda. Perché lo chiedi a me? Barone. Tu sai la fine ultima delle
cose, e tu comparirai poco innanzi della consumazione del secolo. La coda.
Quando io comparirò, io ondeggerò nelle sfere, simile alla caduta del Niagara e
più tremenda della coda delle comete. Ogni mio crine rinserra un destino; e
ogni mio moto è un cenno di oracolo; ò trascorsi tutti i cieli di Tolomeo e i
cieli di Galilei e i cieli di Herschel; ò lambita con la mia criniera la faccia
delle stelle, e l'ò distesa sulle penne de' turbini; molte cose ò conosciute,
ma non quel che tu cerchi: io non so nulla (sparisce). Dagli Arabi si travasò
il mal gusto ne' Catalani e ne' Provenzali, e una vena non troppo scarsa ne fu
derivata ne' primi nostri verseggiatori. ALIGHIERI egli pure non se ne astenne
affatto; e noi peniamo a credere che a quel genio sovrano venisse scritta la
canzone lambiccatissima della Pietra. Sa ognuno che nel seicento, con lo
scadere dell' arte, ricomparvero quelle freddure e mattie, e ogni cosa fu piena
di acrostici, d'anagrammi, d'allitterazioni e altrettali sciempiezze. Ma per
buona ventura cotesta sorta vanissima di pedanteria non sembra ai moderni
pericolosa; e dico ai romani, perché appresso gli stranieri non ne mancano
esempj; e molti anno letto in un vivente poeta francese di gran nomea certi
capricci di metri e di rime i quali dimostrano come in lui siensi venuti
rinnovando tutti gli umori e le vertigini dei seicentisti. E nemmanco ci pare
immune dalle stranezze di cui parliamo quel concepimento del Goethe di ordire
la tragedia del Fausto con questa singolar legge che ogni scena fosse dettata
in metro diverso ed una altresì in nuda prosa, onde potesse affermarsi che
niuna maniera del verseggiare ed anzi dello scrivere umano (per quanto ne è
capace il tedesco idioma) mancasse a quel dramma; nuova maniera e poco assai
naturale e graziosa di porgere idea e figura del panteismo. Non può né deve il
poeta scompagnarsi mai troppo dalle opinioni e dai sentimenti comuni dell'età
sua; chè da questi principalmente è suscitato l'estro di lui, con questi
accende e innamora le moltitudini. D'ogni altro pensiero ed affetto, ove li
possieda e li senta egli solo, avrà pochi intenditori, pochissimi lodatori; e
la favella delle Muse langue e muor sulle labbra se non suona ad orecchie
benevole e a cuori profondamente commossi. In Inghilterra il Milton fierissimo
repubblicano e segretario eloquente del gran Cromvello, à quasi sempre poetato
di cose mistiche e teologiche e nulla v'à di politico, nulla d'inglese e di
patrio, né nel Paradiso perduto, né in altri suoi canti. Riuscirà sempre a
gloria grande e invidiata d'Italia che la Gerusalemme del Tasso compaja tanto
più bella e mirabile quanto più in lei si contempla e considera intentivamente
la perfezione del tutto. Certo, il Valvasone è meno forbito ed armonioso del
Tansillo, meno fluido del Tasso seniore, meno corretto, proprio e limato de'
più corretti e limati rimatori toscani; ma non per ciò si capisce come questa
minor perfezione di forma, abbia potuto oscurare nel giudicio de' raccoglitori
e de' critici il gran merito dell'invenzione. Che il Milton siasi giovato dell'
Angeleide non so, quantunque fra i due poemi si vengan trovando molti e
singolari riscontri che non è facile a credere casuali; ma questo io so bene
che a rispetto della guerra degli angeli episodicamente introdotta nel Paradiso
perduto, il Valvasone non perde nulla ad esser letto dopo l'Inglese e con
quello essere paragonato; il che non avviene del sicuro né per l' Adamo
dell'Andreini né per la Strage degl'Innocenti del cavaliere Marino, due
componimenti che dicesi aver suggerito a Milton parecchi pensieri e l'ideal grandezza
del suo Lucifero. L'ingegno poetico, in versificare ciascuno di quei subbietti,
tende a spiegare una novità, un' altezza e una leggiadria suprema di concetto,
di sentimento, di fantasia e di stile. Dove mancasse l'una di tali eccellenze,
l'arte sarebbe difettosa e quindi increscevole. Ci venne osservato (cosa che
per addietro non ben sapevamo) la critica letteraria incominciata in Italia con
ALIGHIERI essere morta col Tasso e gli amici suoi; e come cadde con quel
mirabile intelletto la nostra primazia nel ministero delle Muse, così venne
meno la filosofia estetica; e il nuovo dell' arte non fu capito, l'antico fu
dalla pedanteria svisato e agghiadato. L'arte critica antica ebbe ultimi
promulgatori due grandi ingegni, il Muratori e il Gravina. Della critica nata
dipoi con le nuove speculazioni e con le nuove forme di poesia, non conosciamo
in Italia alcun degno scrittore e rappresentatore. Dopo Omero nessun poeta, per
mio giudicio, può alzarsi a competere con l'Alighieri, salvo Guglielmo
Shakspeare, gloria massima dell'Inghilterra. E per fermo, ne' drammi di lui
l'animo e la vita umana vengon ritratti così al vero e scandagliati e disaminati
così nel profondo, che mai nol saranno di più. Ma le condizioni peculiari della
drammatica e l'indole propria degl' ingegni settentrionali impedirono a
Shakspeare di raggiungere quella perfetta unione sì delle diverse materie
poetiche e sì di tutte l'eccellenze e prerogative onde facciamo discorso. E
veramente nelle composizioni sue la religione si mostra sol di lontano e molto
di rado; e tra le specie differenti e delicatissime d'amore ivi entro
significate, manca quella eccelsa e spiritualissima di cui si scaldò l'amante
di Beatrice. Il poeta è dall'ispirazione allacciato e padroneggiato sì forte,
da non saper bene sottomettersi all'arte ed alla meditazione. Il troppo
incivilirsi dei popoli aumentando di soverchio l'osservazione e la critica e
affinandovisi l'arte ogni giorno di più per effetto medesimo dell' esercizio e
dell' esperienza e per desiderio di novità, mena il poeta a scordar forse
troppo l'aurea semplicità degli antichi, il sincero aspetto della natura e i
veri e spontanei moti dell'animo. Il compiuto e l'ottimo della poesia consiste
in racchiudere dentro ai poemi con vaga e proporzionata unità di composizione
tutto quanto il visibile ed il pensabile umano per ciò che in ambedue è più
bello e più commovente. Consiste inoltre nel figurare e ritrarre cotesto
subbietto amplissimo e universale con la maggior novità e la maggiore sublimità
e leggiadria di concepimento, di fantasia, d'affetto e d'elocuzione che sia
fattibile di conseguire. Laonde poi il concepimento, così nel complesso come
nelle sentenze particolari, dee riuscir succoso, vario ed inaspettato e pieno
di recondita dottrina e saggezza; l'affetto dee correre, quanto è possibile,
per tutti i gradi e le differenze, e toccare il sommo della tenerezza e
commiserazione e il sommo della terribilità. Tasso, anima pia e generosa, ma in
cui (non so dir come) nulla v'era di popolare. Quindi egli s'infervorò della
maestà teocratica dei pontefici e aderì alla nuova cavalleria cortigiana e
feudale; quindi pure accettò con zelo e con osservanza scrupolosa l' ortodossia
cattolica, e nella vita intellettuale quanto nella civile, fu dall' autorità
dei metodi e degli esempj signoreggiato. Da ciò prese nudrimento e moto il
divino estro suo e uscirono le maraviglie della Gerusalemme. Nel Tasso poi sono
tutti i pregi e tutta quanta la luce e magnificenza della poesia classica, e
spiccano altresì in lui alcuni attributi speciali del genio italiano in ordine
al bello. In perpetuo si ammirerà nella Liberata ciò che l'arte, i precetti, l'erudizione
e la scienza possono fare, ajutati e avvivati da una stupenda natura poetica. L'ARIOSTO
significa la commedia umana quale la veggiamo rappresentarsi nel mondo, laddove
ALIGHIERI fece primo subbietto suo il soprammondano, e in esso figurò e
simboleggiò le cose terrene. E come il gran Fiorentino nelle fogge variatissime
de' tormenti e delle espiazioni dipinse i variatissimi aspetti delle indoli e
delle passioni, il simile adempiva l'Ariosto sotto il velo dei portenti magici
e delle strane avventure. Ma certo qual narrazione di fatti umani riuscirà più
vasta, più immaginosa e più moltiforme di quella dell' Orlando furioso? Quivi
sono guerre tra più nazioni, nascimenti e ruine di molti regni, conflitto
sanguinoso di religione e di culto, infinita diversità e singolarità di
costumi, e tutto il Ponente e il Levante offrono larga scena e strepitoso
teatro a cotali imprese e catastrofi. Quivi sono dipinte la vita privata e la
pubblica, le corti e le capanne, i castelli ed i romitaggi; quivi s'intrecciano
gradevolmente la cronica, la novella e la storia, e ciò che il dramma à di
patetico, l'epopeia di maestoso, il romanzo di fantastico. Non credo che in
veruna straniera letteratura possa come nella nostra volgare annoverarsi una
sequela così sterminata di poemi eroici e di romanzeschi, parecchj de' quali
brillerebbero di gran luce, ove fossero soli e non li soverchiasse la troppa
chiarezza di Dante, dell'Ariosto e del Tasso. Né reputo presontuoso il dire
che, per esempio, la Croce racquistata del Bracciolini o il Conquisto di
Granata di Girolamo Graziane sostengono bene assai il paragone o con l'Araucana
dell' Ercilla o coi medesimi Lusiadi di Luís Vaz de Camões ai quali ànno
accresciuta non poca fama le sventure e le virtù del poeta; e per simile, io
giudico che l' Amadigi del Tasso il vecchio o l'Orlando innamorato del Berni,
non temono di gareggiare con la Regina Fata di Spenser e con quanto di meglio
in tal genere ànno prodotto l'altre nazioni. Ma non è da tacere che in quasi
tutti questi nostri poemi riconoscesi agevolmente l'uno o l'altro dei tipi che
nel Furioso e nella Gerusalemme ricevettero perfezione, ed a cui poca giunta di
novità e poche profonde mutazioni si fecero dagl'ingegni posteriori; e ne'
poemi eroici singolarmente a niuno è riuscito di ben cantare i difetti del
Tasso, molti in quel cambio li esagerarono. Scusabile mi si fa Marino e scusabili
gl'Italiani, quand'io considero lo stato di lor nazione sotto il crudele
dominio degli Spagnuoli, e fieramente mi sdegno con questi medesimi che nella
patria loro ancor sì potente e sì fortunata, plaudivano a que' delirj e
incensavano il Gongora, meno ingegnoso assai del Marino e di lui più strano e
affettato. In fine, gioverà il ricordare che all'Italia serva, scaduta e
dilapidata, rimaneva pur tanto ancora di prevalenza intellettuale appresso
l'altre nazioni che de' trionfi più insigni e delle lodi più sperticate del
cavalier Marino furono autori i Francesi; e per lungo tempo assai nessuno de'
lor poeti seppe al tutto purgarsi della letteraria corruzione venuta d'oltre
Alpe; testimonio lo stesso Cornelio, alto e robustissimo ingegno, ma nel cui
stile nondimeno avria dovuto il Boileau ritrovare assai spesso di quel medesimo
talco del quale parevangli luccicare i versi del Tasso. Dal Marino incominciò a
propagarsi nel mondo una poesia fantastica e meramente coloritrice, la quale
cerca l'arte solo per l'arte, fassi specchio indifferente al falso ed al vero,
alle cose buone ed alle malvage, alle vane e giocose come alle grandi e
instruttive; sente tutti gli affetti e nessuno con profondità, e nell'essere
suo naturale od abituale, canta di Adone, come di Erode e così delle favole
greche come delle bibliche narrazioni] Fiorirono in tale intervallo tre ingegni
eminenti che forse mantennero alla lirica nostra una spiccata maggioranza su
quella d'altre nazioni. Ognuno, io penso, à nominato ad una con me il Chiabrera,
il Filicaja ed il Guidi. Dal solo Chiabrera fu l'Italia regalata di tre nuove
corone poetiche; mercechè veramente nelle sue mani nacque e grandeggiò prima la
canzone pindarica, poi la canzone anacreontica e infine il sermone oraziano; né
mal s' apporrebbe colui che attribuisse al Chiabrera eziandio la rinnovazione
del Ditirambo. Il Filicaja venne a tempi ancora più disavventurati, e quando
più non era possibile discoprire ne' suoi Fiorentini un segno e un vestigio
pure dell'antica fierezza repubblicana. Ma il senso del bene morale e la pietà
religiosa fervevano così profondi nell'animo suo che bastarono a farlo poeta. Mai
né in questa nostra patria, né fuori sonosi udite canzoni così ben temperate di
splendore pindarico e di maestà scritturale come quelle del Filicaja. Nel Guidi
allato a concetti ed a sentimenti spesso comuni e rettorici, splende una forma
non superabile di novità, di bellezza e magnificenza. Certo, se a Guidi fosse
toccato di vivere in seno di una nazione forte e gloriosa, non ostante la poca
fecondità e vastità di pensieri, io non so bene a qual grado di eccellenza non
sarebbe salita la lirica sua; perché costui propriamente sortì da natura Yos
magna sonaturum, e ce ne porge sicura caparra la sua canzone alla Fortuna. A me
sonerà sempre caro ed insigne il nome di Varano, perché da lui segnatamente, a
quello che io giudico, s'iniziò il corso della poesia moderna italiana; e forse
la patria non gli si mostra ricordevole e grata quanto dovrebbe. Chi trovasse
non poca similitudine tra la mente del Varano e quella del Young, credo che
male non si apporrebbe. Anime pie e stoiche ambidue, e dischiuse non pertanto
agli affetti gentili, diffondono ne' lor versi un religioso terrore e un'
ascetica melanconia che nell'Inglese riescono cupi, inconsolati e monotoni, e
nell'Italiano s'allegrano spesso alla vista del nostro bel sole, e dai pensieri
del sepolcro volano con gran fede alla pace e serenità della gloria immortale. Varano
poi insieme col Gozzi restituì alla Divina Commedia il debito culto; Gozzi con
li scritti polemici, egli con la virtù dell' esempio; ed ebbe arbitrio di dire
a Dante ciò che questi a VIRGILIO: Tu séi lo mio maestro e il mio autore. Se
non che il cantore delle Visioni chiuse e conchiuse l'intero universo nel
sentimento della pietà e nei misteri del dogma, e non ben seppe imitare del suo
modello la nervosa brevità e parsimonia, la varietà inesauribile e la peregrina
eleganza. Se taluno dei suoi piuttosto scarsi scolari volle talora celebrare in
R.. l'ultimo anello della catena che da GALLUPPI si continua in SERBATI e
GIOBERTI, unanime e il consenso dei suoi maggiori contemporanei e dei posteri
nell'affermare il valore pressoché nullo della sua vasta produzione filosofica.
SERBATI e più scolastico, R. più civile. Quello quasi sterile in politica,
questo R. molto feconda, risolvendo i problemi più ardui e interessanti della
vita sociale. Quello è timido, questo R. Coraggiosa. Quello arriva a rifiutare
sul terreno pratico le conseguenze de' suoi principii per un pregiudizioso
rispetto di casta non evitando il disonore di una ritirata e la deformità del
sofisma; R., per lo contrario tutta intrepido si sostenne colla gloria di una
vittoria, colla dignità di una rigorosa coerenza, e colla bellezza di una vera
argomentazione. SERBATI in un bel momento di sua ragione scrive stupende pagine
sulla riforma del clero; poi ha la debolezza di ritirarle, impaurito dalle
minaccia dell'indice. R. è oggi quel che era ne' primi giorni della sua vita
pubblica, e non sa temere altro autorevole indice che quello del buon senso.
Nel suo saggio, intitolalo “Del diritto” (Scolastica, Torino) i ammira il
coraggio della coscienza di un filosofo, e la prudenza d'un uomo di stato.
Riguardo poi ai pregi della forma, SERBATI è semplicemente filosofo, R. è un
filosofo-oratore. Nel primo spicca la pura meditazione, nel R. si unisce il
genio che feconda il deserto delle speculazioni metafisiche, delle avanzate
astrazioni. In SERBATI vi ha una ricchezza povera, cioè una stiracchiatura di
poche idee in molte parole, quasi diffidi della memoria, e dell'abilità del
lettore. In R. vi ha una povertà ricca, cioè molte idee in poche parole; il che
appaga l'amor proprio del lettore, e ne fa liete tutte le potenze della
ritentiva e della ragione. Altri saggi: ““Dell'ottima congregazione umana e del
principio di nazionalità romana e italiana” (Subalpina, Torino); “Pagano,
ovvero, della immortalità”; “Dai Torchi della Signora De Lacombe”; “Prose
letterarie” (Barbera, Firenze). Terenzio Mamiani della Rovere. Rovere. Keywords:
confessioni di un metafisico, il rinnovamento della filosofia antica italiana, Vico,
Cuoco, Cicerone, Roma antica, gl’antichi romani, il foro, il caso di Nizza, la
communita di sangue. Refs.: Luigi Speranza,
"Grice e della Rovere," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool
Library, Villa Grice, Liguria, Italia. Rovere
Grice
e Rubellio: la ragione conversazionale della filosofia sotto il principato di
Nerone – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Portico. Uomo di carattere
encomiabile e studi filosofici che si ritrova al centro delle faide tra
Agrippina e il figlio princeps NERONE per la sua ascendenza imperiale -- egli e
cugino di secondo grado del princeps in quanto figli di cugine nipoti di
Tiberio e bisnipoti adottive d’OTTAVIANO -- venne prima esortato, insieme alla
moglie Antistia Pollitta figlia del console Lucio Antistio Vetere, a ritirarsi,
verosimilmente dopo aver ricoperto solo la questura, nei possedimenti familiari
in Asia e poi ucciso con la testa mozzata riportata a Roma. Nel
mezzo di tali vicende, brillò in cielo una cometa, che la credenza popolare
interpreta come segno di cambiamento del re. Quindi, come se già Nerone
fosse stato cacciato, ci si domandava su chi sarebbe caduta la scelta, e sulla
bocca di tutti correva il nome di Rubellio Plauto, la cui nobiltà derivava, per
parte di madre, dalla famiglia Giulia. Amava le idee e i principi del passato,
austero nel comportamento, riservato e casto nel privato, e quanto più cercava,
per timore, di passare inosservato, tanto più si parlava di lui. Le
chiacchiere sul suo conto presero consistenza, quando si diede, con altrettanta
leggerezza, l'interpretazione di un fulmine. Infatti, mentre Nerone banchettava
presso i laghi di Simbruvio, in una villa chiamata Sublaqueum, i cibi furono
colpiti dal fulmine, che mandò in pezzi la mensa, e ciò si era verificato nel
territorio di Tivoli, da cui proveniva il padre di Plauto, sicché la gente
credeva che il volere degli dèi l'avesse destinato alla successione, e
parteggiavano per lui non pochi, per i quali vagheggiare avventure rischiose è
una forma di ambizione suggestiva, ma in genere illusoria. Scosso dunque dalle
voci, Nerone scrisse una lettera a Plauto: lo invitava a farsi carico
della tranquillità di Roma e a non prestarsi a chi propalava chiacchiere
maligne: aveva, in Asia, terreni ereditati, in cui poteva passare, al sicuro,
una giovinezza lontana da torbidi. Così Plauto là si ritirò con la moglie
Antistia e pochi amici.Tacito, Annales. Syme. Related by marriage to Tiberio. Perceived as a
threat by Nerone, he is sent to Asia where he is killed. He is a friend of
Coerano and Musonio Rufo. Sergio Rubellio Plauto. Keywords: Nerone. Rubellio.
Grice e Ruberti: la ragione conversazionale -- la
natura abhorre il vuoto, o la tromba di Gabriele -- filosofia italiana – Luigi
Speranza (Pideura). Filosofo italiano.
Studia a Faenza e Roma sotto CASTELLI. Srive a GALILEI una lettera di risposta
a sue richieste a CASTELLI, che assente in quei giorni lascia allo studente il
compito di segretario. In tale lettera colge l'occasione per presentarsigli,
che egli ammira grandemente. Il vivere da vicino le vicende del processo a
Galilei gl’indusse a dedicarsi più strettamente alla matematica nonostante
padroneggiasse gli strumenti teorici e fosse un abile costruttore di
cannocchiali. Divenne segretario di Ciampoli, un filosofo devoto a Galilei, che
segue nei suoi incarichi governativi nelle Marche e nell'Umbria. Castelli
presenta a Galilei il saggio di R., “De motu gravium” suggerendogli di
impiegarlo come discepolo e assistente. Così e e divenne assistente di Galilei e
su domanda e insistenza di Galilei si trasfere nella sua abitazione. Alla
morte di Galilei, Ferdinando II gli nomina matematico del gran ducato di Toscana.
Studia geometria, dove anticipa il calcolo in-finitesimale. Si dedica alla
fisica, studiando il mosso dei gravi e dei fluidi e approfonde l'ottica.
Possede un laboratorio nel quale realizza egli stesso lenti e telescopi. Si
dedica anche allo studio dei fluidi, giungendo ad inventare il baro-metro a
mercurio chiamato, "tubo di Torricelli" o "tubo da vuoto”. Tale
invenzione si basa nella misurazione della pressione atmosferica attraverso
l'uso di questo tubo che, proprio sotto la spinta di tale pressione, viene
riempito dal mercurio fino all'altezza costante di 760 mm -- esperimento
effettuato sul livello del mare. Proprio da questa invenzione nasce l'unità di
misura della pressione "millimetri di mercurio" – mmHg -- e
l'uguaglianza: 1 Atm = 760 mmHg -- la pressione di un'atmosfera corrisponde a
760 millimetri di mercurio. Pubblica “Opera Geo-Metrica”, della quale “De motu
gravium” costituisce la II parte. Si dice faentino e tale è considerato
dalle persone che lo conosceno, ma le ricerche compiute già subito dopo la sua
morte nei registri battesimali di Faenza non hanno esito. Ciò da adito ad un
secolare dibattito, durante il quale varie altre località romagnole
rivendicarono l'onore di avergli dato i natali. Rossini ricostrusce l'albero
genealogico della famiglia, originaria di Pideura, nel contado faentino,
risalendo di due secoli oltre la nascita di R.. Bertoni, del liceo che da R.
prende nome, trova nel registro dei battezzati della Basilica di S. Pietro in
Vaticano il suo atto di battesimo. Ciò che trae in inganno i filosofi è il
fatto che R. assume il cognomen Torricelli della madre. Si sa che il nome del
padre e Gaspare. Pertanto, si cercano notizie di un inesistente Gaspare
Torricelli. Viceversa, si hanno notizie di una Giacoma Torricelli e si ritenenne
che è la zia paterna. È invece la madre. La lettera a Galilei, conservata alla
Biblioteca Nazionale di Firenze fra i manoscritti galileiani, è il primo
documento nel suo carteggio. Rappresenta un documento fondamentale per studiare
la vita e l'opera del filosofo faentino. Descrive la propria formazione filosofica.
Si dichiara a conoscenza dei fatti che portano a breve alla condanna di Galilei
e dichiara la propria fede galileiana. Molto Ill. re et Ecc. mo Sig. r mio Col.
mo Nella absenza del Rev. mo padre matematico di N. Sig. re, sono restato
io; humilissimo suo discepolo e servitore, con l'honor di suo secretario. Fra
le lettere del quale havendo io letta quella di V. S. molto Ill. re et Ecc. ma,
a lei ne accuso, conforme l'ordine datomi, la ricevuta, e a lui Rev. mo ne do
parte in compendio. potrei nondimeno io medesimo assicurar V. S. che il padre abbate
in ogni occasione, e con il maestro di Sacro Palazzo e con i compagni di quello
e con altri prelati ancora, ha sempre procurato di sostenere in piedi li dialoghi
di lei Ecc. ma, e credo che sia stato causa che non si è fatta precipitosa
resolutione. Io sono pienissimamente informato d'ogni cosa. Sono di
professione matematico, scolaro del Padre R. mo di anni, e duoi altri havevo
prima studiato da me solo sotto la disciplina dei gesuiti. Son stato il primo
che in casa del padre Abbate, et anco in Roma, ho studiato minutissimamente e
continuamente sino al presente giorno il libro di V. S., con quel gusto che
ella si puol imaginare che habbia havuto uno che, già AVENDO ASSAI BENE
PRTICATA TUTTA LA GEOMETRIA, Apollonio, Archimede, Teodosio, et che havendo
studiato Tolomeo et visto quasi ogni cosa del Ticone, del Keplero e del Longomontano,
finalmente adhere, sforzato dalle molte congruenze, al Copernico, ed è DI
PROFESSIONE E DI SETTA GALILEISTA. Il Padre Grienbergiero, che è molto mio,
confessa che il libro di V. S. gli da gusto grandissimo e che ci sono molte
belle cose, ma che l'opinione non la loda, e se ben pare che sia, non la tien
per vera. Il Padre Scheiner, quando gliene ho parlato, l’ha lodato, crollando
la testa. Dice anco che si stracca nel leggerlo per LE MOLTE DISGRESSIONI. Io
gli ricordo le medesme scuse e diffese che V. S. in più lochi va intessendo.
Finalmente dice che V. S. si porta male con lui, e non ne vol parlare.
Del resto io mi stimo fortunatissimo in questo, d'esser nato in un secolo nel
quale ho potuto conoscere et riverir con lettere un Galileo, cioè un oracolo
della natura, et honorarmi della padronanza et disciplina d'un Ciampoli, mio
amorevolissimo signore, eccesso di meraviglia, o se adopri la penna o la lingua
o l'ingegno. Haverà quanto prima il Padre R. mo la carissima di V. S., e le
risponderà. Intanto V. S. Ecc. ma mi fa degno, ben che inetto, d'esser nel
numero de' servi suoi e DE’ SEGUACI DEL VERO; che già so che il Padre R. mo, o
a bocca o per lettere me gli haverà altre volte offerito per tale. E per fine a
V. S. faccio con ogni maggior affetto riverenza. Roma, Di V. S. molto
Ill. re et Ecc. ma Sig. r Gall. Gal. La lettura approfondita delle “Due nuove
scienze” di Galilei dei cui ultimi capitoli segue direttamente la stesura ad
Arcetri, gli ha suggerito molti sviluppi dei principi della meccanica ivi stabiliti.
Tali sviluppi sono esposti nel trattato dal titolo “De motu gravium”. Nell’ “Opera
Geometrica” conceve il principio del
baro-metro, costruendo quello che ora è chiamato tubo di Torricelli e
individuando il "vuoto torricelliano". Con VIVIANI dimostra che IL
VUOTO ESISTE IN NATURA e che l'aria ha un peso PONENDO QUINDI FINE ALLE
MILLENARIE DISCUSSIONI FILOSOFICHE SULL’HORROR VACUI. Un'unità di misura della
pressione è stata chiamata “Torr” in onore alla madre di R. e corrisponde a
millimetri di mercurio. L'unità di misura del sistema Internazionale è invece
il “pascal”, in onore di un altro illustre fisico Blaise Pascal, che fa fiorire
numerose ricerche sperimentali dalla estesa e definitiva teoria della pressione
atmosferica descritta da Torricelli. La parola “baro-metro” coniata da
Boyle è quasi sempre associata al nome di R. che risulta quindi fra i più
celebri filosofi italiani nella storia. Essendo in diretto contatto con
Cavalieri inizia a lavorare con la geometria degl’indivisibili e ben presto
supera, secondo lo stesso Cavalieri, il suo maestro. E abilissimo
nell'utilizzarne le tecniche, cioè il metodo degl’indivisibili, come anche il
metodo d'esaustione, che e in uso presso gl’antichi, fra tutti il grande
Archimede, di cui è entusiasta ammiratore. A R. dobbiamo la riscoperta del
matematico siracusano. Per il gusto di imitare i classici, dimostra in XXI
modi diversi un teorema di Archimede: XI con il metodo d'esaustione, X con il
metodo degl’indivisibili. Spesso i risultati ottenuti con la geometria
degl’indivisibili venneno poi confermati con altre dimostrazioni, a causa della
controversia sulla loro fondatezza. Il fatto interessante è che lo stesso
Archimede elabora una sorta di geometria degl’indivisibili, ma non la ritiene
rigorosa, e perciò dimostra sempre i suoi risultati con il metodo d'esaustione.
Tutto ciò si è scoperto quando si scopre un palinsesto con un'opera sconosciuta
d’Archimede, il Metodo meccanico, nel quale espone questi procedimenti. --
è famoso per la scoperta del solido di rotazione infinitamente lungo detto “la tromba
di Gabriele”, da lui chiamato “solido iper-bolico acutissimo”, avente l'area
della superficie infinita, ma il volume finito. La tromba di Gabriele è considerato
per molto tempo un paradosso "incredibile" per molti, incluso R. stesso,
che cerca diverse spiegazioni alternative, anche perché l'idea di un secchio
che è possibile riempire di vernice, ma impossibile da pitturare è senz'altro
singolare. Il solido in questione scatena un'aspra controversia sulla natura
dell'infinito, che ha coinvolto anche Hobbes. In questa disputa alcuni sostenneno
che il solido conduce all'idea di un infinito completo. -- è stato pioniere nel
settore delle serie infinite. In “De dimensione parabolae" R. considera
una successione decrescente di termini positivi “{{0},{1},{2}}” e mostra che la
corrispondente serie tele-scopica “{{0}{1})+{1}{2})+}” converge necessariamente
a “{{0}-L{0}-L},” dove “L” denota il “limite” della successione. In questo modo
riusce a dare una dimostrazione dell’espressione per la somma della serie
geometrica. A Faenza è presente una statua di fronte alla chiesa di S. Francesco
che lo raffigura con in mano un baro-metro a mercurio -- nella statua, l’altezza
del barometro è proporzionalmente inferiore a quella reale, che deve essere di
almeno 76 cm. -- Per la storia della scoperta della sua vera origine vedi anche
Registrazione del convegno per lui, Fidio, C. Gandolfi, Idraulici italiani, Biblioteca
Europea di Informazione Cultura. In questa sperimentazione venne preceduto da Berti,
che conduce un esperimento baro-metrico utilizzando acqua anziché mercurio.
Cfr. L'esperimento di Berti, realizzato a Roma Moon: Torricelli G. Rossini, Convegno di studi torricelliani in
occasione dell’anniversario della nascita, Faenza, Lega, Bertoni, La sua
faentinità e il suo vero luogo di nascita, in Studi e ricerche del liceo
Torricelli, Faenza, Ragazzini, Toscano, L'erede di Galilei. Vita breve e
mirabile, Milano, Sironi. Alexander, Infinitamente piccoli. La teoria
matematica alla base del mondo moderno, Torino, Codice edizioni, Baro-metro di Torricelli, Equazione di
Torricelli, Legge di Torricelli Torr, Tromba di Torricelli, Treccan Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Crusca. E. Torricelli,
Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Scienze, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Museo della Storia della Scienza, Firenze. Evangelista Torricelli Ruberti.
Keywords: il vuoto, geometria. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Ruberti” – The Swimming-Pool Library
Grice e Rucellai: la ragione
conversazionale degl’amori di Linceo, o della filosofia imperfetta -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Firenze). Filosofo. Crusca. Discepolo di GALILEI e in certa
guisa il depositario e spositore delle opinioni meta-fìsiche professate dal suo
maestro. Di più: in cui la scuola di Galilei ha uno dei maggiori lumi. Afferma
di essere amico e confidente di Galilei, ma ciò non corrisponde al vero. In
verità si incontrano solo una volta quando e suo ospite nella villa di Arcetri.
Men che meno e suo studente. Quanto poi alla meta-fisica di Galilei, i dialoghi
filosofici parlano da soli. Quando
comincia a comporre i dialoghi presero persino a chiamarlo "il nostro
sapientissimo Socrate". Ma anche questa è una bufala. Il fatto è ogni
volta che compone un dialogo, ama recitarlo al suo palazzo davanti a un
pubblico scelto di personaggi del bel mondo fiorentino. Che al suo palazzo, uno
dei più ricche di Firenze, si mangia e beve gratis. Quindi più dialoghi recita,
più si gozzoviglia. Per questo lo incitano a continuare. La verità è che in
filosofia non vuole, non segue la ragione. Chiudendo gl’occhi alla scienza, in
qualunque punto, non dice nero né bianco. Altro che discepolo di Galilei anche
se a Firenze, a questa panzana, ci credeno in molti. Non è un caso dunque se i dialoghi
sono pubblicati non per meriti filosofici, ma linguistici. I dialoghi sono citati
dal vocabolario della Crusca, ed ottimo avviso è il farne spoglio abbondante
perché la loro favella è veramente d'oro e, se lo stile procede talvolta
prolisso, è sempre chiarissimo ed elegante e à gran ricchezza di voci e frasi, convenienti
agli studj speculativi. Forse è proprio per la sua grande abilità nel farsi
credere che, nel gran ducato, la sua stella sembra non tramontare mai. Ambasciatore
toscano prima presso Ladislao IV e poi Ferdinando III. Intendente della biblioteca
laurenziana. Tutore di Francesco Maria. Acclamato priore dell'accademia della
Crusca con l’alias di “imperfetto” Strano perché lui, invece, è un perfetto: un
perfetto bugiardo. Altre saggi: “Descrizione della presa d'Argo e de gl’amori
di Linceo con Hipermestra”; Opuscoli inediti di celebri autori toscani, Prose e
rime inedite di Rucellai, Tommaso Buonaventura, Degl’officii per la società
umana”; “Della provvidenza”; “Della morale”, Crusca. Orazio Ricasoli-Rucellai.
Ruscellai. Keywords: gl’amori di Linceo, imperfetto? perfetto – perfetto
bugiardo. --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rucellai”
Grice e Ruffolo: la ragione
conversazionale dal guazzabuglio al possibilismo come terapia eutimistica -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Cosenza).
Filosofo Italiano.Torna a Roma dal fronte della campagna greco-albanese della
seconda guerra decorato con IV medaglie al valore per diverse intrepide azioni
contro il nemico, in cui e ferito con arma da fuoco trapassante il petto. Organizza
in seno al ministero dell'interno una cellula di resistenza partigiana, che gli
vale l'attestazione di partigiano combattente e una medaglia di bronzo al
valore partigiano. Per via della delazione di un componente del gruppo di
resistenza è arrestato dalla banda Pollastrini-Koch e incarcerato alla pensione
Jaccarino in via Romagna. Trasferito in Regina Coeli, condivide la cella con
PINTOR e SALINARI, discutendo del dopo liberazione. Trasferito a via Tasso
e interrogato da Kappler. L'iniziale sentenza di morte e commutata in deportazione. Qualche
ora prima dell'ingresso degl’alleati in Roma, all'abbandono di Roma da parte
dei tedeschi, usce dal carcere insieme per essere avviato su uno dei III
torpedoni in attesa a Piazza S. Giovanni per essere deportato in Germania. Un IV
torpedone e invece quello destinato all'eccidio di La Storta dove e ucciso
BUOZZI. Lee SS gli impedeno il suo proposito di salire proprio sul IV
torpedone, scostato dagl’altri, avvalorando la tesi che l'eccidio e pre-meditato
e non una reazione impulsiva del comandante. Costretto a salire su uno dei
restanti III torpedoni, si getta mentre il convoglio e in marcia. Riusce a far
perdere le tracce e a liberarsi nonostante le S. S. hanno fermato il convoglio
e lo insegueno nella campagna nei pressi di Ficulle. Dell’arresto e
prigionia da conto in "Roma -- storia della mia cattura e fuga dalle S. S.
dai nazisti” (Roma). Al termine della guerra, ha la carriera di notaio a Grosseto.
Uomo colto, conversatore brillante con battute spesso umoristiche. In occasione
della trasmissione "Testimoni oculari" di S. Zavoli, circa la
detenzione a Via Tasso, venne intervistato il fratello Sergio. La sua
condizione di laringectomizzato per il tumore alle corde vocali, e probabile
causa della mancata intervista. Tuttavia non è citato nella trasmissione,
in quanto il fratello omite di nominarlo nell'intervista, causando uno
spiacevole dissapore familiare, tenuto conto delle drammatiche e indimenticabili
circostanze di quei momenti vissuti insieme. Amico e intrattenne corrispondenza
tra gl’altri, con ORLANDO, LEVI, RAGGHIANTI, BALDINI, TROMBADORI, VALERI,
MORANTE, CASSOLA, MELLONE (‘Fortebraccio’), GUERCIO, RIPELLINO, GABRIELLI, E
STERN. Notevole la mole dei suoi saggi filosofici e il cui interesse di
pensiero, investe gli argomenti più disparati. Altri saggi: “La cosmologica”
(Roma, Signorelli), opera poetico-filosofica. Fonda la “metafisica possibilista”
basata sulla teoria della relatività generale e della fisica dei quanti; "America
come pre-testo" (Roma, Ventaglio); "Il possibilismo: suggerimento
filosofico eutimistico-terapeutico” (Roma, Mancosu); "Guazzabuglio"; “Quadri
di una esposizione” (Roma, Barone); “Guazzabuglio” (Roma, Croce); “Oltre gl’ali
di Icaro” (Roma, Mancosu). Nicola Ruffolo. Ruffolo. Keywords: Icaro,
Cosmologica, possibilismo, guazzagublio, lo specchio del diavolo, implicatura eutimistica-terapeutica.
Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Ruffolo” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Rufino: la
ragione conversazionale del commentario filosofico – Roma – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Aquileia). Filosofo italiano. He comments
some ‘saggi’ by Origen. Tirannio Rufino.
Grice e Rufo: la
ragione conversazionale -- NAM CVM ESSET ILLE VIR EXEMPLVM VT SCITIS INNOCENTIÆ
CVM ILLO NEMO NEQVE INTEGRIOR ESSET IN CIVITATE NEQVE SANCTIOR NON MODO SVPPLEX
IVDICIBVS ESSE NOLVIT SED NE ORNATIVS QVIDEM AVT LIBERIVS CAVSAM DICI SVAM QVAM
SIMPLEX RATIO VERITATIS FEREBAT – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo Italiano. Scolaro di Panezio. Combatte
sotto Numanzia agl’ordini d’Emiliano SCIPIONE (si veda) come tribunus militum
ed e pretore urbano. Al pari di MARIO (si veda) – e SCEVOLA augure, R.
segue come legato Quinto Metello nella guerra contro Giugurta. Quando Mario,
quale console, assunse il comando dell’esercito, R. ritorna a
Roma. Console. R. segue l’amico Marco Scevola l’augure nel suo pro-consolato
d’Asia. Condannato ingiustamente per accuse di nemici che si è procurato con la
sua rigida onestà, R. vive da prima a Mitilene e poi a Smirne, e rifiuta
l'invito di SILLA (si veda) di accompagnarlo a Roma. CICERONE conosce Rufo a
Smirne. A Smirne, Rufo scrive un "De vita sua" e una storia di
Roma. È oratore. I suoi discorsi hanno per la loro aridità impronta del
Portico. Coltiva gli studi giuridici. Militari romani e politici romani.
Console della Repubblica romana. Muore a Smirne. Gens: Rutilia. Console. Militare,
politico e storico romano. Comincia la sua carriera militare al seguito d’Emiliano
Scipione Africano minore, nella guerra in Spagna. R. è legato di Quinto Cecilio
Metello Numidico, proprio nel corso della guerra contro Giugurta, durante la
quale, fra i sotto-posti di Metello, vi è anche Gaio Mario. Si distinse nella
battaglia del Muthul, nel corso della quale fronteggia un attacco di Bomilcare
e organizza la cattura o il ferimento della maggior parte degl’elefanti da
guerra numidici. Eletto console, ha come collega Gneo Mallio Massimo, il quale
arriva secondo all'elezione. Le sue iniziative principali riguardarono la
disciplina militare e l'introduzione di un migliore sistema di addestramento
delle truppe. Legato di Quinto Mucio Scevola (si veda) l’augure,
governatore della provincia d'Asia. Aiutando il suo superiore nei suoi sforzi
di proteggere i provinciali dalle malversazioni dei pubblicani, R. si guadagna
l'inimicizia dell'ordine equestre, al quale i pubblicani appunto apparteneno.
Venne citato in giudizio con la grave accusa di estorsione ai danni di quegli
stessi provinciali che lui ha fatto tutto il possibile per proteggere. L'accusa
è sfacciatamente falsa. Ma, poiché le giurie della quaestio de repetundis -- il
tribunale preposto al giudizio dei governatori e amministratori provinciali
accusati di ruberie -- sono scelte fra i cavalieri, la sua condanna è cosa
certa, a causa del risentimento che essi provano per lui. R. e difeso da suo
nipote Gaio Aurelio COTTA (si veda), e accetta il verdetto con la rassegnazione
che si addice a uno seguace del Portico e allievo di Panezio quale era
lui. R. si ritira a vita privata dapprima a Mitilene e poi a Smirne -- forse
un atto di sfida nei confronti dei suoi persecutori. È infatti accolto con
tutti gl’onori nella medesima città nella quale, secondo i suoi accusatori, si è
comportato da funzionario corrotto -- e dove Cicerone lo incontra non più tardi.
Sebbene invitato da Lucio Cornelio SILLA (si veda) a fare ritorno a Roma, R.
declina l'invito. Durante il suo soggiorno a Smirne, R. scrive la propria
autobiografia e una storia di Roma. R. ha infatti una profonda conoscenza della
filosofia, della letteratura ma anche del diritto, e scrive dei saggi
giuridici, dei quali alcuni frammenti sono citati nel “Digesto.” R. su Treccani
– Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Momigliano, R. in
Enciclopedia Italiana. R., in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. R., su sapere; Agostini, R., Enciclopedia Britannica; R., su PHI
Latin Texts, Packard Humanities Institute. Predecessore Console romano Successore
Quinto Servilio Cepione e Gaio Atilio Serrano con Gneo Mallio Massimo Gaio
Flavio Fimbria e Gaio Mario II V · D · M Storici romani . Portale Antica
Roma Portale Biografie Categorie: Militari romani Politici romani
Storici romani Militari Storici Nati a Roma Morti a Smirne Consoli repubblicani
romani Rutilii Stoici. R., who came
after BRUTO, is the first tribune of the people, then Consul, and subsequently proconsul
of Asia. His ancestors had been both censors and consuls. All that is related
of him is, that he is in high esteem with OTTAVIANO, who supports all his own plans
by the reasonings of this great lawyer. Wise Romans. To the list of wise men
recognised by the Greeks, the Romans are proud to add other names from their
own history, thereby associating their philosophic principles with patriotic
pride. From their mythology ENEA is selected, the man who crushes his desires
that he may loyally co-operate with the destiny of his people. From the times
of the republic SCIPIONE africano minore and his gentle companion LELIO; whilst
in R. a Roman is found who, like Socrates, would not, when on his trial, consent
to any other defence than a plain statement of the facts, in which he neither
exaggerates his own merits nor makes any plea for mercy. Nam cum esset ille vir
[R.] exemplum, ut scitis, innocentiae, cumque illo nemo neque integrior esset
in civitate neque sanctior, non modo supplex iudicibus esse noluit, sed ne
ornatius quidem aut liberius causam dici suam, quam simplex ratio veritatis
ferebat. Cic. de Or. -- cf. Sen. Dial. Publio Rutilio Rufo. Keywords: Filosofia
romana. Luigi Speranza, “Grice e Rufo” – The Swimming-Pool Library. Rufo.
Grice e Ruggiero: la ragione
conversazionale di Remo e di Romolo – filosofia meridionale -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo Italiano. Scrive
“Critica del concetto di cultura” (Catania, Battia), cui CROCE rimprovera la
mancata distinzione tra “cultura” e “falsa cultura”. Idealista, senza aderire
all'attualismo di GENTILE. Liberale, pur non risparmiando critiche alla classe
politica espressa dal partito liberale. Insegna a Messina e Roma. Avendo aderito
all'idealismo con GENTILE, la sua ri-vendicazione dei valori del liberalismo lo
rende un esponente di spicco dell'opposizione al fascismo. Per non perdere la cattedra
presta il giuramento di fedeltà al fascismo. Autore, tra le altre saggi, di una
imponente Storia della filosofia e di
una Storia del liberalismo. Socio degl’esploratori italiani. Indaga nella
storia della filosofia ROMANA la potenza di libertà costruttrice del mondo degl’uomini,
e, auspicando in tempi oscuri il ritorno alla ragione, e ad Italia maestro ed
apostolo di fede nell'umanità. Saggi: Storia
della filosofia,” “La filosofia greca” (Bari, Laterza); “Cristianesimo” (Bari,
Laterza); “Rinascimento, riforma e contro-riforma” (Bari, Laterza); “La
filosofia moderna: cartesianismo” (Bari, Laterza); “L’illuminismo” (Bari, Laterza);
“Da Vico a Kant” (Bari, Laterza); “L'età del romanticismo” (Bari, Laterza); Hegel;
(Bari, Laterza); La filosofia contemporanea (Bari, Laterza); “La filosofia politica
italiana meridionale (Bari, Laterza); “L'impero britannico dopo la guerra”,
Firenze, Vallecchi, “Storia del liberalismo” (Bari, Laterza); “Filosofi” (Bari,
Laterza); “L'esistenzialismo” (Bari, Laterza); “Scritti politici”, Felice,
Bologna, Cappelli, La libertà, Mancuso,
Napoli, Guida); Lettere a Croce (Bologna, Mulino); Croce, La Critica, I filosofi
che dissero "NO" al duce, in La Repubblica, Un ritratto filosofico (Napoli,
Società Editrice); L'impegno di un liberale” “Tra filosofia e politica (Firenze,
Monnier); Treccani, Dizionario biografico degl’italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Griffo, La
coscienza critica del liberalismo; Sgambati, Tra ethos e pathos. Il
diritto pubblico romano lascia, assai meglio del diritto privato, osservare le
discontinuità e le suture, a testimonianza delle sue radicali
trasformazioni. Esso non presenta un processo di sviluppo dall’interno,
ma piuttosto un’opera di lento accrescimento dall’esterno, che fa
coesistere il nuovo e l’antico, come per dissimulare i mutamenti da un periodo
a un altro. La preoccupazione costante dei ROMANI è di salvare la continuità
storica delle loro istituzioni, di sforzare il primitivo regime
cittadino, fino a includervi tutto il ricco contenuto degl’acquisti
posteriori. La città è per essi un più saldo organismo che non la polis
dei Greci: il principio della sovranità popolare, come fondamento della
costituzione, vi è assai più stabilmente riconosciuto e presidiato, e,
principalmente, le magistrature cittadine vi rivestono quel
carattere e quel prestigio monarchico, che vivamente impressiona un greco
romanizzato come Polibio. Lo spirito militare è in gran parte causa della
maggiore coesione e dell’acentramento della vita pubblica. Ma esso è
anche il principio della espansione della città in più vaste associazioni
politiche, aventi per base l’autonomia municipale, limitata soltanto
dalle esigenze della difesa dal nemico esterno. L’interesse
militare suggerisce infatti la prima grande federazione che, col nome di lega
latina, aggruppa alcune città sotto l’egemonia romana; che sarà il
modello delle future aggregazioni. Il principio federale è
quello che salva il nucleo della città, pur mirando oltre la sparsa vita
cittadina; e ad esso Roma si attacca per salvare sé stessa insieme con le
sue conquiste. Il lento processo di assimilazione dei popoli soggiogati
compiuto dalla civiltà romana si fonda tutto sulla preventiva dissoluzione
degl’originari stati nazionali e indigeni e sulla trasformazione di essi
in aggregati municipali autonomi, e solo militarmente legati a Roma.
L’idea del decentramento amministrativo è certo una delle più
grandi che il diritto pubblico romano ci abbia tramandato. Ma essa ha per
l’antichità un valore anche maggiore che per noi, perché
storicamente l’autonomia municipale è un passo importantissimo
nella formazione del nuovo principio dello stato, che sorge sulla rovina
delle nazionalità, e sul riconoscimento delle più minute unità cittadine,
confluenti con la loro vita propria nel più vasto organismo
politico. Si forma così una patria communis, che ha sotto di sé una
patria particolare, domus od origo Questa doppia istanza della vita
pubblica, che da una parte favorisce la profonda esigenza del self-government
t dall’altra include il particolarismo locale, come momento subordinato, nella
più comprensiva vita statale, è una grande creazione romana. I greci, che
anche seppero moltiplicare, in numerose colonie, la vita delle proprie
città, non riuscirono tuttavia a trarre dal particolarismo cittadino nessuna
idea superiore e comune; cosi perdettero il frutto del loro lavoro in una
dispersione incapace di [Mommsen. Le droit public romain, Paris] riflettersi
nel suo principio creatore. Essi posero in vita una folla di particolari
in luogo di una universalità vera e propria; ciò che ne distingue l’opera
nettamente da quella dei ROMANI. Il municipio costituito in seno allo stato e
subordinato allo stato è certo una delle manifestazioni dìù notevoli e
feconde dell’età di SILLA (si veda). Il periodo sillano rappresenta però
ancora un’età di transizione tra i due momenti, della città e dello
stato, quando l’antico particolarismo è quasi vinto, ma ancora non
balza fuori la nuova universalità. Il progresso, lungo questa via, fino
all’età di GIULIO (si veda) Cesare, è rapido e sicuro. E vi ha
contribuito, più che l’accrescimento diretto del numero dei cittadini,
mediante l’estensione del diritto di cittadinanza, l’incorporazione di un
numero sempre maggiore di stati clienti, il cui regime consta, senza
eccezione, di due elementi: dipendenza legalmente determinata in rapporto
allo STATO ROMANO; indipendenza, o meglio, autonomia amministrativa. Il
processo di romanizzazione è sollecito per la sua stessa spontaneità. In
presenza delle progredite istituzioni romane, le città della provincia
sono volontariamente tratte ad imitarle, abbandonando i vecchi costumi
nazionali, presto riconosciuti inadeguati alle esigenze della vita
cittadina. Un segno della spontaneità di questo lavoro d’assimilazione è la
scomparsa delle stesse tradizioni della religione locale nell’occidente
romano, come il druidismo nella Gallia. Roma, da parte sua, è parca nel
concedere come un premio ambito ciò che pure è suo interesse
precipuo di largire. Essa non accorda a tutte le città un’adeguazione
politica completa, ma la lascia sperare alle più fedeli. Al di sotto delle
città latine che hanno tutte la piena cittadinanza, vi sono città
sine suffragio o città di semi-cittadini, con diverse gradazioni di
privilegi e più o meno scarsa reciprocità verso la capitale. La più
grande forza di attrazione è da Roma esercitata per mezzo delle colonie,
formanti la vera ossatura romana della vasta compagine imperiale. Con
l’estendersi delle conquiste, i piani coloniali vengono ampliati e
coordinati. Da Caio GRACCO (si veda), autore di un primo grande disegno
organico, a GIULIO (si veda) Cesare ed ai suoi imperiali successori, si
svolge un fecondo lavoro, che ha per scopo di popolare di Romani le
regioni occupate e di saldarle alla madre patria. Il principio veramente
romano che presiede a questo lavoro è epigrammaticamente espresso
dal motto: ubicumque vicit Romanus, habitat. Ma se noi guardiamo nel suo
insieme la configurazione politica del grande stato federale sull’unire
della repubblica, e prima che GIULIO (si veda) Cesare avesse stampato nel
diritto pubblico i segni del suo genio precursore, essa ci colpisce con
l’aspetto di un ingombro congestionante e poco vitale. L’impero è tutto ricondotto
alla metropoli. I magistrati municipali di Roma sono i signori del mondo,
l’Italia e la provincia non sono che un’appendice della capitale. Il
rigido principio della conquista sforza fino alle estreme conseguenze il
potente particolarismo nazionale dal quale prende le mosse; e tutta la
vita locale, fuori di Roma, nel tempo stesso che viene elevata a una
coscienza nuova di sé, viene mortificata e depressa da una taccia
d’irrimediabile inferiorità rispetto alla nazione dominante. Manca un’idea
unica che attraversi e vivifichi tutte le membra del grande organismo. Il
legame che lo connette è estrinseco e sovrapposto, riassumendosi nella
forza dell’imperium, che sanci- [Sbn-ec., ad litio.] sce una
eguale schiavitù ai popoli sotto la potenza militare romana. Piccole
città isolate e sterminati regni sono aggiogati disordinatamente allo
stesso carro; purché l’esterno legame sia salvato, Roma non si
preoccupa della vita che internamente si svolge nei suoi domini e la
lascia in balìa all arbitrio di despoti indigeni. Essa regna sul mondo,
ma non lo governa; si appaga di un compito estrinseco di polizia,
che dia sicurezza ai propri commerci. La sua coscienza mondiale si
compendia nell’idea dello sfruttamento del mondo a suo profitto. Questa
deficienza veniva osservata specialmente dagli orientali, presso i quali
erano più vive le esigenze della comunione spirituale dei popoli formanti uno
stesso stato. Apollonio di Tiana, anche quando l’impero aveva
portato molto più avanti il lavoro di unificazione del mondo, lamenta
l’eccessiva materialità del governo romano, che si strania ed aliena gli
spiriti. Una profonda trasformazione di regime s’inizia però con GIULIO
(si veda) Cesare, che, per l’immatura fine, non riesce a portarla a
compimento. Cesare dà il colpo di grazia al nazionalismo latino e fonda
la nuova idea imperiale, distaccandone il centro dal territorio di Roma e
idealizzandolo nella persona del monarca. La legge cesarea dei municipi
comincia col parificare, in diritto, tutte le città, e col trasformare,
conseguentemente, il significato della preminenza di Roma. Questa non è più
l’impero stesso, ma la prima delle municipalità dell’impero, e le sue
magistrature scendono al livello di semplici cariche municipali. La
figura del monarca si distacca nettamente da quella del magistrato. Non è
più il princeps , cittadino tra [Sef.k. Gesch. des Untergangs der antiken
Welt. Berlin. 1901, UI.'p. 110. 2 PiiiLosrn.. Apoi. Ty.. ep.]
i cittadini, ma il dominus che trascende tutto il mondo parificato al suo
cospetto e riceve la propria autorità direttamente dal divino. Questa
idea è affatto nuova allo spirito romano. GIULIO (si veda) Cesare
l’attinge all’Oriente e l’adatta arditamente ai suoi piani. Essa ha
un significato teocratico e mistico, che viene accolto con
diffidenza e senza convinzione dalla scesi frivola dell’ultima età
repubblicana, ma conquista l’età seguente, dominata da uno spirito di
concentrato fervore religioso. L’Oriente riuscirà ad imporla
all’Occidente solo quando gli avrà comunicato la sua fede viva ed
ardente. Il dominus compendia l’unità religiosa e l’unità giuridica
della vita. Sotto il primo aspetto, egli è il re-divino, l’incarnazione
vivente della divinità, che allaccia, con la gerarchia ordinata dei suoi
ministri, tutto il mondo sottoposto. Sotto l’aspetto giuridico,
egli è il re-proprietario, al quale appartengono per diritto proprio le
persone e i beni dei soggetti. Quell’unità che i popoli sono incapaci di
concepire sotto l’astratta luce ideale dell’impero, e che pure è un
bisogno sensibile, immediato della loro esistenza, essi la vedono
incarnata e personificata nel Signore. In questo foco si accentra tutta
la sparsa vita spirituale di genti e razze diverse, che vi ravvisano un
senso alla propria riunione sotto un giogo comune e sollevano e
riscattano la loro schiavitù nella visione di un alto fine religioso di cui
sono partecipi. GIULIO (si veda) Cesare ha una chiara percezione
dell’aspetto religioso della sua missione : la SANCTITAS REGNVM è per lui
il fondamento stesso del nuovo regime monarchico, da cui soltanto possono
irradiarsi una potenza e un prestigio coestesi alla vasta mole
dell’impero. [Svet.. Jul. Caes.] Le conseguenze di questa premessa sono,
per il diritto pubblico, inestimabili. Al decentramento politico e
amministrativo, airindifferenza per la vita locale delle città e degli
stati particolari, in una parola al regime del mero stato di polizia,
subentra un regime accentratore, dove un sovrano assoluto vigila
per mezzo d’un esercito di funzionari sull andamento di tutte le cose del
regno, che ormai gli appartengono, e spoglia città e cittadini di quelle
libertà che contraddicono all’onnipotenza del proprio dominio. Una volta
che il mondo non è più un aggregato inorganico di città, ma forma un’unità
reale e vivente, è giusto che tutte le sue parti, cospirino per
quel eh’ è possibile al fine comune, rinunziando all’autonomia che
disgrega e disperde le forze. GIULIO (si veda) Cesare e sul punto di
realizzare questa vasta trasformazione politica; pero mancò non soltanto
a lui la vita, ma anche ai tempi la maturità necessaria per
portarla a compimento. Più di tre secoli occorreranno per attuare la monarchia
da lui vagheggiata. Per il momento, gl’immediati successori rinunziano ai
più arditi piani e si pongono sul terreno delle istituzioni vigenti, col
proposito di piegarle gradatamente ai loro fini. OTTAVIANO (si veda) è, almeno
all’apparenza, ben poco innovatore. Egli conserva integro il principio
della sovranità popolare, ripristina le magistrature repubblicane sospese nel
tempo della guerra civile, riconosce un potere sovrano al senato.
L’idea dell’impero emerge per lui dallo stesso regime politico
tradizionale, di cui porta a compimento lo spirito monarchico che già gli e
immanente. Nella sua concezione, il principe è il primo cittadino
tra i cittadini, il primo magistrato tra i magistrati. Egli anzi si
guarda accuratamente di legare a questo nome [Mommskn. Le drolt pnblic
romain.] cariche e prerogative nuove ed inusitate, e si avvale invece
degli stessi poteri che gli fornisce la tradizione repubblicana. Attribuendosi
l’imperium o potenza proconsolare, egli ha il comando in capo esclusivo delle
milizie di tutto l’impero; e poiché questa posizione preponderante dal
punto di vista della forza può apparire eslege a Roma e nell’ Italia —
sottratta giuridicamente al potere proconsolare — OTTAVIANO vi aggiunge la
dignità consolare, alla quale più tardi rinunzia per assumere il
tribunato del popolo, la magistratura più popolare e praticamente efficace
. Così, per via di successive sovrapposizioni di cariche preesistenti,
come il pontificato e la censura oltre quelle già nominate, si forma il
potere nuovo del principe, e si consolida con un prolungamento, dapprima
limitato e poi indefinito, della durata delle cariche stesse. L’impero si
costituisce cosi condensando le forze più vitali delle istituzioni
repubblicane, senza innovazioni apparenti, capaci di suscitare reazioni popolari.
Dopo il regime eccezionale della dittatura militare e del triumvirato,
esso ha perfino l’aspetto di una reintegrazione delle magistrature
ordinarie. Alla monarchia vagheggiata da GIULIO (si veda) Cesare
subentra, almeno in principio, una DI-ARCHIA, una divisione del
potere tra il principe e il senato. Tutta la provincia viene separata in
due parti, imperiale e senatoriale, con diversi magistrati; e al senato
viene attribuita ramministrazione dell’ Italia, che OTTAVIANO non
crede opportuno prendere per sé, ritenendo più facile usurpare le libertà
della corrotta capitale e della lontana provincia anzi che quelle più
tenaci dei municipi 1 Mommsen] OTTAVIANO rifiuta la censura, ma la
riassunse Domiziano, per l'opportunità che gli offre questa carica di
influire sulla nomina del senato.] italici. Di fatto però questa di-archia
si converte gradatamente in una vera monarchia, perché l’imperatore può
esercitare una preponderante influenza sulla costituzione e sul
funzionamento del senato, che finisce col divenire un passivo strumento
nelle sue mani. Con felice incoerenza, OTTAVIANO però tien
fermo al principio cardinale della concezione monarchica del suo
grande predecessore, accettando l’idea della divinità dell’imperatore,
pur contraddiente a quella della sovranità popolare, che informa di sé la
nuova carica. L’apoteosi del principe, cioè il riconoscimento della sua
divinità dopo la morte e la conseguente attribuzione degli stessi onori
riserbati agli dèi, — altari, culto e sacerdoti appropriati— costituisce
la parte più importante della riforma religiosa d’OTTAVIANO. L’influsso
sempre più vivo dell’Oriente spingerà i suoi successori ad ingrandire
questo culto, includendovi l’adorazione dello stesso imperatore
vivente: una trasformazione piena di significato, perché con essa
l’apoteosi si distacca dalla vecchia concezione occidentale della
religione dei MANI, che in un primo tempo aveva giovato ad
accreditarla, e s’innesta nello spirito teocratico dell’Oriente.
L’unificazione religiosa dell’impero completa e ribadisce
l’unificazione politica. Il culto dell’imperatore si eleva sui culti
particolari delle singole nazioni e diviene per i popoli il simbolo di
una comunanza spirituale di vita e quasi l’atto di adesione a un
identico destino storico. A questo punto terminano le storie particolari
delle genti, o meglio confluiscono nella storia universale. Il migliore
ammaestramento filosofico che ci vien offerto dalla conoscenza
dello sviluppo del diritto pubblico romano sta per l’appunto nella
conquistata coscienza dell’unità e dell’universalità del piano della storia,
che vince la sparsa frammentarietà delle storie del passato, chiuse
a guisa di monadi in sé stesse e ricomincianti sempre dal nuovo il proprio
lavoro. Roma provoca il brusco risveglio delle genti, rompe l’isolamento
della loro vita, le costringe, pur riluttanti, a entrare nella
vasta orbita della sua azione e a collaborare a una opera comune. La cittadinanza
che l’impero largisce egualmente a tutti i suoi abitanti esprime la
nuova patria ideale e comune, che si eleva sulle patrie particolari
e che gl’uomini accettano quasi come un segno del riscatto dalla
schiavitù del suolo che li lega e li circoscrive materialmente. Essa
è una prima rivelazione dell’umanità a sé stessa: una umanità
ancora pregna di materialità ingombrante e passiva, che non sa guardare
oltre i rapporti contingenti e terreni della vita ed esaurisce i suoi compiti
spirituali nell’adorazione d’un padrone comune; ma eh’ è tuttavia il
primo momento di una rivelazione che non si esaurisce in essa e crea forme
di consapevolezza sempre più profonde. Guido De Ruggiero. De Ruggiero. Ruggiero. Keywords:
storia della filosofia romana, Vico. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Ruggiero”
– The Swimming-Pool Library.
Grice e Rusca: la ragione conversazionale dell’apollo
lizeo – lizio – lizeo – I viali dei giardini dell’apollo lizio – lizeo – Apollo
in riposo – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Venezia). Filosofo Italiano. Studia filosofia. Vicario
generale di Padova della congregazione del S. Uffizio. Ricopre quindi il ruolo
d’inquisitore. Scrive “Syllogistica methodus”; “De caelesti substantia”; “De
fabulis palaestini stagni ad aures Aristotelis peripateticorum principis” e l’
“Epitome theologica”. Vescovo di Caorle. Uno dei presuli che più si spese per
le necessità della sua diocesi. È infatti ricordato per gl’mponenti restauri
della cattedrale che volle fossero eseguiti per salvare l'edificio
dall'imminente rovina. Durante questi restauri ricopre il soffitto della
cattedrale con stucchi e da all'edificio una struttura barocca. La ri-consacrarla,
apponendo alle pareti XII croci in cotto. Inoltre, fa completare la
realizzazione dei nuovi reliquiari per le insigne reliquie dei santi patroni
(Stefano proto-martire, Margherita di Antiochia, e Gilberto di Sempringham) e
provvide al rinforzo della struttura del campanile. Al completamento di tutti i
lavori, vuole che alle solenni celebrazioni presenziassero musici provenienti
da Venezia. A memoria di tutto ciò, resta la lapide, affisse alla parete
sinistra del duomo. D[EO] O[PTIMO]. M[AXIMO] LÆVITÆ STEPHANO PROTO-MARTYRI
FR·PETRVS MARTYR RVSCA EPVS CONSECRAVIT MARINO VIZZAMANO PRÆTORE. Ricordato per
la sua premura nel risollevare le sorti economiche. Ri-pristina la mensa episcopale e provvide al
sostentamento dei sacerdoti istituendone la confraternità. Si adopera per
correggere i comportamenti dei fedeli e dei sacerdoti stessi. Fa erigere nella
cattedrale un altare dedicato a S. Antonio di Padova. In Duomo a Caorle resta
la pala d'altare di S. Antonio con la lapide, affissa alla parete destra dove sorgeva
l'altare, che recita: ILL.[VSSTRISSI]MI ET R[EVERENDISSI]MI EPI CAPRVLEN. VNAM
MISSAM LECTAM QVOTIDIE ET DVAS CANTATAS QVOLIBET MENSE AD HOC ALTARE S. ANTONII
CELEBRARI CVRANTO TENENTVR VT IN ACTIS D[OMINI] OCTAVII RODVLPHI NOT[ARII]. VEN[ETII].
DIEI FR. PETRVS MARTYR RVSCA EPVS CAPRVLEN. EREXIT VNIVIT DISPOSVIT. Consacra
la chiesa di S. Maria Elisabetta al Lido di Venezia. R. Rusca, Il Rusco,
overo dell'historia della famiglia Rusca, Marta, Venezia, Perissuti, Notizie
divote ed erudite intorno alla Vita ed all' insigne basilica di S. Antonio di
Padova, Padova, Corner, Notizie storiche
delle chiese e monasteri di Venezia, e di Torcello, Manfrè, Padova, Sbaraglia,
Supplementum et castigatio ad scriptores trium ordinum S. Francisci, S.
Michaelis ad ripam apud Linum Contedini, Roma. Bottani, Saggio di Storia della
Città di Caorle, Bernardi, Venezia, Musolino, Storia di Caorle (La Tipografica,
Venezia); Gusso e Gandolfo, Caorle Sacra (Marcianum, Venezia); Ughelli, Italia
sacra sive de episcopis Italiæ, et insularum adjacentium. Pietro Martire Rusca.
Rusca. Keywords: “Syllogistica methodus”, “Aures Aristotelis peripateticorum
principis”; “Defensionem Vestigationum Peripateticum”, il liceo fuori dal
liceo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rusca” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Rusconi: la ragione conversazionale dell’attacco
e contro-attacco – la romanitas di Tertulliano -- filosofia italiana – Luigi
Speranza (Meda). Filosofo italiano. Insegna a
Trento e Torino. “La teoria critica della società” -- Istituto storico italo-germanico.
Altre saggi: “Crisi di sistema e sconfitta operaia” (Einaudi); “Scambio,
minaccia, decisione”; “Sociologia politica (Mulino); “Se cessiamo di essere una
nazione” (Mulino), in cui ripercorre il dibattito sul concetto di nazione – “la
nazione italiana”; “Resistenza e post-fascismo” (Il Mulino); “Come se Dio non
ci fosse” (Einaudi), “Italia – lo stato di potenza, la potenza civile” (Einaudi);
“Cefalonia: quando gl’italiani si battono” (Gli struzzi Einaudi); “L'azzardo” (Mulino); “Cavour: fra
liberalismo e cesarismo” (Il Mulino); “Cosa resta” (Laterza); “Seduzione” (Feltrinelli
); “Attacco” (Mulino). Gian Enrico Rusconi. Rusconi. Keywords: romanità,
italianità, il concetto di nazione in Hegel, “God save the queen” – the
national anthem – l’inno nazionale -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rusconi”
– The Swimming-Pool Library.
Grice e Rustico: la
ragione conversazionale della tutela di Roma -- il portico romano. Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma).
Filosofo
italiano. Portico. A friend of ANTONINO (si veda). According to Antonino, R. teaches
him, amongst other things, the importance of both character development and
careful study. He also introduces him to the writings of a former slave by the
name of Epitteto. R., on the other hand, teaches law. He presides over the
trial of Giustino detto il Martire – rightly condemning him to death (“He
didn’t believe in Rome’s tutelary diety, viz. Giove.”). Grice: “Strictly, he
should be listed under “Giunio,” since “Rustico” – meaning ‘Rustic,’ what was
he was _called_!” Quinto Giunio Rustico.
Grice e Ruta: la ragione conversazionale dei corpi
sani – l’intersoggetivo è la psiche sociale – filosofia fascista – filosofia
meridionale -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Belmonte Castello). Filosofo italiano. Insegna a Napoli.
Conosce e frequenta CROCE. Sviluppa una filosofia in armonia con l'ideologia
del regime fascista. Saggi: “Il gusto d'amare” (Millennium); “Insaniapoli” (Campus);
“Il segreto di Partenope” (Napoli, Millennium); “L’inter-soggetivo e la psiche
sociale” (Milano, Sandron); “Il ritorno del genio di VICO” (Bari); “Politica e
ideologia” (Milano, Corbaccio); “La necessità storica dell'Italia nuova”
(Napoli); “Diario e lettere” (Bari); “La nascita della tragedia ovvero Ellenismo
e pessimismo” (Bari). Enrico Ruta. Ruta. Keywords: l’intersoggetivo e la psiche
sociale, corpori sani, il concetto di necessita storica in hegel – il concetto
del sociale – il carattere del popolo italiano, lo stato italiano – la missione
del popolo italiano – la patria italiana, Vico. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Ruta” – The Swimming-Pool Library. Ruta.
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